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Invece avendo deposto nel giugno 1890, in uno stagno doppio del precedente, ma del resto in tutto simile ad esso, 3000 avannotti di Trota arcobaleno, questi, nutriti come i primi, nell’ottobre 1892 ave- vano raggiunto un peso medio di 5 a 600 grammi, ed alcuni ù superavano persino un chilogrammo (2). Il d’Audeville poi so- stiene (3) come i calcoli fatti dal Jousset de Bellesme, siano basati su dati erronei e in particolar modo sull’ipotesi inam- missibile che durante l’allevamento non si verifichi alcuna per- dita di uova o di avannotti. Più recentemente il de Marcillac scrive (4) d’aver fatto al dott. Jousset de Bellesme l’offerta di una esperienza comparativa, mettendo a sua disposizione due stagni della stessa natura, nei quali si sarebbe posto lo stesso numero di avannotti di Trota arcobaleno e di Salmone di Cali- fornia, ma che quegli lasciò cadere la proposta. I piscicoltori tedeschi sono, può dirsi, quasi tutti parti- giani della Trota arcobaleno, ed hanno, per lo contrario, smesso di occuparsi del Salmone di California. La Trota arcobaleno è raccomandata, con entusiasmo più o meno grande, per l'’ alle- vamento negli stagni e nelle acque a temperatura elevata, men- tre il Salmone di California fu dovunque abbandonato (5). Anche presso di noi la Trota arcobaleno ha fatto buona prova e lo hanno dimostrato gli splendidi esemplari di questa specie (1) Htangs et Rivières, Bulletin de Péche et de Pisciculture pratique, 1895, anno 8°, n. 1 e 15 maggio, 1 e 15 giugno e 1 luglio. (2) Loc. cit. 15 maggio 1895, p. 149. i (3) Loc. cit. 15 giugno 1895, pp. 193-194. (4) Loc, cit. 15 decembre 1895, p. 369. (5) Allgemeine Fischerei Zeitung, 1894, n. 23 (9 novembre) p. 407; 1895, n. 21 {9 ottobre) p. 379, e n. 22 (23 ottobre) p. 395. SALMONE DI CALIFORNIA 19 che la R. Stazione di piscicoltura di Brescia inviò all’Esposi- zione di Milano del 1894. Po To non ho sinora molta esperienza personale per ciò che riguarda la Trota arcobaleno; ne furono incubate nella Stazione di Roma 2000 uova, e gli avannotti ottenuti furono immessi nel lago di Castel Gandolfo, nell’ anno 1891; altri ve ne furono deposti nell’anno successivo, ottenuti da 60.000 uova incubate nel piccolo stabilimento di SSIS appartenente ai signori Duca di Gallese e Conte Frankenstein. Del risultato della prima semina non si ebbe notizia; solo nello scorso anno si pesca- rono parecchi individui giovani che evidentemente proveni- vano dall’immissione recentemente praticata. Per quanto puossi sinora argomentare, l’accrescimento è rapido anche in questa specie, poichè gli individui pescati avevano già raggiunto un peso di circa 200 gr. ed uno ne pesava ben 500. Fu consta- tato che questa specie, a differenza degli altri Salmonidi, resta presso le sponde del lago anche nel mese di agosto, quando la temperatura dell’acqua sale fino a 28° C. Di essa sarà ora proseguita la coltivazione sul lago di Castel Gandolfo, in luogo del Salmone di California, del quale’ dopo il 1893 non ven- nero fatte altre immissioni, sconsigliate specialmante dal sa- pore poco buono delle sue carni; però anche della Trota ar- cobaleno non è ad aspettarsi la riproduzione naturale. In questo dibattito tra il Salmone di California e la Trota ‘arcobaleno io non posso pronunziarmi, per la poca esperienza che, come già dissi, ho sinora intorno a quest’ultima. Per quanto riguarda il Salmone di California, mè pare poter con- cludere esservi stata esagerazione tanto da parte dei detrattori, quanto da quella degli ammiratori; infatti in esso lo sviluppo si mostra rapidissimo, malgrado sia stato affermato il contra- | rio, ma le sue carni, almeno nell’epoca in cui furono pescati, si trovarono assai cattive. Il risultato sarebbe forse migliore se gli individui fossero presi e mangiati prima di avere rag- giunto la maturità sessuale. È a mia conoscenza qualche altro tentativo, attualmente in corso, di allevamento di Salmone di California. Il Comitato provinciale di Vicenza della Società Regionale veneta per la pesca e l’acquicoltura ebbe nello scorso novembre dal Diret- 20 , D. VINCIGUERRA tore dell’acquario del Trocadero 2000 uova di questa specie, dalle quali si ricavarono circa 1000 avannotti, che il predetto Comitato si propone immettere in un laghetto privato, e col- tivarli per servirsene come riproduttori, ' e disseminare così. la specie nei corsi d’acqua della provincia di Vicenza(1). Il dott. Jousset de Bellesme inviò pure un migliaio di uova di | Salmone di California all’ing. B. D'Albertis di Genova, che ne destina gli avannotti ad un bacino di sua proprietà, si- tuato a Voltri, nella Riviera di ponente. Sarà assai interessante il seguire le fasi di questi due tentativi, che si propongono scopi diversi, perchè il primo tende a ripopolamento di acque pubbliche, l’altro ad allevamento in acque private: dai risul- tati che si otterranno noi potremo trarre dati sicuri per con- vincerci se il Salmone di California, malgrado il suo bello aspetto, la sua robustezza ed il suo rapido sviluppo, si debba definitivamente abbandonare anche da noi. (1) Relazione sulla coltura del Salmone Californiano, Neptunia n. 23, 15-30 dicembre 1895, pp. 240-243. a" i FARA a Ù : e: Ki bee CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE CON OSSERVAZIONI fatte specialmente attorno allo Stretto di Messina. Comunicazione del socio Professor G. ANGELI NI. Il fenomeno delle migrazioni ornitiche ha sempre viva- mente impressionato ed interessato gli osservatori della natura. L’arditezza dei viaggi di questi aerei pellegrini, la regolarità delle loro comparse, la costanza delle vie seguite, le variazioni annue in relazione colle diverse condizioni dei luoghi e delle ‘stagioni non possono lasciare indifferenti: cacciatori e natu- ralisti sì sono sforzati, ciascuno per proprio conto, di rintrac- ciare le cause e le leggi di fatti in apparenza così strani e misteriosi; ma è d’uopo confessare che fra le osservazioni e deduzioni loro esistono molte incertezze e contraddizioni. Ciò sta ad indicare che il fenomeno non è così semplice, come a prima giunta si potrebbe credere: tuttavia esso non può essere posto in chiaro che mercè il contributo di molti, che me- diante il concorso di osservazioni particolari, spregiudicate e coscienziose. e Fino a non molto tempo addietro quasi nulla si conosceva intorno alle migrazioni ornitiche: dopo i primi studi del Pal- las e del Temminck, le osservazioni del Radde, del Midden- dorf, del Baird, del Sundenwal, e per noi specialmente, del Palmèn e del Seebom, hanno portato un po’ di luce sull’argo- mento. Per l'Europa possiamo dire che le-linee generali delle migrazioni sono tracciate. | Ormai si.sa che in autunno dalle coste della Groenlandia, passando per l’Islanda e le Ferde, numerose schiere di gralle e di palmipedi giungono sulle coste britanniche, mentre altre, dirigendosi più verso oriente, approdano alle rive’ della Nor- vegia. Un’ altra grande corrente, costeggiando la Siberia verso ovest ed attraversando la paludosa Finlandia, sparge i migra- tori sulle due rive del golfo di Botnia e del Baltico, che essi seguono in discesa, per poi attraversare la Danimarca, e quivi (n) (4°) G. ANGELINI congiungersi ai fiancheggiatori delle rive occidentali della Pe- nisola scandinava. Lungo la costa germanica e neerlandese prosegue il grosso delle due falangi unite, riducendosi così in fondo al Mare del Nord, da dove entra nella Manica, ulterior- mente ingrossato dalle file discese lungo le coste britanniche, per poi, seguendo le rive occidentali della Francia e della Spagna, raggiungere quelle dell’Africa, e spingersi anche fino al Capo di Buona Speranza. Grande animazione si produce nei punti d’incrocio di diverse vie, e grande attrattiva esercitano sui migratori litoranei le vaste paludi, che si stendono attorno alle bocche del Reno: quivi sogliono far sosta, e poscia, per proseguire, molti, specialmente con tempi burrascosi; preferi- scono all’aperto mare la via più riparata del Reno, che risal- gono fino a Basilea, e poi, girando a Ponente, entrano nelle vallate della Saòne e del Rodano, che li ina di nuovo sul mare nel Golfo di Lione. Altri invece continuano a risalire il Reno ed i suoi affluenti, da cui passano sui laghi della Sviz- zera, dove si trattengono più o meno, secondo l'andamento della stagione. .La valle del Rodano segna pure la via ordi- naria degli stormi, che sostarono sul Lago Lemano, e di quelli, che imboccando le foci della Mosa, della Senna e della Loira, ne rimontarono i corsi: è quindi quello del Rodano uno sbocco assal importante. A questo punto le schiere si dividono, pas- sando parte a Ponente e parte a Levante: e quelle raggiun- gono l'Algeria toccando le Baleari, ovvero bordeggiando la Spagna; mentre queste si dirigono alla Tunisia radendo la Corsica e la Sardegna, ovvero alla Tripolitania, seguendo le | spiaggie tirreniche, le sicule orientali e Malta. Altre due importanti vie guidano invece i migratori nella | valle del Po e lungo le rive adriatiche. Una è quella tenuta ‘ dai viaggiatori, che si soffermarono sul Lago di Costanza; essi risalgono ancora il Reno, che li conduce al Passo dello Spluga, donde. scendono poi al Lago di Como. L’altra è la via del- l’Inn, che guida i migratori nell’Engadina, e di là, per il Passo del Maloja, in Val Bregaglia, ovvero nella Val d'Adige. Son questi frazioni staccate delle schiere, le quali, prima di giun- gere alle bocche del Reno, penetrarono nelle valli del ‘Weser e dell’Elba, e raggiunsero in seguito il corso del Danubio. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE R9 Anche la gran Pianura padana così ubertosa, così ricca di fiumi e canali, di laghi e di paludi, ne induce molti a fer- marsi: gli altri, proseguendo verso oriente, riguadagnano no- vellamente il mare, e, discendendo lungo la costa adriatica, vanno ad ingrossare le falangi dei migratori diretti alle splag- gie africane. Probabilmente aggiungonsi ad essi anche altri individui, che seguendo i corsi della Drava e della Sava, e sorvolando le basse regioni della Schiavonia e della Croazia e poscia il mare, abbandonarono la valle del Danubio per por- tarsi verso occidente (1). Così nel tempo del passo la nostra Penisola è bordeggiata ai due lati dalle torme migranti, e solo una piccolissima parte di queste correnti costiere passa, direi quasi per rigurgito, nelle paludi del nostro litorale, ovvero, incanalandosi su pei fiumi, raggiunge i laghi dell'interno. Quanto precede vale, come si disse, per gli uccelli acqua- tici, i quali non possono allontanarsi dalle acque; gli uccelli di ripa seguono in generale le stesse vie principali, ma essi sono meno ligi dei primi al liquido elemento, e spesso alle rive del mare preferiscono il corso dei fiumi e le acque in- terne, e sorvolano senza difficoltà estesi tratti asciutti ed ele- vate montagne (2). Più terrestri ancora e molto più numerose sono le vie, che tengono gli uccelli campestri e silvani: an- ch’ essi però seguono di preferenza i litorali 6 le vallate dei fiumi, ed approfittano dei valichi alpestri più bassi, che di- ventano così il punto d’incrocio di più vie. La direzione delle valli, i venti dominanti, la qualità della vegetazione, la fre- (1) Un’altra via importante per i migratori, che si mostrano in Eu- ropa, è pur quella dell’Obi: penetrati nel Golfo omonimo risalgono il corso del fiume, ed imboccano poi in parte la valle del Tobol, da cui, seguendo successivamente l’Ural, il Volga ed il Don, arrivano al nord del Mar Nero. Di qui una porzione passa per la Grecia, mentre l’altra raggiunge l'Egitto lungo le coste orientali del Mediterraneo. (2) Ciò fanno, per abbreviare la via, specialmente le specie più grosse e robuste, e che migrano in branchi; eccezionalmente anche individui iso- lati di specie a volo debole. So di Folaghe trovate a notevole altezza in boschi di montagna, ed una ve ne incontrai io stesso, che si lasciò pren- dere viva dal cane: trovai pure un Voltolino in una selva di faggi presso la cima del monte Carpegna, a più di mille metri sul livello del mare. (4) 4 G. ANGELINI quenza dell’acqua e la solitudine dei Inoghi rendono comples- sivamente ragione dei posti prescelti dalle diverse specie per transitare e per soffermarsi. In relazione colle loro diverse. abitudini, essi cercano nei loro tragitti di tenere quelle vie, che sono più comode, e lungo le quali possono più facilmente trovare cibo, difesa e riposo. È certo che le migrazioni non avvengono con eguale abbondanza tutti gli anni: questo può dipendere in parte dalla, riproduzione, che non è egualmente favorita tutti gli anni dalla stagione, ma più ancora dalle condizioni meteoriche, fisi-- che e biotiche annualmente variabili dei luoghi di residenza, e dal fatto che delle diverse vie non sempre le stesse sono le più frequentate. Può inoltre intervenire un errore di apprez- zamento : non sempre infatti l’entità delle avvenute catture è una giusta prova dell’intensità della migrazione. Molte specie passano di notte e, con tempi tranquilli, molto alti, e possono sfuggire all’osservazione : alle volte il passo è precoce, lento e continuato ; altre volte ritardato assai, poi, al sopraggiungere di un improvviso cambiamento atmosferico, straordinariamente affollato e di breve durata: gli uccelli passano,. ma, incalzati dalla burrasca, a nulla badano, evitando così le insidie: in certi anni le condizioni dei luoghi di transito invitano i mi- gratori a fermarsi; in altri invece l’aridità del suolo, o la mancanza dell'alimento li fa passar oltre in cerca di stazioni migliori. Quest’ ultima causa esercita forse maggior influenza di quanto si creda: chiunque ha battuto selve e paludi a scopo di caccia avrà osservato che vi sono delle differenze annuali circa i punti di una data regione preferiti dalla selvaggina ; tutti oli anni dove si fermarono i primi, fan sosta anche gli altri, e i nuovi arrivati vengono a prendere il posto di quelli già partiti od uccisi, come se fossero guidati da un arcano intuito. ; i Anche la stagione più o meno inoltrata, nella quale av- viene il forte della migrazione, può influire sulla scelta del- l'itinerario. Fintantochè non si pon mente ad altro che alle oscillazioni annuali nell’intensità dei passaggi, esse restano un’ enigma: se ne incomincia a capir qualche cosa quando vengono studiate in relazione alle condizioni topografiche e CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 25 meteorologiche. Per queste ultime poi non basta notar quelle che accompagnano il passaggio; bisogna anche tener conto di quelle che lo precedettero, e di quelle che lo seguono. Ma neppur questo è sufficiente: i movimenti delle masse migra- trici sono determinati da ciò che succede, non nei paesi di traversata o di destinazione, ma in quelli di partenza. Ve- diamo che spesso lo spirare di un vento favorevole, una forte burrasca, un improvviso abbassamento di temperatura non è accompagnato da alcun movimento di uccelli : altre volte in- vece passaggi abbondanti si verificano con deboli turbamenti atmosferici, o anche senza apparente cambiamento di tempo, e perfino con venti che si direbbero sfavorevoli. Ma non bi- sogna dimenticare che delle perturbazioni atmosferiche, talora anche intense, si limitano ad aree ristrette, ed in una di que- ste può trovarsi il luogo di osservazione; mentre, per contra- rio, altri sconcerti ben più importanti ed estesi possono pro- dursi altrove, e farsi avvertire da noi soltanto debolmente od anche non affatto, Il filo elettrico, che ora collega fra loro tanti punti d'Europa, rendendoci conto giornalmente dello stato meteorologico dei diversi paesi, della posizione delle aree di alta e bassa pressione, e delle correnti atmosferiche prevalenti e probabili, può esserci di grande aiuto per risolvere i. pro- blemi delle migrazioni ornitiche. Anche i cicloni dell'Atlantico apparvero misteriose meteore, di un arrivo capriccioso ed im- prevedibile sulle coste europee: ora, mercè lo studio. delle con- dizioni atmosferiche fatto là, dove si generano, se ne spiega l’origine ed il percorso, e se ne prevede con molta approssi- mazione l’arrivo. Gli uccelli non sono esseri capricciosi, ed anche nelle apparenti anomalie delle loro migrazioni, obbedi- scono a leggi naturali determinate: gli atti della loro vita sono la conseguenza di cause esteriori, che agiscono, od hanno agito in altri tempi sul loro organismo. Gli uccelli, che pas- sano da noi, sono quelli che hanno stazionato in altri paesi; e se vogliamo farci un’ idea delle cause prossime, clie determi- nano i loro viaggi, dobbiamo osservare quello che avviene da noi in occasione della partenza delle nostre specie estive ed invernali, e ci sarà facile constatare che le subitanee scom- parse, le grandi partenze in massa coincidono sempre con qual- 26 G. ANGELINI che notevole cambiamento atmosferido. Si suol credere e dire da molti che gli uccelli presentono i mutamenti del tempo; ma ciò non si può ammettere in una maniera assoluta. Infatti, se è vero che essi talora precedono le burrasche, è pur vero che spesso arrivano con queste, e spesso anche dopo; e tut-. altro che raro è il caso che, sorpresi per via, restino dalle tempeste sviati, dispersi ed annientati. Se dunque gli uccelli avessero la facoltà di prevederle, dovrebbero prevederle sem- pre. E poi, anche quando arrivano prima, chi è che ci assicura che, partiti al sopraggiungere del mal tempo, non abbiano poi viaggiato alla nostra volta più celeramente di questo ? Tutta- via non si può escludere addirittura che certi animali, tra cui non ultimi gli uccelli, abbiano per le variazioni dell'ambiente una sensibilità più squisita di quella che possediamo noi, come ci dimostrano taluni fatti, ad esempio la inquietudine, di cui danno prova nell’imminenza dei forti terremoti. Anormali mutamenti di temperatura, e le burrasche pro- venienti dalla parte dove i migratori son diretti, hanno per effetto di arrestarne immediatamente la marcia, ed anche di farli retrocedere, e non solo mentre si trovano ancora per via, ma anche dopo aver raggiunto quelle sedi, che segnano la meta del loro viaggio. Tale è il caso dei Rondoni a Firenze citato dal Sig. Roster nel Kesoconto dell’Inchiesta ornitol. tt. (parte 3° pag. 228): il fatto non è punto raro, e potrei citare io stesso esempi consimili. Un altro fenomeno notevole nella migrazione degli uccelli è questo, che parecchie specie seguono nei due viaggi vie di- verse: così da noi talune specie si mostrano quasi solo in pri- mavera: qualcha altra segue in autunno le rive adriatiche, e in primavera quelle tirrene: la maggioranza poi degli uccelli campestri e silvani viaggia in autunno prevalentemente da N.-E. a S.-0. traversando obliquamente la nostra penisola, mentre in primavera seguono piuttosto la linea litoranea (1). Non è facile di rendersi ragione di queste differenze: la di- (1) Analoghe differenze si riscontrerebbero in America: secondo le osservazioni del Baird, i migratori in primavera prendono volontieri la via interna del Mississipi, mentre in autunno preferiscono costeggiare l'Atlantico» CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 27 versa posizione del punto di partenza e di quello che è meta del loro viaggio (1), il predominio di diverse correnti atmo- sferiche, le diverse condizioni dei luoghi nelle due diverse stagioni (2), la speciale direzione delle vallate ecc. (3), possono rendercene ragione fino ad un certo punto. Fors’ anche le con- dizioni geografiche d’altri tempi influirono sulle attuali abitu- dini degli uccelli, e, non solo originarono in essi l’ istinto delle | migrazioni, ma eziandio fissarono i loro itinerari. Così si spie- gherebbe, secondo il Prof. Zschokke (4), perchè le schiere, che nidificarono sulle coste della Groenlandia, piuttosto che verso l'America, si dirigano in autunno verso l'Europa, e perchè la più parte dei migratori, che toccano la Sicilia, alla via più breve e più sicura di Tunisi preferiscano quella di Malta e Tripoli. Notevole impulso ebbero gli studi intorno all’oscuro ed intricato problema delle”migrazioni ornitiche dalle decisioni prese al primo Congresso ornitologico internazionale tenutosi a Vienna già da oltre un decennio (Aprile 1884) e dalla con- seguente inchiesta ornitologica organizzata per l’Italia dal chia- rissimo prof. Giglioli. È però a lamentare che qui da noi non appena prodotti i primi frutti l’utile istituzione abbia dovuto essere arrestata nel suo sviluppo. Nella messe di osservazioni raccolte domina una certa uniformità, che accenna a leggi generali, ma nello stesso tempo vi sono anche molte discre- (1) Toccata che hanno l'Africa, i migratori si spargono su quel con- tinente percorrendolo estesamente, e portandosi talora molto lontano dal loro punto di approdo; è quindi probabile che sia questa una delle ragioni per cui certe specie trovano più comodo tenere nel ritorno altra via. (2) Così l'Eudromias morinellus, meno raro da noi di quel che si creda, passa in autunno molto alto, e si ferma anche a lungo sulle cime più elevate dell'Appennino, dove son praterie: più centinaia ne ho uccisi nelle mie caccie giovanili sulla vetta del Monte Carpegna, nelle Marche. In Marzo non ve se ne vede alcuno, perchè, anche quando quei prati sono li- beri dalla neve, vi mancano gli acridéi, che, abbondantissimi in Agosto e Settembre, formano il suo cibo quasi esclusivo. (3) Numerose valli si aprono sul litorale adriatico con direzione da Nord-Est a Sud-Ovest. . (4) Vedi Relazioni sulle migrazioni, presentata alla Soc. ornitol. di Basilea. 28 G. ANGELINI panze, che sembrano inesplicabili contraddizioni. Dico, sem- brano, perchè nella più parte dei casi, non essendovi ragione. di attribuirle ad errori di osservazione, debbono dipendere da imperfetta conoscenza delle cause, e dei rapporti che passano fra cause ed effetti. Perciò occorre avere parecchie e ripetute osservazioni da paragonare tra loro, e tener conto anche delle cause che esercitarono la loro inflvenza nei tratti anteriori del viaggio : la risoluzione dei singoli problemi particolari condurrà a poco a poco alla conoscenza delle leggi, che oe l’im-. portante fenomeno delle migrazioni. i Luoghi specialmente adatti per questo genere di osserva- zioni sono, come giustamente afferma il prof. Giglioli, « i va- lichi alpini ed appenninici, i promontori sporgenti in mare e le isole staccate ». Avendo io avuto occasione di passare circa sei anni in una residenza di tal genere, cioè a Messina, ho pensato di far note quelle osservazioni che ho potuto fare spe- cialmente nelle vicinanze del Capo Peloro, spendendovi buona parte del tempo che mi lasciava libero il disimpegno dei miei doveri. Qualunque ne sia il valore, saranno anch’ esse una pietruzza per il nascente edificio; esse varranno se non altro a dimostrare che non restai del tutto inoperoso, e ad attestare il desiderio, che avrei, di poter contribuire più efficacemente al progresso di questi studi. Come posizione, ‘il territorio di Messina sarebbe molto adatto per questo genere di ricerche; però in generale le con- dizioni del suolo non sono molto favorevoli per richiamare e trattenere i migratori. Inoltre la popolazione vi è molto densa, e possiede per la caccia una vera mania. Presso l'estrema punta dell’isola esistono due laghetti d’acqua salsa, quello di Ganzirri e quello del Faro, in parte attorniati dalle case dei due villaggi omonimi: se un uccello vi comparisce, prima an- cora che posi il piede viene ucciso o posto in fuga. La zona litorale piana è strettissima, tutta coltivata, e dal lato di terra. fiancheggiata da case: ai piedi delle colline si stendono agru- meti e vigneti; viti ed ulivi vestono i fianchi dei colli, e nei punti più aspri e rocciosi s'inerpica il fico d’India. I tratti più pianeggianti sono coltivati a grano con qualche carrubbo e qualche albero da frutta. Le parti più elevate delle colline, CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 29 che a ridosso di Messina: sì ergono a 700 e più metri sul li- . vello del mare, son foderate da scopeti e da felceti. Qualche castagneto ceduo, qualche raro gruppo di pini, cespuglieti di quercie e corbezzoli nei luoghi più dirupati e scoscesi, rappre- sentano la sola vegetazione d’alto fusto, misero avanzo delle ricche selve di tempi remoti. Sugli altipiani bellissimi del Faro Superiore, di Castanèa e delle Masse vedonsi dove vi- gneti, e dove campi di grano, di sulla e di lupini. Larghi e profondi burroni solcano i fianchi delle colline: sono le così dette fiumare, letti arenosi di torrenti quasi sempre asciutti, che servono di strada per salire ai colli. Una bella e grande prateria, il Piano di S. Ranieri, si stende su quella lingua falciforme di terra, che fa da molo naturale al porto di Mes- sina, l'antica Zancle. Fino a non molti anni addietro quel braccio proteso in mare, in gran parte acquitrinoso e coperto di giunchi, pareva fatto a posta per invitare gli uccelli mi- gratori ad una sosta: ed infatti essi vi scendevano numerosi, e pressochè di ogni specie, sopratutto nei tempi burrascosi. Oggi quel piano è quasi del tutto prosciugato, e la sua quiete del continuo turbata dalle esercitazioni militari. Dal vecchic custode del fanale alla Punta Secca potei avere informazioni sull’abbondanza dei tempi scorsi, e sulle belle. prede da lui fatte quasi senza uscire di casa: certamente questo piano e la punta del Faro sarebbero, se vi regnasse un po’ di tran- quillità, due stazioni stupende per lo studio delle migrazioni. Nei primi tempi del mio soggiorno a Messina, cioè otto anni addietro, le condizioni del Piano di S. Ranieri erano alquanto migliori di ora, ed inoltre era facile ottenere dal comando militare, da cui dipende, un permesso speciale per accedervi col fucile: ed io ne approfittai, recandomici dall’ot- tobre al luglio infallibilmente ogni mattina per tempissimo, e talora nei giorni più burraseosi tornandovi anche la sera, al- meno per assumere informazioni sulle sorti della giornata. Negli anni successivi ho fatto frequenti escursioni in altri punti dell’isola, e specialmente sulle coste della prossima Ca- labria. In tal modo, osservando ed interrogando, ho potuto formarmi un’ idea delle condizioni della selvaggina, e del passo degli uccelli in quella interessante regione. ISTITUTO Z00LOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA | Diretto dal Prof. A. CARRUCCIO SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII ED OFIDID) RACCOLTI PRESSO TRIPOLI pel Dott. MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA ‘Comunicazione alla Società Romana per gli Studi Zoologici Il signor Antonio Balboni, insegnante nelle scuole italiane di Tripoli cedeva nell’agosto 1895 al Ministero della Pubblica Istruzione, dietro parere favorevole del Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Roma, una piccola raccolta di Rettili da lui presi in varie escursioni fatte presso i da di quella città. Il Ministero, alla sua volta, si affrettava a destinarla al predetto nostro Museo, ed a me il Direttore, prof. Carruccio, dava incarico di studiare le diverse specie di Saurii e di Ofidii. Volentieri mi accinsi al lavoro di determinazione Li del quale ora do conto. La collezione è piccola, come ho detto, e non presenta delle specie nuove; pur nondimeno è per noi interessante .e perchè accresce la nuova collezione erpetologica sorta dopo il 1334, e perchè comprende talun genere (Stenodactylus), e parecchie specie (Agama inermis, Acanthodactylus scutellatus) che in Roma ci marcavano. Gli esemplari, che ho determinato, sono 62; e di essi. 22 si riferiscono all’ Ord. Ophidia e 40 all’Ord. Sauria. In tutto formano dodici specie. Maggiore interesse poi deriva da ciò, che la fauna erpe- tologica della Tripolitania è pochissimo conosciuta, sopratutto quella della parte occidentale di questa regione. Avendo avuto vivi per parecchi mesi la maggior. parte degli animali, è. stato facile studiarne esattamente i caratteri esterni, e sopratutto la colorazione, la quale si modifica mol- SOVRA DIVERSE. SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDI!) SI tissimo negli esemplari conservati in alcool, o, come per eco- nomia suol farsi adesso, in soluzione di formalina. Il discreto numero di esemplari relativi a ciascuna specie mi ha permesso talvolta fare delle osservazioni comparative riguardo sopratutto al colorito, sulle modificazioni del quale parecchi reputati scrittori, e principalmente Dumeril e Bi- bron, si sono basati per costituire delle varietà, che non sem- pre hanno ragione di esistere, e che implicano piuttosto ca- ratteri riferentisi all’età. La zona settentrionale dell’Africa, bagnata dalle acque del Mediterraneo, è la parte del continente africano meglio cono- sciuta sotto il punto di vista della fauna erpetologica; non però tutta quella grande estensione, che da Tangeri si pro- lunga ad Alessandria, sibbene il Marocco, l'Algeria e la Tunisia. Le prime notizie sui Rettili dell'Algeria le abbiamo avute da J. Shaw nel 1738 (1), e nel 1789 da Poiret (2), il quale, reduce da un viaggio in Barbaria, pubblicò un breve catalogo dei Rettili di quella contrada: alle otto specie, date dal pre- cedente autore. ne aggiunse altre cinque, dandoci così un to- .. tale di dodici specie, costituito da un solo Chelonio e da undici Sauril. | x Più tardi il Rozet (8), nella relazione di un suo viaggio alla Reggenza di Algeri, dette conoscenza di un Saurio e di quattro Offdii non ricordati dai precedenti autori, fra cui una Vipera (V. daboja Lacép.), che il Boulenger (4) con probabilità rife- risce alla V. lebetina L., specie ch'egli ha trovato mancante nella fauna algerina. Just (1) Saaw J. — Travels, or observations relating to several parts of Barbary and the Levant. Oxford, 1738, 4to. (2) PorreTt. — Voyage en Barbarie. Paris, 1789, 8vo: (3) Rozat M. — Voyage dans la Régence d’Alger. Paris, 1833, Svo. (4) BouLENGER G. A. — Catologue of the Reptiles and Batrachians of Barbary (Marocco, Algeria, Tunisia), based chiefly upon the Notes and Collections made în 1880-1884 by M. Fernand Lataste, Trausactions of the Zoological Society of London, vol. XIII, part. 3, p. 98, London, 1891. 32 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA Il Gervais (1) nel 1886 pubblicò un catalogo di 27 Rettili provenienti dal Marocco e dalla provincia di Algeri. Le specie, da lui aggiunte a quelle che comoscevansi per precedenti lavori, sono 13; esse però si riducono a 5 solamente, se si tiene conto ch’ egli confuse la Testudo marginata Schoepff con la Testudo :bera, e che le specie date come Anguis fragilis L., A. punta- tissimum Bibr., Pseudopus serpentinus Merr., e probabilmente Coluber Agassizii Mich., si basano, come fa osservare il Boulen- ger, sopra erronee indicazioni di località. À questo primo lavoro il medesimo autore ne fece seguire un secondo (2), e poi un terzo (3), ma esclusivi per l'Algeria, nei quali in complesso elencò altre 17 specie nuove per quella località. Un valevole contributo alla conoscenza della fauna erpeto- | logica algerina troviamo negli importanti lavori di Tristram (4), Strauch (5), Boettger (6) e Lataste (7), ciascuno dei quali ag- giunse delle specie prima non ricordate. Quest’ ultimo, inoltre, . ebbe il merito di dare conoscenze esatte e complete, identifi- cando specie prima considerate distinte, separandone altre prima | confuse, scoprendone delle nuove e dando notizie Patio size glate ull'aozii Fra le pubblicazioni posteriori merita speciale menzione la splendida monografia del Boulenger (8) sui Rettili e Batraci (1) GeRvAIS P. — Enumeration de quelques espèces de Reptiles pro- venant de Barbarie. Ann. Sci. Nat. (2) vi, 1836, pag. 308-313. (2) GeRrvaISs P. — Sur les anîimaux vertebres de l’Algérie, Ann. Sc. Nat. (3) X. 1848, pp. 204-205. (3) GERVAIS P. — Sur quelques Ophidiens de lAlgerie, Mém. Ac. Sc. Montpellier, iii, 1857, pp. 511-512. (4) TRISTRAM H. B. — The Great Sahara: Wanderings South of the Atlas Mountains. London, 1860, 8vo. (5) StraUcH A. — Essai d’une Erpétologie de 0 Algérie, Mém. Ac. St. Pétersb. (7) iv. no. 7, 1862, 86 pp. (6) BoeTtTGER 0. — Liste der von Herrh Dr. W. Kobelt in der Prov. Oran, Algerien, gesammelten Kriechthiere. Ber. Senclkenb. Ges. 1880-81, pp. 145-147. (7) LatAsTE F. — Description de Reptiles nouveaux d'Algeri ie. Le Naturaliste, i. 1880 and 1881. (8) BouLENGER G. A. — Mem. cit. pp. 93-164. LAV APE | SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) Bo) della Barbaria, ove per la provincia di Algeri dà un elenco di 47 specie di Rettili; e quella recentissima di Olivier (1) -sul- l’Erpetologia algerina, la quale, . ‘come risulta da studî da lui fatti sopra animali in massima parte da lui stesso raccolti in quattro diversi soggiorni in quella colonia francese, comprende 61 specie certe: di queste 5 sono Chelonii, 37 Saurii e 19 Ofidii. Tutti i lavori citati, e non parlo di altri che consultai ma non cito per brevità, si riferiscono esclusivamente ai Rettili del- l'Algeria, ad eccezione del primo lavoro del Gervais, nel quale contemporaneamente si fa cenno di pochissime specie appar- tenenti al Marocco. La fauna di questa regione, malgrado gli studî di parecchi zoologi, è rimasta poco conosciuta, special- mente quella che si riferisce al Distretto Marocchino; non al- irettanto puossi dire del Distretto Tangitaniano, di quella parte cioè del Marocco, che comprende le città di Tangeri, Centa e Tetuan. Il Boettger (2) fu il primo ad occuparsi della fauna er- | petologica del Marocco, e nel 1874 pubblicò un elenco ragionato, nel quale descrisse 19 Rettili, che, aggiunti ai pochi già cono- sciuti per mezzo del Gervais, o dei quali si aveva conoscenza per le opere generali, formarono un complessivo di 24 ‘specie, Nove anni dopo, lo stesso autore (3) ritornò sul medesimo argo- mento, e, basandosi principalmente su collezioni raccolte da Quedenfeldt e Kobelt, portò a 41 i Rettili e gli Anfibî. Forse la cifra è esagerata, perchè, stando a quanto afferma Boulen- | ger (4), bisognerebbe radiare quattro specie elencate per isbaglio nella fauna marocchina. (1) OLivier E. — Herpetologie algérienne ou Catalogue raisonné des Reptiles et des Batraciens observés jusqu'a ce jour en Algéerie. Mé-, - moires de la Société Zoologique de France, Ann. 1894, tom. VII pp. 98-131. (2) BortTcER 0. — Reptilien von Marocco und von den Cana- rischen Inseln. — 1. Uebersicht der von den Herren Dr. C. von Fritsch und Dr. J. J. Rein im Jahre 1872 in Marocco Gesammelten Reptilien. Abh. Senckenb. Ges. ix. 1874, pp. 121-170, pl. i. (3) BoeTtTGER O. — Die Reptilien und Amphibien von Marocco, II, . Abh, Senckenb. Ges. Xitî, 1883, pp. 93-146, pl. i. (4) BouLengER G. A. — Mem. cit. p. 103, n. 19. Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 3 34 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA | . Il Boulenger (1) nel 1889 dà un primo catalogo di 23 Ret- tili, raccolti nel Marocco nelle vicinanze di Tangeri da Henry Vaucher; e due anni dopo, nella sua importantissima monografia | più volte ricordata sui Rettili e Batraci della Barbaria, enu- mera per tutto il Marocco 31 Rettili, dei quali 11 proprî del Distretto Marocchino, 5 del Distretto Tangitaniano e 15 co- . muni ad entrambi. Pure incomplete sono le conoscenze che possediamo intorno alla fauna erpetologica della Tunisia: manchiamo di un lavoro esclusivo a questa regione, e le nozioni, che la riguardano, sono contenute nelle pubblicazioni di Lataste (2), che da un elenco di 22 specie raccolte dalla spedizione di Roudaire nella Tuni- sia del Sud e nelle parti vicine all’Algeria; di Boettger (3), che nel suo catalogo dei Rettili e dei Batraci raccolti in Algeria e Tunisia da notizia di 30 specie per la massima parte prima non enumerate; e di Boulenger (4) che eleva a 44 il numero delle specie proprie della. Tunisia. Da quanto sopra abbiamo detto risulta che la fauna er- petologica del Marocco e della Tunisia solo mediocremente è conosciuta; benissimo invece quella dell'Algeria, intorno alla quale il Boulenger e l’Olivier colle loro recentissime pubbli- cazioni hanno dato notizie, che possonsi considerare complete. Ma la regione che, per lo scopo che ci riguarda, ignoriamo | quasi completamente, è la Tripolitania: di questa vastissima contrada nulla conoscesi, ad eccezione delle poche .ed incom- plete notizie che si riferiscono all'estremo lembo orientale di essa, cioè alla Cirenaica. Un piccolo catalogo dei Rettili Lb Cirenaica fu pubbli (1) BoULENGER G. A. — On the Reptiles and Batrachians obtained in Marocco by Mr. Henry Vaucher, Ann. et Mag. N. H. (6) iti. 1889, pp. 303-307. (2) LATASTE F. — Liste des Vertébrés recueillis par M. le Dr. due dré pendant l’expédition des Chotts, Arch. Miss.Sc. (3) ili. 1881, pp. 398-400. (3) BoeTtTGER O. — Liste der von Hrrn. Dr. W. Kobelt in Algerien und Tunisien gesammelten Kriechthiere. Appendix to W. Kobelt, Reiseer- rinerungen aus Algerien und Tunis. Frankfurt, 1885, 8vo, pp. 457-475. (4) BouLENGER F. A. — Catalogue of the MIRO and Batrachians. of Barbary, ecc. Me n SOVRA. DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDI!) 35 cato da G. Rhumer (1) nel 1883. Vi sono enumerate 10 specie raccolte presso Bengasi: Chamaeleon vulgaris, Hemidactylus verruculatus (= turcicus), Agama Savigny®, Lacerta muralis, Acanthodactylus boskianus, A. lineomaculatus, Gongylus ocel- latus, Zamenis florulentus, Coronella (Macroprotodon) brevis (= cucullata), Nata hate. Il Boulenger (2) attribuisce una grande importanza alla presenza della Lacerta muralis, e crede che l’Acanthodactylus lineomaculatus sia lA. pardalis, e VA. Savigny l'A. inermis. Giudico giustissima l'osservazione dell’illustre erpetologo in- glese, in quanto che l’ Acanthodactylus lineomaculatus e l’Agama Savignyti non sono stati rinvenuti nella zona settentrionale del- l’Africa bagnata dal Mediterraneo, laddove l’Acanthodactylus pardalis e l’Agama inermis son comuni nelle provincie di AI- geri, di Costantina e nella Tunisia. Possediamo nel Museo Universitario di Roma 10 esemplari di Rettili provenienti dalla Cirenaica, che fanno parte della col- lezione raccolta dal Prof. Panceri in uno dei suoi viaggi in Egitto e nelle regioni vicine. Essi costituiscono in tutto 6 specie : 1 Saurio e 5 Ofidii: Numero degli esemplari Euprepes Savignyii Dum et Bibr. Zamenis florulentus D. B. Psammophis sibilans L. Coelopeltis lacertina Wagl. Naia haie Merr. . Echis carinata Merr. . Papa ni DNowoENHr Dello Zamenis. forulentus e della Noia haie si fa men- zione, come abbiamo visto, nella nota di Rhumer; delle altre cinque specie no. L’elenco ch'io presento, servirà a far conoscere alcuni dei Rettili del territorio di Tripoli. Auguro frattanto a me e ad altri la fortunata occasione di venire in possesso di un più ‘ricco materiale scientifico, che permetta uno studio più ampio. (1) RHuMmER G. — Sitzungsb. Ges. naturf. Freunde Berlin, (p. 149). (2) BouLENGER. — Mem. cit. p. 94. 36 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA Tengo a far notare questo fatto, che cioè gli esemplari. provenienti da Tripoli, e da me descritti, sono specie che tutte si riscontrano nella Tunisia; come pure vi si trovano tutte, ad eccezione dell’Euprepes Savignyii (1) Dum et Bibr., le specie raccolte da Rhumer e da Panceri nella Cirenaica. Pertanto Di stimo plausibile ammettere che la fauna erpetologica della Tri- politania sia eguale o quasi a quella della Tunisia. Una somi- glianza maggiore esisterà, senza dubbio, fra le faune dei due | territorî limitrofi del distretto di Tripoli e della Tunisia ; delle specie particolari si troveranno di certo nella Cirenaica, la | quale è naturale che debba, per la sua vicinanza coll’alto Egitto, compartecipare alla fauna di questa regione. - Ordo Ophidia. Fam. COLUBRIDAE. l. Lytorhynchus diadema Dum. et Bibr. Heterodon diadema Dum. et Bibr. — Simotes diadema Ginth. — COhatachlein diadema Jan, — Catachlaena diadema Blanf. Di questa specie, che il Boulenger (2) dice diffusa in Egitto, Nubia, Arabia, Siria e Persia, e l’Olivier (3) stima assai rara in Algeria, fanno parte della collezione Balboni sei esemplari; (1) L’Euprepes Savignyii Dum. et Bibr. è specie comunissima nei dintorni del Cairo. Presso Sciubrah il prof. Gasco dice di averne cac- ciato una dozzina in mezz’ ora. (Gasco F. — Viaggio în Egttto deî soci P. Panceri e F. Gasco nell’anno 1873-1874, parte II, pag. 109, estratto dall’Annuario dell’Associazione deî Naturalisti e Medici per la mutua istruzione. Napoli, 1876). Anche ll prof. A. Costa l’ha rinvenuto comune nelle adiacenze di Karmak; anzi a questo proposito così ha scritto l’illustre zoologo: « Nell’incolto.... vedeasi di frequente strisciare e correre con discreta celerità l'Euprepes Savignyi D. B., che sembrava rimpiazzare la comune lucertola delle nostre contrade » (Costa A. — Relazione di un viaggio per l'Egitto, ta Palestina e le coste della Turchia Asiatica per | ricerche zoologiche, estratto dal vol. VII degli Atti della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, p. 7, anno 1875). (2) BouLENGER G. A. — Catalogue of the Lu in the British Museum (Natural History). Vol. I, p. 415, 1893, London. (3) OLIVIER E. — Mem. cit. p. 119, n. 46. -S i) 4 SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) 37 dal che desumo ch' essa Ls essere partosto comune nei din- torni di Tripoli. Ù I caratteri del genere uc. a quelli che dà il | Boulenger nel suo Catalogo dei Rettili e Batraci della Barba- ria (p. 145): « Denti mascellari da 6 a 9, posteriori molto più lunghi degli anteriori; denti mandibolari subeguali. Testa poco distinta dal collo, con muso sporgente cuneiforme; occhi medî; pupilla verticalmente ellittica; rostrale ampia, quadrilatera, sporgente, concava indietro; narici formate da una fessura obliqua fra due nasali. Corpo cilindrico; scaglie liscie in 19 ranghi; ventrali ottuse angolose ai SA taglia media; subcau-. dali in due ranghi. | Una sola specie in Barbaria. » . La specie L. diadema è caratterizzata dalla colorazione a delle parti superiori del corpo con delle mac- chie trasversali nere, che sì estendono dalla nuca sino alla punta della coda. dueia serie di macchie dorsali larghe si ‘alterna con altre due serie di macchie piccole, situate ai lati. Le parti inferiori del corpo sono d'un bianco uniforme. Al disopra della testa offre sulla linea mediana, in avanti degli ‘occhi, una piccola macchia quasi triangolare, che col vertice precede una macchia irregolarmente arrotondita, di cui il centro ovale è del colore del corpo, e la porzione posteriore mediana si prolunga sul collo. Una piccola macchia nera, situata dietro l'angolo posteriore dell’occhio, si prolunga obliquamente indie- tro verso la commessura delle mascelle, i Oltre i sette esemplari di Tripoli, possediamo nel ‘nostro Museo un altro. esemplare. dell’antica collezione; ma di esso sconoscesi la provenienza. Il Boulenger assegna a questa specie la Liokoza di 45 centimetri, Dumeril e Bibron di 38 centimetri, dei quali 33 alla testa e al tronco e 5 alla coda. ‘ La media delle misure, da me prese sui sei esemiplari, si avvicina maggiormente a quella di questi ultimi autori, Lunghezza totale . . . . . mm. 320 [GL dellatesta ro. soon Larghezza li 1 TA Lunghezza del corpo:. ... . » 260 Id. della coda. . ESRI 48 38 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA Fam. PSAMMOPHIDAE. 2. Coelopeltis lacertina Wagl. Coelopeltis îinsignitus Geoffr. — Coelopeltis monspessulanus Roz. — Coluber monspessulanus Herm. Questo Ofidio ci fu portato in alcool in avanzata putre- fazione; le squame in corrispondenza della regione addominale | erano cadute, l'intestino distrutto e le vertebre completamente disarticolate. Ebbi dei forti dubbî sulla diagnosi della specie, tanto più che, avendo in collezione 3 esemplari (2 di Nizza ed 1 della Cirenaica) di Coelopeltis lacertina Wagl., osservai fra quello e questi delle notevoli differenze e per le dimensioni e per la colorazione generale del corpo. Debbo l’esattezza della diagnosi all’egregio collega dott. Conte Peracca, del Museo Zoologico di Torino, cui rendo sentiti ringraziamenti. — Capo allungato, stretto, concavo alla fronte e con due incavi late- rali che dalla piastra rostrale si prolungano fino agli occhi; muso quasi triangolare, prominente ed ottuso in punta; narici rotonde scolpite nel mezzo d'uno scudetto; occhi grandi con pupilla rotonda; frontale campaniforme due volte più lunga che larga; due scudetti lorei per parte quasi quadrangolari ; una piastra sopraoculare lunga larga e molto sporgente oltre gli occhi, in contatto con una preoculare ‘grandissima a mar- gine libero semilunare; 2 postoculari; 8 labbiali superiori;. 10 labbiali inferiori; regione temporale coperta da squame. Squame del dorso solcate longitudinalmente e nel mezzo, di- sposte su 19 ranghi; subcaudali in 2 ranghi. Colorazione del dorso olivastra con delle macchie brune poco pronunziate sulla linea mediana; a ciascuno dei lati si osservano due strie longitudinali lineari discontinue nero-brunastre, che decorrono | parallele dall'angolo boccale alla radice della coda, sulla quale si prolungano convergenti per buon tratto; parti inferiori del corpo colorate in bianco-giallastro uniforme. SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) 39 Lunghezza totale. . . . . cm. 45,5. - Id. della. testa... >» 2 Larghezza id, Fei SOLI Lunghezza del corpo. . . » 830 Id. della coda. i» 125 I tre esemplari, già esistenti nella nostra collezione, sono. molto più grossi del precedente, e differiscono moltissimo pel colorito, il quale è al disopra bianco-giallastro nell’esemplare della Cirenaica e bruno in quelli di Nizza; le parti inferiori sono bianco-giallastre uniformi nel primo, e chiazzate di nero negli altri. Le strie longitudinali nerastre mancano in tutti, ‘ma in uno dei due esemplari di Nizza i lati del corpo sono . di colorito nerastro, che vi forma come una larga fascia nera. Dei tre esemplari il più piccolo, che proviene da Nizza, è lungo m. 1,05, il più grosso proveniente dalla Cirenaica, mi- sura m. 1,22 di lunghezza. 15) Losa di Tripoli, ch'è un maschio giovine, somiglia molto al maschio figurato da Bonaparte (Iconografia della Fauna italica, Tomo II, puntata 89, tavola prima); pur non- dimeno vi ha una notevole differenza nel sistema di colo- razione: in quest’ ultimo le strie longitudinali ai lati del corpo sono continue e mon. interrotte, e il bianco-grigiastro delle parti ventrali non è uniforme, ma SITE di piccole ed irregolari macchie nere. Gli altri tre esemplari di Nizza e della Cirenaica (due sopratutto) corrispondono fedelmente alla var. Neumayeri del Coluber monspessulanus Herm., che lo stesso autore ha figurato nella seconda tavola dell’anzidetta puntata dell’Iconografia. Fam. VIPERIDAE. 5. Cerastes vipera L. I Echidna atricauda Dum. et Bibr. — Vipera avicennae Str. Questo Solenoglifo, del quale esisteva un grosso esemplare nel nostro Museo, ci è stato portato in numero di quattordici esemplari, di cui 10 viventi. Li) 40) MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA Li Gli urostegi doppî, le narici concave ed il vertice sca- | glioso fecero pensare subito o trattarsi del gen. Echidna Merr. o del gen. Vipera Laur. La diagnosi di Echidna riuscì facilis- sima per la posizione delle narici quasi dorsali e alla punta, laddove nell’altro genere esse aperture sono affatto laterali. Due particolarità di molta importanza, visibilissime in tutti ‘gli esemplari da noi posseduti, caratterizzano la specie E. atri cauda Dum. et Bibr., e sono: gastrostegi a doppia carena laterale, coda cortissima oltremodo sottile e perfettamente nera in tutta la sua lunghezza ad eccezione della base. È quest’ul- timo carattere, che ha dato il nome Dese al Solenoglifo in. discorso. La colorazione generale del corpo è bruno-rossastra nelle parti dorsali con delle macchiette d’un bruno più scuro distri- buite alternativamente su tre ranghi longitudinali; le parti inferiori sono bianco-grigiàstre. Negli individui conservati in soluzione di formalina al 2 %/ il colorito del dorso s’impalli- disce sensibilmente e così anche le macchie brune dorsali e il. nero della coda. Lunghezza totale. -—. |... 0. .. mm. 236 TA. della; testa: bf Larghezza id. “a Lunghezza del corpo si cisy17200 Id. della coda si 20 Ordo Sauria. Fam. CHAMAELEONIDAE. 4. Chamaeleon vulgaris Daud. Chamaeleon africanus Guér. — Chamaeleon cinereus Di — Cha- maeleon saharicus Mull. Tre individui adulti In Museo son un in schiavitù per circa un mese (agosto), durante il qual tempo il corpo di . essi ha conservato costantemente una colorazione grigio-ran- SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) 41 | ciata cosparsa di piccole macchie giallastre. Griallastri erano gli arti e la superficie dorsale della coda, la quale fin quasi alla sua estremità offriva dei semi-anelli dorsali bruno-nerastri. La faccia ventrale della coda era tinta di rosso ruggine. Con- | servati nella soluzione acquosa di formalina al 2 °/ hanno per- ‘ duto il colore grigio-ranciato del corpo e ne hanno assunto | uno grigio-nerastro più o meno carico. Si è conservata in parte la colorazione ruggirie della faccia inferiore della coda e quella bruno-nerastra dei semi-anelli. Dumeril e Bibron rife- | riscono alla specie C. vulgaris due varietà: C. vulgaris var. A (Erpétologie ecc. Vol. III, pag. 204), e C. vulgaris var. B (Erpétologie ecc. Vol. III, pag. 208), varietà le quali diffe- rirebbero essenzialmente per la forma della cresta ventrale: con dentellature serrate e piccole nella prima, rade e. svilup- patissime nella seconda. Il Boulenger giustamente fa due specie differenti, e denomina Chamaeleon vulgaris (Catalogue ecc. Vol. III, pag. 443) la var. A. e C. calcaratus (Catalogue ecc. Vol. III, pag. 445) la var. B. Fam. ASCALOBOTAE. E bi ‘Stenodactylus qguttatus Cuv. Stenodactylus mauritanicus Guich. — Stenodactylus elegans Fitz. _ Gli esemplari di questo geccoide, prima mancante nel no- stro Museo, sono tre, due femmine ed un maschio. La dia- LI | gnosi è riuscita facile sulla guida della chiave dicotomica di Dumeril e Bibron (vol. III, p. 289). Le dita cilindriche ter- | minate in punta a bordi dentellati e a faccia inferiore coperta da strette squame trasversali sono particolari che caratterizzano lo Stenodactylus guttatus Cuv., il quale, secondo i citati autori, costituiva l’unica delle cinque specie del genere, che adesso — conosciamo. Il maschio si riconosce facilmente dalla femmina | perchè la base della sua coda è molto rigonfia e irta a cia- scun lato da un ciuffetto di tubercoli spinosi: ne ho contati Li i , a na 12 a sinistra e 14 a destra. Nelle proporzioni il g° è più ‘piccolo della 2. 