. C oo Anno Vili. Fascicolo 1° BOLLETTINO DELLA « SOCIETÀ GEOLOGICA italiana Voi. Vili. — 1889. • v s Of ' * tt*** > > ÀTv.tA ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1889 Avvertenza. Vedi la seconda e terza pagina della copertina. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Prof. comm. Giovanni Capellini ■Vice-PresidLente Prof. cav. Torquato Taramelli. Segretario Prof. dott. Giuseppe Tuccimei Vice-Segretario Dott. cav. Carlo Fornasini Tesoriere Avv. Tommaso Tittoni Deputato al Parlamento Vice-Tesoriere Cav. ing. Augusto Statuti Arelilvista Prof. ing. Romolo Meli Consiglieri Prof. comm. Giuseppe Bellucci Prof. comm. Luigi Bombicci Ing. cav. Celso Capacci Prof. cav. Antonio D’Achiardi Barone comm. Achille De Zigno Comm. ing. Felice Giordano Prof. cav. Arturo Issel Prof. Carlo Fabrizio Parona Prof. Datile Panlanelli Cav. maggiore Antonio Verri MENTE ET MALLEO Ufficio di Presidenza per l’anno 1889. Presiaente Commissione per le pubblicazioni. Conte comm. G. Scarabelli Gommi-Flamini Prof. cav. A. D’Achiardi Prof. cav. G. Omboni. Sede della Società. — Roma - Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. Vili. — 1889 ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1889-^? 3KAY.90-7) SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Presidente per l’anno 1882 Meneghini » » 1883 Capellini » » 1884 Stoppani » • » 1885 De Zigno Presidente per l’anno 1886 Capellini » » 1887 Cocchi » » 1888Scarabelli Ufficio (li Presidenza per l’anno 1889. Presidente Prof. comm. Giovanni Capellini Vice-Presidente Prof. cav. Torquato Taramelli. Segretario Prof. dott. Giuseppe Tuccimei Vice-Segretario Dott. cav. Carlo Fornasini Tesoriere Avv. Tommaso TU toni Deputato al Parlamento Vice-Tesoriere Cav. ing. Augusto Statuii Archivista Prof. ing. Romolo Meli Consiglieri Prof. comm. Giuseppe Bellucci Prof. comm. Luigi Bombicci Ing. cav. Celso Capacci Prof. cav. Antonio D’Achiardi Barone comm. Achille De Zigno Comm. ing. Felice Giordano Prof. cav. Arturo Issel Prof. Carlo Fabrizio Parona Prof. Dante Pantanelli Cav. maggiore Antonio Verri 4 Elenco dei Soci Soci perpetui 1. Quintino Sella (morto a Biella il 44 marzo 1884). Fu uno dei tre istitutori della Società, e venne annoverato tra i Soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il 1 marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i Soci per- petui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale del 14 settembre 1885. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato Socio perpetuo nell’Adunanza generale di Savona il 15 settembre 1887. Elenco dei Soci Anno di nomina 1884. 4881. 1888. 4883. 4886. 4882. 4888. 4884. 4887. 4884. 4882. 4884. 4883. 4883. 4887. 4883. 4883. 4883. 4884. 4888. 4882. 4881. 4885. 4885. 4881. 4882. 4884. Elenco dei Soci ordinari per l’anno 1889 (*) Alessandri ing. Angelo. Via Broseta 44. Bergamo. Amici Bey ing. Federico. Cairo (Egitto). Angelini prof. Giovanni. B. liceo. Messina. Anseimi Gabianelli Anseimo. Arcevia (Ancona). Anfonelli dott. D. Giuseppe. Via Giulia 136. Boma. Avanzi Riccardo. Piazza Scala. Verona. Baggiolini dott. Alfredo. Museo geologico. Bologna. Baldacci ing. Luigi. B. Ufficio geologico. Boma. Baldi ing. cav. Federico. Savona. 10 'Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. Bar gellini prof. Mariano. R. Liceo. Siena. Bussami prof. Francesco. R. Università. Napoli. Becchetti prof. Soslene. Taranto. Beliucci comm. prof. Giuseppe. Università. Perugia. Benecke cav. Evaristo. Savona. Benigni Olivieri march. Costantino. Fabriano. Benigni Olivieri march, dott. Oliviero. Ospedale S. Or- sola. Bologna. Berli dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. Biagi dott. Giuseppe. Casalmaggiore (Cremona). 20 Bocchi dott. Giovanni. Pennabilli. Bollinger ing. Enrico. Via Principe Umberto 3. Milano. * Bombicci comm. prof. Luigi. R. Università. Bologna. Bonetti prof. Filippo. Via S. Chiara, 57, p. 3. Roma. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bornemann dott. J. G. Eisenach (Germania). Botti cav. avv. Ulderigo. Reggio di Calabria. Brugnatelli dott. Luigi. Via S. Martino 48. Pavia. (*) L’asterisco indica i soci a vita. Elenco dei Soci G 4884. Bruno prof. Carlo. R. Liceo. Mondovì. 1887. Bruno dott. Luigi. Geometra. Ivrea. 4881. 30 *Bumiller comm. ing. Ermanno. Via Lorenzo il Ma- gnifico 42. Firenze. 4889. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. liceo. Arpino. 1884. Cadolini comm ing. Giovanni deputato al Parlamento. Via Rasella 445. Roma. 4882. Cafici barone Ippolito. Vizzini (Catania). 4886. Ca]deroni ing. Rodolfo. Perugia. 4882. Canavari prof. Mario. Museo geologico. Pisa. 4882. Cantoni ing. Angelo. Via Rocchetta 5. Pavia. 1881. Capacci cav. ing. Celso. Via Vaifonda 7, Firenze. 4881. Capellini comm. prof. Giovanni. R. Università. Bo- logna. 4881. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 4885. 40 Castelli cav. dott. Federico. Villa S. Michele. Porta ma- remmana. Livorno. 4881. Castracane conte Francesco. Piazza delle Coppelle. Roma. 4882. Cattaneo ing. R. Via Cavour. Torino. 4883. Cavana Fridiano. Istituto botanico. Pavia. 4882. Chailus ing. Alberto. Bagnasco (Cuneo). Ceva (Miniera di carbone). 4887. Charlon ing. E. Via Principe Tommaso 48. Torino. 4888. Chetassi prof, ltcdo. Via de’ Camaldolesi 8. Forlì. 4886. Cherici dott. Nicolò. Pieve S. Stefano (Arezzo). 4882. Chigi Zondadari march. Bonaventura. Siena. 4881. Chiminelli cav. dott. Luigi. Bussano (Vicenza). 4886. 50 Chiodi Giuseppe. Narni. 4882. Ciofalo Saverio. Termini Imerese (Palermo). 4886. Clerici ing. Enrico. Via Sistina 75 D. Roma. 4881. * Cocchi cav. prof. Igino. Via de’ Pinti. 51. Firenze. 4883. Cocconi comm. prof. Girolamo. R. Università. Bologna. 1886. Colale ing. Michele. R. Utlicio delle miniere. Caltanis- setta. 4888. Contessa dott. Ulisse. Stroncone (Terni). 4881. Conti ing. Cesare. R Ufficio delle miniere. Caltanissetta. 1881. Cortese ing. Emilio. R. Ufficio geologico. Roma. 4882. D' A chiar di cav. prof. Antonio. R. Università. Pisa. 4884. 60 Dal Pozzo di Mombello cav. prof. Enrico. Università. Perugia. 7 Elenco dei Soci 4885. D'Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. 4883. De Amicis clott. Giovanni Augusto. R. Liceo Tasso. Sa- lerno. 4881. De Ferrari ing. Paolo Emilio. Lungarno Torrigiani 34, Firenze. 4883. De Gregorio Brunaccini march, dott. Antonio. Molo. Palermo. 4884. * Delaire cav. ing. Alexis. Boulevard St. Germain 435. Parigi. 4886. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. 4883. Dal Buono ing. Angelo. Ufficio tecnico provinciale. Terni. 4881. Delgaclo cav. Joaquim Philippe Neri/. Rua do Arco a Jesus. Lisbona. 4888. Della Campana nob. Cesare. Scalinata Lercari 2. Genova. 4886. 70 Dell' Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Na- poli. 4884. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 4882. De Marchi ing. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 4881. De Bossi comm. prof. Michele Stefano. Piazza d’Ara- coeli 47. Roma. 4881. De Stefani prof. Carlo. Via Pippo Spano 6. Firenze. 4881. Dewalque uffic. prof. Gustavo. Rue de la Paix 47. Liege. 4881. De Zigno barone comm. Achille. Padova. 4882. Di Canossa march. Ottavio. Castelvecchio. Verona. 4883. Di Roasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 4885. Di Stefano dott. Giovanni. R. Università. Palermo. 4882. 80 Di Tacci cav. ing. Pacifico. Via Fontanella di Bor- ghese Palazzo Merighi. Roma. 4883. Elisei Alessandro. Gubbio. 4887. Eroli march. Giovanni. Narni. 4883. Fabri comm. ing. Antonio. Lungarno Torrigiani 29. Firenze. 4886. Fabbri dott. Alessandro. Terni. 4882. Farina ing. Luigi. Via Nuova. Verona. 4888. Fazio sac. Agostino. Seminario vescovile. Savona. 4883. Fedrighini ing. Attilio. Ancona. 4887. Ferrari Bernardo. Ingegnere capo del genio imperiale Ottomano. Costantinopoli. 8 4883. 4881. 4887- 4881. 4881. 4884. 4883. 4884. 4887. 4884. 4883. 4882 . 4881. 4884. 4886. 4884. 4886. 4883. 4881. 4888. 4881. 4881. 4883. 4888. 4886. 4883. 4884. 4882. 4883. 4884. 4882. 4886. 4883. 4884. 4881. Elenco dei Soci Ferri Mancini prof. 1). Filippo. Via Botteghe Oscure 47. Roma. 90 Flottes Leone. Rue de Courcelles 52. Parigi. Folcii prof. cav. Giuseppe. Savona. Foresti dott. Lodovico. Museo geologico. Bologna. Fo masi ni cav. dott. Carlo. Via delle Lame 24. Bologna. Forsyth Major dott. Carlo. Via Senese 4. Firenze. Fossa Mancini ing. Carlo. Jesi. Fossen ing. Pietro. Carrara. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. Gamba ing. Cesare. Genova. Gatta cav. cap. Luigi. Via Cavour 494. Roma. 100 Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. R. Univer- sità. Palermo. Giordano comm. ing. Felice. R. Ufficio geologico. Via S. Susanna. Roma. Gobbcini dott. Omero. Città della Pieve. Gozzi ing. Giustiniano. Terni. * Guati erto march, dott. Carlo. Bagnorea. Guallerio march, ing. Giambattista. Bagnorea. Guiducci dott. Antonio. Corso Vittorio Emmanuele. Arezzo. * Hughes cav. prof. Thomas Mac Kenny. Università. Cambridge. latta cav. Antonio. Ruvo di Puglia. /ssei cav. prof. Arturo. R. Università. Genova. 110 Jerwis cav. prof. Guglielmo . Museo industriale. Torino. Lais p. prof. Giuseppe. Via del Corallo 42. Roma. Lanino comm. ing. Giuseppe. Via d’Azeglio 58. Bologna. Lanzi prof. Luigi. Terni. Lattes cav. ing. Oreste. Via del Coll, romano 40. Roma. *Levat ing. David. Rue de la Tremolile 28. Paris. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio 7. Firenze. Lorenzini dott. Amilcare. Porretta (Bologna). Lotti ing. Bernardino . Pisa. Malagoli dott. Mario R. Collegio nazionale. Correggio. 120 Mariani dott. Ernesto. R. Istituto tecnico. Girgenti. Martelli ing. Federico. Tolentino. *M attiralo ing. Ettore. Via Carlo Alberto, 45. Torino. Mauro prof. Francesco. R. Scuola per gl’ Ingegneri. Napoli. Elenco dei Soci 9 1881. *Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Mazzetti ab. dott. Giuseppe. Via Correggi 5. Modena. 1881. Mazzuoli ing. Lucio. Via Palestra lo. Genova. 1881. Meli prof. ing. Ro?nolo. Via del teatro Valle. 51 Roma. 1889. Melzi conte Gilberto. Monte Napoleone 36. Milano. 1886. Menicocci ing. Giuseppe. Terni. 1883. 130 Mercalli ab. dott. Giuseppe. Seminario. Monza 1881. Missaghi cav. prof. Giuseppe. R. Università. Cagliari. 1887. Morelli prof. D Niccolò. Roano. 1889. Morini prof. Fausto R. Università. Sassari. 1886. Moschetti ing. Claudio. Saluzzo. 1881. Negri dott. Arturo. R. Università. Padova. 1885 Neviani prof. Antonio. R. Liceo. Catanzaro. 1885. Nibbi ing. Dario. Cortona. 1881. ¥ Niccoli cav. ing. Enrico. R. Corpo delle Miniere. Bo- logna. 1883. Niccolini march, ing. Giorgio. Via Paolo Toscanelli 1. Firenze. 1881. 140 Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. ufficio geologico. Roma. 1885. Olivero comm. Enrico. Via Garibaldi, 5. Torino. 1881. Omboni cav. prof. Giovanni. R. Università. Padova. 1887. Pacini Candelo p. prof. Michele. Collegio della Missione. Savona. 1881. Pantanelli prof. Dante. R. Università. Modena 1882. Parodi ing. Lorenzo. Via Palestra. Genova. 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Università. Pavia. 1882. * Paninoci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1881. Pélagaud dott. Eliseo. Saint-Paul (Isola Borbone). 1881. 150 Pellaii comm. ing. Niccolò. R. Ufficio geologico. Roma. 1886. Pellizzari dott. Pietro. Taranto. 1888. Pepe ing. Gabriele. Ferrovie del Mediterraneo. Sa- lerno. 1882. Piatti prof. Angelo. Desenzauo sul Lago. 1882. Pili ing. Tommaso. Miniera Libiola. Sestri Levante. 1881. Pirona cav. prof. Giulio Andrea. R. Liceo. Udine. 1881. Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. 1881. Porlis prof. Alessandro. R. Università. Roma. 1881. Ragazzoni cav. prof. Giuseppe. Brescia. 1885. Ragnini dott. Romolo. Capitano medico 3® reggimento bersaglieri. Roma. Elenco dei Soci 10 1884. 1886. 1885. 1883. 1889. 1884. 1881. 1881. 1884. 1886. 1881. 1881. 1885. 1882. 1881. 1883. 1883. 1881. 1882. 1886. 1883. 1882. 1887. 1885. 1882. 1886. 1881. 1882. 1881. 1881. 1883. 1881. 1883. 1885. 160 Ricci prof. Arpago. Spoleto. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto Tecnico. Bari. Ristori dott. Giuseppe. Museo Paleontologico (Piazza S. Marco) Firenze. Riva Palazzi colonn. Giovanni. Comman il 45° fant. Messina. Roisecco ing. Ignazio. Ufficio delPaquedotto. Bologna. Sacco prof. Federico. Museo geologico. Palazzo Cari- guano. Torino. Salmojraghi ing. Francesco. Via Monte di Pietà 9. Milano. S carabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. Sciolette ing. Gio. Battista. Via dei Zingari 11. Roma. 170 Secco cav. Andrea. Senatore del regno. Solagna (Bas- sano veneto). Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. Sella ing. Corradino. Biella. * Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. Silvestri cav. prof. Orazio. R. Università. Catania. Simoncelli ing. Remo. Arcevia (Ancona). Simonelli dott. Vittorio. R. Università. Pisa. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. Sorniani ing. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. Spalletti contessa Gabriella. Piazza della Pilotta. Roma. 180 Speranzini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). Spezia cav. prof. Giorgio. R. Università. Torino. Sguinabol dott. Senofonte. Via S. Agnese. 1. Genova. Slassano dott. Enrico. Stazione Zoologica. Napoli. Statuti cav. ing. Augusto. Via dell’Anima 17. Roma. 11 Stephanescu prof. Gregorio. Università. Bukarest. Strobel cav. prof. Pellegrino. R. Università. Parma. Struver comm. prof. Giovanni. R. Università. Roma. Szabò cav. prof. Giuseppe. Università. Budapest. Taramelli cav. prof. Torquato. R. Università. Pavia. 190 Teliini dott. Achille. Pi. Università. Roma. Tenore ing. Gaetano. ViaS. Gregorio Armeno 41. Napoli. Terrenzi dott. Giuseppe. Narni. Terrigi dott. Guglielmo. Via Manin 9. Roma. Elenco dei Soci 11 1881. Tiltoni avv. Tommaso. Deputato al Parlamento. Via Rasella. 157. Roma. 1889. Toldo Giovanni. R. Università. Modena. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Istituto tecnico. Udine. 1883. Toni cav. conte Francesco. Spoleto. 1883. Toso ing. Pietro R. Corpo delle Miniere. Vicenza 1882. Tuccimei prof. Giuseppe. Via dell’ Anima 59. Roma. 1882. 200 * Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. 1881. Uzielli prof. Gustavo. R. Scuola per gli Ingegneri. Torino. 1883. Valenti prof. Esperio. Imola. 1882. Verri cav. magg. Antonio. Genio militare. Casale Mon- ferrato. 1883. Vilanova y Piera cav. prof. Giovanni. Università. Madrid. 1885. Viola ing. Carlo. R. Corpo delle Miniere. Bologna. 1882. Virgilio dott. Francesco. R. Università. Torino. 1881. Zaccctgna ing. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. Zezi cav. ing. Pietro. Ufficio geologico. Roma. 1883. Zonghi prof. Angusto. Fabriano. 1883. 210 Zuccari cav. Attilio. Ministero dell’Istruzione pubblica. Roma. 12 Elenco dei Soci COMMISSIONE PER LE PUBBLICAZIONI Il Presidente ] II Segretario / I! Tesoriere Pr0 temPore L’Archivista ] Conte comm. 0. S carabelli Gommi Flamini Cav. prof. A. D’Achiardi Cav. prof. G. Omboni COMMISSIONE DEL BILANCIO PEL 1889 G. S carabelli A. Secco P. Zezi ADUNANZA GENERALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN BOLOGNA IL 14 APRILE 1889. La seduta è aperta alle ore 2 y4 poni, nell’anfiteatro del R. Istituto geologico. Presidenza Capellini. Presenti il vice-presidente Taramelli, e i soci : Berti, Bom- bicci, Brugnatelli, Capacci, Cocconi, Cortese, Fornasini, Forsyth-Major, Foresti, Lanino, Niccoli, Pantanelli, Parona, Scarabelli, Secco, Silvani, Simoni, Yerri, e il sottoscritto Se- gretario. Scusano la loro assenza i soci: Can avari, Capici, D’Achiardi, De Zigno, Giordano, Issel, Mazzuoli, Meli, Niccolini, Neviani, Omboni, Tittoni, Zezi. Letto ed approvato il processo verbale dell’adunanza prece- dente, il Segretario comunica le lettere di ringraziamento per l’invio dei volumi del Bollettino dei Municipii di Rimini e di Terni, e del Rettore della R. Università di Bologna. Non che la seguente nota di pubblicazioni giunte in omaggio : Annual report of thè secretary for mines and water supply. Victoria 1888 (4°, pag. 106, tav. 17). F. Bassani, Alla venerala memoria di Giuseppe Meneghini. Estr. Rend. d. R. Acc. d. se. fìs. e mat. di Napoli. Fase. 2° 1889 (4°, pag. 2). F. Bassani, Alla venerata memoria di Giuseppe Seguensa. 14 Adunanza generale Estr. dal Rend. d. R. Acc. d. se. fis. e mat. di Napoli. Marzo 1889 (4°, pag. 2). A. Blytt, Oh variations of diviate in thè course of timo. Christiania 1886 (8°, pag. 24). A. Blytt, The probable cause of thè displacement of beach- lines. Christiania 1889 (8°, pag. 92, 1 tav. in tre fascicoli separati). Bulletin international de l’Academie des Sciences de Cracovie. Comptes-rendus des seances de l’Année 1889. Capellini G., Cenno storico intorno allo studio dei forami- niferi microscopici in Italia. Estr. Rend. d. Sessioni d. R. Acc. d. se. d. Ist. di Bologna 1889 (8°, pag. 9). ld., Il Congresso geologico internazionale di Londra. Rela- zione a S. E. il Ministro d’agricoltura, industria e commercio. Estr. d. Boll. d. R. Comit. geol. it. Anno 1888, n. 9 e 10 (8°, pag. 11). E. Clerici, Contribuzione alla flora dei tufi vulcanici della provincia di Roma. Estr. d. bull. d. Soc. geol. it. voi. VII fase. 3. 1888 (8°, pag. 5). E. Clerici e S. Squinabol, La duna quaternaria al capo delle Mele in Liguria Estr. d. bull. d. Soc. geol. it. voi. VII fase. 3. 1888 (8°, pag. 7). Fayol, Etudes sur le terrain houiller de Commentry. Forsytk-Major C. I., Faune mammalogiche delle isole di Kos e di Samos (Lettera al prof. G. Meneghini). Estr. proc. verb. d. Soc. Toscana di se. nat. Pisa 3 luglio 1887. (8°, pag. 4). Id., Sur un gisement d’ossemenls fossiles dans l'ile de Samos contemporaines de l’àge de Pikermi. Estr. Comptes-rendus de l'Ac. des Sciences. Paris 1888 (4°, pag. 4). Nicolis E., Contribuzione alla conoscenza degli strali acquosi del sottosuolo della bassa pianura del Veronese e dintorni. Ve- rona 1889 (8°, pag. 13). Id., Sopra uno scheletro di teleosteo scoperto nell' eoe e ne medio di valle d'Avesa. Estr. voi. LXV, s. 3a dell’Acc. d'agric- arti e comm. di Verona. 1888 (8°, pag. 7, 1 tav.). Id. Breve illustrazione degli spaccati geologici delle prealpi settentrionali. Estr. voi. LXVI s. 3a dell' Acc. d’Agric. Arti e Comm. di Verona. 1888 (8°, pag. 36, 1 tav.). Proceedings of thè Academv of Naturai Sciences of Philadel- della Società Geologica Italiana 15 phia. March — September 1888. (1 fase. 8°, pag. 121-272, pi. VII- XIII), fig. intere. Severo Ricardo, Paleoethnologia Portugueza. Les ages prehi- sloriques de l’Espagne et du Portugal de M. Emile Cartailhac. Porto 1888 (8°, pag. 113). Strobel P., Gli orsi delle caverne nel continente italiano , contemporanei dell’uomo. Estr. d. boli, di paletnologia italiana Anno XV, n. 1 e 2, Parma 1889. (8°, pag. 5). The gold-fields of Victoria. Reports of thè mining Registrare for thè qnarter-ended 30th june 1888 (4°, pag. 92, con 8 tav.). Transactions et proceedings of thè Royal Geographical Society of Australasia. p. I, voi. VI. Melbourne 1888 (8°, pag. 40). Giunsero in cambio le seguenti pubblicazioni del R. Istituto geologico di Ungheria : Mittheilungen aus den Iahrbuche der kòn. ungarisclien geolo- gischen Anstalt , Band. IV, V, VI, VII, Vili (in 23 fase.). lahresberich der Icgl. ung. geologischen Anstalt fur, 1883 , 1884, 1885. Foldtani Kozlony havi folyoirat, kiadja a magyarhoni Fòldtani tàrsulat. 1887, 1888, 1889 (1-3). (in 9 fase.) W. Zsigmondi, Mittheilungen uber die Bohrthermenn etc. Pest 1873 (8° picc., pag. 80, con 4 tav.). Venne accolta la domanda di cambio degli atti della: Magya- rorszàgi Karpategyesulet (Società Ungherese dei Carpazi) di Locse (Ungheria); Naturfoschende Gesellschaft di Freiburg. (Baden). Il Presidente partecipa che la contessa Carolina Pepoli-Tattini, presidente del Comitato delle signore bolognesi pel gonfalone uni- versitario offerto nelle feste centenarie dell’anno scorso, fa omaggio alla Società di una bella fotografia di detto Gonfalone, insieme al- l’opuscolo pubblicato nella circostanza, che ha per titolo: Il gon- falone della R. Università di Bologna. Tip. Azzoguidi 1889. In esecuzione del voto espresso dall’ultima adunanza generale dovendosi procedere’ alla nomina della Commissiona del bilancio, la quale esamini il consuntivo 1888 e riferisca prima della adu- 16 Adunanza generale nanza estiva del corrente anno, il Presidente comunica che il Con- siglio direttivo propone a tale ufficio i soci: Senatore Giuseppe Scarabelli, Sen. Andrea Secco, e Cav. Pietro Zezi. La Società approva, e i soci suddetti sono nominati commis- sari del bilancio pel 1889. Vengono proclamati soci i signori: Ing. Ignazio Roisecco della Società dell’acquedotto in Bo- logna, proposto dai soci Capellini e Foresti. Dott. Fausto Morini prof, di Botanica nella R. Università di Sassari, proposto dai soci Capellini e Fornasini. Dott. G. B. Cacciamali prof, di storia naturale nel R. Liceo di Arpino, proposto dai soci Tuccimei e Zezi. Conte Gilberto Melzi di Milano proposto dai soci Parona e Taramelli. Giovanni Toldo di Modena proposto dai soci Pant anelli e Taramelli. Dopo ciò il Presidente legge la seguente commemorazione del socio Giuseppe Meneghini. « Alla vostra benevolenza, colleghi dilettissimi, devo l’onore di vedere la Società geologica italiana riunita per la terza volta in questo Istituto ricco di memorie che ne ricordano la gloriosa fon- dazione nel 1881 ner nobile e ardita iniziativa di Quintino Sella; e non appena mi fu nota la affettuosa dimostrazione, affrettai col pensiero la fausta ricorrenza di questa adunanza primaverile, come occasione propizia per esprimervi i sentimenti della mia più sin- cera riconoscenza. « Ma al lieto avvenimento oggi si accompagna una nota di tri- stezza, il mesto ricordo creile recenti irreparabili perdite di colleglli : gravissima quella dell’amato nostro primo presidente Giuseppe Me- neghini, per la quale nulla varrà a lenire la nostra afflizione. « Interprete del giusto desiderio di tutti, dirò brevemente di Lui come geologo, maestro ed amico impareggiabile ; che se le mie parole non saranno abbastanza degne dell’insigne scienziato che intendiamo di commemorare, spero che anche questa volta, non mi sarà per mancare la affettuosa vostra indulgenza. della Società Geologica Italiana 17 « Il 29 gennaio di quest'anno (1889) fu giorno di gravissimo lutto per la scienza e per l’Italia. — Giuseppe Meneghini nato in Padova il 30 luglio 1811 morì in Pisa, ove visse per ben quarant’anni circondato dall’affetto e dalla ammirazione degli sco- lari, degli amici, della città tutta ; e scienza e patria lo piansero, lo piangono e lo piangeranno lungamente, perchè uomini buoni e bravi ad un tempo nascono di rado. « Imponente fu la dimostrazione di affetto da parte della scola- resca e di ogni ordine di cittadini allorché la salma, dal museo ove dì e notte l’illustre scienziato si logorò lentamente a vantaggio degli studi e degli studiosi, fu trasportata al camposanto rubano in cui, per decreto che onora altamente la città di Pisa, venne deposta presso la tomba di Paolo Savi. « Sul feretro dissero affettuose parole il prof. d’Achiardi e il rettore Dini per la Università e i rappresentanti delle città di Padova e Pisa ; parecchi già commemorarono l’amato maestro, il benefattore, l’amico, il collega, sui giornali e presso i sodalizi scientifici alla cui fondazione e prospera vita Meneghini aveva tanto contribuito o che si onoravano di averne inscritto il nome illustre nei loro elenchi ; una speciale commemorazione si è fatta, or sono pochi giorni, nell’Aula Magna dell’Ateneo pisano, per nobile ini- ziativa della Società toscana di Scienze naturali, della quale fu presidente fino dalla fondazione nel 1874 e in essa parlò il nostro collega dottor Canavari. Non per questo è da credere esaurito il pietoso argomento ; chè la vita del grande naturalista può consi- derarsi da tanti punti di vista, da offrire a molti ancora materia abbondante. « E se a me non resse l’animo di dire una sola parola sul fe- retro del diletto amico e maestro, se lino ad ora serbai rispettoso silenzio, non poteva oggi perdere la opportunità di commemorare modestamente e brevemente chi, per volontà di Quintino Sella e per consentimento di tutti i colleghi, fu primo presidente della nostra Società geologica italiana organizzata e fondata presso questo stesso Istituto in cui ho l’onore di vedervi riuniti per la terza volta, per inaugurare l’ottavo anno della sua prospera vita. 2 18 Adunanza generale « Giuseppe Meneghini non aveva compito ventitré anni, allorché nella università di Padova ottenne con grande onore la laurea in medicina. Era l’anno 1833, anno veramente memorabile nella storia dei progressi della geologia, come ebbi già occasione di notare altra volta (') ; l'anno in cui La-Beche e Guidoni facevano impor- tanti scoperte nei monti dei dintorni di Spezia, Hoffmann studiava la Spezia, le Alpi Apuane, la Toscana e tracciava la prima carta geologica della Sicilia ; Paolo Savi faceva conoscere la geologia dei Monti pisani e dell’isola d’Elba. « L’anno seguente 1834 il dottore Meneghini con due impor- tanti pubblicazioni : de Axe cephalo-sp inali , e Ricerche sulla struttura del caule delle dicotiledoni , si annunziava come valente tisiologo e distinto botanico ; dotato però di animo squisitamente gentile e sensibilissimo, alla pratica medica che lo avrebbe obbli- gato a trovarsi di continuo in presenza di dolori e di miserie che spesso l’arte è impotente a scongiurare od anche a lenire, preferì il culto di Plora e sei mesi dopo aver conseguita la laurea ottenne il posto di Assistente e Supplente alla cattedra di Botanica nel patrio Ateneo. « L'amore del nostro naturalista per quei primi suoi studi di elezione fu grandissimo, nè mancò di rivelare l’antico affetto ogni qualvolta ebbe ad occuparsi di piante e anche per annunziarsi nato a Padova usò frequentemente la frase pronunziata per la prima volta in una delle sue celebri lezioni di geografia tìsica fino dal 1850 : « nato all’ombra del platano che attesta la antichità del primo « giardino botanico e ricorda lunga serie di glorie scientifiche « italiane ». « Quantunque già nel 1845 si abbiano da registrarne lavori geologici, pure fino al 1849 il Meneghini va considerato essen- zialmente come botanico ; e qual fosse la fama che egli si era acquistato come insegnante e come scienziato, non solamente in Italia, ben lo sanno i primi tra i suoi discepoli che passarono le Alpi ; e dai più valenti botanici di Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania che nei Congressi scientifici italiani avevano avuto la F) Capellini G. Discorso di apertura della seconda adunanza estiva della Società geologica italiana a Fabriano. 2 sett. 1882. Boll. Soc. geol. ital. voi. 2, pag. 09. Roma 1883. della Società Geologica Italiana 19 opportunità di conoscerlo e di apprezzarlo, sentirono lamentare che avesse abbandonato le piante per occuparsi delle pietre e dei fossili. Quando nel 1855 in compagnia del march. Giacomo Doria e con la guida del modesto quanto valente naturalista romagnuolo Lodovico Caldesi che le amarezze dell’esilio temperava allora con lo studio delle piante, mi occupai di una raccolta di alghe dell’in- cantevole golfo di Spezia, imparai ancora ad apprezzare l’opera pregevolissima del Meneghini sulle Alghe italiane e dalmatiche, pur troppo interrotta due anni prima che l’autore dovesse emi- grare sulle rive dell’Arno : devo aggiungere che ^questo ed altri suoi lavori botanici sono pur oggi molto ricercati e in gran pregio. Ma lasciando ad altri di dir più convenientemente di Meneghini botanico, qui mi preme di accennare che, per aver preso parte ai movimenti politici del 1848 insieme al fratello Andrea, per essere stato inviato in missione al campo di Carlo Alberto, e certamente per aver contribuito alla fuga di Alberto Mario di cui era imminente l’arresto, fu cancellato dal ruolo dei professori della Università patria, e cacciato in bando sullo scorcio di quello stesso anno cercò asilo in Toscana. « Leopoldo Pilla che nel 1842 aveva avuto l’insegnamento della mineralogia e della geologia nell' Ateneo pisano, succedendo a Paolo Savi che fino allora professore di Storia naturale, in seguito rite- neva soltanto la zoologia e 1’ anatomia comparata ; nella gloriosa giornata del 29 maggio 1848, combattendo alla testa dei disce- poli, cadeva eroicamente a Curtatone perdendo per l’indipendenza d’Italia la vita che più volte aveva anche cimentato per la scienza (Q. (!) Al Pilla non si rese giustizia quanto meritava. Il Coquand che ben lo conosceva ed era in grado di apprezzare, quant’altri, ciò che aveva fatto per la scienza in generale e pel progresso della geologia toscana in partico- lare ne lesse breve notizia necrologica alla Société géol. de Franco nella se- duta 16 aprile 1849 ; essa termina così : « L’échec de Curtatone et la fin du professeur de Pise furent dans la « Pén insule un deuil generai. Brescia réclama ses depouilles et c’est dans la « patrie du fameux Arnaldo que repose ce nouveaux martyr de la vieille u cause italienne. Les Brescians se sont monlrés dignes du dépót que leur u avait confié Pltalie. Un peuple qui proteste par le sacrifice de sa vie contre « les injustices de la fortune est, quoi qu’on en dise, digne de la liberté. u Les ruines fumantes de la citò lombarde couvrent la honte de la journée u de Novara. Un soleil plus glorieux luira pour l’Italie.... elle reconstruira 20 Adunanza generale « Perfino gli stranieri ci auguravano di poter riparare la grave perdita fatta per la patria e per la scienza, quando all’esule pa- dovano venuto a cercar pace in riva all'Arno fu offerto asilo sicuro e tranquillo all’ombra ospitale dell’ antichissimo Ippocastano del giardino Pisano che fino a pochi anni or sono guardò con parti- colare predilezione. « Mi immagino quanto deve essere stata penosa la risoluzione che all’appassionato botanico era imposta da dure circostanze : abbandonare coraggiosamente le piante per darsi tutto allo studio dei minerali e dei fossili ! « La simpatia e la stima sincera dei nuovi colleglli che ne apprezzavano l'alto sapere, e principalmente le premure affettuose di Paolo Savi che, più che amico come fratello, a lui si associava per le prime e più diffìcili investigazioni nel nuovo campo di studi, dovettero essere di ineffabile conforto al cuor gentile dell'esule ; e poiché questi sapeva far bene tutto ciò che imprendeva a fare e faceva tutto con amore, direi anzi con zelo, presto raggiunse nello studio dei fossili fama cospicua e per nulla inferiore a quella che già si era meritato come botanico. « Fino al giorno in cui il Meneghini saliva la cattedra lasciata vuota dal Pilla, di lui come geologo si conoscevano soltanto i cenni e le note sul combustibile fossile di Raveo pubblicate nel 1845 e 1846; e quantunque dovesse, fin da principio professare la mineralogia, la geologia e la geografia tìsica, pure dopo due soli anni di indefesso lavoro potè pubblicare, insieme col Savi le Osser- vazioni stralici r a fiche e paleontologiche della Toscana e dei paesi limitrofi ; opera la quale anche oggi e malgrado i rapidi progressi fatti dalla scienza, si può considerare come una ricca miniera, ove si trovano sempre molte cose da imparare e moltissimo da ammirare. “ soff édifice national.... Puisse-t-elle réparer aussi la perle qu’elle a faite et “ que nous avons faite avec elle d’un savant que nous lui avions enviè, et qui « fut l’un des membres les plus éminents et les plus regrettés de notre “ Société.... Pilla pochi giorni prima di partire pei campi lombardi, diceva al Coquand : « L’heure de l’e'chéance a sonné ; l’Italie escompte par quatorze siécles « de servitude la splendeur de ses premiers temps. On nous conduit à la bou- « cherie ; mais nous devons apprendile à nos enfants à mourir, pour qu’ils « sachent un jour vouloir et devenir libres ». della Società Geologica Italiana 21 “ Quel lavoro era dagli autori modestamente indicato come Appendice ad una Memoria del Murchison sulla struttura geolo- gica delle Alpi degli Apertami e dei Carpazi , della quale un anno prima il Meneghini pubblicava la traduzione compita rapi- damente in unione al Savi, coll’ aiuto del conte Alessandro Spada e del maggiore Charters entrambi benemeriti e appassionati cultori della geologia italiana. « La traduzione della Memoria del valentissimo geologo era pre- ceduta da quella del sunto e conclusione dell’Opera dello stesso autore sulla Geologia della Russia europea e sui monti Urali , e ciò per agevolare la intelligenza del lavoro riguardante più spe- cialmente l’Italia. « Nella prelazione di quella prima pubblicazione è importante di notare come, fin d’ allora, fosse sentito il bisogno di unificare le vedute e il linguaggio dei geologi per conseguire sollecitamente la conoscenza del suolo e per potere delinearne una esatta carta geologica generale. E il voto emesso dal Meneghini nel 1850, fecondato tra noi e in America ebbe suo compimento mercè le deliberazioni dei Congressi internazionali di geologia a Parigi nel 1878 e qui in Bologna nel 1881, e quanto il nostro maestro vi si interessasse avrò tra poco ad accennare. « In quella stessa prefazione vi hanno p eziosi consigli pei quali ognuno può farsi chiara idea dell’indole del Meneghini e delle sue costanti aspirazioni, manifestate pure in tante circostanze e nelle affettuose sue lettere agli amici e ai giovani naturalisti. « Le discussioni (scriveva il Meneghini) sieno trattate con « quella dignità che è necessaria a dimostrare i cultori della « scienza primi maestri di civiltà. La perfezione dell’esempio che « proponiamo a noi stessi e ad altri ad imitare, giustificherà queste « nostre parole dettate unicamente dal vivissimo desiderio che, « come è ora ben conosciuta la struttura geologica dell’ Inghilterra, « della Francia, della Germania, della Russia, di parte dell’ Africa « e dell’ America, così lo sia una volta quella dell’Italia! ». « Dalla breve ma importante Appendice alle Considerazioni sulla Geologia stratigrafica Toscana pubblicata nel 1858 col titolo « Nuovi fossili toscani » si rileva che i voti dell'illustre natu- ralista s’andavano realizzando e che gli amorevoli suoi incoraggia- 22 Adunanza 5 1842. della Società Geologica Italiana 33 1847. 35. Lezioni di Botanica popolare. — (Nel Giorn. l’Euganeo). Padova. » 36. Osservazioni postume di Zoologia Adriatica del prof. S. A. Re- nier. — (Pubblicate per cura dell’I. E. Ist. ven., a studio del prof. G. Meneghini). In fol. di pag. 120, con 16 tav. Venezia. » 37. Tavole del Renier illustrate dal prof. G. Meneghini (A. d. Vili Riunione d. Se. it.). Genova » 38. Considerazioni organografìche sulle Trcvirane. — (Ibid. . » 39. Sulla significazione delle spine dello Xantìnum spinosum. — (ibid.) » 40. Osservazioni sulla infiorescenza della tàglia. — (Ibid.). » 41. Osservazioni alla memoria del prof. Ugo Molli « Sullo sviluppo della membrana delle cellule ». — (Ibid.;. » 42. Combustibile fossile di Raveo. — (Ibid.). » 43. Scoperta del Muschelkalk nella valle del Ragliamento. — (Ibid.). 1851. 44. Traduzione della Memoria di Sir R. Murchison: Sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apennini e dei Carpazi. — Firenze. » 45. Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana, dei pro- fessori Paolo Savi e Giuseppe Meneghini. — (In Appendice alla traduzione del lavoro del Murchison). Firenze. » 46. Lezioni orali di Geografia fisica. — In 8° di pag. 658. Pisa. 1852. 47. Mineralogica! Notices, A letter to J. I). Dana. — (In Sillim. Amer. Journ.). New Haven. » 48. Gazzetta medica italiana, luglio. — Firenze. 1853. 49. Nuovi fossili toscani illustrati. — (Negli Ann. d. Univ. tose., tom. III). Pisa. » 50. Rapporto sulla miniera ramifera di Bisano nel Bolognese. — (Società mineralogica Bolognese). Bologna. E rapporti sulla stessa negli anni successivi 1853-1868. » 51. Sulla attuale scienza geologica. — (Discorso di Laurea). Pisa. 1856. 52. Sulla cronologia geologica. — (Discorso di Laurea). Pisa. 1857. 53. Conclusione del discorso anniversario del presidente W. I. Ha- milton esq. alla Soc. geol. di Londra. — (Discorso di Laurea). Pisa. » 54. Paléontologie de Pile de Sardaigne. — In 8° di pag. 586, con 8 tav. in fol. Turin. Questo lavoro fa parte del Voyage en Sardaigne par C. A. De La Mannora. 1858. 55. Elogio funebre del prof. E. Bertagnini. — Pisa. 1859. 56. Sui recenti progressi scientifici. — (Discorso di Laurea). Pisa. » 57. Sui giacimenti ramiferi di Libbiano. — Pisa. » 58. Notizie sui marmi campigliesi inviati all’esposizione di Firenze nel novembre 1850. — Firenze. 1860. 59. Secondo rapporto sui giacimenti ramiferi di Libbiano. — Livorno. » 60. Supple'ment au second volume du Voyage en Sardaigne. — Turin. » 61. Nota sul macigno ofiolitico. — (Nel Giorn. il Nuovo Cimento). Pisa. » 62. Sulla presenza del ferro oligisto nei giacimenti ofiolitici. — (Ibid.). » 63. Rapporto sulle cave di marmi varicolori, aperte nei beni della 34 Adunanza generale signora T. Gelichi nei Caporali, nel luogo detto il Capannino presso il Gabbro in comune di Colle Salvetti. — Pisa. 1861. 64. Rapporto sui lavori eseguiti dalla Società mineraria anglo-toscana durante l’annata sociale 1860-61. — Livorno. » 65. Della legislazione mineraria e delle scuole delle Miniere. — (Di- scorsi due, compilati per commissione di S. E. il Ministro di agr. ind. e comm. da C. Poggi e C. Marzucchi e dai professori Paolo Savi e G. Meneghini). Firenze. 1862. 66. Descrizione dei resti di due Fiere trovati nelle Ligniti mioceniche di Montebamboli. — (Negli Atti d. Soc. it. di Se. nat., voi. IV). Milano. » 67. Notizie sulla lignite della miniera del Poder Nuovo in Monte Eufoli. — Livorno. » 68. Notizie ulteriori sulla lignite della miniera del Poder Nuovo in Monte Eufoli. — Livorno. » 69. Studi sugli Echinodermi fossili neogenici di Toscana. — In 8° di pag. 31, con 2 tav. (Nella Descrizione di Siena, pubblicata nell’occasione del Congresso ecc.). Siena. 1863. 70. Enumerazione dei prodotti minerari della provincia di Pisa. — (Nella Stat. d. prov. di Pisa). Pisa. 1864. 71. Dentex Ministeri, specie di pesce delle argille subapenniniche del Volterrano. — Con tavola in rame. (Negli Ann. d. univ. tose, toni. Vili). Pisa. » 72. Studi paleontologici sulle Ostriche cretacee di Sicilia, — Con ta- vole. (Negli Atti d. Soc. it. di Se. nat.). Milano. » 73. Correlazioni di parallelismo fra le classi di vertebrati secondo il prof. J. D. Dana. — (Nel Giorn. il Nuovo Cimento). Pisa. 1865. 74. Minerale di rame della miniera del Caggio in Monte Eufoli. — Livorno. » 75. Saggio sulla costituzione geologica della Provincia di Grosseto. — Con carta geologica. (Nella Stat. della prov. di Grosseto). Firenze. » 76. Rapporto sulla miniera cinabrifera del Siele e su quanto si rife- risce al già stabilimento mineralogico Modigliani, ora Sadun Rosselli. — Livorno. » 77. Classificazione degli animali basata sul principio della cefalizza- zione di J. D. Dana. — (Nel Giorn. il Nuovo Cimento). Pisa. 1866. 78. Del merito dei Veneti nella Geologia. — (Prolusione alla R. Uni- versità degli studi di Pisa per l’anno accad. 1866-67). Pisa. 1867. 79. Sulla promiscuità dei minerali di Zinco e di Piombo nelle mi- niere del Salto di Gessu in Sardegna. — Livorno. » 80. Sulla produzione dell’acido Borico dei Conti De Larderei. — Pisa. 1867-68.81. L’Europa secondo i recenti studi geografici. — (Nella Nuova Antologia). Firenze. 1867-81. 82. Monographie des fossiles appartenant au calcaire rouge ammoni- tique de la Lombardie et de l’Apennin de l’Italie centrale. — In 4° di pag. 242, con tav. 31, e in appendice: Fossiles du Modulo, 1868. » 5? 5J » 1869. 1872. 1873. 1874. 1875. ?? J? « » 1876. 1877. 1878. » » » ?? della Società Geologica Italiana 85 di pag. 56, con tav. 7. (Nella Paléontologie Lombarde par l’abbé A. Stoppani). Milano. 83. I Marmi di S. Maria del Giudice e S. Lorenzo a Vaccoli. — Lucca. 84. Rapporto scientifico sulla miniera carbonifera di Monte Bufoli. — Livorno. 85. Mitra Caterinii. Nuova specie di conchiglia fossile. — Livorno. 86. Rapporto della visita fatta alla miniera di Bisano il 15 Maggio 1868. — Bologna. 87. Lettera al sig. G. vom Rath. — Die Berge von Canapiglia. (Nel Zeitschr. d. D. g. Gesellsch. XX). Berlin. 88. Aturia Spinella n. sp. — Con tav. (Nel Boll. Malaeol. ital. N. 1). Pisa. 89. La Geologia del presente. — (Nella Nuova Antologia). Firenze. 90. Lettera al prof. I. Cocchi su di un lavoro di E. Suess: Sulla struttura della penisola italiana. — (Nel Boll. d. R. Coni. geol. d’Italia, voi. III). Firenze. 91. Nota dei prodotti minerali da costruzione e da ornamento della provincia di Pisa, raccolti per l’esposizione di Vienna del 1873. — Pisa. 92. La scorza del globo terrestre. — (Nella Nuova Antologia). Firenze. 93. Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras del Lias superiore d’Italia. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat.). Pisa. 94. I Crinoidi terziari. — (Ibicl.). 95. Discoeso di apertura della Società malacologica italiana. — Pisa. 96. Sulla struttura degli Aptici, in unione al dott. G. Bornemann. — (Ibid.). 97. Nota sulle Ammoniti del Lias superiore descritte dal sig. Eug. Dumortier. — (Ibid.). 98. Paragone paleontologico dei vari lembi di Lias superiore in Lombardia. — (Negli Atti d. R. Acc. dei Lincei). Roma. 99. Commemorazione scientifica del conte Alessandro Spada. — Pisa. 100. Parole pronunziate nel camposanto urbano di Pisa per la inau- gurazione del monumento in memoria di G. Orosi. — Pisa. 101. Resti fossili di Mastodon arvernensis. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat. Proc. verb. Voi. I, pag. 6). Pisa 102. Breve replica alla comunicazione: Cronologia dei terreni terziari della Toscana di De Stefani C. — (Ibid., pag. 27). 103. Nuove osservazioni sui Crinoidi terziari. — (IbicL, pag. 31). 104. Due nuove specie di Suessia E. Desi. — (Ibid., pag. 32). 105. Osservazioni alla nota: Delle argille galestrine, di De Stefani Carlo. — (Ibid., pag. 43). 106. Relazione sulla memoria del prof. G. Seguenza avente per titolo : Studi geologici e paleontologici sul cretaceo medio dell’Italia meridionale. — (Trans. R. Acc. de’ Lincei). Roma. 107. Commemorazione del dott. Giovanni Zanardini. — (Negli Atti d. R. Ist. ven.). Venezia. 1879. 36 Adunanza generale 1879. 108. Fossili oolitici di San Vigilio. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat.). Pisa. » 109. Descrizione dei nuovi Cefalopodi titonici di monte Primo e di Sanvicino. — Con tavola. (Ibid.). » 110. Fossili titonici di Lombardia. — (Ibid., Proc. verb. Voi. I, pag. 104). » 111. Relazione sopra la memoria del prof. Boretti intitolata: Studi geologici sulle Alpi Graie settentrionali versante italiano (in unione del prof. Capellini). — (Trans. R. Acc. de’ Lincei). 1880. 112. Nuovi fossili siluriani di Sardegna. — Con tav. (Negli Atti d. R. Acc. dei Lincei). Roma. » 113. Fossili oolitici di monte Pastello nella Provincia di Verona. — Con tavole. (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat.). Pisa. » 114. Osservazioni alla nota: Fossili dei diaspri di Pantanelli D. — (Ibid. Proc. verb. Voi. II, pag. 29). » 115. Trias in Sardegna. — (Ibid., pag. 73). » 116. Resti di Tapiro e d’istrice nella Lignite di Ghivizzano. — (Ibid., pag. 74). » 117. Studio microscopico delle varie calcarie fossilifere delle Alpi Apuane. — (Ibid., pag. 74). n 118. Nuovi fossili delle Alpi Apuane. — (Ibid., pag. 102). » 119. Dell’alta Val di Nievole. Cenni topografici. — (Nel Manuale cli- nico delle acque di Montecatini del prof. F. Fedeli). Firenze. » 120. Fauna primordiale in Sardegna. — (Nei transunti d. R. Acc. dei Lincei). Roma. 1881. 121. Ammoniti del Lias medio. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat. Proc. verb. Voi. II, pag. 188). Pisa. » 122. Osservazioni alla comunicazione: Di nuovo sui lavori del Comi- tato geologico nelle Alpi Apuane, di De Stefani C. — (Ibid., pag. 195). » 123. Nuove Trilobiti in Sardegna. — (Ibid., pag. 199). » 124. Ulteriori notizie sulle Trilobiti di Sardegna e sui fossili paleo- zoici delle Alpi Apuane. — (Ibid., pag. 234). » 125. Posizione relativa dei vari piani siluriani dellTglesiente in Sar- degna. — (Ibid., pag. 258). » 126. Sur T uniformité de la nomenclature des grandes divisions de l’écorce terrestre. — Bologne. » 127. Relazione sul premio di S: M. Re Umberto. — (Nei Transunti d. R. Acc. dei Lincei). Roma. » 128. Della scuola geologica di Paolo Savi. — (Prolusione alla R. Uni- versità degli studi di Pisa per l’anno accad. 1881-82). Pisa. 1882. 129. Biografia di Paolo Savi. — (Nelle Memorie d. Soc. ital. di Se. detta dei XL, toni. IV). Napoli. » 130. Fossili di Monsummano e del monte delle Panteraie presso Mon- tecatini in Val di Nievole. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat. Proc. verb., pag. 111). Pisa. » 131. Fauna cambriana dell’Inglesiente. — (Ibid., pag, 158). 37 della Società Geologica Italiana 1882. 132. Discorso di apertura dell’ adunanza estiva, tenuta in Verona, dalla Società geologica italiana. — (Nel Boll. d. Soc. geol. ital.). Roma. 1883. 133. Nota dei fossili rinvenuti nei terreni siluriani dell’isola d’Elba. — (Negli Atti d. Soc. tose, di Se. nat. Proc. verb. Voi. Ili, pag. 211). Pisa. ii 134. Nota dei fossili rinvenuti dall’ing. Zaccagna nel titoniano in Lunigiana. — (Ibid., pag. 220). » 135. Osservazioni alla comunicazione: Di alcune ammoniti del Lias medio rinvenute a Monte Parodi di Spezia, di Canavari M., Lotti B. e Zaccagna D. — (Ibid., pag. 274). » 136. Nuova ammonite della pietraforte di monte Ripaldi. — (Ibid., pag. 254). » 137. Lobo antisifonale dei Lytoceras. — (Ibid., pag. 255). ii 138. Le Oraziane o Bilobiti nei terreni Cambriani in Sardegna. — (Ibid., pag. 256). » 139. Cenni necrologici di P. Cortese, P. Canal, 0. Heer e G. Barrande. — (Ibid. Voi. IV, pag. 3). ii 140. Note alla fauna cambriana dell’Iglesiente. — (Ibid., pag. 7). 1884. 141. Nuovi fossili cambriani di Sardegna. — (Ibid., pag. 56). » 142. Nuove specie di Ammoniti dell’Apennino centrale. — (Ibid., pag. 75). ii 143. Ellipsactinia del Gargano e di Gebel-Ersass in Tunisia. — (Ibid., pag. 106). 1885. 144. Bilobiti cambriane di Sardegna. — (Ibid., pag. 184). ii . 145 Osservazioni alla comunicazione : La creta e l’eocene nei dintorni di Firenze di Lotti B. — (Ibid., pag. 222). ii 146. Osservazioni alla comunicazione : L 'Amphistegina del calcare lenticolare di Parlascio (Pisa) di De-Amicis C. A. — (Ibid., pag. 226), 1886. 147. Goniodiscus Ferrazzii Mgh. Nuova stellcride terziaria del Vicen- tino. — (Ibid. voi. V). ii 148. Possili triassici delle Alpi Apuane. — (Ibid. Proc. verb.). >i 149. Sulla Fauna del Capo di S. Vigilio ecc. — (Ibid.). 1887. 150. Actinocrinus di Sarrabus in Sardegna. — Ultimi lavori sulle Bi- lobiti c. s. (Ibid.). 1888. 151. Paleontologia dell’Iglesiente in Sardegna. — (Mem. del R. coni. geol. d’It. Voi. III). Firenze. Rapporti vari pubblicati negli Atti dei R. lincei, per Commissioni • e nei voi. della Soc. dei XL. Terminata la lettura ascoltata da tutti gli astanti con religioso silenzio, la Società mostra cogli applausi quanto partecipa agli ele- vati sentimenti espressi dal Presidente. Il quale ripiglia: 38 Adunanza generale « Dopo la sessione estiva dello scorso anno si hanno pure da ricordare le seguenti perdite: « Cav. avv. Mariano Corini morto a Genova il 20 settembre ; di esso abbiamo un cenno necrologico inviato dal socio cav. ing. Mazzuoli. « Dott. Luciano Aragona nato a Cremona nel 1814 laureato in medicina nella Università di Pavia e lino dal 1871 domiciliato a Robecco d’Oglio ove morì il 2 ottobre scorso. Appassionato rac- coglitore di fossili terziari ne possedeva una ricca collezione spe- cialmente del Piacentino e del Parmense, era quanto aveva di più caro e, morendo, ne dispose a favore del collega prof. Meli. Tutta la sua fortuna lasciò al Comune per fondare un ospedale per i poveri. « D. Perrando Deo Gratias morto il 19 gennaio, di cui la importante collezione di fossili e oggetti preistorici della Liguria occidentale fu acquistata pel museo della R. Università di Genova ; abbiamo una Nota necrologica inviata dal socio consigliere prof, cav. A. Issel. « Prof. Giuseppe Seguenza tanto benemerito della scienza per le sue pubblicazioni sulla geologia della Sicilia e della Calabria, rapito il 3 febbraio all’amore dei colleghi e della sua città natale che altamente lo apprezzavano. Il socio barone Cafìci ci ha inviato una elaborata affettuosa necrologia da pubblicare nel Bollettino e che mi dispensa da aggiungere parole di encomio in memoria di quel collega operosissimo, che fu anche consigliere della nostra So- cietà nell' anno della sua fondazione ». Dal Presidente viene data partecipazione dei seguenti con- gressi : Riunione straordinaria della Société géologique de Fratice a Parigi il 19 agosto 1889, alla quale sono con circolare di quel Presidente Hébert in particolar modo invitati tutti i membri della Società geologica italiana. Congresso internazionale di antropologia e archeologia preisto- rica (sessione 10a), da tenersi a Parigi nella circostanza dell'Espo- sizione universale. Congresso internazionale di Zoologia in Parigi. Congresso della British Association far thè advancemcnt of Sciences a New-Castle. della Società Geologica Italiana 39 È posta ai voti la nomina di nna Sotto-commissione in rapporto con la Commissione iuternazionale per la nomenclatura per rife- rire "al congresso di Filadelfia del 1891. Rimangono eletti a membri di questa Sotto-commissione i soci : Bassani, Cocchi, De Stefani, Gemmellaro, Issel, Omboni, Silvestri, Taramelli, i quali dal Presidente sono proposti a nome del Consiglio. Il Presidente comunica che il 1° concorso pel premio Molon, scaduto il 31 marzo, è andato deserto per mancanza di concorrenti. Conforme quindi al disposto dell’ art. 5 del regolamento speciale approvato in Terni il 26 ottobre 1886 la somma di L. 1800 de- stinata pel 1° premio triennale deve essere capitalizzata, perchè la rendita vada a vantaggio delle pubblicazioni della Società. Annunzia che nella sessione estiva di quest’anno verrà promulgato il nuovo concorso. Partecipa pure che S. E. il Ministro della pubblica istruzione ha inviato alla Società un sussidio di L. 500 per aiutarne le pub- blicazioni. L’adunanza vota speciali ringraziamenti. Il socio Forsyth Major presentando le sue due note, annun- ciate nella lista degli omaggi, sopra i mammiferi fossili delle isole di Kos e di Samos, dice che l’anno passato tornò all'isola di Samos, dove trovò nuovi fossili non compresi nelle due note suddette. Dice che le colline circostanti al bacino lacustre di quell’isola sono for- mate da un calcare lacustre con Melarne. Nel deposito ciottoloso trovò le prime ossa, sulle cui tracce fu messo dal principe di Samos. Parla della terra rossa che sta sotto al deposito ciottoloso e che è la ganga dei fossili di Pikermi. Nello strato fossilifero si trova una Ilelix, un Bulimus e steli di piante lacustri. Circa i fossili, presenta i resti e le fotografìe di due sdentati, un Orycteropus e un Palaeomauys nuovo genere della famiglia dei Manidi. Inoltre le mascelle di un Samotherium, nuovo genere affine alle giraffe. Cita l’opinione del Gaudiy sul Palaeolragtts che ha un occipite differente dal Samotherium. Aggiunge di aver trovato un ruminante, del quale presenta le fotografìe, e che a prima vista si crederebbe un maiale, mentre le ossa parietali non hanno analogia che col- YAgali dell’Asia. Lo ha chiamato Criotherium agalioides , e prò- 40 Adunanza generale pone di classificarlo pel momento tra le antilopi, ma a rigore non troverebbe posto tra gli animali della fauna attuale. Presenta inoltre altre fotografie e disegni di fossili, tra i quali è notevole uno Struthio, un Melos affine al M. taxus ma che egli propone di chiamare M. Maraghanus. Conclude dicendo che la fauna fossile di Samos ha un carat- tere africano, e che unica eccezione sarebbe quella del Crioterium Agalioides , tipo asiatico. Dice che vi sono 6 o 7 specie identiche con Maragha, 18 o 19 con Pikermi. L’isola di Samos essendo vi- cinissima al continente asiatico, ne segue che tutte le questioni relative alla distribuzione geografica quale oggi si vuole ammettere sono premature, e che bisogna limitarsi solo alle generalità. 11 vice-presidente Taramelli domanda se nell'isola vi sono tracce vulcaniche da potersi paragonare agli Euganei. Forsyth Major risponde che molto più a sud di Samos si trovano tracce vulcaniche; all’isola di Kos vi sono rioliti. 11 Socio Meli invia, per mezzo del Segretario, una breve comunicazione sul rinvenimento da lui fatto di un mascellare in- feriore destro di Castor fiber Lin. nelle ghiaie quaternarie della vallata del Tevere presso il Ponte Molle (,). Il mascellare è fram- mentario; manca dell’ ultimo molare ; ha fratturato l'incisivo vicino al punto ove emergeva dall’osso ed è spezzato in corrispondenza del 4° od ultimo molare, di cui presenta 1' alveolo. La mascel- la è un poco corrosa e logorata per fluitamento, come del rima- nente si osserva in tutti i resti di vertebrati che si ritrovano in quei depositi. Le dimensioni dell'osso e dei denti sono lievemente maggiori di quelle date dal Clerici pel mascellare sinistro della stessa specie, O Altra mascella con denti, spettante al Castor fiber Lin., è citata anche dal Ponzi come rinvenuta nella medesima località. Yed.: Le ossa fossili sub- apennine dei dintorni di Roma (Atti d. R. Àcc. Lincei, Meni. d. classe di se. fis. mat. e nat. Serie 3a voi. II dispensa 2a 1877-78 — ved. pag 731 n. 24). Yed. ancora: Mantovani, Descrizione geologica della Campagna Romana. To- rino 1874 in 16°, cfr. pag. 106, n. 9. — Bleicher, Essai d'une monogr. géolog. du M.1 Sacrò. Bull. d. la Soc. d’iiist. nat. de Colmar 1861. Ved. pag. 1 50, 158: Id., Recherches géolog. faites dans les environs de Rome. Bull. cit. 1865. Alla pag. 28 estr. menziona il Castor spelacus Gerv. della Società Geologica Italiana 41 rinvenuto da Pròre Indes nelle ghiaie sincrone del Monte Sacro, nella vallata dell’Aniene ('). Si riserba di darne più estesa descri- zione in ima Nota, che intende di scrivere in proposito. Il mascel- lare in parola, trovasi ora nel Gabinetto di Geologia della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma. Gallo stesso deposito di ghiaie estrasse ancora un canino di grosso carnivoro, che dalle dimensioni del dente e dalla sua forma deve essere riferito all’ Ursus ( U. spelaeus Blum.) piuttostochè ad (’) Clerici E., Sopra i resti di castoro finora rinvenuti nei dintorni di Roma (Bollett. del R. Corait. geolog. anno 1887 n. 9-10). Del resto la presenza del Castor fiber Lin., fossile nei depositi quater- nari della valle dell’Aniene fu segnalata fin dal 1861 dal Bleicher e dal Ponzi, sia nelle ghiaie di trasporto, sia nei travertini. (Bleicher, memorie cit., Ponzi, Dell' Amene e suoi relitti. Atti d. pont. Acc. Nuovi Lincei Tom. NY, Ses- sione VI, 4 maggio 1862. ved. pag. 338). Rusconi avverte poi che il castoro si rinviene solo nel travertino bianco e non passa nel travertino rosso, il quale è più recente. (Rusconi, L'origine atmosferica dei tufi vulcanici della Campagna di Roma. Bollett. Univ. d. Corrispondenza scientif. di Roma voi. VII, 1865 n. 19-20 ; ved. pag. 35 dell’estr.). Alle località ove si rinvennero resti fossili di Castor fiber Lin., ripor- tate dal Clerici nella sua Memoria, sono da aggiungersi ancora; in Italia, le argille con i letti di lignite dei Colli dell’Oro presso Terni, riferite al pliocene superiore. Nel primo strato di lignite, compreso nelle suddette ar- gille si rinvennero resti di C. fiber. Su questo ritrovamento il dott. Terrenzi pubblicò di recente una nota {Il Castor fiber Lin. trovato fossile al colle dell'Oro presso Terni. Ved. Rivista scientif. industr. Firenze 1888, fase. 20-21 pag. 268 e seguenti). A quanto sembra, oltre i molari e frammenti degl’in- cisivi, si sarebbero rinvenute le altre ossa dello scheletro, ma queste andarono disperse. Un’altra località che ha fornito residui di Castoro trovasi nel bacino del Farfa presso Castel S. Pietro in Sabina. Dalle marne di acqua dolce di questa località il prof. Tuccimei estrasse due bei denti incisivi e quattro mo- lari di Castor fiber. La presenza di tale specie nelle marne lacustri di Castel S. Pietro è notata nella memoria del Tuccimei : Bradisismi pliocenici della regione Sabina (Memorie della pont. Accad. d. Nuovi Lincei voi. IV (1888). Ved. pag. 10 dell’estr.). Inoltre, fuori d’Italia, si rinvennero ancora resti di Castor fiber nella serie del pliocene recente (Newer pliocene) del Forest bed a Mundesley presso Cromer (Cromer Forest bed), Happisburgh, e Thorpe sulla costa di Norfolk (= C. europaeus Ow.). Nel Forest bed di Cromer si rinviene anche il Tro- gontherium Cuvieri Fisch. Boyd Dawkins e Ayshford Sandford citano il C. fiber tra le specie che abitavano ancora l’Inghilterra e l’Irlanda nel periodo storico. (W. Boyd Dawkins 42 Adunanza generale un grosso felino (Felis cfr. leo). Del genere Ursus si conosceva sola- mente, fossile dei dintorni di Roma, un frammento di femore con capo articolare superiore rinvenuto nei depositi sincroni del Monte Sacro, conservato oggi nel Gabinetto di geologia dell’ Università (*) ed un frammento con capo articolare inferiore di un grosso omero, estratto dalle caverne di Poggio Moiano in Sabina, citato dal Ponzi nella and W. Ayshford Sandford - The hrit. pleistoc. mammalia Pari I. Introduc- tion, 186G pag. XIV — W. Boyd Dawkins Part. A. Preliminary treatise on thè relation of thè pleist. mamm. to those now living in Europe, 1878 : ved. pag. XXVIII). Il castoro avrebbe vissuto nella Gran Brettagua durante l’oc- cupazione romana e fino al tempo della conquista dei Normanni. Lo indica pure come vissuto in Svizzera nei tempi storici (Ved. Memoria citata pag. XXXVII). Qualche altra località è pure indicata, insieme alle diverse specie fos- sili di Castoro, dal Quenstedt ( Handbuch d. Petrefaktenkunde, 3a edizione, Tubingen 1885-88 pag. 56). Per le località Americane, ove si rinvennero resti fossili di Castoro, è da consultarsi la memoria di Alien Joel Asapli, Family Castoridae, che trovasi stampata nel volume delle « Monographs of North american rodentia » nel voi. XI. Report of thè U. S. Geolog. Survey of thè territor. — Washington 1877 (da pag. 427 a 454 inclus.). In questa memoria la forma americana di Castoro è distinta da quella del vecchio continente ed esse due forme costi- tuiscono altrettante sottospecie, cioè Castor fiber Lin., var. fiber e var. cana- densis (= C. americanus Cuv.). La memoria contiene una estesa bibliografia sul C. fiber Lin. In America, la var. canadensis si rinvenne fossile nel qua- ternario di Nuova lrork, Nuova Jersey, di Memphis (Tennessee), associato ai resti di Castoroides. Si rinvenne anche nel postpliocene del fiume Ashley (Ca- rolina del Sud) e nelle caverne ad ossami della Pennsilvania e Virginia. Q) Nella Cronaca subappennina o abbozzo di un quadro generale del periodo glaciale del Ponzi, pubblicata negli Atti dell’XI Congresso degli Scienz. ital. in Roma, 1873, tra i fossili delle ghiaie del M. Sacro nella Valle del- l’Aniene è segnato V Ursus spelaeus insieme al Castor fiber (Ye d. pag. 56 e 59 estr.). L’ Ursus è pure indicato nelle ghiaie del Ponte Molle (Ponzi, Meni, cit. pag. 55, n. 18). Bleicher ancora cita YU. spelaeus e parla di un femore caratteristico fossile del M. Sacro. ( Essai d'ime monogr. meni. cit. pag. 150 e 158; Recherch. géol. mem. cit. pag. 28 e 31 estr.). Pianciani parla di un canino spettante con probabilità ad un’orso, fossile a Magognano e menziona resti fossili spettanti al genere Canis ( Delle ossa fossili di Magognano pag. 6 estr. e Biblioteca italiana Tom. VI pag. 543). xVnche il Ceselli in parecchi lavori fa parola dei resti dell’ Urstis spe- laeus (Sopra le punte di freccia in silice dell'epoca archeolitica primitiva e di passagio. Nel Bullett. nautico e geografico di Roma, voi. VI, 1872 n. 3), ecc. 43 della Società Geologica Italiana sua memoria Sulle ossa fossili dei dintorni di Roma (Atti R. Acc. d. Lincei, serie III. Meni. Classe se. fis. matem. e nat. voi. Il, 1878. Yed. pag. 25 estratto) ('). Il canino in parola è posseduto dal Meli. Finalmente negli stessi depositi si ritrovò un mascellare infe- riore destro di Canis lupus Lin., il quale appartiene al Gabinetto Geologico della R. Università di Roma. Le specie citate, essendo assai rare nel quaternario dei din- torni di Roma, il socio Meli ha creduto importante di dare comu- nicazione del loro ritrovamento. Dal Segretario sono pure presentate da parte degli autori le seguenti memorie per inserirsi nel Bollettino : De Stefani C., Le rocce eruttive dell’eocene superiore nel- l’Ape mino. Sacco F., / colli monregalesi, con una carta geologica. Neviani A., Contribuzione alla geologia del Catanzarese con una tavola. Tuccimei G., Il villa franchiano nelle valli Sabine , e i suoi fossili caratteristici , con una tavola. Il socio Verri presenta una sua memoria intitolata : Geologia e Topografia nella quale fa una estesa rivista critica dell’opera dei signori : G. De la Noe, ed E. De Margerie Les formes du ler- rain. (Service geographique de l’armée). Paris Imprim. natio- naie 1888. Il socio Foresti presenta una nota intitolata: Del genere Pyxis Meneghini , e di una varietà di Pyxis pyxidata (Br.). Il socio Pantanelli fa la seguente comunicazione: Soprai resti di un Satinano trovati nelle argille scagliose di Gombola nel Modenese. « Nel gennaio del presente anno fu recato al museo di Mo- (!) Vedasi ancora la comunicazione sull’omero accennato fatta alla R. Ac- cademia dei Lincei nella seduta del 7 aprile 1878. [Transunti voi. II, fase. 5°, aprile 1878, pag. 130-131). 44 Adunanza generale (lena un frammento di mascella di Sauriano proveniente da una frana delle argille scagliose di Gombola (Lama di Mocogno, sinistra del torrente Rossenna, attinente di Secchia). « Detto frammento, lungo circa lo cent, e largo 7 comprende parte dei mascellari, parte delle ossa nasali e vari denti; questi sono dal lato destro, 9 nella mascella inferiore e sette nella supe- riore; nel lato sinistro, 9 in ambedue le mascelle. Il frammento è compresso lateralmente e le due parti sono scorse l’una sull’altra per modo che le ossa nasali si presentano da un lato. « Le ossa mascellari sono assai robuste, alte circa quattro cen- timetri, presentano ambedue nella superfìcie esterna un profondo solco nella parte mediana; nel tratto conservato non presentano traccia di fori nutritizi; i denti sono impiantati in piccole cavità alveolari nel fondo di un solco continuo e profondo circa due cen- timetri; cavi internamente, sono costituiti da dentina compatta e i canaliculi eccessivamente sottili si cominciano a scorgere nelle sezioni con 200 diametri d’ingrandimento; lo spessore della den- tina nella parte centrale in corrispondenza alla cavità è di tre mil- limetri; il diametro al livello della mascella è da 8 a 12 rum.; la lunghezza, sempre allo stesso livello, oscilla tra 20 e 25 mm,; essendo d’ineguale lunghezza e spessore, dipendenti dal loro diverso sviluppo e non da posizioni diverse sulla mascella: nel terzo infe- riore sono lisci, noi due terzi superiori sono percorsi da cordoncini granulari diretti secondo l’asse del dente e quindi convergenti al- l'apice; regolarmente conici e un po’ volti indietro terminano in punta leggermente ottusa; impiantati per la base rotonda nella cavità alveolare si sostituivano ai denti caduti, nuovi denti per di sotto direttamente, scorgendovi nella sezione frammentizia un gio- vane dente impiantato regolarmente sul fondo del solco e non an- cora giunto al livello esterno della mascella. « Questo Gravialide è certamente differente da quei pochi che sono conosciuti del terziario; lo spessore straordinario delle ossa mascellari; i solchi delle medesime e i denti vicinissimi tra loro lo distinguono facilmente. u II frammento è però così poca cosa che oltre al nome spe- cifico di Gavialn mutinensis per accennare alla provincia dove è stato trovato, non credo di essere in grado di assegnare con cer- tezza il sottogenere speciale al quale può appartenere. 45 della Società Geologica Italiana “ La sua origine è probabilmente eocenica; la frana dove è stato raccolto è nel terreno eocenico; non è però escluso in modo assoluto che possa provenire da terreni posteriori; l’essere però be- nissimo conservato in modo da escludere qualunque traccia di ro- tolamento, depone molto in favore della sua eocenicità. « Sarebbe questo il primo vertebrato trovato nelle argille sca- gliose dell’Apennino settentrionale, essendo che alcuni denti di Ptychodus trovati in simili terreni, sono probabilmente cretacei : per questa ragione ho creduto opportuno di non ritardarne una breve descrizione riservando ad altra occasione una più completa illustra- zione ». L’ordine del giorno recando : Deliberazione circa la sede dei- radunanza estiva, il Presidente fa la storia delle pratiche da lui fatte e dell’ impegno sciolto con Vicenza, da cui due anni indietro orano state fatte vive premure. Dice che il sindaco di Catanzaro ha mostrato grande interesse per la nostra Società, la cui riunione colà sarebbe oltremodo accetta a quelle popolazioni. Mostra una lettera in proposito dello stesso sindaco, e propone, che l’adunanza estiva del 1889 sia tenuta in Catanzaro, dei cui dintorni espone l’impor- tanza geologica. Il socio Cortese invitato dal Presidente dà un rapido cenno delle località interessanti a visitare nell’estrema Calabria, e delle osservazioni geologiche per le quali si possono organizzare impor- tanti escursioni. La Società approva aH’unanimità che la prossima adunanza generale sia tenuta in Catanzaro, e il Presidente s’incarica di te- legrafare in proposito a quel sindaco. Il Socio Pantanelli fa alcune raccomandazioni circa le ridu- zioni ferroviarie, alle quali risponde il Presidente. La seduta è levata alle ore 4 Va- li Segretario G. A. Tuccimei Alla sera i soci, invitati dal Presidente e dalla sua gentile signora sedettero a mensa nell'Hotel Brunn di Bologna, e durante la riunione regnò la più schietta cordialità tra i convitati. 46 Adunanza generale Giuseppe Seguenza. « Giuseppe Seguenza fu ornamento e decoro dell’Ateneo messi- nese ove entrava ad insegnare assai tempo dopo che la sua fama aveva valicate le Alpi e traversato il mare. « Pochi uomini al pari di lui giunsero a tanta rinomanza; pochi uomini come lui s’elevarono con gli scritti, riboccanti di genialità e di dottrina, un monumento che alle ingiurie del tempo resisterà assai meglio del marmo o del bronzo e che apprenderà alle future generazioni quale germe sia capace di fecondare il fortunato connubio dell’operosità col buon volere. « Ogni suo lavoro era accolto con giubilo, era cercato e letto con interesse dacché sapevasi ch'egli non si determinava a scrivere se non per colmare una lacuna e l’argomento fosse geologico o paleontologico, concernesse i terreni mesozoici o quelli cenozoici era trattato con singolare erudizione. « Tutti, grandi e piccini, vecchi e giovani abbiamo appreso qualcosa da lui e avviene ben di rado di scorrere le pagine d’una pubblicazione riguardante le formazioni terziarie e post-terziarie senza incontrarsi nel suo nome, senza veder ricordata un’opinione sua o menzionato qualche invertebrato fossile da lui scoperto e battezzato. « Degli intelletti meridionali ebbe la vivezza, della gente nor- dica il profondo spirito d’osservazione e la fredda serenità d’analisi, sicché non è a meravigliarsi ch'egli, quantunque poveramente in- coraggiato, facendo da maestro a se stesso, salisse in fama di grande naturalista e conquistasse una elevatissima reputazione. « La vita scientifica di Giuseppe Seguenza non può riassu- mersi in poche pagine. Per discorrere convenevolmeute delle sue pubblicazioni (oltre settanta) di mineralogia, di geologia, di pa- leontologia, originali tutte, tutte interessantissime, alcune vera- mente splendide, corredate di numerose tavole da lui stesso magi- stralmente disegnate, occorrerebbe un intero volume. Dirò breve- mente delle principali bastevoli da sole, come acconciamente ha scritto il professore Pantanelli ne’ brevi cenni biografici che ne della Società Geologica Italiana 47 ha dati nel Ballettino della Società Malacologica Italiana, a collo- carlo in una posizione scientifica eccezionale. « A lui spetta il inerito d'avere per il primo in Italia richia- mato l’attenzione de’ paleontologi sulle condizioni batimetriche nelle quali erano cresciute le diverse faune terziarie e post-terziarie : idea fecondissima per la geologia, e nella quale fu seguito da tutti coloro che si occuparono dello studio dei fossili. « Fu lui che intravvide fra il miocene superiore ed il pliocene classico un orizzonte geologico ben distinto ; ne determinò i limiti, ne illustrò gli avanzi organici e i differenti facies litologici e lo chiamò Zanclcano dall’antica denominazione della città sua ove trovasi assai sviluppato. Questa scoperta lo rivelò conoscitore pro- fondo della geologia stratigrafica e collocò il nome suo accanto a quelli del d’Orbigny, del Pareto, del Mayer e di altri chiarissimi. « I suoi studi sopra i brachiopodi terziari pubblicati a Napoli negli Annali accademici degli aspiranti naturalisti, a Milano nelle Memorie della Società italiana di scienze naturali, a Pisa nel Bal- lettino di malacologia italiana, a Roma negli Atti della R. Acca- demia dei Lincei lo posero tra i migliori conoscitori degl’inver- tebrati fossili. « Scrisse sul genere Verticordia , Wood nell’Eco peloritano, nel Journal de conchyliologie, nelle Memorie dell’ Accademia di Scienze tìsiche e matematiche di Napoli ; sulla famiglia dele Fis- sar ellidae negli Annali accademici degli aspiranti naturalisti ; sulle Pedicularie nel Journal de conchyliologie ; sui Pteropodi ed Etero- podi nelle Memorie della Società italiana di scienze naturali ; su alcuni molluschi pescati nei fondi coralligeni dello Stretto di Mes- sina nelle Memorie dell’Accademia di scienze fisiche e matema- tiche di Napoli ; su alcuni molluschi del mare di Messina nel Bal- lettino della Società Malacologica Italiana. Negli Atti della R. Ac- cademia dei Lincei comparvero nel 1877 una Memoria sulle Nu- culidi terziarie rinvenute nelle provincie meridionali d’Italia e nel 1880 una interessantissima Monografia sulle Ringicule terziarie italiane, frutto di un ventennio di pazienti ricerche. È uno studio comparativo accurato, minuzioso e coscienzioso insieme intorno alle forme diverse oTerte dalle diverse regioni italiane non solo, ma più ancora dai vari piani geologici che si estendono da un capo all’altro della penisola e nelle isole adiacenti. Poco avanti L. Morlet 48 Adunanza generale mandava alla luce una Monografìa di tal genere nella quale sono descritte le specie viventi di tutti i mari e le specie fossili di tutti i luoghi ed incorreva in tante irregolarità che Seguenza poi correggeva e pel primo emetteva il giudizio che il numero delle pieghe columellari forma il distintivo più rimarchevole per dividere in sezioni le specie del genere Ringicula e richiamava l'attenzione de’ paleontologi su d’un altro carattere di molto rilievo, purtroppo trascurato o malamente apprezzato, quello della scultura, il quale, come ben si conosce, è assai importante e valevolissimo nella distin- zione specifica dei resti di molluschi. « Nelle specie descritte in questo lavoro ve ne ha sette nuove oltre le tre che erano stato dall’autore precedentemente pubblicate. « Inoltre propone un considerevole numero di varietà più o meno rimarchevoli e distinte e giunge alle seguenti conclusioni quanto alla distribuzione stratigrafica delle specie, desunta dai materiali raccolti. « 1° Le Ringicole, come gli altri generi di molluschi, pre- sentano delle specie caratteristiche dei vari piani geologici e delle specie che sono comuni a due o più piani. * 2° Tutte le specie italiane sono terziarie. 3° Il piano acquitaniano ha quattro specie caratteristiche, l’elveziano una, il tortoniano sei, il pliocene antico quattro ; il pliocene recente ed il quaternario non presentano delle specie che sieno loro esclusive. « Con siffatti lavori e con altri, fra i quali quello veramente ammirabile sulle formazioni terziarie della provincia di Reggio (Calabria) premiato dalla R. Accademia dei Lincei al concorso accademico istituito dal Ministero di agr., ind. e comm. si dimostrò malacologo sì esperto da conquistarsi un posto accanto di Lamarck, di Deshayes, di Mùller, di Poli, di Brocchi, di Philippi, di Costa, di Olivi, di Hoernes, di Bellardi e di quanti altri vanno per la maggiore. ' « Lo scritto sulle formazioni terziarie della provincia di Reggio, testé ricordato, è opera geologica e paleontologica sapientissima alla quale io non so qual’ altra mai potrebbesi comparare, ove il naturalista si rivela intero nell’esuberanza de’ suoi mezzi scien- tifici ; opera così originale e di tanta dottrina che suscitò dovunque ammirazione e sorpresa malgrado egli avesse assai tempo prima 49 della Società Geologica Italiana offerto luminose prove dell’ingegno suo privilegiato. A quest'opera fa mestieri che ricorra chiunque voglia accingersi allo studio delle formazioni terziarie e post-terziarie. V’ha in essa tanta ricchezza di notizie e d’osservazioni che dopo d’averla letta, anche fretto- losamente, se ne trae notevole profitto e tanti problemi che prima apparivano oscurissimi, ci riescono poi comprensibili e ci vediamo, come per incanto, liberati da tanti dubbi e procediamo senza più incespicare, cosicché ci sentiamo presi da un sentimento di sim- patia e di gratitudine per l’uomo che ci presta servigi cotanto pre- ziosi e accade che giunti al termine del nostro lavoro, come il naufrago Dantesco, ci volgiamo indietro e ci chiediamo che cosa sarebbe stato di noi se Seguenza non ci avesse aiutato a uscire fuor dal pelago alla riva. « Un’opera di tanta importanza non si riassume. Per com- prendere quello eh’ essa sia e quanto valga occorre studiarla dalla prima all’ultima pagina ; occorre esaminare i molti, ricchissimi elenchi de’ fossili dall’autore pazientemente raccolti. Le forme spe- cifiche riconosciute ascendono a 2686 che appartengono a 495 generi. Di tali specie 994 spettano alla fauna attuale e vivono per la maggior parte nel Mediterraneo. Del numero totale delle specie sono soltanto 445 quelle riconosciute siccome nuove nella scienza, cioè circa un sesto. Le altre poi, cioè 2241 si riferiscono a forme note e valgono assai bene a caratterizzare le rocce e gli strati vari che le racchiudono. « Non v’ha un solo avvenimento di que’ tempi lontani di cui Seguenza non riesca a rendersi conto ; non un solo abitante di quei mari, sia pure microscopico, che sfugga al suo sguardo acutissimo ; pare anzi che la difficile classificazione de’resti organici assai pic- coli lo alletti maggiormente, onde la parte dell’opera che riguarda l’ordine dei Foraminiferi e quello degli Ostr acodi, sussidiata da un’altra sua più recente pubblicazione sul quaternario di Eizzolo, comparsa il 1882 a Palermo nel Naturalista Siciliano, assume un valore addirittura straordinario e gli permette di emulare con fortuna d’Orbigny, Karrer, Williamson, Jones, Parker, Defrance, Stòhr, Czjzek, Schwager, Egger, Heuss, Ehrenberg, Costa, Hantken, Brady, ecc. u Quella poi che concerne il genere Clypeaster è oltremisura instruttiva non solo per le specie nuove descritte e figurate, ma 4 50 Adunanza r/enerale eziandio perchè ad ogni piano delle formazioni mioceniche e plio- ceniche vengono assegnate delle forme differenti le quali assumono l’importanza di specie caratteristiche o perciò facilitano grande- mente il compito del geologo cui talvolta un numero considere- vole di avanzi fossili non offre dati sufficienti per un’esatta deter- minazione. Insomma nella Memoria sulle formazioni terziarie della provincia di Reggio scintilla e brilla più che mai il vivido ingegno del fecondo scienziato messinese e basterebbe questo solo lavoro a porre Giuseppe Seguenza fra i più benemeriti e insigni cultori della geologia e della paleontologia. « Non meno interessante è il lavoro sui Cirripedi dei quali creò una nomenclatura italiana ond’ebbe le lodi del Darwin e il premio della Società Reale di Londra e come l’ingegno suo elettis- simo mal si adattasse a rimanere costretto entro la vasta cerchia delle formazioni terziarie e quaternarie, volse lo sguardo alla grande era mesozoica e si mostrò degno di stare accanto a d’Orbigny, a Brongniart, a Sowerby, a Neumayr, a Pictet, a Meneghini, a Gem- mellaro, a Coquand. « Dopoché il chiarissimo prof. Meneghini richiamava l’attenzione dei paleontologi sul cretaceo di Sicilia con la descrizione di alcune ostree ad esso spettanti, Seguenza ebbe l’agio di scoprire in molti luoghi siciliani e calabresi la formazione medesima ed in una serie di note ne annunciò la ricognizione, ne ricordò i caratteri, ne enu- merò e descrisse i fossili più comuni. « Trascorsi oltre tre lustri dalla prima scoperta ed in questo lungo periodo avendo seguito cou perseveranza le ricerche sul cre- taceo, si moltiplicarono le scoperte, le indagini indefesse gli som- ministrarono una serie di documenti importanti ed una ricca messe di fossili. Perciò stimò d’essere giunto il tempo che alle brevi pubblicazioni seguisse un lavoro generale, accurato, minuzioso, che comprendesse e comparasse tutti i dati topografici, litologici, stra- tigrafici e paleontologici dei vari lembi del cretaceo medio italiano e delle varie contrade dove esso presentasi, che riunisse insieme in bell’ordine i fatti che furono già annunciati e quelli ancor più numerosi che non furono precedentemente pubblicati ; che offrisse delle vedute generali ed esponesse i rapporti del nostro col cretaceo delle altre regioni. Fu questo appunto il lavoro ch’egli presentò nel 1882 al pubblico scientifico dopoché aveva raccolto i docu- 51 della Società Geologica Italiana menti necessari per tale trattazione. Lo intitolò studi geologici e paleontologici sul cretaceo medio dell’Italia meridionale e guadagnò con esso il premio al concorso accademico istituito dal Ministero d’agr. ind. e comm. « Nel detto lavoro insieme alla esposizione dei caratteri lito- logici e stratigrafici, hanno posto le questioni relative ai limiti ed alla partizione del cretaceo medio ; questioni riferentisi ai carat- teri che lo distinguono dai terreni che ad esso per topografica e stratigrafica distribuzione si connettono e che moltissimo gli somi- gliano per la costituzione litologica. Siffatto argomento conduce alla questione, non mai trattata abbastanza, delle argille scagliose, cotanto importante per la geologia italiana e porta alla dimostra- zione e conclusione delle varie età di siffatta roccia. « La Monografia viene divisa in due parti : nella prima tratta le questioni geologiche, la seconda è destinata esclusivamente alle notizie paleontologiche. Vi sono descritte e figurate 104 specie nuove nella scienza ed un nuovo genere ( Co quandi a). Le forme specifiche riconosciute ascendono a 223. « È opera originalissima che può considerarsi come il com- plemento di quella dello illustre esploratore dell’africana geologia, H. Coquand, « Nel 1880 comparvero nel Bollettino della Società geologica italiana e negli Atti del R. Istituto veneto due lavori suoi sul retico al capo di Taormina e sul lias superiore nel territorio di Taormina. Nel 1887 mandò alla luce nel Bullettino predetto due scritti intitolati : Studio della fauna toarsiana che distingue la sona di marne rosso variegate nel lias superiore di Taormina ; Gli strati a Posidonomya alpina , G-ras nella serie giurassica del taorminese; e negli Atti della R. Accademia dei Lincei una Me- moria sui calcari con Stepliano ceras Br ogni arti, Sow. presso Taormina. « Messo su questa via Seguenza non avrebbe certamente tar- dato ad arricchire la bibliografia dell’ era mesozoica di molte altre importantissime, preziose pubblicazioni dalle quali avrebbero tratto largo profitto la geologia e la paleontologia, non lui, chè la sa- piente opera già compita avealo posto fra i più grandi naturalisti del nostro secolo. « La scienza, cui egli consacrò tutte le facoltà dell’ intelletto, 52 Adunanza generale gli ha dato la rinomanza ; egli, per rimeritarla, ancor giovane e vigoroso, le ha sagrificato la vita. « È sceso nel sepolcro a cinquantacinque anni, il 3 febbraio 1889, nella diletta sua patria, Messina, la quale ha sempre avuto la coscienza de’ suoi doveri e la forza di compierli, sicché, non ne dubito punto, saprà mostrarsi degna della fama che gode di città colta e gentile onorando convenevolmente l’astro fulgentissimo che ha cessato di splendere nel firmamento scientifico, della qual cosa le saranno riconoscenti quanti conobbero, amarono, ammirarono Giuseppe Seguenza » . I. Cafici. ELENCO DEI LAVORI PUBBLICATI DA G. SEGUENZA. 1856. 11 1857. 11 1858. 11 11 1859. 1860. 1 862. 11 1. Dell’arsenico nei prodotti vulcanici delle Isole Eolie. — In 8° di pag. 8. (Eco Peloritano. Anno III, fase. 7). Messina. 2. Ricerche mineralogiche sui filoni metalliferi di Fiumedinisi e suoi dintorni. — In 8° di pag. 70. Messina. (Memoria e collezione pre- miate con medaglia d’argento dall’Accademia Peloritana). 3. Ricerche botaniche. Indicazione di alcune piante che crescono in luoghi per esse non accennati nella Flora sicula del sig. G. Gus- sone ecc. — In 8° di pag. 4. Messina. (Eco peloritano Anno IV, fase. 3). 4. La Chlorantia, fenomeno teratologico comunissimo nella Brassica fruticulosa. — Iu 8° di pag. 6. Messina. (Ibid., fase. 11). 5. Sulla nuova scoperta dell’Aftalosio di Sicilia. Palermo. (La Favilla. Anno II, n. 5). 6. Studio chimico di un’acqua sulfurea di Messina. — In 8° di pag. 12. Palermo. (Ibid., n. 9). 7. Del genere Verticordia Vood Breve monografia delle specie fossili di Sicilia. — In 8° di pag. 16. Messina. (Eco peloritano. Anno IV, fase. 11 e 12). 8. Del terreno miocenico osservato sui versanti della catena Pelori- tana. Messina. (Ibid.). 9. Intorno ad un nuovo genere di Foraminiferi fossili del terreno miocenico di Messina. Disquizioni paleontologiche. — In 8° di pag. 15 con una tavola. Messina. (Ibid., Anno V, fase. 8). 10. Du genre Verticordia Searles Vood. — In 8° di pag. 8 con una tavola. Parigi. (Journal de Conchyliologie, tome IV). 11. Sulla formazione miocenica di Sicilia, ricerche e considerazioni. — In 8° grande di pag. 15. Messina- 12. Prime ricerche intorno ai Rizopodi fossili delle argille pleistoce- 1862. 7? ìi 1864. il 1865. lì ii n 1866. a della Società Geologica Italiana 53 niello dei dintorni di Catania. -- In 4° di pag. 42 con due tavole. Catania. (Atti dell’Accademia Gioenia, Voi. XVIII). 13. Paleontologia malacologica dei terreni terziarii del distretto di Messina. Fani. Fissurellidi. — In 8° di pag. 22 tav. 2. Napoli. (Annali dell’Accademia degli aspiranti naturalisti, 3a serie, Voi. II). 14. Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei terreni terziarii del distretto di Messina. — In 4° grande di pag. 34, con un quadro. Messina. 15. Descrizione dei Foraminiferi monotalamici delle marne mioceniche del distretto di Messina. — In 4° grande di pag. 84 con 2 tavole. Messina. 16. Intorno alla Fluorina siciliana. Nota. — In 8° di pag. 4. Milano. (Atti della Società italiana di scienze naturali, Voi. V). 17. Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii fossili delle rocce terziarie del distretto di Messina. — In 4° di pag. 226 con 15 tavole. Torino. (Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino. Serie 2a, tomo XXI). 18. La denudazione dei terreni tei ziarii nella provincia di Messina. (Giornale di scienze, lettere ed arti della R. Accademia peloritana. Anno I, fase. 1 pag. 21 ; fase. 2 pag. 33. Messina). 19. Description d'un Pedicularia fossile. — In 8° di pag. 4 con tav. Parigi. (Journal de Conchyliologie Voi. XIII). 20. Breve cenno di ricerche geognostiche ed organografiche intorno ai Brachiopodi terziarii delle rocce messinesi. — In 8° di pag. 24. Napoli. (Annali dell’Accademia degli aspiranti naturalisti. Serie 3a, Voi. V). 21. Biblioteca del naturalista siciliano redatta dal dott. Francesco Mina Palumbo. Rassegna bibliografica. Messina. (Politica e com- mercio. Anno XIII, n. 91). 22. Paleontologia malacologica delle rocce terziarie del distretto di Messina. Classe Brachiopodi. — In 4° di pag. 88 con 8 tavole. Milano. (Memorie della Società italiana di scienze naturali). 23. Intorno alla geologia di Rometta esaminata dal lato petrografico, stratigrafico e geogenico in rapporto alle acque potabili di quel monte. — In 4° di pag. 12 con una tavola. (Giornale di scienze naturali ed economiche del Consiglio di perfezionamento annesso allTstituto industriale di Palermo, Voi. I). 24. Sulle importanti relazioni paleontologiche di talune rocce cretacee di Calabria con alcuni terreni di Sicilia e dell’Africa settentrio- nale. Scoperte e considerazioni di G. Seguenza. — In 4° di pag. 17 con una tavola. (Memorie della Società italiana di scienze natu- rali, Voi. II). 25. Intorno ai Brachiopodi miocenici delle provincie piemontesi. Let- tera al Sig. Cav. L. Rovasenda. — In 8° di pag. 17 con 3 tavole (An- nali dell’Accademia degli Aspiranti naturalisti di Napoli. Serie 3a, voi. IV). Napoli. 54 1866. 1867. » n » 1868. » 1869. >? ?? J) 1870. » 1871. » Adunanza generale 26. Paleontologia malacologica delle rocce terziarie del distretto di Messina. Pam. Fissurellidi. (Supplemento). — In 8° di pag. 9 con un quadro. (Ibid.). Napoli. 27. Breve nota intorno al cretaceo della Provincia di Messina. — (Eco del Pongano. Anno I, n. 3). Barcellona. 28. Su di una scure di pietra pulita rinvenuta presso Messina. (Atti della Società italiana di Scienze naturali. Voi. X, fase. 3). 29. 1 fossili dell’epoca Zancleana all’esposizione universale di Parigi. — Un foglio. Messina. Collezioni premiate con medaglia d’argento. 30. Paleontologia malacologica dei terreni terziari del distretto di Messina. Classe Pteropodi ed Eteropodi. — In 4° di pag. 22 con 1 tav. (Memorie della Società italiana di Scienze naturali. Voi. II). Milano. 31. Poche parole sulla formazione cretacea dei territori di Barcellona e di Castroreale. (Eco del Longano. Anno I, n. 13). Barcellona. 32. Sul cretaceo medio dell’Italia meridionale. Lettera alla Società italiana di Scienze naturali. — In 8° di pag. 8. (Atti della Soc. it. di Se. nat. Voi. X, fase. 2). 33. Agostino Scilla e la moderna geologia. Discorso letto nel Liceo Maurolico il 17 marzo 1868. — In 8° di pag. 31. Messina. 34. La formation Zancléenne, ou recherches sur une formation tertiaire. — In 8° di pag. 22 con figure intercalate. (Bulletin de la Socie'tè ge'ologique de France. 2° Sèrie, t. XXV). Parigi. 35. Una passeggiata a Reggio di Calabria. — In 8° di pag. 5. (An- nali dell’Istruzione. Anno I, fase. 1). Messina, 36. Da Reggio a Terreti. — In 8° di pag. 3. (Nuove effemeridi si- ciliane. Voi. I, disp. 4). 37. Intorno alla posizione stratigrafica del Cypeaster altus Lk. — In 8° di pag. 4. (Atti della Società italiana di Scienze naturali. Voi. XII, fase. 3). Milano. 38. Scoperta d’un lembo di terreno cretaceo assai fossilifero nella Provincia di Messina. — In 8° di pag. 4. (Ibid., fase. 1). Milano. 39. Sull’antica distribuzione geografica di talune specie malacologiche * viventi. — In 8° grande di pag. 20. (Bullettino malacologico ita- liano. Aneo III). Pisa. 40. Una parola sulla costituzione geologica dei terreni del territorio di Mistretta. — In 12° di pag. 8. (Giornale l’Amastratino). Mi- stretta. 41. Dei brachiopodi viventi e terziari, pubblicati dal Prof. 0. G. Costa. Esame. — In 8° di pag. 16. (Bullettino malacologico italiano. Anno III). Pisa. 42. Sull’età geologica delle rocce secondarie di Taormina. — In 8° di pag. 2. (Nuove effemeridi siciliane. Voi. II, disp. Ile 12). Palermo. 43. Contribuzione alla geologia della provincia di Messina. Breve nota intorno alle formazioni primarie e secondarie. — In 8° di della Società Geologica Italiana 55 pag. 47 con uria tavola di Sezioni. (Bullettino del R. Comitato geologico. Anno 1871). Firecze. 1872. 44. I Cirripedi del mare Rosso. — In 8° di pag. 4. (Il Dicearco. Anno I, fase. 8). Messina. » 45. I Cirripedi terziari dell’ Italia meridionale. Nota. — In 8° di pag. 6. (La scienza contemporanea. Anno I, fase. 1). Messina. 1873. 46. Di qualche corallo paleozoico delle Madonie (Sicilia). — In 8° di pag. 4. (Bullettino del R. Comitato geologico d’Italia. Anno 1872). Firenze. » 47. Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’Italia meridio- nale. — In 8° con tavole di sezioni e quadri. (Ibid. Anno 1873 e 1874). ” 48. Una visita geologica a Brancaleone di Calabria. — In 8° di pag. 4. (La Scienza contemporanea. Anno I, fase. 6). Messina » 49. Di taluni coralli che trovansi raccolti nel Gabinetto geologico dell’Università di Catania. — In 8° di pag. 4. (Ibid., fase. 7 e 8). Messina. » 50. Fondazione d’un gabinetto geologico provinciale in Messina. — (Ibid.). » 51. La formazione cristallina presso Gallico. (Provincia di Reggio- Calabria). — In 8° di pag. 4. (Ibid., fase. 9 e 10). Messina. » 52. Studi paleontologici sui Bracliiopodi dell’ Italia meridionale. — In 8° con tavole. (Bollettino malacologico italiano. Yol. IY, n. 1, 2, 4 e seg.). Pisa. » 53. Brevissimi cenni intorno alla serie terziaria della provincia di Messina. — In 8° di pag. 23. (Bullettino del R. Comitato geolo- gico. N. 7, 8, 9 e 10). Firenze. s> 54. Intorno ad alcuni Cirripedi raccolti nel Mar Rosso. — In 8° di pag. 8. (Annali del Museo civico di Storia naturale di Genova. Voi. IV). Genova. » 55. Ricerche paleontologiche intorno ai Cirripedi terziari della pro- vincia di Messina. Con appendice intorno ai Cirripedi viventi nel Mediterraneo, e sui fossili terziari dell’Italia meridionale. Parte I: Fam. Balanidi e Verrucidi. — In 4° di pag. 100 con 5 tavole. (Atti dell’Accademia Pontaniana. Voi. X). Napoli. 1874. 56. L’Oligoceno in Sicilia. Comunicazione fatta alla R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli. (Rendiconto della R. Accademia). n 57. Dell’ Oligoceno in Sicilia. Nota. (La Scienza contemporanea. Anno II, fase. I). 1875-76. 58. Studii paleontologici sulla fauna malacologica dei sedimenti plio- cenici depositatisi a grandi profondità. (Bull. Soc. Mal. Italiana). Pisa. 1876. 59. Cenni intorno alle Verticordie fossili del pliocene Italiano. (Meni. Accad. scienze fis. e nat.). Napoli. » 60. Di alcuni molluschi pescati nei fondi coralligeni del mare di Messina. (Rend. Acc. Se. fis.). Napoli. 56 Adunanza generale 1876. 61. Di alcuni molluschi del mare di Messina. (Bull. Soc. mal. ital.). Pisa. 1877. 62. Nuculidi terziarie rinvenute nelle provincie meridionali d’Italia. (Mem. Acc. Lincei). Roma. 1880. 63. Le formazioni terziarie della provincia di Reggio. (Ibid.). 1881. 64. Le Ringicule terziarie italiane. (Ibid.). 1882. 65. Il quaternario di Iiizzolo. (Nat. Siciliano). Palermo. n 66. Studii geologici e paleontologici sul cretaceo medio dell’Italia meridionale. (Mem. Acc. Lincei). Roma. 1886. 67. Del retico al capo di Taormina. (Boll. Soc. Geol. ital.). Roma. » 68. Il lias superiore del territorio di Taormina. (R. Ist. Veneto). Venezia. 1887. 69. Studio della fauna toarsiana che distingue la zona di marne rosso variegate nel lias superiore di Taormina. (Boll. Soc. Geol. Ital.). Roma. » 70. Gli strati a Posidonomya alpina, Gras, nella serie giurassica del Taorminese (ibid.). n 71. I calcari con Stephanoceras Brogniarti Sow. presso Taormina. (Mem. Acc. Lincei). Roma. Don Pietro Perrando Deo Gratias. u La Società geologica italiana deplora una perdita dolorosa nella persona di Don Perrando Deo Gratias, parroco di santa Giu- stina, nel Savonese, il quale mancò ai vivi il 10 gennaio 1889, nel giorno in cui si compieva il settantaduesimo anno della sua età. « Chi ebbe la ventura di avvicinare il venerando vecchio sa quanto fosse degno di stima e di affetto per la nobiltà del carat- tere, per la bontà del cuore, per l'eletto ingegno. « Egli era il maestro, l’avvocato, il modico, l’ingegnere dei suoi parrocchiani, i quali lo amavano e lo riverivano come padre. Con tutti, e in ispecie coi naturalisti si mostrava amico servizievole ed ospitale. « Nessuno meglio di lui conosceva i monti del Savonese e delle Langhe e i ricchi giacimenti di fossili che vi si incontrano; e riu- scì perciò guida impareggiabile ai naturalisti che visitarono quella regione, sia per farvi rilievi geologici, sia per raccogliervi fossili. Accompagnò, fra gli altri, nelle loro escursioni colà: Pareto, della Società Geologica Italiana 57 E. Sismonda, Michelotti, Hébert, Tournoiier, Mayer, Taramelli, som- ministrando loro utili indicazioni stratigralìclie. « Insieme al deputato Boselli, ora Ministro dell’Istruzione, e all’ing. Del Moro, segretario della sezione savonese del Club Alpino, fu iniziatore del congresso tenuto nel 1887 a Savona dal nostro sodalizio, congresso che lasciò lieto ricordo nell’ animo dei conve- nuti a quel geniale convegno. E quaudo i congregati visitarono la valle del Sansobia, non coutento di aver loro additati i punti più feraci di fossili (in ispecie di filli ti), Don Perrando volle che tutti quanti si adunassero per rifocillarsi nella sua modesta abitazione e per ciascuno ebbe parole di affettuosa cortesia. « Raccoglitore sagace e perseverante, seppe adunare, in vent’anni di assiduo lavoro, una cospicua collezione di fossili, di manufatti preistorici, di roccie e di minerali, che gli era carissima. Egli la cedette, tuttavolta, ad un consorzio formato dal Ministero dell’ Istru- zione, dal Municipio e dalla Provincia di Genova, il quale l’acquistò pel Museo di geologia e mineralogia dell’Ateneo genovese, cui do- veva riuscir prezioso più che a qualsiasi altro istituto. « Con questa cessione, dalla quale avrebbe potuto conseguire, all’estero, vantaggi maggiori, Don Perrando volle far cosa grata agli studiosi della Liguria ed assicurare la perenne conservazione della propria raccolta. « Un medaglione in bronzo, che sarà in breve collocato nella sala maggiore del museo, ricorderà il nome e l’effìgie di chi con- tribuì si largamente alla illustrazione del patrio suolo. « Nella collezione di cui si tratta si comprendono ben 2500 esemplari di filliti mioceniche, tutte inedite e in gran parte nuove, moltissimi testacei e coralli miocenici e pliocenici, numerosi resti di Anthracotherium di Cadibona, due bellissime testuggini (un emide ed una Tngonix ) ed altri fossili pur miocenici. Oltre a ciò moltissimi manufatti litici dell'Apennino ligure, ossami d’uomo e di bruto, nonché avanzi d’industria primitiva delle caverne ossifere del Finales'e. « Don Perrando era presidente onorario della sezione savo- nese del Club Alpino e membro di parecchie società scientifiche. Egli non lasciò che due brevi memorie pubblicate fra gli Atti del Congresso internazionale d’antropologia e d’archeologia preistoriche, tenuto in Bologna nel 1872, Luna sull’uomo fossile di Savona, l’al- 58 Adunanza generale della Società Geologica Italiana tra sopra alcune caverne ossifere del Finalese, e un catalogo della sua collezione di manufatti prestorici, il quale comparve nel Bul- lettino di Paletnologia italiana « ('). A. Issel. (fi Voi. I, 1875, pag. 75. Mariano Corini. « Il 20 settembre 1888 moriva in Genova il cav. avv. Ma- riano Corini nostro consocio fino dal 1882. « Nato in Bracciano nel 1820, seguì gli studi legali nelFU- niversità di Roma, riportando la laurea nel 1853. Poco dopo fu per cagioni politiche costretto ad abbandonare gli Stati ex ponti- fici e riparò a Genova, dove prese stabile dimora, esercitando no- bilmente l'avvocatura. Si occupò pure d’industria mineraria e nel 1860 ottenne la concessione della miniera di rame di Tavarone, situata fra le formazioni otìoliticlie della Riviera di Levante. « Cittadino integerrimo, distinto cultore delle discipline fo- rensi, di carattere schietto e leale, di modi squisitamenti cortesi, la sua perdita cagionò vivo dolore a tutti coloro che ebbero la ventura di conoscerlo ». L. Mazzuoli. I COLLI MONREGALESI (Con una tavola) Sono ben note ai geologi le colline di Torino non soltanto per la ricchissima loro fauna elveziana (fauna di Superga), ma eziandio per presentare il fenomeno assai strano ed insolito di inglobare sovente grossi ciottoloni, anche di oltre tre metri di diametro. È pur noto come questo fatto venne dapprima erroneamente interpre- tato, cioè come esso venne attribuito a fenomeni glaciali che si sa- rebbero verificati in epoca quaternaria; però in seguito si rico- nobbe l’età miocenica di detti ciottoloui, pur sempre rimanendo alquanto enigmatico il loro modo di trasporto dal punto d’origine (la regione alpina) al punto della loro attuale posizione. Or bene, nel fare lo studio geologico del bacino terziario del Piemonte ebbi a riscontrare i fenomeni sovraccennati in un’altra vasta regione, cioè nei colli monregalesi. Parvemi quindi opportuno di fare una descrizione alquanto particolareggiata di queste interes- santi colline, tanto più che quivi io credo si possa sciogliere in gran parte la questione del modo d'origine dei sovraccennati ciottoloni. Inoltre in queste regioni collinose si incontrano lembi assai notevoli di terreni pliocenici tipici, riccamente fossiliferi, portati a grandi elevazioni e finora completamente sconosciuti. Infine, l’esame un po’ minuto dei colli monregalesi sembrami pure opportuno perchè nelle recentissime carte geologiche pubbli- cate sul Piemonte (!) tale regione è in massima parte attribuita a terreni oligocenici, ciò che parmi erroneo e quindi rettificabile colle necessarie spiegazioni. (!) A. Issel, L. Mazzuoli e D. Zaccagna, Carta geologica delle riviere liguri e delle Alpi marittime. Genova, 1887. — D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi occidentali Boll. r. Com. geol. ital. Roma, 1888. 60 F. Sacco Infatti allorquando si segue attentamente da est ad ovest lo sviluppo dei terreni terziari che fasciano le falde settentrionali delVApennino settentrionale sino alle Alpi Marittime, si può osser- vare che dal Tortonese sino ai dintorni di Ceva tale fascia è molto regolare e costituita di tutti i terreni oligocenici ben sviluppati. Ma ben diverso è il modo di comportarsi della serie terziaria ad ovest di Ceva, giacché quasi tutti i suoi orizzonti inferiori (Slampiano, Aquitaniano e Langhiano) rapidamente restringendosi vengono a scomparire completamente nei dintorni del paese di Mom- basiglio, essendo ricoperti dai terreni elvesiani largamente svi- luppati (‘). Solo le formazioni tongriane per la loro grande potenza e per trovarsi molto sviluppate entro le stesse regioni alpine si conser- vano ancora per un certo tratto, verso ovest, libere dal mantello elvesiano, sotto al quale però vengono anch'esse a scomparire com- pletamente presso S. Michele Mondovì. Quindi nelle colline mon- regalesi sono essenzialmente le formazioni elvesiane quelle che pren- dono un assoluto predominio, venendo coperte alla lor volta, ma molto ad ovest, dai terreni terziari più giovani. Passiamo ora in esame questi diversi orizzonti geologici, in- cominciando naturalmente dai più antichi. Quanto ai terreni preterziari, in gran parte triassici , i quali costituiscono l’imbasamento della regione in istudio ed affiorano qua e là assai ampiamente, non credo doverli esaminare particolar- mente in questo lavoro, solo mi limiterò ad indicarne la varia natura trattando delle formazioni terziarie che vi si appoggiano direttamente. Tongriano. Ad est delle colline monregalesi si nota che le formazioni tongriane si presentano per lungo tratto distinte in due zone, una entroalpina potente e di carattere fluvio-lacustre, ed una subal- pina e di carattere littoraneo. Orbene, poco ad ovest di Mombasiglio, queste due zone si riuniscono in una sola che è prevalentemente d’indole fluvio-lacustre. f1) F. Sacco, Carta geologica di Ceva Sud e Garessio Nord. Scala di ’/soooo. Torino, 1887. 61 I Colli monregalesi Questa formazione è essenzialmente arenaceo-conglomeratica, ma vi s’incontrano banchi ripetuti ed anche molto potenti di sabbie e di marne a tinte variegate. Mentre nelle assise conglomeratiche predomina il color rossastro, passante talora al violaceo, le marne invece sono per lo più grigio-bleuastre o giallognole, assumendo però talora tinte svariate ma solo localmente. Gli elementi ciottolosi e spesso brecciosi che costituiscono gran parte del Tongriano presentano mole svariatissima a seconda delle località; non di rado sono di dimensioni molto considerevoli. In generale essi stanno rilegati insieme non molto saldamente per mezzo di uua specie di pasta marnoso-sabbiosa; talora anzi si pre- sentano così disciolti che sembrano quasi soltanto degli ammassi franosi d’età recente. In alcuni casi però i ciottoli tongriani sono così saldamente cementati fra di loro da formare una vera pud- dinga durissima. Fra i caratteri più interessanti di questa formazione longriana dobbiamo notare la presenza abbastanza comune di lenti lignitiche frammezzo alle marne sabbiose grigio-bleuastre ; sono specialmente sviluppate quelle dello sbocco di Val Confine sotto borgata Piagge, e quella di Val delle Mojé sotto C. Apriero. La lignite è per lo più nerissima, dura, facile a frantumarsi, affatto simile a quella ben nota di Nuceto e di Bagnasco; come qualità costituirebbe un eccellente combustibile, ma il suo presen- tarsi in piccole lenti toglie ogni speranza di poterne ricavare un utile duraturo. E importante a notarsi che fra questi straterelli lignitici s’in- contrarono già resti di Anthracotherìum magnum i quali ci pro- vano sempre più chiaramente l'età veramente tongriana di questa formazione e ci avvertono anzi che in queste regioni esiste quasi solo la parte inferiore del Tongriano , poiché la sua parte superiore rimane già mascherata dai terreni elveziani. L’inclinazione della formazione tongriana non è generalmente molto forte, e si presenta abbastanza regolare verso il nord-ovest circa ; ciò ci spiega come questo orizzonte venga a scomparire poco ad ovest sotto la formazione elveziana. La regione dove meglio si può esaminare la costituzione del Tongriano è la Val Mongia, dove esistono profondissimi spaccati naturali che mettono molto bene a nudo una gran parte della serie 62 F. Sacco tongriana. Percorrendo il vallone del Contine si possono special- mente osservare bene i conglomerati di color rosso-vino che sono profondamente incisi in diversi punti. Notiamo però che malgrado esista un fortissimo hyatus tra i terreni tongriani e le formazioni elveziane sovrastanti, tuttavia la netta delimitazione di questi due orizzonti geologici riesce talora assai difficile, speciamente nelle regioni più a sud; tale difficoltà è causata sia dalla natura talora poco diversa dei banchi arenaceo- ciottolosi delle due formazioni nel loro punto di sovrapposizione, sia dal presentare essi sovente un’ inclinazione non molto diversa gli uni dagli altri, sia specialmente per lo sfacelo e l’alterazione che presentano spesso questi terreni superficialmente, e per esserne inoltre sovente mascherati i rapporti dalla vegetazione. Deriva da tuttociò che in alcune località esistono tuttora delle incertezze nella delimitazione del Tongriano dall’ Elveziano. Oltre alla piccola zona di affioramento della formazione ton- griana in Val delle Moje, dove essa è rappresentata essenzialmente da banchi ciottolosi di colore rossastro alternati con banchi mar- noso-sabbiosi lignitiferi, compare ancora una piccola striscia di questo terreno sotto il Pilone Saehero, almeno per quanto lascia sup- porre il color rosso vinoso di alcuni strati sabbioso-ciottolosi quivi esistenti. Non è impossibile che esistano altri simili affioramenti ton- griani sulla destra di Val Casotto tra la roccia talcoschistosa o calcarea ed i banchi eiveziani ma ne riesce un po’ dubbia la con- statazione. Così pure potrebbe forse attribuirsi al Tongriano la placca conglomeratic.a di Koata sottana, sulla sinistra di Val Casotto, quantunque sembri più probabile che si tratti di un deposito elve- ziano ; la mancanza di resti fossili non permette di sciogliere defi- nitivamente la questione. Vedremo in seguito per quali ragioni io non credo che si pos- sano attribuire all’Oligocene, come venne fatto dagli altri, le for- mazioni che costituiscono la parte meridionale del Monregalese. Elv oziano . Si è già notato come nelle vicinanze del paese di Mombasi- glio vengano a scomparire, sotto alle formazioni elveziane , tre ini- 63 I Colli monreg alesi portanti orizzonti geologici, cioè lo Stempiano , YAquitaniano ed il Langhiano; quindi nella regione in esame sulla formazione ton- griana vediamo svilupparsi direttamente YElveziano con un’ am- piezza ed una potenza molto notevoli. Considerando nel suo assieme la formazione elveziana delle colline monregalesi, essa si può dividere in due orizzonti a facies molto diversa, cioè uno inferiore essenzialmente sabbioso, arenaceo e conglomeratico, ed uno superiore, molto più potente, costituito di banchi marnosi ed arenacei ripetutamente alternati. L’orizzonte inferiore è quello che per la sua speciale costituzione venne attribuito al miocene inferiore oligocene; ma in verità se per- corriamo attentamente la linea di sovrapposizione di un orizzonte all’altro, vediamo che non soltanto essi sono fra di loro strettamente collegati per modo che debbonsi attribuire ad un solo piano geo- logico, ma che inoltre vi è per lo più un passaggio così graduale da un orizzonte all’altro che generalmente ne è affatto impossibile la netta delimitazione ; i dati paleontologici poi confermano i risul- tati delle osservazioni stratigrafiche. Tuttavia per comodità e chiarezza di esposizione riesce oppor- tuno esaminare particolarmente un orizzonte dopo l’altro. Seguendo la zona elveziana inferiore attraverso la vasta re- gione delle Langhe sino alle colline di Ceva si vede che essa è costituita essenzialmente di sabbie e di arenarie, ma solo raramente vi si veggono comparire lenti ghiaiose o ciottolose. Invece ad ovest di Ceva quest’ultimo fenomeno si ripete sempre più frequentemente finché diventa quasi la regola generale. Lo stesso fenomeno deve probabilmente pure verifircasi per Y Aquitaniano, solo che in questo caso ciò non può constatarsi eie viso, perchè que- st’orizzonte scompare completamente sotto alle formazioni elveziane. Per ora notiamo soltanto come nello stesso modo che la for- mazione aquitaniana , essenzialmente marnoso-sabbiosa dal Torto- nese a Ceva, ad ovest di questo paese comincia ad inglobare banchi conglomeratici, come si può ad esempio osservare presso il Castello Zemma, così anche la zona elveziana inferiore ad ovest di Ceva incomincia a presentare lenti ciottolose assai ricche in fossili, come ad esempio presso S. Giovanni. 64 F. Sacco Questo fatto si va ripetendo sempre più frequentemente verso ovest, nello stesso tempo che cresce il numero e la potenza dei banchi conglomeratici ed aumenta il volume degli elementi ciot- tolosi ; per modo che nella parte orientale della regione in esame vediamo già ben costituiti i banchi conglomeratici, anche a grossi elementi, nella parte inferiore dell 'Elveziano, frammezzo alle sabbie ed alle arenarie giallastre, ad esempio nelle colline di borgata Montegrosso; quivi spesso incontriamo ciottoli e ciottoloni sparsi alla superficie del terreno frammezzo ad una sabbia terrosa rosso- giallastra. Tuttociò poi è specialmente ben visibile nella valle Mongia là dove verificasi la sovrapposizione dell’ Elveziano al Ton- griano. Quivi infatti si osserva nettamente che sopra ai banchi are- nacei e conglomeratici, per lo più rossastri ed inclinati a nord- ovest, del Tongriauo , si appoggiano i terreni elveziani rappresentati da diversi (tre più potenti) banchi conglomeratici, alternati con banchi sabbioso-marnosi di color grigiastro, inclinati di 30° a 40° verso nord-est. In questa zona inferiore, assieme ai banchi conglomeratici, ma per lo più sopra di essi, compaiono pure diversi banchi arenacei giallastri assai caratteristici sia per i fossili che sovente racchiu- dono, sia per la loro stessa tinta giallognola che vediamo molto sviluppata e servire auzi sovente a distinguere a primo tratto la formazione elveziana da quella tongriana. La successione stratigrafica che osservasi in Val Mongia nella zona di passaggio tra il Tongriano e X Elveziano si può indicare in questo modo: Elveziano Marne più o meno sabbiose, grigie, alternate talora con straterelli arenacei. Strati arenacei, talora abbastanza potenti, grigio-gial- lognoli, alternati con strati sabbiosi grigiastri. ! Lancili sabbioso-areuacei racchiudenti lenti ghiaioso- conglomeratiche. i Banchi sabbioso-arenacei, ripetutamente alternati con I banchi conglomeratici, talora ad elementi molto voluminosi. Strati arenacei giallastri con lonti ciottolose. 65 I Colli monregalesi [Potenti banchi conglomeratici ed arenacei di color rosso vinoso. Marne sabbiose giallastre o grigie od azzurrognole con lenti ligniticbe. Potente pila di banchi conglomeratico-brecciosi. È pure specialmente la Val Mongia che ci mostra ben svilup- pato un grande orizzonte arenaceo, fossilifero, elveziano , inclinato di circa 40° a nord-est, che si sovrappone ai banchi sabbioso-conglo- meratici pure elveziani ; è ancora infine in questa interessantissima regione che si può osservare il passaggio graduatissimo, affatto in- sensibile, dall’orizzonte elveziano inferiore, arenaceo-conglomeratico, a quello superiore marnoso-sabbioso. Fenomeni simili osserviamo nella vicina Val Corsaglia solo che quivi non appare più la formazione tongriana e riesce facile il seguire la transizione regolarissima dall’ Elveziano inferiore a quello medio. Quivi però si osserva straordinariamente sviluppata la zona arenacea di transizione, zona costituita di numerosi e potenti strati grigio-giallastri, spesso fossiliferi, che per la loro durezza costituiscono l’erto pendio della parte sinistra di Yal Corsaglia da C. S. Gervasio al paese di S. Michele, perdendosi poi poco a poco verso ovest. Nella stessa Valle Corsaglia, specialmente sulla sua sponda destra vediamo comparire fra le marne sabbiose grigiastre, sotto alla sovraccennata zona arenacea, le lenti ed i banchi ciottolosi superiori d q\\ Elveziano inferiore con una regolare inclinazione di 15° circa verso il nord-ovest ad un dipresso. Questi depositi ciottolosi appaiono specialmente nelle curve meridionali dell’alveo del Corsaglia tra C. Rebaudengo e C. Mei- nardo: in quest’ ultima località tali banchi, inclinati di circa 12° a nord-ovest, veggonsi assai bene collegarsi pure gradualmente, come in Yal Mongia, colle formazioni arenaceo-conglomeratiche dell’ Elveziano inferiore delle colline a destra di Yal Corsaglia, colline che esamineremo ora. Nella metà superiore delle colline degli Ascheri, a sinistra di Val Mongia, sopra alle tipiche formazioni conglomeratiche del Ton- griano, veggonsi comparire banchi arenaceo-conglomeratici ma spe- cialmente arenaceo-sabbiosi, con lenti ciottolose, in gran parte 5 66 F. Sacco giallastri, qua e là fossiliferi e che sono certamente attribuibili all’ Elveziano inferiore; trattasi cioè qui di una placca elveziana irregolare che doveva originariamente essere collegata coi depositi contemporanei di Montegrosso a nord e di Battaglio ad ovest. Notiamo però a questo proposito come la netta delimitazione della zona elveziana dal Tongriano non riesce sempre facile per i motivi già suaccennati in generale, quantunque anche in complesso si possano distinguere abbastanza bene le colline giallastre elveziane da quelle giallo-rossastre tongriane. Dalla placca elveziana di Ascheri procedendo verso mezzo- giorno, si può notare, poco a sud di Cappella S. Luigi, come sotto ai banchi arenacei inglobanti lenti ciottolose ad elementi talora assai voluminosi, compariscano banchi pure arenaceo-ciottolosi, di color rosso vinato, che paiono riferibili al Tongriano inferiore. Portandoci però nelle colline di Bric Toselle vediamo svilup- parvisi ampiamente una formazione abbastanza speciale, costituita cioè di depositi sabbioso-marnosi, talora quasi terrosi, di color giallastro in generale, che inglobano lenti di ciottoli e di ciotto- loni per lo più caoticamente sparsi. Questa formazione credo sia attribuibile all’ Elveziano. Per l’erosione venendo posti a nudo i sovraccennati ciottoloui, che rimangono quindi sparpagliati irregolarmente sul terreno, ne deriva che sovente questa formazione presenta affatto l’aspetto di un deposito morenico, precisamente come si verifica spesso nelle regioni elveziane dei famosi colli torinesi. Tanto è grande la sud- detta somiglianza che, come è noto, il Gastaldi, così profondo co- noscitore dei terreni glaciali, non dubitò dapprima di attribuire al terreno morenico queste formazioni elveziane dei colli torinesi su- perficialmente erose ed alterate. Anche in questa reg one riesce sempre assai difficile il distin- guere nettamente X Elveziano dal Tongriano ; talora lungo la linea di sovrapposizione d’un orizzonte all’ altro osservansi alcune piccole sorgenti acquee. Lungo le falde meridionali di Bric Toselle veggonsi affiorare strati marnoso-sabbiosi piuttosto resistenti, grigio-giallastri, ricchi specialmente in filliti; certi banchi arenacei invece presentano piuttosto resti ed impronto di molluschi littoranei, specialmente di Pecten. I Colli monrecjalesi G7 Tra il Bric Toselle ed il Brio delle Ciocche, oltre ai banchi sabbioso-marnosi inglobanti ciottoli e ciottoloni caoticamente sparsi, compaiono pure verso sud certi strati ciottolosi rossastri che po- trebbero forse ancora appartenere al Tongriano , come i depositi simili che già indicammo affiorare poco sotto il Pilone Sachero. Ma al Bric delle Ciocche ricompare la tipica formazione el- vesiana costituita da alcuni potenti banchi arenacei, leggermente inclinati a nord od a nord-nord-ovest (donde la copiosa sorgente acquea di borgata Franchi) e spesso molto ricchi in resti fossili ; tra questi fossili, per lo più d'indole littoranea e spesso ridotti ora alla semplice impronta, predominano specialmente le Opercu- line che anzi costituiscono talora da sole la superficie di certi strati arenacei, ad esempio presso la borgata i Franchi. Sulla cresta collinosa di Pilone Sachero e di Bric delle Boc- chette, costituite essenzialmente di calcare triassico eroso bizzar- ramente, vediamo ancora una placca allungata di marne sabbiose grigie o bleuastre, inglobanti lenti ciottolose, attribuibili &\Y E Ive- siano. Dal Bric delle Ciocche verso nord, oltre alle formazioni sab- biose, marnose, arenacee e conglomeratiche finora accennate, vediamo svilupparsi certe marne grigio-bleuastre che sono molto simili a quelle d q\Y Elvesiano superiore e che vanno poi a collegarsi verso nord coi banchi marnosi di S. Michele Mondovì. Le formazioni conglomeratiche, quantunque alternate colle sabbie e colle arenarie, sono specialmente sviluppate alla base del- 1 ' fflveziano, dove talora costituiscono dei veri banchi puddingoidi, durissimi, che formano piccoli rilievi sulla sottostante formazione tongriam , quantunque, come di solito, non sia sempre facile una netta delimitazione dei due orizzonti geologici. Fra le placche arenacee più spiccate notiamo quella, allungata da sud a nord, di S. Paolo — borgata Gandolfi — Bric 604, e quella di Bric delle More (588 m.) che rappresenta un frammento, ora isolato, dell’ orizzonte arenaceo tanto sviluppato a nord, sulla si- nistra di Yal Corsaglia. La leggera inclinazione a nord-nord-ovest che presentano i banchi in esame ci spiega tali fatti. Nel vallone di S. Bernardo, oltre alle sabbie ed alle marne grigio-bleuastre, vediamo assai sviluppate le sabbie e le marne ter- rose giallo-rossiccie inglobanti lenti ciottolose ; allo sbocco di detta 68 F. Sacco valle, come ho già detto, si può seguire perfettamente la transizione graduatissima fra queste formazioni elveziane inferiori, inclinate di circa 12° a nord-ovest, e quelle duella sinistra di Val Corsaglia che passano poi insensibilmente ai banchi dell 'Elveziano medio. Riesce poi interessante il notare come in Val Corsaglia, un chi- lometro circa a sud di S. Michele Mondovì, si vede nettamente che le marne sabbiose grigie àeXX Elveziano, alternate con arenarie e con conglomerati (specialmente verso la base), ad inclinazione piuttosto dolce verso il nord, posano direttamente sui talcoschisti senza che esista più traccia di affioramento tongriano. Rapporto consimile tra X Elveziano e le roccie preterziarie, quale vedesi così netto nel punto indicato, osservasi poi sempre nelle regioni monregalesi ad ovest di Tal Corsaglia. Proseguendo l’esame dell 'Elveziano inferiore verso ovest, ve- diamo che, mentre nella parte orientale di Val Groglio si presen- tano specialmente sviluppate le formazioni marnose, grigiastre o grigio-bleuastre inclinate di circa 20°, 25° a nord o nord-ovest, sopra di esse compare un sottile orizzonte arenaceo-conglomeratico molto resistente, spesso fossilifero, che si sviluppa alle falde meridionali delle colline di S. Michele sino allo sbocco del vallone di Madonna di Guaregna ; vi si raccolgono spesso dei fossili ( Turritella, Ostrea , Cardium, Polipai, ecc.), però generalmente solo allo stato di im- pronte o frantumati. Quivi la formazione arenacea-conglomeratica in esame, per lo più di color giallastro, od anche rossastro per decomposizione, at- traversa la Yal Groglio, costituendo per la sua durezza una pic- cola cascata d’acqua, e va a costituire le colline di C. Bianca, formando verso est una specie di erto gradino sopra alle formazioni marnose. Presso la suddetta cascata di Val Groglio si vede molto chia- ramente che sopra alle sovraccnenate marne grigie, inclinate di circa 25° a nord-ovest, posano marne grigio-bleuastre, ad inclinazione assai più debole, qua e là con chiazze giallastre di sostanza solforosa e che sopportano a loro volta banchi ciottolosi e conglomeratici alternati con arenarie e sabbie gialle, pure ad inclinazione poco forte. Questa zona sabbiosa, arenaceo-conglomeratica, giallo-rossastra, va ad appoggiarsi verso sud direttamente sopra ai calcari triassici , senza intermezzo dell’orizzonte marnoso inferiore; ciò ci avverte G9 I Colli monregalesi anzitutto che anche nello stesso piano elveziano dei colli monre- galesi i banchi inferiori vanno scomparendo da est ad ovest e che inoltre le formazioni ciottolose vanno sempre più sviluppandosi da est ad ovest nella parte alta di detto orizzonte geologico, come d’altronde vedremo meglio in seguito. Risalendo il Rio Groglio si osserva che, per l’ affioramento di due spuntoni di calcare triassico, vengono di nuovo ad affiorare in detto alveo i banchi arenaceo-conglomeratici, assieme alle caratte- ristiche marne sulfuree e lignitifere che compaiono in diversi punti ed abbastanza sviluppate dallo sbocco di Rio Perea sin oltre la Fontana Candia, spesso appoggiate direttamente alla roccia calcarea. È interessante l’esaminare la parte alta del Rio Groglio a sud di Fontana Candia (copiosissima sorgente che s’origina appunto dai banchi arenacei), poiché vi si può osservare uno sviluppo notevole delle formazioni arenacee. Quivi infatti, sotto a C. Croce all’ incirca, i banchi arenacei si presentano potenti, numerosi, ora a grana fina ed ora a grana gros- solana, leggermente inclinati a nord-ovest, alternati con lenti e banchi ghiaioso-conglomeratici, spesso con spiccatissima struttura deltoide. Là dove l’arenaria è a grana più fina o dove esistono straterelli arenaceo-marnosi trovansi comunemente delle impronte di foglie, talora stupendamente conservate. Questi banchi arenacei, per la loro notevole resistenza, ven- gono escavati su vasta scala come pietra da costruzione e talora anche come pietra ornamentale; è specialmente utilizzato a que- st'uopo il banco inferiore di arenaria ad elementi assai fini. Queste cave lasciano vedere la seguente costituzione della zona lit- toranea in esame : (Sabbie giallastre inglobanti ciottoli e ciottoloni. Arenarie, ghiaie e sabbie a struttura deltoide, alter- nate con letti conglomeratici. Banco arenaceo regolare potente (3 a 4 metri), co- stituito di diversi banchi minori. Nella parte alta e superficiale delle colline di C. Bianca e di Bric Pasquin, invece di arenarie e di conglomerati puddingoidi, vediamo predominare, forse per alterazione, sabbie terrose gri- gio-giallastre od anche rossastre, leggermente inclinate a nord-ovest, 70 F. Sacco alternate con banchi ghiaiosi ed inglobanti ciottoli e ciottoloni di- sposti in lenti od anche sparsi irregolarmente: ne consegne che, pel solito fenomeno della denudazione, questi ciottoloni, per lo più quarzitici, rimangono sparpagliati alla superficie del suolo, per modo che quivi, specialmente al Bric Pasquin, come si è già detto apparire ad est al Bric Toselle, e come vedremo più ad ovest, la formazione elveziana assume completamente l’aspetto di un de- posito morenico. Talora tra questi depositi grossolani ed i calcari triassici veggonsi spuntare al Bric Pasquin nell’alta Val Morsenasco sopra C. Raimondi, ecc. alcuni banchi rnarnoso-sabbiosi grigiastri, spesso sulfurei e lignitiferi. Riesce ora opportuno di accennare ad alcuni lembi arenaceo- conglomeratici che osservansi sull' alto delle regioni rocciose a sud delle colline monregalesi, poiché essi debbonsi a mio parere attri- buire pure all' Ji toc siano inferiore. Ho già sopra accennato alla placca di conglomerato puddin- goide, commisto a qualche banco arenaceo ed inglobante anche grossi ciottoloni, che osservasi a Roata sottana dove si spinge sin oltre i 700 metri di elevazione. Quantunque non sia molto lontana la formazione longricuia e quantunque mi manchino affatto i dati paleontologici per sciogliere la questione, tuttavia i caratteri lito- logici di questa placca isolata è tale che io credo poterla attri- buire all" Elvesiano inferiore. Anche sulla cresta rocciosa di S. Elena trovansi residui isolati di formazioni ciottolose (ad elementi talora persino di oltre 6 m. di diametro) che dovevano originariamente essere molto estese e formare anzi un ampio velo che si andava a collegare verso nord colla regolare zona elvcsiana poc’anzi esaminata; tali lembi si spingono quasi sino agli 800 m ; sono molto sottili e destinati a scomparire in un tempo poco lontano, geologicamente parlando. Anche percorrendo la cresta rocciosa di Bric Camerano-San Giorgio si incontra, verso i 700 m. di elevazione, una placca cive- ziana costituita in gran parte di un ammasso di ciottoli, special- mente quarzitici, che danno al deposito la facies di lembo more- nico quaternario; alcuni di tali ciottoloni misurano persino 6 m. di diametro. Più ad ovest vediamo svilupparsi sulle regioni montuose ampie 71 I Colli monregalesi distese di formazioni ciottolose elveziane che si collegano però più o meno direttamente a nord colla zona elveziana inferiore dei colli monregalesi. Tale zona, che si è visto essere molto espansa al Bric Pasqnin, si può esaminare in tutti i suoi particolari nella parte alta della Valle delle Molline. Quivi infatti si osserva che sulla cresta delle colline, specialmente presso C. S. Stefano, esistono banchi marnoso- arenacei, spesso fillitiferi, leggermente inclinati a nord-ovest ; sotto di essi compare una pila abbastanza potente di sabbie giallastre alternate con banchi arenacei e ciottolosi (specialmente quarzitici) ; questi spesso ricoprono alla lor volta una formazione marnosa, gri- giastra, qua e là solfurea od anche con resti lignitici o finitici ; tutto ciò basa direttamente sulla roccia in posto, in gran parte costituita di calcare triassico. Cioè abbiamo qui una successione stratigrafica affatto simile a quella che si è già visto comparire, più volte in Val Groglio, e che si può indicare complessivamente in questo modo: Elveziano medio VII Marne grigio-bleuastre. VI Arenarie e marne giallastre, fogliettate, fil- litifere. V Sabbie giallastre con lenti di ciottolini o ciottoloni sparsi. IV Arenarie e conglomerati più o meno cemen- tati, fra sabbie giallastre. \infer. )lll Sabbie giallognole a struttura un po’ del- toide. ' II Sabbie grigio-giallastre con lenti e banchi ghiaiosi e ciottolosi. I Marne grigiastre bruno-bleuastre, talora sulfu- ree, talvolta fillitifere e lignitifere; marne argillose grigio-biancastre (terra da gual- chiera). Roccia preterziaria. Presso la C. Magalin esistono dei tagli assai profondi che mettono bene a nudo specialmente gli orizzonti III, IV e V. L’orizzonte I è importante industrialmente poiché venne uti- lizzato, sia in Val Molline che in Val Groglio, per estrazione di 72 F. Sacco terra da gualchiera, escavazione però che ora è molto rallentata; quest’argilla figulina è spesso biancastra ed untuosa al tatto per essere molto magnesiaca; è per lo più in lenti frammezzo alle marne grigiastre. Inoltre talora si cercò d’utilizzare le lenti leni- tiche che incontransi in questo orizzonte I, ma con successo molto meschino; ne sono esempio precipuo le escavazioni fatte, anui ad- dietro, in Val Groglio, circa mezzo kilom. a monte di Madonna di Guaregna; tale escavazione, proseguita per molti anui per opera di un certo sig. Gallo, venne già conosciuta dal Gastaldi che da queste marne lignitifere ebbe resti di Planorbis e di Lijmnaeci ('); tali ligniti oltre al presentarsi solo in piccole lenti poco impor- tanti, sono anche di qualità inferiore a quelle tongriane , quindi non ne è affatto consigliabile l’estrazione. Poco ad est di C. S. Martino, lungo la cresta delle colline in esame, la strada taglia una bellissima serie di strati marnoso-sab- biosi, di cui alcuni alquanto ferruginosi, sulfurei e carboniosi, ed altri, per lo più sovrastanti, straordinariamente ricchi in filliti ben conservate ; sopra tutto ciò sviluppatisi, come di solito le sabbie e le ghiaie giallastre con ciottoli inclusi. Nella valle delle sorgenti minerali del santuario di Mondovì, osserviamo ancora fenomeni simili; cioè sotto alle marne dell’/?/- venano medio inferiore, che costituisce l’imbasamento del santuario, compaiono i conglomerati puddingoidi, visibili di fronte a C. Dosà, poscia le sabbio giallastre, quindi, inferiormente a ciò, un orizzonte di sabbie grigiastre, qua e là sulfuree e spesso lignitifere che ba- sano direttamente sui calcari triassici ; cioè : Rivedano (medio Trias Marne grigio-bleuastre. /Banchi conglomeratici e sabbie giallastre. ] Mar ne sabbiose grigio-bleuastre, sulfuree, ligni- i tifere, fillitifere, con molluschi di littorale f e d’acqua salmastra. Calcare dolomitico. La formazione prevalentemente sabbiosa, grigia che forma l'oriz- zonte inferiore dell’ Rivedano di queste regioni, è assai importante C) P. Sacco, Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria (5a Comunicazione). Mem. R. Acc. se. di Torino, serie 2a, voi. XXXIX, 1888. I Colli monregalesi 73 sia dal lato scientifico pel paleontologo e pel geologo, sia dal lato industfiale. Intatti è precisamente nelle marne sabbiose, su cui poggia la casetta delle sorgenti minerali che si raccolsero numerosi resti fossili, sia di lamellibranchiati ( Venus , Tapes , Ostraea J ecc.) , sia spe- cialmente di gasteropodi assai rari, così Myristica Lainei, Mela- nopsis impressa var. moaregaleasis, Potamides monregalensis , P. pe- dono utanus, P. lignìtanm var. sai (urea, P. lig aitar am var. cingu- latior , ecc. oltre a Tarritella , ecc. Questa fauna, in gran parte nuova (Q ,pel suo speciale carattere ci indica come in queste regioni durante la prima metà del periodo elveziaao esistesse un regime fluvio-marino-littoraneo; quivi cioè verificavasi lo sbocco di correnti terrestri entro al mare di detto periodo; ciò ci spiega "altresì sia le numerose lenti lignitiche, sia i depositi sabbiosi e ciottolosi tanto sviluppati. La località ove tut- tora, assieme a numerosi frammenti lignitici, si possono raccogliere in gran quantità i sovraccenati fossili, quantunque per lo più alquan- to infranti, è l’alveo del rio immediatamente a monte della palaz- zina delle sorgenti minerali. Pel geologo poi tali fossili sono pure interessantissimi poiché essi appartengono alla fauna schiettamente elveziana e quindi non lasciano più dubbio sull’età delle formazioni che li inglobano e che1 per la facies litologica, erano state da altri attribuite all’oligocene. Dal lato industriale poi sono importanti le sorgenti minerali, specialmente sulfuree ma anche ferruginose e magnesiache, che escono precisamente dalla base d q\Y Elveziaao di queste regioni e che sono molto frequentate nella stagione estiva e largamente utilizzate come medicinali. Quanto al modo di origine di queste sorgenti minerali non ne è difficile la spiegazione; si è già notato infatti che in più punti delle regioni monregalesi esistono, verso la base dell 'Elveziaao, alcuni banchi marnoso-sabbiosi, per lo più grigiastri ma spesso pure giallastri perchè sulfurei, fenomeno dovuto specialmente alla decomposizione di numerosi cristallini di pirite inglobati in tali marne; ne consegue che le acque le quali attraversano tali depe- rì F. Sacco, Sopra alcuni Potamides del bacino terziario del Piemonte. Boll. Soc. malac. ital. voi. XIII, 1887. — Id. Aggiunte alla fauna malacologi- ca, ecc. (V. ante) serie 2a, tomo XXXXIX, 1888. 