25 JAN, 1908 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXV — 1006 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1906 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase, . 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 2 5 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag., 11 tav. e una carta geol. a colori. » XX. (1901) 3 » clxxxvj-694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori. » » » 1 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » XXI. (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. » XXII. (1903) 3 » clviii-582 pag., 12 tav. e 2 carte geol. a colori. » XXII I. (1904) 3 » clxxxiv-566 pag. e 13 tavole. » XXIV. (1905) 2 » cv-728 pag.. 15 tav. e una carta geol. a colori. » XXV. (1906) 3 » xcn-902 pag. e 17 tavole. Indirizzo della Società: Casella postale N° 485 — Roma. Indirizzo del Tesoriere: Ing. Giovanni Aichino — - Via S. Susanna, 1 A. — Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXV — 1906 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI E. CUGGIANI Yia della Pace N. 35 1906 I ; i SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1906 Presidente Lucio Mazzuoli (Roma). 1906. Yice-Presidente . . . Federico Sacco (Torino). 1906. Segretario Antonio Neviani (Roma). 1904-1906. Tesoriere-Economo . Giovanni Aichino. 1906-1908. Archivista Enrico Clerici (Roma). 1904-1906. \ Alfredo Bordi (Roma). 1906. Vice-Segretari . / Camillo Crema (Roma). 1906. I Luigi Brugnatelli (Pavia). . 1 Ì Lorenzo Bucca (Catania) . . \ 1904-90 6. Mario Canavari (Pisa) . . . . \ Ernesto Mariani (Milano). . ' 1906. Annibale Tommasi (Pavia) . . / Gaetano Rovereto (Genova) ( I9°5_9°7* Alberto Fucini (Pisa) .... 1 Ettore Mattirolo (Roma) . f Giorgio Spezia (Torino) . . . Augusto Statuti (Roma) . Vittorio Matteucci (Resina). 1906-908- Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere ( prò tempore ). Commissione del bi- lancio Mario Cermenati Gioacchino De Angelis d’Ossat. Antonio Verri 1906. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI — ELENCO DEI SOCI Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona 1902 Giovanni Capellini 1903. Antonio Verri 1904 Romolo Meli 1905. Torquato Taramelli 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. TorquatoTaramelli 1891. Gaet. G. Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel Elenco dei Soci per ranno 1904 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell’adu- nanza generale del 16 settembre 1900 in Acqui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nel- l’adunanza generale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’adu- nanza generale di Savona il 15 settembre 1887. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. E uno dei tre fondatori della Società: venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. Soci perpetui. ELENCO DEI SOCI V Soci a vita. Residenti in Italia. 1884. 1 Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. 1881. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze, igoo. Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. 1890. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1899. Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). 1894. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. 1881. Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell’ Indipendenza, 54. Bologna. 1882. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1895. io Rosselli ing. cav. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1882. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1882. 12 Tilrcke ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Residenti all’estero. 1901. 13 De Dorlodot chan. prof. Henri. Rue de Bériot, 44. Louvain (Belgio). 1881. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 238. Paris. 1881. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra). 1890. Johnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). 1884. Levat ing. David. Boulevard Malesherbes 174. Paris. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Nizza (Alpi Marittime). 1881. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. 20 Pélagaud doct. Elisée. Chàteau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). 1886. 21 Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- menia). ■ Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI Soci ordinari. Residenti in Italia. 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Air aghi prof. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). 1899. Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). 1904. Aloisi dott Piero. Museo mineralogico R. Università. Pisa. 1891. Ambrosioni sac. prof. Michelangelo. Merate (Como). 1903. Ammann ing. Federigo. Abbadia S. Salvatore (Siena). 1892. Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. 1886. Antonelli prof, don Giuseppe. Via del Biscione, 95. Roma. 1898. Antonelli-Gior dani avv. Giuseppe. Corso Umberto I, 307 Roma. 1896. io Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. 1902. Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). 1881. Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Baraffael ing. Angelo. Piazza Nicola Amore, 6. Napoli. 1890. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). 1903. Bargellini prof. Mariano. La Tinaia presso Empoli (Firenze). 1881. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. 1901. Bellini dott. Raffaele. R. Scuola tecnica. Chivasso. 1883. Berti dott. Giovanni. Via Castiglione, 30. Bologna. 1897. Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. 1900. 20 Bianchi prof. ing. Aristide. Liceo. Chieri (Torino). 1898. Biblioteca civica. Bergamo. 1892. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). 1885. Bonetti prof, don Filippo. Via Agonale, 3. Roma. 1904. Bordi prof. Alfredo. Via della Luce, 47. Roma. 1897. Bortolotti-Baldan^i prof. Emma. Viale Po, io. Roma. 1882. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. 1893. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- timiglia. 1897. Brambilla prof, don Giovanni, Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). 1885. Brugnatelli prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. ELENCO DEI SOCI VII 1905. 30 Brunati dott. Roberto. Erba per Albese (Como). 1884. Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1891. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 1889. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. 1897. Caetani (dei principi) ing. Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma 1898. Caffi, dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. 1883. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. 1905. Caneva prof. dott. Giorgio. Piazza Eremitani. Padova. 1881. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. 1899. Capeder prof. Giuseppe. Via Giorgio Asproni, 8. Sassari. 1903. 40 Cappelli march, dott. Giovanni Battista. Via del Ba- buino 51. Roma. 1883. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1*896. Carniccio prof. comm. Antonio. R. Università. Roma. 1896. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). 1882. Cattaneo ing. comm. Roberto Via Ospedale, 51. Torino. 1890. Cermenati prof. Mario. Via Cavour, 238. Roma. 1895. Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. 1900. Checchia-Rispoli dott. Giuseppe. Museo Geologico, Regia Università. Palermo. 1901. Chiabrera dott. conte Cesare. Acqui. 1905. Chigi princ. don Francesco. Palazzo Chigi. Roma. 1882. 50 Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. 1903. Ciampi ing. Adolfo. Direttore Miniera Castelnuovo dei Sabbioni (Arezzo). 1882. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 1886. Clerici ing. cav. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. 1899. Colomba dott. Luigi. R. Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. 1895. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). 1902. Corio prof. Francesco. Istituto Tecnico, Spezia. 1881. Cortese ing. Emilio. Corso Firenze, 25. Genova. 1890. Corti prof. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). 1895. Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. 1895. 60 D’Achiardi prof. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. Vili ELENCO DEI SOCI 1902. Dal Lago cav. dott. Domenico. Valdagno (Vicenza). 1899. Dal Pia\ dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. 1900. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione del Tevere. Roma. 1893. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 1883. De Amicis prof. Giovanni Angusto. R. Liceo. Voghera. 1891. De Angelis d’Ossat prof. cav. Gioacchino. R. Università. Roma. 1881. De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Via Carmine 2. Torino. 1895. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). 1883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo, 128. Palermo. 1886. 70 Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. 1 900. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1886. Dell' Erba ing. prof. Luigi. R. Scuola Applicazione In- gegneri. Napoli. 1892. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo geologico, R. Univer- sità. Catania. 1881. Del Prato prof. Alberto. R. Università. Parma. 1900. De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. 1882. Demarchi ing. comm. Lamberto. Corso V. E., 1 54. Roma. 1892. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1889. Dervieux sac. Ermanno. Via Massena 34. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1899. 80 De Stefano prof. Giuseppe. R. Scuola Tecnica. Sore- sina (Cremona). 1905. Di Franco dott. Salvatore. R. Università. Catania. 1883. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 1885. Di Stefano prof. cav. Giovanni. R. Università. Pa- lermo. 1896. Dompè ing. Luigi. Piazza G. Meli, 5. Palermo. 1903. Eliotipia Calzolari e Ferrar io. Viale Monforte, 14. Milano. 1901. Etna cav. Silvio , tenente colonnello 5.0 regg.0 Alpini. Milano 1896. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). 1905. Fabiani dott. Ramiro. Museo geologico, R. Università. Padova. ELENCO DEI SOCI IX 1905. Falconi Adolfo. Posta. Bologna. 1902. 90 Fantappiè prof. Liberto. Via Mazzini, 4. Viterbo. 1904. Fermai ing. Ferruccio. Poggibonsi (Siena). 1905. Feruglio dott. Giuseppe. Viale Venezia, 4. Udine. 1894. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. 1901. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 386. Napoli. 1905. Frenguelli Gioacchino. Piazza S. Giovanni in Laterano, 6. Roma. 1890. 100 Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. Galdieri dott. Agostino. Museo Geologico. R. Università. Napoli. 1891. Galli prof. cav. don Ignaqio , direttore dell’Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. 1891. Gianotti prof. Giovanni. R. Scuola normale. Vercelli. 1903. Gortani dott. Michele. R. Istituto superiore agrario. Perugia. 1887. Goqqi ing. Giustiniano. Via Galliera, 14. Bologna. 1892. Greco prof. Benedetto. R. Liceo. Cuneo. 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Brignole-De Ferrari, 16. Genova. 1881. Jervis prof. cav. Guglielmo. Via Principe Tommaso, 30. Torino. ' 1883. Lais sacerdote prof. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 11. Roma. 1889. no Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Cernaia, 24. Torino. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1905. . Lorenzi prof. Arrigo. Via Cassignacco, 36. Udine. 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Lovisato prof. Domenico. R. Università. Cagliari. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1905. Maddalena ing. Leonqio. Museo mineralogico. R. Uni- versità. Pavia. 1882. Malagoli prof. Mario. Stradone Porta Palio, 12. Verona. 1899. Manasse dott. Ernesto. R. Università. Siena. X ELENCO DEI SOCI 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1905 120 Marcantonio dott. Ireneo. Lanciano per Mozzagrogna (Chieti). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1899. Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Studi Superiori. Firenze. 1900. Martelli dott. Alessandro. Museo geologico, Piazza S. Marco. Firenze. 1896. Martore prof. Michele. Ringo, 171. Messina. 1892. Matteucci prof. comm. Vittorio. Direttore del R. Osser- vatorio Vesuviano. Resina (Napoli). 1881. Marioli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli prof. cav. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. 130 Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1897. Millosevich prof. Federico. R. Università. Sassari. 1900. Monti dott. Achille. Via Posteria, 3. Pavia. 1895. Mor andini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morirli prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. 1904. Napoli p. Ferdinando. Via Chiavari, 6. Roma. 1897. 140 Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17. Firenze. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. 1881. Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Omboni prof. , comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1901. Pagani prof. Umberto. R. Scuola tecnica. Lovere. 1881. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1892. Patroni prof. Carlo. R. Istituto Tecnico. Arezzo. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. Ispettore capo delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1899.150 Pelloux capitano Alberto. Villa Caterina. Bordighera 1893. Peola prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. ELENCO DEI SOCI XI 1903. Perrone cav. Eugenio , Via Cola di Rienzo, 133. Roma. 1902. Piana cav. Giuseppe. Badìa Polesine (Rovigo). 1901. Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. 1891. Platania-Platania prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Ufficio minerario. Iglesias. 1895. Porro ing. Cesare. Carate Lario (Como). 1898. Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 1901. Prever dott. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. 1983. 160 Ragnini cav. dott. Romolo. Maggiore medico. Via Con- solato, 11. Torino. 1903. Raimondi ing. Luigi. Miniere solfuree Trezza. Cesena. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi dott. Emilio. Museo civico di storia naturale. Milano. 1901. Ricci prof. Arnaldo. R. Scuola Tecnica. Susa. 1886. Ricciardi prof. comm. Leonardo. Preside del R. Isti- tuto Nautico. Napoli. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1883. Riva Palaci tenente generale Giovanni, Comandante del 20 corpo d’armata. Firenze. 1898. Roccati prof. Alessandro. R. Scuola d’applicazione per gl’ingegneri. Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Piazza Lorenzo Ma- scheroni, 3. Bergamo alta. 1903. 170 Rosati dott. Aristide. R. Università, Museo mineralogico. Roma. 1893. Rossi dott. Guido. Via Emanuele Filiberto, 233 (int. io). Roma. 1892. Rovereto march, dott. Gaetano. Via S. Agnese, i . Genova. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 1885. Sacco prof. Federico. R. Scuola d’applicazione per gl’in- gegneri. Torino. 1881. Salmojraghì ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1904. Sangiorgi prof. Domenico. R. Università. Parma. 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Monte Oliveto, 44. Na- poli. XII ELENCO DEI SOCI 1902. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona). 1881. Segrè ing. cav. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. 1900. 180 Seguen^a Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1904. Silvestri prof. Alfredo. R. Liceo. Spoleto. 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1896. Spire k ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 114. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Strilver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. 190 Taramelli prof. comm. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1881. Tittoni aw. comm. Tommaso. Senatore del Regno e Ministro degli Esteri. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo prof. Giovanni. R. Liceo. Lodi. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. Tonini dott. Lorenzo. Seravezza (Lucca). 1905. Tomolo dott. Antonio. Via S. Martino, 8. Pisa. 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1901. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). 1882. 200 Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via Tor Sanguigna, 13. Roma. 1906. Ufficio sperimentale delle Ferrovie dello Stato. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1881. Ufielli prof. Gustavo. Via S. Egidio, io. Firenze. 1899. Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). 1882. Verri generale comm. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1893. Vinassa de Regny dott. prof. Paolo Eugenio. R. Istituto superiore agrario. Perugia. 1903. Viola ing. Carlo. R. Università. Parma. 1882. Virgilio prof. Francesco. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino. ELENCO DEI CAMBI XIII 1906. Wangenheim ingegn. von Gìinther. Direttore miniere. Ragusa. 1883. 210 Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Ufficio geologico. Roma. 1902. Zamara nob. colonnello Giuseppe. Corso C. Alberto, 23. Brescia. 1881.212 Ze\i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Residenti all’estero. 1887.213 Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. 1898. Dannenbérg prof. Arturo , Kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). 1893. Deecke prof. Wilhelm. Universitat. Greifswald (Prussia). 1905. De la Cru\ y Dia\ ing. Emiliano. Calle Malasana, 3. Madrid. 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 11 9. Lisbona. 1895. De Pian ing. cav. Luigi. Via Dionisio Arepaghito 1. Atene. 1 899. Hassert doct. Kurt. Universitat. Bismarkstrasse, 30. Kòln am Rhein (Germania). 1903. 220 Mar gerie(de) prof. Emmanuel. RueFleurus44. Paris (VP). 1903. Monaci Pietro. Miniera Karaburnn. c/o C. Whittall. Smirne (Turchia). 1902. Oppenheim dott. Paolo. Sternstrasse, 19. Gross-Lichter- felde-West (Berlin). 1895. 223 Salomon doct. Wilhelm. Universitat. Heidelberg (Baden). Elenco dei cambi O Italia. Catania. - — R. Accademia Gioenia di sciente, lettere, ecc. a) . Atti [anno LX1X, 1892-93]. b ) . Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892]. (*) (*) D' ogni pubblicazione è indicato da qual volume od anno comincia la serie posseduta dalla Società. XIV ELENCO DEI CAMBI Roma. — R. Accademia dei Lincei. (Via Lungara). a) . Rendiconti della classe di se. fis. mat. e nat. [serie 3% voi. VII, 1882]. b ) . Rendiconti delle sedute solenni [1892] Roma. — R. Comitato geologico d'Italia. (Via S. Susanna 1 A). a) . Bollettino [voi. I, 1 870J. b) . Mem. descritt. della carta geol. d’Italia [voi. I, 1886]. c) . Mem. per servire alla descr. della carta geol. d’Italia [voi. I, 1871]. d) . Carte geologiche diverse. id. — Ministero di Agricoltura , Industria e Commercio, a). Pubblicazioni varie. id. — Società geografica italiana. (Via Plebiscito 102). a) . Bollettino [serie 2% voi. VII, 1 882J. b) . Memorie [voi. V, 1895J. Id. — Società Ingegneri ed Architetti. (Corso Umberto 1, 397). a) . Bullettino [anno I, 1893]. b) . Memorie [anno I, i886j. Austria-Ungheria. Budapest. — K. Ungarische Geologische Anstalt. (Stefania - ut. 14). a) . Mittheilungen aus dem Jahrbuche [Bd. I, 1872]. b) . Jahresbericht [1883]. c) . Foldtani Kdzlòny [Kòt. XV, 1885]. d) . Pubblicazioni diverse. Cracovia. — Académie des Sciences (Akad. d. Wissenschaften). a). Bulletin international (Anzeiger) [ 1 889J. Iglò. — Magyarorsfgi Kà rpàtegyes iile t. (Ungarischer Karpathen- Verein). a). Jahrbuch [voi. XVII, 1890J. Wien. - — K. k. Geologische Reichsanstalt. (Rasumofski- gasse 23). a) . Verhandlungen [Jahrg. 1880]. b) . Jahrbuch [Bd. XXX, i88oj. id. — K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. a). Annalen [Bd. I, 1886]. id — Paldontologische s institut der k. k. Universitat (I., Franzensring). a). Beitrage zur Palaontologie und Geologie Osterreich- Ungarns und des Orients [Bd. XI, 1897). ELENCO DEI CAMBI XV Belgio. Bruxelles. — Sociétè Royale malacologique de Belgique. a). Annales [voi. XVI, 1 88 1 ]. id. — Société Hongroise de Géographie. a) . Bulletin [Tom. XXXI, 1903]. b) . Abrégé du Bulletin. [id.]. id. — Société Belge de Gèologie, de Palèontologie et d'Hydrologie. (Palais du Cinquantenaire). a). Bulletin [voi. I, 1887J. Liège. — Société géologique de Belgique. a). Annales [voi. IX, 1881 1. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne de Bordeaux. (Rue des Trois- Conils ; Athénée). a). Actes [voi. XXXVI, 1882]. Havre. — Société géologique de Normandie. (Hotel de ville). a). Bulletin [t. XX, 1900]. Lille. — Société géologique du Nord. (Rue Brùle-Maison, 159). a). Annales [voi. XXXII, 1903]. Paris. — Société de Spèléologie. (Rue de Lille, 34). a). Bulletin (Spelunca) [t. I, 1895]. id. — Société géologique de France. (Rue Serpente, 28). a). Bulletin |ser. 3% voi. X, 1 88 1 J . Germania. Berlino. — Deutsche geologische Gesellschaft. a). Zeitschrift [Bd. 35, 1883]. id. — K. preuss. geolog. Landesanstalt und Bergakademie. (Invalidenstrasse, 44). a). Jahrbuch [Bd. I, 1880]. Bonn. — Niederrheinische Gesellschaft. a) . Sitzungsberichte [1895]. b) . Verhandlungen(d.naturhistorischenVereins) [LUI, 1896I. Freiburg. — Naturforschende Gesellschaft. a). Berichte | Bd. IV, 1 888 1. XVI ELENCO DEI CAMBI Gran Bretagna. Dublino. — Royal Dublin Society. a) . Scientific proceedings [N. S., voi. IV, 1885J. b) . Scient. transactions fser. II, voi. Ili, 1885]. Edinburgo. — Edinburgh Geological Society. a). Transactions [voi. VII, 1894). Glasgow. — Geological Survey. a). Memoirs [1905]. Londra. — Geological Society. a) . Quarterly Journal [voi. XXXVIII, n° 149, 1 882 1. b) . Geological literature |n° 1, 1 894J. Portogallo. Lisbona. — Direcedo dos trabalhos geologicos (Rua do Arco a Jesus, 113,2°). a) . Communicafóes [t. I, 1883]. b) . Mémoires [alcune], Rumenia. Bukarest. — Biuroulu geologicù. a). Anuarulù [voi. I, 1882; serie chiusaj. id. ■ — Museulu de Geologia si de Paleontologia, a). Anuarulù [anno 1894I. Jassy. — Università de Jassy. a). Annales scientifiques [t. I, 1900]. Russia. Helsingfors. — Commission géologique de Finlande. a). Bulletin [n° 6, 1897]. Novo-Alexandria — Annuaire géologique et minéralogique de la Russie [voi. I, 1896]. Pietroburgo. — Comité géologique. (Institut des mines). a) . Bulletin [t. I, 1882]. b) . Mémoires [voi. I, 1883]. c) . Bibliothèque géologique de la Russie [t. VI, 1885J. d) . Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1895]. id. — Russische K. Mineralogisclre Gesellschafl . a) . Verhandlungen [Bd. 32, 1896]. b) . Materialien zur Geologie Russland [Bd. 18, 1897]. ELENCO DEI CAMBI XVII Pietroburgo. - — Société Impèriale des Naturalistes. a) . Comptes-rendus des séances [voi. XXVI, 1885J. b ) . Travaux de la section de Géologie et de Minéralogie [voi. XIX, 1888]. Svezia. Stoccolma. — Geologìska fòreningen i Stockholm. a). Fòrhandlingar [Bd. XII, 1890). Upsala. — - Geological lnstitution of thè University of Upsala (Bibliothèque de l’Université R.). a). Bulletin [voi. I. 1892]. Africa. Cape Town. — Geological Commìssion Departement of Agri - colture. a) . Annual report [i°, 1896]. Johannesburg. — Geological Society of South Africa. <2). Transactions [voi. VI, 1904]. b ) . Proceedings |anno 1905], America. Baltimore. — Maryland Geological Surrey. a). Reports [voi. I, 1897] Buenos-Ayres. — Instituto geografico Argentino. a). Boletin [t. X, 1889]. Cleveland. — Geological Society of America. a). Bulletin [voi. I, 1890]. Columbus. — Geological Survey of Ohio. a). Bulletin [4** serie, n° 1, 1903]. Lima. — Cuerpo de Ingenieros de Minas del Perù, a). Boletin [num. 1, 1902]. Messico. — Instituto geològico de Mèxico. (5/ Ciprés, 2728). a). Boletin [num. 12, 1 88g|. id. — - Sociedad geologica, a). Boletin [Tomo I, 1905]. Montevideo. — Museo Nacional. <2). Anales [t. I, 1894]. Ottawa (Canadà). — Mincs brandi. Department of thè Interior, a). Reports. 11 XVIII ELENCO DEI CAMBI Parà. — Musen Paraense de Historia Naturai e Etlmographia. (Caixa postai n° 399). a). Boletim [voi. I, 1896]. Rolla. — Bureau of Geology and Mines. State of Missouri. Sào Paulo. — Museo Paulista. (Caixa do Correio, 500). a). Revista publicada par H. v. Ihering. [voi. I, 1895]. Washington. — United States Geological Sun'ey. a) . Bulletin [n° 34, 1883]. b ) . Annual reports [sixth ann. 184J. c ) . Monographs [voi. I, 1 882 J. d) . Minerai resources [anno 1886]. Wisconsin. — University of Wisconsin. a). Bulletin - science series - [voi. I, i8g4j. Asia (Indie). Calcutta. — Geological Survey of India. a) . Memoirs [voi. IV, 1865J. b) . Palaeontologia indica [ser. 1*, voi I|. c) . Records [voi. I-XXX, serie interrotta). d) . Pubblicazioni diverse. Asia (Giappone). Tokio. — Geological Society. a). The Journal [voi. Vili, 1901J. id. — College of Science Imperiai University, a) The Journal [voi. XVI, 1901J. Australia. Melbourne. — Australasian Institute of Mining Engineers. a) . Transactions [voi. IV, 1897). b) . Proceedings [anno 1898J. id. — Royal Society of Victoria. a) . Transactions [voi. I. 1888]. b) . Proceedings [voi I, n. s., 1889). Sydney. — Geological Survey of New South Wales. a) . Records [voi. IV, 1894). b) . Memoirs [1894]. c) . Annual report [1894J. d) . Minerai Resources [n° 1, 1 898 1. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE tenuta in Roma il 4 marzo 1906 Presidenza Mazzuoli. La seduta è aperta alle ore 9,45 nella Biblioteca del R. Ufficio Geologico. Sono presenti: il comm. ing. Mazzuoli L. presidente, i con- siglieri Mattirolo E. e Statuti A., il tesoriere Aichino G., il segretario Neviani A., il vicesegretario Crema C., ed i soci Bal- dacci L Capellini G., Cermenati M., Clerici E., Cortese E., De Marchi L., Dompè L., Franchi S., Frenguelli G., Lattes 0., Lotti B., Napoli F., Novarese V., Pellati N., Stella A., To- molo A., Verri A., Zezi P. Scusano l’assenza : il vice presidente Sacco F., i consiglieri Fucini A., Matteucci V., Rovereto G., Spezia G., Tommasi A., il vicesegretario Bordi A., i soci Bassani F., Caneva G., Chec- chia-Rispoli G., De Anoelis d’Ossat G., Fantappiè L., Gal- dieri A., Gortani M., Issel A., Manasse E., Meli R., Reichen- bach A., Ricciardi L., Rosati A., Taramelli T., Vinassa de Regny P. E. Si danno per letti i verbali delle sedute tenute dalla Società in Tolmezzo il 20 agosto 1905, e al Rifugio Marinelli il 22 s. m., e pubblicati nel voi. XXIV, pag. xxxvii-lviii del Bollettino; senza osservazioni vengono approvati. Il Presidente ringrazia i presenti del loro intervento, e la Società per la nomina a Presidente, ed annuncia la morte re- cente di quattro nostri consoci, dei quali pervennero già i cenni necrologici, che verranno pubblicati in appendice al verbale della presente adunanza, e cioè: Biagi Giuseppe defunto il 27 settembre 1905, con necrologia del prof. Neviani A. Dewalque Gustavo defunto il 3 novembre 1905, con necro- logia dell’ ing. Aichino G. Ristori Giuseppe defunto il 29 dicembre 1905, con necro- logia del prof. De Stefani C. XX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Scarabelli Gommi Flamini Giuseppe defunto il 28 ottobre 1905, con necrologia del prof. Toldo G. Il Presidente annunzia che hanno presentato le loro dimis- sioni i soci dott. Fatichi N., Namias I. e Ricciardelli M. L’As- semblea da incarico alla Presidenza di pregare i predetti signori, di recedere dalle presentate dimissioni, e nel caso di loro insi- stenza, prenderne atto. Il Tesoriere fa conoscere come i soci Carapezza E., Giat- tini G. B., Levi G., ed Olivetti B. sieno in ritardo col paga- mento delle quote sociali di tre o più anni, e come non abbiano risposto a ripetute sollecitazioni. L’Assemblea ne delibera la radiazione dall’albo dei soci. L’Assemblea approva la nomina dei seguenti nuovi soci: Ufficio sperimentale delle Ferrovie dello Stato , Roma; pre- sentato dai soci Segrè e Mazzuoli, Ing. Gììnther von Wangenheim, direttore delle miniere di Ragusa; presentato dai soci Reichenbach e Neviani. Il Presidente comunica all’Assemblea come il Consiglio, abbia, per il corrente anno, nominati a vicesegretari i soci Bordi A. e Crema C. L’Assemblea ne prende atto. Il Segretario legge le seguenti domande di Cambio col nostro Bollettino, avvertendo che le prime sei non vennero am- messe dal Consiglio, mentre le altre furono approvate subordi- natamente al voto dell’Assemblea: 1. Revista da Sociedade scientifica de Sao Paulo. S. Paolo del Brasile. 2. Acta Societatis Fntomologicae Rohemiae. Praga. 8. Rutlleti de la Institucio Catalana cVHistoria Naturai. Barcelona. 4. Atti della Acc. Scientif. Veneto- Trentino- Istriana. Padova. 5. Rivista di Fisica Matematica e Se. naturali. Pavia. 6. F Escursionista meridionale. Boll, del Circolo escursio- nisti « L. Pilla ». Avellino. 7. Bulletin de la Société Hongroise de Géographie. Budapest. 8. Annales scientif gues de VUniversité de Jassy. Jassy (Ru- na enia). 9. Tlie Geological survey of Scotland. Glascow. 10. Roletin de la Sociedad Geològica Mexicana. Mexico. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXI 11. Department of tlie interior. Mines branch. Ottawa (Ca- nada). 12. Bureau of Geology and mines. State of Missouri. Eolia Mo. L’Assemblea approva il cambio colle ultime sei sopra indi- cate Società ed Istituti scientifici. Il Segretario presenta il seguente elenco degli omaggi per- venuti alla Società dopo l’ultima adunanza: Bassani F.: In memoria di Leopoldo Pilla. Con ritratto. 8°. Napoli, 1905. Clerici E. : Apparecchio per la separazione meccanica dei minerali. 8°. Roma, 1905. — Delle sabbie fossilifere di Malagrotta sulla via Aurelia. 8°. Roma, 1906. Dal Lago D. : Note sul Flysch del Vicentino. 8°. Padova, 1905. Galdieri A. : La mdlacofauna triassica di Giffoni nel Salernitano. 4°, con tav. Napoli, 1905. Heim A.: Das Scmtisgébirge. 8°. Luzern, 1905. HOGBOM A. G.: Nya bidrag till hànnedomen om de kvartàra nivafòràn- dringarna i norra Skandinavien. 8°. Stockholm, 1904. — Om S. E. « Jàslera » och om villkoren fòr dess Bildning. 8°. Stockholm, 1905. Manighetti L. : Orobia — Perforatrice a canna forata a punta di dia- manti. 8°. ?? Meli R. : Sulla Vola Planariae Simonelli (Pecten) fossile nei terreni pliocenici e quaternari dei dintorni di Poma. 8°. Roma, 1905. Merlo G. : Considerations sur la constitution géologique du District mi- nier d’Iglesias (Sardaigne) . 8°. Liége, 1905. Pagani U. : Vicissitudes de quelques échantillons météoriques à travers les siècles. 8°. Roma, 1901. — Le isole galleggianti — Sculture del vento e dell’acqua. 16°. Bolo- gna, 1901. — L’origine del Mar Rosso. 16°. Bologna, 1900. Pellati N. : Relazione del direttore della Carta Geologica sui lavori eseguiti nel 1904 e Proposte di quelli da eseguirsi nel 1905. 8°. Roma, 1905. Platania G. : Su un moto differenziale della spiaggia orientale dell’Etna. 8°. Napoli, 1905 . — Origine della « Timpa » della Scala. 8°. Roma, 1905. — Sulla velocità dei microsismi vulcanici. 8°. Catania, 1905-1906. — Sul magnetismo prodotto da fulminazioni. 8°. Catania, 1906. ROCCATI A.: Ricerche petrografie sulla Valle del Gesso (Valli di S. Gia- como). 8°, con tav. Torino, 1905. SANGIORGI D. : Sulla variazione di volume dei solidi bagnati dai liquidi. 8°. Perugia, 1905. XXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA CENERALE Sernander R.: Flytjord i Svenska Fjàlltrakter en Botanisk-Geologisk under sòkning. 8°. Stockholm, 1905. Spezia G.: Pro-Cascata del Toce. 8°. Torino.... Toulà F. : Neue Erfahrungen uber den geognostischen Aufbau der Erdo- berflàche (X, 1902-1904). 8°. Geogr. Jahrbuch, XXVII. 1904. Il Presidente comunica come nel giorno 11 dello scorso febbraio si sia festeggiato in Modena il quarantesimo anno d’in- segnamento del nostro consocio prof. Pantanelli, e come la Pre- sidenza della Società si sia associata a tali onoranze inviando apposito telegramma, al quale il prof. Pantanelli rispose con lettera gentilissima; corrispondenza che viene letta dal Segre- tario : « Prof. Dante Pantanelli — Modena. » Società Geologica Italiana prende vivissima parte onoranze che oggi vengono signoria vostra tributate ricordando con gratitudine averlo avuto suo primo segretario, poscia amato presidente; ed invia fervidi auguri sia lungamente conservato alla famiglia alla scuola alla scienza. » Presidente Mazzuoli ». * Signor Presidente della S. G. I. — Roma. » Ella ha voluto associare il nome della Società Geologica Italiana alla festa offertami in occasione del mio quarantesimo anno d’insegna- mento ; io ho sempre considerato la Società Geologica come una seconda famiglia, tale mi é sempre apparsa in tutte le nostre riunioni, ora ne ho ricevuto la prova migliore nel suo affettuoso telegramma e nel numero dei colleghi della Società che in questa occasione si sono ricordati di me; é superfluo quindi che aggiunga quanto mi sieno venute gradite le sue parole. » Accolga, on. sig. Presidente, l’espressione vivissima della mia ri- conoscenza. » Dante Pantanelli ». Il Presidente chiede all’Assemblea se in occasione del Con- gresso Geologico Internazionale che si terrà quest’anno a Mes- sico, la Società Geologica Italiana debba inscriversi e farsi rap- presentare. Dopo breve discussione si approva la iscrizione al Congresso di Messico, e si delibera di affidare la rappresentanza della So- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXIII cietà, a quei geologi italiani, che colà si recassero, o ad altri secondo che sembrerà più opportuno alla Presidenza. Il Presidente comunica ufficialmente i temi per il sesto concorso ai premi Molon (rinnovato), che vennero fissati dalla apposita Commissione composta dai soci Clerici E., Meli E. e Parona C. P. e che vennero già pubblicati nel secondo fascicolo del volume XXIV del Bollettino a pag. xlvi, ed a pag. lix. Il Segretario che funzionò da Tesoriere durante lo scorso anno, presenta i bilanci consuntivi e preventivi della Società e dell Amministrazione del legato Molon, e la situazione patrimo- niale, accompagnando la presentazione dei documenti giustificati, e dando su ciascuna partita alcuni ragguagli. Dopo alcune os- servazioni e brevi discussioni vengono approvati alla unanimità i seguenti preventivi : Bilancio preventivo della Società. Anno 1906. Entrate. 1. Tasse sociali . . . L. 3000 — 2. Interessi del legato Molon » 340 — 3. Interessi diversi. . » 875 — 4. Vendita bollettini . » 200 — 5. Concoi’so del Mini- stero di A. I. e C. sull’esercizio 1905- 1906 » 500 — 6. Vendita di stintivi so- ciali » 30 — Spese. 1. Stampa del Bollet- tino L. 3000 — 2. Contribuzione per tavole ed altre il- lustrazioni . . . 3. Distribuzione del Bollettino ed altre spese postali . . 4. Spese di cancelleria, circolari, marche da bollo, ecc. . . 5. Tassa di manomorta 6. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . 7. Per aiuti al Segre- tario 8. Spese diverse ed e- ventuali .... » 850 — » 300 — » 230 — » 27,52 » 180 — » 30 — » 327,48 Totale entrate L. 4945 — Totale spese L. 4945 — XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Bilancio preventivo dell’ Amministrazione del legato Molon. Anno 1906. Entrate. 1. Residuo attivo al 1° gennaio 1906 . L. 3 142,77 2. Interessi del legato Molon » 680 — Totale L. 3 822,77 Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Residuo attivo al 31 dicembre 1906. » 3 790,77 Totale L. 3 822,77 I bilanci consuntivi, che verranno dapprima esaminati dai Commissari per il bilancio, ed approvati nell’adunanza estiva di quest’anno, si chiudono colle seguenti cifre: Bilancio consuntivo della Società. Anno 1905. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1905 L. 5 698 — Spese » » » 5 023,30 Eccedenza entrate L. 669,70 Cassa al 1° gennaio 1905 » 8 525,98 Eccedenza attiva al 31 dicembre 1905 L. 9 195,68 Passate in conto capitali » 8 448,43 Cassa al 1° gennaio 1906 L. 747,25 Bilancio consuntivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1905. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1905 L. 680 — Spese » » » 32 — Eccedenza entrate L. 648 — Cassa al 1° gennaio 1905 » 2 494,77 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1906 » 3 142,77 > L’Assemblea approva la situazione patrimoniale al 1° gen- naio 1906, fissata in nominali lire 47947,09, e secondo il listino di Borsa del 2 gennaio 1906, pari a lire 51090,29. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXV Il Segretario dà anche minuti ragguagli della consegna dei capitali e carte contabili fatta al nuovo tesoriere ing. G. Aichino, e legge i verbali redatti in doppia copia, presente il presidente della Società comm. Mazzuoli. 11 Presidente pone a votazione la nomina dei Commissari per il Bilancio, e funzionano da scrutatori i soci Clerici e Fren- guelli. Poco dopo viene proclamato il seguente resultato : Votanti 23. Eletti : Cermenati Mario con voti 21 Verri Antonio » 20 De Angelis d’Ossat Gioacchino » 15. Altri voti furono dispersi fra i soci: Baldacci, Mattirolo, Napoli, Stella e Zezi. Il Presidente passa al num. 7 dell’ordine del giorno, e cioè alla scelta della sede per le adunanze estive di quest’anno. Egli ricorda che nel Congresso internazionale geologico tenuto a Bo- logna nel 1881, quando fu segnato l’atto di nascita della nostra Società, ebbero luogo, sulla natura e sulla genesi delle roccie ofioliticbe, discussioni assai importanti, alle quali parteciparono numerosi geologi italiani e stranieri. Sarebbe quindi opportuno di ravvivare lo studio di quelle roccie, ed a tal uopo propone che per il nostro convegno estivo si scelga la città di Sestri Levante, da dove si potranno facilmente eseguire delle gite molto istruttive tra le formazioni serpentinose di quella regione. Si dovrà poi aver cura di fissare l’epoca del convegno in modo da coordinarlo al Congresso dei Naturalisti italiani che si aprirà a Milano nel giorno 15 del prossimo settembre. Il socio Cermenati, come membro dei Congresso dei Natu- ralisti italiani a Milano, si associa alle idee esposte dal pre- sidente e fa anch’egli caldi voti affinchè l’assemblea deliberi in modo che la data della nostra riunione estiva possa permet- tere a tutti i soci che lo desiderano di partecipare al Congresso di Milano. Kivolge speciale invito ai colleghi tutti di non man- care a tale Congresso, ricordando che altre Associazioni natu- XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ralistiche italiane hanno deliberato di tenere addirittura la loro annuale riunione a Milano, nell’epoca medesima del Congresso. Eileva la grande importanza di questo Congresso fra i cultori delle scienze naturali in Italia e osserva che i geologi debbono parteciparvi numerosi, anche come omaggio alla città di Milano, che nella storia della geologia italiana ebbe tanta parte ono- revole e che vide sorgere nel 1856 la prima Società geologica d’Italia. Il Presidente assicura che la nostra riunione si terrà prima del Congresso di Milano, e che potrà aprirsi il giorno 9 di set- tembre, che cade in domenica. L’Assemblea approva. Invertendo gli ultimi due numeri dell’ordine del giorno, il Presidente comunica all’Assemblea una lettera del consigliere prof. Spezia G. colla quale accompagnando un suo opuscolo dal titolo Pro Cascata del Toce , propone che la Società s’interessi e cooperi alla conservazione di quelle opere della natura che emergono per la loro grandiosità. Il socio Stella si associa alla proposta del consigliere Spezia, ed aggiunge varie considerazioni di ordine tecnico ed economico, augurandosi che l’Assemblea accolga questa, che è un desiderio di moltissimi. Dopo breve discussione l’Assemblea approva la proposta del socio e consigliere prof. Spezia G., ed incarica la Presidenza di trasmettere questo voto ai competenti Ministeri ('). (*) (*) La seguente lettera venne inviata a S. E. il Ministro di A. I. e C., ed a S. E. il Ministro dei Lavori Pubblici: « Roma, 12 marzo 1906. La Società Geologica Italiana nella sua ultima adunanza del 4 cor- rente mese, su proposta del Consigliere prof. cav. G. Spezia, validamente appoggiata da vari soci, fece voto, affinchè la splendida Cascata della Toce nell’Ossola, sia conservata integra; non venga cioè diminuita e tanto meno annullata per presa di acque a scopo industriale. Certo è da augurare che nell’Ossola accanto alle ardite opere già eseguite per utilizzare le acque di Valle Antrona, e a quelle in corso di esecuzione per le acque di Valle Anzasca, sorgano nuove opere gran- diose per il Devero e per la Toce superiore. Ma mi sia lecito osservare come non si possa ritenere assolutamente essenziale allo scopo, l’aggiun- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXVII Il Presidente comunica anche il seguente brano di lettera del socio prof. Platania, esprimendo il desiderio: «... Che la nostra Società, al pari di quella dei Matematici, » dei Fisici, ecc., si occupi degli interessi della nostra scienza, » e faccia voti : » a) perchè in tutte le nostre Università la geologia sia » separata dalla Mineralogia e affidata, non per incarico allo » stesso professore di Mineralogia, ma ad un apposito inse- » gnante ; » b) che siano istituite almeno nelle principali scuole di » applicazione cattedre speciali di sismologia applicata; » c) che siano istituiti nelle Università ove mancano, i » corsi di Geofisica, e nelle Università ove sono più indicati, » corsi speciali di Oceanografia, di Vulcanologia, di Paleonto- » logia, ecc. » Forse sarebbe opportuno nominare un’apposita commissione » che studi tali proposte e le faccia appoggiare dalla Società » Geografica Italiana e dal Congresso dei Naturalisti di Milano ». Prima di iniziare la discussione sulle proposte del socio Pla- tania, il Presidente chiede se, come già l’approvò il Consiglio, l’assemblea intenda prenderle in considerazione. La presa in considerazione è approvata. Il socio Crema, si associa ben di cuore alla proposta Pla- tania opportunamente sollevata e propone che la Commissione da nominarsi debba portare la sua attenzione anche sui prò. gere il salto di 140 m. della cascata della Toce al migliaio di metri che restano ancora disponibili nel corso del fiume, molto più ricco di acqua a valle della cascata fino alla confluenza col Derero a Baceno. E ciò tanto più nella considerazione che la grandiosità naturale della magni- fica cascata ha già la sua pratica utilizzazione nel concorso ognora cre- scente di visitatori, che da tutte le parti del mondo salgono ad ammi- rarla. Rivolgo pertanto calda preghiera all’E. V. affinché il voto della S. G. I. sia reso esecutivo, onde la più imponente cascata delle Alpi, posta fra le due grandi arterie internazionali del Gottardo e del Sem- pione, rimanga conservata aH’ammirazione del mondo intero. Col massimo ossequio Il Presidente finn. L. Mazzuoli ». XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE grammi delle varie scuole militari superiori, delle scuole d’Agri- coltura ed in genere di tutti gli Istituti d’istruzione superiore che crederà del caso. Esprime poi il desiderio che la relazione e le proposte di detta Commissione siano distribuite prima del- l’adunanza estiva in modo che tutti possano prenderne visione in tempo utile per una proficua discussione. Dopo brevi considerazioni esposte da altri dei presenti, l’As- semblea delega alla Presidenza la nomina di una Commis- sione che studi le proposte Platania e Crema, e che la rela- zione venga distribuita ai soci prima dell’adunanza estiva. Il Presidente rammenta come per voto dell’Assemblea tenuta in Tolmezzo, si interessasse il Ministero di A. I. e C. per la pubblicazione del ricco schedario bibliografico del R. Ufficio Geo- logico; ma come il predetto Ministero con lettera N.° 37481 87 del 18 novembre 1905, abbia risposto di non potere aderire alla fatta richiesta; pure ponendo lo stesso schedario a dispo- sizione della Società, qualora ad essa piacesse assumerne il rior- dinamento e le spese per la stampa. Comunica parimenti come il Ministero della Guerra, con let- tera N.° 6519 del 27 novembre 1905, abbia risposto negativa- mente alla domanda fatta per l’acquisto per parte dei soci della Società Geologica, di tavolette al 25.000, e quadranti al 50.000 della carta topografica del Regno d’Italia relative a zone di frontiera. L’Assemblea prende atto di queste comunicazioni. Il Segretario comunica all’Assemblea i titoli dei seguenti manoscritti inviati alla presidenza per la pubblicazione nel Bol- lettino : Neviani A., Ostracodi fossili di Carrubare (10 novembre 1905). Martelli A., Il miocene di Berane nel Sangiacato di No- vibasar (24 novembre 1905). Sacco F., La questione eomiocenica dell' Appennino (14 di- cembre 1905). Toldo G., Due possi artesiani di Lodi (19 gennaio 1906). Flores E., Su di un molare di Rhinoceros rinvenuto ad Isoletta prov. di Caserta (27 gennaio 1906). RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXIX De Stefano G., Sopra alcuni avanzi di vertebrati fossili conservati nel museo civico di Cremona (23 gennaio 1906). IcL, Sopra una tartaruga fossile della Francia Meridionale (23 gennaio 1906). Checchia-Rispoli G., Sulla diffusione geologica delle Lepi- docicline (2 marzo 1906). Caneva G., La fauna del calcare a Bellerophon. Contributo alla conoscenza dei limiti permo-triasici (4 marzo 1906). De Angelis d’Ossat G., I veli acquiferi alla destra del Te- vere, presso Boma (4 marzo 1906). Gortani M., Sopra alcuni fossili neocarboniferi delle Alpi Gamiche (4 marzo 1906). Vinassa de Regni P. E., Sull’estensione del Carbonifero su- periore nelle Alpi Carniche (4 marzo 1906). Yi sono inoltre i manoscritti dei soci Issel A., Napoli A. ed Ugolini P. R. già annunciati in precedenti adunanze. I seguenti titoli sono solamente stati preannunciati alla Pre- sidenza : De Stefani C., La valle Bevevo nelle Alpi Pennine e il profilo del Sempione. Gortani M., Bibliografia geologica ragionata del Friidi (1737-1905). Meli R., Molluschi fossili, rari o non citati, delle colline suburbane di Boma sulla destra del Tevere. Ricciardi L., La chimica nella genesi e cronologia delle rocce eruttive. Yinassa de Regni P. E., Le graptoliti delle Alpi Carniche. II socio Novarese riassume una sua memoria intitolata: La zona d’Lvrea. Il socio Franchi fa una comunicazione sopra il Trias a facies mista con calcescisti e pietre verdi nel versante padano delle Alpi Liguri. Il socio Stella fa una comunicazione Sui calcescisti della valle di Furgen, e sui gneis di M. Emilius e M. Bafrè (Vedi Appendice n.° 5). Alle ore 11,50 la seduta è tolta. Il Segretario A. Ne vi ani. APPENDICE GIUSEPPE SCARABELLI GOMMI FLAMINI Giuseppe Scarabelli nacque in Imola il 16 settembre 1820 dal medico Giovanni Scarabelli e da Elena Gommi Flamini. Nel 1859 ereditò dallo zio materno Giacomo Gommi Flamini beni e nome. Nel 1860 sposò la contessa Giovanna Alessan- dretti vedova del conte Ercole Faella, ma la perdette nel 1894 senz’ averne avuto figli. Il 28 ottobre 1905 cessarono con lui le progenie degli Scarabelli e dei Flamini ed un ramo dei Gommi. Era di alta statura e di nobilissimo aspetto. La sua salute, alquanto cagionevole nella adolescenza, si venne poi gradata- mente consolidando anche per i numerosi viaggi e per le nume- rosissime escursioni geologiche che ebbe occasione di fare. La educazione e l’indole gli contribuirono la rara virtù di non insuperbire mai in mezzo agli onori, ai poteri, al lustro del casato. Inoltre acquistò dalla madre una pregevole delica- tezza di sentimento che lo rese oltre modo benefico, e dal padre un profondo senso pratico ed una invidiabile equanimità. Le sue relazioni d’amicizia, generate in gran parte dalla politica e dalla scienza, furono profonde e cessarono esclusiva- mente per opera della morte la quale lo venne gradatamente privando di quanti erano stati i più fidi e cari compagni della sua età giovanile. Prima del risorgimento italiano egli si adoperò attivamente perchè venissero esauditi, coi suoi, i fervidi desideri della sua Nazione. Pertanto a 28 anni lo troviamo alla difesa di Vicenza quale Maggiore onorario di Stato Maggiore del Colonnello Fer- rari. Sopite poi, ma non distrutte le itale speranze, lo vediamo partecipare coraggiosamente alle cospirazioni della giovane Ita- lia. Proclamata finalmente, per plebiscito, l’annessione delle Ro- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXI magne al nascente regno d’Italia, Scarabelli presiedette la Com- missione incaricata di presentare al Re Vittorio Emanuele II il voto di quelle provincie. Dopo il risorgimento italiano, egli rivolse la sua operosità politica al benessere della città nativa, e anzitutto come primo Sindaco d’Imola (1860-1866), poi come assessore comunale, poi come consigliere ed infine anche come semplice, ma ben auto- revole cittadino, curò efficacemente il miglioramento edilizio ed economico di quella città. Diresse pertanto, come presidente, per tutta la vita l’Asilo Giardino, la Cassa di Risparmio ed il Con- sorzio dei Molini sorti rispettivamente nel 1845, nel 1855 e nel 1860, in gran parte per opera sua. Precursore del risveglio agricolo imolese, presiedette pure per moltissimi anni il Comizio Agrario Circondariale e la Scuola Agraria, avvalorando coll’e- sempio i suoi principi. Infatti, bonificando colle torbide del San- terno un suo fondo agrario chiamato Cascinetta, lo trasformò in un terreno modello per seminati. Analogamente, rivestendo di terriccio boschivo le ghiaiose pendici di un altro suo fondo agrario chiamato Monticino, lo trasformò parzialmente in una splendida vigna che formò poi l’ammirazione di quanti la visi- tarono. D’altra parte Scarabelli, oltreché patriota, fu pure scienziato, e la scienza costituì forse la felicità maggiore della sua vita e resegli men triste l’inevitabile isolamento degli ultimi anni. Quantunque non avesse fatto un corso regolare di studi, e per ciò solo gli fosse tolta la soddisfazione di laurearsi, egli fu tuttavia uno dei migliori allievi del Pilla e del Meneghini. Dal 1839 al 1842 frequentò infatti il Gabinetto geologico del- l’Università pisana, nel 1843 studiò anatomia a Firenze, indi fece ritorno ad Imola, e basandosi sulla istruzione ricevuta e sulla accuratissima lettura di classiche opere scientifiche, venne gradatamente ampliando e perfezionando la sua coltura. Cam- minatore instancabile, esatto e paziente raccoglitore, felice osser- vatore e discreto disegnatore, egli non tardò a formarsi un ricco corredo di materiali, di disegni e di osservazioni. Con le sue raccolte impiantò, aiutato sopratutto dal mag- giore Pirazzoli e dal chimico-farmacista Tassinari, un museo XXXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE scientifico che regalò poi alla sua Città e diresse per tutta la vita. Ivi trovansi riuniti, oltre ai materiali raccolti, anche le pubblicazioni di cui diamo un elenco come appendice di queste note, i risultati delle sue esperienze scientifiche, i modelli e gli strumenti eseguiti da lui per indagare o dimostrare le verità scientifiche. Esaminando materiali, pubblicazioni, prodotti esperimentali, modelli e strumenti si rileva subito che Scarabelli limitò i suoi studi scientifici alla geologia pr. d. e alla paletnologia e che prese in esame quasi esclusivamente il versante adriatico del- l’ Appennino fra Bologna ed Ancona. Come geologo indagò sopratutto l’ordine stratigrafico delle formazioni e la idrografia sotterranea senza trascurare gli im- portanti problemi che riguardano la origine delle montagne, delle impronte fisiche o fisiologiche e delle roccie. Come paletnologo poi non si limitò a precisare la natura dei relitti umani, ovvero ad escogitarne il probabile modo di pro- duzione, ma, guidato dalla sua coltura stratigrafica, studiò in modo particolare le loro condizioni di giacimento e sempre volle dirigere personalmente gli scavi delle stazioni preistoriche. Quattordici sue pubblicazioni (le quali nell’elenco sono di- stinte rispettivamente coi numeri 5, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 18, 19, 22, 30, 31, 32 e 37) riguardano appunto l’ordine strati- grafico delle formazioni geologiche. Esse mostrano che Scarabelli precedette gli altri geologi nel riconoscere esattamente la costi- tuzione lenticolare della formazione selenitica nel tratto Ancona- Bologna, la sua omogeneità cronologica e la sua pertinenza al miocene superiore. Mostrano pure che egli persistette nella con- vinzione che le argille scagliose, pr. d., quali cioè le aveva descritte il Bianconi, debbano ritenersi cretacee, e substratum delle formazioni posteriori. Tale convinzione fu da lui palesata anche coi modelli e nelle varie discussioni scientifiche, tra cui notevole quella a cui presero parte, oltre lo Scarabelli, anche Capellini, Pantanelli, Taramelli ed Uzielli a Fabriano nel set- tembre 1883. Sei pubblicazioni (6, 16, 17, 26, 38 e 39), riguardano in- vece la idrografia sotterranea del territorio imolese. L’autore riteneva possibile la locale salienza delle acque, e, in verità, RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE XXXIII la trivellazione eseguita in Imola nell’ultimo trimestre del 1898 dalla Ditta Bonariva a spese della Cassa di Risparmio, valse a dimostrare il valore notevole della sua coltura geologica. Riguardo alla origine delle montagne, cui si riferiscono le pubblicazioni 20 e 21, Scarabelli sosteneva che le Alpi, pr. d., le Alpi marittime, le Alpi apuane e gli Appennini sono altret- tante parti di un sistema unico il cui sollevamento si effettuò probabilmente sopra una linea curva. Un simile concetto venne accettato anche dal Suess ( Aspetto della Terra, parte seconda), il quale ebbe poi occasione di inviare a Scarabelli le più cortesi congratulazioni (19 aprile 1897). Per indagare l’origine delle impronte fisiche e fisiologiche, così frequenti sulle superfici degli strati, specialmente nella for- mazione molassica, Scarabelli fece non solo numerosissime osser- vazioni sul vero, ma altresì una serie interessante di esperienze sulle figure di viscosità e sulla riproduzione artificiale dei pa- leodictyon e dei nemertilites, come, in parte, accenna nella pub- blicazione n. 35. Con le note 13a e 14a Scarabelli volle dimostrare l’origine chimica delle roccie selenitiche, mentre poi altrove sostiene deci- samente l’origine eruttiva delle roccie serpentinose. In tre pubblicazioni (7, 34, 36) egli esamina in modo spe- ciale la forma e la probabile tecnica dei relitti paletnologici, mentre delle condizioni geologiche del loro giacimento tratta in altre sette pubblicazioni (23, 25, 27, 28, 29, 33 e 40). Da queste ultime si rileva che, tra i concetti più radicati nella mente del compianto nostro socio, avevano il primo posto i seguenti due: 1° che non tutte le terramare erano palafitte e che quella del Castellacelo e di S. Giuliano lo dimostrano chiara- mente; 2° che molti terramaricoli discesero in Italia ancora ignari dell’uso del bronzo. Chi esamina le varie e numerose pubblicazioni dello Sca- rabelli rimane anche favorevolmente colpito dal grande numero di figure e specialmente di spaccati geologici, mediante i quali l’autore intendeva evidentemente di non lasciare dubbi circa le sue interpretazioni stratigrafiche. Al medesimo scopo mirano i numerosi modelli ch’egli plasmò nel 1889 per dimostrare le leggi generali della stratigrafia, poi nel 1898 per dimostrare ni XXXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE le origini delle terrazze e conoidi alluvionali del Santerno, e finalmente nel 1900 per riassumere le condizioni stratigrafiche dell’apennino bolognese in perfetta armonia col diagramma sche- matico che trovasi unito alla 37a pubblicazione. Riepilogando la vita di Giuseppe Scarabelli, come patriota e come scienziato, possiamo certamente asserire ch’essa è carat- terizzata da una privilegiata costanza di opinioni e di ope- rosità. Quasi settantenne egli, Presidente della Società Geologica, inaugurava a Rimini (6 settembre 1888) il Congresso estivo manifestando i suoi principi politici con la medesima franchezza e col medesimo ardore con cui li aveva sostenuti di fatto nei tempi di riscatto politico. Analogamente nella lunga serie delle sue pubblicazioni si può rilevare che nel formulare principi scientifici egli procedeva cautissimo e quindi non si trovò mai nella necessità di abiurare le conclusioni delle sue molte e scrupolosissime indagini. D’altra parte, non si trova nella sua operosità alcuna ingiu- stificata interruzione. La deficienza di pubblicazioni dal 1859 al 1864 ha la sua ragione d’essere nei moti rivoluzionari delle Romagne; quella dal 1863 al 1887 nella direzione degli scavi fatti al Monte Castellacelo; quella dal 1890 al 1897 nella di- rezione degli scavi fatti a S. Giuliano, e nel profondo dolore prodotto in lui dalla morte della sua amatissima consorte. Tutti ricordano nel suo paese che, pur varcati gli ottantaquattro anni, interveniva alle adunanze degli Istituti che presiedeva, ed agli ultimi scavi fatti a S. Giuliano. Giustamente adunque in altro Consesso venne chiusa la com- memorazione di G. Scarabelli col riconoscere che « nei suoi ottantacinque anni di vita operosissima egli ha bene meritato della Scienza e della Patria ». Del resto Patria e Scienza hanno riconosciuti e moralmente compensati i suoi molteplici meriti. Li hanno compensati individualmente autorevoli scienziati manifestandogli la loro stima in lettere private, in pubbliche conferenze, in pubblicazioni ed anche dedicandogli generi o specie paleontologiche. Li hanno compensati numerosi ed im- portanti Corpi Scientifici, nominandolo Socio, Consigliere, Pre- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXV siderite; varie Commissioni assegnatrici di premi nelle esposi- zioni, alcuni Municipi e Ministeri. Gli dedicarono generi o specie il Cocchi ( Scarabellia insignis ), il Massalongo ( Quercus Se., Liquidambar Se., ZoopJiycos Se.), il Meneghini ( Unifilipora Se., Synastraea Se., Conus Se., Man- tellia Se.), il Doderlein ( Terebra Se., Anomia Se.), il Cecconi ( Chemnitzia Se.), il Portis (Totanus Se.), il Capellini ( Car- dium Se.), il Paolucci ( Eliamnus Se.), il Bonomi ( Osmarus Se.), ed il Foresti ( Cyllene Se., Larus Se., Drillia Se.). Il Meneghini gli dedicò anche una varietà del Conus Pelagicus Br. Tra le ventidue Società Scientifiche che lo vollero Socio, ricorderemo le seguenti di geologia o paletnologia: Società geo- logica francese (2 nov. 1846), Società Sassone di Mineralogia e Geologia (28 giugno 1856), Società danese degli Antiquari del Nord (21 nov. 1871), Società geologica degli Stati £7m7ì(1872) e Società geologica italiana (dalla fondazione). Anzi la Società geologica italiana lo volle a suo consigliere dal 1883 al 1896 e a suo presidente per il 1888. Nel Congresso poi geologico inter- nazionale di Bologna (1881) gli fu conferito un diploma di benemerenza come tesoriere del Congresso. Tra le parecchie premiazioni ottenute alle Esposizioni, le se- guenti gli furono date per i suoi meriti geologici o paletno- logici : Medaglia di merito, per esposizione di una carta geologica dell’Apennino da Bologna ad Ancona (Esposizione italiana, To- rino, 1861); Medaglia d’argento, con lode speciale, per una completa monografia geologica della provincia di Forlì (Esp. di Agric. Ind. e Belle Arti, Forlì, 1871); Medaglia di bromo, per lavori geologici (Esp. univ. di Parigi, 1878); Medaglia d’oro , per lavori paietnologici (Esp. delle prov. dell’Emilia in Bo- logna, 1888). Volendo poi tacere le moltissime onorificenze conferite a Scarabelli dai Ministeri o dai Municipi per meriti agrari o politici, ci limiteremo a ricordare che il Ministero della P. 1. lo nominò Socio della R. Deputazione di Storia Patria per le Romagne (8 luglio 1884), in base ai suoi meriti geologici e paietnologici, e che quello di Agricoltura, I. e C., per analoga ragione, lo chiamò a far parte del R. Comitato Geologico, gli assegnò lire 2,000 per la pubblicazione dell’opera riguardante la Sta- XXXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE zione preistorica del Monte Castellacelo, e gli concesse la pri- vativa per uno strumento geologico chiamato orizoclinometro. Analogamente il Municipio di Bologna lo nominò cittadino onorario (1 luglio 1871), perchè egli aveva presieduto in Bo- logna il Y congresso di Archeologia ed Antropologia preistoriche. Mentre adunque lo splendido busto di Giuseppe Scarabelli, inaugurato, lui vivente, nel pubblico salone della Cassa di Ri- sparmio d’Imola, potrà ricordare le caratteristiche del suo viso, le indelebili traccie della sua prolungata e molteplice operosità ricorderanno le caratteristiche della sua mente e del suo cuore. G. Toldo. Elenco delle Pubblicazioni. 1. Osservazioni geologiche fatte nelle vicinanze di Lugano in Lombardia. Giornale Cimento. Pisa, 1844. 2. Sulla utilità degli studi geologici per gli ingegneri. ? 1844. 3. Relazione di un viaggio all’Btna e al Vesuvio. Nuovi Ann. d. Se. N. di Bologna, 1845. 4. Una parola sulle ossa fossili dell'imolese. Nuovi Ann., etc., 1846. 5. Sui depositi delle ossa fossili esistenti nell’ imolese. Con se- zione g. Racc. se. di fis. e mat. Roma, 1849. 6. Sulla diversa probabilità di riuscita dei pozzi artesiani nel territorio dell’imolese. Tip. dal Pozzo. Imola, 1850. 7. Intorno alle armi antiche di pietra dura che sono state raccolte nell’ imolese. Con tav. Nuovi Ann., etc., 1850. 8. Note sur Vexistence d’un ancien lac clans la vallèe du Senio en Romagne. Con tav. Bull. d. 1. Soc. g. de Erance, 1851. 9. Sur la formation miocène de Bologne à Sinigallia. Con tav. Bull., etc., 1851. 10. Studi geologici sul territorio della Repubblica di S. Marino. Con tav. Tip. Dal Pozzo. Imola, 1851. 11. Sopra i depositi quaternari delVimolese. Con tav. Ann. d. Se. mat. e fis. Roma, 1852. 12. Carta geologica della prov. di Bologna e descrizione della medesima. Con tav. Tip. Galeati. Imola, 1853. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXVII 13. Sopra di un conglomerato calcare gessificato. Nuovi Ann., etc., 1854. 14. Sur le metamorphisme de certains gyps. Bull., ecc., 1854. 15. Descrizione della carta geologica della prov. di Ravenna. Con tav. Nuovi ann., etc., 1854. 16. Sur un sondage artésien exécuté à Conselice. Bull., etc., 1856. 17. Un pozzo artesiano in Conselice. Giorn. Incoraggiamento. Ferrara, 1856. 18. Studi sulla Flora fossile e Geologica stratigrafica del Se- nigalliese (in collaborazione col Massalongo). Con carta geol. e 41 tav. paleofitogr. Tip. Galeati. Imola, 1859. 19. Sui gessi di una parte del versante N. E. delV Apennino. Con. tav. Tip. Galeati. Imola, 1864. 20. Sulle cause dinamiche delle dislocazioni degli strati negli Apennini. Atti S. it. d. Se. N. Milano, 1866. 21. Sulla probabilità che il sollevamento delle Alpi siasi effet- tuato sopra una linea curva. Con tav. Tip. Le Monnier. Firenze, 1866. 22. Guida del viaggiatore geologo nella regione apennina com- presa tra le ferrovie Pistoia-Bologna, Bologna- Ancona e Ancona- Fossato. Stab. Civelli. Milano, 1870. 23. Notizie sulla caverna del Be Tiberio. Atti Soc. it. d. Se. N. Milano, 1872. 24. La croce dei Cappuccini in Imola. Con fotogr. Tip. Galeati. Imola, 1873. 25. Scavi sul Monte Castellacelo presso Imola. Annuario se. 1873. 26. I pozzi bianchi e neri della città d' Imola in relazione colla idrografia sotterranea e con la igiene. Con tre tavole. Tip. Galeati. Imola, 1874. 27. Scavi nella terramara del Castellacelo presso Imola. Boll. d. Paletn. it. 1875. 28. La terramara del Castellacelo presso Imola. Boll, di Paletn. it. 1877. 29. Sugli scavi eseguiti nella caverna detta di Frasassi (Prov. di Ancona). Con due tav. Mem. R. Acc. d. Lincei. 1880. 30. Descrizione della carta geologica del versante settentrionale dell’ Apennino tra il Montone e la Foglia. Con due carte. Tip. Galeati. Imola, 1880. XXXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE 31. Carta geologica del Monte Castellacelo e dintorni, presso Imola. Lit. Teano e Virano. Roma, 1881. 32. Sezioni geologiche nelle Valli del Sentino e dell’ Esino. Boll. d. 1. Soc. geol. it. 1883. 33. Stazione preistorica sul Monte Castellacelo presso Imola, scoperta e interamente esplorata. Con 23 tav. Tip. Galeati. Imola, 1887. 34. Due tavole dimostranti le scheggiature delle pietre lavorate quaternarie (mounsteriane e acheulane) dell’ imolese. Lit. Wenk. Bologna, 1888. 35. Necessità di accertare se le impronte così dette fisiche e fisio- logiche provengano dalla superficie superiore od inferiore degli strati. Osservazioni sul Nemertilites Strozzii Mgh. Con 2 tav. Boll. Soc. g. it. 1890. 36. Sulle pietre lavorate a grandi scheggie del quaternario presso Imola. Con tav. Boll. d. Paletn. it. 1890. 37. Sopra alcuni fossili raccolti nei colli fiancheggianti il fiume Santerno nelle vicinanze d’Imola (in collaborazione col Foresti). Con 2 tav. Boll. Soc. g. it. 1897. 38. Nuovi studi sulla probabilità di felice risidtato di una perforazione artesiana in Imola. Con tav. Tip. Galeati. Imola, 1898. 39. Osservazioni geologiche e tecniche fatte in Imola in occasione di un pozzo artesiano eseguito a spese della Cassa di Risparmio d’ Imola dalla spettabile Bitta Ing. A. Bona- riva nell'ultimo trimestre 1898. Tip. Galeati. Imola, 1899. 40. La stazione* preistorica di S. Giuliano presso Toscanella (comune di Bozza). 1900. (Manoscritto comunicato alla R. Deput. di St. p. per le Romagne). RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE XXXIX II. GIUSEPPE RISTORI. In nn ventennio di vita scientifica a comune, ebbi agio di conoscere e apprezzare l’animo apparentemente rude ma profon- damente buono e leale di Giuseppe Ristori, del quale la nostra famiglia geologica da lunghi anni ammirava l’operosità e il va- lore. Una malattia fra le più terribili ed indomabili dischiuse prematuramente la tomba all’amico nostro il 29 Dicembre 1905, proprio quando del lavoro e del lungo studio stava per conse- guire vagheggiati e meritati premi. Non qui per adempiere ad una consuetudine, nè solo per rendere un estremo tributo di amicizia rievoco tra i colleghi della Società Geologica il ricordo di Giuseppe Ristori ; ma per esprimere tutto il rimpianto di chi per lunga comunanza di occupazioni può comprendere quanto dura ed ingiusta sia stata la sorte verso l’eletto cultore delle nostre discipline. Giuseppe Ristori fu un appassionato della Geologia, e ad essa in cambio del grande amore non richiese altro compenso che la sodisfazione morale. Avrebbe potuto tranquillamente vi- vere attendendo ai suoi beni di fortuna, ma preferì le vie della scienza, quasi sempre irte di spine, di scoraggiamenti, di diffi- coltà. Sarebbe forse sconfortante per i giovani il contrapporre la lunga serie dei suoi titoli accademici alle lentissime fasi di una carriera che non potè compiersi ; quantunque il Ristori sia morto cinquantenne. Ma anche per riguardo all’uomo di cui rimpiangiamo la perdita interrompiamo questa nota sconfor- tante. Compiuti gli studi di Scienze naturali a Pisa e a Firenze, si laureò nell’Istituto superiore di quest’ultima città nel 1883, compiendovi successivamente anche il perfezionamento. Assistente incaricato alla Cattedra di Geologia e Paleontologia dell’Ateneo Fiorentino si applicò a vari lavori geologici e paleontologici originali, che gli valsero ed ottennero un posto di perfeziona- mento all’estero. Si trattenne per due semestri a Monaco di Ba- viera presso il prof. Zittel; passò quindi a Berlino nel Gabinetto XL resoconto dell’adunanza generale % di Geologia del prof. Dames, poi a Vienna ove seguì per breve periodo le lezioni del Suess e del Mojssisovics. Nel 1890 consegue per titoli la libera docenza in geologia, poi la eleggibilità nel concorso per la cattedra di Geologia nell’università di Torino. Nominato nell’anno successivo aiuto del prof. Canavari a Pisa tiene per due anni un corso libero in quell’università, finché non ritorna a Firenze alla fine del 1892 di nuovo assistente al Museo Geologico dell’Istituto superiore dopo aver vinto ed accettato il posto di insegnante di Scienze naturali al Collegio militare. Nell’anno scolastico 1895-96 supplisce interamente il profes- sore D’Ancona nell’insegnamento della Paleontologia ed in quello successivo riceve ufficialmente l’incarico della Paleontologia sem- pre riconfermatogli di anno in anno, come pure annualmente confermato fu sempre anche nel posto di aiuto alla cattedra di geologìa, posto che egli disimpegno sempre con zelo scrupoloso, con intelligenza e attività. Nel 1902 prende parte al concorso per la cattedra di Mi- neralogia e Geologia agraria nella Università di Perugia riu- scendo classificato secondo su parecchi concorrenti e secondo pure fu classificato nel 1905 nel concorso per la cattedra di Geologia dell’Università di Catania. Nel 1904 ottiene per titoli la libera docenza anche in Geo- grafia fisica e viene inoltre chiamato ad impartire l’insegna- mento della Geologia alla scuola di Geografia istituita nell’Ateneo fiorentino come corso di perfezionamento per gli studenti delle facoltà di lettere e di scienze e per i topografi e ufficiali del- l’Istituto geografico militare. In 20 anni di lavoro assiduo, interrotto talora da qualche breve periodo di scoraggiamento, pubblicò oltre cinquanta me- morie su argomenti vari di Geologia, Paleontologia, Geografia fisica, e Idrografia sotterranea. Da segnalarsi in modo particolare è l’opera sua scientifica per la coordinazione dei lavori paleontologici a quelli geologici e per la prudenza, ponderatezza e rigore con cui trattava i di- versi argomenti di geologia. Negli ultimi tempi aveva acquistato molta autorità in que- stioni di geologia pratica. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XLI La sua vita dedicata agli affetti della famiglia e spesa nella scienza con liberalità, ma con scarso profitto materiale, può servire di esempio ai buoni e lascia fra i suoi amici e col leghi il più sincero rimpianto. C. De Stefani. Elenco delle Pubblicazioni. 1. Contributo alla Flora fossile del Valdarno super. Pisa, 1885. 2. Considerazioni geologiche sul Valdarno superiore , sui din- torni d’ Arezzo e sulla Valle di Chiana. Pisa, 1885. 3. Osservazioni sul quaternario dei dintorni di Arezzo e sul- l’orizzonte geologico a cui deve riferirsi il Cranio umano dell’Olmo. Boll. Soc. Geol. It., voi. IV, Poma, 1885-86. 4. Cenni geologici sul Casentino. Pisa, 1886. 5. Ancora sui depositi quaternari del Casentino. Proc. verb. Soc. Tose, di Se. nat., 4 luglio. Pisa, 1886. 6. Filliti nei Travertini toscani. Proc. verb. Soc. Tose, di Se. nat., 4 luglio. Pisa, 1886. 7. I Crostacei Brachiuri ed Anomuri del Pliocene Italiano. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. V. Roma, 1886. 8. I dintorni di Orciatico in Provincia di Pisa. Pisa, 1887. 9. Filliti nei Travertini di Pio (Sugherelle) Isola d’Elba. Proc. verb. Soc. Tose, di Se. nat., 13 marzo. Pisa, 1887. 10. Alcuni Crostacei del Miocene medio italiano. Pisa, 1888. 11. Sopra un Crostaceo fossile del Veronese. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII. Roma, 1888-89. 12. Sopra alcune scimmie fossili del Valdarno e di Montebam- boli. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII. Roma, 1888. 13. I Crostacei piemontesi del Miocene inferiore. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII. Roma, 1889. 14. Un nuovo Crostaceo del Giappone. Proc. verb. Soc. Tose. di Se. nat. Pisa, 1889. 15. Ancora sui depositi quaternari del Casentino. Pisa, 1889. 16. Il Bacino pliocenico del Mugello. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili. Roma, 1889. 17. Le Scimmie fossili italiane. Bollettino Comit. Geol. Ital. Roma, 1890. XLII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE 18. Sopra i resti d’un Coccodrillo scoperti nelle Ligniti - mio- ceniche di Montebamboli. Firenze, 1890. 19. Contributo alla Fauna Carcinologica del Pliocene Italiano. Pisa, 1891. 20. I Crostacei fossili di Monte Mario. Pisa, 1891. 21. I Cheloniani fossili di Montebamboli e Casteani. (Nota preventiva). Pisa, 1891. 22. I Cheloniani delle Ligniti del Casino. Pisa, 1891. 23. Ornitoliti di Montebamboli. Pisa, 1891. 24. Due parole di risposta ad alcune osservazioni fatte dal Dott. Achille Teliini al mio lavoro « I Crostacei fossili di Monte Mario». Pisa, 1891. 25. Risposta alle osservazioni fatte dal Prof. Alberto Gaudry sul genere a cui furono da me riferiti gli avanzi della Scimmia fossile di Valdarno. Pisa, 1892. 26. Note di Carcinologia pliocenica. Pisa, 1892. 27. Resti di Crostacei fossili nel pliocene dell’ Isola di Pianosa. Pisa, 1892. 28. I Crostacei fossili di Chiavon. Pisa, 1892. 29. Il Titanocarcinus raulinianus A. M. Ediv. negli strati nummulitici del Gargano. Pisa, 1893. 30. Un Cheionio del Miocene dell’ Isola di Malta, conservato nel Museo paleontologico della R. Università di Pisa. Pisa, 1894. 31. La Risorgente della Pollacela. Pisa, 1894. 32. I Cheloniani di Montebamboli- Casteani e Montemassi. Fi- renze, 1895. 33. I Cheloniani del Casino. (Siena). Firenze, 1895. 34. Risposta alle Osservazioni fatte dall’Ing. Cortese sull’età e sulle genesi delle ligniti di Casteani e di Ribolla. Proc. verb. dell’Adun. della Soc. Geol. It. tenuta in Lucca nel settenbre 1895. Poma, 1895. 35. L’età e la genesi delle Ligniti del Masseano. Pisa, 1896. 36. I Crostacei neogenici di Sardegna e di alcune altre loca- lità italiane. Boll. Soc. Geol. It., voi. XV. Roma, 1896. 37. La Toscana durante UPeriodo pliocenico. Montevarchi, 1896-97. 38. Pilliti plioceniche di Malmantile presso Montelupo. Proc. verb. Soc. Tose, di Se. nat. Aprile 1890. Pisa, 1890. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XLIII 39. L’Orso pliocenico di Valdarno e d’Olivola in Val di Magra. Pisa, 1897. 40. Resti d’Orso nel quaternario di Ponte alla Nave. (Dintorni d’ Arezzo). Pisa, 1898. 41. Le formazioni ofiolitiche del Poggio dei Leccioni (Serraz- zano) ed il filone fra Gabbro-rosso e Serpentina. Boll. Soc. Geol. It., voi. XIX. Roma, 1900. 42. I Calcari marnosi ed i Cementi idraulici della Ditta G. B. Niccolini (presso Incisa Valdarno). Firenze, 1901. 43. Il conglomerato miocenico ed il regime sotterraneo delle Acque nel Promontorio e Monte Portofino. Pisa, 1902. 44. Carta Geologica del Vicentino ridotta alla scala 1 / 100000 sul rilevamento del compianto Prof. Arturo Negri , in colla- borazione del Prof. C. De Stefani. Ist. Geografico mili- tare. Firenze, 1902. 45. I Bacini imbriferi di Coltibono, Secciano e Saliceto ( nella catena Chiantigiana). Studio Idro- Geologico. Pisa, 1902. 46. Osservazioni sulle acque freatiche in rapporto alla natura delle deposizioni fluviali dell’ Arno nel Valdarno supe- riore. Pisa, 1902. 47. I Giacimenti Limonitici di Monte Valerio , di Monte Spi- noso e di Monte Bombolo (Campiglia Marittima). Atti Soc. Tose, di Scenze nat. Memorie, voi. XX. Pisa, 1903. 48. I Bacini imbriferi della Valle del Foggia e della Valle del Becco (Riviera Ligure). Giorn. di Geologia pratica. Genova, 1903. 49. Le terre refrattarie e da ceramica fra Altopascio e Mon- tecarlo (Lucca). Giorn. di Geol. pratica, Perugia, 1904. 50. Cenni sul regime sotterraneo delle acque nel territorio co- munale di Signa (Firenze). Giorn. di Geol. pratica, Pe- rugia, 1904. 51. Acquedotto di Chiavari. Relazione Idrografica ed Idrolo- gica sulla zona Imbrifera dell'Alto Bacino del Torrente Dugaia e sulla Sorgente delle Giarole o delle Lame. Fi- renze, Tipografia E. Ariani, 1904. 52. Il Bacino del Trasimeno. Con una Carta Geologica e con una Tavola di spaccati. Mera, della Soc. It. delle Se. detta dei XL. Roma, 1905. XLIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE III. GIUSEPPE BIAGI. Il giorno 27 settembre dello scorso anno cessava di vivere in Casalmaggiore, suo luogo nativo, il prof. Giuseppe Biagi, soccombendo a malattia che da vari anni minava la sua esi- stenza. Nato il 29 settembre 1859 da Ermirro, farmacista, e da Rosa Maccarini, compiè con onore gli studi secondari in Casalmaggiore e in Cremona; e quelli superiori nell’Università di Bologna, ove si laureò in scienze naturali il 30 giugno 1884. Fu in questo periodo che lo conobbi e potei apprezzare le sue alte doti di mente e di cuore, per cui lo ebbi sempre amico carissimo, ed ora con vero dolore porgo questo mesto e tenue tributo di rimpianto. Giuseppe Biagi fu d’indole mitissima ed oltre modo modesta, talché non potè occupare nell’insegnamento quei posti, ai quali il suo ingegno gli avrebbe dato diritto; difatti, mentre, poco dopo la sua laurea, fu chiamato ad insegnare nel R. Liceo di Sassari, per una lunga serie di disavventure insegnò solo e sino all’ul- timo momento, nelle RR. Scuole tecniche, dapprima a Casal- maggiore, 'poscia a Badia Polesine, a Stradella ed a Spezia; lasciando in ogni luogo grato ricordo di sè. Durante i suoi studi universitari si occupò di preferenza in ricerche zoologiche sotto la illuminata guida dell’illustre pro- fessore C. Emery, e fece una scoperta sulla fovea centrale della retina nei Lo f olir anelli, giudicata importante dai competenti; scoperta che per la naturale sua ritrosìa fece conoscere per le stampe solo molto tempo dopo (’), e più per la insistenza degli amici che per sua volontà. Nel suo paese nativo e fuori, occupò vari uffici sia nel campo dell’insegnamento, sia nella direzione di alcuni piccoli musei, ed in Società locali. Fece per vari anni parte della Commissione Provinciale della pesca fluviale in Cremona. (') Tip. Eredi Argiroffo. Spezia, 1899. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XLV Dal 1884 appartenne alla nostra Società Geologica, interes- sandosi sempre di essa e compiacendosi della sua prosperità. Inviamo un mesto pensiero al nostro defunto consocio, ed un sincero compianto alla vedova desolata ed ai suoi due teneri figli. Antonio Neviani. IV. GUSTAVO DEWALQUE. Il 3 novembre dello scorso anno morì a Liegi Gustavo Dewal- que, professore emerito di geografia fisica, geologia, mineralogia e paleontologia in quella Università. Nato a Stavelot il 2 dicembre 1826, si addottorò in medi- cina nel 1853 ed in scienze naturali l’anno successivo. Alla morte di André Dumont, di cui era assistente dal 1855, gli successe (1857) nella cattedra di mineralogia, geologia e paleon- tologia, che tenne poi per lunga serie di anni, illustrandola con un’opera assidua di studioso infaticabile ed osservatore profondo nei diversi rami della scienza minerale. Non è il luogo in questi brevi cenni, ricordo d’uno che onorò di sua adesione la nostra società sin dal suo sorgere, analiz- zare i titoli che lo resero altamente benemerito della scienza; l’opera sua è troppo ben nota, nè v’ha chi non sappia, fra i nostri soci, che niuno ebbe una più estesa conoscenza del suolo del Belgio, niuno con maggior diligenza ne scrutò la costituzione. Piuttosto importa rilevare la sua opera in rapporto alla Sociéié géologique de JBelgique, da lui fondata nel 1874. Egli ne fu ininterrottamente per venticinque anni Segretario generale; posto che mai volle abbandonare per quello di Presidente, cui lo avrebbero designato la stima e la riconoscenza dei soci. Tutto consacrato alla sua scienza, alla quale accresceva cultori col nobilissimo esempio, non solo, ma con l’aiuto veramente ami- chevole di cui era largo ai giovani di buona volontà, egli rite- neva di poter ad essa riuscire più utile nell’apparentemente XLVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE modesto ufficio di segretario, che non dallo scanno presidenziale; ed egli era veramente l’anima della Società, che seppe mante- nere in sì onorato posto fra le consorelle, e di cui seppe fare potente strumento di diffusione della geologia. Intorno ad un’altra opera egli faticò per tempo non breve; quella della Carta geologica del Belgio in grande scala. Pro- fondamente convinto che ad un’opera nazionale di tanta impor- tanza dovessero poter concorrere le forze di tutti gli studiosi, lottò a lungo per ottenere che a tal principio si informasse la organizzazione ufficiale di quel servizio. Fu lotta tenace, aspra persino, nobilissima sempre per l’alto disinteresse onde s’alimen- tava: ed egli ebbe la soddisfazione di uscirne vittorioso non solo, ma di vedersi poi confortato dalla buona riuscita del lavoro così com’egli avealo voluto. Ing. G. Aichino. Y. SUI CALCESCISTI DELLA VALLE DI FURGEN E SUI GNEIS DI M. EMILIUS E M. RAFRÉ Comunicazione del socio A. Stella Il socio A. Stella fa una comunicazione per rettificare al- cune affermazioni su diversi punti delle Alpi Graie e Pennine, contenute in una nota « Sur les grandes nappes de recouvrement de la zone du Piemont » presentata nel maggio dell’anno scorso all’Accademia delle scienze di Parigi da M. Lugeon e E. Argand. Questi geologi a conferma della struttura tettonica a falde di ricoprimento nella zona del Piemonte, citano: 1) un affioramento di calcescisti con pietre verdi nella Valle di Furgen, da loro interpretato come una finestra di calcescisti mostrantesi di sotto alla coperta dei gneis del M. Rosa ; 2) la massa gneisica del RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XLVII M. Emilius e quella dei monti Rafré-Glacier : masse da essi credute due placche di gneis fra di loro equivalenti, poste in ricoprimento sopra la formazione dei calcescisti che si frappone fra i gneis Dent Blanche-M. Mary e i gneis Sesia-Vai di Lanzo. Ma lo Stella osserva anzitutto, come dai rilevamenti parti- colareggiati da lui eseguiti, risulti, che i calcescisti con piètre verdi della Valle di Furgen affiorano in banchi raddrizzati fra- mezzo ai banchi pure raddrizzati di gneis che formano la cresta divisoria fra V. Antrona e Valle Saas, i quali non sono che la punta estrema occidentale di una sinclinale di calcescisti staccan- tesi dalla zona sigmoidale V. Bognanco-V. Antrona. Passando ai gneis (gneis e micacisti eclogitici) del M. Emilius, secondo i rilevamenti dell’ing. Novarese, essi formano una massa isolata che spunta come un piccolo elissoide di mezzo ai calce- scisti, i quali ad esso si addossano tutto all’intorno, eccetto che dal lato N. e N.W. dove sono invece i gneis che ricoprono local- mente i calcescisti. Quanto poi ai così detti gneis dei monti Rafré-Glacier, essi sono sbrecciati dal vallone di Clavalité ; e furono rilevati dagli ingegneri Mattirolo e Stella. I quali constatarono, che essi for- mano una massa lenticolare a banchi raddrizzati inseriti fra i calcescisti della sinistra del vallone, e le schiette pietre verdi a destra di esso; le quali verso il crinale divisorio colla Valle di Champorcher vengono a mettersi al disotto di essi gneis. Questi gneis però non hanno nulla a che fare coi gneis del M. Emilius suaccennati, giacche sono gneis minuti prasinitici, passanti a schiette prasiniti, le quali sono a lor volta intimamente legate per transizioni litologiche con le rocce eufotidiche più o meno metamorfosate del Rafré. Cosicché questa massa gneisica fa parte integrante della formazione dei calcescisti. In conclusione la così detta finestra di Valle Furgen e la creduta falda di ricoprimento M. Emilius-M. Rafré-M. Glacier non sono confermate dall’osservazione sul terreno. L’Autore ha suffragato la sua comunicazione con vedute fo- tografiche della zona di Furgen e dell’elissoide di M. Emilius, nonché colle rocce e i preparati microscopici della zona gnei- sico-prasinitica del Rafré. XLVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE VI. Nell’adunanza invernale del 1905 rilevai incidentalmente che il dott. Vinassa de Regny, formulando nel Giornale di Geologia pratica alcune proposte intese a prevenire ulteriori franamenti nella rupe tufacea d’Orvieto, aveva omesso di accennare alle consimili proposte fatte 7 anni prima da una Commissione tecnica, le cui conclusioni erano state riportate nella « Rivista del Ser- servizio minerario » del 1897. Non avrei forse fatto quella osservazione se alcune delle proposte di cui sopra, per essere già da tempo state approvate e rese esecutive, non fossero divenute superflue quando le fa- ceva il dott. Vinassa de Regny, d’onde la supposizione che la relazione del 1897 non gli fosse ignota. Ma poiché in una recente comunicazione inserita in appen- dice al verbale della seduta tenuta a Tolmezzo il 20 agosto 1905, pubblicata alla pag. civ e cv del Bollettino egli afferma di non aver avuto conoscenza di tale relazione, non ho altro a dire al riguardo. Quanto alla « Rivista del Servizio minerario » non dubito che se il dott. Vinassa de Regny avesse occasione di consultarla se ne formerebbe un concetto alquanto diverso da quello che sembra averne. Ed invero, non solo fra i tecnici minerarii, ma anche fra i geologi, non sono pochi quelli che mostrano di tenere in pre- gio tale pubblicazione. Dei geologi mi limiterò a ricordare l’egregio generale ex -Pre- sidente Verri, il quale nell’elenco di scritti di Geologia appli- cata da lui redatto e pubblicato nel nostro Bollettino, citò parecchi capitoli della « Rivista del Servizio minerario » e fra gli altri quello contenente le conclusioni della Commisione tecnica del 1897 ; ma evidentemente anche questo elenco passò inosservato al direttore del « Giornale di Geologia Pratica ». L. Demarchi. Il prof. Vinassa, nella nota contenuta a pagina civ del voi. XXIV del Bollettino, dice di aver inserito, a pag. 135 nel Giornale di Geologia pratica dell’anno 1905, una comunica- zione a complemento della osservazione fatta ad una mia frase circa le frane di Orvieto. Unicamente per la precisione delle cose, prego sia posto a verbale, che quella comunicazione ripro- duce la rettifica alla quale non credei aderire. Di ciò esposi i motivi colle spiegazioni sulle trattative della Presidenza, accen- nate nel Verbale dell’Adunanza 12 Marzo 1905. A. Verri. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI DELLA SOCIETÀ convenuta in Sestri Levante dal 9 al 18 settembre 1906 Assemblea (lei 9 settembre 1906. Presidenza Mazzuoli. Alle ore 15, nella sala del Consiglio comunale di Sestri L., gentilmente concessa, sono presenti: il presidente Mazzuoli L., il vice-presidente Sacco F., i consiglieri Mattinolo E., Rove- reto G., Statuti A., l’archivista Clerici E., il segretario Ne- viani A., il vice-segretario Crema C. ed i soci Baldacci L., Caffi E., Capacci C., Cerulei Irelli S., Cortese E., De Fer- rari P. E., Frenguelli G., Galdieri A., Issel A., Madda- lena L., Niccoli E., Pantanelli D., Parona C. F., Toso P., Verri A., Viola C., Z amara G. Onorano di loro presenza il cav. G. B. Bo, sindaco di Sestri, l’onorevole Costa Zanoglio, deputato di Chiavari, il sig. avvo- cato Lippi, rappresentante il Prefetto di Genova ed il sottopre- fetto di Chiavari, il sig. avv. Grassi, pretore, ed altri cittadini Sestresi. Aperta l’adunanza, il Sindaco di Sestri, con nobili ed ele- vati sentimenti, espressi con elegante parola, ringrazia i con- venuti a nome della Rappresentanza Comunale e della cittadi- nanza Sestrese, per aver scelto Sestri L. a luogo delle riunioni, e centro delle escursioni, di quest’anno, ben augurando alla riuscita del Congresso ed all’avvenire della Società. IÌ Presidente legge quindi il seguente discorso: Signori, egregi Colleglli , La Società geologica italiana, costituitasi a Bologna sul fi- nire del settembre 1881, in occasione del congresso internazio- nale geologico ivi tenutosi, compie ora i 25 anni di sua vita; IV L RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI a me quindi è toccato l’onore di trovarmi a questo posto per le sue nozze d’argento e per tale onore vi rinnovo, egregi col- leglli, i miei più vivi, più sentiti ringraziamenti. Nelle sue peregrinazioni estive la nostra Società visitò le regioni più importanti del Regno, da Tolmezzo a Catania, da Catanzaro ad Iglesias. Nè la Liguria, una delle più belle e più operose contrade d’Italia, fu dimenticata; cliè nel 1887 ebbe luogo il Convegno di Savona, riuscito interessantissimo per lo studio del carbonifero affiorante nella parte alta delle valli delle Bormide e per quello della zona di coincidenza tra le serpen- tine terziarie e le altre di epoca più remota, verosimilmente tria- sica, che così bene si può osservare presso Sestri Ponente, lungo la valle del C'hiaravagna. Più recentemente, cioè nel 1902, l’adunanza estiva si tenne alla Spezia, da dove si poterono effettuare escursioni di moltissimo interesse scientifico al Monte Parodi, alla foce di Magra, a Portovenere ed a Carrara. Oggi ci troviamo riuniti in questa graziosa cittadina, dove mare e monti gareggiano tra loro per aumentare la bellezza dei luoghi e dove la squisita cortesia degli abitanti ci fu già lar- gamente manifesta, malgrado il poco tempo da che siamo giunti tra loro. Di quest’accoglienza lieta e gentile porgo a nome di tutti noi vivi ringraziamenti alla cittadinanza e per essa all’e- gregio Sindaco cav. Bo, del quale udiste or ora il cordiale sa- luto da lui portato alla nostra Società. Però non soltanto dalle attrattive di questo golfo incantevole e dalla provata ospitalità dei suoi abitanti io fui indotto, nel decorso marzo, a proporvi Se- stri Levante come sede della nostra riunione estiva di quest’anno. Altre ragioni, di un ordine diverso, si aggiunsero alle prime per consigliarmi quella proposta. Ed invero a pochi chilometri dalla città hanno principio delle formazioni serpentinose che, assumendo poi un grande sviluppo, si protendono verso nord fino al Monte Zatta, sul crinale dell’Appennino. Queste formazioni furono og- getto, nel biennio 1880-81, di studi e rilievi eseguiti dal profes- sore Issel e da me per incarico del R. Ufficio geologico, e di essi rendemmo conto nel citato Congresso internazionale di Bologna, dove le conferenze sulle ofioliti diedero occasione all’enumera- zione di gran copia di fatti da parte di geologi si italiani che stranieri. Quelle conferenze incitarono a nuove ricerche, a nuovi RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LI rilievi ed io continuai ad applicarmi allo studio delle serpen- tine liguri per oltre un decennio, avendo dovuto, dopo il mio trasferimento da Genova a Roma, cessare, mio malgrado, dall’oc- cuparmi di geologia. Era quindi naturale che in me sorgesse il desiderio di richiamare l’attenzione dei colleglli sulle formazioni serpentinose della Liguria orientale, dove, in breve tempo e con lieve fatica potrete osservare fatti importanti che getteranno, se non erro, molta luce sulle questioni rimaste ancora dubbie e più specialmente sulla genesi della eufotide e della diabase. A questo scopo sono dirette le escursioni di domani e di martedì. La prima ci permetterà di vedere al suo inizio quella grande massa serpentinosa di cui già feci cenno e che comincia a ma- nifestarsi in vicinanza del Bracco, lungo la strada provinciale conducente alla Spezia. Naturalmente su quella massa non cam- mineremo che per breve spazio ; avremo però agio di osservare in più località i contatti della serpentina sia cogli scisti e cal- cari eocenici sia con roccie di altra natura, come l’eufotide e la diabase. Giunti poi sul fondo della valle dell’Acquafredda ci apparirà sulla sponda sinistra del torrente un fatto che, a parer mio, è di non poca importanza e che consiste in una specie di isolotto di scisti argillosi, tutto compreso, in condizioni speciali di giacitura, nelle roccie diabasiche. Lì presso si aprono alcune gallerie della miniera di Monte Loreto, ed anche queste po- tranno formare argomento di utili osservazioni, tanto più che ivi si trova una considerevole distesa di calcari e di scisti com- pletamente attorniati dalle roccie ofiolitiche, ciò che può con- siderarsi come ima ripetizione su grande scala del fatto presen- tato dal detto isolotto. Più a valle giungeremo al Bargonasco, dove potremo am- mirare un importante stabilimento metallurgico iniziato con mo- desti impianti ed andato gradatamente sviluppandosi fino a divenire uno dei più importanti d’Italia. In esso si trattano i minerali cupriferi prodotti dalle miniere vicine, minerali che, come è noto, hanno quasi sempre sede in Liguria ed in To- scana tra le roccie serpentinose. Lo stabilimento del Bargonasco è sórto e cresciuto sotto l’intelligente e solerte direzione del cav. Lorenzo Gardella, il quale, dando prova di un geniale LII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI eclettismo, dopo avere per lunghi anni, dal ponte di comando di una nave, affrontato le tempeste dell’Oceano, ha con pari ardimento e con uguale successo preso a risolvere le ardue que- stioni che si connettono colla diffìcile arte della metallurgia. A poca distanza dallo stabilimento sboccano alcune gallerie della miniera Gallinaria e colla visita di queste e coll’esame delle circostanti formazioni rocciose si potrà utilmente chiudere questa prima giornata d’escursione. La seconda giornata avrà per meta Libiola, la più ricca mi- niera di rame della Liguria. Nel risalire il colle, sul quale la miniera è aperta, potremo osservare una splendida sezione natu- rale, colle serpentine da un lato e le diabasi dall’altro passanti gradatamente agli scisti argillosi. Più in alto, sulla cima del colle, troveremo dei grandi scavi a giorno molto istruttivi ; inoltre di lassù ci apparirà il Monte Bianco, così chiamato per i bianchi calcari che ne formano la cima. Nelle pieghe di questi calcari e degli interclusi banchi diasprini sta la chiave della tettonica della regione ; inoltre dall’esame dei fenomeni che si osservano sul versante meridionale del detto monte vedrete come chiaro apparisca che quei calcari sono la base delle formazioni serpen- tinose, le quali, in ordine ascendente, ci presentano la diabase, l’eufotide e la serpentina. Dalla miniera di Libiola a quella della Gallinaria la via da percorrersi a piedi non è troppo lunga nè disagiata. Seguen- dola, prima di attraversare il Rio delle Acque, si vedrà sorgere, sul versante destro della vallecola, una massa di lherzolite, di quella roccia cioè, che fu da me incontrata per la prima volta a Pria Borgheise, nell’alta valle del Penna, dove il suo svi- luppo e i suoi graduali passaggi alla serpentina circostante sono tali da rendere per così dire evidenti gli stretti legami che esi- stono fra Luna e l’altra di esse. Ciò m’indusse a proporre nel 1884 l’ipotesi che la serpentina sia una roccia derivata dal- l’idratazione della lherzolite, ipotesi che ormai credo sia stata accettata, se non da tutti, almeno dalla maggior parte di quei geologi italiani che si occuparono di quest’argomento. Giunti alla miniera Gallinaria si potrà, risalendo la strada che conduce a Bargone, dare un’occhiata alla parete verticale del caratteristico Monte Treggia, dove tra i diaspri di colore RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LUI rossigno spicca un’isola a contorni ondeggianti di calcari bianchi, i quali sono da considerarsi come parti di strati rimasti inal- terati, mentre il resto venne trasformato in ftaniti e diaspri per la sostituzione più o meno completa della silice al calcare. Due giorni trascorsi in mezzo alle ofioliti non sono molti ; ma possono essere sufficienti per ravvivare lo studio di quelle importanti formazioni, le quali, oltre ad un alto interesse scien- tifico, presentano pure un’importanza industriale per le masse mineralizzate (pirite e calco-pirite) che di frequente vi si an- nidano. E qui, prima di passare ad altro argomento, concedetemi, egregi colleghi, che io riassuma brevemente il modo di forma- zione delle roccie ofioliticlie della riviera di Levante secondo le ipotesi ripetutamente formulate nei lavori pubblicati dal pro- fessore Issel e da me durante il periodo 1881-1892. Nel fondo del mare eocenico, mentre vi si andavano depo- nendo allo stato di melma quelle sostanze che oggi ci appari- scono sotto forma di calcari e di scisti argillosi, dovettero ad un tratto, entro una zona assai ristretta, orientata all’incirca da nord a sud, verificarsi delle linee di frattura, lungo le quali si svilupparono abbondanti emanazioni gazose, contenenti gran copia di silice. Quei geyser sottomarini, agendo per lunghissimo tempo, sotto forti pressioni e ad una temperatura relativamente elevata, non poterono non esercitare un’azione trasformatrice sui mate- riali melmosi, attraverso ai quali scaturivano. Quando quei ma- teriali erano calcari, questi vennero gradatamente disciolti e sostituiti molecola per molecola dalla silice. Così ebbero origine le ftaniti e i diaspri. Ma potevano quelle emanazioni rimanere senza effetto sulle melme, argillose interposte alle calcari? Certo che no; cosi tempo, pressione e calore congiungendosi alle azioni chimiche, quelle melme, nelle quali abbondavano l’allumina e la calce, si trasfor- marono in masse di apparenza cristallina formate essenzialmente da diallaggio e da feldspato e secondo che la cristallizzazione di questi minerali potè avere maggiore o minore sviluppo ne derivarono o l’eufotide o la diabase. Nello stesso modo poi che i banchi già calcari trasformatisi in diaspri ci offrono talvolta porzioni di strati rimasti immuni dalle azioni metamorfizzanti LIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI così ci avviene d’incontrare, tra le diabasi, delle parti di strati scistosi inalterate che valgono a rappresentare la natura della roccia quale doveva essere prima della sua trasformazione. In sostanza, qui si avrebbe all’incirca una ripetizione di quei fe- nomeni che ad esempio si verificano all’Elba e più specialmente al Capo Calamita, dove fra quelle masse ferrifere vedonsi sparsi numerosi frammenti di calcare, la cui stratificazione apparisce in perfetta continuità con quella dei prossimi banchi calcari, dimostrando così in modo evidente che quei frammenti altro non sono che i residui dei banchi medesimi, mentre questi furono per la massima parte sostituiti da silicati ferrocalciferi, come il pirosseno, l’ilvaite, il granato e l’epidoto. Sul finire del periodo geyseriano, all’acido silicico devono essersi aggiunte altre sostanze mineralizzanti e più specialmente dei solfuri di ferro e di rame. In ultimo avvenne l’eruzione della Iherzolite, la quale, idra- tatasi per il vapore acqueo che tutta doveva avvolgerla, si tra- sformò in serpentina. Con queste ipotesi tutto riuscirebbe facilmente spiegato. Però lungi da me la presunzione di aver dato nel segno; solo desi- dero che tali ipotesi sieno discusse tenendo presenti i fatti sui quali furono basate; e se questi fatti potranno meglio spiegarsi adottando altre teorie, dal canto mio ne sarò ben lieto. Nello studio della natura dobbiamo fare astrazione dai sentimenti di un falso amor proprio; il dover riconoscere erronea un’ipotesi già caldamente propugnata può di primo acchito arrecare di- spiacere; ma a questo dispiacere darà largo compenso la sco- perta del vero, quando questo sia veramente tale. Io poi vorrei che nelle adunanze da tenersi dopo le nostre escursioni si discutessero i fatti osservati, seguendo per tal modo i consigli di un mio predecessore, del prof. Carlo De Stefani, il quale nel 1896, fra altre, rivolgeva ai soci queste parole: « Le nostre riunioni dovrebbero essere più frequenti e do- » vrebbero avere aspetto più scientifico che non abbiano ed in- » vece di mancanza di discussioni dovrebbero esservi dispute » e manifestazioni di opinioni diverse intorno ai punti contro- » versi ». RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LV Nella terza escursione il nostro sguardo avrà dinanzi a sè un più vasto orizzonte. Dalla cima del promontorio di Portofìno ci appariranno, quasi come una visione fantastica, le due riviere, dal Capo Mele alla Palmaria. Al centro di quell’arco meravi- glioso giace Genova, la superba, avente ai lati città, villaggi e ville che, a guisa di due enormi sobborghi, si distendono da Savona a Camogli, per una tratta di ben 60 chilometri. Non credo che esista un panorama più affascinante di quello. Ma la bellezza meravigliosa della natura presente non varrà a distrarci dallo studio dei grandiosi fenomeni che in passato die- dero origine ai conglomerati dell’oligocene. Quella congerie im- mane di detriti fortemente cementati è, come sapete, caratte- rizzata dai due fatti seguenti: dallo spessore della sua formazione che nell’altro versante dell’Appennino giunge fino a 400 metri e dalla natura dei cogoli, i quali sono quasi sempre costituiti da frammenti delle roccie immediatamente vicine. Questi fatti sono, a parer mio, dovuti ad un lento abbassamento del suolo verificatosi subito dopo il sollevamento post-eocenico, dando così prova come, anche in geologia, ad azioni potenti seguono quasi sempre forti reazioni. Infine nella gita di giovedì mattina, valendoci di una nave della R. Marina, posta gentilmente a nostra disposizione da S. E. il Ministro Mirabello, non solo potremo godere da un punto di vista diverso dei panorami svoltisi dinanzi a noi nei giorni precedenti, ma ci sarà pure dato, girando attorno al pro- montorio di Portofino, di meglio osservare quelle masse con- glomeratiche che s’immergono quasi a picco nel mare. Questo è il programma delle nostre escursioni, ed io ho cre- duto opportuno di dare su di esso qualche cenno illustrativo, nella lusinga che, così facendo, le nostre gite riescano di più grande interesse per voi e di maggiore utilità per il progresso della nostra scienza. Ed ora devo compiere il penoso dovere di annunziarvi la perdita del nostro amato collega comm. Ulderico Botti, man- cato ai vivi in Reggio Calabria nel giorno 25 dello scorso giugno. Socio fino dal 1882, fu tra i più assidui frequentatori delle nostre adunanze estive; a lui si devono diverse interessanti me- LVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI morie sulle Puglie e sulla Calabria; di lui il prof. Giuseppe De Stefano ha preparato un cenno necrologico che sarà pub- blicato nel Bollettino. Stamane ho appreso che da pochi giorni ha cessato di vi- vere anche il prof. Jervis Guglielmo, che appartenne alla nostra Società sino dalla sua fondazione. Dolente che al momento mi manchino i dati per poterlo commemorare degnamente, ricordo solo le molte sue opere le quali costituiscono da loro stesse uno splendido elogio per l’uomo che abbiamo perduto. Della nostra Società dirò che mentre da un lato i bollettini dànno prova dell’attività scientifica dei soci, dall’altro le con- tinue e numerose richieste di cambi che ci vengono dirette anche dal di fuori dell’Europa dimostrano in quale pregio siano tenute le nostre pubblicazioni. Devo poi rammentare come ora siano in corso tre premi del valore complessivo di 4 mila lire, da aggiudicarsi a quei lavori che saranno riconosciuti i migliori su temi di paleontologia, di petrografia e di geologia, e non dubito che i nostri valenti col- leghi sapranno guadagnare tali premi con lavori che segneranno notevoli progressi in ciascuna delle dette tre scienze, rendendo così il più ambito tributo d’onore alla memoria del compianto Molon. Se da questa specie di confortante bilancio morale passiamo a considerare il bilancio economico troviamo che anche nei ri- guardi amministrativi le nostre condizioni sono del tutto soddi- sfacenti. Qui è per me un grato dovere di esprimere al socio segretario prof. Neviani tutta la mia, e son certo d’interpre- tare i vostri sentimenti soggiungendo, tutta la nostra ricono- scenza per il modo veramente mirabile con cui disimpegna il suo ufficio. Il segretario colla sua azione triennale esercita una importante influenza sul buon andamento della Società e questa influenza venne da me riconosciuta come sommamente proficua. Nell’adunanza tenutasi iu Acqui nel settembre del 1900 fu acclamato socio onorario S. A. B. il Duca degli Abruzzi. Il giovane principe, dopo avere nel 1897 toccato per il primo la cima del monte S. Elia nell’Alaska e dopo che nel 1900 la spedizione verso il polo Nord, da lui condotta, ebbe raggiunto RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LVII il massimo grado di latitudine (88°, 33'), è riuscito nel giorno 18 dello scorso giugno a porre il piede sulla più eccelsa ed ancora vergine cima del Euvenzori. Da questa nuova vittoria sulla natura non solo la geografia, ma anche la geologia rica- verà non poco vantaggio, tanto più che fra gli addetti alla spe- dizione africana trovasi il nostro collega prof. Roccati. Vada adunque all’augusto Principe, che a giorni sarà di ritorno tra noi, l’omaggio reverente e sincero della nostra Società. Dissi già che la nostra Società sta compiendo il suo 25° anno di vita; auguro ora a tutti voi che, dopo avere oggi as- sistito alle sue nozze d’argento, possiate presenziare la celebra- zione delle sue nozze non solo d’oro, ma di diamante. Con quest’augurio dichiaro aperta la 25a adunanza estiva della So- cietà geologica italiana. Si dà per letto il verbale dell’adunanza della Società tenuta in Roma il 4 marzo u. s., e pubblicato a pag. xix-xxix del primo fascicolo del voi. XXV del Bollettino ; verbale che senza osservazioni viene approvato. Il Segretario presenta lettere e telegrammi di soci che scu- sano la loro assenza, ed aderiscono al Convegno. Essi sono: Aichino G., Bassani F., Bordi A., Bucca L., Cacciamali G. B., Cadeva G., Capeder G., D’Achiardi A., De Angelis d’Ossat G., De la Cruz E., Dervieux E., De Stefani C., Di Eovasenda L., Di Stefano G., Fantappiè L., Flores E., Gortani M., Gozzi G., Lat- tes 0., Lotti B., Mariani E., Martelli A., Matteucci V., Meli R., Napoli F., Novarese V., Pellati N., Platania G., Spirek V., Taramelli T., Tommasi A., Vinassa de Regny P. E., Zezi P. Il Presidente dà lettura dei seguenti telegrammi delle L L. E E. il Ministro della P. I. ed il Ministro degli Affari Esteri. « Presidente Società Geologica Italiana — Roma. » Ringrazio Vossignoria per cortese invito rivoltomi di presenziare venticinquesimo congresso Società Geologica Italiana, dolente che cure Ministero per applicazione nuove leggi m’impediscano assistere. Invio mia adesione e il fervido augurio che lavori congresso contribuiscano progresso scienza italiana. » Ministro Istruzione Rava ». LVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI « Presidente Società Geologica Italiana — Roma. » Dolente di non poter intervenire alla riunione annuale della So- cietà della quale mi onoro di essere stato uno dei fondatori la prego porgere ai Soci costi convenuti il mio fraterno saluto e l’augurio che i loro lavori portino un valido contributo al progresso scientifico. » Ministro Tittoni ». Vengono per acclamazione proclamati nuovi soci i signori : Bentivoglio prof. Tito, Ciofi dott. Gino, presentati dai soci Pantanelli e Neviani. Bibolini ing. Aldo, De Castro ing. Calogero, Gardella cav. Lorenzo, Moretti ing. Luigi, Risoni ing. Pietro, presen- tati dai soci Mazzuoli e Mattirolo. Lugeon prof. Maurice, presentato dai soci Bassani e Galdieri. Parma cap. cav. Augusto, presentato dai soci Cortese e Capacci. Raffaelli don Gian Carlo, presentato dai soci Mazzuoli e Rovereto. Tranne i signori Bentivoglio e Lugeon, gli altri nuovi soci prendono parte all’adunanza. Il Segretario presenta l’elenco degli omaggi pervenuti alla So- cietà dall’ultima adunanza ad oggi. Bassani F., Commemorazione del socio sen. Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini. 4°. Roma, 1906. Bassani F. e Galdieri A., Notizie sull'attuale eruzione del Vesuvio (Aprile 1906). 8°. Napoli, 1906. Bellini R., Les Ptéropodes des terrains tertiaires et quaternaires d’1- talie. 8°. Bruxelles, 1905. Colomba L., Sulla Scheelite di Traversella. 4°. Roma, 1906. Di Stefano G., Commemorazione del prof. Gaetano Giorgio Gemmellaro , tenuta nell’ Università di Palermo il 16 marzo 1905. 8°. Palermo, 1906. Galdieri C., Sul Tetracarpon O. G. Costa di Giffoni nel Salernitano. 8°. Napoli, 1906. — Su di una sabbia magnetica di Ponza. 8°. Napoli, 1906. Mercalli G., Notizie Vesuviane (anno 1904). 8°. Modena, 1906. — - La grande eruzione Vesuviana cominciata il 4 aprile 1906. 4°. Ro- ma, 1906. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LIX Millosevich F., Appunti di Mineralogia Sarda. — Bournonite del Sar- rabus. 4°. Roma, 1906. — Sopra alcuni minerali di Val d’Aosta. 4°. Roma, 1906. SACCO F., Resti fossili di Rinoceronti dell’ Astigiana. 4°. Torino, 1906. Scalia S., Sopra le argille postplioceniche della Vena presso Piedimonte Etneo (Prov. di Catania). 8°. Catania, 1906. — Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico. 4°. Cata- nia, 1906. Venne presentata alla Presidenza della Società domanda di cambio dalla K. Svenslca Vetensfaps Akademien di Stochholm, la quale offre Arldv fòr Icemi, mineralogi o geologi; Arldv fór botanilc ; Arldv fór zoologi. La medesima Accademia chiede poi gli arretrati del nostro Bollettino, inviando in cambio i volumi corrispondenti del Bihang P. 2-4 sino all’anno 1902, nel quale ha cessato la pubblicazione per essere continuato con gli Arldv' s nel 1903. L’Assemblea compiacendosi della predetta domanda di cam- bio, lo accetta, ed incarica la Presidenza della Società di rin- graziare l’Accademia Svedese e di ottenere, se possibile, in luogo degli Arldv' s di Botanica e di zoologia, il cambio con le Memorie di geologia. Il Segretario comunica come, in seguito a lettera inviata a S. E. il Ministro dei Lavori Pubblici (vedi pag. xxvi di questo volume) circa la conservazione della cascata del Toce, dal pre- detto Ministro fu risposto alla Società che per ora non furono presentate richieste per deviazioni di acque ; e che nel caso sa- rebbe tenuto presente il voto della Società Geologica Italiana, favorevole al mantenimento integrale della cascata. Il Segretario presenta i bilanci consuntivi del 1905 della Società e dell’Amministrazione del Legato Molon, accompa- gnati da tutti i documenti giustificativi e legge la relazione della apposita Commissione, nominata nell’adunanza inver- nale. I sottoscritti Commissari del Bilancio, avendo attentamente esami- nati i bilanci consuntivi per l’anno 1906 della Società Geologica e del- l’Amministrazione del Legato Molon, con i documenti giustificativi, sono lieti di dichiarare di averne riscontrata la perfetta regolarità contabile. LX RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Segnalano inoltre ai Colleghi della Società le benemerenze acqui- statesi dal prof. A. Neviani nel disimpegno, lodevole ed intelligente, del duplice ufficio di Segretario e di Tesoriere. Roma, 11 Maggio 1906. firmati: A. Verri. Gioacchino De Angelis d’Ossat. Mario Cermenati. I predetti bilanci vengono senza discussione approvati nelle seguenti cifre : Bilancio consuntivo dell’anno 1905. Attivo. Passivo. 1. Tasse sociali . . L. 3 165 — 1. Stampa del Boi- 2. Interessi del legato lettino . . . L. 2 889,65 Molon .... » 340 — 2. Contributo spese 3. Interessi diversi . » 869,35 tavole e altre 4. Vendita di Bollet- illustrazioni » 779,60 tini » 222 — 3. Spese del Presi- 5. Sussidio del Mini- dente .... » — stero di Agric. 4. Spese postali . . » 241,58 Ind. e Comm. » 500 — 5. Spese di cancel- 6. Vendita distintivi leria, circolari, sociali .... » 91,50 marche da bollo. » 203,64 6. Tassa di mano- morta. . . . » 27,52 7. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al Tesoriere . . » 68 — 8 Per aiuti al Segre- tario e al Teso- riere .... » 104 — 9. Spese diverse ed eventuali . . » 204,16 Totali . . . L. 5 187,85 Totali . . . L. 4 518,15 Rimborsi da Soci Spese per conto (partite di giro). » 505,15 Soci (partite di Cassa al 1° gen- giro) .... » 505,15 naio 1905. . . » 8 525,98 Passate in conto capitali . . . » 8448,43 Cassa al 31 di- cembre 1905. . » 747,25 Totale . . . L. 14 218,98 Totale . . . L. 14 218,98 RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXI Amministrazione (lei legato Molon. Attivo. Interessi rendita con- solidata . . . L. 680 — Cassa al 1° gennaio 1905 .... » 2494,77 Passivo. Tassa di manomorta. L. 32 — Cassa al 31 dicembre 1905 .... » 3142,77 Totale . . . L. 3 174,77 Totale . . . L. 3174,77 Il Segretario rende conto all’Assemblea della stampa del Bollettino. Rammenta come pochi giorni fa venne distribuito ai soci il 2U fascicolo del voi. XXV, di 210 pag., contenente nove memorie dei soci: Checchia Rispoli G., De Angelis d’Ossat G., De Stefani C., Flores E., Martelli A., Napoli F. e Vinassa de Regny P. E.; accompagnate da 6 tavole e 34 clichés, rima- nendo ancora oltre 1200 lire a disposizione sul Capitolo 1° del bilancio, relativo alla stampa del Bollettino. Sotto stampa e quasi pronte per un terzo fascicolo del Bol- lettino sono le seguenti memorie: Fucini A., Fauna della sona a Pentacrinus tuberculatus di Gerfalco in Toscana. (4 luglio 1906). Merciai G., Alcune osservazioni sui Ghiacciai Norvegesi. (19 luglio 1906). Meli R., Su alcuni molluschi delle formazioni marine sulla destra del Tevere presso Roma (14 giugno 1906). De Stefano G., Sopra alcuni avanzi di vertebrati fossili con- servati nel museo civico di Cremona. (23 gennaio 1906). De Stefano G., Sopra una tartaruga fossile della Francia meridionale. (23 gennaio 1906). Capeder G., Fibularidi del miocene medio di S. Gavino a mare (Sardegna). (15 maggio 1906). Martelli A., Su due Mustelidi e un Fclide del pliocene to- scano. (20 giugno 1906). Caneva G., La fauna del calcare a Belleroplion. (4 marzo 1906). DainelliG., Molluschi eocenici di Dalmazia. (17 giugno 1906). Roccati A., Studio petrografia della linea ferroviaria Mas- saua Ghinda. (Colonia Eritrea). (11 luglio 1906). LXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Sono giunte alla Presidenza, perchè siano presentate all’As- semblea di oggi, queste note e comunicazioni : Meli R., Sopra una meteorite caduta in Lombardia. Matteucci V., Appunti sulV eruzione, vesuviana 1905-1906. De Angelis d’Ossat G., Il miocene nel versante orientale della Montagna della Majella. Il Presidente dà successivamente la parola ai soci presenti che volessero presentare memorie e comunicazioni. Il socio Pantanelli D. riassume una sua memoria dal ti- tolo : Le origini del Petrolio concludendo favorevolmente per la ipotesi dell’origine inorganica di esso. Il socio Sacco F. appoggia vivamente l’opinione espressa dal prof. Pantanelli circa l’origine inorganica del Petrolio, spe- cialmente per quello dell’Appennino settentrionale che trovasi precisamente nella formazione meno fossilifera dell’ Appen- nino. Presenta poscia all’adunanza un suo rilievo geologico (pla- stico alla scala unica di 1 a 100.000) rappresentante lo Anfi- teatro morenico di Ivrea , regione tipica e classica per tali for- mazioni del periodo glaciale. Detto Rilievo geologico, avente uno scopo essenzialmente didattico, fu assai ammirato, tanto che, seduta stante, diverse copie vennero richieste da Direttori di Musei e Professori di geologia. Infine il prof. Sacco offre alla Società con poche parole di ac- compagnamento le seguenti pubblicazioni: 1° L’ Appennino settentrionale e centrale , volume di circa 400 pagine, con oltre 100 figure di stratigrafia, e la relativa Carta Geologica alla scala di 1 a 500.000; lavoro che è il rias- sunto di un ventennio di studi (1884-1904). 2° Les format ions opliitifères du Crétacé. 8°. Bruxelles, 1905; con una tavola fototipica rappresentante fossili caratteristici del Cretaceo, trovati in questi ultimi anni nelle formazioni ofitifere dell’Appennino settentrionale. 3° Les lois fondamentales de l’Orogénie de la Terre. 8°. Tu- rin, 1906, con una tavola. Specialmente interessante è il nuovo RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXIII modo di interpretare la distribuzione generale delle masse con- tinentali e dei principali bacini marini, secondo le ricerche geo- metrico-fisiche di G. Darwin, Poincaré, Jeans, ecc. Il socio Galdieri comunica al Congresso come egli abbia constatato la presenza ddl’Hauyna in un leucitofiro del M. Mat- tone, nel gruppo vulcanico di Eoccamonfina, nel quale questo minerale non era stato finora osservato. Si riserba di presentare una nota sull’argomento. Il socio Maddalena L. riassume brevemente una sua me- moria dal titolo : Osservazioni geologiche sul Vicentino e in par- ticolare sul Bacino di Posina. Detta memoria sarà accompagnata da alcune tavole. Alle ore 16,30 la seduta è tolta; ed i soci, gentilmente in- vitati dal signor Sindaco, passano in altra sala per un rinfresco offerto dal Municipio di Sestri L. Il Segretario Antonio Neviani. Assemblea del 13 settembre 1906. Presidenza Mazzuoli. Alle ore 15 nella Sala del Consiglio Comunale di Sestri L. la Società, è convocata in Assemblea. Presiede il Presidente ing. Mazzuoli. Sono presenti quasi tutti i Soci intervenuti alla adunanza precedente. Assiste alla seduta il cav. Bo, sindaco di Sestri. Dichiarata aperta la seduta, il Presidente apre la votazione per le elezioni alle cariche sociali, e chiama a scrutatori i soci Galdieri A. e Maddalena L., coadiuvati dal vice segretario Crema C. Frattanto si procede nell’ordine del giorno ; comuni- cando un secondo telegramma di S. E. il Ministro della P. I. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI pervenuto il giorno 9 corrente dopo che fu tenuta la prima riunione. « Presidente Congresso Società Geologica. » Rinnovo con il saluto l’augurio che loro discussioni e loro studi » siano alla scienza geologica italiana di nuovo impulso e decoro. » Rava ». Il nuovo socio cav. Parma A., ha presentato in omaggio alla Società una sua Memoria sul progetto di una strada carreggia- bile e della ferrovia di comunicazione interna Genova- Spezia per Valle del Bisagno, Fontanabuona , Val Graveglia, Val di Vara, S. Stefano Magra. 4°. Genova, 1900, con una tavola a colori. Vengono ammessi per acclamazione i seguenti nuovi soci: Craven ing. H. Eobert, presentato dai soci Mazzuoli e Mat- tirolo. De Ferraris ing. Carlo, presentato dai soci Issel e Sacco. Ferrerò dott. Luigi, presentato dai soci Paroma e Prever. Jensch Federico, presentato dai soci Mazzuoli, Neviani e Gardella. Migliorini Carlo, presentato dai soci De Stefani C. e Dainelli. Il Presidente rammenta come neH’adunanza invernale (vedi pag. xxvii del verbale) della Società venne presentata una pro- posta del socio Platania per la istituzione nelle Università ita- liane e Scuole superiori, di varie cattedre speciali di Geofisica, Vulcanologia, Paleontologia, ecc., e come venisse dall’ Assemblea dato incarico alla Presidenza di nominare una Commissione per studiare la proposta Platania e riferirne. La Commissione venne nominata nelle persone dei soci Meli E., Nevi ani A., Parona C. F., Platania G., Verri A., cui venne successivamente aggregato l’ing. Crema C. Dà quindi la parola al gen. Verri A., il quale fu eletto Presidente della pre- detta Commissione. Il socio Verri A., riferisce in questi termini: Nei primi di giugno si radunò la Commissione, intervenendo pure il prof. Platania. Fu convenuto che questi avrebbe svolto RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXV in un promemoria le sue proposte, che in altro promemoria sa- rebbero state riassunte delle idee sulla estensione da dare alle proposte stesse, specialmente in riguardo agli Istituti d’insegna- mento militari. Quindi la Commissione avrebbe esaminato col- legialmente le proposte contenute nei due promemoria, e com- pilata la relazione. Ora è avvenuto die il promemoria del prof. Platania è arrivato alla Presidenza solo nei primi del mese di settembre, sicché ne hanno potuto avere comunicazione soltanto i Commissari presenti alla riunione estiva della Società, e questi, stante la brevità del tempo ed il divagamento inerente alle escursioni, non hanno avuto modo di esaminarlo colla pon- deratezza necessaria. Pertanto non trovandosi presenti tutti i Commissari, rilevandosi tra i presenti alcune divergenze di ve- dute col compilatore del promemoria, mancando il tempo per uno studio accurato indispensabile alla compilazione della re- lazione, pregasi l’assemblea di rimandare la trattazione di tale argomento ad altra riunione. L’Assemblea all’unanimità approva le conclusioni della Com- missione; incaricandola di riferire definitivamente in altra adunanza. Il Segretario presenta alcune proposte di modificazione del Regolamento per le pubblicazioni, che vennero già approvate dal Consiglio della Società. Queste proposte portano la firma dei soci: Verri A., Clerici E., Parona C. F., Neviani A., Crema C. Dette modificazioni sono le seguenti: a) L’attuale Art. 4° è sostituito dal seguente: Art. 4.° Le comunicazioni da stamparsi coi verbali non potranno oltrepassare due pagine di stampa ciascuna se si tratta di note originali, nè mezza pagina se di osservazioni in risposta ad altra comunicazione o di presentazioni di opere stampate. Gli autori rimetteranno seduta stante i manoscritti delle loro comunicazioni. I soci che hanno preso parte a discussioni e desiderano ne sia fatta menzione nel verbale dovranno in gior- nata consegnare al Segretario le loro osservazioni scritte. v LXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Per le comunicazioni non sono inviate bozze agli autori. Le modificazioni od aggiunte, che questi facessero ulteriormente pervenire al Segretario, verranno inserite nei verbali sotto forma di note a pie ’ di pagina con la data di presentazione. b) Sono soppresse le parole o comunicazioni nella prima linea dell’Alt: 6°. li socio Crema illustra brevemente la proposta, la quale dopo breve discussione è approvata. Il Segretario presenta per proprio conto un secondo comma allo stesso articolo 4°; aggiunta che venne parimenti approvata dal Consiglio. Art. 4°, comma b). I titoli delle Memorie non verranno inse- riti nei verbali, se al momento della stampa di questi non sarà pervenuto alla Segreteria il relativo manoscritto. Aggiunge poche parole in appoggio alla fatta proposta, la quale senza discussione, aH’unanimità, viene approvata. 11 Segretario annuncia la presentazione di una Comunica- zione da parte del socio P. Vinassa de Regna, il quale, di pas- saggio per Sestri nella mattina, non potè prendere parte alla gita in mare, nè successivamente fermarsi per l’adunanza. Detta comunicazione dal titolo: Appunti di Geologia Umbra, com- prende quattro argomenti, e cioè: 1. Una grande conca carsica nei M. Martani. 2. Il glaciale dei dintorni del Castelluccio (Norcia). 3. La sorgente del Torbidone presso Norcia. 4. Una dolina di sprofondamento nel Piano del Castelluccio. Il Presidente comunica all’Assemblea l’invio da esso fatto di telegrammi alle LL. EE. i Ministri della P. I. e della Marina. « S. E. Ministro Pubblica Istruzione — Poma. » Società Geologica Italiana riunita in Sestri, onorata cortese in- teressamento, porge V. E. vivi ringraziamenti. » Presidente Mazzuoli ». RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXVII « S. E. Ministro Marina — Roma. » Congressisti Società Geologica Italiana, di ritorno gita Portofino ringraziano V. E. invio Rimorchiatore. » Presidente Mazzuoli ». Il Presidente chiede se qualcuno dei soci presenti, ed in- tervenuti alle escursioni voglia prendere la parola sulle osser- vazioni fatte. Il socio Verri dice: La struttura pisolitica (varioliti) pre- sentata in alcuni punti dalle roccie diabasicke, è diversamente interpretata circa le sue origini ; poiché è stato deliberato [v. relaz. delle escurs.] che sia eseguito uno studio su alcune varietà delle roccie diabasiche, onde esaminare se siano o no da con- siderare quali lave, mi sembrerebbe opportuno che analogo stu- dio fosse fatto nella varietà variolitica. Nessun altro socio prende la parola sull’argomento. Il Presidente comunica il risultato delle elezioni: Votanti 91; schede nulle 2. Eletto a Vice Presidente per il 1907, Presidente perii 1908: Portis Alessandro con voti 60. Eletti a Consiglieri per il triennio 1907-1909: Di Stefano Giovanni con voti 83 Bassani Francesco » 77 Pantanelli Dante » 77 De Stefani Carlo » 74. Eletto a Consigliere per l’anno 1907: Pellati Niccolò con voti 64. Eletto a Segretario per il triennio 1907-1909: Clerici Enrico con voti 80. LXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Gli 83 voti assegnati al socio Di Stefano Giovanni, pro- vengono da 58 voti ottenuti come Consigliere, più 25 come Vice-Presidente. Il Presidente comunica poi come il Consiglio abbia, a norma dello Statuto, nominato ad Archivista per il triennio 1907-1909, il socio ing. Crema C. Il socio Clerici propone un applauso ed un ringraziamento al presidente Mazzuoli per la sapiente organizzazione delle escur- sioni, tanto interessanti turisticamente e scientificamente, che hanno richiamato l’attenzione sui complessi problemi relativi alle diabasi ed agli scisti concominanti, problemi che almeno in parte spera di vedere risolti per lo studio fotografico dei campioni che appositamente furono raccolti. L’assemblea applaude. Il Presidente ringrazia l’ing. Clerici delle sue parole a lui rivolte, ed i soci intervenuti alle adunanze ed alle gite; e rin- nova i ringraziamenti al Sindaco della Città ospitale. Il Vice-Presidente aggiunge uno speciale ringraziamento e saluto al Segretario che è al fine del suo triennio di lavoro. Alle ore 16 la seduta è tolta. Il Segretario Antonio Nevi a ni. APPENDICE 1. RELAZIONE DELLE ESCURSIONI FATTE IN LIGURIA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA NEI GIORNI 10-13 SETTEMBRE 1906 La mattina del 10 alle ore 6 72, anticipando l’ora fissata dal programma, tutti i congressisti sono pronti davanti al ma- gnifico Hotel Jensch, sempre entusiasti dell’incantevole pano- rama che si gode sul mare e sulla riviera. Partiamo con due vetture a 3 cavalli ed un lanciato seguendo la strada della Spezia che si svolge per breve tratto lungo la valle del Pe- tronia, poi s’arrampica rapidamente sui colli, lasciando vagare lo sguardo sulle pendici popolate di ville e di vigneti, al ridente promontorio di Sestri e a quello più lontano di Portofino che quasi si confonde con lo specchio azzurro del mare. Fino alla fornace del Bracco la strada è tagliata tutta negli scisti eoce- nici assai tormentati, compressi, contorti, raddrizzati, fogliettati: i calcari contenuti seguono chiaramente queste contorsioni e in qualche punto si è visto qualche bellissimo esempio di nocciolo di strozzamento. Alla fornace del Bracco, scesi di carrozza, andiamo a ve- dere una interessante sezione naturale ove si osservano ftaniti e diaspri e il contatto tra serpentina e calcare eocenico con formazione di ofìcalce. In questa località il presidente Ing. Maz- zuoli ci fa osservare come la serpentina sia superiore ai cal- cari e scisti eocenici e come le ftaniti e diaspri derivino per me- tamorfismo dal calcare alberese. Il Mazzuoli così spiegherebbe l’origine delle ftaniti e dia- spri, e delle diabasi ed eufotidi: nel fondo del mare eocenico si sarebbero verificate delle sorgenti geyseriane attraverso i cal- cari eie melme, che si andavano depositando. I calcari furono com- pletamente trasformati in ftaniti e diaspri per azione di emanazioni siliciose : le stesse sorgenti avrebbero agito sulle melme argillose LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI (depositate frammezzo ai calcari), le quali costituiscono, dove non hanno subito alterazioni, gli scisti argillosi cosi abbondanti delle formazioni eoceniche. Queste marne dunque, ricche di allumina e di calce, poi impregnate di acido silicico e di sali alcalini sotto forte pressione e ad una temperatura abbastanza elevata, si sarebbero trasformate in diabase o in eufotide, roccie queste che non si distinguono tra loro per la composizione chimica e mi- neralogica, ma solo per la diversa grandezza degli elementi che le costituiscono. Verso la fine del periodo eocenico le sorgenti termo-minerali avrebbero depositato la calcopirite e i minerali di manganese. Da ultimo sarebbe avvenuta una grande eru- zione sottomarina di lherzolite che si alterò immediatamente e completamente in serpentina durante il suo raffreddamento (essa ha la stessa composizione chimica della lherzolite, più acqua). La serpentina si trova infatti sempre al di sopra di tutte le formazioni di calcari, scisti e diabasi. I minerali di rame essen- dosi depositati alla fine dell’eocene, si trovano vicini al con- tatto tra la serpentina e le altre roccie ofiolitiche (diabasi ed eufotidi). Ritornati sulla strada osserviamo in alcuni punti come il calcare alberese si mostri in graduale trasformazione in una materia ocracea (chiamata sul luogo Bolo). Ove non è alterato, questo calcare è nerastro, compatto e ricco di silice : all’esterno presenta una superficie a Stiloliti. Prima di abbandonare la strada della Spezia per scendere nella valle deH’Acquafredda, il Comm. Mazzuoli ci mostra, a sostegno della sua teoria, il ver- sante Sud di Monte Loreto, ove si vede la serpentina adagiarsi regolarmente sullo scisto argilloso e sulla diabase. Ora si scende nella valle a gruppi discutendo animatamente la teoria del Maz- zuoli, desiderosi di vedere i passaggi o i contatti netti tra le diverse formazioni, perchè appunto su questo si basa la sua ipotesi, e se veramente le rocce ofiolitiche derivano dalle sedi- mentari per metamorfismo, si devono vedere i graduali passaggi tra queste e quelle. Al fondo della valle si trova il riparto cernita e lavatura del materiale scavato nella miniera di Monte Loreto che unitamente a quelle di Gallinaria e Bargone appar- tiene alla Società Ligure Ramifera. Qui ci raggiungono il mar- chese Ing. De Ferrari, uno degli amministratori della Società, RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXI il perito minerario Sig. Giovanni Salton della scuola mineraria di Agordo, e il direttore della Società Cav. Gardella. Vediamo una discenderia aerea lunga 550 metri con un di- slivello di m. 110: serve a trasportare in basso il materiale estratto dalla galleria superiore. L’impianto, assai economico (costò L. 3000), funziona benissimo, trasportando 25 tonnellate al giorno con 36 recipienti che viaggiano contemporaneamente e sono distribuiti ad eguale distanza lungo la linea. Risalendo la costa andiamo a vedere i contatti tra scisti e diabasi e tra queste e la serpentina. Tra serpentina e roecie sottostanti (diabasi o eufotidi) è in- discutibile che vi è sempre un passaggio nettissimo, e su questo sono tutti d’accordo : invece tra scisti e diabasi a taluno par di vedere un passaggio graduale, ad altri invece un contatto netto. La discussione è viva più che mai: una corrente segue l’opinione dellTng. Baldacci, Ing. Capacci ed altri, i quali am- mettono che le diabasi ed eufotidi siano dovute ad eruzioni sot- tomarine di magmi basici, avvenute nel mare eocenico. A questo proposito si citano i contatti netti tra scisti e roccie ofiolitiehe che furono osservati al Monte Ferrato di Prato (Boll. Com. Geol. Nota dellTng. Capacci) e al Monte Beni e Sasso di Castro nel Bolognese. Che due eruzioni cosi diverse come la lherzolite e la dia- base siano avvenute a poca distanza l’ima dall’altra non deve far meraviglia poiché si osservano talora dei bruschi passaggi e delle diversità grandissime perfino in uno stesso blocco eruttivo. Giunti presso lo stabilimento Gardella e C., situato in una vasta conca sulla riva del Bargonasco, troviamo preparata una magnifica tavola sotto ad un gran pergolato di viti, e qui all’aria aperta, vien servita una eccellente colazione offerta dalla So- cietà Ligure Ramifera. Alla fine del banchetto il presidente ringrazia vivamente la Società per la sua accoglienza ed ospi- talità, e per essa rispondono cou squisita cortesia il Cav. Gardella e il March. De Ferrari. Nel pomeriggio è in programma la visita al nuovo sta- bilimento della Società, ma il Rev. Raffaelli, curato di Bar- gone e direttore di quell’Osservatorio meteorologico, si fa prò- LXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI motore di una spedizione per raccogliere dei campioni di Dato- lite. Già nell’ 81 furono scoperti dal Sig. Bonelli, attivissimo ricercatore di giacimenti minerari in tutta quella regione, dei bellissimi campioni di datolite e presentati al Congresso di Bologna. Il filone trovato allora in una galleria venne ricoperto da una frana, ma si riscontrò anche il suo affioramento superfi- ciale: appunto alla ricerca di questo i soci Sacco, Cerulli, Clerici, Salton, Bibolini, Galdieri, Raffaeli, Frenguelli, Ciofi, Monetti e Maddalena, accompagnati dall’ing. De Ferrari, e dal sig. Bonelli, sfidano con coraggio la ripida salita e il sole scottante. Oltre- passato lo stabilimento, che i rimasti si recano subito a visitare, il paesaggio si presenta squallido e triste. Le roccie diabasiche hanno un colore ferrigno e sono pressoché nude : solo qua e là degli alti cespugli di Erica scoparia bruciati dal sole e dei piccoli ciuffi di Erica solitaria coi bellissimi grappoli di fiori violetti. Seguiamo il canale idraulico lungo 1600 m., il quale con una caduta di 60 m. dà allo stabilimento 450 cavalli di forza quando l’acqua abbonda. Intanto alla diabase succede nettamente, senza passaggio di sorta, la serpentina: lungo il contatto è scavata una valletta profonda e ripida che risaliamo faticosamente. Circa alla quota 300 troviamo il filone di datolite e si raccolgono discreti cam- pioni, quantunque i cristalli siano assai piccoli e talora tra- sformati in materia polverulenta. Quando ritorniamo allo stabi- limento è già tardi, una vettura è pronta per ricondurci a Sestri e dobbiamo rimettere à domani la visita all’impianto. Il giorno Ile destinato alla visita della miniera di Libiola appartenente ad una società italo-inglese. Partiamo con cielo minaccioso sui soliti veicoli seguendo la valle del Gromolo. Durante la notte la nostra comitiva si è arricchita di un ri- tardatario ma valoroso congressista: l’ing. Franchi. Al Mo- lino Balicca dove si trova l’impianto di cernita e triturazione del materiale siamo accolti gentilmente dal direttore della mi- niera Mr Robert H. Craven: dall’alto dello stabilimento sven- tolano le bandiere italiana ed inglese. Il direttore ci accompagna a visitare l’impianto: tre caldaie Baukoch e un motore orizzon- tale che sviluppa 60 cavalli, assorbiti in parte da due concas- seurs a cilindri che lavorano 120 tu. di minerale al giorno, e RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXIII in parte trasformati in energia elettrica per azionare altri con- casseurs posti in un impianto vicino. Qui si ha una galleria orizzontale che a circa 800 metri dall’ imbocco raggiunge il giacimento coltivato più in alto: una discenderia lunga 1600 m. porta allo stabilimento il minerale estratto nelle coltivazioni superiori. Seguendo la strada della miniera vediamo dapprima gli scisti eocenici, ove il prof. Issel trovò traccie di fucoidi, alternati con banchi di calcare e sopra uno strato poco potente di arenaria che li ricopre. Gli strati sono diretti da N. a S. e fortemente inclinati verso 0. E questo un andamento stratigra- fico che l’ ing. Mazzuoli e il prof. Issel trovarono pressoché co- stante per una larghezza da O. ad E. di circa 16 km.: essi spiegarono questo fatto ammettendo l’esistenza di numerose pieghe dirette da N. a S. le quali per le forti pressioni late- rali subite devono essersi abbassate e ribaltate verso E.; quindi le gambe delle sinclinali derivanti da quelle pieghe sono tutte tra loro parallele e inclinate verso 0. Dopo qualche centinaio di metri di strada E ing. Mazzuoli ci fa osservare un bellissimo taglio naturale dove si vede il contatto tra serpentina e dia- base, netta sovrapposizione di quella a questa; lì presso ci mostra un passaggio tra diabase nodulosa e gli scisti. Qui si riaccende la discussione che ieri l’ora di colazione aveva troncata. L’ing. Mazzuoli vede un passaggio graduale dalla struttura nodulosa della diabase a quella compatta, la quale diverrebbe a poco a poco scistosa giungendo così per gradazioni sfumate al vero scisto argilloso: ma nessuno di quelli che ieri seguivano l’altra ipotesi, trovano di che convertirsi, anzi vedono qui un vero contatto netto: l’ ing. Franchi è pure di questa opinione, e rammenta come la struttura microscopica della diabase sia quella tipica delle roccie eruttive, e come fu dimostrato dalle esperienze del Daubrée ed altri, che tale strut- tura è dovuta sempre ad azione di fusione e non di metamor- fismo. Si pensa quindi che il miglior modo per risolvere la questione sia il prendere dei campioni proprio sul contatto onde vedere se la diabase presenta le caratteristiche della roccia eruttiva e se gli scisti, che realmente in vicinanza di essa per- dono molto della loro scistosità, offrono la natura di roccie metamorfosate per contatto. L’ing. Franchi è incaricato dell’ana- LXXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI lisi microscopica e l’ing. Mattinilo dell’analisi chimica: i cam- pioni vengono raccolti e marcati in presenza di tutti i con- gressisti. Negli interstizi della diabase nodnlosa, si sono osservate delle bellissime varioliti dovute all’azione delle acque filtranti. Pro- seguendo per la ripida strada che conduce alla miniera di Li- biola si osservano altri contatti tra serpentina e diabase, tra diabase e scisti : ad un certo punto si vede la serpentina sot- toposta alla diabase, ma è evidente che si tratta di una piega rovesciata. In tutta la regione da noi visitata la serpentina si mostra al disopra delle roccie ofiolitiche; all’isola d’Elba invece il Lotti riscontrò in esse una successione diversa : la diabase in alto, l’eufotide in mezzo e interiormente la serpentina. Siccome il Lotti volle estendere a tutte le formazioni ofiolitiche d’Italia f1) i medesimi rapporti di giaciture da lui trovati per l’Elba, l’in- gegnere Mazzuoli si oppone almeno per quanto riguarda la Liguria. Avvicinandoci alla miniera osserviamo un curiosissimo aspetto brecciforme che assume la diabase e ben presto troviamo un passaggio che ne spiega l’origine: si vede la roccia com- patta che passa a struttura septarica evidentissima, e in questa i noduli che vanno a poco a poco squarciandosi, disfacendosi, finche diventa una vera breccia. Nella miniera di Libiola le masse metallifere stanno per lo più racchiuse nella diabase ; però quasi sempre esse o sono vi- cinissime o si trovano addirittura in contatto colla sovrapposta serpentina. Inoltre in quelle masse costituite prevalentemente da pirite di ferro, la calcopirite appare di preferenza concentrata presso alla superficie di contatto tra diabase e serpentina (2). La prima galleria che troviamo è la Margherita: da essa escono delle acque che depositano efflorescenze di solfato di ferro e sono ricche di rame il quale viene ricuperato lasciandolo de- positare su trucchili di ferro. (*) (*) Lotti, La gen'ese des gisements cuprifères des dépots ophiolitiques tertiaires de V Italie. Bruxelles, 1889. (2) Un’accurata descrizione di questo giacimento e di quelli vicini si trova nell’opuscolo dell’ing. Mazzuoli, Nuove Osservazioni sulle for- mazioni ofiolitiche della Riviera di Levante in Liguria , Roma, 1892. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXV Salendo fin sopra le principali gallerie tutte scavate nella diabase, troviamo un piccolo lembo di serpentina che la ricopre, residuo dell’originario uniforme mantello : più su giungiamo ad una coltivazione di pirite a cielo aperto, vera finestra geologica dove si osservano chiaramente le condizioni del giacimento, come le masse mineralizzate si trovano nella diabase immediatamente sotto alla serpentina. Da questo punto la vista spazia per tutta la valle del Gromolo, si vede il manto uniforme di serpentina che ricopre ogni cosa e s’arrampica lungo i fianchi del M. Bianco. Questo monte presenta sul suo fianco meridionale una parete nuda e dirupata, un vero taglio naturale sul quale si disegnano nettamente i banchi calcari e diasprini : coll’aiuto del canoc- chiale si distinguono assai bene tre pieghe sinclinali separate tra loro da due anticlinali strettissime e mozze: le sei gambe delle sinclinali s’immergono tutte verso 0. Scendiamo verso la casina del direttore presso la quale su una bella spianata troviamo una tavola imbandita con grande eleganza: la Società ci offre una squisita colazione all’aria aperta davanti un bellissimo panorama sulla vallata: il cielo si èri- schiarato e in lontananza appare un lembo di riviera, il pic- colo seno di Sestri, il promontorio di Portofino. Allo Champagne l’ing. Craven ci porge il saluto della Società; il nostro presi- dente risponde esprimendo la nostra viva riconoscenza per tanta cortesia. Dalla miniera di Libiola un forte gruppo di congressisti si stacca per recarsi a vedere un affioramento di lherzolite. Per un sentiero che il direttore della miniera di Libiola ha in gran parte fatto preparare apposta per l’occasione, giungiamo sul ver- sante settentrionale del Rio delle Acque, dove, completamente circondato dalla serpentina, rimane sporgente un blocco di bel- lissima lherzolite tipica. Troviamo già preparati dei bei cam- pioni sempre per cura del’ing. Craven il quale aveva fatto sparare una mina: tutti ne fanno larga messe per se e per gli amici che si erano raccomandati. Osserviamo dei termini di passaggio dalla lherzolite pura alla serpentina, cioè delle roccie che sono lherzoliti più o meno idratate. È questa una prova sicura della esattezza dell’ipotesi ora generalmente ammessa, e cioè che la serpentina derivi da alterazione delle roccie oliviniche primitive. LXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Questa conclusione tratta dall’esame del terreno è grande- mente avvalorata dagli studi fatti in laboratorio dal Cossa e dall’ing. Mattirolo sulle roccie di Pria Borgheise e dal Busatti sulle lherzoliti di Bocca a Sillano e di Bossignano: da questi studi risulta cbe basta l’idratazione dei minerali componenti la llierzolite perchè questa si trasformi in serpentina; e siccome l’acqua è l’elemento che in natura abbonda, e le roccie origi- narie derivarono da eruzioni sottomarine, non si può avere dif- ficoltà nell’ammettere che l’idratazione loro sia stata contem- poranea all’uscita delle lave. Dal Bio delle Acque passiamo al Bio Carpinete affluente del torrente Bargonasco: qualcuno con don Baffaelli va a ve- dere il Monte Treggiu la cui piramide aguzza è costituita nella parte centrale di ftaniti e diaspri e di calcari eocenici ai lati. La maggior parte scende verso la miniera Gallinaria accompa- RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXVII gnati dal Cav. Sardella e dal Sig. Salton che sono venuti gen- tilmente ad incontrarci. Andiamo a visitare la galleria Ragazzi la quale s’interna per oltre 300 m. con alcune diramazioni se- guendo dei filoni di calcopirite a ganga quarzosa dentro l’eu- fotide. Passiamo per la miniera Gallinaria nella quale la mine- ralizzazione si trova per la maggior parte al contatto della dia- [ base o della eufotidé colla serpentina in forma così detta di colonne, solo più raramente in piena serpentina o in piena diabase o eufotide in forma di vene. Scendendo verso lo sta- bilimento della Società Ligure Ramifera, che la maggior parte di noi non ha ancora visitato, si raccolgono dei belli esemplari di eufotide tipica. Sempre gentilmente accompagnati dai signori Gardella e Salton visitiamo il nuovo grande impianto della Società per la completa lavorazione del rame. La centrale elet- trica produce energia che viene mandata alle miniere di Monte LXXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Loreto e di Gallinaria per azionare pompe e ventilatori e una parte serve per rillunrinazione pubblica dei comuni di Sestri Levante e Casarza Ligure : fra breve verranno pure azionate elettricamente delle perforatrici. L’impianto per la cernita e la- vatura meccanica del materiale frantumato è fatto colle mac- chine più moderne: concasseurs a cilindri e stacci oscillanti con maglie di diverse gradazioni. Pel grande forno Siemens si sta costruendo una grandiosa tettoia. Il metodo d’estrazione del rame è ancora quello antico per via secca o ignea, avendosi dovuto abbandonare il procedimento elettrolitico esperimentato dalla Società Elettro-Metallurgica Italiana che dal 1882 al 92 eserciva questo impianto, perchè non dava quei risultati econo- mici che la Società si riprometteva. Complete e pronte a fun- zionare sono le due grandi sale dove stanno vari tipi di lami- natoi e trafile, tra cui una nuovissima, americana, completamente automatica. Una potente motrice orizzontale Tosi aziona le gran- diose trasmissioni che pongono in moto gli enormi cilindri del laminatoio principale. Vediamo pure i recentissimi convertitori Manhès per la purificazione del rame, assai simili a quelli Bessmer per l’acciaio. Da essi il rame verrà colato in lingottiere, e i lingotti passando alla trafila, diverranno tondini più o meno sottili destinati alla trasmissione dell’eneigia elettrica; oppure saranno ridotti in grandi piastre dal laminatoio. Finita la visita allo stabilimento, torniamo a Sestri, gratis- simi alla Società Ligure Ramifera e al suo direttore Cav. Bar- della per le infinite cortesie di cui ci ha colmati. La mattina del 12 partiamo con un tempo magnifico in fer- rovia per Rapallo. Qui sono pronte le due grandi automobili del nuovo Hotel Portofino-Kulm che ci portano rapidamente a 400 metri sul livello del mare. La strada è incantevole; man mano che ci alziamo, la vista spazia sul mare tranquillo, sulla riviera tutta a seni e a golfi, popolata di ville e di grosse borgate, sui monti coperti di olivi tra i quali spicca di tanto in tanto il verde cupo dei cipressi. Oltrepassata una piccola gal- leria si apre il panorama del golfo di Genova. Dal mare fino all’Albergo, la strada è tagliata tutta negli scisti eocenici che si mostrano tormentatissimi : di qui saliamo a piedi alla vetta del promontorio di Portotìno per vedere i potenti conglomerati RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXIX che lo costituiscono. Il conglomerato si appoggia in discordanza sugli scisti eocenici e si presenta in strati dello spessore com- plessivo di 150 m., inclinati verso il mare, cioè verso sud. Mentre la parte di crinale formata dagli scisti e calcari eocenici ha un andamento quasi pianeggiante, la linea di spar- tiacque si rialza bruscamente ove comincia il conglomerato, per la maggior resistenza che questa roccia presentò alla ero- sione, cosicché il confine tra le due formazioni può essere rile- levato anche a grande distanza. I ciottoli del conglomerato sono principalmente di calcari e di scisti eocenici : si osservano però sovente dei frammenti di roccie ofiolitiche. Quanto all’origine di questi conglomerati, il Gastaldi nel suo studio sui conglo- merati miocenici del Piemonte (Accademia Scienze di Torino Serie II, Tomo XX, 1863) li suppone derivati da trasporto gla- ciale, precisamente come quei banchi che si vanno ora formando nei pressi di Terranova, L’ing. Mazzuoli nella sua nota sul modo di formazione dei conglomerati miocenici dell’Appennino Ligure (Roma 1 888) combatte con forti argomenti questa ipotesi. Egli basandosi soprattutto sul fatto, ammesso anche dal Gastaldi che gli elementi dei conglomerati sono quasi sempre costituiti da mate, :aie di roccie in posto assai vicino, spiega in questo modo la loro formazione : le terre emerse in seguito al corrugamento terziario, fortemente tormentate dalle pressioni enormi a cui fu- rono soggette, presentanti una fitta rete di sinclinali e di an- ticlinali con volte spezzate, con gambe tronche, con lembi di strati strapiombanti, furono facile preda delle azioni meteoriche e della violenza delle onde, e si ebbe così uno sfasciume co- stituito di detrito di ogni dimensione. Così si formarono i primi strati della formazione di cui ci occupiamo, ma questo non basta per spiegarne la grande potenza. Finito il sollevamento post-eocenico si ebbe un lento abbas- samento del suolo, quasi una reazione per la quale le masse rocciose andarono assestandosi lentamente per riprendere una posizione stabile di equilibrio. Durante questo lungo periodo i massi devono aver continuato a precipitare in mare, mentre i detriti accumulandosi sui detriti, andarono via via aumentando la potenza di quel deposito litorale, la cui superficie, per il LXXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI graduale avvallamento del fondo, doveva rimanere quasi sempre a fior d’acqua. Quanto alla presenza di cogoli di roccie ofìolitiche, si può spiegare supponendo la demolizione in posto di nuclei di tali roccie racchiusi tra i calcari e gli scisti eocenici, oppure am- mettendo un trasporto sia per azione delle correnti litorali delle roccie del gruppo di Voltri, sia per opera di torrenti dalfinterno della regione. Quanto al lento abbassamento supposto alla fine del sollevamento post-eocenico, non è per nulla un fatto nuovo, anzi esso trova perfetto riscontro nella sommersione verificatasi dopo il sollevamento post-pliocenico, sommersione di cui si hanno per la Liguria occidentale prove evidenti nel proseguimento in mare, fino alla profondità di 900 m., delle attuali vallate ('). Salendo fino al semaforo vecchio osserviamo questo conglo merato ad elementi svariatissimi in cui predominano i calcari e gli scisti eocenici, sono numerose le dioriti e le serpentine, qualche micascisto del gruppo di Voltri e molta anagenite. De- gno di nota è il fatto che i rari individui voluminosi racchiusi nella massa non sono per nulla arrotondati, mentre lo sono assai quelli di minori dimensioni. Questo conferma l’ipotesi del- l’origine sul posto del conglomerato : la forza delle onde essendo stata sufficiente a rimaneggiare solo gli elementi di piccole di- mensioni. Dal culmine del promontorio godiamo una vista su- perba, indimenticabile, che certo nulla cede in bellezza a quella così celebrata che si gode da Camaldoli sul golfo di Napoli. Dall’isola di Capraia perduta laggiù nella nebbia, tutta la riviera incantevole si svolge sotto ai nostri occhi da Spezia a Savona : Genova sembra un torrente di case che si riversa nel mare. Passiamo al semaforo nuovo dal quale la vista del golfo ci appare ancora più netta e completa; quindi attraverso il parco dell’ Hotel arriviamo alla colazione che si fa quasi senza stac- care gli occhi dal superbo panorama. Prima di partire siamo invitati al cinematografo dell’ Hotel, dove passano davanti ai nostri occhi delle bellissime fotografie (*) (*) Issel, Sur V existence de valle'es submerge’es dans ìe golfe de Génes (Académie des Sciences, Paris, 1887). RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXXI dei dintorni. La maggior parte ritorna a Rapallo in automobile: solo pochi volonterosi, tra cui l’instancabile vice-presidente pro- fessor Sacco, scendono a piedi a Portofìno per una stradicciola incantevole in mezzo ad un bosco fitto di Pinus pinea nel quale spiccano bellissime macchie di olivi. Il conglomerato ci accom- pagna continuamente fino al livello del mare. Da Portofino la strada segue le insenature della costa sempre tagliata nel con- glomerato, scoprendo ad ogni svolta nuovi quadretti deliziosi: quel piccolo golfo di Portofino, Santa Margherita con quel lido che s’insena con la bella curva di un braccio di donna che cerchi il collo dell’amante, quelle mille case e villette color di rosa, d’albicocca, di fragola, d’erba montanina, distese a ghir- landa e disperse nel verde cupo dei pini e degli aranci con questo incanto negli occhi e nel cuore ritorniamo a Sestri soddisfatissimi della gita. Il 13 c’imbarcammo alle 6 su una piccola nave messa a nostra disposizione dal Ministero della Marina. Il cielo era limpidissimo e per quattro ore abbiamo goduto dal mare i bei panorami che si erano incompletamente veduti da terra: la ri- viera incantevole, delizioso sogno di poeta, veduta così dal mare azzurro in una bella mattina d’estate, resterà scolpita nell’animo nostro come imperituro ricordo di questa bella riunione. Dal lato geologico osservammo come assai da lontano si distingua nettamente il punto, tra S. Margherita e Portofino, in cui ai calcari e scisti eocenici succede il conglomerato. Il mare dapprima tranquillo andò a mano a mano ingrossan- dosi specialmente dopo che si ebbe passata la punta di Portofino e qualcuno cominciò o soffrire onde si dovette affrettare il ritorno. Il congresso si chiuse con un pranzo offerto dal comune di Sestri; alla fine di esso il nostro presidente ing. Mazzuoli e il Sindaco della, città cav. dott. G. B. Bo ebbero parole felicis- sime che furono calorosamente applaudite ('). ('; Ecco le belle parole dette dal Sindaco Cav. Bo: Signori ! Lo vostre benevole parole, illustre signor Presidente, e gli applausi calorosi ch’esse hanno suscitato negli illustri soci della Società Geologica Italiana, mi risuonano nel cuore come grata affermazione di una forte VI LXXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Sono sicuro di interpretare i sentimenti di tutti i congres- sisti inviando un vivo ringraziamento al presidente ing. Maz- zuoli e all’instancabile segretario prof. Neviani che così bene organizzarono questa simpatica riunione. Ing. dott. L. Maddalena. simpatia che è schiettamente contraccambiata da me e dalla cittadinanza che ho il piacere di rappresentare. Tale infatti il naturale sentimento che noi abbiamo provato fin dal primo vedervi, o illustri scienziati; e questo banchetto vi significhi la gratitudine della Città che ha avuto l’onore di avervi suoi ospiti nella fausta occasione delle nozze d’argento della vostra fiorente Società. Il vostro soggiorno fra noi, comunque breve, ci ha uniti ancora più strettamente a voi. L’interesse che avete mostrato per le condizioni geo- logiche di questo lembo della ligure terra e per la maggiore importanza metallurgica che esse possono acquistare, non che la cordialità dei re- ciproci personali rapporti, hanno fatto sì che nell'ora presente noi dob- biamo non solamente onorarvi come severi cultori della scienza, ma amarvi altresì come utili cooperatori del progresso dell’umanità. E voi non vi sdegnerete di avere stretto questo vincolo di fratellanza colla popolazione Sestrese. Signori! Terminando di parlare innanzi ad uomini operosi e sapienti, qui con- venuti da ogni parte d’Italia, mi é pur consolante rivolgere il pensiero alla mente illuminata ed al gran cuore del nostro Sovrano il quale non é insensibile a nessun bisogno del suo popolo, nè estraneo a nessuna manifestazione elevata dello spirito e del "civile progresso. Bevo dunque, o Signori, alla salute del Re; alla prosperità della Società Geologica Italiana, alla salute del suo illustre Presidente, al quale riaffermando l’affettuosa stima che gli professo già da un quarto di secolo, porgo vivi ringraziamenti per le varie e dotte monografie colle quali ha illustrato la geologia di questa regione. Bevo ancora alla salute di tutti quanti i convitati. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXXIII il. ULDERIGO BOTTI Con la tragica fine di Ulderigo Botti, avvenuta la mattina del 25 giugno di questo anno, la Società Geologica Italiana ha perduto uno fra i suoi membri più antichi e più operosi. L’uomo del quale la nostra famiglia scientifica ha ammirato per lunghi anni — fino alla più tarda vecchiaia — la costante operosità e il non comune valore, era nato a Montelupo, in Toscana, da Giovanni Battista Botti, allora podestà di quel paese, e da Maria. Billi. Culla della sua prima educazione e della sua istruzione fu Prato; in seguito, proseguì gli studi nellTmiversità di Pisa, dove si laureò in legge, avviandosi quindi alla carriera giudiziaria. Apprendista fin dal 1845, fu coadiutore nel 1848, e pretore nello stesso anno. Ma, ben presto, forse perchè il suo temperamento mal si adattava alle battaglie forensi e alle discussioni delle aule giudiziarie, forse perchè la già incominciata a manifestarsi vocazione per gli studi di storia naturale non era conciliabile con le pandette e con i codici, forse ancora per tutte e due le ragioni insieme, noi lo troviamo a percorrere un’altra carriera, quella amministrativa delle pre- fetture. Di fatti, nel 1859 era segretario consigliere; nel 1861 sottoprefetto; e nel 1872 veniva nominato consigliere delegato, carica che occupò fino al giorno in cui si ritirava dalla vita amministrativa, rifiutando l’onorifico e importante posto di pre- fetto, per il quale il Ministero dell’ Interno l’aveva più d’una volta officiato. Come pubblico funzionario, Ulderigo Botti si mostrò sempre degno della carica che occupò, accoppiando, ad una grande in- telligenza, una non meno grande perizia nelle cose ammini- strative, per cui alcuni suoi lavori statistici furono premiati, dal Ministero di Agr. Ind. e Comm., con medaglia d’argento di prima classe. Data precisamente dall’epoca in cui il Botti entrò nell’am- ministrazione delle prefetture, e la sua comparsa — direi uffi- LXXXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI ciale — nel mondo scientifico. Difatti, il suo primo lavoro: Sopra un ittiolito della calcarea tenera leccese (1) (') pubbli- cato nel 1868, si riferisce a quel fortunato periodo di tempo nel quale egli, trovandosi alla prefettura di Lecce, cominciò quella serie di esplorazioni e di ricerche scientifiche, le quali fornirono il materiale per l’ impianto del Museo provinciale di Terra d’ Otranto, e la base ad una serie di originali ed impor- tanti lavori, fatti, tanto dallo stesso raccoglitore, quanto da altri naturalisti, come ad esempio, il Forsitb Major, col voluminoso lavoro: Beitrdge zar Geschicltte der fossilen Pferde, msbesonders Italiens, pubblicato nel 1877-80. Dal 1868 al 1902 l’attività scientifica di Ulderigo Botti, il quale trovò sempre modo di dedicarsi agli studi geologici e a quelli di archeologia preistorica, si esplicò principalmente sotto due aspetti : come raccoglitore, quindi come collezionista, e come scrittore. Data l’ indole dell’uomo, del quale noi rimpiangiamo la dolorosa e irreparabile perdita, la sua privilegiata e carat- teristica operosità, la sua liberalità nello spendere per acqui- stare libri e materiale scientifico, il suo amore grande alla scienza, la sua pratica perizia nel saper discernere l’utile e il buono, acquistata quest’ultima con le continue escursioni e le frequenti visite nei Musei italiani ed esteri; egli, come raccoglitore e col- lezionista, doveva riuscire necessariamente eccellente. E tale fu. Ben possono attestarlo le collezioni paleontolo- giche, preistoriche e mineralogiche, che si conservano nel già citato Museo di Lecce e nei Gabinetti dell’Istituto Tecnico e del Liceo di Reggio-Calabria, da lui raccolte ed ordinate. Tali collezioni rivelano la sua cultura scientifica non comune, e rap- presentano il frutto di una lunga serie di pazienti e accurate ricerche in Terra d’ Otranto e in Calabria, due fra le regioni italiane che il Botti meglio conosceva dal punto di vista ar- cheologico e geologico. Tali collezioni, per il grande valore scientifico che hanno, meriterebbero una sorte migliore di quella (’) I numeri in neretto si riferiscono all’elenco delle pubblicazioni scientifiche di Ulderigo Botti ; elenco da lui stesso pubblicato nel 1902 (Reggio-Cal., Tip. Adamo d’Andrea), nel chiudere la sua carriera scien- tifica. Le opere sono disposte in ordine cronologico. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXXV che — secondo quanto più di una volta egdi stesso ebbe a dirmi — forse le attende in un futuro più o meno lontano. Non meno ricche e belle, e non meno interessanti sotto l’a- spetto scientifico, sono le collezioni che Ulderigo Botti formò a Reggio-Calabria dopo il 1880, quando, di tale città, per la po- sizione incantevole e per la bellezza del clima, fece la sua patria di adozione, ed ebbe agio di percorrere la regione in tutti i sensi per una lunga serie di anni. Di Reggio-Calabria, dove ebbe meritati onori, essendo stato, fra l’altro, Presidente della giunta di vigilanza del R. Istituto Tecnico, ed ultima- mente nominato Direttore del Civico Museo, il Botti si rese particolarmente benemerito. Le collezioni paleontologiche che si conservano nel gabinetto di storia naturale dell’Istituto Tec- nico di Reggio, rappresentano un dovizioso e molto istruttivo complesso della fauna racchiusa nei diversi piani geologici della Calabria, dove la serie cenozoica, e specialmente quella pliocenica e quaternaria, si presenta così ricca e svariata di forme. Nè deve tralasciarsi di menzionare, per lo straordinario numero di specie e di esemplari (diversi fra i quali rarissimi e di grande valore) onde è composta, la raccolta mineralogica donata dal Botti, pochi anni or sono e con veramente muni- fica liberalità, al gabinetto di storia naturale del R. Liceo di Reg- gio-Calabria. Sotto l’aspetto della produzione scientifica si potrebbe forse osservare che Ulderigo Botti ha pubblicato molto poco rispetto alla enorme quantità del materiale raccolto, studiato e colle- zionato. Ciò sarà accaduto per una specie di titubanza che egli provò sempre nel formulare giudizi scientifici; e, insieme, per una certa naturale modestia, che gli fece sempre ritenere di essere a tutti inferiore. Direi che, sotto questo aspetto, il Botti era uno di quegli uomini del vecchio stampo, i quali a un grande valore accoppiano una grande modestia. Amante della Scienza, esclusivamente per la Scienza, egli non ha mai chiesto ad essa, in cambio del lungo studio e del grande amore, altro compenso che la soddisfazione morale. Se si tien conto della data delle varie pubblicazioni fatte dal Botti, si constata precisamente quanto ora si è accennato. Una prova evidente si ha leggendo la prefazione della memoria LXXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI sulla grotta ossifera di Cardamone in Terra d’Otranto. Tale la- voro fu pubblicato nel 1891. vale a dire dopo molti anni dello studio fatto dal Botti sui fossili da lui stesso raccolti e stu- diati. Nè diversa sarà stata la causa dei lunghi intervalli tra- scorsi talora fra la pubblicazione di un lavoro e l’altro ; inter- valli che farebbero supporre ad una non reale interruzione nelle ricerche scientifiche. Queste, al contrario, furono sempre metodiche, costanti e continuate, anche nelle ore più tristi della sua vita, che non furono poche, principalmente per sventure di famiglie; giacché, pel Botti, come succede sempre ai veri appassionati, la Scienza fu la sola che conferì a formare la sua maggiore felicità. Prova evidente di questo continuo lavoro e della sua col- tura sono le già citate collezioni paleontologiche conservate nel Museo di Lecce e nei Gabinetti di storia naturale di Keggio-Ca- labria; giacche il materiale in esse compreso è vario e multi- forme, composto di avanzi fossili di mammiferi, di pesci, di molluschi, di echinodermi, e fin di foramiuiferi, tutti paziente- mente ed esattamente determinati. Quel poco che il Botti pubblicò in più di quarantanni di vita scientifica fu, generalmente, buono, e talora portò un no- tevole contributo ai progressi che la geologia e la paleonto- logia italiana hanno fatto da cinquanta anni a questa parte. Senza tener conto delle traduzioni dal tedesco, quella sui Due viaggi in Sardegna del vom Piatii (22) e quella sulle Regioni di transizioni geografiche del Forsith Major (19), non che delle relazioni fatte alla deputazione provinciale di Lecce intorno alla Y e alla YI sessione dei congressi internazionali di Antropologia ed Archeologia preistoriche, noi troviamo pubblicati dal Botti una serie di circa 24 lavori, i quali si possono dividere in tre gruppi : geologici, paleontologici e archeologici. In ognuno di essi si nota una scrupolosa accuratezza nella redazione e una estesa conoscenza del soggetto trattato. I lavori prettamente geologici in generale, con- cernono questioni di tectonica e di stratigrafia. Notevole è fra gli altri il volume: Dei piani e sotto-piani in geologia (25, 27), il quale, benché sia da considerarsi come un lavoro di compila- zione, pure rivela nell’autore una grande conoscenza della let- teratura geologico-stratigrafica. Tale opera è di così grande uti- RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXXVII lità pratica, che, fin dall’apparire della prima edizione, fatta nel 1895, il Botti ebbe meritate lodi dai più autorevoli geo- logi italiani e stranieri, quali il Bassani, il Capellini, l’Issel, il Sacco, il Mayer-Eymar, il Suess, lo Choffat, il De Lappa- rent, il Van den Broeck, ecc. Fra i lavori d’indole paleontologica meritano speciale men- zione quelli segnati nell’unito elenco coi numeri 16, 24, e 26. Con la nota: Sopra una nuova specie di Myliobates , l’autore stabilisce un nuovo tipo specifico fossile, trovato nella pietra leccese, il quale, dopo gli studi del prof. Bassani e quelli della dott. Maria Pasquale sulla ittiofauna cenozoica dell’Italia me- ridionale continentale, oggi è riconosciuto come ben fondato. L’accurata descrizione della nuova specie, e l’estesa bibliografia che accompagna il lavoro, dinotano nell’autore una grande at- titudine nelle identificazioni di tal genere. La monografia sulla grotta ossifera di Cardamone (24), giunge a importanti conclusioni sulla formazione delle caverne e delle breccie ossifere in generale, non che sulla distribuzione geografica di alcuni mammiferi quaternari. La nota segnata col n. 26 è molto importante per la questione che ora si dibatte sulla pre- senza dell’ Elepìias primigenius in Italia all’epoca quaternaria. In fine, bisogna notare che anche nei lavori di archeologia preistorica, come quello segnato col n. 13, il Botti non trascurò mai i problemi di geologia generale ad essa collegati. Ma non tocca a me, di parlare sugli importanti lavori di Ulderigo Botti, concernenti l’archeologia e la paleoetnologia. Io ho già detto forse troppo a lungo, per quello che la spettabile Presidenza della Soc. Geologica Ita!., da me richiedeva dan- domi l’onorifico incarico di commemorare il nostro consocio; e non a torto, perchè forse nessuno ha potuto conoscere meglio di me, e quindi apprezzare, l’animo intimamente buono e leale dell’uomo al quale devo gran parte di ciò che modestamente ho saputo e potuto fare nel campo scientifico. Poiché, Ulderigo Botti, col suo nobilissimo esempio, e con Tallito veramente ami- chevole, ha saputo attrarre ed appassionare anche me agli studi geo-paleontologici; e la sua scomparsa, per quanto da me pre- veduta come conseguenza fatale, direi, della sua etica, lascia una ben dolorosa e indelebile traccia. LXXXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Mi sia perciò concesso, nel rendere l’estremo tributo di ami- cizia e di riconoscenza a colui il quale per tanti titoli si era reso benemerito della Scienza, di rimpiangerne la sua tragica fine ! Reggio-Calabria, 2 settembre 1906. Dott. Giuseppe Destefano. Elenco delle pubblicazioni. 1. Sopra un ittiolito della calcarea tenera leccese. (Atti d. Soc. Ital. d. Se. Nat., voi. XI, fase. 3°, pag. 497). Milano, 1868. 2. Una corsa nel circondario di Taranto. Studi stratigrafici (Giornale « Il Cittadino leccese ». Anno Vili, 1869, n. 40, 41, 42, 43). Estratto in 8° grande, a due colonne, pag. 11. Tipog. Editrice Salentina. Lecce, 1869. 3. La pietra leccese calunniata. (« Il Cittadino leccese ». Anno IX, 1870, n. 28, 29). Lecce, 1870. 4. Scoperte preistoriche al Capo di Leuca in Terra d1 Otranto. (« Il Cittadino leccese », Anno IX, 1870, n. 47, 50, 51, 52. Gazzetta Ufficiale del Eegno, Luglio, 1870, n. 189, 191, 202). 5. Sulla scoperta di armi in pietra nella provincia di Terra d' Otranto. (« Il Cittadino leccese », Anno X, n. 9). Lecce, 1871. 6. Igiene municipale e le farmacie notturne. (« 11 Cittadino lec- cese »; bollettino ordinario, n. 265). Lecce, 1871. 7. Le Caverne del Capo di Leuca. Relazione alla Deputazione provinciale di Terra d’Otranto. Memoria in 8°, pag. IV-43. Tipog. Edit. Salentina. Lecce, 1871. 8. La Grotta del Diavolo ; stazione preistorica del Capo di Leuca. Memoria in 4°, pag. 36, con sei tavole. Tipogr. Fava e Garagnaui. Bologna, 1871. 9. Sul Congresso internazionale di Antropologia ed Archeologia preistoriche. V Sessione a Bologna 1871, e sulla esposi- zione italiana di Antropologia e di arti e industrie dei tempi preistorici. (Relazione alla Deputazione provinciale RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LXXXIX di Terra d’Otranto). Memoria in 8°, pag. 56. Tip. edit. Salentina, 1872. 10. Caverna ossifera di, Cardamone. (« Gazzetta dell’ Emilia », Anno XIII, n. 141. Bologna, 1872. « Il Cittadino leccese », Anno XI, n. 6. Lecce, 1872). 11. Il Congresso internazionale di Archeologia ed Antropologia preistoriche. VI Sessione a Bruxelles. (Relazione alla De- putazione provinciale di Terra d’Otranto). Memoria in 8°. pag. 83. Tip. Garibaldi, Lecce, 1874. 12. Scoperta di ossa fossili nella Terra d’Otranto. (Boll. d. R. Com. Geologico Ital., voi. V, pag. 242, 1874). Estr. in 4°, pag. 4. Firenze, 1874. 13. La Zinzolosa. Monografìa gcologico-archeologica. Memoria in 8°, pag. 39. Tip. G. Barbèra. Firenze, 1874. 14. Sulle roccie impastate entro al serpentino. (Boll. d. R. Com. Geologico Ital., voi. VI, pag. 67-73, 1875). Estr. in 8°. pag. 8, Tip. Barbèra. Roma, 1875. 15. Nota intorno alle Pietre in Cavalletta della Corsica. (Boll. d. Paleoetnologia ital., Anno III, Dicembre, 1877). Estr. in 8°, pag. 4. Tip. d. Artigianelli. Reggio-Emilia, 1877. 16. Sopra i una nuova specie di Mgliobates. (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat. residente in Pisa. Mem., voi. Ili, fase. 2°, pag. 371). Estr. in 8°, pag. 14. Tip. I. Nistri. Pisa, 1878. 17. Sulle Breccie ossifere nella Provincia di Terra d’Otranto. Lettera al Duca S. Castromediano. Nota in 16°, pag. 7. Tip. ed., Salentina. Lecce, 1881. 18. Schiarimento intorno alle Pietre Patte di Terra d’Otranto. Lettera al Prof. G. Chierici (Boll. d. Paleontologia ital. Anno VII, 1881, fase. 12°). 19. Le regioni di transizione soogeografìche del Dott. C. J. For- sith Mafor. Traduzione dal tedesco. (Atti d. Soc. Ital. d. Se. Nat., voi. XXVII, 1884). Estr. in 8°, pag. 17, Tip. Bernardini e C. Milano, 1884. 20. Puglia e Calabria. Schizzo geologico. (Boll. d. Soc. Geo- logica Ital., voi. IV, pag. 223, 1885). Estr. in 8°, pag. 11, Tip. d. R. Acc. d. Lincei. Roma, 1885. 21. Il canto dei topi. Lettera al Prof. Michele Lessona. (Boll. d. Naturalista. Anno VI, n. 3, pag. 36). Siena, 1886. XC RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI 22. Due viaggi in Sardegna del Prof. G. vom Piatii dell’uni- versità di Bonn. Versione dal tedesco. ( L’avvenire della Sardegna , Anno 1886). Estr. in 8° grande, a due colonne, pag. 46. Tip. edit. del L’Avvenire della Sardegna Ca- gliari, 1886. 23. Un monolito problematico. (Atti d. Soc. Ital. d. Se. Nat. voi. XXXIII, pag. 63). Estr. in 8U, pag. 8. Tip. Bernar- doni e C. Milano, 1890. 24. La grotta ossifera di Cardamone in Terra d' Otranto. Con una tavola. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. IX, pag. 689). Estr. in 8°, pag. 30. Roma, 1891. 25. Dei piani e sottopiani in geologia. Manuale alfabetico ra- gionato, un voi. in 8°, pag. xxxi-302. Tip. Adamo d’An- drea. Reggio-Calabria, 1895. 26. SulV Eleplias primigenius, Blum. in Italia. Osservazioni. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XVII, pag. xxv). Ro- ma, 1898. 27. Dei piani e sottopiani in geologia. Manuale alfabetico ra- gionato. (Seconda edizione riveduta e accresciuta). Un voi. in 8°, pag. l-395. Tip. Adamo d’Andrea. Reggio-Cala- bria, 1898. 28. Sui molari d’Elefante. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XX, pag. 438). Estr. in 8°, pag. 9. Tip. della Pace di E. Cug- giani. Roma, 1901. 29. Osservazioni del fenomeno dei Mistpoeffers in Italia. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XXI, pag. 436). Estr. in 8°, pag. 8. Tip. della Pace di E. Cuggiani, Roma, 1902. RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI XCI II. APPUNTI DI GEOLOGIA UMBRA 1. Una grande conca carsica nei M. Martanì. — Tra la cima di M. Forzano (m. 1084) e quella del Colle S. Bartolomeo (m. 1029), un poco più ad oriente, nei calcari grigi del lias infe- riore si ha una interessante depressione, chiusa da ogni lato, e con una caratteristica forma a croce, di circa 750 m. di di- mensione. Il braccio settentrionale misura circa 450 m. di lunghezza per 100 di larghezza ; il meridionale circa 300 X 250 ; l’occi- dentale 550 X 250 e l’orientale, il più incompleto e irregolare, circa 200 X 750. La profondità è massima nel braccio occidentale ove rag- giunge una trentina di metri ed ove si vede meglio che altrove il tipo roccioso di inghiottitore. Il poco tempo che ebbi a disposizione durante la gita, desti- nata più specialmente a raccogliere le numerose ammoniti del lias superiore esistenti ai due lati del Fosso della Rena, non mi permise osservazioni accurate; ma mi sembra di poter affermare con bastevole sicurezza che l’avvallamento abbia origine in buona parte tettonica. 2. Il glaciale dei dintorni del Castellnccio (Norcia). — Accen- nai già, nell’adunanza della Società geologica italiana dell’anno decorso, a tracce glaciali presso al Piano grande del Castellnccio, specialmente nei cosidetti Collacci. Le ricerche fatte nel Piano perduto, adiacente al Piano grande, hanno confermato questa glaciazione al piede occidentale della catena del Vettore. Si hanno tipiche collinette arrotondate, piccoli circhi e vallecole ad U di decorso ricurvo e si hanno pure terrazze, alcune delle quali benissimo conservate. La glaciazione dell’Appennino centrale si estende così an- cora, e certamente anche presso altre montagne, come sotto al grande M. Bove, si dovranno trovare ulteriori tracce glaciali. '3. La sorgente del Torbidone 'presso Norcia. — Questa sor- gente è nota da tempo per la sua intermittenza. Essa era anche periodica, settennale, sino al 1859; ma dopo il terremoto perde la sua periodicità, ed ora essa sgorga senza alcuna regola ad intervalli più o meno lunghi. XCII RESOCONTO DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI In una depressione di circa 100-150 m. di diametro, che certamente nei tempi passati era una conca chiusa, di cui oggi ancora si vede il soglio inciso dalle acque, e da un fondo ghiaioso si vedono sorgere con forza e gorgoglio abbastanza vivo le acque, le quali poco a poco invadono tutta la depressione, e sgorgando da ogni luogo danno origine ad un corso d’acqua abbastanza importante, il quale, dopo aver servito alla irriga- zione, si perde nel sottosuolo della pianura di Norcia, insieme a molte altre acque, per ricomparirvi poi nel fosso di drenag- gio della pianura, eh’è il Fiume Sordo. Tutta la idrologia di questa regione ha un grande interesse, e di essa da qualche anno mi occupo in modo speciale. Molto probabilmente le acque del Torbidone provengono da acque della montagna sovrastante che ha una pronunciata idrografia carsica, quale ad esempio è data dagli inghiottitola del Piano del Ca- stelluccio. Senza dubbio però la sorgente del Torbidone è sor- gente di trabocco delle acque di fondo, il cui livello diviene positivo in certi momenti di grande ricchezza d’acqua del sot- tosuolo. Per tal ragione si potrebbe ottenere la continuità dell’ac- qua mediante uno sbarramento destinato ad aumentare il carico delle acque, come già ho accennato in un articolo comparso nell’ Italia agricola. Quasi certamente nei tempi preistorici la sorgente del Tor- bidone doveva essere un luogo, se non sacro, almeno frequentato abbastanza dalle popolazioni primitive, come lo provano i nu- merosi avanzi dell’età della pietra che lì attorno si raccolgono. Il Torbidone è stato certamente una volta quello che è oggi il Clitumno; come il Clitumno colPandar del tempo diverrà quello che è oggi il Torbidone. 4. Una dolina di sprofondamento nel Piano del Castel- lacelo. — Sulle doline di sprofondamento molto è stato discusso, anzi da alcuni ne venne negata persino la esistenza. Mi è sem- brato quindi meritevole di nota una dolina di vero e proprio sprofondamento osservata al Piano del -Casteìluecio quest’anno. La dolina l’anno scorso non esisteva, si formò ad un tratto nel marzo di quest’anno, e nel giugno quando la visitai si pre- sentava coi margini freschissimi e colla terra ancora intatta. La dolina ha forma circolare; misura un diametro di circa 5 metri, ed ha una profondità superiore a m. 3,50. Si trova in mezzo alle altre piccole doline, anch’esse quasi certamente di sprofondamento, che in numero assai rilevante si dispongono attorno all’ inghiottitole dei Mergani del Piano grande. P. Vi NASSA DE KeGNT. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO Cenni geologici del socio prof. A. Issel Considerazioni orografiche e idrografiche. Il Monte Antola, il maggiore per mole se non per altitu- dine del Genovesato, culmina a 1598 m. a circa 24 Km. dal punto più prossimo del litorale, che quasi coincide col porto di Camogli. Il tratto della giogaia appenninica del quale forma parte offre orientazione altimetrica e idrotemica sensibilmente diretta da E ad 0, come risulta dalla posizione rispettiva dei monti Riandò (m. 1251), Bujo (m. 1402), Antola (m. 1598), delle Tre Croci (m. 1590) e delle creste interposte; ma il mag- gior Roggero, tenendo conto invece di un’altra serie di vette, cioè del Lavagnola (m. 1118), dell’Antola stesso, del Lesima (m. 1727) e del Penice (m. 1402), pone il nostro monte sopra un ramo appenninico presso a poco parallelo al meridiano ('). La verità è che la cima dell’Antola è centro di un rilievo stellare dal quale si irradiano ben cinque rughe principali, cioè due dirette una a ponente, l’altra a levante, formando lo spar- tiacque principale, una terza rivolta a NE (la Costa del Cani- passo) e due minori indirizzate e SE e a SO, entrambe non denominate nelle nostre carte. Fra questi diversi rami interce- dono solchi profondi, che raccolgono verso il N i rivi tributari del Borbera (il R. Alala, die prende poi il nome di Campassi, e il R. Agneto), ad E e SE alcuni dei principali affluenti della Seri via (il Brevenna, col suo ramo detto torrente di Carsi, e la Pentemina), a 0 e SO il Brugneto che è propriamente il capo della Trebbia, quantunque secondo l’uso comune si reputi tale la Trebbiola. (:) Magg. G. Roggero, Schizzi oroidrografici dell’Italia disegnati da Pio Galli (Milano, A. Vallardi, 1900), tav. XV. 1 2 A. ISSEL La costituzione orografica del paese e la distribuzione delle acque si apprezzano nel miglior modo coll’ascensione dell’An- tola, die è assai agevole ed istruttiva. All'uopo si raggiunge dal borgo per ripido sentiero il ciglio del circo irregolare in fondo al quale giace Torriglia, passando a breve distanza dalla vetta del Prelà; quindi, varcata la forcella detta il Colletto, si procede lungo una cresta sinuosa clic s’innesta al punto cen- trale e culminante di quel nodo orografico. Prima di ascendere il rilievo terminale del monte si attraversa uno spazio pianeg- giante denominato il Giardino, perchè sparso di macchie di faggi, residuo dei folti boschi che altre volte coprivano tutto il paese di un manto quasi continuo. Oltre al Colletto, si osservano ai due lati del sentiero balze scoscese e dossi erbosi, che si accavallano a perdita di vista. Profondi burroni capricciosamente diramati solcano i due fian- chi della cresta e convergono alle valli torrenziali, accogliendo acque tributarie da un lato della Trebbia, dall’altro della Scrivia. S’intende di leggeri come, sia per l’altitudine, sia per la posizione che occupa fra il mare e le Alpi, la vetta offra allo osservatore un panorama ammirabile per la varietà degli aspetti e l’estensione, panorama nel quale spiccano, quando le condizioni atmosferiche sono favorevoli, i profili caratteristici del gran Cer- vino, del Monviso e dell 'Argenterà, nella cerchia alpina, e quello dei monti della Corsica nel Mar Tirreno (*)• L’Autola e i monti che lo circondano presentano ben spic- cati i caratteri morfologici dell’Appennino, pei contorni molli e ondulati, per gli spigoli smussati. Dal punto di vista geolo- gico, la loro costituzione è poco variata; in basso fino a poche diecine di metri al di sopra de! letto del Laccetto e della Treb- biola domina una formazione cretacea, che risulta precipua- mente di scisti e argille varicolori, di scisti bruni manganesiferi e siliciferi, di arenarie che passano localmente al conglomerato; C) Se la vista della grande giogaia colle sue creste frastagliate e i suoi -noti pinacoli ci trasporta col pensiero alle Alpi, le genziane, le nigritelle, le arniche, i Gnaphaìium, le dentarie, le sassifraghe che in- gemmano i prati rendono l’illusione più perfetta; nè questa vien meno considerando i rari insetti e molluschi che popolano i prati di fresco abbandonati dalla neve. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 3 al di sopra e fino alla massima altitudine raggiunta dalle vette e dalle creste, si spiega un potente mantello di rocce eoceniche superiori, rappresentate dai consueti calcari marnosi a fucoidi, azzurrognoli o cinerei, da argilloscisti di varie sorta, da arenarie calcarifere; inoltre, per tratti non molto estesi, emergono tra le stratificazioni più o meno corrugate lenti ed ammassi di svariate rocce ofiolitiche, analoghe a quelle che assumono tanto sviluppo nella Riviera di Levante presso Casarza, Bargone e Levanto. La Seri via, che accoglie gran parte delle acque cadute sull’An- tola, è uno dei principali tributari appennini del Po in cui si immette presso Isola Sant’Antonio, a valle di Valenza, dopo un corso di circa 80 km., ciò tenendo conto solo delle maggiori sinuosità e comprendendo nel computo il Laccio e il Laccetto. Il secondo che può considerarsi come capo della Scrivia, inco- mincia in un burrone del Monte Arzenaseo, passa a Torri- glia (m. 764), ed assume il nome di Laccio a valle del Borgo omonimo ('). Presso Broinia esso si unisce alla Pentemina, la quale nasce dal Monte Prelà (1407) sotto il nome di Pentema, che è pur quello di un villaggio montano situato sulla sua riva destra, e dal loro connubio si forma la Scrivia propriamente detta. A valle di Montoggio (impropriamente Montobbio nelle nostre carte) e precisamente a Casalino, si congiunge alla Scrivia Paffluente più meridionale, cioè il Rio dell’Acquafredda o di Greto, che ha origine dai così detti Piani di Greto, ricevendo le acque di dilavamento dai monti Scaggia, Poggio della Foera, Poggetto di Struppa, ecc., per impinguarsi del Rio di Sangui netto (proveniente dal Candelozzo), dopo il quale assume il titolo di Laccione. A valle di Montoggio, ma a monte della Casella, (*) (*) La parte superiore del Laccetto, quella cioè che corre a monte di Torriglia, è anche nota nel paese sotto il nome di Rian o Ria di Prelà e si unisce nel bacino di Torriglia ad altri rivi minori, cioè la Cuisa, che divide in due parti la borgata, quello di Giulio, situato im- mediatamente a levante della balza sulla quale sorgono i ruderi del castello medioevale dei Fieschi, e il Ria do Roncasso un pò più orien- tale del precedente. Si é avvertito che il Laccetto assume il nome di Laccio a valle delle case omonime presso la Scotterà; tuttavolta nelle carte topografiche del R. Istituto geografico militare il corso' d'acqua è designato col nome di Laccio dall’origine fino alla sua confluenza colla Pentemina. 4 A. ISSEL affluisce alla Scrivia dal lato destro, il principale dei suoi affluenti superiori, vale a dire il Brevenna, generato parte da ricche sorgive, parte da acque meteoriche o di dilavamento nel fianco SO dell’An- tola, a poche centinaia di metri sotto la vetta. Esso corre in prossimità dei villaggi alpestri di Casareggio, Serreio e Vacca- rezza prima di immettersi nella Scrivia. Il Brevenna ha un corso irregolare e tortuoso, con direzione media da E NE a 0 SO, di circa 17 Km., e mentre nel primo tratto è un torrentello dal letto profondamente incassato, dopo avere accolto a sinistra il Rivo di Carsi (proveniente dal Monte Duso) acquista proporzioni mag- giori e valle relativamente aperta. I suoi tributari più cospicui son quelli di destra, alimentati da un’alta diramazione dell’An- tola che comprende i monti Riandò, Alpesella e Schigonzo; più importante degli altri il Rivo di Nenno, il quale riceve le acque della Costa Suja e quelle infiltrate da un esteso mas- siccio' di conglomerati oligocenici. Il bacino del Laccio è separato da quelli del Bisagno e del Lavagna, le cui acque si versano nel Golfo di Genova, da breve distanza orizzontale e da rilievi poco prominenti. Rispetto al Bisagno, sì può considerare come una delle sue principali sor- genti il rivo che incomincia a circa 25 metri sotto il valico della Scoffera (m. 678), mentre a poche centinaia di metri di distanza ha origine un piccolo affluente del Laccio diretto da SO a NE che passa pel borgo detto La Fossa e raggiunge alla sua confluenza col Laccio la quota di m. 576. In breve, dato che questo affluente corresse a monte della Scoffera, in un alveo più alto di 678 metri, ciò sarebbe sufficiente perchè avesse a versarsi nel Bisagno anziché nella Scrivia (fig. 1). Tenendo conto dell’ampiezza della Valle del Bisagno, in pro- porzione della scarsa copia delle sue acque, ed avvertendo al- tresì che la conca di Torriglia si formò in tempi recentissimi per l’erosione degli argilloscisti e delle argille cretacee, soggetti a sgretolarsi e a stemperarsi sotto l’influenza degli agenti atmo- sferici e per. opera delle acque correnti, si può con molta probabilità argomentare che in un passato non molto lontano il Laceetto proseguiva a valle di Gaietta colla sua direzione NE-SO, invece di volgere a NO come al presente, e scendeva pel varco della Scoffera al Golfo di Genova seguendo il corso del Bisagno. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 5 La cattura del Laccetto per opera del Laccio, il quale aveva allora per capo (secondo ogni verosimiglianza) il Kio Equiella, fu determinata indubbiamente dalla intensa erosione verificatasi Fig\ 1. Antica immissione del Laccetto nell’alveo del Bisagno. N. B. La linea serpeggiante più grossa rappresenta la via rotabile ; la serie di crocette coi'risponde allo spartiacque attuale. dal primo e dal secondo a spese di rocce argillose poco resi- stenti. Yi ebbe pur parte, io credo, una frana, la quale, ingom- brando il letto del primo presso il punto in cui è situato il Molino del Laccio, fece traboccare le acque e le costrinse ad aprirsi un nuovo letto verso NO. A questo concetto circa l’an- tica distribuzione delle acque nei due versanti dell’Appennino son venuto considerando: 1° Che la linea di fastigio dei monti passa nel territorio di cui si tratta a notevole distanza a nord della linea idrotemica o spartiacque; 6 A. ISSEL 2° ohe la direzione del Laccetto a monte del molino del Laccio è la stessa del Bisaguo superiore, mentre forma un an- golo presso a poco retto coll’alveo della porzione successiva del torrente, o Laccio propriamente detto ; 3° che il Laccio a valle del molino sopra accennato at- traversa una stretta, che sembra di formazione recente, stretta praticata dalla erosione in rocce argillose; 4° che la Valle del Bisagno, comunque aperta in gran parte entro calcari marnosi eocenici assai resistenti, sembra più ampia di quanto non comporti il volume attuale del torrente e l’estensipne del suo bacino idrografico. Rispetto al bacino del Lavagna, osservo che è limitato a N e NO da un rilievo, il quale non si abbassa in alcun punto al di sotto di 800 metri, sollevandosi tratto tratto sopra i 1000; inoltre, pei caratteri della breccia più profonda che lo incide (la così detta Colla), come per la natura delle rocce di cui ri- sulta, non pare abbia dato mai adito ad una comunicazione fra le acque del Laccetto e il versante meridionale delI’Ap- pennino ('). Lo studio della regione dimostra come anche al presente lievi mutamenti ìiei rapporti altimetrici locali basterebbero a determinare una distribuzione di acque assai diversa. Il paese attraversa attualmente infatti una fase di evoluzione nella quale si continua quella assai più intensa che si verificò allo scorcio del periodo quaternario. Gli agenti atmosferici, e segnatamente la precipitazione acquea, sono i principali fattori di siffatta evo- luzione, la quale tende a rendere meno sinuosi e più profondi gli alvei torrenziali che scendono dallo spartiacque al mare e ad accrescere lo sviluppo dei subaffluenti del Po. A causa della profondità straordinaria che si trova nel Golfo di Genova fin presso le rive (conseguenza del recente sprofondamento della regione accusato dalle valli torrenziali sommerse), e per altre cause assai complesse, le pianure alluviali che si formano alla (') Mi parrebbe più verosimile l’ipotesi di una antica confluenza della Trebbiola col Lavagna superiore per mezzo del piccolo vallone del Rio Bagordo. TORRIGLTA E IL SUO TERRITORIO parte terminale dei corsi d’acqua del Genovesato si riducono a tratti limitatissimi e non ne risulta, come avviene altrove, una protrazione notevole delle foci ('). Formazione cretacea. Che l’Appennino settentrionale comprendesse formazioni cre- tacee anche dove dominano le eoceniche è fatto noto da lungo tempo, accusato dal ritrovamento di fossili caratteristici segnalati da parecchi autori, incominciando dal Cortesi, fin dal 1819. Recen- temente il prof. Sacco ésponeva ex novo i documenti che si possiedono in proposito, aggiungendone altri non ancora cono- sciuti (e). Per quanto concerne il Genovesato, le osservazioni in proposito avevano il valore di indizi più che di prove e si ren- devano necessarie ulteriori indagini. Fino al 1890 non si faceva distinzione alcuna d’età fra le formazioni ora da me ritenute cretacee, nel Genovesato, e quelle ascritte al periodo eocenico. Esse sono confuse sotto la stessa tinta convenzionale nella carta geologica della Liguria di Lo- renzo Pareto (1846) e in quella degli Stati Sardi di Sismonda. Ad onta della scoperta di un’ammonite ben conservata, da lui fatta in un banco d’arenaria ferrifera che affiora al di sotto del calcare a fucoidi a S. Olcese in Yal Polcevera, Lorenzo Pa- reto non comprendeva il sistema cretaceo fra quelli che costi- tuiscono il suolo del Genovesato; ciò ben inteso nei suoi ultimi lavori, quando egli aveva ravvisate le relazioni reciproche dei calcari a fucoidi e dei macigni sottostanti coi calcari nummu- litici sopracretacei della Riviera di Ponente. L’ammonite di cui si tratta manca nella raccolta geologica legata dall’insigne (') Lo sprofondamento recente delle nostre valli torrenziali non so- lamente apparisce, come già esposi in altri lavori, dalle singolari infles- sioni delle linee batimetriche nel Golfo di Genova, ma ancora dal fatto, fin qui ignorato, che i depositi alluviali del Bisaguo e della Polcevera a piccolo numero di chilometri a monte della foce giacciono colla loro base al di sotto del livello marino. Questo fatto fu posto in chiaro dalle trivellazioni artesiane testé compiute nell’alveo dei due torrenti. (2) Les fovmations ophitìfères da crétacé. Bulletin de la Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie, tome XIX, p. 247. Bruxelles, 1905. 8 A. ISSEL scienziato, quando venne a morte, alla sua città nativa ed ora conservata nel Museo Civico di Storia Naturale. Anche nella carta geologica della Liguria e delle Alpi Ma- rittime alla scala di 1 : 250 000, pubblicata da Mazzuoli, Zac- cagna e da me, nel 1887, il territorio di Torriglia figura come tutto compreso nell’eocenico superiore. Il primo riferimento al cretaceo degli scisti varicolori del Genovesato risale al 1890, cioè ad una breve nota inserita da Squinabol e da me tra gli « Atti della Società Ligustica di scienze naturali e geografiche » (voi. I, n. 2), col titolo « Di una gita nei dintorni di Genova», ed ebbe per punto di partenza le osservazioni stratigrafiche e litologiche da noi fatte nel vallone del Rio delle Caselle presso Aggio, sulla collina detta il Castelluzzo in quel di Molassana, a Carpi, nella Serra di Bavari, al Begato (presso le mura della città), come pure lungo le rive del Laccio nei dintorni di Tor- riglia. Le indicazioni fornite in quella nota furono quasi tutte ri- prodotte nel capitolo relativo al cretaceo, del mio libro « Liguria geologica e preistorica» (Genova, 1892), e nella « Carta geo- logica della Liguria e dei territori confinanti » che pubblicai nel 1891 in collaborazione del prof. Squinabol. in apposito fa- scicolo, e fu poi compresa tra le illustrazioni del libro precitato. Figurano in detta carta alcuni lembi cretacei delle vicinanze di Genova. Presso a poco nella medesima epoca il prof. Sacco non solo accettava il concetto di affioramenti cretacei visibili nel nostro territorio, ma attribuiva loro una estensione assai maggiore di quella che Squinabol ed io avevamo ammesso. Egli infatti com- prendeva nel loro complesso calcescisti, argilloscisti, arenarie, pietre verdi, ftaniti, diaspri, calcari, i quali per noi non pos- sono essere disgiunti dall’e< cene superiore. In una sua carta geo- logica dell’ Appennino settentrionale, comparsa nel 1891, questo autore distingue infatti colla tinta verde caratteristica del cre- taceo una vasta zona situata a monte di Traso e a levante della via rotabile da Genova a Ottone (lungo le valli del Bi- sagno, del Laccio e della Trebbia), e una più angusta a ponente di questa strada, come pure un’altra lungo la valle della Pol- cevera. Fra tali zone interpone una plaga parisiana, nella quale TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 9 si protendono propaggini cretacee e si comprendono isole della stessa età ('). In parecchie varianti posteriori i contorni delle varie masse furono alquanto modificati, risultandone in com- plesso accrescimento delle aree ascritte al parisiano e diminu- zione di quelle attribuite al cretaceo. In un lavoro comparso di recente e che tratta delle nuove linee ferroviarie progettate fra Genova e la valle del Po, mo- vendo alcuni appunti d’altronde opportunissimi, alle relazioni di vari autori intorno ai disegni di linee cosi dette direttissime, il prof. C. De Stefani combatte l’opinione manifestata da Ta- rameli]', coerente con quelle di Sacco e Rovereto, secondo la quale i calcari marnosi o alberesi di Genova e della Ignàvia formerebbero le ali o pendici esterne di un anticlinale il cui centro sarebbe occupato dalle argille scagliose e sarebbero in ogni caso sovrastanti a queste. Egli si mostra persuaso invece che sul Bisagno, alla Serra di Bavari, a Rosso, a Montoggio e altrove gli scisti argillosi rossi, talora diversi da quelli di Valle Polcevera, sono superiori ai calcari (•). Io posso assicurare il collega che, se in qualche punto, come a Bromia, la compli- cazione dei perturbamenti stratigrafici può lasciar dubitare dei rapporti che propriamente intercedono fra le due formazioni, altrove, e specialmente nella Valle del Laccetto e presso Tor- riglia, non solo apparisce evidente la posizione sovraincombente dei calcari e calcescisti che vi si connettono agli scisti rossi (o meglio varicolori, cioè di color rosso vinato, paonazzo, verde cupo, verde chiaro traente al bigio, giallo paglia, giallo d’ocra, eco.), ma dalla discordanza delle due formazioni e dalle anfrattuosita della superficie di contatto si può inferire che fra la prima e la seconda interceda molta distanza dal punto di vista dell’età (fig- 2). L’affermazione di De Stefani è fondata sul fatto che certi scisti argillosi e calcariferi giallastri, riferibili all’eocene supe- riore e assai meno antichi degli scisti varicolori (che non sono (’) Carta geologica dello Appennino settentrionale ( parte centrale ), rilevata dal dott. Federico Sacco. Torino, 1881. (2) De Stefani C., La linea direttissima da Genova alla Valle del Po. Giornale di Geologia pratica, anno II, p. 204. Perugia, 1904. 10 A. ISSEL calcariferi) si osservano localmente intercalati ai calcari od anche superiori ad essi. I terreni cretacei sono ben distinti nell’alta valle del Lac- cetto a monte di Torciglia, come pure in quelle dei rivi La Guisa, TORRIGLI A E IL SUO TERRITORIO 11 di Giulio, Roncassa ed altri minori. Lungo le colline che co- stituiscono il lato orientale del bacino Torrigliese si manife- stano in modo istruttivo percorrendo la strada rotabile fra il capoluogo del comune e le adiacenze della Galleria di Buffalora, indi ricompariscono superiormente ad Acquabuona e a NE fra questa frazione e Garaventa, fra Garaventa e Caffarena, come pure nella parte superiore della valle della Trebbiola e special- mente ove si trova il ponte gettato sul torrentello in continua- zione del sentiero che conduce a Porto. Non mancano minori affioramenti a monte e a valle di Torri- glia, nell’alveo del Laccetto, nelle adiacenze della Casa Bianca, sui fianchi del Lavagnola, presso la Madonna del Laccio e a Lec- cese inferiore. Mentre vengono a mancare nella valle del Lac- cio, dalla confluenza del Rivo Equiella fino a circa mezzo chi- lometro a monte di Bromia, ricompariscono, acquistando grande sviluppo, ad E e NO di questa frazione, ed occupano un esteso territorio lungo la riva destra del Laccio fino alla Pentemina ed anche per buon tratto della riva sinistra di questo torrente. Essi costituiscono, presso la confluenza dei due corsi d’acqua, la base del rilievo denominato Monte di Casale, il quale si distingue a gran distanza per le sue stratificazioni contorte. Si presenta di nuovo a S di Montoggio in masse che si collegano per la direzione loro a quelle del Rio delle Caselle e della valle del Bisagno. Non sarà superfluo porgere un cenno dei tratti e dei punti in cui la formazione cretacea apparisce più istruttiva per la natura della roccia e le particolàri tà stratigrafiche. Detta formazione cretacea, laddove è incisa dal Laccetto su- periore, si presenta immediatamente a monte della via maestra costituita di scisti scagliosi e fissili, vinati, oscuramente strati- ficati, fra i quali corrono straterelli di rocce più salde, di un verde livido, ciò lungo la sua sinistra; la sponda della riva destra presenta più che altro scisti vinati e verdastri superior- mente, e al di sotto scisti fissili e scagliosi grigi, a macchie e falde rubiginose, associati a banchi ed amigdale di arenaria grigiastra o nerastra a grossi elementi poligenici. Gli strati sono spesso contorti ed affetti di arricciature con piccoli rigetti. La direzione generale media è nel detto punto prossima a 12 A. ISSEI. N-S; in qualche tratto volge decisamente a N NE-S SO. Lungo la riva sinistra, verificai che la pendenza è verso E o N NE e l’inclinazione oscilla intorno ai 45° ; ma lungo la riva oppo- sta gli strati si fanno quasi verticali. Tali rocce si alterano così profondamente per opera degli agenti atmosferici che è difficile osservarne pezzi ben conservati fra i detriti del Laccetto. In generale i massi e i grossi frammenti di scisti mantengono la forma originaria, ma si riducono spontaneamente in scaglie mi- nutissime fra le mani di chi tenti di smuoverli, essendo attraversati da numerose soluzioni di continuità, le ime parallele ai piani di scistosità, le altre più o meno inclinate rispetto a questi piani. E a desiderarsi che nel determinare il tracciato della co- struenda ferrovia tra Genova e Piacenza (la quale è chiamata a soddisfare a bisogni vivamente sentiti dal Genovesato e dalla Valle di Trebbia) si evitino con somma cura gallerie e pro- fonde trincee in questo materiale ingrato, paragonabile alle fa- migerate argille scagliose dell’Emilia, o quanto meno si pro- curi di ridurre al minimo le opere da eseguirsi in condizioni di stabilità così tristi e pericolose. Regola costante, per chi ab- bia a praticare gallerie e scavi di qualsiasi genere negli scisti cretacei varicolori, sarà inoltre di coprire e rivestire immedia- tamente le superfìce rocciose messe alla luce dai lavori, per- ciocché l’alterazione, come pure il gonfiamento e lo scoscendere che ne conseguono, sono provocati dagli agenti atmosferici e procedono rapidamente dalla periferia all’interno, ovunque si lasci adito all’aria e all’umidità. Raggiungendo la cresta mediante il sentiero che passa per le Porcarezze e lo Strazzone, per scendere poi alle Tecose, si vedono da prima per breve tratto scisti varicolori cretacei, cor- rugati e contorti capricciosamente. Quando assumono l’aspetto più caratteristico, sono di color vinato, o pure di un verde smorto che ricorda la foglia dell’olivo, teneri, fìssili e si divi- dono facilmente in lastroline, in piccoli prismi o in scaglie; altre volte sono di color bruno e spesso anche nerastri perchè ricchi di ossido di manganese. Gli scisti nerastri sono spesso impregnati di quarzo, il quale ricopre pure localmente la roccia di minuti cristalli splendenti o forma piccole geodi e vene nei TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 13 meati della roccia. Superiormente si passa ad una serie poco variata di stratificazioni più o meno corrugate, riferibili all’eo- cene, serie della quale risultano lo spartiacque e le principali vette della giogaia. Procedendo pel sentiero che conduce all’Antola, si attraversa da prima una zona cretacea poco sviluppata, immediatamente al di sopra dell’abitato di Torriglia, e si trova poi una forma- zione eocenica assai più potente ed estesa della cretacea. La collina che serve di base al castello diroccato dei Fieschi appar- tiene parte alla prima, parte alla seconda. Le rocce cretacee, profondamente incise dal Laccetto e dai suoi affluenti, furono artificialmente tagliate per dar luogo al piano stradale della via maestra che procede da Torriglia verso Montebruno, Ottone e Bobbio e mette in comunicazione Genova con Piacenza; ciò per un tratto che intercede fra il Borgo e le adiacenze della galleria di Buffalora (ni. 878), aperta attraverso ai calcari eoce- nici a fucoidi. Risulta da questo taglio una sezione istruttiva per lo studio delle varietà litologiche e dei corrugamenti degli scisti cretacei. Il contatto fra i terreni cretacei e i sottostanti non può os- servarsi che in pochi punti perchè occultato generalmente dalle frane e dai detriti di falda. Esso apparisce ben manifesto lungo il Laccetto, ove confluiscono i due rami del torrente che pro- vengono l’uno da NE l’altro da NO. Il corso d’acqua presenta colà un salto verticale di una quarantina di metri d’altezza, precipitandosi da uno scanno formato di assise eoceniche le cui testate biancastre, poco inclinate sull’orizzonte, si distinguono anche da lontano dagli scisti nerastri cretacei sui quali giac- ciono. Tali assise, dirette a N 20° E e inclinate di 12° a 15° verso ponente, sono affette inoltre da lieve curvatura. Sopra di esse fu collocato un piccolo argine destinato a raccogliere le acque e ad immetterle in una gora che le conduce sopra Tor- riglia, ai molini del Principe Doria per fornir loro forza mo- trice. I banchi superiori che costituiscono la soglia della spor- genza sono calcari bigi, assai resistenti, affetti da due sistemi di fessure rettilinee, verticali, che si tagliano presso a poco ad angolo retto, fessure in parte accompagnate da rigetto. Essi ri- posano sopra banchi di arenaria bruna, assai dura e tenace, 14 A. ISSEL contenente falde concoidi di calcite bianca scagliosa, simili a gusci d’ostriche e noduli irregolari della stessa sostanza. Al di sotto si osserva una potente formazione di scisti neri e vari- colori cretacei, con straterelli interposti di calcare argilloso, dotato di tinta chiara cioè giallastra e rossastra. Inferiormente allo scanno calcare, gli scisti sono contorti nei modi più capric- ciosi. Essi si continuano a destra e a sinistra lungo le pareti dell’ alveo, che è qui molto incassato; ina l’andamento loro non è visibile che per brevi tratti a causa dei detriti onde sono coperti. Gli straterelli calcari interclusi, nei quali la stratificazione è più netta, si presenta- no nella ripa che limita l’alveo a sinistra con- torti, arricciati, sgual- citi, infranti, in modo da rendere impossibile ogni razionale ricostru- zione delle pieghe di cui sono affetti (fig. 3). An- che gli strati di calcare e d’arenaria .eocenici, i quali sono abbastanza regolari in corrispondenza dello scanno summenzionato, assumono a destra e a sinistra pieghe e con- torsioni poco meno risentite di quelle delle assise cretacee. I primi e le seconde appariscono in qualche punto quasi concordanti; così nel- l’alto della ripa sinistra alcune te- state lievemente orizzontali di cal- cari eocenici si vedono a contatto del fianco di una piccola anticli- nale assai stretta di calcare e scisti cretacei (fig 4). In tesi generale i corrugamenti delle stratificazioni terziarie sono meno variati nelle orientazioni e meno stipati di quelli Altro coutatto prosGruo a quello rappresentato nella fi- gura precedente. AT. B. Gli strati cretacei sono qui più sottili ed affetti da piega stipata. l’eocenica lungo la riva sinistra del Laccetto. N. B. Gli strati cretacei si distinguono nella figura perché più sottili e infranti. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 15 del deposito mesozoico; presentano inoltre spostamenti e frat- ture meno estesi. Altro istruttivo contatto si osserva sulla riva destra della Penteinina, presso la sua confluenza col Laccio. Ivi il monte detto « di Casale » dal nome di un villaggio situato sulla sua pendice, monte denominato Badrigo nella carta alla scala di 1: 50 000 dello Stato maggiore sardo (foglio di Torriglia), of- fre mia alternanza di banchi di calcare saldo, bigio scuro, e di straterelli di calcari marnosi, teneri, o calcescisti di color cinereo, gli uni e gli altri affetti da flessioni e spezzature assai risen- tite, che porgono nel loro complesso esempio istruttivo di strut- tura a ventaglio composto. Questa formazione, che si estende fino alla vetta del monte (m. 1026) e misura da 350 a 400 metri di potenza, appartiene indubbiamente aH’eoeene superiore, e ri- copre un deposito a stratificazione oscura, della potenza massima di 120 metri, costituito di argille vinate e verdastre, di argil- loscisti manganesiferi neri, deposito riferibile al sistema cre- taceo (*). Alquanto a valle si ripete con palese discordanza la sovrapposizione di calcari eocenici ad argille vinate e verdi cretacee. E pur meritevole di particolare attenzione la concomitanza di rocce nettamente stratificate pertinenti ai due sistemi che si verifica lungo la nuova rotabile fra Torriglia e Montoggio, un po’ a monte di Bromia sul Laccio. Tali strati sono colà quasi verticali, con direzione che varia secondo i punti da E-0 a NE-, SO. Al cretaceo spettano dal basso aH’alto (supponendo rista- biliti gli strati nella posizione originaria) : scisti verdi e rossi, scagliosi, calcari bruni e nerastri in straterelli sottili, scisti grigi, fissili, ronchiosi, sgualciti, contorti; aH’eocene sono da at- tribuirsi calcari azzurrognoli a vene spatiche, in grossi banchi. Tutto il complesso è visibile in una sezione naturale di circa 20 metri di lunghezza. La pertinenza delle argille vinate e verdastre, come pure degli scisti bigi e nerastri, al cretaceo si desume dalla sua po- sizione costantemente inferiore alinocene, dalla somiglianza degli (') In alcuni punti, in ispecie preéso Casale, Pargilla rossa si vede come pizzicata in una piega anticlinale stipata di calcare eocenico. 16 A. ISSEL scisti varicolori che vi sono compresi con quelli interposti, nel promontorio occidentale del Golfo della Spezia, fra il titonico fossilifero e l’eocene, dall’analogia di essi scisti con altri vi- sibili nella Liguria occidentale, ove sono sottoposti ai calcari nummulitici ricchi di fossili della Mortola, e finalmente da fos- sili, scarsi e poco significanti, di cui dirò più innanzi. Considerando che fra i depositi immediatamente sottostanti all’eocene del Genovesato abbondano arenarie ed argille glau- coniose, contenenti qualche volta fucoidi, visto che le marne glauconiose a fucoidi di Saint Laurent e di altri punti nel Niz- zardo furono in seguito a ben ponderati argomenti paleontolo- gici e stratigrafici riferiti al cenomaniano, visto che in parecchi altri punti, come a Sant’Ospizio e a Villani, le assise cenoma- niane sono caratterizzate dalla glaucoma, la quale non manca tuttavolta nelle formazioni del gault e del neocomiano (per esempio ad Eza), sospettavo fossero da attribuirsi al piano ceno- maniano i nostri scisti varicolori, anche tenendo conto del fatto che vi si rinvennero alcuni fossili, per verità poco caratteristici, in armonia con questo riferimento. Leggendo poi la pregiata me- moria del prof. Capellini « Ichtyosaurus campylodon e tronchi di cicadee nelle argille scagliose dell’Emilia » (*), i miei sospetti furono confermati da che vi trovai la dimostrazione che a non gran distanza dall’Àppennino di Torriglia, cioè a Gombolo nel Modenese, in condizioni stratigrafiche analoghe a quelle da me osservate, fu scoperto un rostro di Ittiosauro caratteristico del cretaceo inferiore, e poco lungi, nelle argille scagliose deH'Emi- lia, presso Ozzano, si rinvennero in posto resti ben conservati di Enumerici, poco dissimili da alcuni già noti come erratici della valle dell’Idice e d’altre località, ricordandosi inoltre la scoperta di una ammonite cenomaniana, l’ Acanthoceras Mantelli , nelle argille scagliose di Rocca Cometa. Già Bonarelli attribuiva al cenomaniano superiore argillo- scisti, psammoscisti e scisti plumbei dell’Appennino Ligure e dell’alta valle di Trebbia e al cenomaniano inferiore scisti po- O Memorie della R. Accad. delle Scienze dell’Ist. di Bologna , serie IV, tomo X. Bologna, 1810. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 17 licromi dei medesimi territori, come pure dei pressi di Pontre- moli e dei monti della Spezia ('). Il riferimento al cenomaniano della massima parte degli strati cretacei dell’Appennino Ligure non esclude che qualche lembo possa essere più recente o più antico. La mancanza delle forme litologiche tipiche dei piani superiori rende però poco pre- sumibile che questi esistano nella regione. Per quanto concerne gli orizzonti sottostanti al cenomaniano, la natura delle rocce non porge fin qui alcuna indicazione. Come già ebbi ad avver- tire, il contatto fra le stratificazioni cretacee e le soprastanti eo- ceniche non è ben manifesto che in rari casi, ed allora, il più delle volte, le seconde sono trasgressive o discordanti rispetto alle prime. Mancano poi, a mia cognizione, esempi di contatti tra la formazione cretacea ed altre più antiche. Presso Panigaro sul Chiaravagna, ad 0 NO di Genova, i calcari marnosi eoce- nici riposano direttamente sui calcari dolomitici mesotriassici. Fin qui non si raccolsero altri dati per dimostrare come fra il deposito delle due serie sia interceduto lungo spazio di tempo; ma non dubito che indagini più minuziose porranno in luce ulteriori esempi di discordanza ed altri segni di disconti- nuità. Certo è che nel territorio di cui mi occupo in queste pagine non solo non furono scoperti sedimenti cretacei superiori, ma eziandio mancano tutti i termini dell’eocene medio e infe- riore, i quali nella Liguria occidentale sono accusati, almeno in parte, da arenarie e calcari gremiti di gasteropodi, lamellibranchi, coralli e nummuliti. Inferisco dal complesso delle cose osservate che dopo il ce- nomaniano il paese attraversò un lungo periodo d’emersione, al quale subentrò solo nella seconda metà dell’eocene una fase di sommersione, continuatasi fino ai primordi dell’oligocene. Qui come altrove non si produssero depositi d’acqua dolce durante la fase continentale, o pure, dato che in proporzioni limitatis- sime abbiano avuto origine, furono poi eliminati. ( 1 ) Miscellanea di note geologiche e paleontologiche. Boll, della Soc. Geol. Ita!., voi. XXI, fase. 3°. Roma, 1902. 2 18 A. ISSEL Fossili cretacei. In fatto di fossili, gli scisti e le altre rocce riferibili al si- stema cretaceo nel Genovesato non mi somministrarono che un piccolo numero di avanzi poco caratteristici. Ricorderò da prin- cipio un dente di Oxyrhina convertito per pseudomorfosi in rame nativo, probabilmente riferibile alla 0. Mantelli, Ag., rinvenuto nell’alveo del Rio delle Caselle. Sarebbe superfluo ripetere qui l’enumerazione dei caratteri di questo fossile già descritto e figurato più volte f1). Proviene probabilmente dai pressi di Torriglia un grosso dente di Carcharoclon megalodon, il quale, pel colore e per la natura di particelle di ganga aderenti alla sua superficie, ri- corda gli scisti varicolori testò descritti. Esso fu per molti anni conservato presso la farmacia Norando in Torriglia e passò a far parte della collezione paleontologica del museo di Genova per cortesia dell’attuale titolare di quella farmacia, il quale non potò fornirmi in proposito alcuna precisa indicazione. Negli scoscendimenti del Laccetto furono testò rinvenuti frammenti di lignite parzialmente riferibile alla varietà gagate, la quale in alcuni esemplari si mostra impregnata di pirite e passa addi- rittura a questa specie mineralogica, e in altre è ricca di si- lice. Alcuni pezzi di lignite piritizzata sono cilindracei e sem- brano piccoli cauli o rami di vegetali arborescenti. Non ho mancato di far eseguire alcune sezioni sottili, dalle quali mi lusingavo di ottenere qualche indicazione relativa al loro rife- rimento, ma non ho raggiunto lo scopo a causa dell’alterazione profonda degli esemplari. Si tratta certamente di residui di piante fanerogame terrestri, le quali accennano alla esistenza di terre emerse poco lontane, nel momento in cui si produceva il deposito che acclude siffatti residui. Negli scisti verdi, lungo la riva destra del Rivo Cuisa, a monte del Borgo di Torriglia, osservai alla superficie di una falda di scisto verde cretaceo una grossa fucoide a rami dico- (') Boll, del R. Comitato geol. ital., n. 5-6 Roma, 1878. — Liguria geologica e preistorica , voi. I, pag. 372, fig. 43. Genova, 1892. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 19 tomi, crassi, destituiti di solchi e strie, non essendo però riu- scito ad asportarlo, credo prudente astenermi da ogni tentativo di determinazione. Tracce di fucoidi si vedono pure negli scisti arenacei nerastri che formano la riva destra della Pentemina. Era le particolarità osservate negli scisti bruni che affiorano lungo il Laccetto, è da citarsi la presenza in alcuni punti di piccoli noduli in forma di olive, i quali abitualmente raggiun- gono da nn centimetro e mezzo a due centimetri di lunghezza. Essi sono di color nerastro con lucentezza metalloidea, e per tali caratteri, come pel tatto untuoso e la proprietà di lasciar tracce nerastre sulla carta collo stropicciamento, sembrano a tutta prima costituiti di grafite, ma il saggio al cannello di- mostra che risultano invece, almeno precipuamente, di idrossido di ferro e di manganese con un po’ di silice. Infatti, riscaldati alla fiamma ossidante, piccoli frammenti di questi noduli di- ventano attiratali dalla calamita e trattati con borace vi si disciolgono e coll’aggiunta di nitro colorano il fondente vetroso in violetto. Nel tubo d’assaggio svolgono acqua in buon dato. Si sciolgono solo parzialmente senza fare effervescenza nell’a- cido cloridrico. Tali noduli sono annidati, occupandoli comple- tamente, in cavità ben circoscritte dello scisto. La parete di ciascun alveolo è in generale nerastra, dura e lucente come l’in- cluso. La roccia intorno all’alveolo presenta una struttura sfo- gliata, concentrica alla superficie dello stesso. Nelle sezioni sottili dei nodu letti si vedono al microscopio plaghe trasparenti o tralucide, imperfettamente aniso- trope, le quali nelle parti prossime alla periferia di quei corpi si fanno meno trasparenti od an- che quasi opache per l’addensarsi di mate- riaminerale metallifera. Non vi si distinguono cristalli od aree nettamente cristalline, ma innumerevoli sezioni microscopiche irregolarmente circolari, divise Fig. 5. Pullenia dei noduli manganesiferi del Laccetto osservata al microscopio. 20 A. ISSEL mediante solchi irraggianti da una depressione centrale in quattro, cinque, sei o più settori, ciascuno dei quali si manifesta alla periferia con piccolo rigonfiamento. La depressione centrale è talvolta puntiforme e in altri casi un po’ meno angusta od anche si converte in ombéllico relativamente ampio e profondo. Siffatte sezioni sono dovute a piccole foraminifere pertinenti al genere Pullenia, caratteristico delle formazioni cretacee. Il dia- metro loro varia fra 6 e 15 micromillimetri (fig. 5). Esse sem- brano tutte più o meno alterate dalla fossilizzazione e conver- tite in silice f1). Formazione eocenica. Al di sopra della formazione cretacea si estende nel terri- torio di Torriglia e in tutta la regione circostante un deposito di quel complesso di rocce eoceniche superiori (liguriane secondo Mayer-Eymar), dotate di quella facies che i geologi concorde- mente designano sotto il nome di Flyscli. Si tratta di calcari bigi e azzurrognoli più o meno compatti e marnosi, a fucoidi, calcescisti cenerini, argilloscisti cbe fanno localmente transi- zione a fìlladi nerastre e macigni a grana sottile. Siffatto de- posito assume estensione di gran lunga maggiore del cretaceo ed è assai più potente. Esso costituisce quasi esclusivamente il nodo montuoso deH’Àntola e la parte preponderante delle valli superiori della Trebbia, del Laccio, della Scrivia, del Bisagno, del Lavagna. Lungo il sentiero che conduce alLAntola, come pure negli alvei degli accennati corsi d’acqua si può osservare rappresentato dalle forme litologiche tipiche; al Monte Scietto, presso Porto, presso Marsano, per accennare solo alle vicinanze di Torriglia, acclude come vedremo, adunamenti di svariate rocce ofiolitiche, le quali ricompariscono in proporzioni assai (') La medesima lamina sottile che ricetta a profusione le sezioni di Pullenia rappresentate nella fig. 5 contiene i resti di altra specie a contorno quasi circolare, divisa in cinque settori disuguali, che sem- bra conforme alla P. quinqueloba, Reuss. Non mancano sezioni riferi- bili a generi diversi, ma in tali condizioni da non potersi identificare con sicurezza. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 21 maggiori nella valle di Trebbia, poco lunge del ponte di Ro- vegno (1). Gli strati della zona cretacea sono come si è detto contorti e pieghettati, presentando nei vari punti orientazioni fra loro assai divergenti; inoltre non vi mancano soluzioni di continuità con rigetto e senza, e, siccome non appariscono allo scoperto che per piccoli tratti, è difficile rendersi conto dell’andamento loro. Secondo ogni probabilità, pur essendo affetti da un cor- rugamento tutto proprio, partecipano eziandio alle pieghe della soprastante formazione eocenica. Questa ci presenta esempio istruttivo di pieghe incomplete, tutte profondamente mozzate ed abrase nella parte orientale del bacino, quasi integre nella parte orientale ; in tali pieghe prevale la struttura isoclinale, e sono le ime verticali le altre inclinate. Non mancano tratti nei quali i calcari eocenici, appariscono al pari degli scisti cretacei, capricciosamente contorti, pieghettati ed infranti; così ad ovest della collina che serve di base al castello minato dei Fieschi. Chi osservi dalla via di Piacenza, a poche centinaia di metri dall’abitato di Torriglia, la catena che limita a N e NO il ba- cino del Laccio, vede sorgere dinanzi, cioè verso N, il Prelà (m. 1407), a sinistra, cioè verso ponente, le vette dei monti de- nominati Arzenasco, Fo (2) e Moro, nelle quali appariscono le se- zioni di strati verticali o lievemente inclinati appartenenti ad una serie di anticlinali e di sinclinali più o meno erosi. Il profilo della cresta è generalmente ondulato per effetto della erosione atmosfe- rica; solo in alcuni punti, presso la vetta del Monte Fo, la caduta di recenti frane ha lasciato tracce visibili in minute dentella- ture che corrispondono a sporgenze di strati quasi verticali. Si può osservare da un punto opportunamente scelto lungo la via maestra, a monte di Torriglia, o meglio nella valle della Trebbiola, che a levante del Prelà la montagna si continua con una serie di rilievi ondulati di altezza decrescente, nei quali apparisce dominante la struttura a pieghe normali quasi integre. Fra tali rilievi e la valle di Trebbia intercedono anche piccoli (‘) A. Issel, Il calcifro di Hovegno. Annali del Museo civico di Storia naturale di Genova, serie 2a, voi. IX, 1890. (2) Così nelle carte topografiche dellTstituto geografico militare ; presso gli abitanti é più conosciuto sotto il nome di M. Ciappa. 22 A. ISSEL dossi (come il monte Scietto) destituiti di stratificazione e for- mati di pietre verdi. I calcari marnosi di cui risulta la parte culminante dell’Antola (non visibile dalla conca di Torriglia) sono diretti a N 15° 0, con immersione a levante e pendenza di 50° a 65°, ed accennano ad una anticlinale, la cui conves- sità, ora scomparsa, doveva trovarsi a ponente della vetta. Verso i Colletti la pendenza è a S e l’inclinazione di 45°. Inferior- mente, ove confluisce un grosso rivo a sinistra del Laccetto, presso il contatto fra l’eocene e il cretaceo, l’immersione è a 0. Nella valle di Trebbia la formazione cretacea non emerge che in qualche punto del tratto superiore e segnatamente fra i monti della riva sinistra. La galleria di Buffalora, per la quale la via rotabile da Genova a Piacenza passa dal bacino del Laccio alla valle della Trebbia è aperta attraverso i calcari e gli ar- gilloscisti eocenici, come lo dimostrano le fucoidi ricordate più innanzi. A circa 1 Km. a valle della galleria, lungo la riva destra della Trebbia, si osservano argilloscisti eocenici, in strati diretti da NO a SE con immersione a SO e inclinazione di 30° a 40°. A valle di questo punto non ho osservato alcun segno di formazione cretacea. Il suolo è prevalentemente eocenico nelle valli del Bisagno, del Brevenna e del Lavagna. Nella prima si notano pochi ed angusti affioramenti cretacei presso Davagna, Aggio e Molas- sana sulla riva destra e nei dintorni di Bavari, lungo la riva sinistra. Nel bacino del Brevenna, presso la confluenza di questo torrente colla Scrivia (riva destra), gli scisti varicolori cretacei costituiscono un lembo di qualche estensione, visibile lungo la via rotabile che congiunge Casella a Montoggio. Nella valle del Lavagna, massime in vicinanza di Monleone e in quella del Bisagno, a monte e a. valle di Traso, hanno grande sviluppo, sotto i calcari marnosi, gli argilloscisti e le filladi ardesiache, queste principalmente ove le pieghe stratigrafiche sono più sti- pate. Lungo la via di Torriglia è facile verificare come le cave d’ardesia sieno aperte di preferenza nei punti che corrispondono agli angoli di pieghe a zig-zag, cioè ove le rocce subirono in- gente compressione. I calcari cenerini, quasi sempre assai teneri perchè ricchi d’argilla, facilmente rimangono attaccati dagli agenti esterni e TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 23 sopratutto dalle acque di dilavamento, le quali logorano e ar- rotondano ogni sporgenza e penetrano fra gli strati assottiglian- doli e riducendoli a serie di elissoidi o sferoidi disgiunti; ciò spiega la copia alla superficie del suolo di residui che talvolta simulano ciottoli e in altri casi ricordano le note concrezioni denominate bambole del Reno. Il fenomeno, dovuto ad azione chimica più che meccanica, è agevolato dalla fissilità propria a questi calcari, i quali, impregnati d’acqua, per effetto del gelo alternato col disgelo ed anche per succedersi dei raggi solari e dell’ombra, dell’umido e del secco, sogliono sfaldarsi in scaglie discoidali od anche sfasciarsi completamente, riducen- dosi in piccoli frammenti scagliosi e in poltiglia. Presso il Colletto ebbi ad osservare un banco di calcare dalla cui superfìcie si vanno distaccando naturalmente lamelle lenticolari, imbricate, che si possono scambiare a prima vista per gusci di molluschi bivalvi, quantunque non abbiano nulla di organico. Meritano anche di essere menzionati banchi di calcare assai compatti, attraversati da due sistemi assai regolari di fessure rettilinee, perpendicolari alla stratificazione, dai quali risulta come una specie di pavimento di mattonelle romboidali, fra loro cementate da calcite spatica. Esempio di tale disposizione si osserva lungo il sentiero che conduce all’Antola in un com- plesso di strati immersi a S di circa 40°, situati a poche cen- tinaia di passi prima di raggiungere il Colletto. Altra partico- larità della roccia di cui mi occupo si è di presentare bene spesso alla superfìcie od anche nelle testate degli strati piccoli fori di sezione circolare od ovale, profondi ordinariamente pochi centimetri (non più di tre o quattro) e conformi alla cavità la- sciata da un dito umano col premere argilla plastica. È tale l’analogia di siffatti fori colle cavità praticate dai litodomi che da principio non esitai a considerarli come dovuti a quei mol- luschi, quantunque risalgano a circa 1500 metri d’altitudine ('). (') Nel Genovesato sono comuni i fori propriamente praticati dai litodomi a piccola altezza sul livello del mare. Presso il camposanto di Marassi si trovano a 140 m., lungo la salita di Bavari al Monte Fa- scia raggiungono circa 375 m. In altri punti sono certamente più alti. 24 A. ISSEL Senonchè, moltiplicando le indagini, mi fu dato osservare buon numero di fori occupati completamente o parzialmente sia da da pirite, sia da limonite; e in alcuni casi dovetti persua- dermi che il calcare acclude noduli di pirite o di marcassita, i quali per lenta alterazione, dovuta probabilmente agli agenti esterni, da principio passano alla condizione di idrossido di ferro, poi grado grado scompariscono, lasciando in loro vece una ca- vità di forma e dimensioni pari a quelle del nodulo, il quale in casi non comuni è sferoidale od ovoidale anziché digiti- forme. Dirò in ultimo come non sieno rare alla superficie dei eal cari certe piccole impressioni circolari, scabre, poco profonde, che si potrebbero scambiare per sezioni di nummuliti mal con- servate e sono invece erosioni prodotte per opera di licheni. Formazione ofiolitica. Nella serie eocenica del territorio di Torriglia non manca una zona di pietre verdi, per verità poco estesa, ma istruttiva per la varietà delle specie di rocce che vi sono rappresentate. Nel 1887 supponevo colla maggior parte dei geologi ita- liani che le pietre verdi fossero limitate nella penisola italiana a tre orizzonti: uno arcaico, il secondo infratriassico e il terzo eocenico; e in base a questo preconcetto attribuivo di poi alinocene le serpentine di Rivara soprastanti al calcare dolo- mitico del trias medio. Dopo i lavori del Franchi sui terreni antichi delle Alpi occidentali, mi sono ricreduto e non dubito più della pertinenza a parecchi orizzonti mesozoici superiori al trias di adunamenti ofiolitici, non escluso quello di Rivara. Sono perciò ben lontano dal respingere l’affermazione che esistano pietre verdi cretacee; ma, per quanto concerne il Genovesato, escluso il territorio situato a ponente del Chiaravagna (M, le mie osservazioni conducono a ribadire il riferimento alinocene. Il rilievo del Monte Moro, già ricordato, rilievo formato di arenarie, calcescisti e calcari in strati capricciosamente contorti (') Mazzuoli e Issel, Nota sulla sona eli coincidenza delle formaz. ofiol. eocenica e triasica. Boll, del R. Comit. geol., n. 1, 2. Roma, 1884. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 25 (ben visibili nella piccola cava aperta presso la strada maestra nel fianco meridionale), si estende ad E e a SE colla sua falda fino al Laccetto. Di contro alla Casa Bianca, situata sulla ro- tabile tra Torriglia e Genova, detta falda si termina in una parete scoscesa appiè della quale, sul torrente, si trova un pic- colo edilizio adibito altra volta ad uso di molino. Appunto al- l’orlo della balza si osservano parecchi piccoli affioramenti di pietre verdi, che possono ritrovarsi senza difficoltà seguendo il sentiero che congiunge la Casa Bianca alla casa del molino. La roccia predominante è colà un conglomerato serpentinoso, che assume secondo i punti parvenze diverse. Per alcuni tratti è un aggregato di elementi non maggiori di nocciuole, dagli spigoli e dagli angoli alquanto smussati, in altri si tratta di cogoli o frammenti arrotondati, grossi come il pugno ed anche maggiori ; in buona parte la roccia acquista tessitura arenacea, risultando di elementi tenuissimi. In tale condizione essa ri- corda l’aspetto di certi tufi basaltici ricchi di olivina. Oltre alla serpentina normale, si osservano nel conglomerato serpentino fibroso, steatite, cogoletti di pietra verde assai duri e tenaci, che sembrano di peridotite (manca ancora una con- ferma di tale determinazione desunta dall’esame microscopico), elementi ftanitici e calcari. Questi ultimi sono talvolta volumi- nosi e presentano in generale struttura finamente cristallina e tracce di erosione superficiale che sembra dovuta a cause chi- miche. Il cemento è per lo più serpentinoso, ma in alcuni tratti apparisce invece calcitico e non- mancano rilegature di carbo- nato di calcio concrezionato. Il conglomerato passa gradatamente ad una serpentina bastitica assai alterata, attraversata da vene di serpentino nobile. Notevole il fatto che la roccia serpentinosa è limitata da una parte dalle testate di calcescisti in straterelli quasi oriz- zontali, da che argomento trattarsi qui di un vero dicco e non di una lente interstratificata come di consueto. La sezione se- guente mostra schematicamente quali relazioni intercedano fra le due rocce (fig. 6). In un altro punto vicino il materiale ser- pentinoso costituisce una piccola lente o una amigdala indubbia- mente limitata sopra e sotto dalle superficie di scisti fi lladici eocenici, diretti a N 30° E, più o meno pendenti ad 0. L’aspetto 26 A. ISSEL di questi scisti non lascia dubbio sulla eocenicità della roccia eruttiva, la quale esercitò evidente azione metamorfica sui se- dimenti di cui venne a contatto. Altri affioramenti di rocce ofiolitiche si trovano a breve distanza dal capoluogo del comune, verso E NE, vale a dire al Monte Scietto (che si leva, secondo la carta del- l’Istituto geografico militare, alla scala di 1 a 50 000 del 1878 a m. 1151), in un punto situato alle falde di detto monte, a mezzogiorno della mulattiera che conduce da Torriglia a Porto, e a Porto stesso, nonché nelle sue adiacenze verso Alpicella. Al Monte Scietto sono rappresentate masse in- genti di gabbri, fra i quali domina una eufotide assai tenace, a piccoli elementi dotati di cristallizzazione ben netta: non vi mancano serpentina normale e diabase. Da quanto potei osser- vare, queste rocce sono strettamente connesse alle consuete forme litologiche eoceniche. Nel secondo punto come pure a Porto e nei suoi dintorni immediati, vidi conglomerati serpentinosi, essi pure in relazione con rocce eoceniche, specialmente filladi e cal- cescisti; ma non escludo con questa mia asserzione che sieno presenti rocce gabbroidi, diabasi e serpentina normale. A Porto il contatto fra un conglomerato poligenico serpen- tinoso e i calcescisti sovrapposti corrisponde ad un adunamento metallifero filoniforme, che ricetta pirite di ferro e calcopirite, fu aperta in esso una piccola galleria di ricerca dalla quale non si ottenne alcun risultato utile. In ordine alla distribuzione degli affioramenti ofiolitici in Liguria, è da notarsi che man- cano completamente alla valle della Scrivia (escluso il Laccetto), come pure a quella dei suoi principali affluenti e alla valle della Trebbia, tra la galleria della via provinciale e il Ponte di Rovegno; anche il Bisagno e il Lavagna attraversano ter- ritori affatto privi di pietra verde. s sa ci cs Contatto fra il calcescisto eocenico e la serpentina presso la Casa Bianca. N. B. cs rappresenta calcescisto, ci cal- cescisto infranto, sa serpentina alterata, rubiginosa, s serpentina. La serie si chiude con conglomerato oiiolitico e fillade che non figurano nella sezione. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 27 Sorgenti. L’accennata disposizione stratigrafica delle formazioni cre- tacea ed eocenica spiega come le falde dell’Antola sieno ric- che di sorgenti. Le acque assai copiose provenienti direttamente dalla precipitazione acquea e quelle prodotte dal liquefarsi delle nevi (le quali lungamente permangono nelle alte regioni mon- tane), incontrando le testate delle pieghe troncate dei calcari eocenici, penetrano negli interstizi fra strato e strato, finché non pervengono alle concavità delle sinclinali che impediscono loro di procedere più oltre dall’alto al basso e le conducono all’e- sterno ; o pure pei meati delle pieghe anticlinali scendono fino al contatto degli argilloscisti cretacei, i quali, essendo impermeabili, limitano un letto acquifero. Infatti, alla periferia di tale con- tatto sgorgano numerose polle; fra esse citerò quelle che, ri- salendo attraverso agli interstizi di alcuni strati eocenici, sca- turiscono nell’alveo del Laccetto, presso la presa d’acqua che somministra forza motrice ai molini del Principe Doria. Sono queste le condizioni generali della regione dal punto di vista della circolazione sotterranea. Convien però aggiungere che altre sorgenti, forse ugualmente numerose e ricche d’acqua, sono determinate nella formazione eocenica e specialmente alla parte inferiore di essa da fratture prodottesi per opera delle pressioni orogeniche, fratture assai frequenti e complicate, che attraversano di preferenza i calcari compatti e perciò assai ri- gidi, massime ove si danno le pieghe più serrate e le contor- sioni più capricciose. S’intende di leggieri come la superficie acquifera (dico superficie e non piano di proposito deliberato, trattandosi di un contatto assai irregolare ed anfrattuoso) che corrisponde alla sovrapposizione dei depositi eocenici sui cre- tacei debba ricevere acqua non solo dai meati subordinati alla stratificazione, ma anche da fratture a guisa di crepacci (dia- clasi) e di fenditure (leptoclasi). Ritengo che le soluzioni di continuità indipendenti dalla stratificazione che danno adito alle acque sono di data relati- vamente recente, le antiche essendo più o meno completamente otturate da un lentissimo deposito di secrezioni calcitifere, di 28 A. ISSEL quelle secrezioni che producono in seno ai calcari le vene spatiche tanto numerose in certi tratti. La ricchezza d’acque deN’Autola, acque generalmente lim- pide, fresche e pure, consegue anche dal fatto che nel nodo montuoso di cui tengo discorso è relativamente estesa l’area che intercede fra le zone altimetriche di 500 a 1500 m., la quale accoglie abbondante precipitazione acquea. Formazioni quaternarie. Alla costituzione del suolo, nel bacino di Torriglia, concor- rono in larga parte le formazioni quaternarie e recenti. Le prime, prescindendo da piccolissimi lembi di alluvioni antiche, distri- buiti lungo le rive del Laccetto e del Laccio, lembi destituiti di fossili e di natura non bene accertata, sono quasi esclusivamente cumuli detritici melmosi (con piccoli massi inclusi), spesse volte foggiati a ventagli di defezione, la cui antichità relativa si ma- nifesta coi copiosi avanzi vegetali, tronchi d’albero, che vi sono contenuti, avanzi ben spesso alterati in modo da acquistare l’aspetto dei resti di piante arboree rinvenuti nel fondo di an- tiche torbiere. Nella porzione occidentale della catena della quale dissi come le sue pieghe sieno più o meno profondamente mozzate ed abrase, i materiali di queste pieghe e specialmente quelli che forma- vano le vette dei monti si accumularono alle falde loro, origi- nando enormi cumuli e colmando in parte le antiche depres- sioni. I cumuli di cui tengo discorso costituiscono non già un rivestimento uniforme, ma vere colline tondeggianti, che si innalzano fino a circa 250 metri sul fondo della valle del Lac- . cetto, addossate alle falde dei monti da cui è limitata ad occi- dente. Le due principali si trovano l’una alla base del Monte Arzenasco, la seconda, che fa continuazione alla prima, al di sotto del Monte Po, raggiungendo però la massima altitudine un po’ a mezzogiorno del parallelo che passa per la vetta di detto monte. Altri rilievi meno regolari, non chiaramente distinti dai consueti detriti di falda e dai ventagli di dejezione torrenziale, si osservano a’ piedi del Prelà e nell’abitato di Torriglia. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 29 Il cumulo sottostante al Monte Fo, che può considerarsi come tipico, riempie gran parte di un profondo burrone, paragona- bile ad un canalone Alpino, e va a finire nell’alveo del tor- rente, producendo in quel punto un restringimento della valle. Eitengo anzi che originariamente il materiale detritico abbia ostruito l’alveo, a guisa di argine. Il punto in cui il cumulo è intersecato dalla via maestra che mette alla Scoffera e poi a Genova è detto « E Mògge », espressione che significa « i molli, i bagnati », cioè i terreni ammolliti o bagnati. Nelle antiche carte questo nome è trascritto erroneamente colle parole « Ne- moglie » od anche « Moglie ». Colà il materiale detritico consiste precipuamente in una melma argillosa, bruna o cinerea, fine, impalpabile, che si adopera, previe opportune manipolazioni, a fabbricare laterizi (sorge all’uopo, in quel punto, un importante stabilimento industriale), melma nella quale sono sparsi molti massi e frammenti di calcare bigio eocenico, a spigoli ed an- goli lievemente smussati e a superficie un po’ alterate, come pure numerosi tronchi d’ albero di cui dirò meglio in se- guito. I medesimi materiali: argilla, frammenti e massi di calcare, si trovano nelle altre colline accennate e in buon numero di lembi detritici minori, accumulati indubbiamente per effetto delle stesse cause. In generale, peraltro, l’argilla vi è meno abbondante e predominano massi e schegge di calcare. Fino dal 1872, osservando come il deposito argilloso-calcare delle Magge si protenda a guisa di argine smantellato attra- verso la valle del Laccetto, considerando l’altitudine dei rilievi situati a monte di questo deposito, di natura indubbiamente de- tritica, tenendo conto della circostanza che non ricetta ciottoli, ma frammenti di roccia e tronchi d’albero, che tali tronchi ap- partengono in parte ad essenze scomparse nel paese e sono in generale profondamente alterati dal tempo, manifestai il sospetto che si trattasse di una morena frontale, abbandonata da un pic- colo ghiacciaio, il quale avesse occupato originariamente il ba- cino superiore del Laccetto. L’interpretazione appariva verosimile anche per la circostanza che ad altitudine poco maggiore sono visibili evidenti tracce glaciali nelle vicine valli della Trebbia e del Penna, e che per altre valli della medesima regione Pesi- 30 A. ISSEL stenza di antichi ghiacciai scomparsi fu dimostrato dal profes- sore F. Sacco e dal dottor A. Brian. Dopo maturo esame ho dovuto persuadermi che i detriti cui alludo sono dovuti in grandissima parte ad antiche frane, le quali risalgono probabilmente all’ultima espansione glaciale ve- rificatasi fra le Alpi e gli Appennini. Lo dimostra innanzi tutto la posizione dei cumuli, tutti sottoposti ai tratti della cresta montuosa che portano traccia di recente rovina, tratti dai quali cioè si distaccarono di fresco lembi, lasciando visibili cicatrici. Tali frane ripetono l’origine loro da fasci di strati verticali od inclinati che si spezzarono e caddero, perchè in tesi generale la base argillosa (cretacea) sulla quale riposavano venne a man- care o a spostarsi, essendo stemperata od ammollita dalle acque; o perchè in altra guisa vennero a mutarsi le condizioni statiche delle masse rocciose superiori. Non v’ha dubbio, infatti, che i materiali di cui risulta il rilievo delle Magge nella valle, anzi nell’alveo del Laccetto, sono parte di quelli di cui risulta il colle di Porcarezzi, e provengono da una sinclinale del Fo. Al- lorché gli strati che diedero loro origine si sfasciarono, essi do- vettero scorrere quasi a guisa di torrente fangoso, per un gran canalone sottoposto, scavato dalle acque correnti e di dilava- mento, e, pervenuti all’alveo del Laccetto, ne risultò senza dubbio, come accennai, la sua ostruzione. La poca resistenza della diga così formata consentì che ben presto, investita e soverchiata dalle acque, fosse parzialmente asportata e che il corso d’acqua ripigliasse il suo andamento normale. Di contro alle Magge si vede chiaramente come questo abbia scavato il proprio letto attraverso il deposito detritico. Mi nacque anche il dubbio che il materiale detritico fosse pro- dotto da antiche valanghe, dubbio avvalorato dal complesso delle condizioni topografiche locali e dal supposto di una antica fase nivale , attraversata dal paese. Ma dopo maturo esame dovetti rinunziare anche a siffatta interpretazione. La valanga ha per effetto di abbattere gli alberi, in generale senza spezzarli nè sradicarli, spogliandoli invece dei loro minori rami e delle fronde, piegandone il tronco, in guisa da renderlo parallelo alla dire- zione del cumulo che precipita e dividendo esso tronco e i suoi rami principali in lacinie e filamenti più o meno assottigliati TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 31 verso l’estremità. La frana invece svelle, spezza, travolge, sep- pellisce fusti e rami in frammenti irregolari, ammaccati, sbuc- ciati, ma non ridotti in lacinie. Questo è proprio il caso degli avanzi vegetali di Torriglia. Le frane del bacino di Torriglia appartengono tutte o quasi tutte a quelle prodottesi per scivolamento o scorrimento. Furono cioè predisposte dalle pendenze assai risentite degli strati su- perficiali verso la valle del Laccetto ed ebbero per cause occa- sionali secondo ogni verosimiglianza: 1° L’impregnazione delle rocce superficiali dovute a lunga permanenza di neve; 2° piogge lungamente continuate, che resero più pesanti le masse calcaree, ammollirono o stemperarono le argille e gli argilloscisti sottoposti, i quali in alcuni casi fornirono superficie di scorrimento lubriche per melma impalpabile, abbandonata dalle acque filtranti; 3° oscillazioni sismiche, le quali lasciarono tracce ingenti, in Liguria, massime nelle caverne, durante i tempi preistorici. Altre frane di minore importanza si verificarono e si veri- ficano ancora lungo il Laccetto per effetto della erosione tor- renziale prodottasi lungo le sponde. S’intende di leggeri, come, asportata dalle acque la base delle formazioni che costituiscono l’alveo, a misura che questo si rendeva più largo e profondo, veniva a mancare il sostegno delle rocce soprastanti, i cui detriti dovevano precipitare nel torrente ed essere da questo tra- volti. In certe frane, che possono dirsi di second’ordine, i mate- riali minati per fatto dell’erosione torrenziale furono detriti an- teriormente precipitati, così in alcuni punti lungo il Laccetto laddove attraversa la propaggine delle Magge. I monti che diedero luogo al grandioso fenomeno non hanno ancora acquistato uno stabile e definitivo assetto. Infatti, dai fianchi del Prelà, dell’Arzenasco, del Fo, come da quelli del Lavagnola nel lato opposto del bacino di Torriglia non mancano falde e massi che minacciano di precipitare con danno delle colture, delle strade e degli edilìzi. Siffatto pericolo può essere fino ad un certo segno allontanato mediante appropriati lavori di sostegno, di scarico, d’imboschimento e di coltura e con una 32 A ISSEL giudiziosa distribuzione delle acque di dilavamento e d’irri- gazione. Tengo per fermo che le antiche frane si producessero sotto l’impero di circostanze meteorologiche diverse dalle attuali, vale a dire quando quei monti, in conseguenza della ultima fase già ciale erano soggette all’azione di più copiosa precipitazione ('). La lunga permanenza di uno strato nevoso sopra una su- perficie situata inferiormente al livello delle nevi perenni ha per effetto : 1° Di mantenere costante umidità nel terreno sottoposto alla neve per la sua liquefazione durante i periodi caldi; 2° di sottrarre il terreno stesso ad una intensa refrigera- zione nei periodi frigidi, in ispecie durante la notte ; come pure all’azione dei venti gagliardi che sogliono determinare il rapido prosciugamento dell ‘humus, dei detriti e delle rocce argillose o arenacee impregnate d’acqua. Per ciò indirettamente la neve promuove e conserva la vegetazione erbacea, in particolar modo la crittogamica, favorisce quindi lo sviluppo di una cotica erba- cea protettrice, che impedisce e ritarda la degradazione meteo- rica e l’erosione cagionate dalle acque meteoriche e dal dila- vamento. Anche direttamente, sottraendo il terreno all’azione imme- diata della pioggia e del dilavamento e rendendo meno sensibile l’alternanza del gelo e del disgelo, per la quale si sminuzzano le rocce superficiali, la neve tende ad esercitare il medesimo ufficio. Ciò spiega come quando, per lieve mutamento delle con- dizioni climatologiche di un paese, la permanenza della neve si riduce da gran parte dell’anno a breve periodo, specialmente quando la neve stessa venga a mancare o quasi, per lungo vol- gere di tempo, e simultaneamente vengono a crescere le piogge, la degradazione meteorica e quella dovuta al dilavamento acqui- stano intensità maggiore, che può diventare grandissima in cir- costanze speciali. Nella conca di Torriglia e sopra i monti circostanti man- carono secondo ogni probabilità fenomeni glaciali propriamente (') È noto come anche al presente, nelle alte regioni dell’Appennino, le nevi e le piogge assai copiose favoriscano le frane. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 33 detti, come quelli che si produssero lungo le pendici del Penna e dell’Aiona, nella Valle di Trebbia, in quella del Cedra e del- l’Àveto. Non solo non mi venne fatto di rinvenire vere morene, ma nemmeno massi erratici, rupi arrotondate, levigate, solcate o striate, e tanto meno ciottoli che portano tracce di trasporto glaciale. La forma dei dossi arrotondati dal gruppo dell’Antola si spiega agevolmente invocando l’azione dei fenomeni meteo- rici sopra rocce poco resistenti. Nel territorio che è stato oggetto delle mie indagini i pe- riodi quaternario e recente sono anche rappresentati da piccoli lembi di travertino, analoghi a quelli rinvenuti in molti altri punti della Liguria. Essi furono già segnalati da Squinabol a Pino, sui fianchi occidentale ed orientale dell’Alpe Sisa, a Ca- vassolo, a Bargagli, a Rosso e presso Montoggio. In quesful- timo punto la roccia acclude secondo questo autore, resti di elicidi mal determinabili e frammenti di calcare eocenico e di scisto galestrino, formando così una vera breccia ('). Dal canto mio ne raccolsi campioni nelle valli del Pentemina e del Bre- venna. Le alluvioni recenti, in alcuni casi sovrapposte ai cu- muli di frana teste descritti, offrono nel bacino di Torriglia ele- menti argilloso-calcarei per lo più grossolani, e costituiscono piccoli depositi di dejezione abbandonati dai rivi e torrentelli attuali, la cui azione edificatrice è insignificante nel territorio di cui si tratta. Tali alluvioni recenti acquistano invece grande sviluppo nella valle della Trebbia a N NE del ponte di Ro- vegno, in quella della Scrivia ove confluiscono Laccio e Pen- temina e in altri punti a valle, come pure lungo le rive del Bisagno dai pressi di Prato al mare. Essi occupano l’alveo mag- giore dei corsi d’acqua, accennando colla loro presenza al fatto che questi recavano in passato tributi più copiosi in confronto del presente. Alla parte inferiore delle alluvioni del Bisagno si trovano generalmente letti di ghiaie ricchi di acquee subalvee che fu- rono in parecchi punti usufruttate, per esempio, dalla officina elettrica e da quella del gas, in Genova. Notevole la circostanza P) Squinabol S., Miscellanea di geologia locale. Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geo g., voi. III. Genova, 1892. 3 34 A. ISSEL che il letto acquifero scende localmente al di sotto del livello marino, ciò in dipendenza del mutaménto recentissimo verifica- tosi nelle relazioni reciproche del mare e delle terre emerse. Non mancano, sono anzi relativamente comuni, i cumuli di frana recenti ed attuali, talvolta, come dissi, sovrapposti agli antichi, come pure i detriti di falda. Gli uni e gli altri sono subordinati non tanto alla natura delle rocce, poco diverse tra un punto e l’altro, quanto alla inclinazione dei versanti mon- tuosi, alla distribuzione delle acque di dilavamento e dei tor- rentelli e in particolar modo alla climatologia locale, il gelo e le piogge essendo presso di noi fattori potentissimi di disgre- gamento ed erosione. Intensità della erosione. Dai suoi principali rilievi spogli di terra vegetale e di piante arboree, i quali lasciano scorgere superiormente le testate di stratificazioni più o meno contorte e sgualcite, dalle pieghe smozzate che formano le creste e le vette, dai profondi burroni che incidono i fianchi dei monti, dai detriti grossolani accumu- lati alle falde loro, detriti dovuti in gran parte ad enormi frane, si manifestano i caratteri di un paese che subì ingente denu- dazione e tuttora va soggetto ad incessanti mutamenti pel fatto degli agenti esterni e principalmente delle acque atmosferiche e correnti. L’inteusità della erosione nei monti di Torriglia si spiega considerando la natura litologica delle rocce che li compongono e la durata lunghissima dei tempi trascorsi dalla loro emersione fino al presente. Infatti, la formazione marina più recente della quale risultano è il calcare a fucoidi del Flysch , il quale subì un primo sollevamento e corrugamento nel successivo periodo oligocenico e, secondo ogni probabilità, non cessò d’allora in poi di essere esposto all’azione degli agenti atmosferici. I conglomerati tongriani, che raggiungono in alcune vette dell’Appennino settentrionale 1500 m. d’altitudine, hanno ca- rattere di deposito d’acqua dolce, almeno nella parte superiore. Certo è che nel punto più prossimo a Torriglia, vale a dire al promontorio di Portofino, sono estraniarmi anche in basso ; come TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 35 lo dimostra la lignite che vi fu rinvenuta. I depositi aquita- niani, elveziani, tortoniani della Liguria occidentale mancano nei dintorni di Genova e nella Riviera di Ponente e ad ogni modo non raggiungono in alcun luogo il livello della conca di Torriglia. Quanto al pliocene, il punto più alto in cui fu os- servato a Genova non è che di circa 90 m. sul mare. Fossili eocenici. Credo opportuno occuparmi subordinatamente dei fossili eoce- nici del bacino di Torriglia e dei territori circostanti; non per- chè importanti dal punto di vista della paleontologia generale, ma pel riflesso che, quantunque mal conservati e poco caratte- ristici, valgono a spargere un po’ di luce sulla stratigrafia locale e ad aggiungere qualche documento utile alla cognizione di quelle potenti formazioni a facies di Flysch , tanto sviluppate nell’ Appennino settentrionale, nelle quali, per circostanze non ancora completamente conosciute, gli organismi animali e ve- getali lasciarono sì scarse tracce. Molluschi. a) Inoceramus relictus, n. sp. (Fig. 7). Il fossile di cui si tratta è una impronta ben conservata, la quale, dal confronto colle conchiglie di lamellibranchi per- tinenti a diversi tipi, deve riferirsi ad una valva destra. La sua forma è triangolare, leggermente inequilatera, col margine opposto al vertice regolarmente arcuato e gli altri due quasi retti- linei; l’anteriore un po’ più lungo del posteriore. La valva che produsse l’impronta doveva essere assai depressa, principalmente verso la periferia, talché la spessezza dell’ intera conchiglia doveva misurar circa 8 a 9 millimetri; ma forse il computo risulta basso pel fatto dello schiacciamento subito dal fossile. L’umbone è subacuto, senza traccia d’incurvatura. Nel margine cardinale si osservano piccole depressioni che accennano a fos- sette oblique. L’impronta è ornata di pieghe concentriche, regolarmente ar- cuate, poco sporgenti e relativamente larghe, limitate da depres- sioni in numero di 11 o 12 che sono più profonde alla periferia 36 A. ISSEL e presso il margine anteriore, e vanno scomparendo nella regione umbonale. Dimensioni : Lunghezza mill. 80j; altezza 64. Fig. 7. Inoceràmus relictus n. sp. (grand, nat.) dei Piani di Creto. Questo fossile fu raccolto dal dott. Umberto Gagliardo in una piccola cava di calcare da costruzione aperta presso il lembo orientale dei così detti Piani di Creto. V Inoccramus clubius Sowerby ricorda, per la forma generale,, la nostra specie, ma non può confondersi con essa per l’anda- mento delle pieghe che non sono regolarmente arcuate, e pre- sentano doppia curva ben manifesta in prossimità degli umboni. Si tratta d’altronde di fossile Massico. VI. Cripsii Mantell, diffuso nei terreni cretacei superiori in Europa, in Africa e in America, si distingue dal relictus per- chè le sue valve sono assai più oblique, più sviluppate longi- tudinalmente e a pieghe più. numerose ed auguste ('). (>) Si veda a proposito di queste due specie la nota di C. Airaghi « Inocerami del Veneto », colle relative ligure, nel Boll, della Soc. geol. ital., voi. XIII, pag. 178. Roma, 1901. TORRIGLI A E IL SUO TERRITORIO 37 La specie di Ponte a Sieve descritta da Savi e Meneghini nelle loro Considerazioni sulla geologia stratigrafica della To- scana (Firenze, 1851) come riferibile dubitativamente a questo genere differisce dall’esemplare dei Piani di Creto pel numero delle pieghe concentriche, in numero di 20, e per le strie parallele delle stesse pieghe. De Stefani si occupò a lungo dei fossili cretacei rinvenuti nell’Appennino settentrionale, e ricordò fra questi V Inoceramus Cripsii raccolto da A. Negri a Varzi, gli esemplari dello stesso genere segnalati nella valle dell’Enza a Selvanezza di Palan- zano (Parmense) dal dott. Sabbioni, quelli rinvenuti, secondo il Mazzetti, a Vigole e presso la Costa (Reggiano), V Inoceramus trovato a Montese (Modenese) dal dott. Lorenzini (secondo il prof. Capellini è prossimo al subcardissoicles ), un altro scoperto dal Burchi presso Cassellano e parecchi (7. Cripsii) pur del Modenese, il cui ritrovamento è dovuto al Mazzetti. Enumera inoltre alcuni esemplari di conchiglie dello stesso genere rin- venuti in Toscana e li attribuisce tutti al cretaceo, parte cioè al senoniano, parte al santoniano e al cognaciano (’). Anche Sacco ricorda in uno dei suoi lavori (2) buon numero di Inoceramus somministrati dall’Appennino settentrionale, e come De Stefani li attribuisce tutti indistintamente al sistema cretaceo (3). Pur prescindendo dai casi possibili di esemplari rimaneggiati, mi sono persuaso, vagliando i documenti in pro- posito, che si tratta di genere sopravissuto al tramonto dell’epoca cretacea, che ebbe cioè qualche raro rappresentante nei mari più profondi dell’eocene. (') De Stefani C., Studi paleontologici sulla creta superiore e media dell’ Appennino settentrionale. Memorie della R. Accad. dei Lincei, serie 4a, voi. I. Roma, 1885. (2) Sacco F., Les formations ophitifcres du crétacé. Bull, de la Société Belge de Géol., de Paléont. et d’Hydrol., voi. XIX, fase. 1-2. Bruxel- les, 1905. (3) L'indicazione di una specie di questo genere trovata a Molas- sana, in Val di Bisagno (ove non mancano argille vinate cretacee), è certo fondata sopra un malinteso. L’autore intende alludere, io credo, all’esemplare dei Piani di Creto di cui ebbe notizia dal marchese Ro- vereto. 38 A. ISSEL Anche gli Inoceramus figurati dal Trabucco, come riferibili al Cripsii e provenienti dalla valle del Mugnone, sembrano dif- ferenti dall’esemplare del Genovesato, il quale presenta i margini anteriore e posteriore quasi rettilinei e non sensibilmente ar- cuati ('). Questo autore, seguendo l’esempio di De Stefani, pone tra i sinonimi di I. Cripsii numerose denominazioni di fossili italiani e stranieri, tra le quali I. eocenus Savi e Meneghini e I. Lamarcki Meneghini. Intorno ad essi non saprei pronun- ciarmi senza aver veduto gli originali (2). Intanto, malgrado la ritrosìa che provo nel proporre una nuova specie per una valva mal conservata di lamellibranco, non posso esimermi dal distin- guere il fossile di cui si tratta con denominazione specifica peculiare. Ricordo ancora per memoria un fossile rinvenuto da Mayer- Eymar in Genova, nel calcare adibito alla costruzione di uno degli edilìzi di Via Roma (3), e da lui descritto col nome di Inoceramus (?) Isseìi. Esso fu definito dall’autore colla diagnosi seguente: « I. ? testa elongata, subelliptica, angustiuscula, recta, compressa, concentrice rugata, rugis numerosis, subaequalibus, interdum bi-vel-trifidis ; latere postero antice compressiore, in- feriore obtuso. — Long. circ. 60, lat. circ. 27 millim. » (■*). Si tratta di un solo esemplare mal conservato, che ho po- tuto esaminare nella collezione del Museo Geologico di Zurigo; e, siccome nulla si vede del cardine, rimane assai dubbioso il suo riferimento al genere Inoceramus. Ad ogni modo, per la sua forma straordinariamente allungata e compressa, la conchi- glia si discosta da quella dei Piani di Creto. 6) Accenno subordinatamente ad un altro fossile raccolto da me nella stessa formazione e a breve distanza, cioè al di sopra (*) Trabucco G., Fossili , stratigrafia ed età della creta superiore del bacino di Firenze. Boll, della Società geol. ital., voi. XX, pag. 289, tig. 4, 6 e 6. Roma, 1901. (2) Osservo tuttavolta che le parole della diagnosi « latere buc- cali brevi, angustato, convexo » relative all'/, eocenus, quadrano coll’7. Cripsii, ma non certo col relictus. C3) Si tratta di calcare bigio a fucoidi, estratto probabilmente da una delle cave di Via Venezia nella parte occidentale della città. O Journal de Concliyliologie, 3e sèrie, voi. XXVII, pag. 317. Paris, 1887. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 39 di Aggio, lungo la salita che conduce ai Piani di Creto. Esso consiste in un frammento di conchiglia bivalve, probabilmente di un Pectinidae, che offre 7 costoline di larghezza crescente da una estremità all’altra e leggermente divergenti. Credo bene farne menzione perchè concorre a dimostrare che i calcari del Flysch non sono completamente destituiti fra noi di avanzi animali, come fin qui si credeva. Foraminiferi e Radiolari. a ) Un campione di ftanite (a frattura un po’ granosa) verde, raccolto dal dott. Bozano presso Torriglia ricetta nume- rosi resti di foraminiferi mal conservati, ben visibili nella se- zione sottile n° 334, eseguita per conto del gabinetto di Geologia di Genova. Fra gli altri generi è presente senza dubbio, in questa sezione, Globigerina. b) In altra ftanite più omogenea, di color bigio, prove- niente da un punto • del Monte Scietto prossimo ad un affiora- mento ofìolitico, l’esame microscopico ha dimostrato la presenza di numerosi radiolari, dei quali non è possibile una sicura de- terminazione. Nella sezione di questa roccia distinta col n° 337 non manca certamente il genere Cenospliaera. c ) Finalmente un calcare marnoso del Monte Moro, calcare entro il quale si trovano corpi cilindroidi, schiacciati, rettilinei, che io ritengo di origine organica (si veda più innanzi la descri- zione di questi fossili), ricetta organismi microscopici, che sono in parte radiolari mal conservati e in parte spicele di spugne, spicele monoassi, curve, liscie e appuntate alle due estremità. Queste osservazioni furono fatte nella lastrina n° 338. Giova ricordare come in altri miei lavori io abbia fatto men- zione di spicule di spugne assai copiose in un calcare compatto siliceo dei pressi di Quezzi e di radiolari contenuti in gran numero nei noduli selciosi ,di Cassagna, come pure nei diaspri e nelle ftaniti dei dintorni di Bargone (Q. (') Dei noduli a radiolarie di Cassagna. Atti della Soc. Ligustica di Se. nat. e geog., I. Genova, 1890. — Brevi note di Geologia locale , Ibidem, voi. III. Genova, 1892. — Liguria geologica e preistorica, voi. I, p. 265, fig. 26. Genova, 1892. 40 A. ISSEL Piante fossili. Gli avanzi organici più notevoli contenuti nella formazione liguriana dell’Appennino settentrionale in genere e del terri- torio di Torriglia in ispecie, sono impronte di alghe marine, vale a dire fucoidi, le quali, al pari delle forami nifere e delle spugne già ricordate, accusano acque tranquille e piuttosto pro- fonde, non però abissali. Non di rado la conservazione loro con- sente di riferirle a specie ben definite. Oltre alle impronte, appartengono al regno vegetale e son pure da attribuirsi ad alghe modelli di talli. Le specie seguenti furono rinvenute nel territorio di Tor- riglia : 1. Chondrites intricatus, v. Sternberg sp. Fucoides intricatus , v. Sternberg, Flora der Vorwclt , tav. VII, fig. 3. Leipzig, 1820. Chondrites intricatus, v. Fischer Ooster, Die foss. Fucoiden der Schiveizer-Alpcn , p. 44, tav. VII, fig. 3. Bern, 1858. Chondrites arbuscula , Sismonda E., Matér. pour servir à la Paléont., etc. Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino, serie II, voi. XXXIII, p. 398, tav. II, fig. 5. Torino, 1865. Chondrides intricatus , Squinabol, Contrib. alla flora foss. dei terr. ter 2. della Liguria , p. 9. Genova, 1891. Questa specie fu raccolta con caratteri normali sul M. Prelà dal dott. Bozano e da me nella valle superiore del Laccetto in calcari marnosi. La possiedo anche del M. Lavagnola. 2. Chondrites dolichophtllus, Squinabol. Chondrides dolichophyllus, Squinabol, Fucoidi ed Elmint. Lig. Boll. soc. geol. ital., VI, p. 6, tav. XV, fig. 6. Roma, 1887. - Alghe e Pseudoalghe foss. ital. Atti della Soc. lig. di Se. nat. e geog., I, p. 29. Genova, 1890.- Contribuzioni alla flora foss. dei terr. terz. della Liguria , I, tav. A, fig. 1. Genova, 1891. Poco differiscono dall’esemplare tipico di questa specie, rin- venuto a Ruta dallTng. C. Bozano, quelli che ebbi in dono dal comandante D. Lasagna, il quale li raccolse a Donetta presso TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 41 Torriglia nel calcare eocenico. Essi presentano fronde più an- guste, più numerose e fra loro più prossime. 3. Chondrites aequalis, Brongniart. Fucoides aequalis , Brongniart, Obscrv. sur Ics Fucoides, etc. Mém. de la Société d’Hist. nat., I, p. 310, tav. XIX, fig. 29. Paris, 1823. Chondrides aequalis , v. Fischer Ooster, Die foss. Fucoiden der Schive izer-A Ipen , p. 44, tav. Vili, fig. 2. Beni, 1858. Chondrides aequalis , Squinabol, Fucoidi ed Flmint. Boll, della Soc. geol. ital., voi. VI, p. 9, tav. XIV, fig. 10-11, ta- vola XV, fig. 1. Boma, 1887. - Contrib. alla flora foss. dei terr. terz. della Liguria, I, p. 13, tav. A, fig. 2. Genova, 1891. Ne raccolsi alcuni esemplari imperfetti nei calcari marnosi del così detto Giardino Inglese, poco lungi dalla sommità del- l’Antola. Altri mal conservati, ma corrispondenti alla figura di questa specie data da Squinabol (Tav. A, fig. 2), provengono dagli argilloscisti del Monte Lavagnola e furono rinvenuti dal comandante Lasagna. 4. Chondrites affinis, v. Sternberg sp. Sphoerococcites affinis, v. Sternberg, Flora d. Vorwelt, ta- vola VII, fig. 1. 1820. Fucoides furcatus, Brongniart, Histoire dcsvéqet. foss., tav. Ili, fig. 2, tav. V, fig. 1. 1828. Chondrites affinis, v. Fischer Ooster, Die fossilen Fucoiden der Sclmeizer-Alpen, p. 53, tav. XI, fig. 1. Bern, 1858. Chondrides affinis, Squinabol, Contrib. alla fora foss. dei terr. terz. della Liguria, I, p. 14, tav. A, fig. 1. Genova, 1891. Provengono dal territorio di Torriglia parecchi esemplari di varie dimensioni e in diversi gradi di sviluppo, fra i quali non ve ne ha alcuno propriamente completo. Essi però presentano i caratteri più spiccati della specie, che consistono nella pinna- tura del ramo principale e nella dicotomia dei secondari, i quali sono leggermente flessuosi ed hanno l’apice smussato. Meritano di essere specialmente menzionati i cespiti ricchi di fronde, raccolti dal comandante Lasagna presso Torriglia ai Poggi. Un frammento di individuo giovane a fronda sottilissima 42 A. ISSEL proviene dal punto detto « Il Negrin » e mi fu recato dallo stesso raccoglitore. Tracce nettamente impresse della medesima specie (associate a quelle del C. intricatus ) trovansi secondo il dott. Bozano sul M. Prelà; e in alcune di esse, scomparso il re- siduo vegetale carbonioso, rimane un’impronta singolarmente profonda, che accenna a fronde crasse di circa 1 mi 11. di spes- sezza. Altre si mostrano invece rugginose probabilmente per ef- fetto di pseudomorfosi. Io stesso ebbi a raccogliere anni sono questa fucoide presso la galleria di Butfalora, lungo la via di Piacenza, in un punto nel quale il calcare marnoso eocenico, ora nascosto dagli edi- fìzi e dalle colture, appariva allo scoperto. Attribuisco dubitativamente ad una varietà della stessa spe- cie una impronta proveniente dal Monte Prelà che comprende solo parte di un cespite, cioè una fronda assai sottile e retti- linea lunga circa due centimetri che si suddivide alla sua estre- mità in un ciuffo di 10 ramuscoli quali rettilinei, quali fles- suosi, quasi tutti terminati in punta, ramuscoli disposti come le foglie della palma dattilifera rispetto al fusto. L’impronta di cui si tratta ricorda anche pel portamento e le dimensioni il Cliondrites inclinatus , v. Sternberg sp., figurato dallo Squinabol (sotto il nome di Cliondridcs inclinatus) nella tav. A, fig. 3, della memoria citata ( Contribuz . della Flora foss. dei terr. terz. della Liguria , I), senonchè questo Chon- drites presenta un certo numero di ramuscoli alterni ai due lati del ramo principale e non divergenti in ciuffo daH’estremità di esso. 5. Chondrites reflexus? Squinabol. (Fig. 8). Qhondrides reflexus Squinabol, Contrib. alla flora foss. dei terr. terz. della Liguria, I, p. 15, Tav. D, fig. 7. Genova, 1891. Fra le fucoidi rinvenute dal Comandante Lasagna presso Torriglia, sono comprese parecchie impronte di fronde foggiate a pastorale, che ricordano il C. reflexus, al quale Squinabol attribuisce i caratteri seguenti: « Fronde plana, 5-6 millim. lata, ramis alternis, elegantis- sime flexuosis, in apice acuminatis, 6-7 cent, longis ». TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 43 Dal tipo che proviene da Taggia, regione Perrione, ed è conservato nella raccolta del R. Liceo Colombo in Genova, i miei esemplari differiscono per la maggior larghezza delle fronde, Fig. 8. Chondrites reflexus? dei pressi di Torriglia, ridotta di circa per l’uncino loro terminale più stretto, foggiato in guisa che con la sua estremità viene spesso a contatto con la porzione rettilinea della fronda. Tali differenze mi avrebbero indotto a riferirli ad altra specie, se non avessi osservato nel calcescisto della cava di via Venezia, in Genova, impronte quali conformi al primo, quali ai secondi (fig. 9), per modo da stabilire una transizione gra- duata fra le due forme (*). Le impronte del Torrigliese ap- pariscono come striscie oscure, quasi nere, lucenti, date da un intonaco carbonioso tanto sottile, che basta (') Le impronte, poco spiccate, si osservano alla superficie natural- mente scoperta di uno strato verticale di calcescisto, in una sporgenza Fig. 9. Chondrites reflexus di Ge- nova in grand, nat. 44 A. ISSEL lina lieve raschiatura ad eliminarlo. La roccia è uno scisto ar- gilloso-arenaceo, bruno scuro, con molta mica bianca e un po’ di quarzo, scisto facilmente divisibile in falde sottili, friabile, il quale emette odore terroso alitandovi sopra, e fa poca efferve- scenza cogli acidi. Dubitavo che questa roccia fosse cretacea, ma la presenza del C. reflexus (?) m’induce a riferirla invece alla serie eocenica. 6. Saportia striata, Squinabol. Zonarides striatus, Squinabol, Fucoidi ed Elmint. della Li- quria. Boll, della Soc. geol. itali, voi. YI, p. 12, tav. XYI, fig. 4. Roma, 1888. Saportia striata , Squinabol, Contri!), alla flora foss. dei terr. terz. della Liguria , I, p. 20, tav. D, fig. 8, tav. E. Genova, 1891. Fra i numerosi avanzi vegetali raccolti dal dott. Bozano sul Monte Moro, avanzi che si sottraggono per la maggior parte ad ogni determinazione, è compreso un corpo arcuato a sezione irregolarmente ellittica, di grossezza decrescente fra una estre- mità e l’altra, corpo che riproduce i principali caratteri di un ramo di fronda della Saportia striata e principalmente i due ordini di strie e di solchi osservati sul modello che ha servito ad istituire la specie. 7. Munsteria' annulata, Schaphautl. Milnsteria annulata , Schaphautl, Geogn. Untersuch., ta- vola Vili, fig. 9, 1858 — v. Fischer Ooster, Die foss. Fucoiden der Schweizer-Alpen , p. 37, tav. VII, fig. 3, 4, tav. XII, fig. 8. Bern, 1858. Milnsteria Lsseli, Squinabol, Fucoidi ed Elmint. Boll, della Soc. geol. ital., voi. YI, p. 12, 13, tav. XVII, fig. 4, 5. Roma, 1888. Milnsteria annidata, Squinabol, Contri!), alla flora foss. dei terr. ters. della Liguria , I, p. 17, tav. A, fig. 5. Ge- nova, 1891. rocciosa che si trova presso il fondo della trincea principale della cava a destra, in alto, per chi proceda da mare a monte. Nella stessa cava, a breve distanza dalle ultime case di via Venezia, a sinistra del sentiero possono vedersi solchi di Helminthoida lalnjrinthica ben conservati. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 45 Un esemplare caratteristico e ben conservato di questa specie è compreso fra le fucoidi raccolte dal dott. Bozano lungo la sa- lita dell’Antola, non lungi dalla vetta. Dal canto mio, rinvenni la stessa specie lungo la riva sinistra del Brevenna a poco più di un chilometro dalla sua confluenza colla Scrivia. Nella col- lezione del Museo geologico di Genova se ne conserva un esem- plare raccolto presso Aggio in vai di Bisagno (dal marchese Rovereto) che può dirsi il più perfetto e completo di quelli tro- vati in Liguria. Esso presenta 15 o 16 espansioni fogliari ir- radianti da un centro, le une semplici, le altre apparentemente divise in due (forse l’aspetto di dicotomia è dato da sovrappo- sizione di due foglie). Notevole la differenza che si verifica nella larghezza delle foglie alcune delle quali misurano 5 mill. ed altre solamente 1, 2 o 3; la lunghezza loro massima, suppo- nendole rettilinee, raggiunge mill. 38. Ciascuna di esse si mostra terminata all’estremità libera da un contorno troncato-arroton- dato. Gli anelli, sufficientemente distinti, sono segnati da suture quali rette, quali arcuate, assai prossime fra loro, cioè alla di- stanza di uno a quattro mill. Il punto centrale del cespite corri- sponde ad una piccola sporgenza, a guisa di bottone, la quale in uno dei miei esemplari manca ed è sostituita da una piccola cavità. In un esemplare del M. Antola, che presenta alcune fronde assai sviluppate in uno stato di conservazione migliore del con- sueto, queste raggiungono la lunghezza di 40 a 50 mill. e sono più larghe all’estremità (5 mill.) che alla base (4 mill.). Si vede chiaramente in esso inserirsi tre foglioline ad un margine della foglia principale ed un’altra al margine opposto. Era un anello e l’altro si osserva un rilievo di larghezza variabile (tra V3 di mill. e un mill.), il quale, trattandosi di un’impronta, corrispon- deva nel fresco ad una depressione. 8. MiiNSTERIA sp. Attribuisco a questo genere modelli esterni che consistono in corpi cilindracei o conico-cilindracei, spesso schiacciati, cioè ridotti a sezione ellittica e leggermente flessuosi. Le dimensioni loro accennano a specie diverse e sono 25 millimetri di lunghezza per le più voluminose, 6 mill. per le 46 A. ISSEL minori. I più grandi corrispondono quasi perfettamente ai ca- ratteri assegnati da v. Fischer Ooster alla sua Milnsteria dila- tata ( Die fossilen Fucoiden, ecc., p. 39, tav. II. Bern, 1858). Uno degli esemplari raccolti dal dott. Bozano misura 10 cm. di lunghezza, con diametro compreso fra 13 e 6 mill. per effetto di irregolarità dovute in gran parte a schiacciamento non uni- forme. Proviene, insieme a molti altri, dal Monte Moro. Helminthoida. Ovunque si trovano fucoidi propriamente dette, nel Genove- sato, non mancano Uelmintlwida , che, contro il parere espresso da parecchi autori e specialmente da Squinabol (1), io persisto nel ritenere avanzi di vegetali e non impronte fisiche o fisio- logiche. La mia persuasione è fondata precipuamente sui se- guenti fatti: 1. ° Si trovarono parecchie volte Helmin- thoida i cui meandri so- no accompagnati da una zona carboniosa, dovuta, io, credo, al disfacimen- to della materia orga- nica (probabilmente mu- cillagginosa o almeno poco consistente) conte- nuta nell’alga. 2. ° Ho veduto in uno stesso esemplare un’ansa di Helmintlioi- da rappresentata da un solco, vale a dire un’irn- (') Squinabol S., Sulla vera natura della Helminthoida. Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali, serie II, voi. IV, fase. I. Padova, 1899. Capeder G., Impronte organiche fossili. Boll, della Soc. geol. ital., volume XXIV, p. 169. Roma, 1905. Capeder ottenne impronte simili a quelle di Helminthoida a mean- dri irregolari, facendo strisciare sulla melma molle il Gordius acquaticus. Fig. 10. Helminthoida stipata n. sp. di Genova, impronta e modello ridotti a circa — della grand, nat. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 47 pronta, in continuazione con un’altra ansa rappresentata invece da un cordoncino in rilievo, vale a dire da un modello. Ciò in un esemplare della Madonna del Monte (Genova) raccolto da Rovereto (fig. 10). 3. ° Ho osservato impronte di Helminthoida tanto sulla su- perficie superiore quanto sulla inferiore di uno stesso straterello o meglio di una stessa falda di calcare marnoso. 4. ° Come Mayer-Eymar ebbe ad osservare, si trovano im- pronte di Chondrites intricatus aderenti a solchi di Helmin- thoida, e questa associazione si spiega facilmente col supposto che si tratti di simbiosi tra due vegetali. L’incertezza che regna intorno alla vera natura delle Hel- minthoida rende poco sicura le specie di questo genere pro- poste dagli autori, e non è da escludersi il dubbio che se molte consistono propriamente, come io credo, in impronte d’alghe, altre sieno, come vogliono Squinabol e Capeder, tracce lasciate da animali striscianti sul fondo marino. Ecco intanto quali sono le specie o forme osservate nel territorio di cui mi occupo in queste pagine: 9. Helminthoida labyrinthica, Heer. Helminthoida labyrinthica , Heer, Urwelt der Schiveiz, tav. X, fig. 12; - Squinabol, Fucoidi ed Helmmt., Boll, della Soc. geol. ital.,vol. VI, p. 557, tav. XVIII, fig. 1-3. Roma, 1887. - Sacco F., Note di Paleoicnologia ital., p. 31. Milano, 1888. Questa specie, tanto comune a Genova e nei suoi dintorni, come pure in molti punti delle Riviere di Levante e di Ponente e delle Alpi Liguri, per tacere di altre provincie italiane e del- l’estero, è rappresentata nel Museo di Geologia in Genova da istruttivi esemplari della stessa città, di San Lorenzo di Por- tofino, del Monte Saccarello, del Monte Bastia, dei Piani di Creto, della valle Brevenna, dei pressi di Torriglia. Il dott. Bo- zano la raccolse sotto il passo di Pentema. 10. Helminthoida crassa, Schaphaiitl. Helminthoida crassa , Schaphaiitl, Geogn. Untersuchungen der sudbayer Alpengeb., tav. IX, fig. 11 (fide Sacco). - Squina- 48 A. ISSEL boi, Fucoicli ed Helmint. Boll, della Soc. geol. ita!., voi. VI, p. 556, tavola XVIII, fig. 8-11, tav. XIX, fig. 1-3. Questa specie, meno diffusa della precedente, si trova a Ge- nova (principalmente alla Madonna del Monte), a S. Desiderio di Portofino, sul Brevenna presso le case Belloli, ai Piani di Creto, a Torriglia presso la proprietà Martignone, sul Monte Saccarello ('). Gli esemplari figurati dal prof. Sacco nelle sue Note di Pa- ìeoicnologia italiana , ai n.' 5 e 18, tav. II, differiscono assai dal tipo della specie, perciocché i solchi vi appariscono più lontani e meno regolari. Il fossile descritto e figurato da Vinassa de Regny fra quelli da lui rinvenuti nel Montenegro (s) sotto il nome di H. crassa sembra derivato da un organismo notevolmente diverso dalla specie ligure per la larghezza e la irregolarità delle anse, non- ché per la spessezza dei funicoli. 11. Helminthoida irregularis, Squinabol. Helminthoida irregularis , Squinabol, Fucoidi ed Helmint. Boll, della Soc. geol. ita!., voi. VI, p. 558, tav. XVIII, fig. 4-9- Sacco F., Note di Paleoicnologia ital., p. 32. Milano, 1888. Non dubito della legittimità di questa specie, segnalata a Genova, al Monte Bastia e. al Monte Creto dal prof. Squinabol, ritrovata poi da me nella valle Brevenna presso le case Belloli. 12. Helminthoida stipata, n. sp. (fig. 10). L’esemplare tipico di questa specie proveniente dalla Ma- , donna del Monte, piccola altura che sorge nelFinterno della città di Genova, sulla sinistra del Bisagno, consiste in una la- stra di calcare marnoso tenero, fissurato e scabro, sulla quale appariscono ben nettamente due anse arcuate di un ampio solco (>) Da questa località proviene l'esemplare notevolissimo per la zona carboniosa che accompagna i solchi meandriformi, esemplare raccolto dal Sig. G. Dellepiane e figurato da me nel libro Liguria Geologica e Preistorica, tav. XVIII. Negli esemplari di Torriglia recatimi dal co- | mandante Lasagna i solchi sono nerastri per lieve deposito carbonioso. I (?) Fossili e impronte del Montenegro. Boll, della Soc. geol. ital., voi. XVIII, fase. 2. Roma, 1S04. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 49 yermiculare, anse assai stipate, e si vede oscuramente parte di una terza ansa. Una delle anse più distinte è occupata da un modello di natura analoga a quella della roccia sul quale ri- posa ; questo, che sembra modello esterno, si distacca facilmente. La larghezza del solco è di 8 a 9 mill. e non varia sen- sibilmente fra una estremità e l’altra di esso; la sua profon- dità è di circa 1 mill. e quindi è doppia di tal misura la spessezza del modello ove è integro. La corda dell’arco formato dall’ansa maggiore è di 6 cm. 72. I due rami di ciascun’ansa sono separati da un rilievo di 3 a 4 mill. di larghezza, ed è alquanto maggiore e di larghezza non costante quello che in- tercede fra due anse vicine. Appartengono forse alla medesima specie due rilievi arcuati, contigui che sporgono da una lastra di arenaria calcareo-scistosa, eocenica, rinvenuta dal dott. Bozano al Monte Scietto. Detti ri- lievi potrebbero rappresentare il modello di due rami di una medesima ansa. Non conosco alcuna forma di Helmintlioida cui possa rife- rirsi il fossile della Madonna del Monte (prescindendo da quello del Monte Scietto assai mal conservato); ma è certamente assai affine alFAT. Tommasii e all’JT. carbonifera, entrambe prove- nienti dal terreno carbonifero dell’alto Inearojo nel Friuli, ed entrambe figurate e descritte dal Sacco ( Note di Paleoicnologia ital., p. 27 e 28, tav. Il, fig. 6 e 13). L’una e l’altra presentano anse meno strette e meno regolari ; e sembra che i funicoli da cui ebbero origine le impronte loro sieno stati più spessi. Impronte fisiologiche? Altri fossili che si raccolsero nel nostro territorio si riferi- scono a forme la cui interpretazione è assai controversa, forme che spesso sembrano affini ad Helmintlioida e in altri casi so- migliano piuttosto ad orme, a serie d’uova di molluschi, a fec- cie di pesci, d’anellidi o d’altri animali acquatici, ecc. Gli esem- plari di cui dispongo non mi consentono di discutere a fondo le ipotesi disparatissime emesse dagli autori in ordine a cia- scuna. Dirò solo come, per le loro condizioni di giacitura, per la mutabilità degli aspetti e per la circostanza che alcuni di 4 50 A. ISSEL essi ricettano fosfato di calcio in buon dato, sono inclinato a ritenerli in gran parte coproliti; perciò mi accingo a descriverli succintamente sotto la ru- brica di impronte fisiolo- giche, seguita da un punto interrogativo. Sia per la condizione dei miei esemplari, sia per la povertà dei documenti che si possiedono intorno a siffatti fossili, mi sembra prematuro distinguerli con denominazioni specifiche e reputo sufficiente all’uopo una designazione gene- rica. Fig. il. Gyrolite s dell’ Acquabuona ; dimensioni a) GyR0LITES (') (Fig. ridotte. e Attribuisco a questo genere grossi funicoli cilindroidi, fog- giati a spira piana, irregolare, più o meno aperta, costituita di due o tre giri e terminata da un tratto lievememente arcuato, come pure altri corpi cilindroidi, un poco schiacciati piegati irrego- larmente ad S. Questi cor- pi sporgenti da lastre di roccia colle quali sono com- penetrati, sembrano mo- delli imperfetti, e in certi tratti, forse perchè risultò incompleta la sostituzione della materia minerale alla (’) Saporta (de), Les organismes problématiques des aneiennes mers. Paris, 1884 — Fuchs T., Uber einige von der Osterreisch. Tiefsee-Exped. S. M. Schiffes « Vola » etc. Wien, 1894. Fig. 12. Gyrólites dell’Acquabuona; dimensioni ridotte. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 51 organica, si continuano a guisa di impronta, vale a dire a mo’ di solco più o meno profondo. La superficie loro è scabra e ine- guale, ma non solcata nè striata. Non mi dissimulo l’analogia di tali fossili con alcune grosse specie di Helminthoida. I Gyrolites dei dintorni di Torriglia furono tutti rinvenuti all’Àcquabuona, in un calcare marnoso, dal dott. Bozano. Cylindrites (Q. Si tratta di corpi cilindroidi, rettilinei od un po’ arcuati, affetti da rigonfiamenti irregolari ed affastellati senza ordine in direzioni diverse. Talvolta sono accompagnati da promi- nenze pustolose cbe destano l’idea di particelle staccate dagli stessi Cylindrites. Ne possiedo di parecchie provenienze e spe- cialmente dal Monte Moro ove si osservano sopra un calcare scistoso eocenico. Rispetto alla natura di questi fossili problematici, ricorderò che rilievi analoghi furono conseguiti da Capeder, facendo stri- sciare il Gordius acquatico sopra sedimenti molli. 6) Beloraphe (2) (Fig. 13). Questo genere, istituito da Fuchs, risulta da un funicolo af- fetto da sinuosità assai ri- sentita e grossezza crescente da una estremità all’altra; ma credo che questa parvenza con- segua da un cordone origina- riamente avvolto a spirale in guisa di cavaturacciolo, e poi schiacciato. Nei miei esem- plari che si osservano sopra una lastra di calcare cristal- lino, siliceo e ferruginoso del- l’ Acquabuona, raccolta dal (’) Fuchs T., TJber einige von der Osterreich. Tiefsee-Fxped. S. M. Scliiffes «Fola» etc. Wien, 1894. (2) Fuchs T , Studivi iiber Fucoiden und Hieroglyphen, p. 27, ta- vola IV, fig. 4. Wien, 1895. Fig. 13. Beloraphe dell’Aequabuona ; di- mensioni ridotte. 52 A. ISSEL dott. Bozano, i funicoli sporgono dalla superficie rocciosa a guisa di cordoni schiacciati lunghi da 5 a 6 cent, (senza computare la sinuosità) e larghi da 2 a 5 mill. Tali funicoli sono lisci e pre- sentano 5 o 6 meandri che corrispondono probabilmente ad al- trettanti giri di spira. Dalla circostanza che alcuni di essi sono ' arcuati (indipendentemente dai meandri) si può inferire che ebbero origine da corpi organici pieghevoli. Secondo Capeder Q), il Dorylaimus stagnalis dà origine, procedendo sopra un fondo molle, ad impronte simili a Beloraplie. c ) Hercoraphe (2). Quelli provenienti dal territorio di Torriglia, che io raccolsi in un’arenaria calcareo-scistosa presso Porto, sono rilievi ret- tilinei o lievemente arcuati, lunghi, sottili, lisci, conici o ci- lindroidi, i quali, essendo uniti per la base in numero di tre o quattro, simulano controimpronte di orme tridattili e tetra- dattili. Impronte fisiche. Quelle che ebbi occasione di osservare nei dintorni di Tor- riglia si distinguono: l.° in rilievi o cavità che attribuisco al- l’azione di gocce d’acqua o di spruzzi, complessivamente TJdoliti; 2.° in rughe od ondulazioni prodotte da lieve moto ondoso o da oscillazioni delle acque nel salire e nel discendere lungo le spiagge dolcemente inclinate ( rides de ruisséllemmt, traces de clapotements), in complesso Talassoliti; 3.° in figure geometriche più o meno imperfette, dovute essenzialmente a contrazione per disseccamento di rocce molli, Leptoliti ; 4.° in figure arborescenti dovute alle disposizioni assunte per etfetto della adesione di li- quidi vischiosi tra falde scistose o strati disgiunti di certe masse rocciose, Figure di viscosità. (') Capeder G., Contribuzione alla conoscenza della origine di alcuni rilievi, ecc. Boll, della Soc. geol. ital., voi. XXIV, tav. VII, fig. 9. Roma, 1905. (2) Fuchs T., Studien uber Fucoiden und Hieroghyphen, tav. V. Wien, 1895. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 53 a ) Udolite (Fig. 14). Un esempio istruttivo di tali impronte fìsiche è dato da un esemplare che raccolsi sopra arenaria micacea e a grana assai fina lungo la salita che conduce a Porto, sulla riva sinistra della Trebbiola. È costituita da molti rilievi (sono circa 80) ellittici, Fig. 14. Udolite delle vicinanze di Porto ; dimensioni ridotte. tutti allungati nello stesso senso, un po’ più alti da una parte che dall’altra e terminati in punta alle due estremità o ad una sola. Alcuni sono in parte sovrapposti; altri di maggior lun- ghezza, risultano dalla fusione incompleta di due o tre rilievi elementari. I rilievi misurano da 3 a 11 mill. di lunghezza e coprono una zona un po’ sporgente e convessa lunga 103 mill. e larga da 30 a 35. Si tratta, io credo, di una controimpronta, e ricorda certi Paleodyction meno simmetrici e regolari degli altri. Io vedo in essa un argomento a favore della ipotesi recentemente sostenuta dal prof. Capeder in ordine alla origine di questi problematici fossili (’). Mentre nel caso dei Paleodyction le gocce d’acqua, cadute sopra un sedimento molle sarebbero state presso a poco di egual volume ed equidistanti (2), nella mia controimpronta avrebbero avuto dimensioni diverse e in alcuni punti si sarebbero sovrapposte. C1) Con ciò non intendo asserire che sia risoluto il problema rela- tivo alla formazione dei Paleodyction , in ispecie delle forme più regolari. (2) Capeder G., Sulla natura delle problematiche impronte dì Paleody- ction. Boll, della Soc. geol. ital., voi. XXIII. Roma, 1905. 54 A. ISSEL L ' Eoclathrus fenestratus, descritto da Squinabol ( Contribu- zioni alla Flora foss., ecc., I, tav. D, fig\ 2), come alga appar- tenente all’ordine delle Dictioteae, è, a parer mio, una udolite formata da gocce d’acqua o da chicchi di grandine che per- cuotevano obliquamente con violenza un deposito melmoso molle. b ) Talassolite. Un altro esemplare della roccia dei pressi di Porto che presenta la controimpronta teste descritta (da me rinvenuto nella stessa località) presenta sopra una superficie pianeggiante una serie di piccole rughe leggermente ondulate, prodotte indubbiamente da lievi oscillazioni di acque appena mosse sopra un fondo molle. Queste rughe sono coperte qua e là di piccoli rilievi circolari di 1 a 2 mm. di diametro, rilievi irregolari, disuguali, non equidistanti, che sembrano dovuti a goccioline d’acqua cadute o proiettate sopra melma umida. Perciò si osserva nello stesso campione una udolite sovrapposta ad una talassolite. Delle Lcptoliti rinvenute nei dintorni di Torriglia mi occupai già per incidenza nei paragrafi relativi alla formazione eocenica, alla pag. 23. c ) Figure di viscosità (fig. 15). Sotto questo nome, non senza qualche incertezza, panni poter designare una serie di impronte più o meno chiaramente visibili sopra una lastra di arenaria scistosa, a grana finissima, distaccata per opera del dott. Bozano, da uno strato della formazione eoce- nica superiore al Monte Moro, presso Torriglia. Alla superficie superiore della lastra, che è irregolarmente poliedrica e misura m. 0,38 di lunghezza e 0,24 di larghezza massima, si osservano tanti lievissimi rilievi flessuosi, presso a poco paralleli fra loro, disuguali, generalmente digradanti in larghezza da una estremità all’altra, rilievi ai due lati dei quali si inseriscono appendici irregolari, simili ad impronte di foglie, quali opposte, quali alterne, assai numerose, e prossime. Queste appendici sono sessili, allargate alla parte media, d’ordinario terminate in punta, ma talvolta invece troncate, sempre più o meno arcuate colla convessità diretta verso l’estremità più larga TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 55 dei rilievi. Bene spesso le appendici fogliari di un lato di un cespite finiscono a contatto del lato opposto del cespite contiguo, e in tal caso sembrano inserirsi per una estremità sopra un ramo, per l’altra sul ramo contiguo. Fig. 15. Figure di viscosità impresse sopra una lastra di arenaria scistosa del M. Moro; in grand, nat. I rilievi e le appendici loro si distinguono generalmente per tinta bigia traente al bruno, e in qualche punto si fanno un po’ rugginosi, mentre gli spazi interposti appariscono di colore più chiaro. In alcune parti della lastra, pel maggiore sviluppo acquistato dalle propaggini appendieulari, si saldano e si con- 56 A. ISSEL fondono fra loro non solo quelle di due rami contigui, ma ancora le più prossime di uno stesso ramo, laonde gli intervalli si ridu- cono a macchie di forma irregolare e si va perdendo l’aspetto di impronta vegetale così caratteristico della figura. Aggiungerò che le impressioni, nettamente spiccate in alcuni tratti della lastra, sono in altri più o meno obliterate, sia nel rilievo, sia nel colore, per modo che appena si scorgono sotto opportune incidenze di luce od anche vengono a mancare. Queste figure sono dovute, a quanto credo, prima di tutto a che, in virtù di un fenomeno fisico, di cui non è ancora ben noto il meccanismo, fenomeno subordinato alla coesione e alla adesione, una certa quantità di melma semiliquida, interposta fra due falde scistose divise da sottile interstizio, si distribuì, pel fatto del distacco e deH’allontanamento delle due falde (provocati da cause accidentali), in arborescenze e lembi spiccati alla superficie della roccia (Q. Avvenne subordinatamente, se mal non m’appongo, che gli elementi ferruginosi della melma compenetrassero lo scisto are- naceo sottoposto producendo macchie rubiginose e che gli agenti esterni, e in ispecie le acque di dilavamento, esercitassero azione chimica e meccanica sul deposito di melma già concreto e modi- ficassero le forme e specialmente il rilievo delle arborescenze. Fossili delle antiche frane. Le piante di cui si trovano gli avanzi fra i detriti dì frana, nei pressi di Torriglia, come già notava il prof. Agostino Chiap- pori, il quale fu tra i primi a fissare su di esse la sua atten- zione (2), sono in gran parte abeti (Abies pedinata), faggi ( Fagus selvatica) e noccioli ( Conjlas avellana)-, in minori proporzioni furono segnalati tassi, quercie, frassini, castagni é crateghi. (*) (*) Si veda in proposito la mia memoria: lmpressions radiculaires et figures de viscosité ayant l’apparence de fossiles. Bulletin de la Soeiété Belge de Géologie, de Paléontologie ed d’Hydrologie, tome III. Bruxelles, 1890. (2) Chiappoli A,, Delia vegetazione attuale e pleistocenica a Torriglia. Genova, 1875. TORRIGLIA E IL SUO TERRITORIO 57 Tali avanzi consistono principalmente in frammenti di fusti e rami, i quali sono ordinariamente anneriti e induriti dal tempo, per modo da somigliare a certe ligniti quaternarie. I tronchi d’abete misurano talvolta fin 80 o 90 centimetri di diametro e, per la loro compattezza, sono suscettibili di essere adoperati ad uso di legno da lavoro per fabbricarne mobili, ma più spesso servono di combustibile. Certi frammenti, che furono esposti lungamente all’azione dell’ acqua e dell’aria, divennero tanto molli da spappolarsi fra le dita; altri sono ridotti ad un tubo tenero e fragile, costituito dall’astuccio midollare, impregnato di materie minerali. Oltre ai fusti ed ai rami già ricordati, si rinvennero foglie e frutti di nocciolo. Negli scavi praticati allo scopo di estrarre argilla in ser- vizio della fornace di laterizi si raccolsero anche (dal dott. Bo- zano) cilindretti semplici o diramati, costituiti di limonite im- pura, i quali sono indubbiamente residui di frustoli o ramuscoli di piante imperfettamente conservati per pseudomorfosi. E qui noterò, fra parentesi, come i fossili convertiti in limonite per pseudomorfosi sono frequenti nei depositi più o meno antichi della Liguria, non esclusi i pliocenici, e si trovano invece ra- ramente nei quaternari, forse perchè in questi mancò il tempo necessario allo svolgersi dei fenomeni necessari per la sostitu- zione della limonite alla materia organica. Altri cilindretti e piccole amigdale di forma irregolare, rin- venuti dallo stesso raccoglitore presentano colore azzurro cupo, con struttura terrosa, e si riferiscono, come risulta da opportuni saggi, alla specie vivianite (fosfato di ferro idrato), non segna- lata ancora in questa provincia. Essi ripetono indubbiamente l’origine loro dalla pseudomorfosi di frustoli e ramuscoli, senza che sia possibile specificare a quali specie di piante appartengono. Nelle medesime condizioni di ubicazione, il sig. Bozano rin- venne un piccolo nodulo ellissoidale di marna cinerea, tenera ed omogenea, rivestito di un intonaco bruno, granulare, pesante, di limonite impura. E presumibile che si tratti anche in questo caso di pseudomorfosi, avvenuta però a spese di un frutto. CONCLUSIONE. Per riassumere le cose esposte in questa memoria, dirò che i monti di Torciglia risultano in generale di scisti ed argille verosimilmente cenomaniani, coperti da potenti stratificazioni di calcari e scisti riferibili al piano liguriano dell’eoceue superiore, con facies di Flysch, stratificazioni che accludono localmente lenti di pietre verdi. Le due formazioni presentano pieghe general- mente stipate e mozzate con capricciose contorsioni. Notevoli nel cretaceo noduli a Pulìenia ed avanzi di fanerogame arboree ; nell’eocene fucoidi e fossili problematici, forse coproliti, come pure impronte fisiche pertinenti a parecchi gruppi, in ispecie udoliti, talassoliti e figure di viscosità. Alle falde dei monti si trovano ingenti cumuli detritici, for- mati da frane quaternarie contenenti tronchi d’albero, principal- mente di conifere, fossili; in uno di questi sono da notarsi frustoli vegetali convertiti per pseudomorfosi in vivianite. Man- cano tracce di antichi ghiacciai ; ma le condizioni climatolo- giche del passato, ben diverse dalle odierne, ebbero gran parte nel predisporre gli scoscendimenti e nel determinare l’erosione che impartirono al paese la sua fisionomia caratteristica. Esso subì in tempi recenti mutamenti assai profondi nella configu- razione verticale; ne risultò, fra le altre conseguenze, che il Lac- cetto, già capo del Bisagno, divenne tributario del Laccio, e quindi della Scrivia. La denudazione, assai attiva nel gruppo dell’Antola dal pliocene in poi, continua anche attualmente con molta energia. Mi sia concesso, in ultimo, di esprimere la mia gratitudine ai signori comandante D. Lasagna, dottor Giacomo Bozano e dottor Umberto Gagliardo pei materiali di studio che piacque loro offrire alle mie indagini. [ms. pres. 18 luglio 1905 - ult. bozze 2 aprile 1906]. DUE POZZI ARTESIANI DI LODI Comunicazioni di G. Toldo. Ai piedi del cosidetto Castdìo di Lodi, vennero perforati in questi ultimi anni, per cura del Municipio, due pozzi artesiani. La loro quota altimetrica è di circa ottanta metri, la loro mutua distanza di circa un centinaio di metri, e la qualità del- l’acqua die forniscono è più che soddisfacente, com’ebbe a di- mostrare anche il Dottor G. Cornalba ( Contributo allo studio delle acque potabili della città di Lodi. — Annuario della Soc. chimica di Milano, voi. XI, fase. III). Il pozzo situato a nord del Castello fu perforato nel 1896 su progetto del compianto ing1. Vanuzzi. Raggiunse l’acqua a 115 metri e fu spinto sino a 150. — Esso ha una portata di litri uno per m." e fu destinato ad alimentare le fontanelle pubbliche. Il pozzo situato a sud del Castello fu invece perforato dall’ 8 agosto 1904 al 7 gennaio 1905 su progetto dell’attuale ing. Son- cini. Raggiunse l’acqua a m. 122,50 e fu spinto sino a 126,50. — Esso ha una portata di litri sei per m.", e dopo la ultima- zione del serbatoio che ha per base una delle vecchie torri del Castello, l’acqua ne sarà concessa anche ai privati. Come osservò il Dottor Cornalba (n. c.) e come ho potuto rilevare direttamente dai campioni di roccie, cortesemente pro- curatimi dall’ ing. Soncini, entrambi i pozzi attraversano terreni esclusivamente alluvionali. Predominano in entrambi la sabbia e l’argilla; anzi per molto tempo dopo la perforazione si ebbe lo sgradito fenomeno della sabbia saliente. L’analisi chimica mostra in tali roccie una notevole scarsità del carbonato di calcio come nei pozzi artesiani di Milano. 60 G. TOLDO Però a differenza dei pozzi di Milano si osserva in quelli di Lodi un lieve aumento dell’argilla rispetto alla sabbia. Ma sotto tal punto di vista il pozzo perforato nel 1896 assomiglia più a quelli di Milano che non al pozzo perforato nel 1904-1905; e così, quantunque i due pozzi siano poco distanti fra loro nou si verifica nei terreni da essi attraversati alcuna continuità stra- tigrafica: e per conseguenza la costituzione delle alluvioni a lenti di estensione variabilissima si riafferma nel modo più indiscutibile. La serie dei terreni attraversati dal pozzo più recente è la seguente : Dalla superfìcie a m. 4 sabbia; da 4 a 9 sabbia e ciottoli; da 9 a 23 anzitutto ghiaia con poca sabbia, indi ciottoli pre- valentemente silicei, poi ghiaia minutissima e finalmente sabbia micacea; da 23 a 30 sabbia grossa micacea con sassolini; da 30 a 54 sabbia poco micacea; da 54 a 57 sabbia con grossi ciottoli; da 57 a 60 argilla plastica con sabbia; da 60 a 60,50 sabbia leggermente acquifera; da 60,50 a 78 argilla plastica; da 78 a 78,50 sabbia e minuta ghiaia con acqua buona ma scarsa; da 78,50 a 97, alternate fra loro, argilla plastica e sabbia in- cludente duri nuclei argillosi; da 97 a 101 argilla mista a sabbia; da 101 a 102 sabbia mista a ciottoli e con acqua pure buona ma scarsissima; da 102 a 104 sabbia con sassolini; da 104 a 114 argilla compatta; dall4all8 lignite con argilla torbosa; da 118 a 122 lignite compatta; da 122 a 122,50 sabbia e ghiaia con acqua abbondante; indi argilla. [ms. pres. il 19 gennaio 1906 - ult.. bozze 4 aprile 1906]. IL MIOCENE DI BERANE NEL SANGIACATO DI NOYIBAZAR Nota del dott. Alessandro Martelli Per l’interesse sempre crescente che la geologia della peni- sola balcanica va suscitando fra i cultori della nostra disciplina, ritengo non del tutto inutile render nota l’esistenza di terreni miocenici-lignitiferi attraversati dal Lini a Berane, nella parte occidentale del Sangiacato di Novibazar, là dove fino ad oggi si riteneva che si estendessero uniformi le più antiche forma- zioni conosciute nelle regioni finitime del Montenegro, della Bosnia e dell’Alta Albania. Ebbi luogo di far tale constatazione in una lunga escur- sione da Andrijevica oltre i confini orientali del Montenegro, e se il diffidente Caimacan di Berane, affidandomi ad una sorve- glianza rigorosa, non mi avesse impedito di visitare i dintorni di questa piccola cittadina della vecchia Serbia oppressa dalla secolare e retriva dominazione turca, forse qualche ulteriore rag- guaglio geologico e paleontologico avrebbe potuto illustrare meglio questa mia breve comunicazione sul Miocene di Be- rane. In un capitolo del recente lavoro del barone Nopcsa (’) sulla geologia dell’Albania settentrionale, vengono enumerate le co- noscenze geologiche attuali sui terreni del Sangiacato di Novi- bazar, trattati in modo particolare dal Gotz (2) per i dintorni (*) (*) Baron Nopcsa Fr., Zur Geologie von Norddlbanien. Jahrb. der k. k. geolog. Reichsanstalt, Bd. 55, Heft 1. Wien, 1905. (2) Gòtz W., JV oviba zar -Amsel felci und Sor Dagli. Allgemeiue Zei- tung, Miinchen, 1893. 62 A. MARTELLI di Novibazar, e incidentalmente dal Boué ('), Viquesnel (2), Bittner (3) e Oestreich ('*). La carta che il dott. Nopesa compila sul Montenegro, Sangiacato di Novibazar e Albania settentrio- nale, per quanto riguarda le due prime regioni non fatte dal predetto autore oggetto di studio e di investigazioni speciali, non segue sempre i dati geologici in precedenza pubblicati da altri. E così mentre modifica la Carte ge'ologique Internationale de V Europe (feuille 32 I) V) la quale, attenendosi precipuamente alle indicazioni del Boué, segna inesattamente tutto il bacino del Lini da Berane e Bijelopolje a Plevlje come costituito per intero da terreni cretacei a diretto contatto con formazioni tria- siche e paleozoiche lungo il confine col Montenegro orientale, la carta delNopcsa arricchita pure dai dati della carta dello Cvijic (5), estende la zona triasica e paleozoica del Montenegro, includendovi gran parte del Sangiacato, in modo che Berane apparisce com- presa in una omogenea zona triasica. Certo è che nessuno ha mai fatto menzione precisa dei din- torni di Berane poiché molto vaghe sono le notizie che a tal proposito si hanno, come sulla presenza di antiche alluvioni terrazzate che il Lini mostra del resto non solo nella parte set- tentrionale del Sangiacato ma anche lungo il suo corso supe- riore in territorio montenegrino, e sulla natura calcarea delle formazioni incise dal fiume presso Berane, da taluni ritenute cretacee e da altri triasiche. Fra Plevlje e Nefatura al confine col Montenegro, vennero citati gabbri e arenarie grigie e rossastre; e presso Glibacko- polje e Berkovic scisti diasprini, ftanitici e marne grigie. Simile (’) Boué A., La Turquie d’ Europe. Paris, 1840. — Der olbanesische Drin und die Geologie Albaniens, Sitzungsb. der k. Akad. der Wissensch., Voi. 49. Wien, 1864. (2) Viquesnel A., Journal d’un voyage dans la Turquie, Mém. de la Soc. géol. de France, 1842-1844. (3) Bittner A., Einsendungen aus devi sudostlichen Bosnien und dem Gebiete von Novibazar, Verhandl. der k. k. geol. R.-A. N.° 17. Wien, 1890. C) Oestreich K., Vorldufige Mitteilungen uber eine zweite Reise in der europàischen Turlcei, Mitteil. der geog. Gesellsch. Wien, 1900. (5) Cvijic J., Geologiche Karte von Makedonien und Altserbien. Belgrad, 1903. IL MIOCENE DI BERANE 63 complesso che venne da pochi e molti anni addietro ritenuto cretaceo ed ora dai più triasico e paleozoico, si ritrova pure, con altre roccie scistose, nei dintorni di Berane, dove, alla base della citata formazione lignitifera, costituisce prevalentemente i terreni dell’ampio bacino inciso dal Lim nel suo corso medio e e delimitato ad occidente dai monti triasici di confine fra il Montenegro orientale e il Sangiacato. La formazione miocenica-lignitifera da me osservata non è un rinvenimento nuovo per la regione del Sangiacato di Novi- bazar, poiché il Bittner ricorda che Plevlje, a mezzo grado a nord-nord-ovest di Berane verso il confine con la Bosnia, giace in una conca di calcare marnoso con intercalazione di banchi di lignite e che simili formazioni si conoscono pure nel Bije- lobrdo in Bosnia a SE di Visegrad. In condizioni poco diverse di giacitura trovasi Berane, poi- ché la formazione miocenica, messa allo scoperto dal Lim, si ri- presenta sulle colline a nord-nord-ovest e a oriente della città con una inclinazione 15°-25° verso il mezzo del bacino accen- nando ad una disposizione sinclinale. Particolarmente assai evidente è la formazione miocenica sulle collinette a nord-est di Berane, sulle quali sono sparsi piccoli fortilizi, giacché nel letto del Lim non è molto profonda l’incisione operata nella serie marnosa che si alterna con i ban- chi di lignite. La lignite di Berane messa allo scoperto nella parte meno superficiale della serie di strati marnosi, è in banchi che arri- vano alla potenza circa di 70 centimetri; è picea, compatta, a frattura quasi concoide. Mal si potrebbe giudicare della potenza del giacimento senza opportuni sondaggi, poiché le incisioni a differenti livelli sono tutt’altro che frequenti in questa formazione che è però in superficie assai più estesa di quanto l’alluvione del Lim non consenta a tutta prima di giudicare. Il calcare è alquanto marnoso, leggermente giallo-roseo per gli ossidi di ferro che l’inquinano e s’intercala spesso con marne sottilmente scistose ; presenta traccie di Potamogeton sp., di re- sidui carboniosi e frammenti di conchiglie. Nella sua parte più alta e in particolare al di sopra dei banchi di lignite, abbonda di piccoli e numerosissimi individui di Pisidium sp. Tali nume- 64 A. MARTELLI rosi e piccoli bivalvi non trovan riscontro in nessun’altra forma conosciuta, e rimangono caratterizzati da una conchiglia sub- trigona, depressa, da un ambone poco prominente, opistogiro, e da una superficie rilevata con strie concentriche sempre net- tamente spiccate. Prevalgono, nel calcare marnoso predetto, gli individui che arrivano appena a 2 inni, di diametro massimo, ma non mancano nemmeno di quelli con un’altezza di mm. 3 e larghezza di mm. 4. Se sul posto non avessi dovuto appagarmi di una rapida os- servazione e se avessi potuto compiere qualche ricerca fra i calcari marnosi che si sovrappongono ai banchi di lignite e che appaiono assai sviluppati lungo la via per i fortilizi sopra al paese, ritengo che qualche documento paleontologico di mag- giore importanza dei semplici Pisidium non sarebbe stato dif- ficile trovare per stabilire con esattezza l’età di questa forma- zione. Malgrado talune non trascurabili analogie, non si può disconoscere che i terreni lignitiferi di Berane rimangono ben distinti da quelli neogenici meno antichi già noti a Ipek e nel- l’antico Sangiacato di Berat fra Durazzo e Tyrane. Giacché una determinazione esatta dell’orizzonte geologico non si potrebbe per ora tentare, dovremmo appagarci di aver riconosciuto l’età miocenica della formazione calcareo-marnosa lignitifera di Berane, la quale, ripeto, è analoga a quella di Plevlje nei cui terreni Bittner constatò non solo resti di spe- cie di Pisidium ma anche di Planorbi, Unionidi e forse anche di Congerie; ma se i confronti e i rapporti con altre forma- zioni della parte nord-orientale del bacino mediterraneo pos- sona, per quanto influenzati da criteri soggettivi, avere un va- lore, non esito ad affermare che la formazione miocenica di Berane occupa nella serie geologica della penisola balcanica la posizione medesima che occupano i bacini lignitiferi marnosi a Congeriae ed a molluschi d’acqua dolce, non rari nell’ Erzego- vina, in Bosnia e più a settentrione ancora, i quali bacini appartengono secondo i più degli autori al Miocene medio e in parte al Miocene inferiore. [ms. pres. il 24 nov. 1905 - ult. bozze 10 aprile 1906]. LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO Nota del Prof. Federico Sacco Nella costituzione geologica dell’ Appennino italiano prende parte importantissima una formazione straordinariamente estesa e potente, rappresentata da arenarie, marne e calcari, in zone ora distinte e spesso succedentisi, ora alternate, ora variamente intrecciate. Questa complessa formazione, in parte confusa anticamente col Cretaceo, ne venne poscia poco a poco separata verso la metà del secolo scorso e quindi generalmente ritenuta eocenica da Di Collegno (1), Pilla (2, 3), Murchison (4), Savi e Meneghini (5), Pareto (6, 7, 8), De Mortillet (11), Capellini (12, 16, 18, 25), Doderlein (13, 14, 15), ed in generale da quanti si occuparono allora della geologia appenninica. Ma una quarantina d’anni fa il Bianconi, in seguito all’e- same dei fossili racchiusi nel Macigno della Porretta, cominciò a pensare che si trattasse non già di Eocene ma di Miocene (9, 10, 19); questa interpretazione, rimasta per circa un quin- dicennio allo stato, direi, latente, venne poi abbracciata, am- pliata a terreni affini o vicini, e svolta da Manzoni (30, 37), che pur pochi mesi prima (29) riteneva ancora eocenico il Macigno, e da De Stefani (21, 27, 35, 36), De Bosniaski (26), Capellini (32, 33, 34), Bombicci (38), Nelli (133), ecc. Inoltre questa interpretazione, direi, miocenica si andò esten- dendo anche a potenti ed estesissime formazioni marnoso-are- nacee dell’Appennino tosco-romagnolo, umbro, ecc., per opera di De Stefani (21, 27, 28, 35, 36, 36 bis, 49, 56, 102), Verri (22, 24, 79, 137), De Bosniaski (26), Scarabelli (31), Manzoni (37), Ristori (48, 52), Gridi (50), Ugolini (97, 135), Trabucco (70, 83, 112, 113), Morena (92), Silvestri (95, 110, 111, 113, 134 bis, 66 F. SACCO 150, 151), Verri e De Angelis (98, 114, 124), Di Stefano (132), Airaghi (139), Depéret et Romana (147 bis), ece., e quindi veniva ampiamente estesa la zona miocenica entroappenninica nella carta geologica ufficiale d’Italia (54). Però il Taramelli (41), mentre dubitava che il Macigno della Porretta, che egli attribuiva al Lignriano , fosse inferiore alla zona colle Serpentine, credeva che le formazioni marnoso-arenacee del- l’alta Val Tiberina e dell’Appennino umbro fossero dell’Oligocene, interpretazione seguita per qualche tempo dal Verri (44), quando egli collocava le formazioni ofitifere nel Miocene, ed abbracciata poi dal Bonarelli che anzi ebbe ad ampliarla recentemente (55, 86, 117, 126). Frattanto la sovraccennata interpretazione miocenica veniva pure estesa, da poco più di un ventennio, ad una vasta ed im- portantissima formazione marnoso-calcarea ( Scìilier secondo al- cuni, Genga, Gengone, Schreja, ecc. in dialetto locale) delle Marche e dell’ Umbria, per gli studi di Canavari (39, 47, 62), De Loriol (40), Capellini (58), Tedeschi (68), De Angelis e Luzi (78, 89), Vinassa (84, 116), Bonarelli (87), Cassetti (88, 147), Morena (92), M. Mariani (105, 128), ecc., anche in questo caso riescendone ampiamente influenzata, nell’estensione del Miocene entroappenninico, la carta geologica ufìficialedelRegnod’Italia(54). Infine in quest’ultimo decennio anche estese e potenti forma- zioni marnose e calcaree dell’Appennino centrale, specialmente dell’Aquilano, delle Valli dell’Aniene, del Sacco, del Diri, ecc., nonché di varie ed estese regioni dell’ Italia meridionale, prima credute eoceniche, vennero poi interpretate come mioceniche in in seguito alle ricerche ed agli studi specialmente di De An- gelis (71, 76, 77, 114),. Chetassi (75, 131, 142), De Stefani e Nelli (90), Ugolini (96), Nelli (107, 121), De Stefani (127), Cas- setti (140, 141, 148), Lupi (143) e Silvestri (152). E’ bensì vero che contro queste interpretazioni mioceniche di così vaste, potenti e complesse formazioni appenniniche scrissero più volte alcuni ingegneri rilevatori del R. Ufficio geologico ita- taliano, specialmente Lotti (43, 63, 64, 65, 72, 82, 91, 103, 104, 119), e per l’Italia centrale in questi ultimi anni special- mente Viola (73, 74, 85, 99, 115, 125, 138) e Cassetti (80, 130), nonché a suo tempo il Ponzi (15 bis) e recentemente il Meli LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 67 (143 bis); inoltre circa il Macigno della Porretta scrisse assai chiaro lo Stiir (53) paragonandolo a formazioni eoceniche. Per mio conto, con le mie poche forze di geologo e di paleontologo sempre cercai di dimostrare l’eocenicità delle for- mazione in questione sin da quando iniziai, più di ventanni fa, studi geologici nelle Alpi Marittime (46), e sempre in seguito in varii lavori successivi sull’Appennino settentrionale (57, 59, 67, 93, 94, 122), riassumendo poi ultimamente le varie e complesse osservazioni nel volume e nella carta geologica deH’Appennino pubblicate nel 1904 (145). Ma in questo ultimo decennio la falange dei Miocenisti, se mi è così permesso di appellarli per brevità,, è diventata così numerosa, compatta, estesa e potente che ormai la partita par- rebbe perduta per gli Eocenisti, anche ufficialmente, poiché re- centemente negli Atti Ufficiali del R. Comitato geologico italiano (. B . C. G. I.i XXXV, 1904) noi troviamo a pag. 20 e seguente che la Commissione speciale, stabilita dal R. Comitato geologico e costituita dall’ Ingegnere Capo dei rilevamenti (Ing. Cav. L. Bal- dacci) e dal Paleontologo del Comitato, oltre che dall’ Ing. B. Lotti e dal Col. A. Verri, per lo studio della questione sulla crono- logia degli strati marnoso-arenacei dell’Umbria contenenti faune di tipo miocenico apparentemente frammiste ad altre di tipo eoce- nico, « ha presentato la sua Relazione dalla quale risulta con » sufficiente copia di osservazioni e di argomenti che la zona di » cui trattasi si compone veramente di due piani distinti i quali, » benché di facies non molto dissimile, debbono indubbiamente » riferirsi, in base al complesso dei loro caratteri stratigrafici e » paleontologici, il superiore al Miocene e l’inferiore all’ Eocene ». Rimasto così ormai quasi solo eocenista, prima di dichiararmi vinto, volli dedicare una parte delle escursioni geologiche della estate di quest’anno (1905) a rivedere alcune delle principali re- gioni controverse, percorrendo a zig-zag l’Appennino dalle Alpi Marittime ai dintorni di Roma, utilizzando i rilievi geologici det- tagliati da me eseguiti in questo ultimo ventennio, nonché te- nendo conto delle ricerche e degli studi fatti da altri nelle varie regioni appenniniche. E siccome il risultato fu ancora di ricon- fermarmi nell’opinione dell’eocenità delle formazioni in questione, così sembrommi opportuno di presentare in riassunto i dati geo- 68 F. SACCO logici e paleontologici della questione controversa, parendomi essa di importanza grandissima non solo dal lato geologico, per la potenza e lo sviluppo enorme che detta formazione presenta nell’Appennino italiano, ma anche dal Iato paleontologico gene- rale, poiché col legasi con varii problemi di Paleontologia pura e stratigrafica, fra cui quello della ricorrenza e sviluppo delle forme attraverso diversi periodi geologici. Esaminiamo dapprima la questione dal punto di vista geo- logico. Cominciamo perciò a dare uno sguardo alla formazione are- . nacca o marnóso-arenacea , due tipi litologici che passano insen- sibilmente l’uno all’altro nè si possono in realtà delimitare, costituendo nel complesso una vera unità geo-litologica che non sembra per ora conveniente suddividere e rappresentando essi nell’assieme il deposito di un mare generalmente poco profondo, passante anzi talora a zona littoranea. Nella regione alpina la formazione arenacea, più o meno collegata col cosidetto Flysch, è spesso sviluppatissima ed assai potente; in generale essa fu riferita all’Eocene, solo da qualcuno, per esempio da L. Bertrand nei suoi Ét. géoì. Nord Alpes Marti., 1896, all’Oligocene. Fin da quando la studiai per la prima volta (46), osservandone lo stretto nesso colle soggiacenti zone uummulitifere, l’elevazione notevolissima (a quasi 3000 m.), il nesso tettonico coi corrugamenti orogenici che chiusero l’epoca eocenica, ecc., non dubitai di riferirla all’Eocene. Procedendo verso Est vediamo che nell’Appennino ligure orientale, come in quello pavese-emiliano, detta formazione are- nacea è sempre collegata coi terreni eocenici o cretacei, distinta affatto per natura e posizione da quelli oligocenici (confrontisi per esempio il lembo oligocenico di Portofino colle formazioni arenacee, tipico Macigno , del vicino gruppo del M. Ramaceto), prendendo parte a tutti i fenomeni geotettonici per cui in gran eocenico; quindi la sua età eocenica non sembra discutibile, come anche riconobbe recentemente il Rovereto (134). LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 69 Ma giungendo nell’Appennino romagnolo e toscano, dove la formazione in esame prende, anche volgarmente, il nome di Ma- cigno ( Etrurio del Pilla), ecco che si incominciano a segnalare, presso Barigazzo, Lucine ed altre Bivalvi a tipo miocenico secondo il Lotti, Pettini a facies miocenica nel gruppo del Libro Aperto, presso Bocca Cometa, nel gruppo di Corno delle Scale, ecc., finché si giunge ai dintorni dei Bagni della Porretta dove una intiera fauna di tipo miocenico venne da un quarantennio raccolta, studiata, descritta ed illustrata da vari autori, come Bianconi, Manzoni, Capellini, De Stefani ed infine Nelli (vedi citazioni so- pra), riferendola tutti al Miocene medio. Conseguentemente questo Macigno della Porretta e le formazioni vicine, arenacee e cal- caree, di Monte Cavallo, Stagno, Casola, ecc., specialmente stu- diate dal Capellini (34, ecc.), vennero attribuite al Miocene. Ora è a notarsi che dette zone arenacee e calcaree dei din- torni della Porretta, malgrado l’avviso di alcuni autori, sembrano assolutamente collegabili colla grande formazione arenacea e cal- carea della prossima massa appenninica, non solo per identicità litologica ma per continuità materiale, come può osservarsi per esempio in Val Dardagna, al Granagliene, presso Stagno, presso Bagno, ecc. La relativa ricchezza paleontologica del Porretano, rispetto alla povertà degli stessi terreni nelle altre regioni appen- niniche del Macigno, dipende dall’attività delle cave dei Bagni della Porretta e di altre vicine utilizzate a vario scopo, dalla como- dità delle ricerche per essere la regione attraversata da una arteria stradale e ferroviaria di primo ordine connessa a due attivi centri di studi geopaleontologici quali sono Bologna e Firenze, nonché dall’abilità e dalla pazienza del dott. Lorenzini e di altri; giacché qui, nel Porretano, per l’Eocene ed il Cre- taceo, come spesso altrove e nei più diversi terreni, si verifica in generale che divengono famose regioni fossilifere quelle dove vive o fa speciali ricerche qualche amatore di fossili. È infine importante osservare che le formazioni del Macigno , ed annesse, del Porretano, non solo sono diverse litologicamente e tettonicamente da quelle delle vicine zone, realmente mioce- niche, di Montese, M. Yigese, Grizzana, Loiano, ecc., ma che in alcuni punti, come per esempio al M. Belvedere ed a Sud di Loiano, le zone del Macigno sottostanno in modo evidente 70 F. SACCO a quelle tipicamente mioceniche, di guisa che la loro relativa antichità vi appare materialmente e chiaramente provata. Continuando verso Est si vede la formazione in esame, da essenzialmente arenacea ( Macigno str. s.), come era prima, diven- tare gradatamente più marnosa o meglio marnoso-arenacea; quindi i fossili vi si incontrano più frequentemente, per lo più nelle zone o lenti un po’ calcaree, e sono anche spesso più facili a raccogliersi; perciò le regioni più comode e frequentate deH’Appennino tosco- romagnolo, del Bacino del Mugello, della Val di Pieve, dei dintorni di Dicomano, del gruppo del M. Falterona, dell’alta Val Tibe- rina, ecc., divennero classiche in vaili punti per i loro fossili (specialmente Bivalvi, come Lucine, Pettini, ecc.) che ai pa- leontologi risultarono di tipo miocenico. Però ebbi a notare che queste formazioni marnoso-arenacee a Pteropodi, Bivalvi, ecc., di tipo ritenuto miocenico, non sol- tanto sembrano talora collegarsi regolarmente coi terreni dello Eocene inferiore o del Cretaceo, come in alcuni punti dell’Ap- pennino, del Bacino del Mugello, (per esempio presso Rossoio, ecc.), di Val Casentino, ecc., (tanto che, per esempio, alcuni geologi credettero ad una mescolanza di zone a Lucine, ecc. e zone ad Inocerami (65)), ma in certe regioni, come per esempio tra il Simoncello di Carpegna e Beiforte all’Isauro, esse si mostrano discordantemente ricoperte da placche di arenarie calcaree ric- camente fossilifere del tipico Miocene, per cui anche in questo modo (come nell’Appenniuo Bolognese) la loro relativa antichità appare materialmente chiara ed evidente. A cominciare dall’alta Valle Tiberina e discendendo verso l’Appennino centrale si vede che la complessa formazione in esame è frequentemente fossilifera, e che, oltre alle solite forme di Lucine, Pettini, Briozoi, ecc., si incontrano pure sovente, nelle grandi zone marnose (depositi di mare un po’ profondo) della parte inferiore della serie, Bathysifoni, Lepjdocycline ed altri numerosi Foraminiferi, Pteropodi vari, ecc., sempre indicati come di tipo miocenico. La comodità di ricerche della regione perugina e le raccolte fattevi dapprima dal Bellucci, poi da molti altri, come Verri, Lotti, Bonarelli, ecc., resero famose, come riccamente fossilifere, varie località dei Colli attorno a Perugia. Le pazienti ricerche LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL' APPENNINO 71 e gli studi del Silvestri illustrarono le faune protistologicke dei Colli di Anghiari e di S. Sepolcro; le ricerche del Verri, del Lotti, del Bonarelli e di vari altri, resero note come fossilifere diverse regioni del Gubbiese, del Subasio, di Val Chiascio e dei monti compresi fra il Polignese e F Orvietano. Ma specialmente e giustamente famosa è la regione montuosa tra Città di Castello e Monte S. Maria Tiberina, giacché quivi in diversi orizzonti, sia marnosi sia arenaceo-calcarei, si incontra una ricchissima fauna di tipo miocenico che da oltre un tren- tennio va raccogliendosi e studiandosi per opera di vari studiosi; in questa classica regione mi recai quattro volte in diverse annate, sia per raccogliere fossili che inviai in studio a diversi specia- listi, sia per cercare di riuscire ad interpretare la zona fossili- fera come miocenica, senza però riuscirvi. Infatti non mi con- vinsero le ipotesi emesse al riguardo da alcuni autori, nè di salti, nè di rovesciamenti, nè di placche mioceniche posate sull’Eocene (come penserebbero Baldacci e di Stefano (119, 132), nè altre che cercai di escogitare io stesso, sia sul sito sia al tavolo, per poter ragionevolmente ammettere come miocenica la formazione in questione, mentre viceversa la facies ed i vari caratteri di tale terreno lasciaronmi sempre l’impressione di vera eocenicità. D’altronde della stessa idea era pure quell’acuto osservatore e sommo geologo che fu il Pilla, giacché egli nel suo lavoro (3) sul terreno Etrurio, corrispondente complessivamente alla for- mazione del Macigno 1. s., a pag. 37 e seguenti descrive, e nella tav. Ili figura in sezione, i Monti di S. Maria Tiberina, Trevine, Paterno e Monterchi, indicandoli appunto come costituiti di terreno etrurio, vi segnala nummuliti e paragona detti terreni con quelli nummulitici di Mosciano, Gassino, Canobbio, ecc. Anche l’esame della zona di Schifanoia, Casa Gastalda e Monti del Subasio, divenuta ora quasi classica in seguito al verdetto ufficiale del R. Comitato geologico italiano, come ho sopra riportato, non riuscì a convincermi della miocenità della formazione marnoso-arenacea in questione. Infatti mentre nei Monti subasi potei sempre osservare una gradualissima transi- zione fra le marne calcaree a Pteropodi, fossili di tipo miocenico, ed i Calcari rosati del Cretaceo superiore, nella tipica regione 72 F. SACCO di Schifanoia ebbi a constatare la seguente serie, d’alto in basso : (IV. — Potente serie marnoso-arenacea coi soliti fossili, cioè: Pteropodi, Bivalvi, Briozoi, eco., ritenuti miocenici (Colline di Pieve di Compresselo, Casa Gastalda, Frecco, ecc.). (III. - — Zonula di strati e banchi calcareo-marnosi, sca- gliosi, a Fucoidi (come sotto il Castello di Scliifanoia) e calcarei cristallini (come presso l’Osteria), ambidue di facies assolata- mente eocenica. (II. — Formazione marnoso-arenacea con bandii arenacei a Pettini, ecc., del solito tipo detto miocenico, il tutto spesso forte- mente sollevato ed un po’ disordinato (per i potenti movimenti orogenetici subiti) nonché anche ridotto in lembi come alla Cro- cetta del trivio stradale, sotto Colle Bugnole, ecc. (I. — Formazione argillosa, varicolore, con Calcari albe- resi e simili (Bassopiano attorno al Ponte del T. Basina). Orbene, comunque si voglia interpretare questa serie, sia nella zona I (per me eocenica inferiore o cretacea, secondo i fossili che vi si potranno raccogliere, per altri invece eocenica superiore), sia nella zona IV (per me dell’Eocene medio-supe- riore, per altri invece del Miocene), è certo a mio parere che la zona II con Pettini ed altri fossili di tipo detto miocenico soggiace alla zona III chiaramente eocenica. D’altronde se vi può essere qualche hyatus fra le zone I e II, invece la serie è completa ed ininterrotta dal II al IV inclusivo. In queste regioni verificasi quindi una serie ed una transizione molto ana- loghe a quelle sopracitate del Bacino di Mugello, ad esempio presso Bossoio, e che ripetonsi d’altronde in tanti punti della Toscana. Il fatto segnalato dal De Angelis (100, 101) di ciottoli nummulitici inglobati nella serie arenacea in discussione, fatto che parrebbe decisivo a favore dell’interpretazione miocenica della formazione stessa, perde gran parte del suo valore davanti al fatto scoperto dal Lotti (103) presso Marsciano, che cioè nelle Colline di Civitella dei Conti esistono arenarie e puddinghe a grossi elementi ciottolosi (uno dei quali è sicuramente e nettamente nummulitifero), fra i cui interstizi osservansi grosse Nummuliti (N. striata D’orb.) ed Orbitoidi ( 0 . papyracea, Boub.). D’ai- LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 73 tronde nello stesso lavoro (103) il Lotti ricorda che nelle are- narie inglobanti ciottoli di Calcare, Quarzite, Granito, Diorite, ecc., eguali a quelli del M. Deruta studiati dal De Angelis, si tro- vano presso Monterale abbondanti Nummuliti. Contuttociò, davanti alla miocenicità, da tutti constatata, della fauna sovraccennata, non sarei alieno dal riferire al Mio- cene od all’Oligocene la parte medio-superiore, specialmente are- nacea, della potentissima serie in questione, come per esempio apparirebbe accettabile nel gran sviluppo di banchi arenacei sovragiacenti alla zona marnosa tra Cantiano-Scheggia ed i Monti gubbiesi, nonché iu tante altre consimili regioni dell’Ap- pennino. Ma ciò che fa più stupire è il vedere che una ricca buina a Pteropodi, Aturie, Bivalvi, ecc., sempre di tipo mioce- nico, si incontra anche nella parte inferiore, essenzialmente mar- nosa, della serie marnoso-arenacea in questione, come per esempio presso Piobbico e S. Angelo in Vado (vedi 145, p. 84), tra le Colline di Prepo ed il M. Malbe, attorno all’allungato gruppo di M. Actìto-M. Tezio, alle falde orientali e settentrionali del M. Su- basio, sui fianchi orientali dei Monti Martani, nella conca allun- gata di Arezzo-Giuncano nello Spoletino, ecc. ecc., regioni tutte dove, in numerosi punti, che non è qui il caso di descrivere minutamente, si può osservare il graduale passaggio esistente fra i calcari rosati del Cretaceo superiore e dette marne calcaree a fossili di tipo miocenico ma a facies litologica affatto eo- cenica. Ricordo ad esempio di tale graduatissima transizione, quella già segnalata dal Lotti (91) e da me (145, p. 47) nella regione di M. Acuto, anche perchè facilmente visitabile da Umbertide. Passiamo ora all’esame della formazione marnoso- calcarea più o meno schistosa (da alcuni anche detta argillosa , ed erronea- mente appellata Schlier, volgarmente genga , gengone , screja, ecc.) che vediamo svilupparsi specialmente nella parte orientale dell’Ap- pennino settentrionale e poi penetrare ampiamente neH’Appennino centrale; formazione che per i suoi numerosi fossili di tipo mioce- nico viene pure attribuita al Miocene, mentre che pei- tutti i suoi vari caratteri, litologici, tettonici, ecc., la riferirei invece all’Eocene. 74 F. SACCO Quantunque detta formazione appaia già ben tipica ed estesa nell’Urbinate, segnalazioni dei suddetti fossili troviamo solo a cominciare dal Bacino di Pergola per opera del Canavari (47); poi nelle vicinanze di Cagli e Cautiano per le ricerche del Mo- rena (92); nei dintorni di Àrcevia per gli studi del Capellini (58), del Tedeschi (68) e del Vinassa (84, 116) ; presso S. Severino Marche secondo i lavori del De Angelis e del Luzi (78, 89); in vari punti del C-amerinese per opera del Canavari (39, 62), del De Loriol (40) e del M. Mariani (105, 128); ne troviamo fatto cenno ad Est di S. Genesio presso Sarnano secondo gli scritti del Moderni ; copiosi resti si raccolsero dal Mascarini, dal Mo- derni (106, 144), ecc. nei dintorni di Ascoli-piceno e di Acqua- santa, da vari autori nel gruppo del Gran Sasso d’Italia; poi di qui giù giù in cento punti dell’Aquilano, come accenneremo fra breve. Ma ciò che dobbiamo notare sin d’ora, prima di procedere oltre, è che tutti questi depositi marnoso- calcarei a fossili di tipo miocenico, non solo hanno una vera facies eocenica (scagliosità, fratturazioni, liscioni di scorrimento, arricciature, forti solleva- menti, vene spatiche dirette in ogni senso ed intersecantisi, natura calcarea ottima spesso per cemento, fueoidi e resti pa- leoicnologici di varia forma, ecc., ecc.), ma, mentre essi sono nettamente distinguibili dai sovrastanti depositi marnoso-are- nacei del Miopliocene (come nell’Urbinate, nel Pergolese, nel Camerinese, nel Piceno, nel Teramano, ecc.), invece nella loro parte inferiore passano gradualissimamente al Cretaceo superiore. Infatti detti terreni marnoso-calcarei mostrano col Calcare cre- taceo, in cento punti (come per esempio presso Cagli, Cantiano, Piobbico, Pergola, ArceviaQ), Sassoferrato, Fabriano, Camerino (2), S. Severino Marche, Acquasanta, ecc., ecc.) una tale colleganza (') Nella classica località di Acquabona constatai che le marne calcaree, ritenute mioceniche ( lanyhiane ), a Radiolari e Delfinoide, hanno tipo bisciaroide e passano gradualissimamente per alternanze marnose e calcaree, grigie e rosee, al Calcare rosato del Cretaceo su- periore. (2) Nel Bacino camerte in generale e specialmente presso Crispiero, Torre Bevagna, Morro, Fiastra, ecc., cioè presso il passaggio da dette marne al Calcare rosato del Cretaceo superiore. LA QUESTIONE EO-SIIOCENICA DELL’APPENNINO 75 per tettonica, anche talora disturbatissima e persino con rove- sciamento (ad esempio presso Cagli, Piobbico, eco.), nonché per ripetute alternanze marnose e calcaree, grigio-giallastre, o rosee o leggermente verdognole, che sembra affatto logico e naturale di dover riferire detti depositi all’Eocene, come già accennammo per formazioni analoghe ed analogamente disposte del Perugino, del Subasio, dei M. Martani, dello Spoletino meridionale, del Bacino di Terni, ecc. Se poi procediamo verso Sud neH’Appennino centrale vediamo che le marne calcaree a Pettini, Foladomie, Picnodonte, ecc. del Piceno diventano in generale sempre più calcaree, finché pas- sano talora, specialmente in basso, a veri Calcari nei quali pre- dominano essenzialmente i Pettini (donde il nome loro attribuito di Calcari a Pettini) giudicati di tipo miocenico. E special- mente con tale costituzione litologica che vediamo predominare e svilupparsi ampiamente il terreno in questione nell’Aquilano, come segnalarono specialmente le ricerche del Chelussi (75, 131) il quale, non solo attribuì questi Calcari a Pettini e le connesse marne calcaree (che appellò langhiane) al Miocene, secondo i risultati paleontologici degli studiosi a cui comunicò i fossili rin- venuti, ma confuse cronologicamente con detti terreni, che credo eocenici, i depositi arenacei del Miopliocene. Quanto a detti studi paleontologici ricordiamo specialmente quelli del Prever in Che- lussi (131), di De Stefani e Nelli (90), dell’Ugolini (96), del Nelli (107, 121), ecc., che tutti concordano nella miocenicità della fauna racchiusa nei terreni marnoso-calcarei in questione. Dall’Aquilano procedendo verso Sud giungiamo alle conche di Solmona e del Fucino dove le ricerche del Cassetti (140, 141), del Chelussi (142), ecc. segnalarono lo sviluppo delle solite marne calcaree e dei Calcari a Pettini ritenuti miocenici. Poscia dirigendoci ad Ovest attraverso le regioni, di consi- mile costituzione geologica, di Massa d’Albe-Tagliacozzo-Car- soli, ecc. si arriva al famoso bacino idrografico dell’Aniene che formò e forma centro di molti studi, a cominciare da quelli an- tichi del Murchison (4) a quelli recenti del De Angelis (71, 76, 77, 114), del Viola (73, 74, 85, 99, 115, 138), del De Stefani (127), del Cassetti (130), ecc. Dall’Aniene poi, con varie inter- ruzioni causate, sia da reali smembramenti dei terreni in que- 76 F. SACCO stione, sia dal mascheramento prodotto dai depositi più recenti (miopliocenici o quaternari fluviali o vulcanici), si può continuare a seguire le formazioni marnoso- calcaree in esame nelle Valli del Sacco, del Liri, ecc.; nello stesso modo verso Sud-Est si vede che dalla conca di Solmona consimili terreni sviluppansi in quelle grandiose di Campobasso, Benevento, ecc. , ed in parte estesissima della Basilicata. Orbene in tutte queste regioni a Sud del gruppo del Gran Sasso, specialmente nella Conca aquilana, largamente intesa, e nel Bacino dell’Aniene, potei sempre constatare che la forma- zione marnoso-calcarea, grigio-giallastra, fossilifera, colla solita facies eocenica (vene spatiche, contorsioni, frammentarietà, ecc.) e la formazione dei connessi Calcari a Pettini, passano gradual- mente al Cretaceo superiore, per modo che, malgrado i loro fossili di tipo miocenico, credo che siano entrambe riferibili all’Eocene. Viceversa le zone a banchi arenaceo-sabbiosi, con intercala- zioni marnose, che incontransi sovente presso dette formazioni marnoso-calcaree (colle quali furono in generale confuse crono- logicamente), sono, a mio parere, assai più giovani delle prime, sono cioè del Miocene superiore o del Miopliocene, come quelle analoghe del Piceno, del Teramano, ecc., dove esse assumono la potenza anche di oltre 1000 m., spingendosi persino, come per* esempio nel gruppo del Pizzo di Sevo, a quasi 2500 m. s. 1. m. Non è assolutamente il caso, in questo lavoro d’indole ge- nerale, di scendere (come feci in precedenti speciali lavori sull’Ap- pennino settentrionale) ad esami minuti della questione; mi limi- terò solo ad accennare ad alcuni pochi punti più interessanti. Nell’Aquilano possiamo osservare presso Marano, nelle splen- dide sezioni naturali fatte dall’Aterno, la gradualissima e rego- larissima transizione che vi si verifica tra la formazione mar- noso-calcarea grigia, schistoso-scagliosa, a vene spatiche, con Amussi, Ostrichette, ecc. del solito tipo ritenuto miocenico, ed i Calcari marnoso-schistosi, grigi e rossigni, dell’Eocene inferiore passante per litologia, colore, ecc. al Cretaceo superiore. Un altro punto assai istruttivo per la nostra questione trovasi nei dintorni della borgata Genzano (Sassa), resi famosi per le ricche raccolte di fossili fattevi dal Chelussi, dove si può seguire LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 77 passo passo, presso lo stradone per Lucoli, la seguente serie regola- rissima, ininterrotta, cogli strati inclinati di circa 20° verso N. 0. Eocene — c) Calcari marnosi o arenacei, grigio-giallastri, con Zoofici, Cilindriti ed una ricca fauna, ri- tenuta miocenica (Colle Roale-Colle Mirucci). » b) Calcari marnosi grigio- gialli, ben stratificati. » a) Calcari grigio-giallicci o rosei, straterellati, in- globanti qua e là nuclei selciosi ( Suessoniano ?) Cretaceo — Calcari grigiastri, talora cerei. Sopra tuttociò sviluppasi ampiamente, come da Sassa a Lu- coli, nella conca di Tornimparte, ecc. la solita formazione are- naceo-sabbiosa del Miopliocene. Del resto consimili passaggi tra il Cretaceo e la formazione calcarea in questione possiamo pure osservare presso Arischia, presso Preturo, al M. Luco ed in tantissimi altri punti del- l’ Aquilano. Ricordo un altro consimile esempio di passaggio eo-cretaceo nella tipica conca di Rocca di Mezzo, dove vediamo che la for- mazione in esame è rappresentata in massima parte da Calcari grigio-giallastri verso il basso e bianco-giallicci verso l’alto, en- trambi escavati qua e là in blocchi per costruzione od in qua- drucci per pavimentazione. Orbene questi Calcari, indicati giu- stamente come Calcari a Pettini , tanta è l’abbondanza di queste forme con specie ritenute mioceniche, veggonsi passare grada- tamente per estensioni grandissime (p. e. come località comoda ricordo la Regione Trio lungo lo stradone Ocre-Rocca) ai Calcari grigi del Cretaceo • superiore quivi potentissimo e, più in basso, spesso straordinariamente ricco in Nerinee, Camidi, ecc., come vedesi appunto salendo da Ocre alla Regione Trio. Anche in questo grande altipiano o conca di Rocca veggonsi qua e là lembi di arenarie mioplioceniehe poggianti sui terreni calcarei in esame, come per esempio nella Regione Renare presso Rovere, nel Bacino di Ovindoli, ecc. e poi sempre più estese e potenti più a Sud nei dintorni di Tagliacozzo-Carsoli, ecc. Infine sorvolando per brevità sull’ampia ed interessantissima regione dei Bacini di Solmona-Fucino, ecc. presento ancora un 78 F, SACCO esempio che osservai nella tanto studiata Valle dell’Aniene e pre- cisamente nella classica regione di Subiaco. Quivi, risalendo per circa un chilometro la pittoresca gola dell’Aniene sopra il Ponte Rapone, si può nettamente seguire, tanto più ora per gli scavi in corso ad uso di un canale d’acqua, la seguente serie regolare ed ininterrotta. Eocene — Strati marnoso-calcarei grigi, schistoso-scagliosi, con Zoofici, Cilindriti, ecc. in intercalazione o so- vrapposizione ai Calcari. (Strada di Subiaco presso il Ponte Rapone). » Calcari grigio-gialli o biancastri a Pettini ( Cal- care a Pettini) in grandi banchi (sotto S. Scola- stica-S. Benedetto). Cretaceo — Calcare biancastro con Rudiste, in strati più o meno potenti ( Pietra di Subiaco ) (sotto il Beato Lorenzo). Anche in questa regione, come pure estesamente in vaste plaghe dell’Appennino centrale, vediamo che sui Calcari a Pettini o sulle marne calcaree a Zoofici sviluppansi amplissimamente i soliti banchi arenacei del Miopliocene con lenticelle o frustoli di lignite e rari resti di Quercus, Salix , Pinus, Taxus , ecc.; questi banchi quindi, a mio parere, non sono affatto parallelizzabili al Macigno dell’Appennino, come credettero il Murchison (4) ed altri in seguito, nè sono perciò cronologicamente collegabili colle sottostanti formazioni marnoso-calcaree, come invece ora gene- ralmente si ritiene (73, 74, 76, 77, 130, 138, 142, ecc.). Riguardo alle suddette formazioni marnoso-argillose, più o meno calcaree, grigie, utilizzate qua e là per cemento, parago- nate da alcuni al Langidano ma che io ritengo eoceniche, è a ricordare come esse siano spesso assai ricche in fossili ritenuti di tipo miocenico (Pteropodi, Bivalvi, Foraminiferi, ecc.) come provarono le ricerche del De Angelis (76, 77). Anche i pochi campioni che vi raccolsi qua e là, come per esempio presso Subiaco, nei dintorni di Vicovaro, presso la stazione di Castel-Ma- dama, ecc. in punti dove vedevo abbondare le Lepidocicline, secondo gli studi del Prever (148 bis) e del Silvestri (152) mostra- LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 79 rono una microfauna assai ricca. Però forse non tutte le for- mazioni marnoso-argillose di queste regioni sono da attribuirsi all’Eocene, giacché possono esservene di quelle alternate o col- legate alle zone arenacee del Miopliocene, che è pure mariuo; potrebbe infatti verifìcarvisi il fatto che ebbi ad osservare chia- ramente e constatare sicuramente a Ponti presso Camerino, dove cioè sonvi marne argillose del Miocene superiore (con Pilliti, Foraminiferi, resti di Pesci, ecc.), che passano superiormente alle formazioni arenacee del Miopliocene, su cui sta Camerino, mentre esse non hanno nulla a che fare colle soggiacenti marne cal- caree eoceniche che sviluppansi poco lungi. Ricapitolando dunque, da questi brevi cenni riassunti in poche pagine, ma che derivano da 20 anni di rilevamenti geologici, risulterebbemi che i terreni in discussione, cioè tanto la forma- zione arenacea o marnoso-arenacea dell’Appennino settentrionale, quanto quella marnoso-calcarea o calcarea enormemente estesa nella parte orientale dell’Appennino settentrionale ed in quasi tutte le principali conche dell’Appennino centrale, ecc., per la loro posizione, per la loro facies e natura litologica, per la loro soggiacenza a depositi miocenici tipici, per il loro graduale pas- saggio al Cretaceo superiore, ecc. sarebbero riferibili dal Geologo senza dubbio all’Eocene, se non fosse dei loro fossili di tipo miocenico che indussero quindi la maggior parte degli studiosi a riferirle invece al Miocene. Esaminiamo ora brevemente la questione dal punto di vista paleontologico. Per fare un lavoro completo in proposito sarebbe stato necessario di rivedere tutto il materiale finora studiato e citato al riguardo; ma considerando: 1° che detto materiale è spesso in condizioni tali da non permettere uno studio perfetto; 2° che esso trovasi sparso in numerose collezioni pubbliche e pri- vate, da cui difficilmente si potrebbe avere in comunicazione; 3° che dei principali gruppi di fossili già si occuparono egregi specialisti, per cui ne sarebbe superflua ora una revisione, credetti 80 F. SACCO dovermi qui limitare a raccogliere ed ordinare le determinazioni finora pubblicate, senza neppur compiere, salvo in alcuni casi più necessari, quelle correzioni di collocazione generica, di sinonimia, ecc. che in fondo riuscivano talora quasi solo a far perdere il senso della determinazione originale citata. Per brevità e chiarezza di esposizione raggruppai in poche colonne le numerose citazioni di località, cioè distinguendo es- senzialmente i fossili: (I.) della zona arenacea tipica o Macigno della Porretta; (II.) della zona marnoso-arenacea dell’Àppennino tosco-ro- magnolo (gruppo del M. Falterona, Podere Casellino e Rieolli presso Dicomano, Filetta, Yicchio, ecc.), della Valle Tiberina (specialmente la famosa regione di Città di Castello-Monte S. Maria Tiberina, C. Dogana, Tocerano, ecc., i dintorni di An- gliiari e di S. Sepolcro) e numerosi punti di varie regioni del- l’Umbria, particolarmente dei dintorni di Perugia (M. Paciano, Prepo, Fosso Piazzo di Volpe, M. Moreino Vecchio, M. Bagnolo, Vallone deH’Acquacaduta, ecc.), di Casa Gastalda, di Valfab- brica, di Busche presso Gualdo Tadino, di Montanaldo, di De- ruta, di Ripe dell’Attone, ecc.; (III.) della zona marnoso-calcarea delle Marche, del Piceno e di piccola parte dell’Umbria; cioè Cagli, Contrada Farneta presso Acqualagna, Cantiano, Pergola, Acquabona presso Arce- via, Fabriano, S. Severino Marche (Ponte dei Canti e Sassuglio), Bacino Camelie (Caselle, Carischio, Crispiero, Torrone, Vignac- ela, Pieve Bovigliana, Colpolina, Pianello, Campobonomo, S. Da- rio, ecc.), Sarnano, Ascoli Piceno, Acquasanta, falde meridionali dei Monti Martani e del Subasio, Fosso di S. Caterina presso Cesi, ecc.; (IV.) della zona marnoso-calcarea dell’Aquilano 1. s. (Forca di Valle nel Gruppo del Gran Sasso, Arischia, Preturo, S. De- metrio, Poggio Picense, S. Giuliano, M. Luco, Lucoli e Fran- colisco, S. Panfilo d’Ocre, Collebrincioni, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, Ovindoli, Ofena, ecc. sino a Cuculio, ai dintorni di Tocco di Casalina, Magliano dei Marsi, Tufo presso Carsoli, ecc.); LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’ APPENNINO 81 (V.) dell’analoga zona marnoso-calcarea del Bacino del- l’ Amene e finitimi, come i dintorni di Subiaco, Affile, Taglia- cozzo, Sambuci, Vicovaro, Mandela, Castel Madama, ecc. ecc. Notisi però che tali distinzioni hanno solo un valore rela- tivo, giacche come le zone del Macigno si intrecciano con quelle marnoso-arenaeee, così queste passano gradualmente alle zone marnose e queste ultime alla loro volta a quelle marnoso- calcaree. Quindi pur esistendo in linea molto generale una specie di successione stratigrafico-litologica costituita, d’alto in basso, dal succedersi delle formazioni ora accennate, in realtà esse sovente si intrecciano, talora si alternano ed anche parzialmente si sostituiscono. Per semplificare si potrebbe naturalmente ridurre detti gruppi a tre, cioè arenaceo (I e II), marnoso (III) e cal- careo (IV e V). Le determinazioni paleontologiche citate nell’elenco seguente sono opera di parecchi autori e di diverse epoche di studio, quindi hanno un valore un po’ disuguale, anche in rapporto al diverso modo di conservazione dei fossili stessi; certamente ne- cessitano una seria revisione con miglior materiale, sia per cancellare specie che in realtà non esistono, sia per togliere denominazioni doppie usate per la stessa specie; ma per ora possiamo limitarci ad una specie di elenco provvisorio, quasi un primo inventario generale del materiale paleontologico in questione. Dette determinazioni sono in gran parte dovute : per la Flora al Nelli, pei Foraminiferi al Silvestri ed al Prever, pei Radiolari al Vinassa, per gli Echinidi al De Loriol ed all’Airaghi, pei Briozoi al Neviani, e per gli altri fossili a varii autori, special- mente De Angelis, De Stefani, Foresti, Mayer, M. Mariani, Nelli, Ugolini, ecc. 6 82 F. SACCO ELENCO PALEONTOLOGICO I. II. III. IV. V. Vegetali. Cinammomum polymorphum Heer .... Foraminiferi. BathysipJion taurinensis Sacc Haplophragmium globigeriniforine Park. Jon. Nubecularia lucifuga? Defr Spiroloculina planai ata Lk Biloculina depressa D'Orb -4- Cornuspira involvens Reuss — Lagena marginata Valk. e Boy -r- » laevis Montg « globosa Montg » distoma Park, e Jon ■H — » gracillima Segai Ellipsoidina ellipsoides Sego Ellipsoglandulina laevigata Silv Glandulina laevigata D’Orb -4- » aegualis Reuss - Nodosaria ambigua Neug » Geinitzi Reuss » subaequalis Costa » ovalis Scimi id — » Beitzi? Hantk » simplex Silv » solata Reuss » pyrula D’Orb » ovicula D’Orb » longiscata D'Orb » scliambergana Neug LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 83 Nodosaria farcimen Sold » communis D'Orb » JRoemeri Neug » mucronata Neug » badenensis D’Orb » subulata ? Neug » fiìiformis D’Orb » emaciata Reuss » pauperata D’Orb » perversa Neug » annidata Reuss » monilis Silv » hispida D’Orb. var. aspera Silv. » perversa Schw » scalaris Batsch Nodosaria raphanus L » obliqua L » obliquata Batsch >' pungens Reuss Ellipsonodosaria rotundata D’Orb. . . . Lingidina carinata D’Orb » impressa Terqu Cristellaria cassis Ficht. e Moli » rotulata Lk » cultrata Montf. '> gibba D’Orb » convergens Boro » latifrons Brad Bhabdogonium tricarinatum D’Orb. . . . Vaginulina badenensìs D’Orb. . . r. . » legumen L » budensis Hantk » recta Reuss » inversa Costa Marginulina glabra D’Orb » costata Batsch 84 F. SACCO ►! Vaginulinopsis silicata Costa Frondicularia inaequàlis Costa » longissima Silv • » ? biturgensis Silv Uvigerina pygmara D’Orli, e vai- Chi! ostom ella ovoidea Reuss Gaudryina pupoides D'Ori). . . . . . Bigenerina caprcolus? D'Orb Clavulina communis D'Ori), e var. . . . » parisiensis D’Orb » triguetra Reuss Vulvulina perniatala Baiseli Sigmoilina cf. celata Costa Textularia gibbosa D’Orb » cf. sagittula Defr Bulimina ovata D’Orb. e var » marginata D’Orb Virguliiia subsquamosa Egg Bolivina aenariensis Costa e var. . . . » robusta Brady Pleurostomella alternavi s Schw Ammulina grosserugosa Park, e Jon. . . » ammonoides Reuss Discolibina globularis D'Orb » turbo D’Orb » arcuata Reuss Truncatulina pygmaea Hantk » Wuellerstorfi Sclny » praecinctd Karr » ungeriana D’Orb. . . . . . » Haidmgeri D’Orb » Dutemplei D'Orb » Immilis Brady Botalia Soldanii D’Orb. e var » Beccarii L » broekhiana Karr r i LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO Botalia tuberculata Schub. . . . » cf. lithotamnica Uhi. . . Pulvinulina Brongniarti Brongn. . » Soldanii D’Orb. . . . » canariensis D’Orb. . . Globigéfina bulloides D’Orb. . . . » aequilateralis Brady . . » bilobata D'Orb. . . . » ir Roba Reuss » helicina D’Orb. . . . » conglobata Brady . . . » digitata Brady .... » gomitulus Segu. . . . Orbulina universa D’Orb. e var. » porosa Terqu Pullenia sphaeroides D’Orb. . . . Noniohina umbilicata Mont. e var. » depressili a Walk. e Jac. Polystomella macella Ficht. e Moli. Gypsina cf. vescicularis Park, e Jon » C art eri Silv Miogypsina complanata Schlb. . . » globulina Mickt. . . . » irregularis Micht. . . » burdigalensis Giimb. » conica Silv Lepidocyclina Canellei Lem. Douv. » Verbeeki Newt. Holl. » sumatrensis Brad. » subsumatrensis Prev . » Tournoueri Lem. Douv » Morgani Lem. Douv. » confusa Silv. . . . » Lottiì Silv » marginata Micht. » dilatata Micht. . . 86 F. SACCO ;r I. IL III. IV. V. Lepidocyclina Gumbeli Segu -A- , » Pantanellii Prev » elephantina Mun. Ch. . . . + » Schlunibergeri Lem. Douv. . » Lemoinei Prev -H -4- » Douvillei Prev -1- » angularis Newt. Holl. . . . H— » . Chelussii Prev » Paronae Prev » Mantelìii Mort » submantellii Prev » Panlini Lem. Douv. . . . Operculina complanata Defr. e var. . . . - -+- lleterostegina depressa D'Orb. e var. . . — » cycloclypeus Silv — f- Ampliistegina cf. Lessoniì D’Orb. e var . . — » rugosa D’Orb Radiolari. Cenospliaera varieporata Vin • -4- » porosissima Vin Etmosphaera rara Vin — Spliairopyle crassa Vin Dorysphaera Eherenbergi Vin. var. . . . Dorylonchidium hexactis Vin Xy pho spha era apenninica Vin Staurospliaera miocaenica Vin — h- Staurancistra elegans Vin. . . . . . ~+~ Hexacladus Pantanellii Vin — Acanthospliaera parvula Vin -- Haliomma magneporatum Vin Cenellipsis ovum Vin — H » parvipora Vin » raripora Vin » lens Vin -h- LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 87 I. II. III. IV. V. Cenellipsis scabra Vin Pipettella faìlax Vin + Druppula apenninica Vin HH Prunulum simplex Vin -4- Dorydruppa Simonellii Vin Doryprunum apenninicum Vin — Cannartus haekelìanus Vin -t- Porodiscus microporus Stòhr var » hirtus Vin 4- » uniserialis Vin -H- » discospira Vin Perichlamidium cf. radiatavi Vin Xyphodyctia uniserialis Vin Ampliibrachium robustum Vin Dictyospyris biporata Vin t, » uniporata Vin Botryocella apenninica Vin Bathropyramis apenninica Vin Carpocanistrum brevispina Vin -A- Cyrtocalpis iubulosa Vin -4- Acerocanium globosum Vin Sethocliytris serrata Vin Dictyocephalus hirtus Vin Bicolocapsa elongata Vin -4- » acuta Vin -+~ Theocyrtis hirta Vin H- Tlieocorys globosa Vin -4- Theocampe tubulosa Vin -4- » latipora Vin -4- » microstoma Vin -4- Theocapsa Cayeuxi Vin. ....... » elongata Vin — 1 — Tricolocapsa hexagonata Vin -4- » elliptica Vin -4- » parva Vin $ » paucipora Vin 88 F. SACCO Lithostrobus parvissimi Vin Dictyomitra Fucinii Vin » inexpleta Vin Stichocorys viultipora Vin . Artostrobus elongatus Vin Lithomitra embrionalis Vin Eucyrtidium globicephalum Vin » typus Vin Eusyringium haeclcelianum Vin » oligoporum Vin » Marianii Vin Lithocampe viultipora Vin » bi conic a Vin » globicepliala Vin » apenninica Vin. . . . . . » ovum Vin Cyrtocapsa Fotliplelzi Vin » brevicornis Vin. .... . » liirta Vin » macropora Vin » strangulata Vin '> bicornis Vin » longicornis Vin » miocenica Vin. e var Stichocapsa hexagona Vin » elongata Vin » laevigata Vin » macropora Vin » hirta Vin . . . » strangulata Vin » longicauda Vin Artocapsa Dunikowskyi Vin Spirocapsa Fusti Vin LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 89 I. IL III. IV. V. Spongiarii. Craticularia Manzonìi Malf Euplectella? JBianconii Nelli -t- Celenterati. Isis peloritana Segu Balanophyllia praeìonga Micht Stephanophyllia imperialis Micht -f- Héliastraea ellisianci Defr Cryptangia cf. parasita E. H. (au Woodi E. H.) Stylocoenia taurinensis Michn Trochocyathus undulatus Michl - » obesus Micht » crassus Micht. ..... » .bellingherianus Michl. . . » versicostatus Michl - Ceratotrochus multispinosus Micht. . . . Flabellum avicula Micht. (an inter medium). » extensum Michl » acutum E. H » Vaticani Ponzi h- - H- Crinoidei. Pentacrinus Gastaldii Micht Antedon rhodanicus Font Echinoidei. Cidaris avenionensis Desrn » cf. papillata Lesk » Peroni Cott. (Munsteri Sisind. auct.). » Canavarii De Lor - Arbacina tenera De Lor •H- 90 F. SACCO Echinocycnnus Studeri Sismd Chjpeaster crassicostatus A g » laganoides Ag Pliolampas Vasalli W righi » camerinensis De Lor » aremoricus Bar » Silvestrii Air Conolampas plagiosomus Ag Echinolampas angulalus Mér. e var. . . . » hemisphaericus Lk. e var. . » Contii De Lor » Mazzetta De Ang » depressiis' Ed. ed H. . . . Toxoputagus italicus Manz Hemiaster Canavarn De Lor Lintlda Capellina De Lor . Pericpsmus latus Herkl Maretta Sacci Air Spatangus Pareti Ag. (an cuni sp. sequ. confund.) Spatangus Manzonii Sioi. (an. S. austriacus Laube) Spatangus Canaparii De Lor Cleistecliinus Canavarii De Lor Vermi. Serpula Capellina Nelli Potamoceros polytremus Phil. var Serpula anfracta Rovi-, var Ditrupa cornea L Briozoi. Membranipora reticolimi L Onychocella angolosa Reuss LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 91 I. IL III. IV. V. Micropora Rossetti And » impressa Moli 1 Cribrilina radiata Moli -t- » figularis John H- Scrupocellaria elliptica Reuss Hippoporina areolata Reuss -+- Mélicerita fistulosa L -e- » Johnsoni Busk + Schizoporella linearis Hass H- » polyomma Reuss -4- Osihimosia coronopus S. W. ( Cellepora cf. globularis Manz.) Mucronella coccinea Ab. var » variolosa John » venusta Eichw Smittia cuculiata Bk -4— » excorata Reuss -4- Cellepora polytliele Reuss -f- Tubulipora fasciculata Segu -4- Lichenopora hispida Flem -4- » cf. formosa Reuss Heteropora stellulata Reuss » stipitata Reuss Crisia Hornesi Reuss Hornera striata M. Edw Idmonea disticha Goldf -H JEschara porosa M. Edw - Brachiopodi. Terebratula Costae Segu » (Lioihyrina) rovasendiana Segu. » » miocenica Micht. . -+- Terebratulina caputserpentis L 92 F. SACCO Pelecipodi. Gryphaea (Picnodonta) cochlear Poli ( Ostrea navicmaris Br.) Ostrea neglecta Miclit. (0. langliiana Tr.) . Ostrea acuticosta Sega » plicatula Gmel » cf. lamellosa Br » digitalina Eickw Anomia ephyppimn L » costata Br Spondylus crassicostatus Lk Acesta miocenica Sismcl Lima oblonga Nelli Limea strigliata Br Amussium anconitannm For » corneum Sav. (A. denudatimi Reuss). » cristatum Brn » duodecimi amellatum Brn. . . . Chlamys varia L » opercularis L » M alvina e Dub » gloriamaris Dub. var » limata Goldf » pusio L » striata Sow » Northamptoni Micht » cf. spinulosa Miinst » Haveri Micht » Clarae Vici, e var ' . . » scabrella Lk » Pandorae Desh. ....... » Angelisi Viol » Koheni Fuchs » cf. scabriusculus Font » cavar um Font LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’aPPENNINO 93 I. II. III. IV. V. Chlamys camaretensis Font » Orsinii Mngli -H- » latissima Br » Tournali De Serr » granulatoscissa Nelli (et. Chi. scissa Favr.) -4- » chelussiana Nelli (cf. P. similis Lk.). Pecten burdigalensis Lk » Besseri Aneli-, (an P. incrassatus Partsch) H- » revolutus Micht » Fucinii Ug » planosulcatus Math » solarium Lk . » kalaritanus Mengh j » flabelli f br mis Br -t- » Hòrnesi Ug » Manzonii Fticlis (P. subarcuatus Tourn.?) » Bendanti Bast. var » cf. ciduncus -Eichw , » Fuchsi Font » Fochi Loc HH Pinna subpeciinata Micht Modióla exbrocchii Sacc >> Brocchii May Arca diluvii Lk H- . » lactea L HT » barbata L -4- » Noae L ■+■ Limopsis aunta Br Leda cf. pellucida Phil Nucula nucleus L : . . H- » piacentina Lk Malletia cf. Caterina App Cardila globulina Micht 94 F. SACCO I. IL III. IV. V- Cardita interviedia Br , Cardium oblongum Chemn -4— — t- -4- » fragile Br — 1 — » aculeatum L -4- » edule L -+- Venus islandicoides Lk » cf. deleta Micht -H » islandicoides Lk -4- Cytherea erycina Lk -+■ » multilamella Lk -4- Tapes Meneghina De Stef. » depressa Menegh — Emilia podolica Eichw -i- Lutraria latrarla L Corbula revoluta Br -1- » gibba Oliv Lucina globulosa Desh. e var. (L. pomum Duy sec. auct.) -+- -t- » Dicomani Meligli, e var -4- » miocenica Micht » spinifera Montg f » cf transversa firn -4- » elliptica Borii Tellina planata L -K » cf. ottnangensis Ho rii Arcopagia speciosa Nelli -4- Neaera elegantissima Horn » cuspidata Oliv Syndosmia prysmatica Lask — f— Solenomya Doderleini May. ...... -4- —4— Pholadomya cf. Puschi Goldf » Vaticani Ponzi -4- » cf. Fuchsi Scliaff. -t- -e- » Canavarii Sim » cf. margaritacea Sow .... LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’ APPENNINO U5 I. II. III. IV. V. Teredo norvegica Spengi 4- + — H » appenninica Doti — H Gasteropodi. Carinaria Sugar di Bell + - Genota Bonannii Bell Salia praecedens Pant 4- Chrysodomus Bombiceli Nelli + Murex spinicosta Brn Fusus cf. longirostris Br » cf. Valenciennesi Grat Eudolium fasciatimi Boi-s H- 44 Cassidaria echinophora Lk. var -f- H- » thyrrena L. e var -4- H- Cassis miolaevigata Sacc H— Ficula condita Brongnt -t- Tugurium postextensum Sacc — 1 — Xenophora Deshayesi Miclit -+• Natica helicina Br Euspira scalaris Bell. Mieht Cirsotrema lamellosum Br » Doderleini Pant — ; » pedemontanum Sacc » Duciei Wright •-+- Turbo fimbriatus Bors Trochus granulatus Bors — 1— » cf. ottnangensis Hòrn Pleurotomaria Morenae Sacc -f. » felsinea Siro Pteropodi. Clio pedemontana May. ...... » Bellardii And -4- » carinata Aud 4- 4- 96 F. SACCO Clio sinuosa Bell. . . » multicostata] Bell » pulcherrima May » cf. triplicata And Cavolinia T Au denini Vin » bisulcata Ritti, (an sp. prec.). . » Coolcei Si in Cleodora pyramidata L Vaginella austriaca Ritti » Rzealti Ritti » depressa Dauci » acutissima And » Calandrelli Micht Cuvieria intermedia Bell Cefalopodi. Aturia Aturi Bast Crostacei. Lepas mallandriana Sega » cf. Rovasendae De Al Scalpellavi molinianum Sega Pesci. Hemipristis serra Ag Sphyrna prisca Ag Carcharoclon auriculatus Bl. (an C. mega- lodon Ag.) Oxyrjiina Desori Ag » liastalis Ag Lavina elegans Ag Odontaspis cuspidata Ag » contortidens Ag Diodon gigantodus Port Chrysophrys cincia Ag LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 97 Quasi come appendice e complemento dell’elenco sopraindi- cato credo opportuno dare la lista di alcune specie di Mollu- schi, ritenute neogeniche, che il Mayer raccolse nell’Eocene medio ed inferiore d’Egitto, lista che egli mi comunicò di re- cente: Picnodonta navicularis Br., Ostrea neglecta Micht., 0. bo- realis Lk., 0. caudata Miinst., 0. mexicana Sow., O.cristagalli L., O.hyotis L., O.pestigris Hanl., Lucina glolmlosa Desh., Tugonia ematina Gmek, 1 tentatimi Michélottii Horn., Fissurella ita- lica Defr., Calyptraca chinensis L., Mitrularia Dilhcyni Gray, Protoma cathedralis Brongn., P. quadriplicata Bast., P. ro- ti fera, Turritella bicarinata Eichw., T. Desinar esti Bast., Pirula condita Brongn., ecc. Dall’elenco presentato nelle pagine precedenti risulta chiaro che trattasi di una fauna di tipo miocenico , per quanto racchiusa in formazioni che (come esposi nella prima parte di questa nota) all’esame geologico paiono di età ecocenica ; quindi ne risulterebbe contraddizione fra Geologia e Paleontologia. Ve- diamo però se la questione sta veramente in tali termini netti ed assoluti che porterebbero ad una specie di conflitto, direi, fra due scienze sorelle e che sempre finora, in generale, si aiuta- rono vicendevolmente. Dobbiamo fare anzitutto alcune osservazioni rispetto al va- lore cronologico di varie forme indicate nell’elenco precedente. Quanto alla Paleoicnologia non insisto sulle innumerevoli Condriti, Fucoidi, Zoofici, Bostricofìti, Lumbricarie, Pennatuliti, Nemertiliti e simili impronte comuni ovunque nei terreni in questione, perche esse sono di incerta interpretazione e legate piuttosto a determinati depositi che non a speciali piani geo- logici; non posso però fare a meno di notare che la loro grande abbondanza dà luogo ad una facies, più che altro, eocenica. Procedendo per ordine possiamo dire una parola sulla Flora. Sono frequentissimi i frustoli lignitici, specialmente fra le are- narie, ma tali resti raramente si presentano determinabili ; la sola specie riconosciuta dal Nelli nel Macigno di Porretta è il Cinammomum polymorphum che non ha valore cronologico in- contrandosi dall’Eocene al Pliocene. D’altronde assai interessante per la nostra questione è il considerare che, secondo gli -studi 7 98 F. SACCO del Peola sulla « Flora eocenica piemontese - 1900 », la Flora del tipico Eocene di Gassino ha molto del Miocene e si avvi- cina molto a quella delV Elveziano e del Langhiano, giacche di 15 specie determinate ben 12 sono mioceniche! È quindi evi- dente quale sarebbe la conclusione cronologica alla quale sarebbe giunto su tale formazione il Paleofi tologo se la stratigrafia ed i dati paleozoologici forniti dalle lenti calcaree interposte alle marne non provassero nel modo più assoluto Feocenicità della formazione suddetta. Passando ai Foraminjferi dobbiamo subito osservare che, salvo le Nummuliti e le Orbitoidi (Orthofragmine) di cui ci occuperemo a parte in seguito, essi in generale, mentre hanno notevole importanza per la conoscenza batimetrica dei depositi che li racchiudono, ne hanno invece assai poca dal punto di vista cronologico; basti ricordare, come esempio in proposito, la fauna protistologica del Cretaceo di Aix-la-Chapelle, la quale ha tanta analogia con quella del Pliocene secondo il recente studio di I. Beissel « Die Foraminiferen der Aachener Kreide - 1901 ». Ricordo ancora come nella recente « Monograph of thè Fo- raminifera of thè Pernio carboniferus Limestone of New South Wales - 1905 » di F. Chapman e W. Howchin, siano segna- lati fra i Forami ni feri paleozoici molte specie neogeniche ed anche viventi, ciò che sempre più chiaramente ci prova lo scarso valore cronologico di queste forme in generale. Alcuni Foraminiferologi però in questi ultimi anni credet- tero di poter dare un gran valore cronologico alle Lepidocyclina ed alle Miogypsina , ritenendole cioè essenzialmente mio-oligo- ceniche; ma in realtà trovansi dette forme, anche quelle di tipo creduto solo miocenico, associate alle Nummuliti, alle Ortho- phragmine ed alle Chapmanie, cioè a forme tipicamente eoce- niche, come hanno recentemente precisato gli studi del Silvestri in Toscana, della Gentile nell’Umbria e del Cheechia in Sicilia. Ma riguardo a queste interessanti forme rinvio senz’altro alla mia recente nota speciale (154). Riguardo ai Radiofari credo che il loro valore cronologico sia nel nostro caso assai piccolo, pur essendo essi preziosissimi per i dati batimetrici e d’altra natura che forniscono. Noto in- fatti come, dagli studi del Tedeschi e del Vinassa sui Radiolari LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 99 (specialmente Cirtoidei) di Arcevia risulti che vi si riscontrò un’enorme quantità di forme diverse, in massima parte nuove , persino con generi nuovi , per cui credo che coscienziosamente non se ne possa ricavare alcuna conclusione cronologica precisa. I Celenterati stati segnalati sono in parte forme che svi- luppansi attraverso a diversi periodi geologici, come per esem- pio la j Balanopliyllia praclonga che incontrasi dall’Eocene al Pliocene; tuttavia è certo che predominano le specie ritenute di tipo miocenico. Però è da notarsi che trattasi generalmente di esemplari così mal conservati, schiacciati, incompleti, ecc., che la loro determinazione specifica attuale ha un valore molto relativo. Gli Echinodermi hanno certamente un gran valore cronolo- gico e su di essi hanno quindi ragione di appoggiarsi i Mio- cenisti nella questione dibattuta. Ma anche senza voler dare troppa importanza a forme di tipo cretaceo, come V Emipneustes, (ora Toxopatagus ) italicus, dobbiamo segnalare il fatto strano, ma ai miei occhi ben naturale, che il De Loriol nel suo studio degli Echinidi delle marne dei dintorni di Camerino (40), su dieci forme descritte ne riconobbe solo tre ( Cidaris rosaria, Brissopsis ottnangensis, Ecliinolampas angulatus) già note nel Miocene, ed invece dovette costituire, per tutte le altre, ben sette specie nuove ( Cidaris Canavarii, Ecliinolampas Conti/', Eclii- nantus camerinensis, Linthia Capellina, Hemiaster Canavarii, Spatangus Canavarii e Cleistecliinus Canavarii) ; di ciò si stu- piva lo stesso De Loriol osservando che gli Echinidi miocenici sono già tanto noti, per cui gli riusciva straordinario di trovare tante specie nuove in un materiale così ristretto comunicatogli come miocenico. Ma su tale proposito si può aggiungere qualcosa di più, giacché secondo i miei rilevamenti geologici nel Bacino camerte risultommi che il Cidaris rosaria fu raccolto in arenarie del Mio- pliocene, ed il Brissopsis ottnangensis in marne del Miocene su- periore, cioè in lembi di veri terreni neogenici i quali in detta conca giacciono, spesso trasgressivamente, sui terreni marnoso- calcarei che credo eocenici, quantunque siano riferiti ora al Miocene; quindi detti due fossili sono da escludersi dalla que- stione in esame. Resterebbe solo V Ecliinolampas angulatus, forma 100 F. SACCO trovata bensì specialmente nel Miocene, ma variabilissima, di grande estensione cronologica e circa la quale il De Loriol dice appunto che sugli esemplari di Camerino era tentato di creare una specie nuova. Ricordo qui il fatto die nella ricchissima Fauna ecbinolo- gica del Miocene vero del Piemonte studiata accuratamente dal- l’Airagbi in « Ecbinidi terziarii del Piemonte e della Liguria - 1901 », su ben 38 specie non se ne trovò neppur una eguale alle tante specie nuove create dal Loriol per gli Ecbinidi di Camerino; panni quindi dall’assieme del sovraesposto che la mio- cenicità di questi ultimi risulti affatto negativa ! Così pure un po’ analogamente, ma in modo assai meno spiccato, è a notarsi come nel materiale echinologico che rac- colsi in ripetute escursioni nei depositi marnoso-arenacei dei dintorni di Città di Castello, l’Airaghi (139) riconobbe bensì varie specie mioceniche, ma tra esse anche il Pliolampas came- rinensis e Y Echimi ampas miglila tus, sul cui valore cronologico si è già detto, e dovette inoltre costituire due specie nuove, il Pliolampas Silvestrii e la Maretta Sacci. Lo stesso vediamo aver dovuto fare il De Angelis (77 j per il Calcare marnoso di Sambuci presso Tivoli, fondando la nuova specie Echinolampas Mazzetta. Quanto ai Vermi notisi come il Potamoceros polytremus sia una forma senza valore stratigrafico sviluppandosi attraverso gran parte del Terziario e vivendo tuttora; per le Serpule il Nelli ed il Rovereto dovettero creare specie o varietà nuove; la Di- trupa incurva trovasi frequente dall’Eocene ai mari attuali ! I Briozoi sembrano non avere gran valore cronologico, giac- che molti di essi, ed appunto parecchie specie (Micropora im- pressa, Onychocella anguiosa , Mcmbranipora rcticulum, Cribri- lina. radiata , Mucronella variolosa , Scrupocellaria clliptica, Melicerita fistulosa, Smithia exarata , Crisia Hornesi, Idmonca distica , ecc.) segnalate nei depositi in questione, sappiamo che si sviluppano dal Cretaceo o dall’Eocene sino al giorno d’oggi. Anche i Brachiopodi presentano spesso una notevole lati- tudine di sviluppo cronologico; vediamo infatti che molte spe- cie (come Tcrebratulina caputserpentis , PJiynchonella Bucini , Liothyrina vitrea, Liothyrina spltenoidea, Platydia decollata, ecc.), LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 101 fra cui alcune incontransi nei terreni in questione, sviluppansi appunto dall’Eocene al Miocene od anche sino ai mari attuali ; quindi non è il caso di invocarne il valore cronologico. La Classe dei Pelecipodi rappresenta uno dei cavalli di battaglia dei Miocenisti, per cui dobbiamo fermarci un po’ più a lungo su questi Molluschi. Anzitutto è da ossservare come per queste forme, più che per altre, lo studio riesca assai difficile ed incerto, trattandosi per lo più di esemplari schiacciati o conservati solo in im- pronta, quasi mai coll’apparato cardinale visibile; quindi a molte delle sopraelencate determinazioni specifiche devesi dare un valore molto relativo, tanto più per le forme decorticate od inglobate nei compressi e tormentati depositi marnosi. D’altronde devesi tener conto del fatto che realmente sonvi molte forme che variano assai poco attraverso l’era terziaria, per modo che la loro distinzione specifica, ad esempio tra quelle eogeniche e quelle neogeniche, è solo fattibile quando si hanno in esame esemplari ben conservati ; ricordo ad esempio l’Arca eogassinensis Sacc. dell’Eocene di Gassino che, se non ben conservata, è fa- cilmente confondibile colla comunissima A. Dilavii del Pliocene. Inoltre è certo che sonvi veramente numerose specie, cre- dute tipiche del Miocene, le quali viceversa si incontrano pure in terreni più antichi, sino all’Eocene compreso. Così per esem- pio l’esame minuto dei « Molluschi terziarii del Piemonte e della Liguria » mi fece riconoscere che parecchie specie passano real- mente dall’Eocene al Miocene, come V Ace sta miocenica ('), la Pinna subpectinata, la Pholadomya Canavarii, che è una Pro- cardia di ti j)o eoeenico-cretaceo per quanto giunta sino al Mio- cene come ebbi già a notare altrove (122), la Pholadomya Pa- schi, la Pii. margaritacea (che è specie eogenica), la Pycnodonta cochlear o navicularis (stata trovata persino nell’Eocene medio- inferiore dell’Egitto), VOstrea neglecta od 0. langliiana (segnalata dal Mayer nell’Eocene d’Egitto e dal Di Stefano (132) nell’Eo- cene di Sicilia), la Nucula piacentina e la Tellina planata riscontrate dall’E. Mariani nell’Eocene superiore del Comense, ecc. (') Dubito sia una consimile forma quella, raccolta nei calcari eoce- nici di Ioannelle nel Teramano, che l’Amary identificò col Playiostoma Hoperi Sow. del Cretaceo. 102 F. SACCO Quanto alle famose Lucine del gruppo della L. globulosa e della Dentilucina appenninica rinvio senz’altro ad una mia re- cente nota speciale (122) nella quale con rigoroso criterio pa- leontologico e sinonimico panni aver dimostrato essersi fatto finora grandi confusioni su queste grosse Lucine (specialmente sulla Lu- cina globulosa) tante invocate per provare la mioeenicità dei terreni che le inglobano; esse in realtà provano poco o nulla essendo forme variabilissime, per l’uno o l’altro carattere, e nello stesso tempo passanti attraverso a quasi tutto il Terziario sino a giungere ai mari attuali, colla L. edentula L ., senza mutare molto la loro facies complessiva. Del resto l’Oppenheim (108, 109) osservò giu- stamente che le Lucine in questione hanno una facies alquanto eocenica; anzi egli cita la L. globulosa nell’Eocene di M. Po- stale ed il Mayer (1883, Die V er stemer ung. tcrt. Sch. Miti. Acgypten ) indica la stessa specie pure fra i fossili dell’Eocene medio ed inferiore d’Egitto, e così pure Hebert e Renevier, fin dal 1854 per l’Eocene di St. Bonnet. Inoltre ebbi già a segna- lare nella nota suddetta (122) come Lucine affini o quasi con- fondibili colla L. globulosa siano frequenti nei terreni tipicamente eocenici, come pure cretacei ed anche più antichi, di varie regioni. Quindi queste forme non possono affatto ritenersi come fossili caratteristici del Miocene, ma solo di depositi littoranei o di mare poco profondo, depositi che furono bensì estesissimi nel periodo miocenico, ma non esclusivi assolutamente di detto oriz- zonte geologico. Recentemente il Bonarelli, di ritorno dai suoi lunghi viaggi di esplorazione, segnalò (129) esistere nel terreno nummulitico Indo-malese frequenti banchi di grosse Lucine che gli ricordarono molto quelle dell’Appennino, per cui risulta come il fatto paleontologico esaminato sia di carattere generale. Riguardo ai Pettini, che costituiscono vera falange ed anche speciali orizzonti nei terreni appenninici in questione, dobbiamo fare diverse osservazioni. Tra i Pettini dei depositi fangosi di mare tranquillo e pro- fondo ricordiamo che l’esemplare tipo od originale feWAmus- sium anconitanum fu raccolto (il punto mi fu segnalato preci- samente sul luogo dal Prof. Paolucci) in terreni marnoso-calcarei ad Est di Massignano (Ancona) che nei miei rilevamenti geo- logici constatai essere eocenici; quindi, per quanto detta specie LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL'APPENNINO 103 siasi propagata sino al Miocene, essa non può affatto indicarsi come tipica di quest’ultimo orizzonte, tanto più che essa venne anche rinvenuta in altri terreni eocenici, come per esempio nel Comense. L ' Amussium comevm (di cui VA. denudatimi è solo una varietà) costituisce una specie che, pur sviluppandosi sino al Miocene, è essenzialmente eocenica; anzi il Meneghini già giustamente ne paragonò alcuni esemplari dell’Appennino cen- trale all’M. membranaceum del Cretaceo; d’altronde abbondano specie consimili sia nel Cretaceo (per esempio A. cretaccum Nyst, A. Nillsoni Goldf., ecc.), sia nell’Eocene, come per esempio A. solca Desìi., A. nitidulum Vinc., A. calvatum Mort., A. Mei - levillei D’Orb., A. tanetanum Loc., A. Bcllardii May., ecc., nomi specifici che però in parte cadranno in sinonimia fra di loro. Qualcosa di simile devesi ripetere per alcuni altri Amussium, come VA. duodecimlamellatum pure già stato segnalato nell’Eo- cene superiore del Comense. Quanto ai Pettini dei depositi del littorale o di mare poco profondo possiamo ricordare come il Pecten Malvinae, il P. la- tissimus ed il P. Besseri o P. incrassatus (cui sono probabil- mente affini i P. Fucinii, P. planòsulcatus e P. solarium auct.) che sono generalmente ritenuti come prototipi del Neogene, fu- rono già raccolti da diverse persone ed in diversi luoghi e tempi nei terreni eocenici del Veronese secondo il Nicolis, malgrado le osservazioni dell’Oppenheim; nè detti esemplari del Veronese rappresentano rarità assolute, giacche trovansi ora in parecchi Musei pubblici (Berlino e Padova) e privati (Nicolis e Marchesi di Canossa a Verona). Una forma affine al Pecten latissimus fu già segnalata dal Fuclis nella formazione eocenica di Gassino. Il Pecten solarium ed il P. Tournali, o forme affini, sarebbero state riscontrate nell’Eocene di Oneda nel Comense secondo il De Alessandri. Un Pettine affine al P. bardi galensis fu ravvi- sato nella formazione eocenica di Gassino dai geologi convenuti alla 2a Adunanza degli Scienziati italiani a Torino nel 1840; il P. flabelliformis fu indicato pure mezzo secolo fa dall’Amary nei Calcari eocenici del Gran Sasso. Se tali determinazioni an- tiche sono certamente da rivedersi ci spiegano però certe deter- minazioni moderne fondate su esemplari mal conservati. 104 F. SACCO Poi abbiamo diverse specie nuove, come Pecten Hornesi, P. granulato- scissus e P. chetassi anus, cbe non hanno quindi va- lore stratigrafico, anzi direi piuttosto che militano contro la Mio- cenicità, giacché ormai, dopo tanti e poderosi lavori, si possono ritenere come in massima parte conosciute le specie del Miocene del Bacino mediterraneo. Possiamo ricordare di passaggio che alcune specie di Pet- tini del Calcare di Ceccano furono determinate solo approssi- mativamente dal Mayer in Viola (74), come Pecten pusio, P. striatus, P. limatus, P. Pandorae, P. cavarmi, P. opercu- laris, per cui sulla loro determinazione specifica non si può fare serio affidamento. Infine riesce assai interessante osservare che diversi Pettini specificamente identificati da alcuni autori a specie mioceniche, come Pecten Haueri, P. Northamptoni, P. Koheni , ecc., invece secondo gli studi del Viola (Ilo) rappresentano piuttosto specie nuove, cioè Chlamys Clarae e C. Angelisi, affini a forme di tipo eocenico d’Europa e d’Asia. E anzi a notarsi che gli esem- plari appenninici determinati da alcuni come P. Koheni erano stati dapprima ravvicinati giustamente dal Meneghini al P. ma- tronensis d’Orb. del Cretaceo. Considerisi inoltre che anche se-' condo gli studi del Moderni (120) nel Piceno ed altrove questi Calcari a Pettini di tipo eocenico sono intercalati a schisti marnoso-argillosi comprendenti i soliti fossili ritenuti miocenici. Dal complesso del sovraesposto risulta quindi che anche i Pettini, davanti ad un esame un po’ accurato, perdono gran parte del carattere di miocenicità che si volle loro attribuire. Riguardo ai Gasteropodi, di cui però molti sono allo stato di semplici modelli non ben determinabili specificamente con sicurezza, notiamo che le Cassidaria echinophora , C. tyrrhena , ecc. hanno già i loro rappresentanti nell’Eocene, se pure non già nel Cretaceo; la Plcnla condita fu anche riscontrata nell’Eo- cene d’Egitto ; VEuspira scalaris è solo distinguibile dalle affi- nissime specie eoceniche quando se ne hanno esemplari ben conservati ; il Tugurium postextcnsum è forse solo una varietà del T. extensum tanto sviluppato in tutto l’Eocene. È notevole come i Cyrsotrema, che non sono rari fra i terreni in questione dell’Umbria, siano pure relativamente comuni, con forme ben LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 105 affini, nell’Eocene di Gassino, dove invece i Gasteropodi sono generalmente piuttosto rari. La Pleurotomaria Morenae e la P. felsinea sono specie state create nuove per gli esemplari trovati nei depositi marnosi in questione; d’altronde esse hanno forti affinità con specie cretacee, per modo da presentare, anche da sole, un certo carat- tere di antichità, certo non di miocenicità. Passando ai Pteropodi è bensì vero che le forme segnalate nei terreni marnosi in studio sono forme del Miocene, ma è da considerarsi che mentre quarantanni fa non si conoscevano quasi Pteropodi nei terreni secondari e terziari, fu essenzial- mente il Bel lardi che ne segnalò numerose specie nelle marne del Miocene piemontese, come pure furono essenzialmente mio- cenici i terreni che in seguito offrirono resti di Pteropodi ai Paleontologi. Quindi quasi tutto è ancora da farsi riguardo ai Pteropodi eocenici, ma da quel poco che si conosce, ad esempio pei dati forniti dalla formazione eocenica di Varano studiata paleontologicamente clall’E. Mariani (La molassa miocenica di Varano ), si può già dedurre che i Pteropodi eocenici sono molto simili, ed alcuni specificamente identificabili, a quelli miocenici, il che ci spiegherebbe il fatto sovraccennato. Ciò d’al- tronde s’accorda con quella specie di continuità, direi, eomio- cenica che già segnalammo esistere nelle forme di alto fondo o pelagiche. Infine non è a dimenticare che lo stato di conser- vazione, e quindi la determinazione specifica, dei Pteropodi in questione lascia spesso molto a desiderare. Circa i Cefalopodi finora segnalati nei depositi in dibattito notiamo che V Aturia Aturi fu indicata fino a pochi anni fa tra i fossili più comuni dell’Eocene di Gassino, finché recente- mente il Parona credette di costituire cogli esemplari di detta località una specie nuova, quantunque molto affine a quella miocenica. Besta a vedersi come si potranno determinare con precisione le Aturie dei terreni in esame, quando se ne potranno avere esemplari ben conservati e tali da permettere precisi con- fronti, ciò che col materiale attuale ciò non è possibile. Quanto ai Crostacei essi sono essenzialmente rappresentati dai Cirripedi che sappiamo avere in generale mutato assai poco dall’Eogene al Neogene e talora sino ai mari attuali ; così per 106 F. SACCO esempio lo Scalpellimi michelottianum ed il Balanus stellarla conosciamo estendersi dall’Eocene al Pliocene, lo Scalpellimi mo- linianum daH’Aquitaniano all’Astiano, ecc. Accenniamo infine ai denti di Pesci e su questo riguardo, tenendo conto che il Carcharodon megalodon è generalmente confuso coll’eomiocenico C. auriculatus e che il Biodon gigan- todus è specie creata nuova sopra un fossile di Castel Ma- dama (51), si può constatare il fatto curioso, ma assai parlante, che tutte le specie di Pesci rinvenute nei terreni in questione si sviluppano dall’Eocene al Miocene od anche al Pliocene od ai mari attuali, quindi esse non hanno assolutamente valore stratigrafico di Miocenicità. Ecco quindi in conclusione che, davanti ad un’analisi un po’ ragionata del materiale paleontologico raccolto nella forma- zione appenninica in questione, scompare quel carattere assoluto di Miocenicità che gli si volle attribuire. Contuttociò permane pur sempre il fatto che Flora e Fauna di dette formazioni hanno molti caratteri che noi chiamiamo miocenici, perchè li incon- triamo frequentemente nei fossili tanto comuni e noti del Mio- cene. Ma non dobbiamo con ciò conchiudere affatto, come si credette di fare, che detti caratteri siano esclusivi del Miocene, giacche studi paleontologici dettagliati (Vedi p. e. : Sacco E., Moli, tcrz. Piemonte , Parte XXX, Considerazioni gen.) precisarono che molte specie si trovano tanto nell’Eocene quanto nel Mio- cene (del che indicammo alcuni esempi nelle pagine precedenti), per forme adattantesi a svariati climi e diverse condizioni, op- pure viventi in ambienti (specialmente tranquilli, di mare un po’ profondo) che poco o nulla cangiarono attraverso diversi pe- riodi geologici. Ma non solo alcune forme, bensì intiere faune credute neo- geniche risultarono invece in seguito essere eogeniche. Ciò av- venne ad esempio per le marne di Porcino credute dapprima plioceniche da Pizzolari e Pellegrini, poi tortoniane dal Paglia ed ora riconosciute dal Nicolis come oligoceniche, se pure non dovranno interpretarsi come bartoniane. Qualcosa di simile av- venne per la cosidetta molassa di Varano (Comense), attribuita da Salmoiraghi, Mariani, Corti, ecc. al Miocene, finché ne ri- conobbi l’eocenicità, stata riconfermata sempre più in seguito. LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL1 APPENNINO 107 Lo stesso fatto d’altronde si verificò per la famosa formazione marnoso-calcarea di Gassino ritenuta per lungo tempo miocenica da valenti geologi italiani e stranieri, come Michelotti, Pareto, Sismonda (colla massima parte dei geologi intervenuti a Torino nel 1840 alla 2a Adunanza degli Scienziati italiani), Mayer, Fuclis, ecc., finché con più precisi studi stratigrafici e paleon- tologici ne si riconobbe la grande antichità rispetto al Miocene, e vi si constatò una grande quantità di forme caratteristiche dell’Eocene superiore e medio, tanto che la sua Fauna è ormai diventata una fauna eocenica tipica! D’altronde è noto che anche in altre regioni fuori d’Italia si incontra una certa quantità di specie credute mioceniche nei terreni eocenici. Così per esempio il mio ottimo amico Ch. Mayer mi comunicava recentemente che tra i fossili dell’Eocene d’Egitto egli riscontrò circa il 5 °/0 di specie credute mioceniche e che invece sono comuni assai in detti terreni. Si comprende naturalmente che riguardo a detta percentuale essa deve variare molto, sia in realtà secondo la natura dei ter- reni fossiliferi, la loro ubicazione, la climatologia ed altri fe- nomeni verificatisi nei rispettivi periodi geologici di deposizione, sia in rapporto tanto al modo individuale, o personale che dir si voglia, di interpretare i limiti delle cosidette specie, quanto allo stato di conservazione dei fossili e quindi alla loro più o meno esatta determinazione; questa infatti è talora purtroppo anche influenzata dall’unilateralità dei libri o dei materiali di confronto che si hanno più abbondantemente e facilmente alla mano, come pure dall’idea preconcetta che si può avere sull’età dei fossili stessi. Del resto le ricorrenze o riapparse di forme fossili, credute proprie di un dato piano geologico, in piani superiori od infe- riori ad esso, anche con interruzione od apparente scomparsa in piani intermedi, non è un fatto insolito o limitato al caso in esame, ma lo si potè constatare anche in molte altre regioni ed in tutti i terreni. Vedi per esempio alcune considerazioni su tale proposito in: (Sacco F., Moli. terz. Pieni. - XXX, Cons. gen. p. 9 e seg.). Ricordo come esempio, per terreni antichi, che J. E. Marr nel suo PresidcnVs Anniversary Address (Q. I. G. S. London, LXI, N. 242, 1905) menziona diversi casi di ricorrenze di 108 F. SACCO alcune specie, anche dopo diversi periodi geologici di apparente assenza durante il Paleozoico. Bicordo ancora in proposito che il Peron nella sua impor- tante « Note polir servir à l’Histoire du terrain de Graie dans le S.E. du Bassin anglo parisien - 1887 », insiste sulla ricorrenza delle faune e sulla grande -longevità di alcune forme ( Pollicipes , Lima , Ostrea , Preterì , Terebratula , Ter eh ratuli.ua, PJnjnchonclla, Briozoi, Foraminiferi, ecc.) che attraversano anche tutta la Creta senza notevoli variazioni o con modificazioni minime per trovarsi in eguali consimili condizioni biologiche. Ma se ad ogni modo la Paleontologia con dati reali, pro- babilmente un po’ troppo ampliati da determinazioni specifiche non sempre sicure, porge qualche fondamento all’interpretazione miocenica delle formazioni appenniniche in questione, d’altro lato essa otfre pure sicuri dati di caratteristica eocenicità colle Nummuliti, colle Orbitoidi. colle Chapmauie, colle Alveoline, ecc. che qua e là incontransi in dette formazioni sia marnose sia arenacee, specialmente in certe lenti o strati un po’ calcarei. Infatti se nelle zone essenzialmente calcaree che appaiono in molti punti alla base della potente serie in questione sono tanto frequenti le Nummuliti, le Orbitoidi, ecc. che servirono ai geologi della passata generazione per scindere detta serie dal Cretaceo con cui prima da alcuni si confondeva, ed ormai più nessuno dubita della loro eocenicità, tali fossili caratteri- stici diventarono bensì più rari nella parte media e superiore della serie stessa (per le trasformate condizioni di ambiente provateci dalla cangiata natura litologica), ma vi si incon- trano ancora qua e là, specialmente quando riappaiono le zonale calcaree, e ci servono di preziosa guida nel riferimento crono- logico dei terreni che li inglobano. Bieordiamo rapidamente alcune delle principali località se- gnalate a (piesto riguardo specialmente dalle pazienti e lunghe ricerche di Capellini, Cassetti, Lotti, Moderni, Silvestri, Tra- bucco, Verri, Viola, ecc., ecc., esaminando prima le formazioni marnoso-arenacee, poi quelle marnoso-calcaree e calcaree, dall’Ap- penuino Settentrionale a quello Centrale, pur rinviando anche, per le Orbitoidi, ad una recente mia nota (154). LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 109 Già nell’alto Appennino modenese il Lotti segnalò (65) zone nummulitifere (a N. cf. striata) nelle arenarie del M. Cantiere collegate a formazioni arenaceo-marnoso-calcaree con Gypricardia, Thracia , Lucina, ecc. di tipo indicato come miocenico; il Pantanelli (60) trovò Nummnliti ed Orbitoidi nella serie are- nacea di Roncoscaglia presso Sestola (Gruppo del M. Cimone), riferendo detta formazione all’Eocene superiore e ricordando che si raccolsero pure Nummnliti ed Orbitoidi nella consimile e con- temporanea formazione arenacea del Lago Scaffaiolo, delle vi- cinanze di Fanano, ecc. Olfatti il Pantanelli in Bombicci (38) determinò Nummulites striata D’Orb., Orbitoiclcs Pareti Mieli, ed 0. nummulitica Giirab., nella formazione marnoso-areuacea del Cupolino di Scaffaiolo. Nell’alto Appennino bolognese, specialmente nei dintorni di Rocca Cometa, in più punti di Val Dardagna, al Poggiol Forato, nel gruppo del Granagliene, a Luviciana presso Praechia, ecc., il Capellini (23, 33, 45) raccolse Nummnliti striate, Orbitoidi (vere Orthophragmina , come l’O. papyracea , VO. aspera, I ’ 0. stellata), la Clavulina Szaboi, ecc., in straterelli speciali calca- riferi inglobati nella formazione marnoso-arenacea, talora anche assieme a Pettini, Ostrichette, Lucine, Briozoi, ecc., ricordanti le cosidette faune mioceniche. D’altronde sin dal 1867 il De Mortillet segnalò (11) a S. Anna presso Pistoia, tre specie di Nummnliti (N. Piamondi , N. Guet- tardi e JSI.variolaria ) nei Calcari collegati alla sovrastante grande formazione sehistoso-arenacea dei Monti pistoiesi. Nei dintorni di Dicomano (1. s.), regione ben nota pei suoi fossili detti miocenici, il Lotti (82) riuscì a rintracciare nella gran serie marnoso-arenacea fossilifera (cioè colle solite Bivalvi, Ptero- podi, ecc.) alcune zonule o lenti calcaree con Nummnliti ed Or- bitoidi, sia nel gruppo del M. Giovi, sia tra Dicomano e S. Go- denzo, sia nel gruppo del M. Falterona e nel Bacino del Mugello. Lo stesso Lotti (82) segnalò pure: Nummuliti ed Orbitoidi nella zona a Pteropodi, Patii, ymphon, ecc. del Casentino ad Est di Pratoveccliio; Nummuliti collegate colle solite fauuule rite- nute mioceniche (Pettini, Ostrichette, Briozoi, ecc.) nelle zone marnoso-arenacee dei Monti del Casentino, e Nummuliti nei ter- reni analoghi al Passo dei Mandrioli; formazioni tutte che non 110 F. SACCO si saprebbero ragionevolmente separare da quella del tipico Ma- cigno toscano, d’altronde aneh’esso nmninulitifero secondo le in- teressanti ricerche del Trabucco (123). Nei Monti del Chianti, come pure in varii punti delle re- gioni montuose, essenzialmente arenacee, dell’Aretino sono state frequentemente riscontrate Nummuliti ed Orbitoidi nelle solite formazioni marnoso-arenacee inglobanti pure qua e là le solite Bivalvi, con Briozoi ecc. Recentissimamente il Prof. Silvestri mi comunicò d’aver trovato Numnulites cf. Guettardi , Orthophrag- mina ed Alveolina nella formazione marnoso-arenaceo-calcarea sulla sinistra del T. Castro, vicino alle Capanne prèsso Arezzo. Notisi poi che il Silvestri scopri (146, 149, 151) una tipica mi- crofauna eocenica (a Nummulitcs, Orihophragmina e Chapmania) nei dintorni di Montevarchi, in terreni calcareo-arenacei affatto collegabili colla solita formazione marnoso-arenacea della To- scana. Ai miei occhi ha speciale importanza la scoperta, fatta pure dal diligente mio ottimo amico, il Prof. Silvestri, di un ricco strato a Nummulitcs , Orihophragmina, Alveolina, ecc. ad Aboca presso S. Sepolcro (146), cioè in una formazione marnoso- arenacea strettamente col legata con quella a Pteropodi, Pettini ed altre Bivalvi tanto sviluppata nell’alta Val Tiberina. Nei Calcari che si intercalano qua e là nella potente for- mazione del Macigno di Cortona il Prever recentemente (148 bis) riconobbe una ricca ed importante fauna di tipo parisiano, costi- tuita cioè delle seguenti specie: Bruguierea subcapecleri Prev., B. subFicheuri Prev., B. sub- Virgilii Prev., Laharpeia Benoisti Prev., L. subBenoisti Prev., Giimbclia parva Prev., Paronaea densispira Teli., B.crispa F. M., P. eocenica Prev., P. subeocenica Prev., P. Airaghii Prev., Assilina spira De Roiss., A. subspira De La Harpe, Orthophrag- mina Bratti Mieli., 0. Martliae Schl., 0. clispansa Sow., Al- veolina lepidula Schw., A. cf. ovolum Stacke, A. ellipsoidalis Schw. È noto come nella serie della formazione racchiudente la fa- mosa ricca fauna, a tipo miocenico, di Città di Castello-S. Maria Tiberina, il Lotti abbia già più volte segnalato (82, 91, 103, 104) Orbitoidi e Nummuliti in più punti tra Anghiari ed Umbertide; anzi il Lotti precisa (1 19) che detta formazione tanto fossilifera giace sotto alle arenarie con Orbitoidi e Nummuliti; inoltre lo LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 111 stesso geologo segnalò (82) in molti punti delle regioni mon- tuose a destra e sinistra della Val Tiberina marne a Pteropodi, e zone marnoso-arenacee a Pettini, Ostricliette ed altre Bivalvi di tipo miocenico, assieme a Briozoi, Nullipore, ecc. formazioni che sono assolutamente collegate con zonale a Nummuliti, Or- bitoidi ed Alveoline. Recentemente il Silvestri (153) segnalò in straterelli calcarei alternati colla solita potente formazione mar- noso arenacea ( Macigno 1. s.) sia di Sestola modenese, sia dell’alta Valle Tiberina, dei Monti di Arezzo, dell’Angbiarese, ecc., assieme a varie specie di Lepidocyclina e di Miogypsina di tipo mio- cenico varii resti di Nummuliti, Ortofragmine, Alveoline, ecc. Ricordo qui incidentalmente che, più di un secolo fa, quel- l’acuto osservatore che fu il Soldani scrisse di aver trovato presso YOppìdwn Angliiari il lapis lenticularis, riferendosi pro- babilmente a detti strati con Orbitoidi. Nella potentissima formazione marnoso-arenacea, qua e là calcarea, che sviluppasi tanto ampiamente attorno alla conca trasimena, e di qui alla regione compresa tra l’Orvietano ed il Todino, è noto, dalle ricerche specialmente del Verri (98, 1 14, ecc.) e del Lotti (104, ecc.) e dagli studi della Gentile (118), come siano frequenti le zone che racchiudono, anche in gran numero, Alveoline, Ortofragmine (0. stellata D’Arch., 0. nummulitica Gtimb.), Nummuliti (N. lucasana Defr., N. striata D’Orb., N. Guettardi D’Arch., N. subgarganica Teli., N. laevigata Lk., N. Lamarcki D’Arch. e H. , N. discorbina Schl.) e persino As- siline {A. mamillata D’Arch.); orbene, non solo detta estesa re- gione montuosa nummulitifera è affatto collegabile geologica- mente colla solita formazione marnoso-arenacea in questione, dell’Aretino, del Casentino, dell’alta Val Tiberina, ecc., ma anche sul suo margine orientale vi si raccolsero Pettini, Lucine ed altre Bivalvi di tipo miocenico; anzi tra Marsciano e Ci vitella dei Conti il Lotti segnalò (103) una serie per vari motivi assai interes- sante, che ebbi pure ad esaminare, e che egli precisò pel primo esser così costituita d’alto in basso. V. — Arenarie e puddinghe a grossi elementi (fra i quali un ciottolo nummulitifero), nei cui interstizi raccolgonsi Num- mulites striata ed Ortliophragmina papyracca. 112 F. SACCO IV. — Strati calcarei con breccioline nummnlitiche e schisti rossi gni a Fucoidi. III. — Zona marnosa, arenacea e calcarea con Orbitoidi e traccie di Pettini. II. — Schisti variegati con straterelli a Foraminiferi, Echi- nidi, Ittioliti, eec. 1. — Zona marnosa, arenacea e calcarea con Orbitoidi ed Echinidi, Briozoi, Pettini, Ostriche, ecc. del solito tipo ritenuto miocenico. Del resto nello stesso lavoro di Verri e De Angelis (114) vediamo che mentre il Verri segnala presso Toscelle (M. Deruta) una formazione in parte marnosa a Pteropodi ed in parte mar- noso-arenacea. coi soliti Pettini, Ostrichette, ecc. nonché Num- muliti, dal suo canto il De Angelis osserva che egli trovò Num- mulites vere e proprie in roccie interstratificate a quelle con- tenenti fossili da lui ritenuti miocenici. Ed anche nel susseguente loro lavoro (124) leggiamo che il Verri indica una formazione marnoso-arenacea B con brecciole a Pettini, Ostrichette, Briozoi, ecc. compresa fra schisti scagliosi grigi A (passanti inferior- mente al Cretaceo) e zone calcareo-arenacee C. D con Assi li ne, Nummuliti, Orbitoidi ed Alveoline. La regione perugina è pure assai interessante circa la nostra questione, giacché per esempio attorno al Monte Acuto si può vedere nettamente che gli strati marnoso arenacei coi soliti Pet- tini, Briozoi, ecc. sono nettamente e regolarmente intercalati tra i Calcari del Cretaceo superiore ed i banchi arenacei nummu- litiferi; d’altronde nei dintorni stessi dei monti di Perugia fu- rono già segnalate Nummuliti ed Orbitoidi in una serie di marne arenacee e calcaree che presentano qua e là non rari resti di Pteropodi, Pettini, Briozoi, Echinidi e diversi altri fossili del tipo creduto miocenico. Consultinsi al riguardo specialmente i lavori del Lotti (91, 103, 104). Consimili rinvenimenti e consimili rapporti osservansi pure nell’ampia e complessa formazione marnoso-calcarea ed arena- cea che costituisce la regione montuosa compresa tra il Peru- gino e la Val Topina a Nord del Subasio ed anche altrove più a Sud; così per esempio tra Arrone e Piediluco nel Ternano, LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 113 dove vi è un lembo di formazione nu mmu li tiferà racchiudente i soliti fossili, Pteropodi, Bivalvi, ecc. Passando ora alla formazione marnoso-calcarea delle Mar- che-Abruzzi-Italia centrale, notiamo anzitutto come nel cosi- detto Bisciaro tipico (che però alcuni confondono cogli schisti marnosi grigi) il quale rappresenta solo una speciale facies di detta formazione, da oltre trentanni si raccolsero Nummuliti per opera del Mici (17); anzi posso aggiungere come in una lettera (di cui potei in Urbino prendere diretta visione per gentile comu- nicazione del Mici) datata 17 Maggio 1872 e diretta al Pro- fessor Mici, lo Stoppani indichi che nel materiale del Bisciaro rimessogli in esame (e raccolto specialmente sotto la Fortezza di Urbino) egli riscontrò Nummulitcs intermedia , N. planulata , N. Molli e N. variolaria ; tali determinazioni, che del resto lo stesso Stoppani comunicava come un po’ provvisorie, necessite- rebbero certo una revisione, ma panni ne risulti abbastanza chiaro che l’eocenicità del Bisciaro non si possa più mettere in dubbio. Nella formazione calcareo-marnosa, spesso schistosa. (da al- cuni appellata impropriamente Schlier, volgarmente genga o schreja) che ingloba fossili (Foladomie, Pettini, Ostriche, ecc.) di tipo miocenico, si incontrano pure qua e là lenti o zonale calcaree (volgarmente dette cerrogna) con Nummuliti (N. com- planata, N. latispira) ed Orbitoidi ( Orthophragmina papyracea), come fu specialmente constatato dal Moderni (66, 106, 144) nel Teramano e nel Piceno. Nella conca aquilana (1. s.) potei pure in più punti consta- tare che i terreni calcarei racchiudenti i fossili ritenuti mioce- nici da Che lussi, Prever, Ugolini, De Stefani e Nelli, ecc., sono strettamente collegati colle zone a Rupertie, Orbitoidi eNnmmuliti; ciò d’altronde risulta anche in parte dagli studi del Chelussi(75) e del De Stefani e Nelli (90) i quali due ultimi scrivono « sem- bra che realmente si trovino delle piccole Nummulites » in questi calcari a fossili miocenici. Anche il Cassetti indica (80) verso Solmona calcari inglobanti i soliti Pettini costati e Num- muliti ed Assiline; egualmente in questi Calcari a Pettini (ri- tenuti miocenici da alcuni paleontologi) del Gran Sasso il Bal- 8 114 F. SACCO dacci ed il Canavari riconobbero Nwnmulites iati spira Mengh. ed Orbitoides papyracea. Recentemente poi il Prever (148 bis) nei calcari a Lepido- cycline di Genzano, presso Sassa, e di Porcinaro, nell’Aquilano, constatò una copiosa serie di Nummuliti, specialmente del gruppo Paronaea, come N. vasca, N. JBoucheri, N. Bouillei, K. Tour- noueri, N. bericcnsis , N. budensis, N. subbudensis, nonché del gruppo Laliarpeia , ed anche Rupertia incrassata, Opcrculina complanata, Opcrculina cf. lybica , 0. pyramidwn, ecc. Inoltre in Calcari di varie località dell’Aquilano, che ebbi a constatare essere collegati e contemporanei coi soliti Calcari a Pettini rite- nuti miocenici, il Prever segnalò una gran quantità di Nummu- liti dei gruppi Paronaea c Laliarpeia, nonché numerose specie di Orthophragmina ( 0 . Pratti, 0. nummulitica, 0. radians, 0. apru- tina , 0. Chelussii, 0. samnit-ica , 0. Arciduci , ecc.), l’ Alveolina cf. ovolum , 1’ Opcrculina ammonea, cioè tutte forme essenzial- mente eoceniche. Infine per non dilungarci troppo su questo argomento ricor- diamo solo più come in molti punti dell’ Italia centrale, spe- cialmente (per la comodità di ricerca connessa alla vicinanza di Roma), nei Monti Ernici, Simbruini e Sublacensi, per esempio a Ceccano, Collepardo, Veroli, Trisulti, Sgurgola, Morolo, Sam- buci, Castel Madama, ecc. ecc., nelle Valli dell’Aniene, del Sacco, del Turano, del Liri, ecc., nelle formazioni calcaree o marnoso- ealcaree in questione, ritenute ora da molti mioceniche, si se- gnalarono da parecchi autori, a cominciare dal Murchison (4) pei calcari di Subiaco, poi da molti altri come De Angelis (76), De Stefani (127), Cassetti (130, 140, 148), Viola (73, 74, 85, 99, 115, 138), ecc., numerose Nummuliti di varie specie nonché Orbitoidi ( Orthophragmina papyracea, 0. stellata) ed Alveoline frammezzo o col legate con le formazioni racchiudenti Pettini nonché altri fossili (come Foramiuiferi, Echinidi, Ostriche, Cardii, Pteropodi, Crostacei, resti di Pesci, ecc.) creduti miocenici. LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNIN O 115 CONCLUSIONI. Nella costituzione geologica dell’Appennino prende parte amplissima una potente formazione, ora arenacea (Macigno), ora marnoso-arenacea, ora marnoso-calcarea ( Bisciaro , Genga, Gengone, Schreja ; Scìilier), ora essenzialmente calcarea, forma- zione che, per presentare qua e là fossili ritenuti di tipo mio- cenico, viene ora riferita generalmente al Miocene. Ma, dopo l’esame dei fatti esposti nelle pagine precedenti, considerando: I. — Dal punto di vista geologico: 1°) che dette formazioni hanno generalmente una spic- cata facies eocenica sia per natura litologica, sia per fenomeni stratigrafici e tettonici, sia per caratteri paleoicnologici; 2°) che le differenze lito-paleontologiche esistenti in tale complessa formazione, cioè: marne a Pteropodi , Globigerine, JBathysifoni , ecc.; arenarie a Pettini , Lucine , Briozoi, Echi- nidi, ecc. e zone marnose con Coralli, eco., corrispondono sem- plicemente nel loro complesso a differenti zone batimetriche (cioè, rispettivamente, zona pelagica, zona costiera o delle La- minarie e zona coralligena ) e non già ad una eguaglianza crono- logica cogli analoghi depositi del Langhiano, dell’ Elveziano e del Tortoniano nella tipica serie miocenica; 3°) che tali formazioni appenniniche sovente passano re- golarissimamente e gradualissimamente verso il basso al Cre- taceo superiore, per mezzo di ripetute alternanze litologiche, di colore, ecc.; 4°) che esse sono talora ricoperte trasgressivamente da depositi di vero e tipico Miocene; 5°) che dette formazioni generalmente presero parte ai mo- vimenti orogenetici da cui risultò essersi essenzialmente origi- nato per corrugamento ed in gran parte emerso il rilievo ap- penninico alla fine del periodo eocenico; II. — Dal punto di vista paleontologico: 1°) che in tutte le Ere geologiche si incontrano forme ri- correnti o riapparenti, cioè specie comuni in un dato piano, ufi F. SACCO (tanto che si credette ne fossero caratteristiche) e che invece si ritrovarono ancora in piani geologici più o meno distanti, su- periori od inferiori, mentre parrebbero quasi scomparse nei piani intermedi; fenomeno che è in gran parte dovuto a ricorrenze di ambienti analoghi in periodi geologici differenti ; 2°) che la Flora di alcune tipiche formazioni eoceniche italiane ha molto del Miocene, cioè si avvicina molto a quelle del V Elveziano e del Lanrjhia.no ; 3°) che anche la Fauna di alcune formazioni eoceniche ha talora molta somiglianza con quella miocenica, tanto che in varii casi si ritennero a lungo come miocenici terreni stati poi riconosciuti come assolutamente eocenici; 4°) che in generale nella Fauna di estese formazioni eoce- niche, specialmente del Bacino Mediterraneo (1. s.), esiste una notevole percentuale di specie essenzialmente mioceniche; 5°) che viceversa nel Miocene vissero ancora non poche specie le quali si svilupparono specialmente nell’Eocene. Quindi molte specie credute caratteristiche dell’Eocene oppure del Mio- cene in realtà non lo sono, ma trovansi in ambidue i terreni e mostratisi invece legate più a determinati ambienti biologici che non a determinati piani geologici. 6°) che numerose specie, sia perchè relativamente sem- plici (come molti Protozoi), sia perchè pelagiche o di tranquilli fondi fangosi (e quindi sottratte a notevoli variazioni di am- biente), sia perchè polimorfe (ed adattantesi quindi a svariate condizioni), hanno scarso valore stratigrafico, sviluppandosi quasi invariate nel complesso attraverso quasi tutti i periodi dell’Era terziaria ; 7°) che lo stato di conservazione di parte notevole dei fossili inclusi nella formazione appenninica in questione è tale che sovente non ne permette quella determinazione specifica precisa a cui si credette da alcuni di poter giungere; tanto più che spesso tali caratteri specifici sono appunto riconoscibili solo su esemplari completi, ben conservati e studiabili in tutte le loro parti ; 8°) che studi paleontologici speciali fecero conoscere nella Fauna in questione una quantità grandissima di specie nuove, ciò che poco si accorderebbe coll’età miocenica, giacché la Fauna LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 117 del Miocene italiano è ormai già in complesso abbastanza cono- sciuta ; d’altronde parecchie di dette nuove specie sono piuttosto di tipo eocenico; 9°) che, infine, nelle formazioni racchiudenti la Fauna di tipo ritenuto miocenico incontransi pure qua e là Nummuliti, Orbitoidi, Chapmanie, Alveoline, Rupertie, Clavuline, ecc. assolu- tamente tipiche dell’Eocene; credo si possa ragionevolmente conchiudere circa la que- stione eomiocenica dell’Appennino che non vi esiste un vero conflitto tra Geologia e Paleontologia, e che le formazioni ap- penniniche sovraccennate, malgrado un certo carattere paleon- tologico di miocenicità, debbonsi riferire all’Eocene. 2S novembre 1905. Torino, CasteUo del Valentino. ELENCO BIBLIOGRAFICO CRONOLOGICO. (1) Di Collegno G. — Note sur Ics terrains de la Toscane. (B. S. G. F., XIII, 1842). (2) Pilla L. — Nouvelles observations sur le terrain Hétrurien. (M. S. G. F., 2e, II, 1846). (3) » — Distinzione del Terreno Etrurio tra piani se- condari del Mezzogiorno d’Europa. (1846). (4) Murchison R. — On tlie geological structure of thè Alps , Apénnins and Carpathians. (Q. I. G. S. London, 1849). (5) Savi P. e Meneghini G. — Considerazioni sulla Geologia della Toscana. (1851). (6) Pareto L. — Sur Vàge des terrains à Macignos. (B. S. G. F., 2e, XII, 1855). (7) » — Coupes cì travers V Appennin, etc. (B. S. G. F., 2°, XIX, 1861). (8) » — Note sur les subdivisions que Von pourrait établir dans les terrains tcrtiaires de V Ap- pennin septentrional. (B.S.G. F., 2e, XXII, 1865). F. SACCO 118 (9) Bianconi GL — Escursioni geologiche e mineralogiche nel territorio porr etano. (1867). (10) » — Sur les Appennins de la Por retta. (B. S. GL F., 2% XXIY, 1867).. (11) De Mortillet G. — Note sur le Crctacé et le Nummuli- tique des environs de Pistoia. (Atti S. I. Se. Nat., Ili, 1867). (12) Capellini G. — Giacimenti petroleiferi di Valachia, ecc. (M. R. Acc. Se. Bologna, 2a, VII, 1868). (13) Doderlein P. — Previ cenni sulla costituzione geologica della Provincia di Reggio. (1870). (14) » — Note illustrative della Carta geologica del Modenese e del Reggiano. (1870-72). (15) » — Carta geologica del Modenese e del Reg- giano. (1872). (15 bi8) Ponzi G. — Storia fisica dell' Italia centrale. (Atti R. Acc. Lincei, IV, 1871). (16) Capellini G. — Comunicazione relativa ai fossili ed all’età delle, roccie dell' Appennino di Porretta. (Rendic. R. Acc. Se. Bologna, 1874). (17) Mici F. — I terreni dell' Urbinate. (1875). (18) Capellini G. — Sui terreni ter ziarii di una parte del ver- sante settentrionale dell’ Appennino. (Mem. R. Acc. Se. Bologna, 3a, VI, 1876). (19) Bianconi G. — Considerazioni intorno alla formazione mio- cenica dell’ Appennino. (Mem. R. Acc. Se. Bologna, 3a, Vili, 1877). (21) De Stefani C. — Cenni intorno alla cronologia dei terreni della Toscana. (S. T. Se. Nat., 1878). (22) Verri A. — Avvenimenti nell’interno del Pacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. (S. I. Se. Nat., XXI, 1878). (23) Capellini G. — Sul Calcare screziato con Foraminiferi dei dintorni di Porretta. (Rend. R. Acc. Se. Bologna, 1879). (24) Verri A. — Alcune note sui terreni terziarii e quaternarii prese negli ultimi viaggi sul Pacino del Tevere. (S. I. Se. Nat., XXII, 1879). LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 119 (25) Capellini G. — La Creta grigia , ossia le Boccie a Globi- gerine dell' Appennino bolognese. (Estr. del Rend. R. Acc. Se. Bologna, 1880). (20) De Bosniaski S. — La formazione gessosolfifcra ed il 2° piano mediterraneo. (S. T. Se. Nat.. 1880). (27) De Stefani C. — L fossili di Dicomano in Toscana e della Torretta nel Bolognese. (S. T. Se. Nat., 1880). (28) » — LI Tortoniano dell’Alta Valle del Te- vere. (S. T. Se. Nat., II, 1880). (29) Manzoni A. — La Geologia della Provincia di Bologna. (Ann. Soc. Nat. Modena, XI Y, 1880). (30) » — Il Tortoniano ed i suoi fossili nella Pro- _ vincici di Bologna. (1880). (31) Scarabelli G. — Geologia della Provincia di Forlì, ossia Descrizione della Carta geologica del versante setten- trionale dell' Appennino fra il Montone e la Foglia. (1880). (32) Capellini G. — Le roccie fossilifere dei dintorni di Por- retta nel Bolognese e l'arenaria di Boc- capalumba in Sicilia. (Rend. R. Acc. Se. Bologna, 1881). (33) » — Il Macigno di Porretta e le Boccie a Glo- bigerine dell’ Appennino bolognese. (Mera. R. Acc. Se. Bologna, 4a, II, 1881). (34) » — Calcari a Bivalvi di Monte Cavallo, Sta- gno e Casola nell’ Appennino bolognese. (Mera. R. Acc. Se. Bologna, 4", II, 1881). (35) De Stefani C. — Il Macigno di Porretta ed i terreni cor- rispondenti. (S. T. Se. Nat., 1881). (36) » — Quadro comprecnsivo dei terreni che co- stituiscono V Appennino settentrionale. (S. T. Se. Nat., Y, 1881). (36bi“) » — Molluschi continentali pliocenici cl' Ltalia. (S. T. Se. Nat., V, fase. 1°, 1881). (37) Manzoni A. — Della Miocenicità del Macigno e dell’unità- dei terreni miocenici del Bolognese. (B. C. G. I., XII. 1881). 120 F. SACCO (38) Bombicci L. — Montagne e Valiate del territorio di Bo- logna. (1882). (39) Canavari M. — Notice sur les terrains tertiaires du Bas- sin de Camerino (in: 40), (1882'. (40) De Loriol P. — Descriptìon des Echinides des environs de Camerino. (Meni. Soc. pliys. et d’Hist. Nat. de Ge- nève, XXVIII, 1882). (41) Taramelli T. — Osservazioni geologiche fatte nel racco- gliere alcuni campioni di Serpentini. (B. S. G. I., I, 1882). (42) Verri A. — Studi geologici sulle Conche di Terni e Bieti. (E. Aec. Lincei, 1882). (43) Lotti B. — Sulla posizione stratigrafica del Macigno della Barretta. (B. C. G. I., XIV, 1883). (44) Verri A. — Appunti sui Bacini del Chiuselo e del To- pino. (B. S. G. I., II, 18831. (45) Capellini G. — Il Cretaceo superiore ed il gruppo di Pria- bona nell Appennino settentrionale. (Meni. E. Acc. Se. Bologna, 4a, V, 1884). (45 bi!’) Verri A. — Di alcune divergenze col Doti. De Stefani sulla Geologia dell' Umbria superiore. (B. S. G. I., Ili, 1884). (46) Sacco P. — Massima elevazione dell’Eocene nelle Alpi occi- dentali italiane. (Boll. C. A. I., N.° 52, 1885). (47) Canavari M. — Di alcuni fossili di recente trovati nei dintorni di Pergola in Provincia di Ancona. (Eend. S. Tose. Se. Nat., V, 1886). (48) Eistori G. — Considerazioni geologiche sulla Val d'Arno supcriore , sui dintorni d' Arezzo e sulla Val di Chiana. (Mem. S. Tose. Se. Nat., VII, 1886). (49) De Stefani C. — La Lucina pomum sinonima della Lu- cina Dicomani. (S. T. Se. Nat., 1887). (50) Gioli G. — La Lucina pomum Duj. (S. T. Se. Nat., Vili, 1887). (51) Portis A. — Di alcuni Gimnodonti fossili italiani. (B. C. G. 1., XX, 1889). (52) Eistori G. — Il Bacino Pliocenico del Mugello. (B.S. G. L, Vili, 1889). LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 121 (53) Stur D. — Etne fluchtige , die InoceramensvJiicJiten des Wiener Sandsteins betreffende , Studienreise nach Ita- lien. (Jahrb. geol. Reichsanst., XXXIX, 1889). (54) Ufficio Geologico Italiano. — Carta geologica d’Italia (scala di 1 a 1.000.000), (1889). (55) Bonakelli G. — Il Territorio di Gubbio. Notizie geolo- giche. (1891). (56) De Stefani C. — Il Bacino lignitifero della Siene in Pro- vincia di Firenze. (B. C. G. I., XXII, 1891). (57) Sacco F. — L’ Appennino settentrionale (B.C.G. I.,X, 1891) e Carta geologica (scala di 1 a 100.000). (58) Capellini G. — Un delfinoide miocenico , ossia il supposto uomo fossile di Acquabona presso Arcevia nelle Mar- che. (Rend. K. Acc. Lincei, I, 1892). (59) Sacco F. — V Appennino dell’ Emilia (B. S. G. L,XI, 1892) e Carta geologica (scala di 1 a 100.000). (60) Pantanelli D. — Sopra un piano del Nummulitico supe- riore nell’ Appennino modenese. (Atti Soc. Nat. Modena, 3a, Voi. XII, Anno XXVII, 1893). (61) Verri A. ed Artini E. — Le formazioni con Ofioliti nel- l’Umbria e nella Valdichiana. (Bend. R. lst. Lomb., 2a, XXVII, 1893). (62) Canavari M. — Ancora sulla eocenicità della parte supe- riore della Scaglia nelV Appennino centrale. (S. T. Se. Nat., IX, 1894). (63) Lotti B. — Rilevamento geologico eseguito in Toscana nel- l’anno 1893. (B. C. G. I., XXV, 1894). (64) » — Cenni sul rilevamento geologico eseguito in To- scana nel 1894. (B. C. G. I., XXVI, 1895). (65) » — Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo. (B. C. G. I., XXVI, 1895). (66) Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nell' Abruzzo teramano durante Vanno 1894. (B. C. G. I., XXVI, 1895). (67) Sacco F. — La Toscana (B. C. G. I., XIV, 1895) e Carta geologica (scala di 1 a 100.000). (68) Tedeschi E. — L Badiolari delle marne mioceniche di Ar- cevia. (Riv. it. Paleont., I, 1895). F. SACCO 122 (69) Trabucco G. — Nummulites ed Orbitolites nell' Arenaria Macigno del Bacino eocenico dì Firenze. (S. T. Se. Nat., IX, 1895). (70) » — Il Langhiano nella Provincia di Firenze. (B. S. G. I., XIV, 1895). (71) De Angelis G. — Appunti preliminari sulla Geologia della Valle dell' Aniene. (B. S. G. I., XV. 1896). (72) Lotti B. — Inocerami nell'Eocene del Casentino. (B. C. G. I., XXVII, 1896). (73) Viola C. — Osservazioni geologiche fatte sui Monti Ernici. (B. C. G. I., XXVII, 1896). (71) » — Osservazioni geologiche nella Valle del Sacco in Provincia di Roma. (B. C. G. I., XXVII, 1896). (75) Chelussi I. — Brevi cenni sulla costituzione geologica di alcune località dell Appennino aquilano. (1897). (76) De Angelis G. — L'Alta Valle dell' Anione. { Mem.S. Geogr. it., VII, 1897). (77) » — Contribuzione allo studio paleontologico dell'Alta Valle dell' Aniene. (B. S. G. I., XVI, 1897). (78) De Angelis G. e Luzi G. F. — I fossili dello Schlier di S. Severino. (B. S. G. I., XVI, 1897). (79) Verri A. — Cenni sulle formazioni dell' Umbria settentrio- nale. (B. S. G. I., XVI, 1897). (80) Cassetti M. — - Rilevamento geologico dell' Abruzzo aquilano ccc. eseguito nel 1897. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (82) Lotti B. — Studi sull’Eocene dell' Appennino toscano. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (83) Trabucco G. — Stratigrafia dei terreni ed elenco delle roccie della Provincia di Firenze (1898). (81) Vinassa P. — Nuovi generi di Radiolari del Miocene di Arcevia. (B. S. G. I., XVII, 1898). (85) Viola C. — Osservazioni geologiche fatte sui monti subla- censi nel 1897. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (86) Bonarelli G. — Alcune formazioni terziarie fossilifere del- l'Umbria. (B. S. G. I., XVIII, 1899). LA QUESTIONE EO- MIOCENICA DELL’APPENNINO 123 (87) Bonarelli G. — Escursioni della Società geologica italiana nei dintorni di Ascoli Piceno. (B. S. G. I., XVIII, 1899). (88) Cassetti M. — Osservazioni geologiche fatte nell ' Umbria e nel Piceno, ecc. (B. C. G. I., XXX, 1899). (89) De Angelis G. e Luzi G. F. — Altri fossili dello Schlier delle Marche. (B. S. G. I., XVIII, 1899). (90) De Stefani C. e Nelli B. — Fossili miocenici dell’ Appen- nino aquilano. (R. Acc. Lincei, Vili, 1899). (91) Lotti B. — Rilevamento geologico dei dintorni del Lago Trasimeno, di Perugia e di Umbertidc. (B. C. G. I., XXX, 1899). (92) Morena T. — - Le formazioni eoceniche e mioceniche fi-an- cheggianti il Gruppo del Catria nell' Appennino cen- trale. (B. S. G. I., XVIII, 1899). (93) Sacco F. — L' Appennino della Romagna (B. S. G. I., XVIII, 1899) e Carta geologica (scala di 1 a 100.000). (94) » — Sull’età di alcuni terreni terziari dell’ Appen- nino. (Atti R. Acc. Se. Torino, XXXV, 1899). (95) Silvestri A. — Una nuova località di Ellipsoidina ellipsoi- dalis. (R. Acc. Lincei, Vili, 1899). (96) Ugolini R. — Monografia dei Pettini miocenici dell' Ltalia centrale. (B. S. Mal. it., XX, 1899). (97) » — Sopra alcuni fossili dello Schlier del M. Ce- drone (Umbria). (B. S. G. I., XVIII, 1899). (98) Verri A. e De Angelis G. — Contributo allo studio del Miocene nell' Umbria. (Rend. R. Acc. Lincei, Vili, 1899). (99) Viola C. — Nuove osservazioni geologiche fatte nel 1898 sui Monti Ernici e Simbruini. (B. C. G. I., XXX, 1899). (100) De Angelis G. — L Ciottoli esotici nel Miocene del M. Deruta (Umbria). (Rend. R. Acc. Lincei, IX, 1900). (101) » — L'origine dei ciottoli esotici nel Mio- cene del M. Deruta (Umbria). (Rend. R. Acc. Lincei, IX, 1900). (102) De Stefani C. — LI Miocene nell' Appennino settentrionale a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e Sacco. (S. T. Se. Nat., 1900). F. SACCO 124 (103) Lotti B. — Sull'età della formazione mamoso-arenacea fossilifera dell' Umbria superiore. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (104) » — Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei dintorni del Trasimeno e nella regione immediatamente a Sud sino ad Orvieto. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (105) Mariani M. — Fossili miocenici del Camerinese. (Riv. ìt. Paleont., VI, 1900). (106) Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orientale della Catena dei Sibillini. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (107) Nelli B. — - Fossili miocenici dell' Appennino aquilano. (B. C. G. I., XIX, 1900). (108) Oppenheim P. — Ueber die grosscn Lucinen und das Alter der miocàncn Macigno-Mcrgel des Ap- pennin (Neues lalirb. f. Miner. Geol. u. Pai., I, 1900). (109) » — Nodi einmal iiber die grossen Lucinen des Macigno in Appennin (Centralblàtt far Min. Geol. u. Paleont., 1900). (110) Silvestri A. — Stili’ esistenza dello Zancleano nell’alta Valle Tiberina. (R. Acc. Lincei, IX, 1900). (111) » — Fauna prot istologica neogenica dell'alta Valle Tiberina. (Meni. Pont. Acc. Nuovi Lincei, XVII, 1900). • (112) Trabucco G. — Fossili , Stratigrafia ed Età di alcuni ter- reni del Casentino. (B. S.G. I., XIX, 1900). (113) » — Il carattere paleontologico nella cronologia del Miocene dell’ Appennino. (S. T. Se. Nat., XII, 1900). (114) Verri A. e De Angelis G. — 2° Contributo allo studio del Miocene nell' Umbria. (B. S. G. I., XIX, 1900). (115) Viola C. — Sopra alcuni Pettini dei Calcari a piccole N im- milliti dei dintorni di Subiaco. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (116) Vinassa P. — Radiolari miocenici italiani. (Mena. R. Acc. Se. Bologna, 5a, Vili, 1900). (117) Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleon- tologiche. (B. C. G. I., XX, 1901). LA QUESTIONE EO-MIOCEN ICA DELL’APPENNINO 125 (118) Gentile G. — Contribuzione allo studio dell’ Eocene nel- l’Umbria. (Boll. Nat., XXI, 1901). (119) Lotti B. — Ancora sulVetà della formazione marnoso-are- nacea fossilifera dell 7 Umbria superiore. (B. C. G. I., XXXII, 1901. (120) Moderni P. — Osservazioni {teologiche fatte in Provincia di Macerata nell’anno 1900. (B.C. G. I., XXXII, 1901). (121) Nelli B. — Il Langhiano di Rocca di mezzo. (B. S. G. I., XX, 1901). (122) Sacco P. — Sul valore stratigrafico delle grandi Lucine dell’ Appennino. (B. S. G. 1., XX, 1901). (123) Trabucco G. — Sulla posizione ed età del Macigno dei Monti di Cortona. (B. S. G. I., XX, 1901). (124) Verri A. e De Angelis G. — Terzo Contributo allo studio del Miocene nell’Umbria. B. S. G. I., XX, 1901). (125) Viola C. — - A proposito del Calcare con Pettini e piccole Nummuliti di Subiaco. (B. C. G. I., XXXII, 1901). (126) Bonarelli G. — Miscellanea di .note geologiche e paleon- tologiche per Vanno 1901. (B. S. G. I., XXI, 1902). (127) De Stefani C. — I terreni terziarii della Provincia di Roma. (Rend. R. Acc. Lincei, XI, 1902). (128) Mariani M. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Ca- merino. (B. S. G. I., XXI, 1902). (129) Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleon- tologiche per Vanno 1902. (B. S. G. I., XXII, 1903). (130) Cassetti M. — Appunti geologici sui monti di Tagliacozzo e di Scurcola nella Marsina. (B. C. G. I., XXXIV, 1903). (131) Chelussi I. — Sulla geologia della conca aquilana. (S. I. Se. Nat., XLII, 1903). (132) Di Stefano G. — Il Calcare con grandi Lucine dei din- torni di Centuripe. (Atti Acc. Gioenia Se. Nat. Ca- tania, 4a, XVI, 1903). (133) Nelli B. - — Fossili miocenici del Macigno di Porretta. (B. S. G. I., XXII, 1903). (134) Rovereto G. — SulVetà del Macigno dell’ Appennino li- gure. (B. S. G. I., XXII, 1903). (134 l,is) Silvestri A. — Alcune osservazioni sui Protozoi fossili piemontesi. (Atti R. Acc. Se. Torino, XXXVIII, 1903). 126 F. SACCO (135) Ugolini II. — Pettinidi nuovi o poco noti di terreni ter- ziari italiani. (Riv. ital. Paleont., IX, 1003). (136) Verri A. — Sulla divergenza di vedute circa le forma- zioni eoceniche c mioceniche delV Umbria. (B. C. G. I.. XXXIV, 1903). (138) Viola C. — Osservazioni geologiche nella Valle dell’ Anime eseguite nell’anno 1902. (B. C. G. I., XXXIV, 1903). (139) Airaghi 0. — Echinodermi miocenici dei dintorni di S. Ma- ria Tiberina. (Atti R. Aec. Se. Torino, XL, 1904). (140) Cassetti M. — Da Avezzano a Solmona. Osservazioni geo- logiche fatte Vanno 1903 nell’ Abruzzo aquilano. (B. C. G. I., XXV, 1904''. (141) » — Sulla struttura geologica dei Monti della Majella e del Morrone. (B. C. G. I., XXXV, 1904). (142) Che lussi I. — Alcune osservazioni preliminari sul gruppo del Monte Velino e sulla Conca del Fucino. (Atti Soc. it. Se. Nat., XLIII, 1904). (142 Lis) Comitato Geologico Italiano. — Atti Ufficiali. (B. C. G. I., XXXV, 1904). (143) Lupi A. — Fauna miocenica presso Tagliacozzo. (B. S. G. I., XXIII, 1904). (1431,is) Meli R. — Brevi notizie sulle roccie che si riscontrano nelV Abruzzo, ecc. (B. S. G. I., XXIII, 1904). (144) Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte alle falde del- V Appennino fra il Potenza e VEsino. (B. C. G. I., XXXV, 1904). (145) Sacco P. — L’ Appennino settentrionale e centrale. (Vo- lume e Carta geologica alla scala di 1 a 500.000). 1904. (146) Silvestri A. — Località toscana del gen. Chapmania. (Boll. Natur., XXIV, 1904). (147) Cassetti M. — Appunti geologici sid Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni. (B. C. G. I., XXXVI, 1905). (147 bis) Depéret et Roman. — Monographie des Pecten ne'ogenes eie l’Europe. (Móni. Paléont. S. G. F., XIII, 1905). (148) Comitato Geologico Italiano. — Atti Uff ciati, pag. 29. (B. C. G. I., XXXVI, 1905). LA QUESTIONE EO-MIOCENICA DELL’APPENNINO 127 (148bU) Prever P. L. — Ricerche sulla Fauna di alcuni cal- cari nummulitici dell’Italia centrade e meridionale, (B. S. GL I., XXIV. 1905). (149) Silvestri A. — Sid Dictyoconus aegyptiacus ( Ghapm.) (Atti (1 50) » Pont. Acc. Nuovi Lincei, LVIII, 1905). — - Lepiclocyctinae ed altri fossili nei din- torni di Angliiari. (Atti Pont. Acc. Nuovi Lincei, LVIII, 1905). (151) » — La Chapmania gassinensis Silv. (Riv. it. Paleont., XI, 1905). (152) » — Notizie sommarie su tre Faunulc del Lazio. (153) » (Riv. it. Paleont., XI, 1905). — Sulla Orbitoides Gumbeli Seg. (Atti Pont. Acc. rom. Nuovi Lincei, LIX, 1905). (154) Sacco F. — ■ Sur la raleur strati graphique des Lepidocyclina et des Miogypsina (Bull. Soc. geo), de Frauce; Serie 4e, Tome V, 1905). [ms. pres. il 11 deeembre 1905 - ult. bozze 14 aprile 1906]. IL TRIAS A FACIES MISTA CON CALCESCISTI E PIETRE VERDI NEL VERSANTE PADANO DELLE ALPI LIGURI Comunicazione del Socio Ing. S. Franchi Stabilita nel 1896-97 l’età secondaria della zona delle pietre verdi nelle Alpi Cozie, sulla base dei fossili caratteristici e di accurate osservazioni stratigrafiche, a causa della identica costitu- zione litologica, con identiche associazioni, del gruppo cristallino di Voltri, affermata da vari autori e dimostrata da chi parla con vari studi petrografici dal 1893 in poi, era ovvio l’attribuire la stessa età a quest’ultimo gruppo. Io avevo inoltre fin dal 1898 dimostrato, con descrizioni e profili, l’estendersi del complesso litologico della zona delle pietre verdi attraverso le valli Stura, Gesso e Vermenagua, alle falde settentrionali del Monte Besi- mauda, ed ai dintorni di Mondavi, dove un Trias inferiore con calcescisti e pietre verdi era stato indicato dall’ing. Zaccagua fin dal 1887. Chi parla cercò in seguito se fosse possibile ottenere prove dirette dell’età secondaria della massa di Voltri, e credette poter affermare come gli scisti a radiolarie di Case delle Isole, presso Montenotte, studiati da Parona e Rovereto, fossero, al pari degli scisti fi Badici plumbei con cui si trovano a contatto, parte in- tegrante della zona delle pietre verdi ligure. Alle falde del Bric del Giogo io vidi le eufotidi con lenti di serpentine sovrapporsi ai calcari triasici, e potei riconoscere il passaggio graduale tra alcune delle masse di calcari dolomitici di tipo triasico (Naso di Gatto, M. Gos, pressi di Cairo) e gli scisti fi Badici con calce- IL TRIAS NELLE ALPI LIGURI 129 scisti che includono le rocce verdi. (Vedi Boll. R. Coni, geo]., 1901. Atti Uff., P- 36-37). Il rilevamento nelle prealpi Monregolesi, fra l’Ellero' ed il Casotto, mi permise di riconoscere e confermare il grande svi- luppo che vi hanno i calcescisti, i quali, con calcari cristallini e masse di calcari dolomitici fossiliferi, vi rappresentano il Trias medio. Nei calcescisti si inseriscono piccole lenti di rocce a glau- cofane, identiche a quelle alpine, in diversi punti a Sud di Torre Mondovì. Il Trias inferiore a Nord del fascio di pieghe del Permiano non è sempre rappresentato da quarziti ed anageniti, ma sovente da scisti sericitici filladici (talora con cloritoide), per cui la tet- tonica riesce poco chiara. Però un profilo condotto lungo il con- trafforte fra Ellero e Maudagna, da Cima Roncalin a S. Matteo, serve mirabilmente ad illuminarci sui caratteri di essa. Lungo tale profilo si osservano ripetute pieghe di un potente banco di quarziti ed anageniti, sovrapporsi agli scisti porfiroidi del Per- miano, e racchiudere, in quattro sinclinali, diverse masse di calcari cristallini con calcescisti, ed in una quinta dei calcari dolomitici fossiliferi (massa di Villanova Mondovì). Così quei calcari cri- stallini e quei calcescisti risultano evidentemente compresi nel Trias medio, sicché si può con tutta sicurezza attribuire la stessa età ai calcescisti, che sono tanto sviluppati più ad oriente. Le osservazioni mie dell’autunno scorso, coordinate colle lire- cedenti dello Zaccagna e mìe, mi permettono di formulare un enun- ciato che sintetizza, parallelizzandoli, i rapporti di costituzione e di tettonica fra le Alpi Cozie e le Alpi Liguri: una medesima zona permo-carbonifera, di ampiezza varia ma continua, con struttura a ventagtio anticlinale più o meno complessa, separa, tanto nelle Alpi Cozie che nelle Liguri, come nei contrafforti intermedi fra Stura e Vermenagna, due differenti sviluppi di Trias, quello a facies ordinaria o brianzoncsc all'esterno , quello con calcescisti e con pietre verdi ( facies cristallina e facies mista) all’interno della zona suddetta, rispetto all’arco alpino. Di più nelle Alpi Liguri una delle sinclinali di terreni se- condari della sommità del ventaglio permiano, quella più meri- dionale o del Mondolé, presenta ancora prevalentemente, quan- tunque non schietta, la facies ordinaria, mentre le altre: Colle 9 130 S. FRANCHI Marzolere, Colla del Prel, Bossea, presentano già una facies prevalentemente cristallina, almeno pel Trias medio, in cui pre- valgono, in alcune tratte, calcari marmorei, cipollini e calce- scisti sui calcari dolomitici. Lembi di questo Trias con pietre verdi furono dallo Zac- cagna indicati come localizzati nel Trias inferiore più ad Oriente, presso Ceva e presso Bagnasco; ed ultimamente lo stesso mio collega ne rilevò un interessante lembo presso Biestro (a qualche chilometro dalla Bòrni i da di Spigno), nel quale figurano masse di roccie verdi diverse, serpentine, diabasi, eee., intercalate in quella zona di scisti che nelle Alpi Marittime è sovente interposta fra le quarziti ed i calcari del Trias, costituendone un termine di transizione (da comunicazioni orali dell’ing. Zaccagua). Cosi questi affioramenti di Trias a facies mista, nel quale oltre alle quarziti ed ai calcari dolomitici, fossiliferi in molti punti, ma principalmente a Boves, Peveragno, Yillanova-Mondovi e Torre- Mondovi, figurano filladi, calcescisti, cipollini e pietre verdi, costituiscono, all’ interno (rispetto alTarco alpino) della zona permo-earbonifera interalpina, una zona quasi continua, dalle pietre verdi delle Alpi Cozie e quelle del gruppo di Voltri, già tanto sviluppate sulla destra della Bormida di Spigno. La co- perta di terreni miocenici solo impedisce di vederne la conti- nuità di affioramento. In forza di questi fatti, non solo l’età del complesso litolo- gico del gruppo di Voltri risulta essere realmente secondaria, come per quello delle Cozie, il che d’altronde era già dimostrato dalle prove dirette dianzi accennate, ma viene ad essere confer- mata la necessaria struttura antielinale a ventaglio della zona pernio-carbonifera delle Alpi Cozie, da me ripetutamente affer- mata (1898-1904). Le due facies di Trias, oltre alle differenti azioni metamorfosanti subite, sono dovute alle assai differenti condizioni di deposito che si verificavano entro due bacini adia- centi, separati da un bassofondo in corrispondenza dell’attuale zona pernio-carbonifera, siccome io supponevo nel mio lavoro del 1898 (p. 205;; concetto questo che ho visto con piacere espresso daH’Haug alla riunione del settembre 1905 in Torino della S. Gr. francese. Per di più l’enunciato ora esposto viene anche a confermare, se duopo ne fosse, l’età secondaria della IL TRIAS NELLE ALPI LIGURI 131 zona delle pietre verdi delle Alpi Oozie; perchè nelle Alpi Li- guri il Trias inferiore essendo ben rappresentato dalle caratte- ristiche quarziti ed anageniti, anche in punti dove il Trias medio è costituito da calcescisti e calcari cristallini con pietre verdi, nessun dubbio è più possibile sull’età secondaria di queste. (Pro- filo Cima Roncalin S. Matteo e Valle Corsag'lia a monte di Torre) ('). Io colgo questa occasione in cui parlo della zona delle pietre verdi, per dichiarare a nome mio e dei colleglli di rilevamento delle Alpi occidentali, come non siano assolutamente ammis- sibili i concetti di alcuni geologi stranieri, che recentemente emisero l’ipotesi, che tutte le rocce eruttive della zona delle pietre verdi siano intrusive, e di data relativamente recente. Qualcuno di essi vorrebbe anzi che le roccie verdi affioranti in mezzo il secondario ed all’Eocene siano dovute ad una sola intrusione post-eocenica. 10 ed i miei colleghi abbiamo in numerosi lavori, dal 1894 in poi, espresso il nostro modo di vedere in proposito, e gli argomenti su cui ci basavamo. 11 modo di intercalazione delle numerosissime masse di roccie eruttive, con perfette concordanze ai contatti e soventi con vere sfumature, la frequenza di tipi di roccie provenienti da depositi misti, argilloso-calcarei con elementi di roccie verdi (calcescisti e filladi ricchi in silicati ferro-magnesiaci, prasiniti riccamente calcitifere, eco.), l’assenza di filoni attraversanti le roccie stra- tificate ambienti, nonché l’assenza di fenomeni di contatto, che avrebbero dovuto permanere, se l’intrusione fosse posteriore al grande sollevamento alpino, infine il metamorfismo profondo, non inferiore a quello delle roccie ambienti, che si constata in tutte le roccie eruttive basiche, (trasformazione delle eufotidi e diabasi in prasiniti ed anfiboliti sodiche, ecc.), sono sufficienti a dimostrare all’evidenza la coevità loro colle roccie stratificate metamorfiche, calcari cristallini, calcescisti, filladi, mieascisti.eec., in cui , si intercalano ripetutamente. (’) Di queste osservazioni saranno date notizie più ampie e docu- mentate in un prossimo scritto nel Boll, del R. Coni, geologico. 132 S. FRANCHI Per le roccie verdi eoceniche, giacché alcuni autori credono ad una sola venuta post-eocenica, l’ipotesi dell’intrusione è inoltre dimostrata inammissibile dal fatto degli scisti a radiolarie, che soventi ad esse sono intimamente associati ed intercalati. Questo argomento ha anche valore per alcune masse della zona delle pietre verdi (Cesana e Colle delle Sugne nelle Alpi Cozie, Meuje dell’Amore, ecc., nel Gruppo di Voltri). Sarebbe difatti singolare che le roccie verdi di questo terreno si fossero intruse nella maggior parte dei casi a contatto con- cordante cogli scisti a radiolarie, che in alcuni punti inglobano frammenti e lenticole di esse ! [ms. pres. il 4 marzo 1906 - alt. bozze 23 aprile 1906], LA CHIMICA NELLA GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE Nota del prof, doto Leonardo Ricciardi Il Lavoisier enunciò nel 1770 il principio della conserva- zione della materia , già intraveduto da Parmenide, e precedette di pochi anni la teoria di Hutton (1785) Sulla circolazione delle rocce (’). Il Daubrée, riassumendo con molta precisione le idee dell’illustre plutonista, si esprime come segue: « Hutton narra la storia del globo con semplicità pari alla » magnificenza. L’atmosfera è la regione ove le rocce si decom- » pongono e le minuzie loro vanno accumulandosi sul fondo del » mare. Gli è in questo vasto laboratorio che le materie mobili » sono, in seguito, sotto la duplice azione della pressione del- » l’oceano e del calore, mineralizzate e trasformate in rocce » cristalline, aventi l’aspetto delle rocce più antiche, destinate » ad essere più tardi sollevate per forza dello stesso interno » calore, e alla lor volta demolite. La degradazione di una por- » zione del globo è così costantemente impiegata a edificarne » un’altra, e l’assorbimento continuo dei depositi inferiori dà » per prodotto sempre nuove rocce, che possono venire iniettate » attraverso i sedimenti. È un sistema di distruzione e di rin- » no vel lamento di cui non si può nò indovinare il principio, » nè prevedere la fine. Come nei moti planetari, dove le per- » fluitazioni si correggono da se stesse, hanno luogo nel globo » dei cambiamenti continui, ma aggirantisi entro certi confini (') Lyell, Principes de Geologie. T. I, p. 24 e 25. Paris, 1873. 134 L. RICCIARDI » sicché il globo non mostri alcun segno nè d’infanzia nè di » vecchiaia » (’). Ma il geologo francese mentre accetta il concetto di Hutton non ammette la continuità di processo, che ne è parte essen- ziale: l’ammette invece lo Stoppani, al quale mi associo pie- namente (*). È noto che in Italia, se difettano i terreni e le reliquie delle epoche remote, abbondano invece le rocce cristalline, che sono il mio punto di partenza per trattare della genesi delle rocce che emersero nella nostra penisola e nelle isole, e par- tendo dai graniti passerò successivamente alle lave vulcaniche, che tutt’ora eruttano il Vesuvio, l’Etna e gli altri vulcani attivi. Per dirla col Geikie (3), dobbiamo noi credere roccia primi- tiva il nucleo granitico apparso da una stessa denudazione in terreni antichi ? Non pare. Questo può indicare soltanto che la parte inferiore delle formazioni più antiche può assumere la struttura granitica a preferenza delle altre. Ora, essendo il gra- nito di origine profonda, come ne fan fede gli espandimenti attraverso formazioni fossilifere di varie età, dalle più antiche fino alle superiori secondarie ed anche terziarie, possiamo am- mettere con Hutton che le rocce eruttive più recenti del granito hanno prese forme diverse, considerate dall’aspetto fisico e pure dalla loro composizione mineralogica, perchè diversi furono i materiali che contribuirono alla formazione dei diversi magmi. Questo fatto per altro non deve escludere che anche adesso pos- sono formarsi graniti, come giustamente osserva il prof. I. Coc- chi, il quale su questo argomento si esprime così: « se di questo fenomeno non possiamo essere testimoni ed osservatori immediati, ciò deriva dall’esser mestieri, perchè noi tali fatti vediamo, che qualche fenomeno di sollevamento porti a giorno quelle parti profonde che ci restano nascoste insieme con gli avvenimenti che vi hanno sede » (*). (*) Daubrée, Rapport sur ìes progrès de la geologie expérimentale. Paris, 1867, pag. 59. (?) Stoppani, Corso di geologia , Voi. Ili, pag. 543. Milano, 1873. (3) A. Geikie, Text-Boolc of geology. London, 1882. (4) Cocchi I., Descrizione geologica dell’Isola d’Elba. Mera, del R.° Coni, Geol. d’Italia, 1, 1871. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 135 Le minuziose e diligenti ricerche geotettoniche e paleonto- logiche di un grandissimo numero di scienziati di tutte le na- zioni e in tutti i tempi storici han permesso ai moderni geo- logi di stabilire la cronologia delle rocce eruttive. Il Geikie e molti altri ammettono che le rocce eruttive più antiche assumano l 'habitus dei graniti ; questo dipende dal fatto che nei terreni più antichi i graniti compaiono come dicchi o sotto forma di espandimenti. Si ammette che i graniti abbiano avuto il loro massimo svi- luppo nell’epoca geologica denominata azoica e paleozoica, e le ultime eruzioni sottomarine, secondo Geikie, s’ebbero fino al- l’epoca terziaria. Si accompagnano ai graniti i gneiss, gli schisti ed altre rocce cristalline. Queste rocce hanno la stessa composizione mineralogica e chimica dei graniti, dai quali differiscono per lo schiacciamento e per una specie di orientazione degli elementi cristallini e granulari che dà alla roccia l’aspetto di un deposito sedimen- tario. Io credo che. i gneiss siano rispetto ai graniti nello stesso rapporto che i tufi vulcanici rispetto alle correnti laviche della stessa eruzione e quindi della stessa epoca (l). Infatti come nei dintorni dei centri eruttivi il tufo vulca- nico costituisce le formazioni geologiche più diffuse, cosi la roccia gneissdca è una delle più diffuse fra le rocce cristalline che accompagnano le formazioni granitoidi. Queste formazioni geologiche sono state messe in evidenza o dalle esportazioni degli strati sovrapposti o dalle dislocazioni provocate dalla di- namica interna che ha portato alla superficie le rocce più pro- fonde che sono del tipo granitoide. Le rocce di questa formazione, che si dicono primitive, co- stituiscono un insieme quasi uniforme sull’intera superficie del globo. Esse proverebbero che il magma pastoso preesisteva su tutta la superficie del nostro pianeta e che esse derivarono o per consolidamento diretto, sotto la pressione dei gas e dei va- pori sovrariscaldati, o per erosione. G) Ricciardi L., I tufi vulcanici del Napolitano. Atti dell’Accad. Gioenia. Catania, 1884. Ser. 3, voi. XVIII. 136 L. RICCIARDI Composizione chimica dei graniti e delle rocce che l’accompagnano. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Si O2 74,09 72,95 69,30 75,50 70,57 74,25 75,00 Ph2 O5 0,41 0,23 — — 0,32 — — Al2 O3 15,13 16,51 16,40 11,85 17,96 12,58 12,00 Fe 0 2,33 1,62 4,50 4,55 1,25 2,41 1,10 Ca 0 2,92 3,27 1,12 0,56 5,17 1,08 1,26 Mg 0 0,97 0,43 1,18 1,08 1,51 10,01 9,34 K2 0 2,34 3,12 3,46 3,97 2,03 — — Na2 0 0,85 1,04 5,02 2,41 0,77 — — Perdita 0,79 0,98 — — 0,83 0,67 0,40 99,74 100,15 100,88 99,92 100,41 100,00 100,00 1. Ricciardi — Granito di Messina. 2. » — » di Monte Diruta (Italia Centrale). 3. Funa ro — » di Mola (Elba). 4. » — Gneiss di Mola » 5. Ricciardi — » di Messina. 6. Delesse — Granito del Monte Bianco. 7. » — » di Valarsino. Porfidi. Il Dii Rocher non dubita di affermare che graniti e porfidi rappresentano spesso diversi modi di sviluppo d’una stessa sostanza. Le rocce anfìboliche ebbero il loro massimo sviluppo eruttivo nei terreni devoniani e carboniferi e le loro eruzioni pare che siano terminate al principio del triasico; dei porfidi antichis- simi si trovano nelle Alpi e presentano il massimo sviluppo du- rante i periodi carbonifero e permiano, e tra il giura e la creta terminarono le eruzioni dei melafiri. Cronologicamente seguirono a queste rocce quelle pirosseniche. Riporto i dati analitici di rocce appartenenti a questo gruppo: Porfidi. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 137 co co ià Tfì CO Cvl o IO r-H o 'cH t-H o Ol I>- co^ oo_ cq_ Ol t-H hH io Ol. r-T oT ci o" oi" r-H co" co" Ol" r-H o rH o OT 1 hH co 02 02 o co 1 CO « 00^ CO i— f t-H ©" co" co~ oT [>- T” H 02 i>- o io I o 02 io io , iO co_ 1 OT Hd^ Ol A Ol oT - H o t-H GO co ■ IO o co co co hH rH 1 °L Ol co_ 00 00 io io of r-H o" co" I>* r-H 02 r-H t>- 00 00 02 (NI 00 co 00 02 00 GO^ cq_ co hH_ IO cq_ hH CO rH T— H t-H cT hH" rH rH 02" r-H 02 Ol rH (NI rH co Ol Ol CO co t-H cO 1^ O co rH cq_ Hi" rH rH cT hH Ol" Ol" 0" r-H 0 r-H o CO rH 1 1 | 02 o IO 00 t>- no 1 1 OT ©. Ol 01 oT l>-~ o" r- co" rH oT CO r-H 02 o lO 1 io Ol o l~ o co r-H (NI 1 o co iO Ol Ol o c— o o' ^ ì-T cT -rjT o , o t>- t-H o co IO r-H OT T_H CO 00 ^H OT OT N hH CO htH 00 OT r-H co" t-H r-H t-H O" r-H Ol 0" 0 iOOCCl>00000(Ml> h o co^ CO^ IO o ^ ^ oo" H co* T-H O (NI O i-h r-H CO o o co co -t— ■> b0°0o00?^ .— b °© H O •73 o Ph OJD feX) c$ O bQ a hi o «G O Ph l ì 'p a g s rti tO CD >. Funaro — » d’ Elba. 9. Gargantini e Piutti — » di Lugano. . Cossa e Mattirolo — Porfido di Sardegna. 10. Schwarzenboch — » del Gottardo. >. Giimbel — » di Lugano. 11. Fellemberg — » del » !. Ricciardi — » del Lago d’Orte. 138 L. RICCIARDI Dioriti, Diabasi e Gabbri. Le dioriti sono più abbondanti delle sieniti nelle Calabrie, e una estesa formazione se ne rinviene nelle Alpi, specialmente nei dintorni d’ Ivrea da dove si parte un espandimento di rocce dioriticbe, che attraversando il Biellese, va a finire sul Lago Maggiore. Le dioriti italiane furono studiate dal prof. A. Cossa che le distinse in quattro gruppi: 1° Diorite quarzifera di Cossato; 2° Diorite di Valsessera, composta unicamente di cristalli di grossezza uniforme di antibolo e di oligoclasio; 3° Diorite ugualmente di Valsessera, in cui il feldspato è in masse di un color bianco perlaceo, disseminate irregolarmente da chiazze di antibolo nero; 4° Diorite di Campello Monti di Valsessia, rimarchevole pei grossi cristalli di antibolo nero. La diorite di Cossato consta dei seguenti elementi minera- logici: plagioclasio, orniblenda, cloriti e quarzo. All’analisi chi- mica dette la seguente composizione centesimale: 1. 2. 3 Si O2 60,12 56,13 59,51 Pii2 O5 0,84 — - tracce Al2 O3 14,63 15,93 19,73 Fé2 O3 2,06 8,60 8,38 FeO 7,24 — 0,36 CaO 5,72 4,90 5,41 Mg 0 3,27 5,12 3,05 K? 0 3,69 5,95 1,06 Na2 0 2,03 5,95 2,25 Perdita 1,53 3,28 1,29 101,13 100,00 101,04 1. Cossa — Diorite quarzifera porfiroide (Cossato). 2. » e Mattirolo — Diorite quarzifera (Sardegna). 3. Rosembuch — Diorite quarzifera. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 139 Diabasi. Si associano alla formazione dioritica spesso le rocce diaba- siche. La diabase peridotifera di Mosso nel Biellese, studiata dal Cossa, consta dei seguenti elementi mineralogici: un feld- spato triclino e augite che predominano sugli altri componenti, l’olivina, la mica nera magnesifera, la magnetite contenente tracce di ferro titanato, qualche raro cristallo di orniblenda, l’apatite in microliti rinchiusi, che sono in quantità assai pic- cola ed irregolarmente disseminati, e cristalli di pirite e di calcopirite. La composizione chimica di questa roccia, secondo l’analisi del Cossa, è la seguente: Si O2 48,18 Ph2 O5 0,37 Ti O2 tracce Al2 O3 18,86 Fe 0 6,22 Fe2 O3 2,27 CaO 9,95 Mg 0 8,46 Na20 3,88 K2 0 1,23 Perdita 0,45 99,87 Le rocce diabasiche sono piuttosto diffuse in Italia: infatti se ne rinvengono nella Toscana e nell’Isola d’Elba, nell’Ap- pennino della Liguria, nell’Emilia e nel Piemonte. La composizione chimica delle diabasi dell’Elba, dell’Emilia, del Piemonte e della Sardegna è la seguente : 140 L. RICCIARDI 1. 2. 3. 4. Si O2 51,56 49,62 48,27 44,44 Ph2 O5 — 0,16 0,34 0,42 Ti O2 — — 0,29 3,00 Al2 O3 20,88 13,47 16,48 16,69 FeO 8,14 10,21 1,04 7,64 Fe2 O3 2,06 4,72 7,56 8,03 MaO — 0,51 — Ca 0 1,12 6,22 7,87 7,44 Mg 0 5,90 9,18 8,93 4,07 Na2 0 4,91 1,03 4,41 0,65 K2 0 0,25 0,43 0,56 3,99 Perdita 4,93 5,02 3,95 3,23 99,75 100,57 99,70 99,60 1. Cossa — Diabase alterata del Golfo Stella (Isola d’Elba). 2. Ricciardi — » di Rossetta (Reggio nell' Emilia). 3. Cossa — » di Monteferrato. 4. C. Viola — » anfibolica della Nurra e Sardegna. Gabbri. Accompagnano questo tipo di roccia, del quale di solito fanno un gruppo designato col nome di rocce ofioliticlie, i Gabbri. Con questo nome si suole indicare una roccia molto diffusa nella Toscana e che si rinviene pure nei Monti Beriei. Il volgo in Toscana chiama Gabbro tutto il complesso delle rocce ofiolitiche, diabase, eufotide e serpentina , che costantemente appariscono fra loro associate. Su questa roccia vi sono forti di- screpanze tra i geologi, ma non è qui il caso di tenerne discorso e riporto senz’altro la composizione chimica di alcuni gabbri toscani e dei Monti Beriei: GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 141 1. 2. 3. Si O2 84,50 60,46 50,32 Al2 O3 6,00 30,38 16,22 Fe 0 — t 5,60 Fe2 03 3,50 4,21 4,74 Mn 0 — 1,08 - — - Ca 0 1,03 2,45 10,72 Mg 0 — 0,95 8,21 Na2 0 — — — K2 0 1,95 — - 1,07 C 02 — ■ — 0,91 Perdita 2,47 0,48 1,88 99,45 100,01 99,67 Delesse — Gabbro ' rosso del Capo Romito. » — » » delfimpriineta. 3. Lasaulx — » del Vicentino. Eufotidi. Nel gruppo delle rocce ofiolitiche vi sono pure le eufotidi e constano di un feldspato, di antibolo, di pirossene ang-ite e di diallagio, minerali cementati da sostanze amorfe. Composizione chimica delle eufotidi. Si O2 1. 56,46 2. 55,58 Ph2 Og 0,20 — Al2 O3 20,19 18,57 Fe O 5,00 1,29 Fe2 O3 4,36 5,49 Ca O 6,59 12,05 Mg 0 2,66 1,08 Na2 O 1,00 0,42 K2 0 7,95 3,09 Perdita 1,61 2,01 101,02 99,59 1. Rosembusch — Eufotide d’Ivrea. 2. Drechsler — Eufotide di Monteferrato. 142 L. RICCIARDI Doleriti. Le doleriti sono pure rocce diffuse in Italia ed accompa- gnano sempre le altre formazioni di rocce cristalline. I princi- pali componenti mineralogici di questa roccia sono il feldspato labradorite, il più delle volte, ed il pirossene augite. Molte rocce Etnee, in cui predominano i suddetti elementi mineralogici, sogliono indicarsi col nome di lave doleriticlie. La composizione chimica di queste rocce è la seguente: L 2. 3. 4. 5. Si O2 52,80 52,20 53,80 53,13 53,63 Ti O2 2,10 2,10 2,00 — 0,93 Al2 O3 12,50 12,20 15,80 13,28 14,17 Fe2 O3 9,10 10,10 6,90 8,89 1,46 Fe 0 4,00 2,90 4,30 2,61 8,07 CaO 8,10 7,10 7,70 12,63 8,52 Mg 0 4,50 5,50 5,50 3,16 7,05 K2 0 2,40 2,20 0,70 1,34 2,03 Na2 0 2,60 3,80 3,00 3,81 1,80 Phf O5 — — — 1,21 — Perdita 1,10 1,10 0,80 — 2,01 99,10 99,30 100,50 100,06 99,67 1, 2 e 3. Doleriti di Oberofleiden (Washington). 4. Ricciardi — Capo Passero (Sicilia). 5. » — Radicofani. Basalti. I basalti e le doleriti, secondo il prof. Stoppani, si direb- bero destinati a continuare la rappresentanza delle rocce pi- rosseniebe nelle epoche più recenti, come la trachiti a perpe- tuare, sott’ altra forma, le rocce granitiche, colle quali van- tano un’identità di composizione. Si è disputato assai sulla cronologia relativa dei basalti e delle trachiti, e si propende in genere a voler queste più antiche di quelli. Quanto a me GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 143 son d’avviso che i basalti rappresentano l’ultimo stadio delle eruzioni subacquee e della metamorfosi subita dalla roccia gra- nitoide, epperò sono le rocce eminentemente basiche della se- rie subacquea. Le formazioni basaltiche sono diffuse in Italia, specialmente nella Sicilia, e per la loro disgregazione si è formata una con- siderevole estensione di terreno compresa fra Capo Passero, Val di Noto e la base mediterranea dell’Etna. Le formazioni basaltiche della Sicilia, dal punto di vista chimico, furono studiate nel 1881 dallo scrivente e dal dottor Sebastiano Speciale, e si ottennero i seguenti risultati: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Si O2 47,51 48,52 47,40 49,52 49,92 48,17 45,06 Ph2 O5 2,89 1,81 1,78 2,87 1,25 2,35 3,63 Al2 O3 12,03 12,90 11,50 14,07 13,41 13,28 13,45 Fe2 O3 7,95 16,19 7,17 5,80 13,34 10,11 8,70 Fe 0 6,81 0,82 3,90 5,86 0,96 1,26 2,86 Ca 0 10,07 7,64 14,65 10,27 11,05 11,04 11,81 Mg 0 8,15 8,13 8,45 7,14, 6,30 10,31 9,33 K2 0 2,26 1,09 1,22 2,15 1,09 2,19 2,84 Na2 0 2,60 2,19 4,16 3,15 3,48 1,68 2,07 99,97 99,29 100,23 100,83 100,30 100,39 99,75 1. Basalto della Trincea Arcile. (Sicilia). 2. » » » » » 3. » » » Cipellotti. » 4. » » Timpa Ignazio. » 5. » » Rupe di Acicastello. » 6. Ricciardi — Basalto di Tremi gli a. (Siracusa). 7. Ricciardi e Speciale — Basalto dell'Isola dei Ciclopi. (Catania). Trachiti. Le trachiti e le rocce trachitiche italiane, ad eccezione di quelle dei Colli Euganei ('), sono tutte terziarie e furono eruttate dai vulcani in un periodo di tempo in cui avveniva il più im- C) Reyer E , Die Eugcineen bau und geschichte eines Vulcanes. Wien, 1877. 144 L. RICCIARDI portante dei sollevamenti, quello cioè che formava per intero gli Appennini e rincalzava le Alpi. Erroneamente si vogliono scorgere differenze tra le trachiti e le rioliti, le libanti e le pantelleriti, cosa che non esiste, perchè considerate dal punto di vista chimico, come si rileverà dalle cifre che riporterò in seguito, non se ne scorge alcuna. Abich, vedeva nelle trachiti una varietà analoga a quella dei graniti porfirici. G. Targioui Tozzetti, molto prima di Abich, scrisse che « la differenza fra il granito e la traehite (peperino) del Monte Annata sarebbe la stessa che fra la carne cruda e la cotta ». Infatti i campioni di traehite del Monte Amiata e dei Monti Cimini, dinotano all’evidenza che il Targioni Tozzetti imbroccò nel segno a giudicarle, poiché esse non rappresentano altro che il granito eruttato da vulcani subaerei e non subacquei. Con una serie di fatti riportati in altro mio lavoro (’) ho cercato di provare quanto or ora ho accennato, cioè che la traehite non è altro che il granito modificato dal fuoco, e quindi io consi- dero questa roccia come il primo tipo del secondo periodo ossia del cominciamento delle eruzioni subaeree. Se si insiste a volerle conservare il nome di traehite sia pure, purché, però, ripeto, si consideri la roccia come granito modificato dall’azione del calore e di eruzione subaerea. Le tra- chiti possono presentare molte modificazioni dal punto di vista mineralogico, cosa che si verifica pure pei graniti, ma ciò non prova che non sieno graniti modificati dal fuoco, poiché é noto dalle esperienze di Rose, di Fouquè, di Levy, mie e di altri che è sufficiente l’azione del calore per trasformare alcuni minerali da un tipo in un altro. Immaginiamo poi cosa può avvenire nelle bolge vulcaniche e quali modificazioni può subire il granito pel calore e in presenza del residuo delle acque del mare (2). Il graduale passaggio del granito in altri tipi di rocce ce l’offrono quasi tutti i materiali dei vulcani continentali ed in- sulari italiani, ed i prodotti, che mettono in maggiore evidenza (*) (*) Gazzetta Chimica Italiana, 1887. (2) Ricciardi, Sull' azione dell’acqua del mare nel vulcani. Gaz. Chiro. Italiana, 1887. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 145 questa metamorfosi, sono quelli dell’isola Pantelleria. La quale emersa da una formazione granitica, nelle prime eruzioni sub- aeree eruttò prodotti di composizione analoga al granito che il Foerstner chiamò liparite, contenente più del 73 °/0 di Si O2, ma successivamente eruttò altre rocce con più del 67 °/0 di Si O5, quindi rocce andesitiche col 60 °/0 di Si O2 e nelle ultime eru- zioni vomitò rocce basaltiche col 47 % di Si O2. I componenti mineralogici delle trachiti spesso sono analoghi a quelli del granito, altre volte cangia il feldspato in sanidino , albite, ortose sodico, oligoclasio, ecc., invece dell 'ortosio od altro che ugualmente si rinvengono nel granito. Le trachiti quindi, a seconda del predominio del feldspato, si indicano come segue: T. sanidinica (Ischia); T. oligoclasio-sanidinico (Colli Euganei, Monte Amiata); T. leucitofirica (Roccamonfìna), ecc. Nel gruppo delle trachiti comprendono i geologi molte rocce, poco curandosi della loro composizione. Io, considerando le cifre indicanti la composizione delle rocce che generalmente si dicono trachiti, vi scorgo tra quelle eruttate in epoche remote ed altre più giovani la stessa differenza che si nota fra il granito e lo schisto di Messina, o il granito ed una trachite leucitica: Granito Trachite Schisto Trachite (Messina) (E u gan e i) (Messina) (B ol sena) Si 02 74,09 74,78 57,67 57,97 Ph2 O5 0,41 — 0,38 0,42 H2 O3 15,31 13,10 17,92 17,65 Fe2 O3 Fe 0 2,33 1,71 9,10 8,13 Ca 0 2,92 3,77 3,19 5,33 Mg 0 0,97 5,20 3,29 1,71 K2 0 2,34 0,84 3,86 5,31 Na2 0 0,85 0,29 1,09 1,50 Perdita 0,70 0,31 3,19 1,82 99,74 100,00 99,69 100,04 i0 146 L. RICCIARDI Andesiti, Fonoliti. Le rocce andesitiche vengono distinte dal prof. I. Roth in anfiboliche, quando constano degli elementi mineralogici feldspato e antibolo ; pirosseniche, se i minerali sono il quarzo, il feldspato e il pirossene augite; infine in quarzifere, quando constano di feldspato e quarzo con predominio di quest’ultimo. Le fonoliti furono eruttate dai vulcani dei Campi Flegrei e dell’Isola Pantelleria. Ecco la loro composizione chimica: 1 2 3 4 5 6 7 Si O2 59,47 57,66 60,24 61,47 61,43 56,42 64,95 ALO3 17,24 19,96 20,28 18,09 17,51 18,81 14,27 Fe2 O3 0,75 2,32 5,14 5,11 3,26 3,87 FeO 4,13 3,42 3,88 3,06 2,30 6,92 1,89 CaO 3,10 1,01 1,96 3,00 2,45 5,64 2,60 Mg 0 0,99 1,53 0,50 1,32 0,54 3,50 0,87 K2 0 8,01 6,06 4,28 2,83 3,95 3,07 3.39 Na2 0 6,17 6,98 7,80 5,85 6,22 1,21 6,85 Ph2 O5 — — — — 4 — 1,08 0,11 MnO — — — — 0,23 — • Ti O2 — — — — . — 0,81 Perdita — 2,33 — — 2,25 0,39 99,31 99,70 101,26 100,76 99,51 100,39 99,70 1. Raimnelsberg — Fonolite del Monte Nuovo (Pozzuoli). 2. Abicli. — Fonolite (composizione media,. 3. Foerstner — Andesite della Montagna Grande (Pantelleria). 4. » — » cristallina » » 5. » — » di Zichidi » » 6. Ricciardi — Andesite Monte Rado (Bagnorea). 7. Ernesto Manasse — Andesite della Tripolitauia. — Bull, della Soc. Geol. Italiana, voi. XXIV, 1905, p. 143. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 147 Trachiti leucitiche. Il dott. L. Bucca si è occupato dello studio petrografico delle rocce di Roccamonfina e divide le lave leucitiche di quei vulcani in tre gruppi: 1° Simili alle leuciti del Lazio con fini aciculi di augite e granuli di magnetite (queste rocce sono nerastre, compatte). 2. ° Rocce grigie, or chiare, ora oscure con leuciti microsco- piche. Al microscopio mostrano una struttura simile alle pre- cedenti, però fra leucite e leucite, oltre l’augite, compare gran copia di lamelle di plagioclasio : epperò queste rocce sone delle tefriti leucitiche. 3. ° Rocce straricche di cristalli di Leucite-Leucitofiri (ricchi di feldspato ortoclasio). Composizione chimica. - 1. 2. 3. • 4. 6. 6. 7. Si O2 55,08 58,48 56,76 56,32 57,97 54,13 58,67 Al2 O3 17,25 19,56 16,79 18,17 17,65 25,39 19,47 Fe2 O3 3 — 2,07 2,23 0,63 — 1,10 Fe 0 9,33 4,99 6,95 6,47 7,50 1,97 5,03 Ca 0 7,34 2,60 6,01 5,33 5,53 6,99 4,15 Mg 0 2,77 0,53 1,63 2,84 1,71 3,01 0,64 K2 0 5,32 10,47 4,67 4,18 5,31 3,67 5,68 Na2 0 1,86 3,14 2,43 1,80 1,50 5,23 2,39 Ph2 O5 ’ J — 0,47 0,34 0,42 — — Mn 0 — — — — 0,09 — — Perdita 0,17 0,24 2,43 2,15 1,82 1,00 2,94 99,35 100,01 100,22 99,85 100,13 101,42 100,07 1. G. von Rath — Trachite del Monte Santa Croce (Roccamonfina), 2. » — » leucitica del Monte S. Antonio » 3. Ricciardi — » andesitica con olivina. Sassara. 4. » — » » » » Monte Alfina. (Vulsinii). 5. » — » » » » Bolsena » 6. Doelter — Lava trachitica dell’Isola S. Stefano (Ponza). 7. Ricciardi — Trachite chiara dei Campi Flegrei. 148 L. RICCIARDI Leucitofiri. Questa formazione è diffusa nel Lazio. La roccia è ricca di elementi macroscopici, quali il leucite, l’augite, il mica e rari cristalli vitrei: in massa è di color grigio-chiaro e la parte amorfa risponde alla seguente composizione chimica: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Si O2 52,16 52,35 51,24 52,71 51,42 53,89 51,11 Ph2 O5 1,15 0,85 0,58 1,47 — — — Al* O3 15,03 15,08 15,26 14,41 21,34 17,44 15,01 Fe2 O3 3,17 tracce 3,70 2,22 5,38 4,11 2,02 Fe 0 8,42 8,38 8,48 8,03 4,29 2,47 4,79 Mn 0 0,24 tracce 0,12 0,12 — . — — Ca 0 10,07 11,12 7,63 11,06 9,34 15,67 6,16 Mg 0 4,69 5,41 4,04 5,11 0,26 0,46 3,69 K2 0 2,47 4,12 2,85 2,55 3,77 2,02 5,14 Na2 0 2,38 1,28 1,05 1,34 2,55 2,48 2,22 Perdita 0,72 1,84 5,29 1,01 0,28 — 10,09 100,50 100,43 100,29 100,03 98,63 98,54 100,23 1. Ricciardi — Monte Bisenzio (Vulsinii). 2. » — Mezzano » 3. » — Toseanella » 4. » — Canonica (Orvieto). 5. I. vom Rotli — Monte Somma. Lava Sant’Anastasia. 6. » del Canale di Forcella 7. Ricciardi — Tufo di Monte Somma. Si 0 2 48,28 48,30 48,51 48,09 47,61 49,23 48,25 48,29 47,71 . 48,45 P* O5 1,71 0,47 0,95 0,41 0,61 0,17 1,52 — tracce 0,88 AP 0' 16,51 15,07 14,56 13,60 17,38 15,04 18,53 21,44 9,37 15,42 Fe? O3 3,07 1,53 3,21 2,52 2,03 1,39 4,85 6,03 5,31 15,56 GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE J 19 Lave basaltiche o recenti co d rH co co 1 -5h i— i 00 °ì. 1 t-H 00 1 o" t— 1 ■'H cT c nT ( cT cT r— i o 1—1 co i— 1 CO co i—i 1— 1 d rH t'- xO oo_ rH o t-H ■hH^ tq oT cT iO tr i—i 0 CO co o oq OT ! 1 cq_ hH~ co ccT H' co~ l i o~ o rH o o co hh 00 o . 00 o_ Gl D- i—i o | 1 hH^ IO r-H cT co to' cq CO IO xfq x(q 1 OT oT o~ od oo~ i—i rH i to' cT rH o rH -ch i— i rH rH rH co hH rH - ®_ rH | to^ cq oT o~ od ccT co~ 1 — 1 i— I oT rH OS os co Ci CM -H xo o 00 H t— i T— 1 CI 1 — 1 1 00 oo' cT cT -tH r4 ci 1 ci os" rH os co OS lO 00 OT hH 00 (NI t— -l O ■rH OS_ 1 L~ I> oT cT CO iA rH cT 1 rH éh a ci o ’> . 