42 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA 9 g Lunghezza totale . . . . mm. 80. mm. 72 Id. della testa .. ; > 14 a a Larghezza id. A Oi cin an Dall’estremità del muso 5 SR de l’arto anteriore; 0 sad >il Dall’estremità del muso alla ani i -#fessura oe do >» 41 Arto-anteriore ; -., (..c. 0...» 022 > 920 ® Arto posteriore CE o > 283 Coda io nol > 81 6. (Hewdack ylus turcicus L. Hemidactylus verruculatus uo Gray. — Gecko verruculalus Cui — Hemidactylus granosus Riipp. L) unico esemplare della collezione. Balboni ha tutte le parti inferiori del corpo sino al suo terzo posteriore della coda d’un colorito uniforme bianco-grigiastro; la tinta fondamentale delle parti superiori del corpo è la medesima, cosparsa però di piccole maechie brune, le quali sul dorso e ai lati del corpo sono irregolari, all'occinie e sul collo formano due sottili fasce trasversali serpeggianti, dei semi-anelli dorsali sui due terzi. anteriori della coda, e degli anelli completi sull’estremità di essa. Si nota pure la presenza di una stretta fascetta bruna, parallela alla rima orale, e che, attraversando l’occhio, si estende da presso la narice al margine superiore dell’orecchio. Lunghezza totale i)... mm. 60 Id. della a Ra Larghezza Idi 4 0)9S Dall’estremità del MUSO sica an ea beriorei... Cato 7 iii 09 Fas vi: id. O ui pra Arto anterine E Atbo posteriore mai iat ga Coda.’ ARA SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) 43 7. Tarentola mauritanica L. Platydactylus muralis Dum. et Bibr. — Gecko mauritanicus Riss. — Platydactylus fascicularis Wagl. — Platydactylus Delalandii Dum. et Bibr. È un esemplare della lunghezza di cm. undici. La colora zione corrisponde a quella che Dumèril e Bibron danno per gli individui adulti, cioè grigio-cenere alle parti superiori del corpo e biancastra alle inferiori. Sono molto bene pronunziate le fasce trasversali di tubercoli ovali, rilevati d’una forte ca- rena e circondati alla loro base da altri piccoli tubercoli. Questo carattere è sufficiente, da solo, a differenziare il P. mu- ralis Dum. et Bibr. dal P. Aegyptiacus Cuv., nel quale i tu- bercoli, conici ai lati del corpo, convessi sul dorso, sono sprov- . veduti del più piccolo accenno di carena. Seguendo la maniera di vedere di Olivier (1), ho compreso nella sinonimia il Platydactylus Delalandii, che Dumeril et Bibron e Lallemant hanno separato dal Platydactylus muralis per la mancanza di forte carena ai grossi tubercoli del dorso e di dentellatura al bordo anteriore dell’orecchio. Ma l’Olivier fa osservare che questi caratteri non sono costanti; le carene dei tubercoli, sono ora molto rilevate, ora poco, ora assoluta- mente mancanti; il bordo anteriore dell’orecchio è formato da una piccola serie di scaglie, le quali, a seconda ch’ esse com- paciano più o meno esattamente, lo rendono liscio o dentellato. Fam. HUMIVAGAE. 8. Agama inermis Reuss. Agama mutabilis Lataste. — Agama agilis Str. = Di questa specie, che è molto comune in Egitto, posse- diamo noi 12 esemplari, tutti facenti parte della piccola colle- zione Balboni e provenienti dai dintorni di Tripoli. Per la presenza delle scaglie dorsali, provvedute di spine, questa specie (1) OLIivier E. Mem. cit. p. 108, n. 12. 44 MARIO CONDORELLI FRANCA VIGLIA potrebbesi confondere coll’ A. aculeata Merr. propria del Sud Africa, ma si distingue da essa, oltre che per il luogo di di- mora, per la mancanza della cresta, che nell’A. aculeata si SL.C dalla nuca sino alla metà delia coda. Durante il tempo che son vissuti in cattura, gli esemplari | di A. mutabilis non hanno mai cambiato. colore. Questo in. sei esemplari, principalmente sul dorso, si è sempre mantenuto bluastro più o meno intenso, ma uniforme; negli altri sei la colorazione è bianco-bluastra sul dorso, il quale inoltre pre- sentasi ornato da due serie di macchie brune rettangolari equidistanti, che incominciano presso la nuca e si-estendono fino alla punta della coda, in corrispondenza della quale, es- sendosi molto avvicinate sulla linea mediana, formano dei semi- anelli dorsali bruni. Riporto, come sopra, le misure di un grosso. esemplare adulto : Lunghezza totale. .. .. . . mm. 190 Tdi. della testa (00. ao. (29 Larghezza cordino a Corpo. O AME ARRE ITIII ASI » 45 Membro anteriore . ... . >» 40 Td posteriore oc. ie» a Cada: VO sano 10020 Fam. ScINCOIDAE. 9. Scincus officinalis Laur. Sono in tutto nove grossi e bellissimi esemplari, appartenenti — alle varietà che Dumeril e Bibron (Erpét. Génér., Tom. V, p..564) chiamano S. officinalis Laur. var. A. In tre esemplari la colorazione generale del collo, del dorso e della coda è d’un grigio chiaro — argentato, mescolato di nero, che forma sul dorso sette grandi — fasce trasversali (in un esemplare otto); in un quarto esem- plare la colorazione generale è grigio-rossastra e le fasce tra- sversali nere; in altri tre, il colorito della parte superiore del corpo è più grigio-rossastro e le fasce trasversali brune; in due esemplari finalmente la colorazione generale del collo, dorso e principio della coda è grigio-rossastra, le fasce trasver- n SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDI) 4 sali sono nulle e in loro vece ai-lati del corpo osservansi come avanzi nell’uno sette e nell’altro otto macchie nerastre poco visibili ed irregolarmente dilatate. Lunghezza totale . . . . mm. 190 Id. idella=testa 0 80) Larghezza Ie E ADANI Le . Corpo. RNA IA » 85 AFroranueriore: eta S4 TA! posteriore ste o 88 CORSE MU La collezione erpetologica del nostro Museo possedeva prima un solo e cattivo esemplare di Scincus officinalis prepa- | rato a secco, x dee Gongylus ocellatus F'orsk. Scincus ocellatus Gerv. — Tiliqua ocellata Gray. — Chalcides. ocel- latus Boul. HRS . Il Boulenger nel suo Catalogue ecc. dà questa specie col nome di Chalcides ocellatus. È comunissimo in tutta V’Africa settentrionale. In Museo già possedevamo otto esemplari provenienti dal l Egitto; aggiungiamo adesso altri quattro esemplari di Tripoli. Fam. LACERTIDAE. 11. Acanthodactylus scutellatus Aud. 4 La determinazione di questo sauriano mi è riuscita facile coll’aiuto della chiave dicotomica, che riscontrasi nel Vol. V. dell’Erpétologie générale di Dumeril et Bibron, pag. 19. Il ca- rattere del genere è questo che una piastra labbiale fa parte delle tre piastre rigonfie della narice; laddove negli altri due generi vicini, Scapteira Fitz: ed Eremias Fitz., le piastre, che contornano l’orifizio nasale, sono una Lai e due naso- frenali. La presenza di squame ico e lisce al dorso fa del- l’Acanthodactylus scutellatus una specie vicinissima all’A. vu! garis Dum. et Bibr., ma da essa si distingue (oltre che per 46 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA la patria) per una marcata dentellatura al bordo anteriore | dell'orecchio, che forma un vero carattere specifico dell’Acam- thodactylus scutellatus, ed anche per il colorito grigio-verda- stro del collo e del dorso, che offre un disegno reticolare d’un bruno più o meno oscuro. L'A. scutellatus è ben figurato nella celebre opera sul- l'Egitto: (DescrIeTION DE L’EGyPTE, Histoire naturelle, Planches Tom. II. Zoologie Reptiles supplement) par F. Savigny (N. 7-75), ma non ne ho potuto leggere la descrizione perchè il testo del- l’opera, che possiede il nostro Museo, manca del supplemento | scritto dal Savigny. . Il genere Acanthodacti rg era rappresentato nella nostra collezione erpetologica dal solo A. doskianus Gray; siamo lieti adesso di aggiungere una seconda specie. Nell’Africa lA. scufellatus riscontrasi nella parte setten- trionale, ed a giudicare dagli esemplari posseduti dal British Museum, è più comune nell'Algeria che in Egitto ed in Tripoli. L'unico esemplare che noi possediamo proviene, come è stato detto nella prefazione, da Tripoli. lunghezza totale. i... maia Id. della-testa if 15 Larghezza id. » 10 Dall’estremità del muso culo an- teriore . ) » 20 Dall’estremità del muso calli Lu » 52 Arto anteriore . » 20 Arto posteriore. > 35 Coda > 98 Fam. MonITORIDAE. 12. Varanus griseus Daud. Varanus arenarius Dum. et Bibr. — Varanus scincus Merr., Str. — Varanus arenaceus Gerv. — Psammosaurus griseus Fitz. Sette esemplari fra giovani ed adulti. L'apertura obliqua della narice, situata dinanzi l’angolo anteriore dell’occhio, co- Ì 4 ; -J chi CSR ATE TI ES Se Ag si tro SS TARA OR) SERRE TRIESTE RITI AI IO RI Vin CIELI SOVRA DIVERSE SPECIE DI RETTILI (SAURII E OFIDII) 47 stituisce il carattere più saliente. per cui il V. griseus si di- stingue dal V. timoriensis Dum. et Bibr. I denti tanto nei giovani quanto negli adulti sono mediocremente robusti, acu- | tissimi quasi conici o meglio appena appiattiti ai lati; di- stano l’uno dall’altro 2-3 mill. nei giovani, 4-6 mill. negli adulti; quelli della mascella superiore sono lievemente ricurvi indietro ed all’interno, quelli della mascella inferiore indietro ed in fuori. . La colorazione generale del corpo varia nei diversi esem- Si Sei individui adulti hanno il dorso d’un colorito bruno- chiaro, screziato in diversi punti da numerose macchiette giallo verdastre commiste a poche nere. Queste macchie, che confluiscono maggiormente verso i fianchi, formano sul dorso trasversalmente una serie di sei fasce larghe non ben definite, che perdono d’intensità verso la coda, la quale è d’un colo- rito uniforme bruno chiaro con una linea più oscura, che per- corre longitudinalmente e nel mezzo il dorso della coda. . | Fra le sei zone anzidette sono comprese cinque fasce ellit- tiche trasversali, poco evidenti a causa della tinta indecisa delle zone macchiettate che le limitano. In un settimo esemplare, pur esso adulto, le zone sono nette con macchiettature giallo-paglierine e bruno-nerastre. Le fasce trasversali sono di' colorito bruno-chiaro e le due prime di esse sono forcute, hanno cioè le estremità ripiegate in avanti ad angolo ottuso. In un giovane esemplare le fasce trasversali sono in numero di sette, e risaltano con molta chiarezza pel loro colorito bruno- oscuro assai intenso. Altre 31 fasce trasversali strettissime a forma di semi-anelli cingono dorsalmente la coda alla distanza di un centimetro l’una dall’altra. Esisteva prima d'ora nella collezione erpetologica generale del nostro Museo un solo esemplare di V. griseus, individuo non ancora completamente adulto, con colorazione del dorso e della coda quasi identica a quella dell'esemplare giovane testè accennato. Dall’esame comparativo fatto sulla diversa colorazione ed intensità di tinte negli otto esemplari, ho potuto desumere que- sto particolare, che cioè le fasce trasversali brune esistono 48 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA e sono molto appariscenti negli individui di giovane età; in prosieguo sbiadiscono gradatamente, e negli individui molto adulti si vedono poco bene. Pare adunque che questo sia un = carattere zoologico riferibile all’età. Riporto le dimensioni di due pasapiari soltanto, del più grosso e del più piccolo : oa 1 Adulto Giovine Lunghezza ‘totale. .-. ;{_xi..,-.ema40 99; Soa Id. della-testa =. S scao 3.2 Id. del-.colo {ia pie Id. del:tromeo: iaia 10.6. Id. del membro anteriore . » 10 6 Tdi id. ‘posteriore . » 13.5 TE Id. della teoda it 22.0 Gli otto esemplari, che ora possediamo, sono tutti africani; e, ad eccezione di quello donato dal March. Giacomo Doria e proveniente da Tunisi, gli altri sono stati presi nella Tripoli- tania a poca distanza dalla città di Tripoli. si Secondo il Boulenger, il V. griseus è comune in tutta l'Africa settentrionale, e trovasi pure a Sud-Ovest dell'Asia, dall’Arabia e dal Mar Caspio al Nord-Ovest dell'India, LIE Sr) Ì Dia TN Ce RAME RIIIATA Roma, ottobre 1895. sa figa e NUOVE AGGIUNTE ALL'AVIFAUNA ROMANA Comunicazione del socio March. Griuseppe Lepri . - La Provincia di Roma è per l’ornitoloco una regione pri- p - vilegiata. Con il suo territorio per grandi tratti spopolato, in- colto e boscoso, con le sue estesissime paludi, con le sue al- pestri montagne, è ben naturale che possieda una fauna ornitica svariata e ricchissima. Ed infatti si può dire che tutta l’avi- fauna italica sia rappresentata nella provincia romana, spesso più abbondantemente che nel resto della penisola. Io credo, inoltre che, nella provincia di Roma, più facilmente che altrove, possano capitare specie rare ed avventizie, poichè, come ho accennato, in poche regioni come in questa, possono le singole specie trovare facilmente le diverse condizioni favorevoli per viverci. Ed una conferma di ciò l’abbiamo avuta nello scorso inverno in cui ben quattro nuove e rarissime specie sono ve- nute ad arricchire l’avifauna romana: e di queste mi accingo a dare un breve cenno. Il 21 novembre dello scorso anno 1895 nei piani sotto- stanti a Tivoli veniva uccisa una Bartramia longicauda (1) - Gambetta americana, femmina, non completamente adulta. Questo rarissimo trampoliere si avvicina alle comuni gambette (Machetes Pugnaz - a Roma: Uccello Muto) ma se ne distingue | sopratutto per la lunga coda sopravvanzante di molto l’estre- mità delle ali. Ecco le dimensioni prese sull’ individuo in carne: Becco, m. 0.032 - testa, m. 0.033 - tasto, m. 0.050 - coda, m. 0.090, « lunghezza totale m. 0.285. Il becco è più corto della testa, sottile e diritto; le ali mediocri ed aguzze raggiungono appena la metà della coda, che è larga, lunga e graduata, i tarsi sono robusti, le dita mediocri. Le penne del pileo e della schiena sono-brune mar- ginate di ceciato. Quelle delle guancie e del collo, ceciate con (2) Sinonimia : Tringa Longicauda (Bechst) — Totanus Bartramius (Temm) — Actiturus Bartramius (Bp.). Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 4 50 GIUSEPPE LEPRI striscia mediana bruna, la gola è bianca, il petto ceciato con macchie triangolari brune, l'addome e le penne anali bianchi. Le scapolari sono brune, largamente marginate di ceciato, mac- chiate trasversalmente di bruno scuro. Le piccole cuopritrici sono brune appena marginate di biancastro, le grandi ceciate con larghe macchie brune trasversali, le remiganti sono brune, le subalari bianche macchiate trasversalmente di nero. Il so- praccoda è nero, le timoniere esterne bianche fasciate obliqua- mente di nero e le altre color ceciato, le più interne più scure, con macchie brune, le due mediane brune macchiate obliqua- mente di più scuro. Le zampe sono grigio-giallastre, il becco ui scuro con la mandibola inferiore per due terzi i lastra. La Bartramia è incola dell'America, ma sembra sia specie molto erratica. In Europa capita accidentalmente nell'autunno. Il d’Azara che l’osservò al Paraguay la vide volare a bran- chetti lungo le praterie umide. Il suo regime, secorido il Degland, sembra i in insetti; e difatti nello stomaco dell'individuo di cui mi occupo non riscontrai che avanzi di coleotteri, tra cui. potei ricono- scere i generi: Phaederus, Chlaenius, ecc. È questa la terza tela che la Bartramia Longicauda si fa catturare in Italia. Il Giglioli, nella sua Avifauna Italica (1), . i ne cita due sole catture : un individuo ucciso nell’ottobre 1859 nei pressi di Genova, ed un altro ucciso a Malta nel novem- bre 1865 e che ora conservasi nel Museo di Firenze. L’indi- viduo ucciso presso Tivoli fa ora parte della collezione di uccelli della provincia di Roma raccolta da mio cugino Mar- chese Patrizi e da me. Ma più fortunati dovevamo essere nel mese di gennaio. Il giorno 6 il suddetto mio cugino comperava al mercato del Pantheon due splendidi esemplari maschio e femmina adulti, di Casarca Rutila (2), Casarca, uccisi al Lago di Paola presso | Terracina. Questa splendida anatra ha dimensioni alquanto (1) GieLIOLI. Avifauna Italica, pag. 392. (2) Sinonimia: Anas Casarca (Linn) — Anas Rutila (Pall) — Tadorna Casarca (Macgqill). NUOVE AGGIUNTE ALL’AVIFAUNA ROMANA 51 maggiori del Germano reale e forme più svelte. Il becco, lungo quasi quanto la testa e stretto, è poco incurvato all’insù. La testa bianca sulla fronte tende al fulvo sul pileo, sulle guancie e più sul collo. Tutto il corpo è di un bel fulvo acceso, più intenso nelle parti inferiori; coda e sopraccoda sono di un nero vellutato, le cuopritrici bianche, le remiganti primarie nere, le secondarie di un bel verdone, le zampe nere. Il maschio si distingue dalla femmina per i colori più intensi e per un collarino nero alla base del collo; la femmina presenta sulla testa un color bianco più deciso. Alcuni autori, tra cui il Degland, hanno riunito la Casarca alla. Volpoca nel genere Tadorna. Io non sono di questo parere non sembrandomi caratteri comuni sufficienti la lunghezza delle gambe, il corpo ben equilibrato su di esse, il camminare spe- ditamente, il nidificare in buche scavate nella terra; d’altra parte nella Casarca non trovo: nè il becco molto incurvato all'insù, con larga unghia, nè la caruncola alla base del becco, nè la testa svelta, della Volpoca; mentre invece il becco piut- tosto dritto, la testa tozza, le penne dell’occipite alquanto più lunghe delle altre, l’avvicinerebbero al genere Mareca, se non fosse la coda quasi tronca, poco arrotondata, e non cuneiforme con le due timoniere mediane sopravvanzanti le altre, quale . l’ha il Fischione (Mareca Penelope). Onde sono del parere de- gli ornitologi moderni che della Casarca hanno Li DSS nere a sè. La Casarca abita il mezzogiorno dell'Europa orientale e dell'Asia, e sembra giungere fino nell’India. In inverno è co- mune in Grecia ed in Turchia. Nidifica in buche scavate nella terra, depone da 8 a 9 uova. Frequenta i grandi chiari di acqua ed i laghi. Per l’Italia la Casarca è specie rara ed avventizia, poche sono le catture registrate, fatta eccezione per la Sicilia. Il Prof. Giglioli (1) ne cita tre catture in Toscana e tre o quattro nell'Italia meridionale. Ho fatto eccezione per la Sicilia, infatti Prof. Grassi di questa Regia Università mi assicurava che in Sicilia, durante l'inverno, quasi tutti gli anni qualche Casarca (1) Avifauna Italica, pag. 302. 5? | GIUSEPPE LEPRI si fa vedere, In Provincia di Roma, fino ad ora non era mai || | stata uccisa. ì ; Il 14 dello stesso mese di Gennaio, acquistai un piccolo Piviere, molto malconcio, ucciso a Cisterna nelle Paludi Pon- tine. Esaminandolo, fui ben sorpreso nel vedere che si trattava di un maschio adulto del rarissimo Charadrius fulvus (1), Pi- viere minore; il quale sebbene si avvicini molto al Piviere comune (Charadrius pluvialis), ne differisce per più caratteri. Anzitutto è di parecchio più piccolo; infatti mentre il Cha- | — radrius fulvus ha una lunghezza dalla punta del becco all’a- pice della coda di m. 0.230, il C. pluvialis arriva a m, 0.280. Le penne della schiena nel primo sono largamente marginate di giallo vivo, nel secondo hanno solo due macchie laterali giallo sbiadito; ed in genere in quello il giallo è più intenso che in questo. La parte anteriore del collo e la sommità del petto nel C. fulvus sono grigie con decisa tinta giallognola, e le macchie grigie più scure del petto sono disposte a strie trasversali, indecise, ma perfettamante riconoscibili; mentre nel C. pluvialas manca la tinta giallognola, e siffatta disposizione a strie; le penne subalari nel Piviere minore sono grigie, nel Piviere comune bianche; finalmente, ‘e questo è il carattere che più facilmente colpisce, nel C. pluvialis un brevissimo tratto della gamba, sopra al calcagno, è nudo, appena m. 0.015, . mentre nel C'. fulvus questo spazio ‘nudo è più esteso assai e ‘arriva a m. 0.025, quindi apparisce aver gambe più svelte del Piviere comune. E Ho insistito sui caratteri differenziali tra queste due spe- ; cie, perchè come giustamente osserva il Giglioli (2), il Chara- drius fulvus potrebbe capitare da noi più spesso di quello che non si creda, essendo facile che passi inavvertito. È bene quindi che i cacciatori e raccoglitori stiano sull’avviso. Torno a ripeterlo: i caratteri più salienti per distinguere il Piyiere minore dal Piviere comune sono: dimensioni molto minori e (1) Sinonimia: Charadrius longipes (Temm.) — Charadrius pluvia- lis orientalis (Schleg). (2) Avifauna Italica, pag. 370. ene li e Ale Sai Es NUOVE AGGIUNTE ALL'AVIFAUNA ROMANA 59 colorito più vivace - penne subalari grigie e non bianche - tratto di gamba nudo, sopra al calcagno, molto esteso. In ogni modo il Charadius fulvus, finora, è specie raris- . sima per noi. Fin ad ora per tre individui 4) uccisi a Malta questa spe- cie figurava nella avifauna italica : quindi si può dire che il nostro sia il primo catturato, non solo nella provincia di Roma, ma nell'Italia propriamente detta. Ma un’ ultima e gradita sorpresa ci riservava il mese di Gennaio : Il 22 a Mala Grotta, fuori Porta Cavalleggeri, a pochi chi- lometri da Roma veniva ucciso un maschio adulto di Pallasia sibirica (2), Calandra siberiana; e il mio cugino e collega Pa- trizi l’acquistava per la nostra raccolta. Questa bella e rara specie ha le dimensioni di una grossa lodola, con il becco più corto e più robusto: la fronte, il pi- leo, l’occipite sono rosso ruggine, le penne del collo, schiena e groppone, castagno-grigio marginate di castagno-chiaro. Le piccole cuopritrici e le penne del sopraccoda sono color rug- gine, le grandi cuopritrici brune, largamente marginate di ruggine; le remiganti secondarie sono brune per un terzo, e per due terzi dall’apice bianche, le primarie scure con mac- chia biancastra all’apice, le timoniere castagno-scùre marginate «di chiaro, le due esterne bianche. Le parti inferiori sono bian- che, il petto è macchiettato di bruno chiaro, con macchie rugginose più larghe ai lati, qualcheduna anche nel mezzo. Pochissime altre volte la Calandra siberiana è capitata da noi. Ricordo : un maschio giovane ucciso nei pressi di Trento nell'ottobre 1869, una femmina colta nei pressi di Verona nel- l'ottobre 1871, un maschio, sembra, sia stato ucciso, pure nel- | l'ottobre 1871, presso Bergamo, ed una femmina catturata presso Rovereto nell'ottobre 1885 (3). 1 La Pallasia sibirica abita l'Asia settentrionale, frequentando (1) GiGLIOLI. Avifauna Italica, pag. 370. (2) Sinonimia: Alauda sibirica (Gmel.) —, Alauda leucoptera (Pall.) Phileremos sibirica (Keys et Blas.) — Calandrella sibirica (Brandt). (3) GIGLIOLI. Avifauna Italica, pag. 58. dg specialmente le steppe della dia eve la trov ‘abboni te il Pallas. Capita nell’ inverno nell'Europa orientale ; Sopr utto in cRussiatto E: i N #0 Pei costumi non si discosta LAO Mu Caldi da quattro a sei uova grigio-verdastro | punteggiato di rossastro. i SUR Chiudo augurandomi che la primavera omai i vici feconda di più TOIPISSEELA | e rare catture. Roma, 16 Marzo 1895. Pao NOTIZIE SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO NELLA PROVINCIA DI ROMA — i E CONSIDERAZIONI : dal punto di vista della FAUNA LACUSTRE Comunicazione fatta alla Società Romana per gli Studi Zoologici nella seduta del 12 Giugno 1895 È del Dottor PIETRO DE VESCOVI Assistente alla Cattedra di Anatomia comparata nella R. Università di Roma Poi L'esistenza di un lago può paragonarsi a quella di un'isola; ma il suo nascere è spettacolo al quale non si assiste tanto facilmente. Vengono perciò giustificati e l’interesse scientifico e la forte attrattiva che fecero accorrere al nuovo lago studiosi e curiosi, — Non può essere senza interesse per gli studi faunistici di una provincia la presenza di un lago; in quanto che l’am- biente, se non in zona molto ampia, almeno per quanto con- cerne il circondario, ne deve risentire l’influenza. La provincia romana, già tanto ricca d’acque, venne for- nita a datare dal giorno 8 al 14 di aprile ultimo scorso - come a voi tutti è noto, ma non a tutti i lettori del Bollettino di questa Società per gli studi zoologici - di un nuovo laghetto nel territorio di Leprignano presso Castelnuovo di Porto, per repentina precipitazione del suolo, lungo il percorso del for- rente Gramiccia, e precisamente alle falde del colle su cui eri- gevasi l’antica Capena e del colle bimammellato di S. Martino, 3 chilometri a Nord del pittoresco paese di Leprignano, il quale è situato sulla destra del Tevere, a 170 metri dal livello del mare. Questo lago per la sua posizione e per ricordare l’etrusca tramontata città, potrebbe nomarsi Lago di Capena. Io non so a chi spetti l'imposizione o la scelta del nome di questo nuovo lago; forse alla Società Geografica Italiana, la quale però, bisogna dirlo, sembra non essersi ancora accorta che proprio alle porte di Roma è avvenuto un fatto geologico e geografico di una qualche importanza (1). (1) Dopo la lettura della presente nota comparve nel Bollettino della Società Geografica Italiana (Serie III, vol. VIII, fasc. VI, pag. 177-179) 56 PIETRO DE VESCOVI Nella valle sottostante ai detti colli si presenta il lago, si può dir ancora nascente, circondato e limitato anzichè da una sponda a dolce pendio, da una fascia od argine uniforme, per- pendicolarmente disposta, alta quasi 5 metri dal livello delle acque a quello della campagna. Il suo perimetro è ancora molto irregolare, specialmente a Sud-Est, e quando lo visitai, (il 26 aprile) forse non era ancora definitivo; poichè tratti di terreno di parecchie diecine di metri quadrati mostravano segni evidenti di recente spostamento, ossia di abbassamento nettamente verticale. i i Il livello del lago ha raggiunto quello del torrente Gra- miccia che versa le sue acque nel lago e nello stesso tempo serve di estuario, poichè le acque a valle riprendono l’antico letto e percorso. Io non voglio entrare in merito neanche di poche e delle più facili osservazioni geologiche; poichè non è questo il mio compito, e sta all’ordine del giorno una relazione del chiaris- simo prof. Meli, membro della commissione incaricata dello studio di questa importante formazione, ed anche perchè ne trattò già in un bellissimo articolo l’on. Attilio Brunialti, pubblicato nell’ IMlustrazione Italiana (1), dopo aver fatto una escursione al detto lago in compagnia del chiarissimo profes- sore A. Portis, direttore dell’ Istituto geologico della nostra Università. i Nè voglio 10 prender in esame quanto vi possa esser di vero nei racconti dei pastori che si trovavano con le mandre in quei paraggi nella notte dal 12 al 13 aprile, i quali asseri- scono di aver udito spaventevoli detonazioni, acuti sibili; di aver veduto fiamme sinistramente lampeggianti e di aver sen- tito spandersi per l’aria soffocanti vapori di zolfo eruttanti dal- l’immane voragine che andava ognor più crescendo fino a rag- fra le Notizie ed appunti, un articolo che riporta sufficienti ragguagli su questo nuovo lago, in base agli studi fatti dalla commissione inviata dalla Prefettura e dal Ministero dei Lavori Pubblici a studiare questo fenomeno. In questo articolo nulla è detto riguardo alla denominazione del lago. (1) Anno XXII. N. 22, 2 giugno 1895, pag. 239. Sh pc oi SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 97 giungere le falde dei colli sui quali essi erano attoniti e at- territi spettatori, insieme alle loro pecore, le-quali spaventate belavano e, rompendo le reti dei loro recinti, precipitose fug- givano. Nello stesso giorno della escursione al nuovo lago, visitai anche il poco discosto bacino denominato /2 Zago, (detto anche lago Sinibaldi) situato più a monte, che, in verità, più lago «non è; ma bensi un semplice prato acquitrinoso, colmo di rigogliosa vegetazione. Ho veduto anche, più a valle, il pic- colo lago Puzzo dalle sponde quasi verticali, che lentamente muore. # qui desidero soltanto dire di essermi formato il concetto che questi tre bacini, giacenti fra campi ubertosi, lungo il decorso della vallata, abbiano una identica origine (1) e trattisi di sprofondamenti verticali di suolo in massa, entro cività sottostanti dovute alla lenta e secolare azione demoli- litrice di corsi d’acqua sotterranei. Corsi d’acqua che forse- presentemente si sono ridotti a poca cosa, ma che nei tempi andati poterono rappresentare ben alimentati torrenti (2). (1) L’egregio prof. Meli dopo la mia comunicazione, dice di accet- tare l'opinione che il nuovo lago e quello Puzzo abbiano l’identica ori- gine; ma non poterla ammettere per quello più a monte cioè per il bacino detto Il lago; poichè questo ha le sponde aleggero pendio, e do- versi ritenere che la raccolta di acque in quel sito sia dovuta alla na- turale, diremo così, configurazione o disposizione del suolo in quella parte. Egli disse anche esser artificiale il suo prosciugamento. Io non | voglio contrastare l’opinione del valente geologo, ma mi permetto solo di osservare che le sponde a dolce pendio possono esser semplicemente’ un effetto del tempo, poichè della formazione di questo laghetto non ab- biamo la data, mentre di quello Puzzo la formazione è recente e secondo la,narrazione degli anziani del circondario e le registrazioni dei profes- sori G. Ponzi e F. Ratti, si formò il 28 ottobre del 1856, in modo ana- logo, al lago del quale oggi parlo. Questo bacino chiamato If Zago, che è quasi colmato, ma solo in parte ‘per opera dell’uomo, cioè quando era ridotto ad un semplice pantano, ha un emissario artificialmente fatto più profondo e che ancora porta una vena d’acqua al nuovo lago, vena che prima della formazione di questo bacino imboccava il torrente Gramiccia. __ (2) Dopo aver fatto la presente comunicazione, venni a sapere par- lando coll’egregio prof. Meli, che da ulteriori studi fatti sul nuovo lago risulta, esser minore la quantità d’acqua uscente dal bacino, per il naturale emissario, di quella che esso riceve dal Gramiccia e da altri piccoli tor- 58 PIETRO DE VESCOVI Interessante è certo di vedere in quella ridente vallata, prospiciente il Soratte, tre momenti ben marcati della vita geologica di un lago. Il giorno 26 aprile, in compagnia del dott. dio Man- zone e del marchese Gianfrancesco Luzi, visitai il laghetto di recente formazione, per prender nota delle condizioni di questo nuovo bacino d’acqua ed osservare fin dal suo inizio, quale era il modo, dirò così, d’invasione, o di popolamento delle sue acque. Può ritenersi che il bacino in quei giorni fosse ancora in via di formazione, poichè a Sud-Est vi erano due larghe zone, una alla sinistra del Gramiccia, lunga circa metri 60 e larga 12; l’altra, alla destra del torrente, di minor estensione, le quali si erano di recente abbassate di circa 50 centimetri. Altre zone si erano sprofondate pochi giorni prima. E già avevano tro- vato asilo adatto numerosi anfibi, rappresentati da rospi e rane lentamente gracidanti; già qualche biscia dal collare (Tropi- donotus natrix) fu vista traversare gagliarda quelle fresche acque. Per quanto’ poi attentamente si fosse osservato, nelle eccezionali e difficili condizioni in cui si trovava il bacino, non fu veduto alcun altro animale. Non è escluso però che non ve ne potessero essere, portati dalle acque del torrente. I dati areometrici e quelli di profondità (1), - gentilmente comunicatimi dal prof. Meli e che trovansi pubblicati nel Bol- lettino del R. Comitato Geologico d’Italia (N. 1, 1395 p. 145)- quali congetture ci permettono di fare relativamente alla espli- cazione della vita, della fauna cioè lacustre in questo nuovo bacino? Attenendomi sopratutto ai dettami del Forel che tono si renti che lo alimentano. E neanche esser tanto piccola la differenza, cal- colandosi questa a litri. 60 al minuto. Per cui rimane provato che nel nuovo lago una parte delle acque viene smaltita per via sotterranea: via già percorsa da quelle acque che furono coefficiente primo della possibilità della formazione del bacino. (1) I dati principali sono i seguenti: forma irregolarmente circolare, sponde verticali alte circa m. 5, diametro medio m. 130, superficie m. q. 56,066; tenendo conto delle varie sinuosità la periferia giungerà a m. 900 e 1000; profondità vicino alle sponde circa m. 5, poco più di- scosto m. 12, profondità massima m. 20-25. SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 99 occupò della fauna lacustre e specialmente di quella pelagica dei laghi della Svizzera, alla cui conoscenza largo contributo | portarono anche l’Asper e l’Imhof, il Grube, il Weith ed altri ancora, noto anzitutto che quantunque le condizioni presumibili di temperatura diano a vedere che quelle acque non oppor- ranno ostacoli all’esistenza di una fauna lacustre alle altre somi- . glianti, pure le condizioni del fondo del lago e la sua estensione ‘fanno sorgere qualche dubbio in proposito. Di fatti, come dissi, seguendo il Forel (1) - per non entrare nell’intricata selva di nomi, di divisioni e suddivisioni che | più modernamente si sono fatti per distinguere e limitare la distribuzione dei viventi nelle acque, che corrispondono alle denominazioni di Ha/obios e Limnobios, di Nekton, Plankton e Benthos, di Benthos neritico, di Benthos sessile e vagile, di fauna neritica, profonda, limnetica ed eulimmetica o (secondo il Pa- —vesi) (2) eupelagica - la fauna di uvn lago più semplicemente vien distinta, nelle sue grandi linee, in littorale, pelagica 0 limnetica (secondo Haeckel) e profonda. La fauna littorale, detta anche neritica, comprende una zona. periferica che percorre tutto all’ingiro del bacino e si estende fino dove la sua profondità raggiunge m. 10, o tutto al più m. 15. Sarà egli possibile che la fauna Bi orale si svolga nor- malmente in questo bacino? Le sue condizioni non sono del tutto conformi a ciò che si avvera in altri laghi; cioè la profondità di m. 5 più ra- sente la sponda, e un po’ più discosto di m. 12 circa, non è una buona condizione nè per un movimento vivace delle acque per mezzo delle onde e delle correnti, nè corrisponde ad una debole e gradatamente crescente pressione, nè alla facile va- | riazione di temperatura da (5°-25° C.), nè a quel modo d’ illu- minazione che costituiscono i caratteri dell'ambiente presentato di solito e normalmente da quello della zona littorale degli . altri laghi. (1) ForeL F. A. Faunistische Studien in den Siisswasser - Seen der Schweiz. - Zeitschr. f, wiss-Zool. 30 Bd. Suppl. 2 Heft. p. 383-391. (2) P. PavesI. Altra serie di ricerche e studi sulla fauna pelagica dei laghi italiani. - Atti della Soc, Veneto-Trentina di Scienze Naturali. ‘| Vol. VIII, Fasc. 2°, pag. 381. 60 PIETRO DE VESCOVI Bisogna ancora notare che tale profondità mantenendosi lungo tutto il perimetro, come ora è il caso, a molte piante che comunemente allisnano lungo le sponde dei bacini delle acque dolci sarà impossibile di attecchire: e così verrebbero a mancare quei validi e necessari punti di appoggio agli ani : mali della fauna littorale. | Non voglio con tutto ciò dire che la fauna neritica ina questo lago sarà impossibile, poichè la prima condizione della profondità c'è; ma piacemi solo far notare che forse le pecu- liari condizioni del nuovo bacino non permetteranno 1’ espli- cazione di una fauna littorale, per un certo tempo almeno, eguale a quella di altri bacini che trovansi in condizioni in | tutto soddisfacenti a ciò che costituisce di regola l’ambiente della fauna littorale lacustre. si: La regione peligica comprende la massa principale e cen- | trale delle acque, dal margine della regione littorale fino al centro del lago, dalla superficie fino agli strati più profondi. Le condizioni ambienti di questa regione sono poco varia- bili, poichè il movimento delle acque è attivo soltanto alla super- ficie e debolissimo o nullo a un paio di metri di profondità. Ma nel nostro bacino la quiete sarà massima; poichè alte m. 4.80 sono le sponde, ed è situato nella vallata a ridosso di due colline. Altre condizioni della regione pelagica sono: pressione gra- datamente crescente da 0, alla superficie, a più atmosfere (una atmosfera per ogni 10 metri); temperatura e grado d’illumi- nazione diminuenti con la profondità; mancanza di sostegni subacquei. Tutte queste condizioni e fatti, nel nostro piccolo lago si potranno avverare e la delicata fauna pelagica espli-’ carsi, poichè essendo la profondità massima fino ad ora potu- tasi constatare di m. 25, si avrebbe il requisito principale o fondamentale che abbraccia la cerchia di quelli che caratte- rizzano la regione della fauna pelagica. d Se poi è vero che il lago di Nemi ha soltanto una pro- È fondità di 32 m. (secondo Pavesi) (1) e vi si rinviene una fauna — : i SG (1) Vedi: U. Rizzarpi. Risultati biologici di una esplorazione del lago di Nemi.- Boll. Soc. Romana per gli studi zool. N. V e VI, vol. i 3 Anno III, pag. 137. + i, ir SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 61 “aa SIE Sai A al | pelagica ben rappresentata, non troverei difficoltà nell’ammet- | tere che anche in questo bacino i delicati entomostraci cope- | podi e cladoceri troveranno opportuna dimora. Una sola difficoltà mi si presenta alla mente circa questa . fauna, che forse cioè la relativa piccola massa d’acqua, trat- tandosi di un bacino la cui superficie non supera 60,000 m. q., non fosse tale da permettere l’habitat a tutte le comuni forme | pelagiche; tanto più che la fauna littoranea farà (da ciò che | si può prevedere) in qualche parte difetto e comprenderà una «zona molto limitata. E’ vero però che ancora non sappiamo quale area abbracci la profondità superiore ai 10 e 15 m.; ma se quasi tutto il lago è profondo dai 15 ai 25 m., allora vorrei | credere che la zona della fauna pelagica, da tale circostanza | verrebbe favorita. .» La regione della fauna profonda altro non è se non il . fondo stesso del lago e lo stratarello d’acqua sovra esso im- | mediatamente giacente, a cominciare dal limite interno della | regione littorale fino al centro del bacino, 0, se vuolsi, con altre | parole: tutto il fondo della regione ia Le condizioni di questo ambiente sono: una rimarchevole | pressione, superiore sempre ad una atmosfera; bassa tempera- — tura (+ 5° a 6° C. circa) e quasi uniforme; debole illumina | zione o, meglio, notevole oscurità; azione chimica solare poco rilevante (secondo i dati di Forel nella estate cessa a m. 45, e nell'inverno a m. 100). i Ora, la fauna di questa regione, che cpapegio abbon- danti vermi, numerosi artropodi e molluschi, troverà nel nuovo fiico, adatto ambiente ? La risposta è implicata e complicata com quella i alla fauna pelagica. Se questa sarà possibile, sarà possibile . anche quella detta profonda. Però, potrebbe darsi invece che | stante le condizioni accennate di questo bacino tutta la fauna È presentasse una certa uniformità ed assumesse essenzialmente i caratteri, dn foto o quasi, di una o d'altra fauna. In ogni modo se una fauna profonda si avrà, questa potrà essere in qualche parte mancante, stante le particolari condi- zioni fisiche in cui si presenta questo bacino. Sarà senza dubbio importante ancora di osservare se, ed pros ag EER 62 PIETRO DE VESCOVI in qual modo e in qual tempo, le acque di questo bacino ver- ranno abitate da talune specie, che, secondo alcuni naturalisti, hanno valore di un caratteristico segno; portano cioè contri- buto alla conoscenza della origine, lontana origine, delle acque che nei laghi racchiudonsi. Per citare fatti alla Romana Provincia tangenti, ricordo - che la presenza di tre specie di pesci, il Blennius vulgaris Poll. var. varus, V Atherina lacustris Bp. e il Gasterosteus aculeatus Linn.; come pure la presenza del Palaemonetes varians Leach, e di entomostraci cladoceri denominati eulimnetici o eupela- gici (Daphnia hyalina, D. galeata, Leptodora hyalina) ed anche di un flagellato, il Ceratiuim furca Clap. e Lachm,i quali fu- rono ritrovati nel lago di Nem:? e vivono anche in quello di Albano, ha fatto arguire al Martens (1), al Pavesi (2) e ripetere al Rizzardi (il quale l’anno scorso pubblicò nel Bollettino di questa Società (3) i Resultati biologici di una esplorazione al lago di Nemi) che le acque del lago di Nemi rappresentino un reliquato marino. Sarà quindi importantissimo osservare, come dapprima dissi, se queste specie compariranno nelle acque del nuovo ba- . cino ; e questa prima osservazione sarà argomento di peso pro o contra il valore, diciamo così, diagnostico, attribuito alla pre- senza di queste specie, in quanto alla origine primitiva delle acque dei nostri laghi laziali, trattandosi di un lago della cui formazione siamo stati, si può dire, testimoni oculari. Il modo poi della loro comparsa, se si darà il caso, sarà pure interessante, trattandosi di questione di un certo mo-. mento scientifico in relazione coi mezzi di diffusione. Le condizioni del nuovo bacino, da quanto è concesso pre- sumere dai dati che fino ad ora si sono potuti avere, possono permettere nel suo seno la vita al Palaemonetes, al Gasterosteus, al Blennius. Non so. se l’esplicazione della fauna pelagica sarà | (1) Ueber einige Fische und Crustaceen der siissen Gewasser Ita- liens. in: Arch. f. Naturges. Berlin 1857. (2) Loc. cit. pag. 402. ; (3) Bollettino della Società Romana per gli Studi zoologici. N. Vie. VI, Vol. III, An. ITI, 1894. DI (JO) SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO possibile, e perciò mi rimane dubbioso se vi potranno vivere le forme pelagiche ed eupelagiche di entomostraci, come pure il Latterino, il quale forse domanda una massa d’acqua più ab- bondante ed una pastura ricca di piccoli animali, considerata la sua grande voracità. _ E qui, o signori, mi cade in acconcio di domandare se in verità la presenza del Gasterosteus, del Blennius, della Athe- rina, dei clodoceri detti eupelagici, del Palaemonetes e del Ce- ratium, depengano giustamente in favore di un religuato marino. So bene che da altri è stata con varie obbiezioni e sva- riati argomenti (ad es. dal Forel ed anche dal Garbini (1) trat- tando del Lago di Garda) messa in dubbio e contrariata questa opinione propugnata dall’illustre prof. Pavesi che tanto si oc- cupò della fauna lacustre; e perciò non voglio addentrarmi nella questione. Mi sia nulla di meno permesso, anche senza novità di argomenti, e molto brevemente, di dire la mia opi- nione; posto che la questione tange proprio diritto e forte- mente i laghi laziali, la cui fauna vuole esser oggetto delle nostre ricerche. Ora ecco la domanda che mi formulo: Se anche la fauna di reliquati marini, ben accertati da numerosi reperti geologici, comprende le forme anzidette, o altre della medesima natura, potrà egli asserirsi perciò che la loro presenza deponga sempre in e di un reliquato di origine marina ? - Mi sembra di no. Non intendo punto di far questione su fatti geologici che si riferiscono ai nostri laghi laziali. So che opinioni diverse si sono formulate sulle origini delle formazioni geologiche che interessano la nostra Provincia e non posso en- trare in merito a queste. Non so se nelle acque che lambirono i vulcani del Lazio vi si bagnarono le Nereidi o le Naiadi; faccio una semplice questione di massima dal punto di vista faunistico. \ Per darsi ragione di tutto un complesso di questioni co- rologiche relative alla fauna lacustre, ed anche volendosi limi- (1) GARBINI A., Primi materiali per una monografia limnologica del lago di Garda. Verona, 1893. 64 PIETRO DE VESCOVI tare alla fauna pelagica dei laghi, mi sembra che la teoria caldeggiata dall’illustre prof. P. Pavesi, il quale vuole « attri- buire un'origine marina alla fauna pelagica lacustre per lo meno alle sue forme più tipiche ed anomali » (1) pecchi per di- fetto. Perchè voler restringere la questione a queste sole forme, quando essa s'impone per il complesso della fauna? Le forme. caratteristiche della fauna eupelagica sono riferite a relicti marini. E le forme ticopelagiche che origine avranno? Se per queste non occorre ammettere la derivazione immediata dal mare e col mare, perchè dovrà ritenersi necessaria per le prime? E se per le prime si può ritenere la provenienza in- diretta, perchè non potrà ammettersi per le seconde? È un fatto però indiscutibile che se non vuolsi ammettere ì una evoluzione e filogenesi tutta speciale ed isolata per la. fauna delle acque dolci, bisogna accettare che tutti i viventi di questa fauna siano intimamente collegati con le forme abi. tatrici delle acque marine e che da queste derivino. Forse che la presenza di alcune forme attualmente viventi in certi laghi ed in altri no, deve far deporre per un modo tutto speciale di origine? O non piuttosto debbasi ricercare la ragione di questo fatto in altri collegati e complicati coi modi di possibile diffusione attiva e passiva, con particolarità fisiche dell'ambiente, con condizioni peculiari chimiche, con rapporti di connivenza, tutt'ora non sufficientemente apprezzati o del tutto sconosciuti? Riguardo alla origine di alcune forme della vita pelagica, pare certamente molto semplice l’ammettere, come ha fatto il prof. Pavesi, « che vi furono abbandonate dal mare durante l'epoca glaciale in un grandissimo numero di laghi del globo » (2). Ma dal parere all’essere ci corre un gran tratto. Prima di tutto bisognerebbe poter ammettere che un grandissimo numero di laghi sparsi. su immensa zona (Scan-. dinavia, Canadà, Italia, Armenia) siansi formati nella stessa epoca, in secondo luogo bisognerebbe poter dimostrare che siansi formati tutti in tal modo da risultare relicté marini. Ma (1) Op. cit., pag. 386. (2) Op. cit., pag. 402. SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 60 per darsi ragione di quelle forme esistenti nelle acque dolci che tanto rassomigliano a quelle marine, occorre proprio ri- correre alla ipotesi che desse siano forme marine relictae, e per di più dell’epoca glaciale, come vorrebbe il chiarissimo prof. Pavesi? (1). | Non si potrà invece ritenere che queste forme di grande diffusione abbiano emigrato dalle acque salate alle dolci risa- lendo le correnti, e ogni qualvolta trovarono un bacino di acqua salmastra e in fine dolce, in questo si abbiano fermato e vi si siano adattate, cioè abbiano subito gradatamente quei mutamenti che le fanno differenziare più o meno delle forme affini e forme madri marine? Oppure (con assai maggior pro- babilità) che stabilitesi una volta in un posto - siano pur ri- maste in origine come relictae - da questo siansi disseminate o attivamente o passivamente? Occorre forse ammettere che tutte le forme cosidette relictae siano contemporanee? Mi sembra decisamente di no. Voler restringere la questione a poche forme soltanto, scostarsi dalle grandi linee che nel problema si possono trac- ciare, mi sembra che non rechi alcun giovamento ai quesiti principali e possa complicarli anzichè semplificarli. Non è questione qui, di risalire ai primissimi esseri che hanno rapporti filogenetici con quelli che oggidi vivono nei nostri laghi; ma bensì ai primissimi e successivi momenti della invasione, del mutamento di dimora di questi esseri. Non comprendo, a dir vero, come il prof. Pavesi (Op. cit. pag. 389) voglia applicare l’epiteto di « relativamente recenti » ad alcune forme, quando nulla sappiano sugli antichi abitatori delle acque dolci. O forse che l’avere alcune specie di animali viventi nei laghi i corrispettivi rappresentanti attualmente nel mare, significa che queste da meno lungo tempo abbiano in- vaso le acque dolci, di quello che le forme che più non ne hanno? No, di certo; poichè alcune forme anche antichissime possono aver trovato per lunghissimo tempo e fino ad ora buone condizioni di esistenza, altre relativamente recenti abi- tatrici delle acque dolci possono esser state costrette a migrare (1) Op. cit., pag. 400. Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 5 n - MALE VSC IT - ) i ; Mae ca TA PERA 66 PIETRO DE VESCOVI dalle acque marine e limitarsi a quelle locustri per non dover scomparire. i Se è un fatto che « i laghi alpini molto elevati, i laghi di storica formazione, dovuti a frane od all’opera dell’uomo, i laghi orografici d’antichissima epoca geologica, sono privi della fauna pelagica e la posseggono invece i laghi di chiusa, i laghi separati da questi per alluvioni di fiumi, i laghi laterali di sbarramento glaciale, i laghi frontali morenici, i laghi-crateri di vulcani recenti » (1), non è più questione di forme relativa- mente recenti o non recenti, perchè tanto in laghi di storica formazione quanto negli antichissimi non riscontriamo queste | forme relativamente recenti. | Non può, si dice, neanche riferirsi a diversità d’ambiente, la presenza o mancanza di forme veramente pelagiche, poichè alcuni laghi che mancano di fauna pelagica tipica (laghi di Mantova, di Toblino, di Alleghe, il Ritom, il Trasimeno, se- condo Pavesi), offrono condizioni eguali ed anche migliori di quelli che albergano: questa fauna (2). Ma, concesso anche tutto ciò, si può, o si deve, inferire che dunque trattasi sol- tanto diverso modo di formazione dei laghi?’ Non sarà invece più semplice riportare il fatto a differente facilità o difficoltà di diffusione, o meglio, e come dissi, a pe- culiari condizioni di vita, che impediscono ad alcune forme il diffondersi e l’allignare in dati ambienti, i quali in talune parti di essenziale importanza, non corrispondono con l’ambiente abitato da queste forme pelagiche ? La divisione dei laghi, riportata dal Pevesi, dà ai geologi motivo di molte discussioni; quello però che certamente si può asserire, basandosi sui reperti geologici, si è, che il lago di Nemi, come quello di Albano - siano essi crateri spenti, siano derivati da sprofondamenti - in nessun modo si debbono con- siderare come laghi di reliquato marino, quantunque alber- ghino forme di carattere prettamente marino. Ciò si può rile- vare specialmente dallo studio dei pregevolissimi lavori del prof. R. Meli, del colonnello A. Verri e dallo stesso profes-. (1) PAVESI, op. cît., pag. 384. (2) PAVESI, op. cit., pag. 384. VS PACI MIO LITE E TEO RION RA LI, MARTI ni sii SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 67 sore A. Portis, che illustrarono la geologia del Lazio in questi ultimi tempi. | La questione dunque della origine e della corologia della fauna lacustre si complica, oltre che per le forme prettamente pelagiche, anche per altre della regione litorale e non basta a risolverle le teorie più o meno immaginose geologiche. Che se anche si volesse ritenere che questi laghi si formassero < quando il mare flagellava ancora i fianchi dei coni laziali » (come pare, per lo meno, vorrebbe ammettere il Pavesi) (1), non viene perciò di conseguenza che le acque radunatesi negli antichi crateri fossero marine, poichè allora, supponendo che i laghi vulcanici laziali si fossero formati in questi giorni, dovremmo ritenere le loro acque di relicto marino, poichè anche presentemente il mare flagella le lontane propagini dei vulcani laziali. Infatti, presso Nettuno, si trova un tufo vulcanico, ricco di molluschi marini e di bellissimi echinodermi, che forma la spiaggia recente; ma nessuno, di certo, vorrà perciò ritenere che il cratere vulcanico siasi formato sotto il livello del mare e che quindi le acque raccoltesi in questi crateri debbano es- ser marine. Anche coloro che propendono per l’origine marina dei tufi della campagna romana, sono obbligati ad ammettere che la bocca antica craterica del vulcano laziale emergesse dallo spec- chio delle acque marine, i cui proietti poterono poi essere con- segnati, per la deposizione, o alle acque marine o a quelle d’acqua dolce oppure all'oceano atmosferico che li deponeva sopra le terre già emerse della campagna romana, la quale si presentava allora come un arcipelago di recentissima formazione. Il cono dunque laziale, come tutti i geologi concordemente ammettono, doveva formarsi sopra il livello delle acque; e perciò è da ri- tenersi che le acque raccolte negli attuali bacini, siano unica- mente pluviali. Un altro argomento di fatto gioverà a noi di tener pre- sente, fatto che si oppone alla teoria testè accennata, ed è quello fornito dai reperti della fauna dei laghi craterici delle (1) Op. cît., pag. 402. Y N - Lie: 68 PIETRO DE VESCOVI | Azore; poichè sulla epoca della formazione di questi laghi abbiamo fortunatamente dati ben attendibili. « Les documents relatifs - scrive J. de Geurne (1) - è cette localité (Sete Ci- cades) offrent un grand intérét en ce qui concerne la question de l’ancienneté de la faune. Les premiers navigateurs rappor- tent qu'au debut de l’année 1444 l’emplacement de la caldeira était occupé par une montagne. Elle s’effondra durant une violente éruption que des documents dignes de foi placent entre le 8 mai e le 29 septembre 1444. Alors seulement com- mencerent à se rassembler dans les fonds les eaux pluviales qui devaient y former les lacs (2) ». Al fondo del cratere di Sete Cicades situato all’estremo occidentale dell’isola di San Miguel trovansi il Lagoa Grande . ed il Lagoa Azul, e come si può ritenere per questi che la data della loro formazione sia da riportarsi al 1444, così è da ritenersi che il Lagoa do fogo, altro lago fra i più importanti delle Azore, siasi formato nel 1563 (3). Eppure in questi bacini, le cui acque assolutamente non sono r'elicti marini, ma sono di origine pluviale come è stato sopra ricordato con le parole del De Guerne, albergano forme pelagiche ed anche eupelagiche: « Sans parler de Leptodora, dont la détermination peut étre considérée comme douteuse, Daphnella brachyura, Asplanchna Imhofi et. Pedalion mirum appartiennent aux formes essentiellement eupéllagiques (4). La grande somiglianza poi delle faune lacustri depone in favore che queste da un lago, da un bacino all’altro si propa- ghino. E quando in uno di essi, per una via o per un’altra, in uno o altro modo, siasi stabilita una specze, perchè dessa non potrà, favorita dai numerosi mezzi di diffusione di cui la na- tura dispone, invadere nuovi ambienti? Se questi saranno ad (1) JuLes DE GUERNE, Escursions zoologiques dans les iles de Fayal et de San Miguel (Agores). Paris, 1888, pag. 92-93. i (2) Vi è aggiunta dal De GEURNE (loc. cit.) la seguente nota: « Les eaux ont pu s'amasser assez rapidement. Il pleut eu effet souvent et beaucoup aux Acores. La quantité d’eau tombée atteint 1%, 515 en une année. (3) J. DE GUERNE, loc. cît., pag. ll. (4) J. DE GNERNE, loc. cit., pag. 17. , PARRA NESS" SRURIRAO TT RSU ta Ù pe LASTRA A SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO 69 essa favorevoli, prospererà, se sfavorevoli, sarà seme sparso su ‘ingrato terreno, germe condannato a perire. Da queste congetture adunque guidato, mi sembra non poter ritenersi valido argomento la presenza di questi pesci, crostacei e flagellati, per dare contributo o decidere sulla que- stione di religuato o non reliquato marino. Io credo che sol- tanto una molto più ampia impronta faunistica vivente e fos- sile potrebbe esser valido argomento nella decisione se un lago sia, o meno, reliquato marino. E più ancora della fauna, la sio della flora fossile dovrebbe essere importante e ponderata. To non vorrei neanche negare che il lago di.Nemi, ad es., sia un relicto marino, amerei anzi poterlo ammettere; ma credo che allora appunto per l’azione vulcanica - di cui, a quanto risulta dal dato fornito con le ricerche del Pavesi(1), ancora se ne avreb- bero i sentori nella elevata temperatura di fondo (14° C.), in con- fronto a quella che venne notata per altri laghi ad una stessa profondità di 30 metri (2) - sia avvenuto che le acque ma- rine avrebbero pian piano ceduto il luogo alle salmastre ed a quelle dolci, prima ancora che in quell’ambiente sia stata pos- sibile la vita di una fauna. Alludo all’alta temperatura che quelle acque per lunghi anni hanno dovuto avere. A questo proposito basta ricordare che il pozzo d’acqua della solfatura presso Pozzuoli giunge ancor oggi a 54° C. Con tutto ciò ho voluto semplicemente accennare ad al- cuni fatti, a talune congetture che a questi problemi si rife- riscono. Studiando la fauna dei nostri laghi avremo occasione, volendo, di poter più dettagliatamente entrare in merito sia delle cause, che complicano la interpretazione della corologia delle forme spettanti alla fauna lacustre, sia ai coefficienti di diffusione attiva e passiva degli abitatori delle acque dolci. In ogni modo la questione per la sua importanza s’ im- pone. Contro i fatti non ci sono certamente argomentazioni che (1) Vedi RIZZARDI, loc. cit. pag. 143. (2) Così mentre ni lago di Nemi alla profondità di 30-32 metri la temperatura è di 14° C., negli altri laghi, come in quello di Como, di Lecco, di Ginevra, di Lucerna, ecc., nello stesso mese dell’anno, cioè in ottobre, la temperatura è di 7°, e ancor meno. 70 PIETRO DE VESCOVI possano reggere, e saranno questi che recando luce dovranno decidere della esattezza e della veridicità delle congetture degli uni piuttosto che degli altri. Giacchè ebbi occasione di nominare i laghi laziali, mi si permetta di far notare come nella relazione fatta dal dott. Riz- zardi si legga che la massima profondità del lago di Nemi, dagli scandagli del prof. Pavesi, risulti di m. 32; mentre se- . condo i dati registrati nella Guida della Provincia di Roma di En. Abbate — pubblicata per cura del Club Alpino Ita- liano — la profondità massima di questo bacino è segnata con m. 250, ed in altro posto della stessa guida, la profondità di- cesi sia di metri 167. (1) Io non so quante misurazioni siano state possibili al prof. Pavesi, e donde abbiano altri attinto le loro notizie; ma quello che devo osservare è questo soltanto: che (nessuno se ne abbia a male) o da un lato o dall’altro c'è un errore, ed un errore che importa a dirittura oltre 200 metri! Sulle condizioni fisiche (profondità, temperatura, traspa- renza e limpidezza delle acque, penetrazione dei raggi lumi- nosi, reazione chimica dei raggi solari a date profondità, ecc.) dei nostri laghi ben poco se ne sa, e dall’esempio ora ripor- tato, ben di leggeri si scorge che quanto ci sembra di conoscere è dubbioso e controverso. A. dire il vero, con la sede vicina della Società geografica italiana qualche cosa di più si dovrebbe aver saputo a que- st’ora sulle condizioni fisiche dei laghi laziali; ma forse, come il nuovo lago, questi sono troppo vicini soho la nostra So- cietà geografica rivolga ad essi un pensiero. Giacchè, o signori, abbiamo avuto, dirò così, la fortuna di poter assistere alla formazione dinamica di un nuovo lago, non vi pare egli che per vari titoli diventi interessantissimo (1) Il prof. OLINTo MARINELLI nel suo lavoro « Area e profondità dei principali laghi italiani» pubblicato nella Rivista geografica italiana, scrive, al N. II dell’Annata II, pag. 95: « Lago di Nemi. — Per la pro-' fondità ho trovato i seguenti dati: m. 150 Amati; m. 250 Abbate; m. 100 Fritsche carta ecc.; m. 167. Fritsche cartina al 75000 annessa alla carta precedente; m. 70 Verri, ecc. Ce n’è per tutti i gusti! Chi avrà ragione? » I "AE E er IT) MR I TI MR VAT ARTE LAN7 uit SLA livdg RIT AZ 5 STI CRA SULLA FORMAZIONE DI UN NUOVO LAGO ; TL per il biologo di assistere e gelosamente spiare il modo col quale gli organismi invaderanno il nuovo ambiente ? Quali siano i primi, quali i secondi; se per tutti gl’ in- vasori la libera presa di possesso sarà stabile o se per taluni precaria; l’indagare quali le successioni, e quali le associazioni ; quale il tempo e quale il modo o i mezzi di arrivo, di popo- lamento di queste acque, dove ancora non si sono combattute le inevitabili lotte per il posto, pel cibo, per lo spazio, per la vita della specie, sarà senza dubbio di qualche valore nel campo della biologia, e più specialmente per quello che concerne la fauna lacustre. ì Tener dietro a tutti questi fatti nelle loro multiformi mo- dalità, registrare il tempo necessario, o necessitato, che tali fatti domanderanno, è compito che io, unitamente all’egregio marchese Gianfrancesco Luz], ci siamo proposto, per lo meno, d’incominciare ; tanto più che è già da oltre due anni che facciamo ripetute escursioni ai nostri vari bacini d’acqua dolce, raccogliendo materiali che daranno, se non altro, modesto con- tributo alla conoscenza della fauna limnologica italiana e più particolarmente contribuiranno alla illustrazione della fauna di questa Provincia, già da varie parti egregiamente indirizzata. LA CATTURA DI UN PYRRHOCORAX ALPINUS Viet. NELLE MARCHE ) / Comunicazione del socio Francesco Luzi, letta nell'adunanza del dì 34 Marzo 4896; ] Il Pyrrhocorax alpinus, del quale presento le spoglie; fu ucciso il 20 ottobre [1895 nel territorio di reja, provincia di Macerata, in una località la quale ha un’ altitudine di circa 400 metri sul livello del mare. Quando ciò avvenne da varî giorni spirava un forte vento dal sud. L'individuo è giovane ed in un periodo di passaggio allo stato adulto; difatti presenta un becco giallo come l’adulto, le gambe nere ed il piumaggio senza riflessi come il giovane. Il Salvadori dice: che il P. alpinus non abbandona le alte vette dei monti se non cacciato dalle nevi, e che nelle Mar- che, in pianura - non nomina la località - ne fu ucciso uno, ed un altro sui monti Sibillini (1). Nel catalogo degli uccelli marchigiani del Paolucci, pub- blicato nell’inchiesta ornitologica, è detto rarissimo ai monti (2). Il Paolucci stesso non lo nomina tra gli uccelli migratori della | provincia di Ancona (8),.nè tra le specie rare per le Marche (4). Il Carpegna non la menziona fra gli uccelli della provincia di Pesaro e Urbino (5). Ricorderò pure che il professore Carruccio, a proposito di un Pyrrhocorax alpinus, ucciso presso Anguillara (6), ram- (1) SALvaDORI. — Uccelli. — Parte 2°. Fauna d’Italia. Vallardi. Pa- gine 170-171. (2) Inchiesta Ornitologica. Vol. I, pag. 475. (3) Gli Uccelli migratori della Provincia di Ancona. Atti della Soc. Ital. di Sc. Nat. Vol. XVI, P. II. (4) Sopra alcune specie rare di uccelli nelle Marche. Atti della Soc. Ital. di Sc. Nat. Vol. XXIV. i (5) FALCONIERI pi CARPEGNA conte Guipo. — Sull’avifauna della Prov. di Pesaro e Urbino. Boll. della Soc. Romana per gli Studi Zoo- logici. Vol. I pag. 100-153. i (6) CARRUCCIO Prof. A. — Sull’esistenza del Pyrrhocorax alpinus Vieill. e del P. graculos L. nella Prov. di Roma. Boll. della Soc. Ro- mana per gli Studìî Zoologici. Vol. I pag. 158-165. GIUSEPPE LEPRI UO menta che nel Museo zoologico di questa R. Università si con- servano tre esemplari di P. alpinus provenienti dalla colle- zione ceduta con lodevole sentimento dal marchese Massimiliano Lezzani ed acquistata dalla R. Università Romana, e che . avendo il Lezzani ricevuti questi uccelli dal fu senat. prof. Orsini si suppone che siano stati presi nelle alte montagne del- l’Ascolano. s ARIA _ Il Gasparini (1) infine, nella sua Avifauna marchigiana, dice che: « il P. alpinus vive nelle più alte cime del nostro < Appennino e qualche rarissima volta scende negli inverni < rigorosi anche alla pianura. Due individui catturati in Ancona « sì conservano in quel gabinetto del R. Istituto Tecnico; un « altro, ucciso a Sassoferrato, si trova nella raccolta Vianelli ». Così questa è la prima volta che il Pyrrhocorax alpinus vien preso nella provincia di Macerata, ed è la sua quinta cattura accertata nelle Marche. Delle spoglie di questo esem- plare ho fatto omaggio al gabinetto di anatomia comparata di . questa R. Università. Il (1) GASPARINI. — Avifauna Marchigiana. — Fano, 1894, pag. 151 Altri lavori non credo necessario citare. J ISTITUTO 700L06I00 DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA Diretto dal Prof. A. CARRUCCIO NOTA SULLA PERSISTENZA DELLE VIE DELLA CIRCOLAZIONE FETALE NEL CUORE D’ UN NYCTIPITHECUS pel Dottor MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA Comunicazione alla Società Romana per gli Studi Zoologici L’anomalia, che descrivo, riguarda la persistenza nella vita estrauterina delle condizioni anatomiche, che nella vita fetale fanno comunicare le due metà destra e sinistra del cuore. Ho constatato tale anomalia in una piccola scimia not- turna, del genere Nyctipithecus (1), che il Sig. Prof. Tonini Dal Furia, reduce dal Paraguay, dove soggiornò lungamente, portò viva in Roma, e qui, mortagli, donò al nostro Museo Universitario, Il tronco sinistro dell’a. polmonare, presso il punto ove questa si biforca, lascia partire dal margine anteriore un ramo lungo 4 mm. e ampio mm. 2 (condotto di Botallo), il quale si dirige obliquamente a sinistra ed in avanti, e si porta al margine concavo dell’arco dell’aorta, pochi millimetri al di là dell’origine della succlavia sinistra. Premendo sul ventricolo destro si constata la permeabilità del tubo; il quale si distende, e lascia scorgere il passaggio della colonna liquida, che, spinta dalla pressione esercitata, si | porta dall’a. polmonare all’aorta. Nell’una e nell’altra, nel punto in cui sbocca il condotto arterioso di Botallo, è una piccolissima fossetta, la quale si continua col lume del condot- | tino rimasto pervio. Si può sondarlo mediante una grossa setola di maiale, ovvero per mezzo di una sonda metallica del dia- metro di poco più di un millimetro. (1) È un J' juv. dell’età approssimativa di un anno. ESILE 7 ML ABASO RR TOAZIA (SALA, SULLA PERSISTENZA DELLE VIE DELLA CIRCOLAZIONE FETALE ‘75 Tale arresto di sviluppo non sè limitato soltanto a man- tenere pervio il condotto di Botallo, destinato a divenire nella vita estrauterina un semplice legamento grande dell’aorta, ma ‘sì è esteso anche alle orecchiette: difatti, aprendo il seno destro con un taglio che comprende lo sbocco delle vene cave, e il sinistro con una seconda incisione condotta fra gli sbocchi delle vene polmonari, e, dopo ciò, guardando per trasparenza Il setto interauricolare dalla parte del seno destro, si vede bene che le due cavità comunicano fra di loro per la persistenza del forame ovale, ch’ è però rotondo ed ampio 2 mm. Questo orifizio è circondato dall’istmo di Vieussens, e mostrasi sprov- veduto di qualsiasi accenno di valvola; manca cioè alla sua parte posteriore il più piccolo abbozzo di quella membrana semilunare con concavità anteriore, che, dopo la nascita, risale sempre più per chiudere completamente il forame di Botallo. Il che vuol dire che lo sviluppo si è arrestato a quel periodo embrionale, che per l’uomo corrisponde a prima del 3° mese della vita intrauterina. Credo che importante a notarsi sia il grande sviluppo della valvola di Eustachio, la quale, a guisa di velamento falciforme lungo 7 mm. ed ampio 3, guarda col suo margine libero po- steriormente ed in basso, e col margine aderente si estende dal lato destro del contorno dell’orifizio della vena cava ascen- dente alla parte anteriore dell’istmo di Vieussens. L'ufficio che ha questa valvola nella vita intrauterina, di avviare la corrente sanguigna dalla cava inferiore al forame di Botallo, spiega il perchè del suo massimo sviluppo nella vita fetale; come pure spiega la sua atrofia, spinta talvolta a completa scomparsa nell’adulto (1), in cui la funzione viene meno per la chiusura di detto foro. Ond’ è che, persistendo per anomalia dopo la nascita la comunicazione fra i due seni, la valvola di Eustachio persisterà pure e si svilupperà sempre più, sino a che i disturbi del circolo polmonare e le conseguenze dei medesimi non portino più o meno presto all’esito letale. Le anomalie congenite del cuore dipendono o da arresto (1) Tigri. Del cuore umano, Lo Sperimentale, anno XIII, serie IV, tomo VII, fascicolo 3 e 4, 1861. 76 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA di sviluppo o da conseguenze di processi endocarditici conge- | niti. Questa seconda causa è meno importante della prima, ma esiste indubbiamente, come fanno fede i casi riportati da Roki- tansky, Rauchfuss, Zehetmayer, Brechet ed altri. Pertanto nasce spontanea la domanda: A quale delle due categorie appar- tiene l’anomalia descritta? Senza esitare rispondo: alla prima. La chiusura normale del condotto di Botallo viene im- pedita per cause patologiche o quando processi di natura settica danno luogo a trombosi con disfacimento consecutivo delle masse coagulate (come nell’ infezione puerperale del neonato), o quando per la difettosa respirazione è impedito il dispiega- mento dei polmoni e nel circolo polmonare sono create resi- stenze anomale. Ma entrambe queste cause sono da scartarsi nel caso nostro: appunto perchè nel cuore non si osservano reliquati di processi endocarditici preesistenti, ed anche perchè i polmoni sono perfettamente normali senza traccia alcuna di parziale atelectasia o di qualsiasi infarcimento, che, per insut- ficiente distensione dei polmoni e dilatazione dei vasi polmo- nari, permettano al sangue che continui a passare pel condotto - di Botallo, e disturbi per tal guisa quel lussureggiamento di tessuto delle pareti vasali, che, durante le prime quattro set- timane della vita estrauterina, conduce all’obliterazione del dotto senza formazione di trombi. Si tratta adunque di anomalia congenita per arresto di sviluppo; ed una prova in più vien data dalla concomitante persistenza del forame ovale, il quale, come sopra abbiamo detto, è sprovveduto del più piccolo accenno di valvola. MOSSE POSSE Non credo sia il caso menzionare in questa nota la ma- niera onde si originano i vizî di conformazione del cuore; ri- cordo soltanto di passaggio che la genesi di tali mostruosità oggidi si spiega benissimo mediante la conoscenza della storia dello sviluppo del cuore, la quale in questi ultimi anni ha fatto immensi progressi per opera di His (1) e di Born (2). (1) His. — Anatomie menschlicher Embryonen 111, Leipzig 1885, e Beitrùge zur Anatomie des menschlichen, Herzens, Leipzig 1886. (2) Born. — Beitrdge zur Entwickelungsgeschichte des Stiugethierher- zens, Arch. f. microsk. Anat. XXXIII, 1889, e Anat. Anzeiger INI, 1888, p.606 sd co N: È i i "0 rr E SULLA PERSISTENZA DELLE VIE DELLA CIRCOLAZIONE FETALE 77 Dalle ricerche bibliografiche finora fatte non mi risulta che tali vizî di conformazione siano stati studiati nei Primati; invece più o meno spesso è occorso osservarli nell’uomo. La persistenza del forame ovale è la lesione più comune, tanto che dal Gintrac (1) è stata registrata 52 volte sopra 69 anomalie congenite del cuore, e il Guillon ne riporta 34 casi. Numerose osservazioni sono pure ricordate da Ferrus (2), Louis (3), Peacock (4), Taruffi (5), Sanson (6), Bourneville et d’Ollier (7). L'ampiezza dell'apertura permanente del. foro ovale nei citati casi aveva molte gradazioni: talvolta la valvola mancava intieramente o quasi, soventi ne mancava il terzo o il quarto superiore, più spesso ancora essa faceva difetto soltanto alla porzione superiore dell’ istmo di Wieussens, per cui invece di un foro propriamente detto, si aveva una fessura. La permeabilità del condotto arterioso di Botallo è feno- meno molto più raro. dell’apertura permanente del foro ovale. Hssa spessissimo è conseguenza necessaria di parecchie anomalie del cuore e dei grossi tronchi vascolari; difatti, nel maggior numero dei casì, sì associa 0 a persistenza del forame ovale, o a incompleto sviluppo del setto interventricolare, o ad arresto di sviluppo di vario grado dell’aorta dalla sua origine fino al dotto arterioso, attraverso il quale allora le giunge il sangue dell’arteria polmonare, o ad arresto di sviluppo della prima (1) GintRAo. — Difféerentes affections dans les quelles la peau pré- sente une coloration bleue. Paris, 1814. (2) FeRRUS. — Cyanose, Dict. de Med. (3) Louis. — Mémoire sur la communication des cavités drotte et gauche, 1523. (4) PeAcOCK. — On Malformations of the human Heart-Sund, 1858. (5) TARUFFI. — Sulle malattie congenite e sulle anomalie del cuore. Memorie della Società Medico-Chirurgica di Bologna 1875, Vol. VIII, Art. 7, pag. 207. : (6) SANSON. — Etude clin. sur les maladies du caeur dans l’enfance. - (Med. Times, and Gazette 1879). (7) BOURNEVILLE et D’OLLIER. — Note sur la maladie bleue. (Bull. Soc. Anat., 1380). 78 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA porzione dell’arteria polmonare, la quale in tal caso riceve il sangue dall’aorta per mezzo del canale di Botallo (1). Vi sono però, è vero, delle rare eccezioni; poichè da un lato il condotto può rimanere pervio, anche senza che esistano sensibili anomalie del cuore e dei grossi vasi, e dall’altra, benchè queste esistano, esso può restringersi e completamente. obliterarsi. | i Secondo Rauchfuss (2), tutti i casi finora conosciuti di per- . sistenza del condotto arterioso di Botallio montano ad una ventina, e, secondo Almagro, a poco più di 30. Altri casi troviamo registrati negli importanti lavori di Bernutz (8) e Francois-Franck (4), e in quelli più recenti di Bariè (5), Ep- pinger (6), Lebert (7), Luttich (8) e Sommerbrodt (9), che constatarono la persistenza del canale di Botallo insieme col- l’atresia od obliterazione del principio dell'a. polmonare. Ho fatto la presente comunicazione, perchè mi pare che le anomalie, anzi descritte, prima d’ora non si sieno studiate nei Primati; ed anche perchè esse, coesistendo nel medesimo individuo, dimostrano sempre più che i vizî congeniti del cuore . e dei grossi vasi di rado sono Sotanta e per lo più conco- mitanti. Roma, febbraio 1896. (1) RoritANSKy C. — Trattato di Anatomia Patologica. Prima tra- duzione italiana. Tomo II. Venezia, 1852, p. 419-423. (2) RaucHFUSs. — Gerhardt's Handb. d. Kinderkrankheiten IV Bd. (3) BERNUTZ. — Canal artériel. (Nouveau Dict. med. chir. prat. 1865). (4) FRANGOIS-FRANCK. — De la persistance du canal arteriel. (Ass. Franc. pour l’avancement des Sciences. Paris, 1878). (5) BARIÈ. — Du rétrécissement congénital de l’Aorte descendante. (Revue de méd., VI, 1886). i (6) Dormero — Stenosis aortae congenita seu Isthmus persistens. (Prager Vierteljahrsschr. 112 Bd. 1871). (7) LeBERT. — Ueber die Verengerung der Aorta in der Gegend des Ductus arteriosus. (Virch. Arch. 4 Bd. 1852). (8) LuTTICH. — Obliteration der Aorta in der pt: des. Ductus Botalli. (Arch. der Heilk. XVII, 1876). (9) SomwmerBRODT. — Fall von Obliteration der Aorta thoracica in der Gegend der Einmindung des Ductus arterîosus. (Virch. Arch. 91 Bd. 1883). VARIETÀ SCIENTIFICHE AIA NECESSITÀ ED IMPORTANZA DI UNA SCUOLA DI MEDICINA VETERINARIA IN ROMA Dall’egregio consocio Capit. Med. Dott. Giuseppe Bernabei ci perviene la seguente lettera, che, per il suo interesse, volen- tieri pubblichiamo nel nostro Bollettino : Pisa, li 29 maggio 1896. AL Chiar.mo Signor Prof. CARRUCCIO Presidente della Società Romana per gli Studi Zoologici ROMA. Quale membro di cotesta Società, terrei molto gradito che il prossimo numero del Bollettino sociale, il quale so doversi pub- blicare fra giorni, accennasse ad uno degli importanti argomenti, che debbonsi discutere nell’imminente Congresso dei medici-vete- rinarî italiani. Questo Congresso avrà luogo nella capitale, e l’ar- gomento, cui alludo, riguarda la instituzione d’una Scuola di medi- cina veterinaria nella stessa capitale. i Con altri colleghi penso che la Società Romana per gli studî zoologici non può disinteressarsi della instituzione 0, dirò meglio, della restituzione della predetta Scuola, alla quale certamente Roma ha diritto non inferiore delle altre città che la posseggono. Già Ella, Sig. Presidente, ha nello Spallanzani, (1) fortemente | appoggiato le opinioni e proposte fatte da altri miei egregi col- leghi. E adesso che, per opera del Collegio degli Zoojatri di Roma, si vuol tornare sull’ importante questione, amerei che fosse pubblicato un prezioso manoscritto dell’ illustre prof. Luigi Metaxà, manoscritto che, insieme con altre dotte memorie tuttora inedite, esiste nella Biblioteca Angelica di Roma (Metarà, Manoscritto, (1) V. Lo Spallanzani, giornale perle scienze biologiche, Anno XXIX, fasc. VIII-X, 1891, pag. 399-404. 80 VARIETÀ SCIENTIFICHE vol. 4, n. 1955). Ma, nel dubbio che manchi lo spazio per darlo nella sua integrità, ne fornisco un sunto. Il lavoro del prof. Metaxà ha questo titolo: Sulla necessità di coltivare lo studio della Veterinaria in Roma. Il dotto medico e naturalista comincia col far rilevare che la medicina degli ani- mali fu purtroppo vilipesa e negletta in questo paese, ed accenna | all’impunità goduta dagli empirici pei danni da essi arrecati. Passa quindi a dimostrare quanto grande sia il bisogno dei soccorsi della medicina veterinaria nell’Agro Romano, così ricco di armenti e di pascoli; e nota come siffatti armenti vadano incontro a gravi influenze morbose, e come in esso Agro vengano importate d’oltre monti epizoozie desolatrici. Ricorda pure che le carni infette pro- pagano alla specie umana malanni assai funesti; ed espone le circostanze in cui la perizia ed il voto dei veri medici veterinari possono tornare utili agli uomini di legge, ai proprietari ed a molti privati. Continua il Metaxà nel dire come sia stato il Pontefice Leone XII, che bene giudicò la necessità d’imporre leggi sanita- | rie, provvedendo alla salubrità delle carni, all’ erezione di un pub- blico stabilimento di mattazione, e punendo, non ostante i clamori e gl’intrighi, i disonesti introduttori e gl’ ingordi venditori di bovini e suini verminosi, ecc. A questo Pontefice non bastarono tali provvedimenti, cosicchè egli provvide anche alla. fondazione di un completo stabilimento veterinario, e migliorò le sorti dei professori dell’Università, delle Biblioteche e dei Musei. A Leone XII, adunque, dobbiamo esclusivamente la formazione della nobilissima Scuola di Medicina Veterinaria; e se oggi la si ricostituisse, dappoichè fu improvvidamente chiusa, ne avvantag- gerebbero cogli studî zoologici quelli dell’ igiene, con evidente pro- fitto degli interessi pubblici e privati. Il Metaxà deplora giustamente come siavi stata un’ epoca, in cui i Francesi, invadendo l’Italia nostra, abbiano abolito tutte le scuole veterinarie italiane (legge dell 8 settembre 1802). Prosegue nel ricordare l’opera di Pio VI, che nel 1786 eresse una cattedra di Zoojatria in Ferraia, di Pio VII che nel 1804 fondò in Roma la cattedra di Zoologia e Notomia comparativa. Forse senza quel modesto inizio in sul principio del secolo, che ormai volge alla ‘Et VARIETÀ SCIENTIFICHE 81 fine, Ella, Ill. Sig. Presidente, ch’ è pur professore di zoologia, non avrebbe potuto introdurre tanti notevoli incrementi nell’ Istituto da lei diretto. Con una Scuola di Medicina Veterinaria in Roma la collezione parassitologica da lei fondata ed altre, specialmente quella ricca e interessantissima per la Fauna Provinciale Romana, pure a lei dovuta, potrebbero avere sempre nuovo incremento. Tornando al manoscritto del Metaxà, questi ricorda come Leone X destinasse a sede della Scuola di Medicina Veterinaria il magnifico palazzo già delizia del Pontefice Giulio III Aggiunge poi che anche in Roma la medicina veterinaria vanta un’ epoca di progresso per opera di tre dotti: Giordano Rufo Lorenzo Rusio e Pietro Crescenzio ; e sopratutto per l’opera pre- ziosa resa dall’archiatro di Clemente XI, l’eruditissimo Lancisi, che apprese all'Europa a prevenire ed estinguere le pesti dei bovi e dei cavalli. Le brevi cose riferite bastino per dimostrare che la ricostitu- zione della Scuola di Medicina Veterinaria in Roma sarebbe un atto di giustizia verso la capitale, col vantaggio più evidente di una delle più grandi ricchezze - costituita dagli animali domestici - meritevoli di maggior apprezzamento nella Provincia di Roma. Ringraziandola della buona accoglienza, ch’ Ella potrà fare alla presente lettera, mi confermo . Suo Dev.mo. Dott. GrusepPE BERNABEI Capitano Med. Veterinario del 7° Reggimento Artiglieria. PISA. # Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 6 SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZOOLOGICI SUNTO DFI PROCESSI VERBALI Tornata del giorno 4 gennaio 1896. Presidente: Pror. A. CARRUCCIO La seduta è aperta alle ore 2,45 p. m. Soci presenti 15. Il Segretario legge il processo verbale dell'adunanza prece- dente, che viene approvato. Il dott. Ardu Efisio è proclamato socio ordinario. Il prof. A. CarRuccio riferisce Sovra alcune notevoli aggiunte fatte di recente alle Collezioni Romana e Generale del Museo Zoologico Universitario (1). Il prof. G. ANGELINI, presenta un lavoro dal titolo: Contributo allo studio delle migrazioni ornitiche con. osservazioni fatte spe- cialmente attorno allo stretto di Messina. Il conte G. FALCONIERI DI CARPEGNA, riferisce sopra una Nuova. cattura presso Roma di un Ciuffolotto scarlatto (Carpodacus erythrinus Kaup) in abito adulto. Il march. G. LEPRI, presenta una Bartramia longicanda cat- turata nella provincia di Roma.. Il dott. M. CoNDORELLI, riferisce Sovra diverse specie di Ret- tili (Saurii ed Ofidii) raccolti presso Tripoli, ed acquistati per il Museo Zoologico della R. Università di Roma. Il dott. G. ALESSANDRINI, legge un suo lavoro dal titolo: Raro caso di parassitismo nell'uomo dovuto alla larva di una mosca (Sarcophaga ‘affinis Meig). L’adunanza vien tolta alle ore 4,50 p. m. Il Segretario Dott. M. ConDOoRELLI i =————s - (1) Il presidente avendo voluto lasciare ad altri lo spazio disponi- bile in questo doppio fascicolo, si riserva di pubblicare le comunicazioni da lui fatte in questa adunanza, e altre presentate nell’adunanza del 17 febbraio, in un fascicolo successivo. SUNTO DEI PROCESSI VERBALI - 83 Tornata del giorno 17 febbraio 1896. Presidenza del V. Presidente Prof. G. B. Grassi La seduta è aperta alle ore 3,30 p. m. Soci presenti 15. Il Segretario legge il processo verbale dell’adunanza prece- dente, che viene approvato. Indi vengono svolte le seguenti comunicazioni scientifiche: 1. Prof A. Carruccio. Notizie zoologiche sopra un raro Pla- tirrino del Paraguay donato ‘al Museo Universitario. (La comu- | nicazione è letta dall’Assist. Dott. Giulio Alessandrini, per indi- sposizione del presidente prof. A. Carruccio). 2. Dott. M. ConpORELLI. Notizie anatomiche sulla predetta scimia. 3. Dott. E. Massari (present. dal socio prof. G. b. Grassi) . Sopra un caso di Tenia nana osservata in Roma. « Ricercando nelle feci di una bambina settenne affetta da « forte anemia, gli occorse di rinvenire al microscopio delle uova « di elminti, che per i loro caratteri mostravano chiaramente di « appartenere alla Taenia nana. Questo parassita quindi trovasi « anche in Roma, come in Lombardia .e in Sicilia ». (Istituto di Anatomia Comparata diretto dal prof. G. B. Grassi). 4. Dott. M. CaRrRuccio. Studio sperimentale sovra un Sar- te coptes trovato in parecchi conigli ed in una gallina. (Istituto di Dermato-sifilopatia della R. Univ. di Roma). 5. March. G. Lepri. Nuove aggiunte all'Avifauna no La seduta vien tolta alle ore 5 p..m. I Segretario Dott. M. CONDORELLI STATUTO SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZODLOGIC SIAT 2 ART. 1. È istituita nella Capitale del Regno una Società scientifica, che assume il titolo di Società Romana per gli Studi Zoologici. Art. 2. La Società si prefigge i seguenti scopi: i ì a) promuovere e divulgare le ricerche intorno agli organismi ani- ‘mali, sotto i punti di vista biologico, anatomo-fisiologico, embriologico, pa- leontologico e sistematico, e specialmente l’acquisto di conoscenze teorico- pratiche sulle specie animali, della provincia di Roma e dei territori limitrofi ; b) formare raccolte zoologiche ; x c) dare istruzioni, consigli, appoggio morale, e, quando alla Società sarà possibile, fornire aiuti materiali ai cultori della biologia animale anche nelle sue varie applicazioni; a) pubblicare, nei modi stabiliti dal regolamento, un Bollettino che contenga i resoconti delle adunanze, quelle notizie che possano interessare i Soci e le comunicazioni scientifiche. i AT La Società è composta di quattro categorie di soci, cioè: 1° di Soci ordinari, residenti in Roma od altrove, i quali pagheranno lire dieci all'anno ; 3 STATUTO DELLA SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZOOLOGICI 85 2° di soci straordinari, pure residenti o non residenti in Roma, i | quali. pagheranno lire sette annue (1); 1 3° di Soci onorari italiani e stranieri, proposti dal Consiglio Di- | rettivo, scelti fra i più noti ed eminenti cultori degli studi che formano lo — scopo complesso della Società; | È 4° di Soci benemeriti, che saranno nominati, dietro proposta del . Consiglio Direttivo, fra quelle persone che con doni importanti, con altri atti di segnalata benemerenza, o versando nelle Cassa sociale una somma ; - non inferiore a lire 300, favoriscano lo sviluppo della Società e il. conse- E guimento dei suoi scopi. Salvo disposizioni contrarie del donatore, la somma, tosto consegnata dai Soci benemeriti, deve essere messa a frutto, a nome della 0004) nella Cassa postale di risparmio. Tutti i Soci hanno diritto a ricevere le pubblicazioni sociali. ART. 4. Chiunque desideri essere ammesso alla Società, bisogna che sia pre- sentato da due Soci ordinari. ART. 5. NS : - ) La Società è diretta da un Consiglio eletto in adunanza generale e | costituito da un Presidente, da due Vice-Presidenti e da nove -Consiglieri. SH Consiglio nomina nel suo seno un Segretario, un Bibliotecario, un Eco- «nomo-Cassiere, responsabile dei fondi della Società. . Questi dodici membri del Consiglio direttivo esercitano tutti il loro ufficio gratuitamente; durano in carica tre anni, e possono essere ricon- fermati di triennio in triennio. _ —Se uno qualsiasi dei membri venisse, per qualunque motivo, a mancare sì farà un’elezione suppletiva; ed il nuovo eletto compirà il periodo di . tempo, che avrebbe dovuto compiere colui che sostituisce. 3a Spetta al Consiglio direttivo di provvedere, nel modo più sollecito e dn più economico, alla stampa delle pubblicazioni sociali. — ()I Soci ordinari e straordinari, la nomina dei quali è anteriore al 1 maggio 1892, _ conservano la qualifica di Socî fondatori, 86 STATUTO DELLA SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZOOLOGICI “E N e TZ ee ART. 6. Ra (ti Le elezioni avranno luogo a votazione segreta e in adunanza generale | convocata almeno sette giorni prima. Esse saranno valide se fatte a mag- gioranza di voti. In caso di parità di voti, rimarrà eletto il più anziano. per età. I Soci straordinari sono elettori, ma non eleggibili alle predette ca- riche. get È I Soci ordinari e corrispondenti possono anche votare, inviando al 2 Presidente in scheda suggellata i nomi delle persone designate alle diverse î cariche. 3 NECA RD La Società terrà dal novembre al luglio le sue adunanze ordinarie mensili. Possono però, sulla proposta di 15 Soci, o per invito del Consilia direttivo, in caso di urgenza, tenersi adunanze straordinarie. ART. 8. Il Consiglio nella prima assemblea del gennaio di ciascun anno pre- senta il bilancio consuntivo, preventivo e patrimoniale compilato dal Cas- siere-Economo, e già da esso Consiglio discusso ed approvato. i ART. 9. In principio d’ogni nuovo anno sociale il Presidente riferisce somma- riamente sulle condizioni morali e materiali della Società. ART. 10. Le adunanze possono essere pubbliche per deliberazione del Consiglio. Ss Direttivo della Società. In questi casi possono anche farsi inviti ad Au- torità ed a scienziati. i SD STATUTO DELLA SOCIETÀ RO MANA ‘PER GLI STUDI ZOOLOGICI $7 I non Soci possono essere ammessi ‘alle adunanze scientifiche, purchè . presentati da un Socio ordinario. ART. ll. Nessuna questione estranea agli scopi e interessi della Società può . essere posta all’ordine del giorno, o trattata nelle adunanze della stessa Società. n ART. 12. In ogni adunanza generale le deliberazioni sono prese a maggioranza di voti, ed il voto è personale. Le adunanze saranno valide quando sia presente il quarto dei Soci ordinari e straordinari residenti in Roma. In seconda convocazione qualunque numero d’intervenuti sarà suffi- ciente par la validità delle deliberazioni. RARA do L’anno sociale comincierà sempre dal primo gennaio, e quelli che fa- ranno domanda di esser nominati Soci ad anno già avanzato. dovranno pagare la intiera quota; ma se tale domanda venisse presentata nel no- vembre o dicembre, il pagamento sarà valido per l’anno successivo. I Soci che nel mese di novembre non abbiano avvisato che intendono ritirarsi dalla Società, si considerano inscritti per l’anno venturo. I Soci hanno l’obbligo di pagare la quota eutro il primo quadrimestre dell’anno sociale. Trascorso. il mese di giugno, i morosi perdono il diritto di ricevere il Bollettino, e alla fine dell’anno il Consiglio Diréttivo potrà radiarli dall'albo sociale. Arr. 14. _ Non si potranno fare aggiunte o modificazioni al presente Statuto che in assemblea convocata a tale scopo preciso dal Consiglio di Direzione, e per approvarle occorre il voto favorevole di due terzi dei votanti. ART. 15. Il Consiglio Direttivo è incaricato di compilare i regolamenti interni della Società, particolarmente quelli. relativi alla Biblioteca, stampa del Bollettino, ecc. | ro) che nelle elezioni delle cariche sociali, fatte (ul Tebbr minor numero di voti; al terzo ‘anno scadono. 1 rimanenti. rinnovazione si farà. per anzianità . cool Roma, febbraio 1896. Il Segretario Dott. MARIO CoNDORELLI ARI i TISTA GRASSI. 3) Consiglieri: Prof. GIOVANNI ANGELINI + Prof. RomoLo MpLI - Prof. ANTONIO Ni s - March. Dor. Fin PATRIZI - Prof. DECIO VINCIGUERRA. Bibliotecario: Dott. i ALESSANDRINI. Economo-Cassiere: Dott. DomeNICO Positano SPADA. Roma, STAB. BONTEMPELLI — 6-96. .- Vol. V. Anno V_- 1896 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZOOLOGICI SOMMARIO: I. COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE: 1. Prof. Rinaldo Marchesini. Centrosomi e sferule at- trattive del sangue osservati con nuovo metodo di tecnica. (Con fig.). — 2. Prot. Giov. Angelini e Conte G. Falconieri di Carpegna. La ZLimicola platyrhyncha avver- tita per la prima volta in prov. di Roma. — 3. Prof. Giov. Angelini. Il Dendrocopus medius in prov. di Roma. — 4. Prof. Antonio Neviani. Briozoi neozoici di alcuna località d’Italia. (Con fig.). — 5. Dott. Umberto Rizzardi. Gli Entomostraci del lago di Mezzola. — 6. Prof. @. Angelini. Contributo allo studio delle migrazioni ornitiche con osservazioni fatte specialmente attorno allo Stretto di Messina. — 2. Prof. An- tonio Carruccio. Sovra due micromammiferi donati al Museo Zoologico della R. Università di Roma: Tarsiîpes rostratus e Nyctipithecus Azarae. Il. Processi verbali di adunanze sociali. — Osservazioni del Prof. Carruccio sulla Guida della Provincia di Roma pubblicata dal Dott E. Abbate. II. Annuncio di diverse recenti pubblicazioni. CENTROSIMI E SFERULE ATTRATTIVE NELLE CELLULE BIANCHE DEL SANGUE DI TRITONE ì osservati con un nuovo metodo di tecnica per il Dottor RINALDO MARCHESINI, ?. assistente alla Cattedra di Patologia Generale a libe.o docente d’Istologia e tecnica microscopica nella R. Università di Roma. I centrosomi e loro sfera attrattiva nei leucociti sono stati già osservati e bene descritti massimamente dal Flemming e dall’Heidenhain (1), e se io oggi torno a parlare di loro è solo per la facilità di ricerca che mi offre un semplice me- (1) Femmina. — Ueber Theilurg u. Kernformen bei Leukocyten und ueber deren attractionsphiiren. Arch. f. mikroscop. Anat. Bd. XXXVII. FLeMmMING. — Attractionssphiiren und centrallkeorper in Gewebszellen und Wunderzellen. Anatomischer anzeiger. Bd. VI. He1pENHAIN M. — Ueber Kern u Protoplasma. Festschrift fiir Kolliker 1892. i HEIDENHAIN. —- Ueber die centrankòrper gruppen in dem Lympho- Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici ri MII 90 RINALDO MARCHESINI todo di colorazione, il quale mi permette di studiarli allo stato. vivente della cellv'a i ì Questo metodo o servi”e inoltre come un mezzo di segnamento nelle scuole, potendo ridursi ad un semplice eser- cizio di tecnica microscopica. i Ecco il modo come io procedo: Faccio una soluzione percentuale di verde di: malachite ed un’altra solvzione percentuale di verde di saffranina: unisco una parte della soluzione di verde di malachite con due parti della soluzione percentuale di saffranina in una boccia a con- tagocce ed ho il liquido bello e pronto. Prendo poi una pic- cola goccia di sangue di tritone e la depongo sopra il vetro portaoggetti, depongo subito sopra essa una goccia del liquido colorante, vi soprappongo il coprioggetti ed osservo al micro- scopio in un ingrandimento approssimativo di 700 d. (1). Le cellule del sangue rimangono così diversamente colo- rate, ma la buona osservazione su desse non può farsi che dopo qualche minuto secondo. Riponendo specialmente l’attenzione sopra i leucociti, che numerosi si riscontrano in questo sangue, si veggono i loro nuclei assumere un colore cilestrino nel mentre che il proto- plasma rimane ancora scolorato; e poi, quasi per sorpresa, si differenzia fra i nuclei un corpo chiaro rifrangente fortemente la luce, con granulazioni raggianti. È desso il centrosoma con la sferula attrattiva, che in tal modo colpisce vivamente V’oc- chio dell’osservatore. A questo punto facendo scorrere il ve- |. trino al disotto del microscopio in osservazione, con facilità sì veggono dapertutto, dove si riscontrano leucociti, questi cor- picciuoli brillanti che per la loro vivacità attirano subito e senza la menoma fatica l’attenzione dell'osservatore. Con questo metodo di colorazione ho potuto osservare notare diversi fatti essenziali che verrò esponendo. cyten der Sctingetiere Wirvend der Zellenzruhe und zellenteilunig. Verhandl d. Anat. Gesellesch. Gotting. 93. SOLGER. — Zur Kennetniss del pigmentzellen. Anat. Lui Ta. Vi 8. 162. (1) L'osservazione ad immersione non corrisponde per lo studio che verremo facendo. _ CENTROSOMI E SPFERULE ATTRATTIVE NELLE CELLULE BIANCHE, ECC. 9L Il centrosoma appare il più delle volte come un punto brillante circondato da un alone chiaro (sfera) dal margine del quale si differenziano dei granuli pure brillanti (granuli di Van Beneden) che nello insieme vengono a far risaltare la sfera d’attrazione. Questi granuli in alcune si seguitano verso il protoplasma cellulare per breve tratto e danno alla sferula la forma raggiata. Tali particolari sono stati già descritti dal Flemming e dall’Heidenhain (op. c.); ma il fatto da rilevare è che con questo nuovo metodo di colorazione non si apporta morte istantanea alla cellula, e noi così possiamo assistere ai “movimenti del protoplasma del leucocito e vedere i rapporti che esso mantiene con il nucleo ed il corpuscolo centrale e relativa sua sfera d’attrazione (1). _ Così in queste cellule che sono per lo più polinucleate si scorge che il corpuscolo si mantiene sempre in rapporto co- stante con la parte nucleare. Se il nucleo si dispone a mezzaluna ed è unico, il corpu- scolo si ritrova nell’insenatura di esso (fig. A, 1): se 1 nuclei sì dispongono a rosetta il corpuscolo sì ritrova nel centro del circolo (fig. A, 3, 4): se il nucleo del leucocita è unico ed è rotondo, il corpuscolo si ritrova ad un lato del nucleo come attaccato ad esso, e sempre nella parte dove il protoplasma è ‘minore (fig. A, 8). DITA Un altro fatto molto importante è quello di vedere, qua- lora il globulo bianco emetta le sue propagini protoplasma- tiche (pseudopodi), che il corpuscolo se ne ristà sempre con la porzione nucleare; e quando anche nel piede protoplasma- tico si vedono avanzare una o due porzioni di nucleo, il cor- puscolo non segue questo movimento, ma se ne sta sempre con la porzione centrale del nucleo (fig. B, 2-8). Quando sono due i pseudopodi che si formano ed in ognuno si avanzi una porzione di nucleo, il corpuscolo rimane sempre ad occupare la parte centrale di tutta la cellula (fig. B, 2). Che se poi la cellula si suddivide in raggi ed in ognuno (1) Per brevità d'ora innanzi adoperando il nome di corpuscolo in- tenderò parlare del centrosoma e della sua sfera di attrazione complessi- vamente. DO i RINALDO MARCHESINI di essi sì avanza una porzione di nucleo, la cellula viene a assumere così una forma di stella, il corpuscolo occupa Sean "i il centro di questa stella (fig. A, 5, 6). Sa Da queste osservazioni a evidente che il ‘rapporto. AH tra il corpuscolo ed il nucleo è molto più intimo che tra quello ed il protoplasma, e mi fanno perciò propendere a ritenere senz'altro che il centrosoma con la sferula attrattiva: debbono essere considerati come elementi speciali del nucleo, e sarei con ciò d’accordo con l’Hertwig (1). o Questo rapporto è stato notato anche dal Flemming, pochi È esso discute la questione se la sfera d’attrazione stia in un rapporto più intimo con la ripartizione diretta del nucleo del | leucocita, e viene alla conclusione che un tal rapporto tria: [ae sferula e la ripartizione del nucleo esiste e si riconosce dalla. È situazione costante tra le due parti di cui si tratta. 2 Ma l’Heidenhain in proposito ha l'opinione che la situa y zione della sferula di regola sia determinata per lo meno dalla. circostanza che essa da ad un gran numero di de contrattili | il punto centrale dell’inserzione. i Tralasciando per ora il rapporto e l’ufficio che possa assu- — mere il corpuscolo nella scissione diretta di questo elemento, il fatto che farei rilevare non è di minore importanza del primo; ed è l’ufficio che sembra assumere il corpuscolo nella nutri- zione della cellula, fatto già in parte apprezzato dagli autori (2). Infatti il corpuscolo in tutte le svariate modificazioni che può assumere il protoplasma del leucocito nella emissione dei pseudopodi rimane sempre ad occupare la parte centrale del- l'organo con il grosso del nucleo; o se anche nel pseudopodo s'insinua una porzione del nucleo, certo non è mai la sferula con il centrosoma che si riscontra in un piede protoplasmatico; essa sì mantiene sempre centrale da dove sono emanate tutta le propagini le più svariate di grandezza e di forma (ig. A, 5 da fig. B; 2-8). (1) OscAR HERTWIG. — Le Cellule et les tissus. Traduit. de l’alle- mand par Ch. Julin. Georges Carrè edit. Paris 1894. i SA (2) BernaRD Rawirz. — Grundriss der Histologie. Berlin 1894. Verlag von Karger. i | ’‘’CENTROSONI E SFERULE ATTRATTIVE NELLE CELLULE BIANCHE, ECC. 93 Questa osservazione mi darebbe l’idea come se la sferala ‘con il centrosoma fossero l'occhio ed il cervello della cellula, la parte direttrice da cui emanano gli ordini di movimento | e di retrazione, a seconda delle necessità peculiari della cel- . lula stessa. & Sicchè in una parola oltre l’ufficio indiscusso che può as- | sumere il corpuscolo nella divisione cellulare, questo piccolo | organo meraviglioso e di recente conoscenza per il biologo, starebbe anche alla direzione di fatti nun meno importanti per Ela vita della cellula, come quelli del (O OyIDDEaiO e della nu- a | trizione. La differenziazione che assume questo corpuscolo nelle cellule bianche del sangue di tritone trattato con la colora- zione di cui è parola, sia riguardo alla colorazione differente È | dal nucleo e dal protoplasma, sia riguardo ad una forma ana- È tomica ben definita, fa senz’altro ritenerlo per un elemento a | sè indipendente dal nucleo e dal protoplasma. Tale fatto però non toglie che tale corpuscolo possa assumere rapporti con le altre parti cellulari a seconda dello stato biologico delle cel- . lule ed anzi questi rapporti sono innegabili. i Allo stato statico questo rapporto è certamente esclusivo o più diretto con il nucleo di cui viene a far parte, poichè | è sempre con esso che si riscontra, ed il più delle volte rimane nascosto fra le anse nucleiniche e perciò non si vede. In queste i | cellule bianche polinucleate è più facile vederlo dove il nucleo si mostra più distrigato. E che il corpuscolo allo stato statico faclla cellula entri a far parte del nucleo e non del protaplasma a ce lo dimostra la semplice osservazione che per farlo apparire, quando ancora non si vede, basta premere leggermente il ve- trino ed allora esso distinguendosi dal nucleo si mette in vista. Ciò sta a dimostrare chiaramente che le anse nucleari lo co- | privano e non permettevano si scorgesse; altrimenti non si | potrebbe interpetrare perchè apparisca dietro questo semplice artificio. Con ciò sarei di pieno accordo con l’Heidenhain che. SA che il corpuscolo polare possa essere un corpo a sè e differenziato da tutto il resto della cellula. i Così è da ritenersi che il corpuscolo oltre i suoi propri raggi che possono assumere rapporti con i granuli di croma- “a A n ur . tenga uniti i diversi raggi che lo costituiscono è il corpuscolo. 94 RINALDO MARCHESINI i Ci SI tina delle anse allo stato statico della cellula (Rabl), può co- stituirsi pure punto d’inserzione ad un gran numero di fili contrattili del protoplasma (Heidenhain) al momento della.» scissione cellulare; tantopiù che ciò spiegherebbe in parte la. formazione del ni dove esso esiste. 1 Poichè se tanto nel citoplasma che nel carioplasma noi riscontriamo una costruzione a fili, è certo che questi nella scissione di tutta la cellula debbono orientarsi secondo un. dato punto rispetto sno al corpuscolo od ai corpuscoli polari. 