74 F. Sacco siti si arricchiscono facilmente di sostanze sulfuree e ferruginose; quanto all' acqua magnesiaca, che viene raccolta in una specie di pozzo, essa deriva particolarmente dall’ attraversare le marne elve- ziane le quali sono molto talcose. lutine la sorgente acquea di per sè non costituisce che uno dei soliti fenomeni idrografici che pre- sentano tanto sovente le formazioni calcaree di queste regioni ; ed infatti sotto alle marne elveziane , su cui sta la casetta delle sor- genti minerali, esiste il calcare triassico che compare poi svilup- patissimo poco a sud. Verso l’alto delle colline di C. Ricca, C. Crucis, ecc. si svi- luppano come di solito, tra le marne sabbiose grigie e giallastre, spesso con molluschi e fìlliti, le formazioni ciottolose che, a guisa di velo irregolare e poco potente, si estendono assai verso il sud e verso l’ovest a costituire le placche sabbioso-terrose e ciottolose di C. Bassi, di C. Melo e di C. Gherbo, dove talora i ciottoloni sparsi irregolarmente sul terreno presentano quella facies morenica che già osservammo altrove. Discendendo la valle Ermena, poco a sud di C. Rossi, vedesi affiorare fra X Elveziano uno spuntone di calcare triassico che in alcuni punti si presenta traforato dalle litodome ; questo fatto viene aneli’ esso a provarci che X Elveziano inferiore dei colli monregalesi è un deposito formatosi presso una spiaggia la quale per lo più si presentava a guisa di scogliera irregolare rocciosa, molto simile a quelle che formano ora gran parte del littorale ligure. È naturale infatti che là dove durante il periodo elveziano esistevano piccole conche marine, quivi si depositassero quelle sabbie grigio-giallastre che abbiamo già più volte accennate ; dove invece le formazioni rocciose s’avanzavano in mare a guisa di scogliere più o meno abrupte, là le roccie antiche venivano traforate dalle litodome, oppure per l’azione delle onde marine, davano origine a quei depositi ciottolosi, spesso a grossi elementi e spesso anche di natura brecciosa (per aver subito un corta azione di trasporto), che simulano ora depositi morenici. Poco a valle del sovraccennato affioramento triassico compare ancora nell’alveo del R. Ermena uno spuntone di quarzite, che fa parte della formazione quarzitica tanto sviluppata nella parte infe- riore di valle Annetta. Naturalmente, spingendosi molto a nord la formazione rocciosa 75 I Colli monregalesi preterziaria, i banchi sabbioso-ciottolosi, che in queste regioni costi- tuiscono la base dell ' Elveziano (non comparendo più qui le marne sabbiose sulfuree), si mostrano molto sviluppati nell’alveo del rio Ermena e ben esaminabili in diversi spaccati sulla sponda sinistra di detta valle. È specialmente quasi di fronte allo sbocco della valle di C. Bianca che alcuni profondissimi spaccati mostrano una potente serie di banchi sabbioso-ghiaiosi biancastri e giallastri, alternati con strati e lenti ghiaioso-ciottolose ben sovente a struttura del- toide spiccatissima ; non è raro raccogliervi anche resti d’ Ostraea, e di Balanus specialmente in alcuni banchi particolari. In com- plesso quivi osservasi la seguente serie stratigrafìca di circa 20 metri di potenza. : > Sabbia grossolana giallo-biancastra inglobante ciottoli e ciot- ^ toloni. < Sabbie, arenarie e ghiaie giallastre con banchi ciottolosi ; j spesso con struttura deltoide. Sabbie ed arenarie grigiastre con banchi conglomeratici. Formazioni simili sabbioso-ciottolose, per lo più grigio-gial- lastre, non di rado a grossi elementi, si possono osservare fra le marne grigie anche nelle colline a destra di Valle Ermena, sin oltre le C. Tomara e Collaretto ; anzi grossi banchi sabbiosi, con lenti ciottolose, compaiono anche presso C. Carlevaris, nei burroni di C. Eula (Valle Pisciapolla) eco. Naturalmente in queste regioni spesso il terreno si presenta superficialmente giallastro e talora coperto da ciottoli e ciottoloni, specialmente quarzitici sparsi irregolarmente. I fossili, particolar- mente Arca, Pecten, Cardium , Ostraea , ecc. che incontransi nei burroni di C. Eula, ricordano già talora alquanto quelli di certi orizzonti pliocenici ; i banchi che quivi si osservano, richiamano alla mente quelli di certe formazioni piacenziane. Continuando a discendere la valle Ermena vediamo sempre molto sviluppati i banchi arenaceo-ciottolosi, inclinati di 10° o 15° verso nord-nord-ovest. Ma poco a valle del Molino dei Gandolti osservasi un passaggio rapidissimo, però senza salti, tra la facies arenacea finora esaminata e la faccia marnosa sovrastante la quale inizia 1 ' Elveziano medio che esamineremo in seguito ; quivi V PI- 76 F. Sacco vestano inferiore mostra ben spiccata la struttura deltoide con banchi fortemente inclinati, per lo più sabbiosi in alto e conglo- meratici in basso, non di rado con resti di Ostraea. E specialmente nell’alveo del torrente che si può seguire passo passo la trasformazione per cui le marne dell 'Elvesiano medio diven- gono verso sud rapidamente sabbiose, arenacee, indurite, e passano deltoidamente ai sottostanti banchi conglomeratici, alternati con strati sabbiosi. Se risaliamo il Fosso Regnarci continuiamo a vedere svilup- patissima la formazione sabbiosa, ghiaioso-conglomeratica, d’indole perfettamente littoranea; verso C. Anisetta, coll’intermezzo di banchi marnoso-sabbiosi grigiastri, essa vedesi appoggiarsi alle roccie pre- terziarie. Anche in questo caso, come in altri precedenti indicati, queste marne sabbiose dell 'Elvesiano, affioranti presso C. Anisetta, sono spesso sulfuree ed inglobano piriti decomposte nonché lenti ligniti- che anche abbastanza notevoli. Sull’alto delle colline e nella parte superiore di Val Regnarol la formazione elvesiana si estende ampiamente protendendosi verso sud, sino al rilievo roccioso di C. Giacobba, sollevandosi in al- cuni punti ad oltre 700 m. ; si collega per tal modo indirettamente ad est colle placche elvesiane, già esaminate prima, di C. Gherbo, e direttamente ad ovest colle formazioni simili di Val Gniera. Dobbiamo notare come queste varie zone elvesiane che s’ad- dentrano nella regione alpina, non si presentano già sempre come veli più o meno potenti sull’ alto delle creste rocciose, ma Sovente invece veggonsi pure molto sviluppate sino al fondo delle vallate, mentre al contrario talora mancano sulle prossime elevazioni. Questo fatto non devesi attribuire unicamente a fenomeni di erosione, poiché questi spesso lascierebbero inesplicato il fenomeno accennato, anzi gli sarebbero contrari, ma dipende in gran parte dalla irregolarità che dovea presentare la regione rocciosa in esame già durante il periodo elvesiano ; si comprende allora facilmente come le formazioni sabbioso-ciottolose, che si andarono depositando fram- mezzo a queste scogliere rocciose, ne riempirono le irregolari e sovente profonde cavità, ricoprendo il tutto con un deposito più o meno continuo di sabbia terrosa con ciottoli. Naturalmente le potenti erosioni che tennero dietro alFemer- 77 I Colli monregalesi sione della regione in esame rispettarono più facilmente i depositi elveziani che trovavansi sull’alto dei rilievi rocciosi che non quelli che riempivano i seni rocciosi, tant’è che questi generalmente fanno ora parte delle attuali vallate. Però non poche di queste ampie ed irregolari tasche, direi, di Elveziano littoraneo vennero conservate e ne vediamo bellissimi esempi nella parte alta di valle Annetta, di Yal Gniera, ecc. Da valle Ermena salendo a Vasco sopra S. Luigi, possiamo esaminare la zona di passaggio trai 'Elveziano inferiore ed il su- periore; vi è 'cioè un’alternanza più volte ripetuta di marne, sabbie ed arenarie di color grigio o giallastro, inglobanti talora ciottoli e ciottoloni di cui alcuni trovansi ora sparsi alla superfìcie del suolo. Nelle colline di Vasco e dei Comini i banchi arenacei, assai sviluppati, spesso fossiliferi, pendono di circa 25° verso il nord-ovest ; quivi, come altrove ad est, i banchi sabbioso-marnosi dell' Elveziano presentano talora colori variegati spesso a facies quaternaria. Attorno all’ importante affioramento di calcare triassico di S. Bernardo-Le Bocchette compaiono le formazioni ciottolose, che si mostrano poi straordinariamente sviluppate nella valle Malborg la quale è completamente incisa in questi depositi elveziani a facies quaternaria. Infatti in detta valle possiamo osservare in più punti che i potenti banchi sabbioso-marnosi grigiastri o gial- lastri si alternano più volte con strati ciottolosi prevalentemente quarzitici, dilavati, oppure commisti a sabbia terrosa giallastra o rossastra; non vi sono rari i ciottoloni molto voluminosi sparsi irregolarmente fra i ciottoli più piccoli. Discendendo l’ampia valle Gniera, oltre alle marne sabbiose grigio-giallastre talvolta lignitifere, inglobanti talora ciottolini e ciot- toloni caoticamente sparsi ed ora in gran parte sparpagliati sulla superfìcie del suolo, troviamo verso lo sbocco della valle potenti banchi arenaceo-conglomeratici che racchiudono resti d’ostriche e pendono complessivamente verso il nord- ovest, come si può osser- vare assai bene nello sperone collinoso di C. Orava. Talora i banchi arenacei danno origine a sorgenti acquee assai copiose come ad esempio presso C. Tapine. Le colline eloeziane che si estendono da Val Gniera, cioè da Monastero di Vasco, verso Iioccaforte, sono costituite essenzialmente da una pila assai potente di depositi sabbiosi o sabbioso-marnosi > 78 F. Sacco alternati con banchi ciottoloso-brecciosi oppure inglobanti irregolar- mente ciottoli e ciottoloni d’ogni grossezza, a spigoli più o meno smussati. Si comprende quindi facilmente come queste colline presentino in generale superficialmente il vero aspetto di colline moreniche, tanto da ingannare anche l’occhio di esperto geologo; basta però la considerazione che verso monte viene a cessare questa forma- zione per togliere ogni dubbio in proposito e per farci comprendere come qui si tratti veramente d’un deposito littoraneo a costitu- zione grossolana. Ad accrescere la somiglianza delle colline elveziane in que- stione coi depositi morenici sta ancora il fatto che fra i ciottoli e ciottoloni, generalmente quarzitici ed anagenetici di circa un metro di diametro che giacciono alla superficie del terreno, si in- contrano pure alcuni massi veramente enormi, cioè di tre, quattro e persino otto metri di diametro. Ad esempio salendo da C. Tapini a C. Bric, a circa metà strada si incontra un masso che nelle sue tre dimensioni misura metri 5X3X4. Ancora più in alto, cioè verso i 680 metri di ele- vazione , presso le cascine situate tra borgata Marengo e bor- gata Kicbon trovasi un altro enorme masso del diametro di circa 8 metri. Noto qui come anche il massimo diametro che io abbia finora potuto osservare nei conglomerati tongriani dell’Apennino setten- trionale è di otto metri, come si osserva in Val Lemno ad est di Voltaggio, dove i depositi tongriani trovansi in condizioni simili a quelle àe\Y Elveziano monregalese, rappresentando essi là un de- posito littoraneo formatosi presso a scogliere rocciose. Per prendersi un’ idea dell’importanza dei depositi brcccioso- ciottolosi nella regione elveziana in esame, è assai istruttivo l'os- servare la sponda destra di Val Maudagna al suo sbocco presso borgata Ctosi ; quivi infatti i numerosi banchi conglomeratici e brec- cioso-conglomeratici, talora a grossissimi elementi, alternati con irregolari strati arenacei, inclinati complessivamente a nord-ovest, assumono una potenza molto considerevole, e ricordano a primo tratto certi depositi del Tongriano inferiore subalpino e subaponnino. I pochi resti fossili che incontransi in queste formazioni sono valve di ostriche che raccolgonsi ad esempio poco a sud di 0. Vii- I Colli monregalesi 79 lero (Val Ellero) frammezzo a sabbie commiste ad arenarie ed a conglomerati molto duri. I banchi sabbiosi giallastri e grigiastri che si veggono qua e là affiorare frammezzo alle formazioni ciottolose, come presso la borgata Alma, dove essi basano quasi direttamente sui talcoschisti, e presso la borgata di Serra di S. Giuseppe in Val Maudagna, inclinano abbastanza regolarmente, ma poco fortemente, verso il nord-ovest. Nelle regioni più entroalpine, dove si sviluppa ancora la for- mazione elveziana , i suoi ammassi ciottolosi divengono sempre più irregolari, gli elementi che li costituiscono assumono talora l’aspetto di frana, in modo che non sempre riesce facile il delimitare netta- mente la vera formazione elveziana dalle vicine regioni coperte da depositi franosi; esempi di tale fatto si possono osservare sulla sinistra di Val Maudagna tra le case Torre e le case Prus ed altrove. Ad ovest di Val Ellero non si osserva più traccia di ELveziano che quivi è coperto discordantemente dai terreni pliocenici; esso ricompare solo molto più a nord presso Moncalieri, nella parte occi- dentale dei colli torinesi dove presentasi con una facies molto simile a quella ora osservata nell ' Elveziano inferiore dei colli monregalesi. Credo dover qui notare in proposito che quantunque i depositi elveziani delle colline di Torino (dove osservasi anche il fenomeno della presenza di banchi a grossi ciottoloni frammezzo alle marne, alle sabbie ed alle arenarie riccamente fossilifere) non siano addos- sati alla catena alpina come verificasi nella regione monregalese, ma se ne trovino alquanto distanti, tuttavia tale distanza non è molto grande e doveva essere molto minore durante l’epoca elveziana , poiché a mio parere, se si togliessero via i sedimenti pliocenici e qua- ternari esistenti tra le colline torinesi e le Alpi, si vedrebbe che la regione rocciosa alpina si avanzerebbe notevolissimamente verso dette formazioni elveziane. Secondo tal modo di vedere riescirebbe allora meno difficile lo spiegare come le grandi correnti acquee, che durante l’epoca elvc- ziana discendevano dal grandioso gruppo montuoso delle Alpi occi- dentali, poterono di tratto in tratto, in periodi di grandi piene, portare a mare elementi rocciosi grossolani e depositarli sia sulla spiaggia sia a qualche chilometro entro mare, formando così quei depositi grossolani che, sollevati in seguito per le potenti compressioni late- rali, costituiscono una parte assai importante delle colli torinesi. 80 F. Sacco Questa spiegazione viene confermata dal fatto che nella col- line casalesi, alessandrine e tortonesi, le formazioni elveziane, per quanto complessivamente abbiano facies di mare basso o di lit- orale, non presentano più tali depositi grossolani poiché queste regioni sono più lontane dalle regioni alpine e dallo sbocco di grandi correnti continentali. È tuttavia molto probabile che lungo le falde alpine italiane le formazioni elveziane , che sono ora quasi completamente coperte dai depositi più recenti, abbiano in gran parte quella facies che pre- sentano nelle colline monregalesi e torinesi; d’altronde una facies simile, cioè di deposito grossolano, ciottoloso , si incontra nuova- mente in una parte dell’ Elveziano a nord della catena alpina, spe- cialmente in Svizzera. Ad ogni modo è certo che i materiali ciottolosi delle forma- zioni elveziane derivano specialmente dalle più vicine regioni mon- tuose e che è quindi erronea l’ipotesi del Gastaldi, che, cioè i massi delle colline torinesi derivino in gran parte dall’Apenuino ligure. La presenza fra questi ciottoli, specialmente riguardo 1'' I arenacei e conglomeratici di color giallastro l o, più comunemente, rosso-vinoso. Preterziario — Permiano e Trias. Talcoschisto, Serpentina, Quar- zite, Calcare dolomitico, ecc. ' preter E UVE Federico Sacco - I colli monregalesi TVlcoschisto Quarzite Serpentina Calcare Torchiano inf.(p tn sp E] m ■ |2l/\ N O kPR£VALEN. ARENACEO GHIAIOSO) MEDIO j) MEDIO e SUP. (pREVALMARNOSO^ToRTONIANO PlACENZIAHO ASTIANO SAHARIANO ÀNlfcÓf Terrazziamo □ □ Boll. Soc.Geol.Ital. Voi. Vili 1889 Tav.I il Meridiano di Roma (M. Mario) Scala di la 25.000 - Equidistanza Fra le curve metri 5 - Loncitudinel IL VILLAFRANCHIANO NELLE VALLI SABINE E I SUOI FOSSILI CARATTERISTICI (Tav. II) I depositi fossiliferi che in strati orizzontali di notevole po- tenza si rinvengono addossati immediatamente alle roccie liassiche dell’Apennino sabino, dalla parte che guarda la vallata del Tevere, e più o meno internati nelle valli degli affluenti suoi, non possono riferirsi al quaternario perchè mancanti affatto di tracce vulcaniche, e perchè la loro fauna fossile ha una facies prevalentemente plio- cenica. Neppure possono attribuirsi al più recente tra i piani del pliocene finora ammessi nell’ Italia centrale e nella zona romana , cioè all’ astiano, perchè questo in più punti vi è abbastanza rap- presentato da formazioni tanto più inclinate quanto più prossime alTApennino. Per queste ragioni io fui indotto a riguardarli come spettanti al villafranchiano, e come gli equivalenti fra noi di questo piano che nell’alta Italia è oramai così ben precisato per i lavori di Taramelli, Sacco, Issel, Pareto ed altri (I). Come nell’alta Italia le alluvioni preglaciali , i depositi di cui mi sto occupando precedono immediatamente le formazioni vu{i caniche. Essi quindi formerebbero la base del pleistocene e post- pliocene di Lyell (2) ; il diluvio alpino-apennino di Ponzi (3) , per (!) Nella sua Nota: Il villa franchiano al piede delle Alpi (Bull. cl. r. Com. geol. 1886 n. 11 e 12) il Sacco parla di depositi rappresentanti il villafranchiano lungo le falde dei due versanti deH’Àpennino. Argille post- plioceniche lacustri e fluviatili a pie’ dell’Apennino dell’Emilia sono ricordate dal De Stefani [Molluschi continentali pliocenici d'Italia p. 127. Pisa 1876-84). (2) Lyell C. Elem. of Geology I, eh. IX. (3) G. Ponzi , Cronaca subapennina etc. A. dell’XI Congresso degli scienziati italiani. Roma 1875. 96 C. Tuccimci non ripetere tutta la estesa sinonimia che viene riferita dal Sacco ('). Però la natura della fauna fossile da me rinvenuta caratterizzando più specialmente il pliocene, io non ho esitato, come alcuni degli autori citati, a includervi il villafranchiano, ritenuto perciò come l’ultimo membro del sistema pliocenico. Anzi fin da quando pub- plicai la mia Nota ‘preventiva sul villafranchiano nelle valli sa- bine (2) aggiunsi che le ghiaie sovrastanti alle sabbie gialle nelle ollm subapennine sono l’equivalente del villafranchiano, il quale se è assai sviluppato a ridosso delFApennino, come delle Alpi, si va però assottigliando al largo. Qualche anno fa il Mayer (3) ha chiamato arnusiano questo questo piano, e il nome è stato adottato dal de Lapparent (4), il quale non ha esitato riferirvi per l’ Italia il Val d’Arno superiore, opi- nione che è abbracciata dal Sacco (5), ed alla quale, a dir vero, mi sentirei inclinato aneli’ io, vista la comunanza di molte specie fossili, quali verranno descritte nel seguito di questo lavoro. In- tanto per quel che riguarda il nome, mi pare debba preferirsi per ragione di priorità la parola villafranchiano (Pareto 1865) al- l’altra harnusiano (Mayer 1884). Non starò a ripetere qui la stratigrafia della zona da me stu- diata, avendola già fatta oggetto di altro scritto ((ì), dove è ag- giunta una sezione geologica passante per le principali località. Ivi ho anche cercato di provare, insieme alle oscillazioni della re- gione al finire del periodo pliocenico, come il villafranchiano si deponesse nella Sabina durante una fase discendente. Di maniera che la presente memoria, nella quale mi propongo di fissare colla ' paleontologia il carattere di quel piano fra noi, non è che il com- plemento dell’altra. Anzi a rigore avrebbe dovuto precederla, giacché quelle conclusioni sono appoggiate in gran parte al criterio dei fos- t1) Op. cit. pag. 30. (*) Bull. d. Soc. geol. it. voi. VI, fase. 4°. Roma 1887. (3) Mayer-Eymar, Class, d. terr. tertiaires conforme à l'équiv. des pc- rihelies et des étages 1884. (4) A. De Lapparent, Traité de geologie 2mo cd. pag. 1230 Paris. 1885. (5) F. Sacco, Il villafranchiano ctc. pag. 5 dell’estr. (6) G. Tuccimei , Bradisismi pliocenici della regione sabina. Meni, d. Pont. Acc. de’ N. Lincei voi. IV. Roma 1888. Il Villa franchi-ano nelle valli -sabine ecc. 97 sili. Se non che la lentezza indispensabile per procedere guardingo in questo studio, mi varrà di scusa. E comincio dal descrivere ra- pidamente le località fossilifere. I. Formazione lacustre della valle del Farfa. La formazione lacustre si trova limitata alla valle del Farfa e ad alcune colline piuttosto lontane dalla valle del Tevere. Com- plessivamente formano il delta pliocenico del Farfa, sulla cui destra il punto culminante della formazione è il villaggio di S. Valen- tino del quale i terreni si addossano ai vicini calcari Massici. Sulla sinistra i depositi villafranchiani sono meno sviluppati, perchè più dappresso alla catena di Fara. Essi poi si addentrano lungo il corso del Farfa che fiancheggiano dai due lati per buon tratto fin verso Frasso sabino, Monte Santa Maria ecc. Sono formati in pre- valenza da ghiaie grossolane a monte del fiume ; a valle da ghiaie, sabbie gialle, marne e ligniti. Gli strati inferiori sono di ghiaie grossolane ; i superiori di ghiaie minute, per lo più irregolarmente embricate, e, nelle parti più esterne, a strati pendenti verso l’esterno della formazione, come in un delta rapidamente deposto. Le località fossilifere da me studiate sono sul versante destro : Bocchignano , Castel S. Pietro , la fornace Eliseli presso Poggio Mirteto, S. Valentino , Montopoli e Collerosa ; sul versante sini- stro la fornace di Castel nuovo. Eccetto la prima e la terza, che sono citate dal Meli ('), le altre sono del tutto nuove. Tutte poi sono nelle marne, e in tutte è più o meno sviluppata l’ industria dei laterizi, se si eccettua S. Valentino e Montopoli. I fossili com- prendono specie d’acqua dolce come Vivipara , Pisidium , Planorbis ecc. e specie terrestri come Helix , Hijalinia e qualche mammifero. Bocchignano. Salendo dalla pianura del Farfa a Bocchignano s’ incontrano dopo gli addossamenti alluvionali e vulcanici di poco spessore, prima ghiaie a grossi elementi, indi la marna sottoposta alla rupe di Bocchignano : succede in alto un banco di grossa ghiaia non minore di 20m. Sopra questa viene subito la marna fossilifera di cui è scoperto uno strato di 8 a 10 metri alla for- (!) R. Meli, Sulla zona di fori lasciati dai litodomi pliocenici nella calcaria giurese di Fara Sabina. Bull. d. r. Com. geol. it. a. 1882. 7 98 G. Tuccimei nace di laterizi, che sta immediatamente dopo il ponte sulla strada provinciale. La parte più bassa della marna contiene una lente di lignite il cui spessore a detta degli operai in qualche punto giun- gerebbe sino a 80 centimetri. Sovrastano alla marna sabbie gialle, sabbie marnose ecc. in gran parte nascoste dalla vegetazione, fino alla sommità della collina che divide la valle del Tevere da quella del Farfa. La località fossilifera è situata più in basso di tutte le altre; gli strati vi sono orizzontali. Castel S. Pietro. Le marne fossilifere di Castel S. Pietro sono situate più addentro verso l'Apenniuo alcune decine di metri più in alto delle precedenti, di cui continuano la stratigrafia. Stanno poco sopra al torrente che divide le due colline di S. Valentino e di Castel S. Pietro, e in ambedue i versanti della valle stretta e assai scoscesa presentano belle sezioni dovute all’ industria laterizia che vi ha impiantato due fornaci. Nei tasti eseguiti a più riprese e a varie profondità vi si rinvennero non meno di sette strati di lignite dello spessore medio di 0m,20 l'uno. Le marne interposte contengono inoltre frequenti stratarelli fatti da veri ammassi o pacchi di foglie carbonizzate, che si possono considerare come cor- rispondenti ad altrettante annate vegetative, mentre i banchi di vera lignite forse corrispondono a periodi di piena. È inutile ag- giungere che le tìlliti vi sono belle e abbondanti, come pure i fusti carbonizzati, o in posto, o stratificati e ridotti a lamine per la pres- sione. Molluschi terrestri e d’acqua dolce, denti ed ossami di verte- brati vi abbondano, in modo che questa località, va considerata come la più ricca e importante del villafranchiano lacustre di Sabina. Sopra alle marne fossilifere, giace uno strato di marna sab- biosa, coperto da sabbie gialle, seguite a loro volta da un potente deposito di ghiaia che continua fino alla sommità del colle dove è il villaggio di Castel S. Pietro. In una stretta e poco accessibile gola percorsa dal torrente che scende da S. Valentino a Bocchignano riapparisce lo stesso strato di marne con ligniti, ma con tracce vegetali assai più belle e caratte- ristiche (’). (2) L 'argilla di Castel S. Pietro ò ricordata dal Guattani (Monum Sai. 1827, voi. I p. 180). Egli poi e Cermelli citano la sabbia gialla della salita da Poggio Mirteto a S. Valentino (Vedi Cermelli Carte corografiche e me- morie riguardanti le pietre ecc., Napoli 1782). 99 Il Villafranchiano nelle valli sabine ecc. Fornace Fnsebi. A circa due chilometri dar Poggio Mirteto, sulla strada provinciale che va a Roccantica ed Aspra si trova questa terza località fossilifera, situata più in alto delle prece- denti, alla base del versante esterno del colle di S. Valentino, e perciò nella valle del Tevere. I fossili oltre che nelle marne az- zurre sono stati trovati anche negli strati sovrastanti di marne giallastre e di ghiaie, e molti ne sono conservati dal dott. E. Nardi di Poggio Mirteto. Qui la formazione termina direttamente con lo ghiaie embricate di S. Valentino. Debbo poi ricordare che in questa località la marna, a differenza dalle altre, si presenta distintamente quantunque poco inclinata all’orizzonte. S. Valentino. La marna con fossili di questa località forma uno strato di poco spessore che apparisce non lungi dalla vetta del colle, sul versante della valle del Farfa, poco dopo il principio del sen- tiero che scende a Bocchiguano. L’erosione vi ha messo allo sco- perto le ghiaie embricate sopragiacenti a sabbie gialle sotto alle quali si vede la marna. Seguitando a discendere, gli strati sotto- posti sono nascosti da una abbondante vegetazione, come è del resto quasi da per tutto nella valle del Farfa. Montopoli. La sommità di questa collina, sulla cui stratigrafia mi sono trattenuto già in altri lavori (*) è fatta da sabbie gialle grossolane che si alternano con ghiaie irregolarmente embricate. Nella discesa per la valle del Tevere, il villafranchiano si sovrap- pone insensibilmente all’astiano. Rinvenni i fossili in una marna verdastra di qualche decimetro di spessore, intercalata tra le ghiaie, presso al casino Seni sulla sommità del colle (2). Ora quello strato è coperto da un muro di sostegno. Anche nelle ghiaie sovrastanti fu rinvenuto nel passato autunno (1888) una difesa di Elephas che è conservata dal dott. Nardi. Collerosa. In questa località che è la più lontana dall’Apen- nino tra quelle appartenenti al pliocene lacustre, le marne sono in strati inclinati all’orizzonte di 20° nord-ovest, e dirette nord-est- sud-ovest sensibilmente parallele alla valle del Farfa : vi estrassi (!) Op. cit. Non che: Sulla struttura e i terreni che compongono la catena di Fara in Sabina. Boll. d. Soc. geol. it. voi. II. Roma 1883. (2) Devo l’indicazione di questa località al prof. F. Bonetti, al quale pure sono grato per l’aiuto datomi nella ricerca dei fossili. 100 G. Tuccimei pochi esemplari fossili, ma di specie identiche a quelle trovate nelle altre località. Se ne deduce che la deposizione del villafranchiano era già cominciata al largo deH’Apennino, quando avvenne il sol- levamento che prolungò la valle del Farfa. E quindi che vi fu un graduato passaggio dall' astiano al villafranchiano prima di detto sollevamento. Questo mi pare un argomento di più per includere il villafranchiano piuttosto nel pliocene che nel quaternario. Come osservazione generale poi, che è avvalorata anche da ciò che esporrò per le formazioni salmastre, mi pare di poter stabilire che in Sabina il villafranchiano è orizzontale al ridosso dell’Àpennino, mentre tanto più si inclina quanto più se ne allontana; al con- trario l'inclinazione dell' astiano è massima a immediato contatto colle rocce liassiche. Anche alla fornace Eusebi vedemmo alquanto inclinate le marne. In ogui caso è evidente che dopo il sollevamento proseguì a ridosso dell' Apenn ino una tranquilla formazione di strati lacustri o salmastri che giunge alla potenza complessiva di al- meno 265m come ho dimostrato altrove e che rappresenta appunto il villafranchiano. Fornace di Gastelnuovo. Sulla strada provinciale che sale dal ponte di (Iranica a Castelnuovo di Farfa, imbocca a sinistra un viottolo che ridiscende verso il fiume. Lungo questo viottolo si ve- dono gli strati delle sabbie gialle e ghiaie deH’astiano fortemente inclinati, e a pochissima distanza le marne villafranchiane sono perfettamente orizzontali. La fornace è da qualche anno inattiva, e nella cava abbandonata non potei trovare che pochi frammenti di molluschi, i quali però sono di specie identiche a quelle delle altre località. IL Formazione salmastra della valle del Galantina. Alla sua uscita dalle gole di Roccantica il torrente Galantina incide una serie di strati in gran parte marnosi perfettamente oriz- zontali, che in qualche punto si vedono addossati direttamente alla calcaria del lias inferiore. Questi ricolmano tutto il piccolo golfo, che al finire del pliocene era fiancheggiato dai monti Las- sici di Aspra, il colle dei Cappuccini, Poggio Forcelle, Monte Cesa, ed era chiuso ad oriento dalle scogliere di Roccantica. Il predo- minio delle acque dolci del torrente, allora assai più copiose che 101 Il Villa franchi ano nelle valli saline ecc. non sia oggi, rendeva salmastro tutto quel seno, ma non tanto che di quando in quando dalla larga apertura ad ovest, non vi si in- troducessero le acque marine, come è provato dalla presenza simul- tanea di fossili marini e salmastri. Ora la separazione tra questa valle e quella del Farfa è fatta idrograficamente dalla collina di S. Valentino, ma al tempo in cui si deponeva il villafranchiano il confine era rappresentato più a nord dai terreni astiani solle- vati a immediato contatto delFApennino, di cui sono evidente re- siduo il colle del montanaro presso Catino, e le colline sotto Poggio Catino. Quindi non si può dubitare del perfetto sincronismo dei terreni orizzontali delle due valli. Si può dire, senza tema di esagerare, che tutta questa forma- zione salmastra è fossilifera, e la quantità delle specie che vi si rinvengono è naturalmente maggiore che nella formazione lacustre. In più punti vi sono cave di marna e di lignite, alcune abbando- nate da molto tempo. Lo spessore di tutta la formazione non è in- feriore a 120m. Le località più particolarmente rovistate da me sono tre: 1° il ponte di Roccantica, 2° la zona dei litofagi sotto Roccantica, 3° il fosso del Cannetaccio; tutte nuove per la scienza. Ponte di Roccantica. Dopo la spalla destra di questo ponte sul quale la strada provinciale attraversa il Galantina sono sco- perte le marne e le sabbie marnose sovrapposte, in parte rimaneg- giate per la sistemazione della strada. Abbondano di grosse specie, come Cardimi, Potamides, Melaaopsis. Zona dei litofagi. Indico con questo nome una località molto ricca di fossili che è scoperta nel taglio naturale sottoposto alla calcaria forata dai litofagi, sotto al paese di Roccantica. È una insenatura del Galantina, per la quale esce uno degli affluenti suoi. Dopo il calcare sinemuriano coi fori, e con valve di ostriche attac- cate, si trovano i fossili abbondantemente sparsi nella marna sabbiosa assai esposta a franare per la sua posizione. Nella parte più pro- fonda del torrentello è stratificata una bella marna azzurra pure essa ricca di fossili. Di fianco dove l’erosione ha tagliato a picco si vede sulla sommità un banco di cinque o sei metri di una sabbia calcare gialla finissima e incoerente, concordante colla marna, e dove trovai tracce di Helix. Fosso del Cannetaccio. Per la quantità dei fossili e per lo stato di conservazione in cui si trovano, è la migliore tra le località del 102 G. Tuccimei villafranchiano salmastro. Il fosso del Cannetaccio è un affluente del Galantina, e separa il territorio di Aspra da quello di Roc- cantica: sta molto lontano dalla strada provinciale, ed è il più basso situato nella serie che sto descivendo. Il banco di bella li- gnite di oltre due metri che vi affiora dà vita ad una modesta industria, per non parlare di due fornaci di laterizi che utilizzano la marna. La sezione a partire dal banco di lignite, che è il più basso e sfiorato dal torrente, è la seguente: 1. Lignite compatta omogenea, nerissima, spessore più di 2m 2. Marna turchina fossilifera, spessore 4m circa; 3. Marna sabbiosa bianca, spessore lm,50, 4. Marna turchina, spessore lm. 6. Sabbia giallo scura, spessore 0m,40. 7. Strati irregolarmente alternati di sabbia e marna, spessore da 4m a 5,n. Chiude questa sezione il quaternario rappresentato dal tufo terroso, pumiceo, con cristallini d’augite: il tutto è coperto da una folta selva di castagni (x). ! ’a> T3 ci a o N g M (*) Avendo dato nella mia prima Memoria (Bradisismi pliocenici ecc ). la sezione geologica del villafranchiano lacustre, aggiungo qui a complemento quella del villafranchiano salmastro per mostrarne i rapporti colle formazioni vicine. La sezione è parallela al corso del Galantina, ed apparisce percor- rendo la strada dalla pianura di Moutorso a Roccantica. 1. Calcaria (lias inferiore). 2. Sabbie gialle e marne (astiano e pia- centino). 3. Marne (villafranchiano). 4. Tufi vulcanici (quaternario). 103 Il Vìllafranchiano nelle valli sabine ecc. Non mancano altre località lungo il Galantina, specialmente a monte del ponte di Roccantica, in ambedue i versanti della valle. Sono cave di lignite e marna abbandonate da un pezzo, e quindi in gran parte ricoperte da frane successive, e dalla vege- tazione. In una di queste località sulla riva sinistra mi riuscì a notare dal basso all’alto: 1° un banco di lignite, 2° un’argilla torbosa turchino-scura, 3° stratarelli biancastri di sabbione calcareo, 4° altra argilla torbosa. Non vi mancano fossili, specialmente grossi Cardium e frammenti di Ostrea. Non molto differente è la sezione che vari anni addietro fu rilevata dall’egregio dott. Nardi in una prossima cava di lignite, parimenti abbandonata, sezione che egli mi ha favorito nella sua cortesia, come non ha mai la sciato di mettere a mia disposizione i fossili che ha riunito nel gabinetto della scuola tecnica di Poggio Mirteto. Riassumo nel seguente quadro il sincronismo e la cronologia delle varie località descritte per le due formazioni villafranchiane Valle del Farfa Valle del Galantina 6 Tufi vulcanici del Can- netaccio e della strada provinciale. Quaternario 5 S. Valentino e Montopoli O 4 Castel S. Pietro Zona dei litofagi presso Roccantica. Si Ponte di Roccantica. ss < « 3 Boccliignano e fornace di Castelnuovo di Farfa Fosso del Cannetaccio. ''-O £ 2 Fornace Eusebi 1 Collerosa Colle del montanaro e Poggio Catino. Fine dell' Astiano 104 G. Tuccimei III. Elenco dei fossili. Mammalia 1. Castor fiber, L. Il ritrovamento dei resti di questa interessante specie rimonta al 1885, nelle marne di Castel S, Pietro. Essi sono : a) I quattro molari inferiori sinistri in perfetto stato di conservazione, colla superficie triturante pochissimo consumata, e più o meno obliqua all’asse di ciascuno. Stimo inutile darne la descrizione dettagliata, non differendo dai molari tipici della spe- cie. Le loro superfìci trituranti riunite nella posizione naturale formano una superficie leggermente concava, la quale sviluppata, è lunga 37 millimetri dall' avanti all’indietro. Il 2° molare che sembra il più lungo misura dal lato esterno (convesso) 26 milli- metri. b) Una notevole porzione dell’incisivo inferiore destro, col taglio quasi intiero, della lunghezza sviluppata di 66 mm. c ) Un frammento dell’incisivo inferiore sinistro. Un confronto accurato coi castori pliocenici del Valdarno ha mostrato le differenze (*). I molari del Castor rosinae Major sono tutti più piccoli come risulta dal seguente specchio delle dimen- sioni in millimetri prese sulla superficie triturante di ciascuno. 1° molare 2° molare 3° molare 4° molare long, trasv. long, trasv. long, trasv. long, trasv. Castor fiber L 11 8,5 8,5 8,5 8,5 9 8 7,5 Castor Rosinae Major. 8,5 7 8,25 6,5 7,5 7 8 5,5 U) Adempio al grato dovcve di rendere vive grazie ai chini prof. D'An- cona e De Stefani, per avere ripetutamente messo a mia disposizione il pre- zioso materiale del Val d’Arno, che si conserva nel r. Museo di Firenze. Ciò che mi ha agevolato assai lo studio dei mammiferi fossili di Sabina. 105 Il Villa franchi ano nelle valli sabine ecc. Quanto al Castor plicidens Major l’equivoco è anche più difficile avendo i suoi molari le pieghe dello smalto distintamente ramificate nei giovani, e la superficie triturante larga e arrotondata. La lunghezza totale della superficie triturante considerando i quattro molari in posto, è pel Castor rosinae di soli mm. 30,5. 2. Elephas cfr. meridionali s, Nesti. Una difesa di giovane individuo, lunga poco più di un metro, ridotta in più frammenti di cui il più grosso ha alla base il dia- metro di 6 cent. Si conserva dal dott. Nardi nel gabinetto della scuola tecnica di Poggio Mirteto, e proviene dalle ghiaie superiori di Montopoli, dove fu trovata insieme a frammenti di ossa indeterminate, nel ca- vare le fondazioni di una casa. L’esemplare si ridusse in pezzi nell’ estrarlo. 3. BoSj sp. ind. Parte inferiore dell’omero destro, col capo articolare in parte mancante, ma colla cavità olecranica distinta. Prov. Marne di Castel S. Pietro. 4. Cervus etueriarum, Cr. et Job. (Q. Nelle marne di Bocchignano ho trovato di questa specie : Il 2° e 3° premolare inferiore destro, e il 1° premolare inferiore si- nistro, tutti intieri ; la metà posteriore del 2° premolare inferiore sinistro, e la metà anteriore del 3° premolare inferiore sinistro ; il 1° molare inferiore sinistro intiero. Tutti appartengono ad uno stesso individuo. Dopo un accurato confronto istituito sia coi viventi Cervus elaphus L. e C. dama L. sia coi resti del primo provenienti dalle torbiere del veronese e conservati nel r. Museo geologico di Roma, sia colle specie del Val d’Arno C. dicranius Nesti. C. Perrieri Cr. et Job. e C. etueriarum Cr. et Job. ho riferito a quest’ultima f1) Croizet et Jobert, Recherches sur les ossements foss. du départ. du Puy-de-Dome. Paris, 1828 tav. vij, viij, jx, x fig. 1, 2, 3, G. — C. De- peret, Nouv. étud. s. les ruminants pliocènes et quaternaires d'Auvergne. Bull. cl. la Soc. géol. de France, 3° sér. t. xij, p. 265. Paris, 1884. 106 G. Tuccimei specie i denti trovati a Bocchignano. Essi infatti sono somiglian- tissimi a quelli di una mandibola, del museo di Firenze, che il Forsyth Major mi assicurava appartenere al C. etueriarum. Quan- tunque del resto egli mi esprimesse il dubbio che in certi esem- plari giovani questa specie non si possa ben distinguere dal C. Ferri eri, e che le corna degli uni e degli altri nella prima età, siano state confuse dagli autori. Leggere differenze tra l’individuo del Val d'Arno e il mio non mancano. Così il 1° premolare inf. sinistro è più grande del corrispondente del Val d’Arno: e il 1° molare inf. dello stesso lato è alquanto più basso e più massiccio, ha la colonnetta più sviluppata, la piccola piega anteriore esterna meno pronunciata, e lo smalto più ruvido. 5. - Hippopotamus major , Cuv. Numerosi frammenti di molari di non dubbio riferimento, pro- venienti da Bocchignano. Altri frammenti esistenti a Poggio Mirteto sono stati rinvenuti a Castel S. Pietro, e vengono citati dal Meli ('). 6. Rhinoceros etruscus , Falc. (tav. ii fìg. 1, 2, 3.) Circa 18 anni fa fu trovata nelle marne di Castel S. Pietro una intiera mascella inferiore, che a detta di vecchi cavatori do- veva essere bellissima. Di essa non rimangono che i due ultimi molari il destro e il sinistro, i quali giustificano l’apprezzamento dei cavatori, e mi vennero gentilmente comunicati da un possi- dente di Bocchignano. Il sinistro che è intierissimo ha sul lato interno tre pieghe . la prima assai piccola, tra la seconda e la terza è una profonda insenatura. Sul lato esterno una insenatura poco profonda separa due curve poco pronunciate. Distanza tra i vertici delle due pieghe estreme del lato interno mm. 33. Lunghezza massima del dente all’oricnne della corona mm. 40. Distanza tra i vertici delle due o pieghe posteriori del lato interno mm. 19. Nelle sabbie gialle sovrastanti alle marne della fornace Eusebi lu trovata una mandibola inferiore sinistra colla maggior parte dei denti, ma in deplorevole stato, se si eccettua l’ultimo che ho po- tuto studiare. Esso è in realtà un penultimo molare di individuo (r) Op. cit. pag. 9 dell’estr. 107 Il Villa francliiano nelle valli sabine ecc. giovane che non avea ancora sviluppato l’ultimo, ciò che è pure confermato dal minimo grado di consumo della superficie tritu- rante. È conservata dal Nardi a Poggio Mirteto. Appartengono poi alla stessa specie tre premolari inferiori di latte trovati a Bocchignano. Sono il 1° sinistro intierissimo (tav. ij fig. 1, 2); la metà posteriore del 1° destro; e la metà anteriore del 2° destro (tav. ij fig. 3). Questi ultimi due quantunque fram- menti sono in ottimo stato, e lasciano studiare assai bene la su- perficie triturante. Il 1° premolare inf. sinistro di Bocchignano che è intiero ha una lunga radice profondamente solcata sulla faccia interna meno sulla esterna e sulla posteriore. La corona che è assai compressa sui lati, presenta due faccie convesse che an- teriormente convergono in un margine tagliente assai curvo, poste- riormente formano un margine più corto in parte tagliente, in parte appiattito pel contatto del 2° premolare. La superficie tri- turante è assai piccola e presenta una curva egualmente compressa sui lati, con due branche di cui la interna più corta è separata dalla esterna per una profonda intaccatura. I margini di questa su- perficie sono finamente dentellati. Le dimensioni sono le seguenti: Altezza massima dalla radice alla sommità della corona mm. 36,5 Massimo diametro antero-posteriore misurato a metà altezza della corona ” 19 Diametro trasversale massimo, misurato poco sopra l’origine della eorona » 10,5 Il frammento di 2° premolare inf. destro presenta tutto il 1° lobo, e parte del 2°. Il primo è separato dalla piega anteriore per una leggera intaccatura che si prolunga sulla faccia interna della corona La piega trasversale è lunga mm. 5,5. Dal 2° lobo lo se- para una profonda insenatura della superficie triturante, la quale pure si prolunga sulla faccia interna. La faccia esterna della co- rona è appena incavata in corrispondenza della parte più stretta della superficie triturante. I margini di questa sono pure fina- mente seghettati. Questi premolari di latte convengono in modo da non lasciar luogo a dubbio coi corrispondenti di una mandibola inferiore si- nistra di individuo ugualmente giovane del museo di Firenze, fatte lievi eccezioni pel diverso grado di consumo delle superfìci. Le misure presentano differenze minime. 108 G. Tuccimei Si può frattanto concludere che il Rh. etruscus Falc. è il più frequente tra i mammiferi villafranchiani di Sabina, prove- mondo da tre località, Bocchignano, Castel S. Pietro e fornace Eusebi. Altri frammenti di ossa sono stati da me trovati in più lo- calità, ma non sono determinabili. Non cito poi diversi esemplari raccolti dal dott. Nardi per essere di dubbia località, lo che debbo ripetere per molti dei molluschi che trovansi in quella collezione. Gastropoda 7. II eli, x ( Trigonostoma) obcoluta, Muli. Un solo esemplare ben distinto, proveniente dalle marne di Bocchignano. 8. Relix (Macularla) cermicularia , Bon. Numerosi esemplari adulti per la maggior parte come mo- trauo il peristoma. e l’ultimo giro molto discendente. Però essi costituiscono una varietà piccola della specie, perchè con giri 5 7« nessuno raggiunge le dimensioni della figura data dal De Ste- fani ('). Tutti gli altri caratteri provano che si è assai vicini alla varietà descritta dallo stesso autore. È una delle specie più abbondanti. Si trova a Castel S. Pietro, fornace Eusebi, Collerosa, e alla fornace di Castelnuovo. 9. Helix Radisi, De St. (op. cit. pag. 120, tav. IV, fig. 1). Nou ho trovato questa specie, ma la cito perchè riferita dal De Stefani, il quale la ebbe dal Nardi. Indicata come proveniente da Poggio Mirteto, ma con tutta la probabilità è della fornace Eusebi. 10. Helix (Campylaea) fabarensis, n. sp. (tav. ii fig. 4, 5, 6). Testa compressa, superne planulata ; inferite parum con- vexa, radiativi irregulariter striata, anguste et prof nude imbi- licata ; apertura ov alo- elong cita, calde obliqua, anfractu re- deunte per quartam partem interrupta ; peristomate calde reflexo. (') De Stefani, Moli, contili, plioc. ecc. pag. 122, tav. IV, fig. 4. 109 Il Villafranchiano nelle valli sabine eco. citra umbilicum producto ; anfractus 5 l/2 ad 6 lente ac regu- lariler crescent.es , suturis profundis disjuncti , striis irregularibus obliquis chicli ; postremo parum sed rapide descendente, ad aperturam aliquantulum dilatato, ad bis-tertiam altitudinis par- tem fascia tenui rufescente ornato. Diam. max. mm. 20; diam. min. mm. 18; alt. mm. 7,5 ; alt. max. ult. anfr. mm. 7; diam. max. alt. anfr. mm. 10. Piccola conchiglia quasi appiattita nella parte superiore, dove gli anfratti separati da suture profonde sono percorsi da strie oblique, sottili, irregolari. Nella parte inferiore l’ultimo anfratto poco convesso eirconda un ombelico stretto, profondo non perspet- tivo e porta strie radiali irregolari. La bocca è ovale, molto obliqua, circondata da un peristoma pronunciato, assai rivoltato, protratto al di là dell’ombelico die ne rimane in piccola parte coperto. La discesa dell’ultimo anfratto piuttosto rapida è limitata a un breve tratto, dove l’anfratto stesso si dilata in modo da formare un’aper- tura trasversalmente assai ovale. L’apertura è interrotta per un quarto dal ritorno del penultimo giro. Negli individui ben conser- vati si vede appena una traccia di fascia rossastra a due terzi di altezza dell’ ultimo giro. I giri sono da 5 1/i a 6 lentamente cre- scenti, separati da suture profonde, poco alti in modo che la con- chiglia tende più alla forma discoidale che alla cilindrica. Le forme che più si avvicinano a questa Ilelix , che è del gruppo Campglaea , colle differenze più salienti, sono le seguenti : L ' Helix Kermovani Cherr. (') vivente, ha la conchiglia per- fettamente piana, il peristoma molto limitato, anfratti rapidamente crescenti, l’ultimo assai convesso inferiormente. li Ilelix Tarameliii Sacco (2) dell’elveziano, è ristretta vicino all’apertura, ha l’apertura meno obliqua, meno riflesso il peristoma, e nell’insieme si avvicina alle Ily alina come nota l’autore stesso. L’ II. subpulchella Sandb. (3) del miocene medio è assai più (*) (*) Moquin-Tandon, Hist. nat. de moli. terr. et fluv. de France, pi. XI, fig. 9-14. Paris 1885. (2) F. Sacco, Nuove specie terziarie di molluschi terrestri ecc. A. Soc. it. di se. nat. voi. XXIX, tav. 14, fig. 8, Milano. 1886. (3) F. Sandberger, Die Land und Siissu'asser-Conchylien der Volwelt. p. 544, taf. xxjx, fig. 3, 1870-75. 110 G. Tuccimei piccola, ha giri pochi e rapidamente crescenti, spira rilevata, aper- tura orbicolare. li II depressissima Sacco ([) del villafranchiano, ha una carena acuta nell’ultimo giro, e i giri interni fanno sporgenza acu- minata sull’ ultimo. L 'II. cingulata Stud. (2) ha largo e perspettivo l’ombelico, la spira conica e prominente. Le maggiori rassomiglianze dell’//, fabarensis stanno per la II. planospira Lamk. Però un confronto accurato delle dimensioni e dei rapporti, la forma dell’apertura, del peristoma, dell’ultimo giro e complessivamente di tutta la conchiglia, mostrano le diffe- renze. Le varietà più comuni della II. planospira sono enormi a confronto dell’altra. Non mancano individui piccoli e tra i minori ho preso ad esame pel confronto alcuni viventi nella provincia di Roma, raccolti dall’ing. Statuti e da lui gentilmente comunicatimi. Non che tra le varietà descritte dalla Paninoci una delle più pic- cole la var. Neapolitana (3). Queste forme hanno sempre l’ultimo giro assai convesso ed alto in modo da giustificare l’appellativo cylindra- ceo-depressa dato nella diagnosi di Lamarck (4). Le dimensioni che dà la Paninoci per la suddetta varietà sono: diam. magg. mm. 19-24; diam. min. 16-20 ; alt. 9-12. Invece dalle dimensioni che ho riportato per Xllelix di Sabina, e dalle figure che ne ho fatto eseguire (v. fig. 5, 6) risulta una depressione più grande. L'e- semplare ò dei meglio conservati, ma siccome si potrebbe dubi- tare che la compressione avvenuta nella marna ne avesse alterato i rapporti, cosi osservo che se questa non fosse avvenuta, la con- . chiglia sarebbe apparsa assai più piccola in confronto della sua affine. L’esemplare della fig. 4, proveniente da Bocchignano, ha l’ultimo giro più convesso degli altri, carattere costante nell’//. fabarensis di quella località. Ivi predominano le seguenti dimen- p) F. Sacco, Nuove specie terziarie di molluschi lacustri e terrestri, pag. 15, fig. 7. Estr. A. d. r. Acc. d. se. di Torino, voi. XIX, 1884. (2) Kofielt, Rossmàssler Jconof/raphie der Europacischen Land und Siisswasser Mollusken, IV, 2, tav. 106, fig. 1070-74. Wiesbaden 1876. (3) M. Paulucci, Fauna malacologica della Calabria, pag. 90, tav. V, fig. 1-8, 1880. (4) Lamarck, Ilist. nat. des anim. sans verGbres, 1838, voi. viij, pag. 48. Ili II Villafranchiano nelle valli sabine eco. sioni: (liam. magg. 17 mm.; diam. min. 15 mm.; alt. 8,5; giri 6. Le dimensioni quindi sono in tutto più piccole, per non parlare delle altre differenze. Le quali preferisco riassumere nel seguente quadro comparativo : Ilelix planospira, Larnk. Forma generalmente cilindracea. Conchiglia per lo più grande. Gli individui più piccoli appena su- perano 5 giri. Ultimo anfratto molto convesso infe- riormente. Apertura orbicolare poco obliqua. Peristoma poco rivolto alPinfuori. La discesa dell’ ultimo giro è lenta, e comincia lontano dall’apertura. Ilelix fabarensis, Tucc. Forma generalmente discoidale. Conchiglia sempre piccola. Gli individui più piccoli giungono a 6 giri. Ultimo anfratto poco convesso infe- riormente. Apertura ovato-allungata più obliqua. Peristoma molto rivolto alPinfuori. Discesa dell’ultimo giro brusca, limi- tata a un piccolo tratto vicino all’apertura. Queste differenze non escludono che grande sia l’affinità tra le due specie, di maniera che si può dire che 1’ II. fabarensis era in Sabina al finire del pliocene il rappresentante della IL pla- nospira quaternaria (Meli, Clerici) (') e vivente. Ho tratto il nome della nuova specie dal Farfa ( Fabaris ) nella cui valle i terreni villafranchiani la contengono abbondante da pertutto. Infatti l’ho trovata giovane e adulta, in esemplari completi e in tracce ben riconoscibili in tutte le località citato per la formazione lacustre, eccetto la fornace di Castelnuovo, che' però è stata la meno esplorata (2). 11. Helix (Tachea) sabina, n. sp. (tav. ij tig. 7, 8, 9). Testa conv exo-conoidea, non imbilicata, spira obtusa; anfra- ctns quatuor (?) convexiusculi , rapide crescentes, minime conte- genteSj sutura impressa divisi , striis profundis, perobliquis. (9 E. Meli, Molluschi terrestri e d'acqua dolce rinvenuti nel tufo litoide della Valchetta presso Roma. Bull. d. Soc. geol. it. voi. Ili, p. 78, Roma. 1884. — E. Clerici, Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma. Bull. d. r. Com. geol. it. A. 1885, n. 11 e 12, pag. 8, 31 e 32 dell’estr. (2) Nel Museo geologico della r. Università di Roma ve ne sono due esemplari raccolti dal Meli nelle marne presso Monte S. Maria, molto ad- dentro nella valle del Farfa. 112 G. Turcimei regularibus cincti ; primo valde lato , postremo carina obtusa regu- lariter bipartito , fascia lata rimescente saprà care nani ornato. Diam. max. mm. 21,5 ; diam. min. mm. 18; diam. max. alt, anfr. mm. 8. Dei sei o sette esemplari che ho trovato di questa specie, nessuno è completo, mancando in tutti la bocca, e la parte infe- riore essendo tracciata in uno giovane, che ho figurato (fig. 9). Tutto il resto però che è in tutti conservato, è più che sufficiente a far riconoscere la nuova specie. La conchiglia ha la parte supe- riore conico-depressa, che per la ottusità dell’apice diventa con- vessa. La parte inferiore non ha ombelico, ma come si vede dalla traccia dell'individuo giovane ha uno stretto callo columellare. Gli anfratti nell’esemplare (fig. 7, 8) che è il più grande da me tro- vato, sono quattro, e raggiungendo il diametro di mm. 21,5, mo- strano un rapido accrescimento. Il primo è piuttosto ampio, e l'ultimo ha una carena ad angolo ottuso, per cui la superfìcie su- periore bruscamente cambia direzione diventando inferiore. La su- tura che divide gli anfratti senza esser profonda, è ben marcata, perchè ogni anfratto è leggermente convesso. Le strie degli anfratti sono spesse, profonde, assai oblique, e regolarissime. Tutta la con- chiglia conserva un colore lievemente carneo, con una fascia ben distinta, che doveva esser rossa, poco sopra la carena. Questa fa- scia si vede bene anche sul penultimo giro, perchè il contatto degli anfratti ha luogo appena sopra la carena, ricuoprendosi vi- cendevolmente in piccolissima parte. Questa Ilelix del gruppo delle Tachea , potrebbe confondersi . unicamente colla IL nemoralis L .; ma la distinguono la carena ottusa dell’ultimo infratto, il numero inferiore di giri a parità di diametro, la ampiezza del primo anfratto, e la profondità assai maggiore delle strie. Gli esemplari raccolti vengono dalla fornace Eusebi, Castel S. Pietro, Montopoli, e fornace di Castelnuovo. 12. IIyalina olivetorum, Gm. ( Ilelix ) var. Perusina De St. Vari esemplari sono nella collezione del dott. Nardi. In uno che ho presso di me, ma che è alquanto deformato si riconosce la forma ad imbuto dell’ombelico, e la depressione di tutta la conchi- glia. Presenta 5 giri. Diametro 25 mm.; alt. dell’ult. giro 7 mm. 113 Il Villafranchiano nelle valli sabine ecc. Prov: Fornace Eusebi. Due esemplari giovani sono di Boc- cliignano. 13. Hy alina nitidula . Drap. ( Helix ). Un esemplare ben conservato trovato a Bocchignano. 14. Glandina lunensis J D’Anc. ( Achatina ). Pochi esemplari trovati dal dott. E. Nardi alla fornace Eu- sebi. La specie è citata dal De Stefani (op. cit. p. 115, tav. iij fig. 13). 15. Vertigo pygmaea , Drap. (Pupa). Pochi esemplari ben conservati, trovati nelle marne di Boc- chignano. 16. Clausilia, sp. Porzione di conchiglia la cui impronta si continua alquanto sulla marna. Trovata a Collerosa. 17. Succinea Pfeifferij Rossm. Un esemplare di non dubbio riferimento, trovato nelle marne di Bocchignano. 18. Carychium conforme , De St. Cito questa specie sulla fede del De Stefani, il quale nel suo quadro riassuntivo (p. 155 op. cit.) la indica come proveniente da Poggio Mirteto. 19. Carychium minimum , Muli. Un esemplare trovato nelle marne di Castel S. Pietro dal- l’ing. E. Clerici, il quale ebbe la cortesia di comunicarmelo. 20. Ancylus ( Velletia ) lacustri , L. (Patella). Qualche esemplare trovato a Castel S. Pietro. 21. Ancylus (Ancylastrum) fluviatili , Muli. var. C apuli f or mis. m Un esemplare ben conservato proveniente dalle marne di Mon- topoli. 8 114 G. Tuccimeì 22. Limnaea ( Quinaria ) auricularia , L. ( llelix ). Un esemplare deformato dalla marna; proveniente da Castel S. Pietro. 23. Planorbis ( Spirocliscus ) corneus , L. (llelix). Specie piuttosto frequente che ho rinvenuto in belli esemplari a Collerosa, a Castel S. Pietro e alla fornace Eusebi. Un esem- plare giovane di quest' ultima località ha accrescimento più rapido, conformandosi alla descrizione contenuta in Sandberger (*). 24. Planorbis (Gyraulus) Rossmàssleri \ Auersw. (2) (tav. ij fig. 12). Alcuni piccoli esemplari benissimo caratterizzati provenienti dalle marne di Castel S. Pietro. 25. Cyclostoma elegans , Muli. (Nerita). Un solo esemplare a strie trasverse molto marcate, trovato nella marna sabbiosa di Montopoli. 26. Cylichna truncata , Adams (Bulla). Un solo esemplare lungo min. 1 y4, con poco più di duo giri. Trovato nelle marne salmastre del Cannetaccio presso Roc- cantica. 27. Raphitoma brachystomum , Phil. (Pleuroloma). Vari esemplari che dimostrano non rara la specie nello marne sottoposte alla zona dei litofagi di Roccantica. 28. Raphitoma nana (Se. Pleuroloma ). Un piccolissimo esemplare con 5 giri, e lungo mm. 2 1 /2, mentre la specie figurata in Bellardi al voi. II, tav. IX, tìg. 25, ha 8 mm. Trovato alla zona dei litofagi presso Roccantica. p) Sandberger, op. cit. pag. 783, tav. xxxiij, fig. 24. (2) E. A. Rossmàssler, Jconographie der Land und Sùsmasser-moll. Europa' s. 1859, III Band, 5, 6, pag. 131, tav. 88, fig. 962. — Sandberger op. cit. pag. 781, tav. xxxiij fig. 22. Il Villafranchiano nelle valli saline ecc. 115 29. Fusus cfr. crispus Bors. var. Due piccolissimi e giovani esemplari riconosciuti dal Meli, i quali nell' avvicinarsi alle figure e alle descrizioni date dagli autori hanno con 5 giri appena 2 mm. lunghezza. Vengono dalla zona dei litofagi. 30. Nassa semistriata , Br. ( Buccinum ). Frequente nelle marne del Cannetaccio e della zona dei li- tofagi. 31. Nassa bollenensis, Tourn. Abbondante nel Villafranchiano e nell’ Astiano (cava di lignite di Aspra (!), valle inf. del Galantina). Ricorda la varietà B del Bei- lardi, il quale mette la specie sotto il nome di Nassa tumida Eich (2). Però gli esemplari di Sabina hanno le coste sensibilmente pronunciate su tutti gli anfratti, meno sull’ultima parte dell'ul- timo. Viene dal Cannetaccio e dalla zona dei litofagi. 32. Nassa prysmatiea , Br. [Buccinum). Rara, essendo rappresentata da pochissimi e giovani esem- plari alla zona dei litofagi e al Cannetaccio. 33. Nassa reticulata , L. [Buccinimi) var. A. Bell. (3). Specie frequente. Zona dei litofagi e Cannetaccio. 34. Murex trunculus, L. Pochi esemplari dalla zona dei litofagi e dal Cannetaccio. 35. Murex scalaris J Br. Due esemplari a varici alquanto ineguali: uno è varietà a (!) La cava di lignite di Aspra colle marne fossilifere, è ricordata dal Verri [Studi geologici sulle conche di Terni e di Rieti. A. R. Accad. dei Lincei S. 3. voi. XV, Roma 1883, pag. 43 dell’estr.). (2) L. Bellardi, I molluschi dei terr. terz. del Piemonte e della Liguria. P. Ili, pag. 39, tav. ij, fig. 14, 1882. (3) Op. cit. P. Ili, p. 48, tav. iij, fig. 6. 116 G. Tuccimei suture poco profonde e ad anfratti pianeggianti. Trovati alla zona dei litofagi. 36. Murex conglobata , Mich. Due esemplari incompleti ma ben caratteristici. Prov. zona dei litofagi e Cannetaccio. 37. Murex Pecchiolianus , D'Anc. Rara come le precedenti, e trovata nelle due località accennate. 38. Murex torularius Lamk. Un solo e giovane esemplare con quattro giri completi, che presenta tutti i caratteri della specie indicati dal Lamark e dal Bellardi (!), meno le spine della carena posteriore, poco pronunciate. 39. Cerithium vulgatum, Brug. Esemplari generalmente piccoli e non rari, provenienti dalle due indicate località. Ad Aspra negli strati inclinati dell’astiano vi abbonda la var. tuber culata Phil. 40. Cerithium mediterraneum , Desìi. Non raro al ponte di Roccantica, Cannetaccio e alla zona dei litofagi. 41. Potamides bicinctum , Br. (Murex). Frequente nelle tre località della formazione salmastra, non che in quelle appartenenti all’astiano. 42. Potamides mamiltatum Riss. (Cerithium). Abbondante nelle marne della zona dei litofagi e del Canne- taccio. 43. Melanopsis nodosa , Fer. È la più abbondante tra le specie salmastre. Dal villafran- chiano ne ho riuniti più di 300 esemplari di tutte le varietà, che 0) Lamarck. Hist. nat. des anim. s. vért. 1822, vij, pag. 177. — Bel- lardi op. cit. 1872, I pag. 49 e seg. 117 Il VMafranchiano nelle valli sabine eco. provano l’enorme potenza di adattamento dispiegata prima che emigrasse nei climi caldi. Ve ne sono di fusiformi, di coniche e di turricolate, a coste profondamente separate, o appena accen- nate. Alcune si possono seguire attraverso le varie età della con- chiglia che presenta dimensioni assai varie. Uscirei troppo dal campo che mi sono prefisso se mi trattenessi a descrivere tutte le varietà trovate; le quali del resto meritano uno studio a parte ('). Si trova in tutte le località della valle superiore del Galan- tina. È frequente pure nell’ astiano al Colle del montanaro, Aspra, Magliano Sabino ecc. 44. Melanopsis buccinoidea, Fer. Sette o otto esemplari da riportarsi alla var. cl disegnata alla tav. vij, fìg. 8, e tav. viij, fig. 1 della memoria di Ferussac (2), però più piccoli di quelle figure, e collo stesso numero di giri. Località: Fosso del Cannetaccio, e zona dei litofagi. 45. Melanopsis fiammicata , De St. Più rara delle due precedenti e trovata nelle stesse località del villafranchiano in esemplari caratteristici. 46. Rissoa incospicua , Aid. Un solo esemplare giovane ma piccolo in confronto della età, con quattro giri senza coste, il quinto con 17. Viene dalla zona dei litofagi sotto Uoccantica. 6) Il Pantanelli nel suo importante lavoro : Melanopsis fossili e viventi d'Italia (Bull. cl. Soc. malac. it. A. XII Pisa 1887) dice che la M. nodosa Ferr. è limitata a Poggio Mirteto. Quanto alla località potrei accettarla, se per Poggio Mirteto s’intendesse una superficie di raggio fino a Eoccantica ed altri punti della Sabina. Alternanza di strati salmastri con strati marini non si trova che al largo verso la valle del Tevere. Non posso poi ammet- tere la limitazione della località fatta dal Pantanelli, perchè fino dal 1880 io aveva indicata quella specie per Magliano Sabino (/ colli pliocenici di Magliano -Sai ino. Estr. d. period. Gli studi in Italia, A. Ili, voi. II, pag 11) e molti anni prima Ferussac e Lamarck l’aveano citata per Otricoli. Otricoli e Magliano stanno a molti chilometri da Poggio Mirteto (V. la mia Nota a pag. 9 dell’estr. Bradisismi pliocenici della regione sabina). ( 2 ) De Ferussac, Monogr. des esp. viv. et foss. du genre Melanopsicle. Mém. de la Soc. d’hist. nat. de Paris. T. I, 1823. 118 G. Tuccimei 47. Rissaci parva. Da Costa ( Turbo). Vari esemplari raccolti al Cannetaccio e alla zona dei litofagi. 48. Rissoa cfr. antiqua, Bon. Pochi frammenti trovati al fosso del Cannetaccio. 49. Rissoa Ehrembergii , Phil. Un solo elegante esemplare e completo, del fosso del Can- netaccio. 50. Rissoa oblonga , Desm. Esemplari non numerosi a forma affusata e colle coste man- canti della striatura trasversale come nella omonima figurata dal von Morenstern (!). Prov : dal fosso del Cannetaccio. 51. Hydrobia ulvae , Penn. (Turbo). Per la sua frequenza si può dire tipica come la Melanopsis nodosa. Gli oltre 300 individui che ho isolato nelle marne, somi- gliano assai alla descrizione e figura data dal Jeffreys (2) ma tutti sono assai più piccoli. I più grandi misurano mm. 3,5 in lun- ghezza. La varietà figurata dal De Stefani coi nome pseudo-sta- gnalis (3), avrebbe mm. 4,5; quella del Jeffreys mm. 7,5. Trovata al ponte di Roecantica, al Cannetaccio e alla zona dei litofagi. Alla stessa specie, var. Barleei Jeffr. riferisco vari esem- plari assai piccoli (il più grande misura mm. 2,5) provenienti dalla zona dei litofagi di Roecantica. 52. Hydrobia procera , Mayer ( Bythinia ). Rara al fosso del Cannetaccio. È citata dal De Stefani nella memoria più volte ricordata (pag. 90 tav. ij fìg. 18) e gli esemplari 0) Yon Morenstern, Uber die Familie der Rissoiden, II, pag. 15, taf. I, fig. 3. Wien 1864. (2) Guyn Jeffreys. British Conchology. 1869. V, pi. LXIX fig. 1, (*) Op. cit. p. 93, t. II fig. 19. 119 Il Villafranchiano nelle valli sabine eco. relativi provengono da alcuna delle antiche cave presso il Galan- tina nelle quali il Nardi cercò con profitto. 53. Hydrobia Melii, Cler. Un esemplare incompleto che conserva l’ultimo e il penultimo anfratto, ma doveva essere quasi due volte più grande tanto da rassomigliare ad alcune delle figure a grandezza doppia date dal Clerici ('). L’altezza dell’ultimo giro è: mm. 2,5. Viene dal fosso del Cannetaccio. 54. Hydrobia coarctata, n. sp. (tav. ij fig. 14, 15). Testaparva , turrita , rimata, asperula , apice obtuso , basi coar- ctata; anfractus 7 parum obliqui, quatuor superioribus planu- tatis et sutura parum, profunda divisis, tribus idtimis ventri- coso-carinatis, sutura prof undior e disjunctis ; ultimo dimidiae loncjitudinis minore; apertura ovata , recta, superne obtusa, pe- ristomate inter rupto , labro columellari reflexo , externo simplici incrcissato Alt. mm. 4,5; alt. idt. anfr. mm. 1,75; lat. ult. anfr. mm. 2. Questa conchiglia, che non ha rassomiglianze con alcuna spe- cie delle conosciute d’ Hydrobia, è caratterizzata dall’ angolo o carena ottusa che apparisce negli ultimi tre anfratti, i quali ne restano contratti dalla parte che guarda l’apertura. Per cui tutta la conchiglia invece della forma di cono allungato che hanno le congeneri, tende a quella di fuso. Dall’altra parte i quattro primi giri appianati e divisi da sutura poco profonda, vengono rapida- mente stringendosi ad un’apice ottuso, onde in quella metà la conchiglia apparisce quasi obesa. La carena degli ultimi giri co- mincia presso alla parte inferiore del terzo-ultimo, e, non essendo parallela alla sutura, nel penultimo sta nel mezzo, per svanire all’ultimo, la cui larghezza supera di pochissimo il precedente. L’apertura è ovale, dritta, con un peristoma interrotto, riflesso sul labro columellare, non così dal labro esterno, che è semplicemente inspessito. p) E. Clerici. Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili che l'accompagnano. Boll. d. Soc. geol. ital. voi. vij, 1888, tav. v, fig. 33-40. 120 G. Tuccimei Qualche rassomiglianza esiste colla Nematurella Meneghiniana var. etnisca De St., la quale però se ne distingue perchè la con- trazione dei giri comincia all’ultimo giro, mentre nella mia è al 5°, ed è assai più marcata. Un esemplare adulto trovato nelle marne del Cannetaccio; alcuni giovani sono della stessa località. 55. Hydrobia slavonica, Bms. (tav. ij. fig. 13). Pochi individui assai rassomiglianti alle figure conosciute della specie (Q e giovani in modo che con poco più di 5 giri hanno la lunghezza di mm. 2 1/i. Prov. Fosso del Cannetaccio, e zona dei litofagi. 56. Bythinia tentaculata , L. ( Helix ). Qualche esemplare della solita grandezza, oltre ad opercoli isolati, prov. da Castel S. Pietro. Frequenti opercoli alla cava del Cannetaccio nella formazione salmastra. 57. Stalioa prototypica, Brus. Pochi e incerti esemplari nelle marne della zona dei litofagi. 58. Vivipara ampullacea Bronn. (Paladina) (tav. ij fig. 10, 11). È la specie più abbondante nel Villafranchiano lacustre, di cui è caratteristica come la Melanopsis nodosa e la Hydrobia ulvae lo sono per la formazione salmastra. La conchiglia è gene- ralmente più grande degli esemplari della Toscana, ha le suture, più profonde, più acuta la spira, l'apertura rotonda, il labro in- terno evanescente. Prendendo a confronto la vivente V. contecta , molti degli esemplari di Sabina ne differiscono più dei tipici del Valdarno, per avere l’insieme conico, l’accrescimento della spira più lento, l’ultimo giro meno alto in confronto del resto, e l’aper- tura più obliqua. Sopra un numero rilevante di esemplari trovati (200 circa) ho potuto quindi separare per la costanza delle due P) S. Brusina. Fossile binnen-Mollusken aus Balmatien, Kroatien und Slavonien, Agram 1876. Taf. IYr fig. 13, 14. — J. Halavàts. Der artesische Bruirne», von Szentes. Mitth. a. d. Jahrb. d. kon. ungarischen geol. Anstalt p. 185, taf. xxxj, fig. 8, Budapest 1888. 121 Il Villafranchiano nelle valli sabine eco. forme presentate una varietà conica (tav. ij, fig. IO), da un’altra globosa (fig. 11), la quale si avvicina di più alla specie tipica, e meno differisce dalla V. contecta , perchè ha l’insieme globoso, l’ultimo anfratto più grande in confronto degli altri, l’accresci- mento più rapido. Trovasi abbondantissima a Castel S. Pietro ; meno abbondante nelle marne della fornace Eusebi e in quelle di S. Valentino. 59. Valvata piscinalis , Muli. ( Nerita ). Qualche esemplare di grandezza ordinaria trovato a Castel S. Pietro. Numerosi esemplari piuttosto piccoli al Cannetaccio, in mezzo alla formazione salmastra. Quindi questa specie unita alla Bythinia tentaculata sono finora le sole comuni alle due formazioni. 60. Valvata Bromi , D’Anc. Un solo esemplare alquanto alterato proveniente da Castel S. Pietro. 61. Natica olla , De Serr. Rara alla zona dei litofagi pr. Roccantica. 62. Ghemnitna nitidissima , Mont. (Turbo). Questa piccolissima specie è largamente rappresentata nelle marne salmastre del Cannetaccio e della zona dei litofagi. Gli esemplari più grandi non raggiungono la lunghezza di 3 mm. 63. Odostomia terebellum, Phil. ( Chemnitzia ). Piuttosto rara nelle marne del Cannetaccio. 64. Neritina fluviatili, Lin. (Nerita). Di questa specie variabilissima ho trovato pochi esemplari al Cannetaccio. Alcuni però mi furono favoriti dal Nardi, il quale ne raccolse moltissimi nella sabbia sovrapposta alla marna della vec- chia cava più volte nominata. Tra questi uno è finamente rigato da linee violette ondulate longitudinali, su fondo bianco e rasso- miglia a un esemplare che ho veduto nella collezione Rigacci, in- dicato come proveniente dall’ Arno. Quelli trovati al Cannetaccio 122 G. Tue cime i sono marmorizzati in violaceo scuro con macchie bianche triango- lari. Uno di essi ricorda un’altra varietà della collezione Rigacci, proveniente da Nizza. SCAPHOPODA 65. Bentalium entalis, L. Raro al fosso del Cannetaccio. Lamellibranchiata. 66. Ostrea lamellosa, Br. Numerosi frammenti e qualche valva intiera trovata nelle di- verse località del villafranchiano salmastro. 67. Alectrijonia cuculiata, Bora. {Ostrea). A valle del fosso del Cannetaccio e perciò in una località più vicina all’apertura dell'antico estuario del Galantina, si trovò una grandissima quantità di valve di questa specie, la quale di- mostra che le acque marine talvolta si doveano inoltrare e pren- dere il sopravvento sulle salmastre. Ciò che è confermato dai nu- merosi frammenti e valve di Ostrea lamellosa , citati di sopra. 68. Anomia ephippium , L. Poche valve alla cava del Cannetaccio. Alcune poi ne furono raccolte dal Nardi a Valle tonda presso Poggio Mirteto nelle ghiaje formanti le colline fino a Montopoli, nelle quali mi parve di poter considerare come un resto di deposito littorale che sepa- rava il mare dal delta del Farfa. 69. Pecten vcirius , L. {Ostrea). Pochi frammenti nelle marne della zona dei litofagi. 70. Arca diluvii , Lamk. Rara alla cava del Cannetaccio. 71. Unio batavus, Nilss. Due valve riunite e poco deformate dalla pressione della marna, oltre ad alcune porzioni di valve isolate. L’individuo in- 123 II VillcLi franchiamo nelle valli sabine eco. tiero è somigliantissimo per la forma e le curve d’accrescimento alle figure di Sandberger e Moquiu-Taudon (*), se si eccettuino le dimensioni che sono di un quarto più grandi. Prov: Castel S. Pietro. 72. Anodonta cfr. Bronni, D’Anc. Porzioni di valve di forma rotondeggiante talune isolate, ta- lune aderenti alla marna, da cui non è possibile isolarle a causa della facilità con cui si esfoliano. Vengono da Castel S. Pietro, dove la specie sembra sia frequente a una certa profondità. 73. Montacuta bidentata, Montg. ( Mya ). Rarissima al fosso del Cannetaccio. 74. Cardimi tuberculatum , L. Un frammento di valva che presenta ben conservata la cer- niera, e taluno dei tubercoli delle coste, Viene dal fosso del Cannetaccio. 75. Cardium edule , L. Pochissime e piccole valve trovate al fosso del Cannetaccio. 76. Cardium rusticum , Chemn. Delle tre specie di Cardium questa è la più frequente in tutte le località del villafranchiano salmastro. Vi si trova in quantità immensa di tutte le dimensioni, e di forma quasi costante. Un accurato confronto dei moltissimi suoi esemplari, specialmente giovani, permette di distinguerli dai corrispondenti del C. edule. Infatti laddove questi ultimi hanno la conchiglia ovale, la cerniera delicata, lunghi i solchi della faccia interna, poco involuti gli umboni; il C. rusticum ha la conchiglia quasi sempre triquetra, molto obliqua, la cerniera forte e con denti robusti, brevissimi i solchi della faccia interna, assai involuti gli umboni. Si trova dovunque nella valle superiore del Galantina, tanto nel villafranchiano quanto nell’ astiano. (!) F. Sandberger, op. cit. tav. xxxiij fig. 10. — Moquin-Tandon, op. cit. tav. xlix, fig. 7. 124 G. Tuccimei 77. Chcma gryphoides , L. Poche valve trovate nelle marne della zona dei litofagi. 78. Tapes decussata, L. ( Venus ). \ T Frammenti abbondanti al Cannetaccio e alla zona dei litofagi. Questa specie fu raccolta dal dott. Nardi nelle ghiaie della stessa località in cui rinvenne la Attornia riferita di sopra. 79. Venus islandicoides, Ag. Molti frammenti di valve provenienti dalla zona dei litofagi e del Cannetaccio. La specie in belli e completi esemplari tro- vasi comune nell’astiano e nel piacentino di varie località della Sabina. 80. Pisidium priscum , Eichw. Si rinviene non rara nelle marne della fornace Eusebi presso Poggio Mirteto. 81. Pisidium, amnicum , Muli. {Tellina). Non raro a Castel S. Pietro, dove rinvenni qualche individuo completo, e valve isolate di diverse dimensioni. 82. Pisidium fossile , Sacco. Una sola valva attaccata alla marna, e non potuta isolare a causa della estrema delicatezza, ma ben visibile su tutta la su- perficie esterna. Marna di Montopoli. 83. Psammobia tellinella , Lamk. Molte valve uguali per forma e per dimensioni alle figure date dagli autori. Marne della zona dei litofagi. 84. Scrobicularia Coltardi, Payr {Lutraria). Un frammento di valva con parte della cerniera, trovato alla zona dei litofagi. Il Villafranchiano nelle valli sabine ecc. 125 85. Scrobicularia plana. Da Costa ( Trigonella). Abbonda nelle marne della cava del Cannetaccio, dove le sue valve si trovano tutte in una zona orizzontale ben distinta dagli strati che racchiudono gli altri molluschi. 86. Corbula gibba, Olivi (Tellina). Non rara nelle marne della zona dei litofagi e del Canne- taccio. Entromostraca. 87. Cytheridea Miilleri , Must. var. intermedia. Abbondante nelle marne salmastre del Cannetaccio e della zona dei litofagi. 88. Balanus , sp. Pochi frammenti rinvenuti nelle stesse località precedenti dal dott. A. Teliini in una escursione che facemmo insieme. In questo elenco non ho compreso il Litliodomus lithophagus , L., le cui cavità vuote e solo in rari casi contenenti il nucleo della conchiglia, o questa stessa spatizzata, abbondano sotto Roc- cantica in una delle località più importanti, che da esse appunto prende il nome. Nè la Petricola lithophaga, Retz. i cui piccoli nuclei ho trovato in alcuni di detti fori, insieme a uno di piccola Arca ; nè le valve di Ostrea cornucopiae , Lamk, che sul calcare forato si trovano attaccate in più punti della stessa località. Il perchè di questa esclusione è che io attribuisco quei fori all' astiano ed elfettuatisi in una fase ascendente ; mentre le specie di cui mi sono fin qui occupato sono del villafranchiano, e vissero in una oscillazione discendente. Ciò che del resto ho cercato di provare in un altro scritto (Q. Quanto al Pisidium (o Ervilia) Nardii, De St. che il De- Stefani ha trovato nel materiale di Poggio Mirteto, esso appar- tiene all’astiano, e viene dalle sabbie gialle di una località detta Rotolano tra Collerosa e Montorso (stazione ferroviaria). C) Bradisismi pliocenici, ecc. 126 G. Tuccimei IV. Deduzioni generali. Delle 88 specie contenute nell'elenco, 34 appartengono alla formazione lacustre, 54 alla salmastra, due sono comuni ad am- bedue le formazioni. Non tenendo conto del Bos e della Clausilia che figurano determinate solo come generi, tra lacustri e terrestri 17 sono viventi, di cui 2 non italiane, cioè JJnio batavus (’), Nills. e Planorbis Rossmàssleri , Auersw. (2). Le rimanenti 15 sono estinte, cioè: Mephas meridionali, Nesti. Cervus etueriarum , Cr. et Job. Hippopotamus major , Cuv. Rhinóceros eiruscus , Falc. Ilelix vermicularia , Don. » Fuchsi, De St. « fabarensis, Tucc. « sabina, Tucc. Crlandina lunensis (D’Anc). Carycliium conforme. De St. Vivipara ampullacea (Bronn.) Valvata Bromi , D’Anc. Anodonta Bromi , D’Anc. Pisidium priscum, Eichw. Pisidium fossile. Sacco. Dalle 54 proprie della formazione salmastra 40 sono viventi (o 39 se si trascura il Balanus , sp.), di cui due sole non ita- liane (3): Melanopsis nodosa, Feruss. e M. huccinoidea, Feruss. Le rimanenti 14 sono estinte, cioè: Nassa bollenensis, Tourn. Mar ex conglobati is. Mieli. « prismatica (Br.) (4). « Pecchiolianus, D’Anc. 0) Vivente in Francia (Morquin Tandem) nell’Europa settentrionale, Si- beria, Algeria (Sandberger). (2) Vivente nella Germania settentrionale, Boemia (Sandberger, Ross- miissler ). (3) La Rissoa incospicua vive nell’Adriatico sulle coste della Dalmazia (von Morenstern). (4) Specie estinta secondo il Bellardi, il quale ritiene che la vivente che gli rassomiglia sia la Nassa limata (Chemn.). Il Villafranchiano nelle valli sabine ecc. 127 Murex torularìus Lamk. Potamides bicinctum (Br.). Melanopsis jl ammalala. De St. Rissoa antiqua , Bon. Hydrobia yrocera (May.). Hydrobia Melii, Cler. » coarctata, Tuce. » slavo nica, Brus. Stalioa prototypìca, Brus. Venus islandìcoides, Ag. Sono dunque in totale 29 specie estinte su 85, proporzione abbastanza elevata per non permetterci di riferire al quaternario nè la formazione salmastra nè la lacustre. Tenuto anche conto delle specie incerte, che hanno un cfr. le quali sono quattro o cinque il rapporto rimane sempre abbastanza elevato, da non far dubi- tare della loro pertinenza al pliocene. Sono poi caratteristiche per la loro frequenza la Vivipara ampullacea , V Ilelix vermi- eularia; e, quantunque non abbondanti, pure la Glandina limen- sis, il Pisidium priscum , il Rhinoceros etruscus, portano alla conclusione che non sia quaternaria la formazione lacustre che si addentra nella valle del Farfa. Per la formazione salmastra dubbi sono anche meno possi- bili bastando dare uno sguardo alle specie estinte, e tenendo conto della stratigrafia delle due formazioni che ne dimostra il perfetto sincronismo. Infatti in ambedue gli strati sono orizzontali, da una parte poggianti direttamente sulle rocce liassiche dell’Apennino, dall’altra vicendevolmente separate da uno sprone di colline a strati inclinati, residuo dell’astiano sollevato. Partendo da questo sincronismo, e ricordando che nella for- mazione salmastra mancano le specie più caratteristiche dell' astiano, come Arca mytiloides Br. , Terebratula ampulla (Br.), Tapes cau- data, d’Anc., Cardium multicostatum, Br., Ostrea foliosa, Br. non che i generi Turritella , Cardita, Mactra, Pectunculus , Donax, ecc. risulta chiaro che essa non appartiene all’astiano. Si dirà che que- ste specie sono marine, e potevano vivere contemporaneamente al largo ; ma abbiamo veduto come specie marine si frammischiassero alle salmastre, tali i Murex , le Rissoa, i Dentatimi , il che prova che nel piccolo estuario pliocenico del Galantina, aperto ad ovest, le acque marine s’ introducevano talvolta trasportandovi allo stato di frammenti le ostree, o le loro valve isolate; e permettendo la esistenza dei Murex , Nassa , Raphytoma. Anzi in questa inva- sione più o meno regolare delle acque marine, io troverei uua causa della costante piccolezza di certe specie salmastre, d'altronde 128 G. Tuccimei abbondanti nella valle superiore del Galantina. Così YHydrobìa ulvae, il Potamides mamillatum. Mentre se altre specie salmastre si mantengono voluminose, e prima fra tutte la abbondantissima Melanopsis nodosa , ciò devesi probabilmente alla capacità di resi- stenza della specie, confermata dalla sua grande variabilità e con- temporaneo adattamento. Quindi io non ho esitato di chiamare salmastra la formazione della valle del Galantina, per abbondarvi i Potamides , le Scro- fa i calarla, le Melanopsis , le Ilydrobia, in qualche punto le Ne- ritina , e perfino le Valvata e le Bythinia. Un altro argomento che milita a favore di un riferimento intermedio all’ astiano e al quaternario, è la comunanza di specie quaternarie e viventi, insieme alle plioceniche. Sono esse per la formazione lacustre Planorbis Rossmàssleri , Ilelix obvoluta ; Suc- cinea Pfeifferi , Cyclostoma elegans , Valvata piscinalis , Pisi- dium amnicum , ecc. ; per la formazione salmastra Ilydrobia Melii, Neritina fluviatilis , Valvata piscinalis ecc. Anche tra le specie estinte la grande affinità con corrispon- denti dell’epoca attuale, delle quali si possono dire i rappresen- tanti, mostra un graduato passaggio dall'astiauo al quaternario attraverso il villa franchiano. Infatti la Ilelix plaaospira è rappre- sentata dall’//, fabarensis ; la IL nemoralis dalla IL sabina ; al modo stesso che la attuale IL vermiculaia, Muli, allora era rap- presentata dalla IL vermicularia Bon. ; la Vivipara contecta , Muli, nel villafranchiano sabino e toscano dalla V. amputine ea, Bronn. come nel Piemonte lo era dalla V. pollonerae , Sacco : la vivente Nassa corniculum , Olivi dalla N. bollenensis , Tourn. ; la N. pry- smalica (Br.) dalla N. limata (Chem.). La Hyalinia olivetorum, Gm. che oggi vive in talune regioni d’Italia (non nella romana) esisteva già allo stato di varietà sul finire del pliocene (var. perusina , De St.), mentre nel quaternario si trova ben caratterizzata nei tufi vulcanici (Meli). Circa i rapporti che può avere la formazione da me studiata col pliocene d’altre parti d’Italia, a nessuno sarà sfuggita la co- munanza di specie colla regione umbra e specialmente colla to- scana. Così il Cervus etueriarum , Cr. et Job., il Rhinoceros etruscus, Falc., il Pisidium priscum, Eichw., la Melanopsis fì ammalata, De St. e le più frequenti delle specie fossili da me trovate la Vivipara 129 Il Villa franohiauo nelle valli sabine eco. avipullacea , Broun, e la Helix vermicularia Bon. Quest’ ultima colla Vertigo pygmaea, la Bythinia tentaculata , il Pisidium fos- sile sono le uniche specie continentali comuni al pliocene del Pie- monte ('). Circa le condizioni climatologiche che accompagnavano la de- posizione del villafranchiano in Sabina ben poco si può dire, essen- dovi specie emigrate in regioni più calde ( Melanopsis buccinoidea e M. nodosa ), e specie di regioni attualmente più fredde ( Planorbis Possmàssleri ) (2). Tutt’al più l’abbondaza delle acque dolci allora recate al mare dal Galantina, che oggi è un torrente di poca im- portanza ; unita alla potenza dei depositi lacustri del Farfa, può far ritenere una sovrabbondanza di precipitazioni pluviali sul finire del pliocene (3). Q) F. Sacco, Rivista della fauna malacologica fossile terrestre lacustre e salmastra del Piemonte. Boll. d. Soc. mal. it. voi. XII, 1887. (2) Questa specie unita all’ Unio batavus sono citate nel pleistocene inferiore dal Sandberger. (3) Lo studio dei foraminiferi delle marne salmastre fu fatto, dietro mia preghiera dal chino collega dott. C. Fornasini, il quale ebbe la cortesia di inviarmi la nota seguente: u Per ciò che riguarda i foraminiferi, il materiale proveniente dalle marne salmastre site sotto la zona dei litofagi di Roccantica è più povero di quello che proviene dalle marne del fosso del Cannetaccio. Entrambi i residui poi sono poveri per ciò che riguarda il numero delle specie. « La specie predominante è la Rotalia Beccarii, Linné sp., tanto fre- quente nei depositi di spiaggia di tutto il pliocene italiano, e attualmente nella zona littorale e a laminarie dei mari temperati. Essa non si presenta nel suo massimo grado di sviluppo, come negli strati ordinari subapennini, ma è gracile e minuta come alcune delle forme delle sabbie vaticane illu- strate dal dott. Terrigi (a). u Nelle marne di Eoccantica s’incontra, con minore frequenza della precedente, un’altra specie, o, per meglio dire, una varietà della Nonionina scapha, Fichtel e Moli, sp., intermedia tra questa e la N. boueana, d’Orbi- gny. Essa è la forma che d’Orbigny distinse col nome di N. communis, e che il Terrigi ha osservata tanto nelle sabbie vaticane, quanto nelle marne del Quirinale (b). « La Rotalia Beccarii e la Nonionina communis amano anche le acque salmastre. Anzi, a proposito di questa seconda, credo opportuno il ricordare (a) Atti Acc. Pont. Nuovi Lincei, voi. 33, tav. 4, fig. 64-66. (b) Atti Acc. Pont. Nuovi Lincei, voi. 35, tav. 4, fig. 51. 9 * ' . 1 I . ’ detla Società geologica ita/iana. Voi V/// Ì/889J 7ha// (Taccimeli Lit. Bruno e Salomone, Roma ' CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL CATANZARESE (V. parte I, II. Boll. Soc. geol. it. 1887, fase. 2°). (Con una tavola) III. 31 terziario nel versante ionico da Stallettì al fiume Stilaro. La regione che intendo illustrare ha presso a poco la forma di un grande rettangolo diretto da nord a sud; esso viene diviso in tante zone parallele da altrettanti corsi di acqua, che più o meno importanti, scendono dalle parti alte della Serra per giungere ben presto al mare. I corsi d'acqua di cui giova tener conto, co- minciando dal nord, sono: il Grizzo, il Soverato, l’Ancinale, il Felluso, l’Alaca, il Gallipari, il Yodà, Guardavalle, l’Assi e lo Stilaro. Presso il mare il confine della provincia è segnata dal torrente Assi, più internamente dal fiume Stilaro; io prenderò que- st’ultima valle come confine della regione della quale imprendo la sommaria descrizione, non solo perchè presenta una vallata di mag- giore importanza sotto l’aspetto idrografico, ma anche perchè meglio dell’Assi divide le formazioni geologiche in due serie distinte. Ciascuna di queste vallate è colmata dai depositi del ter- ziario medio e superiore; mentre il nucleo delle catene montuose che dividono valle da valle, è formato da rocce cristalline quasi sempre gneissiche, che partendosi dal gruppo centrale della catena, spesso si spingono fino al mare. Nella zona compresa fra il capo Stallettì e Soverato, la serie dei terreni è la seguente: Terreno recente, Arenarie ed argille plioceniche, 134 A. Neviani Calcare marnoso del miocene superiore, Tripoli, Arenarie marnose del miocene medio, Conglomerato dell’Àquitaniano o Langhiano? Arenarie variegate nel miocene inferiore, Gneiss. Nel 1877 l’ing. Rambotti sulla Galleria del Grillone, notò questa successione: Tufo calcare, Calcare marnoso finamente stratificato con scaglie di pesci ( Tripoli ), Calcare marnoso concrezionato con pettini, Arenarie grigiastre con fossili mal conservati, Gneiss granitico. Sopra Gasperina al monte Paladino (m. 684) troviamo una serie di strati di arenarie variegate con direzione prevalente nord est-sud ovest ed inclinati di una quindicina di gradi ; sono sottostanti e discordano a potenti strati di conglomerato prevalen- temente gneissico, che troveremo ripetuto nelle valli dell'Ancinale ed oltre. Le arenarie variegate non mi hanno offerto fossili, ma dalla posizione stratigrafica e dall’aspetto litologico le ritengo sin- crone a quelle del Piede della Sala presso Catanzaro, che sono da riferirsi al miocene inferiore ( Tongriano od Oligocene ?); i con- glomerati sopportano in discordanza delle arenarie, alla loro volta concordanti coi tripoli, e perciò si possono riportare alPAquitaniano od anche al Langhiano. Le arenarie marnose, come ho ora detto, si osservano concor- danti coi tripoli, non presentano fossili interessanti, solo qua e là si raccoglie qualche frammento di pettine indeterminabile; è diffi- cile poter dire con precisione a qual’ epoca si debbano ascrivere, forse rappresentano l’Elveziano, che altrove troviamo ben carat- terizzato. Il calcare marnoso giallastro, privo di fossili, è identico a quello che forma il sottosuolo di Catanzaro, e non trovasi a for- mare un tutto continuo, ma a lembi spezzati poggia ora sul tripoli, ora. sulle arenarie del miocene medio, ora direttamente sulle rocce cristalline, come nell'altipiano di Stallettì, ove lo troviamo for- mare un lembo abbastanza continuato da Copauello a Squillace. 135 Contribuzioni alla geologia del catanzarese La formazione messiniana ora ricordata sopporta piccolissimi lembi di rocce plioceniche, che localmente non hanno alcnna impor- tanza e che vedremo molto più sviluppate a mezzogiorno. Passando sulla destra del Noverato, il membro più antico del terziario è rappresentato dai conglomerati che difficilmente si pos- sono aggiudicare all’Aquitaniano od al Langhiano; tale roccia for- mata da ciottoli prevalentemente gneissici è dovuta allo sfacelo delle rocce cristalline sottostanti e sulle quali immediatamente riposa; gli elementi cristallini sono cementati da un’arenaria fer- ruginosa, or finissima, or grossolana, ricca di mica, ove qualche rara volta presentano frammenti indecifrabili di fossili. Questi strati con direzione ovest-est giungono fin presso il meridiano di Chiaravalle e si fanno sempre più potenti verso oriente ove vedonsi scendere sotto le arenarie del miocene medio, come si può ben assicurare nel tratto compreso dal gomito che fa il So- verato poco prima di giungere al mare ; oppure sotto le marne plioceniche come vedesi sotto Badolato ( V. Tavola ili sezioni). Questa formazione si ripete con abbastanza uniformità in quasi tutte le vallate che dall'Ancinale giungono allo Stilano e così si ritrova a Satriano, Davoli, S. Sostene, S. Andrea, Isca, Badolato, S. Caterina e Guardavalle. A Badolato ed Isca queste arenarie sono^variegate passando gradatamente a tinte diverse ove dominano il giallo ed il rosso; qui le ho riscontrate sempre senza fossili. Presso Soverato, rimpetto al casello n. 811, della ferrovia, a nord della galleria scavata negli gneiss evvi un'arenaria grigia ricca di pagliuole di mica, contenente molti fossili malissimo con- servati, tanto che è cosa assai rara il poterne ricavare degli esem- plari completi. Il Rambotti vi ricorda frammenti di Pecten e di Clypeaster ; il De Stefani vi cita il Peclen scabrellus Lamk. ed il Clypeaster pyramidalis Michl. Il Lovisato ha raccolto fram- menti di Ostriche J Echi-nidi j Clipeastri , ed alcuni fossili attri- buiti a Radioliti ; esprimo i miei più profondi dubbi su questa ultima determinazione. Si rinvennero pure alcuni denti che trovo così riportati dal Lovisato: Carcharodon sp. ?, Lamia sp.?, Lamna contortidens ? Agassiz, Lamna elegans ? Agassiz. Io ho notato che la massima parte dei fossili sono frammenti di grossi Baiami riferibili al Balanus concavns Broun, su alcuni 133 A. Neviani di questi pezzi aderiscono dei piccoli esemplari di Balanus spon- gicula Bronn ; come una vera rarità cito tre bellissimi Clipeaslri, potuti estrarre interi da quella roccia così alterata, essi sono il Clypeaster insignis Seguenza var. acuminatus « portentosus Des Moulins var. elatior * allicostatus Michelin. Agli ittiodontoliti trovati dal Lovisato bisogna aggiungere un bellissimo esemplare di Sargus cfr. Sioni M. Rouaoult, raccolto dall’ing. Novarese del r. Comitato geologico. Queste arenarie per quanto abbiano dato poco contributo alla fauna miocenica, tuttavia si rivelano per elvesiane ; esse hanno una piccola estensione, non riscontrandosi più oltre l’Ancinale; sono discordanti col sottostante conglomerato, del quale abbiamo già tenuto parola; si mostra allo scoperto fra Soverato-marina ed il torrente omonimo; dal paese poi fino aH'Ancinale trovasi coperta delle marne plioceniche, che prendono maggiore estensione verso mezzogiorno. Anche nell’estremo limite meridionale della provincia nei ter- ritori di Guardavalle e di Stilo, si hanno sviluppate le arenarie ed i conglomerati in continuazione di quelli dei quali ho tenuto parola; il Seguenza li attribuisce al Langhiano; il De Stefani li riunisce ad altri membri nel miocene superiore o secondo piano mediterraneo; il Rambotti li ritiene pliocenici. Lungo la salita che conduce a Guardavalle sonvi delle are- narie che ricche di fossili furono studiate dal Seguenza, esso nel suo classico lavoro sul terziario della provincia di Reggio enu- mera 61 specie, e cioè: Scapliander sublignarius D’Orbignv Cypraea amygdalum ? Brocchi Oliva cylindracea Borson Ancillaria glandiformis Lamarck Phos polygonus Brocchi sp. Purpura elata Blainville Cassis saburon Bruguière sp. Fusus glomoides Genè Ficula clathrata Lamarck sp. Xenophora cumulans Brongniart sp. Natica Josephina Risso sp. 137 Contribuzioni alla geologia del catanzarese Natica fasca ? De Blainville Niso eburnea Risso Turritella Archimedis Brongniart Trochus Michelotti Seguenza Neaera cuspidata Olivi sp. Solecurtus sp. Tellina serrata Brocchi Venus scalaris Bromi » Duj ardimi Hoernes Cytherea erycinoides Lamarck Dosi aia exoleta ? Linneo sp. Cardita elongata Bronn Cardimi Hans Brocchi « discrepans Basterò! « multicostatum Brocchi » taurinum Michelotti Axinus angulatus Sowerby Lucina columbella Michelotti « Agassizzi Michelotti » Dujardini Deshayes » miocenica ? Michelotti « spinifera Montg sp. Arca Noae Linneo » diluvii Lamarck Pectunculus stellatus Gmelin sp. « inflatus ? Brocchi sp. Pinna Brocchi ? D’Orbigny » perniila Chemnitz Janira Tesseri Andrzejowski sp. « G-rayi Michelotti sp. » revoluta Michelotti sp. « subradiata Seguenza Pleuroneciia cristata Brocchi sp. Osi rea tenuiplicata Seguenza « Boblay Deshayes Celleporaria polythele Reuss Cupularia intermedia ? Michelotti Ceratocyathus laterocristatus Edwards et Haime sp. 138 A. Neviani Ceratocyathus versicostatus Michelotti sp. ” verrucosità Edwards et Haime sp. » subcristatus Edwards et Haime sp. Trochocij utilità pyramidatus Michelotti sp. » prismaticus Seguenza Turbi noli a Bellingheriana Mieli eli n ■ Flcibellum extensum Micheliu Eupsammia Sismondiana Michelin « compressa Michelotti Balanophyllia praelonga Michelotti sp. Cliona falunica Fischer Operculina complanata Basterot sp. Secondo il De Stefani anche al monte Tavoleria (m. 19o) sopra Monasterace abbiamo una formazione identica, dalla quale provengono i seguenti fossili : Terebratula Costae Seguenza Anomia ephippium Linneo Ostrea digitalina Dubois - cochlear Poli var. navicularis Brocchi Fedeli Fessevi Andrzeiowski « flabelli f ormis Brocchi « .Tacobaeus Linneo sp. » scabrellus Lamarck Pectunculus obtusatus Partsk Cytherea multilamella Lamarck È importante ricordare che lungo la strada dallo Stilaro a Stilo, nelle arenarie più antiche il De Stefani raccolse V Ancillaria glandi f ormis Lamarck. Kisalendo la catena compresa fra l'Assi e lo Stilaro, prima di giungere al cristallino, nei pressi ed oltre il M. Pellicciano (m. 405), abbiamo sviluppate le formazioni decisamente eoceniche, che si con- nettono con alcuni calcari essi pure eocenici presso S. Giovanni, i quali alla loro volta sono una continuazione dei calcari sviluppatis- simi sulla destra dello Stilaro nei monti Consolino e Stella ; qui però i calcari eocenici, sono sopportati da altri calcari del Mesozoico, fatto che troviamo ripetuto anche al monte di Tiriolo presso Catanzaro. 11 pliocene è largamente rappresentato da una formazione assai estesa di marne zonate parallelamente alla stratificazione, conosciute Contribuzioni alla geologia del catanzarese 139 col nome di Maramosca e che furono rese classiche dai lavori del prof. Seguenza, che le riferì allo Zancleano ; io credo rappresentino mia zona profonda dell’Astiano. Queste marne formano un lembo importante che a guisa di nastro circonda tutti gli speroni di rocce cristalline che si protendono verso il mare; esse offrono un eccel- lente materiale da cemento idraulico e non presentano ricchezza di fossili macroscopici, mentre i foraminiferi e gli entomostracei vi sono comunissimi. L’alternanza di queste marne è data da due varietà di rocce, argillosa Luna, calcarea l'altra e che perciò compariscono le prime scure, chiare le seconde; una particolarità interessante di queste marne è la presenza di una quantità di marcassita e di limonite, che si rinviene quasi sempre in forma di cilindretti distorti, ber- noccoluti a struttura raggiata, e che spesso pseudomorfizzano dei fossili. Il Rambotti riferisce che fra quelle colline marnose, nelle sere di estate si sente un certo odore di solfo, che forse è causato dalla decomposizione della marcassita. Vi si rinvengono pure cri- stallini di gesso, e la superficie della marna è spesse volte rive- stita di efflorescenze di carbonato di soda. Presso S. Sostene il De Stefani raccolse in queste marne pochi avanzi organici e cioè : Orbulina universa D’Orbigny Globigerina bulloides D’Orbigny Pulvinulina sp. Squame di pesci cicloidi Spicole di spugne Diatomee Sotto Badolato lungo il vallone Yolà, trovai qualche avanzo di fossili, fra i quali riconobbi solo una valva mal conservata di Terebratulina caput-serpentis Linneo sp. e qualche foraminifero : il De Stefani nella stessa località e forse nello stesso punto notò: Nodosaria raphanistrum Linneo sp. Robulina culthrata D’Orbigny « Terebratulina granoso-radiata Philippi sp. Attornia ephippium Linneo Sepia sp. Rhabdocidaris oxyrhine Meneghini Echinus sp. 140 A. Neviani Al monte Forcato presso S. Caterina lo stesso autore cita : Attornia ephippiùm Linneo Pecten inflexus Poli Peclen scabrellus Lamarck Rhabdocidaris oxyrhine Meneghini Mentre la Maramosca nelle citate località è così scarsa di fossili, si mostra abbondante nella provincia di Reggio, ove il Se- guenza ed il De Stefani ne hanno trovati moltissimi, così ad esem- pio, solo a Riace se ne contano fino a 151 specie. Monosterace pure ha dato un ricco contingente alla paleontolo- gia, e difatti il De Stefani presso la marina ebbe 17 specie e cioè: Nodosaria raphanistrum Linneo sp. Isis peloritana Seguenza Rhabdocidaris oxyrhine Meneghini Nucula Silicata Broun Cadulus ovulum Philippi sp. Dentalium agile Sars Nassa italica Mayer t « turbi nellokles Seguenza » turbineUum Brocchi sp.. Neilo excisa Philippi sp. Limopis aurita Brocchi sp. minuta Philippi sp. Corbula gibba Olivi Nassa spinulosa Philippi sp. Sur cala Ramar cidi Bellardi Drillia sigmoidea Brocchi sp. « modiola Jan. sp. Il prof. Seguenza nella formazione da Monosterace a Stilo, tiene distinti due facies pliocenici, e cioè lo Zancleano e l’ Astiano ; ho altre volte esposto il mio avviso in proposito, ritengo cioè che dette due serie di strati sieno contemporanee, e diverse solo per costituzione litologica dovuta alla diversa profondità nella quale si deposero; trascrivo qui per intero gli elenchi delle specie date dal Seguenza senza modificarli in alcuna guisa. Provengono dalle sabbie dello Zancleano 53 specie: Scalaria retusa Brocchi sp. Pernia Soldani Deshayes 141 Contribuzioni alla geologia del catanzarese Linea crassa Forbes Pecten substriatus D’Orbigny » opercularis Linneo sp. » scabrellus Lamarck latissimus Brocchi -1 demdatus Reuss Janira flabelliformis Brocchi sp. » Alexii Philippi sp. laevicostata Segnenza « Rhegiensis Segnenza « Jacobaea Linneo sp. Hinnites crispus Brocchi sp. Ostrea cochlear Poli « navicuiaris Brocchi - edalis Linneo Lamarckii Mayer lamellosa Brocchi » Boblayi Deshayes « plìcata Chemnitz « . tenuiplicata Segnenza » aquitanica Mayer Anomia ephippium Linneo « patelliformis Linneo « striata Brocchi Balanus tulipiformis Ellis spongicula Bronn var. pliocenica Seguenza « pèrforatus Bruguière « concavus Bronn » stellaris Brocchi » bisulcatus Darwin Salicornaria farciminoides Johnston Myriozoon truncatum Pallas Terebripora Archiaci Fischer Membranipora lineata Linneo ” anguiosa Reuss Celleporaria tubigera Busk Crisia Hoernesii Reuss Idmonea triforis Heller 1 12 A. Neviani Idmoneci concava Heuss Filisparsa varians Heuss Tubulipora flabellaris Fabr Frondipora reticulata Blainville Cidaris fessurata Meneghini Centrostephanus longispinus Philippi sp. Dentalina acuta D’Orbigny Polystomella crispa D’Orbigny Amphistegina Hauerina D’Orbigny Robulina cultrata D’Orbigny • » echinata D’Orbigny Rotalia Beccari D’Orbigny Orbulina universa D’Orbigny Dalle marne dell’ Astiano, si hanno 69 specie: Marginella secalina Philippi Surcula nudulifera Philippi sp. « pygmaea Philippi sp. tor guata Philippi sp. » monosteracensis Seguenza Raphitoma echinata Seguenza « Columnae Scacchi Nassa semistrata Brocchi sp. • Brocchi Mayer •> limata Chemnitz sp. spinulosa Philippi sp. Trophon vaginatus De Cristol et Jan sp Fusus pulchellus Philippi ^ rostratus Olivi sp. Ohenopus Serresianus Michaud sp. Natica fusca De Blainville » pseudoepiglottina Sismonda Turbo peloritanus Cantraine Trochus suturalis Philippi Seguenzia monocingulata Seguenza sp. . Dentalium Delessertianum Chem » elephantianum Linneo » agile Sars Siphono dentalium tetragonum Brocchi sp Contribuzioni alla geologia del catanzarese 143 Cadulus ovulum Philippi sp. Neaera Philippi Seguenza Syndosmia longicallis Scacchi sp. » similis Philippi sp. Verticordici arenosa Appelius sp. Arca aspera Philippi Limopsis minuta Philippi sp. Nucula silicata Bronn » decipiens Philippi Lembolus Messanensis Seguenza sp. » pusio Philippi sp. Yoldia pellucida Philippi sp. » confusa Seguenza « tenuis Philippi sp. Nello dilalatus Philippi sp. ■ excisus Philippi sp. Pecien opercularis Linneo sp. » Hoskìnsii Forbes Pleuronectia fenestrata Forbes sp. » duodecimlamellata Bronn sp. - difformis Seguenza Ostrea laticardinis Seguenza Verruca zanclea Seguenza Dorocidaris asperrima Seguenza Isis compressa Seguenza Ceralocyathus poliedrus Seguenza » acuticostatus Seguenza Stephanocyathus elegans Seguenza Lophoelia Defrancei Edwards et Haime Amphielia sculpta ? Seguenza Diplohelia reftexa Michelotti sp. « Doderleiniana Seguenza Lagena marginata Walker Dentalina ovularis Costa Pullenia compressa Seguenza Robidina cultrata D’Orbigny Pulvinulina Partschiana D’Orbigny sp. Orbulina universa D’Orbigny 1 1 1 A. N emani Globigerina bulloides D’Orbigny Plecanium sagittula Defrance sp. Cornuspira foliacea Philippi Biloculina lunula D’Orbigny » circumclausa Costa Quinqueloculina triangularis D’Orbigny » incrassata Karrer 11 Philippi cita a Monasterace 22 specie di molluschi, che furono comprese nelle due note soprariportate del De Stefani e del Seguenza, meno le seguenti tre specie: Mactra solida Linnee, Natica sordida Sowerbv e Pectunculus violacescens Lamarck, che si ritengono provenienti da terreni più recenti. Risalendo la valle dell’Ancinale, seguitiamo tino al Campo la serie di rocce che abbiamo esaminata, se però ci volgiamo al- quanto a mezzogiorno, verso Argusto e Chiaravalle t:oviamo che le marne sopportano dei lembi di calcare grossolano abbondante- mente fossilifero, che alterna con marne, che contengono pure buon numero di fossili, scarsi però sempre per la quantità delle specie, ed infatti dal calcare grossolano ebbi : Dentalium elephantinum Linneo, pochi esemplari. Pecten scabrellus Lamarck, comune. Ostrea lamellosa Brocchi, piccoli e grandi individui. » cochlear Poli, comunissima. Celleporarie diverse , colonie spesso voluminose. Membranipora anguiosa Reuss, rara. Amphistegina Hauerina D’Orbigny, frequente Lithothamnium aif. alla L. batata De Stefani del miocene. Nelle marne da Chiaravalle ad Argusto, raccolsi : Lamia cuspidata Agassiz Dentalium elephantinum Linneo » fossile Linneo Limopsis aurita Brocchi sp. Pecten pesfelis Linneo sp. n scabrellus Lamarck Ostrea lamellosa Brocchi « cochlear Poli « cuculiata ? Borii Anomia ephijppium Linneo Contribuzioni alla geologia del catanzarese 115 Terebratula Scillae Seguenza Terebratula minor Philippi Me gerita truncata Linneo sp. Lepralia resupinata Manzoni Myriozoum truncatum Pallas Balanus concavus Bronn Cidaris sp. — scudetto. Isis melitensis Golfuss Flabellum cfr. siciliense Edwards et Haime Lithothamnium sp. Queste rocce che giungono fino sull’altipiano centrale, si esten- dono a lembi isolati anche ad Olivadi, S. Vito ecc. ; i calcari sono ricordati pure dal De Stefani ; lo stesso geologo accenna ai banchi con Ostrea lamellosa Brocchi fra Chiaravalle ed Argusto, che sono senza dubbio alcuno, gli stessi dai quali ho tolto i fossili sopra enumerati. In poche argille provenienti da S. Vito, riconobbi le seguenti specie : Otoliti diversi. Nassa spintilo sa Philippi Cerithiolum scabrum Olivi sp., frammenti. Emarginala cfr. depressa Risso, un individuo piccolissimo. Bentalium dentalis Linneo, giovani individui. Embolus bellerophina Seguenza: un esemplare corrispon- dente alla specie del Seguenza, è alquanto più piccolo. Cardium papillosum Poli Venus sp. Una piccola valva. Nucula suleata Bronn Limopsis minuta Philippi sp. Lembolus commutalus Philippi sp., frequente. Ostracodi diversi. Bitrupa incurva Renier sp. Serpula , due piccoli individui, affini alla S. disco-helix Seguenza del miocene. Cladocora Prevostana Edwards et Haime Orbulina universa D’Orbigny Rotalia Beccari Linneo Polystomella crispa Linneo. 10 146 A. Neviani Fra i foraminiferi, notansi pure una quantità di altri generi e spe- cie fra i quali dominano le Crislellarie e le Uvicgerine , non mancano le Nodosarie, Textularie, Glanduline , Spiro lo caline, Nonionine ecc. Percorrendo la zona della quale si è tenuto parola è facile vedere molti blocchi di rocce cristalline, che alla rinfusa poggiano sulle marne zonate testé accennate ; questa specie di trovanti stanno, a mio avviso, a rappresentare quel membro di pliocene superiore che nei pressi di Catanzaro formano quegli immensi de- positi conglomerati, prevalentemente composti di rocce granitiche e che assumono il loro massimo sviluppo specialmente fra il Corace ed il Lamato a mezzodì di Tiriolo. Dal capo Stallettì allo Stilaro abbiamo dunque il pliocene rap- presentato quasi sempre da deposito di mare profondo; formazioni che sono anche ritenute del pliocene medio ed inferiore. Il pliocene superiore corrispondente alle sabbie gialle subapennine si può dire che manchi del tutto ; qua e là si trovano dei residui di questa formazione, che può con grande facilità confondersi col posterziario; lungo la valle delTAncinale, alla marina di Badolato, a Santa Ca- terina, ho veduto queste sabbie, che si potrebbero chiamare anche conglomerati a piccoli elementi, quasi senza fossili: solo presso Monosterace, al monte Luvito, ed al monte Impaccinoli troviamo questo membro abbastanza sviluppato e ricchissimo di fossili ; il solo prof. Seguenza raccolse in questa località da strati di argille sabbiose, ben 349 specie delle 546 riconosciute nelle varie loca- lità fossilifere della provincia di Reggio ; questo elenco è riportato in parte anche dal De Stefani, attribuendo però questa formazione al postpliocene; siccome l'elenco dato dal De Stefani non è com- pleto, e quello del Seguenza, trovasi combinato con molte altre specie di località diverse ; così, per quanto lungo, stimo opportuno trascriverlo per intero, anche per fare in seguito adeguati confronti con altre località della provincia, ove questi terreni sono molto sviluppati : Vertebrati Ittiotoliti diversi. Gasteropodi Bulla utriculus Brocchi Actaeon tornatili s Linneo sp. 147 Contribuzioni alla geologia del catanzarese Utriculus truncatulus Bruguière sp. Cylichna nitidula Lovèn » slrigella Lovèn » cylindracea Pennant sp. Volvula acuminata Bruguière sp. R ingialla auriculata ? Menard Mitra ebenus Lamarck Drillia Loprestiana Calcara sp. Homo toma anceps Eichwald sp. Cigolo nassa neritea Linneo sp. Nassa limata Chemnitz sp. « prismatica Brocchi sp. » semistriata Brocchi sp. Cassidaria echinophora Linneo « thgrrena Chemn. Euthria cornea Linneo sp. Fusus rostratus Olivi sp. Trophon muricatus Montagli sp. Murex brandaris Linneo " Edioardsii Payr sp. Jriton corrugatus Lamarck Duccinum undatum Linneo Cerithium vulgatum Bruguière Cerithiolum reticulatum Costa sp. » scabrum Olivi sp. « pusillum Jeffreys sp. Chenopus pespelicani Linneo sp. » Serresianus Michaud sp. Natica millepunctata Lamarck « intricata Donovan » fusca De Blainville i> intermedia Philippi » Montacuti Forbes Eulimella acicula Philippi sp. « nitidissima Montg sp. Turbonilla striatula Linneo sp. Pyrgulina brevicula Monterosato sp. Odostomia conoidea Brocchi sp. 148 A. Neviani Odostomia rissoides Hanley » acuta Jeffreys Turritella communis Risso * incannata Brocchi sp. » triplicata Brocchi sp. Barleia rubra Montg sp. Rissoa incospicua Alder » splendida Eichwald ” radiata Philippi Alvania punctura Montagli sp. » Montagui Payr sp. » Testae Aradas sp. Gingula oblusa Cantraine sp. Phasianella pulla Linneo sp. Turbo rugosus Linneo Olivia Tinei Calcara sp. Trochus Gualterianus Philippi » millegranus Philippi » striatus Linneo « exasperatus Pennant « magus Linneo » Guttadauri Philippi Calyptraea chinensis Linneo sp. Emarginila fessura Linneo sp. « conica Schumacher Acanlhochites discrepans Bronn sp. Scafopodi Dentalium Delessertianum Cliemn. " volgare Costa ” novem- costatavi Lamarck » Panormaeum Cliemn. agile Sars Siphonodentalium tetragonali Brocchi sp. Pteropodi Embolus rostralis Souleyet sp. Spirialis retroversus Fleming Contribuzioni alla geologia del catanzarese Spirialis diversa Monterosato Cleodora pyramidata Linneo sp. Lamellibranchi Xylophaga dorsalis Turton Gaslrochaena dubia Penn. Saxicava rugosa Linneo sp. Corbula gibba Olivi Thracia papyracea Poli sp. Cochlodesma praetenuis Pult sp. Syndosmia alba W. Wood sp. » prismatica Mont sp. Mactra corallina Linneo « subtruncata Costa sp. Errili a castane a Mont Mesodesma cornea Poli sp. Psammobia costolata Turton « ferroensis Chemnitz sp. Tellina donacina Linneo » distorta Poli » pusilla Philipp! Arcopagia crassa Pennant sp. Venus gallina Linneo » ovata Penn JDosinia cxoleta Linneo » lupinus Poli Cytherea Chione Linneo sp. Cyprina islandica Linneo sp. Circe minima Montg sp. Crassatella planata Calcara sp. Astarte fosca Poli sp. ” solcata Costa sp. » triangularis Montg sp. » bipartita Philippi sp. Isocardia cor Linneo sp. Kelliella miliaris Philippi sp. Clnama gryphoides Linneo Cardila aculeata Poli sp. 150 A. Neviani Cardita corbis Philippi Cardium echinatum Linneo » papillosurn Poli « fasciatura Mont « exiguum Gmelin » Lamarckii Reeve » oblongum Chemnitz ” norvegicum Spengler Diplodonta apicalis Philippi Axinus croulinensis Jeffreys » ferruginosus Forbes sp. Woodia digitarla Linneo sp. Lucina borealis Linneo sp. » spinifera Montg sp. Loripes divaricati is Linneo sp. Lesaea rubra Montg sp. Montacuta bidentata Montagli sp. Lepton nitidum Turton sp. Arca pectunculoides Scacchi Limopsn aarita Brocchi sp. Pectunculus bimaculatus Poli sp. » stellatus Gmelin » violacescens Lamarck Nucula solcata Bronn » nucleus Linneo sp. » nitida Sowerby » piacentina Lamarck « decipiens Philippi Lembulus pella Linneo sp. » commutatus Philippi sp. Yoldia tennis Philippi sp. * frigida Torell Modiola pliaseolina Philippi Lima Loscombii Sowerby Limea nivea Brocchi sp. ” subauriculata Montg sp. » ovata Wood Pecten varius Linneo sp. Contribuzioni alla geologia del catanzarese 151 Pecten opercularis Linneo sp. " pes-lutrae Linneo sp. » inftexus Poli sp. « vitreus Chemnitz ” similis Laskey Janira Jacobaea Linneo sp. » maxima Linneo sp. Attornia ephippium Linneo « orbicidata Brocchi « aculeata Mont « patelliformis Linneo » striata Brocchi OsTRACODl Ponlocypris sagittula Terquem Bairdia obtmata Pars Cythere punctata Reuss sp. » trigonata Seguenza foveolata Seguenza » subaequalis Seguenza » asperrima Reuss » rarepunctata Seguenza » rostrata Seguenza » foliacea Seguenza » cordiformis Terquem » parva Seguenza » Edwardsii Roemer sp. Cytheridea subrostrata ? Costa sp. Ilyobates bartonensis Jon. var. Monasteracensis Seg. » compressa Seguenza Loxoconcha impressa Band sp. » granulata Sars » elliptica Bradv » tamarindus Jones sp. Xestoleberis aurantia Baird sp. - depressa Sars « angustata Terquem « pustulosa Seguenza 152 A. Neviani Paradoxostoma hibernicum ? Brady Cytherura striata Sars Cytherella Bradyi Seguenza ” calabra Seguenza Anellidi Verruca stromia Muller sp. Psygmobrancus protensus Gmelin ÒJ oirorbis corrugatus Montagli sp. » laevis Quatrefages Ditrupa incurva Benier sp. ” subulata Desliayes sp. Briozoi Salicornaria farciminoides Johnston Scrupo cellaria scrapca Busk Membranipora Rossetta And » papyracea Reuss Lepralia innominata Conch » a usata Johnston » violacea Johnston » reticulaia Busk » lata Busk Gelleporaria tubigera Busk » coronopus S. Wood » lobatula Waters » systolostoma Manzoni Crisia elongata M. Rdwards Idmonea irregularis Menegh. » concava Reuss Pustulopora proboscidea Forbes Tubulipora jlabellaris Fabr Discoporella verrucaria Fabr Ceriopora globulus Reuss Echinodermi Echinocyamus pusillus Muller Contribuzioni alla geologia del catanzarese Foraminiferi 153 Lagena globosa Walker » vulgaris Williamson » emaciata Reuss sp. « maculato-punctata Seguenza » clavata D’Orbigny sp. » striata D’Orbigny sp. » Gemmellarii Seguenza sp. « cylindracea Seguenza sp. » filicosta Reuss » silicata Seguenza sp. » gracilis Williamson » apiculata Reuss « caudata D’Orbigny sp. » distoma-polita Parker et Jones » distoma Parker et Jones » decorata Seguenza » melo D’Orbigny sp. » scalariformis Williamson sp. » marginata Walker sp. » lucida Williamson « lagenoides Williamson sp. « marginato-radiata Seguenza » mar ginato-per forata Seguenza Fissar ina squamoso-marginata Park et Jon sp. » diptera Seguenza Nodosaria raphanus Linneo sp. » longicauda D’Orbigny » antennula Costa » subaequalis Costa » perforata Seguenza » radicula Linneo sp. Glandulina laevigata D’Orbigny » adunca Costa Dentalina brevis D’Orbigny n pauperata D’Orbigny » communis D’Orbigny A. Neviani Dentalina inornata ? D’Orbigny » nodosa D’Orbigny « acuta D’Orbigny Pullenia spilo eroides D’Orbigny sp. « compressa Seguenza Nonionina Soldani D' Orbigli? » umbilicatula Mtg sp. » subcarinata Seguenza Polystomella crispa Lamarck « macella Fich. et Moli. sp. sabumbilicata Czizech » striato-punctata F. et M. sp. » minima Seguenza Amphistegina sp. Marginulina glabra D’Orbigny » similis D’Orbigny » contraria Czizecb Cristellaria crepidula Fich. et Moli. sp. » arcuata D’Orbigny » virgata D’Orbigny Ito bulina cultrata D’Orbigny » calcar D’Orbigny - rotulata Lamarck sp. Polgmorphina laelea Valker et Jones sp. » communis D’Orbigny sp. » amygdaloides Terquem »» gatta D’Orbigny »» oblonga Williamson - compressa D’Orbigny !» complanata D’Orbigny » tubulosa D’Orbigny sp. Uvigerina pygmaea D’Orbigny sp. »» nodosa D’Orbigny sp. Buiimi na Buchiana D’Orbigny »» ovata D’Orbigny » marginata D’Orbigny »» aculeata D’Orbigny >» pustulosa Costa Contribuzioni alla geologia del catanzarese Bulimina pyrula D’Orbigny » prunella Costa sp. » mutabili s Costa Sphaeroidina bulloides D’Orbigny Pulvinulina punctulata D’Orbigny » auricula Fich. et Moli. sp. Rotalia Beccarli Linneo sp. » ammoni formis D’Orbigny sp. » Soldani D’Orbigny Or bulina universa D’Orbigny Globigerina bulloides D’Orbigny » Aradasii Seguenza sp. » gomitulus Seguenza » helicina D’Orbigny » ovoidea Seguenza Discorbina globularis D’Orbigny Truncatulina lo b atula Mtg sp. » refulgens Montg. sp. » tuberosa Fichtel et Moli. sp. !» Ungeriana D’Orbigny sp. Planulina ariminensis D’Orbigny Planorbulina mediterranensis D’Orbigny Siphonina fimbriata Keuss Bolivina punctata D’Orbigny Textilaria granulata Costa sp. Cassididina laevigata D’Orbigny Plecanium sagittula Defrance sp. » agglutinans D’Orbigny sp. »! pygmaeum D’Orbigny Bigenerina nodosaria D’Orbigny Cornuspira foliacea Philippi sp. « carinata Costa sp. Biloculina bulloides D’Orbigny » elongata D’Orbigny »» lunula D’Orbigny »» amphiconica Keuss >» depressa D’Orbigny Spiroloculina rotundata D’Orbigny A. Neviani 15(5 Spiroloculina excavata D'Orbigny « canaliculata D’Orbigny « nitida D’Orbigny » planulata D’Orbigny Triloculina incannata D’Orbigny » trigonula Lamarck »» in fiata D’Orbigny « selene ? Karrer » oblonga Mtg sp. Quinqueloculina triangularis D'Orbigny - vulgaris D’Orbigny ” plana D’Orbigny " bulloides D’Orbigny » asperula Seguenza ^ lyra D’Orbigny » Ferrussacii D’Orbigny " depressa D’Orbigny « Schroeckingerii Karrer »» Incida Karrer »» costata D’Orbigny « pulchella D’Orbigny Le rocce che credo potere ascrivere con sicurezza al poster- gano} sono poco estese, formano la cima di collinette che gene- ralmente non superano i 100 metri sul livello del mare, e di solito hanno pochissima potenza, venendo a rappresentare come dei sem- plici straterelli posti ora sulle rocce cristalline, ora sulle forma- zioni mioceniche, ma più spesso sulle marne ed altre rocce del pliocene superiore; questo complesso di sabbie fa graduato pas- saggio alle formazioni recenti che, come troviamo indicato anche nei lavori del Rambotti si possono distinguere in pianure littorali, in dune e terreno di alluvione. Corredo questi pochi appunti con una tavola che comprende tre figure di sezioni, delle quali eccone un cenno descrittivo. Fig. la. Da Soverato al Campo. Sezione lungo la sinistra dell’An- cinale. Direzione prevalente ovest-est. — Il taglio ideale che parte poco più a nord del paese di Soverato marina, ed interessa quella parte di gneiss nella quale è stata praticata la galleria per la linea 157 Contribuzioni alla geologia del catanzarese farroviaria: questi gneiss si riscontrano lungo la salita che conduce a Chiaravalle, formando col loro andamento delle superflci quanto mai ineguali, con grandissime conche che sono colmate dalle for- mazioni terziarie : la base di queste è data dai conglomerati alter- nati con arenarie del miocene inferiore che sopportano quasi sempre le marne zonate dell'Astiauo, le quali alla loro volta presso il mare sono ricoperte da arenarie del posterziario, ed al monte Pizzolo da sabbie e calcari con Amphistegina Hauerina D’Orbigny, che si trovano più sviluppate presso Chiaravalle. Fig. 2a. Sezione condotta parallelamente alla prima, presso il mare, km. a nord. — Ho aggiunto questa semplicissima sezione, che si può osservare a nord della galleria di Soverato, nella porzione compresa dal fiume Soverato ed il mare, perchè mostra molto bene la sovrapposizione delle arenarie grigie elve- ziane ai conglomerati gneissici; l’ho poi riprodotta, perchè nel la- voro dell’ing. Rambotti che ho testé pubblicato in questo periodico, dette arenarie sono indicate come più antiche dei conglomerati, riportando cioè le arenarie al miocene medio ed i conglomerati al pliocene inferiore. La mia sezione n. 1, corrisponde alla terza data dal Rambotti, ed in questa tavola ho adoperato gli stessi segni di quelli usati nella citata Memoria, perchè si possano più solleci- tamente fare gli opportuni confronti. Fig. 3a. Dalla marina al paese di Badolato. Direzione ovest-est. — Questa sezione, più che per la successione dei terreni, l’ho trac- ciata per indicare la località ove trovansi delle dioriti por finche identiche a quelle dei dintorni di Catanzaro e di altri luoghi del gruppo montuoso della Sila nella Calabria settentrionale. Nei pochi cenni storici surriferiti non ho parlato delle formazioni cristalline, giacché riservo questo argomento per un altro lavoro, qui però ho creduto farne cenno, perchè dei pressi di Badolato, solo dal De Ste- fani trovo fatta menzione, e per esso queste rocce sono gneiss to- nalitici con diffusione di orneblenda e con mica alterata e sosti- tuita da clorite verdognola. La formazione cristallina poi corrispon- dente agli gneiss di Soverato, Stallettì ecc., è data da un gneiss ortoclasico , che si può chiamare un vero granito > e conseguente- mente anche il conglomerato sovrastante si distingue da quello della valle dell’Ancinale, e perciò nella tavola vennero indicati con segni diversi. 158 A. Neviani. Contribuzioni alla geologia del catanzarese RIASSUNTO Riassumendo le formazioni enumerate dal Capo Stallettì al fiume Stilaro, troviamo che la successione dall’alto in basso è la seguente : Terreno di alluvione (Attuale) ; Arenarie grossolane in dune e pianure littorali (Posterziario recente) ; Arenarie e piccoli conglomerati sulle colline littorali (Post- pliocene) ; Sabbie e calcari con Amphistegina Hauerina D’Orbigny, negli altipiani (Siciliano) ; Sabbie in lembi non continui sulle formazioni argillose e mar- nose plioceniche specialmente presso Monasterace (Astiano, forma- zione litoranea) ; Argille turchine da Stallettì a Soverato, di S. Yito, Cenadi ecc. (Astiano, formazione di mare non molto profondo) ; Marne calcareo-argillose, zonate, a foraminiferi ed entomo- stracei. Zancleauo secondo Seguenza (Astiano, deposito di mare molto profondo) ; Calcare marnoso giallastro senza fossili, da Stallettì a Sove- rato (Messiniano) ; Tripoli, col precedente ; Arenarie micacee, grigie con Clipeastri , Balani ecc. presso Soverato (Miocene medio, Elveziano) ; Arenarie fossilifere presso Guardavalle. Langhiano secondo Seguenza (Elveziano) ; Conglomerato gneissico e granitico ; strati continui da Stallettì allo Stilaro (Aquitaniano o Langhiano) ; Arenarie variegate del monte Palatino, prive di fossili (forse Tongriano) ; Calcari brecciati di M. Pelliciano e S. Giovanni (Eocene); Gneiss, graniti, dioriti (Paleozoico). Catanzaro, marzo 1889. Antonio Neviani. bollettino della Società c/eo/oc/icci i/a/iaria l o/ V/7/ 7/889/ 7air/// 1 //evieni// CD & ì ? «NC . Neviani,dis. StaTj-Lit. Pruno e Salomone Roma La Società geologica italiana tiene due adunanze ordinarie all’anno ; l’una invernale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- stinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una adunanza ordinaria, e pagare una tassa annua di L. 15, e una tassa d’entrata di L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Poma. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle Adunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci ed ai reso- conti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno inviate alla Presidenza, e per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste domanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il prezzo a carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 3 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 20 l’uno, meno il voi. IV (1885) che si vende L. 30. Ai librai è accordato uno sconto da convenirsi. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 10 l’uno indistintamente. — Per l’acquisto diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Poma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. \ ‘ n; -v v *4% Ufficio di Presidenza pel 1889 pag. 3 Soci perpetui » 4 Elenco dei Soci ordinari per l’anno 1889 . . . . » 5 f“4 Commissione per le pubblicazioni » 12 Commissione del bilancio pel 1889 » » Adunanza generale della Società geologica italiana tenuta in Bologna « 13 G. Capellini. Necrologia di Giuseppe Meneghini . . « 17 I. Cafici. Id. di Giuseppe Seguenza « 46 A. Issel. Id. di Don Pietro Perrando Deo Gratias . » 56 L. Mazzuoli. Id. di Mariano Corini » 58 F. Sacco. I colli Monregalesi (con 1 tav.) .... » 59 G-. Tuccimei. Il Villa franchiano nelle valli Sabine e i suoi fossili caratteristici (con 1 tav.) .... » 95 A. Neviani. Contribuzioni alla Geologia del Catan- zarese (con 1 tav.) » 133 Anno Vili. Fascicolo 2° BOLLETTINO DELLA ITALIANA Voi. Vili. — 1889. Avvertenza. Vedi la seconda e terza pagina della copertina. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Ufficio (li Presidenza per l’anno 1889. Presidente Prof. comm. Giovanni Capellini Vice-Presidente Prof. cav. Torquato Taramelli. Segretario Prof. dott. Giuseppe Tuccimei Vice-Segretario Dott. cav. Carlo Fornasini Tesoriere Avv. Tommaso Tittoni Deputato al Parlamento Vice-Tesoriere Cav. ing. Augusto Statuti Archivista Prof. ing. Romolo Meli Consiglieri Prof. comm. Giuseppe Beliucci Prof. comm. Luigi Bombicci Ing. cav. Celso Capacci Prof. cav. Antonio D’Achiardi Barone comm. Achille De Zigno Comm. ing. Felice Giordano Prof. cav. Arturo Issel Prof. Carlo Fabrizio Parona Prof. Dante Pantanelli Cav. maggiore Antonio Verri Commissione per le pubblicazioni. Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere L’Archivista ( prò tempore ) Conte comm. G. Scarabelli Gommi-Flàmini Prof. cav. A. D’Achiardi Prof. cav. G. Omboni. Sede della Società. — Roma - Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario* GEOLOGIA E TOPOGRAFIA Ad un certo periodo del progresso delle scienze vi sono dei veri intraveduti dalla maggioranza, ed anche dalla universalità dei cultori, ai quali veri però manca ancora la definizione ordinata; e quando questa appare, ognuno sente che corrisponde al proprio pensiero, e si meraviglia con se stesso di non averla formulata prima. Tali impressioni ho provato più volte nel leggere il libro sulle Forme del terreno dei signori De La Noe e De Margerie, inviatomi in dono gentile dagli autori ('). « Nous serons très-heu- « reux, mi scrivevano, s’il vous est possible de donnei- un cornpte- « rendu de notre ouvrage. Nous attachons en effet le plus grand « prix au jugement des savants etrangers, qui se sont particulie- « rement vouées à l’étude de ces questions si complexes et si diffi- « ciles. Les critiques seront toujours les bienvenues, et, dussions « nous méme ne pas toujours nous ranger à l’opinion des rappor- ti teurs, nous les accuillerons avec reconnaissance et profit ». L’importanza del soggetto e l'invito gentile m’hanno invogliato a studiare il libro e m’hanno spinto a parlarne. Quanto aiuto porti la geologia alla descrizione del terreno pochi oramai non sanno apprezzare, poiché la topografia, il pae- saggio sono legati intimamente colla struttura del suolo, essendo la risultante del lavoro delle forze esterne sulle masse strutturali. Basta leggere, per dire un esempio, le narrazioni dilettevoli ed istruttive di viaggi inserite nella Revue des deux mondes , per ve- (!) Service géographique de l’armée. Les formes dn terrain par G. De La Noe, Lieutenant-colonel du Genie au Service géographique, avec la colla- boration de Eram. De Margerie. Paris, imprimerie nationale, 1888. 11 160 A. Verri dere quanto maestrevolmente gli scrittori usano la geologia a scol- pire la figura del paese. È ammirabile la vasta erudizione di quei viaggiatori, per la quale adoperano con disinvoltura le risorse della scienza, evitando di dare nelle secche dell’ aridità e della saccen- teria. Anch’io ebbi occasione di provare l’utilità delle cognizioni geologiche per tratteggiare nelle conferenze invernali le linee ca- ratteristiche di alcune regioni. Così me ne giovai per discorrere ai colleghi dell’esercito sul Tevere, suH’Apennino, sulle Alpi (’). L'opera dei signori De La Noe e De Margerie, illustrata da 147 disegni, molti dei quali rappresentano esempi ritratti dal vero, (*) Estratto dalla conferenza sull' Ap enni.no-. “ I geografi dividono l’Apennino in tre parti: settentrionale dalle Alpi alle sorgenti del Tevere, centrale da queste sorgenti al fiume Sangro, meri- dionale dal Sangro allo stretto di Messina. Io vedo l’Apennino sotto un altro aspetto. « Immaginate una lamiera ondulata, colle onde dirette da nord-ovest a sud-est: inclinate il foglio a ponente, piegatelo ad arco nel senso longitudi- nale. Tale io vedo la vertebra apenniuica centrale colle sue elevazioni e depressioni alternate, derivanti da pieghe ondulate delle masse terrestri ; col culmine della curvatura nel masso abruzzese. “ Con questo sistema orografico al nord s’incontra ad angolo TApennino toscano ; al sud s’innesta, direi a mezzo incastro, l’Apennino del Sannio c della Puglia; ad est si appoggia un piano inclinato, intagliato dalle corro- sioni dei fiumi e dei torrenti, che in quelli confluiscono. Ad ovest il sistema confina con una zona contenente rilievi vulcanici e gruppi montuosi residui d’una orografia perduta. « Il sistema idrografico dell’Apennino centrale presenta anomalie tali,* riguardo alle leggi che regolano il corso naturale dei fiumi da indurre facil- mente in errore i geografi, i quali ne disegnarono le carte corografiche. Nes- suna ne ho veduta che scolpisca con esattezza i tratti caratteristici dell’oro- grafia; talune ne ho vedute sostituire montagne immaginarie alle pianure esistenti, per separare corsi d’acqua aventi origine in una valle medesima e scolo in direzioni opposte. Questo accade nell’altipiano di Gubbio, le cui acque scolano alle estremità opposte per le gole dell’Assino e del Chiascio: nella pianura della Yaldichiana, le cui acque parte confluiscono nell’Arno, parte nel Tevere; nelle pianure comunicanti dei campi Patentini e del Fucino, aperte per la gola di Capistrello verso il Liri, e con scolo verso il Velino per la valle del Salto; nella pianura di Boiano, le cui acque si versano nell’Adriatico pel Biferno, e nel Tirreno pel Tammaro. “ Gli scrittori di geografia parlano anche di contrafforti dell’Apeunino, espressione erronea, perchè il sistema apenninico dell’Italia centrale non è 161 Geologia e topografia è divisa in tre parti. La prima esamina analiticamente, caso per caso, l’azione delle forze disgregatrici sulla superficie della terra, l'operazione di scavo delle valli, le forme che risultano al terreno dalle azioni di quelle forze; la seconda sintetizza le cause deter- minanti il tracciato dei corsi acquei, ed il modellamento del paese; la terza mostra gli effetti parziali derivanti dal concorso di cause estranee alla erosione subaerea: ghiacciai, mare, vento, vulcani. Trattandosi di libro scritto con lingua a tutti più che fami- gliare, è inutile che riferisca quanto v’è di buono: sarebbe del resto impossibile estrarne un sunto, perchè l’abbondanza grande composto da una catena principale, dalla quale si diramino catene secondarie, ma da diverse catene sensibilmente tra loro parallele. « Affine di agevolare l’orientamento sulla figura duina regione apparen- temente tanto complicata, riassumo le fasi principali della sua genesi, quali mi risultano dagli studi che occupano le mie licenze. u Un tempo assai lontano, se prendiamo per misura la storia degli av- venimenti umani ; in uno dei periodi più recenti, se li contiamo nelle pagine delle vicende telluriche, dalle Alpi orientali una terra proseguiva dovè è il bacino adriatico. Altra terra, ad occidente, univa le isole tirrene ai gruppi montuosi sparsi nelle maremme toscane e romane. Tra le due terre il mare protendeva un golfo sullo spazio, dove oggi s’eleva l’Apennino. Quando quelle due terre si sollevavano, colle pressioni opposte incresparono in onde il fondu del golfo interposto ; quando, a loro volta, le terre laterali discesero, e si sep- pellirono sotto le acque dell’Adriatico e del Tirreno, spinsero in alto quel fondo corrugato. « Le rotture avvenute nelTinflettersi delle masse, le intensità diverse delle pressioni subite nei diversi punti produssero nelle onde del fondo ma- rino che si sollevava, delle interruzioni, delle inflessioni longitudinali e tra sversali, dei rigonfiamenti, degli schiacciamenti : talché le onde concave qua riuscirono più slargate, là quasi scomparvero pel ravvicinarsi delle onde con- vesse; le onde convesse in qualche punto furono maggiormente sollevate, in qualche altro rimasero allo stato embrionale. Aggiuntosi al nord lo sbarra- mento deU’Apennino toscano, in vari tratti delle onde concave si costituirono dei bacini lacustri. « Le acque rigurgitanti dai laghi, aprendo emissari attraverso le catene, posero le vallate in comunicazione tra loro e col mare. Dopo il vuotamente dei laghi, e per le strozzature delle onde concave, e perchè lo scavo appro- fondava le valli secondo le direzioni prese dai fiumi, le vallate originali ri- masero suddivise in valli parziali separate da insellature interposte tra le ca- tene longitudinali. « A modificare il sistema oro-idrografico successe alla prima sistema- 162 A. Verri delie idee, unita alla concisione matematica della esposizione, ob- bligherebbe a farne la traduzione completa. Mi limito perciò ad accennare poche divergenze d’opinioni cogli egregi scrittori, sicuro d'interpretare il desiderio da loro manifestatomi, nell’intento di raggiungere, mediante la discussione, lo scopo che si propone ogni scienza: la ricerca del vero. Noto per incidenza che nessun autore italiano è citato nell’o- pera, dove abbondano citazioni di scrittori francesi, tedeschi, in- glesi, americani: cosa la quale mi sembra dipendente dal fatto, che presso noi gli studi geologici generalmente sono negletti da- zione un abbassamento generale. Abbassandosi il continente di più centinaia di metri, il mare venne a toccare le catene estreme dell’Apennino ; le sue valli interne furono colmate dalle torbide dei fiumi. L’interrimento coprì anche le parti meno elevate delle montagne, ed appena qualche poggio, isolato in mezzo a vaste pianure, rimase a segnare le traccie di alcune catene. « I fiumi allora, soppressi i valloni che li contenevano, vagarono per quelle pianure e volsero al mare per la via più diretta, costituendo una se- conda idrografia. ii Per queste rivoluzioni, compiute con tanta lentezza, come i fenomeni pei quali pare che il tempo non conti, avvenne, che quando di nuovo si sol- levò il sistema, i fiumi scavarono gli alvei nella direzione presa allorché ave- vano interrite le valli antiche. u Ed oggi, che la erosione meteorica e la corrosione delle acque cor- renti ha riscoperte le ossature del continente sepolto dal detrito di colmata, troviamo sulle catene tagli fatti dai fiumi nelle due idrografie di stabilimento degli alvei per scavo; troviamo valli, le cui acque passando per quei tagli - si dirigono in direzioni differenti; troviamo valli antiche abbandonate, e tra- sformate in paesi di colline. « Nel tempo del primo sollevamento, e sopratutto durante l’ultimo, tra le montagne apenniniche ed il mare Tirreno, s’aprirono numerosi crateri vul- canici, le cui eruzioni, con duecento a trecento mila milioni di metri cubi di lave, fanghi, scorie, lapilli crearono una orografia speciale; un paesaggio che ha linee diverse del tutto da quelle della regione finitima. Nell’Apennino un succedersi di montagne e di valloni; un incrociarsi di valloni con valli tra- sversali, le quali tagliano le catene con gole serrate tra alte scogliere : nella zona dei vulcani coni isolati, recinti craterici in mezzo ad altipiani solcati da botri profondi con ripe a picco. ii II corso dei fiumi è in relazione colla struttura originale modificata dagli avvenimenti che la seguirono. Così li vediamo avere corso parallelo tra loro e parallelo all’asse dell’Apennino, e sboccare dalle loro valli e dal sistèma per brecce aperte nelle catene montuose. 