da LOTTA anne THE NEW YORK AGADEMY OF SCIENCES. BOLLETTINO DEL _R COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA 1913-14 — Anno XLIV TER S a à hi È cei È » 1918-14 — Anno XLIV BOLLETTINO DEL , COMITATO GEOLOGICO | Db. ON I D'ITALIA VOLUME QUARANTAQUATTRESIMO di (4° della V Serie) "a N.1a4 ROMA TIPOGRAFIA DITTA LUDOVICO CECCHINI 1915 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1913-14 (Volume quarantaquattresimo, o quarto della 5* Serie) NOTE ORIGINALI. Pag. | BASSANI F. — Sopra un pesce fossile degli scisti calcareo-marnosi triassici del Galletto presso Laveno sul Lago ae a humalis ESner)z(conslttavola) pt one 30010] È CASSETTI M. — Appunti geologici su alcune regioni della Capitanata, dellIr- pinia e dell'Abruzzo Chietino ed Aquilano . . . . co ne dlo CREMA C. — Osservazioni PR nei dintorni di Cogne Varano (M. ; GIESINO e. : A Se gg 323 GORTANI M. — Revisione del TT eelogico nel nucleo Sa carico: (1913) ene o, a sota 000) si Lotti B. — Relazione sulla campagna alorica dell AMOR _Ip. — La trachite ST della Tolfa e i fenomeni metallogenici ad essa collecatino,. eri Acad RR ge LO! i D. — Sulla questione del terziario i dell ansa RA AIA a IRAP IA TATA) (fo) al ovisaTto D. — Undicesimo contributo echinodermico con nuove specie di Clypeaster del Miocene medio Sardo (con 1 tavola). . . ..... 179 MoDERNI P. — Note geologiche su la catena dei Lepini e degli Ausoni e sul promontorio Circeo. . . . È } 61 NovARESE V. — Il rilevamento EE dolle RESTI di ig e Si Nebida. Nota preliminare . . . . ORARI cia: 20 — Il Quaternario in val d’Aosta e doll valli del Canavese. Parte II: Il ghiacciaio wirmiano della Val d'Aosta (con 1 tavola). . . . . . 203 PARONA C. F. — Notizie paleontologiche sui terreni attraversati col pozzo i trivellato della Scuola di Agricoltura presso Tripoli . . .... . 115 PULLÉ G. — Il pozzo trivellato di Soleminis (circondario di Cagliari). . . 327 SABATINI V. — Gli ultimi risultati sullo studio della catena dei Puys d’Al- vernia, con considerazioni sulla prismazione delle lave . . . . . . 121 Ip. — Note sul terremoto di Linera dell'8 maggio 1914 (con 1 tavola) . . 245 Ip, — La dislocazione del Giglio (contribuzione allo studio del cratere di Ma 815 ni L'eruzione di Sakurajima del gennaio 1914 (con 5 tavole) . . . . 401 IMOTOMAI H. — Ricerche morfologiche sulla conca di Bolsena; con prefa- fegpnon divi (Sabatuni (con a\tavole) di 0. ol. i. «135 Pag. Toso P. — Contributo allo studio dei giacimenti cinabriferi del Monte Amiata 157 Vinassa P. E. — Ordoviciano e Neosilurico nei gruppi del Germula e di i Lodin (relazione della Campagna geologica del 1913) (con 1 tavola) . 295 ZaccaGNaA D.— I dintorni di Brescia e la Pietra del Botticino (con 2tavole) 351 Necrologie: Igino Cocchi (A. IsseL) (con ritratto). Dante Pantanelli (C. F. PARONA) (con ritratto) . Giovanni Strùver (F. ZAMBONINI) (con ritratto) . Bibliografia geologica italiana per il 1912. Fascicoli 1°, 2° e 4°. ( Veggasi l'indice alfabetico alla fine della Bibliografia). ATTI UFFICIALI. Nomine nel R. Comitato geologico . PERSO R. Comitato geologico. Verbale dell'adunanza del 2 giugno 1913 . Relazione al R. Comitato geologico sui lavori eseguiti per la Carta geo- logica d’ Italia nel 1912 e proposta di quelli da eseguirsi nel 1913-14 Appendice alla relazione precedente . . . . . % A xxIMI R. Comitato geologico. Verbale della riunione dell’ 8 8 giugno 1914. SE ev Relazione sui lavori di campagna e d’ufficio eseguiti nel 1913 e proposta Z di quelli da eseguirsi durante l’anno finanziario 1914-15. . . . xxxvu INDICE DEI FASCICOLI. Fascicolo 1°: Note originali. Bibliografia. O RO EOS RI ATE OO GIA ir ar e ee I e e O E RE I Fascicolo 2°: Note originali. Bibliografia Atti ufficiali Fascicolo 3°: Note originali. | Fascicolo 4°: i Note originali Bibliogratia 81-156 69-114 XXII-LIMI 157-334 335-425 115-154 * Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia Serie V, Vol. IV. Amni 1913. 1914. | Fascicolo 1° Bi Replies a IGINO COCCHI Il Prof. Igino Cocchi, scienziato eminente e cittadino beneme- rito, del quale deploriamo la perdita, nacque il 27 ottobre 1827 a Terrarossa (Massa Carrara) da famiglia originaria di Firenze, e ben presto manifestò spiccata inclinazione per le scienze naturali, che assunse un indirizzo più speciale mentre studiava presso l’Università di Pisa e in particolar modo dopo la laurea, da lui conseguita nel 1852 Da principio egli fu nominato aiuto del Prof. Paolo Savi, il quale, quantunque zoologo illustre, aveva pure esercitato il suo versatile ingegno nelle indagini geologiche. Popo dopo, scambiò tale ufficio con quello di aiuto di un altro suo maestro da lui venera- tissimo, Giuseppe Meneghini, che insegnava nell’Ateneo pisano geo- logia e mineralogia. Ben presto, persuaso che difficilmente sarebbe riuscito a com- pletare la sua preparazione scientifica rimanendo confinato nell’am- biente assai circoscritto delle scuole italiane, ebbe vaghezza di vi- sitare alcuni istituti scientifici stranieri, e specialmente di profittare degli insegnamenti impartiti da alcuni celebri geologi francesi ed inglesi. Perciò si trasferì a Parigi, ove rimase due anni, poi anche a Londra per minor tempo. Credo che durante il suo soggiorno in Francia egli abbia elabo- rato e dato alle stampe la sua prima memoria geologica « Description des roches ignées et sédimentaires de la Toscane », comparsa nel vol. XIII del « Bulletin de la Société Géologique de France ». Nel 1859 incominciò la sua carriera d’insegnante colla nomina di supplente di Geologia presso l’Istituto di studi superiori è di perfezionamento di Firenze. Colla prova felicissima da lui fatta in 2 NECROLOGIA questo nuovo ufficio, egli si cattivò la stima e la lode così dei col- leghi come degli alunni, e conseguì meritatamente, trascorso il primo anno, la nomina a professore ordinario. Espositore elegante e forbito, seppe anche praticamente im- partire ai giovani istruzioni efficacissime (le sue lezioni orali sulla geologia dell’Italia Centrale furono raccolte e pubblicate dal Puini e dal Mariani). Inoltre, si occupò con solerzia di accrescere e riordi- nare le collezioni affidate alle sue cure. Disgraziatamente, mentre le rare doti d’insegnante e di scienziato da lui spiegate avevano rag- giunto la maturità, abbandonò la cattedra per assumere la direzione della società marmifera d’Arni (Versilia), e tenne questo ufficio fino al 1879. Nel novembre 1866 la Commissione reale incaricata di predi- sporre la partecipazione dell’Italia alla esposizione internazionale di Parigi instava acciocchè il Ministero d’agricoltura e commercio si adoperasse a far compilare una carta geologica del Regno nella mag- gior scala possibile, ciò a tempo debito perchè potesse figurare nella sezione italiana della mostra bandita per l’anno successivo. Fu il Prof. Cocchi la persona prescelta per tradurre in atto questo desi- derio; e a lui si deve, se, combinati e coordinati gli insufficienti ed eterogenei materiali editi ed inediti raccolti all’uopo, si potè costruire una carta alla scala di 1:600,000, atta a daze una idea approssima- tiva della costituzione geologica delle province settentrionali e medie del Regno e di qualcuna anche del mezzogiorno, tentativo certamente assai migliore di quello dovuto a Giacinto Collegno, il quale risale al 1846. Lo stesso Prof. Cocchi si accinse intanto, per mandato del Mi- nistero, a formulare un progetto inteso ad istituire un corpo di te- enici, i quali, sotto la direzione di un Comitato scientifico, avrebbe dovuto provvedere alla costruzione di una grande carta geologica sufficientemente particolareggiata per conto dello Stato. In base al suo disegno ebbero origine l Ufficio e il Comitato geologici. Mentre, una sezione speciale del R. Corpo delle Miniere forniva i rilevatori, NECROLOGIA 3 il Comitato doveva essere composto di cinque membri versati nelle discipline geologiche; per l’ufficio di presidente, il Ministero designò il nostro lagrimato collega, cui si riserbava inoltre l’incarico di prov- vedere di persona al rilevamento dell’isola D'Elba. Di poi egli si oc- cupava pure, personalmente, di addestrare i nuovi geologi operatori, conducendoli seco sul terreno, nell'isola d’ Elba e nei dintorni di Firenze. Sotto la direzione del Cocchi ebbe poi principio la pubblica- zione del Bollettino e delle Memorie del nostro Istituto. Il primo volume di questa raccolta, comparso nel 1871, contiene una introdu- zione ricca di dati storici intorno ai principali Istituti e Comitati geolo- gici e un cenno geologico dell’isola d'Elba, dettati dal presidente. Uno dei lavori capitali del nostro compianto collega è la « De- scrizione geologica dell'Isola d’Elba », che costituisce il primo vo- lume delle « Memorie del R. Comitato Geologico ». Sia nel testo, sia nella carta geologica che l’accompagna, l’autore riassume le osser- vazioni dei suoi predecessori e in ispecie di Paolo Savi e le coor- dina colle proprie. L’opera è preceduta da uno schizzo geografico dell’isola, e contiene, oltre alla rassegna stratigrafica particolareg- giata dei terreni, una descrizione esauriente dei campi ferriferi, cor- redata di preziose indicazioni pratiche intorno alla ricchezza e alla estensione dei singoli giacimenti. Per conseguire l’intento di attribuire ai terreni dell’isola da lui illustrata il posto che loro spetta nella scala eronologica, compito che la mancanza di fossili rende assai arduo nella pluralità dei casi, il Cocchi ebbe a ricorrere spesse volte ad opportuni raffronti tra i terreni dell'Elba, e quelli della Maremma Toscana, delle Alpi Apuane, dei promontorî che limitano il golfo della Spezia, ece. a Nel campo della geologia stratigrafica, prescindendo dalla sù strazione dell’isola d'Elba, si debbono ricordare gli studi del Cocchi sulla Val di Magra, ove segnalò, tra i primi, le traccie lasciate da antichi ghiacciai, nonchè nuovi lembi fossiliferi. Nella sua nota sul granito di Val di Magra chiamò l’attenzione dei geologi sulla singo- lare associazione di un granito tipico, di serpentina e di macigno, 4 . NECROLOGIA da lui osservata nella cupola di Tresano, associazione già segnalata in parecchi punti dell’Appennino e di grande importanza in ordine alle relazioni cronologiche e genetiche esistenti fra le tre forma- zioni. In quella sul titonico fece conoscere un deposito contenente belemniti rinvenuto nella Valle Gordana. La memoria sul Monte Argentaro, Cosa e Orbetello comprende sezioni geologiche assai pregevoli, e sagaci osservazioni sulla forma- zione degli istmi sabbiosi che connettono il detto monte alla terra- ferma, nonchè sulle vicende della laguna interposta fra questo e quella. Inoltre, reca dati descrittivi e considerazioni che accusano come l’autore fosse versato anche nelle questioni concernenti l’ar- cheologia locale. Alla geologia applicata egli recò pregevoli contributi colla pub- blicazione di notizie concernenti i marmi italiani, la loro escava- zione e il loro commercio, con una relazione sui materiali estrattivi e le mappe esposti nella pubblica mostra di Torino, durante il 1862, e, più recentemente, con studi sulla sorgente di Sangemini e intorno ad una trivellazione eseguita a Montecatini-Bagni (fu questo l’ultimo suo lavoro di carattere geologico). Il nostro collega, tra i primi in Italia, apprezzò adeguatamente, i problemi concernenti le reliquie dell’uomo primitivo e le relazioni che intercedono fra queste e i documenti archeologici e paleontolo- gici. Fin dal 1864 iniziò indagini nella grotta di Venerano, fra le Alpi Apuane, e additò la via che fu poi felicemente seguita dal Dott. Regnoli. Lungo il litorale livornese dell’ Ardenza esplorò con buon esito la Buca delle Fate, antica sede e sepolereto di trogloditi. Raccolse poi numerosi manufatti nelle stazioni preistoriche della Toscana, e pubblicò un catalogo di quelli conservati in una ricca collezione, che è ora passata a far parte del Museo nazionale d’An- tropologia di Firenze. Nella memoria « L'uomo fossile nell’Italia centrale » pubblicata nel 1867 dalla Società Italiana di Scienze naturali, il Cocchi diede una descrizione magistrale di un cranio umano scoperto alla profon- dità di 15 m. in un deposito stratificato post-pliocenico dell’Aretino, ut — NECROLOGIA e precisamente nella località denominata 1'Olmo. Oltre al fossile, che è oggetto precipuo del suo lavoro, e ad altri avanzi rinvenuti nelle vici- nanze, egli illustrò con parecchie sezioni e raffronti il giacimento che li conteneva e trasse dal proprio studio conclusioni esaurienti, di ca- pitale importanza in quei tempi. « L'uomo adunque, egli scrisse, abitò le sponde di quelle acque dell’antico lago (cioè che occupava l’altipiano antico), le vide scaricarsi in mare per vie oggi impossibili, coabitò la regione insieme agli ele- fanti, a’ cervi, a’ cavalli e ad altre specie perdute. Egli fu testimone delle correnti diluviali, vide come asportassero e come abbandonassero i materiali giù per le valli e sulle pianure; fu testimonio dei cambia- menti orografici di quell’epoca tanto studiata e sempre arcana tanto ». Fra i suoi lavori paleontologici, oltre al principale intorno al- l’uomo fossile dell’Olmo, e ad alcune note sullo stesso argomento, meritano di essere citati una pregevole monografia dei pesci fossili pertinenti alla famiglia dei Pharyngodopilidae, la descrizione di due specie di scimie fossili (una delle quali rinvenuta nel giacimento mio- cenico di Monte Bamboli e l’altra nel pliocene del Val d'Arno), e quella di nuovi fossili della valle di Chiana. Al principio della sua carriera, il Cocchi fece lodate conferenze popolari, svolgendo argomenti più 0 meno affini alla materia che pro— fessava. Alcune di queste, concernenti l’origine dei combustibili fossili, le proprietà e l’uso dei medesimi, le connessioni fra le scienze mo- rali e le naturali furono pubblicate a Milano nella raccolta intitolata « La scienza del popolo ». Fra i suoi più applauditi discorsi sono da ricordarsi quelli fatti in occasione del giubileo del suo diletto maestro Giuseppe Meneghini, ed altri letti per l’inaugurazione delle riunioni della Società geologica Italiana a Savona, nel 1887, e a Lucca, nel 1895. Commemorò Quintino Sella, rendendosi interprete efficacis- simo del rimpianto suscitato in Italia per la morte dell’insigne scien- ziato e statista. Negli ultimi tempi, si dedicò precipuamente a la- vori d’indole letteraria. Allorchè, nel 1902, si recò a Pietroburgo quale componente del Congresso geologico internazionale, ebbe agio di visitare alcune provincie dell'impero russo e, fra le altre, la Fin- 6 NECROLOGIA landia che produsse impressione profonda sull’animo suo, per la ci- viltà, la coltura e la cortesia degli abitanti. I ricordi della sua perma- nenza in quel paese furono riassunti in un bel libro dedicato al popolo italiano e al finlandese « perchè, sono sue parole, i due popoli sappiano stimarsi ed amarsi a vicenda ». Si tratta non già di una relazione ordinata, ma di osservazioni esposte con molto garbo e sa- gacia intorno alle condizioni sociali, ai costumi, ai miti, alle supersti- zioni, e direi quasi alla psicologia locale !. Non mancano istruttivi raffronti fra agricoltori finlandesi e i toscani, quali poteva farli chi era come lui competentissimo agronomo e profondo conoscitore delle condizioni sociali vigenti nella valle dell'Arno e specialmente nel- l’Aretino. Più tardi egli consacrò gran parte della sua attività ad un opera, la quale, scrive Domenico ‘Ciampoli « avrebbe disperato il più audace ». Alludo alla traduzione in versi italiani sempre perspicui e corretti, talvolta eleganti ed armoniosi, del celebre poema nazionale dei Finni denominato Kdlevala, testè pubblicata in due volumi (Kalevala poema finnico, versione italiana di Igino Cocchi. Firenze, 1913). Non è a dire come questo lavoro abbia richiesto lunga e intensa prepara- zione, non solo per giungere al possesso della lingua, tanto difficile per gli italiani, ma ancora per rendersi famigliari la letteratura, i costumi, i miti finlandesi, senza di che il compito non poteva essere assolto. Fra le benemerenze del Cocchi è giusto tenere buon conto della circostanza che fu fondatore e primo presidente (nel 1868), quindi socio a vita della sezione fiorentina del Club Alpino italiano. Appar- teneva in qualità di corrispondente alla R. Accademia dei Lincei ed era insignito della commenda della Corona d’Italia. Nel 1887 pre- siedette la Società Geologica Italiana. Si occupò, come dissi, della industria marmifera, e di poi rappre- sentò gli azionisti delle R. Miniere e Fonderie di ferro in Toscana, ufficio che gli diede agio di estendere ed intensificare lo studio ! La Finlandia, Ricordi e Studi. Firenze, 1902. i NECROLOGIA 7 dei territorî pertinenti alla così detta Catena Metallifera. Egli era assai versato in quanto si riferisce all’economia agricola dell’ Aretino, ove possedeva una fattoria. Dopo aver sofferto di una leggera bronchite, e mentre pareva guarito, il nostro collega cominciò a deperire e ad accusare un insolito malessere. Consigliato dai suoi famigliari e sperando ristabilirsi si recò, nello scorso agosto, a Livorno presso una delle figliuole. Ma, appena arrivato, lo colpì uno svenimento che fu per lui presagio di prossima fine. Egli desiderava che la morte non lo cogliesse fuori di casa; perciò divisò di ritornare a Firenze, e si stava preparando alla partenza, quando lo assalse un nuovo malore, cui soccombeva il 13 agosto 1913. Ben preparato al passo supremo, l’aspettava sere- namente, rassegnato ai destini della Provvidenza. Della vecchiaia e delle sue inevitabili infermità non muoveva lamento, e quasi si com- piaceva dell’energia fisica e intellettuale che la grave età non gli aveva tolta. Era piacevolissimo nel conversare per la vasta coltura, l’arguzia e l’umore giovanile; in politica professava sentimenti libe- rali, scevri da ogni intolleranza. Lasciò alla famiglia formali prescrizioni che accusano i sentimenti religiosi da cui era compreso, e confermano come fosse alieno dal fasto e da ogni vana parvenza. I suoi funebri furono perciò sempli— cissimi, come desiderava; il rimpianto suscitato dalla morte di quel- l’uomo dabbene, che tutti altamente stimavano e molti amavano, li rese commoventi e solenni. Era, in tutta l'estensione del termine, retto, integro, sincero e buono, e dai modi cértesi, schietti, impro 1- tati di benevola cordialità, traspariva il suo animo gentile. Il Comi- tato e I Ufficio geologico, di cui fu tanto benemerito, porgono alla sua memoria il più affettuoso e reverente omaggio. A. ISSEL. 8 NECROLOGIA ELENCO DELLE PRINCIPALI OPERE DEL PROF. I. COCCHI 1) Description de roches ignées et sédimentaires de la Toscane. (Bul. Soc. Géol., t. XIII). — Paris, 1855-56. 2) Notizie generali sulla natura dei marmi italiani, sulla loro escavazione e commercio. (Giornale dell’ Ingegnere Architetto ed Agronomo). — Mi- lano, 1862. 3) Monografia dei Pharyngodopilidae, nuova famiglia di pesci labroidi. — Firenze, 1864. 4) Sulla Geologia dell’Italia Centrale: lezioni orali raccolte e pubblicate da Puini C. e da Mariani A. — Firenze, 1864. 5) Lettere su di un sepolereto umano scoperto in Firenze. (La Nazione, n. 148 e 153). — Firenze, 1864. 6) Sulla supposta antichità delle società umane nell’Italia centrale. (La Na- zione, 13-14 giugno). — Firenze, 1864. i 7) Di alcuni resti umani e degli oggetti di umana industria dei tempi prei- storici raccolti in Toscana. (Mem. Soc. It. di Se. Nat., T. I). - Milano, 1865. 8) Relazione sulle mappe, carte, combustibili fossili, sali, solfo, marmi ed altri oggetti consimili esposti nella pubblica mostra che ebbe luogo in 'l'orino nel 1862. — Torino, 1865. 9) Sulla costituzione geologica dell’ Alta Val di Magra. (Atti della Soc. Ital. d. Sc. Nat. Vol. VIII Fase. IV). — Milano, 1865. 10) Sulla Geologia dell'Alta Valle di Magra. — Milano, 1866. 11) L'Uomo fossile nell’Italia Centrale. (Mem. Soc. It. di Se. Nat., Tomo II). — Milano, 1867. 12) Cenno sui terreni stratificati dell'Isola d’ Elba. (Boll. del R. Comitato Geologico d’Italia, vol. I, pag. 39-70). — Firenze, 1870. 13) Di un lembo di terreno titonico in Val di Magra. (Boll. del R. Comitato Geologico d’Italia, vol. I, pag. 235). — Firenze, 1870. 14) Del granito di Val di Magra. (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol. I, pag. 229). — Firenze, 1870. 15) Note geologiche sopra Cosa, Orbetello e Monte Argentario nella prov. di Grosseto. (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol. I, pag. 277). — Firenze, 1870. ca # è NT £ Ure Agr? e n LIS NECROLOGIA 9 16) Della vera posizione stratigrafica dei marmi saccaroidi delle Alpi Apuane. (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol. 29, pag. 113). — Firenze, 1871. 17) Descrizione geologica dell'Isola d'Elba. (Mem. per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia, vol. 1°). — Firenze, 1871. 18) Lettera al presidente della Società mineraria lucchese per le Alpi Apuane. — Lucca, 1871. 19) Su di due scimie fossili italiane. (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol. 3°, pag. 59-71). — Firenze, 1872. 20) Del terreno glaciale delle Alpi Apuane. (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol, 39, pag. 187-196). — Firenze, 1872. 21) Raccolta degli oggetti dei così detti tempi preistorici. — Firenze, 1872. 22) Nuovi fossili del Vingone in Val di Chiana. (Atti Soc. tosc. Se. nat., Proc. Verb. Vol. IV). — Pisa, 1884. 23) L'uomo dell’Olmo. (Atti della R. Accademia Petrarca di Scienze, lettere ed arti. Vol VII, pag. 1-2). — Arezzo, 1887. 24) Sunto bibliografico per la geologia d’Arezzo. (Atti della R. Accademia Petrarca di Scienze, lettere ed arti. Vol. VII, p. 1-2). - Arezzo, 1887. 25) Condizioni fisiche e geologiche dei terreni della Garfagnana. (Relaz. della Commiss. incaricata dello studio di un nuovo acquedotto fiorentino). — Firenze, 1893. 26) Di uno scheletro di Elephas antiquus trovato presso Arezzo (sunto). (Boll. Soc. Geol. Ital., Vol. XIV). — Roma, 1895. 27) L’uomo fossile dell’Olmo in prov. di Arezzo. (Boll. di Paletnologia ital., S. IMI, T. 39). — Parma, 1897. 28) La sorgente di Sangemini. Studio geo-idrologico. — Terni, 1898. 29) Su di una trivellazione a Montecatini-Bagni. (Giorn. di Geol. prat.; Anno V, n. 1, pag. 1-14). — Perugia, 1907. 30) La Finlandia. Ricordi e Studi. — Firenze, 1912. 31) Kalevala. Poema finnico. 2 vol. — Firenze, 1913. NO:TEXO REGIENALI Ing. B. LOTTI RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 UMBRIA FoGLIO 131 (Tav. Foligno) La continuazione del rilevamento della tavoletta alla scala di 1: 50.000 di Foligno e specialmente del quadrante N.0. di questa dette luogo alle seguenti osservazioni: Presso Vescia, a circa quattro chilometri a N E di Foligno nella zona della formazione arenaceo-marnosa che corre da sud anord sulla sinistra del Topino le marne con pteropodi ed altri piccoli fossili sono comprese fra calcari a foraminifere (Lepidocicline ed altre) che vi stan sopra e pochi strati di marne dure con selce che vi stan sotto e fanno passaggio alla scaglia argillosa o cinerea dell’Eocene inferiore la quale, a sua volta, riposa sulla scaglia rossa calcarea. Tale condizione stra- tigrafica delle marne a pteropodi è lungi dal costituire un’ eccezione nella formazione arenaceo-marnosa dell’ Umbria. Essa, invece, pur non escludendo la possibile esistenza di zone marnose fossilifere in livelli superiori, costituisce un fatto frequentissimo e direi quasi ge- nerale. Così troviamo marne con pteropodi e gasteropodi, ritenuti di specie mioceniche, alla base della formazione marnoso-arenacea im- mediatamente sopra le marne dure con selce nera, a Piediluco, a Val Fabbrica, a Fossato, a Visso e altrove, come fu da me esposto in varie note sulla geologia dell'Umbria. 12 ING. B, LOTTI Alle varie pieghe rovesciate che si accavallano da ovest verso est nei monti che fiancheggiano la valle del Menodre e di cui feci cenno altra volta !, succede ad ovest presso Foligno un’anticlinale pur essa rovesciata verso oriente, ma rotta nella sua gamba inferiore per una faglia inversa. Il nucleo di questa anticlinale è costituito dai calcari del Lias inferiore che dal Sasso di Pale si stendono in linea meridiana verso sud fino a Trevi e poco più oltre nel monticello di Bovara, dove sono abbondantemente fossiliferi 2. Presso Santi Cancelli la massa liasica del M. Aguzzo, che fa parte di quest’ anticlinale, fu spinta sopra una sinclinale di scaglia rossa cretacea, ma a brevissima distanza, più a sud, si sovrappone ad alcuni strati di calcare neocomiano che insieme a pochi scisti a fucoidi for- mano il ramo superiore rovesciato della sinclinale accennata. Presso Scopoli pure il Lias inferiore fu spinto sopra il Neocomiano rovesciato. La sinelinale di scaglia si segue più a sud fino a Manciano alle Corone, e qui l’anticlinale ribaltata, che accavallasi, su di essa presenta nella gamba rovesciata la serie completa dal Lias inferiore al Cretaceo. Foglio 123 (Tav. Assisi). Sulla geologia e sulla tettonica della cupola mesozoica del M. Subasio fu da me fatto un cenno nel vol. XXXI del Boll. della Società geologica Italiana, in occasione del congresso di Spoleto da me pre- sieduto, e ne fu fatta più ampia descrizione dall’ing. Fiorentin in questo stesso Bollettino 3. Mi limito pertanto a trascrivere alcune note raccolte in occasione del rilevamento eseguito da me e dal prelodato ingegnere. Il M. Pietrolungo è costituito di calcare grigio con venature nere che sembrano dovute alla presenza di fucoidi e questo calcare infatti fa parte della zona degli scisti e fucoidi. ! Rilevamento geologico dell’alta Valnerina. (Boll. Comit. geol. n. 1, 1900). ? Vedi C. F. PARONA. Sulla fauna e sulla età dei calcari a megalodontidi delle cave di Trevi(Spoleto). (Atti della R. Accad. Sc. di Torino, vol. xLI, 1906). ® L. FIORENTIN. Il Monte Subasio. (Boll. Comit. geol. n. 4, 1912). finita MT RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 13 Sopra Gabbiano sulla destra del fosso Renaro è assai sviluppato il Lias superiore costituito qui da calcari conglomeratiformi, ad e- lementi rossastri e grigi, ricchi di ammoniti, e da strati sovrapposti scistosi, giallastri con specie di ammoniti diverse da quelle dei pre- cedenti. Nei primi si raccolsero le seguenti specie, determinate dal prof. Parona: Phylloceras Nillssoni (Heb.). Ph. doderleinianum (Cat.). Hildoceras (Lillia). Mercati (Hauer). Dumortieria Meneghini (Zitt.). Pernoceras subarmatum (J. et B.). Hammatoceras Victorii (Bon.). Nei secondi: Catulloceras Dumortieri (Thioll ). Nell’alto della stessa valle, sempre sulla destra, sotto Fonte Bre- gna, vi sono cave di pietra litografica ora abbandonate. Gli strati che contengono la pietra spettano al Domeriano e son compresi fra la zona dei calcari del Toarciano ed i calcari bianchi del Lias medio. La parte superiore è formata da scisti rossi, calcari conglomerati- formi come quelli di Gabbiano e con ammoniti delle stesse specie, scisti grigi e rossicci con piccole Posidonomie; la parte inferiore è for- ‘mata da calcari grigio-chiari con selce, ammonitiferi, cui s’inter- pongono straterelli rossastri e macchiettati pure ammonitiferi. Le ammoniti degli strati bianchi sono di specie diverse da quelle degli strati rossastri ed appartengono al Domeriano, cioè ad un piano in- termedio tra il Lias superiore e il Lias medio, come risulta dal se- guente elenco di specie, determinate anche queste dal proî. Parona: Arieticeras retrorsicosta (Opp.) » algovianum (Opp.) Hildoceras boscense (Regn.) Harpoceras cornacaldense ( Tausch) ? Allo sbocco della valle del Renaro, presso Collicello, comparisce uno spuntone di Lias inferiore, in forma d’antielinale, ricoperto da un po’ di Lias medio sulla destra e da tutta la serie superiore sulla sinistra. 14 o ING. B. LOTTI Alle osservazioni generali sulla tettonica, esposte nella nota s0- pra accennata, possono aggiungersi le seguenti: Tra M. Pietrolungo e il Lago Ja faglia che vi si manifesta sembra essere una doppia faglia o faglia a fossa (Grabensenkung), la quale porta gli scisti a fucoidi, aventi la stessa inclinazione del calcare neo- comiano, più bassi di questo. Presso Fonte Bregna comparisce altra faglia presso a poco sullo stesso allineamento la quale pure porta gli scisti a fucoidi più in basso del Neocomiano sulla pendice S O del Subasio. Per la via da Assisi a S. Ruffino la scaglia rossa si appoggia di- rettamente al Neocomiano per faglia e questa faglia si segue fino al Fosso delle Carceri dove si osserva la scaglia in brusco contatto con una parete di calcare neocomiano in strati quasi orizzontali. Appres- sandosi al Santuario delle Carceri si notano altre faglie che mettono in contatto diretto il Neocomiano cogli strati diasprini giurassici e que- sti col Lias medio e superiore che qui è assai sviluppato ed ammoni- tifero. Di tali fenomeni si osservano sezioni naturali sulla parete de- stra del Fosso delle Carceri. FoGLIO 116 (Tav. Fabriano) e 123 (Tav. Gualdo Tadino): Presso Colbassano nei dintorni di Fossato di Vico gli stati che racchiudono piccoli letti di lignite picea, di cui fa cenno il Bettoni fanno parte della formazione marnoso—-arenacea e*sono costituiti da alternanze di marne e strati arenaceo—micacei con tutti i passaggi tra le due rocce. Il combustibile, benchè di buona qualità, non ha al- cuna importanza per la sua insignificante quantità. Sono stratarelli lenticolari di qualche centimetro di spessore, interposti alle marne micacee di passaggio. Le rocce che li racchiudono sono marne, come lo dimostrano certe piccole bivalvi marine mal conservate che vi si osservano. Risalendo il fosso di Carvoli si nota che la stratificazione 1 A. BeTTONI. Sugli affioramenti di lignite e di scisti bituminosi nel Co- mune di Fossato di Vico. Perugia 1902. ID) se a. e RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 15 da orizzontale, presso Colbassano, diviene fortemente raddrizzata. La formazione si mantiene uniforme fin quasi a Fossato dove si fa passaggio da questa alla scaglia cretacea per mezzo della scaglia ci- nerea dell’ Eocene inferiore. Come quasi dappertutto nell’Umbria anche a Fossato e in tutta la zona al piede S O della catena secondaria del M. Cucco si passa dalla formazione arenaceo-marnosa alla scaglia cinerea per mezzo delle caratteristiche marne dure con selce nera. I due punti dove questo passaggio può esser osservato e studiato nel miglior modo sono tra la stazione ferroviaria di Fossato e il borgo, e nel fosso Doria presso Si- gillo a monte della strada provinciale. A Fossato, presso lo svolto della strada rotabile fra la stazione e il borgo, alla scaglia cinerea formata di scisti marnosi grigio-verda- stri che, per mezzo di strati della stessa natura ma colorati in rossa- stro e in verde, passano alla scaglia rossa calcarea, succedono, senza un limite preciso, marne scistose bacillari e poi, sempre risalendo la serie, marne dure senza selce segregata ma molto silicee, cui si asso- ciano strati isolati di circa 20 cent. d’un’ arenaria speciale, a mine- rali verdi e rossi, caratteristica, e quindi una ‘zona di marne con pteropodi. Tutta questa serie di passaggio può avere uno spessore massimo di circa 50 metri. Al disopra di questa serie fa seguito la for- mazione di arenarie e marne del fosso di Carvoli con tracce di lignite, più sopra descritta. Anche qui adunque, come alla Vesdaia presso Fo- ligno, le marne a pteropodi trovansi alla base della formazione arenaceo-marnosa e fanno passaggio concordante e graduale alla scaglia. Anche a Costacciaro sulla stessa zona al piede ovest della catena del M. Cucco, trovansi le solite marne dure immediatamente sopra la scaglia cinerea e su queste Je marne a frattura concoide! con pteropodi. Lo stesso fatto si verifica presso Fabriano nelle colline sulla de- stra del torr. Giano. Quivi pure la formazione arenaceo-marnosa passa concordante e per gradi alla scaglia cinerea e contiene pteropodi in quantità. L’arenaria associata alle marne dure, che si ritrova quasi dap- pertutto, dove esse compariscono, alla base della formazione arenaceo- Rai Not TA AE ERI ITA PORRO LA 1 INTE À RIORACIZA cao Di AR IS 16 ING. B. LOTTI marnosa, è, come dissi, caratteristica, e meritevole di essere petrogra- ficamente analizzata. Il collega ing. Franchi che ne fece lo studio mi riferisce quanto appresso: E°’ un arenaria a cemento calcare zeppa di foraminiferi (alveo- line e globigerine). Gli elementi da cui risulta cosituita. sono: 1.° — I più abbondanti: elementi di color verde e verde-gialla- stro, presentanti talora polarizzazione di aggregato, coi caratteri della glauconia e della clorite compatta. Alcuni elementi verdi sono chiara- mente di clorite, altri di serpentino. 2.° — Seguono per abbondanza elementi di feldispati sodico- calcici, il più sovente in frammenti angolosi, di rado in elementi com- pleti e in microliti. I primi sono talora cireondati da materiale ferru- ginoso. 3.° — Elementi di anfibolo verde intensamente colorato. 4.° — Elementi d’olivina talora profondamente alterati e li- monitizzati. 5.° — Oligisto e magnetite. 6.° — Altri elementi indeterminabili causa lo spessore delle lamine. Presso Sigillo la serie di passaggio dal basso_all’alto è la seguente: 1.° — Scaglia argillosa variegata che fa seguito alla rossa cal- carea sottostante. 2.° — Idem grigio—giallastra. 3.° — Marne scistose bacillari dure. 4.° — Marne dure silicee con tracce di fucoidi e strati di are- naria a glauconia (arenaria speciale sopra descritta). 5.° — Marne tenere concoidali con qualche piccolo fossile.. 6.° — Marne scure tenere a sfaldatura concoidale. A questa serie che, anche qui non supera lo spessore di 50 m., fa seguito superiormente la formazione arenaceo-marnosa costituita da marne e grossi strati d’arenaria. Tanto qui, come nella sezione di Fossato e altrove, la concordanza e la continuità fra gli strati delle diverse rocce è perfetta e non vi ha traccia di formazioni clastiche originatesi coi detriti delle formazioni RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 ar preesistenti, come si verifica, ad esempio, nell’ Aquilano, dove si ha altresì discordanza marcata fra un terreno litologicamente analogo a questo dell'Umbria e le formazioni sottostanti. Nell’Aquilano questo terreno isotipico è, a quanto pare, riferibile al Miocene o tutto al più all’Oligocene, mentre nell’Umbria deve, al- meno in parte, attribuirsi all’Eocene perchè sottostante alle argille scagliose con strati nummulitici, come vedremo più oltre. Probabil- mente la ragione della diversa età di questa formazione isotipica nelle due regioni dovrà ricercarsi nel fatto che la facies del Cretaceo dell’ Um- bria e delle Marche è diversa da quella degli Abruzzi; di mare relati- vamente profondo nel primo caso, di scogliera nel secondo. Probabil- mente dall’Eocene inferiore (scaglia cinerea e calcari nummulitici equi- valenti) al Miocene si formò su vaste regioni della nostra penisola un deposito elastico isotipico, (formazione arenaceo-marnosa), ma mentre nell’Umbria, nelle Marche ed altrove più a nord, comprese le prealpi lombarde e parte di quelle venete, tale deposito fu continuo dal- l’Eocene inferiore in su fino al Miocene, nell’Aquilano ed in altre parti degli Abruzzi vi fu un’emersione durante l’Eocene medio e su- periore, per cui mentre abbiamo la continuità del deposito isotipico e la sua concordanza coll’Eocene inferiore nel primo caso, abbiamo discontinuità e discordanza nel secondo. Questa diversa condizione di cose e le conseguenze che ne deri- varono sono sintetizzate nella qui unita Fig. 1. Facies umbra a Mare miocenico_ 3 NI Mare eocenito do Dep.cretacei di mare profon Fig. 1. 18 ING. B. LOTTI La linea di divisione fra le due facies del Cretaceo, che potremmo chiamare rispettivamente settentrionale e meridionale, va dai dintorni di Tivoli verso l’Aquilano; dirigesi poi un poco a sud di Ascoli Piceno, lasciando nella facies umbra la Montagna de’ Fiori; penetra nell’ Adria- tico ove limita ad est la facies meridionale della Dalmazia e dell’Tstria e volgendo a N O corre a separare le due facies nei monti del Bellunese. Questa linea di divisione fra le due facies del Cretaceo sembra appunto segnare la separazione fra la formazione arenaceo-marnosa eocenica concordante e continua sulla scaglia cinerea dell’Eocene inferiore e la formazione della stessa natura, ma forse miocenica od oligocenica, discordante e discontinua sui terreni sottostanti. La scaglia rossa e rosea della vallecola delle Lecce, tra Fossato e Sigillo, racchiude tracce di bivalviindeterminabili, fucoidi e Taonurus. Tra la scaglia rossa, quasi intieramente calcare roseo presso Sigillo, e gli scisti a fucoidi vi è sempre un certo spessore di circa 50 m. di scaglia bianea, ossia di un calcare bianco avente la stessa tessitura e la stessa frattura della scaglia rossa. Presso Costacciaro la scaglia rossa è formata da calcare roseo sottilmente stratificato con letti di selce che alternano con zone di strati di scaglia bianca. Gi scisti a fucoidi della valle del Fosso delle Lecce racchiudono strati di scisti bituminosi !. Nella valle di Fossa Secca che scende a Costacciaro essi sono rappresentati da calcari varicolori sottilmente stratificati con strati di selce nera. Mancano i veri scisti argillosi va- riegati. Nella Valle di S. Pietro Orticheto, ad est di M. Cucco, affiora ampiamente il terreno giurassico colla solita facies scistoso—diasprina e calcarea. Esso sta sotto il calcare neocomiano, che costituisce la roc- cia principale e le principali alture della catena, e sembra sovrapporsi direttamente al calcare ceroide del Lias inferiore. Questo calcare con- tenente i soliti gasteropodi di quel periodo geologico forma gran parte della costa orientale del M. Cucco. '1 Vedi BETTONI l. c. 7 RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 } 19 L’apparente sovrapposizione diretta del calcare neocomiano e de- gli strati giurassici al calcare del Lias inferiore sembra dovuta ad una faglia che sarebbe la continuazione di altra che manifestasi nel modo più evidente nel fosso delle Rocchette nel versante tirreno della montagna. La sezione del Monte Cucco e della sua pendice occidentale tra Sigillo e la Scirca presenta tutta la serie secondaria ed eocenica dqal Giurassico alla formazione marnoso-arenacea. L’inclinazione degli strati verso S O è generalmente forte, ma nella sezione in parola dagli scisti a fucoidi in su è addirittura verticale ed anche leggermente in- vertita nella formazione arenaceo-marnosa, come indica la sezione quì unita, Fig. 2. M. Cucco ne $ 1g, e Ss DI} vl, drÉ ia | dt SIT ///} E; TI, Fi 7 o MG L, & Fig. 2. — dt, detriti di falda - «1, formazione arenaceo-marnosa - 114, marne dure con selce nera - sc, scaglia cinerea e argillosa - sr, scaglia rossa - sf, scisti a fucoidi — ne, calcare bianco (maiolica) neocomiano —- g, scisti, diaspri e calcari giurassici = Zi, calcare bianco del Lias inferiore - Y, faglia. La copiosa sorgente della Scirea scaturisce nel fondo della valle omonima dal contatto fra il calcare neocomiano del M. Cucco e gli scisti a fucoidi che ad esso si appoggiano e che attraversano la valle. E’ perciò da riguardarsi come una sorgente di trabocco per sbarra- mento di un serbatoio nel calcare neocomiano. Le sue condizioni idrologiche sono esposte nella Fig. 3. sr Sf J A iIALy 3 LA È DZASA Fig. 3. — (V. Leggenda della figura 2). LO 20 ING. B. LOTTI Questa catena mesozoica, del M. Cucco, diretta da SE a NO, cade quasi a perpendicolo nel suo lato occidentale sui terreni terziari che riempiono la sinelinale fra essa e la catena eugubina. Questo fatto deve probabilmente dipendere dalla erodibilità notevole delle rocce terziarie in contrapposto della saldezza di quelle mesozoiche e spe- cialmente della scaglia rossa. Anche la forte pendenza degli strati deve avere influito su tale conformazione topografica. La piega che fa la catena secondaria Nocera-Gualdo—Fossato, presso la valle della galleria dell’Appennino, volgendo verso N O produsse la sinclinale rovesciata compresa nella detta valle. Questa sinclinale è da considerarsi come l’inizio della grande sinclinale, più sopra ricordata, fra le due catene mesozoiche del M. Cucco e di Gubbio. FOGLIO 123 (Tav. Padule e Gubbio). In una gran parte del piano di Padule presso Gubbio il sottosuolo della pianura è formato d’argilla, la quale è utilizzata in diverse for- naci da mattoni. Trattasi forse di argille lacustri del Pliocene, quelle stesse che presso Branca racchiudono banchi di lignite. Nel letto della Saonda, sulla destra, presso il M. Barbisi queste argille affiorano al disotto d’una coperta di ciottoli e sabbie. Questa condizione di cose persiste in tutto il piano di Gubbio e dà luogo ad una falda freatica di cui si giovano tutte le numerose case coloniche che popolano quella fertile pianura, sebbene dal lato igienico le acque di tale falda lascino molto a desiderare. In molti punti dell’area compresa nelle tavolette di Padule e di Gubbio compariscono piccoli lembi isolati di una roccia fossilifera I costituita in parte da calcare, in parte da arenaria calcarea e da con- glomerato. Siccome il fossile in essi prevalente è della famiglia dei Pecten, si usano chiamare questi lembi col nome di banchi a Pecten. Presso S. Giorgio ed in altri punti del bacino della Rasina presso Schifanoia vi sono molti di tali lembi e tutti 'appariscono come resi- dui isolati d’una formazione denudata. Essi sono in generale sopra / Ò ; Ù RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 21 la formazione marnoso - arenacea presso il confine colle argille sca- gliose. Il conglomerato è formato di ciottoli o di frammenti appena arrotondati provenienti tanto dalle argille scagliose, quanto dalla formazione arenaceo-marnosa, come riferi anche l’anno decorso !. Oltre i Pecten vi si osservano certe bivalvi, forse del genere T'hracia. Anche presso Collemincio, nella valle dell’Arone, un poco più a sud in prossimità del contatto fra le argille scagliose e la formazione marnosa, comparisce un banco di questa roccia zeppo di lucine. Presso Salaiole, sulla strada da Montanaldo a Castiglione, vi è ana piccola massa di arenaria calcarea e di conglomerato con Ostrea e Pecten. Sembra interposto alla formazione arenaceo-marnosa, ma è facile verificare che vi è soltanto impigliato in seguito a movimenti posteriori. Questo banco è sulla cima d’un’altura come lo sono in ge- nere tutti gli altri, la qual cosa dimostra la sua superficialità. Insie- col calcare arenaceo a Peeten vi è anche qui un conglomerato di ciot- toli appena arrotondati proveniente dalle vicine argille scagliose e dal calcare. della formazione marnosa. Altri piccoli lembi di questa roccia fossilifera compariscono a breve distanza presso al Palazzaccio. Essi non formano strati continui, ma solo piccole masse sopra Je marne e le arenarie della formazione arenaceo-marnosa. Le pile di strati circostanti di questa formazione non presentano tracce di questi banchi di arenaria calcarea fossilifera, nè di conglomerato e può notarsi la marcata differenza litologica e strutturale fra l’arenaria della formazione arenaceo-ma:nosa e quella dei lembi fossiliferi: Un altro piccolissimo lembo di calcare arenaceo a Pecten lo tro- viamo poco sopra a C. Piemontino proseguendo per la via di Mon- tanaldo verso campo Reggiano. Fino dall’anno decorso dimostrai? la sovrapposizione delle argille scagliose alla formazione arenaceo-marnosa in seguito ad osser- vazioni eseguite nel bacino della Rasina presso Schfanoia. Aggiungo ora alcune successive osservazioni fatte nella stessa località. ! B. LoTTI, Relazione preliminare ecc. (Boll. Comit. geol. n. 1, 1912). seLociciti 22 ING. B. LOTTI Presso S. Giorgio sulla sinistra del F°. Acquasanta, la sovrapposi - zione delle argille scagliose alla formazione arenaceo-marnosa si osserva chiaramente. Le argille scagliose, che stendonsi sul fondo dell’insenatura formata dalle ripe di S. Giorgio, sono in frana e manifestamente di- scese, staccandosi da quelle che stanno sopra le balze. Dove però è evidente la sovrapposizione delle argille scagliose alla detta forma- zione è al margine occidentale della sinclinale fra M Spinosa e La Romita. Oltre alla inclinazione manifesta degli strati della forma - zione arenaceo-marnosa verso est, cioè con immersione sotto le ar- gille scagliose, si vedono queste posate sopra la formazione stessa, dove essa presenta una piccola e stretta anticlinale. Una parte di queste argille franarono in una vallecola incisa nella gamba S O dell’anticlinale stessa. Queste condizioni stratigrafiche sonorappre- sentate dalla unita Fig. 4. La Romita M. Spinosa Fig. 4.— fr, argille scagliose franate - 4s, argille scagliose - am, formazione arenaceo-marnosa. Un'ampia distesa di argille seagliose, quella che ha incontesta- bilmente una decisiva importanza per la questione che ci occupa, comparisce fra Castiglione e Monte Lovesco nelle due tavolette con- tigue di Padule e di Umbertide. Questo esteso lembo occupa tutto il dorso spartiacque fra le due valli del torr. Lanna, che scende nel- l’Assino a Campo Reggiano, e del torr. Mussino che scende diretta- mente al Tevere. Basterebbe la sua posizione topografica, come è rappresentata schematicamente dalla Fig. 5, per stabilire la sovrapposizione di que- sto lembo alla circostante formazione arenaceo-marnosa, ma anche tutti i particolari stratigrafici visibili nelle diverse incisioni al con- tatto fra i due terreni non lasciano alcun dubbio al riguardo. RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 23 Le argille scagliose di Monte Lovesco e delle Lame, che formano uesta coperta, sono delle più caratteristiche. Vi si osservano molto q p , Torr. Mussino Torr. Lanna Fig. 5. — (V. Leggenda della figura 4). sviluppate le argille rossastre manganesifere che passano poi a cal- cari rossi pure manganesiferi, lontanamente somiglianti alla scaglia rossa cretacea. Vi si osservano anche strati calcarei di tipo alberese, straterelli silicei verdastri e rossoscuri manganesiferi, arenarie verda- stre e rossocupe, una puddinga calcarea nummulitica con denti di pesce ed una puddinga, con grosse nummuliti, ad elementi di rocce cristalline in frammenti anche angolari. Non vi è dubbio adunque sulla età di queste argille scagliose e sulla loro corrispondenza colla zona degli scisti rossastri e verdi con calcari nummulitici del Trasi- meno e dei monti d’ Umbertide sulla sinistra del Tevere, la quale zona sta sotto ad una formazione arenacea e sopra la formazione arenaceo—-marnosa. Altri lembi d’argille scagliose si trovano sulla cima delle alture sovrastanti a S. Martino in Colle a S O di Gubbio. Uno di questi è piccolissimo; forse poco più d’un ettaro ed è circondato dalla forma- zione arenaceo-marnosa. Una parte di questo lembo occupa un punto culminante sullo spartiacque fra la pianura di Gubbio e il Tevere e quì si presenta un fenomeno curioso e molto importante. Delle argille scagliose non si osservano su questa cima che i residui più caratteri- stici di questo terreno, consistente in frammenti di scisti e calcar verdi e rossastri manganesiferi sparsi sulla formazione arenaceo— marnosa. Questa formazione marnoso-arenacea tanto quì come sotto alle argille scagliose di Monte Lovesco racchiude numerosi e grossi banchi 24 i ING. B. LOTTI 1 di calcare a foraminifere fra le quali quelle che, come certe Lepidoci- cline e Miogipsine, son ritenute del Miocene. Questo fatto verificasi anche a Montanaldo e a Montecchio e si può ritenere come generale. Le argille scagliose di Montanaldo e Castiglione riposano in- dubbiamente su strati della formazione arenaceo-marnosa, ma dal- l'insieme delle condizioni topografiche non sembra escluso che una parte di detta formazione sia ad esse sovrapposta e che esse per con- seguenza vi si trovino intercalate. La formazione arenaceo-marnosa che si addossa alla catena mesozoica di Gubbio è costituita da marne alternanti con strati d’arenaria, scisti arenaceo-micacei e banchi di calcare a foramini- fere. Data la struttura uniclinale di questa catena, anche la forma- zione arenaceo-marnosa non si osserva che nel lato orientale di essa dove la successione dei terreni è completa. Soltanto ai due estremi di questa oblunga semiellissoide eugubina i terreni superiori, scaglia argillosa o cinerea e formazione arenaceo-marnosa, girano intorno ad essa, disponendosi per brevissimo tratto sulle rocce secondarie del lato occidentale ed anche quì sempre con perfetta concordanza e continuità. Come dappertutto nell’Umbria il passaggio dalla formazione arenaceo-marnosa alla scaglia superiore argillosa o cinerea si fa per mezzo delle marne dure, con o senza selce nera. Presso il Bottaccione, per la via da Gubbio alla Scheggia fra le marne dure e la formazione arenaceo—-marnosa compariscono dei calcari palombini molto argil- losi simili a quelli che si scavano a Fabriano per la fabbricazione del cemento. i Come ai Bagni di Nocera le marne dure racchiudono quì, e spe- cialmente a S. Margherita del Condotto, piccole Ostrea, Pecten ecc. Non essendosi segregata la silice queste marne sono rimaste più si- silicee e più dure; però tracce di segregazione di selce nera si avvertono qua e là. Queste marne dure sono molto sviluppate nella pendice nord del M. di Loreto che forma l’estremità N O della catena cugubina. VI RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 2: In conclusione è da notarsi che tanto nei dintorni di Gubbio, come in tutto il resto dell'Umbria, la formazione arenaceo-marnosa è divisibile in tre zone stratigrafiche: una inferiore, di esiguo spessore, costituita da marne dure selcifere, con straterelli d’un’arenaria spe— ciale glauconifera e con piccole bivalvi, e da marne tenere concoidali in generale rieche di pteropodi e di altri fossili; una intermedia co- stituita da arenarie, marne e calcari a foraminifere; una superiore tormata da arenarie in grossi banchi con letti di scisti arenaceo-argil- losi. In questa parte superiore si osserva qualche banco del più carat- teristico calcare alberese e fra la parte media e superiore trovansi qua e là interposte le argille scagliose. Mai si son trovati lembì di questa formazione marnoso—are- nacea su altri terreni che non siano la scaglia cinerea dell’Eocene inferiore. I monti mesozoici di questa catena si alzano ripidissimi dal lato occidentale di essa e masse enormi di detrito ne ricuoprono le falde. In tutta la catena non vi è una sorgente degna del nome ed anche quella che alimenta alla meglio la città e che esce dalla scaglia rossa non è gran cosa. La struttura uniclinale dei terreni secondari, con immersione verso est sotto la formazione arenaceo—-marnosa, dà ragione del fatto. La scaglia rossa senoniana è la formazione più estesa e potente e sotto di essa segue una discreta pila di strati calcarei bianchi a tes- situra di scaglia. E° la cosidetta scaglia bianca che abbiamo veduto comparire anche in altri punti dell'Umbria fra la scaglia rossa e gli scisti a fucoidi del Neocomiano superiore. Anche in questa catena non manca mai la zona degli scisti a fu- coidi fra la scaglia rossa e il calcare neocomiano. Nel solco lungo la strada per la Scheggia e presso il cimitero di Gubbio essi racchiudono strati di scisti bituminosi. I calcari neocomiani stanno alla base delle formazioni mesozoi- che della catena, salvo che in tre punti, allo sbocco della vallecola di Sassorosso, sotto S. Ambrogio, presso la città, allo sbocco di quella 26 ING. B. LOTTI del Bottaccione e, pure presso la città, allo sbocco di quella di S. Ubaldo, dove compariscono sotto al Neocomiano gli strati giurassici formati da straterelli calcarei, scistosi e diasprini con aptici. Il pas- saggio dai calcari neocomiani agli strati giurassici è formato da sot- tili strati calcarei grigiochiari con letti di selce. La catena mesozoica di Gubbio ha una lunghezza di km. 75 con una larghezza media di due ed è tagliata trasversalmente da otto profondi solchi che ne mettono a nudo la interna struttura. Tetto- nicamente, come fu già accennato, è conformata nella massima parte della sua lunghezza in uniclinale. Soltanto presso la sua estremità N O, presso il M. di Loreto, e un poco anche presso la estremità S E sì avverte la forma di cupola. In origine, dunque tutta la catena do- vette essere una cupola elissoidale lunga e stretta e la conformazione uniclinale, che oggi si osserva, dovette essere acquistata in forza d’una faglia che abbassò tutto il suolo eugubino producendo il ba- cino lacustre della Saonda. Le tracce di questa faglia sono evidenti. Presso il cimitero di Gubbio allo sbocco della vallecola della Ma- donna del Sasso, si osserva una zolla discaglia rossa appoggiata, lungo un piano inclinato verso ovest, sulle testate della scaglia bianca e degli scisti a fucoidi, Fig. 6. La faglia oltrechè nel taglio del solco è ben Cimitero Fig. 6. — dt, detriti di falda - sr, scaglia rossa = sb, scaglia bianca - sf, scisti a fucoidi - F, faglia. marcata anche sulla pendice occidentale della catena a sinistra, per mezzo d’una superficie piana di scorrimento e vedesi continuare an- che sulla destra. La presenza della scaglia rossa sulle testate di que- gli strati più antichi può constatarsi per circa un chilometro e sarebbe forse rintracciabile sopra una gran parte del piede occidentale della catena se questa non fosse coperta da una massa enorme di detrito. RELAZIONE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'ANNO 1912 DA) E’ probabilmente quì, sotto il M. Alto, che staccasi la faglia cui è do- vuta la struttura uniclinale della catena. Presso la Mad. della Pieve, dove fa cupola e dove si inizia la faglia, gli strati rimasti al posto sono quasi orizzontali. Alla estremità N O della catena le tracce di questa faglia riappariscono nel solco fra Monteleto e M. di Loreto. Nel Mon- teleto, allo sbocco del F°. di Loreto, vedesi infatti una estesa zolla di scaglia rossa appoggiata sulle testate degli scisti a fucoidi e del Neocomiano, nelle stesse condizioni e sullo stesso allineamento che fu osservato presso il Cimitero di Gubbio. II. VITTORIO NOVARESE IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA NOTA PRELIMINARE La « Descrizione geologica dell’Iglesiente » di Giuseppe Zoppi, sin- tesi di studi, ricerche e scoperte compiutesi nel trentennio suc- cessivo alla pubblicazione dell’opera monumentale del Lamarmora (1857) è rimasta finora la sola monografia geologica di quel territo- rio, e la Carta che contiene, l’unica a grande scala di pubblico dominio. L’opera dello Zoppi fu il punto di partenza di una nuova serie di studii che hanno fatto compiere notevolissimi progressi nella cono- scenza geologica dell’ Iglesiente, e come spesso è accaduto per le regioni difficili e complicate, ne hanno a poco a poco notevolmente modificate, per non dire addirittura trasformate le linee fondamentali primitive. Il disegno, così diligentemente tracciato dallo Zoppi e dai suoi collaboratori, della geologia dell’Iglesiente non risponde più allo stato delle nostre conoscenze, così che un nuovo rilevamento è diventato una necessità tanto per la scienza quanto per l’industria. ‘ Questo rilevamento è stato effettivamente iniziato nella prima- vera del 1912, con mezzi e personale proporzionati allo scopo, dal R. Ufficio Geologico. La nuova indagine è agevolata da un sussidio che lo Zoppi non ebbe, e cioè da un’ottima carta topografica nella scala da 1 a 25000 che permette di registrare e coordinare le osser- vazioni con geometrica precisione, fondamento indispensabile per la risoluzione dei complicati problemi stratigrafici, tettonici, idro- grafici, che il paese presenta. 30 VITTORIO NOVARESE Debbo pure avvertire che, per quanto limitati ad una piccola parte del territorio da rilevarsi, esistono altri sussidi preziosi per gli attuali rilevatori. Parecchie delle maggiori amministrazioni private minerarie dell’Iglesiente hanno fatto accurati rilevamenti litologici delle loro concessioni anche in iscala da 1a 10000, e per cura dei fun- zionarii del Corpo Reale delle Miniere, addetti al Distretto di Iglesias furono rilevate litologicamente alcune tavolette dell’Iglesiente (Igle- sias, Nèbida, Buggeru) presentate dall’ Ispettore Comm. Pellati al Comitato geologico nella seduta del 4 giugno 1906. Tutto questo materiale o per ragione d'ufficio o per cortesia delle Società Minerarie e dei loro dirigenti è a disposizione dei rilevatori e giova a facilitarne il compito. Quanto espongo in queste pagine in via di comunicazione pre- liminare è essenzialmente il frutto delle gite fatte per orientamento, allo scopo tanto di riconoscere le formazioni da rilevarsi quanto di interpretare e coordinare le numerose pubblicazioni in proposito dovute ad italiani e stranieri, e fatte, come è inevitabile, con tali di- sparatissimi criteri, da non potere spesso essere utilizzabili senza un confronto col terreno. Ometto, per il carattere dello scritto, un elenco bibliografico, ma ritengo doveroso ricordare fra i molti studii quelli numerosi, pie- celi di mole per lo più, ma par compenso non di rado assai pregevoli, comparsi nel Bollettino della benemerita Associazione Mineraria Sarda, per opera così dei soci proiessionisti privati come di quelli appar- tenenti al Corpo Reale delle Miniere, studii tutti che dimostrano il vivo interessamento che ispirano i molteplici problemi geologici e mi- nerarii del’Iglesiente. Il maggior progresso che l’opera dello Zoppi segna su quella del Lamarmora è la descrizione e la delimitazione dei terreni in cui dopo il 1867 erano stati scoperti i fossili cambriani. Nella Carta sono distinte tre isole cambriane, piuttosto ristrette, circondate dal Silu- riano predominante. Le scoperte posteriori hanno dato validissimi IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 31 argomenti per estendere ancora di più queste aree cambriane a spese di quelle colorite come siluriane dallo Zoppi. Le tre isole sono considerevolmente aumentate così da riunirsi in una sola, ed in conseguenza di ciò anche l’interpretazione tetto- nica si è radicalmente mutata, ed in certo modo capovolta perché gli orizzonti cambriani di nuova scoperta sono più antichi di quelll noti allo Zoppi. Di più sono stati meglio chiariti i rapporti di taluni orizzonti fra loro, e scoperte non poche nuove località fossilifere, anche in terreni di età già riconosciuta. Esporrò queste notizie e le considerazioni che mi vengono da esse suggerite nel descrivere sommariamente dal basso verso l’alto la serie dei terreni nelle pagine che seguono. CAMBRIANO. La serie cambriana nelle tavolette di Iglesias e di Nèbida consta di tre gruppi principali, in successione regolare e costante. Siccome sono litologicamente ben distinti, seguendo la consuetudine li deno- minerò dalla roccia predominante. Dall’alto in basso, essi si succedono nell’ordine seguente: III. Arenarie. II. Dolomia metallifera. I. Scisti. IT. — SOCOISTI. Il gruppo od orizzonte inferiore comprende gli scisti detti gene- ralmente della vallata d’Iglesias, od anche di Cabizza, ed è di costi- tuzione litologica uniforme, essendo formato unicamente da scisti per lo più grigio e bruni, ma talora verdognoli e rossi. Come tutte le formazioni scistose ha stratificazione tormenta- tissima, e presenta spesso, oltre alla fissibilità ordinaria parallela alla stratificazione, una fitta e netta divisibilità ad angolo più o meno forte colla stratificazione, e molto prossima alla scistosità trasversale. 32 VITTORM NOVARESE Questi scisti, dotati spesso d’aspetto sericitico e filladico, sono stati dallo Zoppi compresi nel gruppo denominato degli «scisti filla- dici ed arenacei >», nel quale in realtà sono confusi scisti cambriani e siluriani, e rimasero, a cagione della loro posizione sotto la dolomia metallifera, di età contestata fino al 1896, anno in cui fu scoperta in essi, in vicinanza della fermata di Cabizza sulla linea Iglesias- Monteponi, una fauna di trilobiti certamente cambriani, ritrovamento che è stato della più alta importanza per la conoscenza del Cam- briano sardo come dirò in seguito. II. — DOLOMIA METALLIFERA. Segue agli scisti la formazione della dolomia metallifera, così chiamata perchè, come è noto, è sede della maggiore parte delle miniere dell’Iglesiente inteso in senso stretto. La roccia prevalente è una dolo- mia grigia, ora chiara ora scura, che, nella sua parte superiore spe- cialmente, mostra una sottile zonatura o stratificazione, onde il nome di dolomia rigata o listata che le vien dato d’ordinario. In taluni profili la dolomia è la sola roccia intercalata fra gli sci- sti e le arenarie, ma più spesso, ed esclusivamente nella sua parte infe- riore, s'incontrano in essa roccie di altra natura. Calcescisti. — Alla base della dolomia metallifera, presso il contatto cogli scisti, compaiono spesso dei calcari e delle dolomie a sottili lastrine o lamine, a cui fu dato il nome di calcescisti. Essi sono frequentemente accompagnati da scisti rossi e pavonazzi che sfumano negli scisti inferiori. La denominazione di « calcescisti » non è veramente improprià, perchè si tratta di una roccia calcarea o dolomitica con spiccata fis- silità parallela. Però, essendosi nella scienza geologica italiana gene- ralizzato tale nome per una roccia di tutt'altro genere, i calcescisti delle Alpi Occidentali, che propriamente sono micascisti e filladi cal- carifere passanti a calcari filladici e micacei e pei quali la parola, quantunque non del tutto esatta, si usa solo per amore di brevità, è necessario per evitare equivoci qualche maggior particolare sopra la roccia sarda in questione. NEO VOS TA, TI TT nen — e IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 33 I « calcescisti » dell’ Iglesiente, come lo dimostrano le analisi pubblicate dall’Associazione mineraria sarda, sono. ora calcari ed ora dolomie, hanno cioè la stessa composizione della roccia del tetto con cui vengono a contatto; non mostrano di contenere materia filladica o sericitica intercalata fra i foglietti, ed in taluni tagli dove possono es- sere ben studiati, passano per gradi alla roccia soprastante, staccan- dosi nettamente dagli scisti del letto. Molto spesso hanno stratifi- cazione tormentata in un modo singolare, con brusche spezzature angolose, non raccordate da curve continue, come accade invece negli scisti veri e proprii per quanto corrugati minutamente. L’insieme dei fatti osservati finora è tale da lasciare sussistere il dubbio se i calcescisti non siano un semplice fenomeno di lamina- zione meccanica della roccia alla base della dolomia metallifera in contatto cogli scisti sottostanti, invece che una formazione di pas- saggio per alternanze fra scisti e dolomia. Contribuisce a mantenere questo dubbio la debole potenza che hanno sempre i calcescisti, e la difficoltà di osservare se lo scisto sia concordante oppure no colla dolomia, perchè se la discordanza esiste non è molto manifesta e non va al di là di quella che ordinariamente si verifica fra una roccia plastica come lo scisto ed una rigida come la dolomia, quando, come è accaduto per il Cambriano sardo, sono stati soggetti insieme a forti ripiegamenti. Calcare ceroide e dolomia gialla. — Sopra i calcescisti, e sempre nella parte inferiore della formazione dolomitica compaiono due tipi di roccia associati di frequente in modo molto intimo, di grande im- portanza così scientifica come pratica, perchè riguardati come la sede dei minerali industriali di piombo edi zinco più ricchi che s'incontrano nel piano della dolomia. Queste roccie sono un calcare ceroide compatto e sonoro, minutamente cristallino, ora bianco ora ceruleo (calcare bleu dei minatori, calcare turchino dello Zoppi) che compare in masse di dimensioni estremamente variabili dalla lente di centinaia di metri, a pezzi della grandezza del pugno, diffuso e disperso nella roccia ambiente spesso, di struttura brecciata a grandissimi ed a piccoli elementi; ed una dolomia di colore giallastro (dolomia gialla, calcare 3 34 VITTORIO NOVARESE giallastro dello Zoppi), leggermente ferrifera, che si trova ora predo- minante ora solo come cemento dei frammenti del calcare ceroide brecciato. Lo stabilire la genesi di queste due rocce ed i loro rapporti colla dolomia grigia è uno studio della massima importanza e per la geo- logia dell’Iglesiente in genere e per la genesi dei giacimenti metalli- feri in particolare. Sebbene le due rocce si trovino sempre associate ed in un orizzonte sensibilmente costante, nella metà inferiore della dolomia grigia, la loro età è argomento di discussione, non avendo esse finora dato alcun resto organico (1). Del tutto subordinate, ma di grande importanza per l’interpre- tazione di taluni problemi stratigrafici i tettonici che presenta l’Igle- siente, sono parecchie intercalazioni scistose che si osservano pnre nella dolomia metallifera. Nelle miniere di Monteponi e di Nèbida, e specialmente nella prima, queste lenti sottili ma estese di scisto sono state seguite in profondità coi lavori e riconosciuti nei loro carat- teri. Altrove, come per esempio ad Acquaresi, le masse di scisti inter- calati nella dolomia hanno dimensioni imponenti e sono state inter- pretate variamente come implicazioni di terreni di altra età, ece. La formazione della dolomia metallifera è essa pure fossilifera e contiene avanzi, raramente molto distinti, di Archeociatine, orga- nismi paleozoici attribuiti ora alle alghe calcari, ora ai coralli, ora in- fine alle spongie. Siccome fra i paleontologi i più inclinano a quest’ul- tima opinione si è chiamata la roccia che li contiene dolomia grigia « spongie. Anche nei calcescisti sono contenuti avanzi organici, fatto noto già al Bornemann, e sulla fede di questi ripetuto dal Frech. Il Bornemann però non ne specifica la natura. Su campioni raccolti dal- l’ing. Pilotti, il prof. Parona riferì quegli avanzi appunto al gruppo delle Archeociatine. Lo Zoppi nella sua Carta ha attribuito la dolomia metallifera al Siluriano, collocandola, sotto il nome generico di calcare metal- (1) F. SARTORI, L. TESTA - La stratigrafia del Paleozoico d' Iglesias — « Res. delle riun. dell'Ass. Min. Sarda », anno XVIII, Iglesias 1913. — N. 2. Se- duta del 16 febbraio. IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 35 lifero, nel piano superiore di questo, d’accordo in ciò col Bornemann e parecchi altri. Però essendo stata litologicamente distinta dagli scisti del Siluriano, la carta la rappresenta esattamente. Il calcare ceroide e la dolomia gialla sono inglobati nell’unico colore che corrisponde alla dolomia. I calcescisti sono stati dallo Zoppi riferiti al Siluriano ma riuniti cogli scisti; a cagione della loro scarsa potenza, questo distacco dalla dolomia non produce sensibili variazioni nel tracciato cartografico che egli ha dato del limite inferiore di quest’ultima. IlILL — ARENARIE. La formazione delle arenarie è litologicamente la più comp!'essa e svariata delle tre costituentiil Cambriano. Consta di arenarie a ce- mento argilloso-siliceo, di vario tipo, che vanno dallo scisto arenaceo fino all’arenaria quarzitica o quarzite; sebbene subordinati alternano con essa anche scisti argillosi schietti. Dentro alla massa enorme di que- sto insieme arenaceo-scistoso che costituisce il fondo della formazione, sono contenuti banchi e lenti di calcari di vario tipo, generalmente di color grigio scuro, e talora a struttura oolitica minuta, poco di- stinta nella frattura fresca ma discernibile sulla superficie d’altera- zione. Talune intercalazioni, specialmente verso la base sono di do- lomia; altre di tipo speciale, come il marmo rosso di San Pietro noto per i suoi fossili ben conservati, oppure ancora di calcare marmoreo ceroide. La formazione delle arenarie è in perfetta concordanza colla sot- tostante dolomia, ed anzi ai contatti si osserva chiarissimo il pas- sagio per alternanze di dolomia, calcare ed arenaria, per cui la conti- nuità della formazione cambriana è dimostrata è assasi più chiara- mente che non fra gli scisti e la dolomia metallifera. Siecome è in questa formazione che sono stati trovati fino dal 1867 i primi fossili cambriani, essa è nell’opera dello Zoppi minuta- mente descritta ed illustrata con profili numerosi, e delimitata e rap- presentata assai bene nella Carta geologica. 36 VITTORIO NOVARESE Delle tre formazioni cambriane è la più ricca di fossili, così per numero di specie, come di individui, essendo in essa rappresentate alghe, archeociatine, paleospongie, e trilobiti. con generi e specie che possono dirsi abbastanza numerosi avuto riguardo alla relativa povertà delle faune cambriane in generale. 