3 3 GG CO a £ ® o > > V CO e— < r- 1 ci CD Oi ^ r- ^ -*-1 a; c3 g > > S H H ai '■o d ci <3 ci 'O .5 ’3 a; s - co c3 § a Ph Oh CD l— CO Ot) O O a .2 *3 © A oc a ES a CO * J £ o =3 3 ' p X CT M io 150 L. RICCIARDI Dalla composizione chimica delle rocce finora indicate si può desumere una classifica naturale delle rocce stesse distinte in due periodi, di cui il primo va dal granito al basalto e il secondo dalla tracliite quarzifera alle lave basaltiche o recenti. I. Periodo. II. Periodo. Granito Si o2% 74,09 74,78 Tra cinte; Porfido » 70,09 70,30 Pan tei Ieri te; Diorite » 60,12 60,24 Andesite ; Eufotide » 55,58 55,08 Trachite (Roccamonfina) Dolerite » 52,20 52,16 Leucitofiro; Basalto » 47,40 47,12 Lava del Vesuvio. II. Dalle analisi chimiche da me fatte da un trentennio e dopo di aver constatato che il magma di una corrente lavica ha la stessa composizione chimica in tutti i suoi strati ('), fuorché lo strato che viene a contatto col suolo, per cui scorre la massa ignivoma, e quello che subisce l’ influsso degli agenti atmosfe- rici, mi sono convinto che se la classificazione delle rocce erut- tive sulle ricerche microscopiche ha la sua importanza, non meno notevole è quella che poggia sulla composizione chimica, specialmente quando questa non urta con l’età geologica. Eìie De Beaumont classificò le rocce secondo il quantitativo di silice che esse contenevano, distinguendole in rocce acide, neutre e basiche. Anche il De Lapparent (5) e Michel-Levy ac- cettarono questa classificazione: però il Levy chiamò interme- diaria la seconda serie. Recentemente si sono occupati della classificazione delle rocce ignee secondo la loro composizione chimica H. S. Washington (3) e H. Warth (4), dividendole il primo in quattro gruppi che coin- (') Gazzetta Chimica Italiana, t. XII, 1882. (2) Traité de Geologie , Paris, 1885. (3) Chemical Anaiyses of Igneous Rocks-Washington, Government Printing office, 1903. (4) Geological Magazine. March, 1906, p. 131. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 151 cidono quasi con l’antica divisione delle rocce: in acide, inter- medie, basiche ed ultra basiche, ed il secondo in sedici gruppi. Le rocce acide o leggiere erano quelle che contenevano una quantità di Si O2 che oltrepassava quella contenuta nei feldspati più acidi come l’ortosio, nel quale oscilla dal 65 al 66 °/0, e l’albite in cui va dal 68 al 69 %: invece erano dette basiche o pesanti quelle nel cui magma si riscontrava una quantità di anidride silicica compresa fra il 40 e il 55 %; infine le neutre contenevano dal 55 al 65 % di Si O2. Questa classificazione presenta diversi inconvenienti e tra i più rilevanti noto questo che non vi è un limite che precisi il passaggio da un tipo all’altro. In seguito il Levy, riferendosi all’età geologica delle rocce, le distinse in due serie: antica e moderna, assegnando a queste serie un’ importanza disuguale. Anche il Lapparent, Fouquè e il Rosembusch adottarono questa divisione. Il Bunsen studiando nel 1851 le rocce vulcaniche dell’ Is- landa e del Transcaucasio enunciò l’ipotesi ch’esse risultassero da miscele di due rocce primitive normali provenienti da foco- lari vulcanici distinti, e potessero perciò reagire in differenti pro- porzioni. I due estremi e nello stesso tempo i due tipi primitivi delle serie formatesi in questo modo pigliavano il nome di normo-trachite della seguente composizione (a), e di normo-jpi- rossenico (basalto normale), così composta : (b) (a) (b) SiO2 76,67 48,47 Al2 O3 e Fe 0 14,23 30,16 GaO 1,44 11,87 Mg 0 0,28 6,89 K20 3,20 0,65 Na20 4,18 1,96 100,00 100,00 11 rapporto della quantità di ossigeno dell’anidride a quello delle basi è nel caso a come 3 : 0,597 (ossia come 5 : 1) e nel secondo caso b, come 3 : 1,998 (ossia come 3 : 2), mentre in 152 L. RICCIARDI tutte le altre rocce vulcaniche questo rapporto oscilla tra i due estremi, ciò che potrebbe farle considerare come dovute a mi- scele in quantità variabile dei due tipi. Così dalla seguente com- posizione di una lava il Bunsen dedusse ch’essa era il risul- tato della miscela di trachite e di basalto nelle proporzioni di 1 : 5,117. Composizione della lava Calcolato Si O1 2 53,08 53,08 Al2 O3 * Ee 0 27,57 28,70 Ca 0 10,16 9,92 Mg 0 5,81 5,32 K2 0 1,06 0,61 Na50 2,32 2,37 100,00 100,00 I risultati ottenuti dal Bunsen possono spiegarsi in diversi modi: * 1) Ammettendo col Suess che filoni di lava o depositi vul- canici di eruzioni precedenti che costituiscono i così detti ba- tlnoliti o secondo Gilbert laccoliti siano stati eruttati nelle succes- sive eruzioni e quindi presentino una composizione chimica dif- ferente dai materiali precedentemente eruttati. Così nella Valle del Bove (Etna) si osserva che le pareti dello sprofondamento etneo sono intersecate da filoni e dicchi iniettati in diverse di- rezioni; 2) supponendo che il residuo dell’acqua del mare com- pleti la trasformazione delle rocce gradatamente dal tipo acido al basico; 3) sapendo che anche da focolari vulcanici prossimi sono state eruttate rocce di tipo differente (come ad esempio, nel- l’isola Hawai, il Lao e il Kilanea) e che nelle isole Ebridi, Geikie e Judd constatarono che da canali derivanti da uno o più centri sotterranei, è stato eruttato magma vulcanico di com- posizione chimica differente come gabbro e dolerite , cioè roccia acida e roccia basica. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 163 Secondo Credner (’) un’ipotesi più probabile sarebbe quella enunciata da Sartorius di Waltersbausen che suppose che le rocce si fossero disposte nel nostro pianeta secondo la loro den- sità: le pesanti al centro e le leggiere alla periferia. Ciò am- messo il Credner crede che i due tipi di rocce normali del Bunsen non provengano da focolari differenti, ma da magmi vulcanici che sono molto lontani tra di loro e a profondità differenti. Ho esposto con la maggiore evidenza le varie classificazioni sinora tentate delle rocce e ne ho dimostrato la scarsa sicurezza scientifica. Ora non mi rimane che enunciare la mia classifi- cazione e aggiungere gli argomenti valevoli a confermarla. Ho sostenuto fin dal 1887 — e me ne sono sempre più con- vinto in seguito — che le acque del mare prendono parte ai fenomeni vulcanici (5) concorrendo successivamente alla modi- ficazione delle rocce col trasformarle da acide in basiche (3). Presi allora in esame le acque del Mediterraneo che secondo Laurent (4), contengono per ogni litro le seguenti sostanze: Na gr- 10,688 CI » 21,099 Mg » 3,004 Ca » 0,048 K » 0,004 S O4 » 5,716 CO3 » 0,142 Kesiduo fìsso » 40,700 Dobbiamo ammettere che i metalli sodio, magnesio, calcio e potassio nell’atto che perdono il metalloide o il radicale acido (') Credner, Tratte de Geologie (traduzione dal tedesco di Mouiez). Parigi, 1870. (2) Ricciardi, Sullo sviluppo dell’acido cloridrico ecc. dai vulcani. Gazzetta Chimica Italiana, 1887, p. 38. — Sull’ azione dell’acqua del mare nei vulcani. Gazzetta Chimica Italiana, t. XVII, 1887. (3) Ricciardi, Gazzetta Chimica Italiana, t. XVII, 1887. (“b J. de Pharm., t, XXI, p. 93. 154 L. RICCIARDI che li salificano, si ossidino, quindi si devono addizionare gr. 3,717 di ossigeno pel sodio, gr. 2,002 di ossigeno pel ma- gnesio, gr. 0,019 pel calcio e gr. 0,001 di ossigeno pel potas- sio, perciò la composizione centesimale del residuo mediterraneo sarà la seguente: Na2 O 16,351 CI 24,212 Mg O 5,745 Ca O 0,069 K2 O 0,007 S O4 6,559 C O3 0,163 Residuo fisso 46,706 99,992 Ma il cloro ed altri composti sono eruttati sotto forma gas- sosa, trasformandosi il cloro in acido cloridrico, per l’idrogeno proveniente dalla dissociazione dell’acqua, e gli altri residui cioè S O4 e C O3 sono emessi allo stato di SO2 e C O2 dai vulcani, perciò si devono sottrarre dalla suddetta composizione centesimale, perchè essi non entrano che sporadicamente a far parte del magma lavico; quindi avremo la seguente composi- zione centesimale: Na2 O 23,94 Mg O 8,32 Ca O 0,10 K2 O 0,01 Residuo fisso 67,63 100,00 Le acque del mare portano quindi nei vulcani sostanze di- sciolte e sostanze insolubili, queste ultime si possono ritenere come argillose provenienti dalla disgregazione delle rocce e por- tate dai fiumi nel Mediterraneo ( 1 ). (l) Meunier S., Les causes actuelles en geologie, etc., chap. II. Pa- ris, 1879. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 155 La enorme massa d’acqua che il mare porta nei baratri vulcanici viene continuamente evaporata. Fouquè (’) calcolò che l’Etna nella eruzione del 1 865, che durò cento giorni, emise una quantità di acqua non inferiore a 2,160,000 metri cubi; il Cavalieri (2) scrisse che il Vesuvio nell’eruzione del 1855 emise 516,500 chilog. di vapore acqueo per ogni minuto primo, e ben a ragione Krugg Von Nidda disse che i vulcani devono considerarsi come immense fonti intermittenti. Evaporandosi le acque del mare, rimangono mescolate col magma idrotermale le sostanze saline e fisse, sostanze che senza alcun dubbio reagiscono tra di loro; e da ciò la emissione di considerevole quantità di acido cloridrico, di anidride solforosa, di anidride carbonica, ecc., che insieme col vapore acqueo, costituiscono il pino nei parossismi dei monti ignivomi (3). E noto che i vulcani continentali ed insulari italiani get tarono spesso tra i materiali eruttivi frammenti di rocce cri- stalline di eruzioni subacquee, ed è noto altresi che le prime rocce eruttate dai vulcani nostri, quando divennero subaerei, sono acide (Pantelleria, Ponza, Monte Amiata, Euganei, ecc.). Su questo argomento credo che non cada più alcun dubbio; in- tanto io dico doversi ammettere che ciò che si verificò nel Monte Amiata, nei Colli Euganei, nell’isole Ponza e di Pantelleria, è avvenuto in tutti i vulcani del mondo, e che i loro prodotti man mano che reagirono con i materiali provenienti dalla eva- porazione delle acque del mare, subirono radicali modificazioni fino a divenire basici ed è questa una consegu.enza logica, dal momento che le acque marine non portano che sali a base di metalli alcalini ed alcalino-terrosi, i quali reagiscono ad ele- vata temperatura col magma lavico sviluppando S O2 e C O2 (4). Infatti le maggiori modificazioni che subiscono le rocce acide sono nel quantitativo di calce, di magnesia, di soda e di po- tassa, e se raramente nelle rocce eruttive si rinvengono cloruri in quantità apprezzabili, ciò dinota che il calore vulcanico è P) Comptes-rendus de l’Acad. de France. Paris, 1865. (2) Atti dell’Acc. Fisico-Medico-Statistica. Milano, 1856. (3) Deville ammise che il vapore acqueo rappresenta: 999/1000 del pino vulcanico. (4) Gazzetta Chimica Italiana, 1887. 156 L. RICCIARDI sufficiente per decomporre tutti i cloruri che introducono le ac- que marine (]-2). Lo stesso fatto si ripete, in generale, per i solfati, poiché raramente se ne rinvengono nei prodotti vulca- nici, ad eccezione dei materiali provenienti dalle eruzioni del Yulture-Melfi e di altri centri vulcanici d’Italia i quali con- tengono V auina che ha la seguente composizione chimica: l. 2. 3. Si O2 32,48 34,06 33,78 s 0:s 12,98 11,25 12,31 Al2 O3 27,75 27,64 27,42 Ca 0 9,96 10,60 10,08 Na2 0 14,24 11,79 13,26 K2 0 2,40 4,96 3,23 99,81 100,30 100,08 1. Whitney — Auina di Monte Albano. 2. Rammelsberg — Auina del Vesuvio. 3. Ricciardi — Auina del Vulture. Avendo ammesso che le sostanze saline tenute disciolte nelle acque del mare reagiscono col magma lavico, si deve ammet- tere che reagiscono pure i materiali insolubili. Ora, assegnando al residuo fìsso rinvenuto da Laurent nelle acque del Mediter- raneo, la composizione chimica di una marna argillifera plio- cenica (3) previamente calcinata, che risponde alla seguente com- posizione centesimale: (') Palmieri L. Durante la eruzione del Vesuvio del 1872 vi fu un giorno che le pendici del cratere furono coperte d’uno strato di cloruro di sodio. Atti deH’Acc. delle Scienze di Napoli, 1872. (2) Palmieri e Franco D., L’acido carbonio nel Vesuvio. Napoli, 1872. (3) Ricciardi, Sulla composizione chimica di alcune marne argillifere. Gazzetta Chimica Italiana, 1882, p. 11. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE 157 Si O2 53,81 Ph2 O5 0,41 Fe2 O3 8,05 Al2 O3 17,58 Ca O 15,80 Mg O 4,12 K2 O 0,19 Na2 O 0,15 100,09 le 67,63 parti di sostanze insolubili conterrebbero Si 02 Pli2 05 Fe2 O3 Al5 O3 Ca 0 Mg 0 K20 Na5 0 e addizionandovi la quantità corrispondente degli ossidi della parte solubile abbiamo: Ca 0 Mg 0 K2 0 Na2 0 Composizione centesimale Si O2 36,36 Ph2 O5 0,28 Al2 O3 11,88 Fe2 O3 5,44 Ca O 10,77 Mg O 11,10 K2 0 0,14 Na2 0 24,03 36,36 0,28 5,44 11,88 10,67 2,78 0,13 0,09 67,63 0,10 8,32 0,01 23,98 100,04 100,00 158 L. RICCIARDI Ora facendo agire una miscela, che risponde a questa com- posizione, una o n volte con una roccia che abbia la compo- sizione del granito, che indico con B, questa pure una o n volte, otterremo una serie di rocce di composizione analoga a quella derivata da eruzione subacquea, che riscontriamo nelle rocce eruttate dai vulcani subaerei. Ed ecco come: £ 6.L ® d~ =« ol'o 'S cs 0.3 ® rf S to ^ P. o 5 £ O cd a G *5B cd co r-H CD 0 % r— 1 03 CO IO Cd 50 o co -^1 00 op 1 13— op op Cp t-H cT co' 1 to ncT t-H Cd*' L0 50" IO r— 1 1 — 1 o t-H CM 00 r-H co Ol o D— »-H 50 50 00 ai •cp nfp cp cp cp T-H CO t— t co co' co' no' co' CO T-H cf ©" io t-H © t-H co r— co CO CO 50 00 nO © co^ CO^ 1 °0^ r-H I- -5jp ccp cp r-p IO co r-H o* t-H -5)T cT Cd~ o" ©" no r-H r-H r-H © 00 t-H CO 05 00 C3 — H C3 t— H o « CO CO o ì-H t-H co t-H C1 o nO o3 co r-H [- IO Cd 50 t-H Ol © nO rH © t-H 00 IO co Cd 50 Cd i— ^ , 1 cq^ oq 1 - ccp ap t-H t-H noT 1 crJ' of ncT t-H cT ©" nO r-H © Cd nO o co IO ■H nO CI op io c» (X) cp Cp Hi ap 00^ no'' cT co*' co' 1 co' co" t-H Cd" o~ ©r nO 1 1 1 1 r-H II 1 1 II 1 1 1 I t-H 1 1 I ! ©T il 1 1 03 II r-H II CO 00 il II CM 1 1 I— 1 1 -H 1 1 nO 1 1 o il o r-H co i Gl op CO 00 t — — H o" io' ccf 1 oT o' ©f o~ o" oT I- r-H © + + + + + + + -f + + f CO 00 00 o co © CO^ op °°„ t-H t-H cp 1 ©^ co' cT t-H ncT 1 O* t-H o" ■Ht* J ©" co r-H t-H t-H Cd © m ™ ° o O Q 0 o 0 •r-l r^J i— ( CD O cd -H> cd P5. S o cd c © c 'TS a » 5 *’-< fi - W — -H -e ^ cd cd q h « o a> > © cd C OP3 r-r* OQ CO rj5 irf a o-r ^ 3 ■ O 'C — ^ °©.ss§: * c4 '© 'O O := 2 -g o CO >- ^ ^ s ' ® o . 2 a ^ cs 0-0 ^ 22 c © 2 « :4 U !.. cS o .2 CO O „ cd - -+• -H 00 © © iO^ 1 XCL 00 co oo_ ©p 1 CO i-H cT ©~ co ©~ rH o o o o © © © tH 1 T"i LH 1—1 cq_ 1 o -F 1 co cf cT ©~ cT ©~ 1—1 xO co cq 00 , XO OI ©_ 1 o H i—i i-i ©1 ià -F ‘ cf of cT ©~ xF -F ©~ c— l-H cq o lO r0 1 + s © co c~~ co I>- © co' ■ © CO*' c- i> h io c, n (M ©i op CO SO (M C- xO I— I cr- eo o w o w et Ph d et &D S3 w et 'O a rci +Z O) H . 1_! C3 r-n Q-. ° 3 « 1 i ® .s O Q < 53 S H 02 ,-+^ rQ <=> F 15 i 1-1 g -= o « O > 15 rO . w -\; %\ ."r Mi M NS *f3 ti profilo laterale poi veduto dal dorso è totalmente diverso, giac- che mentre nella C. foveolata è quasi uguale in avanti come in- dietro, in questa specie è più ristretto anteriormente, essendo Fio. 6 il massimo della larghezza presso a poco al terzo posteriore; anche il profilo veduto di fronte ne varia per essere più rettilineo di sopra e sfuggente di sotto. La superficie foveolata presenta dif- ferenze insensibili. Dimensioni: lungh. mm. 0,71-0,75; alt. 0,38-0,40; gr. 0,19. 19. C.yth. quadridentata Brady, Moti. ree. Brìi. Ostrac., 1868, p. 413, t. XXXI, f. 19-30. È specie molto comune a Carrubare; ne posseggo oltre qua- ranta valve destre e sinistre; la lunghezza massima raggiunge mm. 0,85, come nella specie tipica. Il Seguenza che la rinvenne nella medesima località la distinse come varietà (v. tennis). Seguo il Namias ed il Cappelli che la riunirono alla specie. Fossile d?il postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 20. Cyth. oblunga Brady, New spec. mar. Ostrac.. 1865, p. 373, t. LIX, f. 5. Posseggo quattro valve, due destre e due sinistre, di lun- ghezza variabile; mm. 0,63-0,91, comprendente la misura di mm. 0,84 della specie tipica, colla quale bene corrispondono le proporzioni e la ornamentazione. 11 Seguenza la cita di Carru- bare e del saariano superiore della provincia di Reggio (1. e., p. 362), come pure del quaternario di Rizzolo (Nat. Sic., voi. III. pagina 117). Fossile nel quaternario; vivente nel Mediterraneo. OSTRACODI DI CARRUBARE 193 21. Cyth. oblonga Brady, var. eximia Seg., Form. terz. Reggio , 1880, p. 362. Attribuisco alla var. del Seguenza tre valve, tutte di destra, lunghe min. 0,67-0,75, che sono proporzionatamente più alte in avanti che dietro; mentre sono alquanto meno strette della specie tipica. Questa varietà non fu trovata dal Seguenza a Carrubare, ma solo nel saariano superiore di Bovetto. 22. Cyth. interposita Seg., Form. terz. Reggio , 1880, p. 362. Il Seguenza considera questa nuova specie di Carrubare come intermedia fra la C. oblonga Brady e la C. costata Brady; la descrive brevemente, ma non ne dà la figura. Non l’ho potuta riconoscere fra gli ostracodi ora studiati. 23. Cytli. Jeffreysii Brady, Ree. Brit. Ostrac., 1868, p. 412, t. XXIX,1 f. 51-55. Di questa specie riscontrata dal Seguenza solo nel quater- nario di Rizzolo (Nat. Sic., voi. Ili, p. 289), ne ho separate tre sole valve presso a poco di eguale lunghezza: min. 0,54-0,60; misure comprese fra quelle date dallo scopritore per la specie tipica, e cioè mm. 0,34-0,63. Le valve in questione poco pre- sentano di notevole relativamente al tipo, se ne togli il tuber- colo oculare che è in esse molto più marcato. Fossile dal postpliocene; non si conosce nel Mediterraneo. 24. Cytli. subaequalis Seg., Form. terz. Reggio, 1880, p. 324, 362, t. XVII, f. 24. Specie trovata dal Seguenza nel siciliano di Monosterace, nel saariano inf. di Carrubare e nel superiore di Bovetto. Non tro- vasi citata da altri autori, nè fu possibile riconoscerla fra gli esemplari esaminati. 25. Cyth. Jonesii Baird (Cythereis), Brit. entom., 1850, p. 175, t. XX, f. 1. Ho trovato una sola valva sinistra di questa ben distinta ed elegante specie, che è pur tanto comune a Rizzolo, alla Farnesina, a Parlascio ed altrove; neppure il Seguenza l’ha citata. 13 191 A. NEVIANI Ottime illustrazioni si possono osservare in Brady: Bec. Brit. Ostr., t. XXX, f. 13-16. Fossile dall’eocene; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 26. Cytli. Edwardsii Roemer ( Cytherina ), N. Ja hr. f. Mi- nerai. ecc., 1838, p. 518, t. VII, f. 27. Posseggo otto valve della presente specie, la quale non fu riscontrata dal Seguenza altro che nel saariano sup. e con ca- ratteri tali da farne una nuova varietà ( v. subinermi s). 11 Namias nel suo lavoro sugli ostracodi della Farnesina (p. 97) si ferma a lungo su di essa, e descrive minutamente le variazioni indi- viduali sia per Fetà, che per il sesso. La varietà del Seguenza quindi deve ritenersi per una forma giovanile. Molte variazioni ho notate nei miei esemplari, per quanto questi siano adulti o quasi. Dimensioni: lungh. mm. 0,75-0,95; alt. 0,40-0,46; gr. 0,25. Fossile dal miocene: vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 27. Cyth. rectangularis Brady, Les fornì s de la Mer, t. I, p. 153, t. 18, f. 13, 14. Ho un solo esemplare completo: le due valve riunite sono ottimamente conservate (fig. 7). Sono stato lungamente indeciso sulla determinazione di questo esem- plare, notando solo alcune affinità con la C. favosa Bosq. (Ent. Fr. et Beìg.: t. Ili, f. 6), con la C. cunei f or mis Terq. ( For . et Ent. Bltodes , t. XVIII, f. 4) e con la transylvanica Rss. (Ent. oest. tert., t. XI, f. 9); e la differenza gran- dissima con tutte le specie di questo genere citate fossili per l'Italia evi- venti nel Mediterraneo. Finalmente potei notare non solo una forte rassomiglianza, ma una vera identicità, con la C. rectan- gularis dei mari di Ceylon; specie descritta ed illustrata dal Brady oltreché nell’opera sopra citata anche nel Journ. Limi. Soc. del 1886; Entom. Ceylon , p. 310, t. XL, f. 7-9. A mag- giore delucidazione riproduco la figura di questo esemplare. OSTRACODI DI CARRUBARE 195 Il Segnenza la rinvenne nel quaternario di Rizzolo (Nat. Sic., voi. Ili, p. 225). Dimensioni: lungfi. mm. 0,59; alt. 0,30; gr. 0,10. Possile nel quaternario; vivente a Colon, Aspinwall, Ceylon. 28. Cyth. niultipunctata Seg. , Quaternario di Risolo, Nat. Sic., voi. III., p. 68, t. I, f. 9. I tre esemplari — due valve sinistre ed una destra — die riferisco alla specie del Segnenza, vi corrispondono colla massima esattezza, sia per le dimensioni, sia per le proporzioni e forma dei profili veduti nelle diverse proiezioni; l’ornamentazione varia solo alquanto, per avere i rilievi radianti della parte anteriore in numero minore e perciò più allontanati di quelli della specie tipica. Non la trovo citata da altri autori. Dimensioni: lungh. mm. 0,47-0,50; alt. 0,22-0,25; gr. 0,09. Fossile nel postpliocene; ignota fra le viventi. 29. Cytli. canaliculata Reuss, Foss. ent. oest. ieri., 1849, p. 86, t. IX, f. 12. Due valve sinistre ed una destra, fio trovato a Carruba, re di questa specie raccolta dal Segnenza solo nel quaternario di Riz- zolo (Nat. Sic., voi. Ili, p. 115). Le ornamentazioni convengono meglio colle illustrazioni date dal Brady per gli esemplari del Challenger (1. c. , t. XIY, f. 7); gli alveoli sono più piccoli di quelli che si osservano negli esemplari della Farnesina (1. c., t. XIV, f. 22). Le dimensioni in lunghezza sono maggiori di quelle date dal Reuss (mm. 0,40), dal Brady (0,42-0,43) essendo nei miei esemplari di mm. 0,55-0,58. Veramente jigger ( Ostr . Ortenburg, p. 53) dà la misura di mm. 0,70, ma temo che questa specie miocenica sia ben diversa da quella di cui qui si tratta. Fossile del miocene (?); vivente nei mari australiani. 30. Cyth. parva Seg., Form. terz. Reggio, 1880, p. 325, t. XVII, f. 28. Sono non meno di quaranta valve, destre e sinistre, che non fio potuto riferire ad alcuna delle specie raccolte dal Segnenza a Carrubare, e con alquanto dubbio, riporto alla specie scoperta 196 A. NEVIANI dal Seguenza nel siciliano di Monosterace. Le differenze prin- cipali si hanno nelle dimensioni: es. di Monosterace : lungh. 0,51 ; alt. 0,30 ; gr. 0,26 es. di Car rubare : » 0,70-0,75; » 0,36-0,38; » 0,34. Il Seguenza dice che è specie rarissima a Monosterace, e perciò può avere avuto sotto occhi solamente esemplari giovani; ma è strano che, in tanti individui da me esaminati, nessuno scenda alle misure date dal paleontologo messinese. Sta di fatto però che la scultura delle valve, la loro forma generale e quindi i profili nelle diverse direzioni, corrispondono alle specie in di- scorso. 31. Cyth. parva Seg., var. fenestrata n. var. Posseggo tre valve destre che dapprima avevo determinate per Cyth. acupunctata Brady, var. distincta Narnias ( Ostr . Farnesina, p. 100, t. XV, f. 1, 2), perchè ad essa corrispondono esattamente, come ho potuto accertarmene, confrontandole con esemplari della Farnesina. Detta specie e varietà venne pure ammessa dal Cappelli nel suo recentissimo lavoro (Ostr. Far- nesina, p. 311, t. IX, f. 16). Se non che questi esemplari pre- sentano troppe e notevoli differenze colla C. acupunctata del Brady, mentre corrispondono assai bene con la C. parva del Seguenza, anche nelle dimensioni : lungh. mm. 0,55-0,57; alt. 0,30-0,33 ; gr. 0,30. Ma il Seguenza non fa parola della serie di solchi più grandi che disposti in una fila quasi rettilinea, distingue queste valve, cosicché indico la varietà col nome di fenestrata n. v. (1). 32. Cytli. rostrata Seg., Form. terz. Ileggio, 1880, p. 325, t. XVII, f. 26. Un solo esemplare colle due valve riunite, corrispondente esattamente per forma e scultura alla specie trovata dal Seguenza (') Ritenendo errata la denominazione specifica del Namias, credo che non si debba tener conto neppure del nome dato alla varietà, e non sia il caso di invocare qui un diritto di priorità. OSTRACODI DI CARRUBARE 197 solo nel siciliano eli Monosterace. Pongo a confronto le dimen- sioni date dal Segnenza con quelle da me riscontrate: es. di Monosterace: lungh. mm. 0,68; alt. 0,31 ; gr. 0,17 es. di Carrubare: » » 0,75; » 0,35; » 0,13. 33. Cyth. Speyeri Brady, Contrib. studi/ Entom., Ili , 1868, p. 222, t. XV, f. 8-11. Specie molto comune a Carrubare, che pur tuttavia non trovo citata fra quelle del Seguenza provenienti da questa stessa località. Essa presenta molte variazioni sia nelle dimensioni, sia nella forma generale della conchiglia; pur tuttavia non ho creduto opportuno fare troppe distinzioni. Riunisco sotto il nome della specie tipica oltre venti valve, destre e sinistre, che mi- surano poco meno di un millimetro di lunghezza. Buone illu- strazioni si hanno in Brady ( Challenger , t. XX, f. 2) ed in Na- mias (Ostr. Farnesina, t. XIV, f. 13, 14). Altri esemplari riunisco nella var. seguente. Possile nel quaternario ; vivente nel Mediterraneo ed al- trove. 34. Cyth. Speyeri Brady, var. Non dò alcun nome speciale agli esemplari di questa va- rietà, dei quali ne posseggo oltre sessanta valve destre e si- nistre. Nella dimensione, meglio delle precedenti, si avvicinano alle specie tipo, avendo la lunghezza di mm. 0,85, ma le valve differenziano alquanto per essere proporzionatamente più alte, e di guscio molto spesso; inoltre gli alveoli sono assai più rav- vicinati fra loro e più regolarmente disposti. 35. Cyth. convexa Baird., Brit. entom., 1850, pagina 174, t. XXI, f. 3. È la specie più abbondante che si raccolga a Carrubare; ne posseggo oltre 150 valve; essa venne citata anche dal Seguenza. Corrisponde perfettamente al tipo, ai viventi nel golfo di Napoli, ai fossili della Farnesina, ecc. Fossile dal miocene; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 198 A. NEVIANI 3(3. C.vth. veims Seg., Quat. di Rizzolo Nat. Sic., voi. Ili, p. 48, t. 1, f. 7. I venti esemplari posseduti corrispondono bene alla specie del Seguenza; solamente la scultura si mostra alquanto diffe- rente avendo gli alveoli più piccoli e più avvicinati fra loro. La lunghezza massima misurata è di mm. 0,68 mentre il Se- guenza dà per massimo mm. 0,72. Fossile dal postplioeene antico; vivente nel Mediterraneo. 37. C.vtli. cicatricosa Heuss ( Cypriaina ), Ent. oest. tert., 1849, p. 27, t. IX, f. 21. Una sola valva destra di questa piccola specie (lung. mm. 0,50) che corrisponde esattamente con gli esemplari illustrati dal Bo- squet (Ent. foss. Fr. et Belg., p. 76, t. Ili, f. 13) sia nella forma generale, che nella scultura. Varia nelle dimensioni essendo di questi notevolmente più piccola, giacche il Bosqnet dà per lun- ghezza massima mm. 0,85. Meglio corrisponde per le dimen- sioni cogli esemplari studiati dal Capeder (mm. 0,60) del miocene del Piemonte. Fossile dal miocene. Ignota fra le viventi. lì rk 38. Cytli. sublatissima n. sp. (fig. 8.) Ho una sola valva sinistra di una Cytliere di tipo aurico- lato, o cordiforme, secondo il Terquem, che non posso identifi- care con alcuna specie da me conosciuta. La scultura si presenta formata da finissime punteggiature, molto vicine fra loro, irregolarmente distribuite nella parte mediana e posteriore della conchiglia, mentre anteriormente si dispongono in file della lunghezza di circa mm. 0,10 irra- dianti dalla parte più rigonfia verso il margine. Una specie di cresta od ala posteriore è finamente striata nella direzione antero-posteriore. Il tubercolo oculare è posto quasi esattamente nel mezzo della curva dorsale molto vicino al margine. Esaminata dall' in- terno, la valva presenta un guscio spesso che, tanto lungo la linea dorsale, quanto lungo quella ventrale, ripiega alquanto in- vfef Fig. 8. OSTEACODI DI CARRUBARE 199 dentro ; un robusto dente cardinale, conico, ottuso, è situato un pò indietro la metà della lunghezza. Veduta lateralmente la con- chiglia presenta il margine dorsale ricurvo quasi a semicerchio, continuantesi con quello anteriore e distinguendosi da esso per una leggerissima insenatura; una angolosità rientrante meglio lo distingue dal margine posteriore. Il margine anteriore, esso pure fortemente ricurvo, con una abbastanza visibile insenatura, passa al margine ventrale il quale è rettilineo solamente per una piccola porzione mediana. Il margine posteriore è formato dalla cresta innanzi citata e si distingue nettamente in tre parti: una mediana quasi rettilinea, verticale ; una dorsale breve, tronca, ed una ventrale più estesa della dorsale leggermente convessa. Veduta dal lato dorsale questa valva si mostra molto rigonfia; più distintamente si vede la cresta posteriore continuarsi in una specie di zona marginale circondante la conchiglia sino alla regione anteriore. La massima larghezza fra il terzo medio e quello posteriore. Il profilo laterale, nella sua projezione ver- ticale, si presenta convesso sino alla maggiore sporgenza, poscia diviene alquanto concavo. Le maggiori affinità le ho riscontrate con la C. latissima Norman {Nat. hist. trans. Northumb. a. Diìrjiam, v. I, p. 19, t. VI, f. 8), illustrata meglio dal Brady in Neiv spec. mar. Ostrac., p. 381, t. LXII, f. 4. Le dimensioni non sono molto diverse giac- ché il Brady dà per la lunghezza mm. 0,63 ; ma varia molto la scultura ed il profilo veduto dal dorso. Il nome da me pre- scelto ricorda questa rassomiglianza. Dimensioni: lungh. mm. 0,52; alt. 0,37; gros. 0,17. 3jL Cyth. calabra n. sp. (fig. 9). Non ho trovato che una sola valva destra di questa, che ritengo nuova specie. La scultura è de- terminata da fine punteggiature disposte irregolarmente a quinconce, alquanto lon- tane fra loro ; sul lembo anteriore si no- tano delle strie concentriche subparallele al margine, cosi pure lungo quello che si svolge nella metà posteriore della linea ventrale. Tre macchie lucide piccolissime, quasi ellittiche, e pa- 200 A NEVIANI rallele fra loro stanno circa al limite fra il terzo anteriore e medio, un poco più in basso della linea mediana longitudinale di simmetria. La parte rigonfia della conchiglia veduta lateral- mente, è in avanti quasi emisferica, e si prolunga indietro in una specie di sperone, che mi ha fatto pensare se per caso questa specie non dovesse andare unita al genere Cytherura. Dal lato dorsale meglio si vede la carena circondante la con- chiglia che è larga (mm. 0,07) e degradante verso il centro con notevoli angolosità; la parte centrale completamente con- vessa è più depressa in avanti, cosicché il massimo della lar- ghezza si ha circa al terzo quinto posteriore. Veduta di fronte la carena appare meno distinta; il profilo laterale discende grada- tamente mantenendosi convesso, sino alla parte più sporgente che trovasi abbastanza in basso; al disotto di questo punto la linea ripiega rapidamente verso il margine determinando dap- prima una leggera concavità, e poi sporgendo alquanto corrispon- dentemente alla carena. Ravvicinerei in qualche modo questa specie alla C. lacrytna Terq. ( Foravi . Ent. Bhodes, p. 107, t. XVII, f. 11), ma solo per la forma generale della conchiglia; troppe sono le altre diffe- renze perchè mi dilunghi nel confronto. Dimensioni: lungh. mm. 0,50; alt. 0,30; gr. 0,17. 40. Cyth. lougecarenata Namias, Ostr. Farn. e M. Mario, 1900, p. 101, t. XV, f. 3, 4. Posseggo di questa distinta specie una sola valva destra. Essa corrisponde agli esemplari del postpliocene antico della Farnesina presso Roma (sabbie grigie); ma si mostra alquanto più tozza, avendo maggiori dimensioni in altezza e grossezza. La località di Carrubare è la seconda ove viene indicata questa specie del Namias. Gen. Cytheridea Bosquet, 1850. Genere ben caratterizzato per la forma speciale della cer- niera, povero di specie, rappresentato nel materiale di Carru- bare da due sole specie, delle quali ho trovato pochi esemplari. Ambedue vennero riscontrate anche dal Seguenza nel quaternario, OSTRACODI DI CARRUBARE 201 ma solamente la C. anguiosa a Carrubare, mentre la C. élongata fu raccolta nel saariano superiore. Il Sequenza poi ne trovò altre specie cbe più oltre riporto. 41. C. angulosa Seg., Form, ter 2. Foggio, 1880, p. 363, t. XVII, f. 47. Parecchi esemplari della specie che il Seguenza trovò per la prima volta nella nostra classica località. Il Namias (1. c., p. 12), per la sua forma allungata subtriangolare la riportò al genere Bairclia, ma successivamente il Cappelli la ritornò al genere Cytlieridea, e secondo me a ragione. Prima di tutto questa specie non ha conchiglia subtriangolare, ma trapezoide, ed un portamento che lo allontana molto da qualsiasi bairdia; la cerniera poi è provvista appunto, come vuole il gen. Cytlie- ridea, di due serie di minutissimi denticoli. E strano che gli autori precedentemente citati, e neppure il Seguenza, non fanno alcun cenno di questo importante carattere. Fossile dal postpliocene antico; ignota vivente. » 42. C. punctillata Brady, Ann. Mag. Nat. Hist., ser. 3, v. XVI, 1865, p. 189, t. IX, f. 9-11. Specie riconosciuta dal Seguenza a Carrubare e nel quater- nario di Eizzolo; dal De Angelis a Marigliano. Non la pos- seggo. 43. C. elougata Brady, Ree. brit. Ostr. , 1868, p. 421, t. XXVIII, f. 13-16. I pochi esemplari trovati corrispondono così esattamente alla specie di Brady, che la figura ottenuta sembra un lucido di quella sopra citata; solamente le dimensioni dell’esemplare ri- sultano alquanto minori, giacché la figura del Brady è ingran- dita 40 volte, mentre la mia lo è di 43 volte. Fossile dal postpliocene antico; vivente nell’Atlantico. 44. C. vitrea Seg., Form, tersi. Reggio , 1880, p. 363, t. XVII, f. 48. Non ho trovato questa specie che è indicata solo dal Se- guenza a Carrubare. 202 A. NEVIANI 45. C. exilis Seg\, Form. terz. Reggio, 1880, p. 194, 290, 364, t. XVII, f. 49." Nulla posso dire di questa specie, non avendo trovato alcun esemplare nelle sabbie ora esaminate, e che pur venne trovata dal Seguenza oltre elle a Carrubare anche nelle formazioni zan- cleane ed astiane di Calabria. Gen. Loxoconcha G. 0. Sars, 1865. Genere molto ricco di individui a Carrubare, che ho potuto distinguere in cinque specie, delle quali solamente due (L. im- pressa e L. eUiptica) furono citate dal Seguenza, il quale poi trovò la L. granulata da me non rinvenuta. Tutte le cinque specie sono viventi nel Mediterraneo. 46. L. elliptica Brady, Ree. brit. Ostrac., 1868, p. 435. t. XXVII, f. 38, 39, 45-48. Una sola valva destra, alquanto più grande (lungh. mm. 0,66) della specie tipica del Brady (lungh. mm. 0,57-0,63); ma per ogni altro carattere corrispondente. Fossile dal postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 47. L. avellana Brady (Normania), Neiv sp. mar. Ostr.. 1865, p. 382, t. LXI, f. 15. Posseggo una ventina di esemplari che corrispondono alla varietà detta dal Seguenza Mediterranea (Nat. Sic., voi. IV, p. 58), comunissima anche alla Farnesina, ma che non credo convenga tenere distinta, come pure fanno il Namias ed il Cappelli, giacché se la varietà del Seguenza realmente diversifica nella scultura dalla specie del Brady, proveniente dai mari delle Indie orien- tali, altrettanto si rassomiglia agli esemplari dragati dal Chal- lenger (1. c., p. 117) e dal Brady stesso uniti alla specie tipica. Fossile dal pliocene superiore; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. OSTRACODI DI CARRUBARE 203 48. L. impressa Baird ( Gythere ), Brìi, entom ., 1850, p. 173, t. XXI, f. 9. Sono cinque valve, tre destre e due sinistre, le quali si av- vicinano molto alla L. avellana , ma sono relativamente più al- lungate, oltre ad avere maggiore grossezza (lungh. mm. 0,75-0,80). Le migliori illustrazioni alle quali questi esemplari corrispon- dono sono: Brady, Ree. brìi. Ostr., 186(3, p. 433, t. XXV, f. 35-40, e Mùller, Ostr. Neajples , 1894, p. 342, t. XXVIII, f. 1-6. Fossile dal pliocene; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 49. L. granulata Sars G. O. , Overs. Norg. mar. Ostr ac., 1865, p. 64. Questa specie, che pur conosco perchè fa parte della fauna fossile della Farnesina, non fu ora riscontrata in quella di Car- rubare. Il Seguenza la cita anche per il siciliano di Monosterace. 50. L. guttata Norman, North. a. D'urham, 1865, v. I, p. 19, t. VI, f. 9-12. Due valve, destra e sinistra, alquanto più grandi (mm. 0,65-0,66) degli esemplari illustrati dal Brady (mm. 0,57) in Ree. brìi. Ostrac., p. 436. Notevole come in questa specie il profilo late- rale, veduto dal dorso, appaia compresso su due linee quasi pa- rallele al margine dorsale della conchiglia; mentre nelle altre specie qui studiate il profilo è costantemente subellittico. Fossile dal postpliocene inferiore; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 51. L. seminulum Seg\, Ostr. Porto di Messina. Nat. Sic., voi. Ili, 1885, p. 256, t. I, f. 12. Ho una sola valva sinistra delle seguenti dimensioni: lun- ghezza mm. 0,47; alt. 0,30; gr. 0,12. È una delle più piccole valve che io mi conosca fra gli individui di questa specie che ho avuto occasione di riscontrare anche in altri giacimenti, e specialmente nelle sabbie grigie della Farnesina. Il Namias (1. c., p. 107) dà per lunghezza massima mm. 0,60; il Seguenza per gli esemplari del porto di Messina segna mm. 0,61-0,75, e mm. 0,58-0,60 per quelli del quaternario di Rizzolo. A parte le dimensioni, i contorni, esaminati nelle varie direzioni, cor- 204 A. NEVIANI rispondono esattamente, cosicché debbo ritenere il mio esemplare per giovanissimo. Noto come le misure corrisponderebbero alla L. minima Muli, del Golfo di Napoli (1. c., p. 345, t. XXXIX, f. 4, 27), ma molti particolari non permettono riferirla all’esem- plare in esame. Fossile dal postpliocene inferiore; vivente nel Mediterraneo. Gen. Xestoleberis Sars G. 0., 1865. Nella loro semplicità le conchiglie di questo genere sono ele- gantissime, ma altrettanto difficili a determinarsi; non esistono ornamenti e spiccati caratteri differenziali di forma; serve di guida solo l’andamento generale della conchiglia veduta di lato e di sopra, e le dimensioni. A Carrubare il Seguenza ne cita quattro specie, delle quali la X. testudo non fu ora rinvenuta, vi aggiungo invece la X. pa- stulosa {— margaritea ) e aurantia da lui rinvenuta nel saa- riano superiore, non che la X. intermedia non citata dal Se- guenza. 52. X. depressa G. 0. Sars, Overs. Norg. mar. Ostrac., 1865, p. 68. Una sola valva destra di questa specie fra le più grandi del genere; raggiunge difatti le seguenti dimensioni: lunghezza mm. 0,77; alt. 0,41; gr. 0,22. Dal Seguenza fu raccolta nel pliocene e postpliocene di Eeggio Calabria e nel quaternario di Eizzolo. Il Namias ed il Cappelli la citano nelle sabbie grigie della Farnesina, come var. erecta; difatti gli esemplari di questa località sono alquanto meno curvi di quelli di Carrubare e di quelli tipici dell’Atlantico. Fossile dal pliocene;, vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 53. X. testudo Seg., Form. terz. Reggio , 1880, p. 364, t. XVII, f. 50. È una delle nuove specie rinvenute a Carrubare dal Seguenza, ma non più citata dagli autori, nè da me riscontrata nel ma- teriale di quella località. OSTRACODI DI CARRUBARE 205 54. X. margaritea Brady ( Cytheridea), New. spec. mar. Ostrac., 1865, p. 370, t. LVIII, f. 6. Ho separato una diecina di valve destre e sinistre di questa specie che il Seguenza chiamò dapprima pushdosa {Form. terz. Beggio , p. 326, 364) e poscia riportò alla specie del Brady (Nat. Sic., voi. IV, p. 119). Questi esemplari sembrano essere al- quanto più grandi di quelli di altre località, essi misurano difatti la lunghezza massima di mm. 0,64, mentre troviamo mm. 0,60 per quelli della Farnesina (Namias), mm. 6,57 per quelli di Ca- labria (Seguenza) e dei mari di levante (Brady); mm. 0,54-0,68 per quelli viventi nel Golfo di Napoli (Mùller). Fossile dal postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 55. X. intermedia Brady, Les fonds de la mer, voi. I, 1868, p. 94, t. XXII, f. 3-7. Una sola valva destra, che corrisponde molto bene agli esem- plari della Farnesina, i quali raggiungono le stesse dimensioni (lungh. mm. 0,50-0,51), mentre il Brady cita esemplari di mm. 0,37 ('). Il Seguenza la trovò solamente nel quaternario di Bizzolo. Fossile dal postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 56. X. aurantia Baird ( Cylhere), Maq. Zool. a. Fot., voi. II, 1835, p. 143, t. V, f.26. Una sola valva destra lunga mm. 0,43. Specie citata sola- mente dal Seguenza. Fossile nel postpliocene; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. Gen. Cytherura G. O. Sars., 1865. Questo genere, che comprende le più piccole specie di Ostra- codi che io conosca, è rappresentato a Carrubare da nove specie, delle quali quattro ritengo nuove per la scienza. Il Seguenza (’) Carus, Prodromus , p. 307, dà come lunghezza massima mm. 0,75; ma deve esservi errore di stampa, e forse deve dire 0,57, non cono- scendo alcun autore che citi una dimensione cosi grande per questa specie. 20G A. NEVIANI ne citò cinque, di esse C. lineata var. subaptera, C. inversa e C. acuticostata furono rinvenute anche dame; non riuscii ad identificare nessun esemplare con la C. produciti var. micro- ptera e con la C. nevroptera. 57. C. acuticostata Cf. 0. Sars, Overs. Xorges Mar. Ostrac., 1865, p. 76. Specie non figurata dal suo scopritore, ma molto bene il- lustrata dal Brady in Becent Brit. . Ostr ., p. 445, t. XXXII, f. 1-11. A $•.% questa ili ustrazioue corrisponde a perfe- zinne, per dimensione e scultura, l’unica valva rinvenuta a Carrubare (fig. 10). Anche il Seguenza la cita come rara in questa località. Fossile nel postpliocene; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. 58. €. lineata Brady, Bec. Brit. Ostr., 1868, p. 441, t. XXXII, f. 30-34, 67. — Var. subaptera Seg., Bonn. terz. Beggio , 1880, p. 364. L’unico esemplare posseduto corrisponde fedelmente a quello parimenti unico trovato. dal Seguenza a Carrubare, e che volle giustamente distinguere come varietà « subaptera » della specie tipica. Fossile nel postpliocene; la sp. è vivente nei mari d'Inghilterra. 59. C. producta Brady, Bec. Brit. Ostr., 1868, pag. 443, t. XXXII, f. 60, 61. — Var. inicroptera Seg., Form. terz. Beggio , 1880, p. 365. Nuova varietà citata solo dal Seguenza nelle sabbie di Car- rubare, ma da ine non osservata. 60. C. nevroptera Seg., Form. terz. Beggio, 1880, p. 365, t. XVII, f. 52. E una delle specie indicate esclusivamente dal Seguenza come propria delle formazioni postpliocene di Carrubare, e che io non ho trovato fra gli esemplari esaminati. Fig. 10. OSTRACODI DI CARRUBARE 207 61. €. inversa Seg., Form, ter 2. Reggio, 1880, pag. 365, t. XVII, f. 51. Ho due valve destre di questa specie scoperta dal Segnenza a Camibare e nel saariano superiore di Bovetto. Nulla ho da dire su di esse, corrispondendo esattamente al tipo. Fossile nel postpliocene ; ignota fra le viventi. 62. C. subelliptica n. sp., (fig. 11). Due sole valve, destra e sinistra, che denomino come specie nuova non avendole potuto riferire ad alcuna di quelle note. Il nome da me dato si riporta alla forma generale della conchiglia ve- duta di sopra; difatti in essa si mantiene quasi sempre un contorno ellittico compresso, tranne nella parte posteriore che si prolunga con una breve cresta, corrispondente alla coda 0 sperone che veduto di lato appare breve, alto ed arro- tondato. La scultura è determinata da rade e finissime punteg- giature. Qualche affinità si osserva con le C. cimenta, C. strida e C. davata del Brady. Dimensioni: lungb. 0,52-0,55; alt. 0,27; gr. 0,15. 63. C. macrura n. sp. (fig. 12). Ho tre valve, due destre ed una sinistra, che per qualche riguardo, specialmente per la forma del rostro posteriore, ricordano la specie prece- dente. Ne variano per rornamentazione, essendo la superficie della conchiglia finamente sagri nata, e sopratutto per il profilo del guscio veduto dal- l’alto, essendo esso molto rigonfio, ed assottiglian- tesi rapidamente in avanti ed in dietro. Dimensioni: lungb. 0,52-0,60; alt. 0,28-0,30; gr. 0,17. 64. C. ampliiura n. sp. (fig. 13). Specie rappresentata a Carrubare da una sola valva destra. La scultura mostra leggerissime striature longitudinali, così co- 208 A. NEVIANX munì nelle specie di questo genere, e con esse si ha una finis- sima sagrinatura. Veduta di lato la conchiglia mostrasi terminata a punta anteriormente e posteriormente ; tale punta è terminata da un angolo ottuso posto un po’ in alto l’anteriore, ed al- quanto in basso il posteriore ; il margine dorsale è legger- mente convesso, il ventrale è quasi rettilineo nel centro. Ve- duta dall’alto si mostra molto rigonfia nel terzo posteriore, e la sporgenza maggiore passa al margine mediano determinando una specie di costa poco vi- sibile di lato. Se viene guardata di fronte, si osserva che la maggior larghezza è molto in basso. Dimensioni: lungh. mm. 0,62; alt. 0,33 ; gr. 0,24. 65. C. calcarata n. sp. (fig. 14). Altra specie da me ritenuta come nuova e rappresentata da una sola valva sinistra. Veduta di fianco appare subtrapezia col margine dorsale mediano quasi parallelo a quello ventrale, e più breve di esso; anterior- mente si mostra come tronca obliquamente dall’indietro in avanti, ed appena più in alto della metà è sporgente in una specie di piccola e robusta spina; la regione posteriore angolare risulta formata da una specie di rapida troncatura superiormente, e di una curva leggermente obliqua che unisce la parte più sporgente colla regione ventrale. Veduta dal dorso appare quasi semicircolare; di fronte il profilo scende blandamente dall’alto, e raggiunto il suo massimo in larghezza, si volge bruscamente verso il mar- gine ventrale. Dimensioni: lungi). 0,54; alt. 0,30; gr. 0,17. Fig. 13. OSTRACODI DI CARRUBARE 209 Gen. Cytheropteron G. 0. Sars, 1865. Di questo genere, rappresentato a Carrubare da un numero limitato d’individui, il Seguenza cita solo il Cn. calcctratum; 10 vi ho notato inoltre il Cn. bovettense che il Seguenza segna solo nel saariano superiore, ed anche il Cn. gradatimi Bosq. ed 11 Cn. trianguìare Rss., dei quali il primo fu indicato dal Se- guenza fra gli ostracodi del quaternario di Rizzolo, e l’ultimo trovo, per l’Italia, citato solo dal Capeder nelle formazioni pia- cenziane del Piemonte e della Liguria. 66. Cn. bovettense Seg. (emend.), Form. terz. Reggio, 1880, p. 365, t. XVII, f. 54. Ho potuto esaminare una ventina di valve destre e sinistre di questa specie del Seguenza molto ben distinta. Gli esemplari di Carrubare corrispondono in dimensioni a quelli del quater- nario di Rizzolo studiati dallo stesso Seguenza (Nat. Sic., voi. IV, p. 217) ed a quelli delle sabbie grigie della Farnesina deter- minati dal Cappelli (1. c., p. 329); mentre tutti quanti sono più grandi del tipo come appare dal seguente prospetto: lunghezza min. altezza mm. grossezza mm. Tipo (saar. sup. di Bovetto) : 0,56 Quaternario di Rizzolo: 0,78-0,82 Sabbie della Farnesina : 0,83 Sabbie di Carrubare: 0,75-0,80 0,25 0,38 0,37-0,39 0,55-0,56 0,41 0,35 0,30-0,31. Ritengo vi sia errore di stampa nelle dimensioni in gros- sezza citate per gli esemplari di Rizzolo ; non conosco nessun Cytheropteron di tale larghezza rispetto alle altre dimensioni. 67. Cn. gradatimi Bosq. ( Cythere gradata), Ent. tert. Frane, et Belg., 1852, p. 127, t. VI, f. 11. Posseggo otto valve destre e sinistre di questa specie, la quale è proporzionatamente più corta ed alta della precedente. Esse corrispondono meglio agli individui del Crag di Antwerp 14 210 A. NEVIANX (Brady, 1. c., p. 403, t. LXIX, f. 4) che a quelli della Farnesina studiati dal Namias e dal Cappelli. Dimensioni: lungh. rum. 0,70-0,74 ; alt. 0,37-0,40; gr. 0,25. Fossile dalTeocene ; ignota fra le viventi. 68. Cn. calcaratum Seg\, Form. terz. Reggio , 1880, p. 365, t. XVII, f. 53. Specie indicata solo dal Seguenza, precisamente nel saariano di Carrubare. I miei otto esemplari vi convengono completamente. 69. Cn. lati ssi munì Norman (Cythere latissima), Natur. liist. trans. ìsortinumb. a. Darli., v. I, 1865, p. 19, t. VI, f. 5-8. Posseggo una sola valva che, con alquanto dubbio, riferisco alla specie del Norman. Dimensioni: lungh. mm. 0,40; alt. 0,25; gr. 0,15. Fossile dal postpliocene antico; vivente nell’Atlantico. 70. Cn. triangulare Heuss (Cythere), Zeitsch. Deutsc. Geol. Gesel., voi. VII, p. 279, t. X, f. 3. È uno dei più grossi Cytheropteron' che conosca, rinvenuto fossile in Italia solo dal Capeder {Ent. plioc. Piemonte e Li- guria, p. 14); ma meglio che agli individui Piemontesi e Liguri, del piano piacenzano, i miei sei esemplari corrispondono a quelli del London Clay di Copenhagen e Piccadilly illustrati da Jones et Sherborn {Sappi, mon. tert. entom., p. 44, t. II, f. 19), essendo però di essi più piccoli. Dimensioni; lungh. mm. 0,75-0,80; alt. 0,38-0,45; gr. 0,27. Fossile dal pliocene; vivente nell’Atlantico. Gen. Pseudoc y thè re Gr. O. Sars, 1865. Genere mai citato fossile in Italia; vivente nel Golfo di Na- poli fu trovato dal Muller, e rappresentato dalla Ps. caudata. Ora ho trovato a Carrubare questa medesima specie, ed un’altra che ritengo nuova. I caratteri dati dal Sars, sono: Piccole valve tenui e pellucide, stuttura non distinta, anteriormente arroton- date, posteriormente sporgenti; loro commissura dorsale sem- plice. OSTRACODI DI CARRUBARE 211 71. Ps. caudata GL 0. Sars, Overs. of Norges mar. Ostrac., 1865, p. 88. Ho riconosciuta questa specie in una sola valva destra a guscio quanto mai delicato, liscio e trasparente (fig. 1 5) ; essa cor- risponde alla descrizione datane dallo scrittore. Dimensioni : lunghezza 0,62 ; alt. 0,34; gr. 0,14. Altri autori citano solo la lunghezza, e cioè: Miiller (Na- poli) mm. 0,52-0,60 ; Brady (Challenger) 0,65; Br. Cross, et Rob. (Scottanti) 0,50; Sars (Norges) 0,64. Fossile nel posterziario ; vivente nel Golfo di Napoli, Atlantico. 72. Ps. seguenziana n. sp. (fig. 16). Due esemplari, dei quali uno colle due valve riunite, ed uno rappresentato dalla sola valva destra. 1 due esemplari son di- versi in grandezza, ma evi- dentemente si tratta solo di età differente. Ricordano lon- tanamente la Ps. ampia Terq. della Terra da Follone di Var- savia (t. XVIII, f. 16); ma nessun avvicinamento si può fare con specie fossili più re- centi o con specie viventi. Pre- metto che le due valve non presentano percettibili differenze. Veduta lateralmente la conchiglia appare assai più alta in avanti ; la sua massima altezza si ha nel secondo quarto ante- riore; il margine anteriore è quasi rettilineo o tronco e passa con sentita angolosità al margine ventrale convesso, egualmente dicasi per la parte dorsale ; la curva della parte dorsale occupa una estensione assai maggiore di quella ventrale, perchè in questa tro- viamo presto una insenatura dalla quale comincia la parte ter- minale più ristretta; questa termina tronca e dentellata con un margine verticale non superante l’ampiezza di mm. 0,08. Veduta Fig. 16. Fig. 15. 212 A. NEVIANI dall’alto la conchiglia presenta un contorno subellittico ad estremi ottusi; la porzione terminale posteriore è meno evidente. Di fronte presenta limiti laterali quasi semicircolari. La superficie è per- fettamente levigata; il guscio è alquanto spesso ed opaco. Dimensioni: lungh. rum. 0,51-0,63; alt. 0,29-0,36; gr. 0,18. Gerì. Cythebideis Jones, 1856. Jones considerò Cytherideis còme sottogenere di Cytherideci; tutti i successivi autori diedero a questo sottogenere il valore di genere. Esso è noto, in Italia, solo per poche citazioni del Seguenza, il quale ne trovò sette specie nel quaternario di Riz- zolo, ed una sola nel saariano superiore di Bovetto. Nel materiale di Carrubare ne ho rinvenute due specie, Luna già nota è nuova per l’Italia, l’altra è nuova per la scienza. 73. Cytli. recta Brady, Ostr. Antwerp Cray. 1878, p. 406, t. LXIII, f. 3. Una sola valva destra (fig. 17) che ri- pete esattamente i caratteri del tipo; le dimensioni sono ben poco minori raggiun- gendo la specie tipica la lunghezza di mm. 0,90. Questa specie non fu prima d’ora trovata fossile in Italia. Dimensioni: lungh. mm. 0,82; alt. 0,27; gr. 0,14. Fossile del postpliocene; ignota vivente. Fig. 17. MM f'J:k 74. Cytli. laevigata n. sp. (fig. 18). Non ho potuto identificare con al- cuna delle specie conosciute l’esem- plare completo trovato a Carrubare. La valva sinistra è integra, la de- stra è mancante di una piccola parte, ma trovasi in condizioni tali da poter asserire che non presenta caratteri differenziali dall’altra. Il guscio è bianco, e la superficie è per- fettamente levigata con aspetto di porcellana. Veduta lateral- OSTRACODI DI CARRUBARE 213 mente si mostra più alta nel mezzo; la parte anteriore è più larga della posteriore e si passa daH’una all’altra gradatamente. Veduta di sopra presenta un contorno regolarissimo subellittico con angolo acuto ai due estremi, essendo l’anteriore alquanto più aperto. L’aspetto laterale la ravvicinerebbe alla Cytherina di- latata Reuss (Ent. Oest. tert., Vili, 17), ma le dimensioni, e so- pratutto la varia forma del profilo verticale, l’allontanano com- pletamente. Dimensioni: lungh. mm. 0,65; alt. 0,42; gr. 0,14. Gen. Sclerochilus G. 0. Sars, 1865. Genere comprendente pochissime specie, delle quali una sola (Sci. insignis Seg.j era stata trovata dal Seguenza nel quater- nario di Rizzolo. Nel materiale di Carrubare ho raccolto una sola valva destra, che va senza dubbio attribuita a questo ge- nere, ed alla seguente specie vivente nel Golfo di Napoli. 75. Sci. contortus Norman (Cijthere), Contrib. Brìi. Carchi., voi. Il, p. 48 (6), t. II, f. 15. Una sola valva destra (fig. 19) corrispondente meravigliosa- mente colla specie fossile nel posterziario della Scozia (Br., Cross, et Rob., Post-tert. ent., p. 212, t. X, f. 33-35), cogli individui viventi nell’Atlan- tico, alle isole Kerguelen, N. Zelanda, ecc.; e nel Golfo di Napoli (Mùller, 1. c., p. 282, t, XVI, f. 1, 2, 7). Per le dimensioni gli autori vanno, per la lunghezza, da un minimo di mm. 0,57, ad un massimo di mm. 0,81 ; il mio esem- plare è intermedio, esso presenta difatti le se- guenti Dimensioni: lungh. mm. 0,75; alt. 0,33; gr. 0,15. Gen. Paradoxostoma Fischer, 1855. Ho di questo genere il rappresentante di una sola specie fra le più comuni,' mentre il Seguenza, nei suoi lavori, ne cita otto specie. La nostra specie, che già dal Seguenza era stata elen- Fig. 19. 214 A. NEVIANI cata fra gli Ostracodi di Carrubare, si trova anche nelle sabbie grigie della Farnesina presso Roma. 76. Par. ensiforme Brady, Ree. Brit. Ostr., 1868, p. 410, t. XXXY, f. 8-11. Una sola valva destra corrispondente al tipo, ed alquanto più piccola degli individui che si raccolgono alla Farnesina. Il Seguenza distinse l’esemplare che trovò a Carrubare col nome di var. tenue, per essere alquanto più stretto del tipo; ma trat- tasi di variazione ben leggera, che acconsente considerarla nel- l’ambito di quelle della specie tipo. Dimensioni: lungh. rum. 0,62; alt. 0,25; gr. 0,19. Fossile dal postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo ed altri mari. Gen. Cythebella Jones, 1849. Jones distinse Cytlierelìa come sottogenere di Cythere(Monogr. ènt. cret. forvi, of Enyland, 1849, p. 28-33); il Bosquet per primo {Ent. foss. Fr. et Bety., 1852, p. 9) lo considerò come genere. Il Seguenza trovò a Carrubare la C. calabra Seg., da me non rin- venuta; posseggo solo vari esemplari della comune C.punctata Br. Nelle varie formazioni fossilifere italiane, terziarie e posterziarie, se ne osservano ben ventitré specie. 77. C. punctata Brady, New spec. mar. Ostr., 1865, p. 362, t. LVII, f. 2. Gli esemplari di Carrubare meglio corrispondono, anche per le dimensioni, a quelli raccolti dallo Challenger (Brady, 1. c., p. 174; lungh. mm. 0,85) che sono discretamente più grandi di quelli tipici (mm. 0,57); ma la punteggiatura che occupa tutta la conchiglia, e la forma generale di essa, non permettono al- cuna distinzione. Dimensioni: lungh. mm. 0,68-0,86 ; alt. 0,40-0,45; gr. 0,20. Fossile dal postpliocene antico; vivente nel Mediterraneo, Atlantico, ecc. OSTRACODI DI CARRUBARE 215 78. C. calabra Seg., Form. terz. Reggio, 1880, p. 326, 366, t. XYII, f. 56. Non ho trovato questa specie che il Seguenza cita oltre che a Carrubare anche nel saariano superiore e nel siciliano. Non posso quindi pronunciarmi sul valore di essa; ma dalla descri- zione e dalla figura data dall’autore mi sembra che dovrebbe riportarsi alla JBairdia subradiosa Bosquet. Genere variamente inteso dagli autori. Ho seguito, per la de- terminazione da me fatta dell’unico esemplare rinvenuto, la li- mitazione indicata nelle opere del Carus (Prodromus), del Brady ( Challenger) e del Muller ( Neaplcs ). 79. Cypr. carrubarensis n. sp. (fig. 20). Sono stato lungo tempo titubante prima di decidermi a pub- blicare questa nuova specie e di aggregarla al genere Cypridina. Altri giudicherà di questa determinazione generica e specifica. La sola valva destra posseduta, veduta di lato ha contorno ovoide colla maggiore altezza un po’ prima della metà, poste- riormente forma una breve appendice con un’ insenatura, della quale la curva superiore o dorsale è più sentita, cosicché la parte sporgente della conchiglia assume qui la forma di un pic- Gen. Cypridina H. M. Edw. , 1838 Fig. 20. 216 A. NEVIANI colo rostro. Veduta dal dorso, come dal lato ventrale, ha la forma di un triangolo isoscele del quale il lato maggiore è rappresen- tato dalla proiezione del margine mediano, ed i due lati eguali dal profilo laterale; l’angolo di mezzo è largamente curvo; acuti sono l’anteriore ed il posteriore. Veduta di fronte mostra la sua massima larghezza a metà circa dell’altezza, ed il profilo ap. pare subtriangolare a lati leggermente convessi;, il margine me- diano è alquanto sinuoso. La superficie della conchiglia è molto minutamente punteggiata. Dimensioni: lungh. mm. 0,77; alt. 0,50; gr. 0,30. Roma, R. Liceo “ Visconti „ , novembre 1905. [ms. pres. il 10 nov. 1905 - ult. bozze 19 aprile 1906]. SULLA DIFFUSIONE GEOLOGICA DELLE LEPIDOCICLINE Nota del socio Giuseppe Checchia-Rispoli Sulla diffusione geologica del gen. Lepidocyclina , oltre ai fatti citati in varie mie pubblicazioni ('), ne ho raccolti degli altri e più importanti, i quali saranno estesamente indicati in alcuni miei lavori in esecuzione. Siccome la pubblicazione di que- sti non può avvenire assai presto ed intanto le mie opinioni sulla distribuzione geologica di quel genere sono in parte oppugnate, credo utile di pubblicare queste brevi osservazioni preventive, non per desiderio di far polemiche, ma perchè in attesa di quei lavori, mette il conto di discutere sin da ora la importante que- stione. Il dott. P. L. Prever a piè di pagina delle sue recenti « Ri- cerche sulla fauna di alcuni calcari nummulitici dell’ Italia cen- trale e meridionale » (2), scrive esattamente che io in una mia Nota sostengo l’esistenza delle lepidocicline nell’Eocene (3); se non che egli aggiunge a pag. 681 le seguenti parole: «... e che » gli individui attribuiti, nel suo lavoro (Checchia-Rispoli) sopra » citato, dà lui alla, Lepidocyclina aspera appartengono vera- » mente a cotesto genere e non al genere Orthopliragmina , come (') Vedansi a proposito i seguenti miei lavori: I Foraminiferi eoce- nici del gruppo del Monte ludica e dei dintorni di Catenanuova in pro- vincia di Catania , (nel Boll. d. Soc. Geol. Ital., v. XXIII, f. I, 1904) — Osservazioni sulle Orbitoidi (nella Riv. Ital. di Paleont., voi. XI, fase. II, 1905) — Un nuovo rinvenimento di Lepidocyclina nell’ Eocene della Si- cilia (nel Natur. Sicil., voi. XVII, n. XI, 1905). (2) Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIV, fase. 2, 1905.- (3) Osservazioni sulle orbitoidi, loc. cit. 15 218 GIUSEPPE CHECCHIA-RISPOLI » io (Prever) avevo sostenuto; e non sono perciò forme di pas- » saggio fra questi due generi ». Osservo che io non ho mai scritto quanto il Prever mi fa dire nelle parole citate ora. Nella Nota alla quale egli si riferisce io non ho fatto alcuna discussione sul riferimento generico della 0. aspera, anzi in una lista di fossili ho citata questa specie fra le Orthophragmina, e come tale la ho pure riportata in altri miei scritti. Io mi sono occupato della questione generica delle Orbitoides aspera solo nel mio lavoro « I foraminiferi eocenici del gruppo del Monte ludica, etc. », in cui, così ho concluso a pag. 56 : « L’Orò, aspera la manteniamo provvisoriamente nel genere Lepi- » docgclina, fino a quando non sarà ben chiarito il posto gene- » rico delle orbitoidi a maglie esagonali », e nella descrizione di tale specie (pag. 64) feci seguire al nome generico un punto in- terrogativo ('). Nell’asserire che le lepidocicline si trovano anche nell’Eocene, io non fondai le mie affermazioni sulla Orbitoides aspera, ma invece sopra una orbitoide di Sciacca, che posteriormente nelle « Osservazioni sulle Orbitoidi », chiamai Lepidocyclina Di-Ste- fanoi mihi, e sulla Orb. ( Lcpidocyclina ) Giimbelii Pantanelli (2), non Seguenza, delle quali m’intrattenni, nel mio lavoro più volte citato « I Foraminiferi eocenici del Monte ludica... », parlando delle difficoltà di poter distinguere le Lepidocycline dalle Or- bitoides nel senso stretto. Se poi è risultato che il terreno con- tenente la Lepidocyclina Giimbelii Pant., non Seg., è oligoce- nico, anziché eocenico, come l’illustre professore di Modena aveva scritto, questo è un fatto posteriore al mio lavoro non solo, ma anche alla recensione in cui il Prever lo esaminava (3). P) Riguardo a questa specie debbo rilevare che il eh. prof. Silvestri, cosi valente conoscitore di foraminiferi, determina come vera Lepidocy- clina una Ijepidocyclina cfr. aspera (Giimbel), che sembra prossima a quella che io ho chiamato Lepidocyclina (?) aspera Giimb. (v. Sulla « Or- bitoides Giimbelii » Seg., in Atti della Pontif. Acc. Rom. dei Nuovi Lin- cei, voi. LIX, sess. I del 17 Dicembre 1905). (2) Pantanelli, Sopra un piano del Nummulitico superiore nell’ Ap- pennino modenese. (3) Riv. Ital. di Paleontologia, voi. X, fase. Ili, 1904. DIFFUSIONE DELLE LEPIDOCICLINE 219 * * Ora dopo due anni di tempo dalle mie prime osservazioni, i rinvenimenti di Lepidocicline nell 'Eocene si sono moltiplicati, e quindi per dimostrare che questi organismi si trovano in for- mazioni più antiche dell’Oligocene, non vi è solo la specie di Sciacca (Lepidocyclina Di-Stefanoi), la quale del resto vi è ab- bondantissima, ma anche parecchie altre. Così si trovano lepidocicline in mezzo a faune indubbia- mente eoceniche a Bagheria presso Palermo, a Termini-Imerese, un’altra grande specie pure a Sciacca (x), e di cui ne demmo parola in un’altra Nota (2), ed infine nel Continente in alcuni calcari mummulitici dell’Eocene medio della provincia di Lecce in Puglia (3). Precisamente io sto lavorando in questo momento ad illustrare tali giacimenti e la presente Nota contiene solo delle in- dicazioni preventive. Debbo anche insistere sul fatto che questo genere nei luoghi su indicati si trova rappresentato, non da rari esemplari, ma da molti individui appartenenti a molte specie e che inoltre la forma delle concamerazioni equatoriali di que- ste lepidocicline è identica a quella delle specie oligoceniche e mioceniche. C) V. Un nuovo rinvenimento di Lepidocyclina nell’ Eocene della Si- cilia, dove si parla della L. selinuntina Checchia. (2) Uno studio su alcune lepidocicline dell’Eocene di Termini-Imerese é comparso or ora nel 2° fascicolo di quest’anno della Rivista Italiana di Paleontologia; in detto lavoro sono descritte e figurate tre nuove specie, cioè Lepidocyclina Ciofaloi, L. himaerensis e L. planul ata: debbo aggiun- gere che dopo la correzione delle prime bozze e dopo che la tavola è stata già tirata, avendo esaminato altro materiale della stessa località, ho rinvenuto altre specie di lepidocicline, che verranno illustrate in se- guito e di cui per ora dò solo i nomi : L. Silvestrii, L. Baldaccii e L. Bassanii. (3) Di-Stefano G. Sull'esistenza dell’ Eocene nella penisola salentina (Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5, XV, 1° sem., n. 8) 1906. Come in Sicilia, qui le lepidocicline si trovano associate ad Assiline, Alveoline, Num- muliti, ed Ortofragmine: finora ho distinto due specie, L. salentina n. sp. e L. messapica n. sp. A proposito di altri rinvenimenti di lepidocicline eoceniche nel Continente, vedasi il recente lavoro del prof. A. Silvestri « Sulla Lepidocyclina marginata (Michelotti) » in Atti della Pont. Acc. Rom. d. N. Lincei, anno LIX, Sess. Va del 22 aprile 1906. 220 GIUSEPPE CHECCHI A- PISPOLI ■IfL * * Ho scritto inoltre che questo genere giunge tino all’Elveziano, fondandomi allora sopra alcuni esemplari di Lepidocyclina , pro- venienti dal Miocene dei Colli di Torino e gentilmente offertimi dall’Ing. C. Crema. Su questo fatto il Prever scrive lungamente per contraddirmi, ma in conclusione conferma che le Lcpidocycline si trovano oltre che nel Langhiano, anche ne\V Elvesiano dei Colli di Torino, sebbene rappresentate da pochi esemplari : io non comprendo come l’esiguità del numero contraddica quello che io ho scritto ('). Del resto posso assicurare sin da ora che. oltre che nell’El- veziano dei Colli Torinesi, si trovano Lepidocicline in Sicilia presso Burgio in provincia di Gir genti, in terreni miocenici, che indubbiamente non sono più antichi deH’Elveziano e che anzi possono esserne più giovani. Quivi le abbondanti lepidocicline sono accompagnate dalle Miogypsine (2). Questo posso dire per ora intorno a sì importante argomento, riguardo al quale confermo quanto ho scritto in tutte le mie precedenti pubblicazioni sulla distribuzione geologica delle Lc- pidocycline, lieto di poter dimostrare con maggior copia di fatti quello che primo avevo verificato solo in pochissimi casi e di veder avvalorate le mie ricerche da quelle di altri studiosi. Dal Laboratorio di Geologia della R. Università di Palermo. [ms. pres. il 27 febbr. 1906 - ult. bozze 30 giugno 1906]. (') Le molte sezioni di Lepidocicline da me fatte sono eseguite su esemplari di varie provenienze dei Colli di Torino; mentre gli esem- plari che provengono à&W' Elveziano di Villa Allason, sono nel fatto pochi, come ho proprio scritto nella nota « Osservazioni sulle Orbitoidi». (2) Nell’importante lavoro testé citato del prof. Silvestri « Sulla Lepidocyclina marginata Michl. », sono riportati moltissimi rinvenimenti di lepidocicline nell’ Elveziano non solo, ma anche nel Tortoniano. SULL’ESTENSIONE DEL CARBONIFERO SUPERIORE NELLE ALPI C ARNICHE Nota del socio P. Vinassa de Regny Durante le escursioni del congresso geologico decorso, venne fatta, per una fortunata combinazione, la interessante scoperta di una felce fossile del carbonifero superiore, la Nevrodon top ter is auriculata, negli scisti nerastri posti a 100 metri sotto al ricovero Marinelli, quasi sopra al laghetto di Gas. Plotta al passo della Porca Morarèt. Tali scisti carboniferi appoggiano sopra altri scisti, indubitabilmente siluriani, nei quali il Geyer (:) ha trovato delle graptoliti. Il Dott. Geyer con somma cortesia ha voluto inviarmi i preziosi esemplari da lui raccolti presso la Forca Morarèt, e non vi ha dubbio alcuno che si tratti di Monograptus, quan- tunque siano specificamente indeterminabili. La scoperta della Felce mi sembrò tanto interessante da comunicarla subito ai colleghi riuniti al ricovero Marinelli (2); accennando come la presenza di questo fossile modifichi pro- fondamente la carta della regione, permettendo finalmente di fissare l’età di quegli scisti, ed estendendo per parecchi chilo- metri la trasgressione carbonifera superiore, caratteristica nelle Alpi carniche occidentali. Data l’importanza della cosa torno oggi sull’argomento, tanto più che, basandomi sulla presenza di parecchi fossili raccolti durante la campagna geologica della estate decorsa, posso ora collegare assai bene il nuovo lembo carbonifero trasgressivo colla grande massa principale dell’Oharnach e dell’Auernig, ed accennare altresì ad un ulteriore collegamento con altre masse, segnate senza netti contorni nella cartina geologica del 1905 (') Ueber neue Funcìe von Graptólithenschiefern in den Sudalpen, und deren Bedeutung fur den Alpinen Kuhn. — Verh. k. k. geol. Reichsanstalt., 1897, n.° 12, 13, pag. 244. (2) Boll. Soc. geol. it., XXIV, 2, pag. lvi. 222 P. VINASSA DE REGNY pubblicata da me e dal dott. Gortani (1), che tendono a non far rimanere isolata nemmeno la massa carbonifera di Forca Pizzul. È noto, e gli egregi colleghi che durante le escursioni del nostro congresso hanno visitata la bella e interessante regione se ne saranno resi facilmente persuasi, che un rilevamento esatto della regione carnica orientale ove si trovi la facies scistosa presenta difficoltà grandissime. Le carte antiche del v. Hauer, del Pirona e del Taramelli (2) e quelle più receuti del Frech (3) e del Geyer (4) stanno a dimostrare questa difficoltà. Gli scisti sono difatti molto prossimi per il loro aspetto litologico; e so- lamente i fossili, ben rari a trovarsi, possono intervenire a darci un’idea esatta sull’età di essi. Ma non ostante la somiglianza litologica pure esistono anche negli scisti certi particolari aspetti per cui si può talvolta riconoscere uno scisto carbonifero da uno siluriano. Ed io credo altresì che in essi o nelle rocce che li accompagnano, si debbano trovare peculiari caratteri petro- grafìci, i quali possano, in mancanza di fossili, darci pure una idea della diversa età dei singoli scisti. Oggi sono abbastanza numerose le località ove sono stati trovati fossili o siluriani o carboniferi di età ben certa ; là si potrà dunque raccogliere del materiale per metterlo a confronto. 11 Dott. Gortani, il quale ha già dato prova di sapersi occupare valorosamente della geologia delle sue montagne, ha per mio consiglio già iniziato uno studio di tal genere, ed io mi auguro che i risultati di esso corrispon- dano alle speranze. Avremmo in tal caso un criterio utilissimo per la distinzione esatta degli scisti e per la loro delimitazione sopra le carte geologiche. Non si può a priori escludere che la facies scistosa si sia sviluppata anche nel devoniano. Per adesso però i fossili non (1) Vinassa e Gortani, Osservazioni geologiche nei dintorni di Paularo. Boll. Soc. geol. it. XXIV, fase. I, pag. 3. — In questo lavoro, per l’in- fluenza della carta del Frech, abbiamo ammesso troppe linee di faglia, quantunque se ne siano eliminate parecchie di quelle precedentemente da lui segnate. (2) Carta geologica del Friuli, Pavia, Fusi, 1881. (3) Die Karnischen Alpen, Halle, 1894. (4) Geolog. Karte der oest.-ung. Monarchie, S-W. Gruppe, n° 71, Oberdrauburg-Mauthen. Wien, 1901. Questa carta ci era ignota quando compilammo il lavoro sui dintorni di Paularo. CARBONIFERO SUPERIORE DELLE ALPI CARNICHE 223 ci hanno dato sicurezza di età se non per alcuni scisti siluriani e per altri carboniferi. Le località con graptoliti nelle Alpi carniche non sono molto numerose. Le scoprì per primo lo Stadie (*) sopra Uggowitz, poi seguirono le scoperte del Taramelii (2) al Rio del Musch presso Gas. Lodin; del Geyer (3) alla Gundersheimer Alpe, al Noblinger Graben, a Forca Morarèt, alla base del Cellonkofel (4); del Tommasi (5) a W. del Cristo di Timau, e le recenti (6) sopra C. Meledis bassa, località questa che ha dato sino ad oggi la più ricca fauna a graptoliti delle Alpi carniche, ed il cui studio sarà in breve terminato. E a proposito di Graptoliti non posso passare sotto silenzio la presenza di resti di graptoliti, mal conservate ma certe, an- che al Passo di Promosio. Il Prof. Taramelii, che gentilmente ba posto a mia disposizione il materiale del Museo di Pavia, cosa per cui tengo ad esprimergli pubblicamente tutta la mia gratitudine, mi ba pure inviato il pezzo del Passo di Promosio con questi avanzi. * * * Come ho già detto in molti luoghi, quando si sia fatto un po’ d’occhio, si riesce anche dal solo aspetto a riconoscere le masse scistose carbonifere da quelle siluriane. E i fossili aiutano pel carbonifero assai più perchè sono più numerosi. E in base ad essi che fu riconosciuto il carbonifero all’Oharnach fino dal 1856 per merito di Stur (7) ; e il ricono- C) Verh. der k. k. geol. Reiclisan., 1872, pag. 234; Ibidem, p. 323 ; Ibidem, 1873, pag. 215; Jahrbuch 1873. (2) Rend. R. Ist. Lombardo, 2, XIV, 1881, pag. 590. (3) Aus dein palaeozoischen Gebiete der Icarnischen Alpen. — Verh. k. k. geol. Reichsan., 1895, 2, pag. 76. (4) Congrés géologique inter., IX, Vienna, 1903. Compte-rendu, 2, pag. 883. (5) Taramelii, Osservazioni stratig. sui terreni paleozoici nel versante ital. delle Alpi carniche. — Rend. R. Acc. Lincei, 5, IV, sem. 2, pag. 185. (6) Boll. Soc. geol. ital., XXIV, 3, pag. 721. (7) Die geolog. Verh. der Thàler Drau, Isel, Mòli und Gail, etc. — Jabrb. k. k. geolog. Reichsan., VII, 1856, pag. 424. 224 P. VINASSA DE REGNY sciraento dell’età carbonifera di quel lembo portò a credere car- bonifera tutta la parte scistosa della catena. Metodo di gene- ralizzazione errato che purtroppo però è stato seguito dipoi per parecchie altre regioni delle Gamiche. Le masse carbonifere hanno grande estensione in due punti, benissimo segnati nelle lorp grandi linee dal Geyer ( 1 ), che li ha giustamente considerati come trasgressivi ; a differenza del Frech che li segna erroneamente nella loro estensione e sempre poi limitati da faglie, di cui del resto abbonda inutilmente la sua carta. La massa principale del carbonifero trasgressivo va, se- condo la carta del Geyer, daH’Auernig al passo di Lodinùt ove si arresta; la seconda massa è del tutto isolata dalla prima e comprende il celebre giacimento del M. Pizzul scoperto dal Tom- masi ed illustrato dal Paroma, dal Bozzi e recentemente dal Dott. Gortani e da me (2). 11 Geyer descrive molto bene questa trasgressione e credo utile riportare quanto egli dice, poiché non si potrebbe me- „ glio esporre l’interessante fatto. « Sul sistema di pieghe abrase sin qui descritto, riposa un complesso di argilloscisti, arenarie, conglomerati quarzosi bianchi con banchi inclusi di calcare a Fusuline, che appartiene al neocarbonifero ... E cosi grande e netta la diversità nel giacimento dello zoccolo siluriano e della coperta neocarbonifera, che se ne può determinare esattamente il contine anche là dove gli scisti appoggiano su altri scisti. « Il neocarbonifero delle Alpi Carniche può considerarsi come il modello di una trasgressione. Il fatto si manifesta nettissimo, ed i suoi confini sono di un carattere ben diverso da quello di una dislocazione. La diversità si vede bene là dove il terreno è molto inciso, e più specialmente nei punti ove il margine della massa trasgressiva è localmente stirato e confina col siluriano più in- clinato mediante una dislocazione, per cui il neocarbonifero è localmente abbassato e quindi meglio difeso dalla erosione » (3). (*) Geolog. Karte der oest. ung. Monarchie. Blatt Oberdrauburg u. Mauthen. (2) Fossili carboniferi del M. Pizzul e del Piano di Lama, Boll. Soc. geol. it., XXIV, 2, pag. 461. (3) Verh. der k. k. geolog. Reichsanstalt, 1895, 2, pag. 86, 87. / CARBONIFERO SUPERIORE DELLE ALPI CARNICHE 225 * * La trasgressione carbonifera ha però effettivamente lina esten- sione molto maggiore di quella segnata dal Geyer, e le nuove località dove posso segnarla dopo le ricerche dell’estate decorsa danno ad esempio per la massa maggiore una lunghezza di oltre 14 km. in più. Nella cartina annessa ho riportato con segni diversi i con- fini del carbonifero secondo il Frech (linea tratteggiata), secondo il Geyer (linea punteggiata) e secondo i miei recenti rilievi (linea continuata). Dalla cartina si rileva come fosse erroneo il rilevamento del Frech. La carta molto più esatta e razionale del Geyer segna come confine meridionale Lanza, Pittstall, i casolari di Straning, l’Oharnach, il M. Lodin (Findenigkofel della carta austriaca) sino alla sella tra il laghetto Zollner See e la Cima Costa alta (Collen diaul Thorl della carta austriaca). La massa di M. Pizzùl, è isolata e limitata dal Palòn di Pizzùl (J), dal M. Salinchiet, dalle masse siluriane di Cas. Pizzùl, e, al di là della Pontebbana, termina colla lingua sotto alla Dirnbacher Alpe. Sta il fatto però che queste linee di confine vanno in molti luoghi modificate e ampliate tanto che l’estensione della tra- sgressione carbonifera aumenta, e questa assume una forma ben diversa da quella sin qui segnata, come risulta dalla cartina. Ed in primo luogo la linea di confine meridionale della massa in continuazione a quella dell’Auernig ha un andamento un poco diverso. Va più estesa a spese del devoniano presso Cason di Lanza, poi segue la linea segnata dal Geyer, si estende un poco più a Sud presso il Segnale sopra Cas. Meledis (quota 1579) ove si rinvengono resti di Galamites sp. C) M. Pizzùl nella carta italiana ed austriaca. Vedi a questo pro- posito le osservazioni fatte in Vinassa e Gortani : Osserv. geoìog. sui àmi- di Paularo, già cit., pag. 2. 226 P. VINASSA DE KEGNY Segue poi con andamento irregolare sino a Cima Val di Puartis ove ho trovato (x): Sigillarla Brardi Brgnt. Calami tes sp. Calamites Cisti Brgnt. Tutta la vetta di Val di Puartis è carbonifera, e proprio in faccia alla vetta, al di là del pantano erboso pel quale passa il confine, si ha una massa di calcare a Fusuline, non indi- cata dal Geyer; la rupe calcarea è detta dagli alpigiani nostri Socretis: dal calcare provengono numerosi fossili, e cioè: Fusulina alpina Schlhv. Ortliis cfr. Pecosii Marc. Productus curvirostris Sclillw. Pr. semiretieulatus Mart. Spirifer supramosquensis Nik. var. Fritsclù Schllw. Beticularia lineata Mart. sp. Martinia acuminata Gemin. sp. Mar. semi plana Waag. Bhynchonella osagensis Swall. Notothyris exilis Gemm. Aviculopecten cfr. cingendus Me. Coy. Straparollus permianus King St. minutus Kon. Loxonema cfr. meridianum Gort. Archaeocidaris pizzulana Gort. E dalle arenarie e dagli scisti sottostanti ai calcari pro- vengono : Streptorliynchus semiplanus Waag. sp. Spirifer cfr. lyra Kut. Sp. cfr. carnicus Schlhv. Camarophoria alpina Schlhv. Il Carbonifero poi si estende ancora un poco al di qua del passo di Lodinùt, ove pure rinvenni avanzi di Calamites sp. C) Questi e gli altri fossili dei quali si parla in questa nota ven- gono contemporaneamente illustrati dal Dott. Gortani. CARBONIFERO SUPERIORE DELLE ALPI CARNICHE 227 228 P. VINASSA DE REGNA Da qui poi comincia la porzione di carbonifero che non venne segnata dal Geyer. Si tratta talvolta di lembi isolati, ma il più delle volte di masse molto estese, di perfetto tipo lito- logico carbonifero. Se ne hanno sotto Cima Costa alta al Passo Pecol di Cbiaula, e lungo tutto il fianco settentrionale del M. Skar- nitz (Hohe Trieb della carta, austriaca) sopra ai calcari e agli scisti siluriani, e si estendono sino al Passo di Promosio. Qui vanno in parte ad addossarsi ai calcari con Climenie del neo- devoniano, e in parte sopra altri scisti, e più specialmente quelli verso Pizzo Avostano, che sono siluriani. La graptolite quivi raccolta dal Prof. Taramelli sta a dimostrare l'età silu- riana di alcuni di questi scisti. In quelli che io ritengo tra- sgressivi e carboniferi, dal passo di Lodinut sino al Promosio, non bo trovato nemmeno un fossile; ma i caratteri litologici, la disposizione tettonica, il collegamento cogli altri fossili mi confortano nell’opinione espressa. E chi sa che anche qui un altro fortunato colpo di bastone, come quello dato dal Dott. Ce- rnili alla Forca Morarèt, non faccia un giorno o l’altro uscir fuori un fossile tipico come è stata la Nevrodontopteris aurìcu- lata. Ma i sedimenti carboniferi non si arrestano qui. Difatti, con- tinuando verso occidente, dopo l’interruzione del silnrico-devo- nico Pizzo di Timau, ritornano scisti ed arenarie di perfetto tipo carbonifero anche alle falde meridionali del P. di Timau stesso, poi al Fontanone. E negli scisti che si insinuano nelle ondulazioni dei calcari devoniani, come in tanti fijordi. e che si vedono risalendo il Rio di Collina per la strada che per Cas. Monumenz conduce al ricovero Marinelli, si può pure ri- conoscere il tipo carbonifero sia pei caratteri litologici sia più specialmente per la tipica giacitura trasgressiva. Ma in questa regione altri scisti si hanno, e più precisa- mente quelli a SW. del Cristo di Timau alle falde del M. di Terzo e quelli di Cas. Collina grande, che sono siluriani. Presso al Cristo il Tommasi trovò la sua graptolite, e più verso Forca Morarét il Geyer trovò belli e tipici Monograptus. Molto pro- babilmente, come osserva lo stesso Geyer, si tratta di una zona siluriana continua che da sopra Timau si continua verso il M. Floritz sopra la Forca Morarèt. CARBONIFERO SUPERIORE DELLE ALPI CARNICIIE 229 Ma negli scisti addossati al devoniano della base del M. Co- glians, e più precisamente in quella massa che da Pie Ciadin arriva sotto al ricovero, e quindi in alcuni punti sovrastante agli scisti siluriani accennati, si trovano i già ricordati fossili neocarboniferi. Per quanto la Nevrodontopteris (fig. 2) sia un frammento, pure (fig. 3) pei caratteri della nervatura, pel suo auriculata dettaglio della nervatura. Fig. 4. _ Calamites Cisti sotto Pie Ciadin presso al rie. Marinelli. andamento ricurvo, per la mancanza di nervo mediano, mi pare ■ non vi sia da aver dubbio sulla sua determinazione come JV. aari- culata. Nemmeno credo si potrà dubitare che il fossile proveniente dagli stessi scisti (fig. 4) sia una Calamites tipica, ben diversa in ciò dai vari frammenti indeterminabili qui trovati e che servi- rono di base a riferimenti erronei, specialmente da parte del Frech, e che debba riportarsi a C. Cisti. 230 P. VINASSA DE EEGNY È curioso il ricordare la ridda di questi scisti della base del Coglians, che sono passati a traverso tutto il Paleozoico. Dopo che si cominciò a riconoscere che il riferire al carbo- nifero tutti gli scisti delle Alpi carniche era un errore, co- minciò nel 1869 il Taramelli (4) a dire permiani questi scisti alla base del Coglians; nel 1874 lo stesso Taramelli (?) li ri- feriva invece tutti al carbonifero; successivamente però (3) li riteneva tutti siluriani. Fu il Frecli (4) nel 1894 che li ascrisse al Culm, al qual gruppo assegnò erroneamente una quantità di terreni nelle Alpi Carniche, e tale idea continuò a sostenere, non ostante le critiche del Geyer, anche nella Letìiaea paleo- zoica ed in altri lavori (5). Nel 1895 il Taramelli (6) accennava alla possibilità che vi fossero anche lenti di scisti devoniani, ed 0. Marinelli (7) ampliava questa idea. Il Geyer che a Forca Morarét aveva trovato i Monograptus riteneva tutto siluriano e si opponeva più specialmente all’opinione del Frech. E di tale opinione è rimasto sino al 1901, poiché nelle sue spiegazioni alla Carta geologica (8) dice queste testuali parole: « Die don Devonkalk der Kellerwand in Siiden an sche inend ùberla- gernden Thonschiefer und Sandsteine mit Pflanzenabdrùcken, welche zum Culm gestellt worden waren, erwiesen sich als auf- geschobene Silurschichten, da die frtiher als Archaecalamites ra- cliatus Stur bestimmten nodienlosen Stengelresten theils in Ge- sellschaft von Graptolitherresten (Forca Morarét), theils innerhalb einer sicher obersilurischen Schichtfolge (Seekopf, am Wolayersee) wiedergefunden und dadurch ihrer Beweiskraft beraubt wur- den ». Dopo quanto è stato esposto mi sembra più logico il dire che anche alla Forca Morarét si ripete il fenomeno della tra- sgressione neocarbonifera sul devoniano e sul siluriano. (') Osservazioni stratigrafiche sulle Valli del Degano e della Vinadia in Carnia. Ann. R. Ist. tecn. Udine, III. (2) Stratigrafia della serie paleozoica delle Alpi carniche. Mem. R. Ist. veneto, voi. XVIII. (3) Spiegazione della Carta geologica del Friuli e Carta geologica del Friuli ( 4 ) Die Karnisclien Alpen. Halle, 1891. (5) Neues Jahrbnch fiir Min. Geol. and Paleont. 1899, I, 3, pag. 259. (6) Rend. R. Acc. Lincei, 5, IV, Sem. 2, pag. 185. (7) Mem. Soc. geogr. ital., Vili. 2. (8) Erlàuterungen zur Geolog. Karte der oest. ung. Mon. Blatt Obei- draubnrg und Mauthen. — Wien, 190 L, pag. 43. CARBONIFERO SUPERIORE DELLE ALPI CARNICIIE 231 * La Forca Morarét è, per adesso, il più estremo limite oc- cidentale della trasgressione neocarbonifera, la quale è così por- tata a 14 km. oltre il limite sin qui segnato. Ma con tutta probabilità il carbonifero si estende ancora parecchio a Sud. Non posso citare, purtroppo, dei fossili ed è appunto per questo che accenno alla semplice probabilità ; ma i caratteri litologici sono tali che in alcuni punti alla- probabi- lità dànno molta forza e in certi altri la trasformano in quasi certezza. Sino dall’anno decorso nella cartina annessa al già citato lavoro sui dintorni di Paularo il dott. Gortani ed io segnammo, senza delimitarli, due lembi carboniferi a N. della Cas. Costa Robbia e al Rio Tamai. Dopo i rilievi di quest’anno abbiamo accennato (’) come la macchia al Rio Tamai vada spostata, e quella a N. di Costa Robbia ingrandita. Effettivamente dal Passo di Promosio si continuano le rocce di netto tipo carbonifero alla frana del R. Moscardo, sono molto estese al di sopra delle Cas. Maseradis, e, includendo come in un anello le arenarie di Val Gardena e le rocce eruttive permiane del M. Dimon e del M. Neddis, per Cas. Montute giungono al Chiarsò. L’anello poi è completato da altre rocce di tipo carbonifero che col legate presso Cas. Ruvis alle precedenti, si estendono attorno alle Cas. di Fontauafredda sino al R. Cercevesa, collegate queste alle altre già accennate del versante sinistro della Rùt da al- tre masse che si trovano sul crinale da dove ha origine la frana del Moscardo. Un lembo isolato a tipo carbonifero si ha pure attorno alla Cas. Valpudia. Probabilmente gli scisti che lungo la But da Timau giun- gono a Enfrastors sono siluriani. Avremmo in tal caso anche qui scisti carboniferi trasgressivi su scisti siluriani come al ri- covero Marinelli e al Promosio. Sulla sinistra del Chiarsò, e sulla destra del R. Tamai presso a Cas. Nojareit comparisce un altro lembo carbonifero trasgres- (') Nuove ricerche geologiche sui terreni compresi nella tavoletta « Pa- lazzo ». Boll. Soc. Geol. it., XXIV, 3, pag\ 721. 232 P. VINASSA DE REGNT sivo sugli scisti siluriani. Tipiche anageniti identiche a quelle del M. Pizzul si trovano qui tra altre rocce di deciso aspetto carbonifero; e vi si trova pure un'arenaria con Zoopliycos car- boni ferus Bozzi, identica a quelle del Piano di Lanza. In tal maniera si forma il collegamento delle masse sin’ora descritte con quella classica del M. Pizzul. Ma questo collega- mento non è il solo. Poiché durante le escursioni di quest’anno si è potuto constatare come il carbonifero trasgressivo si trovi anche ad oriente del M. Palon di Pizzùl, oltre la Forca per discendere a Lanza. — Quivi si son trovati : Productus semireticulatus Mart. sp. Lima retiformis JSTetsch., in alcuni argilloscisti sovrastanti ai calcari siluriani ad Ortho- ceìJas. In tal maniera il collegamento con le masse neocarbo- nifere del prossimo Piano di Lanza è reso ancor più netto, e il carbonifero trasgressivo forma, per adesso, un grande anello attorno allo spartiacque Bùt-Chiarsò. E dico, per adesso, poiché al Passo di Promosio, per lo meno, l’anello non é chiuso, ed è molto probabile che la trasgressione carbonifera, dopo le ri- cerche di quest’anno tanto più estesa, debba ancora subire una ulteriore estensione ('). Tutto questo rende sempre più netta la lacuna corrispon- dente al Carbonifero inferiore e medio, e più strana la posi- zioneisolata degli strati di Nbtsch e di Bleiberg, che meriterebbero uno studio più accurato. (') Durante la correzione delle bozze mi perviene un lavoro del Dott. Krause pubblicato nelle Verh. der k. k. geol. Reichsan., 1906, 2, nel quale si torna a sostenere resistenza del Cnlm e precisamente nei pressi delle località ove furono trovate la Nevrodontopteris auriculcita e la Calamites Cisti. Evidentemente il Krause ignorava questa scoperta, come pure la recente letteratura sulla questione di cui si è occupato. A questo proposito avendo presentato una breve notizia alla R. Accademia dei Lincei (seduta 3 giugno 1906) non credo dovermi qui indugiare ulte- riormente su tale argomento. [ms. pres. il 4 marzo 1906. - ult. bozze 14 luglio 1906]. I VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE PRESSO ROMA (') Nota del socio G. de Angelis d’Ossat Gli studi che riguardano l’ idrografia interna hanno abban- donato la base empirica sopra cui s’incardinavano, per scaturire ora dalle conoscenze della geologia positiva. L’investigazione della idrografìa interna di una regione è di esclusiva compe- tenza di un provetto geologo, conoscitore del territorio sopra cui si svolgono le indagini. Invero, è diretta la dipendenza della idrografia interna con la relazione di posizione delle rocce e con la relativa permeabilità all’acqua delle medesime. La tet- tonica e la permeabilità sono note al geologo, quando è com- pleta la conoscenza della stratigrafia e della litologia. Districata è la tettonica quando essa nasce viva e diretta dallo studio delle condizioni reali e specifiche della relazione degli strati e non già quando è figlia d’immaginazioni, precon- cetti, probabilità ed ipotesi anche se escogitate da insigni geologi, che non seppero svestirsi del soggettivismo. Similmente i diversi gradi di permeabilità delle rocce, o della stessa roccia, nel senso geologico e non fìsico, sono apprezzati solamente dalla sagace osservazione sul terreno e non con espe- rienze di gabinetto e molto meno con dati malamente tolti a prestito da quei trattati che invano tentano irregimentare la scienza. Lo studio della permeabilità, in natura, è una questione di relatività: la stessa roccia, in rapporti diversi, funziona da permeabile e da impermeabile. Nessuna esperienza potrà pon- (') L’Autore sopra questo argomento tenne una conferenza, alla sede della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani in Roma, il giorno 21 Febbraio 1906. 16 234 G. DE ANGELIS D’OSSAT derare le numerose modificazioni che presenta la stessa roccia nella sua larga estensione. Adunque solo nelle regioni in cui sono espletati gli studi geologici è possibile intraprendere quelli della idrografia sotter- ranea; operando diversamente tutto ciò che si asserisce è necessa- riamente erroneo; come fallaci sono le illazioni che scaturiscono da false premesse. Investigare l’idrografia interna di un terri- torio di cui sono incognite la tettonica e la litologia, è presu- mere di ricercare le leggi della nostra circolazione sanguigna al fioco lume dell’ignoranza dell’anatomia umana. Fortunatamente la regione alla destra del Tevere, presso Roma, è geologicamente ben conosciuta per gli studi di una valorosa schiera di geologi, i quali concordemente ritengono assicurata alla scienza la successione stratigrafica delle rocce. Kel senso geologico è pur noto il comportamento delle rocce alla permea- bilità, affiorando esse per lunghi e larghi tratti e con tutte le più svariate condizioni. Infine la regione offre una unità gene- tica e morfologica di guisa che le deduzioni si possono consi- derare come generali. Laonde si può intraprendere l’indagine dei veli acquiferi che alimentano le numerose sorgive che fre- quentemente s’incontrano nell’area grossolanamente circoscritta, a settentrione ed a ponente, dai fossi della Valchetta e del- l’Arrone e, nelle altre direzioni, dalla vallata del Tevere (V. Fig. F). Presentemente mi occcupo delle sorgive in genere, tralasciando di ragionare delle vere acque freatiche dei terreni di trasporto e dei fontanili, intesi nel senso che loro viene attribuito nella valle padana. Similmente non è compito del presente studio esa- minare le portate delle sorgive rispetto ai bacini imbriferi esterni ed interni; come non le considero in relazione alla precipita- zione acquea, all’evaporazione, alla permeabilità del terreno su- perficiale, ecc. Molto meno scruto l’origine dell’acqua che genera i veli, per non possedere dati positivi in proposito e perchè re- sistenza loro è indipendente dalla provenienza dell’acqua. Mi limito, di proposito, a chiarire la formazione dei veli acquiferi, la loro posizione orizzontale e verticale, rispetto alia successione dei terreni geologici, e la possibilità nonché la convenienza eco- nomica di rintracciarli e catturarli. VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 235 Un tale scopo, applicando le conoscenze geologiche della regione, finora nessun studioso se lo propose. Fig. I.a — Carta idrografica della regione studiata. Scala 1:312500. Riuscirei soverchiamente lungo e sicuramente inefficace se mi accingessi ad esporre la storia complessa e laboriosa delle ricerche geologiche della regione; tanti sono i geologi e così nu- 236 G. DE ANGELIS D’OSSAT merosi gli scritti che la riguardano. Reputo però necessaria la narrazione dei principali fatti da cui nacque il territorio in istudio: storia che condivise naturalmente con le regioni finitime e, in un senso più generale, con l’Italia centrale. La serie degli avvenimenti farà lucidamente conoscere la notomia della regione, la successione degli strati, la genesi e natura delle rocce, gli spostamenti ne- gativi che sollevarono il continente e l’erosione, la quale fine- mente lo modella allo scopo di ridurlo nuovamente a penepiano. Abbozziamone adunque la storia nelle fasi fondamentali. (V. Fig. II.a). * * * Fase I.° — Correvano gli ultimi tempi del periodo plioce- nico quando la regione era ancora occupata da un mare abba- stanza profondo, il quale flagellava la spiaggia riconoscibile alle falde dell’Appennino. Nel seno profondo si deponevano gli strati di marne (A) che presentemente si sfruttano nella fabbricazione dei laterizi nelle valli che irradiano dal Colle Vaticano. Gli strati marnosi, marnoso-sabbiosi o sabbioso-marnosi, si sovrap- ponevano e proporzionatamente diminuiva la profondità marina. I materiali sedimentari, a causa della natura litologica e dei fossili che vi predominano, sono pur detti : marne a Pteropodi. Fase II.° — In questa intervenne uno spostamento nega- tivo del fondo marino fortemente dislocando il complesso mar- noso (A). Conseguenza di questo fatto fu una notevolissima diminu- zione della profondità marina e l’abbassamento relativo della spiaggia e quindi un avvicinamento del continente. Fase III.a — A causa della vicinanza della linea di spiag- gia e per essere divenute basse le acque marine, il materiale sedimentario divenne sabbioso (B). Una discreta varietà di sab- bie per colore, per minerali accessori e per grana, si depose in strati più o meno regolari sulla superficie delle marne spo- state (A). L’interrimento del mare progrediva, concorrendovi i banchi di Ostriche e le prime ghiaie. Fase I V.a — Le ghiaie arrivarono in maggior copia, atte- stando un altro spostamento negativo del fondo marino e del vicino continente, forse iniziatosi prima della fine della fase Figura II.a (*) I.a Si depositano le marne a Pteropodi (A). La linea su- periore, come pure nelle due fasi seguenti, indica il livello marino. II.a Spostamento negativo delle marne (A) che si dislocano. Diminuisce la profondità marina. III.a Si depositano le sabbie (B) sulle marne (A). Diminui- sce ancora la profondità marina. IV.a Deposizione delle ghiaie (C) e formazione delle marne di stagno (C1;. La regione é una maremma. Prime eru- zioni a N. di Roma. V.a Azione eolica. Si formano i sabbioni di duna (D). — Anche il moto ondoso del mare accumula capriccio- samente i sabbioni. VI.a Altro spostamento negativo. Conflagrazione dei vulc. laz. Ammantellamento con materiali vulcanici (E). La linea di spiaggia antica si eleva. Comincia il ciclo vi- tale dei corsi d’acqua. » VII.a Erosione e dejezione (F, F1) dei primitivi e principali corsi d’acqua. Arrivo di al- tri materiali vulcanici (G). » Vili.” Domina sulla regione l’ero- sione. Lo spostamento ne- gativo perdura. Si plasma la presente topografia. (‘) In questa figura, come in tutte le altre intercalate nel testo, le lettere ed i segni rappresentano sempre la stessa roccia. 238 G. DE ANGELIS D’OSSAT precedente. Il moto ondoso del mare elaborava le ghiaie ren- dendole discoidali e componendole in banchi più o meno embri- ciati. La terra intanto guadagnava a scapito dei domini del mare. Fra le direzioni di maggiore apporto di ghiaie rimane- vano dei seni, più o meno separati dal mare, in cui si depo- nevano materiali svariati a seconda dei diversi ambienti: pre- dominarono però le argille e le marne di stagno. La nostra regione era una vera e propria maremma. Con tutta probabilità lo spostamento negativo della linea di spiaggia, cominciato con la fase precedente, corrisponde alle prime esplosioni ed estravasioni dei vulcani a Nord di Eoma. Fase V.a — Sul greto asciutto ed ancora sprovvisto di vege- tazione il vento dispiega la sua azione. In poco tempo si for- mano estesi campi di dune, costituite da sabbioni oscuri, cinerei, ocracei, con rare ghiaie. Quando l’ invasione eolica giunge, gene- ralmente, le ghiaie sono già ricoperte da materiale poco o punto permeabile, di natura e d’origine diverse. Fase VI.a — La presente fase s’inizia con un notevole sposta- mento negativo del continente, contemporaneo alla prima confla- grazione dei vulcani Laziali. Causa e conseguenza di ciò è l’inizio della rete idrografica esterna, formata dal prolungamento di quella che già erasi costituita nella più interna e più alta zona del continente. L’erosione e la deiezione dei primitivi e principali corsi d’acqua, che nascono dalla guerra impari fra i conseguenti, si contendono il campo, nel tempo e nello spazio, ora vincendo Luna, or l’altra. Le rocce quindi si mettono a contatto con quelle delle fasi precedenti scavate dalla forza erosiva. I ma- teriali sono: tufi vulcanici (E), ghiaie torrenziali e sabbie, ar- gille e marne fluviatili ; tutte mescolate con abbondanti mate- riali vulcanici. Riassumendo è una fase di cataclismi : s’ innalza la regione, s’incendiano i vulcani; i corsi d’ acqua selvaggi de- vastano erodendo e deponendo. Le più imponenti esplosioni ed estravasioni vulcaniche rico- prono tutta la regione circostante. Si hanno lave, tufi di svariata natura ed origine. L’ammantellamento generale di materiale vul- canico caratterizza la fase (E). Fase VII.a — Interessante però è la constatazione dell’ap- porto di nuove ghiaie (F) e di sabbie e marne (F1), sopra i VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 239 tufi vulcanici, ciò che sta a testimoniare che persistevano, almeno in parte, le condizioni della fase precedente. Tale fatto dimo- stra ancora che il periodo di giovinezza della rete idrografica superficiale fu più lungo di quello in cui avvennero le maggiori manifestazioni vulcaniche. Con questa fase terminano le deposi- zioni dei materiali, fatta astrazione dei materiali dovuti a succes- sive esplosioni vulcaniche (G) e delle alluvioni recenti dei corsi d’acqua più notevoli. Fase VIII.a — L’erosione domina sulla regione. Questa col suo lavorio plasma la topografia, obbedendo alle ben note leggi che circoscrivono il ciclo vitale dei corsi d’acqua. Si approfon- discono le correnti più robuste e conseguenti, tutte sono attratte dalla valle maggiore che esercita subito il diritto della loro cat- turazione. Conseguentemente il continente si abbassa; ma in com- penso si protende nel mare la spiaggia specialmente per inter- rimento. Diminuendo i dislivelli ed allargandosi le valli, le acque perdono parte della loro forza erosiva. Noi siamo testimoni a queste vicende. Rispetto agli strati più profondi incisi dalle valli si possono distinguere queste nei seguenti tipi principali: (V. Fig. II.a, Fase Vili.® pag. 238). a ) Valli che incidono solo i materiali vulcanici. Sono le vallecole che plasmano gli altipiani tufacei, increspandoli con solchi larghi e poco profondi, esse costituiscono le più elevate diramazioni della idrografia esterna. Fra esse passa la linea che divide, nelle maggiori altitudini, i contigui bacini esterni. b) Valli che arrivano ai sabbioni di duna. Di queste si hanno chiari esempi nelle vicinanze di Monte Marmo, nella Te- nuta di S. Agata, di Torrimpietra (p. p.) ecc. c ) Valli che hanno il fondo costituito dalle marne di sta- gno. Queste sono frequenti ; ad esse si debbono ascrivere, almeno per la maggior parte della lunghezza, le valli dei fossi di Affoga l’Asino, della Magliana, dell’Arrone, ecc. d) Valli che intaccano lo strato più profondo, cioè le marne marine. La Valle dell’Inferno ed altre, a questa vicinis- sime, ne sono un bello esempio. 240 G. DE ANGELIS D’OSSAT Nei Colli di Ponte Molle ed in quelli di S. Passera vi hanno valli piccolissime che sono scavate nelle ghiaie torrenziali e nelle marne, argille e sabbie fluviali ; esse però sono sempre di niuna importanza. Poiché i nominati materiali si accumula- rono lungo la direzione dei primitivi e maggiori corsi d’acqua, tra i quali primeggia l’antico Tevere, soventi essi costituiscono le sponde delle valli minori quando queste sboccano nella pia- nura tiberina. Tutte le valli, non parlo ora di quella del Tevere, sono tutte epigenetiche, fatta astrazione della Valle dell'Inferno che costi- tuisce uno dei rari esempi di valle artificiale; almeno per il mas- simo suo sviluppo. Di proposito ho sorvolato alcuni episodi della storia geolo- gica della regione, perchè le rocce che li attestano ricoprono troppo limitata superficie e quindi sono trascurabili rispetto al presente studio d’indole generale. Menziono però alcune rocce; cioè: i travertini (Prima Porta, Tor di Quinto, Castel di Guido, ecc.); le marne tripolacee; le sabbie, le marne, con torbe, dei depo- siti recenti lungo la pianura in cui serpeggia il Tevere. Qui cade in acconcio ricordare le difficoltà insuperabili che si parano innanzi a chi si attenta a tessere la storia delle regioni che fiancheggiano la bassa valle del Tevere. Il mare, es- sendosi ritirato da esse gradatamente, ha fatto sì che i ma- teriali, giunti contemporaneamente, trovassero un ambiente ete- ropico, senza che in essi rimanesse sempre riconoscibile la stig- mate dell’origine. Laonde, fissare tutte le successive ed incerte spiaggie e riconoscere quelle che corrispondono alle fasi storiche principali, costituisce un problema al momento presente inso- lubile per mancanza di dati necessari. Inoltre rimane a stabi- lire, paleontologicamente, uno o più caposaldi cronologici sicuri ed a conoscere la genesi morfologica dell’ultimo tronco del Tevere e subordinatamente la ragione della posizione altimetrica dei più profondi depositi del fiume rispetto al livello marino. Pino a che non saranno risolute le questioni ora stabilite ed altre di primaria importanza, la storia della regione romana non potrà scriversi che molto sommariamente. VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 241 * * Che l’esposizione succinta della storia geologica corrisponda alla successione reale ed alla concatenazione causale dei fatti è largamente dimostrato dalle numerose sezioni geologiche na- turali ed artificiali che incidono, da pertutto ed in tutte le di- rezioni, la regione in istudio. Tali sezioni geologiche si trovano con tanta facilità e sono così chiare da non lasciare dubbio alcuno intorno agli elementi stratigrafici e litologici di cui ri- sultano. Lungo le pendici orientali del Monte Mario, alla base, si trovano le marne (A) dislocate, sopra cui giacciono discor- dantemente le sabbie (B), che verso il sommo della loro potenza contengono ghiaie (C). Queste poi divengono potenti e spesso mostrano le larghe lenti, marnose, di stagno (C1): come all’ Ac- quatraversa e più evidentemente al Casale di Merlo. I sabbioni di duna (D) si trovano frequentemente, con l’interposizione di strati di natura diversa, sopra le ghiaie e spesso sulle marne di stagno; come si osserva quasi in tutte le maggiori eleva- zioni del Monte Mario. Non vi ha bisogno di ricordare i tufi vulcanici (E) perchè essi ammantellano quasi tutta la nostra regione, non mancano le ghiaie (F) e marne e sabbie fluviali (F1), sopra i tufi; esse bordeggiano la nostra regione, nel confine verso la vallata del Tevere. Del resto, in seguito, avrò occasione di riportare parecchie sezioni, le quali confermeranno pur esse la stabilita successione. ❖ 5jC ^ Precisata la successione degli strati ed il loro rapporto è necessario indagare la relativa permeabilità all’acqua, in senso geologico e non fisico, delle rocce che costituiscono la regione. Passo quindi in rassegna le rocce in ordine ascendente. A. Le marne marine quantunque abbiano interstratificati elementi sabbiosi e siano state dislocate, pure formano un tutto che deve considerarsi come impermeabile. Negli studi idrogra- fici della campagna r. è necessario tenere sempre presente la pro- prietà delle marne; dacché queste costituiscono il terreno geoio- 242 G. DE ANGELIS D’OSSAT gico più antico e quindi il più profondo. Le marne però, alla destra del Tevere, raggiungono con la superficie superiore anche l'altitudine di 75 metri ; mentre la pianura tiberina si trova a soli metri lo. Nullameno la valle è compresa talvolta tutta nelle marne marine; come fra Monte Mario ed i Colli Parioli. Questa condizione geologica non fu mai tenuta in conto nello studio delle acque che circolano nei terreni di trasporto, sopra cui serpeg- gia il Tevere, e se fu riconosciuta, non fu certo adeguatamente apprezzata. B. Le sabbie, sia grigie che gialle, generalmente sono sciolte, solo localmente e parzialmente costituiscono lenti irregolari di arenaria; quindi nel loro complesso sono permeabili. C. Similmente com & permeabili si devono giudicare le ghiaie, le quali solo localmente sono cementate a conglomerati. Spesso le ghiaie sono riunite da materiale più o meno sabbioso, e con maggiore o minore abbondanza, il quale certo non ostacola la permeabilità della roccia. Gli elementi sono ellissoidali, rara- mente discoidali; di natura silicea e calcarea. C1. I depositi marnoso- argillosi, a Cardium, di stagno sono impermeabili, come è ovvio ritenere per la natura litologica della roccia. Anche l’osservazione sul terreno fa riconoscere questa proprietà; invero spesso ne furono scoperti dei nuovi giacimenti per il solo indizio dato da terreni abitati da piante che prediligono l’umidità. D. I sabbioni di duna, sia per essere ocracei, sia per con- tenere piccole lenti argillose e più per giacere generalmente sopra materiali sottili e poco permeabili, sono da ascriversi fra le rocce semi permeabili. E. I tufi vulcanici che predominano nella regione sono i granulari ed i terrosi e quindi evidentemente permeabili. Si po- trebbe sollevare eccezione per qualche tufo argilloso e per quelli litoidi; ma questi occupano limitato spazio e quindi di nessuna importanza al nostro caso. E. Le ghiaie grossolane, solo per eccezione e per brevi tratti si presentano cementate, quindi sono permeabili. Queste ghiaie si differenziano da quelle precedentemente menzionate per es- sere ricche di materiali vulcanici e per la frequenza dei resti fossili di mammiferi che contengono. Tali ghiaie sono disposte VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 243 discordantemente sopra le formazioni precedenti e stanno a riem- pire come delle lunghe depressioni, probabilmente incise da cor- renti acquee. F1. Le marne, le sabbie ecc., fluviatili si accompagnano quasi sempre alle ghiaie precedenti, costituiscono un complesso schiettamente impermeabile. I due elementi ultimi (F, F1) occupano limitate estensioni e quindi offrono una minore importanza rispetto ai precedenti. G. Soventi sopra ai depositi di trasporto si trova un altro strato tufaceo, permeabile , che non è diffìcile distinguere dai tufi sottostanti (E). In una parola il complesso F, F1 è intercalato, alla destra del Tevere, per quanto finora è conosciuto, entro la formazione dei tufi vulcanici. Dunque secondo la permeabilità si ha: B , C , E , F , G ~ permeabili , D rr semipermeabile , A , C1 , F1 r= impermeabili . Se rappresento i veli acquiferi con l’indicazione letterale: strato permeabile strato impermeabile s’intende facilmente che teoricamente sono possibili i seguenti veli acquiferi, considerando cioè la successione delle lettere e gli strati impermeabili e semipermeabili : B C E G A ' ’ ’d' ’ F1 Ricordando che i sabbioni di duna si accumularono anche sopra le marne argillose di stagno, si ottiene anche il velo : D "c7 il quale appunto dimostra che lo strato D, semipermeabile, può funzionare da permeabile e da impermeabile, confermando quanto si era da principio asserito. 244 G. DE ANGELIS D’OSSAT * * * Se ora si sovrappongono le rocce nel loro ordine naturale, con le relative capacità della permeabilità all’acqua e con i rapporti che si riscontrano nella giacitura, si ottiene la seguente figura (Y. Fig. III.a), che chiaramente ci fa riconoscere la pos- sibilità dei cinque veli acquiferi teoricamente inferiti. Fig. III.a — Le lettere nella figura indicano le stesse rocce e cioè: A = Marne ; B = Sabbie ; C = Ghiaie; C1 = Marne di stagno ; D = Sab- bioni di duna; E = Tufi vulcanici; F e F1 = Ghiaie e Marne fluviali; G = Altri tufi vulcanici. I, II, III, IV, V rapppresentano i cinque veli acquiferi e cioè ri- spettivamente: , -5_ , — — , . A C1 C1 D F1 Le rocce con linee orizzontali sono impermeabili, quella con cro- cette è semipermeabile e quelle in bianco sono permeabili. Gr Il quinto velo acquifero — si può trascurare, dacché le marne e le sabbie fluviali ricoprono limitatissime estensioni e non sempre sono ricoperte da tufi vulcanici. Questo velo acqui- fero potrà forse alimentare qualche sorgiva effimera ; ma non po- trà mai assumere un valore di qualche generalità. Eimangono adunque quattro nappe acquifere, che nomino in ordine ascen- dente rispetto alla serie statigrafica. B C D E X ’ C1 ’ C1 ’ X VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 245 Intorno ai nominati veli acquiferi si possono fare alcune con- siderazioni di un certo interesse. 1 .° Se si considera, delle due rocce che originano il velo acquifero, il valore del rapporto alla permeabilità si ottiene che esso è mas- . . C simo m — , C1 diminuisce poi gradatamente negli altri contatti nell’ordine : — — ""> — . Cl A C1 D 2.° Apprezzando la diffusione delle rocce in superficie, ri- cordandone l’origine, e conseguentemente l’ampiezza della su- perficie dei contatti, per le stesse coppie di rocce si ha la se- guente successione: —>—>—> A D C1 3.° Interessa molto conoscere le lunghezze con cui affiorano i contatti; perchè generalmente le sorgenti sono maggiormente cospicue, quanto più rari sono gli affioramenti della falda ac- quifera. Nel nostro caso si può istituire la successione: B_ . _C_ D_ „ E_ T ^ "c r ^ c7 ^ d" ' 4.° Non minore importanza ha la conoscenza della pro- fondità, rispetto alla pila degli strati, dei diversi veli acquiferi; naturalmente, in tesi generale, le sorgenti sono più persistenti quanto maggiore è la profondità locale dello strato acqueo. Per questo rispetto si ha: _B_ JD_ A > C1 > C1 > D 5.° Tenendo presenti le considerazioni fatte rispetto alla pro- fondità dei veli acquiferi (4°) ed all’ampiezza dei contatti (2°), si ottiene che la successione della persistenza delle sorgive è rappre- sentata : > D C1 > B A C C‘ 246 G. DE ANGELIS D’OSSAT 6.° Il numero delle sorgive invece dipende, in una certa ra- gione diretta, dalla lunghezza deH’affioramento del contatto sub- orizzontale (4°) e dal potenziale delle falde acquifere; quindi: JE D >A>A> C1 C1 B_ A Raccolgo in un quadro le successioni istituite; dalle quali 1. ° Permeabilità relativa dei due strati 2. ° Superficie di contatto. Diffu- sione rocce 3. ° Affioramento dei contatti. . . 4. ° Profondità dei veli acquiferi . 5. ° Persistenza delle sorgive . . . 6. ° Numero delle sorgive . . . . —>—>—> — C1 A C1 D _B_ E 3_ JD^ _C_ A ^ D > C1 > (P A C1 C1 D B > c > - > ~ A Pi C1 n D C —>—>—> A C1 D C1 J5_ JO B_ D > C1 > C7 > A di leggieri se ne ricava un’ultima, che esprime, in generale, la relativa importanza dei veli acquiferi, e cioè: — > — > — > A D C1 Trattandosi di una regione costituita da strati quasi regolari e scevra d’ importanti accidenti stratigrafici, non è necessario te- nere conto della relativa estensione delle rocce alla superficie. Ed a ciò si è pure indotti dal fatto che la roccia più profonda e più estesa è impermeabile; mentre non ve ne ha altra, con VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 247 la stessa proprietà, la quale sia distesa per tutto il territorio clie presentemente si esamina. Tuttavia la successione, che può stabi- lirsi rispetto alla relativa estensione delle rocce sulla superficie, è E(G)>D>C1>C>B>A>F‘>F. Anche alla tettonica devesi fare appello per scoprire la ra- gione del grandissimo numero delle sorgive e quindi della loro tenue portata. Con una enumerazione, non perfettamente esatta, si stabilì che le sorgive nell’Agro Romano, che misura 250.000 ettari, ascendono ad oltre 10.000. Di queste solo poche si mantengono nei periodi di grande siccità ed erogano una quan- tità notevole giornaliera. Le formazioni quantunque non siano tutte concordanti fra di loro ed abbiano subito degli sposta- menti, pure le superficie di contatto si trovano pressoché in un piano e questo non molto lontano dall’orizontale. Egli è per questo che i veli acquiferi sono regolari ed agitati da un mo- vimento quasi inapprezzabile nella direzione della pendenza della superficie dei contatti. Le valli poi che incidono gli strati sono numerose, frastagliate e vicine; quindi lunghissimi i tratti di affioramento dei contatti acquiferi che erogano la loro potenzia- lità in molteplici sorgive, ma in compenso poco cospicue. La costituzione geologica della regione e l’andamento dei veli acquiferi di leggieri fanno riconoscere, in tesi generale, la mancanza delle condizioni necessarie e sufficienti per la riu- scita di pozzi artesiani propriamente detti. Manca invero la condizione geologica e la idraulica ; quantunque la tettonica non escluda assolutamente la formazione di falde artesiane. * * * È necessario comprovare l’esistenza dei veli acquiferi men- zionati con uno studio largo, attento e spassionato delle condi- zioni naturali di emergenza delle sorgive, rilevate direttamente sul terreno. A questo scopo si addurranno molti esempi di sor- give che con il loro affioramento, col numero e con la portata documenteranno quanto si asserì con le ricerche generali. Pren- 248 G. DE ANGELIS D’OSSAT derò le mosse dal velo acquifero più profondo per giungere suc- cessivamente a quello più elevato. È il velo acquifero sopra le marne marine. Per riconoscere la nappa acquifera è necessario prima (a) rintracciare gli affiora- menti della roccia impermeabile, poi (b) la linea di contatto con la formazione superiore permeabile ed infine (c) la pendenza della superficie di contatto. (а) Le marne profonde affiorano senza interruzione, alla destra del Tevere, lungo l’estreme pendici del Monte Mario, dalla Farnesina, sotto Villa Madama ed il Forte di Monte Mario, nella Valle dellTnferno, sino a formare lo zoccolo del Colle Vaticano e delle vallecole che da esso irradiano verso N. Dopo una brevissima interruzione, le marne costituiscono la base della scarpata, sempre verso il Tevere, del Monte Gianicolo, da sotto S. Onofrio sino alla Stazione di Trastevere. (б) Il medesimo percorso frastagliato segue la linea di contatto con le sabbie superiori. (c) La pendenza della superficie superiore delle marne è gros- solanamente verso 0 ; ma con un valore tanto tenue da non fare riconoscere differenze notevoli, sul numero e sulla portata delle sorgive, neppure nelle valli che corrono da F a S; cioè nella direzione stessa del piano di contatto delle due formazioni, lungo la quale direzione le differenze dovrebbero raggiungere il massimo. Interessante, sotto questo punto di vista, sono le increspature ed i bruschi cambiamenti di livello della superficie superiore delle marne ; il delicato studio di tali piccoli acci- denti stratigrafici può spesso condurre alla scoperta di piccole sorgive. Lungo la linea di affioramento s’incontrano molte sorgive, più o meno ricche e durature, che chiaramente dimostrano 1’esistenza del velo acquifero. Ricordo quelle comprese nel perimetro di Roma, cioè : Fonte Angelica, Acqua Laneisiana, Fonte dell’Orto Botanico, Acqua Corsiniana, Fonte delle Mole del Gianicolo, Acqua ad fontis aras; quasi tutte perenni e parecchie sufficien- temente ricche. VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 249 Fig. IV.a — Carta geologica della Valle dell’Inferno, presso Roma, con una sezione corrispondente ad a-(3. Scala delle lunghezze 1 : 22500 e del- l’altezze (sezione) 1:4500. I circoletti, tanto in questa figura come nelle seguenti, indicano sempre le sorgenti; le lettere ed i segni corrispondono sempre alle stesse rocce, come fu avvertito nella spiegazione della Fi- gura II.a, e cioè: A = Marne marine; B, C = Sabbie e Ghiaie (riunite nella figura per chiarezza); D — Sabbioni di duna; E = Tufi vulcanici. jg Velo acquifero — . A 17 250 G. DE ANGELIS D’OSSAT Nella figura (Y. Fig. IV.a) è rappresentata la Valle dell’In- ferno con la delimitazione delle formazioni. Appunto dal contatto delle marne con le sabbie spicciano ben 7 sorgive, situate ai due lati della valle, che è incisa nella direzione N-S. La se- zione geologica annessa fa più chiaramente conoscere il rap- porto delle sorgive con la costituzione geologica della valle. g Rimane quindi dimostrata l’esistenza del velo acquifero — , la sua importanza e la perennità di alcune delle sorgive che da esso prendono origine. li.- A . C1 Questo velo acquifero è il meno importante a causa della ristretta superficie del contatto fra le marne di stagno e le ghiaie marine: tuttavia non è difficile dimostrarne l’esistenza. All'In- violatella e lungo il fosso di Papa Leone si può riconoscere la linea di contatto e la presenza del velo acquifero per le sor- give che vi nascono. Riporto una sezione geologica che faglia la fine della valle del Fosso Inviolatella, tributario del Fosso del Fontaniletto, che più a valle prende il nome di Fosso della Crescenza (Yed. Fig. V.s). Allo sbocco della piccola valle nella grande si trovano quattro sor- C give che sono evidentemente alimentate dal velo acquifero — . Fosso Inviolatella. Fig. V.a — Scala lunghezze 1:15009; altezze 1:3000. C1 = Marne di stagno; C = Ghiaie; D = Sabbioni di duna; E = Tufi vulcanici ; F =r Depositi fluviali. I circoletti indicano le sorgive. O Velo acquifero — . C1 VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 251 Un altro fatto consimile si può rilevare a ponente del Forte Portuense, nella Valle del Fosso di Papa Leone e propriamente vicino alla vigna Neri. Quivi al contatto spiccia una sorgiva. È notevole però la mancanza di altre sorgenti lungo la valle, quantunque l’affioramento del contatto vi si prolunghi. Ciò però trova una facile spiegazione nel fatto che le ghiaie costitui- scono quivi una sottile e non lunga lente sopra le marne di stagno. Invero il medesimo rapporto non s’incontra nelle due valli vicine e parallele del Tevere e del Fosso Affoga l’Asino, come in seguito sarà in parte confermato. ni.- A . C1 Molto esteso è il contatto dei sabbioni di duna con le sot- tostanti marne di stagno ; queste rocce trovandosi quasi al sommo della pila stratigrafica sono facilmente incise dalle valli. L’af- fioramento quindi del contatto è segnato da uua linea lunghis- sima che si può facilmente seguire in molte valli della regione in istudio. In rapporto di detta linea s’incontrano molte sor- genti che dimostrano il velo acquifero. Appunto a causa del grande numero di sorgive prendo come esempio l’alta valle del Fosso di Acqua Fredda, tributario del fosso della Maglia- nella e la vallecola del Fosso di Vaicanuta (V. Fig. VI.a). Quivi è evidente il contatto delle due formazioni, dal quale emergono un grandissimo numero di sorgive. Invero esse si allineano e seguono tutto il percorso della linea di contatto. La sezione geo- gica che accompagna la cartina chiarisce l’emergenza delle sorgive. Sotto il Forte Braschi spiccia una sorgiva appena la valle intacca lo strato sottostante impermeabile (V. Sezione. Fig. VI/). L’origine della valle del Fosso Affoga l’Asino ha una co- stituzione geologica analoga. La sezione (V. Fig. VII/) attra- verso i Monti del Casaletto e che taglia la valle là dove si enumerano ben quindici sorgive, fa riconoscere a prima vista che esse traggono origine dal contatto dei sabbioni con le sotto- stanti marne. .1 Fig. VI.a — Carta geologica della Valle del Fosso Acquafredda, con una sezione corrispondente alla linea a- (3. Scala ; delle lunghezze 1 : 22500, delle altezze (sezione) 1:4500. I circoletti indicanole sorgenti ; le lettere ed i segni rappresentano le formazioni solite e cioè: Cl = Marne di stagno; D = Sabbioni di duna (senza segni Jper chiarezza); E = Tufi vulcanici. Velo acquifero -5- . C‘ Fig. VII.a — Sezione attraverso i Monti del Casaletto. Scala lun- ghezza 1:15000. I circoletti indicano le sorgenti; le lettere ed i segni rappresentano le formazioni, e cioè: C1 = Marne di stagno; D = Sab- bioni di duna ; E = Tuli vulcanici. Velo acquifero . C1 Adunque anche il velo acquifero menta numerosissime sorgenti. esiste realmente ed ali- ci1 Per quanto è stato detto parlando dei sabbioni di duna il presente velo acquifero, in molti casi, si potrebbe pure indicare con la sola lettera D. I tufi vulcanici ricoprono per larga estensione i sabbioni di duna, i quali sono stati classificati fra le roccie seraipermeabili. E poiché le due formazioni sono fra le più recenti, il contatto è spesso inciso e numerose le sorgive che. attestano il velo acqui- fero, per quanto esse siano fra le meno perenni; invero nella stagione secca quasi tutte si estinguono. A ciò concorre non solo la superficialità delle rocce, ma anche la maggiore ristrettezza dei bacini di raccoglimento. Nella zona in esame esempi di tal 254 G. DE ANGELIS D'OSSAT sorta di sorgive s’incontrano a bizeffe e quindi rimane compito facile il dimostrare 1’esistenza del velo acquifero. Nelle tenute del Piano del Marmo, di Torrevecchia e di S. Àgata affiorano i sabbioni ed i tufi vulcanici. Dal contatto di queste rocce pullulano parecchie sorgive, come si rileva dalla carta geologica e dalla sezione della figura seguente (Y. Fig. VIII.a). Fig. Vili.® — Carta geologica della Tenuta di S. Agata, con una sezione corrispondente alla linea a-p. Scala delle lunghezze 1:20000 e delle altezze (sezione) 1:4000. I circoletti indicano le sorgenti. Le lettere ed i segni rappresentano le solite formazioni, e cioè: D = Sabbioni di duna; E — Tufi vulcanici. E Velo acquifero D Presso Galera diruto, nella valle del Fiume Àrrone, nascono molte sorgenti dal contatto dei tufi vulcanici con le sottostanti rocce impermeabili di stagno. Non molto lontano però vi ha pure una corrente lavica che evidentemente conturba i veli ac- quiferi nominati, a causa della sua specifica funzione nella idrografia sotterranea. Questa località però trovasi al limite occi- VELI ACQUIFERI ALLA DESTRA DEL TEVERE 255 dentale del campo delle presenti ricerche ed è già troppo vicina ai centri vulcanici sabatini. Con i veli acquiferi riconosciuti non si spiegano le sorgive dei Colli di Affoga l’Asino e quelle vicine alla stazione della Magliana: coviene però osservare che in queste località non si conosce sicuramente la roccia sottostante impermeabile. Tutte le sorgive che ho incontrato nella regione mi parvero in relazione con i nominati veli acquiferi ; meno qualcuno di cui però non ho potuto constatare le condizioni geologiche, ma- scherate dal terreno vegetale o da altre cause. * * Se alla figura schematica della successione delle formazioni (V. Fig. III.a) si pone il loro relativo valore delle potenze e si cerca rappresentarle con i rapporti più comuni che si riscon- trano in natura, ne risulta il seguente diagramma che può ren- dere molti ed utili servizi nella ricerca delle falde acquifere (V. Fig. IX.a). Invero, con uno speciale studio geologico, non sarà difficile trovare nel diagramma un punto correlativo a qnal- Fig. IX.a — La figura presente è uguale alla Fig. 1 1 1 ,a, pag. 244, di essa già si diede la spiegazione. La scala delle altezze è di 1:3000. siasi località della regione in esame. Ciò equivale a conoscere, per ogni punto, dove ed a quale profondità si trovano rispetti- vamente i veli acquiferi. In tal guisa non solo si può chiarire la ragione di determinate sorgive, ma si può anche risolvere, in gran parte, il difficile problema della ricerca della falda 256 G. DE ANGELIS D'OSSAT acquifera, perchè si stabilisce la condizione necessaria del rin- venimento, cioè l’esistenza del velo acquifero. Le condizioni sufficienti che fissano il modo di rintracciare la falda e là praticità economica della catturazione, facilmente si rivelano da una carta geologica accuratamente rilevata ad una scala non superiore all’l : 10.000. Le quote di affioramento delle formazioni faranno riconoscere la loro direzione, pendenza, potenza, superficie e tutte le accidentalità strati grafi che necessa- rie. Questi dati, diligentemente raccolti da un geologo pratico, con la conoscenza della posizione del velo acquifero, metteranno nella possibilità qualsiasi ingegnere di redigere un progetto, fondato sopra basi reali e non ipotetiche, che si proponga il rag- giungimento e la catturazione del velo, dopo averne riconosciuta la praticità economica. Il risultato cui son giunto sembrami di somma importanza, dacché permette che si volgano a nostro vantaggio quelle acque che ora incessantemente minano a danno dell’agricoltura e del- l’igiene. Già in altre occasioni ho dimostrato che il mezzo che conduce indubbiamente al bonificamento della campagna romana, per quanto è possibile, deve scaturire dallo studio metodico delle condizioni dell’idrografia esterna ed interna della regione ; cioè da una ricerca più generale della presente. Tutti gli altri metodi escogitati non reggono alla critica di chi ha pur per poco percorso la campagna romana ed i monti che la fian- cheggiano. Penso che il presente esempio non debba essere considerato come uno degli ultimi per dimostrare la grande importanza della positiva geologia applicata, cui strettamente compete l’argomento che ho cercato di svolgere. [ms. pres. il 4 marzo 1906 — ult. bozze 17 luglio 1906]. SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONI FERI DELLE ALPI CARNICHE (con 8 fig.) Nota del socio Michele Gortani La presenza di fossili carboniferi nelle Alpi Carniche fu per la prima volta annunciata nel 1856 dallo Stur, che ne raccolse nel versante settentrionale dei monti Lodin (Ahornach Alpe) e Cima Costa Alta ('); cinque anni dopo il prof. Pirona parlava del giacimento con Spirifer striatus, Fenestelle, Coralli e Felci del monte Nassfeld (Auernig e Krone), che egli già da tempo aveva scoperto (2). 11 ritrovamento dello Stur ebbe poca fortuna; quello del Pirona fu invece a sazietà sfruttato, ma per lo più senza ricordo dello scopritore. Durante un trentennio, fra gli ita- liani il prof. Taramelli, rimasto solo dei nostri a occuparsi delle Alpi Carniche, perlustrò con diligenza unicamente il deposito del Nassfeld; e a questo molti degli stranieri, con lo Stadie alla testa, rivolsero per lunghi anni la loro attività, facendone una località celebre nella storia della geologia e classica per lo studio del Neocarbonifero alpino. Nel 1889 il prof. Tommasi scopriva sul monte Pi zzili (per la prima volta in territorio anche politi- camente italiano) i fossili carboniferi che in uno studio sommario elencarono il Bozzi e il Parona; negli ultimi anni del secolo scorso il Geyer e lo Schellwien completarono con lo studio ac- curato del Trogkofel la serie delPAuernig e della Krone. Ma di importanza specialmente singolare è una breve nota pubblicata nel 1895 da Giorgio Geyer (3). Ripresi finalmente in (') Stur D. , Die geolog. Verhnltnisse (lev Thdlcr der Drau, Del, Midi und Gail, ferner der Camici im Veneti anischen Gebiete. Jahrb. k. k. geni. Reichsanst. , VII, 1856, p. 424. C) Pirona, Cenni geognostici sul Friuli. Annuario Assoc. Agraria Frinì., IV. Udine 1861, p. 259-299. C) Geyer G. , Aus devi palaeozoischen Gebiete der Karnischen Alpen, III, Das Hb ergrei fende Obercarbon der Ahornach- Alpe. Verli. k. k geol. Reichsanst.. 1855, n. 2, p 86-90. 18 258 M. GORTANI esame, dopo quarantanni, i fossili dello Stur, il valente geologo dell’Istituto di Vienna percorse saltuariamente tutta la regione compresa fra l’Auernig e il monte Lodili. Egli potè convincersi della pertinenza al Carbonifero superiore dell’intera zona a nord e ad est dei rivi Lanza e Malinfier, e della posizione trasgres- siva della zona stessa sui terreni del Paleozoico antico. Lo studio accurato compiuto lo scorso anno dal prof. Vinassa e da me sopra le serie fossilifere del monte Pizzul e del Piano di Lanza (') ci portò non solo a confermare le conclusioni del Geyer, ma a riconoscere altresì come trasgressivo anche il de- posito del monte Pizzul. E sia alla forca Pizzul, dove gli strati più bassi, trasgredenti sugli scisti siluriani, hanno fauna e flora del Neocarbonico superiore, sia al Piano di Lanza, dove la serie carbonifera si mostra con la maggior evidenza adagiata in con- cordanza apparente sopra calcari devonici in continuazione di quelli del Germula, e dove ebbi la fortuna di rinvenire fossili copiosi nelle arenarie a immediato contatto con gli strati devo- nici stessi, risultò chiaramente anche la durata della trasgres- sione, dai più recenti tempi devoniani o dai primissimi carboniferi a un periodo già avanzato del Carbonifero superiore. Stabilito su basi sicure questo punto iniziale, era opportuno verificare se lungo tutta la zona da Lanza e dal monte Pizzul all’Ahornach si mantenessero condizioni analoghe, e se la trasgressione si esten- desse anche oltre i limiti già segnalati. Questo appunto fu uno degli scopi che il prof. Vinassa. ed 10 ci prefiggemmo nelle escursioni compiute la scorsa estate, e delle quali già comunicammo all’ultimo Congresso geologico i risultati sommari (2), che durante il Congresso medesimo ci fu dato di approfondire ed ampliare. La nota importantissima che 11 prof. Vinassa pubblica in questo fascicolo stesso del Bollet- tino (3) rende conto del nuovo aspetto che secondo le sue ri- cerche prende la carta geologica della regione e del conseguente C) Boll. Soc. geol. Ital., XXIV, 1905, p. 461-605, tav. XII-XV. (2) Vinassa de Regny P., e Gortani M., Nuove ricerche geologiche sulla tavoletta « Paluzza ». Boll. Soc. geol. It. , XXIV, 1905, p. 720-723. (3) Vinassa de Regny P., Sull’ estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi Carniche. Boll. Soc. geol. It.., XXV, 1906. SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 269 mutamento nelle nozioni sopra la sua storia remota. Il prof. Vi- nassa dà pure l’elenco, da me comunicatogli, dei principali fossili raccolti, che ora è mio compito descrivere. Descrizione necessaria sopra tutto per documentare le nostre asserzioni, e forse anche opportuna per l’interesse paleontologico che almeno in parte hanno tali fossili, avuto riguardo alla scarsità delle faune e flore car- bonifere nel nostro paese. * * * 1. Zoophycos carboniferus Bozzi, La flora carbonifera del il/. Pizzul ( Carnia), Boll. Soc. Geol. Ital. , voi. IX, 1890, pag. 81. — Come alla forca Pizzul e al Piano di Danza, anche a So- cretis compariscono nelle arenarie quarzoso-micacee con fauna marina alcune imprónte molto simili all’esemplare determinato dal Bozzi ed esistente nella collezione dell’Istituto Tecnico di Udine. Ma lo stato di conservazione del materiale e il valore ben scarso di tali impronte, che ricordano alcune alghe fron- dose, mi dispensano dal figurarle. 2. Nevrodontopteris auriculata Brongniart sp. Potonié, Die Flora des Rothliegenden von Thùringen , 1893, pag. 124, tav. XYI, Fig. 1. Fig. 2. Fig. 1 e 2. — Nevrodontopteris auriculata Brgnt. sp. — Fig. 1, foto- grafia della piunula aderente alla lamina di scisto argilloso; Fig. 2, ner- vatura della pinnula stessa ingr. fig. 1-2. — Pig. 1 e 2. — È una pinnula isolata e priva dell’apice, ma con il contorno e le nervature conservate ottimamente. La pin- 260 M. GOETANI nula è intera al margine, ovale, bruscamente ristretta alla base; ma questi particolari hanno importanza limitata in una specie a foglioline così variabili nel loro contorno. La nervatura, nettissima, ha tutti i caratteri della forma in esame: manca il nervo mediano, perchè il fascio di nervature che dovrebbe costituirlo si comincia a espandere a ventaglio fin dal suo ingresso nella lamina ; le nerva- ture, in generale due o tre volte dicotome, quanto più son vicine alla base tanto più presto si biforcano e tanto più fortemente si in- curvano verso i margini laterali, dove se ne contano da 9 a 14 in ogni intervallo di 5 millimetri. — La pinnula fu trovata negli argilloscisti micacei nerastri del monte Pie Chiadin tpresso il Ricovero Marinelli), versante orientale, sopra il laghetto di Plotta. La grande importanza stratigrafica di questa fi 1 lite le ha già procurato una piccola letteratura: Yinassa de Regny P., Verbale dell’adunanza straordinaria del 23 agosto 1905, Boll. Soc. geol. Ital., XXIV, 1905, pag. lvi-lvii; — Gortani M., Relazione sommaria delle escursioni fatte in Gamia dalla Soc. geol. ital. nell’agosto 1905 , ibid., pag. lxx; — Direzione del R. Comitato Geologico, Riunione annuale della Soc. Geol. ital. a Tolmezzo , Boll. R. Coni. geol. d’It., XXXVI, 1905, pag. 215; — M. Gor- tani, Alcuni recenti studi geologici sulla regione friulana, In Alto, XVII, 1906, pag. 24; — Vinassa de Regny P., Sull’ estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi Carniche , Boll. Soc. geol. Ital., XXV, 1906. 3. Calamites Cisti Brongniart em.. Histoire des végetauxfos- siles, Paris, 1828, pag. 129, tav. XX, fig. 1-4 exel. 5. — Fig. 3 e 4. — Il materiale che ho a mia disposizione non è ricco nè con- servato così da permettermi di entrare nella dibattuta contro- versia sopra i limiti da assegnarsi a questa specie e sopra il suo vero carattere e significato. Accettando perciò le conclusioni del De Stefani, che ne trattò a lungo a proposito delle C. Suckoici e C. leioderma (De Stefani C., Flore carbonifere e permiane della Toscana , Publil. R. Ist. di Studi Sup. in Firenze, 1901, pag. 66-69), mi sembra che gli individui in esame rientrino nel ciclo della forma tipica del Brongniart piuttosto che nel ciclo della C. Cisti Auct. (Brongniart p. p.) o, meno ancora, della C. leioderma Gutbier. Nelle arenarie quarzoso-micacee di Cima Val di Puartis SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 261 la C. Cisti si presenta infatti con internodi molto allungati, striati longitudinalmente, a coste numerose, non molto rilegate, che sem- brano ottuse all’apice e hanno una larghezza di 1,2 a 2,1 mm. (fig. 3). Larghezza ancor maggiore (da 1,8 a 2,6 mm.) hanno le Fi g. 3. Fig. 4. Fig. 3. — Calamiteè Cisti Brgnt. — Are- Fig. 4. - Calamites Gisti Brgnt. — Are- narie di Cima Val di Puartis. Gir. nat. narie compatte del M. Pie Chiadin. Gr. nat. coste nell’esemplare della fig. 4, rinvenuto nel versante orien- tale del Pie Chiadin, fra il Ricovero Marinelli e il laghetto di Plotta, in una compatta arenaria quarzosa nerastra. In tale esem- plare è pure assai netto l’arrotondamento terminale delle coste agli internodi. — Ho insistito sui caratteri di queste tipiche Ca- lamites per la loro importanza stratigrafica. La C. Cisti Brgnt. 262 M. GORTANI cosi intesa è propria degli strati più alti del Carbonifero, del Perniocarbonifero e forse deirEopermico inferiore. 4. Calamites sp. — Fig. 5. — Nelle arenarie quarzose che sulla Cima Val di Puartis si appoggiano sopra i calcari siluriani ad Orthoceras sono frequenti alcuni tronchi di Calamites ad internodi allungati, con diametro stretto (1-2 cm.), percorsi da strie longitudinali che ne dividono la superficie in un numero più o meno grande di coste poco rilevate, larghe al massimo 1,5 mm., acute agli estremi. Di qui l’andamento deciso a zig zag che presenta la linea nodale, dove son frequenti le cicatrici di rami. Per questi vari caratteri pare trat- tarsi di una forma intermedia fra la C. leioder- tna GUitb. e la C. Heeri De Stefani {Flore cari), e perni. Toscana, 1. c., pag. 70, tav. Ili, fig. 10, e tav. X, fig. 9). 5. Calamites sp. — Avanzi di Calami- tes tipiche, indeterminabili specificamente ma diverse dalla ricordata C. Cisti, si rinven- nero pure al passo di Lodinut, nei dintorni del Kicovero Marinelli e non lungi dalla ca- sera Monumenz. Parecchie di esse si avvicinano alla C. Heeri De Stef. 6. Sigillarla J# cardi Sternberg sp. Brongniart, Ilist. végét. foss., pag. 430, tav. CLIII, fig. 4 e 6. — Fig. 6. — Ascrivo a questa forma un pezzo di tronco semplice con numerose cica- trici fogliari, proveniente dalle arenarie di Cima Val di Puartis. Il pezzo è mal conservato e le cicatricule del mammellone si di- stinguono appena. Tuttavia la forma esagonale depressa delle cicatrici, che hanno da 6 a 8 mm. di altezza e da 9 a 12 mm. di larghezza, la loro disposizione a quinconce, l’aspetto del mam- mellone nelle cicatrici in cui è visibile, la flessuosità dei solchi separanti le cicatrici stesse e la mancanza di coste, tutti questi caratteri mi pare assicurino il riferimento dell’esemplare alla Fig. 5. Fig. 5. — Ca- lamites sp., aff. Heeri De Stef. — Arenarie di Cima Val di Puartis. Gr. nat. SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOC ARBONIFERI 263 S. Tir ardi, se anche non permettono di specificare a quale delle sue forme numerose appartenga. La specie è in ogni modo ca- ratteristica del Carbonifero superiore e del Paleodias, e compare anche al M. Pizzul. Fig. 6. — Sigillarla Brardi Sternb. sp. — A, fotografia di una parte del tronco in gr. nat.; B, una cicatrice ingr. — Arenarie di Cima Val di Puartis. 7. Fusulina alpina Schellwien, Die Fauna des Karnischen Fus ulìn enhalkes, II, For amini fera. Palaeontographica, voi. XLIV, 1898, pag. 544-246, tav. XVII, fig. 1-9. — Nei calcari interca- lati alle arenarie sopra Pittstall, nel rivo Malinfìer e a Socretis si rinvengono numerose Fusuline riferibili aH’una o all’altra delle forme in cui lo Schellwien ha diviso la sua F. alpina. Gene- ralmente è rappresentata la var. antiqua (1. c., pag.-244, tav. XVII, fig. 1-4) con caratteri identici a quelli da me riportati per gli esemplari del M. Pizzul. Nei calcari di Socretis si trova pure la var. communis (1. c., pag. 246, tav. XVII, fig. 5-7), distinta sopra tutto per il maggior spessore dei setti, e accennante a un livello alquanto più alto. Impronte di Fusuline rinvenni pure 264 M. GORTANI nelle arenarie fra Gas. Meledis alta e i casolari tedeschi di Strani ng. 8. Orthis (Rhipidomella) cf. Pecosii Marcou J., Geologi) of North America , Palaeontology, Zuricli 1858. pag. 48, tav. VI, fig. 14 a-b. — Una piccola valva, lunga 8 min. e finamente scol- pita, appartiene con ogni probabilità a questa forma ben nota, comune a tutto il Carbonifero e al Permocarbonifero d’Europa, d’Asia e d’America. La valva proviene dai calcari nerastri di Socretis. 9. Streptorliynchus seniiplaiius Waagen sp. Schellwien, Beitrdge zur Systematik der Strophomeniden des oberen Falaeo- zoicum, N. Jahrb. f. Min. etc., 1900, voi. I, 1, pag. 5. — Negli argìl-loscisti sottostanti ai calcari con Fusuline di Socretis trovai una valva dorsale che la mancanza di setto mediano aiuta a ri- ferire al genere Streptorliynchus. La scultura della specie in- diana è riprodotta minutamente; a 1 centimetro dall’apice si contano 20 costicine radiali in ogni intervallo di 5 min. L’al- tezza della valva è di 10 min., la larghezza di 14. La specie, propria del Carbonifero superiore e del Permocarbonifero, fu già rinvenuta negli strati a Productus dell’ Imalaia, sopra Pontebba e al M. Pizzul. Chonetes sp. ind. — 11 contorno è semicircolare, con la massima larghezza al margine anteriore ; la superficie è ornata da numerosi cercini concentrici e da sottili e fitte costicine ra- diali. L’altezza è di 4,5 nini., la larghezza di 6. L’ esemplare completamente limonitizzato, e ridotto a modello mal conservato, non permette una determinazione specifica; proviene dalle are- narie ocracee e quarzoso-micacee sopra Pittstall. 10. Chonetes cf. Moelleri Tschern. var. cantica Gortani, Fossili animali [in Vinassa P. e Gortani M., Fossili carboniferi del il/. Pizzul e del Piano di Lama nelle Alpi Carniche], Boll. Soc. geol. Ital., voi. XXIV, 2, 1905, pag. 588, tav. XIV, fig. 16 e 17. (Per errore nel testo sono indicate le fig. 18 e 19). — Esemplare giovanissimo, con valva ventrale ben conservata, SOPRA ALCUNI FOSSILI NEO CARBONI FERI 2G5 ottusamente subtrapezoidale, ad apice poco sporgente, bigibbosa, munita di un profondo seno ristretto in avanti. Superficie per- corsa da fittissime e regolari costicine longitudinali, che a 4 rum. dall’apice sono in numero di 37 e si biforcano successivamente. Altezza 4,5 min., larghezza 6. Sopra Pittstall, nelle arenarie ocracee. 11. Productus cf. Cora d’Orbigny, Voyage dcms V Amérique Meridionale, Paléontol., 1842, pag. 55, tav. Y, fig. 8-10. — Cosmopolito e diffuso dall’Eocarbonico al Paleodias, e già se- gnalato sopra Pontebba e al M. Pizzul, questo Productus si trova anche nelle arenarie ocracee presso Pittstall e sotto Cordili. Più frequente del tipo è la sua var. lineatus Waagen (Gortani, Foss. Carb. ili. Pizzul, 1. c., pag. 540, tav. XIV, fig. Ile 27), propria delle assise carbonifere superiori e permocarbonifere. 12. Productus semireticulatus Martin sp. De Koninck, Èecherches sur les animaux fossiles, I, Monografie du gcnre Productus et Chonetes, 1847, pag. 83, tav. VIII-X. — Esem- plari tipici di questa forma, costantemente a valva dorsale piatta, compariscono negli argilloscisti sul versante settentrionale del M. Palon di Pizzul, nelle arenarie ocracee di Pittstall, e nei calcari nerastri di Socretis. La var. bathykolpos Schellwien (Die Fauna des Karnischen Fusulinenkalkes, I, Brachiopoda , Pa- laeontographica, XXXIX, 1892), facilmente riconoscibile e net- tamente caratterizzata, si trova nelle arenarie quarzoso-micacee presso Pittstall. 13. Productus gratiosus Waagen, Salt Range Fossi/s, Palaeontol. Indica, ser. XIII, voi. I, pt. 4, 1883, pag. 691, tav. LXXII, fig. 3-7. — Fu già rinvenuto negli strati neocar- boniferi, permocarbonici e forse eopermiani dell’Imalaia (Waagen, Diener), del M. Auernig (Schellwien) e della Carnia al M. Pizzul e al Col Mezzodì (Gortani). La scultura reticolata, regolare e minuta dei due esemplari che riferisco a tale forma, corrisponde perfettamente alle figure citate. Arenarie ocracee di Pittstall. 14. Productus punctatus Martin sp. De Koninck, Mon. Productus et Clionetes , pag. 123, tav. XII, fig. 2 a-k. — Tipici 2G6 M. GORTANI esemplari se ne rinvengono nelle arenarie ocracee di Pittstall. La grande diffusione geografica e cronologica rende tale forma, al pari del P. sentir eticidatus, altrettanto preziosa per i riferi- menti grossolani e per fissare le grandi linee stratigrafiche, quanto inutilizzabile nella distinzione anche soltanto dei sottoperiodi. 15. Productus curvirostris Schelhvien, Fauna Fani. Fu- sidìncnk., I, 1. c., pag. 26, tav. Ili, fig. 12-14. — Una grande valva, proveniente dai calcari oscuri di Socre- tis e associata con lo Spiritar Friischi Schelhv. I caratteri della forma e della scultura di questa graziosa specie concordano pienamente con le descrizioni e le figure dello Schelhvien, e con le mie riferentesi agli individui del Col w FÌ£ Fig. 7. — Pro- ductus curviro- stris Schellw. — Calcari di Socre- tis, Gr. nat Mezzodi (Gortani M., Contribuzioni allo studio del Paleozoico curnico, I, La fauna permocar- bonifera del Col Mezzodì, Palaeontogr. Ital., XI, 1906, tav. II, fig. 1-3). 16. Spirifer striatus Martin sp. Marcou, Geol. X. America, 1. c., 1858, pag. 49, tav. VII, fig. 2-2a. — Con le numerosissime figure ormai date per questa ben nota e multiforme specie, e con gli esemplari del M. Pizzul, hanno comuni i caratteri essenziali due individui raccolti negli argilloscisti sulla sinistra del rivo Malinfier alle falde del Waschbiihel. Mi sembra inutile insistere su questa forma, data anche la sua grande diffusione in tutte le assise del Carbonifero. 17. Spirifer cf.caruicus Schelhvien, Fauna barn. Fusulinenh, I, 1. c., pag. 45, tav. IV, fig. 1-5. — Non ho a mia disposizione che l’impronta della valva dorsale, proveniente dalle arenarie di Soeretis; e perciò, non ostante la grande somiglianza del suo contorno, della forma del seno, del numero e dell’andamento delle pieghe con gli esemplari del Nassfeld, mantengo dubbio il riferimento. L’area occupata dallo S. carnicus (proprio del Neocarbonico e del Permocarbonico) si estenderebbe così dalle Caravanche all’Auernig, al M. Pizzul, alla Cima Val di Puartis e al Col Mezzodì. SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 267 18. Spirifer cf. lyra Kutorga. Tschernyscliew, Die obercar- bonische JBrachiopoden dcs Ural and des Timan, Móni. Com. géol. St. Pétersb., voi. XY1, 2. 1902, pag. 150 e 538, tav. YI, fìg. 6-7, tav. VII, fig. 7, tav. Vili, fig. 4-5. — Delle due valve dorsali in esame, una proviene dalle arenarie argilloscistose di Pittstall, l’altra dalle arenarie di Socretis. Lo stato di conser- vazione è cattivo in entrambe, e solo con esitazione le avvicino allo S. lyra, avuto riguardo all’andamento delle coste e alla super- ficialità del seno. 19. Spirifer supramosqueusis Nikit. var. Fritschi Schellw. sp. Gortani, Fauna per mocarb. Col Mezzodì, 1. c., pag. 26, tav. II, fig. 15-18. — Nei calcari oscuri di Socretis questa forma com- parisce con gli stessi caratteri degli esemplari provenienti dal Col Mezzodì. La principale differenza con il vero S. supramo- squensis consiste sempre nel seno meno profondo e meno ristretto e, in linea secondaria, nelle ali più espanse. Con gli individui camici e carinziani la scultura concorda sempre perfettamente nelle sue particolarità più minute. A Socretis però questa forma è rarissima. 20. Spirifer Wy linei Waagen, Salt Range Foss., 1. e., 1883. — Conchiglia trasversalmente ovale, con apice molto elevato e pro- minente sul margine anteriore. Coste radiali numerose, semplici o biforcate, molto rilevate, a sezione trasversale triangolare, acute; se ne contano 6-8 nel seno, 7-9 sul lobo e 8-10 su ciascuna ala. Seno largo, poco profondo, a pareti non incurvate e sezione trasversale a forma di V molto aperto. Altezza della grande valva mm. 23, della piccola valva min. 19, larghezza min. 28, spessore 13. La specie è nuova per il Carbonifero ita- liano; incontrasi raramente nei calcari oscuri di Socretis. 21. Spirifer (Reticularia) lineatus Martin sp. Gortani, Fauna permocarb. Col Mezzodì , 1. c., pag. 31, tav. II, fig. 25 a-e. — È comune ai calcari (Socretis) e alle arenarie (Pittstall) come sul VI. Pizzul e nel Piano di Lanza. Benché variabili di con- torno e di aspetto, con l’apice talora molto protratto in avanti, tutti gli individui si riportano facilmente alla specie, nell’ampio 268 M. GORTANI ciclo della quale devono forse rientrare come semplici varia- zioni parecchie forme distinte come specie autonome dai loro fondatóri. L’esemplare maggiore ha 14 mm. di altezza contro una larghezza di 15. 22. Spirifer (Martinia) acuminatus Gemmellaro sp. Gor- tani, Fauna permocarb. Col Mezzodì , L e., pag. 30, tav. II, fig. 23. — La grande estensione che io ho data alla specie dell’ illustre professore siciliano mi permette di riferirle alcune conchiglie mal conservate dei calcari di Socretis. Inoltre fra la cas. Meledis alta e Straning, nelle pendici del M. Waschbiihel, raccolsi pure individui di tale forma, uno dei quali appartiene alla var. latus Gortani ( Fauna Col Mezzodì, 1. c., tav. Il, fig. 24). 23. Spirifer (Martinia) semiplanus Waagen, Sali Piange Foss., 1. c., pag. 536, tav. XLIII, fig. 4. — Ritengo invece si- cura nei calcari di Socretis la presenza di questa forma, che determino sopra una conchiglia giovane ma completa e perfet- tamente conservata. La sproporzione fra le due valve è quale si mostra negli esemplari tipici; tutti i vari caratteri ripetono i particolari ben noti, ampiamente descritti dal Waagen e anche illustrati da me negli individui del Col Mezzodì (1. c., pag. 29, tav. II, fig. 21 e 22). L’altezza delle valve è rispettivamente di 4 e 3,5 mm., la larghezza di 4, lo spessore di 2,3 mm. La spe- cie visse negli ultimi tempi del Neocarbonifero e nel Permo- carbonifero. 24. Spiriferina cristata Schlotheim sp. Davidson, Mono- graph of thè Carhoniferous Brachiopoda of Scottami, 1860, pag. 23, tav. I, fig. 36-38. — La valva dorsale che mi sembra appartenere alla S. cristata è troppo malconcia e limonitizzata per distinguere se essa risponda meglio al tipo o a una delle sue varietà numerose e non sempre ben definite. Proviene dalle arenarie ocracee di Pittatali. 25. Cainaroplioria alpina Schellwien, Fauna Karn. Fu- sulinenk., I, 1892, 1. c., pag. 51, tav. Vili, fig. 4-8. — Esem- SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 269 plari ridotti al nucleo interno, come negli strati arenacei del Col Mezzodì e del M. Pizzul, rinvenni nelle arenarie ocracee di Pittstall; un’impronta che mi sembra pure riferibile a questa specie raccolsi nelle arenarie di Socretis. Le pieghe sono mani- feste nel seno, quasi indistinte sui lati ; il contorno è regolar- mente triangolare a lati convessi, più largo che alto. 2G. lthyiicliQiiella (Pugnax) osagensis Swallow, Descrip- tions of new fossils from thè Coal Measures of Missouri and Kansas , Trans. St. Louis Ac. Se., voi. I, pag. 219. — La forma tìabellare, poco rigonfia, le pieghe appena rilevate e disposte due nel seno e tre sul lobo, indistinte sui lati, il contorno delle valve e l’aspetto del seno e del lobo mi persuadono a riferire due esemplari di Socretis, estratti dal calcare grigio, a questa forma già erroneamente confusa con la Eh. (Pugnax) Utah Marcou sp. em. ( Geol . N. Amer., 1. c., pag. 51, tav. VI, fig. 12), e comune nei calcari del Piano di Lanza. 27. Nototliyris exilis Gemmellaro sp. Schellwien, Die Fauna der Troghofelschichtcn in den Karnischen Alpen und den Kara- tvanken , Abb. k. k. geol. Reichsanst., XVI, pag. 103, tav. XV, fig. 13-17. — Agli individui più rigonfi della Valle del Sosio, dellTmalaia, delle Caravanche, del Col Mezzodì e del Piano di Lanza si accosta un esemplare dei calcari oscuri di Socretis. Qui rinvenni pure due esemplari giovani con valve poco con- vesse e senza traccia di pieghe. 28. Terebratula sp. pi. — Fra i numerosi avanzi riferibili a Terehratida s. 1., noto due esemplari vicini alla T. (Dielasma) élongata Schlotkeim sp. (Davidson, British Fossil Brachi apoda, II, Palaeontogr. Soc., 1858, pag. 9, tav. I) e provenenti dai calcari di Socretis; un individuo della stessa località che ricorda la T. ( Cryptonclla 1) cf. Lincldaeni Hall da me rinvenuta nella Gamia occidentale ( Fauna permocarb . Col Mezzodì, 1. c., pag. 39, tav. ILI. fig. 1 a-d); una valva ventrale raccolta sul M. Wasch- hùhel e simile alla T. ( Hemiptychina ) sublaevis Waagen (Salt Rctnge Foss., 1. c., pag. 364, tav. XXVII, fig. 1-3), che pure tro- vasi negli strati del Col Mezzodì. 270 M. GOHTANI 29. Lima retiferiformis Netschajew, Die Fatma der pcr- mischen Ablageriingen des óstlicJien Thcils des europdischen Rtis- slandes , Mera. (Trudy) Imp. Univ. Kasan, voi. XXVII, 4, 1894, pag. 192, tav. VI, fig. 18-19. — Sul versante settentrionale del M. Palon di Pizzul (M. Pizzul delle Carte) raccolsi in alcuni ar- gilloscisti una valva di Lima che risponde ai caratteri già ri- cordati per l’esemplare del M. Pizzul, ma ha dimensioni più grandi, alquanto superiori anche agli individui russi. La specie va dal Neocarbonifero superiore al Permiano. 30. Àviculopecten cingendiis Me Coy sp. Hind, The Gar- boniferous Lamellibranchiata, voi. II, Palaeontogr. Soc., 1903, pag. 108, tav. XVI, fig. 23-27. — Un esemplare dei calcari di Socretis, e ancor meglio una valva delle arenarie di Pittstall, ripetono la forma e l’ornamentazione della specie britannica, caratterizzata da una finissima e fitta stiratura concentrica che si accompagna a regolari cercini concentrici. È noto che con VA. cingendus si possono identificare VA. Sedgivicki dello stesso autore, da me segnalato al Col Mezzodì ( Fossili rinvenuti in un primo saggio del calcare a Fusuline di Forni Avoltri, Riv. Ital. Paleontol., voi. IX, 1903, pag. 13, tav. IV, fig. 11) e pro- babilmente VA. acanthicus Gemrnellaro ( La fauna dei calcari con Fusulina della valle del fìime Sosio, pag. 215, tav. XXIII, fig. 22-25). Nè mi sembra molto diverso VA. ? interlineatus. Meek et Worthen figurato dal Girty ( The carboniferous formations and faunas of Colorado, U. S. Geol. Surv., Prof. Pap., n.° 16, 1903, pag. 416, tav. VIII, fig. 3) e proveniente dal distretto Crested Butte nel Colorado. 31. Straparollus minutus de Koninck, Faune du calcaire carbonifere de Belgiqxie, Ann. Mus. Roy. Hist. Nat. Belgique, voi. VI, 1881, pag. 127, tav. XXXI, fig. 23-26. — Con gli stessi caratteri descritti nei miei lavori sulle faune del M. Pizzul (1. c., pag. 577) e del Col Mezzodì (1. c., tav. Ili, fig. 2 8a,b), tale specie si trova anche nei calcari di Socretis. La spira sporge appena dall’ultimo giro per dell’altezza della con- chiglia. Il diametro del maggior esemplare è di 8 mm. SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 271 32. Straparollns perinianus King-, The Perni ian Fossils, Palaeontogr. Soc., voi. Ili, 1849, pag. 211, tav. XVII, fig. 10-12. — È distinto dal precedente per la elevazione maggiore della spira e lo sviluppo alquanto ridotto dell’ultimo giro. Già ho se- gnalato questa forma nelle assise superiori del Piano di Lanza; la rinvenni con gli stessi caratteri a Socretis nei calcari grigi oscuri. Associata con essa vidi pure una conchiglia che mi sem- bra appartenga a una forma nuova del medesimo genere, e si distingue specialmente per una fìtta striatimi longitudinale presso la bocca. 33. Macrocheilus cf. meridiamis Gortani, Fauna permo- carb. Col Mezzodì, 1. c., tav. III, fig. 33 a, b. — Conchiglia co- nica, con giri appiattiti, a superficie finamente reticolata. Gli esemplari sono tutti incompleti e per lo più ridotti al modello interno. Il riferimento è quindi molto dubbioso. Calcari oscuri di Socretis. 34. Arcliaeocidaris pizzulàna Gortani, Fauna carb. M. Piz- zul, 1. c., pag. 586, tav. XV, fig. 29-33 e 36/1 — Fig. 8. — De- scrivendo l’anno passato i radioli di questa forma segnai come carattere generale la pre- senza su di essi di gemme spiniformi opposte. Nuove ricerche nei calcari scistosi medesimi del M. Pizzul mi hanno fatto trovare anche numerosi radioli muniti di spine alterne, con tutti i passaggi ai radioli con spine opposte. L’ima e l’altra forma si trovano nei calcari del M. Waschbiihel e di Socretis, identiche agli esemplari del Pizzul anche per il modo di fossilizzazione. 35. Pliillipsia sp. ind. — Trovai un pigidio riferibile sicu- ramente al genere Pliillipsia nelle arenarie ocracee di Pittstall. È di forma ogivale e di dimensioni ridotte (mm. 6 di larghezza per 4,5 di lunghezza); la superficie degli 8-10 anelli in cui appare diviso è liscia. Lo stato di conservazione è tale però da impedire ogni riferimento specifico. Fig. 8. Fig. 8. — Ra- dioli di Archneo- cidaris pizzttlana Gort. — Calcari di Socretis. Gr. nat. 272 M. GORTANI Le località fossilifere nominate nell’elenco sono, in ordine geografico, procedendo da est verso ovest: a) Versante settentrionale del M. Palon di Pizzul (M. Pizzul delle carte topografiche). 1 rari fossili si trovano negli scisti argillosi che giacciono in trasgressione sui calcari siluriani con Ortliocefas e sui calcari devonici a SE e a S immediato dell’altura segnata con la quota 1822 nella tavoletta Pa- luzza SE. b) Pittstall. Fra il rivo Malinfier e il rivo che scende al torrente Lanza da cas. Gross Korc^iu la serie carbonifera posa sui calcari devoniani più o meno erosi ed incisi sovrastanti alla zona con mringocepìialus Burtini. Si raccolgono fossili tanto nelle arenarie che imbasano la serie, quanto nei sottili banchi di calcare oscuro ad esse intercalati. c) Waschbiihel. E il monte (in territorio austriaco come la località precedente) opposto alla Cima Val di Puartis sulla riva sinistra del rivo Malinfier. La serie carbonifera (arenarie e cal- cari grigi o neri, spesso coralligeni) è sostenuta direttamente dai calcari reticolati neosiluriani. Raccolsi il materiale paleon- tologico sia partendo dai casolari tedeschi di Straning, sia ri- salendo l’aspro burrone del rivo Malinfier. d) Cima Val di Puartis e Socretis. Abbiamo qui una serie che ricorda molto da vicino quella di Lanza. Alla base i cal- cari reticolati neosiluriani, pendenti a NE, variamente incisi, formano in buona parte la Cima e si sprofondano sotto le al- ture di Socretis e il M. Waschbiihel. Sui calcari si adagia in trasgressione e in pseudoconcordanza la serie neocarbonica, con tre membri distinti: dapprima arenarie quarzose con fi lliti ; poi arenarie, argilloscisti e calcari neri in banchi sottili con fauna marina; da ultimo calcari grigio-oscuri molto simili a quelli del piano di Lanza, e che coronano le alture di Socretis (300 in. a N della vetta di Cima Val di Puartis). SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOC ARPONI FERI 273 c) Pie Chiadin. Versante orientale del monte (che è senza nome sulla tavoletta e si trova tra le forcelle Morarèt e Mo- numenz, a S del M. Cogdians), a circa 100 m. sotto il Ricovero Marinelli, fra questo e il laghetto di cas. Plotta. il Carbonifero è rappresentato da argilloscisti nerastri e arenarie quarzose di colore in prevalenza oscuro e di compattezza varia; questi e quelle posano sopra rocce siluriane molto simili ma con avanzi di Graptoliti. Omettendo le forme comuni a tutto il Carbonifero e perciò di valore affatto secondario per il nostro scopo, ecco le specie importanti raccolte in queste varie località: a) M. Palon di Pizzul. — Lima retiferiformis (Neocarbo- nifero superiore e Permiano). b) Pittstall. — Fusulina alpina antiqua (Neocarb. sup.), Chonetes Moelleri cantica (Neocarb. sup.), Productus lineatila (Neocarb., Permocarb., Eoperraico), P. baMyleolpos ( id.), P. gra- tiosus (id.), Spiri far cf. lyra (Neocarb. e Permocarb.), Camaro- pboria alpina (id.). c) Waschbuhel. — Fusulina alpina antiqua (Neocarb. sup.), Spiri fer acuminatus e var. latus (Permocarb.), Hmiipty china? subìèevis (id.), Arcliaeocidaris pismlana (Neocarb. sup.). d) Cima Val di Puartis e Socretis. — Arenarie inferiori: Ca- lamites Cisti (Neocarb., Permocarb., Eopermico), Sigillarla Brardi (id.). Strati medi e superiori : Fusulina alpina antiqua (Neocarb. sup.) e communis (Permocarb.), Streptorhynclius semi- planus (Neocarb. sup. e Permocarb.), Productus curvirostris (id.), Spiri fer cf. carnicus (id.), S. supramoMuensis Fritschi (id.), S. Wynnei (id.), S. cf. acuminatus (Permocarb.), S. scmiplanus (Neocarb. sup. e Permocarb.), Camarophoria cf. alpina (id.), Bhynchonella osagensis (id.), Notothyris exilis (Permocarb.), Straparollus permianus (Permocarb. e Perni.), Macroclieilus cf. mcridianus (Permocarb.), Arcliaeocidaris pizzulana (Neocarb. sup.). e) Pie Chiadin. — Nevrodontoptcris auriculata (Carb. sup., Permocarb., Eopermico), Calamites Cisti (id.). 19 274 TU. GORTANI Da tutti i fatti esposti e gli argomenti svolti fin qui, pos- siamo ora concludere: 1. ° Tra i fossili numerosi raccolti nelle assise carbonifere carniche a occidente del M. Pizzul e del Piano di Lauza man- cano interamente forme proprie del Carbonifero inferiore o medio. Tutte le specie o hanno latissima diffusione stratigrafica o sono iuvece caratteristiche del Carbonifero superiore, del Permocar- bonifero o del Permiano inferiore. 2. ° La maggior parte di tali forme sono proprie degli strati più alti del Carbonifero superiore, ovvero del Permocarbonifero. Questo fatto è di importanza notevole e ha valore assoluto per tutte le località visitate, dove raccogliemmo sempre i fossili ne- gli strati più bassi, a contatto o quasi con le sottostanti rocce del Paleozoico antico. 3. ° Di età alquanto più recente sono, al pari degli strati superiori del Piano di Danza, i calcari che coronano le alture di Socretis. Per la presenza della Figulina alpina communio e degli altri caratteri faunistici, possiamo ritenere questi calcari sincroni con i depositi più bassi del Col Mezzodì e del Trog- kofel, e riferirli quindi al Permocarbonifero inferiore. 4. ° In tutti i giacimenti carbonici fossiliferi delle Alpi Carniche situati fra la Krone e la forcella Morarèt la facies paleontologica, animale o vegetale, è abbastanza uniforme, e molte specie compariscono nella maggior parte dell’area esa- minata. 5. ° La facies litologica è la stessa in tutti i depositi fra la Krone e il versante settentrionale del M. Lodiu, ed è costi- tuita principalmente da un’alternanza di calcari, conglomerati quarzosi e arenarie quarzoso-micacee ocracee; queste prevalgono negli strati inferiori, quelli nei superiori. A occidente del M. Lo- dili invece i calcari maucano e si hanno arenarie e scisti di tipo simile a quelli siluriani. 6. ° La lacuna nella sedimentazione marina durò per tutto il Carbonifero inferiore e medio ed anche per un tratto note- vole del Carbonifero superiore. 7. ° La trasgressione carbonifera, come bene ha mostrato il prof. Yinassa, si estese a occidente almeno sino alla forca SOPRA ALCUNI FOSSILI NEOCARBONIFERI 275 Morarèt. Ricordando quanto ho osservato nelle mie precedenti escursioni, io ritengo probabile la sua estensione a ovest di Col- lina almeno lungo il fianco meridionale del M. Yolaia. 8.° Rimane da ultimo il quesito se nelle Alpi Gamiche esi- stano o meno giacimenti del Carbonifero medio o inferiore. Tutti i fatti noti finora porterebbero oggi a negarlo (*). Perugia, Laboratorio di Geologia del R. Ist. superiore agrario, febbraio 1906. [ms. pres. il 4 marzo 1906 - ult. bozze 17 luglio 1906], (*) La recentissima nota del Ivrause ( Ueber das Vorkommen con Kuhn in der Karnischen Hauptkette, Verli. k. k. geol. Reichsanst., n. 2, 1906, pag. 64-68;, che ho veduta durante la stampa di questa nota, non porta alcun elemento decisivo e non mi induce a mutare per nulla la mia conclusione. SU DI UN MOLARE DI RHINOCEROS RINVENUTO AD ISOLETTA (PROVINCIA DI CASERTA) Nota di Eduardo Flores Nelle « Note paleontologiche » pubblicate nel 1883, il com- pianto prof. Giustiniano Nicolucci illustrava un dente di Rhino- ceros, rinvenuto in un sabbione pliocenico rimescolato da correnti quaternarie, sulla sponda sinistra del fiume Diri, presso Isoletta. Egli lo riferì al Rii. ticliorliìnus Fisch. facendo le seguenti con- siderazioni ; « Fui dapprima in forse nel determinare la specie alla » quale il dente potesse riferirsi . . . , ma esaminandolo accurata- » mente m’indussi a giudicarlo appartenente al Rh. tichorhinus » Fisch. per le tre fossette, o vuoti in forma di pozzo nella super- » ficie triturante, circondate da un doppio giro di smalto e da » uno strato di cemento nerastro che ricopre lo spazio fra l’uno »e l’altro giro dello smalto... E tanto più mi sono confortato » nella mia opinione in quanto che il dente erasi trovato nello » stesso luogo in cui fu raccolto V Eleplias primigenius » (*). Nel mio Catalogo dei Mammiferi fossili dell’Italia meridionale continentale (2) riportai invariata la determinazione del Nico- lucci. Ma ripensando ultimamente a tale determinazione ed osser- vando la figura del dente che il Nicolucci unisce alla descri- zione ho voluto esaminare accuratamente l’importante fossile e cortesemente il prof. Bassani lo ha messo a mia disposizione, poiché fa parte delle Collezioni del Museo geologico napoletano. All’egregio Professore rendo vivissime grazie. (') Nicolucci G., Note paleontologiche. Mena. Soc. ital. delle Scienze detta elei XL. Napoli, voi. VI, Meni. la, 1883-87. (*) Flores E., Catalogo dei Mammiferi fossili dell'Italia meridionale continentale. Atti Ace. Pontaniana, voi. XXV, Napoli, 1895. (Estr. pag. 19)- 278 E. FLORES Come si osserva dall’unita figura, che riproduce il dente in grandezza naturale, si tratta, con molta probabilità, di un primo vero molare superiore sinistro. È ben conservato, ad eccezione del pilastro accessorio anteriore esterno, che è rotto. La super- ficie triturante si presenta divisa in due colline separate da uu profondo solco, nel quale si inoltra, assai notevolmente sviluppato, l’ anticrochet (') (Gegensporn) proiettato dalla collina trasversale posteriore. Tale sporgenza non tocca lo smalto della parete opposta della vallata intermedia, sicché non si forma in alcun modo quella terza isola arrotondata che si forma in alcuni denti per la salda- tura del V anticrochet con l’opposta cresta, e che è caratteristica nei molari di Eh. antiquitatis Blum. (— tichorhinus Fisch. ~ Jour- dani Lart. et Chantre). La Signora Paulow (2) osserva che tal carattere, che si riscontra nel Eh. tichorhinus, fa distinguere questa specie dall’altra della Siberia, Eh. Merchi Jag, con la t1) Zittel-Barrois, Traité de Paleontologie. Tome IV, Paris, 1894, pa- gina 289, fig. 228. (2) Paulow M., Etudes sur l’histoire x>aléontologigue des Ongulés. VI. Les lìliinoceridae de la Bussi e et le développement des Bhinoceridae en generai. (Estr. Boll. Soc. Imp. Nat., Moscou, 1892), pag. 209 e 214. SU DI UN MOLARE DI RHINOCEROS 279 quale ha tante somiglianze. E riporta dal Lydekker che tal ca- rattere si riscontra anche nei molari di Uh . platyrhinus Falc. Nel dente che abbiamo in esame, però, questo anticrochet è nettamente staccato dalla opposta cresta e la terza fossetta non è separata dalla vallata intermedia, dalla quale nel Uh. tichorhi- nus è perfettamente distinta. Per gentile concessione dell’Illustre Senatore Capellini ho po- tuto confrontare questo dente col ricco materiale conservato nel Museo geologico bolognese. E sono grandissime le differenze che si osservano tra il molare di Isoletta e quelli di Uh. tichorhi- nus di Creswell, quelli di Iih. etruscus di Barberino del Mu- gello e quelli di Uh. megarhinus di Imola. Ma v’è un carat- tere che ci permette di determinare con molta probabilità la specie alla quale si riferisce il dente di Isoletta. li anticrochet in tutte le specie, esclusa il Uh. emithcechus Pale, forma un angolo assai ottuso con la collina posteriore ed è diretto più o meno diago- nalmente verso l’estremità anteriore esterna della corona ('). Dalla figura si scorge benissimo che nel dente d’Isoletta ciò non si verifica, dunque si tratterebbe della specie hemitoechns di Fal- coner. Possiamo inoltre aggiungere che la Signora Paulow, dopo di aver notata la grande rassomiglianza tra Uh. hemitoecus Falc., Uh. leptorhinus Ow. non Cnv. e Uh. Merchi Jag, sì da poterle considerare come una sola specie, osserva che nel molare “ que- sto crochet postérieur (2) si dirige in basso verso il termine infe- riore della cresta anteriore. Ciò si verifica nel dente che esa- miniamo. Da quanto ho esposto si può concludere che il dente mo- lare superiore sinistro di Uhinoceros, riferito dal Nicolucci al tichorhinus Fiscli. con molta probabilità è da riferirsi al Uh. Merchi Jàg. (— Uh. leptorhinus Ow. non Cuv., Uh. Aymardi Pomel, Uh. hemitoechns Falc.). Esso fu rinvenuto nel sabbione pliocenico rimescolato da cor- renti quaternarie assieme ad un dente, che il Nicolucci riferì aWElephas primigenius e che sfortunatamente non si conserva. (*) (*) Faleoner H., Pcileontoìogical Memoirs and Notes. London, 1868, tom. 2°, pag. 329. (2) Paulow M., op. cit., pag. 209. 280 E. FLORES Come dissi in una mia recente pubblicazione (') il Ricci notò grande affinità tra un dente da lui descritto per FA. primigcnius e quello di lsoletta, a giudicare dalla figura che accompagna la memoria del Nicolucci. Anch’io conservai, servendomi della predetta figura e riproducendola nel mio lavoro, la determina- zione del Nicolucci. Veramente si poteva addirittura dire col professor Portis pcircam sepulto, trattandosi di oggetto disperso (2), ma sembrandomi non pessima la figura e confortato dalla os- servazione del Ricci, mantenni la determinazione. 11 prof. Portis però anche in quella tanto criticata* figura riconosce P Eleplias antiquus Pale. Se pure si tratta di tale specie avremo un altro caso di quei comunissimi giacimenti italiani che diedero Eh. Mordi Jag. ed El. antiquus Pale. Se poi veramente si trattasse di un El.pri- migènius Blurn. nemmeno ci sarebbe da meravigliarsi, poiché anche col primigenius il Eh. Merchi Jàg. fu trovato in varie località. Così resta dimostrato che nell’Italia meridionale continen- tale non si è sinora rinvenuto il Ehinoceros antiquitatis Blum. (— Eh. lichorhinus Piseli., Eh. Jourdani Lart. et Chantre). Anche gli avanzi riferiti a tale specie dal di Poggio (:i), provenienti dalla Grotta dei Pipistrelli di Matera, essendo frammenti della regione sacrale non dànno alcun affidamento circa la esattezza della determinazione. (') Flores E., L' Elephas primigenius Binili, nell' Italici meridionale continentale. Boll. Soc. geni, ital., voi. XXII, fase. 2U, Roma, 1903 (Estr. pag. 10, tav. tig. 2). (2) Portis A., Ancora e sempre delle specie elefantine fossili in Italia. Boll. Soc. geol. ital., voi. XXII, Roma, 1903, pag. 447. (3) Poggio E., Fossili nelle caverne ossifere di Blatera in Basilicata Proc. veri». Soc. toscana di Se. nat., Pisa, 1888, voi. VI, p. HO. Bologna, 19 Gennaio 1906. R a Scuola normale “Laura Bassi „. [ms. pres. il 27 gennaio 1906 - ult. bozze 2 agosto 1906J. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO Nota di Alessandro Martelli (Tavola VI) Recentemente, nei Rendiconti della R. Accademia dei Lin- cei, feci nota resistenza di formazioni riferibili all’oolite infe- riore nella potente serie mesozoica del Montenegro occidentale e meridionale (1). Trattandosi di una constatazione nuova per la geologia montenegrina, ritengo non inopportuno far ora seguire l’illustrazione di quei fossili dal cui studio pervenni all’accer- tazione suddetta, pur limitandomi in questo lavoro alla sola descrizione particolareggiata dei brachiopodi, perche gli altri elementi paleontologici oltre ad essere scarsissimi, sono così mal conservati da non consentire sicure determinazioni. I brachiopodi studiati furono da me raccolti per la massima parte nel calcare grigio-scuro di Livari e Iftijani nella Krajina — territorio del Montenegro meridionale comprendente il ver- sante orientale del Rumija fino al distretto di Scutari e al lago omonimo — e in minor quantità nel calcare oolitico di Cekanje nel Montenegro occidentale fra la Bukovica e il Golo Brdo lungo la via carrozzabile fra Njegusi e Cettigne. Riguardo alla posizione dei primi calcari con brachiopodi, già dissi, e quindi credo superfluo insistervi, che al retico fos- silifero delle pendici orientali del Rumija succedono quasi a mezza costa nella Krajina formazioni di calcari spesso a tessi- tura tipicamente oolitica, in trasgressione con i soprapposti cal- cari ad ellipsactinie, coralli e gasteropodi titoniani e special- (') Martelli, Nuovi studi sul Mesozoico montenegrino. 2 ° L’oolite in- feriore nella catena costiera del Montcnecjro. Remi. R. Acead. dei Lincei, voi. XV, 1° sem., ser. 5a, fase. 3°, Sed. 4 febbraio 1906. 20 282 A. MARTELLI mente fra i villaggi di Livari e Iftijani differenziati in una vera e propria lumachella a brachiopodi. Quanto poi ai rapporti del calcare di Cekanje con le altre formazioni del Montenegro occidentale dove non ebbi occasione di compiere ricerche e os- servazioni dettagliate, solo posso dire che tali calcari non mi sono sembrati alla sommità della serie mesozoica locale, come del resto gli antichi rinvenimenti di aptici del Giura superiore fatti dal Lipold (’) e i calcari con ellipsactiniae che il Prof. De Ste- fani (2) raccolse sulle pendici del Lovcen in territorio montene- grino starebbero a comprovare. Siccome nel calcare di Cekanje trovansi forme a comune con quelle della Krajina e corrispondenze spiccate con l’oolite inferiore di altre località del bacino mediterraneo, mi sono ri- tenuto autorizzato ad associare nella descrizione le due faune sicuramente sincrone. Ki porto nel seguente quadro le forme descritte segnandone le corrispondenze con quelle note in altre località, per porre in evidenza l’età oolitica inferiore tanto dei brachiopodi citati come provenienti dal calcare di Livari e Iftijani in Krajina quanto da quello di Cekanje. (') Lipold, cfr. Verhandk der k. k. geolog. Reichsanstalt. Wien, 1859. (?) De Stefani, Viaggio nella penisola balcanica , Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, Roma 1895. •icliy ,1|(0P 9 'ETJTOIS llnep «Ulti -p; nAtnouoptsoj uoo uuoz •epenoijpna^ -j9s ojojtx pop 'jn; jaSSog; ■eiuuojpij -a ut ojojix I«p "jui .ia'3Stj(j BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO f + + + 283 •°nt3 -!A "S °ÌVO I9P Tu! •i933o(j ■0(t!UOT.I}U04 -}9g BT['B;i[90 ■pijeni o.i3an0xnoj\[ ‘bui Pura Eh COOOH(MCC-fiCCDt- Walclheimia confr. Ip polii ae Di Stef. Wald. confi-.- cmgustipectus Roth. . 284 A. MARTELLI Da questo quadro si rileva che, eccettuate le forme nuove (4) e quelle determinate solo genericamente (3), la fauna qui stu diata è costituita di 16 forme già note, comprese le tre di dub- bio riferimento. Salvo la Rh. Vigilii var. erycina citata non solo nel Dogger inferiore mediterraneo ma anche in quegli strati del M. Grapa i quali segnerebbero una transizione fra il Lias inferiore e l’oolite inferiore, e la Rh. Sminoclcae dal habitus esteso tino alla zona con Posidonomya alpina , tutte le altre specie menzionate e già conosciute appartengono all’oolite infe- riore, presentando le seguenti complessive comunanze: 5 col Dogger inferiore del Monte S. Giuliano; 7 con gli strati a Lioceras opalinum di Rossano calabro e 7 con gli omologhi del M. Foraporta ; 1 con l'oolite inferiore dell’Italia settentrio- nale e rispettivamente 3, 4 e 7 con quello del Capo S. Vigilio, del Tirolo meridionale e del Tirolo settentrionale. Tenendo presenti le conclusioni alle quali principalmente pervennero Di Stefano, Rothpletz, Vacek, Finkelstein e Greco, nello studio delle faune oolitiche da detti autori pubblicate e nelle quali si constatano rimarchevoli corrispondenze specifiche con la nostra faunula montenegrina troppo scarsa di specie di fronte al numero grande di individui che la costituiscono, non si può disconoscere che i calcari con brachiopodi della lira j ina e di Cekanje corrispondano alla zona con Lioceras opalinum Rein., la quale, finche si manterrà l’attuale tripartizione del Giura, dovrà sempre sincronizzarsi con la parte più bassa del Giura medio od oolite inferiore. Per altro ricordo in proposito che Vacek (’) sostiene come nelle località con una serie giurese molto sviluppata, le zone a Ludwigia Murchisonac e a Lioce- ras opalinum siano sempre concordanti con i terreni basici e sottostanti e sempre in trasgressione con i piani sovrapposti; e che quindi senza disgiungere tale zona dal Giura inferiore, po- trebbe eliminarsi dalla cronologia il Giura medio come era in- teso dal de Buch e dal Queristedt, collegando la parte inferiore del Dogger al Lias e quella superiore al Maini. Per verità, a (>) Vacek, Ueber die Fauna der Oolithe von Cap S. Vigilio vtrbunden mit einer Stadie iiber die obere Liasgrenze. Abhandl. der k. k. geolog. Reichsanstalt, Bd. XII, Wien 1886. BKACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 285 parziale conferma delle idee del Vacek, la trasgressione fra i depositi oolitici inferiori e quelli con ellipsactinie e gasteropodi del titonico mi sembrò evidente nella Krajina, ma ad ogni modo il carattere della presente fauna non credo che possa convali- dare la supposizione di alcuna efficace analogia paleontologica col Lias. Cosi pure non si ha alcuna comunanza con la zona a Posid. alpina delle Alpi alla cui conoscenza paleontologica il Prof. Parona portò un notevole contributo propendendo altresì a riferirla al Calloviano piuttosto che al Bathoniano. In complesso, il carattere morfologico della fauna oolitica della Krajina e di Cekanje accenna solo alla lontana a quello del Lias del Monte S. Giuliano (Erice) studiata dal Di Stefano (Atti deH’Accad. Gioenia di Scienze naturali in Catania, voi. Ili, Ser. 4a, 1891) ed anzi nel confronto mostra una palese tendenza a modificarsi verso forme meno irregolari, per quanto sempre asimmetriche. Concomitanze morfologiche si riscontrano piuttosto nelle faune a brachiopodi della zona a Lumv. Murchìsonae e in quelle decisamente oolitiche descritte dal Haas nelle Abhand- lungen der Schweizerischen palaontologischen Gesellscbaft de- gli anni 1889-1891. Il De Gregorio (') pone la zona a Liidw. Murchìsonae — im- mediatamente inferiore a quella del Lioc. opalinum con ogni probabilità sincrona dei calcari fossiliferi in parola — nel sot- torizzonte Grappiano del suo orizzonte Alpiniano (~ Bajociano e Bathoniano part.), in quel piano, secondo l’autore, transitorio dal Lias al Dogger e cioè « per le faune oolitiche che risen- tono l’influenza del Lias così pure come per le faune del Lias superiore che risentono l’influenza del Giura ». Quindi anche accettando le idee del De Gregorio, preci puamente fondate sullo studio della fauna del Capo S. Vigilio, la zona del Lioccras opalinum rimane del tutto compresa nell’oolite. Altre lontane e scarse analogie mostra la nostra fauna con taluni brachiopodi del Maini di Glandarien descritti dal Krum- beck nei Beitràge zur Palaontologie und Geologie Oesterreick (') De Gregorio, Monographie des fossiles de S. Vigilio du sous-ho- rizon Grappin De Greg. Annales de Geologie et de Paléontologie, livr. V, Palermo, 1886. 28« A. MARTELLI Ungarns nnd des Orients (voi. XYIII del 1905) e perciò a priori anche dal complessivo carattere morfologico faunistico appare manifesta la posizione intermedia dei nostri calcari a brachio- podi fra il Lias e il Maini. Le forme descritte come nuove trovano pure le loro affini in altre e ben note specie dell’oolite inferiore e per numero di individui hanno una notevole prevalenza nella costituzione di questa fauna contradistinta da una grande abbondanza di rin- conelle. A queste devonsi le non poche difficoltà incontrate per la determinazione e aggruppamento poiché è noto che lo stu- dio delle rinconelle oolitiche asimmetriche è uno dei più ardui che per la sistematica i brachiopodi possono presentare, tanto più che per forme cosi incostanti è da lamentarsi la mancanza non solo di un criterio ben definito pel limite minimo da assegnarsi alla specie, ma anche di una esatta valutazione nel riconoscere le varietà autonome del Darwin o mutazioni del De Yries, dalle variabilità fluttuanti o individuali. Per ciò si lamenta come, in opposizione ad un concetto di specie abbastanza ampio, quale la geologia esigerebbe, spesso accada di veder attribuire un valore specifico nun solo alle mutazioni, ma perfino a variazioni indi- viduali con evidente danno e confusione per la geologia. Riguardo a tale questione non posso che condividere le opi- nioni in proposito già espresse dal Prof. Parona (’) riconoscendo la convenienza di contradistinguere con nome diverso le varia- zioni che una specie di bracliiopode può subire nello spazio e nel tempo sia in rapporto alle diverse condizioni di ambiente, sia alle modificazioni che per derivazione evolutiva le specie possono presentare in una stessa fauna fossile o in una succes- sione di strati; e l’inutilità di assegnare, a complemento del- l’ordinaria nomenclatura binomia, nomi particolari a mutazioni che per non essere corroborate da caratteri costanti, propri e spiccati, non possono considerarsi come unità autonome ma solo come modificazioni morfologiche di secondaria importanza. (L) Parona C. F., Nuove osservazioni sopra la fauna e l’età degli strati con Posidonomya alpina nei sette comuni. Palaeontographia Italica, voi. I. Pisa, 1895. BRACHIOPODI DEL DOGGEE MONTENEGRINO 287 Lo stato di conservazione di questi brachiopodi non è dei migliori e sebbene taluni esemplari potessero nelle tavole figu- rare assai di più se disegnati che non riprodotti con la foto- grafia, pure, sacrificando l’estetica all’esattezza, per l’illustra- zione di essi ho preferito di attenermi all’ultimo espediente del tutto oggettivo, convinto come sono che negli studi di paleonto- logia, pei quali l’apprezzamento personale ha spesso tanta in- fluenza, giovi più una brutta fotografia che non un bel disegno. Gen. Rhynchonella Fisch. Rhynchonella Ximenesi Di Stef. (Tav. VI, fig. 1 a-d). 1881. Eh. Ximenesi Di Stefano. Ueber die Bracliiopoden des Unteroo- lithes voti Monte San Giuliano bei Trapani , Jahrb. der k. k. geolog. Reichsanstalt, Bd. XXXIV, H. 4, Wien, 1884, pag. 731, tav. XIV, lig. 1-4. 1898. » » Greco. Fauna della zona con Lioceras opalinum di Tossano in Calabria, Palaeontographia italica, voi. IV. Pisa, 1898, pag. 102, tav. Vili [I], fig. 14, 15. 1899. » » » Fossili oolitici del Monte Foraporta presso Lagonegro in Basilicata, Palaeontogr. ita- lica, voi. V, pag. 112, tav. XIII 1 1], fig. 4. Il Di Stefano ha tracciato per questa specie dei confini mor- fologici abbastanza vasti, ma gli esemplari oolitici inferiori del Montenegro meridionale, più ancora dei coevi di Rossano, cor- rispondono in masima parte alle forme tipiche del M. S. Giu- liano. L’autore della specie non assegna molta importanza alla apparente tripartizione longitudinale della valva ventrale pro- dotta dall’approfondirsi del seno fra le rilevate coste marginali, ritenendo tale carattere dipendente dall’età più o meno adulta dei singoli individui ; e siccome le rinconelle che riferisco alla Eh. Ximenesi presentano uno sviluppo intermedio fra quelle il- lustrate e descritte dal Di Stefano, anche il carattere della co- 288 A. MARTELLI sidetta tripartizione appare mediocremente spiccato e così pure solo nel campione più adulto rimane palese la prevalenza della larghezza sulla lunghezza. Ogni altro carattere, anche nei rari e mal conservati campioni di Cekanje, trova riscontro nella de- scrizione delle forme tipiche dell’oolite del M. S. Giuliano. La conchiglia è infatti a contorno subtriangolare ma arcuato alla fronte, più convessa nella valva imperforata che non nel- l’opposta e irraggiata da coste che in numero 16-18 vanno au- mentando in rilievo dalla regione apicdale alla fronte. In quegli esemplari della Xrajina nei quali il guscio è meno conservato, la regione mediana posteriore delle valve sembra addirittura non interessata dalle coste, mentre sull’impronta che si conserva nella roccia si vede bene la continuità delle coste fra l'apice e la fronte. Pure evidente è la divergenza delle coste laterali verso il margine dei fianchi. La valva ventrale è interessata per più di un terzo della sua superficie dal debole seno che si prolunga fino alla den- tellata commessura frontale a guisa di breve e ampia lingua percorsa da 6 coste e delimitata, negli individui più adulti, dal risalto delle coste laterali. Quella dorsale o imperforata finisce alla fronte con un poco sporgente ma ampio lobo in riscontro al seno della valva opposta. Il deltidio e il forame sono diffi- cilmente visibili; bumbone è arcuato e compresso. Sull’appiattita regione laterale posteriore, la dentellata linea di commessura fra le coste alterne corre piuttosto obliqua e diventa in seguito sinuosa ai margini laterali anteriori e arcuata alla fronte. In rapporto col lobo dorsale stanno necessariamente i minori inter- spazi di confine fra le coste mediane e quelle laterali, e quindi anche i più lunghi fianchi delle due coste che detto interspazio comprendono. Dimensioni : Diametro antero-posteriore (lunghezza) mm. 14,7 inni. 15,7 » margino laterale (larghezza) » 14,5 » 16,3 (?) » dorso-ventrale (spessore) » 9,4 » 9,7 Questa specie, nota nell’oolite inferiore del M. S. Giuliano, di Possano e del M. Foraporta, rimane ben distinta dalle congeneri giuresi più o meno antiche ed anche della Eli. Caroli Gemm. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 289 (confr. Sopra alcune faune yiuresi e lia siche della Sicilia, Pa- lermo 1872-82, pag. 423, tav. XXXI, fìg. 79-87) meno rigonfia e più regolare nella commessura frontale, con la quale rinconella, più che con ogni altra, potrebbe confrontarsi senza però identi- ficarsi. Col Greco ritengo anch’io che a questa stessa specie pos1- sano senz’altro riferirsi gli esemplari oolitici di Malga Cavai che Finkelstein ( TJeber eine Vorkornme.n der Opalinus Zone in westlichm Siid-Tirol, Zeitschr., Bd. XLI, pag. 75, tav. VII, fig. 11-16) descrisse come var. multicostata della Eh. Xinienesi per distinguerli dalla var: forticostata che deve invece rima- nere specie a sè ricollegandola con la tipica Eh. forticostata Bock (confr. Die yeoloyischen verhdltnisse dcs sùdlichen tlieilcs des Bakony , Jahrb. der k. ung. geol. Anstalt, Bd. III. Pest, 1874, pag. 165, tav. IV, fig. 1-3). In ogni modo rimane sempre evi- dente la restrizione di questa specie al Dogger inferiore. Rliychonella maleniaua Grec. (Tav. VI, tig. 2 a-d). 1898. Eh. Malenicina Greco. Fauna con Lioc. opal. di Boss. ecc. L. c., pag. 104, tav. Vili [1], tig. 16-18. 1989 » » » Fossil. oolit. del M. Foraporta , ecc. L. c., pag. 113. Nell’oolite della Krajina prevalgono le forme a coste spic- cate e poco numerose e sono rare quelle a coste fitte e sottili ; e fra queste ultime, insieme con scarsi frammenti, ho distinto un individuo riferibile alla presente speci'e che Greco ha trovato abbondantissima nei calcari rossi di Pietro Malena presso Ros- sano. Si tratta di una rinconella non molto rigonfia, subovale e ristretta all’apice, ugualmente convessa nelle due valve ed alquanto più lunga che larga. Dal piccolo, acuminato e poco sporgente apice che si arcua verso la valva imperforata, si di- partono serrate in una stretto fascio 20-24 coste semplici e poco spiccate, radiali nella parte mediana e divaricanti verso i mar- gini. Come caratteristica per questa specie venne affermata la mancanza di seno nella valva ventrale e di contrapposto lobo nella dorsale, cosicché la linea di commessura fittamente den- tellata per l’incastro alternato delle coste delle due valve, si G90 A. MARTELLI troverebbe sullo stesso piano. Ciò per altro non può asserirsi in modo assoluto, perchè sebbene nei campioni di Rossano come nel cpii descritto manchi un vero e proprio seno, pure questa valva finisce alla fronte con una leggera espansione, che, men- tre rinnova nella parte anteriore la curvatura della regione apiciale, sembra quasi troncare la valva opposta senza però determinare in essa risalti di sorta paragonabili ad un vero lobo, ma che nondimeno rende un poco arcuata la commessura frontale, costringendo ad una leggera inflessione anteriore il piano di contatto fra le valve. Del resto, questo fatto che il Greco stesso ebbe occasione di osservare su uno dei suoi esem- plari, deve essere più comune di quanto a prima vista non appaia, tanto più che anche nelle figure date per questa spe- cie, non sfugge ad una attenta osservazione la maggiore am- piezza frontale della valva perforata e quindi anche il lieve inarcamento della relativa commessura. Inoltre, anche la Eh. su- bobsoleta Dav. (confr. Suplement to thè british Jurassic and Triassic Brachiopoda , voi. IV, pag. 207, tav. XXVIII, fìg. 42) che, salvo un numero minore di coste, un meno acuto angolo apiciale e un umbone meno acuminato, ha molta analogia con questa forma tanto da sembrarne una varietà a coste più spic- cate e rade, presenta, per quanto non molto avvertibile, inarca- mento della sutura frontale che in altri individui da Davidson stesso (confr. toc. cit., fìg. 43 e 44) riuniti alla medesima spe- cie, dà luogo perfino ad una evidentissima asimmetria. A mal- grado però di questa osservazione tendente più che altro a meglio fissare i caratteri distintivi dì questa specie, l’autonomia della Eh. malenìana rimane incontrastata, come stabilita rimane pure la sua appartenenza al numeroso gruppo delle rinconelle a valve asimmetriche, che nella massima parte dei terreni oolitici con brachiopodi rappresentano un carattere faunistico allo stesso tempo comune ed interessante. Le dimensioni dell’esemplare in migliore stato di conserva- zione sono le seguenti : Diametro antero-posteriore mm. 14,5 » margi no-laterale » 13 » dorso- ventrale » 8,5 BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 291 11 rinvenimento di questa specie anche nel Dogger inferiore del M. Foraporta e le strette analogie morfologiche con le for- me oolitiche inferiori dell’Inghilterra, avvalorano sempre più le deduzioni cronologiche che sull’epoca di formazione dei calcari a brachiopodi della Krajina ho riportato nella breve introdu- zione a questa nota. Rhynchonella clesiana Leps. (Tav. VI, fig. 3 a-d, 4 a, b). 1878. Eh. Clesiana Lepsius. Das westliche Siid-Tirol, pag. 368, tav. VII, tig. 5-7. 1879. » » Meneghini. Fossili oolitici di Monte Pastello nella provincia di Verona. Atti della Soc. Tose, di Scienze Naturali, voi. IV, pag. 358, tav. XXII, fig. 1-5. 1880. » » Parona e Canavari. Brachiopodi oolitici di alarne località dell’Italia settentrionale. Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., voi. V, pag. 348, tav. XII, fig. 11. Fra le molteplici e variabilissime forme descritte sotto questa denominazione specifica dal Lepsius, quella illustrata al numero 5 corrisponde in ogni carattere a molte delle rin- conelle del calcare oolitico della Krajina, tanto che non esito ad identificare tali miei esemplari con la tipica JRh. clesiana , la quale per altro mostrò al Lepsius un grande numero di in- dividui con differenti modificazioni morfologiche dipendenti prin- cipalmente dalla variabilità dell’asimmetria frontale. Le rinco- nelle che Meneghini, Parona e Canavari hanno illustrato come Eh. clesiana nei su citati lavori, si scostano molto dalla forma tipica, ma siccome rientrano nell’ampia diagnosi che ne dette il Lepsius, così ritengo che gli esemplari descritti dai predetti autori possano più precisamente rappresentare uno stadio giova- nile di questa specie che io pure ebbi la ventura di trovare nell’oolite inferiore montenegrino. La conchiglia è arrotondata, con 14-15 coste, nelle forme adulte e 9-10 nelle giovani, spiccate e radiali sui due terzi esterni di ciascuna valva poiché invece che dall’apice si muo- vono dall’area liscia e semicircolare al disotto degli apici, i cui 292 A. MARTELLI lati divergono rettilinei con un angolo di circa 80° tino alla corrispondenza della metà altezza conchigliare, dove si verifica la massima misura margino-laterale uguale o di poco inferiore a quella antero-posteriore. La curva con la quale i margini si continuano nella fronte, sebbene alquanto irregolare, non altera molto il contorno piriforme della conchiglia. La valva perforata è un poco meno turgida dell’opposta e presenta una depressione mediana che s’inclina lievemente e si approfondisce verso la sinistra dell’osservatore, lasciando rilevato un piccolo lobo sul margine anteriore destro, al quale, nella valva opposta, corri- sponde una depressione che con un brusco salto segna la con- tinuazione del poco rilevato ma ampio lobo della valva dorsale. Cosicché orientando, come si deve, questi brachiopodi con la valva ventrale e perforata in basso, si constata una marcatis- sima asimmetria frontale col margine anteriore sinistro — rispetto all’osservatore — abbassato, e con una successiva sutura dentellata prodotta daH’incontro delle coste che interessano il seno della valva maggiore e il lobo della minore. L’apice sporge incurvato e appuntito sull’umbone della valva imperforata ed i suoi spigoli ottusi delimitano una grossa e netta falsa area. Il margine laterale posteriore della conchiglia è largo e poco convesso, e il margine cardinale della valva ventrale sporge alquanto sii quello dorsale. 11 piccolo forame è solo parzialmente circondato dalle lamine del deltidio, che è in gran parte ricoperto daH’umbone dorsale. Non è visibile nemmeno a forte ingrandimento la striatura concentrica della conchiglia della; quale il Meneghini ma non il Lepsius fa menzione. Dimensioni : (forme adulte) (forma junior Meneg. ?) Diametro antero-post. mm. 15,5 mm. 15,5 mm. 14,8 mm. 11,5 » margino-lat. » 15 » 14,2 » 13 » 10 » dorso-ventr. » 8,5 » 9 » 8,5 » 0,4 Anche dalla specie a questa più affine e rappresentata dalla Eh. Seganensis Par. et Can. della Croce di Segan in Val Te- BRACI-IIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 293 sino, la forma in parola rimane bene individualizzata oltre che per i differenti rapporti fra le varie dimensioni — presentando ordinariamente la Eh. Seganensis una prevalenza della larghezza sull’altezza — e per una diversa configurazione della fronte, an- che per la costante mancanza di coste nella regione apiciale. Questa specie abbonda nel Dogger inferiore di Malga Cles nel Monte Peller e nel medesimo orizzonte geologico venne pure osservata dal Lepsius in Val di Concei, al Capo S. Vigilio e in altre località colitiche inferiori del bacino del Garda come a settentrione di Riva e nei dintorni di Rovereto. Parona e Canavari citano con riserva la Eh. clesiana nei calcari gialli di Valdiporro veronese. Rli.vnclioiiella infirma Rothpl. (Tav. VI, fig. ba-d, tig. 6a, b). 1886. Rh. infirma Rothpletz. Geologiscli-palaeontologische Monographie der Vilser Alpen, mit besonderer Berucksichtigung der Bracliiopoden-Systematik. Palaeontographica, Bd. XXXIII, Stuttgart., 1886 87, pag. 149, tav. IX, fig. 14 ; tav. XI, fig. 6, 7, 10, 11. 1899. » » Greco. Part. Foss. oolit. del M. Forap. ecc. L. c. pag. 114, tav. XIII [1], fig. 8, 9. Le rinconelle cbe riferisco a questa specie sono abbastanza comuni nell’oolite della Krajina montenegrina, ma tutte, oltre al corrispondere alla poco rigorosa descrizione del Rothpletz, si identificano nei caratteri fondamentali con gli esemplari descritti e figurati da Greco come provenienti dal Dogger inferiore dei dintorni di Lagonegro, salvo però quelli analoghi alla figura 7 che ritengo dover rimanere distinti dagli altri. La conchiglia è subovale e alquanto meno larga delle ti- piche, con valve egualmente poco convesse e con commessura dentata, lateralmente subinflessa e inegualmente curvata ed asim- metrica alla fronte. La valva ventrale ha un apice sporgente non molto ricurvo ed un umbone appuntito; inoltre essa è an- teriormente espansa in modo alquanto irregolare e sebbene sulla valva opposta - convessa nella parte mediana e declinante ai lati e particolarmente a sinistra dell’osservatore — non si noti 94 A. MARTELLI traccia di lobo, pure la fronte della conchiglia presenta una debole ed irregolare ansa mediana di commessura. IJ numero delle coste sempre più sviluppate e marcate verso la periferia è di 14-17. Dimensioni : mm. mm. mm. mm. mm Diametro antero-posteriore 13,3 14 14,5 15 17 » margino-laterale 13 13 13,2 14 17 » dorso-ventrale 7,8 8 8 co od' 9 In complesso dunque, per la forma della conchiglia, per l’asim- metria delle valve e della commessura e per i caratteri dell’apice e delle coste, non si può obiettare l’appartenenza delle men- zionate rineonelle a questa interessante specie del Rothpletz. Dei miei esemplari così determinati non tutti sono completi e se si eccettuano quelli isolati per denudazione dalla roccia, tutti e particolarmente quelli isolati mediante la calcinazione, mancano di guscio e quindi nella parte apiciale presentano meno spic- cati i rilievi delle coste. Oltre la PJi. isotypus Gemm. (confr. Fauna del Calcare a Terebratula Janitor del Nord di Sicilia, parte III, pag. 23, tav. IV, fig. 8-10) che ha un numero maggiore di coste e che venne considerata come la derivata titoniana di questa, menti e mi sembrerebbe più esatto riconoscerne la discendenza dalla no- stra Eh. krajinensis , anche la Eh. prava Rotpl. si avvicina alla presente, rimanendone però distinta nei suoi individui più svi- luppati, per l’ irregolarità ancor più spiccata della fronte, e pel maggior spessore della conchiglia anche nella sua parte api- ciale. Mantenendo per questa specie gli ampi contini che a se- conda della vaga diagnosi del Rothpletz vengono a comprendere la Eh. infirma , le specie nuove più avanti descritte avrebbero dovuto riunirsi anch’esse a questa forma, se la frequenza con la quale si riscontrano in più individui le stesse anomalie della regione frontale, non togliesse ogni parvenza di variazione in- dividuale ai brachiopodi che con un largo criterio sistematico non si avrebbe ragione di escludere dalla presente specie, la BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 295 quale sembrerebbe comprendere molte delle forme più irrego- larmente incostanti delle rinconelle asimmetriche oolitiche. Questa, al pari delle altre illustrazioni delle faune fos- sili da me rinvenute nel Montenegro, oltre allo scopo paleon- tologico, ha quello principale di raggiungere dati sicuri per la determinazione più esatta possibile delle formazioni che dette faune comprendono, affinchè la conoscenza geologica della re- gione possa efficacemente avvantaggiarsi. Perciò tanto più forte è per me l’obbligo di usare criteri piuttosto severi per la deter- minazione delle specie, molto più che se nello studio delle faune brachiopodiche oolitiche si agisse altrimenti, si arrive- rebbe con facilità a riunire sotto la stessa denominazione spe- cifica la massima parte delle rinconelle asimmetriche e quel che poi è peggio, a non poter più distinguere una forma basica da una oolitica. Il Rothpletz cita questa specie come proveniente dal Dogger inferiore delle Rothen Steines presso Vils, e Greco da quello del M. Foraporta. Var. foraportiana Grec. (Tav. VI, fig. 7«-c). L’esemplare che Greco figura al numero 7 (confr. toc. cit., in sinonim.) come appartenente alla Eh. infirma , corrisponde con dimensioni maggiori a due che ho pure isolati dal calcare di Livari in Krajina e che ritengo debbano ulteriormente di- stinguersi dalle forme tipiche pel carattere della sinuosità fron- tale alta a sinistra e bassa a destra, e interrotta dal fianco obliquamente allungato della costa mediana. Siccome ho inoltre osservato che molti dei brachiopodi in esame presentano costan- temente una commessura frontale opposta alla predetta, e cioè bassa nella metà di sinistra e alta nella metà di destra insieme con altri caratteri che consentono l’istituzione di una specie a sè, non ho creduto di poter negare la dovuta importanza alle caratteristiche morfologiche della commessura frontale. Designo pertanto col nome di var: foraportiana questa forma che per avere a comune ogni altro carattere con la Eh. infirma non può costituire una specie autonoma. 296 A. MARTELLI Rhynclionella Yigilii Leps. var. erycina Di Stef. (Tav. VI, fig. 8 a-c). 1884. Bh. Erycina Di Stefano. Brachiop. dcs Unteroolith. ron Mon. S. Giul. ecc. L. c., pag. 730, tav. XIV, fig. 5-12. 1886. » » Rotlipletz. Monograph. der Viìser Alp. ecc. L. c., pag. 150, tav. XI, fig. 16-17. 1886. » Vigilii Vacek. Ueber die Fauna der (Joliihe von Cap. S. Vi- gilio. Abhandl. dei- k.k. geol.Reiehsanstalt, Bd.XII, N.° 3, pag. 60, tav. XX, fig. 16. 1888. » Erycina Finkelstein. Ber I.aubestein bei Hohen-Ascliau. Ein Beitrag sur Kenntnis der Brachiopodenfacies cles unter alpinen Boggers. Neues Jahrb. fur Min. Geol. und Palaeout., Bd. VI, pag. 103. 1889. » Vigilii Finkelstein. Ueber eine Vorkommen der Opalinus Zone in ivestlichen Sud-Tirol. Zeitschr. der deutsch. geol Gesellschaft, Bd. XLI, pag. 71. 1892. » » Bòse und Finkelstein. Bie mitteljurassischen Bra- cliiopoden- Schichten bei Castel Tesino ini òstlielien Sud- Tirai. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., Bd. 44, pag. 296. 1893. » » Botto-Micca. Fossili degli strati con Line, opalinum et Ludw. Murehisonae della Croce di Valpore (Monte Grapa). Boll, della Soc. geol. It , voi. XII, pag. 185. 1896. » » var. Erycina Greco. Sulla presenza della Oolite in- feriore nelle vicinanze di Bossano Calabro. Atti della Soc. Tose, di Se Nat. Adunanza 3 Marzo 1895, pag. 233. 1898. » » var .Erycina Greco. Fauna con Lioc. opal. di Boss. ecc. L. c., pag. 101, tav. Vili [1], fig. 12-13. Gli esemplari di differenti dimensioni che riferisco a que- sta specie sono tutti, eccetto uno, poco ben conservati. La con- chiglia .è asimmetrica, più lunga che larga, munita di 14-16 coste che dagli apici arrivano con crescente sviluppo fino alla fronte. Le valve sono ugualmente convesse ma nell'esemplare completo che di questa specie posseggo non è molto spiccato il carattere del rimarchevole rigonfiamento della conchiglia, più evidente nei miei campioni incompleti alla fronte ma non di dubbia determinazione per binarcamento della linea cardinale, BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 297 per l’apice di media grossezza, appuntito, poco elevato e prov- visto di margini ottusi, per le due placche triangolari del del- tidio comprendente il forame ovale, e pel solco mediano pro- dotto dal seno nella valva perforata. Il seno s’inizia sulla metà posteriore della valva ventrale e si approfondisce sempre più approssimandosi alla fronte dove appare alquanto spostato dalla linea mediana, rendendo così asimmetrica la conchiglia che, anche negli esemplari del Di Ste- fano, passa da un contorno piriforme regolare ad uno trasver- salmente allargato. Al seno ventrale, il cui solco si affonda fra le rilevate parti laterali anteriori, corrisponde un lobo mediano frontale nella valva imperforata. Oltre all’asimmetria comune per le forme adulte di questa specie, per la varietà eryeina alla quale i miei esemplari corrispondono, è caratteristica la presenza di 2-3 coste nel seno e 3-4 sul lobo. Pai campione meglio conservato si hanno le seguenti di- mensioni : Diametro antero-posteriore .... min. 17,6 » margino-laterale .... » 15,3 » dorso-ventrale » 8,6 Ampiezza del seno alla fronte . . » 5,5 Per la mancanza di un criterio rigorosamente definito come guida alle determinazioni delle variabili forme di brachiopodi, taluni autori, quasi confondendo il concetto di specie con quello di individuo, hanno contradistinto con nomi specifici differenti forme, le quali — particolarmente nel caso delle rinconelle giu- resi - — rappresentavano tutt’al più un’incostante variazione in- dividuale, mentre altri, seguendo criteri molto più vasti e senza incorrere nell’eccesso opposto, hanno potuto riunire, come nel caso presente, sotto la comune denominazione di Rii. Vigilii forme diverse, quali fra loro apparirebbero quelle illustrate dal Lepsius e dal Vacek. Porse nessun’altra rinconella colitica asim- metrica più della Rh. Vigiliì ha mostrato variazioni specifiche ben manifeste quantunque appariscano tra di loro collegate da graduati passaggi, e per questo con molta opportunità il Vacek mettendo convenientemente in evidenza la graduale variante data principalmente dal progressivo aumento da 1 a 4 coste 21 298 A. MARTELLI nel solco del seno, venne a concludere inoltre che anche la Eli. Erycina Di Stef. rappresentando una varietà asimmetrica della tipica Eh. Vigilii, non se ne sarebbe potuta specifica- mente disgiungere, sebbene le differenze morfologiche che que- sta specie viene nello stesso tempo ad assumere in località lon- tane non siano prive di valore per contradistinguere ulterior- mente questa rinconella oolitica del Monte S. Giuliano da quella sincrona del Capo S. Vigilio. Ciò ammise pure Greco conside- rando appuntò ìa Eli. Erycina come una varietà della Eh. li- gi Hi. Non credo però che le idee del Vacek possano condivi- dersi oltre questo punto, giacché l’ammettere, sia pure come ter- mine finale della serie di variazioni della Eh. Vigilii. anche la Eh. Ximenesi Di Stef., che fra le congeneri oolitiche è delle meno irregolari e morfologicamente delle più individualizzate, equivarrebbe a riunire in una sola specie tutte le riuconelle costate e percorse da un seno mediano senza tener conto di altri caratteri essenziali quali potrebbero essere il contorno e la conves- sità delle valve, la sutura frontale e le caratteristiche apiciali. Forme riferibili a questa varietà citano pure Finkelstein e Bòse nel Dogger del Tirolo meridionale, mentre non apparisce dalla relativa descrizione che fra le forme descritte dal De Gre- gorio {Monog raph ie des Fossiles de S. Vigilio, Annales de Géol. et de Paléont., livr. 5, pag. 24. Palermo, 1886) esistano varietà corrispondenti a questa che Greco isolò dai calcari rossi con crinoidi di Pietro Malena, e che io ebbi la ventura di osservare nell’oolite del versante scutarino del Kumija. Rliynchonella Szainockae Di Stef. (Tav. VI, fig. 9 a-cl). 1884. Eh. Szainoclae Di Stefano. Sui brachiopodi della zona con P. al- pina di M. Ucina presso Galati. Giornale di Sc.nat.ed econ. di Palermo, voi. XVII, pag. 13, tav. 1, fig. 18-27. 1895. » » Greco. Oolite inf. di Eossano ecc. L. c., pag. 233. 1898. » » Greco. Fauna con Lioc. opal. di Eoss. ecc. L. c., pag. 100, tav. Vili [1], fig. 7-8. Fra i numerosi brachiopodi esaminati, quelli che raggruppo in questa specie sono pochissimi, ma in compenso presentano BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 299 abbastanza evidenti i principali caratteri distintivi, così che la loro determinazione non lascia incertezze. La conchiglia è subtriangolare, a coste fitte e poco rigonfia, e oltre alla prevalenza del diametro antero-posteriore su quello margino-Iaterale, mostra un angolo apiciale acuto ed una fronte arcuata, ordinariamente asimmetrica e con commessure dentate e sinuose, essendo i più dei miei esemplari lievemente bilobi. La valva imperforata è meno convessa e più regolare della ventrale perforata, la quale termina posteriormente con un apice appuntito, un poco adunco e delimitato ai lati da margini ot- tusi. Il deltidio e il forame sono molto ridotti; la commessura delle valve, salvo leggere inflessioni nella metà posteriore della conchiglia, si prolunga diritta pur apparendo dentata all’incon- tro delle coste in quella laterale anteriore, ma diventa meno sinuosa in corrispondenza dei piccoli lobi a fianco dell’irrego- lare seno della valva ventrale, che rende appunto asimmetrica questa forma, interessandone maggiormente la metà a sinistra dell’osservatore che non la destra. L’accennata asimmetria fron- tale esiste, sebbene poco spiccata, in questi pochi esemplari così determinati, e solamente quando questa si riduce ad un seno poco o punto avvertibile, la conchiglia assume un aspetto apparentemente simmetrico. Anche le rinconelle di questa spe- cie osservate da Greco nell’oolite inferiore di Rossano presen- tano alquanto irregolare la commessura frontale. Le coste che alternate si incastrano alla fronte e sui lati sono in numero di 16-17. Dalla loro poco palese origine al- l’apice, si biforcano sovente e sempre più spiccate divergendo verso i margini e correndo più diritte nella regione mediana. Le dimensioni equivalgono a quelle degli esemplari figurati dal Di Stefano ai numeri 21 e 22 e di quelli studiati da Greco. Il Di Stefano ha ampiamente trattato dei confronti fra que- sta e le specie affini. A me, notando la rarità e la più spic- cata e costante asimmetria delle forme in parola, non resta che osservare come esse sembrino preludere, tanto in questo livello oolitico montenegrino quanto in quello di Rossano, alla minore irregolarità e maggiore sviluppo ebe mostrano raggiun- gere nella zona a Posici, alpina. 300 A. MARTELLI Rhynclionella Wahneri Di Stef. (Tav. VI, tig. 10a-c). 1881. Uh. Vàhneri Di Stefano. JBrachiop. des Unteroólitli. von Moni. S. Giul. ecc. L. c., pag. 734, tav. XIV, fig. 16; tav. XV, fig. 1-7. Finkelstein. Uer Opalinus Zone in westlich. Siid- Tirol. L. c., pag. 72. Greco. Oolite inf. di diossano. L. c., pag. 233. » Fauna coti Lioc. optai, di Boss. L. c., pag. 101, tav. Vili [1], lig. 9—11. » Sulla presenza del Dogger inferiore al Monte Foraporta presso Lagonegro. Boll, della Soc. Geol. It., voi. XVIII, pag. 68. » Foss. oolit. del M. Foraporta ecc. L. c., pag. Ili, tav. XIII [1], fig. 1-2. Riferisco a questa specie un esemplare che corrisponde alla descrizione e alle figure che per la Uh. Vaimeri della serie con 4-10 coste forti, acute e semplici, ha dato il Di Stefano illustrando i brachiopodi del Dogger di M. S. Giuliano. La conchiglia è piuttosto tozza, altrettanto larga quanto lunga e misura nel mezzo il massimo spessore. La valva ven- trale posteriormente ricurva è alquanto più rigonfia della dor- sale, ed è interessata da un largo ma poco profondo seno fron- tale corrispondente nella valva opposta ad un piccolo lobo ben manifesto nel rialzamento dell’orlo frontale. L’apice è acuto e piccolo, ed indistinto nello stretto deltidio è il forame. L’unione delle valve avviene con un’arcuata linea cardinale sotto l’ottuso umbone della valva imperforata e si prolunga leg- germente ondulata sui fianchi e sinuata alla fronte. Adornano la conchiglia da 8 a 9 coste semplici sempre più forti e spic- cate dall’apice donde si dipartono, fino alla fronte. Dimensioni : Diametro antero-posteriore . . . mm. 9,4 » margino-laterale ...» 9 dorso-ventrale .... » 6 1889. » » 1895. » » 1898. » » 1899. » » 1899. » » » BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 301 Il Di Stefano, a seconda degli ornamenti delle valve, di- stinse nella specie siciliana due serie di forme e cioè, forme con 12-16 coste sottili, poco spiccate e talora anche biforcan- tisi, e forme con 4-10 coste robustamente sviluppate, acute e semplici. Il campione descritto e isolato per denudazione dal calcare oolitico di Cekanje fra la Bukovica e il Dolo Brdo ad oriente di Njegusi, appartiene precisamente a quest’ultima serie, che, in considerazione della costanza dei caratteri esterni mo- strata dai numerosi individui in differenti stadii di sviluppo e ritrovati non solo nell’oolite inferiore del Monte S. Giuliano, ma anche del Monte Foraporta e nei dintorni di Rossano calabro, ritengo a ragione debba comprendere i tipici individui di Eh. WdnJieri. Il Di Stefano constatando che per ogni altro carat- tere le due serie si corrispondono, non ha creduto di potere assegnare ad esse un nome specifico differente, e se realmente la comunanza dei caratteri fondamentali sconsiglia tale divi- sione, pure, la costanza del numero maggiore di coste in indi- vidui che alle forme con 4-10 coste si associano non solo nella classica località di rinvenimento del Monte S. Giuliano, ma an- che in altre assai distanti fra di loro come nell’oolite della Ca- labria, della Basilicata, del Tirolo e del Montenegro, richiede, se non altro per esigenze di sistematica paleontologica, che dalla Eh. WdJinéri tipica rimangano distinte come varietà le forme che con un maggior numero di coste e con un contorno più slanciato posteriormente, accennano all’evoluzione di questa spe- cie verso la Eh. Sminockae Di Stef., la quale comincia a com- parire nella zona giurese del Lioceras Opalinam per raggiungere il suo massimo sviluppo in quella con Pos. alpina. Var. multicostata Di Stef. (Tav. VI, fig. 11). Per le surriportate considerazioni assegno il nome di va- rietà multicostata alle forme di Eh. Wdhneri che Di Stefano raggruppò nella serie con 12-16 coste sottili, poco spiccate e spesso biforcate e che illustrò nella surriferita opera alla tav. XIV, fig. 16, e alla tav. XV, fig. 5, 6. 302 A. MARTELLI Ascrivo quindi a questa varietà due piccoli individui isolati per degradazione superficiale dello stesso calcare oolitico di Ceka- nje nel quale rinvenni la forma tipo, da cui si distinguono non solo per i noti caratteri del maggior numero di coste e di una più angolosamente ristretta parte apiciale, ma anche per uno spessore relativamente minore, se pure questo carattere insieme con la poca o punta rimarcabilità del seno nella valva perfo- rata, appena accennato da una lievissima inflessione dell’orlo frontale, non dipende dall’età giovanile degli individui da me raccolti. Dimensioni : Diametro antero-posteriore rum. 5,5 » margino-laterale » 5,2 » dorso- ventrale » 2,5 Tanto la forma tipica quanto questa varietà di Rii. Wdhneri sono piuttosto rare nell’oolite inferiore del Montenegro, cosic- ché fra i numerosissimi brachiopodi coevi della Krajina non ebbi la ventura di ritrovarne alcuno identificabile con questa specie. Rhynclionella scutariua sp. nov. (Tav. VI, fig. 12 a-d, Yòa-d). Conchiglia a contorno subtìabelliforme, anteriormente asim- metrica, quasi altrettanto lunga quanto larga, a valve lieve- mente convesse, col massimo spessore a metà dell’altezza e for- temente costata. La valva perforata con un angolo apiciale di circa 90°, pro- lunga i suoi margini posteriori fino in corrispondenza della metà altezza, oltre il qual limite il contorno anteriore della conchi- glia, resa asimmetrica dall’irregolare commessura frontale, di- viene circolare. Tale valva maggiore, perforata o ventrale che dir si voglia, è percorsa medianamente da un leggero seno che nei pressi della fronte e a destra dell’osservatore subito diviene, marcato, per quindi lentamente diminuire verso sinistra dove la commessura frontale, in opposizione al rapido salto che delimita BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 308 il solco, risale grado grado verso il margine laterale sinistro lasciando indistinto il limite del seno, giacché nella valva ven- trale le parti laterali invece di rimanere rilevate si flettono am- piamente arcuandosi verso il largo e convesso fianco posteriore della conchiglia. L’apice ventrale è di media grossezza, acumi- nato. ricurvo, con margini laterali arrotondati e negli esemplari meglio conservati mostra abbastanza visibili le placche dentali. La valva imperforata è ordinariamente poco convessa, sem- pre meno gibbosa della ventrale e con apice ottuso e poco svi- luppato. Il lobo che nella valva dorsale si contrappone al seno della perforata, rimane bene spiccato solo nel lato sinistro del- l’osservatore in conseguenza del repentino distacco fra le due porzioni inegualmente alte della conchiglia. Forame piccolo, mal distinto; deltidio stretto e alto. Linea cardinale arcuata sotto l’apice, obliqua posteriormente e irregolarmente seghettata ai fianchi. Alla fronte, la più in- terna delle coste, le quali sul margine sinistro rispetto all’osser- vatore — posando la conchiglia sulla valva perforata — si vol- gono in basso, mediante un più lungo sviluppo del fianco comune alla costa successiva, delimita il lobo; quindi, rincon- tro alternato delle coste segue poi, per i rimanenti tre quarti della conchiglia, una linea di commessura declinante verso destra. La superficie è ornata con 16-20 coste rudimentali nella parte postero-laterale e forti ed angolose nel resto della con- chiglia; e quest’ultime appunto originandosi indistintamente dalla regione apiciale raggiungono direttamente il margine nella porzione mediana, mentre quelle laterali si flettono alquanto verso l’esterno. In complesso dunque, dividendo la conchiglia in quattro parti longitudinali, si constata che il quarto mediano di sinistra e i due quarti di destra, hanno coste che si connet- tono su un piano regolarmente inclinato verso destra, dove le coste più basse si riuniscono allo stesso livello delle laterali di sinistra, separate con un brusco salto dalle rimanenti. La struttura della conchiglia risparmiata dalla calcinazione si presenta fibrosa. Poco spiccate sono le zone concentriche d’ac- crescimento. 301 A. MARTELLI Dimensioni : mm. mm. mm. Diametro antero-posteriore . . 13,4 15 16 » margino-latcrale . . 13,5 15 16,4 » dorso-ventrale. . . . 8,1 8,7 9,1 In confronto con la specie, la Rh. Ximenesi si distingue per un minor numero di coste, per la frequente tripartizione della conchiglia che ad ogni modo rimane sempre caratterizzata dalla presenza di un seno più o meno marcato. Inoltre, anche nelle forme nelle quali è meno manifesto il solco mediano, la Rh. Xi- menesi presenta un’asimmetria nella commessura frontale di- versa da quella della specie ora descritta. La Rh. desiano, malgrado le sue numerose variabilità individuali, si differen- zia bene dalla presente specie non tanto pel minor numero di coste e pel differente contorno, quanto per le notevoli irre- golarità della conchiglia, del seno sempre esistente e ordina- riamente spostato verso i lati anteriori delle valve, la cui com- messura alla fronte è assai più sinuosa, ondulata e irregolare che non nella Rh. scutarina. Ciò vale per distinguere la spe- cie in questione dalle più affini ritrovate nello stesso calcare, e se dovessimo stabilire un confronto con altre forme mor- fologicamente vicine e non rinvenute ancora nei giacimenti ooli- tici montenegrini, dovremmo tener conto della Rh. Zugmayeri Gemm. (confr. Gemmellaro, Sui fossili del calcare cristallino delle montagne del Casale e di Beilampo. Sopra alcune faune giu- resi e liasiche della Sicilia , pag. 420, tav. XXI, fig. 50-06) la quale per altro si distingue dalla nostra pel suo minor nu- mero di coste, pel suo contorno più allungato e ovale, per la mancanza di campi concavi sulla linea cardino-laterale e per l’asimmetria frontale dipendente dal l’abbassamento di tutta in- tera la metà dell’orlo frontale di sinistra rispetto a quella de- stra, mentre nella nostra specie tale abbassamento si riscontra solo al termine delle coste del quarto estremo di sinistra. Gi esemplari qui descritti provengono tutti dal calcare a braehiopodi della Krajina. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 305 Rhynchouella rubrisaxensis Rothpl. var. crassico, stata Rothpl. (Tav. VI, fig. 14). 1886. Eh rubrisaxensis Rothpletz. Monogr. der Vilser Alp. L c., pag. 151, tav. X, fig. 15. In base soltanto a valve isolate cito questa forma nel cal- care a brachiopodi della Krajina, poiché i caratteri della con- chiglia sono così peculiari e le corrispondenze con gli esem- plari illustrati dal Rothpletz così manifeste da autorizzare la presente determinazione. Com’è noto, la forma tipica presenta numerose e forti co- ste; manca di seno mediano e di lobo frontale, essendo quasi retta anteriormente; ha un apice breve, spesso e poco incur- vato, valve quasi ugualmente convesse con commessure laterali subinflesse e di rado curvate alla fronte ed infine un apparato settale regolare e con piccole crure raduliformi. Trattandosi di una specie con caratteri così semplici e rappresentata nell’oolite inferiore dell'Alpe di Vils da numerosissimi individui, il Rothpletz disgiunse dal tipo non pochi esemplari con lievi ma costanti variazioni morfologiche esterne distinguendo le varietà elongata, rectifrons, multicostata e crassicostata. A quest’ultima appunto caratterizzata da coste più grosse, più sviluppate, ma meno nu- merose (10-12) della forma tipica, ritengo debbansi riferire gli incompleti campioni in esame, malgrado che con 20-22 nini, di lunghezza non raggiungano le dimensioni dei più sviluppati esemplari di Rothen Stein. Ilhynchonella krajinensis sp. nov. (Tav. VI, fig. 15 a-c, 1 Ga-d, 17 a-c, 18.a-d, 19 a-d, 20 a-c, 21 a-d, 22 a-d). Conchiglia a forma di triangolo sferico inequilaterale, per solito un poco più lunga che larga e di rado con la, lunghezza pari all’altezza. L’angolo varia fra 85° e 95° e con esso varia pure in conseguenza non solo l’aspetto più o meno piriforme della conchiglia, ma anche la sua larghezza, poiché questa ac- cenna ad accrescere col valore dell’angolo apiciale. 306 A. MARTELLI La specie non è molto rigonfia ed anche nel suo spessore è variabile assai. Le valve sono quasi ugualmente convesse ma dif- feriscono fra loro perchè quella perforata o ventrale ha il mas- simo spessore presso la regione apiciale, mentre l’opposta im- perforata, quantunque per lo più pianeggiante, raggiunge nel mezzo la sua massima convessità. Le coste che in numero di 12-16 adornano la conchiglia, sono semplici e, diritte nel mezzo e alquanto divaricanti ai fianchi, vanno crescendo di sviluppo e rilievo dalla parte po- steriore — dove sono spesso mal distinguibili — all’anteriore delle valve; ed anzi a questo proposito devesi osservare che le coste nella parte apiciale della valva ventrale sono poco o punto distinte, e che spesso, particolarmente nei modelli interni, le coste della valva dorsale sembrano addirittura muoversi dalla zona semicircolare posteriore, presentando cosi il carattere che gli autori posero in rilievo per la Rii. desiano,. Le valve non presentano seno nè lobo fronto-mediano, ma hanno invece la parte anteriore reciprocamente spostata nel senso longitudinale, così che nella regione frontale una metà della dentellata sutura è più alta dell’altra. Nella normale orien- tazione della conchiglia, e cioè con la valva perforata in basso, i numerosi e asimmetrici esemplari raggruppati in questa specie mostrano costantemente abbassata la metà di sinistra rispetto all’osservatore. Lo spostamento di una metà della fronte rispetto all’altra, segnato dallo sviluppo anormale del fianco comune alle due coste mediane ed opposte della conchiglia, aumenta sensi- bilmente con la grandezza dei singoli individui e quasi sempre corrisponde al doppio dell’altezza che le coste mediane e adia- centi a tale linea di spostamento misurano alla fronte. La linea di commessura latero-posteriore è appena inflessa. L’apice è corto, modicamente arcuato e con margini arro- tondati. Il deltidio è ridottissimo e quasi impercettibile è il forame aperto fra la sommità del deltidio e dell’apice appena sporgente sulla linea cardinale. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 307 Dimensioni di taluni esemplari: Diametro Diametro Diametro antero-posteriore margino- laterale dorso-ventrale min. mm. mm. a 12 11 6 12,2 11,4 6,4 c 13 13 6,9 13,5 12,5 7,6 e 13,8 13,5 7,6 14 13,8 8,2 9 15 14 9,5 h 16? 16 10 i 18? 18 9,5 Pel carattere della sutura frontale, questa specie rientra nella serie delle rinconelle asimmetriche per bipartizione della fronte. Gemmellaro (') e Di Stefano (2) illustrano la Eh. Zugmayeri Gemm. che presenta analoga asimmetria a quella della nostra Eh. kràjinensis, rimanendone però ben distinta per la maggiore globosità della conchiglia, per le coste più numerose e per la presenza di un seno e di corrispondente lobo più o meno svi- luppati. La Eh. isotypus Gemm. (3) si differenzia pure assai fa- cilmente dalla nostra non solo per le dimensioni costantemente più grandi e per le molto più numerose e sviluppate coste, ma anche per avere estesa la bipartizione frontale a tutta la parte anteriore della conchiglia. (?) Gemmellaro G., Sopra alcune faune gvùresi e liasiche della Sicilia. Sui fossili del cale, cristal. delle Mont. di Casale e Bellampo in prov. di Palermo. Palermo, 1878, pag. 420, tav. XXI, fig. 50-60. (2) Di Stefano G., Il Lias medio di. M. San Giuliano (Erice) presso Trapani. Atti dell’Accad. Gioenia di Se. Nat. in Catania, voi. Ili, Ser. 4a. Anno 1891, pag. 103, tav. Ili, fig. 18. (3) Gemmellaro G., Studi paleont. sulla fauna del calcare a Ter. Jani- tor del Nord di Sicilia. Parte III, Palermo, 1871, pag. 23, tav. IV, fig. 8-10. 308 A. MARTELLI Siccome è costante l’abbassamento della metà di sinistra su quella destra rispetto all’osservatore, non credo che possano in- generarsi confusioni fra questa specie e la Eli. infirma Rothpl., la quale alla fronte tutt’al più presenta abbassate soltanto le estreme coste laterali rispetto alle altre e non le mediane, co- sicché se a distinguere le due specie non fossero sufficienti le differenze derivanti dal diverso sviluppo, dall’apice, dal numero delle coste e dalla commessura frontale arcuata, la bipartizione a un quarto invece che a metà o ad un terzo della fronte po- trebbe ancora costituire un buon carattere distintivo. Fra tutte le rinconelle mesozoiche descritte e figurate dal Davidson, la nostra specie si approssima, senza però identifi- carvisi, alla globosa Eli. subobsoleta Dav. dell’oolite inferiore dell’Inghilterra ('). Var. discalarifrons nov. (Tav. VI, fi g. 23 a-c, 24 a-c, 2ba,b, 2 6«-c). Distinguo dalla Eh. hrajinensis tipo, numerosi esemplari, i quali per presentare costantemente in individui di differenti di- mensioni sia più sviluppati quei caratteri propri della specie, sia una rimarcabilissima variante morfologica nella sutura fron- tale, debbono considerarsi come una vera e propria varietà della forma più di ogni altra comune nel calcare a brachiopodi della Krajina. Distinguendo nella Eh. hrajinensis una varietà e un tipo, si possono sempre facilmente aggregare all’uno o all’altro gruppo gli esemplari numerosissimi sotto tal nome specifico de- terminati; e d’altra parte non saprei indicare argomenti mor- fologici bastanti per distinguere come specie a sè queste rinco- nelle, le quali a prima vista potrebbero rappresentare un termine di passaggio fra detta Eli. hrajinensis e la Eli. infirma , se la loro conchiglia nel carattere delle coste e della forma in ge- nerale non si scostasse da quest’ultima per collegarsi con la prima. (‘) Davidson Th., A Monograpli of British fossil Brachiopoda. Sup- plement to thè British Jurassic and Triassic Brachiopoda. (Voi. IV). London, 1874-1882, pag. 207, tav. XXVIII, fig. 43. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 309 Questa varietà è costituita da esemplari che raggiungono dimensioni superiori a quelle del tipo e che presentano molto più spiccate, angolose e forti le 14-1 G coste, le quali adornano la conchiglia rinnovando spesso il carattere da prima notato per la Eh. desiami. Ma ciò che ritengo debba giustificare la distinzione di questa varietà è la sutura frontale la quale pure essendo abbassata nella metà e più spesso ancora nel terzo di sinistra rispetto all’altra parte della fronte che si continua li- neare invece che arcuata — come avviene negli esemplari più asimmetrici della Eh. infirma — - presenta il dislivello frontale prodotto non semplicemente da un maggiore sviluppo del fianco co- mune alle due coste opposte e mediane, ma sibbene dal ripe- tersi per due volte di questo fatto, in modo che lo spostamento di tale commessura viene accusato da due successivi gradini in- vece che da uno solo. Per questa ragione, il dislivello fra le due ali della fronte è in questa varietà doppio che non nel tipo. È per altro da notare che i due successivi gradini sono prodotti dal prolungamento dei lati comuni alle coste mediane anteriori di sinistra, cosicché lo spostamento delle due parti della commessura s’inizia non precisamente a metà della fronte, ma per lo più una o due coste più a sinistra della mediana. Dimensioni di taluni esemplari: mm. mm. mm. mm. Diametro antero-posteriore . . . . 14 15 15,5 17 » margino-laterale . . . 13 14,5 14 16,5 » dorso-ventrale. . . , . . 8,5 8,5 9 9,7 Questa forma potrebbe confondersi con la Eh. desùma che è però molto più irregolare nel suo contorno piriforme e sem- pre differenziabile, presentando traccia di seno e sutura frontale arcuata invece che rettilinea e senza doppio salto nella com- messura anteriore delle valve. Qualche rara rinconella presenta nel complesso i caratteri distintivi di questa specie e pure accennando a variazioni sia per lo spessore, sia per la forte e anormale bipartizione della fronte, non ho creduto di considerarla a parte, sembrandomi trattarsi semplicemente di isolate varianti individuali. 310 A. MARTELLI Le forme di questa specie sono le più riccamente rappre- sentate nel calcare con brachiopodi di Livari e Iftijani nella Krajina. Rhynclionella confr. prava Rothpl. (Tav. VI, fig. 21a-d). Riferisco con riserva a questa specie più esemplari, i quali, isolati dal calcare a brachiopodi della Krajina, per non essere completi non mi consentono una determinazione sicura. Se i caratteri della fronte fossero stati conservati per intero, con tutta probabilità avrei potuto dare per certa l’esistenza di que- sta specie nell’oolite montenegrino, giacché se non si trattasse di una forma asimmetrica per la determinazione della quale si richiede l’esame di tutta la commessura frontale, i caratteri vi- sibili sarebbero stati più che sufficienti per il riconoscimento specifico. La conchiglia mostrasi infatti subglobosa, fittamente e completamente costata, munita di valve inegualmente con- vesse — essendo la maggiore, caratterizzata da un notevole e pro- minente sviluppo triangolare della sua parte frontale, meno ri- gonfia dell’opposta imperforata — di un apice massiccio, breve e poco incurvato, e priva di seno mediano e di spiccato lobo frontale. Altre corrispondenze morfologiche si hanno pure nella commessura fortemente dentata, appena inflessa ai lati e am- piamente arcuata in alto alla fronte; nell’appiattimento e svi- luppo delle aree postero-laterali; neH’abbastauza regolare emi- sfericità della valva dorsale; e finalmente nel carattere delle 16-20 coste sempre più robuste e spiccate dagli amboni alla fortemente dentata commessura frontale. Le dimensioni prevalenti sono: 14,5-16,5 mm. per l’altezza ; 14-16,5 per la larghezza e 10-13 per lo spessore. La Rii. concinna Sow. nella sua varietà badensis Opp. del Batoniano tirolese, ha pure molta analogia con le forme delle quali tengo parola, ma se ne distingue pel suo contorno piut- tosto circolare anziché flabelliforme, per la minor differenza di convessità fra le due valve e per la minore robustezza delle sue più numerose coste, riunite in una commessura frontale ap- pena arcuata e debolmente dentata. In complesso dunque, nè BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 311 fra i fossili di S. Vigilio studiati dal Vacek e dal De Gregorio (confr. Annales de Géol. et Paléont., livr. 5) nè fra quelli di al- tre località classiche dell’oolite inferiore o del Giura-lias in ge- nerale si hanno rinconelle che più della Rii. prava — citata dal Rothpletz ( Monogr . cler Vilser Alpen ., 1. c., pag. 148, tav. XI, fig. 1, 3, 5, 6, 13) nel Dogger inferiore delle Rotlien Steines presso Vils in Tirolo — presentino strette analogie con queste che ho con riserva così determinate. RJijnclionella sp. Oltre alle precedenti forme di Rhynclionella altre ancora dovrebbero citarsi particolarmente nel calcare a brachiopodi della Krajina, se lo stato della loro conservazione e la mal riuscita semicalcinazione non lo impedisse. Difficile è infatti di poter menzionare anche con riserva qualche specie alla quale possano con probabilità corrispondere gli individui incompleti in prevalenza rigonfi, con numerose e forti coste, da me no- tati nell’abbondante materiale raccolto. Si tratta di forme e valve isolate che assomigliano a talune di quelle citate dal Rothpletz nel Dogger inferiore del Tirolo, ma non essendo pos- sibile di dedurre da semplici frammenti i caratteri dell’asim- metria, debbo solo limitarmi ad accennare all’esistenza di rinco- nelle specificamente indeterminate, tanto per dare un’idea meno incompleta sulla fauna in esame. Gen. Teeebratula Klein. Terebiatula pectorosa Roth. (Tav. VI, fig. 28a-c). 