163 Geologia e topografia gl'ingegneri topografi ed idraulici ; per cui nelle nostre pubblica- zioni è scarso il contributo di questi due rami scientifici, mentre abbonda quello della paleontologia e della stratigrafia. Allorché i terreni sedimentari — scrivono gli autori al prin- cipio dell’opera — deposti sul fondo dei mari, sono stati sollevati per formare i continenti, non presentavano sulla superficie la rete ramificata dei corsi acquei ed i tagli innumerevoli, che vi vediamo oggi: la superficie primitiva era come un blocco non sgrossato, nel quale dipoi certi agenti sono venuti a scolpire, cesellare e pu- « I fiumi tirreni al nord di Roma, arrestati allo sbocco del sistema appen- ninico dalle materie eruttate dai vulcani, scavarono la valle inferiore del Te- vere tra la montagna ed i rilievi vulcanici, e si diressero al mare nell’insel- latura di confine tra le deiezioni dei crateri Sabbatini e Laziali. Dei fiumi tirreni al sud di Roma il Garigliano, formato dall’unione del Sacco e del Liri, s’aprì la via al mare tra i poggi di Gaeta ed il vulcano di Rocca Mon- fina; il Volturno, arrestato nel suo corso da quel vulcano, si ripiegò nella vallata apenninica, e, sboccato insieme ai fiumi di Benevento da un’apertura scavata nei monti dell’ultima onda, costrusse colla sua deltazione la pianura tra il vulcano di Rocca Monfina ed i vulcani spenti di Napoli. u Ad eccezione della Pescara — la quale, simile ai fiumi del versante tirreno, raccoglie nel corso supcriore le acque d’una vallata apenninica, e ne esce per la gola di Popoli — i fiumi del versante adriatico hanno corso molto semplice, inquantochè non fanno che tagliare fino al mare il piano inclinato addossato al sistema apenninico. Così il Tronto, il Vernano, il Sangro, il Trigno, il Biferno, il Fortore ed altri più piccoli ». Estratto dalla conferenza sulle Alpi: “ La varietà delle formazioni, dallo gneiss centrale alle marne più re- centi dona varietà grande di linee e di tinte al paesaggio. Creste dentellate, aguglie, picchi, precipizi, burroni profondi sono le caratteristiche delle con- trade dove stanno a nudo lo gneiss, il granito ed allre rocce cristalline. Terrazzi composti da piani più o meno declivi, iramezzati da scogliere alte 20 e più metri, nel versante diruto; altipiani e pendici prative nel versante opposto, profilano, per le proprietà delle formazioni stratificate, i monti co- strutti da rocce calcaree compatte e da schisti marnosi. Le cime dei monti perdono l’asprezza, i profili sono ondulati mollemente quando prevalgono gli schisti. Le alternanze di banchi compatti e schistosi, le sovrapposizioni degli uni e degli altri alle rocce cristalline disegnano sopra alle rupi brune dello gneiss, dell’anagenite, le scogliere grigie e giallognole dei calcari come tante cinte di castella, colle cortine fiancheggiate e dominate da torri in rovina. 164 A. Verri lire le mille forme topografiche attuali, il cui insieme costituisce ciò che si chiama il modellamento del suolo. La ricerca di questi agenti d’erosione e lo studio delle leggi che li regolano, e delle forme che risultano, costituiranno l'oggetto principale del lavoro. Secondo il mio modo di vedere, non sarebbe opportuno scom- porre in due tempi ben definiti l’emersione delle terre e l’azione delle forze esterne, il cui lavoro ha prodotto la figura topografica dei continenti. Se l’emersione a rigore matematico precede l’ero- sione, questa segue l’emersione tanto immediatamente, che con tutta approssimazione può considerarsi concordante. Concordanti sensibilmente, dopo il primo, sono i momenti successivi dell’azióne. Nell’istante medesimo del suo emergere le forze dissolventi s’im- « All’origine dei valloni scavati nelle masse calcaree e marnose pendici erbose variate da scogliere, se in qualche punto sono scoperte le teste di strati più duri. All’origine dei valloni scavati nelle rocce cristalline conche recinte da dirupi, macchie di neve appiccicate alle rupi ; cataste di rottame d’ogni dimensione, svelto per la forza cuneiforme dei geli dalle balze diroc- cate ; laghetti dalle acque limpidisssime chiusi tra lo sfasciume di quello sfacelo. Dai fianchi squarciati precipitano rivi spumanti; i torrenti, cascando di sasso in sasso, rompono il silenzio alto della montagna. « Striscie di monte lacerate, alberi e pietre travolte, ammassi di neve e fango ghiacciato segnano la corsa delle valanghe. «Al basso boschi di castagni; più su foreste di abeti e di larici; ce- spugli di rododendro colla foglia verde lucente, coi mazzetti dei calici pinti da carminio vivace; praterie smaltate da gigli, ranuncoli, arniche, e cento altri fiori vaghissimi della splendida flora alpina. Eppoi rocce brulle, nevi - eterne. « Presso al fondo dei valloni gruppi di capanne annerite dal fumo, con muro di pietra a secco e tetto di paglia. Però, nei tratti dove per disgrega- bilità maggiore delle rocce, o per altra causa, il fondo dei valloni si slarga; dove l’altitudine e l’esposizione ne raddolciscono il clima, casolari e villaggi meno miseri alloggiano i coltivatori di quelle zone pianeggianti, coperte da prati e campi di segala. « Non generate da incurvamento degli strati, ma scavate dalla corrosione delle acque correnti ed allargate dalla erosione meteorica, potentissima in regioni dove è facile il gelare dell’acqua filtrata tra le crepe delle rocce, le valli principali generalmente non sono molto larghe nel fondo*; ma, nonostante l’altezza delle montagne che le fiancheggiano, sono abbastanza aperte. Man- canti le digradazioni delle colline, le pendici montane scendono ripide; non- dimeno raramente la valle è serrata tra rupi a picco; per lo più il fiume volge i meandri tra campi e prati estesi qualche centinaio di metri ». 165 Geologia e topografia possessano d’un terreno e vi proseguono in tutte le fasi dell’emer- sione il lavoro avviato. Non avrei accennata questa divergenza, apparentemente più di forma che di sostanza, se il tenerne conto non spiegasse ta- lune discordanze, die si osservano tra la disposizione delle masse ed il modellamento topografico, e non facilitasse la soluzione di alcuni problemi, la quale, partendo dalla premessa dell’opera, ri- sulta almeno difficile, se non alquanto stiracchiata. Ed uno dei problemi è quello di ricercare per quali cause sulle regioni montuose difetta la continuità nelle pendenze degli alvei, e generalmente non è soddisfatta la legge di corrispondenza dei corsi acquei, sicché vi si vedono frequentemente laghi e cascate. La soluzione proposta dagli autori è che nei tratti superiori di quelle regioni l'azione erosiva non s’ò esercitata ancora per tempo bastante, come ha potuto fare nei tratti inferiori; e simile stato di cose corrisponde ad una fase d’erosione meno avanzata, per la quale i paesi a valle sono passati prima. Invece a me sembrerebbe che, per riguardo al tempo, l’azione demolitrice delle forze esterne abbia dovuto operare prima e più lungamente nelle zone superiori, che non nelle inferiori d’un si- stema montano. A spiegare la differenza di effetti — indipenden- temente da circostanze eccezionali, quali sarebbero la protezione delle nevi e dei ghiacciai — mi pare che bastino le ragioni al- trove svolte largamente dagli autori medesimi, e cioè le propor- zioni differenti delle acque raccolte, delle materie solide fluitate nei diversi tronchi del bacino; le resistenze differenti, opposte dalla qualità e dalla disposizione delle rocce al lavoro delle forze esterne, quando nei casi pratici tali differenze sono accusate dalle osservazioni. Aggiungerei ancora che, tenuto conto del solo effetto dovuto allo scalzamento, la demolizione deve essere più estesa ai piedi delle montagne, che non possa esserlo verso le loro cime; e quindi deve essere, anche per questa causa, sollecitato molto di più lo scavo della valle nei tronchi inferiori, che non nei superiori. Di grande interesse è l’analisi del modellamento dei versanti. Però nel fatto che questi sono scavati secondo prismi triangolari, 166 A. Verri anziché secondo fette parallele, a me sembra piuttosto di vedere l’influenza della spinta della terra, la quale determina distacchi secondo prismi triangolari; l’influenza della protezione, che eser- citano contro il corrodimento delle acque correnti gli ammassi di sfasciume, i quali s’accumulano al piede delle pendici. Il trasporto di quello sfasciume importa un certo tempo nelle valli larghe, ab- bisognando aspettare che il fiume si getti ora contro l’ima, ora contro l’altra pendice; importa anche del tempo nelle valli con fondo stretto, ma dominate da montagne elevate, per la quantità grande di materie che vi rotola dall’alto: ed intantochè il fiume o il torrente deve lavorare a smaltire le scarpate di quegli ammassi detritici, le forze dissolventi non cessano un istante di lavorare sulle superficie superiori denudate. Alla esposizione delle cause generanti le strette mi sembre- rebbe doversi aggiungere il caso, nel quale la massa di base è composta da rocce di disgregazione lenta, percui la valle, al di sopra larga, sul fondo resta serrata tra pareti dirupate. Convenendo nella distinzione tra gli effetti che produce l’acqua per se stessa, e quelli che produce allorché trascina materie solide, non mi sembra naturale la spiegazione delle marmitte dei giganti , nella valle del Iiodano, per perforazione operata da blocchi ai quali il fiume abbia impresso movimento di rotazione. Crederei più consono agli effetti notati nel tronco del fiume Nera tra la cascata delle Marmore e Terni, attribuire quei fori, anziché a blocchi, a ' materie detritiche di piccole dimensioni, alle quali sia stato im- presso dall’acqua movimento vorticoso. A spiegazione della genesi di valli larghe con superficie piana di qualche estensione nel fondo, gli autori chiamano l’intervento di antichi corsi acquei più considerevoli degli attuali, benché poi scrivano che non bisogna esagerarne l’importanza, fino a vedere nello scavo delle vallate l’effetto di correnti diluviali , dovute a qualche cataclisma straordinario, come una volta ammettevano molti geologi e ne combattono gli argomenti. Non voglio dire che il concorso di correnti diluviali deva es- Geologia c topografia 167 sere scartato assolutamente nella spiegazione della genesi delle valli, come non deve essere scartato l’intervento delle forze sismiche. Ma, per ammettere somiglianti cause eccezionali, bisogna che l’os- servazione dica che specificatamente per queste ebbe luogo il fatto. Senza discostarci dalle leggi generali, gli allargamenti delle valli, la costituzione in piano del fondo di alcune di esse sono più che largamente dimostrati dalla qualità delle formazioni nelle pendici laterali, dal lavoro di scavo dei torrenti che vi confluiscono, dalle conoidi alluvionali dei torrenti; dalle strette, le quali, se incep- pano il libero fluire del fiume nelle diverse portate, lo obbligano ad oscillazioni, ad esondazioni; dalle oscillazioni del fiume per tante altre cause; dai rinterri delle esondazioni; dai depositi la- sciati dai veli delle acque piovane prima d’inalvearsi ('). Per le leggi regolanti lo scavo delle acque, l’intersecamento del semi-cono di corrosione colla linea dorsale genera in questa una curva depressa : l’effetto sarà maggiore quando, in corrispon- denza o vicino, altro corso d’acqua ha le origine sul versante op- posto, perchè la depressione sarà generata daH’intersecamento di due semi-coni di corrosione. Quindi i colli o le insellature di fianco e di testa. Importante mi sembra questa spiegazione delle insellature nelle dorsali delle montagne in funzione della costituzione degli alvei torrenziali e fluviali. Non però deve essere esclusiva: ma, unita alle inflessioni degli strati, alla potenza proporzionale della erosione sulle formazioni di resistenza diversa, ai salti per rottura, ci dà la ragione di tutti gli accidenti altimetrici, che appaiono nel profilo longitudinale delle catene, senza bisogno di ricorrere alla supposizione di idrografie antiche. Non che questa ipotesi debba essere perciò del tutto rifiutata: ma bisogna che sia am- messa con circospezione, e quando è convalidata evidentemente da prove speciali. f1) Azione delle forse nell'assetto delle valli. Boll. Soc. geol. ital. Voi. V, 1886. 168 A . Verri Nel passare dall’analisi elementare alla sintesi delle cause determinanti il tracciato dei corsi acquei, gli autori propongono come principio che nel sollevamento d'ima regione, sia questo stato graduale e lento, sia stato brusco, il movimento s’è operato sempre nel medesimo senso; che il terreno emerse corrugato in modo da presentare bacini chiusi, e quindi in origine una superficie occu- pata da specchi d'acqua; che appresso, mediante la colmata delle depressioni ed i tagli delle chiuse, s’è stabilito il sistemaa idro- grafico attuale. Benché, nello studio deH’Apennino centrale, anch’io sia ve- nuto alla conclusione di una prima idrografia con bacini lacustri, come appare dalle pubblicazioni fatte tempo addietro su tale sog- getto, non so se l’ipotesi possa essere generalizzata. Mi sembra però troppo assoluta la prima proposizione, e cioè che il movi- mento ascensionale del terreno si sia prodotto sempre nello stesso senso. Le osservazioni accusano oscillazioni anche con inclinazione diversa durante la fase d’emersione di taluni terreni; oltre a ciò dimostrano rivoluzioni radicali nei sistemi idrografici d’un paese, pel fatto di oscillazioni avvenute in periodi diversi, e questo an- corché le oscillazioni non abbiano riportato il continente sotto le acque marine. Di quelle rivoluzioni offrono esempi classici le terre dell’Italia centrale, come ho dimostrato nei miei studi. Pel compito che si sono prefisso, gli autori hanno stimato conveniente partire dal tipo di sollevamento più semplice, affine di dimostrare su quello il lavoro delle forze esterne ; e le spiega- zioni su alcune anomalie, che presentano taluni corsi acquei per - rapporto alla disposizione stratigrafica, indicano che a loro non sono sfuggite del tutto le circostanze che ho accennate. Nondimeno mi sembra che il principio di partenza assoluto, da essi posto, limiti troppo la ricerca delle incognite in questi problemi della natura, e possa produrre nelle applicazioni qualche dubbio ed equivoco. Il tracciamento dei corsi acquei nelle contrade a stratifica- zione ondulata, il cui tipo pongono nelle contrade del Giura, cor- risponde a quanto ho osservato nel non meno tipico Apennino cen- trale, ed è perciò che ho pensato di riportare l’estratto della Geologia e topografìa 169 conferenza contenente le linee caratteristiche della struttura fisica di questa regione, quantunque in genere non faccia che ripetere quanto ho detto in altri scritti. Valli parallele alle ondulazioni, comprese nelle sinclinali; aperture di valli trasversali nelle catene anticipali. Ma nell’Apennino il fattore precipuo delle valli tra- sversali è la colmata pliocenica delle sinclinali, e per essa rav- viamento al mare limitrofo delle acque secondo le linee più brevi le quali tagliavano le direzioni delle anticipali sepolte. Partiti dalle ipotesi d’una prima idrografia con bacini lacustri per strozzature nelle sinclinali, a spiegare il taglio delle chiuse prodotte da quelle strozzature allorché il fiume prosegue dentro la sinclinale ; a spiegare il taglio delle anticipali allorché il fiume esce dall’ anticipale per gole scavate nelle catene adiacenti — dato il caso che la superficie dei bacini sia tale che, dedotta dal- l'acqua caduta per le pioggie quella evaporata, il calcolo dimostri impossibile che la rimanente potesse raggiungere gli orli circon- danti la depressione, e da quelli esondare per aprirsi l’emissario — gli autori ricorrono a due ipotesi. La prima ammette a priori come evidente un’epoca di pioggie strabondevoli ; la seconda che il bacino per interrimento abbia perduta capacità, al punto da permettere che le acque trabocchino nonostante l’evaporazione. Al- lorché mancano tracce di quella colmata, suppongono i depositi asportati dopo il taglio delle chiuse. Nell’Apennino ho trovati capisaldi da far ritenere con cer- tezza, che i tagli post-pliocenici sono derivati non da pioggie di- luviali ma da colmata, e che la colmata aveva addirittura riempite le depressioni. Per le aperture degli emissari dei bacini chiusi avvenute sicuramente avanti al periodo pliocenico — contenendo ancora i sedimenti di quel periodo — non potrei ricorrere alla crescenza dei laghi per le pioggie diluviali, perchè l’epoca che si crede caratterizzata da tale fenomeno si riferisce al post-pliocene. Per questi ultimi bacini, posto che il calcolo dimostrasse nel caso speciale che l'evaporazione abbia impedito il trabocco, nulla si opporrebbe ad accettare il supposto dei riempimenti parziali dipoi abrasi. Ma nell’apprezzamento degli avvenimenti il calcolo non deve basarsi sulla capacità attuale dei bacini, assai maggiore di quel che doveva essere in origine, in conseguenza della grande 170 A. Verri abrasione dal primo costituirsi dell’idrografia terrestre ad oggi. Questa considerazione forse può bastare, per lo meno deve concor- rere nelle possibili spiegazioni dei tagli degli emissari antichi ; tanto più che l’appoggiano i rigonfiamenti delle masse comprese nelle sinclinali, de’ quali parlerò più avanti, mostrando che sono ca- paci di produrre persino un invertimento di rilievi sulla superficie. In base al principio Che le acque da per se sole non bastano à scavare canali se non nel caso che corrano tra terre mobili, e che è necessario per lo scavo in ogni altro caso il trasporto di materie solide, a spiegare come emissari lacustri, e quindi acque limpide, abbiano potuto aprire le gole nelle anticlinali rocciose, gli autori stabiliscono che lo scavo dovè incominciare non dalla soglia d'ettlusso, ma dal piede del versante opposto, e che deve essere progredito a rinculata tino alla rottura della soglia. Anche qui il principio da cui parte la dimostrazione mi sembra troppo assoluto. Per poterlo applicare rigorosamente, bisognerebbe essere sicuri che le rocce della soglia presentassero superficie as- solutamente unita e compatta, mentre le osservazioni ci mostrano generalmente molto fratturati gli strati delle rocce dime piegati ad anticlinale, fratturati e di facile disgregazione gli strati delle roce tenere. Sicché l’acqua corrente poteva avviare l’apertura del- l’emissario dalla soglia stessa, portando via frammenti di roccia, i quali presentavano presa facile e poca difficoltà di distacco. A decidere pertanto in qual modo sia stato aperto il canale credo opportuno tener conto anche di questa circostanza. Quando anche convenissi che non v’è bisogno di ricorrere alla rottura di strati estradossali per spiegare la genesi delle vallate aperte sopra alle anticlinali, non mi sembrano accettabili le cause proposte nell’opera. Queste valli sono spiegate coll’ipotesi dell’a- brasione di strati duri, e perciò colla messa allo scoperto di strati teneri, sui quali dipoi la corrosione delle acque pluviali avrebbe scavata la valle. L’abrasione dello strato duro sovrastante a quelli teneri avrebbe dovuto importare un certo tempo, e, data la preesistenza delle ondulazioni che favoriva ravviarsi delle acque per le sinclinali, 171 Geologia e topografia mi pare inammissibile supporre, che abbiano aspettato ad inalvearsi che loro divenissero propizie le circostanze negative in origine, e che perciò loro fosse permesso di aprire le valli sopra alle anticlinali. Allorché più avanti combattono l’ opinione che attribuisce a crepacci l’ origine delle valli, gli autori medesimi ammettono che le valli sulle anticlinali potrebbero considerarsi per eccezione come valli di frattura. A me pare che questa sia una delle spiegazioni più probabili, avendo naturalmente tendenza a rompersi gli strati estradossali nei piegamenti convessi, e per avviare lo scavo d’una valle non essendo necessarie larghe e profonde fenditure. Altra causa generante quelle valli, e questa ancora gli autori ammettono in via eccezionale, può essere la sovrapposizione all’an- ticlinale di depositi aventi diversa stratificazione. Ma allora vera- mente la valle coinciderà per puro accidente colla direzione del- l’anticlinale sottoposta. Un fatto importante, e che può agevolare la spiegazione delle valli sopra alle anticlinali, è quello che avvertii negli Studi geo- logici sulle conche di Terni e di Rieti (1). Osservai che le masse comprese nelle sinclinali subiscono pressioni laterali, e queste tanto più potenti quanto più è stretta la curvatura della sinclinale. Queste pressioni — particolarmente se nelle masse comprese ab- bondano formazioni schistose, i cui strati s’increspano e si ripie- gano più volte su se stessi — possono determinare dei rigonfia- menti tali dentro le masse comprese nelle sinclinali, da produrre persino l'effetto ehe i loro strati superiori si dispongano anticli- nalmente : talché alle anticlinali degli strati superiori corrispondano sinclinali negli strati inferiori e viceversa. L’origine prima del corso sarebbe stata perciò sulle sinclinali, mentre l'approfondamento dello scavo avverrebbe sulle anticlinali inferiori. La sezione dei monti Appalachi in Pensilvania — riportata nell’opera — nella quale si vedono ripetersi cinque valli anticlinali, mi si spiega bene e colle linee di frattura e coll’invertimento delle curve di rilievo. Nello studio dei monti di Terni m’è occorso altresi di notare dentro sinclinali di calcare liasico due valli laterali e tra loro la massa giurese e cretacea. Anche in questo caso mi do ragione (!) E. Accademia dei Lincei, 1882-83. 172 A. Verri dell’idrografia o colla rottura degli strati estradossali, o colla in- versione di corrugamento tra gli strati inferiori ed i superiori. Le acque in principio inalveate nella spaccatura, oppure nella sincli- nale delle masse superiori, giunte aH’anticlinale degli strati infe- riori, per la resistenza maggiore di questi, trovarono più facile proseguire lo scavo sul piano tra le roccie compatte del lias medio e le roccie schistose del lias superiore: e quindi i due corsi sui fianchi della sinclinale. Nello studio medesimo ho altresì osservato il fatto di anti- cipali più depresse comprese tra anticipali di rilievo maggiore. Quindi l'inalveamento d’un corso acqueo, ,tra le ultime portava di conseguenza una valle il cui scavo doveva proseguirsi sopra un anticlinaìe. Nemmeno sono necessarie grandi differenze altimetriche per avviare le acque in una direzione piuttosto che un’altra, ba- stando per ciò piccole varietà di livello. Certamente la figura attuale dei rilievi topografici non è sempre facile a spiegarsi, sparite tante masse superiori : e per questo sono di parere che non si devono limitare le cause g'ene- ratrici. Rintracciare il perchè della topografia dell’Apennino cen- trale, prescindendo non solamente dalle rivoluzioni prodotte dalle vicende plioceniche e quaternarie, ma anche dalla formazione del- l’eocene porterebbe a gravi errori. Benché rare e quasi impercet- tibili, pure vi sono tracce di questa formazione, e mostrano che una volta ne erano coperte quelle contrade: su quelle formazioni, chi sa come disposte, non essendo comprese dentro nessuna piega degli strati secondari, s’ inalvearono per la prima volta i corsi * acquei che oggi solcano un territorio totalmente mesozoico. La genesi di valli, per abrasione preventiva della massa di strati duri che ricopre strati teneri, dà invece spiegazione più adatta nel caso delle valli scavate sui fianchi delle anticlinali e parallele alla direzione di queste. Gli autori scrivono che conseguenza rimarchevolissima della erosione nei terreni ondulati è di produrre una disposizione topo- grafica finale, nella quale le depressioni primitive sono sostituite da rilievi e viceversa. Dalla spiegazione e dalla figura relativa vedo che si tratta delle valli scavate sopra alle anticlinali. La 173 Geologia e topografia poca esperienza che ho acquistata mi indica questo caso nella ca- tegoria dei fatti accidentali : ma qualora fosse regola nei paesi studiati dagli autori, mi confermerebbe sempre più nella persua- sione, che a spiegarla è indispensabile ricorrere alle rotture degli strati estradossali, oppure all’invertimento delle curvature procedendo dai piani superiori agli inferiori. Neanche, per quel che ho veduto, potrei convenire che i ro- vesciamenti siano di regola nelle masse composte da strati corru- gati, perchè non ne ho incontrati che eccezionalmente nei terreni che m’è capitato di osservare. Gli autori spiegano i bacini chiusi senza scolo esterno col- l'assorbimento delle acque nelle crepe di banchi calcarei superiori, e collo scavo da loro prodotto nelle formazioni di strati marnosi sottoposti, mediante dissoluzione delle marne : quindi caverne sot- terranee o ad un certo punto crollamento della volta. È pure questa una delle cause che producono le conche cra- teriche, ma non mi pare che sempre possa dimostrarne la genesi, la quale a volte non basta a dimostrare nemmeno l’intervento di dislocazioni prodotte nelle masse dai movimenti sismici, di sbar- ramenti per deiezioni vulcaniche. Antichi laghi, generati dali'increspameuto delle formazioni al loro emergere, possono aver avuto e conservato lo scolo mediante emissari sotterranei per permeabilità del sottosuolo o per crepe nelle rocce compatte; possono aver ostruito il canale dell’emissario incrostazioni, come si vede spesso nell’Umbria : alla cascata delle Marmore, nella gola della Nera tra i monti di Narni, nella gola del Tevere tra i monti di Todi; può una valle essere trasformata in bacino lacustre chiuso per interrimento allo sbocco, cagionato da conoidi alluvionali di confluenti o da altre cause, allorché lo scavo della valle è giunto ad un punto, che le acque raccolte per- dono tanto in evaporazione, da non potersi più elevare sopra la soglia interrata: come forse è avvenuto nel bacino del lago Fucino, e tendeva ad avvenire in Valdichiana, se non accorreva l’uomo a provvedere. Circostanze tutte che lo studioso bisogna abbia presenti, per riferire all’ima piuttosto che all’altra la costituzione dei bacini senza scolo esterno, in relazione ai fatti che gli risulteranno dalle osservazioni. 174 A. Verri. Geologia e topografia Queste poche obbiezioni mi sono venute alla mente nella let- tura dell’opera. Può darsi che dipendano dal non avere compreso bene il pensiero degli scrittori. Più che d'avere ragione sarei con- tento se il cenno datone invogliasse allo studio d'un libro, il quale mi sembra d’interesse grandissimo oggi, che si tende a considerare gli avvenimenti geologici con ponderatezza maggiore di quel che si faceva pochi anni addietro, ed a valutare con misura più giusta l’azione delle forze e del tempo. A. Verri. LE ROCCE ERUTTIVE DELL'EOCENE SUPERIORE NELL’APENNINO BIBLIOGRAFIA Achiardi (D’) A , Sui feldispati della Toscana. Boll. Coni. geol. ital. IL Fi- renze, 1871. — Sulla conversione di una roccia argillosa in serpentino. Boll. 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Le rocce più antiche dell’ Apennino formano altrettante isole o pieghe, collegate insieme dall’eocene superiore disposto per lo più ne’ sinclinali, costituente, salvo le più basse colline, la mas- sima parte di tutto il nostro Apennino, fuori dei monti della Tolta. Le roccie che lo costituiscono, lasciando a parte per un momento 180 C. De Stefani quelle eruttive, sono ben differenti da quelle eoceniche precedenti e rammentano assai quelle della Creta superiore. Sono calcari puri o marnosi, compatti (alberesi), schistosi o terrosi, bianchissimi, cenerini o grigi, qualche volta gessificati o cavernosi ; argille scure poco alterate, o molto schistose, quasi filladiche, o friabili in fran- tumi irregolari ( galestri ) od in isquame lucenti ( argille scagliose) ; arenarie, però assai rare e limitate, talora con ghiaiette di rocce antichissime; diaspri o schisti silicei (ftaniti) rossi o scuri; conglo- merati grossolani di rocce eruttive contemporanee (tufi, spilitiJ ofi- calci_, ofisilici); di rado brecciole nummulitiche : a destra della Pol- cevera in contiguità alle rocce cristalline antichissime sono schisti quarzosi, cloritici, lucenti, molto simili apparentemente a quelli antichi, fatto che in questo piano sembra ripetersi poi in circostanze identiche, all'isola d’Elba. Abbondano le fucoidi e le impronte ver- miformi negli schisti, ne’ calcari, nelle arenarie; i calcari più marnosi e più compatti sono interamente costituiti da foraminifere, special- mente da Glohigerinidae , qualche volta da spicule di spugna; i diaspri lo sono da Radiolarie: però i fossili macroscopici si possono dire mancanti, ad eccezione delle scarse Nummulites accompagnate da qualche altra grossa foramiuifera e da qualche grosso tronco per lo più silicizzato che qua e là apparisce nelle argille. Il deposito ha tutto l’aspetto di quelli di mare assai profondo e risponde perciò ad un periodo molto diverso da quello della p ecedente arenaria, accennando ad una generale immersione del paese con iscomparsa, probabilmente, di tutte le torre, isole e scogli che si trovavano prima nella regione dell’Apennino o nelle immediate vicinanze. Senza notevole profondità non avrebbero potuto conservarsi le de- licatissime e fugaci tracce ed impronte di tanti animali, che ogni più piccolo movimento delle acque avrebbe inevitabilmente scancel- lato. La permanenza però di qualche loutana terra è attestata an- cora dai grossi tronchi di cui dicevo e da altre tracce di vegetali. Nell’Apennino ligure e toscano, tra la Scrivia e l’Arno, si nota costantemente la parte inferiore di questo piano essere formata da calcari marnosi, schistosi, in cui è abbondantissima V Helminthoida làbyrinthica , mentre superiormente si estendono le argille ed i cal- cari compatti con le rocce eruttive, coperte talora da alberesi ('). (*) (*) De Stefani, La Montagnola senese, p. 448. 181 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apenmno Nel versante adriatico, poi, dalla Staffora al Foglia e tanto più quanto si procede a sud-est, le argille sono più fine e tanto meno alterate, sebbene in mezzo a ripetute e fitte pieghe; tra il Savio e il Foglia, i calcari sono più chiari, più compatti, benché mar- nosi, con caratteri insomma di mari anche più profondi, onde par- rebbe che sempre rimanessero quelle diversità regionali che già si manifestavano colla creta media e che procedendo dal Tirreno verso l’Adriatico e da settentrione a mezzogiorno si andasse a mari più profondi. Ciò combina pure, come vedremo, colle circostanze delle regioni attigue. I calcari gessificati o cavernosi pell’intervento di acque mineralizzate e di gas concomitanti si trovano nell’ Emilia da Vigoleno al Panaro ed in Toscana nella regione circostante ai Lagoni boraciferi tra l’Arno e L'Ombrone. Le antiche opinioni sull’origine delle argille, ritenute pro- dotte da vulcani di fango sottomarini, non hanno più oramai che importanza storica; oggi tutti i più valenti geologi italiani una- nimemente le ritengono sedimentarie e mi lusingo di avere in qualche modo contribuito aneli’ io, cogli argomenti addotti da molto numero di anni, a rafforzare questa opinione ed a mostrare che da una parte all’altra dell’Apennino appartengono a formazione unica ('). Quelle argille, per congerie di fossili microscopici, per sedimenta- zione, per mancanza d’ogni qualsivoglia carattere eruttivo hanno per eccellenza tutta l’ impronta di depositi acquei ; i movimenti f1) C. De Stefani, Geologìa del Monte Pisano (Menti. R. Com. geol. 1875), p. 49 e seg. — C. De Stefani (e Meneghini e D’Achiardi) , Delle argille gale- strine (Proc. verb. Soc. tose. se. nat. 10 nov. 1878, p. 40). — C. De Stefani, Jejo, Montalto e Capo Vaticano (Mein. Acc. Lincei, voi. 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Tra i fossili ricorderò almeno i principali seguenti pubblicati qua o là : Impronte fisiche ( Eoclathrus Squin.) Genova. Impronte fisiologiche ( Durvillitles ? eocenicurn Squin.) Genova. Chondrites furcatus Brong. Lagaccio (Squinabol). C. Fischeri H. Cornelia (Capellini). C. intricata Brong. Varzi, Viannino, Gello (De Stefani), Cor- nelia (Gap.), Vernia (Simonelli). C. affuii Sternb. (C. dolichophyllns Squin.?, C. ligurianus Squin.) Madonna del Monte (Squin.). C. Targionii Sternb. Lagaccio, Varese Ligure (Squin.), Val di Samoggia (Neviani), Viannino, Gello (De St.), Vernia (Sim.). C. arbmcuia Fisch. Oost. Varzi (De St.), Cornelia (Cap.), Val di Samoggia (Neviani). C. ? tacerai Squin. Madonna del Monte (Squin). C. patulla Fisch. Oost. (C. aequalii Brong. Squin.) Madonna del Monte Genova (Squin.). C. inclinatili Brong. ( C . pianatili Squin.) Varzi (De St.). Gaulerpa sp. Vernia (Sim.)., Hormoiira monili forrnii H. ( Minuteria minima Squin.) Ge- nova (Squin.), Vernia (Sim.). Heterodictijon iing alare H. Cornelia (Cap.), Chitignano (De St.). Ilalimenitei sp. n. Viannino (De St.). Gleichenophicoi granulomi Mass. Vetta del Granagliene (Cap.) Corniglio (Strobel). Comunissimo tra il Savio e il Foglia (Seara- belli, De St.) Zoophycoi f abelli forrnii Fisch. Montenero (De St.). Taenilium Facheri Heer {Minuteria annidata Schaft. Squin. M. Taeli Squin.). Caniparola (De St.). Madonna del Monte (Sqin.). Spongiari. Le spicule sono comunissime ne’ calcari dei- fi Emilia. Paleodictyon malia Mgh. Monte S. Maria (Perii zzi). P. Slrozsii Mgh. A7 ernia (Sim.). Ethmoiphaera vulgarii Pant. Crevole, Pietra, Monte Vaso, Terriccio (Pautanelli). E. iiphonophoritei Pant. Pietra (Pant.). 183 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino Riphidococcus lurianensis Pant. Pietra (Pant.). Histiastrum ? lurianense Pant. Pietra (Pant.). Trematodiscus soritoicles Pant. Pietra (Pant.). Fuchi Ionia Mullerites Pant. Pietra, Terriccio (Pant.). F. amoena Pant. Crevole, Pietra (Pant.). F. crevolensis Pant. Crevole (Pant.). E. grandis Pant. Pietra, Terriccio, Monte Catini in Val di Cecina (Pant.). E. dubia Pant. Pietra (Pant.). E. clathrata Pant. Savignano, Monte Catini (Pant.). Lithocircus Tlaeckeli Pant. Crevole, Pietra, Terriccio (Pant.). L. rhombus Pant. Crevole (Pant.). Cornutella pseudoprof linda Pant. Pietra (Pant.). C. pseudo clathrata Pant. Pietra (Pant.). Lithopera ovata Pant. Pietra (Pant.). Polystichia Ehrenbergi Pant. Crevole, Tocchi, Romito, Pietra, Savignano, Monte Catini (Pant.). P. Haeckeli Pant. Pietra, Terriccio, Savignano, Monte Catini ( Pant.). P. Muelleri Pant. Crevole (Pant.). Urocyrtis Emmae Pant. Crevole, Pietra, Monte Catini (Pant.). U Amaliae Pant. Pietra, Terriccio, Savignano (Pant.). L. De Stephanii Pant. Pietra (Pant.). Adelocyrtn cometa Pant. Crevole, Pietra, Savignano (Pant.). A. pala Pant. (Pietra). A. spinosa Pant. Crevole, Pietra (Pant.). Lithocampe Bombiceli Pant. Savignano (Pant.). Dictiocha Manzonii Pant. Savignano (Pant.). D. Bianconii Pant. Savignano (Pant.). Cristellariae Rio Maledetto (Neviani). Heterosteginae Rio Maledetto (Neviani). Operculinae Casentino, M. Stratino (Verri). Orbulinae Comunissime ne’ calcari dovunque. Globigerinae C. s. G. regularis D’ Orb. Vianniuo (Pant.). Alveolinae Pietra de Giorgi (Negri), M. Sporno (Karrer), Rio Maledetto (Neviani), Casentino, M. Stratino (Verri). Puloinulinae Viannino (Pant.), Rio Maledetto (Neviani). 1 84 C. De Stefani Textularia sp. Viannino (Pant.), Rio Maledetto (Neviani). Amphystegina mamillata D’Orb.? M. Sporno (Karrer). Nummulites sp. ? M. Sporno (Karr.), sub nomine N. biarrit- zensis e N. Tchihatcheffi Pietra de'Giorgi (Negri), Rio Maledetto (Ne- yiani), Colle di Montenero (Lotti), Colle Olivero presso Massa (Lotti). Orbitoicles sp. Pietra de’ Giorgi (De St.), M. Sporno (Karr.), Rio Maledetto (Neviani). Bourgueticrinus sp. M. Sporno (Karr.). Pentacrinus sp. M. Sporno (Karr.). Ilelminthoida labyrinthica H. (//. irregidaris Squin.). Comu- nissima in Liguria, in Toscana, nell’Emilia (Squin. Taramelli, De St.). Cylindrites ziìc zak Heer. Pontecosi (De St.). Ceratophycos bicornis H. Montaione. Lamia sp. M. Sporno (Karr.). Questi fossili sono quasi tutti utili solo a mostrare la rispon- denza dei vari lembi fra loro e direi quasi l'unità della forma- zione, la diversità dai terreni cretacei e l’identità con gli altri terreni eocenici a fucoidi d’Europa, specialmente col Flysch sviz- zero: ad eccezione però delle foraminifere sono poco atti a fare stabilire di per sè il preciso piano dell’eocene. La posizione stra- tigrafica degli strati fra il gruppo di Roucà, cioè il superiore del- l’eocene medio, e rocce indubbiamente rispondenti al piano di San- gonini, Laverda, Gomberto ecc., però con qualche discordanza ed interruzione sotto di queste, mi condusse già da molto tempo a stabilire, come cosa fuori d’ogni dubbio, l’appartenenza di tali rocce all 'eocene superiore ('), opinione oggi universalmente accet- tata. Le foraminifere stesse, del resto, rafforzano questo modo di vedere e dagli strati fossiliferi di M. Sporno, prescindendo da ogni altra considerazione ed ignorando probabilmente le conclusioni mie, il Karrer ed il Fuchs dedussero l’appartenenza di essi all’oligocene inferiore, che appunto viene ad essere sinonimo dell’eocene supe- riore, nome più generalmente accettato. La constatazione del fatto precedente ci fa equiparare i nostri strati al piano di Priabona nel Vicentino; se la Clavulina Szaboi creduta esclusiva di questo piano si trova nell’arenaria antecedente, conviene di necessità ri- (!) De Stefani, Cronologia dei terreni terziari della Toscana (Proc. verb. Soc. tose. 7 luglio 1878). 185 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino conoscere che abbia avuto durata alquanto più lunga di quel che non si credesse. Stupisce l’affermazione del Rust, ripetuta inconsape- volmente dal Haeckel, che le radiolarie studiate dal Pantanelli per la prima volta, provengano dal Lias ; ciò mostra la leggerezza con cui sovente alcuni paleontologi e geologi vogliono giudicare in cose che non conoscono. Non si termini questo argomento senza esplicitamente richia- mare che de’calcari nummulitici se ne sono incontrati in tutti i differenti piani dell' eocene e nel miocene inferiore ; onde male si apposero quelli che tutti i diversi calcari unirono in un piano solo e peggio quelli, a scorno della geologia apcnninica, che credettero il nummulitico proprio di un solo periodo dell’ eocene. Ordinariamente questo piano, per isgravio di fatica o pella difficoltà di una più precisa determinazione, circostanze che ormai dovrebbero essere cambiate, è conosciuto col nome di piano li- fi /tri ano. Nel 1853 Carlo Mayer (J) adottando il sistema degli ordi- namenti d' Alcide d’Orbigny, per tutti i terreni della Liguria com- presi fra il piano nummulitico nizzardo ed il tongriano o bormi- rliano sovrastante, propose il nome di piano Uguriano , cui egli ne’ suoi scritti ha attribuito un’altezza massima, molto inferiore al vero, di 3 a 400 metri. Le serpentine comparivano in mezzo ad esso, come secondo lui in mezzo ad altri terreni successivi, per eruzioni posteriori. In tutta quella serie di terreni non era fatta alcun’altra distinzione, nemmeno quella delle arenarie le quali stanno costantemente) distinte ed inferiori nella serie. Tolte queste è certo che il Uguriano del Meyer risponde alla parte superiore dell’eocene. Nel 1805 il Pareto {Note s. les subd .) nel proporre le divisioni dei terreni dell’Apennino settentrionale, dopo aver fatto un piano nieeano pei calcari nummulitici (Eocene medio, parte inferiore) del Nizzardo, proponeva il nome di Uguriano per le stesse rocce successive che erano state considerate dal Mayer nel 1857. Bisogna ritenere per fermo che il Pareto conoscesse la denominazione proposta dal Mayer, e quand'anche non l’avesse conosciuta, come sembra implicitamente ma senza fondamento sup- (!) K. Mayer, Versuch einer Classi fication der Tertiaer-Gebiìde Eu- ropo's (Verh. d. schweiz. naturforsch. Gesellsch. Trogen, Appenzel 1853). 18(5 C. De Stefani posto da taluni, certo il nome liguriano deve attribuirsi al Mayer come più antico, non al Pareto. Il Pareto però aggiunse a quel terreno anche la massa del vero macigno , estesissimo, come egli stesso diceva, in Toscana, e nel fare ciò confondeva più esplicita- mente del Mayer due terreni, uno dei quali, l’arenaria o macigno , più antico e poco esteso in Liguria. Nello stesso tempo il Pareto riconosceva il predominio di scisti argillosi e di galestri con calcari a fucoidi nella parte superiore di quel piano liguriano , e la estesa diffusione di questi schisti e galestri nel Modenese; onde fece un nuovo piano modenese intermedio secondo lui al liguriano ed al bormidiano o tongriano. Questo modenese dunque sarebbe una di- visione superiore del piano liguriano del Mayer. Nel fatto poi, ciò che sminuisce e toglie ancora più impor- tanza alle distinzioni del Pareto, rendendole sempre più artificiali, siccome non si conoscevano i ripetuti ripiegamenti e le inversioni degli strati, molti terreni più antichi erano attribuiti, per ragioni topografiche, al piano più recente, e viceversa; ponendosi tra ligu- riano e modenese una distinzione più geografica che altro. Chi volesse in tutti i modi accettare quei nomi, correggendo e rettificando le divisioni secondo gli studi più recenti, potrebbe avere i terreni eocenici divisi come segue: 1° Piano liguriano (Mayer) limitato nel significato dal Pa- reto. Arenarie dell’eocene medio e calcari ad Helminthoida; 2° Piano modenese (Pareto). Galestri, calcari, e zona ser- pentinosa. Però le proposte del Pareto pel piano modenese non hanno avuto seguito: quasi solo se ne è dichiarato seguace il Taramelli, * il quale interpreta diversamente da me la stratigrafia deH’eocene superiore apenninico. Senza indagare se egli abbia interpretato ret- tamente o meno l’ordinamento del Mayer e specialmente quello del Pareto, ordinamento che pelle sue incertezze e confusioni può pre- starsi ad interpretazioni diverse, certo è che la serie dei terreni cui l’ordinamento è applicato non risponde a quella da me stabilita. Pel Taramelli, le rocce serpentinose, gli alberesi, la zona arena- ceo-scistosa con nummuliti, rispondono al piano 1° liguriano ; i galestri, il calcare a fucoidi, i calcari ad Elminthoidea rispondono al piano più recente modenese. Invece la zona serpentiuosa con gli alberesi concomitanti fu da me attribuita al piano superiore, Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino 187 se vuoisi al così detto modenese; ed i calcari ad Helminthoida al piano 1° li g ariano. Queste orig.nali contraddizioni e queste incertezze di applica- zione degli autori e di chi li seguì giustificano ampiamente quelli che non accettano le dette denominazioni, le quali del resto non precisano affatto la posizione relativa di quei terreni ed i loro rap- porti cogli altri coetanei. Perciò credo che i nomi liguriano e modenese debbano definitivamente abbandonarsi, come fu abban- donato quello di niceano proposto dallo stesso Pareto pei calcari nummulitici dell'eocene medio. Non mi fermo poi a considerare l’ultime opinioni del Maver che unisce al liguriano , le ligniti di Cadibona e Nuceto, le più tipiche rappresentanti del così detto aguitaniano , ne quelle del Sacco che ritiene il liguriano sotto- stante al bar tornano cioè all’eocene medio. Roccie identiche nella stessa posizione stratigratica si ripe- tono nell’isola d’Elba, con rocce eruttive (Q, e, benché non repu- tate distinte da quelle sottostanti, nella Liguria occidentale a sud di Albenga (2) e nei dipartimenti finitimi francesi all’esterno del giro che le Alpi marittime e le occidentali fanno fino in Savoia ed in Isvizzera. Paleontologicamente rispondono al piano di Priabona, secondo Hébert e Meunier Chalmas ( Terr. tert. Hongrie p. 3 ; Terr. tert. Vicentin p. 2), i calcari nummulitici di Branchai e d’Allons nello Basse Alpi ed altri nelle Alte Alpi e in Svizzera, non che quelli di Biarritz nei Pirenei. Lascio incerti i paragoni paleontologici coi calcari nummulitici di Yen ce, Fontana Jariel, La Mortola, Palazzo Orengo, Palarea ed altri luoghi delle Alpi marittime, perchè questi più verosimilmente secondo me vanno uniti ai piani precedenti. Nei detti luoghi, ad eccezione della Svizzera, man- cano però le rocce eruttive, quantunque sia persuaso che almeno tenui conglomerati di esse, cercando meglio, si dovranno trovare. Da queste regioni verso settentrione, cioè verso la Provenza e il centro della Francia e verso l’ Alsazia troviamo in quell’età, non più formazioni marittime come in quella precedente, ma depositi (!) Lotti, Desc. fjeol. dell'isola d'Elba. Roma 1886, p. 67 e seg. (2) Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi occidentali (Boll. Coni. geol. 1887, p. 395 e seg.), 188 C. De Stefani gessosi e lagunari litorali e verso la Germania settentrionale in- contriamo una estesa formazione lignitifera ('). Convien dire dunque che le circostanze de’ tempi anteriori si fossero invertite, che cioè la regione alpina si era ristretta e forse abbassata, mentre l’Europa settentrionale ed occidentale si era di nuovo alzata. Invece nelle Alpi orientali e più ad oriente ancora neH’Austria-Ungheria tro- viamo depositi prettamente marini. Nel Vicentino equivalgono ai nostri, come si disse, gli strati a orbitoidi, operculine e Rotularia spindaea del gruppo di Priabona, che terminano colle marne a briozoi di Brendola e coi calcari a polipai di Crosara e San Luca (Hébert et M. Chalmas Terr. Vie. p. 2); in Ungheria equivalgono i calcari di Buda e le marne a Clavulina Szaboi (Hébert et M. Chalmas, Terr. Hong. p. 3). Così pure scendendo dall’Apennino settentrionale verso mezzogiorno e oltrepassando l Apennino centrale in cui simili depositi, eccetto in brevi tratti delle regioni confinanti, sono poco o punto studiati, in quello meridionale e poi in Sicilia (-) si ripetono nell’eocene depositi i quali per la loro estrema analogia se non identità con quelli da noi esaminati tra il Savio e il Foglia, salvo la maggior frequenza de' calcari nummulitici, attestano la continuazione di un mare assai più profondo, che poi, appro- fondandosi, si estendeva ancora dal Sahara all’Arabia, al Kasch, al Guzerat, al Brahmaputra. NeH’Apennino meridionale la posi- zione altissima degli strati prova che niuna parte dell’ antichissima giogaia era all’asciutto, che però la forma ch'essa avea nel fondo del mare era quale ha oggi in terraferma. Dopo che io ebbi esplo- rato ed illustrato que’ luoghi, mi è venuto il dubbio, che non ho più potuto schiarire, che molte delle argille e de’ calcari alberesi a fucoidi ch’io ho attribuito al miocene medio (:1) perchè strati- graticamente stanno sopra al miocene inferiore, appaiano così solo per effetto di pieghe rovesciate, pendenti, all’opposto di quelle del- l'Apennino settentrionale, verso il mare Jonio, che è la continua- zione dell’ Adriatico nostro. In tutti que’ luoghi non è più alcuna traccia di roccie eruttive. Queste però si palesano ancora, e credo in terreni della medesima età, in mezzo all’Adriatico, nelle isole (') Suess, Ant. d. Erde, II, p. 381. (2) De Stefani, Jejo, Montalto, Capo Vat. capo IX, p. 00 (3) De Stefani, 1. c. capo XI, p. 106. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino 189 Pomo e Pelagosa (') e secondo ogni verosimiglianza continuano nella Bosnia, nell' Erzegovina (-), nel Montenegro (3) e nell’Eubea (Q. Quindi le osservazioni sulle rocce eruttive serpentinose che pos- siamo fare neH’Apennino settentrionale avrebbero importanza pella geologia di gran parte dell'Europa meridionale. § 2. Peridotite. Passiamo ora a questo argomento delle rocce eruttive, pre- mettendo un riassunto sommario delle descrizioni litologiche, ma solo di quelle più precise e più accurate. Esse compaiono nel nostro Apennino dovunque sono roccie dell'Eocene superiore, cioè per tutto, meno uei monti della Tolfa. L'argomento è talmente importante pella geologia d’Italia, anzi pella geologia generale, che niuno degli studi fatti può essere mai soverchio ad illustrarlo, e fa meraviglia come si pretenda sovente schiarirlo senza ricorrere a tutti gli aiuti che la scienza odierna ci dà. In qual modo si potrà ragionare di esso senza conoscer bene la litologia delle roccie che costituiscono la formazione od almeno senza saper apprezzare nel giusto modo le cognizioni che si hanno? E come si poteva trattare a fondo l'argomento quando fino a poco fa, anzi direi quasi tuttora, la for- mazione si chiama serpentinosa, non per antonomasia ma colla reale credenza che le serpentine formino la massa fondamentale, quasi unica, e quando, a dispetto degli studi fatti dai litologi a tavolino, molti seguitano a chiamare serpentine tutte le roccie le più disparate? Assai fu fatto recentemente dai litologi pelle ser- pentine, forse perchè davano il nome alla formazione ; meno pelle altre rocce assai più estese ed importanti. È duopo però convenire che da qualche tempo vari insigni geologi italiani applicano anche (>) M. Groeller von Mildensee, Topogra/isch-geologisclie Skizze cler In- selgruppe Pelagosa (Mitth. a. d. Jahrb. d. k. un g. geol. Anst.), Bd. VII, 1885. (2) E. v. Mojsisovics, E. Tietze, A. Bittner Grundlinie der Geologie veti Bosnien-FIercegovina (Jahrb. d. geol. Pieichs. XXX, 1880). (3) E. Tietze, Geologische Uebersicht von Montenegro (Jahrb. d. geol. Reichs. 1884). (i) T. Fuchs, Ueber die in Verbindung mit Flyscligesteinen und grilnen Schiefern vorkommenden Serpentine bei Kami auf Euboea (Sitzb. d. Ak. d. Wiss. Wien 1876). 190 G. De Stefani sul terreno le debite distinzioni litologiche, la cui necessità, mi sia lecito dirlo, proclamai ed applicai da vari anni ('). Sia esem- pio di ciò la Carta geologica delle riviere liguri di Issel, Maz- zuoli e Zaccagna. Principiamo dunque l’esame litologico delle rocce quali esse sono. Principale fra esse è la Saxonite : i litologi e geologi italiani, primo il Cossa (2), l’hanno distinta nei vari piani delle roccie verdi d’ Italia, col nome di Lherzolite, lo Striiver e alcuni altri, con nome più generico, benché proprio, l’hanno chiamata Peridotite. Questa roccia nell’eocene superiore non è, se non molto di rado, la tipica lherzolite , perchè all 'olivina si aggiunge Yenstatite o bronzile e manca quasi sempre tra i componenti normali il diallagio : una volta bensì Yenstatite era sempre creduta diallagio , come anche dal Berwerth a Rosignano. Essa pella frequente presenza della bastile proveniente dal Yenstatite fu con alcune altre rocce bastitiche com- presa col nome di Schiller fels o bastiate ; il Wadsworth sul falso annuncio di una ‘peridotite con bronzile di Kussdorf fatto dal Dathe, propose il nome saxonite (3) ; aggiungendo però sotto tal nome descrizioni e figure parecchie di rocce d’altri luoghi costituite da enstatite ed olivina. Più tardi fu mostrato che tale roccia non si trovava affatto a Russdorf in Sassonia, onde il Rosenbusch, con questa scusa, propose il nome nuovo di Harzburgite (J). Giuridi- camente però e secondo le comuni norme mi sembra preferibile il nome di saxonite fino a che non sia mostrato che le descrizioni del Wadsworth siano erronee o che non esiste la unione dell’o/?'- vina colla enstatite. Questa saxonite , benché fra noi accennata oramai da Tsclier- mak, Berwerth, Bonnejq Cossa, Mattirolo, Mazzuoli, Busatti, e da altri in quasi tutte le regioni, si può dire non si trovi mai perfettamente conservata. Di tale se ne possono trovare qua e là solo dei campioni limitati e accidentali, come risulta dalle descri- f1) I)e Stefani, La Montagnola senese (Boll. Coni. geol. capo VI). (2) A. Cossa, Intorno alla lherzolite di Locana nel Piemonte (Atti R. Acc. se. di Torino, IX, 1873-74). (3) M. E. Wadsworth, Lithological studics Cambridge, Mass. 1884. (•*) H. Rosenbusch, Mikroskopische Physiographie der massigen Gesteine. 2 Aufg. Stuttgart, 1887, Bd. II, p. 269. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Ap emulino 191 zioni che si possono vedere in proposito. Più o meno alterata si trova in tutti i luoghi dove è indicata la serpentina e per poca pratica che uno abbia, scopre, ad un esame superficiale sul suolo, il grado più o meno avanzato dell’alterazione. Già i primi scien- ziati che osservarono microscopicamente le nostre serpentine, come lo Tschermak, il Bonney, sebbene non proponessero il nome, ne conoscevano 1'esistenza. Nella Liguria orientale la saxonite \ nei rari casi in cui è perfettamente conservata, è costituita secondo Cossa e Mattirolo da minutissima e fitta agglomerazione granulare di olivina entro cui stanno porfiricamente disseminati grossi prismi laminari di enstatite traversati sovente da YY olivina stessa. In pic- cola quantità si aggiungono uno spinello , per lo più picotite ed un pirosseno probabilmente augi te , come magnetite e talora ilme- nite (Ferriere). La presenza dell’augite segna un passaggio alla Pikrite {olivina e augite), la quale però non è mai stata osser- vata. Invece la scarsità non infrequente della enstatite rende pos- sibile la presenza qua e là di tratti parziali costituiti da sola olivina j attribuibili alla cianite {olivina e cromile). Rarissimi, come dicevo, sono i casi in cui Y olivina sia in- tatta; talora è appena idratata e alterata; quasi sempre lo è in gran- dissima proporzione e diventa mineralogicamente un serpentino , come serpentina è chiamata la roccia e questa è altrettanto comune quanto la detta saxonite è rara e sporadica. Sembra che la enstatite , alme io in certi casi, duri intatta più a lungo della olivina , poiché si trovano serpentine con en- statite inalterata (Voltaggio, Liguria orientale, Levanto, S. Colom- bano, Prato, Rosignano, Monte Castelli, mentre talora Y olivina è al tutto scomparsa (S. Colombano). Il più delle volte anche Y enstatite si idrata e si converte in bastile. La serpentina ha ordinariamente ma non sempre una struttura a reticoli, racchiudenti il più delle volte grani irregolari, non però cristalli distinti, di olivina in via di dissoluzione e lamine di bastite (Valle del Chiaravagna, Liguria orientale, S. Margherita, Pignone, Prato, Gabbro. Vi rimangono conservati grani di picotite (Levanto, Rio dei Gavi, Rocchetta di Vara, Rosignano, Monte Castelli. Il Bonney afferma aver trovato nelle serpentine di Levanto, oltre la picotite , l’ enstatite , e Y augite anche diallagio , circon- dato da un orlo di materia simile a talco: diallagio trovò il Mat- 13 192 C. De Stefani tirolo nella saxonite di Pria Borgheise, onde si ha un passaggio alla Iher solite (Olivina, Bronzite, Diallagio). Il Mattirolo vi trovò pure della labradorite convertita a volte in saussurrite con aghetti di zoisile. La bastile è sovente traversata da serpentina (S. Mar- gherita, Pignone, Prato). In altri casi mentre l' idratazione del X olivina è completa per modo che ne è scomparsa ogni traccia, anche l 'enstatite e la ba- stile sono scomparse, lasciando al loro posto larghe chiazze di ma- teria cloritica (Pietra nera, Secchiano sul Marecchia). A fermasi che al paese del Gabbro la bastite sia alterata in un silicato idrato di magnesio, bianco, amorfo, ocraceo. Sono quasi sempre nel serpentino, non però tra i componenti normali, ma in vene, la steatite , la tremolite , il crisotilo , la me- taxite. La saxonite incompletamente alterata in serpentino , con vene di crisotilo, forma le ranocchiaie (Liguria orientale, Toscana ecc.): erroneamente considerai altra volta questa roccia come una mescolanza di serpentino e di gabbro. Secondo me non si può mettere in dubbio, in tutto il nostro Apennino, la provenienza della serpentina dalla saxonite , varietà di peridotite che sarebbe la roccia madre e primitiva. Il rapporto de' materiali costituenti la serpentina e la saxonite non potrebbe essere più stretto, bastando, a produrre quella, l’alterazione di questa, quale necessariamente deve verificarsi allorché la roccia accostandosi alla superficie rientri nel campo delle azioni ossidanti e idratanti dell’involucro atmosferico. Serpentina e bastite non sono che oli- vina ed enstatite idradate. Quale sia la facilità dell’ olivina ad alterarsi in serpentino è universalmente noto ed è noto non essere mai la bastite un minerale primitivo ma sempre un prodotto di alterazione. Perchè la saxonite diventi serpentino occorre che ad ogni 100 parti della roccia primitiva se ne aggiungano 14 a 15 di acqua; aggiunta, però, la quale, come l’alterazione, non procede d’un tratto ma poco a poco. La semplice aggiunta d’acqua produr- rebbe solo una trasformazione dell'olivina in villarsite , notata dal Dufrenoy anche nelle miniere di Traversella nelle Alpi, e dell’a- stante in diaklasite (Q, minerali i quali certamente debbono tro- pi J. Roth, Allgemeine und chemische Geologie, Bd. I, Berlin 1879 p. 114, 121. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nelVApennino 193 varsi nelle saxoniti del nostro. Apennino ; ma ancora non lo furono. Ma quando si accompagnino altre reazioni chimiche la trasforma- zione della roccia è completa. Infatti oltre raggiunta di acqua, per cambiare l 'olivina in serpentino è necessaria una sottrazione di magnesia; per cambiare Yenstalite in bastile è necessaria invece raggiunta di questa base; la saxonite perciò, senza bisogno che di acqua, trova in sè gli elementi per trasformarsi completamente in serpentina ; anzi l’alterazione di uno de’ suoi componenti trae seco quella dell’altro (Roseubusch I, p. 403): nella serpentina poi certi altri elementi sovrabbondanti si assettano chimicamente e mineralogicamente, formando la magnetite, l’asbesto ed altri simili minerali. Certi elementi, come la picotite , resistono inalterati. Per le dette ragioni forse la saxonite è di quelle rocce, anche piìi tfelle altre pendoliti , che mai vieu fatto di trovare perfettamente inalterate ('). Una alterazione (YslYaugite e forse anche della ba- stile può condurre alla formazione di dorile quale verificammo in qualche luogo. Simile trasformazione della basiite fu constatata dal Kuop nella serpentina di Waldheim (2). Il Mazzuoli suppose che invece d’essere la serpentina un pro- dotto d’alterazione ù.q\Y olivina e di conseguenza la bastile della t ’.nstatite, si verificasse l'opposto, fosse cioè l’ olivina derivante dalla disidratazione della serpentina la quale si sarebbe formata in origine tal quale: ciò posto sarebbe parso più facile sostenere la sua origine per via idrica sedimentaria. Già il Lotti si mani- festò contrario a questa supposizione (3). Non è litologo il quale non affermi oggi essere la serpentina costantemente derivata da alterazione di altro minerale, mai originariamente formata; baste- rebbe poi studiare le sezioni microscopiche onde persuadersi di ciò. Chiaramente infatti si vede che Yolivina è un minerale in via di dissoluzione, di sfacelo, di trasformazione in serpentina ; mentre si presenterebbe assai diversamente qualora si trattasse di materia in perfetti cristalli, per quanto microscopici, in via di neo- formazione nell’interno d’un magma serpentinoso. Questa formazione, benché non se ne abbiano prove, è probabile possa avvenire per ser- f1) Roseubusch, Miti. Phys. II, 270. (2) Blum. Pseudom. II, 166. (3) In Busatti, Studi pete. 1887. 194 C. De Stefani pentine portate a profondità nella terra in regioni induttrici, non ossidanti, ma è contrario alla potenza ossidante e idratante della superficie terrestre che superficialmente avvenga. Non è poi la prima volta che l'ipotesi è stata manifestata ed esclusa: anzi lo fu fin da quando per la prima volta si scoprì il serpentino pseudomorfo dell’olivina. Breirhaupt, nel 1831, fu il primo a riconoscere, nei famosi cristalli di Snarum in Norvegia, la trasformazione dell'oli- vina in serpentino ('), confermata poi dal Quenstedt (-) ; Scheerer, Tamnau ed altri la negarono supponendo che si trattasse di veri cristalli di serpentino; ma Rose con analisi la confermò (3) e più tardi Volger e Webskv estesero assai l’importanza di quel fatto, dandone ulteriori prove. Oggi tra gli scienziati non è più chi du- biti dell'origine secondaria del serpentino (-1), il quale porta quasi sempre con sè le tracce della roccia onde derivò (5). Sul modo di trasformazione dell’olivina in serpen ino studiò a fondo lo Tscher- mak (r'). Possiamo dunque ritenere per fermo che il serpentino è derivato dalla olivina , non questa da quello. Una soluzione di serpentino per opera di acque verosimilmente calde e mineralizzate, come anche sperimentalmente si è provato (7), può dar luogo a rideposizione di crisotilo e di metaxite quale si vede nelle vene delle ranocchiaie e di tufi sementinosi (8). f1) A. Breitliaupt, Ueber den Serpentin (N. Jahrb. d. Chem. u. Phys. 1831, p. 281). (2) Quenstedt. Ueber die A fierkry stalle des Serpentins (Poggend. Ann. Bd. 36, 1835, p. 370). (3) G. R so, Ueber die Pseudomorphosen des Serpentins von Snarum - und die Bildung des Serpentins in Allgemeinen (Poggend. Ann. Bd. 82, 1851, p. 511). (4) J. Rotli, Ueber den Serpentin und die genetischen Bezieliungen derselben (Abh. d. k. Ak. d. Wiss. Berlin, 1870, p. 329). — Rosenbusch, Mik. Phys. Bd. II, 1887, p. 258. — R. Brauns, Studien iìber den Palaeopikrit von Amelose (N. Jahrb. Beilage Bd. V, 1887, p. 276). (5) F. Sandberger, Ueber Olivinfels und die in demselben vorkommen- den Mineralien (N. Jahrb. fur Min. 1886, p. 385). (6) G. Tscherraak, Ueber Serpentinbildung (Sitz. d. Ak. d. Wiss. Wien, Bd. 56, 1867). (7) R. Mailer, Tschermak Mitth. 1887, p. 25. (8) A. Schrauf, Beitracge zur Kenntniss des Associationskreisc der Ma- gnesiasilicate (Zeitschr. f. Kryst. VI, 1882, p. 321). — Brauns, Stud. iib. Pa- lacop. p. 282. Le rocce eruttive clell'eocene superiore nell' Apennino 19.5 TI Cossa e qualche altro hanno supposto che alcune delle no- stre serpentine eoceniche provenissero da alterazione di sola disiatile per la trafila della bastile , o di altro situile pirosseno. Benché non ne ragionino ex professo , ammettendo essi la cosa come assioma- tica. si fondano sul fatto che in taluni pezzi di serpentine (S. Co- lombano p. Bobbio) mentre rimane X distatile mancano tracce della olivina; altra volta (S. Margherita, presso Bobbio, Pignone p. Spe- zia, Prato) la bastile è tutta traversata da serpentina che si crede provenire da essa, e talora finalmente (Pietra Nera p. Bobbio) man- cano tracoie d AXolioina e anche dell ' e listatile trovandosi col ser- pentino solo la clorite. Che 1 ’enslatite possa dare origine al serpentino è cosa comune- mente ammessa, quantunque ciò sembri ad ogni modo poco frequente. Lo ammettono per certe serpentine dello Stato di Nuova York il Dana (Silliman’s American Journal, 1874, p. 448), di Sassonia il Dathe (N. Jahrbuch fur M.neralogie, Geol. uud Pai. 1876, p. 839), dei Yosgi il Weigand ('). L 'enstalite non è che un silicato anidro di magnesia più ricco in silice dell’olivina. La bastile che ne de- riva, per acido e per complesso delle basi ha composizione chimica identica al serpentino derivante dall’ olivina, salvo un po’ più di ferro che compensa un po’ meno di magnesia e traccie di calcio. La baslite si può dire già un serpentino (H2 03 Mg 02 Si 02 -j- aq). Però ammettendo che alcune nostre serpentine provengano da e li- statile si cozza contro gravi difficoltà. Conviene infatti ammettere la liberazione di una grande quantità di silice, della quale invece si vedono tracce poco ragguardevoli, o l’aggiunta di notevoli quan- tità di magnesia, ciò che sarebbe anche più difficile ad ammettersi. Tutte queste difficoltà scompaiono per la saxonite, tra i cui elementi ha luogo una mutua compensazione di magnesia quando si formi la serpentina. Del resto manca nel nostro Apennino ogni traccia di roccia esclusivamente enstatitica od altrimenti pirossenica, benché se si trattasse d’altro pirosseno fuori dell’enstatite le diffi- coltà aumenterebbero assai. Nell’enstatite intatta trovasi rinchiusa l’olivina e ciò spiega come vene di serpentino trovinsi nell 'enstalite e nella bastite senza bisogno di supporre che provengano da queste. p) Weigand, Die Serpentine der Vogesen (Tschermak. Min. Mittli. 1875, p. 183). 196 C. De Stefani L’olivina poi può certo alterarsi completamente e ciò spiega come, sebben di rado, possano del tutto scomparirne le traccie, senza che si abbia il diritto d’affermare essere la serpentina derivata da altra materia che l’olivina. Negli ultimi stadi di alterazione i cri- teri dati da Hussak (') ed altri per distinguere le serpentine de- rivate da pirosseno monoclino e quelle derivate da olivina, non possono più esser presi come assoluti affatto. Si può concludere dunque che la nostra serpentina dell’eocene superiore deriva costan- temente dall’alterazione di una saxoaite , talora accennante a dunite e a piente , talora a Iher solite. 11 Berwerth credette che la ser- pentina di Rosignano derivasse dal diallagio; ma confuse con questo la bastite e la em-tatite, come risulta anche dagli studi che il Cossa fece sulla roccia dello stesso luogo. Il Rosenbusch ha già attribuito a questa roccia, col nome di harsburgite (Bd. II, 1887, p. 271), gli esemplari del Gabbro stu- diati dal Cossa ed altri dell'isola d'Elba, soggiungendo che dessa è comune nell’Apennino ; egli poi mantiene come Iherzolite (p. 272) la roccia di Pria Borgheise nel monte Penna de.-critta dal Mattinilo con quel nome, quantunque ivi il diallagio sia sporadico e secon- dario, come in altre saxoniti, non principale come nelle Iher- soliti : egli pure incidentemente, per errore, accenna alla presenza della wehrlite (t. II, 268) (olivina e diallagio) al Monte Ferrato presso Prato. Della supposizione che la serpentina derivi da alterazione del gabbro dirò fra poco. L’altra ipotesi del D'Achiardi (2) e d alcuni altri, che la detta roccia sia talora una semplice trasformazione di schisti argillosi, . non ha alcun fondamento scientifico se non nell’analogia di color verde fra certe argille ed alcune prossime serpentine. (L E. Hussak, Ueber einige alpine Serpentine (Min. und Petr. Mitili, von Tscliermak, 1882, t. V, p. 61). (2) D’Achiardi, Sulla conv. di una roccia arg. in serp. (Boll. Coni, geol. 1874, p. 366). Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell'Apennino 197 § 3. Gabbro. Pochi studi microlitologici sono stati fatti sul nostro gabbro dal Berwerth, dal Bonnejr, dal Corsi, dal Cossa, dal Di Poggio. E singolare come gli scienziati italiani, pronti sempre ad accettare quanto viene dagli stranieri, non abbiano accettato la parola gabbro che uno straniero tolse ad uno de’ paesi nostri, toscani. Fu discusso anche alla Società geologica italiana sulla preferenza da darsi alle paiole eufotide o gabbro ('). Parlarono Lotti, Maz- zuoli, Capellini, Cocchi, Issel; ma ninno rammentò che la que- stione era fatta un'altra volta in Italia, pelle stampe, da parte del Brongniart (2) e, non conoscendo tutte le circostanze di essa si espressero pareri ai quali non posso completamente sottoscri- vermi. In Toscana e ne’ paesi confinanti chiamano gabbro in generale tutte le rocce verdi eruttive, senza distinguere natu- ralmente le varie specie. Non solo applicano quella parola alla serpentina ed all’ eufotide, che ha poi il nome più speciale di granitone ; ma anche alle diabasi , tanto è vero che la usano pure in luoghi ove non sono altro che diabasi , come in Garfagnana ; anzi anche a rocce a Tatto sedimentarie che abbiano colore cupo, superficie scabrosa, irregolare, sterile. Ignoro quale sia l’origine filologica della parola ; ma certo da essa derivarono i nomi di Gab- bro, i Gabbri , le Gabbra , Gabbreto , Gabbriccie , ecc. che si trovano in tante parti di Toscana, applicati a fossi, monti e paesi i quali non diedero il nome ma lo presero dalla parola gabbro. I più antichi geologi italiani chiamarono granitone il gabbro , nome tolto dal volgare e adoperato in senso volgare, che non venne in seguito adoperato. Von Buch nel 1810 propose la parola gabbro nel significato odierno, errando, se vogliamo, in ciò che adot- tava per una delle specie il nome del genere: ma una volta in- trodotto nella scienza e ben precisato, esso diventò per questa specifico, come del resto è accaduto alle parole granito , porfido , (0 B. Lotti, Gabbro od Eufotide ? (Boll. Soc. geol. it. t. V, 1886, p. 460) Seduta 26 ottobre (Ibidem p 483). (2) A. Brongniart, Classification des rocb.es Paris 1827, p. 75. 198 C. De Stefani gneiss, alabastro , ecc. ecc. Hauy alcuni anni dopo e principal- mente nel 1822 proponeva in Inghilterra il nome di eufotide per una roccia costituita da sausurr/ te Q) cioè per un gabbro alterato. 11 Brongniart ed altri portarono il nome altrove e spe- cialmente in Italia dove, solo fra tutti i paesi d’Europa è ri- masto, forse palla grande autorità del Savi che lo adottò, non senza qualche apparente ragione, dacché il gabbro italiano è sempre o quasi sempre con sausurrile ; ma d’altra parte con arbitrio perchè esclude un nome più antico applicato già alla medesima roccia. A me pare dunque che il nome di gabbro come più autico e come bene specificato debba preferirsi anche dagli italiani. Quand’anche si voglia tolto al paese de’ Monti Livornesi, il più grosso che abbia nome di Gabbro , è certo che ivi gabbro od eufotide ne è in abbondanza. Il Savi, distinte la serpentina , Yeufóti/e e la diabase verde ch’egli chiamava diorite , e talora, quando non la riconosceva per tale, gabbro verde , continuò a chiamar gabbro tutte le altre roccie; ma senza criterio scientifico, distinguendo solo pel diverrò coiore il gabbro verde dal gabbro rosso e riunendo in questo, come il volgo, calcari e schisti, nè riconoscendo i rapporti che legano uno all’altro, i quali furono pella prima volta stabiliti da me; coma pella prima volta riconobbi che il gabbro rosso eruttivo era una diabate alterata (-). Questa cosa i disquisitoli della Società geologica non la rammentarono, attribuendola al Savi, forse per essere ora la distinzione univer- salmente accettata, sì da parere antichissima ed intuitiva: l'aver dunque il Savi applicata erroneamente la parola gabbro alle dia- basi e ad altre rocce rosse estremamente differenti non è ra- - gione perchè quel nome non si debba con proprietà applicare alla eufotide. In quei pochi casi nei quali il nostro gabbro fu studiato mi- croli tologicamente vi si trovò 1’ olivina o, come sua alterazione, il serpentino (Pignone, Prato, Campillore) : esso è dunque almeno il più delle volte gabbro olivinico , roccia che del resto è quasi più comune del gabbro tipico (Kosenbusch IL 149). È costituito 0) Hauy, Traité de Mineralogie Paris 1822, IV, p. 535. (2) De Stefani, Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono l'Apen- nino settentrionale (Atti soc. tose. se. tiat. voi. V, 1881, p. 234. Le rocce eruttive delVeocene superiore nell'Apennino 199 da labradorite , spesso verdastra o bruna, da diallagio , da olivina in piccoli grani (Prato, Campillore) con inclusioni di apatite (Prato, Carapillore) e di zircone che rimangono sempre inalterati (Riviera di Levante, Prato), di picotite o cromite e di ùtanite o di ma- gnetite. Il Di Poggio afferma aver trovato inclusioni vetrose nel dial- lagio da lui detto augite e nella labradorite del gabbro , da lui detto diabase olivinico , delle Campillore presso Miemo, fatto però molto insolito che solamente De la Vallèe Poussin e Rèuard hanno osservato in un gabbro di Hozémont nel Belgio ('). Però l’ augite ed il plagioclasio delle diabasi hanno spesso tali inclu- sioni. Il diallagio , quando è più abbondante, forma talora cristalli grossi ed isolati entro la labradorite che riempie gli spa,.ì inter- medi e che si mostra così di formazione successiva, come in certi gabbri della Slesia, dell’Alemtejo e presso Harzburg, mentre in altri casi ha luogo il fatto contrario, d’ordinario ben più comune. Qualche volta la scomparsa del clivaggio ortopinacoide dà al dial- lagio l’aspetto della normale augite , ciò che si verifica in qualche esemplare anche solo per alcuni dei cristalli, fatto già notato in altre regioni (2); perciò il Bonney in alcuni esemplari di Prato notò col diallagio la presenza dell 'augite. Quando questo fatto diventa generale, per solito anche la struttura del Gabbro diventa microlitica e si avvicina a quella del diabase, come p. es. accade presso noi aH’Impruneta ed alle Campillore presso Miemo. Quivi il diallagio bruno, scambiato in addietro con iperstene, ha perso ap- punto la sfaldatura pinacoidc ed ha acquistato i caratteri dell’augite ; onde il Di Poggio ha chiamata la roccia diabase olivinico ; ma io, seguendo l’esempio segnato da litologi stranieri, ed osservando la sua compagnia col comune gabbro a struttura macroscopica la chiamo un vero gabbro. Altrove questo cambiamento d’aspetto del diallagio suole verificarsi di preferenza nei gabbri più antichi, stratigraficamente (*) (*) C. Le la Vallèe Poussin et A. Renard, Mémoire sur les caractères minéralogiques et stratigraphiques des roches dites plutoniennes de la Bel- gique et de l'Ardenne franqaise. Bruxelles, 1876, p. 62-76, 125-128. (2) Rosenbusch, Mikr. Phys. II, 139. 200 C. De Stefani connessi con graniti e con dioriti, come in Norvegia, ad Anglesey, sull’Hudson a Volpersdorf e nell’Harz ('), e secondo Judd anche nelle masse superiori dei gabbri terziari delle Ebridi (2). Talora, alcune masse sono parzialmente costituite da sola la- bradorite che forma una petroselce o le così dette Forellensteine , o da solo diallagio , e formano una diallagite passante a ivehrlite , varietà di peridotite. Qualche rara volta la roccia è formata da straterelli bianchi e verdi pell’alternare de’ suoi due principali componenti (Monte Treggin, Masso nella Liguria orientale, Ca- stellina nel Bolognese, Montagnola senese ecc.) come ne’ gabbri di Ekersund (3) ed in certi Gabbri di Cornovaglia (4). Alcuni attribuiscono ciò a struttura fluidale. Nel bacino della Polcevera si ha il caso rarissimo, già noto al Brongniart, di gabbro vario- litico per varioliti di labradorite chiuse nel diallagio, come in certi gabbri della Slesia, dell’Harz, dell’Odenwald. Il nostro gabbro olivinico, come la saxonite , non si trova forse mai completamente inalterato ed è la roccia che va soggetta a maggior numero d'alterazioni (5). L 'olivina è cambiata in ser- pentino. La titanite , come frequentemente accade altrove, può essere sostituita da sfeno (Prato). La labradorite è costantemente saussur ri risata, perdendo le strie di geminazione, diventando quasi opaca e porcellanacea, con aggiunta di acqua, mentre il diallagio pure si arricchisce di acqua. Procedendo l’alterazione, sotto l'opera di acque, specialmente se calde e fornite d’acido carbonico, gli alcali sono sovente i primi a scomparire dalla labradorite e si ha la chonicrite la quale si accompagna sempre coll’alterazione del dtal- lagio in pirolescrite come all’Isola d’Elba, da me notata o dal- . l’Achiardi descritta nel Canale di Mozzanella, all’ Impruneta, nella Montagnola senese. La asportazione di circa il 20 per 100 di silice dalla labradorite e il contatto di giacimenti manganesiferi possono portare alla trasformazione in lui ite, rimanendo pure inalterate tutte lo P) Rosenbusch, Jlftkr. Pliys II, 138. (2) J. W. Judd, On thè tertiary and older peridotites of Scotland (Q J. geol. Soc. t. XLI, 1885). (3) . H. Kosenbusch, Dìe Gesteinsarten von Ekersund (Nyt. Mag. f. Naturwid. XVII, Christiania 1862. (4) Teall, Brìi. Pctr. 178. (5) Rosenbusch, Mik. Phys. II, 133. •201 Le rocce eruttive delVeocene superiore nell' Apennino apparenze del gabbro , come ho osservato indubbiamente, all’Impru- neta presso Firenze. Trasformazioni della labradorite in epidoto furono già o.' servate dallo Tschermak (Min. Mittb. 1873, p. 59) nel gabbro della Rothsohlalpe, e da altri in roccie differenti (!). Data la composizione di molte labradoriti ciò può avvenire senza aggiunta di calcio. Altra volta primo a scomparire è il calcio onde la compo- sizione del feldspato si avvicina alYalbite (Prato). È pur probabile la trasformazione della labradorite in scapolite notata da Levy e Fouqué in molti gabbri. L’aggiunta di acqua, la completa asportazione degli alcali e del calcio, la qual cosa è molto facilitata dall'azione di acque cariche d’acido carbonico, e la diminuzione della silice, portano la trasformazione del feldspato in caolino che si verifica quasi costan- temente nelle ghiaie dei gabbri chiuse nei conglomerati pliocenici o miocenici e nelle parti più superficiali della roccia iu posto : essa può essere dovuta in tali casi alla sola azione delle acque atmo- sferiche. La più comune fra le alterazioni del diallagio che accom- pagna la saussurite è la trasformazione di esso in ari fi bolo (Pi- gnone, Prato) che il Cossa riconobbe essere smaragdite ed actinoto (Prato): ciò, non essendovi essenziali cambiamenti nella composi- zione, può essere e Tetto di una semplice paramorfosi (-). Così si ha sovente esempio di una diorite , la quale però non è altro che una paramorfosi del gabbro talora completa. (Prato) il più delle volte no, e mai tale da scancellare le apparenze della roccia pri- mitiva. Non è dunque esatto che simile alterazione del diallagio, comunissima altrove, sia limitata ai gabbri interposti a schisti cristallini, come dubitarono il Rosenbusch (Mik. Phys. I, 450) ed altri. La asportazione della calce, quale si può verificare in molti modi per via acquea, e l’aggiunta di acqua trasformano facilmente il detto anfibolo in dorile (3) (Prato, Montecatini, Campillore) (!) Eoth, All. Geol. II. p. 321. (2i G. H. Williams, On thè paramorphosis of pyroxene to liornblende ni rocks (Am. Journ. 1884, t. XXVIII). (3) H. Hatch, Ueber den Gabbro aus der Wildschdnau in Tyrol und die aus ihm hervoryehenden schiefrigen Gesteine (Tschermak, Min. und petr. Mitili. VII, 1885 p. 75). 202 C. De Stefani mentre se a questa dorile così prodotta sia aggiunto un alcali e tolta l’acqua si ha una mica bruna (Montecatini) forse biolite. Mi sembra verosimile che le frequentissime vene di asbesto e amianto le quali si riscontrano nei gabbri e nelle roccie imme- diatamente vicine sieno successive ad una paramorfosi dello stesso diallagio. Una trasformazione delle più singolari, tra le infinite cui questa roccia può sottostare, è risentita dal gabbro del Casicello presso Jano dove la labradorite è convertita in una massa porosa di silice idrata {semiopale, calcedonio ), essendo state portate via tutte le basi (alcali, calce, allumina); e il diallagio è cambiato in un residuo, parimente assai cavernoso e poroso, di wolkonskoite o cro- mossido e di silice, che riempie una piccolissima parte di ciascun cri- stallo primitivo cui furono tolte le altre ba.-d (calce, magnesia e forse anche ferro). È da notarsi che nelle immediate vicinanze sono i tra- vertini quaternari di Jano con molluschi di acque termali {Deigrandi a thermalis L.) ed i calcari in parte gessificati della Striscia, i quali attestano l'antica presenza di acque termali e minerali fornite d’acido carbonico e di solfuro idrico, forse di fenomeni simili a quelli dei prossimi lagoni boraci fori, i quali portando via sotto forma di bi- carbonati e forse di solfati solubili tutte le basi, fuorché il cromo, lasciarono la silice. È possibile che, siccome avviene altrove, l'al- terazione del diallagio dia luogo a parziale formazione di serpen- tino a spese della pochissima magnesia nel primo minerale con- tenuta. Frequentemente si vedono vene verdi prendere il posto del diallagio nella saussurite, ma i nostri studi litologici non hanno finora provato che quelle siano tutte di serpentino o di steatite ; anzi la loro durezza rende probabile che siano per lo più di anfibolo . e di dorile, onde non mi pare accettabile la proposta del Bombicci, che credendo tali vene formate sempre da sola steatite propose di chia- mare la roccia siffattamente alterata col nome di enrdotalcite. 11 Cossa riscontrò vene di serpentino nel gabbro, senza traccia d 'olivina (Pignone) e lo potè credere derivato dal diallagio ; ma la presenza dell'olivina in altri casi (Prato) prova secondo me che quel ser- pentino proviene direttamente dall 'olivina e rientra tra i fenomeni più semplici di alterazione del comune gabbro olivinico. Possiamo in conclusione ritenere come cosa sicura, d’altronde non messa in dubbio da alcuno, che la roccia primitiva la quale dette luogo alle predette alterazioni e ad altre ancora fu un gabbro olivinico. Le rocce eruttive clell'eocene superiore nell' Apennino 208 Le norili non furono ancora constatate. Moltissimi autori hanno creduto accennare col nome di i periti rocco a plagioclasio ed ipersteno ; ma il Taramelli chiamò così le diabasi ; il D’Achiardi pure in parte: il Bombicci ed il Lotti indicano pure delle iperiti , ma è probabile siasi confuso il diallugio bruno co \Y ipersteno, della cui esistenza, del resto non inverosimile, nelle roccie eoceniche dell'Apennino, niuna prova fu data ancora. Sarebbe singolarissima la mancanza della enstatite così abbondante nelle contigue saxo- niti; pure nella Montagnola senese ed altrove mi è sembrato con- statare la riunione di basate con serpentino alla saussnrrite , per cui ritengo molto verosimile la scoperta di noriti olivi niche ad enstatite insieme col gabbro olivinico. È opportuno osservare che manca nell’ Apennino la compagnia del gabbro con roccie antiboliche quale fu constatata da Tòrne- bohm, Becke, Lehmann, Traube, Williams, ecc., quale si trova real- mente pei gabbri del paleozoico inferiore nello stesso nostro Apen- nino e quale fu detto essere generale e costante dovunque ('). Vero è che tali osservazioni sono state fatte pei gabbri di terreni più antichi; in quelli del nostro eocene il posto delle anfibolia può credersi tenuto dalle diabasi , il cui pirosseno, col procedere del tempo, può forse completamente cambiarsi in antibolo. Ciò favori- rebbe l’opinione di quelli che credono le anfboliti derivate da roccia pirossenica, non questa da quelle. I gabbri olivinici nostri, come molti gabbri di Slesia, dell’Harz, dell’ Alsazia, d’Inghilterra, di Scozia, del Delfinato, Transilvania, Banato, sono sempre intimamente uniti colle saxoniti > perciò colla serpentina. Per questo il Lotti (-') ed altri hanno supposto che la serpentina nostra derivasse qualche volta direttamente dal gabbro; ma tale supposizione non solo, come dicevo, non ha alcuna prova nei fatti, se non nella secondo me male interpretata presenza del serpentino derivato da olivina nel gabbro stesso, ma cozza contro difficoltà insormontabili, trattandosi di due roccie di composizione chimica eminentemente diversa ; quella errata supposizione non ri- solverebbe la questione dell’origine di tali roccie poiché si tratte- (!) J. Lehmann, Untersuchungen lìber die Entstehung der altkry stai liner Schiefergesteine, Bonn, 1884. (2) B. Lotti, Parag. fra le rocce of. it. p. 13 ecc. 204 G. De Stefani rebbe della completa sostituzione di una specie di roccia all'altra. La supposizione è del resto assai antica. Una volta, seguendo le orme del Bisckof e del Rose, e vedendo sul terreno il passaggio della serpentina a tante altre roccie, si credeva possibile e naturale l’al- terazione di queste in quella. Chimicamente, l'alterazione del feld- spato in serpentina pella sola azione delle acque atmosferiche fornite d’acido carbonico è impossibile, perchè non viene rimossa l’ allumina; lo notò il Roth ( Ueb. d. Serp.). Sarebbe però possibile per l’azione di soluzioni di cloruri e solfati di magnesia ('). Ma se questo fatto è chimicamente possibile, non si ha minimo indizio che in tal modo siano avvenute in natura estese formazioni di serpentino. Lo Tscher- mak ( Ueb. Serpent. bild.) ha poi provato che, almeno nei gabbri da lui osservati, la serpentina proviene da alterazione dell’ olivina e che i pretesi passaggi osservati dalla serpentina ad altra roccia derivano solo da cambiamenti congeniti nella composizione della roccia. Io supposi altra volta che il gabbro potesse essere talora prodotto da secrezione o concentrazione dei suoi componenti, diffusi prima, in mezzo alla serpentina (2) , supposizione seguita poi da altri. A dir vero però, prescindendo dalle circostanze litologiche, l’osservare che talora i gabbri sono affatto indipendenti dalle ser- pentine, e che poi anche dove stanno insieme le masse stratigra- ticamente sono per lo più ben distinte, giacché i gabbri non occu- pano vene e cavità ma formano banchi separati indicanti emersioni distinte, mi fece cambiare opinione. § 4. Diabase o basalto. La diabase fu distinta dal D’Achiardi (3) ed io primiera- mente ne accennai la grande estensione nell’Apennino (■*), dove in- fatti con la serpentina è la roccia più comune. Per l' innanzi ed (!) Heddle, Transactions of thè royal Society, Edinburgh 1879, t. XXVIII, p. 544. (2) De Stefani, Sulle serp. e sui graniti d. Garfagnana (Boll. Com. geol. IX, 1878). (3) A. D’Achiardi, Min. della Toscana passim. (4) C. de Stefani, Moni, senese ; capo VI. 205 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino anche gran tempo di poi, fu chiamata iperite o più spesso diorite, o venne confusa colla serpentina con cui ha comune il colore verde. La studiarono Cossa, D'Achiardi, Mattirolo, Rosenbusch, Uzielli. Essa è costituita da plagioclasio, cioè labradorite (Pria Bor- ghese. Impruneta, Monte Catini, Terriccio) od oligoclasio (M. Cavaloro, Renno, Riparbella) e da avgiie la quale contiene di fre- quente inclusioni vetrose (Impruneta) e nel maggior numero dei casi forma una specie di mesostasi in cui si sviluppa il feldspato. Nel diabase di Prato il Cossa trovò frammenti di augite , i quali, quantunque separati, mostravano di appartenere ad un medesimo cristallo. Il D’Achiardi ed il Rosenbusch osservarono al plagioclasio aggiunto qualche cristallo di sanidina (Impruneta, Riparbella, Mon- tagne), cosa che pur si verifica, sebbene raramente, in altre regioni. Vi sono pur traccio di anortite (Terriccio) rara del resto nelle diabasi Il D’Achiardi afferma avere osservato nella diabase dell’Im- pruneta hauyna con inclusioni vetrose; il fatto sarebbe assai im- portante perchè questo minerale, assai facilmente alterabile, sebbene molto comune nelle roccie basiche più recenti, quasi esclusiva- mente con nefelina e con leucite, mai fu trovato altrove ('): potrebbe essere un prodotto di alterazione invece che di prima formazione. Fra i componenti secondari ma costanti della diabase sono a notare l’ apatite e molto abbondantemente V Urne /lite o talvolta la magnetite. Il Sandberger credeva quest’ultimo minerale atto a distinguere i diabasi devoniani dagli altri con ilnienite che egli chiamava, perchè a lui noti nel siluriano, paleodolerite (2) ; ma il G-ùmbel mostrò il suo errore (3). Il D’Achiardi ha notato inclusioni vetrose, piuttosto frequente- mente, nell'avgite, nella hauyna e nella labradorite (Impruneta, Monte Catini, Terriccio): in generale sono comuni in tutte le diabasi. A differenza dal gabbro che è sempre o quasi sempre olivi- (!) Rosenbusch, Mik. Phys. 1, 289. (*) F. Sandberger, Die kristallinischen Gesteine Nassaus (Vort, in d. minerai. Section der Naturf-Vers. zu Wiesbaden 19 Sept. 1873). (3) C. W. Giimbel, Die palaeolithische Eruptivgesteine des Fichtelgebir- ges, Miinchen, 1874. 206 C. De Stefani nico , non conosco ancora diabase olivinico, roccia che parimente altrove, a differenza del gabbro , è assai più rara del diabase ti- pico. La roccia di Campillore presso Miemo detta dal Di Poggio diabase olivini™, il cui plagioclasio è labradorite , per la sua compagnia col vero gabbro probabilmente pur esso olivinico e per la sua struttura granitica, mi sembra, già lo dissi, doversi riguar- dare tuttora come un gabbro , nel quale il diallagio bruno , cre- duto una volta iperstene ('), avendo perduto la sfaldatura piuacoide ha acquistato parzialmente i caratteri dell 'augite. Come le roccie già esaminate, la diabase è quasi senza ecce- zione poco o molto alterata nei modi più complicati e svariati, e le sue alterazioni sono simili, naturalmente, a quelle del gabbro. Essa ha quasi di regola la struttura ofltica , detta spesso da geo- logi italiani afanitica , che è distintiva delle diabasi ed in que- sto caso più comune rientrerebbe in quella roccia cui gl'inglesi serbano il nome dolerite (2). A questa comune struttura si deve anche in gran parte quella monotonia che i nostri diabasi presentano, che già il Gùmbel avea notate nei diabasi siluriani e devoniani dei Fichtelgebrige e che si ripete dovuuque. Spesse volte ma di rado per grandi estensioni, la diabase è por li- rica e grossi cristalli di oligoclasio o di labradorite e talora ài augite di prima formazione campeggiano nella massa fondamentale verdastra formata da microliti di seconda formazione di plagioclasio e augite (Mulino di Villa) spesso alterata in anfìbolo (Riparbella) ed in clo- rite, con parti vetrose. La roccia in tali casi è un vero porfido diabasico , od un 'porfido labradorilico nei casi più frequenti che ' nella massa fondamentale sieno parti vetrose (Valle della Trebbia, Ponte Organasco nel Bobbiese, valle del Bargonasco, M. Bocco, Masso eco. in Liguria, Seccbiano, Mulino di Villa Collemandina, Riparbella, Miemo, M. Vaso, Rosignano). Rarissime e poco studiate sono fra noi (Sassonero, Bisano) le amigdali orbicolari piuttosto grandi che altrove s'incontrano in questa varietà. Sono conosciute (!) A. D’Achiardi, Sui feldspati della Toscana (Boll. Coni. geol. 1872) pag. 39. 0 (2) Geikie A., On thè carbonile roìis volcanic rocks of thè basin of thè Fiì'th of Forili, ('trans, roy. Sor. Edinburlig, t. XXIX, 1879). 207 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino altrove col nome di varioliti del Dràc, diabasi amigdaloidi, B lai- ter steine, spiliti, nome, quest’ultimo, introdotto dal Brongniart nel 1827 e già talora applicato alle nostre roccie. Più rara assai è la struttura granitica, macrocristallina ; e nei casi in cui la possiede la diabase acquista tutti i caratteri del gabbro, salvo la sfaldatura pinacoide del diallagio (Monte Cavaloro, Monte Ca- satico), come nel gabbro delle Campillore presso Miemo e come già osservò Michel-Lévy per le diabasi cambriche del Beaujolais ('). Comunissima e quasi costante è la struttura variolitica , per cui la roccia diventa una variolite identica a quella già nota nei Fich- telgebirge, in Franconia, nel Yoigtland, nelle Alpi di Savoia, e specialmente a quella varietà nota in litologia col nome di variolite della Burance. La labradorite e 1 ’oligoclasio sono molto più spesso con- servati che il feldspato de gabbri ; le loro alterazioni nelle nostre diabasi si può dire non siano ancora state studiate. Non deve es- sere raro, per l’asportazione del calcio, il cambiamento in albite; di questo feldspato infatti si vedono non di raro vene, cristalli iso- lati nelle cavità (Poggio, Romito nei Monti livornesi). Altra volta il feldspato è caolinizzato (Prato, Montagnola senese). li aug ite pure è quasi sempre alterata ; è stata constatata la uralitizzazione , cioè la trasformazione di essa in uralite , avente la forma dell'augite, la struttura e la sfaldatura de\Y cmfibolo, fe- nomeno accompagnato verosimilmente da parziale passaggio del calcio in altre combinazioni ; le successive osservazioni lo mo- streranno certo sempre più esteso come è altrove. Diabasi così alterate le chiamarono spesso diabasi uralitici e come già si disse de’ gabbri, cosi nemmeno delle diabasi è esatto, a differenza di quanto ritengono gli autori (2), che siano uralitizzate solo quelle (B 1). Michel. -Lévy, Sur les roches éruptives basiques cambriennes du Maeonnais et du Beaujolais (Ball. Soc. ge'ol. d. France, t. XI). (*) Kosenbusch, II, 184. — Teall, Brit.Pet. 161. — Streng, Gabbro d. Ilarz, p. 983 — Bonney, On thè Serpentine and associated rocks of thè Li- zard district (Quart. J. of. gcol Soc. XXXIII, 1877, p. 884). — Lossen, Studien an metamorphischen eruptiv- und Sedimentgesteinen 'Jahrb. d. Preuss. geol. Land. anst. f. 1883 und 1884). — Lehmann, Die Entstehung der altkry- stallinischen Schieferg esterne, Bonn. 1884, p. 190. — Hatch, Ueber den Gabbro aus dee Wildshbwv in Tirol 188» p. 75 — a. H. Williams, The Gabhros 14 208 C. De Stefani che si trovano a contatto con graniti o con altre rocce plutoniche oppure che fan parte di terreni molto disturbati e soggetti in ad- dietro a forti pressioni. Talora è completa la paramorfosi di al- cuni cristalli deH’augite e dell’uralite in antibolo vero e proprio, la cui presenza fu pur creduta primitiva e che per lo più accom- pagna auqile non ancora alterata, onda si ha quella roccia, molto comune dovunque, che il Gumbel voleva chiamare Epidiorite (Pria Borgheise, Riparbella, Miemo), che Liebe ('), Lossen (2), Rosen- busch (:i) ed altri hanno mostrato essere solo una diabase alterata. Quando la trasformazione di tutta l’augite in aa/ìbolo è completa (R. parbella, Miemo) si potrebbe credere di aver che fare con una diorite originale, se il rapporto colle diabasi meno alterate non mo- strasse Toriglne sua. Una alterazione che principia di pari passo colla precedente e che segue alterando completamente la roccia, proviene dall'azione delle acque superficiali, per cui direttamente Yaugite, oppure Yura- $ lite e Yanfibolo che ne derivano, si cambiano in materia cloritica, variabile probabilmente secondo i casi, non ancora definita, designata coi nomi vaghi di viridile o cloropile , materia che dà il color verde alla roccia, onde questa si chiamò spesso pietra verde , e che si credeva prima parte integrante originale della roccia. Si fatta alterazione che è universale e propria di ogni luogo si verifica per aggiunta di acqua vXl'augite od aXÌ'anfibolo e per la sottrazione di silice e di carbonato di calcio prodotta dalle acque circolauti fornite di acido carbonico, le queli materie firmano filoncelli di calcedonio o grani e vene di quarzo e di calcite di seconda for- mazione. sovente visibili anche macroscopicamente. Quando Yaugite sia molto ferrifera si ha pure formazione di ossidi di ferro. In queste diabasi più alterate le inclusioni vetrose sembrano scomparire sempre. Le concomitanti alterazioni del feld- and associated Ilornblende rocks occurring in thè neighbourhood of Bal- timore (Bull. of. thè U. S. Geol. Survey, il. 28, .1886). (x) K. L. Liebe, Uebersicht iiber den Schichtenaufbau Ostthùrinngens (Abh. z. d. geolog. Spezialkarte von Preuss. u. d. Thuring. Staaten B. V. Heft 4)- (2) K. A. Lossen, Geologiche und petrographische Beitràge zur Kenntniss des Harzes (Jahrb. d. k. preuss. geol. Landesanst) Berlin 1881. (3) Rosenbuch Mite. Phis. Ed. I, e Ediz. II, B. II, 206. 209 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' /[pennino spato danno luogo ad abbondante produzione di epidoto e di prehnite. che formano druse, grosse vene e concrezioni quasi in ogni luogo. L 'ilmenite dà luogo a formazione di sfeno (Terricio, Riparbella). Nei tratti ad immediato contatto coll’atmosfera e maggior- mente percorsi da acque la clorite si altera ulteriormente, derivan- done quarzo, calcite che viene poi sottratta facilmente dalle acque, ossido di ferro, come in idrossido di ferro si altera la magnetite; a ciò si deve l' arrossamento quale apparisce più o meno in tutti i luoghi nella diabase , che veniva nominato in questi casi gabbro rosso ed era confuso con calcari e schisti rossi. Io pel primo ac- cennai ch’osso non era se non alterazione ulteriore della diabase verde, cosa (') poi comunemente ammessa. Una ulteriore idra- tazione dell’ossido di ferro dà alla diabase alterata colorazione gial- liccia. Gli ultimi stadi di alterazione sono accompagnati per tutto, ma principalmente in taluni luoghi dove forse circolarono acque mineralizzate o termali, (Cornigliano, Casarza, Bombiana, Zerra dei Zanchetti, Lizzo, Villetta, Monte Catini, Pomaia, Impruneta) da abbondante formazione di datolite e di svariate zeoliti tutte allu- minifere, come analcime , mesotipo, laumonite , prehnite , raramente s/colesile. La stessa presenza di queste zeoliti denota la dissoluzione della roccia. Oltre l’allumina esse contengono calce e soda ed in gran parte debbono essere originate dall’alterazione del Plagioclasio. Le alterazioni suddette vanno di pari passo colla conformazione della roccia a grandi sferoidi apparentemente accumulati con ir- regolarità, meno alterati nel centro, più alterati all’esterno, spesso conformati da tanti strati concentrici, che vengono via a modo di cipolla, segnanti il diverso stadio dell’alterazione; è questo un fatto comune nelle roccie che si alterano. La variolite è ripiena di pustole chiare, grosse come un grano di miglio, isolate, vicinissime una all’altra, disposte senza regola, talora riunite per iscomparsa della parete intermedia ; diffuse, ta- lora con retta separazione talora con lento passaggio in una massa verde, la quale, ne’casi in cui la osservai, si mostrò costituita in gran- dissima parte da aggregati cloritici e che dal Rosenbusch ( Mik. Phijs. fi) C. De Stefani, Quadro comp. Ap. sett. p. 234. — e Boll. Soc. geol. it. voi. I, p. 22. 210 C. De Stefani voi. II, 230) e da altri viene riguardata come derivante dall'alte- razione di un magma vetroso ricco in ferro o di un magma dia- basico non ancora perfettamente cristallizzato nel quale il feld- spato od altro minerale cominciò a svilupparsi. Cotali pustole sono riempite il più delle volte da oliglocasio (Borzoli, Pria Borgheise, Libido, Monte Pii, Alpi Apuane) con mi- nimi cristalletti d’augite; ma vi sono spesso, come altrove, altri minerali, cioè materia cloritica (Borzoli, Alpi Apuane), epidoto (Monte Yignoli), limonite (Liguria, Alpi Apuane, M. Yignoli): comune è certamente, come in tutte le varioliti, la calcite ; come è piuttosto comune il caso che le pustole rimangano del tutto vuote, non già, credo, perchè tali fossero in origine ma perchè fu tolto il minerale che le formava: la calcite prodotta dall'alterazione del magma, come qualsiasi altro minerale avente la stessa origine, si ridepositò poi nelle cavità rimaste. L'Issel propose il nome di Co- schiaolite per la variolite con cavità vuote e di Borsolite per quella con cavità riempite da calcite; ma mi paiono superflui af- fatto questi nomi per varietà di una roccia alterata, i quali poi andrebbero moltiplicati all'infinito secondo i minerali contenuti nelle cavità, che possono essere molti. Queste varioliti , a diffe- renza di quanto si afferma per gli altri luoghi sopra citati, non occupano affatto una posizione costante all’esterno della massa diabasica a contatto colle roccie circostanti, avendole io trovate in tutte le nostre diabasi ed in qualunque punto di esse. Talora sol- tanto la superficie, conseguentemente all'alterazione, mi svelava delle variole piene di qualche minerale o delle forme botrioidali vario- litiche di cui non era traccia neH’interno. Ho osservato che dove . la roccia era variolitica ivi erano pure le più profonde alterazioni di essa, cosa del resto che si verifica anche altrove stando alle altrui osservazioni. Le varioliti nostre non si possono per conseguenza riguardare come semplici fenomeni di contatto, contrariamente alle opinioni di Gùmbel, Michel-Lévy, Rosenbusch (Q ed altri. Del (*) (*) J. F. Dathe, Die Variolit-fuhrenden Culm- Conglomerate bei Haas- dorf in Schlesien (Jahrb. d k. preuss. geol. Landesanst.) Berlin, 1883. — Rosenbusch, Mik. Pliys II, 227. — F. Zirkel, Die Structur der Variolite (Ber. d. sàchs. Ges. d. Wiss. 21 Juli 1875). — C. W. Giimbel, Variolit von Bermeli im Fichtelgcbirge (N. Jahrb. f. Min. geol. 1876). — A. Michel-Lévy. 211 Le rocce eruttive dell'eocene supcriore nell' Apennino resto sferoliti di augite e plagioclasio nella diabase, anco lungi dal contatto con gli strati circostanti, sono indicati da Lossen nella dia- base dell’Henkersberg. d’Osterode, Wildungen, da Rothpletz, Dathe ed altri sul Reno, nel Fichtelgebirge, nella Turingia, da Dalmer presso Schònfels. Nelle varioliti del Drac o Diabasi amigdaloidi o spiliti le cavità sono maggiori, ma si verificano le medesime cir- costanze nel loro riempimento e nel magma vetroso, che però nelle roccie porfiriche in cui è indicato fuori via sembra meglio conservato che non nelle nostre diabasi. Tutte le accennate roccie, benché alterate, portano palesi le traccie della roccia primitiva da cui derivarono; quantunque il IV Achiardi abbia dubitato che le masse contenenti solo anti- bolo si fossero formate tali e quali dall’origine, pure dalle sue stesse osservazioni sulla presenza dell ’uralite risulta certamente che derivano dalla diabase. La roccia primitiva fu dunque una Diabase afanitica, granitoide, porfirica, cioè in tal caso un ‘por- fido labradoritico spessissimo variolitico, la quale per paramorfosi si è ordinariamente ural> Uzzata e poi convertita in Epidiorite , ta- lora anche in diorite e che per una serie successiva d’idratazioni e di alterazioni è diventata gabbro rosso e giallo. Per composizione chimica e mineralogica il gabbro è identico alla diabase (!). Il diallagio non è altro che un’augite a sfaldatura ortopi- nacoide, la quale poi sovente scomparisce togliendo il criterio per distinguere le due roccie e i due minerali. Secoudo il Judd ed i più recenti litologi inglesi (-) quella sfaldatura sarebbe prodotta o facilitata da minutissime inclusioni secondo un piano parallelo o quasi all’ortopinacoide, le quali inclusioni darebbero alle supe;- fìci sfaldate quel riflesso scintillante che esse hanno. Secondo lo Mémoire sur la variolite de la Durance (Bull. Soc. géol. de France, 1877). — Structure et composition minéralogique de la variolite de la Durance (Comp- tes rendus hebd. Ac. frane. Paris, 5 fevier 1877). (!) Rosenbusch, li, 222 et passim, Roth, Naumann zirkel, ecc. (2j Judd. On thè tertiary and older Pendotites of Scotland (Q. J. of thè geni. Soc. XLI, 1885, p. 375 — Teal, Brit. Petrog. 1888, p. 29, 132, 155. 212 C. De Stefani Streng(’), uno stesso individuo potrebbe essere in parte augite, in parte diallagio. La produzione di quella sfaldatura sarebbe in rapporto, sempre secondo l’ipotesi, con grandi pressioni risentite, e viene chiamata stille rizzarlo ne. Le differenze lievissime nella durezza, talora negli assi ottici e nella composizione chimica, provengono dalla usuale variabilità dei componenti. La differenza tra le due roccie gabbro e diabase è unicamente nella struttura, ma questa differenza è ferace di molte conseguenze sui caratteri della roccia. Il Gabbro non ha mai struttura porfirica, solo per eccezione rarissima la ha variolitica, e non conosco in esso esempi di strut- tura afanitica od ofitica; la diabase apenninica invece, cui le dette strutture son proprie, quasi mai possiede la st.uttura granitica del gabbro. 11 gabbro è ricchissimo d'inclusioni flu dali mentre la diabase contiene inclusioni vetrose mancanti al gabbro. Questo inoltre è sempre olivinico ; in quella \ olivina, presso di noi, non fu ancora trovata e ad ogni modo sarebbe molto più scarsa. Inerente alla struttura della roccia è pure, affermano, qualche differenza nel modo di alterazione (-), poiché l’alterazione del plagioclasio si ac- compagna sempre con formazione di calcite nella diabase , non nel gabbro. Forse anche il Feldspato del gabbro è labradorite , quello della diabase è talora labradorite , quasi sempre oligoclasio. La posizione delle due roccie nell’ eocene appenninico è pur diversa : il gabbro si trova sempre con la serpenina , e quasi mai colla diabase che è indipendente. Per queste ragioni ritengo che dal punto di vista geologico si possa mantenere la distinzione fra gabbro e diabase nell'Àpen- nino: però in sostanza porfido labradoritico , gabbro , diabase , non sono che diferenti modi di cristallizzazione d'una medesima roccia, porfirico il primo, granitico il secondo, ofìtico od afanitico il terzo. La diorite primitiva, non derivante da alterazione della dia- base, manca nell’eocene apenninieo. (*) Streng, Gabbro de$ Ilarzes. Neues Jabrb. f. Min. Geol. 1862, p. 933). (*) Rosenbuscb, Mik. Phys. 177. Le rocce eruttive dell'eocene superiore dell' Apennino 218 § 5. Granito. Il granito sodico-potassifcro era già noto a Studer, Balsamo Crivelli, Pareto, Cocchi, Botti, i quali ultimi due ne avevano co- nosciuto lo stretto rapporto coi terreni eocenici. Esso è molto dif- fuso, insieme al gabbro , nella Liguria di Levante, nell’ Emilia, in Val di Magra ed in Val di Serchio non però a mezzogiorno dei Monti livornesi ; ma è sempre in lembi limitatissimi ; soltanto più ad occidente, nell’Arcipelago toscano, un granito che è ritenuto ap- partenere alla stessa età, acquista estensione grandissima e caratteri assai più variati. Nell’ Apennino ha costituzione assai multiforme ed è la meno alterata fra tutte le rocce cristalline eoceniche. Fu studiato microscopicamente da Cossa e Mattirolo e da me ; lo com- pongono grani di quarzo che si adattano agli altri componenti tutti precedentemente cristallizzati, palesandosi così di formazione più recente fra tutti; esso è ricco d’inclusioni liquide, di microliti, e di libelle gassose, li ontose è bigio, più di frequente roseo o rosso per diffusione di piccoli cristalli d ' oligisto ; è in grossi cristalli, di cui alcuni geminati secondo la legge di Carlsbad ; all’analisi contiene traccia di litina, ed abbondante soda derivata da regolari interpo- sizioni di laminette d ' albite formauti un intreccio perthitico. Vi è pure un plagioclasio biancastro. La biotite è bruna, in laminette esagonali (Liguria, Parmense) per cui la roccia è una granitite. Nel- l’ortose sono dei microliti di apatite. Il più sovente l'ortose ha per- duto la trasparenza, il plagioclasio è molto alterato e commisto con cristallini di calcite e ordinariamente la biotite, acquistando acqua, perduta l’elasticità e la lucentezza, si converte in parte, o il più delle volte totalmente, in clorite verde conservante forma lami- nare o terrosa e commista pur essa a calcite: la roccia diventa così un granito cloritico ed è il suo aspetto più comune. Ulte- riore alterazione della clorite porta ad un miscuglio, visibile spesso macroscopicamente, di ocra, silice e calcite. I feldspati sono poi talora caolinizzati. Semplici varietà locali di questa roccia sono il gran prevalere del feldspato, onde si ha una specie di eurite o petroselce; in talune vene o fessure domina poi esclusivamente e in grande abbondanza la clorite. Non ho mai trovato filoni di granito di seconda formazione; ma la roccia è così limitata che 21 1 il. De Stefani questa mancanza si comprende. Essa è tutta minutamente screpo- lata pelle pressioni e pelle alterazioni risentite; ma i frammenti sono tutti rispettivamente a posto. Però il Taramelli li riguardò erroneamente come conglomerati ed accettando una opinione del Pareto considerò costantemente il granito come roccia, d’imballag- gio, come composta cioè di frantumi portati intatti dalle maggiori profondità terrestri in mezzo ad altre roccie eruttive. Ma la posi- zione stratigrafica costante, come vedremo, di questi graniti, i loro costanti rapporti colle roccie che li incassano, il loro parallelismo a queste, la loro disposizione regolare a lente, la loro estensione pur relativamente considerevole, vietano assolutamente di conside- rarli nel predetto modo, il quale se si può applicare a frammenti piccolissimi e sporadici di roccie mai si ebbe esempio che potesse applicarsi a tratti grandiosi di roccia in posto come il nostro granito. Concludendo dunque, la serpentina , il gabbro-saussurilissato , la diorite , la diabase - uralituzata , X epidiorite, il granito- cloritico che abbiamo sott’occhio, non sono le roccie primitive, bensì T alterazione della saxonite o peridotite enstatitica, del gabbro , della diabase , del granito normale. La trasformazione dell’olivina in serpentino, dell'enstatite in bastite, del diallagio e dell’augite in uralite, in antibolo e successivamente in clorite, della mica in clorite, dei feldspati in caolino, epidoto, zeoliti, dell’ ilinen ite in sfeno, della magnetite in idrossido di ferro, etc., ad eccezione della paramorfosi del pirosseno in uralite, dovuta forse ad un semplice riassettamento molecolare, attestano che que- . ste alterazioni e la trasformazione delle roccie primitive furono dovute unicamente ed interamente a quei fenomeni di ossidazione e d' idratazione che si verificano nelle zone esteriori della terra a contatto immediato coll’ atmosfera. Sono dunque fenomeni verificati dopo che le dette roccie vennero allo scoperto od almeno a poca distanza dalla superficie; si può aggiungere forse che in seguito a questa prima alterazione le dette roccie non si trovarono più ri- portate nell’interno della terra nella regione riducente e disossi- sidante, dove i prodotti delle alterazioni avrebbero potuto di nuovo, a loro volta, trasformarsi, riperdere acqua e riassettarsi cristallinamente in altri modi. Infatti le roccie sono d’età geoio- Le rocce eruttive dell'eócene superiore nell' Apennino 215 camente recentissima e non furono coperte poi da mantelli di roccia alti in siffatto modo da riportarle a qualche profondità nel- l’interno della terra. E però a credersi che a noi sfuggano nella loro assoluta integrità i caratteri di quelle roccie primitive, e che le traccie di alcuni di quei caratteri debbano essere affatto scom- parse pelle successive alterazioni: p. e. pella dissoluzione delle materie solubili, pella devitrificazione di quelle vetrose, ecc. § 6. Tufi e Conglomerati. Lo studio dei tufi o conglomerati i quali accompagnano le pre- dette roccie è indispensabile e della massima importanza pella conoscenza loro. Una grandissima parte delle roccie è costituita da accumulazioni di frammenti avventizi o tufi. Il Taramelli, come già ho detto, chiama tali anche i banchi di granito in posto; ma, ve- demmo ch’egli prese erroneamente le infinite fessure dovute alla pressione ed alle alterazioni per superfici di frammenti ruzzolati o fuori di posto. 11 Pilla, il Savi, il Meneghini conobbero già alcuni conglo- merati, specialmente di roccie diabasiche , non solo quelli certa- mente avventizi e portati fuori di posto ne’ terreni terziari supe- riori, ma anche alcuni di quelli veramente in posto facenti parte della formazione eocenica: il Bonne)7 studiò microscopicamente la struttura di alcuni di quelli presso Levanto, ma non ne comprese il si- gnificato È certo però che nella totalità, salvo i due o tre casi predetti, que’ conglomerati sono scambiati colle roccie in posto ; non solo il più delle volte con danno della verità poiché si uniscono cosi depo- siti di genere affatto diverso, come sarebbero un tufo vulcanico, od un’arenaria con una lava e con un granito; ma con pregiudizio di tutte le importanti conoscenze le quali sarebbero scaturite da una esatta osservazione delle cose. È certo pure che io sono stato il primo e l’unico ad applicare a quei conglomerati la qualificazione di tufi (') che vedremo essere tanto ragionevole e tanto usata fuori, ma che in Italia nessuno adoperò, senza dubbio per via delle teo- riche predominanti, alcuna delle quali già abbiamo accennata. Nelle (!) C. De Stefani, Delle roccie plutoniche della Toscana (Proc. verb. S< c. tose. 6 maggio 1877). 210 G. De Stefani suddette accumulazioni di materie avventizie sono a distinguere alcuni casi estremi. In parte sono immense congerie di frantumi irregolari, non adatto angolosi, ma alquanto arrotondati; aventi le più svariate ed estreme dimensioni da qualche meteo cubo fino ai più minuti frantumi; accatastati senza regolarità di dimensioni nè d’altro, quantunque le masse, in grande, possano avere una certa disposizione quasi stratiforme o lenticolare; saldati da tritumi fi- nissimi delle stesse materie che compongono i frammenti. Potreb- bero parere frammenti separati e isolati per opera del l’alterazione atmosferica; però la presenza sporadica di qualche frantume di roccia estranea e l’aspetto loro persuadono chi attentamente li osservi della loro origine in certo modo avventizia. Cotali congerie accompagnano quasi costantemente la roccia in posto, particolarmente le diabasi e vi si possono applicare le stesse considerazioni che alla roccia stessa; talora formano la più gran parte della massa. Da cotali congerie si passa a frantumi non affatto angolosi, via via più pic- coli, disposti con maggior regolarità di dimensioni, talora più sva- riati, perchè formati da varie specie di roccie però sempre proprie della formazione, più regolarmente disposti e talvolta anco appa- rentemente stratificati, non però formati da ghiaie affatto rotondate attestanti l’intervento lungo ed attivo di acque correnti: siffatti tufi benché non abbiano ancora chiaramente l’aspetto di conglomerati ghiaiosi pur vi si possono molto avvicinare. Finalmente in istrati meno immediatamente dipendenti dalle masse eruttive si possono avere veri conglomerati; ma nell’eocene stesso sono scarsissimi: li vedremo più frequenti nei terreni successivi. Si trovano conglomerati di granito a Zebedassi presso Vol- pedo nel Pavese, nelle Valli del Coppa e del Ghiaia e in Val di Magra. Gli autori affermano che non si trovarono mai tufi di peri- dotiti formati da materie venute a giorno sotto forma già fram- mentizia, o da materie spezzate per causa meccanica da roccie compatte esistenti. Però questa affermazione non è esatta. La kim- berlite che è una semplice varietà di saporite con biotite pro- dotta forse da alterazione dell’ olivina, è accompagnata da tufi ; è una roccia, di cui parlerò poi, delle formazioni diamantifere del- l’Africa meridionale. Le pienti o paleopicriti dei Fichtelgebirge, 217 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino varietà di peridotite costituita da olivina ed augite, secondo il Gùmbel sono accompagnate da tufi ('). È poi certo che nell'Apennino tali tufi souo formati in ab- bondanza a spese della sciato aite , e furono soggetti alle stesse al- terazioni di questa; valgano i tufi a minutissimi e talora isolati grani serpentinosi chiusi negli schisti e nei calcari dei dintorni di Voltaggio, d’ Isoverde, della Valle del Chiaravagna, e d’altri luo- ghi della Liguria occidentale i tufi di Levante e Framura ed i massi di serpentino tra Anzo e la punta Danabio nella Liguria orientale sulla cui natura avventizia non può cader dubbio, av- volti come sono da frantumi minori della stessa roccia o d’altre contigue. Così pure tutti i litologi dicono mancare i tufi dei gabbri (1 2), ma è certo parimente che nell’ eocene apenninico essi formano uno dei depositi avventizi più estesi. A cagione dell’in- tima connessione che i gabbri hanno colle saxoniti o serpentine, ne’ tufi si trovano intimamente unite e sterzate ambedue le roccie, come già nel suddetto tratto fra Anzo e la punta Danabio. I tufi de’ gabbri uniti a frammenti di saxonite, oltre che nella Li- guria orientale, sono estesissimi nell’Emilia, particolarmente nel Modenese e nel Bolognese, ove si può dire che quasi tutti i più limitati lembi detti impropriamente serpentinosi, sieno formati da essi, e nella provincia pisana; così pure tutti i lembi presi per ser- pentine nell’estremità meridionale delle Alpi Apuane, nel Monte Amiata, nei monti d’Allerona ed in parte nella valle del Chiascio, sono formati da tali tufi, i quali, pella piccolezza dei componenti, hanno palese stratificazione. Si trovano poi dovunque siano gabbri in posto. Un poco meglio conosciuti nei due o tre casi sopra ac- cennati, forse per la compattezza della roccia, furono i tufi, aventi aspetto più vicino a conglomerati, delle diabasi. Essi sono di co- lore verde o rosso secondo il grado di ossidazione del ferro ; quelli più minuti, perciò forse più facilmente permeabili alle acque, sono più sovente rossi. Si trovano immancabilmente nelle regioni ove le diabasi ab- bondano, nella valle del Morsone, sul Rio dei Marazzi, a Pietra hi (1) C. W. Giinìbel, Die palaeolithischen Eruptivgesteine des Fìchtelge- rges, Miinchen, 1874. (2) Roth, All. Chem. Geol. Bd. II., 1883, p. 186. 218 C. De Stefani Lavezzara, ecc., nella Liguria occidentale, nell'Emilia, dove, a Renno, li esaminò 1’ Uzielli, in Val di Tevere, nelle valli della Magra e del Serchio, in Val di Cecina ed altrove. I tufi del dia- base erano già citati da molti autori in altre regioni. Del resto se d'ordinario ne’ tufi il gabbro ed il serpentino si trovano promi- scuamente come nelle roccie in posto, si aggiungono in quelli spesso anche frammenti di diabase, la qual cosa si verifica in ispecie ne’ tufi più minuti e d’apparenza meno tumultuaria. Tutti i frammenti delle rocce cristalline, senza eccezione, sono identici per natura alla roccia madre circostante, e presentano i cristalli dei loro componenti, spesso molto grossi, come la labra- dorite della diabase porfirica, l’enstatite della saxonite, il dial- lagio del gabbro, e la variolite, troncati di netto sulle superfici de’ frantumi, la qual cosa mostra all'evidenza che tutte le roccie senza eccezione si trovavano precedentemente formate tal quale come ora ; di ciò si tenga conto perchè molte ipotesi sopra quelle rocce prendono a punto di partenza la supposizione di fatti contrari. Solo sovente ho notato che la superficie de’ frammenti diabasici (Mulino di Villa, Pontecosi, Liguria) anco assai piccoli si pre- sentava ripiena di varioliti e che l’alterazione atmosferica indu- ceva l’apparenza variolitica esteriormente mentre nell’interno nulla traspariva di tale struttura : forse si tratta d’un semplice fenomeno d'alterazione superficiale. Ho trovato questi tufi ed i conglomerati, tante volte quanto le roccie in posto, traversati da vene e filoncelli di calcite, silice, tremolite, crisotilo, epidoto, clorite, zeoliti, ecc.,: ma non ho mai visto finora simili vene limitate ai singoli frantumi, perciò anteriori alla formazione di essi. Se dunque le roccie erano anteriormente for- mate tali e quali, l'idratazione e le alterazioni cui andarono sog- gette si compierono tutte dopo la formazione dei tufi. Qualche volta nei tufi più minuti e d'apparenza meno tumultuaria si aggiun- gono pure frammenti arrotondati di calcari o di diaspri e di schisti. cioè di roccie sedimentarie appartenenti alla medesima formazione, e talora predominano queste, talora le ìocc'e cristalline; il caso però di conglomerati o tufi formati da sola roccia sedimentaria mai si verifica o solo in punti parzialissimi, diversamente da quanto uno si sarebbe potuto aspettare, attesa la grande estensione delle stesse roccie in posto ben maggiore di quella delle roccie eruttive. Le Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell'Apennino 219 roccie donde provengono que’ tufi, qualunque esse siano, sono sempre delle immediate adiacenze; qualche rara volta bensì si vedono fran- tumi (gabbri, diaspri) che non si trovano vicino, ma che potrebbero benissimo essere stati formati per piccola estensione e poi distrutti ; ma siano i frammenti grossi o minutissimi, implichino o meno la possibilità di provenienza da luoghi molto lontani, non vi si trova mai traccia di rocce le quali non appartengano alla formazione immediatamente circostante. A questo proposito vi è palmare diffe- renza fra questi conglomerati e le arenarie compattissime le quali si trovano in strati di secondaria importanza in una zona alquanto più recente del medesimo piano ; queste, che sono specie di pud- dinghe silicee minutissime a cemento talora un poco calcareo, sono costituite unicamente da minime sabbie grossolane di quarzo, con qualche feldspato e mica, provenienti perciò, tutt’ all’ opposto dei conglomerati, da regioni assai lontane e da tutt’ altre rocce che da quelle della formazione contigua, argomento importantissimo pella determina'/ ione della loro origine ; gli elementi dell’arenaria e quelli de’ tufi mai si trovano insieme. Talune volte sembrerebbe che la cumulazione delle materie avventizie tolte alle roccie eruttive avvenisse contemporaneamente alla deposizione delle materie sedimentarie, poiché materie cal- caree o silicee servono di tenacissimo cemento: vedremo anco in altri casi contemporaneità perfetta nella formazione di certi sedi- menti e nella emersione delle stesse rocce eruttive, onde pur da questo fatto si originarono roccie insieme cristalline e sedimentarie aventi l’aspetto improprio di tufi avventizi. Quando i frantumi delle rocce sedimentarie nei tufi sono insieme a quelli di diabasi, sono spesso come ravvolti da un cemento di natura cloritica, ver- dognolo, che penetra talora per qualche millimetro all’esterno i calcari e le altre roccie e che è certo dovuto ad acque minera- lizzate a spese dell’elemento pirossenico delle diabasi. Ordinaria- mente i tufi misti a frantumi od a particelle sedimentarie calcaree sono rossi, come i così detti marmi di Pietra Lavezzara, di Levanto, di alcuni luoghi di Maremma Essi sono talora assai compatti ed usati in questo caso per marmo, e sono traversati spesso da vene frequentissime e fitte, non solo di crisotilo e di asbesto, ma di cal- cite o di quarzo, formate evidentemente in massima parte a spese dei materiali sedimentari preesistenti : in questi casi ebbero il nome 220 C. De Stefani di oficalci od ofisilici, come i conglomerati compatti più piccoli a frammenti irregolari vennero detti sovente spiliti. Ma questi nomi furono spesso applicati anche in altri significati vaghi ed incertissimi, p. es. nel caso dell'una o delle altre rocce eruttive già dette traver- sate da vene calcaree o quarzose provenienti dalla loro stessa al- terazione : onde non è a dar loro che un’ importanza molto secon- daria ed un uso limitato. Già dissi che il Bonney esaminando il tufo od oficalce, o marmo rossastro di Levanto, avea notato che la serpentina era formata anteriormente al conglomerato ; ma credè questo originato per una frantumazione in posto, cosa incompatibile colla natura e colla disposizione de’ frammenti del gabbro, della serpentina e del calcare arrossato. § 7. Natura eruttiva delle rocce descritte. Prendendo a studiare l'origine delle roccie, non di quelle alte- rate, ma di quelle primitive che le produssero, desumendola dalla loro intima natura senza badare ai rapporti stratigratìci, sono a fare già importanti osservazioni. È da notarsi in tutte non solo un andamento a banchi ed a ripiani più o meno irregolari, ma frequentemente un' apparenza di veri strati, non però sottili ma alti, con superfìci di stratificazione piane, regolarissime, parallele sempre a quelle delle contigue formazio i sedimentarie, quindi certamente non dovute a rotture ed a ritiro di strati. Il Lotti ha già fatto cenno di alcuno di questi fatti : io l’ho veduto con molta evidenza nelle diabasi di Levanto e di molti luoghi della Liguria orientale. ' dei Monti Livornesi e della Castellina, nei gabbri deirimpruneta, dei Monti Livornesi e di Yal d’Era, nelle saxoniti dei Monti della Castellina. Una siffatta disposizione in veri strati, quantunque non sia certo una stratificazione sedimentare, a torto è considerata come propria e distintiva delle roccie sedimentarie; benché sia indicata come frequente nelle diabasi anche altrove (’), ed è molto più comune che non si creda; io l'ho vista frequentissima nelle tra- chiti e nei basalti quaternari del nostro Apennino. Male a propo- sito poi non la si crede in rapporto colle superfìci primitive delle (i) Roth, II, 18, 221 Le rocce eruttive dell'eocene superiore nelVApennino roccie stesse. Nei moltissimi casi in cui osservai quel fatto l’ in- clinazione e la direzione di quei piani mi davano seuza alcuna incertezza rinclinazione e la direzione de' calcari e degli schisti contigui; e spesso, come p. es. ne’ gabbri deirimpruneta, essi deli- mitano nettamente roccie di grana e di natura diversa. Que! piani di separazione hanno dunque lo stesso significato dei veri strati; 10 vi scorgo le primitive superfici di roccie le quali si riversarono uniformemente sopra un esteso territorio ed in parte forse piani paralleli a queste superlìci medesime resi più distinti dalla pres- sione delle masse sopraincombenti. Fuori di ciò le dette roccie hanno tutti i caratteri adattati ad escludere la loro natura sedimentaria: gli strati non sono sot- tili, nè contengono mai fossili, nè attestano quell’ origine organica, meccanica, o altrimenti chimico-fìsica che è eminentemente distin- tiva delle roccie sedimentarie. Fra tutti gli scenziati. pochissimi, di cui principale lo Sterry-Hunt geologo e chimico e fra i litologi 11 Kalkowski con pochissimi altri, tentarono spiegare l’origine di quelle roccie o almeno delle peridotiti con procedimenti chimici in mari aventi sali diversi da quelli d’oggi, nelle età più antiche; ninno peraltro tentò applicare simile spiegazione a roccie di tempi nei quali i mari erano già abbondantemente abitati da esseri simili agli odierni, o tutt’al più evitarono di applicarla col comodo ma errato sistema di negare la formazione di quelle roccie in tali tempi. Tutti i litologi senza eccezione ritennero e ritengono quelle roccie come eruttive, ignee, plutoniane, endogene, o centrifughe come dir si voglia, per contrapposto a quelle sedimentarie, nettuniane, esogene o centripete. Questa opinione oltre che sulla mancanza d’ogni ca- rattere di roccia sedimentaria e sulla natura cristallina è fondata anche sopra altri argomenti. Le nostre diabasi hanno frequenti in- clusioni vetrose che sebbene spesso devitriticate abbondano pure nelle diabasi di tutti i paesi ('); anzi la loro abbondanza e quasi potrebbe dirsi la loro presenza le distinguono da tutte le altre roccie pluto- niche. Salbande puramente vetrose sono poi indicate dal Hawes nelle diabasi del Conneckticut , dal Tòrnebohm in Dalecarlia e nel Sòdermanland, dal Wiik in Finlandia (1 2) e sono le medesime (1) Roth, Allg. Geol. II, 159. — Rosenbusch, Mik. Phys. 173, 176. (2) G. W. Hawes, On thè mineralogica l compositiva of thè norma l me- 222 C. De Stefani de’ porfidi augitici ritenuti vulcanici, p. es. di quelle che il Foullon indica nel trias presso Recoaro, tant’ è vero che tutte vengono com- prese tra i vitrofiri augitici. Queste sono prove indiscutibili dell’o- rigine eruttiva delle diabasi. Si può aggiungere la spezzatura dei cristalli d’augite che il Cossa constatò nella diabase di Prato come in quella paleozoica di Mosso nelle Alpi, fatto attribuito ai movimenti del magma mentre era fluido, comune nelle auliti dei porfidi augitici o la- bradoritici e dei melatili (’), roccie simili alle nostre ma general- mente ritenute vulcaniche, e frequente pure in altri minerali d’ogni roccia vulcanica. Forse alle stesse cause si debbono le ondulazioni e le curvature frequenti ne’ cristalli d’enstatite delle peridotiti, che altri, altrove, crede prodotte da movimenti del suolo posteriori assai al consolidamento della roccia. Dagli autori stranieri che ho citato in addietro sono pur con- siderate come strutture eminentemente proprie di roccia eruttiva quella variolitica comunissima nelle nostre come in alcune altre diabasi e nei porfidi augitici; e quella orbiculare od amigda- loide che però è fra noi rarissima nel Bolognese. La struttura va- riolitica si ritiene prodotta nelle parti periferiche a contatto colle roccie contigue per sollecito raffreddamento del magma, rimasto amorfo, ed a riprova di ciò si citano le piccolissime cavità (va- cuoli) che appaiono nelle variole o nella massa fondamentale di alcune varioliti, l'omogeneità della massa predetta, la reale struttura vetrosa fortemente globulitica eh’ essa ha in certi casi p. e. nel governo di Olonez in Russia (2) sebbene non sia ben si- cura l’appartenenza della variolite di questo luogo al comune tipo, la tenuissima birifrangenza eh’ essa possiede in molti casi, quand’è mescolata a clorite, p. e. nei Fichtelgebirge, nel Voigtland e nel- l’Apennino, onde, quando si osservano clorite, actinoto, epidoto, augite e raramente microliti d’ilmenite e di plagioclasio, si sup- sozoic diabase upon thè atlantic bordar (Proc. U. S. National Museum, 1881). - A. E. Tornebolim, Uebcr die wichtigeren Diabas-und Gabbro-Gesteinc Schn-c- dens (N. Jahrb. f. Min. Geol. 1877, p. 258). (!) Rosenbusch, II, 488. (2) F. Loevinson-Lessing, Die Variolite con Jalgulz ini Gouvernement Olone: (Tschermak. Min. nn) P. Savi, Delle roccie of. della Tose. 1830. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Ape mino 251 tili accennerò ia valle del Chiaravagna, i dintorni di Levanto e di Sai-zana in Liguria, di Mozzanella in Val di Serchio, dell’ Impru- neta, di Gambassi, di Pietramala nel Fiorentino, di Rosignano e di Riparbella nel Pisano, di Borgo S. Sepolcro in Val di Tevere, ecc. ecc. 11 fatto è implicitamente accettato da tutti gli osservatori italiani; esplicitamente lo ha sostenuto e chiarito il Lotti ('). Questi crede che nelle nostre roccie eruttive si possa stabilire un ordine costante cioè, serpentine inferiormente, gabbro in mezzo, diabase superiormente. Siccome poi gabbri e serpentine alternano per tutto sembra egli ritenga che se si trovano gabbri entro le serpen- tine inferiormente quelli derivino da secrezioni entro queste e se ser- pentine si trovino superiormente ne’ gabbri provengano da alterazione di questi ; ma già si è visto come quest’ultima ipotesi non sia sosteni- bile ; una interpretazione delle alternanze nel modo sopra esposto sa- rebbe evidentemente troppo forzata e adattata ad un'opinione presta- bilita. Troppi ed universali sono i casi di alternanze fra peridotiti e gabbri, non solo nell’eocene dell’Àpennino ma anche nel paleozoico inferiore ed in tutte le altre regioni fuori dell’Apennino, e per non istare io a citare esempi che parrebbero scelti appositamente, guardi il lettore gli stessi esempi che il Lotti indica. Qualche volta quando vi sono estese masse unite di peridotite o di gabbro si nota che la peridotite è inferiore p. e. al Ponte S. Giorgio nella Liguria occiden- tale, al Romito ne’ monti Livornesi, nel Bosco di Villa in Val di Ser- chio; ma presso S. Rocco in Valle del Chiaravagna nella Liguria oc- cidentale, presso Levanto, presso la Rocchetta in Val di Vara, nella valle dell’Era e dell’ E vola in Toscana essa è quasi ordinariamente superiore. Altra cosa è delle diabasi; il Lotti cita alcuni banchi di queste nel mezzo delle peridotiti e dei gabbri a Rosignano ed altrove, ed io ho visto, p. e. nel M. di Casatico in Val di Ser- chio, conglomerati e tufi diabasici sottostare a peridotiti, gabbri e graniti, e diabasi trovarsi intercalate ne’ gabbri all’ Impruneta : ge- neralmente però, come egli ritiene, le masse delle diabasi sono supe- riori a tutte le altre ; alcune volte anzi, p. e. fra Bonassola e Le- vanto in Liguria, se apparentemente lembi di diabase sono serrati nel gabbro o nel serpentino, in realtà venni a scoprire che si tratta di moti e ripiegamenti del suolo, mentre il diabase è più (l) 15. Lotti, Gont. allo studio delle serp. 1883. 