1 fossili trovati nelle arenarie per quanto relativamente nume- rosi, appartengono tutti a specie nuove, e non di rado a nuovi generi, come per i trilobiti Olenopsis, e Metadorides, ecc., cosicchè il paragone. fra il Cambriano sardo e quello degli altri paesi diede luogo a molte congetture e discussioni con risultati vaghi ed incerti, anche dopo le opere dello Zoppi, del Bornemann e del Meneghini, finchè non furono nel 1896 scoperti i fossili degli scisti presso Cabizza. Nel 1901, il prof. Pompecky di Monaco espertissimo conoscitore della paleontologia del Cambriano, ebbe dal prof. Eberardo Fraas, i fossili di Cabizza in istudio, e potè fare una revisione critica del mate- riale paleontologico del Bornemann depositato dopo la morte di questi nel Museo dell’ Università di Halle. Il Pompecky riconobbe fra i fossili di Cabizza tre specie già note nel Cambriano della Francia e della Spagna e precisamente: Paradorides Mediterraneus PoMPECKY (rugulosus BERGERON). Conocoryphe Héberti MUN. - CHAL. et J. BERG. Conocoryphe Levyi MUNn. — CHAL. ET J. BERG. Il P. Mediterraneus è una specie affine al P. rugulosos Corda della Boemia e della Scandinavia, da cui differisce pel numero dei segmenti ed altri particolari meno importanti, ma ne è il perfetto equivalente come età. Così fu definitivamente acquisito un orizzonte sicuro per il Cambriano sardo, perchè il gruppo del Par. rugulosos è caratteri- stico per la seconda, a cominicare dal basso, delle sei zone in cui il Mat- thew ha dimostrato potersi dividere il piano a Paradorides, o Cam- briano medio, dell'Europa e dell’America settentrionale. Colla discussione delle determinazioni del Bornemann e del Me- neghini il Pompecky potè pure dimostrare che nessuno dei generi di Trilobites delle arenarie, sicuramente determinabili, appartiene nè al Cambriano inferiore (piano ad Olenellus) nè a quello superiore (piano IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 37 ad Olenus). Secondo il Pompecky la suecessione delle faune del Cam- briano sardo dovrebbe essere la seguente, dall’alto in basso: ec) Fauna a Giordanella (arenarie superiori). Equivalenti agli orizzonti più alti del Cambriano medio (zona ad Agnostus laevigatus). b) Fauna ad Olenopsis ed Anomocare (arenarie inferiori) equi- valenti alle zone intermedie. a) Fauna a Par. Mediterraneus, ecc. (scisti di Cabizza) equi- valenti della zona a Par. rugulosos. Se fra l’a) ed il d) s'intercala la dolomia metallifera, che non ha dato finora alcun trilobite, ma soltanto Archacocyathinidae, che si trovano pure in varie assise e livelli delle arenarie, si riproduce esat- tamente la successione degli strati dall’alto al basso come si osserva nella parte centrale del massiccio dell’Iglesiente nei profili che dalla stazione di Monteponi fossero condotti verso N. Questo accordo perfetto dell’indagine paleontologica con quella stratigrafica sul terreno è convincente. Non ostante la sua grande potenza il Cambriano sardo non rappresenta se non la parte media del sistema, 0 piano 2 Paradorides, come del resto accade pure del Cambriano boemo, francese e spagnuolo. Esso quindi corrisponde ai piani C (fauna primordiale) e D1x del Barrande per la Boemia, ed all’Acadiano degli autori nell’ America settentrionale. Manca certamente il Cambriano superiore perchè non si cono- sce nessuno strato superiore alla fauna a Giordanella; non si può es- sere altrettanti recisi per l’ inferiore perchè la fauna a Paradorides Mediterraneus, è stata trovata vicinissima al contatto fra scisti e do- lomie, vale a dire nella parte più alta del gruppo inferiore, il quale potrebbe quindi nelle sue parti più profonde riservare qualche sorpresa. Nel suo recente « Traité de Géologie » il prof. Emile Haug, pas- sando in rassegna i terreni cambriani dell’Europa centrale e meri- dionale, riporta gli studii di Bornemann e di Pompecky, ma mette în dubbio che i caleari ad Archeociatine e gli scisti a Paradorides possano insieme attribuirsi al Cambriano medio, od Acadiapo, ed h'elina col Frech ad assegnare al Cambriano inferiore o Georgiano i calcari. E fonda questo dubbio sull’affermazione che « disgraziata- 38 VITTORIO NOVARESE mente (in Sardegna) le relazioni stratigrafiche fra i calcari ad Ar- cheoeyathus e gli scisti a Paradorides sono mal conosciute » (1), Questa affermazione, senz'ombra di fondamento, come è facile dimostrare, è scusabile, perchè dovuta all’incertezza generata in chi non conosce i luoghi, dalle straordinarie complicazioni tettoniche escogitate dallo Zoppi per spiegare come il suo calcare metallifero (dolomia) che riteneva del Siluriano superiore, fosse venuto a ritro- varsi sotto le arenarie cambriane, complicazioni che furono bensì di- scusse e messe in dubbio, ma non mai dichiarate inesistenti. Quale sia l’ordine di sovrapposizioni di scisti, dolomia metalli- fera ed arenarie, stando « puramente ai dati stratigrafici ed altime- trici», è indicato schematicamente dallo stesso Zoppi nella sua fig. 72 a pag. 54, che riproduco qui. Ed egli ha chiamato « prima ipotesi » Leggenda dello Zoppi: ca) Arenaria e quarziti, ecc. del Cambriano. — s) Scisti di Flumini Gonnesa, ecc. (Siluriano) (2). — cm) Calcare metallifero — G) Graniti. Leggenda rettificata: s) Scisti della zona a Par. mediterraneus (Cambriano medio). — em) Calcare metallifero (Idem). — ca) Arenarie e quarziti (Id.). — G) Graniti. questa interpretazione più semplice e naturale della serie, con strati a mala pena incurvati, che è la vera, quale la conosciamo ora. Tale « prima ipotesi » però fu dallo Zoppi respinta senz’altro, perchè se egli conosceva già, pei fossili ritrovati, l’età cambriana delle are- narie, ignorava quella degli scisti, che anzi per pura analogia lito- logica, riteneva fermamente fossero equivalenti di quelli siluriani fos- (1) EmiLe Haug: Traité de Géologie, Tomo II - Les Périodes géologiques, Paris, Armand Colin, 1908-1911, pag. 605. (2) Gli scisti di Flumini e Gonnesa sono realmente siluriani, come è dimo- strato dai loro fossili, ma, secondo si esporrà nel seguito, dovrebbero nel profilo esseri segnati in discordanza sulla serie cambriana, che è la sola che la figura in realt rappresenti. \ IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA 39 siliferi di Flumini e di Gonnesa, di cui parlerò fra breve, cosicchè dovette ricorrere ad una seconda ipotesi, complicatissima, per spie- gare il contrasto fra l’ordine stratigrafico attuale e quello crono- logico presunto. Dopo la scoperta dei fossili di Cabizza tale seconda ipotesi non può più essere sostenuta e rimane dimostrata invece l’esattezza della prima. Ciò posto, siecome tutti i calcari ad Archeociatine dell’Iglesiente sono superiori agli scisti a Paradorides mediterraneus, non è lecito l’attribuirli al Georgiano come sospetta lo Haug, ma è giocoforza ritenerli essi pure acadiani. Ma v’ha di più: le più belle Archeociatine che si siano trovate nell’Iglesiente sono quelle del calcare o marmo rosso di San Pietro; lo stesso Haug nel trattato riproduce una sezione di Coscinocyathus verticillus di questa località. Ora il marmo rosso di San Pietro forma una serie di piccole ler ti intercalate alle arenarie in vicinanza della base della formazione, come risulta dalle sezioni alle tav. V e VI dell’opera dello Zoppi (colla dicitura calcari intercalati, presso la chiesa di San Pietro), arenarie nelle quali sono stati trovati i trilobiti delle zone medie e superiori del piano a Paradorides. Quindi anche non fossero note le relazioni stratigrafiche fra calcari e scisti, basterebbe questo fatto a dimostrare che sulla base delle sole Archeociatine non si può attribuire alcun terreno al Georgiano nè nell’Iglesiente nè altrove. Non ostante rappresenti solo una parte dell’intiero sistema, il Cambriano sardo ha potenza considerevole. E° ignota la potenza degli scisti perchè non se ne conosce l’appog- gio; le arenarie secondo lo Zoppi non vanno molto oltre ai 500 metri al massimo, ma la dolomia metallifera oscilla fra quest’ultima cifra come minimo ed il migliaio di metri che giunge anche a superare in non pochi punti. Quindi la potenza totale della formazione è per lo meno di 1500 metri, ed in molti casi assai di più. Me RX z ii cl L fa “e \ L \ 40 VIPTORIO NOVARESE SILURIANO. Nel Siluriano dell’Iglesiente si possono distinguere dall’alto in basso i due seguenti gruppi di strati : II. Scisti e calcari ad Orthoceras. I. Conglomerati e puddinghe con calcari ceroidi. che esaminerò successivamente. Te Nelle due tavolette considerate e nelle limitrofe a S e ad’E l’oriz- zonte dei calcari e dei conglomerati ha uno sviluppo grandioso e veramente caratteristico, evidente anche nel paesaggio per le spe- ciali forme di terreno a cui dà luogo. Calcari ceroidi e dolomie. — I calcari di questo gruppo sono minutamente cristallini e compatti per cui possono pure dirsi ceroidi; per lo più bianchi o grigi con sottili venature ora scure ora colorate per infiltrazioni di ossidi di ferro. Non ho finora trovato un carattere litologico distintivo sicuro di questi calcari da quelli pure ceroidi associati alla dolomia metallifera. Insieme con questi calcari seb- bene di rado, compaiono dolomie bianche o grigie (Monti Sai presso Masua, Punta Mulino a Vento o Punta sa Grutta presso Nèbida). Conglomerati e puddinghe. — Assai più caratteristico e per estensione importantissimo è l’altro membro del gruppo, il conglo- merato. Riguardo alla grandezza degli elementi questo conglomerato dell’Iglesiente abbraccia tutte le varietà possibili in una roccia cla- stica, perchè in alcuni luoghi è a blocchi enormi, ed in altri consta di elementi talmente minuti da potersi confondere con uno scisto. L'unica forma veramente rara, sebbene non manchi del tutto, è quella inter- media di arenaria. E’ pure variabilissima la qualità degli elementi, che sono ora pezzi di scisto, ora di calcare, ora di dolomia, ora di altre rocce del Cambriano. Però questa variabilità sussiste solo se si considera tutta la formazione nel suo insieme; sopra tratti ristretti invece gli elementi maggiori sono ben di rado di diversa natura; a seconda dei luoghi IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEÉBIDA 4l predomina in esse visibilmente una sola specie litologica, ora scisto, ora calcare, ora dolomia, ecc. Vale a dire la roccia ha in genere il carattere di conglomerato monomikto, sebbene non manchino pure dei tratti di passaggio dove i ciottoli sono almeno di due qualità, e talora anche di più, così da aversi un conglomerato polimikto. Anche riguardo alla forma degli elementi, quando essi non siano stati deformati dalle pressioni, come dirò, la roccia ora contiene ciot- toli perfettamente arrotondati, cioè più o meno sferoidali od ellissoi- dali, come accade nei punti in cui i ciottoli sono calcarei; ora in- vece sono appiattiti e con angoli appena smussati, ciò che sì verifica di preferenza quando sono di natura scistosa. Date le forti azioni meccaniche subite dalla roccia, e di cui parlerò in breve, non posso affermare che in essa vi siano delle vere e proprie brecce originarie. Il cemento consta di una miscela prevalentemente scistosa di tutte le parti minute degli elementi sopracennati, ed è sempre colo- rato con tinte rossastre, ora rosso cupo, ora pavonazzo e talora rosso mattone. i Col diminuire della grossezza degli elementi la roccia prende prima l'aspetto di una brecciola scistosa rossastra; poi gli elementi diventano indistinti e sfumano gli uni negli altri per modo che si passa ad uno scisto chiazzato, generalmente rosso con macchie verdognole abbastanza caratteristiche e riconoscibili, ed infine ad uno scisto arenaceo schietto, colorato in rosso. In tutto il territorio studiato la roccia in questione è sempre nettamente scistosa, ma, come appare subito, per una scistosità acquisita e dovuta a poderose spinte laterali; perchè sono frequen- tissimi i luoghi dove i piani di scistosità tagliano nettamente quelli di stratificazione. Anzi in più luoghi della tav. di Nèbida il fenomeno della sci- stosità trasversale dentro i conglomerati e le puddinghe rosse e pa- vonazze è manifesto nel modo più classico. Sebbene la roccia non mostriin generale quale sia stata la sua primitiva stratificazione, non sono infrequenti i luoghi in cui al conglomerato a grossi o medii ele- menti sono intercalati letti ad elementi più fini, quasi un’arenaria , 42 VITTORIO] NOVARESE molto solidamente cementata, ed omogenea. In questi luoghi si vede la scistosità, messa in evidenza da una facile fissilità piana, tagliare magari ad angolo retto la superficie di stratificazione, a cui non corri- sponde di solito aleun piano di divisibilità naturale. In questi casi si osserva pure un altro fenomeno molto impor- tante: gli elementi della puddinga, di qualunque natura siano, sono tutti schiacciati parallelamente alla scistosità, per modo che la loro massima dimensione è diventata perpendicolare alla vera stratifi- cazione originaria. Ciò dà luogo ad un fatto paradossale, almeno in apparenza; le sezioni dei grossi ciottoli che si osservano sopra una faccia o piano di seistosità, non ostante la loro disposizione parallela attuale non appartengono ad uno stesso strato, ma a strati successivi. Questo complesso di rocce clastiche la cui natura è così evidente ed appariscente, e che costituisce un orizzonte, non è stato mai de- nominato dai conglomerati o dalle puddinghe, come sembrerebbe naturale, ma è stato designato con altri nomi petrografici, essendosi a quanto pare l’attenzione degli osservatori rivolta alle varietà ad ele- menti minori e meno distinti. Il nome attualmente più in uso fra coloro che nell’Iglesiente si occupano della geologia di quel territorio, è quello di « anageniti », che si è talmente radicato che sarà difficile abbandonarlo. La deno- minazione è impropria quanto mai, perchè, sebbene non esista una definizione precisa del nome « anageniti », tuttavia nessuna delle rocce alle quali altrove è stato applicato un tal nome e le hanno conservato se non altro per tradizione, può assimilarsi a qualsiasi delle varietà delle nostre puddinghe (1). Lo Hauy, nel 1822, chiamò anagenite una puddinga di grana media ad elementi di quarzo fortemente collegati da un cemento micaceo. Il tipo di questa roccia è appunto il verrucano rosso violaceo dei Monti (1) Una comunicazione intorno a queste puddinghe ed alla loro denomina- zione di anageniti è già stata fatta dall'ing. C. PiLoTTI. Conglomerati scistosi (anageniti). « Boll. d. Soc. Geol. Ital.» Vol. XXXI, fasc. 1-2; pag. XLVIII. Roma, 1912. IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA 43 Pisani, ad elementi di quarzo vinato, ed a cemento sericitico micaceo, a cui il rome di anagenite si applica ancora. Sebbene lo Studer abbia allargato di alquanto il concetto di anagenite, dicendo che è un con- glomerato il cui cemento ha la natura del micascisto, è composto cioè di quarzo e di mica autigena, pur tuttavia nessuna delle rocce ancora usualmente designate con tal nome si avvicina alla nostra. Anzi nelle puddinghe dell’Iglesiente, fra gli elementi maggiori, il quarzo è il più raro di tutti e compare solo nel cemento che è sempre una miscela di quarzo e di seîsto. Lo Zoppi ha pure fatto uso della parola anagenite, comprenden- dola nel gruppo degli scisti siluriani fossiliferi (gruppo a pag. 42) ma è certo che non intendeva alludere alle nostre rocce, alle quali ha dato il nome ben diverso di « grauwacke ». Ciò risulta con molta evidenza così dalle diagnosi dei campioni della roccia di questo nome fatte dal prof. Cossa e dall’ing. Mattirolo (pag. 131) che, sebbene non proven- gano dai dintorni immediati d’Iglesias, corrispondono esattamente a quella degli strati che sto descrivendo, come dai riferimenti topogra- fici a pag. 44, dove designa esattamente le località in cui affiora la roccia, ed afferma averla così denominata seguendo 1° esempio del Lamarmora. Anzi, come dovrò ripetere, lo Zoppi ebbe anche una così netta intuizione della vera funzione stratigrafica dell’orizzonte delle sue « grauwacke » da far parer strano che non ne abbia saputo trarre alcuna conseguenza per l’interpretazione della serie paleozoica. Non risulta sia stata trovata finora alcuna traccia organica nei calcari ceroidi, e tanto meno nelle puddinghe. Il Fraas ha parlato di fossili cambriani (Coscinocyathus ed Ar- cheocyathus) nelle « anageniti » di Monte Lisaù,ma si tratta evidente- mente di fossili contenuti negli elementi di età cambriana che costi- tuiscono la puddinga, cioè di materiale rimaneggiato. Ii =: ISSIRINE La formazione degli scisti siluriani è una delle più diffuse non solo dell’Iglesiente ma di tutta la Sardegna. Gli scisti siluriani sono di solito grigi, giallastri o verdognoli ed 44 VITTORIO NOVARESE assumono spesso un caratteristico aspetto arenaceo: di rado passano ad arenarie, e talora diventano filladici. A questi scisti sono intercalati i calcari ed i calcescisti ad Ortho- ceras molto sviluppati nel Fluminese, ma che non mancano nell’Igle- siente propriamente detto, essendo stati segnalati a Fontanamare sotto forma di calcari, ed a Domusnovas di calcescisti. Questo gruppo del Siluriano è fossilifero tanto negli scisti, quanto e più nei calcari ed i fossili sono stati segnalati in numerose località, per es. a Gonnesa (scisti) a Fontanamare (scisti, arenarie, calcari). E” stato questo d’altronde il primo terreno paleozoico conosciuto nel- l’isola fino dai tempi del Lamarmora. La fauna, ricca in individui, è finora, tenuto conto che si tratta del Siluriano, piuttosto povera di generi e di specie, sebbene vi siano rappresentati trilobiti, brachiopodi, gasteropodi, cefalopodi, bivalvi, coralli e cerinoidi. I caleari ad Or thoceras sono certamente equivalenti del caleare dell’isola di Gothland, cioè del Siluriano superiore. E’ propabile appartengano allo stesso piano anche i tossili degli scisti, nei quali i calcari ad Orthoceras sono intercalati. Fra gli scisti siluriani e le puddinghe sottostanti v'ha passag- gio graduale. Ho già detto come le puddinghe da macroclastiche di- ventino criptoclastiche coll’impiecolirsi degli elementi maggiori ed il prevalere dello sceisto nel cemento, ed assumano l’aspetto di scisti (1). Il passaggio è a volte progressivo come nella strada provinciale fra ponte Pintau e la stazione di Gonnesa, nella valle sotto la miniera di San Giovanni, dove alle puddinghe minute succedono gli scisti rossi macchiati di verde, gli scisti rossi schietti, indi gli scisti grigio verdi del siluriano che sono fossiliferi nella trincea della ferrovia pre- cedente alla stazione. Altre volte il passaggio si fa per alternanze; così lungo la strada da Nèbida a Fontanamare, dove i fossili siluriani sì trovano in una arenaria a grana fina che succede quasi imme- diatamente all’alternanza di puddinghe e scisti, e può essere per la (1) Vedasi perciò anche la diagnosi che delle « grauwacke » di Zoppi danno Cossa e MATTIROLO — ZopPi, l. c. pag. 131. IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA 45 sua natura litologica interpretata come termine di passaggio fra le une e gli altri. La potenza complessiva del Siluriano, almeno nelle due tavolette considerate non è molto grande, ed è certo assai minore di 'quella del Cambriano. Le puddinghe, per quanto assai appariscenti, non hanno mai potenza molto superiore ai 100 metri, e spesso assai meno. Se talora, sembrano assumere potenza maggiore, è unicamente effetto di un costipamento dovuto a movimenti tettonici. I calcari ceroidi, sempre bene inteso soltanto nella parte occidentale della tav. d’Iglesias ed in quella di Nèbida, non sono neppure essi molto potenti e giunge- ranno al più ai 50 metri. Gli scisti occupano estensione incomparabilmente maggiore, ed hanno certamente una grande potenza, per quanto difficilmente apprezzabile come accade di tutte le formazioni di scisti, capriecio- samente corrugati. Certo però la potenza complessiva di tutta la fa- scia siluriana che sta ad occidente dell’isola, fra le masse cambriane ed il mare non deve essere superiore ai 500 metri. Lo Zoppi (pag. 42) comprende questi scisti, collocandoli alla base della serie siluriana sotto la denominazione a) scisti micacei e talcosi con trilobiti, Orthis, ecc. Anageniti, scisti carboniosi e quarziti. Queste due ultime specie litologiche non compaiono nella fascia siluriana oc— cidentale. In quanto alle prime, avvertirò che la mica degli scisti mi- cacei è allotigena e non autigena, vi è stata cioè trasportata. L’epi- teto di talcosi dato a taluni scisti è un avanzo della vecchia litologia dei tempi del Lamarmora che attribuiva al talco lo splendore grasso delle velature sericitiche degli scisti più o meno filladici. Così nella pa- gina seguente(43) si parla di uno scisto talcoso calcarifero, che nella nomenclatura moderna dovrebbe chiamarsi un calcescisto od un cal- care filladico. Lo Zoppi, col Meneghini, attribuisce i calcari ad Orthoceras del Fluminese ad un’orizzonte superiore a quello degli scisti. Una revi- sione delle faune degli scisti e dei calcari sarebbe opportuna per deci- 46 VILTORIO NOVARESE dere se sì tratti unicamente di differenza di facies, oppure di due orizzonti diversi del Siluriano superiore, oppure ancora se la fauna più antica non appartenga addirittura al Siluriano inferiore od Ordo- viciano. L’intimo legame che il passaggio graduale stabilisce fra gli scisti fossiliferi e le sottostanti puddinghe fa sì che geologicamente si devono tenere riuniti come formazione unica, per modo da considerare le puddinghe come base degli scisti. Invece i calcari ceroidi, per quanto compajano sempre associati alle puddinghe, od almeno concomitanti sì presentano con esse in tali rapporti da doversi tenere nettamente separati. Nella Carta dello Zoppi gli scisti cambriani, i siluriani e le puddinghe, per le ragioni addotte, sono riuriti e confusi sotto una tinta unica; ciò che, dopo la scoperta della fauna a Par. mediter— raneus, ne costituisce la maggiore imperfezione, alla quale potrà ripararsi colla distinzione cartografica sistematica dei varii orizzonti ora enumerati. Già aleuni dei saggi di rilevamento accennati nella introduzione del presente scritto s’ informano a tale criterio, che, applicato rigorosamente a tutto il territorio, varrà a gettare una benefica luce sulla tettonica dell’Iglesiente ed i problemi che ne di— pendono. Relazione fra le puddinghe ed i calcari ceroidi intercalati. — Per lo studio della serie paleozoica hanno importanza capitale i rapporti che intercedono fra le due rocce del nostro gruppo, i calcari ceroidi e le puddinghe scistose. I calcari sopradetti nella parte occidentale della tav. d’Igle- sias ed in quella di Nèbida, nonchè in quella di Barbusi compaiono : 1.° in masse amigdalari di varie grandezze al contatto fra gli scisti cambriani e la puddinga. 2.° in lenti dentro quest’ultima, quasi sempre però in vicinanza del contatto. Circostanza notevole, presso ogni massa calcarea le puddinghe si arricchiscono di ciottoli calcarei che per così dire formano nella puddinga aureole e sciami intorno al nucleo calcareo compatto. Talora IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA 47 l'abbondanza dei ciottoli calcari è tale che il cemento scistoso pavo- nazzo si riduce e scompare, cosichè si ha un vero conglomerato di ciot- toli calcari prevalenti, addossati però sempre ad un nucleo di calcareo ceroide. E’ ovvio che i calcari debbono avere preesistito alle puddinghe che le contengono in ciottoli. Ciò può ammettersi senza difficoltà per le amigdale calcari che poggiano sugli scisti cambriani e sono co- perti in tutto od in parte da puddinghe come quelle di Monte Albo e Monte Meu così spesso citate dallo Zoppi, ma non appare chiaro per quelle masse che sono, o sembrano ineluse nelle puddinghe. Se sono davvero lembi di calcari preesistenti alle puddinghe, bisogna ammettere che siano stati spuntoni circondati dalle acque in cui quelle si sono depositate, e che le intense pressioni e ripiega- menti subiti dal complesso, le facciano apparire ora come lenti affio- tanti in concordanza. A conforto di questa ipotesi stà un fatto che si verifica non per il calcare ma per lo scisto, osservato da me nel por- ticello della Fortuna, presso Nèbida. In quel punto sopra una super- ficie lisciata dalle onde,appare intercalato alle puddinghe uno spun- tone di scisto cambriano che sembra un blocco immane avvolto dalla puddinga scistosa; si tratta senza dubbio di una irregolarità del letto, di un antkeo scoglio, intorno a cui si è formato il deposito de- tritico del quale sembra ora far parte integrante. L'ipotesi ora enunciata è meno repugnante di quella di una de- posizione alternata di calcari in lenti; e di puddinghe, le quali, per la dimensione dei loro elementi, sono certamente dovute ad un agente di trasporto impetuoso e non conciliabile colla tranquilla deposizione che la perfetta omogeneità e finezza del calcare presuppone. Di più non si da mai il caso che il caleare includa ciottoli di altra natura, ciò che sarebbe stato inevitabile se la deposizione colle puddinghe fosse stata contemporanea. Poichè sto esponendo delle ipotesi non tacerò che a spiegare le puddinghe, che sono certo uno dei più interessanti problemi della geologia dell’Iglesiente, il Fraas ha dubitato potessero essere una breccia di frizione lungo una superficie di contatto fra il Cambriano ed 48 VITTORIO NOVARESE il Siluriano (1). I soci dell’Associazione Mineraria Sarda dimostrarono subito, e con ragione, che l’ipotesi sul terreno non appariva sosteni- bile. Però non è da escludersi, che il dubbio avanzato con molta pru- denza dal Fraas, nelle mani di qualche fautore ad oltranza dei car- reggiamenti, dia luogo all’interpretazione delle puddinghe come un orizzonte di miloniti in corrispondenza di una grande superficie di carreggiamento del Cambriano sul Siluriano. Siccome la teoria dei car- reggiamenti si presta ad ogni spiegazione, i calcari ceroidi si pos- sono assimilare alle Xlippen ed ai blocchi esotici tettonici degli esempi noti di carreggiamenti. Non occorre io dica che tanto i carat- teri intrinseci quanto la distribuzione topografica della fascia delle puddinghe, dimostrano non necessaria una ipotesi così ardita, e più che sufficiente una semplice trasgressione a spiegare i fenomeni osservati. Relazione fra il Cambriano ed il Siluriano. — I rapporti fra il Cambriano ed il Siluriano sono molto netti, specialmente se conside- riamo il gruppo puddinghe e scisti, astraendo per ora dai calcari ceroidi. A contatto delle serie cambriana, da qualunque roccia essa sia rappresentata stanno le puddinghe, che per la loro natura intrin- seca dimostrano essere una formazione costiera (2) o continentale, formatasi dopo un’emersione dei terreni su cui poggia. Di più queste puddinghe formano, dovunque il Siluriano viene a contatto col Cam- briano, una fascia continua in netta discordanza e trasgressione sugli strati più antichi, tanto nei numerosi profili trasversali offerti dal terreno, quanto nella loro distribuzione planimetrica, perchè la fascia delle puddinghe viene indifferentemente a contatto cogli scisti cam- briani, col calcare metallifero e colle arenarie, da Masua fino a Corto- gliana, spesso con stratificazione diretta perpendicolarmente a quella dell’appoggio. (1) EB. FRAAS: Contributo allo studio delle anageniti - Ass. Min. Sarda - Anno IX, pag. 6. (2) Questa espressione di formazione costiera è già stata impiegata nelle pubblicazioni dell’Associazione mineraria sarda, e, se si intende come designazione x dell’origine del deposito, è esattissima. . ll L \ IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA 49 Per ciò, senza dubbio possibile, può affermarsi che il complesso siluriano delle puddinghe e scisti ha incominciato a deporsi dopo che il Cambriano aveva già subito un intenso corrugamento ed un sollevamento. La fascia delle puddinghe che come vedremo compare in molti luoghi dell’Iglesiente e del Fluminese segna il perimetro della grande isola costituita dai terreni cambriani, e salvo le defor- mazioni dovute a ripiegamenti postsiluriani, ne mostra il contorno in quel remoto periodo geologico. Lo Zoppi, che pure negò pertinacemente l’età cambriana degli scisti della vallata d’Iglesias (scisti di Cabizza) e li riunì al Siluriano, rap- presentando con una tinta unica calcescisti e scisti (Cambriani) anage- niti e buona parte delle puddinghe (siluriane), riconobbe benissimo l’importanza delle sue « grauwacke », perchè a pag. 44 esce in que- ste parole che riporto testualmente: « Come le roccie e e d, anche que- sta non è fossilifera; tutte e tre assieme formano la potente zona scistosa che divide il calcare metallifero dal calcare ad Orthoceras e dagli scisti a trilobiti e ad Orthis » cioè il Cambriano dal Siluriano. Quelle che chiama rocce e e d, sono i due orizzonti cambriani infe- riori, e rispettivamente i calcescisti della base della dolomia metal- lifera e gli scisti filladici, la cui attribuzione al Siluriano è stata la causa di quella interpretazione della serie che egli stesso colle parole ora riportate viene inconsapevolmente ad infirmare. Lo Zoppi conobbe benissimo la distribuzione delle puddinghe, ed infatti, sempre col nome di grauwacke, le cita «da Fontana Coperta (Fontanamare) fin presso Nèbida, a Nord della lente calcarea di Monte Meu e Monte Albo » ciò che corrisponde appunto alla parte più settentrionale della fascia occidentale delle puddinghe la quale prosegue a Sud fino a Serra is Carongius presso Cortogliana. Inoltre lo Zoppi le segnala ai piedi del Monte Marganai, dove in realtà sono potentissime, sebbene ad elementi piccoli, « e sopratutto a sud di Flu- minimaggiore, lungo le punte rocciose denominate Concas de Monte Argento » (pag. 44). Inoltre nella parte petrografica sono descritti quattro campioni di « grauwacke » provenienti dalla valle di Riu ès Arrus (Fluminimaggiore) vale a dire da affioramenti che formano la 4 50 VITTORIO NOVARESE continuazione verso E della zona di Concas de Monte Argento, e segnano l’antico littorale settentrionale dell’isola cambriana. Allo Zoppi sembra sia sfuggito il legame fra le puddinghe ed i calcari ceroidi. Egli li ha compresi sopra la sua carta nella denomi- nazione di « calcari intercalati agli scisti precedenti », cioè siluriani, insieme coi calcari ad Orthoceras. Siccome lo Zoppinon conobbe o non ha segnato il piccolissimo affioramento di calcari ad Orthoceras di Fon- tanamare, tutti i calcari siluriani indicati da lui colla sigla es sul- l’area corrispondente alle tavv. di Iglesias e Nèbida, sono i calcari ce- roidi delle puddinghe, colle rare dolomie loro associate. Neltesto egli nomina esplicitamente (pag. 44) i calcari di Monte Albo e Monte Meu, attraversati dalla galleria di scolo di Monteponi, e quello di Rocca sa Grutta (Monte Mulino a vento della carta dell’I. G. M.?) presso Nèbida, dicendoli intercalati negli scisti filladici. Invece sono compresi fra gli scisti cambriani e le puddinghe. Questi calcari ceroidi, quando stanno alla base delle puddinghe, sono invece nettamente in discordanza cogli scisti cambriani su cui posano, come può vedersi precisamente al Monte Meu (Fornace Sab- badini) lungo la ferrovia Monteponi-Gonnesa, nonchè in molti altri punti lungo il contatto fra puddinghe siluriane e scisti cambriani. Dove il fatto si vede più chiaramente si è presso la Polveriera di Nèbida, al monte detto del Mulino a vento sulla carta dell’ I. G. M. che ritengo sia lo stesso fotografato dallo Zoppi col nome di Rocca sa Grutta; ivi il calcare ceroide rappresentato da un banco di dolo- mia, è separato dagli scisti cambriani, sulle testate dei quali poggia, daun banco di poco più di un metro di potenza, di puddinga rossa. Questi calcari ceroidi, che compaiono in masse isolate di varia grandezza sul Cambriano, e sono attorniati dalle puddinghe così nettamente passanti al Siluriano possono, come già dissi, interpre- tarsi in modo molto vario. Sono essi lembi avanzati di una formazione continua depostasi fra il Cambriano medio ed il Siluriano e già erosa quando ha incominciato a deporsi il Siluriano rappresentato dalle puddinghe? Oppure si formarono veramente fino dall’origine in bloc- chi isolati come scogliere coralligene nel periodo immediatamente IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NEBIDA I $ precedente alle puddinghe? Si può anche andare più in là e formulare un'ipotesi più ardita. Siccome, finora almeno, non si conoscono questi calcari che appoggiati agli scisti, e si sa che sono talora (Nèbida, Masua) accompagnati da dolomie grigie simili alla metallifera; siccome si sa inoltre che i calcari ceroidi, associati alla dolomia cambriana appaiono alla base di questa, cioè direttamente sugli scisti cambriani ed in rapporti con essa di una estrema irregolarità, non sarebbe lecito considerare questi calcari ceroidi delle puddinghe come relitti di un vasto mantello calcareo cambriano corrispondente alla base del piano della dolomia, eroso parzialmente durante l'emersione avvenuta dopo la deposizione del Cambriano medio, e conservatisi perchè avvolti nelle puddinghe siluriane?. Come ho già notato in precedenza l’os- servazione diretta non ci permette [di stabilire con sicurezza se gli scisti a Paradorides Mediterraneus siano o no, perfettamente concor- danti colla dolomia, e le concordanze delle puddinghe coi calcari ce- roidi possono spiegarsi come fenomeni dipendenti dall’intenso ripie- gamento. Allo stato delle nostre conoscenze dire quale delle tre ipotesi enumerate sia la più plausibile o se non ve ne sia un’altra migliore è impossibile. E° probabile che il seguito del rilevamento dia la risposta, od almeno valga ad escludere qualcuno dei dubbi avanzati. Il Cambriano dell’Iglesiente ha una tettonica sua propria piuttosto complicata e del tutto indipendente dal Siluriano deposto su di esso in evidentisssima discordanza e dal quale è separato da uno hiatus che corrisponde certamente al Cambriano superiore, e probabilmente al Siluriano inferiore in tutto od in parte. Nella parte centrale della tavoletta d’ Iglesias, a N. all’ incirca di Monteponi, la serie cambriana, sebbene raddrizzata, è nel suo ordine naturale, ma verso Sud, per esempio a San Giorgio ed a Seddas Modizzis le arenarie sono chiuse in una sinclinale rovesciata e da una parte di questa vengono a trovarsi sotto la dolomia metallifera. La tettonica del Siluriano in complesso è più "semplice. !Com- pletamente esterno al massiccio cambriano, presenta intensi fenomeni DR VITTORIO NOVARESE "© di corrugamento in vicinanza di esso, specialmente dove è rappre- sentato dalle puddinghe, ed andamenti meno tormentati a maggiore distanza, dove compaiono gli scisti ed i calcari ad ortoceratiti. Nelle vicinanze del Monte Lisau il Siluriano compare in serie rovesciata sotto gli scisti cambriani. Più complicate sono le condizioni nella striscia fra le dolomie cambriane ed il mare a Nèbida. Ivile pud- dinghe formano una serie di almeno tre sinelinali presso a poco paral- lele, strette dentro gli scisti cambriani e siccome la direzione dei ripie- gamenti è pressocchè la stessa, sembrano intercalate in questi ultimi cosicchè è stato lungamente discusso se gli scisti fossero siluriani, op— pure cambriane le puddinghe. CARBONIFERO (?). Al Paleozoico deve pure attribuirsi senza alcun dubbio una for- mazione che occupa il centro della vallata d’Iglesias, nella località detta Planus de San Giorgio, dai ruderi di un’antica cappella, i quali però stanno sugli scisti cambriani. La formazione in questione è ta- gliata dalla ferrovia fra la fermata di Cabizza e la stazione di Mon- teponi, e su di essa stanno le case Virdis, Olla e Tagliani, denomi- nate sulla carta al 25000. Essa consta di una serie di terreni di aspetto recentissimo. A ponente della linea ferroviaria predomina un’arenaria tenera giallastra in grossi banchi ben netti, potente pochi metri. Presso la trincea della ferrovia, all’arenaria si associa una brecciola calcarea fortemente cementata, con elementi della dolomia metallifera grigia, in un grosso banco che viene escavato. Le due rocce però cessano poco ad Est della ferrovia e sono sostituite da un conglomerato sciolto o semisciolto fra i cui elementi prevale l’arenaria cambriana in grossi ciottoli. Su-, bordinata compare quà e là una marna sabbiosa giallastra, talora fo-, gliettata. Così ad esempio presso la Casa Olla. L’aspetto della formazione è quello di un deposito continentale in parte lacustre, in parte fluviale, con banchi orizzontali 0 suboriz- zontali, in un bacino ristretto e poco profondo. Se non si fossero in IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 53 esso trovate delle filliti indubbiamente paleozoiche sarebbe stato ri- tenuto non più antico del Terziario e riferito probabilmente all’Eocene, sviluppatissimo nei dintorni, ed un lembo del quale compare presso Monteponi, a poche centinaia di metri di distanza. Ma il signor Gambera, aiutante del Corpo Reale delle Miniere vi rinvenne verso il 1896 degli avanzi vegetali che affermò carboni- feri. Il vivo contrasto fra l’antichità dei fossili e la facies recente del terreno a stratificazione indisturbata, fece accogliere con scetti- cismo la scoperta e dette luogo a vivacissime discussioni. Però tutte le scoperte successive hanno confermato sostanzialmente le deter- minazioni del Gambera. Il Di Stefano riconobbe negli avanzi manda- tigli delle Annularia; il professor Eberardo Fraass determinò come Cordaites una fillite inviatagli dall’ingegnere Erminio Ferraris di Monteponi. Algune altre depositate nel Museo della Scuola Minera- ria d’Iglesias, sono indubbiamente felci del paleozoico superiore. L'ingegnere Sartori di Monteponi ha trovato altri frammenti che ho veduti e che sono riferibili a Calamites ed a Cordattes. Non è quindi ora più lecito dubitare dell’età paleozoica del depo- sito: è discutibile se appartenga piuttosto al Carbonifero superiore che al Permico inferiore. Il che non potrà essere deciso se non verrà compiuto lo studio paleontologico delle filliti rinvenute, e finora disperse in varie collezioni. Data la natura certamente continentale del deposito è da augu- rarsi che, oltre alle piante, altre ricerche vi facciano rinvenire anche una fauna, la quale, come quella press’ a poco coeva a Stegocefali, del Plauenschen Grund presso Dresda, potrebbe contenere dei verte- brati e presentare il più alto interesse. La quasi orizzontalità di questi strati permo-carboniferi sopra i tormentatissimi scisti cambriani ha anche già dato luogo a dedu- zioni tettoniche per opera di autori stranieri. E° probabilissimo che dopo il ripiegamento ercinico, le masse cambro-siluriane dell’Iglesiente non abbiano più fatto grandi movimenti, e sopratutto non siano state interessati da ripiegamenti posteriori. Però la ristrettezza dell’affio- ramento carbonifero è tale che la sua orizzontalità potrebbe anche D4 VITTORIO N@VARESE essere dovuta ad un fatto locale, ed è prematuro trarre da essa delle deduzioni di così grande portata. Sarebbe interessante ricercare se in questi conglomerati carbo- niferi si trovino pezzi trasportati di galena, di blenda o di calamina, per stabilire l’età dei giacimenti metalliferi, e sapere se si sono for- mati nel Paleozoic) in seguito alle intrusioni granitiche oppure nel Terziario dopo le espansioni della trachite. MESOZOICO (2). Lo Zoppi, fondandosi unicamente sopra analogie litologiche col trias non dubbio di Naroci, attribuì a tale età la formazione dell’al- topiano di Campomà (Campunari della carta al 25000 dell’Istituto Geografico Militare), composta essenzialmerte di un corglomerato alla base e di calcari in banchi nella sua parte superiore. Più tardi se ne è occupato il Tornquist che assegnò all’ Eocene i calcari, ciò che è assai verosimile, e, fondandosi sopra alcuni briozoarii rinvenuti nei conglomerati, ascrisse questi al eretaceo. Però il Tornquist, proprio riguardo ai conglomerati, cadde in una svista enorme, che dev'essere rilevata, perchè per l'autorità di chi la commise, potrebbeindurre altri in errore. Egli confuse e ritenne una cosa sola i conglomerati di base della formazione di Campomà e quelli senza alcun dubbio paleozoici sottostanti. Questo errore che può parere inespli- cabile da parte di un geologo così provetto come il Tornquist, si spiega abbastanza facilmente.La formazione di Campomà, pressocchè orizzon- tale, è in parte adagiata sopra le puddinghe siluriane laminate e con piani di scistosità pressocchè verticali. Siccome ai banchi dei calcari di Campomà sono associate anche delle puddinghe fortemente cemen- tate da un calcare rossastro, e formato a spese delle puddinghe silu- riane sottostanti, il Tornquist, che certamente dovette fare una vi- sita molto rapida a Campomà, confuse a cagione della somiglianza litologica, talora molto grande, la puddinga calcarea non più antica del cretaceo, colla paleozoica, ed affermò che il Cretaceo era impigliato nei ripiegamenti dei terreni cambriani, e siluriani e fortemente rad- IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS FE DI NEBIDA 55 drizzato ; fatto in aperta contraddizione non solo con quanto una osservazione appena un po’ attenta dimostra sul luogo stesso, ma an- cora con tutto quanto si conosce delle formazioni mesozoiche e ceno- zoiche sarde, a mala pena disturbate da accidentalità del tutto locali e rimaste quasi orizzontali. La determinazione dei briozoarii, che potrebbero essere anche del- l’Eocene inferiore anzichè del Cretaceo superiore è un argomento che conforta ad escludere che i calcari di Campomà siano triasici. Si ag- giunga ancora la circostanza che alquanto più a Sud, nel bacino eoce- nico di Gonnesa, sotto al gruppo lignitifero affiorano alla base della serie ed in concordanza cogli strati sovrastanti caleari e conglomerati del tutto analoghi a quelli di Campomà; inoltre tanto lo Zoppi, quanto il Lamarmora descrivono le puddinghe ed i calcari che in più località (Terra Segada ecc.) stanno alla base dell’Eocene. Si ha così una serie di argomenti litologici e stratigrafici più che sufficienti per potere affermare che i terreni in questione non sono certo più antichi del Cretaceo superiore e più probabilmente ancora sono eocenici. EOCENE. L’Eocene del bacino di Gonnesa e stato descritto dal Lamarmora e dallo Zoppi, nonchè da vari altri e la sua età è stabilita sopra sicure basi. Non occorre darne le caratteristiche in uno scritto avente come questo carattere di comunicazione preliminare. [Come è noto la formazione eocenica, in grandi masse continue, colma la valle del Cixerru ed il bacino di Gonnesa. Merita però attenzione una serie di lembi isolati dello stesso terreno che si presentano in condizioni topografiche ed altimetriche singolarissime. Così ad esempio, nei dintorni di Monteponi se ne incontrano parec- chi, fra i quali il più notevole è quello della spaccatura detta Mon- signore, nella dolomia metallifera esplorata coi lavori minerari. Fra i blocchi rinvenuti in questa spaccatura, ripiena di frammenti di terreni diversissimi, di pezzi di lignite, e mineralizzata, uno conte- neva un legno fossile determinato dal professore Lovisato come un 56, VITTORIO NOVARESE Palmacites, indubbiamente eocenico, come eocenici sono pure i pezzi di lignite sopracitati. Una spaccatura analoga nella dolomia con riempimento eocenico si conosce pure a Campo Pisano, ece. Siccome non pochi di questi lembi eocenici sono notevolmente più elevati del terreno coevo delle valli del Cixerru e del bacino di Gonnesa, il loro esatto rilevamento varrà a gettare molta luce sia sopra la vera estensione della sommersione eocenica del paese, quanto sopra ìi movimenti relativi posteocenici dei vari massicci che lo costi- tuiscono. QUATERNARIO. Il solo terreno fossilifero che si conosca più recente dell’Eocene nell’Iglesiente è rappresentato dalle sabbie stratificate di Cuccu de Cori e Fontana Morimenta presso Gonnesa nelle quali è stato rinve- nuto l’Elephas Lamarmorae descritto dal Major (1), forma nana di elefante, analoga all’E. melitensis, e certamente quaternaria od almas- simo pleistocenica. Oltre a tale terreno veramente quaternarie non possono consi- derarsi se non le formazioni recenti od alluviali quali i travertini di Fontanamare, i fondi attuali di valle, le spiagge e le dune che secondo le osservazioni dell’ing. Pullè giungono fino a 100 metri. sul livello del mare nelle tavolette di Nèbida e di Porto Scuso, mentre le sabbie quaternarie di Fontana Morimenta non superano la quota di 60 metri. Però in molte località si trovano, fuori dell’ambito d’azione degli attuali fattori geodinamici, delle formazioni detritiche non fossilifere di natura continentale, generalmente in lembi di estensione limitata, ma talora considerevolissimi, i quali non possono attribuirsi piuttosto al Quaternario che ad un altra età, essendo il paese emerso dopo l’Eocene. A questi terreni non può ragionevolmente attribuirsi che l’epiteto dei post-eocenici. Fra essi può appena distinguersi il gruppo, molto piccolo, di quelli che contengono elementi trachitici, che sono da considerarsi come posteriori alle trachiti, anch’esse posteoceniche (1) ForsyTH MAJOR: Die Thyrrenis - (Kosmos, VII Jahrh, 13° Bd, pag. 7). IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 57 e di età finora non determinata, sebbene probabilmente come quelle del resto della Sardegna siano mioceniche. A questi terreni posteocenici è per esempio da attribuirsi tutto il ciottolame che si trova in molti lembi sopra le dolomia dell’altipiano a ponente di Iglesias e di Monteponi (Cantieri di S. Marco), la conoide allo sbocco della valletta di Agruxau fra C. Devilla e San Severino, e quello che copre l’Eocene in molta parte della valle del Cixerru, spesso con potenza di qualche metro. ROCCE ERUTTIVE, Nel Paleozoico le rocce eruttive sono rappresentate da dicchi, in genere non troppo importanti per dimensioni, di melafiri o diabasi, profondamente alterati, si da essere trasformati per la maggiore parte in carbonati, e per conseguenza pressocchè indeterminabili. Già nell’opera dello Zoppi di queste rocce è stata data dal Bucca una diagnosi esatta per un campione proveniente dalla KR. Mortuoi presso Iglesias. Dicchi di questo genere compajono a Monteponi, a San Giovanni, a Campo Pisano, nella dolomia metallifera e nei calcari ed a essi si attribuisce ora, per la spiegazione della mineralizzazione, un'importanza assai maggiore che non quella che vi abbia dato lo Zoppi. Le trachiti, che occupano una parte notevole della tavoletta di Nèbida, e sono del resto estesissime verso Porto Scuso, e nel Sulcis, sono posteriori all’Eocene, e per mancanza dij terreni più recenti di età non bene stabilita, sebbene per analogia colle altre trachiti della Sardegna si possa supporre siano state eruttate durante il Miocene. D’origine certamente endogena, sebbene da non classificarsi fra le roccie eruttive, sono le masse di quarzo di natura filoniana che si osservano in molti punti del Paleozoico, associate alle manifestazioni metallifere. A queste masse di quarzo si da ancora frequentemente nell’Igle- siente il nome di quarzite, non più in uso nella scienza per il quarzo filoniano, e riservato alle rocce di origine sedimentaria. Tali masse di D8 ) VITTORIO NOVARESE quarzo sono sviluppatissime, come è noto alla miniera di San Giovanni, ma occorrono in non poche altre località. Presso Nèbida (Punta di Mezzodi; ad ovest della casa d’Amministrazione; sul mare) sono as- sociate ai calcari ceroidi ed alle dolomie concomitanti colle puddin- ghe, e sembrano averli parzialmente sostituiti. Tenuto debito conto delle riserve contenute nelle pagine che pre- cedono specialmente a riguardo dei calcari ceroidi contenuti nelle pud- dinghe siluriane, la serie dei terreni sedimentarii delle tavolette di Iglesias e di Nèbida può essere rappresentata dal seguente schema. IL RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLE TAVOLETTE DI IGLESIAS E DI NÉBIDA 59 Quaternario. . . .. Alluvioni recenti, dune, spiagge marine, panchine recenti, travertini, ecc. Sabbie stratificate con Elephas Lamarmo- rae MAIOR; panchine antiche. Posteocene . . . Trachiti. - Terreni detritici varii di età non ben determinata. Eocene inferiore. . ._ Mesozoico superiore (2) . Arenarie, calcari miliolitici, argille, calcari, puddinghe calcaree, con ligniti. Calcari compatti, ed in banchi: congiome- rati rossi e puddinghe calcaree. Carbonifero superiore. Arenaria tenera in grossi banchi, brecciola calcarea fortemente cementata, conglo- merati semisciolti; marna sabbiosa gial- lastra. Con Anmularia sp., Calamites, Cordaites, Filices. Periodo di emersione. Siluriano. Calcari ad Orthoceras e Cardiola con cal- cescisti neri, (presso Fontanamari) inter- calati a scisti varii, talora arenacei con crinoidi (Scyphocrinus), Orthis, e trilobiti (Dalmanites, ecc.). Scisti rossi, scisti rossi con macchie verdi; puddinghe e conglomerati. a cemento scistoso, con lenti di calcare ceroide e do- lomia verso la base (grauwacke di ZoPPI). Periodo di emersione. Cambriano medio PIANO a Paradorides PIANI € (fauna primordiale) e D 1 « della Boemia (AcADIANO dell’America settentrionale) Dolomia metallifera Arenarie e scisti, contenenti lenti e banchi intercalati di calcari varii, ora compatti, ora ceroidi, ora a struitura oolitica, ta- lora colorati, talora ad Archaeocyathi- nae. Con trilobiti (Giordanella, Ole- nopsis, Metadorides); Archaeocyathus e Coscinoscyathus, Paleospongia, Cru- ciana e Bilobites. Doloma grigia e nera rigata, e dolomia ad Archaeocyathinae (dol. a Spongiae). Do- lomia gialla, con masse di calcare ceroide (calcare dleu). Calcari e dolomie scistose (calcescisti). Scisti grigi, pavonazzi, rossi e verdi, talora filladici. Con Paradorides mediterra- neus PoMPECKY. (Zona del P. rugulosus CorpA) (Scisti di Cabizza). “ $ Lao È Ù # €71 Val 55 III. POMPEO MODERNI NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI R DEGLI AUSONI E SUL PROMONTORIO CIRCEO In una rapida escursione, fatta venti anni or sono, lungo il ver- sante occidentale della catena dei Monti Lepini e dei Monti Ausoni, che ne sono la continuazione, con una gita pure al promontorio Cir- ceo, raccolsi delle note che per allora misi in disparte, sperando che mi si sarebbe, una volta o l’altra, offerta l’opportunità di comple- tare le mie osservazioni e poter quindi fare una descrizione, detta- gliata della interessante catena, divisa in due dalla gola di Giuliano di Roma(1), ove sorge uno dei meglio conservati vulcanetti del piccolo gruppo degli Ernici. E tanto più speravo in questa eventualità in quanto che avevo avuto, molti anni prima, l'occasione di percorrere tutta la doppia catena, dal Vulcano Laziale al Vulcano di Roccamonfina, quando l’Ufficio Geologico cominciava a raccogliere il materiale per la futura compilazione della carta geologica d’Italia. Tempi lontani nei quali non era possibile fare osservazioni accurate ed esaurienti, perchè se da una parte all'Ufficio Geologico, che cominciava allora a formarsi, mancava un laboratorio chimico, mancavano igabinetti petrografico (1) Nella Carta d’Italia al 500,000, dell'Istituto Geografico Militare Italiano, vi è un errore nella nomenclatura di queste due catene che si seguono e cioè : il nome di MonTI LEPINI è esteso fino ai monti di Terracina, mentre si sa che ia catena dei Lepini è limitata a Sud della gola dov'è il paese di Giuliano di Roma e dal fiume Amaseno, sicchè i monti di Terracina appartengono alla catena dei monti Ausoni e non ai Lepini. 62 POMPEO MODERNI e paleontologico ed aveva una biblioteca appena in embrione, dal- l’altra, urgeva, per ragioni diverse, abbozzare, nel più breve tempo possibile, una carta geognostica di alcune regioni, che erano affatto sconosciute, e sapere almeno quali rocce affioravano alla superficie. Fu un lavoro faticosissimo, senza sosta nè d’estate, nè d’inverno, du- rato, per la parte che mi riguarda, una dozzina d’anni, attraverso i morti delle provincie di Roma, Caserta, Napoli e di quelle del- l'Abruzzo; lavoro non allietato dalla soddisfazione di poter pubbli— care le proprie osservazioni in lavori preliminari, 1.° perchè mancava il tempo materiale per farlo; 2° perchè quand’anche il tempo vi fosse stato, tutte le note prese, tutte le osservazioni fatte afirettatamente durante il rilevamento della carta geognostica, avevano bisogno d’es- sere rivedute e corrette; tutto il materiale raccolto, aveva bisogno d’essere studiato dagli specialisti, che stavano in quel mentre facendo il loro tirocinio. Se in quel lavoro affrettato di ricognizione, per l’abbozzo di una carta geognostica, mancavano i mezzi ed il tempo per osservazioni accurate ed esaurienti, se il timore di dire cose che potevano essere smentite il domani imponeva molto riserbo, è indiscutibile che quelle corse, per monti e valli, attraverso vaste regioni, offrivano all’opera- tore un campo inesauribile di osservazioni e di confronto, che dove- vano formare in lui una solida base di cognizioni, per il futuro lavoro di rilevamento della carta geologica propriamente detta. Ed a for- marmi questa base io miravo, quando andavo, nei Lepini ed altrove, raccogliendo queste note delle quali speravo potermi servire più tardi. Perduta oramai la speranza di poter fare ulteriori studi geologici, su questa regione, e le note staccate da me prese, essendo insufficienti a farne anche soltanto una descrizione sommaria, io le pubblico così in forma di note, come le trovo sul mio taccuino di campagna, nella persuasione che le medesime possano riuscire di qualche utilità nello studio geologico della catena dei Lepini e degli Ausoni, per gran parte della quale non vi è finora che la primitiva carta geognostica da me rilevata. NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 63 TAVOLETTA DI CORI. Dintorni di Cori. — Tutto il rilievo chiamato « ZY Monti » è co- stituito da calcare ceroide chiaro, contenente delle rudiste, inter- calato da banchi di breccia rossa, conosciuta in paese con il nome di pietra corallina. Queova localita è a Nord di Cori: prevale in essa un calcare ce- roide pieno di fossili, mentre nella breccia i fossili sono rari. In prossimità della rotabile che passa per S. Nicola, vi sono pa- recchie cave aperte nella breccia; non so se da esse siasi mai estratto materiale da costruzione, certo sì è che oggi, quelle che sono ancora in esercizio, forniscono soltanto materiale da imbrecciamento. Questa breccia è quella medesima dalla quale furono ricavate le magnifiche colonne della sagrestia di S. Pietro in Roma. In qualche punto vi è della brecciuola minuta, che rassomiglia moltissimo alla brecciuola nummulitica; non vi è dubbio però che sia cretacea, giacchè trovasi ordinariamente in piccole masse intercalate nel calcare ceroide. La stratificazione, pure seguendo l’andamento generale della catena dei Lepini, si fa rimarcare in questo angolo, per alcune piccole anticlinali e sinclinali e per altri frequenti disturbi stratigrafici. Il Cretaceo è costituito da diverse varietà di calcare e dalla brec- cia rossa, abbastanza conosciuta, che alternano fra loro. Queste varietà sono: un calcare ceroide di color caffè-latte assai chiaro, che rasso- miglia e sostituisce assai bene la famosa pietra del Botticino, con la quale fu adoperata promiscuamente nei parapetti del Pon d.» - gherita a Roma (la cava però di quella adoperata per uno dei para- pet:i del Ponte Margherita, è presso Rocca d’Evandro nella valle de! Sacco, ma è uguale a questa); un calcare saccaroide bianco ed alquanto dolomitico, che fa passaggio ad un calcare compattissimo, bianco-latteo o roseo, a frattura concoide. Vi sono poi le varietà costituite dai pas- saggi di vn calcare ad un altro, di cui è difficile tener conto. Il calcare ceroide ha straterelli della potenza minima di un centimetro fino 4 quella massima di metri 1.60 a 1.20, però in altri punti dei Lepini, 64 POMPEO MODERNI questa potenza degli strati del calcare ceroide, è assai maggiore. Il calcare a frattura concoide, ha strati che dalla potenza minima di metri 0,40 circa raggiunge i metri 2,00. A Nord-Ovest di Cori prevale il calcare ceroide e la breccia; a Sud il calcare a frattura concoide; a Nord-Est il calcare bianco. Il calcare ceroide è ricco di fossili; il calcare bianco saccaroide ne contiene di meno, la breccia ne ha pochi e rarissimi sono quelli che sì rinvengono nel calcare a frattura concoide, anzi non sono neppure sicuro che le poche impronte da me osservate su questa varietà di calcare, siano veri fossili. Da questo fatto ne consegue che vi sono estese regioni, dove è assai difficile trovare un fossile. Nel fosso Le Cupe, che passa sotto Cori, esiste un deposito di tufo litoide a grossi banchi: ve ne sono di tufo grigio che rasso- miglia al peperino e ve ne sono altri del solito colore giallognolo, ca- ratteristico dei tufi del Vulcano Laziale. Questi banchi sono appog- giati ai calcari, con i quali concordano nella stratificazione, che alle volte ha una pendeza di 40 e più gradi. La forte inclinazione di questi tufi, che accidentalmente concorda con quella dei calcari su i quali si appoggiano, rappresenta eviden- temente il pendìo naturale della montagna: la giacitura di questi tufi, che a bella prima impressiona, non ha nulla di straordinario per chi ha studiato la zona vulcanica romana. Nel cono del Vulcano di Latera (1) ho riscontrato e descritto strati di tufo litoide, i cui banchi avevano un’inelinazione di 40 a 45 gradi. che devono essere stati cementati, come questi di Cori, dalle acque meteoriche. Intercalato a questi tufi, trovasi un grosso banco di lapillo nero, avente la stessa inclinazione dei tufi. Sotto regione Pezza del Fico, nel fondo del Fosso Le Cupe, è stata aperta una cava di tufo litoide nella località detta « Le Vaschette » (questo nome però su la carta al 50,000 non esiste); nel tufo sono con- tenuti, in grande quantità, tronchi d’albero di varie dimensioni ed (1) MopERNI P. Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsinii « Boll. R. Com. Geol. annate 1903 e 1904 », Roma, 1904. NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 65 alcuni benissimo conservati. E° da rimarcare che il tufo incoerente, degli altipiani che attorniano il Fosso Le Cupe è giallo—rossiccio, men- tre il tuto litoide che si trova sotto di esso nel Fosso Le Cupe, è giallo- avana con pomicine pure gialle che non si osservano nel tufo incoerente, ovvero grigio della forma dei peperini. Da ciò si deduce che il tufo litoide non può provenire dalla cementazione del tufo incoerente soprastante, appartenente al Vulcano Laziale, mentre il tufo litoide contenente delle pomicine gialle, molto probabilmente, appartiene alle eruzioni del Vulcano di Roccamonfina, il quale appunto, come i tre vulcani a Nord di Roma, ha di questi tufi gialli con pomicine gialle. In tutta le regione a Nord-Est di Cori, non si rinvengono fossili altro che in qualche straterello di calcare ceroide, interposto al cal care bianco saccaroide e dolomitico. I monti sono privi affatto di sorgenti. Entro l’abitato di Cori vi sono delle mura ciclopiche magnifiche, * chiamate le « Rovine del Tempio d’Ercole”». TAVOLETTA DI CARPINETO ROMANO. Dintorni di Norma. — A Nord-Ovest di Norma, nella località chiamata Civita, esistono i ruderi d’una città pelasgica (l'antica Norba) che durò fino ai tempi di Silla, nella quale epoca s’incendiò: stupende le mure ciclopiche ed il serbatoio per l’acqua, con la platea di calce- struzzo ancora intatta, come se fosse stata costruita solo da pochi anni (1). La collina su cui trovasi Civita è formata quasi interamente di calcari bianchi saccaroidi, privi affatto di fossili. La stratificazione discorda con l’inclinazone generale dei Lepini e segna un’anticlinale che dalla collina di Civita si estende alla collina Fontana Calamaro, e per la Costa dei Lucini a tutta la regione fin (1) Nelle grotte naturali esistenti nei calcari, al disotto delle rovine di questa vecchia città, nel secolo scorso, fu rinvenuta dai pastori una quantità di anfore romane perfettamente chiuse e ripiene di liquido. Le anfore furono stupidamente spezzate ed il liquido gettato nei trogoli dei maiali. 5 66 POMPEO MODERNI contro Monte della Noce e Costa delle Tombelle, dove la stratifica- zione riprende la sua inclinazione normale verso Nord. Anche le regione Cararelle, che segue a Nord, mostrasi povera di fossili abbenchè vi si cominci ad osservare più frequente qualene banco di calcare ceroide, intercalato al calcare bianco ed a quello ro- seo a frattura concoide. Vi rinvenni l’impronta d’una piccola nerinea e qualche frammento di altri fossili indeterminabili. Sotto Civita, al piano, vi è Ninfa, piccola città distrutta dalla malaria, della quale restano in piedi le mura, una torre, e poche altre rovine di case e di chiese, ricoperte di edera: presso Ninfa sgorga una grande sorgente d’acqua potabile. Questi monti costituiti tutti di calcari permeabilissimi, presentano la specialità di essere poveris- simi di sorgenti d’acqua, le quali invece sgorgano abbondanti ai piedi di essi. Disgraziatamente la bella sorgente di Ninfa sgorga alla quota di metri 35, siechè non può essere utilizzata che come forza motrice per due molini, mediante una piccola chiusa che trasforma la sorgente in un laghetto. L'acqua che si riversa dal laghetto, dopo aver mosso i molini, forma il fiume Ninfa che prima andava ad immettersi nel canale chiamato Linea Pio e presentemente va ad ingrossare il fiume Sisto. Altra sorgente importante nei dintorni di Norma è quella della Fota, che è stata incanalata e fornisce l’acqua a Cori: è una delle po- chissime sorgenti, che si trovano ad una certa altezza, nei Monti Lepini. (Sgorga in una vallecola da 3 punti diversi, fra i 600 e gli 850 metri sul mare). Nei dintorni di Norma vi è pure la sorgente della fontana Acqua viva, sotto a Costa delle Tombelle, ma la sua portata non supera un’oncia romana (1) e sgorga a 547 metri sul livello del mare. In tutta questa regione predominano i calcari ceroidi, con tracce di fossili, però mentre a Cori abbondavano le nerinee qui apbon- dano le ippuriti: i fossili da me veduti, sono per lo più impronte mal conservate di forme indeterminabili, sufficienti però ad assicu- rarci d’essere in presenza del Cretaceo. (1) L’oncia romana equivale a litri 0.235 al 1” ossia a litri 20,304 al giorno. x NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 67 Verso la fontana Acquaviva i caleari si mostrano discretamente fossiliferi, ma ripeto, con impronte indefinibili: fra queste mi è sem- brato poter distinguere una requienia. Non escludo però che potendo dedicare del tempo esclusivamente alla ricerca di fossili, si finirebbe per trovarne (in quantità maggiore o minore) in buone condizioni di conservazione e perciò determinabili. Nella regione / Colli, immediatamente a Nord di Norma, vi è un deposito abbastanza grande di tufo: sono i soliti tufi giallo—rossastri, che prima dovevano coprire di un sottile strato tutti i monti circo- stanti e che poi lavati dalle acque, si sono accumulati in fondo alle valli. Sotto al tuto incoerente, anche qui si trova del tufo litoide gri- gio (peperino) che viene scavato per gli usi del paese. Assieme a questi tufi vi è pure della buona pozzolana. L’anticlinale già accennata, s’estende fin presso il paese di Norma, anzi lungo la rotabile che serpeggia sul fianco della montagna e scende a Ninfa, si può vedere con precisione, che la rottura passa proprio su! principio dei fabbricati di Norma e precisamente presso il palazzo Felici. Ai piedi della montagna vi sono grossi banchi della solita breccia rossa. Dintorni di Sermoneta. — Allo sbocco della valle fra Norma e Sermoneta si è formato un grosso cono di deiezione, non molto elevato, ma assai esteso. Alla base del monte ov’è Sermoneta, torna ad affiorare la brec- cia rossa, evidentemente intercalata ai calcari del Cretaceo superiore, che, come fu detto di sopra, si scopre alle falde del monte su cui è bricata Norma. I dintorni di Sermoneta sono costituiti principalmente dal cal- care ceroide, più oscuro di quello di Cori, e ricchissimo di fossili, per la massima parte frammenti d’ippuriti. Sembra invece che manchino completamente le nerinee, così abbondanti nei dintorni di Cori, e delle quali non ho trovato traccia. Se questa differenza potesse indicare la divisione d’un piano (1) si potrebbe grossolanamente delimitare tracciando una linea che pas- (1) Ed infatti fu constatato poi che la indica. ar 68 POMPEO MODERNI sasse nel fosso sotto Colle Ferrato, seguendo poi su per Costa dei Lun- cini e Monte della Noce. La stratificazione nei dintorni di Sermoneta, come ho già no- tato, è regolare e segue l’inclinazione generale dei Lepini. Ai piedi dei monti di Sermoneta, al piano delle paludi, sgorgano varie sorgenti solfuree fredde; ve n’è anche una potabile, un poco fer- ruginosa, che venne utilizzata, elevandola meccanicamente in paese, per uso della popolazione. Dette sorgenti, allineate alla base occiden- tale dei Lepini, segnano una linea ‘di frattura che passa per i vulcani napoletani e perj i vulcani romani. Nel piano, di fronte a Sermoneta, le acque sotterranee, hanno fatto sprofondare due tratti di terreno. Sopra Colle !Petrara vi [è un piccolo altipiano ricoperto del solito tufo. Dintorni di Bassiano. — Si può dire che a Sud di Bassiano co- minci la valle di Suso, valle che più propriamente si potrebbe chia- mare altipiano, che si estende e si allarga poi sotio Sezze: la bella val- lata è costituita da tufi rimescolati, che le acque hanno trasportato dai monti circostanti, dove dapprincipio si erano deposti. Vi sono qua e là, a poca profondità, delle cave di pozzolana: a sinistra del Cam - posanto nuovo di Sezze, vi è una cava di tufo incoerente, saponaceo al tatto, che viene adoperato per le malte idrauliche; altre] cave di questo materiale sono più verso Bassiano. A: Romitorio, situato alle falde di Monte Nero, presso la nuova strada di Roccagorga, vi è la cava Carnebianchi di vera pozzolana turchiniccia. Alle Fontane, presso Sezze, vi è la cava di un tufo semi-litoide che però non potrebbe ser- vire per le costruzioni: è un aggregato di ceneri leueitiche. Intercalato ai tufi incoerenti soliti, giallo-rossicci, vi sono stra- terelli di argilla quaternaria, contenente elementi vulcanici e di un tufo argilloso leucitico grigiastro: si vede bene nella località detta Croce Vecchia, a sinistra e poco distante dal Camposanto nuovo dì Sezze. Su questo tufo e su l’argilla, vi è un sottile strato di sabbia gialla. Nella valle di Suso doveva anticamente esservi un: piecolo lago, da qui la formazione dei sottili strati di materiali argillosi e di sab- Pi A doi: NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 69 bia. I tufi sono certamente rimaneggiati, salvo la piccola quantità di materiali vulcanici che può essere caduta direttamente nel pic- colo lago, all’epoca delle eruzioni laziali; una prova la si ha nei'depo- siti di ciottoli calcarei, che si trovano un po’ dappertutto, frammisti al tufo anche a molta profondità. Nel Fosso della Valle, dove passa la rotabile che va alla stazione ferroviaria, si mostrano le dolomie, che su la destra della valle si spro- fondano subito sotto ai calcari cretacei e su la sinistra s’innalzano fin quasi alla cima dei monti circostanti. Bassiano sta appunto su la dolomia che per il Monte della Bufola si spinge verso Sezze. Il versante della Semprevisa che guarda Bassiano, è costituito, dalla base alla sommità, da calcari cretacei ricchi di fossili. Gli strati sono fortemente inclinati (forse di 40°) verso la valle del Sacco, cioè a N-E; nel vallone Sant'Angelo, questa disposizione si vede benissimo. A circa 1000 metri dal livello del mare, vi è una ricca e buona sorgente d’acqua freschissima: 4 oncie della medesima furono incon- dottate e torniscono l’acqua potabile a Sezze e Bassiano; se ne po- trebbero allacciare forse altre 2 o 3 oncie, che ora vanno perdute. I tufi della valle di Suso visti dall’alto, rendendosi per la distanza meno accentuate le accidentalità del terreno, persuadono sempre più l’osservatore, se ce ne fosse bisogno, che trattasi di materiali la- vati dai monti e convogliati dalle acque giù nella valle; ai piedi della Semprevisa, specialmente, formano un cono di ‘deiezione, ‘che dal basso è più difficile a riconoscersi perchè venne più tardi modificato dalle erosioni. Le dolomie del Fosso della Valle, si mostrano sempre fino allo sbocco della valle e costituiscono pure delle colline sotto Norma: come ho già detto, su la destra della valle si mantengono bassissime, ed in qualehe punto, il fondo stesso della valle, segna il loro limite, mentre dalla parte opposta, ossia su la sinistra, sì alzano fin ‘quasi alla cima dei monti. Queste dolomie sono indubbiamente eretacee: concor- danti nella stratificazione con gli altri calcari, si vedono chiaramenié riposare sopra ai calcari che costituiscono i monti di Sermoneta. Pe, NA CIRO Mao È. tO) _ POMPEO MODERNI x Dintorni di Roccagorga e Maenza. — Tanto nei dintorni di Roc- cagorga che di Maenza, i fossili sono rarissimi, ed anche quando si riesce a vederne qualcuno, si tratta d’impronte appena riconoscibili. Eppure i caleari sono i ceroidi stessi che nel vicino Piperno, trovansi pieni di fossili ben determinabili; ritengo perciò che questa povertà di fossili sia relativa, cioè limitata alle località da me visitate, ma che potendo estendere le ricerche, si finirebbe anche qui per trovarne più o meno abbondanti come a Piperno. I calcari ceroidi sono accom- pagnati da altri calcari e nei dintorni di Roccagorga ho osservato un calcare giallo-rossastro, durissimo, che ricorda quello di Cori a frattura concoide. Questa roccia, tirata a pulimento, dovrebbe riuscire un bel- lissimo marmo. Fra Roccagorga e Maenza si è formato un grandioso cono di deie- zione, costituito da sabbie giallo-arancio simili a quelle dei dintorni di Piperno, mescolate con tufi e con detriti: sotto a questi materiali vi sono grossi banchi di breccia quaternaria. 'TAVOLETTA DI SEZZE. Dintorni di Sezze — La collina ov’è fabbricata Sezze ha la stra- tificazione rialzata a cupola, la quale è nello stesso tempo anche on- dulata. Predominano i calcari ceroidi (però con pochissimi fossili) in- tercalati da qualche banco della solita breccia. Nel fosso che passa a N-0 di Sezze, si vede una bellissima sin- clinale. Alla base della collina ov’è fabbricata Sezze, vi è una piccola sor- gente d’acqua potabile che va sempre diminuendo. Da Molino Muti « Casenuove, sula rotabile che conduce a Piperno, vi sono 4 o 5 sorgenti d’acqua potabile, che sgorgano anch'esse alla base dei Monti Lepini, due delle quali assai abbondanti, ma disgraziatamente a meno di 10 metri di elevazione sul livello del mare, per la qual cosa riesce difficile lo scolo delle Joro acque, che contribuiscono così ad impan- tanare la regione circostante. ) NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 71 Il Quaternario dei coni di deiezione, è costituito essenzialmente da tufi incoerenti, rimescolati a frammenti di calcari rotolati dai monti circostanti. Nella valle ove passa la mulattiera che da Sezze scende a Piperno (fra Madonna del Colle ed il piano), in circa 12 anni, quanti ne sono trascorsi dal giorno che visitai la località per il primo abbozzo di ri- levamento di carta geognostica a questa seconda mia gita, è stato completamente eroso il Quaternario che riempiva la gola e ehe univa quello del cono di deiezione alla falde della montagna, con il Quaternario della piccola pianura che trovasi a mezza costa. Il fatto non è isolato, perchè a Colle del Principe, una collinetta a Nord di Norma, sul culmine della quale esiste un. deposito di tufo, potei con- statare un sensibile ristringimento in estensione del giacimento tu- faceo, ristringimento che sarebbesi verificato per erosione nello stesso periodo di temp». Dintorni di Piperno. — In questo piccolo gruppo montuoso, isolato nella pianura pontina, fra la catena dei Lepini e quella degli Ausoni, ma appartenente alla prima perchè situato su la destra del- l’Amaseno, trovai due varietà di calcari ippuritici, e cioè quelli soliti ceroidji ed un altro calcare semi-cristallino durissimo, dolomitico. La stratificazione regolarissima pende con inclinazione più o meno accentuata a N.-E, ossia ha l'inclinazione generale dei Lepini Nel piccolo gruppo rinvenni le prime ippuriti conservate nella roccia; mi spiego: da Cori fin qui nelle tracce d’ippuriti rinvenute, il fossile era completamente sostituito da pasta calcarea, identica a quella della roccia incassante, ed il fossile stesso non si riconosceva che ad una sottile crosta spatizzata,la quale ne segnava i contorni. Qui a Piperno cominciano invece a trovarsi le ippuriti costituite da una pasta calcarea, diversa dalla roccia incassante, ciò che permette di separarle da essa assai facilmente; inoltre, sono conservate sempre bene le modellature esterne dell’animale e non di rado anche quelle ‘aratteristiche interne. Il Quaternario, che ricopre delle intere colline del piccolo gruppo, è costituito da sabbie marine giallo-arancio d’antiche dune, identiche he ea: du le a PATEITI tra: 72 | POMPEO MODERNI affatto a quelle che occupano tutto l'angolo S-O della tavoletta. Però lungo il litorale dove esse rappresentano un cordone marino di sollevamento, le medesime raggiungono le quote di 30 e 40 metri, mentre nei dintorni di Piperno si elevano fino a 232 metri. In qual che punto le sabbie di Piperno sono più rossastre perchè mescolate con un poco di tuto che anche qui erasi deposto sui monti e che fu poi lavato dalle acque. Alla base occidentale del gruppo, vi sono diverse sorgenti fra le quali una solfurea, seguendo così, anche il piccolo gruppo isolato, la regola generale dei Lepini, nei quali quasi tutte le acque’ sgorgano alla base occidentale della catena. La parte centrale della tavoletta, secondo la sua diagonale N. O- S. E, è occupata dalle paludi a fondo torboso. Nella pianura a Nord di Piperno, vi sono i soliti tufi che rico— prono le sabbie giallo-arancio quaternarie, alle quali fanno passag- gio insensibilmente. Sotto le sabbie, vi sono delle argille turchine a profondità va- riabili da 2 a 5 e più metri, ma che non affiorano mai. Tanto le sabbie che le argille sono prive di fossili, e devono provenire dall scomposizione d’un lembo di Pliocene. TAVOLETTA DI FONDI. Dintorni di Sonnino. — I dintorni di Sonnino sono costituiti da calcari ceroidi e da calcari dolomitici compatti, alcuni duri, altri teneri, tutti estremamente fossiliferi. Lungo la strada carrozzabile, sì vede nelle trincee la roccia piena zeppa d’ippuriti, aleune delle quali grossissime. La stratificazione in generale è a N-E, però essa piega in qual- che punto a Nord e N-0. Dintorni di Monte S. Biagio. — Il paese è su le dolomie, le qual appaiono in diversi altri punti dei dintorni e quasi senza interruzione arrivano fin verso Terracina. Queste dolomie differiscono da quelle da me vedute a Norma, e per la loro posizione potrebbero benissimo rappresentare se non NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 73 un piano inferiore del Cretacco, per lo meno la parte più bassa del piano superiore; la loro inclinazione però ha bisogno d’essere meglio studiata, perchè in nessun punto della zona fra Monte S. Biagio e Terracina, si presenta una posizione favorevole per vederle decisa- mente sprofondare sotto agli altri calcari. (Vedi Appendice N. 1). Ai piedi dei monti, il Quaternario è costituito da sabbie giallo- arancio delle dune antiche, mescolate con detriti, e da una puddinga a grossissimi elementi che, a guisa di sottile mantello, ricopre le for- mazioni marine. Nei terreni alluvionali vi sono delle paludi, che fanno seguito a quelle Pontine, e come quelle hanno fondo torboso. | Nel versante N-E di Monte Giusto, presso Torre dell’Epitaffio, fra le dolomie si trovano delle sabbie provenienti dalla decomposi- zione delle dolomie stesse. Fondi è fabbricata in mezzo a terreno alluvionale: abbonda di buona acqua potabile. Dalla parte di Valle Rotonda vi sono calcari ippuritici con qual- che sottile banco di calcare dolomitico. TAVOLETTA DI TERRACINA. Dintorni di Terracina — A Nord e N.-O della città, predomi- nano i calcari ceroidi ricchi di fossili; lungo la riva del mare, un cal- care ceroide privo di fossili, che risente della sua vicinanza con il cal- care dolomitico al quale fa passaggio. Al Molino di Canneto compaiono le dolomie, esternamente nere e ruvide, internamente "d’un bianco ghiaccio; non mi è riuscito rinvenirvi fossili. (Vedî Appendice N. 2). Ai piedi dei monti sgorgano al solito grosse e numerose sorgenti; rimarchevole quella di Molino Canneto per la sua portata; in generale sono, quale più quale meno, magnesiache e ve n’è anche qualcuna ferruginosa; un’altra magnesiaca trovasi entro l’abitato stesso di Terracina, in untfondo privato nella Contrada La Catena. Presso Porta Napoletana, sotto alla falda di detrito, sono stati scoperti gli avanzi di antiche terme romane, le quali erano alimentate da un acquedotto 74 POMPEO MODERNI in muratura, i cui resti si possono seguire per 300 o 400 metri su la falda del monte Sant'Angelo, in direzione di Terracina alta. Non esistendo attualmente nei dintorni, alcuna sorgente che po— tesse fornire acqua al suddetto acquedotto, è logico supporre che il medesimo convogliasse quella di qualenna delle sorgenti minerali che ora si trovano fuori della Porta Napoletana, quasi a livello del mare, e più probabilmente la grossa sorgente solfurea su la quale, fino a poco tempo fa, esisteva un piccolo stabilimento balneare. Nel decorso dei secoli, in seguito a qualche fenomeno tellurico, questa sorgente, tro— vata una nuova via, dev’essersi spostata ed abbassata, al posto ove trovasi attualmente. La sorgente solfurea, di cui sopra, è quella che vedesi fra gli scogli della riva a pochi centimetri, sopra il livello del mare, poco prima di giungere alla Torre Gregoriana: la sua temperatura presa il 2 luglio 1893 alle 215 pom. era di 19°, mentre l’acqua marina ne segnava 23°. Queste sorgenti segnano forse, come si è già accennato, la continuazione della frattura che passa ai piedi dei Lepini e va ad Est verso i Campi Flegrei ed il Vesuvio e ad Ovest verso i Laziali, Sabatini e Vulsinii. Il Quaternario è costituito da dune antiche di sabbie giallo-arancio. Su la costa del Monte Giusto vi è un’alternanza di calcari e do- lomie; fra i banchi di calcare ve n’è qualcuno che passa a dolomia. Queste dolomie dei dintorni di Terracina, sotto l’azione del martello tramandano un forte odore bituminoso. La fontana di S. Stefano, situata sul Monte Giusto a Nord di Ter- racina, e nei dintorni della quale raccolsi grande quantità di ippu- riti, dà una buona acqua potabile, fresca e leggera, ma disgraziata- mente non rende più di un paio di litri per minuto. (Questo d’estate, non so se d’inverno la portata sia maggiore; ad ogni modo non vi puo essere grande differenza). La superficie racchiusa fra Monte Leano e la collina ov’è fab- bricata Terracina alta, è ricoperta dalle solite sabbie giallo-arancio del Quaternario antico. NOTE GECLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 75 TAVOLETTA DI S. FELICE CIRCEO. Dintorni di S. Felice Circeo. — Le sabbie che trovansi fra Ter- racina ed.il Circeo, appartengono anch'esse al Quaternario antico ed in qualche punto mostrano al disotto un deposito di argilla bianchis- sima. A parte il loro colore più oscuro delle attuali, il cordone litora- neo da esse formato, che dal Circeo si prolunga poi verso Anzio, riunì l’isola di Circe al continente, lasciando dapprima un lago nel mezzo, come gli attuali laghi di Paola, di Fogliano, di Fondi, ece. che pian piano si convertì nelle attuali Paludi Pontine. Questo lavorìo della natura, che ha cambiato così profondamente la configurazione della regione, è stato lungo e sorpassa i confini della storia; dobbiamo ricorrere alla Mitologia per avere un’idea del suo antico aspetto. Non mi pare perciò giusvo segnare nell’alluvione mo- derna, come alcuno vorrebbe, questi depositi di sabbie e confonderli con quelli che si vengono formando sotto ai nostri occhi. Inoltre iu mezzo proprio alle paludi, non distante da Terracina ed entro Ter- racina stessa, si trovano colline di queste sabbie più antiche che, a me pare, sarebbe assai arbitrario segnare nell’alluvione moderna. Le sabbie di Piperno e que'le che si trovano su i monti di Terracina hanno una diversa provenienza; le prime vengono forse, come già ho detto in altro luogo, dalla demolizione di qualche lembo di Plio- cene e le seconde, probabilmente, dalla scomposizione delle dolomie. Fra la Torre Vittoria ed i monti del Circeo, sotto alle sabbie, vi sono delle argille che appartengono al Quaternario antico esse pure. Questo cordone litoraneo di sollevamento, costituito da sabbie giallo- arancio che riposano su argille bianche, è la continuazione della pan - china quaternaria, che si osserva nella parte Nord del litorale romano. Nel Monte Circeo, le sabbie del Quaternario antico si elevano su i fianchi del monte, tanto dalla parte delle paludi che dalla parte del mare, ad una discreta altezza, precisamente come a Pi- perno, Terracina e Fondi. Il Monte Circeo, propriamente detto, è costituito principalmente da dolomie, da pochi calcari ceroidi poveri di fossili e da calcari bian- vi “ x 76 POMPEO MODERNI chi cristallini (forse dolomitici anch'essi), nei quali rinvenni una bella conchiglia bivalve. Nelle dolomie non rinvenni che deboli ed indeter- minabili tracce di fossili. A S. Felice e dintorni vi è un piccolo lembo di scisti arenacei dell’Eocene che si appoggia alle dolomie; queste sono bianche o turchi- niccie, saccaroidi per la maggior parte, in minore quantità allo stato farinoso: in qualche punto rinvengonsi dei depositi di sabbia bianca finissima, proveniente appunto dalla scomposizione delle dolomie. Alcuni banchi di queste dolomie, che a me sembrò intercalati agli altri, contengono abbondanti noduli di silice, mentre nei. cal- cari cretacei dei Lepini e degli Ausoni di silice non ve n'è afiatto. La deficienza di fossili visibili ad occhio nudo, non mi permette di affermare se queste dolomie siano o no cretacee: l’inclinazione gene- rale però della stratificazione del Monte Circeo la quale concorda perfettamente con l'inclinazione generale della catena dei Lepini e degli Ausoni, dimostra chiaramente che questi calcari e queste dolo- mie vanno a cacciarsi, a grande profondità, sotto ai calcari ed alle dolomie cretacee e perciò dovrebbero essere, per questo fatto, più antiche di quelle (1). Ai piedi del versante Nord del Monte Circeo vi sono due sor- genti d’acqua, a pochi decimetri di distanza l’una d’all’altra, delle quali una è di acqua potabile, fresca e leggerissima, l’altra invece è fortemente ferruginosa. (1) Studi fatti più tardi dal Di Stefano e dal Viola, hanno constatato che si trattava di calcari e dolomie del Lias inferiore, constatazione alla quale hanno contribuito anche alcuni fossili da me raccolti. NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI TT( APPENDICE N. 1. Osservazioni fatte posteriormente, ed i lavori per la perforazione della galleria ferroviaria che attraversa tutti i Mopti di Terracina, da Montorso a Valle Viola, per la direttissima Roma-Napoli, mi permettono oggi di precisare meglio la posizione di queste dolomie. I calcari dolomitici si vedono affiorare a Terracina, fuori Porta Napoletana, lungo la via Appia al disotto della parete a picco formata dai calcari ippuritici, innalzandosi su per la costa di Monte Giusto e lasciando vedere al disotto, verso Torre dell’Epitaffio, un altro cal- care che all’aspetto non sembrerebbe dolomitico, ma che invece fu ricono- sciuto tale da analisi eseguite dal prof. Meli (1). La galleria ferroviaria all'imbocco Sud, cioè dalla parte di Napoli, fu aperta in questi calcari che all’aspetto non sembrano dolomitici, ma che ad ogni modo lo sarebbero in grado minore degli altri, i quali furono poi incon- trati in galleria alla progressiva di 600 metri. Siccome l’inclinazione generale della stratificazione è a Nord-Nord Est, così emerge che i calcari più antichi sono quelli incontrati all’imbocco Sud: il Meli ritiene che i medesimi, molto probabilmente, appartengano all’Urgoniano, e con ragione lo ha messo in forma dubitativa, poichè nei medesimi non si rinvennero fossili. Sopra a questi calcari più o meno dolomitici, riposano delle vere dolomie d’una compattezza straordinaria, senza quasi più segno di stratificazione, * tanto che per la perforazione delle medesime, si dovette consumare in media kg. 1,200 di esplodenti (dinamite — gomma N. 0) per metro cubo di scavo. Queste dolomie, nelle quali non si rinvennero fossili, devono rappresentare il Cretaceo medio perchè, come si vede lungo la Via Appia fra Terracina e la Torre dell’Epitaffio e come fu constatato nella perforazione della galleria ferroviaria suddetta, vanno a cacciarsi sotto ai calcari ippuritici. Infatti, dalla parte dell’imbocco Nord (verso Roma) si rinvennero delle rudiste, una delle quali fu descritta dal Meli (2) Hippurites cornu-vaccinum Bronn, che gli permise di attribuire al Turoniano gli strati attraversati nella perforazione dell’imbocco Nord. La compattezza straordinaria di queste dolomie, merita d’essere fatta rilevare, perchè potrebbe funzionare da strato impermeabile, che raccoglie le acque provenienti dalle filtrazioni dei soprastanti calcari ippuritici: infatti, (1) MELI R. — Breve relazione sulla qualità delle roccie incontrate nella perforazione della cal- a leria di Montorso (ferrovia direttissima Roma-Napoli) dall’imbocco-Napoli fino alla progressiva 1380 metri — Roma, 1909, (2) MeLt R_— Presentazione alla Società Geologica Italiana di una Ippurite rinvenuta nella perforazione della galleria di Montorso sotto Sonnino. — Roma, 1909. 78 1 POMPEO MODERNI l'Ufficio Idraulico del Ministero d’Agricoltura, avendo fatto scavare a Ster- natia, nella penisola Salentina, un pozzo ordinario per la ricerca dell’acqua, questo, attraversati gli strati calcarei del Cretaceo superiore, incontrò della dolomia compattissima e con essa dell’acqua in abbondanza. Nella perforazio- ne della galleria ferroviaria, per la direttissima Roma-Napoli, che attraversa il promontorio di Gaeta, tra Fondi e Formia, fu trovata una massa d’ acqua imponente che venne allacciata per essere usufruita; siceome anche in quella galleria furono incontrate le stesse dolomie dei monti di Terracina, così è pro- babile che l’acqua si trovi al contatto delle dolomie con i calcari soprastanti. Nella galleria ferroviaria scavata nei monti di Terracina, non fu trovata acqua affatto. ma questo si spiega facilmente poichè la galleria attraversò diverse caverne, fra le quali una grandissima che continuava in profondità. I calcari dolomitici visti nei dintorni di Bassiano, che sembrano ripo- sare su i calcari ippuritici di Sermoneta, e quelli dei dintorni di Sonnino, ric- chi di rudiste, citati anche dal Meli (1) devono appartenere al Cretaceo supe- riore: così oltre alle vere dolomie del Cretaceo medio che in basso vanno gra- datamente passando a calcari sempre meno dolomitici, appartenenti al piano inferiore, vi sarebbe un’altra zona di dolomie, o calcari più o meno dolomitici, al disopra dei caleari a rudiste. APPENDICE N. 2. Si sapeva che la parte Sud del monte, sopra uno sperone del quale è fab- bricata Terracina, è costituita da calcari ippuritici, poichè al Monte Sant'An- gelo, in questi calcari appunto, furono aperte delle cave ed estratto del ma- teriale che tirato a pulimento fu adoperato, sotto il nome di Lumachella od Occhio di Pavone di Terracina, per diversi lavori, fra i quali quello della pavi- mentazione dell’atrio della chiesa monumentale, eretta nella Terracina bassa. Non contento però di queste notizie, nè dei miei vecchi appunti, nei quali avevo notato che a N. e N-0 della città vi erano calcari ceroidi ricchi di fossili, nell’agosto ultimo scorso ho raccolto nei dintorni del Camposanto di Terra- cina, e precisamente su la mulattiera che passa ad Est del medesimo, delle rudiste che furono studiate dal prof. Parona. Da detto studio è risultato che: il calcare nel suo aspetto, nella forma di rudiste (Durania Martellii Par.) e nella fauna a miliolidi, corrisponde al cal- care Senoniano di Ruda nell'isola di Lissa e di certi giacimenti della stessa età che sono in Puglia (2). (1) MELI R. — Breve relazione, ecc. (opera citata). (2) Parona C. F. — Le rudiste del Senoniano di Ruda sulla costa meridionale dell’isola di Lissa (Atti R. Acc. delle Sc. di Torino (Vol. XLVI), Torino 1911. NOTE GEOLOGICHE SU LA CATENA DEI LEPINI E DEGLI AUSONI 79 Conseguentemente alle osservazioni che la perforazione della galleria fer- roviaria per la direttissima Roma-Napoli ha permesso di fare, ed allo studio dei fossili dei dintorni di Terracina, la carta geologica, dovrebbe subire qual- che modificazione, estendendo dalla parte Sud i calcari ippuritici fino alla falda estrema del monte a contatto con il Quaternario; il Cretaceo medio perciò dovrebbe essere limitato ad una stretta zona che dalla parte Est si mantiene sotto la parete a picco dei calcari ippuritici. Se non vi sono accidentalità stratigrafiche, anche il Monte Leano, a N-0 di Terracina, es- sendo l’inclinazione generale di questo monte verso N-0, dovrebbe essere costituito da calcari ippuritici. sa DANTE PANTANELLI Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia Serio V, Vol. IV. Anni 1913. 