1886. T. pectorosa Rothpletz. Monograph. der Vilser Alp. L. c., pag. 112, tav. V, fig. 14; tav. Vili, fig. 4. Sono riferibili a questa specie taluni esemplari che corri- spondono alle forme più sviluppate illustrate dal Rothpletz. Conchiglia biconvessa appena più lunga che larga, arroton- data anteriormente e con angolo apiciale di poco superiore al retto. La sola lieve differenza che con la forma tipo hanno gli 312 A. MARTELLI esemplari montenegrini è data da una appena sensibile ridu- zione di spessore nella valva dorsale, che apparisce quindi un po’ meno convessa di quella perforata, la quale in corrispon- denza della zona apiciale mostrasi lievemente gibbosa come negli esemplari di Yils. In complesso dunque, anche di fianco, le corrispondenze morfologiche di questi esemplari con la specie tipo sono evidentissime. La commessura della valva è un poco inflessa sotto l’ottuso apice, mediamente sviluppato e subcare- nato ai lati, diretta ai fianchi e appena sinuata alla fronte. Il massimo spessore si ha in corrispondenza della linea di massima larghezza e dalla loro zona mediana posteriore le valve declinano regolarmente verso gli acuti margini conchigliari. La mal conservata sommità apiciale non consente di deter- minare con esattezza le dimensioni del piccolo forame. Anche per gli interni caratteri della conchiglia, parzial- mente visibili, viene confermata l’esattezza di questa determina- zione. Le dimensioni deH’esemplare in migliore stato di conserva- zione sono le seguenti: Diametro antero-posteriore nini. 19,5 » margino-laterale » 19 » dorso- ventrale » 10 Per il complesso dei caratteri esterni questa specie si con- fonde con la Zeilleria Tppolitae Di Stef. ed anzi addirittura sem- brerebbe identificabile con l’esemplare illustrato alla tav. XY, fig. 12 del lavoro Ueber die Bracìtiopoden drs Unteroolithes von il/. San Giuliano, se la mancanza del setto mediano caratteri- stico del gen. Valdhcimia e del suo sottogenere Zeilleria, e /ap- parato brachiale proprio delle Terebratulae non mettesse in guardia contro tale erronea determinazione. Ho soltanto ritrovata questa forma neH’oolite della Krajina. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 313 Terebratula Salvatoris Grec. 1898. T. Salvatoris Greco. Fauna con Lioc. opal. di Bossano, ecc. L. c., pag. 106, tav. Vili [1], lig. 23, 24. Posseggo di questa specie pochi e incompleti esemplari iso- lati per semicalcinazione dai calcari di Livari in Krajina e di Cekanje ad oriente di Njegusi. Essendo sufficientemente conser- vata la parte posteriore della conchiglia nella quale si compen- diano principalmente i caratteri distintivi di questa specie dif- ferenti da quelli delle congeneri, non esito a dare per certa questa determinazione malgrado la incompletezza della conchi- glia nella sua parte anteriore, sulla quale per altro, per la costante quantunque diversa convessità delle due valve, non può supporsi 1’esistenza di alcuna notevole intlessione e sinuo- sità della commessura frontale. In complesso la conchiglia apparisce subovale, con angolo apiciale acuto e con valve inegualmente convesse essendo la ventrale rigonfia e medianamente gibbosa, e appena convessa la imperforata. L’apice è sporgente, terminalmente acuminato e con margini laterali acuti. Assai bene sviluppato è il deltidio al cui vertice si apre il rotondo forame. Un altro carattere spe- cifico importante è dato dalla riunione ad angolo acuto delle valve lungo una diretta linea di commessura. La gibbosità della grande valva, l’angolo apiciale acuto e il notevole sviluppo del deltidio valgono a bene distinguere questa forma da ogni altra specie affine di Terebratula. Questa specie era finora soltanto conosciuta nel calcare ooli- tico inferiore di Pietro Malena presso Rossano calabro. Terebratula elliptica Roth. (Tav. VI, fig. 29a-c). L886. T. elliptica, Rotlipletz. Monògr. der Vilser Alp. L. c., pag. 98, tav. Ili, fig. 7-12, 16, 27-29/ Quantunque lo stato di conservazione di questa forma iso- lata dal calcare oolitico di Cekanje per denudazione sia im- perfetto, pure, dopo lunghe ricerche e accurati confronti ritengo 22 314 A. MARTELLI sicura la presente determinazione. La diagnosi data dal Rothpletz per la T. ellittica è peculiare e molto chiara, e ad essa com- pletamente si potrebbe uniformare l’esemplare in esame se la valva dorsale fosse un poco meno pianeggiante e più lobata al margine frontale. Ogni altro carattere s’identifica con quelli dei campioni tipici e quindi non credo che possa darsi un valore morfologico differenziale alla meno spiccata convessità della valva dorsale, essendo nota e manifesta la variabilità individuale che i brachiopodi presentano e la poca importanza che una sola e secondaria modificazione, quale quella di un maggiore o mi- nore rigonfiamento di una valva, può esercitare sulla determi- nazione specifica. Ed infatti, lo stesso Rothpletz riunisce a questa specie (confr. 1. c., fig. 27-29) individui che per il loro spessore si potrebbero a prima vista ritenere autonomi e molto più di- scosti dalle forme tipiche più comuni e meno spesse, di quanto non lo sia l’esemplare che ho riferito alla T. ellittica. Anche (pii abbiamo una conchiglia ellittica, troncata alla fronte, più lunga che larga, dorsalmente pianeggiante, complessi- vamente poco spessa e con la massima misura dorso-ventrale lungo la linea mediana posteriore. Le valve, differentemente con- vesse, si uniscono ad angolo acuto con commessura arcuata al cardine e subinflessa ai lati. Mal distinguibile è la doppia ri- piegatura della fronte. Alla valva dorsale subdepressa si contrappone una valva ventrale rigonfia verso la regione cardino-apiciale e rapidamente declinante ai lati e aH’appena depresso margine frontale. L’apice è breve, largo, poco spesso e, incurvato verso la valva dorsale, sembra ridurre ancor più le già piccole dimensioni del deltidio. Dimensioni : Diametro antero-posteriore mm. 23 » margine-laterale » 18 » dorso- ventrale » 10 Queste dimensioni vengono comprese fra i limiti che per la T. ellittica dette il Rothpletz col riportare le misure principali di sei differenti esemplari e quindi, pur non escludendo che BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 315 l’indiyidno così determinato possa rappresentare una varietà meno rigonfia della forma tipica, mi sembra per esso fuori di dubbio la giustezza del riferimento specifico. Il Rothpletz constatò la notevole abbondanza di questa specie nel Dogger inferiore delle Pietre rosse nell’Alpe di Vils. Terebratula cernagorensis sp. nov. (Tav. VI, fig. 30a-e, 31a-e). Conchiglia dal contorno subpentagonale, con angolo apiciale di 100° negli esemplari adulti e un poco maggiore nei gio- vani, più lunga che larga e con valve inegualmente convesse, presentandosi la dorsale quasi appianata e la perforata rigonfia nella parte mediana posteriore e declinante ai margini laterali e frontali. L’apice è piuttosto elevato, sporgente, stretto e ricurvo al- l’estremità e con margini laterali poco distinti e arrotondati. Il deltidio è largo alla base ma non molto alto. Le dimensioni del forame per l’incompleta conservazione della sommità api- ciale non sono determinabili, ma a giudicare da quanto appa- risce in un esemplare giovane dovrebbe essere assai piccolo. La valva ventrale declinante, come ho accennato, dall’ar- cuata parte mediana posteriore verso i margini, quasi da sola determina il profilo laterale della conchiglia, giacché la valva ventrale, salvo una lieve convessità nella zona circum-umbo- nale, è così appiattita, che le valve nella loro riunione danno luogo ad un margine laterale e frontale acuto e tagliente. Manca propriamente un seno con contrapposto lobo, ma una traccia debolissima se ne ritrova in una lieve inflessione del margine frontale. 11 piano di commessura coincide in massima con quello dell’appiattita valva imperforata. La superficie è munita di sottilissime e fitte strie concen- triche, le quali assecondano esattamente l’andamento delle zone di accrescimento, più manifeste per altro sulla valva dorsale che non su quella opposta. 316 A. MARTELLI Dimensioni : Diametro antero-posteriore rum. 16,5 (?) min. 23 » margino- laterale » 15 » 20,5 » dorso-ventrale » 6,5 » 9,4 Questa specie presenta le maggiori analogie con la Tere- bràtula Salvatoris Grec. del Dogger inferiore di Rossano, dalla quale però sempre bene si distingue pel differente contorno, oltre che per uno spessore ancor più ridotto e per gli arroton- dati, invece che acuti, margini laterali dell'apice. Particolarmente frequente è questa forma nel calcare colitico presso Cekanje lungo la carrozzabile da Njegusi a C'ettigne, ma non sembra difettare nemmeno nel calcare a brachiopodi della Krajina.dal quale per altro non ho avuto la fortuna di isolarla che in esemplari incompleti e frammentari. Terebratula sp. (Tav. VI, fig. 32 a-c, 33 a, b). Nei calcari a brachiopodi delle località in questione ho pure isolate varie incomplete Terebratiilae per le quali ogni riferi- mento potrebbe sembrare azzardato a causa appunto della loro cattiva conservazione. Predominano fra di esse forme che si ap- prossimano per taluni caratteri, come per la maggior convessità della valva ventrale rispetto alla dorsale, alla T. Salvatoris Grec. e che per altri, come per la forma dell’apice e in generale della parte posteriore della conchiglia, alla T. infraootithica Desi., ma nemmeno un ravvicinamento albana o all’altra delle specie sarebbe possibile per l’insuffìcenza degli elementi comparativi. Lo stesso si può dire per altre forme più rigonfie e relati- vamente più grandi delle precedentemente descritte, giacché solo parziali e incomplete sono le corrispondenze che esse dimostrano con specie note e particolarmente con la T. panciata Sow. Certo è però che le maggiori assomiglianze si riscontrano con le forme oolitiche inferiori anziché con quelle basiche e giura- siche superiori. BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 317 Gen. Waldheimia (King.) Dav. Waldheimia (Zeilleria) confr. Ippolitae Di Stef. Per l’imperfetta conservazione di talune Waldheimie di Ce- kanje non mi è dato che di citare con riserva l’esistenza di questa specie descritta dal Di Stefano ( Bracino >p. (Ics Unterool. von. S. Giul. L. c., pag. 10. tav. XV, fig. 12, 13) e conosciuta pure nell’oolite inferiore del Capo S. Vigilio, di Rossano e di La- gonegro. Waldheimia confr. angustipectus Rothpl. (Tav. VI, iig. 34a, b). Dal calcare oolitico di Cekanje ho pure isolato delle incom- plete Waldheimie che non ho potuto determinare con sicurezza perchè mal conservate, ma che nondimeno, particolarmente in base ad un esemplare meno incompleto degli altri, quantunque mancante di parte della valva ventrale, confronto con qqesta specie con la quale hanno a comune tutti quei pochi caratteri che è dato poter esaminare, cominciando dal contorno subpen- tagonale della conchiglia troncata alla fronte e con la massima larghezza in corrispondenza della metà altezza dove misura pure il massimo spessore. La valva maggiore sembrerebbe più uniformemènte convessa della dorsale, la quale dalla metà fino alla fronte presenta una lieve depressione mediana anteriore di forma triangolare e gene- rante un debole seno al margine frontale. La commessura delle valve è acuta e tagliente; decorre inflessa ai lati e s’incurva presso la fronte prima di arcuarsi nel seno del margine ante- riore. L’apice è mal conservato ma si giudica piuttosto piccolo. Il setto mediano è fine, tenue e arriva appena al quarto posteriore della valva dorsale. Poco spiccate sono sulla conchiglia le zone concentriche di accrescimento. Su di una larghezza e lunghezza di circa 20-22 rum. la conchiglia ha uno spessore di circa min. 10, cosicché anche per i rapporti fra le principali dimensioni non si avrebbe motivo 318 A. MARTELLI di disconoscere le strette analogie che gli incompleti esemplari in parola presentano con questa specie. Infine, per ulteriormente rimarcare le caratteristiche di questa forma debbo aggiungere che in rapporto alle due serie di sviluppo distinte per la W. an- gustipectus dal Rothpletz ( Monogr.der Vilser Alpen. L. c., pag. 131, tav. VII, fig. 1-7, 12, 14-19) gli esemplari di Cekanje concordano con quelli delle figure 1-7 che più si accostano al tipo delle W. carinatae con unico e debole seno mediano. E questo è pure un buon carattere per tener distinte le nostre Waldheimie deirapparentemente affine W. Ippolitae Di Stef. del M. San Giuliano. La W. angustipecìus è molto comune nel Dogger inferiore dell’Alpe di Vils. Fra i numerosi brachiopodi isolati dal calcare oolitico della Krajina non fio avuto occasione di distinguere alcun esemplare di questa specie, la quale, con le dovute riserve, sembrerebbe non rara nell’oolite di Cekanje a oriente di Njegusi. |ms. pres. il 2 aprile 1906 - ult. bozze 1 agosto 1906], - . , ■ ' ’ . ' ’ ■ BRACHIOPODI DEL DOGGER MONTENEGRINO 319 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 a-d. Rhynchonella Ximenesi Di Stef. («,= valva ventrale, b— valva dorsale, e = fronte, d = fianco). » 2 a-d. Rhynchonella maleniana Grec. (c. s.). » 3 a-d. Rhynchonella clesiana Leps. (c. s.). » 4 a, b. Bh. clesiana Leps. ( junior Menegli.). » 5 a-d, 6 a, b. Rhynchonella infirma Roth. (c. s.). » 7 a-c. Rh. infirma Roth. var. foraportiana Grec. (c. s.). » 8 a-c. Rhynchonella Viyilii Leps. var. erycina Di Stef. (c. s.). » 9 a-d. Rhynchonella S zaino cline Di Stef. (c. s.). » 10 a-c. Rhynchonella Wàhneri Di Stef. (c. s.). » 11. Rh. Wcihneri Di Stef. var. multicostata Di Stef. » 12 a-d, 13 a-d. Rhynchonella scutarina sp. nov. (c. s.). » 14. Rhynchonella rubrisaxensis Roth. var. crassicostata Roth. » 15 a-c (c = fianco), 16 a-d, 17 a-c, 18 a-d, 19 a-d, 20 a-c, 21 a-d. Rhynchonella krajin ensis sp. nov. (c. s.). » 22 a-d. Rhynchonella krajinensis sp. nov. (forma anomala) (c. s.). » 23 a-c , 24 a-c, 25 a, (dorso), b (fronte), 26 a-c. Rhynchonella krajinen- sis sp. nov. var. discaìarifrons nov. (c. s.). » 27 ci-d. Rhynchonella confi-, prava Rotli.(c. s.). » 28 a-c. Terebratula pectorosa Roth. (a valva ventrale, b— valva dorsale, c = fianco). » 29 a-c. Terebratula elliptica Roth. (c. s.). » 30 a-c, 31 a-c. Terebratula cernagorensis sp. nov. (c. s.). » 32 a-c (c = posteriormente). Terebratula sp. ind. » 33 a, b (fianco) Terebratula sp. ind. » 34 a (valva dorsale), b (fianco). W aldheimia confr. angustipectus Roth. Boll. Soc. Geol. Ita I . voi. XXV (1906). (Martelli) Tav, VI. trLIOT. CALZOLARI M FFRRAWlC - MILANO CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEI FORAMINIFERI FOSSILI DELLO STRATO DI SABBIE GRIGIE ALLA FARNESINA PRESSO ROMA Nota del socio Ferdinando Napoli (Tav. I-V) Alla Roma storicamente classica non è mancato neppure un classicismo geologico. Infatti fu chiamato classico lo strato di sabbie che trovasi a Monte Mario, ben visibile alla Farnesina, strato ricchissimo di fossili e già campo di studio a molti illu- stri paleontologi. Anch’io ho tentato di portare il mio contri- buto alla conoscenza di questo tesoro paleontologico studiandone la classe dei foramiuiferi. Questa branca speciale della paleon- tologia riguardo alle sabbie di Monte Mario fu già oggetto di ricerche prima per il Conti e poi per il Terrigi. Il mio studio però si ditferenzia da quelli precedenti ; invero, gli autori citati non fecero distinzione tra lo strato di sabbie gialle e quello di sabbie grigie sottostanti. Sono tuttavia molto più utili alla scienza le ricerche quando si rivolgono al solo strato di sabbie grigie, per contenere esso molti altri fossili che permettono una più sicura determinazione cronologica. Ristretto così lo studio in uno spazio più determinato, si potrà meglio fissare con i dati paleontologici l’epoca della formazione di questo strato, e dedurre poi anche per gli strati sovrastanti con- clusioni di non lieve importanza. Questo fu appunto lo scopo prefìssomi in questo studio. Esso è stato compiuto nell’Istituto Geologico delFUniversità di Roma, dietro consiglio dei Professori Portis e De Angelis d’Os- sat. Il prof. Portis mi è stato largo di consiglio e di aiuto, spe- cialmente con la sua fornita biblioteca ed il prof. De Angelis mi 23 322 F. NAPOLI è stato costante ed affettuosa guida, nelle lunghe è pazienti ri- cerche. Ad essi porgo quindi i miei ringraziamenti. I foraminiferi fossili della regione romana dei varii depositi fu- rono già oggetto di studio per 0. G. Costa, per lo scultore Angelo Conti e per Guglielmo Terrigi. Il primo pubblicò nel 1855 una monografia sui foraminiferi fossili delle marne blù del Vaticano. Più tardi il Terrigi nel 1875 studiò sommariamente diversi strati a sabbie gialle delle adiacenze di Monte Mario. Nel 1880 diede alle stampe la Fauna Vaticana a foraminiferi delle sab- bie gialle e ne illustrò 58 specie con tavole e minute descri- zioni. Nel 1883 negli Atti dei R. Lincei uscì una monografia sulla microfauna degli strati inferiori del Quirinale. Nel 1889 altre ricerche nella fauna microscopica del calcare di Palo e final- mente nel 1891 nelle marne riscontrate in alcune trivellazioni presso via Appia Antica. Tutti questi lavori hanno fatto del Terrigi il principale illustratore delle microfaune fossili del suolo di Roma. Venendo allo strato a sabbie della Farnesina chi ne ricercò i foraminiferi fossili fu anzitutto lo scultore Angelo Conti; egli però, come ho accennato, non distinse le forme appartenenti allo strato di sabbie grigie, ma comprese tutto il deposito, in- cludendovi così altri strati geologici. Ne trovò, in 37 generi, 108 specie, di cui 4 come dubbiamente nuove. Egli dice, che quasi tutte sono comuni al Miocene di Vienna e poche appar- tengono a forme rinvenute nell’ Adriatico. La collezione di que- sto paleontologo si conserva tuttora a Ferrara. Anche il Terrigi studiò, come ho detto, i foraminiferi delle sabbie gialle di Monte Mario in varie località, ma il suo elenco si restringe quasi sola- mente ai generi, elenco che egli stesso dice fatto succintamente e col proposito di illustrarlo ed anche rettificarlo in seguito, cosa che poi non fece. A dare un’idea più chiara dei lavori precedenti sui fora- miniferi fossili della campagna romana, unisco la nota delle pubblicazioni in ordine cronologico. 1777. Sceberras-Testaferrata, Praelectiones globiterraquei, histo- riae naturalis, athmospherae, telluris in Collegio dementino habitae, quas propugnandas exhibet I). Fabritius ex baro- FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 323 nibus Sceberras- Testa ferrata nobilis neapolitanus, eiusdem Coììegii convictor. Roma. 1856. Costa 0. G., Foraminiferi fossili della marna blu del Va- ticano. Mem. Accad. Scien. Napoli, voi. II, p. 118, tav. 1. 1864. Conti Angelo, Il Monte Mario ed i suoi fossili subapen- nini. Roma. 1868. Mantovani Paolo, Studi geologici sulla campagna romayia. 1871. Conti Angelo, Il Monte Mario ed i suoi fossili subapen- nini. Ferrara. 1875. Mantovani Paolo, Descrizione geologica della campagna romana. Roma. 1875. Ponzi Giuseppe, Cronaca subapennina o albo zzo d’un quadro generale dell’epoca glaciale. (Atti del XI Congresso degli scienziati italiani tenutosi in Roma nell’ottobre 1873). 1876. Terrigi Guglielmo, Sopra i rizopodi fossili o foraminiferi dei terreni terziari di Roma , studiati nelle sabbie gialle plioceniche. Boll. Soc. Geog. Ital. , voi. XII, fase. 10-12, pag. 664-675, Roma. 1876. Ponzi Giuseppe, I fossili del Monte Vaticano. Atti r. Acc. Lincei, tomo 3°, ser. 11. Roma. 1880. Terrigi Guglielmo, Fauna Vaticana a Foraminiferi. Atti Acc. p. n. Lincei, anno XXXIII, Sess. II. 1882. Zuccari Attilio, Catalogo dei fossili dei dintorni di Roma. Roma. 1883. Terrigi Guglielmo, Il Colle Quirinale , sua flora e fauna lacustre e terrestre , fauna microscopica marina degli strati inferiori. Atti Acc. p. n. Lincei, anno XXXV. 1889. Idem. Il Calcare (Macco) di Palo e fauna microscopica. Mem. r. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. YI. 1891. Idem. I Depositi lacustri e marini riscontrati nella trivel- lazione presso la via Appia Antica. Mem. R. Com. Geo!., voi. VI, Parte la. Il materiale, da me raccolto nella località della Farnesina, è stato lavato e preparato in modo che non isfuggissero neppure gli esemplari più piccoli, essendomi servito di setaccio finissimo di seta. Dopo fatta una prima cernita del materiale più gros- solano e separati i nicchi di foraminiferi con l’aiuto di una 324 F. NAPOLI semplice lente, il materiale rimanente più fino è stato esami- nato al microscopio e liberato dagli elementi estranei. Cosi pre- parato un buon numero di esemplari, li ho esaminati ad uno ad uno. Li ho osservati nelle varie loro posizioni, servendomi al- l’uopo di un vetrino porta-oggetti, leggermente spalmato di cera e ne ho ricavato il disegno per mezzo della camera d’Abbè. Le figure sono schematiche e mi sono studiato di mettere in evi- denza i caratteri specifici, seguendo ciò che ora fanno i mi- gliori. La classificazione adottata è quella che ha stabilito il Brady nel suo grandioso lavoro sui foraminiferi dragati dal Challenger nel suo giro di esplorazione, che è pure la classificazione più generalmente accettata. Nella determinazione delle specie mi sono valso oltre che dell’opera del Brady, delle varie pubbli- cazioni del d’Orbigny, del Beuss, del Terquem, del Williamson, dello Schlumberger, del Terrigi, del Silvestri e del Fornasini. Nel formare poi la nota della sinonimia, ho tenuto conto anzi- tutto dell’autore che studiò quella forma e ne stabilì il nome specifico, e poi solamente di quelli che mi servirono nella de- terminazione, sia per le descrizioni, sia per le figure od anche per qualche importante osservazione fatta in proposito. La nomenclatura generica e specifica è quella adottata dal Brady con qualche piccola variante in cui ho seguito il Forna- sini che propende verso la scuola francese. Debbo osservare in ultimo che, usando spesso del termine specie, non intendo servirmene che per ragione di metodo nella sua accezione primitiva, e quindi senza aver aria di definire la questione molto difficile intorno al valore del termine specie a riguardo di questa classe di rizopodi. Classificazione adottata secondo il Brady. I. Fam. Miliolidae. Subfam. Miliolinae ^ gen. Adelosina sp. 2 < » Triloculina » 5 I » Quinquéloculina » 4 FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 325 II. Fara. Testilaridae. gen. Textilaria » Verneulina » Gaudryina » Tritaxia 2. Subfam. Bulimininae .... » Bulimina 3. Subfam. Cassidulininae ... » Cassidulina III. Fam. Lagenidae. 1. Subfam. Lageninae geu. Lagena » . Nodosaria » Marginulina „ , „ ^ ; » Polymorphina 3. Subfam. Polyhorphininae rr . . ( » Uvigerma IV. Fam. Grlobigerinidae. Subfam. Globigekininje. . I 6™- aiobigerina I » Orbulina V. Fam. Rotalidae. I gen. Discorbina \ » Truncatulina Subfam. Rotalinae » Anomalina » Pulvinulina » Potalia VI. Fam. Nummulinidae. Subfam. Polystomellinae . } ^en' Nmwnma ì » Polystomeìla 2. Subfam. Nodosarinae . . . 1. Subfam. Testi larinae . . . sp. 12 » 1 » 2 var. 1 » 1 » 5 var. 2 » 1 sp. 1 » 1 » 1 var. 1 » 6 var. 1 » 1 sp. 7 » 1 sp. 6 » 7 » 1 » 3 » 4 var. 1 sp. 4 » 3 326 F. NAPOLI DESCRIZIONE DELLE SPECIE 1. Adelosina bicornis (W. e J.) (*) (Tav. I, fig. 1 a-c). 1798. Serpula bicornis Walker and Jacob, Adam’s Essays, Kanmacher’s, ed., p. 633, tav. XIV, lig. 2. 1884. Miliolina bicornis Brady, Rep. Forarti. Challeng., pag. 171, tav. VI, fig. 9, 11 e 12. 1886. Adelosina bicornis forma A. Sehlumberger, Note sur le genre Adelo- sina. p. 546, tav. XVI, fig. 10-11 (2). 1900. » » Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari di fora- miniferi adriatici, pag. 336, fig. 14 (3). L’unico esemplare trovato nella Farnesina è un individuo giovane di A. bicornis forma A. megalosferica. Il nicchio ha l’aspetto di un disco lenticolare carenato, munito di un prolun- gamento ornato da piccole coste, sopra le due faccie, nel centro, vi è segnato un leggero ombilico, che proviene dal ripiegamento della loggia. L’apertura è circolare munita di un dente ed è si- tuata all’estremità del prolungamento. L’esemplare conviene alla figura 10 dello Sehlumberger. Risulta dalle osservazioni, di que- sto autore, il quale che ha diligentemente studiata l’intima strut- tura dell’M. bicornis, che questa specie è estremamente variabile e che tale variabilità dipende dalla disposizione irregolare delle loggie nella forma megalosferica, mentre la microsferica è re- golarmente quinqueloculinare. Il Brady unisce a questa parec- chie altre forme orbigniane e dice che è una specie abbastanza citata nelle formazioni marine di quasi tutti i periodi dal Miocene sino al presente. (') Nella classificazione delle Miliolidae mi allontano dal Brady se- guendo piuttosto la scuola francese. (2) Boll. Soc. Zoolog. Frane., voi. XI, pag. 544-557, tav. XVI. (3) Mem. R. Accad. Se. Bologna, ser. V, tom. Vili, pag. 357-402. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 327 2. Àdelosina depressa (d’Orbigny) (tav. I, fig. 9 a-c). 1826. Quinqueloculina depressa d’Orbigny, Tableau Méthodique , p. 136, n. 38. 1878. » » Terquem, Forarti. Entom. Plioc. Sup. Rhodes, pag. 70, tav. Vili, fig. 1-11 (1). 1905. Àdelosina depressa Fornasini, Illvstraz. di specie Orbignyane di Miliolidi, pag. 68, tav. IV, fig. 8 (2). La determinazione l’ho condotta sulle figure e con la de- scrizione del Terquem. Il d’Orbigny la trovò a Castel Arquato. Il Terquem nel Plio- cene di Podi. 3. Triloculina gibba d’Orbigny (tav. I, fig. 3 a-c). 1826. Triloculina gibba d’Orbigny, Tableau Méthodique, p. 299, n. 3 (3). 1846. » » d’Orbigny, Foravi, foss. Vien , p. 274, tav. XVI, fig. 22-24. 1864. » » Conti, Monte Mario, p. 42. Con facilità ascrivo l’individuo figurato alla T. gibba per la sua forma trigona spiccata. Fossile fu trovato nel Miocene di Vienna, nel Pliocene del- l’Isola di Podi. È vivente nel lido di Pimini. 4. Triloculina oblonga (Montagli) (tav. I, fig. 4 a-c). 1803. Verviiculuvi oblongum Montagli, Test. Brit., p. 522, tav. XV, fig. 9. 1826. Triloculina oblonga d'Orbigny, Tableau Méthodique, p. 300, n. 16. 1858. Miliolina seminulum var. oblonga Williamson, Ree. For. Gr. Bret., p. 86, tav. VII, fig. 186 e 187. 1878. Triloculina oblonga Terquem, Foram. et Ent.-Ostrac. Plioc. Sup. de Rhodes , p. 57, t. V, fig. 22-24. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foravi., pag. 173, tav. I, fig. 2 (4). 1884. Miliolina oblonga Brady, Rep. Foravi. Challeng., p. 160, tav. V, fig. 4. Ai caratteri fissati dal Terquem per questa forma mi pare corrisponda l’esemplare figurato e parecchi altri della Farnesina. C1) Mém. Soc. géol. France, Ser. 3, voi. I, pag. 1-135, tav. I-XIV. (2) Mem. R. Accad. Se. Bologna, ser. VI, tom. II, pag. 59-76. (3) Annales des Sciences Naturelles, voi. VII. C) Atti Accad. p. N. Lincei, ann. XXXIII, Sess. II, p. 127-219, tav. I-IV. 328 F. NAPOLI Il Terquem crede che non si possa identificare la MilioUna seminulum var. oblonga Williamson con la orbigniana Tr. e Q. obìonga e propone quindi per quella il nome specifico di Tr. Williamsoni. Fossile nel Pliocene di Rodi e nel Pliocene romano (Terrigi). È pure vivente. 5. Trilociilina austriaca d’Orbigny (tav. I, fig. ba-c). 1846. Triloculina austriaca d'Orbigny, Foram. foss. Vìen , pag. 275, tav. XVI, fig. 25-27. 1864. » » Conti, Monte Mario , p. 42. 1884. MilioUna trigonula Brady, Rep. Foram. Clialleng ., pag. 164, tav. Ili, fig. 14-16. L’ esemplare figurato concorda abbastanza bene con il tipo miocenico di Vienna. Il Brady unisce la forma eocenica T. trigonula Lamark con questa, ma secondo il Fornasini non si potrebbero identificare. Ad ogni modo la figura del Brady ha molte affinità con la orbigniana del bacino di Vienna. Nel Miocene fu trovata dal d’Orbigny. Parker e Jones la dicono frequente nel lido di Rimini. 6. Triloculina cfr. consobrina d’Orbigny (tav. I, fig. 6a-c). 1846. Triloculina consobrina d’Orbigny, Foram. foss. Vien , pag. 277» tav. XVII, fig. 10-12. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 42. Forma miocenica. Il Terquem la trovò nel Pliocene supe- riore di Rodi. 7. Triloculina infiata d’Orbigny (tav. I, fig. 7 a-c ). 1846. Triloculina infletta d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 278, tav. XVII, fig. 13-15. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 42. Prossima alla T. consobrina ne differisce per la maggior globosità e per la forma dell’apertura. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 329 Fossile nel Miocene di Vienna e nel Pliocene superiore del- l’isola di Kodi. 8. Quinqueloculina seminulmn (Linneo) (tav. I, fig. 8 a-c). 1767. Serpvla seminulum Linneo, Syst. Nat., 12 ed., pag. 1264. 1846. Quinqueloculina triangularis d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 288, tav. XVIII, fig. 7-9. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 42. 1884. Miliolina seminulum Brady, Rep. Forum. Clialleng., pag. 157, tav. V, fig. 5 a. b, c. L’ esemplare studiato è una forma a cinque logge che con- viene molto bene con la Q. triangularis del Miocene di Vienna. Questa forma fu unita dal Brady alla Miliolina seminulum. Anche il Fornasini ne ammette l’identità ; dando quindi prece- denza al nome linneano l’ha chiamata Q. seminulum Limi. Non scende al di là dell’Eocene. Si trova poi in quasi tutti i depositi marini dei periodi seguenti (Fornasini). 9. Quinqueloculina costata d’Orbigny (tav. I, fig. 2 a-c). 1826. Quinqueloculina costata d’Orbigny, Tableau méthodique, pag. 30 1 , n.3. 1878. » » Terquem, Les foraminifères et les Entom- Ostrac. Plioc. sup. de Vile de Rhodes, pag. 63, tav. VI, fig. 3a~5c. 1893. » » Schlumberger, Monographie des Miliólides du Golf e de Marseille, pag. 69, tav. Ili, fig. 75-76 ('). 1905. » » Fornasini, Illustrazione di specie orbignyane di Miliolidi, pag. 62, tav. II, fig. 6 (5). È un esemplare alquanto deturpato, dimodoché non lascia più scorgere la conformazione precisa dell’apertura. Specie molto affine alla Q. poeyana ed alla Q. boueana. Il Fornasini ne il- lustrò il disegno inedito del d’Orbigny. Il Terquem la rinvenne nel Pliocene di Kodi ; il d’Orbigny nel Mediterraneo. (') Mém. Soc. Zool. Frane., voi. VI, pag. 57-80, tav. I-IV. (2) Mem. R. Acc. Scienze Bologna, ser. VI, toni. II, pag. 59-70, tav. I-IV. 330 F. NAPOLI 10. Quinqueloculina vulgaris d’Orbigny-Terquem (tav. I, fìg. 10 a-c) (non Q. vulgaris d’Orbigny in Fornasini). 1826. Quinqueloculina vulgaris d’Orbigny, Tableau Métliodique, pag. 203, n. 33. 1878. » » Terquem, Foram. Entom. PUoc. Sup. Rhodes, pag. 66, tav. VI, fig. 20-21. 1902. » » Fornasini, Sinossi Metodica dei Forami- niferi sin qui rinvenuti nelle sabbie del lido di Rimini, pag. 21, fig. 13. (1). Il Terquem fu il primo in base alla figura delle Planches inédites ad ascrivere alla Q. vulgaris una forma di Rodi, che però fu associata dal Brady alla Q. seminulum. Schlumberger in seguito prendendo anch’egli per base il disegno inedito del d’Orbigny, illustrò, riferendoli alla vulgaris , esemplari di Quin- queloculina del golfo di Marsiglia. Il Fornasini poi, in un re- cente lavoro, pubblicò anche il disegno inedito del d’Orbigny. L’esemplare delle sabbie grigie della Farnesina non conviene tanto con il disegno del d’Orbigny quanto con le figure del Terquem. Il Terquem la trovò nel Pliocene di Rodi. 11. Quinqueloculina akneriana d’Orbigny (tav. I, fig. 11 a-c). 1846. Quinqueloculina akneriana d’Orbigny, Foram. foss. Vien , pag. 290, tav. XVIII, fig. 16-21. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 12. 1883. Miliolina akneriana Terrigi, Colle Quirin., fior. faun. ecc., pag. 169, tav. Il, fig. 1 (2). Il Brady unì anche questa forma con la Miliolina seminulum. Io seguendo l’esempio del Terrigi e del Fornasini mantengo il 0) Meni. r. Accad. Scienze dell’Istituto di Bologna, tom. X, ser. 5, pag. 2-68. (2) Atti Accad. Pont. N. Lincei anno XXXIII, Sess. II, pag. 145-262, tav. II-IV. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 331 termine orbignyano, ecl identifico con essa un esemplare delle sabbie grigie della Farnesina. Fossile nel Miocene di Vienna, nel Pliocene romano (Terrigi). Vivente fu rinvenuta nel l’Adriatico. 12. Textilaria cfr. sagittula Defrance (tav. I, fig. 12 a,b). 1824. Textilaria sagittula Defrance, Dict. Se. Nat., voi. XXXII, pag. 177; Atlas Conch. , tav. XIII, fig. 5. » d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 263, » n. 20.- Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 361, tav. XLII, fig. 17 e 18. » Fornasini, Intorno ai caratteri esterni delle Te- stularie, pag. 376, tav. IX, fig. 1-2. » Fornasini, Indice delle Testilarie italiane , pa- gina 394 ('). » Fornasini, Sulle Testilarie abbreviate , pag. 400, tav. XI, fig. 2 (2). » Fornasini, Tavola paleo-protistografica, pag. 46, tav. Ili, fig. 2-4 (3). » Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari dei fora- miniferi adriatici, pag. 371, fig. 20 (4). » Fornasini, Contributo alla conoscenza delle Testi- larine adriatiche, pag. 302, tav. I, fig. 4-7 (5). Parlando di questa specie non concordano i diversi autori nello stabilirne i caratteri differenziali. Pure attenendomi alla descrizione che ne fa il Fornasini, deducendola dal Defrance, at- tribuisco ad essa un esemplare che è alquanto rotto nella estre- mità anteriore, in cui però è evidentissima la forte compressione. Il Conti la rinvenne a Monte Mario e la denominò col ter- mine soldaniano di Poliniorphwn sagittuìae. Il Wright la cita fossile nel Cretaceo d’ Irlanda. È comune nei periodi seguenti e vivente nei mari attuali. 1826. » 1884. » 1887. » 1887. » 1887. » 1888. » 1900. » 1903. » C) Bollettino Soc. Geol. It. , voi. VI, pag. 374-378 con tavola IX. (2) Ibid., voi. VI, pag. 379-398 con tavola X. (3) Ibid., voi. VI, pag. 399-401 con tavola XI. (4) Mem. Accad. Scienze di Bologna, tom. Vili, serie 5”, pag. 357-402. (5) Mem. Accad. Scienze Bologna, tom. X, ser. 5a, pag. 299-316. 332 F. NAPOLI 13. Textilaria aciculata d’Orbigny (tav. I, fig. 13 a-d). 1826. Textilaria aciculata d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 363, n. 15, tav. XI, fig. 1-4. » Terrigi, Faun. Vatic. Foravi ., pag. 155, tav. II, fig. 24-27. » Terrigi, Dep. lac. e mar. Via Appia, pag. 69, tav. I, fig. 11 ('). » Fornasini, Foraminiferi del Pliocene Supe- riore di S. Pietro in Lama, pag. 208, tav. I, fig. 4-5 (2). L’esemplare da me studiato conviene molto bene con la fi- gura N. 4 del citato lavoro del Fornasini. Fossile fu trovata nel Pliocene del Senese, al Monte Vati- ticano ed a Palo. Vivente neU’Adriatico, spiaggia di Eimini. 14. Textilaria agglutinans d’Orbigny (tav. I, fig. 14 a, b). 1880. » 1891. » 1898. » 1839. Textilaria agglutinans d'Orbigny, Foram. Cuba, pag. 136, tav. 17-18, e 32-34. 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng. , pag. 363, tav. XLIII, fig. 1-3. La figura intercalata (A, B) cor- risponde molto bene alla fig. 1 del Brady. L’altro esemplare figurato (Tav. I, fig. 14 a-b) benché non tanto allungato ed in- vece alquanto più rigonfiato, credo che non si debba disgiungere da Waggluti- nans per il complesso dei caratteri. Il nicchio è completamente arenaceo però, costituito da elementi non grossolani. Fossile nell’Oligocene, Miocene e Plio- cene. Vivente nel porto di Cagliari. 0) Mem. Reg. Com. Geol., voi. IV, parto I. (5) Mem. Accad. Scienze di Bologna, tom. VII, serie 5a, pag. 205-212, con tavola FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 333 15. Textilaria conica d’Orbigny (tav. I, fig. 15 a-c). 1839. Textilaria conica d’Orbigny, Foravi. Cuba, pag. 135, tav. I, tig. 19 e 20. 1884. » » Brady, Rep. Foravi. Challeng., pag. 365, tav.XLIII, tig. 13 e 14, e tav. CXIII, tig. 1. Il nicchio disegnato fu trovato nel materiale più grossolano è quindi un esemplare abbastanza vistoso. Ha forma regolarmente conica e nicchio arenaceo. La determinazione fu condotta sulla descrizione e con le figure del Brady; specialmente conviene con la figura 14. Il Silvestri cita questa specie alla Coroncina presso Siena. È anche vivente. 16. Textilaria cfr. trochus d’Orbigny (tav. II, fig. 1 a-d). 1840. Textilaria trochus d’Orbigny, Forum, de la Craie bianche bass. de Paris, pag. 45, tav. IV, tig. 25 e 26 C). 1884. » » Brady, Eep. Foravi. Challeng., pag. 366, tav.XLIII, tig. 15-19; tav. XLIV, tig. 1-3. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. 110, tav. IV, fig. 4 (2). Due esemplari ho assegnato a questa forma e mi pare che convengano abbastanza ai caratteri fissati dal d’Orbigny. In uno degli esemplari l’apertura boccale è alquanto rovinata e si scorge nn foro abbastanza grande e dentellato. Il Terrigi cita questa forma nel calcare di Palo, ma a dedurre dalle figure essa non concorderebbe con gl’individui della Farnesina, per cui non ritengo sicura la presente determinazione. Allo stato fossile è conosciuta nel Cretaceo di Francia, e nel Terziario d’Italia e d’Inghilterra. E vivente. (') Mém. Soc. géol. de France, voi. IV, pag. 1, tav. I-IV. (2) Mem. r. Accad. Lincei, ser. 4a, voi. IV. 334 F. NAPOLI 17. Textilaria turris d’Orbigny (tav. Il, fig. 2 a. b). 1840. Textilaria turris d’Orbigny, Foram. de Graie bianche bass. de Paris , pag. 46, tav. IV, tig. 27 e 28. 1884. ,-> » Brady, Bep. Foram. Challeng.,p&g. 366, tav.XLIV, fig. 4 e 5. B Molto affine alla T. trochus ^ da cui si scosta per il maggior sviluppo nella lunghezza. Gli elementi del nicchio sono piut- tosto grossolani, come si vede nell’annessa figura (A, B). Fossile si trova nel cretaceo di Francia e nei depositi terziari d’Italia e di Sicilia. Il Brady la trovò vivente. 18. Textilaria candeiana d’Orb. (tav. II, fig. 3 a-c). 1839. Textilaria candeiana d’Orbigny, Foram. Cuba, pag. 143, tav. I, fig. 26-27. 1903. » » Fornasini, Contributo alla conoscenza delle Testilarine adriatiche, pag. 303, tav. I, fig. 8. La forma assottigliata ed acuminata in principio e poi al- largata moltissimo nella parte superiore mi ha rivelato trattarsi della T. candeiana d’Orb. Benché non abbia potuto consultare l’opera del d’Orbigny, pure il confronto colle figure date dal Fornasini per le forme dell’Adriatico mi confermano in questo apprezzamento. Sicuramente è citata nel Pliocene dei dintorni di Bologna. È vivente. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 335 19. Textilaria gibbosa d’Orbigny. 1826. Textilaria gibbosa d’Orbigny, Tableau Méthodique , pag. 262. 1887. » » Fornasini, Textilaria gibbosa e T. tuberosa, p. 161, tav. II, fig. 1. 1903. » » Fornasini, Contributo alla conoscenza Testilarine adriatiche, pag. 300, tav. I, fig. 1. Le figure qui intercalate (A, B, C, D) rappresentano un in- dividuo di proporzioni piuttosto gigantesche. A B C D Non è rara negli strati terziari. Il d’Orbigny la trovò nella^ spiaggia di Bimini. 20. Textilaria tuberosa d’Orbigny (tav. II, fig. 4 a-c). 1826. Textilaria tuberosa d’Orbigny, Tableau Méthodique , pag. 263. 1887. » » Fornasini, Textilaria gibbosa e T. tuberosa, p. 161r tav. II, fig. 2 (1). 1900. » » Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari di Fo- raminiferi adriatici, pag. 368, fig. 17. 1900. » gibbosa A. Silvestri, A proposito di due note pubblicate in questi atti accademici, pag. 300 (2). 1902. » tuberosa Fornasini, Sinossi Metod. Foram. Lido di Ri- mini, pag. 6, fig. 2. 1903. » » Fornasini, Contr. Conoscenza Test. Adriatiche, pag. 300. Per quanto molto discussa questa specie orbignyana pure ho voluto conservarla. Con questo non intendo piegarmi decisamente C) Boll. Soc. Geol., voi. VI, pag. 161-162, con tavola II. (2) Atti Accad. Pont. N. Lincei, Anno LIII, Ser. VII, pag. 295-307~ 336 F. NAPOLI verso una delle sentenze; ma semplicemente mantenere certe differenze che pure esistono tra essa e la T. gibbosa. A ciò sono indotto dal fatto che il presente lavoro ha uno scopo di paleon- tologia locale, e quindi piacemi affermare semplicemente resi- stenza di questa forma alla Farnesina, comunque si chiami : o T. tuberosa d’Orbigny, oppure T. gibbosa forma A. Silvestri. S’incontra non di raro nei depositi argillo-marnosi eocenici d’Italia e nelle marne del Pliocene inferiore di Porto d’ Anzio. 21. Textilaria pala Czjzek (tav. II, fig. 5 a-f). 1847. Textilaria pala Czjzek, Foss. Foravi, d. Wiener Becbens, pag. 137, tav. XIII, fig. 25-27 ('). 1891. » » Terrigi, Fep. lac. e mar. Via Appia , pag. 69, tav. 1, fig. 12. Avvicino un esemplare alla forma trovata dal Terrigi nelle marne di Capo di Bove, e che ascrisse alla T. pala. Infatti, come quella il nicchio ha forma triangolare lanceolata a guisa di vanga, superiormente quasi piano, inferiormente appuntato come una lancetta e con bordo periferico carenato. Le ultime due loggie offrono una depressione verso il mezzo. Apertura stretta e piccola al lato interno dell’ultima camera. Il Fornasini parlando della T. lingula d’Orbigny, di cui pubblicò i disegni inediti, la avvicina alla 1. pala Czjzek, ed a dire il vero, l’esem- plare da me figurato conferma questa somiglianza. Solo la T. lin- gula è relativamente più compressa. Fossile fu trovata in parecchi giacimenti pliocenici d’Italia. 22. Textilaria grameii d’Orbigny (tav. II, fig. 6a,b). 1846. Textilaria gramen d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 248, tav. XV, fig. 4-6. 1884. » » Brady, Fep. Foravi. Challeng., pag. 365, tav. XLIII, fig. 9-10. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Falò, pag. 18, tav. V, fig. 1-2. 1903. » » Fornasini, Conoscenza Test. Adriatiche, pag. 304, tav. I, fig. 9. L’esemplare, quantunque la figura non sia caratteristica, credo debba riferirsi alla presente specie. (') Haidinger’s naturwiss. Abhandl., voi. II, pag. 137. FORA MINI FERI FOSSILI DELLA FARNESINA 337 Fossile fu rinvenuta sin dal Miocene. Il Terrigi la trovò nel Calcare di Palo. Forma vivente. 23. Textilaria Hauerii d’Orbigny (tav. II, fig. 7 a-c ). 1846. Textilaria Hauerii d’Orbigny, Foravi foss. Vien , pag. 250, tav. XV, fig. 1-3. L’esemplare minutissimo conviene abbastanza bene con i ca- ratteri della forma del Miocene di Nussdorf. 24. Yerneulina spiuulosa Heuss (tav. Il, fig. 8 a,b). 1849. Verneulina spinulosa Reuss, Neue Foravi, a. d. Sch. d. òster- reichischen Tertiàrbeckens , pag. 347, tav. XLVIII, tig. 12 a-c (*). 1880. » » Terrigi, Fauna Vatican. Foravi., pag. 70 (estr.), tav. II, pag. 29. 1884. » » Brady, Pep. Foravi. Challeng., pag. 384, tav. XLVII, fig. 1-3. Tre esemplari convengono nei caratteri di questa forma, d’altronde di facile riscontro. È assicurata la presenza di questa specie sin dal Miocene in Austria, e poi si trova nel Pliocene italiano, e nei depositi posterziari dell’Isola d’Iscbia. 25. Gaudryina pupoides d’Orbigny (tav. II, fig. 10a-c). 1840. Gaudryina pupoides d’Orbigny, Meni. Foravi. Craie bass. Paris, pag. 44, tav. IV, fig. 21-22. d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 197, tav. XXI, fig. 34-36. Brady, Eep. Foravi. Challeng., pag. 378, tav. XLVII, fig. 1-4. Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari Foravi. Adriatici, pag. 373, fig. 22. Riporto alcuni esemplari a questa specie, i quali potrebbero facilmente confondersi con quelli della rugosa; ma essi se ne (V Denkschr. d. math. naturw. K. d. K. Akad.Win., voi. I, pag. 365, tav. XLVI-LI. 1846. » » 1884. » » 1900. » » 24 338 F. NAPOLI allontanano per la mancanza di carena e poi per il contorno arrotondato. Pare che questa specie si sia conservata dal Cretaceo in poi durante tutta l’epoca terziaria, senza subire notevoli modifica- zioni. È vivente in molti mari. 26. Gaudryina pupoides var. cliilostoma Eeuss (tav. II, fig. 11 a-f). 1866. Gaudryina pupoides Heuss, Neve Foram. a. d. Sch. d. òsterre ì- chisclien Tertiàrbeckens, pag. 120, tav. I, fig. 5 p). 1884. » » var. cliilostoma Brady, Iìep. Foravi. Chal- leng., pag. 379, tav. XLVI, fig. 5 e 6. Il Brady, considerate le piccole differenze che vi sono fra la G. cliilostoma Reuss e la G. pupoides , ne fa una varietà di questa. Due individui da me trovati differiscono dal tipo pupoides per la maggior compressione e per l’apertura che è più distin- tamente fornita di un bordo rilevato. I margini laterali sono angolosi e molto angolose le ultime due loggie. Il Reuss descrive la cliilostoma nel Crag di Antwerp. Se- guenza la ricorda negli ultimi depositi terziari della Calabria. È vivente. 27. Gaudryina rugosa d’Orbigny (tav. II, fig. 9 a,b). 1840. Gaudryina rugosa d’Orbigny, Mém. Foram. Graie , Paris, pag. 44, tav. IV, fig. 20-21. 1884. » » Brady, Fep. Foram. Challeng., pag. 381, ta- vola XLVI, fig. 14-16. A prima vista si scorge in questa Gaudryina la forma triangolare e poi si rileva ancor meglio dal disegno della faccia orale. Le loggie disposte prima in tre serie divengono poi al- terne verso la metà del nicchio. L’estremità posteriore è ottu- samente acuminata e l’anteriore è troncata e presenta un piccolo infossamento ove si trova l’apertura, che però nel nostro esem- (') Deukschr. d. k. Akad. Wiss. Wien, voi. XXV. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 339 piare è chiusa da materiale estraneo. A causa della sua incom- pletezza è mancante delle ultime loggie. La struttura del nic- chio è grossolanamente arenacea. Stando alle figure questo esemplare si avvicina maggiormente alle figure del Brady. (Yed. N. 14 e 1 6a-b). Fossile si trova nel Cretaceo di Francia, Germania, Boemia, Inghilterra ed Irlanda e nel Terziario di Germania ed Ungheria. È pure vivente. 28. Tritaxia cfr. caperata H. B. Brady (tav. II, fig. 12a-c). 1884. Tritaxia caperata Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 390, ta- vola XLIX, fig. 1-7. L’esemplare che identifico con la T. caperata mi s’è rive- lato per tale non tanto per il fenomeno del dimorfismo, che trattandosi di una forma giovane non si può scorgere, quanto specialmente per le divisioni interne delle loggie, per mezzo di setti. L’esemplare è alquanto guasto, poiché ad una estremità mostra i setti interni, segno della rottura delle pareti della loggia terminale. Ha una forma cilindrica, ingrossata nel mezzo ed alquanto più ristretta alle estremità, quasi a forma di botte. Le loggie sono numerose, strette ed irregolari. La determinazione fu fatta sulle figure del Brady, e l’indi- viduo delle sabbie grigie concorda abbastanza bene con quello rappresentato nella figura 3 della tavola XLIX. È vivente. 29. Bulimina elongata d’Orbigny (tav. II, fig. 13a-c). 1846. Bulimina elongata d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 187, tav. XI, fig. 19 e 20. 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng., p. 401, tav. XLI, fig. 1 e 2 (?) 1901. » » Fornasini, Contributo alla conoscenza delle Bu- limine adriatiche , pag. 376, tav. 0, fig. 10 e 20, e 12 e 37 (l). Le figure sopracitate rappresentano due esemplari che si avvicinano molto alla tipica elongata del d’Orbigny. (‘) Mem. Accad. Scienze Bologna, tom. IX, ser. 5, pag. 371-381. 340 F. NAPOLI Nel Miocene di Vienna fu trovata dal d’Orbigny, nel Mio- cene di Monte Baranzone dal Malagoli e poi nel Pliocene di Monte S. Bartolomeo presso Salò dall’Egger. È pure vivente. 30. Bulimina elongata var. ariminensis d’Orbigny (tav. Ili, fig. la-c). 1826. Bulimina ariminensis d’Orbigny, Tableau Methodique, pag. 103,N.8. 1901. » elongata var. ariminensis Fornasini, Contr. con. Bulim. Adriat., pag. 373 e 377, tav. 0, fig. 8 e li. Al Fornasini dobbiamo se questa forma, appena citata dal d’Orbigny e figurata nelle Plancìies inédites , ha ricevuto mag- gior determinatezza di caratteri. Egli pubblicò il disegno inedito AeW ariminensis del d’Orbigny e ne fissò il posto intermedio tra la tipica elegans e la tipica elongata: facendone una varietà di quest’ultima e distinguen- dola per la forma subcilindrica o fusiforme. Ho ascritto alla varietà un esemplare in cui mi è parso di rinvenirne i carat- teri. Mi ha confermato in questo giudizio il confronto delle figure del Fornasini ricavate da forme adriatiche. Il medesimo Fornasini ritiene che le figure 30 e 32 della tavola 11 del Terrigi nella pubblicazione sulle sabbie gialle del Vaticano corrispondano alla var. ariminensis e non alla JB. pn- poides, come volle l’autore. Il Fornasini la cita nel Pliocene di Fombardia, dell’Emilia e del Lazio. Il d’Orbigny la trovò nell’Adriatico presso Kimini. 31. Bulimina elegans d’Orbigny (tav. Ili, fig. 2a-c). 1826. Bulimina elegans d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 104, N. 10. 1884. » » Brady, Bep. Foravi. Clialleng., pag. 398, tav. L, fig. 1-4. 1901. » » Fornasini, Contr. con. Bulim. Adriat., pag. 375. Carattere distintivo di questa forma è la disposizione rego- larmente triseriale delle camere che sono regolari e ben distinte. L’apertura è virgoliforme. L’esemplare della Farnesina mi pare abbia questi caratteri. La disposizione triseriale è evidentissima FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 341 nelle prime loggie e poi diviene più confusa. Non converrebbe tanto con la forma tipica figurata dal Brady nelle figure 1 e 2, ma si avvicina assai alla figura 4. Nel Pliocene italiano fu trovato in Liguria, in Lombardia e nell’Emilia (Fornasini). È vivente. 32. Bulimina marginata d’Orbigny (tav. Ili, fig. 3 a-c). 1826. Bulimina marginata d’Orbigny, Tableau Me'thodique, pag. 103, N. 4, tav. XII, tig. 10-12. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foram , pag. 194, tig. 35 e 36. 1884. » » Brady, Bep. Foram. Challeng., pag. 405, tav. LI, tig. 3-5. Il Brady dice facile la determinazione di questa specie, poi- ché nel suo nicchio ovale o conico, ciascuna loggia si protende alquanto aH’ingiù in modo da formare un angolo libero che è distintamente denticolato. Questa modificazione però, aggiunge il Fornasini, si può verificare, tanto nella tipica elegans, quanto in alcune varietà di essa. Così egli stabilisce delle varietà mar- ginatele per la B. elegans , per la B. elongata, ecc. Infine enu- mera tra le specie da lui rinvenute nell’Adriatico anche la B. marginata, onde bisogna conchiudere che anche questo egregio rizopodista ammette un tipo di B. marginata s. str ., i caratteri della quale si dovranno ricavare dalle figure del Tableau di d’Orbigny e dalla descrizione del Brady. Ora parecchi esem- plari mi pare rispondano a queste condizioni e combinino con le figure dei suddetti autori. Frequentissima nel Pliocene italiano (Fornasini) e nei se- guenti periodi. È comune nei mari attuali. 33. Bulimina pupoides d’Orbigny (tav. III, fig. 4 a-f). 1846. Bulimina pupoides d’Orbigny, Foram. Foss. Vien, pag. 185, tav. XI, fig. 11 e 12. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foram., pag. 193, tav. II, fig. 30-34. 342 F. NAPOLI 1884. Bulimina pupoides Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 400, tav. 4, fig. 15 a e b. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Falò, pag. 110, tav. V, fig. 6. Il Brady ha raggruppato le tre seguenti forme di Bulimine, cioè : la B. ovata, la B. affinis e la B. pupoides, non trovandovi sufficienti caratteri di distinzione specifica. Tuttavia, avendo pure il tipo pupoides qualche differenza caratteristica, se ne potrà sem- pre tenere conto almeno come di una sottospecie. Per questo ho mantenuto il termine orbignyano per alcuni esemplari, tanto per maggior distinzione, senza voler pregiudicare la questione. È una forma molto comune dal Miocene in poi per tutti i depositi terziari e post-terziari. È vivente nei grandi mari. 34. Bulimina gibba var. marginata Fornasini (tav. Ili, fig. 5 a,b). 1901. Bulimina gibba var. marginata Fornasini, Cont. con. Bulim. Adriat ., pag. 379, tav. I, fig. 15, 19, 22, 26, 35, 42. Il Fornasini nella monografia sulle Bulimine adriatiche ha stabilito una nuova forma che egli dice varietà della B. ele- gans, e che chiama B. gibba. Essa si distaccherebbe da quella per la disposizioue irregolarmente triseriale delle camere e per essere molto più dilatata nella regione terminale. Nel- l’ambito poi della B. gibba stabilisce la var. marginata. Con questa varietà mi pare di poter identificare l’esemplare figurato. Differisce dalla tipica B. marginata per l’ingrossamento della parte terminale. È vivente nell’Adriatico. 35. Cassidulina laevigata d’Orbigny (tav. Ili, fig. Qa-c). 1826. Cassidulina laevigata d’Orbigny, Tableau Métliodique, pag. 282, tav. XV, fig. 4 e 5. 1858. » » Williamson, Ree. For. Gt. Br., pag. 68, tav. VI, fig. 141 e 142. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foram., pag. 199, tav. II, fig. 47. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 343 1884. Cassidulina laevigata Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 428, tav. IV, fig. 13. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. Ili, tav. V, fig. 9. Parecchi esemplari posso con sufficiente sicurezza ascriverli a questa forma orbignyana. Infatti, come nelle figure degli autori sopracitati, essi si presentano quasi circolari, biconvessi o len- ticolari, acutamente carenati nel contorno periferico, a segmenti numerosi e molto curvati; con superficie levigata lucente e la cui perforazione è appena visibile; aspetto ialino. L’apertura è una fenditura trasversale. Il Silvestri propenderebbe a consi- derare come una varietà distinta quella che presenta la carena, come fa questa della Farnesina. E una forma esclusivamente terziaria. In Italia nel Miocene e Pliocene (Fornasini). 36. Lagena aspera Reuss (tav. Ili, fig. 7). 1861. Lagena aspera Reuss, Foram. d. Kreidetus. v. Maestricht, pag. 305, tav. J, fig. 5 (*). 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng , pag. 457, tav. LVIII, fig. 6-12. 1891. » » Terrigi, Dep. lac. e mar. Via Appia , pag. 77, tav. II, fig. 3. Forma rinvenuta nel Liasico, nell’Oolitico e nel Cretaceo e ad intervalli nei periodi terziari e post-terziari. Vivente. 37. Nodosaria (Grlandulina) laevigata d’Orbigny (tav. Ili, fig. 8 a, 6). 1816. Glandulina laevigata d’Orbigny, Forum. Foss. Vìen, pag. 29, tav. I, fig. 4 e 5. 1884. Nodosaria » Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 490, tav. LXI, fig. 17, 22 e 32. (') Sitz. d. k. Akad. Wiss. Wien, voi. XLIV, pag. 304. 344 F. NAPOLI 1898. Glandulina ìaevìgata Silvestri, Foraminiferi Pliocenici, pag. 122, tav. Ili, tig. 11 ('), 1902. » » Fornasini, Sinos. metodi. Foram. Lido di Pi- mini , pag. 26. Questa specie che ha numerose varietà distinte in varii gruppi da 0. Silvestri, si presenta qui nella sua forma tipica. Fossile nel Triasico superiore ed in tutte le formazioni mi- crozoiche posteriori (Brady). 38. Marginulina raplianus var. crebricosta Seg. (tav. Ili, tig. 9 a,b). 1880. Marginulina raplianus var. crebricosta Seguenza, Formazioni terzia- rie nella provincia di Peggio , pag. 90, tav. IX, tig. 6 (*). 1884. » costata Brady, Pep. Foram. Cliallenq., pag. 528, ta- vola LXV, tig. 10-13. 1900. » crebricosta Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari di foraminiferi adriatici, pag. 382, fi g. 31. Il Brady unisce la M. raphanus var. crebricosta Seg. colla M. costata Batsch. Il Fornasini invece ne fa una specie a sé. che ravvicina alla ili. fissicostata GKimbel studiata da A. Sil- vestri. Ammettendo l’identità che stabilisce il Brady, questa Marginulina sarebbe una forma molto antica. Si trova nel Lia- sico, ed in seguito in quasi tutte le formazioni marine seguenti. 39. Polymopliina compressa d’Orbigny (tav. Ili, tig. 14 a-c). 1846 Polymorpliina compressa d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 233, tav. XIII, tig. 32-34. Conti, Monte Mario , pag. 41. Terrigi, Colle Quirin. fauna micros., pag. 182, tav. II, tig. 21. Brndv, Pep. Foram. Cliallenq. , pag. 565, tav. LXXII, tig. 9-11. Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. 22, tav. VI, tig. 10. L’individuo della Farnesina concorda oltre che nei caratteri, anche nella conformazione con la forma del Bacino di Vienna. (1) Mem. p. Accad. N. Lincei, voi. XII. (2) Atti R. Accad. Lincei, ser. 3, voi. VI. 1864. » » 1883. » » 1884. » » 1889. » » FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 345 In quanto alle specie descritte dal Terrigi, mi pare giusto il dubbio espresso dal Fornasini, che cioè non si tratti della P. compressa d’Orb. Fossile fu trovata nel Liasico inferiore e medio, nell’Oolitico inferiore, nel Cretaceo ed in generale nel Terziario e Post-Ter- ziario (Brady). In Italia è dubbio nel Miocene, si trova poi, benché non abbondante, nel Pliocene (Fornasini). 40. Polymorphina ovata d’Orbigny (tav. Ili, fìg. 15 a, &). 1846. Polymorphina ovata d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 233, tav. XIII, fìg. 13. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 41. 1884. » » Brady, Bep. Foram. Clialleng., pag. 564, tav. LXXII, fig. 7-8. Il d’Orbigny dà come caratteri specifici della P. ovata i seguenti : forma ovale, un po’ romboidale, levigata, ugualmente compressa nei due lati, composta di sei loggie oblique, sepa- rate da suture poco visibili. L’ultima è provvista di un’aper- tura raggiata. Il Brady aggiunge che le loggie sono disposte in due serie alternanti. Veramente il confronto delle figure dei due autori non conforta molto l’identità di specie, ma il Brady osserva che la forma vivente diversifica dalla fossile per le ultime loggie molto più rigonfiate ed ingrandite. L’esemplare della Farnesina da me figurato conviene quasi perfettamente con il tipico del Bacino di Vienna. Data dal Miocene ed è rappresentata qua e là nei depositi pliocenici, quasi mai abbondante. E vivente. 41. Polymorphina communis (d’Orbigny) (tav. Ili, fig. 10 a-c). 1826. Guttulina communis d'Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 100, tav. XII, fìg. 1-4, mod. 62. 1846. » » d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 224-, tav. XIII, fig. 6 8. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 41. 346 F. NAPOLI 1884. Polymorphina communis B rady, Rep. Foram. Clialleng., pag. 568, tav. LXXII, fig. 19. 1900. » » Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari Foram. Adriatici , pag. 387, fig. 37. Di questa forma si voleva fare una varietà della P. pro- blema; ma per evitare maggior confusione nella terminologia e pei caratteri differenziali abbastanza spiccati, si è mantenuta la denominazione binomia. Fossile nel Liasico e comune nel Terziario e nei mari attuali. 42. Polymorphina gibba d’Orbigny (tav. Ili, fig. 13 a,b). 1826. Polymorphina (Globulina) gibba d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 100, n. 20, mod. 63. 1846. Globulina gibba d’Orbigny, Foram. Foss. Vien, pag. 227, tav. XIII. fig. 13 e 14. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 41. 1884. Polymorphina gibba Brady. Rep. Foram. Clialleng., pag. 561, tav. LXXI, fig. 12 a. e b. 1901. » » Fornasini, Intorno alla nomenclatura di alcu- ni nodosaridi neogenici Italiani , pag. 68, fig. 20 (')• Si trova questa forma dall’Oolitico in poi (Brady). 43. Polymorphina gibba var. punctata (d’Orbigny) (tav. Ili, fig. lla-c). 1846. Globulina punctata d’ Orbigny, Foram. Foss. Vien, pag. 229, tav. XIII, fig. 17 e 18. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 41. 1900. Polymorphina punctata Fornasini, Le polimorfìne e le uvigerine fos- sili d’Italia, pag. 149 (2). Il d’Orbigny nella descrizione di questa forma asserisce che essa è in tutto simile alla P. gibba e solo se ne scosta per la superficie punteggiata. Il Brady associa le due forme, e lo stesso pensa il Fornasini. Dietro questo criterio ne ho fatto una va- 0) Mem. r. Accad. Scienze Bologna, tom. IX, ser. 5, pag. 45-76. (2) Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX, pag. 132-172. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 347 rietà che distinguo dal tipo T. gibba per una perforazione più grossolana. Nel Miocene e nel Pliocene italiano è una forma piuttosto rara. 44. Polymorphina rotundata Bornemann (tav. Ili, fìg. 16a-c). 1855. Guttulina rotundata Bonermann. Die mikroscop. Fauna d. Sep- tarienth. v. Hermsdorf. b. Berlin, pag. 346, tav. XI ; tav. XVIII, fig. 3 ( ') ; tav. LXXIII, fig. 5-8. Con questo nome specifico il Bornemann ha voluto compren- dere un certo numero di forme a contorno arrotondato. Esso più che una specie si potrebbe considerare come il tipo di un gruppo con molte gradazioni. Di queste il Brady ne ha figurate quattro di cui i numeri 7 ed 8 rappresenterebbero forme tipiche, le altre forme di passaggio. Basandomi sulla descrizione e sulle figure del Brady ho identificato con questa forma un esemplare di forma ovale arrotondato lateralmente. Questa specie è molto ben conosciuta come fossile del Ter- ziario trovandosi abbondantemente nelle argille a Settaria della Germania. 45. Polymorphina myristiformis Williamson (tav. Ili, fig. 12 a, b). 1858. Polymorphina myristiformis Williamson, Ree. For. Gt. Br., pag. 73, tav. IV, fig. 156 e 157. 1884. » » BrRdy,Rep.Foram.Challeng.,-pa.g. 571, 1884. » rotundata Brady, Rep. Foram. Challenq., pag. 670, tav. LXXIII, fig. 9 e 10. Questa forma non citata dal Fornasini nel suo catalogo delle Polymorphine fossili d’Italia, nè nella Sinossi dei Foraminiferi del lido di Rimini, mi pare di poterla assicurare nelle sabbie grigie della Farnesina. Infatti quattro esemplari che nei loro contorni assomigliano molto alla P. gibba, benché alquanto depe- (') Zeitschr. d. deutsch. geol. Gesell., voi. VII, pag. 307, tav. XII-XXI. 318 F. NAPOLI riti, mostrano benissimo delle linee di tubercoli e delle coste longitudinali, come nelle figure 9 e 10 del Brady. All’estero il Brady cita questa forma nelle prime formazioni microzoiche terziarie dell’isola di Wight e nel Miocene di Pont- de-Yoy in Francia. Si trova anche in alcuni mari attuali. 46. Uvigerina aculeata d’Orbigny (tav. IY, fìg. 1 a,b). 1846. Uvigerina aculeata d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 191, tav. XI, fig. 27 e 28. 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. f>78, ta- vola LXXV, fig. 1 e 2. L’esemplare figurato ed identificato con questa specie, per quanto in cattivo stato, pure non cessa di essere importante. Da una parte la parete laterale è stata erosa e, come se vi si fosse fatta una sezione longitudinale mediana, presenta la disposizione interna delle loggie. La parete opposta, benché conservata, ha subito delle modificazioni nella sua ornamentazione. Si scorgono, per quanto un po’ in confuso, le distinzioni tra loggia e loggia. Le superiori sono ornate da coste longitudinali, che però, date le condizioni deteriorate del nicchio, sono appena riconoscibili. Le rimanenti invece sono cosparse di tronconi di aculei di va- ria grandezza. Non v’è dubbio trattarsi qui di una Uvigerina , e non pare esagerato il tentativo di determinarne anche la specie; ma avendo a fare con una forma aculeata e con le basi degli aculei abbastanza larghi e disposti irregolarmente, si può escludere la U. asperuìa e riferirsi a \Y aculeata. Ben è vero che il d’Orbigny dice di questa specie, che ha l’apertura orale ridotta ad un semplice orifìzio rotondo, ma il Brady non ac- cenna a questa particolarità e le figure da lui riportate hanno tutte l’apertura all’apice di un tubo. Per queste riflessioni la ricostruzione dell’individuo o meglio del frammento delle sabbie grigie mi pare abbastanza solida. Nel Miocene di Vienna. In Italia nel Miocene e nel Plio- cene fu trovato nel Piemonte e nella Toscana (Fornasini). E pure vivente. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 349 47. Globigerina quadrilobata d’Orbigny (tav. IY, fig. 2 a-c ). 1846. Globigerina quadrilobata d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 164, tav. IX, fig. 7-10. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 40. Specie affine alla Gl. bulloides da cui si distingue per la mancanza dei giri interni e per l’uguaglianza delle logge. Specie non molto diffusa. La troviamo dall’Oligocene in poi. Abbondantissima negli strati a Clavulina Szaboi degli Euganei, diminuisce venendo verso l’attuale (Fornasini). 48. Globigerina bulloides d’Orbigny (tav. IY, fig. 3 a-c). 1826. Globigerina bulloides d’Orbigny, Tableau Méthodique , pag. 277. 1846. » » d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 163, ta- vola IX, fig. 4-6. 1884. » » Brady, Bep. Foram. Cliallenq ., pag. 593, ta- vola LXXIX, fig. 3 a 7. 1899. » » Fornasini, Globigerine Adr iati che, pag. 579, tav. II, fig. 1 e 3-8; tav. IV, fig. 2 (*). La forma disegnata conviene interamente nei caratteri fis- sati dal d’Orbigny per la bulloides. Il numero delle log'gie ap- pare chiaro: è in numero di nove; ora il Brady stabilisce come carattere distintivo di questa specie « l’avere le camere globulari, in numero di sette circa, di cui quattro nell’ultimo giro », per la qual ragione si potrebbe pure dubitare se appartenga veramente alla bulloides. Il Fornasini però ascrive a questa specie forme con maggior numero di log’gie, ed in alcune se ne contano sino a diciotto; mi pare quindi, dietro le orme di questo studio- sissimo della microfauna, di poter mantenere la determinazione fatta. La bulloides è la più diffusa ed abbondante delle Globigerine : si trova in tutte le zone, ma prevalentemente nelle profonde dal Cretaceo in poi (Fornasini). 0) Mem. r. Acc. Scienze Bologna, t. VII, ser. 5, pag. 575-686 con 4 tavole. 350 F. NAPOLI 49. Globigerina rotundata d’Orbigny (tav. IV, fig. 4 a-c). 1826. Globigerina rotundata d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 271, n. 6. 1898. 1898. 1899. 1902. » Fornasini, Le globigerine fossili d’Italia, pag. 208, fig. 3 (V- helicina Fornasini, ibidem, pag. 209, fig. 4. rotundata Fornasini, Globigerine Adriatiche, pag. 578, tav. Ili, fig. 4 e 5, tav. IV, fig. 1. » Fornasini, Sinossi Metod. Foram. Lido di Rimini, pag. 53. L’esemplare identificato con questa specie ha un nicchio prov- visto di molte loggie unite insieme molto compattamente. La spira è piuttosto elevata e l’ultimo giro formato da quattro log- gie. È provvisto di vestibolo umbelicale ove si trova l’apertura. Quest’individuo ha molta somiglianza con la Gl. helicina delle Planches inédites pubblicata dal Fornasini. Ma siccome in -un lavoro posteriore lo stesso Fornasini ha riferito la figura delle Planches inédites alla Gl. rotundata , mi è parso giusto se- guirne l’esempio, lasciando il nome di helicina ad un tipo ben definito per caratteri speciali, e che si allontana molto da questa forma. In Italia fu trovata nell’Oligocene degli Euganei e delle Alpi Marittime (Hantken), sul lido di Rimini ed a Porto-Corsini. 50. Globigerina triloba Reuss (tav. IV, fig. 5 a-c). 1850. Globigerina triloba Reuss, Neue Foram. a. d. Sch. d. òsterreich- ischen Tertiàrbeclcens , pag. 374, tav. XLVII, fig- 11 (2)- 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foram., pag. 152, ta- vola I, fig. 18. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. 113, ta- vola VI, fig. 12. 1899. » » Fornasini, Globigerine Adriatiche, pag. 581, tav. II, fig. 9 e 10. Non ho seguito il criterio del Brady, il quale fa della tritola una varietà della bulloides per le ragioni che il Fornasini adduce ; p) Palaeontographia Italica, voi. IV, pag. 203-216. (2) Denkschr. d. math. naturw. Kl. d. K. Akad. Wiss., voi. I, pag. 365, tav. XLVI-LI. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 351 cioè che caratteristica di questa forma è di avere le ultime tre loggie di dimensioui notevoli in confronto delle altre, e qui è una forma polistoma mentre la bulloides è monostoma. Il Eeuss la cita nel Pliocene di Siena e di Castellarquato. Il Terrigi la trovò con pochi individui nelle sabbie gialle del Vaticano, abbondanti invece nel calcare di Palo e nelle marne sabbiose di Capo di Bove. È pure vivente. 51. Globigerina conglobata Brady (tav. IV, fi g.6a-c). 1884. Globigerina conglobata Brady, Jìep. Foram. Challeng , pag. 603, tav.LXXX, fig. 1-5; tav. LXXXII, fig.5. 1899. » » Fornasini, Globigerine adriatiche, pag. 582, tav. Il, fig. 12-15; tav. Ili, tìg. 1-5; tav. IV, fig. 6. L’esemplare da me rinvenuto e disegnato s’avvicina assai a quello riportato dal Fornasini nella monografia sulle globigerine adriatiche alla tavola II, fig. 15. La G. conglobata trovasi ben rappresentata nel Pliocene italiano ed è abbastanza diffusa nei mari attuali (Fornasini). Il Terrigi la rinvenne nel calcare di Palo e nei depositi ma- rini di via Appia. 52. Globigerina regnlaris d’Orbigny (tav. IV, fig. 7 a, b). 1846. Globigerina regularis d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 162, tav. IX, fig. 13. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 40. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Foram., pag. 187, tav. II, fig. 19. L’esame comparativo del l’esemplare trovato con i caratteri e le figure date dal d’Orbigny per la Gl. regnlaris mi fanno concbiudere trattarsi di questa forma. Il Terrigi determinò come Gl. regularis uu individuo che, a giudicare dalla figura ripor- tata, fa dubitare dell’identità. Anche il Fornasini cita come dubbia questa forma del Terrigi. Secondo d’Orbigny questa Globigerina si distingue netta- mente dalle altre per le sue camere oblunghe ed arcuate in basso e per la sua spira quasi regolare. È abbastanza diffusa 352 F. NAPOLI dall’Oligocene in poi (Fornasini). 11 Terrigi la cita nelle sabbie gialle del Vaticano (?) e poi nelle marne del Quirinale ed in quelle di Capo di Bove. 53. GloMgerina concinna Reuss (tav. IV, fig. 8 a,b). 1850. Globigerina concinna Reuss, Neue Forum, a. d Sdì. d. osterreichischen Tertiàrbeckens, pag. 373, tav. XLVII.fig. 8. 1899. » » Fornasini, Globigerine ad/riatiche, pag. 578, tav. I, fig. 6-9; tav. II, fig. 2. Brady riguarda questa forma come inseparabile dal tipo bulloides. Infatti è ad esso collegata intimamente; soltanto ne differisce per avere l’ultimo giro costituito da cinque camere, per il quale carattere si avvicina alla cretacea. L’esemplare della Farnesina si distingue appunto per il detto carattere. Questa Globigerina suole accompagnare la Gl. bulloides tanto allo stato fossile che al vivente, ma non è forma comune. 54. Orbulina universa d’Orbigny (tav. IV, fig. 9). 1839. Orbulina universa 1849. » » 1864. » » 1884. » » 1899. » » d'Orbigny, Forum. Cuba, pag. 3, tav. I, fig. 1. d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 22, tav. I, fig. 1. Conti, Monte Mario , pag. 39. Brady, Fep. Foravi. Challeng., pag. 608, ta- vola XLXXV1II; tav. LXXXI, fig. 8-26; tav. LXXXII, fig. 1-3. Fornasini, Globigerine adriatiche, pag. 584, tav. IV, fig. 7-11. JSTon è mio compito entrare nelle discussioni a cui ha dato luogo questa forma, solo ne affermo l’esistenza nelle sabbie grigie della Farnesina ove è abbastanza frequente. Il Terquem la cita nel Liasico, l’Ehrenberg nel Giurassico, il Reuss nell’Oligocene ed il d’Orbigny nel Miocene. Il Terrigi la trovò nelle sabbie gialle del Vaticano e nelle marne del Qui- rinale e di Capo di Bove. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 353 55. Discorbina turbo (d’Orbigny) (tav. IV, fig. 10 a-c). 1826. Rota Ha ( Trocuhna ) turbo d’Orbigny, Tableau Méthodique, pa- gina 108, N. 29. 1884. Discorbina turbo Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 642, ta- vola LXXXVII, fig. 8 a-c. A questa forma, che è il tipo del genere Discorbina , attri- buisco un esemplare che mi pare vi convenga per i caratteri quali li ha stabiliti e descritti il Brady. La distingue dalla 7). orbicularis la minor lunghezza delle loggie e la particolare configurazione della faccia inferiore. La forma dal Terrigi rin- venuta nelle marne del Quirinale non pare sia la D. turbo, ma piuttosto la D. senensi.s, come giudica anche il Fornasini. Fu trovato nelle formazioni eoceniche di Parigi (Brady) e nel Miocene e Pliocene del Piemonte (Fornasini). 56. Discorbina rosacea (d’Orbigny) (tav. IV, fig. 11 a-c). 1826. Discorbina rosacea d’Orbigny, Tableau Méthodique , pag. 117, N. 15, Mod. 35. 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 644, ta- vola LXXXVII, fig. 1 e 4. Appoggiando interamente la determinazione sopra le indi- cazioni del Brady, ascrivo a questa specie orbignyana un indi- viduo che mi pare ne abbia i caratteri. Forma terziaria. Fu rinvenuta in molti depositi eocenici, mio- cenici, pliocenici e postpliocenici stranieri (Brady). In Italia in pochi depositi pliocenici del settentrione (Fornasini). 57. Discorbina vilardeboana (d’Orbigny) (tav. IV, fig. 12a-c). 1839. Rosalina vilardeboana d’Orbigny, Foram. Amer. Mer., pag. 44 tav. VI, fig. 13-15. 1884. Discorbina vilardeboana Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 645, tav. LXXXVI, fig. 9-12 ; tav. LXXX Vili, fig. 2. 1898. » » Fornasini, Indice Ragionato delle Rotaline fossili d’Italia, pag. 284 (1). (*) (*) Mem- r. Accad. Scienze Bologna, s. 5, voi. VII, pag. 139-290. 25 354 P. NAPOLI Con alquanta incertezza attribuisco un esemplare a questa forma. Esso si presenta convesso e quasi conico alla parte su- periore, nella quale si distinguono abbastanza nettamente le loggie dell’ultimo giro in numero di cinque di forma rettan- golare, gli altri giri si scorgono difficilmente, poiché la perfora- zione grossolana impedisce di riconoscere le linee di sutura e solo nell’apice del cono si distinguono le camere più antiche. La parete opposta è piana, incavata e lascia scorgere bene l’ultimo giro ed anche qualche loggia dei giri più recenti. L’insieme della figura concorda sufficientemente con quella del Brady. Questi asserisce che questa forma è una delle più difficilmente distin- guibili varietà della D. rosacea. Il Fornasini che la trovò nel- l’argilla di S. Pietro in Lama presso Lecce dice, che è affine alla JD. glolularis e ne differisce per la maggior elevatezza della spira e per la meno grossolana perforazione. Nessuno però dei due autori fa un riassunto dei caratteri del nicchio, e non avendo io potuto consultare l’opera del d’Orbigny mi sono atte- nuto al confronto con le figure del Brady e su di questa ho appoggiato la mia determinazione che è quindi di una certezza relativa. In Italia è citata solamente dal Fornasini per il Pliocene superiore di Lecce. E vivente. 58. Discorbina orbicularis (Terquem) (tav. IV, fig. 13 a-c). 1876. Rosellina orbicularis Terquem, Anim. sur la Plage de Dunkerque, pag. 75, tav. IX, fig. 4 a, b. 1880. Discorbina rosacea Terrigi, Fauna Vatic. a Forarti., pag. 200, ta- vola III, fig. 54 e 55. 1884. » orbicularis Brady, Rep. Forarti. Challeng., pag. 647, ta- vola LXXXVIII, fig. 4-8. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Falò, pag. 115, tav. VII, fig. 2 e 3. Ascrivo a questa specie parecchi esemplari, risultando la determinazione dal confronto con le figure e con i caratteri dati dal Brady. Nel Miocene dell’Italia meridionale (Seguenza), nelle sabbie gialle del Vaticano e nel calcare di Palo (Terrigi). FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 355 59. Discorbina rugosa d’Orbigny (tav. IV, fig. 14 a-c). 1839. Rosellina rugosa d’Orbigny, 'Forarti. Amene. Merid., pag. 42, tav. II, fig. 1214. 1884. Discorbina » Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 652, ta- vola LXXXVII, fig. 3 a-c; tav. XCI, fig. 4 a-c. 1891. » » Terrigi, Dep. lac. mar. via Appia, pag. 105, ta- vola IV, fig. 8. La determinazione fu fatta sul Brady e l’esemplare figurato si avvicina maggiormente alla fig. 4 della tav. XCI dello stesso autore. Nel Pliocene del Nizzardo, di Liguria, di Lombardia e del Lazio (Fornasini). 60. Discorbina bradyana Fornasini (tav. IV, fig. 15 a-c). 1900. Discorbina bradyana Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari di Fora - miniferi Adriat., pag. 392, fig. 45 (in testo). Il Fornasini ha fissato con questo nome specifico una forma che si allontana dalla D. rugosa per queste differenze: 1° La bradyana ha una struttura più compatta, camere meno rigonfie specialmente nella faccia superiore e faccia iniziale più convessa. 2° Perforazione del nicchio minuta e superficie liscia. 3° Linee di sutura della faccia iniziale più o meno curve. Ora a questi caratteri rispondono perfettamente alcuni esemplari della Far- nesina. Ed il confronto con le figure riportate dal Fornasini mi conferma trattarsi di una vera identità. Anche a me sembra una necessità di farne una specie distinta, poiché non mi pare che si possa identificare con altra già conosciuta. Il Fornasini la rinvenne nell’Adriatico. 61. Truncatulina lobatula (Walker et Jacob) (tav. IV, fig. ÌQa-d). 1798. Nautilus lobatulus Walker and Jacob, Adam’s Essays, Kanma- cher’s Ed., pag. 648, tav. XIV. 1846. Truncatulina lobatula d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 168, ta- vola IX, fig. 18-23. 356 F. NAPOLI 1864. Truncatulina lobatula Conti, Monte Mario, pag. 40. 1880. » » Terrigi, Fauna Vatic. a Forarti., pag. 169, tav. Ili, fig. 57. 1884. » » Brady, Rep. Forarti. Challeng., pag. 660, ta- vola XCII, fig. 10; tav. XCIII, fig. 1, 4 e 5; tav. CXV, fig. 4 e 5. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. 116, tav. VII, fig. 5-7. Differisce dalla Tr. boueana per la sua struttura meno com- patta e meno regolare. È una forma molto variabile. Il Brady dice che fu rinvenuta nel Carbonifero e nel Me- sozoico più recente e poi nei depositi marini posteriori. In Italia si trova in tutte le zone dal Miocene in poi (Fornasini). 62. Truncatulina Haidingeri (d’Orb.) (tav. IV, fig. 17a-c). 1846. Rotalina Haidingerii d’Orbigny, Forarti . foss. Vien, pag. 154, ta- vola Vili, fig. 7-9. 1884. Truncatulina Haidingerii Brady, Rep. Forarti. Challeng., pag. 663, tav. XCV, fig. la-c. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo, pag. 118, tav. Vili, fig. 7-9. All’estero la troviamo nell’Eocene; in Italia piuttosto dif- fusa nelle varie zone dall’Oligocene in poi nella penisola e nelle isole (Fornasini). 63. Truncatulina lmmilis Brady (tav. IV, fig. 18ci-c). 1884. Trancatulina lmmilis Brady, Rep. Foravi. Challeng., pag. 665, tav. XCV, fig. 5 a-c. 1889. » » Terrigi, Il Calcare Macco di Palo , pag. 117, tav. VII, fig. 11. La determinazione fu fatta sulle orme del Brady, il quale ne ha stabilito i caratteri e dato la figura, e gli esemplari da me trovati concordano molto bene. Le figure del Terrigi poi sono poco dimostrative trattandosi di un esemplare giovane ed irregolar- mente sviluppato. Il Brady afferma, che è facilmente distingui- bile per il contorno arrotondato e per le sue minute proporzioni. Il Terrigi la cita nel Calcare di Palo. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 357 64. Truncatulina Dutemplei (d’Orbigny) (tav. V, fig. 1 a-c). 1846. Rotalina Dutemplei d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 157, tav. Vili, fig. 19-21. 1880. Planorbulina Dutemplei Terrigi, Faun. Vatic. a Foram., pag. 202, tav. II e III, fig. 49-51. 1834. Truncatulina Dutemplei Brady, Rep. Foram. Challena., pag. 665, tav. XCV, fig. 5 , a. 5. e c. 1889. » » Terrigi, Il Calcare Macco di Palo, pag. 118, tav. Vili, fig. 10-11. L’esemplare figurato da me concorda abbastanza bene con la forma tipica della T. Dutemplei fissata dal d’Orbigny per il Miocene di Vienna. È una delle rotaline più diffuse, si trova in tutte le zone, ma specialmente nelle profonde dall’Oligocene in poi (Fornasini). 65. 'Truncatulina praecinta (Karrer) (tav. V, fig. 2 a-c). 1868. Rotalia praecincta Karrer, Mioc. F or amin. -Fauna v. Kostej i. Ba- nat., pag. 189, tav. V, fig. 7 ('). 1884. Truncatulina praecincta Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 667, tav. XCV, fig. 1-3. 1891. » » Terrigi, Depos. lac. mar. Via Appia ant., pag. 107, tav. V, fig. 11. 1895. » » Fornasini, Foraminiferi nelle Marne Mes- sinesi della collezione 0. G. Costa, pag. 11, tav. IV, fig. 36 (2). E questa una varietà dalla forma biconvessa. Nicchio robusto maggiormente convesso nella faccia inferiore. Le suture sono ornate da materia concbigliare trasparente. Superficie levigata, coperta da minute perforazioni. La distingue dall’affine T. Hai- dingerii la maggior convessità del lato inferiore. Forma miocenica non comune. Nel Pliocene fu rinvenuta dal Seguenza e dal Terrigi. (') Sitz. d. k. Akad. Wiss. Wienn, voi. LVIIJ, pag. 121, tav. I-V. (!) Mem. r. Accad. Scienze di Bologna, ser. 5a, tom. V, pag. 1-18. 358 F. NAPOLI 66. Truncatulina boueana d’Orbigny (tav. Y, fig. 3 a-c). 1846. Truncatulina boueana d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 169, tav. IX, fig. 24-26. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 40. 1883. » » Terrigi, Colle Quirinale... fauna mici'., pag. 168, tav. Ili, fig. 41. 1889. v> » Terrigi, Calcare Macco di Falò, pag. 117, tav. VII, fig. 10. Mi furono guida nella determinazione le figure del d’Orbigny e del Terrigi, le quali convengono esattamente con gl’individui da me trovati alla Farnesina. Il Brady unisce questa forma alla Tr. ìobatula, però mi sembra che non si possono confondere, essendo la Tr. boueana molto più regolare nel contorno e compatta nel- l’insieme. È una forma miocenica abbondante anche nei periodi se- guenti. 67. Truncatulina ariminensis d’Orbigny (tav. Y, fig. 4 a-c). 1826. Truncatulina ariminensis d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 113, n. 7. 1884. » Wuellestorfi Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 662, tav. XCIII, fig. 8. 1902. » ariminensis Fornasini, Sinossi Metod. Foram. Lido Rimini, pag. 59, fig. 60 (m testo). Al disegno inedito del d’Orbigny per questa specie, e pub- blicato dal Fornasini, mi pare di poter riferire un esemplare della Farnesina. Il nicchio è quasi piano convesso. La faccia superiore è alquanto ondulata, e ciò dipende dal fatto che ciascuna camera sporge alquanto sopra la seguente ; l’inferiore invece ha forti depressioni flessuose fra loggia e loggia. L’apertura è posta nella faccia interna deU ultìma camera. Il Fornasini unisce la T. ariminensis con la Wùellerstorfi Schwager, figurata dal Brady. Ammettendo questa identità, la T. ariminensis sarebbe una varietà come intermedia fra la T. ìobatula e V Anomalina ari- FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 359 minensis. Quest’osservazione, che è del Brady, è confortata dal confronto delle figure date da questi con il mio esemplare. D’Orbigny la trovò nell’Adriatico presso Bimini. 68. Auomalina ammonoides (Keuss) (tav. V, fig. 5 a-c). 1845. Rosellina ammonoides Reuss, Verstein Coiva Kreid, part. 1, pag. 36, tav. XIII, fig. 66; tav. Vili, fig. 53. 1884. Anomalina ammonoides Brady, Rep. Foram. Clialleng., pag. 672, tav. XC1V, fig. 2-3. 1898. » » Fornasini, Indice rag. Rotoline fossili d’I- talia,, pag. 211, tav. I, fig. 24. Questa specie che è il tipo del genere Anomalìna si distingue bene dalla affine A. grosserugosa per il maggior numero delle loggie in ciascun giro di spira, per la maggior regolarità, ed il minor ingrossamento. È comune nel sistema Cretaceo, ed occorre in seguito in quasi tutte le formazioni microzoiche successive (Brady). In Italia è piuttosto diffusa nelle varie zone dall’Oligocene in poi (For- nasini). 69. Pulvinulina oblonga (Williamson) (tav. V, fig. 6 a-c). 1858. Rotalina oblonga Williainson, Ree. Foram . Gt. Br., pag. 51, tav. IV, fig. 98-100. 1884. Pulvinulina oblonga Brady, Rep. Foram. Clialleng., pag. 688, tav. CVI, fig. 4, a-c. Il Fornasini crede di poter unire questa forma alla Rota- lina Brognartii d’Orbigny; anche a me pare giusta l’osserva- zione, per quanto non mi sia creduto dalla mia conoscenza autorizzato a fondere le due specie. Ammettendo l’ identità con la R. Brognartii, sarebbe già stata rinvenuta a Monte Mario dal Conti. Nel Miocene e nel Pliocene di alcune località d’Italia e di Sicilia, poco diffusa (Fornasini). 360 F. NAPOLI 70. Pulvinulina Schreibersii (d’Orbigny) (tav. Y, fig. 7 a-c). 1846. Rotalina Schreibersii d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 154, tav. Vili, fig. 4-6. 1864. » » Conti, M^onte Mario, pag. 40. 1883. » badensis Terrigi, Colle Quirinale... fauna, pag. 199, tav. Ili, fig. 43. 1884. Pulvinulina Schreibersii Brady, Rep. Foravi. Challeng., pag. 697, tav. CXV, fig. 1 a, b e c. Seguendo Fopinione del Brady e del Fornasini unisco le due forme P. Schreibersii e P. badensis Czjzeek. È abbastanza diffusa nelle zone profonde dal Miocene in poi (Fornasini). 71. Pulviiiiiliiia Menardii (d’Orbigny) (tav. Y, fig. 8 a-c). 1826. Rotalia Menardii d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 109, n.f26. 1876. » » Mantovani, Descr. geol. Camp. Rovi., pag. 47. 1884. Pulvinulina Menardii Brady, Rep. For. Challeng , pag. 690, tav. CHI, fig. 1 e 2. Parecchi esemplari convengono a questa forma per i caratteri che ne dà il Brady. È tipo di un gruppo di pulvinuline abissali ; se ne scosta da tutte per la maggior compressione del nicchio. E ad essa affine, benché meno compressa, la P. canariensis. Fossile fu citata dall’Ehrenberg nel Cretaceo di Sicilia e da Seguenza, nel Miocene e Pliocene della Calabria. Il Mantovani la cita nelle sabbie di Monte Mario. 72. Rotalia Beccarii (Linneo) (tav. V, fig. 9 a-c). 1767. Nautilus Beccarii Linneo, Syst. Nat, 12 ed. pag. 1162. 1826. Rotalia (Turbinolina) Beccarii d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 275. Beccarii Conti, Monte Mario, pag. 41. Terrigi, Fauna Vatic. a Foravi., pag. 208, tav. Ili, fig. 62; tav. IV, fig. 63-66. 1860. » 1880. » » FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 361 1884. Botalia Beccarii Brady, Bep. Forarti. Challeng., pag. 704, tav. CVII, fig. 2 e 3. 1889. » * Terrigi, Il Calcare (Macco) di Pa?o, pag. 28, tav. IX, fig. 4 e 5. A proposito di questa conosciutissima forma è bene ch’io accenni ad una notizia storica che trovo nel Fornasini (*), e cioè che sìd dal 1777 era stata annunziata la sua presenza nelle sabbie di Monte Mario da un certo Sceberras-Testaferrata nobile napoletano, alunno nel Collegio dementino. Infatti è un fossile veramente abbondante nelle sabbie grigie della Farnesina. La più diffusa delle rotaline, abbonda specialmente nelle zone meno profonde dal Miocene in poi (Fornasini). 73. Rotalia orbicularis (d’Orbigny) (tav. V, fig. 10 a-c). 1826. Gyroiclina orbicularis d’Orbigny, Tableau Me'thodique, pag. 112, n. 1. 1884. Botalia » Brady, Bep. Forarti. Clialleng., pag. 706, tav. CVIII, fig. 5; tav. CXV, fig. 6. 1891. ' » » Terrigi, Bep. lac. mar. Via Appia, pag. 108, tav. IV, fig. 14. La forma figurata è piano-convessa ; piana nella faccia su- periore e convessa nella inferiore, che è irregolarmente incavata neH’ombilico. Le suture nella parte inferiore si vanno mano mano stringendo dal centro verso la periferia, dando così origine nel complesso ad un abozzo di stella. Nella faccia superiore è evidente il solo ultimo giro della spira, mentre i più interni sono confusi. L’esemplare da me esaminato ha molta somiglianza con quello figurato dal Brady, alla tavola CVIII, fig. 5. Egli la dice una forma di transizione alla Botalia Beccarli. La figura tipica ne differisce per l’ombilico meno profondamente ed irrego- larmente incavato e per la totale levigatezza della faccia infe- riore. Prossima alla R. Soldanii se ne allontana però per la forma piano-convessa e per il minor sviluppo della spira. Fossile nell’Eocene di Parigi (Terquem), nel Miocene del- l’Italia meridionale, nel Pliocene romano e di altre località d’Italia (Fornasini). (') Le rotaline fossili d’Italia, ecc. 362 F. NAPOLI 74. Rotalia cfr. Soldauii d’Orbigny (tav. Y, fìg. 11 a-c). 1826. Eotalia (Gyroidina) Sóldanii d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 112, n. 5. 1846. Rotalina Sóldanii d’Orbigny, Foram. foss. Vien, pag. 155, tav. Vili, fig. 10-12. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 41. 1880. Rotalia » Terrigi, Fauna Vat. a Foram., pag. 175, tav. IV, fig. 68. 1884. » » Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 706, tav. CVIF fig. 6 e 7. 1891. » » Terrigi, Dep. lac. e mar. Via Appia, pag. 109, tav. IV, fig. 15. 1902. » » Fornasini, Sinossi Metod. Foram. Lido di Rimini, pag. 59, fig. 59 fin testoj. Una delle Rotaline più diffuse si trova dall’Oligocene in poi (Fornasini). 75. Rotalia papillosa var. compressiuscula Brady (tav. V, fig. 12 a-c). 1884. Rotalia papillosa var. compressiuscula Brady, Rep. Foram. Challeng., pag. 708, tav. CVIII, fig. 1 ; tav. CVIII, fig. 1. Il Brady, delle Rotaline ugualmente convesse nelle due faccie che si presentano con le suture ornate da linee interrotte o da serie di granelli disposti l’un dopo l’altro a rosario, ha for- mato una nuova specie che ha chiamato R. papillosa. Con una varietà di questa identifico un esemplare di cui do’ il disegno. Il nicchio è ugualmente convesso in ambedue le faccie; l'orlo peri- ferico è acutamente angoloso e le suture sono segnate da granuli ialini disposti irregolarmente a rosario. L’apertura è nella faccia interna dell’ultima loggia. Si differenzia dal tipo per la maggior compressione e per l’acutezza del bordo periferico, che è rotondo invece nella papillosa s. str. La R. papillosa Brady si allontana dalla R. schroeteriana per le faccie ugualmente convesse. E vivente. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 3 63 76. Nonionina boueana d’Orbigny (tav. V, fìg. 13a, b). 1846. Nonionina boueana d’Orbigny, For. foss. Vien, pag. 108, tav. V, fig. 11-12. 1864. » » Conti, Monte Mario, pag. 40. 1889. » » Terrigi, Cale. Macco di Falò, pag. 120, tav. X, fig. 5. 1891. » » Terrigi, Dep. lac. mar. Via Appia, pag. 110 e 112, tav. IV, fig. 17. Differisce dalla Nonionina depressala W. e J. per il mar- gine acuto, dalla N. asterisans F. e M. per la mancanza del carattere stelligero, dalla N. scapita per il contorno subcircolare. Questa forma fu trovata dal Reuss nell’Oligocene sup. della Germania e nel Miocene di Vienna dal d’Orbigny. In Italia dal Miocene in poi non molto diffusa, e comune soltanto nel Plio- cene romano e piacentino (Fornasini). 77. Nonionina nmbilicata (Montagli) (tav. V, fig. 15 a,b). 1803. Nautilus umbilicalulus Montagli, Tert. Brit., pag. 191 — Suppl., pag. 78, tav. XVII, fig. 11. 1846. Nonionina Soldanii d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 109, tav. V, fig. 15 e 16. 1864. » » Conti, Monte Mario , pag. 40. 1883. » umbilicata Terrigi, Colle Quirinale flora e fauna micr., pag. 203, tav. IV, fig. 48. 1891. » » Terrigi, Dep. lac. e mar. Vìa Appia, pag. 109. Questa forma ha dei caratteri intermedi fra quelli della N. depressala W. e J. e quelli N. pompilioides F. e M., se ne distingue, dalla prima per l’ombilico più marcato e profondo; dalla seconda per il contorno più depresso e per il maggior numero di camere. L’esemplare risponde molto bene con la N. Soldanii d’Orb. del Miocene di Vienna. Poiché il Brady riunisce le due forme, così ho mantenuto il nome più antico. Forma terziaria. All’estero si trova sin dall’Eocene. In Italia è la più diffusa delle nonionine. Si trova in tutte le zone dal Miocene in poi ed è comune in moltissime località (Fornasini). 364 F. NAPOLI 78. Nonioniiia asterizans (Fichtel and Moli) (tay. Y, fig. 16 a, b). 1803. Nautilus asterizans Fichtel et Moli, Test. Mici'., pag. 37, fig. e-h. 1884. Nonionina asterizans Brady, Eep. Foravi, diali eng., pag. 728, tav. CIX, fig. 1-2. Questa nonionina ben descritta da Brady ha il margine arro- tondato, le linee suturali sono ben nette e vanno a terminare in un piccolo spazio che circonda l’ombelico, che è leggermente incavato. Differisce dalla N. boueana per il margine arrotondato e per la forma più circolare. In Italia fu trovata fossile nel Miocene del Piemonte e nel Pliocene del Piacentino e del Senese. 79. Nonionina cfr. connnunis d’Orbigny (tav. Y, fig. 14 a, b). 1826. Nonionina communis 1846. » » 1864. » » 1880. » » 1883. » » d’Orbigny, Tableau Méthodique, pag. 128, n. 20. d’Orbigny, Forum, foss. Vien, pag. 106, tav. V, fig. 7-9 Conti, Monte Mario , pag. 40. Terrigi, Fauna Vatic. Forum., pag. 218, tav. IV, fig. 75 e 76. Terrigi, Colle Quirin. fior, fauna, ecc., pag. 205, tav. IV, fig. 52. Il Brady considera questa forma come intermedia tra la N. boueana e la N. scapila. Il Fornasini invece la riguarda come una varietà della N. scapila. Forma miocenica. Diffusa anche nelle formazioni seguenti. Il Terrigi la rinvenne nelle sabbie gialle del Yaticano e nelle marne del Quirinale. 80. Polystomella crispa (Linneo) (tav. V, fig. 17 a, b). 1767. Nautilus crispus Linneo, Syst. Nat., ed. 12, pag. 1162, sp. 265. 1826. Polystomella crispa d’Orbìgny, Tableau Méthodique , pag. 117, n. 1. 1846. » » d’Orbigny, Foravi, foss. Vien, pag. 125, tav. VI, fig. 9-14. Conti, Monte Mario, pag. 10 e 40. 1864. » FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 365 1880. Polystomella crispa Terrigi, Fami. Vatic. a Forarti., pag. 213, ta- vola IV, fig. 71 e 72. 1881. » » B rally, Rep. Forarti. Challeng., pag. 736, ta- vola CX, fig. 6 e 7. 1889. » » Terrigi, Calcare Macco di Palo , pag. 120, ta- vola X, fig. 6. È il tipo del genere Polyst omelia. E abbondantissima nelle sabbie grigie della Farnesina. Si trova sino dall’Eocene (Terquem). È la più diffusa delle polystonielline. In Italia dal Miocene in poi in tutte le zone (Fornasini). 81. Polystomella decipiens Costa (tav. V, fig. 18 a,b). 1856. Pohjstomella decipiens Costa, Paleont. Reg. 7Vaj3.,pag.220, tav. XIX, fig. 13 ('). 1897. » » Fornasini, Intorno ad alcuni foraminiferi illustrati da 0. G. Costa, pag. 5 (estr.) fig. 11 e 12 (2). 1900. » » Fornasini, Intorno ad alcuni esemplari di Foram. Adriat., pag. 401, fig. 50. Attribuisco a questa specie un esemplare con nicchio arro- tondato molto compresso, composto di dodici loggie, provviste di minute fossette suturali con ombilico coperto da granulazioni. Affine alla P. poeyana ne differisce per il carattere stelli- gero e per la minore appariscenza delle fossette. Secondo Fornasini è comune nel Pliocene di Terra d’Otranto, rarissima in quello di Calabria e nel Pleistocene di Catania. 82. Polystomella subnodosa (Mùnster) (tav. V, fig. 19 a,b). 1838. Robulina subnodosa Miinster, (fide Roemer) Ceplialop. d. Nord- deutsch. test. Meerssand., pag. 391, tav. Ili, fig. 61 (3). 1884. Polystomella subnodosa Brady, Rep. Foravi. Challeng., pag. 734, tav. CX, fig. 1 a e b. C) Atti dell’Accademia Pontaniana, voi. VII, pag. 105, tav.IX-XXVII. (8) Estratto Rend. Accad. Scienze, Bologna, n. s., v. II. (3) Neues Jahrbuch fiir Min., 1838. 366 F. NAPOLI 1898. Polystomella subnodosa Fornasini, Le sabbie gialle Bolognesi e le ricerche di G. B. Beccari, pag. 5, fig. 12, (estr.) ('). Ha nicchio biconvesso, il margine periferico acuto, poco com presso e con l’ombilico pochissimo incavato. Le linee di sutura sono depresse. I fori settali numerosi ma molto meno che nella P. crispa. L’ombilico non è perforato. L’apertura è una fendi- tura arcuata nel margine interno dell’ultima loggia. Secondo il Fornasini questa forma è una varietà, con mar- gine acuto, della P. striatopunctata. Le forme disegnate dal Terrigi e determinate per P. striatopunctata appartengono in- vece, per il margine acuto, alla P. subnodosa. All’estero fu rinvenuta nell’Oligocene (Brady). In Italia nel Pliocene piemontese, bolognese, senese, romano e di Terra d’O- tranto (Fornasini). TABELLA CORO-CRONOLOGICA A facilitare maggiormente la conoscenza della distribuzione orizzontale e verticale delle specie da me rinvenute, ed anche per rendere più chiare le conclusioni che da esse si possono trarre, le ho raccolte nella presente tavola elencandole siste- maticamente e citando la località della Farnesina, ed altri gia- cimenti conosciuti; cioè l’Eogene d’Europa (Eocene ed Oligo- cene), il Miocene e il Pliocene d’Europa e poi alcuni depositi più prossimi e paragonabili al nostro, quali sono le Argille di Siena, le sabbie del Vaticano e la ben conosciuta formazione delle falde di Monte Pellegrino presso Palermo. Di più ho voluto ancora distinguere le forme tuttora viventi, separando dagli altri mari il Mediterraneo, al qual bacino si deve la formazione marina del Monte Mario. Ho aggiunto in ultimo alcuni dati batimetrici ricavati dalle osservazioni fatte per le specie viventi. Nel compilare la tabella mi sono servito di quegli autori che ho nominato parlando delle singole specie. (;) Estratto dal Rend. Acc. Scienze Bologna, n. s., v. II. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 367 M c M CS3 o CN o Tji 00 s 2 a d d o3 w co o O H co c3 .2 #P a o HO *33 *GG + + I + + + + + + t 09TrejJ9'4ip9j\[ + f + I + + + + f + + (*009 ‘T3ZTI9n£9g) onu9x,e> _ a "2 SP o ’-g 3 6 e’ ^ CO r* co Q rO pO ©h -st ^ « s • >> ^ a O 60 ^2 a O O HO >> o 60 2 5 Tj co .• $ C^-H « O >> a 'àjp 2 u o « e — t>> .2 3> ti ^ § 9 S 'CS Ó § *0 © e Q •8 « è s § ss pi* s ^ >> • p 60 ? 2 60 ?H 2 O 0 ^ * 1 1 § e *42 § s . •§ 5 CJ ^ e e "1 § .§ § o> e & ’g Ji • ci ci ci ci O Cw Ph O o O lO co ^ W CO CO 03 03 o O O t>- •- co CD co 03 co w H n O É£j © £ >» 1x6 $%ÈM bC O J3 1. 3 ^ 3 O M a O a- a o « ^ ^ .2- «Jj «2 e n s o 03 a &c o Si ■» e s e g Sh Si '-S £?£* ° bh £ s : s m > O s 8 ^ g S 1 §H Ir: *+-> o >> -ì 5b -I >» a ►».sp a _a bJD =r O O 8 8 .fi .. Ó 17:3 « g § s. 8 gl gì 5 .fi gì O 3 »*3 co et 8 £ §< s .-2 a, »! e * § .gì £ gs i “ ! — fio ^ w « « „ e .2 Ili 8 Si| C ^ fe; •9UipX0,p O.I9TItnU HHMSINiNMSWWINMMeOeOCOfflfflCOn FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 369 D O 0 CO 3 Ol o O o 01 co co ^ CO ri CO CO i“H _ o o o Ci IQ (Jl è è è o o co t- et et O io *rp e a o o CD o o 1^ % b e a a • a et _b£ _s et a . S e e Sì ^ s « « >> e bp s o b ■S e > 15 ^ F5 C bX) O .*? S *%p ^ ^ § S CTH rO CO Dh ^ e rg ^ « o § ^ — § « •K» 0“ o £ K^ì bD O 55 b Oh -2 e § j= P àfi .S? .1? q "2 o 2 9 "= ® b v“" $3 ^ 53 £ 5 o ■S S § C7* >% 7-> C 0> fa£ >> a bp ’rS 6 C Q.J *35 ^ ^ c« r= 2. -e' e J4 ^ a t>> a or. ' le -o o o ^ I § J, O ^2 ^ C s « s S1 .« », et « e § • rH et T-< HO l>» T— 1 H CO 7“^ s E £ £ s £ E £ s £ E s Viventi T.IBUI TJ'^XY 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 rH CD 08n,BJJ9^rp8j\[ 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 l> (*008 ^zuonSog) onue^e^ Co. 4 SO- 4 4 4 4 CO (N (■009 ‘t2tJJ8J,) 9U'BOT^'B^l ©iqq'Bg 06» 4 4 4 4 4 4 4 HO CM (ix;saAxig) uuajg tp ajjTSiy 4 4 4 4 4 4 4 4 4 03 -3 m m 0 ('eclojng;) auaooipj 1 4 4 4 4 4 4 { 4 4 4 4 4 HO l- É (udojng;) auaoojpf 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 t>- HO (t’dojng;) 9uaSoij 4 I 4 4 4 4 (M CO OOTOZOS8J^ 4 CO - Fn ® H £ I— I d Ph ^ <1 d ^ o h .a> I— I n O 60 H s à -E Xfl -S fc1 _ ro 6r I 9 1 :p o > ;s S- C £ ■•» ' 8 rS 1 , >> • ■-% u • • • . pq . 'A * * • • rS • • 0 • • "3 . • C3 co . * ,SS . . • • • • *i ' -*— ■ampjo.p ojaran^ C3 e £ 52 Ì3 OQ >1 a F cr. .SPS ud - °§ ^ •*» y § 5 S s oq e js S .60 3 s 5 e O Pi g« s .O s il O S5 - § s a o w « CO c o - S O ^ S o § a, .a, ~ C*. CCi 8* ^ § -S o o o o e ^3 £ O H C3 O H (M W ^ IC ^ h CO C' O H (?1 CC h h h h h h L'" t- l'* X CO X FO RAMINI FERI FOSSILI DELLA FARNESINA 371 * * * Riportandomi agli studi sulla fauna foramiuistica vivente posso inferire le seguenti conclusioni : Dei foraminiferi alcuni ap- partengono al Plankton ed altri al Benthos. Questi ultimi non hanno valore come fossili caratteristici, tuttavia hanno grande importanza per il giudizio su faune locali e per la distinzione delle facies. Quando essi si presentano più frequenti che non le forme pelagiche, sono indizio di un’acqua relativamente bassa e della vicinanza della terra ferma. Le forme appartenenti al Plankton sono poche relativamente, ma invece se ne trovano nel mare aperto in un numero straordinario d’individui. Però non tutte le specie abitano in tutte le latitudini; ma hanno quasi dei luoghi normali di abitazione. I foraminiferi pelagici sono particolarmente caratteristici di tutti i sedimenti di mare profondo delle regioni tropicali da 365 metri a 5486. Vicino alla costa e nelle regioni polari la loro presenza è occultata dalla preponderanza di altro materiale, in modo che non prendono più grande parte alla composizione dei sedimenti od almeno del calcare in essi contenuto. Mentre nel mare aperto per la loro stragrande abbondanza di individui for- mano più del 90 % del calcare dei sedimenti di mare profondo. I foraminiferi del Plankton possono talvolta servire per giu- dicare di sedimenti eteropici formatisi contemporaneamente, poiché essi si trovano a tutte le profondità ed in tutti i sedi- menti dal lembo costiero sino al mare profondo. Anche la robustezza maggiore o minore del nicchio può assu- mere una certa importanza, poiché si è constatato che propor- zionalmente alla salsedine diminuisce anche la robustezza del nicchio sino a divenire privo di calcare ed a rimanere composto di una sostanza chitinosa bruna e sottile. È risaputo anche che nelle acque marine i nicchi sono tanto più massicci e fortemente costituiti, quanto più bassa ed agitata è l’acqua in cui si svolge loro vita. Sicure induzioni sulle profondità non si possono trarre da singole forme di foraminiferi, poiché delle forme di acqua bassa si trovano qualche volta anche nelle profondità considerevoli. 372 F. NAPOLI Nullameno, con l’aiuto delle tabelle, che hanno dato i varii studiosi della fauna vivente, si può almeno stabilirne i limiti estremi. Applicando" questi criteri alla fauna a foraminiferi delle sab- bie grigie della Farnesina, si può inferire: In primo luogo per quanto spetta alla costituzione del nicchio delle varie specie si può affermare la presenza di esemplari robusti e forti e con spessore non indifferente. In quanto alla preponderanza dei generi, secondo le presenti ricerche, si ha: Rotalia, specialmente la sp. Beccarii, Triloculina e Quincqueloculina (Miliolina), Textilaria e Globiyerina. Ma vi sono forme di quasi tutte le famiglie stabilite dal Brady. Sono abbastanza frequenti le forme pelagiche del Plankton come: Globigerina conglobata e bulloides, Rulvinulina Menardii ed Orbulina universa. Non mancano an- che specie del Benthos viventi in mare profondo, come la Mi- liolina seminulum, Rotalia Soldanii , Truncatulina lobatula e Nonionina umbilicata. Le rimanenti forme appartengono al Benthos e le profondità a cui vivono hanno un’ampiezza da po- pochi metri a tremila. Conclusione quindi probabile, che si può dedurre dalla pre- senza della fauna studiata, sarà: che lo strato di sabbie grigie si è andato formando in seno al mare non molto discosto dalla spiaggia, come dimostrano i numerosi foraminiferi del Benthos, però abbastanza profondo da mantenere la salsedine pressoché costante e da permettere lo sviluppo di forme di mare profondo. * Con il presente lavoro la fauna a foraminiferi delle sabbie grigie della Farnesina viene arricchita di 6 generi e di 43 specie, delle quali: a) mai rinvenute fossili: 1. Tritaxia camerata Brady. 2. Buliniina gibba var. marginata Foruasini. 3. Biscorbina bradyana Fornasini. 4. Truncatulina ariminensis d’Orbigny. 5. Rotalia papillosa var. compressiuscula Brady. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 373 b) mai rinvenute fossili in Italia: 1. Polymorphina rotundata Bonermanu. 2. Polymorphina myristìformis Williamson. In tutto le forme da me studiate ammontano a 82, delle quali 38 sono comuni all’elenco del Conti. In talmodo la fauna a foraminiferi della Farnesina ora conterrebbe 152 specie. Debbo osservare però che parecchie delle forme rinvenute dal Conti, furono da lui stesso dichiarate incerte, 5 molto dubbiamente nuove, ed in ultimo non poche furono raggruppate nelle sinoni- mie dagli autori posteriori. Con questo non ho voluto detrarre per nulla al valore dello studio del Conti, che ho dovuto consta- tare anzi molto esatto e coscienzioso. Di queste forme da me illustrate sono comuni al Miocene 18 cioè 22 % all’Eogene Europeo » 32 » 39% al Miocene » » 57 » 69 % al Pliocene » » 75 » 91 % alle Argille senesi » 49 » •59 V alle sabbie Vaticane .... » 25 » 31 °/o alla formazione di Palermo » 23 » 28 % al Mediterraneo » 47 » 58 %. ad altri mari » 61 » 74% sono viventi in generale . . » 73 » 89% In quanto all’epoca a cui riferire lo strato, che contiene i foraminiferi studiati, non è possibile precisare nulla di certo, essendo risaputo che la fauna a foraminiferi non è caratteristica specialmente in formazioni così limitate. Tuttavia si può fermare l’attenzione sul gran numero delle specie viventi che raggiungono nientemeno che l’89 %. Gli altri dati evidentemente non pos- sono considerarsi come capaci di deduzioni per l’anormalità dei risultati. Dimodoché l’unica conclusione che mi pare si potrebbe con qualche probabilità trarre, sarebbe di ringiovanire alquanto il giacimento più di quello che generalmente non si creda. [ids. pres. il 3 febbraio 1906 - ult. bozze 15 agosto 1906]. 374 F. NAPOLI SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (■) Gli esemplari figurati provengono tutti dalle sabbie grigie della Farnesina (Roma). Le figure sono riprese direttamente dal vero con la camera chiara d’Abbé. Tutti gli esemplari si conservano nell’Istituto Geologico della R. Uni- versità di Roma. Tavola I. Fig. 1 a-c. Adelosina bicornis (W. e J.) . . . . . X 45, pag. 326 » 2 a-c. Quinqueloculina costata d'Orb. . . . » 329 » 3a-c. Trilocuìina gibbo d’Orb • X 45, » 327 » 4 a-c. » oblonga (Montagli) . . . • X 23, » » » ba-c. » austriaca d’Orb • X 45, » 328 » 6 a-c. » cfr. consobrina d'Orb. . . • X 23, » » » 7 a-c. » ■in fiata d’Orb • X 23, » » » 8 a-c. Quinqueloculina seminulum (Linn.) . . • X 23, » 329 » 9 a-c. Adelosina depressa (d'Orb.) .... • X 23, » 327 » 10 a-c. Quinqueloculina vulyaris d'Orb. . . . • X 23, » 330 » 11 a-c. » akneriana d'Orb. . . . X35, » » » 12 a, b. Textilaria cfr. sagittula Defrance . . . X 23, » 331 » 13 a-d. » aciculata d'Orb • X 23, » 332 » 14a, b. » agglutinans d'Orb • X 12, » » » lbci-c. » conica d’Orb . X 12, » 333 Tavola IL Fig. 1 a-d. Textilaria cfr. troclius d’Orb. . . . • X 12, Pag- 333 » 2 a, b. » turris d’Orb • X 12, » 334 » 3 a-c. » candeiana d’Orb • X 23, » » » 4 a-c. » tuberosa d’Orb . X 35, » 335 » 5 a-f. » pala Czjzek . X 45, » 336 » 6 a, b. » gramen d’Orb • X 23, » » » 7 a-c. » Haueri d’Orb • X 65, » 337 (!) Sono grato al eli. prof. A. Silvestri, noto specialista, il quale avendo vedute le presenti tavole, mi ha dato opportuni consigli, dei quali ho fatto tesoro. FORAMINIFERI FOSSILI DELLA FARNESINA 375 Fig. 8a, b. Verneuilina spinulosa Reuss X 65, Pag- 337 » 9 a, b. Gaudryina rugosa d’Orb X 22, » 338 » 10 a- e. » pupoides d’Orb X 45, » 337 » lla-f. » » var. chilostoma Reuss X 35, » 338 » 12 a-c. Tritaxia cfr. caperata Brady X 23, » 339 » 13 a-c. Bulimina eìongata d’Orb X 45, » » Tavola III. Fig. 1 a-c. Bulimina eìongata var. ariminensis d’Orb. X 45, pag. 340 » 2 a-c. » elegans d’Orb X 45, » » » 3 a-c. » marginata d’Orb X 65, » 341 » 4 a-f. » pupoides d’Orb X 65, » » » 5 a, b. » gibba var. marginata Fornasini X 65, » 342 » 6 a-c. Cassidulina laevigata d’Orb X 45, » » » 7. Lagena aspera Reuss X 45, » 343 » 8a, b. Kodosaria (Glandulina) laevigata d’Orb. X 45, » » » 9 a, b. Mar g inulina rapita nus var. crebricosta Seg. X 12, » 314 » 1 0 o - e. Polymorphina communis (d’Orb.) ... X 45, » 345 » 11 a-c. » gibba var . punctata (d’Orb.) X 45, » 346 » 12 a, b. » myristiforrnis Williamson . X 45, » 347 » 13 a, b. » gibba d’Orb X 45, » 346 » 14 a-c. » compressa d’Orb X 20, » 344 » 15 a,b. » ovata d’Orb X 58, » 345 » 16 a-c. » rotundata Bornemann . . X 35, » 347 Tavola IV. Fig. la. Uvigerina aculeata d’Orb X 30, pag. 348 » 1 b. » dalla parte opposta, ove l’ero- sione ha scoperto l’interna struttura X 35, » » » 2 a-c. Globigerina quadrilobata d’Orb X 45, » 349 » 3 a-c. » bulloides d’Orb X 45, » » » 4a-c. » rotundata d’Orb X 45, » 350 » 5 a-c. » triloba Reuss X 45, » » » 6a-e. » conglobata Brady X 45, » 351 » 7 a,b. » regularis d’Orb X 65, » » » 8 a, b. » concinna Reuss X 45, » 352 » 9. Orbulina universa d’Orb X 35, » » » IOa-c. Di scorbina turbo (d’Orb.) X 45, » 353 » 11 a-c. » rosacea (d’Orb.) X 45, » » » 12 a-c. » rilardeboana (d’Orb.). ... X 65, » » “V • 376 F. NAPOLI Fig. 13 a-c. Discorbìna orbicularis (Terquem) ... X 46, pag. 364 » 14 a-c. » rugosa d’Orb X 45, » 355 » 15 a-c. » bradgana Fornasini .... X 23, » » » ìGa-d. Truncatulina lobatula (Walker et Jacob) X 23, » » » 17 a-c. » Haidingeri (d’Orb.) ... X 45, » 36G » 18 a-c. » humilis Brady X 45. » » Tavola V. Fig. 1 a-c. Truncatulina Dutemplei (d’Orb.) .... X ltT co pag. 357 » 2a-c. » praecincta (Karrer) . . . X 35, » » » 3 a c. » boueana d’Orb X 35, » 358 » 4 a-c. » ariminensis d’Orb. . . . X 23, » » » 5 a-c. Ammulina ammonoides (Reuss) .... X 35, » 359 » 6 a-c. Pultinulina oblonga (Williamson) . . . X 23, » » » 7 a-c. » Schreibersii (d’Orb.). . . . X 45, » 360 » 8 a-c. » Menardii (d’Orb ) .... X 23, » » » 9 a-c. Potalia beccarii (Limi.) X 23, » » » 10 a-c. » orbicularis d'Orb X 36. » 361 » 11 a-c. » cfr. Soldanii d’Orb X 23, » 362 » 12 a-c. » papillosa var. compressiuscula Brd. X 35, » » » 13a, b. Nonionina boueana d’Orb X 23, » 363 » Ila, b. » cfr. communis d’Orb. . . . X 23, /> 364 » 15 a, b. » umbilicata (Montagli) . . . X 23, » 363 » 16a, b. » asterizans (Fichtel et Moli X 23, » 364 » 17 a, b. Pohistomella crispa (Linn.) X 45, » » » 18 a, b. » decipiens Costa X 23, » 365 » 19 a, b. » subnodosa (Miinster) . . . X 45, » » *585^1 Boll. Soc.60ol.ltal. voi. XXV. (1906) (Napoli) Tav. I . F. Napoli dis jll.Soc.6eol.ltal.vol. XXV. (1906) (Napoli) Tav. II. ; Napoli d/s. Boll. Soc.Geol. Irai. voi. XXV. (1906) (Napoli) Tav V. F. Napoli dis. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA RAGIONATA DEL FRIULI (1737-1905) Nota del socio Michele Gortani Ben poche delle provinole italiane sono state come il Friuli oggetto di studi e ricerche nel campo di tutte le scienze naturali. Questa fortunata condizione è dovuta in primo luogo al singolare interesse della regione friulana sia per le ricerche biologiche, sia per gli studi di morfologia terrestre e di geologia stratigra- fica; ma è dovuta altresì al non piccolo numero e all’attività indefessa dei naturalisti friulani di nascita o di elezione. E nel campo speciale degli studi geologici un’altra causa si aggiunse, la causa politica, più intensa che mai in questa regione di con- fine, disputata e agognata, ed oggi ancora pur troppo divisa. Bei- tali motivi la difficoltà di raccogliere tutti i lavori che riguar- dano più o meno estesamente la geologia del Friuli è senza dub- bio non lieve; e l’accresce il gran numero di argomenti molte- plici dei più svariati rami a cui si è rivolta l’attività dei diversi studiosi. I tentativi di metter assieme una bibliografia geologica friu- lana non sono certo mancati; e, fra gli altri, l’elenco bibliografico condotto fino al 1880 dal Taramelli e continuato fino al 1901 da 0. Marinelli, comprende una serie di lavori veramente note- vole. Se non che le difficoltà accennate hanno concorso a ren- derne incompleta così Luna come l’altra parte (*); e tali diffi- coltà appunto, mentre spiegano la ragion d’essere di questa nota, (‘) 11 Taramelli riporta 68 lavori, il Marinelli 110. Nel mio elenco son citate fino al 1880. 115 pubblicazioni; fino al 1901 oltre 300, e 381 fino a tutto il 1905. 27 378 M. GORTANI possono forse far scusare le lacune che senza dubbio anche essa presenta. E cominciamo col precisare il significato della parola Friùli, già elastica di per se e spesso tanto male intesa quanto mal pro- nunciata. Con tal nome noi indichiamo la regione che ha per limiti l’Adriatico, la Livenza, la linea di spartiacque fra i bacini della Piave, della Gaila e dell’Isonzo da un lato e i bacini della Cellina, del Tagliamento, del Natisone e dell’Iudrio dall’altro, e infine la vecchia strada da Gorizia al Timavo. Un altro punto bisogna chiarire. Gli autori precedenti tra- lasciarono quasi tutti gli scritti di idrologia e di geologia gene- rale, che invece, seguendo le moderne rassegne geologiche, ho creduto opportuno di inserire nell’elenco. Ho scartato d’altra parte tutti i lavori di indole generica, o di natura strettamente geografica, o riguardanti formazioni non incluse nei limiti sopra accennati, o finalmente che si occupano del Friuli in linea del tutto secondaria o per semplici raffronti, come parecchi studi paleontologici. Nell’elenco bibliografico ho preferito seguire l’ordine alfabe- tico degli autori, supplendo alla lista cronologica con una storia sommaria delle esplorazioni. In questa, come pure nell’indice per materie che fo seguire all’elenco, gli scritti di ciascun autore son richiamati coi numeri progressivi segnati nell'elenco mede- simo. CENNI STORICI DELLE ESPLORAZIONI Il 17 gennaio 1737 un oscuro abate di S. Vito al Taglia- mento con una pubblica lettera diretta al conte Carlo Maria di Polcenigo, signore di Cavasso e Fanna, apriva la serie dei lavori geologici riguardanti il Friuli. Inizio migliore non si sarebbe potuto desiderare. L’abate era Anton Lazzaro Moro; la lettera era la breve dissertazione di lui sull’origine dei corpi marini (1), che bastò a immortalare il suo nome. Partendo dallo studio dei fossili (miocenici) di Colle di Cavasso Nuovo e della loro già- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 379 citura, egli stabilì le prime basi della sua teoria sull’origine delle montagne. A un ampio svolgimento delle sue vedute attese con zelo indefesso i tre ultimi anni di vita, lasciandoci l’opera vo- luminosa (2), che se contribuì ben poco alla geologia del Friuli, ha però un posto notevolissimo nella storia della nostra scienza. Più di cent’anni scorsero dalla morte di Anton Lazzaro Moro, avvenuta nel 1740, prima che le linee principalissime della costi- tuzione del suolo friulano venissero anche sommariamente trac- ciate. Nel secolo XVIII riguardano la nostra provincia soltanto le notizie minerarie di Antonio Zanon, Fabio Asquini e Giovanni Arduino, la lettera dello Spangano sul terremoto del 1788, e le poche note litologiche senza importanza, sparse nei lavori di Girolamo Festari, Baldassare Hacquet e Nicolò Da Rio. Frat- tanto le discipline geologiche cominciavano a uscire dall’oscuro periodo delle origini, e alcuni dei loro più illustri fondatori e cultori non trascurarono, totalmente nei loro viaggi la nostra re- gione. A Leopold von Bucli dobbiamo le prime osservazioni scien- tifiche sulle Alpi Carniche; ad Ami Bone quelle sul Friuli orien- tale; a Leopoldo Pilla quelle sul Canale del Ferro. Toccò pure di volo il Friuli in alcuni dei suoi numerosi scritti Tommaso Antonio Catullo (1 a 9) ; nè va dimenticata la Storia fisica di Giuseppe Girardi, con cenni geologici non privi di un certo inte- resse. Le note che Giuseppe Meneghini (1 a 5) dedicò al- l’antracite triasica di Raveo sono il primo esempio di una mo- nografia locale di indole scientifica e pratica. Siamo nel 1855. L’ i. r. Istituto geologico di Vienna invia in Friuli i suoi rilevatori più scelti, e lo stesso anno Franz von Hauer (3) presenta il primo abbozzo di carta geologica della regione. Ora i lavori proseguono alacremente. Il von Hauer (2, 4), Franz Foetterle (1, 2) e Dionys Stur (1 a 3), spesso accompa- gnati dal nostro Giulio Andrea Pirona (2), percorrono in vari sensi ogni parte del territorio; e già nel 1861 il Pirona (4) trova opportuno di raccogliere in una sintesi acuta e geniale gli studi fin allora compiuti, e di pubblicare una cartina geologica al 300.000, dove già sono corretti parecchi errori fatti dall’Hauer nel ’55 e ripetuti nella sua carta (5, 6) uscita fra il ’66 e il ’68. Infatti i geologi austriaci segnano abbastanza esattamente solo un piccolo tratto della zona paleozoica e una parte delle 380 M. GORTANX serie neotriasica, cretacea ed eocenica; mentre il Pirona, oltre alla scoperta dei depositi fossiliferi del Nassfeld, del M. Cavallo, del Colle di Medea, del M. Plauris ecc., ha pure il vanto della prima retta interpretazione di tutta la serie che dal Retico giunge al Miocene, e del rilievo dell’anfiteatro morenico tilaventino riconosciuto nel 1860 da lui stesso (3) e dal Mortillet, e ascritto fino al 1868 al Pliocene dall’Hauer e dai suoi colleglli. Nel 1867 Torquato Taramelli, appena nominato professore all’ Istituto tecnico di Udine, inizia le sue pubblicazioni sulla geologia del Friuli. Comincia con un lavoro sui combustibili fos- sili, scritto in collaborazione con il prof. Cossa e che completa le conoscenze sui depositi minerari della provincia, già in parte illustrati da von Hauer (l), Pirona (1), Pauluzzi, Larice e Foet ferie (3). Si entra ora in un nuovo periodo per la storia della conoscenza geologica del nostro paese. Le faune cretacee trovano nel Pirona (6 a 9, 13) uno specialista operoso e valente; il Ta- ramelli percorre con attività indefessa tutte le plaghe del Friuli dal mare alle vette più alte, e con una lunga e brillante serie di note e memorie (1 a 24) ne illustra tutte le formazioni, dalle paleozoiche antiche alle quaternarie e recenti. Dal canto loro i geologi austriaci studiano minutamente sopra tutto l’alto bacino della Fella, rivolgendo la loro attenzione sia ai terreni carbo- niferi e permocarboniferi, come F. Unger, Emil Tietze (1, 2), Eduard Suess (2), H. Hoefer (1) e Guido Stadie (2, 5 a 10), sia al Paleozoico antico, come lo Stadie stesso (1, 3, 4, 11 a 13), che per il primo riuscì a dimostrare l’esistenza del Siluriano nelle Alpi Gamiche. Un confronto dello schizzo geologico dd Friuli pubblicato dal Pirona (10, 11) nel 1877 con i Cenni geo- gnostici scritti nel ’61 dal medesimo autore, permette di con- statare agevolmente il lungo cammino compiuto. Ma la nobile gara e la febbrile attività da una parte e dall’altra continuano ancora. E abbiamo nuovi studi del Taramelli (25, 26) sulle for- mazioni recenti; del Taramelli (28). del Pirona (12), di Antonio D’Achiardi (2) e di Mario Canavari sui fossili giuresi e Rasici ; del D’Achiardi (1) e di Camillo Marinoni (1, 2) sopra l’Eocene; di Edmund von Mojsisovics (2 a 7) sopra i fossili e i terreni del Trias. Nel 1881 era ormai necessario di coordinare in una sintesi chiara tutti gli studi che si erano andati man mano accumulando, BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 381 e di tracciare con mano sicura le linee principali della geologia friulana. All’uno e all’altro bisogno sodisfa il più importante la- voro del Taramelli sulla nostra provincia (29), che fu preparato per il secondo Congresso geologico internazionale, e in cui bene rifulgono i meriti dell’autore nello studio del suolo friulano : la rappresentazione particolareggiata e minuziosa dei vari terreni; il riconoscimento e il rilievo esatto di una parte del Paleozoico antico, di tutto il Permiano e del Secondario con speciale ri- guardo alla serie triasica; lo studio accurato delle formazioni moreniche e alluvionali nell’area montuosa e nella pianura. Nel 1881 usciva anche l’Annuario statistico della provincia di Udine, dove abbiamo un lavoro di Giovanni Marinelli (2) sui fenomeni carsici e uno del Marinoni (3) sui minerali della re- gione. L’autunno dello stesso anno il Taramelli (30, 31) scopriva per il primo Graptoliti in Carnia, e ultimava il lavoro sulla geo- logia del Veneto (32), utile e naturale complemento della carta del Friuli e della sua spiegazione. In tal modo si chiuse il periodo per noi più brillante della nostra storia. Dopo il 1881 per quasi tre lustri i geologi ita- liani lasciarono in completo abbandono la catena principale delle Alpi Carniche, dove pure tanto c’era ancora da studiare e sco" prire e tanti problemi e questioni di fondamentale importanza erano stati appena sfiorati. Tutto ciò non sfuggì invece agli scienziati di oltr’alpe, che il noto amore per il nostro suolo spin- geva a tentar di riconquistarlo almeno scientificamente. Infatti i poderosi lavori dello Stadie (14 a 17, 19) e di Fritz Frecli (1 a 6) susseguitisi in un decennio, modificarono profondamente le co- gnizioni su gran parte della nostra zona paleozoica, stabilendo una serie silurico-devoniana unica nelle Alpi. E intanto il giap- ponese Toyokitsi Harada perlustrava la Carnia occidentale, Georg Bohm (1 a 4) e C. Futterer (1, 2) iniziavano gli studi sui ter- reni cretacei, Ernst Schei hvien (1, 2) cominciava la completa illustrazione del Carbonifero pontebbano. In questo periodo i lavori italiani di maggior conto sulla geo- logia del Friuli son dovuti ad Annibaie Tommasi, succeduto al Taramelli e al Marinoni nella cattedra dell’Istituto tecnico di Udine, occupata più tardi per breve tempo anche da Ernesto Mariani (1 a 3). Al Tommasi si devono parecchie memorie sul 382 M. GORTANI Trias (1 a 4, 9), sulla fauna di Vernasse» (7, 10) e sui fenomeni sismici (5, 8), oltre alla scoperta sul M. Pizzul dei fossili ani- mali e vegetali studiati poi sommariamente da Carlo Fabrizio Parona e Luigi Bozzi (2). Il Bozzi stesso (1, 3) illustrò anche le fiditi cretacee di Vernasso; del Cretaceo continuò pure a occu- parsi con la nota competenza il Pirona (14, 15, 17); a Ettore Artini dobbiamo il primo studio sulle rocce eruttive della Car- nia, ad Achille Teliini (2) il primo saggio di rilievo particola- reggiato di una zona piccola, ma esaurientemente studiata. La grossa memoria del Frech sulle Alpi Carniche (7), pubbli- cata fra il 1892 e il 1894, viene a troncare d’un tratto questo periodo di preparazione. L’importanza di tale lavoro è data non soltanto dal suo valore intrinseco, ma anche dalle molte e vivaci critiche e discussioni che fece sorgere e che, mentre ne dimo- strarono il pregio, contribuirono non poco ad accrescere le co- gnizioni sulla struttura geologica del territorio. Il merito prin- cipale del Frech sta nell’aver riconosciuto e stabilito la serie paleozoica antica e negli istituiti confronti delle formazioni car- niche con le contemporanee più note degli altri paesi. Ma tali pregi non nascondono però, se anche compensano largamente, molti errori commessi per la voluta trascurauza di tutti gli studi italiani, per le idee preconcette e per la tendenza troppo gene- ralizzatrice dell’autore. È perciò che la sua grande carta al 75,000 è in buona parte inesatta nel versante italiano della catena; è per- ciò che il suo tentativo di tettonica comparata è caduto insieme con l’ intero reticolato di fratture e di faglie immaginarie o solo ap- parenti. Con tutto ciò il Frech aveva punto sul vivo l’amor proprio dei) nostri ; e fu bene. Fu bene perchè la sferzata valse a scuoterne il sonno, e provocò le escursioni compiute nel 1895 da Taramelli, Brugnatelli, De Angelis, 0. Marinelli e Tommasi, che raccolsero buon numero di fatti e osservazioni nuove sul Paleozoico della Carnia, risultati svolti successivamente da Taramelli (38 a 40), Tommasi (11), Gioacchino De Angelis d’Ossat (2 a 6) e Giuseppe Vigo. E qui, pur troppo, nuovo arresto dei nostri, mentre l’Isti- tuto geologico di Vienna riteneva opportuno di iniziare la re- visione della sua carta geologica nelle regioni di confine e in- caricava uno dei suoi membri più illustri, Georg Geyer, di rilevare BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 383 nuovamente i fogli comprendenti le nostre Alpi. La serie dei lavori del Geyer susseguitisi dal 1894 al 1900 (1 a 13) è di importanza fondamentale, massime per lo studio del Paleozoico, ed ha il suo epilogo nella pubblicazione dei fogli Oberdrauburg-Mauthen e Sillian-S. Stefano coloriti geologicamente e degli annessi opuscoli illustrativi (14, 15) (1). La delimitazione molto accurata dei vari terreni ; la scoperta di preziose località fossilifere, il giustificato ritorno alle idee del Taramelli su gran parte della massa sci- stosa siluriana, che il Frecli (7, 9, 10) più volte insistette per riportare al Culm, e sulla massa calcarea del Trogkofel ; la prova della giacitura trasgressiva, non dovuta a fatture, del Carbonifero carnico, e finalmente l’esatta interpretazione di alcune principali linee tettoniche, sono i più notevoli risultati del Geyer, il quale però non sfuggì talvolta alla tentazione, comune a noi tutti, di voler troppo generalizzare. Fra i geologi esploratori viene pure a collocarsi in prima linea Olinto Marinelli, con le sue note preliminari (1 a 5, 11, 17) seguite dal poderoso lavoro (21) sulle Prealpi Giulie occi- dentali, in cui stabilisce una serie particolareggiata giurese, cre- tacea, eocenica e glaciale, e rileva l’andamento dei principali fenomeni tettonici e orogenetici. Dal 1894 al 1902 numerosi lavori paleontologici di italiani e stranieri illustrano le faune carbonifere e permocarbonifere (Schellwien, 3 a. 7), triasiche (Bittner, 2; Gortani, 1; Tommasi, 12 a 16) e cretacee (Boehm, 5 a 8; Futterer, 4); la conoscenza dei depositi terziari e glaciali migliora per gli studi di Paul Oppenheim (1 a 4), Tellini (6, 7) e Arrigo Lorenzi (3); e la geo- logia entra nel campo delle applicazioni pratiche con l’iniziato studio geo-agrario del suolo alluvionale (Teliini, 9) e delle sue riserve acquifere (Taramelli, 43; Teliini, 10). Le ricerche mor- (0 Questi ultimi lavori del Geyer, sfuggirono, per la scarsa diffu- sione che in generale hanno tutte le pubblicazioni ufficiali europee, tanto al Marinelli quanto ai compilatori dell’annuale Bibliografia geologica d’Italia nel Bollettino del nostro Comitato geologico. E pur troppo, per la stessa ragione, il prof. Vinassa ed io ne venimmo a cono- scenza soltanto dopo la pubblicazione dei cenni sui dintorni di Paularo (1), dove a nostra insaputa e con viva sodisfazione venimmo a trovarci in ac- cordo con le vedute del Geyer. 384 M. GORTANI fologiche e geofisiche, prima isolatamente intraprese da qualche autore, ebbero un efficace impulso con la costituzione del Circolo Speleologico e Idrologico friulano rapidamente cresciuto a vita autonoma e rigogliosa per l’attività dei suoi soci A. Cappadoro (1 a 6), A. Lazzarini (1 a 11), A. Lorenzi (2, 4, 5), 0. Marinelli (7 a 9, 14, 15, 20, 22, 23, 26), P. Musoni (1 a 4) e A. Teliini (&), e fondatore più tardi anche di una rivista propria, il Mondo Sot- terraneo. Negli ultimi tre anni le ricerche degli studiosi si rivolsero nuovamente ai terreni paleozoici della Carnia, che rimangono sempre i più interessanti della provincia friulana. La catena principale delle nostre Alpi fu meta di lunghe escursioni, di- rette dal Geyer (16, 17) durante il Congresso geologico inter- nazionale del 1903; da ultimo le pubblicazioni di Paolo Yinassa de Eegny e mie contribuirono a preparare il terreno per la riu- nione generale estiva della Società geologica italiana, che si tenne in (tarili a nel 1905 e contribuì a richiamare l’attenzione dei no- stri studiosi su questa bella regione troppo a lungo da loro ne- gletta. ELENCO BIBLIOGRAFICO 0) Arduino G. — - Memoria sopra varie miniere metalliche e sopra altre specie fossili delle montane provinole di Feltre , di Bel- luno, di Cadore, della Carnia, ecc. — Atti S. It. Se. Nat., Ili, 1789. Artini E. — Studii Petrografici su alcune rocce del Veneto. — Giorn. di Min., I, 2, p. 139-158, con 1 tav. Pavia, 1890. Asquini F. — Discorso sopra la scoperta e sugli usi della torba in mancanza dei boschi e del legname. — Mem. Soc. d’Agr. pratica di Udine, I, p. 63-89. Udine, 1772. 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Ueber einige Versteinerungen aus der Kreideformation der Karnischen Voralpen. — Palaeont. Abh. v. Daraesu. Kayser, X. F., II, 1896, con 1 tav. Geyer G. — 1. Zur Stratigraphie der palaeozoischai Schicht- serie in den Karnischen Alpen. — Y. k. k. Geol. R.-Anst.. n. 3, p. 102-119. Vienna, 1894. — 2. Aus dem palaezoischen Gebiete der Karnischen Alpen. — • Ibid., 1895, n. 2, p. 60-90. — 3. Ein neues Vorkommen fossilfiihrender Silurbildungen in den Karnischen Alpen. — - Ibid., 1895, n. 3, p. 308. — 4. Ueber die marinai Aequivalente der Permformation zivi- schen dem Gailthal und dem Canalthal in Kdrnten. — Ibid., 1895, n. 15, p. 392-413. — 5. Aus der Gegend von Pontafel. — Ibid., 1896, n. 11, p. 313-317. — 6. Ueber die geologischen Verhdltnisse ini Ponto feler Abschnitt der Karnischen Alpen. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XLYI, 1896, p. 127-234, con carta geol. al 75,000. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 391 Geter G. — 7. Ueber neue Funde von Graptolithen- Schiefer in den Sudalpen und deren Bedeutung fiir den alpinen «Culm». — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1897, n. 12-13, p. 237-252. — 8. Ueber die Haupthette der Karnischen Alpen. — Z. D. u. Oest. Alpenver., XXIX, 1898, p. 280. — 9. Ueber nette Funde von Triasfossilien ini Bereiche des Di- ploporenhalh und Dolomitzuges nòrdlich von Bontà fel. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1898, n. 9-10, p. 242-253. — 10 Ueber die gelogisclien AufnaJimen ini W estabschnìtt der Karnischen Alpen. — Ibid., 1899, n. 3, p. 89-117. — 11. Uggomitzer Breccie und Verrucano. — : Ibid., 1899, n. 17-18, p. 418-432. — 12. Ueber die Verbreitung und stra tigrajohisch e Stellung der schwarzen Tropites-Kalhe bei San Stefano in Cadore. — Ibid., 1900, n. 15-16, p. 355-370. — 13. Zur Kenntniss der Triasbildungen von Sappada, San Ste- fano und Auronzo in Cadore. - Ibid., 1900, n. 4-5, p. 119-141. — 14. Geologische Spmialhartc der Oest.-Ung. Monarchie, S W- Gruppe N. 71: Oberdrauburg und Mauthen. Mit Erldu- terung. — P. 1-85, con carta geol. al 75,000. Vienna, 1901. — 15. Geologische Smciallcarte der Oest.-Ung. Monarchie, SW-Gruppe 1ST. 70: Sillian und S. Stefano del Come- lico. Mit Frlduterung. — P. 1-50, con carta geol. al 75,000. Vienna, 1902. — 16. Fxhursion in die Karnischen Alpen. — Estr. da IX In- tera. Geol.-Kongress Fiihrer N. XI, p. IV-51, con 10 fig. Vienna, 1903. — 17. Bertelli ilber die Fxhursion in die Karnischen Alpen. — C. R. IV Session du Congr. Géol. Intera., II, p. 881-887. Vienna, 1904. Girardi G. — Storia fisica del Friuli. — Voi. 3. S. Vito al Tagl., Pascatti, 1841-42. Gortani M. — 1. Nuovi fossili raibliani della Carnia. — Riv. It. di Pai., Vili, p. 76-94, con 2 tav. Bologna, 1902. — 2. Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avol- tri nelli Alta Carnia occidentale. — Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5. XI, 1902, 2° sem., p. 316-318. 392 M. GORTANI Gortani M. — 3. Fossili rinvenuti in un primo saggio del cal- care a Fusuline di Forni Avoltri. — Hi v. It. di Pai., IX, 1903, p. 35-50. — 4. La grotta di Corona sul M. Faeit (C arnia). — Riv. It. di Speleo!., I, 3, p. 7-10. Bologna, 1903. — 5. Sugli strati a Fusulina di Forni Avoltri. — B. S. Geol. It., XXII, 1903, p. CXXVII-CXXVIII. — 6. Una dolina di sprofondamento presso Treppo Gamico. — Mondo Sotterr., I, 1904, p. 40-41. — 7. Costituzione del suolo [friulano], — In « L. e M. Gortani, Flora Friulana con speciale riguardo alla Gamia », I, p. 7-11. Udine, 1905. — 8. Itinerari per escursioni geologiche, nell alta Gamia. — B. S. Geol. It., XXIV, 1905, p. 105-118, con 1 tav. — 9. Relazione sommaria delle escursioni fatte in Carnia nei giorni 21-20 agosto dalla Società Geologica Italiana. — Ibid., XXIV, 1905, p. LXVI-LXXV. — Vedi Vi nassa e Gortani. Gììmbel C. W. — 1. Mikroskopische Untersuchung alpiner Trias- kalke urici Dolomite. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1873, n. 8, p. 141-144. — 2. Ueber neue Gyroporcllen aus eleni Gailthaler Gebirge. — lbid., 1874, n. 3, p. 79-80. Harada T. — 1. Geolog i sche Au f rial ime in Comelico and der teest li- chen Carnia. — lbid., 1883, n. 5, p. 78. — 2. Fin Beitrag sur Geologie der Comelico und der westli- chen Carnia. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XXXIII, 1883, con 2 tav.; vedi anche B. R. Com. Geol. d’It., XIV, 1883, p. 135-153. Hacquet B. — 1. Mineralogisch-bo tarliseli e Lustreise vom Berge Terglou in Krain zu dem Berge Glockner in Tirol in den Jahren 1779 und 1781. — Vienua, 1784. — 2. PJiysikalisch-politische Reise im Jahr 1781 und 1783 un- ternommen. — • Lipsia, Bohme, 1785. Hauer (v.) F. — 1. Das Quecksilbervorkommen von Gagliano bei Cividale. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., V, 1855, p. 810- 814. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 393 Hauer (v.) F. — 2. Allgemeiner Bericht ùber die gcologischcn Arbeiten der Section I V der lì. k. Geoì. IL- Ansi, itti Som- mer 1855. — Ibid., VI, 1855, p. 741-749. — 3. Geologiche Uebersichtskarte der Oesterr. Monarchie, Bl. VI. — Vienna, 1855; Spiegazione nell’Jb. k. k. Geol. R.-Anst., VI, p. 10. — 4. Ehi geologischer Burchschnitt der Alpen von Passati bis Baino. — Sitzb. k. Ak. Wiss., XXV, math.-nat. Cl., p. 253- 351, con 4 tav. Vienna, 1857. — 5. Geologiche Uebersichtskarte der Oesterr. Monarchie. Bl. V, Westliche Alpenlander. — Scala 1 : 576.000. Vienna, 1866. — 6. Geologiche Uebersichtskarte der Oesterr. Monarchie. Bl.VI, Oestliche Alpenlander. — Scala c. s. Vienna, 1868. Hoefer H. — 1. VorMufige Noti 3 ùber das Anthracitvorkommen in der Ndhe der Ofenalpe bei Pontafel. — Jb. Naturhist. Landesmus. f. Karnten, X, 1871, p. 187. — - 2. Bie Erdbeben Kdrntens und deren Stosslinien. — Denkscbr. k. Ak. Wiss. Wien, XLII, 2, 1880, p. 1-90 con 3 tav. Hoernes R. — Bas Frzvorkommen am Monte Avanza bei Forni Avoltri. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1876, n. 3, p. 60-66; vedi anche B. R. Coni. Geol. d’It., 1876, p. 139-146. Larice. — Una miniera nella Gamia. Piarne e piombo a Forni Avoltri. — B. Ass. Agr. Friulana, n. 30. Udine, 1861. Lazzarini A. — 1. L’abisso di Tercimonte. — In Alto, IX, 1898, p. 47-48. • — 2. La Grotta di Borgnano presso Medea. — Ibid., IX, 1898, p. 37-38. — 3. Alcuni fenomeni carsici nei dintorni di Socchieve. — Ibid., X, 1899, p. 12, 26, 39. — 4. La caverna di Osoppo. — Pagine Friulane, XI, 1899, p. 114. — 5. Bue grotte friulane. — In Alto, XIII, 1902, p. 20-22. — 6. Le grotte di Timau. — Ibid., XIV, 1903, n. 3-4; XV, 1904, n. 1. — 7. V esplorazione delle voragini del Consiglio. Nuova esplo- razione della grotta di Villanova. — Mondo Sotterr., I, 1904, p. 41-43. — 8. Pupa Cergonizza. — Ibid., I, 1904, p. 56-59. 28 M. GORTANI 394 Lazzarini A. — 9. L’altipiano carsico del M. Bcrnadia. — Ibid., II, 1905, p. 13-18. — 10. Visita alla « Castità Lama ». — Ibid., II, 1905, p. 40-41. — 11. Bibliografia speleologica friulana (1842-1905). — P. 1-26. Udine, Del Bianco, 1905. Leskovic S. — La grotta di Villanova. — In Alto, III, 1892, p. 68-69. Lipold e Stur. — Bas Kohlengebiet in den nordóstlichen Alpen. — Jb. k. k. Geol. B.-Anst., XV, 1865. Longhi P. — Di una varietà di Caprina scliiosensis Boehn. — Riv. It. di Pai., VI, 1900, p. 88 91, con 1 tav. Lorenzi A. — 1. Una particolarità morfologica della regione fra il Tagliamento e il lago di Cavazzo. — In Alto, X, 1899, p. 65-67. — 2. Termini dialettali di fenomeni carsici raccolti in Friuli. — Pagine Friulane, XIII, 1900, p. 49-52. — 3. Prime note geografiche sulla flora dell'anfiteatro morenico del Tagliamento e della pianura friulana, con particolare riguardo alla diversa età dei terreni di trasporto. — Estr. di 22 p. da Malpigkia, XV. Genova, 1901. — 4. La collina di Buttrio nel Friuli. — In Alto; XIII, 1902, li. 2-5; XIV, 1903, n. 1-3; estr. di 95 p. — 5. Fenomeni analoghi a quelli carsici nei conglomerati mes- siniani di Bagogna e Susans nel Friuli. — Ibid., XIII, 1902, n. 6; XIV, 1903, n. 1. — 6. Le Lavie, torrenti che si perdono nella pianura pedemore- nica del Friuli. — B. S. Geol. It., XXIV, 1905, p. 704-709. — 7. « Lis Foranis », nicchie di disfacimento meteorico nella breccia di Portis. — Mondo Sotterr., II, 1905, p. 21-29. Ludwig E. e Panzer Th. — Ueber die Thermo von Monfalcone. — Tschermak’s Min. u. Petr. Mitt., XX, p. 185-198. Vienna, 1901. Marchesetti C. — Sull'antico corso dell' Isonzo. — Atti Mus. Civ. St. X. di Trieste, Vili, 1890, con 2 tav. Mariani E. — 1. La valletta del Pio Borizzo a sud di Pontebba. — In Alto, II, 1891, p. 145-146. — 2. Appunti sull’eocene c sulla creta nel Friuli orientale. — A. R. Ist. Tecn. di Udine, ser, 2, X, 1892, p. 4-45. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 395 Mariani E. — 3. Note paleontologiche sul Trias superiore nella Carnia occidentale. — Ibid., XI, 1893, p. 13-35, con 3 tav. Marinelli G. — 1. Una visita alle sorgenti del Licenza , eco. — B. Club Alp. It., n. 29, 1877. - — 2. Grotte e caverne [del Friuli]. — Ann. Stat. per la prov. di Udine, I-III. Udine, Seitz, 1876-81. — 3. Al Cansiglio. — Cron. S. Alp. Friulana, II, p. 21-49. Udine, 1882. Marinelli 0. — 1. Traccio glaciali nel versante settentrionale del Ciampon. — In Alto. V, 1894. — 2. Una visita al giacimento di «. boghead » di Monte Musi. — Ibid., Y, 1894. — 3. La serie cretacea nel Friuli occidentale per il Dott. C. Fut- terer. — Ibid. YI, 1895. — 4. Ancora sopra i depositi morenici del versante settentrio- nale del Monte Ciampon. — Ibid., VII, 1896, p. 20-21. — 5. Risultati sommari di uno studio geologico dei dintorni di Tarcento in Friuli. — Ibid., Y1T, 1896, p. 59-62. — 6. Alcuni recenti studi sulla geologia delle Alpi Carniche. — Ibid., Vili, 1897, p. 51 e 76. — 7. Fenomeni carsici, grotte e sorgenti nei dintorni di Tarcento. — Ibid., Vili, 1897, n. 1-4. — 8. Fenomeni carsici , grotte e sorgenti nelle Prealpi Giulie occidentali. — Riv. Geogr. It., IV, 1897, n. 7. — 9. La « 'Buse dai Pagans » di Majaso. — In Alto, Vili, 1897, p. 84-85. — -10. La frana e il lago di Porta. — P. 1-28, con 1 tav. Udine, 1897. — 11. La serie cretacea nei dintorni di Tarcento in Friuli. — Atti R. Ist. Ven., ser. 7, VILI, 1897, p. 1027-1045. — 12. Appendice all'articolo bibliografico relativo alla geologia delle Alpi Carniche. — In Alto, IX, 1898, p. 6-7. — 13. Cenni geologici [sidla Carnia]. — In « G. Marinelli, Guida della Carnia», p. 44-59. Firenze e Urline, 1898. — 14. Studi orografici nelle Alpi orientali. I. — Meni. S. Geogr. It., Vili, pt. 2, 1898, p. 338-445, con 1 tav. — 15. Studi orografici c. s. II. — B. S. Geogr. It., ser. 4, I, 1900, n. 9-11. 396 M. GORTANI Marinelli 0. — 16. Uno studio geologico di F. Sacco interes- sante il Friuli. — In Alto, XI, 1900, p. 10-12. — 17. Traode di una più antica glaciazione nell’anfiteatro mo- renico friulano. — Ibid., XI, 1900, p. 73 74. — 18. Il geologo Leopoldo Pilla in Friuli. — Ibid., XII, 1901, p. 5-7. ■ — 19. Escursione nei dintorni di Faedis. — Ibid., XII, 1901, p. 61 63. — 20. Studi orografici nelle Alpi orientali. III. — B. S. Geogr. 1 1 . , ser. 4, Hi, 1902, n. 8-10. — 21. Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. — Pubbl. Ist. di Studi Sup. in Firenze, XLIII, 1902, p. 1-238, con 2 carte (di cui una geolog. al 100.000) e 5 tav. — 22. Salita al Monte Cavallo. — In Alto, XIII, 1902, p. 64-69. — 23. Studi orografici nelle Alpi orientali. IV. — B. S. Geogr. It., ser. 4, Y, 1904, n. 1-3. — 24. Nuovi appunti sulla giogaia del Coglians. — In Alto, XIV, 1903, p. 54-56. — 25. Il Senoniano di Vernasso, i Klippen e i conglomerati pseudo-cretacei del Friuli orientale, — Atti Acc. Scient. Yen. -Trent. -Istr., n. ser., I, 1904, p. 15-25. — 26. Osservazioni varie fatte durante un' escursione al Matajur (Friuli prealpino). — In Alto, XYI, 1905, p. 1-8. Marinoni C. — 1. Contribuzioni alla geologia del Friuli. Di un lembo eocenico nelle falde settentrionali del Monte Plauris. — Atti R. Ist. Yen., ser. 5, III, 1877, p. 1269-1317. — 2. Contribuzioni alla geologia del Friuli. Ulteriori osserva- zioni sull’ eocene friulano. — Estr. di 15 p. da Atti S. It. Se. Nat., XXI, 1878. — 3. Sui minerali del Friuli e sulle industrie relative. — Ann. stat. d. prov. di Udine, III-IV, 1881-86. — 4. La grotta di Cetile. — In Alto, II, 1891, n. 2. — 5. Cenni geologici. — In «-R. Bassi, La Gamia», p. 22-25. Milano, 1886. Marson L. — Nevai di circo e traccie carsiche e glaciali nel gruppo del Cavallo. — Atti IY Congr. Geogr. It., 1903, p. 111-120; B. S. Geogr. It., ser. 4, IY, 1904, p. 27-36, e ser. 4, Y, 1905, p. 179-199. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 397 Meneghini G. — 1. Cenni geologici sul terreno nel quale si trovò il combustibile fossile di Eaveo. — Atti R. Ist. Yen., sei1. 1, I, 1845. — 2. Intorno agli strati di litantrace scoperti ultimamente nella Carnia. — Ibid., ser. 1, Y. — 3. Dell’ antracite di Eaveo. — Padova, 1846. — 4. Supporto scientifico sul combustibile fossile di Eaveo , in Carnia. — P. 1-29. Padova, tip. Liviana, 1846. — 5. Combustibile fossile di Eaveo. — Atti YIII Riim. Scienz. It., p. 667. Genova, 1846. — 6. Scoperta del Muschelkalk nella valle del Tagliamento. — Ibid., 1846, p. 671. — 7. Del merito dei Veneti nella geologia. — Pisa, 1866. Milch L. — Petrographischer Anhang. — In « F. Frech, Die Karnischen Alpen », p. 176-190. Halle, 1894. Mojsisovics yon Mojswar E. — 1. Der Hochiveissenstein oder Monte Paralba. — Jb. Oest. Alpenver., p. 125. Vienna, 1865. — 2. Ueber ehi ersi Kiirzlich aufgrfundenes unteres Cephalo- poden-Niveau ini Muschelkalk der Alpen. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1872, n. 9, p. 190-191. — 3. Ueber einige Triasver steiner ungen aus den Sudalpen. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XXIII, 1873, p. 425-438, con 2 tav. — 4. Ueber die triadische Pelecgpoden- Gattungen Daonella und Ralobia. — Abh. k. k. Geol. R.-Anst., VII, 2, 1874, con 5 tav. — 5. Faunengebietc und Faciesgebilde der Trias-Periode in den Ostalpen. — Jb. k. k.Geol. R.-Anst., XXIV, 1874, p. 81-134. — 6. Die Dolomitriffe von Sudi ir ol und Venetien. — Vienna, Hólder, 1879, con 1 carta geol. — 7. Der Monte Clapsavon in Friaul. — V. k. k. Geol. R.-Anst., ' 1880, n. 12, p. 221-223. — 8. Die Cephalopoden der mediterraneen Triasprovins. — Abh. k. k. Geol. R.-Anst., 1882. Moro A. L. — 1. Dell’origine dei Crostacei e delle altre marine produzioni che si trovano sui monti , e della loro andata lassù. — Venezia, 1737. — 2. Dei Crostacei e degli altri marini corpi che sopra i monti si trovano. — P. 1-452 e 8 tav. Venezia, 1740. 398 M. GORTANI Moktillet (De) G. — Carte des anciens giade rs da versant italien des Alpes. — Atti Soc. It. Se. Nat., Ili, 1860. Munier-Chalmas. — Étude da Titonique, du Crétacé et da Ter- tiaire du Vicentin. — Parigi, 1891. Musoni F. — 1. Studi speleologici in Friuli. — In Alto, XI Y, 1903, p. 49-53. — 2. Sullo stato attuale degli studi speleologici ecc. — Mondo Sotterr., I, 1904, p. 2-8. — 3. Visita alle sorgenti della grotta di S. Giovanni d' Antro. — Ibid., 1. 1904, p. 42-43. — 4. La « Veliha Jama ». Ibid., I, 1904-05, p. 49-52 e 89-99. Omboni G. — Le nostre Alpi e la pianura del Po. — P. 1-496. Milano, 1879. Oppenheim P. - — 1. Ueber einige irrige JBestimmungen. — Z. D. Geo). Ges., LI, 1899, p. 49-55. — 2. Ueber Kreide und Focaii bei Pinguente in Lstrien. — Ibid., LI, 1899, p. 45-49. — 3. Ueber mitteleocdne Faunen in cler Herzegovina und dire Beziehungen su den Scinditeli von Ha sio ivo und anderen alttertidren Faunen des òstlichen Mittelmeerbeckens. — N. Jb. f. Min. etc., 1899, II, p. 105-115. — 4. Ueber das Eocdn in Friaul. — Beitr. z. Pai. u. Geol. Oest.- Ung. u. Or., XIII, 3-4, p. 169-186. Vienna, 1901. — 5. Zur venetianischen Kreide. — Z. D. Geol. Ges., LIV, 1902, p. 94-99. Osasco E. — Contribuzione allo studio dei coralli cenozoici del Veneto. — - Palaeont. It., Vili, 1902, p. 99-120, con 2 tav. Palazzo L. — Notizie sui terremoti avvenuti in Ltalia durante Vanno 1896. — App. al B. S. Sismol. It., II, p. 162. Mo- dena, 1896-97. Pantanelli D. — Note microlitologiche sopra i calcari. — Meni. R. Acc. Lincei, ser. 3, XII, 1882, p. 387, con 2 tav. Pakona C. F. — Brevi notizie sidla fauna carbonifera del Monte Pizzul in Carnia. — B. S. Geol. It., IX, 1890, p. 56-70. Pauluzzi. — Sulle torbe di Bufa (Friuli). B. Ass. Agr. Friu- lana, n. 27-28. Udine, 1856. Peci le D. — Sulle carte agronomiche in Friuli. — Udine, Seitz, 1899. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 399 Peeissutti B. — - Cementi idraulici e gessi della fabbrica B. Pe- rissutti in Resiutta. — Tolmezzo, 1881. Peters K. — Bericht iiber die geologisclie Aufnahme in Kdrn- then, Krain und dem Gòrzer Gebiete im Jalire 1855. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., VII, 1856, p. 629-691. Pilla L. — Osservazioni geognostiche che possonsi fare lungo la strada da Napoli a Vienna. — P. 1-93. Napoli, Trama- ter, 1834. Pirona G. A. — 1. Miniera di mercurio a Poloneto presso Ci- vidale del Friuli. — Collettore dell’Adige, n. 42. Ve- rona, 1855. — 2. Lettere geologiche sul Friuli. — Estr. d. Annotatore Friu- lano, IV, 10-29 giugno. Udine, Murerò, 1856. — 3. Sulle antiche morene del Friuli. — Estr. di 9 p. da Atti S. It. Se. Nat., II, 1860-61, con 1 carta. — 4. Cenni geognostici sul Friuli. — Ann. Ass. Agr. Friulana, IV, 1861, p. 259-299, con 1 carta geol. al 300.000. — 5. Cenni geognostici [ sul Friuli]. — In « G. Ciconi, Udine e sua provincia », II ed., p. 14-17. Udine, 1862. — 6. Synodontites, nuovo genere di Rudiste. — Atti R. Ist. Ven., ser. 3, XII, 1867, p. 833-846, con 1 tav. — 7. Sopra una nuova specie di Hippurites. — Estr. di 4 p. con 1 tav. da Atti S. It. Se. Nat., XI, 1868. — 8. Le Ippuritidi del Colle di Medea nel Friuli. — Mem. R. Ist, Ven., XIV, 3, 1869, p. 397-435, con 10 tav. — 9. Sopra una nuova specie di Radiolite. — Atti R. Ist. Ven., ser. 5, I, 1875, p. 501-511, con 1 tav. — 10. La provincia di Udine sotto V aspetto storico-naturale. — Cron. R. Liceo Stellini per l’anno 1875-76, p. 1-62. Udi- ne, 1877. — 11. Schizzo geologico della provincia di Udine. — B. R. Com. Geol. d’It., Vili, 1877, p. 114-137. — 12. Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli. — Mem. R. Ist. Ven., XX, 2, 1878, p. 263-324, con 1 carta e 8 tav. — 13. Sopra una particolare modificazione dell’apparato cardi- nale di una Ippurite. — Ibid., XXI, 2, 1880, p. 419-424, con 1 tav. 400 M. GORTANI Pirona G. A. — 14. Nuovi fossili del terreno cretaceo del Friuli. — Ibid., XXII, 1, 1884, p. 159-168, con 3 tav. — 15. Due Chamacee nuove del terreno cretaceo del Friuli. — Ibid., XXII, 3, 1886, p. 689-700, con 2 tav. — 16. Costituzione del suolo [ della città di Udine]. — In « Illu- strazione del Comune di Udine », della S. Alp. Friulana, p. 26-27. Udine, 1886. — 17. Nuova contribuzione alla fauna fossile del terreno cretaceo del Friuli. — Atti R. Ist. Yen., ser. 6, V, 1887, p. 1335-1340. — 18. Sull' attitudine a somministrare buona pietra da taglio dei terreni adiacenti all’alveo del Fella , a S. Hocco, nonché ai rivi Borizzo e di S. Hocco. — Udine, aprile 1890. — Vedi Taramelli, Pjrona e Tommasl Pitacco L. — Descrizione delle pietre c dei marmi naturali che s’ impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine. — Udi- ne, Doretti, 1884. Rosiwal A. — Enstatitporphyrit und Porphgrittuff aus den Karnischen Alpen (Val di S. Pietro). — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1895, n. 16, p. 436. Sacco F. — 1. Note di Paleoicnologia italiana. — Atti S. It. Se. Nat., XXXI, 1888, con 1 tav. — 2. Gli anfiteatri morenici del Veneto. Studio geologico. — Estr. di 64 p. con 2 carte da Ann. R. Acc. Agr., XL1. To- rino, 1899. Savorgnan di Brazzà G. — Studi alpini fatti nella Valle di Raccolana. — B. S. Geogr. It., 1883. Schellwien E. — 1. Die Fauna des Karnischen Fusulinen- kalkes. — Diss. Halle, 1892. — 2. Die Fauna des Karnischen Fusai inenkalkes. I. Brachio- pocla. — Palaeontographica, XXXIX, 1892, con 5 tav. — 3. Bericht iiber die Ergebnisse einer Reise in die Karnischen Alpen und die Karawanken. — Sitzb. k. Preuss. Ak. Wiss., XLIV, 1898, p. 693. — 4. Die Auffìndung einer permocarbonischen Fauna in den Ostalpen. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1898, p. 358. — 5. Die Fauna des Karnischen Fusulinenkalks. II. Forami- nifera. — Palaeontographica, XLIV, 1898, con 8 tav. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 401 Schellwien E. — 6. Beitrdge zar Systcmatik der Strophomc- niden des oberen Palaeozoicum. — N. Jb. f. Min. etc., 1900, I, con 1 tav. — 7. Die Fauna der Trogkofelschichten in den Karnischen Al- pen and den Karawanken. 1. Die JBracliiopoden. — Abh. k. k. Geol. R.-Anst., XVI, 1, 1900, con 15 tav. Scihnarrenberger. — TJeber die Kreideformation der il/. d'Ocre- Kette in der Aquiìaner Abruzzen. — Ber. Naturf. Ges. zu Freiburg i. B., XI, 1901, p. 176-212. Scupin H. — Das Devon der Ostalpen. IV. Die Fauna des devonischen Riffkalkes. II. Lamellibranchiaten and Bra- chiopoden. — Z. d. Dent. Geol. Ges., LVII, 1905, p. 91-111, con 2 tav. Senoner A. — Cenni geologici sulla Carnia. — B. Ass. Agr. Friulana, n. 10, 1856. Spangano G. — Lettera in cui si dà ragguaglio del terremoto accaduto in Tolmezzo la notte del 20 ottobre 1788. — Opuscoli scelti sulle Scienze e Arti, XI, p. 352-353. Milano, 1788. Vedi anche « Antol. Rom. », V, p. 310-311. Roma, 1789. Stache G. — 1. Entdeckung von .Graptolithen-Schiefer in den Siidalpen. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1872, n. 11, p. 234-235. — 2. Neue Fundsteìlen von Fusulinenkalk zivischen Gailthal und Canalthal in Kdrnten. — Ibid., 1872, n. 14, p. 284-287. — 3. TJeber die Graptolithen der schwarzen Kieselschiefer am Osternig zwischcn Gailthal und, Fello, thàl in Kdrnten. — - Ibid. 1872, n. 16, p. 323. — 4. Der Graptolithen-Schiefer am Osternig-Berge in Kdrnten und seme Bedeutung fur die Kenntniss des Gailthaler Ge- birges und far die Gliederung der palaeozoischen Schicht- reihe der Alpen. — Ibid., 1873, p. 215; e Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XXIII, 1873, p. 175-248. — 5. TJeber die Fusulinenkalk e in den Siidalpen. — Ibid., 1873, n. 16, p. 291-292. — 6. TJeber eine Vertretung der Ber mf ormai ion (Dgas) von Nebraska in den Siidalpen. — Ibid., 1874, n. 4, p. 87-90. — 7. Die palaeozoischen Gebiete der Ostalpen. I. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XXIV, 1874, p. 135 e seg-g., con 1 carta. Vedi anche V. k. k. Geol. R.-Anst., 1874, n. 9, p. 214-218. M. GORTANI 402 Stache G. — 8. Die palaeozoischen Gebiete cier Ostalpen. II. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1874, n. 14, p. 345-347; vedi anche B. R. Com. Geol. d'It., 1875, p. 52-55. — 9. Vertretung der Pervi formation in den Siidalpen. — Ibid., 1876, n. 15, p. 365-367. — 10. Fusulinenkalke aus Oberkrain , Sumatra und Chics. — Ibid., 1876, n. 16, p. 369-371. — 11. Z. D. Geol. Ges., 1878, p. 327. — (Cfr. Frech, Karn. Alpen, p. 221). — 12. Neue Beobachtungen in der palaeozoischen Schichtenreihe des Gailthaler Gebirges und der KarawanJcen. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1878, n. 13, p. 306-313. — 13. Aus devi Silurgebiete der Karnischen Alpen. — Ibid., 1881, p. 298. — 14. Die Silur formation des Wolayer Gebirges und des Pa- ralba- Silvella-Ruckens. — Ibid., 1883, p. 210. — 15. TJeber die Silurbildungen der Ostalpen , init Bemerkun- gen iiber die Devoti- Carbon- und Permschichten dieses Ge- bietes. - Z. D. Geol. Ges., XXXVI, 1884, p. 277-378. — 16. Elemento zur Gliederung der Silurbildungen der Alpen. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1884, p. 25. — 17. Nacliweis des siidtirolischen Bellerophonkalk-IIorizontes in Kàrnten. — Ibid., 1888, n. 17, p. 320-322. — 18. Die Liburmsche Stufe und deren Grenz-Horizonte, I. — Abh. k. k. Geol. R.-Anst., XIII, 1, 1889. — 19. Die Silurfaunen der Ostalpen. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1890, p. 121. — 20. Photographische Aufnahme geologischer Specialóbjecte und Landschaftstypen in Kàrnten und in der Vmgebung von Triest. — Ibid., 1892, n. 7, p. 192-196. Stoppani A. — Note ad un corso annuale di geologia. — Mi- lano, 1867. Stur D. — 1. Geologische Aufnalimen ini Comelico und in der Carnia. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., VII, 1856, p. 178-179. — 2. Die gcologischen Verhàltnisse der Tliàìer der Drau , Isel, Mòli und Gail, ferner der Carnia in venetianischen Ge- biete. — Ibid., VII, 1856, p. 405-459, con 3 tav. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 403 Stur D. — 3. Das Isonzo-Thal von Flitsch abwdrts bis Gorz. — Ibid., Vili, 1858, p. 324. — 4. Geologie der SteiermarJc. — Graz, 1871, (p. 144 e segg.). Suess E. — 1. Ueber die Aequivalente des Bothliegenden in don Sudalpen. — Estr. di 92 p. da Sitzb. k. Ak. Wiss. Wien, LVII, 1, 1868. — 2. Ueber das Worlwmmen von Fusulinen in den Alpen. — Y. k. k. Geol. R.-Anst., 1870, n. 1, p. 4. — 3. Das Antlitz der Erde. I, p. 338 e segg. ; II, p. 304 e segg. — Vienna, 1885-88. Svoboda H. — Eine neue Schivefelquelle bei Lussnits ini Ca- naltale. — Cariutbia, Mit.t. Naturh. Mas. Karnten, II, 1902, p. 236-240. Taramelli T. — 1. Sulla orografia della provincia di Udine. — Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, I, 1867, p. 41-53. — 2. Osservazioni stratigrafiche sulle valli dell’ Aupa e del Fella. — Ibid., II, 1868, p. 43-68, con 1 tav. — 3. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del Degano e della Vinadia in Carnia. — Ibid., Ili, 1869, p. 35-73, con 1 tav. — 4. Sopra alcuni Echinidi fossili cretacei e terziarii del Friuli. — Atti R. Ist. Yen., ser. 3, XIV, p. 2140-2178, con 2 tav. — 5. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del But e del Chiarsò in Carnia. — Ann, scient. R. Ist. Tecn. Udine, IV, 1870, p. 17-41, con 1 tav. — 6. Sugli antichi ghiacciai della Brava , della Sava e dell' I- sonzo. — Atti S. It. Se. Nat., XIII, 1870, con 1 tav. — 7. Sulla formazione eocenica del Friuli. — Atti Acc. di Udine, ser. 2, I, p. 25-65, con 1 tav. Vedi anche B. R. Com. Geol., 1871, p. 37-40. — 8. Cenni geologici sul Circolo di Gradisca. — Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, IY, 1871. — 9. Cenni sui terreni paleozoici delle Alpi Carniche. — B.Club. Alp. It., 1872, p. 18. — 10. Escursioni geologiche fatte nell' anno 1871. Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, V, p. 68-135. Vedi anche B. R. Coni. Geol., 1872, p. 201-203, 167-169, 326-338. — 11. Panorama geologico del Friuli da Moruzzo, con spiega- zione a stampa. — Udine, Passero, 1872. 404 M. GORTANI Taramelli T. — 12. Sulla esistenza di un’alluvione preglaciale nel versante meridionale delle Alpi ecc. — Atti R. Ist. Yen., ser. 3, XVI, 1872. p. 2193-2273, con 1 tav. — 13. Dei primi risultati di uno studio stratigrafico sulla Camici. — Atti Acc. di Udine, ser. 2,-11, p. 21-27. Udine, 1869-73. — 14. Cenni sulla formazione della Terra rossa nelle Alpi Giulie meridionali. — Atti S. It. Se. Nat., XY. 1873, p. 542, con 1 tav. — 15. Escursioni geologiche fatte nell’anno 1872. — Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, YI, 1873, p. 3-29, con 1 tav. — 16. Lezioni libere popolari, tenute presso il B. Istituto tec- nico di Udine. — B. Ass. Agr. Friulana, 1873. — 17. Di alcuni oggetti di pietra lavorata rinvenuti nel Friuli. — Atti R. Ist. Yen., ser. 4, III, 1874, p. 1377-1388. — 18. Di alcuni oggetti dell epoca neolitica rinvenuti in Friuli. Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, VII, p. 41-70, con 1 tav. - — 19. Scavi di Concordia. Lettera alVon. sig. G. L. Becile. — Gazzetta di Venezia, 30 gennaio 1874. — 20. Stratigrafia della serie paleozoica nelle Alpi Carniche. — Mem. R. Ist. Yen., XVIII, 1, 1874, p. 203-21.8, con 1 tav. — 21. Dei terreni morenici e alluvionali del Friuli. — Ann. scient. R. Ist. Tecn. Udine, Vili, 1875, p. 1-91, con 2 tav. — 22. Di alcune condizioni stratigrafiche e orografiche della provincia di Udine. — Atti R. Ist. Yen., ser. 5, I, p. 381-395. — 23. Costituzione geologica del Friuli. - Ann. stai, per la prov. di Udine, I, 1876, p. 102. — 24. Catalogo ragionato delle rocce del Friuli. — Estr. di 67 p con 7 tav. da Mera. R. Acc. Lincei, ser. 3, 1, 1877. — 25. Dell’origine della Terra rossa sugli altipiani calcari. — Rend. R. Ist. Lomb. di Se. e L., ser. 2, XIII, 29 aprile 1880. — 26. Di alcuni scoscendimenti posglaciali sulle Alpi meridio- nali. ■ — Ibid., ser. 2, XIV, 1881, p. 74-81. — 27. Della posizione stratigrafica della zona fillitica di FiOtzo e dei calcari marini che la comprendono. — Ibid., ser. 2, XIV, 1881, p. 214-218. — 28. Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias nelle provincie Venete. — Atti R. Ist. Yen., ser. 5, Y. App., p. 1-89, con 10 tav. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 405 Taramelli T. — 29. Carta geologica al 200.000 e Spiegazione della carta geologica del Friuli ( provincia di Udine). — Pavia, 1881. — 30. Una passeggiata presso Paularo. — Cron. S. Alp. Friu- lana, I, 1881, p. 101-106. — 31. Sulla recente scoperta di fossili siluriani nella pro- vincia di Udine. — Rend. R. Tst. Lomb., ser. 2, XIV, 1881, p. 590-594. — 32. Geologia delle Provincie Venete, con carte geologiche e pro- fili. — Mem. R. Acc. Lincei, ser. 3, XIII, 1882. — 33. La formazione naturale del suolo Veneto. - Cron. S. Alp. Friulana, li, 1882, p. 117-150. — 34. Le principali località fossilifere del Friuli. — Ibid., HI, 1883, p. 75-78. — 35. Una brevissima ma interessante gita dal Ponte di Moggio a Portis. — In Alto, IV, 1893, p. 109-111. — 36. Alcune osservazioni dell' antico decorso del Pesia. — B. S. Geol. It., XII, 1893, p. 491-493. — 37. Cenni geologici [std Canal del Ferro]. — In « G. Mari- nelli, Guida del Canal del Ferro », p. 36-44. Udine, 1894. — 38. Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel ver- sante italiano delle Alpi Gamiche. — Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5, IV, 1895, 2° sem., p. 185-193. — 39. Osservazioni sul Paleozoico delle Alpi Cantiche. — B. S. Geol. It., XIV, 1895, p. 277-280. — 40. Sui terreni paleozoici delle Alpi Gamiche. — Atti S. It. Se. Nat., XXXVI, 1896, p. 55-57. — 41. Alcune osservazioni strati grafiche nei dintorni di Polce- nigo in Friuli. • — B. S. Geol. It., XV, 1896, p. 297-301. — 42. Fi alcune delle nostre valli epigcnetiche. — Atti III Congr. Geogr. It., II, p. 90-102. Firenze, 1899. — 43. Sìdie condizioni geologiche delle fonti di Vinchiaredo presso Cordorado. — Giorn. Geol. Prat., II, p. 23-27. Perugia, 1904. — 44. Sulle condizioni geologiche dei dintorni di Coltura presso Polcenigo. — Ibid., II, 1904, p. 28-42. — 45. Discorso letto nell’adunanza generale estiva della Società Geologica Ltaliana tenuta in Tolmezzo. — B. S. Geol. It., XXIV, 1905, p. xxxvm-XLiv. 406 M. GORTANI Taramelli, Pirona e Tommasi. - 1 . Relazione della Commissione geologica sulle fonti di Zompitta. — Udine, Colinegna,1886. — 2. Bei terremoti avvenuti in Tolmezzo ed in altre località del Friuli nell’anno 1889. — Ann. Uff. Centr. Meteor. e Geod., ser. 2, XII, 1, p. 95-120, con 1 carta geol. Roma, 1893. Tellini A. — 1. I)a Tarcento a Desia. Note geologiche. — In Alto, II, 1891, p. 6-13. — 2. Descrizione geologica della tavoletta « Majano ». — Ibid., Ili, 1892, n. 2-4, eou 1 tav. - — 3. Alcuni documenti riguardanti i terremoti del Friuli. — Ibid., VI, 1895. — 4. Della vita e delle opere di Giidio Andrea Pirona ( con note su altri naturalisti del Friuli). — P. 1-108. Udine, Dovetti, 1897. — 5. Il Gabinetto di Storia Naturale del li. Istituto Tecnico « A. Zanon » in Udine , con notizie sopra altre collezioni di oggetti naturali del Friuli. — Ann. R. Ist. Tecn. Udine, ser. 2, XIV, 1897, p. 1-90. — 6. Intorno alle tracce abbandonate da un ramo dell’antico ghiacciaio del fiume Isonzo nell alta valle del fiume Nati- sone ecc. — Ibid., ser. 2, XV, 1898, p. 45-83, con 1 carta. — 7. Sui mutamenti avvenuti nel corso dei fiumi Isonzo e Nati- sone e sull’antico nesso esistente fra i medesimi. — Riv. Geogr. It., V, 1898, p. 198-200. — 8. Peregrinazioni speleologiche nel Friuli. — In Alto, X, 1899, n. 1-4. — 9. Descrizione geologica della tavoletta topografica di Udine (scala 1:25.000, ridotta a 1:50.000). — In « R. Staz. Sperino. Agr. di Udine, Carta geologico-agraria del podere d’istruzione del R. Ist. Tecn. di Udine e dintorni », p. 7-61, con 2 carte. Udine, Seitz, 1900. — 10. Le acque sotterranee del Friuli e ia loro utilizzazione. — Ann. R. Ist. Tecn. Udine, ser. 2, XVII, p. 175-260; XVIII, p. 27-155; XIX, p. 103-200; 1899-1901. Tietze E. — 1. Beitrdge zur Kcnntniss der dlteren Schicht- gebilde Kdrntens. — Jb. k. k. Geol. R.-Anst., XX, 1870, p. 259. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 407 Tjetze E. — 2. Die Kohlenformation bei Pontafel in Kdrnten. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1872, n. 7, p. 142-143. Tommasi A. — 1. Il Trias inferiore delle nostre Alpi. Il Pizzo dei Tre Signori. — Milano, Vallardi, 1882, con 1 tav. — 2. Note paleontologiche. — B. S. Geol. It., IV, 1885, p. 199- 222, con 5 tav. — 3. Da Dognci ad Ampezzo , Forni di Sotto e Monte Najarda; appunti geologici. — Ann. R. Ist. Tecn. Udine, ser. 2, IY, 1886, p. 55-62. — 4. Alcuni Rrachiopodi della zona raibliana di Dogna nel Canal del Ferro. — Ibid., ser. 2, V, 1887, p. 109-115, con 1 tav. — 5. 7 terremoti nel Friuli dal 111 al 1887. — Ann. Uff. Centr. Meteor. e Geod., Vili, 1886, pt. 4. Roma, 1888. — 6. Sulla scoperta del Carbonifero al Monte Pizzul nelValta Carnia. — B. S. Geol. It., Vili, 1889, p. 564. — 7. Sul lembo cretaceo di Vernasso nel Friuli. — Ann. R. Ist. Tecn. Udine, ser. 2, VII, 1889, p. 19-27. — 8. Terremoti accaduti a Sutrio e notati dal Al. R. Don Fran- cesco Del Negro (1762-1803). — Pagine Friulane, III, 1890, p. 136. — 9. Rivista della fauna Raibliana del Friuli. — Ann. R. Ist. Tecn. Udine, ser. 2, Vili, 1890, p. 19-111, con 4 tav. — 10. I fossili senoniani di Vernasso presso S. Pietro al Nati- sone. — Atti R. Ist. Yen., ser. 7, II, p. 1089-1122, con 2 tav. — 11. Sul recente rinvenimento di fossili ned calcare a Bellero- phon della Carnia. — Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5, V, 1896, 1° sena., p. 216-221. — 12. La fauna del Trias inferiore nel versante meridionale delle Alpi. — Palaeont. It , I, 1896, p. 43-76, con 2 tav. — 13. Nuovi fossili dei calcari rossi e grigi del AI. Clapsavon in Carnia. — Rend. R. Ist. Lomb., ser. 2, XXX, 1897, p. 1120-1122. — 14. Alcuni fossili nuovi nel Trias inferiore delle nostre Alpi. — Ibid., ser. 2, XXXII, 1899, p. 771-774, con 1 tav. — 15. La fauna dei calcari rossi e grigi del Alonte Clapsavon nella Carnia occidentale. — Palaeont. It., V, 1899, p. 1-54, con 7 tav. 408 M. GORTANI Tommasi A. — 16. Sulla estensione laterale elei calcari rossi e grigi a Cefalopodi del Monte Clapsavon. — Rend. R. Ist. Lomb., ser. 2, XXXVI, 1903, p. 431-439. — Vedi Taramelli, Pirona e Tommasi. Toucas A. — Sur l’dge da gisement de Colle di Medea (Frioul). — B. S. Géol. Trance, ser. 4, V, p. 525-526. Parigi, 1905. Toula P. — BcmerTxungen ìlber die Hangendschicìiten cler Krone. Anzeichen des Vorkommens der oberen Trias in Karnischen Hauptzuge zivischen Uggoicitz und Feistrifz. — V. k. k. Geol. R.-Anst., 1887, p. 296. Trabucco G. — Sulla vera posizione dei terreni terziari del ba- cino piemontese. I. — Mera. S. Tose. Se. Nat.. XIII, 1894, p. 181-227, con 2 tav. Unger F. — Anthracitlager in Kdrnten. — Sitzb. k. Ak. Wiss. Wien, LX, 1, 1869, con tav. Vigo G. — Studio petrografico su alcune rocce della Carnia. — Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5, Vili, 1899, 1° sera., p. 497-503. Vinassa de Regny P. — [Rinvenimento della « Nevrodontopte- ris auriculata » presso il Ricovero Marinelli]. — B. S. Geol. lt., XXIV, 1905, p. lvi-lyii. Vinassa de Regny e Gortani. — 1. Osservazioni geologiche sui dintorni di Paularo. — B. S. Geol. 1 1., XXIV, 1905, p. 1-16, con 1 carta al 50.000 e 1 tav. — 2. Fossili carboniferi del Monte Rizzili e del Piano di Lanza nelle Alpi Gamiche. — Ibid., XXIV, 1905, p. 461-605, con 4 tav. - — 3. Nuove ricerche geologiche sui terreni compresi nella tavo- letta « Paluzza ». - — Ibid., XXIV, 1905, p. 720-723. Zanon A. — Sulla formazione della torba ed altri fossili com- bustibili.— P. 1-62. Venezia, 1767. Anonimo. — Supplemento al « B. Meteor. dell’ Uff. Centr. di Meteor. e Geod. », XIV, 1892, n. 75. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA DEL FRIULI 409 INDICE PER MATERIE Petrografia. — Artini - Milch - Eosiwal - Tarameli i, 24 - Vigo. Cave e Miniere. — Arduino - Asquini - Audouy - Cossa e Taramelli - Foetterle, 3 - v. Hauer, 1 - Hoefer, 1 - Hoernes - Larice - Marinelli 0., 2 - Marinoni, 3 - Meneghini, 1 a 5 - Pau- luzzi - Perissutti - Pirona, 1,18- Pitacco - Zanon. Geologia applicata. — Bonomi - Marinelli 0., 10 - Pecile - Taramelli, Pirona e Tommasi, 1 - Telimi, 10. Geologia generale e Speleologia. — Bidoli - Boegan - Bona- relli - Catullo, 4 - Coppadoro, 1 a 6 - D’Agostini - Da Rio - Feruglio - Gortani, 4, 6 - Lazzarini, 1 a 11 - Leskovic - Lo- renzi, 1, 5, 7 - Marinelli G., 1 a 3 - Marinelli 0., 7 a 10, 14, 15, 20, 22, 23, 26 - Marinoni, 4 - Marson - Moro, 1,2- Mu- soni, 1 a 4 - Savorgnan di Brazzà - Taramelli, 1, 14, 25, 42 - Teliini, 8. Terremoti. — Baratta, 1,2- Hoefer, 2 - Palazzo - Span- gano - Taramelli, Pirona e Tommasi, 2 - Telimi, 3 - Tommasi, 5, 8 - Anonimo. Idrologia. — Bertolini, 1,2- Lorenzi, 6 - Ludwig e Panzer- Marehesetti - Marinelli G., 1 - Marinelli 0., 7, 8, 14, 16, 20, 23 - Musoni, 3 - Svoboda - Taramelli, 36, 46 - Tellini, 10. Geologia regionale. — Boué - v. Buch - Castelli - Catullo, 1 - Diener, 1, 2 - Direzione del R. Com. Geol. - Festari - Foet- terle, 1, 2 - Futterer, 3 - Frech, 1, 3, 5, 7, 9 - Geyer, 1 a 17 - Girardi - Gortani, 7, 8, 9 - Hacquet, 1,2- Harada, 1,2 — v. Hauer, 2, 4 - Lorenzi, 4 - Marchesetti - Mariani, 1 - Mari- nelli 0., 5, 13, 14, 19, 20, 21, 25, 26 - Marinoni, 5 - v. Moj- sisovics, 1 - Omboni - Peters - Pilla - Pirona, 2, 4, 5, 10, 11, 16 - Schellwien, 3, 4 - Senoner - Stacbe, 7, 8, 12, 13 - Stop- pani - Stur, 1 a 4 - Taramelli, 2, 3, 5, 8 a 10, 13 a 15, 20, 23, 29, 30, 32, 35 a 41, 43, 44 - Teliini, 1, 2, 6, 7, 9 - Tietze, 1 , - Tommasi, 3, 16 - Toula - Vinassa e Gortani, 1, 3. Carte geologiche. — Foetterle, 2 - Frech, 1, 7 - Futterer, 1 - Geyer, 6, 14, 15 - Gortani, 8 - Harada, 2 - v. Hauer, 3, 5, 6 — Marinelli 0., 21 - Marinoni, 3 - de Mortillet - Pirona, 3, 4, 12 - Sacco, 2 - Stacbe, 7 - Taramelli, 21, 24, 29, 32 - Taramelli, Pirona e Tommasi, 2 - Teliini, 6, 9 - Vinassa e Gortani, 1. 410 M. GORTANI teologia glaciale. — (Da Rio) - Lorenzi, 1,3- Marinelli 0., 1, 4, 14, 16, 17, 20, 21, 23 - Marson - de Mortillet - Pirona, 3 - Sacco, 2 - Taramelli, 6, 21 - Teliini, 6, 7. Quaternario. — Clerici - Lorenzi, 3 - Marinelli 0., 14, 16 - Pirona, 15 - Taramelli, 12, 17 a 19, 21, 26. Terziario. — Bassani, 1 - Catullo, 3, 5, 8, 9 - Checchia - D’Acbiardi, 1 - De Angelis, 1 - Fabiani - Fortis, 1, 2 - Mariani, 2 - Marinelli 0., 21, 25 - Marinoni, 1, 2 - (Moro, 1, 2)- Munier-Chalmas - Oppenheim, 1 a 4 - Osasco - Sacco, 1 - Stadie, 18 - Taramelli, 4, 7, 12, 35 - Trabucco. Creta. — Bassani. 3 - Boelim, 1 a 8 - Bozzi, 1, 3 - Ca- tullo, 6, 7 - Douvillé - Futterer, 1, 2, 4 - Bonghi - Mariani, 2, - Marinelli 0., 3, 11, 21, 25 - Munier-Chalmas - Oppenheim, 5 - Pirona, 6 a 9, 13 a 15, 17 - Schnarrenberger - Taramelli, 4 - Tommasi, 7, 10 - Toucas. Giuralias. — Canavari - Catullo, 2 - D’Achiardi, 2 - Ma- rinelli 0., 21 - Pirona, 12 - Taramelli, 27, 28. Trias. — Bassani, 2 - Bittner, 1, 2, - De Angelis, 7 - Geyer, 9, 12, 13 - Gortani, 1 - Gumbel, 1, 2 - Mariani, 3 - Marinelli, 21 - Meneghini, 1 a 6 - v. Mojsisovics, 2 a 8 - Tommasi, 1 a 4, 9, 12 a 16. Permiano e Carbonifero. — Bozzi, 2 - De Angelis, 2, 3 — Frech, 7 - Geyer, 2, 4, 11 - Gortani, 2, 3, 5 - Lipold e Stur - Parona - Sacco, 1 - Schellwien, 1 a 7 - Stache, 2, 5, 6, 7, 9, 10, 15, 1,7 - Stur, 1, 2 - Suess, 1, 2 - Tietze, 2 - Tommasi, 6, 11 - Unger - Vinassa - Yinassa é Gortani, 2. Devoniano e Siluriano. — De Angelis, 2, 4 a 6 - (Fornasini) - Frech, 2, 4, 6 a 8, (10) -Geyer, 3, 7, 15, 16- (Pantanelli) - Scupin - Stache, 1, 3, 4, 7, 8, 11, 13 a 19 - Taramelli, 30, 31. Varia. — Gortani, 9 - Lazzarini, 11 - Lorenzi, 2 - Mari- nelli 0., 6, 12, 18 - Meneghini, 7 - Moro, 1,2- Musoni, 1, 2 - Taramelli, 11, 16, 22, 33 a 35 - Telimi, 4, 5. [ms. pres. il 4 marzo 1906 - ult. bozze 15 agosto 1906]. LA VALLE DE VERO NELLE ALPI PENNINE ED IL PROFILO DEL SEMPIONE Nota del socio Carlo de Stefani L'interpretazione che dette il Gerlach della stratigrafia della Val Devero è stata ritenuta la chiave per ispiegare la serie stratigrafica incontrata nella galleria del Sempione, a proposito della quale la sorpresa dei geologi nel riscontrare vari fatti che non avevano preveduto fu anche maggiore di quella manifestata dal pubblico nel notare che certe previsioni non si erano avverate. Veramente ci vuol ardire a interloquire in questioni tanto controverse, là dove scienziati valentissimi hanno speso la vita concludendo poi in modi talora dubbi e incerti; pure l’osserva- zione dei luoghi mi indusse a delle incertezze su alcune delle interpretazioni stratigrafiche proposte dal Gerlach; a me parve più sostenibile qualche opinione diversa, che qui espongo, affinchè sia oggetto di sindacato da parte di chi esamini la serie passo passo e con la bussola alla mano. Il profilo del Gerlach (*), piuttosto che uno spaccato solo, presenta la sovrapposizione di spaccati diversi, presi parte a destra, parte a Sinistra della Val Devero. Quantunque nella disposizione tettonica stabilita dal Tra- verso!2), altri non convengano, pure le distinzioni litologiche del predetto autore sono le più accurate, ed io mi riporterò alle medesime, come in parte, per lo meno pei terreni più antichi, credo preferibile ad ogni altra la successione stratigrafica accet- tata da lui. Riprendendo dunque l’esame del profilo di Gerlach e della Val Devero della quale riproduco io pure un profilo al 50 mila secondo la carta dell’Istituto geografico italiano, darò la suc- (') Gerlach H., Die peuninischen Alpen, Zìi ridi, 1869. Profilo I. (2) Traverso S., Geologia delYOssola, Genova, 1895. 412 C. DE STEFANI cessione degli strati quale si incontra lungo la vallata, dal basso all’alto, senza preoccuparmi pel momento della loro costru- zione tettonica, e coni incerò: I. Dal Crocio Gneiss di Ger- lacli o Gneiss eli Verampio del Tra- verso, che io ritengo, col Traverso, essere la roccia più antica dell’Os- sola. È massiccio, chiaro, a grana minuta, a due miche, in banchi distinti; affiora per meno di 4 kilo- metri, lungo il Toce, attorno alla foce del Devero e forma un anti- clinale regolare assai ben visibile, ammesso da tutti. li. Al di sopra è un micaschisto scuro, che Traverso chiama Gneiss fogìiettato, granatifero, sovente ricco di cipollini e di sottili strati di cal- care marmoreo. Esso circonda quasi completamente il Gneiss di Credo e trovasi ad ambedue i lati del Toce, non che nella parte inferiore di Val Devero; anzi, secondo Ger- lach e Traverso, addirittura tino a Goglio in tutto il fondo della valle. Apparisce poi in una cupola indi- pendente a Varzo, in Val di Vedrò negli approcci del Sempione. III. Succede VAntigorio Gneiss del Gerlach o Gneiss granitoide di Traverso, a grossi elementi, assai potente in tutta l’alta Val di Toce, che forma ambedue le pendici di- rupate della Val Devero, tino circa in rispondenza a Goglio. Risponde almeno nell’aspetto al Gneiss cen- trale di parecchi luoghi delle Alpi occidentali, ed al Gneiss del Capo Vaticano in Calabria. Airesaminare indicazioni sommarie f l LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 413 od al guardare lina carta geologica può credersi che questa for- mazione sia tutta uniforme; anzi il Gerlach lo afferma espres- samente; però vi alternano, in certi tratti assai replicatamente, ammassi biotitici, micaschisti, quarziti, calceschisti e cipollini granatiferi o no. IY. Da Cagnesco in su trovasi il Calceschisto micaceo ( Cai - ceschisto gneissico o Calceschisto di Devero, Traverso), distin- guibile. almeno nella sua massa generale dal Micaschisto (II), per la sua abbondanza di carbonato calcareo, pel suo aspetto grauu- loso-schistoso, quasi d’arenaria, friabile, con abbondante ossido di ferro, perciò spesso di colore rossastro scuro, ora più calcareo, ora più micaceo. Vi sono però anche dei veri Micaschisti e degli Idremicaschisti quarzosi, e nelle parti più alte vidi scarsi Clo- ritoschisti e Anfìboliti. Gerlach e Traverso distinguono ambedue questa roccia; ma il primo ne fa una continuazione dei Mica- schisti (II), mentre il Traverso ne fa una zona indipendente so- vrastante al Gneiss d’Antigorio, non che, per conseguenza ai Micaschisti predetti, secondo lui, più antichi. Traverso osserva che questa roccia trovasi pure sovra il Gneiss d’Antigorio e forma per gran tratto una lunga zona sulla sponda sinistra del Toce, a chiudere, secondo il suo modo di vedere, l’ellissoide di Antigorio; mentre il Gerlach non distingue litologicamente questa zona, a differenza di quanto fa altrove, dai Micaschisti (II). Altri unirono questo Calceschisto con rocce d’altri luoghi nei così detti Casanna Schiefer. V. Al Campello e a Codelago sovrastano a detta roccia banchi lentifòrmi di calcare e di anidrite, limitati per ampiezza ed alti al più qualche diecina di metri, cristallini, farinosi, perchè i cristal- letti che li costituiscono facilmente si sgretolano, grigio cupi, ma talora anche regolarmente bianchi e più compatti. Può darsi che rispondano al Trias. I detti lembi di Anidri te nell’Alpe Devero segnano in tutto l’andamento degli altri strati della regione che li includono. Forse alcuni calceschisti molto calcarei e molto distintamente e sottilmente stratificati che per brevissima altezza vidi sopra l’ Anidrite a Codelago, dove la base dei calcari è poi coperta da frane, potrebbero appartenere ad altra serie sedimentare, pa- leozoica o secondaria. 414 C. DE STEFANI IV bis. Sopra l’Anidrite, sempre concordante, succede il Gneiss scliistoso (Traverso), minuto e tabulare, chiaro, a due miche, ed è il Gneiss di Monteleone di alcuni autori e dello Stella ('). Salendo ancora fino alle creste del Cervandone e della Rossa s’incontra una zona di serpentine e di rocce verdi, anfibolico- pirosseniche, più estese che non porti alcuna delle carte odierne. Gli Gneiss di Crodo (I), d’Antigorio (III) e di Monte- leone (IV bis), sono macroscopicamente ben distinguibili Timo dall’altro. Traverso li crede stratigraficamente e cronologicamente diversi e successivi nell’ordine ne) quale li ho nominati. Gerlach ritiene più antico il Gneiss d’Antigorio (III) e sembra ritenere contemporanei gli altri due (I e IV bis). Schardt, Lugeon ed altri, sembrano meno alieni dal ritenerli contemporanei tutti e tre. Lo stesso può dirsi dei Micaschisti (II) e dei Calceschisti mi- cacei (IV), ritenuti da alcuni dissincroni, da altri contemporanei ed equivalenti, sebbene litologicamente separabili. Dopo avere preannunciato queste discrepanze, esaminiamo la stratigrafia, premettendo ancora che gli strati sono ben distinti e si possono seguire per lunghissimi tratti, almeno con gli occhi, se non coi piedi. Lungo la destra del Devero, fra questa valle e la Cairasca, il Gerlach riconobbe che isolati banchi orizzontali di Gneiss (IV bis) coprono le cime del Pizzo de’ Diei, del M. Cistella e del Corno Cistella. Sono testimoni di una massa di Gneiss proveniente da N-O, dall’adiacente spartiacque alpino e rotta poi dalla formazione della Valle Bondolero e degli affluenti alla Cairasca. Infatti, scendendo quelle cime, ad esempio, a Levante verso il Toce sotto il Gneiss rovesciato, s’incontrano succes- sivamente, e secondo me, regolarmente, il Calceschisto (IV), il Gneiss d’Antigorio (III), il Micaschisto (II), il Gneiss di Crodo (I). Tali circostanze rivelate dal Gerlach non sono state messe iu dubbio poi da alcuno. Passiamo ad esaminare la sinistra della stessa Val Devero. Il Gerlach ritenne, come dissi, essere il Gneiss d’Antigorio (III) la roccia più antica della regione. Secondo lui nelle pendici (>) Stella A., Il problema geo-tettonico delì’Ossola e del Sempione. (Boll. Coin. geol., Roma, 1905,. LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 415 formate da tal roccia lungo la sinistra del Toce, rimpetto alla Val Devero, ha radice una lunga piega, la quale diretta a N-0 si rovescia e si sdraia per la lunghezza di più che 8 kilometri, coprendo a guisa di anticlinale i Micascisti (li) e il Gneiss di Crodo (I), e formando le masse ad ambedue i lati della Val Devero, fino a che in rispondenza a Goglio termina con una curva o cupola ampia e regolare, ma naturalmente sdraiata. Quanto alle rocce che dovrebbero fare da involucro a questa piega avente per nucleo il Gneiss d’Antigorio, egli ritiene che i Micaschisti (II) sieno sovrapposti, e li distingue sulla cresta fra la sinistra del Toce e la valle dellTsorno, dove sono realmente sovrastanti, ma secondo Traverso invece appartengono alla serie dei Calceschisti di Devero (IV). I micaschisti (II) granatiferi di Val Devero, che a Premia e a Baceno cominciano ad apparire sotto al Gneiss d’Antigorio (III) e sopra al Gneiss di Crodo, con pendenze talora abbastanza forti verso N-O, come all’Orrido di Baceno egli (pag. 83) li segue passo passo lungo tutta la Val De vero, della quale, egli diee, seguono costantemente il fondo. A Croveo, a 2 kilometri e circa a 170 m. sopra TOrrido di Baceno li trova leggermente pendenti a N ; ed orizzontali li trova poi fino al Passo un poco più che 2 kilometri e circa 110 m. più in alto, comparendo essi sempre sotto al Gneiss d’Antigorio che forma le dirupate pendici ad ambedue i lati ed anche le sommità sulla sinistra della valle. Al Passo, dice il Gerlach, le frane nascondono il suolo per alcune centinaia di passi, dopo dei quali i Micaschisti ricompaiono nel fondo, ma si rialzano e pendono all’ incontrario di prima, cioè a S-E fin presso Goglio per circa m. 1500 di lunghezza e poco più di m. 125 di al- tezza. Il Gerlach ritiene che i Micaschisti (II) esaminati si riattac- chino direttamente in continuazione coi Calceschisti (IV) che di- cemmo sovrastare al Gneiss d’Antigorio e che principiano poco sopra Goglio ; però gli abbondanti rigetti morenici a Goglio gli fanno perdere le tracce dei Micaschisti (II), che egli non vede come si riattacchino in quel punto coi Calceschisti (IV); egli lo induce dalla inclinazione a S accennante ad andare sotto al Gneiss di Antigorio, osservata in due lembi calcarei che ap- paiono non lungi a Ponente di Goglio nella Valle Bondolero. 416 C. DE STEFANI Quanto al Gneiss di Crodo (I) che appare in breve tratto sul Toce, inferiormente ai Micaschisti (II), sotto forma di vero e proprio anticipale, il Gerlach lo sincronizza al Gneiss di Mon- teleone (IV bis), invece che al Gneiss di Antigorio (III), e ri- tiene pur esso formare involucro a questo. Per quelli che riuniscono tutti gli Gneiss di Crodo, d’Anti- gorio, di Monteleone in una medesima età, si avrebbe dunque nei Gneiss della Val Devero una sovrapposizione di due pieghe rovesciate a guisa di S, il cui ramo inferiore sarebbe costituito dal rovesciamento del Gneiss d’Antigorio verso N-O, ed il ramo superiore lo sarebbe dal rovesciamento del Gneiss di Monte- leone, specialmente nel M. Cistella, verso S-E. Dal rovesciamento del Gneiss d’Antigorio supposto dal Ger- lach, il Lugeon e lo Schardt hanno preso le mosse per ispiegare i fatti incontrati nella galleria del Sempione e per indurre resi- stenza di assai più potenti rovesciamenti avvenuti qella stessa direzione, per modo, che secondo il loro modo di vedere le Alpi non sarebbero autigene , cioè formate con rocce del posto, ma allotigene , cioè originate e provenienti quasi dalla pianura dove oggi non si vede più niente. Prima di procedere oltre ricorderò di nuovo che sulla cresta fra il Toce e lTsorno, sopra il Gneiss d’Antigorio, non trovansi i Micaschisti (II) supposti dal Gerlach, bensì, secondo il Traverso, i Calceschisti (IV). Inoltre non lungo tutta la pendice sinistra del Toce ove sarebbe la radice della piega coricata, nè in al- cuna delle numerose vailette, talora abbastanza profonde, nor- mali al Toce, fu notata traccia di curve anticlinali, per quanto compresse, quali sogliono trovarsi nel nucleo di qualsiasi piega convessa; nè viene segnalata una struttura simmetrica e una disposizione zona-re ripetuta nella gran piega del Gneiss cori- cata lungo la sinistra di Val Devero, ovvero nel grande sup- posto sinclinale sottostante dei Micaschisti. Il Traverso dà dei fatti una spiegazione diversa da quella del Gerlach. Secondo lui, come dicevo, la successione degli strati dal I al IV è quale io medesimo l’ho esposta, sulle sue tracce. Per la distribuzione topografica delle rocce in Val Devero e nelle sue adiacenze egli accetta la carta del Gerlach; egli pure ammette perciò il prolungamento dei Micaschisti (II) tutto lungo LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 417 la Val De vero, nel fondo della valle, sopra il Gneiss di Crodo (I) e sotto il Gneiss d’Antigorio (III) fino a Gog-lio. Se non che là dove i rigetti morenici di Gog-lio, secondo Gerlach, interrompono e nascondono la da lui supposta continuità dei Micaschisti coi Calceschisti di Devero, egli, Traverso, pone una faglia con forte dislivello di strati ('), per la quale il Calceschi- sto (IV) viene contro il Micaschisto (II) o Gneiss fogliettato, come egli lo chiama, fino alla parte più bassa del bacino, trovandosi quindi a un livello inferiore del Gneiss granitoide o d’Antigo- rio fili), che forma le pareti laterali. Egli però non analizza questo fenomeno della faglia, che quando esiste in sufficiente- mente ragguardevoli proporzioni è sempre uno dei più impor- tanti della stratigrafia. Kiprendiamo ora l’esame dei luoghi secondo le osservazioni nostre, per quanto imperfette e tali che non possono competere con quelle di un sì accurato osservatore quale era il Gerlach, e che qui espongo al solo scopo di richiamare su questi luoghi l’osservazione di ancor più minuziosi osservatori. Sopra la cupola gneissica di Crodo (I), a Cravegna e Bovera i Micaschisti graDatiferi (II) che hanno potenza di circa 300 m. pendono notevolmente più di 30° ad 0, come porta la loro si- tuazione nel lato occidentale dell’ellissoide. All’Orrido di Ba- ceno ed al Ponte sovrastante gli stessi Micaschisti, talora un po’ contorti, pendono ancora di 30° a N-0 e N. Da Baceno a Croveo il suolo è coperto dai rigetti morenici di fondo d’uno dei periodi del ghiacciaio di Val Devero, quando era ancora unito e comprendente tutti i ghiacciai de’ suoi affluenti. Però in fondo alla valle fin quasi all’Osso e al Ponte, appaiono an- cora i Micaschisti tuttora leggermente pendenti a N-O. Di poi delle frane altissime, costituite da immensi massi caduti dalle pareti gneissiche laterali ingombrano la valle. Esse sono eviden- temente posteriori al solco che il Devero si fece al disotto della piattaforma glaciale che è assai più alta e che il fiume ha cor- roso perciò dopo l’epoca glaciale. Il fiume si deve aprire la strada tra quelle frane che rendono difficilissima, per non dire impossibile, l’osservazione del sottosuolo in questo. Però restano (') Traverso, tav. VIIT, fig. 1, pag. 200. 418 C DE STEFANI visibili gli strati tutto lungo la parete sinistra e questi sono anche accessibili lungo il ripido viottolo che sale ad Ausone ed Agaro. In questa regione appunto il Gneiss d’Antigorio, in lenti, è frequentemente alternante con Micaschisti e talora con Calce- scliisti o Cipollini altamente marmorei, la cui presenza potrebbe trarre in inganno chi non ne fosse prevenuto. Si aggiunga che secondo Schardt, Stella ed altri il Gneiss granitico forma lenti e zone che sfumano in mezzo ad altre rocce (‘), e che d’altra parte ogni roccia alta e compatta, in mezzo a regioni compresse e perturbate, e fra strati forniti di maggiore plasti- cità, deve trovarsi qua e là necessariamente spostata ed isolata. Ad ogni modo nell’anzidetta regione gli strati seguitano quasi orizzontali o leggermente inclinati a N-0 e talora alquanto scon- torti. Forse da una di queste contorsioni locali il Gerlach dedusse la pendenza a S-E che egli osservò tra il Passo e Goglio. Però salendo di fianco alla cascata e rapida deH'Inferno a traverso la quale il Devero, scendendo dall’Alpe omonima, si precipita per circa 400 m. fino a Goglio, e non curando gli altissimi ri- getti morenici precipuamente derivanti dalla Valle Bondolero che ingombrano e nascondono il suolo di Goglio, osservando le pareti principalmente nude sulla sinistra della valle, si vedono gli strati del Gneiss e micaschisto d’Antigorio (III) talora scon- torti e verticali continuare senza faglie da un estremo all’altro della valle e scendere regolarmente sotto i Calceschisti di De- vero (IV). Sopra Cagnesco infatti gli strati pendono di 15° a N. 5° 0. La cupola si chiude dunque regolarmente e gli strati multiformi del Gneiss tra il Passo e Cagnesco scendono rapi- damente ma regolarmente, e con varie contorsioni sotto il livello del Devero. All’Alpe Devero i Calceschisti, seguendo il rovesciamento dell’altimetricamente sovrastante Gneiss di Monteleone (IV bis), tornano quasi orizzontali, con inclinazione di 10° a N, pendenza che però acquistano maggiore di 40° a 50° verso N-O, a Le- vante ed a Ponente. Per tali ragioni, non condividendo circa ì dintorni di Goglio l’opinione del Gerlaeh, nè quella del Traverso, 0) Stella A., Sulla geologia della regione Ossolana contigua al Sem- pione (Boll. Soc. geol. it., 1904). LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 410 ritengo che il Gneiss di Crodo sia la roccia più antica di Val d’Os- sola; che i Micaschisti (II) formino al di sopra un anticlinale ad amplissima volta, in Val Devero ed a Varzo sulla Diveria sulla strada del Sempione ; che in realtà non formino una stri- scia continua in fondo a Val Devero da Baceno a Doglio; che il così detto Gneiss d’Antigorio formi una cupola chiusa al di sopra, senza essere affatto la roccia più antica della regione e senza formare una piega rovesciata sopra i Micaschisti ; che finalmente i Calceschisti di Devero non rispondano affatto ai Mi- caschisti di Baceno, ma ne sieno assai più recenti. Sembra che la stessa piega anticlinale formata dal Gneiss di Crodo, dal Micascisto granatifero e dal Gneiss d’Antigorio, con asse da N-E a S-0 seguiti, direttamente da Val Devero al- meno fino alla Cairasca e alla Diveria verso Sud e forse, abbas- sandosi, fino in Val Eormazza verso Nord; ed è notevole che in Val Devero gli strati, quasi orizzontali in rispondenza al vertice della cupola, vadano facendosi assai inclinati interna- mente nel lato N-0 di fronte ai Calceschisti e dì fronte alle pressioni cagionate dalle ripetute pieghe della regione centrale e più elevata delle Alpi Perniine. Questo raddrizzamento interno si riscontra pure forse nell’interno della galleria del Sempione, ed in tal caso è la causa per la quale, come in Val Devero, il Gneiss d’Antigorio del lato Sud terminò qualche chilometro prima che i geologi non avessero previsto, e qualche chilometro prima fu incontrato il Gneiss di Monteleone, che Schardt inter- preta come una bassa cupola rappresentante il fondo normale non dislocato dell’ intero bacino (Q. Circa all’età di questi terreni cristallini mi sembra predo- mini presso molti geologi l’ idea che le rocce più antiche deb- bano essere sempre Gneiss o graniti ; che perciò i Micaschisti, (*) (*) Schardt H., Note sur le profil geologigue et la tectonigue du massif du Simplon (Eclog. geol. Helv., 1904). Forse anche gli schisti fra i chilom. 4,940 e 5,326 dall’imbocco S-E del Sempione sono un rialzo della cupola dei micaschisti sottostanti al Gneiss d’Antigorio ed al Gneiss che ecpiivarrebbe ancor quello d’Antigorio, fra m. 5,326 e 6,832 II con- cetto di Schardt d’un fondo normale non dislocato a sì breve distanza dalla superfìcie non risponde ai concetti che oggi abbiamo sulla costi- tuzione di montagne cosi perturbate. 420 C. DE STEFANI i Calcescbisti e simili debbano essere più recenti. È questa però un’ idea prioristica che non combina con tanti fatti i quali si osservano nelle Alpi orientali e Marittime, in Calabria, in Sar- degna, in Corsica ed in tanti altri luoghi, dove in mezzo a ter- reni gneissici o granitici non dubbiamente arcaici si vedono Micaschisti ed altre rocce schistose più antiche di altri veri e propri Gneiss. Il criterio che deve condurre a determinare le rocce delle Alpi Perniine non può essere un criterio litologico prioristico. Nel ritenere i Micaschisti di Val Devero e di Varzo sottostanti al Gneiss d’Antigorio non vi è contrasto, ripeto, con quanto si verifica in altri luoghi. Non occorre soggiungere altro per con- cludere che io non li ritengo appartenenti al Secondario, come molti, e forse i più, oggi fanno. I Calceschisti pure, e con maggiore apparenza di verità, perchè superiori al Gneiss , sono dai più posti nel Secondario, perchè in alcuni schisti alquanto metamorfici della Valle del Ro- dano si trovarono delle Belemnites; anzi alcuni mettono nel Secondario anche i Cipollini ed i Calceschisti che s’incontrano perfino in piccoli sfraterei li in mezzo agli Gneiss ed ai Mica- schisti più antichi, e suppongono che lunghe e strettissime pieghe abbiano fatto penetrare quei Cipollini in mezzo alle rocce più antiche. Niun dubbio che in mezzo a montagne tanto turbate simili fìtte pieghe possano ritenersi cosa normale; ma la sup- posizione di una piega ravvolgente non si può applicare alla massima parte dei Cipollini e Calceschisti antichi, i quali sono troppo sottilmente e troppo intimamente collegati con la roccia di cui fanno parte. Quanto ai Calceschisti di Devero ed altri simili sovrastanti o ad ogni modo più recenti degli Gneiss, non si può mettere in dubbio che pur le rocce recenti sono soggette a metamorfismi e cominciano ad acquistare caratteri cristallini ; sebbene d’altra parte l’intensità di questi metamorfismi il più spesso sia in firn zione dell’età. Bensì, per aver trovato delle Belemnites in Sviz- zera alla Nufenen e a Brieg in argilloSchisti e micaschisti calci- tici, l’attribuire senz’altro al Secondario tanto alta serie di rocce abbastanza diverse è cosa ben esagerata. Le zone del Secondario sono per lo più ristrette, anzi talora ristrettissime, limitate e LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 421 variate, mentre gli schisti cristallini delle Alpi Perniine sono altissimi ed amplissimi quantunque serrati da forti compressioni. Inoltre, per grande parte, quegli schisti cristallini supposti se- condari, come appunto anche i Calceschisti di Devero, non for- mano una zona in mezzo ai calcari triassici, bensi delle zone laterali adiacenti, onde dovrebbe apparire che sono più antichi del Trias. Nel progetto di attribuire quei terreni al Secondario, senza prove e per semplici affinità litologiche, io vedo l’applica- zione di quel bisogno che si manifesta in ogni regione geologica, di classificare cioè con qualsiasi nome di battaglia quei terreni dei quali il geologo dovrebbe convenire d’ignorare l’età. Piuttosto si potrebbero paragonare i Calceschisti di Devcro e simili ai Calceschisti cerulei ed agli Schisti meno cristallini che nelle Alpi Marittime e nell’Appennino Savonese coprono Dioriti, Micaschisti ed altre rocce cristalline e sottostanno al Trias ed al Carbonifero; onde tutt’al più, se non sono Arcaici, si potrebbero attribuire al Paleozoico inferiore. Quanto al Gneiss scistoso (IV bis) di Traverso o Gneiss di M011- teleone e ad altri Gneiss delle Alpi Perniine credo possibile che appartengano ad un medesimo piano, e che sieno la ripetizione sotto forme litologiche alquanto diverse del Gneiss d’Antigorio. Nella Val Devero i Calcari del Campello, di Codelago e di altri punti stanno sopra i Calceschisti antichi (IV), ma forse sono presi in mezzo per una strettissima piega rovesciata a S-E, fra quelli ed il Gneiss schistoso, almeno a quanto si può vedere. In regioni soggette a forti compressioni e ripiegamenti, più che vere faglie verticali o quasi, sono normali gli sposta- menti secondo piani inclinati e gli scivolamenti degli strati; è cosa normale che intere serie di strati vengano talora a man- care e non fa meraviglia che la serie dei Calceschisti esistente sotto il Trias non si ripeta negli strati rovesciati subito al di sopra. In montagne massicce ed elevate come le Alpi Pennine è pure cosa normale o per lo meno frequentissima che gli strati e le loro relative pieghe sieno rovesciati verso i lati esterni e più bassi dello spartiacque, costituendo la caratteristica struttura a ventaglio. Forse, pur senza ricorrere a provenienze allotigene, il numero delle pieghe che prendono parte ad una montagna massiccia, cristallina, e costituita da rocce non fossilifere ab- 422 c. DE STEFANI bastanza uniformi, non saranno mai completamente sceverate. Non mi sorprenderebbe che alla formazione dello spartiacque delle Alpi Perniine o delle masse adiacenti, prendessero parte anche strati eocenici; ma per affermare la presenza di questi o di altri strati della serie sedimentare occorrono delle prove o per lo meno degd'iudizi potentissimi, e non bastano le sem- plici induzioni individuali o collettive. Applicando le cose dette ai profili del Sempione, fra i tanti che sono stati presentati io credo tuttora più vicino alla realtà quello redatto da Heim, Lory, Tara medili e Renevier nel 1882 ('), salvo l’attribuire la ripetizione di parecchie zone di strati all’esi- stenza di pieghe da essi ritenute molto probabili o prudentemente non indicate. Non mi sembra che le sezioni incontrate nella grande galleria sieno inconciliabili col modo di vedere dei detti autori. Certo la struttura del Sempione non potrà essere ben determinata se non con ulteriori studi fatti all’esterno. I fori sono buoni al geologo, nel caso di terreni di pianura, ovvero di terreni coperti da un anticlinale chiuso; una galleria a tra- verso un monte può servire di sindacato alle opinioni manife- state dai geologi sulla costituzione esterna del monte; ma il pretendere che la struttura di una montagna sia rivelata da un foro sotterra, orizzontale, verticale o inclinato è un’idea piuttosto da ingegneri che da geologi. Uno o più geologi che non arrivino a determinar bene la compagine d’una giogaia, la quale mani- festa gli strati scoperti per centinaia di migliaia di metri qua- drati di superficie e per migliaia di metri d’altezza, non arrive- ranno mai a concluder niente dall’esame d’un foro per quanto lungo e largo. L’imperfezione nei profili preventivi del Sempione, come nei lavori di qualsiasi geologo può derivare dal non aver seguito e indicato passo passo le variazioni dei singoli strati. Il geo- logo presenta le rocce e gli strati nelle carte e nei relativi pro- fili come unità all’ingrosso, e direi convenzionali, che però al minuto non esistono; anche perchè le azioni atmosferiche e me- teoriche esteriori danno alle superfiei delle uniformità apparenti (') Étude géologiquc sur le projet de tunnel coudé traversant le massif du Simplon. (Bull. Soc. vaud. d. se. nat., 1883). LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 423 che sostanzialmente non* esistono. Se si esaminassero decimetro per decimetro 100 metri in altezza di Micascisti, o di Gneiss d’Antigorio o d’altra roccia, si troverebbero tali differenze fisiche, strutturali, tecniche, idrologiche, litologiche, mineralogiche, chi- miche, quali a bel principio non si sospettano e che poi possono trovare la loro esplicazione e le loro manifestazioni spesso im- portanti in lavori che si facessero a profondità e sui quali l’osser- vazione venisse necessariamente e minutamente portata centi- metro per centimetro. Questa è la vera cagione di apparenti discrepanze con determinazioni superficiali, quali i tecnici e le Società qualsiasi esigono sien fatte, anche per lavori importanti, dopo poche settimane al più, di studi sul terreno. Tali sono le osservazioni che ho creduto fare sui profili del Sempione e sugli spaccati di Val Devero del Traverso e del Gerlach, con molta esitazione però, lo ripeto ancora, specialmente per quanto riguarda le critiche al Gerlach, che fu sì accurato indagatore. Non ho dimenticato quanto scriveva il Taramelli, che spesso l’intera vita di un geologo non è sufficiente a chia- rire la struttura di una intera vallata, ed io ho inteso solo richia- mare l’attenzione di chi passo passo torni a sceverare' analiti- camente la struttura di Val Devero. Nè voglio terminare senza ripetere che l’uso della bussola in casi consimili è altrettanto necessario al geologo, specie se principiante, quanto aH’ingeguere di miniere. I geologi spiccioli sogliono farne senza per tutta la loro vita; ma riempiono ben anco la bibliografia geologica di una zavorra di lavori inutili. Prima di terminare mi sia concesso dire una parola anche dei depositi alluvionali e glaciali della stessa Val Devero. La Valle longitudinale del Rodano, che in sostanza è una grande valle di sinclinale, è la linea geologica direttrice di tutti gli strati delle Alpi Penniue fino al Lago Maggiore. La Valle del Toce è una valle trasversale o di chiusa, specialmente nella sua metà inferiore. Durante l’epoca glaciale queste valli con tutti i loro affluenti furono occupate dai ghiacciai. Mi pare im- possibile non ammettere che i ghiacciai percorressero valli già aperte nell’epoca pliocenica. Le valli del Dondolerò, della Bu- scagna, dell’Arbola, fluenti al Devero, occupate da potenti ghiac- ciai, percorrono il confine tra i Calceschisti e gli Gneiss. Questa 424 C. DE STEFANI scelta della linea di confine fra due rocce litologicamente e fisicamente diverse per durezza e tenacità, quindi per corrodi- bilità, non è propria del fondo di ghiacciai; bensì lo è delle acque correnti. Convien dire che quelle valli, e così sarà a dire delle altre, fossero aperte dalle acque fluenti, almeno nel Plio- cene, come a queste acque fluenti, quasi certamente si devono l’isolamento del Gneiss del Oisteìla e di altri testimoni consimili che semplici ghiacciai, per quanto alti, non avrebbero isolato. Siccome poi il Pliocene marino trovasi per ragguardevole altezza all’esterno delle valli Alpine, così a differenza di altri, io credo che le Alpi durante il Pliocene ed al comineiamento dell’epoca glaciale fossero più basse di oggi; anche la minor profondità delle vallate e la plastica più superficiale e più pianeggiante d’oggi, quale fu nel l 'epoca glaciale, attestano secondo me una minore antichità e minori altezze nella giogaia, precedentemente al formarsi dei ghiacciai; nè si potrebbe escludere che già durante il Pliocene, sulle più alte cime, fossero delle piccole vedrette almeno come oggi. Trattandosi di formazioni continentali, perciò anche facilmente distruggibili, così interne e così lontane dal mare e da depositi pliocenici noti, sarà forse impossibile mai constatare la loro esistenza e la loro contemporaneità al Pliocene marino; nè gl’indizi portati fino ad oggi furono valevoli ad attestarla. Durante l’epoca glaciale tutta la Val di Toce fu occupata da un altissimo ghiacciaio, che lasciò le sue tracce all’uscita nel piano. Durante e dopo il ritiro di questo la massima parte delle grandi valli laterali fu occupata ancora da ghiacciai che lasciarono le loro morene terminali alla confluenza col Toce od ivi presso. Residui di uno dei periodi del ghiacciaio del Devero si tro- vano alla foce di esso da Baceno in giù e a Crodo, Mozzio e Viceno, dove abbondano pure massi di rocce verdi provenienti dalla cresta fra la Rossa e il Cervaudone. In quei tempi il ghiacciaio del Devero raccoglieva i rami minori del Rio d’Ar- bola, della Buscagna, del Bondolero, di Agaro, del Cistella : appena la cresta più alta che serve di spartiacque fra il De- vero e il Toce doveva emergere in parte, e forse perchè il ramo maggiore era quello dell’Arbola, proveniente da N-E, il gran ghiacciaio riunito, deviando verso S-E quasi ad angolo retto, come fanno le acque dei fiumi secondo la spinte che hanno, cor- LA VALLE DEVERO ED IL PROFILO DEL SEMPIONE 425 rodeva maggiormente la sponda a S-0, cioè la sinistra, lasciando le sue morene di fondo sull’altipiano di Esigo fin sopra Baceno e Cravegna, e sboccando, come si diceva, a Viceno, Mozzio, Crodo, più a Sud della foce del Devero attuale. Ritiratosi il ghiacciaio del Devero, o forse anche in parte prima che questo avanzasse fino al Toce, esistettero quelli la- terali, minori, de’ suoi affluenti. A Doglio trovansi i depositi d’uno dei periodi del ghiacciaio di Val Bondolero alla cui azione in gran parte posteriore al ritiro del ghiacciaio dell’Alpe De- vero, devonsi probabilmente il dislivello e la superficie plasmata che il Devero scende alle cascate dell’Inferno. All’Alpe Devero si riunivano ancora i ghiacciai della Bu- scagna, e della Rossa il cui zuppamente produsse la cavità che poi fu riempita dal lago, ora semplice acquitrino, dell’Alpe Devero, come il ghiacciaio dell’Arbola unito a quello di Val Deserta abbandonò le sue morene, e dette origine a un depo- sito lacustre interglaciale a Ovest e a Sud di Crampiolo. In un ulteriore ultimo periodo di ritiro, forse recentissimo, trovansi morene intatte all’uscita delle più piccole valli, come sarebbero quella della Rossa, che al Campello racchiude l’at- tuale laghetto morenico di Devero, quella di Val Deserta scesa nel Lago, ora piano di Codelago e simili. La morena frontale del Devero all’incontro col Toce e queste ultime morene minori sono le meglio conservate. In Val Devero oggi non rimangono che una piccola vedretta a Sud dell’Arbola (3236 m.), mentre a Nord sono estesi ghiacciai tanto nel versante italiano in Val Formazza, quanto in quello svizzero; il piccolo ghiacciaio della Rossa a N-E del Cervan- donc (3211 in.) ed una piccola vedretta a Sud. In periodi storici di maggiore espandimento de’ ghiacciai, delle vedrette dovettero esistere in luoghi dove più non le vediamo, ma dove lascia- rono tracce in morene recentissime, le quali collegano i pe- riodi passati dell’epoca glaciale col periodo attuale, che in fin dei conti ne è la continuazione ed il rimasuglio, e questo col- legamento fa apparire a noi meno distante quell’epoca. Il ghiacciaio di Val Devero quando copriva tutta la valle e nei periodi successivi ha plasmato la superficie; tutti i tratti pianeggianti sul pendio delle valli o quelli più estesi nel fondo 426 C. DE STEFANI delle medesime sono coperti da materiali morenici e sono stati plasmati dal ghiaccio insieme con le pareti verticali o quasi delle vallate più ampie, come il Toce. Piccola parte dei nu- merosi laghetti alpini è dovuta ad inclusione per opera d’un vero e proprio recinto morenico; la massima parte come i laghi ora riempiti di Crampiolo e dell’Alpe Devero, ed il lago di Codelago sono dovuti allo zappamento da parte del fondo dei ghiacciai. Parecchi di quei laghi ricordano assai in piccolo i paesaggi di Svezia e di Finlandia, dove pure il plasma dei ghiac- ciai è innegabile. Scomparsi i ghiacciai è subentrata l’opera corroditrice dei fiumi, che hanno ulteriormente approfondato le valli al disotto del livello glaciale, come fece il Devero da Go- glio in giù ; in qualche punto sono rimaste evidenti tracce di alvei anteriori agli attuali, come sotto Baceno pel Devero, e poco lungi sotto Uriezzo pel Toce. Come già in parte aveva fatto la diversa corrosione di fondo dei ghiacciai, così la di- versa intensità di corrosione maggiore assai ne’ corsi d’acqua principali che nei minori affilienti, operando sopra rocce così tenaci come queste, produsse dislivelli e cascate, come la ca- scata piccola, ma alta 350 ni. dell’Agaro sul Devero. Il Devero per raggiungere il suo livello di base si è già approfondato sotto il piano glaciale; non così il Toce nella sua parte infe- riore, dove anzi ha riempito, perchè quasi certamente il suo grande ghiacciaio avea scavato fino a livelli inferiori a quello di base, precisamente come facevano i ghiacciai Scandinavi. È singolare il vedere come le valli laterali al Toce abbiano solcato e inciso le pareti glaciali tuttora intatte di quel fiume in proporzione delle loro portate: alcuni torrrentelli scarsi di acque ma continui, che pur da centinaia di secoli scendono dagli altipiani o dalle altre più dolci pendici, a differenza dai torrenti più forti, hanno fatto appena piccole intaccature al sommo delle ripide pareti glaciali del Toce, ed anche questa lentezza del fenomeno, questa scarsità di locali variazioni ci rav- vicina e ci fa vedere poco lontano da noi quel tempo nel quale i ghiacciai si ritiravano dalle foci alle più lontane sommità. [ms. pres. il 20 nov. 1905 - nlt. bozze 15 agosto 1900]. LA FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEI LIMITI PERMO-TRIASICI Nota del Dott. Giorgio Caneva (Tavola IX) Nell’ Adunanza generale del 20 agosto s. a. del nostro Con- gresso di Tolmezzo io aveva l’onore di presentare alcuni fossili del calcare a Bellerophon del Cadore facendone rilevare l’importanza per lo studio di quella fauna. Si trattava di alcune delle forme principali e più caratteristiche che fanno parto di una serie messa insieme con le mie ricerche proseguite per alcuni anni sull’ampia area di affioramento di detto calcare che si estende da Valle di Cadore tino al passo di M. Croce nel Comelico. E questo mi parve opportuno di fare perchè dai materiali raccolti emergono fin d’ora alcuni fatti che, gettando una luce nuova sulla fisio- nomia di questa fauna, ci permettono di coglierne meglio alcuni dei suoi tratti più caratteristici fornendoci dei criteri più posi- tivi per fissarne la tanto controversa età. Ora le considerazioni con cui io accompagnava la presentazione di quei fossili vedono qui la luce con l’aggiunta di un elenco delle forme rinvenute e della descrizione di alcuni dei gruppi e delle specie più inte- ressanti. Sta il fatto che è ormai trascorso più di un quarto di secolo da quando lo Stache (') illustrava la fauna del calcare a E. e si può dire che oggi le nostre conoscenze sull’argomento siano rimaste su per giù allo stesso punto a cui le lasciava la mono- grafia di questo autore. Perchè le aggiunte successive fatte alla (*) (*) Stache, Beìtr. z. Fauna d. Bell, kalke Siidtirols. Jahrb. d. geol. R. A. Vienna, 1877, voi. 27, e 1878, voi. 28. 30 428 G. CANEVA serie data dallo Stache sommano a ben poca cosa e si riducono ad un Orthoceras e tre Paralecanites del Diener (*) e ad una Diplopora (D. bellerophontis) del Rothpletz (5) ; un Bellerophon del Salomon (3) ; una Nucula ed una Naiadites del Tommasi (4) vennero citate come nuove ma non descritte. Solo ultimamente il Kittl (5) ha dato una lista di 32 specie provenienti dal cal- care a B. dei dintorni di Sarajewo parte delle quali apparten- gono a dodici generi che non erano ancora stati segnalati in questa fauna. Cosi è ben singolare che in tanti anni e fra tanti geologi nostrani e stranieri che percorrono e studiano si può dire annualmente le nostre alpi, nessuno siasi più occupato del- l’importante argomento. E questo tanto più deve maravigliare quando si ripensi con quanto calore il Taramelli ed il Guembel non cessassero mai nei loro scritti di raccomandarne lo studio con la raccolta di nuovo materiale, quando si pensi come lo Stadie nella sua monografia dichiarasse il quadro da lui offer- toci come solo un frammento in confronto del complesso fauni- stico che dovevano ancora nascondere i noti calcari. Se quindi la fauna in parola è passata presso alcuni moderni geologi in predicato di certa tal quale meschinità, questo è ben giustificato dalla scarsità di lavori sull’argomento, tanto più rimarchevole quando si fa un confronto coi brillanti progressi fatti nello studio delle faune del più recente paleozoico dell’oriente più o meno lontano. E però se il concetto di meschinità della nostra fauna e la scarsità degli studi ad essa relativi son due fatti che si compenetrano e sembrano spiegarsi a vicenda, la loro vera spie- gazione si deve, a mio vedere, ricercare nel fatto della rarità di località fossifere suscettibili di fornire materiale utilizzabile da un lato, e dall’altro dalla difficoltà di preparazione del mate- l1) Diener in Sitzber. d. k. Akad. d. Wiss. in Wien., Math. naturw. CI., voi. LVI, Sez. 1 febbraio 1897. (2) Rothpletz, Ein geol. Querschnitt d. die Ostalpen. Stuttgart, 18S4, p. 24. (3) Salomon W. Marmolata studien. Palaeontogr., voi. 42. (4) Tommasi, Sul rinv. fossili cale, a Bell, della Carnia. Rendiconti Lincei, 1896, p. 216. (5) Kittl, Geologie der Umgebung voti Sarajewo. Jahrb. d. geol. R. A. Vienna, 1904, voi. 53, p. 515-702. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 429 riale stesso. Tutto questo ho dovuto accennare per giustificare meglio la determinazione cui son venuto di dare brevemente notizia del materiale da me raccolto. Ecco l’elenco di buon numero delle forme in esso rappre- sentate : ? Cyclolobus sp. Orthoceras sp. » cfr. bicinctum (Abich) Kayser 0. (Cycloceras) Waageni Ktt. » cfr. transversum (Sow) Abich » cfr. cyclophorum (Waagen) Kay- ser Caelonautilus Crux St. » Hoernesi St. ->> cfr. fugax Mojs. » bicristatus n. f. cfr. Sebedinus St. » obliteratus n. f. ex aff. fugax. » inaequiseptus n. f. cfr. fugax Mojs. Pleuronautilus Darini n. f. cfr. transitorius, Waagen Nautilus cfr. cornutus, Golow. » cfr. Freislebeni Gein. » sp. ? Entalis sp. Worthenia intermedia n. sp. » anomala n. sp. » lieteroclita n. sp. » turbinea n. sp. » permodesta n. sp. Wortheniopsis seguens Waag. » Stachei n. sp. ? Perotrochus sp. Murchisonia tramontana St. » subangulata Vera. Straparollus cfr. permianus King. Turbo ? cfr. thomsonianus King. » cfr. taylorianus King. Traclxyspira nodosa n. f. Hologyra ovularis n. sp. » praecursor n. sp. » nana n. sp. ? Vernelia n. sp. Turbonitella n sp. » n. sp. Marmolatella plavensis n. sp. Naticopsis ì cfr. cadorica St. » cfr. comelicana St. » cfr. minima Brown ? Dicosmos n. sp. Neritomopsis operculifera n. sp. » modesta n. sp. cfr. indica Waag. sp. » intermedia n. sp. cfr. ovulum Waag. » protracta n. sp. » affinis cfr. indica Waag. sp. » striata n. sp. » cfr. minuta Waag. » cf r. arenicola Waag sp. N. (Catubrinia) solitaria n. sp. et n. subg. Catinella n. sp. Naticella sp. Platychilina praecedens u. f. Trachynerita ambigua n. f. Neritaria ? n. sp. Platyceras (? Stropliostylus) su- per stes n. f. Platystoma galeroides n. sp. » n. sp. Holopella cfr. trimorpha Waag. Macrochilina avellanoides Kon. » intusstriata n. sp. Loxonema montiscrucis St. sp. » mirum n. sp. G. CANEVA 430 Loxonema turricuìa n. sp. » bellerophontium n. sp. S. (Martinia) cfr. glaber Mart. » cfr. planoconvexus Meek. » giganteua n. sp. cfr. Darwinii Morr. S. (Beticularia) cfr. lineata Mart. Productus cfr. Humboldti Waag. » cfr. Abichii Waag. P. (Marginifera) cfr. spinoso-co- stata Abich. Orthothetes cfr. pectiniformis W. ? Orthostylus sp. Euchrysalis n. sp. » nana n. sp. » sp. Hcmipty china cfr. subì a e v is W a a g . » cfr. guttula Waag. Dielasma n. f. ex aff. plica Kut. » n. sp. » sp. » sp. » cfr. truncatum Waag. Cidaris sp. Cyathocrinus sp. Spirifer n. sp. ex aff. undulatus Steinmannia gyroporelloides n. f. Sow. Amplexus sp. Lonsdaleia sp. S. ( Martinia ) cfr. subradiatus Morr. Nautiloidea. La maggior parte dei N. sopra enumerati ap- partiene o alle specie già descritte dallo Stache o a forme nuove die ad esse più o meno si accostano conservando quel tipo. Una però fa eccezione per la spiccata rassomiglianza che offre col P. transitorius Waag., sp. delle assise superiori del calcare a Productus (1). Ne accennerò brevemente ai caratteri differenziali principali. Plcuronaittilus Danni n. sp. Forma leggermente più pic- cola e meno robusta del P. transitorius Waag., da cui si di- stingue : per la tendenza delle robuste coste sigmoidi a fondersi a due in un nodulo periombellicale ; ombellico leggermente più stretto ; faccia ventrale più stretta della faccia dorsale ; giri a sezione trapezoide invece che quadratica di altezza e larghezza uguali. Il solco mediano della faccia ventrale sfuma verso la bocca. Questa specie appartiene ad un gruppo di forme che prelude manifestamente a certi tipi del Muschelkalk, quali il P. Pi- chleri Hauer, ecc. Si può anche confrontare col N. Wynnei Waag. e col N. Flemingianus (Kon) Waag. del calcare a Pro- ductus. (’) Waagen, Productus-lirnestone fossils. Palaeont. indica Serie XIII, 1879, pag. 53, t. V, fig. 1 ; t. VI, fig. L FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 431 Pleurotomariidae. Questa famiglia finora non contava che pochi rappresentanti nella nostra fauna, cioè: ? Pleurotomaria sp. St. Worthenia dyadica, Ki. MurcMsonia tramontana , St. Nel mio materiale figurano cinque specie di Worthenia , due di Wortheniopsis, un Perotrochus ? e due Murchisonia. Worthenia. Le cinque specie di W. sopra citate, costitui- scono un gruppo di piccole forme della grandezza massima di 9X14 mm. che presentano marcati i caratteri proprii di questo genere. Sono forme ora scalari larghe basse, ora più turbinoidi. Gli anfratti angolosi con gli angoli laterali segnati da due liste- relle spirali rilevate, la superiore delle quali rappresenta la linea fessurale. La faccia superiore dell’anfratto è ornata da una serie di costole trasverse o di tubercoli più o meno robusti. Base piano-convessa munita di ombellico aperto rotondo più o meno largo. Cosa singolare, una di queste forme ( W. lieteroclita n. sp.) presenta ben manifesto eterostrofismo della spira iniziale consta- tabile ad occhio nudo; ed un’altra ( W. anomala n. sp.) invece offre quell’accartocciamento della spira iniziale proprio dei Ce- rithium. Queste forme, specie quelle a spira più alta, arieggiano a certi tipi di Worthenia del Trias e precisamente alla W. Haus- manni, Goldf. sp. e affini. Wortheniopsis sequens Waag. sp. Questa specie non è infre- quente nel calcare a B. e si presenta nelle due varietà descritte dal Waagen. La Worth. Stachei n. sp. presenta più spiccati che non la W. sequens i caratteri del genere Wortheniopsis. Probabilmente è identica all’unica Pleurotomaria di cui lo Stache descrisse un frammento lasciandola indeterminata. Bellerophontidae. Fra le varie famiglie di gasteropodi quanto a ricchezza e varietà di forme tengono il primato. Non si po- teva scegliere una denominazione più felice per contradistin- guere i calcari che contengono questi resti, perchè oltre costi- tuire esclusivamente i fossili di tali strati, se ne incontrano 432 G. CANEVA sporadicamente sparsi un po’ dapertutto, coi brachiopodi, con le bivalvi, ecc. Una caratteristica poi speciale ai B. della nostra formazione è l’abbondanza di forme asimmetriche. Sta il fatto che la determinazione specifica ne riesce alquanto difficile, e le dodici specie di Stache non sempre riesce facile riconoscerle. Il Frech (*), cui aderisce anche il Kittl (2), crede che queste dodici specie dello Stache si debbano attribuire alla diversa età e stato di conservazione degli individui descritti, e vorrebbe ridurle a solo quattro o cinque. In base allo studio accurato del materiale raccolto che consta di oltre trecento esemplari, mi son potuto convincere di questo : che la difficoltà di determina- zione di queste forme dipende sì in parte dallo stato di con- servazione, ma essenzialmente dalla grande abbondanza di forme. Certo la determinazione di una specie simmetrica basata sul- l’esame del modello interno senza il sussidio della conchiglia può riuscire difficile, se non impossibile ; ma fortunatamente questo sussidio non mi manca per buon numero di forme for- nitomi dall’impronta negativa lasciata dal fossile nella roccia, che ci ridà nel getto abbastanza fedelmente i caratteri del te- staceo. Io non posso consentire nell’opinione del sullodato autore, perchè si fonda su dei caratteri male interpretati ed anzi credo che le dodici specie di Stache siano di più, perchè la descrizione del B. peregrinus Lanb. è fatta su modelli interni di due dif- ferenti specie. Nel mio materiale io ho potuto riconoscere oltre il genere Belìeropìion s. str. anche i generi o sottogeneri Warthia, Buccinici, Euphemus ? Waageniella. Quanto alle forme asimme- triche dirò che se poche di queste si possono forse attribuire ad eventuali azioni meccaniche subite dal materiale includente, la maggior parte presenta caratteri tali da non lasciare alcun dubbio sulla loro genuinità. Ora potrà maravigliare che fra i generi or ora citati non figuri il genere Stacliella istituito da Waagen ed accolto in generale dagli autori per le forme asim- metriche. Ma basta confrontare alcune delle specie riferite da vari autori a questo genere per convincersi di un fatto, che il fenomeno dell’asimmetria può colpire forme disparitissime appartenenti a 0) Frech, Lethaea geogr., voi. II, fase. 3°, p. 551-552, nota in calce. (-) Kittl in Jahrb. d. k. k. geol. R. A. Vienna, t. 53, 1903, p. 694, nota in calce. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 433 generi o gruppi . profondamente diversi. Così, p. e., non saprei come la Stacliella striata Walther (’), una vera Bucania asim- metrica, possa stare insieme con le Stacliella di Waagen, che ricordano piuttosto il tipo globoso di certe Warthia. E mani- festo quindi come il criterio dell’asimmetria solo non possa ser- vire di base per costituire dei gruppi e tanto meno un genere, e per questo ho creduto bene il genere Stacliella di abbandonarlo. Parecchie delle forme che figurano nel mio materiale presentano affinità più o meno accentuata con quelle del calcare a Pro- ductus, quali il B. impressus Waag., B. jonesianus Waag. B. politus Waag., ecc. nè mancano richiami a tipi del carbonifero ( B . huilcus , exca- vatus, sublaevis, ecc.). Le poche Bucania ricordano alquanto le forme siciliane descritte dal Gemmellaro. L’abbondanza di forme che presenta questa famiglia rappresenta probabilmente forse uno di quei fenomeni che precedono la estinzione di un dato gruppo di organismi. Capulidae. L’unica specie di Platyceras (? Stropliostylus) che figura sulla serie data, è una forma piccoletta globosa legger- mente compressa che ricorda non poco certe forme della celebre « Natica » gregaria , Barr. del devoniano (Hercynia) . Naticopsidae. Questa famiglia costituita da forme che a ra- gione i paleomalacologi considerano come Neritacee a pareti interne non riassorbite, è rappresentata da varii generi preva- lentemente triasici quali Rologyra, Vernelia , Marmolatella, Tur- bonitella. Il genere Naticopsis è dubbio e l’ho accolto di ripiego. Tut- tavia benché il numero delle forme di questo gruppo sia aumen- tato in confronto di sole tre specie che se ne conoscevano, le Naticopsidae passano in seconda linea di fronte alla inaspettata ricchezza che sviluppano le vere Neritacee. (') Walther I., XJeber eine kohlenkalk Fauna a. d. Aegypt. arabisclien Wuste. Zeitschr. d. deut. geol. Gesell., 1890, p. 119, tav. 27, fig. 24. 434 G. CANEVA L’ unica Marmolatella (il I. plavensis n. sp.) richiama la M. plana Picard del Muschelkalk tedesco ('). Neritideae. La comparsa di vere Neritacee con riassorbimento delle pareti interne viene generalmente fissata nel Trias benché da tempo il Gemmellaro nei calcari a Fusulina della Sicilia ne avesse segnalate due specie (Palaeonerita) che non sembrano avere alcun rapporto nè di somiglianza nè di parentela con al- cuna delle nostre forme. Così se la presenza di Neritideae nei depositi a B. non co- stituisce un fatto nuovissimo nella storia del paleozoico, è però interessante perchè viene a chiarir meglio la ricchezza di forme che spiega poi questa famiglia nel Trias. Dei varii generi rap- presentati alcuni si possono ritenere come specifici del permiano, altri prevalentemente triasici. Ai primi appartengono Nerito- mopsis, Catubrinia , Catinella ; ai secondi Neritaria (dubbio) Trachynerita, Blatiy chiini a. Neritomopsis. Ho riferito a questo genere le varie forme enumerate nel l’elènco. Una di queste raggiunge la massima grandezza di 35 X 45 mm., ma ve ne sono anche di pochi mm. Le nostre specie oltre ai caratteri dati dal Waagen pel genere, presentano anche il riassorbimento interno peculiare delle Ne' ritacee, fatto questo cui il sullodato autore non accenna e che si deve verificare anche per le forme indiane. Io sospetto pure che le forme dallo stesso autore descritte come Naticopsis in- dica Waag. e forse anche la Phasianella arenicola Waag. debbano passare fra le Neritomopsis la cui diagnosi si dovrà completare con l’aggiunta del suddetto carattere. Il fortunato rinvenimento poi di un esemplare di N. operculifera con la impronta del relativo opercolo permette di constatare la grande analogia che intercede fra questo e quei di certe Naticopsis carbonifere descritti dal de Koninck e da R. Etheridge (2). Così viene a documentare la parentela strettissima che lega le Na- (') Picard, Glossophoren d. mitteld. Trias. Jahrb. d. k. preuss. geol. Landesanstalt, t. XXII, p. 483, tav. X, fig. 10. (2) Etheridge R. junior, Description. of thè opercula of small Ga- steropoda. Ann. a. Magazine of nat. History, gennaio 1881, p. 25, tav. II, fig. 5. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 436 ticopsis alle Neritacee affermata dal Koken ('). Descriverò bre- vemente una Neritomopsis che per i suoi caratteri si stacca for- temente dalle altre forme. N. (Catubrinia) solitaria, n. sp. et subg. n. (t. IX, f. 13, 14 e 15). Forma globosa compressa in senso verticale. Spirale bassa. Il piano boccale è verticale rispettivamente al piano basale. Alla base l’ombellico è ricoperto da una larga callosità semilunare a convessità posteriore che non rileva dal piano della spira. Questa callosità fondendosi col margine boccale inferiore si continua fino all’angolo boccale esterno formando con questo una specie di breve sperone. La bocca trasversalmente ovale, più larga die alta, occupa due terzi della parte anteriore della conchiglia per la quasi estroflessione a tromba del labbro interno (margine columel- lare) che ricopre metà circa della spira. Il riassorbimento comincia dall’ ultimo terzo dell’ultimo giro. Da questo punto l’anfratto cresce rapidamente a tromba in senso transverso. Larghezza mass. 38 mm. Altezza » 22 » Questa singolare forma di Neritomopsis, per le dimensioni e per l’assenza del dente caratteristico, non potrebbesi collocare fra le Neritaria, con qualcuna delle quali avrebbe una tal quale rassomiglianza. Catinella. Questo genere creato dallo Stadie per una specie, venne lanciato da questo autore fra i generi incertae sedis. Un esemplare di specie però diversa che figura nel mio materiale è decorticato e presenta il riassorbimento caratteristico per cui deve rientrare fra le Neritacee. Tracliynerita ambigua, n. f. È una elegante forma globosa, leggermente angolosa, a spira relativamente slanciata ed alta. Si compone di quattro giri e misura 18 X 20 mm. L’angolo suturale e l’altro poco sopra la metà dell’anfratto sono segnati ciascuno da una serie di noduli papuliformi che sfumano verso la bocca. Grossolane strie di accrescimento. Bocca ovalare più alta che larga. Labbro interno liscio leggermente calloso. (*) Koken, Die Entwickl. d. Gastropoden vom Cambrium bis sur Trias. N. Jahrb. Beilagebnd. VI, p. 469-470. 430 G. CANEVA Questa specie che ricorda anche molto una Platy chitina, per la forma generale si avvicinerebbe maggiormente alla T. for- noensis, Kittl della Marmolata, per cui depositerebbe contro le idee di Kittl e di I. Bohm i quali ammettono che le forme liscie abbiano preceduto le forme nodulose ('). Spiriferidae. Come si vede dall’elenco gli Spirifer s. str. sono rari e sembrano sostituiti dal sottogenere Martinia. Potrebbe darsi che fra le numerose forme di Athyris se ne nascondesse qualche specie ad area poco sviluppata. Fra le Martinia è no- tevole pel tipo e per le dimensioni la seguente specie di cui anticipo la descrizione. S. ( Martinia ) giganteus, n. sp. (Tav. IX, f. 1). Valva ventrale (unica). Modello interno. Trasversalmente allungata subtrapezoide moderatamente convessa. Misura 140 X 70 mm. Non si osserva alcuna traccia di area. Il diametro trasverso massimo coincide quasi col margine cardinale. L’apice umbonale non sembra sorpas- sare la linea cardinale. Larghissimo seno mediano, non profondo, limitato da due larghi rilievi radiali arrotondati, a mo’ di pliche, sfumantisi verso il margine frontale e convergenti verso questo con blanda curva per formare l’umbone. Questi rilievi con l’inter- posto seno occupano un po’ più del terzo mediano della valva; all’esterno sono limitati da un tenue solco (lamine dentali) che sfuma a metà della valva. Alcuni rilievi mamillari di 3-4 mm. di diametro rappresentano forse le impronte muscolari. Ai rilievi radiali sopra descritti corrispondono nella conchiglia (frammento), tre grosse pliche radiali angolose e di tali in numero di 10 do- veva essere fornito l’intero testaceo, contornato pure di grosso- lane rughe, concentriche, d’accrescimento. La specie, cui più di tutte si avvicina la presente forma, è la Martinia Danvinii, Morr., dell’Australia, da cui diversifica per le dimensioni, per la forma diversa del contorno, pel diverso sviluppo del processo cardinale, per la forma diversa delle im- pronte muscolari e infine per l’assenza nel modello interno delle pliche della conchiglia. Anche lo Sp. Drascliei, Toula dello 1 Cfr. Bòhm I., Die Gastrop. der Marmolatahalkes, Palaeontograph,, v. 42, pag. 239. FAUNA DEL CALCARE A BELLEÙOPHON 437 Spitzberg, si presta per un confronto con questa specie nei riguardi dell’ornamentazione (forma .e numero delle pliche). S. (Reticuìaria) cfr. ìineatus Mart. La nostra forma sembra molto questa specie ed è ben diversa da quella che lo Stache dubitativamente determina dandone la figura alla tav. Y, fig. 13 della sue monografia. Atliyris. Il fatto che si verifica pel genere Belleroplion, di predominare per numero e varietà di forme su tutti gli altri generi di Gasteropodi, si ripete per le Atìiyris rispett. Spìngerà nei Brachiopodi. Questo genere sfoggia una grande ricchezza di forme di cui la monografia dello Stache non dà che una pal- lida idea. Esse costituiscono un vero labirinto, un intreccio com- plicato di cui non è facile trovare il bandolo. La variabilità colpisce vari dei caratteri : forma, contorno, spessore, rapporti di proporzione fra la valva maggiore e la valva minore, pro- porzioni e decorso della linea cardinale e frontale. Costante è il motivo deirornamentazione in cui si afferma sempre quel tipo. Le singole forme possono rientrare più o meno forzatamente in uno dei tre gruppi distinti dallo Stache della A. vultur St. sp. A. cadorica St. sp. A. Ianicéps St. sp. Ma esiste un quarto gruppo che sembra anche rappresentato nella fauna di Djulfa da una specie che l’Arthaber ha lasciato indeterminata e che è riprodotta nella tav. 64, fig. 3 della Lethaea geognostica di Frech. Del resto certe forme del gruppo dell’M. cadorica e A. Ianicéps sono talmente affini (t. IX, f. 4 e 5) a quelle della A. ambigua, protea, subtilita dell’Arme- nia, che si potrebbe restare in dubbio se considerarle varietà di queste o di quelle. Una forma singolare si stacca dalle altre ri- cordando la S. eurycolpos Bittn. del Trias. La dimensione mas- sima raggiunta da alcune delle nostre forme è di 160 X 55 mm. Non mancano forme che presentano manifesti indizi di degene- razione (tav. IX, f. 2 e 3). Un gruppo di Brachiopodi che dà alla nostra fauna una impronta speciale e caratteristica è costituito dalle Ortliotlietinae 438 G. CANEVA finora quasi esclusivamente (*) segnalate nei depositi a Productus dell’India ed in quei di Djoulfa in Armenia. Le Orthothetinae del calcare a B. presentano dei caratteri che, come si vedrà dalla descrizione sommaria che ne darò, rendono impossibile il loro riferimento ad alcuno dei generi descritti. Esse costituiscono un gruppo a se che mi compiaccio di nomare dal nostro bene- merito prof. Omboni, Ombonia. Ombonia, n. gen. Le due valve piuttosto esili e delicate possono raggiungere la dimensione massima di 15 X 25 mm. Sono sempre ornate da fine costicine radiali più o meno rego- lari ed uniformi, quali si riscontrano in tante altre Orthothetinae. Valva ventrale (t. IX, fig. 7, 8 e 12). Molto variabile, talora alquanto irregolare ed asimmetrica. In generale ha la forma di una conoide a base larga non molto elevata, anzi talora molto bassa, dimezzata verticalmente od obliquamente dal piano ar- cale (tipo capuloide e patelloide). Più raramente si presenta in- vece alquanto convessa e tondeggiante. Contorno più o meno re- golarmente rotondo o trasversalmente ovalare. In generale il diametro trasverso supera l’antero-posteriore. La superficie può essere ora uniforme pianeggiante, ora tondeggiante, ora annular- mente depressa come il tetto d’una pagoda. Può presentare infine delle ineguaglianze, depressioni e rilievi irregolari e delle on- dulazioni concentriche più o meno regolari ed estese. La lar- ghezza dell’area (linea cardinale) oscilla fra V 3 ed l/i della circonferenza totale; l’altezza varia con l’altezza della valva e può ridursi anche a meno di l/3 della larghezza. Il margine cardinale è angoloso, non arrotondato come nel genere Geyerella. Le lamine deltidiali si fondono in un’unica lamina che si porta alla faccia interna della valva (t. IX, f. 12). La valva dorsale (t. IX, f. 6, 9) sempre più o meno convessa è pure variabile, ma non è mai irregolare come può essere talvolta la valva maggiore. La variabilità colpisce principalmente il grado e la forma della sua convessità ora più accentuata sulla linea me- diana, ora sulle parti laterali (bilobata). Così da un tipo chone- toide e strophomenoide si passa ad un tipo productoide. La con- (J) Dico quasi esclusivamente, perché Gortani ne ha segnalate pel primo sei specie ( Orthothetes , Derbyia) nel carbonifero di M. Pizzul (Carnia). Cfr. questo Bollettino, 1905, fase. 2°. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 439 vessità può poi aumentare tanto da dare delle forme che si scambierebbero con la valva maggiore di un Productus. Per la forma del contorno, diametri e dimensioni, valga quanto abbiamo detto per la valva maggiore. Nell’ interno della valva (t. IX, f. 11) si nota che dall’apofìsi cardinale più manifesta nelle forme più convesse, talvolta bifida, si partono due setti più o meno robusti, che divergendo vanno ad inserirsi alla faccia interna della valva stessa. Le traccie di questi setti si possono scorgere anche a conchiglia intatta perchè segnano il contorno dell’apice cardinale. Astraendo dunque dalle dimensioni molto modeste delle nostre forme, le Ombonia presentano da un lato i caratteri esterni (forma, ornamentazione) dei generi Derbyia ed Orthothetes e dall’altro i caratteri interni (disposizione a Y delle lamine deltidiali) del genere Geyerella (t. IX, f. 12). Non possono quindi far parte nè di questo, nè di quelli, perchè mancano degli altri rispettivi caratteri di tali generi. Così è evidente che de- vono costituire un gruppo a sè. E per fissare e chiarire meglio la posizione che compete a tal gruppo nella sistematica delle Orthothetinae dirò che il genere Ombonia sta al genere Ortho- thetes come il genere Geyerella sta al genere MeeJcella. Questo ho potuto stabilire in base ai recenti studi dello Schellwien (') sulle Strophomenidae. Si deve a questo autore infatti il merito di aver richiamata l’attenzione sulla importanza che ha nella sistematica di questa famiglia, la disposizione dei setti deltidiali della valva maggiore. Egli ha potuto così dimo- strare come procedendo dalle Orthothetes più antiche se ne possa seguire l’evoluzione progressiva attraverso le varie specie, segnata dal ravvicinamento graduale di dette lamine deltidiali, che nelle forme più recenti si trovano molto accostate. Ora le Ombonia appunto non rappresenterebbero che la tappa più avanzata di questa evoluzione caratterizzata dalla fusione di dette lamine. Studiando le numerose forme di Orthothetinae del calcare a B. dirò inoltre come non si può far a meno di restar colpiti dalla forte rassomiglianza che intercede fra queste e certe forme del- (*) (*) Sclielhvien, Zur Syst. d. Strophomen. d. ober. Palaeozoicum. Neues Jahrb. 1900, voi. I, p. 1 e seg. 440 G. CANEVA l’oriente. Si sarebbe tentati quasi a ritenere che le forme cado- rine non fossero che altrettanti rappresentanti di quelle, ma di dimensioni molto ridotte. Devo infine far rilevare ancora un fatto. Avendo sezionate alcune valve dorsali che per forma, grado di convessità, aspetto e dimensioni, collimano perfettamente con le forme descritte dallo Stache come Procluctus, ho trovato che anche queste presentano e l’apofisi cardinale ed i setti carat- teristici della valva minore delle Strophomenidae per cui son ve- nuto nella convinzione che i Productus di questo autore altro non siano che altrettante valve dorsali di Chnbonia. È probabile che forse anche tutte o in parte le forme in frammenti o in- complete dallo stesso autore riferite dubitativamente o meno ai generi Orthis, StreptorJiynchus, Strophomcna, Leptaena e Cyrtia appartengano allo stesso genere. Productidae. Siccome i Productus di Stache non sono che valve minori di Ombonia (Orfhothmina), questa famiglia costi- tuisce un’altra novità della nostra fauna. I Productus per quanto la mia esperienza mi ha insegnato, non sono frequenti in Ca- dore. Le poche forme da me ritrovate sembrano molto affini a quelle del calcare a Productus e di Djulfa. Pelecypocla. Non figurano ancora nell’elenco le bivalvi di cui sono quasi completamente zeppi degli interi strati. Basta uno sguardo ad una lastrina del nostro calcare per convincersi anche della ricchezza di forme con cui è rappresentato quest’or- dine di molluschi. Io ho potuto notare i generi seguenti : Pecten , Velopecten Prospondylus , Entolium, Myalina , Liebea, Avicu- lopecten ? Pseudomonotis, Oxy torna, Bakeicellia , Modiolopsis, Edmonclia, Modiola, Macrodon?, Nucula, Palaeomutela , Ano- plopliora, Anthracosia, Najadites , Alloerisma, Scliizodus , Do- labra, Pleurophorus? , Clydophorus ? Gonodon (Corbis), Litho- phaga, Cassianella, Gervilleia, ecc. Dopo questa rapida e sommaria rassegna del materiale da me raccolto e in parte studiato, prima di venire a quelle con- clusioni e induzioni che se ne possono trarre, reputo opportuno dire qualche cosa degli strati fossiliferi che l’hanno fornito. Premettiamo intanto che questi fanno sempre parte della serie calcare, che associata o meno alle dolomie cariate e relativi FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 441 gessi, sta fra le tipiche arenarie di Werfen a Ps. Clarai e le arenarie varicolori di Yalgardena. Il calcare può alternare con la dolomia, e in qualche punto si può seguire il graduale pas- saggio dalla dolomia cariata al calcare cariato e da questo al calcare schietto. L’alternanza poi degli strati più alti di questa serie con strati di arenaria werfeniana è un fatto osservato da molti (Taramelli, Stache, Mojsisovics, Frech, ecc.) e che ho po- tuto constatare anch’io, p. e., sul Piave a monte del ponte di Yalesella. Sull’aspetto, potenza, variabilità di sviluppo, stratificazione, ecc. di questi calcari non mi dilungherò, perchè sono cose troppo note. La roccia in generale è d’un colorito nero-scuro, ora più bruno, ora grigio più o meno scuro, talvolta venata di bianco o fina- mente punteggiata di giallo e di bianco ; si può presentare ora compatta e alquanto silicea, ora più marnosa o finamente are- nacea, ora più scheggiosa o schistosa, ora bituminosa, più rara- mente d’una tinta più chiara e d’aspetto saccaroide o anche con traccie di pirite: sempre fetente alla percussione. In ogni caso pur troppo, o per la soverchia compattezza, o per la sua fra- gilità speciale, oppone alla preparazione dei fossili non poca difficoltà. Osserverò infine come nella serie si trovino intercalati dei sottili strati marnoso-terrosi d’un colorito grigio-giallastro sporco, che possono anche contenere fossili ( Nautilus , Velo - pecten, ecc.). In generale però, per quanto riguarda il Cadore e la mia esperienza, i fossili s’incontrano negli strati più schiet- tamente calcari. I piani fossiliferi sono parecchi e con facies diversa, sia nei riguardi dei resti che includono, che della loro distribuzione. Così oltre all’avere una facies a Brachiopodi, a Bellerophon, a Pe- lecipodi, a Coralli , a Nautilus, a Diplopore , a piccoli gastero- podi, ecc., si può anche constatare che in alcuni strati i fossili si presentano isolati, in altri si presentano a mucchi stretta- mente stipati insieme. La tendenza degli organismi di questo calcare a localizzarsi e ad accumularsi in dati strati e in dati punti di essi strati quasi a formare altrettante piccole faune a sè, costituisce una caratteristica di questi depositi. Cosi nei se- dimenti a brachiopodi sulla destra del Piave non s’incontrano quelle grandi forme di Atliyris che si trovano nella classica 442 G. CANEVA località di Montecroce, ma forme molto più piccole e modeste che, pur conservando sempre quel tipo, sembrano quasi costi- tuire come una faunula minuscola a sè. In alcuni strati abbon- dano gli ostracodi e i foraminiferi. Ora questo fatto e la conseguente mancanza di una località tipica in cui questi varii piani fossiliferi siano ben rappresen- tati rendono assai difficile la determinazione di quei rapporti di equivalenza o di successione, che devono necessariamente intercedere fra questi diversi strati fossiliferi o meno delle varie località. Ad aumentare la difficoltà di poter seguire un dato orizzonte per un’area un po’ estesa contribuisce anche il fatto che la serie calcare è lungi dal presentarsi ovunque con uno stesso sviluppo uniforme, sia che la sua potenza o a spese delle sottostanti do- lomie, o comunque aumenti o viceversa, sia che diminuisca o si riduca. E questo senza dire dei complicati accidenti tectonici cui è andata soggetta questa serie di strati e della sua poca resistenza agli agenti atmosferici, che rende la viabilità assai pericolosa in quei punti, ove squarciata, si presenterebbe meglio denudata ed esposta. Quindi io credo che una divisione generale della nostra serie calcare in varii piani ed orizzonti, in varie facies e sotto-facies che pure sarebbe tanto desiderabile, almeno per quanto riguarda il Cadore, se non è impossibile, sia molto difficile. Tuttavia a questo proposito le mie ricerche mi permettono di dire qualche cosa. Così gli strati a brachiopodi sembrano essere i più alti della serie, perchè in un punto si trovano a contatto diretto delle arenarie variegiate ; una posizione più profonda occupano i piani a Belleroplion ; sopra di questi starebbero gli strati a piccoli bivalvi e gasteropodi. Assai profondi sembrano in qualche punto essere i banchi a Steimmannia e gli strati a Diplopore e sopra di questi si possono anche trovare altri strati a Pele- cipodi, ecc. Ma di questo si potrà dir meglio e di più in un lavoro più dettagliato in cui si tocchi delle singole località fos- silifere. Le località fossilifere che mi hanno fornito il mio materiale di studio son quelle stesse citate dallo Stache e cioè: dintorni di Pieve di Cadore, di Calalzo, di Grea, Valesella, Lozzo, Au- FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 443 ronzo, Gogna, Pelos, Piniè, valle del Diebba, colle Ciastell, valle del Padola presso ]^. Croce di Comelico. Occorre appena far osser- vare che nella raccolta (*) dei fossili mi sono attenuto scrupolosa- mente a quelle norme che sono necessarie per accertarne la pro- venienza. Chiusa così questa digressione sulla giacitura e distribuzione dei resti organici studiati, sulla natura della roccia degli strati che li contengono, non ci resta che vedere finalmente a quali conclusioni ne possa dunque condurre la somma dei fatti osser- vati e raccolti. A tal uopo le singole deduzioni sul carattere e sull’età di questa bella fauna io verrò esponendo e discutendo in ordine d’importanza: l.° Intanto, se si tien conto del fatto che nell’elenco delle forme sopra riportato non figurano i Bellerophon, nè le Athyris, nè le Ortliothetinae , nè i Pelecipodi (oltre un certo numero di forme dubbie o piccole, o mal conservate, o non ancora studiate), si deve convenire che si tratta di una fauna ben ricca e sva- riata. Perchè benché si abbia a constatare la forte prevalenza di qualche genere sugli altri, pure buon numero di gruppi dei varii organismi marini inferiori si trovano in essa più o meno ben rappresentati, non avendosi a deplorare che l’estrema rarità delle Ammonoidi. Son certo che col tempo e col moltiplicarsi delle ricerche il numero delle sue forme potrà ancora aumentare da poterla annoverare fra le faune più ricche. 2°. Che se consideriamo la natura, l’habitat, la giacitura, distribuzione dellé forme rinvenute, la rarità di tipi di alto mare da un lato e dall’altro lo sviluppo dei calcari che albergano questi resti e la loro associazione con le dolomie e coi gessi, noi dobbiamo arguirne che tali depositi si venissero formando in un mare poco profondo in generale, ma di profondità varia- bile a coste ineguali ed accidentate. Tutte queste sono circo- stanze che vengono ad affermare il carattere prevalentemente di estuario che offre la nostra fauna. (*) Qui m’incombe l’obbligo di dire come nella raccolta dei fossili mi sia stata di validissimo aiuto la cooperazione delFamico G. De Stefani di Calalzo, che unisce alla vista penetrante del naturalista le qualità di una persona colta e gentile. 31 444 G. CANEVA 3. ° Anche la singolare miscela di forme che presenta di tipo arcaico, di tipo paleo- e neodiasico e di forme di tipo de- cisamente triasico è un altro fatto che non può far a meno di colpire e che depone pel carattere di una fauna eminentemente di transizione. 4. ° Ed anche il problema sulla vera posizione dei depositi che albergano la nostra fauna nella serie generale dei terreni parmi si possa considerare, se non completamente risolto, ben prossimo alla sua risoluzione definitiva. Perchè se la posizione del calcare a B. con le dolomie e gessi relativi è ben fissata nella serie dei terreni alpini, è noto come le opinioni dei geo- logi sulla posizione batrologica di esso siano state per lungo tempo divise e discordi. E che questo dovesse succedere è cosa ben ovvia, quando si consideri quanto scarsi ed incompleti erano gli elementi su cui basavano le loro induzioni. Ma la serie di forme di cui ho potuto accertare la presenza, è certo che deve far pendere la bilancia in favore di coloro che ne hanno sempre propugnata la permicità, che si può dire finora più che dimostrata, con l’appoggio di fatti numerosi e sicuri, era stata da essi presentita. Perchè se la presenza di un certo numero di generi (fra certi e incerti 10), con gli ostracodi e coi fora- miniferi (secondo Guembel e Brady di habitus prevalentemente mesozoico) sembrerebbe deporre in favore della triasicità, il numero delle altre forme di tipo paleozoico è troppo prepon- derante per lasciar sussistere dei dubbi sulla permicità dei nostri depositi. 5. ° Se diamo uno sguardo all’elenco dato, questo basterà per convincerci come il numero di generi e di specie, o identiche o molto affini a forme paleodiasiche o carbonifere sia ben infe- riore a quello dei generi e delle specie neodiasiche e questo parmi abbastanza probante per affermare l’età neodiasica della fauna. Gli Spirifer s. str. sembrano rari; relativamente meno lo sono i Productus. 6. ° Stabilito così che la nostra fauna appartiene al Neodias, ci resta a vedere a quali ulteriori risultati ci possa condurre un sommario confronto con le altre faune generalmente ritenute della stessa età. Viene in prima linea la fauna del calcare a Productus dell’India. Era le nostre specie identiche o affini alle FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 445 forme indiane troviamo 2 Cycloceras, Pleuronautilus Barini miki cfr. transitorius, 2 Platystoma, Wortlienia sequens, Holo- pella cfr. trimorpha, Macrochilina avellanoides, 2 Remi pty china, 1 Bielasma, 2 Productus, Aviculo-pecten cfr. Kattahensis, Orili. cfr. pectiniformis Waag., 1 Lonsdaleia, varie Neritomopsis e varii Belleroplion. Ora dunque gli stretti rapporti che stringono queste due faune panni risultino evidenti. Si tratta però di vincoli più di affinità che di identità, che vengono anche mag- giormente rafforzati dalla presenza delle Orthothetinae. Ma a proposito di questo gruppo devo fare un’osservazione. Per quanto lo stratigrafo possa procedere cauto e guardingo nell’acceftare dei dati più o meno seducenti che gli può fornire la filogenia di qualche gruppo, pure si dànno dei fatti che per la loro evi- denza s’impongono e di cui egli deve tener conto per trarne quelle deduzioni che più si confanno al compito suo. E questo è proprio il caso delle nostre Orthothetinae, che per le loro di- mensioni e struttura di fronte alle forme orientali, rappresentano un grado di sviluppo più evoluto di questi molluscoidi. Questo fatto, la preponderanza di specie affini sulle identiche, lo svi- luppo per numero e grandezza di forme, che nella fauna del calcare a Productus facevano la loro prima comparsa ( Nerito- mopsis), l’apparizione di nuovi generi decisamente triasici (Bi- plopora, Trachyspira, Hologyra, Marmolatella, Naticella, Pla- tychilena, Trachynerita ), costituiscono altrettante circostanze la cui coincidenza non si può attribuire al mero caso e mi sembra depongano per una età più giovane della fauna a Bellerophon di fronte a quella dell’India. Ad analoghi risultati ci conduce un confronto con la fauna di Djulfa (l), che a differenza di quella a Productus non pos- siede disgraziatamente che un solo rappresentante dei gastero- podi, per cui si dovrà per questo ricorrere ai cefalopodi ed ai brachiopodi. Le nostre forme identiche o molto affini a quelle armene sono: 2 Cycloceras, 1 Nautilus (N. cfr. cornutus, Abich), (') Come è noto questa fauna venne prima studiata da Abich (Geol. Forschungen in den caucasischen Landern, I. Theil. Bine. Ber gkolk fauna aus der Araxesenge bei Djoulfa in Armenien , Wien, Holder, 1878), poi riveduta da v. Arthaber (Beitrage z. Paliiont. u. Geol. Ostei reichs. Un- garns u. d. Orients, voi. XII, f. IV). 446 G. CANEVA Sp. ( Martinia ) cfr . plano-convexus, Sp. ( Reticularia ) cfr. ìineatus , 2 Productus, Pr. ( Marginifera ) cfr. spinoso-costatus, Macrochi- lina avellanoides, Amplexus sp. varie, Atliyris ed Orthothetinae. Le numerose specie cadorine di Athyris sono indubbiamente legate alle Athyris dell’Armenia (A. subtilita, epigono) A. protea (i ambigua ) da vincoli strettissimi di parentela rappresentati da varie forme del gruppo dell’A. Ianiceps St., e dell’J.. cado- rica St. Considerando complessivamente le varie forme del cal- care a B. e dell’Armenia, si ba l’impressione che esse costitui- scano tutte insieme un ciclo di forme che sviluppatosi in mare armeno abbia raggiunto nel nostro mare permiano l’acme del suo sviluppo. In appoggio di questo mio modo di vedere sta- rebbe la grandezza notevole raggiunta da alcune delle nostre specie e la presenza fra queste di forme asimmetriche con ma- nifesti caratteri degenerativi. Riguardo ai rapporti di somiglianza o di affinità che inter- cedono fra le Orthothetinae del Cadore e quelle di Djulfa, vale quanto abbiamo detto per quelle del calcare a Productus. Si ripete quindi la stessa serie di fatti relativi a queste due faune fra cui anche la prevalenza di forme affini sulle forme identiche, che concorrono a far ritenere che la nostra fauna sia più giovane di quella dell’Armenia. Perchè gli accennati stretti rapporti di affinità non mi pare si possano attribuire alle diverse condizioni geografiche e quindi interpretare in un senso di rappresentanza, ma si debba dare ad essi invece un valore di discendenza. Con altre parole: l’im- pressione che si ha è che questa fauna sia, direi quasi, immedia- tamente e principalmente derivata da quelle dell’oriente e per conseguenza più recente. Ed anche i richiami alla fauna dello Zechstein europeo sono abbastanza numerosi. Citerò fra le forme affini o identiche 2 Nautilus (N. cfr. Freisìebeni e N. cfr. cornutus), Murchisonia subangidata Vera., StraparoTlus cfr. permianus, 2? Turbo (T. cfr. thomsonianus, T. cfr. taylorianus, Naticopsis cfr. minima, 1 Spirifer (n. sp. ex affi, undulatus), Cyathocrinus, 2 Ba- hatvellia, Edmondia cfr. rudis, Nucida cfr. Beyrichii, Schizodus cfr. truncatus, S. cfr. rotundatus, Sanguinolites sp., Allocrisma cfr. elegans. Non si potrebbe dire per ora se le forme affini FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 447 abbiano il predominio sulle forme identiche; ma spero che lo studio dei numerosi pelecipodi potrà dilucidare meglio la que- stione. Tuttavia il numero delle forme or ora citate mi sembra sufficiente per provare che dei vincoli di affinità indubbiamente esistono fra la nostra fauna e quella dello Zechstein e quan- tunque finora poco precisati, vengono però ancora a deporre per la età neodiasica di essa. 7.° Da questi confronti e da queste considerazioni derivano altri corollarii che ci permettono di poter dire qualche cosa di più preciso, se non in via assoluta, in via ipotetica, sulla posi- zione che parmi si debba assegnare ai depositi a B. nella serie neodiasica. Siccome dunque la fauna dei nostri calcari, quantunque pre- senti dei rapporti abbastanza stretti con le varie faune del permiano più recente (Zechstein, Djulfa, Productus-limestone), non si può però identificare con quelle, perchè presenta dei caratteri mani- festamente più giovanili, la zona a B. deve occupare un livello più alto. Ma nello stato attuale delle nostre conoscenze la forma- zione permiana nello schema generale dei terreni si fa chiudere col turingiano caratterizzato precisamente dalle suddette faune dello Zechstein, di Djulfa e del calcare a Productus. Quindi noi ci troviamo davanti a un dilemma: o far passare la zona a B. nel Trias, o portare più in alto i limiti del Permiano. A me pare che la prima soluzione ripugni troppo alla realtà delle cose, perchè l’habitus della fauna è di tipo troppo spiccatamente paleozoico, troppo numerosi documenti militano per la sua per- micità da permettere di considerarla come una fauna triasica, e quindi vediamo se l’altra soluzione si presti meglio a farci uscire da questo bivio. A questo scopo un confronto della nostra serie alpina permo-triasica con una delle serie meglio svilup- pate e studiate potrà fornirci qualche lume, come pure il ve- dere quali criteri siano stati seguiti per separare il Permiano dal Trias. Ora la successione più completa e meglio conosciuta di sedimenti marini permo-triasici è indubbiamente quella offer- taci dal Salt-range, tanto accuratamente studiata prima dal Waagen e poi da Noetling. Come è noto essa consta del così detto calcare a Productus e della formazione a Ceratites. Queste due serie, per confessione di quest’ultimo autore, presentano, dal 448 G. CANEVA punto di vista stratigrafico, dei legami così intimi che egli venne condotto a considerarle come un tutto, cioè come Dias, facendo della formazione a Ceratites il piano più alto da lui battezzato « Battriano » (‘). Ma più tardi egli abbandonò (?) questa idea lasciando il calcare a Productus nel Dias e mettendo la serie a Ceratites nel Trias. Questa separazione venne al Noetling sug- gerita più che da criteri stratigrafici e paleontologici, da criteri di convenienza più consoni allo stato attuale delle nostre cono- scenze sulle altre faune triasic-he. Egli dice infatti che la succes- sione « è così ininterrotta che si può essere in dubbio dove cessi il Dias e cominci il Trias », e confessa « che una dimostrazione diretta (della triasicità degli strati a Ceratites ) non l’abbiamo, poiché, quantunque gli stessi alberghino una ricca fauna di Am- moniti, questa è ben diversa dalle faune del Trias europeo » (3). Ora, premesso questo, se si fa un raffronto fra la nostra serie alpina permo-triasica e l’accennata serie del Salt-range, la zona a Belleroplion siccome contiene una fauna più giovane di quella del calcare a Productus dovrebbe cronologicamente su per giù coincidere con la formazione a Ceratites che generalmente, come abbiamo visto, per ragioni più di formalità che di sostanza, si mette nel Trias. Ma poiché la fauna a Belleroplion non si può ritenere che permiana, quindi anche la formazione a Ceratites dovrebbe rientrare a far parte del Dias. Ed ecco come un ritorno al sopra accennato primitivo con- cetto del Noetling ben più giusto e naturale di considerare il calcare a Productus e la serie a Ceratites come un tutto da mettersi nel Dias, oltre che rispondere meglio alla realtà dei fatti ed alle condizioni locali stratigrafiche della serie indiana, sta- rebbe in perfetto accordo con la differenza di età che passa fra la nostra fauna e quella del calcare a Productus. E questa probabile equivalenza del calcare a Belleroplion con gli strati a Ceratites non mi sembra contradetta, anzi piuttosto convalidata dal raro, quanto interessante rinvenimento nel calcare a Belleroplion di Leeonites (Paroleconites) che il Diener (4) ha diligentemente (’) Cfr. Lethaea geogn., voi. 2°, fase. 3° (1901), tav. a p. 501. (2) Cfr. op. cit., voi. 2°, fase. 4° (1902), p. 639 e seg. (3) Op. cit., voi. 2°, fase. 4°, p. 642. (4) Diener, op. cit. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 449 illustrati. Così pure la comparsa di Bellerophon asimmetrici (Stachella beds) nella serie a Ceratiti sarebbe un fatto meno casuale di quel che pare e che potrebbe deporre per la diasi- cità della formazione a Ceratiti. Perchè quantunque la suddetta Stachella sia specificamente diversa (') dalle dodici specie di Bellerophon descritte dallo Stache, bisogna considerare che queste dodici specie non rappresentano che una minima parte delle forme che contiene il nostro calcare e non è punto escluso che il suddetto Bellerophon si possa identificare con qualcuna delle numerose forme che si trovano nel mio materiale. Così il sullodato Diener (2) accenna anche ad un Temnochilus della formazione a Ceratiti che ha una lontana somiglianza con una delle forme descritte da Stache. Ed anche a questo proposito devo osservare che non tutte le forme di Temnochilus del cal- care a Bellerophon sono conosciute perchè, fra le specie da me raccolte cinque non sono state ancora descritte. Certamente, per quanto possa parere seducente il mio modo di vedere, non si deve dimenticare che i famosi Otoceras beds dell’Imalaia (3), su cui si è tanto discusso e che sono alla base della formazione a Ceratites, contengono una fauna a Bivalvi che, secondo Bittner, presenta dei rapporti di somiglianza con quella degli strati di Werfen e punto con quella del calcare a Bellerophon. Ma anche a questo riguardo, astraendo dal fatto del poco valore stratigrafico che hanno questi organismi, devo osservare che finora i nume- rosi lamellibrancbi della zona a Bellerophon sono troppo poco conosciuti per poter dire in proposito qualche cosa di ben sicuro. Così se da un lato le bivalvi del piano scitico (Siberia orientale, baia deH’Ussuri) parallelizzato con gli Otoceras beds presentano 0) Diener, op. cit., p. 74. (2) Diener, op. cit.. p. 74. (3) Le forme, pelecipodi in prevalenza, sn cui si baserebbe l'equi- valenza degli Otoceras beds dell’lmalaia con le arenarie di Werfen sono 15. Di quattro sole sarebbe ben accertato il genere e la specie ; fra queste la Turbonilla (Holopella) gracilior, forma insignificante, perché citata come propria di varii orizzonti (cfr. Noetling in Centrbl. f. Min. Geol. u. Paleont. 1901, p. 111). La Myophoria ex aff. ovata Goldf. descritta da Bittner proviene dal Caschmir (cfr. v. Kraft in Centrbl. f. M. G. u. P., 1901, p. 199). Una forma però presenterebbe affinità di parentela con una del calcare a Bellerophon (Bittner in Diener, op. cit.. p. 14). 450 G. CANEVA un habitus prevalentemente triasico (*), non mancano fra gli am- moniti della stessa fauna delle forme arcaiche ( Ussuria , Pseu- dosageceras) (Frech). Così credo che anche lo studio (?) dei numerosi pelecipodi dei nostri depositi potrà indirettamente anche illuminarci a questo riguardo. Certo che solo il ritrovamento nel nostro cal- care di una fauna ad ammoniti sarebbe la scoperta più deside- rata perchè potrebbe tagliare la testa al toro. Con tutto questo, io spero, non si vorrà credere che io abbia voluto presentare la probabile equivalenza del calcare a Belle- rophon con la formazione a Ceratites come fatto compiuto e in- discusso e basato su dati certi e sicuri, ma semplicemente come la proposta di un mio modo di vedere che io sottopongo alla disamina dei più competenti e che come l’unico che può conci- liare tanti fatti, mi sembra degno di esser preso in considera- zione. Così verrebbero a cessare quelle eterne discussioni sul- l’Oberkante e sull’Unterkante del Trias e del Dias. Questo però non vuol dire che se ne possano sollevare delle altre; perchè trattandosi di zone agli estremi confini di una formazione è naturale che si debba discutere, perchè quanto più crescerà la conoscenza delle faune, tanto più sfumate diventeranno quelle linee nette di confine che per necessità di cose si son dovute segnare e tanto più cresceranno le discussioni. E questo è il caso della zona a B. per eccellenza di confine e però il so- spetto che il limite fra il Dias ed il Trias potesse cadere, per così dire, attraverso di essa mi è balenato alla mente, per cui questa possibilità non l’ho mai perduta di vista nelle mie ri- cerche. Se non che il ritrovamento, p. e., di Productus con Dipìopora, di Spirifer, di Neritomopsis con Hologyra , con Tra- chynerita , ecc., di forme infine di tipo paleozoico o permiano con forme di tipo triasico mi dimostrarono come il mio sospetto fosse completamente infondato. Avverrebbe quindi per la zona a BeUerophon quanto dai geo- logi russi è stato constatato per il piano Tartarico all’estremo (') Hanno un tipo triasico, ma pochi rapporti di affinità con quelle delle arenarie di Werfen (Caneva). (?) Annunzio con piacere che l’amico D.r M. G-ortani si é assunto di studiare i pelecipodi del calcare a Bellerophon della Carnia. FAUNA DEL CALCARE A BELLEROPHON 451 confine del Permiano russo in cui la distinzione di un sottopiano permiano e triasico si addimostrò impossibile (Nikitin). Dunque riassumendo, se la zona a B. rappresenta nella nostra serie alpina il Permiano più recente, si può considerare come equivalente della formazione a Ceratites; i limiti del Permiano e del Trias si dovranno cercare più in alto. La seguente tabella renderà più chiaro il concetto che mi son fatto del Dias più recente. Neodias. Turingiano (Zechstein) Battilano (F. Noetling, 1901) = skythische Stufe fino ad oggi ritenuto Trias. Cale, a Productus (medio e sup.) Formazione a Ceratites (Salt-range) (Salt-range) Calcare a Bellerophon (gessi e dolomie) Recoarese, Trentino, Agordino, Val Sugana (ooliti profonde sec. Bittner) Cadore, Friuli, Oarniola, Carinzia, Bosnia. I resti che alberga la zona a B. costituiscono una fauna nuova, che manifestamente prelude alle faune triasiche e che si può dire di transizione nel senso più lato della parola. Ed ora mi accorgo di essermi spinto più in là di quanto mi ero prefisso di fare; si sa come si comincia, ma non si sa come si finisce. A me basta di aver messo in evidenza alcuni fatti nuovi che mi parvero degni di esser resi noti, e sarò lieto se questi potranno servire d’incentivo ad ulteriori ricerche sull’ in- teressante argomento. P. S. L’amico D.r M. Gortani da Perugia mi comunica una nota del prof. Schellwien sul rinvenimento di una nuova fauna nel calcare a Bellerophon, fatto dal sig. E. Kossmat e da lui (Monatsber. n. 9 d. deut. geol. Gesellschaft, 1905). Son lieto di questa scoperta che conferma la permicità del nostro calcare 452 G. CANEVA e che mi procura, per così dire, dei cooperatori tanto strenui e competenti. Solo mi dispiace che non posso punto condividere l’opinione espressa dallo Schellwien sulla concordanza della fauna nostra con quella del calcare a Productus. A tal proposito devo dire che gli stretti rapporti di affinità che passano fra le due faune mi erano noti da tempo, e se non ne ho parlato prima è perchè voleva esser ben sicuro di quello che ne avrei potuto dire. Spero che studiando meglio il materiale raccolto, i sullo- dati autori verranno a condividere il mio modo di vedere che si tratta cioè di una fauna più recente di quella dell’India. Al- cune forme paleodiadiche figurano anche nel mio materiale, e potrebbe darsi benissimo che nel calcare a Belleroplion fosse anche rappresentato il Permiano inferiore. Ma per farsi un’ idea chiara di questa ricca fauna, io credo che occorrerà del tempo e di ricerche più numerose ed estese su più ampia area. [ms. pres. il 4 marzo 1906 — ult. bozze 8 novembre 1906]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. Spirifer (Martinia) gi- ganteus n. f. Modello interno della valva maggiore ’/4 più piccolo del vero. Fig. 9. Ombonia n. gen. sp. Valva dorsale di tipo productoide. Fig. 10. Trachynerita ambigua n. sp. Ingr. */3. Fig. 2. Athyris megalotis St. Var. asimm. Degenerata? Fig. 11. Ombonia n. gen. Se- zione di una valva dorsale. In- grandita alquanto e schematiz- zata. Fig. 3. A. vultur St. Var. asimm. Degenerata. Fig. 4. A. cadorica St. sp. var. Valva maggiore, fig. a %• Fig. 12. Ombonia n. gen. Se- zione di una valva ventrale per mostrare la fusione delle lamine deltidiali. Ingrandita. Fig. 5. A. Ianiceps St. var. Valva maggiore, fig. a 3/4. Fig. 6. Ombonia n. gen. sp. Valva dorsale di tipo productoide. Ingr. 4/3. Fig. 13, 14 e 15. Neritomopsis (Catubrinia) solitaria n. subg. et n. sp. : f. 13, faccia apicale del modello interno ; f. 14, base della conchiglia (getto) con posizione e forma del collo; f. 15, faccia an» tero-inferiore del modello interno. Fig. 7. Ombonia n. gen. sp. Valva ventrale. Ingr. 4/3. Fig. 8. Ombonia n. gen. sp. Valva ventrale. Ingr. 4/s- Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXV (1906) (Canova) Tav. IX. Fllllf CAt.ZOI.ARI H FFRWANIO-f'IH ANO MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA Nota del socio Giotto Dainelli (Tavola VII) Nella primavera dell’anno decorso il Prof. Gasperini, di Spa- lato, inviava al Gabinetto di Geologia di Firenze una abbastanza interessante raccolta di molluschi eocenici di Dalmazia, affinchè ne venisse fatta la debita determinazione. Ebbi io l’incarico di un tale studio, certo perchè la ricca fauna dei dintorni dei Ponti di Bribir, da me recentemente illustrata (1), mi avrebbe reso più facile il compito affidatomi; onde adesso tengo a rin- graziare sentitamente il Prof. Gasperini della fiducia dimostrata. I fossili presi in esame sono esclusivamente Molluschi: vi si distingue una specie di Scafopodi, ma del resto sono, in nu- mero di specie quasi uguale, Lamellibranchi e Gasteropodi. La roccia che li contiene è un calcare più o meno marnoso, di colore biancastro o leggermente giallognolo. I caratteri gene- rali della fauna studiata risalteranno chiaramente evidenti dal- l’elenco che ne faccio senz’altro seguire, nel quale ho contras- segnato con una (n.) le località, dalle quali la provenienza delle singole specie credo nuova nella letteratura geologica della Dalmazia. (!) Dainelli G., La fauna eocenica di Bribir in Dalmazia. Palaeont. Ital., 1904, voi. X, pag. 141-274, tav. XV-XVII ; 1905, voi. XI, pag. 1-92, tav. I-II. 454 G. DAINELLI fi- 3. © © u o o _o o O cq o CQ o CQ o CQ © cC t + -f + fi- fi} Q 0 m a w Ph co >3 a bD © Oh >» e8 -fi © O o3 0 < Q 5 56: e 4. e § o PQ e cD >3 03 -C >3 03 ja 03 s 03 © Q cS Q -a © >3 ci a3 a o3 0 ss s e §• e Cb a a o> ci CQ « l ro "SS '-n ^ © Ph © ss O s 6 •pio,p ‘ranji (M CO "s* io CO CO -<+t 30 se » vacianensis sp. n _i_ (n.) Vclates Sclimidelianus Chemnitz MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 455 C3 o a SJ — £ o .2 CO o Ì3 P o a co pq ^ e a T + T + + 5. £> ? + T o P e & e O p a a c3 P £ eS ra .2 p a bc Q O P • § O 2 s |h (SI ^ s S oj o j QJ) ^ PS p c$ ffl (5 c3 a c3 Q o &Q S-H o Ps CO Th co co IO CO 00 X co co Imoschi. 456 G. DAXNELLI Come resulta chiaramente dalla forma che ho dato all’elenco dei fossili da me studiati, tre sono le località dalmatine dalle quali più ricca e più varia è la provenienza; e cioè: Vadane (’), Gjèverske e Ostròviza ; alle quali si può aggiungere come quarta anche Imoschi, per quanto le otto specie, che di qui proven- gono, solo per la metà sieno determinabili specificamente. Ad Ostròviza appartengono otto specie, numero invero esiguo di fronte all’elenco di ben 78 di soli Molluschi, che ne ho po- tuto riconoscere ora è poco (5) ; ma se si pensa che, di quelle, due, la Lucina (Miltha) gigantea Deshayes ed il Cardium (Tracìiycardium) gigas Defrance, giungono adesso nuove per quella località, bisognerà riconoscere che anche sotto questo punto di vista non manca un certo interesse. Uno ben maggiore presentano però senza dubbio le altre due località* di Vàciane e di Gjèverske. Da Vàciane già il D.r Oppenheim (3) aveva citato tre specie, delle quali una nuova: e cioè: la Pholaclomya Fuselli Goldfuss, la Thracia Hocrnesi Oppenheim, ed il Velates Sclimidelianus Chemnitz. Recente- mente il D.r Schubert (4) ha comunicato che nel Museo del Comitato Geologico d’Austria, accanto ad altri fossili mal con- servati, provenienti da quella località, vi è un modello interno attribuibile al Solen plagiaulax Cossmann. Io stesso, nel già citato lavoro (5), presentavo la determinazione ed in parte anche la descrizione di 14 specie provenienti pure da Vàciane, delle quali 4, cioè : la Lucina JBrusinae, il Trochus Radimirii , la Sca- larla Visianii ed il Cerithium vacianense, nuove. (') Seguo qui, come nel precedente lavoro sulla fauna di Bribir, nella trascrizione dei nomi di luoghi, quella ortografia italiana che me- glio valga a rendere la pronuncia slava. (2) Dainelli., Faun. eoe. di Bribir, pag. 12-16 2. (3) Oppenheim P., TJéber einige alttertiàre Faunen der òsterr.-ungar. Monarchie. Beitr. zur Palàont. und Geol. Oesterr.-Ung. und des Orients. Bd. XIII, 1901, Heft. Ili, IV. (4) Schubert R. I., Zur Stratigraphie des istrisch-norddalmatinischen Mitteleocàns, Jahrb. der k. k. Geol. Reichsanstalt, Jahrg. 1905, Bd. LV, Heft I, Wien, 1905. (5) Dainelli, Faun. eoe. di Bribir , pag. 12-16 5. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 457 Con ciò, per quanto nel complesso non fosse numerosa la fauna malacologica fossile di Yàciane, pure le evidenti analogìe che essa presentava con quella vicina, tanto più ricca, del ba- cino dei Ponti di Bribìr, già valevano a farci conoscere con buona esattezza la età geologica alla quale attribuire i sedi- menti dai quali essa proveniva. Pertanto, col presente nuovo contributo, codesta fauna si ar- ricchisce di altre 11 specie, le quali ne fanno giungere il nu- mero complessivo a ben 28, cioè più che sufficienti a dare, anche di per sè, una idea adeguata dell’età loro e dei terreni nei quali esse si trovano incluse. Ne faccio qui seguire l’elenco, notando, di ciascuna specie, se essa proviene anche dai Ponti di Bribìr, da Ostròviza e da Zazvic, cioè dalle tre principali località fossilifere, dalle quali proviene la abbondante fauna già da me studiata. Yàciane. Numero n dellespecie SPECIE STUDIATE Bribìr Ostròviza Zazvic 1 Ostrea sp 2 Cardita imbucata Lamarck 3 Lucina (Miltlia) Escheri Mayer 4 » (Dentilucina) liermonvillensis Deshayes . . ? - 5 » » saxorum Lamarck .... — -t- 6 » » Brusinae Dainelli .... -r- 7 Cardium (Trachycardium) Lanzae Dainelli . . . H- 8 » (Litliocardium) Gasperinii n. sp 9 Solen plagiaulax Cossmann f 10 Pholadomya Buschi Goldfuss — f— 11 Thracia Hoernesi Oppenheim 12 Trochus (Tectus) Badimirii Dainelli - 13 » efr. (Pyramis) semilaevigatus De Gregorio. H- 458 G. DAINELLI Numero delle specie SPECIE STUDIATE Bribìr N "> '? o o *> N c3 N 14 Trochus vacianensis n. sp 15 Velates Schmidelianus Chemnitz - 16 Scalaria (Parviscala) Visianii Dainelli 17 Natica (Cepatia) cepacea Lamarck - - 18 Diastoma costellatum Lamarck 19 Cerithium corvinum Brongniart - 20 » ( Campanile ) Lachesis Bayan -4- - -4- 21 » (Bellardia) vacianense Dainelli. . . . 22 » ( Potamides ) cfr. Vulcani Brongniart . . ? 23 Strombus (Oncoma) Tournoueri Bayan 24 Terebellum fusiforme Lamarck ■ 4 ■ -4- 25 » (Seraphs) sopitum Solander -+■ -4- 26 1 Costellarla Crucis Bayan? 27 Fusus subcarinatus Lamarck? 28 Voluta (Volutolyria) Bezangoni Bayan Da Grjèverske già avevo citato 5 specie di Molluschi (1), oltre ad un Corallario ( Colpophyllia flexuosa D’Achiardi) e due Echinidi ( Micropsis Stacliei Bittner, e Scliizaster globulus Dames); anche per questa località la fauna malacologica fossile viene adesso notevolmente accresciuta, come risulta dal seguente elenco. (*) (*) Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr, pag. 12-162. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 459 Gjéverske. Numero delle specie SPECIE STUDIATE Bribir ce ’> '? «3 o Zazvic ì Cliama dissimilis Broun 2 Cardium ( Trachycardium ) Lanzae Dainelli. . . . - 3 Tellina ( 3£acaliopsis) colpodes Bayan 4 Pholadomya Puschi Goldfuss - 5 Tliracia Fortisi Dainelli 6 Pleurotomaria Dalmatina Dainelli -4- H- 7 Velates Schmidelianus Chemnitz — f- - + 8 Natica (Ampullina) cfr. intermedia Deshayes . . 9 » » incompleta Zittel -f- 10 Cerithium (Campanile) Lachesis Bayan - -+- -4- 11 Strombus (Oncoma) Tournoueri Bayan -+- 12 Mostellaria Postalensis Bayan ? Ho già accennato alla località di Imoschi, la cui fauna, del resto poco abbondante e meno suscettibile di precise determi- nazioni specifiche, può tuttavia far riconoscere che si tratta, anche lì, dello stesso livello geologico, al quale appartengono pure i fossili delle altre provenienze. Aggiungerò infine, che un nuovo, per quanto piccolo contributo, viene adesso portato alla conoscenza della fauna malacologica di Botticelle, presso Spalato, località dalla quale il Martelli ha descritto di recente una sì ricca fauna principalmente di Nummuliti, e poi, in linea secondaria, di Corallarii, di Echinidi e di Molluschi (’). La fauna che adesso presento, sia che la si consideri nel suo complesso, sia che la si esamini divisa secondo le varie (') Martelli A., Fossili dei terr. eoe. di Spalato. Palaeont. Ital., voi. Vili, 1902. 32 460 G. DAINELLI sue provenienze, non mostra diversità da quella, ben più ricca, del bacino di Bribìr; onde al mio primo lavoro più volte ci- tato rimando adesso lo studioso, che volesse conoscere le con- siderazioni stratigrafiche che se ne posson dedurre, e le ana- logìe con altre faune, già da prima note, con le quali più facile e più opportuno occorre il paragone. Allora concludevo che « la presente fauna dalmatina, para- gonata con quelle ben conosciute del Vicentino, presenta le maggiori analogìe con quelle coeve di San Giovanni Ilarione e Roneà » ('), e che quindi deve essere attribuita alla parte superiore dell’Eocene medio. Non diversa conclusione cronologica si può trarre dall’elenco dei fossili che adesso presento, e spe- cialmente dalle faune di Vàciane e di Gjèverske. Quanto a diversità di caratteri, corrispondenti a diverse con- dizioni di vita, che le singole faune delle varie località potevano presentare, concludevo allora che non ne esistono per Bribìr, Ostròviza e Zazvic, di dove cioè la raccolta di fossili era stata più abbondante. Aggiungevo per altro che « carattere di essersi depositata in un mare un poco più profondo ha la non molto ricca fauna di Vàciane » (2). Per vero dire, però, adesso che di Vàciane conosciamo una fauna malacologica assai più ricca di quel che allora non fosse, non possiamo ancora sostenere quella diversità batimetrica, che allora ci era apparsa probabile. E lo stesso può dirsi di Gjèverske. Altro non mi resterebbe adesso, se non che presentare le sin- gole determinazioni dei fossili presi in esame. Ma non posso non far menzione di un recente lavoro sintetico del D.r Schubert sull’Eocene medio di Dalmazia f3), nel quale si prendono in considerazione anche i contributi da noi in questi ultimi tempi portati alla conoscenza geologica della Dalmazia. Debbo considerarmi soddisfatto nel vedere accettate dallo Schubert quelle stesse idee, intorno alla età delle faune in que- stione, che anch’io avevo manifestato. Solo tengo a chiarire an- cora un dubbio, che da una semplice nota dello Schubert po- trebbe rimanere negli studiosi, intorno cioè alla sicurezza della (*) Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr, pag. 26. (2) Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr, pag. 26. ( 3 ) Schubert, Zur Strat. des istr.-norddalm. Mitt.-eoc. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 461 provenienza dei fossili da me studiati e descritti. Secondo il collega di Vienna, poiché io « nicht nur selbstgesammeltes Ma- terial vorlag, konnen manche jlingere Typen aus den in der Umgebung von Ostrovica anstehenden gleichfalls fossilfiihrenden Prominamergeln stammen » ('). Ora, questo dubbio dello Schu- bert, è infondato. I fossili, cioè, di Bribìr, di Ostròviza e di Zazvic, che formano quasi esclusivamente il nucleo della fauna da me studiata, furono tutti raccolti sul posto dal Prof. De Ste- fani e da me;_vi unii solo un certo numero di fossili inviatimi in seguito dal Sign. Vladimiro Ardalic, osservando però che pel- le località esplorate da me non crebbe affatto il numero delle specie, ma solo quello degli esemplari, mentre si aggiungevano due località per me nuove, cioè, Vàciane e Gfjèverske, i cui pochi fossili, però, credevo opportuno di aggiungere per le evidenti analogie che essi presentavano con quelli del bacino di Bribir. Quindi il dubbio espresso dallo Schubert cade da sè per la fauna che era oggetto del mio lavoro; mentre potrebbe sussi- stere per quelle minori di Vàciane e di Gjèverske, adesso prin- cipalmente illustrate, ma per le quali anche la uniformità dei fossili, per ciò che ha riguardo alla loro età geologica, fa sup- porre che non sieno avvenute quelle mescolanze, che lo Schu- bert teme tanto, ed a giusta ragione. Ostrea sp. Un frammento di conchiglia è facilmente riconoscibile come appartenente a questo genere; a quale specie, è impossibile ar- guire. Si veda pertanto V Ostrea supranmnmiditica Zittel (Oh. Numm.-form. in Ungarn, pag. 394, tav. 3, fig. 7, 1863), forma abbastanza comune nel Vicentino, in Ungheria ed in Bosnia, e che io ho creduto di riconoscere tra i fossili di Zazvic, località vicina a quella dalla quale proviene il presente esemplare (Vedi Dainelli, Fami. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 196, 1904). Tale fossile, mal conservato, dalmatino, è stato raccolto a Vàciane. (*) (*) Scluibei-t, Zur Strat., ecc., pag. 167, nota. 462 G. DAINELLI Pecten Bonarellii Vinassa de Regny. 1896. Pecten Bonarellii - Vinassa de Regny, Syn. Moli. terz. Alpi Ven., Palaeont. Ital.,vol. I, pag. 240, tav. 16, fig. 23. 1902. Pecten Bonarellii- Martelli, Foss. terr. eoe. di Spalato in Dalm., Palaeont. Ital., voi. Vili, pag. 95. Quattro individui, nessuno dei quali è in perfetto stato di conservazione, si identificano con quelli di Botticelle presso Spalato in Dalmazia, determinati dal D.r Martelli (op. citi) come di Pecten Bonarellii Vinassa; dirò subito che le forme, che abbiamo adesso in esame, provengono dalla stessa località, quindi non dubbio ne è il riferimento. Data la non perfetta conservazione, non ci è permesso ag- giungere caratteri nuovi ai già noti ; solo dobbiamo fare una osservazione a ciò che intorno a tale specie è stato scritto dal Martelli. Cioè: «Fra gli scarsissimi lamellibranchi da noi rac- colti, taluni Pecten debbono riferirsi a questa specie. Quantun- que nel testo del citato lavoro (di Vinassa) si parli di 16 coste uguali, equidistanti e tendenti a pianeggiarsi verso i margini laterali, la figura che riproduce l’esemplare descritto ci con- vince che le forme in parola corrispondono con sicurezza al P. Bonarellii Vin. che prende parte alla fauna di S. Giovanni Barione ». (Martelli, op. cit., pag. 95j. Il quale periodo ci pare che pecchi alquanto di oscurità; ma, ove ben lo si consideri, si può trarne la conclusione che le forme in parola, studiate dal Martelli, quantunque divergano dai caratteri citati dal Vinassa nel testo del suo lavoro, pure si identificano con la figura che di tale nuova specie è stata offerta. Conseguenza di ciò sarebbe una certa sconcordanza tra testo e illustrazione nel lavoro di Vinassa. Ora, per la verità, questa sconcordanza non esiste: nella figura le coste appaiono uguali, equidistanti e tendenti a pianeggiarsi verso i margini laterali, come vien detto nella descrizione e come appare anche dai fos- sili del Martelli e nostri. Quanto al numero delle coste, non sarebbe, secondo Vinassa, decisamente di 16, come riferisce il Martelli, ma di circa 16; ed infatti nella figura se ne posson MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 463 contare 17, non considerando i due lievissimi rilievi estremi marginali. Anche negli esemplari del Martelli questo numero non sembra debba esser superato. Il Pecten Bonarellii Yinassa è stato citato da S. Giovanni Barione e Ciuffo nel Vicentino ; e da Botticelle, Monte Marian e S. Stefano, nei pressi di Spalato in Palmazia. I nostri esem- plari provengono pure da Botticelle. Pecten cfr. Tschihatscheffì D’Archiac. 1850. Pecten Tschihatscheffì - D’Archiac, Asie Min., pag. 143, tav. 4, fig. 6, a, b. 1886. Pecten Tschihatscheffì - Frauscher, Unt.-eoc. der Nordalp., pag. 72, tav. 6, fig. 2 (curri syn.). 1901. Pecten Tschihatscheffì - Oppenheim, Alttert. Faun., p. 168, 231 (cum syn.). Abbiamo un solo frammento di conchiglia, ma assai ben conservato, si che la determinazione ci pare sicura ; la citiamo invece solo come paragone, appunto perchè si ha un fossile con- servato soltanto parzialmente. Ciò che ci fa ritenere sicuro il ravvicinamento si è l’ornamentazione, ben visibile, la quale è identica a quella descritta già e figurata. Accettiamo senz’altro, perchè giusta, la riunione proposta da Oppenheim del Pecten Nicolisi Yinassa de Regny (Syn. Moli, terz. Alpi Ven., Palaeont. Ital., voi. 1, pag. 240, tav. 16, fig. 24, 1895; voi. 3, pag. 169, 1897). Il Pecten Tschihatscheffì D’Archiac proviene da S. Giovanni Barione, Ciuffo e Breonio, nel Vicentino; da Pinguente in Istria; da Aika, nel Bakony; dal Kressemberg, nelle Alpi Settentrio- nali; dall’Asia Minore. Il nostro esemplare dalmatino è stato raccolto a Botticelle, presso Spalato. Pecten (Chlamys) tripartì tus Deshayes. 1824. Pecten tripartitus - Deshayes, Coq. foss., pag. 308, tav. 42, fig. 14-16. 1886. Pecten tripartitus - Frauscher, Unt.-eoc. der Nord-Alp., pag. 73 {curii syn.). 464 G. DAINELLI 1901. Pecten tripartitus - Oppenheim,. ilttert. Fami, der oesterr.-ung. Moti., pag. 232 (cum syn.). 1904. Pecten Diocletiani ? - Martelli, Foss. terr. eoe. Spalato in Dalm., Palaeont. Ital., voi. 8, pag. 95, tav. 7, fig. 24. Abbiamo un solo esemplare, abbastanza ben conservato ; su- perfluo però sarebbe ripeterne la descrizione; mentre invece, potendo avere a nostra disposizione un ricco ed abbondante ma- teriale di studio, sarebbe molto interessante stabilire i limiti estremi di variabilità di questa specie, e vedere se essa non debba unirsi ad altre, simili assai, che fin ora ne son state divise. Dimensioni : Altezza mm. 34 Diametro antero-posteriore ...» 32 Elevatezza di una valva ...» 5. Abbiamo accennato all’importanza ebe uno studio sopra i limiti di variabilità di questa specie presenterebbe certamente ; vogliamo essere più espliciti, e dichiarare il nostro dubbio che il Pecten tripartitus Deshayes sia solo il rappresentante eoce- nico di una unica e stessa specie, che è ben nota fin nell’O- ligocene superiore come Pecten biarrit sensi s D’Arehiac ( Descr . foss. env. de Bayonne, Mém. Soc. Géol. Trance, s. 2, voi. 2, pag. 210, tav. 8, fig. 9, 1846). Oppenheim, lo studioso che certo ha portato di recente i più importanti contributi alla malacologia del terziario antico, vuole senz’altro distinte le due forme in questione (Oppenheim, Priabonasch., 1900, pag. 134; Altieri. Faun., 1901, pag. 232). Ora, io credo fermamente che in questa sua decisione abbia in- fluito più che altro il criterio cronologico, anziché quello mor- fologico, per quanto egli dichiari quali sarebbero le differenze nei caratteri esterni tra le due specie: «Der P. tripartitus Lam. des Pariser Beckens ist sehr ahnlich, gewiss (al biarrit- zensis); er hat aber nicht die aus langgestreckten Schuppen bestehende Skulptur der sùdeuropàischen Art, sondern bei Stii- cken mit gut erhaltener Oberflache, wie mir deren eins aus Grignon vorliegt, eng gedràngte, zarte circonflexe-àhnliche An- MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 465 wachsstreifung. Ausserdem bat er zahlreicliere Kippen (30-32), die an den Flanken einfach bleiben, wahrend bei der sildeu- ropaischen Art die Vertheilung in Blinde] aneli liier fortdauert. Diese Differenzen durftén geniigen, beide Forme n spezifiscli zu trennen ». ( Priabonasch ., pag. 134). E potrebbero infatti, tali ditferenze, bastare a tener distinte specificamente le due forme, se però esse si mantenessero co- stanti ; ciò che non è, come mi sarà assai facile di dimostrare. Primo carattere ditferenziale clie esamino è il numero delle coste; secondo Oppenheim sarebbe nel Pecten biarritzensis D’Ar- cliiac di 20-25, nel Pecten tripartitus Deshayes (non Lamark, come cita erròneamente l’autore tedesco, per effetto, certo, di una facile svista), di 30-32. Orbene, il Pecten biarritzensis citato da Frauscher dalle Alpi Settentrionali (op. cit., pag. 93, tav. 6, tìg. 3) ha, secondo il testo, 26-28 coste, e nella figura, secondo me probabilmente inesatta, 34 : ciò basta, secondo Oppenheim, a buttar giù tale determinazione, e modificarla in Pecten tripartitus. D’altra parte, Oppenheim ha dalla Erzegovina un Pecten di questo gruppo, e lo determina per tripartitus, quantunque abbia solo 22 coste ! Si noti che tanto la provenienza alpina, come quella erzegovese erano sicuramente eoceniche; quindi sarà facile comprendere come l’autore tedesco, per mantenere la distinzione basata su differenza cronologica, abbia senz’altro passato sopra ad uno dei caratteri differenziali da lui stesso posti. Altro carattere differenziale sarebbe, secondo Oppenheim, che nel Pecten biarritzensis le coste sono suddivise anche sui due lati della superficie conchigliare, mentre nel tripartitus ciò non avviene, e le coste laterali sono semplici. Si può già ci- tare Deshayes ( op . cit., pag. 508), descrittore di questa seconda specie, il quale dice che « sur le coté postérieur de la coquille les cótes deviennent simples » ; cioè, il carattere differenziale di Oppenheim diventa già per questo diminuito della metà del suo valore, e non si verifica sul lato anteriore della conchiglia, dove le coste mantengono la loro suddivisione. Ma io posso aggiungere ancora l’esempio di un individuo del bacino di Pa- rigi, benissimo conservato, nel quale le coste del lato posteriore non solo non sono semplici, ma sono le uniche di tutta la su- 466 G. DAINELLI perfide conchigliare, nettamente suddivise. Da ciò si vede che l’assenza dei fasci presso ai margini non è un carattere distin- tivo del Pecten tripartitus dal biarritzensis, perchè difatti non si verifica nè sempre nè regolarmente. Altro carattere differenziale, ed ultimo, tra le due specie, sarebbe, sempre secondo Oppenheim, nella ornamentazione tra- sversale delle coste : scagliosa nel biarritzensis. leggermente quasi striata nel tripartitus. Qui si potrebbe addirittura comprendere l’aspetto generale della ornamentazione, anziché limitarsi a quello degli ornamenti concentrici, sui quali poi, siccome tenui, può aver influito assai lo stato di conservazione ; essendo chiaro ed evidente che, se sopra ornamenti scagliosi abbiano agito cause fisiche o chimiche, facili a imaginarsi, il risultato sarà una più tenue stilatura trasversa, come di accrescimento. Ma si guardi e si paragoni, ad esempio, la figura di un individuo di biar- ritzensis, secondo Oppenheim, del Priaboniano Vicentino ( Pria - bonascli., tav. 12, fig. 5, ha), e quella di un individuo di tri- partitus, sempre secondo Oppenheim, dell’Eocene medio delle Alpi Settentrionali (in Frauscher, op. cit., tav. 5, fig. Ila, Ile, come Pecten Thorenti — biarritzensis D’Archiac) : tranne diver- sità tecniche del disegno, le due figure sono identiche. Lo stesso si dica per l’altro esemplare di biarritzensis , secondo Oppenheim, del Priaboniano Vicentino (Priabonascli., tav. 12, fig. 3, 3a), e l’esemplare di tripartitus del bacino di Parigi figurato ori- ginariamente dal Deshayes (Coq. foss., tav. 42, fig. 14, 16). Gli esempii si potrebbero anche moltiplicare ; ma valga concludere, che, effettivamente, gli ornamenti, radiali e trasversi, nelle due specie si possono riscontrare ugualmente caratterizzati. Ciò non vuol dire che lo sieno sempre; tutt’altro, appunto perchè altro carattere, ed importantissimo, di ambedue le specie, è quello di una stragrande variabilità nella ornamentazione: tanto grande, che per concorde e giusto parere di molti studiosi, si sono unite, nel biarritzensis, le varie forme, da prima specificamente di- stinte dal D’Archiac e da altri autori; e già Oppenheim co- mincia ( Alttert . Faun., pag. 232) a riunire anche nel tripar- titus, forme che prima erano separate. Anzi, le differenze sulle quali si basavano tali distinzioni originarie, sono di gran lunga superiori a quelle che il paleontologo più scrupoloso potrebbe MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 467 trovare nei due esempii sopra citati, di individui, per me iden- tici, attribuiti a specie diverse. Concludendo, mi pare che le tre differenze, tra il biarritzensis e il tripartitus, citate da Oppenheim con valore specificamente differenziale, o non esistono, o si verificano solo talvolta, o, in ogni modo, sono assai lievi di fronte alla grande variabilità, riconosciuta da tutti gli autori, di queste forme. Per cui pro- penderei per la riunione, nel qual caso la precedenza tocche- rebbe al tripartitus Deshayes. Questa è la mia intima convin- zione; ma, in mancanza di abbondante materiale paleontologico, non le do forma concreta. Intanto tengo ad osservare che il mio individuo dalmatino, proveniente da terreni dell’Eocene medio, sì per il numero delle coste, come per i loro caratteri, si avvicinerebbe assai più al biarritzensis che non al tripartitus, nei limiti che alle due forme avrebbe assegnato Oppenheim; ma mi pare di aver già dimostrato che son limiti molto incerti, se non addirittura fallaci. Che il Pecten Meneguzzoi Bayan (Ét., pag. 67, tav. 8, fig. 7, 1870) sia da riferirsi, come sinonimo, qui, come vorrebbe Oppen- heim ( Alttert ., pag. 232), non credo, essendo il carattere della sezione triangolare delle sue coste abbastanza ben distintivo. Invece mi pare vi debba essere incluso il Pecten Diocletiani Martelli ( Foss . terr. eoe. di Spedato in Daini., pag. 95, tav. 7, fig. 24), fondato sopra un individuo, solo parzialmente conservato e proveniente dalla stessa località, dove il mio presente esemplare è stato pure raccolto; la sua descrizione è assai oscura, e in parte errata, per sviste facili a spiegarsi quando si abbia sot- t’occhio il fossile descritto; come io l’ho avuto. Il Pecten tripartitus Deshayes proviene da Konjavac (Er- zegovina), Siebenbùrgen, Rumelia orientale, Asia Minore, Alpi Settentrionali, bacino di Parigi, ecc.; unendovi, come credo debba farsi, il Pecten biarritzensis D’Archiac, le sue provenienze cresce- rebbero di molto, estendendosi dall’Eocene medio all’Oligocene superiore. Il nostro individuo dalmatino è stato raccolto a Botticelle presso Spalato. 468 G. DAINELLI Pecten (Chlamys) plebeius Lamarck. 1824. Pecten plebeius - Deshayes, Coq. foss , pag. 309, tav. 44, fig. 1-4. 1827. Pecten plebeius - Brongniart, Terr. cale -trapp. du Vie., pag. 76. 1886. Pecten plebeius - Frauscher, Unt.-eoc. der Nordalp., pag. 67 {cum syn X 1887. Chlamys plebeia - Cossmann, Cat. ili. coq. foss. env. de Paris, pag. 187, fig. L. 1896. Pecten qilebeius ? - De Gregorio, Faun. eoe. de J Roncò, pag. 108. 1904. Chlamys cf. plebeia - Dainelli, Faun. eoe. di Bribir in Palm., in Paleont. Ital , voi. 10, pag. 205. Due esemplari, non completamente conservati, mostrano così evidenti il numero, l’andamento e la ornamentazione secondaria delle loro coste, che non vi può esser dubbio nel loro riferimento a questa nota specie eocenica. La certezza poi è in noi assoluta, avendo paragonati direttamente i nostri fossili con individui tipici del bacino di Parigi, ed avendovi riscontrato identità completa di caratteri morfologici. I quali concordano, natural- mente, anche con le descrizioni e figure di Deshayes {op. cit.) e Cossmann {op. cit.). La Clamys plebeia Lamarck è stata citata con dubbio da Koncà; proviene poi dai bacini di Parigi, Valognes. Belgio, Inghilterra, Nizza, Siebenbiirgen, Alpi Settentrionali, Svizzera, Asia Minore, da Ostròviza in Dalmazia. I nostri esemplari dalmatini provengono da Botticelle presso Spalato. Chlamys sp. Un solo esemplare, parzialmente e imperfettamente conser- vato, non posso che riunire ai molti individui a questo identici, che raccolsi e già descrissi dai Ponti di Bribir in Dalmazia. Se ne veda per questo la descrizione, insufficiente per giungere ad una determinazione specifica, e i ravvicinamenti più probabili. (Dainelli, Faun. eoe. di Bribir in Daini., pag. 208, 1904). II presente fossile dalmatino proviene da Imoschi. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 469 Arca sp. Un frammento di bivalve si può attribuire a questo genere, senza però voler presumere di spinger più oltre la determina- zione. Presenta numerose e abbastanza fitte coste radiali, rego- lari, rotondeggianti, diritte, intere, disgiunte da solchi stretti quanto esse son larghe; quanto alle loro dimensioni, si può dire che, presso al bordo ventrale, tre occupano lo spazio di tre mil- limetri. La conchiglia, da quel che si può arguire dal frammento che ne possediamo, era trasversa, abbastanza rigonfia e gibbosa, fornita di grosso e robusto umbone. Di tutte le specie di Arca da noi riconosciute tra i fossili dalmatini precedentemente stu- diati (Dainelli, Fauna eoe. di Bribìr in Daini., 1904), nessuna mostra analogìe con il presente fossile; solo, nella forma gene- rale, per quel che è dato arguirne, l’Arca filigrana Deshayes (Coq. foss., 1824, pag. 212, tav. 33, fìg. 15-17); della quale pertanto il nostro individuo non presenta affatto i tipici caratteri delle coste radiali. 11 presente individuo dalmatino proviene da Imoschi. Cardila imbricata Lamarck. 1806. Venericardia imbricata - Lamarck, Ann. du Mus., voi. 7, pag. 156, voi. 9, tav. 32, tìg. 4. 1824. Venericardia imbricata - Deshayes, Coq. foss., voi. 1, pag. 152, tav. 24, tig. 4, 5. 1886. Cardita imbricata - Frauscher, Unt.-eoc. der Nord-alp., pag. 108, • tav. 8, tìg. 5 (cum syn.). 1896. Cardita imbricata - Oppenheim, Foc.-fauna des Mt. Postale, pag. 150 (cum syn.). 1901. Cardita imbricata - Oppenheim, Alttert. Faun. der osterr.-ung. Mon., pag. 236. Questa specie è talmente nota, che sarebbe del tutto super- fluo ripeterne adesso la descrizione. Ne abbiamo una valva si- nistra, la quale nel numero e andamento delle coste, come nella forma dell’umbone e nel contorno generale si identifica com- pletamente con gli esemplari tipici; non si osservano le sca- 470 G. DAINELLI brosità trasversali delle coste, ma ciò come facile conseguenza del difetto di conservazione. La Carclita imbucata Lamarck è stata citata dal bacino di Parigi; dai bacini inglesi; Yalognes; dintorni di Nizza; Kres- semberg, Mattsee, Einsiedeln nelle Alpi Settentrionali ; dubita- tivamente dal Belgio ; da Monte Postale, San Giovanni Ilarione, Ciuffo, Eoncà, Mt. Grumi, nel Vicentino; Istria; Lopare, Cerik, Lukavica Gornja, nei paesi d’Occupazione; Asia Minore. Il valore stratigrafico della Cardila imbricata Lamarck non è grande, essendo essa sviluppata, verticalmente, dairEocene medio fino al medio Oligocene; più comuni però sono di assai gli esempii eocenici, specie da terreni simili a questi di Dal- mazia. Il nostro individuo dalmatino proviene da Yàciane. Lucina (Miltlia) gigantea Deshayes. 1824. Lucina gigantea - Deshayes, Env. de Paris, p. 9' , tav. 15, fig. 11-12. 1904. Lucina (Miltha) gigantea - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 23G (cum syn.). Un individuo non ben conservato, di questa nota specie, non permette di riconoscervi caratteri nuovi. Vedasi cosa ne ab- biamo già detto di recente. La Lucina gigantea Deshayes è stata citata da Eoncà e Monte Postale (Vicentino); Trebistovo (Erzegovina) ; Nizza; Thun (Alpi Svizzere); bacino di Parigi; Barton (Inghilterra); Egitto; Turkestan; India. In Dalmazia è stata raccolta nelle località di Zazvic, Ponti di Bribìr, Dubràviza. Il presente fossile dalmatino proviene da Ostròviza. Lucina (Miltha) Eseheri Mayer. 1870. Lucina Esclieri - Mayer, Coq. foss. tert. inf., pag. 323, tav. 12, fig. 6. 1904. Lucina (Miltha) Eseheri - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 234 (cum syn.). Due individui mi sembrano ben determinabili ; un terzo, pro- veniente dalla stessa località, riunisco a questi primi, per quanto non specificamente riconoscibile. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 471 Vedasi cosa abbiamo altrove scritto, di recente, intorno ai caratteri ed alla sinonimìa di questa specie. La Lucina JEscheri Mayer è stata citata da Eoncà e Monte Postale, nel Vicentino; in Dalmazia è stata citata da Vàciane. I presenti fossili dalmatini hanno indicato, come prove- nienza, Promina; da non confondersi con gli strati superiori del Monte Promina. Lucina (Dentilucina) saxorum Lamark. 1813. Lucina saxorum - Lamark, Ann. du Mus., voi. 7, pag. 238, voi. 12, tav. 42, fig. 5. 1904. Lucina (Dentilucina) saxorum - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm., p. 240, tav. 16, fig. 4 (cum syn.). Varii esemplari sono attribuibili a questa nota e ben dif- fusa specie, che abbiamo di recente descritta e discussa ; per questo rimandiamo altrove, non avendo adesso niente da ag- giungere sull’argomento. La Lucina saxorum Lamarck è stata citata da Eoncà e Lonigo (Veneto); Paradies (Istria); Doljna Tuzla, Dabrica, Ko- njavac (Bosnia); Mostar (Erzegovina); Urkut (Bakony); Parigi; Bois Gouèt (Bretagna). In Dalmazia è stata raccolta nelle località di Valki Totscbek, Siveric, Ostròviza e Zazvic. I presenti fossili dalmatini provengono da Ostròviza e da Vàciane. Lucina (Dentilucina) cfr. liermonvillensis Deshayes. 1860. Lucina liermonvillensis - Deshayes, An. sans vert ., pag. 660, ta- vola 40, fig. 15-18. 1904. Lucina (Dentilucina) liermonvillensis - Dainelli, Faun. eoe. di Bri- bìr in Daini., pag. 239, tav. 17, fig. 5 (cum syn.). Due individui, mal conservati, possono avvicinarsi alla pre- sente specie. Di questa abbiamo già di recente ( op . cit.) data la descrizione e discussa la bibliografia. La Lucina liermonvillensis Deshayes è stata citata da Eoncà (Vicentino); Dopare (Bosnia); Steinbach, Kressemberg e Tliun- (Àlpi Settentrionali) ; bacino di Parigi ; Bretagna ; Belgio. In Da- 472 G. DAINELLI mazia l’abbiamo già raccolta a Zazvic, a Vàciane, e con dubbio ai Ponti di Bribìr ed a Piramatovci. I presenti individui dalmatini provengono da Yàciane e da Imoschi. Cardimi! (Trachycardium) cfr. gigas Defrance? 1824. Cardium gigas - Deshayes, Coq. foss , pag. 164. tavola 27, fig. 3, 4. 1904. Cardium (Trachycardium) cfr. gigas - Dainelli, Faun. eoe. di Bri- bìr in Dalm., pag. 249 (cum syn.). Un individuo, in assai imperfetto stato di conservazione, avvi- ciniamo dubbiosamente alla presente specie, già da noi descritta di recente (op. cit.). I pochi caratteri visibili della forma gene- rale, deH’umbone e delle coste, coincidono; ma son troppo pochi per farci sicuri della determinazione. Le dimensioni sono piccole. Dimensioni : Altezza mm. 50 Diametro antero-posteriore ... » 43 Spessore di una valva .... » 21. Il Cardium gigas Defrance è stato citato da Roncà e da Monte Pulii (Vicentino) ; Alpi Settentrionali ; Nizza; Pirenei ; Bre- tagna; bacino di Parigi; bacini inglesi. In Dalmazia è stato raccolto ai Ponti di Bribìr. Il presente fossile dalmatino proviene da Ostròviza. Cardium (Trachycardium) Lanzae Dainelli. 1904. Cardium (Trachycardium) Lanzae - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm., pag. 250, tav. 17, fig. 15. Tre individui sicuramente riferibili a questa specie, da noi recentemente descritta e discussa, sì che stimiamo inutile ripe- tere adesso il già detto. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 473 Dimensioni : Altezza ram. 34 Diametro antero-posteriore ... » 34 Spessore delle due valve ... » 28. Il Cardium Lansae Dainelli era stato descritto da esemplari raccolti ad Ostròviza in Dalmazia. Dei presenti tre individui dalmatini uno proviene dalla stessa località di Ostròviza; degli altri due uno da Gjèverske, ed il secondo da Yàciane. Cardium (Lithocardium) Gasperinii n. sp. (Tav. VII, fig. 1-4). Conchiglia irregolare, rigonfia, gibbosa, carenata, allungata nel senso dell’asse, inequilatere, subquadrangolare; l’umbone è triangolare, assai rilevato, prominente, anteriore, marcatamente prosogiro, schiacciato ai due lati. Il margine, dal quale l’um- bone stesso si stacca nettamente, è, sul dinanzi e in alto, di- sposto a curva regolare; dopo la quale scende in basso e all’in- dietro nel ben sviluppato margine anteriore, che ha aspetto piuttosto scappante. Posteriormente aH’umbone il margine si dirige con ampia curva in basso e all’indietro ; poi si volge in avanti, e più decisamente in basso, dove si unisce a quello ante- riore sotto un angolo piuttosto acuto. Una carena assai rilevata ed acuta si parte dalla sommità dell’umbone, diretta da prima all’indietro, con ampia e regolare curva, per poi indirizzarsi all’angolo formato dall’incontro dei due margini, anteriore e posteriore. Questa carena divide la con- chiglia in due parti disuguali e dissimili: quella dinanzi è più raccolta e, in conseguenza, anche più inclinata dal vertice della carena al margine ; quella di dietro invece è un poco più espansa lateralmente, e per ciò anche meno fortemente declive. Si os- serva una certa differenza anche nella ornamentazione, la quale consiste in coste radiali; infatti queste sulla metà anteriore della 474 G. DAINELLI conchiglia sono in numero di non meno di 24, e nella metà opposta solamente di 14. Sì che, considerata anche la maggiore espansione di questa parte della conchiglia, ne resulta che in essa le coste radiali sono molto più rade che non nella parte anteriore. Tali coste sono rilevate, rettilinee, rotondeggianti; nella superficie interna della conchiglia presso il margine corrispon- dono alle coste esterne dei brevi solchi, abbastanza profondi, i quali si continuano meno marcati verso l’umbone, dove vanno quasi del tutto evanescendo. Abbiamo un solo esemplare, non perfettamente conservato nella sua valva sinistra ; però ci pare di poterlo considerare come appartenente ad una specie nuova. Infatti, le somiglianze che esso presenta con le forme già note dipendono quasi unicamente dall’avere a comune il caratteristico rilievo centrale, che è pro- prio del genere ; ma nell’aspetto delle coste e del contorno ge- nerale si differenzia da tutte. In terreni vicini e molto simili a quello dal quale .proviene il presente fossile, Oppenheim ha riconosciuto il Cardimi ( Litìto - cardimi ?) cfr. Wiesneri v. Hantken (Sudi. Bakony., 1875, pag. 25, tav. 16, fig. 2, tav. 19, fìg. 2), di Urkut; e cioè a Gnojnica presso Mostar e a Trebistovo, nei paesi d’Oceupazione (vedi Oppenheim, Alttert. Fami., 1901, pag. 246); ma il carattere del numero delle coste radiali, il quale è limitato a 20 o 22. basta a tener separata questa specie da ogni altra simile, ed anche dalla presente dalmatina. Il Litìiocardiopsis Fouquei Munier-Chalmas ( Études , 1891, pag. 47), del Monte Postale, cioè di terreni più lontani, ma sempre assai simili ai nostri, non essendo mai stato nè descritto nè figurato, è forma troppo incerta, perchè vi si possan riunire od anche semplicemente paragonare degli individui abbastanza ben conservati; ciò che ho già di recente osservato (Dainelli, Fami. eoe. di Bribìr in Dimensioni in parte approssimate : Altezza Diametro antero-posteriore, circa Spessore di una valva . . . . mm. 36 » 27 » 14. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 475 Dalm., 1904, pag. 261), e che anche si capisce essere convin- cimento di Oppenheim, per quanto egli citi più volte la specie in questione (Oppenheim, Monte Postale, 1896, pag. 150; Priabo- nasch., 1901, pag. 165; Alttert. Faun., 1901, pag. 246). Da terreni sempre coevi, è stato pure descritto di recente il Li- thocardium trentinum Oppenheim (. Priabonasch ., 1901, pag. 165, fig. 16 nel testo), del piano di Ronca, raccolto nel Trentino, a Fojaniche presso Rovereto. Il suo descrittore lo dice regolar- mente quadrangolare; ma tale carattere non ci sembra risulti dalla figura che ne ha dato. Certo, in confronto del nostro fos- sile, è assai meno allungato nel senso dell’asse, e molto più espanso nel diametro antero- posteriore; la earena è diritta, o quasi; il lato anteriore della conchiglia espanso e convesso; l’umbone non marcatamente prosogiro nè anteriore. Per tutte queste ditferenze non può ad esso assimilarsi il nostro fossile dalmatino. Dall’eocene medio di Ostròviza in Dalmazia ho già descritto recentemente il Cardium {Lithocardium) Bittneri (Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Palm., 1901, pag. 260, tav. 17, fig. 7); basta vederne la figura, per comprendere quanto sia lontano dal pre- sente individuo. Col Cardimi carinatum Broun (It. tert. Geb., 1831, pag. 105), figurato poi come Cardimi difficile Michelotti (Mioc. inf. It. Sept., 1861, pag. 173, tav. 8, fig. 18-19), crescono le somiglianze nell’aspetto generale; diminuiscono quelle nei caratteri delle coste, che in tale ben diffusa specie dell’Oligocene veneto sono, nella metà posteriore della conchiglia, più rade e più sviluppate, sì, ma anche assai meno nettamente definite. Meglio definite le avrebbe forse il Lithocardium erroris Oppenheim ( Priabonasch ., 1901, pag. 164, tav. 12, fig. 10), il quale presenta però il lato anteriore della conchiglia più espanso e meno fortemente rilevato; sul valore della sua distinzione specifica ho già altrove espresso alcuni dubbii (Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., 1904, pag. 260). Rimangono ancora le due note specie dell’eocene medio del bacino di Parigi: nel Lithocardium aviculare Lamarck (vedi Deshayes, Coq. foss., 1824, pag. 176, tav. 29, fig. 5, 6) la presenza di spine sulla carena assiale ed al margine superiore nella metà che sta dietro l’umbone, non che la forma marca- 33 476 G. DAINELLI tamente trigona, e l’essere le coste della metà posteriore della conchiglia mal definite, son tutti caratteri nettamente diffe- renziali. Il Lithocardium cymbulare Lamarck(vedi Deshayes, Coq. foss., 1824, pag. 178, tav. 29, fig. 11, 12) ha certo maggiori analogìe, per la forma generale tendente a divenir subquadran- golare, la prominenza del piccolo ambone, la mancanza di spine; ma in esso la carena è diritta, l’altezza è molto più sviluppata in paragone del diametro antero-posteriore, e le coste della metà posteriore della superficie conchigliare hanno il solito carattere di apparire mal definite. Il nostro fossile dalmatino proviene da Vàeiane. Tellina (Moera) patellaris Lamarck. 1806. Tellina patellaris - Lamarck, Ann. du Mus., voi. 7, pag. 232, voi. 12, tav. 41, fig. y. 1904. Tellina (Moera) patellaris - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 264 (cum syn.). Un individuo possiamo riunire con sicurezza alla presente specie, perchè proveniente da località, dove l’abbiamo già rac- colta in numerosi esemplari. Quanto alla descrizione, riman- diamo a ciò che ne abbiamo scritto di recente (op. cit.). La Tellina patellaris Lamarck è stata citata da S. Giovanni Uarione (Vicentino); Nizza; Mattsee (Alpi Settentrionali); Lan- geac e Saint Macaire (Francia); bacino di Parigi; Belgio. In Dalmazia era stata raccolta ad Ostròviza, e di qui pro- viene anche il presente fossile dalmatino. Tellina (Macaliopsis) colpodes Bayan. (Tav. VII, fig. 5-9). 1806. Tellina sinuata - Lamarck, Ann. du Mus., voi. 7, pag. 233, voi. 12, pag. 457, tav. 40, fig. 8. 1821. Tellina sinuata - Deshayes, Coq. foss., pag. 79, tav. 11, fig. 15-16. 1870. Tellina colpodes - Bayan, Moli, tert., pag. 119 (cum syn.). 1886. Tellina colpodes - Cossmann, Cat. ili. coq. foss. env. de Paris , pag. 65. Conchiglia piuttosto depressa, un po’ trasversa, dal contorno irregolarmente triangolare, inequivalve, inequilatere; l’umbone MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 477 è triangolare, poco rigonfio, quasi rettangolare all’apice, appena un po’ posteriore, diritto e prominente. Il bordo cardinale, da- vanti all’umbone, è ben sviluppato e rettilineo, inclinato in basso, regolarmente unito al margine anteriore, che, insieme a quello ventrale, presenta una curva assai regolare; il bordo cardinale, dietro l’umbone, è pure rettilineo ed inclinato in basso, ma un po’ più corto di quel che non sia quello opposto ; il margine posteriore è curvilineo, ma un po’ sinuoso. Il lato anteriore della conchìglia è il più espanso, è regolarmente ri- gonfio dall’umbone alla periferìa, ed uguale nelle due valve; il lato posteriore invece è meno sviluppato, nell’insieme più depresso, e differente nelle due valve. E cioè: nella valva de- stra, a circa un terzo del diametro trasverso a partire dal mar- gine posteriore, si osserva la parte centrale e più profonda di un ampio seno radiale, che, partendo dall’umbone, giunge alla periferia facendosi via via sempre più largo e più marcato; po- steriormente a questo seno si nota un rilievo pure radiale, ot- tuso; e al di là ancora, una incisione appena accennata. Nella valva sinistra invece non c’è che un seno minore, e piuttosto stretto, corrispondente al rilievo della valva opposta ; e al di là, un piccolo rilievo corrispondente alla minore inci- sione, della quale si è detto. Sono queste irregolarità della su- perficie conchigliare, che rendono sinuoso il bordo posteriore : sinuoso in ispecie nel piano di connessione delle due valve. La superficie è coperta da strie concentriche, assai fitte e sottili, mal visibili nel nostro esemplare, il quale non mostra nemmeno l’apparato cardinale. Abbiamo un solo esemplare, il quale è perfettamente con- servato nei caratteri generali della sua forma; il paragone di- retto con individui del bacino di Parigi ci fanno certi della determinazione; solo le dimensioni sono, nel nostro fossile, un Dimensioni : Altezza Diametro antero-posteriore . . Spessore delle due valve . . mm. 27 » 30 » 13. 478 G. DAINELLI poco minori : ciò potendo dipendere da differenze di età. Del resto i caratteri dei seni della parte posteriore della conchiglia sono tipici; solamente, sì per la figura data dal Deshayes ( op . cit.), come per gli esemplari parigini che abbiamo sott’occhio, noi conosciamo solo la valva destra. Nessun dubbio però vi può essere che i caratteri dati per la opposta sieno esatti, essendo nel nostro individuo conservate ugualmente bene, ed insieme, le due valve della conchiglia. La correzione del nome, per evitare una sinonimia, fu fatta dal Bayan (op. cit.), ed approvata poi dal Cossmann (op. cit.). La Lucina colpodes Bayan è stata citata dal bacino di Pa- rigi; dal Belgio; dai dintorni di Nizza. Il presente individuo dalmatino è stato raccolto a Gjèverske. Dentalium (Entalis) grande Deshayes. 1825 Dentalium grande - Deshayes, Mon. cìu geme Dentalium, pag. 45, tav. 8, fig. 1-3. 1904. Dentalium (Entalis) grande - Dainelli, Faun. eoe. di Brib'ir in Dalm., pag. 271 (cum syn.). Un solo frammento, abbastanza ben conservato, possiamo riunire sicuramente alla presente specie, della quale abbiamo di recente ripetuta la descrizione in tutti i suoi particolari. 11 Dentalium grande Deshayes è stato citato dal bacino di Parigi e dai dintorni di Nizza; forse anche da Roncà (Vicen- tino). In Dalmazia l’avevamo raccolto ad Ostròviza in numerosi esemplari; e da Ostròviza proviene anche il presente esemplare dalmatino. Belphinula De Stefanii Dainelli. (Tav. VII, fig. 10-12). 1905. Postalia De Stefanii - Dainelli, Faun. eoe. di Bribir in Daini., Pa- laeont. Ital., voi. 11, pag. 5, tav. 1, fig. 2. Un gasteropode in perfetto stato di conservazione quanto alla forma, e munito quasi interamente degli strati conchigliari con tutti gli ornamenti loro, mi permette, e mi obbliga, nello stesso tempo, di modificare una mia recente determinazione. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 479 Dai pressi immediati dei Ponti di Bribìr in Dalmazia (Dai- nelli, op. cit.), descrissi, specialmente da un individuo adulto di cui detti anche le misure, una specie nuova, caratteristica negli ornamenti, che io attribuii al genere, di recente fondato, Postalia Oppenheim ( Eoc.-faun . des Mt. Postale , 1896, pag. 165, tav. 18, fig. 1); altri individhi della stessa specie, provenienti da Ostròviza e Zazvic, riconobbi da frammenti di conchiglia ancora aderente all’unico anfratto conservato, che era l’ultimo. La determinazione generica era fondata sulla quasi identità di forma colla Postalia Postalensis Oppenheim (op. cit.), specie che aveva servito a porre il genere; pertanto, nella forma ge- nerale stessa già fin da allora riconoscevo alcune differenze nella mia nuova specie dalmatina, e più che altro nello svi- luppo dell’ultimo anfratto, che, relativamente, vi è di minori dimensioni che non nella specie di Monte Postale. Però, quanto all’aspetto della parte superiore della conchi- glia, che è quello più caratteristico, anche adesso, se ripren- dessi a descrivere il mio fossile di Bribìr, non potrei usare parole diverse da quelle della mia prima descrizione; e bisogna di fatti che vi riconosca una quasi identità con la specie di Oppenheim. Se non che il nuovo fossile di Dalmazia, che ho avuto in esame, presenta con quel primo comunanza, quasi assoluta, di ornamenti ; ma la forma generale ne è ben diversa ; sì che, essendo esso in perfetto stato di conservazione, bisogna che ri- conosca che non lo era invece il mio fossile di Bribìr, la cui forma superiormente depressa non è quindi naturale, ma effetto di una compressione, altrimenti non riconoscibile. Per cui debbo correggere la determinazione generica; trat- tandosi poi di specie nuova della quale adesso conosco alcuni nuovi caratteri, è bene ch’io ne ripeta qui la descrizione con le modificazioni ed aggiunte, che sono in grado di farvi. Conchiglia abbastanza rilevata, assai sviluppata e di forma ovale in senso trasverso; consiste di 3 anfratti rapidamente cre- scenti in diametro, ed abbastanza alti; l’ultimo poi, in specie in prossimità dell’apertura, acquista una altezza notevole; le suture sono assai infossate, essendo gli anfratti a sezione sub- circolare. La parte superiore della conchiglia è turbiforme con 480 G. DAINELLI l’ultimo anfratto, però, assai sviluppato in specie nella sua se- conda metà; la parte inferiore, nella quale si vede il solo ul- timo giro, appare assai incavata, non solo per l’ombelico, che è di per sè profondo, ma anche per la convessità dell’anfratto, straordinariamente rigonfio in specie verso l’apertura. La bocca è sempre assai grande ; meno negli individui giovani che negli adulti, in paragone delle altre proporzioni ; in quei primi ha forma rotonda, nei secondi leggermente ovale in senso trasverso, essendo un po’ più larga che alta. La ornamentazione consiste, nei due primi anfratti, in serie longitudinali (in numero di 8) di granulazioni distinte l’una dall’altra, allungate un poco nel senso della spira, abbastanza rilevate e riconoscibili ad occhio nudo; sulla parte esterna degli anfratti tali granulazioni ten- dono ad unirsi, in modo da costituire delle tenui coste longi- tudinali, ciascuna alternativamente più o meno rilevata ed ingros- sata. L’ultimo anfratto poi è, nell’individuo già descritto e figurato di Bribìr, tutto quanto coperto, dalla sutura superiore all’ombe- lico, da coste spirali, in numero di 16 nella parte opposta alla bocca, nette, piuttosto alte, ma strette, le quali, nella parte su- periore del giro si presentano come un alternato succedersi di piccoli rigonfiamenti (in larghezza e in altezza) e di strozza- ture : tale carattere si fa meno evidente nella parte esterna del giro, e sparisce poi in quella inferiore, dove, in specie presso aH’ombelico, tali coste sono intere, continue, ben rilevate e piut- tosto acuminate essendo strette. Intermedii a questi primi ri- lievi se ne hanno altri, i quali ne riproducono in tutto i diversi caratteri, ma che mantengono sempre proporzioni assai minori: talvolta diventano quasi evanescenti, talaltra acquistano dimen- sioni maggiori (mai però quelle delle coste principali), e in tal caso (nella parte esterna del giro), se ne osservano due. anziché uno solo, intermedii tra due delle coste maggiori. Nell’esemplare dalmatino, invece, che abbiamo adesso in esame, l’ultimo anfratto, sulla parte opposta alla bocca, pre- senta non meno di 20 coste spirali, le quali, nella parte supe- riore dell’anfratto, hanno, un po’ più attenuato che nell’indi- viduo di Bribìr, lo stesso suo carattere di alternati rigonfii e strozzature ; il qual carattere diminuisce ai lati dell’anfratto, e sparisce inferiormente. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 481 Non si nota però alternanza tra coste maggiori ed altre, in- termedie, più fini; solo qua e là, ma senza regola, se ne os- servano alcune con dimensioni minori. Questo fatto, unito all’altro del maggior numero di coste, ci fa pensare che quelle inter- medie, minori, possano da individuo a individuo, o negli indi- vidui più adulti, assumere proporzioni maggiori, fino a raggiun- gere aspetto uguale alle altre. Diamo le dimensioni del nuovo individuo, accanto a quelle già pubblicate, dell’esemplare di Bribìr, affinchè risalti lo schiac- ciamento da questo sofferto, ma che pure non sarebbe stato ri- conoscibile, se il caso non ci avesse dato un individuo in per- fetto stato di conservazione, al quale paragonarlo. Dimensioni : Individuo Individuo di Bribìr di Imoschi Altezza totale mm. 23 . . . 32 Diametro massimo .... » 44 . . . 43 Altezza della bocca . . . » 17 . . . 17 Larghezza della bocca, circa » 23 . . . 22. La presente specie si può paragonare con efficacia alla eocenica Delphinula lima Lamarck (vedi Deshayes, Coq. foss., pag. 203, tav. 24, fig. 7, 8, 1824), la quale però presenta dimensioni mi- nori e forma generale più raccolta, avendo l’ultimo anfratto meno espanso; anche gli ornamenti, che pur son simili nel loro insieme, si mostrano poi diversi nei particolari, essendo le coste longitudinali date da tante serie di tubercoletti più o meno sviluppati ; vi mancano poi del tutto coste minori, intermedie. Avendo dovuto modificare la determinazione generica dei nostri primi fossili dalmatini, così non possiamo più adesso so- stenere, come altrove abbiamo fatto, la improbabilità che il ge- nere Postalia Oppenheim debba porsi vicino al Diapliorostoma Fischer (Manuel de Condì., 1887, pag. 756, fig. 521); però ri- manendo ancora di tale persuasione. Che invece sia non lon- tano dalle Acleorbis, come dicemmo a suo tempo esser nostra opinione, è ciò che crediamo sempre; tanto più che il muta- 482 G. DAINELLI mento di determinazione dei nostri fossili ci mostra questa pa- rentela non improbabile. Il presente fossile dalmatino proviene da Imoscki. Trochus (Tectus) cfr. Radimirii Dainelli. 1905. Trochus (Tectus) Radimirii - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 6, tav. 1, fig. 17. Due modelli interni attribuiamo a questa stessa specie, per la esatta corrispondenza della forma generale e dell’andamento della spira, e per essere essi stati raccolti nella località di dove provenivano gli esemplari tipici. Del resto, stante il loro stato di conservazione, non mostrano affatto i caratteristici ornamenti degli anfratti. Tale specie di Dalmazia era citata da Vàciane e da Ostrò- viza; da Yàciane provengono anche i presenti individui. Trochus yacianensis n. sp. (Tav. VII, fig. 13-14). Conchiglia conica, poco alta, abbastanza largamente imba- sata; gli anfratti, il cui numero non è presumibile dal nostro unico esemplare, appaiono piuttosto alti e rapidamente crescenti in altezza, mentre, in paragone, non lo sono di più nel diametro. La loro superficie è poco rigonfia da una sutura all’altra ; e que- ste sono non molto inclinate sull’asse della conchiglia, lineari, ben nette e visibili. L’ultimo anfratto è notevolmente più svi- luppato dei precedenti; la base, per quanto conservata solo in piccola parte, appare assai rigonfia, mentre il suo bordo esterno forma un angolo poco più che retto con la superficie laterale dell’ultimo anfratto. La bocca non è visibile, ma supponibilmente più larga che alta, e forse a sezione irregolarmente trapezoidale. Gli ornamenti consistono in coste spirali, in numero di 8 nel- l’ultimo anfratto, ben nette e rilevate, rotondeggianti, separate da solchi a sezione curvilinea ed abbastanza profondi; presso all’angolo che limita la superficie dell’ultimo giro dalla parte basale della conchiglia, si nota una costa assai più larga, ma MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 483 non più rilevata delle precedenti ; non si può dire se essa si continui con gli stessi caratteri, oppure vada attenuandosi fino a sparire, negli anfratti precedenti. La ornamentazione della base non ditferisce da quella del rimanente della spira. Dimensioni in parte approssimate: Altezza totale circa mm. 18 Diametro massimo. ... » » 18 Altezza dell’ultimo anfratto . . . » 9. Abbiamo un solo individuo, e non in perfetto stato di con- servazione; pertanto ci pare di poterlo descrivere come appar- tenente ad una specie nuova. Come forma simile vedasi il Tro- clms uniangularis Deshayes ( Coq . foss., 1824, pag. 238, tav. 29, fig. 19-22 ; tav. 30, fig. 6-9), il cui nome venne cambiato in Trochus subcarinatus Deshayes (Am. sans. vert ., 1864, p. 955), ponendogli sinonimo il Trochus cijclostoma Deshayes (Coq. foss., 1824, pag. 237, tav. 29, fig. 9-10, 14): tutte specie che il Cossmann non ha poi citato nella sua revisione dei molluschi eocenici del bacino di Parigi ( Cat. ili. des coq. foss. de l’éoc. des env. de Paris, voi. 3, 1888); nè ce ne sappiamo spiegare la ragione. Le analogie tra la presente forma dalmatina ed il Trochus subcarinatus Deshayes sono grandi ; la specie parigina però non ha gli anfratti rigonfii, ha coste spirali più fini e sottili e di- mensioni molto più piccole. 11 presente nostro fossile di Dalmazia è stato raccolto a Va- riane. Velates Schmidelianus Chemnitz. 1786. Nerita Schmideliana - Chemnitz, Concliyl.-Kab., 9, pag. 130, tav. 14, fig. 975, 976. 1906. Velates Schmidelianus - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Palm., pag. 14, (cum syn.). Numerosi esemplari ben conservati, di ogni età e dimen- sione ; vedasi quel che abbiamo detto, recentemente ed altrove ( op. cit.J, di questa specie ben conosciuta. 484 G. DAINELLI Non stiamo a citare le località dove è stata raccolta, essendo innumerevoli. In Dalmazia è stata citata da Yalki Totschek, Yacziani presso Scardoua, Gjèverske, Yàciane, Ostròviza, Zazvic, Ponti di Bribìr, Bèncovaz, Kasic. I presenti individui dalmatini sono stati raccolti a Gjèverske. Natica (Cepatia) cepacea Lamarck. 1824. Natica cepacea - Deshayes, Env. de Paris , p. 168, tav. 22, fig. 5, 6. 1905. Natica (Cepatia) cepacea - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 23, (curii syn.). Due esemplari, per quanto mal conservati, sono di sicura determinazione ; di un terzo, essendo un po’ deformato, si può proporre un semplice ravvicinamento per eccesso di prudenza. Ma la diffusione della specie ci fa credere che anche esso po- trebbe esserle riferito senz’altro con sicurezza. Della Natica cepacea Lamarck vedasi cosa abbiamo già detto di recente (op. cit.). Essa è molto frequente nell’Eocene Medio del Yeneto: è stata poi citata dal Friuli, da Trento; da Einsiedeln e daThun; da Carpano in Istria; da Haskovo in Ungheria; da Konjavac e Tre- bistovo in Erzegovina; da Nizza; dalla Loira inferiore; dal ba- cino di Parigi; dai Pirenei; dall’India. In Dalmazia è stata citata dai Ponti di Bribìr, da Zazvic e da Ostròviza, e da Kasic. I presenti fossili dalmatini sono stati raccolti a Vàciane, a Imosclii, e a Zaton presso Sebenico. Natica (Ampollina) cfr. sigaretina Lamarck. 1804. Ampullaria sigaretina - Lamarck, Ann. du Mus., tom. 5, pag. 32, n. 10; tom. 8, tav. 6, fig. 1. 1905. Natica (Ampullina) sigaretina - Dainelli, Faun. eoe. di Britnr in Daini., pag. 2c, (cum syn.). Un piccolo individuo di Natica ci pare di poter attribuire con certezza a questa ben nota specie; se non che il suo stato non perfetto di conservazione ci induce a proporre un semplice ravvicinamento. Del resto i caratteri della spira, dell’apertura e della forma generale della conchiglia sono tipici. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 485 Dimensioni: Altezza Diametro massimo . . Altezza della bocca . . Larghezza » » . . mm. 16 » 18 » 12 » 10. La Natica sigaretina Lamarck, è stata citata da numerose località dell’Eocene Veneto ; da Haskovo (Ungheria) ; da Konjavac, Trebistovo; Gnojnica (Erzegovina); dai dintorni di Nizza; dai Diablerets, Gap; dal bacino di Parigi; dalla Loira inferiore; dai Pirenei; Biarritz; dai Bacini inglesi; dal Belgio; dall’Egitto; dall’Asia Minore e dall’India. In Dalmazia è stata citata dai Ponti di Bribìr, da Zazvic e da Ostròviza, e da Kasic. Il presente fossile dalmatino proviene da Botticelle presso Spalato. 1823. Ampullaria Vulcani - Brongniart, Terr. de séd. super, cale, trapp. du Vie., pag. 57, tav. 2, fìg. 10. 1905. Natica (Ampullina) Vulcani - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini , pag. 27, (cura syn.). Un individuo allo stato di modello interno, cito senz’altro, come appartenente a questa specie, perchè raccolto in località dalla quale ne ho già citati abbastanza numerosi esemplari, coi quali ho direttamente paragonato il presente. Si confronti cosa si è già scritto di recente sulla Natica Vulcani Brongniart. Essa è stata citata da numerose località dell’Eocene Veneto; da Kosavin (Croazia); da Kermetlik (Bal- cani); da Dabrica e Trebistovo (Erzegovina); da Bristewnicka Kjeka, Lopare, Veselnovac (Bosnia); da Piszke, Gran, Sarisap, Dorogh (Ungheria); Cormons (Friuli); Guttaring, Krappfeld (Ca- rinzia); Polschitze (Carniola); Oberburg (Stiria) ; Nizza, Gap, Diablerets; Cuise-Lamotte (Oise) ; Levit (Alpi Marittime); Bran- cha'i. In Dalmazia è stata citata da Dubràviza, Ostròviza e Zazvic. Il presente fossile dalmatino è stato raccolto ad Ostròviza. Natica (Ampullina) Vulcani Brongniart. 486 G. DAINELLI Natica (Ampullina) cfr. intermedia Deshayes ? Conchiglia ovale globulosa, di mediocri dimensioni; degli anfratti solo i tre ultimi sono ben visibili e molto sviluppati; dei precedenti se ne distinguono solamente due. Essi crescono assai in altezza, e, in paragone, meno in diametro, sì che ne viene l’aspetto generale della conchiglia allungato ed acuminato su- periormente. La sutura è abbastanza inclinata sull’asse della conchiglia ; nella sua vicinanza e nel senso della spira, gli an- fratti presentano come una fascia alquanto depressa, la quale si unisce col rimanente della superfìcie regolarmente arrotondata, mediante un angolo smussato. L’apertura è ovale, allungata, dilatata in basso, ristretta in alto; il bordo esterno è quasi diritto e quasi parallelo all’asse della conchiglia; il bordo in- terno non è visibile. Le rassomiglianze maggiori che questo individuo ha con specie già note, sono certo con la Natica intermedia Deshayes {Coq. foss., pag. 177, tav. 22, fig. 1, 2, 1824); differenze non ne sapremmo riconoscere tra le due forme. Però la mancanza di alcuni caratteri nel nostro fossile, per esempio quelli della re- gione ombelicale, i quali non sono affatto visibili per difetto di fossilizzazione, ci inducono a proporre solo un dubbioso rav- vicinamento. La Natica intermedia Deshayes proviene dal bacino di Pa- rigi; da Highgate (Cossmann, Cat. ili. coq. foss. env. de Paris, 1888, fase. 3, pag. 178); e da Miladici in Bosnia (Oppenheim, Alttert. Faun., pag. 257, 1901). Il nostro fossile dalmatino proviene de Gjèverske. Dimensioni: Altezza totale mm. 36 » 27 » 24 » 13. Diametro massimo Altezza della bocca Larghezza massima della bocca . MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 487 Natica (Ampullina) incompleta Zittel. 1863. Natica (Ampullina) incompleta - Zitte], Ob. Numm.- forni, in Ung., pag. 378, tav. 2, fig. 3, a , b. 1905. Natica (Ampullina) incompleta - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm, pag. 29, ( cum syn.). Un individuo, per quanto mal conservato, attribuisco a questa specie, avendolo potuto confrontare con altri e migdiori esem- plari. Vedasi cosa si è detto altrove intorno alla sinonimia (op.cit.). La Natica incompleta Zittel è stata citata da Roncà (Vicentino) ; Dabrica (Erzegovina); Lopare, Sibosica Rjeka (Bosnia); Pusta Forna, Dorogh, Tokod (Ungheria) ; Guttaring (Carinzia) ; forse anche da Balak Xeni (Tracia). In Dalmazia è stata riconosciuta dalle località di Dubràviza, di Ostròviza e da Kasic. Il presente fossile dalmatino proviene da Gjèverske. Diastoma costellatimi Lamarck. 1804. Melania costellata - Lamarck, Ann. du Mus., voi. 4, pag. 430, voi. 8, tav. 60, lig. 2. 1905. Diastoma costellatum - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm., pag. 33, (cum syn.). Due esemplari mal conservati, ma sicuramente attribuibili a questa caratteristica specie; per la sinonimia e la descrizione rimandiamo a ciò che se ne è scritto di recente ( op . cit.). Il Blastoma costellatum Lamarck è stato citato da quasi tutte le località fossilifere del Vicentino ; da molte località d’Un- gheria; da Trebistovo e Dabrica (Erzegovina); bacino di Parigi; Pirenei; Dego, Carcare, ecc. (Piemonte) ; Gaas, Lesbarritz, ecc.; Gap, Diablerets, Faudon, ecc. In Dalmazia è stato raccolto al Monte Promina, a Zazvic, Vàciane, ai Ponti di Bribìr, ed a Kasic. I presenti due individui dalmatini provengono da Imoschi e da Gjèverske. 488 G. DAINELLI Oerithium Fontis-Felsineae Oppenheim. 1894. Cerithium Fontis-Felsineae - Oppenheim, Mt. Pulii, pag. 396, tav. 95, fig. 8-10. 1905. Ceritliium Fontis-Felsineae - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm., pag. 42, (cum syn.). Esemplari abbastanza numerosi ed abbastanza ben conser- vati, mostrano tali caratteri, che non si può non riconoscerli sicuramente come individui di questa tipica specie di Oppen- heim. Essi corrispondono con estrema esattezza ai caratteri che presentano gli esemplari originarii figurati (Oppenheim, op. cit ., tav. 25, fig. 8, a, h, 10), e lo stesso autore dette in seguito (Mt. Tostale , pag. 186, tav. 15, fig. 7, 1896), e che io ripetei da un fossile raccolto in Dalmazia (Dainelli, op. cit.). Per questo, sembrandoci superfluo ripetere una descrizione così recente e completa, ci limitiamo a dare le dimensioni dei nostri esemplari. Il Cerithium Fontis-Felsineae Oppenheim è stato citato da Monte Pulii e Monte Postale nel Vicentino, e da Ostròviza in Dalmazia. I presenti individui dalmatini provengono da Bra tiskovic presso Scardona. 1823. Rostellaria corvina - Brongniart, Terr. sup. calc.-trapp. du Vicentin, pag. 74, tav. 4, fig. 8. 1905. Cerithium corvinum - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 37, tav. 2, fig. 9, 10 (cum syn.). Due individui, parzialmente conservati ma sicuramente ri- feribili a questa ben nota specie. Quanto ai limiti che ad essa e a quelle vicine noi attribuiamo, vedasi quanto ne abbiamo scritto di recente con ogni dettaglio (op. cit.). Dimensioni : Altezza totale . . Diametro massimo . circa mm. 75 . » » 25. Cerithium corvinum Brongniart. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 489 Il Ceritlùum corvinum Brongniart è stato citato da Ronca, Monte Pulii, Monte Zoppega, (Vicentino); dai dintorni di Trento; da Lablatan, Pussta Forna, Piszke, Bajot (Ungheria). In Dal- mazia è stato raccolto a Vàciane e ad Ostro viza ; da Ostròviza provengono pure i due presenti esemplari dalmatini. Ceritliium (Campanile) Lacliesis Bayan. 1870. Cerithium Lacliesis - Bayan, Terr. tert. de la Vén., pag. 478. 1905. Cerithium (Campanile) Lacliesis - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Dalm., pag. 46. tav. 1, fig. 9-11, (cum syn.). Numerosi individui sicuramente determinabili, ed alcuni in assai buono stato di conservazione. Stimiamo inutile aggiungere parola a quanto abbiamo di recente (op. cit ,) scritto intorno ai caratteri e alla bibliografia di questa ben nota specie. Il Cerithium Lacliesis Bayan è stato citato da Roncà e Monte Pulii (Vicentino); Trebistovo e Konjavac (Erzegovina); G-allio (Sette Comuni); forse ad Haskovo (Bulgaria). In Dal- mazia è stato raccolto ai Ponti di Bribìr, Ostròviza, Zazvic e Vàciane. I presenti fossili dalmatini provengono tutti da Gjèverske. Ceritliiiun (Potamides) cfr. Vulcani Brongniart. 1823. Terebra Vulcani - Brongniart, Terr. sup. calc.-trapp. du Vicent., pag. 67, tav. 3, fig. 11. 1905. Cerithium (Potamides) Vulcani - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 60, (cum syn.). Un solo esemplare, in cattivo stato di conservazione, è, per questo, riferibile solo con dubbio alla presente specie, della quale pertanto mostra alcuni caratteri tipici. II Cerithium Vulcani Brongniart è stato citato da Roncà, Monte Pulii e Guata (Vicentino); Kosavin (Croazia). In Dal- mazia è stato raccolto ad Ostròviza, Ponti di Bribìr, e forse a Zazvic. Il presente individuo dalmatino proviene da Vàciane. 490 G. DAINELLI Ceritliium sp. Numerosi modelli interni, dei quali è riconoscibile solo il genere, non possono nemmeno ravvicinarsi ad alcune delle molte specie di Cerithium riconosciute sicuramente tra i presenti fossili. Essi provengono da Imoschi, Ostròviza, Yàciaue e Gjèverske. Strombus (Oucoma) Tournoueri Bayan. 1870. Strombus (?) Tournoueri - Bayan, Moti, tert., pag. 45, tav. 7, fig. 5, 6. 1905. Strombus ( Oncoma ) Tournoueri - Dainelli, Faun. eoe. di Britnr in Daini., pag. 67, (cum syn.). Tre individui, ai quali uniamo anche un modello interno proveniente dalla stessa località, riferiamo con sicurezza alla presente specie. Quanto alla intricata sinonimia di questa e delle forme affini, vedasi cosa ne abbiano scritto recentemente (op. cit.), ed in modo esauriente secondo le nostre idee. Lo Strombus Tournoueri Bayan è stato citato da S. Giovanni Ila- rione, Grancona, St. Trinità (Vicentino) ; dal Tongriano di Pie- monte; da Rio Zimor, Stella, R. Tasaripariam, Attimis- (Friuli); Trebistovo (Erzegovina); Tokod, Dorogh, Bajna, Piszke, Mogyoròs (Ungheria). In Dalmazia abbiamo già raccolto nelle località di Variane e di Ostròviza. I presenti individui dalinatini provengono da Gjèverske. Terebellum (Seraphs) sopitum Solander. 1766. Bulla sopita - Solander in Brander, Foss. Hanton., tav. 1, fig. 29. 1905. Terebellum (Seraphs) sopitum - Dainelli, Faun. eoe. di Brib'ir in Daini., pag. 75, (cum syn.). Un piccolo esemplare facilmente determinabile; quanto alla descrizione e alla discussione della specie, vedasi cosa ne ab- biamo scritto di recente {op. cit.). II Terebellum sopitum Solander, è stato citato dal bacino di Parigi ; dallTngkilterra ; Belgio ; Pirenei ; Nizza ; da innume- MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 491 revoli località dell’Eocene veneto; dal Friuli; Konjavac (Erze- govina); Haskovo (Bulgaria); Bakony (Ungheria); in Dalmazia è stato raccolto nelle località di Ostròviza, dei Ponti di Bribìr, e di Kasic. Il presente fossile dalmatino proviene da Vàciane. Rostellaria Postalensis Bayan ? 1870. Rostellaria Postalensis - Bayan, Études, pag. 47, tav. 2, fig. 1, 2. 1894. Rostellaria Postalensis - De Gregorio, Foss. eoe. Mt. Postale, pag. 12, tav. 1, fig. 31-33 (curri syn.). 1896. Rostellaria Postalensis - Oppenheim, Eoe. fauna Mt. Postale, pag. 193, tav. 17, fig. 2, 3 (cum syn.). 1896. Rostellaria Postalensis - Vinassa de Regny, Syn. Moli. terz. Alpi Ven ., pag. 223. Di un nostro fossile dalmatino possiamo dare solo una deter- minazione dubbiosa, perchè conservato allo stato di modello in- terno. L’andamento, però, della spira e la forma generale, parago- nati specialmente alle figure offerte daH’Oppenheim ( op . cit.), ci fanno credere molto probabile il ravvicinamento proposto. Anche le dimensioni relative corrispondono esattamente a quelle del- l’esemplare rappresentato alla fig. 2. Crediamo inutile descrivere il nostro modello, perchè certo non se ne accrescerebbe la cono- scenza che già si ha della Rostellaria Postalensis Bayan; d’altra parte, dato il suo stato di conservazione, è più presto e meglio detto che esso corrisponde esattamente al tale esemplare già figurato, anziché dare una descrizione che certo riuscirebbe im- perfetta. Tale specie proviene da Monte Postale, nel Vicen- tino. Il nostro individuo dalmatino è stato raccolto a Gièverske. Rostellaria Crucis Bayan? 1870. Rostellaria Crucis - Bayan, Moli, tert., pag. 46, tav. 8, fig. 5-6. 1905. Rostellaria Crucis - Dainelli, Faun. eoe. di Bribìr in Daini., pag. 77, (cum syn.). Un non bello esemplare, conservato solamente nei suoi due ultimi anfratti, presenta alcuni caratteri nell’andamento delle 84 492 G. DAINELLI coste trasverse alla spira, nello sviluppo di questa, e del ca- nale, e nella striatura basale, che ci fanno supporre probabile l’avvicinamento proposto. Quanto ai caratteri della specie, ed alle questioni di si- nonimìa che vi si riconnettono, vedasi quanto già ne abbiamo scritto di recente. La Rostelìaria Crucis Bayan è stata citata da S. Giovanni Ilarione, Croce Grande, Ciuffo, Costa Grande, nel Vicentino; da Zazvic e dai Ponti di Bribìr in Dalmazia. Il presente esemplare dalmatino, che le ravviciniamo, è stato raccolto a Vàciane. Fusus subcarinatus Lamarck? 1806. Fusus subcarinatus - Lamarck, Ann. du Mus., voi. 3, pag. 387. 1823. Fusus subcarinatus - Brongniart, Terr. sup. caie, trapp. du Vi- cent., pag. 73, tav. 6, fig. 1 a, b, c. 1824. Fusus subcarinatus - Deshayes, Coq. foss , pag. 565, tav. 77, fig. 7-14. 1862. Fusus subcarinatus - Zittel, Ob. Numm. TJngarn. 1890. Fusus subcarinatus - De Gregorio, Foss. di Bassano. 1894. Fusus subcarinatus - Oppenheim, Mt. Pulii , pag. 438. 1896. Fusus subcarinatus - De Gregorio, Boncà, pag. 46 (cum syn.). Abbiamo un individuo di Gasteropode assai deformato; però gli ornamenti che vi si vedono, in parte abbastanza chiaramente, e l’aspetto generale, quale lo si può ricostruire, coincidono con quelli di questa caratteristica forma dell’Eocene medio. Natural- mente però, per quanto noi abbiamo fatto il diretto confronto con numerosi individui ben conservati del Vicentino e di Fran- cia, non diamo una determinazione sicura, a causa della imper- fetta conservazione. Il Fusus subcarinatus Lamarck è stato citato dal bacino di Parigi, da Boncà nel Vicentino, e da Tokod e Dorogh in Un- gheria; il nostro individuo dalmatino è stato raccolto a Và- ciane. MOLLUSCHI EOCENICI DI DALMAZIA 493 Fusus sp.? Un piccolo modello interno si può attribuire dubbiosamente a questo genere ; certo, nell’andamento della spira e nella forma generale ne ha tutte le apparenze; ma non ci possiamo nascon- dere la incertezza di una determinazione anche solamente gene- rica. Si potrebbe forse attribuire pure ad un individuo di Rostellaria. Dimensioni : Altezza mm. 32 Diametro massimo » 13. Il presente fossile dalmatino proviene da Imoschi. [ms. pres. il 17 giugno 1906 - ult. bozze 15 settembre 1906]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1-4. Cardium (Lithocardium) Gasperinii, n. sp. — Vàciane. » 5-9. Tellina ( Macaliopsis ) cólpodes Bayan. — Giéverske. » 10-12. Delphinula De Stefanii Dainelli. — Imoschi. » 13-14. Trochus vacianensis, n. sp. — Vàciane. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXV (1906) (Dainelli) Tav. VII. ELIOT CALZOLARI» TERRARIO- MILANO FIBULARIDI DEL MIOCENE MEDIO DI S. GAVINO A MARE (PORTOTORRES) SARDEGNA Nota del dott. G. Capeder (Tav. X) È nota la ricca fauna echinologica del miocene della Sar- degna, illustrata già dal Meneghini ('), dal Lamarmora (2), dal Desor (3), dal Michelin (4), dal Parona (5), dal Cotteau (6), dal Lovisato (7), dall’Airaghi (8), per cui « finora si sarebbero trovate già 69 specie d’echinidi, delle quali ben 36 sarebbero proprie almeno finora dell’isola » (9). Però sulle Fibularidi, a parte po- che specie trovate dal Lovisato e descritte dal Cotteau (l0) non venne fatto alcuno studio speciale e tanto meno fu studiata la ricchissima fauna che ho trovato negli strati che affiorano nei dintorni di Portotorres a S. Gavino a mare, a pochi metri sul- l’attuale livello. I limiti di quest’affioramento si possono rilevare anche dalle carte topografiche, perchè segnati dall’erosione del mare sulla ( 1 ) Paléont. de Vile de Sardaigne, 1857. (2) Voyage en Sardaigne, Turin, 1857. (3) Descrip. d. Ecliin. foss. Paris, 1857. C) Mon. d. Clyp. foss. Mém. soc. géol. fr. 1861, tav. VII. (5) App. p. la paleont mioc. d. Sardegna. Boll. soc. geol. it., voi. VI, fase. Ili, 1887. (6) Descr. d. ecliin. mioc. d. la Sardaigne. Mém. soc. geol. fr., tav. V, fase. II, 1895. (7) Le specie fossili di Bonaria e S. Bartol. Cagliari, 1903. (8) Di alcuni conoclipeidi. Att. soc. it. se. nat., 1900. Ecliin. mioc. d. Sardegna. Att. soc. it. se. nat., 1905. (9) Ai raghi, op. cit., 1905, pag. 4. (10) Op. cit., 1895, pag. 18, 19. 496 G. CAPEDER costa, la quale quivi si trova incisa a perpendicolo e solcata da canaloni e anguste forre e grotte, mentre sopra e sotto tale affioramento, il pendio della costa è dolce e però viene in- vaso dalle dune che possono anche raggiungere i 7 m. di al- tezza. Questo affioramento è tanto limitato, che ha soli 5 Km. di estensione ; è formato di banchi quasi orizzontali, fisicamente diversi e litologicamente costituiti per lo più di una arenaria line dell’aspetto della pietra cantone di Sassari ma assai più di questa ricca di fossili, specialmente di piccole forme di echi- nidi, di molluschi e di foraminifere. Fra gli echinidi da me trovati in questo deposito, sono par- ticolarmente abbondanti, per numero di individui e varietà di specie gli echinidi irregolari appartenenti alla famiglia delle Fi- bularidi nei due generi Echinocyamus e Fibularia. Nè mancano i regolari rappresentati specialmente da radioli e da forme pic- colissime di Salenidi ed Arbacidi, ma stante la estesa biblio- grafia e la conseguente difficoltà di determinare esattamente questi echinidi, ho stimato opportuno di limitarmi a descrivere le sole forme di Fibularidi che ho potuto riconoscere in questo deposito. Queste Fibularidi si trovano in uno stato quasi per- fetto di conservazione, così da permettere il più minuto esame di ogni loro carattere. Avendone ormai raccolti ed esaminati pa- recchie migliaia di esemplari, ho potuto stabilire fra essi larghi paragoni, farmi un concetto della variabilità nei caratteri di queste forme ed imparare ad apprezzarle a quel grado che richie- desi per la loro distinzione specifica. E così sono gradualmente venuto alla convinzione che uno studio di quelle forme non sa- rebbe riuscito del tutto inutile, specialmente perchè finora non si conoscono che poche specie di Fibularidi del suolo italiano descritte dal Sismonda e dal Cotteau e perchè il presente stu- dio avrebbe potuto portare qualche contributo alla conoscenza della fauna echinologica, già sì estesa, del miocene settentrionale della Sardegna. Mi è qui grato perciò di esprimere i miei ringraziamenti al chiarissimo prof. Parona pel suo valido aiuto nel procurarmi e nel facilitarmi la consultazione di opere rare, nonché al prof. Ai- raghi ed al sig. Forma, che pure gentilmente si prestarono per utili indicazioni. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 497 * * * Raccolta del materiale. — Il materiale raccolto è abbondan- tissimo: si tratta, come ho detto, di parecchie migliaia di esemplari che sono a mia disposizione. Ciò lo debbo alla straordinaria ab- bondanza di individui che si trovano nella località citata, ab- bondanza più unica che rara, almeno per quanto risulta dalle mie conoscenze sui vari affioramenti miocenici e località fossi- lifere della provincia di Sassari. In certe aree la roccia risulta costituita quasi esclusivamente dei gusci di queste Fibularie; però la raccolta non è concessa in ottime condizioni, nè con- viene perciò di eseguirla, che ove la roccia è decomposta dalle vicende atmosferiche e la lenta azione dilavatrice e solvente delle acque piovane l’ha naturalmente disgregata, lasciando in- tatti i gusci degli echinodermi, i quali con una semplice lava- tura si hanno perfettamente puliti. Preparazione del materiale. — Tutti coloro che ebbero a studiare questi piccoli eehinodermi, tralasciarono soventi nelle loro descrizioni parecchi caratteri, anche fra i più importanti, ed ebbero pure, per loro stessa confessione, a trascurare mol- tissime forme od a raggrupparle in una, pur convinti della etero- geneità degli individui del gruppo, pel semplice fatto di non poter trovare caratteri differenziali sufficientemente costanti, o meglio facilmente riconoscibili in tutti gli esemplari così da poterneli separare. Ma se in realtà qualche volta (’) « cosi piccole sono le differenze fra le specie di questo genere che esse differenze risultano di un debole aiuto » e che « la deter- minazione corretta degli echinocyami è sovente singolarmente difficile, perchè si ha (pena) di trovare caratteri sufficientemente precisi: la forma generale potendo essere molto variabile, come è facile di assicurarsi esaminando un gran numero di esem- plari della specie dei mari d’Europa » ; generalmente poi, « è raro di poter distinguere nettamente gli ambulacri delle specie (') P. de Loriol, Descrip. de quélques echinodermes , Bull. Soc. Géol. de France, t. XXV, 1897, pag. 115. 498 G. CAPEDER fossili e la posizione del periprocto non offre sempre per esse un termine di paragone affatto sicuro ». Aggiungasi che l’apparato apicale, anche negli esemplari ben conservati è di rado visibile e difatti il solo Pomel ('), fra i tanti che si occuparono di queste forme, riporta nelle sue fi- gure e per qualche specie soltanto, la posizione dei pori genitali e dei pori ocellari. Ciò devesi in massima alla mancanza di una preparazione che valga a far risaltare le particolarità, che per il poco o nessun rilievo e la piccolezza, sfuggono o non riescono visibili neppure col microscopio, perchè le suture ambulacrali ed interambula- lacrali hanno egual colore delle piastre ed i pori della rosetta apicale sono sovente otturati, tanto che il Sismonda (2), che per la prima volta nel 1842 ebbe ad incontrare queste forme nel miocene della collina di Torino, le dichiarò appartenere ad echi- nodermi affatto privi di ambulacri, creando per esse il nuovo genere Anaster. Io ho sperimentato un processo di colorazione del guscio di questi piccoli echinodermi, che per i buoni risultati che mi ha dato e per avermi di molto facilitato la loro determinazione fa- cendone oltremodo risaltare tutte le particolarità, nonché per- messa la riproduzione fotografica, non dubito di proporre a tutti coloro che vorranno ancora occuparsene, certo del vantaggio che ne trarranno, sopratutto nel riguardo ad un più facile e si- curo riferimento specifico. Gli esemplari ben puliti debbono essere immersi in una so- luzione colorante acquosa preferibilmente nera (3); con una pin- zetta poi, ad uno ad uno esposti cosi bagnati entro la fiamma di una candela. Dopo qualche frazione di secondo, essi saranno asciutti e per di più coperti di un sottilissimo ed uniforme strato aderente di nero fumo : la soluzione colorante essendo penetrata per capillarità e per effetto del calore nei pori più minuti del D) Paléont. frane. Descrip. des animaux foss. de V Algerie, Zoophytes, Écbinodermes, 2me fase., 1887, tav. X, fig. 2, 6, 16. (2) Monografia degli echinidi foss. del Piemonte. Mem. R. Acc. Se. To- rino, serie II, tomo IV, anno MDCCCXLII, pag. 44, tav. II, fig. 8, 9. (3) Ottimamente si presta a questo scopo il tannato di ferro perché quando é secco non è più solubile nell’acqua pura o leggermente acidula. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 499 loro guscio, determinando altresì un abbondante deposito di nero fumo. Gli esemplari, previa immersione nell’alcool, devono poi essere introdotti per il tempo necessario, assieme con una solu- zione diluitissima di un acido debole, in un recipiente in movi- mento continuo. Per effetto meccanico dell’attrito reciproco delle parti sporgenti del guscio e per la differenza di azione chimica dell’acido sulla sostanza calcarea che forma le piastre e quella che forma le suture, il nero fumo non rimarrà aderente che sulle linee suturali come pure sui pori ambulacrali ed apicali, i quali di conseguenza risalteranno anche se otturati e l’insieme potrà pure agevolmente essere riprodotto a forti toni, coi soliti metodi fotografici; ciò a titolo di maggiore chiarezza e fedeltà di riproduzione. * * * Il numero delle specie incontrate in questo deposito appare abbastanza notevole: 25 in tutto, delle quali 19 nuove. Di que- ste 19 forme nuove, 12 appartengono al genere Echinocyamus e 7 al genere Fibularia. Del primo genere si conoscono moltissime forme dell’eocene, del miocene, del pliocene ed attuali. Pel miocene Sardo però sono note solamente VE. pseudopusillus Cott. e VE. Marioi Cott. Del secondo genere si conoscono specie del cretaceo, dell’eo- cene e viventi, ma per quanto è venuto a mia conoscenza non furono ancora descritte forme mioceniche. Questa fauna da questo punto di vista, sembra perciò particolarmente interessante. Tali forme provengono tutte da una medesima località, il che sarebbe notevole per la ricchezza di specie. È a notarsi però, che quivi le condizioni dovevano essere straordinariamente favorevoli allo sviluppo di questi piccoli echinodermi, come lo dimostra l’abbondanza degli individui. Le scarse specie viventi ci fanno apparire considerevole questa ricchezza di specie ter- ziarie, ma bisogna considerare che tutte queste forme non pro- vengono da un unico strato, ma dai moltissimi regolarmente sovrapposti a formare un deposito della potenza di un centinaio di metri oggidì tempestati dal mare e messi alla luce. Questi vari orizzonti sono di natura diversa, di conseguenza diversi per 500 G. CAPEDER composizione, per compattezza e struttura, ed accennano ad altrettanti successivi depositi formatisi in epoche diverse ed in diverse condizioni fisiche. Le forme nuove d’altronde sono state fondate su caratteri che si sono manifestati costanti per moltis- simi individui; nè mancano forme specialmente del genere Fi- bularia, oltremodo raro, delle quali non posseggo che un solo esemplare, ma in tal caso, sono tali le differenze, da non lasciar dubbio di sorta sul loro riferimento. In massima vennero tra- scurati per la distinzione specifica quei caratteri, specialmente di forma, che anche pronunciatissimi, apparivano isolati, avendo anch’io riconosciuto la grande variabilità della forma generale di questi esseri e la frequenza fra essi di forme teratologiche, alcune delle quali forme, paiono in realtà assai interessanti. Di queste però tratterò altra volta. Fra i caratteri che più mi hanno guidato alla distinzione specifica vi sono quelli dell’apparato apicale, che mi paiono costanti quanto quelli che si riferiscono al periprocto, ma più facilmente rilevabili, e però più sicuri. Ad essi peraltro mi sono di preferenza riferito in tutti quei casi di incertezza, per variabilità, sopratutto della forma, quando dal complesso trat- tavasi di riunire più individui ad una sola specie e di invaria- bilità, specialmente nella posizione del periprocto, quando dal complesso trattavasi di separare a specie diverse quegli individui sui quali muoveva la incertezza. In quanto al riferimento delle forme da me trovate a quelle già note, non mi sono certamente potuto valere della struttura dell’apparato apicale, perchè, come ho già detto, esso non è stato descritto dagli autori per alcuna forma fossile: mi sono invece valso degli altri caratteri presi nel loro complesso e giu- dico perciò qui opportuno di descrivere sempre, a misura che se ne presenterà l’occasione, anche per queste forme già cono- sciute, il loro apparato apicale. La comparazione delle diverse strutture dei varii apparati apicali, a mio avviso, vien resa poi più agevole mediante figure schematiche, che si disegnano proiettando su di un piano equa- toriale i pori dell’apparato apicale e riunendo fra di loro con linee, i punti corrispondenti ai pori genitali delle piastre basali coi punti corrispondenti ai pori ocellari delle piastre radiali e questi FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 501 ancora col punto corrispondente al poro unico, assai grande, che dà nel sistema dei vasi acquiferi. Cosi soltanto, è possibile tener conto delle variazioni di struttura di questi apparati essendo che, come è noto, le piastre radiali sono intimamente saldate nei clipeastroidi colle basali a costituire un bottone apicale e non si scorgono mai le suture. Ogni specie studiata sarà perciò prece- duta dal diagramma dell’apparato apicale e dalla sua descrizione. Riguardo alla nomenclatura delle Fibularie, fra i generi Ecliinocyamus e Fibularia ed a proposito di una nota del Lam- bert ('), è a desiderare che venga tolta l’attuale confusione che esiste fra i detti due generi, ed alle forme rigonfiate e prive di pareti interne al guscio, venga conservato secondo le intenzioni dell’autore Van Phelsum, il nome di Ecliinocyamus ; mentre alle forme depresse e provviste di pareti interne venga sostituito il nome Fibularia. Ma poiché questa confusione, come già ebbe a dire il Lambert, è stata consacrata dai più grandi echinologi e seguita universalmente dagli zoologi, il cambiare nomencla- tura potrebbe ingenerare più confusione, e perciò i nomi Eclii- nocyamus e Fibularia verranno in questo lavoro usati nel senso che l’intesero Agassiz, Desor, Cotteau, De Loriol, Pomel, ecc., ecc. E ciò anche in considerazione che graduale e secondo il Lambert qualche volta incerto, è il passaggio fra il genere Ecliinocyamus e il genere Fibularia. e che d’altronde non tutte le forme ri- gonfiate come egli vorrebbe, potrebbero essere ascritte al gen. E., nè tutte le forme depresse al gen. Fib. (x) Note sur le gerire Ecliinocyamus Van Phelsum. Bull. Soc. géol. fr., t. XIX, 1890-91, pag. 749. 502 G. CAPEDER DESCRIZIONE DELLE SPECIE Ecliinocyamus umbonatus Pomel. (Fig. 1 a, b, c, d, e, f). 1886. E. umbonatus - Pomel, Paléont. fr., Descrip. des anim. foss. de l’Alg., Echin.. 2me livr., p. 290. t. X, tig. 5-8. 1891. E. umbonatus - Cotteau, Peron et Gauthier, Echin. foss. de VAlg., fase. X, p. 163. 1897. E. umbonatus - P. de Loriol, Descrip. de quelg. écliin. Bull. Soc. Géol. de Fr., 3,l,e sèrie, t. XXV, p. 116; t. IV, fig. 1 a, b , c. Apparecchio apicale quasi rotondo, piccolo e relativamente più grande negli esemplari minori; pori ocellari II— III— IV esterni alla linea dei pori genitali, ne distano egualmente; poro acquifero all’intersezione delle linee fra i pori genitali 1-3, 2-4. Pori genitali ed ocellari egualmente grandi e distanti. Di questa forma posseggo numerosi esem- plari che press’a poco corrispondono alla specie tipica per la forma, la posizione del peristoma e del periprocto, la sezione egualmente arrotondata innanzi e indietro e l’eccentricità dell’apparato apicale che forma un bot- tone qualche volta ben sporgente. Le dimensioni oscillerebbero assai; ecco quelle degli esem- plari più piccoli e dei più grandi : Altezza .... mm. 1,2 ; 3 ; 1,7 Diam. antero-post. » 3 ; 5 ; 3,5 Diam. tr. ... » 2,8 ; 4,4 ; 3 . Questa specie è sempre ben caratterizzata, tanto nei più piccoli che nei più grandi esemplari, e difficile a confondersi per la quasi costante posizione del periprocto, pel caratteristico bottone apicale sporgente e spostato in avanti, per la forma regolarmente rotonda e la faccia superiore convessa ed egual- FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 503 mente declive da tutti i lati per cui scende con dolce curva arrotondata. Non credo perciò che essa possa avvicinarsi al- YE. Studeri Sism., che è molto più angoloso, ristretto innanzi e nel complesso assai allungato nel senso del diam. antero-post. (D. a.-p. n mm. 5; D. tr. — mm. 3). Probabilmente quindi le specie di Angles presso Avignon, studiate dal dott. Airaghi (1), e classificate coll’.#. Studeri sono ben diverse da quelle pro- venienti dalla medesima località e che il De Loriol (2) riferì albi?, umbonatus. Questa specie ha grandissima rassomiglianza coll’i?. Lebe- scontei Bazin (3), non ne differisce invero che per la posizione del periprocto. Echinocyamus acuminatus, n. f. (Fig. 2 a, b, c ). App. apicale sporgente, eccentrico all’innanzi, un po’ allun- gato. Pori ocellari II-IV, di poco fuori della linea dei gen. ; poro III più allontanato. Poro acquifero all’intersezione dei pori gen. 1-3, 2-4. Pori ocell. II-IV, av- vicinati ai gen. 2-3. Pori ocellari e poro acqui- fero più grandi dei gen. Quest’app. ha una certa somiglianza con quello dell’i?. umb. Pomel; lo distinguono la posizione degli ocel- lari che sono quasi sulla linea dei gen. e sono spostati in alto. Forma regolarmente ovale, quasi egualmente arrotondata in- nanzi e indietro, forse un po’ più allargata posteriormente. Faccia sup. molto elevata, acuminata, conica, più declive post.; l’apice non corrisponde al centro della sommità amb. Faccia inf. piana, pochissimo concava presso il peristoma che è centrale. Aree amb. sullo stesso piano delle interamb., l’anteriore forse un poco più convessa delle altre. Piastre amb. piane, con linee suturali C1) Echin. mioc. di S. Maria Tiberina, A. R. Acc. Se. Torino, voi. XI, 1904, p. 8. (2) Op. cit., 1897, p. 116. (3) Sur le fi Eoli. d. mioc. moy. de la Bretagne, Bull. Soc. géol. fr., 1884, t. XII, p. 37, tav. Ili, fig. 1-6. G. CAPEDER 504 alquanto marcate e profonde. Zone porif. strette, diritte, poco pro- lungate, con pori subrotondi, piccoli, per paia trasversali, tutti press’a poco ad eguale distanza, non collegati da solco. Zone interp. larghe quanto due porif. avvicinate, non rilevate. Aree interamb. sul piano delle amb., a suture ben visibili, assai strette e rinserrate dalle amb. Tubercoli piccoli, omogenei, scrobicolati, pochissimo visibili. Peristoma un po’ eccentrico àll’indietro, ro- tondo, si apre un po’ obliquamente per un leggero solco della faccia inferiore, fra il peristoma e il periprocto. Quest’ ultimo è subovale e posto alla metà fra il peristoma ed il margine. Bapp. e diff. — Questa specie presenta qualche somiglianza soltanto coll’jE. Marioi Cotteau Q) del miocene Sardo, ma ne differisce per il contorno che è ovale e non subpentagonale, per non essere egualmente declive da tutti i lati, per non essere centrale la sommità amb., per le aree amb. non rigonfiate, per non essere le zone interp. strette quanto una porif., per non avere il peristoma centrale; caratteri tutti di sufficiente valore per autorizzare l’istituzione di una forma nuova. App. apicale piccolo, quasi centrale, si trova in una depres- sione ben accennata; pori molto grandi. Dimensioni : Altezza . . . Diam. ant.-post. Diam. tr. . . . . . mm. 3 . . » 5 » 4. Ecliinocyainus infundibuliformis, n. f. (Fig. 3 a, b, c). Pori ocellari II-IV, sulla linea dei gen.; poro ocellare III, fuori di detta linea, verso l’esterno; poro acquifero sull’intersezione dei gen. 2-4, 1-3. Pori gen. più grandi degli oceì- lari; gli ocellari II-IV sono più avvicinati ai gen. 1-4 che ai gen. 2-3. (x) Op. cit., 1895, p. 19, t. Ili, fig. 11-14. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 505 Specie di forma regolare, benché leggermente ristretta innanzi ed arrotondata indietro e più larga. Faccia sup. convessa, ma più declive posteriormente che anteriormente; l’apice non corrisponde al centro della sommità amb., ma si trova sensibilmente spostato all’innanzi, mentre essa si deprime assai pel forte incurvarsi degli amb. in un infundibolo. Faccia inf. quasi piana. Aree amb. di- ritte, aperte, sullo stesso piano delle interamb. ; l’ant. è più con- vessa e sporgente un po’. Piastre amb. e interamb. piane, con suture ben distinte. Zone porifere diritte, strette; l’ant. forse un po’ più lunga delle altre; pori rotondi, per paia obliqui, eguali, non riuniti da solco. Zone interp. larghe quanto una porif., non rilevate. Fra le aree interamb., la posteriore è leggermente de- pressa, tutte poi sono racchiuse fra le amb., benché abbiano eguale larghezza presso il margine. Tubercoli piccoli, omogenei, scrobicolati, eguali sugli amb., e sugli interamb. Peristoma sen- sibilmente spostato all’indietro, rotondo o subrotondo, si apre sulla faccia inferiore piana. Periprocto subrotondo di poco più avvi- cinato al peristoma che al margine. Rapp. e diff. — Questa specie dilferisce da tutte le altre forme per il suo apparato apicale molto depresso; a parte questo carattere potrebbe forse avvicinarsi all’ E. umbonatus Pomel, ma ne dilferisce per essere molto più convesso, nonché per la struttura dell’app. apicale e la sua posizione non eccentrica; dall’ E. Morteti Cotteau, dell’eocene (Q, per non essere arroton- dato innanzi, pel peristoma che non è centrale, pel periprocto che non è più vicino al bordo post, che al peristoma; dall’jC. Casselensis Cotteau (2), al quale pure per certi caratteri si av- vicina, ne differisce per la forma, per la sommità amb. non (') Paléont. fr., Ecliin. eocènes, t. II, 1889-1891, pag. 354, tav. 288, tig. 1-5. (2) Op. cit., 1889-1894, pag. 356, tav. 288, fig. 6-10. Dimensioni: Altezza Diarn. ant.-post. . . Diam. tr mm. 3, 2 » 5, 7 » 4, 8. 506 G. CAPEDEE eccentrica in avanti; pel peristoma che nella specie- tipo è cen- trale; i caratteri comuni invece sarebbero la posizione del peri- procto e l’app. apicale quasi centrale, che però è molto spor- gente, mentre in questa forma è molto depresso. EcMnocyanms (leclivis Pomel. (Fig. 4: a, b,c, d, e). E. declivis - Pomel, Paleont. fr., Descrip. des an. foss. de VAlg., Ecliin., 2me livr., p. 290, t. X, f. 1-4. App. apicale eccentrico all’ innanzi, un po’ allungato; pori ocellari all’ infuori della linea dei gen. verso l’esterno, il poro III peraltro ne è più avvicinato; poro acquifero all’ intersezione dei genitali 1-3, 2-4. Tutti di eguale grandezza. Quest’apparato somiglia mol- tissimo a quello delT-Eà umbonatus, pur essen- done più allungato; tale rassomiglianza si ri- scontra anche negli altri caratteri. Rimasi parecchio incerto se ritener nuova questa forma od attribuirla albi?, declivis , tarentinus o pliocenicus Pomel, per essere queste varie forme molto affini e forse confondibili in una sola. Ma poi, ritenendo per sufficienti i caratteri differenziali esposti dal Pomel ed insufficienti le divergenze da me riscon- trate fra questa forma e altre note, ho creduto conveniente di classificare questa forma coll’J?. declivis Pomel. Caratteri comuni sarebbero quelli principali, cioè: faccia sup. assottigliata indietro, faccia inf. concava, sommità amb. eccentrica all’ innanzi, peri- stoma subpentagonale col margine anteriore a metà della lun- ghezza, periprocto piccolo, subovale a 1 / 3 fra il margine ed il peristoma, esso si apre in una concavità della faccia inf. Carat- teri differenziali sarebbero da riferirsi esclusivamente alla forma generale : i miei esemplari sono tutti regolarmente ovali e non angolosi come quelli della specie tipica. Tali differenze però non sono sufficienti, come è chiaro, per l’istituzione di una forma nuova. Rapp. e diff. — Dall’_E. umbonatus Pomel, si distingue questa forma, a quanto sembra, soltanto pel margine post, alquanto as- FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 507 somigliato; non pare siavi altra differenza, poiché il periprocto ed il peristoma non hanno posizione costante, ed alla fìg. 4 e, è indicato un esemplare il cui peristoma è quasi al centro della faccia inf. ; così il periprocto è più o meno ad esso avvicinato. Questi esemplari fìg. 4c somigliano perciò alPA’. tarcntmus Lam.Q); altri poi hanno la sommità amb. quasi centrale e questi somigliano, per quanto si può rilevare dalla descrizione, albi?. plìocenicus Pomel (2). Forse queste quattro specie ne formano una sola o per meglio dire si tratta di varietà delbi?. umbonatus Pomel, cosa del resto che verrebbe pure luminosamente attestata dalla grande somiglianza di struttura del loro apparato apicale. Dimensioni : Altezza mm, 1,8-2, 8 Diam. ant.-post. . . » 3, 5-5, 5 Diam. tr » 3-4,5. Echinocyamus Studeri (Sism.) Agassiz et Desor. (Fig. 5 a, b, c, d). 1842. Anaster Studeri - Sism. Mon. d. echin. foss. d. Pieni. Mem. R. Acc. Se. Torino, serie II, t. IV. p. 44, tav. II, fig. 8-9. 1842. Fibularia Studeri - Sism. Appi. Mon. echin.foss. Pieni. Mem. R. Ace. Se. Torino, p. 888. 1847. Echinocyamus Studeri. Agassiz et Desor, Cai. rais. d. e'chin. Ann. Se. nat. Zool., 3me sèrie, t. VII, p. 142. 1861. Echinocyamus Studeri - A. Gaudry, Géol. d. Vile de Chypre, Mém. Soc. géol. Fr., t. VII, p. 163. 1901. Echinocyamus Studeri - Airaghi, Echin. terz. Piem. e Lig., Pai. ital., pag. 29, tav. 4, fig. 10. 1904. Echinocyamus Studeri - Airaghi, Echin. mioc. dint. S. Maria Ti- berina, A. R. Acc. Se. Torino, voi. XL, p. 8. App. apicale quasi centrale, esso forma l’apice ; è molto allun- gato per cui i pori gen. ant. distano assai dai post. ; pori ocel- li Pomel, Paléont. fr., Descrip. d. anim. foss. de V Algerie, Zoophytes, 1887, p. 293, tav. X, fig. 15-18, fig. 11-14. (*) Op. cit., 1887, p. 292 (tav. XII, fig. 5-8). 35 508 G. CAPEDER Ù lari sulla linea dei gen. ad eccezione forse del poro III che si trova pochissimo al di fuori di detta linea verso l’esterno ; poro acquifero all’intersezione dei pori gen. 2-3 cogli ocellari II-IV. Tutti i pori sono di eguale grandezza. Attribuisco a questa specie pochi esemplari molto allungati nel senso del diametro antero- posteriore, a periprocto subpentagonale o subo- vale più o meno avvicinato al bordo posteriore ma sempre più che al peristoma che è subrotondo; entrambe le aperture si aprono in una concavità della faccia iuf. più accentuata nel senso della lunghezza, per cui l’echino appare cordiforme; la faccia sup. è molto convessa; zone porif. molto strette, formate di pori uguali; zone interp. larghe quanto due porif.; tubercoli piccoli e se robi colati. Degli altri caratteri non dico perchè già noti dalle descri- zioni degli autori. I miei esemplari sono alquanto più piccoli di quelli del Piemonte, ma ne conservano le proporzioni: Altezza mm. 2 Diam. ant.-post. . . » 3,8 Diam. tr » 2,2. Eapp. e diff. — Dalì’_E. strictus Pomel (1), differisce questa specie perchè quest’ultimo è più depresso, la sua faccia inf. è poco concava. Del resto la descrizione data dal Pomel di questa specie è alquanto incerta, perchè fatta su esemplari mal con- servati. Egli infatti non vi scorse i pori genitali, nè gli ambu- lacrali, nè le suture delle piastre e crede trattarsi perciò di individui giovani e probabilmente di una varietà deH’i?. urnbo- natus, come pure io credo, potrebbe qui anche trattarsi di una varietà dell’i?. Studeri. f1) Op. cit., 1887, p. 291, tav. X, fig. 9-10. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 509 Echinocyannis mucronatus, n. f. (Fig. 6 a, b, c). App. apicale quasi centrale, esso forma l’apice : è molto sporgente a guisa di un bottone saliente. Forma rotonda. Pori ocellari fuori della linea dei gen., interni i pori II-IV, esterno il poro III, che forse qualche volta appare sulla linea dei gen. 2-3; poro acqui- fero nell’intersezione dei pori gen. 2-3 cogli ocellari II-IV, i quali si trovano più vicini ai gen. 1-4 che ai gen. 2-3. Tutti i pori sono di eguale grandezza. Questa specie è quasi regolarmente ovale, qualche volta un po’ più acuminata anteriormente ed allargata posteriormente. Faccia sup. molto sporgente a causa del bottone apicale che risalta a guisa di bitorzoletto, i margini sono piuttosto assotti- gliati per l’accentuata concavità della faccia inf., sul fondo della quale si apre il peristoma che è quasi centrale. Aree amb. molto larghe, costolate e sporgenti sulle interamb. specialmente nella rosetta apicale paiono egualmente lunghe, piastre amb. piane con suture distinte. Zone porifere strette, poco prolungate, 7, 8 pori rotondi, eguali, per paia trasversali, leggermente petaloidi o diritte; zone interp. larghe una volta e mezzo le porifere, non rilevate. Aree interamb. rigonfie verso il mezzo e la sommità, ma rinserrate dalle amb. Tubercoli po- chissimo visibili ad eccezione di quelli della faccia inf. che si mostrano scrobicolati. Peristoma subpentagonale o subrotondo. Periprocto rotondo o subelliitico, a metà distanza fra il margine ed il peristoma. Dimensioni : Altezza ..... mm. 2,5 Alla base del bottone » 2,2 Diam. ant.-post. . . » 4,5 Diam. tr » 3,8. Rapp. e diff. — Per la sua forma generale, nonché pel bot- tone apicale assai sporgente, questa forma ha qualche affinità 510 G. CAPEDER coll’i?. crispus Mazzetti ('), vivente. Ne ditFerisce per la som- mità amb. che non è eccentrica; pei tubercoli che son quasi invisibili per la loro piccolezza, mentre nell’i?. crispus sono relativamente grossi; per la posizione del perisioma che non è rigettato in avanti ; infine pel margine che non è tozzo ma piut- tosto assottigliato. Le dimensioni poi sono notevolmente minori. Per l’aspetto generale questa forma si avvicina ad alcune Scutellina, ma la posizione infera del periprocto la fa da essa allontanare, nonché la mancanza di solchi amb. alla faccia in- feriore. Del resto ebbe anche il Cotteau ad affermare che certe specie stanno sui limiti di questi due generi (2). Qualche affinità la presenta pure coir_£. Mancheti Cotteau (Q, dell’eocene, ne differisce pel bordo non spesso, per la faccia sup. che non è così depressa, per le zone porif. che a luogo di esser depresse sono rilevate, mentre i caratteri comuni sareb- bero i seguenti: forma subcircolare, faccia inf. molto concava; sommità amb. quasi centrale; aree amb. subpetaloidi coi pori che sembrano uniti da un solco in alcuni esemplari; posizione infera e centrale del periprocto e del peristoma. Echinocyanms stellatus, n. f. (Fig. 7 a, b, c). App. apicale centrale, grande, lievemente sporgente a guisa di bottone, forma l’apice. Pori ocellari esterni e molto allontanati dalla linea dei gen., specialmente l’ocellare III, sì da dar luogo coi gen. a una stella ; poro acquifero eccentrico all’intersezione della linea dei gen. 2-4 colle linee fra i pori, 3 (genitale) e II (ocellare). Pori gen. molto grandi, piccoli gli ocellari. f1) Echini del 31. Bosso dragati nella campagna idrografica della R. nave Scilla. Att. Soc. Nat. Modena, serie III, voi. XII, 1893-1894, fase. I e III, pag. 239, fig. a, b, c, d. (2) Op. -cit., Echinides éocènes, 1889-1894, pag. 362, a proposito del- V Echinocyamus Vasseuri Cotteau; pag. 366, a proposito dell’A'. Pomeli Cotteau. (3) Op. cit., Pai. fr., Echin. eoe., t. II, 1889-1894, pag. 751 (appen- dice), tav. 373, fig. 5-11. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 511 Forma quasi regolarmente ovale, un po’ dilatata posterior- mente; faccia sup. convessa, regolarmente declive da tutti i lati; bordi assottigliati ; faccia inf. quasi piana, un po’ incavata nei pressi del peristoma. Aree amb. molto aperte, sullo stesso piano delle interamb. ; piastre piane, suture ben visibili. Zone porif. diritte, strette, con pori un po’ allontanati gli uni dagli altri sì da contarne solo 5 per tutta la zona che è abbastanza prolun- gata. I pori non sono collegati da un solco. Zone interp. un po’ più larghe di una porif., non rilevate. Aree interamb. rin- serrate dalle amb. a piastre pure non rilevate. Tubercoli omo- genei un po’ scrobicolati, coprono tutto l’echino. Peristoma spo- stato all’ indietro, subpentagonale, si apre nella depressione della faccia inf. Periprocto subovale, sta alla metà distanza dal peri- stoma al margine. Rapp. e dlff. — Questa forma si avvicina più che altro alTi?. umbonatus Pomel. Da esso però si distingue facilmente per la faccia sup. più convessa non ostante fornita di un bot- tone apicale; inoltre essa ha i bordi piuttosto assottigliati ed i pori gii uni dagli altri allontanati. L’apice non è eccentrico, il peristoma invece non è centrale, il periprocto non è più vi- cino al margine. La struttura dell’app. apicale poi è compieta- mente diversa da quella dell’i?. umbonatus e non lascia dubbi in proposito. Per la forma generale questa specie benché più convessa, presenta anche qualche affinità coll’AJ. pseudopusillus Cotteau (‘), del miocene sardo, ma ne differisce per la sommità amb. che non è subcentrale, per le zone interp. che non sono strette, pel peristoma che non è centrale, pel periprocto che non è rotondo e non è più avvicinato al margine che al pe- ristoma. (*) (*) Op. cit., 1895, pag. 18, tav. Ili, fig. 7-10. Dimensioni : Altezza . . . Diam. ant.-post, Diam. tr. . . mm. 2,7 » 5,7 » 5. 512 G. CAPEDER Dair_E. pusillus Miill., (]) vivente col quale presenta una certa rassomiglianza di forma e di apparenza, differisce poi per l’app. apicale, per la faccia inf., pel peristoma e per la posi- zione del periprocto. Echinocyamus lanceolatus, n. f. (Fig. 8 a, b, c ). App. apicale centrale, non forma bottone e costituisce l’apice. Pori disposti a lancia, gli ocellari sono esterni alla linea dei gen. e distano egualmente da essa. Poro acqui- tir fero nell’intersezione dei gen. 2-3 cogli ocel- lari II-IY. I pori gen. sono un po’ più grandi degli ocellari. Questa specie è ovale, forse un po’ ristretta innanzi, ma più larga ed arrotondata indietro. Faccia sup. molto convessa, un po’ più declive posteriormente. Faccia inf. piana ed anche leggermente convessa. Aree amb. larghe, quasi diritte, non rilevate, egualmente lunghe; piastre piane, suture poco distinte. Zone porif. strette, diritte, poco pro- lungate, con 5 pori rotondi, eguali, disposti per paia trasversali, non congiunti da verun solco. Zone interp. larghe quanto due porifere, non rilevate. Aree interamb. rinserrate dalle amb. non rilevate ed a suture poco visibili. Tubercoli piccoli, scrobicolati, eguali, uniformemente distribuiti tanto sulla faccia inf. che sulla sup. Peristoma centrale, subrotondo o subpentagonale; pe- riprocto subovale a metà distanza fra il peristoma ed il margine. Dimensioni: Altezza mm. 2, 5 Diam. ant.-post. . . » 4, 6 Diam. tr » 4. Rapp. e diff. — Questa forma più che altro potrebbe con- fondersi, anche per una certa qual somiglianza dell’app. apicale colla specie precedente: E. stellatus, u. f. Le sue dimensioni (!) Agassiz Al., Revision of tlie Echini, 111. cat. oss. comp. zool., 1872, Cambridge. FXBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 513 minori non costituiscono un carattere sufficiente, ma la compa- razione degli altri caratteri è più che sufficiente per distinguerla. Le differenze volgono sulla struttura dell’app. apicale. sulla forma generale, sulla faccia sup. e inf., sulle zone interp., sulla posizione del peristoma. Eclnnocyanms pseudolanceolatus, u. f. (Fig. 9 a, b, c ). App. apicale centrale, forma l’apice assai rilevato, ma non costituisce un bottone; ha forma subpentagonale. Pori ocellari fuori della linea dei gen., in- terni i pori II— IV, esterno, ma di pochissimo, il poro III; poro acquifero all’intersezione dei gen. 1-3, 2-4. Pori gen. 2-3 più grandi degli altri. Specie regolarmente ovale o leggermente dilatata posteriormente, neH’insieme alquanto ristretta. Faccia sup. molto convessa, leggermente conica, un po’ più rotonda innanzi. Faccia inf. leggermente concava. Aree amb. diritte, non rilevate, egualmente lunghe, piastre piane, suture poco distinte. Zone porif. strettissime, poco prolungate, fila interna diritta con 6 pori rotondi, fila esterna leggermente curva specialmente nell’amb. impari ant. con 7 pori rotondi; i pori non sono collegati da verun solco. Zone interp. larghe quanto due porif. non rilevate. Aree interamb. rinserrate dalle amb., non rilevate, a suture poco visibili. Tubercoli piccoli, spaziati, scrobicolati, eguali, uniformemente distribuiti. Peristoma cen- trale, sub rotondo; periprocto subrotondo, spostato verso il margine. Dimensioni: Altezza mm. 2,5 Diam. ant.-post. . . » 4,5 Diam. tr » 3,5. Rapp. e diff. — Questa forma ha una grande affinità colla precedente: E. lanceolatns n. f., come risulta dalle descrizioni; no- nostante mi credo autorizzato ad istituire per questa una nuova forma, specialmente a cagione della grande differenza di strut- 514 G. CAPEDER tura del loro app. apicale. È questo uno dei casi in cui le due specie sarebbero confondibili e verrebbero di necessità riu- nite in una sola per la mancanza di caratteri differenti spic- cati, pur col dubbio o quasi certezza di associare forme diverse e il conseguente risultato di una variabilità troppo esagerata nei caratteri di quella specie interpretata in senso troppo largo. Infatti il solo carattere differenziale di qualche valore tra le due forme in esame sarebbe il leggero spostamento, che può pas- sare inavvertito, del periprocto verso il margine. La lieve dif- ferenza poi di forma e di convessità della faccia sup., potrebbe essere riferita alla diversità di sviluppo. Queste differenze anche lievi nei caratteri, sono sufficienti però per far ritenere di valore specifico reale le grandi differenze di struttura dell’app. apicale e per giustificare sufficientemente la loro separazione in due specie distinte. La struttura generale dell’app. apicale avvicina poi questa forma airi?, mucronatus, n. f., però se ne distingue nettamente per gli altri caratteri : bottone apicale, margini, faccia inf., costolature delle aree amb., zone interporif., aree interamb., tubercoli, periprocto, dimensioni. Ecliinocyamus coronatus, n. f. (Fig. 10 a, b, e). L’app. apicale è allungato, subovale e un po’ sembra eccen- trico all’indietro, è leggermente depresso; l’apice del guscio è spostato all’innanzi. Pori ocellari fuori della linea dei gen., verso l’esterno; il poro IV un po’ più lontano; poro acquifero ec- centrico, all’intersezione delle linee fra i pori gen. 2-4 ed i pori 3 (genitale), e II (ocel- lare). Tutti i pori sono pressoché di eguale grandezza e disposti a guisa di un ferro da • • cavallo. Forma subovale un po’ ristretta innanzi ed allargata poste- riormente. Faccia sup. molto convessa, dell’apparenza di una Fibularia, più rotonda anteriormente e declive posteriormente; l’apice non corrisponde al centro della sommità amb. ma essa è spostata verso il margine post, e l’apice verso l’ant. Faccia FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 515 inf. piana od un po’ convessa. Aree amb. diritte, non molto aperte, non rilevate, ad eccezione delle pari post.; l’ant. è più lunga e convessa delle altre, piastre piane con suture visibili. Zone porif. con pori rotondi, allontanati, in file di 5 o 6, quasi diritte, disposti per paia obliqui e non collegati da solco. Zone interp. strette quanto una porifera, non rilevate. Aree interamb., larghe presso il margine quanto le amb., un po’ depresse le pari posteriori e la posteriore, a piastre piane e suture poco visibili. Tubercoli piccoli poco visibili. Peristoma centrale, sub- ovale; periprocto quasi rotondo a metà fra il peristoma e il margine. Rapp. e diff. — Questa forma somiglia ad alcune Fibularie, ma per avere le aree interamb. racchiuse dalle amb. nonostante l’eguale larghezza presso il margine, ho creduto di dovernela da esse affatto separare. Fra gli E. esso ha maggior somiglianza co \VE. infundiboliformis, n. f., ne differisce però oltreché per l’app. apicale completamente diverso, anche perchè esso si trova spostato indietro e non innanzi come nell’.#, infund. ; pel peri- stoma centrale e non spostato ali’indietro, pel periprocto a metà distanza e non più vicino al peristoma che al margine, ed infine per essere di forma molto più allungata, come risulta dalla comparazione delle dimensioni. Per l’apparato apicale soltanto, potrebbe anche avvicinarsi agli E. umbonatus , declivis, pseudoumbonatus, ma esso apparato è assai più allungato in questa specie che in quelle ed il poro ocellare non sta nell’intersezione dei pori genitali. Dimensioni : Altezza . . . Diam. ant.-post. Di am. tr. . . mm. 3,2 » 5 » 4,2. Ecliiuocyamus pseudoumbonatus, n. f. (Fig. 11 a, b, c, d, e). App. apicale rotondo, subcentrale, forma l’apice, è spostato all’innanzi e non dà bottone. Pori ocellari esterni alla linea 516 G. CAPEDER dei gen., poro acquifero nelTintersezione dei gen. 1-3, 2-4. I pori gen. sono leggermente più grandi degli ocellari. I pori ocellari II-IV sembrano più avvicinati ai gen. 1-4 che ai gen. 2-3. Numerosi esemplari molto variabili nelle dimensioni e nella loro forma generale. Essi sono più o meno ovali o dilatati posteriormente, il loro bordo è piuttosto sottile e non rigonfiato. Faccia sup. conica o subconica, più declive posteriormente; faccia inf. leggermente concava presso il peristoma, convessa nel rima- nente. Aree amb. aperte, non rilevate, con piastre piane a suture poco visibili. Zone porif. strette, leggermente petaloidi, special- mente la fila esterna dei pori in numero di 7 ; i pori sono rotondi, eguali, non riuniti da solchi. Zone interp. larghe quanto due porifere, non rilevate. Aree interamb. strette, a piastre piane, ricchissime di tubercoli. Tubercoli omogenei, non si vedono sulle piastre amb., piccoli, scrobicolati. Peristoma pentagonale nel mezzo della faccia inf. Periprocto rotondo, molto più avvicinato al margine che al peristoma. Dimensioni : Altezza . . . mm. 2, 5-2, 2 Diam. aut.-post. » 4,7-4 Diam. tr. . » 4 -3,7. Rapp. e diff. — L’app. apicale di questa forma è quasi identico a quello deH’i?. wnbonatus Pomel e dell’ii. declivis Pomel, in realtà assomiglia a queste forme per moltissimi degli altri suoi caratteri e potrebbe anche darsi che tutte queste forme non fossero che varietà. Pertanto differisce dalTi?. umbonatus, perchè più angoloso e rilevato, soventi conico ed a margine piuttosto sottile, pel peristoma nettamente pentagonale; daU’_E. declivis , per la forma generale, per la faccia sup. che non è lun- gamente inclinata ed assottigliata alTindietro, e pel peristoma non eccentrico alTindietro. Dilferisce poi dalTi?. circidare, n. f., al quale l’app. apicale pure lo avvicina, per la faccia inf., per la posizione del periprocto ed infine anche per le minori di- mensioni. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 617 Eckinocyanms linearis, n. f. (Fig. 12 a, b, c). App. apicale centrale, forma l’apice ed è un po’ sporgente a guisa di bottone. Pori ocellari II-IV sulla linea dei gen. 1-2, 3-4; poro ocellare III fuori di detta linea, ma di poco allontanato; poro acquifero nell’inter- sezione delle linee fra i pori gen. 2-4 ed i pori 3 (genitale) e II (ocellare). I pori sono press’a poco della medesima grandezza, gli ocellari II-IV sembrano più vicini ai gen. 1-4 che agli altri. Forma subpentagonale, un po’ dilatata in corrispondenza degli amb. pari anteriori. Faccia slip, un po’ conica, faccia inf. piana. Aree amb. leggermente rilevate, aperte. Zone porif. stret- tissime, poco prolungate con pori piccoli rotondi, in file diritte e disposti per paia trasversali non riuniti da solchi. Zone interp. più larghe di due porif. Aree interamb. un po’ depresse, con piastre piane, nascoste dai numerosi tubercoli piccoli e scrobi- colati, che coprono pure tutta la faccia inf. Peristoma centrale, pentagonale; periprocto subovale si trova tra il peristoma ed il margine. Dimensioni : Altezza mm. 2,7-3 Diam. ant.-post. ... » 5 -5,5 Diam. tr » 4, 2-4, 5. Rapp. e diff. — Questa specie per l’apparato apicale, come anche per la forma generale, ha qualche affinità coll’AJ. Stu- deri Sism., e coll’ A. infundiboWformis n. f. DaWJE. Studeri, differisce specialmente per la forma molto meno allungata nonché per la faccia inf. e per la posizione del periprocto. DaH’jE'. infundiboliformis, per la faccia sup. d’assai meno convessa, per l’apice non eccentrico, per il lieve bottone apicale, per le zone interp., per la posizione del peristoma e del periprocto. 518 G. CAPEDER Ecliinocyamus polymorplius, n. f. (Fig. 13 a , b, c ). App. apicale centrale, subcentrale, spostato verso destra o verso sinistra dell’asse antero-posteriore ; esso forma l’apice. Pori ocellari esterni alla linea dei gen., quasi egualmente distanti da essa; poro acquifero al- l’intersezione dei gen. 2-3 cogli ocellari Il-IY, o eccentrico all'intersezione dei pori gen. 2-4 col poro 3 (genitale) e II (ocellare). Pori gen. più grandi degli ocellari; gli ocellari II-IV sembrano più vicini ai gen. 2-3 cbe ai gen. 1-4. Pel complesso dei pori l’app. si presenta assai aperto. Specie arrotondata col margine molto sottile. Faccia sup. depressa, regolarmente declive dalla sommità amb. che pur forma l’apice. Questa somm. può essere centrale o spostata verso destra o verso sinistra ed allora il margine ha diverso spessore, pre- sentandosi più sottile dalla parte del declivio più dolce. Faccia inf. leggermente concava. Aree amb. aperte, non rilevate, piastre piane, suture poco visibili. Zone porif. strette, poco prolungate, pori rotondi, eguali, non riuniti da solco, disposti per paia, tra- sversali. Zone interp. un po’ più larghe di una porif., non ri- levate. Aree interamb. strette, non rilevate, su di esse risaltano meglio i tubercoli, scrobicolati, omogenei, piccoli. Peristoma sub- rotondo, centrale negli individui ad app. apicale centrale, eccen- trico a destra od a sinistra, negli individui coll’app. apicale spostato verso destra o sinistra. Periproeto rotondo o subrot., più vicino al margine che al peristoma. Dimensioni : Altezza mm. 1,7 Diam. ant.-post. . . » 4,1 Diam. tr » 4,1. Rapp. e diff. — L’app. apicale avvicina questa forma all’ A. declivis Pomel, al FA’, coronatus, n. f., all’ A. pseudoumbonatus, n. f., all’ E. umbonatus , Pomel. In realtà a queste forme si avvicina anche per gli altri caratteri. FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 519 Tolta la somiglianza colPi?. coron., n. f., dal quale mag- giormente differisce per la forma, per la faccia sup., per la sommità amb. che non forma l’apice, per le aree amb., per le zone interp. e per la posizione del periprocto, potrebbe questa forma essere invece semplicemente una varietà delle altre. Di- fatti, partendo dall’ E. umb. Pomel, a margini spessi ed app. apicale regolarmente conformato, passiamo albi?, pseudoumb., n. f., a margini più sottili, a faccia sup. conica ed app. apicale meno simmetrico. Accentuandosi l’eccentricità dell’app. apicale verso l’estremità ant., passiamo al VE. declìvis Pomel, nel quale s’accentua l’assottigliarsi del marg. post., e tale spostamento vediamo determinare pure il movimento del peristoma e del periprocto all’indietro. NeH’i?. polym., n. f., poi vediamo spo- starsi irregolarmente a destra od a sinistra dell’asse autero-post., l’app. apicale, questo farsi molto più irregolare e trascinare seco il peristoma ed il periprocto inducendo l’assottigliarsi asimmetrico del margine. Quasi si sarebbe qui indotti a vedervi un fenomeno teratologico, se questi individui numerosi ed identici nelle varia- zioni non presentassero anche caratteri differenziali che sebbene non importantissimi possono nondimeno innalzarli al grado di specie. A parte dunque le diff. dell’app. apicale che si possono rilevare dai diagrammi, questa specie differisce dall’ E. umb. Pomel, per la forma generale, per la faccia sup. e pel peri- stoma; dall 'E. pseudoumb. , n. f., per la faccia sup. e la forma del peristoma; dall’ E. declivis Pomel, per la forma generale, la posizione del peristoma e del periprocto. Ecliinocyanms cir ciliari s, n. f. (Fig. 14 a , b, e, d; fig. 17 a, b, c). App. apicale centrale, forma l’apice, è allungato. Pori ocel- lari esterni alla linea dei gen. ; il poro III ne è moltissimo allontanato; poro acqui- fero sull’intersezione dei gen. 1-3, 2-4. Pori gen. più grandi degli ocellari. Gli ocellari II-IY sono più vicini ai gen. 1-4 che ai gen. 2-3. 520 G. CAPEDER Forma quasi rotonda, benché leggermente pentagonale. Faccia sup. sporgente, conica, scende regolarmente declive fino al mar- gine che è piuttosto sottile. Faccia inf. leggermente concava. Aree amb. aperte, non rilevate, formate di piastre piane a suture visibili. Zone porif. leggermente petaloidi, discretamente prolun- gate, formate da pori rotondi, eguali, disposti in file diritte di 7 a 8, non coniugati da solchi e per paia trasversali. Zone interp., molto larghe, forse più di due porif., non rilevate, con piastre a suture ben distinte. Aree interamb. rinserrate dalle amb., a piastre poco visibili perchè nascoste dai tubercoli che sono omogenei, piccoli, serobicolati e coprono tutto l’echino. Peristoma centrale, nettamente pentagonale, periprocto rotondo in mezzo fra il peristoma e il margine.- Dimensioni : Altezza mm. 3,2 Diam. ant.-post. . . » 6 Diam. tr » 5,5. Rapp. e diff. — Si avvicina questa forma più che altro all’#. polymorphus, n. f., a parte le maggiori dimensioni, anche per la struttura dell’apparato apicale ed albi?, acuminatus, n. f. Dall’#. poìymorplms , si distingue oltreché per l’app. apicale, per la faccia sup., per le zone interp., pel peristoma, pel pe- riprocto. Dall’.#, acuminatus. per la posizione dell’app. apicale, nonché pei pori ocellari II, IY che nell’#, acumin. stanno fra i genitali ad egual distanza, mentre in questa forma sono più vicini ai genitali 1, 4. Infine anche per la faccia sup., per la posizione dell’apice, per la faccia inf., per le zone porif., pel peristoma. Con tutte le altre forme conosciute di Echinocyamus questa se ne allontana notevolmente. FIBULA RIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 521 Echinocyamus pyriformis Agassiz. (Fig. 16 a, b, c). 1837. E. pyriformis - Agassiz, Mon. d. Scutelles, pag. 131, tav. XXVII, lig. 19-24. 1899. E. pyriformis - Airaghi, Echin. d. bacin. della Bormida. Boll. Soc. Geol. it., voi. XVIII, pag. 148. 1896. E. pyriformis - De Alessandri, La pietra da Cant. di Bosignano e di Vignale. Mem. Mus. Civ. Milano, voi. VI, pag. 79, tav. Il, fig. 8. 1901. E. pyriformis - Airaghi, Echin. terz. d. Piem. e Liguria. Paleont. it., voi. VII, pag. 177. App. apicale quasi centrale, non forma bottone sporgente, costituisce l’apice. Pori ocellari sulla linea dei gen. eccettuato il poro III un po’ fuori di detta linea; poro acquifero nella intersezione delle linee fra i gen. 1-3, 2-4. Posseggo solo pochi esemplari di dimensioni notevolmente minori della specie tipo, per cui fui anche in forse se a questa forma attri- buirli. La loro apparenza cordiforme, la somiglianza loro anche per l’app. apicale airi'. Studeri (Sism.), la loro faccia sup. alquanto depressa, mi fanno propendere trattarsi probabilmente di individui giovani di questa forma, come sarebbe dimostrato e dalla posizione del loro periprocto, che negli individui giovani è sempre avvicinato al margine e va di poi, a quanto sembra, allontanandosene e dalla mancanza in alcuni di essi dei pori genitali. ' Dimensioni : Altezza mm. 1,5 Diam. ant.-post. . . » 3,5 Diam. tr » 2,5. Rapp. e diff. — Questa specie per l’app. apicale si av vicina all’ .E. Studeri (Sism.) e all’io. linearis, n. f. Dal primo differisce riguardo all’app. apicale, esclusivamente per la po- 522 G. CAPEDER sizione del poro acquifero, di poi per la faccia sup. e pel pe- riprocto. Dal secondo riguardo all’app. apicale, anche per la posizione del poro acquifero, di poi per la faccia sup., per le zone interp., per la posizione del periprocto. Echinocyamus sp. (Fig. 19 a, b, c, d, e). App. apicale pentagonale, centrale, forma l’apice. Pori gen. mancanti; pori ocellari piccolissimi; poro acquifero centrale. Ho trovato molti esemplari piccolissimi con caratteri non ben definiti. Essi sono evidentemente individui molto giovani, difatti il loro apparato apicale è molto semplice, mancando affatto i pori gen. Anche gli ambulacri in alcuni individui sono appena abbozzati. Il loro peristoma è generalmente relativamente assai grande e pentagonale, il periprocto sempre più avvicinato al margine che al peristoma. Non ostante l’incertezza dei carat- teri, panni di aver riconosciuto in alcuni individui i giovani deH’i?. umbonatus Pomel. Ma evidentemente non questa sola forma vi ha da riconoscere. Dimensioni : Altezza mm. 0,7-0, 5 Diam. ant.-post. . . » 2-1,5 Diam. tr » 1,5-1, 3. Ecliinocyanms pseudopusillus Cotteau. (Fig. 21 a, b, c ). 1896. E. 'pseudopusillus - Cotteau, Descrip. d. Ecliin. mioc. de la Sard. Mém. Soc. Géol. fr., pag. 18, tav. Ili, fig. 7-10. App. apicale spostato in avanti, forma l’apice. Pori gen. sulla linea degli ocellari II— III ; IV— III ; poro acquifero nel- l’intersezione delle linee fra i gen. 1-3; 2-4. I pori sono presso FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 523 a poco di eguale grandezza; pertanto i pori ocellari I-Y sono più avvicinati degli altri ai gen. 1-4 mentre i pori gen. 2-3 sono più avvicinati agli ocellari II-IV che all’ocellare III. Questa forma corrisponde perfettamente ai caratteri deH’i?. pseudopusillus Cotteau, per la sua forma benché la faccia sup. sia legger- mente conica formando l’app. apicale apice, per la faccia inf., per le aree amb. pur essendo le zone interp. meno strette che nella specie tipica, pel peristoma, pel peri- procto. Dimensioni : Altezza mm. 2,5 Diam. ant.-post. . . » 5,5 Diam. tr » 4,7. Dapp. e diff. — Questa forma è quella che fra le mioce- niche più si avvicina a \VE. pusillus Muli, vivente, ma se ne di- stingue in modo netto per la forma generale, nonché per la po- sizione del periprocto. Echinocyamus Marioi Cotteau. (Fig. 27 a , b). 1895. JE. Marioi - Cotteau, Descrip. d. JEchin. mioc. de la Sard. Mém. Soe. Géol. fr.. pag. 19, tav. Ili, fig. 11-14. App. apicale centrale, allungato, forma l’apice. Pori ocellari esterni alla linea dei gen. ; il poro III è un po’ più allontanato degli altri ; poro acquifero nell’ intersezione delle linee fra i pori gen. 1-3, 2-4. Tutti i pori sono di eguale grandezza, gli ocellari II- IV, molto vicini ai gen. 1-4. Forma molto simile se non del tutto iden- tica alla specie tipo. Le differenze però sempre lievi e riferentesi solo alla forma generale non paiono autoriz- zare ad una specie distinta. I miei esemplari sono meno an- 36 524 G. CAPEDER golosi, per lo meno da quanto risulta dalla figura data dal Cot- teau, mentre per la descrizione vi corrispondono affatto. La loro faccia sup. è conica, molto rigonfiata, egualmente declive da tutti i lati: la loro faccia inf. è piana, con margini arrotondati. Le aree amb. sono uguali a quelle della specie tipo, così le zone porif., le interporif., i tubercoli, il peristoma, il periprocto. E da osservarsi che il periprocto sta a metà distanza fra il pe- ristoma e il margine tanto nel mio esemplare come in quello descritto dal Cotteau e non è più vicino al margine post., come appare invece dalla sua figura. Bapp. e diff. — Questa specie si distingue da tutti gli altri JEchin. specialmente pel suo margine subpentagonale, per la fac- cia sup. straordinariamente elevata e regolarmente conica, però l’app. apicale ravvicina all’jEJ. circuiaris, n. f. ed albi?, pseudo- umbonatus, n. f. Hall’ j?. circuì, non differisce per nulla rispetto all’app. apicale ed anche poco per gli altri caratteri. Ho cre- duto però di tenere distinte queste due forme per la loro grande differenza di aspetto. VE. circuì, è più marcatamente penta- gonale, meno rigonfiato, i suoi margini sono sottili invece che grossi e rotondi, le aree amb. non sono mai costolate nè rigon- fiate, le zone porif. sono lunghe invece che corte e ricche di pori formanti una bella stella grande, le zone interp. sono molto larghe invece che molto strette, le piastre amb. non sono rigon- fiate, il peristoma è nettamente pentagonale invece che subcir- colare, infine le dimensioni sono alquanto maggiori. DaH’_E. pseudoumb., n. f., differisce poi per l’app. apicale più allungato, per la faccia sup., pel margine, per la sommità amb., per le aree amb., per le piastre, per le zone interp., pel peristoma, pel periprocto, nonché per le dimensioni. DaH’iL acuminatus, n. f., infine cui si potrebbe anche rife- rire, differisce per quei caratteri già riportati a proposito di tale forma. Dimensioni : Altezza . . Diam. ant.-post. Diam. tr. mm. 3,1 » 4,5 » 8,7. FIBULAKIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 525 Fibularia? ambigua n. f. (Fig. 15 a, 6, c; fig. 18 a, b). App. apicale centrale, forma l’apice. Pori ocellari esterni alla linea dei gen. ; il poro III ne è molto allontanato, mentre i pori II-IV ne sono pochissimo. Poro acquifero quasi invisibile. I pori gen. 2-3 sono molto avvicinati al poro ocellare III per cui tutto l’apparecchio si fa allungato e chiuso. Sarebbe questa in realtà una forma di pas- saggio fra il gen. Echin. ed il gen. Fibularia. Infatti essa è di forma subovale, la sua faccia sup. non è così convessa come in alcune vere Fìb. ; la sua faccia inf. è piana, i margini pur essendo arrotondati non sono molto spessi. Le aree amb. però son proprie delle Fìb. e cioè diritte, aperte; l’ant. un po’ più convessa delle altre, sullo stesso piano delle interamb., con piastre piane a suture distinte. Zone porif. strette, diritte, pori rotondi, eguali, disposti per paia diritti, in numero di 8 sugli amb. pari post, e sull’ant. ; e in num. di 6 sui pari ant., non congiunti da solco. Zone in- terp. un po’ più larghe di una porif., non rilevate. Aree interamb. larghe più delle amb. presso il margine e sulla faccia inf. Tu- bercoli omogenei, scrobicolati, visibili specialmente sulle aree interamb. della faccia sup. e della faccia inf. Peristoma cen- trale, subrotondo; periprocto subrotondo, a metà distanza fra il margine ed il peristoma. Dimensioni : Altezza . . . Diam. ant.-post. Diam. tr. . . mm. 2,7 » 5 » 4,2. Rapp. e diff. — Questa forma si allontana da tutte le Fib. conosciute per le sue piccole dimensioni e per un minor numero di pori delle zone porif. nonché per la forma alquanto depressa. 626 G. CAPEDER Fibularia (Thagastea?) miocaenica, n. f. (Fig. 20 a, b, c). App. apicale centrale, non forma l’apice. Pori ocellari esterni alla linea dei gen. ; poro acquifero invisibile. I pori sono quasi egualmente grandi e paiono gli ocellari II-IV un po’ più vicini ai gen. 1-4 che agli altri. Forma molto ristretta in avanti, più larga ed arrotondata indietro; la linea del margine presenta tre sinuosità concave in corrispondenza degli interamb. pari anteriori e dell’ impari po steriore. Faccia sup. molto sporgente, subconica, più declive posteriormente ed arrotondata anteriormente; l’apice non corri- sponde al centro della sommità amb. essendo spostato in avanti. Faccia inf. sensibilmente piana, leggermente concava presso il peristoma e nella regione fra il peristoma e il periprocto, dove la concavità è più accentuata. Aree amb. quasi diritte, aperte, leggermente rilevate sulle interamb., l’ant. è più convessa ; pia- stre amb. piane, con suture distinte. Zone porif. strette, non molto prolungate, formate di pori subrotondi, gli esterni paiono più grossi ed appariscenti, disposti per paia trasversali, la fila esterna è leggermente curva, essi non sono congiunti da solchi. Zone interp. larghe quanto una porif., non rilevate. Aree interamb. depresse un po’ sulle amb., da cui la forma subpentagonale del margine, costituite di piastre a suture invisibili ; esse si allar- gano a partire dalla stella amb. fino alla faccia inf. a detri- mento delle aree amb. che divergenti nella stella divengono parallele per assottigliarsi notevolmente alla faccia inf. Tuber- coli omogenei, piccoli, scrobieolati. Peristoma centrale, subro- tondo, finemente dentellato, si apre nella leggera depressione della faccia inf. ; anteriormente esiste una zona priva di tuber- coli che forse rappresenta il solco citato dal Gauthier e dal Cotteau e caratteristico del gen. Thagastea. Periprocto subovale, piccolo, più vicino al margine post, che al peristoma. Attraverso al perist. è possibile esaminare l’interno del guscio e così senza FIBULARIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 527 sacrificare runico individuo, ho potuto accertarmi con adatta illuminazione, che non esistono affatto pilastri, pareti od altre produzioni calcaree nell’interno del guscio. Dimensioni: Altezza mm. 3 Diam. ant.-post. . . » 4,3 Diam. tr » 4. Rapp. e diff. — Dall’i?. Marioi Cott. ('), col quale ha non poca somiglianza nella forma, differisce per la struttura delle aree amb. e pel peristoma, che fanno classificare questa, in un genere diverso. Qualche affinità presenta pure, a parte le molto minori dimensioni, colla Tliagastea Wetterlei Pomel (2), ma se ne stacca per non essere così allungata, per non avere la som- mità amb. eccentrica in avanti, per le piastre amb. non con- vesse, pei pori un po’ diversi, per l’area amb. ant. che non è più larga e più lunga, pel periprocto non così avvicinato al peristoma e per l’app. apicale non sporgente. Dalla Fibularia Lorioli Gauthier, dalla F. subglobosa Goldfuss e dalla F. ovu- lum Agassiz, alle quali maggiormente potrebbe assomigliare dif- ferisce (a parte la presenza innanzi al peristoma di una zona liscia che la pone in un genere diverso) per la forma più an- golosa, per la posizione del suo periprocto che è assai lontano dal peristoma, pei pori amb. leggermente diversi, per le aree amb. eguali e per le dimensioni notevolmente minori. Fibularia? (Thaghastea? ) gibba, n. f. (Fig. 22 a, b, e ). App. apicale allungato, leggermente spostato in avanti, non forma l’apice essendo l’apice molto eccentrico innanzi. Pori gen. sulla linea degli ocellari; poro acquifero all’intersezione delle linee fra i gen. 2-4 ed i pori 3 (genitale) e II (ocellare). I pori gen. 1 -4 sono più vicini agli ocellari II- IV che agli ocellari I-Y. (') Op. cit., 1895, pag. 19, tav. III. fig. 11-14. (2) Cotteau, Pai. fr., Op. cit., pag. 387, tav. 294, 295, fig. -15. 528 G. CAPEDEE Forma subovale, subrotonda: faccia sup. molto convessa ed elevata, con apice eccentrico; faccia inf. pure leggermente con- vessa ad eccezione della zona fra il peristoma ed il periprocto che è sensibilmente depressa in un solco liscio. Aree amb. diritte aperte formate di piastre piane a suture ben visibili, egualmente sviluppate. Zone porif. strette, formate di paia di pori rotondi trasversali, in file diritte, non uniti da solco, in numero di 8 o 9 in tutte le zone. Aree interp. larghe quanto due porif., non rilevate. Aree interamb. convesse, a piastre con suture affatto invisibili, coperte invece di piccoli tubercoli scrobicolati, omo- genei, essi paiono farsi più radi sulle piastre amb. ed alla faccia inf. Le aree amb. paiono rinserrate dalle interamb., che presso il margine ed alla faccia inf. assumono una grande larghezza. Peristoma subcircolare, centrale; periprocto circolare, a metà distanza fra il peristoma ed il margine. Dimensioni: Altezza mm. 3,5 Diam. ant.-post. . . » 4,5 Diam. tr » 4. Dapp. e diff. — Si avvicina questa forma più che altro ad alcune forme della Tliagastea Wetterlei Pomel, a parte le molto minori dimensioni, per la forma generale ed il profilo della faccia sup. Ne differisce nondimeno oltremodo, per la faccia inf., per le zone amb., pel peristoma, pel periprocto e la sua posizione, ed infine perchè l’app. apicale non è sporgente nè centrale e non forma l’apice del guscio. Fibularia? gastroides, n. f. (Fig. 23 «, b, c ). App. apicale molto depresso, leggermente spostato innanzi, non forma però l’apice essendo esso molto eccentrico in avanti. FIBULA RIDI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 529 Pori ocellari II-IV quasi sulla linea dei gen., un po’ interni; poro III esterno a detta linea. Poro acquifero aH’intersezione delle linee fra i pori gen. 2-4 ed i pori 3 (geni- tale) e II (ocellare). I pori II-IV paiono più vicini ai gen. 2-3 che a quelli 1-4. Pori I-V molto sollevati. Forma ovale regolarmente, a curva più sentita in avanti; faccia sup. convessa, col- l’apice alquanto eccentrico in avanti, si deprime in corrispon- denza dell’app. apicale per l’incurvarsi degli amb., come nel- VE. infunclibidiformis. Faccia inf. convessa; margini molto gonfi e spessi. Aree amb. diritte, aperte, non rilevate, eguali, strette, formate di piastre a suture ben visibili, coperte da rari tubercoli. Zone porif. strette, formate di pori rotondi, eguali, non congiunti da solchi, in file leggermente incurvate di 7 od 8 pori disposti per paia trasversali. Zone interp. larghe più di una porif. non rilevate. Aree interamb., sul piano delle amb., larghe specialmente al margine e sulla faccia inf., leggermente concave con piastre e suture non visibili perchè coperte da numerosi tubercoli, piccoli, omogenei, scrobicolati. Peristoma centrale, ovale, si apre alla superficie del guscio; periprocto rotondo, a metà della distanza fra il margine e il peristoma. Dimensioni: Altezza mm. 2,7 Diam. ant.-post. . . » 4 Diam. tr » 3,2. Rapp. e cìiff. — L’app. apicale avvicina questa forma alla F. elliptica, n. f., ne differisce però per la posizione di esso apparecchio e per la posizione dell’apice, pei margini e la faccia inf., per le zone porif., e pel peristoma. Dalla F. capitata, n. f., differisce pei caratteri esposti a proposito di quest’ultima forma. Dalla F. Lorioìi Gautli., infine, cui potrebbe avvicinarla la forma generale e la faccia sup., per la sommità amb. non cen- trale, per l’area amb. ant. non più larga delle altre, pei pori 530 G. CAPEDER delle zone porif. non così numerosi (10), per la mancanza di una depressione presso il peristoma e per la posizione del periprocto. Fibularia? trigona, n. f. (Fig. 24 a, b , c). App. apicale centrale, forma l’apice. Pori ocellari sulla linea dei gen., ad eccezione del poro III esterno a detta linea; poro acquifero all’intersezione dei pori gen. 1-S 2Z£ ^ col poro 2 (genitale) e IV (ocellare). Tv \ Forma ovale, lievemente angolosa in cor- NsA, rispondenza degli amb.; faccia sup. molto ri- >» gonfiata; faccia iuf. convessa, leggermente rien- trante presso il peristoma; margini non molto spessi. Aree amb. convesse, sporgenti, specialmente l’ant. e le due pari post, sono formate di piastre leggermente rilevate a suture ben visibili. Zone porif. strette, diritte, aperte, formate di pori eguali, rotondi, in file diritte, disposti per paia trasversali, non congiunti da solco ed in numero di circa 8 nelle zone pari e imp. post, e 5 nelle pari ant. Zone interp. strette quanto una porif. Aree interamb. molto divergenti, per cui sono più larghe delle amb., al margine ed alla faccia inf. ; le suture delle piastre non sono visibili perchè coperte da tubercoli piccoli, eguali, scrobicolati; che pur si ritrovano ma più radi sulle aree interamb. e sulla faccia inf. Peristoma centrale, subovale, allungato nel senso del diametro antero-posteriore ; periprocto rotondo, un po’ più vicino al margine che al peristoma. Dimensioni: Altezza mm. 3 Diam. ant.-post. ... » 4,5 Diam. tr » 8,5. Bapp. e diff. — Differisce questa forma da tutte le Fibu- larie tanto per la struttura dell’apparecchio apicale quanto per gli altri caratteri, e sopratutto per le sue aree amb., che le FIBULAR1DI MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 531 impartiscono una angolosità caratteristica nonché per la posi- zione del suo periprocto. Dalla F. capitata , n. f., cui tanto assomiglia per le dimen- sioni ed anche per l’apparato apicale, si distingue per le zone porif., le interp., il peristoma e il periprocto. App. apicale centrale, forma l’apice, è allungato ed un poco depresso, sembra perciò capitato. Pori ocellari sulla linea dei gen.; poro faccia inf. leggermente convessa, margini arrotondati, ma non molto spessi. Aree amb. diritte, un po’ costolate, aperte, formate di piastre convesse a suture visibili, paiono eguali. Zone porif. strette, un po’ rilevate, formate di pori rotondi, eguali, disposte in file diritte, per paia obliqui, non congiunte da solchi ed in numero di 8 o 9 circa. Zone interp. larghe quanto due porif., anch’esse non rilevate. Aree interamb. più larghe delle amb., specialmente al margine ed alla faccia inf., costituite da piastre piane a suture invisibili e coperte da molti tubercoli piccoli, omogenei, scrobicolati, mentre essi sono poco numerosi sulle aree amb. Peristoma subrotondo, si apre nel centro della faccia inf.; periprocto piccolissimo, puntiforme, a metà fra il margine ed il peristoma. Fibularia? capitata, n. f. (Fig. 25 a, b , e). acquifero all’intersezione delle linee fra i gen. 1-3, 2-4. Pori ocellari II-IV molto avvicinati ai gen. 1-4. Forma leggermente angolosa in corrispon- denza degli amb.; faccia sup. assai convessa, Dimensioni : Altezza mm. 3 Diam. ant.-post. . . » 4,5 Diam. tr » 3,5. Rapp. e diff. — Questa forma differisce dalle altre per le dimensioni notevolmente minori, per la forma generale, per la 532 G. CAPEDER faccia inf., per il numero dei pori visibili dei suoi ambulacri, per le zone interp., pel suo periprocto, la sua grandezza e la sua posizione. La forma generale lo avvicinerebbe nondimeno alla F. am- bigua, n. f., e alla F. gastroides, n. f. Dalla prima differisce oltreché per la forma, la posizione e la struttura dell’app. apicale, per la faccia sup., la faccia iuf., per le aree ainb., per le zone porifere. Dalla F. gastroides, n. f., differisce ancora per la forma, posizione e struttura dell’app. apicale, per la posizione dell’apice, pel margine, per le aree amb., le zone porif., le interp., il peristoma, il periprocto. Fibularia? elliptica, n. f. (Fig. 26 a, b , c). App. apicale centrale, forma l’apice. Pori ocellari II-IV, interni alla linea dei gen., poro ocellare III esterno alla linea dei gen., ma di poco da essa allontanato; poro acquifero all’intersezione delle linee fra i gen. 2-3 cogli ocellari II-IV. Pori ocellari I-V, vicini più degli altri ai gen. 1-4. Forma regolarmente ovale, forse un po’ an- golosa innanzi in corrispondenza dell’amb. im- pari anteriore. Faccia sup. regolarmente declive, molto convessa ed elevata; faccia inf. lievemente convessa; margini arrotondati ma non spessi. Aree amb. diritte, quasi aperte, non rilevate sulle interamb., formate di piastre a suture ben visibili, quasi prive di tubercoli. Zone porif. strette, formate di pori eguali, rotondi, disposti per paia trasversali, in file diritte di 8 o 9 pori l an- teriore e di 6 pori visibili le altre. Zone interp. non rilevate sulle porif., larghe quanto due porif. Aree interamb. larghe, più delle amb. al margine ed alla faccia inf., un po’ convesse formate di piastre a suture poco visibili, coperte di molti tubercoli eguali, omogenei, scrobicolati che coprono pure quelle della faccia inf. Peristoma subovale, centrale, si apre in una lieve limitata de- pressione; periprocto subrotondo a metà distanza fra il margine ed il peristoma. FIBULARID I MIOCENICI DI S. GAVINO A MARE 533 Dimensioni : Altezza . , . . . Diam. ant.-post. . . Diam. tr min. 3,2 » 4,7 » 3,7. Eapp. e diff. — Dalla F. ovulum A g. vivente, cui maggior- mente potrebbe avere affinità, essa differisce per la forma gene- rale più angolosa, per la faccia inf., per le zone porif. di diversa lunghezza, pel peristoma, per la posizione del periprocto, ed infine, per le dimensioni minori. Dalla Fibularia Lorioli Gauth., dell’eocene, differisce poi notevolmente per la forma generale, per le aree amb., che nella Lorioli sono di differente larghezza, pel numero dei pori delle zone porif., per la loro larghezza, pel peristoma subpentagonale nella Lorioli, pel periprocto e la sua posizione, infine per le mag- giori dimensioni di quest’ultima specie eocenica. [ms. pres. il 15 maggio 1906 - ult. bozze 25 settembre 1906]. 534 G. CAPEDER SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 a-f. Echir wcyamu » 2 a-c. » » 3 a-c. » » 4 a-e. » » 5 a-d. » » 6 a-c. » » 7 a-c. » » 8 a-c. » » 9 a-c. » » 10 a-c. » » 1 1 a-e. » » 12 a-c. » » 13 a-c. » » 14 a-d, 17 a-c. » » 16 a-c. » » 19 a-e. » » 21 a-c. » » 27 a-b. » » 15 a-c, IH a-b Fibular » 20 a-c. » » 22 a-c. » » 23 a-c. » » 24 a-c. » » 25 a-c. » » 26 a-c. » umbonatus Pomel. acuminatus, n. f. infundiboliformis, n. f. declivis Pomel. Studeri Desor. mucronatus, n. f. stellatus, u. f. lanceolatus, n. f. pseudolanceolatus, n. f. coronatus, n. f. pseudoumbonatus, n. f. linearis, n. f. polymorphus, n. f. circularis, n. f. pyriformis Agassiz. sp. pseudopusillus Cotteau. Marioi, Cotteau. i ambigua, n. f. ( Thagastea ) miocenica, n. f. gibba, n. f. gastroides, n. f. trigona, n. f. capitata, n. f. elliptica, n. f. Tutte le figure sono ingrandite tre volte e mezzo. Boll. Scc. Geol. Ital. Voi. XXV (1906). DA FOTOGRAFIE DELL’ AUTORE (.Capeder) Tav. X. b ELIOT CAL’OLAIHW FHKRrtRIO-MILANO SOPRA UNA TARTARUGA FOSSILE DELLA FRANCIA MERIDIONALE (con due figure) Nota del socio Giuseppe De Stefano La presente notizia serve alla illustrazione di un chelonide inedito, comunicatomi gentilmente in studio dal prof. H. Dou- villé, e che fa parte della piccola ma interessante raccolta di rettili fossili conservati fra le collezioni paleontologiche della Scuola superiore delle miniere di Parigi. Il fossile, del quale vado a parlare, spetta ad una nuova forma del genere Ocadia Gray, il quale è rappresentato ai no- stri giorni da una sola specie; nei tempi geologici passati tale genere è stato rappresentato invece da numerose e svariate for- me (*). In omaggio al professore di geologia dell’Università di Na- poli, per il nuovo cheionio, propongo il nome specifico di Bas- sani. Esso appartiene al grès di Carcassonne nell’ Hérault, dove fu raccolto, nel 1885, dal sig. E. Pitorre, il quale lo cedette al prof. H. Douvillé. Il Vasseur, nella sua carta geologica di Francia del 1899, colloca il grès di Carcassonne nel Luteziano medio, rappresentante gli strati inferiori di tale orizzonte geo- logico, con avanzi di. Lophiodon leptorinum Filhol e Lopli. ces- serasicum Filli.; di guisa che, il fossile dell’HérauIt appartiene alla base del Luteziano medio della Francia meridionale. (*) De Stefano Giuseppe, Les Ocadies fossiles. Atti della Società ita- liana di scienze naturali. Voi. XLIV, fase. I, 1905. 536 G. DE STEFANO Ocadia Bassani De Stefano. (Fig. 1 e 2). Esaminando il molto incompleto avanzo del chelonio in que- stione, ci colpisce a prima vista la poca elevazione della sua corazza in confronto ai suoi diametri antero-posteriore e trau- sverso, i quali nell’animale vivente dovevano raggiungere no- tevoli dimensioni. Dico, dovevano essere molto sviluppati, per- chè della porzione latero-posteriore dello scudo dorsale non si osserva che la sola superficie compresa fra la parte po- steriore della seconda scaglia e la quinta vertebrale, e tuttavia il contorno margine-costale fra tali limiti, ha un considerevole sviluppo. E anche degna di nota la larghezza del carapace: già misurando la larghezza di detto scudo al limite della regione mediana della quarta scaglia vertebrale, osserviamo un diametro di 245 mm.; mentre è da ritenersi che tale regione, per quanto vasta, non doveva essere la più larga. Da quanto precede, anche ammesso che la superficie dello scudo del cheionio in esame abbia subito un leggiero schiacciamento per compressione ver- ticale, risulta che quest’ultimo era di grandi dimensioni in lunghezza ed in larghezza, ma possedeva però una elevazione verticale pochissimo accentuata. Un sommario esame sulla parte posteriore sopravvissuta del piastrone ci induce a ritenere che, allo stato completo, esso do- veva avere il lobo anteriore più largo di quello posteriore, e che restava saldato al carapace per una considerevole lunghezza; tanto più che il lobo posteriore ha una dimensione di 125 mm. dal fondo della insenatura inguinale fino allo estremo posteriore libero dei pezzi ossei xifìpiastronali. Questi ultimi, determinano al margine posteriore una larga e profonda insenatura, come si osserva nella vivente Ocadia sinensis Gray, nelle Ocadie del- l’eocene inglese ( 0 . oweni Lydekker, 0. crassa Owen sp.), ed in qualche forma della mollassa miocenica di Losanna in Sviz- zera ( 0 . Nicoleti Pictetet Humbert sp.). L’allungamento del lobo piastronale posteriore, non che il fatto di essere esso più stretto dell’apertura del carapace, sono caratteri che si osservano non SOPRA UNA TARTARUGA FOSSILE 537 solo nelle Ocadie fossili, ma anche nella specie che vive pre- sentemente. Carapace (fìg. 1). — Si è già detto che la sola parte non distrutta dello scudo dorsale del cheionio dell’Hérault è quella costituita dal fianco destro o dalla regione posteriore. Della serie vertebrale si osservano le ultime tre piastre, delle quali, per effetto della fossilizzazione, con pena si rintracciano le suture. I pezzi ossei in discorso hanno forma di esagono irregolare, l’anteriore col diametro antero-posteriore più lungo dal tran- sverso, gli altri due con quest’ultimo che eccede un po’ su quello longitudinale. La loro grandezza e la loro lunghezza va gra- dualmente diminuendo dal pezzo anteriore al pezzo posteriore; e tutti e tre si trovano nel campo della quarta scaglia neurale. Tale fatto, e l’altro che, sul blocco roccioso sul quale si formò il fossile, si osservano pure le impronte della parte posteriore di un quarto pezzo vertebrale (quinto della serie?), compreso anch’esso nel campo della quarta scaglia vertebrale, fanno di leggieri comprendere che le piastre neurali della regione ante- riore e mediana dovevano essere molto allungate ; carattere che si riscontra in tutte le forme del gen. Ocadia. Fra le piastre ossee della corazza esistono le relazioni con- forme al piano che regola generalmente la costituzione dello scudo dorsale delle Emidi; cioè, uno qualunque dei pezzi ver- tebrali trovasi adiacente a due paia di piastre costali, vale a dire al paio dello stesso numero d’ordine per la maggior parte del loro margine interno, ed al paio di una unità di meno per l’angolo postero-interno delle singole piastre costali. In conclu- sione, ogni piastra costale urta con la vertebrale corrispondente e con quella posta immediatamente avanti. Quanto ai pezzi ossei marginali, dirò che due piastre mar- ginali, piccole e di forma quadrangolare, costituiscono l’estremo posteriore della serie mediana. Io non insisto su questo carat- tere, che alcuni erpetologi considerano come proprio delle tar- tarughe paludine e marine, perchè esso si riscontra anche fra le più antiche tartarughe terrestri [gen. Hadrianus Cope] (!). (') Proceedings of thè American Philosopliical Society , 1872, p. 468. — Cope E. D., The Vertebrata of thè tertiary formations of thè West. Bock I, voi. Ili, 1884, pag. 142. 538 G. DE STEFANO Intorno agli altri pezzi della serie marginale, dirò quanto segue: quelli latero-posteriori sono più vasti dei latero-anteriori; ma tutti hanno forma quadrilaterale. Nei primi, il diametro che li traversa nel senso radiale è presso a poco eguale a quello tran- sverso; fatto anche questo che si osserva nella generalità dei chelonii della famiglia JEmydidae. Nei pezzi marginali antero- laterali, il diametro longitudinale eccede su quello transverso. SOPRA UNA TARTARUGA FOSSILE 539 Tale ordinamento conduce ad una graduale diminuzione in al- tezza fra i pezzi esaminati, a cominciare da quelli posteriori, per arrivare agli anteriori ; ed al contrario, conduce ad una graduale Fig. 2. allungamento, a partire sempre da quelli posteriori per arrivare agli antero-laterali della serie. Una così fatta disposizione delle piastre marginali sopravvis- sute, e la poca inclinazione che esse tutte hanno sulla corazza, 37 540 G. DE STEFANO sono fatti che ci fanno comprendere come in essa il maggior diametro in larghezza non corrisponda perfettamente alla regione mediana, ma resta più indietro, in modo che la parte poste- riore dello scudo dorsale doveva essere più slargata di quella anteriore, con un contorno marginale regolare, al pari di quanto si verifica nella attuale Ocadia sinensis. Le scaglie vertebrali analizzabili sono le due posteriori della serie ; ma esse non sono nemmeno complete : la quarta è priva della regione latero-anteriore destra ; e la quinta difetta della por- zione latero-inferiore destra. Tuttavia la loro forma è valutabile : esse hanno forma di esagono irregolare. La quarta ha il diametro antero-posteriore quasi eguale a quello transverso; il margine an- teriore è molto più largo del posteriore; i margini latero-ante- riori sono più sviluppati di quelli latero-posteriori. La quinta è più larga che lunga ; per la brevità del suo margine anteriore, arrotondato in avanti, presenta una superficie stretta anterior- mente e slargata indietro. I suoi margini latero anteriori limitano con quelli posteriori delle scaglie costali del quarto paio ‘.quelli latero-posteriori, meno sviluppati degli antecedenti, attaccano con i supero-posteriori delle scaglie marginali collaterali alle due pigali; le quali ultime hanno il margine interno suturato col bordo posteriore dell’ultima vertebrale, ed arrotondato in fuori. Le scaglie costali sono quasi tanto larghe che lunghe, ed i loro margini superiori confinano col vertice dell’angolo formato dai bordi laterali delle scaglie vertebrali, essendo sempre un po’ più larghi di queste ultime. Le scaglie marginali hanno forma quadrangolare, ma vanno diminuendo gradualmente in superficie man mano che dalla re- gione posteriore si approssimano ai fianchi: il loro diametro longitudinale eccede un po’ su quello transverso. Piastrone (fig. 2). — Nello scudo in questione, da quanto si è detto in precedenza, si comprende che mancano Tepipiastrone, 1’ entopiastrone e l’ iopiastrone. Dell’ epipiastrone si osserva la parte laterale sinistra; e da ciò che è sopravvissuto si arguisce che i due pezzi iopiastronali dovessero essere poco più lunghi che larghi. La linea suturale mediana del piastrone si sviluppa alquanto ondulata; e quella che segna la sutura fra i pezzi ipo- piastronali e xifipiastronali si distacca dalla mediana quasi ret- SOPRA UNA TARTARUGA FOSSILE 541 tilinea, inclinando un po’ dall’avanti all’indietro e formando due angoli ottusi sulle ossa xifipiastronali. Lo xifipiastrone, più largo anteriormente che posteriormente a causa della conver- genza a cui tendono i margini latero-esterni, è, nel primo terzo anteriore della sua superficie, occupato dalle scaglie femorali: il campo dei due terzi posteriori è coperto dalle scaglie anali. Le scaglie femorali sono di forma quadrangolare, e quasi tanto lunghe che larghe. Il solco femore-addominale si trova nel campo dei pezzi ipopiastronali ; il solco femore-anale, situato tutto nel campo degli xifipiastronali, è parallelo alla sutura ipo-xifipiastronale, vale a dire, si distacca dal solco mediano secondo una linea retta, ed inclinandosi dall’avanti all’indietro. Le scaglie anali sono di forma subromboidale, con i margini posteriori incavati, e formanti un angolo aperto, il cui vertice confina con l’estremo limite della sutura mediana. Comparazione. — Il descritto cheionio, quantunque incom- pleto e non ci permetta perciò di constatare se il solco umero- pettorale intaccasse o pur no l’entopiastrone del suo scudo, pei suoi caratteri generici è rapportabile al gruppo delle Ocadie poco note fino a poco tempo fa tra i fossili terziari europei ed americani. Esso ci rappresenta inoltre una nuova specie. Difatti, si distingue dalle forme eoceniche inglesi 0. oweni Lydekker, e 0. crassa Owen sp. (*); da quelle tedesche, 0. ossleriana Keinach, 0. protogaea Meyer sp. (2), da quelle francesi già co- nosciute, 0. sansaniensis, Lartet sp. (3), non che da quelle della molassa di Losanna (4), sia nei rapporti dei pezzi vertebrali posteriori, sia nella estensione del piastrone, sia nel piano se- condo il quale sono collocate le scaglie. Soresina, gennaio del 1906. . [ms. pres. il 23 gennaio 1906 - nlt. bozze 25 settembre 1906]. (') Lydekker, Catalogne of thè foss. Rept. and Ampli, eco., part III, pag. 108, 1888. (2) Reinach (H. v.), Schildkròtenreste im Mainzer Tertiàrbeclcen und in benachbarten ecc., 1900, pag. 94. (3) De Stefano Giuseppe, Cheloniani fossili cenozoici, 1902, pag. 269 (4) Cfr. De Stefano Giuseppe, Les Ocadies fossiles. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Le due figure inserite nella presente nota rappresentano lo scudo dorsale (fig. 1) ed il piastrone (fig. 2), ridotti a metà grandezza natu- rale, deWOcadia Bassani n. sp. — I simboli Ad., Ip., Fm., Xp., An., che si trovano segnati sul piastrone (fig. 2) del cheionio descritto, indicano successivamente : le scaglie Addominali, i pezzi Ipopiastronali, le scaglie Femorali, i pezzi Xifipiastronali e le scaglie Anali. Le due figure sono il risultato di disegni, copiati dal vero, del signor I. Papoint, addetto al laboratorio di paleontologia del museo di storia naturale di Parigi. MOLLUSCHI PLIOCENICI RARI, 0 NON CITATI, DELLE COLLINE SUBURBANE DI ROMA SULLA RIVA DESTRA DEL TEVERE Nota del socio Prof. Romolo Meli Da qualche tempo ho potuto riprendere la ricerca e lo studio dei molluschi, sia viventi sul littorale romano, che fossili nel pliocene degli immediati dintorni di Roma, specialmente delle colline, che trovansi sulla destra riva del Tevere, a NW., ad W., e a SW. della città e che formano il gruppo collinesco dei monti Mario, Vaticano, Gianicolo; i colli di S. Passera, della Magliana ed adiacenze. Ma, queste ricerche procedono ad intervalli ed assai lentamente, dovendo attendere ad occupa- zioni svariate, le quali mi lasciano ben poco tempo disponibile per gli studi conchiologici. Non cesso per altro, con i modesti mezzi, di cui dispongo, di raccogliete nuovi materiali, che vanno ad aumentare le mie raccolte, e di tener conto delle specie nuove, o rare, per il ter- ritorio di Roma, o non per anco citate nei cataloghi finora stampati, le quali vengonsi estraendo dal pliocene e dal qua- ternario dei colli romani. Ho anche riunito molti appunti per la rettifica delle deter- minazioni di talune specie, già segnate nei cataloghi editi. Dagli appunti presi nell’anno corrente stacco poche note, che si riferiscono ad alcune specie di molluschi fossili, rare, o nuove, per gli anzidetti dintorni di Roma. 544 R. MELI Yola Planariae Simonel. ( Pecten ). [Simonelli V., Terreni e foss. dell’isola di Pianosa nel mar Tirreno — Boll. d. R. Comitato Geol. d'Ital., voi. XX (voi. X, Serie IIa), n. 7-8, luglio-agosto 1889, pag. 215-217, tav. V, tig. 1 ( Pecten {Vola) Planariae ). — Ugolini R., Pettinidi nuovi o poco noti d. terr. terz. ital. — Rivista ital. di Paleont., anno IX, 1 luglio 1903, fase. Ili, pag. 87-89, tav. VI, fig. 8 e tav. VII, fi g. 2 ( Pecten Planariae)}. Questa forma fu confusa colla V. maxima (Lina.) e, come tale, fu indicata erroneamente nei precedenti cataloghi del Monte Mario, sempre indicata quale rarissima. Nei cataloghi, finora pubblicati, dei molluschi fossili degli immediati dintorni di Roma, che si riferiscono al Monte Mario e località circostanti, cioè: Villa Madama, Farnesina, Acqua- traversa e parte superiore della Valle dell’Inferno, è segnato il Pecten maximus , ma, tale inesatta determinazione deve rife- rirsi al P. Planariae. Tanto nella collezione Conti, che visitai anni indietro a Ferrara sotto la guida dello stesso Conti, e in- torno alla quale presi moltissimi appunti, relativi a parecchie determinazioni, quanto nella mia collezione, gli esemplari, clas- sificati col nome del P. maximus , sono da riportarsi al P. Pla- nariae. Ecco pertanto la bibliografia, che si riferisce a questa specie per i terreni romani: 1864. Pecten maximus Conti A., Il Monte Mario ed i suoi foss. subapen- nini (l.a ediz.), pag. 24 (n. Limi.). 1871. Pecten maximus Conti A.. Il Monte Mario (2,a ediz.) pag. 31. 1881. Vola maxima Meli R., Notizie ed osservaz. sui resti organici rinve- nuti nei tufi leucitici della prov. di Roma — Boll. d. R. Com. geol. d’Italia, 1881, n. 9-10, pag. 449, in nota, n. 3. (= pag. 24 dell’estr.). 1882. Vola maxima Zuccaia A., « Collezione Rigacci » Catal. d. foss. dei dintorni di Roma, pag. 13, n. 286. 1888. Vola maxima Clerici E., Sulla « Corbicula fluminalis » dei dint. di Roma e sui fossili che l’accompagnano — Boll. d. Soc. Geol. ital., voi. VII, fase. 2, pag. 110 (= pag. 8 estr.). 1899. Pecten maximus Meli R., Osservazioni sul « Pecten ( Macrochla - mys) Ponzii » Meli e confronti con alcune forme di Pectinidi neogenici affini, che visi collegano — Boll. d. Soc. geol. ita!., voi. XVIII, fase. 3, p. 336, nota (2) (= pag. 15 estr.). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 545 1905» Vola Planariae Meli R., Sulla « Vola Planariae » Sinionelli ( Pecten ) fossile nei terreni pliocenici e quaternari dei dintorni di Poma — Boll. d. Soc. Zoologica ital., Serie Ua, voi. VI, fase. VII-VIII, pag. 258-259. Tre grandi frammenti di valva inferiore, estratti dalle sabbie di Àcquatraversa, ed una valva inferiore intera dal quaternario della demolita fornace Maronese sulla spiaggia di Nettuno nel littorale romano (Coll. Meli). Belli esemplari della specie in parola, completi delle loro rispettive due valve, ed alcuni altri frammentari furono scavati dalle marne sabbiose grigie del pliocene inferiore tra Capo d’Anzio (collina del Semaforo, dopo l’Arco Muto) e la sorgente del Turco, lungo la costa di Anzio a N - NW. del paese, dal sig. Luigi Grassi, che si conservano nella sua collezione di fossili. Di questi esemplari di Anzio presentai la fotografia alla Società Zoologica Italiana nell’Adunanza del 26 Novembre 1905 e ne parlai brevemente (J). La memoria relativa con le figure sarà pubblicata forse nel Bollettino della Società Zoologica Italiana. La specie fu dapprima rinvenuta nel pliocene dell’isola di Pianosa nel mar Tirreno dal Simonelli e poi fu indicata dal- l’Ugolini nel pliocene e post-pliocene delle colline Pisane ed a Vallebiaia; non si conosce vivente nei mari attuali. Mytilaster crispus Cantr. (Mytilus). [Weinkauff H. C., Die Conchyl. des Mittelmeeres, voi. 1, 1867, pag. 230, spec. 4. (Mytilus crispus) e voi. II, 1868, pag. 441. r— Monterosato (di) A., Enum. e Sinonimia delle condì, mediterranee , Parte Ia, 1878, pag. 5 (Mytilus crispus). — = Mytilus minimus Zuccari A., Coll. Pigacci — Cai. d. foss. d. dintorni di Poma, 1882, pag. 13, n. 265 (non Linn.)]. La specie, che fu citata dallo Zuccari col nome di M. mi- nimus (n. Linn.), si rinviene frequentemente nelle sabbie gialle di Malagrotta sulla via Aurelia e più di rado nelle marne della Magliana sulla via Portuense. Io ho fatto accurati confronti tra gli esemplari viventi, provenienti da Zara e da Venezia, ove (') Bollettino ’d. Soc. Zoologica Ital., Serie IIa, voi. VI, fase. VII- VIII, 1906, pag. 257. 546 R. MELI è comune, e quelli fossili delle due anzidette località e li ho ritrovati identici. Ne raccolsi alcuni esemplari anche nelle marne della fornace, oggi inattiva, della Magliana dietro il Monte delle Piche sulla Portuense, e ne ho estratto una valva dalle marne alquanto sabbiose, plioceniche, presso Orte (4). Clerici notò questa specie nelle sabbie marnose quaternarie della stazione di Montalto nel circondario di Civitavecchia; nelle trincee della ferrovia, da Chiarone a Montalto (2) e nelle sabbie di Malagrotta (3). Vivente fu anche citata ad Ancona (Monterosato). Anomalocardia diluvii Lamk. (Arca). [Chemnitz J. H., Neues System. Conchyl.-Cabinet, tom. VII, 1784, tav. 65, fig. 549 (Arca antiquata, secondo Pfeiffer L., Eritisch. Register zu Martini und Chemnitz' s syst. Konch.-Kab., 1840, pag. 69, n. 549). — Poli F. X., Test, utriusq. Siciliae , tom. II, 1795, pag. 146, tav. 25, fig. 14, 15 (Arca antiquata n. Linn.). — Deshayes in Lamarck, Hist. nat. d. anim. s. vert. Denxiéme éd., tom. VI, 1835, pag. 470, n. 26 e nota a piedi delle pag. 470-471 (Arca antiquata), e pag. 476, n. 2 e nota alle pag. 476-477 (Arca diluvii). — Hornes M., Die foss. Moli. d. tert. Deck. v. Wien, voi. II, 1862-70, pag. 333, spec. 8, tav. 44, fig. 3 a, b, c, d,; 4 a, b, c (Arca diluvii) ]. Secondo Weinkauff, Mayer (Catal. syst. et descriptif d. foss. d. terr. tertiair. qui se trouvent au Mus. Fédér. de Zurich , 3me cahier. Mollusq. 1868, pag. 75-76), Monterosato ( Enum . e si- non., op. cit., pag. 7), questa specie dovrebbe chiamarsi A. Polii May. =: A. diluvii auct. = A. antiquata auct. (n. Linn.) (4). Alcune valve isolate ed un esemplare completo dalle marne sabbiose della Farnesina. Ne ho anche due valve, una delle (*) (*) Nelle stesse marne plioceniche di Orte raccolsi: Cardium hians Brocc., Pecten varius (Linn.). (2) Clerici E., Rinvenimento di diatomee nei dintorni di Montalto (prov. di Roma) — Boll. d. Soc. Geol. it., voi. XV, 1896, fase. 4, pag. 477. O Clerici E., La formazione salmastra nei dintorni di Roma — Rendiconti d. R. Accad. d. Lincei., Classe di Se. fis., mat. e nat., voi. II, 1° sem., fase. 3°, seduta 5 febbraio 1893, pag. 148. (4) Vedasi ancora: Monterosato (di), Nota sopra alcune conchiglie coralligene del Mediterraneo — Bull. d. Soc. Malacolog. Ital., Voi. VI, 1880, pag. 245, n. 4 e 246 (Arca Polii May,). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 547 quali consumata per fluitazione, delle sabbie gialle di Acqua- traversa, ove la citai nel 1881, col nome di Arca antiquata (f). Questa specie è indicata nei precedenti cataloghi, come ra- rissima nelle sabbie grigie e gialle del Monte Mario, ma è molto comune in grandi e belli esemplari, anche completi dalle 'due valve, nelle sabbie gialle dell’alta Valle dell’Inferno (2). Gli esemplari presentano sull’area cardinale, 5, ed anche 6, solchi, d’accordo colla diagnosi di Lamarck; alcuni esemplari della Valle dell’Inferno, per grandezza, forma della conchiglia e facies di essa, si avvicinerebbero AY Arca (Anomalocardia) turonica Duj., figurata nella sopracitata opera di Hornes \Die foss. Moli, d. Tert. Beclc. v. Wien, voi. I, 1856, pag. 332, spec. 7 e pag. 333, tav. 44, fig. 2 a, b, c, d , e\. La specie si ritrovò anche in valve frammentarie, logorate per fluitazione di trasporto, nei depositi alluvionali dell’alveo del Tevere a Roma, evidentemente proveniente dai terreni plio- cenici marini a monte della città, ove è comune (pliocene del circondario di Roma, della Sabina, Umbria, Orvietano) e la citai tra quelle raccolte nelle sabbie alluvionali scavate per l’affon- damento dei cilindri del ponte di ferro a Ripetta, oggi demo- lito e sostituito dal ponte Cavour (3). La specie, come è noto, è vivente nel Mediterraneo (ved. Philippi, Weinkauff, Monterosato, Carus, ecc.), ma si hanno forme di Anomalocardie analoghe od equivalenti, che vivono negli Oceani, alcune delle quali sono descritte nell’opera di R. A. Philippi, Abbildungen und Besclireibungen neuer oder wenig geliannter Conchylien, Cassel, voi. I, 1845, e voi. II, 1847. (') Meli R., Notizie ed osservaz. sui resti organici rinvenuti nei tufi leucitici d. prov. di Roma — Boll. d. R. Comitato geol. d’Italia, 1881, n. 9-10, pag. 449, n. 16 (= pag. 24, *n. 16 dell’estr.). (2) Meli R. e Ponzi G., Moli. foss. d. M. Mario — R. Accad. d. Lincei, Serie 4a, Mem. d. Cl. di Se. fis., mat. e nat., voi. Ili, 1886, pag. 683, n. 133. (3) Meli R., Sulla natura geol. d. terr. incontrati nelle fondazioni tubulari d. nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Ripetta e sull’ « Unio sinuatus » — R. Accad. d. Lincei, Serie 3a, Mem. d. Classe di Se. fis.. mat. e nat., voi. Vili, 1880, nota a piedi della pag. 324 (— pag. 7 dell’estr.). 548 R. MELI Dischides bifissus S. Wood (Dentalium). [Wood S. V., Crag Mollusco, , voi. I, 1848, pag. 190, tav. XX,fig. 8 a, b, (Dentalium bifissum). — Weinkauff H. C., Die Conchyl. des Mittelm., voi. IL 1868, pag. 421-422 (Dischides bifissus). — Manzoni A., Saggio di conch. foss. subapp., 1868, pag. 67 (Dischides bifissus ). — Montero- sato (di), Catal. d. conch. foss. di Monte Pellegrino e Ficarazzi presso Palermo. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia, 1877, voi. Vili, n. 1-2, pag. 33 (Dischides bifissus). — Locard A., Les coquil. marines des cdtes de France, 1892, pag. 240, fig. 218 ( Dischides bifissus). — Monterosato (di), Enum. e sinon. d. Conch. medita Parte Ia, 1878, pag. 17 ( Dischides bifissus j. — Sacco F., I moli, dei terr. terz. d. Piemonte e d. Liguria, Parte XXIIa, 1897, pag. 115, tav. X, fig. 56-58 ( Dischides bifissus)]. Fossile nelle marne sabbiose della Farnesina, nelle sabbie gialle della stessa località, dell’alta valle delFInferno, e di Acqua- traversa sulla via Cassia. La specie fu citata fossile nel plioc. italiano per la prima volta dal Manzoni (op. cit., pag. 68), poi pel Monte Mario dallo Zuccari {Catal. d. foss., mem. cit., pag. 14, n. 318), e per le sabbie di Acquatraversa dal Clerici (*). Monterosato (op. cit.) la indica abbondante in molte loca- lità del Mediterraneo, e cita questa specie fossile al Monte Ma- rio (2) ; ma, segna come sinonimo di essa il Dentalium laeviga- tum Ponzi-Rayn.-Van den Hecke. Ora, con questo ultimo nome si indicò dai predetti autori una forma, molto più grande, di Dentalium , che dovrebbe identicarsi secondo la mia opinione, colle forme giovani del Pseudantalis rubescens Desb. ( Den- tai inni) (3). C) Clerici E., Sulla « Corbicula fluminalis» d. dintorni di Roma e sui foss. che V accompagnano — Boll. d. Soc. Geol. it., voi. VII, 1888, fase. 2, pag. 110. (= pag. 8 dell’estr.). (2) Monterosato (di) A., Nomenclatura gener. e specif. di alcune conch. medit., 1884, pag. 34. — Id., Cat. d. conch. foss. di M. Pellegrino, 1877, pag. 33. (3) Deshayes G.-P., Anatomie et monogr. du genre Dentale, 1826, pag. 363, n. 24, PI. XVI, fig. 23, 24 ( Dentalium rubescens ). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 549 Gadinia latere-compressa Rayn. Ponz. Yan d. Hecke (Patella). 185-1. Patella latero-compressa De Rayneval, Van den Hecke et Ponzi, Catalogne des foss. du Monte Mario, pag. 9, n. 113 et pag. 16 (G). 1856 Van den Hecke, Rayneval et Ponzi, Monte Mario, PI. II, fig. 2 a, b. ( '). 1864. Patella latero-compressa Conti A., Il Monte Mario ed i suoi fos- sili subap., pag. 26. 1868. Patella latero-compressa Mantovani P., Sulla distribuzione generale della fauna foss. nel mare plioc. paragonata con l’analisi d. sedimenti lasciati da quel mare, pag. 16. 1871. Patella latero-compressa Conti A., Il Monte Mario (2a edizione), pag. 33. (l) Sono due tavole (PI. I et II), inedite, di fossili del Monte Mario, molto bene disegnate, che insieme ad altre due (PI. Ili et IV) del Va- ticano, furono fatte eseguire dal Ponzi, Rayneval e Van den Hecke, circa il 1856, in Francia (non in Italia, come è stampato nella riproduzione fattane dalla Libreria Baillière a Parigi nel 1877). I disegni furono dal vero eseguiti da P. Lackenbauer e le tavole furono incise nella Lito- grafia Becquet Frères, rue des Noyers, 37. Di ciascuna tavola furono tirate circa 150 copie. Io ne possiedo più di 100 esemplari, che mi per- vennero coll’acquisto, che feci, di una parte della Biblioteca Ponzi, il quale le ebbe, dopo la morte del Van den Hecke, dal dott. Krantz di Bonn, secondo quanto il Ponzi stampò nel 1876 nella sua memoria I foss. del M. Vaticano (Ved. pag. 5 dell’estr.). Le tavole dovevano servire per una nuova edizione del Catalogo fossili del Monte Mario, che Rayneval, insieme al Ponzi e al Van den Hecke, aveva in animo di stampare, aggiungendovi la indicazione dei fossili delle marne del Monte Vaticano, ai quali si riferiscono le PI. Ili et IV. La morte del Rayneval e la partenza del Van den Hecke per il Belgio non fece andare in esecu- zione tale progetto. Le PI. Ili e IV del Vaticano furono riprodotte nella loro integrità nel 1876 dal Ponzi e trovansi annesse alla sua me- moria Contribuzione alla Paleontologia italiana. I fossili del Monte Va- ticano.— Atti d. R. Accad. d. Lincei, anno 1875-76, Serie IIa, voi. Ili, parte 2a, Mem. d. Classe di Se. fis., mat. e nat. Sono le tav. Il e III annesse alla suddetta memoria-. Una parte della PI. I (Monte Mario) fu riprodotta nella tavola unita alla memoria Ponzi-Meli. Moli. foss. d. Monte Mario — R. Accad. d. Lincei, 1885-86, Serre 4a, Mem. d. Classe di Se. fis. mat. e nat., voi. III. Nella vendita della Biblioteca di G. P. Deshayes, che ebbe luogo nel dicem- bre 1875 a Parigi, si trovavano due delle tavole del Monte Mario e sono notate nel Catalogne de livres d’hist. natur. et particulierement de 550 R. MELI 1875. Patella latero-compressa Mantovani P., Descriz. geol. d. Campagna romana, pag. 42, n. 65. l87o. Patella latere-compressa Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo di un quadro gener. d. per. glaciale , pag. 25 (estr.), n. 133. IS’7’7 De Rayneval (le comte) Coquilles foss. de Monte Mario; terrains tertiaires des environs de Pome, Planche IV, iig. 1, 2 (cattiva riproduzione della figura sopra citata in li- tografia del 1856). 1882. Gadinia compressa Tiberi N. in Jefifreys, Proceeding. of thè Zoolog. Soc., pag. 673 (teste Monterosato). 1890. Cocculina latero-compressa Monterosato (di), Condì, della profon- dità del mare di Palermo, nel periodico « Il Naturalista Siciliano», anno IX (1889-90), pag. 142, 143. Questo fossile, che trovasi nelle marne sabbiose della Farnesina e, meno frequentemente, nelle supe- riori sabbie gialle, fu descritto nel 1854 da Eayneval-Ponzi e Van den Hecke, come si rileva dalla biblio- grafia della specie riportata supe- riormente, e fu riferito al genere Patella. Trascrivo testualmente gli ap- punti originali, scritti dal Van den geologie et de Concliyliol. composant la Bibliothèque de M. G. P. Deshayes. — Paris, J-B. Balliére et fils, 1875, pag. 118, n. 1567, con le seguenti indicazioni : « 1567. Rayneval (de), Coquilles appartenant aux terrains tertiaires » des environs de Rome — Rome. 1856, in-4, 2 pi. Ces 2 planches portant » le n.os II et IV, les seules qui aient été lithographiées, n’ont jamais » été publiées ». Le suddette due tavole furono stampate dal Balliére nel 1877 senza indicazione alcuna delle specie. La PI. II presenta le figure riferibili a 5, tra specie e varietà, di Pectunculus del Monte Mario; nella PI. IV le figure 1 a 5, 13 a 17, 20, 21, 26 a 31 si riferiscono a gasteropodi del Monte Mario; le figure 7 a 12, 22 a 25, 33,34 sono di fossili del Vaticano, e le fi- gure 6 e 32 rappresentano due fossili del pliocene di Formello presso Mon- ticelli, oggi Monte Celio, mentre le fig. 18, 19 riproducono una Melanopsis delle marne di Vitriano presso Marcellina alla base del Monte Gennaro. Le figure della C. latere-compressa , che presento unite a questa nota, sono riprodotte da una delle sopracitate tavole inedite (tav. II, Monte Mario). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 951 Hecke (’), su questo piccolo, ma interessante fossile: « Pa- » fella latero-compressa. Cette coquille me paratt avoir une » grande analogie avec VAncylus compressus de Nyst (pag. 460, » PI. XII, fig. 16 a, b, c), trouvée par Vanhaesendonck dans » les sables noirs des environs d’Anvers (2). On se demande pour- » quoi M. Nyst a fait cette coquille fluviatile ( Ancylus ) tandis » que tont le sable noir d’Anvers est marin, ou du moins tout » ce que j’en connais. » Il me semble que nous ferons plus sagement en rangeant » cette coquille dans les patelles, puisque à Monte Mario, il ne » s’est pas rencontré une seule coquille fluviatile, mais toutes » sont marines » (3). (0 Siccome avevo in animo, anni indietro, di studiare la fauna fos- sile delle colline romane, specialmente le conchiglie, cosi acquistai e riunii, a tale scopo, materiali fossili, conchiglie viventi, libri e manoscritti, relativi ai fossili del Monte Mario, per i necessari confronti. Tra i manoscritti sono in possesso di alcuni appunti a matita del Van den Hecke. (2) Nyst P.-H., Description d. coq. et des polyp. foss. des terr. ter- tiair. de la Belgique, 1843 (Tom. XVII des Mémoir. couronnés de l’Aca- démie de la Belgique), pag. 460, n. 396 et 691,692, tav. XII, fig. 16 a, b, //, c, c'. (Ancylus compressus) . La descrizione, data dal Nyst, di questa piccola specie delle sabbie nere d’ Anversa, s’accorda molto bene con quella data nel Catalogue dal Ponzi-Rayn.-Van den Hecke per la Patella latere- compressa del Monte Mario. Scrive infatti Nyst che é facile riconoscerla « par sa tai Ile petite, » ovale, oblongue, étroite, comprimée latéralement, obtuse à ses extrémités, » ainsi que par son teste mince, son sommet, qui est trés-pointu et submé- »dian... Les bordes sont minces et trachants ». Anche le dimensioni (4 millim. de longueur sur 2 et demi de hauteur) e le figure conven- gono col fossile del Monte Mario. Io non avrei difficoltà di identificare la specie del Crag di Anversa con quella di Monte Mario. (3) Questa asserzione del Van den Hecke va oggi rettificata, perché, tanto alla Farnesina, quanto ad Acquatraversa, si trovarono conchiglie d’acqua dolce e terrestri. Tra queste, ricorderò V Emmericia Pigorinii Clerici, ritrovata nelle sabbie gialle di Acquatraversa e da me alla Far- nesina; la Vivipara fasciata Miill. (Nerita), parimenti da me citata nelle marne sabbiose della Farnesina (Meli R., Moli. foss. estratti recentemente dal giacivi, classico del AI. Mario , IIa comunicazione — Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, fase. 3, pag. 143-146), YHelix vermicularia Bonelli delle sabie gialle di Acquatraversa (Meli R., Moli, foss., ecc., IIIa co- municazione — Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XV, 1896, fase. 1, pag. 83, 84); la Corbicula fluminalis (Miill.) = Cyrena Genimellari Phil., di 552 E. MELI Conti, Mantovani, Ponzi, nei successivi cataloghi pubblicati, lo riguardarono sempre come una piccola Patella. Io la con- siderai come un opercolo di Serpula ed incidentalmente, in altro scritto (*) ne feci parola, riferendo questo fossile ad un oper- colo della Serpula recta (Conti) = Protula ? Isseli Rover., specie che si trova fossile al Monte Mario e che fu descritta da Conti nel 1864 col nome di Vermetus rectus. Fin dal 1895, io scrissi che il Vermetus rectus di Conti era una Serpula e pro- posi il nome di Serpula recta Conti ( Vermetus). In seguito, nel 1899 e nel 1904, G. Rovereto, nei suoi Studi monografici sugli Anellidi fossili. I. « Terziario » pubblicati nella « Palaeontogra- phia italica », voi. X, Pisa, 1904, riferì il Vermetus rectus Conti alla sua Protula Isseli (pag. 44) e ne figurò una varietà (var. Iota) del pliocene astigiano nella tav. Ili, fig. 11 a-c (2). Acquatraversa, citata da parecchi autori, sulla quale ring. Clerici scrisse una dotta memoria, riportata nel Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. VII, 1888, pag. 105-128 con 2 tav. (Sulla « Corbicula fluminalis » dei dintorni di Roma , ecc.); la Melanopsis oomorpha citata dal De Stefani, la Me- lanopsis Esperi ; Bythinia ; Limnaea ; Planorbis ; Valvata,e cc. di Acqua- traversa, citate dal Clerici nella predetta memoria. A queste specie si potrebbero ancora aggiungere : alcuni esemplari di Neritina (sul tipo della fluviatili), logorati, ma conservanti traccia di colorazione, e frammenti di Succinea, rinvenuti da me nelle sabbie gialle di Acqua- traversa, ecc. Queste sabbie devono, come accennai altra volta, essersi deposte su di un littorale e perciò si spiega bene tra i fossili marini la presenza di spoglie, logorate per fluitazione, di molluschi terrestri e di acqua dolce. Questi accusano la vicinanza di un corso d’acqua, che doveva sboccare a mare in quel tratto di spiaggia. (J) Meli R., Ancora due parole sull’età geologica delle sabbie clas- siche del Monte Mario ( presso Roma) — Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, fase. 2, pag. 135, 136 (= pag. 10, 11 dell’estr.). (2) Gli Anellidi fossili del Monte Mario e dintorni furono finora in- completamente studiati. Oltre alla Ditrupa cornea (Linn.l con tutte le sue varietà, e ad altre poche specie citate, sono da segnarsi al Monte Mario e dintorni, Acquatraversa compresavi: la Filigrana implexa Berk., F. Paronai Rover., Protula protensa (Brocc.), Serpula aplianea Rover., Poniatocerus triqueter Linn. (Serpula), ecc. Della Protula Isseli Rover, tengo esemplari fossili, anche di Fica- razza, e del Monte Pellegrino presso Palermo (Sicilia), non che di Città della Pieve nell’Umbria. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 553 Come è noto, alcuni opercoli calcarei di Serpula si possono confondere con talune piccole conchiglie capuliformi, apparte- nenti ai generi Cocculina Dall e Acroreia Cossmann. La prin- cipale differenza sta nelle impressioni muscolari, che nei mol- luschi sono interne, mentre negli opercoli delle Serpule, e particolarmente delle Vermilia sono esterne ('). In seguito alla citata mia pubblicazione del 1895, nella quale io riguardava la Patella latere-compressa come un oper- colo di Serpula, il marchese di Monterosato mi scrisse, avver- tendomi che il fossile del Monte Mario era da riferirsi ad una Patella, e precisamente al genere Cocculina, inviandomene per confronto anche alcuni esemplari viventi, raccolti sulla costa di Palermo. Ecco quanto su questa specie ha stampato il chiaro marchese di Monterosato: « Cocculina latero-compressa (Rayn. e Ponzi, tav. 4, fìg. 1, 2), » Conti, Foss. Monte Mario, pag. 26 (Patella) — Gadinia com- » pressa Tiberi mss. in Jeffr. Proc. Zool. Soc., 1882, pag. 678 — ? » P. tricornis Turton, 1821. Nuovo genere pel Mediterraneo. » Specie assai variabile nella sua forma, comune nei fondi fan- » gosi, tenuta in silenzio per timore di falsa identificazione con » alcuni opercoli di Vermilia. Il prof. Dall, a cui ho presen- » tato i miei esemplari, volle gentilmente illuminarmi su questo » soggetto. Egli mi scrisse che tali esemplari appartengono al » suo genere Cocculina (1881), e che non sono opercoli di Anel- » lidi, soggiungendo che gli opercoli di Vermilia hanno le im- » pressioni esterne, carattere che manca in questi esemplari, i » quali li mostrano internamente. Questo autorevole avviso, al » quale mi associo, trovasi però in collisione con quello di un » valente specialista, il D.r M.c Intosh, il quale scriveva così al » 10 luglio 1878 a M.r Jeffreys, a cui mi ero diretto sul pro- » posito, lettera che trovasi presso di me e della quale ne tra- » duco un brano : « Io non conosco bene le specie di Serpulae del Mediter- » raneo, nè posso in questo momento consultare l’opera di Phi- (') Monterosato (di), Monogr. dei Vermeti del Mediterraneo — Bull, d. Soc. Malacol. ital., voi. XVII, 1892, pag. 9. 554 R. MELI » lippi, ma gli specimens (intende parlare di quelli da me comu- » nicati) sono certamente operculi di Serpulae e probabilmente » appartengono alla Vermilia cataphracta di Philippi o ad una » specie vicina ». « I miei esemplari rassomigliano alla figura della Lepetella » tubicola di Verrill e Smith (Cat. mar. Moli., Aprii 1872, in » Trans, of thè Connecticut Acc., pag. 334, tav. 58, fig. 29). » Recentemente è stata scoperta ad Arcachon (Grironde) da M.r de » Boury » (1). Il genere Cocculina non è segnato dal Woodward (Manuel de Conchyìiol. - Paris, 1870), dallo Zitte! (Handbuch d. Pa- laeontologie, 1880-1892), dal Sacco (I moli. d. terreni ters. d. Piemonte e d. Liguria in continuazione dell’opera del Bellardi, 1890-1904), dal Monterosato (Enum. e sinonimia d. Condì, me- diterr., Parte Ia, 1878). Soltanto Fischer nel suo Manuel de Conchyliolog. et de Pa- léontolog. conchyliolog., Paris, Savy, 1880-87, pag. 841, dà i caratteri del genere Cocculina Dall (1882) vivente nei mari attuali : con l’indicazione che la maggior parte delle specie sono abissali. Fischer inoltre avverte che il genere Lepetopsis Whit- field (18821, rappresentato da un gran numero di specie nel carbonifero del Belgio, mostra grandi analogie con la Cocculina. Jeffreys ha descritto due specie di Cocculina ( Cocc. spinigera; C. corrugata), dragate a 516 fathoms di profondità dalla nave «Triton» tra le isole Ebridi e le Faroe nel 1882 (2). Dalle figure e dalla descrizione, che ne dà Jeffreys, si vede che la sommità della conchiglia è capuliforme, e incurvata; questo carattere manca nel fossile del Monte Mario, il quale è di aspetto patelliforme. Anche per questo motivo, ho preferito ri- portarlo al genere Gadinia , piuttostochè al genere Cocculina, i (') Monterosato (di) Allery, Conch. della profondità del mare di Pa- lermo — nel periodico « Il Naturalista Siciliano », anno IX (1889-90), pag. 142, 143 (= pag. 3 dell’estr.). (2) Jeffreys Gwyn J., On thè mollusca procure! during thè cruise of II. M. S. «Triton » betweert thè Hebrides and Faroes in 1882 — Pro- ceedings of thè Zoologica l Society of London — June 19,1883, pag. 389. — Perle Coccoline vedasi pag. 392, n. 13, 14; pag. 393, n. 1; pag. 394, n. 2, PI. XLIV, fig. 1, a, b,c; fig. 2, a. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 555 cui caratteri generici mi sono sconosciuti, mentre le forme del genere Gadinia sono oggi viventi e si rinvengono nel pliocene. A parte le piccole dimensioni, ma, come forma, si avvici- nerebbe al genere Scurria Gray (1), di cui è tipo la Patella scarna Lesson, vivente. Della Famiglia Patellidae di Carpenter al Monte Mario e cir- costanti colline, si ritrovano, oltre che la specie, di cui si è parlato finora, il genere: Patella (un solo esemplare di P. cfr. lusitanica Gmel., molto logorata, che trovai nelle sabbie gialle di Acquatraversa). Della Famiglia Umbrellidae Desh., si ritro- varono i generi Umbrella (U. mediterranea Lamk.) (2) e Tylo- dina (T. Rajìnesquii Ph.). Della Famiglia Tecturidae fu citata la Tectura virginea Muli. (Patella), nelle marne del Vaticano (Ponzi, 1 872-1876) e nelle sabbie del Monte Mario (Zuccari, 1882). Pseudonimi Beìlardii Michtti. (DelpJiimda). 1847. Delphinula Beìlardii Michelotti J., Description des foss. d. terr." viioc. de VItalie septentrionale , Leide, pag. 166, tav. XVI, fig. 13, 13'. 1847. Delpliinula helicina Sismonda E., Synopsis metliodica animi, in- veri. Pedemontii foss. Editio altera, pag. 48. 1852. Troclms subhelicinus D’Orbigny A., Prodrome de paleontologie stratigr. universelle, voi. Ili, 26e étage. — Falunien B , pag. 41, n. 633. 1861. Delpliinula lielicina Doderlein P., Cenni geologici intorno la gia- citura dei terr. mioc. sup. dell’Italia centrale — Atti del X Congresso degli Scienziati ital. in Siena nel settembre del 1862, pag. 100. 1872. Delpliinula spiralis Ponzi G., I fossili del bacino di Poma e la fauna Vaticana — R. Accad. Lincei, Tomo XXV, [1871- 72], Sessione III (4 febbraio 1872), pag. 80, n. 64. 1875. Delphinula spiralis Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo d’un quadro generale del periodo glaciale — Atti dell’XI Con- gresso d. Scienziati ital. tenutosi in Roma nell’ottobre 1873, pag. 274 (= pag. 9 dell’estr.), n. 63. (') Zittel K. A., Handb. d. Palaeont. — Palaeozool. — voi. II, 1885, pag. 77, fig. 213 ( Scurria nitida, forma fossile del Grande oolite). (5) Questa specie dal Conti e dal Mantovani é indicata col nome di Umbrella indica (non Lamk.). 38 556 R. MELI 1876. Delphinula spiralis Ponzi G., I fossili del monte Vaticano — Atti d. R. Accad. d. Lincei, Serie Ila, voi. Ili, Parte 2a, Mem. d. Classe di se. tis.. mat. e natur , pag. 936 (= pag. 14 del- l’estr.), n. 26, tav. I, fig. 3. 1877. Lacuna Bellardii Issel A., Appunti paleontologici. — I. Fossili delle marne di Genova — Annali del Mus. Civ. di St. Nat. di Ge- nova, voi. IX, 1876-77, pag. 240 (= pag. 32 dell’estr.), n. 69. 1881. Delphinula helicina Bagatti 0., Aggiunte alla enumeraz. sist. dei moli. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza, pag. 32. 1882. Delphinula spiralis Zuccari A., Catal. d. foss. dei dintorni di Poma — Collezione Pigacci, pag. 7, n. 24. 1886. Delphinula helicina Sacco F., Valle Stura di Cuneo, pag. 58. 1889. Delphinula Bellardii Sacco F., Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte — Boll. d. Soc. geol. ital., voi. Vili, fase. 2°, pag. 349, n. 1789. 1889. Troclius subhelicinus Sacco F., Cat. ora citato, Boll, cit., pag. 349, n. 1793. 1890. Delphinula helicina Sacco F., Cat. ora citato, Boll, cit., voi. IX, fase. 2°, pag. 307, n. 4949. 1896. Pseudonina Bellardii Sacco F., I moli. d. terreni terziari del Pie- monte e della Liguria — Parte XXI, pag. 9, tav. Ia, fig. 14 b, c, (6 figure). 1904. Pseudonina Bellardii Sacco F., I moli. d. terr. terziari di Piemonte — Parte XXX (Aggiunte e correzioni), pag. 131. Cinque buoni esemplari, rinvenuti nelle marne bigie del Monte delle Crete, fuori Porta Angelica, nella Valle dell’In- ferno, il maggiore dei quali misura mm. 3 nell’altezza, e mm. 2,5 nel diametro dell’ultimo anfratto. Ponzi dà le dimensioni di mm. 5 di larghezza e mm. 4 di altezza. I suddetti cinque esem- plari furono raccolti dal Sig. Luigi Grassi, e si trovano nella sua collezione. È la prima volta che viene citata questa specie, col nome di Pseudonina Bellardii , come fossile dei dintorni di Roma, e che viene identicata con la Delphinula spiralis Ponzi. Studiando i cinque esemplari, che fanno parte della colle- zione del Sig. Grassi e confrontandoli colle descrizioni pubbli- cate dai sopracitati autori e con gli appunti manoscritti, che possiedo intorno questa specie, del Rayneval, Van den Hecke e Ponzi, sono venuto alla conclusione di identicare la Delphi- nula, descritta dal Ponzi come specie nuova nel 1872, con la MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 667 Belpliinula Bellardii, pubblicata e figurata dal Michelotti nel 1847. Se non che, la figura ingrandita, che ne ba dato il Ponzi e che egli stesso disegnò negli ultimi anni di sua vita, avendo l’aspetto troppo solariforme, e non trochiforme, come è in realtà la conchiglia, ho creduto di darne una nuova figura, ingrandita, che fu disegnata al microscopio dal Sig. L. Grassi. Per l’ornamentazione esterna e per le carene, ricorda un poco la forma vivente, disegnata nella figura 3a della tav. IX dell’opera di 0. G. Costa, Microdoride mediterranea o descri- zione de' poco ben conosciuti od affatto ignoti viventi minuti e mi- croscopici del Mediterraneo. Tom. I, Napoli, 1861. Ma, ne diffe- risce, perchè la conchiglia descritta dal Costa è turricolata, mentre la Pseudonina Bellardii è trochiforme (1). (') Costa riferisce con dubbio quella forma al genere Murchisonia (op. cit-, pag. 59-60), il quale sarebbe, secondo i trattati di Conchiglio- logia, proprio del Paleozoico, dal Cambriano al Permiano. In ogni modo, il genere Murchisonia D’Arch. e De Vern. é limitato ai terreni paleo- zoici, giacche per le piccole conchiglie terziarie, o viventi, della famiglia Pyramidellidae, fu fatto il genere Murchisonella (Morch. 1875). Intorno alla sopra citata pubblicazione del Costa si può leggere la interessante nota del marchese A. di Monterosato, Bemarlcs on certain spe- cies of moli, described and figured in thè «Microdoride» of prof. 0. G. Costa — Annals and Magaz. of nat. history, London, september 1873. La conchiglia descritta dal Costa, estratta dai fondi coralligeni del- l’Affrica, misura mm. 1,4 nell’altezza. La figura in mezzo è in grandezza naturale. Le due figure laterali mostrano la conchiglia ingrandita. 