252 C. De Stefani recente. Così pure in origine io avevo indicato le peridotiti ed i gabbri del Mulino di Villa in Val di Serchio come alternanti in mezzo a diabasi (*); ma mi sono accorto poi che apparivano tali per effetto di una piega quasi verticale che interrompe l’ anda- mento delle diabasi in quel luogo. Questa sovrapposizione delle masse di diabase si nota costantemente, nella Liguria occidentale ed orien- tale, nell’ Emilia, in Val di Magra, in Val di Serchio e in Val di Tevere, nel Senese, nei monti Livornesi e della Castellina, presso Prato e Pietramala. È altrettanto certo però che presso Prato, nel Monte di Casatico nelle Alpi Apuane e sicuramente anche altrove, entro le diabasi si trovano lenti e banchi di gabbro, ciò che è na- turale, vista l’ identità delle due roccie ; non conosco ancora nò vedo citato esempio di peridotite entro le masse più recenti della diabase, ma non mi pare inverosimile che se ne debba trovare. Si può aggiungere che finora i graniti si trovarono solo colle masse inferiori insieme ai gabbri, nella Liguria, nell’Emilia, in Lunigiana. Garfagnana e ne’ monti Livornesi e ciò pure è notevole, vista l’ iden- tità di struttura di queste due roccie eminentemente diverse. Si può dunque concludere che nelle nostre masse eruttive, quando sono com- plete, si trovano inferiormente peridotiti e gabbri, questi ultimi ac- compagnati sovente nella regione più addietro indicata, da graniti sodico-potassiferi; superiormente sono le diabasi; tenui banchi di diabase si trovano anche sotto e tenui banchi di gabbro son sopra. A volte mancano quasi completamente le roccie inferiori, p. e. in Luni- giana ed in Garfagnana ove gabbri e peridotiti sono ridotti quasi alla medesima limitazione de’ graniti; altra volta mancano compieta- mente le diabasi superiori, come in molti punti della Liguria, dell’E- milia, della Toscana e tale mancanza sembra aver avuto luogo in certi punti fino dall’origine, giacché nemmeno nei conglomerati coe- tanei p. e. in quelli del Monte Amiata e di Val di Chiana si trovano a volte traccie delle diabasi. Il Lotti ricorda con ragione che la inferiorità de' gabbri è stata osservata dal Judd ne’ basalti o diabasi terziari delle Ebridi. Anche Jrving notò che i gabbri formano la parte più profonda delle roccie eruttive della serie di Keweenah (paleozoico inferiore) del Lago Superiore neU’America (l) De Stefani, Rocce serp. Garfagnana. — Montagn. senese . Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino 258 settentrionale e ritenne essi pure eruttivi (’). Questi fatti ci pos- sono forse aiutare nello spiegare l’origine di quelle roccie; il Lotti, il Judd, e l' Irving propendono a credere che la differenza tra gabbri e diabasi derivi da una lenta cristallizzazione intratel- lurica de’ primi, posteriore al consolidamento ed alla emersione anche delle masse superiori, quasi forse si trattasse d’una di quelle eruzioni che litologi e geologi, secondo me non molto esperti, hanno chiamato omogenee : ma si è già visto che tal modo di vedere non è accettabile ; che i gabbri e le peridotiti eran già formate e consoli- date certamente prima dell’ emersione delle diabasi; che d’altronde le diabasi superiori mancano in molti luoghi e probabilmente fin dall’o- rigine. Come già ho esposto in addietro l'idea del Judd, dell’ Irving, del Lotti sulla lenta cristallizzazione, consolidazione e raffreddamento de’ gabbri è quella che io pure ho svolto e che altri accettano, ma quel fenomeno io 1’ ho ritenuto contemporaneo al consolidamento e anteriore all'emersione delle masse superiori e l’ho attribuito alla estrema profondità in cui la roccia si consolidava sotto i mari, profondità comprovata da tutte le altre circostanze. Quel fatto pure, come già dissi, può farci intendere il modo con cui si formarono le peridotiti a somiglianza dei nodi di saxonite nei basalti super- ficiali, ma con assai maggiore estensione. L’ ipotesi che l’emersione delle peridotiti rappresenti l’emersione di un magma infratell li- rico nel quale non si fossero ancora segregati i feldspati facenti parte de' gabbri mentre i gabbri sarebbero eruttati iu periodi suc- cessivi e rappresenterebbero uno stadio ulteriore di segregazione delle materie contenute nel magma primitivo, mi pare meno accettabile, quantunque meriti attenta considerazione. L’altra ipotesi che io ma- nifestai a principio e che qualche altro accettò, della secrezione del gabbro dalle peridotiti sotto forma di lenti o di filoni, come sarebbe del granito muscovitico appetto al granito biotitico, non mi pare sempre rispondente ai fatti, quantunque sia da studiarsi forse ne’ casi di piccole lenti di gabbro chiuse in grandi masse di peridotite. Dove si conservarono le massime profondità, ivi rimasero gabbri e peri- dotiti, con che si spiegherebbe la mancanza delle diabasi o la loro formazione accidentale in mezzo ad essi, in casi le cui ragioni ci t1) R. D. Irving, The copper-hearing rocks of Labe Superior (U. S. geol. Survey. Monograpli, V). Washington, 1883. 254 G. De Stefani sfuggono. Dove i fondi del mare diminuirono per l’ accumulamento delle materie eruttive, pel rialzamento dei crateri che forse talora per avventura furono emersi, e pel sollevamento del suolo che vediamo sempre accompagnare l’ esistenza de’ vulcani, ivi la materia vulca- nica prese forma di diabase, cioè la forma ofitica comune de’ ba- salti i quali si consolidano sulla teira ferma o sotto i mari presso la superficie, con meno inclusioni acquee, con più vetrosità, con frequente verificarsi d’ima duplice formazione dei componenti. Non si dee tralasciar di notare che realmente durante le eruzioni, anzi du- rante tutto l’eocene superiore, il fondo del mare si andò sollevando, e nel successivo oligocene inferiore era già in gran parte emerso, come lo attestano fra altro le discordanze ed i fossili terrestri abbon- danti nell’oligocene di tutta Italia. Inoltre mi sembra meriti di non isfuggire il fatto che le diabasi predominano a scapito di tutte le altre rocce in contiguità a terreni i quali, almeno in gran parte, erano già prima stati emersi e che durante l’eocene superiore formavano scogli o bassi rilievi sul fondo de’ mari. Così le diabasi della Liguria orientale sono adiacenti agli scogli triassici e pre- paleozoici ; quelle di Val di Magra e di Yal di Serchio stanno fra gli antichi scogli retici dell’Apennino e le Alpi Apuane. Ciò vor- rebbe dire che in que’ luoghi il fondo poteva essere meno grande, perciò la roccia prendeva forma di diabase. Perchè poi si formasse solo diabase poco o non affatto olivinico, perciò anche non contenente secrezioni di peridotite, invece che diabase olivinico come il gabbro più antico ed invece che peridotite, ciò può esser dovuto alle cir- costanze in cui si trovava il silicato di magnesia, il quale non è a dire che nelle diabasi manchi o sia in minori quantità che nei sottostanti gabbri e nelle peridotiti prese insieme, ma vi si ritrova sotto forma di augite o d'altri componenti ; onde può dubitarsi che l’essere la roccia basica più o meno olivinica dipenda dal riassor- bimento maggiore o minore di questa materia e risponda semplice- mente a diversi periodi di effusione e forse di consolidazione. Sap- piamo che certe peridotiti (limburgiti) artificialmente trattate pos- sono produrre un basalte tipico, feldspatico, poco olivinico (!). Quasi parte integrante di tutte le dette roccie sono i minerali cupriferi, cioè i solfuri (calcosina, erubescite, calcopirite), con (') Vedasi Eosenbuscli.il, 341 e scg. 717, 813. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino 255 tutte le loro alterazioni (solfati , silicati , carbonati , ossidi) : i loro giacimenti sono affatto rispondenti a quelli del Lago Supe- riore. Il Lotti ha mostrato che essi sono strettamente collegati col gabbro e che si trovano precipuamente sul confine tra il gab- bro e la diabase (*). Egli ritiene che il minerale sia contempo- raneo alla roccia incassante, e che sia stato concentrato in questa dalle acque circolanti, opinioni che io accetto. Il concentramento del minerale in specie di lenti o banchi o sfere interrotte, più o meno parallele alla superfìcie primitiva delle colate, fu verosimil- mente facilitato dall’ estrema lentezza con cui le roccie circostanti si raffreddarono e cristallizzarono. Le acque successivamente hanno distribuito tenui parti di quelle concentrazioni, sotto forma di fìloncelli o di vene, anche nelle roccie sterili contigue e per breve tratto, talora, nelle stesse roccie sedimentarie. Quanto alla disposizione delle singole masse eruttive è certo che in taluni punti sono altissime e potenti, in altre, specialmente alla periferia, sono assai limitate e ristrette (Maremma senese, Valle del Marecchia, Reggiano, Bolognese): considerate in sè, prescin- dendo dai moti del suolo e dalle pieghe che ne turbano l’anda- mento, si può constatare la frequente disposizione a guisa di co- lossali mandorle assai più alte nel mezzo che ai lati; ciò si può riscontrare fino ad un certo punto nelle masse della Valle del Chiaravagna, del M. Penna, dei dintorni di Bargone e di Levanto, del M. Ragola in Liguria, di Boccassuolo nel Modenese, di Val di Magra, di Val di Serchio, Val di Tevere, Prato, Pietramala, Irnpru- neta, dei monti fra Livorno e Volterra. Se le pieghe dell’ Apennino si svolgessero e si restaurasse la primitiva superfìcie dell’ eocene quel fatto apparirebbe più chiaro. Oltre le pieghe che nascondono e turbano quella superfìcie è pure intervenuta la denudazione, la quale ha portato via molta parte delle primiere superfici, p. e. nella Montagnola senese ; scoprendosi i terreni antichi della Monta- gnola restarono isolati ad ambedue le parti i lembi eruttivi eocenici che quasi certo erano prima uniti; così ne’ terreni miocenici o plioce- nici di Val di Pesa, di Val d’Àrbia, della Romagna, delle Mar- che e di tante parti dell’Apennino troviamo ghiaie di roccie erut- tive eoceniche mancanti affatto oggi nelle immediate vicinanze. f1) B. Lotti, La min. cup. .di Montecatini. — Sul giac. cup. di Monte- castelli , 17 256 C. De Stefani Però ne’ sinclinali più ampi ed aperti, nei quali la compressione non serrò vicendevolmente i due lati e sui quali poco o punto si depositarono roccie terziarie più recenti, possiamo meglio assai die altrove osservare la forma che le masse eruttive dovettero avere in origine. Tale circostanza non si verifica se non pelle rocce eruttive degli ampi ed aperti sinclinali delle Valli della Magra, del Serchio, del Tevere, pei dintorni di Prato e per alcune colline conformate più regolarmente a cupole auticlinali ed isolate nella provincia di Pisa e ne’ tratti confinanti di Firenze, fra Val d'Elsa e il mare. Ivi sono, superiormente, al più terreni pliocenici o, nel Pisano, miocenici. La disposizione a masse amigdalari, nel modo che ho detto, è evidente in ispecie nelle tre valli prima nominate ove più estesa si conservò la primitiva superficie. Quelle masse amigdalari maggiori nel centro, minori alla periferia, si vanno perdendo e confondendo con tufi e con- glomerati i quali nettamente delimitano e confinano il campo del- l’ima massa da quella dell’altra e che poi cessano a loro volta più lon- tano. Specialmente nella valle del Serchio che conosco più da vicino e la cui massa eruttiva ho rilevato passo passo ('), tale disposizione è evidentissima e salendo sur una altura tra il Bosco di Villa ed i poggi di Casciana non può a meno di saltare all’occhio che le colossali masse eruttive separate oggi dal Serchio e da torrentelli costituivano poco addietro una massa unica e formavano un vero e completo monte conico, vulcanico, oggi aperto e sventrato fino a trovare spesso il sottosuolo sedimentario. Le conclusioni che io ho tratto nella valle del Serchio son certo che dopo minutissimi studi si po- tranno trarre altrove, e non è inverosimile che l’apparente disposi- zione di molte delle citate masse a colossali amigdale risponda ad una reale distinzione di coni eruttivi. Provata in modo indiscutibile la natura eruttiva delle dette roccie ; messo fuori d’ogni dubbio che esse eruttarono alla superficie, è indispensabile ammettere che nel tempo dell’eruzione formassero più o meno bassi crateri. In quanto alla valle del Serchio l’osservazione, secondo me, ha posto questo fatto fuori d’ogni dubbio, come le circostanze tutte sopra accennate chiariscono, secondo me, l’indipendenza di questa eruzione da tutte le altre, indipendenza che, quasi con altrettanta certezza, appare (!) C. De Stefani, Carta geol. reg. cent. Alpi Ap. — Carta geol. terr. lign. Qarfagnana. Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' A pennino 257 pelle valli della Magra e del Tevere e pei dintorni di Prato, meno assai per le altre regioni. Volendo indagare, pur sem- pre però ilei campo delle ipotesi, quali fossero i probabili princi- pali centri d'eruzione, cosa assai difficile a precisarsi senza lunghi e minutissimi studi, esporrò il mio modo di vedere: ma, ripeto, sempre nel campo delle ipotesi. La formazione eruttiva tra Voltag- gio e il Capo di S. Andrea nella Liguria occidentale appare in- dipendente dalle altre perchè un tratto notevole di terreni eocenici sedimentari contenente solo pochi conglomerati la separa dalla formazione della Liguria orientale. In essa le roccie si suc- cedono regolarmente con poca ma quasi continua saxonite alla base, poco gabbro nel mezzo e, separata a volte da breve tratto di sedimenti, diabase molto estesa sopra. Il gabbro variolitico non l’ho trovato che colà ma credo sia una cosa accidentale da non tenersi in conto come decisiva. La formazione della Liguria orien- tale è fra tutte la più potente ed estesa: essa è contraddistinta dalle altre pella presenza quasi continua del granito presso la base, e va quasi dalla pianura del Po nelle provincie di Pavia e Piacenza fino al mare Ligure e fino ai dintorni di Sarzana nelle Alpi Apuane, presso che sempre con uguale potenza e con unifor- mità. Ad ovest è distinta certo, come dicevo, dalla massa della Li- guria occidentale, come ad est rimane confinata nel campo stesso dell’Apennino dai lembi in posto che vanno sempre diminuendo d'estensione e d'altezza, la cui parentela è mostrata dai banchi granitici, e dai conglomerati che vanno pur essi limitandosi nelle provincie di Parma e di Reggio. Verso mezzogiorno è il mare e quasi certamente la massa seguita in esso e va a congiungersi con quelle che ricompaiono lungo mare ne' monti Livornesi. Lungo le Alpi Apuane a Nicola, Massarosa e presso Lucca troviamo con- glomerati di peridotite e di gabbro i quali ad ogni modo ne se- gnano nettamente il confine da quella parte orientale colle altre masse che poi vedremo. Ne’ monti Livornesi le masse eruttive ri- pigliano e seguitano nella Toscana meridionale fino all’Orda ed aH’Ombrone, con potenza quasi eguale a quella di Liguria e con la stessa superficie ma assai più interrotta. Mentre a nord e ad ovest sono interrotte dal mare, a sud sono certamente confinate da lembi che vanno sempre più isolandosi e limitandosi, e poi da conglo- merati di peridotite e di gabbro, che pur limitatamente seguitano 258 G. De Stefani ancora un poco a sud in Val d’Orcia, nel Monte Amiata e sue adia- cenze e ne’monti d’Allerona. Ad est sono certo confinate dai rari conglomerati e dalle roccie eoceniche prettamente sedimentarie del Chianti e dei dintorni d' Arezzo. Le roccie eruttive deH’Impruneta presso Firenze, quantunque piuttosto lontane dalle altre, sono forse un estremo lembo della massa predetta ; a differenza della massa della Liguria orientale questa toscana manca di Granito, essen- done traccia solo ne’ monti Livornesi. Una sua particolarità è la estensione ragguardevole de’ porfidi labradoritici ne’ monti di Ri- parbella e di Miemo. Come nella Liguria occidentale, così nella Toscana meridionale le diabasi scarseggiano ed hanno grandissimo predominio, specie in certi punti, le peridotiti ed i gabbri ; con ciò differiscono dalle roccie della Liguria orientale e da altre, salvo da quelle del Modenese. Forse le roccie eruttive eoceniche dell’i- sola d’Elba sono nell’estremità meridionale di cotale esteso gruppo; ma ad ogni modo sono ben distinte per l’estensione de’ graniti biotitici. In questa lunga serie che, interrotta dal mare, dalle pro- vincie di Pavia e di Piacenza va al fiume Ombrone, quantunque le roccie eruttive compaiano con ben poche interruzioni, è certo che non sarà esistita una sola bocca eruttiva, ma come ne’grandi campi vulcanici parecchie ne saranno state principali ed avventi- zie. Gli studi avvenire daranno almeno qualche indizio in propo- sito. Certo è frattanto che parecchi vulcani odierni dell’Oceano Pacifico hanno una estensione assai maggiore della serie predetta, e l’Etna stesso col suo unico cratere principale ha superficie quasi eguale a quella interrottamente occupata dalle masse toscane. Più orientale e separata mediante conglomerati dalle masse li- guri è quella assai più piccola, ma più distinta, di "Val di Magra, come in mezzo alle Alpi Apuane ed all’Apennino è quella anche più distinta, come già dissi, della Val di Serchio. In ambedue, alla base, seguitano graniti come nella Liguria occidentale, ma dalle masse fin qui esaminate esse si distinguono per l’estrema scarsità di gabbri e peridotiti e per l’abbondanza delle diabasi. I conglome- rati diabasici di Petrognano separano la massa di Val di Magra da quella di Val di Serchio, e gli stessi conglomerati diabasici di Cerretoli, Cascio, della Lama Lita, delle Radici, separano netta- mente quest’ ultima massa da quelle liguri, toscane e modenesi i cui confini sono segnati da conglomerati gabbrosi e poridotiferi Le rocce eruttive dell'eocene superiore nell' Apennino 259 estremamente diversi. A levante della massa Val di di Serchio credo abbiano individualità distinta i piccolissimi lembi del Modenese, costituiti da molta peridotite e qualche gabbro, con poca diabase, simili perciò alle masse liguri e toscane ma più ricchi di peri- dotite., meno di diabase. Attorno alla massa principale di Boccassuolo si vanno per- dendo con tenuissimi lembi e con conglomerati verso l’Enza a nord, verso il Panaro a sud verso la cresta apenninica ad ovest. Più a sud i lembi del Bolognese e del Mugello, cinti da conglomerati, sem- brano dipendere dalla massa molto ricca d’eufotide di Pietramala e Monte Beni. Altra massa forse distinta, a giudicare dal suo isolamento e dalla separazione mediante conglomerati, è quella del Monte Fer- rata presso Prato, quasi identica per composizione a quelle della Magra e del Serchio. Così pure identica, salvo la mancanza de 'gra- niti, ed assai più distinta da ogni altra, è la massa eruttiva della Yal di Tevere che spinge i suoi conglomerati fino in Casentino, nella Romagna toscana e nella Valle del Chiascio. Il suo studio, quando sarà compiuto, porterà a risultati altrettanto importanti quanto quello della Yal di Serchio. Finalmente lontana da ogni altra è la emersione diabasico-peridotitica di Secchiano sulla Ma- recchia, un giorno assai più estesa, come lo mostrano i conglome- rati della roccia stessa nel pliocene e nel miocene. Nell'apparenza le roccie di questa emersione mostrano molta affinità con quelle delle isole Pomo e Pelagosa e della costa dalmata. Fuori d’un piccolo lembo di conglomerato dipendente dalla massa della Yal di Tevere, presso Marano sul Topino, niun altra traccia di simili roccie apparisce nell’eocene oltre ai confini dell’A- pennino settentrionale. Nelle isole toscane, come ho detto, esse ap- paiono all’Elba. Devono però prendersi in considerazione i basalti del Vicentino, i quali, quantunque non sembrino ancora precisati in modo assoluto i limiti d’età, sembrano in parte contemporanei alle roccie eruttive apenniniche in parte alquanto più recenti. Essi pure sono in massima parte sottomarini ma sono assai più litto- rali, perciò vi mancano i gabbri e le peridotiti. I basalti sono iden- tici alle diabasi : anche questo è dunque un nuovo rapporto fra la geologia delle prealpi e quella dell’Apennino. Nell’insieme la formazione eruttiva dell’eocene apenninico è affatto paragonabile a quella eruttiva quaternaria e recente, che da 260 C. De Stefani Orciatico nel Pisano si estende lungo il Tirreno fino a Castellamare, paragone già proposto da me, ed ora accettato anche dal Verri (1). Le principali differenze sono nell’essere una propria di mare pro- fondissimo, l’altra sottomarina ma litorale o di terraferma, l’una molto basica, l’altra recente più acida. Del resto ambedue alter- nano regolarmente con sedimenti subacquei, ambedue sono estesa- mente accompagnate da tufi e da conglomerati, ambedue occupano talora tratti estesi e continui, talora formano lembi isolati ed inter- rotti : ambedue hanno la massima lunghezza quasi secondo il meri- diano ma la formazione recente in generale sta più ad occidente dell’antica. In ambedue la roccia eruttiva è disposta a banchi ed in niuna delle due si vede mai apparenza plutonica o di dica che attraversi altri lembi eruttivi o sedimenti ; in niuna delle due sono allo scoperto i focolari delle eruzioni. La formazione recente occupa però maggiore superficie dell’antica ed è più multiforme di questa, ciò che forse in parte proviene dal non essere passata sulla medesima la mano del tempo. Concludendo : le serpentine, i gabbri saussurritizzati, le epidioriti, le dia- basi cloritiche, le diabasi uraliti zzate, i gabbri rossi sono prodotti da idratazione per cause atmosferiche della saxonite, del gabbro oìivinico, della diabase. Le materie delle dette rocce sono tutte di formazione unica, salvo i porfidi labradoritici o diabasi porfiriche i quali sono di duplice formazione. Saxonite, gabbro, diabase, granito sodico-potassifero sono sempre accompagnati da tufi. La diabase ofitica e porfirica è chimicamente, mineralogica- mente e morfologicamente identica al basalte. Il gabbro non è che una diabase granitica o macrocristallina, la cui augite ha sfaldatura orto-pinacoide ; esso è per conseguenza un basalte a struttura granitica. La saxonite è un gabbro clivinico, una diabase olivinica, o in altre parole un basalte oìivinico in cui manchi il feldspato : essa (') De Stefani. La Moni, senese p. 454. Le rocce eruttive delVeocene superiore nell' Apennino 2G1 risponde pure alle concentrazioni oliviniche le quali avvengono nei basalti. Le dette roccie sono quindi tutte roccie basaltiche. Il granito sodico-potassifero non fu verosimilmente che una liparite sodico-potassifera. Niuna delle dette rocce ha carattere plutonico; ma tutte si trovano intercalate regolarmente a sedimenti marini dell’eocene superiore. Sono quindi rocce vulcaniche, non solo litologicamente, ma anche stratigrafìcamente. I sedimenti marini in cui si trovano sono propri di grandi profondità; quindi le rocce vulcaniche fecero eruzione nelle mas- sime profondità dei mari. La saxonite e il gabbro olivinico stanno sempre insieme, intimamente alternanti. Essi stanno nella parte inferiore della for- mazione. La diabase ofitica sta superiormente. T graniti si trovano inferiormente coi gabbri. Per eccezione si trovano diabasi nelle roccie inferiori, gabbri nella diabase superiore. Le dette roccie sono reciprocamente disposte con una certa regolarità in banchi ed in colate distinte. È probabile che le eruzioni ne’ tempi più antichi fossero più ricche d’olivina, cioè più basiche ed alternassero con eruzioni molto acide di liparite (granito) le quali poi non più si ripeterono. È probabile che gli aspetti granitico delia liparite, gabbroso del basalto, e la formazione della saxonite più abbondante che non soglia essere ne’ basalti superficiali odierni, sieno fenomeni dipendenti dalle grandissime profondità in cui le eruzioni ebbero luogo. Infatti il raffreddamento, il consolidamento e la cristalliz- zazione dovettero procedere con estrema lentezza, lasciando grande e durevole campo alle forze molecolari ; onde la grossa cristal- lizzazione, la mancanza di vetri, l’abbondanza d’inclusioni acquee pei vapori che meno facilmente abbandonavano la roccia. È probabile che la diabase ofitica si formasse in circostanze più simili a quelle de’ basalti superficiali, cioè a profondità mi- nori. In alcuni casi è abbastanza evidente la disposizione conica crateriforme assunta dalle roccie durante l’eruzione. Nelle suddette roccie si possono distinguere parecchi centri 262 C. De Stefani eruttivi indipendenti, ma la cui storia fu molto somigliante, benché non sempre identica, come avviene ne’ vulcani moderni. Quei verosimili centri principali d’eruzione furono la Liguria orientale, la Liguria occidentale probabilmente con la Toscana meridionale, la Tal di Magra, la Val di Serchio, i dintorni di Boccassuolo, quelli di Pietramala, quelli di Prato, quelli di Sec- ohiano sulla Marecchia e la valle del Tevere, cui si potrebbe aggiungere, fuori dell’Apennino, l’isola d’Elba. Appena emerse cominciarono le loro alterazioni e trasforma- zioni nelle roccie odierne. Le dette roccie non produssero alterazioni immediate sui se- dimenti. Dal punto di vista generale della litologia, contrariamente agl’insegnamenti dei migliori maestri, si può affermare che le roccie eruttive antiche furono identiche alle odierne. È affatto arbitrario e massimamente erroneo distinguere con nomi diversi le roccie eruttive seconde l’età che hanno. È fondamentalmente errata la divisione delle roccie in pluto- niche ed in vulcaniche, la quale è base della litologia odierna. I criteri per tali divisioni sono fallaci ; mentre la litologia deve portare lo studio sulla formazione delle roccie eruttive nelle grandi profondità dei mari e sotto altissime pressioni. Non soltanto in Italia si manifestarono tali eruzioni vulcani- che durante l’eocene superiore ma verosimilmente in tutte le regioni settentrionali al Mediterraneo. In Isvizzera sono indicati porfidi labradoritici o diabasi porfirioi nel Flysch del Cantone di Schwyz e presso Chateau d’Oex (Q ; nelle provincie di Cadice e Siviglia - in Ispagna Macpherson indica diabasi e porfidi augitici con augite uralitizzata o alterata in dori te, d’età posteriore al nummulitico (2). Nella regione opposta, cioè ad oriente della nostra penisola, com- parisce la diabase olivinica, che credo della stessa età, all’isola Pomo in mezzo all’Adriatico ; è costituita da labradorite, augite, olivina con apatite , ilmenite o magnetite , con clorito, mica. (!) C. Schraidt, Diabasporphyrite und Melaphyre vom Nordabhang der Schweizer Alpen (N. Jahrb. f. Min. 1887). (2) ,T. Macpherson, Estudio (teologico y petrografia del Norte de la pro- vincia de Sevilla. Madrid, 1879. Le rocce eruttive dell'eocene superiore dell' Apennino 263 quarzo forse prodotti da alterazione. Sarebbe a vedere se anche la trachite augitica di Pelagosa appartenga al descritto gruppo di roccie (‘). Sulle coste dalmate ricompare la diabase, verosimil- mente della stessa età, nello scoglio Brusnik presso S. Andrea ed a Lissa e Comisa (2). Più sicure analogie coi nostri hanno i ter- reni attribuiti al Flysch della Bosnia e dell’Erzegovina nei quali, insieme a sedimenti uguali ai nostri dell’eocene superiore, compaiono serpentine, gabbri, gabbri olivinici, il cui diallagio è spesso come da noi alterato in antibolo onde la roccia si trasformò in diorite (3). Secondo il Fuchs nelle medesime circostanze si ripe- terebbero le serpentine e le roccie concomitanti neH’Eubea (4). Per conseguenza, durante l'eocene superiore, lungo la parte settentrionale del Mediterraneo , eh’ era profondissimo , era lunga serie d’isole o di vulcani sottomarini paragonabili a quelli delle isole della Sonda, del Giappone, ecc. lungo la parte settentrionale del Pacifico d’oggi. C. De Stefani. (') M. Groller von Mildensee, Topografisch-geologische Skizze der In * selgruppe Pelagosa (Mitth. a. d. Jahrb. d. K5n, ung. geol. ansi 1885, p. 152). (2) Tschermack, Verh. d. geol. Reichsanstalt 1867, p. 91. F. von Hauer ibidem 1882. (3) C. von John, Ueher krystallinische Gesteine Bosniens und der Iler- zegovina. Wien, 1880. — F. Schafarzek, Dìabas von Doboj in Bosnien (Foldtani ICozlony, Budapest, IX, 1879, p. 439). — Tietze, loc. cit. (4) Th. Fuchs, loc. cit. DEL GENERE PYXIS Meneghini E DI UNA VARIETÀ DI PYXIS PYXIDATA (Br.) Fra i diversi molluschi fossili raccolti dal dr. Fridiano Ca- vara nel pliocene di Mongardino e da lui citati nel suo interes- sante lavoro sulla flora fossile di detta località ('), vi erano alcune valve di Pecten che per la loro forma speciale e per altre par- ticolarità attrassero la mia attenzione. Presentavano alcuni carat- teri spettanti all’ Ostrea 'pyxidata Br. ma pure con questa non si potevano assolutamente identificare, peroni le considerai come ap- partenenti ad una varietà della specie del Brocchi. Ricordo ancora come molti anni prima, il D. Carlo Fornasini mi presentasse i frammenti di una valva di Pecten, raccolta presso il Sasso, i cui caratteri mi ricordavano il P. Gerardii Nyst dello Scaldisiano del Belgio e del Crag d’Inghilterra. Avendo, or non è molto avuto sott’occhio altre valve ed in miglior stato di conservazione, potei meglio fare qualche osser- vazione rispetto ad alcuni caratteri speciali, quali, p. es. la forma piana della valva destra e la profonda insenatura del bisso ; ca- ratteri che in pari tempo riscontravo nella specie tipica del Brocchi. Mercè di questi mi sembrava fosse necessario separare questa forma dalle altre spettanti alla famiglia dei Pettini e perciò farne un genere nuovo. Rammentando poi come nel 1877 il De Stefani pubblicasse una brevissima diagnosi e descrizione di questo ge- nere (-) e come lo stesso De Stefani e il Pantanelli lo citassero % P) Cavara F., Sulla Flora fossile di Mongardino ecc. (Moiri, r. Ace. Se. Ist. Boi. ser. 4°, voi. VII, Bologna 1886). (2) De Stefani, Descrizione di nuove specie di Molluschi pliocenici ita- liani Bull. d. Soc. malac. ital. voi. Ili (Pisa 1887). 265 Del genere Pyxis Meneghini ecc. nel lavoro sui molluschi pliocenici del Senese (*) ma senza darne una dettagliata descrizione mercè la quale fossero precisati i carat- teri sui quali questo nuovo genere era basato; credetti fosse per essere ben fatto indicarli, tanto più che mi si presentava favorevole occasione di descriverne una varietà molto interessante. Tenuto in questa determinazione, scrissi in proposito al testò defunto prof. Meneghini, chiedendogli in quale epoca avesse questo nuovo nome applicato alla specie del Brocchi, e se una descri- zione fosse stata da lui pubblicata ; in pari tempo poi gli espri- mevo un mio dubbio sulla convenienza di mantenere questo suo nome nuovo, avendo notato come il Fischer nel suo manuale di Conchiologia (2) cita il genere Pyxis del Chemnitz, ma come si- nonimo del genere PrOductus. Il Prof. Meneghini sempre gentile e cortese e con quella sua speciale caratteristica di bontà per chi si interessava della scienza, il 9 Novembre 1888 rispondeva alle mie domande colla lettera che qui testualmente trascrivo. « Pregiatissimo Dottore, « La ringrazio di avere dissotterrato il mio povero genere « Pyxis che io basavo principalmente su due caratteri importanti : « l’essere cioè piana la valva diritta e convessa la sinistra, a - rovescio della .Talliva, ed il profondo intaglio bissale, tanto « diverso dal semplice cenno che ne presentano tutti gli altri « Pecten. Da molti anni avevo rilevato questi caratteri, ma fu •« solamente nel 1878 che sollecitato dal De Stefani a proporre « un nome generico, proposi appunto quello di Pyxis .... « In quanto al nome già usato, ma rimasto senza applica- li zione, non crederei motivo sufficiente a mutarlo. « Mi continui la sua amicizia e mi creda sempre ecc. » Lieto delle parole gentili del distinto naturalista e convinto di non essermi opposto al vero, confermando esso le mie vedute sui caratteri generici, mi diedi premura di consultare il Chemnitz, (!) De Stefani e Pantanelli, Molluschi pliocenici dei dintorni diSiena. (Bull. Soc. Malac. ital. voi. IV, pag. 29. Pisa 1878). (2) Fischer P., Manuel de Conchyliologie ecc., pag. 1276. (Paris. 1887). 2 66 L. Foresti onde vedere di potere accondiscendere al troppo giusto desiderio dell’illustre professore. Il Chemnitz nel suo lavoro (’) a pag. 299 e a pag. 301 ado- pera la parola Pyxis applicandola la prima volta al Pecten pyxi- datus (Bora) (2) la seconda volta ad un brachiopodo del genere Productus. In ambo i casi usa del vocabolo Pyxis in senso de- scrittivo e non nel vero senso caratteristico per distinguere o per stabilire un genere. Per la forma di scatola poi (Dose in tedesco) che secondo lui presentavano questi molluschi usò del vocabolo Pyxis, e poscia aggiunse l'aggettivo sulcata ecc. nel primo caso, iransversim striato, ecc. nel secondo ; per cui è ben manifesto che non adottando la denominazione binominale del Linneo, in questo caso il Chemnitz non aveva il pensiero di creare un genere, ma semplicemente di descrivere due forme di molluschi ben di- versi fra loro, ma che presentavano la forma di scatola. Questo vocabolo Pyxis essendo stato, dopo il Chemnitz abbandonato e senza applicazione, come mi faceva osservare il Meneghini, mi sembra che si possa, senza generare confusione e senza far contro le regole prescritte per la nomenclatura e la priorità adottare, per distinguere le forme di molluschi di cui terrò ora parola ; tanto più che anche il Fischer, non lo ha per genere buono conside- rato, quando lo cita solamente come sinonimo del genere Pro- ductus del Sowerby (1812); giacché se fosse stato altrimenti, avrebbe dato la preminenza al genere del Chemnitz pubblicato 25 anni prima di quello del Sowerby (3). 0 Chemnitz J. F., Neues systematisches Conchylien. Cabinet, voi. VII (Nurinberg 1784). (2) Born, Musei Caos arei Vindobonensis Testacea (Vienna 1780). (3) A proposito di priorità aggiungo ora due sole parole in risposta ad una Nota del prof. De Stefani pubblicata nel voi. VII del Bollettino della Società geologica italiana ; è intitolata : Precedenza del P eden Ang eloni i, Meneghini al P. bistri x Doderlein. E vero che il P. Angelonii, già inedito, fu descritto nel 1878 dal De Stefani e Pantanelli sei anni prima che col nome di P. histrix Dod. fosse pubblicato e figurato dal Meli; ma resta pur vero che fino dal 1862 il Doderlein l’aveva pubblicato, e cioè sedici anni anche prima della pubbli- cazione dei due conchiologi toscani. Il Doderlein non ne diede descrizione, ma il Meli poi ne pubblicò una completa, ed io poscia una più dettagliata, aggiungendo delle buone figure, e cosi si venne a completare quanto era stato Del genere Pyxis Meneghini eco. 267 Genere rxis Meneghini (1878). Conchiglia inequivalve , suhorhiculare , auriculata , chiusa ; orecchiette disuguali ; insenatura del bisso, molto profonda. Valva destra piana, valva sinistra convessa. Superfìcie esterna striata lon- gitudinalmente ai lati, liscia nel centro; superficie interna liscia. Fossa legamentare triangolare ; margine cardinale retto, margine ventrale non pieghettato. Pyxis pyxìdata (Br.) var. Cavarae Foresti. La conchiglia è di forma suborbicolare, generalmente più larga che alta, è inequivalve. La valva destra è piana, convessa la sinistra ; le orecchiette sono bene sviluppate, ma disuguali fra loro, essendo nella valva destra specialmente più sviluppata l'an- teriore che la posteriore. Gli umboni terminano in una punta molto acuminata percui è bene manifesto come nello stato giovane, là valva destra in particolar modo assumi una forma triangolare. La insenatura del bisso è stretta e molto profonda. Il margine car- dinale si presenta orizzontale, i margini laterali e ventrale sono interi e non pieghettati. Esternamente ambo le valve mostrano delle strie longitudinali più o meno profonde, più o meno larghe che danno luogo a delle costiccine le quali coll’ intersecarsi delle spesse e sentite linee di accrescimento si mostrano inegualmente ondulate e nodiformi. Queste strie cominciano ben manifeste e ben sviluppate ai lati degli umboni per prolungarsi fino al margine della valva ; gradatamente diminuiscono di profondità portandosi verso il centro, ove del tutto scompaiono. Alcuni individui però le palesano, sebbene leggermente anche nella porzione mediana, ma sempre però verso il margine, restando la parte veramente dal Doderlein appena accennato; perciò trattandosi ora di una specie il cui nome fu prima di ogni altro semplicemente pubblicato, che poscia la stessa specie venne descritta con altro nome, e che in seguito venne di nuovo più completamente descritta e di più figurata, ma col nome prima indicato, a me sembra che questo primo nome, e cioè quello del Doderlein, a quello del Meneghini debba sempre andare innanzi. In ogni modo resta ora riconosciuto, clic trattasi sempre della stessa specie. 268 L. Foresti centrale e l'estremità degli umboni sempre liscia. Queste strie sono sempre più marcate nella valva desila. In ambedue le valve sono bene manifeste le linee concentriche di accrescimento. Anche le orecchiette si mostrano striate, e queste strie sono disuguali ; nel- l’orecchietta posteriore sono più sottili, più uniformi, mentre nel- l’anteriore sono più profonde, dando perciò luogo a delle coste grossolane e nodose. Questa differenza nell’intensità delle strie sulle due orecchiette parimenti si osserva, ma in grado minore, sulla porzione anteriore e posteriore, specialmente della valva destra. Internamente le valve sono liscie ; le impronte paleale e musco- lare ben marcate ; la fossetta legamentare larga e triangolare ; il margine dell’orecchietta anteriore, nella valva destra si presenta con delle leggiere pieghettature, mentre come ho già accennato, lisci ed interi sono i margini laterali e centrali. I caratteri mercè dei quali ho creduto dover distinguere questa forma dalla specie tipica del Brocchi, sono principalmente la forma generale, cioè dell’essere la conchiglia, nel maggior numero dei casi più larga che alta ; meno rigonfia la valva sinistra ; più svi- luppate le orecchiette ; più profonda e più stretta la insenatura bissale ; molto più marcate le strie tanto nelle valve che sullo orecchiette. Di questa varietà, all'opposto del P. pyxidata (Br.) più di frequente si raccolgono i resti della valva destra, che quelli della sinistra, ed è perciò che non ho potuto far disegnare una valva sinistra, perchè non mi è stato dato di trovarne una abbastanza completa. Sebbene il Born avesse già nominato, descritto e figurato un’altro Pecten , col nome di P. pyxidatus (Ostrea), che il Reeve riferirebbe al P. sulcatus (Gmel.), forma che oggi si deve ripor- tare al genere Chlamys, credo non sia del caso cambiare il nome specifico alla specie del Brocchi, dovendosi questa oggi riferire al genere Pyxis. A questo nuovo genere credo si debba riportare anche il P. Gerardii del Nyst. La piccola invero, ma costante differenza litologica che riscon- trasi nei depositi delle sabbie gialle delle colline che si innalzano fra il Semoggia e il Lavino, con quelle che emergono fra il Lavino ed il Reno nel Bolognese viene anche espressa da alcune modifi- 269 Del genere Pyxis Meneghini ecc. cazioni che si manifestano in vari fossili i quali si rinvengono tanto nelle une che nelle altre ; e queste modificazioni differenziali nel guscio dei molluschi, esse pure costanti, credo sia interessante il farle notare, specialmente per facilitare a conoscere a quale piano il fossile raccolto appartenga. Le differenze notate nella specie è nella varietà ora in di- scorso, sono fatti che in certo qual modo vengono anche a dare spiegazione della differenza della roccia in mezzo la quale si rac- colgono ; e difatti mentre la var. Cavarae per la insenatura del bisso più profonda, per le orecchiette più sviluppate, per la mag- giore robustezza e per la grossolana ornamentazione delle sue valve, fa palese che le onde in mezzo le quali questi animali vivevano, non erano calme nè tranquille, avendo gli animali avuto bisogno di maggior robustezza per resistere alle perturbazioni dell’ambiente in cui prosperavano ; per la stessa ragione anche il littorale di quel mare scosso e con certa violenza denudato dava luogo a sabbie grossolane, che per il molto calcare che le acque marine contenevano, si agglomeravano, si cementavano, e in molti casi formavano delle lastre, dei banchi, degli strati di mollassa più o meno friabile, più o meno compatta. Con molto minore intensità gli stessi feno- meni succedevano negli altri depositi analoghi, ove troviamo la specie tipica del Brocchi, la quale vi si mostra colle valve meno grosse, colle orecchiette e la insenatura meno accentuate, coll'or- namentazione più leggiera, ed è perciò che anche la roccia in mezzo la quale la raccogliamo è sempre meno cementata, più disagregabile, e quando è sotto forma di sabbia questa è sempre più fina. Le osservazioni sui fenomeni naturali, anche di poco momento, sono sempre per tornare vantaggiose, potendosi spesse volte ritrarre da esse interessantissime spiegazioni. L* Foresti. ' . .... v ' J • ■ • , i — - Boll. Soc.GeoI. Hai. Vili. (1889) tav. IV. (ForesciJ E.Contoh ‘ fife. da! vero e in pietra. ht. G. Wenk e Figli -Bologne. La Società geologica italiana tiene due adunanze ordinarie all'anno ; l'una invernale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- stinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una adunanza ordinaria, e pagare una tassa annua di L. 15, e una tassa d’entrata di L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle Adunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci ed ai reso- conti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno inviate alla Presidenza, e per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste domanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il prezzo a carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 3 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 20 l’uno, meno il voi. IY (1885) che si vende L. 30. Ai librai è accordato uno sconto da convenirsi. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 10 l’uno indistintamente. — Per l’acquisto - diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. A. Verri. Geologìa e topografia pag. 159 C. De Stefani. Le rocce eruttive delineo cene superiore nell’ Apennino « 175 L. Foresti. Bel genere Pyxis Meneghini e di una va- rietà di Pyxis pyxidata (Br.) « 264 Anno Vili. Fascìcolo 3° BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. Vili. — 1889. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1S90 3 KAY,9Qjj. Avvertenza, Vedi la seconda e terza pagina della copertina. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Ufficio di Presidenza per l’anno 1890. Presidente Prof. cav. Torquato Taramelli. Vice-PresidLento Prof. comm. Gaetano Giorgio Gemmellaro Segretario Prof. ing. Romolo Meli Vice-Segretario Dott. cav. Carlo Fornasini Prof. Carlo Fabrizio Parona Tesoriere Avv. Tommaso Tittoni Deputato al Parlamento Vice-Tesoriere Cav. ing. Augusto Statuii Archiv ista Prof. dott. Giuseppe Tuccimei G onsiglieri Prof. comm. Luigi Bombicci Prof. Mario Canavari Prof. cav. Igino Cocchi Prof. cav. Antonio D’Achiardi Comm. ing. Felice Giordano Cav. ing. Lucio Mazzuoli Prof. Antonio Neviani Prof. Carlo Fabrizio Parona Comm. ing. Niccolò Pellati Prof. Dante Pani anelli Conte comm. Giuseppe Scarabelli Senatore del Regno Cav. maggiore Antonio Verri Commissione per le pubblicazioni. Conte Comm. G. Scarabelli Gommi-Flamini Prof. cav. A. D’Achiardi Prof. cav. G. Omboni. Sede della Società. — Poma - Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario. lì SUL GIACIMENTO DI VERTEBRATI FOSSILI A OLI VOLA NELLE ALPI APUANE Il dottor Igino Cocchi nel suo lavoro : Description cles roches iynèes et sédimentaires de la Toscane , pubblicato nel Boll, della Soc. geol. di Francia, nel 1856, ricordava i conglomerati e le sabbie marnose giallastre con ossa di mammiferi di Olivola in Val di Magra e faceva menzione delle sottostanti argille con ligniti che riferiva allo stesso livello di quelle di Castelnuovo di Garfagnana. Una sezione da ovest-nord-ovest a est-sud-est condotta attraverso il fiume Tavarone, i paesi di Canale scuro e Olivola e il fiume Arci- naso fa conoscere la estensione e la importanza delle argille ligni- tifere e la potenza dei conglomerati con letti di sabbie marnose ossifere caratterizzate anche da conchiglie terrestri. Avendo avuto la opportunità di vedere alcune di quelle ossa nel museo geologico di Pisa, nell’ autunno del 1858 mi recai per la prima volta a Oli- vola per rendermi conto di quell’importante giacimento fossilifero. Accompagnato dal signor Leopoldo Fenucci di Sarzana, per la via di Fosdinovo Tendola, S. Terenzo e Soliera, passando per Pal- lerone giunsi a Olivola il 3 settembre. Specialmente lungo l' ultimo tratto di strada mi resi conto della potenza dei conglomerati e delle tracce di lignite nelle sottostanti argille e tra i ciottoli della por- zione inferiore dei conglomerati ne riconobbi alcuni di calcare re- t.co con fossili. Alla base del colle di Soliera notai grossi blocchi di anagenite di quasi un metro di diametro. Le sabbie marnose com- patte che alternano con conglomerati a piccoli elementi si tro- vano nella porzione superiore della formazione. Il paese di Olivola, a 258 metri sul livello del mare, trovasi sopra uno strato di con- glomerato costituito prevalentemente da ciottoli di calcare nero, 18 272 G. Capellini con ciottoli di quarzo e avanzi delle più antiche rocce delle Alpi Apuane. Questo conglomerato che, per più ragioni, potrebbe dirsi una vera puddinga ha circa tre metri di grossezza e ricopre un letto di sabbie argillose giallastre che ricordano il Lehm o Loess. Questo strato sabbioso in cui si trovano avanzi di vertebrati si può stu- diare benissimo a circa duecento metri dal paese lungo la strada che conduce a Quercia. Fino dalla mia prima escursione nel 1858. in seguito a un pic- colo scavo dirimpetto alla cappelletta di sant’Antonio, subito sotto il piano stradale, mi riesci di scoprire avanzi di cervo e di rino- ceronte che in parte si trovano oggi nel Museo geologico di Bo- logna. Di questi piacemi di ricordare porzione di un femore e un astragalo di rinoceronte, porzione di mandibola con altri denti iso- lati, porzione di omero e un radio di cervo di cui raccolsi pure un corno abbastanza completo che offre interesse particolare perchè differisce dalle corna dei cervi pliocenici noti anche a paleonto- logi che più particolarmente si interessarono dello studio di questi ruminanti. Trascorsi più che trenta anni, senza che io fossi tornato a Oli- vola per continuare le mie ricerche, nello scorso agosto trovandomi in Spezia mi furono presentati alcuni frammenti di ossa e denti di Rinoceronte che si diceva essere stati di recente scoperti in una caverna. Appena veduti quei resti assicurai che si trattava di verte- brati fossili raccolti a Olivola o in giacimento identico a quello da me esaminato già nel 1858 e del quale anche di recente mi era intrattenuto col dott. G. F. Major. Verificatosi infatti che quei frammenti provenivano da Olivola e avvisato che in quei giorni molte altre ossa analoghe erano state scavate, senza indugiare mi recai sul posto in compagnia del prof. Carazzi e di alcuni amici e si potè constatare che nello stesso luogo ove aveva scavato trent’anni addietro, erano state estratte o ridotte in frammenti molte ossa del cervo di cui ho fatto cenno, e varie parti dello scheletro del rinoceronte. Il cranio del rinoce- ronte era stato frantumato, delle mandibole riescii a ritrovare quasi tutti i frammenti e se avessi potuto subito acquistarle mi sarebbe riescito agevole di ricomporle e di studiarle. Ma ad onta 273 Sul giacimento di vertebrati fossili, ecc. di oneste offerte non mi è riescito fino ad ora di sapere se a qual prezzo sarebbe possibile di ottenere quelle ossa tanto maltrattate perché alcuni dei cavatori interessati per la vendita pensavano che si trattasse di ricco minerale di cui importasse tener conto della quantità per ricavarne oro o altro metallo prezioso. G. Capellini. (Nota). Annunziando questa mia comunicazione, il collega Cocchi mi ha gentilmente informato che a Olivola di recente furono fatti scavi per conto del dott. C. F. Major che acquistò quanto era stato raccolto e già notò anche avanzi di Castoro. SULLA SCOPERTA DI UNA CAVERNA OSSIFERA A MONTE CUCCO Nell’Apennino che separa l’Umbria dalle Marche a 1567 m. sul livello del mare si eleva Monte Cucco. Questo monte che es- sendo vicino al Catria alto m. 1702 non merita la preferenza qua- lora si voglia godere della veduta panoramica, è destinato a divenire celebre presso i paleontologi per la caverna che vi si trova e che finora rimase poco conosciuta e può dirsi scientificamente inesplorata. Di questa caverna è fatto cenno nella Guida statistica delta città e comune di Fabriano del cav. Oreste Marcoaldi (1874) ed ivi è trascritta una descrizione datane dal monaco silvestrino G. B. Ca- sini che la visitò e dice di avervi trovato iscrizioni che lascereb- bero supporre essere stata esplorata assai anticamente. L’ingresso è a mille metri sul livello del mare sopra una pendice ripidissima e quindi l’accesso ne è difficilissimo. Il cav. dottore Giambattista Miliani nel 1888 terminando l’in- teressante ed elegante volumetto Fabriano e dintorni (Ricordo alla Società geologica italiana) cita la caverna di Monte Cucco da lui • già più volte visitata e per quanto riguarda l’ampiezza, la profon- dità 560 m. e le bellezze naturali, asserisce essere dessa senza paragone più interessante di quella del Monte Giunguno conosciuta col nome di Grotta di Frasassi ('). Si penetra nella caverna calando per una specie di pozzo in- clinato di oltre ventisette metri di profondità e benché il signor (0 La Società geologica italiana nella sua adunanza estiva del 1883 vi- sitava la Grotta di Frasassi guidata dal senatore Scarabelli. A quella adunanza prendeva parte Q. Sella e la sua ultima escursione scientifica fu alla Grotta di Frasassi e al Ponte di Chiaradovo. 275 Sulla scoperta di una caverna ossifera a Monte Cucco Miliani sia un intrepido alpinista più volte ebbe a dichiararmi che la esplorazione scientifica della caverna di Monte Cucco presentava serie difficoltà. Non avendo cessato di pregare e incoraggiare il gentile amico perchè investigasse quell’antro e vi cercasse ossa fossili, nello scorso giugno con vivissima soddisfazione ricevetti la lieta notizia che in una recente esplorazione aveva trovato un frammento di roccia con avanzi di ossa. Il Miliani riteneva che quel frammento si fosse staccato dalla volta della caverna e mentre partiva per Parigi di- spose perchè mi fosse inviato e avessi modo di esaminarlo durante la sua assenza. Il frammento di roccia raccolto dal bravo Miliani era un pezzo di calcare stalagmitico nel quale si vedevano impi- gliati alcuni frammenti di ossa lunghe. Spezzando la roccia per estrarre quelle ossa che riconobbi come porzione superiore di cu- bito destro di un piccolo orso fui abbastanza fortunato per trovarvi anche due molari dello stesso animale il 1° e il 3° inferiori sini- stri e porzione della mandibola. Della interessante scoperta mi affrettai ad avvisarne il prof. Zon- ghi e pochi giorni dopo congratulandomi con l’amico Miliani reduce da Parigi lo pregai vivamente di cercare con cura e di fare ese- guire opportunamente piccoli scavi che con ogni certezza avreb- bero fruttato altri e più importanti avanzi fossili. Il 24 agosto l’infaticabile esploratore della caverna di Monte Cucco mi annunziava d’aver raccolto un certo numero di avanzi fossili che esso riteneva di qualche importanza ; tra essi : vertebre, denti, e porzioni di un cranio che con abilità e pazienza avrei potuto ricostruire. Aggiungeva che per scavare le poche ossa che mi avrebbe subito inviate aveva dovuto faticare enormemente e lottare per due giorni contro ogni sorta di difficoltà. Ricevuto il graditissimo invio mi affrettai a consolidare e re- staurare con ogni cura quelle primizie ed oggi sono lieto di poter annunziare, in così solenne adunanza, la interessante scoperta do- vuta alla energia e costanza del dottore Miliani, rendendo conto sommariamente di quanto già ho potuto constatare coi resti trovati nella nuova caverna ossifera. Tutte le ossa finora raccolte spettano al genere Orso, ma non è da dubitare che si incontreranno altresì avanzi di altri vertebrati 276 G. Capellini e anche per la microfauna assai mi riprometto dall’antro di Monte Cucco per fortuna non manomesso. Contrariamente a ciò che si ve- rifica in generale per le caverne ossifere, l’orso di cui si può ri- tenere che troveremo resti più abbondanti non sarà il grand’orso delle caverne ossia l’ Ursus spelaeus , Bl., bensì il piccolo orso che Goldfuss segnalò pel primo come raccolto da Soemmering nelle parti più profonde della caverna di Gajffenreuth e al quale diede il nome di Ursus priscus Gold. L’orso prisco somiglia moltissimo, pel profilo, all’orso bruno delle Alpi ; ha la fronte piatta e la sua massima convessità si nota presso la sutura frontale. Per taluni caratteri p. es., per la con- giunzione dei nasali coi frontali, senza cavità apprezzabile, si av- vicina all’orso nero di Europa anche più che all'orso bruno. Per le dimensioni può dirsi che esse sono minori di quelle dei gio- vani orsi spelei, riguardo ai quali devo qui ricordare che fino dal 1859 ebbi a segnalarne due distinte razze o varietà nella ca- verna ossifera di Cassana. Il piccolo orso speleo di Cassana è stato ritrovato nel 1885 nei trabocchetti della celebre grotta di Gargas nei Pirenei e il prof. Gaudiy che lo ha annunziato nel giugno 1887 (‘) ne fa ve- dere un bello scheletro ricomposto nella grande galleria dei verte- brati fossili al Museo di storia naturale a Parigi. Ma l’ Ursus priscus nulla ha che fare con il piccolo orso speleo e oltre alle differenze che si notano nel cranio e nelle altre parti dello scheletro, la sua dentizione offre caratteri importanti per ben riconoscerlo. Dietro il dente canino della mascella e della mandi- bola si osserva un piccolo premolare che spesso manca restando in tal caso l’aveolo per attestarne la esistenza. Nella mascella su- periore vi ha pure un piccolo premolare in serie con gli altri e che, come i premolari dietro i canini, mai si trova nei grandi orsi delle caverne. Cuvier insiste sui rapporti dell’ Ursus priscus coll’ Orso bruno e coll’ Orso nero, ma ritiene che non debbasi confondere con nes- suno dei due ; vi hanno però alcuni paleontologi i quali pensano (9 Bulletin de la Soc. geol. de France 3e Sdrie, t. XV p. 423, t. XVI p. 21. Paris 1887. Sulla scoperta di una caverna ossìfera a Monte Cucco 2'^ doversi questo piccolo orso ritenere come Ursus avctos e quindi dfr riguardarsi come l'Orso bruno fossile. È sperabile che dalla caverna di Monte Cucco si abbiano tali resti da poter fare la completa osteologia di questa specie e che, per tal mezzo, si riesca anche a risolvere definitivamente questa questione; ecco intanto la enumerazione dei resti provenienti dalle prime ricerche del dott. Miliani. TJrsia.« priecus, Goldfuss*. t I. Cranio quasi completo di un individuo adulto, ma non vecchio. Con tutta probabilità sono da riferire allo stesso animale le seguenti ossa: Quattro vertebre cervicali; — (IIa, IIIa, IYa, Va); Frammento della scapola sinistra; I due omeri incompleti ; II cubito ed il radio destro mancanti della estremità in- feriore ; Due vertebre lombari; Porzione dell’ischio sinistro; Femore destro ed estremità inferiore del sinistro; Calcagno destro; Quattro ossa metacarpali. II. Porzione del mascellare superiore- sinistro e mandibola si- nistra quasi completa di un individuo vecchio, benché un poco più piccolo del precedente. Dello stesso individuo: Atlante, osse e parte della terza vertebra cervicale; Porzione della scapola destra; Estremità inferiore dell’omero destro; 278 G. Capellini. Sulla scoperta di una caverna, ecc. Cubito destro mancante della estremità inferiore; Porzione superiore del radio destro; Cubito sinistro; Estremità superiore del femore destro; Tibia destra; Rotula ; Calcagno destro; calcagno e astragalo sinistri Metatarsi e falangi. III. Omero destro incompleto; Cubito destro incompleto e probabilmente spettante ad altro individuo ; Piccola porzione di mandibola; Primo e terzo molari inferiori sinistri. In conclusione il maggior numero delle ossa fin qui raccolte spettano principalmente a due esemplari dell’Orso prisco; ma es- sendosi trovati avanzi di tre omeri e cubiti destri già è constatata la presenza di un terzo esemplare di Orso anche un poco più grande dei due primi registrati, non però di specie diversa. Mentre correggeva le bozze della presente Nota ho ricevuto dal signor Miliani altro invio di ossa raccolte ove erano state fatte le precedenti esca- vazioni ; esse pure si riferiscono agli individui dei quali si trovarono i primi avanzi e in altra circostanza ne renderò conto particolareggiato. G. Capellini. RETTIFICA DI UNA CITAZIONE FATTA DAL SIG. C. DE STEFANI In un lavoro intitolato : Le rocce eruttive dell’ eo cene supe- riore nell’ Apennino, pubblicato dal sig. C. De Stefani nel fase. 2° del voi, Vili del Bollettino della Società geologica italiana, a pag. 193 si legge: « Il Mazzuoli suppose che invece di essere la serpentina un prodotto d’alterazione dell 'olivina e di conseguenza la bastite del- Yenstatite , si verificasse l’opposto, fosse cioè Yolivina derivante dalla disidratazione della serpentina , la quale si sarebbe formata in origine tal quale : ciò posto sarebbe parso più facile sostenere la sua origine per via idrica sedimentaria ». Non essendomi io occupato delle relazioni tra la serpentina da un lato, Yolivina e Yenstatite dall’altro che nella Nota sulle formazioni o fiolitiche della valle del Penna , pubblicata nel vo- lume XV del Bollettino del R. Comitato geologico, anno 1884, devo ritenere che il sig. C. De Stefani abbia tratto l’anzidetta citazione da quella Nota, la quale d’altronde trovasi menzionata nella bibliografìa che precede lo scritto dell’autore. A dimostrare ora l’esattezza posta dal sig. C. De Stefani nel riferire le mie opinioni, trascriverò qui di seguito alcuni brani della conclusione di quella mia Nota. A pag. 404 si legge: « Ecco dunque che sono io pure costretto, dalla forza dei fatti, ad ammettere che la serpentina deve considerarsi come il prodotto dell’alterazione di un’altra roccia. E qui mi occorre di- chiarare che, dopo i rilievi compiuti all’Ajona e a Prato Molle, è in me nata la convinzione che il nesso esistente tra la Iher- <280 Rettìfica ài una citazione, eccK solite e la Serpentina noia costituisca un'accidentalità locale, li- mitata alla valle del Penna, ma sia invece un fenomeno generale, tale da stabilire fra le due roccie una stretta e quasi costante relazione. Credo che questo legame debba esistere anche quando non si manifesti la lherzolite', però è assai probabile che un più attento esame delle regioni serpentinose porti alla scoperta di altre masse rocciose di natura uguale a quella della massa di Pria. Borgheise » ('). Più sotto, nella medesima pagina è detto : «Nel caso della lherzolite, la sua trasformazione in ser- pentina sembra un fatto assai semplice, Ed invero è noto come la lherzolite sia essenzialmente costituita dall’associazione dell’o^'- vina coll’ enstatite, rappresentando il primo minerale circa i tre quarti della massa della roccia. Ora dalle analisi fatte dal prof. Cossa delle lherzoliti del Piemonte è risultato che tanto X olivina che X enstatite sono formate da silicati di magnesio e di ferro. E sic- come anche le serpentine risultano ordinariamente composte di silicati di magnesio e di ferro, coll’ aggiunta del 12 al 13 per cento d’acqua, ne consegue essere sufficiente l’idratazione della lherzo- lite, perchè questa roccia si trasformi in serpentina ». Dal che si vede che il sig. C. De Stefani mi ha fatto dire precisamente il contrario di quanto ho ripetute volte affermato. L. Mazzuoli. (J) Le ulteriori osservazioni mie, i rilievi e gli studi del Lotti, del Busatti e di altri barino pienamente confermata quella mia supposizione, CATALOGO PALEONTOLOGICO DEL BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE A cominciare da Borson e da Brocchi sino a giungere al giorno d’oggi, cioè per il corso di quasi un secolo, i numerosi e svariatissimi fossili racchiusi nei terreni terziari del Piemonte vennero esaminati e descritti in cento lavori diversi, più o meno importanti, inseriti in riviste ed accademie scientifiche di vario genere, italiane ed estere. Tutto questo immenso materiale paleon- togico accumulato per tanti anni e da tanti autori, riesce ora in parte difficilmente utilizzabile, sia perchè appunto esso è troppo sle- gato e disordinato, sia perchè dal lato geologico esso non corri- sponde più alle recenti viste scientifiche, difetto questo assai grave inquantochè può essere solo corretto da chi conosce minutamente l’intiero bacino terziario del Piemonte e può esaminarne accurata- mente i fossili. È perciò che avendo ora terminato lo studio par- ticolareggiato di detto bacino credetti opportuno di passare ezian- dio in rivista i fossili e di redigerne un catalogo, completo il più che fosse possibile, secondo gli studi fatti sinora su di essi. In questi stretti e modesti limiti di semplice catalogo ridussi questo lavoro paleontologico per diverse ragioni. Anzitutto vari scien- ziati, quali Portis, Issel, Telimi, Squinabol, ecc. si vanno ora oc- cupando appunto minutamente e sapientemente dei vertebrati, dei molluschi, dei foraminiferi, delle piante ecc. del bacino in esame ; inoltre io sono ben lungi dal possedere nei singoli rami della pa- leontologia quella competenza che ciascuno dei suddetti miei ca- rissimi amici ha per i suoi lavori prediletti, e quindi a tale ri- guardo mi limito anch’io a studi speciali sopra rami particolari; infine anche se avessi la competenza necessaria per fare un minuto 282 F. Sacco studio paleontologico sul bacino terziario piemontese, e se avessi tutta la buona volontà per eseguirlo, non mi basterebbero proba- bilmente nè la vita, nè i mezzi materiali per compierlo degnamente. Quindi riguardo agli studi paleontologici dobbiamo cercare tutti assieme, ciascuno secondo le proprie forze, di far avanzare, come si è fatto pel passato, la conoscenza paleontologica del bacino piemontese per mezzo di contribuzioni più o meno importanti se- condo le varie circostanze; qui invece mi limito semplicemente a riassumere quanto già fu fatto in proposito, ordinandolo però secondo il nuovo indirizzo dato dagli studi geologici dettagliati, ciò che credo assai interessante, perchè oramai le antiche divisioni segnate dal Lyell nella serie terziaria e seguite finora dai paleontologi piemontesi non bastano più alle esigenze dei lavori geologici ac- curati che si vanno ora facendo; quindi se i dati paleontologici non vengono posti al corrente, direi, colle nuove idee geologiche, essi perdono alquanto della loro importanza, mentre invece se di tutti i fossili costituenti il ricchissimo ed oramai famoso materiale paleontologico del Piemonte si conosce il preciso orizzonte geolo- gico da cui essi provengono, panni ne derivi un vantaggio immenso non solo por la paleontologia, ma eziandio per la geologia terziaria in generale. È questo il motivo essenziale che mi spinse a com- pilare il seguente catalogo, il quale quindi non può ancora per nulla considerarsi come un catalogo definitivo nè per determina- zione, nè per numero delle specie. Per convincersi di ciò basta dare un’occhiata alle parziali monografie fatte recentemente su al- cuni fossili del Piemonte ; esse infatti, ciascuna nel proprio campo, segnano un progresso immenso sui lavori paleontologici fondamen- tali che furono fatti specialmente verso la metà del corrente secolo; di modo che si può ben giustamente presumere che quando sarà compiuto lo studio paleontologico accurato di tutti i fossili terziari del Piemonte, il loro catalogo conterrà un numero di specie, o forme che dir si voglia, molto maggiore di quello del catalogo pre- sente. Il catalogo attuale, rappresentando un momento, direi, nella serie degli studi paleontologici sul terziario piemontese, offre na- turalmente grandi diversità nelle sue varie parti, poiché alcune, trattate da poco, si trovano al corrente cogli studi recenti, altre invece rimasero indietro di molti lustri, ed abbisognerebbero di un Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 283 forte rimaneggiamento per essere portate al pari delle prime, certi rami poi furono finora appena sfiorati, e per questi sarebbe quindi necessario uno studio quasi iniziale. Inoltre nelle varie parti di questo catalogo esistono anche forti discrepanze causate dal vario modo di intendere i limiti della specie, e queste differenze si os- servano non soltanto tra un autore e l’altro, ma anche nello stesso autore (il Bellardi ad esempio) tra i lavori più antichi e quelli più recenti; in generale si osserva che, come di solito, dapprima si aveva tendenza a rapportare le forme fra loro poco dissimili ad una stessa specie, soventi ancor vivente, senza tener gran conto di certi minuti caratteri differenziali; ora invece, esagerandosi in senso opposto, si creano spesso tante specie quante sono le forme appena fra loro un po’ diverse. Per parte mia credo, a questo riguardo, che., pur dovendosi tener conto di tutte le minime differenze di forme anche indican- dole con nomi o numeri o lettere speciali, debbasi fare largo uso, direi, delle varietà, raggruppando queste attorno a tipi specifici più costanti, ciò che sarebbe di grande giovamento al geologo, mentre riuscirebbe altresì molto utile al paleontologo, per riconoscere più prontamente i fossili e per rintracciare più facilmente i loro rap- porti e la loro filogenia. Ma nel presente catalogo non è il caso di fare innovazioni che necessiterebbero un completo rimaneggiamento, ed un profondo studio paleontologico. Darò ora solo pochi cenni sui diversi rami di questo catalogo, affinchè riesca facile il riconoscere quanto ancora è da farsi per perfezionarlo e completarlo. Riguardo alla Paleoicnologia sono appena indicate alcune delle principali impronte che si ebbero a studiare in questi ultimi anni, ma immensamente più grande sarebbe invero il loro numero, se si volesse tener conto di tutte le infinite forme di impronte che si presentano in tutti gli orizzonti, specialmante sugli strati arenacei. La Paleofitologia si trova tuttora in gran parte allo stato in cui la lasciarono i lavori del Sismonda Eugenio ; solo ultimamente, riguardo ai vegetali inferiori del Liguriano e del Toagriano , si ebbe un’efficace contribuzione per opera dello Squinabol, che è ad augurarsi continui in questi studi tanto importanti quanto diffi- cili e quindi troppo trascurati. È certo che in questa parte del catalogo paleontologico è necessaria in avvenire una seriissima re- 284 F. Sacco visione che dovrà togliere molti errori di classificazione, tanto facili d’altronde a commettersi quando si debbono solo prendere come base parti incomplete ed anche poco ben conservate. Esistono poi ancora specialmente pel Bartoniano , pel Tongriano e per Y Astiano del bacino piemontese materiali ricchissimi ed affatto vergini di studio. Passando alla Paleozoologia esaminiamone partitamente i sin- goli rami. Per quanto la lista dei Protozoi riesca abbastanza co- piosa, è certo però che si tratta qui ancora di uno studio da farsi in massima parte; sgraziatamente i materiali di questo studio, mentre abbondano straordinariamente nelle marne e nelle sabbie di quasi tutti i piani terziari piemontesi, mancano invece (in causa delle difficoltà di estrazione) quasi completamente in tutte le col- lezioni paleontologiche, se si eccettua quella privata del cav. Rove- senda che ne conserva un certo numero dell’orizzonte elvesiano dei colli torinesi. Quindi chi volesse dedicarsi a questi studi dovrebbe dapprima percorrere il bacino piemontese raccogliendo ovunque e razionatamente, secondo le carte geologiche, numerosi campioni di marne e di sabbie a foraminiferi per procedere poscia al loro studio ; dopo poco tempo che si facciano tali ricerche si riconoscono abba- stanza bene questi orizzonti fossiliferi, d’altronde comunissimi, ed i risultati nuovi ed interessanti di detto studio ricompenserebbero certamente la fatica di questo lavoro a cui vado incoraggiando al- lievi ed amici. A provare che non è la mia una semplice ipotesi, basta indicare il fatto che recentemente il Teliini cogli esemplari di Nummulitidi, raccolti da lui e da me nei terreni inferiori del Piemonte, potè pubblicare una importantissima monografia su questi fossili tanto caratteristici quanto trascurati. Riguardo ai Celenterati molto venne già fatto, specialmente per opera di Michelotti e di Sismonda ; ma se si considera il ma- teriale immenso che di questo tipo si è accumulato nelle collezioni di fossili piemontesi, sia pubbliche che private ; se si pensa come in vaste regioni, specialmente dell’Appennino ligure esistono allo scoperto veri banchi corallini che iu poco tempo potrebbero for- nire al raccoglitore una messe straordinariamente ricca di forme svariatissime, e se si considera quali grandi progressi fece negli ultimi anni lo studio di questo gruppo di animali, è certo che Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 285 anche riguardo ad esso vi è ampio e fecondissimo campo di lavoro pel paleontologo. Grli Echinodermi vennero studiati specialmente dal Sismonda già molti anni addietro, di modo che, sia per i numerosi esemplari raccolti, sia per le diverse modificazioni avvenute nella determina- zione di queste forme, ne sarebbe necessaria una generale revisione. Quanto ai Molluscoidi , se la classe dei Brachiopodi ricevette una illustrazione abbastanza notevole, quantunque parziale, per opera del Seguenza, invece quasi tutto ancora è a farsi riguardo ai Briozoi ; è vero che si tratta di forme difficilissime a studiarsi, ma di esse nelle collezioni sono accumulati abbondanti materiali provenienti da quasi tutti i piani del terziario piemontese, quindi esse al pa- ziente paleontologo fornirebbero mezzo di fare un lavoro in gran parte nuovo e molto interessante. Del tipo dei Molluschi , importantissimo sopra tutti per ab- bondanza di forme, fra cui moltissime affatto caratteristiche, fu- rono assai variamente studiati i vari ordini. I Lamellibranchiati classificati in gran parte dal Sismonda, in parte pure studiati dal Micbelotti, rappresentano certamente la classe di Molluschi che venne sempre più trascurata, perchè le loro forme sono molto difficili ad aversi complete ed in stato tale da esaminarsi minutamente e presentami quindi di difficile deter- minazione; con tutto ciò molto ed assai bel materiale venne rac- colto di bivalvi in questi ultimi venti anni e quindi sarebbe op- portuno di ripigliarne lo studio e portarlo almeno al livello di quello delle univalvi ; per persuadersi delle novità grandi che si trovereb- bero in questo studio basta osservare i progressi enormi, per quanto parziali, fatti fare dal Bellardi colla sua monografia delle Nuculidi. Rispetto ai Gasteropodi solivi certi ordini, ad esempio quello degli Scafopodi, dei Prosobranchi, dei Ciclobrancbi e degli Aspi- dobrancbi, che rimasero finora trascurati come i Lamellibran- chiati in generale; ma certi altri invece, dopo gli studi, ora già un po’ invecchiati, del Sismonda e del Micbelotti, ricevettero un impulso così potente per opera del Bellardi, che le monografìe di questo valente paleontologo debbono certamente venir poste fra i più importanti lavori della moderna paleontologia ; ciò dicasi per gli Eteropodi, pei Pteropodi e per parecchie fra le famiglie più 286 F. Sacco elevate dei Gasteropodi. È a notarsi come anche in questo gran- dioso lavoro « 1 Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria « il Bellardi mutò alquanto il suo modo d’interpretare la specie tra le prime due parti e le seguenti ; secondo il mio modo di vedere parali più giusto il concetto seguito nei due primi vo- lumi, giacché negli ultimi sembrami che troppo frequentemente siansi elevate a specie le semplici varietà. Riguardo ai Molluschi terrestri, d'acqua dolce o salmastri ( Melania , Melanopsis, Pota- mideSj Polmonati ecc.), ebbi ad occuparmene in modo speciale in questi ultimi anni, risultando anche qui nettamente il fatto che è così grande la ricchezza della fauna terziaria del Piemonte che studi particolari eseguiti sopra una parte di essa danno luogo alla scoperta di numerose ed interessantissime forme nuove. I pochi Cefalopodi vennero bellamente illustrati dal Bellardi nella prima parte della sua sovraccennata Monografia. Pel tipo degli Artropodi sono quasi solo da accennarsi i Cro- stacei; fra essi l’ordine dei Cirripedi , molto abbondante di forme in tutti i piani del terziario piemontese, avrebbe bisogno di una seria revisione che eliminerebbe senza dubbio molti errori di de- terminazione; i Malacostraci ricevettero una recente illustrazione per opera del Ristori. I Vertebrati del bacino terziario piemontese, quantunque im- mensamente meno numerosi degli invertebrati, non sono però meno importanti per certi ordini; in parte vennero già illustrati: i Pesci per opera dell’Eugenio Sismonda, i Cheioni ed i Cetacei pei lavori specialmente del Portis; gli altri mammiferi particolarmente per gli studi del Sismonda e del Gastaldi: con tutto ciò i molti ma- teriali accumulati da alcuni anni, specialmente i numerosi resti di . pesci, necessiterebbero nuovi studi sia parziali che generali. Dal sopradetto risulta che il catalogo che qui presento, se in certi punti rimane ancora un po’ addietro neLla scienza, in com- plesso però segna un enorme progresso sopra quello ultimo pub- blicato dal Sismonda nel 1847. Dal complesso poi dell’ esame dei fossili terziari piemontesi si può dedurre il fatto, abbastanza interessante, che le faune e le flore del Tongriano e dello Stampiano sono molto simili fra di loro, e che lo stesso deve dirsi rispettivamente di quelle dello Aqaitaniano , del Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 287 Langhiano e dell’ Elveziano, come pure di quelle del Piacenziano e del V Astiano; per modo che se ad esempio si volesse adottare la distinzione dell’oligocene, dal lato paleontologico parrebbe più logico pel Piemonte di inglobare YAquitaniano nel Miocene piut- tosto che non nell’Oligocene, come generalmente si usa, quantunque certamente la fauna aquitaniana presenti ancora molti punti di somiglianza con quella stampiana. A questo riguardo è poi da no- tarsi che certe specie indicate come trovate in diversi orizzonti geo- logici dovranno poi col tempo in parte venir scisse in forme (anche solo varietà) diverse, e debbono la loro attuale ampia distribu- zione apparente al modo un po’ troppo largo usato dapprima dai paleontologi nell’ intendere la specie. Debbo poi accennare come in alcuni casi, però fortunatamente abbastanza vari, non si conosce il punto preciso di rinvenimento di un dato fossile, per cui rimane incerto l’orizzonte geologico a cui esso debba venir attribuito ; ciò viene indicato nel catalogo con un punto interrogativo nella colonna del piano geologico a cui più probabilmente pare appartenga tale fossile. Nella parte paleoicnologica non si può seguire un ordine ra- zionale, trattandosi per lo più di impronte di origine affatto in- certa; riguardo alla Paleofitologia tenni in complesso l’ordine se- guito dallo Schimper nel suo Traité eie Paleontologie végétale; invece per la Paleozoologia adottai essenzialmente la classificazione seguita dallo Zittel nel suo Handbuch von Paleontologie. 19 288 F. Sacco PALEOICNO LOGIA Numero d'ordine EOE M E Yillafrancliiano | Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano o a ’3 c3 * B a* < Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris.) | 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 9 H- - H- -4- - - ■ • • • ? -4— -4- IlObllslilll/ IA/ • • • • • • Taphrhelmintliopsis pedemontana Sacc. e var. - — H -4 — - 1. . -i- Helminthopsis hieroglyphica Heer. e var. - - - -4- • • - +- • • • • - - -4— -v- Laminarites pseudoichnites Squin. e var. —4— —4— —4— - • • -+- -i- 1 -4— — 4— -4- 1 | | I -4- -4- — H 1 - -4— i 1 .5 'S £ 3 53 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte PALEOFITOLOGIA 289 FORME W 1° tipo Tallofiti Classe Alghe Ord. Feoficee Cystoseirites communio Ung ” ? gigantea Zonarites striatus Squin Chondrites Targionii Stemb ” furcatm Sternb ” arbuscula Fisch. Oost. “ pinnatus Squin ” reflexus Squin ” ligurianus Squin ” lacerus Squin intricatus Brongn aequalis Brongn n sp Zoophycos pedemontana s Sacc. e var. ” funiculatus Sacc ” Castalda Sacc ” Castalda Sacc. var. plioce- nica Sacc. sp. Ord. Cloroficee Chara Meriani Al. Br. . . . Ord. Floridee Lithothamnium tuberosum Micht. « sp Iìartoniano Ligariano (Paris.) 290 F. Sacco Classe Funghi Ord. Ascomiceti 52 Sphoerites stilbosporioid.es Massai, e var. 53 PoIistigmt.es pri.sr.um. Massai, e va.r. . . . -+- H- — 54 Riniti arti a. ma nuli. fp.ru.m. Heer * Ord. Basidiomiceti 55 Tjp.nzi.t.p.s Ga.st.ald.i.i. licer ? 3° Tipo Pteridoflti Classe Filicinee Ord. Felci 56 Lastroea styriaca Heer. e var -f- H — -f- -4— — 4- — H 57 » Fischeri Heer 58 Chrysodium lanzeanum Vis 59 » Doride Squin 60 Pnl.ipnd.ium. Punii, Squin 61 Pe.l.lnna Bachii Heer. e var. . . . » spettabile Heer. e var . . - OreodapTn.ne He evi. (land. 1 Danb.nnaen.e Gast.n.lrlii Sismd -e- » sp 298 F. Sacco Numero d'ordine FORME Yillafrancbiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Laughiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.l 267 Cissus ulmi folla Massai 268 Vitis vinifera Linn. var 269 n ? sp 270 Gornux Nichesolae Massai 1 1 271 . » Mnxt.ayni.i. Massai. . — H | | 1 272 Magnolia Mnri.xi.i. Massai. -f- 1 1 1 273 TÀri.nd.end.rnn. Prnr.acr.i.ni.i. ? TTno\ 1 1 | 274 b \ A s i mi nn. M anagh i nii fian ri 1 | 275 Dnmheynpxix Phyli.ra.e Etting | | j 276 r> Sp. . . . 1 | 277 Boscia europaea Massai 1 ! | 278 Ilelicteres philippiana Massai. . 1 279 Ti Ila sp 1 280 Apei.hnpxi.it Ga.ud.i.ni.i. H«fir 1 1 281 » SD 1 1 —f— 282 Greivia crenata Heer 1 1 283 Fracastoria sp, 1 284 Acer trilohatum Al. Brami 1 | 285 » trimerum var. acutilobum Massai. . 1 1 286 n Santagatae Massai 1 | 287 » Heeri Massai H- 1 .. ! 288 » ìi var. ficifolium Massai 1 .. . 289 » » var. tricuspidatum Massai. . » » yar. productum Massai ! | | 290 1 . j 291 n Sp 1 I. . . 292 Cercis sp i 1. J. . 293 Mairi nh iaxtrum musae follimi Massai. . . | 294 P.alaeolohium sp 1. .!. . -4-1 . . 1 295 Byrsonima pacliyphylla Massai -4- 1 i i 296 Erytroxylon laurinum Massai ! .1. ! 297 Sa.pi.nd.ux falci foli us M. Braun. e var. . . -t- -H | 298 « Hazslinxzhyi Etting ì ! Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 299 Numero d’ordine F 0 E M E Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano ! Tortoniano Elveziano O H zi a rt Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano V. ’C rt © § •— E 299 300 301 302 303 304 305 306 307 308 309 310 311 312 313 314 315 316 317 318 319 320 321 322 323 324 325 326 327 328 329 330 Sapindus Rotarii Massai -t- | » Ungevi Ettin^ | ■ 1 » sp i. . - Capanni rl.nz Zn.nn.rd.i.i. Massai -+- I | | -4- -4—^ . . H- Ungevi Sì sm ri - — H « nrp.nnhi 1 )/.r Uno* ffnnnv'm/i/s Stn.h'imnviiYn. MVi.ssa.l -4- - - - - - -+- — 1 — H- - • • - 55 ilOSS7nClCSSC6Vl ung. c vai. ... -4- -4— — H • • - 1 e vinilici Lia i ucLouuj uiiòLò uug 1 jJ Cl/l/ì'U/llC'to U Ilg • ....... Combretum sarothrostachoides Massai. . . Gujera Peverelli Massai • • 1 1 300 F. Sacco Numero d’ordine F 0 R M E Villafraneliiano Astiano Piacenziano Messiniano i Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 331 332 333 334 335 336 337 338 339 340 341 342 343 344 345 346 347 348 249 350 351 352 353 354 355 356 357 358 359 Fucalyptus oceanica Ung. e var - • • • • - 1 ! » li n eringi a.na. Filine p. var. -H — H i Metro zirlerai; sp i Eugenia ho eringi a.na. Ung « var. -f- - 1 1 » Aizoon Ung - 1 ! Pirus theobroma Ung - 1 » minor Ung - 1 Fragaria, Miniar alchii Massai. . . -t“ l Prunus aucuboefolia Massai 1 1 » sp - 1 Colutea Salteri Heer — H - | Glycyne galedupaefolia Massai j . Dalbergia retusoefolia Heer - 1 1 n bella Heer -H — t— — H 1 » primaeva Ung. . ! Machaerium triptnl.emai.rl.es Massai Palo colobi imi corni fnl.i.um. Massai | Sophora hrn.ehysem.ni.rl.es Massai Gleditscliia ÌVesseli 0. Web -4- Coesalpinia Falconeri Heer. H- Acacia sp -4- 1 Cassia hyperborea Ung. -4- I- » cf. fistula — t— l » phaseolites? Ung - 1 » vaccinoides Massai -+- . 1 n vulranir.a "Etting . » Dionea Filine. » temine foli aA Massa! » sp Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 301 Numero d'ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Starapiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) | 360 361 362 363 364 365 366 367 368 369 370 371 372 373 374 375 376 377 378 379 380 381 382 383 384 385 386 387 388 Ord. Gamopetale Chinchonidium sammitum Scli -4- -4— Gardenia Braunii Heer - Viburnum Strangii Massai ” Odoardi Massai Ol.p.a n.nd.rn m.p.d n.p.fn li n. Massai JVo ri ti. ninni so. - Rnrinnn. V un 1 - Echi taninm. Snphinc 0. Web 9 - Annrìinorhiill.um. Sixmnnd.ac. Massai. . . . - » h p.l.np.ti.r.um, Hftfìr. . | H- n RiitvJ.rrv.m. Massai -4- A fu rsi.n.p n.m.hi.nn et TVT rissai . A r rii si n ri n/nli.nni ri os Massai Ttum.p.i.i n. minor Uno* - Rn'ootnr.it.p.s minor TM+, p va.r - • • - -+- » SJ) Diospyros brackysepala Al. Braun e var. . • • - - - - - - -t- -4- Ifr/rrivinm n oh. pronti. rum. Uno* H- T>hnli ifpQ roti r.n.i.ntus Hppt — 4- n T)p-Vi si nn.ii. Sismrl 1 | ? | -4— » sp —4— l_^_ -4— H- -4— — 4- -4- 302 F. Sacco PALEOZOOLOGIA Numero d’ordine FORME Villafrancliiano Astano o fi .2 s fi © .fi E Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniauo Liguriano (Paris.) 389 390 391 392 393 394 395 396 397 398 399 400 401 402 403 404 405 406 407 408 409 410 411 412 1° Tipo Protozoi Classe Rizopodi Ord. Talamafori imperforati Lituola Soldanii Park, e Ion Cornuspira vivipara Micht - » Schultzi -H — t— ILauerina sp Fabularia sp Biloculina ovula Micht ? » simplex D’Orb • • -+- » depressa D’Orb » lunula D’Orb - » larvata Reuss. var - « inornata D’Orb - » bulloides D’Orb. var -4- Spiroloculina canaliculata D’Orb 9 » sp -+- -4- -4- -4- -+- -+- Quinqueloculina asperula Se? » ziq-zaq D’Orb * » pulchella D’Orb n seminulum Linn • • -4- u contorta D’Orb Triloculina trigonula Lmk -H • • -+- . » sp Ord. Talamofori perforati Lagena ornata » acicula Reuss » striata D’Orb 9 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 303 Numero d'ordine FORME Yillafranchiano Astiano o cS s P o Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano C0 PH o p a fcX 3 » 413 414 415 416 417 418 419 420 421 422 423 424 425 426 427 428 429 430 431 432 433 434 435 436 437 438 439 440 441 442 443 Lagena silicata Walk. e Iac -t- n r.astrp.nsi.s Sfili w. . . » hispida Reuss 9 » hexagona Will 9 n laevis Moni, e var • • -+- ? - li rtrhignyana. Sog » globosa Walk - 1 Nnd.osa.ria. pyrula T)’Ovt>. » radioula T4rm e var - . . -4- -4- » raphanistrum Linn. e var. . . n raph.an.us Linn. e var —4— » rudis D’Orb » aspera Silv -4- ? 1 » spinicosta D’Orb 1 — f— -4- •j consobrina D’Orb | » fri. porla D’Orb » pineata » Jn 71- fi si "Rifi n ss arnlnrrs. TVOrh 9 9 -4- -4— -4- n longicanda D’Orb. var. mucro- Dentalina obliqua Park, e Ion. e var. . . H- , . . . -f- 20 F. Sacco 804 Numero d’ordine FORME Yillafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Slanipiano Tongriano Sestiano o ri o C 42 1 Liguriano ( Paris. 1 | 444 Dentai ina. Verneulii D’Orli -H 445 r> elegans D’Orb 446 77 Scharbergana Neug. 447 77 bifurcata D’Orb -4— 448 7) mucronata Neug 449 77 soluta Reuss -f- 450 77 brevis D’Orb 451 77 tenuicallis Reuss 452 77 multilineata Born 453 77 boueana D’Orb 454 77 semicostata D’Orb. . 455 acuta. D’Orb -4- 456 77 inornata D’Orb. e var 4— 457 77 consobrina D’Orb -4- 458 77 floscula D’Orb 459 77 acuticosta Reuss 460 jia.ii.'pc.ra.t.a. D’Orb. e var . -4— ? -4- 461 rnmmiinix D'Orli ? 462 -4- 463 464 465 Va. n inulina l.p.aum.p.n T.inn a var 466 467 468 harl analisi s T)’0 rii ? ? 469 470 glabra. D’Orb 471 77 regularis D’Orb -f- 472 77 rugosecostata D’Orb. . . . # — f- 473 77 triangularis D’Orb. 474 77 Ionesi Reuss 475 77 glabra D’Orb ? Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 805 Numero d'ordini FORME Villafranchiano Astiano Piaoenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tong riano Sestiano Bartoniano M ri CU 1 7 J 3, 5 476 Ma.rainul.ina. restata Ratseh . — H 477 b irsuta D’Ori) . -1- 478 si} 479 Cri.stella.ria annienta. D’Orli. « var , -P 480 » calcar Limi. e var -4- -t— 481 482 5? cassie Ficht. e Moli, e var. . ariminensis D’Orb. . ?) 483 » cymha Park ot .T011. . H— 484 ?) depressa Micht. 1 i-C 1 OC 1 nu.m.m.uUt.ir.a (riimh -P * 20 < 3) « n Partschi Micht 487 cym.hnid.es D’Orb . 488 » cultrata Montf. 489 5? ballerina. D’Orb n vnr ? 490 :i Schloembachi Reuss -P- 491 j? globosa 492 5? simplex D’Orb 493 » Iosephinia D’Orb. 494 grata Reuss — P- 495 » compressa D’Orb 496 » lanceolata D’Orb -f- 497 » linearis -f- 498 ?? italica Defr -4- 499 ?? variabilis Reuss ? 500 triangularis D’Orb 501 latifrons Brady H- ? 502 confusa. Seo- H- 9 503 ?5 semimpressa Reuss ? 504 (Robulina) similis D’Orb. . . . -I- 505 ?7 » intermedia D’Orb. -f- 506 » limbosa Reuss. . . -f- 507 » » inornata D’Orb. . . . 306 F. Sacco Numero d’ordine FORME Yillafrancliiano Astiano 1 1 Piacenziano Messiniano Tortouiano Elveziano Langtiiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 75 "C fr- O #Sd 508 Cristellaria ( Robulina ) imperatoria!)' Orb. 509 n » calcar Gmel. . . . H- 1 510 » » sp 1 | L 511 Lingulina rotundata d’Orb 1 u 512 n carinata D’Orb. e var i 1- 513 -? lirista D’Orb 1 L 1 514 r> fusi formis 1 1 515 » costata D’Orb i 1 i 516 Glandulina laeviaata D’Orb 1 U 1 517 «7 » ovula D’Orb 1 i 1 518 » compressa 1 ! 519 » mutabilis Reuss ! j.. 520 Frondicularia spatulata Will 1 1 | | 521 « complanata D’Orb. e var. . 1 1 522 ruqosa | 1 —t— . | 1 523 n inaequalis Costa .... 1 l | 1 524 Pavonia ? flabelli formis D’Orb "l ' 'i 1 .. | 525 Polvmorphina xantea Sesr 1 ___ | 526 » acuta D’Orb 1 1 527 » lactaea Will. e var | ! 1 528 » gibba D’Orb 9 .1 529 » digitalis D’Orb . | 530 Guttulina lanceolata Reuss | 531 » austriaca D’Orb 1 532 Dirnorphina nodosaria D’Orb | 1 533 » obliqua D’Orb | 534 Uvigerina pinci formis Sold. {U. pigmaea D’Orb.). e var ? 535 » umida D’Orb. ( U. canariensis Brady) e var -t- ? 536 » trigona Seg 1 537 » semiornata D’Orb • . . 1 , Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 307 Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Lunghi ano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 588 539 540 541 542 543 544 545 546 547 548 549 550 551 552 553 554 555 556 557 558 559 560 561 562 563 564 565 566 567 56? 561 Uvigerina aculeata D’Orb. e var 9 ? » aspenda Czizek e var 9 1 | Sagrino ? striata Schw — f- * i 1 Textn.la.ri.a. amphorina Solfi, r var. . . . — f— | -t- | » carinata D’Orb. e var “| — H | » cylindrica Micht | | ii deperdita D’Orb | ii gracilis D’Orb | -f— ii gibbosa D’Orb ] ii subtilis D’Orb -f- » cotusa D’Orb H- n agglutinane D’Orb. e var. . . — t- n complanata D’Orb ■i gramen D’Orb •i obtasa D’Orb — H e minm.n.p.n. D’Ovb -4- e nhhrp.iii.ntn. D’Orb var ? H- Pnl irti yìh n n.v nri p.nsi.s Costa, var — t— ? ? v R ni Trinili T?,onss -+- ^ (A/ 1/ U (Ai 1/ (/ H/Uj [A f 1 0 / f (/ (A/ /(/ I/O vf a *j • • • • . • 1 I. . L) 0/ Lì/ //O l/LCl 1 ivo 0 1 U 1 liobò -L/ v/l U» •••*•••• 9 -4— ? 1 OliO iLLd/LCL -L‘ V_/ 1 U • b ' 1*4 • • * • • | n vupoides D’Orb. e var — h ? I"*" . 1 308 F. Sacco Numero d'ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano o .§ *2 co co a» s Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano o .2 Tongriano Sestiano Bertoni ano Liguriano (Paris.) 1 570 Bulimina aculeata D’Orb -4- 571 » infiala Seg 1 572 » (Robert ina) acetica D’Orb. . . — H 1 573 Asterigina ? planorbis Sole! 1 | 574 Cassidulina serrata D’Orb | ì 575 » laevigata D’Orb 1 576 n Bradyi Norm 577 Orbulina universa D’Orb. e var — H 578 » porosa Terq 579 Globicterina ruqosa D’Orb 580 » qibba D’Orb 581 » bulloides D’Orb ? 582 » reqularis D’Orb 9 583 » bilobata D’Orb 1 ! 584 » triloba Reuss 585 » quadrilobata D’Qrb 586 Pulienia communis D’Orb 587 » sphoeroides D’Orb 588 Sphoeroidina bulloides D’Orb. e var. . . H- J 589 n austriaca D’Orb. . . J. . 590 •n sp J. . 591 Spirillina sp A.. 592 Discorbina rnamilla Will J.. 593 » orbicularis Terq 9 | 594 » globularis D’Orb 1 595 Planorbulina tuber culata Sold. e var. . . 596 » rotula D’Orb 597 598 Truncatulina lobatula Walk. e Jon. e var. » bouena D’Orb -4- | 1 1 599 600 ii una ariana. D’Orli p. var ? 1 1 « Haidinqeri D’Orb 1 1 601 » refulqens D’Orb 1. -4- 1 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 309 © a O *^f © "C Ut o o FORME sa ^eo £ o sa © c s O a rt o sa ci o o sa _c3 O .2 o sa o sa ai o © G ci © G © e 3 <& «S | © sa © © co co © © — >-> o N © > ’tb G rt -Ut ’3 £ G c3 S-H fc£ G O .2 © G o — 5- e3 TJ G _b£ £ <1 £ EH W •=j in H 03 p £ 602 603 604 605 606 607 608 609 610 611 612 613 614 615 616 617 618 619 620 621 622 623 624 625 626 627 628 629 630 631 632 Truncatulina Dutemplei D’Orb 1 1 ! Pulvinulina concamerata Will. ... n patagonica D’Orb H- 1 n oblonga Will T '1 » urnbo nata Reuss. e var. . • • - -t- -t- -+- -+- » crassa D’Orb Rotalia Beccarli Linn. e var. -+- « concamerata Will p. var -+- • • H- » turbo D’Orb e var » nitida Will n partschiana D’Orb. . . . n ungeriana D’Orb. . r> Haueri D’Orb. . . » Saldanti. D’Orb e var H- “f- Cyclolina ? sp A rnphisterji.no. md.ga.ri.s D’Orb » hn.up.rir/nr/ TV Orlo p vnr -T-L . n sp. - Onercid.ina. cnm.nl a.n.nta Rast p var - ?» nrn.7i.uln un. TiPvm -+- — H Num.m.id.i.t.p.s commi aliata T.V ii h 1 a. rritzc n.s i. s TVAreb n miocontorta Teli — H ii ii var. crassa Teli. . . ii » var. exilis Teli. . . » Rosai Teli . ? -+- * ii Rovasendai Teli ii Portisi Teli ii Romandi. Rpfr i 1 9 n vasca. .T e Tipym | 9 -4— | 310 F. Sacco Numero d’ordine [ . _ 1 FORME Villafraneliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortouiano Elveziano Langliiano li Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Eartoniano Liguriano (Paris.) 633 • Nummulites Tchihatcheffi D’Arch. e Heime var. depressa Teli — H 634 77 striata D’Orb ! ! H- 635 r » var. pedemontana Teli. | ..U 636 77 » var. carrosiensis Teli. I -H 1 637 77 Guettardi D’Arch 638 >? variolaria Sow ? -f- 639 fi variabili s Teli ? 640 opera u li. n i. fn r ni. is Teli — f- 641 77 Tnurnnneri De la Harpe V . •-F- -4- 1 642 77 Boucheri l)e la Harpe .... u 643 77 » var. incrassata De la Harpe 644 7 7 perforata D’Orb. e var. . . . fi45 77 Saccoi Teli | 646 77 lucasana Defr . J-+- 647 77 Roualti D’Arch. e Heim. L 648 intermedia D’Areh 649 1 650 77 Fiditeli Miclit. -4— 651 77 ” var. dubia Teli. . . . 652 77 » xixr.problematicaTeW. 653 77 n var. a e b Teli. . . . -4- 77 » var. c Teli | 655 reti ei/lata. Teli 1 -f- Ax.fi. lina mamm.ill.ata. D’Arch. var. . . ! ? -t— 657 Pnlnsfnm p.ll n r.risrìn. T.irm p var. H- 1 1 i morella. Fic e Moli. . . 059 » strìato-punctata Fic. e Moli. — t— . J 660 IVnni.nni.na Snl.da.nii D’Orb. . 661 pwn.eta.t.a. D’Orb. H— ' 1 I 662 77 ponipilicid.es Ficht. e Moli. . . -4- . . ? ! Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 311 ' Numero d'ordine FORME Villafraneliiano Astiano o cs a s o c3 s Messiniano Tortoniano Elveziano 1 i Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris.) | 663 664 665 666 667 668 669 670 671 672 673 674 675 676 677 678 679 680 681 682 683 684 685 686 Nonionina communis D’Orb -4- | 0 | » boueana D’Orb | ? « scapila Fic. e Moli | - » ast.eri.za.ns Fio. a Moli | | Heterostegina sp | -+- H- 1 -j— • • Orhrt.cirl p.r dii n.t n.t n Mieli! ] H- -+- | v irregularis Micht 1 " 1 v marginala Micht p vn.r n Meneghina. Mirili. . | » Fratti Micht » radimi ■* D’Arch • • stellata, D’Arch. -f- -4- H- 2° Tipo Celenterati Classe Spugne Ord. Monactinellidi -H » Duvernosi Michn • • J i | - H- ! | ! Ord. Litistidi | 1 312 F. Sacco Numero d’ordine FORME Yillafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano j | 1 Tongriano Sestiano Bartoniano 73 rt o C .5 tù 3 Ord. Tetractinellidi 687 Tethia ? lyncurium Lk 688 » simplex Micht 1 Classe Antozoi Ord. Alcionari 689 Primnoa Michelotti Eoli, e var 690 Gorgonella (Leiopathes) vetusta Micht. e var. — t- 691 » Sp — H 692 Isis melitensis Goldf. ! 693 » brevis D’Ach. e var -+- -4- 694 » nummularia Sismd 695 « sulcata ( Trochocyathus veronensis . 1 -4- 696 •ì contorta Sismd. e var -4- -+- 697 Corallium sepultum Micht 698 » sulcatum Micht -4- 1 699 » rulrum Costa — r- 1 700 Ileliopora superqiana Michn I Ord. Zoantari 701 Alveopora rudis Reuss 702 » sepolta Menegh 703 Porites incrustans Defr. e var 704 » microsiderea Cat 705 Litharoea asbestella Lk 706 » diversiformis Micht. e var. . . -f- 707 » ponderosa Sismd — f- 708 ” pulvinata Menegh — h 709 Turbinaria cyathiformis Blainv. e var. . - 710 » globosa Micht. e Menegh. . . . -4- 711 » undulata D’Ach Catalogo •paleontologico del bacino terziario del Piemonte 313 Numero d’erdine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elvoziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) [ 712 713 714 715 710 717 | 718 ' 719 720 721 722 723 724 725 726 727 728 729 730 731 732 733 734 735 736 737 738 739 740 741 742 743 Actinacis deperdita Micht - » oblita Micht. . -J 1 Astraepora cvlindrica Cat — H -4- » elegans Micht .. » pattila Sismd ! Dendracis miocenica Micht 1 | . Madrepora exa.ra.ta. Mieli | n gla.hr a. Orni ri f — H — — i — n Bonelli Micht 1 » crispa Micht 1 H- — f— n discar Micht 1 1 Mentir) or a. sannita. Mieti! 1 1 Pnr.ill ’nnnrn. mn.rlrp/nnrn.r.p.n. T/Ic H- -4- -t— 1 1 Rn In yì mi h/n Ili n. fn lei. fp.vn. TVT i f*/h t, 1 » incerta Micht - » irregularis Seg - » italica Michn - - » vroelonaa Micht. e var. . . 'A— -+- ii striatissima Sismd 1 >i vagans Micht. e var |_j_ ! Kupsa.'m.m.ia. compressa Micht | 1 » haleana D’Orb. e var - -h- 1 \ u sismondiana Michn H- | | Stephanophyllia agaricioides Risso e var. « elegans Michn. e var. . . - -+- • • - | 1 | \ V.n all ansa m.'m.i.a. Cr.i.l.l.a.e Sep- | | J) enrlroph.ylli.a. a.hnorm.i.s Micht . u l « a.m.i.r.a. Micht, — {— | i ir ciarlo cor a.r.p.a. Micht, .... | 1 » cornigera Lk. e var 1 1 314 F. Sacco Numero d'ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Mossiniano Tortoniano Elreziano o P s Hi o p c : ’c •1 cr « o P 'p £ C£ o p ri ’u C o H Sestiano Bartoniano CD ri P< O .2 p bc 744 Dendrophyllia digitalis Blainv -f- 745 » globulina Micht 1 746 » irreqularis Blainv | -f- 747 » longeva Micht 1 — H 748 » Michelini Micht . .1. . 749 » taurinensis E. H | 750 ” trifurcata Micht 1 751 » sp -4— 752 Lobopsammia miocenica Micht. . . 753 Cyclolithes? Borsoni Michn 9 1 9 754 Thamnastraea volvox Micht. 755 Dimorphastraea bormidensis Micht 756 Comoseris cistaeformis Micht | 757 ” deperdita Micht 758 Protoseris miocenica Micht 759 Podabacia patula Micht. . . . | ! — H 760 Cyathoseris appennina Michn 1 761 » falcifera Cat 1 -4- 762 ” parvistella Micht 1 763 ” scripta Micht 1 764 Trochoseris cornucopia Micht -4- 765 » miocenica Micht | 766 » venusta Micht l * 767 Moltlivaultia bormidensis Milne-Eclw. . . 1 -4- 768 « carcarensis Micht l 769 » compressa Sismd -f- 770 » coronula Micht -H 771 ” Iapheti Micht. e var i -4- 772 » humilis Micht 1 -H 773 ” patula Micht i 774 Lithophyllia Basteroti E. H -4- 775 Leptomussa abnormis Micht 1 Catalogo pai e ontologico del bacino terziario del Piemonte 315 © fi O 'à o i~ © E 0 55 776 777 778 779 780 781 782 783 784 785 786 787 788 789 790 791 792 793 794 795 796 797 798 799 800 801 802 803 804 805 806 807 FORME tt) © c rt o fi c3 fi fi CJ 'fin "fi cr S ce *<5 c n Circophyllia conica Micht. . . Dasyphyllia elongata Sismd. . » crectiuscula Micht » miocenica Micht. . » taurinensis E. H. ” sp. . . . , Calamophyllia pseudo-flabellum Cat, Rhabdophyllia stipata D’Acli Tecosmilia conferta Micht » depressa Michn Symphyllia crebriformis Micht. . , Mycetophyllia dulia Cat » interrupta Reuss. . , » repanda Micht. . . . » stelli fera Michn. . . . » sp Ulophyllia magnicostata Sismd. . . » prò fanda Michn. Tridacnophyllia cichorium Micht. . Tridacnophyllia subangulata Micht. Manicina antiqua Micht Meandrina Bellardii E. H Diploria intermedia Micht Hydnophora affnis Micht » anceps Micht » collinana Cat » elongata Micht r> meandrinoides Mieli. . . » satina Micht Plesiophyllia mutata Micht » profunda Micht » radiata Micht Tongriano Sestìano Bartoniano Liguriano (Pa*is.) 316 F. Sacco Numero d’ordine F 0 K M E Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris.) | 808 809 810 811 812 813 814 815 816 817 818 819 820 821 822 823 824 825 826 827 828 829 830 831 832 833 834 835 836 837 838 839 H- -+- 1 | - | | - 1 n multilateralis Michn. . . -+- i - » conferta Micht -+- — t— -+- -+- -1- » diversiformis Michn | » profunda Sismd » propinqua Micht » speciosa Sismd » supcrficialis Sismd | | -t- — H | ! TT p 1 ì n s h'n p.n. nrn. h i n i/ n. S i sm ri | -I- » hn.T(ì in alenai a E. H r -f- I -t- -+■ -4- n pili siano. Dpfr e. vn.r - « PYflì/fl.PYÌ.R T?miss » fallax Micht ! Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 317 Numero d'ordine FORME Yillafranehiano Astiano Piauenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano o a ci ’S C3 ’B cr* <5 Stampiano o g & s O H i Sestiano Bartoniano 73 i-i zi Ch’ o PS .5 ’u & fa D 3 840 841 842 843 844 845 846 847 848 849 850 851 852 853 854 855 856 857 858 859 860 . 861 . 862 863 864 865 . 866 . 867 .868 . 869 .870 1. 871 T1el.instrn.en. nemm.n.ns Mirili - n (tu. et. tardi. T)rfr 1 . . 1 1 » in ter medi n. Mirili 1 ìi vlana Micht ■ 1 1 | :i planulata d’Acli . . 1 » prevostana E. H L . | n rmisRnnn. R TT a var - n rnr.het.t.inn Mirini 1 | ìi strie. fn Mirini . . — H 1 v sìiTìp.p /) ri nl.i Minili 1 | | . . — t— - ! 1 ‘ Pl.esinst.ra.ea. Desm.nul.insi E. H. . H— i 1 Thegioastraea Roasendai Mieli! 1 Rrn.r.hyph.yll.in. grn.nul.nsn. Mirini 1 n neglecta Micht 1 Cnnfusnstrnea. mi. nr.eni.cn Si sin ri. . | 1 ?i ponderosa Sismrl. - 1 C! ìi in i hr/.sfrnp.fl. r.nrru nn. Fn. M i n.li i - 1 i .1. . - i 1 Di/rti rnstfrnpn. Tìrn fu. nrì n. Mi n li i i 1 TTl.nst.rnen. innrgi.nn.t.n. Mirili . ~t- i Ilalysiastroea gratissima Micht i Leptastroea anomala Micht Rnlcnnst.ro e a. compianola. Mieli! 1 ìi neglecta Micht 1 1 « profundata Cat 1 Prinnast.rnea. nrnn.cn. E. TT. r var. | 1 a crenulata Menegh , | 1 e Frnm.enteli. Sismd 1 e gcnm.etri.cn. Micht. . — H a irregularis Defr. e var. . . . il , , . J 318 F. Sacco Numero d'ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messi niano Tortoniano Elveziano 0 n h ci 0 ’S ci 1 < Stamniano O cd tt P O Eh Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 872 873 874 875 876 877 878 879 880 881 882 883 884 885 886 887 888 889 890 891 892 893 894 895 896 897 898 899 900 901 902 903| Prionastroea michelottina Cat 1 H- » multisepta Sismd .• » parvula Miclit -+- — t— -+- » propinqua Miclit Metastroea incerta D’Ach Plerastroea ornata Miclit. e var. . . . -h- • • • • ■ • ” taurinensis D’Ach. , Astroea ? crenulata Goldf. e var. - detecta Micht. . » italica Defr. . . - » pulcherrima Micht 1 - » Reussi Micht -+- ! | ” Sì). . . . | -H Gladocora intricata Michn -4- 1 n manipulata Michn. . | 1 -4- n Michelottii E. H. -4- 9 1 » granulosa E. H. . . 1 ! » inulticaulis Mieli. ! J -f- ■>1 r eussa.ua Miln. Edw. e var. . . .1 -+- Pleurocora plexa Menegh. . . ! Cruptanqia parassitica Michn . J. - Astranc/ia minima D’Ach 1 H- -1- - » patula Micht 1 Phyllanc/ia alveolaris Cat | » festiva Micht i « propinqua Micht 1 1 -1- Ulanqia foecunda Micht - 9 1 1 Cladanqia hybrula Menegh 1 1 » proxima Micht. l 1 n virginità D’Orh ? -1- 1 ! Troc.hosm.ilia incerta Micht 1 1 4- » Michelottii Michn 1 -4- 1 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 319 Numero d’ordine — FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris). | 904 905 906 907 908 909 910 911 912 913 914 915 916 917 918 919 920 921 922 923 924 925 926 927 928 929 930 931 932 933 934 935 - | ì | “+■ — H i | — H | - - - - - . J-4- — f- — t— l/ts/J f('U>/(/UL'UO l/l't'/J'W'UK'/t'l'W' iiii vTTCì * * * * — H — H — +“ | I | -H ! ! — f- H— | ,i mri stalla. Ofifr - m finirsi. fnrw.i.R Mi fìlli H- -+- -+- -+- | ! | i | | oi/i/fruu» jh ••••••' Conocyathus dertonensis Miclit . J. !+ 21 320 F. Sacco Numero d’ordine F ORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano O rt O H £ 1 Liguriano (Paris.) 936 937 938 939 ! 940 941 942 943 944 945 946 947 948 949 950 951 952 953 954 955 956 957 958 959 960 961 962 963 964 965 966 967 Conocyathus multistriatus Sismd -+- (la. rynphyl.l. i a. danne Sca.cch. . 0 O n granulata Micht 9 » Michelinii Micht ? -4- -f- — t- ii Michelottii D’Ach » Sismondae E. H ii zanche a Se0, ii ( rtp.ratnr.yaf.hue) a.m.hi.gua. Micht. . -4- H- -4- -4- - - n n derubata. Mieli! n » deperdita Micht ?? dolitheca - a ti lìnugla ei. Micht. e var. . -4- -l- ii n piegami Micht. e vfi.r. . ■+- ii ii emanata. Micht. . ii ii irapa.ripa.rti.tn. E. E. . . r n luterò cristata E.H. ev. v ii la.ternepi.nnea. E. T4. . . • • • • - a a protenda Micht. . -4- ii ii ra.ricneta.ta. Micht. e vn.r. - H — ■ -4- -4- -4— ii a revoluta E. H - n n subcristata E. H a a verrucosa E. H. e var. . - -+- a a versicostata Michn. e var. Hnennr.yat.hus antnph yllit.es EH n tauri. n.enei.e D’Ach. . A r.n.nt.b.ncy a.t.h.v.e ped.em.nnt.a.nue Micht. Trnr.h.nci.a.thue armatile Micht 9 a b elling erianus Michn. e var. -4- n cornucopia Micht n crassus Micht -4— — H Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 321 Numero d’ordine 1 FORME Yillafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano i Tortoniano Elveziano 0 a #c3 •E 1 Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano | Liguriano (Paris.) |[ 968 969 970 971 972 973 Trochocyaihus mitratus Goldf » obesus Micht 1 I » ponderosus Micht 1 i >i punctatus Micht | -t- i » pyramidatus Micht. e var. « x im.nl p..v, E TT ..U- i . J-t- -f- ! 974 975 » SH.sm.nnd.np. E ET 1 -4- 1 n stì/.hln p.nis E TT. 1 1 976 977 978 979 980 981 982 983 984 985 986 987 988 989 990 991 992 993 994 995 996 997 QQQ » ziti rn h/.z E Sismrl . . . 1 | f T)p.l.tncynth.uz mjli.iulri.cuz Micht | » italicus Micht -4- | •> taurinensi Micht Paracyatbnz cri.ztn.t.uz Micht — t— 1 ? | a tv.rnnp.nsis R TT. . H- J H— I -+- | Ceratotrockus duodecim-costatus Goldf. . » multi zp.ri.ali.z Micht — H 1 u mu.l ti. s n i nnz us Micht ? — H | ii np.rnlp.fr.u.z Micht 1 -4- 1 1 T)ì tv* nrb i/q Ufi r.h.p.l ntt.r TYTilnp-Rfì W. . . . -+- 1 F\Hìl et verini q Prnwi p.nfpli ftismfl 1 H— ! I -f- | -H U- 1 | , I | 1 999 » dissitum Micht 1 1 . -4- |. .. J 322 F. Sacco Numero d'ordine | F ORME Villafrancliiano Astiano riacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano o a .2 g efl 35 o P incertum Micht -4— | o o r-H » intermediuin E. H. e var. ? 1005 ” sinense Micht -h 1006 » sp | 1007 Rliizotrochus deperditus Micht 1008 ? Arnphihelia ambiqua Sismd 1009 » gigantca Sismd 1010 » reflexa Micht. . . . -4- 1011 Desmophyllum affine Se°- —4— 1012 » ambiguurn Micht -4- 1013 » clavatum Micht 1014 » costatum E. H. e var. . . . ? 1015 ” nudum Micht -4- 1016 » pedemontatium D’Ach. . . . .. 1017 » simplex Micht -4- 1018 » sub turbinatimi Micht. . . . -4- 1019 » striatum Sismd -4- 1020 » turgidum Micht —4— 1021 » taurinense Micini Classe Idromeduse Ord. Idroidi 4022 Ilydr actinia pliocenica Allm — H 1023 Millepora ? -4- 1024 ? Stylaster antiquus Micht 'aria.) Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 323 Numero d’ordine | FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano o5 1 ’n 1 © > s © a ci 13 bc a ci hi Aquitaniano Stampiano Tong riano Sestiano Barioni ano I Liguriano (Paris.) 1025 1026 1027 1028 1029 1030 1031 1032 1033 1034 1035 11036 1037 1038 1039 1040 1041 1042 1043 1044 1045 1046 3° Tipo Echinodermi Classe Crinoidei Orci. Eucrinoidei Conocrinus sp. . -+- ■ • Fin ur aneti r.ri. nux it.nlir.vjt 2 Pp nt.a.pv i. n u r CrfiRtn 1 rii i. MiY.lit a vn.r - -4- » didactylus ? - Antenodon oblitus Micht — H M i r.rnpnnri. nux Crnxt.n.ld.i.i. Micini Classe Asteroidei - Classe Echinoidei Ord. Euechinoidei regolari -+- -+- ,, nfnnrnnnRn TVAr.h. -4- • • • • - —4— « Rrrft.rlhp.rgp.ri Micht -f- H- — H '-‘t — -1- » Sismondae D’Orb. ( C. Miinsteri . J. . 324 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano ,! Tortoniano Elveziano Lunghi ano Aquitaniano Stempiano Tongriano Sestiano Bartoniano i Liguriano (Paris.) 1047 Porocidaris sp -f- 1048 Hemicidaris? sp — H |1049 Cyphosoma (Copto soma) deyensis Des. e Micht 1050 Echinus Dumi Wrijtht. -f- 1051 » astensis Sismd ■ 1052 » sp 1053 » ( Arbacia ) parvus Micht 1054 Psammechinus mirabilis Des -4- Ord. Eueohinoidei irregolari 1055 Conoclypus plaqiosomus Ag ? 1056 » sp 1057 Echinocyamus Studeri Sismd 1058 Clypeaster laqanoides Ag. e var 1059 » pentaqonalis Des. e Micht. . . -H 1060 placenta Micht 1061 » altus Lk. e var 1062 » Beaumonti Sismd. e var. . . . —H 1063 » crassicostatus Ag. e var. . . . -4— 1064 » scutellatus Serr. e var 1065 » Scillae Desm -4- 1066 » Miclielottii Ag ? 1067 Scutella subrotunda Lk 1068 Runa Desorii Micht 1069 Fchinanthus saltella ? 1070 » sp 1071 Echinolampas Laurillardi Ag. e var. . . 1072 » affinis Desm —f- 1073 n cf. affinis Ag -H 1074 » obesus Bittn -4— 1075 » Clavei Cott -4- Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 325 Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano in ' \-+ ri pH O PJ rt ’m 0 fcx 3 1076 1077 1078 1079 1080 1081 10S2 1083 1084 1085 1086 1087 1088 1089 1090 1091 1092 1093 1094 1095 1096 1097 1098 1099 1100 1101 1102 1103 1104 1105 1106 1107 fi chino! ampas pnlit.us 1 )p.sml — f- -H » cf Dnv.vil.lM. finti » r.nnir.us Tianh Sturi p.ri. A o* Il pw.i.n.Rfpr Grn.tp.l ninni. Risiti ri . . —4— n hemiglobus Mazz -+- -4- -4- ? -4- -4— — 4— — H — H - • • • • H— -4- — 4— -f- 326 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piaoenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Starapiano Tongriano Sestiano Iiartoniano Lìguriano (Paris.) 1108 Schizaster acuminata s A0- 1 1 1109 Pericosmus Edvardsii Des. | j 1110 n aequalis A0, | 1111 » latusf Ag 1112 ” Peroni Coti -H 1113 » calosus Manz 1114 Eupatagus lateralis Ag 1115 ii elongatus ? 0 1116 » depressus Dub — f— 1117 ii De Konicki Wright -4— "i 1118 Maretta Desmoulinsi Coti — f- 1119 » qreqicoauensis 1120 Spatangus chitoìiosus Sismd. . . • 4— 1121 ii Desmarestii Munsi, e var. . . . 4° Tipo Vermi. Orci. Chetopodi. 1122 Sapida foraminosa Bon 1123 » minima Lk ( 1124 » protema Lk. e var 1125 ’> ( Rotularia ) spirulaea Lk ' * H- 1126 Vernili a ? tdquetra Lk. e var 1127 Spirorlis miocenica s Mieli! j ! 1128 Ditrupa incurva Ben H— | 1 5° Tipo Mollu scoidi. Classe Briozoi. Orci. Gimnolemati. 1129 Discoporella umbellata Defr -H 1130 Defrauda miocenica Mieli! 1 Catalogo 'paleontologico del bacino terziario del Piemonte 327 j Numero d’ordine | F ORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Il Elveziano j Langhiano Àquitaniano Stampiano O sa .ci b£ O Eh Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1131 1132 1133 1134 1135 1130 1137 1138 1139 1140 1141 1142 1143 1144 j 1145 1146 1147 1148 1149 1150 1151 1152 1153 1154 1155 1156 1157 1158 1159 1160 1161 Defrauda papyracea Micht - « mediterranea. Rlnlnv - Stnm.nt.npnra. repenti Wonrl. Tnhu.li.pnra. miocenica. Michf - Fasci c. n.l.ipn ra. Maodl-ii 'Rla.inv. - Radiopora tuberosa Michn Membranipora sp n supergiana D’Orb. (cf. M. reticuh/.m. Èsili - — f- H- ~+~ -4- 55 n ti. 7). li. Tur 1\T ari 7 n anguiosa Ess. e var. . . . -f— - Sali r.o mari, a, farniminnides John Scrupnr. diaria el.l.i.pt.i.ca. Rss | T jp.7) pnlì.n. ci Tinta Pali » violacea. John n annata. John - H- -4— H— » script ? "R.flnss p. va.r H — 55 fu. 1. n uva ns M 9.11 7 Tfvtnl nriJi.nrn. r.p.mi rnmìs Mirini - - — 1— — H » supergiana Michn. e var. . . . ? -+- — t— - • • • • • • • • • • • • -4- -H -t- ? 9 Cellepora cf. retusa Manz ~ f- 328 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piaoenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano o ’pH m Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1162 1163 1164 1165 1166 1167 1168 1169 1170 1171 1172 1173 1174 1175 1176 1177 1178 1179 1180 1181 1182 1183 1184 1185 1186 1187 1188 Cellepora fumicosa ? Lk . . . -+- -+- -+- -+- » p.t, planata. Mieli! » globularis Bronn. . Jlf urnzoum. t.runrntìi.m. TMa.inv p vai* - n Michelini Micht. . . . » cavernosum Micht Lunulit.es d.epe edita. Micht n andrnsar.es All - » radiata Lk Cupularia canariensis Bk. . . -t— -+- » intermedia Mip.lit p. var • • -f- -H* — H- » umbellata Defr. e var. . » sp Classe Brachiopodi. Orci. Pleurapigi. Crani a rugosa Seg n abnormis Defr. ( Hoeninghausi Micht.) Orci. Apigi. Theculea testudinaria Micht. Argiope decollata Chemn. e var -+■ • • • • » costulata Seg » laevis Seg Megerlea truncata Gml - n » var. nhl.i.t.a. Micht — f— ? -f- -4— Terebratulina caput-serpentis Lin. e var. n taurinensis Seg • • -f— • • - » bipartita Brocch -4— n Davidsoni Mich - » sp -H Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 329 j Numero d’ordine FORME Yillafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano ! Liguriano (Paris.) 1189 1190 1191 1192 1193 1194 1195 1196 ! 4197 1198 1199 1200 1201 1202 1203 1204 1205 1206 1207 1208 1209 1210 1211 1212 1213 1214 Terebratula grandis Blum. e var - ? *■+- -+- -+- » sph enni.flen. Phil. ? 9 n miocenica Micht » sinuosa Brocch. e var 4- • • - » n.nr.eps Micht » rnvn.sp.nd.innn. Sec -+- ìì amputici, Brocch » minar Sness ? ;> Voglinnr.i Micht - ?? sp - Rkynclnonella Buchii Micht - j) complanata Br ~ f - 6° Tipo Molluschi. Classe Lamellibranchiati. Orci. Asifonidi monomiari. Osto p.n Rmrl p.ri/fìi Mir.ht » r.nrh.l p.ht Poli p var - H- 1 - • 1 » d.p.nti.r.ul.n.tn. Ohemn -t- -4- ' 1 n pdulis Tiirm. p var T « subgibbosa D’Orb ìì hyotis Chemn. e var - J. . ìì lamellosa Brocch - 1 ìì r.Y'fi.ssir.nstf.n Sow 4— — H ! n np.glp.ryn. Micht 1 ìì nlir.nt.uln Ornel ! ìì rì.nt.n. T,k - i. n sacellus Duy — f— 330 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafrancliiano Astiano o c ri S s 55 o »3 a- ai z> Tortoniano Elveziano o _c3 'ti C 3 hJ Aqnitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguri tino (Taris.) 1 1215 Ostrea cyathula Lk. e var 1216 » ves ìcularix T,k 1217 » Delbosi Micht 1218 nusilla T$ror,f*li 1219 » (Alectryonia) frondiformis May. 1220 An Olili a orbiculat.a Rrneeli. f> var. ? -H ! 1221 » costata Brocch. . 1222 n clectrica Limi 1223 » plicata Brocchi H— 1224 » ephippium Pliil. (M. polymorpha | Phil.) e var -t— -H 1225 » helvetica May | 1226 n striata Brocch 1227 Plicatula dilatata Micht. e var -4- 1228 » laevis Bell 1229 « Mantella Micht. (aff. P. myti- lina Phvl.) 1230 »> pliocenica Sismd -A— 1231 » laxa Micht 1232 » miocenica Micht. (aff. P. rupe- velia Duj) 1233 » myxtilina Phyl H- | 1234 Spondylus subcostatus D’Orb ! 1235 » quinquecostatus Desh 1236 » crassicosta Lk . L 1237 » Deshayesi Micht. e var | -4- -4- 1238 » qaederopus L i^_ J 1239 » ovalis Doti ! | 1240 » i lubricatila Micht 1 1211 » muticus Micht | 1242 » miocenicus Micht | 1243 » cisalpinus Brongt ! • • • • Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 331 Numero d’ordine FOBIE Villafranchiano Astiano Piacenziano o P .2 ’.B "co co z> Tortoniano Elveziano : Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestìano Bartoniano Liguriano (Pa'is.) [ 1244 1245 1246 1247 1248 1249 1250 1251 1252 1253 1254 1255 , 1256 1257 125S 1259 1260 1261 1262 1263 1264 1265 1266 1267 1268 1269 1270 1271 1272 1273 1274 1275 Lima plicata Lk. ( L . dilatata Lk.) . . . — f- — H » infletta Chemn. e var - » tuberculata D’Orb ii miocenica Sismd. . . - ii scabra Desìi. ? 9 « squamosa Lk H- ii dispar Miclit - ii Cocconii Font. . . » sp — t— Limea strigliata Broccli -i- Himites crispus Bronn — H » Defrancei Miclit - « sinuosus Lk *4 — Pecten miocenicus Miclit -4- H — ii del et. u.s Miclit » Ftrìim/lnRUR ? Miinst. a vnr. . . . — f- ? » adspersus Lk 9 ii arcuatus Broccli -f- -H — H -4- » Bendanti Bast ii bardi galensis Lk n Besseri Andr ” Gentoni Font ii denuclatus Reuss ii cristatus Bromi *4— ii De Filippi Stopp » discors D’Orli - -i- H— H— i *4— | —r- H — | H- | * l i 332 F. Sacco Numero d’ordine | F 0 E M E Yillafranchiano Astiano Piacenziano o a .2 co co © Tortoniano Elveziano Langhiano 1 1 Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1276 1277 1278 1279 1280 1281 1282 1283 1284 1285 1286 1287 1288 1289 1290 1291 1292 1293 1294 1295 1296 1297 1298 1299 1300 1301 1302 1303 1304 Pecten Bosniackii Paul, e De Stef. . . . -4- « Crrayi Micht — 1— » Haverii Micht. (aff. P. spinulosus Munst.) » jacobaeus Lk — H 1 » latissimus Broccli » maximus Linn. e var - » medius Lk » Northamptoni Miclit -+- ? | n opercularis Linn. e var -r - • • » pes-felis Linn » pyxidatus Broccli. var - n auhplcu.rnncr.tca D’Orh - » pnlyw.nrph.ua Bronn -4— » Textae Biv -f- » pulcher Micht -t- n pusio Linn. e var -+- — i- • • ìi histrix Dod » scahrellus Lk. e var — H H- 9 » Leytliajanus Partscli - » subsimplex D’Orh -t- n stazzanensis May ? - n im.ri.ua Lirm e var - - i) Philipp i Micht 1 ìi rcnnlut.ua Micht. . -+- » oblitus Micht » elegans Àndr. ? » cf. Philippii Micht -H » fallax Micht - » deperditus Micht Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 333 Numero d’ordine — — F 0 E M E Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano 1 •g <1 Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris.) | 1305 11306 1 1307 1308 1309 1310 1311 1312 1313 1314 1315 1316 1317 1318 11319 1320 1321 1322 1323 1321 1325 1326 1327 132- 1329 1 336 1331 Ord. Asifonidi eteromiari. A ni nula, av.bm.edir/. T)’Orb - Pp.vnn. R nifi, finii. T)p.sh p va.r ? >5 Sp Mvtii.ua nbl.it.ua Mirili. 9. var — H — H - — H - — f— » mytiloides Sismd. e var • • • • -H 1 | - '-H H- | » simplex Barb. var. pedemontana - -+- | - | - -+- 1 1 Ord. Asifonidi omomiari. — H /Il Oit U 0U/t0y 0 1(rU> 4/ vlUi v \ (Ai i.» » clathrata Defr. e var. ....... . # . . 334 F. Sacco Numero d'ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano o 5 "n ? 3 Langliiano Aquitaniano O 3 — j C/2 Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1332 Arca subcrenata Micht. e var 1 1333 11 anceps Micht | -4- 1 1334 11 Ct elisi ( A . affiniti ( t fi iì fi yfvr 1 1 i 1335 11 neglect.a Micht. « var . . -4- | 1 1336 11 antiquata Tjinn c var | 1337 11 subantiquata D’Orb ! 1338 11 barbata Linn. e var . .1 1339 11 subaffinis D’Orb -f- 1340 n diluvii Lk. e var -H 1^ •H— 1341 n subdiluvii D’Orb 1342 il Helbingii Brug. e var 4- 1343 li subhelbinqii D’Orb -r- 1344 il interrupta Lk -f- 1345 il mytiloides Brocch. e var 1346 li Sandberqeri Desìi, e var 1347 n pacifica Soav 1348 il imbricata Brng * * 1349 il tetraqona Poli e var -4- -4- 1350 n firmata May 1351 ii Darwini May 1352 ii qirondica May -4- 1 1353 ii hclvetica May — H 1351 ii cucullifiormis Eichw. e var -4- 1355 ii aspera Phil 1356 ii scabrosa Nyst — f— -4- 1357 ii buttata Rew 1358 ii candida Grrtel -4- 1359 il variabitis May. e var -f- -4- 1360 ii mitis May 1361 ii Roassendai May 1362 ii scalpellum May | -H 1363 il silicatala May. e var -+- -f- Catalogo 'paleontologico del bacino terziario del Piemonte 335 © 'S o O & B P » FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano O PS ’u. tx p 0 Sestiano Bartoniano 1 Liguriano (Paris.) | 1364 1365 1866 1367 1368 1369 1370 1371 1372 1373 1374 1375 1376 1377 1378 1379 1380 1381 1382 1383 1384 1385 1386 1387 1388 1389 1390 1391 1392 1393 1394 1395 Area pnlymnrpha. May 1 -+- — t— 'i pn.pill.i.fera. TT rifinì. •) di.r.hntnma. Hoern. « var • • -H » a.r.a.nt.hiz Ront -4- - - - - - -4- - - « Q'i/h'niJnsva TV Orli p var. . . . - — t— — H Qiihrnnrpll ntuz TVOvlì p var. -H — H H — ’ — t— -4- -4- )> inflatus JBrocch. e var. . . . 17 insubri cw "Brogli, fi var. . . | - • - | - • • • • - | -4- « nnl.l.r pur M a v l^_ -4- 1 ■ — H -+- . Jh- “4— ? ò L ts v(/(A/v (A/ò UllIOl* v » mi A» . « • » lividus Reev . J. 22 336 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1396 1397 1398 1399 ,1400 1401 1402 1403 1404 1405 1406 1407 1408 1409 1410 1411 1412 1413 1414 1415 1416 1417 1418 1419 1420 1421 1422 1423 1424 1425 Limopsis aurita Broccli. e var — H H- • • - - » Brocchii May » minuta. Pini - - » r.nnflita TVTav H— a modiola Bon - a Sem.pp.ri May. e var -4- - -+- » anomala Eichw. e var » pygmea Pliil Nucula. piacentina. Lk. e var - • • -H -H - • • • • - » » var. A. Bell -4— -4- H- » sulr.afa. Bronzi e var. . - -+- H- -4- » jìannen^R Desìi -4- » app.nninir.a. Bell » Borsoni Bell, e var -+- » inaequalis Bell. - » dert.nnp.nsix Bell - » Tftffr pajrÌ Bell -+- -f- - • • — f- -+- » » undata Defr. ( Nucula tau- rini a. Homi) a a commutata Phil. e var. . • • - ? -4- • • a . a Bonellii Ponz. ( Nucula co- stulata Bon.) e var. . » « su.hla.pnis Bell. • • • • • • -+- -+- a ( Iupiteria ) concava Bronn. e var. . ? -I- Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 337 Numero (J’ordine ■ FORME Villafranoliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sesti ano Bartoniano I Liguriano (Paris.) | 1426 1427 1428 1429 1430 1431 1432 1433 1434 1435 1436 1437 1438 1439 1440 1441 1442 1443 1444 1445 1446 1447 1418 1449 1450 1451 1452 1458 Leda ( Iupiteria ) Brocchii Bell - Yoldia long a Bell H- » Bronni Bell, e var • • • • — \— — t- » affmis Bell » nitida Brocch. e var - n Genei Bell » Philipp ii Bell, e var -f" Malieti. a transversa Ponz. . . Nello Monterosati Bell -t- » ? cticias Bell Tindaria arata Bell - Unio mastodontophila Sacc H- — t- ii Pollonerae Sacc Margarita» a ast.ensis Sacc il sp 1 Ord. SlFONIDI INTEGRI PALLI ATI. Solenomya Doderleini Mayer (S. mediter- ranea 8 Lk ) — t- -+- pi nii antri. Rrrmn p. var - - -H - - - - . . 1 — \— | | » producta Micht. (cf. C. scalaris Sow.) 1 338 F. Sacco Numero d'ordine FORME Villafrancliiano Astiano il Piacenziano ì Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano i Tonerriano 1 Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1454 Candita rudista Lk 1455 » rhnmhnidea Brncch 1456 n sca.hricnst.n. Micht .... H- 1457 » scalaris Son 1458 » Partschi Goldf. -4- 1 1459 Astarte problematica Micht H- 1460 n corbuloules Micht 1461 » scabra Micht -4— 1462 » cincinnarla Micht ~4~ 1463 » solidula Desh 1464 » solcata Da Costa 1465 Grassatella sinuosa De Hay 1466 >i parisiensis De Hay 1467 » carcarensis Micht -f- 1468 » neqlecta Micht -4- 1469 » problematica Micht 1470 » speciosa Micht H- 1471 » protensa Micht | 11472 » Murchisoni Micht. e var. . . | 1473 Chama piacentina Defr. e var 1 1474 » asperella Lk. ? 1 1475 » dissitnilis Broun 1 1476 « subsquamata D’Orb -4- | 1477 ” gryphoides Lk. (aff. Ch. Brocchii Desh.) -h- 1478 » qryphina Lk. e var 1479 Pecchiolia argentea Menegli. e var. . . . ? H- 4— 1480 » sp 1481 Ergcina strida Br 1482 » complanata Récl ? ? ? ??? 1483 » Renierii Bronn ,1484 » corbuloules Biv 4 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 339 Numero d'ordine 1 FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestìano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1485 1486 1487 1488 1489 1490 1491 1492 1493 1494 1495 1496 1497 1498 1499 1500 1501 1502 1503 1504 1505 1506 1507 1508 1509 1510 1511 1512 1513 1514 1515 1516 Erycina seminulum Phil — H Diplodonta fragilis Bromi, e var - -4- « laevigata Micht » a.picalis Pili! -t- » lupinus Brocch. e var 4- » astartea Nyst. . . . H— » rotundata Moni, c var. . . . -4- - » ? obliquata Micht . -4- Axinus angulatus Sow. ? - Lucina Rollei Micht -f- -H H— -f- » subconcentrica D’Orb » miocenica. Miclit. o var 9 -f- -f- » tumida Micht. e var v f.enuilam.ellata. Micht, » deperdita Micht » strigosa Micht. e var H- -+- 9 » Agassisi Micht. e var -A- » ri '.ga.ut.ia.nn. Tic Hay. c var » a.xtcnsis Bnn. c var -1- n colmibella Lk. ? -4- v commutata Phil -+- H- - » cordata Bon v edentula Lk » subedentula D’Orb - » glabella Bon -+- » spinifera Montag. e var ~ t— H— -4- 4- » hiatelloid.es Bast » angulata D’Orb » lupinus Brocch » globosa Bon - » lactea Lk » leonina Bast _4_ 340 F. Sacco Numero (l'ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Mossiniano Tortoniano Elveziano o a meS ’fcì) 0 oS A Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano c/3 Ih Ph o b | * 1517 Lucina Michelottii May -4— | 1518 77 ornata Ag 1 ? I 1519 J) jamacensis Lk. ( L . subpensylvanica D’Orb.) -4- -4- 1520 77 Brocchii D’Orb -4— . . 1521 77 orbicularis Desh. e var -I— -1- 1522 77 taurinia Bon 1523 77 borealis Linn H— 1524 1? transversa Bromi 1525 77 suht.rn.nsvp.rsn. D’Orb 1526 77 unguis Bon — H -4- 1527 77 reticulata Poli e var 1528 77 ti.ge.rina. lik. ? 1529 77 sinuosa Don 1530 77 saxorum Lk 1531 77 Bronni Mus 1532 77 Sismondae Desh 1533 Lnrimes Savii De Stef. 1534 nn.rrli.um. di.snrp.nans Rasi. e var -t- H — -t- 1535 77 semigranosum Sow -+- 1536 77 fallax Micht 1 1537 77 diffìcile Micht I ' 1 1538 77 aculeatum Linn 1 1539 77 edule Linn — f- -4— ! 1 1540 77 echinatum Linn H- I ! 1541 77 fragile Brocch -4— 1 1542 77 hians Brocch -4- -4— 1 1 1543 77 wi.ult.icnst.n.t.um Brocch. e var. -4- -h- 1 1544 77 dertonense Micht 1 1545 77 papillosum Poli -4- I 1 1546 77 Forbesi Micht 1 1 1547 77 pectinatum Linn 1 .. 1 Catalogo 'paleontologico del bacino terziario del Piemonte 341 Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano •si e3 o a ri S-H 3 tD 3 1548 1549 1550 1551 1552 1553 1554 1555 Cardium rusticum Chemn 57 semiqranulatum Sow * ’ l Cottavi Mi flit ' 1 Rt.vi.nt.i RRÌ.m. UYY). T^on J i » striatulum Brocch J l » xiiJ.naf.um. T,k 1 t.n.iiTi.nv.ni. Mi flit -H | » trigonum Sismd. (C. trigonellum D’Orb.) -1- 1556 turonicum May -4- 1557 xv.bf.v.vnidiim. TVOrh 1558 A d.or.h.nn. nmm-rnxxi nn IRa.rh. . 1559 1560 1561 1562 1563 1564 1565 1566 1567 1568 1569 1570 1571 1572 1573 1574 1575 1576 1577 r.nxt.p.l.lnnp.nxix flap -f— xp.m.i.xvJ.r.n.t.n. R.p.tisk Ss nv ntt.i n rii s Pn.vtxr.h.i May r.n.ri.nn.t.n. T Insti — H hnnn.t.ir.n. T^iip/hs mnr/rnfìfm 2 T)psh Cyrena (Tìitimnrl nrì\ Ssup.rrÌ. Mav. | .... -+- — h- -4— — f- r * i 1 1 1 | | | i 342 F. Sacco Numero d’ordine FOE M E YillafrancMano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano o p s © > W o rf '3: c5 1-} Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Barloniano Liguriauo (Paris.) 1578 1579 1580 1581 1582 1583 1584 1585 1586 1587 1588 1589 1590 1591 1592 1593 1594 1595 1596 1597 1598 1599 1600 1601 1602 1603 1604 1605 1606 Isocardia Deshayesi Bell, e var - - » moltkianoides Bell, e var. . . . H- -t- Ord. SlFONIDI SINUPALLIATI. Petricola rupestris Brocch .(P.lamellosa Lk.) » lit.hnphaga B.ctz . . - Venerupix r.nrn.llinphngn. Brnoch - n eremita. Brnoch — — H n irus Linn. » ncrnarum T3rm Tapes Genei Micht n vetula Bast. . . - « fi.xfp.nxix ? Bon. - Vp.nux Su ex si Micht. -t- -t- -+- v dubia Micht. » splendida » intermedia Micht » Delbosi Micht n anceps Micht. . n deleta Micht • • • • « perplexa Micht n alternans Bon — f- -H — - » Brongniarti Payr » chione Linn. e var. ( V. laevis Ag.) » erycina Linn - • • n erycinoides Lk n excentrica Ag. ( V . subexcentrica D’Orb.) -4- » extincta Micht 1 - » gallina Linn. ( V . senilis Br.) . . . » geographica Chemn » islandicoides\i\t.(V.AgassiziT)'Oxh ) -H Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 343 Numero d’ordine FORME Yillafranclnano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano j Liguriano (Paris). ! 1607 1608 1609 1610 1611 1612 1613 1614 1615 1616 1617 1618 1619 1620 1621 1622 1623 1624 1625 1626 1627 1628 1629 1630 1631 1632 1633 1634 1635 1636 1637 Venus rudis Poli H- » miocenica Micht. (cf. V. Aglaurae RrrnignT, ) . -4— — H » v etnia Rasi a Ruhr.inr.ta 9 TV Orli. p vn.r. . - » zpad.ir.p.n. Pori n anici nlrR Pini -4- -4- » plicata Gmel. (V.subplicataT)' Orb.) • • -H — H • • - v *r. alari* Pronti p va.r H- — 1— • • • ■ H- » umbonaria Lk. (V. gigas Lk.). . . - • • • • - - » multilamella Lk. e var -f- H- -4— — h- -4- • • - • • - - Donax long a Bromi. ( D . vinacea Gmel.) . -h - - — 4- -4- ~4- -4- - » tumida Broccli. ( T . lacunosa Lk.) » nitida Poli | 1 344 F. Sacco a 'P £ £ FORME o o e p a o 0 o G a *3 .2 e5 rP •B ’p* tp 3 *3 c* 3 c3 •<-> Sd s o < W sa P- « 1638 Tellina planata Linn, 1639 » serrata Ren. e var 1640 » striatella Brocch 1641 » subcarinata Brocch 1642 » donacina Limi 1643 » ventricosa De Serr 1644 » Boioerbanki Micht 1645 Arcopagia crassa Penn 1646 » gigantea Sismd 1647 » telata Sismd 1648 » cor bis Bromi 1649 Gastrana fragilis Lìti 1650 Gari feroensis Gmel. e var .(G. nutricata Ren.) 1651 « uniradiata Brocch 1652 » vespertina Lk 1653 Hiatula Labordei Desìi 1654 » repanda Micht 1655 Syndosmya apelina Ren. (S. Renierii Bron.) 1656 » alba Wood 1657 Solecurtus coarctatus Linn 1658 » dilatatus Bon 1659 » strigilatus Linn. e var 1660 Ceratisolen legumen Linn 1661 Solen ensis Linn 1662 » Olivii Micht 1663 » vagina Linn 1664 Glycimeris Faujasi Mén .{G.glycimeris Born.) 1665 » Gastaldii Micht 1666 » corrugata Dix 1667 » Ileberti Boscp (Lutraria acutan- gola Micht.) 1668 » Menardi Desh. e var Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 345 Numero d’ordine 1 FORME Villafranciiia.no Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano o s 3 C*- <5 Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano tn 4- c3 & O | V* U 42 1669 1670 1671 1672 1673 1674 1675 1676 1677 1678 1679 1680 1681 1682 1683 1684 1685 1686 1687 1688 1689 1690 1691 1692 1693 1694 1695 1696 1697 1698 1699 (rlvr.imeris Ruhnl/niw.n. TVTa.v p. var ? ? -4- - • • ? -1- -4- -1- n Delbosii Micht. (Ph. Puschii Gnlrlf 1 » arcuata Lk. ( Ph.Meriani May.) - -t- - - -4- -4- — H — +— -h- -4- • • — -4- -4- -t— -4- - -+- -4- -4- » oblonga Chemntz e var -+- -4— , . 346 F. Sacco Numero d’ordine FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Starapiano . i — | Tongriano Sestiano Bartoniano s_ c3 Ss o C3 ri 3 t£ 1700 1 1701 1702 1703 il 704 1705 1706 1707 ,1708 1709 1710 1711 1712 1713 1714 1715 1716 1717 1718 1719 1720 1721 1 1722 1 1723 1724 1725 1726 1727 Carclilia Michelottii Desìi H- Mya dilatata Micht. ! » testarum Bon ..L Cor buia carinata Duj. e var -t- 1 » Deshayesi E. Sismd. . » neglecta Micht. . • -f- » costellata Desh -t“ -4— -f- 1 1 » gibba Oliv. e var. . . . - H- - » proboscidea Sismd » revoluta Brocch. e var • • ? 9 Neaera cuspidata Oliv Gastrochaena abbreviata Bon. . » dubia Perni - Clavacjella oblita Micht | | - « bacillaris Desh -H ! » Brocchii Lk H— Jouannetia semicaudata Desili. . . . i Pholas Jouanneti Desh. ( Ph . semicauda Desili.) H- — H Teredo norvegica Speng. e var. . . -4- -4- Classe Gasteropodi Ol'd. SCAFOPODI SOLENOCONCHI Dentalium aprinum Linn - r> asperum Micht -4- .u ” Bouei Desh. e var. - ? -4- 1 I ' T 1 » circinnatum Sow. « gadus Mont. e var - i « dentale Linn l ?? rlÌR'nn.r Mnvpr » fissura Lk -4- » fossile Linn. e var -4- ? -e- Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 347 Numero d’ordine FORME Villafranehiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1728 1729 1730 1731 1732 1733 1734 1735 1736 1737 1738 1739 1740 1741 1742 1743 1744 1745 1746 1747 1748 1749 1750 1751 Dentalium inacquale Bronn, e var • • — H -4- » /ani Horn. ... n m.ineenieum. Minili. 1 • • — » Aroc Bon : . J-P- m 7 , n m. arici. 1YT n.v • • -4- '.ì TP.rtuw. T,inn -+- u subsexangulare D’Orb. ( D.sex - - - | | | | -4- » ? Sowerbyi Micht. (aff. D. incur- Orci. Placofori Cliiton miocenicus Micht. (C. subcajetanus D’Orb ) ChitoVr Polii T) fi fili 9 Orci. Prosobranchi ciclobranchi Patella Pomi Micht -4- ii crenata Micht -4- ii rii. lupi. i. Micht - ii polygona Sismd H- H- -+- ii anceps Micht TTeleinn nealeet.ua Micht ii Klipsteinii Micht 348 F. Sacco Numero d'ordine F 0 R M E Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Parie.) 1752 1753 1754 1755 1756 1757 1758 1759 1760 1761 1762 1763 1764 1765 1766 1767 1768 1769 1770 1771 1772 1773 1774 1775 1776 1777 1778 1779 Acm.aea yi.l.p.a.ta. Si sin ri. - Propylirlium. ancylni.rl es Ferii -+- Ord. Prosobranchi aspidobranchi Fissurella graeca Limi — H » negletta Desìi ? » italica Defr. e var -+- » oblila Micht » costarla Rasi. . . - Emarginala clathrataeformis Eiclnv. . . -4— » fìssura Limi — H v cancellata Phil — f~ a Grntp.lnu'pì. Peli e Mieli!. — t— n fìhmtnitxii Mieli! v SolteH Mirili. Scutum Bellardii Micht -4- Ilaliotis monili fera Bon. e var -1- » ovata Bon. (aff. H. Volhynica Eiclnv.) » tuberculata Limi - Phasianella subpunctata D’Orb ? H— • • ? ? n rubra Risso • Turbo scobinus Brongnt. (7\ subscobinus D’Orb.) —4— -4- n Asmodei Brongnt » ner/lectus Micht. . » carinatus Bors -+- » decussatas Bon.( T. Bellardii D’Orb.) — 4— — H -1- » fimbriatus Bors. e var • • » granosus Bors » Meynardii Micht » Par/cisoni Bast -i- Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 349 © H O O S-. © s a A FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tong riano Sesti ano Bartoniano .91 fi 1 (Sì r a cì i 1780 1781 1782 1783 1784 1785 1786 1787 1788 1789 1790 1791 1792 1793 1794 1795 11796 11797 11798 11799 11800 1801 1802 1803 11804 1805 1806 1807 1808 1809 Turbo rugosus Linn. e var 4- -4- — 1— » r.nst.rnr.arensi.s For. . . ?? R'np.r.inRUR IVTipht - 5? tuhp.rr.ul a tu& T^p ftprr ? -+- -4— -4— - Adfl.nrhix Wnnd.ì. TTofìrn TTmhnnium T)p. frn.nrr.r Tlast - » suturale ( U. subsuturale D’Orb.) -+- -4- — H — i— ? • • - ? . . - -4- — f- -4- -4- | 1 ? « ~fn nu 1 u.VYì. firn pi ■4— -+- -k *4- ? — t- — H n laevigatus Miclit. ( T. subrudis D’Orb ) « n ninne! finto. Tlrorm. P var - 1 » sublimbatus D’Orb. ( T . limbata Phil.) 350 F. Sacco Numero d'ordine FOE M E Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano o § A Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano u. c« P- O 5: s 1810 1811 1812 1813 1814 1815 1816 1817 1818 1819 1820 1821 1822 1823 1824 1825 1826 1827 1828 1829 1830 1831 1832 1833 1834 1835 1836 1837 1838 Trochus miliario Erriceli -f- — H • • • • ? n pa.pil.lnsus Da, Costa » patulli* Erriceli - » rntp.llari.x Miclif, -4- » striatus Linn. var » strigosus Gmel. ( T . substrigosus D’Orb.) ? » turgidulus Erriceli -t- n hf.rritv.x Enn — H ii vertere Mi chi ii vnrti r.nxux Erriceli n Buklancli Bast ii Borsoni Micht. e var -+- H- • • H— ninnr.ul.ua r.nrn.llinua fiinfìl Afminrl nnt.n. mn/ffl.ill.n. Andr « m.nd.ul.ux Ginn. ? -H n maryaritula Mer —H — t— Nevi tri. ni.nnnt.p.n. Eell. e Mieli! n aratelouveana Fér. e var - n Plutouis Bast n compressa Bon 1 >i Bronni Jan | - ii Hisingeri Bell, e Micht | H- ii Morellii Bell, e Miclit | ii subpicta D’Orb | n proteus Bon | Neritodonta Mayeri 0. Semper ? •-4- ii mutinensis D’Anc. ( subpisi - formis D’Orb Afpv- Lyelli Micht | -4- » millegranum Lk ? -4- -4- » monili ferum Bromi :> suhm.nn.ili fr.rum- TVOrh » pseudo-perspectivum Brocch. e var. - n semi.squa.m.nsum. Rrnrm. . ? -+- - • • 55 vari p.nn.tv.m. T/lr va.r - 55 c.r rutti. Taoii . p. va.r. - - • - — H -4- 55 Tirar. r.li. ir IVTinTit. - - - » rochettina Micht. (D- zanclea Phil. ?) - Scalarla pumicea Brocch. e var » amaena Phil. e var - 1 1 • • • • • • » refusa Brocch. e var i 4- 1 23 352 F. Sacco Numero (l’ordine FORME Villafranchiano Astiano o S3 «3 *3 ss ■V O £ Messiniano Tortoniano Elveziano 1 Langhiano Àquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1 1867 Scalaria reticulata Mieli!. ( S . suhreticu- lata D’Ori) 1 9 1868 n pulchclla Bir . 1 ? 1869 ni terni mutata. Broun. . . — 1— 1870 r.nnr.p.l.Jntn. Dpfr 1871 nl.at.hr a Rrocch . . . -+- 1872 Vi nlat.hr at.ul a Adans. -H 1873 n contiaua Bon 1874 » d.isjuncta Bromi .1875 » impressa Bon [ 1876 n lamellosa Brocch 4~ -4- i ,1877 » lanceolata Brocch. e var 1878 nutricata Risso 1879 pseudo-scalaris Brocc 1880 T) scaberrima Micht 1881 spinosa. Bon 1 1882 sìih'ulnt.a Bon 1883 » tenuicosta Michel 4- 1884 torulosa Brocch 1885 trinacela Phil. 1886 vari ah ili s .Tan 1887 4- - 1888 Tiirri.tp.Un tnii.r intinsi * D’Ori) p vnr. 1 4- 1889 communis Risso 1890 » bicarinata Eichw. e var. . . . ? •4- -1- 4- 1891 TÌ Bellardii May 4- 1892 nathedralis Bronci, e var. i -f- 4- 1893 la.p.vi.ssima May. . . 1 -f- 1894 d.esma.rp.t.i.na Basi, n var. . . ! 4- 4- 1895 Sism.nnd.ai. May. 1 1896 » stranqulata Grat. e var 1 1897 » aspera Sismd 4- Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 353 Numero d’ordine FORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano ! Aquitaniano Stampiano Tongriano Sesti ano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1898 1899 1900 1901 1902 1903 1904 1905 1906 1907 1908 1909 Turritella Rvnr.chi.i. Fremii, p var 9 ? - - » quadri, narinata Fremei). . . 1 » qua dri.pl. i. rata. Fast. - 1 trinavi nata Brnooli 1 1 1 » subangulata Brocch. (T. Re- ni, eri. Mi e li t ) e var .... - • • » t.p.vp.hva.li.R T.lr ! :> trini irata. Rrnnnli - 1 -f- 1 1 » vermicularis Brocch. e var. . . 1 1910 1911 1912 1913 1914 1915 1916 1917 1918 1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 » sp - • • Vcrm.p.t.ua int.nrt.ua T,k. p var. . 