1914. i | Fascicolo 2 9° DANTE PANTANELLI L’ultima volta che amici e colleghi geologi si trovarono con DANTE PANTANELLI fu in Abruzzo nello scorso settembre, in occa- sione del convegno della Società Geologica Italiana; e le belle com- memorazioni di I. Cocchi e di L. Foresti, da Lui lette nell'adunanza di Sulmona, furono i suoi ultimi scritti. Simpaticissimo a quanti ebbero la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne la mente colta, la serena bontà del carattere schietto, la fine arguzia e la parola elegante, Egli, come sempre avveniva, fu accolto festevolmente in quella riunione e la sua compagnia ricercata durante le gite nella conca aquilana e nelle valli di {Sulmona. Ci lasciò a Terni, dopo averci dato con- vegno per il settembre venturo a Parma; proponendosi, come Pre- sidente della Società, di guidarci nella visita alle cose naturali più notevoli dell'Emilia a Lui ben note e da Lui sapientemente illustrate. Ma non erano trascorsi due mesi, che in Modena il 2 di novembre, la morte ne troncava improvvisamente la preziosa esistenza, togliendo alla famiglia il padre esemplare, allo Studio di Modena l’illustre pro- fessore, al R. Comitato Geologico il consigliere autorevole, alla So- cietà Geologica il bene di averlo Presidente per la seconda volta. DANTE PANTANELLI nacque il 4 gennaio 1844 in Siena da En- rico avvocato e da Carlotta Petrucci, e passò colla famiglia i primi anni in Egitto, dove il padre, patriota, erasi rifugiato e rimase finchè le mutate condizioni politiche gli permisero, nel 1860, di ritornare in Toscana. Studiò nell'Università di Pisa, e vi conseguì la laurea in scienze fisiche e matematiche. Volontario con Garibaldi, prese parte alla campagna del 1866, e fu nel Trentino col 9° Reggimento. Giova- nissimo, iniziò la sua carriera di insegnante al Liceo di Cagliari; passò 82 NECROLOGIA poi a Spoleto, e quindi nel 1873 a Siena, dove rimase fino al 1882, quando, vinto il concorso alla cattedra di Mineralogia e Geologia, fu nominato professore all’ Università di Modena. Durante il lungo sog- giorno in questa città, Egli seppe acquistare la stima e la simpatia della cittadinanza, che lo volle consigliere comunale: dell’Università fu decoro, perchè maestro efficace e amato, e scienziato apprezza- tissimo per le sue ricerche nel campo della scienza pura ed applicata. Insegnò durante quarantasette anni, ed in occasione del quarante- simo (1906) lo festeggiarono amici, colleghi ed allievi, con una dimo- strazione che fu premio meritato e dolce conforto al cittadino bene- merito, al dotto naturalista, all'uomo modesto e buono. Egli ebbe la fortuna di avere a maestro Giuseppe Meneghini, che molto lo stimava e prediligeva; fu onorato con due premi dalla R. Accademia dei Lincei; più volte Preside della Facoltà di Scienze e Direttore della Scuola di Farmacia; socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, socio fondatore e primo Segretario della Società Geologica Italiana, che l’ebbe Presidente nel 1897, segretario della Società Malacologica, socio e Presidente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti e della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena; socio corrispondente del R. Istituto Veneto; consulente e iniziatore di imprese petroleifere emiliane. Tutte queste cariche e distinzioni, e le onorificenze che gli furono conferite, dimostrano quanto Egli fosse attivo e stimato, e quanto per opera e consiglio fosse apprezzato e ricercato. * * * L'attività scientifica del nostro compianto collega fu grande e complessa, e lo dimostrano il numero dei suoi lavori e la varietà degli argomenti in essi considerati. Le pubblicazioni sommano a 291; ma quelle originali di carattere scientifico sono in realtà 185, le altre sono commemorazioni, discorsi, riviste. In questo cenno commemorativo non mi propongo di fare un esame particolareggiato della copiosa pro- duzione scientifica del PANTANELLI; mi limiterò a mettere in rilievo i suoi meriti come geologo e il notevole contributo da ni portato alla geologia e paleontologia italiana. Tuttavia mi piace ed è doveroso =* NECROLOGIA 83 ‘notare com’Egli, fuori del campo geologico, siasi occupato di fisica e matematica, di biologia e zoologia, di mineralogia e di questioni storiche, dimostrando larga e fondata coltura, ingegno versatile e pronto a trattare argomenti disparati. Se ne ha la conferma leggendo i suoi discorsi; segnatamente quelli su « Teoria e pratica », sulle « Di- fese montane », su « Domenico de’ Corradi d’Austria », e le comme- morazioni di Quintino Sella e di Darwin. Per quanto mi risulta, la sua prima memoria d’argomento geo- logico fu quella letta all'Accademia dei Fisiocritici, nel 1874, su i climi geologici; acuto esame critico delle idee dominanti allora, che per certi riguardi è tutt'ora degno di considerazione. Ancora nel campo geologico, e in quanto riguarda la Toscana, sono specialmente da menzionare la nota sul pliocene di Chianciano, studiato secondo l’in- dirizzo razionale introdotto dal Seguenza, e la « Storia geologica del- l’Arno », notevole saggio di paleogeografia, dal quale si apprende che nel pliocene antico le acque dell'Arno di Casentino unite a quelle della Sieve sfociavano per il Val d’ Ambra in mare, che nel pliocene recente e quaternario antico, chiusasi la foce d’ Ambra, Arno per la foce di Chiani e la Paglia raggiungeva il Tevere, e che solo più tard si stabilì la separazione fra la Chiana e l'Arno, il quale, riunitosi alla Sieve, assunse definitivamente il decorso attuale. Più numerosi furono i lavori geologici e stratigrafici pubblicati dal PANTANELLI sull'Appennino settentrionale; e coi primi di essi Egli raccolse gli elementi, che servirono poi per tre studî più estesi e sintetici — sul « paesaggio pliocenico dalla Trebbia al Reno », sui « terreni quaternari e recenti dell'Emilia » e su « l'Appennino setten- trionale dalla Trebbia al Reno» —; importanti, non solo perchè nel- l’insieme costituiscono una illustrazione geologica e morfologica delle regioni considerate, ma anche per le considerazioni e deduzioni sulla storia geologica della valle padana. Infatti nel primo, oltre le osser- vazioni sulla serie e sulla varia potenza e altitudine dei depositi plio- cenici, interessano i rilievi, anche d’ordine paleontologico, per cui l’A. è condotto ad ammettere l’esistenza, nell’accennata regione emi- liana, di un esteso golfo in rapporto coi banchi corallini di Miradolo 84 NECROLOGIA e S. Colombano. Nel secondo è posta in rilievo: la grande potenza degli strati alluvionali, quaternari e recenti, certamente ‘superiore a 200 metri; lo spostamento progressivo a nord, per la preponderanza dei detriti appenninici sugli alpini, del corso del Po, che in tempi non molto lontani dalle prime colonizzazioni romane doveva correre assai più a Sud del corso attuale e sboccare in mare a Ravenna (fossa An- gusta o fossa Augusta); l’avvallamento continuo della pianura padana nella zona mediana, come riflesso del sollevamento perimetrico nella regione delle colline; l'eguaglianza nell’estensione tra il terreno emerso sulla fine del pliocene e quella attuale, e infine la dissimetria nel li- vello delle formazioni antiche sui due lati della valle. E’ specialmente importante l’osservazione, che dal quaternario continuò il solleva- mento sui fianchi della pianura e l’abbassarsi della sua porzione in- termedia, perchè se ne deduce, che, se il mare non ha potuto ripren- dere il suo dominio e coprire la valle padana con fondali superiori a 200 metri, ciò devesi all’interramento, che ha equilibrato nei suoi effetti il moto discensionale; perchè, in altri termini, si ebbe un compenso naturale fra la lenta depressione ed il fenomeno alluvionale. Nel terzo espone, come documento utile anche per i futuri studi sul mo- dellamento dell’ Appennino, i risultati delle sue indagini sui sistemi di pieghe in rapporto col fenomeno vallivo e collo schema orografico della regione, e sui caratteri dei terreni, dagli eocenici ai quaternari, secondo la loro natura, ubicazione ed estensione. Più tardi si occupò deil’estensione dell’oligocene nell Appennino settentrionale, sostenendo che l’enorme massa di strati, del quale fa parte lo straterello ad orbitoidi, estesissima sopra alle argille sca- gliose e ai serpentini che le accompagnano, dev'essere riportata a questo periodo, come già aveva ritenuto nel 1883. Anche le « così dette molasse ofiolitiche » dello stesso Appennino richiamarono la sua . attenzione, offrendogli occasione di considerare, seguendo le vedute di Issel e Mazzuoli, le eruzioni serpentinose come intrusioni sotto le acque marine di un magma ad elevata temperatura, ma ancor lon- tane dalla fusione ignea e proveniente da limitata profondità; di af- fermare che tutti gli affioramenti serpentinosi sono visibili per ero- NECROLOGIA 85 sione delle roccie superiori a quelle tra le quali sono intruse, e che la ricchezza degli elementi serpentinosi, nei depositi posteocenici, cresce regolarmente dai primi strati susseguenti alle intrusioni dei serpen- tini ai depositi attuali. Dal 1882 in poi, a varie riprese, Egli si occupò dei calcari e delle marne a radiolarie. Ponendo in luce l’importanza stratigrafica di questo orizzonte per la sua continuità ed estensione, lo attribuì al Langhiano, sineronizzandolo cogli strati « Solenomya Doderleini >», e paragonandolo come sedimento, al tipo dei fanghi a globigerine, escludendo tuttavia che il deposito siasi fatto in mare di grande profondità. Rilevò inoltre come le radiolarie contenutevi rappresentino una fauna nuova per il livello geologico e per il continente; e, ricercandone l’origine proba- bile, suppose una correlazione tra il Mediterraneo miocenico e le correnti marine provenienti dall’oceano tropicale di sud-est. Il compianto collega maturava i suoi studi con una lunga prepa- razione e con una preventiva, scrupolosa consultazione bibliografica. Così si avviò anche alle indagini sulle manifestazioni di idrocarburi, ed in particolare sui petroli, nella regione emiliana, come si avverte leggendo la sua chiara esposizione delle diverse idee ed ipotesi pro- poste dagli studiosi, da v. Buch, nel 1801, in poi, sulla origine dei pe- troli: egli dice che il suo schedario sull'argomento conteneva nel 1906 già oltre 3000 articoli, esclusi quelli relativi alle applicazioni del petrolio. La storia naturale del petrolio emiliano è riassunta in una sua conferenza dalla quale risulta che il maggior numero delle manifestazioni di idrocarburi corrisponde alla zona, da lui detta de- solata, delle argille scagliose. Gli idrocarburi, qualunque sia il loro stato fisico, escono dalle argille scagliose eoceniche, e sembrano raccogliersi in maggior quan- tità dove gli strati calcari oligocenici fungono da protettori al loro disperdimento: più raramente escono dal miocene medio e dal plio- cene. Le manifestazioni di petrolio non si trovano attorno alle grandi masse serpentinose, sibbene dove esse si presentano più piccole e si suddividono, dove si alternano le salse, le fontane ardenti, le intru- sioni di ozocerite. Nota il PANTANELLI che si hanno accenni alla pre- 86 NECROLOGIA senza di idrocarburi anche lungo due direttrici, l’una alla base della maggiore sollevazione eocenica dell’ Appennino settentrionale, con prevalenza di fontane ardenti, l’altra lungo ed internamente alle ultime colline contro la pianura padana, e che a quest’ultima sono riservate vere sorgenti petrolitere. Il petrolio emiliano appartiene al tipo dell’ Europa orientale, si ha con pozzi profondi da trecento a seicento metri, raramente salienti, e i due campi maggiori sono quelli di Montechino e di Velleia. Riguardo alla probabile sua origine, Egli sostiene il principio che essa sia minerale o inorganica. Questo studio è integrato da notizie sulle località dove furono eseguite le perforazioni, nonchè da una memoria più recente, desti- nata in particolare alla descrizione di numerosi campioni di petrolio emiliano, con informazioni sulla provenienza e sui loro caratteri fisici. Nè, riguardo agli idrocarburi, sono da dimenticare le dotte sue noti- zie su alcuni errori di fatto circa le salse modenesi e il petrolio d’Egitto, e sulla supposta eruzione della salsa di Sassuolo nell’anno 91 a. C. T’argomento allo studio del quale il PANTANELLI si dedicò con particolare amore e tenacia nell'ultimo periodo della sua attività scientifica fu quello relativo al problema dell'andamento delle acque sotterranee lungo la riva destra di Po, dalla Trebbia al Reno. Dalla prima memoria sulle acque sotterranee nella provincia modenese, pubblicata nel 1888, colla quale impostò il problema, esprimendo l’idea che.il velo acquifero di Modena fosse in antichi conoidi di fiumi appenninici, all’ultima (1913) sulle acque sotterranee di Castelfranco Emilia, colla descrizione della regione acquifera che giornalmente fornisce la massima quantità di acqua, superiore a quelle della regione classica di Modena, furono ben 42 le memorie e le note su questa importante questione d’interesse teorico e pratico, rispetto all i- giene e all'industria. T limiti nei quali devo contenere questo cenno non mi permettono di prendere in considerazione tutti questi lavori, tanto più che in generale constano dell'esposizione particolareggiata di dati analitici, o delle condizioni stratigrafiche, o del risultato di ricerche storiche o sperimentali, ed anche della descrizione di apparecchi ideati ed NECROLOGIA : 87 applicati nelle esperienze. Egli estese infatti le sue indagini allo spo- stamento degli alvei, alle variazioni nel livello delle acque sotter- ranee, al calcolo della portata dei pozzi, alle influenze dei mezzi fil- tranti, al coefficiente di filtrazione, ed in particolare alle cause deter- minanti la salienza delle acque artesiane. D'altra parte per ragioni di competenza non potrei permettermi di discutere le considerazioni e le deduzioni del nostro autore, e tanto meno di esporre apprez- zamenti su alcune sue idee discusse da altri studiosi, Anche con questo ordine di ricerche, quasi a complemento di quelle sui terreni quaternari e recenti, contribuì largamente alla sto- ria geologica della valle del Po, rintracciando nella propria regione quella dei successivi conoidi dei singoli fiumi, che sono le aree utili per le perforazioni e che debbono avere un’unica origine, quella stessa delle loro acque. Egli rilevò come i diversi conoidi di due fiumi attigui possono venire a contatto o sovrapporsi a distanza dalla loro origine, lasciando fra di loro, e più precisamente tra lo sbocco di due fiumi nel piano, uno spazio subtriangolare, con la base appoggiata alle col- line, sterile di acque sotterranee. Sicchè è ormai accertato che le ac- que sotterranee, raggiungibili con pertorazioni profonde in tutta la riva destra del Po, sono connesse e dovute a relitti di antichi corsi fluviali. Infatti nella regione di Castelfranco-Emilia il moltiplicarsi recente dei pozzi perforati cagionò una depressione nel livello piezo- metrico delle acque protonde, con diminuzione di portata progres- siva da sud a nord, secondo la progressione della corrente sotterranea, che ha origine in un vecchio corso del Panaro abbandonato. E, in generale, nella pianura emiliana tra due pozzi anche lontani, lungo una trasversale alla valle appenninica corrispondente, vi è molta pro- babilità di aprirne altri con successo, mentre eguale probabilità non esiste lungo una perpendicolare alla precedente. E nelle indagini sulle divagazioni dei corsi d’acqua il PANTANELLI sì appoggiò, oltrechè agli argomenti storici e stratigrafici, su quelli desunti dai caratteri di composizione delle sabbie, e precisamente sul diverso tenore del contenuto in materiali magnetici, dipendenti dalle roccie serpentinose, riconoscendo caratteristiche differenze fra le sab- 88 NECROLOGIA bie della Secchia, del Panaro e del Tiepido. Nel caso particolare delle acque del sottosuolo di Modena, le sue ricerche lo condussero inoltre a riconoscere che le migliaia di metri cubi di acqua, che giornalmente sì estraggono, provengono da tre veli acquiferi, rispettivamente alle profondità di m. 5 a 7, 20 a 21, 70 a 90, che avrebbero unica origine in una regione a distanza non minore di sedici chilometri; le quali acque impiegherebbero in media otto anni per arrivare e per risor- gere nei pozzi della città. Studiando l’andamento delle acque sotterranee in una regione classica per la presenza di acque salienti e artesiane, era naturale che un attento ed acuto osservatore com’era il PANTANELLI si chiedesse, se la salienza poteva essere spiegata con la sola ragione dei vasi co- municanti o della capillarità. Diverse considerazioni giustificano la domanda: non è raro il caso di perforazioni, eseguite a grande distanza da rilievi montuosi e dove non è supponibile l’esistenza di strati forte- mente inclinati, spinte a più di cento metri di profondità, che hanno fornito acque salienti e artesiane: si dà anche il caso che in uno stesso punto si trovino livelli acquiferi sovrapposti, e che sovente i più pro- fondi abbiano un livello piezometrico superiore ai più superficiali, senza che possa essere spiegato con la diversa provenienza delle acque, anzi quando tutto tende a dimostrare l’origine unica dei di- versi livelli acquiferi che si sono separati nel loro tragitto sotter— raneo. Il problema si presentava dunque al PANTANELLI assai più complicato di quanto non si ritenesse. D’onde la necessità di cercare le cause che determinano la salienza delle acque, ossia del livello piezo- metrico che raggiungono libere di se stesse. In un suo lavoro del 1898 compare per la prima volta l’afferma- zione che nella spiegazione della salienza delle acque dagli strati pro- fondi alla superficie occorre tener conto della pressione degli strati superficiali, e che il carico dell’acqua a profondità dipende non solo dall’altezza d’origine dell’acqua stessa, ma anche dalla pressione degli strati sovrapposti. potendo questa pressione essere variabile in condizioni d’'imbibimento particolari. Ed anche recentemente Egli affermò che le acque di profondità, se possono liberamente muo- NECROLOGIA 89 versi negli strati che imbevono, risalgono verso la superficie per la pressione degli strati sovrastanti: e l’esistenza di questa pressione è indubitata; minima e in molti casì trascurabile nelle roccie compatte e rigide, acquista valori notevoli nelle roccie incoerenti. A completare il quadro dell’opera scientifica del PANTANELLI, dirò ora brevemente dei suoi lavori nei quali prevale la ricerca pa- leontologica su quella geologica, o che sono d’argomento esclusiva- mente paleontologico. Ricordo innanzi tutto le indagini sui diaspri della Toscana. L'annuncio della presenza di una fauna a radiolarie nei diaspri tatto nel 1882 alla Società Toscana di Scienze Naturali tu tosto seguito dalla memoria pubblicata dall’ Accademia dei Lincei: a parte il merito della scoperta, che chiarì la questione dell’ origine dei diaspri, questo lavoro è da ritenersi assai importante sotto il punto di vista paleontologico, come primo largo tentativo in Italia di ricerche delicatissime, che fecero poi rapidi progressi con perfezionamento nella tecnica delle preparazioni e per l'applicazione della fotografia. Al- trettanto può dirsi per le note micropaleontologiche sui calcari e sulle radiolarie calcificate degli scisti silicei eocenici di Monte Catini in Val di Cecina. Alla fauna miocenica il nostro A. contribuì largamente. Il cenno monografico, in collaborazione coll’Ab. Mazzetti, intorno alla fauna fossile di Montese (echinodermi e molluschi, 1885-87), le addizioni successive, nonchè le note sui molluschi degli strati di Montegibio, di M. Baranzone ece., costituiscono un insieme di studi accuratissimi, che realmente dà, come sperava il PANTANELLI, un’idea delle con- dizioni biologiche degli strati e della ricchezza della fauna del Miocene in una regione abbastanza estesa dell Appennino settentrionale. Egli dedicò speciali ricerche e studi alla fauna degli strati pon- tici del Miocene superiore, prima occupandosi del giacimento di Ca- sino, e poi con una estesa monografia, nella quale prese in esame la fauna di 18 lembi ben conosciuti dell’Italia settentrionale e centrale. In questo lavoro sì mette in rilievo il fatto che gli strati pontici stra- tigraficamente e per maggiori affinità di fauna sono connessi col mio- cene, più che col pliocene, e che, per la mancanza di veri strati marini * 90 NECROLOGIA corrispondenti al piano pontico (dimostrata specialmente dal De Stefani e dal Neumayr), la divisione fra pliocene e miocene non è convenzionale, restando inoltre confermata la precedenza della fauna a Mastodon longirostris su quella del M. arvernensis, per cui lo Fip- parion rimane tipo esclusivamente miocenico. Gli strati pontici cor- risponderebbero ad un periodo di avvallamento subentrato al periodo di emersione postortoniano, per cui il mare, col costituirsi delle lagune pontiche, tendeva a riprendere il suo dominio. La fauna pontica a vertebrati è abbastanza ricca, ma l’importanza maggiore viene attribuita alla tauna malacologica d’acqua salmastra, con forme pres- sochè esclusive. Un ulteriore contributo alla fauna pontica abbiamo nella illustrazione della Testudo Amiatae. Nè meno importante è la serie delle pubblicazioni relative alla fauna pliocenica e riflettenti quasi esclusivamente i molluschi: infatti riguarda i vertebrati soltanto la nota sugli avanzi di Mastodon ar- vernensis, M. Borsoni e Tapirus arvernensis dei depositi diatomeiteri con ligniti di Spoleto, ritenuti coevi degli strati di Valdarno. A par- tire dal rapporto del 1875 sui fossili pliocenici dei musei dell’ Accade- mia dei Fisiocritici e dal catalogo dei molluschi pliocenici dei dintorni di Siena, pubblicato col De Stetani, abbiamo del PANTANELLI parecchi studi sulla fauna malacologica pliocenica appennina in confronto con quella vivente nel Mediterraneo e colle altre dei più importanti ba- cini pliocenici mediterranei: per cui Egli venne acquistando una pro- fonda conoscenza dell'argomento, e con riconosciuta competenza potè proporsi il lungo e paziente quanto utile lavoro per l’enumera- zione e sinonimia delle specie plioceniche dell’Italia superiore e cen- trale, pubblicandone, nel 1893, un saggio sui lamellibranchi. Nell’in- troduzione a questa sistematica revisione dei nomi impiegati nella malacologia pliocenica dal Brocchi in poi sonvi delle savie considera- zioni sul valore sistematico dei generi, sottogeneri e varietà, sul fatto che spesso nessuna nuova idea viene aggiunta alla scienza cambiando un nome generico per obbedire ad un bisogno spesso fittizio di una più particolareggiata suddivisione. Notando come lo stabilire e il denominare una varietà non è spesso che il mezzo per descrivere la NECROLOGIA 9l leggera deviazione da un tipo determinato, Egli rileva la molto limi- tata utilità di una soverchia suddivisione nella descrizione delle forme, trovando preferibile una giudiziosa descrizione dei limiti di variabilità. Sono pur notevoli altri lavori speciali, che non si possono rag- gruppare con questi già accennati. Ricordo quelli sulle scalarie ter- ziarie, sulle Melanopsis fossili e viventi d’Italia, sulla Melania cur- vicosta dell’Abissinia, sui molluschi postpliocenici dei travertini se- nesi, sulla Cupularia umbellata e ©. intermedia, sul Diodon Scillae, sui resti di Ptychodus nell’ Appennino emiliano, sugli otoliti fossili, le note sullo Scioa, sulle argille postplioceniche ad ittioliti di Taranto, sui lithotamni terziari: tutte ricerche che attestano lo spirito di osser- vazione e di critica illuminata che distingueva il nostro collega, e le sue attitudini a indagini in campi diversi. toi > Non so se con questo sommario delle numerose pubblicazioni di DANTE PANTANELLI io sia riuscito a dare un'idea adeguata dell’o- pera cospicua da Lui compiuta a vantaggio della conoscenza geolo- gica della Toscana e dell’Emilia e pel progresso della Scienza italiana. Mi conforta tuttavia il pensiero che per mantenere viva la memoria di DANTE PANTANELLI non occorrono commemorazioni: Egli si ricorda da sè col frutto dei suoi studi e coll’'esempio di un'esistenza nobil- mente vissuta e troppo presto troncata. Colla sua morte la geologia italiana ha fatto una grave perdita, ed al Comitato geologico venne a mancare un membro attivo e au- torevole, che dimostrò di interessarsi seriamente dei lavori della Carta geologica d’Italia, contribuendo con ricerche sue e coll’autorità che gli veniva dalla riconosciuta sua competenza specialmente nello stu- dio dei terreni cenozoici e neozoici. In nome del R. Comitato geolo- gico, dolorosamente colpito da tanta perdita, porgo alla egregia fa- miglia Pantanelli, ed in particolare alla vedova signora Emma Bian- ciardi ed al figlio prof. Enrico, rinnovate vivissime condoglianze. 14 gennaio 1914. C. F. PARONA 92 NECROLOGIA Pubblicazioni di Dante Pantanelli 0) Sopra un’ esperienza di Clement e Desormes e la determinazione del coeffi- ciente dinamico del calore. (Rivista delle Marche e dell’Umbria, novembre 1869: 2 paz.). 1869. Alimento e sviluppo dei girini. Ricerche sperimentali (Rivista scientifico-indu- striale: 4 pag.). 1871. Determinazione dei coefficienti dell'unità; disegno aronometrico. (Giornale di matematica, settembre 1872: 3 pag.). 1872. Dell’azione della glicerina sopra le sostanze animali. (Rivista scientifico-indu- striale: 3 pag.). 1872. Sui climi geologici. (Atti R. Acc. dei Fisiocritici: 10 pag.). Siena, 1874. Rapporto annuale della direzione dei Musei della R. Accademia dei Fisio- critici. (Catalogo ragionato dei fossili pliocenici: 11 pag.). 1875. Rapporto annuale della direzione dei Musei della R. Accademia dei Fisio- critici. (Catalogo ragionato dei fossili: 7 pag.). 1876. Storia dell'Accademia dei Fisiocritici dal 1691 al 1760 (23 pag.). 1876. Molluschi terrestri e fluviatili del bacino del Marroggia. (Bull. Soc. Malacol. It. Il (1876), p. 233-240). 1877. Dei terreni terziarii intorno a Siena. (Atti R. Acc. dei Fisiocritici: 16 pag. e 2 tav.). 1877. Manufatti litici della provincia di Siena. (Bull. di Paletn. it.: 6 pag.). 1877. Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Siena. (Cronaca liceale). 1877. Id. con aggiunte e correzioni. (Boll. R. Com. geol., volume IX; 28 pag.). 1878. Sui marmi della Montagnola senese. (In collab. con B. LoTTI). (Boll. R. Com. geol., vol. IX, 12 pag. e 2 profili). 1878. Sul Pliocene dei dintorni di Chianciano. (id. id., 12 pag.). Roma, 1878. Habitat della Melanopsis etrusca. (Proc. verb. Soc. Malacol.it., pag. 7-14). 1878. Su gli strati miocenici del Casino. (Atti R. Acc. Lincei, vol. III, 21 pag., 3 tav.). 1879. Sui travertini della Provincia di Siena. (Proc. verb. Soc. tosc. Sc. nat., I 2 pag.). 1879. Molluschi postpliocenici dei travertini della Provincia di Siena. (Bull. Soc. Malacol. (1879), p. 153-163). 1879. (1) Non sono comprese nè le necrologie, nè le riviste. NECROLOGIA 093 Nuova miniera di antimonio nella Provincia di Siena. (Proc. verb. Soc. tosc, di Sc. nat., II. 4 pag.). 1879. Di una nuova Daudebardia italiana. (In'collabor. con C. DE STEFANI). (Bull. Soc. Malacol., vol. V, 2 pag.). 1879. Conchiglie plioceniche di Pietrafitta in provincia di Siena. (Bull. Soc. Malacol. it., VI, p. 265-276). 1880. Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (In collabor. con C. DE STEFANI). (Bull. Soc. Malacol. IV, p. 5-211). 1880. Radiolarie di S. Barbera in Calabria. (In collabor. con C. DE STEFANI) (Proc. verb. Soc. tosc. Sc. nat., II. p. 59-60), 1880. Fossili dei Diaspri. (Ivi p. 27-29). 1880. Radiolarie nei diaspri. (ivi p. 98). 1880. Radiolarie nei calcari. (Ivi p. 111-112). 1880. Osservazioni sopra una comunicazione del sig. Fuchs. (Ivi, p.43-44). 1880. Gli strati litorali terrestri e salmastri del Pliocene inferiore della Toscana. (Ivi, p. 58-59). 1880. 1 diaspri della Toscana e i loro fossili. (Atti R. Accad. dei Lincei. Memorie, 1879-80, 34 pag. con una tav.). 1880. La fillossera. (Bull. Comizio Agr. Siena. 8 p.), 1880. Enumerazione dei molluschi pliocenici della Toscana viventi nel Mediterraneo. (Bull. Soc. Malacol. it., VII. p. 63-68). 1881. Osservazioni alla comunicazione di De Stefani: Sull’origine degli strati pon- tici. (Proc. verb. Soc. tosc. Sc. nat., II. p. 212). 1881. Su alcune roccie deita Montagnola senese. Ricerche micropetrografiche. (Ivi, p. 197-199). 1881. Note di micropaleontologia e micropetrografia. (Ivi, p. 237-239). 1881. Esame microscopico di alcune rocce siluriane di Sardegna. (Ivi, pag. 270- 271). 1881. Resti di Cheloniano nelle sabbie gialle. (Ivi, p. 162). 1881. Sulle regole di nomenclatura malacologica (Bull. Soc. Malacol. It., VII. p. 203- 201). 1881. La formazione delle montagne. (Atti R. Accademia dei Fisiocritici, Siena, S. III vol. XI, p. 13). 1881. Bibliographie géologique et paltontologique des provinces de Siena ed Arezzo, (Bibl. géol. et paléont. ital., 15 pag.). 1881. Lithothamnion terziarii. (Proc. verb. Soc. tose. Sc. nat., III, p. 52-56). 1882. Note microlitologiche sopra i calcari. (Atti R. Accad. Lincei, Serie 3, vol. XII. p.20 con 2 tav.). 1882. 94 NECROLOGIA Serpentini di Quattro Castella. (Rend. Soc. Nat. di Modena, Serie IMI, vol. I, pag. 90-93, con figg.). 1883. Note geologiche sull'Appennino modenese e reggiano. (Rend. R. Ist. Lombardo, Serie II, vol. XVI, fasc. XVIII). 1883. Sezioni geologiche nell'Appennino modenese e reggiano. (Boll. del R. Comitato geologico, S. II, vol. IV, n. 9-10). 1883. Calcari a Radiolarie dell'Appennino modenese e reggiano. (Rend. Soc. Nat. di Modena, Serie III, vol. I. p. 67-70). 1883. Su alcuni giacimenti serpentinosi dell'Appennino modenese e reggiano (Rend. della Soc. dei Nat. di Modena, Serie III, vol. 1, p. 57-58). 1883. Fauna miocenica a Radiolarie dell'Appennino settentrionale: Montegibbio e Baito. (Boll. Soc. geol. ital, I, pag. 142-158). 1883. Diaspri elbani. (Proc. verb. Soc. toscana Sc. nat., III, pag. 212-215). 1883. Note paleontologiche. (Rend. Soc. Nat. Moden., S. III, vol. I, pag. 128-130). 1883. Note geologiche intorno agli strati miocenici di Monte Baranzone e dintorni. (Rend. Soc. Nat. di Modena, S. III, Vol. II, p. 78-81). 1884. La zona desolata; pagine di geologia appenninica. (La Natura, n. 7, pag. 3, con figg.). 1884. Nota preventiva sopra gli Echinidi di Montese. {Rend. Soc. Nat. Modena, S. III, vol. II, pag. 38-48: in collab. con G. MAZZzETTI). 1884. Quintino Sella. Commemorazione. (Atti Soc. Nat. di Modena, S. IIT., vol. II). 1884. Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena - Aggiunte e correzioni. (Bull. Soc. Malacol. Ital., X, p. 5-32). 1884. Sur le Murex Hòrnesii d’Arcona. (Journ. de Conchyol., XXIV, p. 332-334). 1884. Teoria e pratica - Discorso inaugurale. (R. Università di Modena, 24 pag.). 1884. Nuovo lembo di calcari a radiolarie. (Rend. Soc. Nat. di Modena, serie III, vol. II, p. 164-165). 1885. Il Quaternario nella Valle Padana. (Atti della Soc. Toscana di scienze naturali, vol. V. proc. verbali, p. 23-24). 1885. La vallata di Scoltenna e Panaro. (Rend. Soc. Nat. di Modena, serie III, vol. II, p. 126-128). 1885. Il colore bluastro delle argille. (Rend. Soc. Natur. Modena; S. III, vol. II, 170-172). 1885. Pozzo artesiano di Porto Vecchio. (Rend. Soc. Nat. di Modena, serie III, vol. II, p. 100-101). 1885. Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese. (in collaborazione di G. MAZZETTI). (Atti Soc. Nat. Modena, S. III, vol. IV, p. 58-90). 1885. Vertebrati fossili delle ligniti di Spoleto. (Atti Soc. Tose. Sc. Nat, VII, pag. 93- 100, 1 tav. e 1 fig.). 1885. NECROLOGIA 95 Note paleontologiche. (Atti Soc. Nat. Modena, S.III, vol. II, pag. 98-100). 1885. Id. id. Risposta al prof. Coppi. (Rend. Soc. Natur. Modena, II, pag. 15 e 111- 113). 1885. Melanopsis Bonellii e M. Narzolina. (Proc. verb. Soc. toscana Sc. natur., IV, p. 233). 1885. Radiolarie negli schisti silicei di Montecatini in Val di Cecina. (Ivi, IV, p. 168- 170). 1885. Sopra alcune Scalarie terziarie. (Bull. Soc. Malacol. It., XI. p. 262-272). 1885. Vertebrati fossili delle ligniti di Spoleto. (Proc. verb. Soc. Tose. Sc. Natur., IV, p. 171-172). 1885. ll Cretaceo di Montese. (Boll. della Soc. Geolog. Ital., vol. IV, p. 6, con una cartina geologica). 1885. Molluschi dello stagno d'Orbetelto. (Boll. Soc. Malacologica ital, vol. XII, p. 89-99). 1886. Roccie di Assab. (Atti Società toscana Sc. nat., VI, pag. 29-30). 1886. Un' applicazione delle ricerche di micropetrografia al’arte edilizia. (Ivi, pag. 24=28). 1886. I così detti ghiacciai appenninici. (Proc. verb. Soc. toscana Sc. naturali, vol. V, p. 142-148). 1886. Orografia pliocenica e quaternaria dei dintorni di Scandiano. (Atti Soc. dei naturalisti di Modena, Serie IIT. vol. III, p. 53-60). 1886. Melanopsis fossili e viventi d'Italia. (Boll. Soc. Malacol. Ital., XII, p. 63-82, con 1 tav.). 1886. Monografia degli strati pontici del Miocene superiore nell'Italia settentrionale e centrale, (Mem. della R. Accad..di scienze, Modena, S. II, vol. IV, 100 pag. I tav.). 1886. La Melania curvicosta Desh. nell'Abissinia. (Proc. verb. della Soc. Tosc., vol. V, p. 204-206). 1887. Modelli silicei di fossili. (Rend. Soc. Nat. Modena, III, p. 114-116). 1887. Nota di tecnica microscopica. (Proc. verb. Soc. tosc. Sc. Nat., VII, p. 12-14). 1887. Ancora sui così detti ghiaccici appenninici. (Proc. verb. Soc. Tosc. di Se, naturali, vol. V, p. 268-269). 1887. Radiolarie mioceniche dell'Appennino. (Rend. Soc. Nat. di Modena, Serie III, vol. III, pag. 125). 1887. Fauna fossile di Montese. (In collaborazione di G. MazzETTI). (Att. Soc. Nat. Mo- dena. Anno XXI, p. 45-82, 1 tav.). 1887. Specie nuove mioceniche. (Bull. Soc. Malacol. Ital., XII, p. 123-134, 1 tav.). 1887. Le radiolarie dei diaspri. (Proc. verb. Soc. Tosc. Sc. Natar., VI, p. 11-12). 1887. Incremento degli Istituti scientifici di Modena dal 1877 al 1886. (p. 6-17). 1887. Id. id. id. nel 1886-1887, p. 19-23. 1887. 96 NECROLOGIA Note geologiche sullo Scioa. (Proc. verb. Soc. tosc. di Se. nat., vol. IV, p. 164- 170). 1888. Progetto di lago artificiale nella valle superiore del Tresinaro presso Viano: Relazione geologica. Reggio, 1888. Le acque sotterranee nellai provincia modenese. (Atti Soc. Nat. di Modena, Serie III, vol. VII, p. 81-90). 1888. Descrizione di specie mioceniche nuove 0 poco note. (Bull. Soc. Malacol. Ital., XIII, pag.26-32). 1888. Melanopsis Matheroni e M. Narzolina (Bull. Soc. Malacol. Ital., XII, pag. 21-22). 1888. Pecten Angeloni e Pecten Hystrix. (Bull. Soc. Malacol. Ital., XIII, p. 23-25). 1888. Descrizione di specie mioceniche nuove 0 poco note. (Ivi, p. 150-158).{1888. Tufi serpentinosi eocenici dell'Emilia. (Boll. R. Comitato geologico, S. II, vol. X, n. 5-6). 1889. Pleurotomidi del Pliocene superiore di Montegibbio. (Bull. Soc. Malacol. it., XIV, pag. 82-98). 1888. Sopra i resti di un {sauriano trovati nelle argille scagliose di Gombola nel Modenese. (Bull. Soc. Geol. Ital., VIII, p. 21). i889. Cupularia umbellata e C. intermedia (Proc. verb. Soc. Tosc. Sc. Nat., VII, p. 25-28). 1890. Buccinidae, Purpuridae, Olividae del Miocene superiore di Montegibbio. (Bull. Soc. Malacol. Ital., XV p. 7-17). 1890. Lamellibranchi pliocenici: Enumerazione e sinonimia delle specie dell’ Italia superiore e centrale. (Bull. Soc. Malacol. Ital., XVII, p. 49-295). 1892. Paesaggio pliocenico dalla Trebbia al Reno. (Atti Soc. Natural. di Modena, Serie III, vol. XI, p. 12-36). 1892. Testudo Amiatae n. sp. (Mem. Soc. tosc. Sc. nat., VIII, pag. 90-91). 1892. Ulteriori osservazioni sul giacimento della Testudo Amiatae Pant. (Proc. verb. Soc. Tosc. Sc. Nat., VII, p. 90-91). 1892. Sopra un piano del Nummulitico superiore nell'Appennino modenese. (Atti Soc. Natur. Modena, Serie III, vol. XII, p. 81-86. Con 1 profilo geologico). 1893. Campylea Nicatis Costa. (Boll. Soc. Malacol. it., XVIII, p. 9-10). 1893. Appunti per servire alla storia dell'Istituto di Mineralogia e Geologia di Modena. (Atti Soc. Nat., S. 3-XII, p. 65-80. Con una tav). 1893. I terreni quadernarii e recenti dell'Emilia. (Mem. Accad. Scienze lett. ed arti, Modena, serie II, vol. IX, p. 345-424). 1893. Zona miocenica a Radiolarie dell'Appennino settentrionale e centrale. (Atti Soc. Nat. di Modena. Serie III, vol. XII, anno XXVII, p. 161-173). 1894. La scelta dei professori universitarti. (Unione Universitaria, I, Siena, 5 p.). 1894. ‘NECROLOGIA 97 Contributo alla geologia dell'Appennino modenese: Sopra una recente pubbli cazione del prof. F. Sacco sull'Appennino dell'Emilia. (Atti Soc. Natur. di Modena, Serie III, vol. XII, p. 193-208). 1894. Miocene di Vigoleno e Vernasca. (Atti Soc. Nat. di Modena, Serie III, vol. XIII, p. 18-19). 1894. Gita primaverile del 20 Maggio 1894. (Atti Soc. Natur. di Modena, Serie III, vol. XIII, p. 15-16). 1894. L’ Appennino modenese descritto ed illustrato. (I capitoli: Cenni geografici — Cli- matologia — Geologia - Carta geologica — Il capitolo Itinerari e la direzione della pubblicazione in collaborazione col prof. VENCESLAO SANTI). - Rocca San Ca- sciano, 1895. Sulle radiolarie mioceniche dell'Appennino. (Riv. Ital. di Paleont. I, p., 3). 1895, Su le considerazioni e proposte perla Cattedra di Mineralogia dell’ Università di Pavia per i proff. Bartoli, Pascal e Somigliana (p. 10), Modena, 1895. Sul mercurio nativo di Val di Taro. (Atti Società Natur. Modena, S. III, vol. XIV, p. ll). 1890. Rame e mercurio nativo nell'Appennino Emiliano. (Rend. Accad. Lincei, (5) V, p. 11-14). 1896. Come il fiume Secchia dal secolo XVI in poi abbia spostato il suo corso dalla riva modenese alla riva reggiana a monte e a valle di Sassuolo] (p. 21) Modena. 1896. Sulle variazioni di livello delle acque sotterranee in Modena. (Boll. della Soc. geologica Ital, vol. XV, p. 319-323. Con 1 tav.). 1897. Una pagina di geologia. (Pagine sparse. Numero unico). Modena, 1897. Gli scoscendimenti montani. (Natura ed Arte. Anno VI, n. 6, 1 pag.). 1897. Il disastro di S. Anna a Pelago. (Illustrazione italiana, N. 2, 1897, Milano. p. 1). 1897. Sul Diodon Scillae Agassiz-Guiscardi. (Mem. R. Accad. Sc. Modena, S. III, vol. I, p. 91-92 con figg). 1897. Discorso inaugurale della riunione estiva della Società geologica italiana in Perugia. (Boll. Soc. geol. ital., vol. XV). 1897. Sulle variazioni di [livelloj delle acque sotterranee di Modena. (Mem. della, R. Accad. di Sc. Lett. ed arti in Modena, S. {II, vol. 1). 1898. Sui pozzi modenesi. (Rend. R. Ist. Lomb. di Sc. e lettere, serie II, vol. XXXI, p. 6). 1898. Grafici delle osservazioni giornaliere sulle variazioni di livello delle acque sotter- ranee di,Modena. (Atti Società Natur. di Modena, volume XVI, serie III). 1898. Selci miocenicne. (Atti Soc. Natur. Modena, S. 3, XVI). 1898. Oscillazioni diurne della Ghirlandina. (Atti R. Accad. di Sc. Lett. ed Arti di Modena, serie III, vol. II). 1899. 98 NECROLOGIA Ricerche sulle sabbie fluviali e sotterranee della Secchia e Panaro. (Atti Soc. Nat. Modena, S. III, vol. XVII, p. 8). 1899. Una lettera inedita di J. K. Megerle (3 pag.). Modena, 1899. Modulo meteorico del bacino montano dell'Adda. Bibl. dell'opera di A. PESTA- LOZzA e C. VALENTINI: Sistemazione del deflusso delle acque del lago di Como. (Boll. Soc. Geogr. ital., XII, 4 pag.). 1899. Su alcuni errori di fatto circa le salse modenesi e il petrolio d'Egitto. (Boll. Soc. geogr. ital., serie IV, p. 1021-1026). 1900. Storia geologica dell'Arno. (Boll. della Società Geol. Ital., volume XIX, p. 419- 436). 1900. Descrizione geologica dei dintorni della Savarola. (In « Bagni della Salvarola » p. 9-11). Modena, 1900. Cenni storici sulla Società Geologica Italiana, (Boll. Soc. geol. it., vol., XIX, p. 140-146). 1900. I falsopiani. (Nel numero unico « Pro-Vaglio » 1 pag.). Modena, 190). Parere sulle condizioni del suolo in Setta per uno sbarramento del medesimo nella località Cerreta. (In opuscolo di C. A. Dacati. « Sullo sbarramento di Val di Setta »). Bologna, 1901. Sulle reticolazioni antiche per le colonie romane. (Proc. verb. R. Accad. di scienze Modena, 1 pag.). 1901. Relazione della commissione giudicatrice del quinto concorso al premio Molon. (In unione di T. TARAMELLI e G., DI STEFANO relatore. Boll. Soc. Geol. Ital,, vol. XX, 32 pag.). 1901. L’Appennino settentrionale dalla Trebbia al Reno. (Atti del 4° Congresso Geo- grafico ital.). 1902. 1 quarzi del Cinghio dei Diamanti. (Atti Soc. Nat. Modena, S. 4, vol. III, 2 pag.). 1902. Efflusso dell'acque per le sabbie. (Mem. Accad. Sc. Lett. ed Arti di Modena, serie IST, vol. IV, 20 pag.). 1902. Calcolo della portata dei pozzi modenesi a diversa altezza. (Giorn. di Geol. pratica, vol. I, p. 16). 1903. Di alcuni giacimenti solfiferi della provincia di Siena. (Boll. Soc. geol. Ital., vol. XXII, fasc. II, pag. CXXIX-CXXXI). 1903. Andamento delle acque sotterranee ner dintorni di Modena. (Mem. Accad. Sc. Lett. ed Arti in Modena, serie III, vol. V. p. 45-97). 1903. Curva dei carichi lungo un condotto d'acqua a grande resistenza. (Atti Soc. Nat. e Mat. di Modena, serie IV, vol. V, 1 p.). 1903. Influenza del mezzo filtrante sul coefficente di filtrazione. (Atti Soc. Nat. ® Mat. di Modena, serie IV, vol. V, 1 pag.). 1903. NECROLOGIA 99 Sur les puits artesiens. (Comptes rendus de l’Acc. des sciences. T. CXXXVII, n. 20, p. 809). 1903. Nutzbare Ablagerung. (Schwefel). (Geologisches Centralblats, vol. 4, n. 1, p. 1). 1904, Peso specifico e indice di rifrazione del quarzo fuso. (Proc. verb. Soc. Tose. Sc. Nat., XIV, l p.). 1904. Verlauf des Grundwassers in der Ungebung von Modena, (Geolog. Centralb., vol. 4, n. 13, 2 p.). 1904. Di un pozzo artesiano nella pianura tra Viareggio e Pietrasanti. (Atti Soc. Tosc. Sc. Nat., Proc. verb. vol. 14, n. 3, pag. 68-70). 1904. Coefficiente di filtrazione - Influenza del mezzo filtrante. (Mem. Accad. Sc. Lett. ed arti in Modena, vol. 6, serie 3). 1904. ‘A proposito della salienza delle acque artesiane. (Giorn. di geologia pratica, anno 2, 4 p.). 1904. Sugli otoliti fossili. (Proc. verb. Soc. Tose. Sc. nat., 14, 1 p.). 1904. Denti di Ptychodus nell'Appennino Modenese. (Proc. verb. Soc. Tosc. Sc. nat., XIV). 1904. Residui di un'antica fornace di terrecotte. (Atti R. Accad. di scienze Modena, SAS avol A Ver3Tp) DL905: Ancora sui resti di Ptychodus nell'Appennino Emiliano. (Atti soc. nat. Mo- dena, S. IV, vol. VII). 1905. Oscillazioni nella composizione dell'acqua del pozzo di Piazza Maggiore in Modena. (Mem. R. Accad. Sc. Lett. ed Arti in Modena, serie IV, vol. VII, pag. 41-48). 1908. Le origini del petrolio. (Boll. Soc. geolog. Ital., vol. XXV, 8 p.). 1906. Note di idrologia sotterranea. (Atti Soc. Nat. di Modena, serie JV, volume IX, 4 pag.). 1907. Acque sotterranee fra Secchia e Panaro. (Atti del R. Ist. Veneto di Sc. Lett. ed arti, T. LXVI, pag. 761-807). 1907. Il petrolio emuliano. (Atti Soc. ligustica scienze nat. e geografiche, vol. XVIII, pag. 105-115). 1907. Sopra due volumi di manoscritti di Giuseppe Giulti della Biblioteca comunale di Siena. (Bull. Soc. Senese di storia patria, anno XIV, 4 pag.). 1907. Sorgenti della Salvarola. (Giorn. di geol. pratica, anno VI, 11 pag.). 1908. Descrizione di un viscosimetro. (Atti soc. nat. Modena, S.IV, vol. X, p. 4), 1908. Carlo Darwin. (Atti Soc. Nat. di Modena, S. IV, vol. X). 1908. Programma di una sezione industriale da aggiungersi all'Istituto tecnico, Jacopo Barozzi. (4 p.). Modena, 1908. Sulle pressioni trasmesse dalle acque sotterranee. (Soc. tosc. di sc. nat. proc. verb., vol. XVII). 1908. 100 NECROLOGIA La molassa ofiolitica di Grizzana. (4 pag.). Bologna 1909, i Ricerche sul petrolio emiliano. (Mem. di R. Accad. di Sc. Lett. ed Arti in Mo- dena, serie III, vol. X, 37 pag.). 1910. Circa una supposta eruzione della Salsa di Sassuolo dell’anno 91 A. C. (Atti soc. nat. e mat. serie 4, vol. 12, 5 p.). 1910. Di un lembo quaternario nell'alta valle del Reno. (Boll. Soc. geol. ital., anno 29, 2 pag.). 1910. Sopra una frase fortunata di M. Giovanni Boccaccio. (Atti soc. natur. di Modena, anno XLIII, 6 p.). 1910. Argille postplioceniche ad Ittioliti di Taranto. (Soc. tose. di sc. natur., vol. 20, pag. 42-47). 1911. Domenico De’ Corradi d’ Austria, una pagina di storia dell'’Idraulica. (Discorso inaugurale, R. Università di Modena). 1911. Sulla estensione dell'oligocene nell'Appennino settentrionale. (Atti soc. nat. e mat. Modena, vol. XIII, pag. 28-37). Modena. Sopra il Misy e il Sory citati da Dioscoride. (Atti soc. nat. e mat. di Modena, serie IV, vol. XIV, 5 p.). 1912. Sulle così dette molasse ofiolitiche nell'Appennino settentrionale. (Atti soc. ital. di scienze nat., vol. LI, 9 p.). 1912. Acque sotterranee. (Natura, Riv. mensile di sc. nat., vol, III, 14 p.). 1912. Discussione sul terziario medio. (Boll. soc. geol. ital., vol. 31, 1 pag.). 1912. Difese montane. (Atti della soc. ital. per il progr. delle scienze, sesta riunione, 16 p.). 1912. Fossa Angusta 0 fossa Augusta - Questione Pliniana sul corso del Po. (Boll. R. Soc. Geogratica, VI, p. 597-612). 1913. Marmitta dei Giganti in quel di Gaggio. (Atti Soc. nat.,S. 4, vol. XV, p. 3-5, con una tav.). 1913. Petrolio di Vezzano. (Reggio Emilia). (Ivi, p. 7-9). 1913. Acque sotterranee della città di Modena. (Ivi, p. 11-15). 1913. Acque sotterranee di Castelfranco-Emilia. (Memorie R. Acc. di scienze, lettere ed Arti, S. 3, vol. XII, 8 pag.). 1913. E KNOFETORIGINALI DE FRANCESCO BASSANI SOPRA UN PESCE FOSSILE degli scisti calcareo-marnosi triassici del Galletto presso Laveno sul Lago Maggiore (Peltopleurus humilis Kner) Con una tavola In una zona di scisti calcareo-marnosi, intercalati fra la dolomia triassica, che affiorano sulla sponda orientale del Lago Maggiore, in prossimità dell’imbocco N. della galleria di Laveno, al casello 122 della ferrovia Novara-Pino, a breve distanza da quel caratteristico masso di dolomia detto Sass Galet, l’ingegnere PULLÉ raccolse un piccolo pesce fossile, che mi venne gentilmente comunicato a scopo di studio da questo Ufficio geologico (1). (1) G. PuLLE. Sulla probabile esistenza di una notevole dislocazione nelle formazioni mesozoiche dei Pizzoni di Laveno. Nota preliminare (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXII, 1913, pag. 293). Questi scisti erano stati precedentemente riferiti dal prof. TARAMELLI, in base allo studio di alcuni bivalvi raccolti da lui, all’Infralias (Osservazioni strati- grafiche sulla Valtravaglia, in Rend. R. Ist. Lombardo di scienze e lettere, serie II, vol. XVIII, fasc. VI. Milano 1885), ma più tardi (Alcune altre osserva- zioni stratigrafiche sulla Valtravaglia, in loc. cit., vol. XXXVIII, pag. 222. Milano, 1905), dopo avere riportato il giudizio del prof. ToMMASI su quei fossili, in verità mal conservati, concluse che secondo ogni probabilità la zona calcareo- marnosa del Galletto non appartiene al Retico, ma spetta ad un terreno più an- tico nella serie del Trias. (Vedi anche la carta geologica alla scala di 1:0.000 del professore TARAMELLI annessa alle sue Note geologiche sul bacino idro- grafico del fiume Ticino, in Boll. Soc. geol. it., vol. IV. Roma, 1885). 2 102 FRANCESCO BASSANI * L’ittiolito offre interesse notevole, sia perchè la sua determina- zione consente di stabilire con esattezza l’orizzonte geologico al quale questi scisti appartengono, sia perchè il suo buono stato di conser- vazione permette di aggiungere altri caratteri a quelli rilevati sugli esemplari già noti della medesima specie. Il pesciolino (v. la tav.) è lungo 28 millimetri ed ha la massima altezza, misurata a mezza distanza fra le pinne pettorali e le ventrali, di 7, corrispondente al quarto della lunghezza totale. Il pedicello della coda è alto due millimetri e mezzo. La testa è presso a poco tanto alta che lunga (mm. sei), col muso quasi tronco e il profilo frontale leggermente arcuato. L’orbita, grande, è collocata in alto, ha il diametro di 2 millimetri e lascia vedere lo sfenoide tangente al suo margine inferiore. Lo squarcio della bocca è piuttosto ampio e obliquo all’insù. Nel mascellare su- periore stanno sei o sette denti conici e spaziati; pochissimi altri si scorgono nell’inferiore. Si vedono bene un frontale, fuori posto, e forse un intermascellare; le ossa rimanenti sono mal ridotte e non permettono di venire descritte. Anche l’apparato opercolare è in gran parte spostato. Le pinne pettorali sono collocate subito dietro la testa, a metà della distanza fra l’estremità anteriore del muso e l’inserzione delle ventrali. La sinistra presenta i raggi spezzati a brevissima distanza dall’origine; la destra conserva cinque raggi: il primo, brevissimo, è fornito di due fulcri; il secondo, con sette fulcri, che è il più lungo e arcuato verso l’avanti, misura cinque millimetri ; il terzo, quattro ; il quarto (di cui in parte resta solo l'impronta) tre e mezzo; il suc- cessivo è corto e mal conservato. Le pinne ventrali, la cui distanza dalle teraciche eguaglia la lunghezza di 11 file di squame laterali, dovevano essere inserite alla metà dello spazio fra le pettorali e l’anale, quantunque ora appaiano più vicine a quest’ultima, perchè essa ha subìto, come dirò fra breve, uno spostamento in avanti. Risultano di un grosso raggio, forse non intero, acuminato e provveduto di sette fuleri, che è lungo mezzo centimetro, e di altri quattro, brevi e ripetutamente divisi, che vanno mano a mano accorciandosi. SOPRA UN PESCE FOSSILE 103 La pinna dorsale principia poco al di là della metà del corpo. I raggi che vi si distinguono bene sono sette: quattro semplici e tre divisi. L’anteriore è lungo tre quarti di millimetro; il secondo un millimetro e mezzo ; il terzo circa tre; il successivo (che nel tratto superiore conserva solo l’impronta) cinque. In questi :due ultimi raggi, articolati nella metà distale, si vedono bene dei fulcri, in nu- mero di quattro nel primo e di cinque nel secondo. I tre raggi di- visi che seguono sono mal ridotti, ma, a quanto pare, ncn superano in lunghezza il precedente. Dopo essi sembra di scorgere l’impronta di altri due raggi, dubbiosi. Calcolando anche questi, l’estensione basale della pinna è di due millimetri. L’anale, di cui l'origine appare leggermente posteriore a quella della dorsale, doveva in realtà essere più remota, giacchè essa ha subìto uno spostamento in basso e all’innanzi, smuovendo anche una grossa squama che copre la base dei raggi, come dimostra l’esi- stenza di uno spazio vuoto tra detta squama e il profilo inferiore del corpo. Cccupa un’estensione di due millimetri e mezzo e conserva undici o dodici raggi : tre anteriori, piccoli; uno più lungo, distinta- mente articolato, con due fuleri all’estremità libera; un quinto ancora più lungo (mm. 4) e, come il precedente, articolato e fornito di due fulcri all’estremità distale ; tre, più corti, divisi e decrescenti in lun- ghezza, ed altri tre o quattro, mutilati, spostati e confusi insieme. La codale, compresa un po’ più di sei volte nella lunghezza totale d.1 corpo, è leggermente incavata. Nel lobo superiore si con- tano 7-I-5 raggi; nell’inferiore, 6-I-6. I mediani, profondamente forcuti, sono i più lunghi (cinque millimetri); qualcuno, come il terzo del lobo inferiore, si vede diviso due volte. Le squame rivestono tutto il tronco e sono disposte in serie quasi verticali nel tratto anteriore e oblique nel posteriore. Dall’ap- parato opercolare alla coda sommano a 33. Dal profilo superiore del corpo all’inferiore se ne contano cinque file nel tratto anteriore e mediano, e sei dopo la pinna anale. Le squame della fila mediana, sviluppatissime, sono assai più alte che lunghe: nelle anteriori l’al- tezza è uguale a nove volte la lunghezza; nel tratto mediano i due 104 FRANCESCO BASSANI diametri sono nel rapporto di 7 a 1, e in quello posteriore diventano rapidamente di 4: 1 e di 3: 1. Le sproporzione cessa quasi total- mente nelle piccole squame mediane delle ultime file, prossime al pedicello codale, le quali assumono gradatamente, come quelle delle serie soprastanti e sottostanti, una forma pressochè rombica. Molto simili a queste, sia per grandezza - he per forma, sono le squame vicine alle linee del dorso e del ventre che precedono le pinne dor- sale e anale; nella maggior parte delle altre la figura predominante è quella di parallelogramma. La superficie è liscia; il margine po- steriore appare qua e là irregolarmente e lievemente frastagliato, ma ciò deve dipendere dal loro stato di conservazione. Non si ve- dono squame prominenti sulla linea dorsale. In corrispondenza dei primi raggi della pinna anale si scorge una squama larga e relati- vamente robusta. I caratteri su esposti e specialmente quelli relativi alle squame provano all’evidenza che l’esemplare appartiene al gen. Peltopleurus KNER (1). Le specie di questo genere sono quattro: una, P. splendens, riscontrata negli scisti di Raibl e in quelli di Besano; due, P. gra- cilis e Kneri, provenienti da Raibl, e la quarta, P. humilis, rinve- nuta negli scisti di Seefeld, in Tirolo, e in quelli di Giffoni, in pro- vincia di Salerno (Dolomia principale). Il nostro esemplare si distingue dal P. splendens KNER per nu- merosi caratteri, fra i quali le proporzioni fra l’altezza e la lunghezza del corpo, la relativa inserzione delle pinne pari e delle impari, lo sviluppo della pinna codale, il numero delle file longitudinali di squame e il rapporto fra i due diametri delle squame sui fianchi. Nè può essere riferito al P. gracilis KNER, nel quale le squame sui fianchi sono orizzontalmente striate. Si distingue pure dal P. Kneriî A. S. WoopwARD, la cui complessiva lunghezza misura ben sei volte l’altezza. (1) Già da me indicato all’ing. PuLLÈ, per errore di trascrizione, col nome di Pholidophorus, e come tale da lui riportato nella citata sua nota. e Li SOPRA UN PESCE FOSSILE 105 Corrisponde invece per il complesso dei suoi caratteri a Pelt. humilis KNER (1). E’ vero che nell’esemplare di Seefeld (2) e nei due di Giffoni descritti dal CostA (i soli che presentino le pinne discretamente conservate) l’anale è inserita al di là della dorsale; ma, come ho accennato prima, nel pesciolino di Laveno detta pinna anale è spostata in avanti. In base a questi risultati, è da concludere che la zona calcareo - marnosa del Galletto appartiene alla Dolomia principale (3). (1) R. KNnER, Nachtrige zur fossilen Fauna der Asphaltschiefer von See- fetd in Tirol, in Sitzungsb. Akad. Wiss., math.-naturw. Cl, LVI Band, I Abth., pag. 904, tav. I, fig, 2. Wien, 1867. — O. G. Costa, Paleontologia del Regno di Napoli, parte I, in Atti Acc. Pont., vol. V, pag. 298-299, tav. VI, fig. 4 e 5. Napoli, 1853 [col nome di Semzionotus curtulus CostA]. — FR. BASSANI, la ittiofauna della Dolomia principale di Giffoni, in provincia di Salerno, in Palaeontographia italica, vol. I, pag. 207, tav. XII, fig. 10 e 10-a. Pisa, 1895. (2) Si noti che la figura data dal KNER è stata per errore riprodotta capovolta. (3) Qui giova ricordare un altro ittiolito, parzialmente conservato, che fu rin- venuto anni fa, durante i lavori ferroviari della linea Novara-Pino, nella trincea prima della valle Bazzeroni, a circa 600 metri dallo sbocco della predetta galleria presso Laveno, e che io ho illustrato nel 1895 (Appunti d’'ittiologia fossile ita- liana, pag. 14, fig. 6 della Tavola, in Atti R. Acc. Sc. fis. e mat. di Napoli, serie 2%, vol. VII). In quella memoria ho rilevato le strette affinità del fossile con Lepidotus (Colobodus) latus AGASSIZ, [attualmente considerato sinonimo di (Col. ornatus e caratteristico della Dolomia principale [Seefeld (Tirolo); (Giffoni (Sa- lerno); Lumezzane, Grumello Alto e Grandola (Lombardia); Hallein (Salzburg)]. Ora è da ritenere che secondo ogni probabilità anche questo esemplare provenga dalla stessa zona calcareo-marnosa in cui fu raccolto il Peltopleurus innanzi descritto. VA : sd LIO RE % aaa 5 ba vl n° qu ANTA Di Il. R. Com. geol. d'Italia. Vol. XLIV. F. BASSANI: Sopra un pesce fossile ecc. Fig. I. grandezza naturale Fig. II. 3 volte grandezza naturale PELTOPLEURUS HUMILIS KNER Scisti calcareo- marnosi del Galletto presso Laveno (Lago Maggiore) /ESI - ROMA IRE TERE 188 IDONEI LA TRACHITE QUATERNARIA DELLA TOLFA e i fenomeni metallogenici ad essa collegati Fino dal 1886, attenendomi alle osservazioni del Giordano (1), del Ponzi (2), del Mantovani (3) e del Klitsche de la Grange (4) sulle trachiti della Tolfa, accolsi il riferimento di queste all’epoca miocenica, confortato in tale conclusione dal fatto che alla loro emis- sione era strettamente collegato un insieme di fenomeni metamorfici e metallogenici che trovano la più completa analogia nelle regioni eruttivo-metallifere dell’Isola d'Elba e di Campiglia Marittima in Toscana. Come ebbi infatti a scrivere successivamente nel 1900 (5); i calcari e gli scisti argillosi eocenici, a sud e SO della massa tra- chitica della Tolfa, sono profondamente alterati: gli scisti sono cao- linizzati, silicizzati e piritiferi; i calcari compatti sono trasformati in calcare cristallino, ceroide e saccaroide, con formazione di gra- (1) F. GrorpANO. Cenni sulle condizioni fisico-economiche di Roma e suo territorio. Firenze, 1871. (2) G. Ponzi. La Tuscia Romana e la Tolfa. (R. Accademia dei Lincei, 1876-77, p. 19). (3) P. MANTOVANI. Descrizione geologica della Campagna romana. Roma, 1875. (4) A. KLITSCHE DE LA GRANGE. Le trachiti della Tolfa e le formazioni alluminifere. Roma, 1881. (5) B. LortI. /! giacimenti metalliferi della Tolfa in provincia di Roma. (Rassegna mineraria ecc., XIII, 17, 1900). 108 ING. B. LOTTI nato, wollastonite, epidoto, clorite e quarzo (1); gli strati calcarei compresi fra gli scisti argillosi furono silicizzati con produzione di vene e listerelle d’epidoto e la roccia, benchè silicea, mantiene il co- lore e la tessitura del calcare originario. Questo metamorfismo degli strati eocenici presso la Tolfa fa per- fetto riscontro a quello dello stesso terreno circostante ai grossi fi- loni quarzoso-cupriferi di Massa Marittima (2) e per ciò che con- cerne la saccarizzazione dei calcari compatti, l'analogia più com- pleta si riscontra coi terreni metamorfici addossati alla massa grani- tica del M. Capanne nell’ Isola d’Elba. I calcari granatiferi di Proc- chio e di S. Ilario nel M. Capanne sono infatti identici a quelli della Tolfa, e sono pur essi eocenici. Di queste rocce metamorfiche della Tolfa fa menzione anche il Ponzi (3) e giustamente le ritiene quali rocce eoceniche alterate. Egli però attribuisce il fenomeno ad azioni di contatto della massa tra- chitica; ma poichè, a parte la inammissibilità di azioni di contatto così profonde fra le rocce effusive e quelle su cui si espansero, sta in fatto che alla Tolfa l’alterazione delle rocce sedimentarie presso il contatto colla trachite è minima o nulla, io ritenni più probabile che la trachite della Tolfa fosse, come quella di Campiglia Marit- tima (4), in correlazione con masse granitiche sotterranee e che que- ste fossero state la causa tanto del metamorfismo quanto delle ma- nifestazioni metallogeniche. I giacimenti metalliferi della Tolfa, compresi nella zona di me- tamorfismo degli strati eocenici, consistono, come esposi altrove (5), (1) F. MiLLosEviIcH. Osservazioni mineralogiche sulle rocce metamorfiche dello Tolfa (Boll. Soc. geol. italiana, XXIII, 1904), e Rocce propilitiche della Tolfa, (Ibid, XXIV, 1905). (2) B. LoTtI. Descrizione geol. e mineraria dei dintorni di Massa Ma- rittima. (Mem. descr. della Carta geol. d’Italia, VIII, 1893, p. 42-73). (3) loc. cit. (4) IpEM. Le rocce eruttive felaspatiche dei dintorni di Campiglia Ma- rittima. (Boll. Comit. geol. 1 e 2, 1887). (5) IpeM. / giacim. metall. della Tolfa, loc. cit. LA TRACHITE QUATERNARIA DELLA TOLFA 109 in ammassi ferriteri e in filoni di solfuri (galena, blenda, rara calco- pirite e pirite) in matrice di quarzo, calcite e fluorite. Quelli di Cam- piglia Marittima (1) constano ugualmente di ammassi ferriferi, cui si associa un po’ di cassiterite, e di filoni di solfuri strettamente collegati fra loro ed a rocce granitiche, porfiriche e trachitiche d’età miocenica e rappresentanti modalità di cristallizzazione di uno stesso magma (2). I calcari del Lias inferiore nell’area interessata dalle ma- nifestazioni eruttivo metallifere sono qui, come alla Tolfa, trasfor- mati in calcari cristallini con produzione di silicati ferro-calciferi, scapolite, dipiro o conzeranite. Tale sorprendente analogia di fenomeni fra le due località della Tolfa e di Campiglia Marittima contribuì a confermarmi nella opi- nione che non solo la trachite della Tolfa fosse una manifestazione superficiale di masse granitiche profonde ma che essa, come quella di Campiglia, fosse di età miocenica come era stata giudicata dagli autori sopra citati. Il Millosevieh (3), cui si deve un accurato studio petrografico delle rocce metamorfiche della Tolfa e di alcune di quelle intrusive, in filoni, strettamente legate per costituzione mineralogica e per po- sizione alla massa effusiva trachitica, espresse il parere che « non fosse provata l’esistenza reale di una massa granitica sotto le tra- chiti andesitiche della Tolfa » e che fosse« più semplice ritenere che la parte più profonda del magma trachitico abbia dato origine alle sostanze metallifere e agli agenti mineralizzatori ». Ora, questa di- vergenza di opinioni sta più nelle parole che nei fatti. Tutto sta nel sapere o nell’indagare sotto qual forma si sarà consolidata la parte profonda del magma trachitico, ma i geologi ed i petrografi sono ge- (1) B. LortI. Sulla genesi dei giacimenti metall. di Campiglia Marittima. (Boll. Comit. geol., 4, 1900). (2) A. D'AcHIARDI. Della trachite e del porfido quarzifero di Donoratico. (Mem. Soc. tosc. scienze nat., VII, 1884). — K. DALMER. Die Quarztrachyte von Campiglia und deren Beziehungen zu den granitporphyrartigen und grani- tischen Gesteinen (N. Jahrb. f. Min. ete., II, 1887). (3) F. MILLOSEVICH. loc. cit. , 110 ING. B. LOTTI neralmente d’accordo che un magma, che cristallizza in profondità e lentamente, prende la struttura olocristallina o granitica, come prende di solito quella porfirica se cristallizza in spaccature. Questo fatto è stato messo in evidenza per Campiglia Marittima dalle mie osservazioni geologiche (1) e dimostrato dagli studi petrografici di A. D’Achiardi (2) e del Dalmer (3). Ma il fin qui detto non era il vero scopo di questa breve nota; esso doveva servire soltanto a mostrare per quali ragioni fui por- tato a ritenere mioceniche le trachiti della Tolfa, mentre ora debbo riconoscerle per quaternarie, come lo erano già state dal Tittoni (4) fino dal 1885 e da altri fra i quali il Sabatini nella sua monografia sui Vulcani Cimini (5) il quale inoltre insiste ripetutamente sulle rela- zioni chimiche e petrografiche fra le rocce trachitiche della Tolfa e quelle del M. Amiata e dei Cimini. Un fatto nuovo, la scoperta recente di cinabro nella trachite della Tolfa e più precisamente nella parte di essa alterata e ridotta in roccia allumitica, fece sorgere in me il dubbio se veramente le tra- chiti della Tolfa fossero mioceniche o non piuttosto quaternarie come quelle del Monte Amiata cui si associano i nostri più ricchi giaci- menti di cinabro. In considerazione dell’ interesse scientifico che avrebbe presen- tato in metallogenia il fatto, se reale, della comparsa di tutto un apparato metallifero in dipendenza di rocce eruttive postplioceniche, mi sembrò della massima importanza una ricognizione sui luoghi per l'accertamento dei rapporti di posizione e della esistenza 0 meno dei fenomeni di contatto fra la trachite della Tolfa e il terreno plioce- (1) B. LorTI. Le rocce erutt. felasp. ecc. loc. cit. (2) A. D’ACHIARDI. loc. cit. (3) K. DALMER. loc. cit. (4) T. TrrTONI. La regione trachitica dell'Agro Sabatino e "Cerite. (Boll. Soc. geol. it., 4, 1885). (5) V. SABATINI. / vulcani cimini. (Mem. descr. della Carta geol. d'Italia, XV, 1912). LA TRACHITE QUATERNARIA DELLA TOLFA 1ll nico che, fortunatamente, ne limita per lungo tratto la massa nel suo lato orientale. Si trattava soprattutto di vedere se la trachite era veramente sottopesta alle argille plioceniche, come asseriscono i sostenitori della età miocenica di quella eruzione, oppure se avveniva l’inverso, e in quest’ultimo caso se le rocce plioceniche presentavano al contatto tracce di alterazione, come diceva il Tittoni (1) essere stato osser- vato tra Allumiere e Corneto al contatto fra la trachite ed il calcare ad Amphistegina, dove questo appariva cotto, indurito e arrossato dalla roccia eruttiva. Un tal fatto non poteva revocarsi in dubbio, ma poichè il fenomeno si manifestava intorno ad un lembo isolato di trachite e non proprio al contatto della grande massa effusiva, era lecito supporre, come fu supposto da alcuni, che si trattasse in quel caso d’una eruzione più recente. Era dunque necessario studiare accuratamente il contatto fra la grande massa trachitica e le argille, ciò che io feci in una breve escursione di due giorni sul finire di maggio u. s. A meno di due chilometri dall’abitato di Tolfa, sulla rotabile di Rota, ergesi la collina di Poggio Pagano, formata da una cupo- letta di trachite circondata dalle argille plioceniche, le quali la sepa- rano soltanto per qualche diecina di metri dalla massa trachitica che scende da Tolfa. Basta seguire tutt’ in giro il contatto fra la roccia eruttiva di questa cupoletta e le argille per convincersi che queste non solo sono manifestamente sottostanti, ma che presso il contatto colla trachite si è formata una roccia rossa, ferruginosa, che sembra il prodotto della cottura dell’argilla, e nella quale son disseminati vari elementi trachitici. Questo fenomeno si ripete in più punti nella valle della Concia fra il Poggiarello e 1’ Acqua Ferrata, dove le ar- gille penetrano in una profonda insenatura della trachite, mostrando, colla stessa loro posizione topografica, di essere ad essa sottostanti. Quivi, presso la Concia, scaturisce dal contatto delle due roccce una copiosa sorgente che sta essa pure ad attestare la sovrapposizione (MERASETONISIOeNEt 0874: 112 ING. B. LOTTI della trachite, roccia assorbente, alle argille formanti, per la loro im- permeabilità, il letto di sostegno della falda acquifera. Dappertutto, dove mi fu dato di osservare chiaramente il con- tatto fra la trachite e il Pliocene, questo terreno è costituito sempre e direttamente dalle argille. Nessuna formazione clastica, arenacea o ciottolosa, vi si interpone, come si sarebbe dovuto verificare se il deposito pliocenico si fosse formato sulla trachite preesistente, e que- sta formazione clastica, che non poteva mancare, avrebbe dovuto contenere necessariamente degli elementi di trachite, perchè sarebbe stata fatta soprattutto a Spese di quest’ultima. Niente di tutto questo si osserva, come ho detto, in nessun punto della lunghissima linea di contatto fra la trachite e il Pliocene. Resta quindi esaurientemente dimostrato che questa roccia erut- tiva è, come quella del Monte Amiata, di età postpliocenica ad onta dell’apparato metamortfico e metallifero collegato ad essa o alla roccia profonda di cui la trachite rappresenta la manifestazione superficiale. Niente di strano che a rocce eruttive recenti si trovino associati dei depositi di minerali metalliferi. Il De Launay, uno dei più va- lenti cultori della scienza metallogenica, nei suoi numerosi lavori, riassunti recentemente e sviluppati nella. grande opera « Traité de métallogénie (1) » insiste sul fatto che la grandissima maggioranza dei giacimenti metalliferi è di età terziaria; e giova notare che l’il- lustre scienziato intende il Terziario nel suo più largo significato, com- prendendovi il Pleistocene (Quaternario) che non ne è che un’ ultima fase brevissima (2). Però mentre una gran parte dei depositi mercu- riferi e antimoniferi furono, da noi e altrove, ben riconosciuti come quaternari (3), non è ben certo che siasi potuto dire altrettanto pei depositi ferriferi e pei giacimenti filoniani di solfuri di piombo, rame (1) De LaunAY. Traité de Métallogénie. Gites mineraua cet métallifères. IRZIONSE (2) IpeM. La métallogénie de l Italie. México, 1906, p. 5, nota 2. (3) B. LortI. Die Zinnober-und Antimon fihrende Lagerstéitten Toscanas und ihre Beziehungen zu den quartiren Eruptivgesteinen (Zeits. f. prakt. Geol., 2, 1900). LA TRACHITE QUATERNARIA DELLA TOLFA 113 e zinco. Questi furono bensì riconosciuti di età terziaria (miocenica) in Toscana, forse prima che altrove, e successivamente in tanti altri paesi i quali furono interessati dalle dislocazioni del periodo tettonico alpino, posteocenico, e sono noti come tali i giacimenti metalliferi dell’ Isola d’Elba, di Massa Marittima e di Campiglia, ma una venuta di minerali di ferro, piombo, zinco e rame in epoca quaternaria sa- rebbe sembrata fino a ieri poco probabile. Pure, se noi ammettiamo col De Launay e con tanti altri metal- logenisti moderni, che i minerali metalliferi si estricarono dai magma eruttivi durante la loro solidificazione e che questi magma, mentre cristallizzarono in parte in profondità, si spinsero in parte fino alla superficie formando le rocce effusive o vulcaniche, è facile compren- dere che filoni metalliferi, oltrechè in epoca quaternaria, possono for- marsi anche al presente in profondità sotto ai vulcani attuali e che il trovare tali giacimenti alla superficie non dipende dalla età della loro formazione, ma da quella delle dislocazioni che li misero allo scoperto, dalla entità della denudazione che operò sui terreni sovrastanti a quelli nei quali sì trovarono incassati e dalla profondità originaria della roc- cia ignea da cui dipendono. I monti della Catena Metallifera toscana, cui si collegano quelli della Tolfa, furono notevolmente sollevati in epoca postpliocenica e quindi poterono presentare le citate opportune condizioni per l’osser- vazione dei fenomeni avvenuti nelle loro viscere. Roma, giugno 1914. III. C. F. PARONA NOTIZIE PALEONTOLOGICHE SUI TERRENI ATTRAVERSATI COL POZZO TRIVELLATO della Scuola di Agricoltura presso Tripoli La perforazione del pozzo artesiano nelle vicinanze della Scuola di Agricoltura presso Tripoli ha rivelato una potente serie di strati marini fossiliferi sulla quale credo opportuno di richiamare l’atten- zione degli studiosi, in quanto offre qualche notevole documento per la storia geologica della regione. Fin dallo scorso anno ho potuto esaminare una prima serie di campioni del materiale estratto, dalla superficie alla profondità di m. 217 (1), che era stata consegnata all’ing. Franchi, presidente della Missione Nitti, e da questi alla Commissione Governativa per lo studio agrologico della Tripolitania ; e di recente ebbi in comuni- cazione un’ altra serie di campioni degli strati ultimamente incon- trati nella perforazione spinta a 313 m. e che era stata inviata dall’Ufficio del Genio Civile di Tripoli al R. Ufficio Geologico. Sono grato all’Ispettore Superiore del Genio Civile in Libia ed al Direttore dell’Ufficio Geologico, che cortesemente mi hanno dato modo di completare, per quanto era possibile, le mie osservazioni, che qui riassumo. Innanzi tutto espongo i caratteri dei campioni, avuti a mia disposizione (2), procedendo dall’alto al basso. (1) Tale serie di campioni è quella ricavata colla perforazione fatta eseguire dal Governo turco, la quale appunto era stata sospesa alla profondità di m. 217. (2) La serie dei campioni presenta qualche lacuna di cui non so dare ragione, ma che non toglie valore al risultato complessivo dell'esame ed alle deduzioni che se ne possono trarre. Non accenno ai risultati pratici della trivellazione, al numero, profondità, potenzialità e caratteri delle falde acquifere attraversate, nè alle diffi- coltà riscontrate nella perforazione perchè mi mancano dati tecnici sicuri al riguardo. 116 C. F. PARONA 1. m. 0-10, sabbia quarzosa rosea delle dune mobili continentali. Lae) m. 16-21, la stessa sabbia, più chiara, assai calcarifera. 3. m. 21-25, sabbia quasi bianca, ancora più ricca di calcare. 4. m. 29-36, sabbia quarzosa, intensamente colorata in rosso, del tipo della sabbia ad Melia. 5. m. 45-66, sabbia color paglierino, quarzosa, finissima come la precedente, calcarifera, con concrezioni biancastre, calcaree; da notare un frammento di un piccolo ciottolo di calcare selcioso. 6. m. 66-74, la stessa sabbia, ma più chiara e più calcarifera. 7. m. 74-76, calcare marnoso bianco-gialliccio; vi si notano le prime traccie di bivalvi marine, qualche globetto oolitico; non vi si riscontrano foraminiferi. 8. m. 80-88, marna azzurrognola, con sabbia quarzosa grossolana, con traccia di fossili marini. 9. m. 100-121, marna azzurrognola, con concrezioni calcaree bianche, fossilifera; frammenti di crostacei, di molluschi (Spirulirostra?, Pecien scabrellus Lmk., Ostrea edulis Linn. ece.) briozoi (1) (Schizopo- rella monilifera (M. Edw.), Sch. unicornis (Johst.), Membranipora reticulum Linn., Onychocella angulosa (Rsg.), IAmonea distica Goldf.?, Cycloporella costata (M. Gill.), frammenti di echinidi, rari foraminiferi. 10. m. 121-123, sabbia quarzosa, grigia, ricca di minutissimi de- triti di molluschi, echinodermi, crostacei, alghe calcari. Abbondanti sono i foraminiferi (Miliolina seminulum Linn., M. tricarinata d’Orb., M. trigonula Lmk., Spiroloculina nitida d’Orb., Amphistegina Lessonii d’Orb., Alveolina granum-festucae (Bosc.) var. elongata d’Orb., Alv. sphaerica (Fortis), otalia Beccarii Linn., Truncatulina lobatula Walk. et J., Pulvinulina repanda richt. et M.), specialmente le rotalie. Sonvi anche minutissimi denti di pesci (1) (Chkrysophrys, Oxyrhina, Ga- leus?, Lepidotus) specificamente indeterminabili. 11. m. 123-134, marna sabbiosa azzurrastra, ricca di detriti di organismi come il num. precedente, ma con pochi foraminiferi, con (1) Le determinazioni dei briozoi mi furono favorite dal prof. A. NEVIANI, quelle dei pesci dal prof. F. BASSANI; ai cortesi amici rinnovo i più vivi rigraziamenti. NOTIZIE PALEONTOLOGICHE 117 prevalenza di Amphistegina Niasi (Verb.) e con rari esemplari di Heterostegina cfr. ruida Schwg. 12. m. 134-200, la stessa marna meno ricca di detriti di fossili, con frammenti riconoscibili di Ostrea (0. edulis) e di Pécten (P. sca- brellus) e con esemplari di Amphistegina e Heterostegina delle specie ora ricordate. 13. m. 200-215, nella marna scompare quasi l’elemento sabbioso e le traccie di organismi sono più rare. 14. m. 215-221, la stessa marna con Ostrea frondosa De Serr., Pecten scabrellus Lmk. e frammenti di altri fossili. 15. m. 223-235, come il precedente. 16. m, 235-242, come il precedente. 17. m. 251-260, come il precedente, con grosso litotamnio e pezzi di Ostrea con briozoi. 