558 R. MELI Una lontana rassomiglianza di questa specie si ritrova nel Trochus Hiangulatus Eichw., fossile nel bacino di Vienna (1), per essere questa ultima specie fornita di due carene negli anfratti; peraltro, queste carene sono assai meno taglienti e pronunciate della forma ritrovata nelle marne romane. Differisce anche per le dimensioni, che sono molto maggiori (8 mm. nella lunghezza e 9 mm. nella larghezza) nella forma fossile viennese. Per la facies generale della conchiglia e per gli anfratti bicarenati, s’avvicinerebbe assai al Calliotropis formosissimus G. Seg. ( Zizyphinus ), descritto dal Dott. Luigi Seguenza (f), sulla quale forma questi istituì il sottogenere Calliotropis (sottog. di Calliòstoma Swains., 1840). Anzi, per la doppia carena, che co- stituisce il carattere principale del sottogenere Calliotropis , io non esiterei a collocarvi il fossile del Vaticano. Anche la specie del Seguenza, a parte le maggiori dimensioni (mm. 28 in altezza e mm. 25 in larghezza), si avvicina molto alla Pseudonina Bel- lardii. Il Calliotropis formosissimus ed una var. paucicarinata, si trova nel pliocene inferiore di Salice, presso Messina. Il genere Delphinula, a cui appartiene il sottogenere Pseu- donina, si rinviene anche nelle sabbie grigie e gialle del Monte Mario, più recenti delle marne Vaticane, ove sono citate due o tre specie nei vari Cataloghi stampati. Così, in quello di Ponzi, Rayneval e Van den Hecke (1854); del Ponzi, (1873), se ne citano due specie; cioè: la Delphinula (Cyclostrema) exilissima Phil. e la Delphinula triangulata, descritta dal Ponzi, Rayneval e Van den Hecke, come specie nuova ( Catalogne des fossiles du Monte Mario recueillis par il/, le Comte De Bagnerai, Mgr. Van den Hecke et M. le prof . Ponzi , Versailles, 1854. Ved. pag. 11, n. 178, (Q) e pag. 18, (Q) per la descrizione). Il Conti nei suoi Cataloghi, oltre le due specie ora citate, segna anche la Delphinula, nitens Phil. (3). Manto- O Hornes M., Die foss. Moli. d. Tert.-Deck. von Wien, voi. I, 1856, pag. 460, spec. 14, tav. 45, fig. 15 a, b, c (ingrandite 3 volte) ; fig. 15 d in grandezza naturale. (Troclius hiangulatus), (2) Seguenza L., Molluschi poco noti dei terreni terz. di Messina (« Trochidae e Solaridae ») — Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XXI, 1902, fase. 3°, pag. 462, 463, tav. XVII, fig. 13. (3) Conti A., Il Monte Mario ed i suoi fossili subappennini la edizione, Roma, 1864, ved. pag. 30, 31 — Id., 2a edizione. Ferrara, 1871, ved. pag. 37. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 559 vani (*) segna invece soltanto il genere Delphinula dubitativa- mente. Zuccari nel suo Catalogo dei foss. d. dintorni di Roma (Collezione Eigacci) non mette il genere Delphinula nell’elenco del Monte Mario, ma indica V Adeorbis subcarinatus Montg. (Helix) (ved. Catalogo ora cit., pag. 15, n. 406). Peraltro, il genere Adeorbis, più che nelle Delphinule, è messo nei Solaridi. Jeffreys infatti lo colloca fra questi ultimi. Ora la Delphinula ( Cgclostrema) exilissima Phil. è una buona specie, citata come vivente nel bacino Mediterraneo e nell’Adria- tico, e da taluni autori riportata al genere Skenea (2), ma la Delphinula triangolata Eayn. è da riportarsi ad una varietà del Circulus striatus Phil. ( Valvata ), probabilmente alla var. tr icarinata— Adeorbis tricarinatus S. Wood. La Delphinula ( Cy- clostrema) nitens Phil. (3) è una specie vivente nel Mediterraneo e nell’ Adriatico, rinvenuta anche fossile alle Carrubbare presso Eeggio-Calabria (Philippi). Sismonda (op. cit., pag. 48) indica la Pséudonina Bellardii, col nome di Delphinula lielicina nel miocene superiore di Tor- tona. Sacco (op. cit., Parte XXI, pag. 9) cita questa specie nel miocene superiore (piano tortoniano) di Stazzano; di Sant’Agata- fossili nel circondario di Tortona, (provincia di Alessandria), di Montegibio nel Modenese, ove la indica frequente. La segna an- cora nel pliocene medio (piano piacenziano) della Valle Stura di Cuneo e a Bacedasco nel Piacentino, ove la dice alquanto rara. Xe fa poi una varietà (var. taurosimplex Sacco), un pochino ( aliquantulum ) meno crassa, con le carene meno elate e meno crestate, rinvenuta in un solo esemplare nel miocene medio delle Colline di Torino (piano elveziauo), figurato nella opera suddetta parte XXI, tav. I, fig. 14 d. Probabilmente a questa varietà si riferisce la citazione del d’Orbigny, che indica la specie come fossile del miocene di Torino. (*) Mantovani P., Descrizione, geologica della Campagna Romana. Torino, E. Loeseher, 1874, in 16”, pag. 43, n. 92. (2) Carus V. I., Prodromus Faunae mediterraneae, voi. II, pag. 346, n. 3. (3) Philippi A., Enumeratio moli. Siciliae, voi. II, 1847, pag. 146, sp. 2, tav. XXV, fig. 4. 560 R. MELI Bagatti indica la specie, di cui è parola, come rarissima nelle marne mioceniche del rio dei Vassalli, e come rara nelle marne di Bacedasco. Issel cita 2 esemplari della specie tipica nelle marne del pliocene inferiore di Genova, riportandoli al genere Lacuna di Turton. Peraltro, fin da quell’epoea, riconosceva la opportunità di « istituire un nuovo gruppo generico di Littorinidi per que- » ste specie e per altre somiglianti, che furono ascritte al ge- » nere Delphinula ». Doderlein segna questa specie come caratteristica del mio- cene superiore; egli ne rinvenne 130 esemplari a Monte Gibio nel Modenese, mentre ne segna appena 3 a S. Agata-fossili nel Tortonese. Dalle notizie e citazioni, che ho sopra riportato, risulterebbe che la Pseudonina Bellardii fu rinvenuta nei terreni italiani del miocene superiore e del pliocene inferiore. Colliculus Adansoiiii Payr. (Trochus). [Payraudeau B.-C., Catal. descript, et méthod. des Annelides et des moli, de Vile de Corse , 1826, pag. 127, n.267, PI. VI, tìg. 7, 8 (Troclius Adansoiiii) — Weinkauff H. C., Dìe Concliyl. d. Mittelmeer., voi. Il (1868), pag. 372, spec. 20 ( Trochus Adansoiiii). — Seguenza G., Studi stratigr. sulla forni, plioc. dell’Italia merid. Elenco d. cirrip. e d. moli. d. zona sup. dell’antico plioc. — Boll. d. R. Com. Geol, d'Italia, anno VII, 1876, fase. 5-6, pag. 181, 185, n. 753 ( Gibbuta Adansoiiii). — Carus I. V., Prodromus faunae Me- diterraneae, sire descript, animai, maris Mediteli’, incoiar um, voi. II, ( 1889-93), pag. 249 ( Gibbuta Adansoni). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. del Piemonte e d. Liguria, Parte XXI, 1896, pag. 37 ( Colliculus Adansoni)]. La specie non è rara nelle sabbie gialle di Malagrotta sulla via Aurelia. Non fu citata finora nei cataloghi dei fossili del Monte Mario. Soltanto l’ho trovata indicata nel catalogo manoscritto della col- lezione, acquistata dalla Università di Roma (Gabinetto di Geo- logia) dal cav. Zuccari, del quale possiedo copia da lui favo- ritami. Ma, che io mi sappia, non venne finora pubblicata come specie fossile delle colline romane. Sacco descrive e figura nell’opera sopra citata alcune varietà di questa specie, trovate nei colli torinesi a Baldissero e Sciolze MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 561 (miocene medio, piano elveziano) ed un’altra varietà proveniente dal plioc. sup. di Castellarquato nel Piacentino, ove pure in- dica la specie tipica. Manzoni segna la specie insieme al T. adriaticus Phil. a Castellarquato e la dice non rara (Manzoni A., Saggio di condì, foss. subappen. — Fauna delle sabbie gialle. — Imola, 1868, pag. 66). Philippi e Seguenza la indicarono fos- sile nel pliocene e post-pliocene della Sicilia (Cefali, Messina, Altavilla); Appelius (') ricorda che Manzoni trovò la specie tipica e la var. [3 (= Trodius adriaticus Phil.) a Vallebiaia, e cita que- sta ultima varietà (3 nel quaternario di Livorno. Lo stesso autore la indica fossile nel quinto strato del Livornese (z). Potiez e Michaud la segnano subfossile di Marsiglia (3). Monodonta marmila Andrz. [Ho ni e s M., Die foss. Mollusken des Tert.-Beckens v. Wien , voi. I, 1856, pag. 438, spec. 2, tav. 44, fig. 8 a, b, c, (Monodonta mamilla). — Seguenza G, Studi stratigraf. sulla f or maz. plioc. dell’ Italia meridionale. . Elenco dei cirrip. e dei moli. d. zona sup. dell’antico pliocene — Boll. d. R. Comit. geol. d’Italia, 1876, fase. 5-6, pag. 182-183, n. 717, (Turbo ma- milla). — Verri A., L’azione delle forze nell’ assetto delle valli con appen- dice sulla distribuzione dei fossili nella Valdichiana e nell’ Umbria interna settentr. — Boll. d. Soc. Geol. ital., anno V, 1886, fase. 3, pag. 147 (Mo- nodonta mamilla). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. del Piemonte e della Liguria. Parte XXI, 1896, pag. 7, tav. I, fig. Ila, b, c, d, e, (Cantrainea mamilla)]. Rarissima nel bacino di Vienna. È citata nei terreni neo- genici italiani. Difatti, Seguenza ne indica una var. minor (forma minore, avvolgimenti più convessi, strie spirali più distinte) ritrovata (') Appelius F. L., Le condì, del Mar Tirreno — Parte IIa, Pisa, 1869, pag. 42, spec. 11 e pag. 43 ( Trochus « sottog. Gibbula » Adansoni). (2) Appelius F. L., Catal. d. condì, fossili del Livornese desunto dalle collezioni e manoscritti del defunto G. B. Caterini — Pisa, 1871. Ved. pa- gine 50, 77, 89, 119 dell’estr. (3) Potiez V.-L.-V. et Michaud A.-L.-G., Galerie des mollusq. ou catal. méthod. descript, et raisonne d. moli, et coq. du Muséum de Douai — Paris, 1838-44, voi. 2 con atlante. Ved. voi. I, 1838, pag. 327, n. 1. ( Trochus Adansonii). 562 R. MELI ad Altavilla ed a Caltabiauo. Lo stesso Seguenza indica la specie tipica soltanto a Caltabiauo. Verri segna questa specie nel pliocene umbro. Sacco la cita dell’Elvezianp dei colli torinesi, ove è abbon- dantissima; del tortoniano di S. Agata-fossili e di Montegibio (rara). Ne fa una var. dertonensis delle colline di Torino, del Tortoniano, e del pliocene inferiore, e figura la var. minor Seg. nella tav. I, fig. 13, b, c. Questa var. è citata nel plioc. infer. di Castelnuovo d’Asti, Ponte S. Quirico in Val Sesia; Zinola, Bussana, Bordighera. Ne possiedo un solo esemplare, ritrovato nelle sabbie gialle della Valle dellTnferno, il quale ha dimensioni minori del- l’esemplare figurato daH’Hbmes. Conviene per la forma e gran- dezza con la var. minor del Seguenza, ma non presenta le strie spirali più marcate. L'unico esemplare della mia collezione offre sulla superficie della parte inferiore traccie d’incisioni regolari praticate da una colonia di Briozoari, caduti nel nettamento della conchiglia, ma con certezza riferibili, secondo il giudizio del prof. Neviani, al genere Membranipora. La specie è estinta. Un altro esemplare di Monodonta , per forma e grandezza affine, se non identico, alla specie ora indicata, trovasi nella collezione del sig. L. Grassi e venne da lui rinvenuto nelle sabbie grigie del monte della Farnesina. È 11 primo esemplare di tale genere, che siasi finora citato nelle sabbie grigie del monte Mario. Miralda excavata Phil. ( Eissoa ). [Philippi R. A., Enum. moli. Siciliae, voi. I, 1836, pag. 154, n. 18, tav. X, fig. 6; voi. II, 1844, pag. 128, n. 22, e pag. 132, n. 20 (Eissoa exca- vata). — Weinkauff H. C., Die Conchyl. d. Mittelm., voi. II, 1868, pag. 217, spec. 17 (Turbonilla excavata). — Appelius F. L., Conch. d. mar Tirreno, parte IIa, Boll. Malacol. Ital., anno II, 1869, pag. 182 (= pag. 25 dell’estr.), spec. 9 (Turbonilla excavata). — Monterosato (di), Notiz. int. alle conch. mediterranee , 1872, pag. 41 (Odostomia excavata). — Monterosato (di). Nuova rivista di conch. mediterò-., 1875, pag. 32, n. 535 (Odostomia ( Pyr - gulina ) excavata). — Monterosato (di), Enum. e siooooi. d. cooich. medit., parte Ia, 1878, pag. 32 (Pyr gulina excavata). — Monterosato (di), No- menclat. geoierica e specif. di alcune conch. mediterò-., 1884, pag. 85 (Miralda excavata)]. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 563 Confrontando la descrizione di questa specie, data dal Phi- lippi, con quella della Rissoa trinodosa Ponzi-Rayn.-Van den Hec-ke, e paragonando gli esemplari viventi con i fossili del M. Mario, li ho trovati uguali. Il marchese di Monterosato per il primo (op. cit., 1884) in- dicò la Rissoa trinodosa del M. Mario come identica alla Mi- ralda excavata. Ecco pertanto la bibliografia, che si riferisce alla specie fossile del Monte Mario: 1856. Rissoa trinodosa De Rayneval, Van den Hecke et Ponzi, Cat. d. foss. du Monte Mario, pag. 10, n. 144, spec. nov. (K) e pag. 17 (K). 1864. Rissoa trinodosa Conti A., Il Monte Mario (l.a ediz.), pag. 29. 1871. Rissoa trinodosa Conti A., Il Monte Mario (2.a ediz.), pag. 35. 1875. Odostomia excavata Zuccari A., « Coll. Rigacci », Cat. d. foss. dei dint. di Roma, pag. 15, n. 373. 1884. Miralda excavata Monterosato (marchese di), Nomencl. generica, e specif. di alcune, condì, mediterr., pag. 85. La specie è vivente e conosciuta sulla costa toscana ed in parecchie località del Mediterraneo, dell’Adriatico e delle coste della Gran Brettagna. Sacco (7 moli. d. terr. terz. d. Piemonte , parte XI, pag. 70, tav. I, fig. 116) descrive una varietà (var. turritastensis) del pliocene superiore dell’Astigiano, ed osserva che tale varietà è affine alla 31. excavata , var. trinodosa del pliocene di M. Mario. Due esemplari delle sabbie gialle (Coll. Meli). Fossile a Pezzo in Calabria (Philippi), in Sicilia (Seguenza), nel crag corallino di Sutton (Wood), nel quaternario di Livorno (Lawley in Appelius). Zippora oblonga Desm. (Rissoa). [Desmarest, Descrip. cog. unii, du genre Rissoa — Bull. Soc. philom., Paris, 1814, pag. 7, tav. I, fig. 3 (Rissoa oblonga). — Philippi A. R., Enum. moli. Siciliae, voi. I, 1836, pag. 150, n. 3, pag. 155, n. 1, e voi. II, 1844, pag. 124, n. 4, pag. 131, n. 3 (Rissoa oblonga). — Manzoni A., Saggio di Condì, foss. sub-, 1868, pag. 56 (Rissoa oblonga). — Cocconi G.,En. sist. d. moli. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza, 1873, pag. 184 (Rissoa oblonga). — Sacco F., 1 moli. d. terreni terziarii del Piemonte e d. Li- guria, parte XVIII, 1895, pag. 22 (Zippora oblonga)]. 564 R. MELI Un solo esemplare, ben conservato, rinvenuto nelle marne sabbiose grigie del Monte della Farnesina dal sig. L. Grassi, e conservato nella sua collezione dei fossili dei dintorni di Roma. Fossile è citata, ma rara, a Riorzo nel Piacentino (plioc. sup. o piano astiano) dal Manzoni, Cocconi, Sacco; a Siena; Orciano, Mont’Alto nelle colline Pisane (Manzoni); a Milazzo, Palermo, presso Catania, Militello in Sicilia ed a Carrubbare in Calabria (Philippi); a Messina (Seguenza G.); a Marsiglia (Michaud); a Rodi (Schwartz). Non fu segnata nei cataloghi, finora pubblicati, dei fossili del Monte Mario e colline circostanti. Ma, un’altra specie di Zippora [Z. membranacea Adams (Turbo)}, affine alla Z. oblonga fu trovata nella formazione salmastra della Rimessola sulla destra di Acquatraversa, nelle argille della Magliana, al Casale del Merlo ed a Malagrotta (’). Secondo Jeffreys la Z. oblonga sarebbe una varietà della Z. membranacea (Yed. Carus J. V., Prodromus faunae medit., voi. II, 1889-1893, pag. 323, sp. 21); ma Weinkauff, Monterosato, Carus, ed altri la considerano come una specie distinta dalla membranacea, che è citata vivente in molte località mediterranee e dell’Atlantico. Schwartzia monodonta Bivon. (Rissoa). [Philippi R. A., Enum. violi. Siciliae, voi. I, 1836, pag. 151, n. 7; pag. 155, n. 2, tab. X, fig. 9; voi. II, 1844, pag. 125, n. 9; pag. 131, n. 5, tab. XXIII, fig. 1. (Rissoa monodonta) — Weinkauff H. C., Die Conchyl. d. Mittelmeeres, voi. II, 1868, pag. 288, spec. 6 (Rissoa mono- donta). — Manzoni A., Saggio di Conchiol. foss. subapp., 1868, pag. 56 (Rissoa monodonta ). — Fischer P., Fale'ont. d. terr. tertiair. de Vile de Rho- des. Méin. de la Soc. Géolog. de France, 1877, pag. 36, (estr.), n. 276, (Rissoa monodonta). — Monterosato (di), Enum. e sinon. d. condì, me- dit err., parte I, 1878, pag. 23]. Ho nella mia collezione un solo esemplare, rinvenuto nelle marne sabbiose grigie del Monte della Farnesina (cava dietro il monte). O Clerici E., La formazione salmastra dei dintorni di Roma — Ren- diconti d. R. Accad. d. Lincei. Classe di Se. fis., mat. e nat., voi. II, 1° semestre, fase 3°, 1893, pag. 147, 151 (Zippora membranacea). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 665 La specie non è segnata con questo nome nei cataloghi dei fossili, finora pubblicati, del Monte Mario e regione circostante. Ma, nel catalogo Conti figura col nome erroneo di Melania so- lata (1). Difatti, avendo anni fa, acquistato alcune piccole specie del Monte Mario dal Conti, egli mi inviò col nome di Mela- nia solata Phil. un esemplare di R. monodonta Biv. Perciò la Melania solata Conti (n. Phil.) è da segnarsi nella sinonimia della R. monodonta Biv. Così anche Ponzi (2), Zuccari (3), seguendo i precedenti ca- taloghi del Conti, indicano la Melania solata, che ritengo debba riportarsi invece alla Selmartsia monodonta. Ne ho rinvenuto alcuni esemplari nelle sabbie quaternarie marine della fornace Morronese sulla spiaggia di Foglino presso Nettuno (littorale romano). Manzoni la segna, rara, come fossile nelle sabbie gialle di Bio Orzo, nelle sabbie grigie delle colline di Castel larquato nel Piacentino e nelle sabbie turchiniccie di Villavernia presso Asti. La specie è citata fossile anche nelle argille marnose di Castrocaro presso Forlì (Foresti) (4), a Taranto e a Cipro (Schwartz), a Rodi (Fischer), ecc. Manzonia costata Adams (Turbo). [Philippi R. A., Enum. moli. Sic., voi. I, 1836, pag. 150, n. 5, tav. X, fig. 10 ( Bissoa cannata), voi. II, 1844, pag. 125, n. 7 (Rissoa exi- gua ). — Hornes M., Eie foss. Moli. d. Tert.-Beck. v. Wien, Tom. I, 1856, pag. 567 sp. 4, e 568, tav. 48, fig. 12 a, b ( Rissoa scalaris). — ParonaC. F., Valsesia e lago d’Orta, 1886, pag. 112 ( Manzonia costata ). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte e d. Liguria, parte XVIIIa, 1895, pag. 29. ( Manzonia costata). — W einkauff H. C., Die Conchyl. des Mittelmeer., voi. II, 1868, pag. 310 ( Alvania costata). — Monterosato (di) A., Enum. e sìnon. d. condì, meclit., 1878, pag. 25 ( Rissoa ( Alvania ) costata)]. C) Conti A., Il Monte Mario, mem. cit., 1864, pag. 28; 2a edizione, 1871, pag. 35 (Melania soluta). (2) Ponzi G., Cronaca subappenn., ecc., pag. 25, n. 154. (a) Zuccari A., « Coll. Rigacci ». Cat d. foss. d. dint. di Roma, 1882, pag. 15, n. 345 (Melania soluta, n. Phil.). (4) Foresti L., Cenni geol. e paleont. sul plioc. antico di Castrocaro — Mem. d. Accad. d. se. dell’Istituto di Bologna, serie IIIa, voi. VI, 1876, pag. 556 ( Rissoa monodonta). 566 R. MELI Due esemplari delle marne sabbiose, affioranti dietro il monte della Farnesina, trovati dal sig. Grassi, e parecchi esemplari delle marne grigie sabbiose e delle sabbie gialle della Farne- sina (coll. Meli). Per quello che si riferisce alla letteratura della specie fos- sile al Monte Mario, ecco le principali citazioni : 1854. Bissoa costata De Rayneval, Vau den Hecke et Ponzi, Cat. d, foss. dio M. Mario , pag. 9, n. 132. costata Conti A., Il M. Mario, pag. 28. carinata Conti A., Il M. Mario, pag. 29. costata ) • Conti A., Il M. Mario (2a ediz.), pag. 35. cm x'ìzcoTct i costata Ponzi G., Cronaca subappennina, pag. 25, n. 157. costata Mantovani P., in Ponzi G., Cronaca subappalti.. 1864. 1864. 1871. 1871. 1875. 1875. pag. 20, n. 91. 1875. » carinata Mantovani P., Descriz. geol. d. Campagna rom., pag. 41, n. 25. 1882. Alvania costata Zuccari A., Coll. Bigacci. Catal. d. foss. d. din- torni di Boma, pag. 15, n. 357. Hornes pone questa specie nel miocene del bacino di Vienna, a Steinabrunn, e la dice rara. Sacco (op. sopra cit., tav. I, fig. 72, 73 a, b) descrive e figura due varietà di questa specie, rinvenute nel neogene (mioc. sup. di Montegibio e plioc. medio di Villavernia), mentre segna la spe- cie, oltreché nei piani citati, anche nel piano astiano, ove la dice poco frequente. Manzoni (op. cit., pag. 63 e sopratutto nella Mémoire sur ìes Eissoa des iles Cornar ies et de Madóre réeueiìlis par M. Mac- Andrew en 1852 — Journal de Conchyliol., 1868, pag. 14-15 (estr.), e pag. 23) cita la E. costata nel tortoniano di Sassuolo nel Modenese, e, sempre rara, nelle marne azzurre del Bolo- gnese (monte Vecchio e Pradalbino), nella valle di Santerno presso Imola, nelle sabbie gialle di Asti, in quelle di Monte Mario, di Valle Biaia, e di Livorno (secondo Appelius). Weinkauff la indica fossile del pliocene in Inghilterra (Jef- freys), in Sicilia (Philipp! e Seguenza), a Taranto (Pbilippi), a Podi (Schwartz). Monterosato (op. cit., pag. 25, e Nomenclatura gener. e specif. di alcune condì, mediterr., 1884, pag. 64) segna la E. costata MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 567 (Adams) vivente nel Mediterraneo e pone tra i sinonimi la B. exigna Michd. e la lì. carinata Pliil. La cita fossile nel pliocene di Altavilla in Sicilia e nel qua- ternario di Santa Flavia ('). Hyala vitrea Montg. (Tarlo). [Montagli, Test. 1803, pag. 321, tav. 12, tig. 3 ( Turbo vitreus). — ' Ponzi, Ray nevai, Van den Hecke, Catalogne d. foss. d. Monte Mario (prés Rome), 1854, pag. 10, n. 139 (Risso a glabrata, n. von Mtihlf.). — Chenu J. 0., Man. de Conchyl., Totn. I, 1859, pag. 305, n. 2154 ( Hyala vi- trea). — Conti A., Il M. Mario ed i suoi foss., la edizione, 1864, pag. 29 ; 2a ediz. 1871, pag. 35 (Rissoa glabrata, n. von Miilhf.). — Ponzi G., Cro- naca subappenn., 1875, pag. 25, n. 164 ( Rissoa glabrata). Manzoni A., Saggio di Condì, foss. subapp. Fauna d. sabbie gialle, 1868, pag. 55 (Cin- gala vitrea). — Weinkauff H. C., Die Conchyl. d. Mittélm., voi. II, 1868, pag. 279, sp. 2 ( Cingula vitrea). — Monterosato (di), Enwn. e sinon. d. condì, mediterr., parte Ia, 1878, pag. 26 ( Rissoa (Hyala) vitrea). — Zuc- caia A., «Coll. Rigacci», Cat. d. foss. d dintorni di Roma, 1882, pag. 15, n. 354 ( Rissoa vitrea). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. d. Piem. e d. Liguria, parte XVIII, 1895, pag. 31 (Hyala vitrea)]. Due esemplari tipici delle sabbie gialle della Farnesina, (coll. Meli). Sacco (op. cit.) ne indica una varietà, poco frequente, del pliocene medio di Villavernia, che disegna nella tav. I, fig. 80 e chiama var. pliomajor; conchiglia più grande, più allungata, più espansa nell’ultimo anfratto e più ventricosa. Manzoni la cita come rarissima nelle sabbie gialle italiane. Vivente nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Ceratia proxima Alder ( Bissoa ). [Forbes and Hanley, British Mollusc., voi. Ili, pag. 127, tav. 75, tig. 7,8 (Rissoa proxima). — Jeffreys J. Gwyn, Sui testacei marini delle coste del Piemonte; trad. con note del prof. G. Capellini , 1860, pag. 40 (Rissoa proxima). — Weinkauff H. C., Die Conchyl. des Mittelmeeres, (') Mouterosato (di), Moli. foss. quaternarii di S. Flavia — « Natura- lista Siciliano », anno X, 1891, n. 5, ved. pag. 9 (estr.), n. 77 (R. (Man- zonia) costata). 568 R. MELI voi. II, 1868, pag. 279, spec. 1 (Cingula proxima). — Monterosato (di) A., Nuova rivista delle condì, mediterranee , 1875, pag. 28, n. 455 (Bissoa proxima). — Monterosato (di) A., Enum. e sinon. d. conch. mediterr., parte Ia, 1878, pag. 26 (Bissoa proxima). — Monterosato (di) A., Nomenclatura ge- ner. e specif. di alcune conch. mediterr., 1884, pag. 71 (Ceratia proxima)}. Il Marchese di Monterosato nella penultima delle citate opere pone la Bissoa striatissima Ponzi, Rayn., Van den Hecke tra i sinonimi della Ceratia proxima (Aid.). Non avendo potuto consultare l’opera di Forbes e Hanley, in cui la specie è figurata e che io ho appunto citato per la figura, ritengo sulla fede del chiarmo marchese di Monterosato, che tiene il primato sulla Con- chigliologia mediterranea, che la Ceratia proxi- ma Alder sia identica alla Bissoa striatissima, descritta tra i fossili del Monte Mario nel 1854 da Rayneval, Ponzi e Van den Hecke e dò la bibliografia di questa specie, per quello che si 1. Grandezza natur. . 2. ingrandita. riferisce alla torma fossile romana, riproducen- done la descrizione, che ho trovato tra i ma- noscritti del Ponzi, e pubblicandone la figura. Ecco pertanto la bibliografia relativa alla specie fossile del pliocene romano: 1854. Bissoa striatissima Ponzi J., de Rayneval, et Van den Hecke, Catal. des fossiles du Monte Mario (pr'es Bome), pag. 10, n. 143 (J), et pag. 17 (J). 1864. Bissoa striatissima Conti A., Il Monte Mario ed i suoi foss. subapp., pag. 29. 1868. Alvania punctura Manzoni A., Saggio di conch. foss. subapp., pag. 63 (non Montg.). 1871. Bissoa striatissima Conti A., Il Monte Mario, 2a ediz., pag. 35. 1875. Bissoa striatissima Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo d'un quadro generale del periodo glaciale — Atti dell’XI Con- gresso degli Scienz. ital., tenutosi in Roma nell’ottobre 1873, pag. 290, n. 168 (= pag. 25 dell’estr.). 1875. Bissoa punctura Monterosato (di), Nuova rivista d. conch. med., pag. 27, n. 431 (= B. textilis Ph. = B. Insenghae Cale. = B. striatissima Rayn. e Ponzi). 1877 Rayneval (comte de), Coquìlles fossiles du Monte Mario. Terrains tertiaires d. environs deBome — Paris, J.-B. Bailliére, Planche IV, fig. 14. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 569 1878. Eissoa (Ceratia) proxima Monterosato (di) A., Enum. e sinon. d. condì, mediterr., parte I, pag. 26 (= R. striatissima Rayn. e Ponzi). 1882. Rissoa punctura Zuecari A., « Coll. Rigaeci », Catal. d. fossili d. din- torni di Roma, pag. 15, n. 352 (non Montg.). 1905. Hyala proxima Meli R., Moli. foss. estratti recentemente dal gia- cimento classico del Monte Mario presso Roma (2a comu- nicazione) — Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XIV, fase. 2°, pag. 4). Ho trovato difficoltà a stabilire la letteratura e sinonimia della specie fossile del Monte Mario. Il Conti e il Rigacci con- fusero la R. striatissima con V Alvania punctura Montg. (Turbo). Questo errore risulta: da quanto ha stampato il Manzoni; dalle osservazioni, che mi fece il Jeffreys, quando visitò, anni indietro, la collezione Rigacci ; dagli appunti, che presi sugli esemplari di questa specie nella visita eseguita alla collezione Conti in Ferrara; e dagli esemplari rimessimi con tal nome dal Conti, i quali tutti si riferiscono alla Rissoa punctura (Montg.). Il Manzoni scrive, infatti, di aver ricevuto, anche egli, dallo stesso Conti col nome di Rissoa striatissima Rayn. esemplari fossili di M. Mario, che egli riporta per il primo a IV Alvania punctura (Montg.), specie, che segna come rarissima allo stato fossile nei terreni italiani. Cita poi tale forma nel pliocene di Villavernia nell’Astigiano, e nel quaternario di Livorno e del- l’isola di Rodi 0). Così, anche il eh. marchese di Monterosato nel 1875, met- teva tra i sinonimi della Rissoa punctura (Montg.) la R. stria- tissima (2). Ma in seguito, riportò la R. striatissima alla R. pro- xima (3). 4 (') Manzoni A., Saggio di condì, foss. subapp., 1868, pag. 63, note al V Alvania punctura. (*) Monterosato (di) Allery, Nuova rivista d. condì, mediterr., 1875, pag. 27, n. 431. (3) Monterosato (di), Enum. e sinon. d. condì, medit., parte la, 1878, pag. 26. Rissoa proxima Alder =? R pupoides Req. = R. striatissima Rayn. e Ponzi — Vivente nel Med. e Adr. Per la R. punctura cfr. anche: Monterosato (di) — Catalogo d. condì, fossili di Monte Pellegrino e Ficarazzi presso Palermo — Boll. R. Com. Geolog., 1877, pag. 34. — Id., Enum. e sinon. d. condì, me- 570 R. MELI Ora, la Rissoa punctura Montg. e ~ R. textilis Phil. [Phi- lippi R. A., Eniim. moli. Siciliae, voi. II, 1844, pag. 131, n. 16, tal). XXIII, fig. 22 ]. Ma, sia la descrizione del Phi- lipp]', che la figura della R. textilis, non hanno niente di comune con la descrizione della R. striatissima e con la figura di questa specie, la quale è tu^’affatto diversa. Pubblico a tal fine la descrizione della R. striatissima, scritta tutta di carattere del Ponzi, che ho trovato nelle sue carte. Rissoa striatissima Rayn. (tav. II. fig. 8). (x) « Testa elongato-turrita : sutura profanila, oblique spirata: » amphractibus rotundgtis, striis trasversis confertissimis exarata. » Apertura simplici, ovata, parimi anguiosa. » Conchiglia allungata con 5 giri di una spirale obliqua, di » cui il primo piatto è come troncato. L’ultimo giro, compresa » la bocca, è più lungo del resto della conchiglia. Gli anfratti » rotondi, separati da sutura profonda : tutti ricoperti da strie tra- » sverse sottilissime, appena apparenti per ingrandimento, e cosi » strette che nell’ultimo giro se ne contano da 35 a 40. Bocca » ovale, peristoma intiero, semplice, leggermente angoloso in alto. » elevandosi contro la columella in forma di una piccola la- » niella. » Dimensioni: » Lunghezza mm. 3 » Diametro dell’ultimo giro. . . » 3/4 » Plioc. sup.; sabbie gialle del Monte Mario». La descrizione, ora riportata, collima in gran parte con quella stampata nel 1854 nel Catalogne des~ fossiles clu M. Mario del Rayneval, Ponzi e Yan den Hecke, ed è quasi la traduzione ita- diterr., parte Ia, pag. 25 (Alvania punctura). — Weinkauff H. C., Rie Conchyl., voi. II, pag. 308, spec. 13 (Rissoa punctura). La specie é fossile a Monte Pellegrino e Ficarazzi, oltre le altre località italiane citate dal Manzoni, in Inghilterra, e nel glaciale della Svezia e Norvegia (Jeffreys). P) Questa citazione si riferisce alle tavole inedite, litografate, delle quali ho fatto menzione, quando parlai precedentemente della Gadinia latere-compressa . MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 571 liana di quanto è pubblicato in francese alla pag. 17 del citato Catalogne. La Cingala ( Ceratia) proxima è vivente in molte località del Mediterraneo (Weinkauff, voi. Il, pag. 279 — Carus, voi. II, pag 327-328) e dell’Atlantico (Jetfreys). La famiglia Bissoidae con i suoi numerosi generi e sotto- generi, (Bissoa, Alvania, Cingala, Nodulus , Apicidaria, Sclnvar- tzia, Hyala , Zippora, Pusillina , Manzonia , Ceratia , Acinus , Peringiella, Setia, Pissoina, ecc. ecc.) è ricca di molte specie oggi viventi nel Mediterraneo (ved. Philippi, Weinkauff, Carus, Monterosato, ecc.) (]). Circa diciotto specie ne ho trovate fossili al Monte Mario, (2) e forse in maggior numero ne ho estratto dalle sabbie della fornace Morronese sulla spiaggia di Nettuno, alcune delle quali rare, e poco citate, tra i fossili italiani. Hemiacirsa (Scalarla) lanceolata Brocc. (Turbo). [Brocchi G. B , Condì, foss. subappen., voi. II, 1814, pag. 375, n. 19 e pag. 376, tav. VII, fig. 7 (Turbo lanceolatus). — Bromi H. G., Ita- liens Tertiar.-Gebilde , 1831, pag. 66 (Scalaria lanceolata). — Michelotti G., Rivista di alcune specie foss. d. famiglia dei Gasteropodi , Annali d. Soc. d. Regno Lombardo-Veneto, Tomo, X, 1840, bimestre III-IV, pag. 146, spec. n. 5. ( Scalaria lanceolata). — Hòrnes R., Die foss. Moli, des Tertiaer.-Beclcens von Wien, tom. I, 1856, pag. 481, spec. 8,' tav. 46, fig. 14 a, b, (Scalaria lanceolata). — Seguenza G., Studii stratigr. sulla formaz. plioc. dell’Italia merid. — Elenco dei cirrip. e dei moli. d. zona sup. dell’antico plioc. — Boll. d. R. Comit. geol. d’Italia, 1876, anno VII, n. 3-4, pag. 96-97, n. 594 (Scalaria lanceolata). — Sacco F., Catal.pa- leontolog. d. bacino terziario del Piemonte — Boll. d. Soc. Geol. ital., anno Vili, 1889, fase. 3°, pag. 352 (= pag. 74 dell’estr.), n. 1877 (Scalaria lan- ceolata). — De Boury E., Re'vision des Scalidae miocènes et pliocèn. de VItalie — Boll. d. Soc. Malacol. ital., voi. XIV, 1890, pag. 269, n. 61 a pag. 272 ( Hemiacirsa lanceolata). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte e d. Liguria, parte IX, 1891, pag. 89 (Hemiacirsa lanceolata)]. O Monterosato nella sua Enumeraz. e sinonimia d. condì, mediterra- nee. parte la, 1878, pag. 23-27 ne enumera oltre ottanta specie. (2) Conti nella 2a edizione del suo Catalogo ne indica 17 specie, al- cune delle quali hanno bisogno di rettifica. 39 572 R. MELI Un buon esemplare di questa specie fu rinvenuto dal signor Luigi Grassi nelle marne sabbiose grigie, che affiorano nella parete verticale di una frana, dietro il monte della Farnesina ('). L’esemplare, da me studiato, è alquanto logorato per fluitazione. La specie, quantunque fosse stata già indicata dal Brocchi, fin dal 1814, come ritrovata nel giacimento del Monte Mario, tuttavia non fu menzionata in tutti i cataloghi dei fossili del Monte Mario e dintorni, comparsi dal 1854 fino ad oggi. Certamente basandosi sulla indicazione del Brocchi, questa specie fu citata fossile al Monte Mario successivamente dal Broun (1831), dal Michelotti (1840), dall’Hbrnes (1856), dal Nyst (1871) (2), dal De Boury (1890). Ma, nè Ponzi, Rayneval e Van den Hecke, nè Conti, nè Mantovani, nè Zuceari, nè Cle- rici, nei loro cataloghi posero questa specie. Non è neppure segnata nel catalogo manoscritto della collezione acquistata dal cav. Zuccari nel 1878 dal Gabinetto di Geologia della R. Uni- ci Questa collina, che s’erge a cavaliere sul grande prato, detto della Farnesina, ha la quota sulla sua sommità di 116 m. e forma una delle propaggini dei colli del Monte Mario, quasi isolata. Difatti é di- visa verso S-W e in parte verso W e N, da vallette di erosione, che la distaccano dalla catena principale del Monte Mario, mentre prospetta verso S e SE nella vallata del Tevere. Come le circostanti colline a N. e ad W, presenta la medesima serie e successione degli strati e la me- desima inclinazione e pendenza verso N. (5) Nyst, oltre la Scalaria lanceolata , indica come fossile al Monte Mario le'seguenti specie: Se. communis Lamie., Se. foliacea Sor\\, Se. fron- dicula S. Wood, Se. subfrondosa Rayn., Se. clathratula Walk. — Ved. Nyst H. P., Tableau synoptique et synon. d. espèces vivant, et foss. du gerire Scalaria décrites par les auteurs avec l'indicat. du pays , etc. — Annales de la Soc. Malacologique de Belgique, toni. VI, Bruxelles, 1871. Le Scalariae presentano diverse specie al Monte Mario; quelle co- gnite per i precedenti cataloghi del Ponzi, Conti, ccc. furono oggetto di revisione per parte di De Gregorio (1889) e sopratutto di De Boury (1890, 1891). Ma vi sarebbero anche da aggiungere alcune specie di piccola mole, non citate finora, che ho nella mia collezione, scavate nelle sabbie grigie della Farnesina. Grandi esemplari di Scalaria (sottogenere Clathrus ) ho estratto dal Macco tra Nettuno e Anzio sulla costa romana (Cf. Scalaria communis Lamk. e Clathrus proximvs De Boury) La Scalaria ( Turriscala ) torulosa Brocc. (Turbo) si rinviene nelle marne di mare profondo delle colline Vaticane. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 573 versità di Roma, del quale Catalogo possiedo copia autentica di carattere dello stesso Zuccari. Io non ho veduto questa specie nelle diverse collezioni di fossili romani, a me cognite; nè la possiedo nella mia raccolta. Ciò dimostra la grande rarità della specie nel giacimento del Monte Mario. Soltanto, visitando anni indietro, il Museo Civico di Milano, ove, come è noto, trovasi conservata la collezione di conchi- glie fossili, fatta dal Brocchi e di cui egli si servì per la sua opera Concliiologia fossile subctppennina, aveva osservato parec- chi esemplari di questa specie, i quali, secondo la etichetta ori- ginale di carattere del Brocchi, proverrebbero dal Monte Mario. Ma, nei miei appunti di viaggio, io aveva segnato come dubbiosa quella provenienza, giacche fino allora la specie non era stata mai più raccolta nel giacimento romano. L’esemplare, ritrovato ora dal sig. L. Grassi, che si occupa con tanta passione della ricerca dei fossili dei dintorni di Roma, dimostra l’esattezza della provenienza indicata dal Brocchi. È sulla Sharia lanceolata (Brocc.) che De Boury stabilì il sottogenere Hemiacirsa. La specie è citata nel miocene (Michelotti (*) Sismonda (2), Seguenza (:i) Doderlein (4j Sacco) (5). Seguenza ne descrive una var. miocenica , rinvenuta nel miocene superiore (piano torto- riano) di Benestare presso Reggio-Calabria, la quale, parago- ni Michelotti J., Descript, d. foss. d. terrains miócènes de l’Ital. septen- trionale, 1847, pag. 163 ( Scalaria lanceolata) . (2) Sismonda E., Synopsis method. anim. invertebr. Pedemontii foss. Editto altera, 1847, pag. 54 ( Scalaria lanceolata) . E segnata fossile del miocene di Tortona. La citazione, secondo Sacco, é da riferirsi alla var. miocenica Seg. (3) Seguenza G., Le formazioni terziarie della prov. eli Reggio ( Cala- bria) — Atti d. R. Accad. d. Lincei, 1877-80. Serie IIP, Mem. d. Classe di Se. fis., mat. e nat., voi. VI, pag. 114 ( Scalaria lanceolata). (4) Doderlein P., Cenni geol. intorno la giacit. d. terr. mioc. sup. dell’Italia centrale — Atti del X Congresso d. Se. ital. tenuto in Siena, pag. 100 ( Scalaria lanceolata ). Doderlein ne indica una var. t. exiliore, ritrovata come tipo a Montegibio ed a S. Agata-fossili. (5) Sacco F., I moli. d. terr. terz., parte IX, 1891, pag. 89 e seguenti per le varietà ( Hemiacirsa lanceolata). La indica rarissima nel miocene superiore di Stazzano. 574 R. MELI nata cogli esemplari pliocenici, si presenta, come scrive Seguenza, diversa per gli avvolgimenti un pòco convessi e per le costole, che svaniscono presso le suture. La varietà si raccoglie, sem- pre secondo Seguenza, in esemplari ben conservati, ma è rara. Sacco segna questa stessa varietà nel tortoniano di S. Agata- fossili e nel pliocene piacienziano del Piemonte e del Grenove- sato : descrive inoltre altre tre varietà ( eoprysmatica , Brocchi, e pry sinottica), le due prime del tortoniano, e l’ultima dei piani, piacenziano ed astiano. La specie tipica, che sembra, in Italia, aver avuto il mas- simo sviluppo, nel pliocene inferiore, fu anche rinvenuta nelle argille marnose di Castrocaro nel Forlivese (*) e di Pradalbino nel Bolognese (2), a Bacedasco e a Rivalta nel Parmigiano (3), nel pliocene inferiore di Castelnuovo d’Asti, Zi noia, Albenga e nel pliocene superiore dell’Astigiano (Sacco) ; fu anche rinvenuta ad Orciano Pisano, in Val d’Era, ad Altavilla (Seguenza) ed a Biòt. Buone bibliografie della specie sono stampate nelle opere citate di Hbrnes (1856), di Sacco (1891), ma soprattutto nei lavori sulle Scalarie di De Boury (1884 e 1890); peraltro, nelle me- morie del De Boury, non trovo segnata la citazione relativa all’opera di Hornes. La specie è citata dal: Brocchi (1814), Risso (1826), Broun (1831, 1848), Jan (1832), Michelotti (1840, 1847), Calcara (1841), Sismonda (1847), Hornes (1848, 1852), D’ Orbigny (1852), Libassi (1859), Seguenza (1862, 1876, 1880), Doderlein (1864), Foresti (1868, 1874, 1876), Nyst (1871), Cocconi (1873), Lawley (1875), De Stefani e Pantanelli (1878, 1884), Coppi (') Foresti L., Cenni geol. e paleont. sul plioc. antico di Castrocaro. Mem. d. Accad. d. Se. dell’Istituto di Bologna, Serie IIIa, voi. VI, 1876, pag. 554 e 573, n. 124 (pag. 36 e 55 dell’estr.). (Scalaria lanceolata) : é no- tata come rarissima. (2) Foresti L., Calai, d. Moli. foss. plioc. d. colline bologn., parte 1. 1868, pag. 84, n. 209 : Parte IIa, Mem. d. Acead. d. Scienze dell’Istituto di Bologna. Serie IIP, tom. IV, 1874, fase. 3, pag. 374, (= pag. 82 dell'estr. , n. 223 ( Scalaria lanceolata). (3) Cocconi G., Enum. sistem. d. moli. mioc. e plioc. d. provincie di Parma e Piacenza , 1873, pag. 128 ( Scalaria lanceolata ). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 575 (1881), De Stefani (1888), De Gregorio (1889), De Boury (1884, 1889, 1890), Sacco (1889, 1891), ecc. La specie è estinta. Mitra fusiformi Brocc. (Voluta). [Brocchi G. B., Condì, foss. subapp., voi. II, 1814, pag. 315, n. 16 e pag. 316. — Bellardi L., Monogr. d. Mitre, 1850, pag. 5, tav. I, fig. 8, juven. ( Mitra fusiformis ). — Bellardi L., I moti. d. terr. terz. del Pie- monte e d. Liguria, parte Va (« Mitridae »), fase. 1, 1887, pag. 23, fig. 21 {Mitra fusiformis). — Hòrnes R. und Auinger M., Die Gasteropod. der Meeres-Ablag. der ersten u. ziviten Miocàneu Med.-Stufe in d. Oesterr.-ung. Monarcli., 1880, pag. 75, 76, tav. Vili, fig. 25 a, b e fig. 26-29 {Mitra fusiformis) ]. Un giovane esemplare, estratto dalle marne sabbiose, bigie, della cava dietro il monte della Farnesina, ed un bello e grande esemplare dalle sabbie gialle della Valle dell’Inferno, esistenti nella mia collezione. Raccolsi alcuni esemplari rotti e logorati di questa specie nell’alveo inferiore del fosso Gramiccia, messo all’asciutto, quando nella notte dal 12 al 13 aprile 1895, si produsse lo sprofon- damento del suolo, che generò il così detto lago di Lepri- gnano (‘), oggi scomparso, per colmatura meccanica, operatavi dal materiale trasportatovi dalle piene del torrente, come io avevo preveduto. La specie in parola è molto rara nel pliocene delle colline circostanti Roma, e non venne citata nei cataloghi Ponzi-Ray- neval-Van den Hecke, Conti (nelle 2 edizioni), Ponzi. Soltanto è segnata nel Catalogo del Mantovani (2) e nell’altro dello Zuc- cari (pag. 17, n. 497). (’) Meli R., Breve relazione delle escursioni geolog. eseguite all’isola del Giglio (Toscana) ed al nuovo lago di Leprignano (circond. di Poma) con gli allievi-ingegneri della P. Scuola d’Applic. di Poma nell’anno scola- stico 1895-96 — Roma, tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1896, in-8°, di pag. 19, con una tav. (2) Mantovani P., Descriz. geol. d. Campagna Poinana, Roma, 1875, pag. 41, n. 19 (Mitra fusiformis) . 576 R. MELI Cerithiopsis pulchella Jeffr. [Jeffreys G., Britisli conchology, voi. V, 1858, pag. 269, tav. 81, fig. 3 ( Cerithiopsis pulchella). — Weinkauff H. C., Catal. Europ. Condì. 1873, pag. 13 ( Matliilda pulchella). — Monterosato (di) Allery, Nomen- clatura generica e specifica di alcune conch. mediterranee , 1884, pag. 124 ^Cerithiopsis concatenata). — Monterosato (di) A., Enum. e sinon. d. conch. mediterranee, parte Ia. 1878, pag. 39 (Cerithiopsis pulchella). — Carus J. V., Prodr. faunae Mediterr., voi. II, 1889-93, pag. 365 (Cerithiopsis Jef- freysi). — Sacco F., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte, Parte XVII, 1895, pag. 67, tav. Ili, fig. 76 bis (Cerithiopsis concatenata). — Scalia S., (Revi- sione della fauna post-pliocenica dell’argilla di Nizzeti presso Acicastello ( Catania ) — Atti d. Accad. Gioenia di Se. Natur. in Catania, voi. XIII, Serie 4a, 1900, memoria XIX, pag. 22 ( Cerithiopsis concatenata ) — Ceri- thium concatenatus Conti A.. Il Monte Mario ed i suoi foss. subapp., la ediz., 1864, pag. 32 e pag. 51 (31); 2a ediz., 1871, pag. 38 e 57 (37) = Cerithium concatenatum Zuccari A., Cat. d. foss. d. dintorni di Roma, pag. 16, n. 438]. Ho veduto un bell’esemplare di questa rara specie nella col- lezione di fossili del sig. Luigi Grassi, il quale la ritrovò nelle marne grigie della cava, aperta nella parte posteriore del monte della Farnesina. Sacco indica la specie in parola, come poco frequente allo stato fossile, nel pliocene medio (piano piacenziano) di Zinola e ne dà una, non molto nitida, figura. Egli scrive che è forse spe- cificamente identicabile con la vivente C. Jeffreysi Wats. C. pulchella Jeffr. (non Ads.), e che l'ornamentazione ne è simile a quella della C. Jeffreysi, disegnata dal Jeffreys nel 1869. Fu anche ritrovata in Calabria (Tiberi), ed un esemplare fu estratto dalle argille di Nizzeti (*) dallo Scalia. La specie non è molto comune allo stato vivente. Nel ba- cino Mediterraneo si ritrova ; in poche località siciliane, a Pa- lermo, S. Vito, Ognina, Pantellaria (Monterosato); a Siracusa, e Nizza (Weinkauff); in Algeria (Joly); a Sfax (Nerville). Pa- recchie altre località, specialmente italiane, sono menzionate dal Carus (op. cit., pag. 365). O Le argille di Nizzeti sono più recenti delle marne sabbiose e sabbie gialle della Farnesina e spettano ad un orizzonte, molto più ele- vato, del post-pliocene. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 577 Pleuroploca Lawleyana D’Anc. (Fasciolaria). [D’Ancona C., Malacolog. plioc. ita!.. Fase. II, 1872 — Memorie per servire alla descriz. d. carta geol. d'Italia pubblicata a cura del R. Comitato Geol. del Regno , voi. II, Parte Ia, pag. 198, sp. 2. {— pag. 80 dell’estr.), tav. XI. fi g. 9 a,b (Fasciolaria Lawleyana). — Cocconi G., Fnum. sist. d moli. mioc. e plioc., delle prov. di Farina e Piacenza, 1878, pag. 98, n. 2 (Fasciolaria Laicìeyana). — Bellardi L., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte e d. Liguria, Parte IVA Fosciolaridae e Turbinellidae, 1884, pag. 29, n. 24, tav. I, fig. 27 ( Latirus Lawleyanus)]. Un beireseraplare delle sabbie gialle dell’alta Valle del- l’Inferno ed altro esemplare frammentario delle sabbie grigie della Farnesina (coll. Meli). È una forma strettamente legata, come bene osservò Bellardi, alla Fasciolaria (Latirus) fimbriata (Brocc.), ma in generale più piccola. In tutti i cataloghi, finora stampati, dei fossili ro- mani fu inglobata e confusa con questa ultima specie, della quale ecco la letteratura, riguardante soltanto il giacimento del Monte Mario ed adiacenze. 1864. Fusus fimbriatus - Conti A., Il Monte Mario ed i suoi foss. subappen., pag. 33. 1868. Fusus fimbriatus - Mantovani P., Sulla distrib. generale d. fauna foss. nel mare plioc. ecc., pag. 15. 1871. Fusus fimbriatus - Conti A., Il Monte Mario , 2a ediz., pag. 39. 1875. Fusus fimbriatus - Mantovani P., Descr. geol. d. Campagna romana, pag. 41, n. 36. 1875. Fusus fimbriatus- Mantovani P. in Ponzi G., Cronaca subajjpen., ecc. pag. 21, n. 127. 1882. Fasciolaria fimbriata - ZuccariA., « Coll. Pigacci » Cat. d. foss. d. dint. di Roma , pag. 16, n. 466. La Pleuroploca (Fasciolaria) Lawleyana fu confusa senza dub- bio nei predetti cataloghi colla F. fimbriata, che, del resto, è raris- sima al Monte Mario- Come tale è segnata nel Catalogo del Conti. Peraltro, nei miei due esemplari, le strie trasverse, che si con- servano pressoché uguali su tutta la superficie della conchiglia, e la mancanza dei tre cordoncini, che si osservano nell’ultimo anfratto della F. fimbriata, fanno riportare entrambi gli esem- 578 R. MELI plari alla F. Lawleyana , corrispondendo benissimo ad essi, sia la descrizione, sia le dimensioni, sia le figure date dal D’Ancona. Mentre la F. fimbriata, come scrive d’Ancona, si trova pre- feribilmente nelle argille del miocene superiore e del pliocene italiano piuttostochè nelle sabbie, invece la F. Lawleyana è più comune nelle sabbie che nelle argille plioceniche ('). È una forma estinta, e, a quanto pare, propria del pliocene. Fu rinvenuta nei Colli Astesi, a Valle Andona (Bellardi), nelle colline Pisane, nel Senese (D’Ancona), a Diolo, nello Stramonte, nel Obero, nel Rio delle Ascie presso Castellarquato nel Pia- centino (Cocconi), e nel Modenese (Coppi). La F. Lawleyana è forma dipendente dalla F. fimbriata. Que- sta ultima specie trovasi nel miocene del bacino di Bordeaux e di Vienna (?), nel miocene superiore di Montegibio nel Modenese (Toldo) (3), ed in molte località del pliocene italiano (Astigiano, Valle Andona, nel pliocene Lombardo, Modena, Castellarquato, nel Bolognese, Imolese, nelle colline Pisane, nel Senese ed in altri luoghi della Toscana, ad Altavilla in Sicilia e Reggio-Ca- labria). Fu anche ritrovata fossile ad Algeri, e nel pliocene di Rodi (4). Nel Museo di Geologia della Università di Roma si ha un bell’esemplare di Fasciolaria (Latirus) fimbriata (Brocc.), pro- veniente dalla collezione Calandrelli, ritrovato nelle sabbie gialle del Monte Mario, senza però indicazione precisa della località. C) Anche nel pliocene del Bolognese la F. fimbriata si trova di preferenza nelle argille turchine superiori. Ved. Foresti L., Cat. d. moli, foss. plioc. d. colline bolognesi. Mem. d. Acc. d. Se. dell’Istituto di Bologna. Ser. IIIa, tom. IV, fase. 3°, pag. 355. (2) Bellardi, (J moli. d. terr. terz. del Piemonte, Parte IVa, 1884, pag. 29), peraltro, sostiene che la specie dei dintorni di Vienna, figurata nell’opera delTHornes ( Die foss. Moli. d. Tert.-Beck., voi. I, 1856, pag. 298. tav. 33. fig. 1-4), sia affatto diversa dalla F. fimbriata (Brocc.) e sia affine a quella, che egli ha descritto col nome di F. (Latirus) asperus Bell. (Bellardi L., op. cit., voi. IV, 1884, pag. 31, n. 28 e pag. 32, tav. Il, fig. 2), ritrovata nel pliocene inferiore di Zinola presso Savona. (3) Toldo G., Muricidae, Tritonidae, e Fasciolaridae del mioc. sup. di Montegibio — Bullett. d. Soc. Malac. ital., voi. XV, 1890, pag. 24, n. 6 ( Latirus fimbriatus). (4) Fischer P., Paléont. des terr. tert. de Vile de Rhodes, 1877, pag. 28 dell’estr., n. 198 (Fasciolaria fimbriata). MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 579 In generale le Fasciolaridae ( Tudicla , Fasciolaria, Latirus e sottogeneri) del pliocene italiano non raggiungono la gran- dezza di quelle neogeniche del Portogallo, per esempio, della F. Tarbelliana (Grat.), figurata nei Molluscos fosseis - Gastero- podes dos depositos terciarios de Fortugal por Pereira Da Costa — Lisboa, 1866-67, pag. 187,. tab. XXII, fig. 3, 9; tab. XXIII, fig. 1 a,b, e di quelle mioceniche dei bacini di Bor- deaux e di Vienna (1). Detta specie si rinviene anche in Italia, ma nel miocene medio e superiore, ove, secondo Bellardi, rag- giunge una lunghezza di mm. 140 e di mm. 60 in larghezza, e, nella var. F, si arriva a mm. 180 di lunghezza su 80 di larghezza (Bellardi L., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte, op. cit., Parte IVa, 1884, pag. 8-12). Così ancora, il Latirus cornutus Bell., var. perfusoides Sacc. del miocene superiore di Stazzano, coi primi giri della spira restaurati, misura una lunghezza di mm. 160 (Sacco F., I moli. d. terr. terz. d. Piemonte , Parte XXXa, 1904, pag. 29, tav. Vili, fig. 24) ed il tipo Latirus cornutus Bell, arriva anche a 170 mm. di lunghezza (Bellardi L., op. cit., Parte IVa, 1884, pag. 19, tav. I, fig. 8). Un’altra bella forma di Fasciolaria (Latirus), che raggiunge grandi dimensioni, è quella descritta dal Foresti ( Contribuzione alla Conchiol. terz. ital., II, — Meni. d. Accad. d. Scienze d. Istit. di Bologna, serie IVa, tom. Ili, 1882, pag. 407-409, tav. I, fig. 1 ; tav. Il, fig. 1 e tav. Ili, fig. 4) col nome di Turbinella doderleiniana, fossile nel miocene superiore (piano tortoniano) di Monte Gibio nel Modenese. Misura 175 mm. in lunghezza, e mm. 83 in larghezza. Peraltro, secondo Bellardi {Moli. d. terr. terz. d. Piemonte e d. Lig., parte IVa, « Fasciolaridae » e « Tur- binellidae », 1884, pag. 19), sarebbe da riferirsi al genere La- tirus ed offrirebbe una forte affinità col L. cornutus (Bellardi, op. cit., pag. 19, tav. I, fig. 2) del miocene superiore del Pie- monte. Delle Fasciolarie plioceniche italiane, la maggiore per gran- dezza sembra essere la F. etrusca D’Anc. ~ Fusus D’Anconae (') La suddetta specie, nel bacino di Vienna (Grund, Baden, Vòslau), misura nella lunghezza 127 mm. (Hòrnes M., Die foss. Moli., op. cit., voi. I, pag. 299, spec. 2, tav. 33, fig. 5-7 (Fasciolaria Tarbelliana). 580 R. MELI Pecch., figurata dal Pecchioli (J) e dal D’Ancona ( Malacolog . plioc. ital. — - Memorie d. R. Comit. geolog. ita!., voi. II, parte I, 1873, pag. 201, spec. 5, tav. 12, fig. 1 a, b), la quale misura 110 mm. in lunghezza e 50 mm. in larghezza. Ma, le Fasciolarie fossili neogeniche, finora ritrovate, non raggiungono la mole della vivente Fasciolaria gigantea Desh. (Deshayes in Lamarck, 1 lisi. nat. d. an. sans vertèbr., tom. IX, 1843, pag. 435, spec. 9 e pag. 436), che nell’esemplare figu- rato dal Lister misura 480 mm., pur mancando i primi giri della spira. (Martini Lister, Hist. sive synopsis method. conchylior. — Londini, 1685, in fol., la editio. Vide tab. ultima. — Id., Editio altera cum indicibus opera Gulielmi Hucldesfordì Oxonii. ex typ. Clarendon,, 1770, tab. 931 (2). — Id., Editio tertia: Recensuit et indice locupletissimo instruxit L. W. Dillivyn , Oxonii 1823 (3)). Nel Mediterraneo il genere Fasciolaria è rappresentato dalla vivente F. tarentina Lamk. = F. lignaria Linn. (Mnrex). Le presenti note devono considerarsi come facenti seguito alle altre, da me pubblicate, sui fossili pliocenici del Monte Mario e dintorni, e principalmente alle seguenti : Notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi leucitici della provincia di Roma — Boll. d. R. Comit. Geol. d’Italia, 1881, n. 9-10. (A piedi delle pag. 449-451, è data una lista di 96 specie di fossili, estratti dalle sabbie gialle di Acquatraversa sulla via Cassia). Le marne plioceniche del Monte Mario — Boll. d. R. Com. Geol., 1882, voi. XIII, n. 3-4, pag. 91-96. Molluschi fossili del Monte Mario presso Roma — Atti d. R. Accad. dei Lincei, 1885-86, Serie 4a, Memorie d. Classe di 0) Pecchioli V., Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subapp. toscane — Atti d. Soc. Ital. di Scienze natur., Milano, 1864, voi. VI, tav. V, fig 1-2, (Fiisus D’ Anconae) . (2) Questa specie nell’indice é collocata tra i buccini: «Buccina, » quibus et basis et rostrum productius; striis densis et tenuioribus exas- » perata » (Index I, pag. 3). (3) Nell’ Index io thè « Historia conchyliorum » alla pag. 41, la fi- gura della tav. 931 è riferita al Mtirex gigas Gmel. MOLLUSCHI PLIOCENICI DELLE COLLINE DI ROMA 581 se. fis., mat. e natur., voi. Ili, pag. 672-698. (La memoria, compi- lata insieme al prof. Ponzi, il quale ne scrisse il capitolo d’introdu- zione (pag. 672-676), enumera 153 specie di molluschi bivalvi). Sulle marne plioceniche rinvenute alla sinistra del Tevere nell'interno di Roma — Boll. d. Soc. Geolog. ital., voi. X, 1891, pag. 25-29. Paragone fra gli strati sabbiosi a « Cyprina aequalis » Bronn del Monte Mario nei dintorni di Roma e ■ quelli di Ficarazzi presso Palermo racchiudenti la medesima specie — Boll. d. Soc. Geolog. ital., voi. XIII, 1894, fase. 2, pag. 162-166. Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal gia- cimento classico del Monte Mario presso Roma — P comuni- cazione — Boll. d. Soc. Geolog. ital., voi. XIY, 1895, fase. 1, pag. 94-96. Molluschi fossili estratti recentemente dal giacimento classico del Monte Mario presso Roma — IIa comunicazione — Boll, predetto, voi. XIY, 1895, fase. 2, pag. 141-148. Ancora due parole sull’età geologica delle sabbie classiche del Monte Mario — Boll, predetto, voi. XIY, 1895, fase. 2, pag. 128-141. Molluschi fossili recentemente estratti dal giacimento clas- sico del Monte Alario — IIP comunicazione — Boll, predetto, voi. XV, 1896, fase. 1, pag. 74-84. Sulla « Eastonia rugosa » Clieinn. (Mactra) ritrovata vi- vente e fossile sul littorale di Anzio e Nettuno (provincia di Roma) — Bull. d. Soc. Malacolog. ital., voi. XX, Modena, 1897, pag. 45-73. (Vi si parla della Eastonia fossile nelle sabbie gialle di Malagrotta sulla via Aurelia). Sul « Tvphis » ( Typhinellus ) « tetrapterus » Bronn (Murex) rinvenuto nelle sabbie grigie del pliocene superiore della Far- nesina ( gruppo del Afonie Alario) presso Roma — Bullett. d. Soc. Malacologica, voi. XX, Modena, 1897, pag. 74-96. Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite nell'anno scolastico 1002-03 con gli allievi ingegneri del II0 anno della R. Scuola di Applicazione di Roma. 1° Alla cava Mazzanti presso il Ponte Afilvio nei dintorni di Roma. II0 In Sicilia, ( Palermo , Solfara di Trabonella , Catania , Siracusa, Taor- mina, Messina) — Roma, tip. della Pace, 1903, in-8° di pag. 23. 582 R. MELI (Nel cap. I. « Escursione alla cava Mazzanti » si parla del plio- cene romano e sono citati alcuni dei molluschi fossili rinvenuti nell’arenaria bigia, pliocenica, che si mostra alla base della collina, a traverso della quale fu aperta la sezione). Sulla « Vola Planariae » Simonelli (« Pecten ») fossile nei terreni pliocenici e quaternari dei dintorni di Roma — Bollett. d. Soc. Zoologica Ital., anno XIY, 1905, Serie IIa, voi. VI, fase. VII-VIII, pag. 257-261. (Vi è citata la specie nelle sabbie gialle di Acquatraversa, ove era stata inesattamente indicata per lo innanzi con la determinazione di Pecten maximus). Delle specie descritte nella presente memoria sono estinte, oltre la Pseudonina Bellardii Michtti. ( Delphinula) delle marne vaticane, le seguenti, rinvenute nelle sabbie del Monte Mario: Vola Planariae Simonel. (Pecten). Cantrainea mamilla Andr. (Monodonta). Hemiacirsa lanceolata Brocc. (Turbo). Mitra fusiformis Brocc. (Voluta). Pleuroploca Laivleyana D’Anc. (Fasciolaria). Le ultime quattro specie sono proprie del vero pliocene e non furono finora riscontrate nei terreni quaternari. Ciò starebbe a confermare quello, che ho sempre sostenuto, basandomi su diversi fatti paleontologici, sulla scala dei terreni romani, sui con- fronti con le facies di altri terreni ritenuti pliocenici ( Crags inglesi e del Belgio), che il giacimento classico del Monte Mario debba riferirsi al vero pliocene e, precisamente, alla parte supe- riore del piano astiano. Del resto, l’ultima parola su questo ar- gomento verrà detta con la revisione completa di tutta la fauna fossile del Monte Mario. Io credo che, se si farà uno studio com- pleto, accurato, e sopratutto sereno, scevro, cioè, da prevenzioni e da personali motivi, della fauna suddetta, resterà dimostrata, dal rapporto tra le specie estinte e le viventi, che vi si ritrovano, la pliocenicità del giacimento. Roma, 10 maggio 1906. [ms. pres. il 14 giugno 1906 - nlt. bozze 10 novembre 1906]. ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI Nota del socio Dott. Giuseppe Merciai Nell’estate dell’almo decorso trovandomi a bordo del « Ragn- vald Yarl » per fare una crociera da Newcastle lungo i fiords della parte occidentale della Norvegia sino al Capo Nord, ebbi occasioni, durante le soste del battello nei fiords, di fare alcune escursioni, sui ghiacciai più prossimi ed ammirare, oltre il fe- nomeno stupendo del sole di mezzanotte, anche il carattere oro- grafico particolare dei fiords, delle montagne vicine e dei loro ghiacciai. Dopo il primo approdo del piroscafo a Bergen iniziai la visita dei fiords. Il primo fu quello più meridionale, cioè l’Har- danger Fiord, famoso per la bellezza dei suoi paesaggi, per le superbe cadute d’acqua e per la ricchezza dei costumi della po- polazione, eminentemente peschereccia, come quella delle altre parti della Norvegia. Nel percorrere l’Hardanger Fiord lungo circa 120 Km. potei ammirare fino dall’inizio il carattere oro- grafico predominante nella Norvegia e cioè grandi plateaux i quali vengono solcati da profonde valli che scendono sotto il livello del mare a formare i fiords. Sopra ai detti plateau si formano quei grossi nevai ( Firn - fidd dei tedeschi), i quali arrivano sino ai bordi dei plateaux che cadono talvolta precipitosamente nel fiord vicino e là vi formano quelle grandi cascate che sono una delle cose più me- ravigliose a vedersi nei fiords norvegesi. Talvolta si distaccano dal margine del plateau gradatamente delle valli nelle quali scendono dei superbi ghiacciai, che nella parte più alta della Norvegia, dove il limite delle nevi perpetue è molto basso, arrivano quasi sino al livello del mare. 584 G. MERCIAI Il battello fece un alt, nell’Hardanger Fiord, a Odda per un giorno e mezzo. Da Odda, che è un centro di escursionisti, mi recai ad uno dei ghiacciai del Folgefond, esteso campo di ghiaccio fra i più importanti della Norvegia. Risalendo da Odda la grande strada che va nel Thelemarken percorsi dapprima la strada tortuosa che sale sull’Eid, antica e grande morena. Questa si presenta dapprima sotto forma di ter- razzi, perciò si’ ha un primo terrazzo più basso, quindi a 80 m. sul livello del fiord un altro più elevato e poscia la morena alta 136 m., secondo le misure di Helland (*). Questi vi osservò il fatto che si riscontra in molte delle così dette valli-fiord della Norvegia, nelle quali V imboccatura è coperta per un tratto più o meno lungo da terreno detritico disposto a terrazzi contro i quali vi si forma generalmente un lago. Fra l’estremità del lago e il ter- reno detritico che scende alle rive del fiord, il materiale detri- tico prende la forma di una morena trasversale il cui asse è per- pendicolare all’asse longitudinale del lago. Questo fatto da Hel- land qui osservato, servì allo Stoppani (?) per paragonare il lago di Sandenvand al lago di Como nel quale egli avea riconosciuto la stessa disposizione dei terreni. Il lago di Sandenvand che trovasi al di là dell’Eid è alto 90 m. sul livello del mare, è lungo circa 5 Km., ed è alimen- tato dai piccoli corsi d’acqua che si originano dai vicini ghiac- ciai e per mezzo del fiume Aaboelv comunica col fiord. Attraversato il Sandenvand in una barchetta, mi diressi all’ovest nella valle di Jordal, incassata fra le due cime di Eides- nut a destra e l’Jordalsnut a sinistra. La valle ha la forma caratteristica ad U propria di quelle valli formate dall’erosione glaciale e presenta ai lati le scar- pate ripidissime, formate prevalentemente di scisti gneissici. Nel Thalweg si osservano tutti i ciottoli arrotondati e striati che rappresentano i residui morenici depositati dal vicino ghiac- ciaio di Buar che trovasi tuttora in via di ritiro. (') Helland, On thè fiords, lakes and cirques in Norway and Green- land. (2) Stoppani, Geologia d’Italia, pag. 182. ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI 585 Dopo tre quarti d’ora di cammino in mezzo ai campi nu- merosi di orzo e olmi che tappezzano il fondo della valle, giunsi ad una ripida morena addossata al lembo più occidentale del- l’Eidsnut sulla quale è costruito lo Chalet restaurant. Di là si gode tutta la vista imponente del ghiacciaio di Buar e dello immenso Folgefond dal quale esso si distacca. La detta morena occlude la valle altro che per una metà poiché nella metà op- posta scorre il fiume originato dalle acque del ghiacciaio di Buar. Anzi tutto dirò che il Folgefond, del quale il Buar non è che una delle sue ramificazioni, è uno dei grandi ghiacciai di plateau {plateau glctscher dei tedeschi), che oifrono il maggiore interesse inquantochè, insieme al gruppo di ghiacciai dell’Iostedal, formano il tipo dei ghiacciai di plateau che è il tipo essenzial- mente caratteristico dei ghiacciai norvegesi. Questo tipo trova l’origine nella struttura della superficie coperta dalla neve (Firn- field) che, come già ho notato, è formata da altipiani ed è di- visa per mezzo di valli profonde in diverse cupole. Il Folge- fond è situato circa a 60° lat. Nord e 4° long. Est, merid. di Parigi ; è limitato da Fiords con pareti ripide ed ha un’esten- sione che varia dai 280 Kmq. (Q a 250 Kmq. secondo le mi- sure dei diversi geografi. Secondo Heim (2) il limite delle nevi perpetue a questa la- titudine comincia a 1100 m. sul livello del mare. Sexe invece, in base ad osservazioni fatte dell’altezze varie in cui incominciano i campi di neve, fissa quel limite a 1025 m. (3). Ciò è strano perchè si osservano nei dintorni del Folgefond delle alture in forma di cupole di 1000 e 1200 metri d’altezza prive di neve. Heim (4) in una tabella del limite delle nevi perpetue nei diversi ghiacciai della Norvegia indica per il Folgefond Ovest una altezza di 1000 m. e per il Folgefond Est 1200 m. Forbes invece giudica un’altezza di 1341 m. (M Heim, Handbuch der Gletsclierlcunde, pag. 434, Stuttgart, 1885. (2) Heim, meni, cit., pag. EO. (3) Richter, Die Gletscher Norvegens (Geographiscbe Zeitscbrift), 1896, pag. 309. (4) Heim, mem. cit., pag. 18. 586 G. MEECIAI Richter (Q nell’agosto 1895 notò che il nevischio cominciava senza interruzione a 1459 m. e stabilì il limite delle nevi fra 1400 e 1500 m. Neumayr (2) riporta la tabella di Y. Hann che per la latitudine di 60° alla quale ha posto il Folgefond pone il detto limite a 1360 m. sulla costa e 1680 m. per l’interno. Come si vede dunque, differenti sono le opinioni emesse dai vari autori che io ho citato per dimostrare come non sia ancora ben definito questo limite delle nevi e come in ogni modo esso sia relativamente molto basso. Questo limite basso delle nevi è in rela- zione diretta colla posizione del Folgefond il quale si trova in vici- nanza del mare per mezzo dell’Aakrefiord a Sud e del Hardan- ger Fiord a Ovest e da questi lati non ha montagne che lo riparano. E dovuto a questa vicinanza del mare se nel Folge- fond si ha un limite basso delle nevi e se quei pochi ghiacciai da esso derivanti, dei quali dirò più innanzi, arrivano sino a quote altimetriche basse sul livello del mare. IlFolgefond nella sua parte centrale si innalzafinoam.1635 (3) e al margine del plateau sul quale si trova il grande ghiac- ciaio esso scende a formare, sulle pareti scoscese che circondano il margine, una serie di piccoli ghiacciai sospesi ( GeJiàngeglet- scher) o vedrette delle quali se ne contano secondo Richter da 20 a 30 e scendono fino ad un’altezza di 800 a 1000 m. sul livello del mare. In soli tre punti si internano nel plateau delle profonde valli nelle quali scendono tre grandi ghiacciai di valle, il più im- portante dei quali dalla parte orientale è il Buarbrae o ghiac- ciaio di Buar da me visitato. Esso staccandosi dall’alto del pla- teau dapprima scende rapidamente, poi dolcemente fino al fondo della valle di lordai. La sua fronte viene gradatamente restringendosi nella parte bassa del bacino ablatore, nel suo centro è interrotto da una parete rocciosa, l’ Urbotten, che lo divide in due rami i quali si ricongiungono e formano una morena mediana considerevole. Il Ghiacciaio di Buar ha in molte occasioni attirato l’atten- zione dei naturalisti per le sue rimarcabilissime oscillazioni. (]) Richter, vieni, cit., pag. 309. (2) Neumayr, Storia della terra, voi. I, pag. 485. (3) Heirn, pag. 50. ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI 587 Esso ha subito varie alterazioni di avanzamento e di ritiro dalla metà del secolo decorso fino ad ora. Mancano carte topografiche antiche in grande scala rilevate in differenti periodi e che pos- sono darci, come si può fare per molti ghiacciai delle Alpi, una idea approssimativa del loro movimento e perciò si hanno sol- tanto delle notizie date dai pochi naturalisti che lo visitarono in varie epoche. Heim (Q afferma che nel 1860 esso terminava a 360 m. sul livello del mare, dopo si avanzò circa 200 m. in modo che la sua fine nel 1878 si trovava a circa 321 m. Sexe nel 1864 dice che durante i precedenti trenta anni esso era aumentato circa 1375 metri e successivamente al pari di quello che era avvenuto per i ghiacciai del gruppo di Yo- tunheim e di Iostedalsbrae a questo aumento notevole era suc- ceduta, così egli calcola, verso la metà del secolo diciannove- simo una notevole decrescenza e tutto il Eolgefond era stato soggetto pure alla stessa diminuzione di massa, in modo che in molti punti erano state scoperte le roccie. Questo decrescimento del Ghiacciaio di Buar sarebbe continuato, secondo lo stesso Sexe, fino al 1868. Da quell’anno sarebbe avvenuto un aumento generale del ghiacciaio fino al 1893. Ma questo aumento non sarebbe avvenuto in maniera uniforme, poiché in due differenti periodi il ghiacciaio andò soggetto a due rapidissime fasi di avanzamento. La prima di queste avvenne dal 1870 al 72, l’al- tra dal 1878 al 79. Dal 1894 in poi fino al 1900 epoca in cui fu visitato da Oyen il quale fece uno studio sui ghiacciai della Norvegia (5) e ci dà le ultime notizie su questo ghiacciaio esso decrebbe con- tinuamente in modo considerevole, però poco uniforme perchè ne- gli anni 1896 e 1897 questo decrescimento fu più grande che negli altri. Nel 1895 Richter, altro illustratore dei ghiacciai norvegesi, visitò i ghiacciai del Folgefond e asserisce che (3) il Buarbrae scendeva ad un’altezza sul livello del mare presso a poco uguale (') Heim, vieni, cit -, pag. 435. (2) Oyen, P. A., Variations of Norwegian Glciciers, Nyt Magazin for Naturviden Kaberne, Bind 39, hefte I, 1901. (3) Richter, meni, cit., pag. 308. 40 588 G. MERCIAI al Bondkusbrae, altro ghiacciaio di valle del Folgefond dalla parte Ovest, il quale arriva tino a 314 m„ sul livello del mare. Perciò in queste due epoche avrebbe avuto presso a poco la stessa posizione, salvo dei movimenti alternativi che avrebbe fatto nei diciassette anni trascorsi tra le due date di osservazioni delle quali sopra ho parlato. Le varie oscillazioni e le altezze barometriche della bocca del ghiacciaio riferite dai suddetti scienziati sono concordi coi fatti da me osservati e colle informazioni locali. Infatti dalle notizie orali di alpigiani risulta che questo ghiacciaio circa 10 anni or sono (probabilmente nel 1894) giungeva quasi ai piedi della collina morenica della quale ho già parlato, situata a de- stra di chi guarda il Buar e all’estremo lembo S-0 dell’Ei- desnut segnata a nella seguente figura 1. Fig- i. Là, l’altezza barometrica da me riscontrata coll’aneroide è di 320 m. e là pure incominciano sui due lati i resti della morena laterale e frontale recentemente depositata dal ghiacciaio il quale ha ora la sua fronte m. 300 più a monte e termina ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI 589 ad una altezza di 350 m. sul livello del mare secondo la mi- surazione da me fatta coll’aneroide, preventivamente registrato, il 28 luglio 1905. Perciò si sarebbe avuto in questo ghiacciaio un regresso, se questo fosse stato continuo e uniforme, di circa 30 m. per anno. Però si sono avute delle fasi di un rapido regresso come nel 1896-97 e delle prove di questo regresso ra- Pig. 2. pido succedute da intervalli di sosta, si hanno dalle morene di sponda sui lati dell’ultima porzione del ghiacciaio. Ad un ri- tiro orizzontale è avvenuto contemporaneamente una diminuzione nello spessore della massa ghiacciata fino alla parte più ele- vata di esse e questo è dimostrato dalle morene laterali e di sponda che si trovano anche nella porzione alta del bacino abla- tore del ghiacciaio, come può vedersi dalla figura 2. Esse mi 590 G. MERCIAI ricordavano i depositi morenici di sponda del Ghiacciaio del Forno nella Valtellina da me visitato tre anni avanti e anche quelli che avevo osservati in alcuni ghiacciai minori del M. Bianco e del M. Rosa sopra ambedue i versanti e che tro- vavansi allora in una fase di regresso. Ora qui è da notarsi questo notevole ritiro ad una latitu- dine così elevata e per un limite delle nevi perpetue relativa- vamente basso, mentre che ora ì nostri ghiacciai alpini trovansi in grande parte in una fase di avanzamento e una parte in una fase di lento ritiro, come fece osservare il Richter in tesi gene- rale nel suo rapporto della Commissione Internazionale dei Ghiac- ciai presentato al Congresso Geologico Internazionale di Parigi del 1900. Però d’altra parte è da osservare che nei ghiacciai norve- gesi queste lingue di ghiaccio che si protendono nelle valli non possono paragonarsi ai ghiacciai di valle o altrimenti detti dal Saussure gh iacciai di primo ordine, poiché questi hanno una grande importanza nell’economia del ghiacciaio per la forma dei cir- chi dai quali essi si originano e per la quale essi raccolgono una gran quantità di ghiaccio mentre gli altri ne hanno po- chissima, inquantochè una piccola parte della massa ghiacciata discende nelle valli e la maggior parte si disperde sul plateau e ai suoi margini. Altra escursione importantissima fu al ghiacciaio di Kyen- dalsbrae appartenente a quell’enorne campo di ghiaccio di Io- stedal. Da Loen, (piccolo villaggio del Nordfiord dove approdò il « Ragnvald Yarl », situato all’imboccatura della Loendal o valle di Loen) in compagnia di altri compagni di viaggio, percorsi la parte destra del piccolo fiume che scende dall’alta valle rico- perta di verdi prati e boschi cedui, e dopo tre quarti d’ora di cammino giungemmo a Vasenden situato all’estremità inferiore del Loenvand, lago alpestre per eccellenza, celebre per i suoi punti di vista, per il suo carattere selvaggio, per le sue pic- cole isole, che in molti punti lo rendono veramente pittoresco. ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI 591 Esso pure ha la sua sede in una valle occlusa da morene e terrazzi, in una delle solite valli così dette valli fiord. Sul lago di Loen trovammo una scialuppa a vapore che in un’ora ci fece percorrere il lago in tutta la sua lunghezza di 12 Km. Poco dopo la partenza ammirammo sulla destra del lago la cima nevosa del Melheimsnibben (1655 m.) e quindi sempre a destra il Ravnefield (2004 m.jdal quale discendono numerosi ghiacciai i quali si arrestano ad una certa altezza dal lago. Specialmente dal ghiacciaio di Hellesaeter, il quale termina bruscamente a picco ad un’altezza di 1200 m. discendono nu- merosi torrenti e là vedemmo dei resti di valanghe cadute nei giorni antecedenti. Più in là a sinistra ammirammo la valle di Bodal alla quale fanno capo i ghiacciai Shaalebrae e Bo- dalsbrae alla fine del quale si trovano molte vecchie morene. Al di là dell’ imboccatura della valle di Bodal vi è uno sprone che scende dal Bodal Pield fino a metà del lago; lo ri- stringe alquanto e dietro ad esso forma il circo di Nesdal. Que- sto sprone nudo mostra sempre le tracce dello sfregamento su- bito per antichi ghiacciai adesso ritiratisi. Giunti e sbarcati poscia a Nesdal che è l’estremità supe- riore del lago si ammirò in faccia a noi la massa a picco di Nonsnib (1839 m.) e alla destra di esso il ghiacciaio di Kvan- dal, sulle alluvioni e detriti morenici del quale sono costruite le poche case in legno di Nesdal che già furono sepolte per una frana caduta da una parte del Ravnefield nel gennaio 1905, nella quale perirono 65 persone. Prendendo a destra delle case di Nesdal si risalì la valle sul Kiendalssand che è il letto sul quale si è ritirato il ghiac- ciaio di Kyendals che andavamo a visitare. I ciottoli arrotondati, striati, il terreno finamente melmoso impediscono il cammino fa- ticoso che dura una mezz’ora prima di giungere in faccia alla fronte screpolata del ghiacciaio il quale si presenta con tutta la sua più grande imponenza. Il ghiacciaio di Kyendals al pari degli altri ghiacciai ve- duti durante e dopo la traversata del Lago di Loen discende da quell’enorme campo di ghiaccio di Iostedal che, come il Fol- gefond già ricordato, forma un immenso ghiacciaio d’altipiano caratteristico della Norvegia. Per avere un’idea dell’immensità di 592 G. MERCIAI questo campo ghiacciato dirò solo che esso occupa secondo Heim (‘) 1500 Km2., estensione circa cinque volte più grande del campo di ghiaccio del gruppo del Fisteraarhorn della Svizzera, che è il più esteso delle Alpi. Sotto il nome di Iostedalsbrae si compren- dono altri campi di ghiaccio ad esso intimamente connessi e che assumono differenti nomi. Da ciò deriva la sua grande esten- sione che Richter (2) avendo misurato i singoli campi di ghiac- cio e lingue di ghiaccio adiacenti fece arrivare sino a 1675 Km2. Da esso si partono ventiquattro ghiacciai di prim’ordine e qualche centinaio di ghiacciai di pendio. Il ghiacciaio di Kyendals da me visitato arriva colla sua fronte fino ad un’altezza di poco più di 100 m. sul livello del mare al pari del prossimo ghiacciaio di Nesdal. Esso presenta la fronte molto fessurata, radialmente con una pendenza di più di 45°. Alla sua destra si innalza il Kyendalskrona (1828 m.) dal quale si precipitano molte pietre che formano la grande morena laterale destra. Riguardo alle fasi del suo movimento dirò che i ghiacciai di Jostedal seguirono presso a poco le stesse fasi di progres- sione e di ritiro di quelle del Folgefond. Oyen (3) dice che abbiamo davanti a noi una serie di dati sicuri del ritiro dei ghiacciai che si diramano da Iostedalsbrae, dal 1870 fino al 1900 (anno in cui scrisse la sua memoria). Slingsby così riferisce: « Oyen (loc. cit.) nel suo Chips frorn tlie ice-axe in Norway 1881 dice, riguardo al ghiacciaio di Kyendal che durante i sei anni passati da che egli lo vide la prima volta esso era diminuito considerevolmente ». Nel 1895 Richter scrive riguardo a questo ghiacciaio « ge- genwartig Kleiner Rùckgang ». Nel 1900 Oyen ebbe informa- zioni che sebbene il campo nevoso di Iostedal fosse in leggero aumento, pure i ghiacciai derivanti erano in ritiro. Nello stato attuale, secondo anche le informazioni prese da me sul luogo e dalle guide di Nesdal, questo ritiro ha proseguito lentamente anche dal 1900 ad ora in cui presenta numerosissime fessure (*) (*) Heim, meni, cit., pag. 435. (2) Richter, mem. cit., pag. 311. (3) Oyen, mem. cit., pag. 105. ESCURSIONI AD ALCUNI GHIACCIAI NORVEGESI 593 alla sua estremità; dei blocchi enormi di ghiaccio si distaccano e rimangono per del tempo isolati dalla massa principale del ghiaccio, finche non si liquefanno completamente, essi ingom- brano la bocca del ghiacciaio e rendono pericoloso il praticare a piedi su di esso. Questo può vedersi dalla seguente figura 3. m Eig. 3. Il ghiacciaio di Kyendals il quale raggiunge come abbiamo visto un’altezza piccola sul livello del mare, è molto interes- sante, inquantochè per il campo di neve di Iostedalsbrae vari autori hanno giudicato piuttosto alto per questa parte della Nor- vegia, il limite di altezza delle nevi perpetue. Heim lo giudica per Iostedalsbrae alla latitudine 61° 38 Ovest 1300 m., mentre Richter, in seguito a molte osservazioni su questo limite nei vari punti di Iostedal crede che fra m. 1600 594 G. MERCIAI e 1650 sia l’altezza più probabile del limite di neve. Il tro- varsi questo limite più alto qui che sul Folgefond situato ad una latitudine più bassa, sta nella relazione che ha la sua posi- zione riguardo al mare poiché il Folgefond non ha alti monti fra sé e il mare mentre che li ha l’Iostedal. La vicinanza del mare e la posizione relativa di esso hanno in Norvegia una grande influenza sull’altezza del limite delle nevi. La prova ne è il plateau di Aalfotbrae sul Nordfiord, in cui sulle cime di Hielmem e Kielpen alte rispettivamente 1217 e 1722 m. non solo vi è il ghiaccio ma una gran parte della massa di ghiac- cio, dalla quale scendono i ghiacciai, trovasi sotto i 1000 m. ('). La visita del ghiacciaio di Kyendals dopo un bellissimo ritorno a Loen a riprendere il battello, lasciò in me un piace- volissimo ricordo. Fui dispiacente però che la mia sosta a Nesdal non fosse più lunga, per poter fare maggiori escursioni e osserva- zioni su questa parte tanto interessante deH’Iostedal. Non credo ora del tutto inutile pubblicare queste mie note di viaggio, con osservazioni e corredate di poche fotografie che il tempo poco bello non mi permise di prendere in maggior copia, poiché que- sti ghiacciai norvegesi, mentre sono interessantissimi, essi sono poco osservati studiati e visitati, e ciò è dovuto non solo alla mancanza di mezzi di facile comunicazione nelle regioni dei ghiacciai, quanto alla deficenza di guide, di alberghi e ricoveri alpini e soprattutto alla mancanza di una buona cartografia topografica, quale abbiamo nelle nostre Alpi. Pisa, Giugno 1906. [ms. pres. il 19 luglio 1906 - ult. bozze 16 novembre 1906]. (') Richter, meni, cit., pag. 314. SU DUE MU STELI DI E UN FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO Nota del Dott. A. Martelli (Tav. Vili) Fra le ricche collezioni di mammiferi fossili del Valdarno superiore e di Oli vola esistenti nel Museo di Geologia e di Pa- leontologia del E. Istituto Superiore di Firenze, rimanevano indeterminate e quasi inosservate in tanta copia di resti di grandi mammiferi, tre branche mandibolari di piccoli carnivori, due delle quali appartenenti a mustelidi e l’altra ad un felide. La branca mandibolare del mustelide più sviluppato e fa- cente parte dell’antico Museo di Storia naturale è segnata come proveniente dal Valdarno superiore, e viene citata dal Wei- thofer (1)' allorché nella parte del suo lavoro sui mammiferi ter- ziari italiani relativa ai fossili del Valdarno superiore, scrive : « Im Museum zu Florenz befindet sich ans dem oberen Arnothal eine linke Unterkieferhalfte, die auf einen Musteliden ungefahr von der Gròsse der Must. Canadensis hindeutet. Falls das Exem- plar auch wirclilich den natiirlichen Erkaltungszustand zeigt, ist diese Species weit verschieden von alien anderen Marderarten und zweifelsohne eine neue». Quindi, a sostegno dell’apparte- nenza di tale branca di mustelide ad una specie nuova, il Wei- thofer la descrive sommariamente sotto la denominazione di Mu- stela sp. che, sulla fede di detto autore, il Portis (2) riporta (‘) Weithofer K. A., Ueber die tertiàren Landsàugethire Italiens, Jahrb. der k. k. geol. Reichsanstalt, Bd. XXXIX, pag. 70 [16], Wien 1889. (5) Portis A., Contribuzione alla storia fisica del bacino di Roma e studi sopra l’estensione da darsi al Pliocene superiore, voi. II, p. Ili, Torino 1896. 41 596 A. MARTELLI pure nella comparazione fra i diversi elenchi di mammiferi del Pliocene superiore. La branca mandibolare del mustelide minore era rimasta indescritta insieme con quella del piccolo felide fra l’abbondante materiale pliocenico di Olivola, in Val di Magra, scavato e in gran parte identificato dal Forsyth Major (Q. Questi piccoli carnivori, nella ricca fauna mammologica tanto del Pliocene lacustre del Valdarno superiore quanto di quello di Olivola, si presentano con resti oltremodo scarsi ma non certo privi d’importanza se si pensa particolarmente alle numerose specie viventi di mustelidi e all’attuale e grande loro distribu- zione geografica. Mi è grato frattanto di esprimere la mia riconoscenza, oltre che al prof. Carlo De Stefani direttore del Museo predetto, anche al prof. Ettore Eegàlia e al sig. Enrico Bercigli, i quali, con cor- diale e gentile liberalità, misero a mia disposizione per i con- fronti le loro ricche collezioni di osteologia. Cominciando dall’illustrazione delle due branche mandibolari con gran parte dei denti in posto e appartenenti alla fami- glia dei mustelidi (formula dentaria: 3. 1.4- 3. 1-2 . , , ), per la den- 3 . 1 . 4- 3 . 2-1 tatura se ne stabilisce più precisamente il riferimento a carni- vori con la formula comune ai Taxus PromepMtis, 3 . 1 .3.2 Mephitis, Gulo, Galictis, Proputorius e Putorius e fra questi, per quei caratteri odontologici di cui or ora faremo menzione, ai Proputorius. La determinazione generica di Mustela sp. (s. str. Martes Cuv. p. p. Putorius Cuv.) fatta dal Weithofer sulla mezza ma- scella inferiore proveniente dal Pliocene valdarnese, non è esatta e Fautore accennando all’indipendenza di questa specie da tutte le altre specie di martore (mustelidi a quattro premolari), di- mostra di considerarla come tale genericamente, mentre neH’enu- O Forsyth Major C. J., L’ossario di Olivola in Val di Magra. Atti della Soc. Tose, di Scienze Naturali, Processi Verbali, Voi. VII, p. 57,. adunanza del 2 marzo 1890. MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 597 merare i denti fa solo menzione di due premolari presenti e del- l’alveolo del terzo subito dietro al canino. Il gen. Proputorius, instituito dal Filkol (’) su una man- dibola inferiore, comprende forme di mustelidi intermedie - ri- spetto ai caratteri morfologici dei denti - fra gli attuali Putorius dell’antico e i Mephitis del nuovo continente con la formula comune . In esso il molare assomiglia a quello delle 3 . 1 ■ 3 . 2 Martes perchè oltre ad essere provvisto di una piccola cuspide interna opposta alla seconda più sviluppata dell’anteriore, pre- senta un largo ed incavato tallone, concordando così nelle gene- ralità più col molare dei Mephitis che non con quello dei Pu- torius, privo di cuspide accessoria e munito di tallone tagliente. I premolari hanno all’opposto chiare corrispondenze con quelli dei Putorius, mentre i premolari dei Mephitis sono relativa- mente meno sviluppati, meno allungati e più conici. La forma del ferino distingue pure i nostri mustelidi da quelli miocenici con 3 premolari riuniti dal Meyer (2) e dallo Schlosserf3) nel gen. Paìaeogale contradistinto da un tallone tagliente e privo di cuspidi. Più difficile appare a tutta prima una netta distinzione col genere affine Promephitis del Gaudry (4) il quale però si differenzia dal Proputorius per avere i premolari come nel Mephitis, un ferino anteriormente meno sviluppato e con un tallone pari alla metà del dente. I Promephitis e i Mephitis presentano d’ordinario due soli premolari inferiormente, essendo caduco quello anteriore, ed inoltre le loro mandibole, insieme col raccorcimeuto del cranio, comune alla sotto-famiglia delle Me- linae, risultano, anche in rapporto con le altre dimensioni, più brevi che non nel gruppo dei putorioidi. Da quanto ho detto chiara apparisce la complessità dei ca- ratteri che debbono servire di guida per la determinazione del (') Filhol H., Etudes sur les Mammif'eres fossiles de Sansan, An- nales des Sciences géologiques, Tom. XXI, (1891), pag. 112. (2) Meyer H., Neues Jahrbuch fiir Minerai. Geogn. Geol. und Petre- fakten-Kunde, Anno 1846, pag. 474. (3) Schlosser M., Die Affen, Lemuren, etc. und Carnivoren des euro- pdischen Tertidrs , 1 Th., pag. 380, Wien 1887. (4) Gaudry A., Animaux fossiles et Geologie de V Attigue , pag. 40, Paris 1862. 598 A. MARTELLI genere. Occorrerebbe quindi andar cauti allorché si pretendesse di determinare un mustelide basandosi sulle caratteristiche dei singoli denti o particolarmente sul molare, giacché in queste due branche mandibolari la cui forinola dentaria conduce ad una identificazione generica diversa da quella di Martes, i caratteri morfologici dei ferini sono tali da confondersi appunto con quelli delle martore e delle faine, tanto che se invece di due rami mandibolari con i denti in posto avessi avuto sottocchio i soli primi molari, non avrei potuto non riconoscere le strette e pre- valenti analogie con i corrispondenti di qualche specie di mu- stelide a quattro invece che a tre premolari, come sono preci- samente le Martes, e quindi con tutta probabilità sarei potuto incorrere in un errore generico. Passo ora alla descrizione dei resti fossili, avvertendo che per la indicazione dei premolari seguo il generalmente adottato metodo tedesco con renumerazione progressiva dall’interno verso l'esterno. Proputorius Nestii sp. nov. (Tav. Vili, fig. 1 a,b,c). 1889. Mustela sp. Weithofer, Ueber die tertiàren Landsàugethire ltaliens , Jahrb. der k. k. geol. R.-A., bd. XXXIX, pag. 70 [16]. Ascrivo a questo nuovo mustelide la branca mandibolare sinistra proveniente dal Valdamo superiore e già dal Weithofer distinta da ogni altra specie conosciuta. Tale ramo mandibo- lare è sciupato in corrispondenza del diastema e frantumato con questa parte rimase pure il Pr:j di cui più non si ha trac- cia. Della branca ascendente è rotta la parte superiore e il margine posteriore insieme col condilo trasverso. La branca orizzontale è inferiormente convessa, robusta e alta più di quanto non appaia in alcuna delle mustelinae viventi e fos- sili. Soltanto nel Galictis barbara Wiegm. del Brasile, il ramo mandibolare presenta uno sviluppo scheletrico presso che uguale e di poco minore specialmente nell’altezza della parte mento- niera, ma una maggiore differenza si riscontra invece nella branca ascendente, la quale, essendo assai più stretta, nel suo MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 59S insieme genera di conseguenza una maggiore brevità del cranio rispetto a quello della predetta Galictis. Questo resto di mandibola, nella sua metà superiore un poco compresso per la fossilizzazione, diminuisce notevolmente di al- tezza sotto il canino, oltre l’inserzione del quale la parte ante- riore si presenta molto sfuggente all 'indietro ; invece nella parte interna, in corrispondenza del diastema, l’osso si fa più sporgente. La cavità masseterina è marcatissima e mostra una super- ficie triangolare concava esternamente e con margini coronoidi bene spiccati. Ad essa non corrispondono all’esterno sporgenze evidenti ma solo un ispessimento osseo intorno e presso il foro nutritizio mandibolare. Nella mandibola in esame si presentano tre piccoli incisivi, un grosso canino, uno spazio diastematico, precedentemente occu- pato da un solo e piccolo premolare, seguito da due premolari e successivi due molari, tutti ottimamente conservati. Dimensioni principali: Larghezza del ramo ascendente inni. 23 Lunghezza della branca mandibolare dal condilo trasverso alla sinfisi » 69 Lunghezza dalla metà del J/2 alla sinfisi ... » 39 » » » » » al margine coronale posteriore del canino » 30,5 Lunghezza fra il margine anteriore del Ml e il mar- gine coronale posteriore del canino .... » 15,5 Altezza della branca misurata avanti al Pr, . . » 13 » » » » dietro al Mx . . » 14 Spessore » » misurato dietro al M1 . . » 6,5 Gli incisivi sono fra di loro serrati e profondamente im- piantati in posizione parallela alla sinfisi ma obliqua dall’a- vanti all’indietro; hanno una lunga radice pari a circa tre volte la corona, la quale è un poco espansa nei due più esterni e leggermente consunta alla sommità. L’incisivo interno è piccolo, semplice, con traccia indistinta di lobo. Misura al colletto mm. 1,5 di lunghezza e mm. 0,8 di larghezza. 600 A. MARTELLI L’incisivo medio è un poco spostato verso l’indietro ma la sua corona nella parte anteriore si allinea abbastanza, in serie obli- qua, con gli altri due che lo comprendono e fra i quali sembra incunearsi. Risulta di una cuspide depressa, cadente verso l’in- terno dove apparisce munita di un netto cercine basilare, e com- pressa all’esterno. La sua lunghezza al colletto è mm. 2,7 e la larghezza mm. 1,8. L’incisivo esterno si addossa al fianco del canino e sebbene in rapporto con tutto il dente la sua corona appaia anterior- mente più sviluppata dell'incisivo medio, nella parte poste- riore sembra invece da questo sorpassato nelle dimensioni. Xel margine esterno della sua piccola cuspide senza cercine basi- lare visibile, osservasi una leggera concavità probabilmente prodotta dall’usura. La sua lunghezza al colletto è di mm. 2,5, e la lunghezza 1,9. La lunghezza totale della superficie incisiva è di mm. 5,5. Per la difficoltà con cui si conservano gli incisivi mancano anche nelle illustrazioni dei pochi mustelidi fossili conosciuti ì necessari termini di confronto. Riguardo alle forme viventi posso soltanto dire che quantunque per le dimensioni questi incisivi si accostino più a quelli delle Martes — distinguendosi però per una lobatura più distinta — che non dei Putorius , pure sembrerebbe che lo spostamento dell’/, all’indietro e il suo in- cuneamento fra gli altri due fosse più costante e manifesto in questi che non in quelle, dove per altro il caso individuale sa- rebbe assai frequente ma quasi sempre meno accentuato. Il canino di questa specie costituisce per il suo grande svi- luppo e per la sua robustezza un ottimo carattere distintivo, che potrebbe solo trovare riscontro per le proporzioni nei più grossi MepMtis. Esso è rotto alla sommità e inoltre lateralmente un poco compresso. Al colletto lo smalto del canino è rimarcabile per la sua increspatura. La lunghezza al cercine basale è di mm. 8 e la larghezza di mm. 5,8 ; ma è però da notare che il rapporto fra le vere misure di questo canino potrebbe essere stato in origine sensibilmente minore, la compressione laterale accennata dipendendo, con tutta probabilità, da particolari condizioni di fossilizzazione. Oltre il cercine basilare, la corona accenna a restringersi rapidamente e a salire verso l’apice. MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 601 Il Pr3 manca, ma, a giudicare dall’attuale intervallo diaste- matico, non poteva essere che molto piccolo. Il Pr2 è subconico, cilindrico e asimmetrico perchè la sua sommità cade in avanti e un poco all’esterno. Il cercine basi- lare segue presso che parallelamente il profilo della cuspide specialmente nella parte esterna. Posteriormente si prolunga e si affonda verso il successivo premolare, apparendo inoltre in- teressato da due irregolari e lievi concavità che dall’apice si espandono fino alla base. La sua lunghezza è di mm. 6,2; la larghezza di mm. 3,3 ; l’altezza di mm. 3,4 (?). Il Prx è benissimo conservato. Caratteristica è per questo dente la forma triangolare-conoidea a base cilindrica alquanto espansa posteriormente. Spiccate sono le creste della cuspide; ai lati di quella posteriore, analogamente alPr2, si presentano due doccie più marcate che non ai lati dell’anteriore. Le sue dimen- sioni sono: Lunghezza mm. 6,5; larghezza mm. 3,5; altezza perpendicolare mm. 4,6; distanza dall’apice all’estremità del mar- gine posteriore mm. 6,5. Notevole soprattutto è in questo dente la mancanza di cuspide secondaria posteriore come nei Putorius ■viventi, dove invece il Prop. sansanensis Filh. accenna ad una piccola punta accessoria. Riguardo al subtrapezoidale e allungato Mx anche il Wei- thofer osservò che esso è conformato come nella M. canadensis illustrata dal Blaìnville (*) ma con un tallone un poco più grande, e che misurando la parte anteriore del dente, questa starebbe nel seguente rapporto col tallone: Nella M. canadensis 7,5:5, nel mustelide del Yaldarno 7:5. La parete esterna è in esso più alta dell’interna e la cuspide principale sporge no- tevolmente su quella anteriore più semplice e disgiunta da una fossa intercuspidale spiovente all’interno. Alla sottile cresta po- steriore della cuspide principale segue l’ampio tallone e a quella laterale interna una forte cuspide secondaria, la quale concorre così a rendere irregolarmente tricuspidale la metà anteriore del ferino. (!) De Blaìnville H. M., Ostéograpliie comparée du squelette et du -sy sterne dentane des vertè brés récents et fossiles. Tav. XIII. 602 A. MARTELLI Il tallone, con una infossatura contornata dallo sporgente cercine basilare, si sviluppa all’interno oltre l’ordinario allinea- mento dei denti, e nel suo orlo esterno si bipartisce in due pic- coli lobuli. Il Ml inferiore del Prop. Nestii del Yaldarno dà queste prin- cipali misure: Lunghezza rum. 12 Larghezza anteriore » 4,2 Larghezza posteriore » 5 Altezza della cuspide anteriore ...» 4,2 Altezza della cuspide principale . . » 5,5 Altezza della cuspide secondaria interna » 3,7 Lunghezza del tallone » 5 Notevole è per questo mustelide a tre premolari, la spic- cata cuspide interna del ferino, la quale — mentre si trova più o meno sviluppata non solo nei Proputorius, nelle Martes e nelle Mepliitis ma anche nelle Viverrae e nelle Zorilìae — manca nelle forme di Putorius. È così importante questo carattere per un carnivoro a tre premolari che il Filhol se ne valse princi- palmente per l’istituzione appunto del gen. Proputorius, giacche il carattere dell’espansione e cavità del tallone, sebbene non altrettanto sviluppato, si osserva pure nel Put. lutreola o Vi- sone, carnivoro anche per la dentatura più piccolo assai del nuovo descritto. Il M2 o tubercoloso, è piccolo rispetto alle notevoli dimen- sioni del Mv e questo carattere potrebbe pure, in mancanza dei premolari, servire di una certa norma per la distinzione gene- rica dalle Martes nelle quali è ordinariamente minore il rapporto fra la lunghezza dei due molari. Esso è orbicolare, alquanto incavato a guisa di doccia trasversale nella metà anteriore, e con bordi arrotondati e muniti su ciascun lato posteriore di due piccole e appena spiccate cuspidine, disgiunte da una fossetta longitudinale quasi normale alla precedente. La sua lunghezza è di mm. 3,6; la larghezza di mm. 3,8 e con l’altezza di mm. 2 si livella col piano di masticazione del tallone. MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 603 La figura del miocenico Prop. scinsanensis data dal Filhol, non è tale da consentire dettagliate comparazioni col Prop. Nestii, ma dalla descrizione possono ricavarsi dati più che suf- ficienti per distinguere queste due forme congeneri. A parte lo sviluppo mandibolare e dentario proporzionata- mente minore, il Prop. sansanensis rispetto alla nostra specie mostra nei denti queste differenze : Il secondo e più ancora il primo premolare sono più tozzi e quindi relativamente più larghi di base e meno alti ; il ferino è alquanto più massiccio, meno affilato nelle ali esterne e meno sporgente nelle sue cuspidi; il tallone è meno espanso verso l’interno e non ha lobuli sul- l’orlo esterno. Fra il Proputorius e gli attuali Putorius e Mephitis. si hanno dunque forti differenze nella struttura dei molari e dei premo- lari, e nel valore relativo delle diverse parti che detti denti co- stituiscono. Proputorius olivolanus sp. nov. (Tav. Vili, fig. 2 a, b). Il resto di Proputorius proveniente dai Pliocene di Olivola appartiene ad una specie diversa dalla precedente. La branca destra di mandibola che di esso rimane raggiunge le dimen- sioni di quella di una comune ed adulta faina, e supera di un quarto le dimensioni della mandibola dei più grandi individui di Putorius (maschio) vivente da me misurata in mm. 44 di lunghezza e mm. 8 di altezza sotto il grosso molare. Inoltre supera pure e non di poco le dimensioni mandibolari della Me- phitis mephitica del Canada. Fra i mustelidi pliocenici pareggia in sviluppo scheletrico la mandibola della Mustela arclea Brav. di Issoire, descritta e figurata dal Gervais (1), della quale per altro mi sembra ancor più robusta, come molto più robusta è pure del Prop. sansa- nensis Filli. (') Gervais P., Animaux vertébrés dont on trouve les ossements en- fouis dans le sol de la France. Zoologie et Paléontologie frangaises, pag. 262-253, Tav. XXVI f, fig. 6, Paris 1859. 604 A. MARTELLI Detta branca è incompletamente conservata all’estremità posteriore e nella porzione incisiva. Oltre che degli incisivi, manca di gran parte del canino e dell’intero tubercoloso. Dei denti che permangono il più sciupato è il Pr2 e il Mx nella metà posteriore, mentre il Prx è restaurato; ma tuttavia anche il loro stato di conservazione consente ancora delle efficaci os- servazioni morfologiche e delle esatte misure. Il ramo orizzontale è arcuato e complessivamente più tozzo di quello delle odierne faine, martore e puzzole. Traccie di fori nutritizi mentonieri si distinguono ancora, per quanto obbliterati nel processo di fossilizzazione, a metà altezza della branca orizzontale nel lato esterno sotto il Pi\ e il Prx ; maldistinto è il foro mandibolare. Delle apofisi della branca ascendente si conservano più di metà del condilo tra- sverso cilindroide, parte della coronoide e il rudimento del pic- colo angolare. Le dimensioni del ramo mandibolare sono riportate più avanti e messe in rapporto con quelle del Prop. Nestii. In questo resto di mandibola il canino è rotto proprio al colletto, e quindi solamente se ne possono giudicare le notevoli dimensioni basali, in proporzione poco o punto differenti dal canino della precedente specie. Il Pr3 è abbastanza bene conservato, subconico, semplice, con parete esterna verticale e interna molto ripida. È assai pic- colo, misurando min. 2,5 di lunghezza di base; min. 2 di lar- ghezza e mm. 2,6 di altezza. Per quanto concerne la forma asso- miglia più al terzo premolare delle puzzole che non degli skunk ( Mcpliitis ), nei quali è meno regolarmente cuspidato, più breve e anche in proporzione meno sviluppato. Una grande analogia tanto per le dimensioni che per i caratteri si ha per questo dente col P. lutreola illustrato dal Blainville col nome di Mu- stela Vison. Il Prv per quanto è dato giudicare dalla sua incompleta conservazione, corrisponde nella forma a quello del Prop. Ne- stii. Le dimensioni sono le seguenti: Lunghezza mm. 5,1; lar- ghezza mm. 2,8; altezza mm. 3 (?). Il Prx è restaurato e, salvo dettagli che la cattiva conser- vazione impedisce di controllare, corrisponde nella forma ge- MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 605 nerale triangolare-co noi dea a quello della specie precedente, del quale però è più stretto alla base. Anch’esso è privo di cu- spidina accessoria posteriore. La sua lunghezza è di mm. 5,3; la larghezza mm. 2,8; altezza mm. 4,1. A causa della forte fossilizzazione subita da questa mandi- bola, i denti, divenuti fragilissimi, si sono con facilità sciupati frantumandosi in parte, come è accaduto pel Pt\ e pel tallone del ferino. Malgrado ciò, per la parziale conservazione della cuspide accessoria interna e per la concavità del tallone inter- namente e posteriormente espanso, mi sembra che possa valere anche per questo dente la descrizione data pel corrispondente del Prop. Nestii con cui ha identità perfetta nella forma e po- sizione delle due cuspidi, le quali, insieme con l’accessoria mal conservata, costituiscono la metà anteriore del molare. Una dif- ferenza notevole si ha solo nelle dimensioni non poco minori e nella forma generale del dente in proporzione più stretto. Anzi, il principale carattere che può odontologicamente distinguere questa specie è l’acutezza maggiore dei denti, data dal mag- giore rapporto fra la lunghezza e la larghezza basale del ferino e dei premolari. Pel ferino si hanno infatti questi rapporti: Rapporto fra la lunghezza totale e la lar- ghezza anteriore Rapporto fra la lunghezza tolale e la lar- ghezza posteriore Prop. Prop. Nestii olivolanus 2,85 3,10 2,40 2,55 Il Ml del nuovo mustelide di Olivola presenta le seguenti misure : Lunghezza mm. 11,5 Larghezza anteriore » 3,7 Larghezza posteriore » 4,5 Altezza della cuspide anteriore. ... » 3,9 » » » principale ... » 5,1 » » » secondaria interna. » 3,2 (?) Lunghezza del tallone » 4,7 606 A. MARTELLI Oltre le differenze osservate nei denti, altre e di non minore importanza riscontrabili nello sviluppo scheletrico della mandi- bola mi hanno indotto a separare il mustelide ritrovato nel Plio- cene vaklarnese da quello di Olivola, fra i quali sussisterebbe una differenza maggiore di quanto attualmente potrebbe con- statarsi fra una martora e una faina. Basta infatti osservare delle mandibole di mustelidi viventi per notare quanto poco dif- feriscono fra specie e specie ; e quindi a maggior ragione non si può non tener conto di quelle tutt’altro che trascurabili esi- stenti in proporzione fra le due forme congeneri del Pliocene toscano, e messe in rapporto e in evidenza nella seguente tabella. Dimensioni della branca mandibolare: Lunghezza dal condilo trasverso alla sinfisi Lunghezza dall’alveolo del M2 alla sinfisi Lunghezza dall’alveolo del ilf2 al mar- gine posteriore del canino. . . . Lunghezza dal margine anteriore del 31l al margine posteriore del canino. Altezza misurata avanti al Prl . . . » » dietro al 3Il . . . Spessore misurato dietro al 3tx . . . Prop. Rap- Prop. Rap- olivolanus porti Nestii porti min. 53 mm. 69 1,68 ' 1,76 » 31,5 co A 1,16 l'-7 y> 27 » 30,5 1 2,00 1,97 » 13,5 » 15,5 » 10,5 » 13 » 11 » 14 » 4,8. 2,29 » 6,5 j 2,15 Dato lo sviluppo minore della branca mandibolare di Oli- vola e i rapporti notati, è da escludersi che si possa trattare di due individui della stessa specie ma di età diversa, perchè la dentatura è adulta in entrambi i resti esaminati; e nemmeno si potrebbe ritenere che le differenti dimensioni possano dipen- dere da sesso diverso perchè nei mustelidi non è molto rimar- cabile la preponderanza delle dimensioni somatiche dei maschi su quelle delle femmine. Come caratteristica per il Prop. olivo- lanus può darsi una dentatura morfologicamente simile a quella MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 607 del Prop. Nestii ma con molare e premolari più stretti, in re- lazione allo spessore minore e alla generale riduzione delle mi- sure scheletriche, che il nuovo mustelide del Pliocene di Val di Magra mostra in confronto al congenere di Valdarno. Dall’insieme dei caratteri dati per detti due mustelidi, può concludersi ohe questi Proputorii erano nel Pliocene toscano rappresentati da grossi individui i quali, a giudicare almeno dallo sviluppo e dalla robustezza della mandibola e dei denti, avrebbero raggiunto dimensioni ancora superiori a quelle delle viventi martore, e a petto dei rari e piccoli precursori mioce- nici quali il Prop. sansanensis e dei derivati quaternari e vi- venti del vecchio e nuovo continente, segnerebbero l’apice di sviluppo a cui i mustelidi a tre premolari sarebbero pervenuti durante la loro evoluzione neogenica. Feìis lunensis sp. nov. (Tav. Vili, fig. 3 a, b .) Per mancanza di corrispondenze odontologiche con le forme conosciute di felidi fossili e viventi, assegno ad una nuova specie la branca mandibolare destra di felide proveniente dai depositi pliocenici di Olivola. Notevolmente piccola appare la mandibola di questa nuova specie, confrontabile pel suo sviluppo e per la grandezza dei denti con i così detti gatti selvatici ( Felis catus o Felis fera). Tale branca di mascella inferiore è rotta posteriormente al- l’inizio della fossa masseterina e manca quindi del ramo ascen- dente; è robusta, ha un margine inferiore convesso e la sua altezza accenna appena a degradare verso la parte anteriore. Il suo massimo spessore si riscontra in corrispondenza degli alveoli e particolarmente dell’alveolo del canino oltre il quale il mento appare sfuggente all’indietro. Piccolo è il foro men- toniero. I denti sono profondamente impiantati nel piccolo ma ro- busto ramo mandibolare, sono bene sviluppati e con segni di lieve attrito. Permangono le traccie alveolari degli incisivi ; del- l’acuminato canino è smussata la punta, ma in compenso sono G08 A. MARTELLI in posto e ottimamente conservati il Pr2 e il ferino; il Prx è in parte restaurato. Il diastema è un poco obliquo in fuori rispetto all’asse della branca. Per la mancanza del ramo ascendente rimane sconosciuta la lunghezza totale della mandibola. Di questa riporto qui sotto le principali misure messe a confronto con quelle corrispondenti di un gatto selvatico vivente. F lunensis F. calus Lunghezza dal margine anteriore del ca- nino all’orlo posteriore del ferino . . mm. 24,5 mm. 26,3 Lunghezza del diastema » 4 >> 5,5 Lunghezza della serie molare ( Pr2 Prx Mx). » 20,5 » 20,2 Altezza del ramo sotto la metà del dia- sterna » 8,4 » 9,6 Altezza del ramo sotto la metà del Pr2. » 10 » 11,2 » » » dietro il ferino . . . » 10,8 » 11,2 Spessore del ramo sotto la metà del dia- sterna » 5 » 5,7 Spessore del ramo sotto la metà del Prr » 4,7 » 5,1 » » » dietro il ferino . . . » 4 » 5,2 Da queste misure apparisce come la mandibola del gatto selvatico abbia una maggiore regolarità del ramo orizzontale, par- ticolarmente nell’uniforme altezza della parte molare, che non il nostro nuovo felide pliocenico, il quale invece, a seconda delle variazioni dell’altezza, mostra una più accentuata convessità del margine inferiore. Di più, mentre nel gatto selvatico la lun- ghezza dal margine anteriore del canino all’orlo posteriore del ferino è di mm. 26,3 e i tre denti che costituiscono la serie molare misurano una lunghezza complessiva di mm. 20,2 stando così nel rapporto di 1,30, nel Felis lunensis tale rapporto è alquanto minore essendo uguale a 1,19. Questi ed altri rapporti che potessero notarsi fra lo sviluppo scheletrico e quello dentario sarebbero di molta importanza. E così per esempio, la denti- zione presentata da un gatto domestico con mandibola di di- mensioni all’incirca come nel Felis lunensis, è assai meno svi- MUSTELIDI E FELIDE DEL PLIOCENE TOSCANO 609 luppata che non in questo; mentre una differenza minore, ma sempre rimarcabile, si trova nel confronto fra la mascella infe- riore dentata del gatto selvatico delle Alpi più sopra misurata e quella di un gatto domestico di pari grandezza cranica. Sem- brerebbe così che la potenza dei denti andasse aumentando con 1’accorciarsi e quindi con l’irrobustirsi della leva mandibolare, quasiché in questi felini minori il carattere carnivoro accen- nasse ad accrescersi col diminuire del rapporto fra le dimen- sioni della mandibola e quelle dei denti. Al Felìs minuta, specie fondata dallo Schmerling su due omeri di un individuo adulto, il Bourguignat (1) riferisce un piccolo mascellare inferiore del taglio di quello del Felis mar- garita d’Algeria proveniente dalla caverna quaternaria Camatte presso Grasse. In esso il rapporto fra la distanza dall’orlo poste- riore del molare all’orlo anteriore del canino (mm. 27) e lo spazio occupato dai molari (mm. 17) è 1,59, mentre nella mandi- bola, notevolmente più alta e spessa, del Felis lunensis e ( 29,5: 20,5) 1,44. Forme adulte fossili di pari dimensioni della nostra si hanno solo nel F. catus quaternario di Echnoz, di Kent e di Lunel Yieil illustrate dal Blainville (1. c., Tav. XYI) e in quello delle caverne di Gower e Glamorganshire citato pure nel Cata- logo dei Mammiferi fossili del British Museum, ma esse riman- gono distinte da questa nuova specie oltre che per i caratteri dei denti, come or ora vedremo, anche pel maggiore rapporto fra la ricordata lunghezza fra i margini posteriori del ferino e del ca- nino e quella della serie molare, e per una minore robustezza della mandibola. JSTon si conoscono finora altri gatti plioceni da confrontare con questa nuova specie. Dalle traccie alveolari degli incisivi si rileva soltanto che que- sti dovevano essere, come negli altri felis , piccoli e serrati fra loro. Il canino, terminalmente smussato, è assai acuto, alquanto obbliquo dall’alto al basso e dall’esterno all’interno. È lieve- (1) Bourguignat I. R., Histoire des Félides fossiles constatés en France dans les déjoóts de la période quaternaire, pag. 44, Paris 1879. 610 A. MARTELLI mente concavo sulla faccia interna, longitudinalmente striata e percorsa da una debole scanalatura, e, bene arrotondato sulle altre parti, presenta di particolare un margine affilato sul lato postero-interno. Lunghezza del C al colletto mm. 4,5; larghezza mm. 3,3; altezza mm. 9,5; altezza totale (approssimativa) mm. 10,5. Il diastema, che — come si è detto — corre un po’ obliquo in fuori rispetto all’asse del ramo mandibolare, appare concavo fra gli alveoli dei due denti che lo comprendono e misura mm. 3, mentre nel Felis catus quaternario e vivente, il Pr e il C com- prendono un intervallo maggiore. La serie molare, acutamente cuspidata, conserva nel suo com- plesso le generalità odontologiche proprie dei felidi, ma nelle sue particolarità offre dei buoni caratteri per differenziare ancora questa specie dalle congeneri, dato che non sembrassero suffi- centi quelli già notati sulla forma e sviluppo del ramo man- dibolare. Il Pr2 è subtriangolare e sul suo colletto posteriormente sviluppato a guisa di orlo, si eleva nella parte anteriore una piccolissima cuspide secondaria più manifesta sul fianco interno che non sull’esterno, dove appare piuttosto come una sorta di lieve incisione della cresta anteriore. È notevole per la nostra specie, a differenza di tutti gli altri gatti viventi e fossili, la mancanza assoluta di cuspide secondaria posteriore al termine della sottile e regolare cresta longitudinale. Lunghezza al col- letto mm. 5,5; larghezza mm. 2,7; altezza 3,7. Il Prì è notevolmente più grosso deH’altro e la sua cuspide principale a creste affilate è un poco inclinata nel senso an- tero-posteriore. La cuspide anteriore è depressa, e non molto sporgente, ma in complesso raggiunge alla base una grandezza ragguardevole e superiore a quella mostrata dalle forme di gatti selvatici viventi. Sul rialzamento posteriore del colletto a modo di piccolo tallone è appena accennato un rudimento di cuspide secondaria meno spiccata ed evidente che non nel Felis catus quaternario e vivente, e anche in questo fatto ritengo che possa fondarsi un valevole carattere distintivo. Un ulteriore dato dif- ferenziale si ha pure nella maggiore acutezza dei premolari, i quali nella nostra specie hanno i lati cuspidali rettilinei e ad MUSTELIDI E FELIDE DEL'PLIOCENE TOSCANO 611 angolo acuto all’apice, mentre nelle forme quaternarie e vi- venti del più volte citato gatto selvatico, le sommità delle cuspidi sono delimitate da creste meno rettilinee e piuttosto arcuate. Anche nelle sue dimensioni supera il corrispondente degli altri gatti fossili e siccome si prolunga alquanto obbli- quameute all’esterno contro il ferino, fa apparire complessiva- mente meno lunga della effettiva, la serie molare. La sua lun- ghezza è di mm. 7 ; la larghezza 2,9 ; altezza sul fianco esterno min. 5,3; sull’interno 4,8; altezza all’esterno della cuspide an- teriore mm. 3. Il ferino, come in ogni altro felide, è bicuspidato con pa- rete ripida sul fianco esterno e con la fossa intercuspidale di- varicantesi verso l’interno. La cuspide posteriore è appena più alta dell’anteriore. I margini fra loro prospicienti delle cuspidi e l’interposto avvallamento comprendono un angolo più aperto che non nel Felis catus nel quale l’incavo — a parte le pos- sibili influenze derivanti dal logoramento — mostrasi più pro- fondo e acuto. La lieve sporgenza del colletto sul lato postero- interno osservabile nel Felis catus, è invece assai meno evidente in questo ferino che ha le seguenti misure: Lunghezza mm. 7,8; larghezza 3,4; altezza, sul fianco esterno e dal colletto, della cuspide anteriore mm. 5,1 e della cuspide posteriore mm. 5,3; altezza dal colletto al fondo della fossa intercuspidale nella parte esterna mm. 3,3 e nell’interna mm. 1,7. Nell’abbondante materiale messo gentilmente a mia dispo- sizione dal sig. prof. Regàlia c’è pure quella varietà di gatto selvatico del Nord d’Africa e della Spagna che il Lataste volle distinto dal Felis catus delle Alpi, considerandolo più di questo tozzo nella forma e con denti in proporzione più grandi. Sic- come però insieme con i denti e particolarmente col grosso ca- nino sono notevolmente più sviluppate anche le cuspidi secon- darie posteriori dei due premolari e ancor meno acute le sommità delle cuspidi principali, le differenze col nostro Felis lunensis risultano ancora più manifeste che col gatto selvatico dell’Europa. Sebbene dunque pel ramo mandibolare il nostro fossile presenti a tutta prima delle strette analogie con detta varietà di Felis catus, pure rimane bene differenziato anche da questa forma dell’Africa settentrionale per i surriferiti caratteri 42 612 A. MARTELLI dei denti e particolarmente per la mancanza di cuspide secon- daria posteriore nel Prv per presentare nel Prq molto grossa la cuspide anteriore e rudimentale la posteriore, e finalmente per avere il ferino, in proporzione alla lunghezza, alquanto più comprèsso e meno convesso. La serie dei dati ragguagli morfologici e comparativi, limi- tatamente agli scarsissimi resti di questa nuova specie, conduce facilmente a riconoscere le dimensioni approssimative e la ri- marchevole ferinità del piccolo ma robusto gatto pliocenico di Olivola. [ras. pres. il 20 giugno 1906 - alt. bozze 17 novembre 1906]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 a-c. Propulorius Nestii sp. nov. (b parte esterna e c parte interna di branca mandibolare sinistra). Valdarno superiore. » 2 a, b. Proputorius olivolanus sp. nov. (a parte esterna e b parte interna di branca mandibolare destra). Olivola in Val di Magra. » 3 a, b. Felis lunensis sp. nov. (a parte esterna e b parte interna di branca mandibolare destra). Olivola in Val di Magra. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXV (1906) (Martelli) Tav. Vili. ELIOT CALZOLAI*!» F FRR rt MIC - M I LA I FAUNA DELLA ZONA A PENTACRINUS T U BERCI! LATTI S MILL. DI GrEEFALCO IN TOSCANA Nota del socio A. Fucini (Tavola XI) La serie liassica che costituisce il monte conosciuto col nome di Cornata di Gerfalco, non molto lungi da Massa Marittima, è in generale la stessa di quella di tutta la Catena Metallifera toscana. Alla base si hanno i calcari bianchi ceroidi cristallini, assai ben conosciuti per gli studi del De Stefani, del Lotti, del Simonelli, miei e di altri, ricoperti in gran parte dai calcari rossi ammonitiferi inferiori, altrettanto conosciuti per i lavori del Meneghini, del De Stefani, del Lotti e miei, i quali occu- pano la parte più elevata del Monte. Vengono quindi i calcari grigi con selce del Lias medio, gli scisti del Lias superiore e i diaspri, forse titoniani, oppure del Lias superiore, i quali però si trovano in lembi non molto estesi. Chiunque si facesse ad esaminare in Toscana i primi due membri di questa serie, dei calcari bianchi ceroidi, cioè, e dei calcari rossi ammonitiferi inferiori, e notasse ovunque non solo la loro immancabile successione, ma anche il distacco litologico fra l’uno e l’altro, non potrebbe fare a meno di pensare ad una generale corrispondenza cronologica per ognuna delle due for- mazioni, nè potrebbe mettere in dubbio che alla distinzione li- tologica corrispondesse anche un limite cronologico pure generale e fisso. Tuttavia in realtà non è così, ed il limite litologico non corrisponde in tutte le località allo stesso limite cronologico. Se si prende per punto di partenza o di paragone la zona o le 614 A. FUCINI zone del Lias inferiore di Spezia, studiate dal Canavari ('), il quale Lias inferiore si può far corrispondere con l’Hettangiano superiore, si vede che questo può essere rappresentato ora in parte dai calcari bianchi ceroidi e ora in parte dai calcari rossi. Nel M. Pisano una fauna corrispondente a quella di Spezia si trova infatti nella parte più alta dei calcari bianchi ceroidi (*), nella Pania di Corfino in Garfagnana si rinviene invece nella parte più profonda di quelli rossi. Da questo fatto si deduce che, mentre a Corfino i calcari ceroidi corrispondono solo al- l’Hettangiano inferiore, essendo il superiore rappresentato dai primi banchi del calcare rosso, nel M. Pisano essi rappresen- tano insieme l’Hettangiano inferiore ed il superiore. A Gerfalco poi, nei calcari ceroidi soprastanti a tutto l’Hettangiano, o diciamo meglio sopra quella parte degli stessi calcari che corrisponde al Lias inferiore di Spezia, si trova anche una zona più alta rappresentata dalla lumachella che mi ha fornito i fossili per il presente studio e che io crederei riferibile alla zona con Pen- tacrinus tuberculatus. Già il De Stefani (3) fino dal 1877 faceva conoscere alcune specie della lumachella in esame, in un quadro comprensivo dei fossili notati in Toscana nel Lias inferiore e più propria- mente nel suo piano A, nel quale poneva incondizionatamente tutto il calcare bianco ceroide, e che distingueva, in opposizione, dal piano B, nel quale comprendeva i calcari rossi ammoniti- feri inferiori. Tali specie sono : Ammonites eylindricus Sow., A. stella Sow., A. hierlatzicus H., A. difformis Emm., A. sp. n. Mgh., Tenebratola Myrtho Mgh., Cheninitsia Nardii, Mgh., Avicula Jamis Mgh., Pecten Nardii Mgh., P. Hierifalci De Stef., P. Rathianus De Stef., le quali sono le stesse, o in parte vi corrispondono, di quelle determinate dal Di Stefano e citate dal Lotti, il quale pure ritenne tutto il calcare ceroide di Ger- falco riferibile al piano ad Angolati e ad A. Bucklandi, corri- spondente al piano A del De Stefani, ossia al Lias inferiore di (*) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia. Mem. Comit. Geo!., voi. III. (2) Fucini, Fauna dei calcari bianchi ceroidi, ecc. Mem. Soc. Tose. Se. nat., voi. XIV. (3) De Stefani, Geologia del M. Pisano, pag. 37. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 615 Spezia più volte ricordato. Le citazioni del Lotti riguardano Tenebratala (Pygope) Aspasia Mgh., T. sp. Pecten ( Pseudo - amussium) Hehlii d’Orb., Diotis Janus Mgh., Phylloceras cylin- dricum Sow., Pii. (Bhacophyllites) liberiani Genito. . Arietites cfr., hierlatzicus Hauer, Ar. semilaevis Hauer, Ar. sp., Pleu- rotomaria sp. (‘). Nessun criterio netto e sicuro risulta dai fossili presentati dal De Stefani e dal Lotti per stabilire la loro pertinenza alle zone del Lias inferiore di Spezia, alle quali sono stati riferiti dai suddetti autori che hanno dato forse troppa importanza al concetto litologico; piuttosto a me sembrerebbe che in essi si potessero rilevare notevoli corrispondenze con la fauna di Hierlatz. I fossili da me esaminati, già da lungo tempo conservati nel Museo di Pisa, sono, per lo meno in parte, gli stessi stu- diati dal De Stefani, il quale infatti ne ha scritte alcune de- terminazioni; il numero maggiore delle specie che io ho potuto studiare dipende poi dalla possibilità che ho avuto di aumen- tare la collezione, semicalcinando diversi frammenti della roccia fossilifera. Le considerazioni per le quali io credo di poter riportare la lumachella in esame alla zona a Peni, tuberculatus sono di ordine paleontologico e di ordine stratigrafico; però devo pre- mettere che io parto dal concetto che la fauna del Lias infe- riore di Spezia, studiata dal Canavari, come questi ritiene e come è da tutti stato ammesso, includa superiormente la zona ad Ar. Bucldandi. Se questa zona poi non fosse in realtà rappre- sentata in quella fauna, allora crederei ad essa più propriamente riferibile la lumachella sopra detta, che per me segue immediata- mente il Lias inferiore di Spezia. Che la lumachella di Gerfalco stia ai di sopra di questo Lias, è dimostrato dal fatto che le lumachelle corrispondenti che si trovano rispettivamente, Luna nel M. Pisano, sebbene in roccia (‘) Negli elenchi di fossili dati dal De Stefani e dal Lotti si deve os- servare che il Pecten Hehlii del Lotti probabilmente corrisponde al P. Hierifalci De Stef., che la Diotis Janus Mgh. di ambedue, specie ora rico- nosciuta di Lias medio, si riferisce forse al Pecten Ucjoìinii e che nessuna traccia ho trovato del Pect. Nardii Mgh., né del P. Bathianus De Stef., citati dal De Stefani. 616 A. FUCINI rossastra, e l’altra a Sasso Rosso in Garfagnana, in roccia de- cisamente rossa, ambedue non peranco studiate, stanno rispet- tivamente ed immediatamente al di sopra delle lumachelle con la fauna di Spezia. Che essa non sia più recente della zona con Pent. tubercula'ius si rileva poi facilmente per essere sot- toposta alla serie dei calcari rossi ammonitiferi che, se anche a Gerfalco non scendono più in basso, comprendono inferiormente per lo meno le zone ad Ar. obtusus e Ox. oxynotus. Se consideriamo ora la presente fauna di Gerfalco, in con- fronto a quella tante volte ricordata della Spezia, alla quale si può unire la fauna del Lias inferiore del M. Pisano ('), e l’altra delle Montagne del Casale e di Bellampo in Sicilia, fra loro tutte cronologicamente corrispondenti, ed in confronto alla fauna dei calcari rossi ammonitiferi inferiori alla quale in gran parte si può unire per corrispondenza cronologica la fauna di Hierlatz, si scorgerà assai chiaramente che le conclusioni stratigrafiche sono in perfetto accordo con quelle paleontologiche. Togliendo infatti dalla fauna in esame le specie dubbie e le nuove, che nelle questioni cronologiche non possono avere importanza, eccet- tuato per alcuni generi ed in casi speciali, possiamo constatare che sopra le 18 meglio determinate, 10 si trovano nel Lias infe- riore di Spezia, o nei suoi corrispondenti, e cioè Trochopsis Moroi Gemili., Trochus Nerii Fuc., Phylloceras cylindricum Sow., Pii. dubium Fuc., Pii. Partschi Stur, Pachophillites Stella Sow., Ko- chites Urmoesensis Herb., Lyl. articulatum Sow., Arietites (?) Listeri Sow., Pygope Aspasia Mgh., facendo notare però che le sole Tr. Moroi , Tr. Nerii , Koch. Urmoesensis, Lyt. articidatume Ar. (?) Listeri souo esclusive di tali formazioni. Ugualmente si può con- statare che sopra le suddette 18 specie, 12 si trovano nella serie dei calcari rossi ammonitiferi o ad Hierlatz, e cioè Kondiloceras Manciata Fuc., Phylloceras Lipoldi Hauer, Ph. cylindricum Sow., Pii. dubium Fuc., Pii. Partschi Stur, Piachopliyllites Stella Sow., Schlotheimia Geyeri Hyatt., Arnioceras ambiguum Geyer, Aste- roccras peregrinimi Fuc., Pygope Aspasia Mgh., Pyg. Myrto Mgh,, e Terebratula Peyrichi Opp.; però è da osservarsi che sono esclu- sive di tali formazioni 6 specie, e cioè Kond. Manciata , Ph. Ld (’) Fucini, Fauna dei calcari bianchi ceroidi del M. Pisano. Pisa, 1895. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 617 poldi, Schl. Geyeri, Ani. ambiguum , Ast. peregrinimi e Ter. Beyrichi. Anche dai confronti paleontologici si vede dunque che la fauna di Gerfalco, presentemente in esame, sta fra mezzo a quella di Spezia e a quella dei calcari rossi ammonitiferi infe- riori. In ogni modo non potrebbe mai per essa ammettersi la corrispondenza, fosse pur anche alla parte più superiore di quella di Spezia, per l’abbondanza delle specie, appartenenti agli Arnioceras. Questo è infatti un genere di Lias inferiore non molto profondo, che non è rappresentato nel Lias inferiore di Spezia tante volte ricordato. Io ritengo infine giustificato il mio riferimento cronologico, oltre che da tutte queste considerazioni, anche dal fatto di tro- varsi nella presente fauna lo stesso Peni, tuberculatiis. Pecten cfr. Bellampensis Gemm. et Di Blasi. (Tav. XI, fig. 1). 1882. Pecten (Amussium) Bellampensis - Gemmellaro, Sopra alcune faune giur. e lias. della Sicilia, pag. 403, tav. XXX, fig. 15, 16. 1905. Pecten cfr. Bellampensis - Fucini, Lamellib ranchi di Lias inferiore e medio dell’ Appennino centrale, pag. 5, tav. I, fig. 1. Dimensioni : Altezza mm. 12 — 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,83 Angolo apiciale 88° L’unico esemplare in esame, costituito da una valva destra, corrisponde assai bene a quello delle Grotte di S. Eustachio nel- l’Appennino centrale, da me recentemente illustrato; perciò io lo cito con la stessa determinazione. La conchiglia è alquanto più alta che larga, poco convessa, con la maggior gonfiezza in corrispondenza del primo terzo su- periore dell’altezza ed ha forma ovale cuneata in alto. L’apice, piuttosto acuto, è un poco ripiegato in avanti. L’orecchiette, non 618 A. FUCINI molto grandi, non formando fra loro nessun angolo spiccato, danno luogo ad un margine cardinale diritto. La posteriore, più piccola dell’altra, è tagliata in modo assai obliquo e si con- giunge piuttosto in basso al margine della valva; l’anteriore, in peggiore stato di conservazione, si distacca in modo più netto dalla valva e non mostra un’ insenatura bissale molto profonda. La superficie è quasi liscia, vi si scorgono nulladimeno delle sottili strie e pieghe irregolari di accrescimento. 11 Gfemmellaro, nel lavoro citato in sinonimia, ha illustrato, col nome di P. Bellampcnsis, due valve che dalla rappresen- tazione iconografica sembrerebbero appartenere a due specie di- stinte, se le differenze non fossero dovute piuttosto a differenza di valva destra o sinistra. Parrebbe che la valva rappresentata dalla fig. 15 differisse da quella della fig. 16, alla quale si avvicina maggiormente il nostro esemplare, per avere una forma più orbi- colare, margini apiciali più corti e disposti ad angolo meno acuto, nonché orecchiette differenti per forma e per dimensioni. Dal Gemmellaro e da me sono state già fatte notare le dif- ferenze che intercedono tra il P. Bellampcnsis ed il P. Hehli d’Orb., che appartiene certamente al medesimo gruppo. Pecten fibratus n. sp. (Tav. XI, fig. 2). Dimensioni : Altezza min. 12 = 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,95 Angolo apiciale 108° Valva sinistra mancante posteriormente di una piccola por- zione la quale però non rende gran pregiudizio alla giusta conce- zione del contorno della conchiglia. Questa è leggermente più alta che larga, abbastanza convessa, con il massimo rigonfiamento sul primo terzo superiore dell’altezza, di forma rotondeggiante, cuneata in alto e con l’apice assai robusto e leggermente ripiegato in avanti. L’orecchietta anteriore non è conservata; quella poste- riore, che invece si vede bene, è liscia, non molto grande, net- ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 619 tornente distinta dalla valva, con l’angolo esterno ottuso, il margine esterno appena concavo, obliquamente scendente al mar- gine posteriore della conchiglia ed il margine superiore o car- dinale diritto ed orizzontale. Nella parte posteriore della valva si trova una piega molto distinta e spiccata la quale scende verso il margine posteriore, partendo dall’apice e restando com- presa tra l’orecchietta ed una netta depressione radiale che ugual- mente parte dall’apice e va al margine posteriore. La super- ficie della conchiglia sembrerebbe a prima vista ornata solo di ondulazioni concentriche, non tanto forti, dovute all’accresci- mento, ma con la lente si vede fornita anche di irregolari strie di accrescimento e da numerosissime strie radiali, che danno alla conchiglia un aspetto fibroso. Io non conosco nessuna specie che si avvicini molto a quella ora esaminata. Nella fauna in studio vi sono il P. capillatus ed il P. lima che le si accostano per alcuni caratteri. Da am- bedue però essa è differente per l’angolo apiciale più ampio, per la conchiglia più convessa, più rotondeggiante e per gli ornamenti. Pecten Hierifalci De Stef. (Tav. XI, fig. 3). 1877. Pecten Hierifalci - De Stefani, Geologia del monte pisano, pag. 37. Dimensioni : Altezza mm. 21 zz 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,95 Angolo apiciale 100° Conchiglia subequi laterale, rotundato-cuueata, leggermente più alta che larga e ben poco rigonfia. L’apice molto netto, non è ripiegato in avanti ed ha margini laterali assai lunghi facenti fra loro un angolo di 100°. Le orecchiette, Spiccatamente separate dai margini della conchiglia, non sono ben conservate in alcuno degli esemplari in esame. NeH’individuo figurato però, che crederei riferibile ad una valva sinistra, si scorge assai bene rorecchietta anteriore. Questa è di mediocre grandezza, ha l’an- 620 A. FUCINI golo libero ottuso, il margine esterno obliquo e appena sinuato, il margine cardinale diritto, e mostra delle ineguali strie di accrescimento. La superficie della conchiglia, oltre che da nu- merose e irregolari strie di accrescimento, è ornata da alcune pieghe radiali molto indistinte, che nell’esemplare figurato sono circa dodici, assai irregolarmente spazieggiate e leggermente curvate da destra a sinistra, procedendo dall’apice al margine pai leale. Questa specie rassomiglia assai al P. Helili d’Orb., tanto frequente nel Lias inferiore, però se ne distingue indubbiamente per le pieghe radiali che, per quanto poco distinte, si osservano visibilmente in tutti i tre esemplari esaminati. Essendo appunto fornito di tali pieghe radiali, sembrerebbe riferibile al P. Hi eri folcì quell’esemplare di Cogny che il Du- mortier (Q riferì al P. Heldi d’Orb., se a ciò non facesse osta- colo la sua apertura apiciale un poco più ristretta. Per l’etichetta che lo accompagna si vede che uno dei tre esemplari esaminati fu dal Meneghini riconosciuto appartenere a specie nuova, affine al P. cingulatus Gold., proprio all’Oolite inferiore, e dal De Stefani chiamato prima P. Ratlàanus e poi P. Hierifalci. Ho voluto far rilevare queste circostanze, poiché non avendo potuto rintracciare l’originale della citazione fatta dal De Stefani (?) del P. Rhatianus De Stef. a Gerfalco, non so se anche questa possa ritenersi riferita alla specie ora esa- minata. Pecten Ugolinii n. sp. (Tav. XI, fig. 4). Dimensioni : Altezza mm. 14 = 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,96 Angolo apiciale 100° (' ) Dumortier, Dep. jurass. du JBassin du Udirne, Infrdlias, pag. 162, tav. XXIV, tig. 16. (2) De Stefani, Geologia del Monte Pisano, pag. 37. ZONA A PENTACRINUS TUBERCTJLATUS MILL. 621 I tre esemplari in esame si riferiscono tutti alla valva sinistra. La conchiglia è subequilaterale, rotundato-cuneata, leggermente più alta che larga e discretamente convessa, in special modo in vicinanza dell’apice. Questo è piuttosto robusto, non molto acuto, leggerissimamente ripiegato in avanti ed è distinto da margini netti comprendenti un angolo di 100°. Da esso si parte poste- riormente una leggera depressione che scende e svanisce verso il margine laterale posteriore. L’orecchiette, alquanto ineguali, danno luogo ad un margine cardinale diritto. L’anteriore di esse, visibile in un esemplare che non è quello figurato, ha l’angolo libero acuto, il margine esterno largamente concavo ed è ornata da strie di accrescimento non molto regolari, ma piuttosto spic- cate; la posteriore ha l’angolo libero ottuso, il margine esterno diritto e obbliquamente scendente al margine posteriore della conchiglia, ed è ornata da sottili strie di accrescimento e da cinque o sei piegoline, specialmente evidenti presso il margine cardinale. La superficie della conchiglia è caratteristicamente fornita di svariate ornamentazioni. Essa mostrasi prima di tutto ornata da pieghe, assai regolari, concentriche, molto svilup- pate, che vanno divenendo più fitte e meno spiccate verso l’apice e da circa venti o ventidue coste principali, che dal margine palleale vanno all’apice, separate da intervalli molto più larghi, le quali hanno un percorso un poco flessuoso e pre- sentano la caratteristica di rilevarsi maggiormente all’incontro delle pieghe concentriche, prendendo un andamento a sbalzi. Sulla superficie della conchiglia oltre a questi ornamenti, appa- riscenti anche a occhio nudo se ne vedono con la lente altri più fini consistenti, prima, in sottili costicine radiali, che da una a tre si trovano negli spazi intercostali e delle quali una, spesso la mediana, è alquanto più spiccata delle altre invero molto minute, dopo, in sottili strie concentriche di accrescimento, più fitte e serrate presso il margine palleale, più distinte nei solchi che non in corrispondenza delle coste, e delle quali se ne possono contare circa otto tra l’ima e l’altra delle grosse pieghe concentriche centrali. II P. Ugolinii ha grande affinità con il P. Eolici Stol., ma questo mostrasi diverso per il numero assai più rilevante di coste radiali principali, per il minor numero invece e la spie- 622 A. FUCINI cata irregolarità delle grosse pieghe concentriche, nonché per le strie di accrescimento apparentemente più irregolari e più di- stinte in corrispondenza delle coste radiali. Sono stato alquanto incerto prima di proporre questa nuova specie, perchè ho dubitato che essa potesse riferirsi al P. Nardii Mgh. (1), conosciuto solo per la succinta descrizione datane dal- l’autore e mancante di ogni illustrazione iconografica, ma ho dovuto convincermi che essa doveva tenersi assolutamente se- parata, non foss’altro che per l’angolo apiciale grandemente più ampio e per le notevoli differenze neH’oruamentazione della con- chiglia. Ho cercato con cura nel Museo pisano il prezioso ori- ginale della specie meneghiniana, ma non mi è stato possibile ritrovarlo. Esso provenendo da Gerfalco, e forse dallo stesso de posito che ha dato gli altri fossili in esame, era per me dop- piamente interessante. Pecten capillatus n. sp. (Tav. XI, fig. 5). Dimensioni : Altezza mm. 9,5 =: 1 Larghezza proporzionale all’altezza . 0,90 Angolo apiciale 92° Di questa specie si conosce solo la valva sinistra, della quale ho in esame tre esemplari. La conchiglia è subequilate- rale, discretamente rigonfia, in special modo in vicinanza del- l’apice, più alta che larga e di forma ovale, cuneata superior- mente. L’apice, acuto, non ripiegato in avanti, sorpassa un poco la linea cardinale ed ha margini assai lunghi, facenti fra loro un angolo retto. Le orecchiette sono liscie; l’anteriore nettamente limitata dal corrispondente margine apiciale, è alquanto più piccola dell’altra, leggermente sinuata, e munita di una larga piega radiale; la posteriore presenta l’angolo libero ottuso ed il margine esterno obliquo è limitato dal resto della conchiglia (') Meneghini, Nuovi fossili toscani, pag. 26. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 623 poco spiccatamente e nel modo speciale che poi dirò. Il mar- gine cardinale è diritto. La parte più convessa della conchiglia rimane compresa fra due depressioni, delle quali l’ anteriore è assai meno spiccata della posteriore, che partendo dall’apice scendono sui margini laterali. Fra tali depressioni e le orec- chiette si interpongono conseguentemente due pieghe, delle quali l’anteriore è naturalmente meno spiccata della posteriore. La prima di tali pieghe è separata dalla orecchietta corrispondente mercè uno spigolo netto e distinto, la seconda invece è poco net- tamente divisa dall’orecchietta alla quale sembra quasi riunita e dalla quale scende con una superficie concava non molto ri- stretta. La superficie è ornata da numerose costipine radiali filiformi, di andamento un po’ incerto, assai più strette degli in- tervalli, le quali dal margine paileale vanno verso l’apice, al quale non giungono tutte, poiché molte finiscono a variabile distanza da esso, interposte alle altre. Tali costicine mancano verso i margini laterali della conchiglia in corrispondenza delle depressioni scendenti dall’apice. Le strie di accrescimento sottili e serrate, a mala pena visibili con la lente, sono più spiccate negli intervalli. Questa specie ha una notevole affinità per gli ornamenti superficiali e per il contorno della conchiglia con il P. Veneris Gemili. ('), del Lias inferiore piuttosto profondo della Sicilia. La specie del Gemmellaro, ha però occhiette molto differenti e manca delle depressioni scendenti lateralmente dall’apice e le coste sono spiccate anche presso ai margini laterali della con- chiglia. Anche il P. verticillns Sto!. (2) ha qualche rassomi- glianza con il P. capillatus, ma esso oltre alle differenze notate per il P. Veneris Gemili., aggiunge anche quella di avere l’an- golo apiciale più ottuso. (') Gemmellaro, Faune giur. e lias. della Sicilia, pag. 396, tav. XXX, fig. li, 12. (2) Stoliczka, Gastr. u. Acepli. der Hierlatz , pag. 197, tav. VI, fig. 3, 4. 624 A. FUCINI Pecten lima n. sp. (Tav. XI, fi g. 6). Dimensioni : Altezza mm. 39 = 1 Larghezza proporzionale all’altezza . 0,82 Angolo apiciale 78° L’unico esemplare in esame appartiene apparentemente alla valva destra. La conchiglia è assai più alta che larga, ovale, cuneata in alto e non molto rigonfia. L’apice, non ben con- servato e piuttosto acuto, apparisce ripiegato in avanti, avendo il margine posteriore un poco convesso e quello anteriore in- vece un poco concavo. Anche le orecchiette non sono ben conservate, però sembrerebbero di mediocre grandezza, liscie od ornate da sottili strie di accrescimento. Nella parte ante- riore si osserva una assai spiccata depressione, che dall’apice scende verso il margine laterale anteriore, presso il quale si allarga e svanisce. La superficie della conchiglia, mancante in massima parte dello strato più esterno del guscio, mostrasi or- nata, ove questo è più conservato, da sottili e minute costicine radiali, numerosissime, irregolari, larghe quanto gli intervalli, le quali insieme con le sottili e serrate strie concentriche fanno un minuto reticolato paragonabile a quello che si osserva in molte Limae Massiche, per esempio a quello dato dalla Lima scrobi- culata Stol. (*). Nella parte anteriore della conchiglia, in im- mediata vicinanza della depressione scendente dall’apice, ed ove mancano le sottili costicine radiali, si osservano quattro coste radiali separate da intervalli notevolmente più grandi, in spe- cial modo visibili nella parte inferiore e più distante dall’apice. Io non conosco alcun Pecten Massico che possa paragonarsi a quello ora esaminato e che a mio parere si distingue da tutti per la sottigliezza dei suoi ornamenti radiali. (*) Stoliczka, Gastr. n. Acejph. d. Hierlatz ., tav. VI, fig. lOe. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 625 Lima plicatissima n. sp. (Tav. XI, fig. 7). Dimensioni : Altezza . Larghezza proporzionale all’altezza . . Grossezza di una valva nini. 15 — 1 1 0,34 Conchiglia ovale, obliqua, inequilaterale, alta quanto larga e discretamente convessa. I margini anteriore ed inferiore sono arrotondati presso a poco ugualmente, il posteriore è arroton- dato strettamente in basso e si unisce al margine cardinale per mezzo di una porzione debolmente concava. L’umboue piuttosto robusto, non tanto appuntito nè ricurvo, sembra sorpassare leg- germente la linea cardinale. L’orecchietta anteriore, che nes- suna distinzione separa dal resto della conchiglia, appare come un’espansione di questa; l’orecchietta posteriore invece è più individualizzata, essendo limitata dal resto della conchiglia da una depressione netta e spiccata, che scende obliquamente dal- l’apice. La superficie è ornata da circa trentadue coste, un poco più strette degli intervalli, ben rilevate, non acute, le quali sono un poco più fitte e più serrate nella parte mediana della conchiglia che non nelle parti laterali, esclusa però una piccola porzione a contatto della depressione che precede l’orecchietta posteriore, nella quale le coste sono anzi più minute e sottili del solito. La porzione più anteriore della valva è priva affatto di ornamenti. Le coste sono arrotondate superiormente ed hanno sopra ciascun lato una sottilissima stria longitudinale; però sem- bra che nella parte posteriore a questo carattere se ne sosti- tuisca un altro consistente nella interposizione di una costicina secondaria fra mezzo a due coste ordinarie le quali prendono il tipo di quelle delle Limae dupìicatae del Quenstedt. Le strie di accrescimento, serrate, sottili, minutissime, si vedono solo in qualche punto di buonissima conservazione della superficie. Questa specie ha rassomiglianza con la Lima Valmarian- nae Par. (Q, ma se ne distingue per essere più obliqua e non (*) (*) Parona, Fossili del IÀas inf. di Salivi o, pag. 14, tav. J I, fig. 4. 626 A. FUCINI più alta che larga nè senza coste, almeno sull’orecchietta ante- riore, che è la meglio evidente, e per avere le coste più sot- tili nella regione mediana della conchiglia, anziché lateral- mente e per esser queste fornite ai lati di una sottile stria lon- gitudinale. Altra notevole affinità viene presentata dalla specie in esame con quella Lima del Lias medio dell’Appennino centrale che io (*) avvicinai alla Lima densicosta Quenst. Potrebbe, per ultimo, appartenere alla specie studiata la Lima dei dintorni di Resti nelPAppennino di Lunigiana che io ritenni incerta e che lasciai indeterminata per quanto sembri avere caratteri ornamentali differenti. Modiola Malfattii n. sp. (Tav. XI, fig. 8, 9). Dimensioni : Altezza ' min, 10,5 — 1 Larghezza proporzionale all’altezza . 1,02 Grossezza di una valva 0,90 Conchiglia transversalmente ovale, molto inequilaterale, mol- tissimo rigonfia, slargata posteriormente e ristretta anterior- mente. L’umbone è assai robusto e ripiegato fortemente in basso. La massima altezza sta nella parte posteriore, ma non molto dopo alla metà della larghezza; la maggiore grossezza è si- tuata invece nella parte anteriore, fra la metà della larghezza e l’umbone. Il margine superiore e quello posteriore sono ar- rotondati ; l’anteriore è sentitamente scavato sotto l’apice, l’in- feriore è pure scavato alquanto in corrispondenza di una de- pressione che parte da esso e che, svanendo, volge verso l’um- bone. Dalla regione umbonale si origina una piega assai pro- nunziata che va al margine anteriore, facendo una curva assai ristretta e costituendo una delle principali caratteristiche della specie. La superficie, nelle porzioni ove è conservata in modo C) Fucini, Lameìlìbr anelli di Lias inf. e m ., pag. 20, tav. Ili, fig- 28. . ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 627 migliore, si vede ornata da costoline filiformi di accrescimento, assai regolari e separate da intervalli piuttosto ampi. Il notevolissimo spessore delle valve, insieme con il grande sviluppo deH’umbone e con la caratteristica piega che dall’a- pice va al margine anteriore, costituiscono le principali diffe- renze che distinguono questa specie da molte altre congeneri. Myoplioria (1) nepos n. sp. (Tav. XI, fig. 10, 11). Dimensioni : Altezza mm. 5 = 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,77 Grossezza di una valva 0,29 Conchiglia piccola, minuta, equivalve, alquanto più larga che alta, inequilaterale, non molto rigonfia ed un poco beante posteriormente. La sua massima altezza si trova indietro in corrispondenza della linea abbassata dall’ umbone al margine paileale, la maggiore larghezza un poco sotto alla metà del- l’altezza e lo spessore più rilevante nella parte anteriore della conchiglia. Il margine anteriore è strettamente arroton- dato, l’inferiore pure arrotondato, ma molto più largamente, l’anteriore non del tutto evidente è protratto indietro a guisa di breve rostro e quello cardinale, a lati assai allungati, si pre- senta angoloso in corrispondenza deH’umbone. Questo è forte e robusto, sub-mediano, rilevato e ripiegato un poco in avanti. Da esso partono anteriormente una carena arrotondata che li- mita una lunula spiccata e assai lunga e quindi, un poco più verso la parte convessa della conchiglia, una leggera depres- sione che scende verso il margine anteriore. Posteriormente in- vece partono dall’apice, dapprima, un solco ristretto ma distinto che limita una spiccata pieghetta, che si trova lungo il mar- gine cardinale posteriore, e quindi una depressione assai larga, che scende verso la parte posteriore del margine pai leni e e che limita una larga piega costituente la parte rostriforme della con- chiglia. La superficie, oltre che da nette e non molto regolari 43 628 A. FUCINI strie di accrescimento, è ornata da sette od otto pieghe radiali, subacute, distinte, divise da larghi intervalli concavi e di irrego- lare ampiezza, le quali daH’umbone vanno al margine inferiore, lasciando libera la parte rostriforme posteriore ed il terzo an- teriore della conchiglia, sul quale si hanno invece alcune sotti- lissime costicine pure radiali. Aveva creduto da prima di avere a che fare con una specie di Pholadomya, paragonabile alla Ph. avellana Dum. ('), ma ho dopo creduto meglio di riferire dubbiosamente le mie con- chiglie al gen. Myophoria, sopra tutto perchè esse presentano la parte posteriore attenuata e prolungata a guisa di rostro e per i caratteri ornamentali. Non potrei però escludere assolu- tamente che possa trattarsi invece di una Neaera. Se il riferimento generico da me fatto è giusto, la specie in esame, a quanto io sappia, è la più recente rappresentante del genere. Leda(?) venusta n. sp. (Tav. XI, fig. 12, 13). Dimensioni: Altezza mm. 4 — 1 4 = 1 Larghezza proporzionale al- l’altezza 1,70 1,50 Grossezza d’una valva . . 0,38 0,38 Conchiglia piccola, inequilaterale, assai più larga che alta, non molto rigonfia ed un poco beante posteriormente, ove è at- tenuata ed allungata a guisa di rostro. La massima altezza si trova nella parte anteriore, in corrispondenza della linea ver- ticale abbassata daH’iimbone o ai tre quinti circa della lar- ghezza ; la maggiore larghezza si trova sulla metà dell’altezza, e la maggiore grossezza in coincidenza con la massima altezza. Il margine anteriore è arrotondato più strettamente di quello infe- riore, il margine cardinale è troncato ed angoloso sotto l’apice, quello posteriore attenuato e prolungato indietro. L’umbone è forte, (J) Dumortier, Dep. jurass.du JBcissin du Elione. Tnfralias, pag. 46, tav. VII, fig. 7. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 629 robusto e alquanto ripiegato indietro. Da esso partono poste- riormente due depressioni che interpongono una larga piega, la quale occupa la parte rostriforme della conchiglia. La più esterna di tali depressioni, che è alquanto meno distinta dell’altra, li- mita poi una piega netta e spiccata che segue il margine car- dinale posteriore. La superficie è ornata da pieghe di accrescimento assai spic- cate, non molto regolari, separate da incisioni strette e pro- fonde, le quali si indeboliscono evidentemente nella parte po- steriore della conchiglia, in ispecial modo sulla piega rostri- forme, ove hanno un andamento alquanto tortuoso a somiglianza del corrispondente margine esterno. La valva sinistra, rappresentata solo da un esemplare, mostra alcuni caratteri differenti da quelli fin qui enumerati per l’esem- plare riprodotto con la fig. 12 e 13, riguardante la valva destra; non saprei però dire se dovuti alla specie o all’individuo. La parte posteriore di tale valva sinistra è meno allungata, meno attenuata e quindi meno rostriforme della parte corrispondente della valva prima esaminata ed ha le depressioni radianti dal- l’apice assai meno accentuate. Questa specie rassomiglia, per gli ornamenti specialmente, alla Leda campiliensis Fuc. ('), ma ne differisce per essere molto meno allungata anteriormente e meno appuntita posteriormente, nonché per avere due depressioni posteriori radianti dall’apice, anziché una sola. Essa trova delle affinità anche con la Leda Heberti Mart. (2), la quale però non ha la parte rostriforme com- presa fra due depressioni e non ha ornamenti tanto grossolani. Anche la Neaera liasina Levi (3) rassomiglia alla Leda ve- nusta, però essa non ha la parte posteriore rostriforme tanto allungata nè fornita di piega radiale distinta. Non conoscendo la forma del cardine di questa specie non potrei negare di avere a che fare con una Cuspidaria anziché con una Leda. (') Fucini, Fauna del Lias medio del M. Calvi, pag. 17, tav. I, fig. 11. (2) Martin, Infralias de la Cote- d’or, pag. 79, tav. Ili, fig. 1-4. (3) Levi, Fauna del Lias inf. di Cima alla Foce, Boll- d. soc. geol. ital., voi. XXI, pag. 400, fig. 1. 630 A. FUCINI Straparollus minimus u. sp. (Tav. XI, fig. 17, 18, 19). Dimensioni : Altezza mm. 1,3 = 1 Grossezza proporzionale all’altezza . . » 1,30 Conchiglia piccolissima, subglobosa, ombelicata, planorbiforme, liscia, a spirale leggermente incavata e quindi costituita quasi del tutto dall’ultimo anfratto. Questo è arrotondato strettamente nella parte superiore, largamente convesso di fianco e di nuovo strettamente arrotondato nella parte basale ove passa all’om- belico dando luogo ad una larga ed ottusa carena circombeli- cale. Gli altri anfratti sono rotondeggianti, rilevati e separati da suture profonde e distinte. L’ombelico non è grandemente ampio. L’apertura assai più alta che larga, subellittica, legger- mente incavata al contatto coll’anfratto precedente, ripete la forma del giro. Questa specie presenta una lontana affinità con lo Str. Oppeìi Mart. Q), il quale ha però ombelico più ampio, contornato da carena nodosa più netta ed acuta, ed anfratti leggermente concavi nella parte superiore o spirale. L’esemplare esaminato è stato rappresentato in grandezza sette volte più grande della naturale. Straparollus (?) pusillus n. sp. (Tav. XI, fig. 14, 15, 16). Dimensioni : Altezza . mm. 1,4 = 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 1,50 Angolo apiciale approssimativo . . . 140° (’) Martin, Infralias du depar t. de la Cóte-d'Or, pag. 74, tav. I, fig. 39-43. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 631 Conchiglia piccolissima, ombelicata, liscia, globosa, a spira breve e quasi del tutto costituita dall’ ultimo anfratto. Gli an- fratti spirali sono rotondeggianti, rilevati e spiccatamente se- parati fra loro da suture profondamente incavate. L’ ultimo anfratto è strettamente arrotondato nella parte superiore, poco convesso sul fianco, più strettamente arrotondato nella parte ba- sale ove forma un contorno ombelicale quasi carenato. L’aper- tura subellittica, obliqua, leggermente escavata al contatto del giro precedente, ripete perfettamente la forma del giro. Questa specie, di incerta determinazione generica, rassomiglia assai alla precedente per i caratteri più generali dell’ ultimo anfratto; ma ne diversifica però sostanzialmente per la spira elevata anziché debolmente depressa. Kassomiglia molto a questa specie lo Str. glabratus Chap. et Dew. ('), il quale, oltre ad essere di dimensioni molto mag- giori, sembra avere giri più arrotondati. In ogni modo la in- sufficiente illustrazione iconografica e descrittiva di questa specie fatta dagli autori, non permette un confronto più dettagliato. Il Solarium pigmaeum Terq. et Piette (s) è specie molto prossima a quella esaminata; esso ha tuttavia un minor numero di giri, l’ultimo dei quali angoloso alla base, e degli ornamenti speciali che mancano nella mia specie. L’unico esemplare esaminato è stato figurato in grandezza sette volte maggiore della naturale. Trochopsis Moroi Gemm. (Tav. XI, fi g. 20). 1878. Troeliopsis Moroi - Gemmellaro, Sopra alcune faune giuresi e lia- siche della Sicilia, pag. 351, tav. XXVII, tig. 19-23. 1895. Trochopsis Moroi - Fucini, Fauna dei calcari bianchi cer. del M. Pisano, pag. 260, tav. IX, tig. 13. (*) (*) Chapuis et Dewalque, Foss. des terr. second. dio Luxembourg, pag. 85, tav. XII, tig. 2. (2) Terquem et Piette, Lias inf. de V Est de la France, pag. 48, tav. Ili, tig. 4-6. 632 A. FUCINI Dimensioni : Altezza mm. 11 =n 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 0,87 Angolo spirale 70° Riferisco con sicurezza a questa specie un unico esemplare, sebbene d’imperfetta conservazione, avendolo paragonato con in- dividui tipici provenienti dal Lias inferiore della Montagna del Casale in Sicilia, La conchiglia mostra molto bene i caratteri suoi più spiccati, essendo un poco più alta che larga, troclii- forme, liscia, non ombelicata e costituita da non molti anfratti. Questi sono separati da suture evidenti, ma non profonde ed hanno una forma molto caratteristica, in quanto che inferior- mente sono rigonfi e convessi, superiormente si mostrano un poco concavi ed alquanto rialzati in vicinanza della sutura ove sono addossati all’aufratto precedente. La bocca non ben conservata apparisce rotonda. Il guscio della conchiglia è di spessore piut- tosto rilevante. Ho ripreso in esame l’esemplare che io riferii a questa specie proveniente dal M. Pisano ed ho nuovamente riconosciuto anche per esso la identità coi tipi del Gemmellaro, che non potei con- frontare al tempo del mio studio sopra tale esemplare. Devo però osservare che esso ha la spira un poco più elevata ed acuta dell’individuo presentemente esaminato. Troclius Nerii Fuc. 1895. Trochus Nerii - Fucini, Fauna dei calcari bianchi cer. del M. Pisano, pag. 264, tav. IX, iig. 18, 19. Dimensioni : Altezza mm. 4 — 1 Larghezza proporzionale all’altezza . . 1.08 Angolo spirale 70° Riferisco a questa specie un esemplare non molto ben conser- vato, composto da cinque anfratti pianeggianti, divisi da suture assai profonde e leggermente tettiforme, inquantochè nella parte ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 633 inferiore sporgono più della parte superiore dell’anfratto succes- sivo. L’ultimo anfratto è subcarenato alla base. La spira è breve. La specie rassomiglia al Trochopsis dubium Gemm. (‘) ma ha la spira più breve e meno acuta, suture tettiformi e l’ul- timo anfratto meno angoloso alla base. Chenmitzia Nardi i Mgh. 1854. Chemnitzia Nardii - Meneghini, Nuovi fossili toscani, pag. 7. 1895. » » - Fucini, Fauna dei calcari bianchi cer., pag. 301 , tav. XI, fig. 14 (cnm syn.). Dimensioni : Altezza ? Larghezza mm. 5. Angolo spirale 12° Credo di potere riferire a questa specie un esemplare non molto ben conservato, che corrisponde assai bene alla forma studiata da me, proveniente dal M. Pisano, dalla quale diffe- risce appena per l’angolo spirale leggermente più acuto. La specie è stata già citata a Gerfalco dal De Stefani (2). Data una leggera differenza nella roccia che costituisce il presente fossile, non si può escludere che questo provenga dai sottostanti calcari bianchi ceroidi. Kondiloceras Manciatii Fuc. var. abnormi] oliata. (Tav. XI, fig. 21, 22, 23). 1901. Kondiloceras Manciatii - Fucini, Cefal. liass. del M. (detona, pag. 15. (*) tav. Il, fig. 5. Dimensioni : Diametro mm. 12 = 1 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,41 Spessore » 0,21 Larghezza dell’ombelico » 0,31 Ricoprimento della spira » 0,04 (*) Geininellaro, Sopra alcune faune giuresi e liasiche, pag. 354, tav. XXVII, fig. 27, 28. (2J De Stefani, Geologia del M. Pisano, pag. 37. 634 A. FUCINI Mi è stato di gradita sorpresa il riconoscimento di questa spe- cie tra i fossili ora in studio, inquantochè mi ha dimostrato che essa appartiene in realtà al Lias inferiore, come io fui propenso a ritenere fin dalla sua istituzione. 1 nuovi esemplari hanno poi grande importanza poiché essendo molto piccoli, danno agio di completare i caratteri specifici di questa conchiglia sommamente interessante. La conchiglia è piccola, compressa, mediocremente ombeli- cata e poco involuta inquantochè il giro ultimo ricopre il pe- nultimo per un quarto circa della sua altezza. I giri, il doppio più alti che larghi, avendo i fianchi poco convessi e che si depri- mono più rapidamente verso l’ombelico che non verso l’esterno, presentano una sezione ovale lanceolata. Il dorso angoloso, però senza carena sifonale individualizzata, presenta nella seconda metà dell’ultimo giro dei rilievi longitudinalmente allungati, subacuti, spazieggiati, i quali dànno al contorno di quella por- zione di conchiglia un aspetto poligonale. La superficie dei fianchi è ornata da incerte pieghette ra- diali, irregolari e sul finire dell’ultimo giro anche da costoline che si piegano fortemente in avanti nella parte esterna dei fianchi stessi e che rendono il dorso sottilmente noduloso. La linea lobale, che si vede solamente sul fianco sinistro dell’esemplare figurato, è asimmetrica, avendo il lobo sifonale situato totalmente sullo stesso fianco. Il primo lobo laterale, discretamente ampio è un poco più profondo del sifonale, mentre il secondo laterale ed il primo accessorio, il solo visibile, sono molto meno profondi. La sella esterna, non molto ampia, nè tanto alta, è suddivisa superiormente in due parti pressoché uguali ; la prima sella laterale è alta quanto l’esterna, ma un poco meno ampia; la seconda laterale risulta più bassa e più ristretta delle altre. Le differenze esterne che si potrebbero rilevare tra la con- chiglia ora descritta ed il tipo della specie si debbono, secondo il mio parere, al suo incompleto sviluppo. Avendo infatti presente an- che l’esemplare originale di Cetona ho veduto che nei primi giri, per quanto assai mal conservati, esso presenta quasi gli stessi carat- teri notati per l’individuo più grande di Gerfalco. La distinzione in varietà, ammessa per quest’ultimo individuo, è quindi dovuta solo al fatto della linea lobale asimmetrica da esso presentata. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 635 Phylloceras Lipoldi Hauer. 1854. Ammonites Lipoldi - Hauer, Heterophyllen, pag. 26, tav. Ili, lig. 810. 1901. Phylloceras Lipoldi - Fucini, Cefal. liass. del Al. Cetona, pag. 24, tav. IV, lig. 9 (cum syn.). Dimensioni: Diametro mm. 21 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,55 Spessore » 0,44? Larghezza dell’ombelico » 0,13 Ricoprimento della spira » 0,15 Questa specie, che è una delle più caratteristiche del genere e assai facilmente riconoscibile, è rappresentata da due esem- plari. Uno di questi però, avendo appena mm. 10 di diametro, potrebbe forse appartenere ad altra specie affine, in special modo al Pii. persanense, Herb. (‘). Phylloceras cylindricum Sow. 1833. Ammonites cylindricum - Sowerby in De la Beche, Geol. man., pag. 333. fig. 62. 1901. Phylloceras cylindricum - Fucini, Cefal. liass. del m. Cetona, pag. 17, tav. II, fig. 6-8 (cum syn.). 1906. Phylloceras cylindricum - Trauth, Lias von Valesacca, p. 4. Dimensioni . Diametro 10 9 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,60 0,60 Spessore 0,45 0,43 Larghezza dell’ombelico . . . . . » 0,05 0,06 Ricoprimento della spira. . . . . » 0,20 0,21 È questa la specie di Ammonite più frequente nel deposito fossilifero in studio. Essa è però rappresentata da esemplari (') Herbich, Székerland, pag. Ili, tav. XX-E, fig. 3: tav. XX-F, fig. 1. 636 A. FUCINI molto piccoli, aventi in generale un diametro minore di mm. 10; solo un individuo frammentario raggiunge il diametro di mm. 20. Il P. cylindricum Sow., è stato recentemente osservato nella formazione liassica di Valesacca nella Bukovina. Pliylloceras oenotrium Fuc. 1901. Pliylloceras oenotrium - Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 31, tav. Y, lig. 8, 9; tav. VI, fig. 1 (cura syn.). ? 1906. Pliylloceras Zetes - Trauth, Lias von Valesacca, pag. 4. Dimensioni : Diametro mm. 11 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,56 Spessore . , » 0,34 Larghezza dell’ombelico » 0,10 Ricoprimento della spira » 0,13 Per quanto l’esemplare in istudio sia molto piccolo, credo tuttavia che esso sia ben determinato, mostrando assai pronun- ciati i principali caratteri della specie, sia riguardo alla forma dei giri e dell’ombelico, sia rispetto alla linea lobale. Solamente il notevole spessore dei giri sembrerebbe allontanare la forma in esame del Ph. oenotrium , però convien pensare alla picco- lezza dell’individuo ed al carattere, quasi generale per i Plnjl- loceras, di avere a piccolo sviluppo uno spessore dei giri rela- tivamente più grande. Se la specie di Valesacca, citata dal Trauth come Ph. Zetes d’Orb., corrisponde, come ha creduto il Trauth stesso, a quella notata nel Lias inferiore daH’Hauer, dal Geyer, dal Canavari, dal Parona e da me, probabilmente essa appartiene alla spe- cie presente. Pliylloceras dubium Fuc.? 1901. Pliylloceras dubium - Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 27, tav. V, lig. 5, 6 (cura syn.). Credo probabilmente riferibile a questa specie un esem- plare, che per la sua piccolezza non si presta ad esatte misu- razioni, avente giri quasi larghi quanto alti, a sezione ovale ed ombelico molto ampio e profondo. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 637 Pliylloceras Partsclii Stur. 1851. Ammonites Partsclii - Stur, Die Lias Kallcsteingebirge, pag. 26. 1901. Phylloceras Partschi - Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 29, tav. V, tig. 1 (cum syn.). Questa specie è rappresentata da un frammento di un in- dividuo assai grande, perfettamente riconoscibile e forse anche da un piccolo esemplare, di rum. 16 di diametro, con il guscio conservato, sul quale si vedono benissimo le fini costoline ra- diali filiformi, ma non appariscono ancora del tutto distinte le grosse pieghe pure radiali. Il Ph. Partschi Stur, notato tanto nel Lias inferiore quanto nel medio e perfino nel superiore, dovrà probabilmente limi- tarsi al solo Lias inferiore, dovendosi forse per le forme del Lias medio accettare il Ph. Sturi Reyn. (*). Rhacopliyllites Stella Sow. (Tav. XI, fig. 25). 1833. Ammonites Stella - Sowerby in De la Beche, Man. géol., pag. 406, fig. 56. 1901. Bhacophyllites Stella - Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 68, tav. VII, fig. 8, 9; tav. Vili, fig. 8 ; tav. IX, fig. 1; tav. XII, fig. 4 (cum syn.). 1905. Kochites Staffi - Prinz, Deber der Kielfildung in der Fani. Phyllo- ceratidae, (Fòldtani Kozlòny Bd. XXXV, pag. 60) pars. Dimensioni : Diametro mm. 12 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro » 0,44 Spessore » 0,33 Larghezza dell’ombelico » 0,28 Ricoprimento della spira. ...,...» 0,10 Per le osservazioni del Wàhnerf2), accettate in generale anche da me (3), fu stabilito che uua parte degli esemplari di Spezia, Q) Reynés, Géol. et paléont. Aveyr., pag. 95, tav. Ili, fig. 1 (sub nono. Partschi). (2) Wàhner. Unt. Lias in N. O. Alpen, pag. 285. (3) Fucini. Cefal. liass. del M. Cetona , pag. 68. 638 A. FUCINI che il Caliavari aveva attribuito al Eh. Stella Sow., doveva rapportarsi invece al Ph. Uermoesense Herb., al quale il Wahner stesso riuniva il Ph. aulonotwn Herb. Gli esemplari apparte- nenti alla specie dell’Herbich sarebbero stati quelli che presen- tano la prima sella laterale trillila e quindi tutti i figurati, eccet- tuato però quello della fig. 1, cui dunque doveva, a me sembra na- turalmente, limitarsi la specie del Sowerby. Il Prinz invece ha recentemente modificato queste vedute ed ha riferito al Ph. au- lonotum dell’Herbich, che pone nel suo nuovo genere Kocliites e che tiene distinto come mutazione dal Ph. Uermoesense Herb., solo gli esemplari rappresentati dal Canavari con le fig. 2, 4, 5, facendo di quelli delle fig. 1 e 3 la nuova specie Kochites Staffi. Di conseguenza verrebbe ad escludersi dalla fauna di Spezia, studiata dal Canavari, YAmm. Stella che il Sowerby creò appunto sopra esemplari di quella località. Il Prinz pren- derebbe invece a tipo della specie del Sowerby gli esemplari di Hierlatz studiati dall’Hauer I1) e dei quali il più grande era stato da me attribuito alla mia var. semilaevis (*) del Eh. Stella, mentre il più piccolo, per non avere distinta carena circombeli- cale, potrebbe riferirsi anche ad altra specie. L’esemplare rappresentato dal Canavari con la fig. 3, pri- mieramente dal Wahner attribuito al Ph. Uermoesense Herb., ne è forse giustamente separato dal Prinz, però esso non è da riunirsi insieme con quello della fig. 1, avendo accresci- mento differente, margine cireombelicale arrotondato e altra linea lobale. Continuando a prendere a tipo del Eh. Stella Sow. l’esem- plare di Spezia, rappresentato dal Canavari con la fig. 1, io vi riferisco un individuo di Gerfalco che vi corrisponde completa- mente, e che, solo per avere il guscio conservato, non presenta i solchi peristomatici. (') Hauer, Heterophyllen, pag'. 21, tav. Ili, fig. 1-4. (2) Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 70. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 639 Rhacophyllites Quadrii Mgh. var. planulata. 1901. Rhacophyllites Quadrii - Fucini, Cefaì.liass. del M. detona, pag. 66, tav. XI, fig. 7, 8. Attribuisco dubbiosamente a questa specie alcuni esemplari frammentari che sembrerebbero riferirvisi per la forma dei giri e del dorso e specialmente per le coste suddivise e molto ar- cuate in avanti sulla parte esterna dei fianchi. Kocliites Uermoesensis Herb. mut. aulouota Herb. 1878. Phylìoceras Uermoesense -Herbich, Széklerland , pag. 113, tav.XX-K, fìg. 1. 1878. Phylìoceras aulonotum - Herbich, Ibidem, 115, tav. XX-G, fig. 2. 1886. Rhacophyllites Stella - Canavari, IÀas. inf. di Spezia, pag. 37, tavola li, tig. 2?, 4, 5 (pars) non fig. 1, 3. 1898. Phylìoceras Uermoesense - Wahner, Unt. lias. in d. N. 0. Alpen , pag. 285, tav. XXIII, fig. 3-5; tav. XXIV, fig. 4, 6, 7, 8. 1905. Kochites Uermoesenses mut. aulonota - Prinz, Die Kielf. in der Fani. Pliylloceratidae (Fòldtani Kòzlòny, Bel. XXXV, pag. 50). Dimensioni: Diametro mm. 12 mm. 9 Altezza dell’ultimo giro in rap- porto al diametro » 0,43 » 0,45 Spessore » 0,33 » 0,40 Larghezza dell’ombelico . . . » 0,30 » 0,30 Ricoprimento della spira . . . » 0,10? » 0,10? È questa una forma assai abbondante, ma rappresentata da individui molto piccoli in confronto con quelli originali del- l’Herbich e 'con quelli osservati dal Walmer nelle Alpi Nord- occidentali. La conchiglia è compressa, di mediocre accresci- mento e mediocremente ombelicata. I giri, assai più alti che larghi, hanno il maggiore spessore in corrispondenza del primo terzo interno dell’altezza, donde scendono più rapidamente verso l’ombelico che non verso l’ esterno, senza produrre però alcuna carena circombelicale. La sezione loro risulta ovale. Sulla su- 640 A. FUCINI perfide si scorgono incerte strie flessuose di accrescimento. Sul dorso, non molto largo, certo per lo stato giovanile degli esem- plari, non si scorge ancora il solco caratteristico, che si vede benissimo, a maggiore diametro però, negli individui di Spezia cui io riferisco i miei, dopo fattone il paragone diretto. Rimandando, per la storia degli esemplari italiani di questa forma, a quello che ho scritto per il PJiac. Stella Sow., accetto in proposito le vedute del Prinz, che sono presso a poco quelle del Wahner; solo debbo osservare che, mentre si riferiscono iu- dubbiamente alla mut. aulonota gli esemplari di Spezia rappre- sentati dal Canavari con le fig. 4 e 5, l’esemplare invece della fig. 2 è forse differente per avere ombelico più stretto, carena oircombelicale distinta e nessun indizio di solco dorsale. Lytoceras Phillipsi Sow.? (Tav. XI, fig. 24). 1833. Ammonites Phillipsi -Sowerby in De la Beche, Man.geol., pag. 333, fig. 64. 1842. Ammonites Phillipsi - D’Orbigny, Pai. frane, terr. jurass., t 1, pag. 310, tav. 97, fig. 6-9. non 1861. Ammonites Phillipsi - Hauer, Amm a. d. sog. Medolo, pag. 409, tav. I, fig. 6-10. 1877. Ammonites Phillipsi - De Stefani, Geol. del M. Pisano, pag. 37. 1880. Ammonites Phillipsi - Taramelo, Il Canton Ticino, pag. 77. 1888. Lytoceras Phillipsi - Canavari, Lias inf. di Spezia, pag. 109 tav. Ili, fig. 1-3. Dimensioni : Diametro mm. 9 Altezza dell’ult. giro in rapporto al diam. . >■> 0,40 Spessore » 0,30 Larghezza dell’ombelico » 0,40 Ricoprimento delia spira » 0,05 Dalle misure proporzionali date si rileva che 1’ esemplare che io riferisco a questa specie presenta, in confronto ai caratteri più generali della forma tipica della Spezia rilevati dal Cana- vari, un ricoprimento maggiore dei giri, un ombelico meno ampio ZONA A PENTACRINUS TUBERCTJLATUS MILL. 641 ed una maggiore altezza dell’ultimo giro ; la conchiglia apparisce poi più compressa. Queste differenze, certamente apprezzabili, po- trebbero in parte considerarsi quali conseguenze della conserva- zione del guscio, presentata dal mio esemplare, in confronto agli esemplari di Spezia tutti in modello interno. Però io non posso insistere sulla bontà del mio riferimento data la piccolezza dei- esemplare in esame. La conchiglia ha in prossimità della fine della spira un solco peristomatico distinto; nella parte precedente dell’ultimo giro si osservano invece a distanze regolari tre piccoli cingoli depressi, che fauno presupporre tre solchi corrispondenti nel modello. I primi giri si presentano ornati da ottuse pieghette radiali, irrego- lari, alla stessa guisa di quegli degli esemplari di Spezia che io ho potuto esaminare direttamente. Lytoceras articulatum Sow. 1833. Ammonites articulatus - Sowerby in De la Beche, Man. gcol. pag. 334, fig. 70. 1888. Lytoceras articulatum - Canavari, Lias inf. di Spezia, pag. 113, tav. Ili, fig. 4-7 ; tav. IX, fig. 8 (cum syn.). Dimensioni : Diametro mm. 8 min. 6 Altezza dell’ultimo giro in rap- porto al diametro . . . . » 0,40 » 0,40 Spessore » 0,35 » 0,33 Larghezza dell’ombelico . . . » 0,40 » 0,33 Ricoprimento della spira . . . » 0,04? » ? Questa specie è talmente caratteristica che facilmente si ricono- sce nei tre esemplari che io le riferisco, sebbene sieno molto piccoli. La forma di Gerfalco è costante per quanto riguarda il numero dei solchi peristomatici che non è molto grande; cambia però un poco per raccrescimento, il quale nell’individuo di mm. 6 di diametro è molto rapido, dando luogo ad un ombelico assai ristretto. Ben piccole differenze si possono notare sulla superficie esterna tra gli esemplari di Spezia senza guscio e quelli di Gerfalco col 642 A. FUCINI guscio conservato. Questi ultimi mostrano qualche incerta pie- ghetta trasversale negli spazi compresi tra i solchi peristomatici e tali solchi sono limitati anteriormente da un cingoletto rilevato. Schlotlieimia Geyeri, Hyatt. 1889. Sclilotheimia Geyeri - Hyatt., Genesis of thè Arietidae. pag. 135. 1903. Schlotheimia Geyeri - Fucini, Cefal. del M. Cetona, pag. 214, ta- vola XXXV, fig. 10 (cum syn.). L’esemplare che riferisco a questa specie è molto mal con- servato e ho potuto riconoscerlo solamente per averne fatto il paragone diretto con l’esemplare del M. di Cetona, che ritengo giustamente determinato. Coroniceras sp. ind. (Tav. XI, fig. 26, 27). Dimensioni : Diametro mm. 11 Altezza dell’ult. giro in rapporto al diametro . » 0,42 Spessore » 0,54 Larghezza dell’ombelico » 0,32 Ricoprimento della spira » 0,10 Conchiglia che si accresce non molto rapidamente, non molto involuta e profondamente ombelicata. I suoi giri, più larghi che alti, sono assai convessi sui fianchi e, poiché hanno il massimo spessore sopra la metà dell’altezza, presentano una sezione obovale depressa. Il dorso, molto largo e alquanto incavato, ha una ca- rena sifonale distinta, non tanto acuta e limitata da depressioni profonde e spiccate, non però separate dalla parte dei fianchi da carene marginali. Gli ornamenti consistono in grosse coste radiali molto irregolari sia per grossezza sia per l’andamento, il quale in generale è retroverso e flessuoso, sia infine per gli spazi da cui sono separate e che sono ora più ora meno ampi. Tutte le coste termi- nano prima delle depressioni dorsali, un poco piegate in avanti e in una specie di ingrossamento prodotto specialmente dalla loro ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 643 rapida evanescenza. Altri ingrossamenti, senz’ordine alcuno, sono presentati dalle coste sui fianchi, talvolta piccoli e in numero di due, tal altra più grandi e unici, prodotti dalla convergenza in quel punto di due coste spesso ineguali. Per questo carattere le coste di questa conchiglia appariscono irregolarmente bitorzolute. Niente si scorge della linea lobale, nè dei primi giri. Questa specie ha delle affinità con alcune forme di Cor. BucMandi e di Cor.latum specialmente, figurate- dall’Hyatt ('), ma ha di tutte una maggiore irregolarità nelle coste e nei loro ingrossamenti. Arnioceras ambiguum Geyer. (Tav. XI, fig. 34, 35). 1886. Arietites cimbiguus - Geyer, C'epliaì. d. Hicrlatz, pag. 40, tav. Ili, fig. 11, 12. Dimensioni : Diametro mm. 11 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro » 33 Spessore » 22 Larghezza dell’ombelico » 40 Kicoprimento della spira » 0,4 Questa specie, conosciuta fino ad ora solamente per il de- posito di Hierlatz, è così bene caratterizzata che io non dubito di riferirvi un piccolo esemplare di Gerfalco, giudicando che le differenze che esso presenta nelle dimensioni comparative, cioè maggiore altezza e spessore del giro e minore ampiezza ombe- licale, sieno dovute all’avere il guscio conservato o all’essere di dimensioni e di sviluppo più piccolo. La conchiglia si accresce piuttosto lentamente ed è poco involuta c molto discoidale. I giri sono più alti che larghi, con sezione sublanceolata, mediocremente rigonfi sui fianchi, ove presentano il maggiore spessore in corrispondenza del terzo in- terno dell’altezza. Dalla parte interna i giri, deprimendosi assai (') Hyatt, Genesis of thè Arietidae , tav. Ili, fig. 18, 21, 23. 44 644 A. FUCINI lentamente e scendendo alla satura ombelicale molto gradata- mente, danno luogo ad un ombelico poco profondo e ad una superficie circombelieale poco sviluppata e quasi inesistente. Dalla parte esterna i giri si deprimono ancora meno rapida- mente ed il dorso risulta ristretto subacuto e munito di una carena sifonale ottusa e poco bene distinta e individualiz- zata. La linea lobate, molto semplice, che si vede specialmente sul fianco sinistro, ove talvolta manca il guscio, ha il lobo si- fonale poco ampio, ma abbastanza profondo, il primo lobo la- terale ampio e profondo quanto il precedente, il secondo late- rale ugualmente ampio, ma assai meno profondo, ed il primo accessorio, non ben distinto, che riceve la sutura ombelicale. La sella esterna è larga, pochissimo incisa e bipartita poco pro- fondamente da un lobiciattolo secondario ; la prima e la seconda laterale, quasi la metà larghe della precedente, sono invece al- quanto più alte, però ugualmente poco incise. Il Geyer lia giustamente paragonato questa specie con V Arn. miserabile Quenst. (’ ), facendone risaltare le differenze. Paragonando direttamente l’esemplare in esame con quello di Ce- tona da me (2) riferito alla specie del Quenstedt, si nota in esso accrescimento più rapido, giri più convessi sui fianchi, dorso meno acuto, ombelico più ristretto, meno profondo e con parete circombelieale meno decisa. Anche la linea lobale è leggermente diversa. Come ho detto altra volta si riferisce probabilmente a\VArn. ambiguum Geyer l’esemplare di Ammonite rappresentato dal l’Hyatt in Genesis of thè Arietidae con la fig. 5 della tav. II, e riferito, per me non esattamente, zXYArn. miserabile Quenst. Arnioceras sp. ind. (Tav. XI, fig. 32, 33). 1893. Arietites semilaevis (Hauer) - Lotti. I)escr. geol. dei dint. dì Massa Marittima, pag. 35. (’) Quenstedt, Der Jura, pag. 71, tav. Vili, fig. 7. (2) Fucini, Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 122, tav. XIX, fig. 10. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 645 Dimensioni : Diametro Altezza dell’ultimo giro in rapporto mm. 18 mm. 10 al diametro » 0,39 » 0,40 Spessore » 0,29 » 0,33 Larghezza dell’ombelico. . . . » 0,42 » 0,36 Ricoprimento della spira . . . » 0,05 » 0,05 Conchiglia discoidale, compressa, di accrescimento poco ra- pido e di piccola involuzione. I giri, più alti che larghi, hanno fianchi poco convessi, leggermente declivi verso l’interno, i quali scendono alla sutura ombelicale e verso la carena sifonale con una stessa curva, producendo una superficie circombelicale ed un margine esterno arrotondati egualmente, ma in maniera non molto ristretta. Il dorso è largo, fornito di carena sifonale ro- busta, ottusa e distinta mercè depressioni laterali non molto spiccate. La sezione dei giri risulta obovale-ellittica. La spira è liscia fino ad un diametro assai notevole, poi comincia ad es- sere ornata, come negli individui figurati, da coste incerte e poco spiccate, più o meno riunite a fasci e quindi, come in esemplari frammentari più grandi di quelli figurati, da pieghe decise, grossolane, ottuse, più larghe degli intervalli, radiali, di- ritte, le quali svaniscono rapidamente sul margine esterno. Ben poco si scorge della linea lobale, che apparisce però essere quella molto semplice e propria del genere. Negli Arnioceras il volere determinare la specie sopra esemplari di sviluppo incompleto è cosa azzardosa ed incerta quanto altra mai, ed è per questo che io mi sono astenuto dal dare un nome ai miei esemplari, per quanto ogni loro ca- rattere mi facesse credere trattarsi della medesima forma che il Reynes (') figurò col nome di A. geometricus Phill. var. Hart- manni Opp. (‘) Reynés, Ammonites, tav. XV, fig. 1-21. 646 A. FUCINI Non si potrebbe anche negare poi che la specie pre- sente si riferisse all 'Arn. semilaevis Hauer, come ha creduto il Lotti. Arnioceras sp. ind. ? 1877. Arietites difformis 'H emiri.) - De Stefani, Geol. d. M. Pisano, pag. 37. Dimensioni: Diametro , . . . mm. 14 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro » 0,35 Spessore » 0,30 Larghezza dell’ombelico » 0,35 Ricoprimento della spira » ? Conchiglia piccola, discoidale, compressa, di accrescimento piuttosto lento. I giri, più alti che larghi, hanno i fianchi quasi piani e scendenti alla sutura ombelicale e verso la carena si- fonale in modo assai rapido. La superficie circombelicale ed il margine esterno risultano ugualmente e assai strettamente ar- rotondate. La sezione dei giri presentasi subrettangolare-ellittica. I giri sono lisci fino a circa mm. 10 di diametro, poi diven- gono ornati da coste radiali, diritte, fitte, ottuse, larghe quanto gli intervalli, le quali, essendo poco spiccate presso rombelico, in special modo le prime, vanno regolarmente crescendo di ri- lievo verso il margine esterno, ove svaniscono repentinamente ripiegate un poco in avanti. Niente si scorge della linea lobale. Anche per questa specie riesce difficile ogni determinazione, dato il suo sviluppo incompleto, dirò solo che essa si avvicina grandemente a quella rappresentata dall’Hyatt in Genesis of thè Arietidae con la fìg. 25 della tav. II e che, forse non giu- stamente, riferisce all 'Arn. falcaries Quenst. Ritengo che si riferisca alla specie presente la citazione del- V Am. difformis Henna, fatta dal De Stefani, che potrebbe essere anche bene appropriata. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 647 Asteroceras peregrinum Fuc. (Tav. XI, fig. 36-37). 1900. Arietites ( Asteroceras ) peregrinus - Fucini, Altre due nuove Amm., pag. 6, tav. I, fig. 1-4. Dimensioni : Diametro mm. 47 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . » 0,42 Spessore » 0,32 Larghezza dell’ombelico » 0,32 Ricoprimento della spira » ? Sebbene l’esemplare in esame non sia completo nè perfet- tamente conservato, tuttavia si riconosce benissimo che esso ap- partiene a questa specie, al tipo della quale non ho mancato di confrontarlo direttamente. Esso mostra solamente una leggera differenza nella regione dorsale, la quale è separata dai fianchi per mezzo di margini più netti ed ha la carena sifonale un poco meno larga e fornita di depressioni laterali più spiccate. V Ast. peregrinum rassomiglia molto a certe forme dell’ Ast. varians Fuc. (!). Infatti l’esemplare in esame ha il dorso molto simile a quello dell’AsL varians tipico, dal quale differisce però assai per gli ornamenti ; questi invece sono abbastanza vi- cini a quelli dell’AsL varians var. interposita dalla quale tale asemplare differisce per i caratteri del dorso. Arietites (?) Lysteri Sow. 1833. Ammonites Lysteri - Sowerby in De la Beche, Man. geol., pag. 333, fig. 66. 1882. Arietites Lysteri - Canavari, Fauna des uni. Lias von Spezia, pag. 171, tav. VII, fig. 12-16 (cum syn.). (l) Fucini, Cefal. del M. Ceiona, pag. 196, tav. XXXI, fig. 1-8; tav. XXXII, fig. 1-2. 648 A. FUCINI Dimensioni : Diametro mm. 7 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro » 42 Spessore » 70 Larghezza dell’ombelico » 30 Ricoprimento della spira » ? Di questa specie ho solamente due esemplari, non perfetta- mente conservati. Essi sono però perfettamente caratterizzati e non offrono assolutamente alcuna differenza con quelli tipici di Spezia, di ugual diametro, con i quali non ho mancato di confrontarli. È molto dubbio per me il genere cui deve riferirsi questa specie che non parrebbe rientrare nel VkA/rietites nemmeno con- siderato nel lato senso di una volta. Forse esso corrisponde meglio ai Pseudotropites , dei quali è tipo il Pseudotr. ultratriasicus Can. (*) e ciò tanto più che le due specie sembrano avere gli stessi caratteri evolutivi, da quanto se ne può arguire dall’esame comparativo dei piccoli individui. Non ritengo riferibile a questa specie la forma delle Alpi nord-orientali, confrontatavi dal Wahner (2), la quale è molto meno globosa e che ha accrescimento meno rapido e differenti ornamenti, in special modo a piccolo sviluppo. Hyerifalcliia solitaria n. gen., n. sp. (Tav. XI, fig. 28, 29, 30, 31). Dimensioni : Diametro mm. 7 Altezza dell'ultimo giro in rapporto al diametro » 0,64 Spessore » 0,58 Larghezza dell’ombelico » 0,00 Ricoprimento della spira » 0,24 (*) Canavari, Lias inf. di Spezia, pag. 194, tav. VII, fig. 1-5. (2) Wahner, Unterei • Lias, pag. 105, tav. XXVII, fig. 13-14. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 649 Conchiglia globosa, pienamente involuta, appena ombelicata, rapidamente crescente, liscia e carenata. I giri sono un poco più alti che larghi e con il massimo rilievo in vicinanza del piccolissimo ombelico, donde, con una curva non molto sentita accentuata verso l’esterno ed abbastanza regolare, volgono alla carena sifonale, ottusa e sufficientemente distinta, sebbene senza solchi laterali. Il dorso non risulta molto ampio. La sezione dei giri è ovale. La linea lobale molto semplice si compone di quattro lobi e di tre selle. Il lobo sifonale non molto ampio, ma ab- bastanza profondo, ha una selletta sifonale relativamente alta, a margini presso che paralleli e con una spiccata incisione su- periore. Gli altri lobi, leggermente decrescenti in profondità procedendo verso l’ombelico, sono semplicissimi, appena indistin- tamente incisi e pressoché uguali, sia nella larghezza, sia nella forma subrettangolare, eccettuato però il primo accessorio più largo e più aperto di quelli laterali. Anche le selle decrescono in altezza andando verso l’ombelico e sono molto semplici, ap- parendo appena incise superiormente. Le selle laterali sono sub- rettangolari e più alte che larghe ; l’accessoria è invece subconica, avendo il lato interno obliquamente e largamente scendente nell’ombelico. La camera di abitazione, certo non tutta conser- vata, comprende quasi tutta la metà dell’ultimo giro. La specie presente ha stretta affinità con quella di Spezia che il Canavari rappresentò con la fig. 9 della tavola Vili, nel suo studio sulla fauna del Lias inferiore di tale località e che riferì dubbiosamente all’or, ligusticus Cocchi. Essa è però meno globosa, quindi ha giri più alti che larghi; si accresce un poco meno rapidamente e mostra per conseguenza l’ombelico un poco più grande. Anche la linea lobale è differente. La mia specie, e crederei anche quella del Canavari, appar- tengono ad un genere che ritengo nuovo. Essa infatti non può essere un Arietites s. 1. del quale ha solo la carena sifonale, e tanto meno può appartenere ad uno dei generi nei quali è stato ora suddiviso quell’antico genere. Meglio corrisponderebbe ad un Tropites o ad un Pseudotropites, ma questi generi hanno differente sviluppo, ombelico ampio, spesso ornamenti caratte- ristici, e altra linea lobale. 650 A. FUCINI Filogeneticamente riterrei che il nuovo genere prove- nisse dai Tropites e che avesse dato poi origine ai Paroni- ceras. Koninckina aff. Eberardi Bitt. in Geyer. 1889. Koninckina aff. Eberardi (Bitt ) - Geyer, Lias Bradi, v. Hierìatz, pag. 79, tav. IX, fig. 17, 18. Senza potere aggiungere argomenti per affermare o negare la pertinenza alla specie del Bittner della forma osservata ad Hierìatz dal Geyer, a questa io riferisco alcuni esemplari non di perfetta conservazione, rappresentati dalla valva grande. La conchiglia alquanto più larga che alta è relativamente di dimensioni piuttosto grandi, di forma subrettangolare e di struttura fibrosa molto appariscente. La maggiore larghezza si trova presso la metà dell’altezza, in corrispondenza anche del massimo spessore. L’apice sorpassa leggermente la linea car- dinale che è un poco meno larga della conchiglia. Le espan- sioni auricolari sono mediocremente sviluppate. Presso la re- gione frontale si ha una leggiera depressione che svanisce verso la parte centrale della conchiglia. Si scorgono assai facilmente le strie di accrescimento. Le specie che si trovano nel M. Pisano, K. Gcyeri Bitt. e K. Pichleri Bitt., cui io avevo, alla prima osservazione, dubitato che si dovesse riferire quella in esame, si differenziano sostan- zialmente per avere le espansioni auricolari e la linea cardinale più lunga la prima, per opposte differenze la seconda. Pygope Aspasia Mgh. 1853. Terebratuìa Aspasia - Meneghini, Nuovi fossili toscani , pag. 13. 1869. Terebratuìa Aspasia - Zittel, Geol. Beab. Centr. Ap., pag. 38, tav. 14, fig. 1-4. 1880. Terebratuìa Aspasia - Canavari, Bradi, d. str. a T. Aspasia, pag. 10, tav. 1 (cum syu.). 1884. Terebratuìa ( Pygope ) Aspasia - De Stefani, Lias inf. ad Ariet., pag. 35, tav. 1, fig. 6-9. 1888. Terebratuìa ( Pygope ) Aspasia - Canavari, Lias inf. di Spezia, pag. 10, tav. 1, fig. 1, 2. 1896. Terebratuìa Aspasia - Fucini, Fauna del Lias medio del M. Calvi, pag. 213, tav. 24, fig. 1 (cum syn.). ZONA A PENTACRINTJS TUBERCULATUS MILL. 651 Questa specie è talmente conosciuta, in special modo per gli studi del Meneghini, delllo Canavari, del Zittel e del I)e Stefani, che posso esimermi dall’intrattenermi sopra essa, tanto più che il Canavari, nell’illustrazione dei fossili del Lias infe- riore di Spezia, ha esaminato e figurato anche un esemplare di Gei-falco. Gli esemplari esaminati sono abbastanza numerosi, pochi però di buona conservazione. Pygope Myrto Mgh. (Tav. XI, tig. 38, 39, 40). 1889. Terebratula nimbata { non Oppel.) - Geyer, Lias. Brach. v. Hierlatz, pag. 13, tav. II, tig. 9 10. (pars) non tig. 11-13. La Pyg. Myrto fu istituita dal Meneghini sopra esemplari di Gerfalco, mandatigli dal Lotti, però nella dotta descrizione da lui fatta della Ter. Aspasia ( 1 ) credette di doverla riunire a questa specie. La prima volta fu citata, appunto a Gerfalco, dal De Stefani (2); in seguito ne ha parlato il Canavari (3), ritenendola una varietà àAV Aspasia e uguale alla var. minor Gemm. non Zittel. L’esemplare più grande figurato è tra quelli che ancora portano la primitiva determinazione scritta dal Me- neghini. La conchiglia è molto inequivalve, ed alquanto più larga che alta. La valva grande è molto convessa, specialmente presso l’apice dal quale si origina un lobo subangoloso che va allargan- dosi e rilevandosi verso la fronte, separata dalle parti laterali da due depressioni pure più distinte verso la fronte. L’apice è robusto, assai ricurvo e con margini laterali angolosi e distinti, che limitano nettamente la falsa area. Il forame sambra ro- tondo, ma non si scorge tanto bene, cosi il deltidio, che sembra piuttosto basso. La piccola valva è poco convessa ed ha un seno molto distinto che comincia un poco sopra alla metà C) Meneghini, Monographie ecc., pag. 169. (2) De Stefani, Geologia del M. Pisano, pag. 37. (3) Canavari, Bracliiopodi degli-str. a Ter. Aspasia, pag. 12. 652 A. FUCINI dell’altezza e che va approfondendosi verso la fronte, quasi volesse ripiegarsi sulla valva opposta. La commessura frontale, naturalmente molto sinuosa, ha margini acuti ; quella laterale è poco sinuosa e con margini arrotondati. La Pyg. Myrto deve tenersi distinta dalla Pyg. Aspasia, oltre che per la forma generale molto meno slargata e meno spiccatamente bilobata, sopra tutto per l’apice meno robusto, meno ripiegato e fornito di margini laterali nettamente an- golosi. Tali caratteri rendono la Pyg. Myrto molto vicina alla Ter. nimbata Opp. (') ed io ritengo che ad essa appartenga come si rileva dalla sinonimia proposta, due degli esemplari di Hier- latz riferiti dal Geyer alla specie dell’Oppel. La Ter. (Pygope?) Beyrichi Oppel, sotto descritta, è specie pure molto vicina alla presente, però è alquanto meno rigonfia, alla quanto larga o più alta che larga, più arrotondata e meno lobata. Terebratula (Pygope?) Beyrichi Oppel. 1861. Terebratula Beyrichi - Oppel., Bradi, d. unt. Lias, (toc. cit.), pag. 539, tav. XI, tig. 3. 1889. Terebratula Beyrichi - Geyer, Lias. Bradi, v. Hierlatz, pag. 12, tav. II, fìg. 4-8. Riferisco a questa specie un piccolo esemplare che si adatta assai bene a quello di Hierlatz, rappresentato dal Geyer con la fig. 7. È molto compresso e subarrotondato. La valva grande, alquanto più convessa della piccola, è rigonfiata dall’apice alla fronte. La valva piccola, con la massima convessità verso l’a- pice, ha una larga e poco profonda insenatura che rende la com- messura frontale alquanto sinuosa. La commessura laterale è quasi diritta. L’apice, non molto rilevato, nè tanto ricurvo, ha margini laterali nettamente angolosi. Niente si vede del forame e del deltidio. Questa specie, pur essendo vicina alla precedente, se ne distingue sopra tutto per la sua forma molto più compressa. (') Oppel, Bradi, d. unt. Lias, Zeitschr. B. 13, pag. 540, tav. XI, fig. 4. ZONA A PENTACRINUS TUBERCULATUS MILL. 653 Pentacrinus tuberculatus Mill.? (Tav. XI, fig. 41, 42). 1821. Pentacrinus tuberculatus - Miller, Crinoides, pag. 64, fig. 1, 2. Per quanto io sia persuaso della pertinenza al Pent. tubcr- culatus Mill. deH’esemplare in esame, tuttavia pongo qualche dubbio alla sua determinazione a causa della sua relativa de- ficienza. Si tratta solamente di una porzione del tronco, com- posto di tre articoli, pentagonali, a lati abbastanza concavi, del diametro di circa mm. 6 e dello spessore di poco più di un millimetro, tenuto saldato per una sutura finamente dentellata. La faccia articolare presenta una stella, non molto complicata, le cui foglie sono ovali, riunite al centro, ove si scorge distin- tamente il canale centrale assai grande, e limitate lateralmente da rilievi e da fossette regolari, piuttosto rade, grandi e distinte e alquanto oblique. Istituto Geologico di Pisa, 5 maggio 1906. [ms. pres. il 5 maggio 1906 - ult. bozze 16 novembre 1906]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 Pecten cfr. Bellampensìs Gemm., in grandezza doppia della na- turale. » 2 Pecten fibratus n. sp., in grandezza naturale. » 3 » Hierifalci De Stef., in grandezza naturale. » 4 » Ugolinii n. sp., in grandezza doppia della naturale. » 5 » capillatus n. sp., in grandezza doppia della naturale. » 6 » lima n. sp., in grandezza naturale. » 7 Lima pacatissima n. sp., in grandezza naturale. » 8 Modióla Malfatta n. sp., in grandezza naturale. » 9 La stessa veduta dalla parte anteriore. » 10 Myophoria (?) nepos n. sp., in grandezza doppia della naturale. » 11 La stessa veduta dalla parte superiore. A. FUCINI 12 Leda (?) venusta n. sp., in grandezza doppia della naturale. 13 La stessa veduta dalla parte superiore. 14 Straparollus (?) pusillus n. sp., in grandezza sette volte mag- giore della naturale. 15 Lo stesso veduto dalla parte superiore. 16 Lo stesso in grandezza naturale. 17 Straparollus minimus n. sp., in grandezza sette volte maggiore della naturale. 18 Lo stesso veduto dalla parte superiore. 19 Lo stesso in grandezza naturale. 20 Trochopsis Aloroi Gemm., in grandezza naturale. 21 Kondiloceras Manciata Fuc., var. abnonnilobata, in grandezza naturale. 22 Lo stesso veduto dalla parte della bocca. 23 Lo stesso veduto dalla parte del dorso. 24 Lytoceras Phillipsi Sow. 25 Ithacophyllites stella Sow. ? in grandezza naturale. 26 Coroniceras sp. ind , in grandezza naturale. 27 Lo stesso veduto dalla parte del dorso. 28 Uteri falchia solitaria n. gen., n. sp., in grandezza doppia della naturale. 29 La stessa veduta dalla parte del dorso. 30 La stessa veduta dalla parte della bocca. 31 Linea lobale della stessa. 32 Arnioceras sp. ind., in grandezza naturale. 33 Lo stesso veduto dalla parte del dorso. 31 Arnioceras ambiguum Geyer, in grandezza naturale. 35 Lo stesso veduto dalla parte della bocca. 36 Asteroceras peregrinimi Fuc., in grandezza naturale. 37 Lo stesso veduto dalla parte del dorso. 38 Pygope Myrto Mgh., in grandezza naturale. 39 La stessa veduta dalla parte della fronte. 40 La stessa veduta di fianco. 41 Pentacrinus tuberculatus Mill. ? in grandezza doppia della na- turale. 42 Lo stesso veduto di fianco. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXV (1906). (Fucini) Tav. XI. A. FUCINI DIS. E FOT. ei IO T CAL70I AKIM hFPKArtlO-l PKO i V' IL MIOCENE NEL VERSANTE ORIENTALE DELLA MONTAGNA DELLA MAJELLA Nota del socio G. de Angelis d’Ossat Mentre raccolgo i materiali per uno studio complessivo sul Miocene dell’ Appennino centrale, stimo non riescano discari bre- vissimi cenni intorno alla formazione miocenica del versante orientale della Montagna della Majella. Per ora parlo specialmente delle falde orientali dei monti Porrara (m. 2136) e Tavola Rotonda (m. 2404), dalla stazione ferroviaria di Palena, sulla linea Sulmona-I sernia, sino al ter- ritorio di Taranta Peligna. Per tutto il versante non solo ho rinvenuto le stesse forma- zioni geologiche, che già feci conoscere nel piovente occiden- tale ( Sorgenti di petrolio a Tocco da Casaiiria, 1899); ma vi ho riscontrato identità, per quanto è possibile, nella natura lito- logica delle rocce, nelle faune fossili e nella relazione strati- grafica delle formazioni. Anche le manifestazioni minerarie sono uguali, come analoga è la ricca coorte delle sorgenti minerali. La parte geologicamente profonda e topograficamente ele- vata della Montagna, nella zona che presentemente si esamina, risulla costituita di un calcare bianco, cristallino, di scogliera, infarcito straordinariamente di Rudiste, il quale certamente deve attribuirsi al Cretacico. Oltre questo tipo di roccia vi ha un altro calcare bianco- niveo, a frattura concoide, con frequenti vene spatiche : gli atmo- sferili superficialmente lo rendono farinoso. Probabilmente esso riempie le cavità e le frastagliature degli scogli ippuritici : ciò però non esclude che possa rappresentare in parte anche V Eo- cene. Nel calcare in parola non rinvenni fossili sufficienti per una determinazione cronologica sicura. Esso somiglia moltissimo I 656 G. DE ANGELIS D'OSSAT al calcare bianco che accompagna il rosato dell’ Appennino Umbro, ecc. Discordantemente alle rocce menzionate si appoggia un po- tente e svariato complesso di strati che devonsi riferire al Mio- cene. In ordine ascendente i tipi litologici sono i seguenti: Calcari marnosi, grigio-chiari ; ricchi di fossili identici a quelli rinvenuti presso Tocco da Casalina, coi quali saranno descritti dal Lupi. La roccia ai colpi del martello tramanda ben distinto sito di petrolio: essa si presenta nettamente strati- ficata e negli strati più profondi contiene localmente insignifi- canti quantità di manganese (Pirolusite). Per tutti i citati carat- teri la roccia corrisponde perfettamente alla pietra gentile dell’altro versante. Intercalati ai calcari marnosi si trovano alcuni strati argil- losi, o marnoso-argillosi, impregnati di bitume, con zolfo; que- st’ultimo talvolta è in cristalli ben trasparenti. Segue superiormente, nella regione delle colline, una vistosa pila di strati, argilloso-scistosi, con ben chiara e potente inter- calazione gessosa. La roccia è simile alla pietra cutigna del- l’altro versante. Anche le argille scistose fanno parte del Mio- cene, rappresentandone una facies più profonda dei calcari, coi quali le riferisco all’età di mezzo. Ancora discordantemente alle rocce mioceniche giace un po- tente e parecchio esteso conglomerato : esso è costituito di ele- menti diversi per dimensioni e per natura litologica: poche però sono le ghiaie silicee. Talvolta il conglomerato è stratificato. La mancanza di fossili e di nette relazioni stratigrafiche non mi per- mettono asserire nulla, con sicurezza, sul riferimento cronologico della formazione conglomeratica. Questa è però preziosa come documento dell’antica idrografia e come mezzo per rintracciare l’evoluzione della morfologia regionale. In una sola località, cioè nel fondo del Vallone dei Cocci, ho rinvenuto inaspettatamente un piccolo deposito di tufo vul- canico. Questo è granulare, poco coerente e di color verde-gial- lastro. Queste sono le rocce che affiorano nella regione esaminata ; di essa però una larga superficie è ricoperta dai recenti detriti di falda, copiosissimi ed estesi, e dal terreno vegetale. IL MIOCENE NELLA MONTAGNA DELLA MAJELLA 657 Nella seguente sezione compendio le rocce nominate ed i relativi rapporti stratigrafici. Scala deHe lunghezze e delle altezze : 1 : 50000. Linea di base SW-NE. a m. CO. Cret. Eoe ? Calcari del Cretacico e dell’Eocene ? — C. Calcari marnosi del Mio- cene medio. — B. Strato, intercalato, di argilla bituminosa, con zolfo. — A Argille scistose, con banchi e lenti di Gesso (G), del Miocene medio. — P. Conglomerati. — T. Tufo vulcanico. La regolarità della stratificazione degli strati miocenici è veramente singolare. Invero chi percorre la via carrozzabile, che, dalla stazione ferroviaria di Palena, accompagna a Letto- palena ed oltre, rimane maravigliato nel constatare l’uguaglianza della direzione e della pendenza della falda montana con gli stessi elementi degli strati marnosi ed argillosi. Ciò è reso ma- nifesto non solo dalle larghe superficie piane degli strati rico- noscibili pur da lungi; ma anche dalle rare vallecole che, inci- dendo più o meno il complesso, mettono in vista chiaramente pur le testate degli strati, isolandone delle zolle, che fanno rico- noscere indubbiamente la direzione e la pendenza della strati- ficazione. Il Vallone dei Cocci penetrò così profondamente da intaccare anco i calcari marnosi, i quali quivi presentano la direzione NE-SW, con pendenza SE di 25° (media di dieci letture). Non turbano la regolarità gli strati bituminosi, — quan- tunque esercitino una efficace influenza all’emergenza delle sor- give, — nè i gessi, sia compatti che saccaroidi. I gessi, di cui ora si tiene parola, li riporto al Miocene medio, quantunque)! non sostituiscano qui evidentemente i calcari mar- nosi come a Bolognauo, dove raccolsi una fauna caratteristica di quest’età. Fra le specie ricordo: Spatangus austviacus, Vedevi 658 G. DE ANGELIS D’OSSAT Rollerà, P. cristatus, Amussium denudatimi , Griphaea navicu- laris, Aturia Aturi, ecc. Con questo riferimento non intendo escludere, nelle falde della Majella, la presenza di gessi isocroni alla zona gessoso-solfìfera siciliana, calabrese e romagnola. Anzi il Novarese, in un pre- giato lavoro (1 giacimenti di Asfalto di San Valentino , 1904), ne asserisce l’esistenza nelle argille di S. Giorgio, in base al rinvenimento della Dreissensia simplex e del Cardimi solita- rium (fide di Stefano). Richiamo l’attenzione dei rilevatori della carta geologica della Majella sulla presenza di gessi più antichi della zona gessoso-solfìfera, la quale, per questo, localmente, perde d’im- portanza come orizzonte geologico. Quantunque non sia ancora in possesso di documenti paleontologici irrefragabili, pure ritengo che la stessa condizione di cose si verifichi anche in altre lo- calità del versante adriatico. [ras. pres. il 9 settembre 1906 - ult. bozze 23 novembre 1906]. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO E IN PARTICOLARE SUL BACINO DEL POSINA Nota del socio ing. L. Maddalena (Tav. XII-XVI) CENNI OROGRAFICI. La regione montuosa della provincia di Vicenza che dalla pianura veneta si sviluppa verso N. 0. giungendo ai confini politici col Trentino, per formare come l’appendice più meri- dionale delle alpi orientali è nota ai geologi col nome di Trias Vicentino. Limite S. 0. è il profilo delle cime dolomitiche che dal M. Falcone (in. 1663) va fino alla Cima Tre Croci (m. 1942) il quale divide pure la provincia di Vicenza da quella di Verona. A 0. e N. 0. il confine politico col trentino corre pure lungo lo spartiacque dei monti chiudendo la nostra regione a guisa di anfiteatro da Cima Tre Croci per Campogrosso (m. 1440), Pasubio (m. 2232), M. Maggio fino al M. Laste Alte. Nume- rose selle o passi tagliano questa catena di monti: Il passo della Lora a N. di Cima Tre Croci che dalla valle dell’Agno conduce in Val Ronchi verso Ala : Passo di Campogrosso da Val d’Agno in Val Arsa verso Roveredo: Passo del Piano della Fugazza da Val Leogra pure in Val Arsa e finalmente il Passo della Borcola che dalla Val Posina mette in Val di Terra- gnolo. Oltre questi vi sono numerosi altri passi difficili, noti solo ai contrabbandieri. Confine a N. E. è l’Astico colla sua valle profondamente tagliata tra gli altipiani di Tonezza e dei Sette Comuni. Tra Piovene e Schio i monti raggiungono la pianura e sono ad essa accordati con una piega rovesciata a S. E. Nello 45 660 L. MADDALENA schizzo 1°: è segnato l’andameuto della dolomia principale lungo questa piega che dal M. Falcone per S. Quirico e Torre- belvicino giunge tino al M. Summano. In questa zona, dove i terreni terziari, cretacei e giurassici sono più conservati, abbiamo, come da S. Orso a Schio, una catena colliuesca di terreni recenti posta innanzi ai monti di formazione più antica. Le cime e le pendici rocciose formate dalla dolomia prin- cipale o dal calcare del M. Spitz si distinguono per la loro nudità, mentre i terreni terziari sono rivestiti di una rigogliosa vegetazione. Di modo che guardando dal piano si distingue a colpo d’occhio la diversa altezza che le varie formazioni rag- giungono in questa regione di piegamento. Così la Dolomia prin- cipale arriva sullo Scandolara fino a 949 m. e il calcare num- mulitico fino a 704 m. sul M. Magre: il Trias è a 922 m. sulla Cima Bocchese sopra S. Quirico e a 896 m. sulla collina di Fon- gara: d’altra parte il M. Torrigi si eleva colla sua scaglia a 834 m. e poco discosto il calcare nummulitico si trova a 484 m. a sud di Cuocerla. La conformazione della superficie dei monti varia assai colla natura del terreno : le masse dolo- mitiche spoglie di vegetazione lanciano al cielo arditi pinna- coli, fantastiche merlature e torrioni strapiombanti, ai loro piedi in enormi lavine si accumula da tanti secoli il detrito uniforme e tagliente. Più giù a circa 1000 m. si estende sotto a tutta la forma- zione dolomitica un vero ripiano, come un gigantesco gradino dovuto a potenti banchi di calcare del M. Spitz : sembra quasi che sia l’avanzo di un potente terrazzamento dell’antica orografìa. A un livello poco inferiore giungono le potenti masse por- firiche colla loro forma arrotondata e liscia: coperte di abbon- dante vegetazione e tali che, specialmente all’inverno, si distin- guono di lontano per il colore rossastro del terreno di detrito e di alterazione. Più giù le valli sono strette, selvaggie, tagliate quasi a picco, nelle formazioni inferiori del Werfen, di Val Gar- dena e nelle fìlladi. Possiamo dividere i monti del Vicentino in quattro parti, secondo i quattro bacini dell’Àstico, del Timonchio, del Leogra e dell’Agno. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 661 Il classico bacino di Recoaro confina a S. ed E. colle mon- tagne che dal M. Falcone giungono fino a Campogrosso formando i lati di un angolo retto che ha per vertice la Cima Tre Croci. Da Campogrosso si stacca una catena di colline che si abbas- sano fino a 671 m. al passo di Xon, tornano fino a 816, poi di nuovo a 697 m. al passo della Gamonda e finiscono al M. Ci- villina raggiungendo qui la zona di ripiegamento. In queste colline si trova tutta la serie dei terreni dalle filladi fino al calcare dello Spitz : verso Recoaro i loro dolci pendìi sono ricoperti di campi coltivati, di boschi e di giardini. A S. e N. 0. di Recoaro abbiamo un aspetto ben diverso; qui le pendici salgono ripide fino quasi ai 1000 m. ove si giunge al già citato ripiano che mantenendosi all’incirca a quel livello arriva fino a Campogrosso sempre limitato verso valle da nude e ripide roccie di calcare dello Spitz. Numerosi corsi d’acqua hanno tagliato l’orlo della terrazza di modo che guardando dal fondo della valle appaiono come numerose cime tra loro divise: così abbiamo la Val di Prack col M. Spitz, la Val di Ricchelere colla punta della Rasta e la Val di Creme colla punta di Ofra e dei M. Rove. Sotto ai monti che confinano col Trentino manca il ripiano o meglio venne ricoperto dall’abbondante detrito di falda. Presso gli Storti l’Agno si divide in Agno di Lora che raccoglie le acque del bacino tra Cima Tre Croci e l’Obante e Agno di Rotolon che scende da Campogrosso. Altri corsi di acqua minori che all’e- state disseccano hanuo poca importanza sull’aspetto della re- gione. Segue a N. E. il bacino di Valli dei Signori o del Leogra. Qui il fondo della Valle è notevolmente più basso che a Re- coaro e più ampio. Sopra il paese la valle sale rapidamente restringendosi e dopo S. Antonio assume il carattere del paesaggio dolomitico. A S. il bacino è limitato dalle alture che da Campogrosso giun- gono fino al Civillina: a N. 0. abbiamo la ripida muraglia dei tre Apostoli che scende in Val Fangosa e a N. E. il Pa- subio che sale a picco fino al confine austriaco. Tra il Cornetto e il Pasubio si trova tagliato profondo ed ampio il Passo del Piano della Fugazza attraversato dalla magnifica strada napo- 662 L. MADDALENA leonica. A S. E. verso la pianura abbiamo la grande piega cbe qui presenta un movimento di torsione portando verso la valle i monti Suidio e Naro cbe geologicamente appartengono al Civillina. A N. E. il confine dell’imponente massiccio del Pa- subio, precipita d’improvviso al passo di Nomo e poi pel M. Alba e colle di Posina giunge al M. Eione. Questo punto è come un vertice al quale convergono dal N. il bacino del Posina, da E. quello del Leogra e da S. quello del Tretto. Il M. Novegno e la sua appendice il M. Enna, col passo di S. Caterina tra essi scavato, formano il confine verso 0. del bacino del Leogra quan- tunque lo spartiacque tra il Leogra e il Timonehio sia più ad 0. lungo il profilo dei monti Guizze. Il M. Enna, a chi guardi dalla pianura, sembra essere di- sposto trasversalmente così da chiudere la valle, la quale real- mente in quel punto è assai stretta. Anche il Leogra nella sua parte alta e precisamente alla contrada Cisbenti si divide: il ramo di sinistra è il Leogra propriamente detto che scende dalla Valle Canale di Pasubio; quello di destra è il Malonga che nasce dalle pendici del Baf- felan e del Cornetto. Numerosi altri corsi di minore impor- tanza alimentano il torrente principale la cui portata al pari di quella dell’Agno è assai considerevole anche nei mesi più caldi. Il bacino dei Tretti detto anche di Schio, si trova come in- castrato tra quelli del Posina e dell’Astico: esso ripete in pic- colo la forma del bacino di Recoaro. È coronato ad 0, N. e N. E. da potenti masse dolomitiche dalle quali a un certo punto si stacca un evidente ripiano colli- nesco formato da banchi di calcare dello Spitz. Al M. Rione la dolomia raggiunge i 1696 m. e si mantiene per gran tratto a quella altezza fino al M. Priaforà, poi s’abbassa in una gran- diosa sella ove stanno scavati due passi, il Colletto piccolo e il Colletto grande (m. 900) che conducono nel bacino dell’Astico, e risale quindi a m. 1299 sul M. Sommano ai piedi del quale sul- l’orlo della pianura si trovano gli strati rovesciati della zona di piegamento. Nella regione del Tretto si trovano tre paesetti S. Catterina ad 0., S. Ulderico nel mezzo e S. Rocco ad E. costruiti sulla terrazza di calcare triasieo all’ incirca sul livello OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 663 di 700 m. Ad E. si trovano il M. Guizze ed il M. Faeo geo- logicamente e orograficamente staccati dal rimanente gruppo montuoso: a S. e S. 0. gli strati raddrizzati dai piegamenti for- mano una serie di colline amenissime coperte di vigneti e di ville. Queste colline mancano ad oriente del Timonchio ove si eleva ripida la massa uniforme ed erbosa del Summano. Il centro del Tretto presenta un aspetto tettonicamente e orogra- ficamente assai vario: in esso hanno scavate profonde e strette valli i tre rami in cui si divide il Timonchio al finire della pianura: l’Acquasaliente, l’Orco e il Timonchiello. Ombrose pen- dici ricoperte di castagni si alternano con poggi nudi, scoscesi, che precipitano fino al fondo delle valli. Attorno ai villaggi una notevole estensione di terreno è coltivata a prati ed a messi: perfino la vite vi si trova abbondante e dà ottimi frutti. Una popolazione mite e laboriosa vive agiatamente coi prodotti della terra e col lavoro nelle numerose cave di terra bianca per la quale da tanto tempo questa regione è celebre. Il 4° bacino e il più importante per volume d’acqua perenne è quello del fiume Astico. Abbiamo descritto il suo confine a Sud coi bacini del Leogra e dei Tretti: oltre il Pasubìo esso continua verso N. E. lungo il confine politico fino al M. Laste Alte mantenendosi sempre ad un livello superiore ai 1000 m. Ad Est è limitato dal massiccio dei Sette Comuni che colla sua forma caratteristica a scanno si eleva sopra i 1000 m. La vasta regione da cui l’Astico raccoglie le acque si può dividere in due bacini minori: quello dell’Astico propriamente detto che si trova tra gli altipiani di Tonezza e dei Sette Comuni e che raccoglie acque in gran parte anche da territorio austriaco; e quello del Posina : questo a sua volta riceve due importanti affluenti: il Rio Freddo e il Zara. Caratteristica di tutta questa regione è il predominio della dolomia principale che dà al paese un aspetto aspro e selvaggio. Le valli sono profonde e strette e poca vegetazione ne riveste i ripidi versanti. Sull’altipiano di Tonezza gli avanzi morenici che il ghiacciaio trasportò dalle montagne del trentino hanno fecondato il terreno per natura sua arido e disadatto alla vegetazione; cosicché, grazie alle abbon- danti pioggie, l’altipiano è ricoperto di magnifici prati e quan- 664 L. MADDALENA tunque a 1000 m. sul livello del mare si veggono a suo tempo biondeggiare le messi. La vai di Eio Freddo tagliata a picco « quasi dai fendenti di un Dio » è la più incolta e abbando- nata: poche famiglie di carbonari vivono con questa industria e del lavoro di alcuni mulini da grano mossi dall’acqua pe- renne del torrente. La vai di Zara è detta anche dei Laghi dal nome del paesello principale che si trova costruito sopra una imponente frana: questa ostruì il corso del torrente in un’epoca certo non molto antica, ma probabilmente preistorica, producendo due piccoli laghi i quali nel periodo più caldo ri- mangono asciutti e finiranno per scomparire in causa del con- tinuo interrimento. Anche questa valle è scavata nella dolomia principale, ma i versanti sono dolci, specialmente sotto al M. Majo dove si estende il cosiddetto piano di Cavallaro che è tutto col- tivato. La vai Posina propriamente detta presenta un interesse maggiore perchè affiorano, in essa poco lontano dal paese le filladi e tutta la serie fino al Muschelkalk del quale non si trovano che gli orizzonti inferiori. A N. e ad E. del villaggio affiorano potenti ammassi di porfìrite verde gradatamente alte- rata alla superficie così da presentarsi di un color rosso bruno. In corrispondenza di questi affioramenti, la valle si allarga, di- viene più movimentata, e i terreni più fertili: alla misera ve- getazione del terreno dolomitico succedono magnifici boschi di faggi e di castagni, e da ogni lato tra le ombre di un bosco o in una radura, arrampicati sull’erta o a cavaliere di un colle spuntali fuori pittoreschi gruppi di case che danno vita e mo- vimento al paesaggio. La temperatura mitissima, le acque fresche e abbondanti unite alle bellezze naturali rendono questo paese un incantevole soggiorno estivo. Continuando a risalire la valle si vedono i terreni del Trias scendere fino al letto del fiume formando come l’ala di una anticlinale. In alto sotto il massiccio del Pasubio a circa 1100 m. si vede chiaramente un ampio gradino che partendo dal passo del Xomo va lentamente abbassandosi: è la formazione calcare del M. Spitz che così caratteristica abbiamo veduta nei bacini di Becoaro e del Trefto. Sotto l’orlo di esso si staccano dolci pendìi tutti rivestiti di prati e boschi. Oltrepassato il ponte di Doppio si trova il calcare triasico che raggiunge il letto del OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 665 torrente: pochi metri più in là si rientra nella dolomia che continua monotona colle sue pareti a picco, i pinnacoli, le frane fino al passo della Borcola da dove il Posina ha le sue origini. Considerando complessivamente i bacini descritti si possono fare alcune osservazioni ed ipotesi sulla loro originaria orografia. La grande depressione tra il M. Priaforà ed il Sommano fa pensare ad un antico passaggio per essa del fiume Astico : prima di fare la gran volta di Arsiero e scavarsi la via attorno al M. Sommano, forse le acque del bacino dell’Astico erano rac- colte in quello del Tretto. Non rimangono però traccie sicure di questo passaggio perchè il materiale del bacino dell’ Astico vi si trova commisto con quello proveniente dalle montagne del Trentino e certamente trasportatovi dal ghiacciaio. D’altra parte la sella tra il M. Rione e l’Enna in linea retta coll’andamento del Leogra permette di supporre che qui sia passato il torrente in un primo periodo di vita. Così i tre bacini sarebbero stati originariamente uno solo. Il Tornquist nel suo lavoro pubblicato nel 1901 col titolo: Das Vicentinische Triasgebirge studiò e descrisse la regione se- gnata nello schizzo I, allegandone la carta geologica, tutto il bacino del Tretto, quello di Recoaro e parte di quello del Leogra. In questo lavoro intendo di completare lo studio per quanto ri- guarda il bacino di sinistra del Leogra e tutto quello del Po- sina coi suoi affluenti. Tenendo come guida il lavoro del Torn- quist cercherò di collegare e paragonare con esso i risultati ottenuti ed i dati desunti in una campagna di due mesi pas- sata sul luogo nell’estate 1905. ESAME DEI TERRENI AFFIORANTI NEL VICENTINO. Già sono passati 100 anni dacché cominciarono le prime ricerche geologiche e minerarie nel Vicentino, determinate forse dagli studi sulle acque minerali di Recoaro. Da allora nume- rosi scienziati italiani e numerosissimi stranieri si occuparono di tale regione per cui si può dire che essa è la parte delle alpi venete che più venne geologicamente studiata. Possiede Serie dei terreni permiani e triasiei del Vicentino parallelizzati Tornquist — 1900 Bittner — Gùmbe Parallelizzazioni 1883 1879 Zone ed ammoniti col Serie dei terreni Trias Alpino Hauptdolomit Piano eruttivo di Wengen Ceratites nodosus . . . Protrachyceras litìtzi Strati di Buehenstein super. infer. Ceratites trinodosus . piano a Trinodosus Ceratites binodosus . piano a Binodosus Muschelkalk inf. (calcare di Recoaro) Tirolites Cassianus . Strati di W e r f e n Calcare a Bellerophon Arenarie di Val Gardena Terreni fondamentali Dolomia principale Dolomia principale masse eruttive Raibl. S. Cas- siano Wengen .2 ] calcare a No- dosus Buehenstein calcare dello Spitz Dolomia della Méndola .2 i calcari a Sturia 15 e suoi Rap- £ ! presentanti Strati a Trinodosus Dolomi principa Raibl Dolomi dello Scli • Wettersteii; Strati di Buchen : Dolomia a Bra- chiopodi -cal- care a Bra- chiopodi ( Tuli e marne variegate Muschelkalk inf. Muschelll marne a Dado- crinus Gesso, dolomia ca- riata, marne sab- biose Strati a Posidono- mia darai Strati di Werfen Strai di Werc Scisti rossi, are- nacei Marne grigie e do- lomia nodulosa Oh Arenarie grigie e rosse | ; fìlladi quarzifere < ( Calcare a Bellerophon Arenarie di Val Gardena terreni fondamentali Calca a Bellero Arena 3 di Val Gai< filladi quaii mti Alpini e d’oltralpe e schema delle successive loro interpretazioni. PSIUS [878 V. Mojsisovics (Beyrick) 1876 Benecke 186S PlRONA 1863 Maraschini 1824 M A R Z A R I Pencati 1828 ilomia ncipale Dol. principale Raibl S. Cassiano Dolomia principale Calcari giu resi ìaibl Wengen — - — Buchenstein — — Calcare del Giura Calcare Alpino il care Esilio calcare della Mendola parte degli strati di Campile Dolomia del Keuper , superiore ! ) Keuper terzo gres rosso . .ehelkalk \ Muschelkalk inf. \ Muschelkalk / inf. (?) 1 \ Muschelkalk • seconda calcarea grigia I calcare a grifiti Strati di Werfen dolomia del Ròth Buntsandstein \ gres screziata Arenarie più antiche e più ricche di mica — calcare a Bellerophon ) Buntsandstein prima calcarea grigia (Zechstein) — Arenarie di Val Gardena i metassite ' -J — micascisti micascisti micascisti Nimosite e micascisti Dolerite e micascisti 668 L. MADDALENA essa perciò una così estesa bibliografia che sarebbe troppo lungo riferire, anche in modo sommario, quanto ogni autore ebbe a scrivere su tale argomento. Basti dire che della regione com- presa tra il Cliiampo e il Brenta si occuparono, mettendo in ri- lievo le condizioni tecniche o studiandone i fossili, i seguenti autori: Arduino, Festari, Fortis. Malacarne, Maraschini, Catullo, Marzari-Peneati, Brongniart, Pasini, Studer, Murchison, Bone, Trettenero, Girard, Zeuschner, Bologna, V. Buch, V. Meyer, De-Zigno, Y. Schauroth, Pazienti, Foetterle, Roemer, Y. Hauer, Laube, Meneghini, Beyrich, Pirona, Massalongo, Omboni, Be- necke, Schenk, Molou, Suess, Schloenbach, Reuss, Bajan. Fuchs, Gtimbel, Lasaulx, Stadie, V. Mojsisovics, Stur, D’Achiardi, Bittner, Dames, Hébert, Meunier Chalmas, Loretz, Hoernes, Rossi, F. Vaceck, Neumayr, Roschinsky, Lepsius, Foullon, Ta- rameli!, Haug, Negri, Tommasi, Canavari, De Gregorio, Ne- viani, Ritti, Calliano, Crema, Bather, De Pretto, Tornquist. Quest’ultimo nel suo lavoro pubblicato nel 1901 parla per 40 pagine abbastanza minutamente della bibliografia del Vi- centino. Distingue tre periodi di ricerche: del 1° furono capi- scuola Marzari-Peneati (1823) e Maraschini (1824); del 2° Ca- tullo (1841). Pasini (1844), Schauroth (1855), Pirona (1863); del 3° Benecke (1868), Mojsisovics (Beyrich) (1876), Lepsius (1878), Gtimbel (1879), Bittner (1883). Ho riassunto nello specchietto precedente le interpretazioni della serie dei terreni date dai principali autori, riservandomi poi a discuterne le opinioni parlando delle singole formazioni. Filladi quarzifere. L’Arduini nelle sue lettere orittologiche al Charpentier (1777) (pag. 26) accenna alla presenza nelle valli dell’Agno e del Leogra di un terreno fondamentale alla base della serie sedimentare da lui denominato scisto micaceo. Il Maraschini chiama la stessa roccia Talco scistoideo , Schauroth : micascisti della formazione primitiva, Giimbel : filladi quarzifere. Queste roccie si presentano di color grigio-piombo con ten- denza al verde, talvolta rossastro, untuose al tatto, splendenti. Il quarzo latteo vi si trova abbondantissimo in filoncelli e più OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 669 spesso in lenti di ogni grandezza. Pure concentrata tra le lenti di quarzo si trova la mica bianca in straterelli. Queste concen- trazioni dànno un valore assai relativo alle analisi chimiche. Oltre al quarzo e alla mica si trovano: ferro oligisto, pirite, calcopirite, magnetite, quarziti nere, ritenute dal Maraschini per Antracite, efflorescenze di solfato di magnesia, aghi di orni- blenda nella pasta cloritiea e noduli di cianite nei granuli di quarzo ('). L’alterazione di queste filladi dà luogo a un terreno verde-giallastro in cui si vedono sempre dei frammenti di mica. Il loro perimetro di affioramento è assai vasto: dominano nei bacini del Leogra e dell’Agno, compaiono appena in quello del Posina. A Torrebelvicino abbiamo l’unico punto delle Alpi me- ridionali dal Lago Maggiore fino ai Monti della Dalmazia in cui i terreni fondamentali si spingono fino alla pianura Lom- bardo-Veneta. Di qui la fillade continua lungo la valle del Leogra fino a S. Antonio, forma la base delle colline di Rovegliana fino a notevole altezza, tanto che il passo di Xon (m. 670) è tagliato in essa e poi si ripete abbondantissima nel bacino di Recoaro. Il livello superiore della formazione oscilla tra 600 e 800 m. in qualche punto però, come sopra Merendaore, supera i m. 900. Queste roccie possono venire associate per analogia litolo- gica e per vicinanza topografica agli scisti di Val Sugana e con questi essere collocati nel gruppo delle filladi quarzifere. Si può riconoscere una somiglianza anche colla zona di Collio descritta dal Giimbel (2) specialmente cogli scisti del passo della Maniva, quantunque questo geologo li classifichi come gneiss- phillit mentre i caratteri gneissici non vennero mai riscontrati nè in provincia di Vicenza, nè in Val Sugana. In molte località di Recoaro, Staro e Valli, gli scisti si ve- dono attraversati da filoni verticali, obliqui, orizzontali, che talora prendono l’aspetto di strati, di una roccia pirossenica di color grigio-nerastro o verdastro con una pasta, più o meno (*) Così almeno afferma Dal Lavo nelle note illustrative alla Carta Geologica del Negri. Vicenza, 1903. '*) Giimbel G. W., Mitth. aus der Aìpen bei geogn. Strei, ,~ug dursch. die Berg. Aìpen, 1880, Sitz. Ber. K. Ak. in Munchen, 7 febbraio 1882, pag. 144. G70 L. MADDALENA compatta, che ora presenta la struttura di un porfido ed ora sembra un basalto, zeppo alla superficie di amigdale di calcite. Fu chiamata mimosite dal Maraschini, tracliite dallo Schauroth, dolerite dal Marzari-Pencati e dal Pirona, melafiro dal Foullon e microdiabase dal Lepsius. Non è ancora risolta la questione se le iniezioni della roccia melafirica che attraversano le filladi quarzifere siano tutte riferibili al periodo norico. Gtirabel ritiene che tutte le roccie eruttive che sotto forma di filoni si spingono fino al piano di Wengen si debbano riferire a quelle del ter- ritorio al N. di Gròden e Fassa denominate ora melafiri, ora diabasi. La mancanza assoluta di avanzi organici ci toglie la pos- sibilità di conoscere l’epoca e il modo in cui le filladi si sono formate. Primo a discutere sulla loro età fu lo Stache (*) il quale le ritenne paleozoiche. Vacek ne studiò i rapporti con quelle di Val Sugana e Cima d’Asta. Giunbel le riferì all’arcaico, Sa- lomon, Mojsisovics e Frecli le dissero precambiane. Si può dire con certezza che sono anteriori al permiano perchè le ricoprono formazioni riferibili certamente al permiano. Che poi la loro età sia molto più antica del permiano si può pure discutere osservando che al tempo della trasgressione per- miana la massa scistosa doveva essere già potentemente siste- mata come una roccia e su essa esercitarono le loro rapine im- petuosi torrenti, dando luogo a quel conglomerato di trasgressione nella cui composizione, per quanto alterata, si riconosce l’ori- gine dagli scisti sottostanti. Nelle Alpi Carniche dove abbiamo i calcari fossiliferi del siluriano inferiore sovrapposti alle filladi, queste non si possano riferire che al cambriano o all’arcaico, e il Freck sta per l’arcaico. L’orizzontalità pressoché costante delle filladi è un argomento per l’origine loro. Nella maggior parte del Vicentino sono pochis- simo evidenti le pieghe del carbonifero e poco anche quelle ter- ziarie; non si potrebbe quindi sostenere l’origine del loro aspetto scistoso come dovuta a metamorfismo dinamico di piegamento, ma piuttosto per pressione dall’alto in basso ammettendo che tutta la serie degli strati siluriani, devoniani e carboniferi si (') Die Palaeozoisclien Gebiete der Ostalpen, 1874. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 671 trovasse nel Vicentino come in Carnia e che prima della trasgres- sione permiana sieno stati di nuovo asportati dalla erosione. Lepsius nella Geologia dell’Attika (x) dice che le acque ad una certa temperatura unite a pressione possono rendere cristalline delle masse sedimentari. Malgrado questa ipotesi, per la grande potenza e soprattutto per la costante uniformità degli scisti del Vi- centino mi sembra non si possa ammettere che gli strati cam- briani sieno stati così trasformati da azioni che certamente non potevano agire allo stesso modo per eosì grande estensione e spessore. Conchiudo quindi col Tornquist doversi riferire queste filladi quarzifere al periodo arcaico, anche per la loro grande analogia cogli scisti del Lago Maggiore che si ritengono con certezza azoici. * * * Periodo Permiano. a) Arenarie di Val Gardena. Le arenarie poggianti sulla roccia fondamentale del Vicen- tino furono dal Maraschini ritenute quali rappresentanti della formazione carbonifera di altre regioni e chiamate metassite. Il Schauroth col riferire questi terreni al trias inferiore, iniziò la di- scussione dell’esistenza o meno di un terreno permiano nel Vicentino. Nel 1847 i geologi radunati in Venezia per l’XI congresso, deliberarono che per la mancanza di fossili apprezzabili, i con- glomerati e le arenarie soprastanti alle filladi fossero riferite al trias inferiore. Murchison, Schauroth, Massalongo e Pirona condivisero questa opinione; ma Mojsisovics le parallelizzò alle arenarie di Val Gardena che già il Suess aveva riconosciute come permiane. Gli studi di Gumbel, Bittner e Tornquist confermarono l’esi- stenza del permiano nel Vicentino. Il Gumbel però, considerando le piante fossili studiate dal De Zigno e da Schenk, dichiara essere questa flora meno antica di quella sicuramente permiana (') Berlino, 1893, pag. 194. 672 L. MADDALENA della Val Trompia. Il Taramelli, considerando che il genere Voltzia compare bensì nel Permiano, ma prevale nel Rotti ger- manico, tende a limitare l’estensione del Permiano nel Vicentino ; ammette però dimostrato il parallelismo di queste arenarie con quelle del Servino e con la grande formazione dei conglomerati quarzosi a cemento talcoso del Comelico e della Lombardia. La potenza delle arenarie di Val Gardena è assai variabile; in qualche punto raggiunge i 110 ni., in altri non superai 70. Inferior- mente troviamo il conglomerato permiano detto anche di trasgres- sione:è formato da frammenti di quarzo e di scisti micacei e talcosi riuniti da un cemento rossastro; il suo spessore non supera mai un metro e spesso manca totalmente. Sopra questo si trova un altro conglomerato di circa mezzo metro formato da grossi grani di quarzo cementati con argilla ferruginosa di color rosso bruno. Generalmente questi conglomerati si trovano a coprire la roccia fondamentale e ad essi fanno seguito; uno straterello a grani più minuti e di color meno carico, poi un altro a grossi grani di quarzo di color roseo. Queste formazioni attestano l’emersione della roccia fondamentale durante il Permiano, come avvenne in Russia, in Inghilterra e nei Vosgi. Meunier-Chalmas e De Lapparent le riferiscono al piano Saxoniano per designare il Permiano medio a facies lagunare specialmente esteso in Sassonia. Al disopra del conglomerato abbiamo le arenarie permiane rappresentate da: Depositi arenacei argillosi. Strati alternati di argilla rossa sabbiosa. . Banchi di arenaria rossa e bianca con macchie dendritiche verdognole. Strati alternati di marne dolomitiche. Arenarie bianche e rosse, argille sabbiose e tracce di gesso. Strati alternati di marne dolomitiche che mostrano una su- perfìcie corrosa. Un ultimo strato di un’arenaria bituminosa di color grigio oscuro a minuti elementi, assai interessante perchè contiene le piante fossili e qualche strato di carbone. 