9 - • -4— » dinas Br . » glomeratus Sismd. ( V. subglo- meratus D’Orb.) -4— H- -4— ? ? n articolatila Bon n avenarius Linn. e var H- 9 • • • • - | SH.Jiqp.ri.ria. anguina. Finn, e var n auhnnrjuina. D’Orli -H- | -4— \r p n nrih ava Rn vanni Boll o var. H — -4- n Deshayesi Micht. e var 9 n crispa Kon - n in.pmdi.hu.lum. Brocch n lp.Rtinp.va. Bromi o var - - -H ■ • » pp T t t -4- ii 9 taurini a. Mi ohi Lj 'Procinto subsinense D’Orb ! 354 F. Sacco Numero d'ordino FORME Villafranchiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano Langliiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 1912 1943 1944 1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 Trochita gualterianum Gene - 1 n muricala Br . 1 1 1 » sinensis Lin | 1 1 Crepidula cochlear Bast. 1 1 1 | 1 » myt.hì Intrica Bell e TVTielit. . . 9 | 1 I 1 » spirifera Bon 9 9 | 1 n unguifnrm.i.s T,k - 1 1 1 Hippnny.x int.errn.pt a Mic.Tit 1 ! "> sy.l rafa T^nrs p vai* - | I nnni/.I.UD nl.nhrn.tus Bnn - 1 ! 1 n n.nr.p.ps Mieht p. var 1 — 1 1 1 i i i | 1 1 ! 1 1 1 ! ! 1 1 -t— -f- . .1. 1 . 1 1 | i 1 -+~ ! ! 1 1 n laevis Bronn. : 9 ! 1 1 » hungaricus Linn. ( C . dispar Bon.) e var • • Rraa.rp.tu.R Mrch.a.ucli. Mipht p vnr " 1 ^ Rii.hh ali ntirlp.u r TV Orli •’ Deshaycsi Micht. (aff. S. clathra- tus Kecl.) - Natica Josephinia Risso e var .{N.olla Serr.) n suhm.nm.illa. T) ’ 0 rii . e var - • • -H -4- -4— H— -4- ! 1 » crassatina Lk 1 spirata Desh 1 n elonqata Micht 1 » compressa Bast - 1 ;> fasciolata Bon ? 1 » Guillemini Payr 1 Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte 355 Numero d’ordine F ORME Yillafranchiano Astiano Piacenziano 1 Messiniano Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestiano Bartoniano Liguriano (Paris.) | ! 958 1953 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 Natica helicina Broccli. e var - 9 • ■ - -I- 1 ” maculata, Desìi | | » submamillaris D’Orb | 1 » millepunctata Lk. e var - 9 1 sismondiana D’Orb -4- 1 » plicatula Bromi H— 1 » pseudoepiglottina Sismd 1 -4- ! » redempta Miclit - 1 » scalaris Bell, e Micht - 1 n tectula Bon. e var . J ? i » turbinoides Grat 1 1 1 n um.hi.l.ir.nsa. Ron 1 | ' 1 » Val.enr.i.p.nnp.zi. Pnyr. 1 1 | Valli at. a. (( lyrnrbi.s ) r.ri.st.at.n. Miill. -4- 1 1 • v r - ìi ( Cincinv.nl) T,p.ssav.n.p. Sane. . 1 1 ' 1 Viviparo Pnl.1 onerar. Sane | ■ T ' Bitinta tentaculataLhm. \a,r. Tellinii Sacc. Emmericia pliocenica Sacc 1 i 1 ! Hyd.rnhin. Paco jji, emp. Tonni 9 ! » Fontannesi Cap -4— ? 1.. i v stagnali.!! Basi 1 1 | | » etrusco Clan ■'! 1 | t) nhtv.sn. Snnrlh I | » acuta Drap i » perforata Pant H- i — H -4- 1 1 -4- 1 | » Panelli'). Sismrl — H — H 1 1 1 a hr finis All 1 I v Q.’i'fYicx -4— ! 1 » costulina Bon | ' V T 356 F. Sacco. Catalogo 'paleontologico del bacino terziario ecc. Numero d'ordine F ORME Villafrancliiano Astiano Piacenziano Messiniano Tortoniano Elveziano o P 'tL n cS Aquitaniano Stampiano Tongriano Sestìano Bartoniano CO *£ ri P- O fi 3 3 1990 Rissoa equesiris Bon — F- 1991 » laeviqata Bon -F- | 1992 » Broughieri Payr 1993 » striolata Risso -4- | | 1994 » decussata Mont -F- 1 1 1995 » acinus Brocch -F- 1 1 1996 » minuta All. . . -f- | 1 1997 n sulzeriana Riss 1 1 1998 » textilis Bon. -H 1 1 1999 n z e tifimi ira Moni ! 1 2000 Rissoina pusilla Brocch. e var — F- -4- 4- 1 1 ! | • {Continua) F. Sacco. NOTE A SCRITTI SUL PLIOCENE UMBRO-SABINO E SUL VULCANISMO TIRRENO Lontano da qualche anno dai miei paesi, la curiosità di conoscere i quali m'aveva spinto nel difficile aringo delle scienze naturali, di- stratto da altre occupazioni, avrei dimenticati gli studi geologici, se non fosse venuta a risvegliarmi qualche pubblicazione, la quale m’in- teressa pel soggetto, ed anche per le obbiezioni mosse ai miei con- cetti sulla geologia di quei luoghi. Poiché in questo caso mi sono prefisso di non lasciare i lettori nel dubbio da quale parte stia la ragione, ho pensato di analizzare quelle pubblicazioni delle quali, nonostante la lontananza dai centri intellettuali, m’è giunta no- tizia, e di manifestare le mie opinioni, sia accettando le idee degli autori, sia contraponendo i motivi, pei quali non posso temporaria- mente o definitivamente convenire nei loro apprezzamenti. Le opere esaminate sono : Tuccimei, Il villa t frane hiano nelle valli sabine ; Terrenzi. Il mare pliocenico nell'interno della conca di Terni ; Bucca, Contribuzione allo studio petrografcco dei vulcani Viterbesi ; Deecke, Osservazioni sull' origine e sulle rocce dei monti Cimini ; Ricciardi, Ricerche chimiche sulle rocce dei vulcani Ci- mini ed Amiatini ; Williams, Il monte Amiata e le sue rocce ; Mercalli, Le lave di Radicofani. Non sempre chi studia la composizione delle masse terrestri riesce a precisare in modo assoluto le osservazioni : non di rado, per le soluzioni di continuità tra le formazioni, per essere queste 358 A. Verri nascoste da circostanze del terreno, si è costretti ad eseguire i col- legamenti con raffronti. Accade che di poi, per combinazioni qua- lunque, vengano alla luce fatti nuovi; accade che, col progresso dei mezzi di ricerca scientifica, si trovano più particolareggiati punti di riferimento, per i quali le deduzioni tratte dalle osserva- zioni prime devono essere modificate, e qualche volta ancora cam- biate del tutto. Col mettere in armonia gli studi miei e quelli degli scrittori citati ; collo spiegare le cause delle divergenze ; col- l' indicare, per la conoscenza larga che ho del paese, i punti sui quali nuove osservazioni potrebbero dare risultati decisivi ; coll' av- verti re i difetti intrinseci di talune osservazioni mie o d’altri; op- pure i difetti del modo come sono riferite, e le conseguenze che ne derivano, mi lusingo che questa rivista faccia fare un passo no- tevole nella conoscenza dei terreni di cui tratta ('). I. G. Tuccimei, II villafranchia.no nelle valli sabine. Boll, della Soc. geol. it. voi. Vili, 1889. Tra le pubblicazioni che seguo col massimo interesse, sono senza dubbio quelle del Tuccimei sulle fasi plioceniche delle valli sabine, le cui osservazioni m'apprendono i particolari di quanto sgrossai appena nelle rapide escursioni su quelle vallate, e le quali osservazioni desidererei vedere estese alle valli dell’ Umbria, dove contemporaneamente dovevano avvenire fatti somiglianti. Non è il caso che dia il resoconto degli studi del Tuccimei, essendo inseriti nel nostro Bollettino. Prendo la parola soltanto per esporre il mio avviso su una deduzione da lui accennata, riguardo alla idrografia pliocenica del territorio. Il Tuccimei nota che il torrente Galantina — corso d’acqua che scende dal versante occidentale della catena montuosa, la quale chiude ad occidente l’altipiano di Rieti, e passa accanto Roccan- (') Per le formazioni mesozoiche, eoceniche e mioceniche del bacino del Tevere, nonché pel pliocene degli altri luoghi non compresi nella Pivista, le ultime vedute sono inserite nei volumi III, IV, V, VI del Bollettino. 359 Note a scritti sul 'pliocene Umbro- Sabino ecc. tica — nel periodo pliocenico doveva avere portata d’una qualche entità; e, siccome oggi è torrente di poca importanza, deduce che, unita quella portata alla potenza dei depositi fluitati dal Farfa, può far ritenere sul finire del pliocene una soprabbondanza di pre- cipitazioni fluviali : ossia una climatologia con abbondanza di pioggie, se bene ho compreso il pensiero dell’ autore. Nella Memoria sulle conche di Terni e Rieti, io mostrai la conti- nuazione delle formazioni plioceniche, tra le valli del Farfa e del territorio reatino, estesa fino alle falde del Terminillo. Perciò non mi sorprende la potenza dei depositi pliocenici nel bacino del Farfa, ampliatane di tanto la superficie scolante, collo aggiungervi i ba- cini del Velino, del Turano, del Salto ; ossia in complesso un 2200 chilometri quadrati all’ incirca (]). Nella carta geologica annessa alla Memoria si vede il bacino del Galantina serrato tra le rocce mesozoiche, la qual cosa però non esclude che nel periodo pliocenico anche questo bacino finisse per essere collegato colla valle reatina. Difatti nella sella di di- spluvio, tra la Canera — torrente dell'altipiano di Rieti — ed il Galantina, trovai la quota 644, segnata sulla detta carta. Sulla linea di displuvio, tra la valle del Farfa e quelle della Lariana e del Turano, trovai le quote 657 e 680, essendo in quel tratto la montagna costruita con materie vallive plioceniche: quote e formazioni segnate pure sulla carta stessa. Aggiunto che il plio- cene vallivo si protende dietro le sorgenti del Galantina sopra ai monti tra la Lariana e la Canera, sui quali lo trovai sopra Cer- chiara alla quota 725, pur essa segnata sulla carta, mi sembra adunque che si possa dedurre con certezza, che quel materiale di colmata aveva sepolto pur anche il displuvio del Galantina, distante pochi chilometri dalle formazioni plioceniche tuttora in posto, e quindi che la valle del Galantina, comunicava coll’attuale altipiano di Rieti. Se adunque si considera il regime che le acque dell’Apennino potevano avere sopra quel l’estesa colmata — regime che tentai sbozzare nella Memoria citata — non sorprende che anche il Ga- lantina portasse copia maggiore d’acqua alla sua foce nel mare pliocenico, e non mi sembra necessario di supporre fenomeni cli- matologici eccezionali per spiegarla. Invece la deduzione del Tuc- F) R. Acc. de’ Lincei, 1882-83. 360 A. Verri cimei, desunta dagli effetti osservati sul luogo, e cioè che il Ga- lantina nel periodo pliocenico doveva avere portata considerevol- mente maggiore dell'attuale, viene a confermare le osservazioni ge- nerali da me fatte su quella regione (’). Nel chiudere mi parrebbe opportuno insistere perchè sia ab- bandonata la qualifica di lacustri per quei depositi, la cui fauna e composizione non dimostra esclusivamente formazione lacustre, come avviene nello studio di cui si tratta. Se non si crede adot- tare la qualifica, che io proposi, di vallivi per i sedimenti diversi di colmata, se ne scelga un’altra più adatta a precisare la genesi di questo genere di formazione; purché si faccia in modo che iì pubblico ci capisca, col porgli sotto gli occhi le cose, come è abi- tuato comunemente a vederle IL G. Terrenzi, Il mare 'pliocenico nell'interno della conca di Terni. Rivista scientifico-industriale diretta dall’ ing. Vimercati. Fi- renze, 1889. Le trivellazioni, fatte per la ricerca delle ligniti, nella parte del territorio di Narni volta verso la conca di Terni, hanno posto in rilievo il seguente fatto, interessante le vicende geologiche di quel bacino. Sono stati trovati cioè sedimenti pliocenici marini fino ad oltre 3000 metri di distanza dalie rocce mesozoiche, le quali segnano il limite del pliocene al sud-ovest della conca, e coni- - pongono i monti, che separavano le valli interne dell’ Umbria dal mare pliocenico della Yaldichiana e della valle inferiore del Te- vere. Scoperta, la quale, col rivelare un nuovo episodio per la storia delle vicende geologiche della conca di Terni, in parte conferma, in parte allarga le linee generali da me tracciate sulle rivoluzioni oro-idrografiche di quella contrada. (x) Oltre a ciò le acque dolci potevano confluire neH’estuario anche dal bacino di Terni, quando T interrimento ebbe coperta la sella di Conflgni (quota del contatto del pliocene vallivo colle rocce antiche 283). 361 Note a scritti sul pliocene Umbro- Sabino ecc. Di due di quelle trivellazioni sono riferite anche le quote, ed il fondo di una giunge fino a 40 metri sopra il livello del mare, il fondo dell’altra fino a 26. Disgraziatamente manca la quota delle altre, e specialmente di quella fatta a Palombara: perciò mentre abbiamo dati per calcolare l' importanza delle trivellazioni più vicine alla catena montuosa, la quale limita il pliocene della conca, quei dati ci difettano per le altre spinte più verso l’interno della conca medesima (‘). La trivellazione sul terreno detto della Vedova, alla sinistra del torrente Calamons vicino alla stazione ferroviaria di Narni constata 53 metri di profondità, e quella più vicina della Quercia constata 67 metri di profondità nel terreno pliocenico sotto la soglia di sbocco della Nera dalla conca di Terni: soglia formata dalle rocce mesozoiche dei monti fìancheggianti la gola, nella quale corre dipoi il fiume fin vicino alla stazione ferroviaria di Montoro. Nè basta, perchè il pliocene mostra a quelle profondità sedimentazioni marine. Da questa osservazione adunque è confermata l’ ipotesi che la gola di Narni sia uno scavo avviato nel periodo post-pliocenico, ed il suo affondamento accompagni la fase attuale d’erosione della conca. La catena montuosa, che limita ad occidente la conca di Terni, si prolunga fino aU’Àpennino ; dove, colle montagne della Modina e di Caprese, divide le valli superiori del Tevere e del- l’Arno. Questa catena, la quale separa le valli interne dell’ Umbria, colmate da depositi pliocenici vallivi, dai sedimenti marini contem- poranei della Valdichiana e della valle inferiore del Tevere, dai miei studi risulta interrotta per sette soluzioni di continuità ; più nell’ultimo tratto è separata dalla vicina catena dei monti di Rieti per una valle, sul cui fondo in parte stanno depositi pliocenici vallivi, in parte depositi marini; in parte rocce di periodi più antichi. C) Le trivellazioni sono in quell’angolo del territorio, sul quale nei miei scritti fu già segnalata una formazione superiore con Cardi, Cerisi ecc., ed indicato il suo rapporto colla sella per la quale passa la strada Narni- Amelia. 362 A. Verri La prima soluzione è presso all’emissario del Trasimeno. Dista chilometri 73 circa dalla conca di Terni, ha il piano sulle rocce eoceniche alla quota di 284 metri. Yi sarebbe pochi chilometri dopo la sella di Montebuono ; però essendo più elevata non credo necessario tenerne conto (quota della sella 314). La seconda soluzione è rappresentata dalla valle del Nestore, la quale pone in comunicazione i sedimenti pliocenici marini della Valdichiana coi vallivi della valle del Tevere; per la quale im- maginai dodici anni fa che le acque del Tevere pliocenico venis- sero al mare, e costruissero la deltazioue di Città della Pieve. Quella valle dista 60 chilometri circa dalla conca di Terni, e la quota del fondo è circa 239 metri. La terza soluzione è rappresentata dalla strettissima gola del torrente Prosinone, il quale, nascendo sul terreno pliocenico della Valdichiana, sbocca in quello dell’Umbria. Questa gola ha la soglia sulle rocce eoceniche colla quota di 324 metri, e dista di circa 52 chilometri dalla conca di Terni. La quarta interruzione è la stretta gola, per la quale passa il Tevere, nell'escire sotto Todi dalle valli interne dell’ Umbria. Dista dalla conca di Terni circa 30 chilometri, ha la soglia sulle rocce eoceniche alla quota di 140 metri circa. La quinta è la pur anche stretta gola per la quale passa il hume di Amelia, e pone in comunicazione le formazioni plioceniche vallive delle colline al nord della conca di Terni colle marine di Amelia. Dista dalla conca di Terni circa 13 chilometri, ha la soglia sulle rocce mesozoiche alla quota di circa 275 metri (’). La sesta interruzione è il colle tra il monte Amata ed il monte Santa Croce, sul quale passa la strada da Narni ad Amelia. * Si trova davanti ai luoghi dove è stato scoperto il pliocene ma- rino; pone in comunicazione il pliocene vallivo della conca di Terni col marino esterno; le formazioni plioceniche interne ed esterne per un certo tratto sono salmastre; il piano dell' insellatura è composto i1) Vi sarebbe anche appresso l’insellatura della Foce, ma non credo sia il caso di tenerne conto, perchè mi risultò molto più elevata (369) e com- posta di rocce mesozoiche. In questo calcolo nemmeno comprendo la soglia basica sotto le concre- zioni delle Marmore, perchè quando pure quell’ incisione fosse pre-pliocenica, la sua quota è circa 200. Note a scritti sul pliocene Umbro-Salino ecc. 363 da sedimenti pliocenici ed ha la quota di circa 343 metri. Dista dalla conca di Terni circa 2500 metri. La settima è la stretta gola della Nera, e la sua soglia di rocce mesozoiche ha la quota di 93 metri. Infine la valle di Configni, tra i monti di Narni e quelli di Rieti, ha il piano d’ imbasamento dei depositi pliocenici sulle rocce più antiche ad una quota di almeno 280 metri (1). Poiché il livello del pliocene marino litorale lungo la catena decresce dalla Valdichiana alla Sabina, poniamo che ciò dipenda da inclinazione acquistata nel sollevamento. Prese le quote dei punti estremi : Città della Pieve 525, termine della catena 332, l’ inclinazione verrebbe in media di 3 metri per chilometro. Quan- tunque ìitenga dovute a cause posteriori le interruzioni presso 1 emissario del Trasimeno e nella gola del Tevere, le comprenderò nel calcolo; con che, rettificate tutte le quote col rapporto indicato, il quale dà cifre esageratamente basse, si avrebbero le altimetrie: Insellatura all’ emissario del Trasimeno — rocce antiche — m. 65 Alveo del Nestore — sedimenti pliocenici — .... « 59 Alveo del Prosinone — rocce antiche — jgg Alveo del Tevere — rocce antiche — » 50 Alveo del fiume di Amelia — rocce antiche — ...» 236 Colle della strada di Amelia — sedimenti pliocenici — » 335 Alveo della Nera — rocce antiche — » 93 Valle di Configni contatto del pliocene colle rocce antiche almeno ,280 (0 Il pliocene incassato nella valle di Configni presenta dalla parte di derni, sulla potenza di circa 150 metri, grandi masse di ghiaie con intercalati alcuni banchi di marne contenenti frammenti lignitici e molte grosse helix schiacciate. Mostra una certa inclinazione verso nord-ovest; e credo che con tale inclinazione sia disposta complessivamente la massa corrispondente nella conca di Terni, in conseguenza del corrugamento della sinclinale mesozoica: la faglia della faccia sud dei monti di Cesi ed Appecano può aver favorita tale dispo- sizione. Mi pare che il Terrenzi avrebbe fatto opera più utile corredando la no- tizia con dati di questo genere, piuttostochè rievocare in appoggio alle sue idee uno scritto nel quale sono segnate catene montuose attraverso le pia- nure, e viceversa soppresse catene esistenti. Simili passi indietro generano confusione e ritardano il progredire delle cognizioni scientifiche. 364 A. Verri Poiché i sedimenti marini nella conca di Terni giungono al- meno tino alla quota 26, dal calcolo risulta che il mare non po- teva entrare nella conca se non per le due brecce, delle quali non conosciamo la quota della soglia antica: cioè dalla valle del Ne- store lontana 60 chilometri; dalla gola tra il monte Amata ed il monte Santa Croce, sulla quale passa la strada di Amelia, davanti alla quale appunto, come ho detto, le trivellazioni hanno accusato sotto ai depositi salmastri superiori sedimentazione marina. La trivellazione della Quercia dista dalla gola indicata circa 1300 metri; e questa, spinta fino 26 metri sopra il livello del mare, incontrò sempre depositi pliocenici, percui potrebbe darsi che quei depositi scendano ancora più abbasso. La trivellazione nel terreno della Vedova dista dalla gola da 2000 a 2300 metri, e questa alla quota 40 incontrò le rocce mesozoiche (58 metri sotto il piano della valle all’altezza della stazione di Narni). Il colle della strada di Amelia rappresenterebbe adunque un emissario importantissimo per l’idrografia prepliocenica del territorio, e sarebbe quindi con- fermata dalla scoperta anche l’ ipotesi che alla idrografia pliocenica abbia preceduto una idrografia lacustre, durante la quale furono scavati emissari attraverso le catene: emissari che, pel riempimento che ingombra il fondo delle valli, non sappiamo se riuscirono o no a vuotare del tutto i laghi, prima che l’oscillazione discendente ri- portasse il mare sul territorio esterno ('). Partendo da altre considerazioni, già nella Memoria sulle conche di Terni e Rieti aveva espresso il dubbio, che alla fine del miocene il territorio dovesse essere più sollevato che non lo sia oggi : quel dubbio mi diventa quasi certezza dopo le novità portate dalle trivellazioni (-). A giudicare dall’apertura superiore, bisognando approfondarla più di 300 metri sotto al piano attuale, il colle della strada di Amelia viene a terminare con una gola strettissima tra rupi a picco: e questa riflessione fino ad ora m’aveva mantenuto in ri- serbo nel presumerne la profondità, non amando gettare là opinioni all’avventata. Però la composizione delle pareti favorisce il sup- posto, come lo favorisce la poca lunghezza della gola, la cui pol- pi Azione delle forze nell'assetto delle valli. Boll. Soc. geol. it. v. V, 1886. (2) R. Acc. dei Lincei, 1882-83. Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 365 zione più angusta sarebbe scavata tra i calcari durissimi del lias inferiore ('). Di conseguenza la scoperta porta qualche leggiero ritocco nei particolari della idrografia prepliocenica e pliocenica, sbozzata per quel territorio. Non v’è bisogno di supporre la Nera, inalveata nella sincli- nale tra i monti Martani ed Amorini, volgersi al Tevere verso Pe- rugia ; poiché o la vallata fosse prosciugata, o si conservasse ancora lacustre, il deflusso delle acque poteva farsi per la gola di Amelia. Altrettanto deve dirsi nel principio del periodo pliocenico, almeno fino al punto, nel quale la colmata non ebbe coperte le rocce più antiche della valle di Lugnola, e livellata questa colla conca di Terni. Dopo di ciò è difficile seguire i meandri del fiume su quel- P ampia maremma, i cui sedimenti oggi sono per gran parte abrasi. Nondimeno nulla ho da variare alla osservazione, già da me rife- rita, sulla differenza di composizione del pliocene a destra e si- nistra della conca. Può adunque limanere intatta ed anzi con- fermata la supposizione che il bacino palustre di destra nell’in- terno della conca sia rimasto intercluso, e la Nera, girando il piede delle montagne di sinistra, si sia diretta al mare per la valle di Lugnola (2). È confermato che nell’ultima fase soltanto le acque presero a defluire per l’ insellatura di Narni, nella quale hanno poi scavato l’emissario attuale, man mano che il territorio tornava a sollevarsi, e man mano che la corrosione esportando i detriti di colmata scavava tra questi la pianura attuale. (]) La profondità sotto il ciglio delle scogliere risulterebbe almeno di 500 metri : ne abbiamo nel territorio profonde da 350 a 600 metri, ma per ripidezza di pendici supererebbe tutte. Nondimeno la pendenza media delle pendici non sarebbe maggiore di uno di base per uno di altezza, rimanendo ancora una certa larghezza sul fondo. Però pel giudizio definitivo circa la profondità della gola bisognerebbe lo studio minuto sui particolari del colle. Non è impossibile che un corru- gamento della sinclinale, o uno scorrimento delle masse, nel risollevarsi del territorio, abbiano contribuito eziandio nel seppellimento del pliocene marino presso quei monti. (2) Vedasi nelle tavole della mia Memoria lo schizzo della idrografia pliocenica nel periodo medio : mostra chiaramente anche la possibile salma- stricità di quelle paludi, della quale dirò appresso. 366 A. Verri Il Terrenzi annunzia che la Banca romana fa eseguire nuove trivellazioni al sud di Narni, e che da queste spera sempre più profondamente confermata la sua opinione riguardo la presenza del mare anche nell’interno della conca, durante l'oscillazione di- scendente pliocenica. Dubito che vi sia nell’orientamente un errore: qualora le trivellazioni fossero al nord-est di Narni invece che al sud, il quesito interessante mi parrebbe : sotto ai depositi marini vi sono depositi lacustri ? Al punto d’oggi le osservazioni, mentre hanno fatto intuire che, nei tempi prepliocenici, la conca di Terni formava parte d’un bacino chiuso, hanno mostrato nei particolari : 1. L’ingresso del mare per una estensione più o meno grande ; 2. La colmata per la sedimentazione fluvio-marina, con gran- dissima prevalenza di sedimentazione fluviale; 3. I cambiamenti avvenuti nei corsi d’acqua tra l’idrografia prepliocenica e quella post-pliocenica (’). Importerebbe perciò adesso precisare se, prima della discesa pliocenica, la sinclinale tra i monti di Narni e di Terni era un vallone già asciutto, oppure un bacino ancora lacustre. La facilità con cui il mare è entrato nella conca fa presupporre probabile che vi perdurasse l’idrografia lacustre. Qualora poi risultasse che il bacino era prosciugato, bisognerebbe cercare se il prosciugamento deriva da ciò, che lo scavo dell’ emissario aveva raggiunto il fondo della valle, oppure da interrimento. Nei casi di bacino conserva- tosi lacustre, oppure prosciugato per colmata, sarebbe bello sa- pere su quali formazioni posano quei depositi lacustri, per com- prendere la causa della mancanza delle rocce terziarie antiche nella grande vallata tra Aguzzo e Todi. Veda il Terrenzi quanto siamo lontani dalla luce meridiana, che egli proclama portata dalle trivellazioni fatte alla storia geo- logica della valle. L’utile maggiore, che ci dà il ritrovamento di quei depositi marini, sta nella conferma delle linee principali del quadro che tratteggiai sette anni fa, il quale, salvi insignificanti (*) (*) A meno che il Terrenzi non abbia altre idee in vista, cosa della quale mi fanno sospettare le sue espressioni (vedasi nota appresso). Qualora ciò fosse, gli lascio libero il campo ed io faccio punto sulle idee mie, perchè tra le une e le altre saremmo agli antipodi. 367 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. ritocchi nelle linee secondarie, resta intatto. E ciò perchè non ci risela quella scoperta un momento storico, ma ci racconta sempli- cemente un episodio non necessario, e quindi senza influenza nelle rivoluzioni plioceniche e post-plioceniche delle nostre terre. Di maggiore importanza per la storia geologica sarebbe, se le trivel- lazioni portassere alla luce i documenti del tempo, che ha prece- duto il pliocene; perchè restano sempre difficoltà molto gravi nel calcolare i particolari di alcune linee caratteristiche di quel pe- riodo continentale. Bisogna affrontare la soluzione di questi grandi problemi della natura con larga cognizione del paese, e con vista ancora più larga, non impicciolendo l’orizzonte. Nello spingere a fondo la trivellazione sul mezzo della val- lata, può darsi anche che s’incontri una formazione di lignite mio- cenica, e quindi di qualità superiore alle ligniti plioceniche già note della valle : probabilità che dovrebbe spingere gli speculatori a tentare nuove e più profonde trivellazioni nel loro interesse. Forse per troppa concisione nella descrizione, lo scritto del Terrenzi a mio avviso può far concepire a chi lo legge un’idea poco esatta del complesso delle formazioni plioceniche in posto nella conca di Terni. Difatti accenna che le formazioni detritiche quaternarie com- prendono marne, sabbie e ghiaie, dovute al trasporto ed alla se- dimentazione meccanica operata per mezzo delle acque correnti e stagnanti, senza nulla dire in quali luoghi, o in quali circostanze si trovino. Poco appresso dice composte con consimili detriti le formazioni plioceniche, eppoi scrive che il pliocene marino nell’in- terno della conca si trova generalmente ricoperto da depositi qua- ternari, e soltanto si mostra visibile alla superficie in piccoli lembi ed in pochissimi luoghi. A chi legge pertanto può venire il dubbio che siano marine o quaternarie le grandi masse di sedimentazione detritica, scoperta per circa 300 metri di potenza, tra le quali è scavata la pianura di Terni ('). Formazione che a me sembra com- (l) Nel modo come dichiara che la mia opinione non lo ha mai per- suaso, e col richiamo che fa delle vedute del Ponzi ( Storia naturale del Tevere), pare che veramente questa sia l’opinione del Terrenzi. Ponzi descrisse sepolte dal mare pliocenico tutte le valli subapcnnine, e pose nel glaciale gli altri depositi detritici non marini. 24 3G8 A. Verri posta con prevalenza di depositi pliocenici vallivi contemporanei a quelli marini esterni : tanto più che questa opinione è confermata dalla presenza medesima di stagni con acque continuatamente, o ad intermittenza più o meno salmastre, come se ne hanno nella Valdi- chiana tra i sedimenti marini ed i monti che segnano il litorale : stagni che in modo analogo avrà avuto la conca di Terni, ed ap- paiono a prima vista nel mio schizzo che ho ricordato. Anzi si può precisare la loro posizione pel fatto, che lo stagno sul quale si formarono le ligniti dell’Oro contiene la Melania Verni De Stef. e la Nematurella ovata Broun., le quali specie ho raccolte, ma con maggiore sviluppo ed abbondanza sugli stagni interclusi nella del- cazione pliocenica di Città della Pieve. Sicché si può dedurre che anche le acque stagnanti nel luogo dell'Oro od altri siti aves- sero un qualche grado di salsedine. Altra volta dubitai che la Melania Ver rii, specie nuova da me raccolta dove ho sopra indi- cato, potesse vivere egualmente nelle acque dolci e salmastre. Ammettendo un qualche grado di salsedine nello stagno dell’Oro, le deduzioni mi concordano meglio col complesso delle osserva- zioni fatte a Terni ed a Città della Pieve ('). Aggiungerò altra notizia che interessa il soggetto. Recente- mente ho trovato nelle marne dei dintorni di Farneta il Cardimi edule alla quota tra 340 e 350, indicante altri sedimenti salmastri vicino alla catena che chiude ad occidente la conca di Terni, in seguito alla sommersione delle sue insellature. Il Terrenzi, il quale s’occupa con tanto amore della scienza nell’intento d’illustrare il paese nativo, approfittando dell’occasione favorevole, avrà modo di portare qualche contributo per la solu- zione di taluno dei quesiti che ho pensato di porre. Nel qual caso raccomando non dimentichi le misure, poiché le notizie non corre- date da misure perdono come vede molto del valore, e si è co- stretti a scartarle per non cadere in errori. Vorrei dargli ancora (l) Relazione sulle escursioni nei dintorni di Terni. Boll, della Soc. geol. it. voi. Y, 1886. Per l’apprezzamento di questa parte dell’articolo richiamo la Nota: Divergenze col De Stefani sulla geologia dell' Umbria (Boll. 1884), ed i cataloghi dei fossili contenuti in appendice alla Nota già citata Azione delle forze ecc. 369 Note a scritti sul pliocene Umbro-Salino ecc. il consiglio di valersi per certe pubblicazioni del nostro Bollettino, anziché sperdere simili dati su giornali, i quali hanno colla geo- logia un’attinenza meno diretta. III. L. Bucca, Contribuzione allo studio p etnografico dei vulcani Viterbesi. Boll, del R. Coni. geol. d’Italia, 1888. Il compito che m’assumo, nella rivista di questo lavoro, con- siste sopratutto nell’ aggiungere qualche cenno spiegativo sulla gia- citura delle rocce analizzate, e di tentare di porre in armonia le deduzioni, che derivano da questi studi petrografici, colle osserva- zioni stratigrafìche da me fatte sui sistemi vulcanici di Yiterbo e di Bolsena. Rocce appartenenti alle pendici del monte Cimino. Il Bucca riferisce l’analisi della lava appartenente alla terza delle colate disegnate nella mia Memoria sui Vulcani Cimini , poste nel settore nord-ovest delle pendici del monte Cimino (1). Secondo le mie note, la prima delle colate viene dal Piano di Ci- liano fino al 20 chilometro della strada da Orte a Viterbo ; la seconda si trova nella valle successiva, ed arriva fin vicino alla strada di Viterbo, presso al luogo detto la Ponte di Vitorchiano ; la terza passa per la valle tra il monte di Valentino ed il monte della Pallanzana, e viene al villaggio della Quercia. Oltre a ciò aveva notato, tra altro, che le tre correnti posano sopra la trachite chiamata sul luogo peperino (andesite micacea secondo le analisi del Deecke), e sopra l’altra varietà consimile, ma distinta ester- namente per essere molto più dura e per avere i cristalli di fel- spato molto più voluminosi ; e che queste rocce avevano subite alterazioni al contatto della lava. Altre diramazioni di lava che credei eguale segnai nel versante sud-est del monte. Anche il Deecke riporta l’analisi di una di quelle lave; non (J) R. Acc. de’ Lincei, 1879-80. 370 A. Verri fìssa il punto dove ha preso il saggio, ma dalla nota da lui posta alla fine della pagina appare che si tratta della stessa località. Il Deecke la definisce per una Andesite augitica con sanidino ed olivina , il Bucca si limita a classificarla tra le rocce trachitiche con olivina . Rocce appartenenti alle pareti interne del cratere di Vico. Il Bucca presenta due rocce provenienti dal luogo detto Ca- saccia sul lago di Vico, disposte stratigrafìcamente una sopra l’altra. L’inferiore è da lui descritta macroscopicamente come una roccia grigio-chiara, un poco scoriacea, con grosse segregazioni di felspato. Nella massa mostra anche delle segregazioni nere di augite, e dei granuli color giallo miele di olivina (’). Il Bucca si limita a collocare anche questa lava nella categoria delle rocce trachitiche con olivina ; il Deecke, nel riepilogare lo studio del Bucca, la definisce come una trachite augitica con olivina , ed opina che, se la roccia si presenta come lava sia da porsi in mezzo tra i gruppi di rocce del monte Cimino e del lago di Vico (2). Ho marcata l’opinione del Deecke, perchè m’importa rile- varla quando parlerò del suo scritto. La roccia superiore, la quale, scrive il Bucca, giace diretta- mente sulla trachite olivinica, è da lui descritta macroscopicamente con queste parole: Roccia grigio-scura, con numerose macchie bianche di leucite più o meno caolinizzata, accanto alla quale com- paiono anche molte segregazioni di sanidino. Nella massa grigia si distinguono numerose macchiette nere di augite e lamelle di ' biotite. In seguito all’analisi microscopica conchiude che è una roccia trachitica contenente accidentalmente delle leuciti ; che con- tiene anche dell’olivina in granuli o cristalli, in modo che corri- sponde quasi esattamente alla trachite olivinica sottostante, dalla (') Per lo scopo di questa rivista ho copiate alcune delle descrizioni macroscopiche, afline di agevolare il ritrovamento sul luogo delle rocce, quando non sarebbe facile con altre indicazioni. (2) Questa trachite è credo la roccia in posto nella parete interna del recinto sud, la quale io compresi tra le lave con felspati e pirosseni. 371 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. quale si distingue per la presenza della leucite e per un colore grigio più oscuro ed un aspetto più fresco. Il Bucca quindi la comprende nella categoria delle rocce trachitiche con leucite. Rocce appartenenti alle pendici esterne del cratere di Vico. Madonna dei Ruscelli presso Capranica. — Questo giacimento sfuggì alle mie ricerche, e quindi non è segnato nella mia Memoria. Il Bucca classifica la lava come trachite con leucite e ne dà la seguente descrizione macroscopica. Un bel tipo di trachite porfirica. Essa presenta una massa grigio-scura sulla quale spic- cano delle grosse segregazioni di sanidino in geminati di Carlsbad, accanto alle quali compaiono anche delle leuciti completamente caolinizzate. Nella massa sono visibili anche ad occhio nudo cri- stalli neri di augite e lamelle di biotite. Conchiude l’ analisi mi- croscopica osservando, che anche in questa roccia la leucite com- pare accidentalmente. Madonna del Lauro presso Vetralla. — Roccia porfirica con abbondante copia di grosse segregazioni leucitiche ed un fondo grigio scuro afanitico, piuttosto scoriaceo. Tra le segregazioni com- pare ogni tanto anche qualche cristallo di sanidino. Il Bucca classifica questa lava tra le rocce leucitiche con felspato, e conclude dall’analisi microscopica che si avvicina più ad una tefrite leucitica , e puossi considerare come un ' andesite augitica ricchissima di leucite. Capo d’ Acqua presso Vetralla. — Roccia grigia molto scura, minutamente porfirica, con segregazioni bianchissime di piccole leuciti caolinizzate, e più raramente di sanidino. Anche questa lava è classificata dal Bucca tra le rocce leuciti- che con felspato, ed egli chiude l’analisi microscopica colle parole : qui siamo in presenza di una tefrite leucitica , non dando tanto peso alla presenza dell’olivina; o sotto un altro punto di vista la roccia può considerarsi come un 'andesite (e non un vero ba- salto) contenente molta leucite. Il Deecke nel riportare gli studi del Bucca, la chiama tefrite leucitica con olivina. Fontanile di Fiesole presso Viterbo. — Roccia grigia a strut- tura porfirica, ricchissima di piccole segregazioni di leucite, tra le 372 A. Verri quali compare anche, benché raramente il sanidino. La massa è un po' cavernosa e mostra cristallini neri di augite e granuli giallo- rossastri di olivina. Il Bucca classifica la lava tra le rocce leucitiche con fel- spato, ma soggiunge dopo l’analisi microscopica che anche in questa lava si potrebbe considerare la leucite come accessoria, ossia ri- guardarla come una tracliite ricchissima di leucite. Dalle mie note sembrerebbe che questa lava s’è anche in- canalata nella valle tra il monte di Valentino e la Pallanzana, allo sbocco della quale verso Viterbo si vede la lava con leuciti me- tamorfosate, che il Rath definiva come trachite leucitica. Sopra a quella lava verrebbe la lava ricca di grosse leuciti di San Martino, la quale si rilegherebbe colla lava superiore del monte Fogliano. Oltre alle rocce indicate, le quali appartengono al sistema Cimino, il Bucca dà l’ analisi di una lava di Bagnorea , la quale appartiene al sistema Vulsinio. La roccia è grigio-scura, molto cavernosa, ruvida al tatto: le sue cavità schiacciate e disposte parallelamente secondo dei piani paralleli, rendono la roccia facile a fratturarsi secondo quelli ; appunto per questo essa viene adoperata per lastre da marciapiedi. Nelle cavità si trovano frequenti lamelle di biotite. Nella massa della roccia si distinguono nettamente alcuni cristalli di leucite. Il Bucca ritiene la lava di tipo veramente trachitico, nella quale la leucite nulla ha da vedere colla roccia in cui si trova, e la classifica nella categoria delle rocce trachitiche con leuciti. Per equivoco dovuto a trasposizione d’ indicazione nel pas- saggio delle rocce da luogo a luogo durante sette anni, eppoi da' mano a mano, é accaduto che nella Memoria sui Crateri Vulsinii fu indicata come prodotto d’ultima eruzione del Monterado una lava andesitica (1). Invece le eruzioni di quel cratere, oltre ai soliti ri- getti detritici stratificati, danno : 1. L’Andesite augitica con olivina accessoria studiata dal Klein, il cui affioramento dista circa metri 3300 da quelli della Trachite speciale di Bolsena ; p) Osservazioni geologiche sui crateri Vulsinii. Boll, della Soc. geol. ital. voi. VII, 1888. 373 Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. 2. La Trackite con leucite studiata dal Bucca, accanto al- l’Andesite sopraindicata ; 3. Delle lave leucitiche ; 4. Due spandimenti di tufi da costruzione intramezzati da un banco di ceneri grigie con scorie nere ; 5. Altra lava leucitica sovrapposta ai tufi. Il Bucca chiude lo studio petrografìco colle seguenti conclu- sioni: « Dallo studio già fatto e dalla distribuzione geologica di queste rocce appare chiaramente che in questo territorio vulcanico bisogna distinguere due tipi completamente differenti ; uno essen- zialmente trackitico (così la trackite del monte Cimino, di Ba- gnorea (?) ecc.); l’altro essenzialmente leucitico (leucitite). Questi due tipi compaiono spesso isolati e nettamente distinti ; altre volte invece è avvenuto un miscuglio dell’uno coll’altro. Il fondo, la base di tutte resta allora di natura trachitica. Può darsi che la roccia conservi l’aspetto trachitico e la leucite vi compaia in pochi cristalli isolati, sparsi irregolarmente e che non hanno nulla da vedere colla roccia fondamentale ; può essere invece che il contin- gente leucitico sia abbondantissimo, tanto da obbligarci a dare le denominazioni di leucitofiro e tefrite leucitica. La trackite adunque è di formazione posteriore; essa ha strappato alle leucititi la parte leucitica pigliando aspetti differentissimi. In favore di tale sup- posizione parla lo stato di buonissima conservazione del sanidino, di fronte alla leucite sempre più o meno caolinizzata, specialmente al contatto della roccia che la racchiude. — Questo fatto parlerebbe per un aumento di acidità nei prodotti vulcanici successivamente eruttati in questo territorio, concordemente a quanto fu pure osser- vato per la trachite quarzifera di monte Virginio presso Manziana ». Le osservazioni stratigrafiche, almeno nel territorio Cimino, e si può dire anche nel Vulsinio, parlano troppo chiaro contro alcuni enunciati di questa conclusione : almeno in quanto i prodotti esterni valgono a far immaginare cosa succede nei centri di attività vul- canica. Senza poter concepire il minimo dubbio sulla veridicità delle osservazioni, là abbiamo prima l’ afidesite micacea con pirosseno posante direttamente sui sedimenti pliocenici marini, ed in qualche punto coperta da quei sedimenti; contemporanea o successiva che sia v’è la varietà distinta per durezza e per la grandezza dei cri- 374 A. Verri stalli di felspato. Appresso appaiono le eruzioni delle lave di on- desite augitica con sauidino ed olivina, le cui colate si sovrap- pongono alle rocce precedenti, producendovi alterazioni di contatto. Dipoi vengono le lave tracliitiche contenenti più o meno leu- cite. Il Bucca stesso segna nel cratere di Vico la trachite con leucite di Casaccia sovrapposta alla trachite olivinica. Infine si hanno le tefriti leucitiche ed i leucitofiri : sulla pendice nord-est del cra- tere di Vico, dalla parte di Viterbo, si vede più volte le lave leu- citiche sovrapporsi a banchi di rigetto detritico, i quali posano sull'audesite micacea. Dei due crateri contigui, il Cimino ha dato evidentemente solo prodotti trachitici prima che s’aprisse il cratere di Vico. Parrebbe che questo, incominciato con una eruzione esclusivamente trachi- tica, subito appresso abbia introdotto nelle sue lave della leucite, aumentandone poco a poco la quantità, fino ad avere tale minerale in esuberanza. Per conciliare alcune delle deduzioni dell’autore colle osservazioni stratigrafiche, mi pare che si possa fare la sup- posizione che, mentre il magma leucitico fermentava (per così esprimermi) nelle viscere del vulcano di Vico, le lave trachitiche del vulcano Cimino, incontrata difficoltà a farsi strada attraverso il camino antico, si siano riversate nel centro d'attività di Vico, ed abbiano determinata l'apertura di questo cratere: dal quale nel primo momento sarebbero sgorgate pure, eppoi portando fuori in più o meno grande quantità elementi leucitici. A questa eruzione, la quale avrebbe dato lave di composi- zione molto variabile, perchè derivanti da miscuglio di magma tra- chitici e leucitici, sarebbero succedute le eruzioni delle vere lave leucitiche provenienti esclusivamente dal centro d’attività di Vico. * I prodotti vulcanici, successivamente eruttati nel territorio Cimino, indicano dunque non uu aumento ma una diminuzione di acidità, e le osservazioni geologiche combinano in massima colle vedute esposte dal Ricciardi ('). Venendo ad un riassunto provvisorio, mediante il collegamento (l) L. Ricciardi, Sulle rocce eruttive sottomarine ecc. ; Sul graduale passaggio dalle rocce acide alle rocce basiche. Reggio Emilia, 1887. — Genesi e successione delle rocce eruttive. Atti della Soc. it. di se. nat. Milano, 1887. Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 375 stratigrafico delle lave analizzate dal Bricca, il cratere di Vico mostrerebbe le seguenti eruzioni, a partire dalle inferiori : Trachite olivinica — Trachiti con leucite scarsa passanti a trachiti ricchis- sime di leucite — Tefriti leucitiche. IV. w. Deecke, Bemerkungen sur Entstehungsgeschichte und Gesteins- kunde der Monti Cimini . Neuen Jahrbucb fui* Mineralogie ecc. Beilageband VI, 1889. Il professore W. Deecke, premesso un cenno bibliografico, si estende a confutare le vedute da me esposte sulla genesi del lago craterico di Vico, eppoi riferisce le analisi di alcune rocce da lui raccolte, allorché visitò quel paese nella primavera del 1887. Nella lettura dello scritto sorprende la vasta conoscenza che l’autore mostra dol territorio Cimino: tanto che più d'una volta, a prima vista, ho creduto convalidate dalle sue le note prese da me, e descritte nella mia Memoria, sulla disposizione delle forma- zioni ('). Però andato a fondo, ho riscontrato, anche colla scorta della raccolta, che le di lui ricognizioni sul terreno furono ri- strette ad una passeggiata da Viterbo a Bagnaja, nella quale ha preso un saggio di peperino, uno della lava della Quercia, ed alcuni di rigetti detritici; ad una corsa da Viterbo a Vico, nella quale ha completata la collezione sui punti: Posta della Montagna, San Rocco, Piazza, villaggio di Vico. Quel che non ho potuto capire è : come egli in questa corsa non si sia accorto dello spandimento di lava con leuciti, la quale arriva fin poco sopra Viterbo alla quota 416; e, per lo più scoperta, accompagna fino alla quota 730, circa ad un chilometro dopo oltrepassato il bivio di Soriano e Cane- pina. Credo che appartenga appunto a questa lava il saggio del Fontanile di Fiesole analizzato dal Bucca, poiché il Fontanile di Fiesole sta a pochi passi di fianco dalla strada romana prima di arri- vare al bivio di Soriano, non nel sistema di Bolsena come scrive il Deecke, nel riassumere lo studio del Bucca. È vero che il Deecke (b I vulcani Cimini. E. Acc. dei Lincei, 1879-80. 376 A. Verri dà l’analisi anche d’un pezzo di scoria del monte Venere; ma se fosse andato su quel monte, tanto più per la quistione che si trat- tava di discutere, uon avrebbe mancato di raccoglierne le lave. E forza adunque immaginare che, fermatosi a San Rocco, dove fece la raccolta maggiore, abbia mandata la guida a prendere i saggi delle rocce del monte Venere, e che quella gli abbia portato sol- tanto qualche pezzo di scoria. Dirò di più : se il Deecke fosse sceso non fino al piano del lago, ma appena altri SO o 40 metri, non avrebbe mancato di notare che quella parete del recinto presenta due banchi di lava leucitica separati da un banco di rigetti detri- tici. Egli ha veduto il banco superiore, e lo classifica come leuci- tofìro : sarebbe stato importantissimo che avesse potuto unire anche Io studio del banco inferiore, per risolvere i problemi che presen- tano quelle eruzioni. Adunque il cattivo tempo non gli ha impedito soltanto di visitare il monte Fogliano, come egli stesso deplora, ma ben altra estensione del territorio. Eppure con sì poca conoscenza del paese, il Deecke nel preambolo promette di portare due punii per la compilazione di più esatta carta geologica, cioè: disposi- zione e signi ficaio del monte Venere; ultima eruzione del monte Cimino e suoi prodotti. Lo svolgimento della rivista mostrerà quanto porta su questi due soggetti, e quanto vi porta del suo. Le ricognizioni del Deecke si completano con una visita breve alla lava di Borghetto : dico breve, perchè neanche è arrivato ai Cappuccini di Civita Castellana, dove avrebbe trovato, sui mate- riali imbasanti la lava, oggetti importantissimi per lo studio della sua origine; perchè altre importanti osservazioni avrebbe fatte nel contiguo burrone su quei grandiosi banchi di tufo. Nondimeno scrive che apparentemente altra copiosa massa di lava analoga giace rico- perta dai tufi, e collega la lava di Borghetto a quella di Vico: osservazione che a me non era riuscito assicurare sul terreno, nono- stante che avessi percorso per questo scopo più volte, in più e più versi quella estesa contrada. Riassunta la mia ipotesi sulla genesi per sprofondamento del bacino craterico di Vico, dopo avvenuta l’ eruzione dei tufi, e sog- giunto che nè il Rath, nè lo Stoppani convengono in questa sup- posizione, disegna il monte Venere colle linee della mia Memoria. Prima di cominciare la confutazione di tre argomenti da me addotti 377 Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. per considerare il monte Venere come un frammento del cono di Vico, piuttosto che come un ultimo cono eruttivo, me ne aggiunge un quarto. Egli racconta aver io, parlando dello spandimento del tufo, concluso che il vulcano dopo tanto violento parossismo do- veva necessariamente venire al riposo, per avere occasione di sog- giungere che simile ragione bene a stento può essere presa seria- mente in considerazione, poiché appunto un riposo o un estingui- mento sogliono seguire la chiusura di copiosa attività vulcanica. Le parole mie, alle quali allude il Deecke sono: « L’eruzione dei tufi segnò la fine del vulcanismo primario nei Cimini. Un volume così ingente tolto improvvisamente all’ interno, doveva certamente alterare l’ equilibrio statico delle pareti del cono, le quali non pote- rono reggere ad un’ultima convulsione » . Ed appresso nel riepilogo : « L’ingente volume delle materie (il quale non si può valutare a meno di mille milioni di metri cubi) , tolto improvvisamente all’in- terno, alterò l’equilibrio statico delle pareti del cono: lanciati sopra al tufo massi di tutte sorta di lave divelti dalle profonde cavità, sprofondò, restandone un rottame più sollevato a costituire il monte Venere, mentre gli altri furono sepolti dalle acque del lago di Vico » . Le quali parole esprimeranno apprezzamenti più o meno giusti, ma non quel che è convenuto al Deecke di far loro dire. Esaminerò ora le ragioni da lui addotte contro ciascuno de’ miei argomenti. 1. Identità delle lave del monte Venere colle lave superiori del vicino recinto. — Il Deecke obbietta anzitutto che possono ripetersi lave che si assomiglino in diverse fasi delle attività vul- caniche, e particolarmente, come nel caso attuale, in eruzioni vicine tra loro. Non ribatto in genere l’obbiezione, solamente accenno che bisogna esaminare se sia applicabile al caso speciale, la cui im- portanza apparirà discorrendo delle lave trachitiche con leucite. Posto per massima che nella determinazione dell’età relativa delle diverse lave, hanno grande importanza i giacimenti ed i diffon- dimenti dei rigetti detritici, e che perciò è importante sapere con quale disposizione posano su quelli le lave del monte Fogliano e del monte Venere, il Deecke scrive che nel monte Venere non è visibile alcuna traccia di tufi subaerei, mentre nel monte Fogliano questa roccia tenera grigia è intercalata tra i singoli banchi delle 378 A. Verri rocce dure leuciticke. Come possa asserire tali fatti senza cono- scenza del terreno - e pel monte Fogliano di sua stessa confessione - e senza dichiarare da chi ha attinte le notizie, lascio al lettore d’ indovinare. Non ha tratto questo confronto dai miei scritti; non 10 ha tratto dalle descrizioni del Rath, il quale neppure nomina le lave in posto sul monte Venere e sul monte Fogliano. È a stento concedibile, scrive il Deecke, identificare due lave colla grandezza dei cristalli leucitici, come fa Verri, perchè in questa considerazione possono produrre notevole oscillazione diverse cor- renti d’una eruzione, come anche i pezzi separati di una medesima lava. La lezione del Deecke sarebbe giustissima, se le cose stas- sero precisamente come egli asserisce. Invece in questo caso spe- ciale è intervenuto nella distinzione tra le lave qualche altro cri- terio mineralogico, come vedremo allorché si parlerà delle trackiti leuciticke. Intanto, anche ammesso che unico criterio mi fosse stato trovare e nel monte Fogliano e nel monte Venere due banchi di lava di apparenza eguale, l’inferiore distinta per contenere leuciti di piccole dimensioni, la superiore per essere ricca di leuciti grosse, mi concederà che un tal fatto a così poca distanza deve colpire l’osservatore : il quale non ha davanti agli occhi frammenti qua- lunque, bensì masse di lava in posto. Le masse studiate sul posto hanno dei tratti talmente caratteristici, che non di rado permet- tono di distinguerne la equivalenza o la diversità di formazione anche senza analisi. Una prova è l’essere riuscito a me, allora del tutto novizio in una scienza, nella quale non aveva avuto inse- gnamento alcuno; occupato da cure di professione gravissime, do- vendo progettare e dirigere lavori assai delicati e costosi; senza mezzo alcuno che mi agevolasse le osservazioni, un rilevamento geologico, quale è quello del sistema dei vulcani Cimini, collo- cando e formazioni sedimentarie, ed eruzioni di lave, e rigetti di detriti nel giusto piano stratigrafico. E ciò con tutti i difetti di nomenclatura dovuta adottare per le rocce eruttive, ed in oppo- sizione ad idee di fondamentale importanza, per la stratigrafia dei prodotti dei vulcani tirreni, dominanti allora nelle scuole. Avverto 11 Deecke che non dico questo per stabilire a priori l'infallibilità delle mie osservazioni: ho per massima di riferire soltanto quello che i miei occhi hanno veduto; ma questo non equivale a stabilire che abbiano veduto giusto. Può darsi perciò che siano state errate Note a scritti sul pliocene Umbro Salino ecc. 37 9 anche le osservazioni locali, sulle quali basai la mia ipotesi; ma per dimostrarlo bisogna studiare il terreno e le rocce in questione : studio che punto ha fatto il mio contradittore. 2. Mane ansa di masse laviche posteriori a quelle del re- cinto. — Il Deecke, provvisto del pezzo di scoria del monte Venere, dice che gli pare caratteristica per difetto di grandi leuciti, per ricchezza d’un cristallo bruno scuro, e per grandi frammenti di augite; che questa roccia più giovane s’identitìca col giacimento di rigetti detritici - lapilli con blocchi calcarei ed abbondanti rocce leucitiche, tufo grigio, scorie nere - posto nel ciglio nord del cra- tere. Ho lette inutilmente le analisi dei saggi che egli raccolse su quelle masse, per trovare la prova della identificazione che sta- bilisce: quando anche ve la avessi trovata, non l’avrei ritenuta per seria, una volta che esistono masse di lava da confrontare. Poiché egli dice che io non ho menzionato quel suo celebre giacimento di scorie della Posta della Montagna, gli ricorderò queste righe « avvicinandosi al suo perimetro (della pendice esterna del cono craterico) vi si trovano ammassi caotici di alcune materie conte- nute nel tufo, però senza cementazione alcuna. Scorie nere, blocchi di leucitofìri, qualche ciottolo di felspato compongono quelle masse, le quali mi pare indichino una eruzione di scorie e frammenti imme- diatamente antecedente o susseguente a quella del tufo » , Sicché aveva indicata quella formazione alla Posta della Montagna ed altrove. D'altra parte, se mi piacesse attaccarmi ai rampini, potrei ritorcere il suo argomento a mio profitto : mentre io mi contentava dell’eguaglianza delle lave, egli m’aggiunge anche l’identificazione dei detriti di rigetto tra il monte Venere ed il recinto. 3. Come argomento accessorio, mancansa del mantello detri- tico dalla parte dove stanno le lave sembratemi inferiori, e suo ammassamento ad oriente, sopra alle lave sembratemi superiori. — Il Deecke opina che la abrasione del mantello detritico sia stata causata da pioggie dirotte spinte contro il cono dal vento di sud-ovest, per le quali rimase denudato il masso della lava coagulato nel camino. Il lapillo sarebbe rimasto conservato nella pendice orien- tale, perchè da quella parte era riparato contro la violenza della pioggia. Opinione la quale può dare una delle spiegazioni accet- tabili del fatto. 380 A. Verri Il Deecke stesso dipoi ammette che, dopo un violento parros- sismo, sono possibili anche gli sprofondamenti dei coni vulcanici, ma soggiunge che tale spiegazione sulla formazione dei grandi bacini craterici, perchè sia preferibile ad altre, bisogna che sia convali- data da argomenti stratigrafici d’importanza. A me veramente non sembrano tanto leggiere le prove che ho addotte : piuttosto mi pare che sarebbe stato meglio ribatterle con osservazioni locali, anziché con ragionamenti cattedratici, evitando discussioni inutili, le quali lasciano il tempo che hanno trovato. Il Deecke accenna appresso l’ipotesi che il bacino di Vico sia la risultante di due crateri, ed afferma che tale idea gli è venuta combinando le osservazioni fatte nelle contrade al nord ed al sud. Questa idea non gli deriva punto originalmente dalle sue osser- vazioni, pel semplice motivo che non ne ha fatte, ma l’idea e le ipotesi che ne fa derivare sono un impasto di opinioni prese da diversi scrittori. Vi entrano Pareto, Itath, Stoppani per considerare il monte Venere come cono eruttivo; vi entra Ponzi pel duplice cratere, da lui accennato con queste parole: Le osservazioni ci fanno sospettare che questo monte (il monte Venere) abbia fatto parte della divisione fra due crateri geminati, demoliti e ridotti dall’abrasione (’) « . Vi entro forse in qualche minima parte io stesso, per la dimostrazione che ho data sul modo di genesi del bacino di Bolsena. Concretando dipoi le sue idee, il Deecke distingue le seguenti fasi d’attività del vulcano di Vico. 1. Apertura d’una bocca al nord del cono, nel luogo dell’at- tuale monte Venere; 2. Cominciamento d’una seconda, più ampia situata al sud; 3. Grande eruzione di ceneri e tufi, e fusione dei due di- stinti crateri; 4. Eruzione del monte Venere. Quando lo studio delle lave dimostrerà avere avuto il monte Venere esistenza eruttiva a se, indipendente dal contiguo recinto craterico, avrà ragione il Deecke, o più precisamente l’avranno coloro, i quali i1) La Tuscia romana e la Tolfa. R. Acc. de’ Lincei 187G-77 (opera citata nella bibliografia del Deecke). 381 Note a scritti sul 'pliocene Umbro- Sabino ecc. lo precessero nel professare l'opinione, che il monte Venere rappre- senti l’ultima fase di attività del vulcano di Vico. Qualora invece risultasse constatata l’identità delle lave del monte Venere e quelle superiori del vicino recinto, e nonostante le osservazioni locali consiglino ad abbandonare l’ipotesi dello spro- fondamento, io, che non amo fossilizzarmi negli apprezzamenti, ma regolo le vedute coi progressi della scienza, presenterei all’e- same degli scienziati quest’ altro schema delle fasi del vulcano. 1. Apertura del cratere di Vico con eruzione trachitica; 2. Formazione del cono d’eruzione delle lave con leuciti, del quale il monte Venere potrebbe rappresentare il camino; 3. Eruzione dei tufi, sventramento del cratere e cessazione dell’attività vulcanica principale (Q; • 4. Modellamento attuale in funzione delle fasi d’attività del vulcanismo e dell’azione meteorica. Senza bisogno di ricorrere agli sprofondamenti, questo schema mi soddisferebbe a tutti i quesiti, compreso quello dell’isolamento del monte per l’erosione. Difatti, rappresentando un camino vul- canico, avrebbe avuto attorno dei banchi di lapillo, i quali age- volavano il disfacimento, mediante gli agenti esterni, anche delle lave che prima lo rilegavano al recinto. Sarebbe quindi in ar- monia colle mie osservazioni fatte negli anni 1878-79, colle de- duzioni che ho tratte dagli studi del Bucca, e con quel che dirò appresso parlando delle trachiti con leucite. A chiusura della parte che tratta sulla origine del monte Ve- nere l’autore accenna alla quistione dei tufi. Su questa dirò nel riferire le analisi delle roccie. Dopo il Deecke passa a discorrere del monte Cimino e della sua ultima eruzione, dichiarando per prima cosa, che nè Ponzi, nè io abbiamo colto il giusto nella descrizione del monte. Egli stabilisce il recinto craterico rappresentato dai monti Cimino, Va- (l) Può dirsi un vero sventramento? anche ammesso che il monte Ve- nere rappresenti il residuo in posto d’un cono eruttivo, la composizione del recinto sud, la formazioue del lago, mi pare che si spieghino meglio coll’i- potesi di uno sprofondamento. 382 A. Verri lentino, Pallanzana e dalle alture sopra Canepina e Vallerano; dice mancare la porzione di recinto nord-est ; essere la cavità del cratere riempita dai suoi prodotti d’eruzione, e dai rigetti del cra- tere di Vico. Come prova cita l’omogeneità delle vette delle alture nominate, composte colla tracliite a grandi felspati : e soggiunge che ciò si desume anche dall’incompleto mio schizzo di carta geologica. Nell’ esaminare questa supposizione, ho meditato come poteva essere venuta in mente all' autore senza conoscenza alcuna del ter- reno di cui parla : tantoché, per nominare la roccia che lo compone, ha lasciata la’ mia elementare nomenclatura. Ho dovuto convin- cermi che era rimasto impressionato dal gruppo di diramazioni laviche disegnato al sud del monte Cimino n q\Y incompleto mio schizzo geologico. Bisognerebbe non avere idea della topografia, nò della forma- zione del terreno, per immaginare un concetto così strambo, quale è quello di supporre un cratere eruttivo tra Yallerano e Soriano. Ma io non amo trattare le discussioni con cavilli, nè approfittare degli errori secondari dell’avversario per tradurne come meglio mi accomoda i concetti. Perciò non voglio approfittare d’uno degli errori topografici nei quali cade facilmente l’autore, e voglio supporre che esso ritenga distrutta la porzione di recinto sud-ovest del cra- tere antico da lui immaginato. Con ciò quel cratere sarebbe stato appiè della montagna, nella insellatura tra la pendice del monte Cimino e la pendice del cratere di Vico, sulla quale passa la strada vecchia di Soriano. Rileggendo gli appunti presi sul terreno, nei quali le colate delle ultime lave cimine mi fanno capo alcune alla vetta del monte Cimino, alcune ad una certa altezza de’ suoi fianchi, come già riferii nel mio lavoro, mi risulterebbe l’origine di quelle partenti dalla vetta 300 a 400 metri sopra al piano del cratere secondo le vedute del Deecke ('). Secondo le vedute mie, prima di gettar là quell’idea a sensazione, ed asserire che non (0 La presenza di queste lave sulla vetta del Cimino è confermata dalle analisi del Ricciardi, come si vedrà nel seguito della Rivista. Il Rath, nell’opera citata appresso, dà l’analisi di una corrente di tra- chite sulla pendice est del monte Cimino, e dice che sale ancora poche cen- tinaia di piedi verso la cima più alta: ma racconta che il desiderio di salire quella cima restò dispiacentemente inadempito. 383 Note a scritti sul •pliocene Umbro-Salino ecc. ha colto il giusto nella descrizione del monte chi lo ha visitato, avrebbe dovuto dimostrarne sbagliate le osservazioni, oppure dirci in qual modo credeva possibile conciliare quelle colla sua idea: cosa che colle cifre indicate, e colla presenza delle scorie sul piano della cima del monte, non mi pare troppo facile. Io da tante circostanze inclino molto a credere che il cattivo tempo, da lui deplorato, colla nebbia gli abbia tolto di vedere il vecchio Cimino anche da lontano. Altro argomento d'un cratere in quella località è desunto dal Deecke dalla colata della trachite con leucite, incanalata nella valle tra la Pallanzana e la montagna Cimina: lava la quale a me sembrò proveniente dal cratere di 'Vico, come dirò più estesa- mente allorché si parlerà della roccia. Noto intanto che, quando anche la lava fosse partita da quella insellatura, non proverebbe in modo assoluto che sia stato là il cratere principale, essendoché potrebbe essere escità per eruzione di fianco, come ho creduto vedere due lave trachitiche al nord della montagna. Appresso l’autore discorre delle masse di rigetto detritico di Bagnaja, Vitorchiano, Orte: ma parlandone senza conoscenza dei luoghi, e quindi del collegamento delle formazioni in quell’intreccio di dejezioni, nelle quali, oltre ai due crateri Cimini, probabilmente concorrono anche alcuni dei crateri Vulsinii, fa tanta confusione, che non m’è riuscito comprendere cosa abbia voluto dire. Io nel disegnare la piccola carta, per evitare che queirintri- cato dettaglio svisasse le linee caratteristiche, preferii ometterlo là ed in altri punti, e lasciai scoperte le lave. Scrissi nella premessa alla mia Memoria come m’era regolato per lo studio dei vulcani Cimini. Contuttoché la parte relativa alle rocce non fosse trattata in modo inferiore a quello usato dal professore Ponzi per opere contemporanee consimili, pure sentendo che non poteva a meno di riuscire difettosa la nomenclatura, ne donai la raccolta (una sessantina d’esemplari) al Museo geologico dell’Università romana, avvertendone in fine dell’opera con nota gli studiosi, i quali credessero farvi un esame più accurato. Quando, nel marzo del 1888, il Deecke mi chiese i miei lavori sul vulca- nismo tirreno, per agevolargli la redazione degli stridi fatti nel 25 384 A. Verri territorio di Viterbo l’anno precedente, lo avvertii che univa la Memoria sui vulcani Cimini, notando però che, per le circostanze in cui era stata compilata, vi era riescita difettosa la nomencla- tura delle lave, perchè non aveva trovato chi se ne assumesse lo studio petrogratico ; lo prevenni che, appena ricavati gli estratti, avrei mandata la Memoria sui crateri Vulsinii, nella quale quello studio era trattato coi metodi scientifici moderni. Dopo ciò io avrei creduto un dovere riferire la riserva del- l’autore, tantopiù prendendo a fare la critica d’uno scritto non con- temporaneo, ma redatto dieci anni addietro. Il Deecke ha creduto regolarsi diversamente, e sarebbe sciocchezza pretendere che tutti debbano sentire nello stesso modo. Ma è propriamente vero quel che egli asserisce, che, seppure io sono riuscito a distinguere qualche roccia avente caratteri spiccati, all’incontro niente ho distinto in altre, per esempio nelle lave con leucite ? Ecco le parole colle quali riassunsi i caratteri di quelle lave: « Nelle adiacenze di Viterbo, sul fondo del recinto di Vico, sul fondo del fosso di Ronciglione, si vede un nuovo minerale incominciare ad introdurre i suoi cri- stalli nella composizione delle lave. Generalmente le rare leuciti di quelle rocce sono molto alterate, e si presentano alla superficie come larghe macchie lattiginose. Invece sulle parti più elevate della formazione, attorno al recinto di Vico, e sulla pendice orien- tale, dove i leucitofiri scendono fino al piano del lago, si vedono le leuciti entrare in sempre maggior copia nella roccia, talché in alcuni luoghi scompaiono gli altri cristalli, e la pasta stessa si limita appena al puro necessario per incastonare delle amfigeni grosse quanto una nocciola ». Appresso nel riepilogo « Nelle lave di Vico, dopo l'estinzione del Cimino, incominciò ad apparire un nuovo minerale: la leucite, scarsa sulle prime, nelle ultime lavo fece scomparire pressoché totalmente gli altri cristalli » . Ora di- mostri che non vidi il processo evolutivo delle lave leucitiche nei vulcani Cimini, benché mancante di tutti i mezzi, coi quali l’analisi aiuta tali ricerche. Dimostrati i due punti che egli prometteva di portare per la compilazione di più esatta carta geologica, giudicate le opere che parlano di quelle lave, il Deecke riferisce le analisi di tre rocce del vulcano Cimino. 385 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 1. Andesite micacea con pirosseno. — È il peperino dei co- struttori viterbesi. Pel modo di presentarsi dello spandimento su superficie grandemente diffusa, per la grandissima ricchezza di rocce intercluse particolarmente verso la base, per la frattura non fresca, per la grande friabilità, per la tenerezza della roccia che permette di lavorarla coll’ascia dopo estratta dalla cava, pel suo induri- mento successivo esposta all’aria, mi sembrò un tufo più che una lava, e quindi chiamai la roccia anche e di preferenza tufo tracìù- tico. Intendeva però che fosse stato eruttato così qual’era dal vul- cano, e non che fosse stato composto per rimaneggiamento di ma- teriali trachitici prodotto dalle acque alla superficie del terreno. Lo spandimento mi risultava dalle osservazioni avvenuto sotto le acque marine. Dagl'interclusi di roccie trachitiche numerosi, ed alcuni di grosse dimensioni, indussi che lo spandimento segnasse non un principio assoluto, ma una ripresa di attività vulcanica, concordante col sollevamento che portava aH’asciutto il fondo marino pliocenico; e che la vulcanicità si fosse manifestata nel territorio fin dai tempi miocenici, e fosse rimasta inattiva durante l’oscillazione discendente del pliocene. Se il Museo geologico dell’Università di Roma conserva la mia collezione cimina, gli studiosi possono trovarvi diversi tipi di rocce intercluse nel peperino, le quali sarebbe interessante analiz- zare in confronto coll’andesite micacea, e coll’altra varietà di tra- chite dura a grandi felspati. 2. Andesite augìtica con sanidino ed olivina. — Appartiene alla colata giunta alla Quercia, della quale un saggio fu analiz- zato anche dal Bucca. Nella mia Memoria indicai queste rocce del Cimino col titolo di « Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sanidino, con granelli di olivina e poche laminette di mica » . Invece indicai col titolo di « Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sa- nidino e pirossene » altre rocce consimili trovate nel sistema di Vico. Il Deecke, veduto che nel riassumere le rocce cimine nella Memoria sui crateri Vulsinii — Memoria che ha creduto escludere dalla bibliografia — non ho tenuta quella duplice classificazione mineralogica, ne approfitta per porne in rilievo l’erroneità, quan- tunque l’unico luogo dove egli ha vedute le lave non leucitiche 386 A. Verri nel cratere di Vico, gli abbia mostrato una roccia fonolitica diversa dalle trachiti del Cimino. Su questo proposito dirò solo che a me le lave inferiori di Vico nel complesso mi sembrarono differenti dalle lave del Cimino ; che questa diversità mi sarebbe oggi com- provata non solamente dalla fonolite trovata dal Deecke presso la chiesa di Vico, ma anche dalla annotazione posta da lui stesso alla trachite di Casaccia studiata dal Bucca: colla quale annota- zione il Deecke manifesta l’opinione che questa trachite sia da mettersi in mezzo tra le rocce del Cimino e quelle di Vico. Devo fare eccezione per la corrente segnata al piede sud del Cimino, perchè non deriva dalle mie osservazioni. Come indicai nello scritto, il Brocchi aveva citata una roccia con felspati e pirosseni in quella località, ed io nel dubbio pensai d’aggiungerla sul disegno. Credo importante stabilire con precisione tutto, perchè ogni particolare può agevolare la ripresa dello studio di quei vulcani. Il Deecke accenna ad un possibile raffronto delle andesiti au- gitiche del Cimino, coll’andesite augitica del monte Rado presso Bagnorea, studiata dal Klein tra le rocce da me inviategli dei crateri Vulsinii. 3. Pomice di Bagnala. — Il campione fu raccolto nei banchi di pomice che alternano coi banchi di altri rigetti detritici, i quali io aveva riferiti al cratere Cimino, ed aveva posti come posteriori alle sue lave, perchè mai aveva vedute queste imbasate su quei materiali. Il Deecke riferisce che, per ogni apparenza v'è genetica con- nessione tra l’eruzione dell’andesite augitica e quelle masse, e per- ciò crede classificare tale pomice come speciale pomice andesitica, non ostante lo scarso contenuto in olivina. A completare le analisi delle rocce tipiche del vulcano Ci- mino propriamento detto, mancherebbe quella della roccia da me indicata col titolo di trachite con grandi felspati , e la quale il Deecke avrebbe potuto vedere se si fosse scostato solo di pochi passi dalla strada a sud-est di Bagnala. Questa roccia, che ho in altri scritti ritenuta eguale alle tra- chiti di San Lorenzo e Torre Alfina sul lago di Bolsena, alla massa trachitica principale del monte Amiata, costituisce anche nel Cimino la massa principale della montagna che sorge sull’altipiano segnato 387 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. dallo spandimento del peperino. Quella trachite dai paesani è chia- mata selce perchè la sua durezza la rende disadatta ai lavori, al- 1 opposto del peperino, il quale si modella facilmente anche in ornati d’ima certa finezza, ed è perciò adoperato pure come pietra deco- rativa fino dall’antico. Nei sepolcreti etruschi di quel territorio troviamo molti sarcofaghi lavorati sul peperino, circostanza che indusse il Brocchi a distinguerlo col nome di lava necrolite. Male si distingue con assoluta certezza se l’eruzione della trachite con grandi felspati sia stata anteriore, o contemporanea oppure posteriore allo spandimento dell'andesite micacea. Da qualche segno mi sembrò posteriore ('). Invece dell’analisi di questa varietà di trachite, il Deecke aggiunge allo studio petrografìco delle rocce cimine quella chia- mata dal Rath trachite leucitica , dal Rosembusch fonolite leu- citica. Apprendo nella circostanza che per questa lava, nella let- teratura tedesca, è corso come nome paesano quello di p etnisco. La parola pietrisco però nei miei paesi significa pietra spezzata artificialmente in frammenti poco grossi, per comporre calcestruzzo, e più specialmente per inghiajare le strade. Se, lungo la strada Orte- Viterbo, il Rath avesse chiesto ai cantonieri il pietrisco, gli avreb- bero indicato da Orte al ponte di Ghia il travertino ; dopo fino a Bagnaja l’an desite augitica; poi la sua trachite leucitica; ed a A Viterbo, per le strade principali, il calcare eoceuico del monte Rasano. Premessa questa rettifica, la quale pure ha un qualche van- taggio per evitare confusioni nelle indicazioni, che traggono dai ter- razzani gli stranieri i quali vengono a studiare i nostri paesi, pro- seguo nella rassegna delle notizie, che il Deecke trae dal Rath. Questo scienziato notò nella valle della Pallanzana una lava di- stinta dalle altre per la leucite caolinizzata, e suppose che fosse una lava trachitica passata nelle profondità vulcaniche in mezzo a magma leucitici, dai quali avrebbe esportati, alterandoli i cristalli della leucite. Si è veduto che anche il Bucca accetta questa ipotesi, e la estende ad altre masse laviche del cratere di Vico, nelle quali la leucite compare in più o meno grande quantità, ma sempre ac- (') Vedasi su tal proposito l’articolo che riguarda il lavoro del Williams. 388 A. Verri cidentalmente (Capranica e Fontanile di Fiosole sulla pendici esterne, Casaccia nell'interno del recinto). Una diramazione di queste lave s’incanala nella valle tra la montagna Cimina ed il monte della Pallanzana ed arriva lino alle cave del peperino vicino Viterbo: ramo che, come ho detto, fu quello studiato dal Rath. 11 Deecke giustamente nota che quella corrente non è disegnata nel mio schizzo di carta geologica. Non so come sia avvenuta la svista, e ciò fa nulla: l’interessante è che la colata esiste realmente. In un luogo verso l’origine della valle ricordo d' avervi osservato un fatto curioso. Trovata la colata della lava trachitica più antica rotta in blocchi, la corrente con leuciti s’infiltrò in ruscelli tra i blocchi, e li racchiuse nella propria massa. In questa le due lave si distinguono a colpo d’occhio perchè la moderna oltre al circolare tra i blocchi dell’antica, è di colore grigio azzurrognolo, mentre l’antica presenta alla superficie esterna color rosso scuro. Il Deecke, per appoggiare le sue vedute sul recinto craterico da lui proposto pel Cimino, pone il punto di partenza di quella corrente al piede della montagna, nella insellatura sulla quale passa la strada vecchia di Soriano: cosa che non può asserire di sua scienza, perchè nè là, nè altrove, ha veduto in posto la lava, quantunque la corrente arrivi fin vicino alle mura di Viterbo. In- vece dagli appunti miei la lava verrebbe dal cratere di Vico, e potrebbe essere un ramo della colata, la quale accompagna sulla strada romana fino alla quota 726, un chilometro circa dopo ol- trepassato il bivio di Soriano: sarebbe in tal caso da collegarsi colla lava del Fontanile di Fiesole, in massima appartenendo tutte e due alla categoria delle lave con leuciti accidentali. Le quali presentano molte varietà in relazione alla maggiore o minore ab- bondanza della leucite, alla sua maggiore o minore conservazione : varietà però le quali non mi pare che debbano dare argomenti per concludere in modo assoluto che non possano provenire da una sola eruzione o da eruzioni tra loro vicinissime. Poiché il Deecke, nel predisporre il lettore, dice sembrare le mie osservazioni contrarie alle veridiche e belle osservazioni del Ratli , nonostante l’ isolamento in cui mi trovo dalla vita intellet- tuale, ho procurato di avere le opere di quello scienziato per con- frontarle, tanto più che difficilmente avrò modo di controllare sul 889 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. terreno gli appunti che vi presi tanti anni addietro. Se male non ho tradotte le parole del Rath, anch’egli ha osservato che quella lava si trova, e dice anzi particolarmente , sopra la salita dalla insellatura al ciglione di Vico. Nel dubbio copio il testo « Dies findet sich aber wieder in dem Hochthale zwischen dem Monte di Viterbo und Cimino, sowie namentlich auf dem gegen Siiden an- steigenden Vico-Plateau » . Lo stesso Rath indica quella lava come più giovane in confronto delle trachiti del Cimino, ma nessuna frase ho veduto che accenni di riferirla ad eruzione di questo cra- tere. Nella circostanza faccio notare una svista topografica trovata nello scritto del Rath, chiamando egli monte di Viterbo quello di Valentino: il monte detto sul luogo di Viterbo, perchè sta diret- tamente sopra la città, è quello della Pallanzaua, ed il monte di Valentino è uno dei poggi del Cimino sopra Bagnaia: ho creduto interessante rilevare questa svista, perchè può dar luogo ad equi- voci nel riscontrare sul terreno le di lui osservazioni. Però nel pe- riodo trascritto l’indicazione è esatta ('). Intanto è un fatto accertato dagli studi del Bucca, che il cra- tere di Vico presenta le trachiti con leuciti in più punti fuori e dentro del recinto. Il Rath crede il monte Venere un cono erut- tivo col cratere riempito: ma coscienziosamente dichiara che potè salire soltanto una parte della pendice nord, nella quale incontrò frammenti e sfasciume di leucitofìri scomposti, scorie e pezzi di trachite leucitica. Osservazione che combina perfettamente colle note che presi io, ma alla quale aggiungo che nel girare il monte, dove sono ritornato tre volte, trovai di più i leucitofìri e la tra- chite leucitica in posto ; e questa distinzione sta dichiarata espres- samente nella mia Memoria, nella quale, sul monte Venere e sul Fogliano, alla pag. 17 sono notati i leucitofìri ed una lava con piccole leuciti indicata tra parentesi come trachite leucitica del Rath, fonolite leucitica del Rosembusch. Questa lava è appunto quella che lo Stoppani, nel suo Corso di geologia , indica nascere (>) Geognostisch-mineralogische Fragmente aus Italìen, Theil II, 1868 (opera citata dal Deecke). Sono diverse le vedute sulla origine dei tufi e del monte Venere; ma nessuna discordanza ho trovato tra le osservazioni. Vedasi in proposito anche una nota precedente. 390 A. Verri dalla depressione, per cui appare forcuta la sommità del monte Venere; volgersi con rapido pendio al basso, e giungere fino alla base del cono: la quale corrente egli riteneva rappresentare l’ul- tima eruzione del vulcano di Vico. Se il Museo geologico dei- fi Università romana conserva la mia collezione cimina, gli stu- diosi potranno vedere i saggi di questa lava staccati dalle rocce in posto sui due monti nominati, e rettificare se vi sono gli errori di classificazione. 11 Ricciardi riferisce le analisi di una lava del monte Venere e di una della parete interna del recinto di quasi identica com- posizione chimica ('). Sicché quanto si sa dagli studi analitici, sulle lave di quel contrastato moute, non discorderebbe finora dalle mie vedute geo-* logiche. Le quali ripeto non ho difficoltà a modificare in qualche parte, sostituendovi lo schema che ho sbozzato di sopra, se le os- servazioni locali mostreranno più accettabile questa seconda ipotesi sulla genesi del bacino di Vico. Perchè non quadrano colle sue vedute, il Deche, pur cono- scendo le opere che ho citato, tace di quelle notizie: sparge dubbi sul modo di presentarsi di alcune lave analizzate dal Bucca (tra- chite di Casaccia), altera la posizione di alcune (trachite con leu- cite del Fontanile di Fiesole), tace di altre (trachite di Capranica). Di questo passo credo che finirebbe per sopprimere o mettere in dubbio il vulcano medesimo, se le eruzioni non corrispondono al programma da lui concepito. Le analisi del Deecke sulle rocce raccolte presso il ciglio orien- tale del cratere di Vico presentano i seguenti tipi: 1. Leuciiofiro — a Piazza, vicino alla presa dell’emissario. La roccia compatta lascia distinguere macroscopicamente leucite, au- gite,biotite e felspato nella sua pasta uniforme colorata grigio-az- zurro. 2. Leucitofiro — presso San Rocco, distinto dal precedente pel sanidino tavoliforme. Il campione analizzato, per quel che ho detto, deve appartenere al banco di lava superiore. fi) Ricerche chimiche sulle rocce dei dintorni di Viterbo , 1885 (opera citata dal Deecke). Vedasi appresso la rivista dello scritto del Ricciardi. Note a scritti sul pliocene Umbro- Sabino ecc. 391 3. Bamnile leuciticci — dall’orlo sud del recinto. Roccia con pasta grigio bleuastra, granulata finamente, nella quale sono intruse leuciti piccole ed augiti isolate. 4. Fonolite — che si presenta ganghiforme al nord della chiesa di Vico. Roccia bigia, di schietto abito fonolitico, nella quale ma- croscopicamente domina maggiore o minore ricchezza di sanidino. Al microscopio la pasta mostra un miscuglio di sanidino, ne- felina e granelli di augite, con predominio di nefelina: inoltre vi si distinguono interclusi di sanidino, plagioclasio, augite, hauina con aghi neri e titanite. Il Deecke soggiunge che il contenuto in sanidino dette a me motivo di notare la roccia come trachite: ciò non è esatto, perchè nella mia Memoria è compresa nella categoria delle « Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sanidino e pirosseni » . Il Deecke riferisce alle eruzioni di Vico la lava tra Civita Castellana e Borghetto, la quale dice scaturita dal fianco del cra- tere. Definisce quella lava un leucilofìro 'probabilmente con olivina- Può darsi che sia giusta la supposizione dell’autore sulla pro- venienza, ma geologicamente non ho argomenti da esserne sicuro, nè per le già note ragioni posso fare assegnamento sui suoi. E vero che egli aggiunge le osservazioni analitiche, ma queste nel caso di cui si tratta provano fino ad un certo punto. Come egli ha già dichiarato al principio, può ripetersi la formazione di lave somiglianti nel corso delle diverse fasi delle attività vulcaniche, particolarmente in eruzioni tra loro vicine, ed aggiungo io in questo caso anzi contemporanee, poiché nulla impedisce di supporre che il leucitofiro di Borghetto sia stato eruttato nel tempo stesso che erano eruttati i leucitofiri di Vico. Così, senza essere una eruzione di fianco del cratere, sarebbe una eruzione laterale sul prolunga- mento di una fenditura del vulcano, come se ne vedono nel sistema di Bolsena al monte .Jugo ecc. Perchè gli studiosi non abbiano solo affermazioni vaghe, estraggo dai miei vecchi registri i seguenti dati. La lava leucitica di Fab- brica, colla quale il Deecke vuol collegare quella di Civita Ca- stellana-Borghetto sta alla quota 306. Questa ultima ai Cappuc- cini di Civita Castellana ha nel piano superiore la quota 138, a Casa Ciotti 132, presso Borghetto 118. Lo spandimento dei tufi a 302 A. Verri Fabbrica ha la quota 247, e da là viene a livellarsi colla lava di Civita Castellana-Borghetto: disegnati i due triangoli, risulta che la corrente lavica dovrebbe dominare il piano dei tufi, anziché an- dare sotto come il Deecke scrive che indicano le apparenze. L'al- tipiano tufaceo è intagliato da burroni fino a distanza più o meno grande dalla valle del Tevere. Il burrone di Civita Castellana, a monte alla lava, ha il fondo alla quota 73 — 65 metri sotto la lava — ed è tutto intagliato nel tufo. Il burrone delle Sorelle, a monte e dietro alla lava ha il fondo alla quota 100 — 18 metri sotto la lava — ed è tutto intagliato nel tufo e così prosegue per lungo tratto. Sulla zona dell’ipotetico proseguimento della corrente non ho vedute altre incisioni profonde, perchè la soglia resistente del banco lavico ha impedito l’approfondarsi della corrosione. Però a distanza di poche centinaia di metri, e si può dire rasente a quella supposta corrente, v’è al nord il lungo burrone del Rio della Fratta. Questo a distanza di 4 chilometri dalla lava ha il fondo alla quota 56 — 62 metri sotto la lava — ed è scavato su ban- chi di ghiaia, sopra ai quali alla quota 104 — 14 metri sotto la lava — posa il tufo. A distanza di 7 chilometri dalla lava ha il fondo alla quota 151 — soli 33 metri sopra la quota della lava presso Borghetto — ed è tutto intagliato nel tufo. L’essere o no la lava di Borghetto proveniente dal cratere di Vico ha per la geologia non poca importanza, perchè può indicare o no un punto per segnare le linee di rottura in quel territorio. Mi pare che, nell’ incertezza in cui lasciano le osservazioni strati- grafiche, il modo più adatto di decidere da quale parte venga la corrente potrebbe essere la direzione dei cristalli ; essendoché do- vrebbe trovarsi diversa se la lava viene da Civita Castellana con * viaggio da sud verso nord, che non se viene da Vico con viaggio da ovest ad est. Un osservatore, il quale dispone dell’ ingegno e dei mezzi d'osservazione come il Deecke, avrebbe resi alla scienza più utili servigi con tal genere di ricerche, che non col gettare là delle frasi ad indovinare l’apparenza di continuazione della lava sotto ai tufi. Oltre alle analisi delle lave, auche pel cratere di Vico, il Deecke porta altre analisi di rocce frammentizie raccolte nelle masse di rigetto detritico. 393 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 1. Balanite leucitica — scoria del monte Venere. 2. Pomice — raccolta nella scarpata della mulattiera che da San Rocco conduce al monte Venere, sopra al banco di leucitofìro. Il Deecke trova quella pomice, la quale è intercalata in banchi nel detrito di rigetto, diversa da quella di Bagnaja pel contenuto, e la giudica anteriore alle fonoliti o alla serie delle tefriti. 3. Blocchi di silicato calcare con granati e vesuviani. 4. Sanidinite finamente granulosa , ricca d’amfibolo. 5. Sanidinite ricca d’ciugite. 6. Sanidinite con plagio clasio. 7. Sanidinite con nosectn. 8. Sanidinite ricca di magnetite. 9. Tufi vulcanici. Il Deecke già, nel discorrere del cratere di Vico, aveva accen- nata la quistione dei tufi, ed io riserbai di parlarne a quando avrei riferito sull’analisi delle rocce. Nella prima parte scrive, che io sto abbastanza solo colla sup- posizione che i tufi provengano da eruzione fangosa; che Ponzi già nel 1881 dimostrò accuratamente questa ipotesi iuammessibile ; che, se egli può portare un qualche giudizio nella discussione, ritiene che nei tufi manchi ogni indizio, che l’acqua abbia rappresentata gran parte nella loro formazione, e che questa roccia non ha del tutto i caratteri di fango disseccato. Premetto che, nella descrizione, egli chiama indifferentemente tufi tutti quei rigetti detritici, i quali io aveva separati in tre categorie : 1. Masse non lapidificate concordanti colle eruzioni tra- chitiche ; 2. Masse non lapidificate concordanti colle eruzioni leu- citiche ; 3. Masse lapidificate susseguenti alle eruzioni delle lave leucitiche; ossia tufi da costruzione. Solo a quest’ultima categoria (distinta tra altro per struttura del tutto caotica, e mancanza di stratificazione, qualunque sia la potenza della massa) io ho sempre riferiti i tufi da costruzione. Sapeva chiunque che per la formazione delle due prime categorie non v’ è bisogno d'acqua, e che hanno tutt’ altro che l’aspetto di 394 A. Verri fango disseccato : ma nessun costruttore ha pensato di estrarne ma- teriale per fabbricare i muri. Nè mi sembra che abbiano bisogno di assomigliare al fango disseccato le rocce aggregate, al cui con- solidamento ha concorso in un modo o nell’altro l’acqua. Nessuno pretenderebbe riconoscere i caratteri del fango disseccato nelle pud- dinghe, e nemmeno nelle arenarie, per persuadersi che sono stati sciolti dall' acqua i minerali i quali ne legano gli elementi. I campioni di tufo analizzati dall’autore non provengono dalle località classiche per la presenza di tali masse; ma alcuni sono raccolti intercalati cogli strati di lapillo presso l’ emissario di Vico, e quindi forse nulla hanno che vedere con quelle masse ; altri presso Bagnaja, dove effettivamente si ha una roccia, che mostra i carat- teri del tufo, ma con forme più grossolane, le quali probabilmente derivano dall’essere quella qualità di tufo molto vicina al cratere di eruzione. L'autore ha trovato che gli elementi diversi interclusi nel tufo sono avvolti da una pasta fangosa (schmutzig) composta da caolino ed argilla, la quale avrebbe acquistata solidità per influenza del calore, ossia, se bene ho compreso il suo concetto, per pro- cesso analogo a quello che si adopera per consolidare i laterizi, le terraglie, le porcellane. « I)urch Einwirkung der Hitze hat dann eine Yerfestigung diese urspriinglich lockeren Aschenmateriales stattgefunden ». Stante la vicinanza dei tufi di Bagnaja al banco di pomici ivi veduto, deduce che la pasta proviene dalla decom- posizione di quelle pomici. Come si concordi senza necessità dell’intervento dell’acqua tale decomposizione di materie già fuori dal vulcano, ed il passaggio della malta risultante a cementare altre rocce non comprendo. * Come quel prodotto di decomposizione non abbia ridotti lapidei i materiali detritici tra i quali sono interstratificate le pomici, e sia andato a cercarne altri fuori comprendo anche meno. Il Deecke, igno- rando assolutamente le condizioni dell’immensa massa tufacea, la quale calcolai nel solo territorio dei Cimini a più di mille milioni di metri cubi, ha creduto estendere a tutta la limitata coincidenza di Bagnaja, dove accidentalmente s’ è trovato in presenza di tufo vicino ad un banco di pomici ; senza considerare, che quella massa dove è più potente sta lontana più e più chilometri dai piccoli banchi pomicei. Se si fosse fermato un poco più alla stazione fer- 395 Note a scritti sul pliocene Umbro-Salino ecc. roviaria di Borglietto, e fosse arrivato tìno a Civita Castellana, là avrebbe potuto formarsi un’ idea di quel che sono i tufi, avanti dirupi a picco di 70 ed 80 metri composti da questa roccia. Però, lasciato da parte questo incidente, a me pare che l’idea del Deecke, sulla causa, la quale ha determinata la solidificazione dei tufi, meriti esame, e son lieto che la discussione abbia modo di prendere almeno una volta quel carattere elevato, che s’addice alle discussioni scientifiche. Così avrebbe potuto mantenersi sempre negli spazi sereni della scienza, se in tutte le parti egli avesse portato un contributo di osservazioni fondate. Prima di accingermi a tale esame sono costretto a riepilogare la quistione dei tufi, perchè il Deecke, nel modo come la presenta, nou appare sia andato a fendo della relativa letteratura, quantunque ne citi varie opere ('). La quistione dei tufi leucitici ne comprende tre distintissime. In primo luogo quale è il loro piano stratigratìco nella serie delle eruzioni, e quali erano le condizioni del territorio allorché si for- marono i tufi: e questa chiamerei quistione geologica. Appresso viene la quistione miner alogica del come si sono formati i tufi. Per terza viene la quistione come il materiale, che compone i tufi, è escito dai crateri dei vulcani tirreni. Dico in genere tirreni, perchè ritengo probabile che le conclusioni, che si traggono dallo studio dell’uno siano applicabili agli altri : però, non volendo estendere la discussione ai terreni che conosco imperfettamente, limito i miei apprezzamenti ai sistemi vulcanici Cimino e Vulsinio. La risposta degli scienziati alla quistione in genere era che i tufi rappresentano il primo prodotto eruttivo del vulcanismo tir- reno ; che rappresentano rigetti sottomarini, e quindi che il terri- torio era coperto dal mare. Varianti a questa opinione, la più diffusa, erano: che i tufi fossero il prodotto di rigetti detritici subaerei caduti su bacini marini o lacustri — che i tufi fossero il prodotto (!) Le opere citate su questo proposito neila bibliografia dal Deecke sono : Ponzi, La Tuscia romana e la Tolfa , 1877 ; I tufi vulcanici della Tuscia romana, loro origine, diffusione ed età, 1881. — Verri, 1 vulcani Cimini, 1880; Due parole sui tufi leucitici dei vulcani tirreni, 1883; Sui tufi dei vulcani tirreni, 1886. Oltre a queste egli aveva ricevuto lo studio sui Crateri Vul- sinii (1888), nel quale è pure trattata diffusamente la quistione dei tufi. 396 A. Verri di rigetti detritici subaerei, trasportati poi dalle pioggie in correnti fangose, e quindi consolidati col prosciugamento — che i tufi fos- sero il prodotto di rigetti detritici subaerei consolidati dalle acque piovane, collo scioglierne le sostanze cementizie nel filtrare tra la massa. Per quel che riguarda il tempo della eruzione, alcuni la indi- cavano nel pliocene, alcuni nel principio del quaternario, altri si limitavano ad esporre le proprie vedute sul modo di genesi della roccia, senza preoccuparsi del piano stratigrafico (‘). Io nel 1878 incominciai a dimostrare che i tufi del sistema Yulsinio erano stati eruttati su territorio emerso ed in fase di ero- sione (2); nel 1880 dimostrai che i tufi del sistema Cimino rap- presentavano altresì l’ultima grande eruzione di quei vulcani. Poiché da tutti gli scienziati s’ammetteva come necessario l'intervento dell’acqua per la cementazione, negai quell’intervento per caduta dei materiali nei bacini acquei, e per l’azione delle pioggie, sia diretta, sia agente per mezzo di correnti fluviali, e proposi l’ipo- tesi che il materiale dei tufi fosse escito dai crateri nello stato di corrente fangosa. Nel 1888 allargai il concetto e definii i tufi come il prodotto delle eruzioni di materie detritiche mescolate ad acqua. Soggiunsi che le eruzioni potevano essere avvenute con proiezione, ossia in forma di pioggia; oppure con versamento, ossia in forma di correnti fangose ; sulle quali circostanze accessorie solo le osser- vazioni locali sono adatte a pronunciarsi. Nel 1886 ritornato sul soggetto per precisare ancor più qual era la formazione alla quale conveniva il nome di tufo, aggiunsi la dichiarazione che non esclu- deva il caso, che qualche rigetto tufaceo fosse caduto nel vicino mare, o in qualche bacino lacustre; ma che, nello studio d’insieme della massa, riteneva simile circostanza non necessaria alla for- mazione dei tufi, bensì puramente accidentale. Nel 1888 ho estese queste conclusioni a tutto il sistema Yulsinio. Posta la quistione su queste basi, liberandola dalle confusioni che vi sono state portate, tra le quali la nomenclatura di tufi li- toidi e di tufi incoerenti (nomenclatura che equivale a dire pietre che son pietre, e pietre che non sono pietre); presa per tufo la (J) Brocchi, Pareto, Rusconi, Buch, Degli Abbati, Ponzi, Rath, Stoppani. (2) Sulla cronologia dei vulcani tirreni. Rendiconti del r. Ist. Ioni, di se. e lett. serie II, voi. XI. 397 Noie a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. immensa massa di roccia, i cui caratteri io ho precisati replica- tamente, ossia il tufo da costruzione , posso accettare la discussione. Come dilettante di geologia, tengo fermo alla prima parte provata e riprovata da tutte le osservazioni, e cioè : che i tufi leu- citici rappresentano l’ ultima grande eruzione dei vulcani Cimini; che quella eruzione cadde su terreno asciutto, ed in fase di corro- sione molto avanzata; che l’eruzione avvenne nel quaternario e nemmeno nei primi tempi di questo periodo. Gli studi mineralogici mostrano necessario l'intervento del- l’acqua per la cementazione di quella roccia aggregata? Secondo le mie opinioni, l’acqua è escita dal cratere insieme agli elementi diversi intrusi nella roccia, tenendo in soluzione la pasta cementante. Come è avvenuta l’ eruzione ? Non vi sono che due supposi- zioni: o la forma di pioggia, o quella di corrente fangosa: solo le osservazioni locali sono capaci di decidere per ciascuna massa, poiché anche uno stesso cratere poteva dare contemporaneamente o a breve distanza i due modi di eruzione. Quando gli studi mineralogici decidano che l’intervento del- l’acqua non è necessario al consolidamento dei tufi, la seconda c terza quistione, ambedue per me accessorie, sono eliminate di loro natura : cosa che a me non fa nè caldo nè freddo, tenendo soltanto a propugnare la quistione principale per i miei studi, e cioè la geologica. Intanto prendo nota che l’autore riconosce i prodotti tufacei come rigetti subaerei ed ultimi delle eruzioni dei vulcani Cimini. Ne prenderei nota però con soddisfazione maggiore, qualora avessi conosciuto che egli riportava tale opinione in conseguenza di osser- vazioni estese su quelle rocce. Sgombrato il terreno dalle quistioni diverse che si connettono alla genesi dei tufi, esamino adesso l’idea del Deecke, la quale si riassume in ciò che, avendo egli trovata la pasta, che collega gl’inclusi di quella roccia aggregata, composta da caolino ed argilla, ritiene che la solidificazione sia avvenuta per influenza del calore, e che perciò l’acqua non abbia avuta gran parte nella composi- zione di questo prodotto vulcanico. È indubitato che per la consolidazione delle terre cotte: la- terizi, terraglie, porcellane, non è necessaria l’acqua; anzi la pre- 398 A. Verri senza di questa va a scapito del combustibile necessario alla cot- tura. Tanto è vero, che nelle fabbriche comuni si premette alla azione del fuoco il maggiore possibile prosciugamento mediante l’aria; di più in certi opifici perfezionati si preparano i laterizi col mettere nella stampa argilla del tutto secca, e darle una prima consistenza mediante pressione di più migliaia di chilogrammi. Si sa d’altra parte che i laterizi non cotti nelle fornaci, ma induriti soltanto per l’azione dell' aria e del sole, danno un mate- riale da costruzione non resistente alle intemperie; che per avere laterizi, anche di mediocre resistenza, abbisognano parecchi giorni di cottura con calore spinto fino a gradi molto elevati (’). Ora i tufi hanno resistenza tale alle intemperie da presentarci le enormi rupi a picco, meraviglie pittoriche del territorio vulca- canico tirreno ; tale da farci vedere i ruderi di costruzioni eseguite con questo materiale, che, senza riparo di sorta, sfidano da secoli le degradazioni delle forze meteoriche. Crederei assurdo anche soltanto il pensare che quella immensa massa dei tufi abbia subito, dopo che era escita dal cratere, un calore superiore a quello che possono averle comunicato i raggi so- lari; mi pare difficile che il solo calore solare abbia bastato a de- terminare quella specie di mezza fusione, adatta ad ottenere per cottura il consolidamento della pasta che cementa i tufi, non ostante che contenga una certa abbondanza di fondenti : calce, magnesia, ossido di ferro, potassa, soda. Nè nello studio delle cause le quali, indipendentemente dalle reazioni chimiche, possono avere prodotto l’ettetto di consolidamento, crederei che si potesse ricorrere all’aiuto della pressione, perchè vi si oppone la struttura soffice della roccia, e perchè i tufi costituiscono la formazione superiore dei nostri ter- reni, e perchè i loro caratteri sono uniformi su tutta l’altezza di quei potenti banchi. D’altra parte sarebbe conciliabile la cottura nell’interno del vulcano colla fluidità necessaria, perchè avvenisse l’ espandimento all’ esterno ? Perciò a priori mi sembrerebbe più naturale supporre che nel 0) Da informazioni prese negli opifici di laterizi della città di residenza (Casale Monferrato), rilevo che per avere mattoni forti portano la cottura dagli 800 a 1000 gradi; tengono la temperatura dai 700 ai 900 gradi, secondo le qualità delle argille, per avere mattoni dolci. Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. 399 consolidamento la calce, la magnesia, l’ossido di ferro contenuti, tra altri minerali, abbondantemente nelle lave, e quindi nei loro prodotti di decomposizione, anziché agire da fondenti sui silicati per determinare un certo grado di vetrificazione, abbiano agito chi- micamente con processo analogo a quello che determina l’ induri- mento delle malte idrauliche. Qualora la quistione si ponga sotto questo aspetto, l’acqua resterebbe una sostanza necessaria alla con- solidazione dei tufi, perchè senz’acqua sarebbe stata impossibile. Sulle due ipotesi di consolidamento per un qualche grado di fusione, oppure per reazioni chimiche, le esperienze potranno pro- nunciare il loro verdetto, stante la diversità di caratteri che deve presentare la pasta secondo il modo come s’è solidificata. Qua- lunque sia la risposta a questo lato della quistione, restano an- cora da spiegare alcuni casi speciali, nei quali l’intervento del- l’acqua sembra sempre manifesto. Nelle cave dei tufi di Korna fu trovata una necropoli di ani- mali sepolti sotto ai tufi, e fu osservato che sulla roccia erano conservate persino le tracce del pelame (Q. I tufi, come ho fatto rilevare con diverse osservazioni, rap- presentano sovente masse inalveate nelle antiche depressioni (tutto l'opposto di quel che scrive il Deecke), giranti le barriere che i rilievi orografici di quei tempi opponevano al loro spandimento. Lo stesso non si vede nei rigetti ordinari di ceneri, scorie, lapilli, i quali si modellano sulla orografia preesistente ; e sono distribuiti con quanta uniformità può essere permessa, riflettendo che le for- mazioni risultanti furono costrutte da materie lanciate in una od altra direzione, trasportate dai venti verso una o verso altra con- trada. Questa è una circostanza di molto peso, e sulla quale è in- dispensabile porti la sua attenzione chi vuole studiare fondata- mente la genesi dei tufi. Cosa s’oppone a ritenere che il composto cementante, il quale lega gl’ interclusi, sia stato tratto dalla scomposizione delle rocce nell’interno del vulcano, eppoi sia stato eruttato disciolto nell’acqua insieme ai detriti delle parti preesistentemente solide ? Per mio (') Meli, Notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi leucitici di Roma. Ulteriori notizie ecc. Bollettino del R. Coni. geol. ital. 1881-82. 26 400 A. Verri conto credo più naturale, e quindi più probabile questa ipotesi perchè, oltre ad agevolare il comprendimento degli altri fenomeni, dà la ragione della mescolanza dei diversi componenti nella pasta, e della distribuzione della pasta nella massa, la quale ipotesi del resto s’accorda anche col consolidamento per influenza del calore, qualora le esperienze decidessero che così sia avvenuto. Però non mi ci appiglio in modo da non considerarla suscettibile di modifi- cazioni, se le osservazioni ne faranno risaltare; a differenza della quistione geologica, per la quale la estensione, concordanza e de- cisività delle osservazioni hanno segnato nella mia opinione un punto fermo, di non possibile ritorno. Affinchè questa risposta incresciosa — però necessaria per far capire, che si accettano con piacere pareri illuminati, ma non si è affatto disposti a tollerare le confusioni — rechi il maggiore profitto, indicherò i punti principali, sui quali le ricerche porte- rebbero quasi piena luce sui vulcani Cimini. 1. Composizione della trachite a grandi felspati, e suoi rapporti coll’andesite micacea. 2. Composizione del monte Venere. 3. Qualità delle lave inferiori che compongono colle loro testate la parete interna sud^d est del recinto: vedere cioè se sono trachiti come la lava di Casaccia, o fonoliti come la roccia di Vico. Studiare il passaggio da quelle lave alle superiori con- tenenti leuciti, e la gradazione di queste. 4. Qualità della testata di lave con leuciti sottostante ai leucitofiri nella parete interna occidentale del recinto. La circostanza favorevole che le erte pareti del recinto di Vico mostrano scoperte tutte quelle testate di lave — circostanza che manca nel recinto di Bolsena, dove generalmente le pareti in- terne sono coperte da detriti — porge modo facile e sicuro per co- noscere la serie delle eruzioni e le vicende del vulcano. 5. Qualità delle lave inferiori affioranti da sotto i lapilli sulle pendici esterne del cratere: lungo la strada Viterbo- Vetralla, tra le masse di San Sisto e Ciavoletta; a Ronciglione, a Fabbrica. Il compito come si vede è ridotto a poca fatica, potendosi da Ronciglione eseguire le escursioni nell’ interno del recinto ed a Fabbrica : da Viterbo le altre. 401 Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. Un bel soggetto da ricerche, per la mineralogia, chimica, stratigrafia è sempre la genesi della roccia da costruzione chia- mata tufo. Nella circostanza ricercato a qual punto si trovava questo studio, ho veduto che anche il Comitato geologico ha ab- bandonata 1J erronea denominazione di tufo sottomarino. Però m’è sembrata discutibile la nuova classificazione adottata nella compi- lazione della carta d’Italia: tra altro non comprendo quale idea si esprima col nome di tufo basaltico incoerente. Sul proposito dei tufi aggiungerò una osservazione. Nei bur- roni di Bagnorea i tufi gialli da costruzione sono divisi in due banchi, e tra questi ne sta interpolato uno di ceneri grigie facil- mente disgregabili e contenenti scorie nere. Una cosa simile m’era apparsa nel territorio d’Orvieto e nei dintorni di Onano sul sistema Yulsinio; nei dintorni di Civita Castellana sul sistema Cimino: però, non avendovi potuto vedere tanto bene le circostanze della for- mazione, benché notassi le varietà, non feci rilevare pel passato spiccatamente le diverse proprietà della struttura di quei banchi. Quel fatto, mentre indica una intermittenza nella eruzione dei tufi gialli da costruzione, conferma sempre maggiormente essere quei tufi il prodotto di eruzioni speciali, e diverse da quelle nelle quali il vulcano progettava gli altri rigetti detritici. Non comprendo come la quistione di genesi dei tufi da alcuni sia stata allargata eziandio alle masse dei rigetti stratificati, la formazione delle quali è tanto evidentemente dovuta a pioggie di ceneri, lapilli, ecc. cadute su terreno accidentato, che non so cosa ci sia da disputare. V. L. Ricciardi, Ricerche chimiche sulle rocce vulcaniche dei din- torni di Viterbo. Atti della Soc. ital. di se. nat. Milano, 1855. — Ricerche di chimica vulcanologica sulle rocce dei vulcani Vulsinii. Gazzetta chimica italiana. Palermo, 1888. A complemento delle notizie riferite sullo studio dei vulcani Cimini aggiungo alcune analisi del Ricciardi su quelle rocce, sia perchè contengono dati interessanti, sia per dare le indicazioni topografiche e stratigrafiche che mi sarà possibile, affinchè i geo- 402 A. Verri logi possano trarre lume con discernimento da questi contributi alla illustrazione di quel sistema vulcanico. Convenendo col Ricciardi nella utilità delle ricerche chimiche sui prodotti dei vulcani, e per garanzia maggiore delle analisi pe- trografiche, e per gli studi geologici, e per le applicazioni all’ agri- coltura, mi sembra che nè il Bucca nè il Deecke avrebbero dovuto ommettere di riportarne i risultati. Perchè gli studi riescano veramente utili, è necessario che una scienza dia la mano all’altra. Se è fa- cile cadere in errori colle sole osservazioni stratigrafiche, senza l’aiuto delle analisi chimiche e petrografiche, forse è altrettanto facile cadervi, basandosi solamente su queste analisi se non sono con- validate dalle osservazioni geologiche. È importantissimo sopra tutto che gli operatori di gabinetto, se vogliono riuscire utili al progresso della geologia, non ommettano le indicazioni locali, perchè tale om- missione può produrre facili equivoci, e spesso assai dannosi. Ciò specialmente quando in un luogo, indicato troppo genericamente, s'intrecciano prodotti di differenti periodi, come avviene nel caso presente. Quelle indicazioni sono tanto più necessarie per i raffronti intrapresi dal Ricciardi, affine di ritrarne le leggi che regolano i fenomeni del vulcanismo. Oltre alla ricerca delle rocce, in mezzo alle quali si sono formati e si formano i magma lavici; della influenza delle acque marine nella composizione delle lave, la chimica indaga la legge, che determini la cronologia delle eruzioni mediante la quantità di silice contenuta nelle lave — problema, la cui soluzione può dare aiuto prezioso al geologo, il quale non di rado si trova di fronte difficoltà insuperabili nel cercarne la cronologia colle osservazioni sul terreno. — Il Ricciardi, applicandone i risultati ottenuti al vulcanismo antico tirreno, deduce che la silice è andata diminuendo dalle prime alle ultime eruzioni, sicché i prodotti eruttivi sono passati dal tipo acido al tipo basico (’). Per mancanza d’indicazioni macroscopiche e locali, di nessuna delle quattro analisi, riportate dal Ricciardi nella Gazzetta chimica del 1888, posso indicare con sicurezza la categoria delle rocce, (') Sul cjraduale passaggio delle rocce acide alle rocce basiche ecc. Reggio Emilia, 1887. Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. 403 essendoché tanto possano appartenere alla trachite con grandi fel- spati (selce dei paesani), quanto alle andesiti augitiche, le quali formarono colate posteriori. Le analisi danno : Vetta in. Ciliano Vetta m. Cimino Pendice NE Cimino Presso Ba- gnaja Si 02 62,66 59,55 57,69 58,78 Ph2 05 tracce 0,39 0,43 0,32 so3 — 0,35 tracce 0,44 CI — tracce . — tracce Ala 03 17,34 18,08 17,43 16,97 Fea 03 : . 0,54 2,15 0,94 1,13 FeO 2,16 3,13 4,09 2,10 Mn 0 0,12 0,24 0,18 0,17 CaO 3,17 9,36 7,18 7,27 MgO 1,44 1,40 4,80 1,46 Ka 0 6,34 2,06 3,06 4,18 Na > 0 4,51 1,53 1,69 3,67 Perdita per calcinazione . . 1,66 2,27 2,83 3,60 99,94 100,51 100,32 100,09 Confrontate queste coll’analisi che dà il Eath sulla trachite bigio-scura della pendice est del monte Cimino, nella quale appare il contenuto in silice 58,67, si può supporre che il campione della pendice nord-est del Cimino appartenga alle andesiti augitiche, che ho trovate in quel luogo sovrapposte alle altre trachiti ; e quello presso Bagnaia appartenga alla colata di lave eguali della Quercia, analizzate dal Bocca e dal Deecke. Il confronto colle analisi delle trachiti del monte Armata, di Torre Altina e San Lo- renzo, somiglianti alla trachite con grandi felspati che costituisce la massa principale della montagna Cimina, e le quali contengono oltre il 60 di silice, fa supporre che a quella appartenga il cam- pione riferito alla vetta del monte Ciliano (non Cignano). Il cam- pione più dubbio è quello che dice proveniente da presso la vetta del monte Cimino (chiamato sul luogo monte di Soriano). Là la massa principale è formata dalla indicata trachite con grandi fel- 404 A. Ferri spati ; ma, come io scrissi nella Memoria sui vulcani Cimini, sul piano della cima si trovano ammassi di rocce scoriacee di tinta bruna, o rosso bruciato; frammenti di lava rosso-bruno, con nu- merosi vani appiattiti ed allungati; da là si vedono partire le co- late dell’andesite augitica che passarono sopra la trachite più an- tica, alterandola col contatto. Con tutta probabilità la roccia analizzata appartiene ad una delle varietà che ho accennate, e così viene confermata la presenza di queste lave sulla vetta del Cimino, come ho fatto rilevare nella rivista del lavoro del Deecke, a proposito del cratere antico. Il Rath, nell’opera citata in questa rivista, ci aveva data l’analisi chimica della trachite leucitica della colata, che per la valle tra la Pallanzana e la montagna propriamente detta Ci- mina, scende lino sotto al Palazzo vescovile. Interessa in un lavoro di questo genere, nel quale cerco raccogliere i dati che servano a segnare i punti di partenza pel compimento dello studio dei vul- cani Cimini, riferire anche quell’analisi. Silice acida 59,51 Zolfo acido 0,00 Cloro 0,19 Terra argillosa 18,89 Ossido di ferro 5,26 Ossido di manganese tracce Terra calcare 1,90 Magnesia 1,50 Potassa 7,25 Natrium 0,29 Natron 4.60 Perdite per calcinazione 0,56 99,95 Il Ricciardi nel 1885 riferì due analisi di rocce contenenti leucite, che dice avute dal Mercalli: una indicata in posto sulla parete orientale del cratere di Vico, e quindi sarebbe appartenente al monte Fogliano; l’altra appartenente alla corrente lavica in posto sulla pendice orientale del monte Venere. Credo che certa- 405 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino eco. mente sia erronea l'indicazione di orientamento dell’ ultima, perchè la così detta corrente lavica della pendice del monte Venere è sul lato occidentale. Con questa rettifica le formazioni dalle quali fu- rono staccati i campioni sarebbero faccia a faccia. Parete del recinto Monte Ve- nere Si 02 54,41 55,08 Ph, 05 tracce tracce Ab Oj 22,91 18,31 Fe* 03 ....... . 1,45 1,67 FeO 4,67 7,06 MnO — tracce CaO 6,73 5,79 MgO 1,54 2,18 Iv2 0 5,36 6,59 Lia 0 tracce tracce Na2 0 1,64 1,34 Perdita per calcinazione . . 1,53 2,19 100,24 100,21 Se si considera che da campione a campione d’una colata possono incontrarsi differenze nella composizione mineralogica ; che queste differenze devono risultare più che altrove sensibili in quelle lave nelle quali la leucite entrò come accessorio, per quanta cura ^operatore possa avere messa nella preparazione dei pezzi e nella loro scelta, i risultati chimici non potrebbero parlare più chiaro per una identità di lave tra quelle del recinto e quelle del monte Venere. Oltre a ciò il contenuto in silice, avvicinando queste lave alle trachiti, confermerebbe la presenza della trachite leucitica sul monte Venere e sul monte Fogliano, come fu indicato nella mia Memoria. 40G A. Farri VI. L. Ricciardi, Confronti tra le roecie degli Euganei , del monte Amiata e della Pantelleria. Gazzetta eh. it. Palermo, 1888. — Atti della Soc. it. di se. nat. Milano, 1888. Per osservazioni ripetute sul terreno, io ho distinti quattro tipi nella trachite del monte Amiata. 1. Trachite di colore grigio sporco, roseo, rosso, contenente cristalli voluminosi di sanidiuo. Assomiglia alle trachiti andesitiche di S. Lorenzo e Torre Alfina nel sistema Vulsinio ; alla trachite con grandi felspati, la quale compone la massa montana del Ci- mino. La roccia, come le sue consimili dei luoghi citati, non è adatta a lavori di pietra concia. 2. Trachite di colore grigio chiaro, contenente numerosissimi cristalli di sanidino di piccole dimensioni. E la roccia, nella quale si trovano comunemente gli interclusi chiamati colà anime di sasso. È il peperino dei costruttori locali, che lo adoperano analogamente all'andesite micacea di Viterbo. Si assomiglia in parte a questa per la grandezza dei cristalli e la facile lavorabilità : ne differisce assai per la freschezza maggiore della roccia nella frattura, per la quantità di mica che sembra minore, e perchè si adatta meno bene a lavori fini. 3. Trachite di colore zonato di grigio scuro e di nero, molto somigliante nel resto alla precedente. Pure questa è adoperata dai * costruttori nei lavori di pietra concia, ma credo che sia preferita la precedente. 4. Trachite a granitura fina, compatta e scoriacea o forse meglio cavernosa, di colore dal grigio cenere al grigio bruno, al rosso bru- ciato. Contiene cristalli di sanidino molto voluminosi. Richiama in qualche cosa le andesiti augitiche del Cimino, nelle quali però non ho veduto quei cristalli tanto sviluppati. Credo probabile che i vani cavernosi in parte dipendano dalla distruzione de' cristalli felspatici. 407 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. Ho trovato la seconda e terza varietà sempre alla base della massa trachitica; la prima varietà costituisce la formazione prin- cipale della montagna, ma in alcuni luoghi la ho veduta scendere lino alla base, senza vedere le altre sottoposte: sicché mi rimase dubbia tra le tre la precessione o la successione. Nella terza no- tai una certa schistosità, che non vidi nella prima e nella seconda. Il Lotti espresse il parere che le tre prime varietà non siano do- vute ad eruzioni successive, ma formino piuttosto lenti dentro la massa principale, e fece notare che il fatto può osservarsi colla massima evidenza in una cava di pietra presso Arcidosso (’). La quarta varietà di trachite fu trovata da me nel versante occidentale, sopra Castel del Piano, nel luogo detto il Piano delle Macine. Non ricordo dove l'ho letto, ma tra i miei appunti vedo segnato che il Rath aveva indicato un giacimento di trachite sco- riacea verso le sorgenti della Fiora, e perciò nel medesimo ver- sante occidentale. Il Repetti ne aveva indicato un altro nel luogo chiamato la Piscina sul versante orientale, e descrive la roccia di colore grigio nerastro, scabra, scoriacea, tappezzata di cellule irre- golari, di tessuto granoso, frattura concoide, leggermente magnetica avente peso specifico di 2,080 ; presentante molta somiglianza colla lava tefrinica di Acquapendente (2). Chiestimi nel 188(5 dal Ricciardi dei campioni delle trachiti amiatine, glieli feci venire dal Museo delle scuole tecniche di Città della Pieve, dove ne aveva riunita una collezione, e gli furono spediti saggi di tutte le varietà che ho nominate. Come sia avve- nuto che l’indicazione di roccia componente la massa principale del monte , nel trasporto dei pezzi da posto a posto, sia andata a capitare sulla trachite specificata al numero 4 non so. Il certo è che qui v’ha un errore, e con tanta maggiore sicurezza posso di- chiarare che quella indicazione era fuori posto, per la nota che aggiunge il Ricciardi all’analisi: « Questa roccia, sia perchè più basica, sia perchè d’aspetto differentissimo dagli altri campioni, (L Il monte Amiata, Boll, del Com. geol. it. 1878. (2) Relazione di una escursione geologica al monte Amiata. Antologia, tomo XL. Firenze, 1830. Vedi Lotti, opera citata. 408 A. Verri che sono del tutto identici ai graniti bigi, dimostra che deriva da altra eruzione » . La relativa analisi dette : Si 02 59,73 A12 03 16,79 Fe2 03, FeO 4,65 MnO 0,17 CaO 3,27 Mg 0 1,47 K2 0 6,09 Na20 4,31 Perdita 3,93 100,41 Questa analisi è pertanto una conferma della presenza sul monte Armata d’ima varietà di trachite, importantissima per lo studio di quel vulcano. Il Lotti, citata nella bibliografia l’osser- vazione del Repetti e mia, nel descrivere le rocce si limitò a no- tare che da alcuni autori sono nominate nel monte Annata altre varietà di trachite cellulosa o scoriacea, ma che egli non potè osservare quelle forme in grandi masse e in posto, ma sempre in frammenti arrotondati, ravvolti nelle varietà trachitiche predomi- nanti, e conosciuti sotto la denominazione volgare di anime di sasso. Vedremo in seguito che non è stato più curato di ripetere l’osser- vazione, e che questa ommissione ha condotto probabilmente ad errori d'apprezzamento nella valutazione delle fasi eruttive di quel vulcano. Oltre alle collezioni delle rocce amiatine date ai Musei geo- * logici delle università di Roma e Pavia, una collezione molto ricca ne portai nel 1873 al Museo mineralogico di Bologna. Se esiste ancora, gli studiosi potrebbero intraprendervi ricerche di gabinetto con certezza di dati locali, risparmiando i disagi e le spese delle escursioni. Insieme alle varietà delle trachiti in posto, portai al Museo di Bologna una raccolta d’ interclusi, alcuni dei quali nel- l’apparenza somigliano assai alla trachite del Piano delle Macine. Si veda quanti problemi vi sono da risolvere. Sul proposito degl’ interclusi il Ricciardi scrive che non rappre- sentano altro che frammenti di granito. Questa opinione potrà essere 400 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. più o meno giusta pei granelli vitrei segnalati già dal Kath, ma non è certamente applicabile alle veramente dette anime di sasso. Non nego la possibilità che alcuno prima o poi vi trovi pezzi di granito, ma finora non mi consta che ve ne abbia trovati alcuno Il Lotti stesso, il quale dà l’esame di molti inclusi, mai nomina il granito, e cita anzi degli inclusi contenenti in silice solo 46,47. 10 ho avuto occasione di vedere gl’inclusi soltanto nel peperino, 11 Lotti invece ne cita compresi anche nella trachite che costituisce la massa principale: osservazione di molto rilievo per i rapporti tra le due varietà. Io credo importantissimo un confronto tra la trachite del Piano delle Macine e gl’inclusi nelle altre brachiti, per vedere quali rapporti passano tra quella e questi. Può darsi che la trachite del Piano delle Macine rappresenti la fase eruttiva che è rappresentata dalle andesiti augitiche del Cimino ; può anche darsi che sia anteriore alle altre. Quanto agl’inclusi, secondo il mio modo di vedere, rappresentano le rocce d’un periodo di vulcanicità miocenica, con- cordante col sollevamento e modellamento orografico dell’Apennino precedentemente alla oscillazione discendente pliocenica ; come a me pare che lo rappresentino gl’inclusi nell’andesite micacea (pe- perino) di Viterbo ; e forse lo rappresenta anche la trachite di Bolsena: la quale, come ho notato nella Memoria sui crateri Vul- sinì, differisce da tutte le altre trachiti Cimine ed Andatine. Dal confronto tra la trachite del Piano delle Macine e gl’interclusi potrebbe eziandio risultare, che questa trachite rappresenta un af- fioramento delle eruzioni mioceniche. VII. I. F. Williams, Ueber Monte Amiata in Toscana, und scine Ge- steine. N. Jahrbuch f. Min. Geol. und Pai. Stuttgart, 1887. — Bollettino del Com. geol. it. 1887. Poiché il bisogno di rettificare l’indicazione posta all'analisi del Kicciardi (tanto più che ho veduto figurare una indicazione erronea sotto il mio nome) m’ha fatto riprendere la parola sul monte Amiata, ne approfitto per spiegare in che non convengo colle 410 A. Verri vedute del Williams; divergenza accennata alquanto imperfetta- mente con breve annotazione aggiunta, nella correzione delle bozze, alla Memoria sui crateri Vulsinì. Non conosco lo scritto originale, e desumo gli studi del Williams dall’estratto contenuto nel Bol- lettino del Comitato geologico. Il Williams presenta lo studio delle rocce Amiatine, e della eruzione di questo vulcano sotto un aspetto nuovo. Le analisi chimiche delle tre prime varietà della trachite, che ho specificate nell'articolo precedente, danno: Peperino Tracliite nera Massa principale Si 02 ...... 65,58 65,53 64,76 Ala O3 15,79 16,89 16,48 Fe2 03 0,94 1,00 0,74 Fe 0 2,44 2,38 2,74 Ti 0.. 0,58 0,46 0,42 (') x 0,73 0,61 0,33 Ca 0 3,08 3,24 3,24 Mg 0 1,47 1,17 1,74 Mn 0 tracce tracce tracce K2 0 5,67 4,59 5,49 Na2 0 2,58 2,71 2,67 Li2 0 tracce tracce tracce (2) Ha 0 1,16 1,98 1,62 S03 0,19 0,20 0,08 CI tracce 0,09 . 0,01 Pa Os tracce tracce tracce 100,21 100,85 100,32 Perdita per calcinazione . . 1,14 2,00 1,55 Peso specifico a 15° cent. . 2,527 2,540 2,562 f1) Residui indeterminati della separazione delle sostanze precedenti. (2) Direttamente. 411 Note a scritti sul pliocene Umbro- Sabino ecc. Per la disposizione parallela delle squame di mica, le rocce affettano talvolta una schistosità poco marcata. La resistenza alla compressione varia secondo che la roccia è disposta in senso nor- male o parallelo a quella schistosità. Alcune esperienze dettero : Peperino Trachite Massa nera principale Compressione normale . 1225 2495 2495 id. parallela . 1110 2268 2177 I minerali costituenti le rocce sottoposte all’analisi sono : sani- dino, plagioclasio, ipersteno, biotite, magnetite, pirite, apatite. In conclusione le rocce del monte Amiata presentano dal margine della montagna al centro un aumento di formazioni cristalline nella massa, senza che tuttavia in nessuna roccia esse presentino un carattere completamente cristallino, forse perchè tutte le rocce analizzate appartengono alla parte superficiale dell’ammasso mon- tuoso. Avuto riguardo alle differenze rimarcabili sul margine e nelle parti centrali, si può arguire che nell’interno di queste ul- time la struttura sia olocristallina, o si avvicini almeno ad un tale stadio. In base agli studi analitici le rocce si dividono in due gruppi. 1. Rocce a base vitrea pura o quasi pura con piccole in- clusioni ; 2. Rocce a base vitreo-microfelsitica con inclusioni più grandi. II primo gruppo al quale appartengono le rocce del margine del monte si può suddividere nelle due varietà : a) Rocce granitoidi chiare a grana fina e formate di parti- celle vitree sferoidali, e di molta quantità di sanidina, plagiocla- sio, ipersteno e biotite nelle proporzioni Base fondamentale. . <30 Sanidina 26 Plagioclasio .... 8 Ipersteno 6 100 412 A. Verri b) Rocce nere coi componenti nelle proporzioni: Base fondamentale. . 69 Sanidina 13,50 Plagioclasio . . . . 10 Ipersteno 7,50 100 Nel secondo gruppo stanno le rocce nelle quali dalla base vitreo-microfelsitica si segregano grandi elementi cristallini. In queste la base vitrea è meno pura, ma s'accosta piuttosto alla struttura microfelsitica, ovvero essa è tutta piena di microliti ; i cristalli di sanidina sono grandissimi. Le proporzioni tra i componenti sono: Base fondamentale. . 54 Sanidina 26 Plagioclasio .... 9 Ipersteno 11 100 Il Williams ritiene che geneticamente le tre rocce apparten- gano alla stessa eruzione, ed abbiano assunto aspetto differente sotto P influenza delle circostanze locali nelle quali avvenne il consolidamento. "Che la maggiore quantità di sostanza vitrea del primo gruppo dipenda da ciò, che questa sostanza s’è intercalata tra gli elementi cristallini, per la subitanea solidificazione della pasta del magma che si trovava all’ esterno ; mentre la massa in- * terna sarebbe microfelsitica perchè gli elementi cristallini della roccia si sono formati lentamente dal magma solidificatosi meno rapidamente. Quindi l’autore ritiene che il nome più appropriato a tutto il complesso delle tre varietà che ha studiate sia quello di tra- chite contenente ipersteno e labradorite , la quale sui margini s’avvicina alla lip avite, oppure all' andesite. Premesso che non è facilmente determinabile la direzione della spaccatura dalla quale eruttò il magma, il Williams opina che sia sulla linea tirata da nord-est a sud-ovest, sulla quale, stanno 413 Note a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. le sorgenti termo-minerali di San Filippo, le sommità maggiori della montagna (vetta principale, Poggio della Montagna, Poggio Pinzi), ed alla estremità sud-ovest coincidono emanazioni di gas idrogeno solforato. La trachite si adagerebbe a modo di anticlinale sull’ asse di questa linea, avente nei punti estremi, dove la spac- catura non è più coperta, emanazioni di attività interna. La vetta principale del monte coinciderebbe col centro dello spandimelo. Poiché l’Annata non presenta una formazione craterica defi- nita, nè in alcun punto di esso si riscontrano scorie o ceneri, il Williams conclude sembrargli che il magma sia fluito allo stato di pasta scorrevole sopra la sottostante formazione eocenica allorché traboccò dalla spaccatura, e che con questa sola ed unica eru- zione ebbe termine l’attività vulcanica del monte Amiata. La lettura dell’estratto, del quale ho dato il riassunto, per prima cosa m’ha fatto pensare se la soluzione del problema sui rapporti tra le due qualità di trachiti, che compongono la forma- zione più antica della montagna Cimina, sia suscettibile d’essere tentata nel modo medesimo. Le circostanze non permettendomi di fermarmi su tale meditazione, ho preso a controllare colle mie note stratigrafiche l’ultima parte, che riguarda la fenditura e l’e- ruzione del vulcano. Sull’altro soggetto riferirò solo, che mi colpì una osservazione fatta alle fornaci di laterizi tra Bagnaja e So- riano, dove vidi il pliocene a contatto colla trachite a grandi felspati, senza distinguere interpolato il grosso banco della varietà chiamata peperino, o tutto al più apparendovene uno di assai pic- colo spessore. Io allora supposi che quel banco fosse stato abraso, ma forse la ragione della mancanza può essere diversa. Neanche il Williams ha veduta la formazione della quarta varietà di trachite da me segnalata, sicché la sua supposizione che l’eruzione della trachite con ipersteno e labradorite sia stata sola ed unica non è accertata. Sia miocenica, sia post-pliocenica, altra eruzione credo testimoniata da quella lava. Circa al supposto asse di rottura, osservo che la sua estre- mità nord-est non solamente coincide bene colle sorgenti termali di San Filippo, ma anche colla faglia del nucleo mesozoico del Poggio Zoccolino, e quindi mi sembra che vi siano dati da po- terla ritenere come un punto fisso : tantoché già io stesso avevo 414 A. Verri altre volte segnalato quel punto. È un fatto che l’asse supposto dal Williams incontra le elevazioni principali della massa trachi- tica, ma non è esatto che la vetta principale della montagna coin- cida col centro dello span dimento. 11 vertice della montagna è ravvicinato alla pendice orientale in modo, che la sua distanza dalla base della periferia trachitica sta ad un y3 del diametro verso oriente, e tale proporzione si conserva anche nell’asse tracciato dal Williams : chilometri 6,500 circa dal vertice al punto periferico occidentale ; chilometri 3,300 circa dal vertice al punto periferico orientale. È altresì vera la coincidenza della estremità occidentale di quell’asse con emanazioni d’idrogeno solforato ad Ajole : ma non credo che questa coincidenza possa dare un punto di grande importanza, perchè nel territorio abbondano analoghe manifestazioni di attività interna, proveniente da spiragli in comunicazione col vecchio cratere. È sempre un dato di qualche valore, ma lo con- sidero come accessorio. Il prolungamento sud-ovest dell’asse incontra la catena del monte Labbro coperta dai calcari nummulitici, nè ho veduto in quelle rocce segni che indichino spostamenti di masse, quantunque abbia esaminata la catena per questo scopo ; e non credo che una rottura capace di dare sfogo ad una manifestazione di attività, quale la presenta il monte Amiata, potesse essersi fer- mata appena fuori dall’espandimento trachitico. Dalle disposizioni stratigrafiche delle formazioni sedimentari imbasauti la trachite, non ho tratto criterio alcuno per giudicare come era disposto il terreno al momento della eruzione : da un passo all’altro, ora si vedono quegli strati inclinare verso il monte, ora verso l’esterno; ora mostrano un orientamento, ora l'altro. È- così non solamente là, ma dapertutto nei monti adiacenti : nè po- trebbe essere a meno in una massa nella quale abbondano rocce ofiolitiche e marnose della creta, o almeno dell’eocene inferiore, per i contorcimenti indefiniti, che vi tormentano la stratificazione (*). Però abbiamo altri criteri per rilevare la topografia antica. Le misure prese nel piano di contatto tra la trachite e le rocce sottoposte mi hanno segnate le seguenti quote. p) Per la questione sul piano delle ofìoliti amiatine vedasi : Rapporti tra le formazioni con ofìoliti dell'Umbria e le brecce granitiche del Sannio. Boll, della Soc. geol. ital. 1887. Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 415 Perimetro orientale — Controforte del Poggio Zoccolino 1115, e controforte appresso verso sud 1059 — Abbadia San Salvatore 795 — Pian Castagnaio 773 — Passo del contro forte del monte Ripaccioli 945. Perimetro occidentale — Ferriera prima di Castel del Piano 534 — Castel del Piano 613 — Arcidosso 647 — Ajole 820 — Santa Fiora 647. Perché sia apprezzato giustamente il valore delle quote dei punti di contatto, faccio osservare : 1. — Che le quote del passo sul contro forte del monte Ri- paccioli e di Ajole coincidono con terreno che sale verso l’esterno della montagna, formando dorsi di collegamento con altri monti : peroni l’esportazione della trachite avrebbe prodotto l’effetto di abbassarle ; 2. — Che le altre coincidono con terreno che scende verso i piedi della montagna, formandone la pendice : quindi l’abrasione della trachite vi avrebbe prodotto l’effetto di rialzarle ; 3. — Che contuttociò si vedono le seconde più basse delle prime, ad eccezione di quelle sull’innestamento del Poggio di Zoc- colino colla montagna : che però quella località ha un carattere eccezionale per la prossimità dello sperone, il quale collega il monte Annata col proseguimento della catena montuosa, che si prolunga verso Castiglion d’Orcia. Percui, se le quote sul dorso del Poggio di Zoccolino appartengono al secondo gruppo, per le deduzioni che ne trarrò porgono criteri simili a quelle del primo. Tantopiù se si considera che la trachite dista dalla cima di quel poggio circa 2600 metri, e che quella cima ha la quota di 1019 : sicché, anche quando lo spandimento fosse arrivato tin là, avrebbe avuto sempre un livello molto superiore a quello degli altri luoghi. Prima di trarre le deduzioni da questo rilievo altimetrico dirò, die in tre luoghi sgorga copiosa l’ acqua nel piano di con- tatto tra la trachite e le marne sedimentarie : all’Abbadia nel ver- sante orientale; a Santa Fiora nell’angolo sud-ovest; presso la Ferriera vicina a Castel del Piano nell'augolo nord-ovest. Adunque le osservazioni altimetriche e sulla idrografia sotter- ranea ci mostrano il terreno sottostante alla trachite così disposto : 1. — Una cresta, il cui asse segna un tracciato curvilineo, che dal poggio di Zoccolino viene al monte Ripaccioli. Questa zona 27 416 A. Verri segna un impluvio verso il centro, dove le acque scaturiscono al- l’ Abbadia San Salvatore. 2. — Una cresta, la quale, partente dal monte Labbro, pel Poggio Corradola e per Ajole va ad incrociarsi colla prima, costi- tuendo due impluvi nel mezzo dei settori : uno alle sorgenti del fiume Fiora sotto quel paese ; l’altro presso la Ferriera al nord di Castel del Piano. Questa seconda cresta che traccio coincide colla linea di rottura tracciata dal Williams. Quindi un rilievo con tre valli, coincidente la cima del ri- lievo nel mezzo dell’attuale massa tracliitica. Tenuto conto di quella disposizione preesistente, le altimetrie del piano di contatto, tra la trachite e le rocce sedimentarie, ci ac- cusano una inclinazione in massima da est verso ovest, e parti- colarmente da nord-est verso sud-ovest, di molta entità, e tale che al nord-est il piano di contatto sul Poggio Zoccolino (1115) è di poco inferiore all’altezza massima della trachite verso sud-ovest (Poggio Pinzi 1159). Invece è appunto dalla parte di nord-est che troviamo un ramo della trachite più allungato : il ramo che giunge al villaggio del Vivo. Se il sollevamento post-pliocenico fosse stato orizzontale, colle differenze di livello indicate, dubito assai che l’espandimento trachitico avesse potuto prendere la disposizione che ha ; e quindi induco senz’altro come più probabile che il solleva- mento della montagna sia stato inclinato : conclusione alla quale conducono concordemente le altre osservazioni che esporrò. Per completare il rilievo del terreno preesistente alla eruzione trachitica prendo un orizzonte stratigrafico : il piano dei calcari nummulitici, i quali posano sulla formazione contenente le ofioliti. Ad ovest ho trovato il piano inferiore di quei calcari sulla catena del monte Labbro alla quota massima di 1008 ; ho veduta la massa inclinare verso il monte Amiata (quota della vetta num- mulitica del monte Labbro 1187). Mancano i calcari nummulitici quasi da per tutto nel piano di contatto tra la trachite e le rocce sedimentarie. Mancano ad est nella pendice del monte Amiata sottostante alla massa trachitica, e dapertutto dove si vedono sco- perte le rocce preplioceniche tra il monte Amiata e la catena del monte Cetona. Al nord-est li ritroviamo a Campiglia d'Orcia molto 417 Note a scritti sul pliocene Umbro-Salino ecc. in basso sotto il livello della montagna amiatina, ed inclinati verso la valle : al piede di quel ramo segnai presso Canapiglia d’Orcia la quota 692. Al sud i banchi nummulitici coronano i monti di Castellezzara, eppoi scendono inclinati per i monti dell’Elmo nella valle del Lente presso Sorano (quota dei monti di Castellezzara 1004, quota di Sorano 481). Là scompaiono sotto le rocce plioce- niche e vulcaniche, per riapparire poco dopo a costrurre il poggio di Sorano. Dunque i capisaldi del piano nummulitico ce lo mostrano al nord ed al sud disposto secondo una anticlinale, i cui rami ascen- dono verso il monte Amiata; dalla catena del monte Labbro an- dando ad oriente, ci mostrano il calcare inclinato verso la depres- sione tra il monte Amiata e la catena del monte di Cetona eppoi una vasta denudazione di quella roccia. Questa denudazione evidentemente preesisteva all’eruzione della trachite, ma la disposizione anticlinale nord-sud non credo preesistesse. Difatti al nord ed al sud decrescono ed iu modo diverso i livelli della sedimentazione pliocenica : percui questo profilo nord-sud in- dica che nel sollevamento post-pliocenico la massa amiatina per diversità nelle pressioni non fu portata in atto secondo un piano orizzontale; ma con innalzamento maggiore nel settore nord-est. Come prova sussidiaria di questa supposizione abbiamo anche il fatto che la quota del piano imbasante il nummulitico al monte Labbro, benché sia conservato dal coperto di quei calcari, è più bassa almeno di 100 metri che non nel controforte del poggio Zoccolino, dove il piano è scoperto. Questo fatto ha solo valore relativo, ma appunto perciò ho detto che lo accenno come prova sussidiaria. I calcoli sul profilo est-ovest mostreranno che l’incli- nazione del movimento nel monte Amiata fu più complessa, ma attendo a parlarne più avanti, perchè mi si coordinano con altri fenomeni relativi alle fasi della vulcanicità. Compiendola intanto colle osservazioni esposte, la topografia antica m’appare così disposta. Una catena principale formata dalle catene attuali del monte Labbro, dei monti di Castellezzara e dell’Elmo, interrotta dal corso della Fiora. Da quella catena par- tiva un controforte diretto a nord-est, il quale, per rinterruzione della catena sul corso della Fiora, ad un certo punto era stato diviso in due diramazioni. Una delle diramazioni pel poggio di 418 A. Verri Corradola veniva ad unirsi al monte Labbro; l’altra, pel monte Ripaccioli, per la Eoccaccia veniva ad unirsi al monte di Castel- lezzara. Il punto d’unione delle creste delle due diramazioni coin- cideva col centro della massa trachitica sul luogo dove oggi sorge il Poggio della Montagna, e da là la cresta del controforte andava al poggio di Zoccolino. Lasciata da parte pel momento la diramazione del controforte dal monte Labbro al Poggio della Montagna, supponendola gene- rata esclusivamente dalla corrosione delle acque per l’inalveamento della Fiora e della Zancona, interessa ricercare le cause che pos- sono aver formata la cresta dal poggio di Zoccolino al monte di Castellezzara. Ho già indicato altre volte una linea nella quale osservo i seguenti fatti. Sul monte Malbe, vicino Perugia, i calcari liasici non appartengono più alle formazioni tipiche dell’Àpennino, ma a quelle della zona Tirrena ; il monte Malbe presenta una faglia ri- spetto alle altre formazioni, e la grande formazione dei travertini al suo piede indica che nel post-pliocene doverono sgorgarvi copiose sorgenti minerali. Passando alla Valdichiana, sulla linea trovo il pliocene maremmano delle colline, le quali dividono per metà quella vallata, più basso con salto marcato di 200 metri circa del pliocene litorale di Città della Pieve ; a destra e sinistra stanno i laghi del Trasimeno e di Chiusi-Montepulciano, la presenza dei quali non si spiega coll’azione delle forze esterne. Dipoi vengono le testate delle roccie mesozoiche dei monti di Cetona e Chianciano disposte in modo da accusare delle faglie ; in quei dintorni i traver- tini di Sarteano mostrano un’attività di sorgenti minerali oggi ces- ' sata: attività che però si mantiene ancora nelle sorgenti termo- minerali di Chianciano. Dopo vengono le sorgenti termo-minerali di San Filippo, e l’adiacente faglia della massa mesozoica di Zoc- colino, colla quale la linea s’interna nel masso trachitico con di- rezione da nord-est a sud-ovest. Tanti segni mi fanno supporre che la linea, passante pei punti indicati, sia una linea continua di rottura. Al sud-est del monte Amiata trovo vicine alla trachite le miniere di cinabro nella valle superiore del torrente Senna, presso Pian Castagnaio ; le miniere di cinabro nella valle superiore del 419 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. torrente Siete, vicino Castellezzara ; nonché diverse sorgenti mine- rali. Scendendo più al sud, vidi nelle ripe del torrente tra Mon- torio e San Giovanni una massa di tufo vulcanico approfondarsi dentro al pliocene, senza che la cavità riempita dal tufo richiami una valle scavata dalle acque. Poi la linea condotta per quei punti passa in mezzo ai crateri Yulsinii e da là va ai crateri Cimini. Anche su questa linea appaiono dunque segni di una fenditura continuata. L'unione delle due linee passerebbe sotto la massa trachitica ad est della cresta del controforte preesistente all’ eruzione. La prima origine adunque di quella cresta sarebbe stata una faglia, e mi sembra che questa faglia rappresenti la fenditura principale per la quale fu determinata l’eruzione trachitica. Fenditura che non esclude l’esistenza di altre linee di rottura irradianti, e su questo proposito ho espressa più volte la convinzione che per la formazione d'un cratere sia necessario l' incrociamento su quel punto eli più linee di rottura, coi piani delle masse convenien- temente disposti. Però non ho osservazioni per poter convergere da altre parti sul cratere Amiatino quelle linee con sicurezza di dati. È certo d’altronde che la zona Tirrena ci presenta le masse tutte rotte e disarticolate lino da tempi assai antichi: assai più della zona Apenninica corrispondente, e ciò per i molto maggiori e di- versi movimenti cui fu soggetta. Quindi è molto probabile che altre linee di rottura convergano verso il cratere del monte Amiata. Si potrebbe supporre che una di quelle linee di rottura si diriga al monte Amiata anche per la valle della Fiora, tanto più che all’origine della valle abbiamo copiose emanazioni d’idrogeno sol- forato nel fosso della Scabbia, e la Fiora passa al piede delle montagne triasiche di Castro, vicino al monte Fumaiolo così detto per la presenza d’una stufa, ed accanto alle lave di Mon- talto 0). Adunque alla fine del pliocene il monte Amiata avrebbe for- mata un’appendice della catena, la quale limitava ad ovest il (i) II torrente Scabbia è chiamato così perchè i pastori ne adoperano le acque minerali per curare le pecore affette da quella malattia. 420 1. Verri golfo che da Siena si protendeva al territorio Yulsinio ; appendice sollevata sul livello di quel mare, ma non di molto ('). Nel modellamento attuale della montagna, oltre al modo ec- cezionale del sollevamento, oltre alla erosione meteorica ed alla corrosione delle acque correnti, ritengo abbia avuta gran parte la topografia primitiva. Le altitudini maggiori della massa trachitica corrispondono alle creste del sistema topografico che ho sbozzato, e questa coincidenza m'è spiegata facilmente dal modo come po- teva avvenire l’ eruzione e dalle fasi di consolidamento successive. Suppongo il magma traboccante da un cratere centrale, e coprente con una gran cupola il territorio circostante. Intanto che si effettuava il consolidamento, quella densa pasta ebbe tempo di scorrere poco a poco, più o meno avanti, sui piani inclinati delle valli, lasciando così sulla superficie superiore dei dorsi a model- lare le creste sepolte. Come avviene nelle trachi ti di eguale specie del Cimino, nè da me nè da altri che io sappia, è stato notato segno di altera- zione per contatto nelle roccie sottostanti. Le trachiti scoriacee del piano delle Macine potrebbero es- sere affioramenti di eruzioni mioceniche ? A priori non credo che si possa negare in modo assoluto. Non si può opporre la mancanza di ciottoli trachitici nei sedimenti pliocenici, perchè questi ad est mancano fino a grande distanza; perchè le trachiti potevano es- sere poste nel versante occidentale del rilievo, dove il pliocene si trova ancora molto più lontano: percui la formazione di spiaggia che poteva contenere quei ciottoli è da per tutto abrasa. Neanche credo che vi osti l’acidità minore di quella roccia in confronto delle trachiti post-plioceniche, perchè ho narrato che il Lotti trovò * intruse in queste rocce anche meno acide. D’altra parte se il cri- terio dell’acidità è applicabile ad una serie di eruzioni continuate in un periodo geologico, non so se lo possa essere quando tra le eruzioni stanno interpolate distanze di tempo tali, ed avvenimenti sismici di tale importanza, quali quelli delle oscillazioni dal mio- cene al post-pliocene. t1) Nonostante la demolizione operata dall’intersecarsi dei semiconi di corrosione della Pagliola e del Forinone, la quota del pliocene sulla pendice est è 657. 421 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. Non insisto però sulla miocenicità della trachite del Piano delle Macine: la accenno solamente per presentare tutti i lati dello studio del quale procuro tracciare le basi. Ho indicato come i rilievi del calcare nmnmulitico e del pliocene concordemente segnino nel sollevamento del monte Amiata un movimento anticlinale nella sezione nord-sud, ed ho accennato che ritengo un tale sollevamento posteriore alla eruzione trachitica. Se esaminiamo il profilo est-ovest, ci appaiono le seguenti altitudini nel livello del pliocene: Città della Pieve — sabbie e ghiaie litorali 525 Monte Cetona — zona dei litofagi sul versante orientale. . 742 Radicofani — marne Q) 770 In questo profilo è da notare che la zona dei litofagi ci dà un caposaldo quasi assoluto; che il piano di Città della Pieve è composto da roccia molto più resistente che non le marne di Ra- dicofani ; che la figura topografica dei due territori indica a vista d’occhio che a Kadicofani devono guadagnare assai più le forze abrasive; che ad ogni modo il piano di Città della Pieve segna una formazione di spiaggia, mentre quello di Radicofani accusa una certa profondità marina. Quindi la quota di Radicofani nella valutazione delle ordinate del profilo dovrebbe essere rialzata. Per pino passatempo di curiosità ho fatto il calcolo seguente: poste per quote fisse il punto più elevato dell’altipiano di Città della Pieve e la zona dei litofagi del monte Cetona; essendo circa 22 chilometri la distanza dalla quota di Città della Pieve a Ra- dicofani, 12 chilometri quella fino alla zona dei litofagi, risulte- rebbe l’altitudine del pliocene a Radicofani 923 metri, poco più dell’attuale altimetria del picco vulcanico. Un poco più avanti, eppoi nell'articolo che parla del vulcano di Radicofani dirò come devono essere intese tali valutazioni. Proseguendo per ora l’esame della sezione, troviamo la tra- ci Le misure prese coll’aneroide nelle due volte che sono andato a Ra- dicofani m’hanno data una certa differenza, risultandomi una volta l’altitudine delle marne fino ad 800 metri. Ho preferito citare la più bassa calcolata colla differenza di livello tra la cima del picco ed il piano nord delle marne. 422 A. Verri cinte Del versante orientale del monte Annata ad un piano non molto superiore di quello del pliocene di Radicofani, dal quale il perimetro trachitico dista poco più di 7 chilometri ; ma assai più bassa è nel versante occidentale (fino 236 metri), mentre è pro- vato che il terreno imbasante la trachite non fu sommerso dal mare pliocenico, mancando questa sedimentazione tra la trachite e le rocce più antiche. Dipoi abbiamo sul controforte della montagna punti ancora più bassi tutti privi di pliocene, e ritroviamo questo vicino al mare a non molta elevazione. Tale diversità sensibilis- sima di altimetrie non si può certo spiegare con diversità di abra- sione, ed a mio avviso prova che il monte Àmiata e suo contro- forte occidentale nel sollevamento post-pliocenico s’elevò pur anche inclinato da est ad ovest, e che il profilo generale di quel solle- vamento presenta una linea anticlinale col vertice sul vulcano di Radicofani, come ho sempre ripetuto. Il profilo occidentale che ho dato sta in armonia colle linee generai: del sollevamento post-pliocenico dell’Italia centrale, le quali ci mostrano sempre i sedimenti pliocenici con altimetrie de- crescenti verso il Tirreno. Le carte geologiche ci presentano il monte Amiata e suo spe- rone occidentale come un’isola pliocenica. Per lo studio dei mo- vimenti di quest’isola è interessante la sezione del pozzo san Gia- como nelle cave di lignite della Velona; sezione che trovo tra le mie Note tratta dal Campani ('). Terra argillo-sabhiosa con ciottoli rimaneggiati 0 00 Ciottoli e gliiaja prevalentemente calcarea, ar- gilla turchina con rari avanzi eli molluschi d’acqua dolce 3 00 3 00 Melassa calcarea con ciottoli 4 40 7 40 Gonfolite calcarea 3 60 11 00 Argilla turchina compatta con rari avanzi di molluschi d’acqua dolce 4 70 15 70 Argilla plastica cenerognola 9 30 25 00 (’) I combustibili fossili della provincia di Siena. Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. 428 Argilla turchina con frammenti e straterelli di 1 lignite 29 00 54 00 Argilla plastica cenerognola 7 00 61 00 Glauconia grossolana 3 30 64 30 Argilla con frammenti di lignite 2 10 66 40 Argilla con blocchi erratici di lignite . . . 23 60 90 00 Argilla con strati di lignite e tronchi erratici petrificati 12 00 102 00 Argilla compatta cinerea 4 00 106 00 Marna terrosa 10 00 116 00 Lignite stratificata nell’argilla 4 00 120 00 Argilla turchina 3 00 123 00 Ardila plastica cenerognola 5 00 128 00 Marna ferruginosa con ghiaje e ciottoli . . . 16 00 144 00 Argilla turchina con straterelli di lignite . . 3 20 147 20 Argilla plàstica cenerognola 9 30 156 50 Marna terrosa 1 70 158 20 Calcare fetido 0 65 158 85 Argilla plastica cenerognola 4 00 162 85 Calcare fetido 7 00 169 85 Argilla turchina 5 10 174 95 Calcare fetido 2 50 177 45 Argilla turchina 9 30 186 75 Argilla plastica cenerognola 8 40 190 15 Calcare fetido 1 33 191 48 Argilla turchina 5 25 196 73 La stazione ferroviaria del monte Andata, situata nella valle dell’ Orda, ha il piano alla quota 172,28; il piano del terreno sul quale è scavato il pozzo è pochi metri più elevato. Adunque in quella valle, al piede del monte Andata si scende fin sotto al li- vello del mare incontrando sempre una formazione mio-pliocenica , ossia di preparazione all’ invasione del mare pliocenico, prima d’in- contrare il fondo della valle antica formato dalle rocce sedimen- tarie ed ofiolitiche, che compongono la montagna amiatina. 424 A. Verri Si osserverà che, con tutti questi movimenti in vario senso del terreno che l’ imbasa, la massa trachitica dovrebbe presentare delle fratture che nessuno ha segnalate. Rispondo che non mi sem- brano una conseguenza necessaria del modo come il terreno s’ è mosso — che, posto ancora che vi si dovessero produrre, era dif- ficile avvenissero con scorrimento di parti che le renda visibili per discordanze nella linea periferica — che la qualità pressoché omo- genea della massa, la facilità con cui si disgrega all’azione me- teorica può nasconderle. La parte superiore della montagna si pre- senta come un immenso accatastamento di blocchi enormi, e quel- l’ accumulamento di rottami, prevalente nel settore nord-est, po- trebbe forse anche derivare dal rialzamento prevalente di quel settore. Per esporre con semplicità il concetto dei movimenti avve- nuti nel territorio, nel sollevamento post-pliocenico, ho ragguagliato con piani inclinati la disposizione delle masse; ed in altri scritti ho persino riassunti quei movimenti colla espressione 'd’un solle- vamento conico, il cui vertice sia rappresentato dal picco di Ra- dicofani. Non vorrei che la mia idea fosse fraintesa, e si credesse che io ritenga alla lettera il movimento avvenuto con un rigon- fiarsi uniforme del terreno attorno quel punto. Secondo me i fram- menti disarticolati nei quali è rotta la zona tirrena, deprimendosi: al nord nel Valdarno, all’est nella conca Umbra, al sud nel si- stema dei crateri Vulsiuii, all’ovest nel Tirreno, hanno spinte in alto le masse interne grado a grado, finché i frammenti più ele- vati sono giunti al punto cui è il picco di Radicofani. Così, per esempio — tanto più che neanche la montagna di Cetona per le sue rocce appartiene al tipo apenninico ma bensì al tirreno — credo che una linea di rottura passi eziandio lungo la Yaldichiana romana, e che il livello maggiore del pliocene su quella montagna in con- fronto del pliocene di Città della Pieve, sia dovuto, non ad una linea di pendenza rigorosamente continua, ma ad un salto. A sua volta la spinta che sollevava maggiormente la montagna di Cetona derivava dall’inclinarsi del sistema di Città della Pieve verso l’Apennino. Nell’ insieme abbiamo una vòlta costrutta con di- versi cunei; ed in un arco, per diversità di numero e di dimen- sioni dei cunei che lo compongono, non è difierente la figura ge- Note a scritti sul pliocene Umbro- Sabino ecc. 425 nerale, uè il giuoco delle forze che ne tengono in equilibrio gli elementi ('). Un movimento del genere di quello che ho delineato, nel quale le due masse ad oriente e ad occidente della linea che passa nella depressione tra il monte Amiata ed il monte di Cetona, si alzavano sul piano verticale che passa da nord a sud pel punto di Radicofani, restando più depresse alle estremità opposte doveva produrre schiacciamenti verso gli spigoli inferiori. La mancanza di segni esterni di rottura mi comprova simili schiacciamenti; ed a questi crederei attribuire la cessazione prematura delle manifesta- zioni di vulcanicità primaria nei crateri del monte Amiata e di Ra- dicofani, mentre gli altri vulcani al sud seguitavano le eruzioni colle lave leucitiche. La proiezione orizzontale dell’ espandimento trachitico del monte Amiata può essere inscritta in un rombo, le cui diagonali s’ inter- secano a circa 29°, 16', 40" di latitudine e 42°, 52', 20" di lon- ovest-sud-est è lunga circa 15 chilometri, e forma un angolo nord- ovest di circa 69° col meridiano; la diagonale nord-est-sud-ovest è lunga circa 12 chilometri, e forma col meridiano un angolo nord-est di circa 28°. Esce dal rombo il protendimene di tra- chite sul poggio sopra al villaggio del Vivo. La superficie com- plessiva della proiezione può calcolarsi approssimativamente ad 88 chilometri quadrati. Non ho dati per calcolarne lo spessore : certamente pel modo come ho mostrata la costituzione dell’ imbasamento, quello spes- sore è assai lontano dall’altezza enorme che, stando alle apparenze, la trachite mostrerebbe in alcuni luoghi. Dubito che si esageri f1) Tenuto conto delle irregolarità che dovevano derivare inevitabilmente dalla fratturazione delle masse imbasanti, le linee generali tracciate concor- dano colle osservazioni del Savi sui movimenti avvenuti dopo la deposizione del terreno pliocenico nella Toscana settentrionale, pur essendovi qualche di- vergenza nelle deduzioni. gitudine (Carta dell’Italia centrale all’— — — 8 6400 426 A. Verri molto assegnandole uno spessore medio di 100 metri: in questo caso si avrebbero un 8800 milioni di metri cubi. Anche ridotta questa cifra quanto si vuole, l’eruzione resta sempre imponentis- sima se, come opina il Williams è avvenuta in una volta sola. Vili. Mercalli, Le lave di Radicofani, Atti della Soc. it. di se. nat. Milano, 1888. Tra il monte Amiata e la montagna di Cetona, nel mezzo della vallata, già golfo pliocenico parallelo a quello della Yaldi- chiana, sbuca dalle marne di quel mare antico il picco vulcanico di Radicofani. La quota nelle carte è segnata con 911,20 in cima alla torre del castello di Ghino di Tacco celebre nelle cronache toscane. Il centro di questo vulcano dista dal centro della massa trachitica amiatina circa 13 chilometri. Dal Pareto al Mercalli molti geologi hanno visitato il biz- zarro avanzo del vulcano di Radicofani : anch’ io nei primi anni di questi studi pagai il tributo di curiosità, e ne riportai collezioni di rocce, di fossili, di note. Ma i tempi non erano propizi agli studi petrografici, e costretto a lasciare qua e là le raccolte senza ca- varne alcun costrutto, lasciai da parte anche le note come aveva fatto per quelle sui crateri di Bolsena e sul monte Amiata, spigolan- doci appena qualche osservazione speciale pei criteri sommari nelle indagini sulle rivoluzioni oroidrografiche del territorio. La circo- stanza di completare questa Rivista collo studio del Mercalli mi ' porge l’occasione di tirar fuori qualcun altro dei vecchi appunti dei miei scartafacci. Il Mercalli distingue due varietà principali nelle lave di Ra- dicofani. 1. Doleriti varianti dal nero al grigio più o meno scuro. Costituiscono gran parte del fianco sud-est, presentano clivaggio colonnare, e sembra che formino il nucleo e la parte più antica del vulcano. 2. Andesiti oliviniche , di colore grigio piuttosto chiaro e di colore rossigno. Costituiscono la massa predominante. 427 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. Le analisi chimiche eseguite dal Ricciardi danno le compo- sizioni: Dolerite Andesite Si 02 53,63 55,23 Ph2 05 0,93 1,33 SO, 0,62 0,84 CI tracce tracce Al, 03 14,17 14,06 FeO 8,07 4,12 Fe, 03 1,46 5,06 MnO tracce 0,57 CaO 8,52 9,34 Mg 0 7,05 4,00 K, 0 2,03 2,43 Na, 0 1,80 2,07 Perdite per calcinazione 2,01 1,07 100,29 100,12 Densità a 6° cent. . . 2,789 2,683 Oltre a quelle lave compatte, il Mercalli nota una lava in massa scoriacea , ossia assai porosa e quasi spongiosa di color rosso mattone cod irregolari macchie nerastre, molto sviluppata sulla cima del cono. Ed in connessione a questa lava ammassi di lapilli e scorie rossastre, le quali sono la forma detritica delle lave rossa- stre scoriacee. Soggiunto in annotazione che il Brocchi ed il Procaccini Ricci hanno indicate a Radicofani lave con leuciti, osserva che nè egli, nè il Rath ve ne hanno trovate. Il Mercalli ritiene che la parte di cima verso nord, sulla quale sono le lave scoriacee, i lapilli, le scorie rappresenti la bocca eruttiva; che l’immenso numero di grossi massi di rocce vulcaniche sparsi tutt’ attorno al poggio, fino ad alcuni chilometri di distanza, siano stati lanciati dal vulcano in una delle sue ultime eruzioni parosismali, e che questa sia la causa originale deH’accumulamento lineare di massi che si distacca dalla parte di cima verso nord, 428 A. Verri nel quale vorrebbe riscontrare una di quelle correliti a rottami o corrente a blocchi , che il Gemellaro distingueva anche tra le lave dell'Etna. Circa al periodo di eruzione, è d’opinione che le lave di Ra- dicofani rappresentino la seconda fase del vulcano Amiatino, il quale diminuendo l'acidità dei suoi prodotti, avrebbe spostato l’asse eruttivo alcuni chilometri verso est — che le eruzioni siano post- plioceniche, quantunque in nessun luogo abbia potuto constatare fenomeni di metamorfismo esercitati dalle rocce vulcaniche sulle marne. Il Lotti in una lettera riferita nello studio micrografico sulle rocce eruttive di Radico f ani, eseguito dal Bucca, scrive « Il fatto che varie sorgenti d'acqua scaturiscono tutt’ intorno alla massa erut- tiva presso il contatto colle argille plioceniche circostanti, sembra dimostrare che almeno in gran parte questa massa ricopre le ar- gille e non costituisce per intero un dicco eruttivo. — È poi degna di nota la presenza di blocchi di andesite grigio-chiara e rossastra, alcuni dei quali possono raggiungere un volume di oltre 10 metri cubi, sulla cima di collinette argillose poste alla distanza di un qualche chilometro dal picco, o ad esso di poco inferiori in al- tezza. Tali accumulamenti non possono considerarsi quali fram- menti staccati e franati dal massiccio eruttivo, essendone disgiunti da depressioni notevoli, neppure è da supporsi che ciò sia avve- nuto in epoche remote quando tali depressioni non esistevano, perchè ad ogni modo la distanza comparata colla differenza di livello non dà un piano inclinato sufficiente pel rotolamento di tali blocchi. E quindi da ritenersi probabile che un tempo la massa eruttiva di Radicofani fosse assai più estesa, e che queste accumulazioni di frammenti non siano che residui in posto della stessa « (’). Le poche mie note sono: 1. Dalla valle della Paglia al picco di Radicofani, il pliocene si mostra scoperto per circa 470 metri d’altezza (quota del ponte sul Rigo 300). Nella zona inferiore è difficile il trovamento dei fos- sili, tanto sul monte di Radicofani che nel contiguo pliocene di (i) Boll, del Com. geol. it. 1887. 429 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. Celle, San Casciano del Bagni, ecc. Abbisognerebbero ricerche più comode di quelle che io potei farvi ; ma, quantunque non trascu- rassi del tutto di esaminare il terreno, nulla raccolsi. I fossili abbondano invece sulla zona superiore, ed a me sembrò che ne aumenti l’abbondanza quando ci si avvicina alla catena della mon- tagna di Cetona. In complesso raccolsi nel territorio tra la valle superiore della Paglia e la montagna di Cetona-San Pietro le seguenti specie classificatemi dal Foresti. Quelle segnate con aste- risco furono raccolte vicino al masso vulcanico. Lithothamnium. Amplmtegina hauerina D’Orb. ('). Cladocora caespitosa D’Orb. Dendrophyllia cornigera Michln. Serpula sp. Ditrupa incurva Ren. Terebratidina sp. * Terebratida Regnolii Mngh. » ctmmdla Br. j. Ostrea coclear Poli. » Boblayi Desh. « lamellosa Br. » plicata Chmn. » sp. * Pecten latissimus Br. « varius L. » opercularis L. * » dubius Br. * « inflexus Poli. Vola Jacobea L. * Lima hians Gml. Spondylus gaederodopus L. » crassicosla Lk. Perna Soldanii Desh. (l) Il calcare ad amphistegina forma un grosso banco sopra alle marne plioceniche addosso alle rocce mesozoiche della montagna di Cetona, e fascia la montagna ad est, nord, ovest. 430 A. Verri Pinna tetragona Br. Anomalocardia diluvii Lk. Pectunculus pilosus L. » glycimeris L. Limopsis aurita Br. Laevicardium fragile Br. Lucina boreali s L. « spinifera Montg. » reticolata Poli. Isocardia cor L. Pecchiolia argentea Mar. Candita intermedia Br. » trapezio Brug. Venus multilamella Lk. * » fasciata Donov. Corbula gibbo Olivi. Iouannetia rugosa Br. ('). Murex craticulatus Br. » Veranyi Paul. Ranella marginata Mort. Nassa semistriata Br. Phos poligonus Br. Ring incula buccinea Br. Colombella thiara Br. Conus antidiluvi anus Br. Pleurotoma rotata Br. » turricula Br. Surcula dimidiata Br. Brillia Allionii Bell. Clavatula romana Dfr. Pseudotoma Bonellii Bell. Dolichotoma cataphracta Br. Natica elicina Br. « millepunctata Lk. (!) Trovata dentro il calcare mesozoico nella zona dei litofagi ad est del monte di Cetona. 481 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. Cerithium vulgatum Brug. » » var. minutum. Turritella tornata Br. » subangulata Br. Vermetus subcancellatus Biv. Scalaria lamellosa Br. » communi s Lk. * Solarium simplex Bronn. « millegranum Lk. Torinia fallaciosa Tib. Turbo rugosus L. Dentalium elephantinum L. » sexangulum Lk. » fossile L. Galeocerdo Egertonii Agass. Oxirina Desorii Agass. 2. Oltre ai blocchi di lava da tutti segnalati nelle parti elevate della formazione marnosa vicino al cono, ne ho trovati moltissimi sparsi sulla pendice ovest del monte verso il fiume Paglia, e ne ho veduti parecchi persino sul basso della pendice del monte Amiata, al di là di quel fiume, distanti 5 chilometri dalla roccia in posto. La quota del fiume sulla linea che congiunge il picco a quegli erratici mi risultò di 550 metri (350 metri circa sotto la cima del picco). 3. Non solo non ho mai veduto indizio che faccia sospettare che quei blocchi fossero intrusi nelle marne plioceniche, ma per quanto abbia guardato appositamente sulle ripe dei burroni sotto- stanti al picco, mai ho veduto dentro quelle marne un frammento qualunque di lava. 4. Neanche io ho veduto segni di metamorfismo nelle marne a contatto delle lave. 5. Per quanto abbia guardato, non ho potuto rilevare segno alcuno di sconvolgimento nel complesso della formazione pliocenica. Non so da cosa derivi, ma è un fatto che le marne del pliocene nel subapennino tirreno non mostrano i piani di schistosità, che ho veduti nell’Abruzzo sulle marne del subapennino adriatico. Può essere che l’omogeneità delle masse, la loro qualità saldi le frat- ture, e tolga così di riconoscerne facilmente i disturbi. 28 432 A. Verri 6. Apprendo dal Lotti l’ esistenza di varie sorgenti che scatu- riscono tutto attorno alla massa eruttiva, presso il contatto colle argille plioceniche. Però volendo studiare come si presentavano le sorgenti su quel territorio, visitai la Fonte di Radicofani, e rilevai che era vicina alla massa di blocchi lavici accatastata al piede del picco; che la fonte sta circa 146 metri sotto il piano superiore del picco ; che tra gli sfasciumi abbondano le rocce scoriacee. Non- dimeno la potenza ed estensione di questo ammasso non mi persuase che costituisse il bacino che alimenta la fonte ('). In complesso le osservazioni che ho riferite mi sembrano con- cordanti con quelle degli scrittori che ho citato, ed in qualche cosa ampliano l’orizzonte delle vedute. A me, la prima volta che lo viddi, il rudero vulcanico di Radi- cofani fece l’effetto d’essere il residuo d'un vulcano conservatosi nella fase stromboliana, e che la bocca del cratere fosse stata pres- soché sul piano dei sedimenti pliocenici. Pensai che l’abrasione di questi avesse lasciate scoperte le lave coagulate nel camino; che i massi di lava accumulati al piede del rudero fossero sfasciume prodotto dalle forze demolitrici esterne ; che i massi di lava sparsi sul territorio, parte fossero stati progettati dal vulcano, strappandoli dalle lave consolidate nel camino, parte provenissero dallo sfa- sciume del rudero ed avessero corso più o meno per le circostanze del terreno. Manifestai questo concetto in una pubblicazione semi- scientifica, e benché mi lasciasse dei punti oscuri lo aveva conser- vato fino ad ora (2). Colla scorta dei dati, coll’esame delle diverse opinioni inda- gherò adesso quali deduzioni mi appaiono per ricomporre quel- l'episodio del vulcanismo tirreno. Parto da una breve descrizione della topografia locale, e da alcune considerazioni di stratigrafia generale. (!) Tra gli appunti trovo che la marna pliocenica contiene dei banchi di ghiaja sciolta o cementata. Non mi riesce ricordare se questa annotazione deriva da mie osservazioni, o la abbia rilevata dalla lettura di qualche opera; nè le circostanze di quei banchi. Nondimeno la riporto perchè sia esaminato se è giusta, e se quei banchi, qualora vi siano, abbiano qualche rapporto colle sorgive. (2) Alcune linee sulla Valdichiana nella Storia della Terra. 1877. 433 Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino ecc. La porzione di massa pliocenica, sulla quale torreggia il picco vulcanico di Radicofani, e la quale rilega con una dorsale il monte di Cetona al monte Annata, è solcata profondamente dal fiume Orda e dal torrente Formone al nord; dal torrente Rigo e dal fiume Paglia al sud ('). Per questa disposizione idrografica, quella dorsale, sulla lunghezza di poco più che dieci chilometri, è inter- cettata a destra e sinistra del rudero vulcanico dai semi-coni di corrosione di quei corsi acquei, sicché il rudero spicca sull’orizzonte come torre sorgente su basamento conico. Questo basamento co- strutto dalle marne plioceniche è inciso a sua volta dai fossati confluenti nei corsi d’acqua principali, e quelli in un terreno di tale composizione scavano solchi profondi, sulle cui ripe produce grandi rovine l’azione meteorica e delle acque correnti. Ho già in- dicata la quota dell’alveo della Paglia immediatamente sottostante, e da quella alla cima del poggio marnoso si ha un’altezza di 220 metri circa ; più abbasso, al ponte sul Rigo, quel dislivello ascende a 470 metri. Feci osservare in altro scritto che nella Valdichiana le marne plioceniche formano una lente compresa tra le sabbie inferiori e le superiori (1 2). In quell’antico golfo somigliante disposizione è meglio visibile per la vicinanza del continente, e quindi per l’ abbondanza della sedimentazione fluvio-marina. Però probabilmente potrebbe estendersi in limiti minori alle altre nostre formazioni comprese in golfi di non grande larghezza. Nel golfo Senese meridionale forse mancano le sabbie inferiori, perchè vi abbiamo un periodo prepa- ratorio del marino con stagni mio-pliocenici. È certo però che la sommersione pliocenica si chiuse con un deposito di sabbie, perchè i capi saldi ne sono rimasti qua e là dapertutto. Ora mancano quelle sabbie sotto alle lave di Radicofani, nè v’è ragione che vi manchino per non avvenuta sedimentazione di tal materiale, perchè le abbiamo vicine a Celle, luogo pure situato nel mezzo del golfo come Radicofani. Le sabbie di Celle sono alla quota di circa 600 metri, inferiori cioè di 170 metri circa alle marne di Radicofani. (1) L’anione della dorsale pliocenica alle rocce antiche del monte Amiata è alla quota 657. (2) Azione delle forze nell'assetto delle valli. Bollettino della Società geologica italiana, 1886. 434 A. Verri Più volte ho avuto occasione di osservare il grande sfacelo che avviene nei banchi di rocce dure posati sopra rocce marnose, sfa- celo dipendente non soltanto da scalzamento della base, ma anche dai movimenti che per cause igrometriche si determinano nei volumi delle marne, e quindi dalle pressioni che queste esercitano coi ri- gonfiamenti su materiali in confronto incompressibili. Esempi bel- lissimi del genere mi sono apparsi: la distruzione del banco di calcari nummulitici sul monte Labbro (gruppo amiatino), per effetto dei movimenti delle roccie marnose con ofioliti sottoposte; la di- struzione del banco dei calcari miocenici deH’Alvernia (Casentino), pur essa per effetto dei movimenti delle rocce marnose con ofioliti sottoposte; la distruzione del banco dei calcari nummulitici nei poggi del Macerone (monti d’Isernia), soprastante a marne cretacee. A questi fenomeni mi sembra che si possano ragguagliare gli ac- catastamenti dei massi al piede del picco. Nè mi pare di poterli giudicare diversamente, considerato che una corrente a blocchi sa- rebbe discesa sulle pendici del cono, pendici oggi del tutto abrase, rimauendo in posto solamente una parte del nucleo solido. Già nelle correnti delle andesiti augitiche del Cimino aveva rilevato le lave a volte rotte in blocchi, quantunque posino su imbasamento resistente e stabile, quale potevano darlo le trachiti preesistenti. Con ragione maggiore potevano frammentarsi le cor- renti laviche di Radicofani posate su marne instabili, e per le proprietà igrometriche soggette a variazioni di volume, e quindi capaci di esercitare pressioni considerevoli e disuguali contro le masse rigide sovrapposte. Così mi pare di poter considerare alcuni accumulamenti lineari di massi, che scendono per qualche centi- naio di metri nel terreno circostante, come colate ordinarie dipoi * rotte in blocchi, piuttosto che come correnti originalmente a rottami. Convengo nella osservazione del Lotti che il piano inclinato della pendice non sia capace di produrre il rotolamento dei blocchi; però non mi sembra necessario il rotolamento per portarli a grandi distanze. Nelle colline addossate alle montagne spesso troviamo blocchi rocciosi staccati dal monte, mentre le condizioni del terreno mostrano impossibile che quei blocchi abbiano rotolato per andare dove sono. Ordinariamente neanche sul letto dei fiumi si può dire che i blocchi rotolino per la pendenza dell’alveo, contuttoché vi si aggiunga la spinta della corrente. Avviene in questi casi un 43.3 Isole a scritti sul 'pliocene Umbro-Sabino ecc. altro fatto che fa avanzare i massi, ed è lo scalzamento alla base : sull alveo del Po a Casale Monferrato, con pendenza di circa 0,44 per chilometro, camminano fino a grandi distanze i pesanti prismi a base triangolare delle gittate. Nel poggio di Radicofani abbiamo pendenza di 100 metri circa per chilometro, ed i massi con figura che non presenta la stabilità di posa di quei prismi : su terreni argillosi, come nel caso speciale, la natura stessa del suolo nelle circostanze di pioggia agevola lo scivolamento di blocchi massicci ancorché posati su piano poco inclinato. In questi medesimi ter- reni, che hanno poca stabilità, sono facili le frane, per le quali i blocchi sono portati ancora avanti ; più facili sono i tagli con ripe erte, per l’inalvearsi dell’acqua ora in un punto, ora nell’altro, deviazioni favorite dalla presenza medesima di quelle masse roc- ciose : quindi rovesciamenti nei burroni, e spinte per mandare i blocchi sempre più avanti. Ho creduta necessaria questa analisi per stabilire che non tutti i blocchi, i quali si trovano molto lontani dal centro eruttivo, ed hanno oggi interposte depressioni tra loro e l’antico cono, si deve ritenere che rappresentino un punto per dove passava la colata. Con tale supposizione si verrebbe a stabilire o che non vi sia stata abrasione di terreno nel punto occupato dal blocco ; oppure che questo, benché posto su un piano inclinato, benché poco alla volta gli venisse a mancare il sostegno, fosse sceso di livello senza spostarsi dalla verticale : idee ambedue assurde. Per rappresentare il posto della colata crederei che almeno abbisogni trovarvene una certa abbondanza. Poiché le leggi generali bastano a spiegare bene la presenza dei blocchi erratici sul territorio, mi sembra che si possa rinun- ciare all’idea di supporli lanciati dal vulcano, e considerarli come frammenti di colate spezzate e disperse in conseguenza dell’azione delle forze esterne sul terreno nel quale posavano. Quando anche si volessero considerare come lanciati dal vulcano, bisognerebbe sempre ricorrere all'azione delle forze esterne per comprendere le circostanze nelle quali si trovano : particolarmente quelli sulla pen- dice del monte Amiata. i quali posano su rocce preplioceniche, e stanno circa 300 metri più bassi della cima del cono antico di Radicofani. Anche questi in origine dovevano posare sul pliocene; a forza di abrasioni, i sedimenti pliocenici sono loro mancati sotto, ed i blocchi han finito per posare sulla formazione con ofioliti. *4 36 A. Verri Dal complesso dei fatti mi sembra dedurre che il vulcano di Radicofani abbia aperto il cratere quando il fondo pliocenico era già abbastanza sollevato, da aver dato tempo alla corrosione di denudare le marne dalle sabbie superiori. Il territorio sarebbe stato perciò già rotto dai corsi d’acqua, ma non tanto, ed avrebbe presentato nel complesso la figura d'un altipiano. Sopra questo alti- piano s’aprì il cratere, si formò il cono, e si diramarono le cor- renti laviche, una delle quali probabilmente sarebbe stata spinta fino a più di cinque chilometri di distanza: quella della quale ho trovati blocchi al basso nelle pendici del monte Amiata ('). Il movimento eccezionale delle masse, succeduto a quelle eru- zioni, avrebbe interrotta la comunicazione coll’esterno del centro di attività, come ho detto parlando delle fasi vulcaniche del cra- tere Amiatino. Il picco di Radicofani oggi rappresenta un rudero del camino del vulcano. Non credo che le lave potessero coagularsi costruendo un picco verticale alto circa 130 metri, tantopiù che non si tratta di una sola eruzione, se non fossero state trattenute da un riparo, il quale poteva essere formato dal cono eruttivo. Come in tutti i coni eruttivi gran parte della costruzione sarà stata fornita dai rigetti detritici, e di questi non manca il residuo, trovandosi an- cora in posto sopra al picco lapilli e scorie. La duplice eruzione con coagulamento di lave nell'interno del camino fa suppore che il diametro del cratere, quando avvenne la seconda, fosse di lar- ghezza abbastanza considerevole ; sicché con probabilità si può as- segnare alla base del cono finale quasi un migliaio di metri di diametro. Le osservazioni sulle sorgive indicherebbero che il picco attuale conserva ancora una parte del cono sovrapposto alle marne plioceniche. Resta sempre insoluto il problema come un materiale, qual è l’argilla, non presenti segni di metamorfismo al contatto delle lave, segni che io ho veduto costantemente nei contatti delle colate di andesite augitica colle altre trachiti del Cimino. O Rilevo pure da’ miei appunti che blocchi della lava di Radicofani, insieme a molti blocchi calcarei e qualche pezzo di trachite amiatina, sono sparsi sullo sperone del monte Amiata compreso tra i torrenti Indovina e Pagliola. 437 Aote a scritti sul pliocene Umbro- Salino ecc. Chiudo questo articolo accennando quali rapporti hanno col vulcano di Eadicofani le altre manifestazioni di attività interna nel territorio, e le disposizioni delle formazioni sedimentarie cir- costanti. Le distanze dai centri di attività interna che circondano il vulcano di Radicofani sono in cifre arrotondate : Dalle sorgenti termo-minerali di San Casciano dei Bagni. Km. ” "di Chianciano. » » di Yignoni. . » "di San Filippo . . . . » Dal centro trachitico del monte Amiata « " del cratere di Mezzano » " trachitico al nord del lago di Bolsena . . . » 10 17 19 8 13 32 26 Quali dei raggi rappresentati da quelle linee hanno più pro- babilità di coincidere colle linee di rottura ? Nessun dato diretto m’è riuscito di trarre dalla formazione che contiene le ofioliti, la quale costituisce la formazione più estesa nelle montagne ad est ed ovest di Radicofani. Talmente è sconvolta, che i passaggi da piano a piano si avvertono malamente, e non si sa se attribuirli a rotture o ripiegamenti. Invece i segni di rottura sono evidenti dove compaiono all’aperto le rocce Basiche. Il poggio di Zoccolino, presso le sorgenti minerali di San Filippo, segna come ho detto una faglia ; ma questa pare diretta verso nord-est, e fuori di Ra- dicofani. La montagna di Cetona segna una faglia alla testata nord, una inclinazione della massa verso il sud ; ed i calcari nummu- 1 itici, soprastanti alle formazioni con ofioliti nel proseguimento sud di quella catena, indicano che tutta, coi monti di Fichine, San Pietro, Àllerona prosegue ad inclinare verso mezzogiorno, ossia verso i centri di attività di Bolsena. Oltre a ciò la massa giura- liasica di Cetona mi sembra costituita da un piegamento a C degli strati, colla gobba del C verso Radicofani ; presso la faglia della testata nord abbiamo i travertini di Sarteano, i quali segnano un periodo di attività interna in quella contrada ; al sud, dove la massa giuraliasica scompare corrispondono le sorgenti termo-mine- rali di San Casciano, e queste sembra che si siano spostate an- cora più verso sud, lasciando a circa 2 chilometri al nord un banco di travertino. Al nord-est del monte Basico di Chianciano mi sem- 438 A. Verri. Note a scritti sul pliocene Umbro- Salino ecc. brò di vedere una faglia, e la massa del monte inclinare verso la faglia della testata nord del monte di Cetona : questa osservazione concorderebbe col fatto d'avere interposte tra i due monti le rocce con ofìoliti di Castiglioncello del Trinoro, e colle sorgenti termo- minerali di Chianciano scaturenti pure tra i due monti. Al nord infine altra faglia è segnata presso Rapolano, dove abbiamo pur anche altre sorgenti termo-minerali. Combinando questi punti, il lettore può sbizzarrirsi a tirare diverse linee attraverso quelle masse tutte rotte e disarticolate. Io crederei di prima importanza la linea Rapolano — Radicofani — Crateri Vulsinii, lungo la quale s’incontrano eziandio vicine le sorgenti termali di Yignoni, coadiuvata dall’incrociamento sul punto di Radicofani di qualcuna delle altre linee. È dubbio che esista una linea di rottura tra Radicofani e San Casciano dei Bagni, e forse l’attività di quelle sorgenti fu determinata dall’inclinazione al sud della montagna di Cetona, quando il sollevamento si pro- nunciò in modo eccezionale, e cioè con rialzamento maggiore verso il nord. Neanchè è certo che si abbia una linea di rottura diretta tra il cratere Amiatino e quello di Radicofani. Crederei però che i travertini di Sarteauo fossero stati costrutti da sorgenti termo- minerali attive contemporaneamente alle eruzioni del monte Amiata e di Radicofani, e fossero cessate con queste pel motivo medesimo : cioè pel sollevamento anticlinale che schiacciava al basso le masse nel piano di contatto, ostruendo perciò le comunicazioni dei centri di attività colla superficie esterna del terreno. Per la testata nord del monte Cetona passa difatti la gran linea di frattura, lungo la quale si disegna l’arco massimo est-ovest della vòlta, secondo cui fu sollevato il territorio tra la catena principale deU’Apennino ed . il mare Tirreno. A. Verri. CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL CATANZARESE (V. Boll. Soc. Geol. It. parte I, II 1887, parte III 1889). IV. Le colline di Santa Maria (!). Circa cinque chilometri a mezzogiorno di Catanzaro, si avvanza nella valle della Eiumarella una collina, che sopra le altre spicca per bellissima vegetazione dovuta a molte sorgive che escono dagli strati prevalentemente sabbiosi di quella altura (m. 207). Geologicamente il colle di Santa Maria non presenta maggiore interesse di qualunque altra collina pliocenica o postpliocenica, ma per la paleontologia T importanza è di molto maggiore, perchè nella parte più elevata troviamo un banco di calcare grossolano lionato postpliocenico (S aar i ano), talmente ricco di fossili, che senza esagerazione si può dire che risulta formato esclusivamente da avanzi organici. 1 naturalisti che si sono occupati delle condizioni geogno- stiche della provincia di Catanzaro, hanno subito posto l’occhio su questa località, e molti si sono formati delle ricchissime collezioni ; altri poi studiandone anche la stratigrafia ne hanno diagnosticata la struttura. Su questo secondo punto non mi trovo affatto d’accordo coi due scrittori che principalmente hanno parlato di queste forma- zioni ; intendo dire del prof. Lovisato e dell’ ing. Rambotti. (*) (*) Era mia intenzione presentare alla Società questa quarta parte delle mie contribuzioni alla geologia del Catanzarese parlando di una regione più estesa; ma dovendo per ragioni d’ufficio allontanarmi da Catanzaro, ho pensato di pubblicare quanto riguarda la collina di Santa Maria, che fa argomento da sè. 440 A. Nevicali Il prof. Lovisato nella sua memoria sui terreni terziari e posterziari del Circondario di Catanzaro ('), riporta tutta la for- mazione di S. Maria al pliocene più antico (1. c. pag. 25) e sta- bilisce questa successione : 1. Piccolo lembo posterziario, 2. Argille plioceniche, 3. Sabbie calcaree ricchissime di fossili, 4. Argille turchine alternate con sabbie ricche di mica, 5. Sabbie senza fossili, 6. Argille sabbiose, 7. Sabbie. Il Lovisato pubblica pure un elenco di 205 forme di fossili raccolti per lo più nelle sabbie calcaree, e delle quali parlerò più avanti. L’ing. Rambotti, nella memoria postuma che pubblicai lo scorso anno in questo periodico, a pag. 12 e seg. riporta al plio- cene tutte le formazioni del nominato colle, e descrive la seguente successione di strati. 1. Argille turchine plioceniche, 2. Arenarie calcari ricche di fossili, 3. Argille turchine sabbiose e micacee, 4. Sabbie finissime giallastre micacifere alternanti colle precedenti. Avendo il Rambotti poste le arenarie calcari con fossili sotto alle argille turchine plioceniche, va di accordo col Lovisato, ripor- tandole cioè al pliocene antico. Io dissento completamente dai prefati autori, giacché come ho già detto non solo il banco calcareo con fossili, ma bensì tutte le • argille sabbiose e sabbie micacee le ritengo superiori alle argille turchine, rappresentando cioè : le argille sabbiose e sabbie micacee un membro del pliocene superiore equivalente alle sabbie gialle subappennine, ed il calcare conchiglifero una specie di panchina recentissima posterziaria. D’altronde il calcare postpliocenico non è ristretto alla sola collina di Santa Maria, ma lo si rinviene anche nelle alture circonvicine e sempre sopra alle argille sabbiose e turchine. (D Lovisato D., Boll. d. R. Comitato Geologico. Roma 1885, n. 3 e 4. 441 Contribuzioni alla geologia del catanzarese La sezione semplicissima che unisco a questi appunti, mostra schematicamente la disposizione degli strati come da me è intesa; d'altra parte anche il Lovisato, parlando dei fossili contenuti in queste rocce, così si esprime : “ Assieme alle specie ricordate due altre ne troviamo, che « potrebbero seriamente imbrogliare chi non avesse esaminato di “ persona il monte di Santa Maria ; esse sono la Saxicava ar- « etica L. e la Cijprina islandica L. assai più recenti delle specie « ricordate . . . » . L’imbroglio sparisce, portando al posto giusto quel banco cal- careo e strati concomitanti. Le argille che tanto dal Rambotti, quanto dal Lovisato sono dette trovarsi sopra lo strato fossilifero, non sono argille turchine plioceniche, ma un impasto argilloso posterziario, quale troviamo spesso intercalato in rocce anche in via di formazione. In conclusione a me sembra che la serie degli strati di queste colline sia Postpliocene j Argille sabbiose e calcari conchigliferi, ( Argille sabbiose e sabbie micacee , \ Argille turchine. Pliocene Anche il prof. De Stefani nella memoria sulla Calabria meri- dionale (Acc. Lincei 1884) a pag. 240, ricorda incidentalmente gli strati a Cyprina islandica di Santa Maria e li riporta • giustamente al postpliocene. Dissi come il prof. Lovisato (1. c. pag. 20) diede di questa località un elenco di 205 forme; esse sono disposte in ordine alfa- betico in modo che a prima vista non si distinguono quali sieno le classi, gli ordini, i generi che hanno un maggior numero di forme, e quale sia la loro relativa importanza; oltre a ciò il Lovisato lasciò correre alcune inesattezze trascrivendo, per alcuni fossili, due sino- nimi indicandoli come forme distinte; credo perciò conveniente riportare qui tutta la lista, ordinandola sistematicamente, ed indi- cando per le varie forme le variazioni che ho creduto opportuno di fare. La collezione originale depositata nel gabinetto di Storia naturale del reai Liceo di Catanzaro, mi ha aiutato non poco a rifare l’elenco, che viene così ridotto a 175 forme. 442 A. Neviani Alghe 1. Lithothamnìum sp. Foraminiferi 2. Quinqueloculina sp. Celenterati 3. Flabellum avìcola (Michelin); non M. Edwisis. 4. Trochocyathus sp. Echinodermi 5. Echinocyamus pusillus (Muller); nel testo si ha: Echi- no cyamus sp., probabilmente E . siculus Deshayes. 6. Cidaris sp. Vermi 7. Serpula sp. 8. Ditrupa incurva (Renier) ; nel lavoro del Lovisato è indi- cata come forma distinta il Dentalium coarctatum Brocchi, sino- nimo della precedente. 9. Ditrupa lobulata (Deshayes)?; invece di Ditrupa -sp. cor- rispondendo alla D. subulata l’esemplare conservato in collezione; questa forma la cito però dubitativamente perchè ritengo possa essere una mostruosità della D. incurva. Briozoi 10. Cellepora palmata Michelin. 11. Retepora cellulosa Lamarck, non Linneo. 12. » echinulata ? Blainville, non Philipp! ; l’esem- plare manca in collezione e forse si tratta di una forma da unirsi alla precedente. 13. Myriozoum punctatum Philippi; nel testo si ha: Po- rites sp. 13Ws. Briozoi vari. Contribuzioni alla geologia del catanzarese 443 Brachiopodi 14. Crania turbinata Poli; nel testo c’è ancora la Crania sp., ma l’esemplare manca in collezione, quindi non ne tengo conto. 15. Terebratulina sp. frammento molto dubbio. 16. Terebratula minor Philippi e non T. miocenica Mi- chelotti. Lameijjbranchi 17. Oslrea digitalina Dubois. 18. Anemia ephippium Linneo; nel testo trovo notato la Ano- mia somigliante alla sulcata Br., X An. sp. e X Ostrea corrugata Br. ; gli esemplari di collezione, secondo me, sono da ritenersi tutti varietà della stessa forma. 19. Plicatula myiilina Philippi. 20. Spondylus gaederopus Linneo. 21. Lima hians (Linneo); nel testo: Lima sp. 22. n in/iata Chemnitz : l’esemplare manca in collezione. 23. » tenera Turton, non Bruguière. 24. Pecten flexuosus (Poli). 25. » inflexus (Poli); non P. riflexus Des. 26. » opercularis (Linneo) ; non Lamarck. 27. s pusio (Linneo); c. s. 28. » septemradiatus Miiller (P. peslutrae Linneo). 29. » sulcatus ? Bora.; gli esemplari esistenti in colle- zione mi sembra si debbano riportare alla forma precedente. 30. Pecten varius (Linneo). 31. Vola Jacobciea (Linneo); nel testo è segnata come forma distinta il Pecten Jacob aeus. 32. Mytilus edulis Linneo, var. galloprovincialis Lam. ; il prof. Lovisato ritiene la forma del Lamarck come distinta dal M. edulis di Linneo. 33. Arca aspera Philippi; manca in collezione. 34. » tetragona Poli; (A. umbonata Lamarck). 35. Pectunculus pilosus Linneo; nel testo si hanno come forme distinte il P. glycimeris Lam., P. insubricus Br., P. nummarius Risso, P. violacescens Lam , che considero, in questo caso, come 444 A. Neviani varietà del P. pilosus, perchè gli esemplari della collezione non hanno caratteri di forme ben distinte. 36. Nucula nitida Sowerby. 37. » •piacentina Lamarck ; nel testo si ha Limopis sp. ma l'esemplare di collezione, deve riferirsi indubitatamente al genere Nucula. 38. Nucula silicata Bromi. 39. Lembolus commutatus (Philippi) ; il sinonimo Leda com- mutata, nel testo è segnato come forma distinta. 40. Cardila corbis Philippi. 41. Astante sulcata Da Costa. 42. Lucina anceps Michelotti. 43. « reticulata Philippi. 44. » sp. 45. Cardimi acideatum Linneo. 46. » derlonensis? Michelotti. 47. « tuberculatum Linneo; gli esemplari corrispon- denti a questa forma sono indicati colla determinazione di C. mul- tisulcatum Br. 48. Cardium oblongum Chenu e non Gmelin o Broun. 49. « echinatum Linneo; gli esemplari sono contras- segnati col nome di C. tuberculatum L. ; forse c’è stato uno scambio di bigliettini. 50. Cardium efr. fragile Brocchi. 51. Cyprina islandica (Linneo). 52. Isocardia cor (Linneo) non Lamarck. 53. Venus Brongniarti Payraudeau ( V. fasciata Da Costa). 54. » ovata Pennant. 55. » Praecursor Mayer. 56. « scalaris Bromi. 57. » umbonaria Lamarck; manca in collezione. 58. Cylherea ditone (Linneo). 59. » multilamella (Lamarck). 60. Circe minima (Montagu). 61. Dosinia exoleta (Linneo) non Lamarck. 62. k lupinus Poli ( D . linda Lamarck). 63. Donax trunculus Linneo. 445 Contribuzioni alla geologia del catanzarese 64. Arcopagia crassa (Pennant) ; nel testo : Areopagia o Tel- lina crassa Bromi. 65. Psammobia vespertina Chemn. ; forma determinata sugli esemplari di collezione e che furono contrassegnati colla indicazione di Tellina sp. probabilmente T. nutricata Br. 66. Sgndosmia tennis Montagli. 67. Solecurtas candidus Renier. 68. Solen siliqua Linneo ( Solen vagina L.). 69. Saxicava arctica (Linneo). 70. Mactra subtruncata Da Costa; nel testo è indicata la M. triangula Renier come forma distinta dalla subtruncata Da Costa, non Mtg. 71. Corbulomya mediterranea (Costa). Se AFOPODI 72. Dentalium tarentinum Lamarck. 73. » Delessertianum Chemn. 74. » dentalis Linneo, da unirsi col D. acuminatavi Deshayes, che nel testo è ritenuta per forma distinta; in collezione mancano campioni colla determinazione di D. dentalis , per riscontro poi quelli determinati per D. acuminatum vanno riferiti a que- st’ultima forma. 75. Dentalium elephantinum Linneo. 76. » Jani Hoernes. Gasteropodi 77. Patella sp. 78. Acmaea virginea Thorpe. 79. Fissurella italica Defrance; nel testo col nome di F. costaria Basterot e di F. neglecta Deshayes. 80. Fissurella gibba Philippi. 81. Emarginala pileolus Michaud (E. rosea Linneo). 82. Haliotis lamellosa Lamarck (IL tubercolata Linneo) ; non tengo conto dell 'Haliotis sp., perchè l’esemplare corrispondente non è che un modello. 83. Phasianella pulla (Linneo). 446 A. Neoiani 8-1. Turbo rugusus Linneo. 85. » sanguineus Linneo. 86. Gibbula Aclansoni (Payraudeau). 87. » magus (Linneo); nel testo è segnato un Trochus vorticosus L. corrispondente ad un cattivo esemplare del T. magus. 88. Zizyphinus miliaris (Brocchi). 89. » striatus (Linneo). 90. « lurgldulus (Brocchi). 91. » exaspercUus Pennant. 92. Clanculus corallinus (Linneo). 93. « Jeussieui (Payraudeau). 94. Crcispedotus linei (Linneo). 95. Solarium semisquamosum Broun. 96. Scalaria communis Lamarck ; nel testo si ha ancora una Scalaria sp., ma gli esemplari corrispondenti mi sembra non dif- feriscano dalla forma tipica. 97. Turritella communis Risso, non Brocchi. 98. » subangulata (Brocchi). 99. « tricarinata (Brocchi). 100. * triplicata (Brocchi). 101. Xenophora crispa Konig; il Lovisato dice che non si comprende se sia la X. testigera Bromi, la cumulans Brong. o la crispa Konig; gli esemplari da me raccolti si riportano a que- st’ulti ma forma. 102. Calgptraea chinensis (Linneo). 103. » « var. nutricata Brocchi ; (C. squa- mosa Deshayes). 104. Calgptraea chinensis var. deformis Lamarck; ( C. de- formis Lamarck). 105. Capulus hungaricus (Linneo). 106. B nocchia sp. diversa dalla Br. da me più oltre indi- cata al N. 238. 107. Natica catena Da Costa. Comprendo sotto questa deno- minazione la N. canrena Woodward e la N. fuseci Blainville indi- cate da Lovisato. 108. Natica elicina (Brocchi). 109. » millepunctata Lamarck. 110. » pseudoepiglottina ? Sismonda. Cito dubitativa- 447 Contribuzioni alla geologia del catanzarese mente questa forma perchè non sono lontano dal ritenere che si debba riunire colla N. helicina del Brocchi. 111. Rissoa cancellata Costa; non Mtg. 112. n costulata Alder. 113. n Testae ? Aradas ; forma dubbia. 114. ri Montagui Payraudeau. 115. n pulchella Philippi. 116. •n radiata Philippi. 117. n reticulata Mont. 118. n similis Scacchi. 119. Tì subcrenulata Swart; nel bigliettino che accom- pagna gli esemplari, la determinazione è giusta, e solo nel testo, per errore materiale di copia si ha: R. subcostulata. 120. Rissoa variabili s v. Multf. 121. Rissoina Bruguieri Payraudeau. 122. Cerìthium pusillum ? PI. forma dubbia. 123. » varicosum (Brocchi). 124. » vulgatum Bruguière. 125. Ceritliiolum reticulatum Da Costa. 126. » scabrum Olivi; nel testo è indicata come forma distinta il C. lima Bruguière. 127. Cerithiopsis tubercularis (Montagli). 128. Chenopus pespelecani Linneo. 129. Trùcia europaea (Mont.) ; riunisco a questa forma anche la Cypraea coccinella Montagu. 130. Eretto laevis (Donovan); nel lavoro di cui è parola vi è segnata la Marginella miliaria Linneo, ma gli esemplari di col- lezione appartengono alla forma innanzi detta. 131. Cassis saburon Lamarck. 132. Cassidaria echinophora Lamarck. 133. » » varietà. 134. Tritoli corrugatavi Lamarck. 135. Ranella reticularis (Linneo). 136. Buccinavi undatum Linneo. 137. Nassa Brocchi Mayer. 138. ” costulata (Brocchi); nel testo abbiamo ancora la N. asperata Cocconi, ma gli esemplari trovati in collezione, con- frontati direttamente colle figure e colla descrizione data dal Coc- 29 448 A. Neviani coni, non vi corrispondono affatto, essi invece debbono riferirsi alla N. copulata Brocchi. 139. Nassa incrassatcì Dujardin. 140. « labella Bonelli. 141. « musiva (Brocchi). 142. « mutabilis (Linneo). 143. » prysmatica (Brocchi); vi comprendo anche la N. limata Chemnitz. 144. Nassa semistriata (Brocchi). 145. Cy ciò nassa pellucida Risso; per errore nel testo: Cyclo- stoma pellucida. 146. Cyclonassa neritea (Linneo). 147. Columbella Gervilii Payraudeau. 148. n G-raeci Pbilippi. 149. » scripta (Linneo). 150. Purpurei liaemastoma (Linneo). 151. Monoceros monacanthos (Brocchi); nel testo: Murex trunculus Linneo, rotolato. 152. Fusus longiroster Brocchi. 153. « rostratus Olivi. 154. Euthria cornea (Linneo). 155. Latirus fornicatus Bellardi; (L. crispus Bors.). 156. Murex aciculatus Lamarck. 157. " corallinus Scacchi. 158. » Edwardsii Payraudeau; manca in collezione. 159. » erinaceus Linneo. 160. « scalaris Brocchi. 161. » trunculus Linneo ; nel testo questa specie è asso- ciata al Cerithium vulrjare 0. v. Hauer. 162. Trophon multilamellosus Pbilippi ; nel lavoro del Lovi- sato si tiene distinto il Murex multilamellosus Pbilippi. 163. Trophon muricatus Montagli. 164. » vaginatus (Jan.); in collezione gli esemplari di questa forma portavano Y indicazione : Pleurotoma sp. che tro- viamo pure nel testo. 165. Marginella secalina Philippi. 166. » subovulata D’Orbigny. 167. Mitra lutescens Lamarck. 449 Contribuzioni alla geologia del catanzarese 168. Pleurotomia rotata (Brocchi). 169. Sur cula dimidiata (Brocchi). 170. Drillia carinata Bivona; da unirsi colla Pleurotomia carinata indicata separatamente. 171. Rciphitoma gracilis (Montagli), distinta nel testo dal Murex oblongus. 172. Conus mediterraneus Bruguière. 173. Cy lichna cylindracea Pennant. 174. » convoluta (Brocchi). Crostacei 175. Pagurus sp. Nella memoria del prof. Lovisato troviamo ancora la seguente denominazione ; Adeone lamellosci ? Michelin ; in collezione a tale indicazione corrispondono varie forme di Briozoi {Escare, Rete- pore etc.) ed uno scudetto di Echinide ; non sò che cosa si sia voluto intendere colla determinazione sopraindicata. In collezione poi ho trovato alcune altre conchiglie. determinate e non elencate nel citato lavoro del Lovisato; riporto qui solo le forme certe, continuando la numerazione interrotta. 176. Balanus tintinnabulum (Linneo). 177. « striatus Bruguière. 178. Donax vittatus Da Costa. 179. Patella longicosta (Linneo). 180. Nassa clathrata (Linneo). 181. Murex craticulatus Brocchi. L’ ing. Rambotti, da un elenco di 46 forme di molluschi del calcare grossolano di Santa Maria, di esse 41 sono comprese nella enumerazione precedente, 5 bisogna aggiungerle e cioè : 182. Lucina borealis Linneo. 183. Venus verrucosa Linneo. 184. Psammobia costulata Turton. 185. Gibbuta umbilicaris Linneo. 186. Turritella bicarinata Eichwald. Dalle ricerche fatte da me nel ricchissimo deposito conchigli- fero di Santa Maria, parlando sempre del solo calcare grossolano, il numero delle forme fossili è notevolmente cresciuto, giacché porto 450 A. Neviani il numero a 263, e lo sarebbe molto di più se avessi avuto modo di determinare specialmente i moltissimi briozoi che vi si riscon- trano, come pure non pochi ostracodi, foraminiferi ed altre serie di piccoli individui. Ecco la lista delle forme che unisco all'elenco precedente: Foraminiferi 187. Biloculina ringens Lamarck. 188. » depressa D’Orbigny. 189. Miliolina Ferrussaci D’Orbignv. 190. Globigerina sp. 191. Cristellaria cultrata Montfort. 192. Rotalia Beccari (Linneo). 193. Polistomella crispa (Linneo). Briozoi 194. Berenicea congesta Reuss. 195. Ceriopora cavernosa Micht. 196. Ileteroporella ? sp. 197. Mernbranipora nobilis Reuss. 198. « sp. 199. Lepralia violacea Johnston. 200. » lata Busck. 201. « sguaino idea Reuss. 202. » pteropora Reuss. 203. Eschara regularis Reuss. 204. * varians Reuss. 205. » sp. 206. Escharina sp. 207. Flustrella ? sp. 208. Semi flustrella sp. 209. Cellepora tubigera Busck. 210. Vincularia sp. 211. Myriozoum punctatum Philippi. 212. » sp. Contribuzioni alla geologia del catanzarese 451 Brachiopodi 213. Argiope decollata Chemnitz. Lamellibranchi 214. Ostrea edulis Liuneo. 215. Modiola adriatica Lamarck. 216. Arca diluvii Lamarck. 217. » lactea Linneo. 218. Barbatia barbata (Linneo). 219. Cardila caly culata (Linneo). 220. » aculeata (Poli). 221. Chama gryphoides Lamarck. 222. Astarte bipartita (Philipp!). 223. » triangularis (Montagli). 224. » fusca (Poli). 225. Biplodonta trigonula Bronn. 226. Lucina spinifera (Montagli). 227. » divaricata (Linneo). 228. Cardium edule Linneo. 229. « papillosum Poli. 230. Venerupis irus (Linneo). 231. Venus Rmteruci Payraudeau. 232. Jagonia reticulata (Poli). 233. Tellina donacina Linneo. 234. Psammobia ferroensis (Chemnitz). 235. Cordala gibba (Olivi). ScAFOPODI 236. Cadulus ovulum (Philippi). Gasteropodi 237. Patella coerulea Lamarck. 238. Brocchia sinuosa (Brocchi). •152 A. Neviani 239. Emarginula solidula Costa. 240. » cancellata Philippi. 241. Zizyphinus Làngieri Payraudeau. 242. Gibbuta Fermoni Payraudeau. 243. « ardens Yon Salis. 244. » guttadauri Philippi. 245. Torrinia fallaciosa (Tiberi). 246. Vermetus glomeratus Bivona. 247. Rissoa costata Adams. 248. » cimex (Linneo). 249. » veniricosa Desinoulins, var. : subventricosa Da Costa. 250. Mangilia clathrata M. d. Serres. 251. Bittium reticulatum (Da Costa), var. Jadertinum Brug. 252. Riforma perversa (Linneo). 253. Chemnitzia elegantissima Montfort. 254. Nassa gigantula Bonelli. 255. » dertonensis Bellardi. 256. » serraticosta (Bromi). 257. Fusus lamellosus Borson. 258. Murex torularius Lamarck. 259. » cristatus Brocchi. 260. » brandaris Linneo. 261. Gibberula Philippi Montagli. 262. Ringicula buccinea Deshayes. 263. Cylichna mamillata Philippi. Riassumendo i dati paleontologici sopra esposti, troviamo che l' importante giacimento del calcare lionato postpliocenico di Santa Maria di Catanzaro, conta 263 forme così distinte nelle rispet- tive classi : forine determinate specificamente genericamente Alghe 0 1 Foraminiferi 6 2 Celenterati 1 1 Echinodermi 1 1 Vermi 1 1 Briozoi 14 6 forme dubbie 0 0 0 0 1 3 453 Contribuzioni alla geologia del catanzarese forme determinate forme specificamente genericamente [dubbie Brachiopodi 3 1 0 Lamellibranchi 77 1 3 Scafopodi 6 0 0 Gasteropodi 125 2 3 Crostacei 2 1 0 Dalle argille turchine sabbiose sottoposte alle arenarie micacee prive di fossili, l’ ing. Rambotti trovò le seguenti cinque forme : Pecten opercularis Linneo. Dentalium elephantimim Linneo. Nassa semistriata Bron. Tarritella bicarinata Brocchi. Pectunculus pilosus Linneo. Dalle argille turchine poi, sia al piede del colle di Santa Maria, quanto dal versante del Corace, ho raccolto un buon nu- mero di forme quasi tutte di Gasteropodi e di Lamellibranchi, qualche otolite e corallario; moltissimi sono pure i fo raminiferi, ma di questi minutissimi esseri non ne ho fatto ricerca speciale. Non riporto l’elenco di questi fossili perchè tutti rappresentati da forme le più comuni delle argille. Catanzaro, Settembre 1889. Neviani Antonio. 454 A. Neviani. Contribuzioni alla geologia del catanzarese O/ s= Fiume Corace m. 28. a) Alluvione recente. c Calcare lionato fossilifero posterziario. IL BACINO PLIOCENICO DEL MUGELLO La vallata della Sieve al pari di quella dell’Arno nella sua parte media, della Magra, del Serchio, del Tevere e del Chiasoio ecc. fu durante il pliocene riempita da acque dolci, e per il solleva- mento, sempre progressivo delle roccie preesistenti ne fu interrotta ogni comunicazione coi mari che ancora coprivano tanta parte del suolo che oggi costituisce l’ Italia. Lo studio di questo bacino pliocenico che comprende una buona parte di quel tratto di paese che è oggi il Mugello non può, io credo essere privo di interesse, giacché servirà a completare gli studi sul pliocene vallivo della Toscana, e da un’altra parte contri- buirà a darci un' idea più esatta e completa intorno ai rapporti che ebbero fra loro questi antichi laghi che si formarono in seno degli Apennini o delle principali propaggini che da essi si staccano. Allo studio delle vere e proprie formazioni plioceniche del Mugello, è necessario che io faccia precedere alcuni cenni su quelle più antiche che cingono tutt’all’ intorno il bacino medesimo e che ne costituiscono l’ imbasamento. Questo farò in un modo compen- dioso, e non trascurerò di dare anche un’ idea esatta e comprensiva dell’orografia pliocenica, la quale importa conoscere per rendersi conto delle vicissitudini geologiche, a cui andò soggetta quella regione. Fino dal 1865 il Prof. Igino Cocchi nella sua pregevole memoria ( L'Uomo fossile nell’Italia centrale ) fece menzione del bacino pliocenico del Mugello e tentò istituire un paragone fra il corso delFArno e quello della Sieve, nei quali trova notevoli punti di contatto, quantunque dichiari di non conoscere abbastanza il Mugello per poterne parlare più diffusamente e con maggior cogni- zione di causa. 456 G. Ristori Anche il De-Stefani nel suo lavoro sui molluschi continentali pliocenici rammenta il Mugello e riconosce in quel bacino plioce- nico comunanza di origine coi contemporanei, dell’Arno, della Magra, del Serchio, di Leffe e di Grandino nelle Alpi, ecc. Alle compendiose notizie che si hanno di questa regione si po- trebbe aggiungere anche lo studio di alcuni resti di mammiferi plio- cenici fatto dal Falconar e dal F. Major, e quello di alcune specie di molluschi continentali fatto dal De-Stefani medesimo. Altro non si conosce di questa interessante regione che io mi accingo a stu- diare sotto il duplice aspetto geologico e paleontologico, colla spe- ranza di colmare una delle lacune che ancor rimangono nella geologia della Toscana. Immiti del Bacino. Le formazioni plioceniche prendono grande sviluppo sulla destra della Sieve e solo pochi lembi ghiaiosi e sabbiosi si veggono qua e là comparire sulla sinistra del fiume. E probabile che anti- camente questi fossero molto più estesi, e forse coprivano fino ad una certa altezza le pendici dei monti eocenici che prendono svi- luppo da questa parte del fiume e che ora si trovano ad imme- diato contatto o colle alluvioni quaternarie, o con quelle attuali. L’erosione esportò tutto il materiale deposto su quelle pendici ab- bastanza scoscese, lasciandone qua e là lembi isolati che attual- mente si veggono presso la Chiesa di Cistio quasi di faccia a Yicchio, a S. Quirico ad Uliveto non lungi dal Ponte di Sagginale, a piè di Monte Rezzonico presso S. Piero e finalmente a Roncaticcio sulle pen- dici Ovest-Nord-Ovest del Poggio di S. Martino. I primi di questi lembi non hanno grande importanza ; poiché sono poco potenti ed * esclusivamente costituiti di sabbia alternante con qualche straterello di ghiaia, e quantunque si estendano in lunghezza per circa 3 chilo- metri pure non si mostrano continui; ma quà e là interrotti, occu- pano specialmente le piccole vallecole e raggiungono l’altezza di poche diecine di metri sul livello determinato delle recenti allu- vioni della Sieve. Maggiore importanza devesi attribuire agli altri lembi più ad Ovest; perchè tanto quello di Monte Rezzonico e di Roncaticcio hanno una considerevole potenza, sono costituiti delle solite sabbie e ghiaie stratificate e riposano sulla formazione argillosa elio raggiunge la potenza di 4 a 5 metri come è dato 457 II bacino pliocenico del Mugello constatare dai tagli eseguiti per la costruzione della Stazione ferro- viaria di S. Piero. Lo stesso può dirsi del lembo che trovasi alle falde del Poggio di S. Martino. Questo lembo probabilmente è in diretta continuazione col pliocene della sinistra del fiume, ed insieme a quello di S. Piero si rannoda , con altri due più piccoli , che trovansi lungo la valle del Carza , uno a Strada sotto Monte Iiipapetti, e l’altro sulla destra del torrente difaccia a Tagliaferro. Tutti questi lembi, quantunque non sieno molto estesi, pure servono benissimo ad attestarci, come le formazioni plioceniche, abbiano fino ad una certa altezza, occupato anche le pendici allineate lungo la riva destra della Sieve, e come si sieno insinuate in tutte le depressioni, che in seguito sono state erose e ridotte a piccole valli quasi perpendicolari al fiume maggiore, dal corso dei torrenti, che andò sempre aumentando in lunghezza mano a mano che il lago procedeva nel suo vuotamente. Allo svi- luppo così limitato che le formazioni plioceniche hanno sulla destra del fiume, si contrappone quello veramente grande, che queste medesime prendono sulla sinistra, tanto che può dirsi che esse sole siano quelle che offrono un vero interesse. 1 limiti di queste for- mazioni nel senso della lunghezza sono pressoché segnati da tutto quel tratto del fiume Sieve che corre da Ovest ad Est, per cui i depositi del lago pliocenico toccano quasi le sorgenti del fiume e lo seguono senza interruzione fino al punto dove il suo corso muta bruscamente direzione volgendosi a Sud. Inquanto alla larghezza, i limiti sono segnati da un arco di cerchio, il cui punto culminante è a Nord di Scarperia, giacché quivi il pliocene arriva fino a Cerliano, toccando la quota di 456 metri. A destra e sinistra di questo punto va lentamente assottigliandosi, però questo decrescere si fa più rapido verso Ovest mentre è molto meno accentuato verso Est. Infatti a Gagliano (') il pliocene tocca appena la quota 320 e scende a 280 presso Barberino finché cessa affatto poco lungi da Camoggiano. Al contrario procedendo verso Est, si mantiene quasi costantemente poco al di sotto di 400 metri, oltre Vezzano tende a ristringersi alquanto, però si mantiene sempre assai sviluppato fino a che fra (0 Nelle carte topografiche dello stato maggiore italiano è scritto Gal- liano-, ma in Mugello quella borgata è conosciuta sotto il nome di Gagliano. 458 G. Ristori Vitigliano, Rostolena e Rossojo si interrompe bruscamente a con- tatto delle argille scagliose che cominciano a dominare poco oltre Yicchio. Natura, disposizione ed età delle Formazioni che limitano il Pliocene. I Monti che tutt’ all’ intorno cingono il bacino, appartengono per molta parte alla catena apenninica propriamente detta, altri all’ immediate propaggini della medesima, e per un'ultima porzione sono direttamente connessi col gruppo di Monte Giovi, le cui ultime propaggini ci sono rappresentate dai colli di Fiesole e di Trespiano. Ad Ovest ed a Sud-Ovest, però concorrono in parte, a limitare il bacino, i monti della Calvana, ad Est i contrafforti della Falterona ed a Sud-Est i colli che si staccano dalla Consuma per una parte e da Monte Giovi per l’altra. Riepilogando possiamo dire a Nord, Nord- Ovest, Nord-Est Apennini, ad Ovest la Calvana, ad Est la Falterona, a Sud il gruppo di Monte Giovi. Le formazioni che predominano nella porzione di Apennino, il cui displuvio corre alla Sieve, sono prevalentemente costituite da roccie eoceniche ed anche da mio- ceniche. Le roccie eoceniche sono rappresentate da alberesi, schisti argillosi, argille scagliose, schisti galestrini, ed in piccola parte e specialmente a monte, dalle solite arenarie che formano tanta parte del nostro Apennino centrale e di molte catene secondarie che da quello si staccano. Gli alberesi, gli schisti argillosi, e le argille scagliose, costituiscono nel loro insieme la formazione che prevalentemente troviamo a contatto diretto col pliocene; quan- tunque quà e là venga sostituita dai galestri, e fra Ronta e Gattaia da arenarie molto probabilmente mioceniche. In que- st’ insieme di roccie prevale il calcare alberese; di questo è total- mente costituito Monte Calvi, Montepoli, Monticelli, ed oltre a ciò ricomparisce a Cintoja a Cirignano ed alle sorgenti della Sieve per congiungersi con quello, che costituisce la gran parte dei monti della Calvana. Questi calcari alberesi sono disposti in piccole e fitte pieghe di cui abbiamo bellissimo esempio presso Casabiauca e alle falde di Monte Calvi presso Lumena. La pendenza degli strati è prevalentemente a Sud 24 Ovest; però a Monte Calvi stesso gli strati formano una cupula anticlinale, la cui gamba Sud viene rico- Il bacino 'pliocenico del Mugello 459 perta direttamente dalle formazioni plioceniche, mentre sull’altra si adagiano arenarie alternanti con schisti argillosi ricche di Sti- piti ed intercalate da piccoli stenterelli di sostanze carboniose. Nulla di certo posso affermare sulla età di queste arenarie ; giacché prima di ritenerle assolutamente eoceniche converebbe studiarle più diligen- temente per vedere se non si dovessero riferire piuttosto al miocene, a cui probabilmente appartengono una buona parte di quelle che dicemmo trovarsi un poco più ad Est verso Ronta e Gattaia. Del resto anche le argille scagliose, e gli schisti argillosi, che spesso alternano col calcare alberese, presentano i loro strati prevalente- mente inclinati verso valle, e spesso si dispongono a fitte pieghe. Speciale menzione meritano le argille scagliose che si trovano svi- luppatissime fra Farneto, Rossojo, Ginestra, ed affiorano presso Vicchio e lungo il torrente di Tramonti. Queste argille che in parte si trovano a diretto contatto col pliocene ed in parte assurgono in mezzo alle formazioni plioceniche stesse, o ne sono da esse ricoperte, presentano una serie di pieghe abbastanza singolari e disposte a sinclinali ed anticlinali che si succedono a piccoli intervalli. Gli strati sono spesso intercalati da vene di Àragonite fibrosa, che seguendo l’andamento dei medesimi, ne lo rende più evidente. Formazioni simili si presentano in altri luoghi, a Belvedere sopra Grezzano, ed a San Martino fra la via provinciale della Futa e il torrente Calecchia. Nella prima di queste due località abbiamo rappresentate le tipiche argille scagliose di color grigio, e gli strati sono quasi raddrizzati sulla verticale ; però la direzione della loro pendenza è sempre a valle. Nella seconda località invece si ripete la disposizione a pieghe, però molto più ampie di quelle che notammo nei dintorni di Vicchio. L’inclinazione degli strati che sono a diretto contatto col pliocene è abbastanza costante e misura circa 20 gradi a Sud 35 Ovest. Tutte le argille scagliose che si presentano assai sviluppate in questa porzione d’Àpennino, quan- tunque non ne costituiscano la roccia predominante, hanno caratteri fisici poco costanti. Infatti in alcune località come a Belvedere ed a S. Martino sono grigie ed a scaglie sottili ; mentre presso Vicchio le scaglie si presentano in forma di piccoli parallelepipedi con spes- sore relativamente considerevole, e sono ora cenerognole, ora grigie, ed anche rosse. Quelle di color rosso però occupano plage assai limitate sparse, quà e là, di cui la più importante, è quella 460 G. Ristori di Rossojo che si estende per circa due chilometri di superfìce, ha strati inclinati di 20 a 25 gradi Sud, 38 Ovest, per modo che la stratificazione si accorda perfettamente con quella presentata dalle altre argille di colore cenerognolo, che acquistano tanto svi- luppo presso detta località e si trovano da una parte a contatto col pliocene, dall’altra verso Est fra Farneto e Pavanico, ripo- sano con evidente discordanza su di un macigno, che io credo per certe speciali e caratteristiche impronte organiche, cretaceo (’). Alle formazioni sedimentarie che trovansi a limitare il pliocene si devono aggiungere alcune roccie serpentinose, che sul lato Sud-Ovest di Monte Calvi, assurgono dai calcari alberesi. Una piccola porzione di queste è a contatto diretto col pliocene stesso, mentre le altre più a monte che hanno anche maggiore estensione, si trovano in mezzo ai cal- cari alberesi. L’alterazione subita da dette roccie ofìolitiche è assai notevole, e quelle specialmente che confinano col pliocene, si mostrano alla superfìce in completa decomposizione. L’area che occupano non è molto estesa, pur nondimeno offre dei punti ove la degradazione dà modo di studiarne assai bene la successione : infatti poco sopra a Casa-vecchia rimpetto a Gagliano, abbiamo una frana profonda assai, che guarda il torrente Tavaj ano ; in questa possiamo riscon- trare la seguente successione. Alla base serpentina bastitica, sopra a questa, piccoli banchi di Eufotide, indi conglomerati ofiolitici. Questa successione che assai di frequente, possiamo riscontrare nelle formazioni ofìolitiche di altre località della Toscana non è priva di in- teresse, giacché essa, unitamente alle identiche condizioni litologiche e stratigrafiche che hanno le roccie sedimentarie includenti, ne com- prova l’ormai indiscutibile sincronismo e la comunanza di origine. Inquanto alla loro età dobbiamo ritenerle eoceniche e molto probabil- * mente contemporanee ai calcari alberesi, a cui vanno così costan- temente unite ed in cui stanno adagiate o quali vaste dicche messe allo scoperto dalla degradazione, o quali masse espanse sopra alla (x) È questo un macigno alla cui superfìce si scorgono impronte di Ne- mertiliti e di altri organismi problematici simili a quelli che si veggono tanto spesso nella pietra forte di Fiesole e di Monteripaldi. A questo si aggiunga che anche il carattere litologico di questo macigno lo riconnette con quello che trovasi in Val d’Arno presso il torrente Marnia ove sono Nemertiliti ed anche impronte di Inocerami. 461 Il bacino pliocenico del Mugello formazione sedimentaria che sempre le accompagna. A parte la que- stione sull’età e sul modo d’origine delle serpentine, che non può nè deve far parte di questo lavoro semplicemente descrittivo, dirò, che anche nella disposizione di questa formazione del Mugello, fino ad ora così poco conosciuta, abbiamo una prova in più per avva- lorare le idee esposte dal Prof. De-Stefani in un suo recente lavoro (') sulle roccie eruttive dell’Apennino. Procedendo ad Est, ai calcari alberesi si sostituiscono gli schisti argillosi e fra Ronta e Gattaia anzi Uno a Yitigliano abbiamo il predominio di arenarie alternanti o meglio intercalate da piccoli strati di schisti argillo-calcarei. Queste arenarie (che vediamo ricomparire anche sulla destra della Sieve fra Cistio e S. Quirico rimpetto a Vicchio) riposano costantemente su schisti argillosi, i quali compaiono nell’alveo del torrente Pesciola ed in quello dell’Arsella. Dette arenarie sono sempre discordanti coi sottostanti schisti, i quali si dispongono a pieghe alquanto fitte, ripetendo press’a poco l’ordine stratigrafico degl’ alberesi che già abbiamo esaminato, e dell’ argille scagliose dei dintorni di Vic- chio; mentre le arenarie soprastanti sul torrente Pesciola e lungo la strada che conduce alla galleria di Gattaia, presentano un inclinazione di - 20 o 25 gradi Sud 38 Ovest. Queste arenarie costituiscono una assai vasta formazione che incomincia poco so- pra alla Chiesa di Ronta e precisamente alla Madonna dei tre fiumi , e procede verso Nord-Est , passa per Filetta e Majoli tocca S. Godenzo e di là si spinge fino alle falde della Falte- rona. In tutto questo tratto e fino al culmine che costituisce lo sparti acque fra la Sieve e il Santerno, queste arenarie presen- tano una facies molto caratteristica, che le distingue, dalla gran massa del comune macigno eocenico, di più sono molto regolar- mente stratificate formando dei successivi anticlinali e sinclinali disposti molto regolarmente, e riposano sempre sulle argille sca- gliose o sugli schisti argillosi con evidente discordanza, di più i loro strati sono sempre intercalati da schisti argillo-calcari, i quali sono costantemente presenti in questa formazione (2). Per la massima t1) De-Stefani, Le roccie eruttive dell'Eocene superiore nell' Apennino, Boll. Soc. Geol. ital., Voi. Vili, 1889, fas. 2°, pag. 175. (*) Anche nella valle del Santerno si ripetono queste formazioni, ed anche 462 G. Ristori parte queste arenarie non presentano fossili, all’ infuori di qualche strato con Stipiti e resti di vegetali carbonizzati affatto indetermi- nabili. Presso la Madonna dei tre fiumi, a Filetta sotto le Alpi di Vitigliano ed a Ricolle presso S. Godenzo, dette arenarie si presentano invece molto fossilifere. I fossili raccolti nelle due ultime località furono studiati dal De-Stefani (!) e dal Manzoni (2) e riconosciuti, come miocenici, per cui tutta la formazione dovrebbesi riferire a quel periodo e più precisamente al piano medio, senza però estendere come fa il Manzoni, questa conclusione a tutto quanto il macigno dell’Apen- nino e delle sue propaggini, il quale per la sua posizione stratigra- fica, mancandovi assolutamente fossili caratteristici, non può to- gliersi dal eocene. Anche il gruppo di Monte Giovi alle cui falde corre la Sieve è caratterizzato dal predomino quasi esclusivo delle solite formazioni eoceniche principalmente costituite dai calcari alberesi e dagli schisti argillosi. Abbiamo solo qualche piccola interruzione fra Gistio e S. Quirico rimpetto a Vicehio, ove ricompariscono arenarie giacenti su schisti argillosi proprio come presso Gattaia, inclinate di 45 gradi ad Est 35 Nord con dire- zione Nord-Ovest, Sud-Est. Più a monte verso il poggio di Gerbone ricompariscono argille scagliose come pure a Montozzi ove abbiamo un' inclinazione di 35 gradi ad Est 45 Nord. Queste argille però, come sempre si dispongono al pari degli schisti argillosi e dei calcari alberesi a fitte pieghe mutando spesso la direzione e 1’ in- clinazione degli strati. Ad Ovest del torrente Carza, quantunque le formazioni mantengano in complesso i caratteri di quelle che abbiamo vedute ai piedi di Monte Giovi, purnondimeno queste si debbono ritenere per una parte in diretto rapporto, con quelle che costituiscono, il Monte Morello, mentre per l'altra si riconnettono colla catena della Calvana. Nel gruppo di Monte Morello preval- gono i calcari alberesi e gli schisti argillosi i quali spesso alter- là presentano i loro caratteristici fossili. Ivi furono raccolte da molti, ed ul- timamente dai sig. fratelli Baldi di Firenzuola, alcune belle Lucine e donate al Museo Geol. e Paleont. di Firenze. (') De-Stefani, I Fossili di Dicomano in Toscana e di Porretta nel Bolo- gnese. Proc. verb. Soc. Tos. di Se. nat 14 Nov. 1880. (2) Manzoni, Della Miocenità del Macigno e dell'unità dei terreni mio- cenici del Bolognese. Boll, del R. Coni. Geol. anno 1881 n. 1, 2. 463 Il bacino pliocenico del Mugello nano o si sostituiscono assolutamente alla prima formazione. Le più lontane propaggini di questi monti, in Mugello, ci sono rappresen- tate dal colle di S. Martino presso S. Piero, in cui gli strati pen- dono 45 gradi a Nord 55 Est, e da una serie di colline che si dispon- gono fra la Villa delle Maschere ed il colle surricordato, ove la stratificazione è in perfetta concordanza con quella poco fa indicata. Questa serie collinosa è diretta da Nord-Ovest a Sud-Est, è da una parte incisa dal fiume Sieve, e dall'altra serve di limite alla forma- zione pliocenica. Per ciò che riguarda le formazioni, che dicemmo in rapporto colia catena della Calvana, queste offrono senza dubbio mag- giore interesse. Il poggio della Lucietta, che costituisce lo sparti acque fra la Sieve e l’Arno rammenta molto da vicino la successione stra- tigrafìca che a suo tempo studieremo nella valle di Sieve propria- mente detta e più specialmente in quella porzione che si riconnette coi monti della Consuma. Nella valle di Marina e di Marinella, al cui principio predominano calcari alberesi ricchi di fucoidi al pari di quelli della valle di Sieve, noi possiamo a più riprese costatare, come quelle formazioni calcaree, giacciano su di un macigno in tutto e per tutto simile ai macigni cretacei dei dintorni di Firenze, e della Mar- ma presso Bagnano sull’ Arno, ricchi di impronte organiche molto caratteristiche. Tratto a tratto ai calcari alberesi si sostituisce un calcare screziato che poi passa a vero calcare nummulitico come succede a Mosciano presso Firenze e in vai di Sieve ai piedi del monte Consuma. In una parola la successione e disposizione di queste formazioni rammenta molto da vicino quelle dei dintorni di Firenze, il di cui studio accurato sarebbe di non lieve interesse per la Geologia della Toscana. Le formazioni della vai di Marina sono in rapporto con quelle dei monti della Calvana, di cui il fiume di quel nome, ne riceve le acque delle pendici Est mentre quelle ad Ovest versano nel Bisenzio. Io non conosco molto da vicino la vai di Bisenzio; del resto posso assicurare che anche in essa predominano le formazioni eoceniche rappresentate dai calcari albe- resi. Sulla destra del fiume però, di mezzo a questa formazione cal- carea assurgono formazioni otiolitiche, di cui ultimamente si ebbe ad occupare l’ Ing. Capacci ('). Queste formazioni presentano, sì (i) Capacci, La formazione ofiolitica di Monte Ferrato presso Prato. Boll. com. geol. 1881. 30 464 \G. Ristori nella successione delle diverse specie di roccie, sì nella disposi- zione rimpetto alle roccie sedimentarie che gli stanno immedia- tamente vicine, molti punti di contatto colle roccie simili che dicemmo prendere sviluppo a piè dell’Apennino mugellese presso Gagliano, per cui è molto probabile che abbiano rapporti immediati con queste e formino una serie lineare disposta attraverso all’Apen- nino e alle sue propaggini, la quale procèdendo quasi direttamente da Nord a Sud si inizierebbe a Sasso di Castro, passerebbe per M. Calvi, farebbe nuovamente capo a M. Ferrato, per poi finire all’ Impruneta (!). A parte questa digressione, torniamo al bacino del Mugello, di cui ci resta a studiare le formazioni che lo limitano dalla parte di Est-Sud-Est attraverso alle quali si è fatta strada la Sieve nell’ultima porzione del suo corso. Alle argille sca- gliose che costituiscono, presso il corso della Sieve, i colli di Orti- caia sulla sinistra e quelli di Bovino e di Scopeto sulla destra, si addossano calcari alberesi compatti, i quali si riconnettono diret- tamente con quelli di Monte Giovi. Sulla sinistra del fiume però, e più specialmente lungo il torrente S. Godenzo prendono consi- derevole sviluppo le arenarie le quali costituiscono quasi esclusiva- mente la serie montuosa apenninica fra il Muraglione e la Futa. Dette arenarie sono qua e là intercalate da straterelli di sostanze carboniose alti 5 o G centimetri, sono ricchissime di stipiti, ed alternanti con scliisti argillosi, come avemmo occasione di consta- tare più volte in questa porzione d’Apennino. Presso Corella, Ricolle e Pretognano sulla destra del S. Godenzo, queste are- narie si fanno fossilifere e vi si possono raccogliere numerosi modelli interni di Lucine, riconosciute mioceniche dal Meneghini, dal De- Stefani, dal Manzoni, ed ultimamente illustrate dal Dott. Gioii (2). ' Di queste arenarie fossilifere ne ho trovate anche fra gli ammassi di ciottoli pliocenici che si incontrano presso Ronta sul tor- rente Elsa, provenienti molto probabilmente da Razzolo e da Monte Paganino. Procedendo oltre nella rassegna dei terreni della valle di Sieve, oltre Dicomano tornano a prevalere i calcari alberesi e sul torrente Moscia presso Ronda ricompariscono arenarie micacee P) De-Stefani, Le roccie eruttive dell'Eocene superiore nell' Apennino, op. cit. (K) G. Gioii, Lucina pomum. Att. Soc. Tos. di Se. nat. Voi. Vili, Anno 1887, fase. 2°. Il bacino 'pliocenico del Mugello 465 più disgregabili, di quelle poco fà rammentate, e prive assolutamente di stipiti. Da Turicchi fino alla Rufina non si veggono che calcari alberesi compatti con impronte di fucoidi, i quali proseguono senza interruzione tino a Pontassieve. Presso Pelago però comparisce al disotto dei calcari un macigno, i cui strati sono affatto discordanti con quelli dei soprastanti alberesi e pendono di 25 gradi ad Ovest 40 Nord con direzione Nord-Est, Sud-Ovest. Più in sii presso Diac- ceto, in senso discendente, al calcare alberese e allo schisto argil- loso, succede una breccia fossilifera a cemento calcare, prevalente- mente costituita da elementi silicei, da frammenti di micaschisti e talcoschisti, ed avente apparenza di un’Anagenite. Detta roccia è ricca di denti di Squalo e raramente vi si rinvengono anche delle Nummuliti. Per la sua posizione stratigratica, ed anche per i fos- sili che contiene, è, molto probabilmente, corrispondente alla for- mazione nummulitica. Infatti essa sta sempre alla base degli albe- resi e fra Altomena e Fontisterni si vede riposare sul macigno cretaceo ('). In tutto il restante il predominio dei calcari alberesi ricuopre ogni altra formazione, solamente verso il Val d’Arno lungo la Marnia e sulla via provinciale torna ad affiorare il macigno creta- ceo, la così detta pietra forte, che è costantemente ricoperta dalle de- posizioni del pliocene, pertinenti al bacino del Val d'Arno superiore. Questa in complesso la serie delle formazioni che cingono il lago pliocenico del Mugello, e costituiscono la serie collinosa e montuosa attraverso alla quale si è fatta strada la Sieve profittando, molto probabilmente, delle degradazioni operate durante il pliocene e forse anche avanti dalle acque che scendevano da una parte verso il Val d’Arno, dall’altra verso il Mugello. Condizioni orografiche del Bacino durante il Pliocene, e sua estensione. Non è difficile determinare anche oggi quali potevano essere durante il pliocene le condizioni orografiche del Mugello. Il lago pliocenico che copriva quella regione probabilmente non era che un resto dei mari miocenici i quali disposti alle falde dell’Apen- (i) Questa roccia è pure abbondante sulla sinistra dell’Arno a Belvedere ed a Castellonchio presso Volognano. 466 G. Ristori nino medesimo, in via di sollevamento continuo, lo tenevano più qua e più là ancora in loro dominio. Col procedere del sollevamento, sul finire del periodo miocenico, venne ad essere interrotta ogni comunicazione, di questo mare interno, coll’aperto mare, nel mede- simo tempo che in questo bacino ormai divenuto chiuso cresceva l’ afflusso delle acque dolci. Il continuo affluire di queste acque e la loro massa superò di gran lunga il consumo dovuto alla evaporiza- zione, quindi crebbe il livello del lago fino a trovare il punto più basso, per cui si costituì un emissario od un braccio di comunicazione, con i laghi contemporanei e vicini. Stando così le cose, ben si comprende come sia andata adagio adagio scom- parendo la salsedine, e come in un tempo relativamente breve, questa conca potè trovarsi totalmente invasa dalle acque dolci. L’afflusso delle acque era indubbiamente abbondante; giacché come vedemmo facevano corona a questa conca gli Apennini da una parte, la Calvana e il gruppo di Monte Giovi dall’altra, ed i torrenti che scendevano da questi monti e più specialmente dall’Àpennino dove- vano nell’ insieme avere una portata assai considerevole relativa- mente al bacino che dovevano alimentare : Infatti la sua supertìce non superava i 340 chilometri quadrati. Del resto la differenza note- vole fra l’afflusso delle acque provenienti dai monti vicini e l’eva- porazione è dimostrata con evidenza dall’altezza notevole rag- giunta dalle formazioni plioceniche. Esse in vari punti toccano la quota di 400 e 456 metri, e questo limite massimo è in diretto rapporto coll’altezza a cui doverono giungere le acque, prima di tro- vare uno scolo naturale attraverso ai monti che avevano chiuso all’ intorno tutto il bacino, e ne avevano col loro sollevarsi inter- rotta ogui comunicazione. Se si studia attentamente l’attuale regime delle acque nel Mugello, esso ci si presenta di una semplicità quasi eccezio- nale: infatti i torrenti scendendo tanto dall’Apennino come dal gruppo di Monte Giovi e dalla Calvana conservano un anda- mento quasi perpendicolare al corso della Sieve, senza molte tor- tuosità e mantengono fra loro un relativo parallelismo. Quest’anda- mento che essi hanno conservato anche nelle formazioni plioceniche si riconnette colla direzione del loro corso a monte di queste, ove essi attraversano terreni più antichi, i quali furono da essi incisi fino dai primordi dell’epoca pliocenica. Da ciò ne consegue che il regime 4(37 Il bacino pliocenico del Mugello attuale delle acque che alimentano la Sieve, fatta astrazione da quella parte che interessa i terreni pliocenici, ci rispecchia assai fedelmente, quello che durante il periodo pliocenico serviva ad ali- mentare il lago: infatti come si determinò la massima potenza e sviluppo delle formazioni lacustri alla base degl’Apennini causa la maggior portata dei torrenti che scendevano da quei monti, così un poco dopo furono i torrenti medesimi che impedirono alla Sieve di partire le formazioni plioceniche, e la costrinsero, per la forza impel- lente delle loro acque, ad urtare ed incidere la base dei monti eoce- nici che si allineano sulla sua destra. Le formazioni plioceniche occu- pano oggi una superfìce di circa 150 a 160 chilometri quadri, questa però è naturalmente molto inferiore all’estensione raggiunta dal lago; poiché i piccoli lembi di ghiaie e sabbie che trovansi lungo la valle del Carza, a Strada sulla sinistra ed a Briano sulla destra del fiume, servono bene ad attestarci come il lago abbia operate le sue depo- sizioni anche sulle pendici dei colli eocenici che prendono sviluppo sulla destra della Sieve, per cui coperse quelle formazioni fino a toc- care una linea altimetrica di circa 400 a 450 metri corrispondente press’a poco alla quota oggi toccata dalle formazioni plioceniche che sulla sinistra del fiume sono disposte alle falde dell’Apennino. Del resto atteso il sollevamento post-pliocenico non può esattamente determinarsi, la quota altimetrica che le acque raggiunsero. Essa però non doveva di gran lunga oltrepassare i 400 o 450 metri; giacché oltre quest’altezza, le acque avrebbero indubbiamente tro- vate molteplici vie per sgorgare attraverso ai colli che limitavano il bacino dalla parte di Sud. Tenendo quindi come la più proba- bile la media di 425 metri, si può approssimativamente calcolare l’estensione del lago pliocenico a chilom. quadrati 340. Del resto la media che abbiamo tenuta per base di questo calcolo non può essere gran fatto lungi dal vero, poiché presso Barberino ove le formazioni plioceniche giungono appena a 300 metri, abbiamo che le arenarie intorno a Camoggiano sono in gran parte disgregate, e ridotte di colore giallo per l' idratazione del ferro, fino a 400 e 450 metri; per cui può giustamente argomentarsi che a quel- l’altezza esse dovevansi trovare ancora sotto il dominio delle acque, le quali vi lasciarono impronte indelebili della loro azione. Simili fatti si possono costatare anche a piè dell’Apennino presso Bontà, e sulla destra della Sieve a poggio Scopeto ed a poggio Gerbone. 468 G. Ristori Disposizione delle Roccie plioceniche. Le formazioni plioceniche come accennammo fin da principio sono assolutamente predominanti fra le basi dell'Apennino e la si- nistra del Sieve. I limitatissimi lembi che sono sparsi qua e là sulla destra del fiume non hanno che poca importanza e non meritano più di quello che ne abbiamo detto. La grande massa delle roccie, che veramente costituiscono il bacino pliocenico, si estende formando quasi un ellisse con direzione da Ovest ad Est e più precisamente da Ovest ad Est-Sud-Est. La lunghezza massima del bacino, che coincide quasi perfettamente con quel tratto di vallata percorso dalla Sieve in direzione Ovest-Nord-Ovest, Est-Sud-Est, è di circa 23 a 25 chilo- metri, e la massima larghezza fra S. Piero, Borgo S. Lorenzo, Scar- peria e Brezzano è di 7 a 8 chilometri. Il deposito pliocenico presso Camoggiano e Barberino non lungi dalle sorgenti della Sieve e della Lora raggiunge appena in altezza 280 metri. Procedendo verso Est a monte di Gagliano lo troviamo toccare la quota di 320 metri ed a monte di Scarperia presso S. Clemente tocca la massima altezza cioè 456 metri per poi non ridiscendere mai al disotto di 400 fino a Rosto- lena e Earneto, ove si interrompe quasi bruscamente addossandosi alle argille scagliose, sviluppatissime presso quei luoghi. Questi depo- siti, sono attraversati da numerosi torrenti, i quali scendendo vorticosi daH'Apennino, gli hanno profondamente erosi, mettendo allo scoperto la successione stratigrafica delle formazioni. A monte, detti tor- renti si sono profondamente scavato il loro letto, più a valle hanno formate delle pianure alluvionali, di cui dovremmo in seguito parlare. I principali (procedendo da Ovest ad Est) sono, la Lora, la Stura, il Tavajano, l’Anguidola, il Levisone, il Bagnone, il Bosso, l’ Elsa, la Pesciola, e finalmente il borro di Tramonti il quale presso Vicchio incide, alla sua destra, il pliocene mentre a sinistra ha profondamente erose le argille scagliose fino a sco- prire il macigno cretaceo, su cui esse sembra che riposino costan- temente. Tutti questi torrenti corrono quasi paralleli fra loro e per- pendicolarmente al corso della Sieve, per cui alquanto a valle hanno fatto prendere alle formazioni plioceniche da essi solcate l’aspetto di colline allineate da Nord a Sud, che si succedono regolarmente e si dispongono fra loro, al pari dei torrenti, con quasi perfetto paratie- Il bacino 'pliocenico del Mugello 460 lismo. Inquanto alla Sieve, essa incide il pliocene presso Cavallina avanti la confluenza della Lora e della Stura. Oltre la foce di questi due fiumi che accrescono del doppio la sua portata, essa si getta contro le formazioni eoceniche e solo torna ad incidere il pliocene presso S. Piero costretta dal poggio di S. Martino a volgere il suo corso un poco verso Nord, per poi riprendere la sua consueta dire- zione, poco avanti la foce del torrente Levisone. Questa direzione della Sieve prosegue costante fino al limite Est delle formazioni plioceniche : infatti, è solamente dopo Ginestra, ove prendono il predominio le argille scagliose, che il suo corso muta quasi bru- scamente direzione per volgersi a Sud, e proseguire così fino al suo punto di confluenza coll’ Arno presso Pontassieve. Natura delle Roccie plioceniche, loro provenienza. Le roccie plioceniche del bacino del Mugello, sono argille, sabbie e ghiaie. Più abbondanti sono le sabbie alquanto argillose comunemente contradistinte col nome di sabbie gialle simili a quelle che prendono tanto sviluppo nel Val d'Arno superiore, dipoi vengono le ghiaie , le vere sabbie quarzoso-micacee , e finalmente le argille turchine e cenerognole. A queste roccie più o meno compatte o disgregate debbonsi aggiungere alcuni conglomerati ciottolosi simili ai così detti sansini del Val d'Arno superiore, i quali prendono considerevole sviluppo lungo la valle del torrente Elsa e del torrente Pesciola. Le argille (per comin- ciare dalla formazione più bassa e risalire successivamente alle su- periori) devonsi dividere in due serie, le quali occupano stratigrafica- mente due piani diversi. Le inferiori che fanno capo più spesso a valle per essere state messe allo scoperto dall’azione erosiva dei torrenti principali come il Levisone, il Bagnone e 1’ Elsa, sono cenerognole, compatte, untuose, molto simili per non dire identiche a quelle che nel Val d’Arno superiore servono di tetto al grande deposito ligniti- fero di Castelnuovo di Massa. Queste argille anche nel Mugello con- tengono fossili vegetali, impronte di foglie, resti di frutti, frantumi di piccoli rami di piante terrestri, e residui carbonizzati di piante lacustri. Sopra a questa formazione che molto probabilmente ci rap- presenta il deposito di fondo operato dal lago, 'riposa la grande massa delle sabbie gialle più o meno argillose, alternanti con stra- 470 G. Ristori torelli di ciottoli piccoli ellittici affusati, tali insomma, da dimo- strare come essi siano stati per lungo tempo elaborati dalle onde. Dette sabbie gialle occupano una assai vasta superfice formando il sopra-suolo della massima parte delle colline plioceniche di questo bacino. Dalla Sieve fino all’altezza di Scarperia ed anche un poco più a monte sono assolutamente predominanti le sabbie gialle, e celano quasi totalmente le sottostanti argille, le quali quando a quando affiorano per effetto della degradazione, o sporgono lungo l’alveo profondo di qualcuno dei principali torrenti già nominati. Più a monte la formazione pliocenica assume un carattere ben diverso. L’ imbasamento non è più formato dalle argille cenerognole; ma queste vengono quasi totalmente sostituite, da argille azzurre, più o meno azzurre, più o meno compatte, più o meno sabbiose. Le compatte giacciono alla base, sono spesso ricche di resti carbo- nizzati e di gusci di molluschi. Sopra a queste stanno altre argille, azzurognole sabbiose pure fossilifere, e finalmente abbiamo una potente formazione di sabbie quasi pure, alteranti con ciottoli fluvio- lacustri, ed intercalate da straterelli di un calcare spongioso, che sporge, in modo mollo singolare, nelle frane a picco, operate dalle acque. Risalendo i torrenti verso il punto ove essi hanno il loro letto totalmente incassato nelle formazioni eoceniche, troviamo che i depositi pliocenici si fanno via via più ciottolosi, ed i ciottoli rag- giungono dimensioni veramente notevoli. Questi ultimi depositi litto- ranei sono essenzialmente costituiti da un ammasso di grossi ciot- toli fluviali lassamente impastati, ora da argilla turchina molto sabbiosa, ora da sabbia quarzosa più o meno pura. La stratifica- zione tanto delle sabbie come della prima e seconda formazione ciottolosa, non mantiene l’orizontalità delle argille e delle sabbie * gialle; ma gli strati hanno una costante inclinazione verso valle, la quale si fa sempre più sentita mano a mano che si procede a monte. Questa singolare disposizione è conseguenza diretta del rapido corso di cui erano dotati i torrenti che scendendo daH'Apen- nino immettevano nel lago: Infatti rallentandosi notevolmente la velocità delle loro acque alla foce, essi deponevano immediatamente i materiali più grossolani e successivamente, disponevano gli altri in ragione del loro peso, per cui venivano a formare degli strati fortemente inclinati verso valle. Questa pseudoinclinazione è stata messa oggi in evidenza dalla degradazione operata dai torrenti, e 471 Il bacino pliocenico del Mugello ne abbiamo splendidi esempi sul Levisone presso le Fornaciacce, sul Bagnone presso S. Giorgio, nell’ Elsa sotto S. Donato ed a Vez- zano lungo la Pesciola. A queste formazioni succintamente descritte, un’altra deve es- serne aggiunta, quella dei conglomerati ciottolosi cementati da argilla ocracea. Dessa formazione occupa l’ultima porzione Est dei depositi pliocenici compresa tra il torrente Elsa ed il borro di Tramonti. In questa plaga i conglomerati sudetti riposano sulle sabbie quarzose, che abbiamo viste alternare coi banchi di ciottoli lungo il Levisone. Il torrente Elsa ci presenta speciali ed importanti esempi di degra- dazione. Le acque hanno esportata ed erosa la sabbia per modo che il conglomerato sovrastante è precipitato nell'alveo del fiume in grandi blocchi, i quali spesso hanno servito di intoppo al corso delle acque ed hanno costretto il fiume a gettarsi, ora a destra, ora a sinistra. Alla degradazione operata dal fiume, che ha profondamente alterato la formazione sabbiosa, dobbiamo aggiungere quella ope- rata dalle acque meteoriche le quali traversando il conglomerato hanno impregnate e fatte scorrere le sabbie sottostanti, e ciò a causa dell' impermeabilità delle argille turchine su cui esse costantemente riposano. Questa istabilità dei terreni pliocenici lungo quella zona dell’ Elsa, compresa fra Ronta e Monte Foscoli, offrirà certamente difficoltà non comuni per la costruzione del tronco di ferrovia che deve unire Borgo S. Lorenzo con Ronta ed in buona parte anche di quello che unirà Ronta con Gattaia. La provenienza di una gran parte delle roccie plioceniche del Mugello è indubbiamente dall’Apennino e solo in piccola parte si devono anche ai torrenti che immettevano nel lago dal gruppo di Monte Giovi. Le formazioni ciottolose tanto adatte per determinare la provenienza delle roccie, nel Mugello sono molto abbondanti, per cui possiamo passo, passo rendersi esatto conto da quali monti esse sono discese. I conglomerati sciolti ed alternanti colle sabbie del plio- cene inciso dalla Lora e dalla Stura , sono prevalentemente costituiti da ciottoli di calcare alberese ; fra questi se ne trovano alcuni di are- naria, di schisti galestrini, di schisti argillosi, di Aragonite e di Cal- cite. I primi provengono direttamente dai colli apenninici più pros- simi alla valle. Le arenarie vengono giù da Monte Cisterna e dal Poggio della Mandria; mentre gli schisti, l’ Aragonite e la Calcite provengono dai confluenti che hanno origine nei colli di Camog- •172 G. Ristori giano e di Collina. Procedendo verso Est a monte del Tavajano fra i conglomerati prevalentemente calcarei, abbiamo ciottoli di arenaria puddingoide, i quali indubbiamente provengono da Monte Gazzarro e da Prato al Conte. Da S. Agata a Lago, fino a Grez- zano, abbiamo abbondanza di ciottoli d’alberese misti ad arenarie provenienti da Mont’Àlto e dal Giogo, ove si trovano arenarie molto probabilmente mioceniche. Oltre Grezzano i conglomerati sciolti come quelli cementati (sansini) della Val d’ Elsa, sono quasi esclusivamente costituiti da arenarie mioceniche spesso fossilifere (]) fra cui è qualche ciottolo d'Aragonite o di Calcite, proveniente dalle argille scagliose, che occupano in basso alla base dellApennino una zona assai estesa fra Yitigliauo sul torrente Arsella ed Orticaja sulla Sieve. Restano ora i lembi assai limitati di pliocene che si incontrano sulla destra della Sieve. A S. Quirico i ciottoli sono d'arenaria, e in- dubbiamente provengono da Scopeto ove sono cave di quella pietra da taglio. A piè di Monte Rezzonico presso S. Piero non abbiamo che rari ciottoli calcari misti alle sabbie gialle, ed a Roncaticcio la formazione ciottolosa assolutamente calcarea proviene dal poggio di Ripapetti. I limiti dei conglomerati ciottolosi si possono facilmente sta- bilire, giacché essi si trovano a monte delle formazioni plioceniche, e costituiscono, alternanti colle sabbie o misti con esse, la formazione littoranea del lago, e spesso corrispondono alle barre di foce che i torrenti apenninici dovevano formare al loro entrare nel lago: Infatti essi diedero origine come ad un cordone, intorno alle formazioni delle sabbie gialle e delle argille, predominanti più a valle, e si disposero assai regolarmente tutto all’ intorno a circa un chilometro dal limite dei depositi pliocenici più minuti. In questa zona detti con- glomerati sono costituiti prima da grossi ciottoli di carattere assolu- tamente fluviale, poi da ciottoli più piccoli misti fluviali e lacustri. Anche nel mezzo della formazione delle sabbie gialle e delle argille abbiamo piccoli straterelli di ciottoli (sansini) questi sono litologicamente parlando di carattere molto misto, e le loro forme predominanti sono quelle di ciottoli lacustri per molto tempo ela- borati dalle onde. (J) Fra questi ciottoli di arenaria se ne raccolgono alcuni prevalente- mente calcarei i quali sono costituiti totalmente da modelli interni e da gusci di Lucine. IL bacino 'pliocenico del Mugello 473 Grli Strati fossiliferi ed. i Fossili. Gli strati fossiliferi può dirsi che nella serie discendente occu- pino di preferenza il punto più basso. Sono infatti le argille quelle che maggiormente si mostrano fossilifere. Le sabbie, i sansini e tanto meno i conglomerati a grossi elementi, si può dire che non contengano fossili di sorta. Intermediaria tra i conglomerati, le sabbie, e le argille, prende come dicemmo, sviluppo grande la for- mazione delle sabbie gialle più o meno ricche di elementi argil- losi, alle quali si uniscono qua e là piccoli straterelli di ciottoli a dimensioni molto ridotte. Questi depositi hanno dato, come nel Val d’Arno superiore, resti di mammiferi pliocenici, mentre le argille turchine e cenerognole, e più specialmente quelle che trovansi a contatto coi banchi di lignite hanno conservato i resti della flora, e anche della fauna malacologica. Del resto qua e là anche le sabbie e specialmente quelle più argillose, contengono resti di piante e gusci di molluschi in quantità rilevante. Questi fossili però sono in generale mal conservati e non è facile raccoglierne in quantità. Nel Mugello fino ad ora non sono stati trovati, come in Yal d’Arno molti resti di mammiferi fossili, pur nondimeno sono essi più che suflicenti a dimostrarci identiche le faune mammologiche dei due bacini ; perchè i pochi resti fossili ivi ritrovati, e che attualmente si conservano nei Musei paleontologici di Firenze, di Bologna ed anche di Pisa, appartengono indubbiamente a specie identiche a quelle che in tanta copia si raccolgono nel Yal d’Arno superiore. Uno dei fossili più frequenti in Mugello è il Rhinoceros etruscus Falc, di cui si hanno nel Museo di Bologna (■) i seguenti resti : un palato con mascelle, una porzione di mandibula sinistra, una porzione di sfenoide, una mandibula sinistra con porzione della destra, due premolari superiori isolati, e due primi molari destri pure isolati. Al Museo di Firenze appartiene, della stessa specie, la parte anteriore di un mascellare superiore sinistro con tre molari. I resti del Museo di Bologna provengono tutti dai dintorni di Barberino i quali fino ad ora hanno dato il maggior contingente di (!) Debbo alla gentilezza del comm. prof. Giovanni Capellini la nota di questi fossili. 474 G. Ristori ossa fossili. Il pezzo elio è a Firenze fu scavato invece in un podere detto la Cerota a S. Clemente a Signano presso S. Agata. Dal colore della sua fossilizzazione sembra provenire dai sansini o dalle sabbie gialle, che sono estesissime presso quella località. Oltre ai pochi resti di Rhinoceros il Museo di Firenze pos- siede due magnifici molari superiori, i terzi, appartenenti &IY E lephas meridionali Nest., cioè il sinistro ed il destro di un medesimo indi- viduo, raccolti a Collina presso Vicchio e donati dal cav. Pietro Vivai; mentre un terzo trovasi nel Museo di Bologna ('). Quei molari sono fra i più grossi che posseggano i due Musei e furono molto tempo fa cre- duti dal prof. Igino Cocchi appartenere ad una specie diversa cioè all’ A. armeniacus Falc., però egli non insistè gran fatto (2) sulla reale esistenza di questa specie in Mugello. Ultimamente però, prima il F. Major e poi il Weithofer, che fu a studiare i Proboscidiani nel nostro Museo, ritennero che dovessero anch’essi molari senza dubbio riferirsi all’ A. meridionali , specie tanto comune in Val d’Arno. A questi che sono i principali mammiferi fossili, fino ad ora trovati in Mugello ne dobbiamo aggiungere altre due specie, le quali per quanto sieno rappresentate da piccoli frammenti, pure non hanno minor va- lore paleontologico. Il primo di detti frammenti consta di una por- zione di corno appartenente alla specie Cervus ctenoides Nesti, ritro- vata nelle ligniti di Barberino, ed attualmente posseduta dal far- macista di quella Borgata. Ai medesimi strati appartengono anche i molari di una scimmia che io ebbi dal Museo di Pisa per farne oggetto di uno studio paleontologico che presto vedrà la luce. Quei molari sono identici a quelli della specie del Val d’Arno Jnuus florentinus, che fu prima illustrata dal Cocchi (3) sotto il nome di Aulaxinuus florentinus. Più numerosi e più vari sono i resti della fauna malacologica. Le argille, specialmente quelle a contatto diretto coi depositi di O Questo molare è identico non solo per le dimensioni, ma anche per il colore della fossilizzazione a quelli che trovansi nel Museo di Firenze, porta però vaga indicazione della sua provenienza; giacché nell’etichetta è scritto semplicemente (Mugello). (*) Cocchi, L'Uomo fossile nell'Italia centrale , pag. 19, 20. Est. dalla Mem. Soc. ital. di Scienze naturali 1867. (3) Cocchi, Su di due Scimmie fossili ecc. Boll. Coni. Gcol. ital. Anno 1872 pag. 55. 475 Il bacino pliocenico del Mugello lignite sono ricche ricchissime di gusci di Dreissena e di Hy alina ; mentre le sabbie più o meno argillose, e più specialmente quelle turchinicce contengono Bythinia , Vaivaia, Nematurella , Pisidium , Urlio e qualche altro genere. Debbo alla molta gentilezza del prof. Cesare d’Ancona, il seguente quadro sinottico comparativo dei molluschi, che dietro sua autorizzazione mi permetto di pubblicare a compimento delle notizie paleontologiche del bacino del Mugello. Nomi delle Specie I viventi Mugello Yal d’Arno! superiore | Ilyalina sp Fra Lumena e Gagliano .... . . Iielix sp Sul torrente Elsa presso Ponte alle Doccie Planorbis sp Fornaci sopra a Gagliano . . . • • Nematurella oblonga Broun. • • Pulicciano, Bagnone, Grillo, Bosso presso Grezzano -i- Bythinia tentaculata Lin. . “ H Levisone frana delle Fornaciacce. • • Linnaeus ovatus Drap. . . Torrente Elsa presso Ponte alle Doccie, Pulicciano Vaivaia piscinalis Muli. . Torrente Bosso, Grezzano, Elsa, Pulicciano , Ponte alle Doccie, Fornaci di Gagliano .... Pisidium priscum Eichw. . • • Gagliano fornaci, Elsa, Ponte alle Doccie, Bagnone, Grillo, S. Gior- gio Unio etruscus D’Anc. . . • • Ponte alle Doccie sull’Elsa. . . Dreissena semen De-Stef. . Gagliano, Lumena, Soderà presse Barberino, Pallaio Da questo quadro si rileva facilmente, come le condizioni del Mugello fossero alquanto differenti da quelle del Val d’Arno; giacché non si trovano là alcune specie presenti in Yal d'Arno come in Yal d’Arno ne mancano alcune proprie del Mugello. Quan- tunque questa fauna malacologica meriti più accurate ricerche per 476 G. Ristori stabilirne meglio il vero carattere, ed i rapporti che ebbe colle con- temporanee degli altri laghi pliocenici italiani e più specialmente con quello del Val d’Arno (con cui il lago del Mugello ebbe, come in seguito dimostreremo, comunanza d’origine ed anche rapporti) ; pur nondimeno la presenza di alcune specie e generi non comuni al bacino valdarnese fa pensare a condizioni di ambiente alquanto differenti, le quali forse provennero da essere stato il bacino del Mugello per assai tempo, e nei primordi della sua costituzione, privo di comunicazioni e di scoli, i quali stabilitisi alquanto dopo, contribuirono forse alle variazioni subite in seguito dalla fauna malacologica. Ad appoggiare questa mia supposizione sta il fatto, che le Dreissene , le quali accennerebbero ad una più o meno ac- centuata salsedine delle acque, si trovano' costantemente fossiliz- zate negli strati delle argille cenerognole che nel Mugello ci rap- presentano sempre, la formazione inferiore. A parte simili rilievi che potrebbero sembrare a qualcuno alquanto arditi, passiamo a stu- diare la flora. Le piante fossili, che nelle mie gite successive in Mugello ho potuto raccogliere, appartengono per la maggior parte a Conifere ed Amentifere ed hanno nell’ insieme un carattere montano. Non un Laurus , non un Cinnamomum , non una Cassia , un Licquidambar, non una Magnolia , mi è stato possibile ritrovare. Tanto nelle argille come nelle sabbie prevalgono strobli di Conifere e frutti di Faggi e di Betule. Anche le impronte di foglie non sono rare, e di esse se ne trova la maggior quantità presso i banchi di lignite a Lumena ed alle Fornaciacce sul Levisone. Come apparisce dal seguente elenco, le specie che fino ad ora, ho potute raccogliere sono tutte comuni ed identiche a quelle del Yal d'Arno superiore, eccole : Nomi delle Specie Località Acer Ponzianum (Samara) Gaud. .. . . Elsa, Ponte alle Doccie. Corilus sp. ind. (Frutto) Bagnone e Bosso. Alnus Kefersteinii Gaud Elsa sotto Pulicciano. Planerà Ungevi Ett. (Frutti) Elsa, Bagnone. Betula prisca Ett. (Fillite) Lumena (Ligniti). Juglans tephrodes Ung. (Frutto) .... Bagnone, Bosso. » Strozziana Gaud. (Frutto) . . . Elsa, Ponte alle Docce. Quercus Scillana Gaud. (Fillite) .... Lumena (Ligniti). » Drymeia Ung. (Fillite) .... Id. Il bacino pliocenico del Mugello 477 Nomi delle Specie Località Fagus sylvatica L. (Frutto e Fillite) . . Lumena, Bosso sotto Brezzano. Pinus De-Stefanii Bist. (Strobili) . . . Levisone presso la Villa Corsini, S. Piero a Sieve. Glyptostrobus europaeus Brog. (Strobili) . Id. Cyperites elegans Gaud Lumena, Levisone alle Fornaciacce presso le Ligniti. Potamogeton sp Elsa, Levisone alle Fornaciacce, Lumena. Per quanto il numero delle specie, che fino ad ora si conoscono di questa flora, sia troppo piccolo per darci un giusto concetto del suo carattere; nondimeno, tenendo in debito conto: 1° Che dei resti appartenenti a quelle specie, ne sono pieni tutti gli strati e spe- cialmente le argille e le sabbie, contigue ai banchi di lignite. 2° Che non mi fu possibile ritrovare in quest’ ammassi di fìlliti, nessun genere di pianta proprio di climi caldi, come assai di fre- quente avviene nel Val d’Arno superiore ed inferiore (1). 3° Che i resti più abbondanti appartengono a piante montane; dobbiamo necessariamente concludere, che il clima del bacino del Mugello durante il pliocene dovè essere alquanto più freddo di quello che avevano il Val d’Arno e gli altri laghi ed estuari pliocenici vicini. Ciò ha forse ragione nell’orografia di quel bacino lacustre, il quale era come oggi, per la massima parte, chiuso dagl’Apennini che avevano già raggiunta un’altezza notevole. I Banchi di Lignite. Anche le formazioni plioceniche del Mugello includono banchi di lignite. Questi banchi non sono molto estesi nè molto potenti; ma invece gli troviamo quà e là sparsi, occupare la plaga più a Nord dei depositi pliocenici. Le argille e le sabbie che gli accom- pagnano appartengono, come succede in Val d’Arno, in Val di Serchio O Presso Malmantile ad Est-Nord-Est di Montelupo, insieme al prof. De Stefani, rinvenni un banco di filliti, in cui sono molte specie identiche a quelle del Val d’Arno, e non vi mancano i Laurus, le Cassie, i Cinnamomum ed altre piante di climi caldi, insieme alle Conifere ed Amentifere che anche qui, come nel Val d’Arno, superiore, sono in grande maggioranza. 