18. m. 311-313, marna più fine e più fini detriti di conchiglie marine. Anche in questi ultimi campioni si trovano esemplari della Am= phistegina sù nominata. Si ricorda infine un frammento di grossa valva di Spondylus crassicosta Lmk. proveniente da profondità non inferiore ai 290 m. ed espulso con altro materiale all’atto di una esplosione. A dimostrare poi che i depositi marini si estendono largamente nel sottosuolo del territorio di Tripoli aggiungerò un dato di fatto che devo alla cortesia dell’ing, D. ZACCAGNA, al quale rinnovo i più vivi ringraziamenti. Egli mi ha trasmesse un campione di calcare terroso, bianco, fossilifero estratto in sua presenza (26 gennaio 1914) dalla profondità di m. 59.50 da un pozzo alla caserma di Bu-Setta nei pressi di Sciara-Sciat. La roccia è affatto simile a quella di certi strati nella serie del pozzo della Scuola di Agricoltura e contiene Pecten scabrellus e Ostrea frondosa. Il campione era accompagnato dai seguenti dati, che completano utilmente l'informazione. « In questo pozzo si sono perforati 19 m. nella sabbia e si ebbe una prima falda acquifera a 13 m. che è la solita della regione. Poi si 9 9 118 C. F. PARONA incontrò un calcare gialliccio, arenaceo-tufaceo, superiormente più consistente. Una seconda falda acquifera si ebbe a 34 o 35 m., indi una terza fra 51 0 52 m. Al momento della visita lo scavo del pozzo era arrivato a 59 m., dove si trovò il calcare bianco spugnoso coi fossili (sù citati). Da notizie successive pare risulti che, attraversato questo calcare bianco, e cioè a forse 62 m., si sia trovata una falda acquifera abbondante e con saglienza che ne porterebbe il livello a circa 20 m. sotto la superficie del suolo ». Alcune considerazioni sui risultati dell’esame della serie attraver- sata del pozzo. La bocca del pozzo si trova a circa 25 m. sul mare vicino, e quindi la perforazione fu spinta fino a m. 288 sotto il livello marino. I depositi continentali hanno complessivamente la potenza di m. 74: quelli di sabbia eolica scendono a 11 m. sotto il livello del mare, e quelli sottostanti, probabilmente alluvionali (e che ad ogni modo non presertano traccia di fossili marini) si spingono fino a 49 m. sotto lo stesso livello Nella serie quaternaria di questa località non si hanno dunque che due zone: quella inferiore ritenuta alluvionale, e quella superiore indubbiamente d’origine eolica. La serie sottostante, di marne più o meno sabbiose, risulta tutta di depositi marini, si presenta come un complesso litologica- mente e paleontologicamente unilorme, ed i fossili riscontrativi, nel loro insieme e particolarmente pel significato di qualche specie, ac- cennano a fauna miocenica, piuttosto che pliocenica. Questo deposito miocenico dei dintorni di Tripoli corrisponde, nella sua facies, esattamente al Miocene che il FRANCHI scoperse prima al Mergheb di Homs (1) e poi riscontrò potente e largamente sviluppato alle falde NO del M. Hamman e verso oriente (2). Come io stesso riconcbbi sul posto, la fauna è ricchissima di indi- (1) Ricerche e studi agrologici sulla Libia, 1912, FRANCHI, Dint. di Homs, D. 38. (2) La Tripolitania Settentrionale. (Relaz., al Ministro delle Colonie, della Commiss. per lo studio agrologico della Tripolitania). Roma, 1913, vol. I, pag. 13. ja NOTIZIE PALEONTOLOGICHE 119 vidui, ma povera di specie, e coll’abbondante materiale da noi raccolto di poco si potrà aumentare (Echinocyamus Studeri Sism., Cellepora polythele Reuss, Pecten Tournaii De Serr., Callianassa subterranea Montg. ecc.) il breve elenco di fossili già pubblicato nel lavoro del FRANCHI. Ritengo che tale facies corrisponda a quella con Ostrea di- gitalina (= O. jrondosa) del djebel Saadine, di Capo Bon e di altre località in Tunisia, che i geologi francesi attribuiscono all’Elve- ziano (1). La corrispondenza del Miocene tunisino con quello tripo- litano risulterebbe anche dal fatto che ad occidente di Homs, lungo la spiaggia trovammo coll’ing. FRANCHI delle arenarie quarzose con Amphiope [efr. A. truncata Fuchs (A. Fuchsi Fourtau)] e Pecten (dei gruppi del P. burdigalensis Lmk. e del P. Beudanti Bast.), le quali hanno con ogni probabilità il loro riscontro nei grès con Amphiope e Pecten del djebel Cherichera; e così può dirsi delle arenarie gialle a Scutella trovate dal CREMA presso Fonduc Halus ad ovest di Homs. Il Cretaceo ed il Miocene della Tunisia si estendono dunque ad oriente nella Tripolitania senza spiccate differenze litologiche e paleontologiche; ma è notevole la circostanza che, mentre in Tunisia alla serie si aggiunge ! Eccene, in Tripolitania questo piano manchi, come ormai può dirsi dimostrato. Presso Homs il Miocene giace trasgressivo sul Cretaceo medio, e gli strati miocenici, al contatto, contengono qualche fossile cretaceo insieme con quelli miocenici. Ammessa l’età miocenica degli strati marini immediatamente sottostanti ai depositi continentali, la serie del pozzo della Scuola di Agricoltura confermerebbe con un nuovo dato l’inesistenza in Tripolitania dei rappresentanti del Pliocene marino e l’emersione di questa parte del litorale africano durante il Cenozoico superiore. Ma, finchè non si avranno i risultati di un rilievo geologico sistematico e particolareggiato del litorale della Tripolitania, non converrà af- fermare in modo assoluto la mancanza del Pliocene marino, tenendo presente che depositi marini pliocenici e fossiliferi esistono a Capo Bon ed altrove nella confinante Tunisia. (1) G. GinEsTOUS, Esquisse géologique de la Tunisie. Tunis, 1911, pag. 70 e seg- 120 C. F. PARONA - NOTIZIE PALEONTOLOGICHE Nella accennata situazione altimetrica della serie continentale del pozzo della Scuola di Agricoltura (in rapporto col livello del mare) abbiamo una nuova prova del bradisismo positivo subìto dal litorale tripolino posteriormente alla deposizione delle sabbie rosse ad Helix (1), e quindi relativamente recente, quale riscontrammo anche lungo la spiaggia del mare. Resta a chiarire l’età, ed i rapporti di giacitura cogli strati mio - cenici suddeseritti, del calcare bianco, oolitico, tenero, spugnoso, af- fiorante a circa 40 m. sul mare e un poco più a sud, ad Ain-zara (Ridotta S. Barbara). E’ una lumachella a piccoli molluschi, decal- cificata limitatamente ai gusci, per cui dei molluschi non restano che le impronte oi modelli interni (Cerithium, Cardium, Lucina ecc.; poche specie, numerosi individui). Alle due supposizioni già fatte (Relaz. succit , Missione NITTI, 1912, p. 60), che questo deposito possa essere indizio di una panchina quaternaria, oppure pliocenica, si può sosti- tuirne una terza, che parmi più probabile, poichè in questa regione mancano strati marini pliocenici e quaternari: che si tratti cioè di panchina miocenica, formatasi contemporaneamente al deposito degli strati fossiliferi, marnoso-sabbiosì scoperti nella perforazione del pozzo. Sfortunatamente per lo stato di conservazione dei fossili della panchina di Ain-Zara, non si può sperare la risoluzione del quesito collo studio paleontologico . Torino, 27 agosto 1914. (1) Nella Relazione della Commiss. Agrolog. si riferisce ampiamente sullo sviluppo, costituzione e significato geologico del terreno a sabbia rossa con Helix. Vol. I, p. 17 e p. 75. Vedi anche: CREMA, FRANCHI, PARONA, Sulla serie dei terreni della Tripol. Settent. Comunic. prelim. alla Soc. Geol. Ital. (Boll. XXXII, 1913). IV. VENTURINO SABATINI GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D’ALVERNIA con considerazioni sulla prismazione delle lave Il Prof. Ph. Glangeaud in questi ultimi mesi ha pubblicato la seconda parte del suo lavoro sulle regioni vulcaniche del Puy de Dòme ! trattando della Catena dei Puys. Il volume si compone esso stesso di due parti: generale la prima, di descrizioni particolareggiate dei singoli Puys la seconda. Quest’ultima naturalmente non ha inte- resse che per coloro che volessero studiare in particolar modo la re- gione. L'altra invece, riferendosi all'insieme dei suoi fenomeni vul- canici, lumeggia alcune quistioni sul vuleanismo, ed ha perciò un in- teresse generale che ne rende utile il riassunto, e in qualche caso la discussione. LA REGIONE DEI PUys E IL IORO BASAMENTO. Il primo ad accorgersi della natura vulcanica dei Puys fu Guet- tard nel 1751. In seguito si occuparono di questa importante regione Desmarets, De Montlosier, Dolomieu, Poulett-Scrope, De Buch, D’Au- buisson, Dufrénoy, Cordier, v. Lasaulx, Michel-Lévy, Bertrand, La- Croix, ecc. La vulcanicità del massiccio centrale d’Alvernia risalirebbe al principio del Miocene. Michel-Lévy ha messo in rilievo la parte che il rassetto delle sinclinali al piede delle anticlinali ebbe nella fuoru- scita dei diversi prodotti eruttivi. Egli aveva già notato che la mag- 1 Les régions volcaniques du Puy de Dome: Il. La Chaine des Puys. (Bull. des Serv. de la Carte géol. de la France, n. 135, 1913). 122 VENTURINO SABATINI gior parte dei vulcani del Puy de Dòme si trovano su fratture al limite tra’ compartimenti più o meno sprofondati anteriormente e che hanno subìto nuovi spostamenti nel Terziario e nel Quaternario. I Puys formano un insieme diretto Nord-Sud, sul contrafforte che separa la Piana della Limagne ad Est dalla Valle della Sioule ad Ovest. La linea di separazione delle acque su questo contrafforte fu spostata verso Ovest per l’erosione, che nel Terziario fu più intensa sul versante Est, onde la Limagne si abbassò 300 m. di più della valle della Sioule, e si ricoprì di depositi lacustri oligocenici per un’altezza da 1000 a 1400 m. Il Pliocene venuto dopo è invece an- cora visibile nella Valle della Sioule. I Puys si trovano immediatamente ad Ovest e con le basi più basse da 100 a 150 m. della nuova linea di displuvio. Il loro ba- samento supera i 900 m. d’altitudine, con altezza massima di poco più di 1000 m. Verso la Sioule il terreno scende dolcemente, e le valli affluenti sono talvolta ricolme dei prodotti dei Puys; verso la Limagne invece si scende con tre scaglioni, il più basso dei quali ha sulla detta pianura pareti ripide, alt. da 150 a 250 m. Ma anche verso la Sioule esistono scaglioni e fratture, ricoperti dai prodotti vulca- nici dei Puys, meno in qualche punto che ne permette l'osservazione. Il Prof. Glangeaud ritiene che i ghiacciai nel glaciale coprirono il rilievo cristallino del basamento, foggiandovi le valli superiori lar- ghe e poco profonde. In esse resti morenici furono già visti dal Pom- merol. Inoltre rotture di pendenza si trovano al limite tra le valli glaciali e quelle d’erosione torrentizie. L'A. spiega la topografia del basamento con cinque cicli d’erosione, di cui il primo sarebbe antio- ligocenico e l’ultimo quaternario. Le valli convergenti in questi cieli prepararono la via a molte delle successive colate. I Puys quindi sono quaternarii, ma preistorici. Non è il caso di riassumere i dati paleontologici e paleoetnologici che li riguardano e che possono leg- gersi nel volume in discorso. Il basamento della catena anzidetta è costituito da rocce gra- nitoidi: graniti, granuliti, porfidi, chersantiti, sieniti, dioriti, dia- basi, ecc., e di gneis con cordierite e di isole cambro-devoniane. GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 123 Ma su questo basamento altre eruzioni dovettero essere avve- nute anteriormente ai Puys. Difatti, al disotto di questi trovasi un filone di basalte, oltre agl’ inclusi di lave precedenti contenuti nei loro prodotti. I Puys costituiscono, come dice giustamente l’A., un addebbo recente sopra un suolo antico. Essi comprendono più di cento boc- che tra cui circa ottanta colline vulcaniche, e per lo stato di fre- schezza del cratere e dei loro prodotti questa può dirsi una delle regioni vulcaniche meglio conservate d’Europa. Vi fanno eccezione i Puys più antichi che sono cupole (dòmes) molto deteriorate. La lunghezza di questa catena è di 30 chilometri, la larghezza varia da 3 a 5. Le colate, che hanno fino a più di 20 chilometri di lunghezza, hanno raggiunto la Valle della Sioule fino a 600 m. d’al- titudine e la Valle della Limagne fino a 350 m. La direzione N.-S. dell’insieme di questi vulcani è data da quella delle fratture e delle dislocazioni terziarie (anticlinale ad Ovest della Valle della Sioule lungo la catena di Puys detta « Catena della Sioule », anticlinale poco ad Est della « Catena dei Puys» propriamente detta, frattura della Limagne, anticlinale del Forez ad Est della Limagne, ecc.). I Puys formano allineamenti da 3 a 10 bocche su direzioni N.N.E. e N.N.O., che corrispondono alle fratture erciniane, riaperte nel quater- nario. Nei loro inerocii esistono talvolta parecchi crateri, come al Puy Montchier. Questa delle fratture su cui i Puys sono allineati è una delle più importanti conclusioni dell'A. Non è nuova, poichè già era stata validamente sostenuta da Michel-Lévy e da altri, ma il Glangeaud ha il merito di averla ripetuta aggiungendovi le sue personali osser- vazioni. Alcuni Puys sono alti qualche metro soltanto, altri fra 50 e 100 metri, altri fra 100 e 300 (Puy de Come, Louchadière, Pariou, Las- champ, ecc.), il solo Puy de Dòme raggiunge i 550 m., sempre al disopra delle proprie basi. Le cupole sono biancastre, costituite di trachite (domite); tali sono il Puy de Dome, il Sarcoui, il Clierzou. Gli altri vulcani, di molto più numerosi, sono coni con cratere, di 124 VENTURINO SABATINI colori scuri e mostrano talvolta molteplici alternanze di lave e di tufi, per cui sono dovuti a ripetute eruzioni. Generalmente han dato labra- doriti e basalti e poche andesiti, in colate e in prodotti di proie- zione. Alcune volte han dato prima eruzioni trachitiche senza colate, e in seguito eruzioni più basiche con o senza colate. Nel solo Puy des Gouttes si sono avute dalle alternanze di eruzioni trachitiche e basaltiche (con una colata basaltica). Le lave mostrano una strut- tura caotica, e sono irte di asperità grandi e piccole, dette cheires !. In queste colate non mancano gallerie, talvolta con sprofonda- mento della volta (Aydat), ein qualche caso lava posteriore ha fluito nell’incasso così formatosi. Queste colline vulcaniche e le loro colate ordinariamente sono coperte di terra vegetale con erba da pascolo, con cereali, con vi. gneti e con boschi di elci, nocciuole, ecc., chejle hanno preservate dall'erosione, ma che le sottraggono assai spesso all’osservazione. CLASSIFICAZIONE DEI PUYS. Finora si era ammesso che le cupole della regione dei Puys, che sono costituite di trachite accumulata sui punti di emissione, e che non hanno mai dato colate, non avessero mai avuto cratere « almeno apparente », e che i coni con cratere avessero dato solo prodotti basici (andesiti, labradoriti e basalti). Invece lA. erede che certe cupole hanno avuto un cratere, e dimostra che certi coni con cra- teri hanno emesso anche trachiti. L'A. fa dei Puys la classificazione seguente : 1. Cupole pelatiane di lava acida (Clierzou, Sarcoui) o di lava basica (Tartaret). 2. Id. id. con cratere in cima o ricoperte con prodotti di proiezione di natura acida (Puy de Dòme). 3. Id. id. con sollevamento di scaglie ael sottosuolo (Puy Chopine). 1 Da caîr, pietra; come carriere viene da petroso. È l'etimologia della nostra parola sciara. In queste lave non esistono forme cordate. GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 125 4. Coni con crateri di proiezioni trachitiche (Gran Sault, Bé- face, ecc.). 5. Id. id. di proiezioni trachitiche più antiche e basiche più recenti (Puy de Laschamp). 6. Id. id. di proziezioni esclusivamente basiche (La Nugère, La Vache, ecc.). i Queste diverse forme mostrano le tre attività: pelatiana, strom- boliana, vulcaniana: tra i Puys vi sono inoltre: 1. Coni a recinti multipli : a) concentrici (Puy de DOme); b) eccentrici (Pariou); 2. Conì addossati e successivi sulla stessa frattura (Puy de Barme). Cupole pelatiane. Sono cinque: Puy de Dòme, Clierzou, Petit Suchet, Sarcoui, Puy Chopine. Sono senza cratere, almeno a quanto può giudicarsi ora, e sono esclusivamente trachitiche. L’analogia del Puy de Dòme con la cupola della Pelata, o meglio con quella della Guadalupa (Piccole An- tille) a Cui si avvicina dippiù per l’abondanza dei prodotti di proie- zione, fu già messa in evidenza da Lacroix. Le asperità della cupola del Puy de Dome sono scomparse, ma rimane in essa la identità di forma con le altre due. I prodotti di proiezione che ricoprono la prima sono di composiziore alquanto diversa dalla lava sottostante e dovreb- bero esser venuti da qualche cratere delle vicinanze. Le altre cupole, meno il Puy Chopine, sarebbero identiche, e i pochi prodotti di proie- zione su qualcuna di esse proverrebbero ugualmente da bocche vicine. Quanto al Puv Chopine l’A. dice con ragione che il fenomeno del solle- vamento di una così grande scaglia sembra difficilmente realizzabile. Egli dimostra che, con molta probabilità, le rocce antiche (gra- nito anfibolico e scisti micacei e chiastolitici), sono in posto, e la domite vi si è intrusa, tanto vero che al contatto si trova una breccia di frizione. L’erosione avrebbe portato via l’altra salbanda tutta intera. Vulcani trachitici con cratere. Sono una quindicina di bocche esplosive senza colate, che VA. rassomiglia al nostro Astroni, e che finora furono considerate come 126 VENTURINO SABATINI basiche. Si trovano sopra una metà della lunghezza della catena. Al- cuni hanno apparecchi costituiti da polveri, pomici, lapilli un po angolosi, bombe a crosta di pane e blocchi ad angoli vivi fessurati e provenienti dalla parte solidificata del magma. Le polveri si alte- rano in argilla e cementano gli altri elementi formando brecce molto dure. Inoltre inclusi di tutte le rocce più antiche della reg'one si tro- vano racchiusi in questi materiali. I quali, secondo Lacroix, sono do- vuti alla triturazione della superficie del magma, solidificata tra due eruzioni consecutive. L’erosione ha lavorato molto su questi edifizii. Vulcani prima trachitici poi basici, con crateri. Sono vulcani che hanno avuto prima un periodo vulcanianò, poi un altro stromboliano; cioè che dapprima dettero proiezioni trachi- tiche, poi proiezioni e colate andesitiche, labradoritiche e basaltiche. Fa eccezione il Puy des Gouttes che circonda per due terzi il Puy Chopine, e che finora era stato creduto formato di sole proiezioni basaltiche, ma che invece è risultato costituito da alternanze di proie- zioni basaltiche e trachitiche. La quistione dei rapporti tra questi due coni fu discussa da Michel-Lévy e da altri che conchiusero trattarsi di due edifizii vul- canici, dei quali, al contrario di quanto si verifica abitualmente, l’esterno avviluppante sarebbe stato il più recente, e l’interno avrebbe, con un’emissione lavica, sollevata senza dissestarla una tavola del basamento lunga circa 300 metri. Tali conclusioni apparvero invero- Simili agli stessi autori che le proposero, onde alcuni di loro ammi- sero che si trattasse di un «rebus » (sic). Glangeaud invece, pure am- mettendo la precedenza della trachite nel Puy Chopine, di cui come Si è visto non fa una cupola ma un semplice dicco nelle rocce cristal- line, ritiene il Puy des Gouttes un cono posteriore formatosi così vicino al precedente Puy Chopine da averlo parzialmente ricoperto. L’erosione, distruggendo la parte del secondo Puy ricoprente il primo, e lasciando sussistere la rimanente, avrebbe ricoperto il supposto cono interno e modellato l’arco falcato del supposto cono esterno. Così l’enigmatica spiegazione data precedentemente di questa enriosa forma- zione sparisce, ed altra spiegazione più razionale ne prende il posto !. ! V. monografie sul Puy Chopine e sul Puy des Gouttes nella 2* parte del volume. GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 127 Vulcani con craterì di proiezioni e colate esclusivamente basiche. Questi vulcani, tra cni La Vache, Lassolas, La Rodde, hanno avuto la sola attività stromboliana. I prodotti di proiezione vi sono costi- tuiti da bombe polimorfe, da scorie e frammenti di scorie nere e rosse, e da ceneri fini. Interessanti sono le figurazioni delle diverse specie di bombe trovate qui dall’A. Sono bombe a fuso, a berretto frigio, arrotolate intorno ad un asse a guisa di gnoeco, a ciam- bella, ecc., con dimensioni fino ad un metro. Il loro aspetto è fun- zione della temperatura e della vischiosità del magma al momento della proiezione. Queste bombe sono talvolta a superficie poliedrica e possono mostrare una rete di frattura dello stesso ordine o di di- versi ordini. Possono pure contenere un frammento di lava più an- tica, che ha funzionato da centro d’attrazione, intorno a cui la lava coeva della proiezione si è modellata o arrotolata. L'A. nota che queste bombe racchiudono ancora dei gas, tanto vero che messe in un fornello esplodono e si sminuzzano, e avverte che l’esperienza è pericolosa. Quanto alle lave, nel Puy de Còme, il più grande di tutti dopo il Puy de DOme, con 350 m. d’altezza (a partire dalla base), e in altri due si sono trovati almeno sette livelli di lava, con basalti in basso e Jabradoriti sopra. Questi coni hanno crateri interi o sdentati dall’uscita della lava. Talvolta sono muniti di conetti avventizii, con o senza colate e do- vuti e fenditure radiali del cono principale: (Nugère, Pariou). Il Pic- colo Puy de Dòme possiede di:ci di tali. conetti. Alla colata del Tartaret si sovrappongono coni eruttivi e cupole basiche senza radici. Finalmente vi sono fenditure da cui la lava fluì tranquillamente (Nebouzat), e vi sono imbuti scavati nel basamento cristallino, e ora riempiti d’acqua, come nell’ Rifel !. ! L'A. in fine del volume si occupa di tre Puys formanti la « Piccola catena dei Puys », compresa tra la catena della Sioule e il fiume omonimo. Anche in essi sì trovano molteplici colate; anch’ essi sono sopra fratture ben determinate. I prodotti di questi vulcani sono però tutti basici (basalti limburgitici e limburgiti), il basamento è anch'esso di rocce cristalline antiche. 128 VENTURINO SABATINI QUANTITATIVO DEI PRODOTTI DEI PUYS E LORO COMPOSIZIONE. PRISMA ZIONE. La colata del Louchadière ha 7 km. di lunghezza con 1200 metri di larghezza; quelle della Vache e del Lassolas sono lunghe 14 ch., quella del Tartaret 22 km. Il Puy de Come ha dato almeno 150 milioni di m. e. di pro- dotti di proiezione; e tutti i Puys insieme han dato un miliardo e mezzo di m. c. di lave e cinque miliardi e mezzo di m. c. di prodotti di proiezione. Non mi fermerò a riassumere la petrografia dei prodotti dei Puys, poichè è già nota per lavori di precedenti autori, divenuti ormai classici. Mi basta notare che, in un campo così abondantemente mietuto, il Prof. Glangeaud ha aggiunto quanto gli è stato possibile. L’acidità dei prodotti medesimi varia da 69 a 43 % (Si O’), dalle trachiti ai basalti e alle limburgiti. Questi prodotti han cominciato dai più acidi, cioè dalle trachiti, a cui hanno fatto seguito prodotti più basici, meno talvolta in cui si sono avute alternanze di trachiti e di basalti. Perciò si può dire che sia mancato un ordine apparente in tali prodotti, e che invece essi si siano alternati in tutti i modi, E, ove si pensi alla complessa serie di lave precedentemente emesse nella regione, si vede come un tale disordine sia stata la legge generale, dato che si possa chiamare legge l’assenza, sia pure apparente, della medesima. L’A. si occupa anche della prismazione delle lave, interessante argomento già studiato da Desmarets, poi da altri. Attualmente Longchambon se ne sta occupando di proposito. Notevoli discussioni su questo argomento si sono fatte in Francia, tanto nella Società per l’Avanzamento delle Scienze quanto nella Società Geologica. (Bull. Soc. Géol. Francaise, 1912 e 1913). L’opinione di molti attualmente è che la prismazione richiami la struttura di sfaldamento e non abbia rapporti con quella di con- trazione per raffreddamento. Si osserva per esempio che la prismazione non mostra interstizii quando i prismi sono in posto e ben conser- GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 129 vati, al contrario delle fratture per raffreddamento che mostrano distacchi fino a 10 centimetri e formano prismi con sezione grosso- lanamente poligonale e con lati curvilinei, e quindi senza la regola- rità che spesso si osserva nel primo caso. Inoltre si aggiunge che le fratture per raffreddamento, sempre irregolari, esistono o nella sola parte superficiale della lava o in tutta la massa, e mostrano un or- dine di successione che manca in quelle dovute alla prismazione. E si conclude che i due fenomeni possono coesistere, e generalmente si distinguono Juno dall’altro. To noterò che dalle mie osservazioni personalirisulta chela vera strut - tura prismatica appare ordinariamente nelle masse importanti dilava e ad una certa profondità. Alcune volte mi è occorso di osservarla nella metà inferiore della colata. Ora io vorrei mettere un tal fatto in rapporto con la considerazione che alla superficie di una massalavica, la cui sezione abbia dimensioni notevoli, le fenditure sono più brusche perchè il raffred- damento è più rapido che nelle parti sottostanti, mentre in profon- dità, per lungo tempo, è poco sensibile. Quindi, al, momento in cui le parti superiori sono già consolidate, le inferiori possono essere ancora liquide o pastose. I° evidente ciò che avviene. Le parti più vicine alla superficie si consolidano e si screpolano, e l’aria accede nelle parti immediatamente sottostanti, che si consolidano e si scre- polano alla loro volta. E così via. Le fenditure si prolungano sempre più verso il basso incurvandosi e spezzandosi, ma l’accesso dell’aria si va facendo sempre più difficile. Ad una certa profondità il raf- freddamento si trova rallentato, non facendosi più che per sola tra- smissione attraverso la roccia avvolgente. Il fenomeno deve quindi assumervi una regolarità che prima non aveva e le molecole pos- sono ubbidire alle loro mutue attrazioni. Il nucleo della lava sì contrae tutto intero dentro la parte che l’avvolge, e non può più dare soluzioni di continuità così forti come in quest’ultima, sopratutto nelle parti superiori e laterali, o come avviene in colate importanti in cui la parte interna non arrivi ad essere interamente sottratta al contatto degli agenti esterni, o, finalmente, come avviene nell’in- tera massa di colate di sezione più piccola. La parte esterna inoltre, 1530 VENTURINO SABATINI perchè più fessurata, si riduce ad un ammasso caotico, che l'erosione può portare via più facilmente, e quindi oggi, spesso, davanti a chi osserva rimane la sola parte interna. La colata del Vetriolo presso Bagnorea mostra le due parti ben distinte. La lava del Romealla presso Castel Giorgio mostra il'passaggio tra le due forme: prismi sottili ben delimitati in basso, con separazione un po’ incerta nel mezzo, e con separazione molto indecisa in alto !. Le pietre lanciate di Bolsena mostrano nella maggior parte della massa una struttura prismatica molto bella ® e nella parte più elevata ancora esistente (più a Nord e più in alto) una prismazione meno netta in certi punti, poco o niente riconoscibile in altri. Quindi la proposizione sostenuta dal Prof. Glangeaud e da altri, che cioè si tratti di due fenomeni distinti e senza rapporto tra loro, di contrazione e di sfaldamento, andrebbe modificata così: si tratta dello stesso feno- meno, prodotto da un’unica causa, il raffreddamento, che nelle parti periferiche produce contrazione rapida e distacchi sensibili tra’ labbri delle fratture, mentre nelle parti profonde produce contrazione lenta ed in massa. Ma, per quanto tutta la massa tenda a rapprendersi contraendosi, non può non subire piccole dislocazioni con distacchi minimi secondo superficie che devono ubbidire alle leggi di simetria della materia, dove e quando le cause esterne tendono meno a com- batterle. E perciò se esistono casi in cui le superficie dei prismi re- stano a contatto, ordinariamente ciò non avviene, e non sempre può dirsi che una posteriore dislocazione le abbia dissestate, tale affer- mazione avendo tutta l’aria di una « fin de non recevoir ». Ma dalle leggi di simmetria che produrrebbero distacchi prismatici fino ad ammettere lo sfaldamento (clivage) ci corre. Difatti a me sembra che due obiezioni serie si possano fare in proposito: 1. Nella strut- tura prismatica i prismi sono generalmente (non sempre) perpendi- colari alla superficie di raffreddamento (ciò che mostra che hanno un qualche rapporto col. medesimo); 2. Il supposto sfaldamento si ! C. R. Congrès Géol. Int. de Vienne. Vienne, 1904, pag. 667. ? Id. pag. 665. GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 131 osserva nelle sole superficie dei prismi, ma nel loro interno non se ne trova più traccia. È quindi con interesse che attendiamo le conclu- sioni del sig. Longchambon, lieti che la discussione su questo impor- tante problema sia stata aperta dai nostri eminenti colleghi francesi. IDROLOGIA VULCANICA DELLA REGIONE DEI PuUyvs: Le incisioni sul fianco del Mont-Dore: ebbero nella Sioule un collettore generale. Le colate dei Puys sbarrarono più volte queste valli producendo una ventina di laghi. Alcuni si vuotarono per cor- rosione dello sbarramento che li aveva prodotti, o si scavarono un nuovo letto con fianchi dissimetrici tra la lava e il vecchio letto. Altri si ricolmarono con depositi torbosi o diatomeiferi (randannite, dal lago così ricolmato di Randanne). Due ‘analisi di questi tripoli dettero 79,72 e 88,92 di silice, secondo Schmidt di cui l'A. riporta i risultati. Un fatto curioso è messo in evidenza. Con la sovrapposizione del nuovo rilievo vulcanico non si è modificato che in rari punti il tracciato degli antichi corsi d’acqua terziarii e quaternarii, e ciò per la permeabilità dei nuovi prodotti sugli antichi letti impermeabili. Le acque penetrando fino a questi ultimi vi scorrevano in gallerie sot- terranee, le quali esistono ancora in parte; mentre gli agenti esterni a poco per volta, sbarazzavano il terreno facendo riapparire le forme precedenti. Il nuovo rilievo, più elevato dell’antico, ha aumentato le precipitazioni di 21 milione di m. c., e nel tempo stesso ha servito da regolatore, sostituendo ai corsi torrentizii d’una volta un regime di filtrazione sotterranea. Quando queste acque circolano a breve distanza dalla superficie durante l’estate subiscono una forte eva- porazione, e quella parte che risale pei sottili meati si raffredda di tanto da gelare Così delle eleganti merlettature ghiacciate appari— scono in qualche sito del fondo delle valli durante i più forti calori. E la stessa spiegazione che può darsi per certe fredde gallerie scavate dall’uomo nelle lave o nei lapilli (Eifel, Pontgibaud, ece.). È in so- stanza la spiegazione del raffreddamento prodotto nell’acqua contenuta nelle anfore sarde e calabresi di creta cruda. 132 VENTURINO SABATINI La Sioule nel Pliocene Superiore aveva il suo letto verso gli 800 m. d’altitudine in prossimità di Couhei. Una colata dovuta alla fine delle emissioni del Mont-Dore (principio del Quaternario) sbar- rando il suo corso l’obbligò a spostarsi ad Est. Ma verso la metà del Quaternario un nuovo sbarramento fu prodotto da una colata dei Puys. Le acque deviarono nuovamente riportandosi ad Ovest e, abbandonando un tratto della valle (valle morta) andarono a versarsi nella Miouse. Inoltre per ‘una parte del fiume il corso fu rovesciato. CONCLUSIONI. Parecchi insegnamenti può trarre da quanto precede lo studio generale delle rocce eruttive. Riassumiamoli. 1° Le cupole, ritenute da molti come una specie di laccoliti o di nuclei lavici di vulcani che avrebbero perduto per erosione il mantello di materiali tufici, si rivelano sempre più — almeno in mol- tissimi casi — per veri edifizit originarii. Lacroix lo aveva preconiz- zato nella sua grande opera sulla eruzione della Martinica, e lo aveva più tardi dimostrato pel Puy de Dòme. 2° La vecchia ipotesi che i vulcani si trovano allineati sopra fratture fu oppugnata da alcuni geologi eminenti. La scuola francese, che ha in Alvernia una interessante estesa e complicata regione di studio, fu sempre concorde nell’ammettere il rapporto tra queste fratture e il vulcanismo, e il Prof. Glangeaud, che da molti anni si occupa altresì di tale quistione aggiungendovi nuovi elementi, non ha fatto che illustrare quella che oggi deve dirsi una teoria e non più un’ipotesi; poichè si tratta di esempii numerosi oramai noti a tutti. E, difatti, oltre alle fratture indicate sotto la Catena dei Puys propriamento detta, chi guardi alla tav. I nel 1° volume dell’opera in discorso vedrà ad Ovest della Sioule un insieme di fratture nume- rose, alcune riempite da filoni di piombo antimonio mispikel barìtina fluorina quarzo ecc. e con allineamenti abbastanza concordanti e in media N.N.E. Altre fratture si vedono in grande arco N.-S. con leg- gera convessità ad Ovest, al limite occidentale della Limagne. Altre con direzioni varie sono ancora più ad Est. x LS GLI ULTIMI RISULTATI SULLO STUDIO DELLA CATENA DEI PUYS D'ALVERNIA 133 Va pure notato, come già si è accennato avanti, che non di rado il vuleanismo si è manifestato in Alvernia con la riapertura di vec- chie fratture. Rimando per questo al volume in discorso nella parte delle monografie speciali, principalmente nei siti dove si parla del cratere-lago di Tazanat (pag. 125), del Puy de la Bannière (141) e del gruppo del Sarcoui (159). 3° L’ordine delle diverse specie di emissioni vulcaniche si mostra arbitrario ancora una volta, o almeno sfugge ad una legge enunciabile. I lavori di Michel-Lévy avevano messo in luce tale disordine che il grande petrografo copriva col nome di « ricorrenze ». Il Glangeaud ha mostrato che le ricorrenze per la catena dei Puys sono anche più numerose che finora non si fosse ritenuto. Qualcuno, in tempi oramai lontani, ammise che le trachiti aves- sero preceduto le altre lave, e la legge parve confermata nei Puys. Ma le alternanze di trachite e di basalte che VA. ha messo in luce nel Puy des Gouttes ha contradetto ancora una volta la gratuita af- fermazione. Del resto si è già visto che anteriori alle eruzioni di questi vulcani è la lunga serie di altre lave acide e basiche del Mont. Dore e di altri centri in alternanze ripetute. E se, a spiegare un tal fatto, si ammette che certi elementi del magma si vadano esaurendo per ripristinarsi ripetutamente, resta sempre oscura la ragione di questi ripristinamenti. Così volendo attribuirla alle pareti del serbatoio e del camino non sì spiega come, sopra uno stesso basamento, eruzioni contemporanee possano dare prodotti diversi. Ricorderò per concludere che notevoli ricorrenze ho messo anch'io in luce nei Vulcani Cimini. 4° Sulle cause finora supposte della prismazione vengono solle- vati serii dubbii e portati argomenti che vanno presi in adeguata considerazione. È da sperare che la via sperimentale venga in sussidio del curioso problema più largamente che finora non sia venuta. 5° Finalmente torna 2 gran merito del sig. Glangeaud non solo ma di tutta la scuola francese se le quistioni che riguardano le rocce eruttive e il vulcanismo siano state prese in esame sotto tuttii punti di vistaî e con la diffusione che richiedoro, mostrando altresì tutte le difficoltà che presentano. A differenza dello studio delle regioni 4 134 VENTURINO SABATINI — GLI ULTIMI RISULTATI ECC. sedimentarie, in cui un’infinità di problemi non ha che un interesse locale, per le rocce eruttive si può dire che nella grande maggioranza dei casi non v’ha quistione locale che non abbia interesse gene- rale. Ma viceversa, nelle prime, un problema risoluto in un punto è del pari risoluto sopra un’ intera formazione e sopra chilometri e chilo- metri, mentre nelle seconde non è lecito affermare nulla che non sia caduto entro il perimetro dei proprii piedi. Lo studio delle rocce eruttive in genere, della loro natura e della loro origine, costituisce in gran parte quella che vorrei chiamare « Geo- logia Fondamentale », perchè oltre a riferirsi ad un complesso di for- mazioni quantitativamente di gran lunga superiore a quelle sedimen- tarie, risale di giorno in giorno alle cause prime del nostro pianeta e alle leggi della dinamica generale dell’ Universo. Questo studio in Francia specialmente, e con la Francia in Inghilterra in Germania e negli Stati Uniti, viene eseguito con la più grande serietà. Un esempio si è avuto nelle numerose pubblicazioni sulla grande eruzione della Martinica, che oggi formano un’intera biblioteca. E anche sulle eruzioni d’Alvernia si era scritto da un’ottantina d’autori, molti dei quali di grande valore. Ciò non di meno Michel-Lèévy, che aveva anche egli studiato la re- gione e pubblicato sulla medesima non solo numerose note e memorie ma altresì i fogli relativi della Carta Geologica, stimò opportuno at- fidare al Glangeaud l’incarico di completare il lavoro, rivedendo al- tresì la parte già fatta e pubblicando da capo ogni cosa, sempre per conto ed a spese dell’ufficio della Carta Geologica di Francia. L’atto. che pochi avrebbero compiuto, onora il Grande Maestro, come l’opera che Glangeaud va pubblicando ne spiega la condotta. E a coloro che avrebbero potuto osservare che ai precedenti lavori c'era poco da ag- giungere, il nostro eminente collega potrebbe oggi rispondere col mo- strare un’opera originale che, senza contradire quelle notevolissime e più recenti scritte prima della sua, si basa su di esse per assurgere a nuove e più complete conclusioni. Roma, maggio 1914. dA dd V. HIDEZÒ SIMOTOMAI RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA' con prefazione di VENTURINO SABATINI Il dott, Hidezò Simotomai, inviato dal governo giapponese « fare in Europa studii di geografia fisica, è stato per tre anni alunno di un forte maestro, il Prof. Penck di Berlino. Egli aveva da sè solo già compiute numerose escursioni in Cina, ed altre ne ha fatte da solo e col Penck in diversi paesi d’Europa durante la sua dimora a Berlino. Per ultimo paese di studio aveva riservato l’Italia, in cui ha lavorato per dieci mesi, fermandosi maggiormente sulle regioni vulcaniche e più specialmente sul Lago di Bolsena. Le sue osservazioni su questo cratere sono in piccola parte riunite nel presente lavoro, che ha per scopo principale la ricerca dei rapporti tra la morfologia della regione e la sua origine. Problema complesso ed arduo sul quale invano si affaticarono numerosi naturalisti, non riuscendo a risolverlo princi- palmente per la rapidità delle loro esplorazioni. Il Dott. Simotomai è non solo intelligente e nutrito di buoni studii, ma ha visto già molto in diverse parti del mondo, ciò che spesso gli rende la comparazione facile, ed è paziente come può essere un orientale, ciò che spesso gli rende la comparazione sicura. Nei primi tempi del suo soggiorno in Italia lo misi al corrente delle diverse opinioni sull’origine della conca del Lago di Bolsena e gl’indicai le principali pubblicazioni e le carte esistenti su di essa. Ma in pochi mesi il Simotomai si è reso familiare con la nostra lingua e, ! Lavoro eseguito nel R. Ufficio Geologico d'Italia. 136 HIDEZÒ SIMOTOMAI nell'Ufficio Geologico in cui ha lavorato con me, ha letto quanto si è scritto sull’argomento che lo interessava, dai più antichi ai più re- centi osservatori. Il fatto fondamentale, già da me annunziato molti anni fa, che intorno al lago suddetto non si vedono dislocazioni prodotte da frat- ture periferiche profonde colpì anche il Sig. Simotomai. Io avevo no- tato difatti l’assenza di dissesti notevoli, e osservato che il solo dis- sesto indicato dal v. Rath, quello del Giglio presso la cittadina di Bolsena, è di alcuni metri appena e quindi di modestissima ampli- tudine! come si deduce dalla trincea della rotabile e da’ suoi dintorni immediati. Questo piccolo salto ed altri ad esso comparabili, senza contare quelli di minore amplitudine, non possono avere im- portanza aleuna dal punto di vista della tesi degli sprofondamenti, dal v. Rath e da altri sostenuta. Ed invero, in un materiale gene- ralmente frammentario e soffice quale quello dei prodotti di proie- zione che costituiscono la massima parte di questa regione per quattro o cinquecento metri di spessore, la costipazione normale dovuta al peso basta a spiegare il fenomeno, anche senza ricorrere all’azione eruttiva. Ma quest’ultima, avendo agito per un certo tempo, deve avere aggiunto la propria parte all’azione precedente poichè gli scuo- timenti impressi agli apparecchi vulcanici debbono avere prodotto in essi, e in essi soltanto, altre numerose e poco estese lesioni oltre quelle prodotte in tutta la regione per opera del semplice peso. Con- temporaneamente per la stessa azione vulcanica, o posteriormente per l’azione del peso favorita dalle lesioni preesistenti, possono es- sersi prodotti altri rassetti e quindi altri dislivelli. Nei soli pochi casi di dicchi di lava bene accertati si ha l’indizio di fratture pro- fonde, almeno sopra una parte della loro direzione: ma nemmeno in questi casi si trovano dissesti di grande ampiezza, ciò che è d’accordo con numerose osservazioni eseguite in tutte le regioni vulcaniche. In esse difatti le fratture o presentano piccoli dislivelli tra’ labbri 1 1 Boll. Com. Geol., 1899, pag. 30 dell'estratto. "dpi lie RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 137 o non ne presentano affatto !. Inoltre a mostrare che le fratture intorno al Lago di Bolsena sono prodotte da vera e propria costi- pazione sta il fatto che in alcune di esse, sopra qualche metro ap- pena di distanza verticale, gli spostamenti nei diversi strati presen- tano differenze variabili. Così p. es. in un gruppo di tali fratture sopra un’altezza di 5 m. circa ho trovato salti di 50 cm., di 80 cm. e di 2 m. almeno. Dopo le precedenti osservazioni non era il caso che io mi fer- massi sopra dissesti minori. Basta percorrere le rotabili vulsine per trovarne ad ogni passo. Frequenti sono quelli di pochi centimetri 0 variabili fino ad un metro. Meno frequenti quelli fra due e tre metri, e anche meno quelli comparabili all'esempio del Giglio. Il Dott. Si- motomai, avendo concentrata la sua attenzione su questi fenomeni, ne ha accuratamente registrato un certo numero, generalmente di minima amplitudine, qualche volta di alcuni metri. Quindi nemmeno dopo queste nuove e minuziose ricerche si è ottenuta una sola prova in favore dei forti dissesti che sarebbero stati necessarii per spiegare la formazione degli scaglioni di 80 e 100 metri del fianco orientale della conca del lago secondo la teoria degli sprofondamenti, la quale trova così un altro oppositore. Questa conea perciò anche pel Sig. Simotomai è ciò che rimane del cratere d’un vecchio e complesso cono vulcanico a recinti multipli, di cui prima l’attività vulcanica, poi questa congiunta all’erosione, e in ul- timo la sola erosione modificarono e diminuirono le forme. Un tale processo non è messo in dubbio da alcuno pei grandi crateri d’Italia, come quello del Somma che se fosse intero avrebbe circa 4 ch. di diametro medio, quello di Vico che ne ha circa 6,5 e quello del Cono Tuscolano che ne ha circa 10 (9,5 Xx 11,5); ed è del pari ammesso ! In Islanda fratture di un chilometro di Innghezza hanno dato 5 m. di disli vello massimo (K. SapPER, N. Jahr. f. Min. Geol. u. Pal., XXVI, 1908, 8). La grande frattura di centododici chilumetri prodottasi al Giappone — a causa di un terremoto però — nel 28 ottobre 1891 mostrò un dislivello con spostamento massimo di 6 metri appena secondo la verticale e di 4 metri secondo l’orizzontale (B. Korò, J. College of Sci., Tokio, 1893, 295). 138 HIDEZÒ SIMOTOMAI ogni giorno dippiù da eminenti geologi pe’ grandi crateri fuori d’Italia, come l’Aso nel Giappone che, secondo le nuove carte, ha 19 chilo- metri di larghezza con l’enorme lunghezza di ch. 26,5, e sopratutto pel Papandajan di Giava che nella sola eruzione del 1772 acquistò, v'ha chi assicura in una sola notte, le attuali dimensioni di 10 ch. per 24 ch. Si può quindi dire che în generale ogni conca vulcanica di grandi dimensioni non rappresenta il cratere primitivo nel senso stretto della parola, ma l’inviluppo di tutte le linee eruttive ed erosive che lo modificarono, salvo in qualche caso particolare come pel Papan- dajan, in cui ;jla voragine d’eccezionale grandezza, anche superiore quella di Bolsena, può prodursi sotto i nostri occhi ed in breve tempo per effetto d'una sola linea eruttiva. Ed è questo principio logico semplice elementarissimo che richiamai fin dal 1899 !, e che pur- troppo assai di frequente, prima e dopo, si è perduto di vista, rite- nendosi che una struttura complicata debba necessariamente essere la conseguenza di cause complicate e strane. Ed invero quanta complicazione e quanta stranezza nel concetto da taluni manifestato che le emissioni vulcaniche debbano produrre vuoti sotterranei, e questi essere causa di crollamenti delle volte sopra decine di chilometri, con produzione di superficie a dolei pendenze. Con l’ipotesi di queste doline vulcaniche non si badava nè allo spes- sore considerevole delle volte, nè al quantitativo dei materiali erut- tati superiore di molto agli avvallamenti prodotti, nè all’assenza di sprofondamenti analoghi dimostrata per altre numerose regioni vul- caniche 2. E così, dopo la teoria dei sollevamenti basata sulla scar- sezza delle osservazioni, venne la volta della t2oria d?g°i abbassamenti con argomenti ugualmente negativi e con meno autorevoli sostenitori. MITOCHELT ? Per fermarci ai vulcani romani, nei Cimini ‘i materiali vulcanici soprav- vissuti alle cause distruttrici ammontano a 96 ch. cubici, e non hanno prodotto spro- fondamenti di sorta. I due crateri esistenti misurano complessivamente circa 6,5 ch. cubici, per cui se si volessero ritenere come sprofondamenti si vedrebbe quale sproporzione si dovrebbe ammettere fra causa ed effetto. E basta considerare i materiali emessi dalle bocche che si dovrebbero collegare alla depressione del Lago di Bolsena, con la scorta delle carte esistenti, per ritrovare una simile sproporzione. i) RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 139 In sostanza dei quattro argomenti fondamentali 1) assenza di recinto craterico, 2) grandi dimensioni superiori a quelle di tutti i crateri conosciuti, 3) grande varietà dei materiali eruttati e loro quantitativo, 4) fratture e relativi dissesti co’ quali si credette di negare l’origine vulcanica della Conca di Bol- sena nessuno resiste alla critica. Abbiamo visto difatti che le invo— cate fratture con dissesti sono l’effetto della costipazione, e la di- versa origine attribuita loro rivela la scarsezza delle osservazioni. Lo argomento delle grandi dimensioni rivela scarsa conoscenza di let- teratura vulcanica. L’ assenza di recinto se fosse vera non pro—- verebbe nulla, poichè l’erosione può aver distrutto il recinto; ma l’affermazione di tale assenza è discutibile. E quanto alla grande varietà di materiali eruttati, anche qui fa difetto l’osservazione, poichè sembra che avvenga l’opposto ; e la qualsiasi variazione magmatica pare sia avvenuta più nel tempo che nello spazio, come in tutti i crateri di origine indiscussa; mentre il quantitativo dei materiali vulsinii è causa troppo sproporzionata al vuoto prodotto. [È quasi superfluo aggiungere che il principio dei recinti mul- tipli da me invocato fin dal 1899, per spiegare la costituzione della Conca di Bolsena, si andò concretando con le osservazioni posteriori. Il lettore ne troverà un mio riassunto nelle pagine seguenti, poichè il Dottor Simotomai lo ha introdotto integralmente nel suo lavoro. Il quale è corredato da una carta sommaria, in cui sono ripor- tate una parte delle mie delimitazioni tratte da una cartina prelimi- nare da me già pubblicata !, con aggiunta di altre delimitazioni fatte in punti da me non ancora esplorati. Alcune di queste ultime ho verificate io stesso e trovate esatte. Prima però di coneludere non voglio tacere di due belle sco- perte fatte dal mio amico : 1) Un dicco autentico di lava attraversante il Fosso Rossino poco al disopra della quota di 400 m., con spessore da 1a 2 metri, ! Boll. Com. Geol., 1904; C. R. IX Congrès Géol. Int. de Vienne de 1903, Vienne, 1904. 140 HIDEZÒ SIMOTOMAI inclinazione verticale e direzione O.N.0., in un sito da me non ancora esplorato. Questo dicco, insieme a quello duplice di Gazzetta e a quello di S. Lorenzo Nuovo, entrambi da me anteriormente studiati e delimitati, costituiscono una terna di esempii sicuri, poco frequenti e molto istruttivi. Il dicco di Gazzetta è di lava leucitica attraver- sante una lava andesitica, alterata e quindi più erosa, sulla quale sporge in doppia cresta. La sua direzione è verso S.E. dove si ritrova al Monte Giardino, la pendenza è verticale, lo spessore di un metro o poco più per ognuna delle due creste presso il casale di Gazzetta. E il terzo dicco, quello presso S. Lorenzo, passa immediatamente a Sud dell’abitato con direzione E.N.E. e con pendenza verticale, con lunghezza di circa 3 ch. e spessore di 17 m in uno dei punti in cui si potette determinare. È formato di lava andesitica. 2) Una bella struttura colonnare che appare nel fosso Melona su tutta l’altezza della ripa, la quale è di 15 2a 18 m., con prismi verticali di 60 ad 80 cm. di diametro, in un sito dove il torrente si approfondisce tra dirupi la cui parte superiore è nascosta dalla macchia folta. Per quanto tali colonne non abbiano l'eccezionale re- golarità di quelle della Montagna di Humboldt presso Aussig, la loro lunghezza e il loro spessore le rendono degne di nota. Con gli altri due esempii da me scoverti nel Romealla, ove i prismi sono sot- tili incurvati e regolari, e presso il Vetriolo di Bagnorea, e con lo esempio già noto delle Pietre Lanciate di Bolsena, formano un in- sieme degno di essere visitato dagli studiosi del fenomeno di cui sono la manifestazione. Dopo quanto precede si capisce come io sia lieto di presentare al pubblico questo lavoro intelligente e coscienzioso. E, poichè al Giappone esistono due crateri-laghi come il Toya-ko e lo Shikots-ko le conche dei quali hanno rispettivamente 14 e 17 chil. di diametro ed una certa somiglianza — oltre quella delle dimensioni — col Cratere- Lago di Bolsena !, il Sig. Simotomai volle eseguire su quest’ultimo 1 Ko significa lago. Questi due crateri-laghi contengono delle bocche ancora attive intorno alle loro conche. (Cfr. Mitt. d. Deut. Ges., Tokio, 1910, B. XII, T. 2). A cv RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 14] uno studio che gli facilitasse le ricerche sui primi. Io perciò concludo con l’augurio che presto egli ci faccia conoscere, con la diligenza di cui ha dato prova, le analogie e le differenze tra regioni così lontane e forse molto vicine come origine e come modo di formazione. Roma, 10 maggio 1914. VENTURINO SABATINI. 142 HIDEZÒ SIMOTOMAI Nel mese di aprile dello scorso anno, in compagnia del profes— sore Penck di Berlino, ebbi occasione di fare un’escursione geomor- fologica nel territorio del lago di Bolsena, osservandone una perzione interessante. Nel seguente agosto sone tornato a studiare più a fondo queste interessanti forme vulcaniche, di cui la carta dovuta al Mo- derni, come è su di essa indicato, è solo abbozzata per la parte orien- tale del lago, e la carta più recente dell’ Ing. Sabatini non è ancora completata. Cosicchè, prima di tutte, dovetti accingermi a disegnare una carta geologica, che mi servisse di fondamento per gli ulteriori studî di geomorfologia. Prima però di esporre i risultati delle mie ‘personali ricerche, sento il dovere di ringraziare l’ing. Sabatini per il suo interessamento e per la sua cortesia nell’ indirizzarmi durante il lavoro di campagna e quello di laboratorio eseguito nell’ Ufficio Geologico. $ L — LA CONCA DI BOLSENA. Esiste una parola vulcanologica per indicare un grande bacino vulcanico ed è « caldeira ». Dal tempo che il v. Buch adoperò questa parola spagnola, essa servì sempre ad indicare un grande cratere cen le pareti tagliate a picco. Per esempio: la caldeira del Ngoro- Ngoro nell'Africa Orientale, e le caldeiras di Askja e di Knebel nel- l’ Islanda, ecc. presentano appunto tale forma. La forma del bacino vulcanico di Bolsena è differente da quella delle caldeiras, perchè mostra le pareti in generale. a pendio non troppo ripido. Ciò risulta dalla carta topografica come dal rilievo subacqueo ese- guito dal dott. De Agostini. La carta di quest’ultimo (di cui fui gen- tilmente autorizzato a valermi in questa pubblicazione), se mostra una parete ripida al disotto della superficie del lago, questa parete però ri- sulta di un intaglio che non modifica l’andamento generale del terreno. RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 143 Anch'io perciò adoperai pel bacino di Bolsena la parola « conca » già adoperata dall'ing. Sabatini e dipoi anche da altri autori. Il diametro di questa conca tanto da S. Lorenzo Nuovo a Marta, cioè da Nord a Sud, cheda Monterado a Monte S. Magno, cioè da Est ad Ovest è di circa 17 ch. Il lago di Bolsena è situato in questa conca, e l’asse maggiore di esso è lungo 13 ch., mentre l’asse minore è di 10. La zona fra il recinto orientale della conca ed il Jage, è la parte principale dove ho lavorato. $ 2. — CARTA GEOLOGICA. La carta geologica da me costruita e annessa alla presente nota (tav. III) è più completa nella parte orientale, specialmente nella zona da Montefiascone a Bolsena che ho visitata cinque volte. Nella com- pilazione di questa carta mi sono servito di una prima cartina som- maria già pubblicata dall’ing. Sabatini, aggiungendovi qualche ac- cenno di delimitazioni particolareggiate nei punti da me visitati. La parte orientale del lago di Bolsena è la più interessante, presentando caratteri bene accentuati per la geomorfologia, al contrario delle parti rimanenti. Per queste, mi limiterò a qualche accenno di delimi- tazione nei punti da me visitati, lasciando in bianco tutti gli altri. Quanto all'isola Bisentina essa è chiusa ai forestieri, cosicchè io fui costretto a farne il giro in barca, osservandone le coste, e nella mia carta riporterò la delimitazione eseguita dall’ing. Sabatini, e che è ancora inedita. $ 3. — SGUARDO GENERALE ALLA GEOMORFOLOGIA DELLA CONCA DI BOLSENA. Linee morfologiche della medesima. Le due conche vulcaniche di Latera e di Bolsena, si possono considerare simili tanto morfologicamente che vulcanicamente. Secondo l’ing. Sabatini, la prima rappresenta una semplificazione della seconda, pure essendo lo stesso il modo di formazione di en- trambe. 144 HIDEZÒ SIMOTOMAI La conca di Latera si apre ad Ovest di quella di Bolsena, della quale avrebbe intagliato il recinto, assottigliandolo, nell’ipotesi che sia più recente. Il recinto di Latera è interrotto verso Ovest, dove passò una grandiosa corrente di lava (oggi selva del Lamone) che corse nella medesima direzione. I due recinti hanno altresì questo carattere comune: che ad Est di quello di Latera si formò più tardi il cono di Valentano, come ad Est di quello di Bolsena si formò quello più recente di Montefiascone. Inoltre ambedue le conche pre- sentano una maggiore elevazione nei settori orientali, poichè ad Est della seconda si nota l’elevazione di Monterado: e ad Est della prima, quella del monte S. Magno, nella ipotesi che questa elevazione sia dovuta a! cratere di Latera (ciò che ha bisogno di essere dimostrato). Nell’interno poi, i due crateri si differenziano. Quello di Bolsena è effettivamente molto più complicato, e tra le diversità si nota questa che il suo fianco orientale degrada a scaglioni, ciò che non si osserva nell’altro. Ciò posto, vediamo quale sia la forma di questi scaglioni che furono osservati e studiati da molti autori. Primo tra tutti il v. Rath vide tre scaglioni presso Bolsena e li suppose do- vuti a sprofondamenti. Il Verri ha osservato dubitativamente tali forme ad Ovest di Monterado, ove credette esistere una regione di abbassamento che non potè studiare più a fondo. Anche il Moderni ha osservato tre o quattro scaglioni presso Bolsena, e crede che si siano formati con colate di diverse lave. L’Ing. Sabatini ha osservato e studiato queste forme su tutta la parte orientale e meridionale del lago. Le mie osservazioni morfologiche sono quasi le stesse di quelle dell'ing. Sabatini, come si vede nella mia carta. Come l’in- gegnere Sabatini ha osservato, un singolare sistema idrografico tro- vasi in questa conca, un sistema assolutamente differente da quanto solitamente si osserva in altri vulcani. Infatti, in generale gl’ immis- sarii del lago sono a corso parallelo alla spiaggia, formando come archi di cerchi concentrici. Anche nella parte esterna della conca si riscontra tal fenomeno, come per esempio presso il Cappellone vicino al Fortino ad Est di Monterado, non che più a Nord alle Case Pe- razza in territorio di Castel Giorgio. i 4 APRI home RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 145 Tutto ciò si vede dalla carta, dove le linee morfologiche sono indicate con curve corrispondenti alla mezza costa degli scaglioni ; per cui con una linea si può immaginare la forma dello scaglione, che non è sempre regolare e pianeggiante. Vediamo ora alcuni profili morfologici. Nella parte orientale del lago, presso Bolsena, oltre i tre scaglioni visti dal v. Rath, ho potuto osservarne un altro più elevato, cosicchè tutti insieme sono i seguenti : 1° Scaglione di Bolsena di almeno 350 m. DE » Belvedere di almeno 450 m. 5 ) Piazzano di almeno 500 m. 4° ) Poggio Pianale di almeno 550 m. Al disopra dell’ultimo scaglione si eleva il circuito più esterno della conca, col Poggio Torrone che raggiunge i 600 m. A Sud de’ precedenti gli scaglioni sono difficili a contarsi, poichè colate di lave e giacimenti di tufi li hanno coperti, formandovi in alcuni luoghi elevazioni coniche e catene (punti e linee morfologiche). Vi si possono però separare gli scaglioni seguenti : 1° Scaglione del Podere S. Antonio di almeno 350 m. 2° ) Fosso d’Arlena di almeno 410 m. dÌ ) C. Ceccorabbia di almeno 500 m. 4° ) C. Scardozza di almeno 530 m. DS » C. Campolungo di almeno 590 m. (Tav.II, fig.3e4). Al disopra di questi scaglioni, Monterado forma il punto più elevato, e sembra appartenere al recinto più esterno, o principale, della conca. Fra gli scaglioni d’Arlena e di Ceccorabbia ci sono tre Ca- tene, cioè: 1. Catena della Guardata, che va dal casale dello stesso nome a Sud fino alla parte occidentale della cima di Montienzo, e contiene due elevazioni coniche ; 2. Catena di Poggio Cerretella, che dal medesimo si dirige verso Nord fino alla cima orientale di Montienzo ; 146 3 HIDEZÒ SIMOTOMAI 3. Catena di Palombara, che comincia a Montegallo, ma ad un certo punto è interrotta dal Fosso Prati sotto Capiano, e poi continua a Nord fino quasi alla casa Tascionara. A Sud del Poggio Selva il profilo mostra almeno 5 scaglioni: 1° Scaglione di Lugrino di almeno 350 m. 2° DI Ponte Regina di almeno 410 m. 3° » Castellaccio di almeno 450.m. 4° » Casa Rosignolo di almeno 500 m. be D) Podere Morticini di almeno 500 m. Nella parte Sud di Castellaccio, fra due linee morfologiche ove sì trovano le Notazie, si vedono due piccole catene. Nell’angolo Sud-Est della conca di Bolsena, questo carattere degli scaglioni si perde per la formazione del grande Cratere di Mon- tefiascone. Nella parte Sud del lago non si distinguono chiaramente le linee morfologiche che vi sono frammentarie. Vi si distinguono in- vece gli scaglioni seguenti : Ad Ovest 'del cratere di Montefia cone se ne vedono due alle quote di 350 e 400 m., e si trovano al disotto della linea di cinta della conca che ivi passa pel Borgale poco a monte della rotabile. E poco più ad Ovest, tra i precedenti e il fiume Marta si vedono accennati altri quattro frammenti di scaglioni. Nella parte NO e SO delia conca di Bolsena si perdono del tutto questi caratteri morfo- logici. Sopra Capodimonte, a Sud-Ovest del lago e parallelamente al medesimo, si vede in ampio arco ben delineato lo spartiacque fra il versante interno del grande cratere e quello esterno. Nella parte NO dello stesso lago, presso Grotte di Castro, vi sono parecchie grandi valli parallele alla spiaggia del lago; di queste, la valle del Fosso Marruca è straordinariamente grande e fonda, cosicchè io ho trac— ciata una linea morfologica secondo l’andamento della medesima, essendo la sua direzione ben accentuata. Ma, con questa valle, finisce il parallelismo delle linee morfologiche rispetto al recinto del cratere di Bolsena, già messo in luce in precedenti lavori, quel parallelismo che è così netto ad Est ed è ancora riconoscibile a Sud e a Nord. Sul lato occidentale del recinto suddetto, invece, tutto lascia supporre RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 147 una estesa interruzione prodotta dal cratere di Latera, che si sarebbe sovrapposto al precedente con o senza sua parziale demolizione. Il sistema idrografico intorno al cratere di Latera, è completa- mente diverso dal precedente, poichè le valli vi sono radiali non solo nella parte che si sarebbe'sostituita all’arco occidentale dell’alto cra- tere, ma altresì in tutto il resto del perimetro. Guardando gli scaglioni del lato orientale della conca di Bolsena, si sarebbe tentati a dire che ivi come da un vasto anfiteatro greco si sarebbe potuto un giorno assistere al grandioso spettacolo che si svolgeva sopra una scena di cui il cratere di Latera avrebbe occu- pato il centro. $ 4. — MATERIALI DELLA REGIONE. I materiali che costituiscono il territorio della conca di Bolsena sono lave e tufi di diverse specie. 1. Le lave dei vulcani vulsini sono state studiate da diversi autori come : Procaccini-Ricci, Bucca, Klein, Washington, ecc., e sono nominate secondo il sistema di nomenclatura d’ognuno. Secondo le determinazioni dell’ Ing. Sabatini, che adopera la classificazione di Fouqué e Michel-Lévy, le lave che si trovano intorno al lago, limi- tatamente ai campioni da me raccolti, sono le seguenti : 1° Trachi-oligoclasiti ; 2° Oligoclasiti ; 3° Leucotefriti ; 4° Leucititi. Le Trachi-oligoclasiti si trovano vicino S. Lorenzo Nuovo, a SO di Montalfina, e sotto Monterado a NNW della Capraccia lungo la strada provinciale (nella tav. III sono indicate come leucititi e leucotefriti). Le Oligoclasiti si vedono nei due settori che a NE del lago costi- tuiscono la zona fra Bolsena e Poggio Biagio e quella tra M. Segnale e Poggio Apparita. Le leucotefriti e le Leucititi sono predominanti sulle due precedenti, e si vedono da per tutto intorno al lago. 2. Scorie lapilli e bombe. Questi giacimenti significano generalmente che le bocche erut- tive erano vicine, giacchè i lapilli e le bombe non andrebbero così lontano come i tufi. a 148 HIDEZÒ SIMOTOMAI 3. Tufi. Il tufo è il materiale che abbonda nel territorio. Non ho potuto delimitarne le diverse specie sulla mia carta, ma dirò qui qualcosa sulla loro dist:ibuzione. 1° Tufi incoerenti. a) Tufi giallo-bruni con molti frammenti angolari e bombe delle diverse lave; sono i prodotti delle esplosioni vulcaniche e si tro- vano sui recinti dei grandi crateri di Montefiascone e del Lagaccione. Fssi mostrano frequenti cambiamenti di pendenza, e in generale ineli- nano verso l’esterno dei crateri. Questi tufi si trovano anche in altre parti intorno alla conca di Bolsena. b) tufi gialli o bruni, in generale senza frammenti nè bombe, sono anche più comuni da per tutto. c) tufi biancastri o grigiastri con piccole scorie formanti co- pertura della superficie del territorio, secondo fu già indicato qui e nei Cimini dall’ing. Sabatini. Nella parte orientale del lago le. loro inclinazioni sono diverse, ma in generale a nord tale inclinazione è verso il lago. Sul fianco occidentale poi, gli strati di questo tufo mo- strano belle ondulazioni. 2° Tufi litoidi. a) Il peperino presso Montefiascone fu indicato dagl’inge- gneri Sabatini e Clerici, e si osserva nelle vicinanze del grande cra- tere di Montefiascone, oltre che nelle sue parti meridionale e setten- trionale. Si vede anche ad Est della valle a 3 ch. da Montefiascone (fuori della mia carta), ed alle Poggere a Sud della detta città. Questo tufo rappresenta probabilmente uno degli ultimi prodotti dell’attività del sistema vulsinio, simile al peperino laziale che fu dovuto anch’esso ad uno degli ultimi periodi eruttivi di questa se- conda regione. b) il tufo giallo con scorie diverse, è macroscopicamente lo stesso di quello che si trova ad Orvieto. Questo tufo si vede in diversi livelli, come ad Est del Grottino lungo Ja strada fra Monte- fiascone e Orvieto, ad Est del Monte Segnale, nella valle del Fosso Rossino e presso la città di Bolsena. Un altro tufo litoide con molte scorie forma l’Isola Martana. RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 149 c) tufi con scorie nere, macroscopicamente diversi da’ prece- denti, si vedono vicino al paese di Grotte di Castro, e sopra Bolsena lungo la variante della rotabile che conduce ad Orvieto. d) tufi con pomici bianche, che presso il Fortino sembrano corrispondere ai tufi con scorie nere di vicino Bagnorea, e giacciono sotto una colata di lava leucotefritica colla quale hanno comune l’inclinazione ad Est. e) tufi gialli senza grandi scorie, che formano la parte orientale del cono di Latera, con inclinazione verso il lago. Le parti S. O. ed anche N. O. del recinto della conca sono ricoperte da questi tufi profondamente incisi dai due sistemi idrografici, interno ed esterno ai due recinti. Macroscopicamente lo stesso tufo si vede anche nell’isola Bisentina, dove forma appiechi di 50 m. $ 5. — PUNTI MORFOLOGICI DELLA CONCA DI BOLSENA. Dopo essermi occupato al $ 3 delle linee morfolo giche della conca di Bolsena, consistenti in alture allungate, dette pure cordoni, e nelle valli che le separano, passo alle elevazioni coniche che possono dirsi punti morfologici. Intorno al lago di Bolsena ve ne sono molte, costituite di scorie, tufi e lave. 1. Conetti di scorie. Rispetto alla forma essi sono piccoli coni, di una cinquantina 0 tutt'al più cento metri d’altezza e mostrano talvolta una struttura « quaquaversale ». Si vedono spesso nei loro fianchi colate di lava, ma vi mancano, in generale, sulle cime crateri riconoscibili come quelli del maggior numero dei coni scoriacei nella regione dei Puy de Dòme in Auvergne o sui coni avventizi dei fianchi dell’Etna. È pos- sibile che tali conetti abbiano avuto sulle loro cime dei crateri, ma che poi si siano trasformati per l’erosione fino alla forma attuale. Tali sono: ; a) il cono di Montefiascone; b) il cono di Montalfina ; c) due conetti presso Grotte di Castro, che avrebbero anche la stessa composizione scoriacea, ma che non hanno conservato la loro 5 150 HIDEZÒ SIMOTOMAI forma originale. Ci sarebbero pure un paio di tali coni vicino al Monte Landro ad Est di S. Lorenzo Nuovo, ma non si vede il loro carattere così chiaramente come negli altri coni. 2. Cono di tufi litoidi. Il cono dell’Isola Martana, con cratere semicircolare a Nord, mostra la struttura « quaquaversale ». 5. Vi sono parecchi punti più elevati dentro il recinto più esterno, e dalle cime di essi le colate di lava discendono in giù, ma tali punti probabilmente indicano parti di recinti vecchi isolate dall’erosione. Però sono molto probabilmente coni vulcanici : a) Monterado (a destra della tav. II, fig. 3); b) Poggio del Torrone; c) Cono del Capo Bisenzio ; Altre elevazioni, pur non mostrando indizi di crateri, sembrano conetti vulcanici. Essi sono: a) Montegallo; b) M. Segnale; c) il cono ad Ovest della casa Gazzetta (presso Bolsena); d) il cono ad Ovest di Palombaro. Per altre elevazioni è difficilissimo ricostruire le forme originarie. Esse sono : 4) Montelandro ; b) Monte Tonoco; c) il cono ad Ovest di Pantanesca; d) il cono fra Trebiano e Palombaro. Il Monte di Marta rappresenta un’elevazione con la cima pro- lungata nella direzione N.-S. Lungo di essa si vede una lava leucotefritica. L’elevazione che forma l’Isola Bisentina è creduta dai più un frammento di cono vulcanico elevantesi al disopra della superficie del lago. Si trova nell’isola la medesima lava della punta di S. Bernar- dino e lo stesso tufo che trovasi sulla selva S. Magno, almeno a quanto si può giudicare macroscopicamente. RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 151 $ 6. — COLATE INTERNE ALLA CONCA DI BOLSENA. Fuori del recinto più esterno della Conca di Bolsena, le colate di lava corrono in generale verso l’esterno; dentro tale recinto invece, le lave mostrano doppia pendenza dalle due parti delle linee morfo- logiche, inclinando verso l’esterno della conca e verso il lago. Le lave poi che coprono la spiaggia del lago sono le seguenti : 1° leucitite del Fosso Bronzino che comincia dal Sud del Ca- stellaccio ; 2° leucitite di Lugrino, che comincia dal ponte della Regina e copre la colata precedente; 3° leucotefrite vicino al C. Bacile che discende dalla Guardata; 4° leucitite del Podere S. Antonio, che è la medesima di quella del conetto ad Ovest del Poggio Cerretella; 5° la lava del Podere d’Arlena che proviene dal conetto a Nord del Fosso d’Arlena. La superficie delle correnti delle due lave 4° e 5° presenta la forma di terrazze. Osservandole di profilo potei vedere che coprono scaglioni del suolo ad esse preesistenti ; 6° la lava che proviene dalla parte occidentale della cima di Montienzo che raggiunge il Buonvino ; 7° un’altra lava leucotefritica è nel Fosso Melona. Nel corso medio dello stesso fosso, si vedono i bellissimi colonnati di cui si parla nella prefazione di questo scritto. Tali colonnati hanno da 15 a 18 m. d’altezza, ed essendo verticali sembrano perpendicolari alla superficie di raffreddamento (tav. I, fig. 1). In altra parte del detto fosso, il più delle volte, si vede un profilo indicante la stessa lava al disopra dei tufi con una inclinazione di 40°; 8° una delle colate di leucotefrite, a Sud e vicino Bolsena, nella celebre località denominata « Pietre lanciate» copre il ripido pendio dei tufi gialli e d’altre lave; N 9° una colata di lava a Nord del Monte Landro corre verso il lago in una valle che taglia il pendio dello scaglione e del recinto più esterno della conca; PE È 152 HIDEZÒ SIMOTOMAI 10° la leucotefrite che copre il detto recinto e discende in giù verso il lago si vede fra S. Lorenzo Nuovo e Grotte di Castro; 11° la lava che copre la maggior parte della selva di S. Magno, proviene forse dal recinto del vulcano di Latera ; 12° la leucotefrite di S. Agapito; 13° la leucotefrite del M. Starnina, presso Valentano. $ 7. — CRATERI NELL'INTERNO DELLA CONCA DI BOLSENA. Nell’interno della Conca di Bolsena si trovano due bellissimi erateri: a) il cratere di Montefiascone; b) il cratere del Lagaccione. Sul fianco del cratere di Montefiascone, nella sua parte orien- tale, si vedono due banchi di lava che sono coperti dalle scorie del cono di Montefiascone e se ne osserva un profilo sotto la Madonna del Riposo, in una grotta. Nella parte settentrionale, fuori del cratere v'è il peperino che copre una colata di leucitite, cosicchè si può affermare che il era- tere è posteriore a questa lava che copre la spiaggia del lago; d’altro lato è anteriore al cono di Montefiascone che evidentemente si appoggia sul suo circuito. $ 3. — DISTURBI DEGLI STRATI E DICCHI. Prima di tutti il Procaccini Ricci, e poi il v. Rath e il Verri, hanno osservato alcune tracce di disturbi intorno al lago di Bol sena. Essi in generale sembrano in relazione con le linee morfolo— giche, di cui hanno quasi sempre la direzione. Ecco i principali da me osservati: 1. Sulla linea morfologica che passa nell’abitato di Bolsena si vedono due disturbi. a) Sotto il Casale Torrone vicino alla città di Bolsena sì os- serva un disturbo negli strati di tufi incoerenti e di scorie. b) Un altro disturbo trovasi sotto la rocca di Bolsena, nel giardino del sig. Nicola Guidotti. RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 153 2. Lungo la linea morfologica, sotto lo scaglione del Belvedere vi sono i disturbi seguenti : 4a) Sotto il Giglio, lungo la strada fra Bolsena e Orvieto, due disturbi, il più importante dei quali fu già indicato dal v. Rath e dal Sabatini. b) Nel fosso Rossino, parecchie fratture in un potente com- plesso di strati di tufi e di leucotefrite. In una di queste fratture si osserva un dicco verticale di lava con spessore da 4 m. ad 1 m. 16, con direzione ONO, e con più di 50 m. di lunghezza. 3. Lungo la linea sotto lo scaglione di Piazzano, ad Est del Casale Canile, si osserva una serie di piccoli disturbi nei tufi (tav. II, fig. 5). 4. Sotto lo scaglione del Poggio Pianale si vedono i disturbi se- guenti : a) A Sud-Est del casale Gazzetta, lungo il fosso Brutto, una frattura nello strato dei tufi scoriacei e delle lave; b) Lungo la stra‘la che è fra Bolsena e Orvieto, si vedono altri piccoli disturbi nei tufi e nei banchi di lave; e) A Nord-Est della casa Polinarda, nella cava di Oligoclasite, una frattura. o. Sotto lo scaglione di Castellaccio lungo il Fosso Maltempo, nello strato dei tufi, si vedono anche parecchi dislivelli che sono diretti a Nord. 6. Lungo la nuova strada fra Marta e Viterbo, a Sud del M. Car- done, si osservano altri diversi dislivelli negli strati di tufi. In generale posso affermare che i disturbi da me osservati sono molto piccoli, al disotto cioè di un metro. Gli altri di maggiore am- piezza sono di alcuni metri. Inoltre in otto esempii su dieci le loro direzioni sono parallele alla linea morfologica più vicina. Finalmente al dicco già indicato nel Fosso Rossino aggiungerò quello che trovasi al piede settentrionale del Poggio Cerretella, nel corso medio del Fosso d’Arlena, e i due che si trovano dinanzi al Casale Gazzetta, sopra Bolsena. Questi dicchi sembrano verticali (tav. I, fig. 2). 154 HIDEZÒ SIMOTOMAI $ 9. — TRACCE DI SOLFATARE. La parte che si stende sulla spiaggia del lago, tra il Fosso Melona e il C. Basile presenta i segni d’una crescente azione solfatariana. Altri consimili Imoghi « terre bianche » si vedono fra Trebiano e Montefiascone, come pure a piè dello scaglione di Trebiano. Lo stesso si vede a piè del Monte Tonoco in vicinanza di Gradoli. In alcuni casi le fumarole indicate possono essere con molta proba- bilità in relazione con le fratture dei terreni vulcanici. $ 10. — SULLA FORMAZIONE DEGLI SCAGLIONI. Le mie osse"vazioni mi permettono di stabilire un rapporto di causa ad effetto tra certe linee di frattura e gli scaglioni relativi, come presso Bolsena, a condizione che non implichino forti dislivelli. In questo secondo caso il rapporto rimase per me dubbio visto che i dislivelli osservati si limitano a pochi m. e i grandi scaglioni arri- vano ad 80 e 100 metri. Per alcuni degli scaglioni della parte meridionale del lago si può dire che sono certamente formati dall’erosione, mentre per la formazione dei maggiori di essi, quali si vedono sulla parte orien- tale del lago, non ?:o potuto trovare alcuna prova che contrasti l’ipo- tesi dell’ing. Sabatini, il quale mi rimise la piccola nota spiegativa che ricopio testualmente nelle righe seguenti : « I tratti in turchino segnati sulla cartina geologica da me pub- « blicata, esprimono le linee morfologiche più salienti del terreno. « Sono elevazioni più o meno allungate, talvolta simili a piccole « catene orografiche, che ho chiamate « cordoni » generalizzando un « vocabolo già adoperato in Geologia. Salvo alcuni, che sono veri « recinti o parti di recinti vulcanici, gli altri sono il risultato del- « l’erosione in recinti vulcanici multipli che, nei siti osservati avevano « grossolanamente le stesse direzioni. Difatti le valli concentriche « invece che radiali rispetto al rilievo bolseniano non si spiegano « senza l’intervento del fattore vulcanico, che ha dato a queste valli « direzioni perpendicolari a quelle che avrebbero dovuto avere se « fossero state prodotte dal solo fattore erosivo. RICERCHE MORFOLOGICHE SULLA CONCA DI BOLSENA 155 « Sono i recinti multipli che hanno preparata l’attuale morfo- « logia obbligando le acque a scorrere concentwcamente al lago. « L’erosione ha seguito il primitivo disegno, creando nuovi cordoni « e complicando le primitive linee morfologiche. Quindi alcuni sol- « tanto dei cordoni attuali possono essere di natura vulcanica e ap- « partenere a recinti diversi o allo stesso recinto. In essi l’erosione « ha largamente lavorato, spesso sformandoli nel ridurne le dimen- « sioni e nel dividerli in più pezzi, sia con tagli trasversali sia « con tagli paralleli, nel quale ultimo caso un cordone può es- « sersi trasformato in due o più. In certi casi è possibile stabilire « se due o più di tali cordoni rappresentano diversi pezzi d’uno « stesso recinto o pezzi di recinti diversi. Nel maggior numero « dei casi occorre lasciare il problema insoluto. Del resto è la suc- « cessione delle eruzioni che più importa di stabilire e con essa l’e- « volùzione del magma da cui i diversi materiali provengono; mentre, « pel geologo almeno, ha poca importanza il sapere se questi mate- « riali furono eruttati da criteri vicini o da uno stesso cratere ». E le mie osservazioni d’accordo con quelle dell’ing. Sabatini mì portano a concludere che il vulcanismo e l’erosione furono i princi- pali fattori dell’attuale morfologia deila Conca di Bolsena. CONCLUSIONE. Dalla morfologia e dalla struttura di questa regione si vede che la conca di Bolsena occupa un grande cratere, come già fu notato da molti autori, ma soprattutto dalle osservazioni più precise fatte dall'ing. Sabatini. Sul recinto e sui fianchi di questo grande cratere, alcuni coni come quello di Montefiascone si formarono in epoche di- verse, e da essi delle colate di lava sono discese verso l’interno del cratere principale. Sulla formazione delle fratture da me indicate si possono fare diverse ipotesi come : esplosioni vulcaniche, rassetto del terreno, ero- sione ecc., le quali sono probabilmente da ammettere tutte, riferen- dosi a cause che hanno operato separatamente o in concorrenza. Laboratorio petrografico del R. Ufficio Geologico, 15 maggio 1914. LAV. i. Boll. R. Com. geol. d’Italia. Vol. XLIV. H. Simotomai. Conca di Bolsen: DANESI - ROMA Boll. R. Com. geol. d'Italia. Vol. XLIV. 92 ©) H. Simotomai. Conca di DANESI - ROMA Bolsena. tte CARTA GEOFOGICATE MOREOEOGICAÀ DEBCA-CONCADINBOLSENA H. Simotomai. Geomorfologia d. Conca di Bolsena. Tav. Boll. del R. Com. geol. d'Italia. Vol. XLIV. Vrabad i! È ì /odPonkinu Sla |) — È Mitac nea ZA pf Featena {nano oSelvetta LARA to Dadi selle L I n Nip i; Le. airidrò -\ Z ) P®Poc trabbig fina FÀ F, è < = ret 2 TRASI in Tg “ DS 5 —@ M.Tonoco SA ot) (preparano il| . melri 305 sul mare FI osa \ -} _—r — a to ul nici \ 7, (sata Bisentina x \_i T \ REA TS VIETA Fontane se & 133 Bjnandna AS. Iyola Martana / on (SIA Montecchio Ye had Ka 9 M/diMac \ patto (33: U Lindano È 64 o È Me Bench pla, For Nppetta a Tino 441 fosti | Aprile 1914 Alluvioue vi Liceo sorfblogiche - Feucititi | Oigoelasiti Scorie c fapilfi DJ] © Cradioligocfasiti paga fi Forcotefut i L diari DANESI - ROMA ta “Coe cai" toa Lat Se pt ARE ri < Pe Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia Serie V, Vol. IV. Anni 1913-1914. Fascicolo 3° NOSTRERMORI G ENVA Ia ti P. TOSO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA L'industria mineraria italiana ebbe in questi ultimi anni un notevole risveglio nella produzione del mercurio e le miniere cinabri- fere del Monte Amiata (provincie di Grosseto e di Siena) che nel 1906 diedero 416 tonnellate di mercurio, ne produssero nel 1912 tonnel- late 1000, sopra una totale produzione mondiale di 4278 nel 1912 e di tonnellate 3829 nel 1906. Questo fortunato risveglio richiamò l’attenzione degli ingegneri minerari su quei giacimenti, e dopo i molti lavori eseguiti negli ultimi 30 anni nelle diverse e svariate coltivazioni del Monte Amiata, essendo ormai risolte molte incognite che presentavano quei singo- lari giacimenti, era sentito il bisogno di una monografia che li de- scrivesse; per cui dobbiamo essere grati all’ing. De Castro, capo dell’ufficio minerario di Firenze, per la recente pubblicazione: « Le miniere di mercurio del Monte Amiata (1) » ricca di disegni, tanto più interessanti perchè desunti dai piani delle singole miniere posseduti dal R. ufficio delle miniere. L’autore fece la storia, la bibliografia e la descrizione dei lavori delle miniere e ricerche e dimostrò con disegni i rapporti che passano fra i diversi giacimenti cinabriferi ed i terreni sedimentari che li (1) R. Ufficio geologico: Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia. Vol. XVI. — Roma 1914. 