11 Giimbel nel 1879 studiando la flora fossile di Prak e S. Giu- liana la riconobbe corrispondente a quella di Neumarkt, Bolzano OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 673 e Fiinfkirschen ma non a quella del Ròth, nè dello Zechstein; costituì quindi un nuovo piano da lui chiamato Alpiner unterei' Voltziensandstein , nel quale a forme decisamente paleozoiche si mescola la flora del trias inferiore. Le piante citate dal Giimbel sono : Calamites sp., Balera di- gitata Brongn.,. Cordaites sp., Juccites sp., Aetapliyllum Foet- terleanum Zig., Volt zi a Massalonghi Schaur sp., Volt zia Vi- centina Mass, sp., Alberila Schaur othiana Mass., Ulmannia Geinitzii Heer, Carpolithes humicos. Tra queste arenarie il Gtirubel scoprì anche alcune squame di pesce. In qualche punto gli strati contengono delle druse le cui pareti sono coperte di cristalli di gesso. In qualche località dove le arenerie sono più compatte, dure e a grana minuta si sca- vano per fame pietre da coti. Spesso nelle spaccature degli strati si trovano filoncelli di carbone rivestiti di malachite e azzurrite : questi minerali sono qui certamente in giacimento secondario e provengono dai de- positi di acque che prima hanno circolato negli strati di Werfen e nella porfirite. La mimosite del Maraschini attraversa spesso anche queste arenarie: è celebre l’esempio della Valle del Prak, descritto dallo stesso Maraschini, in cui la roccia eruttiva si alterna ben 14 volte colle arenarie. Nelle Alpi Carniche troviamo i terreni paralleli a questi del Vicentino, affatto analoghi ad essi e così pure in Val Su- gana, come si può dedurre dalle descrizioni e dai profili del Frech e del Giimbel. b) Calcare a Bellerophon. Nel Vicentino le arenarie di Val Gardena vanno sempre considerate unitamente agli strati del calcare a Bellerophon. La serie dei sedimenti permiani si può descrivere così dal basso all’alto: 1. Conglomerato fondamentale grossolano: 0-2 m. 2. Strati alternati di argilla rossa sabbiosa e di arenaria bianca e rossa: 20-45 m. 674 L. MADDALENA 3. Strati di marne dolomitiche con superficie corrosa, alter- nate con arenarie bianche e rosse e argilla; tracce di gesso: fino a 19 m. 4. Ancora strati di marne dolomitiche a superficie corrosa alternati con arenarie bianche le quali contengono tracce di ve- getali: 6-25 m. 5. Miscuglio alternato di banchi dolomitici, duri, marnosi ; marne dolomitiche tenere ed un conglomerato dolomitico grigio, oscuro, compatto a frattura scagliosa con Bellerophon ed una microfauna: circa 30 m. 6. Banchi calcari compatti grigi in frattura fresca: 8-10 m. I numeri 1, 2, 3, appartengono alle arenarie di Yal Gar- dena; i numeri 5, 6 al Bellerophon- Kalk ; il 4 è come un oriz- zonte di passaggio tra i due. Questa formazione del calcare a Bellerophon si distingue assai facilmente, specialmente la parte superiore, per la sua compat- tezza che la fece rispettare dall’erosione assai più delle arenarie tenere del Groden che la sostengono e quelle del Werfen che la coprono ; per cui questi strati si presentano come massi o corone sporgenti lungo la costa dei monti, e nelle piccole valli, in corrispondenza di essi, si trovano sempre dei salti più o meno notevoli dove assai bene si può studiare la natura e mi- surare la potenza di questo calcare. La natura degli strati descritti mostra che la trasgressione permiana non fu continua, ma presentò delle lacune per le oscil- lazioni del livello marino, nelle quali ì sedimenti emersi poterono venir di nuovo distrutti. Nel complesso però la trasgressione si mostra gradualmente crescente : dai primi depositi litoranei si giunge a questi cal- cari che nella loro parte superiore sono compattissimi, di vero mare profondo. Maraschini chiamò questa roccia prima calcarea griyia considerandola equivalente dello Zechstein e ne descrisse la trasformazione in bellissimi marmi varicolori a contatto dei melafiri. Il trovarsi questi calcari tra la formazione del Groden, equivalente al Ròth germanico, e gli strati di Werfen, che cor- rispondono al Buntersandstein, era forte argomento per supporre il parallelismo con lo Zechstein. Il Mojsivovics fu il primo a du- bitare della presenza del calcare a Bellerophon nei nostri monti : OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 675 in seguito agli studi dello Stache ritenne provata la natura pa- leozoica della fauna a Bellerophon e uniformandosi all’opinione del Giimbel, considerò la formazione del Vicentino come piano di passaggio tra lo Zechstein ed il Roth germanico. 11 Bittner nelle sue minuziose ricerche ritrovò dei frammenti di fossili che potè con certezza determinare come appartenenti a Bellerophon. Anche il Tornquist trovò una microfauna, delle sezioni di Bellerophon e alcune conchiglie a superficie liscia che ritiene Spingerà bipartita Stache. Venne così anche paleon- tologicamente dimostrata la corrispondenza di questi strati al calcare a Bellerophon , quantunque secondo il Tornquist non si possano parallelizzare a quello tipico del Trentino meridionale : cosicché egli stima che si debbano chiamare formazioni dolo- mitiche permiane. In condizioni analoghe al Vicentino si trova il Bellerophon- Kalk in Valsugana come risulta dal profilo del Giimbel da Gar- dolo a M. Saracini; il Vacek lo descrive analogo a Nonsberg: alquanto diverso è quello del Trentino meridionale studiato dal Giimbel e Mojsisovics e ancor più quello trovato in Carnia dal Tarameli i. Generalità sul Trias Vicentino. L’evoluzione dei fenomeni tellurici esogeni ed endogeni in questo lungo periodo, si può riassumere per la nostra regione in un fatto grandioso, sintetico, caratteristico. Esso consiste nel graduale abbassamento del fondo marino dalla formazione delle arenarie variegate a quella di mare profondo della dolomia prin- cipale. Per questo abbassamento vediamo a poco a poco scom- parire le arenarie grossolane, e quindi interporsi prima sottili e scontinui, poi più potenti e più estesi i calcari del trias medio: poi qua e là vediamo apparire le masse coralline a Gyropo- rella, crescere, fondersi insieme e far passaggio ad altre forme coralline attraverso i piani di San Cassiano e Wengen. Mancano in questa regione i sedimenti marnosi fossiliferi del Raibl che coprirono di un uniforme mantello la parte del Veneto ad oriente del Brenta; ma si imposta subito sui tufi di Wengen la massa imponente di dolomia principale che raggiunge uno spessore 46 676 L. MADDALENA di 1000 metri. Il progressivo abbassamento del fondo marino è un fenomeno che deve aver favorito lo sviluppo dei coralli in armonia alle leggi che governano la vita di questi animali. La disposizione topografica, la struttura ed i rapporti stratigra- fici di queste masse studiate dal Mojsisovics e dal Taramelli danno saldissimo appoggio alle ipotesi avanzate primamente dal Richthofen sulla loro origine animale. E l’autore dell’opera Die Dolomit- Riffe dimostra come sia priva di fondamento l’obbiez- zione di non trovarsi nelle masse dolomitiche traccia alcuna di avanzi corallini : poiché nè questa mancanza è assoluta, nè è difficile spiegarla per quei fenomeni di soluzione e di ricom- posizione che hanno alterato più o meno anche le più recenti formazioni calcari. Quanto ai coralli la scomparsa delle loro vestigia è dovuta alla maggiore solubilità dell’aragonite di cui erano composte. Che del resto l’edificio corallino sarebbe come il nucleo, l’impalcatura su cui si depositò il calcare sia per opera di organismi che per precipitazione chimica dell’acqua del mare. Se nelle dolomie triasiche mancano traccie di coralli, in esse ed in quelle inferiori sono abbondantissime le Gyroporelle, che certo contribuirono grandemente a edificare quelle masse impo- nenti. Il movimento di sommersione dovette venire disturbato dal- l’attività endogena, che cominciò subito dopo la formazione dei calcari di Buchenstein. Prima coi tufi detti pietre verdi o ftaniti, poi coi tufi dole- ritici e colle brecciole vulcaniche, in seguito anche con potentis- sime eruzioni di porfiriti augiticlxe le quali dovettero spaven- tosamente alterare la tranquillità di quel mare triasico. La serie del trias comincia con le : Arenarie variegate. Furono dette : Secondo gres rosso o gres screziato dal Mara- schini ; Buntersandstein superiore da Schauroth e Pirona; Rótti dal Lepsius e Ròthdolomit dal Benecke. L’analogia loro colle arenarie permiane portò grandissima con- fusione specialmente per l’esiguità della formazione calcareo-ges- sifera che le divide. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 677 Si possono distinguere nettamente tre zone : 1° Marne e argille rosse micacee; banchi calcari decomposti gialli arenacei con Pseudomonotis Venetiana; banchi calcari blua- stri con bivalvi e superiormente la Peseudomonotis Clarai ; 2° Strato calcare rosso oolitico a gasteropodi ; arenarie rosse; calcare giallo a blocchi; due strati rossi oolitici a ga- steropodi coi generi Chemnitzia , Pleuro tornarla, Turritella, Natica. 3° Strato calcare arenaceo ; marne rosse, gialle e grigie alternate per un grande spessore colla Tellina subundata Schaur. Sopra questa potente pila di strati si trovano dei banchi di una dolomia cavernosa (Zellenlkalkbànke). Questa roccia che il Pirona riferiva al Muschelkalk inferiore, fu dal Tornquist ripor- tata al Werfen, ritornando così all’opinione di Maraschini. Più che una vera dolomia, sono blocchi dolomitici e pezzi di marmo grigio cementati da calcare, come dimostra l’effervescenza che esso dà con H CI diluito. La sua origine si può senza dubbio spiegare; questi banchi sono i resti di una serie di strati con- tenenti gesso, i quali consistevano di marne calcari grigie al- ternate con straterelli dolomitici : le acque trasportarono il gesso e cementarono le parti rimaste col carbonato di calcio. La po- tenza del Buntersandstein che si può misurare dalla distanza verticale del calcare a Belleroplion alla dolomia cavernosa, oscilla tra i 120 e i 150 m. Il Mojsisovics e il Bittner confrontarono queste formazioni con quelle coeve del Tirolo e delle Giudicane e, come risulta anche da numerosi profili del Gtimbel, trovarono una grandissima ana- logia; anche colà agli strati profondi con Pseudomonotis darai succedono i calcari rossi con gasteropodi. Gli strati superiori chiamati dal Richthofen Seisser-scliichten sono talmente si- mili, che i banchi arenacei glauconitici a Mjacites fassaensis del Pufeler Schlucht non si possono distinguere da quelli di Recoaro. Mancano nel Vicentino i banchi a Naticella costata detti Campi ler- Schich ten dal Richthofen: in rapporto reciproco stanno invece le dolomie cavernose: dove mancano quelli (Vi- centino, Valsugana) si ha un grande sviluppo di queste, e vi- ceversa nel Tirolo orientale, nelle Giudicane e nella Carnia. Cosicché possiamo stabilire una corrispondenza tra le due for- 678 L. MADDALENA mazioni e ritenere che una rappresenti l’altra. L’idea di consi- derare questi strati di Werfen come equivalenti a tutto il Bun- tersandstein oltre alpino è oggidì generalmente accettata ed è in pienissimo accordo colla determinazione dell’età del calcare a Bellerophon come corrispondente dello Zeclistein, e del piano di Recoaro come Muschelkalk inferiore. Trias medio - Muschelkalk. Muschelkalk inferiore. — Il calcare conchigliare di Recoaro richiamò subito l’attenzione dei primi studiosi per l’abbondanza dei fossili, per la sua estensione e le analogie con quello del Tirolo, di Yal Trompia e delle Giudicarie. Marzari-Pencati lo chiamò calcare a grifiti, Maraschini: se- conda calcarea grigia. Mojsisovics per primo lo chiamò Muschel- kalk inferiore. Bittner accettò tal nome che ne indica la cor- rispondenza col Muschelkalk inferiore tedesco, pur rimanendo una specialità delle prealpi venete. Maraschini, Schauroth, Pirona, limitavano il Muschelkalk alla zona fossilifera, riferendo al Keuper le arenarie rosse soprastanti: Mojsisovics le comprese tutte arrivando fino al calcare dello Spitz. Il Bittner chiude il trias medio ai piani di Buchenstein e Wengen, e il Tornquist, comprendendo anche questi, estende il Muschelkalk fino alla dolomia principale. Il Bittner lo di- vide in inferiore, medio e superiore: l’inferiore poi lo suddivide, seguendo l’opinione di Benecke, in piano ad Encrinus gracili s , che paragona al Wellenkalk tedesco e piano a brachiopodi in- cludente la flora a Volt sia Recubar iensis. Tornquist invece ne fa tre divisioni: a) strati a Dadocrinus gracilis, b) arenarie e marne variegate; c) calcari nodulosi a brachiopodi e dolomia bruna. a) Gli strati a Dadocrinus incominciano sopra la dolomia cavernosa o sopra al gesso, ove questo non venne ancora asportato dalle acque. Sono circa 40 m. tra marne grigie, cerulee, rossastre, con sottili strati di calcari nodulosi, marnosi, brunastri, dove abbondano bivalvi, gasteropodi e soprattutto elementi di Dado- crinus gracilis. La fauna studiata da vari autori venne defini- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 679 tivamente determinata da Benecke : solo nel ’96 il Crema aggiunse due specie nuove : Aspi dura Italica e Millericrinus Becuba- riensis. b) Le arenarie variegate hanno una potenza di circa 20 m., cominciano coi banchi calcari e dolomitici di aspetto marnoso tufaceo, di color grigio-verdastro, poi sottili strati di marne gialle e rosse, calcari conchigliferi a brachiopodi e da ultimo circa sette metri di marne e tuli colorati dal giallo al rosso sporco, che contengono i resti di una flora abbondante. Questo fa pen- sare ad un temporaneo sollevamento del fondo del mare dovuto forse ad una attività vulcanica di cui fanno fede gli abbon- danti tufi. Mancano però roccie eruttive di quell’epoca, per cui si può pensare che queste eruzioni abbiano avuto luogo nella regione dell’attuale pianura ove i terreni successivi e l’abbondante al- luvione ne hanno cancellato ogni traccia. Le piante fossili che si trovano in bellissimi esemplari, furono determinate in parte da Massalongo e illustrate da Schauroth, De-Zigno e Schenk. c) Calcari a brachiopodi e dolomia bruna: abbiamo infe- riormente per uno spessore di circa 10 m. dei banchi calcari nodulosi, ricchi di brachiopodi, e poi 20 m. di una dolomia grigio-bruna, fragile, con noduli di selce. La fauna del calcare fu descritta accuratamente da Benecke: i fossili che predomi- nano sono: Terebratula vulgaris Schl. ; Rhynconella decur- tata Gior. e Spingerà trigonella Sebi. La dolomia bruna non contiene fossili : essa è strettamente legata col sottostante calcare, dal quale si vede il graduale passaggio per dolomitizzazione. Questa zona fu da Mojsisovies parallelizzata al Wellenkalk tedesco : egli faceva corrispondere la dolomia bruna al calcare a cefalopodi di Dont. Dagli studi di Yaceck sulla Val Sugana e di Bittner per le Giudicane si possono stabilire dei confronti col Muschelkalk di queste regioni: nella parte inferiore abbiamo delle analogie gran- dissime, manca però l’orizzonte a marne e tufi variegati che è caratteristico del Vicentino. Il calcare a brachiopodi corrisponde al Binodosus-niveau delle Giudicane. In complesso il Mu- schelkalk inferiore è molto bene sviluppato al limite della pia- 680 L. MADDALENA nura lombardo- veneta, mentre che nel Trentino, in Val Sugana e presso Pontebba si trova al suo posto un conglomerato. Grandi analogie faunistiche permettono di parallelizzare la facies di Recoaro del Muschelkalk alpino con quello di Germania. Muschelkalk medio. — È questo il livello detto da Mara- schini del terzo gres rosso: Pirona e Benecke lo riferivano al Keuper, Gtimbel al Buchenstein e Bittner lo parallelizzò all’oriz- zonte con Ceratites trinodosus del Muschelkalk medio. Questo piano venne osservato e studiato da gran tempo pel Recoarese: solo il Tornquist riconobbe la sua importanza nel Bacino del Tretto dove è caratterizzato dalla Sfuria Sansovini. Possiamo distinguervi tre serie di roccie: 1. ° Arenarie rosso-argillose in piccoli straterelli alternate con strati micacei marnosi grigiastri: 10 m. 2. ° Strati considerevoli di dolomia grigio-rossastra e pietra verde: 20 m. 3. ° Calcare nerastro compatto ora noduloso ora marnoso, calcari a Dactilopora triassica, Schauroth: 10 m. Gli strati inferiori a Sfuria sono ritenuti senza altri fossili, solo il Benecke ha potuto riscontrare un frammento di Ger- villia ; lo strato superiore è poco sviluppato nel Recoarese, mentre al Tretto è potente e ricchissimo di fossili, che furono studiati dal Tornquist e si trovano elencati nella monografia sul Trias di Recoaro. Al Tretto poi si trova un conglomerato, nel quale si osservano i detriti di strati evidentemente più antichi. Questo invece non venne riscontrato nel Recoarese. Il Giimbel aveva confusi questi strati con quelli a Nodosus , che stanno sopra il calcare dello Spitz, e si trova infatti una grande analogia tra i calcari a Nocìosus e quelli a Trinodosus : la fauna dello Sturia-kalk del Tretto permette di avvicinarlo non poco a quello di Germania. Il Tornquist pone in rilievo il legame tra questi strati e le masse eruttive dei Monti Guizze e Faéo. Questi sono costituiti da masse di porfirite; ai loro fianchi troviamo il calcare a Bellerophon gli strati di Seisser ed il Muscelkalk raddrizzati e metamorfosati per contatto. Si deduce da queste condizioni stratigrafiche che la serie sedimentare fu sollevata e inarcata nel momento di sviluppo dell’attività en- dogena, quando l’ammasso di porfirite si formò come una grande OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 681 laccolite. Solo con questa ipotesi si può spiegare la presenza negli strati del Muscelka.lk medio di frammenti che apparten- gono a strati più antichi del trias i quali formavano cappello alla laccolite, e ne furono trasportati dalle azioni meccaniche e vennero a formare il conglomerato che si trova abbondante al Tretto. Così abbiamo un criterio per giudicare l’epoca in cui si formò rammasso porfirico delle Guizze. Esso è certamente più antico del calcare dello Spitz e de- termina l’epoca dell’attività vulcanica del Vicentino, che fu il periodo di Wengen. Muschelkalk superiore. — Comprende nel Vicentino due oriz- zonti: il calcare bianco del M. Spitz e i calcari a Nodosus con pietre verdi. 11 calcare del M. Spitz ha una grande importanza nel Vicentino. I grandi ripiani, che quasi dovunque circondano la base della dolomia principale, sono dovuti a questa forma- zione, che ne costituisce l’orlo a guisa di bastione. Guardando la carta geologica del bacino di Recoaro e del Tretto si osserva subito la notevole distanza orizzontale tra l’affioramento di questo' calcare e la dolomia principale. Maraschini, Murchison e Schauroth credettero che questa formazione appartenesse al trias: Pirona riconobbe la sua na- tura triasica e non già per avervi trovato dei fossili, ma per analogia petrografica del calcare nel M. Spitz con quello d’Esino. Il Mojsisovics lo parallelizzò a quello della Mendola, il Gùmbel alla dolomia dello Schiera, Bittner accordandosi al Mojsosivics ritenne gli strati a Nodosus da riferirsi al Buchenstein, Torn- quist con criteri paleontologici ne trovò la corrispondenza cogli strati a Tracliyceras Beitzi delle Giudicarle e lo riferi al Bu- chenstein. È un calcare dolomitico bianco, stratificato nella parte in- feriore e massiccio nella parte alta, sempre con numerose fen- diture. È spesso traversato da filoni di roccie eruttive che lo resero metallifero; le eruzioni porfiriche devono essere state ac- compagnate da fenomeni secondari, come acque termali, che depositarono nelle fenditure i sali tenuti in soluzione: così si spiega la presenza di filoncelli di galena, blenda, pirite, ferro oligisto, barite, manganese grigio-aciculare compatto accompa- gnato da quarzo. La potenza di questo calcare, così variabile 682 L. MADDALENA anche a poca distanza, si spiega ammettendo per esso una ori- gine organica. Non v’ ha dubbio che il fenomeno è in stretto legame colle abbondanti eruzioni sottomarine di questo periodo: per esse si formarono delle correnti calde e si verificarono così le condizioni necessarie alla vita di una flora e fauna speciale: dato questo, altre condizioni si verificarono per opera dell’atti- vità vulcanica, cioè sollevamenti ed abbassamenti del fondo ma- rino. Dove si ebbero questi ultimi, le colonie di coralli pote- rono sviluppare la loro attività verso l’alto ove continuarono a verificarsi le condizioni necessarie alla loro esistenza. Il Torn- quist ammetterebbe piuttosto una origine secondaria: i resti degli organismi e delle scogliere distrutte dalle onde avrebbero riem- pito e livellato gli abbassamenti verificatisi nel fondo marino, co- sicché le masse calcari avrebbero avuto un accrescimento verso il basso. L’una e l’altra causa concorsero certamente alla costruzione di questi potenti ammassi: poiché la presenza di conglomerati (blbckformige Riffkalke) indica che le masse coralline, flagel- late dalle onde, vennero contornate da sedimenti aggregati con grossi blocchi: e gli straterelli di marne più o meno compatte e bituminose che si alternano col calcare, rappresentano la fan- ghiglia di quelle umide foreste, che coronarono le ristrette isole coralline, destinate a presto scomparire sotto le onde, coperte da materiali dispersi dalle correnti o formati da organismi fis- satori del calcare. Le traccie degli esseri che costi-ussero queste roccie sono rare e ho già accennato come se ne spieghi la scom- parsa; non mancano però totalmente, e le diplopore si possono facilmente rinvenire alla superficie della roccia fratturata ed esposta per parecchi anni alle azioni atmosferiche. La fauna fu completata dagli ultimi studi del Toruquist: egli la riconosce affatto simile a quella del calcare inferiore della Marmolada basandosi però sui profili del Kittl, non a quelli di Salomon: e gli strati a Nodosus corrisponderebbero alla parte superiore degli strati a Trachxjceras JReitzi. Nella Val Sugana il Vaceck descrive come equivalente del calcare dello Spitz una dolomia bianca zeppa di Diplopora emulata. Grli strati a nodosus chiudono la serie del trias Vicentino. Questi si possono veder bene in poche località: generalmente sulla terrazza tra l’orlo formato dal calcare dello Spitz e la OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 683 dolomia principale. Beyrich e Mojsisovics furono i primi ad osservare questo orizzonte e lo paralleli zzarono subito agli strati di Buchenstein dopo la scoperta del Protrachyceras Iìecubariense ai Fantoni di Fongara a sud del M. Spitz. Il Bittner raccolse molti fossili al Tretto ove questo piano è più caratteristico. Là troviamo alternati i calcari grigi e rossi nodulosi selciferi cogli strati verdi rossastri della pietra verde che sono tufi e marne a Baonella Taramelli. Lungo il sentiero che da S. Ulderico conduce alla contrada Soglio, Tornquist trovò moltissimi fossili, specialmente ammoniti, tra cui numerose specie nuove. La fauna degli strati a Nodosus è ben diversa da quella del calcare dello Spitz, quantunque le due formazioni abbiano tra loro uno stretto legame litologico. Riguardo all’età, questi strati si possono con certezza riferire agli strati di Buchenstein quali si presentano nelle Giudicane e cioè al cosiddetto Tridentinus-lìaTk (Boek). Mancano nel Vicentino i tipici strati di Wengen, di S. Cas- siano e di Raibl. Riporto qui uno specchietto che parallelizza il trias Vicen- tino con quello germanico: Dolomia principale. Steinmergelkeuper. . . . . Lacuna di sedimenti nel Vicentino Livello delle eruzioni di Wengen. strati a nodosus Nodosus-platten. Zona a Ceratitcs nodosus . { calcare del M. Spitz . . . Trochitenkalk. strati a trinodosus .... Zona a Ceratites trinodosus Mittlerer Muschelkalk. calcare a Sturia ..... calcare a brachiopodi . . . Schaumkalke des unte- ren Muschelkalk. orizzonte a Dadocrinus gracilis. Unterei- Wellenkalk = = Muschelsandstein von Elsass-Lothringen. Strati di Werfen Buntersandstein. 684 L. MADDALENA Roccie ERUTTIVE TRIAS1CHE. Abbondantissime sono nel Vicentino le roccie eruttive ana- loghe a quelle dell’alto Trentino, delle Giudicane, del Bresciano e del Bergamasco (1). Riguardo all’età si può dire che queste eru- zioni ebbero luogo tutte nel periodo di VVengen ; però si hanno indizi che lasciano pensare essere incominciata l’attività vul- canica già prima, durante le formazioni degli strati a Nodosus. Queste roccie vulcaniche si presentano o come masse effusive, colate superficiali, espandimenti, oppure come masse intrusive, quali filoni, o filoni-strati o laccoliti. Fino dal secolo XVIII queste roccie attrassero l’attenzione degli studiosi e ne furono fatte varie collezioni. Sono ben noti gli studi e le discussioni dell’Arduino, Mar- zari-Pencati, Catullo e Pasini i quali già ne conoscevano le analogie colle roccie del Trentino. Con maggiore competenza il Maraschini descrisse la mimosite, la dolerite porfiroidea e il porfido pirossenico : Schauroth non distinse che trachiti e ba- salti. Gli studi più autorevoli sono quelli di Lasaulx (1873), Lepsius (1878), Gtimbel (1879) e Foullon (1880). Poco attendibili riguardo alla cronologia sono i riferimenti del Lasaulx, mentre sono assai interessanti dal lato chimico e mineralogico, e lo sarebbero ancor più se i campioni da lui esa- minati fossero stati meno alterati. Il Lepsius classifica le roccie del Vicentino come microdiabasi e nonesiti descrivendovi i por- fidi augitici, i melafiri e i microdiabasi simili a basalti: am- mette due epoche eruttive : una corrispondente al Ròth ed una al Raibl. Giimbel chiama melafiri e diabasi tutte le roccie erut- tive oscure che, in forma di filoni, attraversano la serie sedi- mentare fino ai tufi stratificati sopra il Muschelkalk : e dice augitofiri le roccie introdottesi tra gli strati della pietra verde. Foullon distingue tre tipi di roccie: 1° porfiriti diabasiche e melafiri simili a basalto; 2° porfiriti spesso colorate in rosso con mica magnesiaca; 3° porfiriti rosso-brune. Le eruzioni vul- caniche avvenute tra la formazione del calcare dello Spitz e (*) (*) Così afferma Tornquist., op. cit. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 685 della dolomia, furono la causa principale dell’imponente terrazzo che forma quel gradino cosi caratteristico nei monti del Vi- centino. Si può facilmente verificare come le porfiriti rosso- brune si trovino sotto ai melafiri e siano da questi attraver- sate. I melafiri sono frequentissimi, specie in forma di filoni, notevoli j>er la ricchezza in olivina e augite. Le masse effusive a guisa di tetto o di coperture si osservano sopra gli ultimi strati del Muschelkalk, coperti dalla dolomia prin- cipale. Le masse intrusive solidificate attraverso gli strati in forma di blocchi, filoni, o laccoliti, sono numerosissime e si possono vedere specialmente nelle valli dove le acque hanno denudato e profondamente solcato i terreni inferiori. Importanti sono le laccoliti di Val Fangosa, e M. Guizze ritenuti altrettanti centri eruttivi. Ho già accennato come le masse eruttive dei monti Guizze e Faeo hanno raddrizzati e metamorfosati i calcari a Bellero- jphon e gli strati di Seisser che le circondano e permettono così di riferire all’orizzonte a Trinodosus l’epoca della loro for- mazione. Il trovare poi frammenti di calcare a Bclleroplion e di Werfen in mezzo agli strati a Trinodosus indica che contem- poraneamente alla uscita del magma era incominciato il solle- vamento degli strati. Così si vede quanto le eruzioni vulcaniche abbiano modificato la configurazione dei mari triasici e come sia conseguenza di ciò la variabilità della potenza e della estensione del calcare dello Spitz. Fra le roccie eruttive abbondano i minerali come galena, blenda, ossido di manganese in forma tìbroso-raggiata, vari minerali di ferro, calcopirite, malachite e azzurrite. Quasi tutte le grandi masse porfiriche sono attraversate in vari sensi da filoncelli metalliferi generalmente di pirite o blenda e galena, l’origine loro è dovuta a riempimento per sublimazione delle fessure che vennero formandosi nella massa durante il suo raf- freddamento. Molti s’illusero sovente di poter sfruttare questi giacimenti, ma ben di rado la realtà corrispose alle speranze e solo quando il minerale si trovò a contatto di qualche massa calcare e non nel mezzo della massa porfirica. 686 L. MADDALENA Nelle porfiriti di Fongara e Tretti si trovano sovente arnioni di quarzo latteo, agate, calcedonie, diaspri. In Val dei Zuccanti vi sono zeoliti raggianti o lamellari, rosse o aranciate o bianche; analcimi bianchi o rossi, druse di quarzo jalino e ametistino, anidrite e clorite. Talora le porfiriti non tanto per azione delle acque circo- lanti nella loro massa (come per gran tempo si è creduto), quanto piuttosto per le condizioni speciali nelle quali avvenne il loro raffreddamento, si metamorfizzarono in caolino che viene ado- perato per stoviglie e porcellane. Da tempo antichissimo sono attive le cave del Tretto e fino dal secolo XVI questo caolino, noto col nome di Terra di Vicenza, si adoperava per purgare le stoffe dalle sostanze grasse e per inverniciare la majolica. DOLOMIA PRINCIPALE. Le alte cime che, a guisa di gigantesca muraglia, circon- dano il Vicentino, sono formate di una dolomia bianca cristallina che Stoppani chiamò dolomia media ponendola tra la dolomia di Esino e quella infraliasica. Il Benecke nel 1868 la chiamò dolomia principale (Haupt- cloìomit ) : gli autori più antichi la chiamarono calcare alpino e calcare giurese. Per lungo tempo restò sconosciuto l’esatto ri- ferimento di questa formazione ritenendosi che i pochi strati di arenarie e marne sottostanti al calcare dello Spitz rappresen- tassero l’ultima serie dei terreni triasici. Gli studi di Stoppani, di Hauer, Stadie, Beyrich, Mojsisovics, Taramelli e molti altri, stabilirono i veri limiti del trias superiore nelle Alpi Orientali e Meridionali. Questa dolomia è un calcare magnesifero, bianco, bianco- grigio e giallastro, saccaroide, ora duro e compatto, ora friabile e cavernoso. La sua potenza nel Vicentino è di circa mille metri: ma non si presenta tutta uniforme: comincia con un conglomerato ad elementi angolosi, friabili, senza fossili, visibile solo in pochi OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 687 punti per essere la parte bassa sempre ricoperta dagli abbon- danti detriti di falda. Questo indicherebbe un primo periodo di sommersione della terra ferma dopo la lacuna dei piani di Buclienstein e Wengen. Segue una dolomia oscura che passa subito a quella bianca, massiccia, coi fossili caratteristici: Wortemia (Turbo) solitaria, Megalodon triquetra , Gervillia exilis. Mojsisovics e Beyrich ac- cennano alla presenza di gesso nei piani inferiori della dolomia, ma Tornquist dice di non esser riuscito a riscontrarlo. Mojsi- sovics trova una somiglianza tra i conglomerati dolomitici e i banchi raibliani del Trentino meridionale e si può benissimo am- metterne il parallelismo. Tornquist ritiene tutta dolomia principale la potente forma- zione successiva alla lacuna di Buchenstein e Wengen : una conferma di ciò è il trovare negli strati più alti i medesimi fossili che si riscontrano nel primo decimo della sedimentazione. I mutamenti di colore e la trasformazione della dolomia bianca massiccia in giallo-bruna sgretolantesi come si vede lungo il versante est del Pasubio, sono dovuti a cause poste- riori. L’aspetto frastagliato delle alte cime dolomitiche indica come la compattezza della roccia sia notevolmente variabile. La vegetazione è pressoché nulla: solo una buona erba da pascolo cresce nei pianori ove si è fermato il terriccio nero ca- ratteristico della dolomia. Il fulmine e il gelo sono i grandi distrut- tori di questa roccia cbe si squarcia e si accumula in grandiose masse detritiche d’aspetto regolare e uniforme. PERIODO GIURESE. Regnò per lungo tempo tra i geologi gran confusione circa al riferimento ed allo studio di questo periodo nel Vicentino. Il Taramelli nel 1880-1881 coi due splendidi lavori sulle pro- vincie Venete, sbrogliò la matassa fissando definitivamente la serie dei terreni giuresi e cretacei nel Vicentino. Ma le loca- lità più interessanti per essi escono dai confini dell’area da me considerata trovandosi nel massiccio dei Sette Comuni. Già il 688 L. MADDALENA Bittner aveva osservato la presenza di un piccolo lembo di cal- care grigio stratificato a Terebratula Botzoana sopra la massa dolomitica del M. Priaforà. Questo mantello esiste e si estende su tutto il gruppo dei monti Rione e Novegno nonché del Pa- subio, Monte Majo, Maggio e Baste Alte, ed appartiene al Lias inferiore. Il Taramelli, nella geologia delle Provincie Venete parlando della dolomia principale dice : « superiormente abbiamo delle do- lomie regolarmente stratificate, ma queste entrano nel sistema giurese, spettando sicuramente all’infralias (Retico) ed a luoghi anche al Lias inferiore ». Ma non è possibile stabilire i limiti di queste formazioni, perchè la dolomia retica non presenta punti di appoggio paleontologici, da cui ricavare un criterio per renderla ben distinta dalle altre dolomie. Questa dolomia si presenta saccaroide, compatta, grigiastra, a banchi irregolari; è talora provvista di nuclei o modelli di gasteropodi. I principali affioramenti dei terreni giuresi e cretacei sono lungo la zona di piegamento. Al M. Torrigi abbiamo una serie interessante. Sopra la dolomia principale si vedono calcari bianco-ros- sicci stratificati con fossili caratteristici del calcare grigio del Veneto. Megalodon, Durga, Terebratula Botzoana; hanno una potenza di 50 m. ed appartengono al Lias inferiore. Seguono per una potenza di circa 10 m. altri calcari bianchi, cui fa seguito il caratteristico Bosso Ammonitico Veneto: i primi dovrebbero corrispondere all’orizzonte a Bosidonomia al- pina del Calloviano, il secondo agli strati ad Acanthicus. Sopra si vede, una serie di calcari gialli cristallini affatto simili a quelli del Veronese e del Bresciano. Cosicché si possono considerare come corrispondenti al Titonico (Diphiakalìc): segue il caratteristico Biancone. Questo profilo mostra notevoli lacune nella serie giurese : in tutto il Vicentino alcuni orizzonti del Giura sono molto ridotti o mancano completamente : quali ad esempio il Lias medio e superiore e i calcari di Oxford. Una serie analoga a quella del M. Torrigi fu descritta dal Bittner nei monti occidentali del Veronese. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 689 Molto più completo si trova il Giura nei dintorni di Rovereto e lungo le rive del Garda. Al Tretto affiorano i calcari oscuri del Lias e l’ammonitico rosso in stretto contatto col Biancone così da essere talora pe- netrato in questo : talché si resta dubbiosi se questo rosso am- monitico corrisponda veramente all’orizzonte ad Acanthicus e sia stato cacciato nel Biancone dalle compressioni e piegamenti, oppure se vi si trovi per essere semplicemente una facies di- versa del Biancone : la mancanza assoluta di fossili lascia questa incertezza. Poco lontano si vede la scaglia la quale si trova spesso tra i grossi strati del Biancone. Ai piedi del Summano manca il Giura, ma a Roccbette si trovano strati di Lias quasi ricoperti dalla dolomia princi- pale. Gli strati cretacei si trovano soltanto nella zona di piega- mento e si riscontrano assai compressi e tormentati. Piccoli affio- ramenti si hanno ai piedi dello Scandolara e del Torrigi e solo alla base del Summano, presso S. Orso prendono una maggiore estensione. Importanza grandissima ha tale periodo per la parte meridionale e occidentale del Vicentino, che esce dai confini di questo studio (Sette Comuni, colli Euganei e Berici) e fu assai studiato specialmente da geologi italiani. FORMAZIONI TERZIARIE. Studiatissimi furono gli strati terziari del Vicentino : Il Ma- raschini, che al principio del secolo scorso gettava la prima trac- cia della geologia Vicentina, affermò già parecchi fatti impor- tanti, cioè il riferimento esclusivo delle nummuliti al terziario e l’ interstratificazione a più livelli dei basalti e tufi coi calcari. Poi Brongniart, Murchison, De-Zigno, Pirona e d’Achiardi con- tribuirono grandemente a questo studio. Hébert nel 1865 dimo- strò l’analogia paleontologica tra il terziario vicentino e il classico bacino di Parigi ; analogia intravveduta dal Brongniart e già affermata da De-Zigno. Seguirono numerosissimi altri 690 L. MADDALENA autori di cui chiude la serie TOppenheim con numerose e recen- tissime pubblicazioni. Questi depositi terziari sono poco sviluppati entro i limiti della nostra regione, mentre predominano, come il cretaceo, nei colli Euganei e Berici. Nelle adiacenze di Schio questi terreni si trovano in condizioni stratigrafiche molto alterate e non pos- siamo in essi distinguere tutti i piani ammessi dal Suess e dal Bayan per la parte più meridionale del Vicentino. Non man- cano rappresentanti dei vari orizzonti. Tufi e basalti del piano di Spilecco : all’orlo meridionale dei Tretti fino dietro al santuario di S. Orso. Calcari nummulitici nulliporici: sotto Castellaro e in alto delle collinette del Masi. Calcare ad alveoline : in basso del torrente Gogna. Calcare compatto, cenere, con piccoli polipai : Castellaro. Tufi e basalti sincroni a quelli del M. Faldo: Masi e col- linetta a Sud di S. Orso. Calcari azzurrognoli a grossissime nullipore e calcari zeppi di Orbitoicìes del piano di Priabona: parte orientale del Masi, collinetta a sud di S. Orso e anche sopra S. Orso. Tufi e basalti del piano di Castelgomberto : piano compreso fra il Monte dei Frati di Schio e Torlo meridionale dei Tretti. Strati di Schio a Pecten e Scutella: M. dei Frati. Un buon profilo di queste formazioni, benché in serie capo- volta, si ha andando dalla pianura di Schio alla costa delle Piane attraverso al Masi : così pure lungo Torlo meridionale del Tretti e presso S. Orso. In causa di dislocazioni e ripiegamenti secondari la natura del suolo cambia a brevi tratti e a seconda del punto da cui si prende a salire dalla pianura si incontra per primo il piano di Priabona, o i basalti di Faldo o il cal- care nummulitico o i tufi di Spilecco, in qualche luogo addi, rittura la scaglia. Classica ed interessante è l’anticlinale di S. Orso, dove gli strati terziari sono ricoperti dalla dolomia principale. Descritta per la prima volta da Pasini, fu studiata da Schauroth, Suess, Negri, il quale dimostrò essere la collinetta vicina alla stazione di S. Orso formata di calcare ad Orbitoides (strati di Priabona) e non di strati di Schio come aveva affermato OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 691 Bittner; e finalmente venne studiata da Oppenheim. Il profilo che dà Tornquist sembra non rispondere troppo alle leggi della mec- canica: lo scorrimento avvenne certo lungo una superficie di scaglia che si presta molto a tali fenomeni, e il basalto si tro- verà probabilmente interstratificato nel terziario e non già a contatto tra il terziario e la creta. All’oligocene superiore si riferiscono i classici strati di Schio, così chiamati dal Suess, i quali si trovano adagiati sopra i basalti delle colline che da Poleo-Falgare formano una catena di dossi fino a Schio. Gli strati inferiori sono di calcare a Lithothamnium con Orbitoides elephantinus : seguono marne e banchi calcari zeppi di Pecten cf. deletus Mieli., Scutella subrotundataeformis Schaur. e Cly- peaster Michelini Laub. Qui dunque non si distinguono che due piani, mentre a Marostica il Suess ne ha descritti cinque. Quanto all’età il Dames nel 1891 li riferiva al Miocene e come tali li ritennero i geologi radunati a congresso in Schio nel 1892; l’Oppenheim, studiandone le analogie cogli strati terziari di Bel- luno e del M. Brione presso Riva, li ritenne spettanti all’oligo- cene superiore. Il Tornquist li considera miocenici e osserva come essi non si trovino disturbati da alcun piegamento: si sarebbero quindi formati dopo gli sconvolgimenti del terziario antico nella concavità di una grande sinclinale. QUATERNARIO. Nel Vicentino non troviamo terreni che rappresentano il ter- ziario recente: in questi periodi è incominciata la demolizione degli altri terreni per opera soprattutto delle azioni meteoriche. Nel quaternario le azioni demolitrici continuarono energicamente prima per opera dei ghiacciai nel Diluvium, poi per opera delle acque di precipitazione e di scorrimento nell’Alluvium. Il bacino di Recoaro mantiene ancora specialmente nella parte alta, l’aspetto caratteristico di una valle abbandonata da un ghiacciaio : sui fianchi poi si trovano sovente avanzi di mo- rene glaciali. Con grande competenza furono studiati dal Negri i depositi glaciali della Val d’Astico: la morena frontale di Cogollo e Meda ove furono rinvenuti frammenti di roccia che 47 692 L. MADDALENA certamente provengono dalla catena centrale del Trentino; e le morene laterali dell’Astico specie vicino ad Arsiero. Molto deb- bono aver contribuito i ghiacciai alla formazione del caratte- ristico gradino tra la dolomia principale e il calcare del M. Spitz ove si trovano traccie di morene : ed a causa dell’erosione gla- ciale avvennero le numerose frane dolomitiche che ancor si rin- vengono in quella località. Non troviamo le classiche roches moutonnée, perchè scomparvero in seguito alle successive degra- dazioni, così facili per la dolomia, oppure furono ricoperte dai detriti di faglia; talora però, quando al livello della terrazza affiorano le roccie eruttive di Wengen, queste presentano la li- sciatura caratteristica. I ghiacciai che invasero il Vicentino non erano che espandimenti di quello dell’Adige, il quale compren- deva le valli del Sarca, dell’Astico e del Brenta, ricoprendo di un potente mantello tutta la catena dall’Adige al Brenta. Le morene di Tonezza e i massi erratici di Sette Comuni sono prove della potenza di quella massa di ghiaccio, dalla quale sporge- vano come isolotti rocciosi le più alte cime dei nostri monti- Nell’epoca che seguì, le acque provenienti dal rapido sciogli, mento dei ghiacciai e le dirotte piogge agirono potentemente colla loro azione erosiva: allora fu un continuo depositarsi e rimaneggiare di alluvioni, di cui rimangono sicurissime e nu- merose traccie in tutti i bacini studiati. In ogni piccola valle si può dire si vedono avanzi di alluvioni diluviali terrazzate per l’altezza di 20 a 25 m. Classica per questi terrazzi è la parte bassa della valle dell’Astico dopo la sua confluenza col Posina. D’altra parte il ritiro dei ghiacciai determinò un gran numero di frane più o meno grandiose come al colletto di Velo, alle Marogne in Val d’Astico e ai Laghi nella valle omonima, per il mancato equilibrio alle condizioni statiche che le montagne avevano assunto nel periodo glaciale. Ancor oggi alcune di queste frane non sono ben ferme e si muovono in cerca di un equilibrio non ancora raggiunto. Descritta così in modo sommario la serie dei terreni affio- ranti nella regione presa a studiare, riferirò i risultati della campagna fatta in Val Posina e dintorni, allo scopo di conti- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 693 nuare il lavoro del Tornquist sul Trias vicentino. Questo geo- logo aveva già intrapreso lo studio della Val Posina, ma aven- dolo pregato il prof. Taramelli di sospendere tale lavoro, egli aderì gentilmente, comunicando anche le prime impressioni avute in alcune gite fatte sul luogo. Io ebbi l’incarico dal prof. Ta- ramelli di continuare questo studio e lo accettai con entusiasmo malgrado tutte le incertezze e difficoltà che presenta un primo lavoro sul terreno. Gli ammaestramenti e i consigli che il pro- fessore colla sua incomparabile bontà seppe darmi e soprattutto la grande pazienza con cui in un sopraluogo in Yal Posina volle chiarirmi alcuni punti oscuri e per me indecifrabili, fecero sì che gli ostacoli furono superati ed io spero di presentare uno studio, se non completo, certo accurato e rigoroso. Raggrupperò in itinerari le varie gite fatte e rifatte onde rendere meno arida l’esposizione riservandomi poi di esporre e discutere in una conclusione la serie dei terreni come venne riscontrata. Itinerario I. Arsiero - Castana - Posina - Borcola. Percorrendo colla ferrovia la valle dell’Astico da Rocchette ad Arsiero si osserva la grande potenza dei depositi alluvionali che raggiungono e superano il centinaio di metri sopra l’attuale livello dell’acqua. Il fiume che presso Rocchette scorre incas- sato tra due ripide e altissime pareti di roccia in posto come un vero canon del Messico, si allarga poi in un ampio bacino che occupa tutto coi suoi serpeggiamenti. La grande altezza a cui giungono le alluvioni lascia pensare che un tempo il fiume abbia avuto il suo letto a livello di quel ripiano, nel quale ora si trova scavata la profondissima gola e che solo recentemente nel periodo postglaciale questa gola sia stata scolpita dal la- vorìo delle acque. È questo un fenomeno comune a moltissimi fiumi delle alpi (classico è l’esempio della V. Brembana e del Brenta) i quali prima di sboccare nella pianura attraversano un ammasso di roccie compatte mesozoiche e si allargano appena raggiungono i terreni terziari e più facilmente erodibili. 694 L. MADDALENA Lungo la destra dell’Astico abbiamo la grande piega a gi- nocchio che limita tutte le montagne del Veneto verso la pianura, quella che il prof. Tarameìli chiamò sinclinale pedemontana, la quale abbassò cosi le roccie mesozoiche e terziarie. Attraversata la gola di Rocchette, l’Astico erose facilmente i terreni della Scaglia e dell’Eocene, che corrono lungo le pendici dell’altipiano dei sette Comuni e del Monte Summano, e andò peregrinando per la pianura finche giunse a scavare l’altra gola di Camisino attra- versando i terreni terziari ed i basalti. Ritornando nella valle dell’Astico troviamo le colline more- niche di Gogollo e Meda, formanti un vero anfiteatro e i depo- siti fluvio-glaciali di Velo d’Astico ed Arsi ero. Il compianto dott. Negri fece uno studio accuratissimo di questo argomento e pubblicò una memoria (‘) nella quale, richiamate le precedenti osservazioni di Omboni, Sacco, Rossi, Tarameìli sul quaternario del Vicentino, aggiunge numerosi fatti a conferma della duplice espansione di un ramo del ghiacciaio dell’Adige in Val d’Astico e Val d’Assa per le selle di Lavarone e di Vezena. Descrive poi minutamente l’anfiteatro morenico tra Gogollo e Meda e la Morena di S. Rocco di Arsiero. È questa una chie- setta che sorge a N. 0. di Arsiero a poca distanza dal paese sopra una piccola ma caratteristica morena. In essa il materiale è disposto come un breve argine orientato da N. a S. e consta per lo più di calcari triasici e giuresi; sono rari il porfido quar- zifero ed il calcare titonico, manca totalmente la fillade; il prof. Tarameìli vi ha trovato dei ciottoli striati. La massima altezza raggiunta da questo avanzo glaciale è di 400 m., mentre se ne trovano altri sull’altipiano di Tonezza a 1000 m. Il Negri ritenne riferibili allo stesso periodo glaciale le morene di Tonezza, Valpegara e S. Rocco, e però è degno di attenzione il fatto che tra esse vi sono notevoli differenze di livello e di composizione. Lungo la destra dell’Astico continua la morena laterale ma spesso è confusa colle alluvioni terrazzate che si trovano nel tratto tra Velo Arsiero e Seghe. Le collinette che si vedono tra Meda e Velo che a primo aspetto si potrebbero ritenere avanzo di morena (*) (*) Anft. mor. dell' Ast. e l’epoca glac. nei Sette Comuni. Atti del R. Ist. Ven. di Scienze, lettere ed arti, tom. VI, 1887. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 69B frontale, sono invece formate da dolomia in posto. Intorno a Velo si estende un affioramento di porfirite bruna accompagnata da tufi (il Lepsius la chiamò microdiabase basaltiforme): è la stessa roccia che si trova nel bacino dei Tretti, la quale passando sotto al Colle piccolo e al Colle Grande torna ad apparire tra Cà Laura e Sandolone e continua, più o meno mascherata dal detrito dolo- mitico, fino a Velo, ove forma un poggio sul quale si vedono gli avanzi di un antico castello e va a finire lungo la sponda destra del Posina in faccia ad Arsiero. In questo punto il Posina ha scavato assai profondamente il suo letto per la facile credi- bilità dei terreni tufacei e marnosi; tale fatto, unitamente alla forte inclinazione degli strati, ha determinato lo scorrimento sopra la formazione tufacea del Trias di una gran massa dolo- mitica del M. Priaforà, la quale precipitò a Valle squarciando la morena laterale di Lago. Questa frana ha preso recentemente a rifranare minacciando la cartiera di Perale che è costruita proprio sulle sponde del torrente (!). Tale scoscendimento come quello delle Marogne in Val d’Astico e di Laghi, si deve ritenere contemporaneo a quelli di Arco e Mori nel Trentino, di Vedana e Fadalto nel Bellunese e di tanti altri avvenuti in epoca postglaciale, appena ritirati o mentre si ritiravano i ghiac- ciai, in seguito alla mancanza dell’appoggio che i ghiacciai stessi fornivano e di quei brividi sismici che accompagnarono l’ultima glaciazione. E difficile nelle vicinanze di Perale poter distinguere bene i lembi di alluvione preglaciale e infraglaciale dalle frane e alluvioni postglaciali che, quantunque non antiche, sono pur esse cementate, almeno nei banchi superiori. La strada così detta degli Stancari che da Arsiero conduce a Rio Freddo e Val Posina è tagliata in una parete dolomitica verticale. L’aspetto selvaggio di questa stretta ricorda il prin- cipio della strada del Sempione, salendo da Iselle: da un lato il torrente scorre profondissimo tra massi enormi franati giù dalle coste vicine e che la sua forza non è ancor riuscita a (») Ho tolto alcune notizie su questa frana da un lavoro inedito gentilmente favoritomi dal prof. Taramelli, il quale studiò la regione quando fu chiamato dal comm. Francesco Rossi per vedere di scongiu- rare il pericolo che sovrastava la cartiera. 696 L. MADDALENA trascinare in basso; dall’altro la roccia sale a picco per una cinquantina di metri, talora anche a strapiombo, tutta fratturata, mostrando un’incerta stratificazione inclinata a N. E. o N. 0. Poco più avanti si osserva nella Dolomia alla sinistra del tor- rente, proprio sulla strada un magnifico liscione di scorrimento inclinato a N. 20 0. Pure qui si vede un filone di roccia al- teratissima dello spessore di circa 70 cm. diretto a N. 25 0., inclinato 85 S. 0. (1). A questo punto la valle si allarga e si riveste di vegetazione, pittoreschi gruppi di case e campi col- tivati rallegrano il paesaggio. La collina morenica di S. Rocco è da questa parte tutta rivestita di alluvione postglaciale di cui si rinvengono banchi notevoli anche sopra la morena stessa; questo fatto è una prova di uno spostamento del torrente da N. a S. ; esso doveva un tempo passare presso la chiesa di S. Rocco e solo recentemente aver inciso la stretta degli Stancari. Mancano nell’alluvione le roccie estranee al bacino onde è probabile che un ghiacciaio proprio della valle abbia impedita l’insinuazione del ghiacciaio dell’Astico. Appena incomincia l’allagamento della valle si ha la con- fluenza del Posina col Rio Freddo; quello esce dalla gola della Strenta, questo scorre per l’ampia valle veramente sproporzio- nata alla sua portata; ed infatti salendo a Peralto troviamo nei conglomerati alluvionali tracce sicure di un antico passaggio del torrente Posina, il quale solo in epoca relativamente non lon- tana si aprì la strada attraverso la dolomia della Strenta. Abbiamo avuto anche qui uno spostamento verso Sud analogo a quello veduto per S. Rocco e gli Stancari. Questo fatto significa che le alluvioni diluviali subirono un così pronto e completo con- solidamento che fu più agevole cosa pel torrente tagliare la viva roccia che rimaneggiare le proprie alluvioni. Questo può sembrare strano, ma abbiamo prove sicure della rapidità con cui avvenne la cementazione; noi troviamo infatti ancora intatte le alluvioni della seconda glaciazione le quali se non si fossero (') Il prof. Tarameli! nella Nota: Di alcuni scoscendimenti del Vicentino. Boll. Soc. Geol. It., voi. XVIII, 1899, osservò questi fenomeni e ritenne l’iniezione del filone basaltico precedente alla frattura coi liscioni. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 697 immediatamente consolidate, sarebbero state o rimaneggiate dalle acque o spostate dalla terza espansione glaciale; e inoltre nelle morene recenti si trovano ciottoli di conglomerato infraglaciale. Da Peralto alzando lo sguardo verso Est si vede lo sprone di Tonezza nel quale la dolomia principale è coronata dagli strati liasico-giuresi quasi orizzontali o di poco rialzati verso Sud; così , pure sulla cima del Priaforà spiccano per gli ultimi 100 metri gli strati bianchissimi dei calcari basici. La Strenta è una gola stretta e profonda assai, pittoresca a vedersi da un ardito pon- ticello che la scavalca: ricorda nel suo piccolo le così comuni e celebri Schluchten delle valli svizzere. La valle si allarga tino a Castana e il torrente passa tra magnifici prati: la dolomia ci accompagna sempre rivestita un poco di qualche ciuffo d’erba e di pochi cespugli. A Castana si ha la confluenza col Zara che scende da Laghi ed ha appena ricevuto l’affluente di Rio del Tovo. Lì presso, addossato al monte a destra e a sinistra dello sbocco di questo torrentello, si trova un lembo di conglomerato diluviale fino a considerevole altezza. Da Castana la valle fa una brusca svolta verso S. 0. ed il suo aspetto non muta gran che fino a Fusine; da un lato le dolomie di Priaforà, dall’altro quelle della Gamonda scendono più o meno a picco lasciando poco spazio ai prati e ai campi coltivati. Poco sopra la strada cominciando da casa Zanchi e Pelle fin oltre Fusine affiorano delle roccie porfiriche nere, ver- dastre, talora rossiccie, chiaramente feldspatiche, le quali in qualche punto raggiungono il letto del torrente. Presentano una fessurazione prevalente secondo piani diretti a N. e inclinati a 0. Il barone Foullon (]) analizzò questa roccia e la definì un porfido quarzifero la cui epoca di eruzione è da ritenersi ca- dente tra il Buchensteinkalk e L’Hauptdolomit. Un accurato studio delle rocce che io feci sotto la guida dell’egregio pro- fessore Brugnatelli portò alla conclusione che quasi sempre si tratta di una porfirite quarzoso-micacea. Il Foullon nello studio microscopico non ha potuto determinare quali feldspati erano C1) TJeb. Empi. v. Recoaro., Ref. in n. Jahb. f. Min., ecc., 1881, voi. I, p. 382. 698 L. MADDALENA presenti ed avendo creduto si trattasse di termini acidi ha chiamato la roccia porfido quarzifero. Io ho potuto constatare, applicando i numerosi metodi moderni e specialmente usando le tavole di Michellevy per i geminati di Albite-Karlsbad, che si tratta di termini labradoritici, onde la roccia nel complesso va considerata come una porfirite. Tra gli interclusi predomi- nano appunto le labradoriti in parte alterate in calcite e in caolino: abbonda anche la mica biotite molto alterata e rias- sorbita, con molta magnetite specialmente ai bordi. Principale prodotto di alterazione è un minerale di tipo cloritico. Osservai costantemente degli interclusi caratteristici di alterazione che per la loro forma osservata al microscopio ed anche per essere riuscito ad isolarne qualche elemento riferisco senza dubbio a un pirosseno trimetrico (forse iperstene): la sostanza di altera- zione è leptoclorite. In qualche sezione ho veduto dei bellissimi quarzi con fenomeni di riassorbimento, molta magnetite, pure molta apatite e qualche cristallino di zircone, titanite e leuco- xeno. Questi risultati diedero gli esemplari raccolti tra Castana e Fusine, a Posina, a Canderle e in altre località presso Po- sina: ma nelle sezioni fatte di una roccia raccolta poco sopra la contrada Prà la quale macroscopicamente si presenta come quelle delle località sopracitate, osservai dei feldspati con una struttura zonata evidentissima in cui i termini passano dall’al- l’albite aH’oligoclasio senza escludere in qualche caso termini che possano raggiungere perfino l’acidità dell’ortoclasio. Si tratta dunque di un vero porfido quarzifero, ma dalle mie osserva- zioni non potei concludere se si presenta come una accidenta- lità della porfirite oppure come una massa indipendente: però la grande analogia della composizione mineralogica (salvo i feldspati), le alterazioni, la struttura, ecc., che ha colle porfi- riti ora descritte, mi fa propendere per la prima ipotesi. Quanto all’età riferisco col Foullon queste eruzioni alla base della dolomia principale, soprattutto per un modo speciale in cui si presenta la roccia, come per es. : a Pelle tra Fusine e Castana e cioè l’aspetto di strati i quali scompaiono sotto la potente massa dolomitica del M. Gamonda. È da notarsi però che queste roccie non penetrano mai nella dolomia a differenza OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 699 delle porfinti bergamasche che sono equivalenti filoniani delle dioriti, affatto diverse quindi dalle nostre. Poco oltre Fusine l’aspetto della valle muta bruscamente: dagli scogli nudi e verticali della Gamonda tutti circondati da detriti dolomitici, si passa ad una conformazione superficiale a curve più morbide ed a vallette più tortuose. Siamo nel regno della porfirite: le dolci pendici che scendono dal M. Alba e dal M. Majo sono tutte rivestite di una ricchissima vegetazione : magnifici boschi di castagno fino a 800 m. e più su i faggi s’arrampicano fitti a raggiungere di nuovo la dolomia. Bellis- simi prati rivestono ogni collina e qua e là si vedono lembi di terreno coltivato a grano o legumi. La regione attorno a Posina è come un’oasi chiusa a monte e a valle dalla sterile formazione dolomitica. Il terriccio pro- veniente dall’alterazione delle porfiriti è quanto mai adatto alla vegetazione e gli industriosi abitanti hanno saputo trar profitto di ogni pezzetto di terra e di ogni goccia d’acqua, sicché tro- viamo dei sistemi di irrigazione veramente ingegnosi e pratici. Seguendo la strada da Fusine osserviamo le falde rivestite da cumoli morenici come a Piombi, a Canuerle, a Pistore, che raggiungono tutti la medesima altezza di circa 20-25 m. dal livello stradale. Questo fa pensare alla probabilità di un uniforme mantello di detriti che nel quaternario furono trasportati dalla morena profonda del ghiacciaio proprio della valle o scivolati su esso: nel periodo postglaciale tale mantello venne inciso e terrazzato ed ora noi ne vediamo gli avanzi. Ai Piombi si vede un im- provviso passaggio alla roccia eruttiva che si trova a contatto con una grandiosa parete dolomitica la quale pel passo di Sella giunge fino alla Valle del Zara: questa segna certamente il pas- saggio di una faglia che vedremo, parlando della tectonica, come si colleghi colla frattura Schio-Vicenza. Il Torrente Posina ha una portata pressoché costante, assai più costante dell’Astico e questo fatto si collega col grande svi- luppo delle roccie eruttive in questo bacino. La terra ocracea, argillosa, proveniente dal loro sfacelo concorre a produrre un suolo che si presta ad un tempo ad impedire una dispersione delle acque verso profondità ed a cedere le acque stesse mano mano, 700 L. MADDALENA così da tenerne una più duratura provvista nelle magre. Inoltre l’alternanza di lembi permeabili ed impermeabili determina nu- merose fonti perenni, mentre queste nel calcare si esauriscono rapidamente. Proseguendo verso Posina si osserva la valle tutta scavata nella porfirite, che si presenta di un colore rossiccio alla superficie per l’ossidazione del ferro contenuto, mentre all’ interno, sotto una crosta di circa 20 cm., assume una tinta verdognola. Il paese di Posina è tutto costruito sopra questa roccia e con questa roccia, che è un ottimo materiale da costruzione. Appena oltrepassate le ultime case si vede una protuberanza del monte che fu tagliata con mine per lasciar posto alla strada: qui si può osservare un filone più oscuro che attraversa la solita por- firite f1). Poco più avanti si osservano pure grandi affioramenti di porfirite nei quali si possono vedere i piani di basaltizzazione porfirica. Numerose misure fatte in diversi punti hanno dato questi risultati: D — N. 10 E. I — 40 S. E. Di fronte a Ronzi si cominciano a vedere, lungo la sponda dritta del torrente le arenarie di Werfen per un’altezza di circa 20 m., inclinate a Nord; risalendo un poco la vai Betale le are- narie ci accompagnano per breve tratto, attraversate in un punto da un bel filone basaltico: sopra si vede qualche lembo di dolomia cariata poi riappare subito la porfirite. Ai Cervi affiorano proprio vicino al letto del torrente alcuni straterelli arenacei rossi asso- ciati a tufo porfirico e a porfirite violetta e si vede lungo la sponda destra un bell’avanzo di alluvione quaternaria; Pino a Lambre continua il porfido specialmente sviluppato lungo la riva sini- stra : qui presso si confondono le frane e i detriti del porfido con quelli della soprastante dolomia del M. Majo. Appunto in questo luogo, nella frana dolomitica ho trovato dei massi ricchissimi di fossili dai quali ho potuto estrarre bellissimi esemplari di Turbo solitarius, Megalodon Gumbeli e Gervillia exilis. Intanto lungo il letto del fiume cominciano ad affiorare dei calcari dolomitici grigi stratificati. Malgrado le accurate e ripetute ricerche non C) Di tali filoni se ne osservano parecchi e sono di particolare in- teresse per la natura che rivelano al microscopio e di cui parlerò trat- tando in particolare delle rocce. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 701 mi fu dato di rintracciarvi fossili, ma per analogia petrografia e dietro ad osservazioni stratigrafìehe ritengo trattarsi di Mu- schelkalk inferiore; la direzione degli strati è N. 30 E. e l’in- clinazione è 25° N. 0., essi unitamente al Werfen veduto vicino a Ronzi ed al calcare del M. Spitz che s’incontra poco più avanti alla contrada Doppio formerebbero la gamba dell’anticlinale re- coarese che verrebbe così a morire sotto i potenti banchi dolo- mitici dell’alta Val Posina. Dalla confluenza della Valle del Sorapache fino al passo della Borcola domina sovrana la formazione carnica: dolomie bianche, gialliccie e grigiastre, saccaroidi, compatte o cariate. Su pei ver- santi della valle, specialmente nelle vallette, si trovano ad una certa altezza dei piccoli lembi di una breccia dolomitica gial- lastra, avanzo di una potentissima alluvione primitiva, che venne poi quasi tutta asportata. Nel fondo della valle rimangono nume- rosi avanzi di un’altra alluvione più recente. Poco prima di arrivare al passo della Borcola si veggono spiccar di lontano nel candore della dolomia tre magnifici filoni di basalto di uno spessore oscillante tra i 2 e i 3 m. La dolomia all’intorno è tutta metamorfosata in un bellis- simo marmo bianco saccaroide a venature grigie e talora rosee. Al contatto tra i filoni e la dolomia abbiamo abbondante for- mazione di serpentino verde pellucido: sono riescilo a trovare un cristallino di un minerale grigio con lucentezza metallica che risultò essere di galena. Il marmo della Borcola è noto da moltissimo tempo: ne fu anche coltivata l’estrazione malgrado la difficile accessibilità del giacimento e di esso sono costruiti parecchi altari della chiesa di Posina e di quella di Arsiero. Recenti sopraluoghi fatti per studiare la convenienza di estra- zione di questo marmo, ne esclusero la possibilità di importanti applicazioni industriali per il fatto che si trova tutto fratturato e ben difficilmente si possono estrarre blocchi di notevoli dimen- sioni. Il passo del colle della Borcola (M. 1100) è tagliato nella dolomia, e presenta un breve ripiano erboso, dal quale si sale con pendìo relativamente dolce alle cime circostanti : ciò a dif- ferenza di tutti gli altri tagliati nella corona dolomitica che 702 L. MADDALENA circonda il Vicentino, i quali presentano delle pareti ripide e mancano affatto di un ripiano, mostrando evidentemente di essere dovuti ad una faglia: io penserei di riferire questo allargamento e sprofondamento della sella al passaggio di un ramo del ghiacciaio dell’Adige che inoltrandosi per la valle di Terragnolo avrebbe invaso la Val Posina. Questa è una pura ipotesi, non essendo io riuscito a tro- vare del materiale di trasporto che si debba riferire ai monti del Trentino, ma concorderebbe anche col fatto che, dovendo ammettere un ghiacciaio proprio della Val Posina, non si sa- prebbe ove supporre che esistesse un circo adeguato di ali- mentazione. L’altitudine di questo passo non è superiore a quelle di La- varone e Vezena che il ghiacciaio ha certamente superate, per cui non ripugna il fare questa supposizione. Io non credo che la frattura Vicenza-Schio giunga a questo punto, come dimostrerò parlando della tettonica, quantunque la sella della Borcola sia perfettamente allineata col colle di Posina pel quale detta frattura passa certamente e colla dire- zione Schio-Vicenza : questo fatto si può constatare da un poggio assai importante come posizione strategica che fronteggia il passo in territorio austriaco e dal quale attraverso le due selle si vedono Schio e Vicenza. Itinerario II. Posina - Fucenecco - Teldare - Collo Mazzolati - Posina. Dall’osteria del Sole, ove avevo piantato il mio quartier generale, si scende al piccolo ponte sul Posina gettato ardita- mente tra due massi sporgenti di porfirite. Risalendo la valle del Pache fino alla tezza Bisele si continua a vedere la me- desima roccia, ma osservando i piccoli detriti trasportati dal torrentello, si notano dei frammentini di fillade che non la- sciano dubbio sulla loro origine e sull’affioramento di micascisto nella parte alta della valle. Dalla tezza Bisele prendendo il OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 703 sentiero che gira attorno al M. Pusta si perde ben presto la roccia eruttiva e si cominciano a vedere dei detriti marnosi rossastri che vicino alla sella segnata nella carta colla quota 660, prendono nettamente la forma di tenui straterelli rossi o di strati più grossi giallastri e grigi. Appena oltrepassata la sella, ho potuto riscontrare nel materiale di cui è costruita una piccola capanna, dei bei esemplari di Avicula Venetiana , e poco lontano la roccia in posto ove pure ho trovato il mede- simo fossile: qui si sarebbe dunque negli strati di Werfen. Alla capanna il sentiero si biforca: uno sale verso Fucenecco sempre in mezzo agli straterelli di marne rosse, che presentano avanzi mal conservati di Avicula e sopra qua e là qualche blocco di dolomia cariata, l’altro continua a mezza costa e mostra con- tinue denudazioni di strati grigi e giallastri ricchi di fossili : ho risalito in qualche punto le ripide pareti fino alla sovrap- posizione regolare colle marne rosse del sentiero superiore: il viottolo conduce ad una spianata dove la valle si biforca. Sup- poniamo ora di giungere allo stesso punto risalendo la valle di Fucenecco. Partendo dal ponte sul Posina si attraversano su un altro ponticello le acque riunite del Pache e di Fucenecco e si percorre quindi la valle di quest’ultimo tutta scavata nella por- firite girando il fianco Est del M. Pusta: si attraversano due affluenti che scendono il primo da Leparo, il secondo da Collo portando le loro alluvioni ricche di una roccia nera compattis- sima che a prima vista sembra un basalto. Intanto si scorgono ai fianchi del Pusta gl’imbocchi di due gallerie che furono già coltivate per l’estrazione della pirite. Improvvisamente dalla roccia eruttiva si passa ad un calcare giallo selcioso non stra- tificato che si trova quasi incastrato nei fianchi del M. Pusta. II Tornquist che lo vide di sfuggita lo ritenne del Muschelkalk spiegandone la presenza con una complicazione di salti e di scorrimenti : io non vedo la ragione di classificarlo così, data la mancanza assoluta di fossili e specialmente perchè l’analogia petrografica lo farebbe riferire al trias inferiore. In questo modo basta ammettere uno scorrimento determinato da due fratture parallele per spiegare la irregolarità della serie. Il prof. Tara- melli che vide questa località, è pure di opinione che si tratti di un calcare del trias inferiore. Continuando a risalire la valle, 704 L. MADDALENA si trova a sinistra una grande frana dalla quale sono posti a nudo per un buon tratto fino alla accennata biforcazione della valle dei bellissimi strati di marne alternate con calcari mar- nosi. La potenza di questi strati è di circa 40 metri : si pre- sentano quasi orizzontali ma evidentemente tormentati. È questa la sola località abbondantemente fossilifera che si trovi nel ba- cino del Posina. Sono calcarei arenacei gialli decomposti, marne grigiastre alterate con banchi calcari bluastri compatti, arenacei e corrosi con abbondanti bivalvi. Tra i fossili rinvenuti predo- minano gli esemplari bellissimi di Pseudomonotis darai , Myo- phoria ovata, Mijacites sp. Si trova pure abbondante la Pseu- domonotis venetiana e la Natica gregaria mista ad una ricca farinetta di gasteropodini indeterminabili perchè deformati e con- sumati dalla compressione e dalla erosione. Questi fossili sono sufficienti per riferire con certezza al trias inferiore, al Werfen, codesti strati, i quali si possono parallelizzare al Trias della Valle di Fassa : infatti da Vigo andando verso Campitello si trovano dei terreni petrograficamente identici ai nostri e con- tenenti gli stessi fossili : io vi ho raccolto delle lastrine di cal- care che presentano alla superficie la piccola fauna di gaste- ropodi, talmente identiche a quelle di Val Posina da non potere assolutamente distinguerle tra loro. Alla biforcazione della valle si nota sopra il ramo di destra un lembo degli strati calcareo-arenacei già veduti più sotto e poi nel letto della valle si trovano blocchi di dolomia cariata (Zellenkalk) che in alcuni punti conserva ancora il gesso ori- ginario. Risalendo il ramo di sinistra si entra subito nella zona dei micascisti che hanno l’identico aspetto di quelli di Val Leogra. Già il Maraschini aveva accennato alla presenza del Lardaro in Val Posina, ma solo Bittner e specialmente il Negri precisarono l’area di questi affioramenti. Questa roccia si svi- luppa tra le quote 700 e 750 per circa 200 metri: si trova quindi pressoché al medesimo livello che in Val Leogra ove il suo limite superiore oscilla tra 700 e 800 m. Il micascisto si presenta qui di un color grigio-piombo lucente, raramente at- traversato da denti di quarzo, enormemente fogliettato cosicché ad ogni colpo di martello si scaglia e si frantuma. Vicino alla quota 725 la valle si biforca di nuovo, ossia riceve un affluente OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 705 di sinistra attraverso una strettissima gola tagliata nel mica- scisto : questo è il ramo di Fucenecco mentre l’altro è il ramo di Teldare. Da questo punto la serie si svolge regolarmente per ambedue le vallette mostrando gli strati in modo evidentissimo come ben di rado si vedono in tutti i bacini del Vicentino. Cominciando a risalire il ramo di Teldare, troviamo ben presto il conglomerato permiano che appoggia direttamente sullo scisto, non è però la facies del primo conglomerato con ele- menti della roccia fondamentale misti a quarzo, ma piuttosto il secondo formato esclusivamente di grani più o meno grossi di quarzo cementati con argilla ferruginosa di un color rosso vivo. Fa seguito ad esso uno strato a grani più minuti di color rosso meno carico e ricoperto pure da altro straterello a grossi grani di quarzo di color roseo : il tutto non supera lo spessore di un metro. La stessa formazione non si vede sempre sopra il micascisto ma fìn’ora è stata riscontrata solo ai Parenti, a Vai- calda, al Mondonovo nel bacino di Recoaro. Anche qui non si trovano avanzi organici di sorta, nè pezzettini di calcari car- boniferi a fusoline come invece ne presenta abbondanti il Ver- rucano del Bellunese. Seguono le caratteristiche arenarie di Val Gardena che rag- giungono una potenza di circa 30 m.: sono depositi argillosi alternati con marne dolomitiche: predomina il color rosso con macchie verdastre ora in forma di goccie ed ora come bellis- sime ramificazioni. L’ultimo strato è di una arenaria giallo- bruna a grana minuta, assai interessante perchè contiene tracce di carbon fossile e avanzi di vegetali assai evidenti quantunque indeterminabili. Questo è certamente il piano stesso a flora fos- sile di Prack e S. Giuliana nel Recoarese, che fu dal Gùmbel parallelizzato a quello di Neumarkt, Bolzano e Fiinfkirschen e chiamato Alpiner unterer Voltzieusandstein. Su questo piano si adagiano altre arenarie grigiastre a straterelli ora compatti, ora tenerissimi e impregnati di acqua: a poco a poco all’are- naria si sostituiscono i calcari e si alternano, per circa 30 m., banchi dolomitici duri, grigi, marnosi e marne dolomitiche più tenere: gli strati hanno uno spessore che varia tra i 20 e i 70 cm. Una gran zona, come una fascia sporgente con una pa- rete verticale di circa 10 m., di calcare selcioso, compatto, grigio 706 L. MADDALENA in frattura fresca, sbarra in alto la valletta. Questa formazione è affatto uguale a quella che si vede di frequente nelle valli del Leogra e dell’Agno e nella Val Sugana e che dopo tante discussioni fu considerata come calcare a Belleroplion. Qui non mi fu possibile rinvenire tracce di fossili : ben pochi del resto ne furono rinvenuti anche nelle citate località. Ma ciò poco im- porta: oramai è fuori di dubbio che questi terreni corrispon- dono al calcare a Bellerophon, quantunque non si possano esattamente parallelizzare a quello tipico del trentino meridio- nale : li chiameremo quindi col Tornquist : formazioni dolomi- tiche permiane. Queste formazioni delle arenarie di Val Gardena e del calcare a Bellerophon sono affatto simili petrograficamente a quelle che si vedono in Val Fangosa nel bacino del Leogra; cosicché si può concludere appartenere tutte ai depositi di uno stesso mare. La zona di calcare a Bellerophon sembra chiudere la Valle in un modo insuperabile: ma coll’aiuto di un poco di alpinismo, arrampicandomi per un canalino di roccia sono riu- scito al disopra ove dopo un piccolo ripiano tutto ingombro di detriti, si presenta un magnifico sperone nudo dell’altezza di 15 m. nel quale si possono benissimo vedere gli strati del Werfen, quelli medesimi che già abbiamo veduti nella parte bassa della valle prima di incontrare lo scisto. Si sviluppano questi per una potenza di circa 25 m. affatto identici a quelli trovati sotto, sia dal lato petrografico che paleontologico, avendo anche qui rinvenuto esemplari di Avicula venetiana, Pseudo- monotis Clarai e Myacites fassaensis. Ciò conferma l’ipotesi che il Werfen che si trova in basso si sia staccato dalla sua na- turale posizione e sia scivolato giù al fondo della valle inca- strandosi contro la massa porfirica del M. Pusta. Verso l’alto, proprio sotto ad un nuovo ed insuperabile sbar- ramento della valle per opera di un potente banco calcare, si vede una bellissima faglia in miniatura. Sono due straterelli di marna: uno bianco inferiore ed uno rosso superiore, dello spessore ciascuno di 30 cm. la faglia con un salto di 30 cm. ha portato quello rosso a formare la continuazione di quello bianco producendo così un bellissimo effetto. I bordi sono un po’ ripiegati cosicché abbiamo proprio la forma caratteristica della faille de retroussement. Non mi fu possibile di procedere OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 707 avanti, ma potei da uno sperone spingere in alto lo sguardo mercè l’aiuto di uno squisito triedro Zeiss a 8 ingrandimenti: ho potuto senza dubbio constatare che sopra vi stanno le are- narie e marne rosse micacee ricoperte dalla seconda dolomia cavernosa (Rauclnvachen) su cui si estende la colata di porfirite. Del resto nell’alto della valle tra i detriti si scorgono appunto elementi di coteste roccie, onde non si può dubitare della loro presenza. Quanto alla orientazione degli strati in questa valle di Teldare, ecco i risultati delle misure fatte: Per lo scisto: D = N. 10 0. I z= 15 S. 0. Le arenarie di Val Gardena concordano collo scisto. Per il calcare a Belleroplion : D — N. 15 0. I = 20 S. 0. Il Werfen sopra è concordante. Nella valle di Fucenecco si ripetono identicamente le me- desime formazioni nelle stesse condizioni di spessore e di orien- tamento. Sono di particolare interesse due filoni di roccia nera, compatta, che a prima vista sembrano di natura basaltica: il 1° nella parte alta delle arenarie di Val Gardena alla quota 750 circa. La sua orientazione è: D = N. 10 E. 1 — 65 N. 0. Il 2° è proprio alla base del calcare a Bellerophon e in parte compenetrato con esso : è verticale ed ha una direzione : N. 10 E. La roccia del 1° presenta evidente il fenomeno di basaltiz- zazione e le pareti dei vari pezzi sono sovente tappezzate di numerosissimi cristallini di aragonite. Lo studio microscopico rivela trattarsi di una roccia di tipo lamprofirico che per com- posizione mineralogica, giacitura e analogia grandissima con le classiche roccie dell’Odenwald io considero per ora come una Camptonite, riservandomi a dare un giudizio definitivo quando ne avrò eseguita l’analisi chimica. I feldspati sono termini la- bradóritici generalmente ben conservati, talora alterati in cal- 48 708 L. MADDALENA cite. Assai abbondante è l’ augi te spesso del colore violaceo del- l’augite titanifera e con una caratteristica zonatura. L’olivina è in generale ben conservata: si osservano in piccola quantità: magnetite, apatite, orniblenda intensamente bruna, zircone, spinello, mica biotite e quarzo. Il filone attraversa alcuni strati di calcari e quelle marne che contengono tracce di carbon fos- sile e avanzi di vegetali : in corrispondenza di queste si sono formate numerose geodi tappezzate di cristalli di calcite. A contatto col filone il calcare pare abbia subito una no- tevole alterazione: l’aspetto esterno è quello di un calcescisto con numerosi straterelli di mica: al microscopio si osserva molta calcite, quarzo, feldspato e mica, nessuno però dei minerali ca- ratteristici degli HornfeJs. Più in alto nella valletta di Fucenecco si seguono bellissimi gli strati di Werfen e sopra di essi le arenarie rosse e le marne micacee pure rosse: quelle intravedute nella parte alta del ramo di Teldare. Arrampicandomi a stento pel ripidissimo pendìo quando la valle è tutta ridotta a un piccolo solco ri- coperto da una folta vegetazione, sono giunto al limite tra il Werfen e la porfirite, poco sotto alla quota 1000: qui manca od è ricoperta la dolomia cariata. Gli ultimi strati di arenaria determinano una falda acqui- fera : infatti da essi sgorgano abbondanti e freschissime polle di acqua. Per completare lo studio della regione, supponiamo dall’in- crocio delle due valli di Fucenecco e Teldare di risalire alle case di Teldare. Queste sono costruite sopra un espandimento di porfirite; proseguendo ad Est si vedono affiorare di nuovo dei blocchi di calcare a Belleroplion allo stesso livello di quello trovato nelle due vallette e alla base di esso sgorga una magnifica sorgente di una portata costante di circa tre litri al secondo. Sotto stanno ancora le arenarie di Yal Gardena che determinano appunto questa seconda falda acquifera: i loro strati hanno direzione analoga a quelle vedute precedentemente: D = N. 100., ma inclinazione assai maggiore : I = 75 S. O., dovuta probabilmente agli spostamenti prodotti dalle masse erut- tive. Scendendo lungo la valletta che ha origine in questo punto, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 709 troviamo in salto la dolomia cariata in cui al gesso si è sostituita la calcite, e sotto il Werfen con una orientazione; D = N. 45 0. I = 25 S. 0. Così giungiamo alla seconda biforcazione della valle prima risalita, nel suo allargamento proprio sotto alle case di Fuce- necco. Qui i terreni del Werfen furono portati giù dallo scor- rimento di cui già abbiamo parlato. Da questo punto invece di ridiscendere lungo la valle, ne risaliamo la sponda destra: si giunge così ad una bella spia- nata tutta boschi e prati che ricoprono di un manto uniforme il terreno, togliendo la possibilità di studiarne la natura. Qua e là si vedono massi erratici di porfirite, ai quali più ad Est succedono quelli di dolomia; ma tra Léparo e Collo, proprio sotto ai Molisini, affiora un potente filone di una roccia nero- grigia, compattissima a struttura basaltica. Questo filone si trova proprio al limite tra la porfirite del M. Alba e la dolomia prin- cipale. Esaminata al microscopio, la roccia si rivela affatto ana- loga per composizione mineralogica a quella del filone di Fu- cenecco, colla differenza che qui i pirosseni sono meno sviluppati benché abbondantissimi, e vi è forse più abbondante l’olivina. Anche per questa, l’analisi chimica darà un criterio sicuro per giudicare se, come sembra, si tratta di una vera Cammonite, e in tal caso si potrà fare un interessante confronto con le rocce filoniane dei Monzoni a cui pare che queste si avvicinino molto. Da Molisini fino a Posina si attraversa una grande distesa di campi coltivati assai fertili per la mescolanza dei detriti di do- lomia e di porfirite e per l’abbondante irrigazione. Itinerario III. V. Betale - Malga Campiglia - Fontanadoro - Colle Xomo Ligluzzoli - Fucenecco - Zamboni - Maso - Posina. Allo sbocco della Val Betale nel Posina ho già accennato come affiorino le marne rosse del Werfen superiore inclinate a N. di circa 45°: sopra si vede la dolomia cariata, la quale de- 710 L. MADDALENA termina un salto nella valle. Si passa quindi alla solita porfi- ree, ma, prima di raggiungere la quota 800, seguendo il sen- tiero che sale dalla contrada Betale, si trova un calcare com- patto, ora giallastro, ora cenerognolo, in strati sottili inclinati a N. di circa 45°. Questi ci accompagnano fin sotto la muraglia del calcare del M. Spitz, che qui si distingue assai facilmente per il suo colore, la sua forma e la vegetazione caratteristica che 10 ricopre. Il Tornquist in alcuni schizzi fatti nelle sue poche gite in Val Posina, distingue in questo punto il Musehelkalk inferiore e il livello a Trinodosus. A me non fu possibile rin- tracciare fossili e anche il Tornquist mi disse di non averne trovati: mi pare dunque non essere sufficiente il criterio petrogra- fico per fare una simile distinzione e considero tutti questi cal- cari come appartenenti al Muschelkalk. Superato il ripido spe- rone di calcare dello Spitz che, unitamente ai calcari del trias medio, circonda come di una fascia la massa dolomitica dei Forni Alti, si giunge sopra una bella spianata ad un livello di circa 1100 m. : è questo il caratteristico gradino dovuto al cal- care dello Spiz. I bellissimi prati che ricoprono questo terreno ondulato, interrotti ogni tanto da boschetti di faggi o da gruppi di abeti, rendono assai attraente il paesaggio specialmente quando ad esso danno vita e movimento le mucche ed i vitelli pascolanti e rallegro tintinnìo dei loro sonagli. Di qui la vista domina tutto il bacino della Val Posina e l’ampio circo mon- tuoso che lo sovrasta : ad Est il gruppo dolomitico dei monti Ca- lian, Novegno, Vaccarezze e Priaforà con le cime più alte co- ronate di calcare bianco stratificato. Di fronte la costa di Mojentale formata di terreno porfirico rosso, mentre ai due lati la Gamonda e il M. Majo mostrano i loro fianchi nudi e sco- scesi di dolomia principale. Spingendo più lontano lo sguardo coH’aiuto del triedro, si vede l’altipiano di Tonezza e più a N. 11 gruppo dei monti Tormeno, Campomolon, Toraro, Campo- luzzo e Maggio, con la loro fascia bianca di calcari liasici e giuresi che si estendono fin quasi al passo della Borcola. Per- correndo la spianata di Malga Campiglia, non vidi alcun affio- ramento di roccia eruttiva arrotondata e lisciata dal ghiacciaio, come si vedono nel bacino di Becoaro, ma non mancano ab- bondanti elementi morenici che ne attestano la esistenza. Solo OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 711 nella parte più alta della valle dei Corvi si vede nn piccolo filone verticale di melafiro che attraversa il calcare dello Spitz dando origine a un bel marmo venato rosso e verde. Salendo per Malga Campiglia al Pasnbio, secondo Bittner si dovrebbe trovare successivamente : calcare-rauckwacke, strati marnosi rossi, calcare dello Spitz, calcare tubercoloso di Buchenstein e tufi selciosi con traccie di Daonelle negli intagli del terrazzo di pascoli alpini, disteso tra l’angolo superiore del calcare dello Spitz e il piede delle pareti della dolomia principale. Ma il detrito dolomitico è così abbondante dappertutto lungo le falde della montagna sul terrazzo, che non è possibile distinguere cia- scuna di queste formazioni. Salendo il boale di Campiglia, si cammina per gran tratto sul detrito di falda senza mai osservare nulla di notevole: la dolomia è bianco-giallastra con fori. Una particolarità interes- sante sono le caneve di Campiglia più in alto vicino al passo di Val Camuzzara: il Canevon è una profonda depressione sub- elittica a pareti verticali; ha una apertura larga 100 m. e lunga 200, diretta da S. E. a JST. 0. ; la profondità è di un cen- tinaio di metri; l’altra è il Canevin più piccola ma assai più profonda: ambedue rimangono piene di neve anche nelle sta- gioni più calde ed asciutte. Molto probabilmente la loro origine va riferita ad accidentalità di erosione, forse subglaciale che produsse un fenomeno analogo a quello delle doline. Circa alla quota 1700, poco prima del passo troviamo un bel filone di melafiro e un altro si trova nel versante del Leogra presso Fontanadoro: questa località è così chiamata per una misera sorgente di acqua buonissima, l’unica che s’incontri in tutta la montagna. L’aspetto dolomitico del paesaggio è triste per la squallida nudità delle roccie: solo qua e là si vede qualche piccolo lembo di pascolo alpino, nessun albero al di sopra dei 1300 m. Ma i fiori non mancano, unico sorriso di vita: vicino ad ogni ciuffo d’erba, arrampicati sulle balze, in ogni crepaccio ove può fermarsi un poco di terriccio: sono i colori smaglianti della Saxifraga Burseriana L., della Silene acaulis L., della Gentiana bavarica L., e più in alto l’edelweiss colla sua corolla bianchissima. 712 L. MADDALENA Scendendo per la vai Camuzzara ripidissima, incassata tra pareti verticali dì dolomia saccaroide, bianca a piccoli fori, o cenere, compatta e senza fossili, si osservano due enormi massi dolomitici di probabile origine glaciale che sbarrano la via: il primo detto il Frate, e il secondo, per la sua forma, il Tavo- lino. Alla base della valle, circa alla quota 1100, appare la fascia di calcare dello Spitz sotto al quale stanno i calcari are- nacei grigi del Muschelkalk inferiore. Il sentiero che conduce al passo di Xomo è tagliato a mezza costa, ora attraverso questa formazione, ora nella porfìrite violetta che si spinge fin qui dal massiccio del M. Alba. Codesto grandioso ammasso occupa tutto lo spazio compreso tra il colle di Posina e quello di Xomo. Ho percorsa la cresta di queste alture, e poi, a mezza costa d’ambo i versanti, aprendomi a stento la via tra il foltissimo faggeto che li ricopre, ho sempre osservato l’uniformità della porfìrite che presenta assai evidente il fenomeno di basaltiz- zazione avvicinandosi talora moltissimo il detrito alla forma di una emipiramide pentagonale tronca. La massa è sempre pro- fondamente alterata: ora di un rosso violaceo, ora gialla, ora bianca secondo la proporzione in cui sono contenuti gli ossidi di ferro. Al microscopio si osserva la struttura porfirica: i feld- spati molto alterati non permettono una determinazione sicura, è certo però che sono termini compresi tra l’oligoclasio e la labradorite (Foullon li riferisce erroneamente all’ ortoclasio), abbondano gli interclusi di biotite bellissimi e ben conservati, per cui io chiamerei la roccia una porfìrite biotitica, conside- randola come una varietà della porfìrite quarzifera osservata attorno a Posina. L’augite è tutta trasformata in calcite. Foullon vi osservò l’orniblenda, ma in nessuno dei numerosi esemplari da me esaminati, mi fu possibile rintracciarla. Abbondantissime sono le frane che col loro detrito angoloso rendono impraticabili i fianchi di questi monti. Il passo di Xomo è tagliato nella porfìrite, ma vicino alla malga affiora il Mu- schelkalk inferiore, mentre poco più sotto abbiamo un banco di gesso scaglioso, ora abbandonato, ma che tempo addietro venne coltivato, come ancora ricordano gli abitanti della valle. Si rientra quindi nella porfìrite che costituisce le pareti verticali della profonda valletta che, scendendo dal colle, si unisce poco sopra OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 713 Ligluzzoli con un’altra a formare la Valle dell’ Est. Ma la strada mulattiera che scende ai Zamboni passando per il capi- tello (quota 954), rimane per tutta la sua parte alta nel Mu- schelkalk. Presso ai Ligluzzoli, vicino airaccennata confluenza, affiora un potente banco di arenarie rosse di Werfen nelle quali ho vedute e raccolte abbondanti e bellissime impronte di anellidi (R hizocorallium). Di qui proseguendo a mezza costa verso Fu- cenecco, al di là di una grande frana di porfirite, riappaiono i medesimi strati di Werfen: invece, scendendo lungo la valle dell’Est, si osserva la serie completa: le arenarie giallastre del Werfen inferiore, il calcare a Bellerophon, le arenarie di vai Gar- dena e finalmente, poco sopra ai Zamboni, un potente affiora- mento di micascisto affatto identico a quello veduto sotto a Teldare, in strati compressi e contorti, cosicché è laminato, fo- gliettato, e si divide facilmente in grandi scaglie lucenti: anche questo si trova ad un livello poco superiore ai 600 m. Passando da Zamboni a Maso si osserva una zona di arenarie rosse di Werfen compresa nella massa porfirica tra le quote 627 e 675: essa si può seguire fino allo sbocco di vai Betale, sempre più o meno mascherata dal detrito di porfirite: seguirebbe dunque anch’essa la gamba della grande anticlinale. Soltanto tra Zam- boni e Ligluzzoli bisogna ammettere un piccolo salto e poi la fascia continua fino a Fucenecco ove però la tettonica diventa più complicata e difficile. Da Maso a Posina si vede soltanto porfirite alterata, paonazza, quasi brecciata. Itinerario IV. Posina - Ressi - Rio Perlona - 31. Calian - 31. Novegno 31. Priaforà - 3Ialga Vaccarezze - Valle di Rio Buni - Grilli - Posina. t Guardando la sera da Posina la punta acuta del M. Calian al tramontar del sole, si nota subito ad occhio nudo un con- trasto tra il colore bianchissimo della cima e la sottostante roccia più oscura. Coll’aiuto del triedro ho potuto vedere assai chia- 714 L. MADDALENA ramente una bella stratificazione che rende ancor più netto il distacco dall’altra roccia massiccia. È la stessa formazione già osservata al bordo superiore dell’altipiano di Tonezza e che co- stituisce quasi un cappello a tutte le cime dolomitiche del ba- cino dell’Àstico. Per salire al M. Calian partendo da Posina, si attraversa per piccolo tratto la porfirite fino ai Ressi ; da qui si entra in una regione tutta occupata da detrito di falda do- lomitico, dove a gran stento l’instancabile tenacia degli abitanti seppe cavar fuori qualche campicéllo e dei buoni prati. Circa alla quota 900 si imbocca il Rio Perlona che è una vailetta a pendio ripidissimo tutta occupata da detrito e chiusa tra pareti a picco. Nulla rompe la monotonia di questa faticosa salita sempre nella dolomia bianca saccaroide a fori : qualche ciottolo di roccia nera indica la presenza dei soliti filoni. A 1300 m. si esce final- mente dal boale e per una costa erbosa si raggiunge presto il calcare bianco stratificato (m. 1550). Anche un profano non può non osservare la grande diversità di questa formazione dalla dolomia principale: qui poi si vedono gli strati di calcare di- sporsi regolarmente sopra il massiccio di quella. Gli ultimi 100 m. si salgono facilmente come una gradinata formata dagli strati che non superano uno spessore di 40 cm. La roccia è un calcare che dà una effervescenza vivissima coll’H CI ; bian- co-grigiastro alla superficie, è di un grigio più oscuro in sezione fresca: è zeppo di gusci di brachiopodi e di gasteropodini, co- sicché si potrebbe chiamare una vera lumachella. Ho raccolto un esemplare abbastanza ben conservato di Terebratula che quasi con certezza si può riferire alla Rotzoana, uno di Pecten simile al Pecten PLehlii d’Orb. (*), e finalmente una Pleuromya cfr. augsta Ag. affatto identica a quella descritta da Agassiz, salvo le dimensioni che non si possono esattamente determinare essendo l’esemplare un po’ eroso. Si tratta di Retico o di Lias? La facies petrografica del calcare e la presenza di questi fossili non lasciano dubbio nel riferirlo al Lias, malgrado l’opi- nione del Tornquist il quale afferma (pag. 140, op. cit.), non tro- varsi mai in tutto il Vicentino strati del Lias sovrapposti alla O'Stoppani, Pai. Lomb., Serie IIP, pag. 209, tav. 36. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 715 dolomia principale, accordandoci invece col Bittuer che. già nel- l’1883 (*) accennava alla presenza di un piccolo lembo di calcare grigio Basico a Terebratula liotzoana sopra la dolomia del M. Priaforà. Coll’idea preconcetta che dovesse trattarsi di Re- tico, ho cercato attivamente con la speranza di trovare qualche Avicuìa contorta , ma non ne rintracciai. Io riferisco dunque questi calcari al Lias ammettendo una lacuna pel Retico, il quale è rappresentato nel Friuli da dolomie cristalline e bitu- minose con Cardita austriaca e in Lombardia da dolomie e scisti e non mai da calcari stratificati. Quanto poi al piano del Lias a cui possono appartenere, il prof. Taramelli nella geologia delle provincie Yenete (pag. Ili) dice che nel Veneto occiden- tale sono ignoti il Sinemuriano e il Toarciano e riferisce al Bathoniano la zona a Terebratula Potzoana, che si trova ri- salendo i fianchi della valle dell’Astico verso Tonezza e verso l’altipiano dei Sette Comuni. Attualmente però si abbassa alquanto il livello della zona a Terebratula Potzoana e si ritiene appartenere al Lias infe- riore. A questo piano dunque io riferisco la cappa Basica che riveste le cime dei nostri, monti, anche perchè la Pleuromya e il Pecten citati furono trovati dal Parona nel Lias inferiore di Saltrio. Va poi osservato come da 0. ad E. il livello superiore di questi calcari Basici vada lentamente abbassandosi. Questo si osserva benissimo dalla cima del M. Calian dalla quale si dominano magnificamente tutti i monti del Vicentino, dalla conca di Recoaro all’altipiano di Asiago. Si vede dunque la corona Basica, che sui Forni Alti raggiunge 2000 m., scendere a 1500 al M. Toraro, e sotto Rotzo non toccare neppure i 1000 m. Così la grande anticlinale recoarese, che chiaramente si può vedere nei piani del trias, viene assecondata anche dal lembo Basico su- periore alla dolomia. Dal M. Calian al Novegno, al Priaforà si svolge un gruppo moutuoso con numerose cime che comprendono tra loro delle vaste depressioni poco profonde, riempite dal detrito dei cal- cari grigi che coronano tutte le punte che superano i 1600 m.: (') Ber. u. d. geol. Aufn, in Triasg. v. Recoaro. Jahrb. d. k. k. geol. Reich., b. 33; H, 4; 1883. 716 L. MADDALENA sono come i resti di un unico lembo uniforme che ricopriva tutta la dolomia e che venne in gran parte asportato dalla ero- sione. Il M. Cogolo, Cima Alta e Novegno che circondano il così detto Campo da Schio con la malga Novegno; il M. Giove, Priaforà e Yaccarezze che fanno corona alla malga omonima, portano tutti da 50 a 100 m. di calcare stratificato. Ho osser- vato attentamente se vi fossero degli avanzi morenici in queste vaste estensioni quasi pianeggianti ; essi mancano affatto e si deduce che il ghiacciaio non ha raggiunto questo livello. Dal baluardo di roccia che circonda la malga Yaccarezze verso N., si vede slanciarsi ardita colla sua punta aguzza la Torre: uno spuntone conico la cui base è formata dalla dolomia principale alla quale seguono per una sessantina di metri gli strati del calcare liasico. Scendendo sotto alla malga verso la valle di Eio, si resta subito colpiti dal suo aspetto strano che Contrasta grandemente col passaggio dolomitico fin’ora osservato. La valle è scavata per circa 700 m. in un tufo nerastro ad elementi piccoli che racchiude talora dei grossi blocchi di calcare e do- lomia trasformati in marmo verde o rosso venato: l’erosione ha modellato il tufo a grandi superfici convesse con andamento dolce e regolare cosicché presentano l’aspetto di una colata fresca di lava vischiosa. Due bellissimi filoni dello spessore di circa due metri attraversano quasi normalmente la valle da O. ad E. alla distanza di 50 m.: sono di una roccia nera, compatta, cristallina nel primo, granulosa nel secondo. Quella esaminata al microscopio presenta struttura e composizione basaltica: si osservano termini labradoritici, pirosseno (augite) ed abbondante olivina alterata. Questa è una vera porfirite nera in cui la massa fondamentale compattissima è formata unicamente da feldspati e gli interclusi sono labradoriti e miche trasformate completamente in prodotti ferriferi. Scendendo la valle si nota il bellissimo contrasto tra l’aspetto basaltico del fondo, la dolomia ora giallastra ora azzurrognola che vi sta sopra e i calcari bianchi stratificati del M. Pria- forà. Altri filoni basaltici attraversano la dolomia principale insinuandosi nelle fratture e ramificandosi. A sinistra i calcari grigi scendono per oltre 150 m. dal loro naturale livello rive- lando la presenza di una piccola faglia. Codesta, frattura inte- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 717 ressando i calcari liasici è certamente posteriore alla loro depo- sizione e quindi da riferirsi ad un corrugamento posteriore al triasico cioè al terziario : d’altra parte non presenta alcuna rela- zione con le roccie eruttive accennate. Ora se l’eruzione fosse avvenuta dopo che la frattura era già formata, quella sarebbe stata la via scelta dal magma; considero quindi questo fatto come un argomento per riferire quei filoni ad una attività vul- canica anteriore all’Oligocene, quando appunto cominciò il cor- rugamento terziario. La valle di Rio scende incassata profondamente tra due alte e scoscese pareti di dolomia bianca o giallastra o azzur- rognola: il sentiero malagevole è tracciato nel detrito minuto e tagliente. Lo sbocco nel Posina avviene davanti a Fusine con un magnifico talus in cui il torrente ha scavato profondamente il suo thahveg. Tutta la regione compresa tra le falde dolomi- tiche e il Posina è ricoperta di detrito di falda, di prati e campi coltivati abbastanza fertili: vicino al fiume si hanno le antiche alluvioni terrazzate. La roccia eruttiva affiorante sotto al massiccio della Gamonda non passa al di qua del Posina: solo tra Campanello e Cucco riappare la porfirite che occupa tutti i dintorni del paese di Posina. Itinerario V. Posina - Costa - Majentale - Sella - Spini - Canderle - Posina. La porfirite si sviluppa potentemente a N. di Posina: dalla dolomia della Gamonda che si protende fino sopra la strada car- rozzabile, fino alla contrada Lambre, essa forma una serie di colli e la base della costa di Majentale, giungendo al passo di Xausa e sotto al M. Majo ove i detriti rossicci e bianchi delle due roccie presentano un contrasto caratteristico. La roccia è profondamente alterata; quantunque il colore rossastro non si propaghi che pochi cm. sotto la superficie, anche a parecchi metri di profondità, pur sembrando freschissima, presenta gli interclusi di feldspato e di mica alteratissimi e quasi irricono- scibili. 718 L. MADDALENA Proprio vicino al paese, in una cava per materiale da co- struzione, ho potuto studiare la roccia profonda la quale ha la massa fondamentale dove predomina il quarzo, ma gli inter- clusi di feldspato non oltrepassano i termini labradoritici onde si può considerare come una porfirite quarzifera. Salendo da Leder, poco prima di arrivare a Costa, si vede un piccolo af- fioramento di arenarie giallo-verdastre stratificate del Werfen, completamente isolato nella porfirite. Ad E. della contrada, pure immerso nella roccia eruttiva, si trova un gran blocco cal- care da riferirsi certo al calcare del M. Spitz: è completamente trasformato in uno splendido marmo ora bianco a vene grigie, ora verde e rosso-vivo con venature gialle: qui e a Xomo si estrae da moltissimo tempo ed è molto pregiato per ornamentazione di chiese. I numerosi blocchi di calcare che si vedono seminati lungo il pendìo della montagna indicano che questa massa è scivo- lata dal livello attuale dell’altro calcare che sta sopra alla costa di Majentale: e difatti esso si trova qui in discordanza perchè superiormente ad esso, dopo aver attraversata ancora la por- firite, si giunge ad una zolla di calcare stratificato che per la natura petrografica e per i fossili rinvenutivi (alcuni esemplari di Gervillia logorati dall’erosione, numerosi di Miophoria cfr. ovata e Rhizoco rat lium ) è da riferirsi al Muschelkalk inferiore. Gli strati sono notevolmente ripiegati ed il calcare metamor- fizzato per la vicinanza della roccia eruttiva, ha assunto un aspetto marmoreo con una tinta verde-scuro a macchie rosse. Sopra, di nuovo la porfirite che giunge fino al calcare dello Spitz il quale forma la parte alta della costa montuosa che si svolge tra la Gamonda e il M. Majo. L’aspetto orografico è affatto analogo a quello del M. Alba compreso tra i Forni Alti e il M. Spin: anche qui abbiamo due passi: quello di Majentale a 0. a circa 900 m. e quello di Sella ad E., inferiore agli 800. La catena di colline è tutta for- mata da porfirite alla base, ma è coronata per tutta la sua lunghezza dal calcare che a contatto colla roccia eruttiva si altera profondamente e si dissolve in una polvere ora grigia, ora nera, ora rossiccia: si ha pure qualche mineralizzazione che non supera mai l’importanza di filoncelli di pirite. A OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 719 Xomo affiora un piccolo lembo dello stesso marmo osservato sotto Costa; e presso Polenta si ha ancora del calcare che una faglia ha portato giù dall’alto delle colline. La prima altura che s’incontra sotto Xausa è formata esclusivamente di porfi- rite, ma girando il fianco N. del colle cominciano ad affiorare delle rocce verdi stratificate, compatte, a frattura concoide, che sono le ftaniti verdi, veri tufi caratteristici del piano di Wengen : esse continuano fino a Sella comprese tra la roccia eruttiva ed il calcare, raggiungendo in qualche punto una notevole potenza. Si trova pure concordante con essa un’altra roccia di un bel color rosso-cupo, assai compatta, pure a frattura concoide, che al microscopio rivela la sua natura di tufo subacqueo per la struttura e per la presenza di qualche radiolario. È appunto per la presenza di questi tufi che la porfirite si può ritenere con sicurezza una roccia effusiva: e dalla loro natura compatta e a strati e dai radiolari, dedurre che si tratta di eruzioni sub- acquee. Alla medesima origine io credo potersi riferire il massiccio eruttivo del M. Alba che si presenta nelle stesse condizioni e col medesimo aspetto di queste porfìriti, quantunque non abbia potuto in alcun punto riscontrare i tufi, i quali possono essere stati asportati dalle successive abrasioni, e che d’altra parte non devono necessariamente accompagnare ogni massa effusiva, perchè, trattandosi di attività sottomarina, la loro deposizione era alla mercè delle correnti. La struttura andesitica che queste rocce, sia del M. Alba che della costa di Mojentale rivelano al microscopio, parla abbastanza in favore della loro comune origine effusiva. Sopra Xausa, a circa 1000 m. si vede la porfirite affondarsi sotto alla dolomia principale e al contatto si hanno filoncini di pirite. Scendendo lungo la valle di Majentale si osserva che essa è tutta scavata in una roccia eruttiva profondamente alterata così da trovarsi ridotta ad una pasta ora gialla, ora rossa, zeppa di pagliuzze di mica nera: le infiltrazioni d’acqua rendono quella pasta tenera e plastica, cosicché si hanno nella valle continui scoscendimenti. Qua e là si trovano altre rocce filoniane, ora completamente alterate, ora conservatissime con inclusioni gigan- 720 L. MADDALENA tesche di pirosseni e di olivina (*). Sotto alla Sella si raggiunge la grandiosa e liscia parete verticale della Gamonda, la quale presenta tutti i caratteri di una superficie di scorrimento e dove si deve ammettere il passaggio di una frattura. Qui la valle piega bruscamente con un angolo quasi retto dirigendosi verso N. N. E. Al passo della Sella, vicino ad una piccola fontana, si vedono affiorare alcuni calcari che sembrano del Muschelkalk : seguendo la costa dei monti al limite inferiore del calcare dello Spitz, l’ipotesi si conferma osservando lungo un sentiero poco sopra della contrada Spini altri calcari che per la natura petro- grafica ed i fossili contenuti sono da riferirsi senza dubbio al Trias medio. Qui appunto in una recente escursione ho raccolto una bellissima impronta di Myophoria elegans Dukr., caratte- ristica del Muschelkalk inferiore. Sotto a questo lembo triasico, ho osservato una fascia di micascisto tra Spini e Sella : è sempre la solita fillade del Vicentino, solo qui si presenta alquanto più scistosa e più bruna per l’ intimo contatto colla porfirite che l’abbraccia tutta. Appunto nel contatto si vedono dei filoncelli di pirite. La presenza del micascisto a N. di Posina non era mai stata osservata, anzi, la creduta mancanza di essi fu por- tata come argomento dal Bittner per ammettere il passaggio di una faglia lungo la valle. Sotto alla fillade fino al fiume non s’ incontra che la solita porfirite rossa, precisamente come sa- lendo da Posina lungo la valle dell’est. Il terreno molto acci- dentato è ricoperto da una rigogliosa vegetazione formata spe- cialmente da boschi cedui di castagno coi quali si alternano praticelli e talora anche vigneti. In qualcuna delle vallette ho osservato delle formazioni relativamente potenti di travertino che tuttora vanno continuamente crescendo per incrostazione di foglie e soprattutto di muschi. P) Ho raccolto numerosi esemplari di queste rocce di Val Mojen- tale che si mostrano interessantissime allo studio microscopico: oltre a porfiriti e melafiri analoghi a quelli di Val Posina, ve ne sono altre che sembrano: Gabbri, Minette, Kersautiti, e di cui mi propongo di fare uno studio a parte. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 721 Itinerario VI. Posino, - Sella - Cavallaro - V. Inferno - V. Dritta - Laghi Baiassi - Passo della Lazza - V. Tovo - Castana. Seguendo da Posina la strada carrozzabile in una insenatura dietro Canderle si vede una massa potente di alluvione quater- naria minuta dalla quale ancor oggi si estrae il materiale per inghiaiare la strada. Pure alluvione terrazzata si trova alla de- stra del fiume, ma è tutta ricoperta di vegetazione. A Piombi dove sbocca una valletta che scende dalla Sella, si vedono gli avanzi di un lembo di alluvione cementata, appiccicati sulle rocce dolomitiche per una trentina di metri dal livello della strada. Salendo verso la Sella si segue il contatto tra la porfi- rite e la dolomia principale lungo il passaggio evidente di una faglia: l’imponente parete di scorrimento del M. Gamonda ne rappresenta la direzione: S. S. O.-N. N. E.; al di là del passo si scende per un pendìo formato da minuto detrito dolomitico e presso il fondo della valle si ritrova la solita porfirite che giunge fin quasi a Lunardelli. Risalendo il varsante di sinistra della valle, proprio sopra il mulino, si osserva un piccolo affio- ramento di micascisto e subito si trova una fascia di calcare dello Spitz che ad 0. arriva alla contrada Silvestri e a N. scom- pare sotto i detriti di una grande frana. In alto si svolge il piano di Cavallaro che presenta la struttura dei soliti ripiani dovuti al calcare dello Spitz e alle rocce di Wengen : qui in- fatti abbiamo l’orlo di calcare ed una fascia di porfirite che partendo dalla base del M. Maio si dirige verso N.-E. fino alla contrada Berta. Cotesto piano, tutto seminato di abitazioni ed interamente coltivato, contrasta assai coll’aspetto squallido e quasi direi fantastico che si presenta più a N. dove una gran- diosa frana precipitando dal M. Majo, ha seminato tutto il pendìo di blocchi giganteschi e sbarrata la valle sotto il paese di Laghi. Questo scoscendimento è affatto analogo a quello delle Marogne in vai d’Astico e per l’aspetto del paesaggio si avvicina ancor più a quello tra Arco e Mori nel Trentino: deve essere avve- nuto in un’epoca relativamente recente mentre si ritirarono i 722 L. MADDALENA ghiacciai come tanti altri scoscendimenti avvenuti in un’epoca postglaciale. Attraversando la frana si scende a Vanzi ove si ha la confluenza di due valli : una è la Val Dritta che scende dal Coston dei Laghi (m. 1874) cima dolomitica coronata di strati liasici : la valle è tutta scavata nella dolomia, solo vicino a Yanzi affiorano le porfìriti : qui si ha un brusco piegamento ad angolo retto veramente incompatibile coirorografia circostante, cosicché viene subito il pensiero che si tratti di uno sposta- mento della valle verso N. dovuto alla discesa della frana. IJna conferma di tale ipotesi si trova osservando a metà circa della valle di Fioba (continuazione della V. di Mojentale) una vailetta che scende dal piano di Cavallaro tra le contrade Berta e Ma- rogne : questa è profondamente incisa e notevolmente ampia, sproporzionata alle poche acque del suo bacino, onde io penso trattarsi della continuazione della Yal Dritta, come attesta anche una marcata depressione che si vede nella prima parte del piano di Cavallaro. L’altra valle che confluisce a Vanzi è a sua volta composta dalla Yal Grama e dalla Yal d’inferno che scendono rispettivamente dal M. Coston (m. 1656) e dal M. Majo (m. 1500) : nulla di notevole tranne un piccolo affioramento di una roccia verde, uniforme, compatta, a frattura concoide che rivela al microscopio la natura vetrosa di un vero pechstein: del resto sempre la solita dolomia a fori per lo più bianchiccia, ma talora anche giallastra o azzurrognola: in essa la valle è profonda- mente incassata e presenta numerosi e splendidi fenomeni di erosione (marmitte dei giganti) non meno belli di quelli celebri al ponte di Torre in Val Malenco. Da Vanzi scendendo verso i Laghi si vede di nuovo la porfirite presso Molino dove sbocca la valle Scura la quale ha le sue origini dai monti Maggio (m. 1693) e Gusella (m. 1555); dopo Lorenzi ancora porfirite in piccolo affioramento d’ambo i lati del torrente e finalmente giungiamo al paese dei Laghi costruito sopra uno sperone di roccia (m. 567) da cui si domina tutta la valle: le grandiose, nude masse do- lomitiche che la chiudono da ogni lato e la frana immensa col triste disordine dei suoi elementi. Sotto al paese stanno i due piccoli laghi alla quota 534 quando l’acqua raggiunge il mas- simo livello, perchè spesso questo si abbassa notevolmente ed il più piccolo lago giunge anche ad asciugarsi per le abbon- 723 OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO danti infiltrazioni attraverso la massa caotica della frana che non si è ancora resa abbastanza compatta. Infatti le acque pe- renni e abbondanti della Val Dritta, Valle d’inferno e Val Grama, scompaiono poco dopo Molino lasciando asciutto il letto del tor- rente per riapparire solo dopo aver attraversata la frana, un chilometro a valle di Laghi. Nel laghetto più grande l’acqua non manca mai e le trote che il Comitato Vicentino per la pesca e acquicoltura seminò nel torrente Zara ne risalirono il corso sotterraneo e giunsero a popolare il piccolo lago. Le specie che vi prosperano sono la Trutta fario e il Salmo iridens. Ma un grande delta lacustre che va ogni anno ingranden- dosi finirà per occupare tutta la depressione ed anche questo, come tutti i laghi di sbarramento, dovrà ben presto scomparire. Dal paese la strada scende rapidamente attraverso la frana che qui è dirupata e scoscesa: poco prima di Lunardelli si hanno le risorgenti del torrente che prende il nome di Zara, e così si raggiunge il massiccio del M. Gamonda, il quale in proie- zione, come si vede dalla carta topografica, presenta la forma di un triangolo rettangolo con l’ipotenusa rivolta verso la Val Po- sina ed i lati verso la valle del Zara e quella di Fioba : la do- lomia è la principale a Turbo e Megalodon : vi sono però cer- tamente più bassi orizzonti dolomitici, taluni intercalati colla massa delle porfiriti come si vede precisamente sotto Lunardelli. Abbandonando qui la valle e dirigendosi verso il [tasso della Lazza per le contrade Pasco, Colli, Zene, si trova un notevole ammasso di porfirite nella quale si osservano ancora le tracce di antiche gallerie per l’estrazione della pirite, ed è ancor vivo negli abitanti il ricordo della ricchezza di queste miniere ora completamente abbandonate. Il contatto della porfirite colla do- lomia verso E. pare segua la direzione della faglia la quale corre lungo la vai di Fioba, e nella stessa direzione è tagliato nella cresta dolomitica il passo della Lazza (m. 806;. Di qui si entra in Val del Tovo nella quale è notevole soltanto, sotto la contrada Malgarini, una zona di marmo brecciato grigio e nero che attraversa varii banchi dolomitici dal basso all’alto a guisa di filone. La roccia eruttiva che certo ha dato origine a tale trasformazione della dolomia, non si vede: questo marmo si 49 724 L. MADDALENA estrae tuttora ed è molto pregiato. Allo sbocco nella valle del Zara si ha d’ambo i lati una fascia di conglomerato diluviale che si spinge ad E. tino a Castana, mantenendo una potenza superiore ai trenta metri. E così si rientra in Val Posina. SUI FILONI METALLIFERI NELLA PORFIRITE. In tutto il bacino del Posina e nella valle di Laghi, dovunque affiora la porfirite, si osservano, sparsi nella massa eruttiva, numerosi filoncelli di pirite. La tradizione ancor viva di antiche ricchissime miniere ed i buoni risultati ottenuti altrove in ana- loghe condizioni, indussero alcuni capitalisti a dei tentativi ri- masti quasi completamente infruttuosi per la esiguità dei filoni trovati. Una delle più importanti prove fu fatta dal conte Ca- merini nella Valle del Pache, poco sopra la terra Bisele, ove fu scavato un pozzo profondo 20 metri e poi una galleria di 200. Si tentava di seguire in profondità un filone che affiora nella valletta colla direzione: D ~ N. 60 0. e I zzi 55 N.-E. fu infatti raggiunto e seguito, ma la sua potenza, non superando mai pochi cent., e presentandosi quasi sempre in forma di piccole lenti, si dovette abbandonarlo. Un’altra galleria orizzontale si fece pure nel M. Pusta per oltre 200 m., sotto ai Marzolati, per seguire' un filone che aveva circa la medesima direzione del precedente, ma anche questo si mantenne così sottile da venir presto completamente perduto. Un altro tentativo si sta ora facendo poco sopra Prà, dietro un filone sempre nella me- desima direzione che è quella delle fratture della roccia, ma anche questo, pare, col solito risultato negativo. Interrogando gli operai che lavorarono in questi esperimenti mi risultò che l’unica osservazione notevole è l’esistenza di numerosi filoni di minore importanza incrociantisi con quelli seguiti, ma sempre tali da determinare un piccolo arricchimento all’incrocio. In tutte OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 725 le località citate, e in molte altre, la mineralizzazione si osserva proprio nel mezzo della massa porfirica: soltanto sopra Xausa osservai un filoncello al contatto della porfirite colla dolomia; qui feci sparare alcune mine nella speranza di trovare un arric- chimento, ma invece vidi scomparire ogni traccia di minerale. Quanto all’origine loro, si ammette che questi filoni sieno dovuti a riempimento di fratture che si formarono durante il raffred- damento delle masse eruttive per diminuzione di volume. Quanto poi al modo di riempimento, molte ipotesi furono emesse fin dal principio del secolo decimottavo, ma ancor oggi nulla si può affermare con certezza. Lasciamo da parte la Teoria di congenerazione che diceva essersi i giacimenti filoniani formati sineronicamente e nel me- desimo modo colla roccia incassante, e così pure la Teoria di discesa di Werner, che ammetteva esser dovuti i filoni a riem- pimento di fratture incuneantesi nella terra dall’alto al basso, e che dall’alto al basso furono riempite. Molto più degna di nota e veramente applicabile in molti casi è la Teoria della secrezione laterale che dopo i lavori di Bischof, Foychammer, Diulafait, fu applicata da Sandberger a tutti i casi. La teoria dice che le acque di infiltrazione assorbendo o meglio sciogliendo le sostanze minerali contenute nella roccia incassante vengono a scaricarsi nelle fratture, originando i filoni. Tutti gli autori che parlano di minerali che si trovano in con- dizioni analoghe a questi di Posina ne spiegano l’origine con questa teoria : ma a me sembra poterne fare facilmente la critica, mostrando come in questo caso non si possa assolutamente ap- plicare per la seguente osservazione. Nell’ammasso porfirico dei monti Guizze presso Schio, che presenta la stessa composizione chimica sì quello di Posina (Lasaulx), e precisamente in Val Lunga, affiorano e furono accuratamente seguiti e studiati dei filoni di galena e blenda, ma anche questi si presentano nelle identiche condizioni dei filoni di Pirite in Val Posina, di pochissima po- tenza; solo ogni tanto qualche lenticella che non supera i 10 o 12 cm. di spessore; leggero arricchimento all’incrocio con altri filoncelli, e perfino la stessa direzione pei filoni principali. Come dunque spiegare colla teoria della secrezione laterale la 726 L. MADDALENA presenza di minerali così diversi in roccie aventi la medesima composizione chimica? Dobbiamo quindi passare in un altro campo di ipotesi e precisamente in quello delle Teorie dell' ascensione. Alquanto fanciullesca è la teoria dell 'iniezione di Petzhold e Fournet i quali ammettevano una specie di sprizzatila nelle fratture, di sostanze minerali fluide salite dall’interno della terra. La Teoria di sublimazione è interessante ma non applicabile nel nostro caso, con essa si spiega l’origine di giacimenti mi- nerali in fumarole, della Specularne recentemente trovata nelle lave del Vesuvio, formatasi per azione pneumatolitica incontran- dosi tanto l’acqua, come il tricloruro di ferro allo stato di vapori surriscaldati : 2FeCl3 -f- 3H20 i Fe203 -b 6HC1 ed in molti altri casi. Ma per spiegare i filoni in considerazione dobbiamo ricorrere alla Teoria termale che così fu enunciata da Stellzner e Beck: le soluzioni che riempirono le fratture non si formarono in acque provenienti dalla superficie terrestre e circolanti nelle roccie, ma in acque provenienti dalle profondità della terra, acque di costituzione ( Quellwdsser ) liberatesi per mutate condizioni di temperatura e' pressione, le quali trasci- narono con se in soluzione sostanze minerali: queste si modifi- carono a seconda delle roccie attraversate e delle condizioni di equilibrio che a mano a mano trovarono, e vennero finalmente a depositarsi nelle fratture (1). Con questa teoria si può spiegare la presenza di minerali diversi in roccie aventi la medesima composizione chimica, e così io ritengo si debba spiegare l’origine dei filoni metalliferi nella porfirite di Val Posina. Quanto all’epoca in cui questi minerali si formarono, non è possibile accordarsi col De-Launay (2) il quale ritiene che i mi- O Ho preso queste notizie dal libro di Beck sui giacimenti filoniani. (5) De-Launay L., Application de la méthode tectonique à la metal- logénie de la région Italienne. Revue gén. des Sciences, etc., n. 18, 30 settembre 1905. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 727 nerali d’Italia appartengano tutti al sistema terziario; ma si debbono ritenere senza dubbio collegati colle roccie basiche effusive che fecero eruzione al finire del periodo triasico, come afferma il Lotti (') nella critica dello studio del De-Launay. CONCLUSIONE. Ho cercato di descrivere meglio che potevo le escursioni da me compiute ; ora raccoglierò brevemente in serie cronologica le varie formazioni osservate : Arcaico. — Alla base dei terreni Vicentini gli autori furono e sono d’accordo nel porre le filladi micacee colle varietà talcose, cloritiche, argillose, ecc. Questa roccia abbondantissima nei bacini di Recoaro e di Valli ove il letto dei torrenti è in essa scavato, ha pure in Val Posina due importanti affioramenti : l’uno a Sud di Posina, presso Zamboni e nelle vallette tra Teldare e Fu- cenecco, in una zona evidentemente unica, ma ricoperta in parte da altri sedimenti ; l’altro a Nord del paese, tra Spini e Sella. La ragione della scarsità di cpiesta roccia rispetto alla sua ab- bondanza nelle altre valli del Vicentino, si deve ricercare nella relativa ristrettezza del bacino del Posina e quindi nella mi- nore energia di erosione rispetto a quella degli altri fiumi ; inoltre nelle perturbazioni stratigrafiche prodotte dalle potenti eruzioni vulcaniche ; e non ultima causa è il trovarsi la nostra valle proprio alla gamba della grande anticlinale recoarese, la quale ha fatto abbassare notevolmente il livello dei micascisti. Mancano in Val Posina i filoni di roccia porfiroidea verdastra o nera (mimosite (5), trachite, melafiro; secondo i vari autori) che in Val Leogra attraversano così frequentemente questi scisti. t1) Lotti B., Traduzione libera con note, etc., Rassegna mineraria e della industria Chimica, voi. XXIV, n. 2, 3 e 4: 11 e 21 gennaio e 1° febbraio 1906. (2) Ho esaminato un campione di questa mimosite raccolta da un filone nello scisto al ponte del Grigio sotto Staro: risultò trattarsi di una roccia lamprofiriea di tipo camptonitico, con labradoriti basiche (An. 65), biotite, antibolo (Barkevickite), pirosseno olivina alterata, e un poco di base vitrea cosicché la roccia si potrebbe chiamare, secondo Rosenbusch, una: Monchiquite barkevickitica. 728 L. MADDALENA Permiano. — - Si può ritenere ormai chiusa la discussione sulla esistenza del permiano nel Vicentino, e con Taramelli, Gumbel, Bittner e Tornquist riferire a questo piano le arenarie di Val Gar- dena e il calcare a Bellerophon. In Val Posina tra i micascisti e gli strati ad Avicula Clarai del trias inferiore, dove la serie è completa e precisamente nei due rami in cui si divide il torrentello tra Teldare e Fucenecco, si osserva: un conglomerato di quarzo e filladi con cemento rosso-arenaceo passante gradatamente ad arenarie rosse man mano più fine; arenarie grigio-biancastre con tracce di vege- tali fossili ; alternanza di calcare azzurrognolo e marne carbo- niose; grosso banco di calcare selcioso grigio-scuro. Pur quasi completa si osserva la serie lungo la valle dell’Est sopra Zam- boni. In seguito agli studi ed ai ritrovamenti del Bittner nelle vallette di Mondonovo a destra del Leogra, si possono ritenere questi strati come rappresentanti il permiano superiore; o me- glio ancora col Gttmbel, che ne studiò in modo speciale la flora, come un piano di passaggio tra lo Zechstein ed il Rotli; piano nel quale con avanzi fossili di animali paleozoici, si mescola una flora caratteristica piuttosto del trias inferiore: questo per il fatto noto sotto il nome di legge di Weiss: che le flore si modificarono prima delle faune. Arenarie variegate. — Affiorano colla loro facies caratteristica del Vicentino e del Trentino, alla sponda sinistra della valle tra il M. Pusta e contrada Molisini sotto al micascisto, e poi di nuovo tra Teldare e Fucenecco sopra il calcare a Bellero- phon. Qui si vedono : lastre calcari a Posidonomya darai e Myg- cites , arenarie rosse a Myacites, oolite scialba friabile (Ga- stropoden oolith del Lepsius), marne sabbiose variegate, are- narie scialbe micacee ad Avicola Venetiana , di nuovo strate- relli di arenarie rosse micacee - dolomia cariata. Lungo la valle dell’Est sopra Zamboni e tra Ligluzzoli e Fucenecco si vede soltanto una parte della serie : arenarie e marne rosse con nu- merose impronte di Bhizocorallium ; calcari giallastri, denta- tici, nucleati, con zone e stratelli violetti; calcare grigio sel- cioso. Più in su verso la malga Xomo si hanno argille cene- rine e gessi. Tra Zamboni e Bettale in una fascia interrotta e ricoperta da detriti di porfirite si vedono : arenarie rosse in pie- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 729 coli strati e dolomia cariata. Un piccolo affioramento di lastre calcari grige si ha sotto la contrada Costa. MuschelkaTk inferiore. — Si presenta in una gran fascia che dalla base di Val Camuzzara, dove raggiunge e supera la quota 1000, corre lungo le falde dolomitiche del gruppo dei Forni Alti, scendendo dolcemente fino al letto del Posina sotto Lissa a circa 600 in. s. 1. d. m., e segna così l’andamento della grande anticlinale recoarese. Si osservano per tutto questo tratto: lastre calcari grigie o giallognole ad Encrinus gracilis ; manca l’orizzonte con arenarie e marne variegate ; è invece assai svi- luppato quello a calcari nodulosi con brachiopodi, e calcari dolomitici bruni. Una piccola zolla di Muschelkalk fossilifero con Gervillia e Mioplioria si osserva tra Costa e Xausa circa alla quota 800, e un’altra tra Sella e Spini. Muschelkalk medio: manca. Muschelkalk superiore. — E rappresentato da un calcare compatto giallognolo, che si distingue dalla dolomia principale, oltre che per la maggiore effervescenza con HC1, anche per una leggiera tendenza al color giallo e perchè sempre rivestito di una abbondante vegetazione di arbusti: talora è bianco saccaroide con Giroporelle. Questa formazione è parallela alla dolomia me- tallifera di Curioni, ossia è il calcare del M. Spitz che in con- cordanza col Muschelkalk inferiore si sviluppa a guisa di fascia dalla Val Camuzzara (m. 1200) fino alla contrada Doppio al di là della Val di Sorapache (m. 750). Si trova pure alla sinistra del Posina; in piccola quantità sotto Lambre; tra Costa e Polenta, immerso nella porfirite e trasformato in bellissimo marmo; tra Sella e Xausa a coronare la costa di Mojentale; e finalmente forma il limite orientale del piano di Cavallaro. Gli strati a Nodosus che chiudono il trias medio Vicen- tino (così classicamente sviluppati nel bacino del Tretto), sembra che siano rappresentati da quella formazione arenacea rossa della fontana di Malga Campiglia e del calcare a noduli dell’alta vai dei Corvi. Questi sarebbero paralleli al piano di Buchenstein. Wengen. — A quest’epoca si deve riferire la maggior parte delle roccie eruttive del Vicentino. In vai Posina abbiamo un tipo predominante di porfirite alterata, rossiccia, talora violacea o giallastra o bianca: questa costituisce la massa del M. Alba 730 L. MADDALENA dal colle di Posina a quello di Nomo, e tutte le alture presso Posina da Lambre a Piombi salendo fin sotto la costa di Ma- jent.ale e ai piedi del M. Majo: alla stessa roccia si debbono riferire gli affioramenti di vai dei Laghi e sul Pian Cavallaro. Diversa invece è una roccia bruna con interclusi ora bianchi, ora rosei di feldspato, che al microscopio si rivela ora come una porfirite, ora come un porfido quarzifero: questa affiora come roccia stratificata sotto la dolomia della Gamonda lungo la strada, tra Castana e Fusine, e presso la contrada Prà, dove non ho potuto constatare con sicurezza se si presenta come am- masso o come filone, attraverso la porfirite rossa. Finalmente abbiamo una serie di rocce nerastre compatte che si presentano sempre come filoni più o meno potenti : di questi alcuni sono a grana più minuta di un color grigio-piombo, durissimi, si osservano solo nella massa porfirica tra Léparo e Collo e a Canderle, o nelle rocce più antiche (a Fucenecco), e furono da me classificate come Camptoniti : gli altri a grana più grossa, di un bel nero lucente, giungono ad attraversare tutto lo spessore della dolomia principale (Borcola, Vaccarezze, Fontana d’oro, ecc.); questi vanno considerati come Melafiri o Basalti non potendosi determinare con precisione la loro epoca di eruzione. Il Lepsius aveva distinto due epoche eruttive nel Vicentino e ne riferiva una al Roth e una al Raibl. Il Negri in una comu- nicazione fatta al congresso Geologico di Fabriano (1883) accennò pure alla possibilità di ammettere queste due epoche, l’una nel Werfen, l’altra nel Wengen; ma egli stesso dopo aver letto il lavoro di Bittner (’), dove con forti argomenti si sostiene che anche le porfiriti brune che si trovano iu blocchi e filoni nel trias inferiore sono da considerarsi come masse intrusive la cui epoca di eruzione è certamente quella di Wengen, ammise di dover riferire tutta l’attività vulcanica a questo periodo. Anche il Tornquist è di questa opinione, ed io pure riferisco al Wengen la maggior parte delle rocce eruttive della vai Posina; ma quei filoni basaltici che attraversarono la dolomia principale (x) Bittner, Bericlit uh. die geol. aufn. in Triasg. v. Recoaro (d. k. k.geol. Reicii. 33, p. 563-634). OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 731 per tutto il suo spessore, rimanendo incerto il limite più recente della loro possibile eruzione, e d’altra parte essendo certamente posteriori alla formazione dolomitica, possono appartenere a qual- siasi piano anteriore all’oligocene: più recenti no certo, perchè si osservano quei filoni incurvati e tagliati dalle fratture del corrugamento oligocenico. Quanto alla natura delle eruzioni, secondo il Tornquist dovreb- bero predominare la laccoliti : egli dopo aver osservato una pic- cola forma di tal genere in vai Fangosa (di cui presenta una bella fotografia nel già citato lavoro, tav. VI), afferma che il massiccio dei monti Guizze e Faeo si formò come una laccolite, e trova una conferma di ciò nel raddrizzamento del calcare a Bellerophon e degli strati di Werfen che li circondano. Le azioni meccaniche di compressione e l’erosione meteorica, avreb- bero poi asportato i terreni sedimentari e lasciata scoperta la roccia eruttiva. Inoltre egli ritiene che il M. Alba colla massa di porfirite che va dal colle di Posina a quello di Xomo abbia pure la medesima origine. Quanto al M. Guizze non posso giu- dicare, perchè fuori del campo delle mie ricerche, ma per il M. Alba io ritengo certamente trattarsi di una colata e non di una laccolite. Forma caratteristica di una laccolite è quella di un espandimento, quasi direi fungiforme: al di sopra di un canale di emissione del magma si ha una massa che presenta una base pressoché orizzontale e si sviluppa in forma di cono arrotondato. Vi saranno degli strati sollevati e raddrizzati sopra il magma, altri leggermente inclinati in corrispondenza del centro di gravità della massa, per effetto del suo peso. Ora, in seguito alla denudazione della laccolite si vedranno gli strati sollevati ai suoi bordi, e, a seconda della sua potenza, quelli leggermente schiacciati che corrono quasi sotto di essa. Nel caso invece del M. Alba gli strati di Werfen ricoperti dalla porfirite, affiorano d’ambo i versanti perfettamente indisturbati seguendo l’andamento della anticlinale recoarese. Per questo fatto e perchè la roccia presenta dei caratteri molto analoghi a quelli di una andesite, io ritengo effusiva tutta la massa porfiriea del M. Alba. S. Cassiano e JRaibl: mancano. Dolomia principale. — E la formazione che predomina nella località studiata. Tutta la Val dei Laghi, la prima parte della 732 L. MADDALENA vai Posina fino a Piombi, e poi da Doppio al colle della Bor- cola, sono scavate in questa roccia. Essa è completamente uni- forme per tutta la sua potenza che raggiunge e supera i 1000 m. Si possono distinguere delle facies accidentali, come: calcare dolomitico a pezzetti (sopra malga Xomo e Campiglia salendo verso Forni Alti, e scendendo dalla Sella in vai Majentale); breccie giallastre (vai Canale e vai Soropache); marmo bianco ceruleo e breccie con pasta, formata da roccia eruttiva (in vi- cinanza ai filoni basaltici di Yaccarezze e passo della Borcola). Dolomia grigia o biancastra a Turbo solitarius, la quale pre- domina in tutto il bacino. Infralias e Lias inferiore. — Si discusse a lungo se esista o no un terreno infraliasico nel Vicentino: il Pirona lo negò, Bittner l’ammise e Tornquist disse che nel Vicentino sopra la dolomia principale non si trova nè Lias nè Infralias. Io potei constatare la presenza di un calcare grigio, stratificato che co- rona tutte le cime dolomitiche del gruppo Forni Alti, Novegno e Priaforà e di quelli al Nord di Laghi: per i fossili raccoltivi l’ho riferito al Lias inferiore escludendo quindi la presenza distinta delle dolomie infraliasiche del Retico, le quali forme- rebbero una massa unica colla dolomia principale, come avviene in gran parte del bacino dell’Adige. Il Lias superiore e il Giura così sviluppati sugli altipiani di Tonezza e di Sette Comuni, mancano nella regione studiata, e così pure mancano la Creta e tutti i terreni terziari. Quaternario. — Si riferiscono ad esso le morene di S. Rocco di Arsiero, di Lago e quelle che si osservano sulla piattaforma di Malga Campiglia: inoltre le alluvioni terrazzate di Peralto, Castana, Piombi, Posina e più in su verso il passo della Borcola. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 733 TECTONICA GENERALE DEL VICENTINO E IN PARTICOLARE DELLA VAL POSINA. La tectonica del Vicentino si collega con quella del Tren- tino meridionale e del Veneto e presenta in comune con esse la caratteristica di estensioni notevoli con strati pressoché oriz- zontali. Questi sono tagliati da numerose fratture e ricoprimenti locali che per successivi movimenti diedero origine ad una strut- tura a gradini. Un sistema di grandiose pieghe costituisce il limite tra la regione montuosa e la pianura. Ad oriente della valle dell’Adige vi sono tre faglie principali : la linea di frat- tura Valsugana- Comelico scoperta da Mojsisovics e seguita dal Taramelli fino a Comelico; la linea di Belluno che si continua colla frattura periadriatica Barcis- Star asella : queste hanno una direzione all’ incirca da 0. ad E.: la terza detta la Schio- Vi- cenza che è normale alle precedenti. Quanto a pieghe si può dire che l’attuale orografia fu soprattutto determinata dalla gran- diosa sinclinale pedemontana che da S. Quirico in Val d’Agno corre sempre al limite tra i monti e la pianura fino a Piovene, e poi lungo il confine dell’altipiano di Asiago fino a raggiun- gere la sinclinale di Belluno: normalmente a queste si volge Yanticlinale Recubar iense. Si è per lungo tempo creduto che i terreni nel Vicentino andassero lentamente abbassandosi dalle alte valli dell’Agno, del Leogra e del Posina verso la pianura in direzione da N. 0. a S. E. : ma il Tornquist dimostrò trattarsi invece di numerose faglie successive che fanno abbassare il livello dei terreni a guisa di tanti gradini, spiegando così la presenza delle forma- zioni più antiche nella parte alta delle valli. E ben difficile nel Vicentino seguire le linee di frattura, perchè ben di rado esse si mantengono rettilinee e il rigetto varia spesso rapidamente : una notevole complicazione deriva poi dalla gran quantità di rocce eruttive che si trovano in forma ora di filoni, ora di am massi, ora di colate, nelle condizioni più svariate, determinando fratture e piegamenti locali che furono diversi secondo la com- pattezza e la natura della roccia interessata. Le fratture si pos- sono raggruppare in due sistemi secondo la loro direzione: quelle 734 L. MADDALENA dirette da 0. ad E. e quelle dirette da N. N. 0. a S. S. E.: vi sarebbero poi quelle che interessano la zona di confine colla pianura e che vennero deviate dalla loro primitiva direzione in seguito ai successivi piegamenti (*). Faglie 0. E. — Le principali sono : La faglia di Becoaro che comincia al passo della Zevola e va a morire nel letto dell’Agno presso Recoaro : è così evi- dente da potersi seguire coH’occliio dal fondo della valle, per la grande spaccatura prodotta presso Asnicar e i due passi di M. Rove e della Zevola. La faglia di S. Giuliana, quasi parallela alla precedente, dal passo della Lora per S. Giuliana e Pianalto va a finire poco sotto Mondonovo nel bacino del Leogra. La faglia di Marendaore che dalla parete N. del M. Obante per Val Rotolone, Tornasi, Floriani e Cima La-Loccbetta, si unisce alla precedente presso Mondonovo. Tutte queste tre fratture presentano il labbro S. abbassato rispetto a quello N., e il valore del rigetto varia da pochi metri fino a circa 350, come si osserva presso Bolembise per la terza faglia. A questo sistema si possono unire le fratture di minore importanza di Stedele, del 31. La Basta e di S. Ulderico del Eretto. Faglie N. N. O.-S. S. E. : sono incrociate dalle precedenti cosicché tutta la regione viene a trovarsi divisa in tanti piccoli gradini (Schollen). Le principali sono : Faglia di Bistele: corre dal passo del M. Ristele alla de- pressione che sta fra i monti Obante e Plische. Faglia di Campogrosso : dal passo di Campogrosso lungo la valle omonima alla cima Campo Davanti, e pel passo Rodecche entra nel Veronese. Faglia del Baffelan: parte della scoscesa parete del Baf- felan, incrocia e complica la faglia di Marendaore tra To- rnasi e Ulbe e va a morire lungo il fianco N. 0. del M. La Basta. Faglia di Bozzoni: nel bacino del Tretto. P) Il Tornquist descrisse minutamente queste fratture nel già citato lavoro. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 735 Anche per queste il valore del salto varia tra gli stessi limiti che per le precedenti, e si trova quasi sempre il labbro orien- tale abbassato rispetto a quello occidentale. Abbiamo visto come il primo sistèma di faglie divide la regione in gradini che vanno abbassandosi verso S., mentre il secondo produce un abbassamento in direzione E. N. E. Dalla combinazione di questi due sistemi deriva che verso N. E. le zolle dei terreni si trovano più basse mentre vanno innalzan- dosi verso S. 0. È inoltre interessante osservare che il sistemai. N. O.-S. S. E. è generalmente disturbato dal sistema E. 0., cosicché questo deve essere più recente del primo. Non è possibile determinare l’età di queste faglie, ma si può ritenere che siano tutte dovute al corrugamento terziario. Studiando la zona di piegamento si può constatare che fu contemporanea al sistema E. 0. di fratture e riferirla al Miocene; cosicché il sistema N. N. O.-S. S. E. sa- rebbe avvenuto nel terziario antico. Assai complicati sono i rapporti strati grafici nella zona di piegamento che dal M. Falcone si svolge fino ai piedi dell’alti- piano di Asiago. Bisogna distinguere in essa due parti ben di- verse : quella a S. 0. del M. Falcone fino a Torrebelvicino, e quella che di qui verso Est determina la gran piega a ginoc- chio che fa quasi immergere a picco nella pianura veneta i terreni Basici e giuresi del massiccio di Sette. Comuni. Il Torn- quist studiò accuratamente questa zona di pieghe e di faglie e la distinse in 4 parti: dal M. Falcone fino alla valle dell’Agno comprendendo il M. Spitz e il M. Torrigi; dall’Agno al Leogra coi monti Scandolara, Civillina, Suidio e Naro; da Poleo al Timonchio comprendendo le colline pedemontane sotto al Tretto ; dal Timonchio fino alla base del Sommano oltre Piovene. Egli venne alle seguenti conclusioni : Per la regione dal M. Falcone alVAgno: Il calcare del M. Spitz si abbassa verso S. E. ed è spezzato da numerose frat- ture le quali produssero dei gradini portati a diversa altezza. Le faglie di schiacciamento hanno la medesima età delle pieghe ; solo la faglia di Bocchese diretta da N. E. a S. 0. è più gio- vane. Le zone delle roccie eruttive e della dolomia sono rego- 736 L. MADDALENA lari; solo si abbassano leggermente verso S. E. Nei terreni giu- resi e cretacei del M. Torrigi si ha un ricoprimento. Pel 2° gruppo dal M. Scandolara al M. Naro: Il calcare del M. Spitz tra l’Agno e il Leogra è diviso in numerosi gradini che presentano ora dei ricoprimenti, ora delle torsioni. I singoli gradini nella torsione hanno ruotato l’uno rispetto all’altro nel senso delle sfere dell’orologio: la rotazione avvenne durante il piegamento. Vi sono alcune faglie più antiche appartenenti al sistema che ha la direzione N. N. O.-S. S. E. Negli strati del Lias e della creta si vede una piega rovesciata verso Sud e due bellissimi ricoprimenti. Da Poleo al Timonchio: Si osserva che: ad E. del torrente Gogna la regione di piegamento è tagliata e spinta alquanto verso N. Al passo del Giovo si osserva una energica rotazione verso N. che divide la dolomia della massa eruttiva dei monti Guizze e Faeo. La faglia Schio-Vicenza attraversa questa re- gione così tormentata, producendovi uno spostamento che dimo- stra come la faglia sia più recente della Torsione. Finalmente ai piedi del Swnmano si ha un ricoprimento della dolomia sopra la creta e il terziario. Da qualunque punto del piano si salgano i monti, comin- ciando da Schio fino a Bassano, per una estensione di circa 30 km. da 0. ad E., si incontra la serie dei terreni rovesciata per la grande piega a ginocchio che limita bruscamente verso S. la regione montuosa. Salendo poco sopra Piovene verso l’ora del tramonto e guardando ad E. si vedono gli strati della Creta e del Giura che formano l’orlo dell’altipiano di Asiago, piegarsi ad angolo retto e precipitare verso la pianura. I lembi di Sca- glia e di Eocene che si osservano sull’altipiano stesso presso Gallio, e i lembi di calcare Basico che più ad 0. coronano le cime dolomitiche, sono gli avanzi di quel mantello uniforme e continuo di strati che doveva ricoprire tutti i monti del Vicen- tino la cui emersione si deve riferire solo al terziario recente. Il bacino del Posina è tutto fuori della zona di piegamento ed in esso si osservano soltanto delle faglie. E soprattutto la continuazione della frattura Vicenza-Schio che interessa e modifica grandemente il nostro bacino. Codesta faglia fu supposta dal Suess, e il Bittner ritenne che non s’ar- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 737 resti a Schio, ma si prolunghi nell’interno della regione mon- tuosa seguendo il corso del torrente Gogna, e per il passo del Giovo, Ortigara, colle di Posina e alta Val Posina vada a per- dersi contro le cime dolomitiche della Borcola. Secondo Bittner la sua direzione sarebbe pressoché rettilinea da S. E. a N. 0. e dividerebbe così il Vicentino in due parti : l’una ad 0. della frattura comprenderebbe le valli dell’Agno e del Leogra e il versante N. E. del Pasubio; l’altra ad E. costituita dai Tretti e dal resto più orientale della Val Posina. Il labbro S. 0. della faglia è sempre abbassato rispetto a quello N. E., infatti delle diverse formazioni portate reciprocamente a contatto lungo detta linea, quelle a S. 0. sono sempre più antiche di quelle che stanno loro a riscontro al di là della frattura. Così in basso del torrente Gogna il micascisto ed il Trias inferiore della base del M. Enna sono portati a contatto coi terreni eocenici e cretacei fortemente inclinati che circondano i monti Guizze e Faeo. Lungo la linea Ortigara-Colle di Posina si possono osservare tutti i terreni dagli scisti di Werfen fino ai calcari dello Spitz a contatto immediato colla dolomia principale. Io ho seguito l’andamento della faglia in una escursione ai primi di maggio, quando per la scarsità della vegetazione si poteva vedere assai bene il terreno. Oltre agli spostamenti evi- dentissimi nella valle del Gogna e al passo del Giovo, ne os- servai uno bellissimo in una vailetta presso Ortigara dove il Muschelkalk è scorso lungo il contatto colla porfìrite producendo bellissimi liscioni. Così pure poco sotto al Colle di Posina una potente pila di strati di Werfen, sono a contatto colla dolomia principale. Il Bittner ritiene poi che la faglia continui lungo la Val Posina: egli porta come argomento di ciò la presenza dei micascisti lungo il versante S. 0. della valle tra Zamboni e Teldare, mentre, secondo lui, mancano sull’altro versante. Ma questa affermazione non è vera avendo io costatata la presenza dei micascisti in un’ampia zona tra Spini e Sella a Nord di Po- sina, ad un livello di pochi metri inferiore a quello dell’affio- ramento citato nel versante Sud della valle. Le mie accurate ricerche mi hanno dunque persuaso che la faglia poco sotto al colie di Posina piega bruscamente verso N. N. E., fiancheggia le dolomie del M. Spin, attraversa il Posina, segue la grande 738 L. MADDALENA parete di scorrimento della Gamonda formando il passo di Sella e per la vai di Fioba. attraversa il Zara e va a perdersi nelle masse dolomitiche oltre Val di Tovo dopo di aver determinato la sella del passo della Lazza. Qui non v’è dubbio che la faglia passi : ne è sufficiente testimonio la parete lisciata del M. Ga- monda lungo la quale si trovano a contatto la dolomia princi- pale ad Est, colle porfìriti e i tufi di Wengen, il calcare del M. Spitz e il Musclielkalk ad Ovest : qui anzi si può constatare un salto di almeno 400 m., distanza verticale tra la quota mas- sima del calcare dello Spitz e la parte più bassa della valle dove affiora la dolomia. Ora dirò perchè io ritenga che la faglia non continui verso l’alta Yal Posina come Bittner sostenne : intanto la piccola dif- ferenza di livello a cui si trovano i terreni più antichi sui due versanti della valle si spiega a sufficienza coiranticlinale Recu- bariense: codesta grandiosa piega che ha origine dal bacino di Recoaro, ebbe la sua cerniera spezzata, e in essa il Leogra si scavò la sua valle. In Val Posina arriva l’estrema gamba set- tentrionale della piega stessa: si vede infatti tutta la serie dei terreni inclinare leggermente a N. Se dunque la faglia continuasse lungo la valle, si dovrebbe osservare un dislivello nel limite inferiore dei calcari basici che coronano le cime dolomitiche. Sui monti Forni Alti e Pasubio questi calcari cominciano alla quota 1850: alla sinistra della valle, sul M. . Majo e sulla Cima della Forcola che raggiungono i 1750 m., non se ne hanno ancora tracce, e poco più a N. sul Coston dei Laghi si comincia a trovarli a 1800 m. Qui dunque non si può parlare di faglia, che anche quei 50 m. di dislivello vanno riferiti alla piega Recoarense la quale viene seguita da tutta la pila degli strati. Per riscontro, là dove la faglia passa, è appunto particolarmente evidente il dislivello di queste formazioni basiche : così partendo dal Colle di Posina abbiamo il bas a 1475 m. dalla parte Est sul M. Cal- ban, mentre ad O. non comincia che a 1850 m. sui Forni Alti, mostrando evidente un salto di 375 m. Inoltre, avendo io rin- venuto i micascisti a N. di Posina quasi allo stesso livello che a S., è caduto l’argomento più valido con cui si poteva soste- nere il passaggio della faglia lungo la valle. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 739 Quale sarà la causa che determina l’improvvisa deviazione della frattura Schio -Vicenza? Io credo che questo fatto si possa spiegare con la presenza della grande massa di rocce eruttive che occupa i dintorni di Posina dal M. Alba fino alla costa di Majentale. I terreni cedono alle forze che determinano gli accidenti tettonici in grado diverso secondo la natura loro: così queste rocce porfiriche formando una massa unica, compatta e più strettamente unita alla massa terrestre di quello che non siano le roccie sedimentari, avrebbero resistito alle azioni dinamiche che produssero la frattura, cosicché queste forze dovettero ma- nifestarsi in un’altra direzione e precisamente al limite tra le rocce vulcaniche e le sedimentari. Ben raramente del resto si osservano casi in cui una massa eruttiva sia attraversata da fratture ; in generale viene da esse rasentata, e di questo fatto ci danno splendido esempio la Me- rano-Innsbruck rispetto al gruppo Tonalitico, e la Valsugana- Comelico per i graniti di Cima d’Asta. Talora le faglie si spostano bruscamente per evitare una massa eruttiva, come ha dimostrato il Porro per le fratture della Val Sassina e del Breinbo di Branzi. La faglia Vicenza-Schio non s’arresta ove incomincia la nuova direzione N. N. E. sotto al colle di Posina, ma continua fino a raggiungere la porfirite del M. Pusta come attesta lo scorrimento che portò gli scisti ed i calcari di Werfen nel fondo della valletta di Fucenecco ad un livello inferiore dei micascisti che affiorano poco più in su nella medesima. Quanto all’età, la faglia Schio-Vicenza è senza dubbio assai recente. Per la determinazione di essa è di grande importanza l’osservazione già fatta dal Bittner: che a S. 0. di Schio gli strati della Creta e del piano di Castel Gomberto sono portati a contatto cogli strati di Schio che in questo punto si presen- tano notevolmente raddrizzati. La faglia è dunque senza dubbio posteriore alla deposizione di questi terreni, che io d’accordo con Bittner, Taramelli e Tornquist, riferisco al miocene inferiore, all’aquitaniano, malgrado l’opinione dell’Oppenheim che li vor- rebbe oligocenici. Vediamo ora in quali rapporti sta la faglia con la piega pede- montana. Al torrente Gogna poco sotto Poleo, si osserva una BO 740 L. MADDALENA notevole torsione che ha spinto la dolomia dello Scandolara contro la massa porfirica del M. Faéo; la faglia, attraversando pressoché normalmente la piega, ne ha spostato verso N. la parte orientale rispetto a quella occidentale. La piega dunque è più antica della faglia, ma anche quella si può ritenere po- steriore agli strati di Schio: poiché se in questo punto tali ter- reni si trovano quasi orizzontali, in un altro punto dell’anti- clinale pedemontana, tra Marostica e Bassano, si osservano gli strati di Schio dislocati con essa. Così il Suess nel primo volume della sua opera Antlitz der Erde, p. 329, dà un profilo lungo il torrente Silano (Val Bovina) ad 0. del Brenta, nel quale si vedono gli strati di Schio portati quasi in posizione verticale sempre nella zona della piega citata. Dunque anche la grande zona di piegamento del Vicentino si deve riferire al miocene superiore. La faglia Vicenza-Schio che ha probabilmente uno stretto nesso col vulcanesimo Euganeo, è parallela all’andamento delle rughe Dinariche e Giulie ed alle ondulazioni appenniniche. Ad essa si arresta la direzione X. E. delle formazioni mesozoiche e terziarie a ponente del Tagliamento, parallelamente alla quale decorrono le altre fratture: Valsugana-Agordo, Belluno-Barcis- Starasella e Bassano-Serravalle, causate dallo stretto corruga- mento delle formazioni mesozoiche e terziarie sotto la pressione della massa delle Alpi Betiche orientali. La zona di piegamento continua fino a Serravalle nel Tre- vigiano verso E. ed è assai bene conosciuta: meno noto è il suo andamento verso 0. Il De-Nicolis (*) tentò invano di seguirla nel Veronese: Bittner (2) dice che dai piedi del M. Falcone si volge verso l’alta valle di Chiampo a S. di Campo. d’Albero e che si può seguire avanti per Tinazzi, Scandola e Bosino. Anche il Taramelli nella Geologia delle Provincie Venete dice che non si sa come questa piega vada a finire a S. del M. Falcone. Non si sa neppure come si colleglli con le fratture di vai d’Adige, ma è certo che deve esistere un legame tra essa e la tettonica delle Giudicane e le così dette fratture periadriaticlie. Vacek (3) O Carta geol. della prov. di Verona, 3882. (2) Verhandl. d. k. k. geol. Reichsanst., 1877, p. 226-231. (3) Verhandl. d. k. k. geol. Reichsanst., 1881, p. 161. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 741 fu il primo che potè dimostrare come si collegano le fratture periadriatiche di Casa d’Asta con quelle della vai d’Adige, ed un fatto analogo è probabile che si possa verificare a S. per la nostra zona di piegamento. Le fratture periadriatiche costituiscono quella serie di faglie che hanno dato l’aspetto di una grandiosa scalinata scendente a S., coi gradini rivolti ad E, alla massa montuosa compresa tra la Val Sugana e la Pianura Veneta. In Val Posina, oltre agli spostamenti dovuti alla continua- zione della Vicenza-Schio (che io propongo si chiami frattura: Vicenza- Schio- Laghi), non vi è d’interessante che lo scorrimento del Werfen sotto al M. Posta; gli altri piccoli salti essendo di importanza affatto trascurabile. ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI STRATIGRAFICHE SUL VICENTINO. L. V. Buch già dal 1798 osservava con meraviglia la pre- senza delle filladi quarzifere nel Trentino meridionale e nel Vi- centino. Il Pasini nel 1831 nelle Ricerche geologiche sull’ epoca a cui si deve riferire il sollevamento del Vicentino , tentava di spiegare la loro presenza per una spinta sotterranea delle masse eruttive, la quale avrebbe prodotto in esse dei crepacci riempiti dal magma eruttivo. Così, secondo lui, la mimosite avrebbe pro- dotto questo sollevamento. Recentemente si tentò di spiegare il fenomeno ammettendo la presenza di zone di piegamento all’orlo della catena alpina. Mojsisovics considera la regione montuosa compresa tra Schio-Recoaro e la Val d’Adige presso Rovereto « ein breites, tonnenfòrmiges Grewòlbe, dessen Ostschen- kel durch die Erosionsrinnen von Recoaro u. Valli dei Signori bis auf die Phyllitiinterlage entblosst ist ». Ma considerando i rapporti di giacitura dei terreni triasici del Vicentino possiamo facilmente persuaderci che la spiegazione della presenza delle formazioni più antiche si deve ricercare in una serie di cause piuttosto che in una causa unica. 742 L. MADDALENA Dapprima si osserva che nel Vicentino i micascisti sono ricoperti direttamente dalle arenarie permiane, mentre nel Tren- tino meridionale si trovano a quel posto dei potenti ammassi di porfido quarzifero: si deduce che a quel tempo i terreni fonda- mentali dovevano essere assai più bassi nel Tirolo che nel Vi- centino. Nelle Alpi Carniche vediamo i terreni del Siluriano, del Devoniano e del Carbonifero sovrapposti regolarmente alle filladi: quei terreni possono essere esistiti anche nel Vicentino ed essere stati abrasi prima del Permiano: anche qui si constata una mag- giore altezza dei terreni arcaici nel Vicentino che nella Carnia, inoltre mancano nel Vicentino le pieghe che così potentemente hanno tormentato le formazioni delle Alpi Carniche. Sembra dunque che la base dei terreni triasici nel Vicentino, già sin dal paleozoico si presentasse come un grande massiccio elevato, rispetto alle regioni a N. e a N. E. Il ricoprimento coi terreni triasici è dapprima uguale e com- pleto, ma già nel Muschelkalk inferiore si osservano le parti a N. e a N. E. essere più elevate di quelle a S. e a S. 0. Un altro sollevamento si osserva in modo evidente dopo l’appari- zione delle masse eruttive nei piani a Trinodosus e Nodosus e nel periodo di Wengen. I sedimenti di Raibl mancano comple- tamente. La dolomia principale si presenta spesso unita a un conglomerato basaltico: e la sua stessa potenza è assai variabile, cosicché anche prima della deposizione dei terreni del Lias e in diverse epoche del Giura, si debbono ammettere parziali emersioni della regione e conseguente abrasione della dolomia. Non è a credersi che il massiccio emergente già nel paleo- zoico fosse formato solo della parte attualmente elevata dei terreni fondamentali, ma si ammette che il Vicentino sia sol- tanto una parte di quello che doveva estendersi assai più nella regione adriatica. Durante i movimenti terziari sono avvenute numerose nuove variazioni nei rapporti d’altezza delle varie parti: in seguito alle faglie prodottesi in questo periodo la parte N. 0. del Vi- centino venne a trovarsi ad una altezza relativamente assai maggiore della parte S. E.: mentre la porzione ad oriente della faglia principale, già sollevata a N., venne, sia per faglie sia *v-V SEZIONE TRA COSTAPIANA E LAGHI Boll. Soc. Geol. Ital. Voi. XXV (1906). ( Maddalena ) Tav. XIII. MADDALENA DIS »REM rOTOT. P. MAR2ARI & C - 9CHIO Boll. Soc. Geol. Ital. Voi. XXV (1906). ( Maddalena ) Tav. XIV. Sezione naturale nelle arenarie di V. Gardena — Sopra, Corti ana (Valle Leogra) Incrocio di Valle Posino e Valle di Rio Freddo t Antico letto del Posino I Calcare del monte Spitz - 2 Dolomia principale del Cornetto Torre di calcare liasico (2) stratificato sopra la dolomia principale (l) Valle del Leo® Malga Yaecarezze Boll. Soc. Geol. hai. Voi. XXV (1906), ( Maddalena ) Tav. XVI, POSINA VEDUTA DA SUD — . — . — .— Andamento della faglia Vicenza - 1. Dolomia principale del M. Gamonda — 2 Porfirite — 3. Calcare del 31. Spitz ASSIEPO fotot. p, marzari se. • SCHIO La gola del Poema O veduta da Valle t antico passaggio del Posino OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL VICENTINO 743 per flessure pronunciate, a trovarsi relativamente abbassata. E così si spiega l’arretramento verso N. che diede luogo alla conca di Schio. Non soltanto la notevole altezza a cui si trovano i terreni fondamentali nella nostra regione, ma specialmente la loro po- sizione orizzontale e la mancanza assoluta di pieghe ne costi- tuiscono una caratteristica che li distingue da tutte le altre parti delle Alpi; cosicché per essi bisogna modificare la defi- nizione che considera le Alpi come una serie di pieghe terziarie. In conclusione: dobbiamo considerare il Vicentino come uùa regione che già nel paleozoico si distingueva dalle altre parti delle Alpi, e che venne allacciata al sistema alpino in seguito ai movimenti terziari senza perdere però le sue caratteristiche. Gabinetto Geologico della R. Università. Pavia, maggio 1906. [ms. pres. il 9 settembre 1906 - ult. bozze 20 novembre 1906]. SOPRA ALCUNI AVANZI DI VERTEBRATI FOSSILI CONSERVATI NEL MUSEO CIVICO DI CREMONA Nota del Dott. Giuseppe De Stefano Grazie ai buoni uffici del mio egregio amico signor Ales- sandro Landriani, conservatore nel Museo civico di Cremona, ho avuto poco tempo fa l’incarico, dalla direzione dell’anzidetto Museo, di classificare ed elencare un certo numero di avanzi fossili in esso conservati ed appartenenti alla classe dei pesci ed a quella dei mammiferi. Gli avanzi fossili accennati non sarebbero privi d’interesse scientifico qualora fosse nota la loro provenienza, o, per meglio dire, la loro ubicazione : essi appar- tengono a vari orizzonti geologici, ma quasi tutti gli esemplari mancano di etichetta; nè maggiori schiarimenti ho potuto otte- nere dal custode dello stesso Museo, che tale posto occupa pure da vari anni. I fossili più numerosi — intorno ai quali credo sufficiente un semplice elenco — sono rappresentati da denti di squali e da un buon numero di esemplari di pesci, quasi tutti ben con- servati, che io ritengo provenienti dal celebre deposito ittiolifero del monte Bolca, giacche assomigliano ad altri di tale località che io ho visti nel gabinetto di geologia dell’Università di Pavia, e fra le collezioni paleontologiche del Museo di Storia Naturale di Parigi. Di tali esemplari però io non mi occupo in questa nota, giacche mancandomi i libri ed il materiale di confronto non potrei attenermi che a molte dubbie determinazioni gene- riche e specifiche. Quanto ai denti di squali, ho riconosciuto, fra gli esemplari esaminati, le specie qui appresso elencate. Carcìiarodon auriculatus Blainville sp. — Questa specie è rappresentata da sette denti, di grandi dimensioni, tutti più o AVANZI DI VERTEBRATI FOSSILI 746 meno ben conservati, in modo da poter discernere a prima vista i caratteri specifici, vale a dire, le facce quasi egualmente con- vesse, i margini fortemente dentellati da una seghettatura piccola ed uniforme (eccezion fatta per due, che, appartenendo ai lati della mascella, hanno la seghettatura grossolana ed ineguale), ed, in fine, l’apice sempre più o meno rivolto in fuori. Tutti gli esemplari esaminati sono di ignota provenienza. Carcliarodon megalodon Agassiz. — Di questa specie ho osservati diversi esemplari, la maggior parte però in cattivo stato di conservazione, e quasi tutti d’ignota provenienza. Tre fra essi parrebbe, stando al cartellino che accompagna i fossili indeterminati, che siano stati trovati nelle arenarie mioceniche (?) di Caltagirone in Sicilia. Carcliarodon sp. — Un dente, inglobato in un frammento di tufo calcareo, e che ancora non ho potuto identificare speci- ficamente. Anche di questo non si conosce l’ubicazione. Oxyrliina Desorii (?) Agassiz. — Un dente d’ignota prove- nienza e così mal conservato, che dubitativamente va riferito alla specie elencata. E un esemplare di forma triangolare e legger- mente inclinato da un lato ; la sua faccia interna è convessa, e l’esterna, appiattita, si presenta divisa da una leggiera pie- ghettatura mediana; l’apice s’inflette leggermente in fuori ; e la base, in fine, che doveva essere slargata dai due lati, manca del tutto. Oxyrliina hastalis Agassiz. — Varii denti, tutti d’ignota pro- venienza, più o meno ben conservati, e, probabilmente, per la loro diversa colorazione, appartenenti a diversi piani geologici. Due esemplari, fra gli altri, che si trovano in buono stato di conservazione, permettono un’accurata diagnosi specifica. Essi hanno forma triangolare allungata, la corona un po’ contorta, la faccia esterna con le caratteristiche striature, e mancano della radice. Oxyrliina sp. — Fra i diversi denti di squali fossili che si conservano nel Museo civico di Cremona, sono alcuni esemplari, anche essi di ignota provenienza, che, pur presentando i carat- teri del gen. Oxyrliina , non è tuttavia possibile, a mio avviso, identificarli specificamente, perchè tutti ridotti in frantumi. Un frammento parrebbe che si possa riferire ad Oxyrliina Spai- 746 G. DE STEFANO lantani , ma anche tale fatto rimane molto dubbio, data la si- miglianza che presentano a prima vista i denti laterali di tale specie con quelli di stessa posizione di Oxyrhina liastalis. Odontaspis cuspidata Agassiz sp. — Un dente, d’ignota pro- venienza, ma i cui caratteri specifici sono ben visibili. Esso è un po’ depresso al centro e cilindrico in basso ; è privo di ra- dice e di conetti laterali ; i suoi margini laterali sono taglienti per tutta la lunghezza della corona. Carcharias (?) sp. — Un dente, d’ ignota provenienza, il quale mi parrebbe di possedere i caratteri del genere sopra in- dicato, per quanto esso presenti stretta analogia con gli analoghi organi del vivente Prionodon lamia. I caratteri dell’esemplare in esame sono i seguenti: ha forma triangolare, la base larga e colle branche quasi egualmente sviluppate e divaricate; la corona ha i margini finamente seghettati, però, il margine in- terno è rettilineo mentre quello esterno è ondulato. La superficie interna del dente è un po’ rigonfia, mentre quella esterna, pia- neggiante, presenta una leggiera depressione centrale ed al- cune pieghe pochissimo pronunziate nella parte inferiore dello smalto. Galeocerdo aduncus Agassiz. — Un esemplare d'ignota pro- venienza, i cui caratteri a me sembrano quelli della specie elencata. Difatti, il dente in questione è piuttosto piccolo, liscio e piano alla faccia esterna, rigonfio a quella interna : la base ha il margine rettilineo, le due branche un po’ divaricate e quasi egualmente sviluppate nelle loro dimensioni. Clirysoplirys sp. — Elenco, infine, col nome di Clirysoplirys sp., quattro denti molari, di forma sferica, di varia grandezza, di color bruno-cupo, colla solita strozzatura alla base della co- rona che la circonda. Tali esemplari, per la loro tipica forma, potrebbero essere riferiti, come si è fatto generalmente per altri identici, alla nota specie Clirysoplirys cincta Agass. sp. I fossili appartenenti alla classe dei mammiferi, da me os- servati nel Museo civico di Cremona, sono meno numerosi di quelli spettanti alla classe dei pesci : essi vanno riferiti, in parte a quei mammiferi marini chiamati col nome di Misticeti, ed in parte ai proboscidati. Il gruppo dei Ruminanti è rappresentato da pochi avanzi di corna, trovati probabilmente nei terreni al- AVANZI DI VERTEBRATI FOSSILI 747 limonali del cremonese, e che sono riferibili, in parte, a Cervus megaceros ed in parte a Cervus eìaphus. L’ordine dei cetacei è rappresentato da tre vertebre, due dorsali ed una caudale, non accompagnate da etichetta di sorta, e perciò ne rimane ignota la loro ubicazione. Le vertebre dor- sali presentano notevoli dimensioni, hanno le facce articolari pianeggianti, le apofisi transverse alquanto strette verso la base ma che si allargano gradualmente via via che ci accostiamo agli estremi, dove presentano due specie di lobi in forma ar- cuata, quasi rotondi e lievemente incavati. La vertebra caudale ha corpo allungato, le facce articolari piane ed a contorno quasi circolare, e manca dei processi transversi e spinoso. Il tessuto osseo spugnoso dei fossili menzionati, la loro conformazione, ed il confronto con altri congeneri da me altra volta osservati, mi convincono che gli avanzi in questione appartengono a quei cetacei misticeti così frequenti nei mari miocenici e pliocenici dell’Italia. Probabilmente tutte le tre vertebre spettano ad una stessa forma specifica, ed al genere Heterocetus , del quale il senatore prof. G. Capellini ha illustrati altra volta numerosi avanzi di diverse località della nostra penisola. I Proboscicìaea sono rappresentati da alcuni avanzi fossili della famiglia JEÌephantidae : tali avanzi consistono in una man- dibola con due molari, ben conservati, più due vertebre dorsali. L’etichetta che accompagna la mandibola e i molari di elefante, conservati nel Museo civico di Cremona, contiene scritto quanto segue : « Mandibola di Elefante primigenio, trovata in una grotta presso Palermo ». Come andrò a dire, non si tratta di Elefante primigenio, ma di Elefante antico ; e probabilmente la grotta presso Palermo alla quale allude il cartellino che ac- compagna il fossile, è la celebre grotta di San Teodoro. Quanto alle due vertebre accennate poco avanti, esse, benché non siano accompagnate da nessuna indicazione, pure provengono quasi certamente dalla stessa località. I molari della mandibola hanno forma piuttosto massiccia ed abbastanza alta ; la loro superficie triturante inclina legger- mente all’esterno ed è alquanto convessa da questo lato. Il tal- lone anteriore si presenta alquanto elargato ed inclina un poco indentro: esso è formato dalle prime quattro lame. Le lamine 748 G. DE STEFANO di smalto che emergono dal cemento eroso sulla superficie tri- turante sono in generale poco inclinate dall’avanti all’indietro. In generale, i molari in esame hanno lame più numerose, meno spesse, meno distanti, meno larghe e S&olto più alte di quelle che si osservano nei molari de\V Eleplias meridionalis. Lo smalto è meno spesso di quello di quest’ultima specie e più regolar- mente increspato con o senza dilatazione mediana e retroflessione ai lati. Essi per ciò appartengono, in conclusione, non ad E. primigenius , come contiene il cartellino che accompagna il fos- sile, ma invece alla comune e nota specie Eleplias antiquus Falc. I molari conservati nel Museo civico di Cremona, altico- ronati, hanno un indice dentale il quale molto si accosta a quello che d’ordinario si assegna all’Elefante antico, e, per i loro caratteri, si avvicinano abbastanza a quelli siciliani, appar- tenenti alla stessa specie, illustrati dal barone Anca e dal com- pianto prof. Gemmellaro, non che a quelli calabresi da me de- scritti alcuni anni fa. E benché il loxonditismo non sia man- tenuto in tutte le lamine dei molari esaminati, nè si presenti ben marcato in tutte quelle che lo possiedono, pure la ganeina, che si presenta abbastanza larga, la increspatura delle stesse lamine di smalto, nonché la forma dei dischi di logoramento, e gli altri caratteri avanti accennati, sono sufficienti per ritenere con certezza esatto il riferimento ad Eleplias antiquus. Soresina, gennaio 1906. [ms. pres. il 23 gennaio 1906 - ult. bozze 25 settembre 1906]. ROCCE DIORITICHE DI SUHI VRK NEL MONTENEGRO NORD-ORIENTALE Nota del socio R. Ugolini Il Prof. Alessandro Martelli che in questi ultimi tempi ha portato un contributo notevole di osservazioni e ricerche alla geologia del Montenegro orientale e meridionale, m’inviava alcuni mesi or sono per lo studio due campioni di rocce che egli ebbe occasione di raccogliere, durante il suo recente viag- gio in quella importantissima regione, in una località del Kurlai e più precisamente fra il Salii Yrk e Planinica. Una di queste rocce, per il color verde uniforme che pre- senta, e soprattutto per l’aspetto steatitico da essa acquisito in alcune parti che andarono più sottoposte all’azione degli agenti esteriori, ha tutta l’apparenza di una vera e propria serpentina. Vedremo in seguito dalla descrizione come l’analisi micro- scopica abbia dimostrato trattarsi, anziché di una serpentina, di una porfirite dioritico-quarzifera, poco diversa, come vedremo, da quelle trovate in altre località del Montenegro e conosciute per i lavori del Von Foullon (Q e del Manasse (5). L’altra roccia è un conglomerato a frammenti, in apparenza di natura serpentinosa, ma in realtà costituiti invece di roccia porfiritico-dioritica del tutto simile alla precedente. Questo con- glomerato, non per anco petrograficamente descritto, fu pure rinvenuto nella medesima località dal Vinassa. E questi anzi nel suo pregevole lavoro sulla geologia del Montenegro (3) ne (1) Von Foullon. Ueber die JEuroptiagesteine Montenegros. Jahr. k. k. geol. Reichsanst. Bd. XXXIV Hft., pag. 102. Wien, 1884. (2) Manasse. Porfiriti dioritiche e anclesiti del Montenegro. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Proc. Verb. , voi. XIII. Pisa, 1908. (3) Vinassa de Regny. Die Geologie Montenegros und des Albane- sischen Grenzgèbietes (Mit ein Kartenbeilage). Compt. Rend. IX Congr. géol. intern. de Vienne 1903, pag. 339. Wien, 1904. 750 R. UGOLINI fa menzione come di un conglomerato a frammenti di natura presumibilmente serpentinosa, e non infrequente nel Kurlai. Il prof. Yinassa, che ebbe la cortesia di esaminare il cam- pione da me posseduto, riconobbe trattarsi appunto della stessa roccia da lui ricordata nel lavoro suddetto. AU’amico e collega Martelli, che si compiacque di affidarmi lo studio delle rocce qui descritte, porgo intanto i miei più sentiti ringraziamenti. I. — Porfirite quarzifera di Salii Yrk. La roccia consiste di una massa afanitica, dall’aspetto ofio- litico per il suo caratteristico colore verde-bruno, disseminata qua e là di numerose minutissime punteggiature bianco-grigia- stre ed attraversata irregolarmente da ampie venature pure bian- che di silice secondaria. In certi punti dove la roccia ebbe a subire l’azione degli agenti esteriori, ivi mostrasi con aspetto laminoso e lucente, molto simile a steatite, donde la ragione per cui a primo aspetto non è difficile rassomigliarla ad una serpentina. L’osservazione microscopica di essa rivela a primo esame la presenza di interclusi di quarzo e di feldispato, disseminati in una massa fondamentale costituita di più specie minerali. Il quarzo porfirico vi si trova in sezioni di cristalli, gene- ralmente di dimensioni assai grandi. Sono sempre molto limpidi, corrosi fortemente dalla massa fondamentale e non di rado mostransi attraversati irregolar- mente da fratture riempite dalla massa medesima. A questi caratteri si aggiungono anomalie notevoli delle figure d’interferenza, estinzioni ondulate, tutto come effetto di forti azioni cataclastiche. Fra le inclusioni del quarzo porfirico sono frequentissime le fluido-gassose con i soliti caratteri; rare quelle solide di apatite e di rutilo. Fra i materiali di compenetrazione si trovano quasi tutti quelli componenti la massa fondamentale. I fel dispati, in grandi cristalloni porfirici, sono quivi diffu- samente rappresentati, e per la copia forse più comuni del quarzo ROCCE DIORITICHE DI STJHI VRK 751 porfirico. Anch’essi sono arrotondati e corrosi, attraversati da fratture, e compenetrati in parte della massa fondamentale. Ma stante la notevole profonda alterazione caolinica da tutti subita, nulla più affatto presentano dei caratteri ottici origi- nari loro propri, sicché riescono del tutto irriconoscibili. In uno solo di tali interclusi, il quale, sebbene fosse in gran parte masche- rato dai prodotti d’alterazione, permise pur tuttavia di ricono- scere le linee di geminazione polisintetica con la legge dell’al- bite, se ne potè misurare l’estinzione simmetrica ai due lati della traccia di geminazione, ed il valore ottenuto fu di 18°-20°, ciò che farebbe pensare ad un plagioclasio del tipo andesinico. In questa roccia manca affatto ogni traccia di antibolo ori- ginario, ma devesi molto probabilmente all’alterazione di un tale minerale la quantità notevole di clorite che trovasi disse- minata nella massa fondamentale e non di rado compenetrata nei cristalli porfìrici del quarzo ed anche in quelli di feldispato. Un tal caso, quello, cioè, della completa trasformazione dell’an- tibolo nei suoi derivati e specialmente in clorite, può dirsi ormai tutt’altro che nuovo nelle porfiriti dioritiche, essendo già stato osservato altra volta dal Riva (1), dal Manasse (2) in una roccia pure del Montenegro poco diversa da questa, e da me stesso in una porfirite dioritica dell’Egitto (3). La massa fondamentale della roccia in esame è minutissima e notevolmente alterata. Osservata con un forte ingrandimento si rivela sotto l’aspetto di un’aggregazione minutissima, quasi indecifrabile, di ele- menti, fra cui s’induce la presenza del feldispato dalle nume- rose particelle caoliniche che vi si trovano commiste. Con esse particelle si accompagnano: quarzo, clorite, gran copia di epidoto in grànuli facilmente riconoscibili dal carat- teristico colore giallo-verdastro e dal particolare rilievo, qualche gran u letto di zoisite, ematite, magnetite, ferro titanato con con- O Riva C. Le rocce paleovulcaniche del gruppo delTAdamello. Mem. R. Ist. Lomb. di scienze e lettere, voi. XVII, fase. 6. Milano, 1896. (2) Manasse E. Porfiriti dioritiche e andesiti del Montenegro. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Proc. Verb., voi. XIII. Pisa, 1903. (3) Ugolini R. Contribuzione allo studio delle rocce dell' Alto Egitto, Parte seconda. Ann. Univ. Tose., voi. XXVII. Pisa, 1906. 762 R. UGOLINI torno leucoxenico, ed infine numerose, e talora anche estese, plaghe di una sostanza verde-cerulea viriditica molto diffusa, ma bene spesso anche compenetrata negli interclusi così del quarzo come del feldispato, ma più in quelli che in questi. La roccia mostrasi attraversata da venuzze di quarzo secondario, con polarizzazione d’aggregato. Anche in queste vene notasi la frequente compenetrazione di masserelle cloritiche e viriditiche simili a quelle del quarzo porfirico. Dall’ insieme dei caratteri più sopra descritti se ne conclude che la roccia in esame fu senza dubbio in origine del tutto si- mile alle porfiriti dioritico-quarzifere già descritte dal Foullon (x) pei dintorni di Stitarica, e dal Manasse (2) per Kolasin. Ed i caratteri distintivi che essa presenta attualmente sono tutti in rela- zione con la maggiore alterazione subita. Da notarsi fra tali caratteri specialmente questi : la notevole decomposizione degli interclusi feldispatici, sicché essi sono resi quasi del tutto irrico- noscibili; la copia considerevole dell’epidoto e della sostanza clo- ritica e viriditica nella massa fondamentale; infine la completa caolinizzazione dei microliti, così evidenti nella massa fonda- mentale della porfìrite di Kolasin, come io stesso potei riscon- trare sopra sezioni di questa roccia, esistenti nel Museo Mi- neralogico di Pisa. IL — Conglomerato dioritico di Sulii Trk. È roccia evidentemente clastica, risultante dal l’aggregazione di frammenti di color verdastro, talora intenso, talora chiaro, dotati di dimensioni molto diverse, non tutti con contorni ar- rotondati, i quali sono insieme collegati da una sostanza ce- mentizia rosso-bruna per ossidi ferrici. Tutta la massa della roccia è attraversata da vene, talvolta considerevoli, di calcite spatica; e, a giudicarne dall’efferve- scenza variabile che la roccia stessa sviluppa al trattamento con gli acidi, si capisce facilmente come la calcite abbia più (') Von Foullon. Uéber die Europiiagesteìne Montenegros, Jahr. k. k. geol. Reichsanst. Bd. XXXIV. Hft., pag. 102. Wien, 1884. (2) Manasse E. Op. cit. Pisa, 1903. ROCCE DIORITICHE DI SUHI VRK 758 o meno intensamente compenetrata tutta quanta la roccia stessa, ciò che viene confermato dall’analisi microscopica. Per il peso specifico, determinato con frammenti di roccia a grana ordinaria e con proporzione mediana di minerali compo- nenti, fu trovato un valore di 2,94. La roccia è poco compatta e tenace, e la sua poca compat- tezza è in ragione del grado di alterazione da essa subita. Al microscopio i frammenti allotigeni componenti la roccia in esame si presentano talora strettamente collegati fra di loro in guisa che la sostanza cementante loro interposta vi è scar- samente rappresentata; più spesso però sono essi come rara- mente disseminati nel cemento; in tal caso è quest’ultimo in forme di briglie di spessore considerevole. I frammenti allotigeni, assai diversi per le dimensioni loro, presentano una composizione mineralogica che è pressoché iden- tica a quella della massa fondamentale della roccia in precedenza descritta. Siccome poi uno dei frammenti suindicati presenta un in- tercluso di quarzo, arrotondato sugli orli e fortemente corroso anzi dalla massa fondamentale che lo circonda, ed avente nel suo interno compenetrazioni numerose di clorite e di caolino, così non v’è luogo alcuno a dubitarsi che la roccia, cui questo e anche gli altri frammenti allotigeni appartennero in origine, fu veramente una porfirite dioritica quarzifera del tutto uguale a quella già più sopra descritta. La composizione mineralogica dei frammenti suindicati, ri- sulta non sempre facilmente riconoscibile, per la notevole quan- tità di sostanza caolinica che ne maschera i caratteri, ma in qualcuno dove essa è pur tuttavia assai distinta, sembra risultare dall’ insieme di numerosi microliti feldispatici, i quali, ammessa l’esistenza del feldispato porfirico nella roccia madre, rappre- senterebbero un secondo tempo di consolidazione feldispatica. Essi si presentano sotto l’aspetto di cristalletti aciculari, al- lungati secondo (001) (010), e con dimensioni variabili in media da 65 a 130 [j.. Sono talora semplici, più spesso però geminati. Questi microliti feldispatici, per l’estinzione talora a 0° ri- spetto all’allungamento e tal’altra ad angolo piccolissimo, sem- 754 R. UGOLINI brano doversi riferire in parte all’ortose ed in parte ad oligo- clasio acido. Non sono questi quasi mai freschissimi, ma generalmente ri- coperti da una sottile velatura caolinica. Numerose laminette di un minerale verde-chiaro accompa- gnano i microliti feldispatici. Di queste se ne hanno di dimensioni svariate, ma inalterate mai. L’alterazione loro è in clorite, e talora soltanto incipiente; in tal caso il tuono del colore, il notevole pleocroismo ed in- fine l’estinzione ad angolo di 20° circa, ce le fanno ritenere per antibolo. Tanto i microliti feldispatici quanto le suindicate laminette anfiboliche e cloritiche stanno disseminate entro un impasto molto alterato, probabilmente ipocristallino, di non facile inter- pretazione, ma in cui possono tuttavia riconoscersi plaghe di quarzo e feldispato, miste a calcite, a magnetite, a sostanza clo- ritica, e ad altri minerali pure secondari come: epidoto, zoisite, ematite, limonite e ferro titanato con contorno leucoxenico. La sostanza cementante autigena risulta prevalentemente co- stituita da ematite, ma ne fanno parte anche la magnetite, la calcite e sopratutto il quarzo. Tutta la massa della roccia mostrasi attraversata da vena- ture di calcite spatica, di colore grigiastro, con le sue linee di sfaldatura romboedrica. I caratteri dei frammenti allotigeni della roccia in esame corrispondono dunque in tutto ed esattamente a quelli della porfirite dioritico quarzifera studiata più sopra ed a quella de- scritta dal Manasse, con la sola differenza che nella massa fondamentale di essi frammenti fu riscontrata la presenza del- l 'antibolo che non si trova invece nelle due rocce ultimamente menzionate. Istituto Geologico dell’Università. Pisa, aprile, 1906. [ms. pres. il 30 aprile 1905 - ult. bozze 10 dicembre 1906]. STUDIO PETROGRAFICO DI DUE ARENARIE DEL MONTE BELLINI Nota del socio R. Ugolini I campioni delle arenarie qui appresso descritte provengono dalle pendici settentrionali del Monte Bellini presso Alanciano (prov. di Grosseto), e più precisamente da due luoghi poco di- stanti fra di loro e situati tra il Poggio Canaletti ed il Posso Gamberaio. Tali campioni mi furono gentilmente affidati per lo studio dal prof. Alario Canavari, che li raccolse nel decorso settembre durante un’escursione in quella regione ed al quale rendo ora i più sentiti ringraziamenti. II Alonte Bellini ed i poggi che da vicino lo circondano, secondo alcune notizie molto generiche pubblicate dal Lotti (') e meglio ancora secondo il rilevamento eseguitosi a cura del Comitato geologico (-), risulterebbe geologicamente costituito di una serie di arenarie e di conglomerati quarzitiei associati a scisti arenaceo-micacei ed ardesiaci dell’epoca permiana, immer- genti a nord ed a nord-est sotto le arenarie ed i calcari mar- nosi dell’eocene. Non è improbabile per altro che una parte per quanto pic- cola della zona segnata come permiana, quella parte, cioè, in cui sta il luogo dove tu raccolto il campione descritto per il piimo, debba venire sottratta alla zona summenzionata ed ag- giunta invece a quella poco discosta dell’eocene. E ciò, sia perche la roccia donde il suddetto campione fu direttamente distaccato trovasi per certo associata a strati cal- (') Lotti R., Note descrittive sul rilevamento delle tavolette di Orbe- fello, Talamone e Grosseto, nella Maremma toscana. Boll. Coni. geol. ital. voi. XXI T, pag. 10. Roma, 1891. (5) Vedi Carta geologica all’ 1:25000 di Pitigliano (Grosseto). 51 756 R. UGOLINI carei del tipo alberese, come gentilmente mi comunicava il prof. Canavari; sia perchè l’aspetto macroscopico di essa è quello di un’arenaria più recente e diverso dalle ben note are- narie quarzitiche del Permiano; sia infine perchè i caratteri microscopici della roccia medesima, qui appresso riportati, si accordano pressoché esattamente con quelli delle comuni are- narie eoceniche a cemento calcareo conosciute con il nome di macigno. I. — Macigno. Il campione è di roccia grigio-cenerognola, ruvida al tatto, compatta, molto tenace, a grana finissima, uniforme, e qua e là attraversata da rare venirne di calcite. Sebbene l’apparenza macroscopica dipendente dalla massima compattezza e uniformità della roccia e dalla speciale minutezza degli elementi allotigeni che la compongono, sia quella di un’are- naria quarzitica, più che di un macigno, pure è indubbiamente da riferirsi a quest’ultimo, sia per la qualità del cemento fortemente calcareo, sia per i caratteri microscopici di essa. In alcune plaghe del campione, dove per l’alterazione do- vuta agli agenti esterni e specialmente agli organismi vegetali fu asportato il carbonato di calce e furono sopraossidate le parti- celle di magnetite contenute nella roccia, ivi oltre al colore rossastro notasi, al trattamento cogli acidi, uno sviluppo di effer- vescenza debole o anche nullo. Tale sviluppo invece è notevole là dove il taglio della roccia è fresco e scevro di alterazione. Il peso specifico determinato col metodo dei vasi graduati è di 2,7. Anche all’esame microscopico, in sezioni sottili, si rivela la straordinaria compattezza e la finissima grana di questa roccia; ma bene si distinguono e riconosconsi gli elementi che . la costi- tuiscono ed il cemento autigeno che in copia considerevole li tiene collegati. Il minerale più abbondante fra gli elementi allotigeni della roccia è il quarzo. Vi si trova in frammenti generalmente molto minuti, sol di rado grandi, di aspetto limpidissimo, dai contorni DUE ARENARIE DEL MONTE BELLINI 757 arrotondati. Molti di essi poi portano le tracce di pressioni e deformazioni subite, nelle frequenti fratture che li attraversano e nell’estinzione ondulata che presentano. Nel quarzo notansi frequentissime le inclusioni solide di apatite, in grani, talora anche non piccoli, ed in cristalletti prismatici; più rare quelle di magnetite e di oligisto; rarissime quelle di tormalina e di zircone. Numerosissime poi le bollicine gassose e liquide, queste ultime con libella generalmente mobile, e radunate in serie lineari. Presenti pure, sebbene molto più rari del quarzo, sono i fram- menti feldispatici. Quasi tutti mostransi più o meno intensamente mascherati dai prodotti secondari di caolino soprattutto, ma un po’ anche di mica bianca e di calcite. Tuttavia alcuni elementi meno alterati rivelano la presenza dell’ortose, talora geminato a Karlsbad, e più ancora quella dei plagioclasi. Questi ultimi mostransi sempre geminati secondo la legge dell’albite. Per lo stato cattivo di conservazione di loro non è facile di riconoscere e stabilire la natura del plagioclasio cui appartengono. Tuttavia dall’estinzione simmetrica di alcune la- melle meglio visibili, può ritenersi trattarsi di plagioclasio acido del tipo oligoclasio. Frequenti nell’ oligoclasio sono le inclusioni di apatite coi soliti caratteri suoi propri. Fra gli elementi allotigeni della roccia in esame sono pur anco da ricordarsi: la mica nera biotite, sebbene molto scarsa- mente rappresentata, e rarissima la moscovite. Le lamine biotitiche mostrausi variamente deformate e con- torte da influenze meccaniche e con tendenza a convertirsi in clorite e nei soliti prodotti ferriferi. Notansi infine alcune masserelle di magnetite, o più facil- mente ferro titanato pel contorno leucoxenico, ematite e limo- nite. Il cemento è quasi esclusivamente calcareo, e la calcite impura è più o meno pigmentata da idrossidi di ferro. È dif- fusissima nella roccia ed in plaghe talora assai estese involgenti tutt’all’intorno i minerali allotigeni. Fra gli altri minerali cementizi sono da notarsi: il quarzo in minutissimi granuli, alcuni straccetti di mica bianca (mu- scovite) in gran parte cloritizzata, e finalmente la magnetite, l’oligisto con contorni limonitici, e la limonite. 758 R. UGOLINI II. — Arenaria quarzitica. La roccia fa parte della zona arenaceo-quarzitica, esattamente ascritta all’epoca permiana, come già fu detto più sopra. È di colore giallo- verdastro, a grana fina, compatta e straordi- nariamente tenace. All’ esame con la lente si risolve in una massa giallo-ver- dastra, molto ricca di granuli allotigeni di quarzo, luccicanti e minutissimi. Al trattamento con acido cloridrico non dà nessuno sviluppo di effervescenza. Il peso specifico determinato col vaso graduato diede 2,46. Osservata in sezioni sottili al microscopio, mostrasi essenzial- mente costituita di grani di quarzo cui si accompagnano, sebbene in molto minor copia, i feldispati, i quali trovansi immersi in una massa cementante autigena siliceo-ferruginosa, a guisa di mosaico. I frammenti allotigeni del quarzo variano per la forma irrego- lare del contorno e per la grandezza dei grani. Non pochi di questi frammenti presentano la polarizzazione d’aggregato, e quasi tutti mostrano l’estinzione ondulata. Le inclusioni del quarzo allotigeno sono in parte solide ed in parte liquido-gassose. Tra quelle è da annoverarsi in primo luogo l’apatite, copio- sissima e in grani e cristalletti prismatici bipiramidati. Vengono poi l’ematite, la limonite e qualche aghetto di rutilo. Non mancano però dei grani quarzitici privi, a quanto pare, di tali inclusioni. Le bollicine liquide e gassose, dove si trovano, sono spesso provvedute di libella mobile. Ed anche queste, che sono nume- rosissime in alcuni granuli, in altri possono anche mancare. Gli elementi feldispatici della roccia può dirsi non presen- tino affatto un’evidenza tale dei caratteri ottici loro propri da permetterne un’esatta determinazione specifica. Hanno irregolari linee di frattura e sono sempre più o meno intensamente nascosti dai prodotti della loro alterazione. Si potè tuttavia stabilire la esistenza dell’ortose, nonché quella dei plagioclasi e del microclino. DUE ARENARIE DEL MONTE BELLINI 759 La presenza di quest’ultimo minerale fu riconosciuta sopra un unico frammento che, per quanto alterato, lascia tuttavia distintamente intravvedere la caratteristica striatura a graticcio. I plagioclasi appartengono a termini acidi e molto proba- bilmente ad oligoclasio, come risulta dall’estinzione simmetrica a piccolo angolo di alcune lamelle visibili in qualche cristallo meglio conservato. Notata la presenza delle due geminazioni dell’albite e del pendino insieme associate. II cemento in quantità discretamente abbondante è, come già fu detto, siliceo-ferruginoso. La silice vi -si trova rappresentata allo stato prevalentemente di quarzo autigeno, e sotto forma di masserelle granulari, a con- torno poliedrico, talora le une alle altre addossate in guisa di mosaico con polarizzazione d’aggregato, tal’altra incorporate col minerale ferrifero. Ma non sembrano tuttavia mancare in alcuni punti, sebbene in assai minor copia, tracce di silice calcedo- niosa ed opalina. Nella stessa massa cementizia e autigena del pari, sono ema- tite e limonite, ma più questa che quella. L’ematite in plaghe talora grandi è sempre circondata da un involucro limonitico. Quest’ultimo minerale è poi straordinariamente diffuso in tutta la massa cementizia, donde il colore giallastro della roccia. Pisa, Istituto geologico, ottobre 1906. [ms. pres. il 30 aprile 1905 - ult. bozze 10 dicembre 1906]. SULLA ESISTENZA DEL PECTEN MA CPHERSONI BERG. NEI TERRENI PLIOCENICI DEL PIEMONTE Nota del socio R. Ugolini Nel riordinare ima collezione di Pettinidi fossili di proprietà del Museo geologico di Pisa, ebbi occasione di osservare fra le numerose forme presenti in detta collezione e provenute da diverse località terziarie italiane, una piccola specie, appartenente al Pliocene dei dintorni di Torino, e determinata in scliedis col nome di Pecten aduncus Eicbw. Tale determinazione è però inesatta, e l’esemplare in que- stione deve invece riferirsi ad una specie da quella ben differente e non peranco citata 'pei nostri terreni pliocenici, voglio dire al Pecten Macphersoni Berg., ciò che meglio risulterà dalla descrizione seguente e dall’esame accurato delle figure che lo accompagnano. Pecten Macphersoni Bergeron. (Fig. 1, 2, 8). 1888. Pecten Macphersoni Bergeron. Miss. d’Andalousie, Étude du terr. Pliocène (Ét. géol. de la ser. de Ponda, par Michel-Levy et Bergeron), pag.304, pi. XXII, fig. 4, a, ò, c. 1902. » Regiensis Deperet e Roman, Monogr. d. Pectinidés neo- gènes de V Europe, Mém. de la Soc. géol. de France, t. X, fase. 1°, pag. 24, pi. II, fig. 6,6 a. Paris. SULLA ESISTENZA DEL PECTEN MACP BERSÒ NI BERG. 761 Dimensioni : Altezza della valva destra .... mm. 37 » » » sinistra .... » 34 Larghezza di ambedue le valve . . » 36 Spessore a valve unite » 17 Angolo apiciale della valva destra . . , 95° » » » » sinistra . 110° Conchiglia di piccola statura, con guscio sottile, suborbicolare, subequilaterale, inequivalve. La valva destra (fig. 1) è notevolmente rigonfia, ricurva all’a- pice, e percorsa da 11 coste radiali principali e da 7 secondarie. Di queste ultime, 3 sono situate nel lato anteriore e le altre 4 in quello posteriore. Le coste principali sono in ge- nerale non molto prominenti, a se- zione distintamente rettangolare e divise nel mezzo, ma soltanto nella regione ventrale della valva, da un piccolo solco longitudinale. Inol- tre sono rispettivamente divise me- diante solchi interposti non molto profondi i quali sono essi pure, come le coste, a sezione quadrangolare, ma sviluppati in larghezza un po’ meno di esse. Le coste ed i solchi, tutti indistintamente, vanno a grado a grado espandendosi a misura che si allontanano dall’apice umbo- nale per avvicinarsi al margine pai leale. La superficie dell’intera valva è adorna delle solite striettine sottili di accrescimento, concentricamente disposte e strettamente ravvicinate. Esse però sono assai più sviluppate ed appariscenti alla periferia che non presso all’umbone, e sul fondo degli spazi intercostali lo sono assai più che non sul dorso delle coste. Le coste secondarie o accessorie, che dicemmo trovarsi nella valva in esame in numero di 7 soltanto, di cui 4 verso il mar- Fig. 1. — P. Macphersoni Berg., valva destra. 762 R. UGOLINI gine posteriore e 3 verso quello anteriore, sono conformate assai diversamente dalle principali. Sono sottili, quasi filiformi, in ispecial modo quelle più vicine all’orlo della valva, a sezione arrotondata, poco prominenti, e prive affatto di quel solco che presentano invece le coste principali ora descritte. Gli spazi loro interposti sono larghi, ma poco profondi. A partire dal margine palleale e procedendo verso la parte superiore della conchiglia sino all’umbone. le coste ed i solchi secondari si assottigliano gradatamente sino a scomparire del tutto. Ai due lati dell’apice umbonale stanno le orecchiette. Sono esse pressoché uguali, a superficie convessa, ed ornate di strie d’accrescimento più appariscenti che in tutto il resto della valva. Solo nell’orecchietta anteriore notansi poi due o tre costicine radiali, che sono leggerissime, visibili appena sotto speciali in- cidenze di luce e che mancano affatto nell’orecchietta posteriore. Il margine cardinale di questa valva è quasi perfettamente diritto, ed oltrepassato solo impercettibilmente dall’estremità ricurva dell’umbone. La valva sinistra (fig. 2) è profondamente escavata, in ispecial modo nella regione umbonale. Ha la sua superficie esterna provvista di 11 coste principali e di 7 co- sticine secondarie distribuite come nella valva destra, e cioè 3 nella parte anteriore e 4 in quella poste- riore. Le coste principali sono nella metà inferiore assai prominenti ed a sezione distintamente quadrango- lare, con dorso piatto e talora anche sensibilmente concavo per un solco leggerissimo e quasi impercettibile che le attraversa longitudi- nalmente. I solchi che le separano sono il doppio circa più larghi delie coste, perfettamente piani ed a sezione essi pure rettangolare. Nella metà superiore della valva, però, le coste ed i solchi vanno gradatamente abbassandosi, svaniscono a poco a poco e scompaiono poi decisamente presso all’umbone. Fig. 2. — P. Macphèrsoni Berg., valva sinistra. SULLA ESISTENZA DEL PECTEN MACPHERSONI BERG. 763 Le costicine secondarie di questa valva, così dell’uno come dell’altro lato, sono sottilissime e meno appariscenti di quelle corrispondenti della valva opposta, e i solchi che le separano sono sottili essi pure come le costicine loro interposte. Tutta la superficie di questa valva è percorsa dalle solite strie concentriche d’accrescimento, che però sono notevolmente sviluppate e distinte soltanto nella regione ventrale della valva sì essa e soprattutto sul fondo degli interspazi. Le orecchiette sono perfettamente simili, sono a superficie concava, concentricamente e fittamente striate e danno origine ad un margine cardinale diritto. La descrizione qui riportata è tratta dai caratteri di un esem- plare a valve unite, non perfettamente conservato, che proviene dai terreni argillosi pliocenici dei dintorni di Torino. Detto esemplare corrisponde esattamente o quasi, a quello originale su cui il Bergeron fondò il Pecten Macphersonì tìpico, e del quale posseggo una fedele riproduzione in gesso favoritami molto gentilmente dal prof. De- peret (fig. 3). Non corrisponde invece, tanto esattamente quanto sarebbe ne- cessario, alla descrizione che lo stesso Deperet in collaborazione col Roman (') ne hanno dato. Infatti, mentre nella descri- zione medesima è fatta menzione di 12 coste principali e 6 se- condarie nella valva destra e solo di 12-13 coste principali nella sinistra, nell’esemplare originale invece, come del resto in quello qui studiato e descritto da me, si notano distintamente 11 coste principali e 7 secondarie tanto uell’uua quanto nell’altra valva. L’esemplare tipico del Bergeron, distinto col nome di P. Alac- pl ter soni, fu dunque non troppo esattamente descritto da Deperet e Roman. (*) Fig. 3. — P. Mac/> /tersoli i Berg., valva destra dell’esempl. tipico. (*) Deperet e Roman, Op. cit., pag. 25. Paris, 1902. 764 R. UGOLINI Quel che più interessa di dimostrare però è la differenza notevole che passa fra il P. Macphérsoni Berg., ed il P. Re- giensis Seg., al quale, secondo i suddetti autori, sarebbe quello perfettamente uguale, e del quale dovrebbe pure indiscutibil- mente ritenersi sinonimo. Ma tale differenza è presto dimostrata quando si osservi che nel P. Regiensis Seg. esistono dei caratteri essenziali che stanno in per- fetto disaccordo con quelli del P. Macphérsoni Berg., e viceversa. Sta di fatto che l’apertura dell’angolo apiciale di ambedue le valve del P. Regiensis è sensibilmente maggiore di quella corrispettiva del P. Macphérsoni ; minori invece vi sono la cur- vatura dell’apice umbonale, l’enfiagione della valva convessa, e la profondità della concava. E da notarsi poi che la valva destra del P. Regiensis, contrariamente a quanto si osserva in quella del P. Macphérsoni, è provveduta di 17 coste tutte prin- cipali e tutte pressoché identiche e longitudinalmente solculate. Nella valva sinistra, infine, esistono delle coste principali che sono un poco più numerose di quelle esistenti nella valva omonima del P. Macphérsoni, e queste coste sono distintamente più larghe dei solchi all’opposto di quanto nel P. Macphérsoni si verifica. Cade dunque ogni dubbio sull’autenticità del P. Macphérsoni Berg., il quale è anzi specie buona e ben distinta dal P. Re- giensis Seg.; e con esso dubbio cade pure decisamente, a parer mio, la riunione fatta da Deperet e Roman di quella con la specie del Seguenza. Dall’epoca in cui il P. Macphérsoni fu dall’autore istituito sopra un esemplare raccolto nel terreno pliocenico medio delle coste d’Andalusia, e più precisamente presso S. Pedro de Alcan- tara, non sembra che esso sia stato rinvenuto mai nei nostri giacimenti pliocenici. Non è punto fuori di luogo di ammettere, però, che ciò possa esser dovuto alla confusione che di essa specie forse si fece con il P. Regiensis. In tal caso non pochi esemplari pliocenici indicati dagli autori con questo nome, dovranno riferirsi piuttosto alla specie del Bergeron. Pisa, Museo geologico, giugno 1906. [me. pres. il 30 aprile 1905 - ulf. bozze 10 dicembre 1906]. BRIOZOI VIVENTI E FOSSILI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLO ANI NELL’ OPERA TE STAC EOGRAPHIA AC Z 0 0 PHY T 0 G R A P H I A PARVA ET MICROSCOPICA (1789-1798) Nota del socio prof. Antonio Neviani Nel 1895, presentai alla Società Zoologica Romana, una breve nota attorno ai briozoari illustrati dal Soldani nel Saggio orit- tografco (1780) (M e promisi che mi sarei in seguito occupato dei medesimi organismi contenuti nella Testaceographia (1789- 1798). Altri lavori mi distrassero da questo studio e solamente ora sciolgo la fatta promessa. Ritengo fuor di luogo parlare in questa occasione a lungo della grande opera del Soldani (v), sulla quale già altri naturalisti si (]) Boll. Soc. Rom. per gli studi zool., voi. IV. p. 57-64. Roma, 1895. Ho avuto occasione di farne cenno anche nelle memorie: Dì alcuni briozoi pliocenici del Rio Landa illustrati da Ferdinando Bassi nel 1757 (Boll. Soc. Geol. Ital voi. XII (1898), pag. 663 e 664,; Briozoi terz. e posterz. della Toscana (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX (1900) pag. 349-375). (2) Le notizie attorno ad Ambrogio Soldani (al secolo Soldani Baldo) non sono tutte sicure, e -(molto difficilmente sarà possibile risolvere con esattezza alcune questioni, se si pensa che molta discrepanza tro- vasi già fra i biografi del Soldani che ne scrissero pochi anni dopo la sua morte. Cosi, ad esempio, mentre il Ricca lo dice nato a Prato- vecchio verso il 1736, troviamo il Giuli che asserisce sia nato a Poppi nel Casentino nel 1733. Il prof. Silvestri Alfr. (Atti Acc. Pont. N. Lincei, Anno LIT, p. 2 estr.) sostiene, a quanto pare indipendentemente dal Giuli, la stessa opinione. Infatti egli scrive: « Lo dico di Pratovecchio sulla fede del P. M. Ricca, benché la tradizione gli assegni invece per patria Poppi, cittadina del Casentino in cui esiste ancora qualche rap- 766 A. NEVIANI trattennero, facendo conoscere, sebbene solo in parte, e spesso sommariamente, i tesori in essa compresi, ed acuendo sempre più il desiderio di possederne copia, per quanto quasi impossibile, giacché, come è noto, il Soldani in un momento di sconforto presentante della famiglia del Soldani, presso la quale si conservavano anni or sono alcuni strumenti che avevano appartenuto al grande natura- lista ». Con tutto questo conviene notare come al Registro 148, dell’Ufficio di Stato Civile del Comune di Firenze, che comprende i morti in Fi- renze dal 25 maggio 1808 al 25 novembre 1808, figuri denunziato come « morto il 14 luglio 1808 don Ambrogio Soldani, al secolo Bardo, del fu dr. Giuseppe Soldani di anni 72 nato in Pratovecchio, domiciliato in Firenze, morto nel Convento di S. Maria degli Angeli ». Concordi sono gli autori sulla data della morte avvenuta per apo- plessia nel monastero degli Angeli in Firenze il 14 Luglio 1808. Per chi brami avere notizie sul sommo micrografo può consultare le seguenti pubblicazioni: 1810. Ricca Mass. - Discorso sopra le opere del P. D. Ambrogio Sol- dani Abate Generale dei Camaldolesi ecc. Siena, Tip. Onorato Porri. Opusc. in 8° picc. di 39 pag. 1814. Brocchi G. B. - Conchiol. fossile subapennina, voi. I, pag. lvii e lxiv della prima edizione (Milano, 1814), e voi. I, pag. 110 e 119 della seconda edizione (Milano, 1843). 1827. De Angelis - Soldani Ambrogio, in « Bibliogr. Universale», Ediz. ital., voi. L1V, pag. 84 (Venezia). 1828. Lombardi A. - Storia della letteratura italiana, voi. II, pa- gine 60 (Modena). 1832. Pilla L. - Cenno storico sui progressi della Orittografia e della Geognosia in Italia, nel periodico: Il progresso delle Se. Lett. e Arti, voi. Ili, Napoli, pag. 181. Riprodotto anche nel Boll. Soc. Geolog. di Francia, voi. VI. 1838. Giuli Gius. - Soldani Ambrogio, in « Biografia degli Italiani illustri », voi. VI, pag. 289 (Venezia). 1840-49. Dizionario biografico universale del D. Passigli, voi. V, pag. 121 (Firenze). 1862. Silvestri O. - Sulla illustrazione delle opere del P. A. Soldani e della fauna microscopica fossile del terreno pliocenico italiano. Atti del X Congr. degli Scienz. Ital. tenuto in Siena nel Settembre 1862. 1864. Nouvelle Biographie Generale par Firmili Didot Frcres, tomo XLIII, pag. 141 (Paris). Ai cenni biografici sul Soldani é aggiunta que- sta indicazione: Bianchi G., Elogio storico di A. Soldani , Siena 1808, in 8° (Questi non è romonimo lano Planco, morto molto tempo prima). 1872. Silvestri 0. - Ambrogio Soldani e le sue opere. Atti d. Soc. It. di Se. Nat., voi. XV, pag. 273-289. Milano, 1872. BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLD ANI 767 consegnò alle fiamme il più gran numero di copie del poderoso lavoro, e vendè ad un calderaio, come semplice metallo, i rami incisi delle 230 tavole che corredavano le due pubblicazioni ('). 1886. Nuova enciclopedia italiana del Boccardo, voi. XX, pag. 1180 (Torino). Date le notizie ancora incomplete ed incerte, mi propongo fare ri- cerche speciali sulla vita e sulle opere del Soldani, e se sarò fortunato di scuoprire fatti bene accertati, li renderò di pubblica ragione. Frat- tanto compio il dovere di ringraziare tutti coloro che mi hanno fornito schiarimenti in proposito, e specialmente il P. D. Alberto Gibelli, Ab- bate Generale dei Ben. Camaldolesi, ed i prof. D. Pantanelli, C. De Ste- fani, M. Cermenati e A. Silvestri. (') Che il Soldani abbia dato alle fiamme l’opera sua, tutti lo ri- petono, credo, sull’asserzione del Brocchi : ma a me non è stato possibile appurare tale importante notizia, giacché non ne ho trovato alcun ac- cenno in autori anteriori al Brocchi ; anzi il discorso del Ricca sembre- rebbe deporre contro l’assei’zione del Brocchi, giacché apparirebbe dalle parole di questo padre che l’opera del Soldani fosse stata assai stimata dai contemporanei, ed il Soldani stesso ne ricevesse grandi onori. E strano che anche nella citata biografia del Giuli non se ne faccia parola; eppure questo mineralista senese, che fu caldo ammiratore del Soldani e molto minuto nelle sue ricerche storiche, cita l’opera del Broc- chi, ove trovasi la famosa notizia. Come interpretare quindi il silenzio del Giuli? forse come un’affermazione favorevole, piuttosto che contraria al racconto del Brocchi ; ma certamente anche questa non é risposta che appaghi completamente lo studioso. A favore del racconto del Brocchi sta forse il fatto che in Siena, nella biblioteca comunale, é conservata una lettera del Soldani datata dal 1802, e diretta da Firenze al libraio senese Onorato Porri, dalla quale si rileva che egli aveva allora spedite alcune copie di quell’opera pel sig. Pougens, membro dellTstituto di Francia; e dichiara di ri- lasciare i quattro volumi dell’opera per tre zecchini, come ultimo prezzo, mentre costava per associazione cinque zecchini (notizia inedita avuta gentilmente a mezzo del prof. D. Pantanelli). È anche da notarsi che la Testaceographia è un’opera estremamente rara, specialmente completa in ogni sua parte; nelle biblioteche pub- bliche d’Italia forse non si raggiunge il numero di dodici copie; pochis- sime trovansi all’estero. Che sia poco nota agli studiosi lo prova anche il fatto che nella maggior parte dei cenni storici che accompagnano i trat- tati di Geologia e di Paleontologia, come in memorie speciali, spesso o non si cita affatto il Soldani, o si ricorda solamente il Saggio oritto- grafico ; il quale fu come il prodromo alla grande sua opera posteriore. Persino all’Accademia dei Fisiocritici, in Siena, in una lapide mar- morea che ricorda il Soldani, trovasi citata come opera sua maggiore 768 A. NEVIANI Il prof. Orazio Silvestri (') nel 1862 parlando delle opere del celebre cenobita, dimostrava « quanto ne possa riuscire impor- tante un’illustrazione, con la sinonimia recente di tutte le specie viventi e fossili descritte in esse, le quali possono ritenersi come un magazzino di fatti e di osservazioni ». Ma l’augurio del Silvestri non si è avverato che in parte, e specialmente per i foraminiferi, i quali vennero illustrati da valenti rizopodisti (2). Gli echinodermi ebbero solo un’illustra- zione parziale (3). Rari sono gli accenni sui molluschi. Oggi tento uno studio dei briozoari, e non nascondo il vivo desiderio di occuparmi in seguito anche di altri organismi e cioè delle spu- gne, dei molluschi e degli ostracodi (4). Questo studio l’ho compiuto esclusivamente sulle descrizioni e sulle figure del Soldani. Indubbiamente sarebbe stato più com- pleto e preciso il farlo sugli esemplari originali, ma questo non mi fu possibile per ora. La collezione Soldani in Siena (r>) ebbe molte peripezie per le quali fu in parte mutilata e disordinata; il Saggio or it to grafico, ed é completamente dimenticata la Testaceo- graphia; la quale opera del resto non é neppure posseduta dalla Biblio- teca della stessa Accademia. Il testo della lapide predetta trovasi stam- pato negli Atti della Soc. Ital. di Se. naturali, voi. XV, a pag. 189 e ripetuto a pag. 289. (■) L. c., pag. 14 (estr.). (2) Il Fornasini nella sua importantissima memoria: Foraminiferi illustrati da Soldani e citati dagli autori (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 5 (1886), pag. 131-254) presenta una bibliografia con 45 titoli di memorie in cui si parla delle specie Soldaniane. Dal 1886 ad oggi il numero di queste memorie é notevolmente accresciuto per opera del Fornasini stesso, del Silvestri A., del Dervieux ecc., per non citare che Italiani. (3) Meneghini G., nei suoi Studii sugli Echinodermi fossili neogenici di Toscana (Siena e il suo territorio, 1862, pag. lxi-lxxxix, con 2 tav.) ricorda vari esemplari disegnati dal Soldani, e sopra alcuni di essi fonda le nuove specie: Crenaster Soldanii (pag. lxiii), Cidaris Soldunii (pag. lxxiii) e C. margaritifera (pag. lxxvii). (4) Degli ostracodi parlerò in un mio lavoro già prossimo al termine, nel quale presenterò una sinossi metodica di tutte le specie raccolte nei terreni neogenici d’Italia. (5) La collezione che trovasi in Siena presso l’Accademia dei Fisio- critici, ed alla quale fu regalata dal Soldani stesso, si riferisce alla Testaeeographia ; mentre quella che é relativa al Saggio orittografico trovasi al Museo di Paleontologia del R. Istituto superiore di Firenze. BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 769 per molto tempo fu in balìa di tutti, e molti non si peritarono di asportarne esemplari; altra volta cadde il soffitto della stanza, per cui si ruppero gli scaffali ed il materiale contenuto in va- setti aperti si confuse tutto. Ora quanto è rimasto trovasi. ge- losamente custodito airAccademia dei fisiocritici (1). Alcuni anni or sono potei osservare le collezioni di questa Accademia e special- mente quella del Soldani ; e mentre deploravo la manomissione di quel prezioso materiale (2), mi persuasi che un naturalista esperto, coscienzioso e di buona volontà, potrebbe con qualche mese di lavoro riordinare la collezione, ritornandola — nel limite del possibile — allo stato pristino, e cogli esemplari alla mano (*) Giuli Giuseppe, nella precitata biografia, così parla delle colle- zioni Soldaniane : (l. c., pag. 292) « E qui mi credo in dovere di render giustizia alla memoria dell’illustre testatore, e di trar profitto della prima cognizione che ho di alcuni fatti per emendar qualche pubblicazione inesatta su questo proposito. E stato pubblicato, e da molti si crede, che la collezione Soldani di Conchiglie microscopiche ni a andata dispersa senza che possa indicarsene il modo. Al contrario io assicuro che essa esiste e nel suo completo, ed é quella medesima che attualmente [18381 possiede l’accademia senese dei fisiocritici ». «Attesoché variò quest’accademia residenza fece trasportare i pro- dotti naturali di sua proprietà, ma molto innanzi il 1827, dall'antica sua sede nella nuova, nel soppresso monastero della Rova. Si rovesciarono dentro una delle cassette racchiudenti la collezione del padre Soldani 14 vasetti di conchiglie microscopiche. Un accademico che nel 1827 era stato insieme con me destinato dall’accademia a classare la collezione nel nuovo locale, s’incaricò volontario egli solo di far le necessarie se- parazioni delle 14 specie tra loro confuse, e per aver miglior comodo onde eseguir il lavoro, portò, alla propria abitazione, uno degli stipi, ed il secondo glielo mandai io stesso per un facchino il quale travagliava nel trasporto del museo Bartalini acquistato inque’ giorni dall’accademia. Questa collezione rimessa in ordine in quella sola parte che ne aveva bisogno, come ho accennato, per le cure del mio rispettabile collega, è tornata ad arricchire il museo dei fisiocritici, ed a far fede ai posteri del- l’ingegno, perspicacia e pazienza del padre Soldani ». (2) Nel 1878 il prof. Pantanelli cosi scriveva a questo proposito : « Le collezioni del Soldani si conservano oggi con venerazione presso l’Accademia dei Fisiocritici in Siena, e se fossero state conservate sem- pre con quella cura come si usa da alcuni anni, non si avrebbe oggi a lamentare qualche lieve danno recato dal tempo e dai troppo zelanti amatori delle medesime » ( Bibliogr . geolog. e paleoni. d. prov. di Siena. Boll. Com. Geol. Ital., voi. IX, 1878, p. 305). 770 A. NEVIANI bene interpretare le figure e le descrizioni del celebre micro- grafo, ponendo cosi in atto l’augurio che quasi mezzo secolo fa, venne fatto dal prof. 0. Silvestri; augurio che è nel cuore di quanti amano gli studi. Il dott. Fornasini nella sua illustrazione dei foraminiferi del Soldani, poc’anzi citata, così scriveva (') « il lavoro [di re- visione] sarebbe agevolato e reso forse anche più esatto, me- diante la collaborazione di alcuni specialisti, ciascuno dei quali apportasse i risultamenti ottenuti, considerando anzitutto quale sia stata l’opinione degli autori che lo hanno preceduto rispetto alle illustrazioni del Soldani che egli si propone di esaminare, aggiungendo l’opinione propria e aiutandosi, per quanto sia pos- sibile, col confronto degli esemplari delle collezioni Soldani esi- stenti in Firenze e in Siena, o di ciò che resta di esse ». Quanto alle collezioni ho già detto; per quanto riguarda l’opinione di altri autori, purtroppo uon potrò farne tesoro per- chè non ve ne è alcuna. Nelle mie numerose ricerche sui brio- zoari non una sola volta ho veduto citato il nome del Soldani ; e ciò valga ad acquistarmi qualche indulgenza, se in una prima interpretazione, quale è la presente, non sempre avrò preso nel segno. * * * Nella prima parte del tomo 1, della Testaceograpliia , pub- blicata nel 1789, vi si contengono i primi cinque capitoli, dei tredici nei quali è divisa la materia contenuta in esso primo tomo, e vi troviamo descritti e figurati in 93 tavole con oltre 1100 figure, numerosi organismi viventi quali minimi molluschi gasteropodi e pteropodi, piccoli vermeti ed uua grande quan- tità di foraminiferi; mancano i briozoari. La seconda parte del primo tomo fu pubblicata nel 1791, con 49 tavole (92-142) ricche di 557 figure. Vi si comprendono i capitoli 6° e 7°, più una dissertazione geologica : De agro Clu- sentinate et Valdarnensi (pag. 121-200). È in questa specie dì intermezzo che si trovano illustrati alcuni briozoari fossili; mentre i due capitoli precedenti trattano specialmente di foraminiferi (*) L. c., pag. 132. BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 771 viventi. La dissertazione è ricca di osservazioni, corredate da idee generali così bene intuite che anche oggi riteniamo come prin- cipi fondamentali scientifici. Mi limito, a guisa di esempio, alla trascrizione del seguente brano (l. c. pag. 130): « Haec sane loca terrestria ex Zoophytis composita non a mari quocumque perlabente repetenda sunt, sed sub ipsis aquis longo temporis spatio genita fuisse ostendit analogia. Et re quidem vera videmus sub quibusdam maris plagis perpetuo generari Zoo- phyta et Lithophyta pene innumera cum conchyliis praesertim minutis admixta, ac super eorum sceleta enasci ac degere alias petrosas similes productiones, atque in dies ita fieri majores ut sensim in massas lapideas plus minusve extensas et altas con- crescant. Interim nullum discrimen est ratione nativi loci et originis inter zoophyticas concretiones hodiernas et illas fossiles pervetustas; nam aeque omnes certissime sub mari genitae». I cap. dall’ottavo al tredicesimo, continuano l’esposizione delle specie viventi; e formano la 3a parte del 1° tomo, pubblicata nel 1795, ed accompagnata da 37 tav. (143-179) con 232 figure. Parecchie specie di briozoari sono comprese nel capitolo X: Cor- puscula maris dubia et incerta: item zoopliyta quaedam , et eorum partes (pag. 235, tav. 161-179); mentre nei capitoli e tavole precedenti sono illustrate piccole bivalvi, alcuni brachiopodi, ostracodi, radioli e foraminiferi. II tomo secondo, che è il quarto ed ultimo volume dell’opera, porta la data del 1798; è corredato da 26 tavole e vi è aggiunta in appendice la riproduzione di 23 tavole, che appartenevano al Saggio orittografico (’); e tutte ricche di 590 figure. Cosicché tutta l’opera comprende 228 tavole, con circa 2500 figure in- cise in rame. Nella sectio prima: De testis fossilibus, ac sedi- mentis origine marinis, si trovano pochi briozoari; altri sono semplicemente figurati nelle tavole del Saggio (2). (') Le tavole del Saggio orittografico sono 25; ma di queste le ultime due, che contengono figure di ossa fossili, non furono riprodotte nella Testaceographia. Ecco perché si ha discrepanza nel numero totale (228 o 230) delle tavole citate da uno o da altro autore. (2) Il Brunet J. ( Manuel du Librane, Paris 1864, t. 5°, p. 427) asserisce che al secondo tomo va unita una appendice di pag. i-xxxiii, con notizie sopra le conchiglie più rare. Di tale appendice non trovo parola negli au- tori compulsati, né trovasi nelle copie della Testaceographia a me note. 52 772 A. NEVIANI Il Soldani preoccupato nel far conoscere, più con disegni che con descrizioni, i numerosi organismi che andava scuoprendo, e nell’intento precipuo di fare confronti fra la microfauna fossile e quella vivente, e la varietà di faune nei diversi sedimenti, non curò la classificazione di quegli organismi e trascurò compieta- mente la bibliografia, la quale in quel tempo era pur già ab- bastanza estesa; ed ordinando il materiale con altri concetti av- venne che organismi affini trovaronsi distribuiti in sezioni diverse, e ciò specialmente per i briozoarl, i quali furono considerati ora come zoofiti o litofiti in genere, ora come piccole madrepore, ora come minuscoli echini e persino come spoglie di piccoli insetti. Nella mia revisione, data la rarità dell’opera, riporterò per intiero lo scritto del Soldani riferentesi alle specie di cui terrò parola; ma per abbreviare, dirò solo di quelle specie che ven- nero dall’autore figurate ; tralasciando delle altre, giacché di esse ben poco potrei dire in proposito e troppo dubbiosi sarebbero i riferimenti alla moderna nomenclatura. * 1. — Testac., voi. I (2), num. 57, tav. 137, fig. E, pag. 160: « Saxum arenario-zoophyticum, quod non est nisi ex Milleporis 31adreporis, Reteporis, etc. . .In hoc lapide zoophyta grandiuscula sunt, et sua diametro pollicem excedentia, quorum unum sub- globosum extra superficiem promiunlum exhibet littera y in statu suo naturali, vitro vero auctum E Locus est ad riparo flu- minis Archiani prope Partinam ». La figura citata non è delle migliori; ma non si può andar dubbiosi nel riferire Tesemplare ad una Cellepora, la quale con tutta probabilità è la Ostliimosia coronopus (S. W.), comunis- sima in quelle formazioni geologiche. 2. — Testac., voi. I (2), num. 59, tav. 137, figura I, K, pag. 161 : « Lapis arenario-zoophyticus ex montis Alverniae culmine collectus : . . . Praecipuae hujus saxi partes, sunt Madreporae, Milleporae, -Eeteporae, Celieporae, et id genus alia Zoophyta integra, vel eorum partes : Ex his duo tantum reprae- sentantur sub lit. I, K». BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 773 L’esemplare della figura I è per me indecifrabile ; a meno che guardandola capovolta non si potesse in qualche modo ri- ferire alla base di una colonia di Frondipora o di Fascicolarla, rappresentando quella parte disegnata a guisa di coda di pesce, la porzione radicale della colonia, ed il resto una piccola por- zione con zoeci. L’esemplare rappresentato dalla figura K è un frammento della comunissima Membranipora reticulum L. 3. — Testac., voi. I (2), num. 91, tav. 140, fig. X, Y, pag. 176 : « Saxum zoophyticum . . . constans nempe ex Milleporis, Madreporis, Celleporiset aliis similibus animalium marinorum petrosis involu- cris, quorum duo specimina damus sub X et Y tab. 140... Lapis hic et sequens jam ab anno 1783 a me inventi fuere in alveo fluvii Afra dicti, qui descendens ab eminentioribus alpibus in vicinia civitatis Burgi Sancii Sepolcri in Tiberim influit ». Il frammento disegnato in X è certamente riferibile al ge- nere Hornera: mancano i caratteri per una determinazione spe- cifica esatta, ma è da ritenere che rappresenti la H. frondicu- lata Lk. Quanto alla figura Y, essa è del tutto indecifrabile, e forse non trattasi neppure di un briozoario. A pag. 183 della medesima parte 2 del 1° tomo (num. 103) parla il Soldani di una « Glarea vere zoophytica oviformis, , ex collibus arenaceis, qui sunt inter Lorum et Terrarn Novam in Valle Arni superiore inventa » e di essa ne dà una figura (tab. 139, fig. 99); ma nè da quanto ne dice nel testo, nè dalla figura è possibile farsi un concetto a che sorta di organismo debba riferirsi, per quanto esso dica « Est zoophytis, idest Ma- dreporis, Eeteporis et Celleporis ita referta ». 4. — Testac., voi. I (3), vas CCCX1X, tav. 162, fig. L , pag. 239. « Quaedam maris corpuscula singularis forarne, . . . L exhibet Zoophitum minimum (vel ejus partem) refertum radiis a centro quaquaversum divergentibus : . . . Inventa in concretio- nibus zoopbyticis Mediterranei ». La figura rappresenta una colonia di undici individui lage- niformi a disposizione stellata ; la regione ventrale subfusiforme 774 A. NEVIANI di ciascuno si prolunga in un collo del diametro press’ a poco eguale alla metà della parte più rigonfia, e termina in una bocca della quale il peristoma è sinuato in modo da determi- nare due o tre prominenze dentiformi. Per questi caratteri l’esem- plare va riferito al genere Lagenipora dell’Hincks, e non avendo esso riscontro fra le specie a me note di esso genere, lo deter- mino come n. sp. dedicandola allo scopritore (Lag. Sóldanii New). 5. — Testac., voi. I (3), vas. CCCXXI, tav. 163, fig. A, B; vas. CCCXX1I, tav. 163, fig. C-G; tav. 164, fig. H-P, pag. 240. Curiose ed interessanti sono le osservazioni che il Soldani fa su gli esemplari da lui raccolti sul lido del mare di Piombino e che riferisco al gen. Diachoris, come dirò più oltre; credo perciò conveniente trascrivere quasi per intero le parole del- l’autore, anche perchè più giustificato appaia il mio riferimento: « Tab. 163. A, B. Exuviae forsan Insectorum, quae nobis audiunt Crustae, prorsus minimae'. Corpus ex una parte, quae est inferior animalculi, concavum, et intime vacuum; ex altera, quae est superior, convexum, aculeatum praesertiui ad margi- nem et caput versus, aculeis rectis, tnbuliformibus, seu tere- tibus, diaphanis, vacuis, vix flexibilibus, elasticis. Xum larva insecti cujusdam marini?... putarem esse marinimi Iusectum, cujus dorsus crustaceus duriusculus, venter vero cartilagineus et mollior, ideoque in Animalculi interitu facile destruendus. Id vel ex eo confirmari posse arbitrar, quod sceleton unum saepe alteri cohaereat . . . Insuper nostra Animalculi exuvia neque pilosa est, nec videtur bivalvis, quia numquam illam vidi valvis unitis ; nani ex pi uri bus id genus C’rustis examinatis neque unam reperì, quae foret perfecte integra, ... ». « Tab. 163, C-G. Tab. 164, H-P. Crustae ideo ex prae- cedentibus selectae, et aere insculptae, ut per earum icones species aliquae, seu varietates appareant. Ex bis igitur aliae sunt irregulariter aculeatae, seu spinosae, ... vel regulariter prae- sertim ad marginem, . . . Aliae elongatae, aliae subovatae, siphuu- culatae aliae, vel pedatae in extremitate, . . . Quae magis sunt aculeatae minus lucent, quae vero paucis et brevibus aculeis praeditae, . .., summa laevitate, et nitore quasi vitreo splendent ad microscopium ; . . . Plures dum vivunt videntur mutuo, et aliis BRTOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 775 corporibus inhaerere quibus bene perspectis suspicarer ea fuisse animalcuìa parasitica . . . Eevera unum vel plura ex se videntur saepe emittere corpuscula . . . Hic quasi per bulbos aut gemmas generandi modus non est in animalculis, ut dicunt, infusoriis et in aliquibus Zoophytis planò novus». Le numerose figure citate, come già dissi, debbono riferirsi al genere Diachoris del Busk, ed alle due specie D. magellanica Bk., e B. hirtissima Hllr., le quali secondo il mio modo di ve- dere sono le sole due specie appartenenti al medesimo (1). Alla prima ascriverei le figure A, JB, C, D della tav. 163, H. M, N della tav. 164; alla seconda le figure E e G della tav. 163, I , K e forse L della tav. 164. Molte figure sono semplicissime e normali, altre presentano caratteri notevoli ; così la fig. G, tav. 163, rappresenta una colonia di 9 zoeci, quella E una var. con spine dicotome poste in serie lungo la linea mediana della superficie dorsale del zoecio, ripetendo, con piccola variante, la condizione indicata dal Busk per esemplari provenienti dal Capo di Buona Speranza (5). Evidentemente i corpuscoli emessi, di cui parla l’Autore, e da esso male disegnati ed interpretati, sono degli avicellari, così comuni e voluminosi nelle specie di questo genere. Curiose le due figure 0, tav. 164, che rappresenterebbero un zoecio di Diachoris inerme, con quattro tubi di congiunzione laterali, e due tubi, forse vibracoliferi posteriori, e sormontato da un oecio; non azzardo per queste una determinazione spe- cifica. 6. — Testac., voi. I (3), vas. CCCXXVIII, tav. 168, fig. zz-E; tav. 169, fig. F-I, pag. 243. « Madrepora orhicularis lamellosa. Est Zoophytum (Coralìium) minutum aut minimum, sua diametro, dum majus est vix lineam superans, rotnndum, planiusculum, C) Il Carus ( Prodromus , 1889, II, pag. 9) cita Diachoris magellanica Busk, D. patellaria Moli, D. hirtissima Hllr., D. armata Hllr., ed alcune varietà. Ma D. patellaria Moli é un membraniporide che meglio va ascritto al genere Molila, e D. armata Hllr. è specie mal interpretata dall’Heller. (2) Busk, Zoophytology, Q. J. M. Se. [n. s.] VII, 1867, pag. 241, t. XXXVI, fig. 16. 776 A. NEVIANI parasiticum : ex quo fit ut ex una parte, qua inhaeret petrobriis et praesertim algae marinae foliis..., atque aliis planis corpo- ribus, laeve sit aut frequentissime in plana superficie forami- nosum, ex altera semper eìatum in convexiusculam superficiem, radiis lamelloso-striatis. cavernosis, simul ac a centro ad peri- pheriam prominulis praeditam, et undique foraminosam fora- minulis innumeris etiam in apice lamellarum. Est itaque Ma- drepora simplex, unica stella constans, et in superiori parte, qua libera est, satis conspicua ; dum è contra in inferiori pla- niuscula superficie, qua separatur ab alienis corporibus nullìus stellae vestigium conspicitur, sed foraminula frequentissima... Ex bis aliquae marginatae apparent, idest praeditae exilissima quasi membrana extra peripbaeriam prominula, . . . quae nobis prius yisa est, ac si foret a zoopbyto ipso extranea, et velut ostreum membranaceum, sed revera Madreporae pars est infe- riorem ejus faciem naturaliter contegeus; saepius tamen haec deest, quum remaneat superficiebus, a quibus madreporae ipsae casu decidunt, vel divelluntur, adhaerens... ». Non è citata per questi microrganismi la località, ma molto probabilmente questo vaso si riferisce alla medesima località di alcuni precedenti come troviamo notato per il vas CCCXXIV: « in sinu Plumbinensi degentibus, vel ex littore Arimini ». Sono tutte Licbenopore delle quali le fig. A, C, D, E, F , G, H rappresentano varietà della Lichenopora radiata Aud. ; la fig. B va riferita alla L. hispida Fieni. Quanto alla fig. 7, non ne comprendo il significato. 7. — Testac., voi. I (3), vas CCCXXIX, tav. 169, fig. Tv-717, pag. 243. « Madrepora orbìcularis tubulifera minuta, aut minima. Est Zoophytum depressum, rotundum, parasiticum; et ex ea parte, qua adhaeret corporibus planius, et foraminosum foraminulis grandiusculis, quae respondent tubulis in superiori parte tan- tillum prominentibus, ferè semper ad apicem perviis: simplici intuita non distinguuntur a Madreporis orbicularibus praeced enti- bus, quas mole sua ferè aequantur; .. . ». Per la località, va ripetuta l’osservazione fatta per le pre- cedenti specie. L’esame dei disegni farebbe credere a prima vista die si trattasse di briozoi ciclostomati, per quanto riguarda BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 777 la forma cilindrica dei zoeci ; ma non conosco specie di ciclo- stornati che nel loro portamento coloniale iniziale abbiano di- sposizione simile a quella figurata dal Soldani ; ritengo perciò si tratti di un chilostomato e precisamente di giovani colonie di Cellepora costata M. Grill., nota anche con la denominazione di Cellepora retusa var. cambiata Wat., delle quali ho po- tuto esaminare qualche esemplare fra il ricco materiale affi- datomi per studio dal prof. Sp. Brusina di Zagabria e da esso medesimo raccolto nell’Adriatico. 8. — Testac., voi. I (3), vas CCCXXXI, tav. 170, fig. X-aa; tav. 171, fig. bb-ff pag. 244. « Cellepora tubolosa subglobosa para- sitica. Est Zoophytum tubulis conoideis confertissimis constans, et filamentisextraneisque corporibus filiformibus saepissime adna- scens, ac totum in ovulum vel globulum se conformans, dum praesertim exilibus ac teretibus ramulis prope eorum verticem adhaeret et circumvolvitur . . . In duplicem tamen speciem di- stingui possunt; una nempe constai tubulis conoideis, ... altera tubulis acutioribus et maxime exasperatis. . . . Horum omnium locus est in conci-, zoophyticis mediterranei ». Varie sono le specie ed i generi cui vanno ascritti gli esem- plari figurati dall’autore ; così la figura X, come quelle del pre- cedente numero, va riferita ad una Cellepora costata M. Grill. Le fig. Y , Z, aa rappresentano tre colonie di Schìzoporella spon- gites Pali. La piccola colonia raffigurata in bb è certo una Osthimosia coronopus S. W. ; quella in ee, una Cellepora (od Umbonula ) pimicosa Limi. Le due figure cc, dd, sono di ciclosto- mati; nnll’altro posso dire della cc, quanto alla dd trattasi della estremità di una Entalophora proboscidea M. Edw. rigonfia per la presenza di un ovicello. Dello stesso vas è figurato l’esem- plare ff, ma di esso si danno solamente i contorni, senza il ben minimo accenno ai zoeci, quindi si può dubitare anche sulla natura dell’esemplare ; difatti a me sembra piuttosto un piccolo Lithothamnium che altro. 