478 (}. Ristori ed in Yal di Magra, agli strati sedimentari più profondi che fan parte dei depositi littorali. Il banco più interessante per la storia geolo- gica del bacino trovasi presso Barberino in una località denominata il Pallaio sulla destra della Stura. La collina, sul cui vertice affiora il banco, è totalmente costituita di sabbia gialla molto argillosa mista a ghiaie di non grandi dimensioni. Esso riposa costantemente sulle argille cenerognole, le quali al contatto della materia carbo- niosa sono divenute nere. Tanto le sabbie come le argille presen- tano quasi perfetta orizzontalità. Al contrario gli strati lignitiferi pen- dono di circa 12 gradi ad Ovest 30 Sud e tendono a sprofondarsi verso la Lora. Però non devono essere molto estesi perchè non ricompa- riscono affatto nelle profonde erosioni che la Lora medesima ha ope- rate in vari punti ove attraversa le formazioni plioceniche. Oltre a ciò sembra che il banco non oltrepassi la cascina denominata Pallaio; poiché le escavazioni tentate in quel luogo hanno messo allo scoperto uno strato, della potenza appena di un metro, il quale va as- sottigliandosi più che si procede verso Nord-Ovest. I depositi argil- losi su cui giacciono le ligniti sono ricchi non solo di sostanze carbo- niose, di resti di piante, ma anche di gusci di Dreissene, e fran- tumi di altre conchiglie lacustri. Questi fossili in generale non sono ben conservati. Dei gusci di Dreissene però se ne possono racco- gliere alcuni abbastanza integri nelle argille arse ( argiles brùlées) tanto frequenti in questo banco, il quale fu per lungo tempo in preda ad un incendio dovuto, come sempre, all’ossidazione della Pirite di ferro. Questo banco stante le escavazioni che vi sono state fatte ha contribuito (come dicemmo) per la massima parte a farci cono- scere la fauna mammologica del Mugello: infatti fu durante l’esca- vazione del lignite che si scoprirono i resti dell’ Inuus florentinus, del Rhinoceros etruscus , e del Cervus ctenoides. L’estensione del banco non è molto grande, può con appros- simazione calcolarsi a circa 7500 a 8000 metri quadri. Lo spessore degli strati lignitiferi non è regolare. In alcuni punti giunge fino a quattro metri, in altri sta molto al di sotto di due, per cui la media non può certamente essere superiore ai tre metri. La serie degli strati in corrispondenza di questa formazione lignitifera è, dal basso all’alto, la seguente, come apparisce in parte dalle escavazioni eseguite, e dai tagli naturali operati dalla Lora e dalla Stura un poco più a monte della cascina del Pallaio Il bacino pliocenico del Mugello 479 Argilla turchina metri ? Sabbia argillosa * i^oo. Argilla cenerognola e nera per contatto diretto colle sostanze carboniose » 0,80. Banco di lignite, spessore medio « 3,00. Argilla cenerognola con resti di argille arse . » 0,70. Sabbie gialle e ciottoli alternati o totalmente sostituiti gli uni dalle altre « 1,20. Spesso quest’ ultimi strati mancano aifatto ed il banco trovasi ad affiorare. Un secondo banco, forse meno conosciuto, ma di maggiore importanza per l’ estensione e per la qualità del materiale trovasi presso Lumena. Questo banco sembra occupare un’estensione non indifferente ; poiché affiora in tre punti, a Castagnolo sotto la cascina di Pagnano, e sopra alle Fornaci presso il fosso di Collina a Nord- Nord-Est di Gagliano, per cui occupa una linea trasversale parallella all’Apenuino di circa metri 800. È però poco sviluppato nel senso longitudinale perpendicolarmente all’Apennino; poiché tanto nelle frane del fosso di Collina, quanto in quelle dell’Anguidola, il banco non ricomparisce per quanto sieno totalmente interessati e messi allo scoperto gli strati delle argille cenerognole, su cui riposano costantemente le ligniti di questa plaga. Da ciò possiamo con assai giustezza argomentare che il deposito lignitifero non si estenda in questo senso più di 200 metri. Le argille cenerognole, come dicemmo, servono di base a queste ligniti , e presentano una potenza di strati molto rilevante, giacché noi le vediamo spesso ricomparire nelle frane del torrente Anguidola e sopra ad esse ripo- sare strati sabbiosi ed anche ghiaiosi, pendenti a valle, per cui queste argille rispondono e sono in diretta continuazione della vera formazione argillosa inferiore, che abbiamo vista, sviluppata molto al centro del bacino a costituire l’ imbasamento di tutte quante le deposizioni plioceniche. I fossili che possiamo raccogliere in questo banco di lignite sono resti di mammiferi, più volte ritrovati e distrutti dal colono Papanti unico escavatore di quel combustibile, Dreissene, B}rthinie, Yalvate nelle argille sottostanti, resti di vegetali carbonizzati ed impronte di foglie nelle sabbie superiori. Lo spessore medio di questo banco di lignite presso Lumena, 31 480 G Ristori unica località ove ad intervalli viene attivata l’escavazione e di metri 2 poco più, alle Fornaci invece si riduce appena ad un metro mentre a Pagnano raggiunge anche tre metri. In quest’ ultima località gli strati legnosi riposano sulle argille cenerognole annerite dal contatto delle sostanze carboniose e ricche di Nematurelle, Dreissene, Bythinie eoe. Il quadro dimostrativo della successione dei terreni in corri- spondenza di questa località, sarebbe il seguente, dal basso all’alto. Calcare Alberese. metri ? Argille cenerognole con resti di conchiglie fos- sili e frammenti di vegetali carbonizzati .... » ? Strati lignitiferi, spessore medio » 2,00. Sabbie con impronte di foglie mal conservate . » 1,50. Ghiaie prevalentemente di calcari alberesi . . » 1,00. Nel senso discendente, questa stratificazione va poi a ricon- nettersi con quella che abbiamo indicata nella serie comprensiva degli strati. A monte del Levisone presso le Fornaciacce sotto Poggiolo, un piccolo affluente del suindicato torrente ha messi allo sco- perto alcuni strati di lignite, i quali giacciono in seno alla for- mazione sabbiosa corrispondente agli strati che nel taglio preso sul Levisone medesimo, abbiamo veduto riposare sulle argille turchine ricche di Dreissene. Dette sabbie contengono abbondanti resti di vegetali, frutti di Glyptostrobus , Fagus, Corilus , Iuglans , ecc., e gusci di Bythinie e Valvate. A tratto a tratto e più specialmente negli strati inferiori, compariscono straterelli lignitiferi alternanti a diversi livelli e della potenza di 50 a 80 centimetri. Il loro modo di presentarsi, saltuario, più che a un vero e proprio banco, fa pen- sare, a legni fluitati ed ivi accumulati di preferenza, in quantità da costituire una serie di 2 o 3 strati degni di essere coltivati. In nessuna altra località del Mugello, quantunque le forma- zioni plioceniche sieno solcate da profondi e numerosi canali, sono visibili banchi di lignite. I rari frammenti legnosi che si incontrano spesso nelle sabbie e nelle argille turchine e cenerognole sono di tal natura da escludere F esistenza di veri e propri banchi, dovendosi tutti riferire alla fluitazione di minute e poco abbon- danti bruciaglie. Il bacino 'pliocenico del Mugello 481 Caratteri della Lignite. La lignite del Mugello, meglio detta piligno, per distinguerla dalle ligniti mioceniche tanto più carbonizzate, è di qualità molto scadente. Il suo potere caloriiìco deve essere molto al di sotto di quello che si ottiene dalle comuni ligniti plioceniche, di cui è tipo quella del Val d’Arno superiore. Quantunque io nou abbia fatte dirette ricerche in proposito, pure sò positivamente che tanto la lignite di Barberino, quanto quella di Lumena, lasciano, come materie combustibili, molto a desiderare ; giacché i residui della combustione sono oltremodo abbondanti. Del resto anche senza la diretta esperienza, basta l’esame superficiale per giudicare della sua scadente qualità: infatti essa lignite è quasi totalmente costituita da piccoli rami e da foglie, rari sono i tronchi di qualche consistenza, per cui manca la così detta lignite bianca , la quale ordinariamente possiede un potere calorifico assai rilevante ed è quasi assolutamente priva di Pirite di ferro. Questa qualità, impropriamente chiamata bianca , per distinguerla, da quella scura, quasi nera, esclusivamente costituita da foglie e da piccole bruciaglie di piante terrestri e lacustri, è appunto data dai grossi tronchi, dai grossi rami e dalle grosse radici, che per essere più compatti e contenere maggiore quantità di silogeno, hanno potere calorifero maggiore e durante la loro decomposizione hanno attratto e concentrato in sè minor quan- tità di ferro, il quale è sempre a scapito delle proprietà industrial- mente utilizzabili. Se dovessimo classare, le ligniti dei diversi banchi che tro- vami in Mugello, il primo posto sarebbe da assegnarsi a quelle di Lumena, ove abbiamo qualche tronco o grosso ramo, che ne la rende di mediocre qualità ; infatti essa è utilizzata nelle fabbriche di ferri da taglio di Scarperia. Essa è preferita a quella di Barberino, che ordinariamente dà più abbondanti residui e brucia meno facilmente, perchè è più terrosa e più rari vi si ritrovano i tronchi ed i rami di una certa grossezza. Seconda nella serie dovremmo porre quella di Barberino, ed ultima quella delle Fornaciacce, la quale agli altri difetti, aggiunge quello di una difficile escavazione. In ogni modo queste ligniti potrebbero essere escavabili, in parte per servire di materiale combustibile, ed in parte anche per 482 G. Ristori utilizzarsi come sostanze fertilizzanti. Sotto questo duplice aspetto, e tenendo conto della facilità di trasporto, che il Mugello potrà fra breve offrire per l’attivazione della ferrovia Faenza-Firenze, questi depositi legnosi non sono privi di interesse. La quantità escavabile dei due banchi principali di Lumena e di Barberino, i quali offrono per giunta facilità di escavazione grandissima, può calcolarsi in complesso a m. cubi 328000 ossia a circa 437333 tonnellate com- presi gli strati terrosi utilizzabili per la fertilizzazione. In queste ligniti però sembra che la Pirite vi sia oltremodo abbondante; giacché le acque, che scolano dai diversi punti ove i banchi suin- dicati furono, o naturalmente od artificialmente, messi allo scoperto, sono sovracariche di Limonite, la quale indubbiamente proviene dalla riduzione del Solfuro di Ferro. Da tutto ciò ne consegue che prima di intraprendere un’ escavazione razionale ed estesa di questo materiale, converebbe farne prima un esame molto scrupoloso, perchè da esso, dopo tutto, potrebbe anche risultare negativa la con- venienza di simile impresa. Comunicazioni elei Lago mugellese coi contemporanei pliocenici. Dicemmo già come per il sollevamento dell'Apennino e delle sue propaggini avessero origine le conche lacustri della Valle della Sieve, dell’ Arno, del Serchio ecc. Fra la Sieve e l’Arno come nei tempi attuali, così durante il pliocene dovevano esistere dei rap- porti di contiguità. Esaminando la serie montuosa che limita queste . due vallate dalla parte di Sud, vedemmo come il gruppo di Monte Giovi ne determini principalmente lo sparti-acque. Questa catena montuosa si riconnette ad Ovest col gruppo di Monte Morello e quindi colla catena della Calvana, ad Est poi si congiunge cogl’ultimi contrafforti della Falterona e della Consuma. I punti di congiun- zione ci vengono rappresentati da una serie di monti i quali in più punti non superano in media i 600 o 700 metri d’altezza, ed hanno delle selle che spesso non raggiungono neppure i 450 metri. Abbiamo un primo esempio di ciò nel poggio della Lucietta interposto fra la Valle del Ritortolo affluente della Sieve e quella della Marina affluente del Bisenzio. Ne abbiamo un secondo nel poggio di Fra- Il bacino pliocenico del Mugello 483 tolino che appena giunge alla quota di metri 461 e serve a divi- dere la Valle del Carza da quella del Mugnone, e finalmente un terzo forse il più interessante, ci è rappresentato da tutta la serie di colline incise dalla Sieve. Per la Val di Marina non esistono depositi pliocenici, i quali ci diano indizio che il lago mugellese abbia avuto uno sfogo da quella parte. Le formazioni del cretaceo superiore e dell’eocene non sono in nessun luogo ricoperte dal pliocene, e la sella del poggio della Lucietta deve certamente la sua origine ad abrasione posteriore dovuta all’ intersecamento di due semi-coni di corrosione, l’uno in corrispondenza delle sorgenti della Marina, l’altro di quelle del Ritortolo. Del resto un altro fatto esclude un possibile braccio o scolo del lago da quella parte. Questo devesi appunto alla disposizione del deposito pliocenico che presso Barbe- rino trovasi ridotto oltremodo, sì in estensione, come in potenza; mentre va sempre e gradatamente aumentando mano a mano che si procede ai Est verso lo scolo naturale del fiume Sieve. Alla disposizione dei depositi deve aggiungersi quella degli strati i quali in quei dintorni pendono ad Est oppure verso l’alveo della Sieve medesima come può notarsi alle (Irete del Lago fra ]a Stura e il Calecchia. Del resto, in corrispondenza del macigno cretaceo che in Val di Marina affiora presso S. Donato, e costituisce in totalità la sella della Lucietta (per la completa degradazione sofferta in quest’ultima località dai calcari alberesi di cui sono formati i monti circonvicini) si possono osservare superficiali disgregazioni di ma- cigni e di galestri che a prima giunta potrebbero credersi sabbie gialle, giacenti su dette formazioni. Osservate attentamente, si pre- sentano prive di ciottoli ed invece stanno in esse numerosi fram- menti delle roccie sottostanti in via progressiva di decomposizione ; per cui conviene escludere assolutamente l’ idea che possano riferirsi a formazioni lacustri che si sieno deposte su quelle roccie. Analoghe conclusioni devono trarsi dall’esame della Val di Mugnone da una parte, del Carza e del Ealtona dall’altra : infatti tanto la sella di Pratolino quanto quella dell’Olmo hanno carattere di insellature prodotte dalla costituzione degl’ alvei torrenziali che si sono prodotti tanto sul versante dell’Arno, come su quello della Sieve. I limi- tali depositi pliocenici che si incontrano molto a valle del Carza e del Mugnone non ci danno davvero facoltà di concludere per una comunicazione da quella parte, del lago mugellese con quello che 484 G. Ristori durante il pliocene occupò anche i dintorni di Firenze ('). Gli uni e gli altri di quei depositi devonsi bensì riferire respettivamente al lago vicino; poiché fra essi corre tale interruzione, ed esiste tale dislivello, da non potere invocare detti depositi, come prova di con- tinuità fra i due summenzionati bacini. Resta ora l’ esame della valle di Sieve di cui già descrivemmo le formazioni cretacee ed eoceniche profondamente degradate dal fiume e dai suoi affluenti. Esaminando attentamente la figura che ci presenta la valle di Sieve possiamo facilmente intuire come quella valle, chiusa al primo emergere delle formazioni cretacee ed eoceniche, di cui ne è costituito il sottosuolo ed i monti vicini, siasi in seguito aperta per l’effetto combinato, prodotto dall’incontro di due semi-coni di corrosione, uno dei quali procedette da Nord a Sud, dovuto alle acque che ebbero scolo verso il bacino del Mugello; mentre l’altro determinò la sua azione in senso inverso, essendo originato da quelle che prima scolarono verso il bacino del Val d’Arno e poi raggiun- sero per erosioni successive e progressive, anche quello ove oggi risiede Firenze. Infatti il semi-cono di corrosione che ha sua base in corri- spondenza del punto ove il fiume Sieve uscendo dal bacino mugel- lese, volge il suo corso a Sud, presenta una forma assai regolare. La sua larghezza massima è fra il torrente di Tramonti e Dicomano. Oltre questo paese la valle si stringe considerevolmente fino a che, poco a Nord di Scopeto presso Casini o Contea di sotto, forma una stretta ove la Sieve passa incassata fra i monti di Turicchi e Poggio allo Spicchio, i più alti che si incontrino percorrendo tutta la valle. - Questo punto doveva probabilmente determinare, in continuazione col gruppo di Monte Giovi, lo spartiacque fra il Mugello e la Valle dell' Arno. Quest’ antica orografìa però, fu assai profondamente modi- ficata, per 1’incontro dei due semi-coni di corrosione, dei quali anche f1) Anche i dintorni di Firenze furono durante il periodo pliocenico coperti dalle acque, le quali deposero ghiaie, sabbie, ed anche argille. Queste formazioni furono dal Cocchi credute quaternarie; ma i resti di mammiferi fossili ultimamente scoperti ne hanno dimostrato il sincronismo, con le for- mazioni del Val d’Arno superiore ed inferiore, colle quali più o meno intima- mente si riconnettono. Il bacino pliocenico del Mugello 485 quello opposto, clie ha sua base e sua massima larghezza fra la Bulina e i ruderi del ponte a Vico ('), ebbe come il primo, il suo apice presso Scopeto. Fu appunto per la continua abrasione delle acque che scende- vano in opposte direzioni, che formossi la sella fra Turicchi e S. Ellero presso Casini, la quale per il continuo abbassarsi, stabilì, durante il pliocene, lo scolo del lago mugellese per quella valle d’erosione, per la quale in tempi più moderni fecesi, come era natu- rale, strada la Sieve. Il semi-cono d’erosione che dicemmo essersi sta- bilito più a Sud fra Casini e Pontassieve, si originò contemporanea- mente a quello che si produsse fra Pontassieve è S. Ellero in Val d’Arno, ed insieme stabilirono una comunicazione o braccio di scolo fra le acque provenienti dal bacino superiore del Mugello ed il Val d’Arno superiore, il cui lago ebbe riva lungo l’attuale corso del Vi- cano, come lo dimostrano gli strati di ciottoli pliocenici che ricuo- prono con considerevole potenza le formazioni cretacee ed eoceniche sulla sinistra del mentovato torrente, la profonda erosione, i tagli, ed il terrazzamento che possiamo osservare sulla destra di esso torrente presso Fontisterni nei calcari alberesi. Più a monte del Vicano fra Fontisterni, Pagiano e Pelago abbiamo una depressione, la quale procede oltre Cafaggio e tende a riconnettersi con l’altra più estesa fra Falgano e Gasi per raggiungere il semi-cono di corrosione operato dalle acque che oggi per il torrente Rufìna affluiscono alla Sieve. Queste depressioni sono pianeggianti e mostrano qua e là o i cal- cari alberesi ricoperti da una formazione sabbiosa dovuta al disfa- cimento delle arenarie lì prossime, o le arenarie stesse profon- damente alterate. Questo fenomeno è evidentissimo a Pagiano, a Caffaggio e specialmente a Falgano, ove la formazione detri- tica acquista lo spessore di 3 o 4 metri, ed è talmente disposta, da giustificare a prima giunta, l’ impressione di essere davanti ad un vero e proprio deposito di sabbie gialle plioceniche. L’assenza però dei ciottoli fa presto ricredere ; ma non esclude che le acque del Mugello potessero versare anche per quella strada nel lago del Val d’Arno; giacché tanto la disposizione topografica, come la profonda alterazione delle arenarie servono di valido appoggio a questa credenza. ( 1 ) Antico ponte romano. 486 G. Ristori In altro mio lavoro (') dimostrai la possibilità di una comu- nicazione fra il lago valdarnese e quello che occupò contemporanea- mente i dintorni di Firenze. Anche questa comunicazione la quale tenne la via oggi percorsa dall’ Arno, dovè stabilirsi per l’azione erosiva delle acque che da una parte versavano nel bacino di Fi- renze; mentre per l’altra ed in maggior quantità raggiungevano quello del Val d’Arno superiore. La speciale orografia poco diffe- rente da quella che si vede tuttoggi fra queste due ultime conche lacustri, si stabilì dopo quella che unì il bacino superiore del Mu- gello con il Val d'Arno; poiché se la massa imponente delle acque provenienti da quel lago si fosse versata fin da principio nel bacino di Firenze, le formazioni plioceniche avrebbero quivi dovuto raggiungere maggiore potenza ed estensione. Al contra- rio le deposizioni che ci presenta il Val d’Arno superiore, insieme ad i suoi estesi e potenti banchi di piligno, sono tali da farcele ritenere di gran lunga sproporzionate alla massa delle acque che potevano affluirvi dai monti vicini. Anche il Prof. Cocchi (-) nei suoi studi sul Val d’Arno superiore fu colpito da quella sproporzione d’effetti di fronte alle cause apparenti che gli avrebbero prodotti. Cerca quindi dimostrare, come altre correnti da monti più lontani, potessero aver versato in quel lago e contribuito non poco a colmarlo. Senza spingermi ad ipotesi ardite, di un’orografia tanto differente dall’attuale, mostrai già come affluissero nel Val d’Arno le acque del Casentino che fu emerso durante il pliocene (3), ed oggi mi pare di avere più chiaramente esposto le mie idee sulla probabile comunicazione del lago mugellese con quello contemporaneo del Val d’Arno, che già aveva prima d’oggi accennata (4). ltiepilogando adunque, io penso che il lago pliocenico mugel- lese abbia avute comunicazioni con quello del Val d’Arno durante il (L G. Ristori, Considerazioni geologiche sul Val d'Arno superiore , sui dintorni d' Arezzo e sulla Val di Chiana. Atti Soc. Tos. di Se. nat. Voi. VII fase. 1°, Anno 1886, pag. 249. (2) Cocchi, L'uomo fossile nell' Italia centrale. Est. dal Voi. I, Mem. Soc. geol. di Scienze, pag. 37. Anno 1865. (3) G. Ristori, Cenni geologici sul Casentino. Proc. Veri), della Soc. Tose, di Se. nat. Anno 1886. Adunanza 10 gennaio. (4) G. Ristori, Considerazioni geologiche sul Val d'Arno sup. sui dintorni d' Arezzo ecc., op. cit. pag. 261. Il bacino pliocenico del Mugello 487 pliocene, ed abbia contribuito ad accrescerne per molto tempo la vastità e la potenza dei suoi depositi insieme alle acque che vi scendevano anche dal Casentino. Stabilite queste comunicazioni (le quali atteso il dislivello esi- stente fra la conca mugellese e quella del Val d’Arno superiore fecero sì che le acque del primo lago fluissero in grande copia nel secondo) ben si comprende come, le materie più grossolane deponevansi preferibilmente nella conca più alta, mentre le più fini, e quelle che galleggiavano, come i legni e forse anche le carogne dei mammiferi scendevano per la maggior parte, in quella inferiore, ove finalmente si deponevano. Da qui la maggior copia di elementi grossolani, ciottoli e sabbie, che abbiamo nelle formazioni del Mugello, da qui la pochezza dei resti di mammiferi pliocenici, da qui la piccolezza e la pessima qualità dei piligni di fronte a quelli del Val d’Arno, in cui troviamo depositi argillosi, incommensurabil- mente più potenti ed estesi, maggior copia di resti ossei di mam- miferi e banchi di piligno veramente colossali, e quasi esclusiva- mente costituiti di grossi tronchi, di grossi rami e di grosse radici. Le Formazioni Quaternarie ed i Terrazzamenti. Dalle deposizioni plioceniche, in Mugello, si passa subito alle quaternarie più recenti; poiché in questo bacino sono mancanti, al pari che in altri dell’Apennino centrale, le formazioni comunemente distinte col nome di post-pliocene, o pliocene superiore, quali sa- rebbero le ghiaie, sabbie ed argille del Casentino (J), le pianure alluvionali dei dintorni d' Arezzo e della Chiana, e finalmente una parte delle panchine di Livorno e di Grosseto ecc. ove furono ritro- vate faune e flore in parte simili alle viventi, ma ancora distinte specialmente per la presenza dei Proboscidiani. La pianura della Sieve e dei principali affluenti della mede- sima è nettamente divisibile in due parti, delle quali, la più antica deve riferirsi all’epoca dei terrazzi, l’altra, è da distinguersi col nome di alluvione odierna. L’origine di questi depositi fluviali (!) G-. Ristori, Cenni geologici sul Casentino. Processi verbali della Soc. Tos. di Scienze Nat, Anno 1886. Adunanza 10 Gennaio. — Idem , Ancora sui depositi quaternari del Casentino. Proc. verb. Soc. Tos. 4 Luglio, Anno 1886. 488 G. Ristori è intimamente collegata col definitivo assetto del corso della Sieve. Dicemmo già come le acque del lago pliocenico finissero, tenendo press’a poco l’attuale corso del fiume principale, e come contribuis- sero fin d’ allora a degradare e ad incidere le colline eoceniche che giacciono fra Yicchio e Pontassieve ; tantoché quella gola, già in parte formata, andò sempre più approfondandosi, per il continuo flusso delle acque che anche dopo il vuotamente del lago mugel- lese, si raccoglievano in quella conca, scolo naturale di una porzione degl’Apennini e di tutti gli altri gruppi di monti, che la circondano. Anzi è molto probabile che i punti più bassi di quella conca, restas- sero per assai tempo invasi dalle acque residuali del lago plioce- nico, le quali insieme, a quelle continuamente affluenti deposero in molti luoghi e specialmente lungo l’attuale corso della Sieve e dei suoi principali affluenti come la Lora, la Stura, il Tavajano, il Levisone, il Bagnone, l’ Elsa, ed a destra il Carza e il Fistona, delle ghiaie fluviali, le quali raggiunsero in diversi luoghi e special- mente a monte del cono di corrosione dell' Elsa presso la Villa Tor- rigiani, 4 o 5 metri di spessore. Tali formazioni quantunque prive affatto di fossili, pure stante la loro disposizione rimpetto alle allu- vioni più recenti dei fiumi, stante la degradazione ed il terrazzamento che essi vi operarono, è ben naturale che in massima parte vengano riferite alla così detta epoca dei terrazzi; tanto più che la Sieve medesima insieme a tutti i suoi affluenti doverono scavarsi il letto in quei depositi, operandovi successive corrosioni. Di questi terrazzi ne conta ben due distintissimi la Sieve a destra presso Cardetole e Lu- tiauo, a sinistra presso Paliano non lungi dalla foce del Bosso, presso la Villa Pecori poco ad Est di Borgo S. Lorenzo, ed a Kabatta. Tre . l’Elsa fra Piazzano e la Villa Torrigiani. Due il Levisone, il Bagnone, e il Fistona. A tutti questi terrazzi che io reputo i più antichi, devesene aggiungere un altro che segue la Sieve, meno poche e pic- cole interruzioni per tutto il suo corso da Ovest ad Est, cioè dalle foci della Stura fino a Vicchio. Quest’ ultima deposizione terrazzata devesi probabilmente all’ impaludamento che il fiume dovè formare prima di avere raggiunto, per la continua corrosione sulle roccie più compatte che incontrava nella porzione a Sud del suo corso, un livello da permettere scolo completo a tutte le acque che si raccoglie- vano in questo bacino. Fu appuuto in quest' ultima fase di assetto definitivo del regime acqueo del Mugello che furono terrazzati anche Il bucino -pliocenico del Mugello 489 questi depositi, e si formarono in fine le alluvioni recenti. Nello studiare i depositi terrazzati non ho tralasciato di esaminarne la natura. Questi sono prevalentemente costituiti di ciottoli fluviali, nei più antichi però, lungo 1’ Elsa, il Levisone ed anche in quelli della Sieve presso S. Piero, si ritrovano frequentemente ciottoli arro- tondati, i quali mostrano di essere stati lungo tempo sotto l’azione delle onde di un lago, che senz’avere nè la profondità, nè l’esten- sione di quello pliocenico, occupava ancora la parte più bassa del bacino. Infatti mano a mano che si procede verso le deposizioni più recenti, i ciottoli arrotondati si fanno rarissimi e spesso vi mancano affatto. Inquanto alla natura litologica di questi ciottoli, essi si pre- sentano molto simili a quelli delle formazioni plioceniche, sono cal- cari alberesi, arenarie, schisti argillosi, e galestri. Sulla sinistra del fiume sono prevalenti le arenarie ed i galestri, sulla destra predominano gli alberesi. Una caratteristica però molto importante distingue queste deposizioni più recenti ; essa consiste nel ritrovare in esse, misti ai ciottoli delle roccie sedimentarie ricordate, altri di Serpentina e di conglomerati ofiolitici, che caratterizzano anche le alluvioni più recenti del Sieve, del Tavajano e dell’Anguidola, e che indarno si ricercherebbero nei depositi ciottolosi del pliocene. Quest'ultimo fatto si ricollega molto probabilmente con quello che durante il periodo pliocenico, le roccie ofiolitiche di Monte Calvi, non presentavano affioramenti di sorta; ma erano invece ricoperte ancora dai calcari alberesi e dagli schisti argillosi, e forse la por- zione più a Sud fu anche difesa dalle deposizioni plioceniche medesime. Con questo ho condotto a termine la descrizione del bacino del Mugello, la quale sarebbe riuscita più completa ed esatta, se avessi potuto aggiungere a questo scritto la Carta geologica della regione ed alcune sezioni che ebbi cura di fare. In uno studio però più completo, che ho in animo di fare, dell’Apennino mugellese, e che potrà benissimo riconnettersi con questo, ho speranza di avere modo per riparare all’ involontaria mancanza dell’oggi. G. Ristori. SOPRA. I RESTI FOSSILI DI UN GRANDE AVVOLTOIO (GYPS) RACCHIUSO NEI PEPERINI LAZIALI. Mi pregio di dare alla Società geologica italiana un preven- tivo cenno ed alcune sommarie notizie sul rinvenimento dei resti di un uccello di grande mole, spettante alla famiglia dei Vulturidi. scoperto di recente nelle deiezioni cementate (peperino) dei vul- cani Laziali. j ìi ben nota ai geologi e mineralisti la regione vulcanica del Lazio, limitata a nord dal corso inferiore dell’Aniene, pel tratto scorrente dai piedi dei monti Tiburtini alla sua affluenza nel Tevere; a nord-ovest dall'andamento del Tevere, nel tronco com- preso dalla confluenza dell’Aniene allo sbocco a mare ; a sud-ovest e a sud dalla costa Tirrena e dalle paludi Pontine, e finalmente ad est, dal principio della catena lepino-pontina, dall' alta valle del Sacco e dai monti prenestini e tiburtini. È pure ben noto che il Lazio presenta un gruppo isolato di monti aventi la forma di un grande cono schiacciato a larga base, tronco alla sommità. Questa . è poi frazionata in una serie di colline, le quali trovansi collo- cate a guisa di anfiteatro, con pianta pressoché circolare, alTintorno di una depressione indicante chiaramente un grande cratere, del quale esse colline costituiscono il ciglio o bordo. Però questa cinta di colline non è chiusa, poiché vedesi interrotta verso ovest, ossia verso il mare, essendo da questo lato mancante la sommità del cono per circa ‘/3 della circonferenza craterica; cosicché le colline si innalzano sopra quasi 2/3 di tale circonferenza e dànno esempio di un grande cratere con pianta a ferro di cavallo, cioè slabrato e demolito da un lato. Il diametro di questo cratere, misurato da nord-ovest a sud-est, cioè dalla cima del Tuscolo a quella dell’Arte- R. Meli. Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. 491 misio, raggiunge poco meno di 11 Km., e l’altro diametro condotto quasi nella direzione da est ad ovest sarebbe stato anche maggiore, se non fosse demolita la parte del cono verso ovest. Pressoché nel centro dell accennato cratere sorge un altro gruppo di monti, aneli' esso isolato e di forma conica, troncata alla sommità. In questo ri- scontrasi un altro apparecchio vulcanico, formatosi, in minori pro- porzioni, nell’interno del precedente cratere. Ma, mentre la base su cui s’impianta questo secondo sistema vulcanico è d’assai più ristretta, come può facilmente comprendersi, di quella del 1° si- stema, invece è nel 2° sistema che ritrovansi oggi le sommità più elevate dell’intera regione Laziale. Infatti, mentre sul bordo della cinta craterica esterna i punti culminanti, che trovansi a sud-est, hanno altezze inferiori ai 900‘n, all’ infuori del Monte Peschio, la cui quota raggiunge 936m sul livello del mare ('), invece nel (9 Nella cinta craterica esterna, altri punti culminanti hanno le quote seguenti : Monte Ceraso 76Gra, Cima Vescovo 775m, Monte Artemisio 812m, Cima del Castello diruto dell’Ariano, detto anche Maschio dell’Ariano, 891m. Sulla carta topografica dell’Istituto militare, questa località ha il nome di Lariano. Credo più esatta, per l’etimologia della parola derivante dalla alte- razione di Ara Jani, o, secondo altri, di Ara Dianae, la trascrizione che ho usato di sopra, quantunque trovisi adoperato in parecchi scrittori di topografia e di antichità il vocabolo Lariano. A me venne indicato col nome di Maschio dell'Ariano dai campagnuoli quando salii quel vertice. Anche Ferber scrive Monti dell’Ariano ( Bnefe aus Wàlschland Prag, 1773, pag. 224), mentre nella traduzione fattane dal Dietrich è stampato monte dell’Arriano (pag. 296). Nel u Conspectus geognosticus montium Latii veteris » che è la prima carta geo- logica che si abbia del Lazio, eseguita da Leopoldo Gmelin nel 1814 e pub- blicata insieme alle sue “ Observationes oryctognosticae et chemicae de Ilauyna et de quibusdam fossilibus quae cum Iute concreta inveniuntur, praemissis animadversionibus geologicis de montibus Latii veteris ». Heidelbergae, ap. Mohr et Zimmer, 1814 in 12° di pag. VI e 58 c. 1 carta geol. del Lazio a colori, trovo pure segnato « montes Ariani ». Invece nella « Esposizione della carta topografica Cingolana dell'Agro romano con la erudizione antica e moderna, Poma, (la edizione), Domenico Ant. Ercole, 1696 in 24° di pag. XXIV e 527, stampata da Fr. Eschinardi, trovo a pag. 397 « era vicino a Velletri un forte u castello chiamato Lariano in un’alta montagna, il quale per essersi ribellato « contro il Papa, fu da Alessandro sesto fatto disfare per mezzo delli Velletrani ». Tomassetti G., nella sua opera « Della Campagna Romana nel Medio Evo. Illustrazione della via Latina ». Roma, 1886 in 8°, adopera il nome di Lariano (pag. 289, 300-303, nella quale ultima pagina dà la pianta del castello costruito sulla cima di quella località). La Carta topogr. di Roma e Cornar ca fatta nel 1863 dal Censo pontificio nella scala di l a 80,000 segna « Maschio dell' Ariano » . 492 R. Meli cono interno, troviamo sommità con altezze oscillanti in media sopra i 900m e tre cime, Colle Iano con 938m ('), Monte Cavo con 949m e la Punta delle Favète (2) con 956m, i quali sono i punti culminanti dell'intero sistema Laziale. Queste ultime tre punte trovansi sul ciglio di un altro cratere, che è designato col nome di Campo d’ Annibaie. Il suo diametro medio è di circa Km. 2, 5 ; è abbastanza bene conservato per 4/5 della sua cinta, giacché anch’esso non è chiuso tutto all’intorno, ma è slabrato all’altezza di Rocca di Papa per causa di un'ingente massa di lava (3), che si è rovesciata da quel punto, asportando via porzione della cinta craterica (4). Essendo impiantato il cono vulcanico interno, o centrale, sopra una base di molto minore del cono esterno, e riscontrandosi in quello le maggiori elevazioni, che ho citate, sul ciglio del cra- tere del Campo d’ Annibaie, ne consegue che le pendenze esteriori del cono centrale sono in generale più ripide che non le omologhe (x) Colle Iano deve corrispondere alla sommità indicata dal Ponzi col nome di Monte Pila, come può dedursi dallo schizzo di carta geologica del Lazio, fornita dal Ponzi al Murchison e che trovasi nella memoria « On thè earlier volcanic rocks of thè Rapai States and thè adiacent parts of Italy (Nel Quarterly Journal of thè geological Society of London, voi. VI. Au- gust 1850, pag. 282 a 310. — Ved. la incisione a pag. 285). (2) Questa sommità sull’accennata carta topografica dell’Istituto militare è denominata « Cima delle Faeite » invece di Favète. Anche l’ing. P. Di Lucci nel suo Saggio di studi geologici sui pepe- rini del I^azio (Atti della R. Accademia dei Lincei 1878-79, serie III, Mem. d. cl. di se. fis. mat. e nat. voi. IV) usa il nome di punta della Favèta per quel vertice (ved. toni. cit. pag. 363). (3) La corrente lavica, riversatasi sull’esterno del cono centrale da quello slattamento, forma un burrone a pareti scoscese nella località detta Pentima- stalla, ove presenta un bell’esempio di divisione colonnare, a giunti orizzon- tali molto marcati. Feci appena cenno di tale divisione regolare nella rela- zione delle gite geologiche eseguite nel corrente anno cogli allievi della R. Scuola degli ingegneri di Roma, che è pubblicata ne\Y Annuario della Scuola suddetta per l’anno scolastico 1889-90 (pag. 93-95). (4) Per la topografia del Lazio può consultarsi J. F. Julius Schmidt, Beitràge zur Topograpliie der vulkanisch. Formationen im Kirchenstaate , che è stampato nel libro col titolo: « Die Eruption des Vcsuv im Mai 1855 nebst Beitràgen zur Topographie des Vesuv, d. phlegràischen Crater, Roc- camonfina's und der alten Vulkane im Kirchenstaate mit Benutzung neuer Charten und einig. Hòhenmessungen. Wien u. Olmtiz 1856 ». (pag. 191 a 201). Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. 493 del cono esterno. Tra le pendenze esteriori del cono centrale e le interne del grande cratere, corre nn vallone di pianta circolare, detto la valle della Molava , analogo perfettamente all’Atrio del Cavallo, che riscontrasi tra la Somma e il Vesuvio. Tale analogia fu, del resto, notata dal Ferber, il quale nella sua 14ma lettera scrive: « Dieser Berg ist, wie der Vesuv, in 2 Haupt-theile geschieden, « nemlich 1 Montes Tusculani, 2 Montes Albani. Montes Tusculani “ verhalten sich gegen die M. Albani, wie der Somma gegen Vesuv » . (Ferber Joh. Jakob — Briefe aus Wàlschland ìlber naturliclie Merkwùrdigkeiteri dieses Landes an der Herausgeber derselben Ignatz Edlen voa Bora. Prag, W. Gerle 1773, in 12° : ved. pag. 227, ved. anche pag. 224-226 (1). Ferber notò, per il primo, anche l’ana- logia dei prodotti vulcanici del Lazio (2) con quelli emessi dal Ve- 0) Le lettere del Ferber furono tradotte in francese e pubblicate con note originali molto importanti del Dietrich nel 1776. Lettres sur la Mine- ralogie et sur divers autres objects de Vhistoire naturelle de V Italie, écrites par M. Ferber ecc. Strassbourg, Bauer et Trottel, 1776 in 8° picc. Oltre la traduzione in francese, fu nello stesso anno stampata una tradu- zione in inglese. Alcune delle lettere del Ferber (cioè le lettere XIV, XV, XVII e una parte della lettera XVIII), furono volte in italiano e stampate nella Raccolta di storia naturale tom. I, Doma, stamperia Pagliarini, 1784 in 4° (da pag. 346 a 374). Certamente le osservazioni del Ferber sul Lazio sono assai importanti dal lato geologico e mineralogico; però, prima di esso, La Condamine nel suo Extrait d'un Journal de voyage en Italie, stampato n eWIIistoire de l'Académ. R. des Sciences, Année 1757 avec les mémoires de mathém. et de physique pour la mème année, Paris 1762, già aveva notato che i monti di Frascati, Grottaferrata, Gastelgandolfo, Albano erano d’origine vulcanica. Peraltro, il primo che, osservando le rocce del Lazio e ritrovandovi analogia con quelle del Vesuvio e dell’Etna, venisse alla deduzione che i laghi Albano e Nemorense fossero due estinti crateri, sembra essere stato Gio. Girolamo Lapi, dottore in medicina, come io ho cercato di dimostrare in una mia lettera scritta al prof. F. Keller, qualche tempo fa, e che verrà prossimamente pubblicata col titolo: Notizie bibliografiche sulle rocce magnetiche dei dintorni di Roma. (2) Tale analogia fu messa nettamente in rilievo dal prof. G. Striiver in parecchie memorie. Nella lettera scritta al vom Rath e stampata nei « Neues Jahrb. fùr Min. Geolog. und Palaeont. von G. Lconliard u. H. B. Geinitz. Anno 1875 fase. 6° pag. 619-620 » col titolo « Ueber das Albaner Gebirge und ùber Somma-Bomben mit der schonsten Zonen-Structur » è fatta parola di numerosi proietti di aggregati minerali del Lazio e della loro simiglianza con quelli del Monte Somma. È accennata anche l’analogia tra il peperino laziale 494 R. Meli suvio « Hieraus sieht man, dass die vulkanischen Producten von « Monte Albano von einerley Art mit denen vom Yesuv sind » (pag. 225). L’analogia tra i due sistemi craterici del Lazio e quelli della Somma e Vesuvio, è messa in rilievo assai bene dal Ponzi nella sua Storia naturale del Lazio , stampata nel Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti , toni. CLVIII , della nuova serie XII, no- vembre e dicembre 1858 (ved. pag. 119) (')• Dalla conformazione topografica del Lazio, si può rilevare con facilità che la cinta conica esterna spetta ad un periodo di eru- zioni anteriori a quello nel quale si formò il cono centrale o del Monte Cavo, giacché questo sorse posteriormente nell' interno del grande cratere. Ho accennato di sopra che la cinta esterna non è chiusa, ma interrotta per demolizione verso ovest. È appunto sulla interru- zione del cono esterno che trovansi situati due altri crateri, acces- sori, per dimensioni rimo minore dell’ altro, cioè il cratere Nemorense ed il tufo, di provenienza sabatina, che si cava sulla via Flaminia presso a Roma tra Grotta Rossa e la Celsa. Questo tufo è ricco d’interclusi minerali, alcuni dei quali mostrano una struttura zonata identica a quella delle bombe lanciate dal Monte Somma. Uguali considerazioni trovansi nelle altre memorie dello stesso autore « Studi sui minerali del Lazio » (Atti d. R. Accad. d. Lincei, tomo III, serie 2a, 1876). (ved. pag. 4 estr. e nota 3a a pie’ di pagina). u Contribuzioni alla mineralogia dei vulcani sabatini. Parte I. Sui proietti minerali vulcanici trovati ad est del Lago di Bracciano. Atti R. Accad. d. Lincei. Rendiconti, serie 4a, voi. I, 1885 (ved. pag. 173-174) e serie 4a. Meni, d. classe di se. fis. mat. e nat. voi. I. « Forster ite di Baccano ». Rendiconti, . serie 4a, voi. II, 1886, pag. 459-461. (') Di questa Memoria il Ponzi pubblicò nel 1875 una 2" edizione col titolo : Storia dei Vulcani Laziali, negli Atti della R. Accad. dei Lincei, serie 2a, tomo IL La stessa Memoria è poi riportata nell’altra del Ponzi: Con- glomerato del Tavolato ; pozzo artesiano nella lava di Capo di Bove; storia dei vulcani Laziali accresciuta e corretta. R. Accad. d. Lincei, serie 4a, Meni. d. Classe di se. fis. mat. e nat. voi. I, seduta del 3 maggio 1885 (pag. 349 a 365) : e per un sunto di questa ultima memoria ved. R. Accad. Lincei - Rendiconti - voi. I, seduta 3 maggio 1885 pag. 319-320. Yed. an- cora: Ponzi, Mémoire sur la zone volcanique d' Italie (Bull, de la Soc. géo- log. de Franco, 2ra0 sèrie toni. VII, 1850). Contribuzione alla geologia dei vulcani Laziali. Sul cratere tuscolano. Atti d. R.Accad. Lincei, voi. I, serie 4.* Rendiconti, seduta 15 novembre 1885. 495 Sopra i resti fossili eli un grande avvoltoio ( Gxyps ) ecc. e il cratere Albano, il fondo dei quali è oggi occupato dai laghi omonimi. Probabilmente si deve all’ apertura di queste due bocche eruttive e dell’altra prossima del cratere Aricino, il franamento e la demolizione che osserviamo nella parte ovest del cono esterno. Altre bocche secondarie ed eccentriche sono poi sparse in vari punti dell’area Laziale. Tra queste ricordo di volo, i crateri di Pan- tanosecco, di Prataporci, quello Gabino, il Laghetto di Giuturna, il cratere di Giuliano, ecc. sulle pendenze esterne del cono maggiore; quello su cui trovasi il diruto castello della Molata, il cratere delle Tartarughe, nel sistema centrale. Non dovendo qui occuparmi dettagliatamente dei vulcani La- ziali, taglio corto sulle descrizioni e su quanto altro potrebbe dirsi in proposito rispetto ai materiali emessi nei successivi periodi eruttivi, per venire all’argomento principale di questa preventiva comunicazione. Tutto all'intorno, il cratere Albano e le sue esterne pendenze trovansi ricoperte da quel tufo grigio, di consistenza litoide, che spesso racchiude nitidi e grossi cristalli terminati, di Augite, di Leucite, di Biotite, di Melanite, di Magnetite, ecc. ed è ricco di interclusi svariati. Tra questi sono da annoverarsi in prima linea gli aggregati minerali di varia specie, ed i frammenti di calcari magnesiaci, più o meno alterati dall’azione vulcanica, resi saccaroidi e cristallini, non che pezzi di rocce vulcaniche diverse (1). I peperini giacciono in spandimenti che si risolvono poi in colate e presentano tutti i caratteri di una massa che abbia corso sul suolo molle o pastosa, a guisa di una corrente di fango. Sull’origine dei peperini scrissero, in vario modo, tra gli altri, Petrilli, von Buch, Gmelin, Brocchi, Forbes, Clément-Mullet, Ponzi, (') Per i minerali del peperino e dei colli Laziali si possono consul- tare, oltre gli scritti del Gmelin, Brocclii, Riccioli, Gismondi, del Ceselli, del Mantovani, vom Rath, ecc., principalmente le seguenti importanti memorie che trattano dello speciale argomento : Spada-Medici Lavinio. Sopra alcune specie minerali non in prima os- servate nello Stato pontificio. (Raccolta scientifica, Anno I, 1845). Struver G. Studi sui minerali del Lazio — Parte I. 1876 (Atti d. R. Accad. d. Lincei, serie II, tom. 3.) ; Id. parte II. (Atti suddetti, serie ILI Mem. d. Classe di se. fis. mat. e nat. voi. I) — Studi petrografici sul Lazio, 1877, (Atti sudd. serie III Mem. d. Classe cit. voi. I). 32 496 R. Meli vom Bath. Ceselli, Murchison, Negri, Poulett Scrope, Mantovani, Giordano, Zezi, Tuccimei, Di Tucci (•), ecc. Però, all’infuori di quest’ultimi due, tutti gli altri, d’accordo colla maggioranza dei geologi, considerarono i peperini come tufi, cioè come rocce frammentarie. Se non che, taluni li ammisero versati allo stato di fango dal cratere ; altri invece li supposero derivati dall’impasto di acque meteoriche colle ceneri, sabbie vulcaniche ed i materiali detritici scaraventati dalle bocche eruttive, per modo da ge- nerare torrenti fangosi, analoghi a quelli che talvolta nelle grandi eru- (!) Ecco l’elenco dei più importanti scritti pubblicati dai sopracitati autori, nei quali è fatta parola dell’origine del peperino. Petrini Ant., Gabinetto Mineralogico del Collegio Nazareno descritto secondo i caratteri esterni ecc. Poma, Lazzarini, 1791-92, 2 voi. in 8° picc. (Ved. toni. II, §§. CCXIV, pag. 309 a 312). L. von Buch., Geognostische Beobaclitungen auf Reisen durch Deutsch * land und Ralien, Berlin, 1802-1809, 2 voi. in 8° picc. (ved. voi. II). Gmelin L., Observ. oryctognosticae (meni. cit.). Brocchi G. Batt., Catalogo ragionato di una raccolta di rocce di- sposto con ordine geografico per servire alla geognosia dell'Italia. Milano, Imp. R. Stamp. 1817 in 8°. Alla pag. 45, n. 15 dice: « Il peperino non è altro che un tuta pietroso “ che, tranne il colore, è simile a quello del Campidoglio e di Monte Verde, ecc., « ma più solido e non contiene frammenti di lava pumicea poiché quelli gial- li lognoli sono di lava sperone. Le amfìgene sono per lo più vitree, quando « nel tufa ordinario compaiono comunemente farinose ». Nei num. seguenti 16-25, Brocchi descrive specialmente gli interclusi rinvenuti entro la roccia in parola; al num. 26 menziona un grosso pezzo di legno nero bituminoso ed avverte che « essendo il peperino un conglomerato formato di sostanze vulca- u niclie, depositate da un fluido, non è maraviglia se contiene residui di corpi u organici » . Al num. 27 segna le ceneri bigie sottostanti al peperino ed aggiunge: « Sembra che sia la sostanza quasi omogenea, che costituisce il ce- mento del peperino ordinario ». Nei num. 28-51 descrive gli aggregati mine- rali interclusi nel peperino. Parla anche del peperino del Lazio alla pag. XXV, di quello del lago di Giuturna alla pag. 44 e di quello Gabino a pag. 30. Negli scritti del Brocchi non ricordo di aver letto altro sul peperino. Egli lo considerò sempre come un tufo sottomarino, d’accordo colla ipotesi sostenuta da lui per gli altri tufi di Roma e dintorni. Nella Bibliot. italiana, o sia giornale di letterat., se. ed arti, Milano, tomo X, aprile-giugno 1818 è stam- pato alla pag. 424 un brano di lettera del Brocchi, in cui egli dà notizia del rinvenimento di conchiglie marine nel peperino. Su questo ritrovamento espressi già il mio parere nella memoria « Notizie ed osservazioni sui resti organici 497 Sopra i resti fossili eli un (/rande avvoltoio (Gyps) ecc. zioni si videro scendere lungo le pendenze esterne del cono Vesu- viano; tali torrenti di fango eransi prodotti dalla mescolanza dei mate- riali sciolti vulcanici con le acque di pioggia, cadute dirottamente durante l'uragano vulcanico, che si era formato pel rapido conden- samento nell’atmosfera del vapor d’acqua emesso in larga dose dal vulcano, durante la la fase eruttiva o Pliniana. Il Di Tucci poi in una memoria assai importante, perchè piena di accurate os- servazioni, ritenne che i peperini non dovessero riportarsi ai tufi, rinvenuti nei tufi leucitici della Provincia di Roma , stampata nel Boll. d. R. Comit. Geolog. anno 1881, n. 9-10 (ved. la nota la a piedi della pag. 449). Amerei conoscere se Brocchi abbia trattato più diffusamente del pepe- rino e della origine di questa roccia nella sua opera inedita « Viaggio nel Lazio » il cui manoscritto originale trovasi nella Biblioteca di Bassano-Ve- neto, secondo quello che è stampato dal dott. E. Abbate nella sua: Guida al Gran Sasso d'Italia pubblicata per cura della Sez. di Roma del Club Alpino Italiano, Roma, J. Sciolla, 1888 in 12° (ved. pag. 103). Breislak parla pure brevemente del peperino nei suoi « Voyages physiques et lythologiques dans la Campanie suivis d'une mémoire sur la constitut. physique de Rome ». Paris, Dentu, 1801 in 8° picc. 2 voi. (Ved. tom. II, pag. 42) cd avverte che questa roccia è ben diversa dal piperno. Nello stesso volume, trattando delle inclusioni cristalline macroscopiche contenute nei cristalli di minerali vulcanici, dice di aver veduto entro il peperino delle leuciti nelle quali erano inclusi cristalli di melanite, riconoscibili assai bene per le facce rombe del rombo-dodecaedro. (Ved. pag. 7 tom. cit.). Forbes J. D., On thè volcanic formation of Monte Albano (The Edinburgh new pliil. journal voi. XLVIII, 1850. — Ved. ancora Neues Jahrb. fùr Mineralog., Geolog. ecc. voi. XIX, 1851). Clémeut-Mullet J. J., Documents historiq. et géolog. sur le lac d' Albano (Bull- d. 1. Soc. ge'olog. de France, 2e se'rie, voi. XI, 1853-54). Ponzi Giuseppe. Mem. citate, alle quali conviene aggiungere anche le altre : Sulle correnti di lava scoperte dal taglio della ferrovia di Albano. Atti d. Accad. pont. dei N. Lincei. Sessione III, 6 febbraio 1859 (ved. pag. 6-7 dell’estratto). Catalogo ragionato di una collezione eli, materiali da costruzione e di marmi da decorazioni dello Stato Pontificio ecc. — Roma, tip. d. Belle Arti, 1862, in 4°, di pag. 21; estr. d. Atti d. Accad. pont. dei Nuovi Lincei 9 marzo 1862 ved. pag. 11-12. Nota sul rinvenimento dell'aes grave librale nel peperino del Lazio ; stampata nel Ballettino dell' Istituto di Corrispondenza Archeolog. in Roma, Ved. Anno 1871 fascio. N. 3 (marzo 1871). Adunanze tenute nei giorni 3, 10, 24 febbraio 1871. Cronaca subappennina o abbozzo d'un quadro generale del periodo 498 li. Meli mostrando analogie colle lave. « Forse, egli dice, queste rocce ( lapis « Gabinus e peperino) furono generate da una nuova elaborazione « di antiche lave nell'interno dei crateri, arrivata a diversi stadi, « nell’istante in cui l’aumento della penetrazione delle acque nel- « l’apparato vulcanico determinava lo sviluppo della potenza cima- li mica, cui è dovuta un’eruzione ». (Memoria cit. Atti Lincei; voi. cit. pag. 389). Poco più oltre, nella conclusione, ripete « che queste « rocce sieno probabilmente il risultato di una nuova elaborazione glaciale. ( Atti dell'XI Congresso d. Scienziati ital. tenuto in Roma). Roma, tip. Paravia, 1875 in 4.° (Veci. pag. 73 e seguenti dell’estratto). Rath (vom) Gerhard., Mineralogisch- geognost. Fragmente aus Italien. la parte, II. Das Albaner Gebirge (Zeitsclir. d. deutsch. geolog. Gesellschaft. Voi. XVIII Berlin 1866, pag. 510-561). Ceselli Luigi, Sopra l'arte ceramica primitiva nel Lazio. Lettera ecc. Roma, Tip. Salviucci, 1868, in 4° c. tavola (ved. pag. 8, nella quale mostra di ritenere che i primi peperini siensi formati per alluvioni fangose). Murchison Roderick, On thè earlier volcanic rocks (mem. cit.) Quarterly Journal of thè geol. Soc. voi. VI. August 1850. Questa memoria fu tradotta in tedesco da G. Leonhard [Ueber die àlteren vulkanischen Gebilde im Kir- chenstaate und iiber die Spalten, tvelchen in Toscana heisze Dàmpfe ent- steigen und deren Beziehungen zu altea Eruptions - und Bruck - Linien - Stuttgart, 1851 in 8°, di pag. 65. Murchison ritiene che il peperino sia di origine sottomarino, a guisa dei tufi della Campagna romana, e che la emissione del peperino abbia preceduto le eruzioni subaeree svoltesi dal cratere del Campo d’Annibale. Con tale con- cetto è disegnata la sezione 4 della sua cit. memoria (ved. pag. 284 Quarterly Journ. 1850), nella quale vedonsi i peperini sottogiacenti alle deiezioni del Monte Cavo, ed inclinati intorno il cratere Albano. Menziona la ipotesi del Ponzi su queste rocce, ma inesattamente, esponendo che i peperini siano do- vuti all’emissione di materiale fangoso caldo. Negri Gaetano, Geologia stratigrafica, ossia descrizione dei terreni componenti il suolo d'Italia, che forma la parte la della Geologia d'Italia per Stoppani A., Negri G. e Mercalli G. - Milano, Vallardi, in 8°. (Ved. pag. 196-197). Poulett Scrope G., Volcanos. The character of their phenomena, thcir share in thè stradare and composition of thè surface of tlie globe and their relation to its internai forces. 2'* 1 edition revised and enlarged. Lon- don 1872, in 8°. Alle pag. 350-352 parla dei vulcani Laziali, e riguardo al peperino dice che la materia ha evidentemente scorso come un torrente di fango lungo le pendenze del vulcano; combatte l’opinione di Murchison che il peperino sia stato sottomarino e che la sua compattezza sia dovuta alla pressione del mare, dicendo : « This is clearly an error. The subaSrial mud-eruptions of thè South 499 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. “ subita da quelle antiche lave nell’interno dei crateri ; dai quali “ sarebbero state emesse in uno stato di magma vischiosi molto “ analoghi a quelli che si freddarono in lave » (pag. 390, voi. cit.). Anche il Tuccimei sembra, nella sua rivista sulla Geologia del Lazio, di ammettere l’ipotesi del Di Tucci, ravvicinando così l’origine del peperino a quella della lava (!). Non devo qui esaminare dettagliatamente queste ipotesi sulla genesi dei peperini, e, basandomi sulle osservazioni di fatto, ve- « American volcanos, of Java, and many other localities, produce a rock as « tough, solid. and massive as peperino. The tuff which covers Herculaneum « and which \ve know to he of subaérial origin, is equally compacted. And « I myself saw sfrata of tuff formed in 1822, high up on thè flank of Vesuvius, « from thè ash w a shed down by rains, so hard and tough as to require a se- u vere blow of thè hammer to break them. It is not to pressure or deposition « of thè materials under water that thè peculiar compactness of thè solid « trachytic tuffs or augitic peperinos is attributable, but to their tumultuous « admixture icith water, whether finally deposited heneath thè water-level in « thè open air The peperino-beds that slope from thè edge of thè crater « of thè Alban Lake were certainly subaerial, for they alternate with layers u of loose lapillo and thè remains of terrestrial vegetation ». (pag. 351-352). Mantovani Paolo, Descrizione geologica della Campagna Romana. To- rino, E. Loescher, 1874 in 12°. (Yed. pag. 75 a 78). Id., Descrizione geologica dei Monti Laziali (n EA' Annuario del R. Liceo e Ginnasio Ennio Quirino Visconti nell'anno scolastico 1876-77. Roma, tip. dell’Opinione 1878, in 8°). Id., Costituzione geologica del suolo Romano inserita nella « Mono- grafia archeolog. e statist. di Roma e Camp. Rom. presentata dal Governo ital. alla Esp. Univ. di Parigi ». Roma, 1878 in 8° (ved. pag. 9-10 estr.). Giordano Felice, Cenni sulle condizioni fisico- econom. di Roma e suo territorio. Firenze, G. Ci velli 1871 in 8° con tav. (Ved. pag. 29-30). Id., Condizioni topografiche e fisiche di Roma e Camp. Rom. inserita nella: Monografia archeol. e statistica di Roma. Roma, tip. Elzeviriana, 1878 in 8° con carta geolog. (Ved. pag. 32 dell’estrat.). Zezi Pietro, Escursione ai monti Laziali, stampata nel: Programma della R. Scuola d' Applicazione per gli ingegneri in Roma per l'anno sco- lastico 1877-78. Roma, tip. Salviucci, 1877 in 8°, da pag. 54 a 59. (Per il peperino ved. pag. 57). Tuccimei Giuseppe, La geologia del Lazio. Roma, tip. della Pace 1882 in 8°, estr. d. Rassegna Italiana. Di Tucci Pacifico. Saggio di studi geolog. sui peperini (meni. cit.). (!) Tuccimei G., mem. cit. Ved. pag. 18 dell’estr. 500 lì. Meli dere quale di esse presenti maggior grado di probabilità, giacché non è questo lo scopo della mia comunicazione. Ma, certo il pre- sente e singolare ritrovamento dei resti di un avvoltoio racchiuso entro il peperino, si connette colle questioni relative allo stato fisico ed alla temperatura che presentava questa roccia, quando travolse il corpo di quel grande volatile. Perciò non posso a meno di dire due parole sulla formazione di tale roccia. A me sembra non potersi dubitare che i peperini sieno rocce clastiche e che debbano venire considerate quali tufi vulcanici. Credo pertanto più probabile l'ipotesi emessa dal Ponzi, e ritengo con questo egregio geologo che i peperini abbiano corso sulle pen- denze del suolo come masse fangose, non aventi elevata tempera- tura, formatesi dalla miscela avvenuta tra le deiezioni mobili erut- tive con acque esterne (per es. con le acque di pioggia cadute durante l’uragano vulcanico). È dal consolidamento di tali masse, che si sarebbero poi avuti i peperini. Parecchie osservazioni, alle quali si aggiunge ora il ritrova- mento dei resti del grosso avvoltoio contenuti nei peperini, che ci conservarono non solamente lo scheletro, ma l' impronta delle penne nelle loro barbuie e nei minimi particolari, e la forma o stampo dell'animale, compreso entro la massa fangosa e travolto poi da questa, stanno a provare che i peperini formarono colate molli e plastiche, non fornite di elevata temperatura. Infatti, in molte località, (come presso la rotabile che dal ponte degli Squarciarelli va a Rocca di Papa, a sinistra della via ; sul bordo del lago Albano ; verso Marino ; alla fonte della Stella sotto Albano; alla salita delle Frattocchie; ecc.), si osservano i peperini alternare con le ceneri grigie. Orbene, nelle ceneri vulca- niche trovansi cristalli isolati di Augite, Leucite, Biotite, ecc. ; tro- vansi proietti abbondanti di aggregati minerali, pezzi di calcarie secondarie, divelte dal sottosuolo e lanciate dal cratere, rese cri- stalline od alterate per l'azione vulcanica ; frammenti di marne plioceniche talvolta contenenti fossili, strappate aneli’ esse dagli strati attraverso i quali si aprì il cunicolo del vulcano ; pezzi di rocce eruttive, alcune delle quali si ritrovano in posto nel gruppo laziale, mentre altre sono erratiche. In fine, nelle ceneri grigie intercalate ai letti di peperini ritroviamo gli stessi interclusi che sono compresi nei peperini con cui esse ceneri alternano. « Il color 501 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. “ grigio della parte pulverulenta, dice esattamente il Di Tncci par- ti landò delle ceneri intercalate ai peperini, gli interclusi calcarei “ e lavici e gli aggregati minerali che in essi si contengono, fareb- “ bero annoverare questi ammassi tra i peperini se non mancassero « della consistenza lapidea » ('). I peperini alternanti colle ceneri si compongono dunque degli identici materiali contenuti in queste, dei medesimi proietti minerali e delle stesse rocce erratiche sparse entro di esse. Ciò ammesso, viene naturale e spontanea l’ipotesi di considerare i peperini come risultanti dalle stesse ceneri grigie, con cui alternano, cementate e rese litoidi. « Ex iis quae divi patet, dice Gmelin (2), peperinum esse conglu- « tinationem quandam fragmentorum diversissimorum ope caementi « cuiusdam factam ». La giacitura dei peperini in spandimenti e colate dimostra che essi corsero pastosi sul suolo. Ma tali correnti furono fredde ; infatti nella pagina inferiore degli strati di peperino si osservano le impronte senza traccia di carbonizzazione di piante graminacee, alcune delle quali furono riferite al Lolium perenne, coricate nella direzione della corrente, come egregiamente rilevò il Ponzi (3) ed entro gli stessi peperini troviamo di frequente tronchi e rami legnosi assai bene conservati nel tessuto ligneo e il più delle volte non carbonizzati , come avrebbero dovuto essere se la massa fluida avvolgente avesse, presentato elevata temperatura (4). p) Di Tucci P. meni. cit. Atti Lincei voi. cit. pag. 358. (2) Gmelin L. Observat. oryctoqnosticae etc. Meni. cit. pag. 3. (3) Ponzi, G. Stor. nat. d. Lazio. Giorn. Arcadico toni. CLVIII, Meni, cit., pag. 126. Mantovani, oltre il Lolium perenne, cita anche nella pagina inferiore dei peperini, impronte di Tussilago farfara, Bellis perennis ; nei banchi più profondi delle cave di peperino sotto Marino rinvenne foglie e pezzi di tronchi di Quercus ilex, Ceratonia siliqua, Fagus silvatica e di varie conifere. ( Descriz . geolog. d. Camp. Rom. Op. cit., ved. pag. 77). A queste specie aggiunge impronte di Trifolium repens e di « molte altre piante er- bacee, le quali meriterebbero uno studio particolareggiato » non che resti di Quercus pedunculata e di varie conifere del genere Pinus. ( Descr . geol. d. Monti Laz. Yed. Ann. d. R. Liceo e Ginn. meni. cit. pag. 19). Menziona pure impronte di Lolium, Festuca e Sonchus (Gostituz. geolog. d. suolo Rom. op. cit., pag. 9 estr.). (4) Talvolta la sostanza lignea si è tramutata in una massa fibrosa, bianca o biancastra, flessibile, sembrante quasi amianto. Gmelin ha già un’osserva- 502 H. Meli Del resto anche il caso di carbonizzazione del legno non sa- rebbe una prova che la corrente fosse allo stato di magma caldo simile alle lave, quando l’avvolse, giacché potrebbe spiegarsi molto bene colla carbonizzazione lenta, analoga a quella presentata dagli strati dei combustibili fossili. Finalmente le ceneri sottostanti ai letti di peperino, il suolo e le rocce su cui corsero le correnti di questa roccia mai si mo- strano cotte, arrossate, od alterate. Mentre invece sotto le cor- renti laviche, le quali trascorsero infuocate, troviamo alterazione in contatto delle rocce su cui esse passarono; e bene spesso il ter- reno tufaceo, su cui posano, è cambiato in laterite di color rosso mattone. Tuttociò dimostra che i peperini formarono correnti fangose, plastiche, non aventi una elevata temperatura. Posto ciò, verrebbe ora la questione se i peperini debbansi attribuire ad eruzioni liquide, fangose, ovvero se il loro impasto siasi effettuato fuori del canale di eruzione con acque esterne, per es. con acque accumulatesi sul fondo del cratere, ovvero con acque pluviali. Il vedere che i peperini posano in molti casi ed alter- nano sulle ceneri grigie, contenenti interclusi di calcarie dolomi- tiche cristalline e degli stessi proietti di aggregati minerali e fram- menti di rocce vulcaniche che si contengono nei letti di peperino, panni escludere la ipotesi di eruzioni fangose, la cui miscela si sia formata nel cunicolo interno del vulcano, o nel fondo del cratere ove stazionavano acque liquide accumulatesi durante la fase di riposo tra i vari periodi di eruzione, giacché allora non avrebbero potuto essere lanciate dalla bocca del vulcano le materie detritiche in- coerenti che formano le ceneri sulle quali posano, o colle quali al- zione su tale proposito. Difatti scrive : « quod vero ad genesin peperini maximi « momenti est, interdum in ilio medio et carbones, qui a vulgaribus distingui « non possunt et lignum non adustum, sed pallidum factum, amianthum re- “ ferens, inveniuntur », (Meni, cit pag. 2-3). Nella nota 2 a piedi della pag. 3 dice : « ipse teneo eiusmodi lignum in medio peperino nonnullas tantum « lineas crassum, quod ex lapidicinis sub Marino sitis accepi. An jam saepius « sit inventum, me latet ». Anche Di Tucci menziona legni nel peperino ridotti in sostanze fibrose simili all’asbesto (Mem. cit. Atti Lincei pag. 362). 503 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. ternano i peperini (!). Ed allora resta l’ipotesi che la miscela sia avvenuta con acque di pioggia, le quali, cadute a rovescio abbiano originato fiumane e siensi impastate colle ceneri e gli altri materiali detritici, producendo in tal modo dense correnti fangose. Può darsi che le ceneri sieno state ancora calde quando si mescolarono con le acque ; ma in ogni modo le correnti fangose che ne risultarono non avrebbero potuto presentare una temperatura d’assai elevata. In questo caso resta assai verisimile l'ipotesi del Ponzi (2) che cioè i peperini sieno nati dall'impasto delle ceneri ed altri materiali detritici lanciati intorno la bocca eruttiva colle acque di pioggia pro- dottasi dal condensamento dei vapori emessi durante la la fase di un periodo eruttivo. Questa ipotesi è assai chiaramente espressa dal Ponzi nella sua la edizione della: Storia del Lazio (1859) (Q L’alternanza delle ceneri sciolte cogli strati litoidi di peperino, la loro giacitura in correnti, le impronte delle piante erbacee nella pagina infe- riore del peperino dimostrano anche che la cementazione di questi non può essere fatta da emanazioni gassose, come pensò J. B. Pentland, nè da filtra- zioni che abbiano cementato in posto, ossia nella loro giacitura originaria senza generare correnti, i materiali mobili delle deiezioni vulcaniche, come sup- pose Petrilli. J. B. Pentland nella sua Nota : On thè geology of thè country about Rome , Londra 1859, a piedi della pag. 4, scrive : « Prof. Ponzi supposes from a thè existence of fossil wood in thè Alban peperino that it has been thè « result of mud eruptions ; its greater solidity may perhaps with more proba- « bility be attribued to subsequent gaseous emanations passing through it ». Petrilli nel: Gabinetto Mineralog. del Coll. Nazareno (op. già cit.) nel cap. Sostanze prodotte dalle materie vulcanizzate unite all'acqua. Lave ter- rose, Peperini, ecc. (voi. II, pag. 309-315) dà molte interessanti osservazioni sul peperino e sui tufi vulcanici. Tra le altre cose scrive : « La disposizione « disordinata delle materie pesanti (cioè degli interclusi dei tufi) fa conoscere “ che la base non è stata nemmeno stemperata dall’acqua, poiché se fosse u sortita dal cratere a guisa di torrente fangoso, come scendono talvolta dalle « Alpi i torrenti d’acqua con tritumi di ardesia, ecc., le sostanze pesanti sa- u rebbero per le leggi della gravità specifica calate a fondo. Dessa dunque altro « non è che una materia formata dal tritume delle pietre cornee, calcari, silicee, « rigettate dal vulcano, dentro cui sono poscia caduti i sassi e le pietre espulse u di mano in mano dall’istesso cratere ; le acque piovane, cadendo successi- ti vamente sopra simigliante massa e infiltrandosi nella di lei sostanza, le tt hanno dato i vari gradi di consistenza corrispondenti alla diversa indole « delle terre. I peperini riconoscono un’origine simile » . ecc. (2) Ponzi G. St. natur. del Lazio. — Giornale Arcadico voi. CLYIII, op. cit., pag. 124 a 126. 504 R. Meli ed è ripetuta poi dal Mantovani nella sua : Descrizione geolog. d. Campagna Romana (pag. 75-78) e nell’altra Memoria: Descriz. geol. d. Monti Laziali. (Annuario cit. pag. 19). E ben noto come nei vulcani stratificati, le esplosioni, il lan- ciamento dei materiali detritici e in generale il meccanismo delle eruzioni dipenda dalla presenza dell’acqua, la quale allo stato di vapore e sotto altissima tensione, durante le eruzioni si svolge in enorme quantità dal cunicolo vulcanico. Del resto in un vulcano attivo la più comune manifestazione della sua attività è il pen- nacchio di fumo, che si sprigiona dal cratere. Ma questa emissione gassosa nella la fase di un’ eruzione avviene con una energia e vio- lenza straordinaria; una colonna di gas e vapore si slancia conti- nuamente nell'aria, e ascendendo nell’atmosfera ne raggiunge le fredde regioni, ove i vapori si distendono in nubi orizzontali, for- mando, se l’aria è calma e tranquilla ed i venti non spazzano via i vapori, il pino vulcanico; 1’emissione gassosa è accompagnata dalle proiezioni delle ceneri, sabbie, scorie, frammenti rocciosi, ecc. Questi, lanciati nell’atmosfera, ricadono all’intorno della bocca erut- tiva e sulle pendenze del cono, mentre le ceneri ed i materiali sot- tili sono trasportati dai venti, talvolta a grandi distanze. Peraltro, il vapor d’acqua che è emesso in enorme quantità dal cratere, condensandosi, quando perviene nei freddi spazi dell’atmosfera, dà luogo a piogge dirotte accompagnate da scariche elettriche. Le piogge del nembo vulcanico, cadendo sulle pendenze del cono e mescolan- dosi colle ceneri calde e coi materiali sciolti e proiettati dal vulcano, generano torrenti di fango, che scendendo lungo le pendenze, si span- dano in correnti fangose. Breislak descrivendo l’eruzione Vesuviana del 1794, della quale era stato testimonio oculare, scriveva: « Poche « eruzioni sono state seguite da piogge più dirotte nelle vicinanze « del volcano che quelle le quali accompagnarono l’accensione del « Vesuvio del 1794. Più volte si disse che fiumi d’acqua erano « sortiti dal cratere, ma quelle rovine erano prodotte da abbon- ii danti piogge che cadendo o sul cono del Vesuvio o sul ciglio della iì Somma trasportavano alla base torrenti voluminosi di fango. « Le storie sì del Vesuvio che dell’Etna e dei volcani d’America « ci assicurano che tutte le grandi eruzioni sono seguite da dirotte * piogge, che cadono intorno al volcano e siccome in « quei momenti non è possibile 1’avvicinarsi alla bocca del voi- 505 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. “ cano, la fantasia portata allo straordinario, vuol piuttosto credere “ che quelle masse d’acqua sieno gettate dal cratere, che ricono- “ scerle versate da nuvole sullo zenit del volcano » “ Da tutti quelli che hanno adottata l’opinione delle eruzioni fangose “ trovasi ripetuta a sazietà l’osservazione fatta dal sig. cav. Hamilton “ nel teatro di Ercolano, dove si vede nel tufo l’impressione della « testa di una statua ('), ciò che dicesi non potersi spiegare se 1 non si ammetta che quel tufo era nello stato di pasta molle e “ disciolto nell’acqua. Panni che siasi dato a quest’osservazione “ un peso troppo grande » ecc. (2). Ma un’eruzione del Vesuvio, nella quale, per la calma e lim- pidezza dell’atmosfera si osservarono distintamente, e il pino vul- canico e l’uragano nato dal condensamento dei vapori in abbon- danza emessi dal cratere, con scrosci di folgore, e rovesci di pioggie dirotte, le cui acque meteoriche si mescolarono alle ceneri dando origine a torrenti fangosi, è quella dell'ottobre 1822, descritta dal Poulett Scrope, e che trovasi poi menzionata e figurata in quasi tutti i libri che trattano di vulcanismo. Lo Scrope nella sua opera: Volca/ios. The character of their plienomeiia, ecc. 2.d eclition (op. cit.), alla pag. 175, dice « The fine ashes of thè eruption of « Vesuvius of 1822, which I saw carried down thè slopes of thè « bill bv torrents of rain, caked into a hard and tough rock, that « required a sharp blow from a hammer to break it; evidentlv “ thè particles were compacted together by a kind of cohesive « attraction like thè ‘ setting ’ of mortai- or cement. The beds of « hardened tuff covering Herculaneum to thè depth of from 50 « to 150 feet were, without doubt, produced in this manner by « thè eruption of thè year 79, which at thè sanie time over-whelmed « thè more distant towns of Pompeii and Stabiae with looser ashes « arranged for thè most part in layers as they fell from thè air » (pag. 175). t1) Tale impronta nella roccia tufacea è mostrata ancora oggi quando si visita il teatro d’Ercolano ; io la vidi qualche anno indietro ; fu ricono- sciuto essere la forma o maschera della faccia, ricavatasi su di una statua colossale di Vespasiano. l2) Breislak Scipione, Topografia fisica della Campania. Firenze, An- tonio Brazzini, 1798 in 8° picc. (Ved. pag. 157-158). 506 R. Meli Lo Scrope cita parecchi esempi di torrenti fangosi nel para- grafo « eluvial torrente » pag. 171 e seguenti dell'opera ora citata È pure noto che torrenti fangosi si originarono al principiare di una violenta eruzione anche per la fusione subitanea delle nevi stazionanti sulla cima del cratere in quei vulcani che innalzano il bordo del loro cratere sopra il limite delle nevi persistenti ('). Ma 0) Secondo Reclus, ( Nouvelle géograpliie universelle, toni. IV, pag. 908 nell’eruzione del 1861 di uno dei vulcani dell’Islanda, avvenne la fusione delle nevi in scala cosi grande da produrre una inondazione fangosa nella pianura meridionale dell’isola, e a più di 150 Km. dalla spiaggia, in pieno oceano, alcune navi inglesi, ebbero a traversare una corrente fangosa, larga 50 Km. (Ved. anche Lapparent A. Traité de Géologie 2rae édition. Paris, F. Savy, 1885) in 8°. p. 415). Altro esempio è quello dell’eruzione del Cotopaxi avvenuta nel 1877 riportato dal Wolff nei Neues Jcilirbuch 1878, pag. 113, e citato parimenti dal Lapparent insieme a parecchi altri esempi di diluvi di fango vulcanico. La corrente fangosa prodotta dalla miscela delle acque, provenienti in gran parte dalla fusione dalle nevi, coi detriti, discese lungo il cono e giunse verso la base, nella campagna coltivata con una velocità di 10m a secondo, inon- dando quella regione sopra una larghezza variabile da 1 a 10 Km., aspor- tando via tutto quello che trovava sul suo passaggio. Dei frammenti di rocce e dei blocchi di ghiaccio furono trascinati dalla cima del Cotopaxi fino a più di 80 Km. ! Innanzi alle citate distanze non riesce difficile di spiegare la presenza di tufi litoidi con materiali laziali fino sul bordo del Tirreno, per esempio sul littorale di Foglino presso Nettuno. Questi tufi racchiudono ciottoli e frammenti di calcarie della prossima catena lepino-pontina, pezzi di leucititi e di lave laziali, frammenti di peperino, interclusi di aggregati minerali iden- tici per facies a quelli che rinvengonsi nelle deiezioni dei vulcani in parola; ed inoltre racchiudono fossili marini. Di questi tufi feci menzione in altre me- morie, nelle quali detti il catalogo dei molluschi marini che vi raccolsi. (Ved. Notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi ecc. mem. cit. — Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici d. prov. di Roma. Boll. d. R. Comit. geolog. 1882 n. 9 a 12). I tufi del littorale di Nettuno, alle Grottacce, riposano sopra marne ma- rine, piene di fossili. Conviene perciò ammettere che torrenti fangosi abbiano corso sulle pendenze ultime del cono laziale ed in quel puuto abbiano debor- dato entro mare, convogliandovi i materiali sciolti ed i frammenti rocciosi, che incontrarono nel loro percorso. II piano, cui debbonsi riportare le marne delle Grottacce sottostanti ai tufi ora ricordati, è recente ed è posteriore a quello delle marne grigie, ricche di foraminiferi, che sono a Torre Caldara sul littorale di Anzio. Queste ultime sono inferiori al così detto Macco (un’ arenaria formata da detriti più o meno 507 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gyps) ecc. non è certo il caso di ammettere ciò per i vulcani del Lazio, poiché la temperatura media annua della regione e la quota di massima elevazione delle sommità Laziali fanno escludere la persistenza di forti masse di neve. Resta quindi come più probabile la ipotesi enunciata dal Ponzi sulla genesi dei peperini. grossolani, a cemento calcareo, ricca di Ampliistegina, di altri Foraminiferi, di magnifici Echinodermi e di nuclei di Lithothamnium) , mentre quelle po- trebbero essere più recenti del macco. E, poiché ho incidentalmente fatto parola del Macco di Anzio, debbo dichiarare che la sua fauna farebbe vedere come esso non fosse sincrono col- l’omonima roccia di Palo, giacché il Macco di Anzio è più recente, doven- dosi quello riportare al pliocene e racchiudendo una fauna più antica e ben diversa dall’altro di Anzio. Nel Macco di Anzio abbondano gli Echinodermi, specialmente gli Echinidi e Spatangoidi, non che i grossi tuberi di Litho- thamnium; tanto che in alcuni punti il Macco (per es. quello che sta sopra le marne sulla spiaggia verso Tor Caldara) è un conglomerato di tuberi di Nul- lipare e può chiamarsi una vera roccia a Lithothamnium, un vero calcare fito- geno a Nullipore ; vi si trovano insieme specie di molluschi tutti oggi viventi nel Mediterraneo. Il Macco di Palo invece racchiude qualche specie di echi- nodermi ( Schizaster , radioli di Cidaris), ma questi vi sono rari; nè trovansi tanto frequenti come nell’altro i tuberi di Lithothamnium, associati a specie di molluschi molte delle quali estinte; invece in alcuni punti è simile per la forma litologica al calcare lenticolare di Parlascio in Toscana, di Castro- caro nel Forlivese, di Boccacciano nei monti di Cetona, risultando quasi uni- camente da gusci di Amphistegina, saldati gli uni agli altri con cemento cal- careo più o meno abbondante, come già scrissi nelle mie : Note geologiche sui dintorni di Civitavecchia (Atti E. Accad. Lincei - Mem. clas. se. fìs. mai, serie 3a, voi. Y, 1880). Recentemente fu pubblicato dal dott. Terrigi un lavoro col titolo : Il calcare {Macco) di Palo e sua fauna microscopica Atti d. R. Accad. d. Lincei, serie 4a, Mem. d. Classe di se. fìs. mai e nat., voi. VI, 1889, pag. 94 a 151. L’Autore di questo lavoro ne ha studiato la microfauna, illustrandone gli en- tomostraci, i briozoarì e i foraminiferi. Dopo averne descritte le varie specie, che egli dice d’avervi rinvenuto (lo che insieme alle « osservazioni sul macco di Palo » costituisce la parte originale del lavoro), ha un capitolo intitolato « opinioni dei geologi e naturalisti » sui calcari ad Amphistegina, nel quale riporta dapprima quanto già altri, e specialmente G. A. De Amicis, scrissero su tale argomento: {V Amphistegina del calcare lenticolare di Parlascio. — Processi verb. d. Soc. tose, di se. natur. residente in Pisa, voi. IV. Adunanza 20 maggio 1885 (pag. 222 a 226) — Il calcare ad Amphistegina nella pro- vincia di Pisa ed i suoi fossili - Monografia. Atti Soc. Tose, di se. nat. resi- dente in Pisa - Memorie voi. VII, pag. 200 a 248). Stampa poi un lungo 508 R. Meli In ogni modo, la roccia peperino, che io riguardo sempre quale varietà di tufo vulcanico, cioè di un conglomerato frammentario, ha le maggiori analogie colla roccia, che seppellì la città di Erco- lano nella eruzione vesuviana avvenuta Tanno 79 dell’Era C. Tale roccia è, anche secondo lo Scacchi, sempre una roccia fram- sunto del lavoro di Walther sulle alghe calcaree litoproduttrici del golfo di Napoli e sull’origine di certi calcari compatti (Walther Johann. Die gestein- sbildenden Kalkalgen des Golfes von Neapel und die Entstehung structurloser Kalke, pubblicato nei Zeitsclirift d. Deutsch. geolog. Gesellschaft - Tom. XXXVII. fase. 2°, aprile-giugno 1885, pag. 329-357), traendola dall’ampia ri- vista che venne pubblicata in italiano nel Bollet. del R. Comit. Geolog. 1885, n. 9-10, pag. 305 a 331. Nell’ultimo paragrafo della memoria si trovano le os- servazioni sul Macco di Palo. È sulla fine di questo capo che l’Autore viene a concludere in quale piano geologico sia da collocarsi questa roccia. Dalla lettura dell’intero capitolo appare chiaro che l’Autore è, egli stesso, incerto del periodo geologico al quale riferire questo Macco, e non sa se metterlo nel quaternario inferiore, oppure lasciarlo nel pliocene, ove gli altri che ne scrissero prima di lui, lo collocarono. Indeciso tra il pliocene e il quater- nario, finisce per collocarlo in tutti e due, e riferirlo ad « un pliocene tal- mente superiore da confonderlo col quaternario » (ved. pag. 57 estr.; p. 148 Atti Lincei). Difatti nelle conclusioni (p. 54 estr.; 145. Atti Lincei) scrive: u Dal fin qui detto chiaramente emerge : 1° che il Macco è una recentis- sima formazione possibilmente quaternaria » — e a pag. 57 estr. (148 Atti Lincei) dice: « a me sembra non si possa porre in dubbio che il calcare « di Palo debbasi escludere dalla serie degli altri calcari ai quali non u solo venne assegnato un posto nel pliocene, ma ancora tenuto conto della « loro invariabile sopraposizione alle sabbie gialle, vennero perciò designati « come ultimo limite del pliocene superiore, limite così estremo da fargli rag- « giungere il quaternario » e poco dopo trovasi : « I fatti sopra esposti adunque « concernenti la posizione del Macco di Palo indicano chiaramente che il col- li locamento di esso nella serie dei terreni è quello assegnato dal De Stefani « per la panchina di Civitavecchia, riferibile cioè all’epoca del sabbione ma- li rino quaternario indicato nella carta topografica e fisica della Campagna Ro- ti mana pubblicata nel 1878. Dicendo quaternario il macco di Palo e riferen- ti dolo all’epoca del sabbione marino, si è inteso dire che quello fu il tempo « circa il quale si compì la sua formazione, senza volere in modo assoluto « precisare o la contemporaneità del Macco di Palo col sabbione quaternario « marino od un periodo antecedente. Nonostante per le considerazioni sopra ti riferite può dirsi che se il Macco di Palo non si voglia al presente ritenere « assolutamente quaternario, è però molto prossimo ad esserlo, o per meglio « dire è un pliocene talmente superiore da confonderlo col quaternario ». Dai citati brani, trascritti testualmente, e assai meglio dalla accurata lettura del- 509 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. mentaria formante un conglomerato compatto, nel quale è da sup- porsi abbiau preso parte anche le materie trasportate dalle acque dei torrenti (Ved. Scacchi Arcangelo, Catalogo dei minerali e delle rocce Vesuviane per servire alla Storia del Vesuvio ed al com- l’intero capitolo si può rilevare però abbastanza bene, non ostante un lin- guaggio geologico tutto particolare dell’Autore, che egli tende a collocare il Macco di Palo nel quaternario. L’Autore viene a questa conclusione dallo studio soltanto della microfauna contenutavi, non occupandosi affatto della fauna macroscopica, e lo dice egli stesso colle seguenti parole : « naturalmente io non metto in calcolo la fauna macroscopica » stampate alla linea 7, a par- tire dall’ultima, nella pag. 31 dell’estratto e pag. 122 delle Memorie Lincei. Ora, poiché nel Macco di Palo, oltre la microfauna, trovasi una bella e ricca macrofauna, nella quale sono rappresentati i molluschi, gli echinodermi, i cirripedi, gli annelidi, qualche resto di pesce ecc., cosi a fissare l’età di quegli strati, varrà il complesso della fauna racchiusa e non lo studio di una por- zione soltanto di essa, ristretta ai briozoari, entomostraci e foraminiferi. Ma la macrofauna, per unanime consenso di quanti se ne occuparono prima dell’Autore ha una facies spiccata pliocenica. In vero basta ricordare, tra i mol- luschi : Vola ftubelliformis (Brocc .), Pecten scabrellus Lamt., Pecten latissi- mus (Brocc.), Spondylus quinquecostatus Desh., Ostrea Boblayi Desìi., O.pli- catula Hòrnes n. Lin. (Ved. Hornes , Die foss. Moli. d. Tert.-Bec. von Wien II, pag. 439-441, tav. LXXII, fig. 3-8), Terebratula ampulla (Brocc.), ecc.; tra gli echinodermi, Schizaster Scillae Desmoul.; tra i resti di pesci, denti di Car- charodon megalodon Agass., Carcharodon sulcidens Agass., le quali specie, riguardate oggi come estinte, sono più o meno frequenti nei terreni pliocenici di tutta Italia, e non vennero segnate nei quaternari anche i più antichi. Le suddette specie mancano tutte nelle sabbie grigie marnose, nelle sabbie gialle del Monte Mario e nei terreni a queste superiori. Le sabbie fossilifere del Monte Mario, che io ho sempre considerate come un’orizzonte del pliocene superiore, non ostante la presenza della Cyprina islandica (Linn.), hanno una fauna di facies d’assai più recente che non quella del Macco di Palo. Che poi le sabbie del Monte Mario siano realmente plioceniche, oltreché dal com- plesso della fauna, resta dimostrato dall’essere stato rinvenuto negli scavi eseguiti nel 1878 per le trincee del fortino nelle sabbie gialle superiori, alla quota 132m sul mare, un bel molare, tipico, inferiore sinistro, non rotolato, di Eleplias meridionalis Nesti. Anche il rostro di Dioplodon rinvenuto nelle marne grigie e descritto dal Capellini conferma che quegli strati devono es- sere collocati nel pliocene (Capellini G. Rostro di Dioplodon nelle sabbie marnose grigie della Farnesina presso Monte Mario (Boll. d. Soc. Geol. Ital. voi. VII 1888, fase. 1° pag. 21). Ritrovandosi le citate specie di facies assolutamente pliocenica, nel Macco di Palo, fu a buon diritto riferito ad uno dei piani del pliocene da Bleicher, 510 R. Meli mercio de suoi prodotti. — Atti del li. Istituto d'incoraggia- mento di Napoli, 4a serie voi. I (1888), memoria n. 5, pag. 55). Che gli spandimenti di peperino abbiano corso e siensi gene- rati iu diversi intervalli di tempo, resta provato dal fatto che in Ponzi, Giordano, dagli ingegneri del R. Comitato nel rilevamento geologico di quella zona e, come tale, è segnato nelle carte geologiche del Comitato edite nel 1878 e 1888. Anzi nella Carta geologica della Campagna ro- mana e regioni limitrofe nella scala |qq qqq pubblicata per cura dell' Uffi- cio geologico nello scorso anno 1888 il Macco di Palo è collocato tra il pli- cene medio e superiore (Ved. Carta geol. cit., foglio di Cerveteril con l’avver- tenza che la formazione del Macco nella provincia di Roma, appartiene a di- versi piani del pliocene, ma di preferenza al superiore (Ved. Brevi cenni re- lativi alla Carta geologica della Campagna romana con le regioni limitrofe. Roma, Tip. nazionale 1889 in 8°, pag. 8). Insieme alle sopracitate specie estinte, nel Macco di Palo rinvenni anche le seguenti tuttora vive nel Mediterraneo : Ostrea lamellosa Brocc., Pecten pes-felis (Lin.), P. varius (Lin.), Te- nebratala vitrea (Born.), Ditrupa coartata (Brocc.), radioli di Dorocidarh papillata (Lesk.). Grossi tuberi di Lithotliammium, ecc. L’Autore voglia prendere cognizione di quanto scrisse sul Macco di Palo fin dal 1865, il Bleicher nelle due seguenti Memorie, che sembrano essergli sconosciute, giacché, non nominate nella mia breve Nota, in cui incidental- mente feci parola del Macco, non vengono neppure citate dall’Autore nel suo lavoro speciale su Palo. Bleicher (le Dr.) Rechcrches géolog. faites di ì s les environs de Rome (Bull. d. 1. Soc. d’hist. nat. de Colmar. 6m0 année, 1865, pag. 65 a 99, con tavola). — Sur la géolog. des environs de Rome (Bull. d. 1. Soc. géolog. de France 2me serie, tom. XXIII 1865-66, pag. 645 a 654 inclusiv.). Ma l’Autore confonde il Macco colla panchina quaternaria, ed a torto ritiene l’uno sincrono dell’altro. Nè per forma litologica, nè per i componenti minerali, ne per l’età di formazione, nè per i fossili racchiusivi, nè per la po- sizione stratigrafica può la panchina confondersi col Macco, e, ciò facendo, l’Autore mostra chiaramente di non sapere cosa sia la panchina. Ai geologi non occorre aggiungere altre parole in proposito ; si avverta bene che io qui non ho per iscopo l’esame della Memoria citata, ma soltanto di rilevare al- cune delle maggiori inesattezze. I fossili della panchina quaternaria sono ben diversi da quelli del Macco e può vedersene il catalogo nelle citate memorie del Bleicher, nel lavoro del De Stefani, e per la panchina recente nelle mie : Note geologiche sui dintorni di Civitavecchia (già cit.). In ultimo avviserò che il quaternario marino, o panchina, trovasi superiore al Macco ; giacché lo ricopre in discordanza, e soltanto in molti punti spuntano fuori dall’arenaria quater- 511 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gfyps ) ecc. più luoghi si mostrano strati di peperino alternare colle ceneri, e che nella pagina inferiore dello strato litoide in contatto dei sot- toposti materiali incoerenti, trovansi costantemente impronte di vegetali terrestri erbacei, impiantati nel terreno e coricati nella naria, che racchiude minerali vulcanici, le masse del Macco. All’Autore della Memoria è sfuggita completamente la presenza di questa roccia, che nei din- torni di Palo mostrasi su di un’area di parecchi chilometri quadrati, e che venne esattamente indicata ai Monteroni fin dal 1844 dal Pareto nella sua Memoria: Osservazioni geologiche dal monte Annata a Roma, stampata nel “ Giornale Arcadico », toni. C, fase, di luglio 1844 (ved. pag. 21 dell’estr., carta geologica annessa e la sezione N-E. dal Tevere al mare presso Palo). L’Autore voglia leggere le indicate memorie del Bleicher e vi troverà confermate tutte queste osservazioni sulla giacitura del quaternario marino e sulla sua sovrapposizione al Macco presso Palo. Pifatti nella sezione geolo- gica, condotta da Cerveteri al mare sopra 5 km, e 1/2, che è disegnata alla fig. 12 nella tav. annessa alla prima delle cit. memorie del Bleicher ( Recher - ches géolog.) si vede il calcare marino pliocenico (Macco) sottostare alla pan- china marina quaternaria; da questa il Bleicher estrasse le seguenti specie: Cerithium vulgatum Brug., 0. lima Brug., Turbo rugosus Lin., Barbatia barbata (Lin.), Lima squamosa Lamk., Lithodomus litliophagus (Lin.) (ved. p. 22 estr.) le quali specie, tutte oggi viventi nel prossimo mare, sono ben di- verse da quelle racchiuse nel sottoposto Macco. Bleicher alla pag. 24 parla del- l’arenaria quaternaria o panchina ed alla pag. 20 menziona il calcare marino pliocenico o Macco di Palo. Parimenti nella seconda delle cit. memorie ( Sur la géolog. cl. envir. de Rome), alla pag. 651 parla di sedimenti marini quater- nari costituiti d’ordinario da arenaria a cemento grossolano, e più raramente da un calcare grigio poroso, sonoro alla percossa (pag. 652 e 653), e poi scrive : « Il est surtout intéressant d’observer ces formatimi s marins à deux ki- lt lomètres en avant de Palo sur une tranchée du chemin de fer: le grès qui « y forme une couche de peu d’èpaisseur est complétement perforé par la u Modiola lithophaga ». Ed a pag. 653. « Plus loin,versPalo, c’est à dire àmi-chemin à Civitavecchia, u les ondulations du terrain, que la voie traverse et coupé en certains points, u appartiennent également au pliocène, mais à une zone different de la précé- u dente par sa position stratigraphique, sa nature minéralogique, et ses fossiles. « C’est celle que M. Ponzi appelle zone de Corneto ou 3e zone. La roche est « calcaire, blanchàtre, friable, riche en foraminifères discoi'des ; elle ressemble « beaucoup à celle que j’avais déjà vue sur les lieux mèmes qui ont été « choisis comme type de cet horizon géologique. De tranchées de 3 à 4 métres « de hauteur y offrent de nombreux fossiles, sans pre'senter de lignes nettes « de stratificatimi, de sorte que l’on ne peut juger rigoureusement ni de Fin- ii clinaison ni de la direction des couches : cependant des bancs parfaitement 33 512 R. Meli direzione della corrente che passò sopra di essi. Questi vegetali indicano un certo tempo decorso tra la caduta di quei materiali sciolti e il passaggio della corrente fangosa dei peperini, durante il quale intervallo di tempo sulla superficie delle deiezioni non cemen- tate esposte all’atmosfera, si sviluppò una vegetazione erbacea (x). Ho osservato nelle trincee della nuova ferrovia secondaria dei « réguliers d 'Ostrea foliosa et de Terebratula ampulla permettent de penser « que l’inclination a dù ètre très-faible. « Les fossiles admis cornine caractéristiques de la zone de Corneto s’y « trouvent en abondance: ce sont surtout Pecten latissimus Brocc., varius « Lin., flabelliformis Brocc., pes felis Brocc., Spondylus gaederopus Lin., « Ostrea foliosa Brocc., Modiola lithophaga L. etc. Les deux Terebratula n ampulla Brocc., caput serpentis L., y sont connnunes. « Les oursins n’y sont pas rares; j’y ai surtout remarqué l’abondance d’un ii Cidaris que je n’ai pu déterininer. Il suit de là que les deux seuls horizons u pliocènes qui manquent aux environs imraédiats de Rome se trouvent sur u le trajet de la nouvelle voie. Je recommande ce fait aux géologues, qui ii trouveront de nombreux fossiles sur les tranchées, quej’indique ici». Voglia credere l’Autore della Memoria che io fui obbligato mio malgrado e con ripugnanza a scrivere queste poche righe di rettifica alle sue conclu- sioni per impedire che si difondessero inesatte opinioni sulla posizione delle rocce di Palo. Veggo poi che non sono il solo a fare osservazioni alla suddetta Memoria, giacche negli Atti dell’Accad. pont. de’ Nuovi Lincei, tomo XLIII, Sessione I, trovo che il chiar.mo ing. Statuti, il prof. Tuccimei, il prof. De Rossi non convengono, per motivi diversi, coll’Autore di questa Memoria che il Macco debba riferirsi al quaternario, ed emettono riserve in proposito (Ved. Atti cit. pag. 24-27 ; Statuti A., Rivista di una Memoria del dott. G. Terrigi sul calcare {Macco) di Palo e sua fauna microscopica. — Tuccimei G., Sul me- desimo argomento. — De Rossi M. S., Sul medesimo argomento). Inoltre le considerazioni svolte dal prof. Tuccimei, collimano esattamente con quelle che ho brevemente esposte di sopra e le obbiezioni sono assai net- tamente formulate. Peraltro, se la Memoria in questione è difettosa ed erronea dal lato geo- logico, è invece ben interessante nella parte descrittiva principalmente dei foraminiferi, dello studio dei quali, specialmente pliocenici e recenti, l’Autore si cccupa da molti anni e sul quale argomento pubblicò parecchi lavori. (!) Forbes J. D. nella Memoria « On thè volc. format, of Monte Al- bano » stampata nel «The Edinb. new pliil. journ. » voi. XL Vili, 1850, mem. cit., distingue 3 periodi nella formazione dei peperini del Monte Albano. 513 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. Castelli RomaaC poco dopo oltrepassato il viadotto sulla valle dei Morti, andaudo verso Marino, che in parecchi punti si vede la sezione trasversale di qualche piccola valletta di erosione, ora interrata; sulle pendenze laterali, formanti l'antico suolo delia località, trovausi stenterelli di peperino, il cui spessore aumenta verso il fondo dell’incisione, mentre va a svanire sulla sommità delle sponde laterali ; anche in questi straterelli si hanno impronte di vegetali nella pagina inferiore. Ritengo tali straterelli indipen- denti dalle grandi masse o correnti di peperino, e suppongo siensi formati localmente: essi, colla loro giacitura e ubicazione, dareb- bero ancora una prova in favore della miscela avvenuta tra i ma- teriali polverulenti piovuti sul suolo e le acque meteoriche. La maggior parte degli autori, che scrissero sulla geologia Laziale, ammette che i peperini siensi formati, quando avvenne l’apertura del cratere Albano; ma se é vera la genesi del pe- perino, come l’ho esposta di sopra, potrebbero essersi originate correnti fangose anche in altri periodi eruttivi ed il peperino Ga- bino ( lapis Gabùms degli antichi) ne darebbe un esempio, essendo i suoi spandimenti circoscritti all’intorno del cratere di Gabi, detto anche di Castiglione. È però da osservare che i peperini si trovano sparsi su di una larga zona collocata da NO a SO del gruppo Laziale. Difatti si rinvengono peperini tutt’ all’intorno del cratere Albano, il cui ciglio è costituito da queste rocce, alternanti spesso con le deiezioni mobili. Essi si stendono verso nord, fino oltre il ponte degli Squarciarelli, e giungono a circa 1 Km. di distanza verso la stazione ferroviaria, ora abolita, di Marino posta sulla linea Roma-Napoli; a SO si ritrovano intorno il casale e presso la sta- zione ferroviaria della Cecchina, non che lungo la rotabile che va a Fontana di Papa; verso SE, a nord del lago di Nemi. Il prof. Keller mi indicò strati di peperino, più o meno litoide, sulla rota- bile che va da Roma a Frascati al Km. 11, e nel fosso presso il Casale di S. Palomba a S-0 di Albano. Si veggono peperini in diversi punti della rotabile che dal ponte degli Squarciarelli sale verso Rocca di Papa ; nella macchia dei castagni ; nella valle degli Arcacci sulla scorciatoia che dalla Molara va a Rocca di Papa. Di Tucci cita una colata di peperino sui fianchi dei monti che recingono il cratere del Campo di Annibaie, nel vallone di Barbarossa, all’altezza di 850m, ed assicura di aver 514 R. Meli ritrovato del peperino sulla vetta del M. Cavo, nell'orto dei Passionisti a sud-ovest (V. Di Tucci, Studi geolog. sui peper. Mem. cit. Atti Lincei pagg. 362-363 e 371). Altri peperini si mostrano vicino alla Fonte del Pilozzo sotto Monte Porzio ; presso Civita-Lavinia, e tra questa città e Velletri; in questo tratto è notevole la cava aperta nella valle di S. Gennaro in vicinanza della via Appia antica, nei dintorni di Civita-Lavinia (’). Ma strati di peperino devono giacere ancora inavvertiti in molti altri luoghi, perchè, ricoperti dal terreno vegetale, o dai detriti moderni trasportati dalle acque, non appariscono o tutt’al più affiorano soltanto in qualche punto. I recenti tagli praticati nel terreno per la ferrovia secondaria dei Castelli romani ne danno esempi nel percorso Valle de’ Morti, Marino, Castello, Albano; del resto, non è raro il caso che, nei territori di Albano, Frascati, Grottaferrata, Castelgandolfo, Marino, Nemi, ecc., smuovendo il ter- reno vegetale per renderlo atto a coltura, ovvero praticandovi lo scassato al line di piantarvi la vite, si venga a trovare uno strato sottogiacente di peperino. E fu appunto in tal modo, che, nel passato annuo 1889 in un fondo spettante al sig. Biagio Reali di Frascati, eseguendosi uno scassato per ridurlo a vigna coltivata, si incontrò un letto di peperino, che fu necessario ridurre in frantumi per raggiungere nello strato smosso la profondità conveniente al piantamento delle viti. Il fondo in parola del sig. Reali è situato ai piedi delle col- line del Tusculo, suH’imbocco del vallone di pianta circolare, che ho detto esistere tra le pendenze interne del grande cratere, e quelle esterne del cono centrale, sorto entro quello; esattamente . trovasi alla colonnetta del XIX Km. sulla via Anagnina, a sinistra ve- nendo per la strada provinciale da Frascati, alla quota di circa 430 m. In nessuna delle carte geologiche comprendenti quella 6) Il peperino di S. Gennaro trovasi menzionato alla pag. 34, n. 101 del « Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero d'Agr. Ind. e Comm. all'Esp. intcrnaz. di Vienna ordinati e descritti da G. Ponzi e Fr. Masi - Roma, Coltellini e Bassi, 1873 in 8° ». Secondo le indicazioni stampate in questo Catalogo il peperino di San Gennaro presenterebbe una potenza di 15m ^sarebbe quindi analogo al banco di peperino nel quale sono aperte le cave sotto Marino nella valle delle Pietrare. Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. Ò15 regione trovai indicato il peperino nella precisata località. A breve distanza da questa, si ha il fosso dei Ladroni, che si versa nel corso d’acqua passante sotto il ponte degli Squarci arelli e che pro- segue oltre per la valle Marciana, ove si trovano colate di pepe- rino. Se è verosimile la genesi del -peperino come l’ho accennata di sopra, potrebbero alcune correnti essersi originate nel vallone della Molava, e, seguendo la pendenza della regione, potrebbero essersi rovesciate nella valle Marciana. Nel ridurre in pezzi lo strato di peperino rinvenuto nella pro- prietà del sig. Reali, gli operai furono sorpresi di trovare nella roccia un vacuo entro del quale stavano regolarmente disposte delle ossa, mentre le superficie di rottura del peperino presso alla cavità mostravano impronte di grandi penne. Le impronte, colorite in giallo-bruno da limonite terrosa, spiccando sul grigio della roccia, richiamarono l'attenzione degli operai ; ma essi non conoscendo l’importanza del ritrovamento, continuarono a frantumare lo strato togliendo dal loro posto le ossa, rompendole e gettandole via. Se non che fortunatamente intervenuto sul luogo, poco tempo appresso, il sig. Reali ed avuta notizia del rinvenimento, fece mettere in disparte parecchie lastre di peperino con le impronte e procurò che fossero ricercate e raccolte le ossa frantumate e disperse. Eseguendo io una escursione geologica ai colli Laziali cogli allievi del corso fisico-matematico del R. Istituto Tecnico di Roma, ebbi notizia del suddetto rinvenimento dai sigg. ingegnere Panizza direttore dell’ Ufficio tecnico di Frascati e dott. Domenico Seghetti medico-chirurgo nella stessa città. Il dott. Seghetti (') mi disse anche di ritenere che le ossa rinvenute nel peperino dovevano spettare ad un grande uccello dei t1) Il dott. Seghetti sempre si è occupato, e con molto amore, di studi geologici. Qualche anno indietro, quando io era incaricato della direzione del Museo Geologico nella R. Università di Roma, egli vi mandò in dono una bella serie di Rudiste, estratte dal calcare Turoniano del Monte Affilano presso vSubiaco. Insieme alle Rudiste inviò una grande e bella impronta, che riferii ad un Zoophycos, forse oligocenico, di specie assai vicina a quella disegnata nella tav. VI fig. 8 della memoria di B. Gastaldi « Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana. Breve nota - Torino, stamp. reale, 1866, in 4°, di pag. 46 con 6 tav. (Estr. d. Memor. d. R. Accad. d. Se. di Torino. Serie II, tom. XXI YT) ». Il Seghetti donò anche resti di un grosso Cervus elaphus Lin. 516 R. Meli rapaci. Mercè questi signori, potei vedere i resti fossili in parola e subito dalle dimensioni delle ossa lunghe, dalle impronte delle grandi penne, dalla ispezione delle falangi unghiali e degli stampi della testa e dei piedi, mi convinsi trattarsi di un rapace, avente mole d’assai maggiore dell’ aqui la. Maravigliato della scoperta, e convinto dell’alto interesse, die presentavano quei resti fossili per la geologia locale, mani- festai al sig. Reali il desiderio di poterli studiare, ed il signor Reali con squisita gentilezza volle offrirmeli in dono ; io li accet- tai con viva riconoscenza, dichiarando che li avrei collocati nel Gabinetto di Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma, ove tro- vansi tuttora. Adempio qui al dovere di esprimere al sig. Reali i più vivi ringraziamenti per il dono che si compiacque di fare e di ringra- ziare i sigg. ing. Panizza e dott. Seghetti per la loro gentile cooperazione prestatami in quella circostanza. Mi sia poi anche per- messo di tributare i dovuti encomi al sig. Reali per avere egli raccolto i resti fossili in parola, impedendo che andassero in totalità dispersi e venissero così sottratti al patrimonio scientifico. Il sopraddetto rinvenimento è di molta importanza non sol- tanto per la specie di uccello, a cui quei resti si riferiscono, ma assai più per la roccia che li circondava e per le speciali condi- zioni di giacitura in cui si rinvennero, le quali spandono luce sullo stato tìsico presentato dal peperino, allorquando investì e comprese il corpo di quel vertebrato. Nei peperini, nelle ceneri e nelle deiezioni laziali, intercalate ad essi, i resti di vertebrati sono poco frequenti, come in generale si trovano di rado in tutte le formazioni vulcaniche. Ecco il ca- talogo sommario dei vertebrati fossili, rinvenuti fino ad oggi nel peperino e nelle deiezioni vulcaniche dei colli Albani, dei quali ho potuto avere notizia. (ossa degli arti anteriori, scapola e costole, racchiuse in un lastrone di tra- vertino; un grosso molare, ed un frammento di corna), rinvenuti nel travertino quaternario della collina dei Cappuccini presso Subiaco, sui quali resti scrisse anche una Memoria {Un cervo fossile nel quaternario di Subiaco. Rivista in- dustriale voi. Vili, Firenze 1876). 517 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. Lucidi Emmanuele nelle « Memorie storiche delf antichis- simo Municipio , ora terra deli’ Ariccia e delle sue colonie Gen- oano e Itemi. Roma, Lazzarini, 1796 in 4°, di pag. XII e 502 ». riferisce che nel gennaio del 1786 il sig. G. Batt. Stazi, avendo cominciato a fare uno scavo sotto il suo casino posto sulla piazza dell’ A riccia per costruirvi una grotta, rinvenne un’intero scheletro (a quel che pare) di cervo. È interessante di leggere quello che scrive in proposito nella parte I, cap. V, « Trovossi, egli dice alla “ pag. 50, in primo luogo un masso del nostro sasso detto pepe- « ri no alto palmi 12 incirca ; sotto di esso si trovò uno strato di « pozzolana mischiata con breccie di selci alto palmi 10 ; indi un’al- « tro masso di peperino alto palmi 7 e sotto di questo uno strato « di pozzolana bianchiccia simile alla cenere. Tra questo ultimo « masso e lo strato di pozzolana cenericcia si trovarono le ossa « intere di un cervo che rimanevano impresse nel peperino supe- « riore. Li lavoratori spezzarono tutte le ossa del cervo e dopo « aver estratta la pozzolana cenericcia videro nel masso impressa « la figura del cervo le cui ossa infrante erano già state traspor- « tate altrove e disperse. Fui di ciò avvertito due giorni dopo. Mi « portai subito a visitare il luogo : e sebbene li lavoratori aves- « sero con gl’istromenti di ferro, che chiamano picconi , guastata « l’impressione del cervo nel masso superiore, che servir dovea di « volta alla grotta, con tuttociò vidi che vi rimaneva ancora im- « pressa l’ultima parte di un corno, lunga un palmo e più e parte « di una coscia con porzione di una gamba, lunga in tutto, palmo « uno e mezzo. Mi dimenticai di misurare la distanza che pas- « sava dalla parte del corno rimasta impressa (erano le ultime «punte) a quella della coscia per poter dinotare all’ incirca la lun- « ghezza del cervo » ecc. ('). Da questo brano rilevasi che il cervo si ritrovò sotto lo strato di peperino, tra la pagina inferiore di questo e le sottostanti ceneri incoerenti, e che nel peperino restò impressa la figura del cervo, come è avvenuto per il grande avvoltoio, che mi ha dato motivo alla presente comunicazione. (i) Anche Pianciani ricorda il ritrovamento dei resti di cervo sotto il peperino e riporta un sunto del brano sopracitato (Pianciani G. B. Di alcune ossa fossili rinvenute in Roma e nei dintorni e conservate nel museo Kir- cheriano. — Nel Giornale Arcadico Tom. LXVII, aprile-giugno 1836. Ved. pag. 158). 518 R. Meli Ponzi menziona, oltre ai vegetali, ossa sparse di mammiferi e reliquie umane nelle rocce eruttate dal cratere albano (peperini altercanti con ceneri o pozzolane) (') ; frantumi di ossa di mam- miferi nelle ceneri presso Frascati, un dente di cervo abbrustolito sotto la lava di Capo di Bove ed il probabile rinvenimento di una testa di cervo sotto una casa in Ariccia, accennando con queste parole alla notizia anteriormente data dal Lucidi (2). Anche Murchison riferisce, sulle notizie comunicategli dal Ponzi, che ossa di cervo furono scoperte nel peperino sotto le ruine di una casa all’ Ariccia (3). Mantovani nella sua Descr. geolog. d. Camp. Rom. (Mem. cit.) alle pagg. 77-78 dice che « gli ossami fossili di erbivori sono rari, ma pur si rinvengono nei peperini » , e cita « avanzi di buoi ( bos taurus), cervi, daini, pecore e capre che facilmente si ricono- scono quali specie simili alle attuali » fa parola di un frammento di mascella di cane e dice d’aver riconosciuto più spesso mascelle di piccoli rosicanti ; poi scrive « ritengo ideale la scoperta annun- ziata da taluni, che narrano aver trovato mosche fossili nei pepe- rini » Le stesse notizie ripete con poche varianti nell’altra sua pubblicazione, Descr is. geol. d. Monti Laziali , pag. 19. Nardoni nella Memoria col titolo « Scoperta di una necropoli preistorica nel territorio Aricino » stampata nel « Buonarroti » Serie 2a, voi. VII, quaderno XII, dicembre 1872. pag. 431-435 (*) (*) Ponzi G., Carta geologica del bacino di Roma, nel volume: Studi sulla geografia naturale e civile dell'Italia. Poma, tip. Elzeviriana, 1875; in 4° picc. (Vcd. pag. 84). La memoria trovasi anche stampata nel « Bollettino della Soc. geogra- fica italiana» voi. Vili, 1872, (Vedi p. 41) e nella « Relazione s. condizioni agr. ed igieniche d. Campagna di Roma, Ann. d. Minisi. d’Agr. ecc. 1872 » (Ved. allegato A pag. XX). (2) Ponzi G., Storia nat.d. Lazio. Giorn. Arcad.tom. CLVIII, cit., pag. 128. (3) Murchison E., On tlie earlier volc. rocks (Mem. cit.) pag. 297. (4) Riguardo ai supposti ritrovati di mosche nel peperino, devo dire che, parecchi anni fa, ne acquistai dai cavatori un campione con una mosca che sembrava compresa naturalmente e schiacciata entro la roccia, ma dovetti in seguito pur troppo convincermi che l'insetto era stato fissato alla roccia fraudolentemente, sebbene con rara maestria ed abilità. Da questo fatto, si può dedurre quanto bisogna essere cauti prima di accogliere le asserzioni dei lavoranti, che talvolta offrono in vendita oggetti di bronzo di epoche storiche, assicurando di averle rinvenute nel peperino. 519 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. con 1 tav., fa parola di un metatarso di Ecquus , rinvenuto entro una profonda screpolatura della roccia in una cava di pozzolana vicino al ponte di Valle Lupara presso Galloro; vi menziona pure ossa calcinate e una punta di ramo di corno, forse di cervo. Ho voluto citare per esattezza anche i ritrovamenti menzionati dal Nardoni, quantunque essi sieno mancanti di notizie precise rela- tive alla loro giacitura. Il fatto stesso di aver rinvenuto un’osso lungo isolato in una fenditura esistente nella roccia (dovrebbe essere peperino) fa muovere il dubbio che quelle cave non sieno state già lavorate altre volte. Nel decembre dell'anno 1878, nello scavo eseguito per le fon- dazioni di una casa, fu rinvenuto entro le ceneri sciolte sottogia- centi ad un letto di peperino nella località chiamata Capocroce presso il paese di Marino, un grosso corno frammentario di Cervus elaphus Lin., il quale con parecchie digitazioni staccate è conser- vato nel Museo di Geologia della Università. Parimenti nelle ceneri sciolte sottostanti al peperino nel Parco Chigi presso il Ponte del- l’ Ariccia, furono rinvenute nel 1880 due corna, che riconobbi spet- tare a due individui di Cervus capreolus Lin. e mi fu anche ri- ferito dal sig. Zocclii che insieme ad esse si trovarono ossa lunghe quando si esegui uno sterro per la erezione di un teatrino provvi- sorio, costruito per le feste, date in quell’anno a scopo di benefi- cenza, nel parco Chigi. Uno dei suddetti corni fu donato dal sig. Zocchi al Museo Universitario, ove tuttora conservasi. Finalmente nel 1887 acquistai una tibia destra di Cervus col capo articolare inferiore, racchiusa nei lapilli vulcanici, cemen- tati, inferiori al peperino nella cava, che trovasi a sinistra della strada rotabile, che dal Ponte degli Squarciarelli conduce a Rocca di Papa, poco dopo oltrepassato il ponte. Anche questa tibia, ade- rente alla roccia, trovasi nel Museo Geologico della Università. In questa Nota di vertebrati fossili Laziali è oggi da aggiun- gersi il grosso vulturide rinvenuto nel peperino, del quale vado ora a dire due parole di cenno preliminare. Pervenutimi in Roma i resti dell’ uccello compreso nel pepe- rino, prima di procedere al restauro ed allo studio delle ossa do- vetti occuparmi della loro conservazione. Le ossa, mirabilmente intatte nelle loro più delicate apofìsi, nitide di materie estranee, 520 R. Meli erano però, oltre ogni dire, fragili e quasi farinose. Per impedire che si deteriorassero maggiormente diedi loro una soluzione piut- tosto densa di gelatina, ma erano così friabili che talune di esse caddero in polvere e si spappolarono nell’ assorbire il liquido. Insieme alle ossa ebbi pure parecchie lastre di peperino colle impronte delle penne, e alcuni massi di questa roccia, l’uno con lo stampo, sorprendentemente riuscito, della testa e di porzione ante- riore del collo del rapace ; due altri con le impronte delle due zampe ed un quarto colla forma di una gamba. Le impronte lasciate dalle penne, e le forme della testa e delle zampe sono qualche cosa di nitido e di finito e riproducono la superficie di quelle parti dell’animale in tutti i più minuti particolari. Negli stampi dei due robusti e vigorosi piedi si hanno le forme delle quattro dita, tre delle quali dirette in avanti ed il quarto all'indietro, e si vedono riprodotte le rugosità dell’ epidermide e le sue piastre con una nitidezza in- credibile. Le dita laterali sono più corte del dito mediano e pres- soché uguali fra loro; il quarto dito (pollice) è articolato sullo stesso piano d’inserzione delle dita anteriori. Alcune delle ultime falangi unghiali sono ancora racchiuse al loro posto nello stampo della roccia. Importantissimo è il pezzo che presenta la forma ri- cavata sulla testa e sulla porzione anteriore del collo. La testa si mostra essere stata sprovvista di piume; anche il collo è senza piume, o tutt’al più cou qualche traccia di rara lanugine, nudo e munito di tubercoletti o piccole caruncole setolose; gli occhi sono laterali, ossia collocati sui lati della testa, non infossati ; il becco è lungo, vigoroso, rotondo trasversalmente, alquanto compresso sui lati, e ricurvo all’apice. L’estremità del becco, che è ricurvo, non può distintamente vedersi nello stampo per il sottosquadro che pre- senta ed a causa del peperino che allo stato pastoso di fango entrò nella bocca del volatile- ed ora impedisce la visione dell’estremo del becco, ma questo si ricaverà benissimo col riprodurre in ri- lievo lo stampo. La forma mostra nitidamente l’impressione della cera che avviluppa per una larga estensione la base del becco ; in essa vi si osservano anche le impronte delle narici laterali, forate nella cera. Nell’ esaminare i citati stampi si resta sorpresi nel vedere come una roccia detritica, qual’ è il peperino, a struttura terrosa, poco uniforme nella sua pasta, abbia potuto riprendere con quella 521 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. perfezione i minimi dettagli e tino le barbuie delle penne, meglio assai che non avrebbe potuto ottenere il più abile formatore, me- scendo nell’ acqua gesso di migliore qualità. I dettagli conservatici negli stampi, che il peperino ricavò sull’ animale modellandosi sopra di questo, sono interessanti, come è ovvio il supporre, per la sua determinazione specifica. Se si con- sideri la forma ricurva e la grandezza delle falangi unghiati, che erano ricoperte dalla guaina dell’artiglio, di cui si ha l’esatta riproduzione in cavo nello stampo della roccia, la facies del fe- more, la mancanza di piume sulla testa e sul collo, le particola- rità del becco e dei piedi, la traccia di un collarino piumoso in- torno alla base del collo, ecc. si potrà facilmente concludere che i resti in parola spettano ad un avvoltoio, ossia ad un uccello della fami- glia dei Vulturidi. Tenuto poi conto delle dimensioni delle ossa e delle varie parti del corpo, ricavando queste ultime dalle forme naturali che ne rimangono, e delle lunghe penne, si verrà a sta- bilire che si tratta di un grande avvoltoio. L'omero misura mm. 275 di lunghezza tra le due superficie articolari; il femore ha una lunghezza di mm. 144; la tibia mm. 340, ecc. Il femore con- frontato con quello di un Condoro, Cathartes gryphus Lin. ( Valtur ) - Sarcorhamphus gryphus Dumér. = Gryphus typus Is. Gfeoffr., è risultato alquanto minore, mentre è leggermente maggiore di quello di un grifone, Gyps fulvus J. F. Gmel. ( Vultur). Cosi ancora, fatto il confronto tra il capo articolare inferiore del tarso-metatarso destro dell’avvoltoio Laziale e quello di Condor, che trovasi disegnato in gran- dezza naturale nella Memoria del Bianconi « Studi sul tarso-meta- tarso degli uccelli ed in particolare su quello dell’ Epyornis maxi- mus. Bologna, Gamberini e Parmeggiani in 4°, 1863-65 » (ved. tav. IX, fig. 1 a, b, c, d), le dimensioni dell’osso nella regione condiloidea riuscirono pressoché uguali, sì nel condoro, che nel frammento di tarso-metatarso spettante all’avvoltoio laziale ; la troclea media nel condoro è più allungata ed ha un raggio maggiore della cor- rispondente nell’avvoltoio del peperino. Tatto ciò dimostra che i resti fossili appartengono certamente ad una grande specie di Vulturide. Ai sopraccennati caratteri ag- giungasi quello delle narici, le cui impronte esistenti nella forma del peperino, si mostrano alla base del becco nella regione della cera verso il margine anteriore di questa, nude, forate perpendi- 522 R. Meli colarmente alla luughezza del becco, allungate e quasi in forma di lemniscate. Inoltre l'essere stata la testa e il collo coperta di una sparsa lanugine, o meglio di piumino setoloso, e finalmente le tracce, presentate dallo stampo, di un collarino alla base del collo ci dimostrano senza dubbio alcuno che l’avvoltoio spetta al genere Gyps (Savigny). Quanto alla specie, io non sarei lontano a riferirla per molte speciali coincidenze al Gyps fulvus I. F. Gmel. ( Vultur ), volgarmente grifone , ma non posso ora in modo definitivo assicu- rarlo, non avendo finora studiate le ossa nè fatti i dovuti confronti con qualche esemplare di questa specie tuttora vivente nella pe- nisola, e che, sebbene assai rara ('), venne tuttavia catturata in più punti anche dell’Italia media (Umbria, Appennino Toscano) (2). 0) C. L. Bonaparte, parlando degli avvoltoi, avvertiva come nel centro d’Italia la famiglia Vulturidae fosse soltanto rappresentata dal Capo-vaccaio ( Neophron percnopterus Savign.), mentre le altre specie europee, tra le quali il Gyps fulvus (Gmel.). e il G. Rollìi Daud. [Vultur), albergassero più o meno il Piemonte, la Sardegna, la Dalmazia e non lasciassero vedersi nel centro d’Italia. (Bonaparte Carlo L., Iconografia della Fauna italica per le quattro classi degli animali vertebrati. Roma, Tip. Salviucci, 1832-1841 in fol. \ ed. toni. I. Introduzione alla classe II. Uccelli; foglio notato con *** a piedi pagina). Anche H. E. Dresser nella sua magnifica opera: A history ofthe lirds of Europe including all thè species inhabiting thè icestern palaearctic region. London, publisli. by thè Autli. 1871-81, in 4°: parlando del Gyps fulvus (Gmel.) nel voi. \ , pag 373-380, (monografia 108, pag. 3) scrive che questa specie in Italia è residente nelle Alpi Marittime e nei monti della Sicilia e Sardegna, ma aggiunge che da queste località gli individui si sbandano ad altre parti dell’Italia: « whence individuala straggle to other parts of thè country ». Lo Schlegel separa il grifone d’Europa e dell’Africa settentrionale in due sottospecie, cioè nel Gyps fulvus orientalis ed occidento.lìs. A quest’ul- timo lo Sharpe dette il nome di Gyps hispaniolensis-, ma Gurney e Dresser ritengono non essere altro che il G. fulvus giovanile. (2) L'Italia sotto l'aspetto fisico, storico, artistico e statistico. Parte 2a. Fauna d'Italia. — Uccelli per T. Salvadori. Milano, Vallardi 1872, in 8° (ved. pag. 2-3). Giglioli H. E., Avifauna italica. Elenco delle specie di uccelli sta- zionarie o di passaggio in Italia colla loro sinonimia volgare ecc. per ser- vire alla inchiesta ornitologica. Ministero d’Agr. Imi. e Comm. Firenze, Tip. d. success. Le Monnier, 1886 in 8°. (Ved. pag. 266). Oltre il Gyps fulvus, è citato come attualmente sedentario nell’Italia media, (Maremma Toscana, Monte Argentario, Campagna di Roma e parti- colarmente Maccarese e paludi Pontine) l’altra specie di Avvoltoio già indi- 523 Sopra i reati fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. Non ho potuto finora procurarmi un’ individuo di cpiesta specie (*), nè averne uno scheletro per confronto ; potei soltanto per gentile concessione del prof. Carniccio, vedere un’esemplare di Gyps Kolbii Daudin ( Vultur ), proveniente dal deserto Libico che trovasi nella raccolta ornitologica del Museo di Zoologia della Università, colla quale specie i residui fossili del peperino hanno molta analogia e convengono per le dimensioni. La determinazione specifica, che credo dovrà poi a studio completo riferirsi al Gyps fulvus (Gmel.), potrà essere data con esattezza, dopo che avrò studiate le ossa, ricomposto, per quanto sarà possibile, e montato lo scheletro, fatti i dovuti confronti e riprodotti in plastica la testa e le zampe ri- cavandole dalle matrici naturali formate nella roccia. Ciò che del resto, non sarà tanto facile ad eseguire a causa dei numerosi sot- tosquadri esistenti negli stampi. Non essendo possibile di ricavarne i rilievi in gesso, senza rompere o tagliare le forme originali, con- verrà riprenderli in caoutchouc o colla gelatina e su queste ripro- duzioni fare una nuova matrice in gesso, per tirarne poi quante plastiche si vorranno. Da un’esame preliminare dato sulle ossa, ho rilevato che sono mancanti, perchè disperse, molte vertebre dorsali, quasi tutte le costole, lo sterno, parte delle ossa del bacino, parecchie delle pic- cole ossa corte, mentre per la loro estrema fragilità e friabilità altre furono spezzate e ridotte in polvere. Così avvenne di alcune fra le ossa lunghe, tra le quali ho pure a deplorare parecchie mancanze. Con tutto ciò io spero di poter rimettere insieme e di cata dal Bonaparte il Neopliron percnopterus (Lin.) (Yed. Giglioli, op. cit. pag. 267 n. 261 e Salvadori, op. cit. pag. 3-4). Ma le minori dimensioni di questa ultima specie, la forma del becco, e la presenza di piume nella cervice e nel collo la fanno escludere assolutamente dalla specie alla quale debbono riferirsi i resti del peperino. (!) Questa specie è figurata nel voi. Y, (monograf. 108), tav. 319 (adulto) e 320 (giovane) della citata opera di Dresser « A history of thè birds of Europe » . Buone figure del Gyps fulvus trovansi nelle opere seguenti: D’Auben- ton, Encyclopédie méthod. ( Oiseaux ) tav. 426; Werner, Atlas. Rapaces tav. 2; Fritsch A., Naturgeschichte d. Vógel Europa's, tav. 1, fig. 3; Naumann, Vógel Deutschl., tav. 2, fig. 338 ; Gould, Birds of Europa , tav. 1 ; Schlegel H., De vogels van Nederlan., tav. 40 ; Susemihl, Die Vógel Eur., tav. 2, 3, 3 a. 524 R. Meli montare lo scheletro, se non mi farà difetto il tempo. Negli stampi pervenutimi manca interamente quello che si riferisce alla intera regione mediana, ossia al tronco, deH’aniraale. Le ossa presentano un’aspetto molto recente e potrebbero, per lo stato di fossilizzazione, paragonarsi a quelle degli orsi che s’in- contrano nelle caverne (Ursus spelaeus Cium.). Del resto, i vulcani del Lazio furono attivi, com’è noto, nel quaternario, anzi le ultime loro eruzioni si vorrebbero da parecchi avvenute in epoche storiche assai avanzate ('). Ricordo i celebri vasi scoperti nel 1817 entro grandi olle nelle ceneri sotto uno strato di peperino a Monte Cucco presso il pascolare di Castel Gandolfo. Assai singolari sono le urne cinerarie trovatevi, foggiate a guisa di capanna (2). Sul rinvenimento di questi vasi molto si è scritto dagli archeologi e da coloro che si occuparono di paletnologia (3). Si è anche parlato di rozzi chiodi in ferro, di frammenti di lancie in ferro, di aes grave in bronzo e di pezzi di mattone racchiusi nel peperino. Quanto ai supposti frammenti di mattone compresi nel peperino, i campioni come tali p) Per le tradizioni storiche sulle eruzioni del Lazio, si può leggere la memoria di Nicola Fréret col titolo « Re/lexions sur les prodiges rapportés dans les anciens » che trovasi stampata nelle « Mémoires de litterature tirées des registres de VAcadémie R. d. inscript, et belles lett. depuis Vannée 1711 etc. n ved. toni. IV. Paris, 1723 pag. 411-436. Fre'ret nel cap. I {Des météores pag. 414-423) parla della caduta di pietre avvenuta sul M. Albano, sotto Tulio Ostilio. (2) Nel British Museum di Londra, Panno scorso, osservai conservati in una vetrina della sala etrusca alcuni dei vasi rinvenuti a Monte Cucco nel 1817, tra i quali delle urne a capanna. Un’urna cineraria quasi simile a quella di Monte Cucco fu anche ritro- vata sul principio dello scorso secolo nella Campagna di Poma, e può veder- sene la figura riportata dal Bianchini pella sua Istoria Universale. Roma, 1747, (ved. cap. 16 pag. 178p Del resto urne a capanna, analoghe a quelle laziali, si raccolsero, se- condo Lisch e Pigorini, nella Germania dalla Turingia all’isola di Borxholm e dal Baltico alPHarz. Le urne a capanna trovate nelle tombe della Germania settentrionale sono riferibili all’età del bronzo. (3) Su questi vasi di alta antichità possono consultarsi, tra le altre, le memorie, l’elenco delle quali, disposte per ordine di data, trovasi stampato in appendice al presente scritto. L’elenco suddetto può riguardarsi come un primo abbozzo di bibliografia, relativa ai manufatti, principalmente in terracotta, rinvenuti nelle ceneri sot- tostanti al peperino, ovvero che si dicono trovati entro questa ultima roccia. 525 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. finora esibiti non sono altro che pezzi di nn tufo rossastro, il quale pel suo colore , per il suo aspetto terroso e per la sua consistenza può essere in qualche modo scambiato per un laterizio. L’unica asserzione seria sarebbe quella del Prof. De Rossi, il quale assi- curerebbe di aver rinvenuto nel 1870 al monte Cucco un frammento di vaso cui aderiva un pezzo di roccia tufacea (non peperino); e che nel 1873 nella vigna Blasi agli Squarciarelli, cavandosi pepe- rino, vi si sarebbe rinvenuto un frammento di vaso nerastro, analogo ai soliti vasi laziali ('). Però sul primo ritrovamento il De Rossi non dice chiaramente che si tratti di peperino, ma si esprime colle incerte parole di roccia tufacea e di tufo semisolido. Sull’altro ri- trovamento degli Squarciarelli non sembrerebbe, a giudicare dalla dicitura del Prof. De Rossi, che egli avesse veduto il blocco di peperino racchiudente la terracotta. Circa gli altri oggetti metal- lici, si ebbero le verbali asserzioni degli operai o dei possessori degli oggetti. Deve pur quindi osservarsi che finora non venne mai presentato un sol pezzo di peperino che racchiudesse qualche frammento di oggetto lavorato, ovvero che ne mostrasse lo stampo nella roccia. Se realmente oggetti di bronzo o di ferro e, soprattutto aes grave , fossero stati rinvenuti compresi entro il peperino, ovvero sotterrati nelle ceneri vulcaniche, non rimescolate dalla mano dell’uomo, ma cadute naturalmente durante le eruzioni e ricoperte poi dallo strato di peperino, gli ultimi spandimenti di questa roccia sarebbero di epoca relativamente assai moderna. Non entro affatto nella questione archeologica; solo ricordo che alcuni, come il Fea, Gerhard, Rosa, Ampère, De Vitte, Morlot, Gar- riteci. Mantovani, Schliemann, Virchow, Vogt, e sul principio anche Ponzi e Ceselli, giudicarono i vasi della necropoli Albana essere poste- riori agli spandimenti di peperino e li ritennero introdotti nelle ceneri Nei miei scritti sono frequenti le citazioni bibliografiche, e spesso dò la lista degli autori, che direttamente o indirettamente parlarono di un deter- minato argomento. Io ritengo che queste speciali compilazioni, se esatte, siano non soltanto molto utili, ma necessarie, poiché chi vuol fare degli studi sopra una qualsiasi materia deve conoscere tutta la letteratura, che ad essa si ri- ferisce, e che ad essa è attinente. C) Ved. « Bullettino del Vulcanismo italiano». Anno I, 1874, fase. II e III, pag. 34. 526 R. Meli sottostanti per mezzo di cunicoli laterali, i quali fossero stati otturati e riempiti poi di materiali sciolti, allo scopo di impedire che le tombe venissero manomesse. Mantovani su tale argomento scrive: « Osservazioni esatte da me fatte sul luogo mi hanno convinto che * quei manofatti furono introdotti in epoca antica sì, ma posteriore « alle ultime eruzioni Laziali, scavando i banchi più incoerenti « intramezzati al peperino ed è perciò che rompendolo al disopra « credesi di trovarli seppelliti dalla cenere » (1). Io non mi sono mai occupato della questione, e, non aveudo rilevato de visu la giacitura dei fittili e degli oggetti metallici nelle ceneri laziali, mi astengo dal trattarla ; peraltro mi sembra che le prime osservazioni da farsi nel caso di simili rinvenimenti dovrebbero essere quelle che si riferiscono alla giacitura degli og- getti lavorati rispetto la roccia che li contiene, e sopratutto rile- vare bene se il terreno fu sconvolto e rimosso dalla mano dell'uomo. Tali ricerche dovrebbero venire eseguite da persona ben competente, nè dovrebbe in questi casi bastare rassicurazione degli operai. Nella discussione sul rinvenimento dell’aes grave nel peperino, che ebbe luogo all" Istituto di Corrispondenza Archeologica nell’Adunanza del 24 febbraio 1871 il Ceselli « raccomandò grande circospe- « zione nelbammettere il fatto del rinvenimento dell’«es grave nel « peperino, giacché il desiderio del guadagno può indurre i conta- li dini a queste strane narrazioni ». (Yed. Bull. dell’Inst. di Corr. Arch. 1871 fase. III. pag. 46). Mi unisco anch’io alla riserva espressa dal Ceselli, trovandola assai ragionevole e di prima importanza per risolvere la questiono, pure inclinando ad ammettere che i vasi pos- - sano essere stati sepolti dagli ultimi spandimenti di peperino. Ma lo stampo della testa del Ggps presenta un’altro parti- colare per la genesi del peperino. In esso si osserva la forma in rilievo della cavità boccale, della retrobocca e dell’esofago. Questo dimostra chiaramente che il grifone fu investito vivo dalla cor- rente di fango, e che, impigliatosi in essa, prossimo ad essere sof- focato ha istintivamente aperta la bocca ed il fango vulcanico, il quale si è riversato fin nell’esofago dell’avvoltoio, lo ha strozzato (!) Descriz. geolog. d. Monti Laziali (Annuario cit.) pag. 19. 527 So'pra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. riproducendo in pari tempo esattamente la superfìcie di quelle ca- vità. Possiedo inoltre un frammento di peperino, alquanto friabile, riproducente il modello di un’altra cavità che io suppongo appar- tenere per il suo diametro alla biforcazione della trachea, ossia ad uno dei rami bronchiali. Il frammento è cilindrico, della lun- ghezza di 4 centimetri; la sua sezione è ellittica, col diametro maggiore di min. 13; sulla superfìcie si notano da una parte le impronte di una serie di anelli, ricordanti quelli della trachea e dei rami bronchiali, mentre nel mezzo della parte opposta, il mo- dello è quasi piano e non mostra le impronte delle cartilagini anulari. La la superfìcie corrisponderebbe alla parte anteriore del condotto bronchiale, l'altra alla parte posteriore, ove gli anelli sono incompleti. Non può pertanto ragionevolmente dubitarsi che l’animale sia stato compreso vivo nel peperino. Le impronte delle grandi penne in disordine, scompigliate, ed alcune curvate in varie direzioni entro il peperino dimostrano che l’animale lottò contro il fango vulcanico in mezzo al quale erasi impigliato e che in fine venne compreso entro di questo. Le parti molli alterandosi poi lentamente, rinchiuse nel fango, e sottratte dal contatto dell’aria, lasciarono le ossa disposte secondo il loro ordine scheletrico nella cavità prodottasi dalla scomparsa delle masse muscolari. Le impronte delle penne e delle piume, nettissime nelle più fine barbuie e quelle della peluria setolosa del collo dimostrano all’evidenza che il peperino era allo stato di massa plasticissima quando circondò ed avvolse il corpo dell’avvoltoio e che tale massa fluida non aveva un'elevata temperatura, altrimenti il tessuto cor- neo delle piume sarebbe stato distrutto. Ciò conferma sempre più la ipotesi che i peperini siensi ori- ginati dalla miscela avvenuta tra le acque meteoriche ed i mate- riali vulcanici incoerenti. Le impronte ed i resti del Gyps sono, come ho già detto, in condizioni eccezionali di conservazione ; io credo che questo caso sia ben singolare, non trovando finora riscontro (’) che negli stampi p) Dalle fosforiti oligoceniche di Quercy si estrassero pure resti di ver- tebrati, specialmente di rettili ed ofidi, conservanti, più o meno abbozzata, la figura del loro corpo, giacche i tessuti molli vennero sostituiti e trasformati in fosforite, secondo quanto ne scrive H. Filhol nelle « Recherclies sur les 528 R. Meli lasciati dai cadaveri entro le ceneri che coprirono Pompei nella eruzione del Vesuvio, avvenuta sotto Tito, l'anno 79 dell’era vol- gare (>)• Parimenti singolare è il fatto che un Gyps, dotato di quella potenza di volo, che è propria agli avvoltoi, sia stato vivo circon- dato e quindi avvolto dalla fanghiglia del peperino. Come può spiegarsi questo fatto ? Per quale strana combi- nazione trovossi impigliato nella corrente fangosa ? È difficile lo stabilirlo. Se non che, rammentando quanto scrive il Salvadori sul grifone Gyps fulvus Gmel. ( Vultur ), vivente in Italia potrebbe az- zardarsi una qualche ipotesi. « Taluni individui di questa specie, egli « dice, accidentalmente si sono visti apparire pressoché in tutte le « regioni dell’Italia continentale, ma ordinariamente dopo forti e a violenti bufere. Io ricordo un individuo preso in vicinanza di a Bevagna nell’ Umbria dopo un violentissimo temporale che aveva a durato più giorni Narrano i pastori sardi che essi spesso a uccidono gli avvoltoi che si sono saziati delle carni di qualche a grosso cadavere perchè, resi pesanti dal soverchio cibo ingerito, a con difficoltà riescono a sollevarsi da terra » (-). Potrebbe quindi sospettarsi che l’avvoltoio, sorpreso dalla eruzione in vicinanza della bocca eruttiva e trovatosi circondato dalla folta e densa pioggia di ceneri, che dovevano oscurare l’atmosfera e impedire così all’a- nimale la visione del circostante orizzonte, mentre la loro immis- phosphorites du Quercy. Étude des fossiles qu'on y rencontre et spéciale- ment des mammiféres. — Paris, Masson, 1877 in 8° c. tav. » Ved. pag. 25-26. Ved. ancora: Id. Annales des Sciences géolog. pubi, sous la direction de M. Ilébert et de M. Alph. Milne Educar ds. Tom. VII, 1876 (Ved. pag. 24-25); ma si è ben lungi dall’avere la forma dell’animale riprodotta nei suoi più minuti dettagli, come nel caso dell’avvoltoio. (!) Mentre la presente comunicazione era già composta in tipografia, e pronta per esserne tirata la stampa, leggo nelle Notizie Archeologiche pub- blicate negli Atti della R. Accad. d. Lincei, serie 4a, Rendiconti, voi. VI, Se- duta 19 gennaio 1890, fascicolo 2°, pag. 42-43 e Notìzie di Antichità fascicolo die. 1889 pag. 407, che a Pompei si rinvennero nelle ceneri le impronte di tre cadaveri e di un’albero, delle quali furono eseguite le forme in gesso, e che nelle ceneri si conservarono gli stampi del fusto, delle foglie e dei frutti dell’al- bero tanto bene da poterne determinare sulla forma riprodotta la specie e riferirlo ad una varietà a frutti tondi del Laurus nobilis. (2) Salvadori T., Fauna d'Italia. — Uccelli (op. cit.) ved. pag. 3. 529 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. sione nelle vie respiratorie insieme alle emanazioni gassose, prin- cipalmente cloriche, dovevano causare soffocamento, (come avvenne agli abitanti di Pompei che tardarono a fuggire dalla loro città e che caddero soffocati dai materiali detritici), forse anche non go- dendo della pienezza del suo volo per il peso di soverchio cibo inglutito, andò ad impigliarsi nella corrente di peperino e vi restò compreso e travolto. Ricomposto lo scheletro del Gyps, ho in animo, se non mi verrà meno il tempo, di ritornare sull’ argomento, e di illustrare i resti dell’avvoltoio laziale con disegni e fotografie delle parti che ne rimangono, presentando alla Società Geologica un’apposita e dettagliata Memoria. Catanzaro, 26 settembre 1889. R. Meli. 530 R. Meli APPENDICE Elenco bibliografico delle più importanti pubblicazioni, nelle quali è fatta parola dei manufatti rinvenuti sotto il peperino la- ziale, ovvero che si vorrebbero trovati entro di questa roccia. Anonimo, In una lettera scritta da Poma colla data del 6 marzo 1817 allo « Spettatore italiano ». Voi. Vili (1817) pag. 77-82. è fatta parola dei ritrovamenti delle urne cinerarie a capanna nel pascolare di Castel Gandolfo. Anonimo, Nelle « Notizie del giorno » Diario di Roma num. 15 in data 17 aprile 1817 (pag. 1 e 2) trovasi un’articolo relativo al ritrovamento dei fittili sotto il peperino. In questo articolo è stampato che il Carnevali salvò 150 vasi ed urne dalla ignoranza dei lavoratori, i quali ne avevano spezzati buona parte. Vengono poi descritte le urne a capanna. Importante sembrami la notizia che entro ai vasi si trovassero molti pezzi di ambra. La presenza dell’ambra nella necropoli Laziale può essere di indizio per stabilire con quali altre popola- zioni avessero rapporto gli antichi abitatori del Lazio; ma mi sembra che tale rinvenimento sia passato quasi inosservato. Cancellieri Francesco, Lettera al eh. sig. dottore Koreff professore di medicina nell' Università di Berlino sopra il tarantismo e Varia di Roma e della sua Campagna ed i palazzi pontifici entro e fuori di Roma con le notizie di Castel Gandolfo e de' paesi circonvicini. Roma, Frane. Bourlié 1817 in 12° di pag. 381. Alla pag. 124, nominando il Pascolare di Castel Gandolfo, ricorda in- cidentalmente nella nota a piedi della pagina, la scoperta dei vasi sotto il peperino e segna i titoli delle varie pubblicazioni edite fino allora su tali fittili (ved. pag. 124-125). Tambroni Giuseppe, Intorno le urne cinerarie dissotterrate nel pasco- lare di Castel Gandolfo. Roma, 1817 di pag. 13 e 1 tav. Estr. d. Atti d. Acc. Rom. d’Arch. voi. I, parte 2a. Nel tom. XI della « Biblioteca Italiana o sia giornale di letteratura, se. ed arti» Milano, anno III, fase, luglio-settembre 1818, alle pag. 118-119. trovansi alcune osservazioni critiche su questa Memoria. Visconti Alessandro, Lettera al sig. Giuseppe Carnevali di Albano sopra alcuni vasi sepolcrali rinvenuti nelle vicinanze dell'antica Alba-Longa. Roma, L. Contedini, 1817 in 4° di pag. 40 c. 4 tav. Estrat. d. Atti dell’Accad. Rom. di Archeologia voi. I parte 2‘ pag. 23. Per una rivista di questa Memoria si può consultare l’articolo, redatto da Giuseppe Ant. Guattani, che è stampato nel « Giornale Enciclopedico ». Anno 1817, pag. 86. 