1 Riguardo all’imterpetrazione da darsi alla polimeria del | nucleo in queste cellule bianche del sangue l’Heidenhain con Dekhuyzen ritengono che debba per la maggior parte di esse dipendere anzitutto dalla capacità del movimento ameboide; e quindi per loro non rappresenterebbe affatto lo stato pro- dromico di una frammentazione. Non escludendo ora che il leucocita possa dividersi anche secondo una regolare mitosi, certo che osservando a lungo una goccia di sangue di tritone trattato con la sopradetta miscela colorata, ho potuto scorgere forme svariatissime di globuli bianchi ed alcuni ridotti anche a forma di stella (fig. A, 5, 6), dove la sola parte che pare E questo corpuscolo molto ingrandito si riscontra alle volte doppio ed anche quadruplo, o dà l’idea come se ogni porzione’ di sferula debba poi seguire o attirare la parte della cellula che sta per staccarsi (fig. A, 5). Di queste forme poi oblunghe in cui si riparte il protoplasma ed il nucleo della cellula e. che costituiscono i raggi della stella, se ne riscontrano. molte già staccate, isolate e sparse nel campo del microscopio. Esse oltre che per la forma si differenziano anche per il colore che assumono, simili perciò in tutto ad ognuno dei raggi delle cellule stellate, e da cui per queste ragioni sì può ritenere che derivino mediante una divisione diretta (fig. A, 7). La forma che poi assumono è quella di una giovane emazia e che se- 3 condo la mia opinione e le mie osservazioni appunto in tale è destinata a trasformarsi. ” Questi fatti sono anche più evidenti nel sangue di tritone a cui siano state prodotte delle antecedenti e piccole emorragie. 4 CENTROSOMI E SFERULE TTRATTIVE NELLE CELLULE BIANCHE, ECC. 95 Non insisto ora di più su queste particolarità perchè doviò tornare presto su tale argomento nel lavoro che sto ultimando sullo studio del midollo delle ossa degli uccelli. Un'altra proprietà infine che mostra questa miscela colo- rata di cui sopra, è la diversità di colore che essa impartisce al diversi elementi che costituiscono la massa sanguigna. Dap- poichè le emazie bene conservate e giovani presentano il pro- toplasma colorato in verdastro ed il nucleo azzurro, e queste come è naturale sono la maggioranza ; quelle poche invece che sono in via di alterazione presentano il protoplàsma totalmente scolorato, nel mentre che il nucleo si colora fortemente in rosso. Questa differenziazione di colore relativa ai corpuscoli rossi potrà giovare forse allo studio sulla alterabilità degli elementi del sangue. RIEPILOGANDO. Da tutte le osservazioni fatte sul sangue di tritone con. questa miscela colorata di malachite e di suffranina se ne può dedurre: i 1. Il centrosoma con la sua sferula d'attrazione appare una forma a sè. 2. Il centrosoma e la sferula hanno rapporto diretto anche allo stato statico con il nucleo e perciò debbono rite- nersi come una parte di esso, ma differenziata. 8. Il centrosoma con la sferula attrattiva oltre alla di- visione della cellula presiede ai movimerti protoplasmatici ed al fenomeni di nutrizione cellulare. 4. La miscela colorante di cui è parola, è un metodo di colorazione adatto per scoprire il centrosoma e la sferula allo stato ancora vivente della cellula, ed è un metodo molto semplice di ricerca. fui delle Dai. 5 li do LA puscolo centrale ed alla sfera d'attrazione, spe ene —B; Posizione che mantiene il corpuscolo centrale. 3 sla trattiva nelle varie fasi ameboidi della cellula IRE i che assumono o gli elementi Ti lo. costituiscono, - È La LIMICOLA PLATYRHYNCHA avvertita per la prima volta in Provincia di Roma No'a dei Sici Pro. G. Angelini e Conte G. Falconieri di Carpegna In una delle nostre ultime escursioni venatorie nelle vici- «nanze di Fiumicino, ci venne fatto di cogliere un esemplare di Limicola platyrhyncha: è una femmina in abito estivo quasi completo, che viene presentata alla Società e donata al Musco della R. Università di Roma, dove questa specie non era ancora rappresentata. Dieci giorni più tardi, e precisamente il 19 maggio u. s., uno di noi, tornato nella stessa località, cioè alla foce del Te- vere, ramo di Ostia, uccideva proprio nello stesso punto’ un secondo individuo di Limicola g, che ora egli conserva nella sua collezione. Questa specie, che l'illustre ornitologo P. Savi dichiara di aver avuto dai dintorni di Pisa una sol volta in sua vita, si credeva fino a questi ultimi tempi affatto accidentale in Italia ; e destò sorpresa l’annunzio, dato dal compianto Conte Ninni, della sua comparsa regolare nel Veneto, e della preda da lui fattane di ben 43 individui il 25 agosto 1880. Però ulteriori e più accurate ricerche ne dimostrarono l’arrivo più o meno fre- quente anche in altre parti d’Italia. Pel Romano non ne era stata peranco annunziata la cat- tura, quantunque uno di noi ricordi di avervela incontrata qualche altra volta, e sempre sulla spiaggia del mare all'Isola Sacra. Anzi, ia di fare altre ricerche negli anni ven- turi, manifestiamo fin d’ora l'opinione che il Gambecchio frul- lino possa mostrarsi ogni anno in primavera sulle coste ro- mane, ma che finora non vi si sia badato, confondendolo cogli altri piovanelli, e segnatamente colla Pelidna minuta, che nel maggio vi è comune. Anche nel resto di Europa sembra scarso questo uccello che nidifica nel Nord dell’ Europa e dell’ Asia, e sverna nel- l’India e nell'Africa settentrionale. Infatti « în Europa st con- sidera ovunque come uno dei più rari, quantunque non sia 98 G. ANGELINI - G. FALCONIERI DI CARPEGNA impossibile che vi si trovi più sovente di quanto si crede » dice. il Brehm nella sua Vita degli animali, dove maestrevolmente, per quanto brevemente, ne descrive 1 costumi. Però « entorno alla sua indole non siamo ancora sufficientemente informati > egli aggiunge, ed anche il nostro Savi afferma essere i costumi del Gambecchio frullino poco noti. Poco pure siamo in grado di dire noi a tale riguardo: però le poche osservazioni, che abbiamo potuto fare, confermano appieno taluni punti - della descrizione del Bit e più precisamente : 1° La poca Laloz di questo uccello: infatti all’indi- viduo presentato erano stati precedentemente tirati altri due. colpi di fucile, senza che restasse colpito o solo leggermente, e tuttavia faceva sempre piccoli voli, lasciandosi avvicinare a breve distanza. 2° Le sne abitudini poco gregarie: di fatti lo stesso individuo se ne stava tutto solo in disparte, mentre sullo stesso isolotto di pochi metri quadrati di superficie pascolava un nu- meroso drappello di altri piovanelli (7ringa sudbarquata e mi- nuta), e nemmeno si aggregò ad es:1 quando tutti volarono via spaventati da un colpo di fucile tirato in mezzo a loro. Anche il secondo individuo catturato passo ad uno di:noi sopra il capo isolatamente, mentre. parecchi altri piovanelli stavano posati nelle vicinanze. E in mezzo a questi, che furono osser- vati a lungo e fatti alzare ripetutamente, mai si udì il verso del Gambecchio frullino. ° Il grido di richiamo, che si può precisamente espri- mere colla sillaba #77. Questo verso, che la Limicola al pari delle altre Tringhe emette volando, è diverso da quello del comune Gambecchio, e somiglia moltissimo a quello della Pel dna Temmincki; anzi al secondo individuo fu tirato appunto perchè al grido lo si giudicò appartenente a quest’ ultima spe- cie, pure non comune, e solo nel raccoglierlo lo si riconobbe per una Limicola platyrhyncha. Notiamo questo tatto, paren- doci alquanto strano che la Pelidna Temmincki, così affine alla P. minuta, non somigli ad essa nel richiamo, ma piuttosto alla Limicola platyrhyncha, da cui è nelle forme tanto più diversa. Un’ altra cosa che ci pare rimarchevole nel Gambecchio i riseccarsi Di pecca si sforma notevolmente, proscingan- a ia Tale becco "veramente i il nome IL DENDROCOPUS MEDIUS in Provincia di Roma Nota del Socio Prof. G. ANGELINI Presento alla Società un esemplare di Derdrocopus me- dius da me trovato il 3 del corrente marzo in un mazzo di selvaggina, che un rivenditore ambulante portava in giro per. le vie della città. Zoe Fui assicurato che detto uccello era stato ucciso nei din- torni di Roma, ciò che poteva venir confermato anche dalla sua perfetta freschezza: però non potei avere indicazioni più pre- cise circa il punto di cattura. Il D. medius è molto vicino al D. Lilfordì, specie ancor più rara nel nostro paese, e da cui si distingue per il dorso uniformemente nero e per il colorito press’ a poco uguale nei due sessi. Più facile è il riconoscerlo dal comune: D. mazor, coi giovani del quale aventi il vertice rosso fu pure dei o confuso: dagli adulti si distingue bene per la diversa colori- tura del pileo, e per i fianchi rosei con strie longitudinali brune. E Il Picchio ‘rosso mezzano, quantunque sedentario e non assolutamente rarissimo, è però raro in ogni parte d’Italia : solo nel distretto di Montefiascone (Viterbo) viene dato dal Mimmi per comune (vedi 1° Resoc. dell’Inch. ornitol. in It.), ma la cosa pare poco attendibile. Non è difficile che. sieno stati determinati per D. medius dei giovani di D. maior analoga- mente a quanto era successo al Museo di Palermo, come ebbe occasione di constatare il Salvadori (vedi Fauna d’Ital. - Uc- celli - pag. 38). Nelle collezioni della R. bs... di Roma se ne con- servano tre esemplari colti nel Romano, e portanti le date 1813, 1875, 13890: un quarto individuo ne trovò sul mercato di Roma il Marchese Lepri circa un mese addietro, ossia ai primi dello scorso febbraio: può quindi darsi bei che nella regione romana, così ricca di boschi, il D. medius, senza esser comune, sia meno infrequente che a , BRIOZOI NEOZOIOI DI ALCUNE LOCALITA” D'ITALIA NEVIANI ANTONIO E Parte Terza (! IX. Briozoi pliocenici del calcare di Monteleone Calabro Del banco di calcare che da Monteleone Calabro per Ste- fanaconi si estende fino a Sant’ Onofrio e manda propaggini nelle vicine regioni, ebbero occasione di parlare tutti coloro che si occuparono della geologia di quel circondario. Ritenuto da alcuni per miocenico, da altri per postpliocenico, io ebbi. più volte occasione di scrivere che lo credevo appartenente al pliocene superiore. Non essendo qui il caso di fermarmi su Questa questione, rimando senz’ altro lo studioso a due miei lavori pubblicati or sono dieci anni (2) ed ai quali, per pesto A riguardo, nulla ho da aggiungere. Venendo allo studio dei briozoi, ricorderò come fino dal primo dei predetti lavori notavo cho quel calcare era molto ricco di tali fossili, ma però non avendo avuto modo di stu- diarli (v. pag. 11 du) citavo solo quattro forme e cioè: Membranipora sp. Letepora sp. Myriozoum truncatum. Cellepora: sp. È 4° ch ta Nella seconda memoria (pag. 8 estr.), avendo avuto occa- sione di parlare di nuovo di quelle rocce, accrescevo alquanto l'elenco, così: Myriozoum truncatum Pall. SI (1) Vedi parte 22 al vol. IV, pag. 227. (2) Sui giacimenti dei Cetacei fossili del Monteleonese, < ecc. — Boll. Soc. Geol. Ital. Vol. V — 1886. Le formazioni terziarie nella Valle del Mesima. — Boll. Soc. Geol. Ital. Vol. VI — 1887. BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D'ITALIA 103 Membranipora lineata Lin. i » angulosa Reuss. Lepralia resupinata Mnz. Celleporaria ramulosa Lin. » coronopus Lin. » globularis Bron. Avendo cra ricevuto nuovo materiale, posso aumentare assai la nota dei briozoi fossili di quella località; che, come si può vedere dalle mie ultime pubblicazioni, non cede il posto agli altri giacimenti calabresi. Buona parte del.materiale preso in esame mi fu favorito dal dottor Giovanni Di Stefano, paleontologo del R. Comitato Geologico, e parte ho potuto avere dal prof. Pignatari del R. Liceo di Monteleone; ai due egregi signori ed amici porgo doverosi ringraziamenti. Avendo in animo di pubblicare fra breve una revisione completa di tutti i briozoi fossili delle Calabrie, (oltre 500 specie) mi esimo dal fare ora delle deduzicni generali sulla faunula studiata, e passo senz’ altro a dare l’elenco delle forme, ag- giungendo a ciascuna quelle poche notizie che credo stretta- mente necessarie. 1. AETEA ANGUINA Linné (Sertularta). Vedi parte prima, pag. 121 (13), n. 1. Manzoni. — Castrocaro; pag. £, tav. 6, fig. 70. Alcune piccole colonie sulla superficie interna di una valva di Astarte fusca. Sant’ Onofrio. 92. Arr. RECcTA Hincks. HMetea sica. Manzoni. — Castrocaro; pag. 6, tav. VII, fig. 69. Alecto parassita, c. s., pag. 4l. Aetea recta. Neviani. — 2°-Contr.; pag. 113 (7), n. 2. » » » — Brioz. postpl. Spilinga; pag. 8, n. 1. Una colonia dicotoma con zoeci simili a quelli delle co- lonie di Castrocaro figurate dal Manzoni, ne variano alquanto per essere i zoeci un poco più raccorciati. Incrosta con altri briozoari un Myriozoum truncatum. Plioc. di S. Onofrio. NEVIANI ANTONIO — 5. MEMBRANIPORA CATENULARIA Jameson CEL] (fio. hi Hi catenularia Johnston. Brit. Zooph. 2? ed.; ; pag. 291, tav. 50 Mor 0 Membranipora catenularia n. - Farnesina; pag. 95 (19), n. 7. Due colonie, delle quali una. incrosta un frammento di bi valve, e l’altra è reptante sopra un tronco di Myriozoum trun- catum. I singoli zoeci, molto. ben distinti, hanno portamento hippothoiforme. Dal plioc. di. Sant” Onofrio. i 4. MemBR. IRREGULARIS d’Orbigny. Vedi parte prima, pag. 114 (6), n. 2. Neviani. — Brioz. postpl. Spilinga; pag. 14, n. 7. Alcune colonie sopra:frammenti di conchiglie, corallari, ed altri briozoi. Dal plioc. di Sant’ Onofrio e verso Pisco pio. 5. MemBr. REerIcuLum Linné (Millepora). Vedi parte prima, pag. 114 (6), n. J. Una sola colonia che riveste interamente una colonia dil Idroidi (?), che alla sua volta incrosta un piccolo Gasteropode. Dal plioc. di Sant’ Onofrio. 6. Mawer. HnxAGoNA Busk, (fig. 2).- Busk. — Zooph. IV; pag. 308, tav. 12, fig. 4. Hinks. — Brit. Mar. Pol.; pag. 143, n XVIII, fig. ©. Fischer. — Brioz. S. On. France; pag. 17. BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D'ITALIA 105 Questa specie finora era co- nosciuta soltanto vivente nel- l'Oceano Atlantico; quindi nel- l’osservarla per la prima volta allo stato fossile, veniamo a co- noscere una forma di più di quelle non viventi nel Mediter- raneo (o credute tali) ed emi- grate in altri mari. Dal plioc. di Sant’ Onofrio proviene una colonia con zoeci alquanto cal- carizzati, ma ben distinti, incro- stanti una massa eelleporoide. ©. MEMBR. GALEATA Busk. Vedi seconda parte; pag. 233 (9), n. 1. Neviani. — Brioz. postpl. Spilinga; pag. 14, n. 3. Un piccolo frammento, evidentemente staccato da qualche . corpo, formato da pochi zoeci molto ben distinti. Dal SEGo di Sant’ Onofrio. 8. MeMmBR. LINEATA Linné (Flustra). Kincks. — Brit. Mar. Pol.; pag. 143, tav. 19, fig. 3-6. Neviani. — Farnesina; pag. 96 (20), n. 9. Colonie molto grandi e ben conservate, incrostanti fram- menti di conchiglie; in essa è costante la posizione degli avi- colari alternati coi zoeci. Dal plioc. di Sant’ Onofrio. 9. Memsr. DumeriLI Audouin (fig. 3). Membranipora Dumerili Hineks. — Brit. Mar. Pol.; pag. 156, ta- vola 20, fig. 3. » DR: mr — Br. New. Zeal.; pag. 45, ta vola 6, fig. 4. » membranacea Johnston. — Brit. Zooph. 2* ed.; pag. 328, tav. 56, fig. 7. > Pouilleti Busk. — Crag Pol.; pag. 32, tav. 8, ti] i fig. 4-6. | Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 8 doi s. (106 i . NEVIANI ANTONIO su Membranipora Flemingi Busk. — Brit. Mar. Cat.; pag: 5 RE vola 104, fig. 2. Ro » " lineata Naoi — 4 contr.; pag. 332, dar. m MESTRE » | Dumerili Manzoni. — - Castrocaro; a Li tav. is. fig. 21. Estese colonie su frammenti di conchiglie cOn zoeci gio. ‘vani ed adulti, steril e fertili; questi ulti mi (vedi l’annessa fi. | gura) si rassomigliano molto ad alcuni delle. Membr. lineata; anzi ricordo come lo Smitt considerò la M. Du- merilî come una va- rietà della M. lineata. | Gli avicolari sporadi- ci, e — a quanto mi pare — vicaril, han nol’opesia provvista di unà strozzatura, iden (0 si tica a quella che os- servasi nella citata figura del Waters, per gli esemplari della È i nuova Zelanda. Dal plioc. di Sant’ Onofrio. È 10. MemEr. MINAx Busk. Neviani. — Brioz. Neoz. 1* parte; pag. 2 Li: n. » Farnesina; pag. 96 (20), n. DI Spilinga; pag. 15, n. 9. Una grande colonia sopra Osthimosia coronopus, con zoeci al tutto identici a quelli da me osservati in esemplari del postpliocene di Spilinga. Dal E di Sant'Onofrio. IL. MemBR. TRIFOLIUM S. Wood (Flustra). Manzoni. — Castrocaro; pag. 9, tav. 1, fig. 7 Neviani. — Castrocaro; pag. 116 (10), n. 13 BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D' ITALIA 107 Colonia irregolarmente serpeggiante sopra una Turritella vermicularis, unitamente ad altri briozoi. Dal plioc. di .Mon- f‘elcone verso Piscopio. | 12. MoxoporeLLa pissuncra Manzoni (Lepralia). Lepralia disjuneta Manzoni. — 1* Contrib.; pag. 21; tav, I, fig. $. » » » Da Contrib.; pag. SIOE as » posta Castrocaro; pag. 26, tav. 3, fi- gura 35, 35 a. Monoporella disjuncta Waters. — Bry. N. Zeal.; pag. SO) fig. 8. Una sola colonia con pochi zoeci, che ripetono molto bene 1 caratteri di quelli di Castrocaro ed illustrati dal Manzoni. | Dal plioc. di Sant'Onofrio. 13. OnvycHocEeLLA ANGULOSA Reuss (Cellepora). Nevianî. — Brioz. Neoz. 1% parte; pag. 114 (6), n. 3 > Spilinga; pag. 15, n. 10. Specie molto comune, per lo più in estese colonie in- crostanti Lithothamnium, Serpule, e Briozari. Dal plioc. di Sant'Onofrio e verso Piscopio. 14. MiororonA [CarPENSIA] IMPRESSA Moll (Eschara). Ca Neviani. — Brioz. neoz. 2° parte; pag. 228 (4), n. 5; pag. 233 (9), n. 3; e pag. 241 (LIE Colonie celleporoidi, delle quali una molto voluminosa proviene dal pliocene di Santa Ruba, ed un’altra più piccola fu raccolta nel calcare plioc. di Sant'Onofrio. Quest'ultima presenta i zoeci stretti ed allungati, con le opesiule portate quasi a metà della lunghezza della frontale. 15. Micr. [PENECLAUSA] CORIACEA Esper (Mlustra). Neviani. — Brioz. neoz. 2° parte; pag. 228 (4), -n. 4 » Spilinga; pag. 17, n. 11, fig. 3 nel testo, Varie colonie incrostanti masse celleporoidi, frammenti di «conchiglie ecc. In generale hanno i zoeci perfettamente con- e verso Piscopio. 16. MeLIcERITA FIistuLOSA Linné (Eschara). Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 110 ©), n. 3; od 5 i (6), n. 4. i » Spilinga; pag. 18, n. 12. avuto a mia disposizione del materiale diceresalo;È ma solo conchiglie, masse celleporoidi ed altri fossili più o meno vo luminosi. / PA 17. CriBrILINA RADIATA Moll (Eschara). Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 112 (4), n. 15. > Spilinga; pag. 19, n. 14. Abbastanza comune, si trova sempre incrostante altri briozoari, e conchiglie diverse. I zoeci minutissimi, sono molti uniformi, non presentando alcuna di quelle numerose vari tà così Si di questa specie. Dal plioc. di Sant'Onofrio 18. CRIBR. [FIGULARIA] FIGULARIS Johnston (Lepralia). Neviani. — Brioz. neozoici, 2° parte; pag. 228 (4), n. 8. » Farnesina; pag. 103 (27), n. 26, tav. 5, fig. 22. Una piccola colonia con zoeci alquanto incrostati da cal care, ma ben riconoscibili; sta con altri briozoari su di un Serpula. Plioc. di Monteleone verso Piscopio. 19. CrÒorizopora BroneniarTI Audouin (Flustra). Neviani. — Brioz. neoz. 2° parte; pag. 228 (4), n. 9. » Farnesina ; pag. 103 (27), n. 27. > Spilinga; pag. 21, n. 15, fig. 5 nel testo. HO) Alcune colonie SODA nanni di conchiglie | e di ay a) |. BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D’ITALIA "109 eta ; MicroPoRrELDA [FENESTRULINA] Marusi Audouin (Cellepora). - Neviani. — Brioz. neoz. 12 parte, pag. 115:(7), n » Farnesina; pag. 104 (28), n. 28. . Poche colonie; alcune piceole sopra una Osthimosia coro- opus del plioc. di Sant’ Onofrio, ed una più estesa incrostante ima Serpula, in questa i zoeci sono ricoperti da velature cal- aree, ma qua e là alcuni sono scoperti e lasciano vedere i aratteri specifici della specie dell’ Audouin; questo ultimo ‘esemplare proviene dal pliocene di Monteleone verso Piscopio. e 1 Mricr. [FENESTRULINA] CILIATA Linné (Cellepora), var. MoR- | ‘’RISIANA Busk (Lepralia). i Sa ila Morrisiana Busk. — Crag Pol.; pag. 43, tav. 7, fig. 8. » » Waters. — Bruccoli; pag. 5, tav. 21, fig. 2. = i Micr. ciliata var. Morrisiana Neviani. — Spilinga; pag. 23, n. 17, we fig. 6 nel testo. Rimando lo studioso al citato mio lavoro sui briozoi stpliocenici di Spilinga, ove ho esposte le ragioni per le quali ho unito la L. Morrisiana BK. alla L. ciliata Lin. e quali r \pporti abbia colla var. Castrocarensis. Di questa varietà ne ho osservato una sola colonia sopra n’ altra di Osthimosia del plioc. di Sant’ Onofrio. 2. Mrcr. [ReussinA] poLysromeLLa Reuss. (Eschara). Neviani. — Brioz. neoz. 2% parte; pag. 229 (5), n. 14. » Farnesina; pag. 106 (30), n. 34. GIS Spilinga; pag. 26, n. 21, fig. 9 nel testo. Di questa ben nota e comunissima specie, ne ho rinve- solamente due frammentini nel calcare pliocenico di 110 ; 10, | NEVIANI ANTONIO 23. HippoPorinA IMBELLIS Busk (Hemeschara). Neviani. — Brioz. neoz. 18 parte; pag. 118 (10), n. 5. a Spilinga; pag. 29, n. 24, fig. 12 nel testo. Anche di questa specie ho rinvenuto due frammenti ( colonie Tam masso libere con zoeci sulle due superfici ci i studiati provengono dal ti di Sant? Onofrio. 24. Hrp. AapPRESSA Busk (Lepralia). Neviani. — Brioz. neoz. 1* parte; pag. 119 (11), n. Gi » Farnesina; pag. 108 (32), n. 39. > Spilinga; pag. 30, n. 25, fig. 13 nel testo. Due magnifiche colonie provenienti dal plioc. di Santi On ‘frio; una incrosta esternamente un Huthria cornea, l’altra sta Hiheo la bocca di una Natica millepunctata; la prima presenta | i rilievi mammillari ai lati della frontale poco sporgenti, e la frontale è integra; nella seconda gli accennati rilievi so discretamente sporgenti, e la frontale è profondamente c brillata, corrispondendo così in gran parte alla figura da dal Manzoni nella 3° combi: pag. 942, tav. 4, fig. ci (e0ra lia cupulata). e ts 25. MyrIozouM rruncatum Pallas (Millepora). Di questa specie comunissima, e frequentemente citate nelle prime due parti di questa pubblicazione, ne ho tro vato moltissimi esemplari a Sant’ Onofrio e verso Piscopio; frequentemente quei tronchi sono incrostati da altri briozoa 26. SCHIZOPORELLA tineARIS Hassal (Lepratia). Neviani. — Brioz. neoz. 1 parte; pag. 109 (1), n. 2. » Farnesina; pag. 110 (34), n. 43, tav. d (1), fig. 85 Piccola colonia non ‘ben. ‘conservata, ma con alcuni z0€ distinti, incrostante con altri Pi un Lithothamnium. piccsi di Sant’ Onofrio. 20. Scurz. BIiaPERTA Michelin (Eschara). = Neviani. — Farnesina; pag. 110 (34), n. 44. Seta Spilinga; pag. 33, n. 29, fig. 16 nel testo. ti” nos sola colonia grande incrostante un frammento di con- Ri | chiglia; i zoeci sono alquanto allungati, e gli avicolari sono | portati sopra basi ben sviluppate. Dal plioc. di Sant’ Onofrio. | 28. Soniz. squamorDEA keuss (Lepralia). Neviani. — Brioz. neoz. 2° parte; pag. 234 (10), n. 13. Una piccola colonia sopra Osthimosia sp.; dal pliocene di Sant’ Onofrio. 29. Scuiz. praNATA Manzoni (Lepralia). ai Una piccola colonia con zoeci identici a quelli di Castro- ‘A caro ed illustrati dal Manzoni; incrosta un ramo di Myriozoum d | truncatum. Dal pliocene di Sant” Onofrio, si 30. deva coroworus S. Wood (Cellepora). Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 113 VI MEO » SISI pag. 30, n. 31. Specie molto comune in colonie globose, ma più spesso con portamento ramificato; quasi tutte le colonie sono incro- state da altri briozoari. Provengono dal calcare plioc. di Sant'Onofrio e verso Piscopio. 31. Osrz. BirosrratA Namias (Cellepora) (fig. 4). ‘ Cellepora birostreta Namias. — Brioz. Modena e Piacenza; pag. 54 (estro); ava; siiot Lepralia planata Manzoni. — Castrocaro; pag. 21, tav. 3, fig.20. Schizoporella planata Neviani. — 28 Contrib.; pag. 129 (23), n. 60. “ho; oto ri alle specie più c muni di tal sorta di è assenza comple e costante dei tu gono nella dan sia coronopus ; l’ori- fizio è schizognato, e porta quasi sempre ai lati due avicolari arcati con mandibola volta all’ingiù ed all'indentro; la frontale è costantemente in tegra e levigata. I grandi. i spatolati, vicari, sporadici sono comuni. Nel loro insieme ciascuno dei zoeci, come PE, zoporella biaperta, ma un i esame nòn nre ii timo riferimento. CIR 32. RermPORA BEANIANA King. Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 111 (3), n. 8. ; » Farnesina; pag. 126 (50), -n. 80. ; TASSE » Spilinga; a 37, n. 33. Pt Abbastanza comune nel calcare pliocenico di Sant'Onofrio 39. Smrrria RETICULATA Mac Gill (Lepralia). - i: Manzoni. — Castrocaro ; pag. 31, tav. 3, «fio: 901 96/4229 Neviani. — Brioz. neoz. 1* n. pag. 113 (5), n. 23. » Farnesina; pag. 119 (43), n. 62. i Due colonie corrispondenti esattamente alle tm... del Manzoni; incrostano Astarte (500 e Jagoma. reticulata Dal plioc. di Sant’ Onofrio. | BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D’ITALIA 115 34. SMIT. [MARSILLEA] CERVICORNIS Pallas (Millepora). .Neviani. — Brioz. neoz. 1% parte; pag. 116 (8), n. 14. » Livorno; pag. 124 (28). » . Spilinga; pag. 42, n. 88, fig. 23 nel testo. Specie comunissima; spesso incrostata da altri briozoari; dal pliocene di Sant’ Onofrio e verso Piscopio. 35. Swi. [MucroneLLA] coccinea Abild. (Cellepora). var. RESUPINATA Manzoni (Lepralia). Neviani. — Brioz. neoz. 1% parte, pag. 123 (15), n. 12. Una colonia ben conservata sopra una massa celleporoide, dal pliocene di Sant’ Onofrio. 56. HornEeRA rrRonpICULATA Lamk. (Retepora). Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 117 (9), n. 19. Pochi frammenti, due dei quali piuttosto grossi rappresen- 3 tano i tronchi basali di due colonie; dal plioc. di Sant'Onofrio. 37. InwonzaA serpeNns Lin. ( Tubipora). Manzoni. — Castrocaro; pag. 42, tav. 6, fig. 78. Neviani. — Brioz. neoz. 1* parte, pag. 117 (9), n. 20. Una piccola colonia reptante sopra un frammento di. /te- tepora Beaniana; dal plioc. di Sant’ Onofrio. 88. TusuLipora [Sromaropora] maJoR Johnston (Aleczo). Neviani..— Brioz. neoz. 2* parte; pag 235. (11), n. 17; pag. 243 (22), n.23. Due colonie sopra Osthimosta sp.; dal plioc. di Sant'Onofrio. 39. Tus. [Drasropora] rxpAnSA Manzoni (Diastopora). Manzoni. — Castrocaro; pag. 45, tav. 1, fis. 89. Varie colonie estese sopra conchiglie, briozoari celleporoidi etc, Dal pliocene di Sant’ Onofrio. 43. FRronpIPoRA verRUcoOsa Lmx. (Krusensterna). 6 114 i CINEMA NI4ANZONIO LI Pol pag. 432, tav. ‘62, fio. ib) 40" ui (Dai Sp. i o ; Alcune colonie di Sant’ Onofrio e di Piscopio, incrostanti. conchiglie diverse, e non determinabili specificamente. 41. LicHeNoPoRA HIspipa Fleming (Discopora). Neviani. — Brioz. neoz. 1% parte; pag. 121 (18), n. 21. Pesa DA Una bella colonia di oltre 5 mm. di diametro a ad un tronco di i truncatum. Dal plioc. di Sant'O-. nofrio. } A, 42. Lirica. RADIATA Audouin (Melobesta). Neviani. — Brioz. neoz. 1° parte; pag. 121 (13), n. 20, Tre colonie sopra una Osthimosta, di de una è isolata, le altre due sono sovrapposte; la maggiore è di circa 9 mm. ni di diametro. Dal pliocene di Sant’ Onofrio. a) Neviani. — Brioz. neoz, 1° parte; pag. 117 (9), n. 26. Un solo frammento della base di una colonia; dal plioe.. i) ì di Sant’ Onofrio. È ; Briozoi postpliocenici di Spilinga (Catanzaro). I Briozoi 1 dal depositi postpliocenici sli piano di Spilinga presso Monteleone in provincia di Catanzaro, | n formarono il soggetto di una mia memoria PERDI di re- cente dalla Accademia Sogno di Catania (©. (1) NEVIANI AnT. — Briozoi ci... di Spilinga (Calabria) _ Acc. Gioenia; Catania, 1896. BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D'ITALIA 115 | Perchè queste comunicazioni, che ho l’onore di fare alla Società Zoologica Romana, sieno il più che possibile complete, credo opportuno riassumere quel lavoro, tanto più che vi si comprendono alcune forme da me ritenute nuove. Sono in tutto 72 specie, delle quali 6 sono le nuove, ed ‘una ho considerato come varietà, senza per altro darle un nome speciale; delle altre, 11 non si conoscono viventi, e 54 vivono o nel Mediterraneo o in altri mari; di queste, 4 ho indicate per la prima volta come fossili. —_— Le il specie note solamente allo stato fossile sono : VIBRACULINA SEGUENZIANA Neviani; rarissima. MicroporELLA cILIATA L. var. Morrisiana Busk; non rara. » ADAE Neviani; rara. SmrtIiA Reussiana Busk; rara. HorneRrA Reussi Seguenza; rarissima. ? InwonEA visicata Manzoni; comunissima. TueULIPORA varIANS Reuss; rarissima. > LATA Seguenza; non molto comune. » DIMIDIATA Reuss; rarissima. » nova Pergens; non comune. | LicHeNoPORA PROLIFERA Reuss; rara. Di. queste interessano in particolar modo la Vibraculina Seguenziana Nev., nuovo genere e nuova specie da me fatta conoscere di recente (Aivista di Paleont. Italiana, anno I, pag. 82); del genere ne parlai anche-in questo bollettino (1895, pag. 66) a proposito della por Conti fossile alla Far- nesina. Della var. Morrisiana della Microp. ciliata Lin., ho tenuto parola poc' anzi (cap. Ix, n. 21). La Micr. Adae Nev. fu da mo trovata per la prima volta fossile nelle argille postplioceniche di Livorno. Ad /Idmonea vibicata Manz. ho fatto. precedere un ?, per- chè forse Tervia solida Jull. vivente nell'Atlantico, é da rife- rirsi alla specie del Manzoni. Anzi, secondo alcuni, tutte due queste specie vanno riunite alla /d. serpens Lin. Seguenza nel zancleano di varie iu. della provincia | Li Reggio-Calabria. as i La T'ub. [Diastopora] nova Pergens ‘non è che la Tub. con gesta del Rss., ma venne dal Pergens indicata con un nuovo nome, perchè il Reuss comprendeva nella 7. congesta due forme differenti. (PeRGENS - Bryoz. Garumniens de Fase. pag. 200 [18)). 2) Le specie viventi, trovate per la prima volta fossili, on. fai SCHIZOTHECA FIssa Busk, vivente nei mari Inglesi, nel Me diterraneo e nell’Adriatico. SE SMITTIA MARMOREA Hincks, vivente nel Mediterraneo, nei. mari d’Inghilterra, a Madeira, alle Azorre, ecc. 103 RETEPORA SOLANDERIA Riso vivente nel Mediterraneo « e nell’Atlantico. CE HornERA LICHENoIDES Pontop., vivente nel Mediterraneo, > Atlantico e mari boreali. #- Le altre specie fossili, e tuttora viventi, sono le più nu- merose : 3 i ArTEA RECTA Hincks. CaperEA Boryr Audouin (Crista). SoRUPOCELLARIA soruPOSA Linné Lic » ELLIPTICA Reuss (Bactridium). MEMBRANIPORA IRREGULARIS d’Orbigny, » carrara Busk. » MINAx Busk. di anGULOSA Reuss (Cellepora). Micropora [PENEcLAUSA] coriacsA Esper (Flustra). MeLIcERITA FIsTULOSA Linné (Eschara) » Jonnsoni Busk (Nella). i CrigrILIiNA RADIATA Moll (Eschara) e var. innominata e — raricosta. SS i CHorizorora BronanIarTI Audouin (Mlustra). MicroporELLA [FENESTRULINA] ciLtATA Linné (Cellepora). » [DrporuLA] verRRUcosa Peach (Eschara). BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D’ITALIA Jr MicroPoRELLA [ReuSssIna] PoLysromEtLA Reuss (Eschara). » _ [CarLoPoriNA] pEcoRATA Reuss (Cellepora). HrpPoPoRrINA IMBELLIS Busk (MHemeschara). » ADPRESSA Busk (Lepratia). MyrIozoum TRUNcaTUM Pallas (Millepora). ScrizororeLLA vuLearIs Moll (Eschara). »_ BIAPERTA Michelin (Eschara). der coronopus S. Wood (Cellepora). RerEPORA cELLULOSA Linné (Millepora). » BEANIANA King. SMITTIA TRISPINOSA Johnston (Discopora). » [MaRrstLEA] ceRvIcoRNIS Pallas (Millepora). » [MucrowneLLA] coccinea Abildgaard (Cellepora). » [MucroneLLA] PAvoneLLA Alder (Eschara). » [MucroneLLA] cfr. PracHi Johnston (Lepralia). -UmBonuLA ? rRAMuLosA Linné (Cellepora). CycLoporeLLA costata Mac Gillivray (Cellepora). PorINA BoREALIS Busk (Onchopora). CrIsta DENTICULATA Lamarck (Cellaria). > ELONGATA Milne Edwards. >» . FIstuLOSA Heller. HoRrnERA FRONDICULATA Lamarck (Refepora). » strIATA Milne Edwards. IpmoneA serpENS Linné (7'ubipora). TUBULIPORA FLABELLARIS Fabricius (T'ubipora), e varietà. > [SromatoPoRA] MAJOR Johnston (Alecto). » [DrasroporA] simpLex Busk (Diastopora). » [DrastoPoRA] oBELIA Johnston. » [MEsENTERIPORA] meANDRINA S. Wood. EntALOPHoRA PRoBoscineA Milne Edwards (Pustulopora). » rugosa d’Orbigny. » REGULARIS Mac Gillivray. Sa CLAVATA Busk (Pustulopora). LicHeNoPoRA HIspipA Fleming e Fronpipora MarsiLLit Michelin. Kcco le diagnosi delle nuove specie : BacrRrIDIUM caLaBRUM Neviani (fig. 5) — Zoeci tubolosi, NEVIANI ANTONIO uniti in due file longitudinali, E con disposizione regolarmente alterna, ricurvialquanto in fuo- ri. Lungo la linea mediana, sia anteriormente, sia posterior- mente sono distinti. L’orificio suborbicolare ha un peristoma calloso con grosso rilievo sot- toboccale con larga apertura di varia forma. Sulla superfi- cie posteriore, all'angolo supe- riore ed esterno evvi una aper- tura circolare circondata da un cercine sufficientemente rileva- to, e che forse è un avicolario. MicroporeLLa ManzonI Neviani (fig. 6) — Zoecìi subesa- gonali o subromboidali a contorno curvilineo, senza rilievi che separino gli uni dagli altri; orificio semicircolare con labbro 3 inferiore sinuoso-convesso; fenestrula mediana sub-circolare; frontale pianeggiante rugulosa sporgente nella porzione distale. Zoario cilindroide dicotomo, alle volte lievemente schiacciato. Fig.'6. Fig. 7. HrppopPorina circumcinota Neviani (fig. 7) — Zoeci grandi subromboidali, circondati da un grosso cordoncino piatto; ori- ASL BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D'ITALIA 119 Di ficio ampio colla forma caratteristica del genere; peristoma calloso, anteriormente piatto, posteriormente sottile e rilevato. Frontale rugulosa, bitorzoluta; un avicolario piccolo con man- dibola acuta rivolta in alto ed in dentro, presso la parte in- feriore laterale dell’orificio. Zoario incrostante. i Hippoprorina SPiLincAE Neviani (fig. 8) — Zoeci allun- gati, con frontale bucherellata nella metà prossimale, mentre l’altra metà è occu- pata, sotto l’orificio, da due grossi mam- melloni ovoidi che lasciano fra loro un piccolo solco alle volte esso pure con per- forazioni. Orificio normale, con peristoma discretamente elevato e sporgente alquanto Rerepora PianatARI Neviani (fio. 9) — Zoeci ovoidi con orificio circolare, provvisto di un profondo seno lineare che all'estremità si allarga in foro subcircolare o claviforme; peristoma a margine nitido tagliente, non rilevato; frontale intera levigata. Superficie posteriore liscia senza vibici nè avi- colari. Porina IimPERVIA Neviani (fig. 10) — Zoeci fusiformi con orificio circolare o subcircolare; peristoma semplice, non rile- vato; frontale rigonfia nel centro, levigata senza pori od origelli. Ooecio globoso levigato. Zoario colonnare con zoeci in quattro file, a coppie alterne decussate. Briozoi postpliocenici di Livorno. Nel 1891 pubblicai il mio primo studio sui briozoi fos- sili italiani ( trattando di alcune forme che isolai da alcuni pezzi d’argilla delle formazioni postplioceniche del sottosuolo | di Livorno, e che mi furono forniti dal prof. Carlo De Stefani. . Continuando i miei studi su questi organismi, in generale. tanto trascurati, ho dovuto fare varie modificazioni al primi-. tivo elenco; ed è perciò che in queste note sui Briozoi neo- zoict di alcune località d’Italia, dedico un capitolo alla revi- sione di quel lavoro, osservando -che per nulla vengono modi- ficate le conclusioni alle quali allora giunsi, e che si trovano esposte nelle prime pagine di quel lavoro. da Il materiale che servì a questo studio trovasi Ò Museo & geologico dell’Istituto superiore di Firenze. sod (1) Contrib. alla conoscenza dei Br. fos. italiani — Brioz. postp del sottosuolo di Livorno. « Boll. Soc. Geol. Ital. », vol. X, pag. 99-14 BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D’ITALIA 121 HCO delle forme : 1. CaBEREA Boryi Audouin. Comune. Etespag I (1D)tav. IVAdionet 2. ScRUPOCELLARIA ELLIPTICA Reuss (Bactridium). : Comu- nissima. L. c. pag. 110 (14). 3. MEMBRANIPORA GALEATA Busk. Comune. Membr. annulus Mnz.: 1. c. pag. 116 (20). 4. MemBR. GALEATA Busk var. exPLANATA Neviani. Rarissima M. annulus Mnz. var. explanata Nev.; l. c. pag. 116 (20), tav. 4 figura 2. 5. Memer. RETIcuLUM Linné (Millepora). Comune. L. c. pag. 114 (18). 6. MeMBR. MINAx Busk. Rara. Questa specie non si trova nel mio elenco; l’annunciai nella 12 parte di questa pubblicazione: Brioz. Neoz., 1% parte, pag. 118 (16), num. 2. 7. MreLicERITA FIstuLOsa Linné (Eschara). Comune. \ Cellaria”fistulosa Lin. sp.; 1. c. pag. 112 (16). 8. Mer. JoHnnsonI Busk (Ne/lia). Comune. Anche questa specie non venne -compresa nel mio primo lavoro. 9. CUPULARIA CANARIENSIS Busk. Rara. | L. c. pag. 130 (34). 10. CrÒorizopora BroneniarTI Audouin (Cellepora). Rara. L. ec. pag. 118 (22), tav. 4, fig. 3. Y Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 9 Rarissima. Micr. ciliata Linneo sp.; l. c., pag. 117 (21). 12. Hiro! [DiporuLA] verrucosa Peach (Eschara). Comune. Porina columnaris Manz. sp. (Eschara) DIL C., pag. 121. (25). 13. Mrcr. [Dreorvra] Apar Neviani (Smittia). Rarissima. © i Smittia Adae Nev.; 1. c. pag. 127 (31), tav. 4, fig. da Nella recente memoria sui Br. postpl. di Spilinga, e che ho riassunto nel capitolo precedente, ho discusso di questa mia 1 Ù specie (Acc. Gioenia, 13896, pag. 25). Do 79 lepralia foliarea El. et Sol; li e. pag. 123 (27). 15. Hip. roLsaceA El. et Sol. (Millepora). Var. sipentaTtA Milne Edwards (Lepralia). Comme. L. c. pag. 123 (27); compresa colla specie. 16. Hip. AppRESSA Busk (Lepralia). Rarissima. Lepralia adpressa Bk.; 1. c. pag. 122 (26). 17. Escnarores perrusa Milne Edwards (Eschara). Rara. L..c.; pag. 125, (29). 13. SCHIZOPORELLA MONILIFERA Milne Edwards (Eschara).. Ra : rissima. La Escharoides monilifera M. Edw.; l. c. pag. 125 (29). I) (70) BRIOZOI NEOZOICI DI ALCUNE LOCALITÀ D’ITALIA 1 19. | 20. 22) 23. DA. 25. 26. E; 198. i 29. N98 = 7 7 1 OsrHImosia coronoPus S. Wood (Cellepora). Comune. Cellepora tubigera Busk; 1. c. pag. 128 (33). RerEPoRA ceLLuLosA Linné (Millepora). Comune. TL. c.; pag. 128 (82), tav. 4, fig. 8. SmrtiA Lanpssorovi Johnston (Lepralia). Rarissima. L. c.; pag. 126 (30), tav. 4, fis. 6. Su. [MARsILLEA] cerRvIicoRrNIS Pallas (Millepora). Comune. Porella undulata Rss. l. c.j pag. 124 (28). UmnBonuLa rRAMmuLosA Linné (Cellepora). Comunissima. Cellepora ramulosa Linn. ]. c.; pag. 129 (83), tav. 4, fig. 9-12. PorIna BorEALIS Busk (Onchopora). Comune. L. c. pag. 120 (24), tav. 4, fig. 4, 5. Crisia HérnEsI Reuss. Comunissima. L. ce. pag. 131 (35), tav. 4, fee: Cr. ELongATA Milne Edwards. Comunissima. L. c. pag. 133 (37). Cr. ristuLosa Heller. Comunissima; L. c. pag. 134 (38). Cr. De Sreranm Neviani. Rarissima. L. c. pag. 135 (39), tav. 4, fig. 14, 15, 16. HornERA FRONDICULATA Lamarck (£etepora). Rara. L. c. pag. 145 (49). NEVIANI ANTONIO | 30. InmoneA ATLANTICA Forbes. Comune. L. c. pag. 136 (40), tav. 4, fig. 17-18. 81. Ipwm. visicata Manzoni. Comune. “ID. e. pago 137 (40). | 32. Inpm. PsEUDODISTICHA Hagenow. Comunissima. L. c. pag. 137 (41), tav. 4, fig. 19. 33. Inm. MrirnganA D’Orbigny. Comune. Idmonea Targionii Nev. n. sp.; 1. e. pag. 139 (483), tav. 4, fig. 20. | J » notomala Busk - Br. Mar. Cat., 3* parte; pag. 12, ta- vola 12-A, fig. 1,2. % Riporto gli esemplari da me creduti di una nuova specie, a quella del D’Orbigny, dalla quale differiscono solo per avere la superficie dei tuboli più levigata. Ù, 54. TusuLipora [FirispArsA] DELVAUXI Pergens (Milena Comunissima. Filisparsa Delvauxi Pergens; 1. c., pag. 140 (44), tav. 4, fig. 22, 23 35. Tus. [Fin.] vaRIANs Reuss (/isparsa). Comunissima. Filisparsa varians Reuss; l. c., pag.” 139 (43), tav. 4, fig. 21. 36. Tu. [DrAsrtoPorA] LAToMARGINATA D’Orbigny (Diastopora). È Rara. Diastopora latomarginata d’Orb.; 1. c., pag. 144 (48). Tus. [MEsENTERIPORA] MEANDRINA S. Wood (Diastopora). | Comune. Mesenteripora Eudesiana M. Edw.; l. c., pag. 144 (48). ° Fra M. Eudesiana M. Edw. e M. meandrina S. MO se ENrALOPHORA PROBOSCIDRA. Milne Sena ei Comunissima. Me: pag 141 (45), tav. 4, fig. 25. 9. En. D’AnconaE Neviani. Rarissima. L. c., pag. 143 (47), tav. 4, fig. 26, 27. NEVIANI. Nea ANTONIO GLI ENTOMOSTRACI DEL MEZZOLA |. Nota del Dott. UMBERTO RIZZARDI Il prof. Paclo Pero pubblicava, nello scorso anno un’ac- curatissima memoria: « Cenni oroidrografici e studio biologico. si del lago di Mezzola » . In questo lavoro. l’egregio autore spiega l'origine e formazione del bacino lacustre, la sua natura geologica e posizione rispetto al restante lago di Como; cita P parecchie sue osservazioni relative alla temperatura dell’acqua, cha colore, trasparenza, limite di visibilità; infine si occupa della | fauna e flora del lago, diffondendosi nelle sue ricerche algo- i: logiche ed_in modo speciale sulle diatomee. A completare la biologia del Mezzola, gli restava lo studio degli entomostraci, | che il prof. Pero aveva in animo di fare nel Laboratorio zoo- logico di Pavia, ma che non potè compiere causa il suo im- provviso trasloco al Liceo di Treviso. A ciò io mi sono accinto . | dietro invito dell’ illustre prof. Pavesi, al quale sono oltremodo grato per il largo appoggio prestatomi e la vasta bibliografia messa a mia disposizione. i Le pescate degli entomostraci sono state fatte in regione pelagica, prima dal prof. Pavesi nel seno di Novate la sera del 19 agosto 1887, e poi anche dal Pero il 24 agosto 1893 a 5 e 10 metri di profondità in varie località, ma immediatamente dopo un lungo temporale. Ecco il risultato dell'esame di queste raccolte : Cladocera. Sipa orysraLuna O. F. Miiller, Zool. Dan. Prodr. (1776), pag. 200 sub. Daphne.; Entomostraca (1792), pag. 96, aan XIV, fio. 1-4. Pavesi, Altra serie fn. pelag.,in Atti soc. Veseto.lnari VIL pag. 360 (5). (1) Estratto dal Giornale Malpighia, anno IX. Genova, 1895. RE a Le i e De in PARO A OR COAT r Pi a TA - GLI ENTOMOSTRACI DEL MEZZOLA 1427 Hab: Specie diffusa in quasi tutti i laghi e stagni d’Eu- ropa, rara nei fiumi. Italia: laghi di Avigliana, Orta, Maggiore, Lugano, Alserio, S. Croce, Eudine. Molti individui d’ambo 1 sessi, ni circa 3.5 mm. DAPHNELLA BRACHYURA Lievin (1848), Branch. REI ; pag. 20, tav. IV, fig. 3-9 sub. Sida. Pavesi, Nuova serie fn. pelag. in Rendic. R. Ist. Lomb. VII, pag. 479 (6); Altra serte fn. pelag., pag. 361 (26). i Hab. Comunissima nei fiumi, laghi e stagni come anche nelle lagune, sia presso le rive come in mezzo, ed a profon- dità diversa. Pavesi la trovò fino a 100 metri in parecchi taghi, sia di giorno che di notte. Numerosi esemplari g° e 9, lunghi da 1a 2 mm. Lvnckus spHaERIcus O. F. Miller, Entomostraca, pag. 71, tav. IX, fig. 7-9. Jurine, Hist. des Monocles 1820, pag. 157, tav. XVI, fig. 3 sub: Monoculus; Rizzardi, Risultati biologici esploraz. lago di Nemi, in questo Boll, III 1894, pag. 147 (13) sub: Chidorus. Hab. Laghi d’Orta e di Nemi; Ticino a Pavia. Francia, Danimarca, Belgio, Russia, Siberia, Note Pochi esemplari 9 nella. raccolta del prof. Pero, che cor- rispondono precisamente alla figura ed alla descrizione del Miller. Lrpropora uvanina Lilljeb., Beskrifn. Crust. ord. Clado- cera, in Oefv. k. Vetensk. Akad. Forhfnd. (1860), pag. 265, fio. 1-22. P. E. Miller, Darmarls Clad. (1868), pag. 226, tav. VI, fig. 14-21; Pavesi, Altra serie fu. pelag., pag. 372 (37). Hab. In moltissimi laghi d’Italia compresi quelli minori . briantei e parecchi della campagna romana; altrove vive nei laghi di Francia, Austria, Inghilterra, TIEMAA TGA Svezia, Norvegia. Nelle ali del Mezzola è abbondante e gli esemplari variano assai di grandezza (da 5 a 10 e fino a 12 mm.). UMBERTO RIZZARDI Ostracoda. CyPrIs ovum Jurine, Mist. des Monoccs pag. 179, tav. xXx fo fig. 18 e 19 sub: Monoculus. Pavesi, Ulter. studj fn. pelag., pag. 699 (13); Altra serie fr pelag., pag. 373 (38). Hab. Segnalata di pochissime località italiane, cioè ue, 7 di Annone, fiume Sebeto; altrove fu trovata in Sud) Boe- mia, Belgio, Olanda, Inghilterra. Zan Pochi pio a 5 e 10 metri di profondità, lunghi ARE) NE, 0.5 mm. circa. a li Copepoda. CyoLops ruscus Jurine, Mist. des Monocles, pag. 47, tav. di fio. 2 sub: Monoculus quadricornis fuscus. Pavesi, Altra serie fn. pelag., pag. 377 (42) sub: C. seo gnatus. iN Schmeil, Deutschlands frez. Susswass, | Copepoden, in Bi- blioteka zoologica Leuckart e Chun, 11, fase. 3°, pag. (23008 tav. I, fig. 1-0° e IV, fig. 16. | Foo) Per l’Italia: Trevigiano, Ticino a Pavia, al di i Toblino, Caldonazzo, Alserio, Como, Garda, Nemi; fuori: nella Ni Danimarca, Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda, Boemia, Russia, SA Numerosi individui d’ambo i sessi lunghi circa è mm. C. virinis Jurine, Hist. des Monocl., pag. 46, tav. III, fig. 1 sub: Monoculus quadricornis viridis. ci n° Claus, D. Gen. Cycl. in Archiv. f. Naturg. I, pag. da (i tav. IIL, nl 12-17 sub: C. Brevicornis. A Pavesi, Altra serie fn. pelag., pag. 379 (44). SI Deutschl. frei. Susswass. Copepod., 3°, Pa #0 tav. VIII, fig. 12-14. oi Hab. Italia: laghi di Ritom, Lugano, Maggiore, doni ti GLI ENTOMOSTRACI DEL MEZZOLA 129 S. Croce, Ledro, Caldonazzo, Trasimeno, Nemi; fuori : nella Rus- sia, Boemia, Inghilterra. i Molti individui g° e 9, lunghi 2 mm. circa. C. aLBIibus Jurine, Hist. des Monocl., pag. 44, tav. 11, fig. 10 sub. Mon. quadricornis albidus. Pavesi, Altra serie fn. pelag., pag. 308 (3) sub: C. te- nuicornis. Schmeil, Deutschl. freil. Susswass. LL... 3°, pag. 128, tav. I, fig. 8.14 e IV, fig. 15. . Hab. Italia: Orto botanico di Padova, laghi di Candia, Orta, Mergozzo, Ghirla, Alserio, Pusiano, Annone, Iseo, Idro; Svizzera, Tirolo, Boemia, Inghilterra, Svezia, Norvegia. Pure frequente a 5 e 10 m. di profondità, g* e 9, lunghi da 2a 3 mm. La maggior parte dei Cyelops qui elencati sono adulti, pochi allo stadio di Nawuplius. Riassumendo, gli entomostraci pelagici del Mezzola, rac- colti dai prof. Pavesi e Pero, sono rappresentati da otto spe- cie: manca il genere Daphnia, tanto diffuso in tutte le acque dolci, mentre figurano due specie rare ovunque da noi, il Lin- | ceus sphaericus e il Cypris ovum. I Cyclops sono in maggior numero e costituiscono la quasi totalità della pesca. Tra questi i C. fuscus e viridis come an- che la Daphnella brachyura e la Leptodora hyalina sono comuni, secondo gli ultimi studi del prof. Pavesi, al restante lago di Como, di cui il Mezzola è la piccola parte settentrio- nale valtellinese separata dal delta dell'Adda. Il Pero, nella sua memoria (a pag. 48), dice di aver notato nelle sue CI sopracitate le specie proprie e caratteristiche dei grandi laghi; ma la Leptodora è anche di piccoli stagni ed il Bythotrephes longimanus, per quanto abbia cercato atten- tamente, non l’ho trovato, anzi dubito che non esista nel ©. Mezzola. Dal Laboratorio Zoologico della R. Università di Pavia, | ; Giugno, 1896. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE. MIGRAZIONI ORNITICHE COM OSSERVAZIONI fatte specialmente attorno allo Stretto di Messina. Comunicazione del socio Professor G. ANGELINI. oz (Gontinuazione vedi fascicolo I e II) Uno dei fatti meglio accertati è questo, che, per i din- torni di Messina, il passaggio più importante è quello di pri- mavera: l’autunnale è molto meno copioso. E di ciò parmi i debba esser questa la ragione. In primavera gli uccelli, stanchi . per la traversata del Mediterraneo, approdano alle, coste sicule, e poi, seguendole diretti verso nord e in parte verso est, con- fluiscono al Capo Peloro: invece nell’autunno i più attraver- sano obliquamente la Penisola; ed anche quelli, che, costeg- | giandola, vanno a finire all’estremo meridionale della Calabria, trovano le terre peloritane una tappa troppo vicina, e spiccano | direttamente il volo per più lontane regioni. La influenza del vento è evidentissima & Messina, sobene di anche là non assoluta: in primavera sono i venti attorno a ponente che favoriscono il passo: col ponente vero, e in minor grado col maestrale, vento fresco e nebuloso, e col libeccio, caliginoso e caldo, appaiono colà i migratori. Anche il grecale è favorevole. E questo per Messina un vento fresco ed eguale, | piacevolissimo ed apportatore di bel tempo: spira sopratutto nella buona stagione, e nelle ore più calde: la limpidezza del cielo, l'azzurro cupo della superficie increspata del mare ne annunciano la presenza: ad esso deve Messina la grande mi- tezza del suo estate. Invece la tramontana ed il levante, anche se deboli, sono esiziali per il passo: tali pure in primavera. sono l’austro e lo. scirocco. Quest'ultimo è un vento ineguale, che soffia a raffiche, a sbuffi, ‘caliginoso e burrascoso, assai 5 ì LIA (n sgradevole anche per l’uomo: quando è debole sembra favorire il passo. di certe specie, ma ciò non è, come vedremo, che | 131 CONTRIBIDO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE un’apparenza (1). Ho notato più volte che un’'improvviso ab- bassamento di temperatura sospende in primavera immediata- mente il passo per un seguito di giorni più o meno lungo, ma non mi è mai capitato di vedere le colonne migratrici respinte da questa causa sulle coste sicule. A stagione normale i primi accenni del passo primaverile si avvertono nei dintorni di Messina tra il 15 ed il 20 di febbraio: sono tra i primi le Ballerine (volg. Pispici), le Pr spole (Zivedde), i Fringuelli (Spunzuni), i Fanelli (Zuini) e gli Storni (Sturni), migratori diurni: verso il 20 comparisce pure qualche individuo di Pavoncella (Nivalòra), di Piviere dorato (Alivedda), di Beccaccino (Beccaccinu), di {rullino (Bec- caccineddu), di Piro-piro culbianco (Stagnotta), e di Gambetta (Iamminu), migratori notturni. Anche qualche Marzaiola (Marzòla) suol mostrarsi subito dopo il 20 febbraio. Sono pure tra i primi uccelli ad apparire le AZodole (Calandruni) ed il loro passo, in certi anni copioso, dura sin verso la metà di aprile: però il tempo migliore suol essere la 1° quindicina di marzo. Passano di giorno, con direzione da sud a nord, parallelamente alla costa orientale dell’isola: dono di primo mattino, per solito il passo si accentua dopo le 8, per cessare prima di mezzogiorno: nelle giornate migliori riprende poi 3 o 4 ore dopo mezzogiorno, e prosegue fino al tramonto. . ss, Nel marzo passano in grande abbondanza nelle adiacenze di Messina i piccoli conirostri (volg. aciedduzzi). Sono branchi di Raperini (Rapareddi), di Fanelli, di Cardellini (Cardiddi), che spesso si seguono senza interruzione: passano nelle ore antimeridiane, e al modo stesso delle allodole. {l passaggio (1) A Messina non è sempre facile orizzontarsi riguardo al vento, giacchè, non solo esso cambia spesso e volontieri nel corso della giornata, ma frequentemente si hanno nello Stretto più correnti aeree, forse riflesse, che mandano le nubi in diverse direzioni, e nel porto non è raro vedere il fumo dei piroscafi spinto in un senso, e le banderuole degli alberi in un altro. Allora la miglior cosa è di badare alle nubi più basse: ma però anche l’aspetto generale del cielo e del mare sono così caratteristici, da permettere a chi ha pratica di conoscere, e persino di presagire a breve scadenza la specie del vento dominante. poche se ne ve. Motacilla. alb Anthus pratensi; Fringilla coele Cannabina linota, Sturnus vulga Vanellus capella, Charadrius plu vialis, Gallim coelestis, Lym cryptes g gallina a, Helodromas chropus, Mach« tes pugnax, Quer quedula circ Alauda, arven; Serinus ho lanus, Carduel elegans. Tirundo rusti- Chelidon |ur- ica, Cotyle ripa- 132 G. ANGELINI AE degli uccelletti desta nei Messinesi un vero fanatismo: in quel hi tempo tutti diventano cacciatori! — Chi nelle giornate favo- revoli del marzo percorre la via incantevole che da Messina va verso Catania, scorge dovunque, pel tratto di parecchi chi- lometri, individui armati di fucile: fra gli ulivi, su pel de- clivio dei colli, negli orti e negli agrumeti che fiancheggiano la via, per entro al letto dei torrenti, lungo la spiaggia. del mare, dappertutto sono scaglionate persone, spesso in compagnia di uma disutile bestia qualunque, che deve passare per cane da caccia, le quali, coll’indispensabile coppola in capo, il carniere alla spalla ed il fucile pronto alla mano, ansiose aspettano al varco i poveri uccelletti. Nelle mattinate di po- nente i colpi si succedono rapidissimi, e sembra un vero campo di battaglia. Quanturque per lo più inesperti della vera caccia, i Messinesi sono abilissimi tiratori da uccelletti, e, siccome in generale dispongono di buone armi e di ottime munizioni, e inoltre sparano senza pietà e senza economia, ne fanno delle vere stragi. Il tiro agli uccelletti è quello che più li appassiona; ed è sopratutto questo genere di caccia che mantiene in vita. i vari e ben forniti negozi di armi e di munizioni, che esi- stono in quella città. Da principio sono, come si disse," pic- coli conirostri che fanno loro le spese: poi, ‘verso la metà del marzo, cominciano a passare le Rondini, ed allora cadono an- ch’esse abbondantissime sotto i colpi. Anche le rondini (volg. Rinnini) amano il ponente: passano però assai bene anche col grecale, e non solo al mattino, ma spesso anche la sera, di- modochè viene così ad essere prolungato il tempo per l’igno- bile eccidio. Un'altra condizione atmosferica, colla quale sogliono ap- parire in copia certe specie di migratori, è la calma sciroccale (calmaria du sciroccu). Il mare diventa un piano grigio ed immobile, il cielo si fa plumbeo e caliginoso, l’aria stagnante, calda, afosa: è il preludio dello scirocco. Fra non molto co- mincerà a farsi sentire l’incomodo soffio, che, crescendo sempre più in violenza, sconvolgerà profondamente le acque dello Stretto: può anch’essere che ciò non succeda, ma che invece, dopo un periodo più o meno lungo di calma, si affacci un. altro vento. Quando dopo la metà di marzo, nella notte o I dI CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 1 verso l'aurora si stabilisce la calma sciroccale, è facile trovare al mattino numerosi Culbianchi (Mataccini) e Stiaccini (Caca- pali), migratori notturni. La cosa è tanto più probabile quanto migliore era il vento dei giorni precedenti. Di solito nella notte successiva scompaiono quasi tutti, e già nel pomeriggio comincia a vedersene meno, non solo perchè vengono uccisi, ma anche perchè propriamente non si trattengono, ma pastu- rando, saltellando e svolazzando proseguono il loro viaggio verso la punta del Faro, dove giunti pare che si dirigano verso ponente. I contadini e monelli del Faro sogliono pi- gliarne molti vivi con certe trappole semplicissime fatte con una pala di fico d’India, sotto cui scavano una. buca, e pon- gono per esca una grossa larva di coleottero. Delle Saxicolae, dopo la cenanthe che è la specie comune, seguono in ordine di decrescente frequenza la occidentalis, l’ albicollis e la me- lanoleuca (volg. Munacedde). Verso la fine del marzo, nell'aprile ed anche nel maggio sfilano pure colla calma sciroccale i Budytes (Giallinedde), che sono migratori diurni: parecchi si fermano sul piano di S. Ranieri e al Faro, dove vengono uccisi col fucile, e presi colle reti e colle trappole di fico d’ India. Sono rimarchevoli questi uccelli per la lunga durata del loro passaggio, che va dalla metà di marzo ai primi di giugno: dopo il Budytes flavus, che è di gran lunga il più comune, vengono per ordine di frequenza il borealis, il cinereocapillus ed il melanocephalus: non ho mai incontrate le forme deema, paradoxrus è ranthophrys. . Coi Budytes si accordano press’a poco, pel tempo e per la lunga durata del passo, le Calandrelle (Quagghiarine): an- | ch’esse migratrici diurne, passano cogli stessi venti e allo stesso modo delle allodole. i Un uccello di passaggio eccezionalmente abbondante nei paraggi del Capo Peloro è 1’ Occhione (Rivirsinu). — Chi nelle belle mattinate del marzo si trovi avanti lo spuntar dell’alba nella piccola piana del Faro, non appena incomincia un po di luce, ode d’un tratto rotta la quiete notturna dall’acuto fischio dell’Occhione. Al primo fischio risponde subito un se- condo, al secondo un terzo, ed in un momento parecchie altre voci consimili e variamente modulate echeggiano d’ogn’intorno, betra. io Calandrell. brachydactyla. ; Oedicnem scolapax. 