158 P. TOSO racchiudono, per cui la monografia del De Castro, sotto molti rapporti, torna vantaggiosa a quanti si dedicano alla industria mineraria. Era naturale che egli dovesse pure affrontare la risoluzione dei problemi relativi alla genesi dei giacimenti cinabriferi e cioè: 1° dell’età geologica ; 2° dell’influenza dei fenomeni fisici esercitata dalle emanazioni cinabrifere nella formazione dei giacimenti da esse prodotti; 3° delle reazioni chimiche che diedero origine al deposito dei minerali cinabriferi. Problemi questi di somma importanza, perchè è dalla loro riso- luzione che si possono trarre norme per i lavori di ricerca e desumere criteri sull’importanza dei singoli giacimenti. Su questi argomenti, oggetto di discussioni fra gli autori, sot- toporrò alcune considerazioni che mi lusingo valgano a portare un contributo allo studio dei giacimenti del Monte Amiata. I. — ETà DEI GIACIMENTI CINABRIFERI. Sull’età dei giacimenti cinabriferi del Monte Amiata ormai non esistono più divergenze. Lotti con considerazioni geologiche dimostrò che le emanazioni cinabrifere comparvero dopo il Pliocene e che anzi esiste una relazione genetica fra di esse e l’eruzione trachitica che forma il Monte Amiata. De Castro, per confermare tale deduzione, addusse considerazioni minerarie e volendo combattere le idee del Rolland, Jasinski, De Fer- rari, Spirek, i quali sostennero che le emanazioni cinabrifere sono di epoca eocenica ed hanno rapporto colle serpentine, fa la seguente osservazione : 6 Si è detto che anche nella miniera di mercurio di Jano, lontana e dalla regione Amiatina, si trovano roccie serpentinose. Non si com- « prende la ragione per la quale si vuole attribuire la mineralizza- « zione cinabrifera all’epoca dell'emanazione di quell’eufotide, mentre «a Jano ci troviamo di fronte ad una faglia mineralizzata, ed a « poca distanza da essa verso valle, si hanno, su una linea quasi pa- « rallela alla faglia, due sorgenti di acque calcaree continuamente gorgo- glianti per emanazioni di (0. Perchè non ammettere come causa CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFEFRI DEL MONTE AMIATA 159 « probabile una frattura formata nel periodo pleistocenico per il solle- «vamento post-terziario e lo sprofondamento della regione tirrena ? ». L'osservazione fatta dal De Castro che la principale concentra- zione cinabrifera della miniera di Jano si trovi in una faglia com- presa fra il terreno carbonifero e le argille plioceniche, dimostra infatti all’evidenza che le emanazioni cinabrifere dovettero essere post-plioceniche e quindi cade l’ipotesi contraria. Osservo però come egli pare stupirsi, che non si sia prima d’ora rilevato essere quel giacimento post-pliocenico, mentre i lavori nella miniera di Jano datano dal 1850. A questo proposito credo opportuno ricordare che già nel 1892, dopo avere per la prima volta visitato la miniera di Jano, così io scrissi nella « Rivista del Servizio Minerario » di quell’anno: « Negli anni precedenti si eseguirono in questo campo di ricerche « (Jano) importanti lavori, scavando a parecchi livelli, gallerie dirette A 4 ed inclinate in uno strato di scisti dell’epoca carbonifera, che si « riconobbe avere soltanto traccie di cinabro. « Nel 1891 si scoprì un vero filoncino, con salbande ben definite, « & alquanto più ricco ed affatto distinto dallo strato suddetto, ma quel (( filoncino dopo essere stato seguito per 50 metri, andò a perdersi « contro un rigetto. «Il concetto dei lavori, fin qui eseguiti in queste ricerche, fu « basato sull’ipotesi che la sede principale del minerale dovesse di- » sporsi secondo il detto strato carbonifero e che i terreni terziarii 4 attraversati dalle gallerie di scolo, si siano qui semplicemente ada- « giati, depositandosi sulle testate degli scisti paleozoici. « Ammettendo invece che questo contatto sia effetto di rotture «e di rigetti, come lo dimostrano molti fatti, che credo qui inutile « citare, e rivolgendo le ricerche a tale faglia, ove ordinariamente x « soglionsi trovare i giacimenti cinabriferi, non è esclusa la possibi- « lità di fecondi risultati ». Negli anni successivi al 1892 i lavori si svilupparono in fatto sulla grande faglia suddetta e nella « Rivista sul Servizio minerario » del 1898 così scrivevo: 160 P. TOSO «In quest'anno si ripresero i lavori della miniera di Jano. Ab- « bandonata l’idea di riconoscere ulteriormente gli straterelli di are- « naria mineralizzata ed i filoncini cinabriferi compresi fra gli scisti « dell’epoca carbonifera, ove già si praticarono cinque livelli, spingendosi « flno a 70 metri di profondità, si ebbe l’intendimento di indagare il « contatto tra il terreno carbonifero ed il terreno terziario dove, «come già ebbi a ricordare, si hanno motivi di credere sia avvenuto « il passaggio principale della mineralizzazione. « E° da notare che mentre nella ga'leria di scolo il terreno car- « bonifero viene a contatto col Pliocene, più a Sud Est di essa, si ve- « dono le serpentine giacere sul Carbonifero e fra queste e il Carboni- « fero, in alcuni punti, affiorano strati di scisti eocenici alternati con « calcare. « Si è riconosciuto povero il contatto del Carbonifero col Pliocene «e si vuole ora indagare quello cogli scisti eocenici e colla forma- « zione serpentinosa ». Cito questi fatti, sia per dimostrare che fin dal 1892 io avevo pre- cisato che le emanazioni cinabrifere a Jano dovevano attribuirsi ad un’epoca post-pliocenica, sia per mettere in rilievo come debbasi esclu- dere il modo di formazione di questo giacimento, quale viene inter- pretato dal De Castro. Egli scrive : « Evidentemente questo piano di scorrimento (faglia fra Carboni- « fero e Pliocene) rappresenta la via d’arrivo delle sorgenti cinabrifere « che impregnarono gli strati carboniferi, penetrando per le loro testate ». Tale supposizione, che pare in sulle prime naturale, che cioè ema- nazioni metallifere, percorrendo piani di rottura o di scorrimento, pos- sano penetrare negli strati permeabili, le cui testate arrivano fino al piano di scorrimento stesso, venne dimostrata erronea nel mio studio sui giacimenti metalliferi del Massetano (1). Descrivendo il giacimento piritoso di Vallebuia ho messo in rilievo che qui le emanazioni metallifere, venendo dal basso, dopo aver attraversate, (1) Sul modo di formazione dei principali giacimenti metalliferi coltivati in Toscana (Boll. R. Com. geol., vol XLIII, fasc. 20-39). — Roma, 1913. cai CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 161 mineralizzandole, diverse esili fratture del terreno permiano sottostante al calcare retico, tutte si convogliarono, per portarsi all’esterno, lungo il piano di scorrimento, formato fra il Permiano ed i soprastanti banchi di calcare retico, e fu in questo piano di scorrimento che si formò il principale deposito di minerale. Un analogo fatto deve essere successo a Jano; anche qui le ema- nazioni cinabrifere, dopo di aver attraversato il terreno carbonifero, formando in esso filoncini di cinabro, si portarono all’esterno percor- rendo la faglia fra Carbonifero e Pliocene. Deve escludersi che le ema- nazioni cinabrifere, come dimostrerò in appresso, fossero ad alta pres- sione; ma anche ciò ammesso, esse non avrebbero potuto penetrare dall’alto, per semplice diffusione, entro strati di arenaria permeabili od entro esili fratture; perchè tale penetrazione potesse avvenire, sa- rebbe stato necessario che anche la parte più bassa degli stessi strati permeabili carboniferi affiorasse in qualche punto alla superficie, onde permettere che si producesse una corrente continua di emanazioni cinabrifere, da cui si sarebbe depositato il minerale. E perciò per il giacimento di Jano viene più naturale la stessa ipotesi, già adottata per il caso analogo di Vallebuia, e cioè che le emanazioni cinabrifere venendo dal basso, dapprima percorressero le esili fratture mineralizzate del Carbonifero oppure gli straterelli are- nacei permeabili, per portarsi in seguito verso la grande faglia, dove i diversi rami di emanazioni si riunirono per procedere verso l’esterno. II. — SULL’INFLUENZA DEI FENOMENI FISICI PRESENTATI DALLE EMANAZIONI CINABRIFERE SULLA FORMAZIONE DEI GIACIMENTI DA ESSE PRODOTTI. La prima questione che si presenta nello studio dei giacimenti cinabriferi è quella della temperatura e della pressione delle emana- zioni endogene che ad essi diedero origine. Nella citata monografia sui giacimenti metalliferi del Massevano cercai di dimostrare che le emanazioni, le quali originarono questi giaci- menti, dovevano essere dotate di elevata temperatura ed alta pres- 162 P. TOSO sione, analogamente a quelle dei limitrofi soffioni boraciferi, mentre invece i giacimenti cinabriferi del Monte Amiata dovevano attribuirsi a soluzioni a bassa temperatura e bassa pressione. Molti fatti vengono a provare questa mia deduzione. L’elevata temperatura delle emanazioni metallifere del Massetano è dimostrata dalla grande quantità di ganga quarzosa che accompagna quei minerali piriritoso-cupriferi, la quale venne prodotta dalla reazione chimica esercitata dalle emanazioni stesse sugli scisti argilloso-alca- lini del tetto delle fratture, entro cui transitarono le emanazioni. Que- ste reazioni di silicatizzazione, fatte in così vaste proporzioni, richie- devano necessariamente un’elevata temperatura. Devesi escludere che il quarzo che accompagna questi minerali sia di origine endogena, perchè nei casi in cui le emanazioni stesse lam- birono un tetto calcareo, i minerali prodottisi sono senza ganga quar- zosa e formati soltanto da solfuri metallici. L'alta pressione delle emanazioni è dimostrata dal fatto che esse poterono transitare, e produrre un forte rimaneggiamento delle roccie del tetto, lungo fratture filoniane, anche quando queste erano poco inclinate (40°), per cui era forte la pressione esercitata dal tetto sul muro, la quale doveva ostacolare il passaggio della corrente delle emanazioni . La caratteristica dei giacimenti cinabriferi del Monte Amiata è invece quella di essere stati formati da soluzioni dotate di bassa temperatura, perchè la ganga dei minerali, anzichè quarzosa, è di argilla plastica e contiene del gesso, della celestina, della calcite, e soltanto raramente ed in piccole quantità elementi quarzosi. La bassa pressione è dimostrata dal fatto che tutti i giacimenti cinabriferi di qualche importanza trovansi fra terreni permeabili, od al contatto fra banchi permeabili di calcare con banchi scisto-argil- losi, nel quale contatto era possibile il lento passaggio di emanazioni, anche se dotate di bassa pressione. Entro faglie comprese fra terreni non permeabili incontransi soltanto rare concentrazioni cinabrifere e di poca importanza, perchè per la non elevata pressione delle emanazioni, queste non ebbero che CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 163 una debole azione erodente sulle pareti delle faglie e produssero poco materiale rimaneggiato, entro il quale poterono infiltrarsi le emana- zioni e depositarvi il cinabro. Questi fatti si poterono ben rilevare in tutte le miniere, ma mi limito a citare qui soltanto la ricerca di Capita, dove incontrasi un gia- cimento di cinabro ed uno di stibina; di essi così scrive il De Castro : « Mentre il cinabro, con o senza stibina, si trova esclusivamente « a contatto del calcare retico cogli scisti eocenici, s'incontra la stibina « a contatto fra gli scisti permiani e scisti eocenici in varii punti su « una potenza di un metro ». In altre parole, a Capita le emanazioni di stibina, dotate di alta pressione, poterono farsi strada ed accumulare grandi quantità di minerale anche in una faglia tra roccie scisto-argillose, mentre le emanazioni cinabrifere, per la loro debole (pressione, trovarono in queste condizioni difficile passaggio e poterono espandersi soltanto al contatto degli scisti coi banchi permeabili di calcare. Tale natura fisica delle emanazioni cinabrifere del Monte Amiata e conseguente loro modo di disporsi fra i terreni sedimentari, parmi possa essere così spiegata: Secondo la teoria del De Launay, i metalli si segregarono dai magma interni in combinazione con corpi, come il fluoro, cloro, solfo, boro, ecc. i quali ad alta temperatura danno ai metalli grande flui- dità e sono perciò chiamati agenti mineralizzatori : questi, combinati coi metalli ed accompagnati da vapor d’acqua dotato di elevata temperatura e pressione, si portarono alla superficie attraverso fratture del terreno e, nel loro percorso ascendente raffreddandosi, produssero incrostazioni, dando origine ai diversi giacimenti metalliferi. Naturalmente i minerali meno volatili furono i primi a deposi- tarsi, ma siccome nella miscela dei diversi minerali contenuti nelle emanazioni, i solfuri di mereurio sono fra i più volatili e richiedono perciò maggior raffreddamento per depositarsi, questi, il più delle volte, dovettero finire per immettersi nell’atmosfera, prima di aver subìto un sufficiente raffreddamento per il loro deposito, e perciò sono rari e limitati i depositi di cinabro dovuti ad emanazioni dotate di alta temperatura e pressione. 164 P. TOSO Nel caso in cui le emanazioni cinabrifere nel loro percorso verso l’esterno, portate dall’ H. S, loro mineralizzatore, e dotati di alta temperatura, incontrarono un bacino acquifero sotterraneo, esse do- vettero qui sciogliersi e produrre delle soluzioni cinabrifere ter- mali, ma a più o meno bassa temperatura. La presenza in esse di H; S rese possibile la formazione di solfuro di sodio che, come è noto, è il solvente non solo del cinabro, ma anche della pirite, blenda, sti— bina, oro, ecc. Mentre a grandi profondità, per le emanazioni dotate di alta temperatura, furono gli agenti mineralizzatori succitati che funzio- narono da solventi dei metalli, nel caso in cui, come al Monte Amiata, esse si trasformarono in soluzioni acquifere cinabrifere, ricche di acido solfidrico, i solventi del cinabro furono i sulfuri alcalini. Quanto alla pressione che generò delle correnti ascendenti di queste soluzioni, attraverso le fratture dei terreni, oppure fra i meati delle roccie permeabili, essa deve essere stata prodotta dai gas sol- fidrici stessi, i quali, nel loro cammino verso l’alto, impregnando for- temente le acque, dovettero produrre una diminuzione di densità delle soluzioni, provocando una colonna ascendente di gaz ed acqua, tendente verso lo esterno, per cui la velocità delle correnti cinabrifere deve dipendere soltanto da una leggera depressione. In conseguenza soltanto i gaz che attraversarono le soluzioni potevano essere dotati di forte pressione, ma non le soluzioni mine- ralizzanti. Le conclusioni a cui addivenni sulla temperatura e pressione delle soluzioni cinabrifere, vennero così formulate a pagina 81 della citata mia monografia : « I giacimenti cinabriferi Amiatini presentano un’altra differenza « da quelli del Massetano. In questi ultimi le emanazioni metallifere « dovettero essere uscite all’esterno dalle fratture e dai piani di scor- « rimento con impeto, per perdersi poi nell’atmosfera, analogamente «a quanto succede pei soffioni boraciferi. Le soluzioni cinabrifere « invece, arrivate alla superficie, se incontrarono un terreno clastico e « franoso, dovettero riversarsi su di esso e scorrendo alla superficie CALI CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 165 « verso il basso, trovarono tutte le condizioni propizie per depositare « il minerale tenuto in soluzione, e formare per discensum un giacimento « superficiale d’importanza forse superiore a quello fatto per ascensum. « Analogo fatto deve esser successo se, nel loro corso ascendente, le « soluzioni cinabrifere trovarono un banco permeabile, lungo il quale « scorreva lenta una corrente acquifera discendente; le soluzioni cina- « brifere dovettero in tal caso unirsi a queste correnti acquifere, le « quali, divenute per tale fatto debolmente mineralizzate, sparsero poi « la mineralizzazione per grandi estensioni. « Devesi a ciò se a Saturnia ed a Pereta s’ incontrarono delle « sabbie plioceniche e dei conglomerati quaternari, debolmente mi- « neralizzati in cinabro per molti ettari di estensione ». Ed a pagina 85 così serivevo : « I giacimenti coltivati nelle due miniere Cornacchino ed Ab- « badia S. Salvatore presentano il fenomeno che una parte di essi « è formata per ascensum lungo la frattura dei calcari ed una parte < più importante per discensum delle stesse soluzioni, senza che si « possa dire che si abbiano qui dei giacimenti cinabriferi da defi- « nire come derivati », L’Ing. V. Spirek, già Direttore delle Miniere del Siele e Cor- nacchino, trattò pure questo argomento, ma egli non soltanto fu d’avviso contrario, che cioè le emanazioni cinabrifere dovessero essere dotate di alta temperatura e pressione, ma che queste produssero effetti catastrofici perfino sui banchi silicei delle ftaniti. Ed infatti così egli scriveva nella « Rassegna Mineraria » del di- cembre 1897. « Al Cornacchino la roccia ftanica, sbricciolatasi fu portata via « lasciando dei canali in cui rovinarono, con quanto li ricopriva, i « calcari ad essa sovrapposti, producendo grandiose frane nel Cretaceo S, parmi molto azzardata l’ipotesi che 1’ HS siasi formato, an- zichè da emanazioni endogene, che sogliono accompagnare quelle me- tallifere, da idrocarburi forniti da scisti bituminosi che ridussero il gesso. AI Monte Amiata non si hanno roccie bituminose; è bensì vero che in una galleria aperta negli scisti eocenici, mentre si stava scavando, si accumulò una picco'a quantità di grisou, ma questi scisti, per tale fatto, non si possono definire come bituminosi. Ipotesi Becker. — Esaminiamo se l’ipotesi formulata per la spie- gazione dei giacimenti cinabriferi di California può essere applicata anche ai giacimenti del Monte Amiata. 170 P. TOSO E’ noto che in California si hanno giacimenti cinabriferi molto analoghi a quelli del Monte Amiata e tanto recenti da lasciare sup- porre che dalle soluzioni cinabrifere, circolanti per quelle miniere, si vada tuttora depositando del cinabro. Essi furono oggetto di studi di Becker, geologo capo della divi- sione di California della « U. S. Geological Survey », pubblicati nelle: « Mineral Ressources of the U. S. for 1892 ». In una recensione dello studio del Becker, fatta da A. Schrauf nel « Zeitschrift fiir praktische Geologie 1894, Januar », rilevo come il Becker venne a concludere: 1° che condizione principale per la solubilità del cinabro è la coesistenza di esso col solfuro di sodio in presenza di carbonati e solfidrati alcalini, ossia che le soluzioni cinabrifere devono essere neutre. Secondo il dott. Melville non è il cinabro solubile, ma più propriamente il sale doppio Hg S+ Naz S. 2° La precipitazione del cinabro dalle sue soluzioni può essere attribuita alle acque ammoniacali, od agli idrocarburi, poichè il ben- zolo, la nafta, ecc., possiedono la proprietà di precipitare il cinabro, il che pare anche dimostrato dalla Irequente presenza di elementi bituminosi nei giacimenti cinabriferi di California. Le soluzioni mercuriali, secondo il Becker, perchè non acide, sono per sè stesse inattive, ossia non producono nessun effetto sulle roccie; se le roccie incassanti il minerale subirono delle reazioni, queste devono attribuirsi ad altre soluzioni attive, non alle mercuriali. Per questo fatto, dice il Becker, il cinabro penetra raramente dentro le roccie compatte, e rimane invece trattenuto, come per ef- fetto di infiltrazione, nelle fratture delle roccie. L’ipotesi Becker non spiega però i due importanti fatti che s'incontrano nei giacimenti del Monte Amiata e cioè : 1° Che i calcari cristallini sono generalmente pressechè sterili, mentre la maggior ricchezza dei minerali trovasi appunto nelle frat- ture fra i calcari marnosi, stati attraversati dalle soluzioni cinabrifere. 2° La presenza del gesso e della celestina fra i minerali ci- nabriferi. Vediamo di ricercarne le cause. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA l71 Nuova ipotesi sulla formazione dei minerali cinabriferi del Monte Amiata. Premetto che Sabatier (Compt. rend. Acad. Paris 1879, pag. 234) trovò che avviene la precipitazione del cinabro dalle sue soluzioni neutre, anche soltanto se le soluzioni cinabrifere subiscono una forte diluizione, ma più specialmente se esse hanno una lunga permanenza in contatto coll’aria, perchè in tal caso si forma una lenta ossida— zione e decomposizione del solvente del cinabro ossia del solfuro di sodio, che, come si disse, scioglie pure l’oro, la pirite, la stibina, la calcopirite, ecc. A dimostrazione di ciò si cita pure che, mediante l’ossidazione di soluzioni cinabrifere, L. de Konink ottenne dei cristalli di cinabro di un mm. di grossezza. Le esperienze chimiche hanno perciò dimostrato che la precipi- tazione del cinabro dalle sue soluzioni può effettuarsi in due distinti modi e cioè : ricorrendo a sostanze ammoniacali ed a idrocarburi, oppure ossidando le soluzioni stesse. Ora se ben consideriamo, queste due reazioni conseguono lo stesso scopo, perchè con esse si viene a decomporre i solfuri alcalini, sia eliminando il solfo dei solfuri stessi, mediante l’azione dell’idrogeno producendo la solfidratazione, sia me- diante la loro ossidazione. Ricordo che si ammette che gli idrocarburi, sostanze le quali generalmente si comportano a temperatura ordinaria come indifferenti, siano invece suscettibili di ridurre i solfati ed i solfuri con produzione di idrogeno solforato, per azioni esercitate da certi bacteri, i quali si sviluppano appunto nelle soluzioni contenenti composti di solfo in presenza di sostanze organiche ammoniacali o di idrocarburi. Fra le esperienze di solfidratazione di solfati alcalini per azione microbiolitica in presenza di idrocarburi, citerò solo quella di Beye- rinck. Egli, con microbi da lui scoperti nelle cloache di Amsterdam, ottenne in 48 ore la decomposizione in H> S della totalità del solfo del solfato di sodio contenuto in una soluzione avente 45 mmg. di acido solforico. 172 P. TOSO Esperienze fatte dall’Ing. Gounod (1) dimostrarono che la solfi- dratazione del solfo puro, compreso fra minerali solfiferi, in presenza di sostanze organiche si effettua più energicamente che non quella dei solfati. Non mi consta che si siano fatte analoghe esperienze di solfidratazione di solfuri, ma è a supporre che essa debba compiersi più energicamente di quelle dei solfati. La precipitazione del cinabro dalle sue soluzioni non parmi però che al Monte Amiata sia stata prodotta da sostanze ammoniacali o da idrocarburi, come suppose Becker per i giacimenti di California, perchè nell’Amiata non si hanno emanazioni endogene di idrocarburi ed i terreni sedimentari non contengono sostanze bituminose. E’ bensì vero che, come si disse, durante lo scavo di una galleria entro banchi di scisti eocenici, nelle miniere del Siele si ebbe uno scoppio di pochi metri cubi di grisou, ma questo fatto, non raro negli scavi fra gli scisti eocenici della Toscana, non giustifica la pos— sibilità di un continuo sviluppo di grisou lungo le pareti scistose, lambite dalla corrente delle soluzioni cinabrifere, ed in quantità tale da provocare la precipitazione del cinabro. La presenza del gesso fra la ganga dei minerali cinabriferi Amia- tini viene pure a dimostrare l’assenza di idrocarburi nelle soluzioni cinabrifere, perchè altrimenti gli idrocarburi avrebbero dovuto sol- fidratare anche tale ganga gessosa. Pei giacimenti del Monte Amiata parmi perciò più naturale che la precipitazione del cinabro si debba attribuire alla proprietà ricordata dal Sabatier, confermata dalle esperienze di L. De Konink, che cioè le soluzioni cinabrifere precipitano il cinabro se vengono di molto diluite, oppure se si trovano per lungo tempo esposte all’aria atmo- sferica, perchè con ciò, come si disse, i solfuri alcalini e cioè i sol- venti del cinabro, ossidandosi, perdono tale loro proprietà. Ora le soluzioni cinabrifere nella loro salita verso l’esterno, at- traverso banchi permeabili, dovettero appunto gradatamente venire al contatto dell’aria trasportata dalle acque superficiali che si infil- (1) Contribution è l’étude de la formation du soufre de Sicile. Palermo 1897. ‘CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 173 trarono nel sotterraneo, epperciò per questo semplice fatto esse do- vettero precipitare il cinabro, lungo il percorso seguito dalle soluzioni, a misura che i solfuri alcalini venivano ossidandosi e perdevano il loro potere dissolvente, e ciò indipendentemente dalla natura delle roccie da esse lambite. Perchè i calcari marnosi racchiudono le maggiori concentrazioni cinabrifere. Per spiegare poi come nei calcari marnosi si incontrano le più grandi e ricche concentrazioni cinabrifere e siano generalmente ste- rili le fratture fra i calcari cristallini, occorre ricordare un altro fe- nomeno a cui vanno soggette tutte le emanazioni dovute all’azione di vulcanismo, epperciò anche le cinabrifere, e cioè l’intermittenza nella loro attività, ossia la successione di periodi di minor intensità o di quiete ad altri di grande attività, non soltanto delle emanazioni cinabrifere, ma anche di Hs S. Per questo fatto parmi logico il supporre che se soluzioni cina- brifere, in un dato punto del loro percorso attraverso calcari eristal- lini potevano precipitare del cinabro per effetto della loro ossidazione, esse, in un periodo successivo, in Seguito ad. un maggior sviluppo di HS e ad una conseguente maggior produzione di solfuri alcalini, poterono ridisciogliere il cinabro già precipitato, e quindi ripetendosi questo fatto, impedire l’accumularsi di depositi cinabriferi lungo il percorso seguito dalle soluzioni stesse. La ridissoluzione del cinabro già precipitato non dovette effet— tuarsi nel caso in cui, a misura che esso si depositava, veniva pro- tetto dalle intermittenti soluzioni dissolventi e cioè quando veniva ricoperto da ganga argillosa proveniente dalla dissoluzione di calcari marnosi formanti le pareti delle fratture entro cui circolavano le so- luzioni cinabrifere. Anche nel caso che il cinabro colmò ed otturò esili meati di roccie inalterabili, quali le ftaniti e le arenarie, esso poteva non essere disciolto, se le soluzioni non riescivano più ad infiltrarsi fra i meati stessi previamente già colmati. 2 174 P. TOSO La presenza del cinabro fra le sfaldature delle ftaniti e fra le arenarie devesi forse piuttosto al fatto che esse formavano l’ultimo tratto di percorso delle soluzioni, le quali, per essere presso alla super- ficie, erano già troppo ossidate per ridivenire nuovamente dissolventi, La formazione di una ganga argillosa o calcitica, contempo- raneamente alla precipitazione del cinabro, presuppone però che le soluzioni cinabrifere, mentre precipitavano il cinabro, reagissero pure sui calcari marnosi e ridisciogliessero il carbonato di calcio in essi contenuto, lasciando come deposito, gli elementi argillosi insolubili ; ma ciò non può effettuarsi per reazioni chimiche ordinarie, perchè, come si disse, soltanto da soluzioni cinabrifere neutre può ottenersi la precipitazione del cinabro e queste, appunto perchè neutre, non possono reagire sul carbonato di calcio. Cerchiamo per quali fenomeni ed in quali casi sia possibile che, da deboli seluzioni cinabrifere, quali dovettero essere quelle circolanti nel sotterraneo, sempre mantenendosi neutre, ricche però di idro— geno solforato, si verifichi ad un tempo la precipitazione del cinabro e la trasformazione del calcare in gesso. Sull’origine del gesso e della celes'ina che accompagnano i minerali cinabriferi del Monte Amiata. Recentemente per un mio studio, ancora inedito, sui giacimenti solfiferi italiani, ebbi occasione di volgere la mia attenzione sulle espe- rienze di Winogradski sui bacteri ossidanti del solfo, emi parve di vedere in queste esperienze la migliore risoluzione del problema in parola. Da esse risulta che, quando nelle acque trovasi disciolto dell’idro- geno solforato, si sviluppano, in presenza dell’aria, dei bacteri, la cui funzione Vitale consiste nell’assorbire 1’ Ho S, che essi ossidano in presenza dell’aria e convertono in solfo, di cui una parte viene a riempire le celle del loro protoplasma, e l’altra viene da essi segre- gata sotto forma di acido solforico. Se questi bacteri ossidanti, chiamati Tiobacteri, si trovano in presenza dell’ossigeno, senza H. S, essi consumano il solfo radunato nel loro corpo e presto muoiono: parimenti soccombono se viene ad essi a mancare l’ossigeno. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 175 Mentre le secrezioni di acido solforico prodotte da questi bacteri sono per loro letali, poichè non possono vivere in soluzioni acide, essi si trovano invece nelle migliori condizioni vitali se vivono in un am- biente che contenga disciolti dei carbonati alcalini, nel qual caso le loro secrezioni di acido solforico, si convertono in secrezioni di solfati, e in questa loro azione solfatizzante viene svolgendosi tutto l’acido carbonico dei carbonati stessi. E’ inutile ricordare come i Tiobacteri richiedono per la loro esistenza una temperatura non elevata. Essi poi non sono da con- fondere coni mieroorganismi succitati che, in presenza di idrocarburi, riducono i solfati in idrogeno solforato. La trasformazione del carbonato di calcio in solfato, mediante l’azione dei Tiobacterii, che possono vivere soltanto in soluzioni do- tate di bassa temperatura, non acide, entro cui svolgesi H, S in presenza dell’aria e di acque calcifere, parmi debba essersi pure ve- rificata nelle soluzioni cinabrifere piritose e stronzianifere neutre ac- compagnate da Ho S, se esse trovavansi fra banchi di calcare, ed a profondità non eccessiva dalla superficie, per cui l’aria potesse pene- trare sciolta colle acque superficiali, richiamate all’interno dalle cor- renti acquifere gazose ascendenti. I Tiobacterii possono perciò, mentre Stava depositandosi il cinabro da soluzioni neutre, avere prodotto del gesso e della celestina, in gran parte poi esportati dalle acque, come pure del CO; causa delle grandi corrosioni del calcare. Nella formazione dei giacimenti cinabriferi l’aria sarebbe perciò necessaria, sia alla vita dei bacterii ossidanti, come all’ossidazione del solfuro di sodio. Nel Massetano i giacimenti metalliferi per essere stati prodotti da emanazioni dotate di alta temperatura, non essendo stata possi- bile la vita dei bacterii, 1'’H> S, contenuto nelle emanazioni stesse, non diede origine a ganghe gessose dei minerali. Ricordo però la seguente eccezione. Nella ricerca Bruscoline (vedi Rivista del servizio minerario 1898, pag. 130) oltre il giacimento metalli- fero posto al contatto fra calcare retico e scisti eocenici, si incontrò fra il calcare retico un grande ammasso colonnare di roccia gessosa, spora- 176 P. TOSO dicamente mineralizzata (si riconobbe coi lavori per 120 metri in di- rezione e per 60 metri in potenza senza incontrarne il limite). Anche esso, come i giacimenti cinabriferi, pare stato originato da emana- zioni metallifere, accompagnate da H;S, le quali, incontrando nel calcare cavernoso un bacino acquifero, dovettero raffreddarsi e de- positare il minerale, mentre contemporaneamente veniva solfatizzan- dosi il calcare per azione microbiolitica. La contemporaneità della formazione delcinabro colla sua ganga gessosa nei giacimenti del Monte Amiata, non potendo essere spiegata come effetto di reazioni chimiche ordinarie, perchè il cinabro richiede, come si disse, per la sua precipitazione di trovarsi in soluzioni neu- tre, mentre il solfato di calcio richiederebbe l’azione dell’acido so0l- forico, può essere citata come una prova non dubbia che molti gia- cimenti di solfati vennero prodotti da azioni microbiolitiche. Putizze. — Coll’ammettere che sorgenti endogene di. H. S attra- verso banchi calcarei producano la solfatizzazione del calcare col conseguente sviluppo di CO. meglio si spiega il perchè nelle putizze l'H; S sia frequentemente accompagnato da CO, anzichè col supporre, come fa il De Castro, che alle emanazioni preesistenti di CO: venne ad unirsi l’H, S formatosi dalla riduzione del gesso per mezzo di ipotetici idrocarburi contenuti nei giacimenti sedimentari attraversati dalle soluzioni cinabrifere. Ricchezza dei giacimenti cinabriferi în profondità — La solfatizza- zione del calcare per mezzo di bacteri, come pure l’ossidazione delle soluzioni cinabrifere, richiedendo la presenza dell’aria, ne deriva come conseguenza che, colla profondità, facendo essa sempre più difetto, diminuiscano sempre più le condizioni propizie per la precipitazione del cinabro, come pure per la formazione di vuoti entro i banchi marnosi e per il deposito di argille, necessarii per l’ accumularsi dei minerali cinabriferi; per il che colla profondità devono gradatamente isterilirsi anche i giacimenti del Monte Amiata: fatto questo che il Becker afferma succedersi in tutti i giacimenti conosciuti. Questo fatto al Monte Amiata si verificò nel ricco giacimento del Siele, dove si riconobbe che, alla profondità di 250 m. circa, le emanazioni endo- gene (tuttora attive) non produssero più depositi cinabriferi. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI GIACIMENTI CINABRIFERI DEL MONTE AMIATA 177 Secondo l’ipotesi di Spirek, le soluzioni solforiche essendosi for- mate in profondità, ed inoltre per la precipitazione del cinabro non essendo necessaria l'aria, non dovrebbe succedere il fatto ricordato da Becker cioè della sterilità dei giacinienti cinabriferi colla profondità. CONCLUSIONE. Scopo del presente scritto è di segnalare a coloro che s’interessano dei giacimenti del Monte Amiata che, considerando l’ ipotesi Spirek come la chiave a cui devesi ricorrere per ben interpretare quei giaci- menti cinabriferi, si possono trarre fallaci norme per le ricerche. Il giacimento del Cornacchino, per esempio, venne interpretato da] De Castro, basandosisull’ipotesi Spirek, come formato da tre tipi : 1. Ammassi di argille cinabrifere che s’incontrano nel calcare ; 2. Filoni o vene nelle ftaniti ; l 3. Ftaniti impregnate ; e ad essi egli attribuì i seguenti rapporti: « Il secondo tipo è naturalmente derivato dal primo, il terzo può « considerarsi come la differenzazione del secondo ». A me parve di dovere considerare le diverse concentrazioni ci- nabrifere del Cornacchino come un solo giacimento formato (come indica lo schizzo nella pag. 86, della più volte citata mia monografia) da correnti cinabrifere che in alcuni punti, a motivo della disposi- zione stratigrafica dei banchi permeabili di calcare e delle sottostanti ftaniti, invasero contemporaneamente tanto il calcare come le ftaniti, edinaltri invece arricchirono soltanto il calcare, oppure le sole ftaniti. Concludendo : Tutti i fenomeni che presentano i giacimenti cinabriferi del Monte Amiata trovano una facile spiegazione ammettendo semplice- mente che le emanazioni cinabrifere endogene, state disciolte nelle acque sotterranee, precipitarono il cinabro a misura che esse vennero verso la superficie a contatto coll’aria e con ciò gradatamente si ossi- darono i solfuri solventi del cinabro. Torino, settembre 1914. hg È pe LI. DOMENICO LOVISATO UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO con nuove specie di C/ypeaster del Miocene medio sardo Quando il Pomel dal 1885 al 1887 regalò alla scienza il suo splen- dido lavoro sugli echinodermi di Algeria, non mancarono i ricercatori di difficoltà a rimproverare a lui d’aver fatto tante specie nuove, particolarmente del genere C/lypeaster, del quale si conoscevano già così numerose specie per la Calabria mercè i lavori bellissimi del Se- guenza, nonchè per altre classiche località italiane, oltrechè per Malta e per l’interessante bacino di Vienna. Lo si accusò quasi di manìa di fare delle specie nuove in una famiglia, che presentava, è vero, grande polimorfismo, ma che egli per primo svelava alla scienza per una regione quasi assolutamente vergine di studio e che offriva a lui una quantità di tipi assoluta- ment? non conosciuti altrove. Quello, che allora è toccato al valente uomo per l’Algeria, pare debba toccare ora, se non peggio, a me per la Sardegna, isola già conosciuta scientificamente parlando per la classica opera del vene- rato Lamarmora, il quale, facendo miracoli pei tempi, in cui visse e studiò con tanta intelligenza d’amore l’isola nostra, abbracciando nelle sue preziose pagine tutta la geologia e la paleontologia, per non dire anche la mineralogia, di una terra fino allora quasi sconosciuta, non poteva però scendere a particolari descrizioni delle tanto numerose specie delle sue faune e delle sue flore, compito, che spetta a noi, ma compito, che ci viene più o meno facilitato dal prezioso lavoro del grande piemontese, imperituro monumento, ch’egli ha bene ele- vato a sè stesso. | 180 DOMENICO LOVISATO Per non essere sfruttato anche nello studio su tutti gli echino- dermi isolani riservai a me la parte riguardante i Clypeaster, pei quali, come ho già detto altrove, ebbi una predilezione speciale fino da quando soggiornai in Calabria (1), innamorato maggiormente in tale studio non solo dalla benevolenza, che ebbero per me il Cotteau, il Gauthier ed il Loriol, ma anche dai loro lavori, e specialmente poi da quello magistrale del Pomel. La lettura di quelle belle pagine e l’esame delle splendide figure del suo Atlante mi fecero forse esagerare l’interpretazione delle specie isolane : infatti devo confessare che non solo intravidi, ma perseverai anche per qualche tempo a vedere delle grandi affinità fra quella bella fauna echinologica affricana, studiata dal Pomel, e la nostra isolana, mentre non ne trovava che poca o punto con quella pur tanto interessante di Calabria, di Schio, delle colline di Torino, della conca benacense, dell'Umbria, del Miocene di Pianosa, ed, uscendo d’Italia, ma restando sempre nella zona mediterranea, con quella di Malta, di Barcellona e specialmente di Corsica. Però, prima a scemare, poi quasi a togliere in me questa idea delle grandi affinità fra le due faune echinodermiche affricana ed isolana, valsero gli studi, da me fatti dapprima a Sassari e poi qui a Cagliari, che includendovi nel suo sistema collinesco anche il pittoresco Capo di S. Elia, m’aveano offerto tanto materiale per gli echinodermi: nè posso a meno di manifestare una parola di riconoscenza al Gauthier, che nelle sue numerose ed interessanti lettere ha cercato sempre di farmi vedere che, se la fauna echinologica sarda poteva ammettere un certo numero di tipi in comune con quella affricana, in generale e nel complesso dei numerosissimi individui sardi, specialmente del genere l'Iypeaster, noi dovevamo vedere nettamente un tipo assolu- tamente speciale, nuovo e distinto per tale fauna, come effettiva- mente tutti gli studi successivi me l’hanno dimostrato. Curiosissimo poi il fatto che tanto il mare miocenico di Algeria, (1) Altre sperie nuove di Clypeaster del mincene medio di Sardegna. Boll. Società Geologica It., voli XXX (1911); pag. 459. UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 181 come quello di Sardegna, pur mostrando numerosissimi individui delle specie più grosse di Clypeaster, mancano tutti e due assolutamente di quel C. pyramidalis Mich., che il Cottreau nel suo voluminoso la- voro (1) vede, considerandolo come varietà del 0. altus Lk. insieme al 0. portentosus Desm., 0. alticostatus Mich., C. tauricus Desor, ecc., ma che finora si trovò con sicurezza soltanto a Mitterberg presso Baden nel bacino di Vienna ed in Calabria, pronto sempre a riconò- scere la presenza della gigantesca specie anche a Malta, quando il Cottreau ciavrà regalato la sua bella descrizione colle relative figure e non avrà specialmente dimenticato di dirci il numero dei tubercoli sulle costule delle zone porifere. In complesso abbiamo in Algeria ed in Sardegna una ricchezza straordinaria di Clypeaster con un immenso numero di specie nuove, ma queste distinte da quelle: nè dobbiamo meravigliarci di ciò, quando pensiamo che nella stessa Sardegna nel mare del Capo di Ca- gliari pullulavano specie differenti da quelle del mare di Sassari, il quale poi potrebbe sembrare identico a quello di Corsica, come avea pensato il Gauthier, ma che io considero alquanto differente, ciò che sarà dimostrato a dovere, quando saranno studiate a fondo e con coscienza le faune sarde e quelle dell’isola sorella, come altrove ho già accennato (2). Dunque tramontano per me oggi completamente quelle analogie, quelle affinità, che prima aveva voluto vedere fra i Clypeaster sardi e quelli nord-aftricani (3): dicasi altrettanto per le altre famiglie di echinidi isolani ed algerini. Si dice però e si crede dalla generalità che la fauna echinologica dell'Algeria, studiata e descritta dal Pomel per ricchezza, per rarità, per varietà, per bellezza e per numero di specie anche nuove sia su- (1) Les E-hinides néogènes du bassin Méditerranéen. Annales de l'Institut océanographique. Masson et C. Editeurs, 120, Boulevard Saint-Germain, Paris, 1913. (2) Da Cagliari a Thiesi. Altre specie nuove di Clypeaster miocenici. Palaeontographia italica. Vol. XVHI (1912); pag. 130 dell’estratto. (3) Altre specie nuove di Clypeaster del Miocene medin di Sardegna. Boll. Soc. Geol. It. Vol, XXX (1911); pag. 458. 182 DOMENICO LOVISATO periore a tutte le faune echinologiche finora conosciute sulla terra. Se ieri era forse questa una verità, non lo è più oggi in cui la Sar- degna mostra chiaramente di eccellere sopra tutte le regioni della terra conosciute pei suoi echinidi, superando quindi la stessa Affrica, almeno per gli studi finora fatti ed i risultati ottenuti. Sono i fatti che assicurano all’isola bella questo primato. Infatti, se noi consultiamo il superbo lavoro del Pomel, vediamo che sono 68 (non 69 come altra volta ebbi a stampare) (1) le specie di (/ypeaster dell’Algeria da lui descritte, delle quali appartenendo 6 a specie note: C. acuminatus Desm., 0. aegyptiacus Wright, €. alticostatus Desm., C. altus Lk., 0. crassicostatus Ag. e ©. intermedius Desm., sarebbero 62 le specie nuove, ma solo la metà cioè 31 sono figurate, quindi riconosciute come nuove per la scienza, e le altre non lo saranno mai, come ebbi già a stamparlo (2). Ora dei Clypeaster sardi ab- biamo che ben 35 Specie nuove sono già pubblicate e figurate, cioè un numero maggiore di quelle riconosciute del Pomel; e se a queste 35 aggiungiamo 14 specie nuove, che spero compariscano illustrate e figurate prossimamente in due delle nostre Riviste scientifiche (3), arri- viamo al bel numero di 49 specie nuove del genere ClIypeaster per la Sardegna, per la quale mi affretto aggiungere mi resteranno ancora a pubblicare più di 20 specie nuove, che faranno salire il numero delle specie nuove del solo genere Clypeaster a più di 70, numero che supera quelle d’Algeria del Pomel, che sarebbero 62 complessi- vamente, ma solo per metà cioè 31 figurate e quindi come ricono- sciute dalla scienza. Chiaro appare quindi come alla Sardegna tocchi il vanto di avere (1) Nuove specie di Clvpeaster miocenici sardi dal vulcano S. Matteo di Ploaghe per Nurecci e Senis alla regione Fraos nella Planargia e all’ amba del Capo della Frasca. Boll. Soc. Geol. It., vol. XXXII (1913); pag. 404. (2) Lavoro sopra citato e stessa pag. 404. (3) Altre specie nuove Ai Clypeaster, Scutella ed Amphiope della Sardegna. Rivista Italiana di Paleontologia, Anno XX, Fase. III-IV, 1914. — ibularidi e Clypeastridi miocenici della Sardegna. Bollettino della Società Geologica Italiana, Vol. XXXIII, 1914. UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 183 il maggior numero di specie nuove del genere Clypeaster, e, non credo troppo amore m’inganni, affermando come quando saranno studiate bene non solo tutte le altre famiglie di echinodermi, ma anche di tutte le altre faune ed anche flore, si vedrà come la Sardegna eccella sulle faune e sulle flore di tutte le regioni finora eonosciute della terra, come altre volte ebbi già ad accennario. Ed ora passiamo alla descrizione di alcune altre specie nuove di Clypeaster, non solo per la Sardegna, ma anche per la scienza. Alla fine della mia Memoria (1) accennava ad una quarantina circa di Clypeaster di taglia dalla piccola alla grande, portanti non più di 5 tubercoli sulle costule delle loro zone porifere, ma presentanti ca- ratteri così differenti fra loro da doverli separare in gruppi diversi, comprendenti forse anche varie specie nuove. Non ripeterò qui i carat- teri differenziali presentati da quel bel numero d’individui, che do- manderebbero tante separazioni in gruppetti speciali; comincerò invece dal separare quelli, che presentano linea nettamente o solo lievemente convessa, quindi quasi linea retta al periprocto, dagli altri, che presso lo stesso portano quella linea concava, e che sono in numero minore, e pei quali oggi non solo pei tanti caratteri differenziali, che presen- tano, ma anche per la difficile lettura dei loro tubercoli sulle costule delle loro zone porifere non voglio precipitare nelle mie diagnosi, non desiderando osservazioni neppure per parte del Cottreau, che bramo far contento colle mie pagine. Sicchè ridurrò le mie osservazioni ad una dozzina di essi, che per ora, se non riferisco ad una stessa specie, appartengono a specie molto affini. Fra essi trovo alcuni, che, se avessero gli orli più sottili, pel contorno specialmente, ma anche pei principali caratteri si potreb- bero nettamente riferire al C. Oberdani, unica specie nuova fra Je descritte presentanti 5 tubercoli sulle costule delle zone porifere, e deriverebbero questi per la maggior parte dal bacino di Ploaghe, mentre il vero 0. Oberdanîi l’abbiamo trovato nel calcare a lithotham- nium sopra Montigu Biancu della fallada de sa funtana di Thiesi, (1) Memoria ultima citata; pag. 5601. 184 DOMENICO LOVISATO sempre in provincia di Sassari ed a non molta distanza dal bacino di Ploaghe. Uno però dei Clypeaster di questo gruppo, il più allun- gato di tutti, ma schiacciato, rotto, depresso, derivante dai banchi arenosi, alternanti coi calcari marnosi, che si veggono alla fine di Badde Crapolu per arrivare a Logulentu (Sassari), più di tutti del gruppo, anche pei suoi orli, s'avvicina al C. Oberdani, alla quale specie era tentato riportare anche un esemplare, un po’ difettoso, ma però così conservato da essere bene determinabile, derivante dai tufi vulcanici di Fontanazza al mare delle miniere di Montevecchio, già erroneamente determinato dal Cotteau come €. crassicos'atus Ag., ma è un po’ troppo alto e poi la sua faccia inferiore si presenta pei primi due terzi dagli orli quasi piana, per scendere poi rapidamente a formare il peristoma molto più profondo che non sia nel vero 0. Ober- dani: in ogni modo questo individuo nella mia collezione compare come €. cfr. Qberdani Lov. Quanto agli altri per la troppa variabilità dei loro caratteri si dovrebbero fare varie specie nuove, se non diverse varietà, ma non voglio precipitare colle mie diagnosi, non tanto perchè io tema le giuste osservazioni, che mi verrebbero fatte dai cultori di questa fauna, quanto perchè desidero francamente che le specie nuove fatte e da farsi per la Sardegna, siano stabilite con tali caratteri da non poter essere confuse con specie conosciute e trovate in altre regioni della terra. Ed ora passiamo alla descrizione di alcuni Clypeaster, appartenenti a specie nuove. Olypeaster Sellai Lov. (tav. fig. 1 a-d). e Appartiene l'individuo, che riferisco a questa specie, ad un tipo speciale, piuttosto alto : è nettamente pentagonale, a margini quasi tutti egualmente sottili, però molto flessuosi. E’ di taglia grande, misurando 133 mm. in lung., 123 in larg. e 37,b in altezza. I petali, netta- mente romboidali, sollevati, aperti alle loro estremità, sono approssima- tivamente i ?/, del raggio (tav. fig. 1 a): le zone porifere larghe ed aperte alle loro estremità inferiori portano sulle costule da 7 ad 11 tu- bercoli piccoli ed a non eguale distanza fra loro (tav. fig. 1 d). UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 185 Cupula petalica sollevata da !/; circa dal raggio all’apice, che è rotondo e niente affatto incavato (tav. fig. le). La faccia inferiore sembra quasi piana, mentre invece l’abbiamo in una dolce linea convessa, che dagli orli va ad unirsi all’altra parte, che precipitosamente in prossimità del centro scende a formare il piccolo, ma profondo peristoma coi solchi ambulacrali marcatissimi : il periprocto è grande, circolare e distante quanto il suo diametro dall’orlo, il quale si presenta in linea convessa, che, dopo lievi concavità, va a formare le parti at- tondate dell’estremità dei petali posteriori (tav. fig, 1 bd). Qualcuno ha voluto vedere nel bell’individuo descritto un €. in- termedius, ma vi si oppongono i troppo numerosi tubercoli sulle co- stule delle zone porifere, e poi quasi tutti i caratteri della sua faccia inferiore: nè al Gauthier, che l’ebbe in comunicazione, mentre non l’avea potuto avere il Cottexu, è passato neppure per la mente di avvicinarlo allo stesso ©. intermedius, ma nettamente mi scriveva appartenere il conservatissimo individuo a chiara specie nuova, che dedico a Quintino Sella, all'uomo dal carattere adamantino, al figlio delle Alpi, che non tralignò dall’indole generosa e forte degli Alpi- giani, al valentissimo scienziato, che mai dimenticò la patria. Raccolsi l'esemplare nel calcare miocenico compatto ad ittioliti e ad Amphistegina depressa d’Orb. della sponda sinistra del Rio Mannu, passato il ponte romano di Portotorres. Clypeaster Meneghinii Lov. (Tav. fig. 2a-d). E’ individuo di taglia dalla media alla grande, misurando 126 mm. in lunghezza, 112 in larghezza e 22,5 in altezza, quindi molto basso. E° di forma pentagonale, allungato in avanti, ad angoli attondati e ben flessuoso, specialmente fra le due paia di petali: questi sono rom- boidali, cilindroidi, aperti inferiormente, non larghi, ma allungati, superando i */ dello spazio fra l’apice e l’orlo, arrivando l’impari, che è il più lungo, a 49 mm. essendo quella distanza di 70 mm.:; vengono poi per lunghezza i due posteriori 6 poi i due anteriori, su- peranti sempre la distanza dei ?/3 dall’apice all’orlo (tav. fig. 2a). E° rimarchevole per la sottigliezza dei suoi margini. Faccia superiore 186 DOMENICO LOVISATO assai leggermente convessa nella regione petalica, che si eleva lieve- mente da un terzo dall’orlo all’apice (tav. fig. 20). Apice appena incavato. Zone porifere piuttosto larghe, appena arcuate, quindi bene aperte alle loro estremità, un pò depresse, particolarmente dopo la loro metà per presentarsi colà un pò gibbose le zone interambulacrali; esse portano sulle costule, sebbene sieno quasi tutte molto erose, da 5 a 7 tubercoli, piuttosto piccoli ed a non eguale distanza fra loro (tav. fig. 2d). La faccia inferiore non la possiamo dire assoluta- mente piana, perchè presenta una assai lieve incurvatura di discesa al peristoma dopo i *, dall’orlo al centro (tav. fig. 2b): il peri- stoma sembra largo, se si deve giudicare da due orli, che restano in- tatti, mentre gli altri sono mancanti, quindi non potremo ascrivere il nostro nuovo individuo agli Stricteinfundibulati: periprocto circo- lare, grande ed a una distanza dall’orlo che eguaglia il suo diametro : l’orlo al periprocto si presenta quasi in linea retta, la quale, dopo 14 mm. formando due incurvature concave, va a congiungersi agli orli delle zone attondate dei petali posteriori. Pel suo contorno, per la sua estrema bassezza, per la sottigliezza dei suoi margini, per la sua faccia inferiore quasi piana ben si po- trebbe ravvicinare al C. tesselatus Pomel, ma ne differisce per tutti gli altri caratteri e specialmente per quelli dei petali. Forse anche si potrebbe rassomigliare al ©. crustulum Mich., ma in questo la sua forma è quasi rotonda, mancandovi qualunque genere di flessuosità, e poi i petali sono ancora troppo corti, le zone porifere sono falci- formi, accennando quasi a chiudersi e portano sulle costule da 8 a 9 tubercoli ravvicinati fra loro, quindi non possiamo assolutamente paragonare il nostro esemplare colla specie di Michelin di Mérida (Yucatan). Per la forma, per la sua cupula petalica, per la linea al periprocto, se non per le dimensioni, che sono maggiori, si potrebbe in qualche modo pensare ad una certa rassomiglianza del nostro bel- l’individuo col C. placunarius Ag., la Scutella placunaria del Lamarek del 1816 e del Desmoulins del 1837, ma vi fanno difetto i caratteri dei petali, delle zone porifere, dei tuberculi sulle costule ed altri ca- ratteri ancora. UNDICHSIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 187 Non trovando quindi nessuna altra specie, alla quale si possa identificare od almeno ravvieinare il nostro esemplare descritto ne faccio una specie nuova, che dedico al benemerito professore Giuseppe | Meneghini, l’autore della Paléontologie de Vile de Sardaigne, in collabo- razione col venerato Lamarmora nel classico lavoro sulla Sardegna, e che tante altre belle pagine ci ha regalato per l’illustrazione dell’isola bella. Deriva il nostro C. Meneghinii dal Miocene medio, che s’incontra andando dal Monte delle Domos de Gianas ad oriente di Torralba (Sassari) a Monte Zarau, ma purtroppo anche questa bella nuova specie è rappresentata da un unico esemplare. Clypeaster Morisi Lov. (Tav. fig. 34-d). Anche questa specie è pur troppo rappresentata finora da un solo individuo, rassomigliante per alcuni caratteri, come quello della sua poca elevazione al precedente, ma più piccolo e non allungato in avanti, però con altri caratteri, che lo affermano quale specie nuova. E’ di taglia media ed avrebbe superato di qualche cosa i 110 mm. nella sua lunghezza, essendo un po’ rotto al periprocto ; la sua lar- ghezza è di 108 e la sua altezza di 21,5: è subpentagonale, attondato, ma meno flessuoso del precedente. Petali sollevati relativamente alla bassezza dell’individuo, non lunghi, essendo inferiori ai */3 del raggio, romboidali (tav. fig. 3a): zone porifere larghe, alquanto falciformi, hanno la tendenza a chiudersi, sono un po’ depresse, sia per l’eleva- zione dei petali, che per le lievi gibbosità delle zone interambulacrali : le costule più larghe e più lunghe delle zone porifere portano da 7 a 10 ed anche su qualcuna 11 tubercoli piccoli ed a non eguale di- stanza fra loro (tav. fig. 3d). Cupula petalica bassa, elevantesi non uniformemente, giacchè mentre dall’orlo su pel petalo impari si solleva quasi in linea lieve- mente convessa, avviene che dalla parte opposta si sollevi solo dalla estremità dei petali all’apice, che è largo e non incavato (tav. fig. 3c). Gli orli sono meno sottili che nel C. Meneghinii, specialmente quelli della parte anteriore. La faccia inferiore anche in questa specie sembra piana, mentre a lievissimo piano inclinato scende fino dagli orli al 188 DOMENICO LOVISATO centro per formare il peristoma non grande e pentagonale (tav. fig. 35). Sul periprocto, che non si vede, nulla posso dire, come con A certezza nulla posso affermare sulla linea all’orlo di questo, ma che per tutte le apparenze mi sembra di poter dire concava. Dalla descrizione si è potuto vedere nettamente come pel contorno dell’individuo, per la forma e dimensioni dei suoi petali e specialmente pel numero dei tubercoli sulle costule delle zone porifere si distingua nettamente dall’individuo precedente. Ma fra le nuove specie isolane noi troviamo il C. Mamelii, il quale porta sulle costule delle sue zone porifere da 8 ad 11 tubercoli piccoli come nell’ultimo descritto, però il tipo n’è assolutamente diverso a cominciare dalla sua forma quasi ellittica, dai petali che sono lunghi, cilindroidi, per finire alla faccia inferiore convessa, che scende a formare la cavità peristomatica, molto aperta, larga ed infundibuliforme, mentre nel l. Morisiî abbiamo la faccia inferiore, che appare quasi piana. Anche il 0. melitensis Mich. arriva nelle sue zone porifere ad avere fino 11 tubercoli, ma prescin- dendo anche dalle dimensioni dell'esemplare di Neudorf (Austria), che sono molto maggiori che nel nostro, la descrizione di questa specie di Malta, fatta dal Michelin, è così incerta, che non possiamo assolu- tamente parègonare il nostro individuo col C. melitensis. E non tro- vando alcuna specie fra le descritte e figurate dai nostri sommi echi- nologi, cui poter rapportare il nostro nuovo esemplare, ne faccio una specie nuova che dedico al valente botanico prof. Giuseppe Moris di Orbassano (Piemonte), al quale ;la Sardegna deve la sua splendida « Flora Sardoa» nei tre volumi che si stamparono successivamente il 1837, 1843 e 1359. Deriva dal Miocene medio dell’agro Ploaghese. Clypeaster Menottii Lov. (Tav. fig. 4a-d). Appaitiene anche questo esemplare al tipo dei Clypeaster de- pressi come i due precedenti e pel suo contorno si potrebbe confon- dere proprio col C. Morisi, di tipo quasi rotondo, senza sensibili flessuosità, potendolo dire tutto al più di forma subpentagonale. fi cari 4 À UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 189 La sua lunghezza, tenendo conto dell’orlo mancante all’estremità del petalo impari, sarebbe di 114 mm., la sua larghezza di 105 e la sua altezza di 23,5: orli sottili come nel precedente, un po’ meno quindi che nel C. Meneghinii. Cupula petalica regolarmente elevantesi in tutta la faccia superiore, quasi dalla metà degli orli all’apice (tav. fig. 4c) molto ristretto e non depresso. Petali romboidali, larghi, ma corti essendo di parecchio inferiori ai */ del raggio : sono più gibbosi che nelle due specie precedenti le zone interambu- lacrali e quindi le zone porifere, che sono ristrette, appariscono al- quanto incavate, per quanto poca sia l’elevazione dei petali (tav. fig. 4a): queste zone porifere, aperte alle loro estremità, portano da 6 a 9 tubercoli piecoli ed a non eguali distanze fra loro (tav. fig. 4d). Faccia inferiore molto convessa, piegandosi ben presto le 5 zone per andare a formare il larghissimo e profondo peristoma, essendo molto bene marcati i 5 solchi ambulacrali. Periprocto grande, ellittico € distante dall’orlo più che non sia il suo maggior diametro : sebbene l’orlo sia un po’ scheggiato in vari punti, dobbiamo dire che la linea al periprocto è leggermente convessa (tav. fig. 4b). L'individuo po- trebbe essere molto meglio polito dalla roccia, che 1 involgeva nella sua parte superiore, ma non ho vo'uto farlo per la quantità e bellezza di serpule, che incrostano in vari punti questa sua parte superiore. L'individuo descritto, un pochino più alto dei due precedenti, non potrebbe essere con essi confuso specialmente pel carattere del peristoma larghissimo e profondo, ma per questo ampio peristoma, pel numero dei tubercoli sulle costule delle zone porifere e per la sua taglia sono stato qualche tempo in forse d’attribuirlo al C. Mic- cai, dal quale però si differenzia non solo per la sua cupula petalica, che si solleva quasi uniformemente dagli orli e per essere largamente troncata all’apice, nonchè pei margini più grossi, ma anche per avere il periprocto più lontano dall’ orlo e questo nettamente concavo, ciò che non avviene nel C. Menottii. Anche il Cc. Im- brianii porta da 8 a 9 tubercoli sulle costule delle zone porifere, ma è assolutamente diverso per la sua taglia, pel suo contorno, per la lunghezza dei suoi petali, ma specialmente per la forte gibbosità 3 190 DOMENICO LOVISATO delle zone interambulacrali, nonchè pel suo periprocto più grande, più marginale e con ardita curva convessa ad esso, oltrechè pei suoi margini che sono grossi. E non trovando nessuna altra specie fra le descritte e figurate, cui poter paragonare l’individuo, testè deseritto, ne farò un’altra specie nuova, che dedico alla bella figura di Ciro Menotti, che il 26 maggio 1831 lasciava la vita sulla forca a Modena, in olocausto alla patria. Deriva questo 0. Menottii dal calcare breccioso ad ittioliti e ci- dariti del Miocene medio della regione Canales sotto Suni e presso Modulo nella Planargia (Bosa). Riferisco a questa stessa specie un frammento di Clypeaster, mo- strante nettissimo il periprocto col suo bell’orlo al margine sottilissimo, ed anche il peristoma con parte dei petali nelle cui zone porifere si leggono i tubercoli da 7 a 9, e che raccolsi nei grès aquitaniani sotto i calcari di Monte Oltana presso Laerru nell’ Anglona in pro- vincia di Sassari. Clypeaster Morosinii Lov. (Tav. fig. 5a-d). E’ altro individuo appartenente alla sezione dei Clypeaster de- pressi, come i tre precedenti, sebbene sia alquanto più alto, arrivando quasi ai 26 mm. : pel contorno generale, quantunque di dimensioni alquanto maggiori, e specialmente per la sua faccia inferiore col suo ampio peristoma ed anche pel suo periprocto, lo si potrebbe credere della stessa specie del 0. Menottii, ma ben lo differenziano nettamente da esso i caratteri della sua faccia superiore e particolarmente la cu- pula petalica coi suoi petali. Misura 118 mm. in lunghezza, 108 in larghezza e quasi 26 in altezza : è subpentagonale, non flessuoso, ben attondato agli angoli dei petali: margini piuttosto grossi ed in ogni modo alquanto di più che non lo sieno nelle tre specie precedenti. Cupula petalica, netta- mente sollevantesi da circa un terzo del raggio dall’ orlo per andare a formare l’apice largamente troncato ed incavato (tav. fig. 5c): petali lunghi, superanti i */, del raggio, ristretti, dattiliformi, bene 5) sollevati (tav. fig. 5a): zone porifere larghe, alquanto falciformi, UNDICESIMO CONTRIBUTO ECHINODERMICO 191 con qualche accenno a chiudersi, seguono la curva scendente dei pe- tali, e, non essendo le zone interpetaliche niente affatto gibbose, formano cinque curve concave, che si prolungano fino all’apice: le costule portano da 6 ad 8 tubercoli grandi, ma irregolarmente se- guentisi per le distanze (tav. fig. 54). Per la faccia inferiore ras- somiglia al 0. Menottii pel suo vasto peristoma, ancora più svasato, pel suo periprocto grande, ma un po’ corroso e per la linea lieve- mente convessa all’orlo del periprocto (tav. fig. Db). Presenta una certa compressione ai suoi orli, ma questa compressione non può infirmare gli altri caratteri. Dal Cotteau e dal Gauthier fu ascritto al 0. intermedius, ma non può appartenere a tale specie non solo per la sua faccia inferiore, ma anche per la forma e la larghezza dei petali, per essere più chiusi, per la loro elevatezza e ristrettezza e pel numero dei tuber- coli nelle zone porifere, oltrechè per essere così basso. Non possiamo paragonarlo col 0. Gustavi, che porta lo stesso numero di tubercoli sulle costule delle zone porifere, specialmente per essere quello un Alticostato: neppure possiamo paragonarlo col €. Isseli, portante lo stesso numero di tubercoli, perchè anche questa specie s° avvicina agli Alticostati e poi la faccia inferiore è quasi piana. E non essen- dovi alcuna altra specie di C7ypeaster fra quelle, che si conoscono, che si possa rassomigliare e ravvicinare al nostro, credo bene di farne un’altra specie nuova, che dedico ad Emilio Morosini, all’im- pareggiabile giovinetto, detto dai suoi compagni il loro angelo cu- stode, e che a Villa Spada il 30 giugno 1849 dava eroicamente la sua vita alla patria a soli 18 anni. Proviene il bell’individuo descritto da una specie di grès calcare argilloso del Miocene medio della regione Pilaghe (d) e Badde di Pozzomaggiore (Cagliari). Clypeaster Dandoloi Lov. (Tav. fig. 6a-d). E’ altro individuo, erroneamente determinato dal Cotteau e dal Gauthier come 0. intermedius, ma formante invece altra specie nuova. E° di taglia dalla media alla grande, raggiungendo 118 mm. in lun- 192 DOMENICO LOVISATO ghezza, 113 in larghezza e quasi 31 in altezza: è subpentagonale, attondato, senza alcura inflessione, più ancora del 0. Menottii, col quale ha alcuni caratteri in comune, co me quello degli orli assotti - gliati, del peristoma, del periprocto e dei petali corti, infatti essi sono inferiori di °/; del raggio, sono romboidali, sollevati, ristretti : l’apice è largamente troncato ed alquanto incavato (tav. fig. 6a): cupula petalica nettamente sollevata dagli orli, formando curva mag- giormente convessa verso l’orlo della parte posteriore (tav. fig. 6c). Le zone porifere non sono molto larghe, accennano tutte a chiudersi alla loro parte inferiore e quindi sono alquanto falciformi e portano da 5 a 7 tubercoli non grandi ed a non eguale distanza fra loro (tav. fig. 64), uno dei pochi caratteri pei quali potrebbe essere con- fuso col C. intermedius, cui l’aveano riferito Cotteau e Gauthier. Le zone infrapetaliche sono un po’ gibbose, specialmente ai °/; della loro salita. La faccia inferiore, lievissimamente convessa verso gli orli, s’abbassa fortemente ben presto per andare a formare il lar- ghissimo peristom profondo, come nel C. Menottii e nel C. Morosimi : il periprocto è grande come in quelli, ma più allontanato dal mar- gine, distando da quello 6 mm.; anche la linea al periprocto è più convessa, che in quelli (tav. fig. 66), coi quali però ha marcatissimi i solchi ambulacrali. Questi ultimi caratteri, se non fosse anche l’altro eloquentissimo dei margini sottili, basterebbero da soli a sottrarlo dal C. intermedius. Non trovando alcuna specie fra le conosciute, cui poterlo identificare o ravvicinare, e non potendo essere un C. intermedius, come era stato prima da altri determinato, ne faccio altra specie nuova, che dedico al valoroso capitano Enrico Dandolo, che, eroicamente combattendo cadeva a; Villa Corsini a Roma il 3 giugno 1849. Deriva il bell’esemplare dai caleari e grès dal Miocene medio al miocene inferiore di Peschin’ Appiu presso la spiaggia di S. Cate- rina di Petinurri alle falde occidentali del Monte Ferru. Cagliari, 22 novembre 1914. Boll. R. Com. geol. d’Italia, Vol. XLIV. D. LOVISATO. Contributo echinodermico. DANESI - ROMA SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. la-d. Clypeaster Sellai Lov. 2a-d. Clypeaster Meneghinii Lov. 3a-d. Clypeaster Morisi Lov. 4a-d. Clypeaster Menottii Lov. 5a-d. Clypeaster Morosinii Lov. 6a-d. Clypeaster Dandoloi Lov. Tutte le figure, salvo le porzioni delle zone porifere ingrandite, sono ridotte alla metà della grandezza naturale. INA, BEEnOcRDt SULLA QUESTIONE DEL TERZIARIO DELL’UMBRIA Grazie ad un’importante contributo apportato dal dott. P. Prin- cipi, con una sua recente nota (1) pubblicata nel Bollettino della So- cietà geologica italiana, la controversa questione sulla età della for- mazione marnoso-arenacea dell’ Umbria dovrebbe ormai ritenersi definitivamente risolta e a questo risultato dovremmo ritenerei arri- vati non tanto pel valore intrinseco delle sue osservazioni, precise e particolareggiate, istituite sopra un’area circoscritta, ma di notevole estensione, ad ovest di Perugia, quanto perchè le sue conclusioni, salvo su qualche punto di non capitale importanza, collimano perfet- tamente con quelle cui io ero giunto in alcune mie ultime pubblica- zioni fatte in questo Bollettino. Le mie osservazioni relative alla questione che ci occupa sono comprese sotto il titolo generico di « Relazione sulla campagna geo- logica dell’anno 1911 » e « Relazione sulla campagna geologica del- l’anno 1912 » e fanno parte rispettivamente del fasc. 1°, vol. XLIII e del fasc. 1°, vol. XLIV di questo periodico. E stato quindi cer- tamente per causa di questa genericità del titolo che al dott. Prin- cipi, sono sfuggite, ma ciò infine è ridondato a vantaggio della verità, venendo così ad essere esclusa ogni idea preconcetta nel dott. Prin- cipi, il quale, appunto per ciò, nella sua nota ha dovuto combattere certe mie precedenti conclusioni da me poi abbandonate, come dirò (1) P. PRINCIPI. Alcune considerazioni sul Terziario dell'Umbria. (Boll. Soc. Geol. It., XXXIII, 1914). 198 B. LOTTI formazione marnoso-arenacea, dove essa passa alle marne dure con selce nera e alla scaglia cinerea, ed anche nelle stesse marne dure. Le località nelle quali comparirono in maggior copia sono: Piediluco, Visso, Nocera, Fossato, Gubbio e Valfabbrica (1) e sempre a pochi metri di distanza dolla scaglia cinerea. Un dissenso un po’ grave esiste tra le mie osservazioni e quelle del dott. Principi inquantochè egli segnala i calcari 2 Lepidocyclina, Orthophragmina, ece., nella formazione arenacea superiore alle argille scagliose, ed è perciò che egli attribuisce all’Oligocene quel terreno. Io non contesto la presenza di quei calcari a foraminifere in detta formazione, sebbene non ve li abbia trovati, ma io quei calcari li ho trovati sempre el in abbondanza nella formazione marnoso-arenacea sottostante alle argille scagliose e di preferenza alla base di essa, poco sopra all: marne dure con selce. Nei letti marnosi compresi fra questi banchi calcarei a forami- nifere ho trovato gli pteropodi el altri fossili ritenuti miocenici (2). La serie del Terziario inferiore dell'Umbria è, secondo le mie 05- servazioni, la seguente: Pocene superiore (od Oligocene?). — Arenaria superiore, cui in Toscana co:rispondono i calcari marnosi ad Helminthoida. I passaggi laterali dall’una all’altra formazione furono da me osservati e studiati nel Casentino (3). Bocene superiore. — Argille scagliose o scisti argillosi policromi con banchi nummulitici e masse serpentinose. Focene medio. — Formazione marnoso-arenacea con banchi di calcare a foraminifere ( Lepidocyclina, Gypsina, Miogypsina, Qrthophra- gmina, Heterostegina, Amphistegina) fra i quali stanno letti di marne con pteropodi ed altri fossili. (1) B. LoTTI. Relaz. sulla camp. geol. 1912 (Boll. Comit. geol. 1913-14, pag. 11, lo e 16). (2) B. LoTTI. Loc. cit. pag. ll. (3) B. LoTTI. Inocerami nell’Eocene del Casentino (Boll. Comit. geol. 1896) e Studi sull’Eocene dell'Appennino Toscano (Ibid., 1898). SULLA QUESTIONE DEL TERZIARIO DELL'UMBRIA 199 Eocene inferiore. — Scaglia cinerea od argillosa con nummuliti del Luteziano e del Su-ssoniano (Prever) (1). Ed ora per finire veniamo al punto più importante della con- troversa questione sulla esistenza del Miocene nell’ Umbria. Come si sa, e come giustamente ricorda il dott. Principi, in nu- merose località dell'Umbria settentrionale e centrale, compariscono dei banchi di calcari, arenarie e conglomerati con Pecten, Ostrea el echinidi di specie, a quanto pare, decisamente mioceniche. Queste rocce riposano sempre sulla formazione marnoso-arenacea e la somi- glianza di esse, specialmente dell’arenaria, colla formazione sottostante non che la loro apparente reciproca concordanza, almene in molti punti, aveva indotto in me la convinzione che tali rocce fossilifere facessero corpo colla formazione marnoso-arenacea e quindi sostenni per molto tempo che esse pure, come quest’ultima, ad onta dei fossili racchiusi dovessero attribuirsi all’Eocene. Del resto, per la stessa ragione di tale apparente intimo legame fra le due formazioni, vari geologi e specialmente paleontologi sostennero che la formazione marnoso - arenacea dovesse attribuirsi al Miocene medio. Di qui la questione. Ma le più recenti mie osservazioni, poichè in me il problema si è andato distrigando col progredire dei lavori di rilevamento, mi por- tarono a conclusioni affatto diverse. « Un curioso fenomeno » io scrissi (2) « che forse potrà dar la chiave per la risoluzione di questo problema dell’Umbria, è offerto in questi dintorni (bacino presso la confluenza della Rasina e del Chiascio) da una roccia conosciuta sotto il nome di conglomerato di Schifanoia di cui molti autori, fra i quali Verri, De Stefani, Bonarelli ed altri, hanno già fatta menzione. E’ questa roccia formata da una arenaria grossolana e da una puddinga i cui elementi provengono in parte da rocce della formazione marnos9-arenacea, in parte dalle argille (1) B. LortI. Rilevamento geologico nell'alta Valnerina (Boll. Comit. geol., pag. 40). (2) B. LorTI. Relazione preliminare sulla campagna geol. dell'anno 1911. (Boll. Comit. geol. 1912, pag. 23). IV. VITTORIO NOVARESE IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA e nelle valli del Canavese PARTE II.(!) Il ghiacciaio wiirmiano della Val d’Aosta. In Val d’Aosta non si conoscono terreni quaternarii anteriori al Wiirmiano, nè, data l’imponenza dell’ espansione glaciale di tale età, sembra probabile se ne possa rinvenire qualche lembo, analogo 4 quelli descritti per le valli della Chiusella e dell’Orco, nella prima parte del presente lavoro. Il documento più evidente dell’ultima grande espansione gla- ciale nella valle si trova al suo sbocco nel magnifico anfiteatro di Ivrea, che dimostra colia regolarità e colla potenza delle sue morene come nella fase culminante dell’età wirmiana il ghiacciaio valdo- stano abbia avuto un lungo periodo di equilibrio, del quale in- dubbiamente debbono essere rimaste anche traece entro valle. Queste tracce esistono realmente, come dirò, e sono importantissime per la storia del ghiacciaio, ma quantitativamente sono così subordinate di fronte all'enorme massa delle morene deposte durante la fase di ritirata o Postwirmiano, che la loro distinzione e delimitazione è spesso tutt'altro che facile. Tuttavia per lo studio del Quaternario valdostano il distin- guerle è indispensabile, perchè dalla determinazione delle morene (1) Vedi Parte I, vol. XLII, 1911, fasc. 49, pag. 251. 204 VITTORIO NOVARESE - wirmiane propriamente dette dipende la ricostruzione del profilo del ghiacciaio che le ha abbandonate, elemento fondamentale per inter- pretare i depositi successivi e riconoscere gli eventuali stadii nella fase di ritirata. CENNI BIBLIOGRAFICI. z È All’infuori di parecchi accenni in varii seritti del Gastaldi, una buona ed accurata descrizione dei terreni quaternarii entro la valle di Aosta, fondata sulle osservazioni compiute durante il rilevamento geologico della provincia di Torino, si trova in due lavori del pro- fessor Martino Baretti, pubblicati a grande intervallo di tempo l'uno dall’altro (1). L’opera del Baretti ha però un difetto di origine, non veramente imputabile all'autore, il quale, operando sul terreno anteriormente | al 1883, non ha potuto servirsi delle nuove carte topografiche dell’I. G. M., ma ha dovuto usare la vecchia carta sarda al 50,000, ottima pei suoi tempi, ma spesso notevolmente imperfetta per quanto ] si riferisce all’altimetria. Le indicazioni di altezza dei varii depositi morenici e delle altre tracce glaciali sono perciò tutte sbagliate, talora di più centinaia di metri in meno, il che ha indotto il Baretti nell’errore di assegnare al ghiacciaio quaternario dimensioni, e prin- cipalmente potenza, di altrettanto inferiori alla realtà. Inoltre il secondo lavoro, del 1893, è stato scritto molti anni dopo le operazioni sul terreno e vi abbondano gli errori di memoria. Ciò all’infuori di quanto è dovuto della ferma credenza del Baretti in una espansione glaciale unica, circostanza però di poco rilievo per il Quaternario entro valle, quasi esclusivamente wirmiano o recente. La descrizione del Baretti, sebbene sia poco più di una rassegna x di lembi morenici, è nel suo complesso buona; descrivere di nuovo (1) M. BaRETTI. — Studi geologici sul gruppo del Gran Paradiso. Mem. presentata dai soci SELLA e STRÙWER nella seduta del 7 gennaio 1877. Atti della R. Ace, dei Lincei. Anno OCLXXIV (1876-77). Serie TIT. Mem, della Classe Sc. Fis. Mat. e Nat. Vol. I, pag. 195. Roma 1877. Cap. VIII, pag. 288. Ip. — Geologia della provincia di Torino. Torino, Casanova 1893, pag. 350. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 205 tutti i terreni quaternari della valle per rettificare le mende ac- cennate è ora del tutto superfluo, perchè a ciò provvedono larga- mente i fogli 27, 28, 29, 41 e 42 della Carta geologica d’Italia, ri- levata dal R. Ufficio Geologico (1) di recente pubblicazione. Per lo scopo particolare del presente lavoro, siccome mi limiterò a parlare di quelle morene od altre tracce ed indizi atti a ricostruire nelle sue linee generali la storia del grande ghiacciaio valdostano dal Wiirmiano in poi, rettificherò quegli eventuali errori del Baretti solo in quanto sarà strettamente necessario. Non mi consta che il geometra Luigi Bruno, così diligente in- dagatore dei fenomeni quaternari abbia mai pubblicato una descri- zione del glaciale entro valle della Dora Baltea. Però in una sua nota intorno al fenomeno glaciale in essa valle, (2) sono non pochi accenni intorno alle dimensioni del ghiacciaio quaternario che dimostrano come egli, forse per le stesse cause, fosse nell’identico ordine d’idee del Baretti, perchè cade negli stessi errori dî dimensioni attribuendo al ghiacciaio una potenza massima dagli 800 ai 900 m., ed una lar- ghezza di 2 km. alla superficie superiore, mentre il ghiacciaio giunse ad avere circa 1300 m. di potenza, ed una larghezza minima, nel suo corso inferiore, di 5 km., dimensioni che risultano da tracce ed indizi che certamente il Bruno conosceva al pari del Baretti. Questo lavoro del Bruno è però importante sotto parecchi ri- spetti e dovrò citarlo nel seguito. CONSIDERAZIONI TOPOGRAFICHE. Nello studio dei fenomeni glaciali quaternari della valle d’Aosta bisogna tenere sempre presente una circostanza, spesso trascurata 0 dimenticata per quanto ovvia. 1l grande ghiacciaio quaternario valdo - (1) In tali fogli però, per non complicare la già molto ricca scala dei colori i terreni wilrmiani e post-wilrmiani soro rappresentati da una sola tinta, bastando nel maggior numero dei casi la posizione topografica a distinguerii. (2) L. Bruno. — Studi intorno al fenomeno glaciale nella vallata della Dora Baltea. Rivista geografica italiana. Anno ]V, fasc. V-VI, maggio-giugno 1897, pag. 332. 4 an ie. - î = ui ei. Re > vo» 206 VITTORIO NOVARESE stano è stato un ghiacciaio polisintetico costituito non da un solo ghiacciaio principale e da molti tributari subordinati, quasi espansione pura e semplice dei ghiacciai attuali del Monte Bianco, ipotesi sempre implicita, e spesso ingenuamente dichiarata negli scritti del Gastaldi, del Baretti, del Bruno e dei loro seguaci, ma essenzialmente dal con- corso di tre grandi correnti complesse di ghiaccio press’a poco equiva- lenti, e da un certo numero di grandi tributarii semplici, oltre a nu- merosi di minor conto. Queste tre grandi correnti scendevano rispettivamente dal bacino che forma l’alta valle a monte della gola di Pierre Taillée, noto tut- tora col nome di Valdigne e dominato dal gruppo Monte Bianco ; dal nucleo centrale delle Graje o Gran Paradiso per le valli attuali di Cogne e di Valsavaranche, i cui ghiacciai si riunivano prima di con- giungersi al precedente; e dal tratto occidentale della giogaia delle Pen- nine, dal Grand Golliaz (3238) alla Dent di Herens. L’unico contri- buto cospicuo a monte*di Aosta, all’infuori di questi tre, era portato dalle valli della Grisanche e di Rhéèmes, riunite esse pure prima della confluenza nel collettore principale, e le quali a rigore potreb- bero pure considerarsi come membri del sistema glaciale del Gran Pa- radiso, perchè nel Wiirmiano il vastissimo circo che dal Paramont va al Monte Emilius, passando per lo stesso Gran Paradiso, mandava da un’unica distesa superiore di nevati quattro grandi correnti glaciali convergenti al bacino Arvier-Villeneuve. Questo circo era per area il maggiore dei tre, e per l’esposizione totalmente a settentrione, supe- rava forse anche gli altri due pel contributo di ghiaccio alla corrente principale. Quindi immediatamente dopo Aosta, cioè alla fine del primo terzo della lunghezza totale della valle, che è di 108 km. dalla vetta del Monte Bianco ad Ivrea, la grande corrente di ghiaccio aveva già ri- I cevuto il contributo di tutto l'immenso circo che corre dalla Tersiva alla Dent d’ Herens, passando per la cima del Monte Bianco; e comprende i versanti valdostani dei tre grandi massieci, superiori | ai 4000 metri, del Gran Paradiso del Monte Bianco, e della Valpelline, a cui tributava certamente anche il Grand Combin, ora alquanto a N IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 207 - dello spartiacque di confine. Questo circo abbraccia più di metà della superficie della valle (1843 km.® fino alla sezione trasversale della confluenza della Dora col Buthier, sopra i 3380 km.