531 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. Della stessa pubblicazione ho letto nella « Biblioteca italiana o sia gior- nale di letteratura se. ed arti » Milano Tom. VII, luglio-settembre 1817, pag. 342-344, una rivista bibliografica, che attribuisco a G. B. Brocchi, piut- tostochè al Fea. Il Brocchi era allora uno degli editori e collaboratori in- fluenti di quel periodico, nel quale si trovano stampate alcune lettere invia- tegli, non che parecchie sue note, osservazioni e lavori scientifici. Non credo quindi di errare attribuendo al Brocchi la redazione di quell’articolo. L’autore della rivista ritiene che i vasi laziali scoperti sotto al peperino nel 1817 non siano da riferirsi ad epoche anteriori alla fondazione di Alba Longa (1176 anni avanti l’E. C.) ; trova opportuno l’esame geologico e dichiara che avrebbe desiderato che il Visconti si fosse accertato meglio della forma- zione del peperino, non tanto forse antica quanto egli crede, e che si fosse provato evidentemente avere gli antichi costruttori di quei sepolcreti collocato i manufatti nella sabbia vulcanica, anziché nel masso solido del peperino medesimo che si è in seguito decomposto alla superficie. Fea Carlo, Varietà di notizie economiche fisiche antiquarie sopra Ca- stel Gandolfo , Albano, Ariccia, Nemi, loro laghi ed emissarii, sopra scavi recenti di antichità in Roma e nei contorni, fabbriche scoperte, sculture e iscrizioni trovatevi, ecc. Roma, Frane. Bourlié 1820 in 8°, di pag. XXXII e 192. Fea parla del rinvenimento dei vasi nelle ceneri vulcaniche del Lazio alle pag. 15-20 e con molto criterio. Riferisce il ritrovamento del cervo sotto il peperino, narrato dal Lucidi, e ne deduce la prova che il peperino non era rovente, ma costituiva una poltiglia terrosa (pag. 18). Alle pag. 41-47 torna a parlare dei vasi laziali e riproduce alle pag. 41-43, l’articolo pubblicato nelle « Notizie del giorno » sopra citato. È interessante di leggere quanto scrive il Fea intorno all'epoca, alla quale riportare gli oggetti Laziali, ed alla possibilità che questi sieno stati introdotti nelle ceneri posteriormente alla formazione dei peperini. Il Fea vi- sitò la località del pascolare di Castelgandolfo ed alla pag. 16 dice: « Volli esaminare curiosamente se poteva menarsi buona l’opinione di « chi scrisse che quelle terrecotte erano anteriori al vulcano, e, voleva dire, « all’ultima eruzione del medesimo. Per verità io avrei desiderato non atte- « stati di contadini i quali hanno veduto ritrovare o hanno eglino stessi ritro- « vato quegli oggetti sotto il peperino ; ma la perizia topica di qualche geo- « logo, il quale coll’aiuto insieme della storia conoscesse la natura dei vulcani « in genere e di questo in specie ». Prosegue poi muovendo assennate osser- vazioni all’ipotesi che i vasi sieno stati sotterrati dalle eruzioni, ed alla pag. 19 emette la supposizione che « i circonvicini abitanti, appunto sgrottando sotto « i peperini, lungo tratto di anni dopo estinto il vulcano, quivi abbiano spe- li rato di meglio assicurare le loro mortali spoglie e le loro cretacee galan- terie?». E poi lasciando «da parte le speculazioni, gli encomi contro le leggi della natura e contro la storia e l’evidenza ragionata » conclude col riportare le terre cotte al sommo della Repubblica Romana. Inghirami Francesco, Monumenti etruschi e di altre nazioni. 1825. 532 R. Meli A pag. 34-35 del voi VI, fa parola dei vasi Laziali e nelle tavole C4 e D4 trovansi figurati parecchi degli oggetti scoperti al pascolare di Castelgan- dolfo nel 1817. Giorni Francesco, Storia d' Albano. Roma, tip. Puccinelli, 1842, in 4°, di pag. 372 c. 1 tav. Nella nota a piedi della pag. 170 ricorda le stoviglie e le urne cinerarie, possedute dal Carnevali, rinvenute nel 1817 nell’aprire la strada, che dalla via Appia nuova mette alla villa Torlonia a Castel Gandolfo. Ritiene che il cratere albano si estinse ai tempi dei Siculi, ai quali giudica appartenere le olle rinvenute sotto il peperino. Nel Bullett. dell’Inst. di Corrisp. Arch. anno 1846, pag. 94 trovasi stampato che E. Gerhard presentò a quell’istituto nella Adunanza del 13 marzo 1846 un’urna cineraria rinvenuta sotto il peperino albano. Ridi Antony, Dizionario delle antichità greche e romane tradotto dall'inglese. Torino, 1846. All’articolo Casa è figurata una delle urne a ca- panna rinvenute sotto il peperino Laziale. Lisch G. C. F., Ueber die Haus-Urnen, besonders uber die Ilaus- Urnen vom Albaner-Gebirge. Schwerin 1856, in 8°. fig. Bircli Samuel, Ilistory of ancient pottery. London 1858, 2 voi. in 8° fig. Fa menzione dei vasi scoperti sotto il peperino. Beldam J., Paper on Pelasgic and Latian vases, ecc. nel « The Ar chaeologia » voi. XXXVIII (1860). Morlot Ch. Adolphe , Études géologico-archéologiques en Danemark et en Suisse. Negli « Actes de la Société Vaudoise des scien. natur. » voi. VI, 1860. Parla dei vasi Laziali ritrovati sotto lo strato di peperino, ammettendo che vennero scavate delle gallerie laterali sotto la crosta del peperino (Ved. pag. 303). De Vitte parla dei vasi Laziali nella « Gazette des Beaux Aids », 1861, pag. 51, e seguendo l’opinione del Rosa, li giudica posteriori alla formazione dei peperini. Ampère J. J.,r L'histoire romaine à Rome. Paris, 1862. Nel voi. I pag. 343, 471 parla dell’età dei vasi Laziali, e li suppone introdotti sotto la crosta di peperino mediante gallerie. Blacas (Due de), Mémoire sur une découverte des vases funéraires grès d' Albano, stampato nelle « Mém. d. 1. Soc. Imp. des Antiquaires de France » voi. XXVIII 1864 (21 pag. c. 6 tav.). Riferisce i vasi all’età del bronzo e li giudica anteriori alla fondazione di Roma. Ponzi Giuseppe, Il periodo glaciale e l'antichità dell'uomo. Ultimo brano di storia naturale. Roma, Tip. Belle Arti, 1865 in 4° di pag. 26. (estr. d. Atti dell’Accad. pont. dei Nuovi Lincei toni. XVIII sessione II ; 8 gen- naio 1865). In una nota stampata al fine della Memoria, parla dei vasi Albani. Cita l’opinione del Fea e del Rosa, che li credono introdotti sotto il peperino, e giustamente conclude che, non essendosi fino allora eseguite rigoroso ossei-- 533 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gyps) eco. vazioni sulla giacitura dei vasi entro le ceneri, tutti i giudizi emanati man- cavano di base. Pigorini L., Sopra le antichità delle popolazioni primitive della Cam- pagna romana. Bullett. dell’Instit. di Corrisp. Archeol. per l’anno 1866. N.IV e V aprile-maggio (pag. 97-98). Nell’Adunanza del 23 marzo 1866 il Pigorini presentò all’Instituto di Corrisp. Arclieolog., oltre a parecchi dell’industria primitiva, anche una serie di vasi della prima epoca del ferro provenienti in massima parte dalla necro- poli albana e ne fece rilevare la corrispondenza coi vasi raccolti nelle terre- mare e nelle palafitte dell’Emilia. Ponzi 6., Le antichità dell'uomo. Roma, Tip. d. Belle Arti, 1866 in 8° picc. di pag. 25 (Estr. dal Giornale Arcadico, tom. XLIX della nuova serie). Alla pag. 7 fa menzione dei vasi, e sul parere del Rosa, li riferisce ai primi tempi della fondazione di Roma ritenendoli posteriori agli span- dimene del peperino. Ponzi G., Nella seduta dellTnstituto di Corrispondenza Archeologica del 16 febbraio 1866 il Ponzi espone alcune osservazioni sopra gli oggetti del- l’industria primitiva, rinvenuti nei dintorni di Roma. Sul finire della comu- nicazione conclude che l’uomo dovette essere presente alle eruzioni dei vulcani del Lazio, e trae motivo per ricordare i vasi scoperti nel 1817 a Castel Gan- dolfo. Su questi vasi dichiara che « possono essere stati introdotti sotto lo “ strato di peperino per mezzo di quei cunicoli, che spesso si trovano scavati « nelle ceneri incoerenti, che alternano coi banchi di peperino vulcanico at- « torno il cratere del lago Albano » (Ved. Bullett. dell’Instit. di Corr. Arch. per l’anno 1866, n. II, febbraio pag. 35-37). A partire dall’anno 1867 le pubblicazioni sull’argomento si fanno più frequenti per i lavori del De Rossi, Pigorini, Ponzi, ecc. Bleicher (le DA), Essai sur la topographie, la géologie et la pa- léontologie des environs de Rome. « Revue Britannique », décembre 1867. Fa parola delle scoperte Laziali e delle ricerche eseguite dal prof. De Rossi circa la giacitura dei manufatti nelle deiezioni vulcaniche e con- clude che « tout port à croire que c’est là un lieu de se'pulture qu’un der- « nière éruption a couvert et transformé en une Pompéi des àges antéhisto- « rique ». Finalmente nota che alcuni vasi hanno un’impronta etnisca evi- dentissima. De Rossi Michele Stefano , Rapporto sugli studi e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della Campagna Romana con appendice osteo- logica del prof. G. tomi. Roma, Tip. Tiberina, 1867 in 8° di pag. 78 c. 1 tav. (Estr. d. Annali dellTnstituto di Corrispondenza Archeologica tom. XXXIX 1867;. Alle pag. 36-46 parla della necropoli d’ Albano coperta dalle ultime eru- zioni Laziali e dei ritrovamenti, fatti pure sotto strati di peperino, nella valle Marciana ; sulla tavola poi sono figurati parecchi vasi Laziali di varia forma ed un frammento di lancia, che dice essere stato rinvenuto nel peperino. 534 R. Meli De Rossi M. S., Nell’Adunanza deU’Instituto di Corrispondenza Archeo- logica, tenutasi il giorno 8 marzo 1867, riferisce i risultati delle sue nuove indagini sulla giacitura dei vasi laziali. (Bullett. deH’Inst. suddetto, per l’anno 1867, n. Ili e IV, aprile, pag. 70-71: ved. anche pag. 66). De Rossi M. S., Scoperte paleoetnologiche recentemente fatte nella Cam- pagna romana: Stampata nell’u Elenco generale ragionato di tutti gli oggetti spediti dal Governo pontificio alla Esposizione Universale di Parigi nell'anno 1867. — Roma, Tip. Rev. Cam. Apostol. 1867 in 8° di pag. 10 non numerate e 132 num. » (Ved. p. 54 a 61 inclusiv.). Alla pag. 60 parla dei vasi rinvenuti sotto il peperino. De Rossi M. S., Saggi degli studi geologico-archeologici fatti nella Campagna Romana. Roma 1867, di pag. 19. Pigorini Luigi , Sépultures d' Aliano et détails divers sur V Italie nei u Matériaux pour l’histoire primitive et naturelle de l’homme », anno III Toulouse, 1867, pa. 53-54. Pigorini L., La necropoli del pascolare di Castel Gandolfo. Nella rivista annuale di paleoetnologia, stampata nell’ u Annuario scientifico ed indu- striale. Anno III, 1866. — Firenze, G. Civelli in 12°, 1867 » (vedi pag. 185 a 187 e fig. 2, 3 della tav. annessa al rapporto). Questo scritto è importante per i vasi albani, due dei quali sono figurati nella tavola che lo accompagna. Interessante è la relazione della gita fatta sul luogo per osservare la giacitura dei vasi, e la conclusione data dall’A., che i peperini abbiano ricoperto quella necropoli. Pigorini L., La paleoetnologia in Roma, in Napoli, nelle Marche e nelle Legazioni. Relazione al ministro della Pubb. Istruzione. Parma, 1867 in 4° di pag. 42. Alle pag. 25-26 parlasi dell’escursione eseguita nel maggio 1866 con Ponzi, Rosa, De Rossi, Fiorelli per verificare la giacitura dei vasi Laziali sotto il peperino. Ceselli Luigi, Sopra l'arte ceramica primitiva nel Lazio. Lettera ecc. Roma, Salviucci. 1868 in 4“, di pag. 22, c. 2 tav. Nella la tavola sono figurati parecchi vasi Laziali. Alla pag. 8 scrive che i vasi Laziali sono di altissimo interesse, non già per l’opinione espressa da taluno di essere i vasi sepolti dagli strati di peperino, ma per lo stato progressivo dell’arte ceramica nel Lazio. Il Ceselli li riferisce all’epoca del bronzo e del principio del ferro. De Rossi M. S., Secondo rapporto sugli studi e sulle scoperte paleoetno- logiche nel bacino della Campagna Romana. (Luglio 1868). Roma, Tip. d. Belle Arti, 1868, in 8° di pag. 48 c. 4 tavole. Estr. d. Giornale Arcadico tom. LVIII della nuova Serie. Parla delle nuove scoperte nella necropoli di Monte Crescenzio presso il ciglio del Lago Albano (pag. 26-30) ; espone le altre scoperte fatte in Valle Marciana (pag. 30-31); e narra dei vasi Laziali ritrovati nel territorio di Ma- rino nei luoghi appellati Colli, Capo-Croce e Pozzo Carpino, non che gli scavi e le indagini eseguite dall’A. sulle sponde del bacino del Caput Aquae Feren- 585 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. tinae presso Marino. Importante è quest’ultimo capitolo, nel quale è detto che 1 vasi giacevano in uno strato di sabbia gialla argillosa del tutto vergine, sotto uno strato di peperino. Insieme ai vasi si scopri anche un braccialetto di ferro con alcuni oggetti di bronzo. Ponzi G., Del modo di seppellimento sotto uno strato di peperino litoide dell'intera necropoli Albana nel Lazio e dell'età cui debbesi rife- rirla. Lettera di G. Ponzi professore di geologia nell'Università di Poma a Luigi Pigorini direttore del Museo di antichità di Parma. Nella « Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia ». Anno 1868 n. 326. Firenze, lunedì 30 novembre. (Yed. appendice a piedi della 1H e 2a pag.). In questa lettera il Ponzi parla brevemente dall’origine dei peperini ; avverte che negli strati di ceneri nei quali si trovano immersi i vasi non si ha indizio di rimaneggiamento, o di cunicoli. Riferisce i vasi al principio dell’età del ferro in coincidenza coll’epoca in cui la dominazione etrusca dif- fondeva nel Lazio la sua civiltà e le sue usanze. Lubbock John and Pigorini L., Notes on hot-urns and other objects from Marino near Albano in tlie province of Rome. London 1869, di pag. 25 con 2 tav. Estratto dalla rivista « The Archaeologia » voi. XLII. Le tombe Albane sono riferite al periodo di transizione tra l’età del bronzo e quella del ferro. Ponzi G., Sull'età della necropoli Albana. Nel Bullett. dell’Instit. di Corrisp. Archeol. di Roma. Anno 1869, fase. n. Ili, marzo pag. 60-64. De Rossi M. S., Nuova ed importante scoperta fatta nella necropoli preistorica dei Colli Albani coperta dalle eruzioni del vulcano Laziale. Nel Giornale « L’Opinione » Roma, 12 gennaio 1871, n. 12. De Rossi M. S., Nuove scoperte nella necropoli arcaica Albana e l'aes grave fra le roccie vulcaniche Laziali. Quarto rapporto paleoetnologico. Roma, Salviucci, 1871, in 8° di pag. 41 c. 1 tav. Estr. d. Annali delTInstit. di Corrisp. Archeolog. per l’anno 1871 voi. 43 (da pag. 239 a 279, e tav. d’agg. U). Dà la relazione di 2 urne cinerarie a capanna, ciascuna collocata entro un dolmen formato da lastre di peperino rinvenute nel Campo Fattore presso Marino, le quali sono figurate. Parla poi di trovamenti di acs grave librale e di monete di bronzo che si vorrebbero trovate entro e sotto il peperino, e principalmente di un semiasse, rinvenuto secondo le assicurazioni di varie persone presenti al ritrovamento entro un masso di peperino a S. Gennaro presso Civita Lavinia, della quale moneta sono date le figure dei 2 rovesci. De Rossi M. S., La palèo etimologie dans l'Ltalie Centrale, nel « Compte- rendus du Congrès international d’Anthropologie et d’Archéologie préhistori- que : 5me session à Bologne 1871 » pag. 445 a 467 c. 2 tav., nelle quali sono anche disegnati i vasi Laziali. Parla della necropoli Albana che riferisce al- l’età del ferro e ritiene sepolta dalle eruzioni Laziali e del semiasse compreso nel peperino di S. Gennaro. De Rossi M. S., Nell’Adunanza del 3 febbraio 1871 tenutasi dall’Isti- tuto di Corrisp. Archeol. descrive la scoperta di una nuova tomba della necro- poli arcaica albana e ne mostra l’urna cineraria in terracotta a foggia di 536 R. Meli capanna. Narra pure di ritrovamenti fatti sotto ed entro il peperino di monete e dell’«es grave librale, che secondo Mommsen spetterebbe circa all’anno 305 di Roma, secondo D’Ailly invece sarebbe da riferirsi ai tempi di Servio Tullio (Ved. Bull. dell'Inst. 'per Vanno 1871 , n. Ili, marzo 1871, pag. 34-36). In seguito a questa comunicazione, il Ponzi fece osservazioni sull’epoca che ne verrebbe in tal caso per le emissioni dei peperini; a cui replicò De Rossi M. S., Helbig, e De Rossi G. B. Nella adunanza del 10 febbraio Helbig ritornò sull’fftfs gro.ve del peperino e concluse che potrebbe essere anteriore agli ultimi decenni del 5° secolo avanti C. (pag. 38-39). Rispose ancora M. S. De Rossi per cercare di concordare le notizie storiche colle ultime eruzioni laziali (pag. 39-40). Nella seduta poi del 24 febbraio, Ponzi lesse una « Nota sul rinvenimento delVaes grave librale nel peperino del Lazio » (pag. *42-46) dopo della quale nota risposero De Rossi (pag. 46-53), Henzen, Helbig, Ceselli (pag. 46); quest’ul- timo raccomandando grande circospezione nell’ammettere il fatto del rinveni- mento dell’aes grave nel peperino, alla quale raccomandazione io mi associo completamente. Di queste comunicazioni e discussioni sui ritrovati laziali fu tirato estratto a parte col titolo « Adunanze dell' Instituto di Corrispondenza Archeologica nei giorni 3, 10,24 febraio 1871. — Roma, Salviucci, 1871 in 8° picc. di pag. 20. Giordano Felice, Cenni sulle condizioni fisico-economiche di Roma e suo territorio. — Firenze, Civelli, 1871 in 8° di pag. 237 c. 2 tav. Alla pag. 29-30 parla dei peperini e, citando il De Rossi, riferisce che nelle ceneri intercalate ai peperini albani si rinvennero selci scheggiate e vasi in terra cotta, con tracce di rozza arte etrusca. Pigorini L., Bibliografia paleo etnologie a italiana, 1871. Vi si conten- gono citazioni bibliografiche relative ai vasi laziali. Ponzi G., Storia fisica dell' Balia centrale. Roma, Tip. d. Belle Arti, 1871 in 4°, di pag. 34, c. 1 quadro. (Estr. d. Atti d. R. Accad. d. Lin- cei, voi. XXIV, sessione III, 5 febbraio 1871, ved. pag. 191-224). Parla incidentalmente dei vasi Laziali che dice associati ad oggetti evi- dentemente etruschi, e li riferisce alla età del ferro. Vogt C., In una corrispondenza scritta da Roma alla Tagespresse di Vienna ed inserita in questo giornale come appendice XV dell’ottobre 1871, il Vogt dichiara di convenire col Rosa sull’epoca della necropoli Albana. De Rossi M. S., Le scoperte e gli studi paleoetnologici dell' Balia cen- trale al Congresso ed alla Esposizione di Bologna. Relazione e ricerche. Roma, Tip. d. se. matem. e fisiche, 1872 in 4° di pag. 47 e 2 tav. Estr. d. Atti dell’ Accad. pont. de’ N. Lincei anno XXV. Sessione .II, III e IV. Nella la parie del lavoro è presso a poco riprodotto quanto venne stam- pato dall’autore nel 1871 pel Congresso internazionale preistorico di Bologna: in questa parte si parla dei vasi Laziali. Nardoni Leone, Scoperta d'una necropoli preistorica nel territorio Ari- cino. Nel giornale « Il Buonarroti ». Serie 2a, voi. VII, quaderno XII dicem- bre 1872, pag. 431 a 435 con 1 tavola. 537 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. Parla di terrecotte e di oggetti metallici ritrovati, a quel che sembra, nelle ceneri intercalate ai peperini presso il ponte di Valle Lupara vicino a Galloro. Ponzi G., Osservazioni sui ritrovamenti di stoviglie e monete dentro e sotto il peperino nel Lazio. Bullett. d. Inst. di Corrisp. ardi. 1872, n. 1, gennaio 1872 (pag. 11). Nella seduta del 12 gennaio 1872 il Ponzi sostenne che il tufo (non pe- perino) di S. Gennaro, entro del quale il De Possi dichiarò essere stata tro- vata la moneta è una roccia ricomposta e di epoca recente. Il Ponzi esaminò sul luogo quella roccia, che ritiene assolutamente mo- derna. A queste conclusioni si oppose il De Possi, rimandando a quanto aveva scritto negli Annali deH’Instituto, 1871, pag. 239 ed ad altra Memoria da stam- parsi, nella quale egli disse che avrebbe sciolto tutte le difficoltà ed esami- nato diligentemente anche la condizione geologica dei luoghi. Essendo seguita altra discussione, il sig. Henzen invitò i colleghi radu- nati a risolvere la questione accedendo insieme sul luogo in migliore stagione. Ponzi G., Les relations de l'homme préhistorique avec les phéno- mènes géologiques de VItalie centrale. Bologne, Fava et Garagnani, 1873 in 8°, di pag. 24. (Estr. dai « Comptes rendus du Congrès international d’An- throp. et d’Archéolog. préhistoviq. ». 5® Session, Bologne 1871). Ponzi G. e Masi Francesco, Oggetti preistorici spediti dal Gabinetto di Geologia e Mineralogia della R. Università di Roma alla Esposizione di Vienna. Poma, stabilim. Civelli, 1873, in 8° di pag. 23. Alle pag. 19-21 si parla dei vasi Laziali e del loro seppellimento : ed alla pag. 23, n. 27 sono segnati i vasi in terracotta, che vengono riferiti al- l’epoca del ferro. I vasi Laziali, menzionati in questo catalogo, furono rinvenuti nel 1817 al pascolare di Castel Gandolfo. Essi furono trasferiti nel 1887 nel Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico al Collegio Pomano, ivi depositati dal Gabinetto di Geologia della R. Università di Poma. II Masi compilò soltanto il catalogo degli oggetti preistorici (pag. 21-23). La relazione fu scritta interamente dal Ponzi ; basta leggerla per riconoscervi subito il suo stile, la sua dicitura e le sue opinioni. Difatti soltanto il suo nome figura nella « Relazione e notizie intorno alla R. Università di Roma. Scuole ed Istituti scientifici annessi. Roma, Civelli, 1873, in 8°, c. tav. e quadri di prospetto », ove trovansi stampate le notizie ed indicazioni relative agli oggetti preistorici inviati alla Esposizione di Vienna (ved. pag. 76-97). In questa pubblicazione il Ponzi ritiene che la necropoli albana sia stata sotterrata dalle eruzioni laziali. De Rossi G. Battista, Ricerche archeologiche e topografiche nel Monte Albano e nel territorio Tusculano. Roma, Salviucci, 1874 in 8° di pag. 58. c. 2 tav. Estr. d. Annali d. Instituto di Corrisp. archeol. anno 1873 (pag. 163- 221 con 2 tav.). Alla pag. 169 è stampato che presso il margine del cratere del Campo d’ Annibaie fu rinvenuto dal De Rossi M. Stef. un’arcaico loculo quadrato, che 538 R. Meli racchiudeva parecchi vasi d’etrusca officina, simili a quelli che insieme alle figuline dell’arcaica famiglia Laziale giacciono sotto il peperino nelle terre circostanti al lago Albano e nella valle Marciana. De Rossi M. S., Terracotta primitiva rinvenuta entro la massa di pe- perino vulcanico nei colli tusculani. Nel Bollettino del Vulcanismo italiano. Anno I, 1874, fascio. II e III pag. 34. De Rossi M. S., Dell' importanza del Ballettino del vulcanismo italiano rispetto alla paleoetnologia. Bullett. d. vulc. ital. Anno I, 1874 fase. Vili pag. 93-98. Alla pag. 97 scrive che alcuni periodi eruttivi di parecchi crateri dei vulcani laziali e cimini sarebbero avvenuti fino al sesto secolo di Roma! De Rossi M. S., Intorno al seppellimento vulcanico della necropoli ed abitazioni Albane. — Studi del eli. prof. IVirchof e risposta ai medesimi. — Bull. d. vulc. ital. Anno I, 1874, fase. Vili pag. 98-101. De Rossi M. S., Recenti scoperte paleoetnologiche nei monti Albani. — Bull. d. vulc. ital. Anno I, 1871, fase. Vili pag. 102-104. De Rossi M. S., Intorno ai manufatti primitivi rinvenuti nelle nuove costruzioni di Roma, nel « Buonarroti » Serie IIa, voi. IX, quaderno III fascic. di marzo 1874 (pag. 79 a 93). Questa memoria può considerarsi come facente seguito alRalfra del Nar- doni « Di alcuni oggetti di epoca arcaica rinvenuti nell'interno di Roma »> che è stampata precedentemente nello stesso fascicolo del Buonarroti (pag. 73-79 c. 2 tav.). Il De Rossi nella sua memoria reputa gli oggetti ritrovati in Roma di poco anteriori ai manufatti della necropoli laziale, che, secondo l’autore, sa- rebbe posteriore alla necropoli pre -etnisca di Villanova nel Bolognese. Av- verte poi che l’epoca delle tombe laziali potrebbe giungere fino ai primi tempi della repubblica romana. Su queste conclusioni può leggersi quanto molto assennatamente scrisse il Pigorini we\l' Annuario scientifico ed indu- striale. Anno XI (1874) pag. 174-175. Mantovani Paolo, Descrizione geologica della Campagna Romana. To- rino, E. Loescher, 1874 in 12°, di pag. 115, c. 4 tav. e 1 carta geologica. Alla pag. 78 esprime l’opinione che i vasi sieno stati introdotti poste- riormente sotto i peperini. Pigorini L., Materiaux pour l'histoire de la paléoethnologie italienne. Bibliographie. Parme, Ferrari et fils, 1874, in 8° di pag. 96. Vi si contengono molte citazioni bibliografiche relative agli autori che scrissero sui vasi della necropoli Laziale e sugli oggetti rinvenuti sotto il peperino. Ceselli L., Osservazioni sull' articolo del P. Garrucci pubblicato nella Civiltà Cattolica sugli scavi della necropoli albana. Bullett. d. Inst. di Corri- spond. archeolog. per l’anno 1875, fase. VI, giugno 1875 (pag. 132-133). Il Ceselli nell’Adunanza dellTnstituto di Corrispondenza Archeologica del 9 aprile 1875 parlò contro gli argomenti del P. Garrucci, il quale ritenne essere i vasi posteriori alle correnti di peperino. 539 Sopra i reati fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) eco. In questa occasione il Ceselli dichiarò non esservi dubbio alcuno che il monte Laziale fosse abitato quando il suo vulcanismo era in attività, atte- standolo i nuclei di selci scheggiati da lui rinvenuti in mezzo alle correnti vulcaniche. Per un breve sunto della comunicazione del Ceselli si può vedere il Bullett. di Paletnol. ital. Anno I, 1875, n. 10, pag. 164. De Rossi M. S., Nell’Adunanza del 2 aprile 1875 dell’Istituto di Corri- spondenza archeologica il De Rossi parla sull’articolo del Garrucci stampato nella Civiltà Cattolica. Nell’Adunanza seguente (9 aprile) rispondendo al Ceselli lo invita a pub- blicare i dati che egli aveva per dimostrare che l’uomo abitò il Lazio quando le bocche vulcaniche erano in attività (ved. Bull. d. Inst. di Corrisp. Archeolog. per l’anno 1875, fase. VI, giugno 1875, pag. 129 e 133). De Rossi M. S., Sulla suppellettile arcaica dissotterrata all' Esquilino . Boll. d. Inst. di Corrisp. Archeol. per l’anno 1875, fase, novembre pag. 230. Riferisce le terrecotte del tipo Albano all’epoca delle mura di Servio Tullio. De Rossi M. S., Sugli studi e sugli scavi fatti dallo Scliliemann nella necropoli Albana. Nel Bollett. di Paletnologia Italiana anno I (1875) pa- gina 186-190. Garrucci Raffaele, Scavi nella necropoli Albana fatti da Gaudenzio Testa e da Sante Limiti nel 1874. Prato, 1875, in 8° di pag. 14 c. 1 tav. Estr. dalla « Civiltà Cattolica » serie IX, voi. V, fase. 593, 6 marzo 1875, pag. 582. Il Garrucci ritiene che gli spandimenti di peperino, sotto i quali tro- vansi i vasi, siano più antichi di questi. Per una rivista di questo lavoro del Garrucci si può consultare il Bal- lettino di Paletnologia ital. Anno I, 1875, n. 4 e 5, pag. 72-75. Ponzi G., Storia dei vulcani Laziali. Roma, Tip. Salviucci, 1875 in 4° di pag. 19 c. 1 carta geolog. Estr. d. Atti d. R. Acc. d. Lincei. Serie 2a tom. IL Ritiene che i vasi scoperti sotto il peperino di Monte Cucco apparten- gano alla necropoli di Alba-longa, la quale venne seppellita dalle eruzioni laziali sotto il regno di Elladio Silvio (Ved. pag. 16-18 dell’estr.). Una buona rivista di questa memoria con alcune note dello Strobel è stampata nel Bullettino di paletnol. ital. Anno II, 1876, n. 11-12, pag. 184-188. Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo d'un quadro gen. del periodo glaciale. Roma, G. B. Paravia, 1875 in 4°, di pag. 81 (Estr. d. Atti d. XI Congr. degli Scienziati Ital.V Alle pag. 74-76 dell’estr. è fatta parola dei vasi Laziali. Nicard P., Sur les vases nommés par les Italiens Laziali ou Preisto- rici. Nella « Revue Archéologique ». Paris, 1876, Nouv. se'rie, voi. XXXI, pag. 337-345. Nel Bullett. di paletnologia ital. Anno III0, 1877, n, 6, pag. 128 è data una breve notizia del rinvenimento di un’urna a capanna e di 37 vasi nella necropoli Albana. Ceselli L., Scoperte preistoriche ed una necropoli Laziale al Prato 540 R. Meli del Fico presso Grottaferrata nel Lazio. Lettera al eh. sig. conte Giov. Gozzadini. Boma, Tip. se. mat. e fis. 1877, in 4° di pag. 13. Estr. dal gior- nale « Il Buonarroti ». Serie 2a, voi. XI quaderno XI novembre 1876 (pag. 356 a 366). La lettera lia la data del 12 agosto 1877. ma il fascicolo fu però pub- blicato nel dicembre 1877. L’autore dichiara che questa necropoli non venne coperta da correnti vulcaniche, ma che è posteriore alle correnti laviche ed al sasso morto (spe- cie di peperino più o meno litoide ripieno di frammenti di lave leucitiche, che trovasi nelle ceneri vulcaniche in strati di piccola potenza) degli Squar- ciarelli. De Bossi M. S., Scoperta di tombe arcaiche Laziali in Grottaferrata. Breve cenno stampato nel Bullett. del vulcanismo ital. Anno IYr, fase. VI-YIII giugno-agosto 1877, pag. 50. De Bossi M. S., Sepolcreto arcaico in Grottaferrata e schiarimenti sul seppellimento vulcanico delle stoviglie primitive Laziali. Bull. d. vulc. ital. Anno IV, fase. XI-XII novembre-dicembre 1877, (ved. pag. 99-102). Desor E., Compte-rendu d'une excursion faite à une ancienne nécropole des Monts Albans, recouverte par un dépót volcanìque. Bullet. de la Soc. des Se. natur. de Neuchàtel voi. XI, 1877, fase. 1° (pag. 134 a 141 inclus.). Bi- prodotto anche nei « Matériaux pour Vhistoire prim. et natur. de l'homme, 1877, Toulouse pag. 297-303. E d’opinione che i vasi rinvenuti nella necropoli Laziale sieno del tipo proto-etrusco, e che la necropoli sia stata coperta dalle ultime eruzioni del Lazio. Garrucci B., Scavi novelli della necropoli di Albano, scavi di Grot- taferrata. Nella « Civiltà Cattolica », serie X, voi. 4°, fase. 600, 15 dicembre 1877, pag. 705-707. Sostiene che i vasi sieno di età posteriore ai peperini, e nega assolu- tamente che mai siasi scoperto alcun manufatto nelle deiezioni vulcaniche Laziali non sconvolte posteriormente dalla mano dell’uomo. Nardoni L., Su di alcuni manufatti primitivi Laziali scoperti presso Ariccia di pag. 4 in 8°. Estr. dal Bull. d. Inst. di Corrisp. Archeolog. per l’anno 1877 fase. I e II, gennaio-febbraio (Ved. pag. 14-17). I manufatti si rinvennero in un strato sottoposto alla terra vegetale, a pochi centimetri di profondità. Nardoni L., Nel Bullett. di Paletn. Ital. Anno III", 1877, n. 8 e 9, pag. 176 comunica la notizia del ritrovamento, fatto a Monte Canino presso Civita Lavinia, di un vaso di fattura primitiva, uguale alle terrecotte che vengono estratte sotto i peperini. Pigorini L., Relazione paleoetnologica per gli anni 1875-76'. Nell’An- nuario scientifico ed industriale. Anno XIII, 1876. Milano, Fratelli Treves, 1877 in 12° (Ved. pag. 233-298). L’autore avverte che negli anni 1875-76 si risuscitò la questione se le tombe della necropoli Albana sieno o no anteriori alla formazione dei pepe- rini, che le ricoprono ; ma che peraltro non si fecero ricerche sistematiche o scoperte bene accertate da condurre una buona volta alla soluzione del ino- Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. 541 blema, che perciò non si può considerare come definitivamente risoluto. (Yed. pag. 279). Anche in altri annuali rapporti sugli studi paietnologici, redatti dal prof. Pigorini e stampati nell’Annuario citato, è fatta parola di consimili antichità Laziali e delle urne a capanna. Ved. Annuario scientifico ed in- dustriale, Firenze, Civelli, in 12°. Anno III (1866), pag. 185-187 (già citato); anno I\ (1867), pag. 139-141. Annuario scient. ed ind. edizione di Milano, Frat. Treves., Editori d. Bibliot. Utile, anno IV (1867), pag. 290-292 ; anno V (1868), pag. 363-366; anno VI (1869), pag. 370; anno VII (1870), pag. 233- 236); anno Vili (1871), pag. 584-588; anno X (1873), pag. 240; anno XI (1874), pag. 174-175 ; anno XIII (1876), pag. 279, sopra citato; anno XIV (1877), pag. 900-903. De Rossi M. S., Intorno a terrecotte archaiche scoperte in Grottafer- rata con osservazioni. Bull. dell’Instit. di Corrisp. Arch. 1878 n. I e II gen- naio e febbraio 1878 (pag. 7-9). Dice che le terrecotte del tipo laziale erano in uso in Roma prima del- l’epoca delle mura di Servio Tullio, e che furono in uso nel Lazio certamente anche durante i primi secoli della repubblica romana. Tra le tombe di Grot- taferrata si trovò anche un’urna a capanna. Confuta poi i dubbi espressi dal Garrucci sul seppellimento vulcanico del vasellame laziale. A provare poi la contemporaneità del vulcano laziale colla dimora degli antichi popoli latini presentò un pezzo di scoria vulcanica (?), rinvenuta in Albano, entro la quale è compreso un utensile di bronzo. W. Helbig in seguito a questa comunicazione fece alcune osservazioni sull’urna a capanna. Il Ceselli sostenne poi essere di fabbricazione etrusca molti dei vasi ritrovati in Grottaferrata, alla quale obbiezione rispose l’Helbig (Bullett. cit. pag. 9-10). De Rossi M. S., Sepolcreto arcaico in Grottaferrata. Nel periodico u Gli Studi in Italia» Anno I. Roma, 1878 pag. 57. Laudani Rodolfo, Di alcune opere di risanamento dell'Agro Romano, eseguite dagli antichi — Atti d. R. Acc. dei Lincei. Mem. della classe di se. fis. ecc., voi. IV, 1878-79, da pag. 301 a 316. Alla pag. 302 avverte che un pezzo di Aes grave signatum fu estratto dal nucleo di una corrente di peperino. Mantovani P., Descrizione geologica dei Monti Laziali nell’Annuario del R. Liceo e Ginnasio E. Q. Visconti nell’anno scolastico 1876-77. Roma, Tip. dell’Opinione, 1878 in 8° (Ved. pag. 3 a 28). Alle pag. 19-20 dichiara che da osservazioni esatte da lui eseguite sul luogo ha acquistato la convinzione che i vasi e gli altri oggetti vennero in- trodotti scavando gli strati incoerenti interposti ai peperini. Nardoni L., Selci e stoviglie presso il Lago Nemorense nel Ijazio. Bullettino di Paletnologia Italiana. Anno 4°, 1878, n. 7-8, pag. 98-99. Dice che i manufatti, all’eccezione di alcuni pesi, rappresentano in mi- nime proporzioni le varie forme delle stoviglie funebri, che soglionsi rinvenire sotto il peperino dei colli Laziali. 542 R. Meli Pigorini L., Relazione paietnologica per Vanno 1877 stampata nel- V Annuario scientifico ed industriale. Anno XIV, 1877. Milano, Frat. Treves, 1878, in 12°. Riassume le importanti scoperte eseguite nel 1877 sulle antichità laziali (veci. pag. 900-903). Pigorini L., Intorno a relazioni fra le antiche genti laziali e quelle delle terramare. Bull. d. Inst. di Corrisp. Archeolog. 1878 n. I e II gennaio- febbraio, pag. 1-2. In questa comunicazione non è fatta parola di vasi rinvenuti sotto il peperino, ma soltanto di oggetti in lamine di corno e di una stoviglia rinve- nuta in Roma nello strato dei vasi Laziali. Garrucci R., On thè alban Necropolis, said to bave been covered up by a volcanic eruption. Londra, 1879, in 4° di pag. 10 c. figure. Estratto dall’« Arcbaeologia » voi. XLV. De Rossi M. S., Deposito votivo eh stoviglie arcaiche trovate presso il Lago di Nemi. Bull. d. Instit. di Corrisp. archeol. per Panno 1880, n. 7 e 8 luglio-agosto (pag. 161-164). L’autore classifica i vasi Laziali in 4 periodi; al 1° e più antico di questi periodi riferisce i vasi della necropoli laziale rinvenuti nel 1817. De Rossi M. S., Le terrecolte votive rinvenute presso il lago di Nemi e classificazione cronologica delle stoviglie arcaiche Laziali. Nel Bullett. d. vulc. ital. Anno VII, 1880, fascic. 3, 4 pag. 46-49. È il riassunto della comunicazione fatta all’Instituto di Corrispondenza Archeologica nella seduta del 16 aprile 1880. Nardoni L., Sopra alcuni manufatti litici ed in terracotta rinvenuti sulle rive e nei dintorni del lago di Nemi. Bull. d. Inst. di Corrisp. archeol. per l’anno 1880, n. 3, marzo 1880 (pag. 52-57). Dice che, fatte alcune eccezioni per i vasi di argilla fluviale e per quelli di bucchero ritrovati nei dintorni Nemorensi, tutte le altre stoviglie accennate nella Nota rappresenterebbero in proporzioni minime le varie forme del vasel- lame di uso funereo che suole rinvenirsi sotto la prima crosta di peperino, o sepolto nella terra vergine dei colli laziali. Nel Bullettino di Paletnologia italiana, Anno 7° 1881, n. 12 pag. 196, trovasi la notizia che a Copenhagen nel Museo delle antichità classiche è conservata una collezione di figuline Laziali, tra le quali 2 coperchi di urne cinerarie a capanna, le quali figuline si ha ragione di credere che uscissero dalle note tombe Laziali, scoperte nel 1817 nel pascolare di Castel Gandolfo. Bonstetten (de) Recueil d'antiquités suisses. Nella tav. XVII, fig. 4 e 6 è figurato uno scudo rinvenuto sotto i peperini del pascolare di Castel Gandolfo. Nella sua opera dà alcuni ragguagli sul materiale Albano che si conserva nel Museo civico di Berna. Lindenschmit, Die Alterthumer unserer heidnischen Vorzeit. I, X, III, 2. E figurata un’urna capanna ed alcuni vasi Laziali, che si conservano nel R. Museo antiquario di Mùnchen. Il Lindenschmit publicò anche nella suddetta opera un vaso singolare, 543 Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. scolpito in pietra oliare, come proveniente da Albano, mentre a quello che sembra proverrebbe dall’isola di Milo nell’Arcipelago greco. Su questo oggetto può leggersi quanto è scritto nella nota 6 della memoria di Undset « Antichità laziali in musei di Italia » (Bullett. di Paletnol. italiana. Anno 9°, 1883, n. 8-10, pag. 140-141). Chierici Gaetano, Altri oggetti del sepolcreto di Bismantova. Bollet- tino di paletnologia italiana. Anno 8°, 1882, n. 7-9. (pag. 118-130). Osserva che si trovarono fìbule con ornamenti nella necropoli d’Albano (pag. 130). De Bossi M. S., Tombe arcaiche scoperte presso Albano Laziale. Atti d. R. Accad. d. Lincei « Notizie degli scavi di antichità», 1882 pag. 272-273. Pigorini L., Antichità Laziali di Ardea. Bullett. di Paletn. Italiana. Anno 8°, 1882 n. 7-9 pag. 114-117. È fatto il raffronto e designata l’analogia esistente fra i vasi dei colli Albani e quelli di Ardea. De Rossi M. S., Sulle antiche stoviglie laziali e specialmente sulle urne a capanna. Bull. d. Instit. di Corrisp. archeolog. per l’anno 1883 (n. I, II, gennaio e febbraio 1883 (pag. 4-5). Pigorini L., Sulle urne a capanna. Bull. d. Instit. di Corrisp. archeol. per l’anno 1883, n. I, II, gennaio-febbraio 1883 (pag. 5-6). Nella Seduta del 5 gennaio 1883 parla sulle urne a capanna laziali e sulla loro sincronicità con quelle rinvenute in altre necropoli straniere. De Rossi M. S., e Pigorini L., Sopra talune antichità Laziali da non molto tempo rinvenute sui colli Albani. Bullett. di Paletn. Ital. Anno 9°, 1883, n. 3-5, pag. 79-80. Sono riprodotte le precedenti osservazioni stampate nel Bullett. d. Inst. di Corrisp. Archeol, Pigorini L., Sulle spade e sugli scudi dei terremaricoli e del popolo delle antichissime necropoli laziali. Bull. d. Instit. di Corrisp. archeol. per l’anno 1883, n. V, maggio 1883 (pag. 99-100). Pigorini L., Le spade e gli scudi delle terremare dell'età del bronzo e delle necropoli Laziali della prima età del ferro. Bullett. di Paletn. Ital. Anno IX, 1883, n. 6-7 (pag. 81-108 c. 2 tav.). Undset Ingwald, Antichità laziali nei musei fuori d'Italia. Bullett. di paletn. ital. anno IX, 1883, n. 8-10, pag. 135-141, con 1 tavola, nella quale sono figurati parecchi oggetti laziali. Virchow Rudolf, Ueber die Zeitbestimmung der italischen und deut- schen Hausurnen. Berlin, 1883 in 8°, di pag. 42 (Estr dagli Atti dell’Accad. d. scienze di Berlino). Negli Atti d. R. Accad. d. Lincei nelle Notizie d. scavi d. antichità, set- tembre 1883, pag. 341 è fatta parola di alcuni ritrovamenti archeologici avve- nuti negli scavi della ferrovia secondaria Albano-Laziale-Anzio ; tra i quali sono menzionati due scarabei di pasta con invetratura, forse rinvenuti entro fittili laziali rozzi, ed alcune tombe da cui si raccolsero varie fibule di bronzo, e vasi di bucchero lavorati a mano. 35 544 R. Meli. Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps ) ecc. Nel Bullett. di paletnolog. ital. anno X, 1884, n. 1 e 2 (pag. 32) è ripro- dotta dalle Notizie degli scavi cit. il brano relativo al rinvenimento degli scarabei e delle tombe laziali. Nella « Enciclopedia (nuova) italiana, ossia dizionario generale di scienze lettere, industrie ecc. compilata dal prof. Gerolamo Boccardo ». Torino, Unione tip.-editrice in 4°, nel voi. XIX (1885), all’articolo Roma, parlandosi della co- stituzione geologica del bacino romano e della sua orografia è fatta menzione dei peperini che sono annoverati tra gli ultimi prodotti del vulcano laziale. Si ritiene la loro formazione originata da eruzioni di fango o da correnti fan- gose prodottesi per la miscela delle deiezioni mobili con le acque di pioggia del nembo vulcanico. È detto che i vulcani del Lazio furono attivi quando gli antichi latini abitavano già quella regione, e sono ricordate le selci la- vorate rinvenute sotto i lapilli, secondo gli scritti del De Rossi, e i vasi in terracotta, con tracce di arte etrusca, sepolti sotto banchi di peperino (Vedi voi, cit., pag. 558). Pigorini L., L' Balia preistorica. Nel Bollett. d. Società Geografica ital. Anno XIX, voi. XXII (Serie 2a, voi. X) 1885, pag. 244-247. In questa conferenza, data dal prof. Pigorini alla Soc. geogr. ital., sono ricordate, nei tempi spettanti alla prima età del ferro, le urne cinerarie a foggia di capanna, rinvenute sui colli Albani. Ponzi G., Conglomerato del Tavolato; pozzo artesiano nella lava di Capo di Bove, storia dei vulcani Laziali accresciuta e corretta. Roma, Tip. d. R. Accad. d. Lincei, 1885, in 4° di pag. 19. Estr. d. Atti d. R. Accad. d. Lincei, Serie 4a, Meni. d. classe di se. fìs. mat. e nat. Voi. I. pag. 349-365. Alle pag. 16-17 dell’estr. (362-363 Meni. Lincei) parla brevemente della necropoli Albana, che ritiene sotterrata dalla ultima accensione del cratere omonimo. Urne cinerarie a capanna. Nel Bullettino di Paletnologia italiana. Serie II. Tomo IL Anno XII, 1886, n. 11-12, pag. 262. L’articolo accenna le varie località d’Italia, ove si rinvennero urne ci- nerarie foggiate a capanna (Colli Albani, Corneto-Tarquinia, Allumiere, Roma al M. Esquilino, Vetulonia in provincia di Grosseto e Bisenzio sul lago di Bolsena in provincia di Roma). Tutte le necropoli, da cui si estrassero le urne suddette spettano al principio dell’età del ferro. ADUNANZA GENERALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN CATANZARO IL 23 SETTEMBRE 1889. La seduta è aperta alle ore 7 V* poni, nell’aula del palazzo Comunale gentilmente concessa dal municipio di Catanzaro. Presidenza Capellini. Presenti i soci: Botti, Berti, Canavari, Cocchi, Cortese, Foresti, Meli, Neviani, Omboni, Sormani, Scarabelli, e il sot- toscritto Segretario. Assistono l’on. senatore Rossi sindaco di Catanzaro, il Consi- gliere delegato, il Procuratore generale presso la R. corte d’appello, il sostituto Procuratore generale, il Procuratore del Re, i compo- nenti la giunta municipale, varii professori delle scuole tecniche e del liceo, e uno scelto pubblico. Il Presidente apre la seduta col seguente discorso: « Alle gentili premure del Senatore Rossi che tanto degna- mente rappresenta la città di Catanzaro e alla intelligente iniziativa dei soci Neviani e Cortese, noi dobbiamo la fortuna di trovarci oggi qui riuniti per la ottava nostra adunanza generale estiva e per inaugurare il 1° Congresso di geologi nelle provincie meridio- nali della Penisola. « Interprete sicuro e sincero dei sentimenti dei colleghi tutti presenti e assenti mi sia quindi permesso di rivolgere anzitutto un affettuoso ringraziamento all'onorevole signor Sindaco che, con par- ticolare sollecitudine, in nome di questa cortese città, fino dallo scorso marzo graziosamente ci invitava, offrendoci efficace concorso 546 Adunanza generale perchè potessimo realizzare un voto che da lungo tempo era nel cuore della grande maggioranza dei nostri soci e di quanti si in- teressano alle ricerche geologiche in Italia. « Non intendo di intrattenervi per accennare, anche di volo, la importanza geologica veramente eccezionale dei dintorni di Catan- zaro, lo attesta ampiamente la lunga lista dei lavori che sono stati pubblicati, sopratutto in questi ultimi anni, compilata per cura dei soci Cortese e Neviani ai quali dobbiamo pure l’attraente programma delle escursioni che saranno utilissimo e caro ricordo di questo nostro Congresso. Ma se giudico opportuno di tacere della storia delle ricerche geologiche in Calabria, nella certezza che altri se ne occuperà in seguito più convenientemente, permettetemi almeno di ricordare appena i nomi di alcuni tra i più benemeriti per perseve- ranti ricerche e interessanti scoperte. « Nè spiaccia che io rammenti pel primo un diletto discepolo: Vincenzo Rambotti , che per eccessive fatiche sostenute volendo conciliare gli interessi della Geologia coll’ adempimento dei suoi do- veri come ingegnere delle ferrovie, poco più che trentenne veniva rapito alla scienza e agli amici. Le prime lettere che il Rambotti mi indirizzava da Catanzaro nel 1876 mostrano quanto appprezzava i tesori geologici di questa regione fino allora poco esplorata e per quanto mi fu possibile mi adoperai premurosamente perchè gli fosse concesso di dedicare un po’ di tempo alle escursioni le quali frut- tarono anche la bella raccolta di rocce e fossili che ogni si am- mira nel museo geologico di Bologna. « Il lavoro coscienzioso di quel modesto giovane fu amorevol- mente messo in rilievo dal bravo Neviani e va giudicato tenendo conto del tempo, dei mezzi e di tante altre circostanze che costi- tuirono un cumulo di serie difficoltà. « Commemorato il Rambotti giustizia vuole che oggi ci ricor- diamo pure dell’infaticabile professore Lovisato predecessore del Neviani al Liceo di questa città; egli dopo aver ben meritato con le sue contribuzioni alla mineralogia, geologia, e paletnologia ca- tanzarese investiga ora acutamente i terreni terziari della Sardegna. « Sono note a tutti le belle pubblicazioni sulla mineralogia, geologia, e paleontologia calabrese dovute ai colleglli Botti, Bocca, Cortese, De Stefani, Neviani, Pignattari, Salmoiraghi, quelle del compianto Seguenza, del Taramelli, del Tenore. Nelle escursioni che 547 della Società Geologica Italiana faremo in questi dintorni avrete in parte la opportunità di rendervi conto della accuratezza delle tante osservazioni che in esse sono registrate. « Il R. Comitato geologico non tardò ad apprezzare la impor- tanza di questa regione e appena fu possibile destinò valenti ope- ratori a rilevarne la carta geologica nella scala di 1 a 50,000 e questo lavoro dovuto principalmente all’ingegnere Cortese coadiu- vato dagli ingegneri Novarese e Aichino oggi può dirsi compito. “ Dalla relazione presentata dal comm. Giordano al R. Comi- tato geologico nello scorso giugno risulta che la carta geologica della Calabria definitivamente rilevata rappresentava allora 8000 Km. oggi sono già rilevati 18000 Km. ed esplorati gli altri 8000 Km. che restano per completarla. « Per un raggio di dieci chilom. intorno alla città di Catan- zaro il rilevamento fu fatto nella scala di 1 a 10,000 e ciò per il grande interesse e la molta varietà delle formazioni che vi si incontrano. « Di questo bel lavoro dovuto anch’ esso alle cure sollecite dell’ing. Cortese, oggi, a nome del R. Comitato geologico e come ricordo di questa nostra adunanza, sono lieto di poter offrire alla città di Catanzaro la prima copia che vedete qui esposta. « Anche nello scorso anno furono rilevati fatti pei quali nes- suno dubita più della grande analogia della costituzione geologica di questa regione con quella delle Alpi occidentali, quindi parzial- mente della Sardegna, dell’Elba, dell’ Alpi Apuane che furono la chiave della geologia delle Alpi occidentali, come le montagne del golfo di Spezia la furono per le Alpi Apuane e la Toscana ; veri- ficandosi così appuntino quanto ne avevano pronosticato il La Beche, il Murchison e parecchi altri dopo loro. « Tra i fatti ancora meglio constatati dal Cortese nello scorso anno non va taciuto quello che riguarda la faglia del Mesima la quale sembra essere continuazione di quella dello stretto di Messina, e fu pure meglio individualizzata la faglia che attraversa la de- pressione Catanzarese. u II Ministero di Agricoltura Industria e Commercio che con tanta cura ed intelligenza, non soltanto si interessa perchè proceda alacremente il rilevamento e la pubblicazione della carta geologica d’Italia, ma di ogni maniera favorisce ed incoraggia gli studi tutti 548 Adunanza generale e le ricerche che hanno per fine il progresso della geologia nel nostro paese, accolse con simpatia la notizia del Convegno della nostra Società in questa estrema parte della Penisola e tanto esso quanto il Comitato geologico, se ne ripromettono i maggiori frutti per i confronti che si potranno istituire con altre regioni per le quali vi ha tuttavia qualche dubbio da risolvere ». « Nella adunanza generale estiva a Terni, nel 1886, bandito il primo concorso pel premio istituito dal compianto nostro socio perpetuo Molon, sperammo che in quest’anno ne avremmo fatta la aggiudicazione a chi avesse narrato dei Progressi della geologia in Italia negli ultimi venticinque anni. « Scadeva il termine del concorso colla fine del marzo u. pas- sato e disgraziatamente nessuna memoria essendo stata presentata, la somma che a tal fine era stata stanziata fu capitalizzata, secondo la disposizione dell’art. 5 per formare un fondo speciale la cui ren- dita sarà annualmente impiegata per le pubblicazioni; nella adu- nanza di chiusura verrà bandito il 2° concorso che si chiuderà col 31 marzo 1892. « L’accenno intorno al premio Molon e alla destinazione delle somme provenienti dai premi non conferiti, mi conduce col pen- siero alla quistione finanziaria della quale dobbiamo tutti interes- sarci, perchè da essa dipenderà in gran parte il prospero avvenire e la vita rigogliosa della nostra Società. Quando saremo in grado di non fare eccezioni pel numero delle tavole a corredo delle Me- morie, quando ai soci si potranno offrire maggiori facilitazioni per la rapida diffusione delle loro scoperte, non mancheranno pel nostro bollettino preziosi materiali pei quali potrà gareggiare con quelli delle Società geologiche d’oltr’Alpe e d'oltre mare. E poiché tutti sentiamo gratitudine per coloro che ci aiutarono e ci aiutano onde sopperire alla insufficienza dei mezzi che si ricavano dalle tenui quote annue dei soci, purtroppo non così numerosi quanto si desi- dererebbe, sento il dovere di ricordare, come altamente benemeriti della Sociètà geologica italiana, S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio e S. E. il Ministro della Pubblica Istru- zione e ad entrambi propongo di inviare da questa estrema pro- vincia un affettuoso saluto che sia l’espressione dell'animo nostro riconoscente. « Nò dobbiamo dimenticare i degni figli di questa regione che 549 della Società Geologica Italiana in ogni circostanza come ministri, come deputati, come alti fun- zionari in diversi dicasteri, caldeggiarono e favorirono lo sviluppo e il progresso delle ricerche geologiche, e, lottando coraggiosamente contro le esigenze della finanza, si adoperarono perchè, malgrado le ristrettezze dell’erario, non avessero a mancare i mezzi indispen- sabili per proseguire la grande opera del rilevamento della carta geologica d'Italia, ormai così bene avviata e dalia quale già ne sono derivati vantaggi incontestabili non solo alla scienza ma ezian- dio alle Arti e all’ industria. « Quando nel 1880, in compagnia dei nostri carissimi colleghi comm. Giordano e comm. Fabri visitava i dintorni di Reggio, Mo- nasterace, Stilo, Pazzano, rammaricava di trovarmi così vicino a questo centro geologico, senza aver modo di poter disporre di alcuni giorni per una rapida escursione. Oggi mi reputo veramente fortu- nato che, anche quel mio desiderio, abbia suo compimento e sono lieto di inaugurare con voi il primo Congresso geologico nell’Italia meridionale. Nei pochi giorni dei quali potremo approfittare per le escursioni ben possiamo prevedere che appena ci sarà dato di in- travedere quanto vi sarebbe da osservare e da raccogliere, e sono certissimo che non pochi di voi torneranno a visitare questa clas- sica regione. “Ed ora lasciate che io mi rivolga ancora particolarmente al senatore Rossi, perchè nella sua qualità di sindaco si renda in- terprete dei nostri sentimenti di grato animo verso questa nobile e cortese città che ha voluto ospitarci. « Egregio sig. Sindaco ! Dal giorno in cui ricevemmo il vostro grazioso invito per questa nostra Adunanza noi fummo certi di es- sere ricevuti come antichi amici ; pure le tante gentilezze prodi- gateci appena posto il piede sul suolo Catanzarese, la festosa ac- coglienza e le tante premure per la buona riuscita del nostro Con- vegno hanno di gran lunga superato ogni nostra aspettativa. « Bisogna credere che qui come in Oriente sia tradizionale « l’ospite esser dono del cielo » ; che non sapremmo altrimenti ren- derci conto delle tante cure per noi e della gioia con la quale è stato segnalato il nostro arrivo. « Egregio signor Sindaco ! Dal fondo del cuore e in nome di tutti i miei colleglli, grazie, grazie sincerissime per voi, per tutti i vostri gentili concittadini. 550 Adunanza generale i Partecipando loro il nostro saluto, piacciavi di assicurarli che imperitura sarà per la città di Catanzaro la affettuosa ricono- scenza dei Geologi italiani, come imperituro negli Annali della Scienza resterà il ricordo di questo primo Congresso scientifico nella forte e generosa Calabria » . Il sindaco di Catanzaro risponde nei seguenti termini: « La citta di Catanzaro, che ho l’onore di rappresentare, mo- derata ne’ suoi desiderii, per quanto ardimentosa negli slanci ma- gnanimi di patriottismo, nelle nobili aspirazioni per le gare feconde alla conquista della scienza, è lieta ed orgogliosa vedendo quest'aula, oscura sede della sua rappresentanza, trasformata in un augusto tempio consacrato alla scienza, al quale accorrono da tutte le re- gioni d’Italia infaticabili cultori di essa, i venerati e venerandi sacerdoti, che hanno consacrato la loro vita a promuoverne ed esten- derne il culto benefico. « Fu uno speciale favore concesso alle Calabrie di avere nel seno di questa città capoluogo l’eccelso Congresso, questo Congresso di uomini eletti, di scienziati, d'illustrazioni italiane, fra le quali brilla come astro splendido quella figura simpatica, che dirò cosmo- polita dell’egregio prof. Capellini. « Lode a voi, egregi signori, che per solo amore della scienza affrontate coraggiosi i disagi di lunghe e spesso ingrate peregrina- zioni. ed accettate e vi mostrate soddisfatti della ospitalità modesta che può offrirvi una città di provincia. Questa ospitalità modesta è però affettuosa, e vi si offre con tutta l’espansione del cuore, si offre con tutta l’energia del sentimento ed affetto calabrese. « Adunque io in nome dell’intera cittadinanza calabrese vi mando un saluto ossequente accompagnato da un tributo di sincera gratitudine, e non solo perchè colla presenza vostra onoraste la nostra città, ma per il dono inestimabile che avete fatto a questo paese con la carta geologica del nostro territorio. E mentre i vostri nomi re- steranno scritti a caratteri d’oro nella cronaca cittadina, la splendida solennità di questo giorno resterà incancellabile nei nostri cuori « . Dal sindaco stesso sono letti i telegrammi degli on. Miceli ministro d’ Agricoltura, Industria e Commercio, Grimaldi deputato al Parlamento, e Miraglia direttore generale dell’ Agricoltura, i quali 551 . della SocÀetà Geologica Italiana si scusano del non essere intervenuti, ed aderiscono al Convegno pel quale avevano ricevuto invito. Scusano poi la loro assenza con lettera o telegramma i soci: Bassani, Biagi, Bombicci, Bumiller, Cafici, Castracane, Cle- rici, Fornasini, Gatta, Gemmellaro, Mazzetti, Niccolini, Pa- rona, Bistori, Statuti, Taramelli, Tellini, Tenore, Tommasi. Il Presidente fa dar lettura della seguente lettera del socio Castracane, che dice particolarmente interessante per le escursioni che sono nel programma dell’attuale riunione: « Fano, settembre 1889. « On. sig. Presidente, « La mia età e qualche incomodo da quella inseparabile e specialmente lo stato delle mie gambe non mi permettono di pro- fittare dell’invito a prendere parte alla Adunanza estiva della So- cietà geologica che sta per riunirsi a Catanzaro. « Mi duole il non potervi prendere parte conoscendo l' esistenza in tale regione di materiali diatomiferi marini, dei quali Ella si- gnor Presidente, gentilmente mi comunicò alcuni saggi coevi a quelli del versante Adriatico dell’apennino nella Italia centrale; ma molto più perchè possono incoutrarvisi formazioni simili appar- tenenti ad altre epoche. Però confido che alcuno dei geologi che prenderanno parte aH’Adunanza ed alle escursioni vorrà pormi sulle tracce di tali rocce, che io esaminerò col maggiore interesse ». L’ordine del giorno reca: Proclama none di nuovi soci. Dal Segretario Tuccimei è data lettura dei seguenti proposti : Dott. H. I. Iohnston Lavis (Napoli), proposto da Bassani e Tuccimei. Prof. Eugenio Scacchi (Napoli), proposto da Bassani e Tuccimei. Prof. Pasquale Franco (Napoli), proposto da Bassani e Tuccimei. Prof. Giovanni Preda (Napoli), proposto da Bassani e Tuc- CIMEI. Cav. ing. Luigi Perozzo (Boma), proposto da De Marchi e Tuccimei. 552 Adunanza generale Sac. Ermanno Dervieux (Torino), proposto da Sacco e Telline Dott. Francesco Avanzati (Siena), proposto da Capellini e Canavari. Dott. Alberto Fucini (Empoli), proposto da De Stefani e Ristori. Dott. Emmanuele Rosselli (Firenze), proposto da De Ste- fani e Ristori. Posti ai voti sono tutti approvati. Giunsero in omaggio alla Società le seguenti pubblicazioni : F. Bassani, Ricerche sui pesci fossili di Chiavon. Estr. A. d. R. Acc. d. se. fis. e mat. di Napoli, voi. Ili, ser. 2a. Napoli 1889 (4°, pag. 104, tav. 18). L. Bombicci, Sul giacimento e sul tipo litologico della Roccia oligoclasite di monte Cavaloro ( Bolognese ). Estr. Mem. d. R. Acc. d. Se. d. Ist. di Bologna s. IV, t. IX. Bologna 1889 (4°, pag. 16, 2 tav.). Id., Errata corrige per un manuale di Mineralogia e per la recensione di questo fatta da un professore di Università. Bologna 1889 (8°, pag. 16). Id., Le scienze naturali e gli studi classici nelle scuole se- condarie in Redia. Bologna 1889 (8°, pag. 80). Boll. dellTst. geogr. della republica Argentina t. X, quad. 6, 7, 8 e 9. Buenos Ayres 1889. Bollettino della Società italiana dei microscopisti. Acireale 1889, voi. I, fase. 1 e 2. Bulletin international de l’Academie des Sciences de Cracovie. Comptes-rendus des seances de l’année 1889, num. 5 e 6. Bulletin de la Societé des etudes scientifiques d’Angers. XVII ann. 1887, 1 voi. (8°, pag. 328). G. B. Cacciamali, In valle del Liri, osservazioni orografiche e geognostiehe e indicazioni turistiche. Estr. d. Boll. d. C. A. I. voi. XXII. Torino 1889 (8°, pag. 16, 1 tav.). Id., Petroli e bitumi in Valle latina. Estr. A. IX fase. 6 e 10 della Riv. it. di Se. nat. e boli, del natur. Siena 1889 (8°, pag. 11). G. Capellini, Sid primo uovo di Aepiornis maximus arrivato in Italia. Estr. s. IV, t. X. Mem. R. Acc. d. Se. dellTst. di Bologna 1889 (4°, pag. 22). L. Care/, Rote sur les couchcs dites triassiques des environs 553 della Società Geologica Italiana de Sougraigne {Ande'). Estr. d. Bull, de la Soc. géol. de Franco ser. Ili tom. 17e. Paris 1889 (8°, pag. 9, 1 tav.). Id., Note sur le Crélacé inferieur des environs de Mouriés {Bouches du Rhóue). Extr. du Bull, de la Soc. géol. de France, 3® ser. t. XVII. Paris 1889 (8° pag. 4). Id., Sur Vexistence de phénomènes de recouvrement dans les petits Pyrétiées de l’Aude. C. R. des séances l’Ac. des Scien- ces. 3 juin 1889. Paris (4° pag. 4). Id., Note sur l’existeuce de phénomènes de recouvrement dans les Pyrénées de Vaude. Extr. d. Bull, des Services de la carte geologique de France. Paris 1889 (8°, pag. 7, 1 tav.). Commemorazione di Giuseppe Meneghini fatta nell’ Aida magna dell’ Università Pisana ai 24 marzo 1889. Estr. proc. verb. Soc. tose. d. Se. nat. (4°, pag. 54). E. Cortese, La zona a Congerie presso Catanzaro. Estr. boli, d. R. comitato geologico. A. 1889, n. 7-8 (8°, pag. 2). H. Forir, Contributions à Vétude du systeme cretacé de la Belgique. — 3° note sur des poissons et crustacés nouveaux on peu connus. Liège 1889 (8°, pag. 15, 1 tav.). C. Fornasini, Minute forme di rizopodi reticolari nella marna pliocenica del ponticello di Savena presso Bologna. Bologna genn. 1889 (8°, pag. 2, fìg.). Id., Foraminiferi miocenici di S. Bufilo pr. Bologna. Bo- logna 4 sett. 1889 (4°, pag. 1, tav. 1). A. Neviani, L,e collezioni del gabinetto di storia naturale del R. liceo Galluppi in Catanzaro } dedic. ai colleghi della So- cietà geologica italiana. Catanzaro 1889 (4°, pag. 18). Id., Di alcuni minerali raccolti nella provincia di Catan- zaro. Catanzaro 1887 (4°, pag. 12). Nuova rivista Miseria. Periodico marchigiano di erudizione storico-artistica etc. Ann. II, fase. 11, 12 e 13. Arcevia 1889. C. F. Parona, Note paleontologiche sid lias inferiore nelle Prealpi lombarde. Estr. d. Resoc. del R. Istituto lombardo s. 2, voi. XXI, fase. Vili (8°, pag. 15). Id., Studio monografico della fauna Raibliana di Lombar- dia. Pavia 1889 1 voi. (8°, pag. 156, tav. 13). Renault B. et Zeiller R., Etudes sur le terrain houiller de Commentry — Flore fossile. Extr. du Bull, de la Soc. de l’Ind. 554 Adunanza generale miner. 3e s. t. II, 2e livr. Saint-Etienne 1888. 1 voi. (8°, pag. 367 con atlante di 42 grandi tavole) omaggio offerto da M.r H. Fayol. Rev. de se. naturales et sociales da Sociedade Carlos Ri- beiro. Porto 1889 voi. primo, num. II. L. Ricciardi, Genesi e composizione chimica dei terreni vul- canici italiani. Estr. d. giornale « L’agricoltura italiana ». Anno 14 e 15, 1888-89. Firenze 1889. (4°, pag. 155). Royal Dublin Society. — Sdentile proceedings. Voi. VI, P. 3, 4, 5, 6. Dublin 1888, 1889. F. Sacco, II. seno terziario di Moncalvo. Estr. A. R. acc. d. Scienze di Torino voi. XXIV. Torino 1889 (8°, pag. 16, 1 tav.). Id., Sopra un progetto di serbato jo in Valle Usseglia presso Torino. Torino 1889 (8°, pag. 15). Id., I colli braidesi. Estr. d. Ann. d. R. Acc. d’agric. di Torino voi. XXXI. Torino 1889 (8°, pag. 24, 1 tav.). S. Squinabol, Contribuzioni alla flora fossile dei. terreni terziarii della Liguria. IL Caracee , Felci. Genova 1889; 1 voi. (8° gr., pag. 71 tav. 12). The gold-fields of Victoria. Reports of thè mining registrai^. (1° e 2° trimestre 1889). Melbourne. The scientific transactions of thè Royal Dublin Society. Voi. IV Ser. IL March. lune 1889. A. Tommasi, Sul lembo cretaceo di Vernasso nel Friuli. Estr. Ann. d. r. Ist. tecn. di Udine 1889 (8°, pag. 13). G. Vasseur et L. Carez. Sur une nouvelle carte géologique de France au Vsooooo* C. R. de séances de l’Ac. des Sciences 17 juin 1889. Paris (4°, pag. 3). Giunse in cambio: Berichte der Naturfoschcnden Gesellscliaft zu Freiburg I. B. Vierter Band 1, 2, 3, 4, 5. Heft. Freiburg 1888, 1889. A proposta del Presidente si delibera d'inviare i seguenti te- legrammi alle L.L. E. E. i Ministri d’ Agricoltura, Industria e Com- mercio, e dell’Istruzione pubblica: S. E. il Ministro Miceli. — Roma. La Società geologica italiana inaugurando la sua ottava ses- sione estiva nella vostra generosa Calabria, si felicita per il rile- 555 della Società Geologica Italiana vamento geologico ormai compito di questa importantissima regione, e ringrazia l’E. V. per il valido impulso dato agli studi geologici in Italia. Il Presidente G. Capellini. A S. E. il Ministro della P. I. La Società geologica italiana sempre memore dell’efficace aiuto dell’ E. Y. per il suo prospero incremento, inaugurando la ottava adunanza estiva in questa interessantissima regione invia espres- sioni di profonda riconoscenza. Il Presidente G. Capellini. Il Presidente accennando a una parete della sala la carta geologica al 10000 del Catanzarese rilevata recentemente dagli ingegneri del R. Corpo delle miniere, dichiara che essa dal R. Co- mitato geologico viene offerta in dono al municipio di Catanzaro, a ricordo dell’ attuale congresso. Dà quindi la parola al socio Cor- tese perchè spiegando quella carta faccia conoscere brevemente la geologia delle località da visitare nelle escursioni di questi giorni. Cortese parlando della carta geologica, dice: « Questa carta abbraccia una superficie di territorio di 392 Cmq. di cui però circa la metà sono coperti da terreni pliocenici o mio- cenici. Anche dai colori si vede che c’è una differenza. Nei terreni di questa regione la parte segnata coi colori azzurri, violacei e rosa è di terreni antichi, quella segnata con colori giallastri di terreni terziari, inoltre vi era una zona continua di terreni secondari. « Dirò brevemente dei fatti principali che si osservano in questa regione. « I terreni fondamentali qui sono scisti nerastri che costitui- scono i monti sopra Gimigliano, sopra Pentone con vene di pegma- titi, anfiboliti e dioriti, dai geologi chiamati filladi. « Questi terreni si ritennero antichi, mentre ora si sono cre- duti anche più antichi, anzi arcaici. « I graniti sono posteriori alle filladi e appaiono a varii li- velli entro e sopra le filladi. Gli inferiori sono segnati in color rosa chiaro e sono i graniti di Lellia e della contrada Comuni. « Ce ne sono poi assolutamente sovrapposti alle filladi come quelli che si veggono al colle Nocelle, al colle Pallone lungo la 556 Adunanza generale strada che va a Serrastretta, sopra Zagarise eco. Questi graniti superiori sono importanti perchè danno l’acqua che si condurrà a Catanzaro e per la quale sono in corso i lavori di costruzione, dappoiché essendo i graniti molto permeabili lasciano infiltrare le acque, che toccando gli strati inferiori, affatto impermeabili, ten- dono, scorrendo, a versarsi nel Melito. Colla gallerìa esse saranno ricondotte nella valle della Fiumarella e resteranno allacciate. « Fin qui i terreni antichi. « I terreni quaternari sono costituiti da alluvioni fluviali o marine e sono segnati in colori verdastri diversi. Si ha pure qualche cono di dejezione. Quindi il vero quaternario, rappresentato da sab- bioni rossi, di cui oggi s’è avuto un esempio sotto la caserma nuova e che sono molto sviluppati verso Borgia e San Floro. « Si hanno quindi le sabbie gialle e le argille azzurre coi loro fossili caratteristici, queste ultime con zone sabbiose, che formano quasi dei gradini anche visibili da lontano, sicché potrebbe dise- gnarsi la carta geologica a distanza grandissima. « Il pliocene inferiore è molto più difficile. I suoi conglome- rati pare siano fatti apposta per preparare un fondo uniforme alle marne a foraminifere. Si possono osservare sulle pendici che percorre- remo domani andando a Tiriolo, e quindi non insisto nel descriverli. ^ Un fatto interessante è che questo conglomerato del plio- cene inferiore non è distinto da un altro che appartiene alla zona inferiore, se non da qualche strato di gesso alabastrino che apparisce qua e là al contatto. Grossolanamente si può dire che il carattere distintivo è la colorazione.^ Il giallastro è conglomerato pliocenico, quello più ceruleo appartiene alla zona gessosa. Talvolta questa passa ad arenarie, che si trovano sviluppate a Saverio di Catan- zaro ed a Simeri. « Questi strati recheranno imbarazzo nella costruzione della galleria di Marcellinara perchè le marne sono acquifere. « Più interessanti sono i terreni miocenici, il terreno inferiore è privo di fossili, ma è molto sviluppato, e verso Zagarise con- tiene delle ligniti nella regione Melito. Hanno fatto nascere la speranza d’una ricchezza di carbon fossile o almeno di buona li- gnite; ma sfortunatamente s’è dovuto constatare che sono pochi tronchi d’alberi carbonizzati e la speranza è svanita. « Dopo viene il miocene medio interessante per i denti di della Società Geologica Italiana 557 squali diversi e gli ossi di sirenoidi che contiene, e si è osservato specialmente nelle fondazioni della nuova caserma, al di là della Fiumarella Sant’ Agostino, e nelle pendici ulivetate che si osser- vano dalla villa. “ Sopra il miocene medio si ha il sarmatiano, manca il tor- toniano, tuttavia quello è in perfetta concordanza colle arenarie del miocene medio, ad onta della mancanza della zona intermedia, tanto che dopo aver creduto quelle sabbie tortoniane, ho dovuto, visti i fossili che contenevano, riconoscerle per elveziane. « Sopra poi al tripoli, interessante per la quantità di pesci fossili che racchiude, si ha il calcare siliceo o solfifero. 11 nome siliceo sarebbe conveniente, perchè infatti quando vien trattato con un acido lascia un residuo di silice; ma non meriterebbe il nome di solfifero. Gli si è dato, perchè altrove, come a Strongoli, tro- vasi misto al gesso nei depositi solfiferi. « Verso la galleria di Marcellinara nel mio-pliocene ho tro- vato le congerie che non aveva potuto trovare in tante altre regioni dove quel terreno esiste. Poi viene il secondario eli’ è rappresentato nelle manifestazioni del monte di Tiriolo. Si agitò la questione se fosse cretaceo o giurese tra me e Lovisato, ma ulteriori indagini mostrarono che la ragione stava da ambe le parti; solamente il giurese pare costituisca la massa principale del monte. « C’è una leggera zona di conglomerato argilloso che è la zona di contatto segnata qui per comodo col colore del lias superiore in questa carta: distinzione che si vede solo qui in questa scala. « Sotto Soverito, a Pergolace e in qualche valloncello che si scarica nell’ All, i calcari giuresi formano una cintura che una volta doveva essere continua. * Nei terreni antichi si hanno materiali utili perchè forniscono la maggior parte del pietrame da costruzione che qui si usa ed anche il materiale di ornamento, come il marmo di Gimigliano, nonché i graniti e i porfidi, che si vedono adoperati nella bellis- sima fontana verso il dazio di San Giovanni. Lavori di simil ge- nere non si potrebbero oggi più eseguire. Quando si costruì questa opera vennero adoperati i massi staccatisi dalle rocce e trovati nel letto della Fiumarella. Finiti quelli bisognerebbe che altri massi si staccassero per eseguire uguali lavori. « Altro fatto importante è che dove il granito ha dovuto injet- 558 . Adunanza generale tarsi negli scisti, li ha talmente trasformati da produrre un ma- teriale difficilissimo a definire. a Tal fatto può osservarsi negli scisti vari di Pentone specie dove si sviluppa la strada provinciale Fossato Serralto, Soverino, « Questi non sono che scisti trasformati da filoni di granito, nei quali si trovano pegmatiti, quarzo, feldspato quasi puro, pegma- titi con tormaline e anfiboliti ». Il Presidente presenta per essere inserita nel bollettino una sua memoria intitolata: Sulla scoperta di utia caverna ossifera a monte Cucco , e ne dà un ampio resoconto, citando i resti fos- sili ivi rinvenuti. Il medesimo parla di un cranio di coccodrillo trovato nel miocene di Sassari, e ne mostra i disegni in due bellissime tavole da lui fatte disegnare, per pubblicarle colla memoria che ne sta preparando. La seduta è levata alle ore 9 pomeridiane. Il giorno stesso 23 settembre, prima dell’adunanza, cioè alle ore 2 1 poni, i soci, con vetture gentilmente fornite dal Comune di Catanzaro, si erano recati a Ponte Grande sulla strada provinciale, nella direzione del monte Soverito, anticipando una parte della escursione stabilita pel giorno 26. Il giorno seguente, 24, si partì alle ore 5^ ant. da Catan- zaro, per la principale escursione stabilita nel programma. Le vet- ture erano pure fornite dal municipio, i cui rappresentanti avv. B. Man- cuso, ed avv. L. Manichini accompagnavano i soci. Nel diriggersi a Marcellinara, i soci si fermarono a visitare le marne a forami- niferi di Settingiano, e la galleria ferroviaria in costruzione di Mar- cellinara, coi gessi e le marne a congerie. Presso a Marcellinara furono incontrati dal sindaco sig. F. Bevacqua, il quale insieme ai notabili del luogo nell’entrare al paese fece gli onori di casa. Durante il desinare offerto dal municipio e splendidamente servito in casa del sig. Augelli, giunse il socio comm. F. Giordano, il quale si unì alla comitiva pel resto delle escursioni. 559 della Società Geologica Italiana Rimontati in vettura si giunse per tempo a Tiriolo, dove la maggior parte dei soci fecero l’ascensione del monte sino all’osser- vatorio per osservare le rocce secondarie addossate alle arcaiche; alcuni invece discesero nel burrone sottostante per visitarvi il gia- cimento di spinelli, granati e idocrasii. Nella sera il municipio di Tiriolo, con a capo il sindaco sig. R. Singlitico, offrì un pranzo a cui intervennero il pretore e le altre autorità del luogo. Nella notte i soci furono cordialmente ospitati dai cittadini di Tiriolo, e il giorno susseguente 25, di buon mattino, ripartirono alla volta di Gimigliano, accompagnati per buon tratto di strada dal sindaco e dai primarii cittadini di Tiriolo. La difficile strada da Tiriolo a Gimigliano fu compiuta parte a piedi e parte sulle cavalcature, osservando i rimarchevoli giaci- menti dei graniti, gneiss, porfidi, fìlladi grafitifere. Si giunse a Gimi- gliano verso le 9 ant., ricevuti dal sindaco sig. G. Bisantis; alle IO fu servita la refezione offerta dal municipio, dopo la quale i soci Cortese, Meli, Sormani e Tuccimei, incaricati dal Presidente, si recarono a Ponte lungo per esaminare un supposto giacimento di galena. Tornati dopo qualche ora, con risultato del tutto nega- tivo, tutta la comitiva nelle vetture si rimise in viaggio per Ca- tanzaro, dove giungeva sull’ imbrunire. Adunanza privata del 25 settembre. L’adunanza è tenuta in una sala dell’albergo Serravalle in Catanzaro, e si apre alle ore 9 pomeridiane. Presidenza Capellini. Presenti i soci dell’Adunanza precedente, più il nuovo socio Avanzati e il socio Giordano, il quale partecipa il seguente telegramma, col quale S. E. il Ministro d’ Agricoltura, Industria e Commercio lo incarica di rappresentarlo al Congresso della Società geologica. « Comm. Felice Giordano — Catanzaro. « La prego rappresentarmi inaugurazione Congresso geologico. « Il Ministro — Miceli ». È approvato il processo verbale dell’Adunanza generale tenuta in Bologna nella primavera. 36 560 Adunanza generale Si stabiliscono le modalità della seduta di chiusura, e se ne approva l’ordine del giorno. La seduta è levata alle ore 9 La mattina del 26 fu compiuta l’ultima delle escursioni sta- bilite, risalendo il letto della Fiumarella fino al piede della Sala osservando i filoni di baritina e i numerosi campioni delle più sva- riate rocce cristalline, erratici lungo il letto del torrente. Il ritorno in Catanzaro fu verso le 11 ant. Adunanza generale del giorno 26 settembre. La seduta è aperta alle ore 1 pom. nell’aula del palazzo Co- munale di Catanzaro. Presidenza Capellini. Presenti i Soci : Avanzati, Baldacci, Botti, Berti, Cana- vari, Cocchi, Cortese, Foresti, Giordano, Meli, Neviani, Omboni, Sormani, Scarabelli e il sottoscritto segretario. Assistono il Sindaco di Catanzaro, il Consigliere delegato, il Procuratore generale presso la R. corte d’appello, il Sostituto Pro- curatore generale, il Procuratore del Re, gli assessori comunali, molti professori, ed uno scelto pubblico. Letto ed approvato il processo verbale dell’adunanza precedente, il Presidente annunzia che conforme all’usanza, s’invierà d’ora in poi regolarmente il bollettino della Società al municipio di Catanzaro. Legge poi i seguenti telegrammi inviati in risposta dalle LL. EE. i ministri d’ Agricoltura, Industria e Commercio, e del- l’Istruzione pubblica. « Comm. Capellini presidente Società geologica — Catanzaro. « Al saluto graditissimo e cortese di cotesta dotta Società « rispondo coi più vivi augurii opera tanto importante per la scienza « e per la pubblica economia. « Boselli ». « Comm. Capellini, presidente Società geologica — Catanzaro. « Sono grato cotesta Società giudizio sopra importanza rile- « vamento geologico Calabria. Faccio voti per maggiore incremento « codesta società, così benemerita studi geologici. « Il Ministro — Miceli ». 5G1 della Società Geologica Italiana Il socio Ne vi ani fa la seguente comunicazione, Sulla scoperta di marne fogliettate con pesci e tripoli nel pliocene. « Comunico alla società una osservazione fatta di recente presso Cotrone, e che ritengo di qualche importanza, tanto più che, come udimmo dalla lettera dell’ illustre diatomologo conte Castracane, anche nell’Italia centrale si rinvennero dei tripoli di epoca diversa dei soliti sarmatiani. « Nella regione compresa dal Tacina al Neto, le argille mar- nose plioceniche hanno una grandissima estensione, portandosi fin oltre Santa Severina ed Altilia ; di queste argille parlai altra volta nel nostro bollettino (1887, pag. 182), e sostenni che esse, com- prese quelle fogliettate delle vicinanze di Cutro, ove eransi rinve- nute numerose ittioliti, dovevansi riportare al pliocene, e ciò con- trariamente a quanto avevano scritto il Lovisato, il De Stefani ed il Bosniaski, che le ritenevano per mioceniche. « Pochi giorni or sono trovandomi alle colline del Vescova- tello presso Cotrone, mi venne fatto di osservare una serie di strati marnosi fogliettati con tripoli intercalati alle argille, e contenenti un grandissimo numero di belle ittioliti, comprese specialmente negli strati bianchi, mentre negli straterelli argillosi e compatti rinvenni alcuni pteropodi ( Cleodore ) e spesso delle minute cri- stallizzazioni di gesso, ora in forma lenticolare, ora fibrosa. « Gli strati a tripoli e pesci si trovano intercalati due volte alle argille, e l’andamento regolare di tutta la massa argillosa, l’uniforme potenza per grande estensione, non ammette il caso di dover ricorrere a trasgressioni o rovesciamenti per spiegare la cosa ; quindi gli strati in discorso sono in posto. « Che le argille compatte sottostanti alle fogliettate sieno plioceniche lo dimostrano i fossili che ne ho estratti, non dalla superficie, ma bensì dall’interno della massa, che appositamente ricercai, trovandovi difatti delle cancellane, natiche, nasse, den- tali ecc., insomma tutta quella serie di fossili che caratterizza tanto bene il pliocene. « Che gli strati bianchi e leggieri sieno veramente Tripoli , me ne sono pure accertato, giacché preso un poco di quella pol- vere bianca, lavata con acqua acidulata, e posta al microscopio, ho osservato una infinità di diatomee e radiolari, caratteristici del tripoli. 562 Adunanza generale « In quanto alla questione a qual piano del pliocene si deb- bono riferire le argille a pesci di Cotrone, non intendo per ora risolvere il problema, occorrendo in proposito altre osservazioni; tuttavia, tenuto conto delle relazioni paleontologiche e litologiche, e confrontate specialmente colle formazioni a pesci già note di Val di Savena nel Bolognese, e forse anche quelle del Senese, son disposto a ritenerle del pliocene inferiore ». Il socio Cortese fa osservare che le marne delle vicinanze di Cotrone e Cutro sono superiori alle marne bianche ed a quelle zonate del pliocene inferiore, e che perciò gli strati fogliettati con tripoli e pesci ora scoperti debbono riportarsi al pliocene medio. Neviani ringrazia il collega Cortese, che venne colla sua autorevole parola a confermare l’osservazione fatta circa la plio- cenicità della formazione a pesci di Cotrone. Il medesimo presenta una nota da inserirsi nel bollettino, intitolata: Contribuzione alla geologia del Catanzarese — Le col- line di Santa Maria , e ne comunica il sunto. Il Socio R. Meli fa una comunicazione sul rinvenimento dei resti fossili di un grande avvoltoio racchiuso nel peperino La- ziale. Rimuovendo profondamente il terreno per i lavori agrari ne- cessari al piantamento delle viti in un fondo, spettante al signor Biagio Reali, collocato nel territorio di Frascati, sulla via Ana- gnina, accanto alla colonnetta chilometrica XIX, a destra, venendo da Frascati per la via Provinciale, si incontrò sotto lo strato vege- tale un letto di peperino litoide, che venne ridotto in pezzi. Allora entro il peperino, dotato di consistenza pietrosa, si rinvenne una cavità, singolare per la forma, nella quale stavano racchiuse con l’ordine scheletrico le ossa di un grande uccello. Intorno alla sud- detta cavità il peperino era pieno di impronte di penne, alcune delle quali assai grandi. Il Socio Meli potè avere buona parte delle ossa rinvenute, ed alcuni frammenti di peperino, presentanti porzioni della superficie nell’accennata cavità, che furono fortunatamente rac- colti e conservati dal proprietario del fondo signor Reali, mentre gli operai che eseguivano lo sterro dispersero e ridussero in fram- menti molte delle ossa rinvenute, o con esse anche il peperino che racchiudeva il vacuo entro del qnale stavano contenute le ossa. Lo studio preliminare delle ossa ha dimostrato che esse spet- 503 della Società Geologica Italiana tano ad un avvoltoio, di grande mole, per le dimensioni offerte dalle ossa medesime. Inoltre l’esame dei pezzi di peperino, presen- tanti brani che appartenevano alla superficie della cavità rinvenuta entro la roccia, ha permesso di stabilire con certezza al Meli che l’avvoltoio spetta al genere Gyps e che probabilmente si tratta dei resti del Gyps fulvus Gmel. ( Vullur ), volgarmente detto grifone. Nelle lastre di peperino pervenute al Meli, donategli dal signor Reali, ed oggi depositate nel gabinetto di Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma, si trovano le impronte delle penne e gii stampi, nitidamente riusciti, della testa, della porzione anteriore del collo con traccia di collarino alla base, e dei due piedi del rapace. Negli stampi dei due robusti e vigorosi piedi si hanno le forme delle quattro dita, tre delle quali dirette in avanti ed il quarto all’indietro, e si vedono riprodotte le rugosità dell’epider- mide e le sue scaglie con una nitidezza incredibile. Le dita late- rali sono più corte del dito mediano e pressoché uguali fra loro; il quarto dito (pollice) è articolato sullo stesso piano d'inserzione delle dita anteriori. Alcune delle ultime falangi ringhiali sono ancora racchiuse al loro posto nello stampo della roccia. Impor- tantissimo è poi il pezzo che presenta la forma ricavata sulla testa e sulla porzione anteriore del collo. La testa si mostra essere stata sprovvista di piume ; anche il collo è senza piume, nudo, od al più mostra traccie di lanugine setolosa; alla base del collo si riconosce la presenza di un collarino piumoso. Gli occhi sono laterali, ossia collocati sui lati della testa, non infossati; il becco è lungo, vigo- roso, rotondo trasversalmente, alquanto compresso sui lati, e ricurvo all’ apice. L’estremità del becco non può distintamente vedersi nello stampo per il sottosquadro che presenta ed a causa del peperino, che allo stato pastoso di fango entrò nella bocca del volatile ed ora im- pedisce la visione dell’estremo del becco, ma questo si ricaverà benissimo quando verranno riprodotti in rilievo gli stampi. La forma mostra nitidamente l’impressione della cera che avviluppa per una larga estensione la base del becco; in essa vi si osservano anche le impronte delle narici laterali, forate perpendicolarmente alla lunghezza del becco. Per questi caratteri, ricavati dalla ispezione delle impronte rimaste nella roccia, fu facile di riconoscere che i resti del vola- tile racchiuso nel peperino dovevano riportarsi ad un Gyps. 564 Adunanza generale Il Meli, presenta ai Soci, perchè possano formarsi un'idea della conservazione delle ossa del Gyps e della sua grandezza, la prima falange del dito medio, un frammento di tarso-metatarso destro con capo articolare inferiore, ed un campione di peperino con im- pronta di penne. Parla in seguito sulla formazione della roccia peperino, che ritiene analoga ad un fango vulcanico, generatosi dall’impasto av- venuto tra le ceneri od altre deiezioni sciolte, lanciate dal vulcano nella eruzione e le acque di pioggia del nembo vulcanico. Le im- pronte delle piume e dei minimi particolari, conservati negli stampi rimasti nel peperino, dimostrano che questa roccia dovea essere allo stato di fango assai plastico, ma non dotato di elevata temperatura, quando avvolse il corpo del Gyps. Ritiene poi che il grifone fu compreso vivo nel peperino, e lo dimostra il fatto che il fango vul- canico penetrò nella bocca aperta dal volatile, investito dalla cor- rente, e vi si plasmò riproducendo la cavità boccale, la retrobocca e parte dell’esofago. L’epoca di formazione del peperino in parola è relativamente recente; anzi alcuni spandimenti di questa roccia sarebbero mo- derni, avendo seppellito la necropoli dei prisci Albani, riferibile al primo principio dell’epoca del ferro. A questo proposito parla bre- vemente dei vasi rinvenuti nel 1817 al pascolare di Castel Gan- dolfo sotto una crosta di peperino. Da quanto venne pubblicato su questo argomento sembrerebbe probabile che le ultime correnti di peperino si fossero distese sulle ceneri entro le quali stavano i vasi e le urne cinerarie di quella antica necropoli; non ammette però, per mancanza di prove bene accertate, i rinvenimenti di monete e di aes grave entro o sotto il peperino. Il Socio Meli si propone di montare lo scheletro del Gyps per la parte che possiede, di ricavare le plastiche della testa e delle zampe dagli stampi e di illustrare questi resti, presentando a suo tempo alla Società una memoria particolareggiata con tavole e fo- tografie. Il segretario Tuccimei legge la seguente comunicazione in- viata dal socio A. Tommasi: Sulla scoperta del carbonifero al monte Fissai nell’Alta Ccirnia: « Già da un triennio perlustrando annualmente, ma per pochi 565 della Società Geologica Italiana giorni purtroppo, la valle del Chiarsò nell'alta Carnia, scopersi al Monte Pizzul una importante località fossilifera del periodo carbo- nifero. Nei primi fossili trovati, parte in uno schisto ocraceo-quarzoso- micaceo, parte in un calcare nerastro molto analogo a quello a Fumiina del vicino Nassfeld, figuravano Molluschi : {Avicolo- ' pecten, Posidonomya , Murchisonia , Euomphalus, Orthoceras ); Brachiopodi : ( Productus , Spirifer) ; parecchie forme elmin- toidi : ( Elmintoidea , Tenidium ), di cui l’anno scorso si occupò, illustrandole, il eh. prof. Federico Sacco, e Grinoidi e Giclaridi. e Gorallarii. « Quest’anno, tornato sullo scorcio del passato luglio nello stesso luogo, potei mettere alla luce in due punti diversi una flora carbonifera chiusa in seno a schisti nerastri, argillo-micacei e rap- presentata dai generi : Pecopteris (tra cui abbondantissima la P. arborescens ), Neuropteris , Ciclopteris, Annidarla, Cordaites, Ga- lamites. « La ricchezza del deposito era così promettente di copiosa messe che, datane notizia al eh. sig. prof. Taramelli, questi dispose a che io in compagnia dei colleglli ed amici prof.ri Carlo-Fabrizio Parona e Luigi Bozzi ritornassi in sito per far nuovi scavi, onde arricchirne la collezione paleontologica della R. Università di Pavia. Ed anche questa gita, compiuta da poco più d’una settimana, non fu meno fortunata della prima, avendo avuto per risultato un abbon- dante bottino, oltreché di fìlliti, di numerosi resti animali pure carboniferi. « Della fortunata scoperta mi limito ora a dare questo breve cenno. Lo studio dei petrefatti raccolti e della stratigrafia della serie carbonifera carnica potrà dar materia ad un lavoro da com- piersi in seguito dopo nuove ricerche e con maggiori mezzi di quelli, di cui posso attualmente disporre ». Lo stesso segretario presenta da parte degli autori le seguenti memorie e note mandate per essere inserite nel bollettino: F. Sacco, Catalogo paleontologico del bacino terziario dei Piemonte. L. Mazzuoli, Rettifica di una citazione fatta dal sig. C. De Stefani. G. Ristori, Il bacino pliocenico del Mugello. 566 Adunanza generale Su quest’ ultima il socio Cocchi invitato dal Presidente, dice di averne già preso cognizione, ed espone alcune sue osservazioni in proposito, concludendo per la stampa della memoria. Il socio Scarabelli domanda se sarà inserita nel bollettino. Il Presidente risponde affermando. Tuccimei fa la seguente comunicazione sopra: Alcune recenti osservazioni sul Villa franchiano della Sabina. « Nella mia memoria sul Villafranchiano nelle valli Sabine inserita nel fase. I del bollettino di quest’anno, citai alcune specie d'acqua dolce ( Neritina , Valvata, Bythinia) rinvenute insieme a specie salmastre e marine, in una delle località più ricche del villafranchiano salmastro, cioè al fosso del Cannetaccio. Avendo sempre nutrito il dubbio che queste specie non fossero originarie del giacimento in cui si trovavano, mi diedi nella estate passata ad una ricerca diligente, la quale non tardò ad essere coronata da successo. Infatti in un punto di difficile accesso nella cava, - la quale del resto è soggetta a variazioni quasi quotidiane per l’ab- bondante estrazione di marna che vi si fa - rinvenni quelle specie in uno strato di tripoli giallastro dello spessore di 30 a 40 cen- timetri. Lo strato è sovrapposto alla marna fossilifera, perfetta- mente orizzontale e concordante con quella, e fa parte del num. 7 della sezione da me riportata (’) per quella località. È uno dei più recenti che ivi si vedono, e lo separa dal terreno vegetale un banco di marna turchina non fossilifera, di circa un metro di spessore. Il tripoli è finissimo, fa viva effervescenza cogli acidi, lasciando abbondante residuo con molte diatomee. Oltre ai molluschi con- tiene resti vegetali, cioè fusti schiacciati, e impronte di foglie. « La cosa più rimarchevole che ho osservato in quello strato, e sulla quale mi sembra di dover richiamare l’attenzione, è una grande quantità di Melanopsis nodosa Feruss, e M. buccinoidea Feruss. Avendo rinvenuto nella stessa località, negli strati immediata- mente sottoposti grande abbondanza di queste specie particolarmente della prima, unite a Chemnitzia , Ihjdrobia , Rissoa , Murex , Po- tami des Cardimi , Nassa ecc., non si può dubitare che ivi pro- sperassero in un ambiente salmastro, e a volte prettamente marino. f,1) Op. cit. pag. 102. 567 della Società Geologica Italiana Ora il trovarsi nel tripoli accompagnate a Neritìna, Planorbis , Vaivata ecc., bisogna concluderne che le condizioni delle acque essendo del tutto cambiate in progresso di tempo, le Melanopsis avessero ivi subito, precisamente in quel limite di tempo, il loro adattamento definitivo alle acque dolci, quello che tuttora con- servano. Ecco intanto la nota delle specie trovate nello strato in discorso : 1. Melanopsis nodosa Feruss. 2. » buccinoidea Feruss. 3. Vaivata piscinalis Miill. 4. Neritìna fluviatili L. 5. Planorbis umbilicatus Miill. = P. marginatus Drap. 6. Planorbis sp. ind. 7. Pisidium fossarinum Cless. = P. casertanum Poli var. pulchellum Bourg. = P. fontinale Pf. 8. Anodonta cfr. anatina L. 10. Bythinia tentaculata L. (qualche conchiglia e nume- rosi opercoli). « Di queste i numeri 5, 7, 8 non sono compresi nell’elenco publicato colla memoria citata di sopra. Al quale si deve pure aggiungere XEquus stenonis Cocchi, un premolare, il 2° o il 3°, superiore destro. Grosso dente non consumato, sul quale avrò occa- sione di tornare. Esso proviene dalle marne di Bocchignano, ed aggiunge importanze alla fauna dei mammiferi fossili di Sabina. « Con questi ultimi rinvenimenti l’elenco delle specie fossili villafranchiane di Sabina sale da 88 a 92. « Simile deposito d'origine lacustre trovasi anche nelle altre località già da me segnalate pel villafranchiano salmastro. Alla zona dei litofagi sotto Roccantica è visibile con notevole spessore, e con una roccia di colore più vivo, e di aspetto più grossolano. Ivi sono assai più rari i fossili, e non ricordo di avervi trovato che tracce di Planorbis e di Bythinia. Le abbondanti Neritine trovate dal Nardi in una cava abbandonata lungo il corso del Ga- lantina provengono da una formazione identica. « Da tutto ciò è permesso concludere che strati lacustri ca- ratterizzano sempre, o in tutto o in parte, il villafranchiano di Sabina. 568 Adunanza generale « Prendo l’occasione per esporre altri rinvenimenti interessanti, quantunque di specie già da me citate. E cioè: la Giandùia lu- nensis D'Anc. nelle marne di Castel S. Pietro; una intiera ma- scella inferiore di Cervus (ossa con molti denti) nella lignite della stessa località, con vari molari della superiore, in tutto 14 denti; una metà inferiore di radio destro di Cervus con tutte le super- fici articolari : un frammento dell’articolazione superiore dello stesso osso; un frammento dell’osso triquetro del carpo destro, pure di Cervus , tutti delle marne di Castel S. Pietro ». Meli presenta da parte del socio Clerici, una nota intitolata : Osservazioni geologiche fatte lungo la viaAurelia da Roma a Palo. Il Presidente Capellini presenta una nota sui Vertebrati tro- vati ad Olivola nelle Alpi Apuane, località che molti anni or sono fu visitata anche dal prof. Cocchi. Riferisce sulle specie che egli ha trovato in uno scavo fattovi a questo scopo, e cita l’opi- nione del Forsyth Major in appoggio dell’importanza che hanno quegli avanzi. Il socio Cocchi dice che ad Olivola la strada comunale è stata demolita e trasportata più lontano. Dice che oltre a Cervus e RhinoceroSj furono trovate altre specie, fra cui il Castor. Neviani riassume le osservazioni fatte nelle escursioni com- piute dalla Società dei giorni passati, e specialmente quelle relative ai terreni terziari. Espone brevemente come la serie delle rocce sedimentarie di una parte del Catanzarese rappresenta quasi tutti i piani del pliocene e del miocene, mancando solo il piano tor- toniano, giacché sotto il calcare ed il tripoli della zona gessosa, si passa alle arenarie del miocene medio. Non manca il quater- nario che è rappresentato da sabbioni rossi, sviluppati nel rione Baracche tino alla contrada Bellamena. Nota pure come le forma- zioni mioceniche sieno divise in due gruppi distinti, l’uno a sud, l’altro a nord di Catanzaro. Cortese parlando delle osservazioni fatte nei terreni anteriori al terziario, dice : « Ora che il collega Neviani ha descritti i terreni terziari 560 della Società Geologica Italiana da noi veduti nelle escursioni dei giorni scorsi, dirò brevemente dei terreni secondari e dei più antichi. « Osservammo, al Monte di Tiriolo, i calcari superiori, con- tenenti Ellipsactinie e Sphaer actinie, oltre a degli Idrozoi, e questi vanno riferiti al giurese superiore, ossia al titonio. Sotto a questi si ha un calcare rosso, che a sua volta passa ad uno infe- riore nerastro, cristallino. L’analogia litologica di queste due rispet- tivamente, con quelle a Posinoclomya alpina e quello ad Harpo- ceras opalinum . che vidi nel Messinese, mi hanno fatto riferire questi calcari al Malm e al Dogger, ossia al giurese medio e superiore. « Una zona di marne scistose rosse, forma il letto di contatto fra il secondario e gli scisti arcaici inferiori. “ Questi sono scisti neri, con venature di quarzo, che vedemmo sopportare, andando verso Gimigliano, i micascisti bianchi e gli gneiss mandorlati. Nella valle dell’Amato, si trovano anche le chinzigiti, ed essendo stati traversati da filoni granitici, si trova anche là quella formazione speciale detta da me, scisti di Pen- tono, e che sono le filladi traversate da numerosi flloncelli di pegmatite o di jalomicte. « L’insieme delle roccie che vedemmo a Gimigliano, forma una cupola che ha sollevato le filladi. Vi si trovano degli gneiss talco-serpentinosi, degli scisti epidotici, ma sopratutto le serpen- tine, le oficalci, e gli scisti verdi. Un mantello di calcari bianchi e rosati, cristallini, copre questa cupola e segna il contatto colle filladi. # Nelle filladi si trovano talvolta, come in Sicilia o presso Ge- race, in Calabria, dei filoncelli di solfuri metallici. Si disse che ve ne erano anche ad Àquabollita, presso Gimigliano, ma nè a me, in altra occasione, nè ora, coi colleghi che vennero in quella località, fu possibile constatare l’ esistenza di veri filoncelli. Non si può però negare che vi sia della galena disseminata in quelle roccie, e formata quasi per esudazione di esse. « Si sono poi veduti i calcari neri intercalati alle filladi, identici a quelli su cui sta il paese di Tiriolo, ed a quelli che stanno sulla strada che da Catanzaro scende alla fiumarella. « Un’altra callotta di gneiss occhiatini, coi micascisti bianchi, si vide alle Cadorelle, nel ritorno da Gimigliano, verso Gagliano. 570 Adunanza generale In quel punto .si ha una sella, dove il terziario si appoggia ai terreni antichi, ma guardando a sinistra, nella Fiumarella, si ve- dono ancora dei lembi del calcare titonico di Tiriolo, che continua al Galamione. ed oltre « Speciale menzione va fatta dei bellissimi porfidi, verdi o rossi, a bei cristalli di antibolo, che hanno traversato le fìlladi, e che si trovano specialmente intorno a Catanzaro, comparendo, o nelle due fìumarelle (Fiumarella propriamente detta e Musofalo) che ne circondano il colle, o sopra alla città, presso la Chiesa della Madonna dei Cieli ». Il Presidente aggiunge di aver notato la grande analogia che passa tra i terreni dei dintorni di Gimigliano e quelli di Bon- govay nell’isola di Anglesey. Annunzia poi che conforme alle deliberazioni del Consiglio, e alle dichiarazioni fatte nell’ ultima Adunanza generale tenuta in Bologna, il concorso al premio Molon essendo andato deserto, la Commissione nominata in proposito dal Consiglio, composta dei soci: Cocchi, Omboni e Scarabelli ha opinato che debba essere riaperto collo stesso tema. Proclama quindi aperto il secondo concorso al premio Molon, sul tema: Storia dei progressi della geologia in Italia dal 1860 al 1885. Il termine per presentare i lavori scadrà il 1° marzo 1892, il premio assegnato è di Lire 1800. Si procede allo spoglio delle schede inviate per la parziale rinnovazione dell’ufficio di Presidenza. Il Presidente incarica del- l’ufficio di scrutatori i soci Avanzati e Berti. Il risultato della votazione è il seguente: Votanti 50. Eletti: Vice presidente per l’anno 1890: Gemellar o prof. comm. Gaetano Giorgio con voti 39. Consiglieri pel triennio 1890-92: Cocchi prof. cav. Igino con voti 41 Scarabelli conte comm. Giuseppe » 41 Pellati comm. ing. Niccolò » 38 Mazzuoli cav. ing. Lucio » 37 della Società Geologica ' Italiana 571 Consiglieri per l’anno 1890, in sostituzione del socio defunto Mene- ghini, e del dimissionario Lioy: Canavari prof. Mario con voti 21 Neviani prof. Antonio » 19 Segretario pel triennio 1890-92: Meli prof. ing. Romolo con voti 40. Il Presidente dice che essendosi reso vacante l'ufficio di Archivista per elezione del socio Meli a segretario, propone ad Archi- vista il socio Tuccimei il quale alla sua volta cessa dall’ufficio di segretario. La Società approva per acclamazione. Si passa alla discussione del bilancio consuntivo 1888. Il socio Meli ne dà lettura. Esso è riveduto ed approvato dalla Commissione del bilancio, e per essa dal socio P. Zezi, come risulta da una sua lettera al segretario in data 31 agosto 1889. 572 Adunanza generale BILANCIO CONS ATTIVO 1. Quote di 5 soci pel 1886 L- 2. Quote di 28 soci pel 1887 ” 3. Quote di 173 soci pel 1888 ” 4. Tassa d’ammissione di 7 nuovi soci * 5. Parziale rimborso per spese di tavole da parte degli autori. » 6. Sussidio del Ministero di agricoltura e commercio. . . » 7. Interesse annuo del legato Molon " 8. Interesse di lire 90 di rendita 5 % " 9. Interesse del 2 7» % sul conto corrente alla Banca Romana « 10. Eccedenza attiva del conto 1887 * Totale L. Si deduce il passivo in « Eccedenza attiva L. 7{ 42( 2591 31 4: 120' 110 7 6 36 : 597 414 183 IL PRESID Ct. Capi Il Tesoriere Tommaso Ti Uoni della Società Geologica Italiana 573 13 E L 18 8 8 PASSIVO : tavole del Bollettino 1888 e arretrati (disegno e stampa) lettino 1888: stampa del testo 'idem » : stampa degli estratti 'idem « : incisioni in legno 'idem » : spese di spedizione stampa diplomi, schede, carte di riconoscimento, cil- iari ecc stampa statuto, regolamento ed elenco dei soci . esumo oggetti di cancelleria -se postali (esclusa la spedizione del Bollettino) . «grammi iti ferroviari Lggio del segretario ad Imola e Rimini per le adunanze svernale ed estiva irtificazioni all’inserviente ed al portiere .... 'Sa di manomorta «e diverse (vetture, regalie, marche da bollo). . . . Totale L. 1029 90 n 1705 ?» 366 ?? 72 ?? 135 93 ?? 185 ?» 93 »» 95 55 »? 143 65 ?» 26 60 ?» 22 71 »? 114 40 ?» 50 1 »? 55 44 »? 49 33 L- 4144 51 1 per la Commissione del Bilancio P. ZEZI. 574 Advnanza generale Il Consuntivo 1888 resta approvato dalla Società. Il socio Scarabelli (commissario del bilancio) domanda che negli anni avvenire sia pronto e proposto all’ approvazione della Società anche il bilancio preventivo. Il Presidente risponde che ciò di regola si fa nell’adunanza invernale e non prima, per non intralciare in qualunque modo l’azione del futuro presidente. Il socio Giordano prende la parola per esprimere da parte del Ministero d’ Agricoltura Industria e Commercio di cui è rap- presentante, e da parte di tutta la Società geologica, i più vivi rin- graziamenti per le accoglienze festevoli e per quanto il Municipio di Catanzaro ha fatto in questi giorni. Ricorda le cortesi premure delle quali sia i soci individualmente, sia la Società furono oggetto, nel rendere più comode e agevoli le escursioni, come pure nel faci- litare i lavori del Congresso. Egli poi deve al municipio e alla provincia di Catanzaro speciali ringraziamenti da parte del Mini- stero d’agricoltura per l’aiuto e l’interpretazione data nella esecu- zione della carta geologica. Una copia di questa che già è stata offerta dal Presidente della Società a nome del R. Comitato Geo- logico, dice di offrirla in prova di quello che si sta per fare. Il Sindaco di Catanzaro risponde ringraziando il R. Comitato geologico del pregevole dono che sarà gelosamente conservato dal Municipio. Dice che il Municipio è lieto di aver in qualche modo concorso all’importante opera della carta geologica. Ringrazia poi la Società geologica italiana dell’onore fatto alla Calabria e in particolare alla città di Catanzaro col preferirla nella riunione del presente anno. Prende per ultimo la parola il socio Canavari per ringraziare collettivamente tutta la Calabria, dell'interesse preso all’attuale Congresso. In modo speciale poi egli propone un voto di plauso ai Comuni di Marcellinara, Tiriolo e Gimigliano, per le accoglienze fatte alla Società, e per ogni sorta di facilitazioni in cui hanno largheggiato in questi giorni. Propone infine ringraziamenti all’in- faticabile Presidente e a tutta la Presidenza, non che ai soci Cor- tese e Neviani per avere preparato e concertato con grande attività tutto ciò che era necessario per la buona riuscita della riunione. La Società applaude; la seduta è levata alle ore 2,45 poin. 575 della Società Geologica Italiana La sera stessa i soci furono invitati al pranzo di congedo offerto dal municipio, e al quale assistevano tutte le autorità di Catanzaro, le rappresentanze del Comune e della Provincia, il Comizio agrario, la Camera di Commercio, la scuola d’ Agricoltura, la Commissione ordinatrice del Congresso, il Sindaco di Tiriolo, il Preside del R. Liceo, e vari altri ragguardevoli invitati. Ai brindisi parlarono il Sindaco di Catanzaro, l’assessore comu- nale sig. Laratta, il Consigliere delegato, il Presidente della Socieià geologica, i soci Canavari, Cortese, Cocchi, il cav. Jannoni. Alcuni soci ripartirono subito dopo il pranzo. Alla mattina susseguente, 27 settembre, i soci rimasti furono cortesemente invi- tati a colazione dal senatore Rossi, sindaco, dopo di che tutti si ponevano iu viaggio, conservando grato ricordo della cordiale e importante riunione. Il segretario G. Tuccimei. Escursioni dei giorni 23 e 26 settembre 1889. Nella prima escursione compita lunedì 23 settembre fin oltre Pontegrande, avemmo, agio di vedere tutti i terreni che dal quater- nario giungono al miocene inferiore ; ed infatti alla sommità delle colline sulle quali è fondata Catanzaro osservammo delle argille plioceniche prive quasi di fossili macroscopici, ricche invece di foraminiferi e di nuclei di pirite e di gesso, tanto da credere si tratti di un pliocene inferiore, e sincronizzante colle marne zonate studiate negli altipiani presso Tiriolo. Lungo la via di circonvallazione seguimmo quasi costante- mente il calcare giallognolo della zona gessoso-solfifera, con bel- lissimi interclusi di calcare bruno riccamente siliceo e frequenti tronchi di piante silicizzate; sotto la villa Margherita, ad oriente della città, vedemmo comparire i tripoli bianchi, leggerissimi del sarmatiano, che poggiano direttamente su strati concordanti di are- narie elveziane, lasciando così un hiatus per l’assenza completa del tortoniano. Un’ altra osservazione degna di nota, e messa in evidenza dall’ing. Cortese si è che tutti gli orti, che tanto ad oriente, quanto 37 576 Adunanza generale ad occidente circondano Catanzaro, sono su ripiani formati dal tri- poli, o dalla faccia superiore degli strati elveziani, come che il tripoli sia stata causa del disfacimento delle masse calcaree su- periori. Le arenarie elveziane a cemento calcareo, ricche di denti di squalidi ( Carcharodon producius Ag. ; Galeocerdo aduncus Ag. ; Lamia cuspidata Ag. ; Odontaspis contortidens Ag. sp. ; Oxy- rhina hastalis Ag. ; Ox. xypodon A. ; Sphyrna prisca Ag.) e di teleostei ( Chrijsophris cincia Ag. sp. ; Sargus Heberti Bass. ; S. incisivus Ger. ; S. ? Sioni ? M. Boni.) di ossa e zanne di Si- renoidi ( Metaxytherium ? sp.) si videro meglio nel rione Baracche, lungo la via percorsa fino alla caserma dei Cappuccini, notando che sotto dette arenarie evvi un conglomerato rosso a piccoli elementi, dello stesso piano, ove pure si rinvennero molti dei fossili ora accennati; i ciottoli di grossezza quasi uniforme sono per lo più traforati da litodomi, e portano aderenti balani e briozoi. Nella spianata poi dei Cappuccini, trovammo alcuni sabbioni rossi quaternari, che si estendono per buon tratto fin oltre il Cimitero. Dal Baraccone alla Madonna dei Cieli, sotto le arenarie del miocene medio, si videro dei grossi blocchi rotolati di rocce cri- stalline, specialmente kinzigiti, che poggiano direttamente sulle filladi e sui porfidi; sono forse un piccolo strato del miocene in- feriore, o meglio rappresentano un primo letto di formazione del miocene medio ; vedemmo pure spuntare sotto i sabbioni e conglo- merati quaternari dei lembi di marna pliocenica. Se il tempo che avemmo a nostra disposizione ce lo avesse permesso, oltre la Madonna dei Cieli si sarebbe potuto scendere lungo la via degli acquedotti, ove sono belle mollasse, che con- tengono un numero grandissimo di frustoli vegetali ; parte profonda del miocene medio, corrispondente alla mollassa ad ambra di Sca- ndio ed altre località dell’Emilia; non sono alieno dal ritenere, che anche in questa mollassa si abbiano a ritrovare dei noccioli di ambra, tanto più che in antiche tombe scoperte presso Criclii e studiate dall’ing. Giuseppe Foderaro, ove il miocene medio ha molto sviluppo, si rinvennero molti oggetti di ambra rossastra. Da Pontegrande fino a Janò: sabbie, arenarie, conglomerati, straterelli marnosi ed argillosi, distintamente stratificati, privi però 577 della Società Geologica Italiana di fossili, ci mostrarono in tutta la sua potenza il miocene infe- riore a nord di Catanzaro. Nella escursione fatta questa mattina, scendendo alla Fiuma- rella, rivedemmo le rocce già osservate nel recarci a Tiriolo ; oltre il dazio incontrammo le argille plioceniche, poi i calcari ed i tri- poli del sarmatiano ; quindi le arenarie ed i conglomerati con stra- terelli ricchissimi di Lithotamnium dell’elveziano, e finalmente il solito strato di grossi blocchi di rocce cristalline. Giunti, per il letto della Fiumarella, al Piede della Sala, e risalendo a Catanzaro, riosservammo tutta la serie in ordine in- verso; notammo infatti quel complesso di rocce tanto sviluppate a Pontegrande, giacché nella parte più bassa si videro delle are- narie e mollasse, sopportanti potenti conglomerati fortemente incli- nati a sud, e di nuovo rialzati a mezzogiorno in causa della faglia che passa a sud di Catanzaro e che fu così bene indicata dal- l’ing. Cortese. In tutta questa formazione furono assai scarsi i fossili raccolti, giacché solo il prof. Lovisato ebbe la combina- zione di rinvenirne alcuni presso il rione Fondachiello, e cioè poche orbitoidì una cor notula , alcune impronte mal conservate di cor- bula, sindosmia e di pavonia. Dal piano del Fondachiello verso la Fiumarella, la formazione in parola è data dalla seguente serie da me precedentemente misurata : m. 16 - arenarie silicee grigie, ferruginose, a straterelli alterni compatti e sciolti; m. 5 - arenaria grigia finissima con vene di calcare cri- stallino candidissimo, in straterelli ; m. 4 - breccia calcare, frammista a grossi ciottoli di rocce cristalline, specialmente serpentini, dioriti e graniti; m. 2 - finissimi straterelli di arenaria quarzosa; m. 1.20 - brecciuola calcarea a minuti elementi; m. 1.80 - mollassa a grana fina con particelle carboniose ; m. 15 - conglomerato a cemento arenaceo, con grossi massi angolari di calcare ceroide silicifero giallastro a frattura galestrina, unitamente ad altri di rocce cristalline diverse ; m. 1.30 - alternanza di arenarie con conglomerati a pic- coli elementi formati da rocce esclusivamente cristalline; m. 1 - arenaria grigio-scura grossolana; 578 Adunanza generale m. 1.50 - breccia calcarea compatta a minuti elementi; m. 3 - alternanza di arenarie silicee otìolitiche, con are- narie argillose scure, contenenti particelle carboniose; m. 2.50 - breccia calcare compatta, di elementi più gros- solani della precedente; questo strato poggia direttamente sulle roccie cristalline in posto rappresentate da filladi, con filoni di granito. Ritornando sulla via percorsa, ricorderò che presso il casello del dazio ci fermammo ad osservare i tripoli ove raccogliemmo molti campioni con abbondanti tracce di pesci e larve di libellule; terminando la gita rivedemmo il calcare solfifero e finalmente le argille plioceniche. Concludendo, ecco la serie cronologica delle rocce sedimen- tarie dianzi accennate: Sabbioni e conglomerati del quaternario ; argille del pliocene medio; calcari e tripoli della zona gessoso-solfifera ; arenarie e conglomerati a denti di pesci ecc., mollasse dell ' elveziano ; sabbie, arenarie ad orbitoidi, conglomerati, brecce ecc. del miocene inferiore. A. Neviani. 24 settembre. Gita a Marcellinara e Tiriolo. Si parte la mattina alle 7 da Catanzaro, e per la strada nazio- nale si scende alla Fiumarella, osservando il contatto, rappresentato da una zona di grossi blocchi di roccie cristalline, fra le arenarie elveziane e le roccie inferiori. Si ammirano i bei calcari cristallini, e granatiferi, che stanno tra le filladi, i filoni di porfido verdastro o rosso, presso il ponte della Fiumarella. Risalendo sulla destra di questa, si vedono i calcari silicei del Santinato, corrispondenti a quelli di Catanzaro, e poi le argille azzurre del pliocene medio, che di qui si estendono fino al mare. Si vedono aperte delle cave per pietrame da costruzione, nel cal- care, e sulle argille esistono varie fornaci per mattoni, tegoli, ecc. 579 della Società Geologica Italiana Discendendo poi al Corace, si ritrova il conglomerato caotico del pliocene inferiore, e sotto ad esso nn altro conglomerato a cemento più argilloso, con lenti argillose, che l’ing. Cortese dice doversi ascrivere alla zona gessosa solfifera, perchè in alcune località si trovano strati di gesso entro queste argille, fatto che non si ha nel conglomerato caotico suddescritto. 11 calcare siliceo, che forma un giacimento continuo, e molto inclinato verso sud-ovest, è messo a nudo dall’erosione, in due val- loncelli che scendono da Gagliano, e nella Valle del Corace. Risalendo di nuovo, sulla destra del Corace, si ritagliano i due conglomerati, finché in alto, si trova al monte di Scannassina, il pliocene superiore, sabbie gialle, posate sopra una stretta zona di argille azzurre. Poco più avanti, alle Pratora, si scende ad osservare le marne bianche a foraminifere, compatte, che vengono riconosciute come caratteristiche, e formano diversi lembi, in quelle vicinanze. La strada segue a salire fino sotto Tiriolo, e scende a Mar- cellinara, sempre nei due conglomerati, pliocenico inferiore e quello della zona gessosa, meno che in un piccolo tratto dopo il bivio di Tiriolo, ove appare il calcare e gli scisti della zona cristallina. Da Marcellinara, dopo pochi lembi di marne bianche, la strada prende ad attraversare dei gessi cristallizzati, e così, seguendola si arriva aH’imbocco occidentale della galleria che si sta costruendo per la ferrovia da Catanzaro a S. Eufemia Si entra in galleria, esaminando l’alternanza di gessi cristal- lini e saccaroidi, e di argille gessifere, in cui è scavata. Fra gli ammanimenti di pietrame, e fra la pietra da taglio in posto, si ammirano i calcari bianchi cristallini, e le bellissime chinzigiti (scisti micacei granatiferi). I primi provengono dalle cave prossime al paese di Miglierina, e le seconde da quelle prossime al paese di Amato o dai blocchi rotolati dal fiume omonimo, che passa vicino a questo imbocco della galleria. L’ing. Cortese ci informa che non sempre le chinzigiti sono così dure e compatte, come sono qui, o a Pizzo o ai paesi di Pai or- miti, ecc., al sud di Catanzaro, ma che al nord, verso la Sila, sono veri micascisti granatiferi, poco compatti. Da questo imbocco, si passa all’altro, sotto Marcellinara, dove si trovano ancora i gessi, ma si vedono anche delle argille piene 580 Adunanza generale di Congerie e di Pisiclium , vere rappresentanti della zona a Congerie. Questa sottile zona fu trovata dal Cortese, che di questa sco- perta aveva già dato annunzio in una nota pubblicata nel Bollettino del R. Comitato Geologico, e di essi sotto forma di estratto, ha fatto un presente ai Soci convenuti. A Marcellinara ha luogo una lauta refezione, in casa dei sig. Au- gelli, dopo la quale ci si rimette in cammino, per ritornare a Ti- riolo. Di là si sale immediatamente al Monte, dove si visita il locale del nuovo osservatorio. Il monte è costituito interamente di calcare. Alla base il cal- care è nerastro e cristallino, verso il mezzo è un calcare compatto rosso, bellissimo, verso la cima si ha un calcare bianco, con qualche venatura rossa, molto variato di grana, e che forma tutto il ver- sante orientale del monte, perchè tutti questi calcari pendono for- temente ad est. Il calcare bianco contiene Sphaer actinie ed FAlipsactiniej per cui è da ascriversi con sicurezza al giurese superiore (Titonio). Le altre due varietà di calcare verrebbero, per analogia litologica, non contenendo essi fossili, riferiti, il primo al giurese inferiore (Dog- ger), il secondo al medio (Malm). Di ritorno a Tiriolo, ebbe luogo un sontuoso pranzo. Pernottazione a Tiriolo. 25 settembre. Da Tiriolo a Girnigliano e a Catanzaro. Si parte la mattina alle 7 da Tiriolo, seguendo la strada nazionale, che corre al piede orientale del monte. Si osserva una zona di marne scistose rosse, che rappresentano il contatto fra le filladi e i calcari nerastri del giurese, che formano la base del monte. All’estremità nord del Monte, si lascia la carrozzabile e si prende la strada mulattiera. Si vedono le filladi, e i micascisti bianchi, ad esse sovrapposti, che passano alla parte superiore a gneiss mandorlati (augengneiss). Discendendo si trova la fìllade tipica, ossia gli scisti neri, traversati da fìloncelli di quarzo bianco. 581 della Società Geologica Italiana Il prof. Canavari, nella speranza di rinvenire qualche fossile in quegli scisti, che il Cortese dichiara presiluriari ed azoici, si trattiene lungamente, ma invano, a spezzarne in molti punti e ad esaminarli minutamente. Osservate le parti grafitose, e l’ insieme della formazione, il Presidente dichiara di riconoscere, in questi scisti, una grande rassomiglianza con quelli dell’isola di Anglesey, che sono del Cam- briano, epoca cui effettivamente il Cortese intendeva prima rife- rire le filladi, ma ora, per avervi trovato sopra i micascisti bianchi, i gneiss mandorlati, gli scisti granatiferi, e tutti i graniti della Sila, propende a ritenerli arcaici, e riferibili ai calcescisti delle Alpi che si trovano negli stessi rapporti colle stesse roccie. Arrivati al fiume Corace, si trova la grande massa di scisti verdi di roccie epidotiche e di serpentine con oficalci, che costi- tuiscono il monte di Gimigliano. Da quelle roccie si estraggono bei marmi perdi o verdastri, adoperati molto a Catanzaro per farne gradini, soglie di porte, finestre ecc. ecc. Il capitano Agazzio, ed il sig. Soluri, proprietario di una cava di questi marmi, vengono ad incontrare i geologi, per avere il loro giudizio su di quelli. Tutti sono concordi nel lodare la bellezza di quelle roccie, e fanno voti perchè possano essere fatte conoscere anche nelle grandi città, come Napoli, Koma ecc., dove sarebbero assai apprezzati. Dopo una lauta refezione a Gimigliano, alcuni soci (Sorniani, Cortese, Meli, Tuccimei) dietro richiesta di alcuni signori di Gi- migliano e delegati dal Presidente, si recano ad una località, sul versante orientale del Monte di Gimigliano, dove si annunziava la presenza di filoni di galena argentifera. Il resultato della visita fu negativo, quale già era stato otte- nuto altra volta dall’ing. Cortese. Partendo da Gimigliano, si osservano dei bei marmi color car- nicino, appartenenti ad una zona di calcari cristallini che sta fra gli scisti verdi, inferiori, e le filladi. La strada seguita a scen- dere, negli scisti verdi serpentinosi e nelle serpentine, fino al ponte sul torrente Melito, e poi risale, fino ad incontrare ancora la zona dei calcari. Qui il Cortese fa osservare che la massa di roccie ser- pentinose, con quelle epidotiche, cogli scisti verdi, forma una cupola 582 Adunanza generale della Società Geologica Italiana completa, che lia sollevato le filladi, e fu poi secata dal fiume Corace e dal torrente Melito. Il prof. Meli scende nel fiume ad osservare una segheria di marmi. Il resto della comitiva prosegue verso Catanzaro ; e si osservano i calcari neri intercalati alla fillade, identici a quelli dei dintorni di Catanzaro, poi i gneiss della regione Codorelle, che formano una callotta sopra le filladi ; poi i conglomerati del miocene infe- riore, che scendono, a destra nella valle del Corace, a sinistra in quella della Fiumarella. Si trovano poi, molto estesi, i conglome- rati del pliocene inferiore, poi i calcari silicei di Gagliano, indi le argille azzurre, colle quali si ritorna al Sansinato, ritornando sulla strada di Catanzaro, dove si rientra alle 5 di sera. 26 settembre. Gita alla Fiumarella, al Piede della Sala, e ritorno a Catanzaro. Si tornano ad osservare le roccie traversate dalla strada, fino al Ponte sulla Fiumarella, e lungo questa si traversano ancora diverse volte, finché, presso la Sala, si vedono le arenarie a stra- terelli e le arenarie grossolane del miocene inferiore. Queste arenarie si ritrovano ancora sulla strada che mena alla Marina di Catanzaro, e qui il Cortese spiega come in quel punto corra una faglia, che ha posto a contatto brusco col miocene infe- riore, le argille del pliocene medio, che si estendono poi fino al mare. Nella fiumarella S. Agostino, o Musofalo, che cinge il colle di Catanzaro a levante, si raccolgono campioni di porfidi verdi, rossastri e rossi. Si risale poi a Catanzaro, rivedendo i conglomerati a macchie rosse, le arenarie elveziane, i tripoli, di cui si raccolgono molti campioni, e finalmente il calcare siliceo, rientrando in Catanzaro verso le 11 antimeridiane. E. Cortese. 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Ancylus fluviatilis Muli. 113. » lacustris (L.). 113. Anodonta cfr. anatina L. 567. » cfr. Bronni d’Anc. 123. Anomia ephippium L. 122. Antozoi. 312. Apetale. 293. Apigi. 328. Arca diluvii Lanik. 122. Ascomiceti. 290. Asifonidi eteromiari. 333. * » monomiari. 329. » omomiari. 333. Asteroidei. 323. Astiano. 88. Avvoltojo nel peperino laziale. 490, 562. B Bacino pliocenico del Mugello. 455. Balanus sp. 125. Basalto 204. Basidiomiceti. 290. Bibliografia geologica del Catanzarese. 583. » sui manufatti laziali. 530. Bilancio consuntivo del 1888. 572. Bocchignano. 97. Bos sp. 105. Brachiopodi. 328. Briozoi. 326. Bucca L. 369. Bythinia tentaculata L. 120. C Capici I. 52. Calamariee. 289. Capellini G. 13, 273, 278, 545, 560. Cardium edule L. 123. » rusticani Chemn. 123. » tuberculatum L. 123. Caroonifero nell’alta Carnia. 564. Carychium conforme de Si 113. n minimum Muli. 113. Castel S. Pietro pr. Poggio Mirteto 98. Castor fiber L. 40, 104. » plicidens Major. 105. ìì rosinae Major. 104. Castoro. 273 Catalogo paleontologico terziario del Piemonte. 281. Catanzarese (geologia del) 133, 439. Catanzaro. 555, 568, 576. Caverna ossifera di monte Cucco. 274, 558. Celenterati. 311. Cerithium mediterraneum Desìi. 116. » vulgatum Brug. 116. Cervo 272, 517, 519. Cervus capreolus L. 519. » elaphus L. 519. r> etueriarum Cr. et Iob. 105. Chama gryphoides L. 124. Chemnitzia nitidissima (Moni). 121. 594 Indice alfabetico del voi. Vili. Chetopodi. 32G. Cimini. 375. Cimino (monte). 3G9. Clausilia sp. 113. Cloroficee. 289. Cocchi I. 568. Coccodrillo. 558. Collerosa. 99. Colli (i) Monregalesi. 59. Colline di Santa Maria. 439. Comitato (r.) geologico. 547. Commemorazione di G. Meneghini. 1G. Commissione del bilancio pel 1889. 12. » per le pubblicazioni. 12. Conglomerati. 215. Conifere. 291. Corbula yibba 01. 125. Cori ni M. 58. Cortese E. 555, 5G8. 582. Cratère albano. 513. Crinoidei. 323. Cyclostoma eleyans Muli. 114. Cylichia trincata Ad. 114. Cytherldea Mallevi Must. 125. D Deecke W. 375. De la Noe G. 159. De Margerie. 159. Dentalium entalis L. 122. De Stefani C. 2G3, 279. Diabase. 204. Dialipetale. 297. Dicotilcdonee. 293. E Echinodermi. 323. Echinoidei. 323. » irregolari. 321. » regolari. 323. Elenco dei soci pel 1889. 5. Elephas cfr. meridionali s Nesti. 105. Elveziano. G2. Elezioni parziali del 1889. 570. Equisetinee. 291. Equus. 519. Equus stenonis Cocchi. 5G7. Ervilia N ardii de St. 125. Escursioni della soc. geol. 575, 578, 580, 582. Euechinoidei. 323. F Fanerogamo angiosperme. 292. Fanerogame gimnospermc. 291. Farfa (valle del). 97. Felci. 290. Feoficee. 289. Filicinee. 290. Fioridee. 289. Foramiriiferi di Roccantica. 129. Foresti. 269. Formazioni limitanti il pliocene del Mugello. 458. Formazioni quaternarie del Mugello. 487. Fornace di Castelnuovo. 100. Fornace Ensebi. 99. Forn asini C. 130. Forsyth Major C. 39. Fosso del cannetaccio. 101. Fossili del Mugello. 479. Funghi. 290. Fusus cfr. crispus Bors. 115. G Gabbro. 197. Galantina (valle del). 100. Gamopetale. 301. Gasteropodi. 34G. Geologia e topografia. 159. Gimigliano. 5G9, 580. Gimnolemati. 32G. Gimnospermc. 291. Giordano F. 574. Gianduia luncnsis (d’Anc.), 113. Indice alfabetico del voi. Vili. 595 Gnetacee. 292. Graminidoe. 292. Granito. 213. Guardavalle. 136. Gyps fulvus I. F. Gm. 522, 563. H II eli x fabarensis Tucc. 108. » Fuc lisi de St. 108. » obvoluta Miill. 108. » planospira Lamie. 111. » sabina Tucc. 111. » vermicularia Bon. 108. Ilyppopotamus major Cuv. 106. Ily alina nitidula Drap. 113. » olivetorum Gin. 112. Ilydrobia coarctata Tucc. 119. » Melii Cler. 119. » procera (May.). 118. >? slavonica Brus. 120. -•) ulvae (Penn.). 118. I Idroidi. 322. Idromeduse. 322. Ioncinee. 293. Iridinee. 293. Issel A. 58. L Lago mugellese. 482. Lamellibranchiati. 329. Lignite del Mugello. 477. Liliinec. 293. Limnaea auricularia L. 114. Lithodomus lithophagus L. 125. Liti stidi. 311. Impaccinoli (m). 146. Luvito (m). 146. M Macco d’Anzio. 506. Macco di Palo. 507. Maramosca. 139. Marcellinara. 578. Marne plioceniche presso. Cotrone. 561. Mazzuoli L. 58, 280. Melanopsis buccinoidea Fér. 117, 566. » / lammulata de St. 117. » nodosa Fér. 116, 566. Meli R. 40, 529, 562. Meneghini G. 17. Meneghini G. (Elenco delle pubblica- zioni). 31. Mercalli G. 426. Messiniano. 84. Molluschi. 329. Molluscoidi. 326. Monactinellidi. 311. Monasterace. 144. Monocotiledonee. 292. Montacuta bidentata Montg. 123. Monte Amiata. 406, 409. Monte Venere. 377. Montopoli in Sabina. 99. Mugello. 455. Mar ex conylobatus Mich. 116. » Pecchiolianus d’Anc. 116. » scalar is Br. 115. » torularius Lamie. 116. » trunculus L. 115. N Nassa bollencnsis Tourn. 115. » prismatica Br. 115. » semistriata Br. 115. » reticolata L. 115. Natica olla de Serr. 121. Neritina fluviatilis (L.). 121, 567. Nevi ani A. 158, 453, 561, 568, 578. Nonionina comunis d’Orb. 129. 596 Indice alfabetico del voi. Vili. 0 Odostomia terelellum (Phil.). 121. Olivola. 271, 568. Orografia pliocenica del Mugello. 465. Ostrea cornucopiae Lamk. 125. » lamellosa Br. 122. P Paleofitologia. 289. Paleoicnologia. 288. Paleozoologia. 302. Pantanelli D. 43. Pecten hyslrix Dod. 266. Pecten varius L. 122. Peperini laziali. 495. Peridotite. 189. Perrando Deo Gratias. 56. Pelricola lithophaga Retz. 125. Piacenziano. 84. Pisidium amnicum (Muli.). 124. » fossarinum Cless. 567. » fossile Sacco. 124. » priscum Fieli w. 124. Placofori. 347. Planorbis corneus L. 114. » Rossmàssleri. Awers. 114. » umbilicatus Muli. 567. Pleurapigi. 328. Pliocene umbro-sabino. 357. Ponte di Roccantica. 101. Potamides bicinclum (Br.). 116. » mamillatum (Riss). 116. Premio Molon. 39, 570. Prosobranchi aspidobrancbi. 348. « ciclobranchi. 347. » ctenobranclii. 351. Protozoi. 302. Psammobia tellinella Lamk. 124. Pteridofiti. 290. Pyxis Mng. 267. » pyxidata Br. 264. R Radicofani (lave di). 426. Raphitoma brachystomum (Phil.). 114. n nana Se. 114. Rettifica di una citazione. 279. Rhinocerus etruscus Falc. 106. Ricciardi L. 401, 406. Rinoceronte. 272. Rissoa cfr. antiqua Bon. 118. » Ekrembcrgii Pliil. 118. » inconspicua Aid. 117. » oblonga Desm. 118. » parva (Da Costa). 118. Ristori G. 489. Rizopodi. 302. Roccantica. 102. Rocce eruttive dell’eocene apenninico. 175. » » loro distribuzione. 249. » n rapporti colle rocce se- dimentarie. 239. Rocce plioceniche del Mugello. 469. » sedimentarie dell’eocene apen- ninico. 179. » vulcaniche dei dintorni di Vi- terbo. 401. Rotalia Beccarii L. 129. S Sacco F. 93, 356. Sahariano. 89. Samos (isola di). 39. San Valentino. 99. Sauriano nelle argille scagliose del Mo- denese. 43. Scafopodi solenoconchi. 346. Scrobicularia cottardi (Payr.). 124. » plana Da Costa. 125. Sequenza G. 46. » elenco delle publicazioni. 52. 597 Indice alfabetico del voi. Vili. Sifonidi integripalliati. 337. » sinupalliati. 342. Soci perpetui. 4. Soverato. 135. Spugne. 311. Stalioa prototgpica Brus. 120. Succinea Pfeifferi Bossm. 113. T Talamofori imperforati. 302. » perforati. 302. Tallofìti. 289. Tapcs decussata L. 121. Tavoleria (m.). 138. Terni (conca di). 360. Terrazziano. 91. Terren/.i G. 360. Terziario da Stalletti al fiume Stilaro. 133. Tetractinellidi. 312. Tiriolo (monte di). 569. Tommasi A. 564. Tongriano. 60. Tortoniano. 83. Tracce storiche nei peperini laziali. 524. Tuccimei G. 45, 130, 358, 566, 575. Tufi. 215. Urne laziali a capanna. 524. Ursus priscus Goldf. 277. » spelaeus Blum. 41. Y Yal Corsaglia. 65. Valle delle Moline. 71. Val Mongia. 64. Valvata Bronni cl’Anc. 121. » piscinalis (Milli.). 121. Venus islandicoides Ag. 124. Vermi. 326. Verri A. 174, 438. Vertebrati fossili di Oli vola. 271. » » nei prodotti laziali. 516. Vertigo pygmaea (Drap.). 113. Vico (cratère di). 371. Villafranchiano nelle valli Sabine. 95, 358, 566. Vivipara ampullacea (Bromi.). 120. Vulcani laziali. 490. » viterbesi. 369. W Williams L. F. 409. u z Ufficio di Presidenza pel 1889. 3. Un'io batavus Nils. 122. Zoantarii. 312. Zona dei litofagi. 1C1, 567. INDICE SISTEMATICO DEE VOL. Vili. Ufficio di Presidenza per l'anno 1889 Soci perpetui Elenco dei Soci ordinari per l’anno 1889 Commissione per le pubblicazioni » del bilancio pel 1889 Adunanza generale tenuta in Bologna Nomina della commissione del bilancio G. Capellini. — Commemorazione del socio G. Meneghini. Pubblicazioni del prof. G. Meneghini Partecipazione congressi e premio Molon Forsyth Major. — Comunicazione Sopra i mammiferi fos- sili dell'isola di Samos R. Meli. — Comunicazione Su' mammiferi fossili delle ghiaje quaternarie dei dintorni di Roma . . . . D. Pantanelli. — Comunicazione Sui resti di un satinano nelle argille scagliose di Gombola Deliberazione circa la sede dell’adunanza estiva. . . . I. Cafìci. — Commemorazione di G. Segucnza Elenco dei lavori pubblicati da G. Seguenza A. Issel. — Commemorazione di D. Pensando Deo Gratias . . . L. Mazzuoli. — Commemorazione di M. Corini F. Sacco. — I colli Monregalesi (con 1 tav.) G. Tuccimei. — Il villa franchi ano nelle valli Sabine (con 1 tav.). A. Neviani— Contribuzioni alla geologia del Catanzarese (con 1 tav.) A. Verri. — Geologia e topografia C. De Stefani. — Le rocce eruttice dell'cocene supcriore nell' apennino L. Foresti. — Del genere Pyxis Mng. c di una varietà di Pyxis p y x idata Br. (con 1 tav.) G. Capellini. — Sul giacimento di vertebrati fossili a Olivola nelle Alpi Apuane Id. — Sulla scoperta di una caverna ossifera a Monte Cucco . L. Mazzuoli. — Rettifica di una citazione fatta dal sig. C. De Stefani F. Sacco. — Catalogo paleontologico del bacino terzi ario del Piemonte A. Verri. — Note a scritti sul pliocene umbro-sabino e sul vulca- nismo tirreno A. Neviani. — Contribuzioni alla geologia del Catanzarese . . Pag. » » » « » V » » » J) rr ?) n » » » 'A JJ » rr » » 3 4 5 12 ivi 13 15 16 31 38 39 40 43 45 46 52 56 58 59 95 133 159 175 261 271 271 279 281 357 438 Indice sistematico del voi. Vili 599 G. Ristori. — Il bacino pliocenico del Mugello Pag. 455 E. Meli. — Sopra i resti fossili di un grande avvoltojo (Gyps) racchiuso nei peperini laziali . . . : »> 490 Adunanza generale tenuta in Catanzaro il 23 settembre 1889 . . >» 545 Discorso inaugurale del Presidente » ivi » del Sindaco di Catanzaro » 550 Lettera del socio F. Castracane »> 551 E. Cortese. — Spiegazione della carta geologica del Ca- tanzarese ?» 555 Adunanza del 25 settembre !» 559 » del 26 settembre » 560 Neviani A. — Comunicazione Sulla scoperta di marne fo- gliettate con pesci e tripoli nel pliocene .... »! 561 Meli R. — Comunicazione Sul rinvenimento dei resti fos- sili di un grande avvoltojo racchiuso nel peperino laziale » 562 Tommasi A. — Comunicazione Sulla scoperta del carbo- nifero al monte Pizzùl nell'alta Carnia .... »» 564 Tuccimei G. — Comunicazione su Alcune recenti osserva- zioni sul Villafranchiano della Sabina » 566 Neviani A., Cortese E. — Riassunto delle escursioni . . »» 568 Proclamazione del 2° concorso al premio Molon ... »> 570 Votazione per le elezioni » ivi Bilancio consuntivo 1888 » 572 F. Giordano, M. Canavari. — Discorsi di chiusura ... »» 574 A. Neviani. — Escursioni del 23 e 26 settembre »» 575 E. Cortese. — Escursione del 24 settembre » 578 Id. — Escursione del 25 settembre »» 580 Id. — Escursione del 26 settembre » 582 Bibliografia geologica del Catanzarese » 583 Parte prima. — Geologia, geognosia, mineralogia etc. . ») 584 » seconda. — Sismologia » 590 Indice alfabetico del voi. Vili » 593 i La Società geologica italiana tiene due adunanze ordinarie all’anno ; l’una invernale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- stinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una adunanza ordinaria, e pagare una tassa annua dì L. 15, e una tassa d’entrata di L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al- Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle Adunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci e ai reso- conti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno inviate alla Presidenza, e per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste domanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il prezzo a carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 3 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 20 l’uno, Meno il voi. IV (1885) che si vende L. 30. Ai librai ò accordato uno sconto da convenirsi. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 10 l’uno indistintamente. — Per l’acquisto diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. Jt ? INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. G. Capellini. Sul giacimento di vertebrati fossili a Olinola nelle Alpi apuane Id. Sulla scoperta di una caverna ossifera a monte Cucco L. Mazzuoli. Rettifica di una citazione fatta dal sig. C. l)e Stefani F. Sacco. Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte A. Verri. Note a scritti sul pliocene umbro-sabino e sul vulganismo tirreno A. Neviani. Contribuzioni alla geologia del catanzarese G. Ristori. Il bacino pliocenico del Mugello . . . R. Meli. Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio ( Gyps) racchiuso nei peperini laziali . . . . Adunanza generale della Società geologica italiana te- nuta in Catanzaro Relazioni delle escursioni Bibliografia geologica del Catanzarese Indice alfabetico del vol. Vili Indice sistematico del vol. Vili pag. 271 » 274 * 279 « 281 » 357 « 439 » 455 » 490 « 545 « 575 » 583 » 593 » 598 \