154 i G. ANGELINI formando il più strano e sorprendente concerto. Sono i caccia- tori del Faro, che fanno il richiamo agli Occhioni; ed in ciò son essi abilissimi. Si servono a tal uopo di un breve fischio di canna, simile a quello da Pivieri, ma più grosso, ovvero di un pezzetto di coccio opportunamente scavato e forato: que- st’ultimo è preferibile, perchè dà un fischio più forte e più perfetto, e perchè lascia interamente libere le mani al tiratore; ma non è da tutti il saperlo suonare. Qualcuno sa ingannarli anche fischiando colla bocca, senza alcun istrumento, il che è più difficile ancora. Il cacciatore si tiene nascosto in una pic cola buca del suolo circondata da una bassa siepe, e col fu- cile pronto alla mano: quando 1’ Occhione che passa, o che vagava nei dintorni sente l’invito, per solito risponde, poi senza indugio/si dirige verso il cacciatore, e con volo basso e silenzioso, come ‘un rapace notturno, gli passa accanto e gli si posa a breve distanza. Questo divertimento dura poco, al l’incirca una ventina di minuti: a poco a poco i fischiatori ammutoliscono, e, fatto giorno chiaro, la musica cessa del tutto. Però la caccia non è ancor finita: quegli Occhioni, che attirati dal richiamo si fermarono nelle vicinanze, ed altri posatisi più indietro sulla spiaggia del mare, vengono distur- bati dai pescatori e da altre persone, e, messi in moto, si di- rigono verso il Faro. I cacciatori vegliano ancora, ed appena l'uccello si mostra, incomincia di nuovo il coro dei fischi. Di giorno però l’Occhione si comporta diversamente: è più so- spettoso, obbedisce meno al richiamo, non risponde più, vola alto, e per ingannarlo bisogna tenersi fermi e ben nascosti : scoprendo l’insidia devia rapidissimo. Quando non si vede più alcun Occhione va ciascuno al proprio lavoro: ma non è già che essi vadano lontano: ciascuno ha il proprio campicello poco lungi dalla spiaggia, e, mentre lavora, sta sempre all’erta col fucile accanto nascosto sotto una vite ed il fischietto in tasca. Passa di nuovo un Occhione? 31 primo, che lo scorge, dà su- bito col suo fischio l’allarme: immediatamente tutti gli altri lo imitano, ed afferrato il proprio fucile corrono a nascondersi; e si ripete così la scena del mattino, che dura fintantochè l'uccello non è ucciso o scomparso. Anche il passaggio degli Occhioni è piuttosto prolungato: si sogliono vedere i primi CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 135 , verso la metà di marzo, e gli ultimi verso il 20 di maggio : però i più passano agli ultimi del marzo e nell'aprile. Giun- gono anch'essi col ponente: però se ne vede anche col, mae- strale e col grecale, e pare che amino di viaggiare contro vento, perchè coi primi due venti si tengono più vicini alla costa sicula, mentre col grecale passano più vicino alla costa calabrese; così almeno affermano concordemente i cacciatori del Faro. Buonissima è poi per gli Ccchioni la prima messa di scirocco, ossia il principio della calma sciroccale: allora si aggirano di preferenza lungo la costa settentrionale dell’isola, ad occidente della punta del Faro. Compariscono a volte iso- lati, a volte in drappelli di tre, di cinque, di dieci e più an- cora: raramente si mostrano nel pomeriggio, meno raramente sul far della sera. Ripassano in autunno da oltre mezzo set- tembre alla fine di ottobre, ma più scarsi che in primavera : hanno però allora carni molto migliori, ed è quindi di maggior i ) Sslor valore la preda di questo uccello oltremodo accorto e resistente ai colpi. Altri migratori, ai quali gli abitanti del Faro fanno la caccia in primavera, sono gli Ardeidi. È sopratutto durante l’aprile che ai primi albori li attirano sulle rive del loro la- ghetto mediante zimbelli, e mediante il richiamo, che esegni- scono colla bocca in modo perfetto. Quantunque viaggiatori ‘essenzialmente notturni al pari degli occhioni, sogliono spesso gli aironi percorrere lo Stretto anche di giorno, e con diversi venti: però i tempi più favorevoli per la loro caccia al Faro sono i burrascosi con vento forte e pioggia: allora ne capita di ogni specie. Altrettanto è a dirsi per molti Scolopacidi (Numentinae, Totaninae, Tringinae) che passano specialmente nell’aprile e nella prima metà del maggio, come pure per altre specie più rare di Trampolieri, quali il Cavalier d'Italia (Gen- tilomu), la Beccaccia di mare (Facianu), la Spatola (Palitta), il Mignattaio (Vairanu,. Gaddaranu), ecc., di cui ogni tanto viene predato qualche individuo sulla riva del lago, ovvero sulla prossima spiaggia del mare, dove per l'appunto una bassa duna par fatta a posta per nascondere agli uccelli l’avvicinarsi del cacciatore. | Migratori che si mostrano volentieri colla calma sciroc- Himantopus. candidus, Haema- topus ostralegus, Platalea leucoro- | dia, Plesadis fal- cinellus. he | Pernis apivorus. 136 G. ANGELINI cale sono gli uccelli di rapina, e sopratutto la specie del gen. Circus (Albaneddi, Arpegghie).'Passano però anche cogli altri venti propizi per questa stagione, e in ispecie i piccoli falchetti amano assai il grecale. Il maestrale è invece il vento pre- ferito dai Falchi pecchiaioli (Adorni, Orri) per sfilare al di sopra dei colli peloritani. Passano dalla fine di aprile alla fine di giugno ed oltre (1), e non già di buon mattino, ma nelle ore più calde della giornata, per lo più a branchi, talora anche numerosi, di 30 o 40 individui: se il vento è debole si ten- gono alti, mentre se piuttosto forte si abbassanc, e vedonsi allora aleggiare attorno alle alture del colle di S. Rizzo e del. Monte Cicci, e sopra gli altipiani del. Campo Inglese e di Ca- stanèa, dove qualche cacciatore fa loro la posta (2). Procedono piuttosto sparpagliati, e senza fretta, ondeggiando e roteando come per sollazzo,. ma effettivamente per dar la caccia agli imenotteri, che sono il loro cibo quasi esclusivo. Di là, pas- sando alti sopra il Faro, dirigonsi verso la costa calabrese. Quando poi spira il vento di greco i falchi pecchiaioli, che per compiere le loro aeree evoluzioni hanno bisogno di volare contro vento; tengonsi dall’altra parte dello Stretto, e sono gli altipiani di Pentimele presso Reggio, di Matiniti sopra Villa S. Giovanni, di Milèa sopra Scilla, che li. vedono sfilare in abbondanza. Su quelle alture vi sono dei punti dove ogni branco va a passare, si direbbe quasi necessariamente, e là i Calabresi fanno la posta agli Adorni con incredibile passione. Nascosti da appositi ripari di pietre o di frasche eretti dalla parte donde i falchi giungono, se ne stanno per intere gior- nate esposti ad un sole cocente, spesso ad aspettare chi non arriva. E degli uccisi fanno essi gran conto: il regalo di un (1) Ora appunto, mentre sto scrivendo (30 giugno 1894), mi viene recato un falco pecchiaiolo ucciso. da poche ore alla foce del fiume Metauro, presso Fano. (2) Due anni addietro ebbi a Messina un falco pecchiaiolo leggermente ferito: lo tenni vivo più di un mese, e risanò completamente: un bel giorno, essendo riuscito a sciogliersi, mi volò via. Mi parve d’indole piuttosto fiera, e poco disposto a mansuefarsi: ri- fiutò costantemente i pezzetti di carne da macello, che gli offrivo, e per farlo mangiare ero costretto ad imbeccarlo forzatamente. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE dtd Adorno è pei Reggiani una cortesia distinta. I pecchiaioli sono là tenuti per selvaggina nobile, ed, oltrecchè Adorni ed Orri, chiamati anche Uccelli per antonomasia, mentre danno poi il nome di Rapini agli altri falchi. Ed anche questi predano e mangiano assai volontieri, a qualunque specie appartengano : persino il Capovaccaio (volg. Nia) che capita talvolta alle loro | poste, viene da essi trovato un cibo non disprezzabile. La ra- (ee «4 | gione di questa loro passione per la caccia dei falchi credo io che stia nella mancanza di prede migliori: di fatti la selvag- | gina sedentaria è in quei paesi quasi totalmente distrutta, e quella di passo primaverile è sul versante occidentale della provincia di Reggio rarissima, mentre si mostra invece tanto abbondante nella prossima regione siciliana. E importante no- tar bene questo fatto: esso, oltrecchè dipendere dal confluire , verso il Capo Peloro dei migratori approdati ai diversi punti della costa sicula, può anche essere indizio dell’esistenza di un’onda migrante in direzione occidentale. Gli Adorni vedonsi pure al ripasso, specialmente in settembre, ma molto scarsi, ed allora non si fa ad essi alcuna caccia. È rimarchevole, per quanto nota, la straordinaria variabilità del loro piumaggio, probabilmente in rapporto colle differenti età. . Il passaggio più importante per le adiacenze di Messina è senza dubbio quello delle Quaglie (Quagghie). Nei dintorni di Messina non resta in inverno alcuna quaglia, ela ragione sta principalmente nella mancanza della necessaria quiete. Però qualche individuo comincia già a farsi vedere fino dai primi di aprile: sono le così dette quaglie d'erba, come i cacciatori di laggiù le chiamano, perche le rinvengono di preferenza fra le erbe dei campi e dei prati, piuttostochè fra 1 cespugli. delle colline, e credo che si tratti di individui, che hanno svernato nell'isola, e che, sentendo il soffio della primavera, cominciano a muoversi verso regioni più settentrionali: piccole, di color chiaro, son forse il prodotto delle ultime covate dell’anno an- tecedente. Verso la metà del mese comincia il vero passo, e normalmente dal 20 di aprile al 15 di maggio è il periodo | migliore: continuano però con intermittenze a passare fino « . tutto giugno. Da principio predominano i maschi, più tardi, | verso la fine del passo, le femmine; le ultime poi sono di re- Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 10 Neophron per- È cnopterus. i Coturnix com- munis. i 155 G. ANGELINI gola quaglie piccole, scure, più o meno melanotiche (quagghie carbunare) quasi volessero mostrare i segni della prolungata dimora sotto la sferzà del sole africano. Ritengono poi anche a Messina molti cacciatori che fra le quaglie, che compariscono per ultime, vi sieno dei quagliastri, e pretendono di vedervi il frutto di covate invernali avvenute in Africa. Ma tale sup- posizione è certamente erronea, perchè, a parte la inverosimi- Mi glianza del fatto manifesta per molte ragioni, è ormai dimo- strato che la quaglia in Africa non si riproduce. Io, per verità, non ho mai visto di tali. quagliastri, e mi viene il dubbio che possano aver indotto in errore individui nati precocemente in paese, e che, dopo il taglio delle biade, cambiano di stazione; ovvero che si abbia a che fare con giovani dell’anno prece- dente, i quali, o non si riproducono, oppure più tardi degli altri sentono l’istinto della migrazione e della riproduzione. Anche dei Numenius e di qualche altra specie migratrice re- stano per tutta l’estate nell’estuario veneto degl’individui, pro- babilmente giovani, e che, a quanto pare, non si riproducono. Asseriscono inoltre i cacciatori che tra, le ultime quaglie si trovino anche delle chiocce, ossia delle femmine che hanno gia covato, e lo deducono dalie apparenze del ventre alquanto spiumato, bruno e grinzoso. Senza escludere ‘assolutamente che qualcuna di esse possa aver covato (forse senza frutto, e non in Africa, ma in Italia), mi viene il sospetto che gli accennati . caratteri possano cominciare a mostrarsi ancor prima della covatura, quando è vicina la deposizione delle uova, e forse tanto più facilmente, quanto più la stagione è inoltrata. In- fatti ricordo di aver incontrata qualche femmina colle suddette particolarità anche a stagione molto meno avanzata, quando non era supponibile che la incubazione potesse essere avvenuta. Per risolvere la questione bisognerebbe esaminare accurata- mente lo stato degli organi sessuali: ma mi rincresce di non averlo fatto. ; Alla spiaggia peloritana le quaglie arrivano di notte: le due o tre ore, che precedono l'aurora, sono quelle, in cui ne approda un maggior numero. Però in occasione di passaggi straordinari se ne vedono alcune entrare anche di giorno. Toccato che abbian terra non si fermano subito, ma CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 159 si dirigono verso le colline, risalendole più o meno, secondo la stagione ed il tempo che fa. Nell'aprile e fin verso la metà di maggio si trattengono più volontieri al basso, più vicino alla spiaggia del mare, nascondendosi nei campi di grano, di sulla e di lupini: più tardi invece tirano più all’alto, e si rinvengono di preferenza nei felceti e negli scopeti, che rivestono le parti più elevate dei colli sovrastanti a Messine. Lassù le attrae, col crescere del caldo, una maggiore frescura ed una maggior copia d’ insetti, mentre pel seccarsi e pel taglio delle biade i campi, diventati aridi e nudi, non offrono più loro un conveniente asilo. Sullo stesso fatto influiscono pure le condizioni atmosferiche: nei tempi burrascosi, specialmente con forte vento, si tengono più al basso, mentre con tempi calmi e sereni si portano più in alto (1). È pure notevole l'influenza che, secondo le affermazioni concordi dei cacciatori del luogo, eserciterebbe sulle quaglie migranti la lanterna del Faro. Dacchè al primiero fanale fu sostituito l'odierno, assai più elevato e potente, mi hanno assicurato che le quaglie più non si fermano nel piano circostante, come facevano prima, ma che invece vanno quasi tutte a posarsi sulle prossime, col- line, $ Mi è stato pure affermato che durante il periodo delle migrazioni le quaglie si odono passar tutte le notti sullo Stretto, mentre poi non si fermano che con determinate condizioni atmosferiche. L'arrivo delle quaglie non è egualmente abbondante su tutti i punti della costa orientale e meridionale di Sicilia, ma lo è specialmente nei punti più sporgenti in mare, come a Brucoli, a Siracusa, a Pachino, ecc., forse perchè son quelli i luoghi che primi si presentano in vista alle povere migratrici, stanche .ed anelanti di raccogliere il volo. Fors'anche la brezza notturna ‘contribuisce ad avvertirle della vicinanza della terra, e le guida verso i capi, donde, come si sa, la brezza spira più forte. (1) Il contrario succederebbe presso Ancona, dove, al dire del Pao- lucci, « se il vento è favorevole (libeccio), ma troppo forte, le quaglie tiran via filate entro terra >. (Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici, vol. III, pag. 34). 140 i G. ANGELINI È noto che anche altrove le quaglie approdano specialmente ai capi, è la, dove avanti alla costa stanno delle isole, a quelle drizzano il loro volo: così a Napoli gl’ incettatori di quaglie chiamano quaglie d’isola quelle del passo primaverile, perchè le ricevono da Ischia, Ponza e Capri, mentre danno il nome di quaglie di terra a quelle del passo autunnale catturate alla costa. Nel canale di Messina poi anche il mutamento del vento, specialmente se da Ovest, dipendente dal de- gradar dei colli verso il Capo Peloro, deve avvertire i mi- gratori che da quella parte la terra finisce: fors’ anche per. questo molte quaglie arrestano là il loro volo. È un fatto che a mezzodì di Messina sul lato orientale, e al di là del Capo. Rasocolmo sul settentrionale, il numero delle quaglie va rapi- damente decrescendo. Oltre a quelle che si uccidono col fucile, e non son poche, in tutta la zona dove sono più numerose, se. ne fa strage coi lacciuoli, tantochè gli abitanti del Faro Su- periore e delle Masse ne ritraggono non indifferente guadagno. Seminano a tal uopo appositamente il grano a righe appaiate, e fra l’una e l’altra riga scavano un solco poco profondo, en- tro a cui pende un lacciuolo di crini da un archettino di legno conficcato nel terreno in modo da starvi sopra a cavaliere. Le quaglie, per nascondersi, entrano nei solchi, e ben presto il. capestro le stringe, ma non le uccide: vive passano nelle mani dell’ ingordo villano. Il sistema è così esiziale che di quelle, che capitano in un campo così preparato, quasi nessuna riesce a salvarsi. Questa caccia equivale perfettamente per i suoi effetti a quella fatta cogli schiappari nel Napoletano, e come questa meriterebbe di essere assolutamente proibita dalla futura legge unica sulla caccia, da tanti anni reclamata ed aspettata, ma purtroppo ancora di là da venire. Verso la fine del passo, nel giugno, le quaglie, oltre al- | l'essere assai più proclivi a pedinare_e quindi più restie a prendere. il volo, sembrano anche meno ligie al vento: infatti compariscono ad intervalli, e come all'improvviso, senza che nelle condizioni atmosferiche sia avvenuto alcun cambia- mento: perciò è difficile prevedere il loro arrivo. Il pre- vederlo è più facile a stagione meno avanzata, giacchè al- TS x CS supe * Lara sla n. za CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 141 lora arrivano anch'esse coi venti favorevoli per gli altri uccelli, e specialmente col ponente. Higuiiamoni di trovarci a Messina in una giornata della fine di aprile, o della prima metà di maggio: nel pomeriggio il vento cambia. Il mare, prima agitato, si calma ed assume una tinta azzurro-grigia: dalla parte di levante il cielo si rischiara, e solo là sui monti della Calabria, che limitano ad Est l’orizzonte di Messina, resta una striscia di nubi bian- chicce. Invece verso ponente il cielo è coperto, e dalla cresta delle sovrastanti colline si staccano grosse masse nebbiose, che passando sopra la città filano dritte verso lo Stretto, ma, giunte a mezzo cielo, si dissolvono e spariscono. È arrivato il ponente, il vento delle quaglie, che mette in orgasmo tutti 1 cacciatori di Messina. Per le vie della città si nota allora qualche cosa d’insolito: è gente che si ferma ad osservare ‘con visibile compiacenza il cielo, che si saluta festosa, che si scambia i più lieti pronostici per l'indomani. Le bot- teghe degli armieri si popolano, ed è un continuo chie- dere di cartucce e munizioni. È passata di. poco la mez- zanotte, e già i cacciatori cominciano a mettersi in moto. Parte alla spicciolata, e parte a drappelli si avviano alle col- line, mentre altri si assembrano alla marina in attesa del tramway a vapore, che li conduca verso il Faro. E questo tempo la Direzione del tram istituisce un treno ‘speciale pei. cacciatori, che parte innanzi giorno, e che nelle giornate di buon augurio porta un numero considerevole di carrozze. Ecco che il tram arriva: esso viene preso d’assalto, e dentro. vi. si pigia la clamorosa turba dei cacciatori e dei cani. Allo sbocco di certe fiwmare il tram si ferma, e molti cacciatori discendono, aspettati con impazienza da una folla di ragazzi col rispettivi asini, che debbono trasportare i cacciatori sulle circostanti alture. Là succede una confusione ed un baccano indescrivibile, movendosi tutti ad un tempo, e gridando forte per farsi riconoscere nell’oscurità della notte. Spunta appena la luce, non ci si vede ancora distintamente, e gia nei punti più alti dei colli cominciano a farsi sentire i colpi, che, crescendo rapidamente di numero, risuonano ben presto d’ogni intorno, frammischiati al vociare dei cacciatori e 142 G. ANGELINI è dei picciotti (1) ed alle caratteristiche cantilene dei pollaroli (jad- dinari) che, muniti di un sacco e di un canestro vanno pel campo di battaglia a far incetta di quaglie vive e morte. I cacciatori sono talmente fitti, che non resta palmo di terreno inesplorato; ed è caso ben raro che in una di queste giornate campali non succedano disgrazie. Così è difficile che, quando la giornata si annunzia cogl’indicati segni, le speranze dei cacciatori va- dano deluse; ed ‘anche nei giorni successivi, finchè dura il ponente, le quaglie si trovano sempre. Se cade un po’ di piog- gia, le probabilità del successo aumentano. Invece se spira. tramontana o levante, nessun cacciatore si muove; nè avviene che mai abbiano a pentirsene. È Degnissima di esser presa in considerazione è poi la influenza dello scirocco. Quando nel corso della giornata il vento volge a scirocco, poca o nessuna speranza resta per . la mattina successiva, sopratutto poi se esso succede ad un altro vento sfavorevole per il passo. Invece se lo scirocco incomincia la mattina istessa. non molto avanti l'aurora, e succede ad un vento favorevole, allora la caccia è ab-. bondante. Però le quaglie non si trovano, come nei di pre- cedenti, sul fianco orientale e nelle parti elevate dei colli, ma solo sul versante settentrionale degli ultimi contrafforti pelo— ritani, e piuttosto verso il basso. Viaggiando esse di notte, non potrei dire come vi arrivino, se cioè varcando i colli, ov- vero girando la punta del Faro, ma, basandomi su quanto fanno, come vedremo, altri migratori diurni, credo che questa ultima supposizione sia la vera. Quando. poi lo scirocco co- mincia assai per tempo nella notte, allora succede un fenomeno. singolare: i cani al mattino cercano con molto ardore, cadono spesso in ferma, ma non riescono a levar nulla. Ingannati dalla freschezza dell’orma, dan sotto ripetutamente, e non sanno per- suadersi che l’uccello non ci sia: ma pure è così. Evidentemente le quaglie si erano posate, ma, appena sentito lo scirocco, hanno, (1) Garzoni di caccia, che, oltre all'incarico del porto delle munizioni e della raccolta e del trasporto delle vittime, hanno pure il compito di emettere continuamente speciali grida d’allarme (fare bùci) per evitare sor- prese e disgrazie. No ven CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 145 A ripreso il volo. Per dove? Forse presentendo la burrasca atfret- tarono il loro viaggio in cerca di un luogo più riparato: forse, e più probabilmente, tornarono indietro. Così almeno ci induce a credere quanto si osserva in certi migratori diurni, e specialmente nelle tortore e nelle rondini, come ora vedremo. Sul finire di aprile e uella prima metà di maggio passano le Tortore (Turture) cogli stessi venti, che sono favorevoli per le altre specie, ed esse pure al primo succedere dello scirocco sogliono mostrarsi in buon numero. Però allora non tengono la stessa via degli altri giorni, ma vanno in tutt'altra dire- zione: giungendo, a quanto pare, dalla Calabria, costeggiano il fianco settentrionale dell’isola, al riparo dal vento e dirette verso ponente, ma, sconcertate dai ‘colpi dei cacciatori, errano a lungo andando innanzi e indietro, e pare che non sappiano decidersi ad affrontare il mare. Ciò è ben noto a tutti i cac- ciatori del luogo, ed ebbi io stesso occasione di verificarlo più volte. Più ovvia ancora a farsi è l'osservazione sul passo delle Rondini. Nei giorni in cui spira il grecale, anche verso sera, sfilano esse volentieri lungo il lato settentrionale dell’isola, andando verso levante: posto che nella notte volga il vento a scirocco, si vedranno al mattino susseguente passare per la stessa linea, ma dirette in senso opposto, cioè verso ponente. Come succede per le Quaglie e per le Tortore, peri Culbianchi e per gli Occhioni, trascorso il primo giorno del periodo sci- roccale anche le Rondini e gli altri uccelli spariscono, e per tutta la durata di esso periodo non si vede più nulla È quindi chiaro che la comparsa dei migratori primaverili al primo volgere dello scirocco non è. che un fenomeno di sosta e di retrocessione, determinato dall’apparire di un vento per quei luoghi e per quella stagione contraria alla migrazione. Cogli stessi venti, che favoriscono. il passo delle altre specie, trovansi pure sui colli peloritani i Noftoloni (Curdari), _e si vedono passare 1 £zgogoli (Crusuleu), i Cuculi (Turturari), le Ghiandaie marine (Carraggià), i Gruccioni (Pizzaferri), ecc.: per questi ultimi è opportunissimo il vento di greco. Sopra- tutto nella prima metà del maggio, e nelle ore più calde delle belle giornate, di cui è apportatore questo vento, trascorron Caprimulgus europaeus, Orio lus galbula, Cu- Culus cCanorus, Co- racias garrula, Merops apiaster. 144 G. ANGELINI essi per lo più alti nell’aria; e ne rendono avvertiti coi rauchi loro gridi: procedono a branchi sparpagliati, e continuamente si chiamano l’un l’altro, e descrivono ampi giri, dando cia- scuno per proprio conto la caccia agl’imenotteri: il loro modo di migrare ricorda quello dei Falchi pecchiaioli, coi quali hanno comune l’alimento. “ria i Quando il periodo del passo primaverile volge al suo ter- - mine si osserva nello Stretto di Messina un fenomeno, che a prima giunta potrebbe esser preso per un caso di vera mi- . Puffinus yelko- grazione: è questo il passaggio delle Berte (Vaedri, Bardanti). ponicdaus Nelle belle serate, in cui spira il grecale, specialmente nelle. i due o tre ore che precedono il tramonto del sole, vedonsi questi uccelli, talora isolati, per lo più a drappelli qualche volta anche numerosi, percorrere longitudinalmente lo Stretto, sfio- rando ie onde intensamente azzurre, con volo rapidissimo, ed alternando pochi colpi d’ala con un celere scivolamento. Tutti vanno verso il Faro, di rado se .ne vede volare in direzione À opposta, e filano dritto come se avessero gran fretta; più di rado ancora si fermano. Questo è quello che avvenne la sera del 4 luglio 1888, ed io ebbi il piacere di riuscire a spingermi colla barca quasi in mezzo ad un grossissimo stuolo di qualche centinaio d’individui, risultante dalla fusione di drappelli pas- sati in precedenza, e fermatisi a pescare in uno spazio, dove, per l’invertirsi della corrente, il mare girava a vortici. Era un brulichio indescrivibile: si tuffavano, emergevano, e poi spiccavano un breve volo per tuffarsi di nuovo, descrivendo così delle curve alternativamente concave e convesse, nell'acqua e nell'aria. Parevano sulle prime non darsi alcuù pensiero della mia presenza, ma piuttosto contemplarmi con aria di curiosità, mentre invece quando passano a volo si tengono quasi sempre fuori di tiro, ed evitano le barche obliquando. Solo quando accennarono ad allontanarsi, dirigendosi dove l’ora tarda e l’impeto della corrente mi avrebbero impedito di se- guirli, mi decisi a far uso del fucile. Nel gozzo degli uccisi trovai una certa quantità di pesce, mentre in quelli colpiti durante il tragitto ho sempre trovato il tubo digerente vuoto: ciò contribuì ad illuminarmi circa la natura e lo scopo del loro viaggio. Sembra infatti trattarsi di semplici scorrerie fatte Leva <$ den (= N, STES En Pre CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE . 145 a allo scopo di procurarsi un facile ed abbondante nutrimento. Si vedono in maggior copia quando l’entrata dell'onda di marea dal Faro succede verso il tramonto, e pare che le vadano in- contro: pochissimi se ne vedono quando il vento non spira da greco, nessuno con aria di scirocco. Ho notato che giunti al l’imboccatura del Faro seguitano avanti: dove vanno? Fanno il giro dell’isola, ovvero si spargono lungo le coste rocciose della Calabria e della Sicilia, e, forse, delle Isole Eolie, per poi retrocedere nella notte? Questa seconda supposizione mi sembra più probabile, anche pel fatto che ne restano talora colti all'’amo dai pescatori, che pescano di notte nello Stretto. Nel giugno e nel luglio 1888, quande ebbi occasione di os- servarlo per la prima volta, il passaggio delle Berte fu più che mai abbondante: nelle sere favorevoli, stando sulla spiaggia presso la lanterna di S. Ranieri, si vedevano sfilare i branchi gli uni dietro gli altri, senza interruzione. Negli anni succes- sivi ho visto il fenomeno ripetersi, ma in una proporzione molto minore, ed anzi mi è parso di notare una diminuzione progressiva: non saprei a quale causa poterla attribuire. Mi fu detto da persone degne di fede che nell’agosto il passaggio va a cessare, ma io non ebbi l’opportunità di verificarlo: certo che alla fine di settembre più non si osserva. È ben vero però ‘che in ogni stagione, attraversando Jo Stretto, specialmente. nel pomeriggio mi è venuto fatto di incontrare sovente qualche Berta isolata, o qualche drappello percorrente il canale nel- l'una o nell’altra direzione. Quasi tutte quelle: Berte appar- tengono alla specie minore, e precisamente alla forma distinta col nome di P. Yelkowan, sia essa, o no, ‘da considerarsi come specificamente diversa dall’affine P. Anglorum: assai-scarsa è la Berta maggiore, o P. KuAli, e inoltre essa viaggia sepa- ratamente, isolata, o a drappelli di pochi individui. In tutti gli SCRL uccisi ho notato che le glandole ses- | suali erano assai poco sviluppate, e mi è venuta l’idea che quelli, che in giugno e luglio si dedicano alle descritte scorrerie, sieno individui giovani non ancora atti alla riproduzione, non essendo difficile che le Berte, al pari di altri longevi uccelli marini, giungano alla maturità sessuale solo dopo qualche anno di vita. Ho pure osservato che il colorito dei piedi non è quale È qualche Se nell'olio” vivente, e di peli È minore, quelle paria descritte eli autori come cid, ao il colore dalia Lo assal vu. a, l'epidermide sottile. Per conseguenza quel colorito che il prof lui trovato covante all’isolotto di Lampione (Avef. ita gina 440) è la tinta normale del piede di questi uccelli ( Continua). i di dele: o ag. 208. e 9209, i 2) Queste osservazioni da me comunicate al prof. Giglioli, farono. in parte pubblicate nel 1° resoconto dell'Inchiesta ornitol. in Italia, par pag. 652, 653 e 654. SOVRA DUE MICROMAMMIFERI donati al Museo Zool. della R. Univ. di Roma TARSIPES ROSTRATUS e NYCTIPITHECUS AZARAF Notizie riassuntive comunicate alla Soc. Rom. per gli Studi Zoologici dal Prof. ANTONIO CARRUCCIO (1) IR Sul TARSIPES ROSTRATUS. (Adun. 12 giugno 1895). Questo è un piccolissimo marsupiale che venne descritto nel 1842 dal valente naturalista prof. Paul Gervais nei Pro- cedings of Zoological Society of London, nel Magazin de Zoologie ecè.; allo stesso autore devesi adunque la creazione del nuovo genere e della nuova specie (2). La denominazione generica volle formarla riunendo i due vocaboli farsus e pes, e per la specifica volle in special modo tener conto del muso sensibilmente allungato che abbastanza caratterizza questo curioso animaletto. i Dopo il 1342 trascorsero non pochi anni prima che i principali Musei d'Europa annoverassero nelle loro collezioni mammalogiche la nuova specie d’implacentato, e prima che si potessero fare ricerche anatomiche più complete mediante un materiale di studio se non copioso almeno sufficiente, quale non poterono avere neppure il Gervais, Verraux ed Ai Mi “a (1) Omettendo nel presente riassunto la bibliografia, non si lascia però di fornire, in poche note, qualche citazione fra le più importanti. (2) V. Tom., 35, 36 e:37 del Magaz. d. Zool. 1842. — Alla’ nuova specie, poco dopo il Gray volle dare altra denominazione, chiamandola Tarsipes Spenserae (Ann. and Mus. Nat. Hist. 1842). Con siffatta de- nominazione l’istesso Gray indicò questa specie nel 1843 nella sua List on the specimens of Mammalia in the collection of the British Museum ; e successivamente coll’uno, o coll’altro nome specitico, la troviamo ricordata in diverse pubblicazioni, fino alle due più recenti, quelle del Thomson e Parker, che illustrarono anatomicamente il Tarsipes rostratus (V. Studies Mus. of Zool. Dundee, Vol. I, n. 7 e 8): questa denominazione specifica mi pare debba avere la prevalenza, anche per rispettare la priorità. 148 ANTONIO CARRUCCIO Re: dio risulta che in taluna delle grandi collezioni, ad esempio, in quella ricchissima del Museo di Leida (1) fa solo nel 1886 che poteronvi introdurre parecchi esemplari in alcool del Var sipes rostratus, avuti in quell’istesso anno per mezzo del signor Frank. Non cito altri esempi di esemplari recente- o mente introdotti in talune importanti collezioni, ma sempre in : numero limitatissimo; e mi par quasi superfluo aggiungere che la collezione generale dei Mammiferi del Museo Romano, per quanto straordinariamente aumentata in questi ultimi anni, mancasse affatto della specie in discorso. La quale ho potuto testè introdurvela pel generoso dono di un individuo, benis- simo conservato in alcool, pervenutomi nei primi del p. p. maggio 1895, dono che dobbiamo al benemerito barone dott. Ferdinando von Miiller; il quale fu già largo di doni, pari- menti inviati dall'Australia, anche ad. un’altro Istituto scien- tifico della nostra Università, e precisamente a quello di Bo- tanica. Nel presentare ai colleghi della Società Zoologica Ro- mana la nuova e gradita aggiunta, non solo mantengo un'antica promessa, che cioè avrei fatto conoscere i più notevoli acquisti o doni, volta per volta che mi fosse dato studiarli e introdurli nelle collezioni locale e generale del nostro Istituto Zoologico, ma compio al dovere di ringraziare vivamente l’esimio do- I natore. E parmi di poter affermare che i ringraziamenti fatti in una numerosa adunanza sociale, com'è l'odierna, acquistino maggiore importanza. Wai: Il genere Tarsipes offre caratteri cotanto diversi da alt | quasi strano che possano trovarsi riuniti in una sola forma di Mammifero. Questo fatto notato pel primo dallo Gervais (2), potei alla mia volta constatare esaminando diligentemente l’e- semplare che avete sott'occhio. Cominciando dalle dita delle ; zampe anteriori e posteriori vedete che esse ricordano quelle d'un Mammifero relativamente più elevato, e precisamente del (1) V. quanto ne dicono lo Jentink nel T. XII (Mammiferes). Museum d’ Hist. Nat. des Pays Bas. Leida, C. J. Brill. 1888, pag. 242;- ed il Thompson, D’Arcy W. e Parker nelle note pubblicate sui visceri e sul cranio del T'arsipes negli Studies Mus. of. Zool. Dundee, Vol. I, n. 7-8, 1891. (2) V. Hist. Nat. des Mammiféres. Paris, Curmer. 1855, Vol. II, pag. 200. TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE 149 Tarsius spectrum, che vien compreso nell'ordine delle Pyo- simiae. Se osservate la disposizione del sistema dentario, tro- vate caratteri che ricordano taluni Sdentati americani. È no- tevole il meccanismo dell’articolazione del mascellare inferiore, che non è ricevuto in una cavità glenoidea com'è propria degli altri Mammiferi. Qui avvertasi che l'articolazione del condilo trasversale della mascella inferiore nel maggior numero dei Mar- supiali ha luogo coll’osso giugale, ed essa offre l’angolo postero- inferiore ricurvo all’indentro, eccezione fatta dei Tarsipes. Per altri caratteri — nè intendo, nè posso qui esporli tutti — il genere Tarsipes si avvicina ai generi Phatangista, Petaurus, Trichosurus ecc., i quali fanno parte di una delle famiglie dell’ordine dei Marsupiali, alla quale fu dato il nome di Phalangistidae. I Tarsipes come i Falangisti non hanno unghia al dito alluce delle zampe posteriori, ma in tutte le altre dita osser- verete come le unghie siano piccole ed aguzze, per lo più ap- piattite, e talune lievemente curve: dirò in appresso della loro lunghezza. La testa del Tars:pes è assai allungata, e la mascella in- feriore, in parte rassomigliante per la forma a quella di uno sdentato, e precisamente di una giovane Myrmecophaga jubata, ha il condilo articolare non disposto trasversalmente come nei Marsupiali didelfi, bensi in modo da formare una piccola curva quale si osserva nei Monotremi. La formula dentaria sembra variabile con l’età: infatti sonvi autori che danno la seguente formula: 2i le 4pm @4m e) 3 i canti i due incisivi superiori ed -i .premolari. Nel nostro ; mentre altri trovarono man- i : EE Dar esemplare i molari sono così disposti CH Il Tars'pes è plantigrado con le estremità anteriori più brevi delle posteriori, ed osservando la superficie plantare sì delle une, come delle altre, la si vede affatto nuda. Le zampe anteriori pentadattili presentano le dita assai corte, libere con scarsi peli di sopra, mancanti al di sotto. Presso la falange unghiale constatiamo che le parti molli si allargano formando una specie di piccola superficie analoga a # 150 ANTONIO CARRUCCIO quella del T'arsius: il dito medio è quello che offre 1’ apice più largo: questo dito sporge sulle altre dita, ed il pollice e ‘il mignolo sono le dita più corte. Il pollice offre la sua un- ghietta appiattita e piccola in modo da non ricoprire l’apice; il quale rimane non solo più largo, ma più lungo dele Erroneamente fu scritto che questa manca. ‘Le zampe posteriori sono tetradattili: il primo dito od esterno è il più corto; il secondo è alquanto più lungo ed ha un'unghietta piatta e biancastra; il terzo è il più lungo, ma non oltrepassa i 6 mm., superando il 2° ed il 4° di soli 2 mm. Le indicate prime due dita stanno fra loro riunite fino all’ul- tima falangetta. Esaminando la. superficie plantare di queste zampe osservo tre cuscinetti callosi, dei quali il primo, sotto- posto cioè al /dito esterno, è il più lungo, ed il quarto più largo e aderente; il cuscinetto sottostante al 3° dito è appena sporgente, e quello corrispondente al 4° dito manca. Questi cuscinetti nelle zampe anteriori, le quali dissi già essere pentadattili, sono in numero di quattro, mancando di cusci- netto proprio il dito mediano perchè gli è comune il legno | del secondo dito. Queste particolarità sono caratteristiche, e credo doverie far rilevare perchè non trovansi esattamente accennate nei pochi scrittori che si occuparono di questo Micromammifero. Tornando un istante alla dentizione osservo che i molari sono piccolissimi e posti fra loro a distanza variabile, non gia contigui. Non è forse più prudente asserire che la formula dentaria non si possa ancora enurciare in modo esatto e definitivo fin- tanto che non si avranno sott’ occhi esemplari possibilmente numerosi, dai più giovani ai più adulti? Inoltre bisognerebbe porre in chiaro se le differenze e irregolarità nel sistema den- tario degl’ individui di questa specie, sono o no dipendenti dalla precocità con cui. forse cadono alcuni denti. Esaminando la mascella inferiore del nostro esemplare si vede che il dente incisivo del lato destro e iel sinistro supe- rano sensibilmente in lunghezza quelli della mascella superiore sporgono adunque dippiù nella inferiore, ma il mascellare su- periore è più allungato. i Chi ha fatto prevalere i caratteri forniti dal sistema den- fi; ha M: TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE lodi tario formò dei Tarsipes una famiglia a sè, chiamandola Tarsipedidae : altri fece rientrare il genere Tursipes nella fa- miglia Phalangistidae. Se passiamo ad osservare la lingua ci si presenta ‘in gran parte penniforme: infatti offre ai lati del terzo anteriore molte sottilissime appendici, quasi setoline, le quali si avanzano fin verso l'apice; la base è in proporzione grossa, ed è larga 3 mm., mentre che l’apice offre tutto al più un ! mm. di larghezza. La lunghezza totale di quest'organo è di circa 32 mm. Il pelame offre una tinta generale bruno-nerastra, massime. nella superficie dorsale, nel mezzo della quale si osserva una linea longitudinale che dalla base della coda si avanza fin sotto il capo. Questa linea ha un colorito nero intenso, ed è più distinta verso la metà del corpo; ha wna larghezza di circa 3 mm., ed è fiancheggiata da peli fulvi. Ai lati della regione dorsale si vede una specie di fascetta rossastra; ai fianchi la tinta dei peli è fulva e di un lieve fulvo rossastro sono i peli della testa. A livello degli arti posteriori, massime nella faccia interna, i peli tendono a chiarirsi, diventando bian- chicci, in tutta la regione del marsupio. Le vibrisse sono ben sviluppate e d’un colorito brunastro: taluna di esse col suo apice raggiunge l’orificio auditivo esterno. In totale, per ciascun lato del muso, contiamo una quindicina di vibrisse. Brevissimi sono i peli della coda; la quale dalla base all’apice va gra- datamente assottigliandosi. Essa non pare prensile, mentre lo è nei veri Falangisti. Ho voluto esaminare al microscopio la forma che è pro- pria dei peli, togliendone qualcuno da regioni diverse del corpo, ed ho visto che principalmente quelli del dorso si presentano articolati, e l’un articolo sporge sull’altro formando angoli sporgenti in modo da ricordare quasi l’aspetto di uno strobila di Taenia serrata. Gli studi fatti sulla morfologia dei peli dei Chirotteri e di altri Mammiferi permetteranno - se ne varrà la pena - di aggiungere in altra speciale comunicazione qual- . che nota comparativa sui peli dei 7'arsipes, che al momento in cui fo questo semplice cenno non saprei affermare se altri vi abbia rivolto la propria attenzione. 152 ANTONIO CARRUCCIO Do ora le dimensioni dell’esemplare trasmessoci dall’Au-. stralia dal barone von Miller: la lunghezza del corpo, misu- rata dall’apice del muso alla base della coda, è di mm. 78; questa da sola misura mm. 91. Il capo è lungo, compreso il . muso, mm. 28. Le zampe anteriori sono lunghe 18 mm., e le posteriori 32 mm. L’occhio ha una forma. elittica, col dia- metro longitudinale lungo 5 mm., ed il trasverso 2 mm.; il padiglione auditivo è quasi tanto alto quanto largo, infatti la lunghezza è di 1L mm. e la larghezza è di 10 mm. La sac- coccia marsupiale è lunga 18 mm., con una larghezza di 14 mm. — Trattandosi di un unico esemplare ora posseduto dal Museo non era conveniente che con opportuna dissezione esaminassi la forma delle pelvi e delle ossicine marsupiali, che sentonsi attraverso i comuni integumenti. Taluno degli esemplari misurati dal Gervais era lungo, dalla testa alla base della coda, 12 cm., e questa -da sola mi- surava 93 mm. Il Tarsipes fu rassomigliato ad un topo-ragno con testa. più lunga del normale, con grugnettino terminale e narici la- terali, in forma quasi dun virgola, cioè Loano e curve, Con la convessità a destra. Questo piccolissimo marsupiale ritiensi che abbia abitudini notturne: vive sugli arboscelli dando la caccia agli insetti, o succhiando con la prensile e lunga lingua il nettare dei fi Nel por fine a queste notizie mi è gradito il ricordo di ‘aver potuto, a cominciare dal 1884; introdurre nella collezione generale dei Mammiferi parecchi scelti. rappresentanti del gruppo dei Marsupiali, i quali nel Museo mancavano quasi del tutto. Nella fam. Halmaturidae citerò 1’ Halmaturus Ben- netti Waterh., 'H. ualabatus Less. et Garn. (dono del Contr. Ammir. Comm. de Amezaga, già Comandante della Caracciolo ed assai benemerito - come ho dichiarato altre volte - del nostro Museo), 1’ /7. dorsalis Gray., 9, morto in un serraglio in Roma; il Macropus penicillatus Gray (pure donato dal de Amezaga). Nella fam. Phalangistidae oltre il Tarsipes ro- stratus, citerò il Phascolarctos cinereus Goldf. (altro dono del de Amezaga nel 1884), e nella fam. Didelphidae il Philander cancrivorus Gml., g° (inviato in dono alla Società Geografica ‘rai > 2 È È modica Via iis AI SOR è è st Pa RO de (ne ni Aa ie e ita VERE TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE © 158 Italiana, e da questa - con molte altre specie appartenenti a diversi ordini - donato al Museo Romano nel 1886); la Didel- phis virgimiana Shaw., ecc. PE Sul NycrIPITHECUS AZARAF. (Adun. 27 febbraio 1896). . Presentando alla nostra Società questo Microplatirrino mi è necessario premettere alcune informazioni. In Roma, per quanto a me risulta, non si ebbe mai vivo, nè a scopo di stu- » dio zoologico ed anatomico alcun rappresentante del genere Nyctipithecus (1). L’interessante scimmietta pervenne, dunque, nel nostro Museo quando meno l’aspettavamo, ed essa giunse | viva dopo un lunghissimo viaggio, mercè le cure straordinarie che l’intelligente donatore potè prodigare alla medesima. Il pro- fessore cav. Francesco Tonini Del Furia, già vice-direttore dello splendido Museo Zoologico della Plata, dove da molti anni risie- deva godendo la stima generale, nominato Console generale per l’Italia, purtroppo, pochissime settimane dopo dal suo ar- rivo in Roma, soccombeva in ancor giovane età a una fatale affezione aneurismatica. Fra gli oggetti numerosi ed impor- tanti che aveva seco portato nella capitale dal Paraguay, aveva pure viva, come dissi, la indicata scimmiettina, la quale, morta pochi di prima del proprietario, egli volle che fosse immedia- tamente portata in dono al nostro Museo, il giorno 12 gen- naio del corrente anno. Della consegna il compianto donatore diede incarico all’egregio dottore G. Ciarrocchi, medico pri- mario dell'ospedale di S. Gallicano. Il dott. Ciarrocchi ac- compagnò l’invio con una gentile lettera a nome del profes- (1) L’esemplare in pelle di Nyctipithecus lemurinus, già posseduto ab antiquo dal Museo, era ed è assai mal preparato, nè fu possibile trovare alcun’ indicazione sull’epoca e sulla precisa provenienza di esso esemplare. È | superfluo dire che poco o niente potè finora servire per confronti, ma ora I ripreparandolo bene, quanto è -possibile, si potrà anche studiare il cranio che per fortuna esiste: potrò quindi aggiungere qualche particolare pre- ciso sul sistema dentario ecc. prima che sia data alla stampa la De comunicazione. Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 11 oz ANTONIO CARRUCCIO sore Tonini, anche per informarmi che il piccolo platirrino | ‘| era nel Paraguay considerato presentemente come rarissimo, e noto agli indigeni col nome di Miriquina, o Miîroquowina. Mentre resi i dovuti ringraziamenti ‘al dott. Ciarrocchi,. pregandolo che a mio nome li rendesse, e vivissimi, al suo amico infermo, incaricai il dott. Condorelli di assumere qualche notizia sulla età probabile del Platirrino, sulla località pre- cisa in cui era stato preso vivo, ecc. Il dott. Ciarrocchi, sen- tito il Console, mi rispondeva in data 18 gennaio, partecipan- domi che le scimmie della specie cui apparteneva la donata erano di piccolissima mole, anche se adulte; che 1° esemplare inviato al nostro Museo era stato preso non nel Paraguay propriamente detto, ma in quella part> di esso, che laggiù chiamasi Chacoparaguayo. Aggiunse inoltre nella lettera che I quando le donne riescono ad averne qualcuna la tengono in d; sommo pregio, perchè mite e graziosa, ed anche perchè ec- È cezio 1almente rara; perciò la portano in grembo, avvolta tra le o Noa pieghe delle loro vesti, quasi fosse un bambinello. 