® che misura la valle fino ad Ivrea), ed ha un’elevazione media considerevole, certo la maggiore di tutti i bacini analoghi delle Alpi. Quindi solo a valle di Aosta il ghiaccizio wilrmiano diventava veramente il ghiacciaio maestro. E se si pensa che il circo immenso è a ferro di cavallo, aperto solo parzialmente verso levante, in modo da comprendere tutte le esposizioni favorevoli e sfavorevoli; che in linea retta la cima del Monte Bianco dista da Aosta di 38 km., il Gran Pa- radiso di 25 (lungo il presumibile filone del ghiacciaio 32); la Grivola (3969), che ne è parte, solo 12.5 km, ed il Gran Combin 22, per mcdo che le oscillazioni di portata di ciascun ghiacciaio giunge- vano con fase diversa all’altezza di Aosta e perciò si compensa- vano, si ha una prima spiegazione della straordinaria regolarità del- l’anfiteatro d’Ivrea. Il quarto gruppo orografico della valle, superiore ai 4090 ”, quello del Monte Rosa, ha mandato ilsuo tributo al ghiacciaio valdostano diviso nei tre contingenti della Valtournanche, della valle dell’ Evan- cone della valle del Lys, press’a poco parallele e di lunghezza ri- spettivamente sempre crescente ed ba per ciò esercitato sopra il grande ghiacciaio una influenza assai meno decisiva che non i tre gruppi sovracitati. Queste tre valli che paiono, a primo aspetto così simili, presen- tano fra loro notevolissime differenze morfologiche di cui conviene pure tener conto nello studio del fenomeno glaciale quaternario. La valle del Lys o di Gressoney è un corridoio, lungo una cinquantina di km., fra due giogaje di uguale importanza all’in- circa, per modo che i due fianchi sono press’a poco equivalenti, e suddivisi entrambi in numerosi valloni. Nella valle dell’Evancon invece, i due versanti sono diversissimi : mentre in quello di sinistra si sviluppano profonde valli come quelle di Chasten e di Mascogna, quello di destra è ristrettissimo. Di più, a S del col di Joux non v’ha una cresta spiccata che separi la 208 VITTORIO NOVARESE valle di Challant dal bacino di St. Vincent; a N si svolge l’im- ponente costiera dal Zerbion al Tournalin ed alle Cime Bianche, unita e precipitosa verso la valle dell’Evangon, come un muro im- mane, sbrecciato appena dal valloncino di Nana e colla cresta sempre direttamente sovrincombente al torrente. Per ciò mentre il ghiacciaio quaternario della Lys era semplicemente un prolungamento dell’attuale, alimentato simmetricamente da piccoli tributari laterali scendenti dai due fianchi, quello dell’Evancon dopo la sua uscita a St. Jacques d’Ayas dal circo terminale, riceveva affluenti unicamente dai poderosi valloni di sinistra, i più meridionali dei quali anzi, come dirò fra breve, andavano direttamente al grande ghiacciaio principale. La Valtournanche, per quanto parallela alle due precedenti, dif- ferisce da entrambe per le sue caratteristiche morfologiche. Se ad E è divisa dalla Val d’Ayaz dalla costiera del Zerbion, or ora nomi- nata, ad ovest è staccata nettamente della sola Valpelline, mediante l’aspra e sublime giogaia fra la Dent de Herens ed il Chateau des Dames; a S di quest’ultimo lo spartiacque occidentale della Valtour- nanche non ha più una cresta ben definita e continua. La valle stessa, vista dall’alto, si rivela come un solco immane, a pareti precipitose di quasi mille metri di profondità, aperto attraverso una serie di pianori quali quelli della Magdeleine, Chamois, Cheneil sulla sinistra, Verrayes e Torgnon sulla destra; ad ovest di questi ultimi e mal se- parata da essi dall’incerto spartiacque or ora citato, stà la valle di Saint Barthelemy vasto altopiano essa pure. Tutti questi pianori sono ora coperti da morene, ma durante ii Wirmiano lo erano dai nevati e dai ghiacciai, che le hanno deposte nel loro progressivo ritiro. La sinistra della Valtournauche e l’eleva- tissimo massiccio triangolare chiuso fra essa, la Valpelline, ed il tronco della principale fra Aosta e Chatillon, scomparivano nel Wùr- miano sotto una vasta calotta glaciale che in parte direttamente, in parte per lingue lungo le valli maggiori, mandava al ghiacciajo maestro il suo contributo. Sulla destra della valle, dopo Aosta, l’unica valle secondaria importante è quella di Champorcher che sbocca di fronte a Bard; il | | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 209 resto del versante però è suddiviso in numerosi valloni brevi e molto inclinati, ma orientati verso tramontana per modo che relativamente alla loro superficie debbono avere dato al ghiacciaio maestro un contributo non indifferente, non ostante l’elevazione minore delle creste terminali. LIMITE DELLE NEVI PERMANENTI NEL WURMIANO. Il primo tentativo di calcolare il livello delle nevi persistenti in Val d’Aosta, nel periodo in cui i ghiacciai costruivano l’anfiteatro d’Ivrea si deve al Gastaldi e risale al 1853 (1). Egli ritenne che il limite climatico delle nevi dovesse essere stato inferiore all’attuale di tanto quanto più bassa era la fronte del ghiac- ciaio quaternario, scesa fino a Mazzè, rispetto alla fronte attuale dei ghiacciai scendenti dal Monte Bianco a Courmayeur. E poichè questa differenza secondo i suoi calcoli era di 1006 m., il limite quaternario delle nevi perpetue sarebbe stato a 1644 m. sul livello del mare, avendo ammesso egli per limite attuale medio la quota di 2650 m. La cifra ottenuta dal Gastaldi è errata per due ragioni: prima di tutto per il metodo, perchè anche per lo stesso ghiacciaio, la differenza fra la quota del limite delle nevi e quella della sua estremità inferiore non è una quantità costante, ma variabile in funzione di molti fattori, fra i quali primeggiano i topografici che nel caso concreto della valle d’ Aosta, occupata da un enorme ghiacciaio polisintentico, dovevano avere una influenza grandissima e tale da escludere a priori ogni confronto con uno degli attuali ghiacciai del Monte Bianco. In secondo luogo il limite delle nevi odierno nella Val d’Aosta non è di 2650 m. come ammise il Gastaldi, ma è in media superiore ai 3000 m. e giunge anche ai 3250. Quando si rifaccia il calcolo del Gastaldi, impiegando la minore di queste due cifre si giunge alla quota di 2000 m. per il Wiirmiano, valore, come dirò in seguito, assai probabile, sebbene derivi da un metodo errato. (1) B. GASTALDI. Appunti sulla geologia del Piemonte. Torino 1853. . y 4 ni » li ” ì mi PL A Da Di si - - y eda i ed 210 VITTORIO NOVARESE = . ta Non ho notizia che altri abbia mai cercato il limite wirmiano delle nevi persistenti nelle valli italiane delle Alpi occidentali fino al Penck (1) che lo ha ritenuto di 20900 m. per le Cozie press» lo spar- tiacque. La stessa cifra è pure registrata senza indicazione di fonte 0 di metodo di determinazione in un lavoro posteriore del Taramelli (2). Il rilevamento geologic> della Val d’Aosta mi ha permesso di fare una determinazione diretta di questa cifra, rimasta finora pura- mente congetturale, applicando il metodo geologico proposto dal Penck, della ricerca dell’origine a monte delle morene laterali del ghiacciaio principale o di uno qualunque dei suoi îtributari. Nella parte inferiore della valle della Grand’Eyva o di Cogne queste origini sono perfettamente conservate ai due lati dello sbocco nel bacino di Aosta, del grande ghiacciaio tributario che la occupava nel Wilrmiano. Sebbene vastissimo, il ghiacciaio usciva per una bocca relativa- mente stretta, compresa fra la giogaia diretta N-S che scende dal Gran Nomenon per la punta Valletta (2771) e la Becca Piana (2294) fino a Villeneuve sulla Dora, e la jlunga costiera meno accidentata ma pure elevatissima che corre da E a W tra la Val di Cogne e la principale, e suole chiamarsi del Drine, giungendo ancora alla punta de la Pierre sopra Aymavile alla quota di 2653 m. Alle falde settentrionali della Becca Piana, sulla sinistra del- l’antico ghiacciaio un lembo morenico, di cui ho già parlato in altri miei lavori (3), segna a 1850 m. l’inizio della morena laterale del ghiacciaio della Val di Cogne ed anche di quello della Valsavaranche che poco oltre si riuniva con esso. Le nevi perpetue non potevano incominciare che sopra tale quota. In ‘quel luogo l’esposizione del terreno è perfettamente a N e la costa, senza pendìo soverchio, favo- (1) A. PeENcK. Die Alpen im Eiszeitalter, vol. III. Leipzig, 1909, pag. 753. (2) T. TARAMELLI. L'epoca glaciale in Italia. Atti della Soc. it. per il prog. delle scienze; IV riunione di Napoli, 1910. Roma, 1911, pag. 253. (3) V. NovAREsE. Relaz. biennale dell’Isp. Capo al R. Com, Geol. sui rilevamenti del 1899-900. Boll. del R. Com. Geol. 1901, parte ufficiale, pag. 31. Roma, 1901. Ip. /2 profilo della Grivola (Alpi Graje). Boll. del Com. Geol. 1909, pag. 505. Roma, 1910. i be SE - IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 2,1 risce tanto la permanenza della neve quanto le deposizione della morena ; la linea nivale doveva quindi giungere ad un minimo di quota. Sulla destra dell’antico ghiacciaio la morena laterale, perfettamente caratterizzata, e con elementi dell’alta valle incomincia poco più alto dell'Alpe La Pierre (2085) ad una quota di 2100 m. circa (1). Qui l'esposizione della pendice è perfettamente a S, e per -ciò la quota della linea nivale doveva essere vicina ad un massimo. Di più, la morena non può essere stata deposta che nella fase culminante del Wiirmiano, perchè si trova sul margine del pauroso appicco a S di Vieyes, e sovrasta ad essa un dolce pendìo di calcescisti sul quale si sarebbero perfettamente conservate morene più alte se vi fossero state mai deposte. Un morenico locale è escluso dalla topografia e dalla natura del materiale. Si tratta quindi senza dubbio alcuno, di due morene wirmiane deposte simultaneamente; la media fra le loro quote estreme 1850 e 2100, ci dà la cifra 1975 m. come livello medio della linea nivale, cifra molto prossima ai 2000 m. congetturati dal Penck. Questa determinazione è confermata pure dalla quota di 2000 raggiunta dalla parte suprema della morena che stà sotto la punta Champillon sulla cresta fra le valli del Buthier di Valpelline e del- l’Artavanaz, scendente dal Gran San Bernardo, morena incidente fra i ghiacciai wilrmiani delle due valli. Secondo un accurato studio recente del prof. V. Monti sul limite climatico delle nevi nel gruppo del Gran Paradiso (2), sappiamo che É attualmente esso corrisponde alla quota di 3150 m. Secondo il Jà- gerlehner sarebbe di 3100 sul versante italiano del Gran Combin, e giungerebbe a 3250 m. nella parte centrale del gruppo del Rosa. Noto che localmente giunge assai più in basso: ne fanno fede ad (1) Questa morena è già stata segnalata dal Baretti, che nota come qui il ghiacciaio quaternario scavalcasse il contrafforte del Drinc. Studii geol. nel gruppo del Gran Paradiso, Roma, 1877, pag. 291. (2) V. MonTI. Nuove ricerche sui ghiacciai del Gran Paradiso. 2° saggio. Il limite climatico delle nevi. Ann. dell’Uff. 0. di Met. e Geod., vol. XXXIII, parte 1%, 1911. Roma, 1912. i PI RI VITTORIO NOVARESE esempio le due piccole vedrette sulla faccia settentrionale delle gemine Becche Torchè e di Vlou in Val di Challant di poco superiori ai 3000 m., per le quali la linea nivale non può certamente essere più alta dei 2800-2900 m. Ad ogni modo la differenza di quota fra il limite attuale e quello wirmiano nei grandi massicci della valle si aggira fra i 1100- 1200 m., come nel resto del Sistema Alpino. Nei monti più vicini alla pianura, o prospettanti direttamente questa, la linea nivale si abbassava, e valli relativamente ristrette presentano apparati morenici a quote inferiori anche ai 1000 m. Però date le altezze cospicue, molto superiori ai 2000 m., rag- giunte dai monti che stanno ai due lati dello sbocco della valle della Dora Baltea, non si può agevolmente applicare la regola delle cime che eondurrebbe a risultati meno incerti di quelli fondati sulle con- gettare intorno alla quota inferiore raggiunta dai piccoli ghiacciai di questi monti. Il solo che serva a dare qualche indizio è il Monte Gre- gorio (1954) che non presenta morene wiirmiane riconoscibili verso oriente e verso mezzogiorno, ma che verso occidente guardala valle del Bersella, piecolo torrente che scende a Traversella. In questa valle, a Fornello, v’ha un riconoscibile apparato morenico terminale, do- vuto ad un ghiacciaio locale, compreso fra le quote 900 e 1000. La cresta che circoscrive la valle è in generale assai bassa e supera i 2000 m. soltanto sopra il tratto assai breve, sovrastante alle Alpi di Chiaromonte, in alto del vallone d’Avranco, dove giunge fino a 2357 m. La linea nivale per ciò dovette scendere qui al disotto dei 2000, ed almeno ai 1800 m. Com'è noto, più a N, nel vallone di Oropa, situato rispetto alla valle d’Aosta in condizioni analoghe a quello del Bersella, sebbene con orientazione un po’ diversa. v° ha pure un bellissimo anfiteatro morenico che scende fino verso i 700 m.; il Penck ha ammesso per il ghiacciaio che lo costrusse una quota di linea nivale fra i 1600 e 1700 m., forse un poco troppo bassa, se si considera che il circo terminale è notevolmente più elevato in media che non quello del vallone del Bersella. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 213 LE MORENE WURMIANE ENTRO VALLE. L’elemento del ghiacciaio wùrmiano che importa prima di ogni altro determinare, per tentarne la ricostruzione, è l’altezza a cui giunto sul fondo della valle, dalle sue origini allo sbocco nella pianura, ricercando le tracce lasciate, siano essè cordoni o terrazzi morenici oppure arrotondamenti di rocce. Si può allora sulla base di queste tracce disegnarne il profilo longitudinale e da esso, con sufficiente approssimazione, dedurre coll’aiuto della -earta topografica, le altre dimensioni e la forma. Questa ricerca è nel suo complesso assai più malagevole che a tutta prima non paia. Il ghiacciaio wiirmiano se ha costrutto un così mirabile anfi- teatro nella pianura, non ha lasciato entro valle che avanzi more- nici relativamente scarsi, formanti molto di rado terrazzi o cordoni dotati di una certa continuità e collegabili con evidenza, di iden- tificazione non sempre facile perchè possono essere confusi con quelli di ghiacciai locali contemporanei, e con quelli dei più antichi stadii postwùrmiani dello stesso principale, incomparabilmente più estesi e numerosi, A cagione del limite wiirmiano delle nevi perpetue, oscillante in- torno ai 2000 m.,e dell’altezza raggiunta dal ghiacciaio, non inferiore certamente ai 1600 m. nella valle media, e maggiore ancora nella superiore, molti valloncini che ora sembrano trascurabili hanno alber- gato piccoli ghiacciai che quando non giunsero al principale, costrui- rono apparati proprii non lungi dai margini di questo, mentre i mag- giori tributarii, nella fase massima dell'espansione confusero la parte inferiore delle loro morene laterali con quelle del principale, e non ebbero apparati terminali se non negli stadii postwùrmiani. Per la distinzione fra il morenico locale ed il generale è un aiuto prezioso la presenza di rocce caratteristiche dell’alta valle, non affio- ranti nei tronchi inferiori; però questo criterio spesso falla per le morene wùrmiane, perchè in quel tempo l’alta valle era coperta in gran parte di nevi e di ghiacci, e dava perciò alle morene superficiali un 214 VITTORIO NOVARESE _ contributo scarsissimo. Il carattere puramente negativo, della man- canza di blocchi topograficamente esotici non è sufficiente ad esclu- dere che un lembo morenico, specialmente se molto elevato e quindi antico sia dovuto piuttosto ad un ghiacciaio locale che al principale. Anche più difficile è la distinzione fra le morene wiirmiane e le più antiche morene postwilrrmiane, perchè non soccorre qui nemmeno il eriterio dei blocchi erratici. So!o dopo la costruzione di un pro- filo longitudinale, nel modo che indicherò in appresso, si riesce a di- stinguere con sufficiente sicurezza le morene di fasi diverse. Le condizioni sovra esposte bastano a fare comprendere "come non ostante l'abbondanza del morenico entro valle, solo un numero ristretto di lembi morenici può servire realmente alla ricostruzione del profilo longitudinale del ghiacciaio wirmiano. E’ per ciò che ne intraprendo ora la rassegna ragionata, separatamente sopra ciascun fianco della valle. Morene di destra. Sebbene non manchino a monte di Villeneuve morene che pos- sano attribuirsi alla fase culminante del Wuùrmiano, uniformandomi al concetto espresso che il vero ghiacciaio non incominciava che nel bacino di Aosta, ricercherò le morene laterali wòrmiane ad incomin- ciare da questo. Sulla destra, la Comba di Gressan fu occupata certamente in alto da un ghiacciaio proprio, che scendeva dalle alture del Col della Tza Sèche, ma in basso fu colmata dalle imponenti morene della valle principale come l’attigua valletta di Vernailler che scende a Charvensod. Appunto sulla destra di quest’ultima convalle si ha @ Case Betteres (nominati sulla carta al 50000 dell’I. G. M., quadrante Aosta), sulla strada di Chamolè, (1) un documento prezioso ed irre- fragabile della massima altezza raggiunta dal ghiacciaio maestro, in alcuni grossi blocchi di gneiss ghiandone del Gran Paradiso, che si (1) Nella carta al 100.000 le case Betteres non sono nominate, ma si trovano esattamente sopra l’m della parola Charèmoz, ad occidente di S. Grato. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 215 scorgono presso le case alla quota di 1650 m. Siccome il bacino del ghiacciaio locale è seavato intieramente entro i calcescisti mesozoici, è fuor di dubbio la provenienza di questi blocchi dal ghiacciaio principale. Proseguendo verso levante si trovano alle falde del eruppo del Monte Emilius numerose morene, ma a quote tutte inferiori alle mas- sime raggiunte dal ghiacciaio principale e non è che sui fianchi del Monte Barbeston, di fronte a Chatillon, che si rivvengono tracce si - cure del ghiacciaio wirmiano sull’ampio ripiano morenico di Pragarin. Sull’orlo del ripiano, all’Alpe di Créte Ciardon (1451 m.) si hanno poderosi arrotondamenti sopra la serpentina con blocchi erratici di gneiss ghiandone, e la morena continua in alto fino a 1600 m. al- l’alpe Salè; all’Alpe Biolassa (1609) sotto il Monte Sezane vi sono ancora, secondo osservazioni dell'ing. Baldacci segnate sulle minute di rilevamento, roccie arrotonlate. Il collega Mattirolo in un suo scritto (1) ha segnalato delle tracce glaciali nella valle di Champorcher presso l’insellatura fra le punte Biel e Courtil, che si trovano all’estremità della giogaia che divide la valle di Aosta dalla valle inferiore di Champorcher a NE del monte Char- vatton (1788). Queste tracce consistono in rocce arrotondate fra il colle e la punta Biel e nella presenza nel versante di Champorcher di masse di detrito glaciale importanti che « giungono fino al colle » e contengono frammenti di «rocce estranee alla valle quali eclogiti anche con glaucofane, simili a quelle dei valloni di San Marce! ed altre : mentre soltanto eccezionalmente edin assai scarsa quantità s'incontra glaucofane nelle roccie della regione considerata (la valle di Champorcher) (2) ». Da ciò il Mattirolo inferisce giustamente che le tracce glaciali siano dovute al ghiaccirio della valle principale giunto in quel punto a superare di poco il livello di 1600 m. sul mare. Un’ottima indicazione s'incontra, sempre proseguendo verso levante, nel ripiano morenico delle alpi di Mirolo, sopra Quincinetto poco oltre (1) E. MaTTIROLO.— Relazione sul rilevamento geologico eseguito nel 1897 nella valle di Champorcher (Alpi Graie). Boll. d. R. Com. Geol. 1899, pag. 3. (2) Queste tracce glaciali sono state segnalate già dal BARETTI; Geol, della Prov. di Torino, pag. 357. 216 VITTORIO NOVARESE i 1400 m. Questo breve pianoro forma risalto sulla cresta che diretta a NE, scende dalla Cima di Bonzo fino a Bric Vert, sulla stretta della Bardeisa limite a S del bacino di Pont St. Martin. Infine ultimo lembo morenico conservato del ghiacciaio principale appare la morena delle Alpi Willio ed Usseglio (1112) sopra Tava- gnasco, sulla sinistra del torrentello detto Rio Piovano. Qui nessun dubbio può nutrirsi sulla provenienza del terreno erratico. In esso abbondano i materiali dell’alta valle, facilmente riconoscibili, perchè da Issogne ed Arnaz, fino alla pianura, la valle attraversa il mas- siccio Sesia-Val di Lanzo composto quasi unicamente di gneiss mi- nuti e micascisti. Nel morenico di Willio abbondano in modo straor- dinario la serpentina, le anfiboliti e le gastaldititi granatifere, pre- venienti certamente dalle grandi masse fra St. Marcel e Champ de Praz; abbondantissimi sono pure, com’è ovvio, i micascisti e gneiss minuti dalla roccia locale. Questo morenico tappezza per così dire tutta la parete montuosa della valle, non ostante la sua ripidità, fino alla quota di 1100 m. e s'incontra dappertutto dove le condizioni topografiche ne permisero ia deposizione. Il grande ghiacciaio in una sua fase molto lunga di equilibrio, è giunto fino all’altezza delle case di Usseglio (1112 m.) perchè in questa località sì osserva una morena laterale perfettamente conservata con quattro creste parallele successive includenti dei piccoli bacini lacustri, ora prosciugati salvo uno che è an- cora uno stagno. Le case indi- cate sulla carta dell’ I. G. M. (tav. di Settimo Vittone) col Fig. 1. — Sezione trasversale della morena di Usseglio, sopra Tavagnasco. nome di Willio sono sopra una di queste creste (fig. 1) cosparse di massi erratici, spesso grossissimi, di serpentina. Dove per la pendenza troppo forte il terreno erratico non potè IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 217 deporsi stabilmente, si hanno intorno alla morena di Usseglio estesi arrotondamenti di roccia, specialmente verso E (a valle). Rimane così accertato che a pochissima distanza dall’ultimo re- stringimento della valle, corrispondente al monte Cavallaria, il ghiac- ciaio principale ha superato ancora la quota di 1100 m. Morene di sinistra. Sulla sinistra della valle per trovare indizii sicuri della massima altezza raggiunta dal ghiacciaio wiirmiano, non basta ricercarli nel bacino d’Aosta come pel fianco destro, ma bisogna scendere molto più valle fin oltre Saint Vincent. La calotta glaciale, che copriva tutto il gruppo del monte Mary e si estendeva fin oltre la Valtournanche in quel periodo, non consentiva la deposizione di morene, e tutte quelle, numerosissime, che s'incontrano in quel tratto appartengono agli stadii post-wirmiani, quando il ghiacciaio era nella sua fase di regresso. I primi indizii sicuri si trovano alle falde del Zerbion, sulla groppa che dal Col di Joux per la Testa di Comagna scende a Verrès, e che attualmente separa la valle inferiore dell’Evangon, o Val di Challant dalla valle principale, con direzione N-S. Contro questa diga rocciosa il grande ghiacciaio della Dora veniva ad urtare, e ne era deviato verso mezzogiorno, abbandonando la direzione da ponente a levante che conservava fino da Entreves. Esso giungeva fino all’altezza delle due insellature del Col di Joux (1638) e del Col di Keck Horn (1620). Nell’erratico gla- ciale del piccolo piano che sovrasta ad Arbaz, si trovano tutte le rocce della valle della Dora che sono penetrate in Val di Challant per que- st ultimo colle. Al Col di Joux il denso ammanto di vegetazione e la presenza di un piano torboso non permettono d’investigare la morena, e se è certo che attraverso il giogo il ghiaccio maestro e quello di Val d’Ayas hanno comunicato, non si può decidere quale dei due abbia avuto la prevalenza. Tuttavia siccome le morene laterali di quest’ultimo nel vallone di Fornolle ed allr Croix indicano un livello sensibilmente maggiore di quello del Joux, pare più probabile che il ghiacciaio di Val di w 218 ; VITTORIO NOVARESE Ayas abbia mandato un suo braccio minore direttamente al ghiacciaio maestro, mentre il ramo p’incirale continuava il suo corso verso il bacino di Challant. Del col di Keckhorn invece la prevalenza del ghiacciaio maestro è fuor di dubbio, cosicchè fra le due selle doveva emergere dalla vasta distesa di ghiacci colmante il bacino di Chatillon-Challant, la Testa di Comagna (2098 m.) come un nunatalk, e forse qualche spuntone del monte La Rumò (1655) a S del Keckhorn. Più a S ancora, tutto il resto della costiera fino al monte St. Gilles ed oltre, scompariva sotto i ghiacci di cui sono traccia i magpifici arrotondamenti dal Castello di Challant fino ad Arlea ed ai laghetti di Villa. Scavalcato questo sprone, la massa di ghiaccio attraversava ancora tutta l’attuale Val di Challant e s’insinuava nella comba della Rouesaz o di l’ondeuii, la prima a sinistra dell’Evancon, a cominciare da Verrès, In essa s'incontrano difatti fino a 1600 m. di altezza, lungo la strada che conduce al Col di Dondeuil morene con massi erratici di serpentina, prasiniti, calcescisti, gneiss ghiandone. Siccome il val- lone a monte di queste morene è costituito dagli gneiss minuti e micascisti della zona Sesia-Val di Lanzo, questo terreno erratico non è certo locale, e nemmeno proviene dalla Val di Challant, ma bensì dalla valle prircipale. Difatti a Provèche si osserva una morena con massi di gneiss porfiroide e di arkesina alla quota di 1600 circa, da interpretarsi come una morena insinuata nel vallone. Sulle dirute pareti del fianco sin'stro a valle di Verrès, il grande ghiacciaio ha lasciato solo arrotondamenti estesissimi fino a conside- revole altezza, perchè la ripidità estrema della costa escludeva il de- posito di ammassi stabili. Però oltre il vallone di Arnaz, dove la cresta Croix de Corma (1958) — Téte de Cou (1410) sembra volere sbar- rare la valle proprio di fronte alla Serra di Biel, lembi morenici ed arrotondamenti glaciali salgono alla stessa altezza di quelli che proprio di contro sul fianco destro sono stati descritti dal Baretti e dal Mat- tirolo sul contrafforte della punta Courtil. Qui anzi la valle presenta un massimo di restringimento, di cui dovrò discorrere in seguito. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 219 Oltre questa stretta, che finisce a Bard, si entra nel bacino di Pont Saint Martin. Una serie di ripiani morenici nel fianco sinistro di quest’ul- timo presso il suo sbocco, da Plan de Chenally (1442) fino a C. Concaby (1441), indicano però che il ghiacciaio si è andato sensibilmente ab- bassando, come è pure dimostrato da] già citato ripiano di Mirolo: precisamente di contro a questi, dall’altra parte della grande valle. Qui, presso lo sbocco, la corrispondenza fra i due fianchi si fa sempre più manifesta. Oltre Carema e Cesnola, sopra Settimo Vittone una estesa morena forma il ripiano ci Campi, della Cappella di San Giacomo e Serrafredda (sopra la fornace di calce), il quale nei suoi punti più elevati supera appena di qualche metro la quota di 1100 m. vale a dire quella della morena di Usseglio già citata che gli sta esattamente di fronte sulla destra. Non molto oltre verso S, alle Grange Fava si stacca, nettamente individuata e distinta morfologicamente dal resto degli ammassi glaciali, a 940 m. di quota, la Serra d’ Ivrea, inizio dell’apparato terminale (1). FORMA, DIMENSIONI E CARATTERI DEL GHIACCIAIO. Profilo longitudinale del ghiacciaio wirmiano. Nella figura 2 ho riportato sopra un profilo longitudinale topo- grafico della valle, sviluppato lungo il corso della Dora Baltea, le quote dei vari depositi morenici testè descritti, e, dopo avere riuniti con due (1) Sebbene la stessa carta topografica mostri con somma evidenza, e risulti dalle osservazioni del collega Franchi, come l'origine del cordone principale della Serra sia nel monticello di quota 940 a levante delle Grange Fava, a 3 quarti di km. a NE di Andrate, i varii autori che ne hanno parlato pongono quest’origine chi, come il Marco, a 900 m. « alquanto a N di Andrate »; chi, come il Penck, ad 852 m., quota di un monticello immediatamente a NE dell'abitato dello stesso paese. Quest'incertezza ha avuto per conseguenza che il Penck, nel calcolo della pendenza del ghiacciaio fra la valle di Champorcher ed il principio dell'anfiteatro d'Ivrea, ha trovato la céfra del 50 per mille, inclinazione che colla solita sagacia ha riconosciuto straordinaria (l. e. pag. 764). Come dirò in seguito nello stesso tratto il ghiacciaio aveva invero la sua inclinazione massima, però sensibilmente minore di quella trovata dal Penck, perchè era del 38.5 per mille. Nirmnozzeg n A Rione 395% r È g p È Lora gu rje IZZZIA d ine ""o) pop rapy > rodues; obsog [to] Po (con) idun) © SEMESTRE 7763 NU 40721 02%725 RE I e ENO eZ Upey SA Si UIZZIZIIZA TAR 227271 € — ey 0079 917 x S ‘00/2495 i (0044) POYEYIF:-- È Ù P XK o È (059) v10y99Y unioni NÀ SD] miete 0 9/49] Îl N n 940f"W Lis i LORO = È E] S ei sont 790UIf Va gi 0 Sl Ung è i UILEOELA (17201474) % "è x x SII È i RE NYIS e: vii È S i RARI i (00s)posay SS 4 li 5 i SA Rate ATN77)0R Lo i (0054) DIA 7A (005%) OUPjopsay rene | 4ISIIT N È (0594) jurrovozag® cc eysoy LI Ù 53 (I 5$ | I il N © BANIUA)IIA 4 dl SO | 5 7 Ì (0091) (o0eyzensey =" t--grog Rey 2npnbgp quos mi f. Î it E iÈ da, i } da | (0029) î ; ceujgarog Denny s (ZA VZZAE 7 pe } S DEI EEE Ao ON?) LA un9fewsno) $919YUT : CIURIG c ES x A i 19 x S ° ° - Ò S ì N ME N S à N ca DI , NOÒ to è n S Ò s x IS è & ye 3 d è IS Ò della Val d'Aosta. ù alti aneora conservati rispettivamente sopra ciascun fianco della valle. io wiùrmiano iacci Fig. 2. — Profilo longitudinale del gh i ripiani morenici pi iungenti i congiun lì igona pol Destra, Sinistra i IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 221 poligonali diverse i punti corrispondenti a ciascun lato della valle, per avere un profilo approssimativo della superficie media superiore del ghiacciaio wùrmiano nella sua fase massima, ho raccordato con una curva i vertici culminanti delle due poligonali, coll’avvertenza che la curva stessa non deve avere alcun suo tratto in sensibile contropen- denza, essendo ciò escluso dalle condizioni di deflusso del ghiacciaio. Nel profilo, curva e poligonali sono prolungate a monte di Aosta, comprendendo alcune morene di cui sarà tenuta parola nella terza parte del presente lavoro. L’esame del profilo così tracciato rivela non poche interessanti particolarità. Non appena il ghiacciaio a Prè Saint Didier s’incanala nella valle maestra, analogamente a quanto ho detto verificarsi per i ghiacciai dell’Orco e della Valle Grande di Lanzo, si mantiene di potenza co- stante, prossima ai 1000 m. fino a Villeneuve, all’ingresso del bacino di Aosta, ce scende con un profilo sensibilmente parallelo a quello del fiume attuale. E ciò non ostante la sezione trasversale della valle, formante letto della corrente di ghiaccio, varii notevclmente durante il suo corso. Infatti all’ampio bacino di Morgex con profilo ad U suc- cede la lunga stretta fra il ponte di Equiliva e la Roche Taillée, nella quale il fiume scorre in un’angusta forra fra pareti a picco, con tipico profilo a V, profonda talora più centinaia di metri. Dinnanzi all'enorme potenza del ghiacciaio le accidentalità topografiche del fondo roccioso che ora ci sembrano così appariscenti scomparivano e non erano affatto rivelate dalla sua superficie. Dopo Aosta invece il livello del ghiacciaio si mantiene quasi co- stante ad una quota media prossima ai 1650 m. fino oltre Verrès e precisamente fino alla stretta fra Arnaz ed Hone. Qui le creste dei contrafforti che scendono a destra della punta Courtil ed a sinistra dalla Croix di Corma, formaio attraverso la valle come un muro aperto da una breccia di 5 km. circa di larghezza alla quota 1600 m. (fis. 3) e più in basso fra la punta Biel (1473) e la Téte de Cou (1410) appena di 3. Chiamerò questo restringimento della valle « stretta di San Grato » dalla cappelletta sulla destra della Dora, segnata anche sulla carta a 100.000, colla quota 344 (linea A—A della carta). 15) 222 VITTORIO NOVARESE i Re - Fra Aosta e la stretta di San Grato la superficie superiore del ghiacciaio si manteneva a livello quasi costante, cosicchè da monte a valle, a differenza di quanto ac- cadeva nel tronco precedente, la 1958 sua potenza andava continua- Croix (orma 7Nn. mente aumentando fino a rag- giungere e forse ad oltrepassare verso San Grato, l'enorme va- lore di 1250 m. Il ghiacciaio era I in questo suo secondo tratto pa- I ragonabile ad un vasto lago di i DS ghiaccio a superficie quasi oriz- zontale, largo in qualche punto S fino a 9 km. (Verrès). ì i E° evidente, dall’andamento del profilo, che diventando a San l Grato, per il soverchio restrin- gimento, insufficiente per l’enor- me portata la sezione in basso, i Dora m? 2830625 hh Ferrovia : avveniva nel ghiacciaio un ri- Strada provinciale S Grato gurgito, per cui il suo livello alzandosi, aumentava la capa- cità di deflusso della sezione ri- stretta in doppio modo, sia uti- lizzando la sua parte superiore che andava allargandosi, sia ac- crescendo coll’aumentare dell’al- Fig. 3. — Sezione trasversale della Valle d'Aosta presso la Cappella di S. Grato (Hone). tezza la velocità media con cui l’attraversava. A valle della stretta di San Grato incomincia l’ assottiglia» SerradiBiel 16533 mento del ghiacciaio, dapprima lento; perchè nei primi 8 km. 1788 Punta (outil fino a Carema perde solo 200 m., IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 223 indi più rapido, perdendone 300 nei 5 km. fino a Settimo Vittone, oltre cui si allargava nella pianura. La stretta di San Grato segnava quindi la vera bocca di deflusso dell’ampio serbatoio glaciale che incominciava ad Aosta; a valle di essa, non valgono ad arrestare la caduta del livello nè la rupe di Bard che rialza di oltre 100 m. il letto roccioso del fondo valle, nè la confluenza delle due valli della Lys e di Champorcher nel successivo bacino di Pont Saint-Martin. A monte della stretta il contributo degli affluenti superava o compensava la perdita per ablazione del ghiac- ciaio maestro, mentre a valle l’ablazione acquistava il predominio asso- luto sopra una superficie via via più estesa fino all’anfiteatro terminale. Dal profilo si deducono pure immediatamente i valori numerici dell’inclinazione media, che sono così importanti fattori per la deter- minazione della velocità di deflusso. Nella tabella che segue sono indicati i valori dell’inclinazione media totale, e quella dei singoli tronchi, i quali sintetizzano l’espo- sizione che precede. TRONCHI | Lunghezza | Caduta | Inclinazione | | Da Morgex a Villeneuve . . .| Km. 16|m. 300 10 Ar Melo2 lean | ' Da Villeneuve a San Grato . .| » 51) » 100| De lE: 500) R0:8£ ass Gratoga lA MUsse sione Mir 500) SIN 26 ZONE) Dersu sse alone Mazze Me e i 288 > 300) 280 135 1° 35’ Inelinazione media generale da | MOrcexttai\Iazze Ri ey (08) 70.01 570107 1:63 0° 55” Inclinazione media generale del complesso di nevato e ghiac- ciaio dalla vetta del Monte ancora Mazze ate et e 125) 1500) 360/28 Voi Se si confrontano queste cifre con quelle riferentesi ai ghiacciai attuali, si scorge che anche il più lungo degli alpini, quello di Aletsch, 224 VITTORIO NOVARESE con un’ inclinazione di 7° nel ghiacciaio e di 20° nel nevato, ha un pendìo notevolmente superiore a quello del valdostano. Per trovare inclinazioni meglio comparabili bisogna ricorrere ai ghiacciai asiatici. Secondo i calcoli del Workman (1) il Baltoro al disotto dei 5000 metri avrebbe una pendenza media di 1 a 33, ed il Siachen con 72 km. di lunghezza, al disotto dei 6400 m., un’inclinazione da 1 a 26; que- st’ultima inclinazione però comprende certamente una parte di nevato, sempre più inclinato del ghiacciaio, ed è quindi paragonabile solo al- l'inclinazione media totale dal Monte Bianco a Mazzè. Invece l’inclinazione del ghiacciaio valdostano concorda abba- stanza prossimamente con quello degli altri ghiacciai quaternari del Ticino e dell'Adda calcolata dal Penck (2). Proporzione fra ghiacciaio e nevato. Una volta disegnato il profilo longitudinale col sussidio dei risul- tati del rilevamento geologico, è facile tracciare sulla carta i con- torni del ghiacciaio, nella sua porzione inferiore al limite delle nevi, e studiarne le caratteristiche topografiche essenziali. Fra queste la principale è il rapporto fra la superficie di raccolta o di alimentazione del ghiacciaio, superiore alla linea nivale, e l’altra al disotto di questa linea, o superficie di ablazione. Per determinare questo rapporto con una certa approssimazione, sopra una carta al 250.000 ho segnato i limiti del ghiacciaio, così nella valle maestra come nelle maggiori tributarie. I limiti a valle e quelli laterali sono dedotti dalia Carta geolo - gica; quello a monte deriva dal profilo longitudinale e corrisponde ai luoghi dove esso taglia la quota dei 2000 m. Coi metodi plani- metrici ho misurato l’area di questa superficie di ablazione dividen- (1) W. H. WorRkMAN. Physical Characteristics of the Siachen basin and Glacier-system, « The Geographical Journal » for March 1914. La tabella a pag. 289 presenta nelle cifre riguardanti il Biafo. I'Hispar ed il Baltoro, alcuni errori ma- teriali, di cui mi ha avvertito l’egregio autore con una sua cortese lettera. Gliene faccio qui i miei più vivi ringraziamenti. (2) PENCK. l. c., pag. 785. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 225 dola in due sezioni, una entro valle, e l’altra corrispondente all’anfi- teatro di Ivrea, assumendo come limiti di separazione la sezione trasver- sale passante per il ponte di Quassolo alquanto a monte di Andrate (linea B-B della carta). I risultati di queste misure sono i seguenti: Superficie del ghiacciaio entro valle km.® 801.3 Id. id. nell’anfiteatro » 361.8 kmi® 163.1 Questa cifra che in numeri tondi può assumersi di 1160 km.?, salvo gli errori grafici inevitabili dovuti al tracciamento dei limiti ed al calcolo, rappresenta un massimo, perchè, come dirò nella terza parte, può elevarsi qualche dubbio sopra la totale occupazione di taluna delle valli tributarie da un ghiacciaio affluente. Per la misura della superficie di alimentazione o degli alti nevati, ho misurato l’area della superficie attuale della valle al disopra della isoipsa 2000, quota della linea nivale nel Wilrmiano, ottenendo la cifra. km.? 1972. La quale però, all’opposto della precedente, è certamente in- feriore al vero. Il mantello di neve col suo spessore, per quanto va- riabilissimo, estendeva ben oltre ai limiti attuali la superficie superiore ai 2000 m.; tutte le alte valli, nella parte compresa fra la linea am- messa come limite a monte della superficie di ablazione, e la quota 2000 attuale, erano colme di neve e ghiaccio con potenza che giun- geva nella Valdigne (Prè Saint Didier) almeno a 1000 m., perchè tale è lo spessore del ghiacciaio in quel punto, e per molte centinaia di metri in tutte le altre valli tributarie, come quella del Buthier, della Grande Eyva (Cogne) ecc. Il tracciare però queste aree di raccordo fra la superficie di ablazione come è stata limitata, e la superficie ‘ topografica attuale superiore ai 2000 m. è un lavoro che pnò essere fatto con criteri quasi esclusivamente soggettivi, e la cui area calco- lata sarebbe dubbia. Si può però trovare con sufficiente esattezza il limite che la superficie di alimentazione non poteva certamente oltre- passare, il quale è l’intiera superficie topografica della valle attuale fino ad Andrate, che rimaneva al disopra degli orli del campo di eterno a » ; #4 Sto PEA Cri 3" 6 3 + e à: A fr C se. vi: Cavo n , sa SÈ a : è ci 225 VITTORIO NOVAREBR.® | (RR a FA ablazione. La superficie totale della valle fino alla sezione trasversale — B-B si può calcolare in km. 3329 circa. Deducendo da essa gli ù 801 km di superficie di ghiacciaio si ha la cifra “ 2523 km superiore di 556 km.° alla precedente e certamente superiore al vero, perchè, specialmente nella bassa valle fra le nevi perpetue ed il ghiac- ciaio, vi doveva essere una striscia abbastanza larga sgombra di nevi nell’estate, e tale da superare in estensione quelle superfici di nevato che alimentavano il ghiacciaio valdostano, ma rimanevano fuori dagli attuali limiti topografici della valle. Ho già accennato all’esistenza fuori dubbio di una di tali aree nella valle dell’Orco, al di là del Col del Nivolè (Valsavaranche) ed è pure probabile ve ne fossero delle altre intorno al Grand Combin, specialmente nell’alta Val de Bagnes, e presso alcune delle insellature più profonde della cresta che circoserive la valle. Ma tale cresta è in generale così elevata e nettamente de- terminata che non è probabile che tutte queste aree fuori la valle attuale avessero molta importanza. Per tali ragioni il rapporto fra le due superfici di alimentazione e di ablazione doveva essere uguale o minore del rapporto 2528 1160 il quale può per approssimazione scriversi pene Bi | 1 Sotto questo punto di vista il ghiacciaio della Val d’Aosta si av- vicina a quelli dell’Isonzo, del Tagliamento e della Sava pei quali il rapporto in questione è inferiore a 2, piuttosto che a - quelli dell’Adige, — della Drava e dell’Inn pei quali il rapporto è prossimo a 3. La ragione di questo minore rapporto fra superficie di alimenta- zione e di ablazione, in un ghiacciaio con esposizione meridionale come quello della Val d’Aosta stà nell’abbondanza relativa delle precipita- zioni, come ha giustamente supposto Penck (1) per quelli delle Alpi orientali, e come dimostrerò fra breve per la Val d’Aosta, abbon- danza che d’altronde si verifica anche attualmente. (1) 1. c. pag. 1150. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 227 Aree non coperte dal ghiacciaio. Ho accennato poco prima alla differenza di 556 km.? fra la su- perficie topografica oltre i 2000 m., e quella al disopra degli orli della superficie di ablazione. Se, come ho detto, una parte di questa superficie era coperta di nevi, è non meno certo che una parte con- siderevole ne era sgombra almeno nell’estate, ed è sopra questa su- perficie che si è conservata nel colmo dell’età wùrmiana, abbastanza profondamente entro la valle, la flora e la fauna dell’alta montagna. Giova ancora aggiungere a questa superficie al di sotto della linea nivale, tutta quella superiore a tale linea, che per ragioni di ecces- siva pendenza, e di molto favorevole esposizione rimaneva per una parte più o meno lunga dell’anno sgombra di nevi. Questa superficie superiore alla linea nivale si compone di un insieme di aree staccate, ed è perciò meno continua dell’altra inferiore al limite delle nevi presistenti, ma in complesso, come ha dimostrato il Richter (1), può superarla considerevolmente ed oltrepassare in qualche caso il 40% della superficie attribuita all’alto nevato. Per ciò l’espansione di nevi e di ghiacci del Wurmiano, per quanto imponente, non copri di una calotta ininterrotta l'interno della valle d'Aosta escludendone per un periodo più o meno lungo la vita, ma la lasciò sussistere sopra una fascia abbastanza continua al disotto del limite delle nevi perpetue, ed in un numero considerevole di aree isolate al disopra. Volume del ghiacciaio. In base alle cifre dedotte dal profilo longitudinale, ed alle su- perfici calcolate per il ghiacciaio ed i nevati, si può pure tentare il calcolo del suo volume, ed avere se non altro un criterio della quan- tità di neve e ghiaccio che esso immagazzinava. L’unica cifra che rimane indeterminata è lo spessore medio da attribuirsi al nevato nelle varie parti della sua superficie. In fondo alle valli la potenza delle nevi giungeva certamente a centinaia di (1) E. RicHTER, Die Gletscher der- Ostalpen. — Stuttgart 1888. 228 VITTORIO NOVARESE metri uguagliando quelle dei ghiacciai alle loro origini, ma al disopra del confine delle nevi perpetue, sopra le pendici, la coltre nevosa non poteva certo oltrepassare un dato limite, non maggiore di qualche metro, al massimo di 10, e per di più aveva una densità assai mi- nore di quella del ghiaccio. Per tali ragioni nel calcolo del volume ho assunto un valore di 50 m. per l’altezza media della neve ridotta in ghiaccio. Dal calcolo risulta : Ghiacciaio: Porzione entro valle. Superf. 800 km.? spess. medio 900 m. km.3 720 » fuori valle. Superf. 360 km.? spess. medio 400 m. km.8 144 Superficie di nevato. 2400 km.? spess. medio 50 m. . . .. km.3 120 km.3 884 PORTATA PROBABILE DEL GHIACCIAIO. Le dimensioni del ghiacciaio così determinate danno modo di fare un’istruttiva ricerca della sua portata effettiva od erogazione e per conseguenza della probabile quantità di precipitazioni durante il Wiirmiano, ed il suo confronto con quella attuale. La portata od erogazione annuale di un ghiacciaio, cioè la quan- tità di ghiaccio che in un anno passa attraverso la superficie ideale che divide il nevato dal ghiacciaio propriamente detto, può calcolarsi agevolmente quando sia conosciuta la superficie topografica di abla- zione, e la misura od altezza di quest’ultima in ogni punto di essa superficie. Secondo le misure fatte sopra molti ghiacciai posti a differenti latitudini, l’altezza di ghiaccio che fonde in un anno sulla superficie del ghiacciaio è tanto maggiore quanto più la linea di livello che si considera si trova al di sotto di quella nivale. O in altre pa- role, detta H la quota della linea nivale, ed & quella di una linea di livello della superficie del ghiacciaio, ove non intervengano cause perturbatrici locali, l'altezza d’ablazione va crescendo colla differenza H-h, ed è anzi più o meno prossimamente proporzionale ad essa. Siccome la temperatura dell’aria diminuisce proporzionalmente al- l’aumento della quota di livello, di circa mezzo grado per ogni 100 m., er) VE, IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 229 è chiaro che l’ablazione, legata con essa, segua una legge analoga. Le cause locali che possono perturbarla sono molteplici, e dipendono essenzialmente dalla topografia, come l’esposizione rispetto all’orien- tamento ed ai venti dominanti, la pendenza, la presenza di pareti rocciose riflettenti il calore, oppure producenti sul ghiacciaio ombre che ne sottraggano vaste superfici all’insolazione, ecc. Però queste cause topografiche perturbatrici, le quali fanno sì che nei ghiacciai le linee di uguale ablazione differiscono sensibil- mente dalle isoipse, producono effetti tanto meno sensibili quanto più il ghiacciaio è vasto e la sua pendenza piccola. Per ciò nei grandi ghiacciai la legge generale della proporzionalità dell’ ablazione ad (H-h) è seguita più da vicino che non nei piccoli. Può avere influenza perturbante e diminuire l’altezza d’ablazione il materiale morenico abbondante e diffuso che copre tratti più o meno vasti del ghiacciaio, come accade appunto in quelli asiatici, nei quali talora, verso l'estremità inferiore, quasi non si vede più il ghiaccio, totalmente ammantato dalla morena. Ciò premesso il calcolo dell’ablazione, e quindi della portata del ghiacciaio wirmiano sarebbe agevole quando si conoscesse esatta- mente l’altezza che aveva l’ablazione in ogni sua quota. Una tale nozione ci manca, però possiamo dedurla da un confronto perchè sap- piamo che a parità di altre condizioni l’ablazione diminuisce colla latitudine, e cioè colla rigidità del clima. Così mentre a 400 m. sotto il limite delle nevi perpetue nelle Alpi i ghiacciai perdono in media 4 m. l’anno di altezza, in Nor- vegia ne perdono 3,3 e 2 in Groenlandia. È difficile dire quale di questi diversi luoghi rappresenti attual- mente il clima wùurmiano nelle Alpi occidentali. Possiamo scegliere, nell'ipotesi verosimile di una rigidità maggiore dell’attuale, il tipo scandinavo, tanto più che nei ghiacciai del gruppo centrale della Norvegia (Jotunheim), che si trovano ad una distanza dal mare aperto di Km. 150 circa, poco diversa da quella della Valle d’Aosta, il limite delle nevi è verso i 1900 m. circa, vale a dire non molto ‘discosto da quello wiirmiano in Val d’Aosta. 230 VITTORIO NOVARESE Accettato tale valore si possono tracciare sulla superficie del ghiacciaio le linee di livello ad intervalli di uguale altezza; determi- nare per ogni striscia compresa fra due curve di livello consecutive l’ablazione media, e sommando il risultato ottenuto per ogni striscia giungere all’ablazione totale. Questo metodo laborioso, che è l’unico da applicarsi nel caso di un ghiacciaio attuale di cui si conoscono esattamente le isoipse, non darebbe per il ghiacciaio wirmiano, in cui questi sarebbero congetturali, un’approssimazione proporzionale alla fatica durata, e certo non maggiore del metodo indiretto per tentativi che espongo. Tale metodo, che nei ghiacciai attuali, in cui la sezione trasver- sale è sconosciuta, o di determinazione diretta difficilissima, è inappli- cabile, è invece molto opportuno per i ghiacciai del passato dove tale elemento è dato con tutta esattezza dalla carta topografica. In via generale detta P la portata effettiva, per una sezione qualunque trasversale del ghiacciaio, al disotto del limite delle nevi perpetue, si avrà sempre che la somma della quantità di ghiaccio che passa attraverso la sezione nell’unità di tempo, e della quantità di ghiaccio perduta per ablazione nella stessa unità di tempo a monte della sezione, sarà uguale alla portata P. Relazione che si può espri- mere colla formola semplicissima PSA in cui P è la portata, v la velocità, ed A la perdita a monte per ablazione, riferite tutte all'anno preso come unità di tempo, ed $ la superficie della sezione trasversale considerata. Però questa relazione deve coesistere con un’altra, e cioè che l’intiera portata P sia smaltita per ablazione dalla superficie totale del ghiacciaio. Per ciò la quantità v $ che sotto forma di ghiaccio attraversa la sezione considerata, deve fondersi tutta nel suo tragitto fra la sezione e la fronte terminale del ghiacciaio. Se si chiama Y la superficie totale del ghiacciaio, f' la parte di essa superiore alla sezione considerata, f" quella a valle, e rispettivamente a' ed a'i valori medii dell’ablazione sopra le due porzioni, dovrà essere Pa tare -@ 1 4 "IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 231 e siccome per definizione A — a' f', avremo che (1 aa MI Tenendo presenti le considerazioni ora svolte si può tentare di fare una ricerca della probabile portata del ghiacciaio valdostano procurando di stabilire i valori di v, velocità media, e di a, ablazione, mediante un confronto colle analoghe velocità ed ablazioni determi- nate coll’esperienza sopra i ghiacciai attuali. La scelta della sezione per questo calcolo non può essere dubbia. La sezione di San Grato è quella che corrisponde al maggior restringimento nel corso del ghiacciaio, ed alla sua massima potenza. Immediatamente dopo, la superficie del ghiacciaio, rimasta fino ad allora pressocchè orizzontale, incomincia ad abbassarsi sensibilmente ed acquista la sua inclinazione massima del 38,5 °/00. A San Grato per ciò, la velocità di deflusso doveva avere il suo valore più alto, come d’ altronde dimostrano gli estesissimi arrotondamenti glaciali che in quel luogo si seguono in altezza dal livello del fiume fino a 1600 m., ed in lunghezza fino oltre Donnaz. Entro certi limiti il valore probabile della velocità media di de- flusso del ghiaccio attraverso la sezione di San Grato può dedursi dal confronto con ghiacciai moderni comparabili per condizioni topogra- fiche e dimensioni a quello valdostano. Tali sarebbero ad esempio quelli del Karakoram come il Siachen di 72 km. di lunghezza, il Baltoro di 58, l’Hispar di 58,5 ecc. In questi ghiacciai che per quanto grandissimi sono minori del Valdostano le velocità annuali superficiali oscillano secondo i dati di diversi osservatori fra 700 e 1300 m. (1). La spedizione del Duca degli Abruzzi nel 1909 ha misurato nella parte interiore del Baltoro una velocità superficiale media di m. 1.774 il giorno, pari 650 m. l’anno. Per il ghiacciaio valdostano lungo 125 km. e sopratutto poten- tissimo, non è quindi fare un'ipotesi inverosimile l’ammettere nella sezione di S. Grato una velocità non minore della massima osservata nei ghiacciai asiatici, cioè di 1300 m. l’anno. Anzi tenuto conto che (1) H. Hess. Die Gletscher. Braunschveig 1904, pag. 118. 232 VITTORIO NOVARESE al movimento dei ghiacciai Blùmcke ed Hess (1) hanno potuto ap- plicare le formole del movimento dell’acqua nei canali, l’eccezionale altezza del ghiacciaio sulla sezione di San Grato ci consiglia di su- perare anche di alquanto tale limite essendo, per la nota legge del Guglielmini, nei canali per ogni data sezione la velocità funzione della radice quadrata dell’altezza media. Per ciò ho creduto di assumere il valore di 3 m. il giorno per la velocità media totale di deflusso attraverso la sezione di San Grato, ossia m. 1095, od in cifra tonda 1100 l’anno. Siccome si ritiene che la velocita media in una sezione trasversale di un ghiacciaio sia dai 3/4 ai *3 (0,77-0,63 secondo Hess) della velocità superficiale, il va- lore di 3 m. il giorno corrisponde, assumendo il rapporto */, più pro- babile data l'enorme potenza, ad una velocità superficiale di poco di- versa da m. 4, ossia all’incirca di m. 1450 l’anno, superiore di 1/9 circa alla velocità maggiore dei ghiacciai asiatici. La fig. 3 rappresenta la sezione trasversale della Valle a S. Grato. Supponendo la sezione limitata in alto dalla orizzontale di quota 1600 m., l’area del profilo traversale così designato, misurato coi metodi planimetriei risulta in cifra tonda pari a 2.830.000 m.? Attraverso questa sezione in un anno, colla velocità media di 1100 m. passavano quindi in ghiaccio 1100 x 2.830.000 m.8 — 3.113.000.000 m.? (I). A questa cifra conviene ancora aggiungere la perdita per ablazione subìta dal ghiacciaio dalla sua origine al limite delle nevi perpetue fino alla sezione di San Grato. Le superficie del ghiacciaio su cui av- veniva questa ablazione, misurata col solito metodo risulta di 658 km.® Si tratta ora di determinare l’altezza media probabile dell’abla— zione fra la quota 2000 della linea nivale e la quota di 1600 m. che aveva il ghiacciaio a San Grato, ed anche in questo caso non v’ha co (1) Lc. pag. 339. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 233 altro mezzo che ricorrere ai dati di osservazioni su ghiacciai attuali. Siccome l’altezza annuale dell’ablazione è molto prossimamente fun- zione lineare della differenza di quota fra il limite delle nevi ed il punto considerato sopra la superficie del ghiacciaio, dato un pendio uniforme ed una larghezza di ghiacciaio approssimativamente costante, l’altezza media dell’ablazione fino a 400 m. sotto la linea nivale, sarebbe la metà dell’altezza trovata per quest’ultima quota. Siccome nelle considerazioni svolte in precedenza abbiamo am- messo che le condizioni climatiche del Wirmiano nelle Alpi fossero verosimilmente prossime alle attuali della Scandinavia, dove a 400 m. sotto la linea nivale l’altezza d’ablazione è di 3,3 m., sarebbe pru- dente assumere nel nostro caso per ablazione media la metà di tale cifra. Tuttavia il profilo longitudinale del ghiacciaio ci mostra come la sua superficie si mantenesse da Aosta fino ad Arnaz ad una quota quasi costante e molto prossima a quella di San Grato; per ciò è ra- gionevole considerare come media più probabile 2 m. L'errore per ec- cesso che così si può commettere compensa quello di non tener conto dell’ablazione del ghiacciaio al contatto delle pareti laterali e del fondo del letto roccioso su cui scorre, la quale come è nato sembra possa giungere anche ad !/, della portata totale. Ammessa la cifra 2, il ghiaccio perduto per ablazione fino a S. Grato in un anno sarà 2 X 658.000.000 m.3 ossia 1.316.000.000 m.3 (II). La portata totale del ghiacciaio sarà perciò la somma delle due quantità (I) e (II) che abbiamo calcolato ossia 3.113 000.000 + 1.316.000.000 — 4.429.000.000 m.* Prima di ricercare quali conseguenze si possano trarre dalle cifre così calcolate è opportuno fare un controllo della loro maggiore o mi- nore, attendibilità verificando se ha pure luogo l’altra equazione che abbiamo stabilito e cioè v S — a' f, cercando di determinare a’, e vedendo se il valore di tale ablazione è conciliabile colla ipotesi fon- damentale da cui abbiamo dedotto i valori trovati. Dobbiamo perciò determinare la superficie di ghiacciaio a valle di S. Grato, ed il va- lore dell’ablazione media su di essa. 234 VITTORIO NOVARESE Il ghiacciaio, subito dopo S. Grato, riceveva i suoi due ultimi grandi affluenti dalle valli di Champorcher e della Lys, per modo che poco a valle di Pont-St. Martin il suo bacino di raccolta poteva considerarsi chiuso, e la corrente di ghiaccio, senza ricevere piu alcun altro affluente apprezzabile, si avviava ad espandersi nella pianura. Siccome le due valli ora nominate si trovano per altitudine e topo- grafia nelle stesse condizioni del resto della Valle d’ Aosta possiamo ammettere senza tema di errare troppo che esse mandassero al ghiac- ciaio un contributo, riferito all’unità di superficie, uguale a quello della valle a monte di San Grato. In base alla portata trovata per San Grato potremo calcolare quella nella sezione di Pont-S. Martin che collocheremo colà dove la Dora è attraversata dal confine amministrativo del circondario di Aosta, il quale segue i limiti idrografici verso levante e mezzogiorno delle due valli della Lys, e di Champorcher, comprendendo in questa il vallone del Rio Fer che sbocca però a Donnaz direttamente nella Dora. Così avremo subito la superficie idrografica del bacino glaciale a monte di tal punto, perchè sarà quella nota del circondario di Aosta cioè: 3264,92 km.® La superficie di valle a monte di San Grato può calcolarsi pura molto agevolmente colle tabelle statistiche della superficie dei comuni della valle, e coi metodi planimetrici per quei scarsi relitti che presso San Grato non coincidono coi limiti amministrativi, e risulta di km.* 2830,42. Ora siccome sopra questa superficie il ghiacciaio raccoglie una portata di 4429 milioni di m.5, una semplice proporzione ci darà la portata raccolta sopra 3264 km. fino a Pont-S-Martin. Fatti i debiti calcoli si trova che il contributo al ghiacciaio maestro mandato dalle valli del Lys e di Champorcher era di 680 milioni di m.%, essendo quello totale di 4429 + 680 — 5109 milioni di metri cubi. La superficie di ghiacciaio a monte di San Grato è già stata calcolata in 658 km.*; deducendola da quella totale della superficie d’ablazione pure determinata in 1163 km. , si trova che la superficie a val'e di San Grato è di 505 km.®, i quali comprendono e la su- gv. Va, VOR » AVS + € Lia IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 235 perficie del ghiacciaio maestro e quella dei due affluenti della LyS» di Champorcher. La quantità di ghiaccio che doveva fondere sopra questa super- ficie di 505 km.® in un anno era la somma dei 3113 milioni di m.3 di ghiaccio che attraversavano la sezione di San Grato, più i 680 mi- lioni di m.* provenienti dal resto del bacino dopo San Grato cioè, in totale 3793 milioni di metri cubi. Dividendo questa somma per l’area della superficie di ablazione avremo che ci rappresenta l’altezza media dell’ablazione che stiamo cercando. Vediamo se questo valore sia verosimile. Il ghiacciaio valdostano terminava presso il ciglio superiore della morena di Mazzè ad una quota di 300 m., vale a dire a 1300 m. piu in basso del livello del ghiacciaio a San Grato. Ammessa per la quota di San Grato un’abla- zione annuale di m. 3,3, al livello di Mazzè essa avrebbe dovuto essere da 10 ad 11 m., calcolando in 0.75-0.80 m. l’aumento di altezza del- l’ablazione per ogni 100 m. di diminuzione della quota. Ma anche se il ghiacciaio non avesse ricevuto affluenti, l’ablazione media non poteva essere la media aritmetica fra i due valori estremi 3.30 e 10-11 che sarebbe da 6.50 a 7 m., perchè il ghiacciaio andava al- largandosi considerevolmente nella pianura ed offriva all’ ablazione una superficie sempre piu larga man mano che si espandeva a quote sempre minori. Tuttavia l'avere compreso nel computo le superfici totali dei ghiacciai del Lys e Champorcher superiori ai 1600 metri, perle quali l’ablazione scende da 3.3 fino a 0, e la considerazione che per costruire un apparato morenico così regolare e potente lungo tutto il suo orlo il ghiacciajo doveva essere coperto nella sua parte inferiore di un mantello uniforme e quasi continuo di detriti, che di- minuiva in misura molto sensibile l’ablazione, ci permettono di ritenere non troppo lontana dal vero la cifra di m. 7.51 che abbiamo trovata, e quindi di altrettanto approssimate le altre cifre che abbiamo calcolate. 236 VITTORIO NOVARESE LE PRECIPITAZIONI NEL WilRMIANO. Il calcolo che ho istituito ha dato per la erogazione totale an- nuale del ghiacciaio a San Grato la cifra di 4.429.000.000 m.? la quale è l'equivalente in ghiaccio della quantità di neve accumulatasi in un anno al disopra del limite delle nevi perpetue. Per vedere a quale altezza di precipitazioni tale neve corrisponda conviene trovare la misura di questa superficie di raccolta. A monte della sezione di San Grato la superficie della valle è di km.® 2830.42. Se da questa superficie si deduce la superficie di ghiacciaio calcolata in antecedenza in 658 km.*, rimangono 2172 km.’, i quali compren- dono e la superficie superiore ai 2000 m., e quella libera di nevi durante l’estate fra l’isoipsa 2000 e l’orlo del ghiacciaio. La superficie libera delle nevi è di determinazione molto difficile, ma non si peccherà in eccesso supponendo che essa non fosse minore di 172 km.?, per cui possiamo ammettere che la superficie cercata fosse al massimo di 2000 km.® Avremo allora per l’altezza in m. delle precipitazioni smaltite dal ghiacciaio 4.429.000.000 2.000 Tale altezza, misurata in ghiaccio, come si è fatto per tutti i == 2,2145 calcoli fatti fin quì, equivale a m. 2.037 di acqua. La cifra però non rappresenta il totale delle precipitazioni ma solo una sua frazione, perchè, oltre al non comprendere l’eventuale quan- tità di pioggia vera e propria caduta al disopra della linea delle nevi, equivale soltanto a quanto rimane sotto forma di neve dopo le perdite subìte per evaporazione, per dispersione dai venti, e per quella parte di acqua di fusione, che non riassorbita dalla neve e consolidata dal rigeloTin essa, va ai torrenti della valle per altre vie che non siano quelle del ghiacciaio. A quanto ammontino queste varie perdite, specialmente nell’alta montagna, noi non sappiamo neppure per approssimazione, ma certo debbono rappresentare una percentuale così poco trascurabile da non farsi considerare come in- verosimile un’ altezza totale di precipitazioni di almeno 2,50-3 m. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 237 Se paragoniamo questa cifra coll’altezza delle precipitazioni misu- rata nella stazione più elevata della valle, l’Ospizio del Gran San Bernardo (2472 m.), dove nel 1900 si ebbero m. 1.608 in totale, si dovrebbe inferirne che nel Wiirmiano le precipitazioni erano notevol- mente superiori, sebbene si tratti di una stazione da 600 a 700 m. inferiore al limite attuale delle nevi perpetue, e possa per ciò elevarsi sempre qualche dubbio su quanto avviene a maggior altezza. Una serie di altri confronti ci persuadono dell’erroneità di una tale conclusione, e di quanto siano giustificati il dubbio accennato. Il primo e più eloquente paragone può farsi coll’attuale portata media o modulo della Dora Baltea. Il bacino imbrifero di tutto il fiume fino al suo sbocco nel Po è, secondo i dati pubblicati dal Bac- carini (1), di km.° 4332; la sua portata media annuale di 215 m.3 al secondo. Se si calcola a quale altezza di precipitazioni questa por- tata corrisponda si trovano m. 1.56, cifra che rappresenta essa pure una frazione dell’altezza totale delle precipitazioni, perchè corrisponde unicamente all'acqua di deflusso superficiale, a cui conviene ag- giungere quanto va perduto per l’evaporazione, od è assorbito dal terreno, che insieme rappresentano una notevolissima perdita sul va- lore della quale m’intratterrò in seguito. E se si considera, che nel- l’area del bacino imbrifero sono compresi più di 500 km.* di pianura, sui quali le precipitazioni non arrivano ad 1 m., il bacino di Aosta dove sono appena 0.572, quello di Cogne con 0.698, ed Ivrea stessa dove giungono solo a 1.408, oltre al Gran San Bernardo già ricordato che è coi suoi 1.608 a mala pena superiore alla media di 1,56, è ine- vitabile l’ammettere che le alte zone della valle abbiano delle altezze di precipitazioni totali di gran lunga superiore ai 2 m., e quindi la media altezza delle precipitazioni nevose, ridottta in acqua, che ali- mentano i ghiacciai ed i torrenti sia molto meno lontana da quella del Quaternario, di quanto a primo esame non paia. Ne è da credersi che tale fatto si verifichi soltanto per la valle della Dora Baltea, perchè dallo studio accuratissimo, e largamente (1) A. BAccARINI. Le acque e le trasformazioni idrografiche in Italia, « Studii sulla geografia naturale e civile d'Italia », Roma 1895, R. Società Geografica. 238 VITTORIO NOVARESE documentato del Fantoli (1), sappiamo che la media delle precipita- zioni misurate dagli udometri nel bacino idrografico del Verbano, monte di Sesto Calende è di 1780 mm., di cui defluiscono al lago 1582 mm., numero quasi identico a quello trovato per la Dora Baltea, sebbene non perfettamente comparabile. perchè per questa è compresa nel bacino imbrifero tutta la parte di pianura fino a Chivasso, men- tre il Fantoli considera pel Ticino il solo bacino montano, più ricco di precipitazioni. Anche la Dora Riparia con un bacino secondo il Baccarini di 1231 km.® ed un modulo di 57 m.? smaltisce una precipitazione di 1460 mm., media sopra tutto il suo bacino fino a Torino. Perciò nelle Graje, le Pennine e le Lepontine le portate conside- revoli dei fiumi rivelano un’altezza di precipitazioni nella parte mon- tuosa e più elevata, del tutto eccezionale, e di molto superiore a quella registrata dagli udometri degli osservatorî che vi si incontrano. Di questa induzione si ha pure una prova diretta, anche più con- vincente sul versante settentrionale delle stesse Alpi. Acecuratissime misure di ablazione sul ghiacciaio del Rodano, e sulla portata del torrente che da esso ha origine, al ponte di Gletsch, subito dopo la sua fronte, continuate per due anni (1900 e 1901) hanno dimostrato che nel torrente scorre annualmente una quantità d’acqua all'incirca una volta e mezzo maggiore di quanto risulti dal calcolo dell’ablazione del ghiacciaio, e dell’acqua e neve cadute secondo i dati udometrici, nelle parti non coperte dal ghiacciaio del bacino im- brifero del torrente (2). Calcolata la caduta d’acqua in base alla portata. vera del torrente si sono trovate delle altezze d’acqua, variabili a seconda della pio— vosità delle annate considerate da 3.6 a 2.6 volte le altezze udome- triche ammesse per le due annate, che avevano rispettivamente i già cospicui valori di m. 1.53 e 1.92, e ciò senza tener conto alcuno delle perdite per evaporazione od altro! Giungiamo così a delle altezze (1) G. FANTOLI, Sul regime idraulico dei laghi, Milano, Hoepli 1897. (2) Hess, I. c., pag. 238. "2 dini IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 239 di 5 m. ed oltre, per la sola acqua di deflusso, trascurando ogni altra perdita! Da queste fortissime precipitazioni nella parte più elevata del Sistema Alpino deve pure derivare la singolare anomalia che si riscontra nelle portate misurate dei fiumi alpini lacuali come il Ro- dano, il Ticino, l’Adda, nei quali defluisce una fortissima percentuale delle precipitazioni rivelate dagli udometri dei bacini rispettivi (oltre 180 % nei fiumi italiani, e più del 100 % nel Rodano fino a Ginevra). Questa percentuale detta coeficente di deflusso, è notevolmente mag- giore di quella dei fiumi europei non alpini i quali ne raccolgono non oltre il 50 % e possono scendere fino a solo il 30 %. L’influenza di questa circostanza è sensibile fino alla foce dei due grandi fiumi delle Alpi, il Po ed il Rodano, i quali giungono al mare perdendo rispet- tivamente per evaporazione od altre ragioni solo il 44.3 ed il 37.3 dell’acqua di cui si è misurata la caduta (1), mentre la massima parte dei fiumi della terra ne perde sempre più del 50 % ed in media quasi 1’ 80 %. Tutto questo significa che se la nostra ancora troppo imperfetta conoscenza del regime delle precipitazioni nell’alta montagna per la mancanza di osservazioni dirette, d’altronde difficilissime, non ci per- mette il confronto immediato del Wiirmiano coll’attualità, la misura indiretta, dataci dalla portata dei fiumi e torrenti provenienti dai ghiacciai è più che sufficiente per farci considerare la cifra di 2.037, trovata per l'altezza delle precipitazioni corrispondente a quella delle nevi perpetue del Wiirmiano, tutt'altro che superiore a quanto si ve- rifica anche ora al disopra della quota di 2000 m. Si può avere un controllo sintetico e persuasivo della conclusione a cui sono giunto, confrontando con quella attuale della Dora, la portata del ghiacciaio wiirmiano, che ho calcolata in km.* 5.109 di ghiaccio, i quali ridotti in acqua danno 4,64 km.® Possiamo supporre che la parte della Valle d’Aosta al disopra dei 2000 m., mandi ancora (1) MurRAy, Scottish Geogr. Mag. 1887. (2) KeiLHack, Lehrbuch der Grundwasser und Quellenkunde, Berlino 1912, pag. 89. 240 VITTORIO NOVARESE alla Dora la stessa quantità d’acqua, e verificare se dal resto del bacino si ha una portata compatibile colle altezze udometriche osservate. Così facendo trascuriamo la quantità di acqua che la superficie al disopra delle nevi perpetue mandava al fiume della valle, per altra via che non il ghiacciaio, ma non sarà un grave errore. La portata annuale della Dora Baltea corrispondente al modulo di 215 m.3 per 1’, è di 6.77 km. Se da questa cifra deduciamo i 4.64 km. provenienti dai 1972 km.°, al disopra dei 2000 m., tro- viamo km. 2.13 defluenti dai rimanenti 2360 km. di tutto il bacino fino al Po, i quali perciò corrispondono a m. 0.903 di precipitazioni. Ora sopra questi km.® 2360, solo una piccola parte in Val Chiusella è sopra i 2000 m.; la più gran parte del rimanente sta a quota assai più bassa perchè comprende il piano extraalpino, e le basse valli lungo i torrenti. Sopra questa parte bassa sappiamo essere le preci- pitazioni inferiori ad un metro, e talora notevolmente, come ad Aosta e Cogne; di più la porzione fuori valle è costituita da terreni di trasporto molto permeabili come le morene e le alluvioni e perciò assorbe acqua per la circolazione sotterranea e poca ne manda al fiume. Il coefficiente di deflusso generale è perciò certamente assai basso e non maggiore di 0.40-0.50 per tutta la parte dell’area di cui si conoscono le altezze udometriche annuali. La cifra 0.903 per le precipitazioni che alimentano la Dora in tutta questa parte del bacino, inferiore ai 2000 m. è quindi altamente verosimile, e perciò altrettanto lo deve essere quella di 2 m. e più, pel bacino superiore a tale quota (1). (1) Sebbene non risultino ancora dalle comunicazioni ufticiali di un osservatorio regolare, si ha in Italia un esempio di precipitazioni superiore notevolmente ai 2 m. Nell’Appennino settentrionale, presso il passo del Lagastrello, fra le valli del- l’Enza e del Taverone esiste un impianto idroelettrico proprietà della Società elettrica ligure, per il quale sono stati invasati e trasformati in serbatoi alcuni | laghetti morenici esistenti nel gruppo di Monte Malpasso. Siccome pel regolare esercizio si tien conto dell’acqua consumata, secondo una gentile comunicazione dell'ing. prof. Luigi Zunini, direttore dell'azienda, è risultato che l’acqua raccolta dai serbatoi, diventati giganteschi udometri, corrisponde ad un’altezza di precipi- tazioni di 4 m. circa. IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 241 Il calcolo che abbiamo istituito dimostra come la forma è le di- mensioni del ghiacciaio wirmiano, quali sono state ricostrutte sulla base dell’osservazione diretta, siano perfettamente compatibili con un clima più rigido dell’attuale e senza mutamento del regime delle pre- cipitazioni, ed è una verifica, ed in certo modo una conferma, del- l'ipotesi ora più accreditata nel campo della scienza, secondo la quale le espansioni glaciali quaternarie alpine non sono derivate da un aumento delle precipitazioni ma da un abbassamento della tempe- ratura regionale, conclusione a cui per diversa via sono giunti De Marchi, Hess e Penck. Il clima più rigido dell’età glaciale avrebbe soltanto aumentato, a detrimento della parte sotto forma di pioggia, la quantità di precipitazioni sotto forma di neve, od in altre parole fece aumentare quel rapporto climatico fra neve e precipitazione totale che si chiama la nevosità relativa. Però giova notare che dalla forma e dimensioni del ghiacciaio, non si puo col mezzo di calcoli dedurre alcun argomento inoppugna- bile contro la vecchia teoria di Tyndall, che le espansioni glaciali fossero dovute ad un aumento contemporaneo della temperatura e delle precipitazioni. Siccome nell’ipotesi di un aumento di tempera- tura deve crescere pure l’intensità dell’ablazione, con quest’ultima cresce pure la velocità di deflusso, come si intuisce facilmente e si vede d’altronde dalla formola ONSI_(G50fi già stabilita prima, e nella quale essendo $S ed # invariabili, col- l’aumentare di «' ablazione media deve pure aumentare v, velocità del ghiaccio nella sezione considerata. Ora nei ghiacciai artici sì co- noscono valori di v fino a 32 m.; nella zona tropicale e subtropicale altezze di precipitazioni fino a 12 m., alle quali, ove si verificassero in località opportune alla caduta sotto forma di neve, potrebbero corrispondere notevoli altezze d’ablazione. Di quest'ultime non conosciamo invero valori oltre i 12-15 m., ma ciò potrebbe dipendere dal fatto che finora si sono fatte misure di ablazione soltanto nelle regioni temperate, e non si conoscono sotto questo rispetto le condizioni dei ghiacciai tropicali e nemmeno dei maggiori asiatici. ae «a e = n} Ù 242 VITTORIO NOVARESE. 000 Certo è molto inverosimile che le circostanze che ora si ventfi- eano in luoghi posti in condizioni totalmente opposte, come sono î tropici ed i poli, si siano trovate in concomitanza, ma davanti ad un fatto eccezionale come le grandi espansioni glaciali sulle cui cause si diseute da tampo tempo senza giungere ad una conelusione sod- disfacente l’inverosimile non è ancora l'impossibile. Maggior peso potrebbe avere un calcolo della velocità n uma sezione qualsiasi se fosse lecito applicare ad mn ghiacciaio di così grandi dimensioni le formola di Eytelwein per il moto dell’ acqua nei canali, modificata da Hess e Blùmeke per l’Hintereisferner. Ma i coefficienti sperimentali pel caso nostro mancano assolutamente e converrebbe assumerlì arbitrariamente per congettura, ciò che toglie- rebbe ogni valore al risultato. Tuttavia considerazioni di altro genere fondate sulla forma del ghiacciaio confortano l'ipotesi di un clima rigido. Vediamo infatti che il ghiacciaio dopo essersi sviluppato dentro la valle sopra 800 km. di superfiele, giunse presso Andrate (Sez. B-B della carta) colla quota di 1000 circa, e per smaltire la portata che ancora conserva, deve espandersi nella pianura sopra una superficie di 360 km., e scendere alla quota di 300 m. Negli attuali ghiacciai delle Alpi la parte inferiore, dove si veri- ficano delle ablazioni da 7 a 12 m e più all'anno, rappresenta uma frazione generalmente assai piceola dell’ intiera superficie del ghiae- cialo propriamente detto, dal 10 al 20 % al massimo e va continua- mente restrinsendosi, in modo da far terminare il ghiacciaio a punta, come può vedersi sulle earte di qualunque ghiacciaio alpino. Nel ghiacciaio valdostano invece, e nei maggiori suoi contemporanei, la larva espansione della parte inferiore dimostra la tendenza a svilup- pare al massimo le aree di maggiore ablazione, indizio questo di lentezza e scarsa efficacia in quest’ultima, e per ciò di elima freddo. E che verso la quota di 1600 m. incominciassero veramente le forti ablazioni è dimostrato dal fatto che verso questa quota inco- minciava la parte terminale di tutti i ghiacciai delle Graje e Pennine sta che essi rimanessero entro valle come quelli delle Valli di Lanzo ni” tel po PE PI n - | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 243 e dell’Orco, sia che si espandessero nella pianura come nella Valle d’Aosta, nella Valle di Susa e nel ghiacciaio del Ticino, come ho già detto, specificando gli esempi, in un’altra occasione (1). Due altre circostanze dedotte dal profilo e dalla carta indicano che l’ablazione e per conseguenza anche la velocità non potevano essere molto maggiori di quanto ho ammesso nei miei calcoli. La prima è l'andamento del profilo che mostra la lievissima inclinazione del ghiacciaio a monte di S. Grato. Siamo in presenza di un vero rigurgito glaciale a monte della sezione ristretta : la massa fluente dovette innalzare il suo livello per acquistare la velocità necessaria a vincere l’ostacolo, raggiun- gendo una potenza di quasi 1300 m., non superata nemmeno dai ghiacciai che occupavano le profonde conche dei laghi lombardi, ed offrendo alle cause d’ablazione una larga superficie pianeggiante che abbiamo calcolata in 658 km.?, il triplo di quella dell’attuale Verbano. Questo è un indizio di scarsa efficacia di tali cause altrettanto eloquente quanto l’altro fatto del rapporto di 2.1 fra le superfici di alimentazione e d’ablazione, che significa essere in proporzione dell’alimentazione, la superficie di smaltimento poco attiva, non ostante la sua favorevole esposizione meridionale. Com’ è noto i ghiacciai del versante opposto avevano un rapporto di 3, e per ciò superfici d’ablazione relativamente più efficaci, per quanto in latitudine più alta di parecchi gradi. Infine un’ultimo criterio per giudicare dell’altezza dell’ablazione e quindi di quella delle precipitazioni ci è offerto dal paragone del volume del ghiacciaio, calcolato in precedenza in 884 km.3, colla por- tata totale di km.3 5,109. Questo rapporto è di circa 173, il che equi- vale a dire che, ferme le ipotesi fatte, il ghiacciaio può immagazzi- nare la portata di 173 anni. Siccome nei ghiacciai attuali il calcolo del volume totale non si puo generalmente fare non conoscendosi la forma del letto, manca un mezzo di confronto immediato, ma lo si puo ottenere indiretta- mente. Siccome nelle sue fasi di espansione e di equilibrio un ghiac- (1) Ofr. Relazione preliminare sulla campagna geologica dell'anno 1911. Boll. del R. Com. Geol. d’It., vol. XLIII, 1912, fasc. I, pag. 37. 244 VITTORIO NOVARESE - IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA ECC. ciaio è vivo in ogni sna parte, il suo intiero volume deve stare n un certo rapporto colla sua portata, a differenza di quanto avviene ad esempio in un lago, nel quale tutta la parte al disotto della soglia dell’ emissario è idraulicamente inerte ed indipendente dalle variazioni di portata degli influenti. Il volume di un ghiacciaio quindi deve essere in relazione abbastanza diretta colla velocità. media di deflusso, tanto che in generale a parità di altre condizioni la si vede aumentare colle dimensioni del ghiacciaio. Così ad esempio nel grande ghiacciaio di Aletsch, il maggiore delle Alpi, la velocità annuale verso la metà del corso è di m. 180 e la lunghezza massima di 26 km.; dividendo quest’ultima cifra per la velocità si ha il rapporto 144, che ove potesse ammettersi nel ghiacciaio velocità costante e sezione costante, rappresenterebbe il numero di anni occorrenti ad una molecola di neve a percorrerlo, e per cio anche il numero delle portate annuali immagazzinate. Ora l’ipotesi di velocità e sezione costanti è tanto lontana dal vero che al più il numero 144 può considerarsi come un’indice del numero minimo di annate che il ghiacciaio può immagazzinare nel suo seno. D'altra parte lo Heim ha calcolato per lo stesso ghiacciaio che una molecola di neve im- piegherebbe 450 anni a percorrerne tutta la lunghezza, dalla punta della Jungfrau fino al termine. E tale numero, ove sia stato calco- lato esattamente, rappresenta un massimo, non solo non superabile ma nemmeno raggiungibile, perchè della neve di ogni annata solo una parte piccolissima giunge a percorrere l’intiera lunghezza del ghiac- ciaio, mentre tutto il resto è eliminato assai prima, l’ablazione inco- minciando al limite delle nevi perpetue. Per ciò il numero di annate di neve realmente immagazzinate nell’Aletsch è una cifra intermedia fra 144 e 450 e può darsi sia compresa fra due e tre secoli. Se paragoniamo questa cifra col numero di 173 che abbiamo trovato pel rapporto fra volume e portata nel ghiacciaio valdostano, vediamo che è più vicino al minimo che al massimo trovati pel ghiacciaio di Aletsch, il chè indicherebbe essere il valore della portata certo non esagerato per difetto, ma piuttosto per eccesso e che per ciò non è probabile si sia ammesso un’ altezza d’ablazione troppo piccola. VITTORIO NOVARESE: JI! Seal nella Valle d'Aosta e nelle valli del Canavese Stoekborn NeuWeia: Boll. R. Com. Geol. Vol. XLIV Rig” dulopg z Sa A "i 7 AltWeis GranFillar / Sie Pesi e <> o vo y. 4 he Las . ne aa } LC AR, Ad = è ; 1) Mein: ce Aa î ii asset To di iS Mpa ra HI d; Loi - a \lfcLochat Vago n SE, «ia E Ka ES ° Fase, s: peo 3 a ; frasbo SE, E pigri P o DAG ca Iò PA . da Si Si pei (YP 4 3 fi i lt I M. Pe È GrandiGalila > ea Co Bianca io MP IN Trsatcyy sii dA sr ‘dl Kip psc MMontsgriayeg) + CN an CM regie ada] A a 1 Uli Ng p2 LAI: je AHx Siro dupootey 0 d NE 2, ce INA) EU x Ae 4 M: Pisonet n - sans 43077 "i ì a\ M.Moriony {i PX rgart (EC È fa sf fi opta re nalè. 