9. — Testac., voi. 1(3), vas CCCXXXII, tav. 171, fig. gg, G, hh-ll, pag. 245. « Zoophyta foliacea. Sunt quaedam corpu- scula ad Madreporae vel Tubiporae speciem spectantia, et a 778 A. NEVIANI praecedentibus valde differunt; nani ex una parte planiuscula sunt, fere laevia, vel minutissime porosa, ex altera tubulis prae- dita plus minusve extra superficiem prominulis. . . Ultimo loco prostat Zoophytum II teretiusculum, laeve, quasi pellucidum, tuberosum, ac tubulis brevibus refertum: ad quodnam genus pertineat ignoro. Me pariter latet utrum omnia baec sint integra Zoophyta, an eorum partes, quae vel acutiori parte tamquam peduncolo uniantur ramulis majoribus, vel superficie laeviori ac planiuscula adbereant petrobriis . . . ». Sono vari i generi e le specie qui raffigurati dal Soldani; l’ultimo, del quale l’aut. parla più a lungo (fig. Il), è eviden- temente una Crisia provvista di un ovicello, ed a quanto sembra la Or. denticulata Lm. Le due figure hh, ii sono due giovani Stomatopora repens W. delle quali la prima è provvista di ovi- cello. Fors’anche la fig. gg si potrebbe riferire al gen. Stoma- topora ( St . major John.??), ma non azzardo pronunciarmi de- finitivamente. Quanto alle figure G, JcJc esse sono indubbiamente l’inizio di due colonie di Tubulipora flabcllaris Fabr. 10. — Testac., voi. I (3), vas CCCXXXVIII, tav. 175, fig. gg, rr (non fig. ss-vv e non tav. 176, fig. xx ), pag. 247. « Triplici» generis corpuscula heie babentur. Primo sunt corpora minuta expressa per gg, rr phialiphormia collo longo tubuliformi, vacua, subpellucida, coloris subvitrei. Secondò sunt . . . Omnia baec ex diffractis concretionibus zoopbyticis separata ». Delle sei figure eseguite per gli esemplari contenuti nel 138° vasetto, solamente le prime due si riferiscono a briozoi, e pre- cisamente a due zoeci di Catenaria Lafontii And. isolati e di- segnati capovolti. 11. — Testac., voi. I (3), vas CCCXL, tav. 176, fig. JB-F, pag. 248. « Famuli quidam Litbopbytici minusculi. Sunt quae- dam Litbopbytorum, seu corallinarum partes figura irregulares, sed plerumque planiusculae, seu palmatae, ac digitatae, breves; majores enim non excendunt duarum linearum longitudinem. .. Colore sunt subalbidae, opacae, duriusculae ac natura calca- reae, . . . Forte spectant ad quamdam Corallinae speciem, cujus bae nostrae particulae sint veluti articuli, qui levissimis liga- BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 779 mentis, quibus uniebantur, et in arbusculum prius excreve- rant, dissolutis, in fundo maris solitarii subsidunt, et ubertim eolliguntur : at non in quovis fundo, neque in littoribus, sed unicè prope insulam d. del Giglio in Mediterraneo viventes degunt: Hos esse partes Lithophyti cujusdam articulati, vel ex eo colligitur, quod in plerisqne ad unum, vel ad utrum- que extremum adsint aut foveolae, aut protuberautes cuspides illis foveolis replendis aptae; quae sanò proprietas teretibus praesertim, conicis et cylindricis partieulis sequentium Yasorum convenit » . I cinque esemplari figurati appartengono tutti al genere Crisia , la fig. E rappresenta un internodo di Cr. denticolata Lm.; la fig. F è un altro internodo di Cr. elongata M. Edw., forse non ben raffigurato; le figure B-D sono internodi basali che riferirei a Cr. eburnea L. 12. — Testac., voi. II, vas CXXXIY, tav. 15, fig. D (non C), tav. 16, fi g. E-I (non K, L), pag. 41. « Seleeta ex praecedenti [vas CXXXIII, Testarum ac Zoophytorum miscellanea minuscula], alterum D innuit Astroitem quemdam rotundum, ex una parte saepe concavum, ex altera convexiusculum, quem dicerem radiatum. Hac specie copiose redundat toplius volaterranus rupi Ecliinorum proximus. Item literae E, F etc. exprimunt diversas Astroitarum species ». Questi organismi, come tutti quelli contenuti nei vas LXXXIV- CXXXYII, sono compresi nella Sectio prima, Caput II, dal titolo : « De terra quadam prope Senas, quae vel ut limus abyssi maris proponitur : ubi de Testis in ea repertis, ac de ipsarum petrifica- tione agitur ». Le citate Astroites del Soldani sono delle Cupularia appar- tenenti a due specie. Le fig. D, E, F, H, I rappresentano la comune C. umbellata Defr. disegnata in ordine decrescente di grandezza, avendo la figura D le maggiori dimensioni per la presenza di un gran numero di zoeci, e la figura I le minime essendo formata solo da nove zoeci. La figura G rappresenta la C. reussiana Manz. discretamente sviluppata. Tutte le figure poi, meno la I, sono doppie, essendo state disegnate anche dalla parte inferiore della colonia. 780 A. NEVIANI 13. — Testac., voi. II, vas CCLX, tav. 21, fig. L-P; tav. 22, fìg. Q; pag. 77. « Zoophyta minuta diversae speciei, praesertim Reteporitae, ac Milleporitae et Coralliorum ramuli. Omnia in albissimam substantiam immutata ». Sono citate dal Soldani nel § 4 : Ex strato calcareo zoopliy- tico del Monte Reggioni (v. pag. 73) e rappresentano generi e specie molto differenti. Le figure L e Q non sono facilmente determinabili; la prima sembra una FL ornerà, nulla posso dire della seconda. La M rappresenta un frammento di Hippoporina foliacea (Eli. et Sol.); le due figure N, P disegnano due fru- stuli di Entalopliora proboscidea M. Edw. Quanto alla figura 0 sono alquanto in dubbio qual cosa rappresenti; essa è certa- mente un briozoario, ma non si comprende se la colonia sia sferoide o cupulata; forse trattasi di una Orbitulipora. 14. — Testac., voi. II, vas CCCVI, tav. 22, fig. Z, pag. 86. « Milleporae ramosae variae. Has inter una adest in morena brassicae conformata caulescens, idest brevi caule praedita, ra- mosa ramis decumbentibus, minuta». Questi esemplari provengono dal Volterrano, e con altri sono descritti nel Cap. IX dal titolo : « De inferiori parte Montis Vo- laterrarum, ac de rupe Echinorum ». La figura discretamente di- segnata, mostra ad evidenza una piccola ed incipiente colonia di Frondipora Marsilii Michln., veduta dall’alto e di sotto. 15. — Testac., voi. II, vas CCCIX, pag. 87. « Escarae (Linn. Flustrae) scutellares maximae, figura hemisphaericae, vel coni- formes, orbiculares, plus minusve bine concavae et leviter striatae ex centro ad circumferentiam, inde reticulatae, et quasi cellu- lares cellulis seriatis rhombeis. Adsunt solitariae in loco rupi Ecbinorum propinquo, ubi exprimi nequit quaenam fuerit horurn fossilium copia. Nonnullas edidimus varietates in App. ad vas 144, et alibi passim ». Vedi osservazioni al numero seguente. 16. — - Testac., voi. II, vas CCCX, CCCXI, pag. 87. « Esca- rae scutellares n. 210, omnes mediae magnitudinis Ad duas species referri possunt, ad eas, quae se se exserunt in planili- BEIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 781 sculas, et eas, quae valde concavae in pilei figuram se con- trahunt. Ibi ». Evidentemente tanto gli esemplari di questi due vas, quanto del precedente sono delle Cumularla ; e posso asserire che trat- tasi tanto della C. umbellata Defr., quanto della C. canariensis Bk. e della C. Beussiana Manz. giacche il Soldani cita il vas 144 del Saggio ortografico, ove appunto sono disegnate queste specie. 17. — Testac., voi. II, vas CCCXII, tav. 23, fìg. d, pag. 87. « Escarae stellares. Differunt a praecedentibus, quia planiusculae sunt, et ex parte planiori foraminosae foraminulis minimis, ex altera elatiori cellulae seriatim a centro ad circumferentiam radiorum more disponuntur ». Gli esemplari di cui scrive il Soldani appartengono alla Lunularia petaloides d’Orb., più comunemente nota col nome di Lunulites Androsaces. Come è avvertito dall’ A. stesso, alla medesima specie vanno riferite le figure B, C della tav. XIII dell’Appendice, ossia del Saggio ortografico, figure che nella mia nota precedentemente citata riportai a Lunularia sp. 18. — Testac., voi. II, vas CCCXXY, tav. 23, fig. ni, pag. 89. « Corallitae, seu melius madreporitae albi, ramosi regulariter nodosi, aliquando laeves, vel foraminosi, foraminulis minimis in lineas rectas vel curvas dispositis, breves, semper in extre- mitatibus stellati, stellulis instar circuii in quinque aut sex se- ctores divisi. Ibi ». Per la località richiama uno dei vas precedenti ove è se- gnato: in cretis prope Quercetum. Anche l’esemplare qui figu- rato, come altri già veduti, rappresenta un frustolo molto sottile di Entalophora proboscidea M. Edw. ❖ * * Come già ebbi occasione di ricordare, alle nuove tavole della Testaceograplua, il Soldani fa seguire in Appendice ventitré delle venticinque tavole del Saggio orittografico, già pubblicato nel 1780. Ho parimenti sino dal principio di questa nota detto 782 A. NEVIANI come già nel 1895 mi occupassi elei briozoari contenuti nel Saggio. Credo ora opportuno ripetere l’elenco delle specie da me riconosciute, aggiungendo in proposito qualche variante ed osservazione. Membranipora reticolimi Linnè, t. XIII, f. 69 D. Melicerita fistolosa Linn., t. XIII, f. 69 F. Copularla Beussiana Mnz., t. XII, f. 68 Y. Cupolaria umbellata Defr., t. XII, f. 68 Z, A. Copularla canariensis Busk, t. XIII, f. 68 1 ÌB, CC. Lunularia?, t. XIII, f. 68 B, C. Batopora rosola Reuss, t. XVI, f. 83 Q, B. Cellepora sp., t. XV, f. 79 G, H, I. Betepora sp. Segnai ancora una Ceriopora globulus Rss., ma questa è un foram ini fero riferibile al gen. Gypsina. Tale credei interpretarlo, ma debbo qui osservare che la figura (tav. IV, fig. 33 F f) cui si riferirebbe questa specie non viene citata fra i foraminiferi dal Fornasini nella più volte ricordata memoria. Quanto alla Lunularia sp., ho già detto precedentemente al num. 17. Per la Cellepora sp. e specificamente per le figure G , LI, L della tav. 79 posso ora dire qualche cosa di più. * * * Fra il materiale appartenente al Museo Geologico della R. Università di Pisa, che qualche tempo fa il sig. prof. Oana- vari M. mi affidò per lo studio, trovansi alcuni esemplari pro- venienti da Ripalta, precisa località indicata dal Soldani. Si tratta di una quindicina di frammenti, ocracei, che già furono presi in esame dal prof. Meneghini, il quale ne fece una deter- minazione, che rimase inedita. Le schede lasciate dal celebre naturalista sono: 1. Semieschara contorta Mngh. 2. Semieschara Solclanii Mngh. ( Escharites , ect. Soldani, Saggio, CCI-CCIII et CCIV (pars). 3. Semieschara ramosa Mngh. (in Sold.). 4. Escliaripora reteporoides Mngh. (Vedi Soldani, COVI). BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 783 Non so a quale epoca risalgano le determinazioni del Me- neghini, ma certo esse sono antiquate, giacché, come si com- prende anche dai termini specifici, furono basate esclusivamente sulla forma delle colonie e non suH’esame dei zoeci ; e in questo caso purtroppo tale esame non si può fare agevolmente, giac- che la trasformazione del briozoario in materia ocracea ha profondamente alterati i caratteri zoeciali. Ho posto la maggiore attenzione nell’esame delle predette colonie, ed ecco quanto ho potuto discernere. 1. 1 due esemplari determinati come Semieschara contorta dal Meneghini appartengono alla Frondipora verrucosa Lmx. L’uno è una piccola colonia discoide, leggermente peduncolata; l’altro è una piccola colonia aderente ad un briozoario escaroide in- determinabile. 2. Nel mio primo lavoro di revisione dei briozoi del Sag- gio (pag. 61) non interpretando bene le figure del Soldani (tav. XV, num. 79, G, H , 7), riferii le predette figure a Cel- lepora sp. Gli esemplari che ora ho sottomano, corrispondenti con le figure Soldaniane, e determinate dal Meneghini come Se- mieschara Solclanii non sono che delle Membranipora reticulum Linn. var. diadema Ess. sp. ; sono evidentissimi i tubercoli radi, che diversificano questa varietà dalla tipica con bordo areale glabro, e dalla var. Lacroixii Aud. sp., nella quale i tubercoli sono gli uni vicini agli altri ('). 3. Non potrei identificare la Semieschara ramosa del Mene- ghini, con alcuna specie, perchè i caratteri zoeciali sono stati in gran parte obliterati dalla mineralizzazione; nulla di fatti si può dire della frontale, che appare piana come per avvenuto riempimento della cavità zoeciale; solamente si osserva una di- sposizione allineata dei zoeci stessi, e la presenza di alcuni tu- bercoli, i quali appaiono riuniti a due a due sul margine di- stale dei zoeci. Siccome questa disposizione si riscontra in qualche varietà della Membranipora reticulum Linn., e il portamento del zoecio è identico a quelli or ora discussi, cosi riterrei che questo esemplare si dovesse unire ai precedenti. (*) (*) Per queste varietà della M. reticulum L., vedi: Pergens E., No- tes succinctes sur les Bryozoaires (Soc. R. Malac. d. Belgique, t. XXIV, 1889, pag. 22). 784 A. NEVIANI 4. Ho sottocchio tre esemplari determinati dal Meneghini per Escharipora reteporoides. Sono tre lamine irregolarissime, qualche volta ripiegate su se stesse, e qua e là perforate molto irregolarmente. A prima vista sembra non potercisi raccapez- zare, ma osservando con molta diligenza mi è stato possibile rinvenire pochi zoeci i quali mi hanno convinto trattarsi della Membranipora reticulum Linn., presentante ora zoeci tipici, ora dell’una o dell’altra delle varietà sopra nominate. * * * Dalle cose predette risulta che nelle due maggiori opere del Soldani si tiene parola di numerosi briozoari, i quali dal sem- plice esame delle sole figure, unitamente ai pochi dati esposti nel testo, sono riferibili a 30 specie e var. (18 cheilostomati e 12 ciclostomati) ; certo che il numero aumenterebbe notevolmente se fosse possibile lo studio della residuale collezione del celebre micrografo. Dette specie sono: Catenaria Lafontii Aud. Diachoris magellanica Busk Diachoris hirtissima Hllr. Membranipora reticulum Linn. Idem var. diadema Rss. Melicerita fistulosa Linn. Cupularia canariensis Busk Cupularia umbellata Defr. Cupularia reussiana Manz. Lunularia petaloides d’Orb. Lagenipora Soldanii n.. sp. Hippoporina foliacea Eli. et Sol. Schizoporella spongites Pali. Osthimosia coronopus S. W. Umbonula pumicosa Linn. ? Orbitulipora . . . Cellepora costata M. Grill. Batopora rosala Reuss Crisia eburnea Linn. v. § 10. » 5. » 5. » 2 e App. v. App. » v. § 16 e App. » 12, 16 e App. » 12, 16 e App. » 17. » 4. » 13. » 8. » 1, 8. » 8. » 13. » 7, 8. v. App. v. § 11 BRIOZOI ILLUSTRATI DA AMBROGIO SOLDANI 785 Crisia denticuìata Lmk. » 9, 11. Crisia elongata M. Edw. » 11. Tubidipora flabellaris Eabr. » 9. Stomatopora major John.? » 9. Stomatopora repens W. » 9. JEntalopbora proboscidea M. Edv. » 8, 13, 18. FLornera frondicidata Lmk. » 3. Liclienopora radiata Aud. » 6. Lichenopora hispida Elem. » 6. Frondipora verrucosa Lmx. v. App. Frondipora Marsilii Michl. v. § 14. [ms. pres. il 15 novembre 1906 - ult. bozze 14 dicembre 1906]. SOPRA ALCUNI PETTINIDI DI TERRENI MIOCENICI ITALIANI Nota del socio R. Ugolini I fossili descritti in questo lavoro fanno parte di una col- lezione di Pettinidi raccolti in diverse località mioceniche ita- liane ed appartenenti al Museo geologico di Pisa. Essi fanno capo alle specie seguenti : Chlamys subalpina n. sp. Inaequipecten gibbangulatus Sacco Flabellipecten leythaianus Partsch. Fecten stazzanensis May. Di esse la prima è decisamente nuova ; le altre sono, o rare o sino ad ora poco conosciute. E ormai nota e universalmente ammessa T importanza che questo gruppo di molluschi lamellibranchiati acquista per lo studio cronologico dei terreni ; mi lusingo perciò che non verrà riguardata come totalmente inutile questa modesta e breve pub- blicazione. Chlamys subalpina n. sp. (Fig. 1). Dimensioni : Altezza della valva destra . . . mm. 27 Larghezza » » » ... » 23 Apertura dell’angolo apiciale . . . 90° Conchiglia di piccola statura, con guscio sottile, leggermente inequilaterale. PETTINIDI DI TERRENI MIOCENICI 787 La valva destra, sola posseduta, è dolcemente convessa e mostrasi alla superficie esterna percorsa da 10 coste radiali, poco prominenti, depresse, notevolmente espandentisi dall’um- bone alla periferia, ognuna delle quali è poi a sua volta longitudinalmente suddivisa per mezzo di due sottilissimi solcali in altre costicine secondarie più piccole, depresse anche queste, a superficie arrotondata e fra di loro rispettivamente diverse per grandezza. Tra le coste principali stanno interspazi poco profondi, a sezione distintamente angolosa, il cui fondo è occupato da una leggerissima costicina filiforme, la quale è nettamente distinta e visibile solo verso la periferia della valva, mentrechè verso l’umbone va invece gradatamente dileguandosi. Tutta la superficie della valva in esame manca di strie d’ac- crescimento ben visibili ; solo in qualche punto di essa notansi le tracce di alcuni arresti dell accrescimento medesimo. Da un lato e dall’altro dell’umbone trovansi le due orec- chiette; delle quali l’anteriore, sebbene in parte rotta, rivelasi indubbiamente di dimensioni assai maggiori della posteriore, ed è provvista di linee d’accrescimento sottili e sinuose, ad indicarci una profonda insenatura bissale. Nella orecchietta posteriore notansi infine le tracce di tre o quattro costicine radiali, filiformi, minutissime, delle quali manca invece assolutamente ogni traccia nella orecchietta anteriore. Questa specie presenta non poche affinità con il P. multi - striatus Poli, con il P. gloriamaris Dub., con il P. Justianus Pont., e con il P. tauroper striatus Sacco. Differisce però da ognuno di essi soprattutto per la conformazione, il numero e la disposizione delle coste. È specie miocenica e proviene dai terreni arenacei dei colli torinesi. Inaequipecten gibbangulatus Sacco. 1897. Pecten Tournali vai-, gibbangulata, Sacco. I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, parte XXIV, Pecti- nidae, pag. 36, tav. XI, fig. 15. Torino. 53 788 R. UGOLINI Dimensioni : Altezza della valva sinistra . . Larghezza » » » . Apertura dell’angolo apiciale . . nini. 73 » 89 123° Conchiglia di media statura, con guscio di grosso spessore, subequi laterale. La valva sinistra, la sola posseduta, è convessa e percorsa da 10 coste radiali, a sezione arrotondata ed assai prospicienti, segnatamente alla periferia. Sono esse fra di loro profondamente divise mercè solchi molto scavati, pianeggianti e pressoché larghi quanto le coste interposte. Sono verso il mezzo molto più grosse che ai lati, in cor- rispondenza dei quali notansi due aree, apparentemente liscie, ma in realtà percorse da due o tre costicine, sottili, filiformi, vicinissime fra di loro, le quali si distinguono con difficoltà e sotto speciali incidenze di luce soltanto. Da notarsi è pure il fatto che, fra le due aree suindicate e la zona costata loro interposta, esistono due depressioni allun- gate e dirette radialmente dall’apice alla periferia della valva, delle quali la posteriore è ancora più profonda e distinta del- l’anteriore. Oltre a queste depressioni un’altra e più notevole ne esiste all’estremità dell’umbone: depressione semicircolare, per effetto della quale le coste ed i solchi si ripiegano ad angolo di 90° circa. In corrispondenza di questa depressione i solchi e le coste svaniscono notevolmente sino quasi a scomparire, ragione per cui la superficie che ne risulta appare pianeggiante. Tutta la superficie della valva in esame mostrasi fittamente e concentricamente striata per effetto delTaccrescimento, e le strie sono leggermente squamulose e sinuate. Da una parte e dall’altra dell’umbone della valva in esame sono due orecchiette grandi, sebbene alquanto danneggiate, quasi uguali, concentricamente striate, le quali dànno origine ad un margine cardinale lungo e diritto. PETTINIDI DI TERRENI MIOCENICI 789 Non y’è alcun dubbio, adunque, che l’esemplare in esame somigli perfettamente a quello che il Sacco (') già descrisse e figurò come una var. gibbangulata del P. Tournali Marc, de Seri*. Senonchè essendo, a parer mio, ambedue gli esemplari su ricordati sufficientemente diversi dal P. Tournali tipico, per lo sviluppo notevole, così della depressione umbonale, come di quelle radiali laterali e soprattutto di quella posteriore, ho creduto opportuno di separare la valva in esame dalla specie tipica di Marcel de Serres e di considerarla come specie sin- golare e distinta. È decisamente miocenica e proviene dai terreni marnoso-are- uacei del Monte Cedrone presso Città di Castello (Umbria). Flabellipecten leythaianus Partsch. 1870. Flabellipecten leythaianus Partsch. in Htìrnes, Die fossilen mollu slcen des Tertiaerbeckens von Wien, Bd. II, Bivalven, pag. 406, taf. LXIII, tig. 6-8. Wien. 1899. Flabellipecten leythaianus Ugolini (cum syn.). Monografia dei Pec- tinidi miocenici dell’Italia Centrale. Boll. Soc. Malac. ital.. voi. XX, pag. 171. Modena. Dimensioni : Altezza della valva destra . . min. 65 Larghezza » » » . . . » 69 Apertura dell’angolo apiciale . . 110° Conchiglia di media statura, con guscio di medio spessore, subequilaterale, inequivalve. La valva destra, la sola che io posseggo, ed in parte anche danneggiata, è alquanto convessa, sebbene non molto, ed è provve- duta superficialmente all’esterno di 24 coste radiali, a sezione quasi rettangolare, ma col dorso sensibilmente arrotondato, molto rav- vicinate e ristrette, le quali verso i lati e verso l’umbone vanno gradatamente obliterandosi. Altrettanti solchi separano rispettivamente queste coste, ma sono molto più stretti ed uguali circa alla metà di esse. Sono (') Sacco, Op. cit., pag. 36, tav. XI, fig. 15. Torino, 1897. 790 R. UGOLINI profondi, a sezione pressoché rettangolare e col fondo (piasi pia- neggiante. Da nn lato e dall’altro dell’umbone stanno le orecchiette, relativamente piccole, convesse e prive affatto di costicille. Il margine cardinale cui esse danno origine è diritto. Manca il seno bissale. Tutta la superficie della conchiglia è percorsa dalle solite strettine sottili, concentriche d’accrescimento. Queste però sono evidentissime sulla superficie esterna delle orecchiette, e lo sono assai più che non in tutto il resto della valva. Questa, che fu già da me soltanto in parte ed imperfet- tamente descritta, ma non figurata ('), era stata creduta dal Meneghini specie nuova, e da lui denominata in schedis come lanira micr opterà n. sp. Non v’è alcun dubbio però che tutti i suoi caratteri, meno le poche differenze che ora andrò ad indicare, corrispondono esat- tamente alla specie cui è stata riferita. Tali differenze consistono principalmente: nella conformazione delle coste che sono un poco meno sviluppate nell’esemplare in esame che nella specie tipica, nella maggiore larghezza degli spazi intercostali ed infine nel- l’aspetto della superficie esterna dell’estremità umbonale che, nel caso speciale, appare un poco più liscio di quel che non sia effettivamente nell’esemplare tipico. Un’altra specie, che per alcuni caratteri della valva destra potrebbe venire a questa pa- ragonata, è il P. Canavarii Ugol. Ma anche quest’ultima si di- stingue dal nostro per la maggiore enfiagione della valva sud- detta e per la più accentuata curvatura dell’umbone. Non parlo della valva sinistra del P. Canavarii, perchè è questa profon- damente escavata e concava, come quasi tutte le specie del genere Pecten (str. sensu), mentrechè la stessa valva del P. ley- tliaianus è decisamente piano-convessa. Questa valva proviene dai terreni miocenici di Berignone (Val di Cecina). (') Ugolini, Op. cìt., pag. 173. Modena, 1899. PETTINIDI DI TERRENI MIOCENICI 791 Pecten stazzanensis May. (Fig. 2 e 3). 1873. Pecten (Neithea) Stazzanensis Mayer. Description de Cocpiilles fos- siles des terrains tertiaires supérieurs. Journ. de Conch., sér. Ili, tome XVI, voi. XXIV, pag. 171. Paris. 1889. Pecten ( Neithea ) Stazzanensis Sacco. I molluschi dei terreni ter- ziari del Piemonte e della Liguria, parte XXIV, Pectinidae ( cum syn.), pag. 61. Torino. 1903. Pecten (Neithea) Stazzanensis Ugolini. Pectinidi nuovi o poco noti di terreni terziari italiani. Riv. ital. di Paleont., anno IX, fase III, pag. 92, tav. VII, fig. 6ft, 6 b. Bologna. Dimensioni : Altezza della valva destra . . . mm. 59 » » » sinistra . . » 57 Larghezza della valva destra . . . » 65 » » » sinistra . . . » 67 Angolo apiciale della valva destra. . 110° » » » » sinistra . 122° « Testa inaequivalvi, aequilaterali, stiborbiculari, concentrice irregulariter et tenuiter striato-lamellosa : valva inferiore medio- criter convexa, ad nmbonem plus ininusve recurva, costis 16, subquadrangularibus, dorso plano-convexis, paulum inaequalibus, modo simplicibus, modo obscure, modo profunde uni- vel bi- vel trisnlcatis ; interstitiis principio canaliculatis, ad marginem le- viter dilatatis, aliquando uni- vel bistriatis; auriculis inaequa- libus, obscure radiatis; valva superiore piano-concava, costis 14, rotundatis, modo obscure, modo profunde plurisulcatis ; inter- stitiis complanatis, stria incrassata, rarius striis tenuibus duabus vel tri bus divisis; auriculis subaequalibus, irregulariter radiatis». Conchiglia di media statura, con guscio di medio spessore, subequilaterale, inequivalve. La valva destra è convessa, ha l’apice umbonale poco ri- curvo sul margine cardinale e mostrasi percorsa da 16 coste 792 R. UGOLINI radiali, a sezione arrotondata e larghe pressoché il doppio degli spazi intercostali, ma non tutte ugualmente. Il dorso delle coste è piuttosto depresso e longitudinalmente percorso da solchi che sono più o meno accentuati ed in numero di 1-4 per costa. Fig. 2. — P. stazzanensis May., valva destra. Gli spazi intercostali sono stretti e profondi nella regione apiciale, più larghi e più bassi in quella periferica, ed il loro fondo mostrasi da per tutto quasi pianeggiante e, lungo il mar- gine paileale, provvisto di 1-2 costicille. Le orecchiette di questa valva, piccole ed a superficie convessa, mostrano la solita ornamentazione dovuta alle strie concentriche d’accrescimento, che esiste pure, sebbene meno visibilmente, in tutto il resto della valva. Differiscono però leggermente fra di loro inquantochè l’anteriore presenta tracce, sebbene non troppo accentuate, di un’insenatura bissale. 11 margine cardinale è quasi perfettamente diritto. La valva sinistra è quasi perfettamente piana nei due terzi inferiori ; ma nel terzo superiore, cioè presso aH’umbone, essa diventa un po’ escavata. È percorsa da 14 coste radiali che sono sporgenti, arrotondate, longitudinalmente percorse da un numero variabile di stilettine sottili, più evidenti alla periferia che non all’apice, e separate ri- PETTINIDI DI TERRENI MIOCENICI 793 spettivamente da solchi più larghi il doppio delle coste, bassi, pianeggianti e provvisti a loro volta di due o tre costicine radiali sottili, più appariscenti nella regione paileale che altrove. Eig. 3. — P. stazzanensis May., valva sinistra. Da un lato e dall’altro della regione costata si hanno mar- gini sporgenti e sottilmente costalati che convergono aH’umbone e delimitano la leggera cavità umbonale testé ricordata. Le orecchiette sono piccole e poco diverse fra di loro; hanno la loro superficie concava e percorsa, oltreché dalle solite strie d’accrescimento, evidenti pur anco in tutto il resto della valva medesima, da costicine radiali sottili, filiformi, irregolarmente disposte. Il margine cardinale cui danno origine è esattamente diritto. Ho creduto opportuno di fare nuovamente la descrizione di questa specie (‘), da me illustrata altra volta sopra un esem- plare proveniente dai terreni miocenici di S. Giovanni in Ga- lilea e conservato nel Museo di Firenze, non tanto per metterne a confronto i caratteri con la diagnosi dell’autore, non riportata in quella prima descrizione, quanto per confermare nuovamente l’esistenza nei nostri terreni miocenici, e soprattutto nel classico (’) Ugolini, Op. cit., pag. 92, tav. VII, fig. 6 a e 66. Bologna, 1903. 794 K. UGOLINI giacimento di Yigoleno, di una specie tanto interessante e pure ancora tanto poco conosciuta. Secondo il Mayer il P. stazzanensis sarebbe forma vicinis- sima al P. Bollei Hbrn. È d’uopo però di convenire che, pur somigliandosi ambedue le specie per l’aspetto generale, i carat- teri particolari dell’una non corrispondono a quelli dell’altra; infatti, esaminando diligentemente le figure originali che l’Hor- nes (’) ha dato per il suo P. Eoi lei, (che, secondo Deperet e Roman, va oggi indicato con il nome di P. Homensis, per evi- tare un doppio impiego), vi si notano, così nella valva destra come nella sinistra, delle coste che sono in minor numero di quelle esistenti nel P. stazzanensis May. Queste coste poi sono a sezione distintamente trapezoidale anziché arrotondata, sono liscie, cioè prive affatto di solculi longitudinali, e sono separate da interspazi non provvisti di eosticine secondarie. Proviene dai terreni miocenici dei dintorni di Yigoleno. Istituto geologico dell’Università di Pisa, giugno 1906. [ms. pres. il 30 aprile 1905 - ult. bozze 10 dicembre 1906]. (l) Hòrnes, Op. cit., tav. 59, fig. 4-6. Wien, 1870. Nota del socio Dante Pantanelli La origine del petrolio è una vecchia questione che si agita dal principio del secolo XIX. e riassumerne soltanto la biblio- grafia sarebbe cosa estremamente voluminosa ; chi ne avesse va- ghezza, rimando ben volentieri a Peckham che nel volume 17° del censimento degli Stati Uniti (1880) cita 1078 articoli e a Goulichambaroff (1883) che cita oltre 4500 articoli; il mio sche- dario al corrente anno contiene già oltre 3000 articoli avendo escluso tutte le applicazioni del petrolio. Nel 1801 Leopoldo de Buch attribuì il petrolio alla distil- lazione di sostanze animali, rifiutando che potesse provenire dalla distillazione naturale di sostanze vegetali come sembra che fosse l’ipotesi dominante in quel tempo ; ciò appare dalle osser- vazioni di Brocchi per il petrolio delle coste del Mar Rosso, quando avverte che questo liquido non può essere indizio di carbone, perchè « se dobbiamo ragionare per analogia nè a Sas- suolo, nè a Miano, nè in Sicilia ove sono scaturigini di petrolio, esistono indizi di strati di carbon fossile»; più oltre aggiunge « quanto all’ammasso madreporico e conchigliaceo benché sembri che in quel tempo abbia dovuto aver luogo la decomposizione di corpi organici marini, nulladimeno è, a mio avviso, troppo parziale perchè possa essere il perenne laboratorio di quella sostanza » (Giornale delle osservazioni ne’ viaggi in Egitto, nella Nubia e nella Siria. Voi. II, 1841, sotto il giorno 13 Maggio 1823). Così Brocchi rispondeva in precedenza a Fraas che più tardi attribuiva il petrolio di Egitto alla decomposizione degli animali pullulanti sulle coste del Mar Rosso; ipotesi d’altra parte di- strutta dalle ricerche di Barvis sul petrolio del Mar Rosso, pub- blicate nel Bollettino dell’Istituto Egiziano nel 1886. 796 D. PANTANELLI Con Virlet d’Aoust nel 1834 si clelinea l'ipotesi che il petrolio possa essere un prodotto di origine eruttiva e la duplice probabile origine inorganica od organica è tuttora argomento di discussione ; sono favorevoli alla origine organica gli americani, gli inglesi e i tedeschi ; sostengono la origine inorganica i russi e la mag- gior parte dei francesi, i primi per le osservazioni di Mende- leeff, i secondi dopo i lavori di Bertlielot e di Moissau; gli italiani inclinano alla origine organica per quanto Stoppani sia stato uno dei più tenaci sostenitori della teoria inorganica. Nella ipotesi organica si deve distinguere, la origine vege- tale e quella animale; se nei due casi il petrolio si è prodotto dove anche si è raccolto, oppure se vi è pervenuto da altri luoghi per secrezione o per distillazione naturale. Tra i moltissimi autori che hanno discusso le origini del petrolio, mi limito a citare per l’origine organica vegetale: Itier 1839, Millet 1840, Gesner 1861, Lesquereux 1865, Malo 1866, Vouga 1866, Briart 1883, Travaglia 1889. — Per l’origine organica animale : DeBueh 1801, Sterry-Hunt 1862, Desor 1868, Fraas 1868, Knab 1869, Jacquard 1872, Hofer 1880, Le Bel 1885, Peckham 1887, Orton 1888, Engler 1888, Redwood 1896, Zuber 1897, Bertolio 1898, Muck 1902, De Angelis 1903, B. Thompson 1904. — Per l’origine organica con susseguente di- stillazione dipendente da azioni termiche profonde : Humboldt 1804, Reicliembach 1834, Dufrenoy 1837, Knar 1868. — Per l’origine inorganica: Virlet 1834, Prott 1846, Chancourtois 1863. Pelouse e Cahours 1863, Amsted 1866, Lartet 1866, Berthe- lot 1866, Abich 1868, Hebert 1868, Raulin 1869, Stoppani 1871, Fucks e Sarrasin 1872, Mendeleef 1877, Cloez 1878, De Lap- parent 1881, Ross, 1891. Fuchs e De Launay 1893, Moissau 1896, Meunier 1897, Sabatier e Senderens 1897-1902, Ockse- nius 1903, Coste 1904. L’origine organica vegetale essendo stata ormai quasi ab- bandonata, effettivamente rimangono solo in discussione l’origine organica animale e l’origine inorganica, con la riserva per la prima, se gli attuali giacimenti di petrolio rappresentino un ser- batoio di concentrazione di questo liquido originato in luoghi diversi da quelli nel quale lo troviamo, o se invece la decom- posizione delle sostanze organiche è avvenuta negli strati stessi LE ORIGINI DEL PETROLIO 797 che contengono il petrolio e tutte le sue varietà dal metano al- l’asfalto. La prima riserva è un argomento dilatorio originato dalla necessità di rendersi conto della sproporzione tra la causa e l’effetto; è sottoposta alle stesse obiezioni di quella che consi- dera il petrolio prodotto in luogo, alle quali possono aggiungersi molte di quelle che si possono invocare contro la ipotesi inorga- nica; ridncendo quindi la divergenza alle due ipotesi generali, cioè la organica animale e la inorganica, occorre subito rico- noscere che la prova diretta logicamente inoppugnabile per ognuna di esse ancora manca e che tutti gli argomenti invocati a prò dell’una o dell’altra, costituiscono serie di prove indiziarie non sempre limpide ed evidenti, nè tali che non possano alcune di esse addursi a sostegno di ambedue le ipotesi. Tra questi argomenti però ve ne sono due principali che stabiliscono una netta separazione tra le due serie. Per l’origine organica l’argomento principale risiede nelle esperienze di Engler (1888) che con la distillazione secca di 492 chili d’olio di pesce, ottenne un miscuglio d’idrocarburi in parte simile al petrolio e nella proporzione del 60 °/0 del li- quido distillato ; risultati dello stesso ordine furono ottenuti con altri grassi (oleina) di origine diversa. L’origine inorganica si appoggia all’azione dell’acqua sopra i carburi metallici. È innegabile che la distillazione secca, operazione per se stessa brutale e quasi direi non scientifica, non presenta nulla che possa essere anche con la più lontana analogìa applicato ai petroli dei terreni terziari, quando si voglia sostenere che essi siano tuttora nel luogo di raccolta degli avanzi animali che li hanno originati ; tutto al più potrebbe essere invocata dai sostenitori della teoria organica congiunta ad un successivo trasporto in bacini di raccoglimento. La presenza di carburi metallici nelle parti profonde della crosta terrestre non è stata in alcun modo accertata. Tornando alla esperienza di Engler, non potendosi sempre trasferire la osservazione di gabinetto a quello che presumibil- mente dovrebbe essere avvenuto, nella ipotesi organica, per la produzione del petrolio, si sono aggiunte ipotesi secondarie, cioè 798 D. PANT ANELLI decomposizioni lente per le quali non solo i grassi naturali si sarebbero decomposti in idrocarburi, ma anche la stessa parte muscolare, previa la formazione di adipocere determinata da azioni batteriche (Hofer, Zaloziecky, Thompson &) che rallen- tando la decomposizione delle parti molli, avrebbe permesso l’accumulazione del materiale primo originario del petrolio. 11 primo che è effetti vaiuente entrato nella questione della proporzionalità tra causa ed effetto, preoccupato della enorme massa di petrolio del Caspio, obbligante a supporne una incompa- rabilmente maggiore di avanzi animali, è- stato A. Beeby Thom- pson nella sua splendida opera, The Oils Fields of Russia , pubblicata nel 1904. Questo autore comincia a stabilire che le sabbie a petrolio di Apsclieron sono di origine eolica e spettatore delle terrificanti tempeste di sabbia che tormentano quella regione, ha supposto che queste siano sempre avvenute e che ogni tempesta di sabbia cagionasse la mortalità del maggior numero degli esseri che vi- vevano in quelle acque; tenendo conto poi della distribuzione dei gas in profondità nell’attuale Caspio, stabilisce che al fondo si abbia una zona antisettica nella quale si poteva lungamente ri- tardare la decomposizione degli avanzi animali; questa rapida mortalità avendo una origine meccanica e non infettiva, permet- teva ai sopravviventi di ripopolare le acque. Effettivamente l’au- tore non ha potuto accertare l’effetto che suppone dovuto alle tempeste di sabbia, tanto più poi che è completamente ipotetico che le condizioni meteorologiche attuali debbano essere simili a quelle che si verificavano durante la deposizione degli strati pe- troleiferi, mentre lo stesso autore riconosce che in quel tempo il mar Caspio doveva essere riunito al mar Nero. Non potendo 1 A. recare in appoggio della sua ipotesi nessuna osservazione at- tuale, si limita a riferire della enorme quantità di pesce che trova la morte a brevi periodi nella laguna di Éarabogbaz nelle occa- sionali o periodiche variazioni di salsedine. Qui si presenta subito una nuova questione; è possibile di- stinguere in modo sicuro delle sabbie eoliche da altre di prove- nienza diversa? Debbo alla gentilezza del Sig. A. Eolloph direttore dell’Orto botanico di Tiflis un grosso campione di sabbie peti-oleifere; mi sono procurato sabbie di Egitto e della LE ORIGINI DEL PETROLIO 799 Tripolitania di origine certamente eolica che, confrontate con altre sabbie di origine diversissima, non mi hanno presentato alcun carattere differenziale fra loro; è probabile che mi manchi l’esperienza necessaria, per quanto occupandomi da tempo della costituzione delle sabbie, dovrei possederla e sono convinto che se vi sono delle differenze, queste non possono trovarsi nè nella forma nè nella composizione. Laonde l’ipotesi dell’accumulazione di materiali organici ani- mali e in conseguenza l’origine organica del petrolio del Caspio, è appoggiata su due ipotesi concorrenti; e quanto questo modo di argomentare sia deficiente, lascio ad ognuno di decidere. Ma veniamo ad altre considerazioni ; gli strati oleiferi con- tengono circa il 50 °'0 di olio e poiché il corpo dei pesci non ha più del 2 °/0 di grassi, occorre per giustificare la quantità di petrolio, che la massa dei pesci superasse di 25 volte lo spessore dello strato petroleifero per poter dedurre che dai me- desimi si sia originato il petrolio. Se di fronte a questo si pone in bilancio il petrolio annualmente estratto e die in fondo non è che una minima parte di quello realmente esistente nelle regioni del Caspio, la massa di cadaveri di pesci che dovremmo supporre trasformata in petrolio (700 milioni di tonnellate an- nualmente di petrolio greggio) è tale che non solo i vecchi para- goni biblici delle arene del mare e delle stelle del cielo divengono inezie, ma la sproporzione tra la causa e l’effetto diviene tal- mente enorme da uscire dai limiti del ragionevole. A. B. Thompson attribuisce alla decomposizione dei pesci il calcare, i fosfati e i sali ammoniacali; dei fosfati e del calcare non parlo potendo avere altre origini ; per i sali ammoniacali noto cbe i soffioni boraciferi di Larderei lo ne contengono in copia e nessuno oserebbe supporre per essi una origine organica; ma vi è di più; se la parte ossea dei pesci per il piccolo tenore di sali minerali può completamente decomporsi, lo stesso non può dirsi per gli otoliti ; questi resistono facilmente a tutte le azioni che non siano acide e sono le uniche parti, che con i denti di alcuni generi meglio resistono quando non si sottrag- gono alla decomposizione naturale; un esame accurato delle sabbie petroleifere del Caspio mi ha permesso di constatare l’assenza di questi corpiccioli mentre poi non mancano frammenti di congerie 800 D. PANTANELLI e di altri molluschi ben più facilmente distruttibili degli oto- liti (’). Ho detto che accanto agli argomenti principali in favore di ogni singola ipotesi, ve ne sono molti altri secondari di dubbio valore ; primo tra tutti è raccertata presenza di avanzi fossili negli strati contenenti gli idrocarburi; i resti di pesci o di altri fossili negli strati bituminosi o semplicemente fetidi, dai quali per distillazione si separa l’ictiol (Fritscb, Seefeld Austria) o la presenza di otoliti nelle rocce fetide di Tocco-Casauria (De Angelis), non dimostrano alcunché, esistendo centinaia di strati ittiolitici senza tracce di petrolio, mentre i casi citati sono singoli e quasi eccezionali. Il fatto di aver trovato le cavità dei madreporari (Sterrv-Hunt) ri- piene di petrolio o valve di pelecipodi colmedi bitume (Jacquard) e invocato in appoggio della origine organica, potrebbe egual- mente essere invocato per l’ipotesi contraria o tutto al più per quella che ritiene il petrolio raccolto per distillazione da origini lontane, nessuno potendo ammettere che per la trasformazione delle parti molli di un essere qualsiasi in idrocarburi si sia potuto riempire la cavità dell’ involucro solido dell’ animale stesso. Della osservazione di Fraas che ripetè il petrolio di Gebel- Zeit sulle coste del Mar Rosso dalla decomposizione dei cada- veri degli animali così numerosi in quelle costiere, ho già in altro lavoro segnalato la erroneità in seguito alle ricerche di petrolio effettuate nella regione, e già preveduta da Brocchi, le osservazioni del quale passarono inosservate a Fraas (Boll. Soc. Geografica ital., serie IV, voi. I, 1900). Lo stesso dicasi dell’ associazione quasi costante del cloruro sodico col petrolio; per i sostenitori della teoria organica questo sale rappresenta un residuo delle acque nelle quali hanno vis- suto gli animali che hanno dato origine decomponendosi, al pe- trolio; ma indipendentemente dal fatto che, esclusi i grandi giacimenti salini che non hanno nulla che fare con il petrolio, strati fossiliferi indubbiamente marini non hanno conservato tracce notevoli di questo corpo, nulla si oppone che le stesse G) Vedi A. S. Jensen, Vid. Meddel. naturh. Foren. Kbrhn 1900, 251-254, per l'osservazione della frequenza degli otoliti di Gadus nei fondi del mare del Nord da 30 a 1100 Faden. LE ORIGINI DEL PETROLIO 801 cause che hanno originato i petroli nella ipotesi inorganica, po- tessero nello stesso tempo dar luogo alla emissione di cloruri, tra i quali quelli alcalini di natura loro più stabili, sarebbero stati anche quelli che avrebbero resistito felicemente alle ingiurie del tempo e delle possibili reazioni interne. L’ipotesi inorganica trova un appoggio nel fenomeno costante delle salse, dei vulcani di fango e nelle manifestazioni idrotermali, sempre accompagnate da sviluppo più o meno abbondante di idrocarburi, come pure nella presenza ripetutamente accertata di idrocarburi nelle eruzioni vul- caniche; ma auche questo argomento preso isolatamente ha il suo lato debole, potendo supporsi che gli idrocarburi siano trasci- nati alla superficie, non già perchè condotti da profondità ove essi possono essersi prodotti in seguito a reazioni speciali di sostanze minerali, ma da strati petroleiferi preesistenti tagliati dal con- dotto delle manifestazioni idrotermali o vulcaniche. Così dicasi del fatto che i petroli si trovano in tutte le for- mazioni dal paleozoico al terziario, la possibilità della sua diffu- sione non contraddicendo alcuna delle due ipotesi sulla sua origine. Un fatto sufficientemente suggestivo e che diversi hanno, co- minciando da Chancourtois, sotto diverse forme accennato, si ha in- vece nella sua distribuzione geografica; confrontando la distribu- zione delle zone petroleifere con le regioni che hanno subito l’ultima corrugazione Alpino-Imalaica e Circumpacifica, si trova che prossimamente coincidono; certamente in grado non minore della identica coincidenza delle zone sismiche segnalata da De Montessus de Ballore, per modo che l’attribuzione della origine del petrolio alle stesse serie di fenomeni che hanno susseguito la corrugazione suddetta e determinata la zona trasversale vul- canica dalle Antille alle isole della Sonda con la diramazione Eritrea e la cintura del Pacifico, assume un grado singolare di probabilità. In quanto poi alla possibilità che gli idrocarburi debbansi alle reazioni dell’acqua sopra i carburi metallici nelle grandi profondità terrestri, non esce dai limiti ragionevoli della ipotesi scientifica. La nozione certa della densità terrestre crescente in profondità; l’eccesso dei composti ossigenati nella zona super- ficiale; l’elevata temperatura delle zone profonde; la massima 802 D. PANTANELLI parte delle raccolte di minerali dei metalli pesanti collegata a rocce di origine profonda ed ignea; la distribuzione delle zone vulcaniche attuali ed antiche; la prevalente sismicità della zona terrestre lungo le regioni dell’ultima corrugazione geologica, co- stituiscono un complesso di fenomeni così strettamente collegati fra loro, che unendovi l’avvento del petrolio naturalmente col- legato alle salse e ai vulcani di fango, ravvicinamento è na- turale e spontaneo. Con questo non intendo dissimulare che in casi parziali e limitati, idrocarburi diversi possano essere originati dalla de- composizione di sostanze organiche sì vegetali che animali ; di- menticare la formazione del gas delle paludi sarebbe puerile, ma dalla produzione in circostanze speciali di pochissimi idro- carburi, dedurne la raccolta incommensurabile del petrolio in alcune regioni fortunate, il passo è assolutamente fuori di ogni proporzione; tanto varrebbe ripetere l’ipotesi della combustione spontanea delle piriti per spiegare i fenomeni vulcanici o perchè in alcuni casi disturbi sismici, anche disastrosi in ristrette lo- calità, sono certamente occasionati da frane interne e in certo modo superficiali, attribuire a tutti i terremoti la identica origine (1). Modena, agosto 1906. [ms. pres. il 9 settembre 1906 - ult. bozze 19 dicembre 1906;. (‘) Sotto la data 10 settembre 1906, Sabatier, che da molti anni si occupa della probabile origine del petrolio, ha pubblicato un articolo nella Revue du Mois col titolo La Genèse des pétroìes; la mia nota e quella di Sabatier si completano, fermandosi l’A. specialmente sulle rea- zioni chimiche, per le quali dai carburi metallici si possono ottenere gli idrocarburi del petrolio. SULLA ESISTENZA DI ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA SULLE ROCCE MIOCENICHE DELL’INTERNO DELLA SARDEGNA SETTENTRIONALE Nota del socio G. Capeder Nel visitare i molti giacimenti fossiliferi miocenici dei din- torni di Sassari e nel rilevare i vari fenomeni dovuti alle cor- renti, resi già di pubblica ragione ('), ebbi occasione di osser- vare pure delle tracce di antiche linee di spiaggia incise sulle rocce mioceniche a grandi distanze dal mare e all’altezza media di circa 400 m. Essendo l’osservazione nuova per la regione e di una grande importanza per la Geologia Sarda, rimasi parecchio tempo dub- bioso circa T interpretazione da me data a quelle linee ed ecco perchè volli visitare molte località e fare confronti e studi spe- ciali sulle modalità dell’erosione marina prima di accingermi a pubblicare le presenti osservazioni. Ormai però sicuro che i fe- nomeni di erosione da me osservati sono in realtà dovuti al- l’azione meccanica delle onde del mare, dimostrerò del mio meglio come esistano sulle rocce mioceniche di facies elveziana delle linee di spiaggia, e come di conseguenza il mare abbia invaso ancora indubbiamente l’isola dopo il miocene, a differenza delle attuali conoscenze, con le quali si ammette la mancanza nella Sardegna di depositi marini posteriori al miocene, essendo dal Lovisato e dai suoi collaboratori (2J stati riconosciuti miocenici tutti quanti (1) Alcune interessanti particolarità nei fenomeni della erosione e della deiezione dei dintorni di Sassari. Boll. Soc. Geol. Ital., 1905, voi. XXIV. (2) Lovisato D., Il plioc. non esiste nel sist. collinoso di Cagliari. Boll. R. Coni. Geol., 1885, n. 5 e 6. — I d.. Cenni geol. sulla Sardegna. Discorso, Cagliari, 1888. — Id., Le cale, grossier jaunàtre de Pirri, Ca- 54 804 G. CAPEDER i piani pliocenici del Lamarmora (*). In particolare venne ascritto al piano elveziano la pietra forte di Bonaria e la pietra can- tone di Sassari : ebbene è precisamente su quest’ultima roccia che io osservai le linee di spiaggia. Dallo studio morfologico della regione sono venuto intanto a verificare che si possono osservare qui tipici altipiani di abra- sione più o meno estesi, che vengono d’altronde anche nel gergo del paese indicati col nome di piana ( Piami de Suèse, P. Istoccn, P. S.1 Andrea, P. Gioscari, P. Edras , P. Marghine, P. Sa- liderru , P. Saspru, P. S. Pietro , P. su Acliileddu, P. Piredu, P. Manna, P. Furros , P. de Pitta , P. s’ EligJiiu, P. de cu Crastu Covacadu , P. de Filighe, P. sos Laccheddos, ecc., ecc.). Essi sono simili, per citare qualche esempio in Italia, a quelli dell’Aspromonte, Campi di Reggio, Sant’Agata, Capo Va- ticano, ecc. (2). Senonchè per quelli Sardi, fino ad oggi si attri- buiva loro un’origine ben diversa: si credevano cioè dovuti alla sola erosione che le correnti operarono su queste rocce emerse da tanti secoli, escludendo ogni influenza del mare per essere essi isolati gli uni dagli altri e perchè finora non si conoscevano sedimenti trasgressivi, mentre nell’Appennino meridionale i ter- reni pliocenici e plistocenici che si spingono fino alle terrazze più alte, dànno modo di accertare l’ invasione del mare, di rico- noscerne gli effetti nelle terrazze e di dedurre che nel pliocene la Calabria era smembrata in varie isole separate da bracci di mare e da golfi e che la trasgressione pliocenica, probabilmente di breve durata, fu seguita da un movimento di masse assai gliari, 1901. — Id., Le specie fossili finora trovate nel cale. comp. di Bonaria e S. Bartolomeo, Cagliari, 1902. — Parona C. F., Appunti p. la paleont. mioc. della Sardegna. Boll. Soc. Geol. It., 1887. — Bassani F., Contrib. alla paleont. della Sardegna. Mera. R. Acc. Napoli, 1891. — Mariani E. e Parona C. F., Fossili tortoniani di C. S. Marco. Atti Soci It. Se. Nat, 1887. — Capellini G., Balenottera mioc. di S. Michele. Mem. R. Acc. Bologna, 1899. — Id., Sul coccodrillo gavialoide. Mem. R. Acc. Lincei, 1890. — Fornasini, Dì alcuni foraminif eri provenienti dagli strati miocenici dei dintorni di Cagliari. Boll. Soc. Geol. It., voi. VI, 1887. (') La Marmora A., Voyage en Sardaigne, 3me partie, tom. I, 1857, Turin. (2) De Lorenzo G., Studi di Geologia nelVApp. Meridionale. Att. R. Acc. Se. Fis. e mat., voi. Vili, 1897, pag. 122 e seg. ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 805 complicato pel quale si deformarono i tratti orografici stabiliti dal corrugamento orogenetico posteocenico e dai movimenti po- steriori avvenuti durante e dopo il miocene C1). Per la Sardegna invece non essendo conosciuti come si disse depositi pliocenici e ben poco ancora i depositi plistocenici che si trovano generalmente e soltanto sopra rocce più antiche del miocene ed in ben pochi punti direttamente sul terziario medio e sempre a poca distanza dalle attuali spiaggie, non era possibile tale dedu- zione. Ma appunto perciò, se il rilevare l’esistenza di antiche linee di spiaggia a grandi distanze dalle coste sulle rocce mioceniche riesce di maggiore difficoltà, d’altrettanto più interessanti sa- ranno le deduzioni che se ne potranno trarre riguardo alle co- noscenze sui movimenti orogenetici cui andò soggetta la Sar- degna dopo il miocene e sui sedimenti posteriori, che non sarà vano di cercare alla base dei terrazzi ove evidentemente deb- bono esistere. Probabilmente essi dovranno poggiare in discor- danza sulle rocce mioceniche e trovarsi sui fianchi delle valli, che in parte già doveano essere incise, come si vedrà, all’epoca dell’invasione del mare, perchè le linee di spiaggia sembrano circuire degli altipiani smembrati. È evidente però che l’accertare l’epoca dell’invasione ma- rina sul suolo Sardo e perciò l’età delle terrazze e l’età dei sedimenti con dati puramente strati grafici, è solo possibile fra certi limiti e che si richiede anche uno studio paleontologico dei fossili, i quali dovrebbero confermare quanto dallo studio morfologico e stratigrafico del terreno si può desumere. Dirò che ho già trovato alla base di molte terrazze marine sedimenti che giacciono in discordanza sulla roccia miocenica della terrazza, ma che lo studio paleontologico dei fossili sarà ben difficile per lo stato cattivo della loro conservazione e per gli scarsi avanzi; d’al- tronde esso studio verrà quanto prima iniziato con la speranza che sia possibile rintracciare dei nuovi sedimenti più fossiliferi e sopra tutto con la speranza di una cortese collaborazione. Perciò per ora mi limiterò a dimostrare solamente l’esistenza di linee di spiag- gia sui fianchi delle rocce mioceniche, aggiungendo ancora qualche considerazione riguardo alla successione dei fenomeni, (J) Parona C. F., Trattato di Geologia, Vallardi, pag. 641. 806 G. CAPEDER senza voler però con ciò pretendere di risolvere il difficile pro- blema nè voler infrapporre dannosi preconcetti. E mi sia ancora qui concesso di ringraziare il chiarissimo prof. Parona, il quale, conosciute le mie osservazioni circa la par- ticolare morfologia del suolo Sardo volle, come sempre, rilevarmi tutta l’ importanza .dell’argomento ed invogliarmi a trattarlo. % Se da Sassari ci conduciamo ai villaggi di Cargegke e di Elorinas seguendo la strada comunale che passa a lato di un grande altipiano circondato dalle ampie e profonde valli del Fig. 1 — Linee di spiaggia presso Cargeghe. Eio Mascari, dei Rii di Campo Mela e del Rio Maunu, avremo occasione di poter osservare meglio che altrove le conservatis- sime terrazze e le linee di spiaggia, e il paesaggio artisticamente vario e pittoresco ci porterà spontanea l’idea ad un mare che abbia abbandonato sol ieri quelle splendide spiaggie (fig. 1). Spingendo lo sguardo lontano ci vedremo circondati da ogni parte da un’ infinità di consimili altipiani isolati, che dànno al paesaggio tabulare uno speciale carattere. I più vicini ci lascie- ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 807 ranno anche scorgere le particolarità che ornano quelle rocce a picco. Là son delle aguglie che si profilano sull’azzurro del cielo, qua delle immense conche dalle lor volte protese sorgenti dal ri- spettivo terrazzo con doccie e marmitte, più oltre solchi estesi e profondi, e canaloni, e ripe che si succedono senza fine, e anfi- teatri stupendi, e doline (fig. 2, 3). I massi isolati corrosi alla lor base sorgono quali funghi, e nella cupa penombra di un’inse- natura più profonda di frequente scorsesi l’entrata ad una grotta marina. Fig. 2. — Ripe in regione Giurre (Florinas). Ma intanto avvicinandoci a Florinas, poiché già saremo giunti in regione Giurre ove l’altipiano su cui ci troviamo raggiunge l’altezza di 525 in., potremo osservare delle ripe grandiose (fig. 2, 3), di più che 100 m. Soffermiamoci un istante per ana- lizzare le particolarità dell’erosione e sarà facile di toglierci ogni dubbio circa l’origine marina di quelle profonde incisioni. 808 G. CAPEDER Le conche marine che quivi si osservano sono ben diverse da quelle che possono scavare le acque correnti. Dovute alla erosione dell’onda diretta del mare contro la roccia assumono la forma di un’ogiva. Siccome poi l’onda spiega la sua forza erosiva quasi solamente alla superficie esaurendosi poi contro la roccia in sforzi verticali, la curva delle conche marine sorge generalmente netta da un gradino o piano di abrasione, il cui livello corrisponde al livello del mare; questa curva facendosi empre più sentita verso l’alto si protende oltre il gradino a guisa di tetto. Il gradino poi più o meno esteso, è dovuto, Fig. 3. — Terrazze e linee di spiaggia in regione Pedras tadas (Florinas,. come s’è detto, [all’abrasione dell’onda diretta che vi getta acqua, sabbia e ciottoli. Ma al ritirarsi dell’onda, rifluendo al mare l’acqua rigettata, si determina la erosione del gradino e la formazione di doccie sui suoi margini e di doline, dalle quali di preferenza si compie l'efflusso. Così il gradino retrocede nello stesso tempo che la conca si fa più profonda. Se la costa fosse soggetta ad un sollevamento internìdttente si formerebbero tante conche successive quante furono le inter- mittenze e la costa assumerebbe allora l’aspetto della fig. 3 ben diverso da quello che possono dare le acque correnti. . ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 809 Caratteristiche quivi sono poi le marmitte marine : cavità a fondo piano, a sezione generalmente conica, provviste di solito di doccia; numerose, Cuna vicina all’altra e irregolarmente disposte sui piani orizzontali o anche sulle pareti oblique : esse sono asimmetriche, ed è possibile di riconoscervi molte volte il verso dell’onda che le ha scavate, a differenza delle marmitte di fiume o di ghiacciaio dovute, come è noto, esclusivamente ad un re- golare moto vorticoso. I profondi canaloni poi con pareti a picco che quivi si ve- dono, possono essere soltanto di origine marina, perchè dovuti all’allargarsi di fenditure per effetto dell’erosione; così le grotte e le caratteristiche erosioni a lamina delle quali parlerò più in- nanzi a proposito della grotta dell’Inferno. Finalmente i funghi marini, speciali delle coste a mare basso e dovuti alla incisione a conche di grossi massi, sono quivi ben notevoli, in un con quelle infinite altre e variabili appa- renze dovute alle acque così dette di risacca (’) che correndo al ritirarsi dell’onda diretta al mare, impartono erodendo, alla costa una particolare morfologia riconoscibile a colpo d’occhio e ben caratteristica (fig. 1). Grotta dell’ Inferno. — Fra le infinite cavità più o meno ampie e labirintiche dovute all’allargarsi di fenditure per opera dell’immane forza del mare, non posso tralasciare la grotta del- l’Inferno non citata finora da alcun autore, ed interessante per le osservazioni che ho potuto farvi nell’interno e che mi hanno condotto ad attribuire la sua escavazione, nonostante la gran- dezza, tutta quanta alla forza erosiva del mare. La grotta si apre sul fianco Sud del M. Tridurighe, che non è se non un altro vero altipiano di abrasione, solcato da evi- denti e profonde linee di spiaggia all’altezza di m. 365 sul mare. Quivi trovasi un’ampia insenatura, un’evidente conca e nella parte più profonda di essa, l’apertura che conduce alla cavità sotterranea. Nella esplorazione di questa caverna mi fu guida ed aiuto effi- cace lo studente ingegnere sig. Italo Pellizzi al quale pure si deb- (*) (*) Rovereto G., Geomorfologìa delle coste. Atti Soc. ligust. Se. nat., Genova, 1902-03, pag. 257 e seg. 810 G. CAPEDER bono le ottime istantanee dell’interno, illustranti le più degne par- ticolarità del fenomeno erosivo e le bizzarrie del fenomeno incro- stante. Nelle numerose nostre visite, indirizzate specialmente alla ricerca di ossa fossili, potemmo percorrere le innumerevoli gal- lerie labirintiche, spiraloidi, incrociantisi in tutti i sensi e ci fu possibile di tracciarne la pianta approssimativa, sulla guida della quale impronterò la descrizione. La prima camera è bassa, d’accesso facile e non lascia sup- porre della vastità dell’ interno, perchè nella penombra da tutti i lati scorgonsi le pareti, sulle quali si osservano impresse le tracce di poderose correnti che dovettero scorrervi con un mo- vimento alternativo; presso la volta si distinguono le testate degli strati e questi si mostrano diretti da N.-E. a S.-O. ed in- clinati di circa 35°. Da una sola parte, poiché l’occhio si è avvezzato, l’oscurità più profonda ci guida alle camere succes- sive per due corridoi, uno solo dei quali è facilmente acces- sibile. Passando pel corridoio di sinistra ci trovammo a lato di una stretta fenditura nella quale i ciottoli rimbombavano lungamente dandoci l’indizio di profonde cavità. Calatici per questo stretto passaggio ci trovammo in un dedalo di canali ramificati, i quali poi ci si mostrarono dovuti a vòlte sottili protese dalle pareti di un’ unica cavità molto profonda. Questa particolarità di struttura, che verificammo ripetersi per tutte le altre gallerie, non potè mancare di sorprenderci. Esaminate le superfici della roccia si trovano esse striate, erose ed è spontaneo ed evi- dente il vedervi l’azione di correnti poderose a moto alterna- tivo che corrosero, erosero ed allargarono delle strétte fendi- ture, così come oggi pure si osserva su alcune rocce delle nostre spiaggie ove si trovano delle lamine a vòlta, per la modalità del fenomeno erosivo in un con la stratificazione. L’ampiezza però di queste vòlte che dopo tanti millenni si trovano ancora là rigide ed intatte è notevole, e panni di non allontanarmi troppo dal vero col vedervi qui un’erosione operata da potenti correnti vorticose ed alternative nel seno stesso di una massa liquida, nel qual caso soltanto è concepibile la formazione di vòlte così estese e sottili che si protendono da una cavità, senz’essere sostenute che da una sola parte. Evidentemente in tali condizioni quelle ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 811 masse doveano gravitar meno durante il loro emergere e for- marsi così ampie senza crollare. Ritornando sui nostri passi al corridoio dal quale ci siamo ca- lati e seguendo questo, si arriva presto ad una seconda camera a volta altissima, nella quale presso le pareti, potemmo osservare bel- lissime stalattiti. La luce delle nostre candele, dell’acetilene, del magnesio, appena giunge a dissipare la profonda oscurità, così da lasciarci scorgere la volta la quale in qualche punto ci appare lontanissima, mentre indistinto da quell’altezza ci giunge lo squit- tire dei numerosi pipistrelli che già cominciano a svolazzarci d’in- torno ed a battere le loro ali sulle nostre teste e sui nostri lumi. A destra ed a sinistra di questa camera si aprono lunghi cor- ridoi, che generalmente ritornano a sboccare più innanzi nella stessa galleria: essi si debbono a fenditure allargate e regolariz- zate dal fenomeno erosivo. Le pareti di queste cavità sono forte- mente incise da conche di erosione marina e da magnifici terrazzi, che alle volte si succedono con tale regolarità da lasciare fra di essi una divisione a vòlta protesa con quella caratteristica apparenza sulla quale già si è discusso. Una fra queste gallerie e che si apre sulla parete di destra per una stretta e bassa fenditura, conduce ad un labirintico sistema di crepacci inaccessibili. In una specie di corridoio cieco che si dirama da questa galleria trovammo una larga fenditura riempita di una sabbia fina ad elementi quarzosi ed alla base di essa molte ossa intatte di pic- coli mammiferi artiodattili, quasi tutte in stato di grande alte- razione e però assai fragili. Eseguiti pochi scavi in quella sabbia non ebbimo la fortuna di trovare altre ossa, per cui parendoci quelle affatto superfi- ciali furono in gran parte da noi trascurate. Però esaminando meglio ora le ossa raccolte, le quali sono molto spugnose ed alcune in parte anche sostituite da sostanze minerali e scar- tando il primo sospetto potesse trattarsi di residui di pasti per avere trovato dette ossa tutte quante assolutamente intatte e fra loro ordinatamente disposte, pare se ne debba vedere invece l’origine nel fatto di animali, che penetrati in quelle cavità più non sapendo uscirne quivi miseramente dovettero perirvi. Con ciò potrebbero queste ossa avere anche la loro importanza pa- leontologica, importanza che vorrò tentare poi di precisare. 812 G. CAPEDER La galleria principale nella quale ora ritorneremo, continua oltre, suddividendosi ben presto in vari tronchi che conver- gendo più innanzi, conducono tutti ad un’altra camera, la più bella per le numerose e grandi stalattiti, (fig. 4), alla quale però soltanto si può accedere inerpicandosi con gran fatica sopra erte e lubriche rocce. Le acque stillanti, per la loro azione chimica forse sul calcare, hanno depositato sul pavimento di questa camera Fig. 4. — Stalattiti e colonne della grotta dell’Inferno. uno spesso strato di fango rossastro di ossido di ferro : una vera terra rossa della quale probabilmente esso ha analoga l’origine. E sarebbe interessante di verificare se in questo caso potreb- bero realizzarsi le condizioni di genesi esposte recentemente dal prof. Vinassa de Reguy ('), secondo il quale l’ossido di ferro che forma in generale le terre rosse, si sarebbe deposto dallo stato colloidale. f1) Sull’origine della terra rossa. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIII, 1904. ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 813 Una ripida discesa conduce da questa camera alla parte più profonda della caverna. Ad un certo punto prende origine una cavità per accedere alla quale bisogna passare per un corridoio assai ripido e per di più tutto occupato da uno strato di 40 o 50 cm., di molle fango. Esso è rimasto per noi inaccessibile e della grande camera superiore non ci fu oltre concesso, che di scorgere enormi stalattiti. Continuando per la via possibile si giunge presto ad un la- birintico diramarsi di bassi corridoi a fondo orizzontale, a volta pure orizzontale e con le pareti ornate da getti orizzontali di volte sottili che si protendono e s’insinuano nello spazio, così da la- sciare strettissimi passaggi. Questi corridoi labirintici spesso ritornano dopo ampie curve su loro stessi; se ne osservano a vari livelli e costantemente il loro fondo è piano ed orizzontale. Magnifiche concrezioni aggiun- gono all’orrido del luogo, alla fitta oscurità debolmente vinta dalle nostre lanterne, qualcosa di più misterioso e quel senso vago di titubanza del quale istintivamente restiamo invasi sem- bra aumentare, quando ci fermiamo ad ascoltare il profondo si- lenzio solo volta a volta interrotto con cupa, regolare insistenza, dalle goccie stillanti nelle lor pozze. Alcuni corridoi si restringono, salgono e dànno in cunicoli o in fenditure attraverso alle quali ci giunge un lontano squittire di pipistrelli, presagio ad altre vaste camere superiori alle quali forse vi saranno altri accessi ; altri scendono inesorabili negli abissi, e nella cupa ombra solo ci è dato di intravedere ampie e profonde cavità inferiori, alle quali non ci attentiamo. I ciot- toli che ad ogni nostro passo franano entro a quei baratri, ci tra- mandano un rombo cupo e persistente. L’aria asfissiante, il caldo soffocante, il fumo e la vacillante luce delle nostre lanterne, ci consigliano di rivedere i nostri passi e ci persuadono che se un’ulteriore indagine potrebbe alimentare la nostra curiosità essa non sarebbe d’altronde compensata da novità degne della fatica e del pericolo cui dovremmo esporci scendendo in quei pozzi. Questa caverna come ho già detto, è una caverna marina : è dovuta cioè all’allargarsi per opera dell’erosione marina di numerose fenditure della roccia. D’altronde nessun’ultra spie- gazione sembra potersi sostenere per la struttura interna di que- 814 G. CAPEDER st’ampia cavità, che non è la sola lungo le linee di spiaggia, contandosene anzi numerose e tutte al più alto livello degli al- tipiani, ove le profonde conche accennano ad una più lunga sosta del mare. Per questa grotta d’altronde non sarebbe possibile far interve- nire l’azione solvente delle acque circolanti per varie ovvie ra- gioni: a) Essa si trova molto alta, tanto che si contano pochi metri di roccia al disopra delle cavità e non è improbabile che la vòlta possa col tempo franare e rimanervi una corrispondente depres- sione sul terreno, fenomeno d’altronde che avviene tuttodì sulle nostre spiaggie battute dal mare e che sembra spiegare l’origine di molti canaloni. Dato quindi il clima della regione e la po- sizione isolata dell’altipiano esteso a soli pochi ettari, è evi- dente che l’acqua circolante non avrebbe mai potuto formare sciogliendo, quella cavità, a parte ancora il fatto trattarsi qui di una marna ad elementi eterogenei più erodibile che corrodi- bile. b) Non si potrebbero spiegare gli estesi solchi orizzontali del- l’interno, le vòlte isolate, i terrazzi successivi che si osservano fin nei più reconditi corridoi, mentre al caso le acque filtranti nelle cavità, più che dissolvere sembrano aver depositato, conte ne fanno fede le belle stalattiti, le stalagmiti, la ' terra rossa, le concrezioni varie. Nè pare che correnti fluviali abbiano potuto intervenire, per la mancanza di un’altra apertura, come pure di depositi alluvionali neH’interno, mentre se qualche ciottolo eterogeneo ci si trova, esso accenna con la sua forma, piuttosto a ciottolo di spiaggia che di fiume. Le conche interne poi con la loro curva speciale rientrante, il fondo piano dei corridoi, le vòlte isolate, sono ben caratte- ristiche di ogni erosione marina. ❖ Hi Non esistono nella Sardegna settentrionale delle tracce de- limitate ed estese di linee di spiaggia che conducano a porre un limite netto nell’invasione marina o per meglio dire, questi terrazzi e altipiani non corrispondono perfettamente a quelli delPAspromonte ove si osserva la massa continentale incisa a ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 815 gradini a ridosso dei potenti massicci dell’Appennino, ma piut- tosto qui si hanno delle linee di spiaggia che circondano degli altipiani isolati da tutte le parti; veri altipiani di abrasione af- fatto caratteristici alla regione. Così che se ci conduciamo al tempo in cui doveano incidersi quelle linee, noi dovremo vedere un gran mare seminato fittamente di isolotti, di scogliere, di ampi piani di già abrasi; noi vedremo questa terra smembrata e sminuzzata e quei frammenti andare acquistando di mano in mano ampiezza con ravvicinarsi delle condizioni attuali; noi ar- guiremo il depositarsi di sedimenti sui fianchi e nelle parti più basse di quegli isolotti, ove oggi potremo con speranza andarli a cercare. È interessante di osservare però che non tutti questi piani d’abrasione portano linee di spiaggia ed in generale ne son privi quelli coperti da uno strato basaltico, quasi che detta roccia avesse esercitato un’azione protettrice. Così il P. Colorii, il M. Santo , il P. Saspru e gli altri circostanti, il IL Pdao, il M. Avana, ecc., son tagliati a picco verso la sommità, ma il basalto non presenta in alcun punto la minima traccia d’erosione marina. Il terziario coperto dal basalto indica invece di aver subito un’energica azione erosiva per opera delle sole acque cor- renti e questi monti hanno di solito la caratteristica apparenza di coni tronchi cui sovrasti uno strato basaltico, essendo solo quest’ultimo verso i margini dell’altipiano a picco, mentre le isoipse interessanti la roccia terziaria sono tutt’attorno straordi- nariamente regolari. Il vedere perciò questi altipiani così smembrati ed a diversa altezza, ma tanto simili fra loro, ci fa pensare solamente a po- derose erosioni che dovettero incidere un unico esteso piano sul quale si espanse il basalto, ci fa pensare ad un’antica e per sistente emersione che dovrebbe datare per lo meno dall’epoca in cui si depositarono le ultime rocce sedimentarie che li costi- tuiscono e ad energici movimenti orogenetici che li inabissarono o li sollevarono. Così tutte le trachiti andesitiche, fonoliticlie, ecc., di Osilo, di Castelsardo , del M. Pedrosu , di Scala Buia, di Bau- ìlari, ecc. dovevano essere emerse quando sulle rocce elveziane si scolpivano le linee. E ciò risulta tanto più evidente perchè in alcuni altri luoghi le stesse trachiti hanno linee di spiaggia 816 G. CAPEDER ben marcate, come sarebbero le andesiti di S. Anatolia e quelle della valle Logulentu (fìg. 7). Tutte queste masse quindi dovettero andare soggette dal ter- ziario, ad energici movimenti orogenetici: a sollevamenti ed a sprofondamenti successivi e se non bastasse a confermarlo, come già dissi, il dislivello cui ora si trovano gli altipiani basaltici, lo direbbero all'evidenza le linee di spiaggia incise sugli altri altipiani. Fig. 5. — Linee di spiaggia del M. Sos Saltos in vai Bunnari. Le fig. 5, 6, ci fanno vedere una il M. Sos Saltos in vai Bunnari, l’altra il M. Barcellona. Il M. Sos Saltos lascia vedere per lo meno tre serie di linee di spiaggia che ci dicono qualche cosa sui movimenti di alta- lena cui andò soggetto il monte, (fig. 5). Quasi alla sua sommità, si vedono delle linee orizzontali e poiché si deve ammettere che esse debbano essersi incise durante il movimento di emersione, sarebbero queste le prime linee di spiaggia; più in basso si os- ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 817 servano altre serie di linee, ma inclinate all’orizzonte per lo meno di 20°, più in basso altre serie orizzontali e poi ancora altre inclinate. Ciò evidentemente accenna a movimenti eustatici di emersione che si operarono per successive oscillazioni attorno ad un centro. 11 M. Barcellona (fig. 6), avrebbe invece subito durante la sua emersione uno spostamento da un solo lato, le linee più alte essendo orizzontali, le più basse inclinate, e tutte fra loro diver- Fig. 6. — Linee di spiaggia del H. Barcellona in vai Barca. genti ; esse accennerebbero, come ho detto, a movimenti di oscilla- zione del monte sempre in un senso, che sarebbero avvenuti du- rante l’incisione delle terrazze ma anche a movimenti di oscilla- zione in senso contrario, che sarebbero avvenuti posteriormente e ciò per potere spiegare il fatto dei primi terrazzi e più elevati che ora sono orizzontali, e degli ultimi e più bassi che ora sono inclinati. In valle Logulentu è interessante il M. Taniga (fig. 7) perchè vi si può osservare il calcare terziario C, sovrapposto direttamente alla trachite andesitica T, senza che quello abbia subito alcun metamorfismo e può osservarsi sovrapposto un sedimento di- 818 G. CAPEDER scordante. 11 calcare terziario porta delle magnifiche conche di erosione marina e pure sulla trachite si vedono delle tracce di linee di spiaggia fino a qualche diecina di metri sul fondo della valle. Ciò dimostra che la valle all’epoca dell'invasione del mare si trovava già incisa quasi come al presente, e che di con- seguenza da allora ad oggi ben poco lavoro meccanico di ero- sione e di trasporto si operò in detta regione. Di rimpetto al ili. Murtola ad 0. del M. Taniga, le tra- chiti scompaiono, mentre si fanno evidenti soltanto i calcari terziari solcati da profonde linee (fig. 8). Essi sono in basso co- perti in discordanza da sedimenti brecciosi, detrito di spiaggia e da argille giallastre che da compatte si rendono in alcuni punti sgretolabili o passano ad arenarie. In una stretta zona di questi depositi a pochi metri dal fondo attuale della valle, essi si fanno straordinariamente fossiliferi. Tale ricchezza in fossili che non ho potuto osservare in alcun altro punto devesi pro- babilmente alle condizioni particolari in cui si effettuò il depo- sito, o forse a speciali condizioni favorevoli di vita od a speciali cause che quivi accumularono i resti organici. Giova intanto osservare che questi fossili si trovano veramente in posto e che alcuni pur fragilissimi ed esili, sono interi e perfettamente con- ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 819 servati e non è difficile Pisolarli dalla marna sgretolatale. Essi sedimenti dovevano riempire forse la valle, che il rio attuale ora incide mettendoli a giorno. Questi sedimenti del resto, ma privi di fossili, li ho trovati largamente sviluppati altrove, sempre a ridosso delle alture el- veziane che portano linee di spiaggia ed in discordanza, con- Fig. 8. — Terrazze e conche marine della vai Lognlentu. servando generalmente la loro facies di depositi di spiaggia stratificati con piastrelle a spigoli vivi, oppure li ho trovati costituiti da marne fine più o meno compatte e sabbie, come alle falde della Val Màscari, al M. Istoccu, a ridosso dei vil- laggi di Cargeghe e Muros. ecc., mentre verso Codrongianus e verso Florinas parafi di avervi osservato un corrispondente conglomerato calcare fossilifero, ma per questo occorrono an- cora molte osservazioni stratigrafiche, difficili oltremodo per la particolare morfologia della località. D’altronde essi saranno 55 820 G. CAPEDER l’oggetto di particolari occupazioni future, essendo importante di studiare di tutti questi depositi la loro distribuzione, vera età, potenza ed i loro fossili. * * Importa ora invece di cercare di stabilire la successione dei fenomeni avvenuti sul suolo Sardo dal miocene in poi, in base alla sola stratigrafia e senza avere naturalmente alcuna pre- tesa riguardo aH’età precisa in cui essi avvennero. Intanto si presenta la prima questione, più importante: se cioè le linee di spiaggia incise sulle rocce elveziane, si formarono durante la semplice emersione delle rocce mioceniche per effetto di movimenti eustatici (cioè durante la probabile emersione cor- rispondente al piano pontico) oppure in un’epoca più recente di emersione di una regione già emersa e perciò erosa. La geologia locale fa scorgere quasi sul fondo attuale di al- cune valli (vai Cazzadores, vai Bunnari, ecc.), dei calcari con- crezionali stalattitici con impronte di foglie, rami, frutti e conchiglie terrestri: questi calcari per vari caratteri e per la loro posizione, molto probabilmente sono quaternari. Sono nello stesso tempo in queste valli rarissime e dubbie, per non dire mancanti, le vere alluvioni quaternarie. Tutto ciò verrebbe a significare che nel quaternario quelle valli erano già profondamente incise, risultato al quale già si giunse precedentemente per altra via, ed inoltre che alcune di esse erano certamente emerse, forse da poco, mentre altre probabilmente erano del tutto ancora som- merse. Altrove scorgonsi alluvioni marine, sedimenti, conglomerati e brecce, come già è stato detto in precedenza, giacere in di- scordanza su rocce mioceniche erose profondamente. Ciò signi- ficherebbe che il mare che depositò quei terreni invase le rocce mioceniche quando già l’erosione aveva modellato fortemente quelle valli. Conchiudendo, sembra dalle considerazioni precedenti, debba preferirsi la seconda ipotesi alla prima, per cui panni lecito di desumere senz’altro che : il mare invase le rocce elveziane già emerse ed erose. ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 821 E poiché si osserva, come ho detto, la esistenza di calcari concrezionari quaternari, di sedimenti e di detrito di spiaggia, giacere sui fianchi delle valli ed in discordanza con le rocce mio- ceniche, è possibile di dedurre riguardo all’età, che l’invasione marma sarebbe probabilmente compresa in un periodo che sta fra l'elveziano ed il quaternario. Anzi osservando che i sedimenti brec- ciosi sono depositati in incisioni così profonde dell’elveziano, è possibile restringere i limiti nell’assegnare l’epoca di questa in- vasione marina, ragionando sul lungo periodo di tempo necessario alla incisione per opera delle correnti di cosi profonde valli, attri- buire al piano pontico detta erosione e porre Vinvasione marina in un’epoca che sta fra la fine del miocene ed il quaternario , cioè all’epoca di quei grandi diastrofismi (’) che pure interes- sarono gran parte dell’Italia, della Sicilia e della Corsica. Sta a vedere se le ulteriori osservazioni e se la paleonto- logia confermeranno queste previsioni. Del resto altre ragioni militano in favore di una invasione marina che sta nei limiti compresi e fa attribuire al piano pon- tico le profonde erosioni sulle rocce mioceniche, e sarebbero i bassi terrazzi formatisi sui fianchi di masse già erose e la strut- tura particolare della regione stessa ad altipiani di abrasione isolati e ristretti sui margini dei quali si osservano linee di spiaggia; ciò che dimostra che a quell’epoca queste rocce mioce- niche dovevano essere quasi completamente sommerse e poi si trasformarono in un vero arcipelago di scogli abrasi, sui quali battevano le onde. Se la regione non fosse stata già prima emersa, non si osserverebbero ora linee di spiaggia limitare strette zone, strette isole, che paiono essere state precedentemente già isolate da valli dovute ad antiche correnti, ma piuttosto solo terrazzi estesi ed allineati o linee sul margine di più estesi altipiani di- sposti a varia altezza. Ed il mare dovette pure persistere per un tempo relativamente assai lungo a quel livello per formare sì po- tenti linee di spiaggia, ma poi dovette ritirarsi abbastanza rapi- damente se non lasciò oltre dei segni della sua presenza. Aggiun- gasi che quando il mare esercitò la sua poderosa azione ( 1 ) De Lorenzo, op. cit ., pag. 57 e seg. 822 G. CAPEDEE modellatrice, le rocce sulle quali essa si esercitava doveano avere press’a poco la compattezza che esse hanno oggidì, chè altri- menti non si potrebbe spiegare una conservazione così perfetta, da poter credere che sol ieri il mare abbia abbandonato quelle località. A queste stesse conclusioni si giunge ancora con considera- zioni di altra natura circa quegli altipiani caratteristici dei quali ho già parlato, che sono coperti da uno strato sottile di basalto. In particolar modo è interessante a questo riguardo la espansione basaltica detta del Coloni. Questa espansione si è compiuta a poche decine di metri dal fondo della gran valle di Campo Mela ; è formata da uno stretto nastro basaltico che da Ploaghe si prolunga per 8 o 9 Km. verso 0. Le pareti della valle portano nitide linee di spiaggia, il basalto invece non ha la più piccola conca. Evidentemente bisogna qui ammettere che il ba- salto si espanse quando la valle era già incisale probabilmente quando sulle pareti battevano le onde, e conchiudere col Lamar mora (*) per una espansione sottomarina del basalto in un periodo che sta fra il miocene e il quaternario : il basalto avrebbe pro- babilmente allora l’età di quelle terrazze. Del resto il problema dell’età della espansione basaltica, come pure dell’eruzione delle lave recenti della Sardegna è difficile, e non potrà essere util- mente intrapreso se non quando saranno meglio conosciuti i se- dimenti più recenti che formano la base delle espansioni e delle colate. Intanto viene ad essere dimostrato che il mare invase an- cora dopo il miocene il suolo Sardo; che detta invasione ma- rina avvenne molto tempo dopo l’elveziano sulle cui rocce ora si trovano le vestigia e che infine molte regioni non dovettero partecipare così fortemente agli energici movimenti orogenetici, sollevamenti e sprofondamenti cui andò soggetta la Sardegna dagli ultimi tempi del terziario. f1) Op. cit., pag. 670. ANTICHE LINEE DI SPIAGGIA IN SARDEGNA 823 * * Kiassumendo ora, sarà possibile di venire alle seguenti con- clusioni circa la successione dei fenomeni avvenuti in Sardegna dal miocene in poi: Sulle trachiti e sui tufi trachitici si depositarono i sedimenti del terziario : essi furono creduti dal Lamarmora pliocenici, ven- nero riconosciuti poi dal Lovisato miocenici e riferiti in massima al piano elveziano (pietra cantone di Sassari). Queste rocce elveziane hanno linee di spiaggia; in certi luoghi esse si estendono anche alle trachiti, ma non mai alle rocce vulcaniche più recenti per la Sardegna, cioè ai basalti e alle lave. Esse linee poi sono in generale allineate lungo le attuali valli, benché molto alte, asimmetriche e di solito rivolte al mare più vicino. Sulle rocce elveziane si trovano detriti di spiaggia che giac- ciono evidentemente in discordanza; sembrano mancare per la regione considerata le alluvioni quaternarie, esistono invece cal- cari concrezionari con filliti e molluschi terrestri. L’espansione basaltica incominciata alla fine dell’elveziano forse perdurò oltre agli albori del plistocene; ai basalti succe- dettero le colate laviche con apparato vulcanico. Infine nel plistocene incominciò l’ultima emersione, portan- dosi rapidamente il mare pressapoco ai confini attuali, ma verso la fine di questo periodo emersero le panchine litorali quater- narie per un recente risveglio di emersione che dura tuttodì. Questa la storia pliocenica, post-pliocenica, e recente del suolo Sardo, quale ce l’hanno concessa le precedenti conside- razioni, la quale storia, come si vede, non differisce gran che da quella di tutta la massa continentale dell’Italia e di altre regioni del bacino mediterraneo, per cui io credo anche per ciò maggiormente dimostrato, che le terrazze e le linee di spiaggia della Sardegna siano contemporanee a quelle dell’Italia meri- dionale e che anche questa terra sia andata soggetta in questi re- centissimi tempi geologici agli stessi movimenti orogenetici gene- rali che interessarono le altre parti dell’Italia, la Sicilia ed anche 824 G. CAPEDEE la Corsica e sia concesso di conchiudere col De Lorenzo (') come per l’Appennino, che le terrazze Sarde si sono formate durante il movimento di emergenza che cominciò negli ultimi tempi del plio- cene e che tuttora dura. Che di conseguenza, dopo che l'emer- sione pontica, forse più accentuata di quella di oggidì, aveva portato le rocce terziarie sotto l’influenza della denudazione e s’incisero sì profondamente le valli, si avanzò di nuovo il mare forse fino ad un massimo positivo di 500 m. e più, per depo- sitarvi i suoi sedimenti trasgressivi. (nis. pres. il 18 settembre 1906 - ult. bozze 24 dicembre 19061. Q) De Lorenzo, op. cit., pag. 123. FOSSILI EETICI DI CAPRONA (M. PISANO) Nota del socio P. Vinassa de Regny Il calcare di Caprona presso Uliveto nei M. Pisani è da lungo tempo noto nella scienza. Fu nel 1862 che il senatore Capellini (') ne determinò l’età infraliassica, notando la sua grande somiglianza con quello della Spezia. Nella classica memoria sui fossili dell’infralias (2) il Capel- lini accennò di nuovo al calcare fossilifero di Caprona nel quale riconobbe una sua nuova specie, il Cerithium sociale. Anche il Savi ed il Meneghini del resto avevano ricono- sciuto alcuni fossili del calcare di Caprona (3); ma si erano limitati alla sola determinazioue generica citando : Terebratula, Myophoria, Cerithium e Turbo. Nella località raccolsi fino da parecchi anni fa alcuni esem- plari di fossili ; ma oltre V Avicula contorta in esemplari tipici, non mi fu possibile rinvenire altri pezzi determinabili. Fu so- lamente l’anno decorso che essendo stata aperta una nuova cava nella località detta « Le Conche » a meno di 1 km. ad E. di Caprona, potei raccogliere un materiale abbondante, che estrassi in gran parte col metodo della semicalcinazione, la quale mi diede buoni risultati, specialmente pei fossili contenuti nelle masse maggiori, di calcare piuttosto marnoso. Come già ho accennato altra volta (4), il calcare fossilifero è in contatto col calcare cavernoso, molto esteso in tutti i din- C) Studi sull’infralias del Golfo della Spezia. Mem. R. Acc. Se. Bo- logna, II, 1, pag. 312, 317. (2) Fossili infraliassici dei dintorni del Golfo della Spezia. Mem. R. Acc. Se. Bologna, II, 5, pag. 21. (3) Consider. sulla geolog. stratigr. della Toscana, pag. 290. (4) La sorgente acidulo- alcalina-litinica di Uliveto, Giorn. Geol. pra- tica, III, 4, pag. 173, 174. 826 P. VINASSA DE REGNY torni di Uliveto, il quale poggia sulle anageniti, quarziti e scisti verrucani. Il calcare con Avicula contorta si presenta come una netta cupola ellissoidale (fig. 1) tagliata per metà da una faglia diretta quasi esattamente da N a S, e di cui la porzione orien- tale si trova più bassa di circa un paio di metri (*). Fig. 1. — La cava delle Conche presso Caprona. A. Elissoide del calcare con A. contorta. 1<\ Linea di scaglia. A destra si vedono i massi franati. Sopra gli strati fossiliferi si ha del calcare compatto grigio scuro a grossi banchi, qua e là venato di giallo, come il portoro tipico. Altre masse calcaree grigie sono mineralizzate, e portano delle verniciature di carbonati di rame. Tutta questa massa viene ricoperta da un banco calcareo in- clinato a NW., che si può riferire ad un tipo retico di Dachstein, (*) È lungo questa linea di faglia che é avvenuta ai primi di no- vembre una frana di grossi massi calcarei, che si sono come varati sugli straterelli argillosi fossiliferi dell’ellissoide. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 827 se pur non si tratti di Lias inferiore. Il punto di ricoprimento è nettamente visibile dalla facciata della nuova cava. Crii strati con Av. contorta sono costituiti inferiormente da grossi banchi qua e là fossiliferi di circa 10-15 m. di potenza. Sopra di essi si hanno straterelli calcarei, marnosi, o calcoscisti ferruginosi dello spessore di 1-2 cm. intercalati con straterelli calcareo-argillosi di 8-10 cm. Questo complesso, ben visibile nella fotografia (fig. 1), misura uno spessore totale di circa 2 m. Alcuni degli straterelli calcarei contengono numerose ooliti ferruginose. In alcuni altri punti il calcare è durissimo, e dopo la calcina- zione diventa rosso. I fossili che contiene non si possono in alcun modo estrarre. Sulla superficie spesso lustrata e come saponacea degli scisti si vedono raramente i fossili. Mentre questi sono numerosi alla superficie degli straterelli calcarei. Essi sono disposti in tanti piani paralleli, e con facilità gli straterelli si aprono lasciando vedere impronta e controimpronta.. I fossili sono situati normal- mente poiché sempre si trovano con la convessità della valva verso l’alto dello strato. E questo è un danno, poiché è impos- sibile allora isolarne i cardini. In generale le valve sono come verniciate da una patina ferrica, che nasconde talvolta gli orna- menti. Negli straterelli più spessi e nella massa calcareo-marnosa i fossili sono invece sparsi ovunque e non localizzati alla super- ficie, tanto che con la calcinazione si estraggono facilmente e si possono avere isolati. Sono predominanti i lamellibranchi pel numero di esemplari e di specie; sono più rari i gasteropodi non tanto pel numero di specie, quanto di esemplari. La fauna tutta presenta del resto il solito carattere di nanismo assai spiccato. 828 P. VINASSA DE REGNY ELENCO DELLE PRINCIPALI OPERE CITATE. Capellini G., Fossili infraliassici del Golfo della Spezia. Mem. R. Acc. Se. Bologna 2, I, 1866-67. De Stefani C., Vorldufige Mitth. iiber die rliaetische Fos- silien der apuan. Alpen. Verh. d. k. k. geol. Reichsanst., 1882. Dittmar A. (v.), Die Contorta-Zone , ihre Verbreitung, und ihre organischen Einsclilusse. 1864. Dumortier E., Études paléontologiqucs sur les dépóts jurassi- ques du Bassin du Elione. I. Infralias. 1864. Emmrich E., Geognostische Beobaclitungen aus den òstliclien bagrischen und angrenzenden oesterreichischen Alpen. Jahrb. d. k. k. geol. Reichsanst., 1858. Goldfuss A., Petrefacta Germaniae. 1826-33. Martin H., Paleontologie stratigraphique de VInfralias du dep. de la Cóte-d’Or. Mém. S. g. Fr., 2, VII, 1859. Quenstedt F. A., Der Jura. 1858. Reynolds and Vaughan, On tlie rhaetic of thè South- Wales direct line. Q. J. g. Soc. London, LX, 2, 1904. Simonelli V., Fossili retici della montagna di Cetona. Mera. R. Acc. Se. Bologna, 1892. Stoppani A., Geologie et Paleontologie des couches à Av. contorta - Fossiles de l’Ajzzarola - Fossiles des Schistes noires. Paléontologie Lombarde, IIP sèrie, 1860-65. Terquem 0., Paleontologie de l’étage inferieur de laformation liasique de la province de Luxembourg et d1 Hettange. Mém. S. g. Fr. 2, V, 1854. Winkler G., Die Schichten mit Avicula contorta inner- und ausserhalb der Alpen. 1859. Winkler G., Der Oberheuper. Zeitsckr. d. d. g. Gesell. XIII, 1861. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 829 ELENCO DELLE SPECIE. Gyrolepis sp. Una placchetta di pesce, presenta qualche somiglianza con la placchetta figurata dal WInkìer (Oberkeuper, pag. 537, tav. V, fig. 1). Per questa sola ragione indico la presenza di questo genere nel retico di Caprona. Loxonema (?) listimi Terq. sp. 185L Melania usta - Terquem, Op. cit ., pag. 256, tav. XIV, fig. 11. 1866. Chemnitzia usta Terq. sp. - Capellini, Op. cit., pag. 29, tav. I, fig. 15. La conchiglia è abbastanza allungata, a spira lentamente crescente, ad anfratti molto numerosi e a sutura non molto inca- vata. Sugli anfratti si vedono abbastanza chiare le strie falcate trasversali. Mancano ornamenti spirali. Nella porzione superiore dell’anfratto si vede manifesta una piccola angolosità, come una leggera carenatura. La base è rigonfia, leggermente care- nata all’esterno. Non si scorgono caratteri boccali. Il mio unico esemplare corrisponde assai bene alle figure del Terquem, presentando la tipica carenatura nel medio supe- riore e le strie falcate trasversali minutissime. , Il Terquem considera questa forma una Melania , ma giu- stamente il Capellini osserva che non può trattarsi di un tal genere. Secondo le osservazioni del Cossmann il gen. Chemnitzia non essendo accettabile, almeno nel vero senso del d’Orbigny, per le forme mesozoiche, propongo il genere Loxonema ; con dubbio però, non potendosi nè dalle figure del Terquem e del Capellini, nè dal mio esemplare rilevare i caratteri generici sicuri. Negli straterelli calcarei intercalati. 830 P. VINASSA DE REGNY Loxoneina (?) Meneghinii Cap. sp. 1866. Chemnitzia Meneghina - Capellini, Op. cit., pag. 30, tav. I, fig. 13, 14. Conchiglia a spira allungata, lentamente crescente; anfratti numerosi a sutura abbastanza incavata, rigonfi nel loro mezzo. Nette strie spirali da 9 a 11 per anfratto. Base rigonfia, glo- bosa. Non si vede l’apertura boccale. L’esemplare ha un’altezza di inni. 10, ed una larghezza del- l’ultimo giro di mm. 4, 5. L’andamento della spira, le globosità degli anfratti corri- spondono benissimo alla figura del Capellini. Anche le stria- ture, conservate nel mio esemplare solo nel penultimo anfratto e quivi molto nette, sono identiche a quelle che si trovano nella forma retica della Spezia. Al solito ho dovuto eliminare la primitiva determinazione generica; la nuova sostituita è solo dubbia inquantochè l’eseni- plare è pessimamente conservato, appunto neH’ultimo anfratto, impedendo cosi di vedere i caratteri dell’apertura boccale. Nel calcare marnoso. Cerithium sociale Cap. 1866. Cerithium sociale - Capellini, Op. cit., pag. 36, tav. II, fig. 8, 9. 1892. » » Cap. - Simonelli, Op. cit., pag. 11. Questa forma venne già riconosciuta dal sen. Capellini tra i fossili di Caprona. Nelle nuove escavazioni essa pure sembra presentarsi, ma molto rara, non avendone che un solo esemplare e non del tutto sicuro. Negli straterelli a tipo oolitico. Cerithium (?) verrucanum n. f. (Fig. 2). Considero come nuova questa forma, che riferisco dubitati- vamente al gen. Cerithium , perchè nessuna delle forme di ga- steropode descritte del retico risponde al mio esemplare. Una FOSSILI RETICI DI CAPRONA 831 sola eccezione ho da fare per la Chemnitzia ? sp. che lo Stop- pani riproduce nella fig. 25 della tav. II. L’esemplare è completo, ma per disgrazia è infisso nella roccia dalla parte boccale, cosicché non si possono vedere i caratteri dell’apertura; da ciò l’incertezza nella determinazione generica. Solo si può rilevare 1’esistenza di un si- fone assai pronunciato. L’esemplare misura mm. 11 di altezza per mm. 25 di massima larghezza; è composto di 7-8 an- fratti globosi, abbastanza alti, lentamente crescenti, uniti da una sutura incavata, profonda. L’ultimo anfratto è grande, molto proteso in avanti tanto da formare un sifone largo e non troppo breve. Sulla superficie degli anfratti si hanno delle striature e dei rilievi spirali qua e là abbastanza netti, che tagliano delle mi- nute costoline trasversali, cosicché la conchiglia è tutta ricoperta di un fine reticolato. Negli straterelli a tipo oolitico. Turritella Zenkeni Dunkr. sp. 1854. Turritella Zenkeni Dunk. -Terquem, Op. cit., pag. 263, tav. XIV, fig. 6. 1866. Turritella\Zenkeni Dunk. - Capellini, Op. cit., pag. 38, tav. II, fig. 12 (curri syn.). Conchiglia a spira ottusa, di forma ovoide, a giri rapida- mente crescenti, rigonfi nel mezzo, a sutura profonda. Ultimo anfratto grande, globoso, a base rigonfia. La superficie è rico- perta di strie spirali, sottili e fitte, uniformi. I due esemplari di Caprona sono un poco più piccoli, ma del tutto rispondenti,^ tanto alle figure del Terquem, quanto a quelle del Capellini. In uno è anche ben conservata l’ornamen- tazione dell’ultimo giro. Negli straterelli calcarei intercalati. 832 P. VINASSA DE REGNY Turritella cfr. Somervilleiana Gap. 18G6. Turritella 'Somervilliana - Capellini, Op. cit., pag. 40, tav. II, fig. 15-18. 1892. Mesalia Somervilliana Cap. sp. - Simonelli, Op. cit., pag. 12. Per l’andamento della spira e per forma generale l’esem- plare di Caprona può riferirsi a questa forma del retieo della Spezia e di Cetona. Ma poiché mancano le ornamentazioni, causa il cattivo stato dell’esemplare, cosi la determinazione non è del tutto sicura. Negli straterelli calcarei intercalati. Turritella citoniensis Sim. 1892. Turritella citoniensis - Simonelli, Op. cit., pag. 12, tav. I. fig. 2. Conchiglia a spira abbastanza acuta, conica, a giri lenta- mente crescenti, pianeggianti, con sutura nettamente incisa. Ul- timo giro carenato esternamente, base pochissimo rigonfia, non ombelicata. L’esemplare di Caprona è un poco più piccolo di quello fi- gurato e descritto dal Simonelli, ma è del resto rispoudentis- simo per forma generale, andamento della spira e forma della base. Negli straterelli calcarei intercalati. Pleurotomaria (?) cfr. praecursor Stopp. sp. 1861. Ditremaria praecursor - Stoppani, Op. cit., pag. 41, tav. II, fig. 17, 18. 1861. Ditremaria praecursor Stopp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 148, (cum syn.). 1892. Trochotoma praecursor Stopp. sp. - Simonelli, Op. cit., pag. 13, tav. I, fig. 3. L’esemplare è troppo mal conservato per poter permettere una determinazione sicura. Le somiglianze maggiori si hanno coll’esemplare descritto e figurato dal Simonelli. Negli straterelli calcarei intercalati. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 833 Placnnopsis alpina Winkl. sp. 1859. Anomia alpina - Winkler, Op cit , pag. 5, tav. I, fig. 1. 1863. Anomia Schafhdutli - Stopparli, Op. cit., pag. 138, tav. XXXII, fig. 6-9. 1864. Ostrea alpina Winkl. sp. - v. Dittmar, Op cit., pag. 156 (cumsyn.). 1864. Anomia Schafhdutli Stopp. - Dumortier, Op. cit., pag. 81. tav. XIII, fig. 12-14. Conchiglia a contorno irregolare, assai più alta che larga, protesa un poco verso l’indietro; guscio sottile, qua e là rugoso; strie di accrescimento ben visibili; ambone poco rilevato. È rap- presentata da pochi esemplari a Caprona, ma del resto è forma comune nel retico. I miei esemplari sono tutti di dimensioni limitate rassomi- gliandosi perciò al tipo che il Winkler e lo Stoppani chiamarono Anomia Schafhdutli. Le maggiori rassomiglianze si hanno con la fig. 7 della tav. XXXII dello Stoppani. Prevalentemente nelle masse calcaree, ma anche negli stra- terelli intercalati. Anomia Favrei Stopp. 1863. Anomia Favrii - Stoppani, Op. cit., pag. 139, tav. XXXII, fig. 14-15. 1864. Anomia Favrii Stopp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 1E6. 1866. Anomia Favrii Stopp. - Capellini, Op. cit., pag. 75, tav. VI, tìg. 14. 1892. Anomia Favrii Stopp. - Simonelli, Op. cit., pag. 21. Conchiglia ovale, obliqua, non molto convessa, a guscio sot- tilissimo, spesso mal conservato, increspato da rughe grossolane irregolarmente disposte, e munito di strie d’accrescimento fìtte e sottili, le quali sono tagliate da strie radiali pure sottili e nu- merose. Non ho riscontrato nei miei esemplari le pieghe oblique irregolari di cui fa cenno il Simonelli. La forma è comunissima, dice lo Stoppani, negli scisti di Gaggio, ed anche il Simonelli la dice frequente nelle marne di Sferracavalli. A Caprona è pure frequente, essendo rappresen- tata nella mia raccolta da parecchi esemplari, più o meno ben conservati, ma rispondenti tutti al tipo. 834 FOSSILI RETICI DI CAPRONA La maggior parte hanno somiglianze coU’esemplare figurato dal sen. Capellini. Nelle masse calcaree, negli straterelli calcarei e in quelli oolitici. Anomia cfr. Mortilieti Stopp. 1863. Anomia Mortilleti - Stoppani, Op. cit., pag. 139, tav. XXXII, fig. 10-13. 1864. Anomia Mortilleti Stopp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 156. Un solo esemplare molto giovine presenta alcune analogie con questa forma del retico lombardo. Ma la determinazione, causa l’età dell’esemplare, non è sicura. Si possono anche no- tare analogie colla Anomia pellucida Terq. {Op. cit., pag. 330, tav. XXY, fig. 6). Unico. Negli straterelli a tipo oolitico. Radula praecursor Quenst. sp. 1856. Gervilleia praecursor - Quenstedt, Ber Jura, pag. 29, tav. I, fig. 22-24. 1861. Lima praecursor Quenst. - Winkler, Oberkeuper, pag. 470. 1864. Lima praecursor Quenst.- v. Dittmar, Op. cit., pag. 160, ( cum syn.?). 1866. Radula praecursor Quenst. - Capellini, Op. cit., pag. 72, tav. VI, fig. 8. 1892. Radula praecursor Quenst. - Simonelli, Op. cit., pag. 20, tav. I, fig. 13. Ne ho un solo esemplare nel quale le strie concentriche sono un poco più spiccate che non nella forma tipica in con- fronto di quelle radiali. Ma molto probabilmente questo fatto è dovuto a fenomeno di fossilizzazione: la forma è del resto identica alla specie tipica e più specialmente somiglia all’esem- plare figurato dal sen. Capellini. Difatti la valva è irregolarmente ovale, e mentre posterior- mente è ampiamente ricurva, anteriormente scende più rettilinea; presenta quindi, a differenza dell’esemplare di Cetona, una ine- quilateralità abbastanza spiccata. L’esemplare misura mm. 9,5 di altezza per mm. 8 di larghezza, ed uno spessore di mm. 2. Delle orecchiette non è accennata che l’anteriore, che è piccola, triangolare, a contorno netto. Unico. Nella massa calcarea. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 835 Dimyodon intusstriatum Emmr. sp. 1853. Ostrea intusstriata - Emmrich, Op. cit., pag. 52. 1861. Plicatuìa intusstriata Emmr. - Stoppani, Op. cit., pag. 80, tav. XV, fig. 9-16. 1864. Plicatuìa intusstriata Emmr. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 162 ( curri syn.). 1864. Plicatuìa intusstriata Emmr. - Dumortier, Op. cit., pag. 74, tav. I, fig. 13-16. 1866. Plicatuìa intusstriata Emmr. - Capellini, Op. cit., pag. 74, tav. V, fig. 12. 1882. Plicatuìa intusstriata Emmr. - De Stefani, Op. cit., pag. 5. 1892. Dimya intusstriata Emmr. - Simonelli, Op. cit., pag. 21, tav. 1, fig. 14. Questa forma ben nota, pur essendo comune in tutti i gia- cimenti retici, è rarissima a Caprona. Ne ho difatti un solo esemplare, abbastanza grande, alto circa mm. 13 e largo mm. 8. Per quanto non sia completo, pure esso permette una sicura determinazione per la sua forma e per le sue ornamentazioni caratteristiche. Negli straterelli calcarei non oolitici, interposti agli strati calcarei più spessi. Avicula contorta Porti. 1843. Avicula contorta - Portlock, Rep. on thè Geol. of Londonderry, pag. 126, tav. XXV, fig. 16. 1861 . Avicula contorta Porti. - Stoppani, Op. cit., pag. 68, tav. X, fig. 15-21. 1864. Avicula contorta Porti. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 163, (cum syn.). 1866. Avicula contorta Porti. - Capellini, Op. cit., pag. 68, tav. V, fig. 13. 1882. Avicula contorta Porti. - De Stefani, Op. cit., pag. 5. 1892. Avicula contorta Porti. - Simonelli, Op. cit., pag. 18, tav. I, fig. 7, 8. 1904. Avicula contorta Porti. - Vaughan, Op. cit., pag. 202, (cum syn.). È la forma più riccamente rappresentata nel retico di Ca- prona. Se ne hanno di tutte le dimensioni, arrivandosi sino ad un massimo di 2 cm. di lunghezza. Sono specialmente belli gli esemplari che si ottengono con la semicalcinazione dal calcare marnoso. 56 836 P. VINASSA DE REGNY La forma è talmente nota e caratteristica che non merita descriverla nè trattenersi in dettagli. Comune tanto negli straterelli sottili quanto nella massa calcarea. Avicula Deshayesi Terq. 1854. Avicula Deshayesi - Terquem, Paléont. de la Prov. de Lux. et d’Hett Mém. S. g. Fr. 2, V. pag. 315, tav. XXI, fig. 13. 1866. Avicula Deshayesi Terq. - Capellini, Op. cit., pag. 65, tav.V, fig. 1-6. 1882. Avicula Deshayesi Terq. - De Stefani, Op. cit., pag. 5. 1892 Avicula Deshayesi Terq. - Simonelli, Op. cit., pag. 18, tav. I, fig. 8. Ne ho un solo esemplare ben conservato, lungo mm. 17, alto mm. 11, dello spessore di circa mm. 4. Esso è perfettamente rispondente alla descrizione data di questa specie dal Capellini, presentando però le maggiori somi- glianze colla fig. 6 della tav. Y, del Capellini. La conchiglia è di piccole dimensioni, misurando un’ altezza di mm. 9 ed una lunghezza di mm. 12, inferiore cioè di molto alle dimensioni che il Simonelli cita degli esemplari di Cetona. È conservata la sola valva destra un poco rigonfia, a contorno regolare, munita di numerose strie concentriche, equidistanti, ben visibili. L’orecchietta anteriore è piccola, nettamente triangolare. La posteriore non è conservata. Umbone nettamente rilevato ma appena sporgente dal margine cardinale. Nella massa calcarea. Avicula sp. ind. Un esemplare, relativamente ben conservato, presenta somi- glianze abbastanza grandi con la Lima (?) oliva Stoppani (Op. cit., pag. 75, tav. XIII, fig. 13, 14) forma molto dubbiosa. Ma somiglianze anche maggiori presenta con le forme di Spezia che il Capellini (‘) determinò come Avicula Buvigneri Terquem. Lo stesso Capellini però trovava molto dubbiosa la sua determinazione, ed effettivamente, a giudicarsi dalle figure, si direbbe che la forma di Spezia sia un poco diversa da quella descritta dal Terquem. (') Capellini, Op. cit., pag. 66, tav. V, fig. 7, 8. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 837 Il mio esemplare, unico, è altresì troppo in cattivo stato per permettere di dilucidare la questione, e mi limito quindi ad ac- cennarla. Della determinazione generica credo però esser sicuro. Nella massa del calcare marnoso. Mytilus minutus Gdfs. 1834. Mytilus minutus - Goldfuss Petrefacta Germ., II, pag. 173, tav. 130, fig. 6. 1861. Mytilus psilonoti - Stoppani, Op. cit., pag. 64, tav. X, fig. 4-5. 1864. Mytilus minutus Gdfs. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 167 (cum syn.). 1892. Mytilus minutus Gdfs. - Simonelli, Op. cit., pag. 16, tav. 1, fig. 5. Anche questa forma, una delle più diffuse del retico, si trova molto rara a Caprona. Ne ho qualche frammento mal determinabile e poco sicuro, ed ungalo esemplare tipico, benissimo conservato, lungo mm. 10, alto mm. 4, del tutto rispondente alla figura del Simonelli sopra citata. La conchiglia, una valva sinistra, ha la tipica forma allun- gata, un poco ricurva; è globosa e fornita alla superficie di co- stoline concentriche nettamente visibili. Il margine cardinale è perfettamente rettilineo; l’umbone è abbastanza rilevato, un poco ricurvo. Negli straterelli sottili oolitici. * Myacites (?) La Bèchei De Stefani. 1866. Myacites fdba (non Winkl.) - Capellini, Op. cit., pag. 47, tav. Ili, fig. 13. 1882. Myacites La Béchei - De Stefani, Op. cit., pag. 6. Come giustamente osserva il Prof. De Stefani gli esemplari che il Capellini riferì alla specie germanica non vi possono ap- partenere. Si tratta quindi di forma diversa e che il De Stefani crede nuova. Anche gli esemplari di Caprona si presentano ben diversi dalla tipica forma del Winkler. 838 P. VINASSA DE REGNY Si ha difatti nella conchiglia un contorno ovale allungato che non risponde affatto alla forma tipica del retico germanico. È molto comune nel retico della Spezia, ove tappezza, come dice il sen. Capellini, gli scisti che accompagnano quelli a Bactrilli. A Caprona, ove non ho trovato scisti a Bactrilli, questa specie non è invece comune. Ne ho difatti solo quattro esem- plari del tutto corrispondenti alle figure date dal Capellini. Negli strati calcarei più grossi; manca negli straterelli a tipo oolitico. Modiola (?) gregaria Stopp. sp. 1861. Avicula gregaria - Stoppani, Op. cit , pag 70, tav. XI, fig. 6-10. 1864. Avicula gregaria Stopp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 164. 1882. Avicula gregaria Stopp. - De Stefani, Op. cit., pag. 5. 1892. Modiola gregaria Stopp. - Simonelli, Op. cit., pag. 17. Vari esemplari tappezzano gli scisti calcarei intercalati alle masse maggiori, ma essi non possono in alcun modo venire isolati nella loro porzione cardinale. Sicché nulla posso dire sulla determinazione generica di questa forma che il Ttomer come lo Stoppani, vogliono riferita al gen. Avicula, mentre per il suo contorno mitiliforme il Simonelli la vorrebbe invece ri- ferita al gen. Modiola. Comune negli straterelli calcarei. Nucula cfr. subovalis Gdfs. 1838. Nucula subovalis - Goldfuss, Petrefacta Germ., pag. 154, tav. CXXV, fig. 4. 1863. Nucula subovalis Gdfs. - Stoppani, Op. cit., pag. 61, tav. VII. fig. 21-22. 1864. Nucula subovalis Gdfs. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 171. 1866, Nucula subovalis Gdfs. - Capellini, Op. cit., pag. 61, tav. IV, fig. 18, 19. Alcuni mal conservati esemplari possono con dubbio riferirsi a questa specie, del resto non rara nel retico. Essi presentano le maggiori analogie cogli esemplari figurati dal sen. Capellini, del retico della Spezia. Negli straterelli a tipo oolitico. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 839 Leda clavellata v. Dittm. 1861. Leda minuta - Winkler, Oberkeuper, pag. 475, tav. VII, fig. 5. 1864. Leda favellata - v. Dittmar, Op. cit., pag. 172. 1882. Leda clavellata v. Dittm. - De Stefani, Op. cit., pag. 6. 1892. Leda clavellata v. Dittm. - Simonelli, Op. cit., pag. 16. Seguendo la denominazione data dal Simonelli ai suoi nu- merosi esemplari delle lumachelle del Varco, riferisco a questa specie le piccole bivalvi lediformi che si trovano sparse, in nu- mero però non molto grande, alla superficie degli straterelli calcarei intercalati alla massa di calcare marnoso. Myophoria laevigata Bronn sp. 1830. Lyrodon laevigatum - Goldfuss, Op. cit., pag. 197, tav. CXXXV, fig. 12. 1864. Myophoria laevigata Bronn sp. - Capellini, Op. cit., pag. 58, tav. IV, fig. 9-10 (cum syn.). Riferisco a questa specie intesa nel senso del sen. Capellini due esemplari assai ben conservati. Probabilmente gli esem- plari della Spezia meritano di essere considerati come nuove forme. I miei hanno prevalentemente somiglianza colla fig. 9, anziché colla 10, che sembra ben diversa dalla precedente. La conchiglia è difatti nettamente ovato-triangolare, poco allungata posteriormente, quindi quasi equilaterale; rigonfia, ar- rotondata anteriormente, quasi rettilinea posteriormente. Area nettamente delimitata da una carena che scende dall’umbone al medio posteriore. Mancano ornamentazioni. Negli straterelli a tipo oolitico. Schizodus Ewaldi Born. sp. 1854. Taeniodon Ewaldi - Bornemann, Ueber d. IAas der Umg. v. Gòt- tingen, pag. 66. 1856. Opis cloacina - Quensteclt, Ber Jura, pag. 31, tav. I, fig. 35. 1861. Schizodus cloacinus Quenst. - Winkler, Der Oberkeuper, pag. 475, tav. VII, fig. 6. 1863. Schizodus Schiavii - Stoppani, Op. cit., pag. 128, tav. XXX, fig. 27-29. 840 P. VINASSA DE REGNY 1863. Nucula sp. - Stoppani, Op. cit., pag. 128, tav. XXX, fig. 16,20, 21. 1864. Schizodus Ewaldi Bora. sp. - v. Dittmar, pag. 174. 1892. Schizodus Ewaldi Bora. sp. - Simonelli, Op. cit., pag. 16. Questa forma, diffusa in tutti gli strati con Av. contorta, si trova pure a Caprona, ma sempre in pochi e mal conservati esemplari sparsi negli straterelli calcarei intercalati. Scliizodus isosceles Stopp. sp. 1863. Myophoria isosceles - Stoppani, Op. cit., pag. 128, tav. XXX, fig. 1-4. 1864. Schizodus isosceles Stopp. sp. - v. Dittmar, Op. cit.. pag. 173. 1864. Myophoria isosceles Stopp. - Dumortier, Op. cit., pag. 12. Ne ho due esemplari del tutto rispondenti per forma ed ornamentazione alla descrizione ed alle figure dello Stoppani. Molto probabilmente tanto questa forma quanto lo Sch. Ewaldi e lo Sch. Stenonis vanno riuniti in un solo gruppo specifico essendo distinti tra loro prevalentemente per le dimensioni. Negli straterelli calcarei intercalati. (?) Taeniodon praecursor Schlb. 1862. Taeniodon praecursor - Schloembach, Beitràge zur genauem Ni- veau-Bestimmung etc. - N. Jahrb. fiir Min. Geol. u. Paleont , pag. 146, tav. Ili, fig. 1. 1864. Schizodus praecursor Schlb. sp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 175. 1864. Taeniodon praecursor Schlb. - Dumortier, Op. cit., pag. 12, tav. I, fig. 1-3. Numerosi piccoli esemplari sparsi alla superficie degli stra- terelli interposti al calcare marnoso rispondono più specialmente alle figure del Dumortier. Ma dato lo stato di conservazione loro non mi è possibile avere sicurezza nella loro determinazione. La forma, che il v. Dittmar credeva giustamente si dovesse trovare anche nel retico Alpino, sembra avere maggior diffu- sione di quanto non si credesse sul principio. Cardimi! rhaeticmn Mer. 1853. Cardium rhaeticum - Merian in Escher v. der Lìnth, Geol. Bemerh. uber da nòrdl. Voralb., pag. 19, tav. IV, fig. 40, 41. 1861. Cardium philippianum - Stoppani, Op. cit , pag. 48, tav. IV, fig. 18-25. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 841 1861. Cardium nuculoides - Stoppani, Op. cit., pag. 49, tav. IV, fig. 26-29. 1861. Cardium rhaeticum Mer. - Winkler, Oberkeuper, pag. 482, tav. VII, fig. 16 a-e. 1864. Cardium rhaeticum Mer. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 176, (cum syn.). 1892. Protocardium rhaeticum Mer. - Simonelli, Op. cit., pag. 14, tav. I, fig. 4. 1934. Cardium rhaeticum Mer. - Vaughan, Rliaetic of thè South Wales direct line. Q. J. G. S., pag. 208. E una delle forme più diffuse nel retico, ed anche a Ca- promi si trova in quantità assai rilevante. Alcuni esemplari misurano mm. 12 di altezza per 13 di larghezza, avendo così il tipo orbicolare che il Winkler ( Dettiseli . Oberheup., pag-. 482) distingue col nome di var. rotundata. Altri esemplari minori si distinguono per essere più allun- gati posteriormente avvicinandosi così alla var. elongata del Winkler, rispondente al C. nuculoides dello Stoppani. In generale la cresta posteriore è poco netta; solo in un esemplare si presenta un poco più rilevata facendo così pas- saggio al G. philippianum Dunk. Negli strati calcarei più spessi. Corbis (?) depressa Cap. (non Koem?). 1866. Corbis depressa - Capellini, Op. cit., pag. 57, tav. IV, fig. 7, 8. Un piccolo esemplare distinto, per essere più rotondeggiante, dalla Corbula alpina Winkl. riferisco a questa forma intesa nel senso della descrizione e figura del Capellini. Il v. Dittmar {Op. cit., pag. 185) crede la Corbis depressa descritta dallo Stoppani e da lui figurata {Op. cit., pag. 51, tav. Y, fig. 12-16) sinonima della Corbula alpina Winkl. Ma, con una palese contaddizione, dice a pag. 176 che la mede- sima forma dello Stoppani (e cita anche le figure stesse) è da riferirsi a Cardium rhaeticum Mer. Da questo si può concludere che non si riesce a sapere che cosa sia veramente la C. depressa dello Stoppani. Sembra in- tanto che essa non possa appartenere alla forma del Koemer. Lo stesso credo possa dirsi della forma figurata dal sen. Capei- 842 P. VINASSA DE REGNY lini, almeno a giudicarne dalle semplici figure. Del resto anche la determinazione generica sembra dubbia. Avendo un solo esemplare, perfettamente rispondente alla figura del Capellini, ma non isolato nè isolabile, non posso en- trare più addentro nella questione. Certo è però che la forma sembra ben distinta dalla tipica e molto più triangolare Corbula alpina , e può forse trattarsi di una nuova specie. Negli strati calcari più grossi. Àstarte cingulata Terq. 1854. Astarte cingulata - Terquem, Op. cit., pag. 294, tav. XX, fìg. 6. 1866. Astarte cingulata Terq. - Capellini, Op. cit., pag. 51, tav. Ili, fig. 23-24. Ho un solo esemplare che riferisco a questa forma perchè risponde assai bene alla descrizione ed alla figura del Capellini. La conchiglia è tondeggiante, quasi orbiculare, abbastanza rigonfia, specialmente verso rumbone, che è rilevato ed un poco sporgente dal margine cardinale. Margine ventrale ricurvo, re- golare, non denticolato. Sul l’esemplare si distinguono nettamente le minute costoline, concentriche, fitte e regolari intercalate ad altre costoline maggiori. Unico. Nella massa del calcare marnoso. Àstarte Pillai Cap. 1866. Astarte Pillae - Capellini, Op. cit., pag. 50, tav. Ili, fig. 18-20. Questa forma è, come lo stesso sen. Capellini osserva, molto prossima all’M. irregularis Terquem ( Op . cit., pag. 294, tav. XX, fig. 5), forma altresì molto variabile. Pur tuttavia per le piccole diversità messe in rilievo dal Capellini, e più che altro per la forma generale credo che possa considerarsi autonoma. Il mio esemplare risponde bene alla figura 18 della tav. Ili del Capellini, ma è incompleto e non mi permette di aggiun- gere altri dettagli alla descrizione già nota. Unico. Negli straterelli calcarei. FOSSILI RETICI DI CAPRONA 843 Cardita munita Stopp. 1861. Cardita munita - Stopparli, Op. cit., pag. 56, tav.VI, fig, ll-18(p.p.). 1864. Cardita munita Stopp. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 182 (cum syn. ?). 1866. Cardita munita Stopp. - Capellini, Op. cit., pag. 55, tav. IV, fig. 3. 1882. Cardita munita Stopp. - De Stefani, Op. cit., pag. 6. 1892. Palaeocardita munita Stopp. sp. - Simonelli, Op. cit., pag. 15. Ho un solo esemplare lungo mm. 16, alto 9, incompleto, ma benissimo rispondente alle figure specialmente del Capellini, le quali sono della tipica C. munita, con coste numerose assai più che non nella C. multiradiata , distinta dal v. Dittmar nella C. munita dello Stoppani. Anche nel mio esemplare le coste sono numerose, nette, non molt^. rilevate, come nella vera C. munita Stopp. s. str. Nella massa calcarea. Corbuia alpina Winkl. 1859. Corbula alpina - Winkler, Op. cit., pag. 15, tav. II, fig. 2. 1861. Corbula alpina - Winkler, Oberlceuper, pag. 484, tav. Vili, fig. 1 a-c. 1864. Corbula alpina Winkl. - v. Dittmar, Op. cit., pag. 185 ( cum syn. p. p.). Questa forma è in generale abbastanza comune nel retico alpino, ma a Caprona essa è scarsamente rappresentata. La sua forma triangolare caratteristica e le sue dimensioni la di- stinguono nettamente dalle sue congeneri. Negli straterelli a tipo oolitico e nella massa calcarea. * * * La faunula del calcare retico di Caprona (’) presenta, come risulta dal complesso delle forme precedentemente descritte, uno spiccato carattere litorale. Mancano di fatti le forme di mare profondo ed anche il carattere litologico parla per una formazione litoranea. La cosa del resto è naturalissima, e risponde a quanto ci è noto dai giacimenti retici esteri più noti. Le somiglianze della faunula di Caprona con quelle di altre località classiche risultano dalla tabella seguente: C) Tutti gli esemplari descritti si conservano nel Museo geologico del R. Ist. superiore agr. di Perugia. 844 P. VINASSA DE EEGNY NOME DELLE SPECIE Lombardia Spezia Cotona Alpi Apuano Inghilterra Francia Alpi Set.tent. Alpi morid. Gyrolepis sp £ _ Loxonema (?) ustum Terq. sp — -*• — — — -4- — — L. (?) Meneghina Cap. sp — Cerithium sociale Cap -H -4- Cerithium (?) verrucanum n. f. . . . . Turritella Zenkeni Dkr — -4- — — — — — T. cfr. Somervilleiana Cap — -4- T. citoniensis Sim — — -+- — — — — — Pleur otomaria (?) cfr. praecursor Stopp. — -4- — — — -4- — Placunopsis alpina Winkl. sp. . . . — — — — -- -4- Anomia Favrei Stòpp -4- -4- — 1 — — — — — — A. cfr. Mortilleti Stopp Radula praecursor Quenst. sp. . . . -4- — -4- Dimyodon intusstriatum Emmr. sp. . . -4- -4- — -4- Avicula contorta Porti Av. Deshayesi Terq — — — — — — — — — — — Mytilus minutus Gdfs \ • — — — -4- ■4— Myacites (?) La Béchei De Stef. . . . — •H- — — — — — Modiola (?) gregaria Stopp. sp. . . . -T- — -4- — — — Nucula cfr. subovalis Gdfs H- -4- — Leda clavellata v. Dittm — -4— -i- — — -4- -4- Myophoria laevigata Bromi sp. . . . — — — — — -4- — Schizodus Eioaldi Born. sp -4- — -4 — •4— Sch. isoscelcs Stopp. sp — Taeniodon praecursor Schlb. (?)... — — — — — — — Cardium rhaeticum Mer -4- — -4- — -4- -H -4— Corbis (?) depressa Cap — -4- - Astarte cingulata Terq — — — — -4- — — A. Pillai Cap — -*■ — — — — — — Cardita munita Stopp — — -4- — — — — Corbula alpina Winkl FOSSILI RETICI DI CAPRONA 845 Da essa risalta come non vi possa esser dubbio alcuno sul riferimento al retico tipico dei calcari di Caprona, essendovi solo una sparuta minoranza di forme che passano anche nel Lias, a differenza di quanto si ha pel retico della Spezia. Considero il retico, cioè la zona con Avicula contorta Porti., come Trias superiore, seguendo in ciò gli autori più recenti, e più specialmente l’Arthaber (1). Grandi somiglianze ha la faunula di Caprona con quelle già note dei giacimenti italiani, e più specialmente con quello di Cetona (50 °/0 di forme comuni) e più ancora con quello delle Alpi Apuane le cui forme sono tutte quante rappresentate a Caprona (*). Come tipo il giacimento di Caprona ha maggior somiglianza colla zona di Kòssen e più specialmente con la così detta dal Suess facies sveva, pel grande sviluppo dei lamellibranchi. Non ho trovato sinora la formazione con brachiopodi e con coralli. Si tratta quindi forse di un avanzo di poca estensione e di poco spessore del mare retico, come del resto è per la maggioranza dei giacimenti di questo periodo sul versante me- ridionale delle Alpi. Perugia, Laboratorio di Geologia del R. Ist. sup. agrario. [ms. pres. il 19 ottobre 1906 - ult. bozze 10 gennaio 1907]. (*) Lethaea geognostica. II. Mesozoicum, 1 Bnd. Trias, III. Die al- pine Trias des Mediterran-Gebietes. (2) Non tengo conto dell’elenco delle forme date dal Dott. Merciai (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat. XV, 3, ad. 11 marzo 1906, pag. 49) poiché si tratta sinora di una nota preventiva, ed il giacimento sembra non debba appartenere al retico tipico. APPUNTI SULL’ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 Nota del socio R. V. Matteucci In collaborazione coi Prof.‘ R. Nasini ed E. Casoria e col Topografo A. Fiechter Nell’aprile 1906 si svolse il periodo finale dell’eruzione prin- cipiata il 27 maggio 1905 con un efflusso lavico nel settore di NW che cessò il 4 aprile, mentre si stabilivano altri sgorghi a Sud. Abbassamento del Cono i massimo, ad EENE, m. 220 ( minimo, ad WWSW, m. 107. Volume del materiale sprofondato : oltre 100.000.000 di me. Il materiale esploso si riversò principalmente nelle direzioni di NE e SW, cadendo però assai più abbondante nella prima direzione. Il suo volume non è ancora calcolato. Profondità ( durante l’eruzione: m. 1000 appross. del cratere j dopo terminata » » 600-700 » _ , , ( massimo, NNNE-SSSWm. 720 appross. Diametro del cratere > ( minimo, WWNW-EESE » 640 » Superfìcie orizzontale del bacino craterico: mq. 350000 ap- prossimativamente. Capacità attuale del cratere : me. 84.000.000 appross. ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 847 Il sistema delle fenditure nel maggio 1905 si stabilì se- condo un piano NNW e nell’aprile 1906 secondo un piano NNE ed una serie di piani compresi nel quadrante SE. Lo stabilirsi dell’uscita del magma, nell’aprile 1906, non se- guì interamente la legge normale dell’altimetria. Superficie occupata dalle sole grandi colate laviche river- satesi a sud nell’aprile 1906, approssimativamente mq. 3.500.000. Volume approssimativo del magma delle sole grandi colate riversatesi a sud nell’aprile 1906: me. 10.500.000. Altezza massima raggiunta dal pino nel mese di aprile: m. 10.000-13.000. Le scariche elettriche furono innumerevoli in seno al pino, e numerose e potenti fra il pino e la terra. Spessore massimo dei materiali di esplosione (nella regione del cono) da m. 12 a 15. Spessore medio id. id. (nella regione di Ottaiano) m. 0.90. Spessore medio id. id. (nella regione di Nola-Baiano) m. 0.10. Spessore id. id. (all’Osservatorio Vesuviano) m. 0.35. Le correnti di materiale infuocato delle esplosioni furono numerosissime, e si precipitarono fino a circa 2 chilometri e mezzo dall’asse vulcanico. Il dinamismo del mese di aprile fu forte dal giorno 3 al 21, fortissimo dal 4 al 17, parossismale dal 6 al 12, con un Numero 1 (nel maggio 1905) 7 (nell’aprile 1906). 848 R. V. MATTETJCCI massimo nei giorni 7, 8 e 9 (plenilunio). La curva del dina- mismo fu tracciata col triplice criterio dell’attività esplosiva, della fuoriuscita della lava e dei fenomeni sismici. La massima energia dell’eruzione fu preceduta da continuo movimento del suolo e dall’emissione di blocchi contenenti ab- bondanti cloruri di potassio e di sodio. L’eruzione fu seguita da emanazioni, a distanza, di acido carbonico, e da correnti fangose causate da pioggie. Tutti i fenomeni più salienti dell’intera eruzione sono stati riprodotti per mezzo di oltre 100 fotografie. Non essendosi potuti ottenere dal Governo, per iniziativa ed a spese del direttore Matteucci, si hanno i profili del Gran Cono quale esso si presentava nel 1900 e dopo l’eruzione ul- tima. Tali profili sono comparabili a quelli già pubblicati dallo Schiavoni nelle sue « Osservazioni geodetiche » eseguite da Piz- zofalcone dal 1845 al 1872. Il Matteucci, a sue spese private, non potendolo ottenere per altre vie, ha fatto eseguire anche il rilievo topografico del Gran Cono, dove figurano le enormi modificazioni subite dai suoi fianchi, e l’immenso cratere di sprofondamento rimasto dopo l’eruzione. ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 849 Fra i materiali lanciati nelle esplosioni del periodo paros- sismale, notansi: Di magma coevo: Scon differenziazioni vetrose » » micacee » » di silicato calcico » » » brecciate Bombe Scorie Idi leucitite di differenziazione Sabbie Polveri Di vecchie lave e vecchi depositi craterici: 1 inalterati alterati fino a completa ossidazione con oligisto \ I » antibolo ( sublimati ' » cloruri \ Sabbie ) } di triturazione Polveri ) Diocchi metamorfici della formazione preistorica del Monte Somma: Ammassi augitici » micacei Calcari cristallini Rocce dialagiche » trachitiche Blocchi ad Haiiyna, a Pleonasto, etc. 850 R. V. MATTEUCCI * * * Ricérche chimiche. Sabbia grigia : Parte rocciosa. Sali solubili. SiO2 . NaCl . 44.300 Ph205. MgCl2 . 6.964 TiO2 . MnCl2 FeO . CaSO4 MnO . K2S04 Fe203. Na2S04 . 1.927 A1203. 19.082 SiO2 CaO . 99.996 BaO . 0.093 SrO . MgO . K20 . Na20 . 2.628 99.679 Sabbia Parte rocciosa. SiO2 48.154 Ph205 0.743 TiO2 indet. FeO 2.750 MnO 0.394 Fe203 7.565 A1203 18.437 CaO 8.244 BaO 0.095 SrO 0.033 MgO 4.432 K20 5.834 Na90 2.871 rossiccia: Sali solubili. NaCl .... . . . . 49.158 MgCl 2 . . . MnCl2 . . . . . . . 1.494 CaSO4 . . . K2S04 . . . . . . . 8.399 Na2S04 . . . . . . . 8.557 SiO2 .... . . . . 0.079 99.995 99.552 ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 851 Blocco dì leucitite con differenziazione vetrosa: Parte cristallina. SiO2 47.451 FeO 4.554 Fe203 5.323 AFO3 (con Ph205) . . . 17.340 CaO 9.438 MgO 4.976 KFO 7.739 Na20 2.355 99.176 Parte vetrosa compatta. SiO2 .... .... 51.808 FeO ... . . . . . 7.197 A1203. . . . .... 20.159 CaO ... . . . . . 2.941 MgO .... .... 0.596 K20 .... .... 5.709 Na20 .... . . . . 11.212 99.622 (L’acido cloridrico concentrato e bollente estrae, dalla parte vetrosa, la totalità degli alcali, e lascia gr. 56.962 di residuo insolubile. Questo vetro sembra risultare da materiale leucitico, nel quale, alla potassa della leucite, si sia sostituita la soda). Blocco di leucitite con differenziazione vetrosa e di silicato calcico: Parte cristallina. SiO2 48.372 FeO 4.904 Fe203 4.500 AFO3 (con Ph203) . . . 16.372 CaO 11.611 MgO 6.916 K20 5.147 Na20 1.448 99.270 Parte vetrosa pumicea. SiO2 .... .... 58.508 FeO ... . .... 5.300 Fe203. . . . .... 3.556 AFO3. . . . .... 10.313 CaO .... .... 12.648 MgO .... . . . . 1.506 K20 .... .... 3.398 Na20 . . . . .... 3.900 99.129 57 852 R. V. MATTEUCCI (Questa parte vetroso-pumicea contiene feldispato vitreo e non è ieucitica. L’acido cloridrico bollente scioglie, sul00:K2O, 0.056; e Na20 0.423. La disgregazione con fluoruro arnmo- nico dà il totale degli alcali). Silicato calcico. SiO2 .... FeO .... . . . . 6.036 ALO3. . . . CaO .... MgO .... 99 453 Cloruri cristallizzati di un blocco emesso prima del massimo eruttivo: K Na CI Perdita a 180° Sale opaco 23.540 21.534 54.665 2.893 Sale trasparente 1.071 38.571 60.358 — Composizione molecolare. KC1 NaCl Sale opaco 44.965 54.936 Sale trasparente 2.077 97.923 ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 853 Cloruri cristallizzati di un blocco emesso nel massimo eruttivo: Perdita Sale cristallizza- to roseo-violetto (il colore é dovuto a tracce di manganese) Sale estratto per ) lesciviazione dal \ 19.112 14.539 41.261 2.698 0.935 12.288 0.681 8.286 blocco. ] Composizione molecolare dei detti cloruri. H20 KC1 NaCl MgCl2 MnCl2 K2S04 CaSO4 a 180° 94.078 5.229 — tr. — — 0.307 Sale estratto per ) lesciviazione dal 20.219 36.966 10.679 1.560 18.202 3.181 8.286 blocco. ) Massa lavica di color rossiccio (seccata a 100°) del blocco che contiene i detti cloruri cristallizzati roseo-violetti : SiO2 . . 48.349 Fe203 A1203 CaO MgO K20 NasO Perdita al fuoco . . . . 1.159 Sale cristallizza- ) to roseo-violetto j K Na CI Mg 49.249 2.058 48.002 — Ca SO4 Mn tr. a 180° 0.307 99.183 854 R. V. M ATTEUCCI Lava di Boscotrecase (precedentemente lavata e disseccata a 180°) (100 gr. di lava danno gr. 0.395 di sali solubili). SiO2 .... .... 47.614 Ph205. . . . .... 0.802 TiO2 .... .... 0.767 AFO3. . . . .... 18.671 FeO .... . . . . 5.854 MnO .... . . . . 0.762 Fe203. . . . . . . . 3.511 CaO .... . . . . 8.337 MgO .... . . . . 3.924 K?0 .... .... 7.099 Na20 .... . . . . 2.310 BaO .... . . . . 0177 99 828 Bali estratti dalla lava di Boscotrecase (precedentemente seccati a 180°-200°): Na 30.395 K 12.758 Ca . . . 0.945 CO3 30.749 SO4 4.723 CI 20.136 99.706 ERUZIONE VESUVIANA 1905-1906 855 Aggruppamento salino del miscuglio dei detti sali: Na2C03 NaCl . KC1 . K4S04 CaSO4 Nei miscugli salini dei prodotti delle fumarole del cratere e delle lave si rinvennero Cu, Bi, Pb, As, Ni, Co, Zn, Mn, Se e Ti. I minerali rinvenuti durante e poco dopo l’eruzione, come prodotti delle fumarole, sono per ora: Alite, Silvina, Cloram- monio (bianco e giallo), Cotunnia, Eritrosidero, Oligisto, Ma- gnetite, Tenorite (2 varietà), Zolfo, Gesso, Galena, Pirite, Orpimento in forma cristallina Realgar » » » Solfuro fuso (tuttora indeterminato se bi- solfuro o trisolfuro) misto a Selenio, ed un Silicato idrato di Nichelio e Magnesio, del tipo della Gentili te. Solfuro d’arsenico 54.323 17.470 20.163 4.467 3.213 99.636 Dal lato chimico, caratterizzano l’eruzione: l.° l’abbondanza del cloruro potassico e di quello sodico; 2.° la copiosa ema- nazione di gas acido carbonico; 3.° la rilevante formazione di clorammonio (dipendente dalla vegetazione dei terreni invasi dalle lave) ; 4.° la produzione di solfuri di piombo e di arse- nico; 5.° la rilevante sostituzione del manganese al ferro. * * * Dalle indagini sulla radioattività, compiute dal Professore R. Nasini (con M. G. Levi) su materiali fornitigli dall’Osserva- torio Vesuviano, risulta che le lave dell’ultima eruzione sono 856 E. V. MATTEUCCI assolutamente inattive; mentre discretamente attivi sono i la- pilli e le sabbie, presentando i diversi prodotti press’a poco lo stesso ordine d’attività. Le lave antiche, comprese anche quelle di eruzioni recenti, sono alquanto attive. Una relazione numerica fra la radioattività e l’età non sem- bra esistere. Quindi, o il materiale lavico ha perduto, per l’alta tempe- ratura e la fusione, la sua radioattività, oppure la lava del- l’aprile scorso occupa — - sotto questo riguardo — una posizione speciale fra le lave consolidate del Vesuvio. Nel primo caso, le lave di quest’anno, con l’andar del tempo, potrebbero riacquistare le proprietà radioattive che posseggono quelle antiche. Per vedere appunto se è per la semplice azione del tempo che le lave acquistano tali proprietà, il Prof. Nasini si è pro- posto di sottoporre ad esame ogni due mesi gli stessi campioni, * * * Le fotografìe, i profili geodetici, i rilievi topografici, le osser- vazioni geodinamiche, numerose altre analisi chimiche, ecc., as- sieme al diario dei fenomeni svoltisi durante la grande eruzione, saranno pubblicati se e quando il E.° Governo accorderà i mezzi necessari per una Relazione particolareggiata. R.e Osservatorio Vesuviano, 7 settembre 1906. [ms. pres. il 9 settembre 1906 - ult. bozze 12 gennaio 1907]. SULLA PRESENZA DEL MANGANESE NEI DINTORNI DI ROMA Nota del socio G. Tuccimei Nell’estate passata facendo alcune escursioni nell’altipiano all’oyest di Roma, ebbi occasione di osservare un fatto, a cui fino ad ora non era stata data alcuna importanza da quanti fin qui si sono occupati della nostra geologia. La presenza cioè di un vero deposito di noduli di manganese immediatamente sotto i terreni vulcanici, e in quel livello cbe costituisce il pas- saggio dal pliocene al quaternario. Percorrendo la strada di Boccea, cbe si svolge per una delle zone più squallide e deserte della campagna romana, al quinto chilometro circa, e poco più di un chilometro al di là del forte di questo nome, si attraversa la valle detta delVacqua fredda , nella quale la strada scende dall’altipiano di circa 3om. Sicché ne resta incisa tutta la serie dei terreni vulcanici e parte di quelli postpliocenici, cbe ne formano la base. La posizione esatta del deposito che ora mi occupa è data dalla seguente sezione geologica, che si rileva distintamente lungo la strada, su ambedue i versanti della valle, e comincia ad apparire prima del forte Boccea (per chi viene da Roma) dove la strada stessa si aifonda a poco a poco nel tufo. Spessore Altezza dello strato sul mare Altipiano della campagna 85m 9. Tufo terroso, incoerente con molte mac- chie leucitiche e rare lamine di bio- tite 6m 858 G. TUCCIMEI Spessore dello strato 8. Tufo litoide di colore più scuro con nu- merosi frammenti di lava, qualche cristallo di sanidino, e pomici nere rare e piccole 7. Tufo terroso incoerente poco differente da quello del mira. 9. ma più omo- geneo, che alla parte inferiore passa al litoide, con abbondanti cristallini di augite, frammenti di glaucoma, leu- citi, e con numerosi piccoli fram- menti di basalte e lava scoriacea che gli danno l’aspetto di un la- pillo 6. Tufo granulare, con granuli minuti di varia specie con predominio di leu- cite decomposta 5. Tufo terroso omogeneo, nettamente di- stinto dal sovrapposto, senza leuciti e con cristalli d’augite . . . . T. Tufo terroso uguale al num. 7, an- ch’esso con frammenti di lava, che diventano fìtti in modo da formare uno strato di lapilli intercalato, ir- regolare. Forma lungo la strada alte e nude ripe 3. Sabbia silicea giallo-rossastra, sciolta, con abbondanti noduli neri mangane- siferi più piccoli in alto, e gradata- mente più grossi in basso, dove se ne trovano conglutinati in masse di 8 a 10 centimetri 2. Sabbione siliceo, in alto simile a quello del num. 3, ma senza noduli di manganese, e in basso diviene a poco a poco bianco, finissimo, incoerente, arido, e anche più in basso finisce fortemente ocraceo lm 3m 0“, 50 lm Qm _ 12m Altezza sul mare . 79m . 78m . 75“ . 74”, 50 . 73”, 50 . 66"‘, 50 . 64”, 50 SUL MANGANESE NEI DINTORNI DI ROMA 859 Spessore Altezza dello strato sul mare 1. Livello delle sorgive dal quale si de- . . . . 52”, 50 duce la presenza di marne che forse formano il piano della valle, invisi- bili perchè coperte dalla vegetazione, e incise per l’altezza di circa . . 2m, 50 Piano della valle delVacqua fredda . ... . 50“ I numeri 2 e 3 corrispondono, secondo le più recenti os- servazioni, alla formazione di spiaggia (dune, depositi eolici), con la quale si iniziò da noi il quaternario. Il num. 1 rappre- senta la fase lacustre durante la quale sulla spiaggia si deposi- tavano qua e là lenti marnose intercalate alle ghiaie postplioce- niche, che il mare vi veniva abbandonando. Il Telimi nella sua pregevole carta geologica (') indica anche nella località di Boccea questi strati, ma con tinte così rassomiglianti da po- tersi confondere in uno. Ed infatti ricordano avvenimenti pei quali si andava a costituire definitivamente la fase conti- nentale. I nòduli di manganese contenuti nello strato num. 3, si ri- conoscono con la maggior facilità al loro colore nero, all’aspetto terroso, opaco, reniforme. Variano di grossezza da quella di un uovo di piccione e quella di un pisello, e in basso sono riuniti in masse più grosse; sono irregolarmente rotondi e spesso con angoli rientranti, come se fossero saldati in più d’uno. La mag- gior parte hanno struttura concentrica, con uno strato nero super- ficiale, che racchiude una piccola quantità della stessa sabbia silicea nella quale sono immersi. Si vede bene che si sono formati nella sabbia dopo la sua deposizione. (') Telimi A., Carta geologica dei dintorni di Rovi a (regione alla de- stra del Tevere). Due fogli al l’1 : 15.000, Roma, 1893. Recentemente questa zona é stata anche illustrata dal De Angelis, che ha studiato le acque sotterranee del bacino a destra del Tevere (De Angelis D’Ossat G., I veli acquiferi alla destra dal Tevere presso Roma. Boll d. Soc. geol. it., voi. XXV, Roma, (1906). Ma è facile avvertire che negli schemi di carte geologiche ivi contenuti, le indicazioni delle sorgive sono, per posizione e per numero, in tutto quelle stesse indicate nella carta del Tellini. Vedasi ancora: Clerici E Sulle sabbie di Bravetta presso Roma. Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XIX, Roma, 1900. 860 G. TUCCIMEI La loro massa assai friabile dà una polvere di color mar- rone, infusibile, che sviluppa acqua scaldata al tubo chiuso. Fusa nel crogiuolo di platino col carbonato di sodio solo, o misto al salnitro, dà una massa verde trasparente che raffred- data diventa azzurra opaca. Le stesse reazioni dà sul filo di platino. Sono le reazioni del manganese, le quali insieme al- l’acqua sviluppata provano che si ha da fare con un sesquiossido di manganese idrato (Mn203 -+- H20), manganite o acerdese dei mineralisti. Contiene anche una piccolissima quantità di ossido ferrico, perchè dopo trattata alla fiamma riducente ha una debole azione sulla calamita. Probabilmente questo ferro viene dalla sabbia, la quale è come infiltrata e colorata dal minerale man- ganesifero. La sezione geologica riportata si osserva su ambedue i ver- santi della valle dell’acqua fredda , pei quali passa la strada di Boccea, e dall’uno all’altro passa parimenti la sabbia man- ganesifera, che è lo strato immediatamente sottoposto alla forma- zione vulcanica. Però sul versante destro sotto alla sabbia si osserva una lente di tripoli biancastro di circa 30 centimetri di spessore massimo. Ho trovato lo strato manganesifero allo stesso livello sulla via Aurelia, al quarto miglio, sul prolungamento della stessa valle dell' acqua fredda , che ne è attraversata a qualche chilometro più a valle della strada di Boccea. E finalmente sulla strada della Pisana, a circa un chilometro dal suo imbocco nella strada della casetta Mattei, a sinistra di chi discende, in un piccolo dirupo internato, che forse è una cava abbandonata. Si vede che la formazione è comune a tutta questa zona della campagna ro- mana, che rimase esposta alle defezioni dei vulcani Sabatini. E se non apparisce più spesso, ciò è sia perchè la vegetazione la nasconde, sia perchè l’incisione delle valli non arriva a quella profondità. Ho detto che la manganite è posteriore alla deposizione dello strato di sabbia in cui è contenuta. Riflettendo ora che questo giace immediatamente sotto agli strati vulcanici, mi pare di poter arrischiare la conclusione che il minerale derivi da questi per una specie di segregazione lentamente operatasi entro ai tufi, e discesa a raccogliersi nella sabbia e attorno ai noduli SUL MANGANESE NEI DINTORNI DI ROMA 861 di questa. L’origine di quei tufi dai crateri Sabatini è fuori di dubbio, come è evidente la loro antichità, per essere concor- danti con gli strati sottoposti, e anteriori allo scavo delle valli. Ora, che tra i prodotti dei vulcani Sabatini si debba anno- verare anche il manganese, risulta dalla seguente osservazione, che mi comunica il chino prof. E. Meli, e non ancora pubbli- cata. Presso alle sorgenti dell’acqua Claudia nelle diaclasi di una corrente di lava egli trovò incrostazioni che analizzate dal prof. Giorgis, della E. Scuola d’applicazione per gli ingegneri, furono trovate ricche di manganese Q). Il manganese si trova anche nei prodotti dei vulcani attivi, così allo stato di cloruro e di solfato fu trovato nelle fumajole e nelle sublimazioni vesuviane da Monticelli e Covelli, nell’e- ruzione del 1822 (2), e successivamente dallo Scacchi e da altri vulcanologi, come il Yelain (3). Quanto ai dintorni e alla provincia di Eoma, non va di- menticato che quel diligente e infaticabile studioso della nostra geologia che fu G. B. Brocchi, trovò il manganese come ce- mento delle pomici bianche nel viterbese; nel calcare del monte Circeo, e nei monti tra Civitavecchia e la Tolfa (4). Però tanto il Brocchi quanto il Breislak prima di lui per- corsero la via Aurelia, come ne fanno fede le loro pubblicazioni, senza che facciano alcuna menzione dei noduli di manganese (5j. (■) Debbo pure alla cortesia del prof. Meli la notizia che nei din- torni di Civitavecchia alle acque della Ficoncella, a 4 chilometri dalla città, recentemente ha trovato un arnione di limonite manganesifera, con cavità interne ripiene di ocra gialla. Quest’arnione era contenuto nei calcari argillosi alternanti con gli schisti argillosi (pietra coltellina) ge- neralmente ritenuti eocenici. Inoltre a S. Liborio presso la stessa città ha trovato sotto al banco di travertino uno strato nero formato da mi- nerale di manganese, forse pirolusite. ( 2 ) Mercalli G., Vulcani e fenomeni vulcanici d'Italia. Milano, 1883, pag. 87 e 125. (;i) Yelain Ch., Les volcans ce qu’ils sont et ce qu’ils nous apprennent. Paris, 1884, pag. 47. (4) Brocchi G.; Catalogo ragionato di una raccolta di roccie. Milano* 1817, pag. 192, 83 e 136. (5) Breislak S., Saggio di osservazioni mineralogiche sulla Tolfa, Oriolo e Latera. Roma, 1786. 862 G. TUCCIMEI Il Ceselli alla sua volta ricorda il perossido di manganese in vari punti della provincia di Roma, e in particolare fra le arene che hanno origine dai terreni vulcanici ('). Finalmente il De Marchi parla di ricerche di minerali di manganese e relativa concessione sui monti Prenestini, nel ter- ritorio di Subiaco, e nei monti di Tolfa. Ricorda semplicemente le sabbie della tenuta di Bravetta (2). [ms. pres. il 13 decembre 1906 - ult. bozze 11 gennaio 1907]. (') Ceselli M., Sui prodotti minerali utili della provincia di Roma. Nel giornale La Giovane Roma, n.° 17 del settembre 1877. (2) De Marchi L., I prodotti minerali della provincia di Roma , Ann. di statistica. Roma, 1882, pag. 79 e 100. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA FERROVIARIA MASSAUA- GHINDA (COLONIA ERITREA) Nota del socio dott. Alessandro Roccati Nel corso di questi ultimi anni l’ing. G. Puccini spediva in varie riprese al prof. F. Sacco una serie di rocce da lui sistema- ticamente raccolte lungo il tronco ferroviario di 72 chilometri fra Massaua e Ghinda (Colonia Eritrea), ai lavori del quale egli era addetto. Di queste rocce, che ora fanno, parte della collezione geo- logica della R. Scuola d’applicazione degli Ingegneri, ho cre- duto opportuno di fare uno studio petrografico i cui risultati pubblico ora come contributo alla litologia della Colonia Eritrea, argomento di cui già si occuparono Baldacci (*), Bucca (5), Sabbatini (3), Manasse (4) e Aloisi (5). Mi è qui gradito dovere quello di ringraziare vivamente l’ing. Puccini, il quale con tanta sollecitudine e criterio pratico radunò questo materiale e volle inviarlo al professore di Geologia della Scuola ove egli ha compiuto i suoi studi di ingegneria. (') Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia, voi. VI. Os- servazioni fatte nella Colonia Eritrea. Pubblicate a cura del R. Ufficio Geologico. Roma, 1891. (2) Contribuzione allo studio geologico dell’ Abissinia. Atti Acc.Gioenia; voi. IV, serie 4a. Catania, 1892. (3) Sopra alcune rocce della Colonia Eritrea. Boll. R. Com. Geol. d’Italia, voi. XXVI (1895), XXVIII (1897), XXX (1899). C) Rocce della Colonia Eritrea raccolte a sud di Arafali. In «Alla Memoria di Antonio D’Achiardi ». Pisa, 1903. (5) Rocce della penisola di Buri. In « Alla Memoria di Antonio D’A- chiardi ». Pisa, 1903. 864 A. ROCCATI Nella descrizione delle rocce ho seguito per maggiore chia- rezza l’ordine chilometrico secondo il quale il materiale fu rac- colto a partire da Massaua; ho di più giudicato esser cosa inte- ressante raggiungere ai dati petrografici le notizie di indole applicativa che ho potuto radunare intorno alle rocce in esame. Km. 1. — Massaua. 1. Calcare zoogenico di origine recente. Esso risulta essen- zialmente formato dall’accumulp dei polipai calcarei dei gen. Ma- drepora, Fungia, ecc. Ha color giallo-rossastro ; contiene discrete quantità di ferro e magnesia. Costituisce un materiale durissimo che non si estrae se non con la mina e che viene adoperato per costruzioni. Km. 12. — Hamassat (m. 50 sul livello del mare). 2. Diabase. — E roccia che per l’aspetto granulare fanero- mero potrebbe aH’esaiue esterno scambiarsi per una diorite : l’esame microscopico rivela invece trattarsi di diabase normale, i cui componenti sono labradorite, aagite, clorite, magnetite ed accessoriamente granuli di pirite. La labradorite è in cristalli listiformi, allungati, che, variamente intrecciati, formano la massa della roccia ; è per lo più ben conservata, presenta oltre la gemi- nazione polisintetica secondo la legge delhalbite, anche quella del pendino. Questa è però rara ed in generale appena accennata. Vaugite è sparsa frammezzo alla massa feldspatica. Si pre- senta o in cristalli prismatici ben terminati anche alle estremità, oppure in granuli arrotondati. Ha color bruno violetto chiaro senza pleocroismo; distinte le linee di sfaldature 110; estin- zione circa 50°. Esistono pochi individui geminati. La clorite forma plaghe irregolari di color verde chiaro; talora è torbida subopaca. Molta magnetite , granulare, sta sparsa nella massa o inclusa nell’augite. Certe zone irregolari, limpide, incolori, con debole azione sulla luce polarizzata e colori d’ interferenza grigi, credo si pos- sano riferire a ne felina tanto più per il fatto che il minerale è STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 865 decomposto dall’acido cloridrico. Quantunque non determinabile direttamente, la roccia deve contenere apatite , poiché ottenni la caratteristica reazione del fosforo con il molibdato ammonico. Questa diabase è usata sul luogo in costruzioni stradali. 3. Arenaria. — Roccia abbastanza coerente, finamente gra- nulare, di color grigio. Il cemento è siliceo; la massa è for- mata da granuli di quarzo e da altri abbondanti di un mine- rale biancastro caolinizzato, che originariamente doveva essere un feldspato. Quest’arenaria è usata in Massaua per costruzioni ; costituisce però un pessimo materiale per la sua poca resistenza agli agenti atmosferici. Proveniente pure da Hamassat è una roccia di aspetto esterno simile alla precedente, ma di color rosso cupo, essendo la massa tutta inquinata da un pigmento ocraceo che solo difficilmente permette di distinguere granuli di quarzo ed altri caolinizzati. La coesione è molto minore che nell’arenaria sopra descritta; di più presenta una notevole tendenza a dividersi iu lastre ab- bastanza regolari. Trattasi indubbiamente di alterazione del- l’arenaria, con formazione di laterite. Km. circa 18 — Dogali. 4. Trachite (1). Km. circa 22 — Tamarisco. 5. Conglomerato. — Proviene dallo scavo di una trincea. Il cemento della roccia è calcareo con color rossigno dovuto a inquinazione di liraonite; i frammenti cementati hanno general- mente dimensioni di V2 a 1 cm. nel diametro maggiore, ecce- zionalmente 2 a 3 cm. Sono tutti a spigoli arrotondati; ma mentre alcuni hanno la forma solita sferoidale dei frammenti fluitati, (*) (*) Dovendo accompagnare S. A. R. il Duca degli Abruzzi nella sua spedizione al Ruwenzori sono costretto a tralasciare la descrizione delle roccie vulcaniche recenti, le quali, al mio ritorno, formeranno l’oggetto di una 2a parte di questo lavoro. 866 A. ROCCATI altri hanno forma poliedrica come di frammenti brecciati con leggera traccia di fluitazione sugli spigoli. A costituire i ciottolini del conglomerato entrano: calcare bianco e grigio; quarzo ialino; micaschisto a biotite ; gneiss a biotìte e granito roseo. I frammenti delle roccie feldspatiche sono tutti fortemente caolinizzati. Km. circa 25 — Saati. 6. Talcoschisto compatto di color grigio-chiaro. Si può con- siderare come pietra oliare. Km. 32. — Mai-Hatal (m. 130 sul livello del mare). 7. Diorite ortosica. — Questa roccia proviene dagli scavi fatti per il serbatoio d’acqua di Mai-Hatal; ha color verde scuro, superficialmente rossastro per limonitizzazione. L 'orneblenda vi è molto abbondante ed al microscopio risulta sotto forma o di plaghe irregolari costituite da grossi individui prismatici più o meno distinti, a terminazioni come sfilacciate, oppure di aggregati di finissimi prismi a terminazioni distinte e che sembrano provenire da divisione per sfaldatura dagli indi- vidui maggiori. Sarebbe questa una conseguenza delle azioni meccaniche a cui fu sottoposta la roccia e che portò pure ad nna struttura cataclastica ben evidente nei feldspati. L’orneblendaha pleocroismo verde-azzurro, verde-bruno, bruno- chiaro; evidente sfaldature 110; estinzione a circa 18°. Kon è rara l’alterazione in limonite e clorite ; localmente poi a spese degli individui maggiori si ebbe formazione di attmoto in sottili aghi, allungati, di color verde-chiaro. 1 feldspati della roccia sono plagioclasio e òrtosio, entrambi con struttura granulare o subcristallina e presentanti struttura cataclastica con minuta frantumazione ed anche spostamento dei frammenti. La distribuzione nella roccia dei due feldspati è molto irregolare, poiché si hanno zone ove comparisce soltanto il pla- gioclasio, mentre in altre esiste pure l’ortosio, che aumentando fino a prevalere sul primo, dà localmente passaggio a vera sie- nite. Siccome nel complesso è però prevalente il plagioclasio, STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 86? così io credo si possa praticamente indicare la roccia col nome di diorite sienitica od ortosica. Il plagioclasio presenta le due geminazioni dell’albite e del pendino; l’ortosio sempre quello di Karlsbad; la caolinizzazione è più o meno profonda, specialmente nel plagioclasio, che rimane specificamente indeterminabile. L’alterazione in caolino nei feld- spati sembra esser stata accompagnata da secrezione della silice in forma di quarzo finamente granulare, che si dispone lungo le linee di sfaldatura e di geminazione o avvolge gl’ individui, formando anche plaghe irregolari nel loro interno. Ne risulta un aspetto molto analogo a quello descritto e figurato da Colomba (*) per il gneiss della Rocca di Cavour. A completare la composizione della roccia, esistono abbondante magnetite, ilmenite , apatite e calcite sparsa o in granuli od in plaghe che riempiono fessure irregolari che solcano la roccia in varie direzioni. 8. Schisto siliceo-CALCEDonioso. — Roccia di color bianco o bianco-grigiastro a evidente struttura schistosa e che si lascia facilmente dividere in lastre molto regolari dello spessore di 2 a 3 mm. La durezza, mentre parallelamente alla schistosità è appena 3-4, sale invece a 5,5-6 in direzione normale alla prima. Al microscopio si osserva che la roccia è formata da stra- terelli costituiti da minuti granuli di quarzo, limpidi con in- clusioni di zircone; fra i granuli havvi interposta una materia argillosa torbida e opaca, alla quale si deve certamente la pic- cola durezza relativa della roccia; nelle zone più ricche in ar- gilla esiste della pirite in granuli sovente alterati in limo- nite. Tra le zone quarzoso-argillose si hanno straterelli molto re- golari, il cui spessore raggiunge circa V3 di quello delle altre zone, e costituiti esclusivamente da calcedonio in finissimi granuli, nei quali a luce polarizzata si osserva localmente la caratteri- stica croce nera. Gli strati a calcedonio sono quelli secondo cui avviene nella roccia la facile divisione in lastrine sopra indi- cate, costituendo esse delle zone ad aderenza minore. I1) Osservazioni petrografiche e mineralogiche sulla Rocca di Cavour. Atti R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XXXIX (1904). 58 868 A. ROCCATI Soveute le superficie di divisione sono lucenti e striate come in seguito a fenomeno di laminazione; in altri esemplari si osserva una scomparsa quasi completa della scliistosità, riducendosi la roccia ad una massa compatta di color grigio chiaro. La composi- zione mineralogica si modifica pure dando passaggio ad una roccia che potrebbe chiamarsi argilloschisto siliceo-calcedonioso. La massa è allora costituita prevalentemente da argilla con piccole aree o venule disseminate irregolarmente e formate da quarzo granulare o da calcedonio. Queste rocce, sotto il nome di pietra di Mai-Atal, vengono utilizzate in costruzioni stradali, ma data la composizione e la struttura, non sembrano dover fornire un materiale molto buono. Km. 38-39. — Monti Dig-Digta (m. 250-400 sul livello del mare). 9. Quarzite. — Più che una roccia, questo materiale deve esser considerato come proveniente da un filone nel granito sotto indicato. Trattasi infatti di quarzo ialino, leggermente rosso per infiltrazione ferruginosa, dotato di struttura microscopica finamente granulare. 10. Granito a biotite. — Roccia ben conservata, macromera e costituita da abbondante quarzo granulare, leggermente ver- dognolo con inclusioni di zircone; abbondante biotite di color bruno- verdastro con forte pleocroismo ; ortosio rosso in grandi grani a estinzione ondulata, non geminati o eccezionalmente secondo la legge di Karlsbad (in una sezione osservai pure un geminato secondo la legge di Baveno). Frequenti le inclusioni di quarzo ed in qualche cristallo presenza delle stradare vermiculée Michel-Lévy. All’ortosio stanno associati oligoclasio e microclimi questo però poco abbondante. In tutta la roccia si ha evidente la struttura cataclastiea con tipo riferibile alla mórtelstruktur; i grani di quarzo e di feldspato, rotti variamente, sono circondati da un orlo più o meno esteso di quarzo finamente granulare che si spinge anche lungo i piani di rottura nell’ interno dei componenti, i cui fram- menti furono anche spostati. Questo fenomeno si osserva bene STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 869 nell’ oligoclasio ove le linee di geminazione non si corrispon- dono più esattamente negli individui frantumati. 11. Argilloschisto siliceo-cabbonifero. — È roccia nera a struttura schistosa poco evidente e che presenta una durezza che contrasta con la natura argillosa della massa e che ritengo possa provenire da inquinazione di silice. Questa in forma di quarzo si osserva sparsa in granuli nella massa, oppure riempie fessure irregolari che hanno una larghezza che va fino ad 1 V2 cm. Una sostanza carboniosa abbondante inquina la massa colo- randola in nero e rendendola opaca anche in sezioni molto sot- tili ; la natura carboniosa di queste sostanze è resa evidente scal- dandone fortemente dei frammenti, i quali allora imbiancano perdendo del tutto o in parte il pigmento nero. Per i caratteri indicati questo argilloschisto mi pare corri- spondere assai bene alla roccia descritta da Sabbatini (*) e pro- veniente da Mai-Hizri (Arbaroba) presso Ghinda. 12. Calceschisto a biotite. — Roccia con evidente schisto- sità, tenera e molto friabile, costituita da straterelli di biotite fra i quali sono comprese zone di calcare spatico dello spes- sore di circa 72 cm.; 1° stesso calcare riempie pure piccole fes- sure esistenti nella massa. Nei due casi si osserva la calcite in forma di granuli in cui sono evidenti le linee di geminazione e di sfaldatura; associata ad essa è da ritenersi che esista pure la dolomite. Infatti una parte della roccia non si decompone che con acido cloridrico concentrato e dalla soluzione prece- pita abbondante magnesia. La biotite è in lamine per lo più a contorno distinto, brune e fortemente pleocroiche; comune vi e l’alterazione in limonite e clorite. Nella parte costituita da calcite si hanno frammezzo ai gra- nuli del carbonato altri granuli di quarzo e più raramente di ortosio, (in geminati con legge di Karlsbad) e di albite. 13. Gneiss a biotite. — È roccia che in posto deve pro- babilmente fare passaggio alla sopra descritta ed i cui compo- nenti sono quarzo con inclusioni di zircone, oligoclasio geminato ’(') Sopra alcune rocce della Colonia Eritrea. Boll. Coca. Geol. It., XXVI, 1895, p. 475. 870 A. ROCCATI secondo la legge dell’albite e del perìelino, microelmo , ortosio, poco abbondante non geminato e dotato di structure vermiculée , biotite , muscovite , anfibolo e magnetite. L’antibolo, quantunque poco abbondante, è degno di special menzione. È associato alla biotite oppure si presenta in minuti prismi a terminazioni abbastanza nette e ebe per i colori di pleocroismo si devono riferire a parecchie varietà. Notai infatti i pleocroismi seguenti : Giallo arancio azzurrognolo verde smeraldo ; bruno rosso iridescente; rosso chiaro, verde erba chiaro. Talora i piccoli cristalli prismatici presentano queste diverse tinte riu- nite su uno stesso individuo con fenomeno analogo a quanto già ho descritto nelle mie ricerche sulle rocce del gruppo dell’Ar- gentera nelle Alpi marittime (*). La forma distinta e la limpi- dezza dei piccoli cristalli escludono l’idea di una formazione secondaria e ritengo che si possano considerare come termini intermedi fra la erossite e Vorneblenda notando che questi antiboli presentano un angolo di estinzione molto alto, superiore a 30° in certi individui. La roccia ba poi evidente struttura cataclastica che nella biotite si manifesta in una divisione secondo le direzioni di sfal- datura delle lamine che compariscono come staccate, spostate e disseminate irregolarmente nella massa. 14. Granito protoginico. — Roccia microcristallina a strut- tura cataclastica con tinta leggermente rossa costituita da quarzo con inclusioni di zircone, ortosio in gran parte caolinizzato e dorile j ed accessoriamente con titanite e magnetite. Nella trasformazione dell’ortosio in caolino si osserva la ri- generazione di piccoli cristalli con aspetto di adularia e a con- torni ben netti. La clorite forma, qua e là masse irregolari,- torbide con debole azione sulla luce polarizzata; nell’alterazione si ha sovente decolorazione del minerale e formazione di abbondante magnetite che gremisce l’interno delle lamine diventate incolori, oppure forma intorno ad essa un orlo minutamente granulare. Le rocce descritte con i numeri 12, 13 e 14 provengono da una galleria al km. 38; dalla stessa quota chilometrica pro- (*) Ricerche petrograficlie sulle Valli del Gesso-Serra dell’ Argenterà. Atti R. Acc. d. Se. di Torino, XXXIX, 1904. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHIND A 871 vengono Basalti olivinici, una Trachite ed un Gneiss a mu- scoyite profondamente alterato in una massa rossastra con aspetto di laterite. Km. 39,500. — - (m. 400 sul livello del mare). 15. Micaschisto a biotite. — Questa roccia eminentemente schistosa e friabile appare all’esame macroscopico tutta formata da biotite in lamine esilissime del diametro di 1 a ‘/2 mm. Al microscopio si osservano frammezzo alle lamelle di mica granuli di ortosio geminato con legge di Karlsbad, di quarzo ed acces- soriamente di epidoto , pirosseno e sillimanite. L’ epidoto è incoloro in grani tozzi e linee di sfaldatura evi- denti, il pirosseno ha forma di prismi a spigoli arrotondati con leggero color verde e estinzione di circa 44°; la sillimanite è in prismi allungati con le caratteristiche divisioni in senso normale all’allungamento. Nella roccia esistono pure venule di color bianco dovute a calcite granulare. 16. Microclino con biotite. — Il campione in esame sembra provenire da un filoncello nella roccia precedente; è costituito da microclino compatto e facilmente sfaldabile di color roseo, dovuto ad un pigmento ocraceo che al microscopio si osserva diffuso nella massa, ove esistono pure inclusioni di quarzo. La biotite forma spalmature superficiali sul microclino ed è in la- minette analoghe a quelle costituenti la roccia sopra descritta. 17. Breccia granitica. — Tale breccia è formata da fram- menti di granito riuniti con cemento che è calcite. Questa è abbondante, in masse incolori o biancastre facilmente sfalda- bili; localmente il minerale è cristallizzato formando druse di cristalli molto sproporzionati, ma in cui si possono distinguere faccie di scalenoedro. Tali cristalli sono per lo più rivestiti da una patina brunastra di natura argillosa. I frammenti granitici hanno spigoli ben netti; anzi alcuni sono in forma di parallelepipedi che sembrano artificialmente tagliati, tant’è la regolarità della superficie di rottura ; essi hanno per lo più 3-4 cm. di lato. Il granito che li costituisce è di color roseo, finamente granulare e generalmente profondamente alterato. 872 A. ROCCATI Km. 41. Da questa quota chilometrica provengono alcune varietà di BASALTI Km. 42-43. (m. 450 sul livello del mare). 18. Granito a biotite. — Si può ritenere sia la roccia che ha fornito i frammenti della breccia sopra descritta. Ha grana molto fina, tinta scura per l’abbondanza della mica ed è par- zialmente alterato. Suoi componenti sono : Quarzo , ortosio e plagioclasio pro- fondamente alterati in caolino, dorile, magnetite e molto abbon- dante biotite in lamine distinte, brune, fortemente pleocroiche, con inclusioni di apatite. 19. Micaschisto a biotite granatifero. — Boccia eminen- temente scbistosa formata da letti regolari di minute lamine di biotite , frammezzo ai quali sono interposte zone chiare in cui spiccano granati rosei, macroscopici del diametro di 4 a 5 min. L’esame microscopico conferma la regolare disposizione in letti della biotite, le cui lamine sono come stirate e allungate nel senso della scbistosità, quasi la roccia avesse subito una lami- nazione in questo senso. Le lamine sono o a contorno ben distinto oppure presentano le terminazioni sfilacciate nel senso della scbi- stosità. Trattasi di una biotite molto ferrifera con colore quindi bruno carico e fortissimo pleocroismo che dal bruno chiaro va al bruno nero opaco; l’esame dei caratteri a luce convergente farebbe sup- porre la uniassicità in questo minerale. La colorazione delle lamine dà luogo a fenomeni abbastanza curiosi; per lo più la tinta bruna è uniformemente distribuita, in alcune lamine però si hanno zone irregolari ove la intensità del colore aumenta o diminuisce fino a diventare quasi in- colore. Queste variazioni nel colore o sono repentine con di- stacco netto, oppure per passaggio graduato, come per sfuma- ture, da una tinta all’altra. Talora intorno a piccole inclusioni di magnetite si ha un’aureola bruna intensa ove è pure più intenso il pleocroismo; certe lamine presentano zone incolori e STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 873 brune con netto distacco ed estinzione alternata, quasi si trat- tasse di geminazione, benché la lamina abbia tutto l’aspetto di esser formata da un individuo solo ; fenomeno consimile si nota per lamine zonate di bruno intenso e bruno chiaro nelle quali si osserva la continuazione esatta delle linee di sfaldatura tra le diverse zone. Fenomeno pure interessante è la presenza nella biotite di zone i cui colori di pleocroismo sono affatto diversi da quelli del rimanente della lamina; infatti dal giallo o verde erba chiaro si passa, per sfumature di colori iridescenti molto vivi, al rosso violetto ; i colori di pleocroismo variano da punto a punto, ma gli estremi sono più comunemente giallo arancio, verde cromo chiaro, violetto. Le zone a diverso pleocroismo o sono affatto irregolari o formano strisce che attraversano le la- mine nel senso dell’allungamento; notevole poi è il fatto che il fenomeno si manifesta sempre in lamine ben conservate e sane e le linee di sfaldatura passano senza distacco o interru- zione dall’una zona all’altra. Di più, mentre negli individui normali a color bruno omogeneo l’estinzione sulle linee di sfal- datura è apparentemente retta, le zone a pleocroismo iridescente non si estinguono che dopo una rotazione di circa 45°, oppure non si estinguono affatto avendosi tracce di una forte dispersione. Queste variazioni nei caratteri ottici della biotite ritengo siano conseguenza di variazioni nella composizione chimica, analoga- mente a quanto si osserva in altri minerali, come ad esempio nell’anfibolo. Le zone a tinta chiara che sono comprese fra i letti mi- cacei sono costituite quasi esclusivamente da quarzo in granuli irregolari con inclusioni di zircone e altre abbondantissime e molto minute che sembrano formate da pori a gas. Fra le grosse lamine di biotite si osserva pure del quarzo che assume forme di mandorle o di lenti che sembrano aver subito uno stiramento nel senso della schistosità analogamente a quanto si osserva nella biotite. Il granato è sparso irregolarmente nella massa in individui a contorno approssimativamente circolare. Ha color roseo chiaro e presenta all’interno molte linee di rottura con frequenti inclu- sioni di quarzo, biotite, magnetite e rutilo. 874 A. ROCCATI Nelle zone micacee oltre a granuli di plagioclasio , si osser- vano abbondanti granuli di magnetite e lamine di ilmenite con struttura a graticcio caratteristica. 20. Gneiss anfibolico granatifero. — È roccia che nell’a- spetto è molto simile alla precedente, a cui in posto deve evi- dentemente far passaggio od essere associata. La differenza sta specialmente in questo che nelle zone comprese fra i letti di biotite non si ha più la prevalenza di quarzo, ma invece si osserva una associazione di ortosio, pìagioclasio , quarzo, biotite , orneblenda e granato avendosi quindi una costituzione corrispon- dente ad un gneiss, tanto più che le zone micacee sono molto ridotte e non più a distacco così netto come nel micaschisto. Degna di particolar menzione è V orneblenda, la quale si presenta in individui prismatici con terminazioni indistinte che danno luogo in parecchi punti a fenomeni d’accrescimento pa- rallelo con la biotite. L’antibolo è fortemente colorato con pleo- croismo verde scuro, verde chiaro, bruno giallo chiaro ed ha un’estinzione media di 15°-16°. Nell’interno dei cristalli none raro osservare zone affatto incolori o con distacco netto oppure con passaggio graduato per sfumature dal verde alla tinta carica del rimanente del minerale; nelle terminazioni fibrose dell’orne- blenda oppure lungo le linee di sfaldatura si osserva talora pleocroismo azzurro, aranciato, iridescente. Conseguenze della struttura cataclastica della roccia sono o la frantumazione irregolare dei cristalli di orneblenda o la loro divisione in liste nella direzione della linea di sfaldatura. I granati sono in granuli più voluminosi che nel micaschi- sto ; raggiungono diametro da 2 a 3 min. e sono quindi discer- nibili ad occhio nudo. Si nota in essi presenza di apatite che esiste pure neH’anfibolo e nella biotite. 21. Micaschisto granatifero a due miche. — Di questo mica- schisto esistono due tipi differenti per la struttura. Entrambi con- tengono biotite e muscovite; in uno di questi, i due minerali sono minutamente lamellari con prevalenza della muscovite, nell’altro si ha la schistosità molto più evidente essendo prevalente la biotite, mentre la muscovite è in lamelle più ampie. II primo tipo ha color bianco argento con zone non lucenti dovute aU’accentramento della biotite le cui lamelle raggiun- STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 875 gono i 2 mm. di diametro. La muscovite , che è il componente essenziale della roccia, è in laminette così piccole da assumere aspetto quasi granulare e da non potersi distinguere ad occhio nudo. Le laminette sono incolori o argentee con lucentezza ma- dreperlacea. La biotite ha contorno frastagliato, sovente indistinto ed è anche totalmente ridotta a masse informi limonitizzate. Sparsi nella roccia molto irregolarmente stanno magnetite e granati ; questi però non frequenti. Nel secondo tipo di roccia la biotite forma come dei pseu- doprismi allungati nel senso della schistosità e che all’esame ma- croscopico si potrebbero scambiare per tormalina ; all’esame mi- croscopico i pseudoprismi si mostrano costituiti da aggregati di lamine di biotite fortemente colorata. Oltre alla muscovite in lamine molto più ampie che nel primo tipo, si ha quarzo granulare, con inclusioni di zircone , e che forma speciali lenti schiacciate e allungate nel senso della schistosità. Il granato raggiunge qui un diametro anche di ’/2 cm. pre- sentando talora forme abbastanza distinte di rombododecaedri. Nei due tipi di roccia è evidente la struttura cataclastica 22. Micaschisto a bìotite. — È la stessa roccia che quella descritta con il n. 15 al km. 39.500; notevole è però in questo caso la presenza di vene e lenti di calcite. Le lenti hanno lun- ghezza di 4 a 5 cm. con un diametro maggiore di circa */2 cm. ; la calcite è bianca con struttura granulare saccaroide; al mi- croscopio si osservano frammezzo ai granuli di calcite dei cri- stalli automorfi bipiramidati di quarzo incoloro. 23. Calcare cipollino. — È bianco con struttura saccaroide. Si tratta di un calcare dolomitico, poiché decomponendo la roccia con acido cloridrico e precipitando i componenti si trova, oltre a piccola quantità di ferro, abbondante magnesia. Sparse nella massa stanno abbondanti laminette di musco- vite incolori o argentee con contorno ben netto ; esiste pure quarzo in granuli o cristalli automorfi e poca apatite. Questo calcare dev’essere in situ associato al micaschisto a biotite, poiché nei campioni è evidente il passaggio dall’una roccia all’altra. Infatti compariscono dapprima sparse qua e là 876 A. ROCCATI nel calcare delle lamine di biotite che vanno poi aumentando formando straterelli continui passando ad un calceschisto con biotite e infine al tipico micaschisto. Un esemplare presenta una regolare alternanza fra strati di pura calcite con altri molto ricchi in biotite. Tali strati alter- nati hanno uno spessore di 2-3 cm. 24. Calcare saccaroide roseo. — Dal calcare bianco a mu- scovite si passa pure gradatamente con scomparsa della mica ad un tipico calcare saccaroide di color roseo con pochi gra- nuli di quarzo sparsi nella massa. Trattasi di calcare dolomi- tico poiché oltre ad una discreta quantità di ferro (che dev’essere l’elemento che dà il color roseo) si presenta assai ricco in ma- gnesia. Km. 44. — (m. 470 sul livello del mare). Gli esemplari corrispondenti al n. 25 provengono dal ma- teriale estratto nello scavo di una galleria alla quota chilome- trica 44. 25. Gneiss a biotite. — E roccia compatta e dura a strut- tura cataclastica e evidente schistosità. La biotite è in letti regolarmente distribuiti fra i quali stanno gli altri componenti disposti in lenti allungate nel senso della schistosità. Questi componenti (i cui caratteri nulla presentano di speciale) sono quarzo, feldspato roseo ( órtosio , microclino ed oligoclasio), biotite, magnetite e pirite, questa in granuli visibili ad occhio nudo. Localmente il gneiss dà passaggio ad un micaschisto a biotite, poiché la biotite, in strati regolari aumenta fino a prevalere assolutamente. Essa è in lamine a dimensioni maggiori che non nel rimanente della roccia, ed ha associata poca muscovite osser- vandosi anche dei casi di accrescimento parallelo. Nel micaschisto si osservano cristalli rosei di feldspato , però quasi completamente caolinizzati. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 877 Km. 45-46. Da questa quota chilometrica, oltre a basalti scoriacei e tufi, proviene la seguente roccia. 26. Diabase peridotica. — È roccia simile nell’aspetto esterno a quella descritta con il n. 2 per la quota chilome- trica 12. Ha grana piuttosto grossa avendo macroscopicamente un’apparenza molto analoga ad una diorite; la composizione è invece nettamente di una diabase avendosi plagioclasio e augite ed accessoriamente olivina , elofite , ortosio , magnetite, apatite, calcite e pirite ; quest’ultima in grossi grani discernibili ad occhio nudo. Il plagioclasio è sempre così profondamente caolinizzato da non permettere una determinazione precisa ; è in cristalli a con- torno più o meno distinto o listiforme; in qualche individuo si scorgono ancora tracce di geminazione con legge dell’albite, forse associata a quella del periclino. Nell’alterazione oltre al caolino si ebbe formazione di epi- doto e di calcite; localmente una sostanza di natura cloritosa occupa l’interno dei cristalli potendo dar luogo ad un vero fe- nomeno di pseudomorfosi. L 'augite è in grani o in cristalli allungati con spigoli ar- rotondati; non di rado questi cristalli sono geminati. Il colore è verde violaceo chiaro con estinzione oscillante fra 44 e 49° ; non rara è l’alterazione in clorite. L’olivina si presenta o in grani o in cristalli arrotondati più voluminosi di quelli dell’augite. È sempre minutamente fessurata; lungo le fessure e anche sull’orlo esterno si nota una tinta verde oarica dovuta a incipiente serpentinizzazione. Augite e olivina contengono inclusioni di magnetite, mine- rale che si osserva pure sparso nella massa con apatite , calcite e ortosio. Quest’ultimo è in rari, minuti granuli geminati secondo la legge di Karlsbad, sparsi frammezzo al plagioclasio di cui presentano però alterazione minore. Questa diabase fu localmente adoperata per i bolognini nella costruzione di un ponte a tre luci, ciascuna di 10 m. 878 A. ROCCATX Km. 50. — Ambatocan (m. 460 sul livello del mare). 27. Quarzite. — Roccia compattissima di color bianco gial- lognolo con lucentezza grassa vitrea e frattura concoide scagliosa. Al microscopio presenta struttura finamente granulare, con venuzze pure di quarzo granulare sparse attraverso dalla roc- cia; queste venuzze, i cui granuli sono maggiori che non quelli del rimanente della massa, spiccano nettamente perchè affatto incolori. Sparse nella roccia stanno masserelle giallognole opache di limonite che sembrano provenire dall’alterazione di granuli di pirite. Km. 55. — (m. 550 sul livello del mare). 28. Diorite. — Roccia micromera nella cui massa, di color bianco verdognolo, spiccano abbondanti cristalli prismatici fibrosi di orneblenda scura. I componenti sono, oltre all 'orneblenda (che si presenta in frequenti geminati e con estinzione uguale a 17°), plagioclasio, profondamente alterato in caolino, quarzo in scarsi granuli e epidoto, granulare o in cristalli a contorni arrotondati, di color verde giallo chiaro. L’orneblenda contiene inclusioni di quarzo e apatite. 29. Granito anfibolico. — Forma un dicco nella diorite sopra descritta da cui si differenzia non solo per la composi- zione ma anche per la grana, essendo roccia nettamente ma- cromera. Componenti sono: Quarzo, granulare, ortosio non geminato; plagioclasio quasi del tutto trasformato in caolino ; raro micro- elmo; orneblenda con i caratteri di quello della diorite e epi- doto. JSTella massa si notano pure alcuni cristalli prismatici inco- lori, con altri colori d’interferenza e estinzione di circa 60° che ritengo di pirosseno. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAU A- GHINDA 879 Km. 56. — (m. 560 sul livello del mare). 30. Quarzite. — Roccia di color bianco grigiastro, afanitica, molto compatta che presenta però una facile divisibilità in la- stre dello spessore di 1 a 2 cm. con superficie levigata e aspetto come di roccia che abbia subito una laminazione. Al microscopio si osserva una struttura finamente granulare e, disseminati nella massa, grossi granuli pure di quarzo ed altri a dimensioni minori di ortosio geminato secondo la legge di Karlsbad, e oligoclasio. Notevole è la presenza di cavità irre- golari o quadrangolari riempite da limonite che sembra prove- nire dall’alterazione di piccoli cristalli di pirite di cui però non esiste più traccia. La limonite formò pure, in seguito ad infil- trazione nei piani di divisibilità, dendriti nere minutissime. 31. Talcoschisto siliceo. — Dalla quarzite si ha passaggio ad una roccia che si può indicare con il nome di talcoschisto siliceo, essendo formata da un’associazione di lamine di talco e di clorite (questa meno abbondanti di quello) con quarzo finamente granulare. La roccia ha schistosità evidente; anzi i piani di schisto- sità appariscono spesso contorti c ripiegati. La durezza della roccia è uguale a 5.; questo fatto è evidentemente conseguenza dell’abbondante quarzo. Il colore è verde chiaro oppure bianco verdognolo con ri- flessi argentei sui piani di schistosità. 32. Cloriteschisto. — È una roccia eminentemente schistosa, tenera, di color verde erba. È costituita da clorite in finissime lamine fra le quali stanno granuli di quarzo, di ortosio, di plagio- clasio e di epidoto. Sparsi macroscopicamente nella massa si osservano grani di calcopirite. La roccia deve contenere infiltrazioni di calcare, poiché dà una discreta effervescenza quando sia trattata con acido clori- drico diluito. Le seguenti associazioni di~minerali devono provenire molto probabilmente da filoni nelgcloriteschisto : 1° Calcite in masse sfaldabili di color bianco latteo con lucentezza vetrosa perlacea, quarzo in cristalli informi e clorite in laminette riunite con struttura vermicolare. 880 A. ROCCATI 2° Calcite con quarzo e calcopirite. 3° Quarzo e calcopirite parzialmente alterata in limonite e malachite. Le roccie segnate con i nn. 27, 28, 29, 30, 31, 32 proven- gono tutte da contrafforti del Monte Dongollo. Km. 58. 33. Travertino. — Dalla quota chilometrica 58, senza in- dicazioni di altimetria, provengono masse calcaree concrezionate o incrostanti foglie di varia specie (alcune splendidamente con- servate con picciuolo, lembo e nervature) oppure rametti o pezzi di legno. Intorno ai rami il calcare si è depositato in strati concen- trici con nell’ interno struttura fibro-raggiata ben evidente; in alcune delle incrostazioni su rami d’albero la parte legnosa è scomparsa risultandone formazioni a modo di tubo con aspetto come di stalattiti ; nell’ interno del cilindro si osservano però ancora ben distinte le impronte delle fibre legnose. Il materiale travertinoso è costituito da un calcare grigio o giallognolo misto ad abbondante argilla; questo calcare contiene una discreta quantità di ferro e di magnesia. Viene usato sul posto come pietra da calce, dando un ma- teriale abbastanza buono anche come calcare da cemento. Km. 60. — Baresa (’). 34. Quarzite cloritosa. — È roccia afanitica, molto com- patta, non schistosa, di color verde. È costituita da quarzo finamente granulare con abbondanti laminette a contorno esagonale di clorite verde, che si trova pure sparsa in plaghe irregolari ; si è questo minerale che dà il color verdognolo alla roccia. Sparsi nella massa si osservano grossi grani di quarzo, altri di ortosio in geminati secondo la ri) A questo punto la ferrovia incontra il torrente Damas nel cu: letto l’ing. G. Puccini raccolse, oltre a sabbia, numerosi ciottoli delle se- guenti rocce : Graniti, gneiss, diorite, diabase, porfido labradorico (del tipo porfido verde antico), altri porfidi, anfibolia, eufotide, basalto, calcare. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAU A- GHINDA 881 legge di Karlsbad, e di plagioclasio la cui alterazione non per- mette però una precisa determinazione. Si vedono inoltre delle masserelle abbondanti, opache, di color bianco giallognolo che ritengo formate da silice amorfa dovuta alla decomposizione della clorite per azione forse di acido solforico prodottosi nell’altera- zione della pirite; questo minerale infatti esiste in cristalli et- taedrici macroscopici sparsi nella massa. Alla superficie della roccia stanno minute formazioni den- dritiche nere dovute a limonite. Km. 60,500. Oltre ad un Basalto che forma un dicco della potenza di circa V2 metro si hanno in questo punto le seguenti rocce: 35. Breccia formata da frammenti di quarzo ialino, granito e diorite; queste due rocce sono però profondamente alterate. Il cemento è calcareo con tinta rossastra per inquinazione di limonite ; la massa ha poca coerenza ; i frammenti poi non oltre- passano i 3 cm. nel diametro maggiore. 36. Gabbro a saussurite e gabbro orneblendico. — Boccia compattissima, di color verde chiaro, costituita da plagioclasio completamente saussuritizzato e diallagio lamellare di color verde erba e che tende a trasformarsi in clorite. Nella roccia esistono numerose fessure riempite da quarzo. Sparsi nella massa si osservano cristalli prismatici di orne- blenda che localmente passano a sostituire il diallagio dando un gabbro orneblendico , nel quale in più dei componenti plagio- clasio, orneblenda e diallagio si trovano pure granuli di quarzo. Questa roccia fu adoperata per la fabbricazione dello sbar- ramento per il rifornitore d’acqua di Baresa. Km. 61. 37. Granito protoginico (?) — Roccia afanitica di color verde con disseminati irregolarmente nella massa cristalli macrosco- pici di feldspato che in certi punti danno luogo ad una strut- tura porfiroide. Tutta la roccia è però profondamente alterata e inquinata da una sostanza verde cloritosa che è quella che dà il color caratteristico. Al microscopio si scorgono granuli di 882 A. ROCCATI quarzo, di feldspato , completamente caolinizzato e plaghe gial- lognole dovute a limonite. Riferisco dubitativamente questa roccia ad un granito protoginico , non permettendo il suo stato di alte- razione una determinazione precisa. 38. Travertino. — Al disopra di questo granito si hanno formazioni travertinose analoghe a quelle indicate al n. 33 della quota chilometrica 58 ; è da notarsi però che non vi è più cosi evidente la struttura vegetale dei frammenti incrostati. Anche in questa località il travertino è adoperato come pietra da calce. Km. 62. 39. Quarzite cloritosa. — Roccia analoga a quella descritta al n. 34 e proveniente dalla località Baresa. In questo punto vi è però maggiore la quantità di materiale cloritoso che inquina la massa rendendola alquanto più tenera. Questa quarzite fu adoperata nella costruzione delle pile e spalle di un viadotto a cinque luci. 40. Talcoschisto quarzoso. — Roccia a struttura nettamente schistosa di color bianco verdognolo, costituita da talco lamel- lare regolarmente disposto a letti frammezzo ai quali si osser- vano quarzo, ortosio ed albite. Il quarzo è in piccoli grani irregolari riuniti ad intreccio col solito aspetto che si osserva nelle quarziti; diffusi nelle masse si hanno aggregati lenticolari allungati nel senso della schistosità e costituiti da un complesso di granuli di quarzo a maggiori dimensioni e che ricordano perfettamente quanto fu osservato e figurato da Colomba (Q per una quarzite delle Alpi. Si hanno pure sparsi nella massa della roccia grossi granuli macroscopici di quarzo i quali, osservati a luce naturale, sem- brano risultare di un solo individuo, ma che a nicols incrociati lasciano in molti casi vedere, analogamente a quanto pure Co- lomba osservò nelle quarziti della Beaume (2), accenni più o (') Osservazioni petro grafiche e mineralogiche sulla Rocca di Cavour, Atti R. Acc. d. Se. di Torino, XXXIX, 1904. (2) Ricerche microscopiche e chimiche su alcune quarziti di Oulx (Alta Valle della Dora Riparia), e su alcune roccie associate, Boll. Soc. Geol. It., voi. XIX, fase. I (1900). STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA ÌIASSAUA-GHINDA 8S3 meno distinti ad un suddividersi in granuli minori. Intorno a questi grossi granuli si osserva anche, come nell’esempio citato, un orlo di granuli a dimensioni maggiori di quelli che formano la massa. Degno di nota è il fatto di aver osservato in uno dei grossi grani differenziati in granuli minori un lungo cristallo di zircone rotto e colle parti spostate, il che indica che non solo vi fu una frantumazione nei granuli di quarzo preesistenti, ma che essi subirono pure dei movimenti in seguito alle azioni meccaniche che portarono alla struttura cataclastica. Anche intorno all’albite e all’ortosio si osserva per lo più un orlo formato da granuli di quarzo e parecchi individui rotti presentano pure interposizione di quarzo finamente granulare tra i frammenti. Abbonda pure in questa roccia la sostanza bianca o giallognola in forma di masserelle torbide o opache a cui ho già accennato per la roccia segnata n. 34 e che ritengo dovuta a silice amorfa. Il talcoschisto quarzoso sopra descritto va, in posto, soggetto a frequenti franamenti che si possono spiegare con infiltrazioni di acqua lungo i piani di schistosità. 41. Quarzite. — Con la diminuzione graduale fino a scom- parsa totale del talco nella roccia sopra descritta si passa ad una quarzite tipica, schistosa, con struttura finamente granu- lare e che contiene disseminati nella massa grani più volumi- nosi di quarzo , ortosio e albite con disposizione analoga a quella indicata per il talcoschisto quarzoso. Tanto nelTuna roccia che nell’altra si osservano lungo i piani di sfaldatura infiltrazioni dendritiche di limonite e malachite ; in alcuni casi queste den- driti sono formate dalla, riunione di minuti cristalli ottaedrici di pirite. Km. 63. 42. Gneiss a muscovite. — Questo gneiss ha struttura emi- nentemente schistosa, dovuta alla regolare distribuzione della muscovite che forma letti fra cui sono compresi gli altri com- ponenti: quarzo , ortosio e plagioclasio. I campioni di roccia in- viati sono però sempre profondamente alterati. 59 884 A. FIOCCATI In qualche esemplare aumenta di molto il quarzo o prevale la muscovite avendosi passaggio a quarzite micacea e mica- schisto. Lungo i piani di sfaldatura sono comuni le infiltra- zioni di limonite che hanno dato luogo a formazioni dendri- tiche. Questa roccia costituisce gran parte del materiale estratto nella escavazione della galleria che esiste alla quota chilome- trica 63. Km. 65. 43. Diabase peeidotica. — È questa una roccia compattis- sima e ‘dura, micromera, di color nerastro con lucentezza sub- resinosa; già semplicemente con l’aiuto della lente si osser- vano nella massa abbondanti granuli di olivina verde scura. Caratteristica di questa roccia, che è ben sana e conservata, è la costituzione mineralogica ; infatti i suoi componenti sono essenzialmente plagioclasio e olivina, essendo Vaugite costituente affatto secondario, mancante anzi del tutto in certi punti ; com- ponenti accessori sono magnetite, apatite e rara pirite. Al microscopio la roccia si rivela fondamentalmente costi- tuita da cristalli listiformi, intrecciati di plagioclasio con ter- minazioni o ben nette od indistinte ; le linee di geminazione polisintetica con legge deH’albite sono sempre ben evidenti: l’estinzione che raggiunge un massimo di 40°, oscilla però normalmente fra 30° e 35°. Il plagioclasio è facilmente decom- ponibile dall’acido cloridrico e dalla soluzione oltre alla silice gelatinosa si può separare abbondante calce; questi caratteri insieme a quelli cristallografici mi portano a ritenere che si tratti di associazione di labradorite e anortite. Nella massa feldspatica stanno disseminati numerosi cri- stalli di olivina, molto irregolarmente distribuiti. Essi hanno di mensioni variabili ed una forma sferoidale o prismatica con gli spigoli arrotondati ; sono sempre minutamente fessurati, talora anche frantumati. Il colore è giallo verdastro chiaro; qualche individuo presenta una struttura zonata, essendo la parte cen- trale occupata da un nucleo verde bruno, mentre la parte peri- ferica è invece verde chiara. Lungo le fessure si osservano in alcuni individui accenni a serpentinizzazione. STUDIO PETROGRAFICO DELLA LINEA MASSAUA-GHINDA 885 In modo affatto secondario si osserva Vangile in cristalli a forma prismatica con gli spigoli arrotondati, di color verde chiaro e la cui estinzione raggiunge un massimo di 45°. A completare la composizione della roccia stanno abbon- danti granuli di magnetite , altri di pirite e aghi di apatite incolore. Questa diabase fu adoperata per la costruzione di un ridotto a 5 luci. Km. 65,500 - 67. 44. Granito a biotite. — Roccia più o meno alterata, ma- cromera, biancastra o rosea, con evidente struttura cataclastica. I componenti sono : Abbondante quarzo granulare ; ortosio roseo o bianco, in grossi cristalli sovente mascroscopici, geminati con legge di Karlsbad; plagioclasio , per lo più caolinizzato; biotite lamellare e raro microclinó. Questa roccia fu adoperata nella costruzione di diversi ponti e al Km. 65,500 per la cunetta della galleria Martini. Km. 72. — Ghinda. Trachite. Gabinetto di Geologia della R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri. Torino, Marzo 1906. [ms. pres. PII luglio 1906 - ult. bozze 12 dicembre 1906]. SOPRA UNA METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA NELLA PROVINCIA DI PAVIA Nota del socio Prof. Romolo Meli (Tavola XVII) Presento una breve comunicazione sopra una meteorite caduta in Lombardia tre anni fa, della quale finora non si conosceva l’esistenza, non avendosi alcuna notizia in proposito, forse nep- pure nei giornali dell’epoca e della regione, che, tutti, non ho potuto consultare. La meteorite in parola cadde alle ore 10 ant. di domenica 12 luglio 1903, nel territorio di Valdinizza, o Valnizza, nel cir- condario di Varzi, in provincia di Pavia (1). (!) Valdinizza é un comune, che trovasi oggi nella provincia di Pavia, a S. di questa città; ma anticamente apparteneva al Piemonte. Dista circa 44 km. ad W. N-W. di Bobbio; ha una popolazione di presso che 1700 abitanti, sparsi in molte frazioni. Prende nóme dalla piccola valle omonima, percorsa dal torrente Nizza, scavata nell’Appennino ligure tra Genova e Pavia, quasi a metà di distanza fra queste due città. La Nizza é un affluente di destra della Staffora. Il centro abitato principale, più vicino a Valdinizza, é Varzi, che sta ad W. N-W. di Bobbio, da cui è lontano 28 km. all’incirca. Varzi, che é il capo-luogo di circondario, trovasi presso al confine occidentale dell’ex-ducato di Parma e Piacenza ; giace ai piedi delle colline, che dividono il bacino della Staffora da quello del Tidone. E costruito sulla sponda destra della Staffora, alla quota di 416 m. sul livello del mare. La valle percorsa dal torrente Nizza, salvo la parte superiore, che è diretta da S. a N-W., ha in generale la direzione da E. ad W. Misura una lunghezza totale di oltre 13 km. È scavata entro colline, che all’ori- gine del torrente, sulla sua sinistra, raggiungono le elevazioni anche di 871 m. (Monte Cucco), mentre sulla destra vanno dai 500 ai 600 m. sul mare. Il villaggio di Nizza (superiore ed inferiore) ha la quota di circa 374 m. Il torrente Nizza si scarica nella Staffora a valle, ed a 10 km. da Varzi, alla quota di 260 m. sul livello del mare. 888 R. MELI Minacciava un temporale e si osservò nell’alto dell’atmo- sfera una piccola nube, molto nera, da cui partì un forte All’origine. l’alta vallata di Nizza divide, come già si é detto, in parte il bacino della StafFora da quello del Tidone; poi la valle si svolge tra le colline di destra della Staffora ed il bacino del torrente Ardi- vestra, che in seguito si scarica anche esso, più a valle della foce della Nizza, parimenti sulla sponda destra, nella Staffora presso Godiasco. La valle della Nizza e, in parte, della Staffora sono scavate in roccie del terziario, specialmente inferiore (eocene superiore, oligocene ed in parte miocene superiore, ossia, piano tortoniano). Nella Carta geologica della Liguria e dei territori confinanti nella scala di 1 a 200 000, pubblicata nel 1890 da A. Issel e S. Squinabol, che trovasi nell’Atlante della Liguria geologica e preistorica di A. Issel, Genova, A. Donath, 1892, voi. 2, in 8° con atlante, Varzi é collocato su terreni riferiti all’eocene superiore, mentre i monti circostanti sono ri- portati al miocene inferiore. Parimenti, nella Carta geologica delle riviere Liguri e delle Alpi marittime di A. Issel, L. Mazzuoli e D. Zaccagna nella scala di 1 a 100.000, pubblicata nel 1887 per cura della Sezione Ligure del Club Alpino Italiano, i terreni da Genova a Rocchetta Ligure verso Varzi, sono riferiti all’eocene con tratti di miocene inferiore; ma in tutte duo le suddette carte non é adottato l’oligocene nella scala dei terreni; per- ciò, introducendovi questo sistema, il miocene inferiore andrebbe collo- cato nell’oligocene. Jervis segna a Varzi un’arenaria siliceo-micacea a cemento cal- careo, che è cavata come materiale da costruzione. (Jervis G., 1 tesori sotterranei dell’Italia. Parte IV, Geologia economica dell’Italia, 188S, pag. 186, n. 687). Tale arenaria, secondo il prof. Taramelli, corrisponderebbe al ma- cigno di Porretta. Vedi anche: Mariani E., Descrizione dei terreni miocenici fra la Scrivia e la Staffora. Boll. d. Soc. Geol. it., voi, V, 1886, fase. 3, (spe- cialmente pag. 283). Nella Carta geologica della Lombardia, pubblicata dal prof. T. Ta ramelli (Milano, Ditta Artaria, 1890), nella scala di 1 a 250.000, Varzi è posto sulle arenarie del piano Modenese e Liguriano, mentre le colline, che dividono il paese, ora nominato, dalla valle della Nizza, sono riferite ai piani sovrastanti, Bormidiano, Aquitaniano e Tortoniano. Il tronco medio della vallata, ove sta il comune di Valdinizza ed ove, secondo le indicazioni avute, é caduta la meteorite, viene riferito al Bormi- diano ed Aquitaniano, ossia, all’oligocene. Varzi e l’area della vallata della Nizza trovansi indicate nell’angolo S-W. della predetta carta geo- logica. METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA §89 scoppio (L), dopo il quale sembra clie cadessero nel territorio del comune di Yaldinizza, più frammenti di meteoriti. Alcuni paesani, che si trovavano prossimi al punto della caduta di uno dei frammenti, seguendone la stria luminosa, ne fecero subito ricerca e lo ritrovarono. In seguito lo portarono al Sig. Alfonso Muzio, farmacista di Varzi, il quale, sui primi del mese di Agosto 1903, l’offerse in dono al eh. dott. Felice Mazza, professore ordinario di Storia naturale nelle classi aggiunte del K. Istituto Tecnico di Roma. Questi molto gentilmente mi mostrò, giorni indietro, la meteorite, permettendomi di studiarla e di prenderne il modello (5). Dal prof. Mazza e dal sig. A. Muzio ebbi le notizie che ho sopra riferite. La meteorite spetta alle pietre meteoriche (aeroliti), tipo spo- radosideriti, sottogruppo oligosideriti. Appartiene alle Litoside- riti di Shepard, formate, cioè, di materiali litoidi e metallici insieme, alle var. pleiolitiche, con materie litoidi prevalenti. (') Sullo scoppio dei bolidi e delle meteoriti possono leggersi le se- guenti pubblicazioni : Daubrée A., Les météorites et la constitution du globe terrestre nella Eevue des deux Mondes, 1882, (riprodotto anche nel Bulletin de VAs- sociation scienti fiqu e). Hi rn G.-A., Phe'noniènes dus à V action de V atmosphere sur les étoiles filantes, sur les bolides, sur les aérolithes nel periodico « L’ Astronomie », Paris, fase, juin et juillet, 1883. Hirn G.-A., Causes de la détonation des bolides et des aérolithes. Nella rivista « L’ Astronomie » n. 7, juillet 1886. Ved. anche le ipotesi, proposte da Regnault, Delaunajq Stanislas Meunier, su questo argomento. Sui bolidi fu scritto nel 1786 un libro da Antonrnaria Vassalli, col titolo: Memoria sopra il bolide degli XI settembre 1784 e sopra i bolidi in generale, Torino, Stamperia reale, in 16°, di pag. xliv e 114. (2) Oltre alla concessione di prenderne la forma in gesso, l’egregio Prof. Mazza mi aveva gentilmente donato la metà della meteorite, ri- serbando per sé l’altra metà. Ma, non approvando io l'idea di tagliare hi bella meteorite e di dividerla in due parti, ho proposto, ed il prof. Mazza ha cortesemente accettato, di donarla tutta intiera al Museo Civico di Milano, poiché, essendo stata raccolta nella regione lombarda, mi sembrava desiderabile che dovesse venire conservata e posseduta, a preferenza di altri Musei, da uno dei Musei di Storia naturale della Lombardia. 890 R. MELI È analoga, per la pasta interna e per la struttura, a quella di Alfianello nella provincia di Cremona (16 febbraio 1883). Ha una forma irregolarmente e grossolanamente cuboide; ma vi si possono distinguere sette faccie, sei delle quali sono ricoperte della crosta nera. La settima faccia, che è pianeggiante, presenta una superficie di rottura di aspetto assai fresco, prodot- tasi, se la meteorite fu raccolta tale, quale oggi si presenta, nell’urto avvenuto, battendo sopra roccia litoide, od altro corpo resistente. Ma dubito assai che la meteorite sia stata spezzata dal ri trovatore. Come forma esterna, ricorda un poco quella di una pietra meteorica di Mócs (Siebenbtirgen -Ungheria), caduta con altre il 3 febbraio 1882, figurata nella memoria di A. Brezina, Die Meteo- ritensammlung des k. k. naturhist. Hofmuseums am 1 Mai 1895, stampata negli Annalen des Jc. li. Naturh. Hofmuseums , voi. X, fascicolo 3-4. (Ved. pag. 245, fìg. 3); ma ha maggiori dimensioni di questa. Sempre per l’aspetto esterno, s’avvicina alla aerolite di Ho- mestead (West Liberty, Jowa Co., caduta il 12 febbraio 1875), che trovasi figurata nella tav. IV, fìg. 6 del libro The Ward- Coonley collection of meteoritcs, Chicago, 1900; ma questa meteo- rite americana è più grande di quella di Valdinizza ('). (*) (*) Una memoria sulle meteoriti, che vedo poco citata, ma che l eal- mente, ha solo una qualche importanza storico-bibliografica è la seguente: Degli aeroliti ossia delle pietre cadute dal cielo. Lettere fisico-metereolo- giche all’eccell. cav. Niccolo Nicolini per l’architetto Vincenzo Morrone. Napoli, V. Raimondi, 1844, in 8° di pag. 72. Invece, assai interessante per l’epoca e per le osservazioni, che vi si trovano esposte, é la lettera di G. Thompson sulle pietre meteoriche cadute a Lucignano d’Asso nel Senese, la quale é stampata nella Me- moria sulla pioggia di pietre avvenuta nella campagna senese il di 16 di giugno di questo corrente anno dell’ab. Domenico Tata. Napoli, Aniello Nobile e C., 1794, in 8° picc. di pag. 74. (Vedi pag. 52-70). Quantunque il Thompson seguendo le idee del tempo, consideri queste pietre meteoriche di formazione tellurica, tuttavia la lettera é in- teressante per le osservazioni sulle sostanze, che si trovano nelle me- teoriti. Il Thompson parla ancora delle meteoriti nella sua opera, pub- blicata a Londra nel 1807, e tradotta in francese da Riffault col titolo: Système de Chimie. Nella memoria del Tata é ricordata la caduta di una meteorite avvenuta nel luglio 1755 nella campagna di Terranova in vicinanza METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA 891 Collocando la superficie di rottura recente sopra un piano orizzontale, e considerandola come base (’), la forma esterna, pre- sentata dall’aerolite di Valdinizza, potrebbe riguardarsi, come raffigurante un prisma verticale monoclino, a base di un rombo irregolare, a faccie verticali presentanti presso a poco lo stesso sviluppo superficiale della base, terminato ad una estremità da due faccie oblique, che, incontrandosi con due delle faccie ver- ticali prismatiche, vanno a formare il vertice di un angolo solido, a quattro faccie, o tetraedrico, acuto. Sopra una delle faccie verticali della meteorite, cosi orientata, si notano concavità tondeggianti, o piccole depressioni, che ricordano le impronte digitate (piezogliti). Immaginando la meteorite disposta nel modo sopraindicato, le dimensioni massime sarebbero le seguenti : altezza, o diametro verticale mm. 45 larghezza, o diametro orizzontale antero-posteriore . » 45 spessore, o diametro orizzontale trasversale . . » 50. La pasta dell’aerolite è di colore grigio-cenerino; si osserva, ad occhio nudo, tutta disseminata di granellini lucenti con splen- dore metallico, di natura cristallina. I granellini a splendore metallico, che brillano su tutta la superficie di rottura della meteorite, hanno colore diverso; grigio del fiume Orati in Calabria, e si fa parola di altra, caduta fuor di To- rino al di là del Po, presso il convento dei Cappuccini nel 1782. Queste due cadute sono, peraltro, registrate nel catalogo del Kesselmeyer ( Ueber den Ursprung der Meteorsteine , 1860. Vedi pag. 45 ; 60, n. 24 e 27; pag. 110, n. 386 e pag. 112, n. 406). Nel Journal de Physique, de Chimie, d’Hist. naturelle, etc., t. LXVIII, Paris, mai 1809, pag. 401-408, trovasi pubblicata una lettera di Patrin, nella quale egli sostiene l’ipotesi della formazione nell’atmosfera, per azione chimica, delle meteoriti (Patrin E. M. L., Lettre à J.-C. Dela- métherie à Voccasion des pierres météoriques ou méthéorolites). (*) Nella tavola, che accompagna la presente memoria, la superficie di rottura é visibile nella figura superiore a destra di chi la guarda, mentre nella figura inferiore, ove non é visibile, si troverebbe a sinistra, subito dopo la linea di contorno a sinistra. Nelle due figure della suddetta tavola la meteorite non è orientata come si descrive nel testo. R. MELI 8S2 d’acciaio, giallo d’oro, giallo bronzino, ecc. (ferro nichelifero, ferro cromato, pirite, pirrotina, ecc.). Tali granellini sulla faccia di rottura recente si sono in qualche punto ossidati ed hanno prodotto alcune macchie brunastre di color di ruggine. La massa interna pietrosa ha una struttura quasi di gra- nelli, talvolta tendenti alla forma sferica (coudritica) e in qual- che punto ne presenta di piccolo diametro ('). Sotto la lente si riconoscono nella pasta piccole superficie di sfaldatura, lo che indica elementi cristallini (2); vi si osser- vano pure piccole cavità, irregolari, rivestite da eristalletti di aspetto metallico. Non vi ha traccia di struttura brecciata nella pasta della meteorite. Ad un esame macroscopico, ed a prima vista, la pasta interna sembrerebbe analoga a quella di un’arenaria, a minuta grana, cosparsa di cristallini di minerali d’aspetto me- tallico. Pesa grammi 131,55 ed ha la densità di 3,4198 determi- nata a circa 15,° con la bilancia idrostatica, una sol volta, poi- ché, l’interna struttura della pietra meteorica non essendo com- patta, ma minutamente porosa, assorbe acqua durante la sua immersione. Difatti, quantunque la pesata nell’acqua distillata si fosse fatta con una certa rapidità, tuttavia estratta la meteorite, asciut- tata, e subito ripesata, presentò un aumento sul peso, primiti- (') Come é noto, nelle condriti si volle riconoscere una struttura organica e furono giudicate quali organismi dall’Hahn (Hahn 0., Die Meteoriten und ihre Organismen, Tiibingen, 1880). Ma, Vogt C. (Sur les prétendus organismes des météorites, Généve, 1882) ed altri, sostennero la inesistenza di tali organismi. Ved. anche: Comptes rendus de VAcadém. des Sciences, Paris, voi. XCIII, juillet-décembre, 1881, pag. 1166-68. Ved. anche: Pfaff 1'. W., Bemerlcungen uber Chondriten und ihre Ent- stehung, Miinchen, 1901. (2) Come è noto, nella riproduzione artificiale delle meteoriti, Fouqué e Lévy ottennero, colla fusione, due tipi di aggregati cristallini, analoghi a talune meteoriti oligosideriti ; l’un tipo è senza feldspati, ma l’altro presenta prodotti feldspatici analoghi all’eukrite e all’howardite. (Fou- qué F., et Lévy M., Expériences synthétiques relatives a la reproduction artificielle des météorites. Nei Comptes-rendus hébd. de l’Acad. des Sciences, Paris, t XCIII, juillet-décembre, 1881, pag. 674-675). METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA 893 vamente determinato, essendo salito il suo peso da g. 131,55 a g. 133,20, con una differenza in più di g. 1,65, la quale cifra rappresenta la quantità d’acqua penetratavi per imbibizione. La densità della meteorite di Yaldinizza si avvicina a quella della meteorite caduta nel luglio 1889 ad Ergheo, che è di 3,31 f1), ed in generale è un poco superiore alla densità (') Intorno ad un meteorite caduto ad Ergheo, presso Brava nella penisola dei Somali. Relazione di E. Artini e G. Melzi, ne\V Esplora- zione Commerciale. Milano, fase, di dicembre 1898, con 3 tav. Vedi an- che: Rendiconti d. R. tst. Lombardo di Se. e Lett., serie II, voi. XXXI, 1898. Un articolo assai interessante, contenente: molte figure e citazioni bibliografiche; una rassegna degli elementi, finora ritrovati nelle meteo- riti ; un riassunto sulle specie minerali fino ad oggi constatatevi ed un cenno sopra le più importanti classifiche, é stampato nella Nuova En- ciclopedia di Chimica scientifica, tecnologica e industriale colle applica- zioni a tutte le industrie , eec., diretta dal Dott. Icilio Guareschi. Torino, Unione tipogr.-editrice, tuttora in corso di pubblicazione. Vedi dispense 120 e 121, le quali formano le dispense 2a e 3a del voi. IX ; pag. 44-81. Meteoriti. Interessante per la classifica è pure la pubblicazione di E A. Wul- fing, Die Meteoriten in Sammlungen, etc. Tùbingen, 1897. Vedi pag. 446 e seguenti. Parimenti importante é l’altra del Tschermak G., Beitrag zur Classification der Meteoriten. Sitzber. d. Wien. Akad., voi. LXXXVIII, 1883, pag. 357. Perii peso complessivo di parecchie meteoriti [tra le quali trovansi le meteoriti italiane di Alessandria nel Piemonte, caduta il 2 febbraio 1860, e quella di Motta dei Conti presso Casale nel Piemonte, caduta il 29 febbraio 1868] si può consultare l’altra pubblicazione del Vulfing, Ver- breitung und Wert der in Sammlungen aufòeivahrten Meteoriten. Stutt- gart, 1894. Nei Jahresheften des Vereins fur vaterl. Naturkunde in Wurttemberg. Annata 1895. E, per un catalogo delle meteoriti conosciute fino al 1888, si può vedere: Huntington 0. W., Catalogue of all recor ded Meteoriten. Nei Proceed. of American Acad. of Arts and Sciences, voi. XXXIII, 1888, pag. 37 a 110. Vedasi anche: Nevil Story-Maskelyne, Catalogue of tlie collection of meteorites erliibited in thè minerai depar tment of tlie British museum. London, 1875. Rizzatti Ferruccio, Contributo alla scienza dei meteoriti. Catalogo cronologico dei meteoriti visti cadere o scoperti dall’ anno 147 S av. Gr. al 1888. Faenza, tip. Sociale, 1889, in 8° di pag. 23. 894 R. MELI media delle pietre meteoriche, che, secondo Rizzatti, sarebbe di 3,1 C). In mancanza di una analisi chimica e, meglio ancora, di un’analisi meccanica, e petrografica, osserverò che per la sua densità la meteorite di Yaldinizza apparterrebbe al primo gruppo delle meteoriti, stabilito dal Daubrée, cioè, alle meteoriti allu- minose, la cui densità è compresa tra 3,0 e 3,5 (2). Le meteo- riti del tipo più comune sono le peridotiebe, la cui densità oscilla tra 3,5 e 3,8. Per quelle più ricche di ferro (fino ai ferri meteorici) si va da 6,5 a 7 (polisideriti) a 7,8 nelle sissideriti, ed 8 nelle olosideriti. Molte citazioni bibliografiche si trovano nelle note, collocate a piedi delle pagine nella memoria dello stesso Rizzatti, Le specie minerali nei meteoriti. Correggio, tip. Palazzi, 1891, in 4° di pag. 72. Un elenco di opere e di scritti sulle meteoriti trovasi stampata in Appendice all’altro libro del Rizzatti, Bai cielo alla terra (Torino, Bocca, 1906, in 12°, di pag. xvi e 200. Forma il voi. 117 della Piccola Biblio- teca di scienze moderne edita dai Fratelli Bocca), ved. pag. 191-200. Interessanti per le date delle cadute degli aeroliti sono i due re- centi lavori di Bornitz H., Die Meteoritenfàlle in Europa, Kleinasien und den afrikanisclien Kustengebieten am Mitéllàndischen Meere, geordnet nach der Ldndern d. Fundorte, Leipzig, 1903; Statistisches iiber die Meteoritenfàlle in Europa und den benachbarten Kustenlàndern Afrikas und Kleinasiens, Berlin, 1903. Altri lavori d’interesse generale sulle meteoriti, oltre quelli citati in questa memoria, sono quelli di Chladni E. F. F. (1794, 1819, 1826); Greg (1855); Rose G. (1862, 1863;; Shepard, Neiv classi fi cation of me- teorites. Nel Silliman’s american Journal, IIa serie, tom. XLIII, 1867; Reichenbach, Meunier Stanislas (1867, 1870, 1871, 1874, 1882, 1884, 1894, 1896,1902); Maskelyne (1875); Tschermak G.. Beitrag zur Classification der Meteoriten, Wien (1883); Cohen E., Meteoritenkunde (1894); Bre- zina A. e Cohen E., Die Struktur und Zusammensetzung d. Meteoreisen (1886-1905); Edwards T., Meteorites, their origin and composition, Lei- cester (1901). Meunier Stanislas, Be l’origine des météorites. Nel « Cosmos ». Bevue encyclopédique hebdomadaire, 3mesérie, tome V, 1869, 2e sémestre, pag. 633- 638,661-665, 689-696; Établissement des types des météorites. Nel «Cosmos» citato, 3me sèrie, tome VI, 1870, pag. 70-73, 95-98, 152-155, 186-188, 211-215: ved. anche l’articolo dello stesso autore, B'où viennent les météorites ? Nel «Cosmos» citato, 3m,! sèrie, tome VII, 1870, pag. 39-45. (‘) Rizzatti F., Bai cielo alla terra, Torino, Bocca, 1906, ved. pag. 71. (2) Daubrée A., Études synthétiques de géol. expérimentale. Paris, 1879, pag. 545. METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA 895 Anche la crosta esterna, nera, alquanto lucente, conferme- rebbe trattarsi per la meteorite di Valdinizza di una meteorite alluminosa, giacche le pietre meteoriche di questo tipo hanno la caratteristica di presentare la crosta lucente. La crosta esterna non è omogenea ; offre risalti ineguali e piccole sporgenze su tutta la sua superficie, non che sottili rughe, visibili sotto la lente e leggere depressioni. La crosta, per queste sottili rughe, ricorda in qualche punto la superficie della meteorite di Collescipoli presso Terni (3 feb- braio 1890), della quale è data la figura e la riproduzione della crosta con ingrandimento dal Brezina nel suo articolo : Meteorite^ in moderner lìep ro dui: t ions tecìm ile , stampato nella Oesterreichs Illustrierte Zeitung, di Vienna, 1905, dispensa 34, pag. 842, fig. 1 e 2. I piccoli rilievi, che si mostrano sulla crosta esterna, stanno in corrispondenza dei granellini di aspetto metallico, dissemi- nati nella pasta pietrosa della meteorite. Sulla superficie di fresca rottura presso il bordo esterno, si osserva in un punto che una parte della crosta nera di fusione ha penetrato un poco nel l’interno. Ho paragonato l’aspetto generale della crosta nera e la scabrezza della meteorite di Valdinizza con lo stato fisico pre- sentato dalle croste di alcune pietre meteoriche, che aveva nel Gabinetto di Mineralogia del R. Istituto Tecnico di Roma, o nella mia privata collezione, e li ho trovati uguali. II confronto fu eseguito su una delle tante pietre meteoriche, completa, cadute a Sielc presso Pultusk (30 gennaio 1868); sopra altra pietra, parimenti intera, caduta a Vinnebago Co. Jowa, negli Stati Uniti, della quale non conosco la data della caduta; e sopra frammenti con crosta delle pietre meteoriche di Alfianello (16 febbraio 1883) e di Collescipoli presso Terni (3 febbraio 1890) (' 1 ). (') Nell’analisi chimica di questa meteorite si sarebbe per la prima volta constatata la presenza del Pd, elemento, che in generale non è citato fra quelli finora ritrovati nelle meteoriti. Ved. Trottarelli G Analisi chimica dell’areolite caduto a Collescipoli presso Terni il 3 febbraio 1890. Nella Gazzetta chimica italiana. Anno XX, 1890, fase. X, pag. 611-615. Terrenzi G., L’aerolito di Collescipoli '{Terni). Nella Rivista ital. di 896 R. MELI Per l’aspetto della pasta interna, la meteorite di Yaldinizza è più ricca di particelle cristalline, di lucentezza metallica, dis- seminate nella pasta grigia, in confronto di quelle, molto più scarse, che si osservano nella pasta delle pietre meteoriche sopra citate, di Pultusk, Alfianello e Colleseipoli. La pietra meteorica di Yaldinizza agisce, ma debolmente, sull’ago magnetico. Salvo i risultati definitivi, che si avranno dall’analisi chi- mica e soprattutto dall’analisi meccanica, isolando con i liquidi titolati le particelle minerali di uguale densità, e dall’analisi microscopica, la meteorite di Yaldinizza mi sembra che potrebbe collocarsi al gruppo XY° della classifica proposta da Meunier per le meteoriti (*), cioè nelle Aimaliti, ossia, nelle meteoriti essenzialmente litoidi con piccoli, ma ben visibili e numerosi granuli metallici. E a questo gruppo che si riportano le meteo riti di Yago presso Verona (21 giugno 1668) di Cereseto (17 luglio 1840), di Monte Milone (8 maggio 1846), di Girgenti (10 febbraio 1853), di Senhadja presso Aumale nella provincia di Algeri (25 agosto 1865), di Danville nell’Alabama (Stati Uniti d'America, 27 novembre 1868), eco. Si conoscono parecchie meteoriti cadute nell’Italia settentrio- nale, Piemonte, Lombardia, Veneto, Modenese, Parmense, ecc., (2). Tra le meteoriti cadute in Lombardia (3) e nel Veneto, si possono ricordare quelle cadute a: scienze natur. e Bollett. d. Naturalista. Siena, anno N. marzo 1890, pag. 25-29. L’articolo fu riprodotto anche nella Rivista di Mineralogia e Cristallografia italiana diretta da R. Panebianco. Padova, 1890, voi. VI, fase. I li- VI, pag. 83,84: fu anche tradotto clal Senoner di Vienna e pubblicato nei Monadiche Mitili eilungen , di Frankfurt 1890. G) Meunier Stanislas, Etablissement des types des roches métécri- tiques. Nel Cosmos: 15 e 22 gennaio; 5, 12 e 19 febbraio 1870. (2) Per l’elenco delle meteoriti, cadute nella provincia di Roma e nell’Italia media, Toscana esclusa, può consultarsi l’altra mia nota: Sulla pretesa meteorite di Corchiano nella provincia di Roma. Nel Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, 1904. fase. Ili, pag. 487-496. (3) Valdinizza trovasi, come ho già avvertito di sopra, nell’attuale circoscrizione amministrativa della provincia di Pavia ; cpiindi sta oggi su territorio lombardo ; ma, geograficamente ed orograficamente, appar- tiene all’ Appennino settentrionale ligure-piacentino. METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA 897 1. Rivolta de’ Bassi a N. W. di Crema e ad E. di Milano (22 marzo 1491), citata da Kesselmeyer (‘). 2. Crema, presso l’Adda (4 settembre 1511) parimenti citata dallo stesso (2). 3. Calce nel Vicentino (7 luglio 1635). 4. Milano (1660) (3). (') Kesselmeyer P. A., Ueber clen Ur.sprung der Meteorsteine. Frankfurt a. M., 1860, in 4. Ved. pag. 59, n. 12. (2) Ibid., op. cit., pag, 59. n. 14. Neumayr M., nel capitolo Die Meteoriten (Erdgeschichte. Leipzig, 1887, voi. I, Allgemeine Geologie, pag. 99-116), scrive che la meteorite di Crema avrebbe nella sua caduta ucciso ud sacerdote. (Ved. anche Neumayr M., Storia della terra. Traduzione del prof. Lamberto Moschen. Torino, 1896, voi. I. pag. 100). Ciò é ripetuto anche dal Rizzarti, Dal cielo alla terra, Torino, 1906. (3) Il Bombicci per questa meteorite segna la data del 4 settembre 1650 - (Bombicci L., Corso di Mineralogia. IIa ediz , Bologna, 1873-75. Ved. Voi. 2. parte la. pag. 70). Così pure Rizzatti, Catalogo cronolog. ragionato, op. cit , pag. 10. n. 151, dà la stessa data, cioè 4 settembre 1650. La medesima data é segnata parimenti dal Rizzatti nell’altro suo lavoro Dal cielo alla terra, (Torino, 1906, ved. pag. 55), e vi è aggiunto che la meteorite nella caduta uccise un francescano. Di questa meteorite parlasi nel libro: Museo ò galeria adunata dal sapere e dallo studio del sig. Canonico Manfredo Settàla nobile milanese. Descritta in latino dal sig. dott. Fis. Coll. Paolo Maria Terzago et bora in italiano dal sig. Pietro Francesco Scarabelli dott. fis. di Voghera e dal medemo accresciuta. Tortona, per li Figlinoli del qd. Eliseo Viola, 1 666, in 8° picc. di pag. XII non numerate e 408 numerate. Nel cap. XVIII ( Della pietra folgore o sia Ceraunia, alle pag. 97-103), narra che un sasso caduto dall’aria uccise un Francescano di S. Maria della Pace in Milano e che dalla ferita fu estratta una pietra, del peso di un quarto d’oncia, che ei’a conservata nel museo Settàla in Milano. Dopo aver ricordata la meteorite di Ensisheim, caduta il 7 novem- bre 1492, di cui parla Conrado Gesner, accenna anche all’ipotesi, poi sostenuta da Laplace, che consimili pietre potessero essere lanciate dai monti della luna. Questa caduta della meteorite di Ensisheim (nel circolo di Gebweiler nell’Alta Alsazia) é ricordata dal Gesner. Conradi Gesneri, De rerum fossilimn, lapidum et gemmarum maxime, figuris et simili tu dinibus liber, non solum medicis, sed omnibus rerum naturae ac philologiae studiosis, utilis et iucundus futurus, Tiguri, 1565, in 16°. « Lapis e caelo delapsus, « anno salutis 1492, qui Ensishemii in tempio suspensus visitur, pondere »trecentarum librarmi) civilium, ut audio, (nisi forte iam imminutus est 898 R. MELI 5. Vago presso Caldiero nel Veronese (19, o 21, giugno 1668) (')• 6. Milano (17 luglio 1841) (2). 7. Trenzano presso Chiari nel Bresciano (12 novembre 1856). 8. Alfianello, tra Pontevico e Brescia, nella provincia di Cremona (16 febbraio 1883). Oltre queste cadute, Kesselmeyer dà indicazioni di altre occorse sul territorio Lombardo-veneto ; cita cioè, un bolide caduto a Milano il 28, o 29, giugno 1525; altro a Venezia il 14, o 15, settembre 1569 ed una grossa pietra a Vago all’E. di Verona il 21 giugno 1635, dubitando peraltro che possa esservi errore di anno con quella caduta nella predetta località nel 1668. » multis fragmenta auferentibus, etc.) ». Ved. il recto della pag. 66. Che poi si trattasse di una pietra meteorica e non di un ferro, si rileva chiara- mente dalle parole, che seguono nel verso del foglio 66, cioè: « Parti- » culam eius celeberrimus eius urbis medicus Ge. Pictorius ad me misit, » a saxo arenario duritie parum ditferentem ». Gesner deve parlare di questa meteorite anche nel libro: De coelo et de meteoris, Tiguri, 1586, che non ho potuto consultare. 11 libro sopracitato del Museo Settàla mi fu gentilmente indicato e prestato dal chiaro collega prof. Mario Cermenati, il quale lo aveva nella sua ricca Biblioteca naturalistica. Egli mi dette anche la notizia che il museo Settàla fu unito alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, ove forse potrebbe ritrovarsi la meteorite in parola. E infatti, appunto in questi giorni (nel pomeriggio del giorno 8 dicembre corrente) fu, con solennità, riaperto il Museo Settàla annesso alla Biblioteca Ambrosiana in Milano. (') Kesselmeyer P. A . Ueber d. Ursprung, op. cit., pag. 108, n 353. Ma, Buchner per questa meteorite segna la data del 19 o 21 luglio (Buchner O., Versuch , ecc., op. cit., pag. 12). Brezina segna il 21 giugno 1668, (Brezina A., Die Meteoritensammlung, op. cit., Annalen d. k. k. Naturh. Hofmuseums, pag. 298). (2) Buchner Otto, Versucli eines Quellenverzeichnisses zur Literatur uber Meteoriten. Frankfurt a. Mein, 1861, pag. 9: Kesselmeyer P. A., Ueber d. Ursprung, etc. pag. 61, n. 38. Si potrebbe anche citare, tra le meteoriti lombarde, quella caduta il 17 luglio 1840 a Cereseto. presso Ottiglio, a S-W. di Casale Monfer- rato in provincia di Alessandria (Piemonte), trovandosi la località di- stante di meno che 20 leghe da Locate, nel Milanese. È curioso che la data della caduta di questa meteorite (17 luglio 1840), sia la stessa, per il giorno ed il mese, di quella caduta un anno dopo a Milano, indicata sotto il numero 6 (17 luglio 1841). METEORITE CADUTA IN VALDINIZZA 899 Tra i ferri meteorici poi, le cui date di caduta sono sconosciute, ne menziona uno del peso di 200 a 300 libbre raccolto alla collina della Brianza presso Villa, a N. N-E. di Milano e di Monza (Kesselmeyer P. A., Ueber den Ursprung d. Meteorst., op. cit., pag. 102, n. 284; pag. 103, n. 296; pag. 106, n. 333; pag. 133, n. 674). Infine il Bombicci ( Corso di Mineralogia, op. cit., voi. II, pag. 70) indica ancora un’altra meteorite, caduta in Lombardia, cioè a Padova, nel 1510 (Q. Da ulteriori informazioni, ricevute dal prof. Mazza, mentre la presente nota era già tutta composta in tipografia, sembra assodato che la meteorite sia caduta, forse insieme ad altri fram- menti, nel tratto medio della vallata della Nizza, e precisamente su quell’area, che dagli abitanti della regione è indicata col nome di Valdinisza, nel senso ristretto, e che comprende i due abitati e le frazioni di Nizza, e gli altri di Monte, Poggio-ferrato, Costa, Solaro, Cassano, S. Albano di Bobbio, ecc. Questo tratto corrisponde, presso a poco, a quella superficie, sulla quale, nella carta dell’Istituto militare topografico di Firenze, nella scala di 1 a 25.000 (foglio 71 della Carta d'Italia, IV. S-E. Val di Nizza) è scritto Val di Nizza, le cui colline circostanti hanno una quota media di elevazione sui 500 m. (S. Albano ha 605 m. di quota). [ms. pres. il 20 agosto 1906 - ult. bozze 26 dicembre 1906]. (’) Fréret [Béflexions sur les prodiges rapportez dans les anciens. Mém. de littérature d. l’Acad. R. d. Inscript. et belles lettres, tom. IV, 1746, Paris, pag 411-436) cita una pioggia di pietre, circa 200 pezzi, avvenuta in Italia nel 1510. Buchner menziona ancora tra i globi di fuoco (Feuerkugeln) isolati (einzelne) una meteora ignea (non però meteorite) apparsa il 23 marzo 1866 a Pavia. Vedasi Buchner O., Zweites Quellenverzeichniss zur Literatur der Meteoriten - Ein Anhang zu Kesselmeyer, iiber d. Ursprung d. Meteorstein. Frankfurt, 1863, pag. 16. Ved. anche Sitzungs- bericht d. math. naturwiss. Klasse der Tc. Alcademie in Wìen, Voi. XX, pag. 540. • '• ■'il Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV (1906) (Meli) Tav XVII. La meteorite mostrante a destra la superficie di rottura. La stessa, vista posteriormente alla precedente figura. Meteorite caduta in Valdinizza (Pavia) il giorno 12 luglio 190} Scala : 9/J0 del vero. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXV Rer| diconti. PAG. Consiglio direttivo in Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società. ... iv Elenco dei soci iv Elenco dei cambi xm Resoconto dell’adunanza tenuta in Roma il 4 Marzo 1906 . . xix Appendice I. — G. Scarabelli Gommi Flamini. (Cenni ne- crologici) xxx » II. — G. Ristori. (Idem) xxxix » III. — G. Riagi. (Idem) xliv » IV. — G. JDewalque. (Idem) xlv » V. — Stella A. — Sui calcescisti della Valle di Furgen e sui gneis di M. Emilius e M. Rafré xlvi » VI. — De Marchi L. e Verri A. — Sulle frane di Orvieto XLVIII Resoconto delle adunanze ed escursioni della Società conve- nuta in Sestri Levante dal 9 al 13 Settembre 1906 . . . xlix Assemblea del 13 Settembre 1906 lxiii Appendice I. — Relazione delle escursioni lxix » II. — Ulderigo Rotti (Cenni necrologici) . . . lxxxiii » III. — Appunti di Geologia Umbra XCI Memorie. Fascicolo 1° (12 maggio 1906). Issel A. — Torriglia e il suo territorio 1 Toldo G. — Due pozzi artesiani di Lodi . 59 Martelli A. — Il miocene di Rerane nel Sangiacato di Novibazar 61 Sacco F. — La questione eo-miocenica dell’ Appennino . . . 65 Franchi S. — Il Trias a facies mista con calcescisti e pietre verdi nel versante Padano delle Alpi Liguri 128 Ricciardi L. — La chimica nella genesi e successione delle rocce eruttive 133 Novarese V. — La zona d’Ivrea 176 Neviani A. — Ostracodi delle sabbie postplioceniche di Cccr- rubare (Calabria) 181 Fascicolo 2° (22 agosto 1906). Checchia-R. G. — Sulla diffusione geol. delle Lepidocicline . 217 Vinassa de Regny P. — Sull’estensione del carbonifero supe- riore nelle Alpi Carniche 221 De Angelis d’Ossat G. — I veli acquiferi alla destra del Tevere presso Roma 233 Gortani M. — Sopra ale. foss. neocarb. delle Alpi Carniche . 257 902 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXV PAG. Flores E. — Su di un molare di Rhinoceros rinvenuto ad Iso- letta (Provincia di Caserta) 277 Martelli A. — Brachi opodi del Dogger montenegrino (tav. VI). 281 Napoli F. — Contr allo studio dei foraminiferi fossili dello strato di sabbie grigie alla Farnesina presso Poma (tav. I-V). 321 Gortani M. — Bibliografia geologica del Friuli (1737- 1005) . 377 De Stefani C. — La Valle Devero nelle Alpi Fermine ed il profilo del Sempione 411 Fascicolo 3° (19 gennaio 1907). Caneva G. — La fauna del calcare a Bellerophon (tav. IX). 427 Dainelli G. — Molluschi eocenici di Dalmazia (tav. VII) . 453 Capeder G. — Fibularidi del miocene medio di S. Gavino a mare (Portotorres) Sardegna (tav. X) 495 De Stefano G. — Sopra una tartaruga fossile della Francia meridionale (con cine figure) 535 Meli R. — Molluschi pliocenici rari, o non citati, delle col- line suburbane di Poma sulla riva destra del Tevere . . 543 Merciai G. — Escursioni ad alcuni ghiacciai norvegesi . . 583 Martelli A. — Su due mustelidi e un fetide del Pliocene to- scano (tav. Vili) 595 Fucini A. — Fauna della zona a Pentacrinus tuberculatus Miti, di Gerfalco in Toscana (tav. XI) 613 De Angelis d’Ossat G. — Il Miocene nel versante orientale della Montagna della Majella 655 Maddalena L. — Osservazioni geologiche sul Vicentino e in particolare sul Bacino del Posina (tav. XII-XVI) . . . £59 De Stefano G. — Sopra alcuni avanzi di vertebrati fossili conservati nel Museo civico eli Cremona 744 Ugolini R. — Rocce dioritiche di Suhi Vrlc nel Montenegro nord-orientale 749 Ugolini R. — Studio petrogr. di due arenarie del M. Bellini . 755 Ugolini R. — Sulla esistenza del Pecten Macphersoni Berg. nei terreni pliocenici del Piemonte 760 Neviani A. — Briozoi viventi e fossili illustrati da Ambro- gio Soldani nell’opera Testaceographia ac zoophytographia parva et microscopica (1789-1798) 765 Ugolini R. — Sopra alcuni Pettinidi di terr. mioc. italiani . 786 Pantanelli D. — Le origini del petrolio 795 Capeder G. — Sulla esistenza di antiche linee di spiaggia siolle rocce mioceniche nell’interno della Sardegna settentrionale. 803 VlNASSA de Regny P. — Fossili retici di Caprona .... 825 Matteucci R. V. — Appunti sull’ eruzione Vesuviana 1905-1906. 846 Tuccimei G. — Presenza del Manganese nei dintorni di Roma. 857 Roccati A. — Studio Petrografico della linea ferroviaria Mas- saua- Ghinda (Colonia Eritrea ) 863 Meli R. — Sopra una meteorite caduta in Valdinizza nella pro- vincia di Pavia (tav. XVII) 887 ERRATA-CORRIGE. Pag. lxviii. 12 riga, fotografico, leggi: petrografico. 5 5 JAN, 1908 AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografìa Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di ys di pagina per le note, e di nna pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per */2 foglio, L. 2; per ljA di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; così pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusioni di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. CONCORSI AI PREMI MOLON SESTO CONCORSO (rinnovato). A. Tema di Paleontologia. Studio di tossili, di località italiane, accompagnato da con- siderazioni sulla loro importanza in rapporto alla stratigrafia ed alla cronologia. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1308. B. Tema di Petrografia. Studio petrografico di roccie massiccie nei depositi filoniani o laecolitici, di località italiana, accompagnato da osservazioni relative ai rapporti colle roccie incassanti e da considerazioni cronologiche. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1908. SETTIMO CONCORSO. Tema di Geologia. Studio geo-tectonico di qualche gruppo montuoso italiano poco noto. Premio L. 2000 - Scadenza al 31 marzo 1908. N.B. Le norme sono le medesime usate nei precedenti concorsi. Finito di stampare il 19 gennaio 1907. Il Bolletti no della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile: Lucio Mazzuoli. i