3 3 Vi ho per tal modo, egregi colleghi, informati esattamente È. ; della provenienza del Platirrino, che ora ci è dato annoverare AI nella rinnovata collezione dei Primati dell’antico e del nuovo 50 continente. Ho affidato al dottor Condorelli lo studio anatomico R: di alcuni organi più interessanti appartenenti a questa scim- mietta (1), la quale, come vedete, fu assai ben preparata dal .tassidermista sig. Coli. Io mi limiterò, dunque, a dire dei ca- ratteri principali della specie. Naturalmente fu prima d’uopo studiare esattamente fra i diversi generi affini di questo gruppo di Platirrini, a quale di essi appartenesse l'individuo testè donatoci. Il genere, come vi ho detto, è il Nyctipithecus, denomina- zione che si deve allo Spix (1$23). Essa ebbe, a buon diritto, . migliore accoglienza dì quella proposta dall’insigne Alessandro di (2 (1) Il Dott. MarIO ConpoRELLI ha già fatto conoscere alla nostra Società, con speciale comunicazione, un’ importante anomalia constatata in. questo Nittipiteco esaminando il cuore del medesimo. La diligente esposi- zione del fatto leggesi a pag. 74-78 del Bollettino della stessa Società, fasc. I e"II del vol. V. Anno 1896. HZ ERMES ETNO RE i Si e elicotteri pi tia “Ru o, TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS. AZARAE 155 D'Humboldt, che pel primo instituì (1811) il genere Aoutus per comprendervi un Platirrino, consimile a questo che avete sott’ occhi. di o La parola.Aoufus non era, in verità, ben scelta, giacchè que- ste piccole scimmie non sono prive di padiglione auditivo come parve al D’Humboldt: i padiglioni auriculari, invece, esistono, per Sn piccoli e nascosti fra i peli della regione cefalica. La denominazione generica dello Spix è inoltre opportuna perchè ricorda che si tratta di scimmie notturne. L’istesso significato, ma meno preciso, aveva il nuovo genere proposto quasi contemporaneamente da Federico Cuvier, cioè di Nocthora (1524), che non venne adottato nè da Isid. Geoffroy Saint-Hi- laire; nè da altri scrittori. Quantunque trascorsi lunghi anni Lal A. D'Humboldt trovò la scimmiettina per la quale propose il sovracitato ge- nere, e quantunque altri distinti naturalisti abbiano dopo l’in- signe berlinese percorso con grande diligenza quelle remote contrade, e raccolto largo materiale di studio, pure il numero delle specie appartenenti al genere Nyctipithecus propriamente detto, è rimasto limitatissimo. Chi vuole che in esso debbansi comprendere due sole specie, chi ne distingue tre, chi quattro ‘o cinque, od anche più. Ma in generale si tende a considerare quali semplici va- rieta parecchie «delle forme che si vollero distinte specifi- camente. — Nella sinonimia delle specie trovo poi non poca confusione nei diversi scrittori. Questa portata in Italia dal prof. Tonini Del Furia è la scimmia scoperta dal D’Azara sulla riva destra del grande. fiume Paraguay nella parte NE della Repubblica Argentina. tengger confermò il fatto aggiungendo che questa specie non si avanza verso il Sud se non fino al 25° di lat. "i e che giam- mai fu trovata sulla riva sinistra del fiume. Altre indicazioni vennero date dal Natterer, dal D’Orbigny, da F. Cuvier, ecc. Matrovo che per la vera Miriquina sono poche le località in cui la si potè catturare, e-tutte appartenenti al Faraguay superiore (Cuyaba, Villa Maria, Mato-Grosso, Gua- parè, ecc.). Altri fissa come dimora del Miriquina la regione Aetta Chaco, ch’ è sn]le sponda orcidentale del Paraguay. 156 ANTONIO CARRUCCIO Lo Schlegel ci fa noto che pel grande Museo di Leida riuscì ad avere tre esemplari adulti in pelle: uno di Mato-Grosso dopo il viaggio di Natterer, un altro di Mojos dopo il viaggio di D’Orbigny, ed un terzo acquistato nell’anno 1859. Di un solo — individuo il preletto Museo possiede la testa ossea, di quollo, cioè portato dal D’Orbieny. sos Dell’esemplare, che il prof. Tonini Del Furia con pazienti cure riuscì a portare dal Paraguay fino a Roma, dove visse dal dicembre 1895 al 12 gennaio 1896, feci naturalmente con- servare, oltre i principali organi interni, quasi intiero la sche- | letro, ecc. Tutto verrà utilizzato per uno studio ulteriore. Il Nyctipithecus Azarae D’Humboldt ha, fra gli altri sino- nimiì, i seguenti: Pithecia Azarae E. Geoffr.; Pithecia miri quovina Kauall; Nyctipithecus felinus Spix; N. Commersonti Gray. Le tre specie diverse annoverate dallo Schlegel sono il Nyctipithecus Azarae, il N. trivirgatus e il N. vociferans. Nel gruppo delle scimmie americane chiamate Trichiurae perchè hanno una coda interamente coperta di peli, oltre il genere Nyctipithecus sonovi da parecchi autori compresi anche i generi: Cebus, Pithecia, Callithria, Saimiri. . Per ragione di. ica passerò immediatamente, sulla ci dell'esemplare pervenutomi, ad esporre i caratteri della specie, in guisa da porre in rilievo anche i principali caratteri del genere. E; Il capo del N. Azarae è rotendeggiante, con la regione — frontale meno sporgente che nei Saimiri; esso è in propor- zione alla mole corpurea bene sviluppato. Il mento è ottuso, rassomiglia a quello dei Loris, ma è più breve. 2 I globi oculari sono grossi come forse non li hanno le 3 altre scimmie del sruppo Trichiurae : corrispondono quindi ad orbite assai ampie. Gli occhi dei Nyctipitheci quando abban- donano di notte le buche degli alberi, dove di giorno usano nascondersi e dormire, diventano fosforescenti. Visti di giorno gli occhi del N. Azarae appaiono rossi o giallo-rossastri. Le vertebre lombari sono in numero di 8, di 3 le sacrali, di 24 le piccole coccigee. Le coste sono in numero di 14 paia. TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE ‘ Tac6? La mole del corpo del N, yctipithecus Azarae già dissi come sla assal piccola: questo nostro misurava, appena portato in Museo, non più di 24 centimetri dal muso alla base della coda; _ la quale era quasi altrettanto lunga quanto il corpo, 0 misurava 22 centimetri. Questo organo non ha forza per strin- gersi ai rami degli alberi, e gli osservatori, che videro viva questa od altra specie del genere, affermano che non può ser- vire quale strumento di preensione e sospensione, ma solo’ può avvoltolarsi debolmente ai corpi. _ Il pelame delle parti inferiori del corpo di questa scim- | mietta oggi lo vedete d’un colore giallastro, ma abbiamo con- statato in poco più d’un mese, dacchè fu. portata in Museo, come di giorno in giorno siasi fatto sensibilmente meno in- tenso: ciò prova che s’ è avuta una decolorazione abbastanza rapida, perchè dapprima il colore predominante era d’un bel giallo-rossastro su tutta la faccia ventrale. _ Sul dorso, sulla testa, sulla faccia esterna degli arti tora- cici e pelvici osserviamo una colorazione grigia che tende al brunastro in più punti, e si vedono macchiettine nere sparse un po’ dappertutto: questa colorazione appare anche più intensa nella porzione terminale dei peli della coda, mentre che nella prima metà il colore è fulvo-nerastro. Il pelame del dorso appare più folto che in altre regioni del corpo; la faccia in- terna dei quattro arti, e così il petto, offrono una tinta giallo- rossastra. , | Si Sotto la gola vediamo una macchia biancastra. Lo Schlegel scrive invece che il sotto-gola ha il colore giallo del petto, ciò che non si osserva nel nostro esemplare. È notevole la disposizione delle varie tinte proprie al pe- lame della faccia: osservate anzitutto la grossa macchia nera di forma triangolare, con la larga base rivolta in alto e l’apice A in basso. Questa macchia s’estende dalla radice del naso fino alla fronte, e vuolsi sia caratteristica del Nyctipithecus Azarae : essa è lunga 26 mm., con ùna larghezza basale massima di 19 mm. L’indicata macchia, bene evidente nel nostro esemplare, sta in mezzo a due altre macchie quasi triangolari e sopraci- gliari, formate da peli bianchicci: entrambe con l’angolo interno 133 p & toccano l’apice della macchia principale nera o naso-frontale. 158 ANTONIO CARRUCCIO | Sull’apice della testa e proprio nel mezzo si osserva una. | serie di peli neri disposti in modo da formare una macchia . trasversale non continua, larga circa 1!/ mm. La faccia poi ‘è quasi tutta come inquadrata da peli grigiastri abbastanza | lunghi che sembrano formare i così detti favoriti; i quali si. continuano a destra e a sinistra al disotto del contorno pal- pebrale inferiore con peli bianchicci come i sopracigliari, for- mando due baffi assai brevi che appena si avanzano sul labbro superiore. Su questo si vedono sorgere parecchi peli neri più grossi degli altri, sì da sembrare altrettante vibrisse. # Il Nyctipithecus Azarae per la conformazione della sua ; faccia, per lo sguardo, ecc., venne rassomigliato ad un gattino, | a e perciò fu denominato N. felinus dallo Spix. Noi lo vedemmo “sa da morto non da vivo: l’espressione poteva adunque essere sd assai cambiata. Ma siccome l'esemplare fu portato in Museo quasi appena dopo che — per azione del freddo — lo si trovò di morto in casa del Console, notammo come l’aspetto più che ; gattesco, ricordasse invece in gran parte Ri del Loris gracilis. La femmina dei Nittipiteci, come quella di quasi tutti i Cebini ed altri Trichiuri, porta il suo piccino a cavalcioni sul dorso, ch'egli stringe con le sue zampettine anteriori penta- dattili già armate di unghiette nericcie : queste nell’ individuo adulto del nostro Museo si vedono distintissime in tutte le d ita talune misurano quasi 5 mm., ma appena più lunga delle altre è l’unghietta del dito grosso. i Alessandro D’Humboldt che fu il primo scienziato europeo il quale venne in possesso d’una di queste scimmiette, e la potè serbare in vita per cinque mesi, narra che essa s’addor- mentava regolarmente alle 9 del mattino, ma talvolta anche all’alba: il suo sonno durava fino alle 7 di sera ed allora si faceva irrequieta. Gli scrittori assicurano che la luce del giorno disturba assai il N. Azarae e le altre specie del genere. a visa SES 2 SA su MEL. ita soa I FRI 1 ME) Ia 5 A e CNIT RT (Continua). ft SA pi fe, Q ui hi +20) da rara (E \ a a i i a re i e Satie ite poco più PER vt TOBIA WC WE LAI r° PR RFERI La & ica 5 ENCLT Hd ci ni SOCIETÀ ROMANA PER GLI STUDI ZOOLOGICI SUNTO DEI PROCESSI VERBALI Tornata del giorno 3I marzo 1896. Presidente: Prof. A. CARRUCCIO. La seduta è aperta alle ore 2 p. m. Soci presenti 12. Il Segretario legge il processo verbale dell'adunanza prece- dente, che viene approvato. La Società, dietro proposta del presidente e del vice presi- dente Conte di Carpegna, delibera l’invio d’una lettera di condo- glianza al Consigliere Principe Chigi Dott. Don Ludovico per la morte eroica del fratello di lui Princ. Don Agostino alla battaglia di Abba-Carima; non che alla famiglia dell’estinto consocio Prof. Fermo Vezzani. Indi vengono svolte le seguenti comunicazioni scientifiche : 1° Prof. A. CaRRuccio. Di alcune specie notevoli della Fauna Romana. L’A. illustra molti Lepidotteri adesso introdotti nella ricca collezione della Fauna entomologica romana, e sono specie ap- partenenti sopratutto ai generi Nizza, Leucania, Metrocampa, Brephops, ecc ; i È 2° Prof. D. VincicueRrRA. Sulla presenza d’una spugna d’acqua dolee nei dintorni di Roma. 5° March. F. Luzi. Cattura di un Pyrrhocorax alpinus nelle Marche. | 4° Prof. G. AnceLINI. Il Dendrocopus medius in provincia di Roma. Il Presidente ringrazia gli autori di queste 3 ultime comuni- cazioni, fornendo in pari tempo qualche notizia. La seduta vien tolta alle ore 4 p. m. Il Segretario — ‘Dott. M. CoNDORELLI. Tornata del giorno 6 giugno 1896. Presidente * Prof. A. CARRUCCIO. 53 La seduta è aperta alle ore 4,30 p. m. SR Soci presenti 14. de Il Segretario legge il processo verbale dell’ adunanza. prece- dente, che viene approvato, e presenta i nuovi cambi e i nuovi doni. Il Presidente legge una gentilissima lettera trasmessagli dal consocio Prince. Chigi Dott. Don Ludovico, che vivamente. rin- i grazia per le condoglianze inviategli dalla Società. Poscia si passa alle comunicazioni scientifiche : TAI 1° Prof. A. Carruccio. Di aleune notevoli aggiunte alla col lezione entomologica e a quella det Vertebrati. 2° March. G. Lepri e March. F. PatRIZI. Un Machetes Dr. gnax in abito di nozze. 3° Prof. A. Neviani. Briozoi neozoici di alcune località d’Italia. 4° Conte G. FaLconieRrI DI CarpEGNA e Prof. G. ANGELINI. | La Limicola platyryncha avvertita per la prima volta n provincia di Roma. z 5° Prof. D. VincicuerrA. Contribuzione alla fi dello Schistocephalus, parassita degli Spinarelli. È 6° Dott. D. Posrrano Spapa. Brevi notizie sulla collezione. conchigliologica del R. Museo Zoologieo dell'Università di Roma. 7° M. GATTI. Sopra un esemplare di Molva elongata pescato. presso Anzio. Il Prof. Carruccio, prendendo occasione da questa comunica- | zione, informa la Società come già da più mesi abbia potuto in- trodurre nella collezione ittiologica della provincia romana un esemplare di Molva elongata, pescato in ottimo stato di conser- vazione a Civitavecchia. i La seduta vien tolta alle ore 7 p. m. Il Segretario Dott. M. CoNDORELLI. | SUNTO DEI PROCESSI VERBALI 161 Tornata del giorno 19 luglio 1896. Presidente: Prof. A. Tara S La seduta è aperta alle ore 10,30 a. m. Soci presenti 10. Il Segretario legge il processo verbale dell'adunanza prece- dente, che viene approvato. Vien proclamato Socio straordinario il Sac. Dott. Enrico Caffi. . Comunicazioni scientifiche : 1° Prof. R. Marcuesini. Centrosomi e sferule attrattive nelle | cellule bianche del sangue di tritone osservati con un nuovo me- todo di tecnica. 2° Dott. U. Rizzarpi. Gli Entomostraci del Mezzola. «__—‘8° Prof. A. Carruccio. Brevi osservazioni sulla Fauna della | provincia di Roma secondo risulta dalla Guida pubblicata dal Dott. Enrico Abbate. Il Prof. Carruccio si esprime colle seguenti parole : « In quest'ultima adunanza di luglio, e quando tutti sentiamo bisogno di un po’ di riposo, non possiamo trattenerci sovra un argomento importantissimo e vasto, qual’ è quello della Fauna locale, . sul quale però già più velte ci siamo occupati, e più volte ancora speriamo di poterci occupare. E’ quindi un brevissimo richiamo alla vostra attenzione che oggi posso fare sulla pregevole pubbli- cazione già da tempo in mano di molti, la Guida della Provincia di Roma, pubblicazione dovuta all’egregio Dott. cav. Enrico Abbate. Parlo della 2* edizione, 1894, e del vol. I, e propriamente del ca- | pitolo VI, dedicato alla Fauna (pag. 236-252). « Io possedevo la prima edizione del 1890, in cui alla nostra Fauna erano concesse pochissime pagine contenenti molte lacune ed | inesattezze. Alcuni schiarimenti testè chiestimi da un illustre collega ed amico, che dirige uno dei nostri Istituti universitari, mi deci- sero ad. acquistare anche la seconda edizione dell’ importante ‘opera. i : |. « Dirò con tutta schiettezza che non fui solo a sentire una a specie di sorpresa per non essersi mai l’autore, sì per la prima come per la seconda edizione, rivolto alla Direzione del Musco 162 SUNTO DEI PROCESSI VERBALI Zoologico Universitario per averne larghe ed esatte notizie: queste ESS ben volentieri sarebbero state fornite al Dott.. Abbate. E forse a’ lui non sarebbe riuscito sgradito l’osservare, anche ripetutamente, tutte le nuove collezioni che dal 1884 in poì vennero introdotte, é studiate ed ordinate in esso Museo, riguardanti la Fauna della Provincia. Queste, assai più dell’opera, per quanto bella e preziosa del Principe Bonaparte, in cui sì tratta di un numero assai limitato. di specie animali, e soltanto di Vertebrati, queste collezioni sono Lia la miglior prova dei rapidi progressi fatti in Roma nella cono- scenza della Fauna provinciale. Il Dott. Abbate nel valersi di pub-_ a blicazioni mie e di altri, da lui citate, non sempre ha riassunto bene | v nè dati esattamente i nomi scientifici. “a o « Devo adunque, egregi Signori, dichiararvi che all’Autore della | Guida non ho fornito alcuna informazione nè nota manoscritta. È od altro che a lui potesse servire per la compilazione del capitolo sulla Fauna locale. Questo capitolo, in confronto ad altri ricchi di nozioni assai istruttive, è riuscito difettoso nell’ordine e in molte parti è erroneo. » o E qui il Prof. Carruecio con fatti ed esempi dimostra la con- fusione fra i Chirotteri veri ed altro ordine di Mammiferi, la ripe- tizione di specie identiche in ordini diversi, e gli ‘sbagli di deno- minazioni generiche e specifiche che i competenti zoologi possono È . Sembra adunque che il Cocco ignori affatto il lavoro pubblicato da Roberto Lawley in Firenze nel 1875 (Monografia del genere Notidanus rinvenuti allo stato fossile nel Pliocene subappennino toscano, accompa- gnata da 4 belle tavole), nel qual lavoro sono descritte altre specie fossili- che, anche non fossero dal Cocco accettate, era bene citarle, data la na, tura del suo lavoro. HEXANCHUS GRISEUS ADULTO 169 pena la data di ieri, fa largo cenno di « un grossissimo Squalo, di specie finora incognita, così egli scrive, non trovando io almeno simile foggia di denti da altri descritta (1). » E di questo Squalo il grande maestro ci diede una discreta tavola, che fa parte del vol. III, tavola, scrisse l’autore, che mette in picciolo sott’occhi la mandibola superiore coi denti a pettine. Or bene, dalla figura e dalla descrizione ch’egli fece della den- tatura, bene si riconosce che parlò indubitamente di un Hexan- chus griseus; ma è strano che l’autore, così acuto ed attento nell’osservare, ci abbia presentata la mascella superiore per in- feriore e viceversa. E il Bonaparte, che fa pure rilevare questa inesattezza dello Spallanzani, aggiunge ch'è cosa pur curiosa, che egli asserisca come quell’esemplare di mascella sia giunta al Museo di storia nat. dell'Olanda con molti pesci esotici, mentre in quei mari il Notidanus griseus non fu « mai rinvenuto ». Nel Museo di Reggio Emilia, da me visitato molte volte, quando insegnavo nella vicina Università di Modena, e dove si conserva la collezione monumentale dello Spallanzani, mi risulta che se egli portò seco dai suoi istruttivi viaggi molti animali, fra cui diversi plagiostomi (che in quel Museo erano e forse sono ancora segnati coi nomi antiquati di Squalus catulus, Squalus carcharias (piccolo esemplare conservato in alcool), Sq. centrina, Sq. acanthias, ecc., non vi è però alcun esem- plare di Herarchus, avuto dallo stesso Spallanzàni nei mari di Sicilia o altrove. Tralasciando ogni altra considerazione, passo a dare le principali notizie intorno alle dimensioni che può raggiungere l’Hexanchus griseus, le quali vengono riassunte dal Doderiein nei seguente termini: « Uno degli esemplari di Parigi, giusta il Dumeril, misura m. 8,23. - Couch, Jarrel ricordano individui lunghi 11 piedi, presi nei mari inglesi, sebbene la specie vi sia meno frequente che altrove. Nel Museo Zoologico di Padova si conserva un es. di m. 3,45, preso nell’Adriatico. In quello di Palermo stanno due saggi, uno dei quali di m. 1,05 e parecchie mascelle di varia dimensione, fra le quali una larga c. 54, denti della lunghezza di mm. 36. » (2). (1) Viaggio alle due Sicilie, XI, t. 1, cap. XXXI. (2) Ved. loc. cit., pag. 77. TECO NOI ANTONIO CARRUCCIO Questi dati mi giovarono, insieme ad altri che trovai in diverse opere, e specialmente in quelle di Risso, Giinther, Mo- reau, ecc., per stabilire in modo molto approssimativo le dimen- sioni parziali e la totale dell’esemplare di Porto d’Anzio. Per stabilire queste dimensioni sonomi naturalmente ser- vito dei dati fornitimi sì della testa che possediamo, come delle mascelle coi rispettivi denti. Prima però di esporre quali sono le dimensioni della testa del nostro esemplare, è necessario conoscere quali sono quelle che vengono date da alcuni scrittori. Ad esempio il Bonaparte scrive che il capo del Notidanus griseus da lui avuto rappre- sentava l’ottava parte della lunghezza totale del corpo, la quale era di cinque piedi e mezzo. Il Risso a pag. 130%del vol. III della bell’opera sua intitolata Mist. nat. des principales pro- ductions de l Europe meridionale (1826), scrive che questo Squalo . ha una lunghezza di 3 metri; ma a pag. 131 soggiunge: <« Il parvient dans nos mers jusqu’à quattre métres de longueur, et pese alors è peu prés quatre-vingts myriagrammes. » Il Mo- reau (1), nota che la lunghezza può essere da 2 a 3 ed anche a 4 metri. Secondo il prof. Doderlein l’altezza sta da 8 a'9 volte nella lunghezza totale del corpo; ed in un esemplare posseduto nel Museo di Palermo scrive che l’altezza predetta è precisamente di 7 volte e mezzo. Notisi però che il Doderlein nel dare (pag. 75 del Manuale Ittiologico), il numero delle preparazioni | esistenti nel predetto Museo, fa noto che sono due gl’individui preparati in pelle ed intieri, cioò uno lungo m. 1,05, e l’altro, più giovane ancora, lungo soltanto c. 65. Ammette però anche il Doderlein, come ho già detto, che l’Hexanchus griseus possa raggiungere ed oltrepassare i 3 metri di lunghezza: e, se non molti, di siffatti grossi individui ne-ho visti anch'io conservati in i Musei italiani e stranieri. L'esemplare di cui il Bonaparte dà, oltre una buona figura, una descrizione molto interessante, era lungo in totale non più di 5 piedi e mezzo, e la testa, giova ricordarlo, secondo (1) Ved. Histoire natur elle des poissons de la France, vol. I, pag. 397, Paris, MDCCCLXXXI. HEXANCHUS GRISEUS ADULTO 171 il medesimo iimgro: ME in lunghezza l’ottava parte del pesce. .L’altezza invece della testa del nostro esemplare è di ben cm. 45, colla massima larghezza di circa cm. 46, presa, s'in- tende, sulla faccia superiore o dorsale, ch'è quasi piana. La larghezza dell’istessa faccia misurata a livello dei margini la- terali delle palpebre, cioè al centro del contorno palpetrale destro e sinistro, è di cm. 32; e più giù, val quanto dire alla metà dell’istessa faccia, la larghezza è di cm. 36. La larghezza massima nella faccia ventrale o convessa è invece di circa cm. 43 e mezzo. In questa faccia si vede l’a- pertura boccale fortemente arcuata, avente per limiti i due angoli cutanei della pelle, che si avanzano in una specie di doccia: la distanza di questi due limiti ci dà quello che Bo- naparte ed altri chiamano lo squarcio boccale: nel nostro esem- plare tale squarcio, o meglio lunghezza dell'apertura orale, è di ben cm. 57: l'ampiezza poi dev'essere considerevole, tanto da permettere il passaggio di prede voluminose quanto il corpo umano. L’istessa apertura orale dista dall’apice del muso non meno di cm. 16. Le due narici valvate, sono pure situate nella + faccia inferiore o ventrale dello squalo, e distano l’una dal- l’altra cm. 18; e dall’apice del muso, in linea obliqua, le stesse narici distano circa cm. 7. Esse sono curve, a. forma di let- tera V molto aperto, ciascheduna delle sue branche è lunga cm. 4: l’esterna è più larga, rotonda, e l’interna assai stretta. Mi par meno esatto chiamar le narici bislunghe, obligue e col- locate al disotto del capo, presso al contorno del medesimo, come scrissero Bonaparte ed altri. Gli occhi sono affatto laterali; cioè occupano proprio il margine destro e sinistro del capo, distando dall’apice del muso circa cm. 17: essi hanno una forma ovale, con un dia- metro longitudinale di mm. 58, ed uno trasversale di mm. 42. L’apice del muso, breve, rotondeggiante, misura nella sua porzione arcuata cm. 10. La pelle sulla superficie dorsale di quali testa la si vede pieghettata in modo irregolare, massime verso la parte più alta, cioè presso al vertice ed attorno alle narici. Esaminata do E gi O 172 © — ANTONIO CARRUCCIO AIR fresca, e quando se ne fece la dissezione per modellare le parti sottostanti, si constatò ch’era dura, assai resistente: meno lo. era nei contorni palpebrali e presso le narici, fornite di un lembo triangolare mobile, rappresentante le Suolo che ora. vedesi essiccato, duro, e naturalmente un po’ rimpicciolito. Ho creduto che, stante la loro precisione, non fosse inutile dare questi dati, prima di stabilire il rapporto che dissi po- tersi fare in 11695 molto approssimativo fra la lunghezza della testa e quella totale del corpo. Ora essendo questa testa lunga. non meno di cm. 45, ed ammettendo con diversi scrittori che. essa rappresenti in questi squali l'ottava, parte della lunghezza. complessiva; e posto che questa, negl’ individui adulti e più grossi, sia non inferiore ai tre metri, l'esemplare, preso a Porto d’Anzio nel febbraio 1886, parrebbe che fosse lungo più di tre metri, che anzi avesse una lunghezza totale di 3 metri e mezzo. Infatti cm. 45 sono precisamente l’ottava parte di cm. 360. \ In ogni caso è evidente che l’Hexanchus griseus preso nelle acque romane moltissimi anni dopo di quello descritto dal Bonaparte era assai più grosso; e sempre più duolmi che il nostro Museo non abbia potuto averlo per intiero, come lo ha qualche altro Museo, ad es. quello di Padova. Passerò ora ad esaminare l’armatura maxillo-dentaria, una, delle più grosse che io trovi descritta dai diversi autori che ho: letto. Denudate come furono le due mascelle dalle parti molli, e lasciatele unite agli angoli, come vedete, se misuriamo da una estremità all’altra, in linea retta, abbiamo una lungh. di 52 cent. Misurando poi separatamente ciascuna mascella, troviamo che sono disuguali: infatti la inferiore, se la si misura seguendo la. intiera curva propria alla faccia esterna o convessa, ci da una. lunghezza di circa 67 centim.; e misurata lungo la curva della faccia interna o concava è lunga 64 centimetri. La mascella. superiore invece, se si misura lungo la curva propria alla faccia; esterna o convessa, non è lunga più di 59 centim.; e misurata lungo la faccia interna concava ha la lnishozo di circa 58. centimetri. L'altezza massima della mascella inferiore è di centim. 7; l'altezza minima nel centro di essa mascella, e non compreso: il dente mediano, è di 1 centim. 3 mm. L'altezza massima GR i È c eo, CRE _HEXANCHUS GRISEUS ADULTO 173 della mascella superiore è di 6 centim. e 172; l’altezza minima, pure nel centro e non compreso alcun dente, è di centim. 2. Lo spessore massimo delle due mascelle denudate non supera queilo di 12 mm., mentre nel punto in cui hanno la maggiore altezza lo spessore è minimo, e per un tratto sono così sottili “le cartilagini, che guardando contro luce si vedono traspa- renti. Ed eccoci ai denti, 1. I denti della mascella inferiore, non compresi gli estremi che sono assai piccoli, ma contando le sole lamine a punte o cuspidi distinte, sono in numero di 57. — Queste lamine essendo collocate in serie sovrapposte, non è facile ve- dere e contare quelle che stanno iu fondo, e qualcuna forse può sfuggire all'occhio perchè nascosta dalla sovrastante. 2. In questa mascella si hanno 6 serie pari di lamine dentarie, cuspidate, per ciascun lato, cioè 12 per tutta la lun- ghezza del margine superiore; e dietro alla prima serie mar- ginale, vengono per lo più altre 4 serie, poste all’ indietro. Tutte queste lamine dentarie sovrapposte hanno le loro punte triangolari rivolte verso l’interno del cavo orale, e verso il mar- gine inferiore della stessa mascella. Al centro del margine superiore v'ha una lamina dentaria con 2 punte maggiori e disuguali inclinate verso la destra; le altre punte minori, in ‘ordine decrescente e laterali alle due maggiori, sono in numero di 8, quattro inclinate a destra, e quattro a sinistra. Tutte queste punte sono rivolte in alto. La disposizione della lamina dentaria centrale, od impari, è ripetuta in altre due lamine di dimensioni pressochè eguali, formanti la doppia serie po- steriore, non marginale; e ciascheduna di queste lamine den- tarie ha tutte le rispettive punte rivolte all’ingiù. 3. Le punte delle serie marginali, 6. per lato come si è visto, sono in numero per lo più da 9 a 10, delle quali l’ul- tima assai poco distinta: eccezionalmente sono 11 od anche 12. Le più alte punte, tutte di forma triangolare nella parte isolata dalla lamina basale (comune a tutte), per lo più misurano 6 mill. La seconda punta, in ordine di altezza, misura da 4 mill. a 5 mill. Le altre punte mano mano vanno descrescendo, in guisa che l’ultima, nei denti in cui si mantiene SELE, è alta appena 1 slo 174 ANTONIO CARRUCCIO 4. La mascella superiore offre una diversa disposizione dei suoi denti, ed è anche notevolmente diversa la loro forma. Cominciando dalle serie marginali, a forma laminare distinta A), tutte assai meno visibili delle inferiori, eccezione fatta dei denti a gruppo che vedonsi nel centro di essa mascella supe- riore, dirò che queste serie sono 8 o 9 per lato, cioè a fianco — dei grossi denti uncinati del centro: in totale 16 a 18. Dietro al denti della serie marginale, le cui punte sono rivolte tutte in basso, e verso l'interno della cavità boccale, vengono le serie dei denti poggiati sull’interna faccia della mascella, dei quali è difficile vederne più di due SORINIDRASHE e colle punte pure rivolte all’ingiù. Le punte dei denti laminari superiori sono sempre in numero minore di quelli inferiori, essendo raro il caso in cui se ne possano contare più di 4 ben distinte; ma per parecchi dei denti vicini al gruppo centrale, le punte si presentano più robuste e alte, misurando nella loro parte isolata e trian- golare non meno di 8 a 9 mm.; con una base quasi doppia (5 mm.) di quelle che offrono le punte maggiori dei denti mar- ginali della mascella inferiore. Ma è il gruppo centrale dei denti. grossi ed uncinati quello che richiama maggiormente l’ atten- zione: essi sembra siano quattro, almeno i visibili, e sono tetra o tricuspidati. Queste cuspidi o punte triangolari sono ricurve, robuste, a larga base irregolarmente quadrata e alquanto in- cavata nella faccia esterna. Le potenti punte rivolte verso l’ interno della bocca, divergono fra loro, e sono disposte con un certo ordine alterno: le mediane sono dieci, delle quali due più alte; poi altre due più ravvicinate stanno di sotto, e sono se non più grosse, certo meno regolari nella forma, ed una anzi sta alquanto più rialzata della compagna: queste quattro centrali, sono visibilissime. Vengono poi altre due più profonde e più centrali, che ripiegansi in alto sulla faccia interna e nel mezzo della mascella superiore; poi all’esterno altre due più (1) Le serie in realtà sono in maggior numero di 8 a 9 per lato, ma come dissi tengo conto di quelle che hanno non solo forma più o meno laminare, ma in cui prevale il diametro traverso. Gli altri denti, posti a ciascun estremo della mascella superiore, sono i più piccoli e quasi roton- deggianti; ed in complesso formano un’altra quarantina di denticelli. | HEXANCHUS GRISEUS ADULTO 175 piccole, poste alquanto all’esterno di queste; e finalmente le ultime due, cioè le più basse, quasi eguali per grandezza alle quattro più alte ed esterne. Queste duo punte dentarie, cioè la nona la e decima, si avanzano internamente verso il margine inferiore della mascella superiore, sporgendo nell’interno del «cavo orale, ma subito si ripiegano in modo da avere l’apice li rivolto affatto all’insù. All’esterno, nel centro di essa mascella superiore, hannosi altre quattro punte o cuspidi dentarie, grosse e quindi visi- bilissime, a base più larga delle altre, le quali cuspidi fini- scono con un apice acuminatissimo:-esse sono lunghe non meno di 12 mm. i Nel centro adunque della mascella superiore non è vero, come si legge in parecchie descrizioni dell’Hesanchus griseus, «che manchino denti puntuti. Anche il Doderlein nell’accennare alla disposizione dei denti della mascella superiore, i quali riduce a tre forme, asserisce che in essa mascella « non esiste verun dente mediano ». Ora è evidente che di denti mediani e ragguardevoli ne vediamo parecchi; ed il vero dente centrale, dato un individuo adulto come è questo di Porto d’Anzio, se lo si osserva bene, pare risultare dalla fusione di due denti, ognuno bicuspidato. Nell’ istessa mascella superiore il dente più lungo misura 1 centim. e 9 mm, ed è il settimo; il sesto . dente misura appena 1 mill. di meno; il quinto 2 mill., e il terzo 5 mill. di meno. Questo terzo dente è in lunghezza uguale al nono, misura circa 1 centim. e 4 mill. La larghezza massima appartiene al primo e secondo dente centrale, ed è dai 2 centim. 6 mill. ai 2 centim. e 8 mill. i Nella mascella inferiore offre la massima lunghezza il quarto dente, il quale misura 3 centim. e 6 mill.; poi il terzo ch'è lungo 3. centim. e 2 mill., ed è eguale al sesto dente, ch’è però men largo: infatti mentre il terzo misura in lar- ghezza 3 centim. e 4 mm., il sesto è solo largo 2 centim. e 7 mm. Il dente centrale della mascella inferiore è robusto, ma è il più piccolo, avendo una lunghezza di 1 centim. e 2 mm., ed una larghezza di 2 centim. e 1 mm. Dirò finalmente che per quanto riguarda la conformazione 176 ANTONIO CARRUCCIO dei denti mascellari superiori ed inferiori, pel numero e per le dimensioni dei medesimi, credo di aver fornito dati così. precisi, quali non si trovano nelle opere più accreditate di. Ittiologia. Credo inoltre di render più chiara la descrizione unendo una tavola con due figure delle mascelle (ridotte d’un terzo circa della loro grandezza naturale), e ottenute fotogra- ficamente: rispondono adunque sott’ogni rapporto al vero. Chi bene esamini le non numerose figure date da autori. diversi si d (Bonaparte, Giinther (1), Gustav von Hayek (2), Lawley (3) ecc. troverà che per lo più v’ha in esse qualche cosa di artificiale o di meno esatto sia nella forma dei denti, sia nella distanza cui si vedono collocati, e via dicendo. (1) Handbuch der Ichthyologie etc. Wien. 1886, pag. 217 (mase. etc. del N. indicus e fig. intiera del N. griseus). (2) Handbuch der Zoologie - III Band - Wien. 1885, pag. 410. (3) L. c. Tav. IV. In questa tav. data dal Lawley è esagerata la di- stanza delle lamine dentarie, come in quella del Bonaparte (Iconogr. della Fauna Ital. Tav. 137. Fig. 1, punt. 62, 1835) non é esatta la forma dei denti. 1 Prof. A. CARRUCCIO. — Mascelle di Hexanchus griseus (circa !/ and. nat.) Net. Soc. Rom. Studi Zoolog. Vol. V. D.l' G. ALESSANDRINI fot. A. Mascelle viste dalla faccia est. 0 convessa B. Idem viste dalla faccia int. o concava. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE CON OSSERVAZIONI fatte specialmente attorno allo Stretto di Messina. Gomunicazione del socio Professor G. ANGELINI. Passo AUTUNNALE. — Dissi già che il passo autunnale è per la regione peloritana assai meno importante del primaverile, e ne addussi le probabili ragioni: il contrario succede per la opposta regione calabrese, dove finiscono per ridursi le schiere che costeggiarono la Penisola, e dove esse trovano luoghi più acconci per far sosta, o per stabilire la loro dimora. Le Qua- glie, così abbondanti a Messina nel passo di primavera, sono nell'autunno scarsissime: invece in questa stagione abbondano nel distretto di Reggio Calabria, che ben poche ne vede ar- rivare in primavera. È sopratutto alle Saline di Reggio, a circa mezza strada fra Reggio ed il Capo Spartivento, che accorrono nel settembre i cacciatori per dar la caccia alle qua- glie, giungendovi non solo dai circostanti paesi dalla Calabria, «ma molti ancora da Messina. Le saline, che diedero il nome alla località, or più non esi- stono: furono prosciugate quando fu costruita la ferrovia, che l’attraversa. È però la regione pianeggiante e bassa verso il | mare, e nell'inverno parzialmente impaludata: dei torrenti | ghiaiosi la solcano di traverso. D'estate tutta l’acqua sparisce, ed il piano diventa arido e bruciato, con poche erbe secche, e. solo qua e la qualche gruppo di giunchi, qualche rado e stentato cespuglio. Per non essere rimasto durante i mesi di (1) Vedi Savi, Ornit. Ital., Vol. III, pag. 109 e 112. — SALVADORI, Fauna d’It. (Uccelli), pag. 208 e 209. (2) Queste osservazioni da me communicate al prof. Giglioli, furono già in parte pubblicate nel 1° resoconto dell’Inchiesta ornitol. in Italia, parte I pag. 652, 653 e 654. Ù Ù Coturnix com. Munils. Monachus hor- tensis. A Oedienemus sco- Ni dopax. Columba palum- bus. 178 G. ANGELINI agosto e settembre in quei paraggi non ho mai fatta la caccia delle quaglie alle Saline: perciò taccio delle condizioni atmo- ‘ sferiche, che ne regolano il passo, desideroso di esporre soltanto quello che ho potuto da me stesso osservare, o controllare. (1) Nel distretto di Reggio si fermano pure nel settembre ab- bondantissimi i Beccafichi (Farvette, Beccafichi) attrattivi dalle | numerose piante di fico, che maturano frutti squisiti. Anche di questi se ne trova assai meno nei dintorni di Messina: scarsissimi poi ovunque sono al passo di primavera. General- mente rispettati dai cacciatori calabresi, cadono essi pure nu- merosi sotto i colpi dei Messinesi, là accorsi, sopratutto se avviene che non trovino quaglie. À i Verso la fine di settembre e nell’ottobre capitano frequenti alle saline gli Occhioni col vento di scirocco, ed a quanto mi ‘ hanno detto, anche col srecale. Là in autunno sono anch’essi più abbondanti che non in primavera, e che non nel distretto di Messina, dove avvertii già che il passaggio più importante è il primaverile: anche al Faro in ottobre si vedono special- mente collo scirocco. Parecchi poi ne restano a passar l'inverno nelle pianure della Calabria e della Sicilia, ma non nei dintorni ‘ di Messina, dove soltanto qualcuno ne ricompare in occasione di nevi e forti burrasche. Ricco in ottobre nel distretto di Reggio, ma non’ nelle parti basse, è il passo dei Colombacci (Fasse), migratori diurni : sono le selve dell'Aspromonte e l’altipiano di Milèa, sopra Scilla, che li vedono passare a torme dirette verso l'Africa, o per lo meno agli alti monti dell’interno della Sicilia, sor- volando a grandi altezze la regione peloritana, che, spoglia com'è di boschi, non ha per essi alcuna attrattiva. Infatti po- chissimi se ne vedono passare nei dintorni di Messina: invece molti ne muoiono sui monti calabresi, attesi al varco dai cac- (1) Riguardo all'ordine della migrazione delle quaglie ho osservato per molti anni sui monti delle Marche, che primi ad impinguarsi e scomparire . sono i vecchi maschi, i quali formano così anche in autunno l'avanguardia del passo; poi segue il grosso, formato dalle vecchie femmine e dai gio- vani delle prime covate; finalmente i giovani delle covate tardive fanno da. retroguardia, 1 CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 179 | ciatori nascosti entro casotti di pietra: lo scirocco è anche per Calabria, ed ivi restano a passar l’inverno. Il 12 gennaio 1890 ne trovai uno stormo grossissimo stabilito nel così detto Bo- sco di Rosarno, tra la valle del Petrace e quella del Mesima, a non molta distanza dal mare. La selva, formata in massima parte di lecci, era allora in molti punti impenetrabile. I co- lombacci (fra cui qualche branco di Columba oenas), comin- ciarono sul far del giorno a sfilare in drappelli, e continua- rono così per circa un’ora senza interruzione, dirigendosi verso nord-est: verificai che ciò facevano per uscire dal bosco e spar- ‘gersi nelle circostanti campagne. Sotto ai più alti gruppi di alberi vidi in abbondanza sterco e piume, e seppi che là in sulla sera qualche cacciatore faceva loro la posta con profitto. Tor- natovi il 16 gennaio, trovai che il passaggio mattutino era . diminuito, ed il 26 febbraio era cessato quasi del tutto: vidi però, per due mattine di seguito, le colombe riunite in un enor- me branco sopra un gruppo di alberi altissimi presso l'orlo del bosco, come se si apparecchiassero alla partenza. Nei due anni successivi ve ne trovai sempre di meno, e lo attribuisco alla diminuita quiete in causa degl’incominciati Javori per la. ‘costruzione della ferrovia. Ora sul margine di quel bosco corre | il treno, molti alberi son ridotti a carbone, ed i colombacci | più non vi pongono dimora. Nei dintorni di Messina si vedono passare in ‘certo nu- mero, specialmente da mezz’ottobre a mezzo novembre, i frin- guelli (Spunzuni) (1) ed altri conirostri. In questa stagione | amano anch'essi lo scirocco, e, invece di seguire l’andamento della costa come in primavera, volontieri tagliano di traverso Mii a sud-ovest, cioè verso l'interno dell’isola. Pochis- simi si fermano per mancanza di boschi, ed i Messinesi li at- . tendono col fucile a certi sbocchi dei colli, volgarmente detti | portelle: però il loro passaggio e la loro caccia non hanno nep- | pure da lontano, l’importanza che ha il passo degli uccelletti in primavera. «_—»’(@ Ho notato pur io, non in Sicilia ma nelle Marche, che nel passo au- . tunnale dei Fringuelli predominano da principio le femmine e da ultimo i - maschi. essi il vento preferito. Molti poi si fermano nei boschi della. dr e n Rd di Pel» ERE MERI E pula ta Fringilla coelebs.. d x < n a E T4AS Merula nigra. BRM a SRI e A AE DIO Se SERRA i lira bra BANG CERI TERRE “Turdus musicus. 180 G. ANGELINI Egualmente amano tagliare di traverso i Corvi (Corvi di passa): sovente in novembre i cittadini di Messina, resi av- vertiti dai rauchi loro gridi, ne vedono, i branchi, giungenti allora dalla Calabria, passar sopra la città a notevole al- tezza, e dirigersi ai colli, dietro i quali spariscono. Anch’essi. non si fermano, ma proseguono il loro viaggio verso l’interno. Durante l'inverno non se ne vede nei dintorni di Messina: restano però in Calabria, dove sono di qualche danno agli oliveti. Lo scirocco è pure il vento che conduce d’autunno le Lo- dole sullo stretto di Messina. Passano specialmente dal 20 ot- tobre alla metà di novembre, e nelle stesse ore in cui passano in primavera, Al Faro arrivano dalla spiaggia settentrionale, e proseguono poi parallelamente al lido: amanti dei luoghi piani e scoperti percorrono più fedelmente dei conirostri e degli altri uccelli silvani la stretta zona costiera, anzichè in- ternarsi fra i colli (1). Se ne uccidono però molte sulle nude colline dell’opposta Calabria, dove le allodole si fermano a pascolare, come, ad esempio, sui colli di Matiniti prospettanti Messina. Al pari delle allodole e per la stessa ragione i generi Motacilla ed Anthus tengono di preferenza la via costiera, e, sopratutto le specie del primo, si allontanano poco dalla riva del mare. Verso la metà di ottobre cominciano a passare i Tordi (Marvizzi), cui tengono dietro con breve intervallo i Merli (1) Invece nel litorale delle Marche, dove si aprono ampie ed opportune. vallate, i branchi delle Lodole largamente ne approfittano per abbreviare la via, traversando la Penisola da nord-est a sud-ovest, anzichè percorrere la via litorale. Presso Fano ho poi osservato che quelle, che seguono la direzione della costa adriatica, passano non solo in primavera, ma anche in autunno, da sud-est a nord-ovest. Secondo il linguaggio dei cacciatori, gli uccelli vengono aliora da d?7tt0o, mentre vengono da rovescio quando son diretti verso sud-est, il che avviene solo in occasione di retrocessioni di passo, ovvero di traslochi invernali. Lo stesso fenomeno ho verificato per molti altri migratori, ed è cosa per me, quanto bene accertata, altret- tanto curiosa. Come succede ciò? I migratori vanno verso nord-ovest per raggiungere la pianura padana, ovvero soltanto per tentare in posizione più vantaggiosa il valico degli Appennini? A me mancano dati per risol- vere il problema., CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 131 {Merri), ed il loro passo si protrae con varia intensità sino ai primi di dicembre. I loro viaggi li compiono di notte, e «quindi non si vedono passare: però si sentono. Moltissime volte, specialmente nelle belle serate del novembre calme e rischia- rate dalla luna, passeggiando lungo il porto di Messina, udii zirlare i tordi migranti e susseguentisi a breve distanza. Te- nendo dietro a tali voci potei riconoscere la direzione da essi seguita, ed accertarmi che la più parte, venendo dal mare; passavano sopra la città, dirigendosi verso i colli. Pochissimi jperò si fermano nei dintorni di Messina: la mancanza di boschi d’alto fusto li induce a proseguir oltre. Rari individui si trattengono negli uliveti, o fra i cespugli dei colli più alti, ‘ovvero nelle fitte boscaglie dei burroni: pochissimo è quindi utile che i Messinesi ne possono trarre per la caccia. Qual- cuno di più ne uccidono quando i freddi e le nevi li obbligano a scendere dai monti verso le.marine. Meno ancora che sui «colli peloritani si fermano i tordi sulla brulla costa calabrese di contro a Messina: molti invece nei boschi delle prossime montagne, dove vengono distrutti col tucile e colle reti. È sopratutto nei pressi di Radicena che se ne fa strage con reti ‘verticali tese a certi sbocchi, per dove sogliono la mattina passare i tordi per recarsi al pascolo. Molti tordi prendono pure stanza in Calabria nei boschi di pianura, ove questi esi- «stone; così nel ricordato bosco tra la valle del Petrace e quella «del Mesima, e nelle così dette fascie boscose, che per lungo tratto fiancheggiano questi due fiumi. Di giorno poi si spar- gono per i circostanti uliveti, che sono estesissimi e superbi, ‘ed è un continuo andirivieni dal bosco all’uliveto e viceversa. Li uccidono di solito i Calabresi, appostandoli a pie’ degli ulivi più belli e più frequentati, giovandosi talora anche del richiamo ‘per attirarveli: ma è assai più divertente aspettarli sul limite del bosco per colpirli al volo nella traversata: così giunsi pur Jo talora ad ucciderne parecchi. Sostengono i Calabresi che l’ab- bondanza dei tordi coincide con quella delle ulive, e che si ri- pete ogni tre anni. Insieme ai 7°. musicus mostrasi pure qualche individuo di 7. viscivorus: una sol volta in pianura incontrai il 7. polaris, e mai il T. iliacus. Negli stessi boschi frequentati dai tordi, e sopratutto nelle Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici 13 cola. 182 G. ANGELINI fascie boscose, dove il terreno è grasso ed acquitrinoso, si trat- Seolopax rusti- tengono assai volentieri le Beccacce (Iaddazzi), mentre appena. qualcuna se ne ferma nelle boscaglie che foderano i burroni dei colli peloritani: quivi ho notato che le prime beccacce compariscono verso il 20 di ottobre, cioè alla stessa epoca in cui sogliono apparire nei boschi dell’Italia centrale. Nelle mie escursioni in Calabria ho inoltre constatato che le beccacce di passo non prendono dimora stabile nei boschi di pianùra, ma si stabiliscono invece' numerose nelle selve dei monti. Transitano però durante il vero passo e fan sosta anche in. pianura, ma senza trattenervisi: ond’è che, cacciando nel no- vembre al piano, avviene, pure con bel tempo, che taluni giorni se ne incontra un certo numero, ed altri nemmeno una: finito. il passo succede un periodo di assenza, che dura fintantochè la stagione si mantiene mite, mentre frattanto sui monti si. levano ed uccidono quotidianamente. Al primo giungere poi dei geli e delle nevi, improvvisamente i boschi di pianura si popolano, e qualche volta in tale abbondanza, che un solo cac- ciatore nelle fascie boscose del Mesima può arrivare ad ue-. ciderne 30 o 40 in un sol giorno. I cacciatori dicono che al- lora passano le beccacce: evidentemente però non si tratta di vero passo, ma di un semplice spostamento determinato dallo improvviso mancare dell’alimento, e che, quantunque avvenga non solo dal monte al piano ma anche dal Nord al Sud, pure è sempre un movimento regionale e limitato: inoltre manca del carattere più essenziale della vera. migrazione, la quale per essere diventata un abitudine ereditaria, un atto istintivo, avviene costantemente e ad epoca determinata. Invece il fe- nomeno, di cui sopra, dipende interamente dalla stagione, potendo nei vari anni essere notevolmente accelerato o ritar- dato, ovvero anche soppresso del tutto, come accade negli . inverni eccezionalmente miti. Va notato ancora che le beccacce spinte in pianura dal mal tempo per la massima parte non. vi si fissano, ma passata la burrasca, di mano in mano che l’aria si raddolcisce ed il terreno si scopre, spariscono, rigua- © dagnando i monti, nelle cui selve godono maggiore tranquil- lità. Al ripetersi Juli neve si ripete la discesa al piano, ma il numero degl’individui è sempre molto minore, e da ultimo | CONTRIBUTO ALLO ‘STUDIO DELLE ‘MIGRAZIONI ORNITICHE 15883 più non si avverte, in parte perchè si abituarono a quelle difficili condizioni, ma più ancora perchè ogni discesa è per esse fatale, restando terribilmente decimate dai cacciatori. Quello che si è detto per le Beccacce, vale anche pei Tordi e peraltre specie di uccelli invernali, che compiono analoghi | spostamenti (1). ; Di Beccaccini e Frullini pochissimi individui si vedono nei dintorni di Messina per la mancanza di luoghi adatti: appena qualcuno se ne incontra in novembre al Faro, o sul Piano di S. Ranieri, quando piove assai. Pochi pure calano, ma senza fissarvisi, alle Saline di Reggio. Invece moltissimi svernano nelle paludi delle provincie di Catania e Siracusa, come anche in Calabria, nei pantani che fiancheggiano il corso (1) Notevolissimo ed importante a studiarsi è il fenomeno degli spo- stamenti invernali, determinati dal variar della stagione, sul litorale delle Marche. Quivi, nella stretta zona compresa fra il mare ed i colli nevosi degli ultimi contrafforti appenninici finiscono per ridursi, direi quasi come nel dar canale di un imbuto, gli uccelli, spinti dalla neve ad abbandonare i piani «Cella valle padana, ed a scendere più verso mezzodi. Si vedono branchi di ; diversi uccelli (Storni, Zigoli, Prispole, Strillozzi, ece.), ma sopratutto di Allodole, sfilare senza ‘interruzione, ed anche per più giorni di seguito, come nelle dalia giornate del passo. Vi sono anche branchi «i uccelli eo mente montani, come Tordele, Cesene, e Zigoli gialli, che, ad esempio, nel gennaio di quest'anno. (1895) giunsero abbondantissimi; e ciò dimostra che il movimento è doppio, dal nord al sud e dai monti al piano. D'altra parte uccelli di piano e palustri, tormentati dalla fame, inboccano le vallate dei fiumi, e risalendone il corso, si spingono anche molto addentro fra i monti. | Corvi, Storni, Migliarini di padule, Pavoncelle, Pettegole, Gallinelle, Fola- ghe, Anitre, ecc., oltre a grandi stormi di Lodole e di Strillozzi, vidi io stesso negl'inverni più rigidi arrivare sul Marecchia a 50 e più chilometri dal mare, dove questi uccelli non si vedono in. altri tempi. Appéna cessata la burrasca comincia il movimento di riforno: il dolce ricordo dei luoghi abbandonati, e le persecuzioni a cui son fatti segno nelle nuove sedi, li | sollecitano a retrocedere. In questi spostamenti gli uccelli non precedono, ma accompagnano o seguono il mutamento del tempo: qualche volta l'istinto puranco li inganna spingendoli incontro alla burrasca (vedi il caso regi- strato dal Paolucci in Bo. della Soc. Rom., vol. III, pag. 101). Succede pure, come ad es. nel 13 gennaio di quest'anno (1895), di vederli rifare a precipizio quella via, che proprio il giorno innanzi facevano a torme ser- rate per tornare verso il nord. Ciò depone poco a favore di quella» prer2- denza istintiva, di cui si vorrebbero dotati gli uccelli riguardo alle vicissi- tudini atmosferiche. cali coe lestis. 