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"Ra ge 11. ) 408, g 4 3 O Spripart? e Bairo va w Jane Strapibino, W stro; To * I ghiacciai wiirmiani maggiori della Val d'Aosta e delle valli del Canavese nd S/ | Pirri a: | : ” pe id glié + AVA, O Lara | \: È aggio] KrengeNI | | A ; ; RA TA gala gua AE dA I ({ (la | Campo d'ablazione dei ghiacciai AS Ma gere SE "do di fra. cl Ss L, lontaderyl DA Ì ; ; îmi mali, Gg tia J spazi: Sw tica Visori Ì Cra Isoipsa di 2000 m., limite climatico "= Sia me O, les gr » E, by 5 ppt *"* , 1 Y, Lo Gea 3 - delle nevì persistenti nel Wùrmiano pigri de Va Socpnlo è, a 4 EI 143: candl ar VAlgio ferta | | agito Mure Sddlonio La tod rat ” ty f Vafengo, a. Î — erone pu nor AN \usig 7 Divci IATA Scala di 1: 250 000 fvorm RR | | | a A Proprista artistico-lettoraria a a arr DL poggi mea ri eo pr — Pi £ v dA fa Satn C.d'italia d.T.CL ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI + NOVARA I fi : È yo # sp fn A ai V. VENTURINO SABATINI NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’8 MAGGIO 1914 PARTE I. LE CAUSE. $ 1. — AREA COLPITA, EPICENTRO, ACCIDENTI GEOLOGICI. Il terremoto dell’8 maggio 1914 fu detto di Acireale non già dal nome della ridente cittadina che non ebbe danni di sorta, bensì da quello del circondario sopra una parte del quale i danni si pro- dussero. Meglio che « di Acireale » si doveva dire « terremoto di Linera » perchè fu questa borgata la maggiormente colpita insieme alle frazioni Cosentini, Beata Vergine della Catena e Passo Pomo che ad essa e a Bongiardo si riattaccano per l’ubicazione contigua !. Le case di questi abitati, occupate da circa 1650 persone, sono completamente abbattute, parte per opera del terremoto e parte per ordine delle autorità perchè divenute inabitabili e pericolose. Sono da eccettuare solo poche case di Cosentini ancora abitate, seb- bene danneggiate fortemente ®. I danni accertati negli aggruppa; menti di case si possono dedurre dal quadro seguente, redatto dal- l’ufficio del Genio Civile di Catania. Non vi sono compresi quelli delle case sparse nella campagna per quanto numerose, nè quelli ! Cosentini e Passo Pomo non sono indicate nelle carte topografiche locali, la cui pubblicazione risale al 1895, quando le dette borgate non esistevano ancora od esistevano con poche case annesse a Linera e a Bongiardo. ? Linera pr. detta conta 500 abitanti, la Beata Vergine della Catena 250, Cosentini 600 e Passo Pomo 300. 246 VENTURINO SABATINI delle chiese, qualcuna delle quali, come le chiese di Linera e della Beata Vergine della Catena, crollarono in parte e nel resto furono abbattute dopo, e parecchie altre divenute seriamente pericolose. Nè vi sono compresi il numero dei morti che, per la ragione che dirò in seguito, furono di appena una settantina, nè quello dei feriti anch’essi poco numerosi in proporzione. Va notato che la popolazione agglomerata delle singole borgate non è quella risultante dall’ultimo censimento (1911) poichè si è già di molto accresciuta, e fu determinata approssimativamente in base ai dati forniti dalle autorità comunali. Anzi molte frazioni non fu- tono nemmeno considerate nel censimento anzidetto poichè si co- stituirono dopo, e di parecchie non è nota la popolazione non essendo ancora ben delimitati i loro abitati a causa del grande spar- pagliamento delle case che li vanno componendo disseminandosi un po’ dovunque nell’ubertosissima plaga del territorio di Acireale. Yad NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’8 MAGGIO 1914 247 Quadro dei danni prodotti nelle borgate colpite dal terremoto dell’ maggio 1914. Popolazione] Numero Numero Numero Numero BORGATE Leo” | ‘Icliare | di case | di case | di case in cifra quasi crollate | fortemente | lievemente tonda totalmente | in parte lesionate lesionate I TERA the lo cotone 500 60 30 10 _ BrissVvegdella« Catena ti 00. (e 250 20 20 15 _ PaNsolEomomi gen + 300 30 20 10 _ BONCIArdOBpr Mae Ot RO i 500 5 25 70 _ COSE A. 600 40 40 50 _ ZELDA ne E 300 10 15 25 _ Sara deMalatif@ toi 1000 40 60 95 — STECOSIMONZO E TE 200 _ _ 15 30 Crete ec Mie 1300 = 10 90 150 SESEVEnermarnania = 0: lag L'ad 2100 —_ _ 100 440 DEBATE: e LO ROS a 1300 10 10 45 100 Ciulalat RSI 2 5) 6 5 _ Canrellere=s, Msi NO. ? _ _ — 30 SERGI. RITIRARE Z = —_ -- 20 EISADONRE e N a 650 = 6 50 80 iene Ru 800 = —_ 5 60 Zafferana Etnea (centro) . . . . 3100 _ —_ 10 100 FAZIONE RR RO 400 —_ —_ _ SissMrsidelle!GrazieMi (i nano ? = _ 10 20 Loreto . . O Ca SOI ? — 3 VoccarAtA piana in e selle cea 150 3 3 5 15 248 VENTURINO SABATINI Le mie escursioni, durate nove giorni, ebbero uno scopo pratico e quindi non posseggo elementi sufficienti pel tracciamento delle curve sismiche, sia pure intese con quella sola approssimazione con la quale è lecito ottenerle. Ma è sicuro che l’epicentro debba com- prendere: Linera, Cosentini, Beata Vergine della Catena, e Passo Pomo fino a Bongiardo propriamente detto, nei quali, tra l’opera del terre- moto e le demolizioni, la rovina è completa; una parte di Santa Maria dei Malati o Malati in cui la rovina è anche grande; la zona tra Carico, che sta a Nord di Malati, e la falda a valle di un tratto di ferrovia di circa mezzo chilometro a Nord della galleria di Santa Tecla !; e finalmente il cimitero di Zafferana, posto nella regione di Rocca d’Api e mostrante un’intensità ugualmente forte nelle scosse subite. Si può quindi come prima approssimazione del- l’epicentro disegnare, come si è fatto nella cartina annessa a queste note, una curva molto allungata intorno ad una linea che dallo sbocco Nord della suddetta galleria passa per Carico, Linera, Passo Pomo e Rocca d’Api. È questa la direzione lungo la quale Gaetano Platania trovò una zona di fratture che chiamò con locuzione abbre- viata « la frattura di Santa Tecla»), e sulla quale ritornerò in seguito. Dai due lati di tale allineamento i danni si vanno attenuando sensibilmente. Così ad Est da Bongiardo a Santa Venerina, non che verso Le Aguzze, e ad Ovest a Pisano. Invece spostandosi ancora più verso Pennisi (Zerbati) e la Beata Vergine delle Grazie si ha un ri- corso di forti danni dove G. Platania ha già indicata una seconda zona di fratture più o meno parallela alla precedente e passante appunto per Pennisi e Grazie con continuazione fino alle Fossazze. Di questa zona e della precedente il Prof. Platania mi mostrò le tracce ancora visibili in alcuni punti all’epoca della mia visita, giacchè negli altri siti, specialmente nei terreni vegetali, erano generalmente scomparse. Si può quindi correggere l’epicentro disegnato aggiungen- dovi una gobba a sinistra per includervi Pennisi, e forse anche le Grazie; oppure aggiungendovi un’altra piccola curva staccata dalla ! Nelle ferrovie è indicata col nome di galleria n. 10. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 249 precedente, un po’ allungata in direzione Pennisi-Grazie e racehiudente la prima località o ambedue !. A rafforzare tali conclusioni riporterò, dalla relazione citata a pag. seg., un semplice calcolo fatto sul quadro precedente. Se si calcolano le somme dei numeri delle case crollate totalmente e parzialmente, proporzionalmente a mille abitanti e per ogni borgata, vedremo che Passo Pomo darà la somma —. . . 170 B. V. della Catena ) ME 60 Linera p. d. ) RR L90 Cosentini ) se Malati » Me T00 Pennisi (Zerbati) ) ECONO: OO Bongiardo ) pa, I, 60 Rocca d’Api ) O Ed è notevole che Bongiardo che dista da Linera per 700-800 m. figura già per 60, e SA Venerina a poco meno di 1500 m. per danni minori, senza case crollate, ma col più forte numero di lesioni fra tutte le altre borgate colpite. Quanto a Rocca d’Api, se figura per 40, il suo nome non entra nell’epicentro solo per le case, ma anche pei forti dissesti del cimitero, che è quello di Zafferana. Forse ad essere più rigorosi solo Passo Pomo, Linera, Catena e Cosentini dovrebbero entrare nell’epicentro, il resto formando già un’area di 2° ordine. Ma è bene ricordare che il grado di precisione nella misura di una gran- dezza non deve superare il grado di variazione di questa grandezza. Se ora passiamo alla considerazione delle borgate che ebbero case in generale crollate solo parzialmente ed in numero sensibile ma non 1 Sulla cartina annessa gli allineamenti delle due zone di frattare sono indi- cati con tratti, alcuni semplici, altri doppii. La zona di S.8 Tecla passa per Malati e Linera, quella delle Grazie per Aci S.8 Lucia e Pennisi. I tratti doppii mostrano i siti in cui fu osservata la fratturazione prodotta dal terremoto del maggio de- corso, I tratti semplici sul primo allineamento indicano le parti intermedie non verificate e probabilmente anch’esse fratturate; sul secondo allineamento indicano la direzione delle fratture del 1894 e del 1907, 250 VENTURINO SABATINI preponderante, troveremo un’area limitata da una curva di cui una parte passerebbe pei pressi di Milo, di Zafferana, di Aci S2 Lucia; e la parte rimanente pei pressi di Aci S.a Lucia, mare di Santa Tecla, Puzzillo di Sopra, S. Leonardello, Dagala, Milo. Questa sarebbe ap- prossimativamente l’area colpita. In un documento ufficiale del Consiglio Superiore dei Lavori Pub- blici (Comitato Speciale), al quale ebbi l’onore di essere aggregato |, l’area colpita fu definita in base ai dati raccolti dal Genio Civile e verificati, e in qualche punto modificati, dalla Commissione alla quale fu dato l’incarico dello studio e delle proposte per le nuove costruzioni su di essa. Ma l’area così determinata non va presa in senso sismico, chè allora non si spiegherebbero i suoi angoli sporgenti e rientranti e tutte le altre sue irregolarità; ma va presa in senso pratico di area in cui gli aggrupp' nenti di case di numero superiore ad un certo limite abbiano avuto danni anche superiori a certi limiti per entità e per numero di punti colpiti. E siccome questi aggruppamenti spesso sono allungati secondo le rotabili si spiega come i confini indicati nella citata relazione seguano talvolta queste rotabili. E debbo aggiungere che i limiti suddetti non potendo essere in alcun modo precisati spiegano altre irregolarità, che purtroppo si manifestano del pari nelle vere curve sismiche. Basta dare un’ occhiata ad una qualunque delle scale su cui esse si basano per capire come ne sia incerto il tracciamento, e come quella continuità che mostrano nella maggior parte dei casi sia ottenuta con troppo arbitrarie cor- rezioni. Difatti appena nel termine «< case crollate interamente » si guardi ai troppi elementi indipendenti dal terremoto che possono ritardare od accelerare la caduta delle case, o impedirla, o provocarla sotto l’azicne di cause molto più modeste, elementi che il profano di ingegneria ignora e che l'ingegnere si trova nella impossibilità di valutare, si vede come siano poco attendibili certe curve meravi- 1 Relazione della Commissione per la determinazione delle aree sismiche sulle quali debbono vietarsi le nuove costruzioni nella regione colpita dal ter- remoto dell'’8 maggio 1914 in provincia di Catania. Unione Editrice, Roma, 1914. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 251 gliose non solo per continuità di andamento, ma anche per regolarità di forma. Non ci sono che gli strumenti che possano misurare il valore e la direzione delle scosse, ma di strumenti non se ne tro- vano che pochi, quando non mancano affatto, nelle regioni sismiche, invece di quel grandissimo numero che sarebbe necessario. E si ag- giunga che nemmeno gli strumenti bastano ove si ricordi come e quanto le scosse debbano esser modificate dalla natura geologica del suolo, e dagli accidenti di quest’ultimo in profondità ed in superficie !. I grandi terremoti che devastano la Calabria e il vicino Mes- sinese sono considerati come tettonici, sia perchè hanno grande estensione in superficie, sia perchè non sono in rapporto con feno- meni vulcanici. Se un elemento estraneo all’ assestamento inter- viene in essi può dirsi che questo sia il movimento di frana, come ho sostenuto in scritti antecedenti ?. In generali © questi terremoti non sommuovono le regioni vulcaniche vicine, che hanno pure i loro terremoti distruttori, ma nei quali pare che la causa, o almeno una delle cause, sia direttamente connessa all’attività endogena. E di- fatti l'estensione sempre limitatissima in superficie mostra per que- sta seconda categoria un’origine poco profonda. L'area colpita dal terremoto dell’8 maggio decorso ebbe una lunghezza di circa 11 chi- lometri. Il terremoto del 1911, nella stessa regione, ebbe una quaran- tina di chilometri secondo l’asse maggiore dell’area di 2° grado della scala Mercalli. Altri terremoti furono compresi tra’ limiti precedenti. È certo però che sul versante orientale dell’ Etna qualche al- tro fattore oltre il vulcanismo debba concorrere a creare condizioni diverse che sul versante occidentale, poichè, mentre sul primo si È questa la ragione per la quale in precedenti pubblicazioni ho detto non già che le curve sismiche siano inutili (come è parso al mio valoroso amico il Dott. Martinelli), ma che debbano essere considerate per quello che sono, indi- cazioni cioè di valore approssimativo, tanto più utili per quanto di più grandi dimensioni effettive o rappresentate a scala più piccola, senza pretendere che indichino profondità di centri che nei grandi terremoti tettonici non esistono, o peggio ancora che rivelino unità o molteplicità di tali centri. ? Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi, Boll. Com. Geol., 1909. A 252 VENTURINO SABATINI hanno frequenti terremoti distruttori, sul secondo se ne hanno di intensità generalmente moderata. Quale sia questo fattore che ag- grava le condizioni da un lato solo del vulcano fu già indicato da Gaetano Platania, almeno per una parte del versante orientale !. Difatti ivi si producono nei terremoti delle fratture che generalmente non sono che riaperture di fratture precedenti. La più importante è quella detta di Santa Tecla (V. cartina annessa), e il Prof. Platania ne descrive nel modo seguente i tratti osservati nell’ultimo terremoto: * « Partendo da mezzogiorno il primo accenno della frattura si « ha ad oriente nella casina Nicolosi a S.2 Tecla, con direzione quasi « Sud-Nord. Poi si osserva nella vigna adiacente e nella strada che « la fiancheggia, poi nell’agrumeto contiguo di Salvatore Russo Pe- « corella, nella vigna del Sig. Fr. Pennisi, nella strada provinciale, «nel giardino di Pennisi Forgisi, nel giardino di Rosario Russo « Pecorella, nell’agrumeto di Nicolosi. In questo tratto la direzione « delle fratture è N. 35° O. nella stradella dalla provinciale al mare; « N.125°,0.; pois N30 /0., poi. N.«L0°.0., poi N. 35° 07 neltonar « dino di Salvatore Pecorella; e NO. nella vigna Pennisi. La frat- « tura si ritrova nella linea ferroviaria presso il casello baraccato, lì « ove si contorse il binario, e poi lungo il pendìo del burrone sopra- « stante, con direzione presso a poco N. 30° O. Indi nella via che dalla così detta Cisterna a due bocche scende verso Mortara (tre lesioni « dirette N. 30° O.) e nei due vigneti contigui si vede proseguire fin « nella strada provinciale che ne è attraversata e presenta un lieve « avvallamento, come ancora nel successivo agrumeto di Monaco « (sempre con direzione N. 30° O.). A Linera se ne osservano due « nella strada provinciale al di qua del ponte, con direzione sinuosa, «ma approssimativamente N.0., e una numerosa serie nella via « Presti di Linera stessa da Nord a Sud con tendenza verso Ovest. « Sono 16 fratture presso a poco parallele sopra circa 80 metri di 1 Origine della Timpa della Scala, Boll. Soc. Geol., 1905. Su un moto differenziale della spiaggia orientale dell'Etna, Congr. Geogr. It., II, Sez. I, Napoli, Tocco Salvietti, 1905. ? Lettera all’A. del 12 ag. 1914, e Relaz. cit. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 253 « lunghezza. Altre si ritrovano fra Linera e Passo Pomo. Finalmente «le ho constatate a Passo Pomo e anche qui sono dirette da Nord « (pochi gradi Ovest) a Sud. I danni di Princessa e Rocca d’Api < sono nella direzione generale della linea che unisce fra loro i punti «in cui si osservano le fratture del suolo. « La larghezza di queste fratture varia in generale fino a 40 cm., in « qualche punto raggiunge un metro. Dove non sono multiple, parallela «ad una frattura più larga se ne vede una seconda più stretta alla « distanza da 2 a 20 metri. Non di rado il labbro orientale è abbas- « sato fino a 40 cm. (fig. 1). Nella « vigna Pennisi in un’ antica de- « pressione si produsse uno spro- « fondamento di m. 1,70 da cui « partono piccole fratture radiali « (fig. 2). « Le abbondanti piogge ca- « dute dopo la visita della Commis- « sione in molti siti fecero sparire «le tracce di queste fratture, in « altri le accentuarono ». Il Prof. Platania crede che la Timpa della Scala, la quale è un’alta ripa che si solleva brusca- meate dalla spiaggia per un’ al- tezza di 50-100 m., e che comincia a Capo Molini per arrivare a Santa Maria dei Malati, prima con dire- Fig, 1. — Frattura con dislivello di 30-40 em. Sul labbro rimasto al vecchio livello, più alto, si vede una borsetta. (Strada che dalla rotabile provinciale scende al mare, nei pressi di S.à Tecla. Fot Platania). zione Sud-Nord, poi volgendo a N.N.0., debba la sua formazione ad un sistema di fratture per cui il suolo si va sollevando ad Occidente con 0 senza abbassamento della parte opposta !. Lo stesso Platania mi fece notare che la citata casina Nicolosi ha una terrazza divisa dalla frattura in due parti con dislivello crescente. Qui e in qualche altro sito pare che t Loc. cit. = 2594 VENTURINO SABATINI la fratturazione produca un bradisismo, ove si consideri il movimento differenziale lento e continuo tra’ due labbri, e ove si potesse ac- certare in seguito che si tratta di movimento alternante!. Ma Fig. 2. — Muro frontista della proprietà Pennisi sulla provinciale. Sua fratturazione e abbassamento della parte destra per effetto della frattura di S.8 Tecla che l’attraversa. (Fot. Platania). tanto questi fenomeni continui quanto quelli dell’aprirsi e riaprirsi di tratti di fratture si manifestano in punti numerosi corrispondenti ad un allineamento chiamato per brevità la frattura di Santa Tecla, 1 G. PLATANIA. Su un moto differenziale, ecc. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 255 ma che in effetti è una lunga zona fratturata. Difatti la direzione delle fratture accertate, che spesso sono parechie e parallele, non concorda con l’allineamento dei siti fratturati. Tale allineamento può indicarsi schematicamente con la fig. 3 che riassume i dati del Pla- Rocca d Api N PrentceJJAa Paso Pomo Hi: Zinera S6fralture. “° lsterrca dice bocche _ferrovia N Ye Fig. 3. — Rappresentazione schematica della frattura (zona fratturata) di S.% Tecla, a I Tecla tania, ed esprime il fatto che una striscia di terreno, la quale è larga in media 10-15 metri, con un minimo di 2 m. ed un massimo di 80, segue direzioni diverse ma in media di N.O., ed è tutta frat- turata con fratture che generalmente sono dirette N.N.0. Questo fatto è in relazione con la superficie di scorrimento dei materiali vul- canici superiori e con le variazioni nel grado della loro discontinuità. Quanto all’altra frattura, cui ho pure accennato antecedente- mente, quella da Pennisi alle Fossazze (V. cartina), pare debba consi- derarsi come frattura unica, poichè qualche lesione, come nella vigna Fiandàca era diretta N. 25°O., nella stessa direzione dell’allineamento dei punti fratturati. Queste lesioni si riprodussero nel terremoto del 1907 e pare anche in quello del 1894, come fu affermato dagli abitanti di quei dintorni, che aggiunsero potevano giudicare della profondità di una di esse dal tempo durante il quale sentivano rim- balzare tra le sue pareti le pietre che vi gettavano dentro. Uno 2596 VENTURINO SABATINI stesso muro appartenente alla Villa Fiandàca cadde nel 1907 ed è caduto nuovamente a causa dell’ultimo terremoto. Nella vicina chiesa della Beata Vergine delle Grazie una frattura con direzione N.0. si segue nel pavimento e nel muro vicino, e non è da porre mente alla direzione alquanto diversa da quella determinata direttamente sul terreno perchè tali direzioni vengono più 0 meno modificate dal- l’orientazione, dalla forma e dalla natura delle costruzioni. E va notato come in corrispondenza di tale frattura l’area col- pita si prolunga verso S.0., onde, se l'intensità delle scosse va dimi- nuendo, all’avvicinarsi di una zona fratturata si riaccentua, raggiun- gendo dei massimi sulle fratture e spostando le curve seguenti. Que- sto fatto in una regione di costituzione geologica uniforme e con curve determinate bene da gran numero di stazioni sismiche deve apparire nettissimo visto che se ne hanno indizii frequenti. Tanto nell’ultimo terremoto che in altri precedenti si è notato che la parte ad Est delle suddette zone di fratture è stata sempre la più danneggiata !. E mentre la verifica della loro esistenza si fa, come si è detto, direttamente sul suolo, quella della loro azione è dimostrata dai danni che le piechettano. Abbiamo visto che tali danni per l’ul- timo terremoto sono stati le rovine presso lo sbocco Nord della gal- leria di Santa Tecla, quelle di Malati, Linera, Beata Vergine, della Ca- tena, Cosentini, Passo Pomo e Rocca d’Api per la prima zona; e le gravi lesioni della Beata Vergine delle Grazie e di Pennisi per la seconda. Il riaprirsi dunque delle stesse fratture; la loro direzione in gene- rale più o meno parallela a quella del versante orientale dell’Etna, e i danni che di tali fratture picchettano la zona sono le prove di un dis- sesto profondo interessante l’intera falda di materiali vulcanici con movimenti di frana sopra le sottostanti formazioni plioceniche. Quanto ai terremoti precedenti è risaputo dagli autori che se ne occuparono quali il Grassi, l’Arcidiacono, il Silvestri, il Riccò, il Baratta, il Pla- tania, ecc. che essi ebbero curve sismiche molto allungate, più o meno i Nel terremoto del 1894 le case sulla frattura Pennisi-Fossazze e quelle ad Est di essa furono danneggiatissime, mentre quelle ad Ovest furono appena lesionate. - | —— rn NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’8 MAGGIO 1914 297 estese, e con gli assi maggiori grossolanamente coincidenti, le loro aber- razioni forse dipendendo dall’incertezza della loro individualizzazione, dovuta a tutte le cause a cui ho già accennato. Ed è così che gli stessi nomi di Santa Venerina, Bongiardo, Linera, e dei dintorni di Santa Tecla hanno avuto il triste privilegio di figurare nel maggior numero dei terremoti etnei che la storia ricorda, specialmente di quelli più noti avvenuti dalle origini del secolo XIX a tutt’ oggi. Nel solo in- tervallo dal 1855 al 1914 si sono avuti in questa regione 17 terremoti disastrosi, cioè in media uno ogni tre anni e mezzo ?. Conchiudendo questo primo paragrafo, si può ritenere dimostrato : 1. L'esistenza di due zone di fratture nell’area colpita dal ter- remoto dell’8 maggio decorso; 2. La loro azione accentuante sulle scosse, per cui può asse- rirsi che terremoti di non grande entità riescono disastrosi lungo certi allineamenti. Si tratta quindi di un fenomeno che andrebbe studiato a fondo, e che oltre ad un interesse scientifico ne ha uno pratico per l’incolu- mità d’una plaga intensamente abitata. E il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici si preoccupò di tale conclusione, a cui era già venuta la Commissione citata, e decise di far eseguire uno studio completo sull’intero versante orientale dell'Etna, così spesso e così violente- mente colpito. | $ 2. — COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL SUOLO DELL'AREA COLPITA. In questo secondo paragrafo saranno maggiormente sviluppate le conclusioni a cui è giunta la Commissione di cui ebbi l’onore di far parte sulla natura del suolo dell’area colpita dal terremoto dell’ 8 maggio. ! Oltre che il Baratta ed altri, cito per la bibliografia una pubblicazione della Commissione Censuaria del Comune di Acireale: Voto alle competenti autorità catastali în ordine alla classificazione della zona di terreni di questo comune prevalentemente battuti dai terremoti. Acireale, Tip. Edit. XX secolo, 1913. A tale pubblicazione è allegato un cenno sui terremoti del versante orientale dell'Etna, dal 1805 al 1911. % 258 VENTURINO SABATINI Nella zona in discorso non esistono che deiezioni vulcaniche. Per lo più sono lave scoriacee sovrapposte, generalmente ridotte ad am- massi di scorie di molta potenza con vene di lava continua che ta- lora le cementano a guisa d’infiltrazioni simulanti banchi e filoni, ma che non di rado non vanno di là di mezzo metro, un metro di spes- sore massimo. Sono i punti in cui la lava conservando una più alta temperatura ha potuto rimanere abbastanza liquida e quindi non è giunta a frantumarsi durante l’avanzata. Queste vene solo eccezional- mente raggiungono molti metri di potenza e costituiscono nuclei solidi, che possono alimentare l’estrazione di una pietra adoperata per usi molteplici (costruzioni d’ogni genere, pavimentazioni stradali, inghiaiate, ecc.). La massima parte di queste deiezioni è dunque co- stituita dagli ammassi scoriacei in cui la colata si frantuma a distanze più o meno grandi dalle bocche d'emissione mischiandosi alle ceneri che sono principa'mente il prodotto dello stritolamento delle stesse scorie durante il lento ma lungo movimento della loro massa sotto l’azione del rimescolamento e della enorme pressione. A questo insieme di scorie e di ceneri impalpabili si dà localmente il nome di rifusa. Come si comporta questo materiale sotto l’azione delle scosse ? Sono noti gli esempii della Germania del Nord, delle steppe russe, delle pampas americane il cui suolo è costituito da un materiale al- luvionale e quindi mobile, ma nel quale le vibrazioni per urti pro- venienti da grandi profondità si spengono a causa del forte spessore. Perciò in quelle regioni i terremoti sono quasi sconosciuti. Nel ma- teriale soffice della regione etnea in discorso lo spessore, malgrado le apparenze contrarie, non può essere troppo forte poichè molti indizii conducono a ritenere abbastanza alto il livello delle sottostanti forma- zioni sedimentarie. Così a Maletto, sull’altro versante, le arenarie salgono a 1100 metri d'altitudine, ciò che induce ad ammettere forti pendenze nel basamento della massa vulcanica. Ma ciò che più monta è che la parte ora descritta di questa massa non ha una sufficiente uniformità, poichè i banchi solidi che l’attraversano e i nuclei che vi sono inclusi ne debbono modificare singolarmente l’elasticità da punto a punto. Difatti da punto a punto si ha dove uno strato sof- ba, | Li "a radi uu S + NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 259 fice più o meno spesso e dove strati sottili dello stesso materiale al- ternanti con banchi di lava continua, Ne deriva un’ineguale trasmis- sione degli urti, una generalizzazione delle condizioni sfavorevoli di un terreno in parte costituito di materiali frammentarii e in parte di roccia continua e dura. E finalmente le fratture che da poco si vanno identificando sul versante orientale potrebbero essere indizio, come si è già detto, di uno scorrimento sull’argilla sottostante, se pure il medesimo non si complica con un fenomeno anche più profondo. Nel primo caso sotto l’azione delle scosse si determinano scorrimenti franosi piccoli in sè stessi, ma considerevoli per gli effetti disastrosi che producono, specialmente in un paese dove si costruisce male, e talvolta si costruisce molto alto. Nel secondo caso le scosse mede- sime devono anche più facilmente spostare le masse superiori per effetto delle fratture profonde. E così quel materiale mobile che se fosse di grande spessore, di costituzione uniforme e non capace di scorrere sopra le qualsisiano rocce su cui si appoggia, sarebbe di una grande stabilità e produrrebbe l’estinzione delle vibrazioni sismiche dentro la sua massa, essendo invece meno stabile sulle sue basi e di costituzione così ineguale trasmette le vibrazioni dove più dove meno, dove forti dove debolissime tra punti molto vicini, e realizza le peg- giori condizioni rispetto ai moti sismici. $ 3. — SISTEMI COSTRUTTIVI SULL'AREA COLPITA. È assai difficile dire fra le tre cause dei disastri connessi ai ter- remoti calabro-siciliani : violenza delle scosse, cattiva costituzione del suolo e pessimi sistemi costruttivi, quale sia la più grave. Ho già avuto occasione di dubitare che il terremoto sia, almeno nel maggior numero dei casi, il maggior responsabile. Altri molti prima di me hanno notato che con una maggiore accortezza da parte dell’uomo questi disastri, che fupestano l’Italia così spesso e impoveriscono in- tere regioni, potrebbero ridursi di molto. L'uomo invece anche nella regione che stiamo considerando, aggiunge — e non sempre inconscia- mente — quanto può del proprio per aggravare le condizioni natu- rali, già gravi per sè stesse. 260 VENTURINO SABATINI E difatti si costruisce in pietra di lava, quindi con materiale pesante, in pezzi non squadrati (fig. 4, 5, 6), e nella cui unione la rtnalta non potrebbe essere ado- perata con maggiore parsimonia. Basti dire che gli interstizii pieni tra le pietre dei muri danno un volume complessivo molto al di- sotto degli interstizii vuoti. Le UL Mc OR . fondazioni, salvo in qualche rara i casa signorile, anche qui sono = sconosciute. Il suolo non viene spianato se è eccezionalmente co- stituito di lava solida, ma viene === livellato con uno strato di pietre Fig. 4. — Cattiva costruzione (Malati). anche di lava, grandi e piccole, sul quale si spalma un po’ di malta e si appoggiano tanto i muri quanto i mattoni dei pavimenti terreni (fig. 7). Le sporgenze più pronunciate, se in corrispondenza dei muri, vengono in essi inclusi a risparmio di materiale e di lavoro. Ne deriva che, a differenza di quanto si dovrebbe aspettarsi, anche sulla lava le case crollano con la stessa facilità che sulla rifusa, poichè lo strato di alcuni decimetri di bloc- chi e di pietre minute con cui s’inizia la costruzione costituisce una brusca so- Fig. 5. — Cattiva costruzione (Linera). luzione di continuità tra il suolo e quello che ci si mette sopra, ac- centuandosi così l'intensità degli urti sismici. Perciò il suolo quanto più è solido tanto più facilmente viene così trasformato in un mol- tiplicatore delle scosse. Come se tutto ciò non bastasse si fabbrica indifferentemente sul MRC". NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’ 8 MAGGIO 1914 261 ciglio dei pendii ripidi e degli appicchi. Inoltre ogni centro abitato vuol possedere la sua chiesa con facciata monumentale di 20 o 30 metri d'altezza, qualche volta con cupola di 40. È una gara tra le diverse borgate a chi può possedere la chiesa più grande e più bella. A rendere così alte le facciate contri- buisce l'abolizione del campa- nile ordinario e la sua sosti- tuzione con celle campanarie sovrapposte alle facciate di cui formano il coronamento (fig. 8, 9, 10), salvo qualche eccezione come nella chiesa di Cosentini (fig. 11). Inutile ag- giungere che i metodi costrut- - sa. e S S tivi delle chiese non differi- scono molto da quelli delle Fig. 6. — Cattiva costruzione (Cosentini) case, avendo, con le scarse fondazioni, anch’esse scarsa malta e pietre generalmente non squadrate. In queste note trattando delle cause e degli effetti del terremoto di Linera non è il caso di entrare nelle norme da imporre per la Me — — — | scelta delle aree e pe’ sistemi di costruzio- ne. A questa parte ha già provveduto la Commissione citata con la sua relazione. Mi limiterò solo ad accennare che occorre costruire bene, cioè solidamente e a re- gola d’arte; occorre Fig. 7. — Livellazione delle ineguaglianze del suolo con blocchi e x È pietre, e incollamento dei mattoni dei pavimenti al disopra (Linera), costruire con piccole 262 VENTURINO SABATINI altezze e sopra banchi di lava i quali non siano troppo sottili; occorre stare abbastanza lontani da appiechi e da ripidi pendii. In tutti gli . r - = x “ne ( Fig. 8. — Chiesa di Bongiardo. altri siti, sulla rifusa o al limite tra rifusa e lava, devono essere vie- tate le costruzioni definitive e permesse soltanto le provvisorie, in legno o comunque baraccate. E nell'impiego del legno si deve preoc- ia Fig. 9. — Chiesa di Guardia. Lig. 10. — sacro Cuore di S.8 Venerina. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 263 cuparsi dell’opera delle termiti, delle terribili formiche da molto tempo importate in Sicilia e dove si sono già diffuse. Esse corrodono l’interno È na 5 del leeno fino a farne rimanere la sola parte più esterna... Quanto alle chiese esistenti si dovrebbero demolir tutte, senz: badare a proteste di sorta. 1 1l Prof. G. Platania mi rimise una breve nota sulle termiti per farla in- cludere nella relazione della Commissione di cui anch'egli fece parte. Ma quella relazione essendo già stampata riassumo qui le notizie fornitemi, perchè è bene siano divulgate. La termite (Termite lucifuga) abonda specialmente nelle regioni etree forse perchè favorita dal terreno poco compatto dove può nidificare, o per l'abondanza dei fichi d'India nei cui vecchi tronchi stabilisce a preferenza la sua dimora. Pro- duce danni rilevantissimi rodendo anche i legni più duri. Il legno pare intatto al- l'esterno, quando è già in gran parte vuotato all’interno. Questo insetto è notis- simo al Giappone, e l’Omori ne parla nel Bulletin of the Imperial Earthquake Investigation Commissee, vol. I, n. 2. Nella tav. XXI, fig. 9, che accompagna la pubblicazione di Omori è riprodotto il tempio della città di Shinko nell'isola di Formosa, crollato per l’azione di queste formiche. Per combattere quest'azione occorre imbevere illegno di solfato di rame o di catrame prima di metterlo in opera, ed impedire in tutti i modi che assorba troppa umidità, la quale sviluppa la vegetazione di un fungo che le termiti coltivano nel legno per ammorbidirlo e divorarlo più facilmente. 264 VENTURINO SABATINI Una buona proposta fu fatta non ricordo da chi e credo utile ricordarla. Si dovrebbero costruire le scuole con ampiezza di locali superiore al bisogno per servirsene come ricoveri dopo terremoti disastrosi. Sarebbe un avviamento a quella preparazione sismica (ana- loga alla preparazione militare} alla quale finora si è pensato solo nei momenti dei grandi disastri. $ 4.— NOTIZIE SUL PERIODO SISMICO NEL QUALE AVVENNE IL TERREMOTO DELL’8 MAGGIO 1914. Il Prof. Riccò che dirige gli osservatorii di Catania e dell'Etna deve avere raccolto un abondante materiale. Il Prot. Martinelli ha già pubblicata una nota preliminare e altra più estesa ne promette. Il Prof. Platania ha anche una sua nota in corso di stampa. To mi limiterò perciò a riassumere una parte delle notizie sismiche raccolte dagli scienziati suddetti e comunicatemi gentilmente dal Platania.! Se le indicazioni orarie non sono sempre concordanti si deve, come negli altri casi, a differenze più o meno sensibili, tal- volta a forti errori negli orologi. Il quadro seguente contiene il riassunto anzidetto limitato alle indicazioni locali, registrando con la scossa dell’8 maggio decorso anche quelle che la precedettero e la seguirono. I numeri romani rappresentano i gradi della scala Mercalli, R. indica: registrato dagli strumenti, —» indica scossa ondulatoria. Le scosse contemporanee 0 dovute allo stesso urto iniziale sono riunite da una grappa, gl’in- terrogativi (?) indicano sospetto di errore. ! Il prof, Agamennone, direttore dell’Osservatorio di Rocca di Papa mi com- pletò le indicazioni strumentali con la sua abituale cortesia. DATA | | NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 LOCALITÀ 5 maggio | Maniace . 6 » 7 » 8 » Santa Venerina Zafferana Id. Cl at; Santa Venerina Id. CAMINO IMRE NE TRE de Acireale . Randazzo Messina Wet Piedimonte Etneo. .. e Linguaglossa . . . . + Piedimonte Etneo. . . IENSUAZIOSS AMT al Acireale , Catania . Id. i 03 TERMO RICA Sn MINER ta e A Zafferana, Santa Venerina, Viagrande, Maletto. Acireale , Catania . Mineo, Aicincale een Catania, Mineo Linera, Cosentini, Passo Pomo, Beata Vergine della Catena Milo, Santa Venerina, Acireale, Via- grande, Linguaglossa Randazzo Mae e Maniace . . Maletto, Belpasso, Nicolosi Giarresnto. Biancavilla see ORA 265 | NOTIZIE COMPLEMENTARI 3.15 | Sensibile 19,45 | Molto forte. 20.22 | VI. Panico 2283000 NIII. 22.30. | Forte. notte Leggera. 2015 RI PMDMNINRE Avvertita da parecchi. R. Forte. —>. Più forte della precedente. ? Lieve, avvertita da pochi. R. Lieve. R. Forte in due tempi, R. Forte. Due tempi, intervallo 4-5": la 28 più forte avvert. dalla popolaz. R. Lieve R. da un solo strumento. Hu n 1 ut DI O o [IN] Ka) do to SS Do DI i (23 w n OMO S Monica DS nn o mE, ‘’rr..rrct.Pr—tt—_tr— ———————_———_————1 est teo] ° 6 “ & yv_ © | . iI Y ? Forte. >. Avvertita dalla popolazione 19.1 |R. con panico, due riprese, mag- giore la 28, ampiezza 123 mm. 19 1 |Rovinosa. 191 | yFortissima. 19.1 | Grande panico. LORI VA HET AG 19.1 | Forte. 19.1 | Fortissima. LA I 266 DATA VENTURINO SABATINI INOC'ALICNA ORA 9 maggio ll » 13 » 14 » Catania . TA SR Randazzo . . Giarre Id. 3, AT MU Catania. —. è Id. 9 CS Id Re ES Mineo, Randazzo. .. . +. - Linguaglossa ld. Gianco ie Milo: RA. CAR Carano Me-08- A I, Milote de CIAU RIE Linguaglossa . Giarre Maniace . ) Forse fu una sola scossa (?) Catania 0 Acireale . . Santa Venerina Nioio Sriee Santa Venerina 08. Catania rei 0 e IRSA logi SR een Sa INI COLTO SIN Ce e TR O Giarre » . . Linguaglossa +. + +. +. +. è» Id. ro" Ao MINO, Ae Fe Ret e AEM Milo, re IR Giara tia e e ro PR RUN ARZZO e a Ie o i L'inglaglossa tt e Id. è —_ Errore 21.0. 60 6.14 8.6 10.27 3.51 3.15 3,55 3.40 23.30 23 30 23.40 23. 40 0.30 0.30-0 35 | | I NOTIZIE COMPLEMENTARI | | R. Lievissima R. Lievissima. Sensibile. —>. Lieve. Forte. V. —-». Panico. ? III. Avvertita da pochi. R. ad un solo apparecchio, Sensibile. —>. Lievissima. Sei scosse —>. II a III V. Forte. —>. Quattro scosse, avvertite da pa- recchi. R. Sensibile. VE Lievissima. ? Lieve R. Lievissima R. Lievissima. R. Lievissima. R. Lieve. V. Allarme. i IVV —>. VL —>. Forte. boato qualche minuto a- vanti Sensibile. R. Sensibile. Avvert. da pochi. Leggera —>. Due scosse molto forti con in- Ta lerzalie di qualche secondo. R. Leggera. Forte Sensibile —>. Sensibile. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL 8 MAGGIO 1914 267 Ta grande scossa dell’8 maggio, secondo le indicazioni degli strumenti, a Catania principiò alle 19°1%305 e finì alle 19121129; a Laybach cominciò alle 192375 e finì alle 19%30%, a Graz comin- ciò alle 19h40475 e finì alle 19h24%, ad Aachen principio 18070558 e fine 19229”, ad Atene principio 19h4w25* e fine 19b1801835, a Pulcovo principio 19%24®525 e fine 1950", ecc. E in Italia: a Valle di Pompei (comp. vertic.) principio 19° 3" e fine 1918325, a Rocca di Papa (Microsismometrografo universale Agamennone, comp. vertice.) principio 19020445+88 e fine 19%13"63, ecc. Da queste cifre la velo- cità media di propagazione si può calcolare come compresa fra 5 e 6 chil. al 15. Le due scosse avvenute il giorno 7 alle 18,35 e ,alle 22,2 de- molirono molti tratti di muri a secco. Per la prima caddero, tra gli altri, molti di tali tratti fra Malovrìo e le Grazie; e per la se- conda ne caddero in contrada Fosse dell’Acqua, lungo lo stesso allineamento, che è quello della frattura Pennisi-Fossazze. La popo- lazione fu molto allarmata e, ritenendo che forti scosse debbano avere una replica più forte ancora, rimase accampata all’aperto. Ta falsa credenza per questa volta fu la salvazione. Difatti la scossa distruttrice avvenne il giorno dopo producendo un numero piccolo di vittime. PARTE II. GIETCE EE ETTI $ 1. — OSSERVAZIONI GENERALI. Il terremoto dell’8 maggio 1914 fu in gran parte dell’area col- pita più o meno sussultorio. Un piccolo epicentro fortemente sussultorio e un rapidissimo decrescere degli urti nelle zone seguenti sono le caratteristiche dell’urto iniziale poco profondo. La natura principalmente sussultoria delle scosse all’epicentro e nella zona immediatamente seguente è rivelata 268 VENTURINO SABATINI nell’area colpita dal terremoto di cui si parla dall’abondanza di fratture orizzontali nei muri dei fabbricati e perfino nei muri a secco che limitano le proprietà, nei quali non è raro vederne parec- chie sovrapposte (fig. 12). Fig. 12. — Muro a secco con lesioni orizzontali multiple e sovrapposte. (Rotabile da Malati a Giarre). Di tali fratture darò esempii nelle pagine seguenti. È questo un fatto che colpisce l'osservatore appena giunto sul posto e che stabilisce una differenza co’ terremoti tettonici o di grande estensione, come i terremoti calabresi, che producono invece lesioni dirette in tutte le direzioni, fra cui predominano quelle verticali e quelle non molto discoste dalla verticale, nella maggior parte dell’area colpita. $ 2. — CATANIA E ACIREALE. Acireale e Catania non sentirono che le scosse senza averne danni. Esse si trovano per la maggior parte sopra buona lava. A_Ca- tania non occorre girar troppo per trovare strade aperte in trincea nella lava e che mostrano sezioni interessanti come nella via XX Settembre, nella via Musmeci, ecc. Ad Acireale però molte case NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’8 MAGGIO 1914 269 sono sulla rifusa ed ebbero a soffrire nei terremoti precedenti, ma non già nell’ultimo perchè l’intera città si trovò fuori dell’area colpita. $ 3. — VILLA FIANDÀCA E BEATA VERGINE DELLE GRAZIE. Procedendo da Acireale verso Nord sulla strada di Pennisi i danni cominciano un chilometro prima di Malovrìo con crollamenti parziali avvenuti per le scosse del 7 e dell’8 maggio nei muri a secco che limitano i fondi frontisti. A meno di un chilometro dalla chiesa della Beata Vergine delle Grazie cominciano a vedersi i danni serii alle case sparse per la campagna, tra cui qualche parziale crolla— mento. La villa Fiandàca che trovasi presso la rotabile, a 150 metri prima della chiesa, è costituita da un solo pian terreno ed è resa inabitabile per larghe lesioni, taluna delle quali di alcuni centi- metri di larghezza. Le volte, che secondo l’uso locale tanto nelle case come nelle chiese sono incannucciate, sono del pari iesionate specialmente verso i lati corti delle impostazioni. Le incavallature del tetto sono spostate ad Ovest un po’ a Nord. Molti quadri ap- pesi alle pareti rimasero in sito, ma oggetti diversi tra cui uno specchio ed un lume caddero a terra, e furono del pari rovesciate molte bottiglie in cantina. Nel terreno della vigna dietro la casina si aprì una lesione con direzione N. 25° O. che si era già manifestata nel 1907 e pare anche nel 1894, come fu detto nella parte I. Quella del mag- gio decorso fu quindi una riapertura che avvenne il 7 e si accrebbe 1’8. A circa 200 metri a S.0. dalla casina questa vigna ha un cancello con pilastri rotti e dissestati in prossimità della detta frattura, e lungo di essa i monticoli di terreno che s’innalzano di 40-50 cen- timetri intorno alle viti per trattenervi l’acqua si trovarono dopo il terremoto in parte abbassati e in parte spianati. IÎ Prof. Platania verificò un fatto simile in altri terremoti così lungo questa frattura come lungo quella di S.* Tecla, specialmente sul ciglio della Timpa della Scala nel tratto sotto la casa Pennisi. La piccola chiesa della B. V. delle Grazie trovasi a circa 150 m. 270 VENTURINO SABATINI a N. O. della villa suddetta. È pericolante perchè seriamente dan- neggiata. Oltre la lesione diretta N.O. nel pavimento e nel vicino muro, di cui si è parlato antecedentemente, e altre moltissime, sono dissestate le colonnine sotto l’altar maggiore, mentre una croce sopra- stante vi ha rotato di 120°. $ 4. — PENNISI. ! Dopo le Grazie, seguendo la strada che conduce a Zerbati, la quale è più © meno parallela alla frattura suddetta, si vedono le case ancora in piedi, ma con gravi lesioni, salvo qualche crolla- mento parziale. Giunti alla chiesa di Zerbati, non segnata sulla carta e situata a Nord di < di » della scritta « R. Sciare di Pennisi» della carta mede- sima, si vede il campanile con tre campane, che sormonta la facciata, due volte troncato nei suoi quattro pilastri, poco sopra le loro basi e poco sotto l'impostazione della piccola cupola superiore. Una lesione dal mezzo della piattabanda della porta d’ingresso sale fino al ver- tice del frontone. I due primi archi sopra la navata laterale di destra e quelli sulle due navate in prossimità dell’altar maggiore mostrano lesioni che dalla chiave salgono al cornicione superiore. Lesionato è del pari l’abside. L’organo si abbattè sulla balaustra in legno e ferro della cantoria rompendone un tratto. L’altezza della facciata col relativo campanile è di circa 20 m., e 76 gradini conducono al piano del pavimento della cella campanaria. Continuando la strada rotabile che segue da vicino la direzione della detta frattura i danni presto si attenuano, ma deve notarsi che finora di tale frattura non si è trovata la prosecuzione di là di Pennisi. ! Pennisi è tutto il territorio su cui sono le case di questa piccola frazione. Zerbati è il nome di quella parte delle medesime che trovansi raggruppate. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 271 $ 5. — DA ACIREALE AI PRESSI DI SANTA MARIA DEI MALATI. Procedendo da Acireale per la rotabile verso Malati i danni nei muri a secco laterali cominciano a S. Cosimo e sono dovuti ai ter- remoti del 7 e dell'8 maggio. Ban- chi di lava si vedono affiorare in diversi punti. Più a Nord, alla quota 225, si trova una prima casa vecchia crollata (fig. 13). Avanzando ancora vanno crescen- do i pezzi crollati nei muri a secco Fig. 13. — Prima casa crollata lungo la rotabile da Acireale a Malati. (Propr. Angelo Pennisi). o più o meno cementati. Le nu- - merose lesioni orizzontali in tutte le costruzioni e anche nei muri 4 secco colpiscono a prima vista. La casa dell'Avv. Romero è costruita sulla rifusa ed è molto danneggiata. Non potetti vederne l’interno perchè era chiusa. La facciata mostra una bella lesione orizzontale rasente la parte supe- dr; 3 riore delle cornici dei tre bal- coni, lungo una catena postavi anteriormente; più una serie di piccole lesioni verticali, che hanno diviso il cornicione su- periore in moltissimi pezzi dei quali i mediani sono venuti in avanti, per cui l’insieme da rettilineo si è fatto curvo (fig. 14). La villa del Seminario costruita sulla rifusa ha subìto crollamenti parziali ed è molto pa danneggiata nel resto con le- PHOMA sioni grandi e piccole in tutte Fig. 14. — Casa dell'avv. Romero le direzioni. Un parafulmine a Sud di S,% Maria dei Malati. 1 Si do VENTURINO SABBATINI sul tetto si è incurvato. I pilastri del pergolato che si spiccano al disopra del muro di cinta furono lesionati orizzontalmente a poca distanza dal muro stesso. Questo è a secco meno verticalmente sotto i pilastri dove ha ricevuto una semplice spalmatura esterna di cattiva malta, a pezzi discontinui. I pilastri sono di materiale lavico come i muri, con cementazione incompleta anche internamente, fatta col- l’istessa cattiva malta. $ 6. — SANTA MARIA DEI MALATI. Avvicinandosi a Malati si vede che i danni alle case si vanno in- tensificando per le lesioni che vanno crescendo di numero e d’impor- tanza e per le parti crollate. A Malati le case crollate predominano sulle altre. A _N.0. di Malati è la località detta Carico, ove tra la rotabile di Giarre che è in prosecuzione di quella di Acireale e la diramazione per Linera sitrova un’area nella quale furono eseguiti assaggi importanti che permisero di stabilire come la rifusa continuasse senza lava inter- posta per parecchi metri almeno di profondità. Poco più a Nord il terreno si va sollevando in una cresta di lava porosa, che subito dopo ridiscende rapidamente dalla parte opposta. Questa cresta è la conti- nuazione della Timpa della Scala ed indica la direzione della prose- cuzione della zona di frattura di S.à8 Tecla, che per brevità fu anche chiamata la frattura di S.a Tecla senz'altro. La rotabile di Giarre scende anch’essa con forte pendenza fino ad un piccolo ponte dove il Prof. Platania mostrò ai membri della Commissione le tracce di diverse lesioni dirette N. 15° O. Nei vicini muri a secco si vedevano molte lesioni orizzontali l’ una al disopra dell’ altra e nitidissime. $7.— TRATTO DISSESTATO A NORD DELLA GALLERIA DI SANTA TECLA. La strada che dai pressi del piccolo ponte a Nord di Carico sulla rotabile di Giarre scende alla ferrovia, attraversandola con un pas- saggio a livello, mostrava all’epoca della mia visita le tracce di diverse NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL 8 MaGcIo 1914 22165) lesioni dirette N.30° O., oltre a case crollate. Vi si vide qualche rota- zione dei pilastri dei cancelli d’ingresso delle proprietà private. Fig 15 — Casa Greco a Nord della galleria di S.a Tecla, Al passaggio a livello trovavasi una garitta in muratura che crollò addosso alla moglie d’un cantoniere che passava in quel mo- mento e che fu ferita. Da questo sito volgendo a Sud e seguendo il . 16, — Casello baraccato n. 259 (Fot. Platania binario, che è situato a mezza costa lungo un ripido fianco di mon- tagna, si passa vicino alla casa Greco in parte crollata (fig. 15), quindi accanto al casello n. 259 in cemento baraccato (fig. 16), che da Lp ; | Li I d î Sf ì, 3 DO IV PI ma % È : a È 274 VENTURINO SABATINI qualche lesione di poco conto mostrò di aver resistito benissimo mal- grado la violenza della scossa. A partire da 28 metri più a Sud, dove a monte del binario la montagna comincia a sollevarsi in appicco, onde la via è sempre più incisa da un lato nel terreno, per un tratto di 400 metri si ebbe un grande dissesto fino all’origine d’un ponte rimasto intatto. La piattaforma stradale fu lesionata dal lato verso il mare, mentre il muro di sostegno della scarpata dal lato opposto, { — res costruito in buona muratura di pie- tre poligonali a spigoli diritti e buona malta, sebbene dissestato in più punti, in complesso resi- stette abbastanza, meno negli spi- goli d’una interruzione larga un paio di metri pel passaggio di un fos- setto di poca importanza, dove na- turalmente si ebbe una più forte demolizione. Il terrapieno con la massicciata e le rotaie col loro ar- mamento furono spinte verso monte invadendo dove più dove meno la cunetta (fig. 17) e prendendo un andamento sinuoso. Finalmente $0- pra e sotto il binario sui fianchi Fig. 17. — Tratto di ferrovia dissestato a È Nord della galleria di S.à Tecla. Il bi- della montagna ci furono murl pa- nario era stato nuovamente sistemato. HIdò > La cunetta come sì vede sì stava siste- raterra demoliti per tratti molte— mando. (Fot. Platania). plici, a molti livelli, e case erol- late, e tra’ paraterra a monte si produsse una lunga frattura per cui un egual tratto del paraterra attiguo crollò con maggior rovina. degli altri (fig. 18). A partire dal pontei danni cessano bruscamente, mostrando una deviazione della zona fratturata, onde il ponte e il binario sono ri- masti intatti malgrado che la ripa a monte si vada sollevando, obbli- gando dopo pochi metri la linea ad entrare in galleria. Qui la montagna è costituita di tufo eterogeneo e poco coerente, PRIMARI 20:14 07 - , aL 7 = NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 275 e mostra all’aperto e sul fianco del principio della galleria un casello abbandonato perchè minacciato da’ massi che franano dalla parte superiore del ripidissimo pendio. E nemmeno questo casello ebbe a soffrire, malgrado il pendio del terreno ed il cattivo materiale da cui è costituito. È interessante l’osservazione del casello in cemento baraccato, Posto tra la garitta crollata e i 400 m. di via così fortemente disse- stati dovette subire aneh’esso una scossa violenta. Quattro lumi di Fig. 18. — Frattura a monte del binario e a Nord della galleria di S.% Tecla. È indicata dalla stri- sciolina nera qb. Le linee orizzontali indicano gli orli superiori dei diversi paraterra sovrapposti l’uno all’altro. vetro affondati nei loro sostegni a coppa anche di vetro saltarono fuori e s'infransero più o meno, quale a terra e quale sul marmo dei due canterani su cui si trovavano. Dei sostegni rimasero in piedi quelli sul canterano posto nella parte Nord del casello, e si abbat- tettero sul marmo quelli sul canterano nella parte Sud. Ciò non di meno questa costruzione solo nel muro rivolto a Sud ebbe una sottile lesione poco sopra la banchina di muratura ordinaria su cui trovasi elevata, oltre ad una lesione in prossimità di uno dei vicini spigoli verticali. 276 VENTURINO SABATINI $ 8. — LE AGUZZE. Sulla stessa rotabile di Giarre, più a Nord di Malati si trova la frazione de Le Aguzze. Sotto « Le » di tale denominazione la carta / segna una crocina, e poco più su di essa c’è una cava nella lava s0- lida con parete scoperta alta 10 m. Questa lava mostrava fenditure esili ed irregolari la cui giacitura media è abbastanza vicina alla oriz- zontale. Una di esse certamente è dovuta all’ultimo terremoto poichè i suoi labbri mostravano ancora i grani di polvere dovuti alla rot- tura. Nei dintorni di questa località ho visto diversi altri affiora- menti di lava compatta. Le case sovrapposte vi hanno poco sofferto. Il Cav. Badalà nei dintorni de Le Aguzze ha elevato una casina con torre e merli. È una costruzione troppo pesante e più alta del necessario, in pietre squadrate di lava connesse però da malta non certo eccellente e in quantità alquanto scarsa. Le solite lesioni si ve- dono lungo i lati corti delle volte incannucciate. Due merli vi fu- rono abbattuti sulle terrazze sottostanti. Nel giardino trovasi una Madonna di ghisa di 110 chg., alta m. 1.15 con 27 centimetri di lato alla base, vicino alla quale si sollevavano alcune punte di una deco- razione di lava. Una balconata che sporge sopra un laghetto trova- vasi davanti questa statua, che fu abbattuta in avanti, scivolando poi fino a spingersi con la testa tra i ferri della ringhierra. $ 9. — CHIESA DI GUARDIA SCIARE. Questa chiesa ha un’alta facciata sormontata da due campanili ai due lati (fig. 9), ma nel terremoto del 1911 alcuni pezzi del ri- vestimento in pietra di Siracusa staccatisi dai campanili caddero uccidendo due ragazze a 15m. di distanza !. Fu ordinata la demo- lizione di questi campanili, ma la popolazione protestò e i campanili ! A. Riccò, Terremoto del fondo Macchia del 15 ottobre 1911, Boll. Ace. Gioenia, nov. 1911. rr —,_—r————_— NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 277 rimasero, solo togliendosene il rivestimento. Però tale costruzione troppo alta e pesante dopo l’ultimo terremoto si è resa nuovamente pericolosa, perchè le oscillazioni vi furono così forti che una campana si staccò e fu lanciata sul piazzale sottostante. La chiesa e special- mente l’intera facciata è in condizioni così cattive che sarebbe prudente Fig. 19. — Rotazione della statua posta sulla facciata della chiesa di Guardia al disopra del proprio basamento. demolirne almeno i campanili. Chi ancora li lasciasse in piedi si assumerebbe una grande responsabilità. Va notato un effetto di rotazione in una grande Madonna in pietra che trovasi in mezzo ai due campanili sopra un attico che sormonta il frontone della facciata, come può vedersi nella fig. 19 !. ! Un esempio di colpevole incuria fu riscontrato durante la visita ai cam- panili di Guardia. Una delle colonnine dell’attico posto sopra il frontone tra’ due campanili erasi rotta per effetto dell'ultimo terremoto, ed era rimasta abbattuta ed inclinata verso l'esterno, nell'intervallo tra le colonnine che la fiancheggiavano, Da un momento all’altro avrebbe potuto precipitare sul piazzale, e, dato il suo peso di circa quaranta chilogrammi e l'altezza della caduta, si comprenderà quali conseguenze poteva produrre. La Commissione ne ordinò l'immediata rimozione. 278 VENTURINO SABATINI 3 $ 10. — ZAFFERANA ETNEA. Zafferana trovasi quasi tutta sulla lava e ha poco sofferto, al pari dei suoi dintorni. Il Municipio è una delle costruzioni più dan- neggiate, sebbene i danni non vi siano gravi. Essi si debbono alla soverchia elevatezza della costruzione, di oltre 13 metri, e ad altre cause, principalmente la costituzione del suolo in cui si trovano le fon- dazioni. Questo suolo è formato da un ammasso dilava la cui super- ficie è a due livelli, con 7 metri di differenza parallelamente alla facciata. Così quest’ultima e tutto il resto dell’edifizio poggiano più in alto da un lato e più in basso dall’altro. Trasversalmente poi en- trambi i detti livelli si vanno elevando con forte pendio dal davanti al didietro, onde i due piani anteriori diventano uno solo posterior- mente. Per quanto si sia avuto cura di sbancare a scaglioni ognuno dei livelli medesimi le condizioni delle fondazioni restano difettose. $ 11. — CIMITERO DI ZAFFERANA. Il cimitero di Zafferana trovasi nella regione di Rocca d’Api sulla rifusa, e fu tutto sconquassato, Le nicchie o loculi sovrap- posti mostrano i tramezzi di separazione rotti specialmente in chiave. T'ali rotture furono naturalmente maggiori nei loculi vuoti ed aperti che in quelli chiusi dalle lapidi. Le tombe che erano addossate ai muri di recinto sotto il porticato si vedono da essi staccate ; le la- pidi talvolta staccate e cadute. Ma quei muri non sono grande- mente dissestati, pare perchè sostenuti dal porticato, il quale alla sua volta è come incatenato dalle proprie travature, mentre i suoi pilastri verso l’interno e verso l’esterno sono riuniti da tiranti di ferro. Questi pilastri mostrano lesioni sinuose orizzontali presso le impostazioni degli archi e delle piccole volte. Gli uni e le altre, fatti al solito con incannucciamenti, sono molto deteriorati e in parte caduti. E diverse rotazioni si osservano nei pilastrini e nelle colonnine dei piccoli monumenti mortuarii. Così una colonnina di vi NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 279 cemento su basamento di marmo (fig. 20) ha subìta una rotazione che pare sia avvenuta pel verso sinistrorso, mentre il contrario è av- venuto in un pilastrino ?. Nel maggior numero dei casì citati non è certo che siano inter- venute spinte orizzontali. Difatti una lapide murata verticalmente può staccarsi anche sotto spinte verticali, e dopo il distacco facil- va Fig.20.—Rotazione d’una colonnina di cemento su basamento di marmo nel cimitero di Zafferana. (Dal fregio del piedestallo si vede pendere un metro per indicare le dimensioni di questo monumentino). mente abbattersi. Ma mostrerò cogli esempii seguenti ragioni suffi- cienti per ammettere altresì le scosse orizzontali o non verticali. Il monumentino di una delle tombe scavate nella terra del primo quadrato è ricoperto da diverse lastre di marmo inclinate 1 Ho ammesso che il verso della rotazione sia dato dall'angolo minore tra’ due che la posizione iniziale forma con quella osservata, essendo generalmente molto . piccolo l’uno e molto grande l’altro. Ma noto che tale deduzione non è sicura. 280 VENTURINO SABATINI verso il davanti, le quali sono sostenute da pezzi verticali di poca altezza (V. tomba di destra nella fig. 21). Sulla sua parte posteriore era un’alzata sostenente una croce. Questa fu trovata rotta in due pezzi, di cui il superiore era stato lanciato a m. 1,80 di distanza da- vanti al monumento e l’ inferiore sul suo fianco sinistro, sotto il Fig. 21. — Tombe dissestate e rotte nel cimitero di Zafferana dado della stessa alzata. Evidentemente la croce ha dovuto essere staccata prima, e battendo sulle lastre di copertura deve avere con- tribuito a romperle, rompendosi essa stessa nei due pezzi che rim- balzarono nei siti dove poi si trovarono. Il dado deve essersi stac- cato, dopo aver battuto sulle lastre e contribuito in modo prepon- derante alla loro rottura, e quindi deve avere rimbalzato lateralmente NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 281 sopra uno dei pezzi della croce. Gli effetti descritti non possono es- sere dovuti che a scosse orizzontali o almeno oblique. Sono però, anche qui, sempre in preponderanza le verticali. Difatti i grandi pi- lastri mostrano lesioni orizzontali numerose, e la già citata colonnina della fig. 20, che si trovava murata sul basamento, a causa del distacco ha lasciato una riquadratura di cemento alta 2 millimetri, e si è adagiata con la base sopra l’orlo di tale riquadratura dopo aver subìto la rotazione indicata. $ 12. — FLERI, PISANO. Lungo la rotabile da Fleri a Pisano si vedono poche lesioni ; molte a Pisano, per cui alcune case vi si resero inabitabili, ma in complesso con pochi danni. La facciata della chiesa è alta 28 metri compreso il campanile, il quale mostra uno spessore di muratura crescente verso l’alto ! Fig. 22. — Ponte tra Pisano e Passo Pomo. È lesionato e ha perduto i parapetti (Fot. Platania). La croce è dissestata, le mura lesionate, gli archi rotti in chiave, le volte incannucciate lesionate anch’esse, i pilastri sono lesionati orizzontalmente. Le fondazioni sono nella rifusa, meno per uno dei pilastri che poggerebbe, secondo mi fu affermato, sul rivestimento 282 VENTURINO SABATINI in muratura di m. 1,45 d’un’antica grande cisterna. Ove si consideri che il terremoto qui non fu forte s’intenderà come sia pericoloso riparare una simile chiesa, che invece andrebbe demolita. Almeno si dovrebbe abbattere il campanile, che fra gli altri danni ha perduto un costolone, incatenando bene tutto il resto. Per ora sarà utile ri- cordare che le case accanto questa chiesa devono ritenersi in pericolo. Oltrepassato Pisano sulla stessa rotabile si accentuano i crol- lamenti dei muri a secco, quindi si trovano case crollate. Il ponte seguente trovasi sopra un torrente incassato nella lava, dalle pareti della quale si staccarono massi voluminosi. Questo ponte è lesionato ed ha perduto i parapetti (fig. 22). Dopo il ponte suddetto si osservò sulla rotabile un tratto di frattura N. 15° O. e poco a monte un avvallamento di pochi centimetri limitato da un gruppo di case in parte lesionate ein parte crollate. $ 13. — Passo Pomo. Dal punto al quale siamo arrivati nel paragrafo precedente comincia Passo Pomo, che fu distrutto completamente fino a Bon- giardo propriamente detto. A Passo Pomo la Camera di Commercio di Catania all’epoca S N& il della mia visita stava costr ia rato ZII» . a costruendo Hai . 1 | una casetta con sistema analogo MLT] te al baraccato (fig. 23), cioè con da ossatura di abete, tavolato ad s essa inchiodato dalla parte inter- na, rete metallica e cemento al- l’esterno. Il cemento era difettoso nella proporzione dei componenti e veniva bagnato con acqua scar- sissima; il legno veniva spalmato leggermente di catrame dopo mes- Fig. 23. — Costruzione di tipo analogo al barac- cato fatta eseguire a Passo Pomo dalla Camera SO O A ZA I del Dei di Commercio di Catania. ricolo delle termiti. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 283 $ 14. — BONGIARDO. L’abitato in parte è costruito sulla lava solida, ma anche su questa è fortemente danneggiato, con crollamenti numerosi, a causa della mala costruzione. Davanti alla chiesa come sotto di essa non c’è che rifusa. La Commissione vi fece eseguire assaggi con trincee ottenendone i dati seguenti: sotto uno strato superficiale di ceneri impalpabili trovasi un tufo eterogeneo più o meno coerente di un Fig. 24. — Chiesa di Bongiardo, di fianco. Meglio che sulla fig. 8 sì vedono le lesioni dei pilastri del campanile. metro al più di spessore, e sotto di questo sta un conglomerato mo- bilissimo con elementi vulcanici prevalenti e con elementi alluvionali La chiesa (fig. 8 e 24) ha una facciata alta 23-24 m., comprenden- dovi anche il campanile. Una sottile lesione orizzontale a circa un metro dal pavimento fa il giro di tutti i pilastri. La volta incan- nucciata è molto danneggiata. Il campanile è fortemente lesionato con pezzi cadenti, ne sono troncati i quattro pilastri e si dovrebbe 284 VENTURINO SABATINI abbattere visto il pericolo che presenta specialmente sotto l’azione di altri terremoti. La sacristia fermò l’attenzione della Commissione per un esem- pio notevole di moto sussultorio. Difatti addossato al muro trovasi un « armadio », uno di quei mobili in cui si conservano i paramenti sacri e davanti al quale i sacerdoti si rivestono per dire ia messa (fig. 25 e 26). Sopra un gradino di legno (A) trovasi una prima parte del mobile con cassetti {B), sopra della quale si eleva con rientranza di 50 cm. i Vi / S } | | == | | RT 1 | | { ) z } a y | I), = 2| hO == a | | | \ i | L sim Spesa 1 e | 1 pe | (CSQ D FIA 400 c b ra Hi Fig. 25. — Sezione dell’armadio della Sacristia della chiesa di Bongiardo (le dimensioni sono in centimetri). una seconda parte (C). Su di essa è appoggiato con incasso di cm. 4,7 una terza parte (D) più alta. Sul davanti di quest’ultima era fissato con un chiodo un crocefisso di carta pesta, davanti al quale trova- vasi un quadro inclinato (Q) munito di vetro. L’orlo inferiore di que- sto quadro era appoggiato alla cornice lungo l’ incasso, mentre la parte superiore era mantenuta da un po’ di fil di ferro, male attor- - NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL’8 MAGGIO 1914 285 cigliato intorno ad altro chiodo anche infisso nel legno dell’armadio. Alle dimensioni della sezione traversale di questo mobile, indicate sulla figura, vanno aggiunte quelle in larghezza che sono di 240 cm. per la parte B, di 230 cm. per C, e di 220 per D. Dopo il terremoto la parte superiore D fu trovata in terra, nella posizione indicata in prospettiva sulla fig. 26, e con trattini e con la lettera D nella sezione data con la fig. precedente. È evidente che il suo maggior peso è sul davanti, o, più precisamente la risultante della gravità su questa parte del mobile deve intendersi applicata a poca Fig. 26. — Armadio della sacristia della chiesa di Bongiardo nella posizione in cui se ne trovarono le parti dopo il terremoto dell'8 maggio 1914 distanza dal suo davanti e più vicino alla parte superiore che alla inferiore, quindi poco al disopra della serratura degli sportelli. E difatti se auesta parte del mobile fosse stata formata di ta- vole sottili e d’uguale spessore, considerando che essa è priva di fondo quindi aperta dal lato che va addossato al muro, il centro di gravità avrebbe dovuto trovarsi a 5 cm. dal davanti, nel mezzo della verticale mediana. Lo spessore di circa 2 cm. di tali tavole e le scorniciature non modificano di molto il risultato precedente, per- chè fanno solo salire il centro di gravità alquanto sopra la suddetta 9 286 VENTURINO SABATINI posizione lungo la stessa precedente verticale. Risulta che la parte in discorso del mobile ha la tendenza a capovolgersi sul davanti pel verso destrorso sotto l’azione d’una coppia che sarebbe il proprio peso e la spinta prodotta dal terremoto, la quale fu una forza di molto più grande applicata al centro della base, con direzione quasi verti- cale e leggermente inclinata in avanti. Sotto l’azione di tali forze mentre il mobile veniva lanciato iu aria si capovolgeva, e il suo centro di figura seguiva l'andamento delle frecce venendo a cadere sul gradino A, la faccia anteriore verso i cassetti, la parte superiore in basso e la cornice superiore battendo per prima sul piano del me- desimo gradino. In questo momento il quadro deve essersi liberato per lo sfilamento del chiodo dal filo di ferro, cadendo perciò da poca altezza sul legno del gradino e rimanendovi intatto, mentre la rea— zione del gradino sulla cornice faceva abbattere verso destra la parte caduta del mobile, la quale prendeva così la posizione delle due figure precedenti. Quanto al Cristo deve essersi staccato dalla parte D sotto l’azione della spinta che lanciò in aria questa stessa parte essendo ad essa fissato con la sola punta del chiodo che attraversava la croce. Qualcuno affacciò l’ipotesi che la parte D, lanciata dapprima in aria, ricadde sulla parte sottostante C, ma fuori dell’incasso e sopra l’orlo di esso; subito dopo una spinta orizzontale la mandò fuori del sostegno facendola così scivolare col dorso rasente allo spi- golo a. È questa la prima idea che si presenta. Ma in tal caso battendo D con lo spigolo posteriore—inferiore contro il piano del gradino A, la reazione di questo avrebbe dovuto far abbattere quello verso destra sopra lo spigolo d come nel caso precedente, e la faccia anteriore invece che rivolta in alto avrebbe dovuto trovarsi contro terra. Il quadro poi avrebbe dovuto o liberarsi sotto l’azione della spinta in aria, e in tal caso l’altezza della caduta avrebbe dovuto produrre la rottura della lastra di vetro che lo copriva; oppure avrebbe do- vuto liberarsi sotto l’urto della parte D contro il gradino, e allora avrebbe dovuto scivolare lungo la faccia anteriore di quella parte e venire a mettersi davanti al gradino, e quindi piuttosto verso il davanti che verso il didietro di D. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 287 Fu conclusiva l’esperienza di tale caduta. Fatta risollevare la parte D da quattro uomini la feci portare nella posizione nella quale avrebbe dovuto scivolare, cioè con la parte inferiore del dorso contro lo spigolo della cornice che copre l'incasso (in alto della parte C) e con leggera inclinazione della parte superiore indietro. Lasciata cadere istantaneamente questa parte del mobile, essa battette con lo spigolo inferiore-posteriore sul piano @ in prossimità dello spigolo omonimo, scivolò sopra quest’ultimo e battendo sul gradino si ab- battè dopo a terra col davanti in sotto, come doveva avvenire. Nella stessa sacristia esiste un armadio a muro. La porta fu trovata aperta, alcuni candelieri che erano nell’interno rovesciati, una croce di metallo abbattuta con la parte superiore contro il pa- vimento e la inferiore appoggiata al muro sotto la porta. $ 15. — SACRO CUORE DI SANTA VENERINA. Dalla chiesa di Bongiardo a quella del Sacro Cuore di S.2 Vene- rina le case non presentano lesioni importanti, onde si ha un distacco netto con quanto si è visto fino a Bongiardo. La chiesa del Sacro Cuore (fig. 10) mostra all’interno fratture insignificanti meno nella parte prossima al muro di facciata, ove una frattura si segue dalle chiavi dei primi archi, a destra e a sinistra, fino al tetto mostrando la tendenza al distacco dell'intera facciata, che è pesantissima ed è per dippiù ornata di quattro grandi colonne e d’altre di minori dimensioni. Una delle prime ha una lesione oriz- zontale nel capitello. Il campanile alto circa 30 m. ha tre vani ed è tutto dissestato. Esso è un insieme di pilastri e colonnine sostenenti gli archi e la volta superiori. Tutte le sue parti sono spostate di al- cuni centimetri in fuori e in dentro le une rispetto alle altre. Uno dei capitelli delle sue colonne è stato spinto di 12-15 cm. in fuori della cornice che dovrebbe sostenere. Vi si vedono inoltre piattabande rotte e cadenti. La cupola alta m. 38,40 è lesionata all’ingiro su tutti i pilastri. L’oscillazione a causa dell’ultimo terremoto fu così forte che le campane suonarono sole. La chiesa fu finita da una decina d’anni per la parte muraria, la decorazione è ancora incompleta nella navata trasversale. 288 VENTURINO SABATINI $ 16. — ARDICHETTO. Andando dal Sacro Cuore all’Ardichetto si videro numerosi e buoni esempii di fratture orizzontali nei muri. Una casina baraccata aveva pochi danni, e a partire dall’estremo inferiore degli spigoli dei pilastri che si elevano dal muro di sostegno di una sua terrazza si videro (in questo muro) delle lesioni in forma di V molto aperta. Nella fattoria dell’Ardichetto, in parte crollata, trovavasi un camino demo- lito prima della mia visita, perchè era stato troncato da una lesione orizzontale con spostamento verso Nord della parte superiore. Le sue dimensioni erano : diametro esterno in corrispondenza dell’ovolo sotto la cornice m. 0,91 diametro interno in corrispondenza dell’ovolo sotto la cornice » 0,53 altezza della torretta quadrata di base . . . . . . » 1,55 altezza del camino sopra la torretta . . . . . . . » 16,50 rivestimento di mattoni sullo spessore di . . . . . » 0,12 $ 17. — LINERA. i Linera propriamente detta è interamente di- strutta. Gran parte de’ suoi avanzi, resisi perico- losi, furono abbattuti, onde il suo aspetto è oggi quello delle fig. 27 e 28. Era edificata coi soliti Fig. 27. — Linera, dopo le demolizioni. NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 289 cattivi sistemi sopra un buon suolo di lava solida, ma sulla zona fratturata di S.2 Tecla. Nella prima parte di queste note si è detto in qual modo i suoli stabili si trasformino in queste regioni in suoli mobilissimi, e non occorre che mi ripeta. Le condizioni più sfavore- voli concorsero tutte alla distruzione di questa borgata. $ 18. — COSENTINI. La borgata di Cosentini, meno alcune case sulla piazza più o meno danneggiate, è quasi tutta caduta. La chiesa è così mal ridotta che si dovrebbe demolire. Il campanile con cinque campane è in con- dizioni anche più pericolose del resto (fig. 11). $ 19. — BEATA VERGINE DELLA CATENA. Anche qui, salvo poche case più o meno lesionate, tutto il resto è a terra (fig. 29). $ 20. — CASE CECCUZZO. Nei dintorni delle Case Ceccuzzo caddero molti tratti di muri a secco pei due terremoti del 7 maggio decorso. Il terremoto forte del- l'8 invece non vi produsse danni. 290 VENTURINO SABATINI $ 21. — FALLACIA DEI CALCOLI DELL'INTENSITÀ E DIREZIONE DELLE SCOSSE SULLA BASE DEGLI EFFETTI PRODOTTI. Tutti i calcoli sull’intensità e direzione delle scosse basati sugli ef- fetti prodotti, a meno non si tratti di casi specialissimi e sempre molto semplici, tra cui principalmente quelli degli strumenti, conducono 4 conseguenze errate ed arbitrarie perchè non tengono conto di tutte le molteplici influenze che il profano non vede e di cui solo i competenti possono intendere l’esistenza e l’impossibilità della valutazione. Prima di tutto l’intensità delle scosse è modificata dalla natura del suolo, cioè dalla sua costituzione geologica, dal diverso grado di ag- Fig. 29. — Beata Vergine della Catena (dal lato verso Cosentini), gregazione ne’ varii strati e spesso nelle varie parti d’uno stesso strato, dalla fratturazione del suolo ed estensione della medesima, dall’anda- mento topografico della superficie, ecc. In questo primo gruppo di problemi da considerare appariscono le prime incognite che il solo geologo può intendere, ma che nemmeno lui può numerare e valu- tare. Che se poi ci contentiamo di considerare non già l’effettiva in- tensità e direzione delle scosse, ma le intensità e direzioni quali risul- tano già modificate dai fattori precedenti, la nostra via apparirà tut- \ VV gr NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 291 t'altro che sgombra da ogni difficoltà, perchè una seconda categoria di ardui problemi ci si parerà subito davanti. Difatti le nostre osser- vazioni si fanno principalmente sopra costruzioni in muratura (case, chiese, monumenti diversi, ecc.), le quali hanno prima di tutto una orientazione, una forma e delle dimensioni che faranno variare grande- mente la componente efficace o perpendicolare dell’urto. Ne deriva che una parte dell’intensità, di valore ignoto, può essere assorbita, al pari di una parte dell’angolo d’incidenza. Come intensità si arriva così ad una diminuzione; ma si può arrivare anche ad un aumento se la gravità interviene, direttamente o indirettamente, come in un:gran numero di casi, a complicare la quistione. Così nel caso della croce spezzata nel monumentino del cimitero di Zafferana essa deve essere stata lanciata sulle lastre di copertura ad una distanza « dove si è rotta in due pezzi, questi hanno rimbalzato l’uno ad una distanza*> 2, l’altro ad una distanza < <. La quantità di tale rimbalzo è funzione della forza dell’urto sulle lastre, e questa dipende anche dal peso oltre che dall’altezza della caduta. Intanto, mentre pel secondo pezzo c'è una diminuzione del- l’effetto dell’urto sismico, pel primo pezzo c’è un aumento. E nelia stessa categoria va messa la caduta della statua di ghisa nella casina Badalà a Le Aguzze. Colla variazione delle dimensioni varia l’altezza, cioè la distanza dalla superficie del suolo. Le oscillazioni pendolari sono proporzionali al raggio, ma nel caso di costruzioni non solo non può definirsi con precisione il centro d’oscillazione, ma il raggio è costituito di pezzi sovrapposti e più o meno mobili gli uni rispetto agli altri, onde la legge che lega gli archi ai raggi è del tutto sco- nosciuta. Si potrebbero saltare anche queste difficoltà, ma un’altra serie di problemi si presentano, e sono comuni a tutte le costruzioni. Una costruzione, sia pure di forma semplice e di dimensioni limitate, è un sistema nè rigido nè elastico, ma deformabile e fatto di pezzi di diverso grado di elasticità. Le resistenze sono variabili da punto a punto, variabili coi materiali adoperati, variabili col modo come sono 292 VENTURINO SABATINI stati messi in opera, variabili con l’età della costruzione, variabili con le riparazioni sofferte, variabili con le scosse subite antecedente- mente. Chi può essere tanto ardito da mettere in equazione simili problemi ? Il profano non li cura o li risolve nel modo più incom- pleto e più arbitrario, solo l’ingegnere se ne rende un conto completo per concludere che non può risolverli. Nè basta. Un terremoto non è un urto unico con direzione e verso determinati. È invece una serie di urti che da un minimo passano per uno o più massimi, poi tornano ad un minimo, e questi urti sono oscillatorii quindi con due versi di movimento, e spesso si compli- cano con mutamenti di direzione. Noi dunque non ci troviamo affatto nel caso classico dell’abbat- timento della statua della Vergine a S. Pietro di Martinica che servì a calcolare l’ intensità dell’urto per m.q. della nuvola ardente dell’ 8 - maggio 1902 in quel sito. Difatti con un terremoto, anche ridotto alla più semplice espressione d’un urto solo, non possiamo conoscere sotto quale delle oscillazioni, se la massima o una delle precedenti o seguenti sì è determinato per esempio lo scollamento della malta tra due o più conci o la rottura dei medesimi, nè se tali fatti si sono determinati durante la mezza oscillazione in avanti o indietro. Può anche avvenire che tutte le scosse d’un terremoto preparino la distruzione ma non arri- vino a compierla. Occorrerà un’ altra aggiunta, un altro urto, forse in- sensibile come il vento più moderato, come l’azione del peso proprio, e la casa, la torre che ha resistito, o è parso che resistesse, alle scosse più violente si abbatte senza una causa apparente. Chè se l’effetto appare sproporzionato alla causa è che noi non sappiamo ricercare la causa vera. Abbiamo visto due croci vicine nei monumentini. della fig. 21, una abbattuta indietro, l’altra in avanti sotto l’azione di uno stesso terremoto. Il caso dei merli della casina Badalà può parere semplice, ma come determinare oltre che la qualità e la resistenza, anche lo stato della malta con cui quei merli erano murati? E sotto quale dei diversi urti del periodo avvenne il distacco e la caduta? Forse più semplice è il caso dell’armadio della sacristia di Bon- giardo. Ma noi non conosciamo la precisa direzione della spinta che Boll. R. Com. Geol. d’Italia, Vol. XLIV. V. SABATINI - Terremoto di Line ci 74 a OS fb «Stazilarru, icon È ; 3} "a ent #3 SL 4 Na; ua rsa /= fonia fa A da x Ve) Grotta delle Palonibe $ Pietra delle Sarpe Ve Vo MIC Maria la Scala SI pi |a 9 Sn] sea fit ACIREALE dA AE(ACI, STAB. L. SALOMONE. — ROMA, NOTE SUL TERREMOTO DI LINERA DELL'8 MAGGIO 1914 293 mandò in aria la parte superiore di quel mobile, e il calcolo del sistema, nè rigido nè elastico, ma deformabile, si presenta troppo complicato. A parte tale considerazione, noi non possiamo sapere se la scossa determinante fu la maggiore o un’altra qualunque, ed il problema finisce col riuscire indeterminato. Si conclude che tali calcoli vanno accolti con la più grande dif- fidenza, salvo in casi specialissimi, sempre semplici, e in condizioni che siano tutte valutabili. VAL P. VINASSA DE REGNY ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN (Relazione della Campagna geologica del 1913) Con una tavola La campagna geologica dell’ estate 1913 era prevalentemente destinata alla revisione dei rilevamenti eseguiti nelle campagne pre- cedenti. Si trattava, in modo particolare, di giungere a risolvere la questione dell’età di taluni scisti. Una tal questione era stata la prin- cipale nel rilevamento del Nucleo centrale carnico, e nella maggior parte dei casi era stata risolta nel senso di dover ritenere la grande maggioranza degli scisti, segnati siluriani nella carta geologica au- striaca, come appartenenti invece al Neocarbonifero. I due punti che, in modo particolare, per la loro disposizione al di sotto della massa devoniana si potevan prestare a discussione erano tuttora quelli a settentrione del passo di Volaia, e, in terri- torio nostro, quelli ai piedi del Germbdla. Rispetto a quelli in territorio austriaco credo inutile insistere qui, dopo quanto ne è stato detto recentemente (1). Basterà ricordare che la serie del Seekopf, la quale era considerata come una classica e tipica serie regolare del Siluriano superiore, costituente la base a Devoniano delle alte cime del Nucleo centrale, è invece una serie (1) Vinassa e GORTANI. Le condizioni geologiche della conca di Volaia. Boll. Soc. geol. it. 1913, pag. 445-450. 