12000 Lymnocery DI gallinula. haradrius plu- alis. Tringinae. ARP ENZ Ode 184 G. ANGELINI inferiore del Mesima. In quest’ ultima località ho notato che il grosso delle schiere arriva verso gli ultimi di novembre, e che verso i primi di febbraio cominciano già a mettersi in moto per la partenza. Sopratutto nel mese di novembre passano i Pivieri > nei. dintorni di Messina. Migratori notturni, svelano la loro pre- senza nell’aria coi fischi caratteristici, cLÒ fanno udire anche sopra la città nelle notti burrascose: però si muovono anche di giorno. Con scirocco violento, con cielo oscuro ed aria densamente caliginosa, li trovai qualche volta in buon numero sul Piano di S. Ranieri al primo spuntar del giorno, ed altri ci drappelli ne vidi poi giungere dal mare nel corso della mat- tinata, sebbene, a quanto mi parve, più desiderosi di posarsi, anzichè di proseguire il viaggio verso il Sud. La pioggia au- menta la probabilità del loro arrivo. Insieme ai Pivieri doratz, e colle stesse condizioni atmosferiche, compariscono pure i P. tortolini, ma scarsamente, e ‘in certi anni non si avvertono | affatto. Una sol volta, il 7 novembre 1891, dopo una notte di fiera burrasca sciroccale, ne vidi a S. Ranieri moltissimi, e, cosa strana, senza scorgervi in mezzo alcun piviere dorato. Spesso però le due specie, incontrandosi, si aggregano insieme, sebbene diversissime per ‘accortezza. (Mi avvenne di finire senza fatica un drappello di tortolini inseguito a lungo inu- tilmente prima che un colpo fortunato abbattesse un piviere dorato, che li scortava: vidi un tortolino restar immobile sul posto al colpo di fucile, che gli uccideva a fianco un piviere dorato, col quale si trovava in compagnia). Rimarchevole è poi il ritardo, col quale i pivieri tortolini giungono in Sicilia, rispetto all’ epoca nella quale arrivano sui. monti dell’ Italia centrale, e che è la seconda metà di agosto, ovvero il set- tembre. Tutti gl’individui da me osservati, tanto a Messina quanto in Calabria, erano giovani: di adulti ne trovai sul Monte Carpegna (Marche), specialmente in sul principio del passo, ma sempre molto più scarsi dei giovani, ed imbrancati con essi. Contemporaneamente ai Pivieri e con gli Lio tempi, IE tanto più facilmente quanto più piove, capitano al Faro i Piovanelli (Papiòle, Pirri), ma sempre in poca quantità. Più CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 135 frequenti degli altri sono l’AncylocheWlus subarquata e 1° Acto- dromas minuta: gli stessi, insieme a qualche raro individuo di A. Temminchi, ho poi trovati in dicembre, tanto in Ca- labria alle foci dei fiumi, quanto in Sicilia sulla spiaggia del mare e sulle rive del Lago di Lentini. Nelle notti oscure e burrascose del novembre, quando lo scirocco impetuoso e la pioggia rendono loro difficile il pro- seguire, calano non di rado al Faro le Grà (Groi), probabil- mente attratte dalla luce, che irradia all’intorno lo splendido fanale del Capo Peloro. Se ne vedono però anche di giorno sorvolare lo Stretto, ma sempre a grande altezza, e si ricono- scono agevolmente all’aspetto caratteristico delle loro schiere. Tuttavia individui isolati si abbassano qualche volta al Faro anche di giorno, allettati dalla vista del lago fornito di stampi per la caccia degli Aironi, ed ingannati dalle voci di quei contadini, che stanno sempre all’erta, e ne sanno imitare he- nissimo il richiamo. In tal modo, e con tempo calmo e sereno, ne vidi io stesso uccidere un individuo, avanti il tramonto, la sera del 14 aprile 1889. Ai primi di novembre comincia a mostrarsi qualche Pa- voncella di passo, che si trova la mattina posata al Faro, o sul Piano di S. Ranieri. Quantunque le loro migrazioni si compiano veramente di notte, se ne vedono tuttavia arrivare e passare dei drappelli anche di giorno, in ispecie nelle ore antimeridiane. Nei dintorni di Messina non si trattengono, e, se la stagione si mantiene buona ed asciutta, ai primi di dicembre anche la loro migrazione si arresta. Ricompariscono però in copia, dopo una assenza più o meno lunga, alla prima burrasca con freddo intenso e neve, onde il nome di Nivalòre che loro si dà in Sicilia ed in Calabria: evidentemente però allora non si tratta di vera migrazione, ma di semplica spo- stamento regionale: infatti tali ricomparse laggiù coincidono colla loro scomparsa parziale o totale da regioni più setten- trionali, dove prima si erano fermate. Nelle stesse circostanze, e per analoga ragione, ricompare qualche individuo di Piviere, di Occhione, di Beccaccino ecc. quando da qualche tempo più non si vedevano. | Fin dall’agosto e settembre comparisce qualche Chiurlo Vanellus e tus. NS . Numonius phae- opus, N. tenuiro- Anatidae. Larinae, 186 G. ANGELINI (Turriazzu) al Faro, come mi risulta da informazioni avute: credo che si tratti specialmente del Chiurletto e del Chiur- lottello, che passano appunto in quei mesi, ma che poco possono - sentirsi invogliati a fermarsi per il forte caldo e l’aridità di quei luoghi. Il ChRiurlo grosso si mostra sopratutto in novembre, | e solo allora, dopo che le pioggie autunnali hanno convenien- temente preparato il terreno, comincia a popolare i piani e le paludi della Calabria e della Sicilia, dove rimane sino all’aprile. Migratori prevalentemente notturni, sono i Chiurli gli autori principali di quegli strani concerti, che nell'alto dell’aria si odono in certe notti burrascose del novembre. D’indole diffi- | dentissima, si lasciano difficilmente avvicinare e ingannare dai cacciatori: tuttavia alcuni se ne uccidono ‘al Faro, special mente nei tempi procellosi. Rari sono pure gli Anatidi che si colgono nella regione peloritana. Giungono specialmente in novembre, e 1’ Alzavola (Purpuredda) è la specie più comune. Quantunque migratori notturni, si vedono però anche di giorno percorrere lo Stretto ora nell’una, ora nell’altra direzione, quindi non in viaggio di vera migrazione, ma piuttosto eseguenti delle scorrerie per esplorare la costa: sono probabilmente i branchi che si ripo- | sarono in mare, e che si avvicinano alla spiaggia desiderosi di prender terra. Frequentemente si posano di notte al Faro e sul piano di S. Ranieri; raramente di giorno, per la man- canza di quiete. Cominciano nell’ottobre ad arrivare i Gabbiani (Oche ma- rine), ma il maggior numero giunge alla fine di novembre ed in dicembre: verso Natale se ne vedono abbondantemente po- polati lo Stretto ed il porto di Messina. Le specie più comuni sono l’Hydrocolaeus ridibundus e lH. melanocephalus; molto più scarsi il Larus canus ed il L. cachinnans. L'H. minutus giunge in certi anni abbondantissimo, in altri scarso: nell’in- verno 1888-99 era la specie più comune, e a centinaia cala- vano sulle pozzanghere del piano di S. Ranieri, passandovi buona parte del giorno. Numerosissimi affluiscono i gabbiani nel porto in occasione di burrasche sciroccali, ovvero di nevi e freddi intensi, probabilmente non tanto per molestia che soffrano dal mal tempo, quanto per lo stimolo della fame. Infatti CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE . 187 ì allora, per il ritirarsi degli animali dalla superficie, poco o nulla rinvengono sull’aperto mare: invece nel porto trovano cibo sufficiente in ogni sorta d’immondizie trasportate dalle cloache, e negli avanzi rigettati dalle navi, che in grande copia nell’inverno frequentano il porto di Messina per il carico degli agrumi. Appena il vento cambia od il tempo migliora, subito i gabbiani lasciano il porto e si disperdono. Notevole è pure Ri; il fatto, da me tante volte osservato, che, quando molti gab- A biani volano nel porto, le varie specie non stanno confuse, ma di si tengono ad altezze differenti in ragione diretta della loro mole. Ho pensato che ciò possa dipendere dalla varia loro . _ diffidenza, e forse anche dalla varia potenza dei mezzi, di cui dispongono per scoprire ed appropriarsi la preda. In marzo cominciano i gabbiani a diradarsi, e verso la metà di aprile sono quasi tutti spariti. Restano però sempre alcuni individui a di L. canus e di L. cachinnans, che vedonsi per tutta l’estate | aggirarsi per lo Stretto e nel porto. Due sole volte mi è av- | venuto di vedere il L. fuscus: un individuo isolato, fem. ad., ne uccisi il 6 maggio 1887, ed altri tre o quattro ne osservai nel porto 16 giorni appresso, in uno splendido pomeriggio: il giorno dopo erano scomparsi. Insieme ai gabbiani vedonsi bene spesso volare anche dei Beccapescî (Alilonghi, Oche marine): la loro frequenza è però —Actochelidon | — assai variabile: in certe annate son cemuni, in altre piuttosto Sanepiesi o rari. Sullo Stretto di Messina si fanno vedere dall’autunno alla È. primavera, mai o quasi mai di estate: inoltre anche in quel 7 tempo la loro presenza non è costante: vanno e vengono, spa- | riscono e ricompaiono, avvicinandosi assai alla riva, e pene- .trando anch'essi nel porto in occasione di freddi e burrasche. Si distinguono bene anche a distanza dai gabbiani alle ali più. strette, al volo più disadatto, e specialmente al modo di rac- cogliere il cibo, giacchè, invece di abbassarsi cbliquamente come i gabbiani, scorta che hanno la preda, restano un mo- _ "mento immobili, e poi, serrate le ali, si precipitano a capo- fitto nell’acqua verticalmente; e con grande. rapidità. Le altre ‘Sterne a Messina sono rare, almeno in primavera: una sol volta, il 4 maggio 1838, incontrai vicino al porto quattro individui 0) di Gelochelidon nilotica, specie non ancora citata da altri per . buel distretto. î Alca torda 188. G. ANGELINI Una delle ultime specie ad arrivare è la Gazza marina. Non capisco perchè non ne sia stata fatta menzione nelle no- tizie inviate dal distretto di Messina pel resoconto dell’inchiesta ornitologica italiana, mentre là essa capita certamente, e molto più spesso di quanto a prima giunta si potrebbe supporre. Poco avanti il mio arrivo in Sicilia, nell'inverno 1886-87, molte gazze marine comparvero sulle acque dello Stretto (vedi resoc. del- l’inch. ornit. it. - distretto di Reggio Calabria), ed alcune, colte presso Messina, le ho viste io stesso. Nell'inverno successivo . non so se comparissero; ma in quello 1883-89 tornarono ab- bondanti, ed un mio amico in più riprese, nel dicembre ed ai primi di gennaio, ne uccise una dozzina all’ imboccatura del porto. Nel seguente inverno 1889-90 se ne rividero altresì pa- recchie, ed io pure potei coglierne un palo vicino alla lan- terna del porto: cominciarono ad arrivare ai primi di dicembre, e dopo il 20 andarano gradatamente scomparendo, dimodochè ai primi di gennaio erano tutte sparite. Anche negli anni successivi se ne vide sempre qualcuna, come mi risulta da in- formazioni attinte da barcaioli e pescatori, i quali conoscono tutti benissimo questi uccelli, li distinguono coi nomi di Mar- guni e S'ammuzzaturi, e mi hanno assicurato. che, pochi o. molti, quasi tutti gli anni-ne compaiono. Tutti quelli da me os- servati erano giovani. È rimarchevole la frequenza di questa specie nordica presso Messina, essendo essa lungo le altre coste italiane, meno quelle della Liguria, rara ed accidentale. Credo: che tale frequenza possa dipendere dalla ristrettezza del canale, che in certo modo li condensa, e dalla sua grande profondità presso la costa peloritana, amando essi le acque profonde. Anche nel porto di Messina, ampio e profondissimo, entrano sovente: le Gazze marine, e sembrano trattenervisi assai volentieri: più volte le ho viste tuffarsi e ricomparire con tutta indifferenza frammezzo alle barche, ovvero presso la riva, dove molti cu- riosi le osservavano, ed i monelli le prendevano a sassate. Vi entrano anch'esse sopratutto nei tempi burrascosi, onde par- rebbe che allora si avvicinassero di più alla riva: qualche volta è la corrente di marea che meccanicamente ve le tra- sporta, e da cui esse si lasciano passivamente carreggiare, come, stando in barca, è avvenuto a me di verificare. Infatti, il pe- [ CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 139 riodo, durante il quale la corrente entra, è quello in cui se ne vede più facilmente attorno é dentro il porto. Ne restano pure per accidente prese all’amo dai pescatori: portate in terra rimangono come sbalordite e istupidite, e, quantunque sane e perfettamente libere, si muovono a stento, e non cercano in. alcun modo di fuggire. Ma ciò non deve recar meraviglia, perchè altrettanto fanno, quando si trovano fuori del loro am- biente, altri uccelli marini che sono tra i più potenti volatori: \ così le Berte, che si lasciano facilmente afferrare colle mani allorchè stanno fra gli scogli a covare od a riposarsi: così pure le Procellarie e gli Albatros, che non volano via anche se posti \ in libertà sopra la coperta di una nave. Probabilmente la co- scienza della difficoltà, che in quelle condizioni incontrerebbero a spiccare il volo, è causa del loro modo di comportarsi. Non mi consta che durante il mio soggiorno a Messina sia com- parso alcun individuo di Fratercula arctica, che pare si mo- i strasse in certo numero sulle acque dello Stretto nel gen— . naio 1885. e Tralascio di far parola hi altre specie più rare, riguardo alle cui migrazioni è più difficile raccogliere dati positivi, per la difficoltà di far molte osservazioni, che si controllino reci- procamente. Non sono però le specie rare quelle che dan la regola delle migrazioni, come non sono quelle che danno il carattere alla Fauna di una data regione. Dai fatti esposti si rileva che in primavera Lei distretto peloritano è in primo grado il vento di ponente che favorisce il passo, e in secondo grado il grecale, il maestrale ed il li- beccio; mentre sono più o meno contrari lo scirocco, la tra- | montana ed il levante. Invece nell’autunno il passo è favorito dai venti meridionali, e specialmente dallo scirocco. Sembrano «dunque essere i venti, che spirano più o meno obliquamente di fianco, quelli più favorevoli per le migrazioni ornitiche: . venti di fronte sono cercati dai migratori velieri, che possono con essi avanzare e volteggiare a lor talento senza stancare i muscoli: ne danno esempio i Falchi pecchiaioli ed i Gruc- cioni. E’ pure utilissimo il vento di fronte, purchè non troppo forte, ai migratori, quando debbono valicare delle alture : così vediamo che a Genova il passo primaverile è favorito dalla 190 G. ANGELINI tramontana. (Vedi resoc. dell’inch. ornit. in Italia). La troppa forza del vento, anche di fianco, può essere di ostacolo alla migrazione: si vedono allora i migratori abbassarsi, e perfino deviare dalla rotta ordinaria, per seguire una via più riparata. Come tutte le regole, così anche quella dei passi hanno le loro eccezioni, determinate dall’ influenza di circostanze, che non sono normali. E le eccezioni si verificano specialmente sul finire dei passi, quando un rapido aumento di temperatura e il bi- sogno prepotente di deporre le uova, ovvero il crescere im- provviso del freddo e la caduta delle nevi obbligano i migra- tori a sloggiare in fretta dalle loro sedi, approfittando del vento. che trovano, anche se poco iaia Se sì comizio i venti buoni per il passo a Messina con quelli che lo favoriscono altrove, si nota spesso una differenza, e talora assoluta opposizione. Cosi ad esempio, colla tramon- tana, che favorisce il passo primaverile a Genova, a Messina non arriva nulla; il levante è uno dei venti buoni per il passo au- tunnale delle Lodole nel distretto di Ancona, mentre presso Mes- sina non le conduce affatto; le Quaglie in primavera giungono a Messina col ponente, mentre che a Roma arrivano col levante. Registrerò pure l’asserzione dei cacciatori messinesi, ma senza poterne garantire l'esattezza per mancanza di osservazioni pro- rie, che quando il passo è abbondante a Messina è scarso a Pa- | ; p lermo, e viceversa. Pare dunque che, rotto il passo, i migratori, restando la stagione normale, passino sempre, ma, a. seconda dei venti che spirano, modifichino la loro rotta, scegliendo di- versi punti di approdo. Oltre che dal vento, sono le migrazioni influenzate anche dalla nebbia. Sanno i cacciatori per pratica che colla nebbia gli uccelli non passano: e ciò ebbi occasione di verificare io stesso molte volte, non a Messina, dove la nebbia è rarissima, ma nelle Marche, e tanto in pianura quanto in montagna. Anche sui monti poco o nulla arriva, quantunque lassù faccia bel tempo e spiri vento favorevole, quando molta nebbia occupa le marine e chiude lo sbocco delle vallate. Appena la nebbia sparisce, su- bito il passo incomincia. Se poi la nebbia è ai monti, allora gli uccelli avanzano sino ad essa, ma difficilmente vi si cac- |. ciano dentro. Mi è accaduto di vedere in autunno al primo È CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE 191 spuntar del giorno arrivar tordi e beccacce, ed all’incontro di un fitto strato nebbioso arrestarsi, come davanti a un muro. Penetrato fra la nebbia, non vi trovai animali di sorta, mentre invece ne trovai di fuori, sotto il limite dello strato nebbioso. Se poi i migratori rimangono presi in mezzo dalla nebbia, restano smarriti, confusi, e pare che perdano la facoltà di orientarsi: vidi così specie sospettosissime, come i Colombacci, | smessa la naturale loro diffidenza, volare «come sbalorditi da albero ad albero, aggirandosi sempre in ristretto spazio, come se avessero timore di perdere i compagni, o non sapessero più trovar la via per allontanarsi. Sono queste occasioni molto | propizie per la caccia, e sanno troppo bene approfittarne i contadini: di solito, appena la nebbia si alza, subito gli uccelli spariscono. È cosa certa che non tutti i migratori viaggiano alle | stesse ore: però riguardo all'essere le varie specie diurne op- pure notturne non v'è perfetto accordo tra gli osservatori. Ciò ‘si può desumere anche dai risultati dell’inchiesta ornitologica italiana. A parte qualche possibile inesattezza di osservazione, il fatto sembra in gran parte dovuto a reali differenze di luogo. Così è certo che le Quaglie in primavera sulle coste pelori- tane giungono, come si disse, soltanto di notte; invece sulle spiaggie romane arrivano anche di giorno; su quelle liguri | poi, secondo il Luciani (1° Resoc. dell’Inch. ece.; parte III, pag. 117), approdano con venti favorevoli tutto il giorno. Ciò probabilmente dipende dalla diversa provenienza, e dalla di- versa lunghezza della via, che hanno da percorrere. Eccezio- nalmente con tempi anormali, colla burrasca alle spalle, si ve- dono migratori notturni passare anche di giorno (ad es. i tordi), e. viceversa migratori diurni protrarre il loro viaggio anche dopo scesa la notte: ciò ebbi occasione di verificare una volta anche lo scorso’ autunno (1894) in riva all’Adriatico per le allodole, che attestavano il loro passaggio con incessante pi- golio. Trattandosi poi di migratori notturni, bisogna badare di non prendere per vero viaggio di migrazione quelle brevi scorrerie, che taluni sogliono intraprendere di giorno, sempli- cemente allo scopo di cambiar posto. Io ho indicato quali specie ho visto passare di giorno, e quali sono indotto a ritenere per 192 G. ANGELINI . Viaggiatrici notturne per averle intese passare di notte, o per averle trovate in arrivo di primo mattino là, dove mancavano il giorno precedente. In un articolo pubblicato nella Popular Science, Montly (Agosto 1894), e nel quale sono esposte curiose osservazioni sui migratori notturni fatte alla luce dei fari, il signor Chapman esprime l'opinione che viaggino di notte gli uccelli poco buoni volatori per evitare l'incontro dei falchi. Francamente questa spiegazione non mi pare del tutto soddisfa- cente. Forsechè le allodole, le prispole, le ballerine, ovvero i piccoli conirostri, che viaggiano di giorno, hanno a temere dai falchi meno di quello che abbiano a temere i tordi, le anitre ed i pivieri? Credo perciò che, se vuol trovarsi una qualche ragione del fatto, abbia a cercarsi piuttosto nelle particolari abitudini delle specie, e nella qualità del loro cibo. Certamente le bec- cacce, i nottoloni, gli assioli non possono viaggiare di giorno (1): d’altra parte i falchi, le rondini, i rondoni, migrando di giorno, hanno ben poco da mutare nelle consuete abitudini della loro vita. Vediamo migrare di giorno i passeracci coni- rostri, abituati ai luoghi aperti e scoperti, e che, prevalente- mente granivori, trovano facilmente ovunque, per poco che calino a terra, da soddisfare le esigenze del loro ventricolo ; viaggiano invece di notte i lesinirostri, di naturale più timido, avvezzi a tenersi per lo più celati nei boschi e nei cespugli, e che hanno bisogno di spendere un tempo più lungo alla ri- cerca dei vermi e degli insetti, che formano il loro nutrimento principale. Passano pure di notte la più parte dei trampolieri e: dei palmipedi lamellirostri, uccelli prevalentemente notturni anche nelle ordinarie abitudini della loro vita; mentre i laridi, soliti a star sulle ali quasi tutto il giorno, possono, quasi senza; (1) Il prof. Paolucci, uno dei pochi che si siano seriamente occupati dell'argomento delle migrazioni ornitiche in Italia, negl’ importanti suoî « Nuovi contributi sulle migrazioni dell’avifauna marchigiana », annovera il Gufo di padule tra i migratori diurni. Io non pongo affatto in dubbio la. esattezza delle osservazioni dell’egregio collega: dirò solo che, per quanto. risulta a me, dovrei ascrivere l’As'o accipitrinus piuttosto ai migratori not- turni. Vi sono dunque delle specie (giacchè questa non sarebbe ‘la sola) che sembrano migrare tanto di giorno, quanto di notte. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI ORNITICHE . 193 | accorgersene, compiere il viaggio di migrazione, solo che dieno alloro volo una direzione determinata. cel Un’ultima considerazione è a farsi riguardo alla rapidità relativa, colla quale si compiono le due opposte migrazioni. Senza dubbio in ciò ha molta parte l'andamento della stagione. | ‘Tuttavia è cosa certa che, in generale, il passo primaverile si | compie più rapidamente dell’autunnale. Il contrario sembre- rebbe che dovesse aver luogo, se si pon mente al modo di viag- ù | giare della più parte delle specie nelle due stagioni; infatti, in autunno gli uccelli passano per lo più veloci, incalzati dal cat- tivo tempo, mentre in primavera avanzano più lentamente, a tutto loro agio. Tuttavia fanno più presto, perchè in autunno, come se sì muovessero a malincuore, incontrando luoghi adatti rigore della stagione non li costringa nuovamente a prose- guire. Invece al ritorno il viaggio è più diretto, senza lunghe soste: gli uccelli tiran dritto, come sospinti dal desiderio di rivedere le antiche sedi e dal bisogno di deporre le uova. ‘Quello è il viaggio dei profughi, costretti ad abbandonare i] paese natìo diventato squallido ed avaro: questo è il ritorno «degli esuli, lieti, innamorati, nella lor patria ridivenuta pro- . «diga e festosa, 1 cui vista li empie di quella gioia, che così bene esprimono colla dolcezza del canto. Roma, dicembre 1895. ‘volentieri si fermano, e vi si trattengono, finchè l’accresciuto - ISTITUTO 700L0GICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA i . Diretto «dal Prof. A. CARRUCCIO s UN CASO DI NYTASIS DER LARVE DELLA SARGOPILAGA CARNARIA Mare. Comunicazione fatta alla Soc. Rom. per gli Studi Zoologici dal Dottor Giulio Alessandrini, assistente nel predetto Istituto. Dal nostro consocio sig. Michele Gatti ebbi in dono sette larve di dittero che un suo amico, il dott. Tito Candelori, me- dico-chirurgo in Castel Messer Raimondo (Teramo) aveva estratte dalle cavità nasali, d’un uomo, che era a lui ricorso per esser curato di un male molto fastidioso al naso. L’ infermo era in uno stato veramente compassionevole di miseria e sudiciume. Il dott. Candelori, osservando attentamente le cavità nasali, ben presto s’accorse di essere in presenza a delle larve che si erano fortemente conficcate nella mucosa ed in essa avevano pro- dotto delle ulcerazioni. Con l’aiuto di un ago ricurvo ad uncino potè estrarle tutte con facilità e quindi, dopo una accurata polizia e disinfezione, migliorò talmente le condizioni dell’infermo, che pochi giorni dopo fu licenziato completamente guarito. Delle sette larve, che: ora posseggo, due sole sono in per- fetto stato di conservazione, essendo le altre, quale più quale | meno, lacerate. Misurano circa da 12 a 15 mm. di lunghezza, per una larghezza di 5 mm.; d’un bianco gialliccio un po’ sudicio ; sono cilindriche in quasi tutta la loro lunghezza e solamente al- quanto ristrette in avanti ed indietro. L’estremità anteriore è armata di due uncinetti neri, cornei, robusti, molto aguzzi ed un poco rivolti all’infuori. L’estremità posteriore è ottusa, incavata e verrucosa. Ciascun segmento si presenta ricoperto di sottili spi- nuzze chitincse tutte uguali fra loro e disposte senza simmetria. Per questi caratteri e per la perfetta somiglianza ad altri esemplari, con i quali ho potuto confrontarle, e di cui la dia-. gnosi non è dubbia, ritengo che queste larve. PDA ron ona alla Sarcophaga carnaria Meis. In altra mia memoria (1) ho parlato dei casi più impor- (1) G. ALESSANDRINI. faro caso di parassitismo ecc. - Bollet. Soc. Lom. Studi Zoologici, vol. IV,. pag: 278-289 - 1895. UN CASO DI MYIASIS PER LARVE DELLA SARCOPHAGA CARNARIA 195 tanti di myiasis fermandomi.di preferenza a quelli prodotti da larve cuticole, che in realtà sono i meno frequenti. Scopo quindi di questa mia breve memoria si è quello di dare una nuova contribuzione a questo studio, e dimostrare con un nuovo fatto che giuste erano le congluciona alle quali.pervenivo nel e. mio lavoro: che cioè la myiasis può dirsi esclusiva in quegli uomini in cui la nettezza personale lascia molto a desiderare. i Infatti le Sarcophagae adulte, che vivono sui fiori, spe- cialmente delle ombrellifere, e si cibano del loro Se solo all’epoca della deposizione delle larve ricercano le sostanze animali e vegetali in decomposizione, ma in special modo le prime. È quindi facile trovarle su tutte le carni in via di putrefazione, sui cadaveri, sulle piaghe e ferite lasciate allo scoperto ed anche nelle cavità naturali dell’uomo ad esse fa- cilmente accessibili, specialmente se da queste, per la poca pulizia, emana un odore poco gradito. Pervenute in queste cavità, per la loro straordinaria fe- condità, per il rapido sviluppo e quindi per l'enorme quantità di alimento necessario alla nutrizione di tante voracissime ‘larve, si produce una perdita di sostanza che alle volte può cagionare persino la morte dell'individuo che le ospita. I casi interessantissimi riportateci dal Roulin e: dal Clo- « quet ci dimostrano che esse non si contentano di divorare le "mucose delle cavità naturali, ma perforano e divorano anche | icomuni integumenti, riproducendo in tutte le sue particolarità | l’orribile malattia di Giobbe. Nessuna parte del corpo umano fu da esse risparmiata e se ne rinvennero persino nel fegato (Bianchi) (1) sia nelle vie biliari, sia nel parenchima epatico, ove si erano scavate i delle io distinte e separate producendo nell’ infermo un 7 Libero grave accompagnato da cachessia, febbre e diarrea. SI - Casi di simile entità sono fortunatamente eccezionali. Ma disturbi meno gravi possono essere prodotti dalla presenza di _ larve di Sarcophaga nelle cavità nasali. La conoscenza del - (1) BrancHI 1. B. De nat. în humano corpore vitiosa morbosaque ge- neratione historia. Augustae Taurincrum = 1749. 196 ALESSANDRINI GIULIO dolor di testa che esse producono era noto, come ho già detto altra volta, persino agli Arabi (1) ed Avicenna (980-1037) ne descrive i sintomi e la cura. Molto più tardi nel 1610 Ange- linus Fulvius parla di un verme uscito dalle narici (2) e il dottor d’Astros (3) riferisce il caso di una donna, la quale, addormentatasi in aperta campagna, fu assalita da mosche, | che deposero le loro uova nelle sue narici, e, dopo cinque giorni di sofferenze ed in seguito ad una epistassi, l’inferma espulse 113 larve che forse appartenevano alla Calliphora vomitoria. Legrand du Saulle (4) cita il caso di una giovanetta di nove anni nei cui seni frontali furono rinvenute delle larve, che avevano determinato una violenta cefalea accompagnata da convulsioni. Secondo il mio modo di vedere la gravità dei fenomeni dipende dalla maggiore o minore quantità di larve che la mosca-madre è riuscita a deporre sul corpo o nelle cavità na- turali dell’infelice ospite. Nel nostro caso la Sarcophaga adulta, approfittando del sonno del pover uomo, ha deposto sulle sue narici tutte quelle larve che il tempo le avrà permesso di deporre. Ed è fortuna se vengono scacciate presto, poichè si cal- cola che una sola mosca contenga nel proprio ovidutto fino a 20000 larve. Queste, appena espulse, vanno a cercare il luogo più adatto al loro ulteriore sviluppo, si addentrano nelle cavità nasali ove si fissano cogli uncinetti producendo dapprima una sem- plice irritazione della mucosa e quindi la sua ulcerazione. I sintomi, che sul principio si manifestano, sono quelli di una rinite acuta, cioè: dolore gravativo, bruciore e prurito delle ca- vità nasali accompagnati alle volte da dolore alla fronte per diffusione del processo infiammatorio ai seni frontali. A questi fenomeni si aggiunge sovente un senso di formicolio molto molesto ed un rumore particolare, simile a quello che produ- cono gli insetti quando rodono il legno. Alla secchezza della (1) MorcagnI. De sedibus et causis per anatomen indagatis. Epist. (2) AnGELINUS FuLvius. De verme admirando per nares egresso - Ra- venae, 1610. i (3) Vedi MoQuIN-TANDON. A. Zoologie Medicale - Paris 1862, pag. 223. (4) LEGRAND DU SAULLE. Observation de larves vivantes dans le sinus frontaux ecc. Comptes rendus de l’Acad. des Sc. XLV, 1857, p. 600. UN CASO DI MIIASIS PER LARVE DELLA SARCOPHAGA CARNARIA 197 "mucosa segue una secrezione di un liquido acquoso, abbondante ‘ed irritante, che non tarda a divenire purulento. La respira- zione, per l’ occlusione delle fosse nasali, viene ostacolata, la voce si rende nasale ed ordinariamente vi è febbre. | All'esame diretto, previa una lavanda con semplice acqua bollita, si scorgono le larve aderenti colla loro estremità an- iL alla mucosa nasale, che si presenta ulcerata, ove san- guinante ed ove ricoperta di croste secche. Nei casi più favorevoli, dopo cinque o sei giorni dall’inizio, in seguito a sternuti od epistassi le larve possono essere espulse ‘e gradatamente tutto ritorna allo stato quo ante. Ma alcune volte, sia per il numero stragrande delle larve invadenti, sia per -la imperdonabile trascuratezza o per l’impossibilità del paziente di farsi curare, i fenomeni si aggravano in modo straordinario. Ai sintomi Mr s° aggiunge l’edema della regione nasale che si estende alle parti vicine, l’epistassi diviene abbondante ‘ed i dolori sopra-orbitari si accentuano sempre di più. La pelle gonfia ed edematosa si ulcera per dar luogo ad uscita di una 0 più larve, le quali altre volte possono invadere il velo pala- tino, le orbite, le palpebre ed anche la cavità boccale. I sintomi generali prendono allora una grave intensità, vi ‘è febbre elevata e delirio in seguito alla infiammazione dei seni | frontali con propagazione alle meningi cerebrali. In questo caso la prognosi è del tutto sfavorevole e la morte non tarda a venire. Tutti i mezzi antielmintici ed antisettici sono stati espe- rimentati: la decozione di tabacco, l'etere, il cloroformio, la ‘trementina, la benzina, 1’ acido plico: ecc. ma non sempre ‘con esito favorevole sopratutto per la difficoltà che s'incontra di farli venire a contatto colle larve, essendo la mucosa rigon- fiata ed ostruendo le narici. Quindi la miglior cura è la chirur- ;gica, procurare cioè l'estrazione delle larve nel modo e coi mezzi più acconci ed il più presto, perchè la guarigione possa avve- nire sollecita e colla minor perdita di sostanza possibile. Roma, decembre 1896. | Bollettino. della: Società Romana per gli Studi Zoologici nd RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE PER IL Pror. RINALDO MARCHESINI Lihero docente d’Istologia nella R. Università di Roma (Ccmunicazione fatta alla Società Romana per gli Studi Zoologicì) Un lavoro di ricerca nella struttura e funzione della fibra muscolare liscia e striata che oggi si venga a fare offre una certa difficoltà per se stesso, e se si pensa anche al numero ed al valore degli autori che l’hanno già studiato, ognuno dando interpretazioni diverse. C'è di fatto chi ammette nella fibra muscolare striata (1) degli elementi brevi, intercalati ed ingrossati all’estremità, e dagli ingrossamenti dei quali si ha l’apparenza della striatura. trasversa. Chi vi scorse una rete di natura nervosa (2) e chi ammise un reticolo trasversale (8, 4, 5, 6) differendo solo in parte nell’interpretazione di esso. Non manca chi neghi anche l’esistenza delle fibrille lon- gitudinali nel muscolo striato (7) ed ammetta un reticolo ed un enchilema, come in una cellula un poco modificata. Riconosciuta dai più l'esistenza delle fibrille primitive | (1) ALB. ScHaEFER, Minute structure of the Leg - muscles of the water bectle ( Dysticus marginalis) = TEZDRE transactions, Vo- lume LXIII, 1873. (2) GerLACcH, Daz verhaltniss. der nerven zu den willkirlichen mu- skeln der wirbelthiere - Sitzungsber der phisik med Societat zu Krlangen Heft V, p. 93, 1873. (3) G. THIN, On the structure of muscular fibre, Quart Tournal of. micr. Sc. Vol. XVI, n. 5, 1876. (4) BiepERMANN, Zur Lehre vom Bau der quergestreiften muskelfaser, Sitz d. Mathem, naturw. Cl. d. k. akad. 2, Wien Bd. LXXIV, II alth., 1876. (5) ii Ueber die muskelspìîndeln nebst Bimertang al iiber Structur, Venbindung und Innervation der quergestraiften muskelfaser, Arch. f. mikr. anat., 1883. (6) LEYDIG, Zelle und Gewebe, Bonn, 1385. (7) VAN GeHUCHTEN, Etude sur la structure ‘intime de la cellule musculaîre striée, La Cellule, T. II, 2. fasc., 1886. 199 \ A î DA { RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE sostenuta dal Kolliker, ed abbattuta la teoria dei dischi del . Bowmann (1), essendo ancora insufficiente l’osservazione, si è ricorso a nuove teorie per spiegare la contrazione muscolare. Ed è così che abbiamo la teoria dei disdiaclasti del Briicke (2) con il loro orientamento a seconda la contrazione ; la teoria di Krause e Klein (8) secondo i quali i fasci Lugcolt sa- rebbero divisi in tanti setti, i quali dividerebbero le fibrille in tanti sepimenti, entro cui la sostanza muscolare potrebbe muoversi o contrarsi. Questa teoria viene abbracciata anche dal Merkel (4) il quale però oltre la chiusura formata dal disco stretto, ammette anche un altro setto, corrispondente alla stria «di Hensen. Il Ranvier (5) ritiene il fenomeno essenziale della con- trazione che consista solo nel cambiamento di forma e di vo- lume del disco spesso. Il Rouget (6) poi si scosta molto da queste diverse interpretazioni e ritiene che il fenomeno della contrazione possa essere spiegato colla forma a spirale che può prendere la fibrilla muscolare, e che esso rassomiglia allo stile della vorticella. Il Rouget però non dimostra questa sua as- serzione. A. guida di questo studio due cose sono parse necessarie; ‘trovare cioè un reagente adatto, e studiare l’evoluzione della fibra muscolare, rifacendo la sivada da dove gli organismi do- vevano presentare per il posto filogenetico da loro occupato una ‘struttura meno complicata, fino a giungere a quelli dove l’organizzazione appaja la più perfetta. ‘Questo studio doveva portare a due conclusioni: alla conoscenza dell’evoluzione che (1) Bowmann, Philosophical Transactions, 1840, part. 2, p. 69, e 1841, part. 1., pag. 457. (2) Briicxe, Untersuchungen iiber... (Mém. de l’Accad. des sciences de Vienne, T. XV, 1858). (3) Krause, Ueber den Bau der quergestreiflen muskelfaser (Zeischr, f. ration. medicin, 1868). (4) MERKEL, Der quergestreifte muskel (Arch. f. micr. anat. 1872). (5) RE Traité tecnique d’histologte, (6) RouGET, Journal de la physiologie, t. VI, 1865, pag. 893. 200 RINALDO MARCHESINI subisce nella sua struttura istologica la fibra muscolare attra-. verso la serie sempre più perfezionata degli animali, ed alla spiegazione della funzione diversa che essa deve compiere, adattabile alle manifestazioni vitali dell’essere che la possiede, differente per conseguenza a seconda delle abitudini din male stesso. A questo scopo si è dovuto scegliere alcuni tipi di ani- mali in cui la funzione muscolare fosse determinata a scopi distinti, per poi giungere a quelli in cui la do della funzione li abbracciasse tutti. Muscoli di natura primitiva, ed il cui ufficio non sia adi-. bito a movimenti svariati e complessi, si è creduto ritrovarli in quelli che fanno da cerniera nella tellina (tellina planata) e di cui l’animale si serve solo per i movimenti d’apertura e di chiusura delle sue valve. Essi però hanno già acquisito un. carattere, quello della forte contrazione e della fermezza. Muscoli che alla robustezza della contrazione possono unire la rapidità dello scatto si è creduto ricercarli in animali atti. al sotto, come ad es. nella pulce (pulex irritans). Muscoli che alla contrazione, alla rapidità dei movimenti, possono ‘unire un numero esagerato di vibrazioni al minuto primo, non potevano meglio ricercarsi che nelle ali di alcuni ‘insetti, come ad es. della mosca (musca domestica). Degli ani- mali poi che avessero muscoli simili a quegli degli esseri su- periori, ma più grossolani, per così dire, più primitivi, e quindi più facili per la interpretazione logia è parso migliore l’idrofilo (Aydrophilus piceus). i Muscoli, infine, che a tutte le qualità sopra descritte unis- sero la plasticità, la mimica del movimento, si riscontreranno negli esseri più perfezionati ed essenzialmente nell’uomo. Lo studio dello stadio embrionale del muscolo c’insegnerà come la cellula che potremo chiamare caroblasta si trasformi in sostanza contrattile; e così lo studio dei muscoli lisci e di quelli del cuore degli animali, che partecipano della natura della fibra liscia e della fibra striata, ci serviranno a comple- tare lo scopo di queste ricerche. Questo lo schema del lavoro, e vediamo ora se le pre- venzioni abbiano raggiunto il fine desiderato, vediamo cioè se Ì RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE 201 l’ordine dato al nostro studio corrisponda pure a modificazioni ‘istologiche, che ci diano la spiegazione della struttura e la ra- gione delle funzioni fisiologiche diverse del muscolo, a seconda della natura dell'animale che la possiede. Il metodo di colorazione adoperato non è altro che una soluzione di solfato di ferro al 4 per 100 in cui si tiene il pezzo muscolare per 24 ore, e questa soluzione va fatta di “fresco ogni volta che serve. Dalla soluzione di ferro sì pas- sano i pezzi anatomici per qualche minuto a qualche ora, in «una soluzione satura di acido tannico. Poi si lavano abbon- dantemente in acqua e si osservano in glicerina (1). Se si isolano delle fibre muscolari dal robusto fascio mu- ‘scolare che fa da cerniera nelle valve della tellina, alcune di esse appaiono distese, rigide ed affusate come fibrelle lisce; altre ritorte, ondulate come nn fascio di fibre connettivali. Col metodo di colorazione sopra esposto esse mostrano una strut- tura tutta speciale. La fibra rigida affusata non è omogenea, essa presenta striature finissime intrecciate ed in modo da richiamare a prima vista la struttura di un pleurosigma. Cioè in essa noi riscontriamo tre ordini di striature: striature longitudinali ed ordini di striature opposte trasversali oblique che nello insieme pare che dividano la fibra in tanti piccoli rettangoli. Questa però non è che un’apparenza ottica, poichè mace- rando a lungo la fibra essa si riconosce formata da un fascio di esili fibrille, le quali essendo ritorte sopra loro stesse in forma di spirale, e vedute di faccia e per trasparenza, danno È - naturalmente alla fibra intera Papparsnza di tante strie longi- tudinali e trasverse. Studiando alla loro volta l’altro ordine di fibre che si pre- sentano contratte, si vede che alcune di esse assumono la forma di un cava turaccioli, altre qnella di una spirale ristretta su (1) Il metodo di colorazione non era stato pubblicato nella memoria: Untersuchungen ‘ber die glatte und die gestreifte Muskelfaser von dott. Rinaldo Marchesini scritta, sull’ Anatomischer Anzeiger. Herausgeg von prof. H.von Bardeleben in Iena- Verlag von Gustav Fischer în Jena, XI, Band, Nv. 5, 1895. v 202 RINALDO MARCHESINI se stesa e tanto da dare l’apparenza di una vera fibra striata. Tra queste due forme poi vi sono tutti i termini di passag- gio. Queste fibre così contratte si osservano pure formate da fasci di fibrelle esilissime intrecciantesi tra loro. Tale dispo- sizione speciale della fibra muscolare della tellina ci spiega la loro funzione. In questi animali infatti non si richiede altro ufficio dalla fibra. muscolare che quello di potersi accorciare o distendere. Ora siccome le forze che presiedono a questi due movimenti di distensione e di accorciamento non possono avere che due sole direzioni: o parallele all’asse della fibra o per-. pendicolari ad essa, la disposizione migliore in cui poteva adat- tarsi la fibra per rispondere a questi due movimenti non. poteva essere che quella di disposizione a spirale. Sicchè il movimento di chiusura e di apertura delle valve l’animale lo compie mediante un giuoco di spirali, le quali non solo costi- tuiscono la struttura stessa della fibra; ma a spirale si dispone anche l’intera fibra per raggiungere la sua contrazione. Ab- biamo così riunita la massima forza nel minore spazio pos- sibile. | Nello stato tonico poi e nella contrazione tetanica della fibra muscolare, come abbiamo visto la spirale si stringe e si schiaccia, ed allora la fibra muscolare può assumere l’apparenza della fibra muscolare striata: primo passo a tale trasformazione. Se si studiano ora i muscoli delle zampe della pulce, tro- veremo che le fibre muscolari hanno assunto già caratteri molto avanzati ed adatti alla vita di quest’animale. In questi è scomparsa la forma di fibrocellula, qui la fibra si è già com- plicata e presenta la struttura di piccoli muscoli striati. Con lunga macerazione e con accurata osservazione si scorge pure la forma a spirale del muscolo 7 foto, che qui è già un fatto acquisito e permanente della fibra, ed a mantenerla in questo stato contribuisce la presenza di un’altra formazione istologica, cioè a dire il sercolemma. La fibra può rimanere così allo stato di spirale stretta mediante questa fascia di connettivo che la ravvolge o che le fa da punto d’appoggio nella con- trazione. Questi muscoli striati sono primitivi solo in questo, in quantochè ci fanno ancora travedere la loro origine, e per- chè sono meno differenziati degli altri. Se ci accade poi di I RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE 203 ‘osservare Hi traverso una di queste fibre muscolari, essa non sì presenta più appiattita come quella della tellina, ma è ro- tonda o poligonale, e mostra ad evidenza la desio rag- giata delle fibrille che la costituiscono. Si vuole con ciò dire che in queste la spirale si è tanto chiusa da assumere quasi le forme di una spirale. a chiocciola. Sicchè la disposizione a spirale che abbiamo già riscon- | trata nella fibroceilula della tellina, nello stato di contrazione della fibra muscolare, nella pulce invece, e così come vedremo negli altri animali superiori, la disposizione permanente a spirale od in uno stato simile a questo; essendo già un fatto acquisito e perciò permanente nella fibra muscolare, ci deve rappresentare e dare la spiegazione della forza latente del mu- scolo allo stato di riposo: ossia dello stato tonico della fibra muscolare. In tal modo già in questi animali alla capacità funzionale della contrazione si è unita un’altra proprietà, che è quella della contrazione rapida, dell’elasticità cioè del mu- scolo, ed adatta e solo necessaria in quest’animale atto al salto. E questa disposizione non poteva essere meglio ASSI che con la forma permanente a spirale. Prendendo ad esaminare una fibra muscolare delle zampe dell’idrofilo e trattandola con i reattivi voluti si sa che essa si scinde facilmente in fasci di fibrille primitive. In queste fibrille gli autori hanno rinvenuti o descritti dei dischi chiari e dei dischi scuri, e di più altre strie secondarie; e partendo da queste apparenze ottiche hanno dato spiegazioni diverse relative alla contrazione del muscolo. Trattando questo muscolo con il nostro speciale reattivo ed osservandone le fibrille isolate ad immersione omogenea si è trovato come primo fatto che la’ striatura trasversa della fibrilla è fatta da linee regolari e ad egual distanza tra loro, lungo tutta la fibrilla; e queste tanto nel disco scuro, quanto nel disco chiaro. E di tali linee, per esprimerci fin da ora, dagli autori non sarebbero state vedute bene e descritte ac- curatamente, che una nel disco chiaro, dall’Amici e dal Krause, ed una nel disco scuro dall’Hensen; e che vengono appunto ticordate sotto i loro nomi. Quale spiegazione può darsi alla presenza di queste strie 204 RINALDO MARCHESINI trasverse in rapporto alla teoria della spirale? La spiegazione ce la darà la fibra stessa. Macerando al solito a lungo queste.» fibrille primitive nel reattivo si è riusciti a poterle vedere A scisse in tanti fili di fibrille esilissimi e ritorti pur essi a. © spirale, e questi fili uniti insieme e. corrispondentisi esatta- | mente per le loro piccole curvature danno alla fibrilla l'aspetto. | della striatura trasversa. Ma come spiegare ora la natura dei | dischi chiari e dei dischi scuri, che pure entrano a comporre. la fibrilla ? È; Oltre alla costituzione già accennata della fibrilla musco- lare essa, per rispondere meglio alla sua funzione assume una disposizione tutta speciale. Se cioè ci facciamo ad osservare una fibrilla primitiva d’idrofilo, che sia stata un poco stirata, essa ci apparirà ondulata, e questo stato speciale della fibrilla. a noi dà la parvenza dei dischi chiari e dei dischi oscuri. Tale ondulamento non è altro che il risultato della forma a spirale della fibra primitiva. Sicchè la suddivisione della fibrilla. primitiva in dischi chiari ed in dischi scuri non sarebbe che una parvenza dovuta agli effetti di ombra per le regolari e ) simmetriche curvature dell’intera fibrilla. ni In tale maniera viene pure spiegata la striatura trasver- s sale dell'intera fibra muscolare: giacchè essa non sarebbe che la risultante di tutte le curvature delle singole fibrille primi- tive corrispondentisi esattamente e di più saldate insieme. E. i che questo sia è anche ragionevole il pensarlo, perchè in tal | modo solo l’intera fibra muscolare può agire sincrona nelle sue diverse funzionalità. DR Questo fatto, che cioè le diverse fibrille primitive per es- sere più concordi nel movimento debbono essere saldate per - la parte loro più robusta, ossia nel punto di ripiegatura, ci. viene anche dimostrato; giacchè se si pone a macerare una fi- bramuscolare con reattivi speciali, essa con molta facilità può A scindersi nei così detti dischi del Bowmann, da tutti gli au-. tori ritenuti oramai come effetto della macerazione della fibra. Ora se ciò ci spiega un fatto d’alterazione, ci mostra pure ad evidenza che le fibrille primitive, per essere più adatte al mo- vimento simultaneo di contrazione e di distensione, non pote- vano essere rigidamente riunite in tutta la loro lunghezza, ma ad intervalli equidistanti. Ciò che può dare la peculiare disposizione ai dischi di Bowmann all’intera fibra macerata, e che ci da ragione nello stesso tempo del come sieno riunite tra loro le fibrille primitive e del loro modo di funzionare. Ora da ciò che si è andato esponendo si è visto come la fibra muscolare ha dovuto subire delle modificazioni essenziali per adattarsi a nuove funzioni. Giacchè non è poi l’attorci- gliarsi di un fascio di fili di fibrille, come abbiam visto nella telline, o il differenziarsi di queste fibre ritorte in un mazzo. di fili a spirale, ecc., ma qui il muscolo si è accresciuto e mo- dificato, complicandosi nella sua. struttura: esso ci appare ora come l’insieme di più fibrocellule che si uniscono, modifican- dosi alla lor volta per formare il muscolo stirato, che deve rispondere a funzioni perfezionate. Giacchè pure mantenendo la proprietà della semplice contrazione, per rispondere meglio alle altre funzioni a cui è destinato il muscolo, per la varia- bilità dei suoi movimenti, dovevano avvenire modificazioni nella fibra, che pure stando d’accordo con la prima origine della forma a spirale dovessero dare resultati più complessi. A questo la fibra muscolare striata è arrivata prima collo scin- dersi in gruppi di fibrille primitive, colla suddivisione cioè del lavoro; e secondo col modificare la sua fibrilla da spirale in una forma che della spirale ne avesse tutte le proprietà, ma che si potesse adattar meglio all’esigenza della funzione. E l’u- nica modificazione che possa assumere una spirale in mecca- nica, senza perdere le proprietà, è appunto la forma a sof- fietto, il che si ottiene facilmente stirando una spirale. In tal modo colla suddivisione delle fibre in fibrille primitive, e con la disposizione di queste a soffietto, la fibra muscolare striata ha potuto riunire alla forza di contrazione, alla elasticità, la moltiplicità dei movimenti di cui appunto son capaci i mu- ‘scoli degli animali superiori. Questa disposizione osservata nei muscoli dell’idrofilo si | riscontra la stessa nei muscoli striati di altri animali, ed una differenziazione può solo esistere riguardo all’esilità che pos- sono assumere le fibrille primitive; e questo sempre in rap- porto a funzioni più squisite del muscolo stesso. Quanto ora si dice è facile a riscontrarsi se si mettono a confronto ad es. RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE 205. 206 RINALDO MARCHESINI LO ...._ CS; rii le fibrille delle ali di una mosca (atte come si sa @ fare vi- brazioni numerosissime al minuto primo) con le fibrille dei muscoli delle zampe dell’idrofilo. Un altro fatto istologico che deve pure stare in rapporto con la funzionalità più o meno squisita del muscolo sono le distanze apparenti tra i dischi chiari ed i dischi scuri, che pet noi invece corrisponderebbero alle distanze delle ripiegature delle fibrille; e queste sono più corte 0 più lunghe a seconda che l’onda di contrazione debba essere più o meno celere. Ma in tutti i muscoli e non sempre si possono osservare i particolari ora citati e specialmente poi se si adoperano i reattivi ordinari. Questo però è facile a spiegarsi pensando come la fibrilla si sia dovuta adattare a questa forma, e se anche le singole ripiegature non siano rimaste là rigide come si son formate, non è per questo che si debbono negare. Esse coll’adattamento hanno dovuto subire necessariamente una mo- dificazione consolidandosi, e laddove originariamente vi era una ripiegatura può oggi essere rimasto un condensamento della . sostanza della fibrilla; cosicchè la differenza tra i dischi chiari e tra i dischi scuri sarebbe data solo dal diverso stato di con- densazione delle fibrille. primitive. E perciò lo schiacciamento allo stato di contrazione della fibrilla sarebbe più a carico della zona chiara meno densa che della scura. Tale osservazione viene fatta per spiegare anche il di- verso grado di rifrangenza della sostanza muscolare. Così si spiega pure come dopo lungo maceramento la fibrilla pessa scindersi in sarcoelementi, che corrisponderebbero alla parte contratta della fibrilla e perciò più resistente; laddove la parte chiara e meno densa, o scomparirebbe per macerazione, o non sarebbe visibile appunto per la sua trasparenza. Con ciò si vuol dire e ripetiamo che le ripiegature che costituiscono i dischi scuri o si arriva a scorgerle come nelle fibrille del- l'idrofilo ed allora è facile persuadersene, 0 sé anche non si potessero vedere distinte come in altri muscoli, ciò non ci’ deve condurre a negarle, perchè la fibra come abbiamo visto progredisce sempre nella sua complicata struttura, e non to- glie affatto, il nuovo stato che possa assumere, al suo vero modo d'origine. RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE 207 Da ciò che si è detto ‘non è qui più il luogo di parlare di un reticolo plastinico della fibra muscolare striata secondo Van-Gehuchten; ma siccome questo autore sostiene anche che una fibra muscolare striata derivi da una semplice cellula ingrandita e modificata, e di più che il sarcolemma non sia che la membrana cellulare primitiva modificata; a questo pro- posito trovo covenevole esporre quali siano le mie osservazioni. Il Mingazzini (1) studiando 1’ origine delle fibre striate nella chela dell’astacus fluviatilis, dimostra contrariamente alle idee del Gehuchten come la fibra muscolare striata derivi dalla trasformazione della sostanza contrattile del protoplasma di più cellule e non da una sola cellula. Queste sue osservazioni io le ritrovo giustissime ma me ne discosterei solo in qualche particolare, Studiando sopra girini e larve di tritone si osserva che le cellule che danno origine ai muscoli (caroblesti) si presentano primitivamente con grosso nucleo e con protoplasma cellulare leggermente affusato. Questo protoplasma si allunga poi secondo l’asse della futura fibra e diventa fibrillare; il nucleo si scinde in due restando però ancora uniti da un filo di protoplasma, e così questi due nuclei alla loro volta si scindono pure e si collo- cano tutti lungo la fibrilla, che in questo modo si allunga; finchè tutta la cellula si riduce ad una fibrilla primitiva ed i nuclei spariscono. Più cellule che così si modificano rima- nendo addossate le une alle altre finiscono per costituire un fascio di fibrille primitive, e sovrapponendo poi i nuclei spe- cialmente nella porzione media si viene così a costituire una fibra striata. Qui la fibrilla derivata dalla cellula embrionale ha già acquistato il carattere di fibrilla muscolare striata e perciò già si presenta differenziata. Essa però con osserva- zione più accurata si vede che è alla sua volta la resultante di fili di fibrille esilissimi, i quali provengono dal protoplasma di ogni cellula e che si modificano allungandosi ed intreccian- dosi tra loro, per dare poi origine come si è visto alla fibrilla primitiva striata. (1) P. MingazziNI, sul preteso reticolo plastinico della fibra mu- scolare striata: Boll; della Soc. di Nat. în Napoli an. II, fase. 1°. 208 RINALDO MARCHESINI Per completare il lavoro ho voluto anche sottoporre alla osservazione le fibre muscolari liscie dell’ intestino del gatto, come quelle che meglio si prestano alla ricerca, per vedere quali rapporti esse abbiano con le fibre muscolari striate. Trattati dei pezzetti d’intestino di gatto con una soluzione | forte di acido nitrico e fattala agire a lungo, fino a dissocia-. zione completa, e sottoposte poi queste fibre così isolate alla. solita colorazione di cui più sopra è microscopio ci si può accertare che la struttura della fibra. liscia è proprio simile a quella che abbiamo riscontrata nella. fibrocellula della tellina. Così a dire si riscontra che la fibra. LI liscia non è omogenea, come a prima vista può apparire, ma essa è costituita da tanti fili intrecciati in cui si è differen- ziato il protoplasma cellulare. Di più con lunga macerazione si viene a scoprire che alcune fibre lisce sono alla loro volta un insieme di fibrocellule più piccole saldate insieme Così che ogni fibrocellula contiene più di un nucleo e. risulta dalla riunione di più cellule embrionali modificate: e per lo accollarsi che fanno fra di loro non rimane evidente che il nucleo centrale perchè gli altri si sono in tutto o in parte atrofizzati. Studiando a questo scopo difatti nei girini e nelle larve dei tritoni dei tagli in corrispondenza dell’epitelio inte- stinale, si arriva a, scorgere facilmente l’ origine e la forma- zione delle fibre lisce; le quali appunto risultano formate, come | per le fibre striate, da cellule prima ovalari, il cui protoplasma poi si allunga ai due lati opposti del nucleo in filo sottile; e queste cellule accollandosi poi a due.a tre strettamente fra di loro, vengono a dare origine ad una fibra liscia. Qui la differenza con la fibra striata sta solo in ciò che le cellule embrionali subiscono solo una piccola modificazione, allungan- dosi a fuso, ma conservano ancora la loro natura cellulare primitiva. Nel riunirsi a formare la fibra non perdono total- mente la loro individualità, perchè alcune conservano ancora in parte il nucleo, come può vedersi con lunga macerazione e colorazione prolungata. Nella fibra muscolare striata la cel lula embrionale (caroblusta) perde tutta la sua individualità di cellula: essa, come si è visto, si allunga, poi il nucleo si scinde più di senza aloni finchè la cellula da fusi- parola, ed osservate al CAT RICERCHE SULLA FIBRA MUSCOLARE 209 forme non si sia completamente trasformata, colla scomparsa anche dei nuclei, in una fibrilla primitiva. Stando perciò a queste osservazioni la fibra liscia corrisponde in parte ad una fibra muscolare striata a cui manchi il sarcolemma. L’ una e l’altra sono la resultante di cellule fusiformi embrionali, colla ‘sola differenza che nella fibra liscia mostrano ancora la loro ‘origine e non sono chiuse in una guaina connettivale; nella | fibra striata la cellula embrionale è totalmente scomparsa 0 trasformata in una fibrilla primitiva che fa parte dell’ intero fascio che costituisce la fibra. Sicchè come si scorge la fibra . muscolare striata sarebbe uno stadio assai più progredito della fibra muscolare liscia; ma medesima ne è l’origine embrionale. Sottoponendo all’ osservazione i tagli di un cuore di un piccolo embrione di coniglio si può riscontrare come anche l’origine delle fibre muscolari striate del miocardio sia dovuta a cellule fusiformi, colla sola differenza che queste si veggono disporsi a reti intrecciate e non in fila come per i muscoli del tronco. Crescendo secondo questa disposizione esse danno luogo alla formazione di fibre muscolari ramificate e ciò per- chè le fibrille primitive non rimangono a comporre fibre mu- scolari isolate, ma da un fascio unico, dividendosi come le dita di una mano, vanno così a far parte di altri fasci pro- | venienti da altre fibre vicine. Tale disposizione della fibra | muscolare cardiaca oltre che ci spiega la funzione a cui viene ‘adibita nel cuore, ci spiega ancora perchè queste fibre non ab- biano sarcolemma. La sostanza connettivale frapposta alle maglie muscolari funziona da sarcolemma ed è su dessa che scorrono î vasi ed i nervi del cuore. Sicchè il dire che il miocardio sia formato da cellule striate trasversalmente, disposte in serie ed anatomizzate fra loro non è esatto. A persuadersi di ciò basta fare dei tagli di un cuore di rana adulta e colorarli con l'acido picrico o la saffranina e si vedrà chiara la disposizione ‘a rete delle fibrille. Queste medesime osservazioni vanno fatte per i muscoli della lingua. Cosicchè, riepilogando, le fibre muscolari tanto lisce quanto | striate risultano della riunione di più cellule embrionali (ca- roblasti), le quali nella fibra liscia rimangono ancora allo stato primitivo, e nella striata si trasformano ognuna in fibrille (gf mata da fibrille striate ma my si trovano i: ; scolemma e di più intrecciate fra di loro. i x * , E E pn Si IL CHONDROSTOMA GENFI, Bp. NELLA PROVINCIA DI TERAMO Nota di MICHELE ALFONSO GATTI Vado raccogliendo ‘i materiali necessari per avere la pos- sibilità di descrivere, quando che sia, l’ittiofauna d’acqua dolce di tutta la Regione abruzzese. Fra quelli sino ad ora raccolti . della Provincia di Teramo, vi sono certe forme che mi sem- . brano di speciale importanza e degne di un cenno preventivo. Si tratta del « Chondrostoma Gienei, Bp. >» e di una Varietà dello stesso ChRondrostoma Genei, che chiamo « Varietas: al- bicans ». Il Chondrostoma Genei è nuovo per 1’ Italia Centrale, tranne il caso che la città di Modena, la quale era prima di oggi l’ estremo limite meridionale della patria di quel Chon- drostoma in Italia, vada considerata come appartenente al- l’Italia Centrale e non alla Settentrionale. Ho fatto questa riserva, del resto non necessaria perchè i geografi hanno dato e danuo ben altri confini (1) di quelli per i quali si possa comprendere Modena nell’ Italia Centrale, per la ragione che il Canestrini (2), il quale ebbe ad esaminare solamente esem- plari del. Piemonte, di ‘Treviso, del Secchia, del Po e di Modena, afferma vivere la Lasca del Gené nei fiùmi dell’Italia Settentrionale ed anche della Centrale. Con l’essersi rinvenuta la Specie in parola in Abruzzo, e precisamente in Provincia di Teramo nelle acque del Tronto e del Vomano e del principale influente : di quest’ ultimo che (1) Questi confini si possono considerare dal lato fisico e dal lato am- ministrativo: fra l’Italia Continentale e la Peninsulare è oggi ammesso come separazione convenzionale 11 44° parallelo nord; fra la Settentrionale e la Centrale si prendono i limiti dei Compartimenti. Il Piemonte, la Lombardia, Ja Venezia, l'Emilia e la Romagna al nord, con la Liguria anche, costi- tuirebbero la porzione Settentrionale; la Toscana e le Marche a sud co- mincerebbero' quella Centrale. E ovvio come per gli studi faunistici sarebbe necessario includere nella (%entrale la Liguria a sud della linea idrotemica | delle Alpi Marittime e dell'Appennino Ligure. (2) G. CANESTRINI, Prospetto critico dei pesci d’acqua dolce d’Italia; Modena 1866: pp. 78-79. 212 MICHELE ALFONSO GATTI denominasi. Mavone, viene ad allargarsi di molto l area di distribuzione geografica del Uhondrostoma Geneî. Esso viene registrato dal Sisbold (1) e dal Gunther (2) per il Rodano; dal Siebold insieme con lo Schulze (3) anche per il Reno presso | Basilea; dall’Heckel e dal Kner (4) per l’Inn presso Brixlegg. Si è ben lontano tuttavia dalla constatazione in modo certo della presenza del Ch. Genei nelle acque dei fiumi testè accen- nati, essendo assai facile confonderlo con forme che assai gli rassomigliano, almeno esteriormente, e non accordandosi fra ‘loro gli autori circa la validità di queste altre affinissime forme. come Specie nettamente distinte da quello. Sembra al Fatio (5), per esempio, come il Siebold e il Gunther abbiano confuso il Genei, attribuito da loro al Rodano, col pesce rassomigliantegli | nei caratteri esteriori che dal Blanchard, giustamente a suo. avviso, è stato distinto sotto il nome di CR. rhodanensis; e per lo stesso Fatio ha poco valore l’ affermazione del Siebold di. avere cioè rinvenuto il Ch. Genet nel Reno a Basilea, per essere fondata sopra « l'esame superficiale » di un esemplare solo e ridotto in cattivissimo stato di conservazione. D'altra parte, non può avere valore assoluto nè pure l’asserzione dell’Heckel e del Kner dell’esistenza del Genei nel tratto dell’Iun vicino a Brixlegg, perchè non ne ritengono essi specificamente diverso il CA. rysela, Agass., il quale per il Siebold e il Gunther sono l’ibrido fra il Telestes muticellus, Bp., e il Chondrostoma nasus, Linn.,da non confondersi affatto col Genet, e vivente nel Danubio. La principale caratteristica specifica del rysela sta nell’ ala dell’osso faringeo inferiore « vorn meist mit einem bogenfòr- migen Ausschnitt »; ma a siffatto carattere il Siebold ha dato forse troppa importanza, come è .d’avviso il Leuthner (6), il quale nei pochi esemplari raccolti nel Reno a. Basilea, ossia (1) C. Tr. E. von SteBoLD, Die Siissvvasserfische; Leipzig 1863: p. 232. | (2) A. GUNTHER, Catalogue of phe Fishes; London 1868; VII: pp. 273-274. (3) E. ScHuLZE, Fauna Piscium Germaniae; Kénigsberg 1392: p. 51. (4) E. HecgEL und R. KNER, Die Siissvvasserfische; Leipzig 1858: p. 221. — (5) V. FaTIO, Faune des Vertébrés de la Suisse; Genevre et Bale 1852. DERSIE Ra (6) F. LEUTHNER, Die Mittelrheinische Fischfauna; Basel-Genf-Lyon SA APE908 i 7 Rai IL CHONDROSTOMA GENEI BP. 213 in quella stessa località, donde il Siebold ebbe quell’ unico | esemplare in pessimo stato di conservazione determinato come Ch. Genei, trovò in tutti gli stadi l'incisura all’ ala dell'osso. a data come caratteristica del rysela, e fra gli esemplari ne trovò uno che aveva per formola dei denti faringei 5-5 (rara mei rysela) e che si sarebbe potuto prendere per Ch. Geneî, | :se non avesse riscontrata l’incisura del rysela. Ad ogni modo, . ulteriori accurati studi occorrono per stabilire in modo esatto ‘se e dove trovisi il Ch. Genei nelle acque a nord delle Alpi ‘e in quelle del Canton Ticino. Per ora la sua patria certa è l’Italia, a cominciare dal fiume Varo, dal quale viene indicato «dal Moreau (1). | per ciò che riguarda l’Italia, sono le acque della sua | parte Settentrionale che la ospitano copiosamente. Ed invero, senza parlare di lavori faunistici generali come quelli di G. Ca- | mestrini (2) e di E. H. Giglioli (3), la troviamo mentovata da SS Lutti gli autori d’ittiofaune regionali e provinciali dell’Italia Settentrionale, come dal Festa (4) per il Piemonte, dal De Fi- lippi (5) e dal Pavesi:(6) per la Lombardia, dal Canestrini (Ric- ‘cardo) (7) per il Trentino, dal Tellini (8) per il Friuli, dal De , Betta (9) per il Veronese, dal Torossi (10) per il Vicentino, e così 3 | (4) E. Morzau, Manuel d’ichthyologie francaise; Paris 1892: p. 508. i Ip. , Histotre naturelle des poissons de la ‘France. Supple- Î ‘ment: p. 70. do (2) G. CANESTRINI, Fauna d’Italia; Milano s. d.: parte III p. 19. i (3) E. H. GreLIoLI, Esposizione internazionale pesca Berlino 1880; è. «Catalogo: p. 105, n. 416. (4) E. Festa, / pesci del Piemonte; estr. del Boll. Musei Zool. Anat. ; «comp. R. Univ, Torino, n. 129 (10 ag. 1892): pp. 103-107. “SE (5) F. De Finippi, Pesci finora osservati în Lombardia; in Notizie Naturali e Civili LIO Milano 1844, vol. I: p. 397. (6) P. PAVESI, La distribuzione dei pesci in Lombardia; Pavia 1896: p.28. (7) R. CANESTRINI, Pesci del Trentino e la pesca; estr. XI Ann. Soc. Alp. Trident., 1885: p. 31. D (8) A. TELLINI, I pesci e la pesca d’ acqua dolce nel Friùli; estr. p Annali R. Istituto tecnico Udine, s. II, a. XIII (1895): p. 66. (9) De BETTA, Ittiol. veronese; p. 95 - meil., Materiali per una Fauna veronese; Verona 1863: p. 137. (10) G. B. Torossi, I pesci e î molluschi fuv. della prov. di Vicenza ; Vicenza 1887: p. 16. Bollettino della Società Romana per gli Studi Zoologici. 15 214 | MICHELE ALFONSO GATTI via, fino a giungere al Carruccio (1), che è l’ultimo degli zoologi che abbia annoverato il ChRondrostoma Genei fra i pesci del Modenese. Su larga scala è dunque distribuita, come. vedesi, questa Lasca: nell’Italia Settentrionale, dove è in generale co- mune in tutti i fiumi; ma, mentre essa poteva formare prima, non solo per l'abbondanza ma anche per l'habitat, una delle caratteristiche della fauna del Settentrione della nostra penisola, le presenti ricerche portano molto più a sud i limiti della sua patria, e forse successive indagini potranno, se mai, assegnare, come limiti estremi, fiumi ancora più meridionali del Tronto e del Vomano. | Il Chondrostoma Genei è comune nel Fiume Tronto: man- cante dalla foce fino a sotto Controguerra, vi si rinviene da Controguerra in su fin presso Ancarano. Il suo nome volgare è quello di « Aosezò ». Nel Vomano bisogna risalire il corso e giungere a Fontanelle (frazione di Atri) per trovarla. Da Fontanelle procedendo per un bel tratto oltre Montorio, vi si rinviene sempre e frequentemente. Ma non ha affatto un nome volgare proprio, venendo confusa con le « Muielle di fiume » Squalius cephalus (Linneo) di piccola statura. Vive finalmente lungo tutto il Mavone, tranne vicino alle sorgenti. Non vi è molto abbondante, come in generale non vi sono molto abbon- danti le altre Specie, per particolari ragioni dipendenti dalla natura di questo’ impetuoso torrente. Quei di Basciano e di. Castel Castagna usano il nome volgare: « Rosciola ». Dei molti individui di Chondrostoma Genei avuti dalla porzione di Vomano che scorre non molto lungi dalla già accennata località Fontanelle, parecchi differiscono dagli altri per determinati caratteri costanti e non dipendenti affatto da ragioni di sesso. Costituiscono, secondo me, una Varietà, che denomino « Albicans » e che passo a descrivere, fondandomi sull'esame accurato di all’incirca una sessantina di esemplari. L (1) A. CarRruccIo, Contribuzione alla Fauna dell'Emilia (Vertebrati del Modenese); estr. Alti della Società dei Natur. di Modena, s. III, v. ds Modena, 1883: p. 54. pi cai IL CHONDROSTOMA GENEI BP. 215 O Chondrostoma Genei, Bp. Var.: albicans (mihi) Rostrum paullo obtusius quam in Ch. Genei. Mandibulae longitudo paullo minor spatio inter oculum et rostri extremitatem, interdum aequalis. Man= «dibulae longitudo superior oculi amplitudine. Dorsum usque ad lineam apone- vroticam, laeviter flavescens. Vitta longitudinalis obscura deest. Statura minor quam Ch. Genei. 81° — 91/0 TO,5 8/7-8, A. 3/8-9, V. 3/8, E 1/14-15, Lelat. 51-54, L. trasv. BERO Vert. 42. i i 41|]° — 5 1/9 2 & S4 GSC da © RI = COC 23 Sa DINE BEE Sesta SE; © CS 250 ST STELE DELI 5 s oe So ee e i ei == 4.85 e lisi S E 20 TONIZIAO Ca) SES E=b=6S os epr È tei | © SES 003 SE e SE s E < dba SES ses Role»: [is = E n si 28 CIS Ip e: s À © OL e n ca ® ui +» Fon. idr 4,5 velte| 4,3 volte| 3,0 volte| 1,3 volte| 5,7 volte] 5,6 volte »_ 77 1/2| 4,7 > 4,6 >» 2,8. > 1,2 » DX» DI » » 78 ORO A E » 88 5,0 > 4,6 > 2,0 > Latta (GEL DO» » 94 1/0 | 4,3 > 4,2 » | 2,5 Lai 5,6 > ita % di I] ona da dd 8 AB o ME Il corpo, di forma allungata, ha una lunghezza (esclusa la pinna codale) che comprende 4,3 a 5 volte l’altezza misurata all'origine della dorsale, e 5,6 a 6, l’altezza misurata all’origine dell’ anale. Il profilo è quasi rettilineo da per tutto, tranne dall’occipite al principio della dorsale ove è leggermente con- vesso, e dall’ano alla radice della coda ove presenta una brusca ed assai pronunziata concavità. La testa è lunga lateralmente sempre un poco più della altezza del corpo: il rapporto di proporzione fra la sua lun- ghezza misurata di lato e fra la lunghezza del corpo varia . da 4,22 4,6,e quello fra la sua lunghezza misurata superiormente dall’estremità del muso al punto ove cominciano le squame e fra la lunghezza del corpo varia da 5,1 a 5,7. Il muso, più ottuso n E° = 216 MICHELE ALFONSO GATTI C) che nel Gene?, sporge sulla bocca: è largo e quasi insensibil- mente arrotondato; la bocca fa un arco che s’ incurva di più agli angoli. L’ occhio è rotondeggiante e più piccolo in diametro dello spazio di cui dista dall’estremità del muso, e così pure della mandibola. Ciascun osso faringec inferiore porta 5 denti disposti in una fila sola, ed un'ala a RESTA libero non pre- sentante alcuna incavatura. La pinna dorsale, opposta alle ventrali, nasce quasi alla metà della lunghezza del corpo. Il terzo raggio non diviso ‘è il più alto: gli altri decrescono in altezza a mano a mano. Il. primo raggio è rudimentale e non articolato, il secondo arti- colato ‘all’apice, il terzo articolato. I raggi divisi sono in nu- mero di 7 o di 8. L’anale comincia al punto in cui il profilo inferiore del corpo da rettilineo si fa concavo. I tre raggi non divisi, quanto a!l’ essere semplici od articolati, concordano con i corrispon- denti della dorsale. Le pettorali e le ventrali sono tondeggianti all’ apice. Lungo la linea laterale alquanto curva, e che presenta il mas- . simo della curvatura fra l’apice delle pettorali e quella delle ventrali, scorrono 51-54 squame, percorse da un numero di radii variabili da 3 a 10. i Tl colorito della parte superiore della testa, del dorso e. dei lati è di un gialliccio molto pallido, e termina recisamente lungo la linea aponevrotica. L’opercolo è dorato, e tutto il resto , di un argentino lucente. Le pinne verticali e la codale sono verdastre; le altro pinne di un gialletto sporco. Un bel colore rosato tinge il contorno e l’angolo della bocca, la gola qua e la, e la base di tutte le pinne, all’infuori della codale. Tutti gl’individui così colorati sono poi caratterizzati dalla mancanza costante di una zona di pigmento che scorra superiormente e parallelamente alla linea laterale. Gli esemplari che ho avuto non hanno raggiunto in lunghezza che: 9-10 cm., e quelli di 9-10 cm. possedevano già bene sviluppati gli organi genitali. Alcuni individui di OR. Genei (Specie) delle stesse località ol- trepassavano invece i 16 cm. La minore statura dunque; il muso più ottuso; il colorito. del dorso di un giallo chiaro, mentre quello del Genei (Specie) DI ) za 2 ale sumo d tutt al più 10 radi mentre le squame del Genei ( = fe SE er = SOVRA DUE MICROMAMMIFERI donati al Museo Zool. della R. Univ, di Roma TARSIPES ROSTRATUS e NYCTIPITHECUS AZARAE Notizie riassuntive comunicate alla Soc. Rom. per gli Studi Zoologici dal Prof. ANTONIO CARRUCCIO (Continuaz. e fine - Ved. Fasc. III e IV, pag. 147-158). Federico Cuvier riferisce che il Nyctipithecus trivirgatus, A i] così detto Douroucouli, chie ebbe per diverso tempo vivo, si. nutriva volentieri col latte, coi biscotti e colle frutta: nello stato selvaggio però, ritiensi che queste belle scimmiette siano di preferenza entomofaghe. Dichiara però l’’Humboldt che esse non lasciano di dar la caccia ai piccoli uccelli, i quali di notte sogliono cercare ricovero nel folto degli alberi. In istato di libertà i Nittipiteci amano di starsene in qualche buco di grosso albero, e non più di due insieme: non formano quindi società o famiglie numerose, delle quali, forse il solo Spix tenne parola. Gli scrittori che finora potei leggere ritengono monogami i Nittipiteci. Il N. Zlemurinus d’Isid. Geoffr. pare che sia la specie che possa rinvenirsi a maggiori altitudini. Il Goudot che fece la. caccia a questa scimmietta nelle grandi foreste di Quin- diù, riferisce che trovolla a 1400 metri sul livello del mare, e talvolta anche a più grande elevatezza. Fssa non esce dal suo nascondiglio che al cader della notte, e manda di continuo, nel folto dei boschi, un piccolo grido sordo, che bene corrisponde alla parola ouroucou. Il N. trivirgatus emette invece una voce che suona douroucouli: da ciò il nome vol gare che gl’ indigeni danno a quest’ altra specie. Invece se- condo l’Humboldt ed altri scrittori il N. Azarae, avrebbe una voce non solo diversa ma più torte, sicchè le sue grida. rassomiglierebbero a quelle d’un giovane Jaguar: è per siffatto motivo che a questo e ad altri Nittipiteci, presso le missioni dell’Orenoco, venne dato il nome di Mono-tigrî, o di T'iti Tigri. La specie finalmente che lo Spix chiamò col nome di N. vo- ciferans, che pare si trovi di preferenza presso la frontiera orientale del Perù, ben potè meritarsi questo nome specifico. PESSOA teatrale Lig >. Ca Tre Fo ir da 4 DELLA TESTA OSSEA | È DEL SISTEMA DENTARIO IN PARTICOLARE (Ved. tav. con 2 fig.) Uno studio accurato del sistema dentario dei Nyctipithecus, ‘può servire anche per spiegare le diverse asserzioni degli scrit- tori intorno al vario regime alimentare che è loro proprio. Ecco perchè riservai alla. fine di questa comunicazione di riassimere quanto mi è risultato dall'esame che feci delle ossa mascellari, dei denti, ecc., del Nyctipithecus Azarae e del N. lemurinus (d) dei quali, come dissi, trovasi ora in possesso il nostro Museo. . Premetto che tanto le mascelle, quanto tutte le altre ossa delle due teste, presentano un differente grado di sviluppo, : essendo quella del N. lemurinus più grossa e robusta. Infatti non solo è maggiore lo spessore delle ossa, e sono quasi com- plete le suture della volta craniale, mentre non lo sono nel N. Azarae, ma le dimensioni tutte della prima testa, sono mag- giori ed essa appartiene ad un individuo affatto adulto. E queste dimensioni dell'uno e dell’altro scheletro cefalico, credo bene di dare in modo alquanto particolareggiato, perchè non trovo nelle opere che trattano di questi Platirrini, che veruno au- tore le abbia convenientemente date. | Prima però osservo che la volta cranica di entrambe le teste è liscia e priva affatto di creste. n Il diametro antero-posteriore della testa del N. Azarae è di mill. 55; quello della testa del N. Zemurinus è di mill. 61. Il diametro biorbitale (o bilaterale, che ci dà la massima lar- ghezza, e che ho preso misurando dal centro di un contorno orbitale all’altro, perchè questi contorni sporgono più delle arcate zigomatiche), è nella prima testa di mill. 33, e nella seconda di mill. 41. Il diametro zigomatico (preso pure col compasso, dal centro di un’arcata all’altra), è di mill. 29 nella prima e di mill. 35 nella seconda testa. Il diametro bi-auricu- lare (misurato parimenti dal centro di un foro auditivo esterno (1) Come dichiarai nella nota posta alla fine della prima pagina della comunicazione sul Nythipithecus, ho potuto non solo far ripreparare assai meglio l’antico esemplare del N. lemurinus, ma trar partito del cranio in- tiero «per confrontarlo coll’altro, pure completo, del N. Azarae. . DA 220. ANTONIO :CARRUCCIO all’altro), è di mill. 21 nel N. Azarae, e di mill: 30 nel N. le murinus. L'altezza massima della testa del primo (misurata dall’angoio postero-inferiore della mascella inferiore al centro. del margine superiore dell’osso frontale, nel punto cioè in. cui quest’osso si unisce coi due parietali, e che in craniologia & chiamato col nome di bregma), è di mill. 34, e del secondo è di mill. 50. Nelle due figg. diligentissime dell’unita tav., la grandezza della testa del N. Azarae è una volta e mezza. dini maggiore del naturale. Oltre le maggiori dimensioni della testa del N. lemurinus,, feci già rilevare che le suture formanti la volta craniale, sono 7 quasi affatto complete; completa è la sutura sagittale tra i due parietali, ed anche la metopica o medio-frontale. Si ha per lo. opposto traccia esteriore delle due metà dell'osso frontale nel N. Azarae; e sono in questo evidenti la sutura fronto-parietale, | : la biparietale o sagittale, e la temporo-occipitale. L’ossifica- zione però è completa anche nel cranio di questo Platirrino nei punti estremi od angoli delle ossa frontale, parietali, in- terparietali, ecc., nei quali angoli sogliono trovarsi spazi mem- branosi più o meno larghi, cui si dà il nome di fontanella anteriore o frontale, e di fontanella posteriore 6d occipitale. © Una delle particolarità più notevoli della faccia posta in-. feriore o conversa dell’osso occipitale, particolarità che non credo notata da altri pel cranio del N. Azarae, sta nella pre- senza di due fossette, poste sopra al gran foro occipitale, una a destra, l’altra a sinistra del rialzo mediano (nor cresta, perchè come tale non esiste) convesso e largo mill. 5. Ognuna di queste fossette di forma pressochè triangolare, ha la profondità di 1 mill., ed è larga alla base mill. 4, coll’apice rivolto verso. il predetto foro occipitale. Queste ia incavature o fossette | corrisponderebbero al punto d’inserzione dei muscoli grandi. complessi, inserzioni che in altri crani hanno luogo solo in rugosità comprese tra le due linee curve occipitali, mancanti nei due crani di Nittipiteci che ho esaminato. Fra i molti crani esaminati di Scimie dell’antico e del nuovo Continente, soltanto: | in quelli di Cedus trovo ben sviluppate tali fossette. i La mascella inferiore del N. Azarae (misurata dalla sinfisi mentoniera all’angolo postero-inferiore della branca ascendente), LA TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE .. 221 . è lunga mill. 29; mentre la mascella del N. /emurinus ha una lunghezza di sul 41. Le due branche asci;ndenti della prima mascella (misurate dall’angolo postero-infe-iore della branca . medesima all’apice della rispettiva apofisi soronoide (processus temporalis vel coronoides), sono alte ognuna mill. 17. L'altezza _ Invece di ciascheduna branca ascendente della mascella del N. lemurinus è di mill. 30.. Si ha adunque una notevole dif- ‘ ferenza nello sviluppo di questa parte dell’osso mascellare in- | ‘feriore delle due specie; e aggiungo che la superficie esterna dell’apofisi coronoide (a mill. 7 di distanza dall’apice), presenta nel N. lemurinus un’escavazione obbliqua piuttosto profonda, di cui si ha appena traccia nella mascella inferiore del N. A- zarae, escavazione che corrisponderebbe al punto d’inserzione del tendine del muscolo temporale. Tanta l’una, quanto l’altra delle due mascelle presentano appena traccia del foro mento- niero, ch'è quasi nulla in quella del N. Azarae. Nella faccia interna delle due branche ascendenti di entrambe le mascelle si vedono ben aperti i fori corrispondenti ai canali dentali. ‘ L’apofisi coronoide è assai uncinata, ed in proporzione alle due teste che vò esaminando (come pure in confronto ad altre di Platirrini di diversi generi, ed anche di teste di pic- coli Catarrini) mi sembra assai sviluppata e più alta del condilo ‘. articolare. L’incisura sigmoidea è, massime nella mascella del N. lemurinus, profondamente falcata. Il condilo articolare è diretto trasversalmente, ben sviluppato, col diametro antero- | posteriore di circa mill. 4, e col bitrasverso di mill. 6; l’istesso PA condilo nel N. Azarae misura pel O Sane eo circa mill. 3, e 4 pel secondo. Diamo ora uno sguardo alle 2 0a0te categorie di denti di questi Platirrini. I quattro incisivi del N. Azarae sono quasi verticali nella ‘mascella superiore, ed alquanto meno lo sono nella inferiore. La corona è più larga nei due incisivi superiori e mediani, e misura al margine tagliente e libero mill. 3, metre alla base non misura più di mill. 2. La corona invece dei due incisivi collaterali esterni è tanto larga alla base, quando al margine libero, misurando per tutta la estensione circa mill. 2. I quattro incisivi inferiori sono, all'opposto dei superiori, x 2922 ANTONIO CARRUCCIO compagni per grandezza e per forma, o se v'ha una leggiera differenza, questa è propria dei due incisivi collaterali esterni | che nella parte marginale libera si presentano più larghi dei due interni o mediani: questa maggior larghezza non oltre- passa 1 mill. 2 pel margine tagliente, ed è SPERA superiore ad un millimetro nella base. a La superficie anteriore od esterna tanto degl’incisivi su- periori, quanto degl’inferiori, è piana e liscia; la posteriore: od interna mostrasi inclinata e scalpelliforme. Alla base di | ciascheduno di questi denti notasi un maggior spessore che forma quasi un talloncino: cosiffatto rialzo è più manifesto nei due incisivi mediani superiori, che sono quindi i più forti. |’ Fra i due canini superiori e i due inferiori si ha pressochè | assoluta identità di forma e di dimensioni: essi rion sporgono, od appena, sui denti incisivi e molari che loro stanno a fianco. Ogni canino trovasi a mutuo contatto col primo molare del rispettivo lato, ed alquanto distante dall’incisivo dell’istesso Jato (1 mill. e 1/2 circa). | I sei molari superiori (3 cioè dell’arcata rinos destra e 3 della sinistra superiore), sono più grossi dei sei corrispon- denti inferiori; e l’ultimo di essi, tanto nell’una quanto nel- l’altra mascella, è più grosso; il secondo lo è meno, e il terzo è il più piccolo. Osservo inoltre che i sei molari della mascella superiore sono tutti in proporzione più sviluppati di quelli propri alla inferiore. I denti formano un totale di 24 (prima dentizione), e sì ha quindi la seguente formola dentaria pel N. Azarae giovine: | i È m. i =12+-12—=24. ara La dentizione della testa ossea di questo nostro :-N. lemu- rinus adulto, la trovo invece al suo completo sviluppo, e ve- i donsi 18 denti per ciascuna arcata mascellare: in totale 36, perchè si hanno tutti i premolari che mancano al N. Azarae. La formola dentaria risulta quindi la seguente: È LODI 3 3 ig] Pm g ma = 18+18=396. TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE pa I canini del N. lemurinus sono lunghi nella loro parte | sporgente mill. 5, e larghi alla base mill. 3 e 1/2, sono cioè il doppio più lunghi di quelli del N. Azarae, e anche più larghi. “Su In ciaschedun canino della mascella superiore della prima | specie si scorge nettamente all’interno un’escavazioncella che | muove quasi dalla base, e si avanza fin oltre la metà della faccia interna; all'indietro gli stessi due canini speriori si pre- sentano carenati. Il diastema nella mascella superiore è del | doppio più lungo di quello già notati nell’istessa mascella del N. Azarae ed esiste fra l’incisivo collaterale esterno ed il ca- . nino, il quale nel lato esterno trovasi invece ravvicinato al primo premolare, ed a completo contatto nella porzione basilare. » °°» Anche gl’incisivi del N. lemurinus sono più grandi, perchè i due mediani o interni della mascella superiore hanno un. margine libero tagliente lungo circa mill. 5, con una base LOI 3, e sono lunghi mill. 4, cioè il doppio degl’inci- | sivi mediani del N. Azarae. n: Feci già rilevare che il terzo ed ultimo molare nella mascella di questa specie è il più grosso, mentre constato che è il più piccolo nel N. lemurinus, che ha invece maggiormente svilup- pati il secondo ed il primo, tutti ‘colla corona munita di 4 rialzi angolari, a punta ottusa, che potrebbero pure chiamarsi _ tubercoli smozzati, adatti per un regime frugivoro. Poche parole aggiungerò per ricordare che le \apofisi oriz-. zontali palatine, formanti la volta ossea omonima, sono per- fettamente riunite ed ossificate nel loro margine interno non | solo nella testa di N. lemurinus, la quale come sappiamo è di individuo perfettamente adulto, ma anche in quella del N. Azarae, ch’ è di giovane. Tanto l’una come l’altra volta pa- latina non offre cresta mediana, od appena un lieve accenno v'ha in quella del N. Azarae, come non v'ha cresta trasver- . sale. Le due volte sono più regolari e pianeggianti, e meno larghe che non siano quelle proprie a teste di Cedus e di Mycetes con cuile ho confrontate, e prive di spina nasale po- | steriore. — Di questi ultimi Platirrini ha però il N. Azarae pro- | | porzionatamente più sviluppate le du/le timpaniche, e più largo . il foro uditivo esterno: nel N. lemurinus è rotta tanto la dulla timpanica destra, che la sinistra. 3 x È È e così nelle memorie di Geoffroy St. iu ecc., che trattano 5a proposito dei Platirrini, non trovo complete notizie sul sistema dentario dei Nittipiteci in particolare; i quali mi pare offrano alcune particolarità, che brevemente ho cercato di dimostrare. si Infatti, non basta dire, come si suol fare, che nelle scimie ame- | ricane si hanno o 32 denti, come negli Arctopitheci, con molari a tubercoli puntuti, e cl in numero maggiore dei mMo-i lari veri (1); oppure 36 denti, come nei PlatyrrMini. E nem- S meno basta dire, come fa Galcho altro ecrittore, che tutti i Cebini hanno 24 denti di latte, mentre i Pitecini non ne hanno che venti come gli Antropoidi ed i Bimani. | Solo alcune poche settimane essendo trascorse dal di ino cui ricevetti l'esemplare sul quale mi sono brevemente intrat- | 3 tenuto, m’ è mancato il tempo per fare altre accurate ricerche ; Liliosica e.per avere qualche ragguaglio che ho chiesto | specialmente all’estero. Avendolo, e se sarà il caso, tornerò — sull'argomento, tanto pel N. Azarae, quanto pel N. lemu- rinus, ecc., giacchè non sarà molto difficile, ora che il genere | che comprende pochissime specie, è rappresentato nella nostra. collezione da due di esse, di procurare altri esemplari diversi (1) Nel volume sull’Anatomia degli animali vertebrati del prof. Huxley, leggesi quanto segue sugli Arctopitheci: « La formola dentale è: Di ti are Lal GROMO ZA ES « Così il numero dei denti è uguale a quello: dell'Uomo e dei Catarrhinz; « ma nel numero dei premolari e dei molari gli Arctopithecini differiscono « dai Catarrhinî e dai Platyrrhini, giacchè hanno un premolare più dei « primi ed un vero molare meno dei secondi ».(Ved. trad. ital. del Giglioli, 1874, pag. 453). — Queste indicazioni in opere speciali sono insufficienti; e lo sono anche in opere francesi più recenti ed anche più speciali, perchè | riguardanti il solo sistema osseo, come ad es. in quella dei. prof. Pouchet e Beauregard (Traité d’Ostéologie. comparée, Paris 1889); come lo sono in qualche opera inglese ecc. che ho pure consultato, in cui assai scarseg- giano le notizie precise sull’osteologia dei Platirrini — principalmente per le specie del gen. Nyctipithecus. — Ritengo che gioverà allargare le 'os- servazioni comparative, disponendo di più ricco materiale, per venire a con- clusioni attendibili. Intanto anche le parziali osservazioni, se fatte con esat- tezza, devono raccogliersi e apprezzarsi equamente. TARSIPES ROSTRATUS E NYCTIPITHECUS AZARAE | per le necessarie comparazioni. Se queste per lo passato erano | spesso affatto impossibili nel Museo Romano per la mancanza | quasi assoluta delle forme più tipiche nella classe dei Mam- 4 miferi ed in altre, tale mancanza invero al presente non può più deplorarsi, cessioni in breve volger d’anni introdotto e E: studiato, anche per l’ordine dei Primati, un materiale scien- | tifico ilo. . Lunga, ma non fuor di posto, potrebbe sembrare la e zione delle specie determinate, ed aggiunte in questi ultimi anni alla Collezione dei Primati: essa, in Roma, era. nel 1383 la più misera cosa che potesse vedersi in un Museo Zoologico! Pel sott’ord. dei Cafarrini mi limiterò ad un semplice ricordo 7, di alcune specie prima affatto mancanti, quali i Cynocephalus hamadryas L. g° e 9 (Collez. del March. O. Antinori, dono della Soc. Geogr. Ital., 1886); il Papio Langheldi Mtsch. (1) . ad. (dono del Dott. E. Holub., 1894); il Macacus gelada Riipp. g* ad. (Collez. Antinori, dolo Soc. Geogr. Ital., 1391); Il Cercopîithecus pyrrhonolus Ebremb. (morto in un setrioho a Roma, e acquistato nel 1886); il Cercopithecus griseo-viridis Desm. 9 (Collez. Antinori, S. G. Ital., 1886); il Cercocedus fuliginosus E. Geoff. g° (dono del sig. S. Ghiandoni, 1888); diversi Colodbus guereza, Ripp. gi e £ (Collez. Antinori, dono S. G. Ital., 1886-1890, e dott. Traversi Leop., 1886); la Senta sa- - fyrus L. od orang, (morto in Torino nel 1887, e da me acquistato in quell’anno), ed altri esemplari di specie diverse. Ma avendo parlato di un Nyctipithecus, e quindi del sott’ord. dei Pla- tirrini, è più opportuno che oggi ricordi quali generi e specie (per la maggior parte entrati in Museo dopo il 1884) facciano ora parte della pred. collez. dei Primati per siffatto sott’ordine. Essi sono: 1. nella fam. Pithecidaé i generi: Saîmiri (S. sciureus . ‘Geoff.); Pithecia (P. rufiventer Geoff., P. monachus Geoff.) ; . Nyctipithecus (N. lemurinus Geoff. e N. Azarae D'Humb.); Callithrix (C. personata Geoff. e C'. melanochir Wied, donato — dal C. Ammir. de Amezaga - viaggio della Caracciolo, - 1884); 2. nella fam. Cebidae i generi: Ateles (A. ater F. Cuv.);-.My- . (1). Ved. Die Satigethiere Deutsch-Ost-Afrikas — Von Paul Lodo a cea 1895, pag. 11. in deo i crani e La di sd lo tamb ringeo, caratteristico delle scimmie. urlatrici);. Cebus (c i specie, cioè: C. capucinus Erxl., @ fatuellus Erxl.,. fi gatis Geoff., donato dal de Amezaga, C.' apella Exl dai dott. Moscatelli e Petella - viaggio ni Flavio ui Prof. A. CARRUCCIO. — Testa ossea di Wyct;pithecus Azarae. (ingrand. ] volta e 1/,) Bollett. Soc. Rom, Studi Zools Vol. V. D.* G. ALESSANDRINI fot. SUNTO DEI PROCESSI VERBALI Tornata del giorno 22 decembre 1896. Presidente: Prof. A. Cirasa | La seduta è aperta alle ore 2,30. Soci presenti 18. Il Segretario legge il processo verbale dell'adunanza prece- SIAE i dente, che viene approvato, e presenta i giornali pervenuti in | cambio, ed i libri inviati alla Società in dono ed omaggio. Il Presidente proclama i nuovi Soci ordinari Dott. Giuseppe Pecori e il Sig. Francesco Tauro. Dà quindi partecipazione della morte degli Illustri Prof.ri Comm.ri Luigi Calori dell’Università di Bologna e Giuseppe Zurria dell’Università di Catania, ed entrambi commemora colle seguenti parole: . « La morte del Prof. Luigi Calorig di questo venerando maestro, pi | che ha visto passare per la sua scuola eminentemente istruttiva, tal tante generazioni di medici e di naturalisti, e nella quale mi onoro A di aver non poche volte ascoltato la dotta parola di esso maestro, | questa morte è lutto del mondo scientifico. Invero Luigi Calori, DI | l'alto intelletto e per la vita consacrata intieramente agli studi scien- | tifici, principalmente a quelli di anatomia umana e comparata, ed r a quelli di antropologia, era noto ed apprezzato presso tutte le na- zioni civili. Fra i moltissimi scienziati italiani-e stranieri, è note- vole il modo con cui due vere glorie della Biologia, i prof.ri Virechow e Kélliker testimoniarono il riverente ‘affetto che avevano al sa- piente italiano. Il prof. Calori era uomo a tutti assai simpatico e “ caro. Egli non solo aveva bell: e imponenti le forme esteriori del c corpo, ma aveva l'animo nobile e generoso; amava i giovani, li consigliava sempre lealmente a proseguire negli studì con perse- | veranza, li esortava onde preferissero ai facili divaghi l’adempi- | mento del dovere; e a tutti dava, nell'esercizio del dovere, il mi- | gliore esempio: Egli lavorò e studiò fino all'ultimo istante della sua lunga vita. 298 SUNTO DEI PROCESSI VERBALI > « All’antico Ateneo Bolognese il grande anatomico accrebbe fama, ed esso ora si prepara a rendergli solenni onoranze. «La nostra Società, per la quale ricevetti gentile partecipa-. zione della morte dell’insigne scienziato, non può mancare di render io omaggio alla di lui memoria; la quale vivrà sempre perenne nella mente e nel cuore dei discepoli e di quanti poterono e potranno | studiarne le molte dottissime opere ». E qui il prof. Carruccio ri- corda parecchie -di esse, a prova non solo della dottrina singolare, ma della modestia, dell'onestà nella critica e della straordinaria da operosità che distinguevano il Calori; e non senza commozione | mostra le due ultime pubblicazioni che il Calori stesso gl’inviò in dono, come gentilmente era uso dk fare. — E conchiude colle seguenti parole: « Propongo che al Rettore dell’ Università vengano espresse le più vive condoglianze della Società nostra, ed anche ai più. stretti parenti dell’illustre estinto. » La proposta è accolta ad unanimità. Il presidente passa poscia a commemorare il prof. Gius. Zurria dell’Università di Catania, il quale presiedeva l'Accademia Gioenia di scienze naturali, che della gravissima perdita dell’insigne suo Capo diede cortese partecipazione alla Società. Romana per gli A studi zoologici. Per la natura affatto diversa degli studi coltivati, il prof. Carruccio dice di non poter debitamente elogiare lo scien- ziato Catanese; ma tutti sanno ch’egli era reputatissimo quale A matematico e quale galantuomo, e da tutti stimato per la reale a modestia e grande bontà d'animo che furono sempre e saranno qualità eminenti nei veri grandi scienziati. — Anche per il prof. Zurria propone che siano fatte le dovute e vive condoglianze al. l'Accademia di Catania. — La proposta è unanimemente accettata. Indi vengono fatte le seguenti comunicazioni scientifiche: | 1° Prof. A. Carruccio. Comunicazione anatomo-soologica | sull’Exanchus griseus. 2° Prof. D. Vinciguerra. Deserizione di una nuova specie. italiana del gen. Paraphoxinus. 3° M. Gatti, Una nuova specie adriatica di Gobius. 4° Conte FaLconNIERI ni CARPEGNA. Comunicazione sopra un Pandion haliaétus L. catturato in Carpegna a 1000 metri sul li- i vello del mare. td = id 6 Dott. G. Nine Caso di myiasis per larve della co haga carnaria Meig. NO Dott. G. Pricort. Comunicazione malacologica è e parassi- logica. Sean to l'ordine del giorno, ladunzo vien tolta alle ore 4, 30 PC Ra i i s \ (AE: Il Segretario . Prof. M. CoNnDORELLI. 10. JELS INDICE GENERATE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME V (1896) Comunicazioni scientifiche. . ALESSANDRINI dott. GruLIo — Un caso di Myzasîs per larve della Sarcophaga carnaria Meig. (Dall Istituto Zoologico della R. Università di Roma) . . ANGELINI prof. Giovanni — Contributo allo studio delle migrazioni ornitiche, con osservazioni fatte specialmente Pag. 194-197 allo Stretto di Messina . . 20 0021-29, 1301460 . IpeMm IpEM — Il Derdrocopus ui in provincia di Roma . IbEM IDEM e FALCONIERI DI CARPEGNA conte Guipo — La Limicola platyrhyncha avvertita per la prima volta in provincia di Roma. . CARRUCCIO prof. ANTONIO — 00) due Microtamia si donati al Museo Zoologico della R. Università di Roma: Tarsipes rostratus e Nyctipithecus Azarae. Indicazione delle specie di Marsupiali posseduti dal predetto Museo . Iprm 'IbeM — Della testa ossea e del sistema dentario in particolare del Nyctipithecus Azarae e N. lemurinus (con tav. e 2 fig.). Indicazione delle specie di Primati (Ca- tarrini e Platirrini) possedute nel Museo Zoologico della R. Università di Roma . Hexanchus griseus Raf. adulto preso a Porto d’Anzio ConDORELLI-FRANCAVIGLIA prof. MARIO — Alcuni partico- lari di struttura riguardanti la pelle dell’Heterocephalus glaber Rippel (Dall’Istituto i della R. Università di Roma) . IpEM IDEM — Sovra i specie di Rettili in) 21 Ofidit) raccolti presso Tripoli (Dal predetto Istituto) . IpEM IDEM — Sulla persistenza delle vie della circolazione fetale nel cuore di un Nyctipithecus De Vescovi prof. Pietro — Notizie sulla fazione di un nuovo Lago nella provincia di Roma e considerazioni dal punto di vista della Fauna lacustre . GarTI MicHELE ALFONSO — Il Chondrostoma Genei Bp. nella provincia di Teramo . 100-101 ‘97-99 147-158 È o 128-226 . Ipem IpEM. Note anatomiche sulle ne dist di un 165-176. 1-10 30-48 74-78 59-11 211-217 Romana {Bartramia longicauda, Casarca rutila e Charadrius fulvus). SIANO VADA E Sa na coxax alpinus Vieill. nelle Marche... . . è... | MARCHESINI prof. RINALDO — Centrosomi e sferule attrattive . del sangue osservati con nuovo metodo di tecnica (con O LR E OI VI A VARA cale Ce DIL Me 6. IpEx IDEM — Ricerche sulla fibra muscolare SM I NEVIANI prof. AnToNIO — Briozoi neozoici di alcune loca- | lità d'Italia (con molte fig.) Parte o |. Mezzola (Cladocera, Ostracoda e Copepoda). (Dall’Istituto Zoologico della R. Università di Pavia) . . IAN 19. VINCIGUERRA prof. Decio — Ulteriori notizie sudlin toda zione del Salmone di California ( ORA chouicha È Walb.) nel Lago di Castel. Gandolfo . . . . 0... di Processi VerBaLI delle adunanze tenute dalla Società il 4 gen- naio, 17 febbraio, 31 marzo, 6 giugno, 19 luglio e 22 di- cembre 1896. Titoli delle comunicazioni presentate. Ne- e, 3 Tucri Mason! dott. Ginmpan — Nuove aggiunte i na Luzi Nichi. Du FRANCESCO — ii cattura di un Pyrrho- . RizzarDI dott. UMBERTO — Gli Entomostraci del Lago di 49-54 72-80 89-96 198-210 102-125. 126-129 11-20 serologierece. avi ig «+ +. + 82-89, 160-162, 227-229 . Nuovo Sraruto della Società oe per gli studi zoologici MI RO DELIO: RIE OA ui RITO | VARIETÀ scientIFIcai — Nuova PuseLicazionIi — Sulla neces- di sità ed importanza di una scuola di medicina Veterinaria in Roma. Lettera del socio Capit. Med. Vet. dott. Giu- | °’‘’‘’‘“sEPPE BERNABEI al presidente della Società. . . 79-81-163-164 INDICE GENERALE delle materie contenute nel volume V. . . 230-231 FRS PA pos VU MA dI DPI ; 9 \ AA \S st ti? 7 LAO, A SN SILISEA | a V Aa A ARIA Pr) A BAR Ù va AA Lao a; AA NA ANAAAA Aug AMT Wers va a irtrin fu, Ra Mm | AA ce i AAA ih f \ DI È AA w usa NA DANA A, ARA VIRA ZII n ama ARMANI SR Mg, RARSGRA dnae ARR ANPAA AR AÉ ANCASA NuaY DA SARARAAA Ò AVINANA uu RARA Raw AannanA AAA IA deR39 sa i ME È ii o Ra A va AAA A az Di GARA A NA a IA 0] A n ) a i Mm A ARS SARÀ A ERIOTOE ? Zar a SARAAMAI AMT MI LIMA pf Vi ape ARKAA SR / a VAVATA Asa AA a VANNO AYA DR Ba ; PECE "PANNA A RARAAA, RARARARARA aaa NR E BARONI ARRARRA PARA RARAARAR RARA RARA AAA AVI ALAIN na a SARASRA REA ASRARGAA AARARAA 3200 ARA 3; RRAARARRA DIA AGIATA ANAIRMIAMANAA DA DI A DANAAN IRAVATALIAAA AIRAZAA NA vo ASAAAAn Ae dA ARAAnRAAA i ANI RAAAA a ) NAAAAARA A poe AGR ; IAA "6 dILS À da: SF A MBANAANA MERA ES vanAOr "MANA ARAN AMARAMRAA ARIA AMS IMMA a MARR RARRA MATTE Du ala SNA RASO ai dA MAMMA MAI Apt MATA, \ARRA ARAN SAA i AR (ei i AAA GE IAA AA AND A VVaValata Re de Sir: i | O: 2a AREA RARA An AROEARA AAA RARA LARA AAA MANARA AN i TRvAT, VALSA DARI EN NATA] 1A SRAAARAE AREE \ 5 ARNASOR? An AA ; "IMRARAARAMA a INTRA AAA ARI a AAA Rn a N | O AA M |A TARARAANA ARAN ala RAMRAZARA Ra2BGR ARANA alalala AR, Visa AAA ARA MARAPMAATT ARR SANAAAAANA A ANTARANANARAAR SRSNARNTA i AAAA nAA AACSRA AAA CEREA Maia AAA ARR ALE 3 AARIRARA RARA ARRAAAA! SALA IA ao SARE Ac lol A An BARRA DAMA e a AREA RARLIAL PAPIZIALE n Da AGRA i NIAN INSTITUTION LIBRARIES TILL 01316 2334 NANA T. MITI 3 RANA a'P alalai Ù 90 AR ARPA APARDAZAATA nf AABANAARAAN AAAMA | FAVA An ata Mata) A A A a | RA la a) À A a) NA PA PRIA fall ABD Fava AA MARAN AAADAA- A oa AM Ala Ta SNA! li "2 ARCI | MIA 7° À AAPRA AR ‘ia i AP lala AG: SIRIA Ta) | NARRAN AVA À TAIAT: 'ATATA\ a À ITNAIATA IRININAIAIZIA ATIAIOINO TATA AA ATAVAIATAATATTA A) A a) ANNA Ta) NY RAVATIATA A A AI INAIATA TalA fa VitatalaalAlelalaTY.) À | A A Ta li Ta ANN A AL ALVATAI cAANAA si PARA AZAARAARAA Tan i ARARAPTI RO ie 472 LAI À SA ATA np AA AYA ANAS alal AtaTa A A A AA n AA AA &\ R DIR ; è AASN ala) n ARONA, dra A RA a aDAHA aRR Va A RRO & A Pr f