296 P. VINASSA DE REGNY rovesciata, in quanto che gli scisti che si trovano attorno al lago di Volaia, invece di essere regolarmente al disotto di strati neo-silurici, si trovano sotto a strati del Devoniano infe.iore, che sono, alla loro volta, coperti da terreni neo-e mesosilurici. Ma se l’importanza del rovesciamento di Volaia, che si conti- nua anche nella Valentina, è grande per tutta la geologia del terri- torio austriaco, anche abbastanza importante è il secondo gruppo di strati che restavan discutibili. Si tratta infatti di una grande massa di scisti, arenarie ecc. le quali si trovano sottostanti alla cima del Ger- mula. Sarebbe troppo lungo tornare a parlare qui della geologia del Germula, per la quale rimando ai precedenti lavori di GORTANI e miei. Ricorderò soltanto che gli scisti di base erano considerati 0 come regolarmente sottostanti al Devoniano (GEYER), oppure posti a loro contatto per effetto di una faglia (FRECH). Nella bella montagna si trovarono oltre al Devoniano fossilifero anche strati che agcrivemmo al Siluriano, quantunque fossero assai mal conservate le poche tracce di fossili. Ora gli scisti sottostanti a questi strati silurico-devonici per la Joro posizione, apparentemente regolare, non potevano riferirsi al Carbonifero. Ma nemmeno era possibile negare un’intima connessione di essi cogli strati riccamente fossiliferi del Neocarbonifero del Pizzul. Per tal ragione GoRTANI ed io nella nostra prima cartina su queste regioni (1) ponemme una macchia indelimitata di Carbo- nifero, in mezzo agli scisti che continuammo a ritenere siluriani sino a prova in contrario. La macchia primitiva, che dicemmo suscet- tibile di allargamento, si è effettivamente allargata al punto da do- ver comprendere oggi quasi tutta la massa scistosa, ad eccezione di poche zone molto alte nel monte a contatto coi calcari siluriani presso il Passo di Lanza. Le condizioni del Germula apparivano molto difficili a interpre- tarsi rettamente, se si fosse continuato a considerare il Germula come una montagna a semplice anticlinale erosa, quale la raffiguravano i primitivi schizzi tettonici. (1) Osservazioni geologiche sui dintorni di Paularo. Boll. Soc. geol. it., XXIV, 1. ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 297 La chiave per la spiegazione della tettonica del Germula doveva esser data da un gruppo di fossili, sulla cui importanza avevo richia- mato l’attenzione sino dal 1910 (1). Infatti dopo aver potuto sco- prire nuovi e bei giacimenti ordoviciani nel Nucleo centrale carnico e specialmente nel Chiadin di Lanza, ebbi anche la fortuna di rin- venire degli scisti simili con tracce di fossili nelle ripide pareti erbose e franose della Costa di Crignis ad occidente e circa 200 metri più in alto della Casera omonima. Avvertivo allora che alla Costa di Crignis sarebbero state necessarie nuove ricerche, data la importanza di queste tracce ordoviciane. Le ripetute salite eseguite ora sui fianchi meridionali del Ger- mula, sia immediatamente sopra la Cas. Germula, sia in rispon- denza del Clap di Milie, sia lungo i ripidissimi prati detti del Pecòl del Madràz, sia in rispondenza a Costa di Crignis, sia sotto al Passo di Lanza hanno dato la spiegazione della tettonica del Ger- mula e quindi della età degli strati. Il Germula, invece di essere formato da una pila di strati rego- larmente disposti al di sopra della base scistosa di età controversa, è costituito da una piega rovesciata, il cui asse corrisponde ad una linea diretta su per giù da E a W presso la quota 1800, e la cui gamba meridionale è ridotta tanto da essere rappresentata da pochi metri di spessore. Nel fianco del Germula si trovano: Scisti or- doviciani, nel centro della piega, a cui seguono calcari grigi neosi- lurici e talvolta scisti neri, poi calcari grigi con coralli silicizzati, quindi calcari rosati siluriani. A questi, nella gamba settentrionale che forma la vetta del Germula, segue il Devoniano; mentre nella gamba meridionale segue il Carbonifero trasgressivo, dapprima rove- sciato sotto al Siluriano, poi fittamente pieghettato e quasi verticale, poi più o meno pendente verso Sud, e finalmente regolarmente incli- nato tanto da poter sottostare senza alcuna interruzione e con perfetta concordanza al Permiano. (1) Rilevamento nella Tav. di Paluzza. Boll. R. Comit. geol, it. 1910, pag. 35. 298 P. VINASSA DE REGNY Non sempre il nucleo ordoviciano comparisce, ma compariscono allora gli altri terreni a suo contatto i quali chiaramente ci indi- cano la stretta piegatura ed il rovesciamento. Ad esempio al di sopra della Cas. Germula si trovan prima gli scisti carboniferi, poi i cal- cari rosati, quindi i calcari grigi con coralli silicizzati a cui seguono nuovi calcari rosati. Questo fatto non è dovuto ad una alternanza, come potrebbe credersi a prima vista. I calcari con coralli silicizzati sono immediatamente sottostanti ai calcari siluriani rosati; e la seconda zona dei calcari rosati è la continuazione della prima e forma la piega rovesciata, che, erosa, lascia vedere la porzione più interna, cioè i calcari con coralli silicizzati. In pochi punti sotto a questi calcari con coralli silicizzati, che talvolta appaiono come semplici calcari grigi e biancastri, si hanno degli scisti neri tipicamente rispondenti a quelli che a Cas. Meledis contengono le graptoliti gotlandiane. I tipici scisti ordoviciani hanno invece il caratteristico aspetto a macchie ocracee. Il rovesciamento si può seguire sino al Palòn di Pizzùl, ove esso presenta in più il particolare di avere la gamba meridionale della piega più spessa di quello che non sia sui fianchi del Germula, dove è ridotta allo spessore di pochi metri. Questo rovesciamento del Germula, che era stato accennato dal GEYER per una limitata porzione presso al Chiarsò, è quindi un motivo tettonico molto importante ed esteso, del quale deve essere tenuto conto nella interpretazione tettonica generale della regione. Effettivamente, riesaminando il Germula con questi nuovi criteri, è stato possibile interpretare diversamente il Siluriano che affiora sulla porzione settentrionale della montagna, lungo il Rio Lanza. L’affioramento di calcare rosso siluriano da me scoperto in faccia a Cas. Val Bertàt nel 1910 (1), e che era stato interpretato come il nucleo eroso della grande anticlinale, di cui allora si consi- derava da tutti costituito il. Germula, deve invece ritenersi come il nucleo di una seconda anticlinale, parallela alla già descritta e rove- sciata al pari di essa. Un secondo affioramento di questo calcare (1) Rilevamento n. tav. Paluzza. Loc. cit., pag. 38. ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 299 rosso esiste in faccia allo sfocio del Rio Sglirs, nella parete ripida e quasi impervia, recentemente franata, del Germula. Queste due masse siluriane non avrebbero però in sè grande valore se non si potessero, come invece è possibile, connetterle all’affioramento di scisti ordovi- ciani, che, partendo da Cas. Val Bertàt, segue il Rio Lanza e si unisce poi alla massa fossilifera di Cas. Meledis. Già GORTANI aveva ritrovato l’Ordoviciano in un limitato affioramento sporgente dalla copertura quaternaria alla Stua di Ramàz; è evidente che questo affioramento, come quelli nuovamente scoperti al Rio Lanza, formano un complesso unico con quelli di Cas. Meledis, e vanno considerati rovesciati. I due lembi di calcari rosati delle pendici settentrionali del Germula sono l’avanzo del neo-silurico che trova a settentrione la sua continuazione nel calcare rosato di Cas. Meledis alta. Nell’intera massa del Germula quindi noi abbiamo, per lo meno, due pieghe consecutive rovesciate, di cui la più settentrionale ha il suo asse su per giù corrispondente all'andamento del Rio Lanza. i Questa piega settentrionale sembra la meno importante, ma essendo essa stata maggiormente erosa, appunto in essa il nucleo ordoviciano affiora per una estensione assai maggiore che non nella piega meridionale, ove l’affioramento più esteso è quello del Chiadin di Lanza, da me già descritto. Da qui l’Ordoviciano si manifesta sopra Costa di Crignis e in un altro piccolo punto. Successivamente la piega rovesciata non pre- senta più che i membri più alti, tra cui tipica la facies dei calcari a coralli silicizzati. Questa facies, di cui già feci notare l’importanza, ha molto in- teresse perchè il suo aspetto tipico la fa nettamente riconoscere sul terreno. Essa è anche assai diffusa nella porzione orientale del Nucleo carnico, poichè da Lodin, ove venne per la prima volta studiata, si continua sino oltre il Passo di Lanza, e si rinviene anche in terri- torio austriaco, come avremo occasione di dire in seguito . In conclusione adumque è dimostrato il rovesciamento del Ger- mula, e quindi anche dei calcari siluriani sugli scisti, i quali non sono perciò da considerarsi come base dei calcari ma come un rico- 300 P. VINASSA DE REGNY primento trasgressivo di essi, il quale, per la spinta postcarbonifera; è stato accavallato dai calcari. I rapporti innegabili che questi scisti hanno col prossimo e ricco giacimento delle Cas. Pizzùl e Pezzèit ci dimostrano poi come l’età di essi sia neocarbonifera. Tutta questa revisione non avrebbe però alcun valore se non vi fossero stati documenti paleontologici a dimostrarla esatta. E’ in via di pubblicazione una memoria di GORTANI e mia sui fossili della base del Capolago (Seekopfsockel) a documentare quel rovesciamento importantissimo. Qui mi limiterò a dare un elenco ragionato dei fossili ritrovati nell’Ordoviciano e nel Neosiluriro del versante meridionale del Germula. Fossili ordoviciani. Vennero tutti raccolti nei due affioramenti del fianco meridionale del Germula, situati entrambi a poca distanza l’uno dall’altro, nei ripidi pendii posti un poco ad occidente della Casera Costa di Cri- gnis e circa alla quota di 1800 metri. MONOTRYPA SIMPLICISSIMA VIN. 1914. Monotrypa simplicissima VINASSA, Fossili ordoviciani di Uggwa. Mem. Ist. geolog. R. Università di Padova, pag. 200, fig. 1, Tav XVI cAgdoE Questa forma, che non si limita ad Uggwa, ma che si trova anche in altri giacimenti ordoviciani, dei quali si occupa GORTANI nella sua relazione, si presenta a Costa di Crignis nella sua tipica forma a ventaglio, con ampi idiopori e scarse tabule come ad Uggwa. Ne ho veduto un solo esemplare. DIPLOTRYPA GERMULAE, n. f. (Tav. 1a db). Lo zooario ha la forma discoide a calotta poco rilevata. Esso è un poco distorto per effetto della fossilizzazione, di modo che la mi- sura non è facile a prendersi. Il diametro sembra non oltrepassare i 40 mm. e l’altezza circa 8 mm. ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 301 Gli zooeci sono nettamente distinti anche a prima vista; facil- mente si staccano l’uno dall’altro senza rompersi. Essi sono tutti poligonali ed hanno un tipo di favositide molto netto. A prima vista questa forma può confondersi facilmente cogli [altri Treptostomi non dendroidi a zooeci grandi. Solo la sezione microscopica mostra che si ha a che fare con un genere, ignoto fino ad ora nell’Ordoviciano carnico. I due tipi di zooeci, idiopori e mesopori, sono infatti nettissimi; la forma appartiene quindi alle Diplotrypa. Gli idiopori sono larghi circa 0,5 mm.; hanno la parete assai sottile, sempre priva di ingrossamenti e leggerissimamente ondulata. Te tabule sono rarissime in essi e si trovano parecchi idiopori che ne son privi. I mesopori sono assai poco frequenti e molto inegualmente distri- buiti: ad esempio nel punto ove è caduta la sezione longitudinale se ne contano solo 6 per oltre 20 idiopori; nella sezione trasversale invece si hanno circa 30 mesopori per 70 idiopori. I mesopori sono picco- lissimi ed hanno la tipica forma a grani di rosario. In certi punti si direbbero semplici bollosità delle pareti. Ogni parete, per quanto sottile, mostra chiaramente di essere indipendente dalla parete del prossimo zooecio, cosa che del resto era dimostrata dalla frattura del fossile. Questa nuova forma si distingue nettamente dall’altra Diplotrypa di cui era stuta accennata, ma non dimostrata, la presenza nell’Ordo- viciano carnico, e cioè la D. petropolitana, per avere un limitatissimo numero di idiopori, per la loro forma a grani dilrosario e per la scar- sezza dei diafragmi negli idiopori. Per tali caratteri si avvicina invece alla D. Hennigi BASS. (Early Palaeoz. Bryozoa of the Baltic Provinces U. S. Nat. Hist. Museum, Bulletin, 77, Washington 1911; pag. 322, fig. 200). Ma la forma e la dimensione del mesopori è assai diversa, e nella nuova specie i mesopori sono altresì più rari e la dimensione degli idiopori è molto maggiore. 302 P. VINASSA DE REGNY PRASOPORA FISTULIPOROIDES VIN. (Tav. fig. 2). 1910. Prasopora fistuliporoides VINASSA, Fossili ordoviciani d. Nucleo centrale carnico. Mem. Acc. Gioenia Sc. nat. Catania, 5, III, pag. 13, Tav. II, fig. 8-11. Questa forma, che sino ad oggi era nota solo nel prossimo giaci- mento di Chiadin di Lanza, si trova anche tipicamente caratteristica nel giacimento di Costa di Crignis. Essa manca ad Uggwa a quanto pare, ma si trova però nell’Ordoviciano del Seekopf, di cui è in corso di stampa la illustrazione. La forma di Costa di Crignis, come risulta dalla figura, è di tipo più regolare che non l’esemplare figurato di Lanza, mancando o essendo molto ridotta la porzione più, diremo così, fistuliporoide dello scheletro, e predominando il tipo perfetto di Prasopora. HALLOPORA TARAMELLII VIN. 1914. Hallopora Taramellii VINASSA, Fossili di Uggwa. Loc. cît., pag. 206, Tav. XVI, fig. 4 (cum syn.). Questa bella forma, che sembra essere la più diffusa delle forme di Treptostomidi carnici si trova in numerosi e tipici esemplari anche in questi nuovi affioramenti. Si tratta però, per lo più, di frammenti di ramo che non arrivano mai alla dimensione dei bellissimi esem- plari del Chiadin di Lanza. TRIPLESIA SPIRIFEROIDES M’ Coy. 1910. Triplesia spiriferoides M’ Cor. — VINASSA, Fossili ord. Nucleo centr. Loc. cit., pag. 24, Tav. III, fig. 19 (cum syn.). Si tratta di un piccolo esemplare incompleto, ma che risponde benissimo a questa specie. L’esemplare di Costa di Crignis sì di- stingue da quello di Meledis soltanto per avere il lobo frontale molto più ricurvo e spiccato. î, - } 4 ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 303 ORTHIS ACTONIAE Sow. 1914. Orthis Actoniae Sow. — VINASSA, Fossili di Uggwa. Loc. cit., pag. 211, Tav. XVI, fig. 6 (cum syn.). Impronte e modelli di questa forma non sono rari. Tutti sone nettamente caratteristici. In uno è ben distinta anche la striatura concentrica. ORTIS FLABELLULUM Sow. 1914. Orthis flabellulum Sow. — VINASSA, Fossili di Uggwa. Loc. cit.. pag. 212 (cum syn.). Di questa specie ho tre esemplari, di cui però due sono troppo i mal conservati per avere piena sicurezza di determinazione. Il terzo però, di dimensioni non molto grandi raggiungendo esso 35 mm. di : massima larghezza, è del tutto rispondente agli esemplari che frequen- n È temente si trovano nei giacimenti ordoviciani carnici. | ILLAENUS cfr. PORTLOCKI SALT. (Tav. fig. 3). E’ un torace non completo di un piccolo esemplare con la por- zione prossima al pigidio ridotta in larghezza. E’ nettissima la sol- catura che divide le pleure abbastanza mal conservate. Si vede però che queste cominciano dal salire un poco verso l’alto, poi ricadono e si estendono al basso con angoli in entrambe le piegature assai netti. L’esemplare è troppo incompleto per esser sicuro della sua de- terminazione; è certo che si hanno notevoli somiglianze con la forma del Caradoc inglese come è descritta e figurata dal SALTER (British Trilobites, IV, Paleont. Soc. Vol. XX, 1867, pag. 197, Tav. 26, fig. 3-4) specialmente per l’angolosità e la forma delle pleure. PHACOPS (?) sp. ind. (Tav. fig. 4). ì Si tratta di un pigidio di cui si vedono almeno otto segmenti angolosi, più rilevati nella porzione loro Superiore, e tutti pun- x teggiati. L'asse di esso è conico, tondeggiante verso il basso, poco 304 P., VINASSA DE REGNY distinto lateralmente dalle coste laterali, che sono larghe, ampia- mente ricurve, integre e slargate verso la loro terminazione. A nes- suna [specie nè della Inghilterra nè della Boemia si può riportare il nostro esemplare. Esso è d’altronde troppo incompleto per pre- starsi anche ad una esatta determinazione generica. Accennerò quindi soltanto alle analogie che si hanno col Ph. conophtalmus BorcK figu- rato da! SALTER (Op. cit., tav. 6 fig. 25) il quale però è un pigidio più tozzo e colle coste laterali segnate da un solco longitudinale. Fossili neosilurici. Oltre ai coralli silicizzati che si rinvengono sia al Clap di Milie, sia più presso a Costa di Crignis, sia anche al Passo di Lanza, in questi strati neosilurici sono stati rinvenuti anche un brachiopode ed un Orthoceras determinabile. Rispetto ai coralli mi limito ad un semplice elenco, poichè essi verranno più particolarmente illustrati in una prossima nota sui coralli silurici e devonici del Nucleo centrale. Faccio solo presente che essi sono del tutto identici a quelli già da me illustrati di Lodin (1). Le fotografie di alcuni di essi, aggiunte alla tavola che accompagna questa relazione dimostreranno delresto ad esuberanza che si tratta effettivamente non solo delle stesse forme ma anche della stessa facies. Le forme più comuni di questo giacimento connesso all’Ordovi- ciano del Germula son le seguenti : Cyathophyllum Taramellii De ANG. | C. vermiculare GDFSS. Cystiphyllum Geyeri DE ANG. Heliolithes porosus Gprss. (Vedi tav. fig. 8). Favosites Goldfussi M. Ep. ET H. F. Thildae DE Ana. Actinostroma clathratum NIcH. forma conferta VIN. ( Vedi tav. fig. 7). Act. bifarium NICH. Le forme rimanenti meritano una descrizione un poco più par- ticolareggiata. (1) Fossili dei Monti di Lodin. Palaeont. italica, XIV, pag. 171-190. ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 305 PENTAMERUS LINGUIFER Sow. sp. (non BARRANDE?). (Tav. fig. 5 a-c). 1866. Pentamerus linguijer DAviDsoN Brit. Sil. Brach. Pal. Soc., XX, pag. 149, tav. 17, figo 11-14 (cum syn.). Non è rappresentata che la valva ventrale a contorno esagonale arrotondato, a convessità molto forte e seno prolungato alla fronte in una espansione linguiforme e ben netto sino nella regione apicale ove apparisce come una larga e leggera depressione. Il seno manca di ripiegature secondarie. La valva ha un profilo trasversale semi- esagonale con una piccola rientranza in corrispondenza del seno e con fianchi fortemente inclinati sui margini laterali. L’apice termina in una punta sottile e ricurva in modo che l’apertura deltidiale resta scoperta. Il profilo iongitudinale ha forma di regolare semicerchio. La commessura frontale, fortemente sinuosa, oltre alla sporgenza linguiforme rispondente al seno, presenta pure da ambi i lati una notevole insenatura. L’esemplare meglio conservato misura mm. 6 di altezza, mm. 7 di larghezza e mm. 3,3 di spessore. Questa forma risponde assai bene alla descrizione ed alla figura del P. linguifer date dal SOWERBY e specialmente dal DAVIDSON sopra esem- plari del Neosilurico inglese. Esemplari provenienti per la massima parte da strati eodevonici sono stati illustrati sotto questo nome anche dal BARRANDE (Syst. sil. Bohème, V, 1879, tav. 22 fig. 2, 4; tav. 24, III e tav. 119), ma questi esemplari boemi sono diversi dallo esemplare carnico e quindi anche dagli esemplari inglesi. Infatti gli esemplari figurati dal BARRANDP si notano subito per avere l’apertura deltidiale nascosta e per il loro apice molto più rigonfio. Calcari grigi del Clap di Milie. 306 P. VINASSA DE REGNY ORTHOCERAS ALTICOLA BARR. (Tav. fig. 6). 1909. Orthoceras alticola BARR.- GORTANI e VINASSA. Fossili neosilurici di Timau e dei Pal. Mem. Acc. Sc. Bologna, 6, VI, pag 201. (cum syn.). Di questo esemplare ho già parlato nella citata Memoria sul Neosilurico (pag. 202). Esso è rispondentissimo alla forma tipica boema anche per le sue grandi dimensioni, che non son frequenti nel Neosilurico carnico, almeno tra gli esemplari da me raccolti in altre località. La figura mostra come si tratti veramente di questa specie, che il FREcH volle fare assurgere a fossile-guida di uno spe- ciale orizzonte neosilurico. Calcari rosati di Cas. Germula. La revisione dei Monti di Lodin sul nostro versante non ha dato alcun nuovo importante risultato; quello che rimaneva ancora dub- bioso era il versante austriaco, ove avrebbero dovuto comparire an- cora quelli scisti siluriani, che occupano tanto spazio nella carta austriaca, e che nella sezione del GEYER sono considerati come una regolare piega, connessa poi agli altri, limitati, affioramenti di cal- cari siluriani. Questi affioramenti si estendono più o meno irregolar- mente nel Nòlblinger Graben. In connessione con questi calcari si hanno scisti neri, che contengono le note Graptoliti. Ma questi scisti neri hanno prima di tutto una posizione nettissima di rapporto o di intercalazione coi calcari neosilurici, e poi hanno un aspetto li- tologico ben diverso da quello della restante massa principale degli scisti. Invece questa massa ha una connessione innegabile coi giacimenti fossiliferi neocarboniferi dell’Ahornach e di Socretis, e per di più è tipicamente trasgressiva, anche sugli stessi scisti siluriani. Per vedere questa trasgressione basta seguire la nuova strada di ar- roccamento, costruita dal Genio militare austriaco, e che passa lungo ORDOVICIANO E NEOSILURICO NEI GRUPPI DEL GERMULA E DI LODIN 307 la ripida parete settentrionale del Lodin. Là, in una profonda fossa superata dalla strada mediante un ponte, si vedono i calcari e gli sci- sti neri, tipicamente siluriani, ricoperti in trasgressione da ben diversi scisti, che si continuano poi con quelli che al passo di Lodinùt con- tengono Calamites carbonifere. Ma anche i rimanenti scisti del Lei- tenkofel e del Feldkogel sono carboniferi. Essi oltre all’essere con- nessi, come ho detto, ai giacimenti fossiliferi neocarboniferi, sono nettamente separati dagli scisti neri del Lodin mediante una zona di calcari grigi con coralli silicizzati, la cui presenza qui non era ancora stata accennata. Questi calcari con coralli silicizzati circon- dano come un anello il limitato affioramento di scisti siluriani del Lodin, poichè si continuano, senza interruzione, con quelli estesissimi del versante meridionale, che mi hanno dato anche quest’anno larga messe di magnifici esemplari. Anche pei coralli del versante austriaco del Lodin vale quello che ho detto pei coralli del Germula. Saranno illustrati in una prossima memoria. Qui mi limiterò ad e encare e in parte a figurare alcune specie, le quali dimostreranno, ad esuberanza, che si tratta non solo delle stesse forme da me già illustrate di Lodin, ma anche dello stesso identico tipo di fossilizzazione. Le più frequenti forme sono le seguenti : ’ CyathophyWHum Taramelliù De ANG. Cystiphy0um Geyeri DE ANG. Alveolites Labechei M. Ep. et H. Favosites Goldjussi M. ED. et H. F. Thildae DE ANG. Actinostroma clathratum NIcH. (Tav. fig. 9). Clathrodictyum regulare Rosen. Il versante settentrionale del Findenigkofel (Lodin dal versante austriaco) non è adunque costituito da scisti siluriani, come risultava dalla carta geologica austriaca, ma da scisti trasgressivi neocarboni- feri, privi di connessione collo sparuto lembo di scisti siluriani del noc- ciolo del Lodin, da cui li separa una zona non molto estesa, ma chiara- mente visibile, di calcari neosilurici con coralli silicizzati. I banchi di 308 P. VINASSA DE REGNY -— ORDOVICIANO E NEOSILURICO ECC. calcari siluriani, associati a straterelli scistosi ed a cui talvolta, come al Feldkogel, si aggiungono anche masse di Devoniano, non son adunque da considerarsi come una serie di pieghe connesse alla grande massa di scisti, ma come avanzi di pieghe precarbonifere, ricoperte dal Neocarbonifero, e venute poi allo scoperto per la successiva erosione di questa massa trasgressiva. Parma, Istituto geologico della R. Università, maggio 1914. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fossili Ordoviciani. la. Diplotrypa Germulae n. f. : ‘Sezione longit. 8:1 Costa-:di Crignis. 16. Diplotrypa Germulae n. £. Sezione trasvers. 8:1 Costa di Crignis. 2. Prasopora fistuliporoides VIN. 6:1 Costa di Crignis. 3. [Maenus cfr. Portlochi SALT. 2,5:1 Costa di Crignis. 4. Phacops (?) sp. ind. 2,5:1 Costa di Crignis. Fossili Neosilurici. ba-c. Pentamerus linguifer Sow. 4:1 Clap di Milie. 6. Orthoceras alticola Barr. Cas. Germula. 7. Actinostroma clathratum NIcH. f. confertum VIN. Clap di Milie. 8. Heliolites porosus GDFS. Clap di Milie. 9. Actinostroma clathratum NIcH. Versante sett. del Lodin. Boll. R. Com. geol. d’Italia, Vol. XLIV. P. VINASSA de REGNY. Germula e Lodin. DANESI - ROMA VII. M. GORTANI REVISIONE DEL RILEVAMENTO GEOLOGICO NEL NUCLEO CENTRALE CARNICO (4913) Il lavoro affidato al prof. Vinassa ed a me nella campagna geo- logica del 1913, era in parte di revisione e in parte di completa- mento dello studio del Nucleo Centrale Carnico, studio ormai termi- nato nel versante italiano della catena. La revisione ebbe luogo in particolare nei monti di Paularo, che erano stati i primi e più affrettatamente rilevati, e nei quali anche le mie osservazioni dello scorso anno avevano dimostrato, con i nuovi fatti messi in luce, l’opportunità di nuove ricerche. Ed i risultati non furono senza interesse. Intorno ai monti Lodin e Germula dà relazione il prof. Vinassa, che se ne occupò in modo speciale. Mi limito ad accennare, a questo riguardo, che sul Germula potei fare alcune osservazioni atte a dimo- strare che il corrugamento fu qui più intenso, con pieghe più numerose e più complicate di quelle che il Vinassa ed io avevamo dapprima segnalate. Nel versante settentrionale, l’ affioramento neosilurico |di fronte a Val Bertàt non appartiene al nucleo della grande anticlinale del Germula, ma bensì a un’altra piega parallela al Rio ‘Lanza; e si collega, mediante una seconda placca di calcari con Orthoceras di fronte al Rio Sglirs, con il Neosilurico di Meledis e Ramàz. Il nucleo dell’anticlinale rovesciata del Germula, viene invece a giorno sul ver- sante meridionale della montagna. A complemento delle osservazioni fatte dal Vinassa a Costa di Crignis, potei rilevare che sopra Salinis non soltanto ai calcari neosilurici si interpongono scisti di tipo or- 310 M. GORTANI doviciano, ma che al di sotto dei calcari neosilurici si ripetono i calcari con coralli silicizzati; dimostrando così che la piega anticli- nale è completamente coricata anche con la sua gamba meridionale, e che quest’ultima non è quindi rappresentata dai calcari di Fusèt, che spettano invece ad un’altra piega parallela alla precedente. Nel gruppo della Cima Costa Alta, la revisione confermò che si tratta di pieghe anticlinali allungate, costituite essenzialmente da cal- cari neosilurici e sporgenti dalla copertura neo-carbonifera trasgres- siva. Dal dossone Creta Rossa-Costa Alta, culminante con la vetta anticlinale omonima, dipendono alcune propaggini in direzione SE-NW: una è diretta verso Fondarili, un’altra passa per Scarnìz e si continua oltre Brilgger, una terza sporge al nord immediato di Kurnik. I cal- cari rossi neosilurici sono fossiliferi alla Creta Rossa, dove raccolsi : Petraia sp. O. dulce Barr. Dualina cfr. robusta Barr. O. Argus Barr. Lunulicardium cfr. angulo- O. cfr. placens Barr. sum Barr. O. cfr. Gruenewaldti Barr. Maminca n. f. O. cfr. reductum Barr. Spanila aspirans Barr. Encrinurus Beaumonti Barr. Cardiola persignata Barr. E. Novaki Frech O. gibbosa Barr. Cheirurus Taramellii n. f. I C. interrupta Barr. Phacops fecundus var. com- Orthoceras cfr. Michelini Barr. munis Barr. O. potens Barr. Harpes sp. Si hanno pure calcari fossiliferi alla Cima Costa Alta. I calcari oscuri presentano fossili per lo più indeterminabili; nei calcari rossi potei invece raccogliere anche qui parecchie forme, quali : Petraia sp. O. cfr. lyna Barr. Goniophora sp. O. cfr. alticola Barr. Cardiola gibbosa Barr. O. amoenum Barr. Orthoceras Michelini Barr. Ilaenus ® sp. O. potens Barr. Bronteus sp. O. dulce Barr. Cheirurus Taramellii n. Î. O. cfr. Gruenewaldti Barr. REVISIONE DEL RILEVAMENTO GEOLOGICO NEL NUCLEO CENTRALE CARNICO 811 Osservai altra volta che nell’alta Val d’Incaroio il Neosilurico è fossilifero anche alla Stua di Ramàz. Le sole forme che potei finora determinare sono Orthoceras efr. Michelini Barr. O. amoenum Barr. O. lynx Barr. I calcari neri compatti consentono molto di rado la preparazione dei fossili che contengono. E per terminare col bacino del Chiarsò, riporto qui l’elenco delle specie ordoviciane che ho raccolte nel piccolo ma interessante affio- ramento di scisti fossiliferi contiguo ai calcari con Orthoceras fra la Stua e la casera Ramàz, e da me scoperto nella precedente cam- pagna geologica: Acanthotrypa carnica Vin. O. cfr. Patera Salt. in. Mgh, Hallopora Taramellii Vin. O. flabellulum Sow. Orthis biforata v. Schloth. sp. Porambonttes intercedens Pand. * GE Il lavoro di completamento del nostro studio fu compiuto nel versante austriaco della catena principale carnica. Possiamo affermare che da esso risultano comprovate le nostre idee sulla struttura del Nucleo Centrale, così diverse da quelle dei nostri colleghi di oltre alpe. Del più importante risultato di tali indagini, demmo notizia preliminare nel settembre 1914 al Congresso della Società geologica italiana. Esse dimostrano il rovesciamento della classica serie del monte Capolago (Seekopf) e dell’alta Valentina, con la scoperta dell’Ordoviciano alla base dei calcari di scogliera e del Devoniano inferiore fossilifero nei calcari prima considerati come termine inferiore della serie neosilurico- devoniana della giogaia del Coglians e dei monti di Volaia. L’Ordoviciano è rappresentato da scisti arenacei giallastri e cal- coscisti rosso-scuri zeppi di fossili, tra i quali predominano Monticuli- poridi dendroidi già scambiate per Briozoi indeterminabili da taluni geologi di oltr’alpe. Nell’abbondante materiale quivi raccolto, il Vi- nassa potè determinare : M. GORTANI Protocrisina carnica n. f. Ceramopora Gortanii n. Î. Graptodictya sp. Nematopora sp. ind. Prasopora fistuliporoides Vine P. carnica Vin. Monotrypella Consuelo Vin. Hallopora Taramellii Vin. H. forojuliensis Vin. H. carnica n. Î. H. filicina n. f. Trematopora Taramellii n. £. Batostoma Canavarii n. f. BS Diplotrypa Bassleri n. f. Acantotrypa carnica Vin. Monotrypa certa Pocta M. Paronai Vin. M. simplicissima Vin. Orthis Actoniae Sow. . flabellulum Sow. . calligramma Dalm. . porcata M’ Coy . unguiîis Sow. Sp. . alternata Sow. . Patera Salt. in Mngh. . carnica Vin. STSTSTSESESES Strophomena expansa Sow. Pleurotomaria n. f. Trochus volaicus n. f. Strophostylus carnicus Vin. Materialmente sottostanti all’Ordoviciano sono calcari neosilurici grigi, rossi e giallastri, dai quali, nella parte più bassa (e quindi più recente) riuscii ad estrarre e determinare questa piccola fauna : Orthoceras potens Barr. . Michelini Barr. . cfr. Gruenewaldti Barr. . cfr. amoenum Barr. . dulce Barr. . subannulare Mstr. STSTSTSTSZS . cfr. Apollo Barr. Lumulicardium n. f. Cardiola gibbosa Barr. C. migrans Barr. Maminca cfr. rarissima Barr. Harpes sp. Acidaspis? sp. Illaenus sp. Bronteus cfr. Haidingeri Barr. Encrinurus Beaumonti Barr. E. Novaki Frech Arethusina Konincki Barr. Var: mM, Cheirurus Taramellii n. f. Da ultimo, alla base della serie, nel grosso banco di calcare bianco grigiastro esplorato senza frutto dai nostri predecessori e ri- tenuto di età anteriore al Neosilurico, ebbi la fortuna di scoprire un vero nido di Brachiopodi, Molluschi e Crostacei al cui studio mi ae- REVISIONE DEL RILEVAMENTO GEOLOGICO NEL NUCLEO CENTRALE CARNICO 313 cinsi con cura particolare, data la decisiva importanza dei risultati di esso per l’interpretazione tettonica della principale giogaia carnica. La fauna risultò composta delle forme seguenti : Fenestella cfr. Julii Gort. Orthis (Schizophoria) striatula Schloth. sp. O. (Dalmanellta) cfr. perele- gans Hall Strophomena rhomboidalis Wilck. sp. S. cfr. clausa Vern. in Oehl. S. carnica n. f. S. cfr. hirundo Barr. S. Phillpsi Barr. S. cfr. lacvigata Sow. sp. Orthothetes hipponya Schnur Sp. (?) Atrypa reticularis L. sp. A. aspera Schloth. sp. var. laevicosta Gort. A. Arimaspus Eichw. sp. A. italica n. f. Karpinskyaconjugula Tschern. K. Tschernyschewi Scup. Spirifer togatus Barr. S. secans Barr. S. efr. Najadum Barr. S. pseudo-viator Scup. 8. pseudo—-viator var. Stachei (Scup). . infleetens Barr. mn n . infirmus Barr. var. imper- ficiens Barr. S. indifferens var. transiens Barr. S. cfr. tiro Barr. S. sub-tiro Scup. S. cfr. orbitatus Barr. S. infltatus Sehnur Cyrtina heteroclyta Defr. sp. Spirigera Philomela Barr. sp. Merista herculea Barr. var. n. porrecta M. gibba n. t. Pentamerus volaicus n. f. P. Sieberi v. Buch P. optatus Barr. P. linguifer Sow. sp. var. sub- linguifer (Maur.) P. linguifer var. n. carnicus ERhynchonella monas Barr. Eh. Nympha Barr. Rh. simulans (Barr.) Rh. cfr. Proserpina Barr. Rh. postmodica Scup. Eh. (Pugnax) preacuminata Dif: Rh. Vinassai n. f. Rh. Caput-lacis n. f. Kh. (®) Thetis Barr. sp. Rh. (Wilsonia) princeps Barr. Rh. princeps. var. carnica (Scup.) Rh. (Wilsonia) cuboides Sow sp. var. parallelepipeda (Bronn sp.). Rh.(Wilsonia) Bureavi Barrs. 314 M. GORTANI — REVISIONE DEL RILEVAMENTO GEOLOGICO EC0G; Eh. (Wilsonia) Scupini n. n. Terebratula (Dielasma) cu neata Scup. Megalantheris cfr. inornata d’Orb. sp. Pterinea sp. Goniophora Sp. Cypricardinia scalaris Phill. Sp. C. crenicostata Roem. sp. C. cfr. aequabilis Barr. Conocardium cfr. artifex Barr. Bellerophon sp. Orthonychia patelliformis Holz. O. Canavarii n. Î. Platyceras pericompsum Whidb. sp. P. hainense Maur. sp. P. fecundum Barr. sp. Codesta fauna spetta senza alcun dubbio al Devoniano inferiore: le nostre prime deduzioni vengono in tal modo pienamente confer- mate. Il rovesciamento della classica serie della base del Seekopf non potrebbe essere meglio documentato. Stabilito questo punto, gli scisti materialmente sottoposti alla serie stessa (prima considerati si- luriani inferiori) prendono la stessa posizione stratigrafica degli scisti del versante italiano, e vengono logicamente riportati, come essi, al Carbonifero trasgressivo. Nuove ricerche sul terreno dovranno meglio precisare l’estensione e i particolari dell’importante motivo tettonico ; in ogni modo, le vedute lungamente sostenute da Vinassa e da me, in opposizione ai nostri colleghi tedeschi ed austriaci, non potevano avere migliore conferma. P. Taramellii n. f. Orthoceras sp. Oyrtoceras sp. Entomis tuberosa Jones Calymmene cfr. Blumenbachi Brgn. Bronteus cfr. formosus Barr. B. palifer Beyr. var. n. car- NniCus B. rhinoceros Barr. var. n inermis B. alpinus Gort. Phacops Bronni Barr. Oheirurus Sternbergi Boeck sp. Cn. Sternbergi var. Pengelli (Whidb.) Proétus cfr. unguloides Barr. P. forojuliensis n. f. Harpes cfr. reticulatus Corda H. af. socialis Holz. VIII. VENTURINO SABATINI LA DISLOCAZIONE DEL GIGLIO (Contribuzione allo studio del Cratere di Bolsena) La dislocazione presso la piccola chiesa del Giglio, a breve di- stanza da Bolsena, è costituita da una frattura con rigetto. Il primo a parlarne fu vom Rath nei suoi frammenti (1), e molto più tardi me ne occupai anch'io. Il valore del rigetto era stato ritenuto dal v. Rath di sedici piedi, ed io lo ritenni, d’accordo con lui, di circa quattro metri (2). Di tale misura il mio predecessore non dette al- cuna ragione, e neppure io ne detti nelle mie ricerche preliminari. Siccome però a questa dislocazione e ad altre ammesse come proba- bili dal v. Rath, ma da lui non vedute, si attribuì molta importanza e da lui e da altri, per dedurne che la conca di Bolsena fosse do- vuta a sprofondamenti del suolo ; e siecome io nella nota a cui ho alluso e in una recente pubblicazione (3) risposi che si tratta di troppo piccole cose per considerarle come causa, o conseguenza a se- conda del punto di vista, di un fatto così esteso ed importante, quale è la formazione d’un avvallamento di parecchie centinaia di metri con diciotto chilometri di estensione orizzontale, ne deriva la neces- (1) Mineralogisch-geognostische Fragmente aus Italien. (Zeitseh. d. Dewt Gesetl., B. 20, 1868). (2) rel. sul lavoro eseguito nel trienniog1896-97-98, ecc. Boll. Com. Geol, 1899. (3) Prefazione alla memoria del Dott. Hidezò Simotomai: Ricerche morfo- logiche sulla Conca di Bolsena, Boll. Com. Geol., 1913-14. Risulta da questa pubblicazione del Sig. Simotomai, che anch'egli giunse ai miei stessi risultati dopo minuziose osservazioni. 316 VENTURINO SABATINI sità di precisare il valore del rigetto. La dimostrazione dell’affer— mazione della sua piccolezza ha un’importanza tanto più forte in quanto esso costituisce una delle maggiori dislo- cazioni finora ritrovate, sopratutto da me in lunghi anni e dal Dott. Simotomai in parecchi mesi di escursioni. I casi osservati furono nu- merosissimi ed ebbe ragicne il v. Rath di sup- porre che era probabile ve ne fossero altri da aggiungere a quell’unico del Giglio da lui veduto. Basta rivolgere gli occhi intorno, e in qualunque trincea, di strada o di fosso, se ne trova un’ ine finità, percui riesce inesplicabile come al v. Rath siano sfuggiti. Essi sono però sempre di picco- lissima amplitudine, pochi centimetri, un metro, due, o giù di lì, ciò che, insieme al loro gran numero, dimostra ad esuberanza che trattasi di rassetti del terreno. Fermiamoci dunque al Giglio. La vecchia rotabile da Bolsena ad Orvieto si svolge nel suo primo chilometro tra la chiesa di Santa Cristina, che trovasi ad un estremo della città, e i pressi di quella del Giglio, con l'andamento mostrato dalla fig. 1. Nella parte settentrionale del tratto ab, (| RE SIT EP] aperto in trincea profonda, si osserva una frattura verticale negli strati di tufi (fig. 2). Questi strati pel loro spessore sono effettiva- mente banchi di 50-60 centimetri e strati di 12-15, e sono costituiti di ceneri sole, o di ceneri e pomicine biancastre, o prevalentemente di queste ultime. Intercalato in questo materiale e con esso concor- dante è un banco di ceneri miste ad abondanti frammenti lavici, grandi al più come un doppio pugno. I colori esteriori, quali appari- scono parzialmente modificati dall’ossidazione, sono il grigio, il gri- gio-violaceo, il biancastro, il giallastro, con predominanza dei due ultimi. La sezione che il 1898, quando la vidi la prima volta, era scoperta e nitida, si è andata ossidando maggiormente di poi e ricc- prendo di vegetazione, ciò che oggi la rende meno visibile e può farla rimanere inosservata a chi, ignorandone l’esistenza, le passasse vi cino un po’ in fretta. LA DISLOCAZIONE DEL GIGLIO €53) 7A Il materiale anzidetto è stato dunque diviso in due parti da una frattura verticale, lungo la quale si è maggiormente polverizzato e rimescolato perdendovi ogni accenno di stratificazione, la quale perciò Wigo o Ì (0) < } (©) s’interrompe sopra una striscia di 30 centimetri di larghezza. Il banco con frammenti indica un rigetto la cui amplitudine non è però determinabile su questa sezione. Difatti mentre a sinistra della frat- tura gli strati di materiale minuto occupano quasi tutta l’altezza, meno 50 centimetri circa in basso dove apparisce la sola parte più alta del banco suddetto, a destra sopra gli strati di materiale minuto si vede questo banco con la parte superiore coperta dalla vegeta— zione del terreno in cui la trincea è aperta, e non può dirsi se, e a quale altezza, finisca, onde non può determinarsene lo spessore, che è l’elemento di cui abbiamo bisogno. Ma che il materiale con frammenti a destra e a sinistra appartenga allo stesso banco non è da mettere in dubbio, bastando ad accertarlo la verifica ad occhi nudi dei fram- menti lavici contenutivi, e che sono gli stessi da ambo le parti. In- vece gli strati di lapilli a destra e a sinistra presentano certe diffe— renze, come vedremo, È quindi evidente che la parte sinistra è di- scesa rispetto all’altra. Una seconda prova di tale spostamento, 1a quale poi è anche conseguenza del medesimo, si ha nel fatto che le estremità degli strati a sinistra si sono ripiegate verso l’alto. Questi stessi fatti si sarebbero avuti se invece la parte di destra fosse salita rispetto a quella di sinistra. Ma fniente autorizza tale supposizione, mentre è evidente che il materiale essendosi trovato sfiancato verso il lago da quel lato un movimento di discesa poteva facilmente de- terminarsi, e, se anche l’intera massa si fosse abbassata per pigiamento, 1l 318 VENTURINO SABATINI quella di sinistra per la detta condizione doveva abbassarsi mag- giormente. Quanto alle dimensioni v. Rath ha creduto di 30 a 40 piedi l’altezza della sezione, che invece è di circa 6 metri. Circa 3 metri è lo spessore della parte visibile del banco con frammenti a destra e in prossimità della frattura. Circa 1 metro è la differenza tra la sua parte inferiore a destra ela superiore a sinistra. Fortunatame la sezione osservata si trova su di un tramezzo di tufo di pochi metri di spessore e sulla parte posteriore del quale tro - vasi un altro appicco che mostra i termini della sezione precedente, in condizioni però alquanto diverse (fig. 3), e che permette la deter- minazione dello spessore richiesto. L'altezza di questa seconda parete è di m. 8 a m. 8,50 e la frattura vi riappare, ma inclinata di 10° sulla verticale. La parte a sinistra, che corrisponde alla destra della sezione precedente, mostra in basso banchi e strati grigio-scuri di ceneri e la- pilli, alcuni con predominanza di questi, altri con predominanza di quelli. Intercalati tra i medesimi si trovano alcuni strati scuri punti- nati qua e là di bianco, di 10-12 centimetri, costituiti da minuti la- pilli, da ceneri e da abondanti cristalli che sona principalmente tra- pezoedri di leucite e“prismi ‘di pirossene. Sopra questo primo gruppo ce n’è un secondo in concordanza. Sono banchi e strati biancastri si- mili a quelli di destra della sezione precedente e in cui predominano le pomicine dello stesso colore. A destra invece quest’ultimo materiale si trova in basso. Sopra di esso è un banco di ceneri grige con frammenti lavici nerastri e violacei, e che è io stesso della sezione LA DISLOCAZIONE DEL GIGLIO 319 precedente, ma qui mostra le due facce per cui può determinarsene lo spessore che è compreso fra 3 e 4 metri. Al disopra sono strati e banchi biancastri e giallastri, simili a quelli di sinistra della prima sezione, e in cui si vedono pomicine e ceneri con predominanza di queste ul- time, anzi molti banchi e strati ne sono formati quasi esclusivamente. Ciò posto, possiamo concludere che essendo di tre a quattro me- tri lo spessore del banco con frammenti, le condizioni della prima sezione (fig. 2) mostrano immediatamente che lo spostamento relativo dei due labbri della frattura è compreso fra 4 e 5 metri, ciò che risolve il problema che ci eravamo proposto. Ed ora alcune osservazioni. Prinìia di tutto la ragione per la quale nella parte a sinistra della seconda sezione (fig. 3) appariscono le ceneri grige più profonde e sparisce il banco con frammenti in alto, come se questa parte si fosse sollevata rispetto alla corrispondente della prima sezione, è che la stratificazione è inclinata fino a 30° a S. O. e quindi si abbassa dal lato della trincea stradale o della prima sezione, e si solleva dal lato posteriere o della seconda sezione. La dislocazione si manifesta su quest’ultima con una rottura di pendenza e con accentuazione della medesima verso il lago, dove il terreno era più acclive al momento in cui le ceneri ei lapilli sud- detti si depositarono. Questo fatto può avere aumentato il dissesto producendolo non già secondo una superficie piana, ma secondo una superficie curva di forma prossima a quelle che si dicono « rigate » cioè determinate dal movimento di una retta. Ciò spiegherebbe per- chè le tracce della frattura sulle due sezioni verticali non sono ugual- mente verticali, ma verticale l’una e obbliqua l’altra. La seconda sezione trovasi in una caldaia d’erosione, la quale sulla parete opposta, a 25-30 metri di distanza, non mostra traccia alcuna della dislocazione, e nemmeno della frattura. Questa spari- zione è anche più tipica nella trincea stradale, ove si ripete sulla parete opposta a quella dissestata, a soli 10 metri di distanza. Inol- tre è da ritenere che, come il fenomeno si attenua a pochi metri in superficie, debba attenuarsi anche a pochi metri in profondità. È E TORTA CREA “ i v Mia veve 320 VENTURINO SABATINI certo intanto che la sua rapida sparizione dai due lati del tra- mezzo di tufo e la sua piccola amplitudine verticale nel medesimo mostrano che si tratta di semplice pigiamento con localizzazione molto circoscritta. Se non fosse intervenuta la ripida pendenza verso il lago e quindi il distacco della parte sfiancata da quella adiacente, con strisciamento sul contatto e piccolo abbassamento, il ienomeno si sarebbe ridotto ad un leggero avvallamento della stratificazione, appena accennato sull’attuale sezione (fig. 2), e non avrebbe attratta la nostra attenzione. E si può anche aggiungere che queste fratture, di epoca indeter- minabile, non devono essere sempre molto remote giacchè in questa località, come del resto un po’ dovunque nelle regioni costituite pre- valentemente da tufi, si trovano molto spesso fratture certamente re- centissime, perchè mostrano lo spazio tra le due facce ancora vuoto dai materiali che dopo breve tempo lo riempiono, franando dalle salbande. Una di tali fratture si vede in alto della seconda sezione (fig. 3) quasi in continuazione di quella più antica e ripiena che è stata descritta. Queste fratture recenti fanno parte talvolta della preparazione di nuovi piccoli rigetti, dovuti all'insieme del peso proprio di un ma- teriale soffice e dello sfiancamento prodottovi dall’erosione. La prima sezione (fig. 2) mostra il banco con frammenti sfettato a destra, percui, mentre poggia in concordanza sopra banchi infe- riori di lapillo, è incassato in altri adiacenti al suo livello. Si de- duce che una piccola erosione nei materiali anteriori al banco ne precedette il deposito. Finalmente possiamo riassumere così il gruppo di termini consecu- 2 tivi che formano le sezioni testè considerate, e che sono tutti leucitici : | I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Strati e banchi di ceneri e lapilli pomicei, con prevalenza di ceneri. Banco di ceneri con frammenti lavici abondanti. Strati e banchi di ceneri e lapilli pomicei, con prevalenza dei lapilli. Strati e banchi grigi di ceneri e lapilli, con intercalazioni di strati in cui abondano i cristalli di leucite e di pirossene. or — ‘ ì « ” i k LA DISLOCAZIONE DEL’ GIGLIO 321 Questo gruppo non è che una parte trascurabile dell’intera serie vulsinia, rispetto alla quale sono ugualmente trascurabili le piccole lesioni che intaccano qua e là pochi suoi termini. Ove si consideri che il caso esposto è uno dei più importanti in tutta la conca di Bol- sena e che i materiali che la formano hanno nella parte oggi resi- dua parecchie centinaia di metri di spessore si vede come le dislo- cazioni accertate rappresentino al massimo qualche centesimo dello spessore attuale e quindi come si resti nei limiti del pigiamento più comune e più trascurabile. E devo aggiungere che fu addirittura azzardata la deduzione del v. Rath quando affermò che: poichè al Giglio esiste un rigetto di quattro metri « non è del tutto inverosi- mile (sic) che ve ne siano intorno al lago altri di proporzioni gran- diose, ai quali debbono la loro origine gli scaglioni della parte orien- tale » che arrivano a 80 e 100 metri d’altezza. Montefiascone, ottobre 1914. TX. CAMILLO CREMA OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI Di CAGNANO VARANO (M. GARGANO) La scoperta del Miocene presso S. Giovanni Rotondo, sul ver- sante meridionale del Gargano, recentemente fatta dal dott. Checchia Rispoli (1), è una nuova prova che solo mediante minuziose ricerche si potrà giungere ad una completa conoscenza dello sviluppo dei terreni miocenici di quel promotorio. Questi terreni infatti, per essere generalmente costituiti da calcari teneri passanti a breccie poco cemen- tate, mal resistettero alle azioni denudatrici, cosicchè per quanto forse altre volte assai estesi sono oggidì ridotti a lembi molto limitati. Non mi pare perciò privo d’ opportunità pubblicare alcune osservazioni che, parecchi anni or sono, ebbi occasione di fare sui terreni miocenici del versante settentrionale del promontorio, nei dintorni di Cagnano Varano, dove, come è noto, il sopracitato autore già aveva segnalato un lembo di Miocene medio (2). I punti, nei quali potei riconoscere la breccia conchigliare già descritta dal Checchia Rispoli, sono due: uno presso la cisterna di Cagnano, sul versante destro della fiumara nelle immediate vicinanze del paese, l’altro nella R. Santa Marena, al confine fra il territorio di Cagnano e quello di Carpino. (1) G. CHeccHIA RiIsPoLi. - IZ Miocene nei dintorni di S.Giovanni Rotondo sul Gargano. (Boll. d. Soc. Geol. it. v. XXXIV), Roma, 1915. (2) G. CHECccHIA RisPoLI. - Il Miocene nei dintorni di Cagnano Varano sul Gargano (Boll. d. Soc. Geol, It. v. XXIII), Roma, 1904. 324 CAMILLO CREMA - Nella R. Santa Marena la breccia conchigliare presenta una potenza di oltre 5 m. e poggia direttamente sui calcari bianchi me- sozoici (1). : Superiormente essa passa ad un calcare grigiastro, compatto o sabbioso, contenente qualche ittiolite (Odontaspis contortidens Ag.) e numerosi esemplari di una grossa Scutella, che il dott. Checchia Rispoli si propone d’illustrare quanto prima; al microscopio questo calcare appare poverissimo di resti organici; la sua potenza è di circa 10 m. Il calcare grigiastro a Scutella fa passaggio in alto ad un cal- care variamente colorato da giallo pallidissimo a roseo carnicino, ben stratificato in grossi banchi, molto compatto, ma talora cosparso ci piccoli vacuoli di varia forma tappezzati di calcite, il quale viene in molti punti scavato per essere utilizzato come materiale da costruzione. Al microscopio questo calcare si rivela prevalentemente costituito da minute reliquie organiche le quali, sole od associate a granelli di un calcare scuro a foraminiferi, stanno immerse in un abbondante cemento calcitico. I resti organici sono: alghe sifonee, litotammii, spicule di spugne, frammenti di idrozoi e briozoi, pic- coli radioli di echinidi, ma sopra tutto foraminiferi di piccole di- mensioni (Nodosaria, ©Oristellaria, Textularia, .Uvigerina, Orbulina, Globigerina, Roialia, Rupertia, Polistomella. ecc.); inoltre il dott. Prever - vi ha riscontrato le seguenti specie : Amphistegina Niasi Verb. (A e B). D) Sp. Operculina complanata Defr. D) Sp. Heterostegina sp. Lepidocyclina sp. Miogypsina irregularis Micht. » Sp. Gypsina vescicularis Park. e Jon. le quali provano che il calcare deve, come i due membri sottostanti, (1) Sull’età di questi calcari vedasi la Relazione al R. Comitato geologico sui lavori eseguiti nel 1905 in Boll. d. R. Com, Geol. d'It., vol. XXXVII, Roma, 1906, p.41, la”) (9) OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI CAGNANO VARANO 3 attribuirsi al Miocene medio. Esso presenta uno spessore di oltre 30 m. cosicchè il Miocene in questa località ha una potenza com- plessiva di forse 50 m. Gli strati s'immergono a Nord, cioè verso il lago di Varano, con una inclinazione di 40°. Calcari simili a quelli ad Amphistegina ora descritti, sono fre- quenti, come è noto, nel Miocene dell’ Appennino. Presso la cisterna di Cagnano la sezione è analoga, però quì in basso si osserva una marna tenera, giallastra, contenente im- pronte di foglie (Oleacee ?) e modelli interni di molluschi in eran numero nonchè rari, ma ben conservati, foraminiferi, la quale sen bra interporsi fra la breccia miocenica ed i calcari mesozoici. Gli st ati mostrano una leggera pendenza ad Ovest. In una terza località ho potuto ancora constatare la presen 2 del Miocene e cioè nella regione Pozzone, 5 km. circa a N-O del paese, sulla sponda meridionale del lago di Varano. Quivi erano stati indicati da Viola e Cassetti (1) dei calcari nummulitici; in realtà non si tratta di nummuliti, ma di esemplari di Amphistegina Niasi, talora di discreta grandezza, ed i calcari, che li contengono, sono in tutto simili a quelli sopra descritti della R. Santa Marena e della cisterna di Cagnano. Secondo i suddetti autori questo supposto lembo eocenico si sarebbe esteso dalla R. Pozzone fino alle rovine di S. Nicola. Però il Cassetti ed io avendo percorso quella località nell'autunno del 1905 non potemmo confermare questo riferimento, il quale, come è noto, non fu nemmeno confermato dal dott. Checchia Rispoli (2). Per questo tratto il calcare creduto eocenico fa parte invece della po- tente ed estesa massa mesozoica. In basso, lungo la sponda del lago, i calcari del Mesozoico e del Miocene sono poi quà e là ricoperti da lembi pliocenici. (1) C. VioLa e M. CAssETTI, Contributo alla geologia del Gargano. (Boll. del R. Com. Geol. d'It., v. XXXIV). Roma, 1893, p. 122. (2) G. CHECcCHIA RisPoLI, Bibliografia geologica e paleontologica della Ca- pitanata. Palermo, 1914, p. 16. * Infine, nella piccola spianata esistente Asd la spia i stà Ti strada fra la R. Pozzone e le rovine di S. Nicola, si riconobbe j l’esistenza di un piccolo ma interessante lembo di Quaternario la- | custre, rappresentato da calcari scuri, generalmente molto compatti, che percossi col martello emanano un forte odore bituminoso e nei quali abbondano Limnaea, Planorbis ed altre specie lacustri. X. Inc. GUIDO PULLÉ IL POZZO TRIVELLATO DI SOLEMINIS (CIRCONDARIO DI CAGLIARI) Verso la metà dello scorso maggio venivo incaricato di prendere parte ad alcune ricerche sull’idrografia sotterranea dei terreni sardi che, sotto la direzione del cav. uff. ing. Vittorio Novarese, capo dei rilevamenti geologici in Sardegna, erano state allora iniziate per or- dine di S. E. il Ministro di Agricoltura, al precipuo scopo di rime- diare al più presto e per quanto fosse possibile, ai danni prodotti dalla persistente siccità che cominciava ad avere gravissime conse- guenze in quell’Isola. In tale circostanza ebbi luogo di occuparmi in modo speciale dei paesi di Soleminis, Donori, Sestu e Selargius a Nord e Nord-Est di Cagliari, e in modo più sommario del bacino delia Trexenta e di al- cune località del Campidano di Cagliari. In una relazione di massima presentata alla fine dello stesso mese riassumevo le mie impressioni concludendo che nei dintorni dei due primi paesi si sarebbe avuto grande probabilità di trovare acqua saliente e in ta'uni punti anche zampillante a breve profondità sotto la superficie del terreno, mentre a Sestu e a Selargius, e più ancora nel bacino della Trexenta, la ricerca delle acque sotterranee sarebbe stata più difficile, dovendosi oltrepassare nella serie dei terreni neo- genici una potente formazione a facies marnosa, prima di raggiungere le assise arenaceo-calcari che affiorano presso il contatto orientale del Terziario coi terreni antichi, e che nel bacino di Cagliari e in quello della Trexenta stessa, io ritengo acquifere a differenti livelli, dipenden- temente dal grado di permeabilità e di compattezza dei singoli banchi. o Da) d5, 7 . % = De ” ‘di È d di. tO ‘ ING. GUIDO PULLE (ie In via subordinata ammettevo la possibilità di incontrare anche a profondità minori qualche falda di secondaria importanza che po- trebbe aver sede in alcuni banchi di marne sabbiose e sabbie disciolte ricorrenti nella stessa serie delle marne (1), ma che sono per altro di piccola potenza e di incerta continuità in estensione. Quanto alle località esaminate nel Campidano l’esame del terreno e l’esperienza delle trivellazioni già eseguite in differenti punti, non lasciava dubbio che si sarebbe incontrata acqua saliente e spesso zampillante a due o tre livelli facilmente accessibili cogli ordinarii mezzi di trivellazione. Nel seguente mese di giugno, presso il Ministero di Agricoltura veniva creato l'Ufficio speciale per la Sardegna, e affidato alla Dire- zione dell’Ingegnere-capo delle Miniere comm. Camerana, il quale, sulla base delle indagini geologiche compiute, e in accordo cogli Uffici del Genio civile di Cagliari e di Sassari, disponeva di fatto per l’ese- cuzione di una serie di pozzi artesiani e di altre opere dirette al ri- fornimento idrico dei centri abitati e delle campagne sarde. Mentre ancora ferve il lavoro delle ricerche, è lieto il constatare come nel breve volgere di pochi mesi già si sia giunti ai più soddisfa- centi risultati che fosse lecito attendere, mentre il numero ne aumenta periodicamente a vantaggio delle popolazioni dell’Isola. Fra i buoni resultati ottenuti deve annoverarsi quello del pozzo trivellato di Soleminis, che fu il primo intrapreso in base alle deduzioni cui condussero le mie ricerche del maggio. Il paese di Soleminis, situato fra Sinnai e Dolianova, sulla fer- rovia Cagliari-Tortolìi, non conta che 461 abitanti, nè poteva a rigore dirsi sfornito d’acqua, perchè tutta la regione detta di « Fontana basciu » rappresenta l’affioramento di una ricca falda superficiale che (1) Per es. nei dintorni di Sestu in reg. Cuccuru is Foradas. IL POZZO TRIVELLATO DI SOLEMINIS 329 dà luogo a sorgenti (mitze) od a pozzi poco profondi. Però appunto per la eccessiva superficialità queste acque non danno alcuna ga- ranzia dal lato igienico, quando anche non siano salmastre e per questa stessa ragione inadatte perfino all’abbeveramento del be- stiame. Un pozzo trivellato, il quale avesse dato resultati favorevoli, sarebbe quindi riuscito utilissimo per rimediare all’assoluto difetto di acqua potabile per l’abitato, mentre avrebbe potuto in seguito di tempo indurre i privati a moltiplicare i tentativi di trivellazione sopra una zona più estesa ad Ovest e Sud-Ovest del paese dove le stesse acque freatiche scarseggiano grandemente. Furono queste le ragioni che insieme ad una certa sicurezza di riuscita dell’opera (1), dettero al paese di Soleminis il privilegio del primato nell’esecuzione pratica dei lavori indicati. L’abitato di Soleminis è molto prossimo al margine orientale delle formazioni terziarie, le quali, circa un chilometro a monte, si appog- giano al massiccio antico del Sarrabus: è in questa zona marginale e più prossima ai forti rilievi montuosi che compare quella serie di banchi a facies arenacea, i quali dicemmo notevolmente differire fra loro per aspetto, composizione e durezza. Verso la base della formazione predomina un’arenaria grossolana verdastra a cemento calcareo, assai compatta e ricercata come pietra da costruzione; verso la sommità compare invece di solito un’are- naria azzurrognola pure a cemento calcareo, ma a grana finissima e serrata, tale da costituire nel suo complesso un mezzo praticamente impermeabile. Fra i due estremi sta tutta una serie di banchi dove le arenarie con predominio di elementi calcarei e argillosi fanno pas- saggio a calcari puri ed a marne, e le arenarie con predominio di ele- menti quarzosi e feldspatici danno luogo a letti sabbioso-ghiaiosi po- chissimo cementati: la facies arenacea si presenta però quasi costan- (1) Per informazione favoritaci dall’Ufficio del Genio civile di Cagliari, la pos- sibilità di trovare acqua saliente nel sottosuolo di Soleminis sarebbe stata con- fortata anche dal prezioso parere del prot. Lovisato. E, di 330 ING, GUIDO PULLÉ temente ed è caratteristica della formazione. Altrettanto accade per una potente serie marnosa che ricopre le arenarie ed affiora per una estesissima zona fra il litorale determinato dal massiccio antico del Sarrabus ed il Quaternario del Campidano. Quivi la facies predominante è marnoso-argillosa, ma le marne giallastre e azzurrognole che costitui- scono il gruppo principale della formazione fanno talora passaggio a calcari e ad argille, ed anche presentano ricorrenze di marne sabbiose e di sabbie disciolte che però diceemmo avere una secondaria importanza nel complesso della formazione stessa. E’ dunque in corrispondenza dei banchi meno coerenti o disciolti della serie inferiore che sono da attendersi i più importanti livelli acquiferi dai quali possa trarsi partito. Nella valle di Soleminis le marne costituiscono un insieme di strati poco potenti che si nascondono per tratti sotto una formazione conglomeratica, composta essenzialmente di ciottoli di roccie siluriane, la quale sta con tutta probabilità a rappresentare un’antica alluvione valliva. I contatti fra la serie arenacea e la serie marnosa spuntano quà e là sotto il conglomerato quaternario, onde è facile ricostruirne l’anda- mento, e dall'esame di questi e dalle condizioni di giacitura degli strati dedurre che i terreni neogenici sono disposti nella valle in legge- rissima sinclinale, conservando un’inclinazione generale di 10-15° a S-O. E siccome i piani acquiferi corrispondenti della serie arenacea si vedono distintamente affiorare a Nord e Nord-Est del paese, dove si alimentano alle ampie valli aperte nel Siluriano fra i 200 e i 250 m. di altitudine, nessun dubbio poteva aversi sulla possibilità di ritrovare acqua sa- liente a poca profondità sotto le marne, corrispondentemente alla curva piezometrica dei carichi ammissibile in ipotesi. Poichè le pendenze misurate non accennavano peraltro ad un forte ripiegamento nè ad una forte inclinazione generale dei banchi, rimaneva il dubbio che la salienza fosse insufficiente a produrre lo zampillamento dell’acqua, e perciò fu prudentemente prescelto un punto di bassa quota altimetrica, assai prossimo ad un piccolo pozzo IL POZZO TRIVELLATO DI SOLEMINIS 331 ordinario di proprietà comunale che era aperto sulla sinistra del rio della valle. Il pozzo trivellato, eseguito in economia sotto la direzione del- l’Ufficio del Genio civile di Cagliari, fu iniziato il 6 di agosto, e, dopo varie interruzioni e ritardi dovuti a cause diverse, verso la metà di dicembre raggiunse fra i 24 e i 27 m. una falda acquifera in pressione la quale determinò una venuta d’acqua importantissima. La serie dei terreni attraversati, secondo i testimonii di trivelia- zione gentilmente favoritimi dall’egregio collega ing. Michele Taricco, e fatta qualche riserva sull’esattezza con la quale vennero prelevati dal personale addetto ai lavori di trivellazione, sarebbe la seguente : Da m. 0,00 a m. 4,00. Formazione valliva ciot- \ tolosa e sabbiosa con elementi prevalenti di roccie | ; À i >» Permeabile.. siluriane, poco o punto cementati. Sede della falda \ freatica. ) Da m. 4,00 a m. 5,00. Marna argillosa giallastra _—. con noduli bianchi. È . } Impermeabile. Da m. 5,00 a m. 16,00. Marne bluastre con rari \ ciottoli calcarei, scistosi e quarzitici. Da m. 16,00 a m. 22,50. Arenaria compatta a ) Praticamente grana fina ed a cemento calcareo, grigio-verdastra. | impermeabile. Da m. 22,50 a m. 23,50. Marna scagliosa cinerea. — Impermeabile. silicee e sabbie nerastre un po’ argillose; poi sabbia e VR Permeabilissimo. Da m. 23,50 a m. 27,00. Sul primo metro sabbie ghiaietta disciolta con abbondanti elementi quarsosi. \ Sede della prima falda profonda. 4 A questa profondità la trivellazione aveva assicurato una portata di litri 1,5 a 2 per minuto secondo, salienti ad un metro sull’orificio del pozzo, e quindi più che sufficiente per garantire agli abitanti di L 4 ve: Di Pa 332 ING. GUIDO PULLÉ Soleminis un’invidiabile dotazione idrica. Inoltre l’acqua era dotata di ottimi caratteri organolettici e, sebbene mancassero i dati di analisi, dava affidamento di essere assolutamente potabile, come del resto ac- cade per quasi tutte le acque di profondità che non siano mineralizzate. Perciò non fu ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento del pozzo, nè si raggiunse il riposo impermeabile del livello acquifero, il quale deve presumibilmente ricercarsi in qualche strato più compatto e più marnoso della formazione a facies arenacea. La sezione passante per l’asse del pozzo e diretta secondo l’inclina- zione generale degli strati, che fu disegnata a corredo della relazione citata e che qui si riporta, può quindi ritenersi sufficientemente esatta. Strada Ferrovia Fosso di Soleminis Stazione di Soleminis Strada Soleminis Pozzo Trivellato Fosso di Soleminîis Sentiero di Mitza Murcia Strada Profilo naturale — Scala 1:25:000. Leggenda: 1). Formazione valliva ciottolosa e sabbiosa (Quater). — 2). Marne giallastre e bluastre (Terziario sup.). = 3). Arenarie compatte prevalenti con banchi di sabbia e ghiaietta disciolte (Terziario sup.). — @ a'). Linea piezometriti dei carichi. a a). Andamento naturale degli strati. 5 IL POZZO TRIVELLATO DI SOLEMINIS 333 * >» * Il resultato ottenuto con la trivellazione di Soleminis ci sembra avere un valore pratico che non è solamente locale nè limitato a quella zona periferica dell’area d’affioramento dei terreni terziarii che è più prossima al Siluriane, ma si estende a tutto il bacino di Cagliari fra i monti e il mare. Strati marnosi ed arenacei simili a quelli attraversati dal pozzo in questione sono stati infatti incontrati dal pozzo artesiano di San Lu- cifero di cui parla il La Marmora (1), il quale fu aperto presso la chiesa omonima fra la città di Cagliari e il Colle Bonaria. Secondo la descrizione che ne dà il Baldacci (2), questo pozzo avrebbe incontrato sei falde acquifere di cui l’ultima, alla profondità di m. 295,70, avrebbe fornito acqua abbondante, di buona qualità e saliente a 6 m. sotto l’orificio del pozzo che era situato a m. 11,47 sul livello del mare. Ora se dai dati relativi alla trivellazione di San Lucifero e dallo studio stesso del terreno non è lecito fare alcuna induzione sulla posizione altimetrica di questi livelli in rapporto a quello di Soleminis, non è peraltro men vero che altri pozzi trivellati aperti fra queste due località dovrebbero trovare acqua saliente a profondità uguali "o minori di quelli corrispondenti al livello acquifero di Soleminis che è assai prossimo al limite inferiore della serie delle marne. Nè deve dimenticarsi che questo livello, il quale seguendo l’incli- nazione generale degli strati passerebbe sotto la città di Cagliari a profondità molto maggiori di quelle raggiunte dal pozzo di San Lucifero, deve trovarsi di fatto più in alto del piano determinato da tale inelina- zione, le formazioni terziarie avendo subìto, sotto la spinta delle deboli pressioni orogenetiche che le interessarono, una dolce ondula- (1) Voyage en Sardaiygne par le C.te ALBERT DE LA MARMORA. Troisième partie. Tome I, pag. 275. (2) Ann. di agricoltura 1886. Su alcuni recenti studi e tentativi di pozzi trivellati in Italia. Rel. Ing. L. BALDACCI, festo da molte variazioni locali di direzione e di pendenza. È Varrebbe quindi il prezzo dell’opera riprendere alcune trivellazioni che a Sestu, a Selargius e in altre località del bacino terziario di Ca- gliari, già attraversarono uno spessore notevole di marne senza rag- giungere alcun livello acquifero profondo. Roma, gennaio 1915. 4 Daf Vi i ° dg Ei ie RI GIOVANNI STRUVER 1842 - 1915. Bollettino del R. Comitato leologico d'Italia Serie V, Vol. IV. odi i 1913-19 191. Fascicolo Lil GIOVANNI STRUVER Con la.morte di GIOVANNI STRÙvER, avvenuta quasi improvvisa- mente in Roma: il 21 febbraio di quest’anno,. è scomparso non sol- tanto uno scienziato ‘distinto, che ha legato il suo nome a lavori di importanza: non caduca, ma il Maestro di quanti, da trent’anni a questa parte, si sono occupati, in Italia, di mineralogia. Ed invero, l’opera ammirevole di Arcangelo Scacchi e quella, pur tanto consi- derevole di Quintino. Sella, non avevano, fino al 1870, esercitato alcuna apprezzabile influenza nel nostro paese, ed è. certo che quei due nostri illustri. mineralisti erano assai più conosciuti e stimati al- pe, l’estero, che. in Italia, dove ben pochi studiosi erano in grado di Bari comprenderli. Non fu possibile allo Scacchi, rimasto del tutto isolato durante gli anni migliori della sua vita, il fondare intorno. a sè una scuola mineralogica italiana e dar vita ad un movimento intenso di A studi e di ricerche, nè potè farlo il Sella, che, dopo un solo anno di insegnamento, lasciò la cattedra da lui occupata nella Scuola di i Applicazione per gli ingegneri di Torino per dedicare il suo ingegno ; ai pubblici uffici. Era riserbato allo StRÙvER l’onore di creare in Italia una scuola mineralogica moderna, di diffondere la conoscenza dei metodi precisi di indagine, e di aumentare considerevolmente il numero dei cultori È seriamente preparati di questa scienza, destando, così, un movimento scientifico che validamente contribuì a far prendere alla mineralogia, nell’insegnamento universitario, anche in Italia quel posto che altrove aveva già da tempo acquistato. Gta A e I RAI SI PIETRA * % Na 4 3538 NECROLOGIA * La vita di GIOVANNI STRUVER si è svolta facile e piana, e, come quella degli studiosi che si sono dedicati completamente alla scienza, non presenta particolari salienti, e si può riassumere in brevi parole. Nato a Braunschweig «il 23 gennaio 1842 da Federico e Dorotea Pabst, lo StRivER frequentò il ginnasio della sua città natale e, poi, per un anno il Collegium Carolinum, e si inserisse, poi, a 19 anni alla facoltà filosofica della Università di Gottinga. Ebbe la fortuna di poter seguire i corsi di insigni maestri, quali il Wohler, W. Weber, Listing, Stern, Sartorius von Waltershausen, von Seebach, Keferstein. Molto per tempo lo STRivER si iniziò agli studi di Scienze naturali: da giovinetto studiò cristallografia col Marx, il noto autore della Geschichte der Krystallkunde, e nell’anno passato nel Collegium Carolinum si in- teressò assai, sotto la guida del Blasius, di botanica e di zoologia. Si comprende bene che, con una così accurata preparazione e con maestri quali quelli indicati, lo SrRivER doveva trarre parti- colare profitto dai suoi studi a Gottinga. Egli non si limitò ad ap- profondirsi nelle ricerche mineralogiche col Waltershausen, ma col giovane e valente Seebach, morto tanto immaturamente, ebbe campo di acquistare larghe cognizioni geologiche, e col Keferstein si occupò intensamente di anatomia comparata e di ittiologia. Conseguita la laurea dottorale il 19 agosto 1864, lo STRivER fu, dopo pochi mesi (30 dicembre 1864), nominato assistente del valoroso geologo piemontese B. Gastaldi, alla cattedra di mineralogia e geo- logia nella R. Scuola di Applicazione per gli ingegneri. In seguito (28 febbraio 1868), fu anche chiamato ad insegnare mineralogia e geologia nel R. Istituto industriale e professionale di Torino. Passò, poi, primo assistente al Museo mineralogico della R. Università di Torino, nella quale insegnò mineralogia dal 1870-71 a tutto il 1873, prima come incaricato e più tardi come professore straordinario. Il 3 ottobre 1873, in base all’art. 69 della legge Casati, fu nominato professore ordinario di mineralogia nella R. Università di Roma, e quel posto occupò fino al giorno della sua morte. NECROLOGIA 339 Nella sua lunga vita, non mancarono allo STRÙvER i segni este- riori della estimazione nella quale era tenuto dai colleghi e dai corpi scientifici sia italiani, che stranieri. Fu preside della Facoltà di scienze dell’Università di Roma, ed appartenne per due volte al Con- siglio superiore della Pubblica Istruzione. Quasi tutte le Accademie italiane, a cominciare da quella dei Lincei e dalla Società italiana delle scienze, detta dei XL, lo accolsero nel loro seno: fu anche eletto socio corrispondente dell’Accademia di Berlino, e socio onorario della Società francese di mineralogia e di quella inglese. Del nostro Comitato geologico ha fatto parte dal 1886. Una sola parentesi si riscontra nella vita di studioso dello StRivER, ed è rappresentata dai tre anni trascorsi come Capo di gabinetto del ministro Guido Baccelli, dal 2 gennaio 1881 al 29 mar- zo 1884. Fu quello il periodo nel quale il Baccelli preparò il suo progetto di riforma universitaria, che non potè essere condotto in porto: lo STRilvER, che conosceva a fondo gli ordinamenti delle università tedesche, dovette, certamente, essere di valido aiuto al ministro italiano. * L’opera scientifica dello StRÙVvER, svoltasi durante un quaran- tennio, poichè il suo primo lavoro risale al 1864 e l’ultimo è del 1901, è stata assai varia, e si estende non soltanto a vari rami della Mi- neralogia, ma anche alla Geologia, alla Petrografia, alla Zoologia e alla Paleontologia. I due primi lavori dello STRiÙVvER, eseguiti prima di venire in Italia, trattano appunto di pesci viventi e fossili: le ricerche del giovane studioso sullo Heterodontus Philippii Bl. e sui pesci fos- sili del Keuper superiore di Coburgo sono notevoli per i loro risul- tati ed ancora ricordati dagli specialisti. Come geologo, lo STRÙVER si occupò largamente delle Alpi oc- cidentali, insieme a Bartolomeo Gastaldi, del quale, anzi, fu un valente collaboratore, specialmente per quanto si riferisce alla parte petrografica. Prese parte a varie campagne geologiche del Gastaldi, ue Li RESI SER ITRIUDTARRI SOSIO ORIENTE, (5 PENSI VASI ALT 39 uo TORE 1 < 340 NECROLOGIA ed ebbe, così, modo di seguire sul terreno lo sviluppo delle idee del valoroso geologo piemontese. Le concezioni del Gastaldi esercita- rono una grande influenza sullo STRiVvER, che si mostrò piuttosto re- nitente ad accogliere i nuovi risultati delle ricerche geologiche ese- guite nelle Alpi piemontesi, i quali condussero, come è noto, ad ab- bandonare le idee del Gastaldi. Lo STRiUVER non seguì, però, mai quest ultimo nelle sue conseguenze estreme, che lo portarono fino ad asserire che nelle Alpi il plutonismo è un mito. Al contrario, con una delle sue più belle Memorie, lo STRiiveR mostrò, in contrasto, appunto, col Gastaldi, in modo inoppugnabile la natura plutonica dei graniti della Bassa Va'sesia. Merita anche di essere particolarmente ricordata l’attività al- pinistica dello StRilveR durante la sua permanenza a Torino. Degno allievo di Quintino Sella, egli pensava che l’alpinismo non dovrebbe limitarsi ad una esercitazione sportiva, ma dovrebbe, invece, vali— damente contribuire alla conoscenza scientifica delle nostre Alpi. Un vero modello di alpinismo scientifico è rappresentato dalla salita alla Torre d’Ovarda, eseguita dallo SrRiiveR insieme al Conte di Saint Robert ed ai professori Lessona e Gras: la relazione di quella escur- sione, nella quale è opera dello STRilvER la parte geologica, si legge tuttora con profitto e diletto. Gli studi geologici sul terreno hanno condotto naturalmente lo STRÙVvER ad occuparsi di petrografia. La petrografia moderna si è cominciata a coltivare in Italia verso il 1874 per opera, appunto, dello STRÙVvER e di Alfonso Cossa, i quali pubblicarono proprio in quell’anno le loro prime ricerche petrografiche intorno alla Lherzolite di Baldissero lo STRÙYvER, a quella di Locana il Cossa. Poco dopo, lo SrRivER studiò egregiamente alcune rocce importanti dei dintorni di Roma, e riconobbe la vera natura di quella singolare roccia che è lo sperone, e fece ben conoscere la leucotetrite hauynica del Ta— volato, altra roccia pure notevolissima. I lavori principali dello StRiveR, quelli ai quali rimane princi- palmente legato il suo nome, sono, però, sopra tutto quelli di cri— drlcznla chimica e di mineralogia. pit eo Td AA gati Cia sett RIVA tafcbr e VON SI (5 À GIOVANNI STRivER ha determinato le forme cristalline di un nu- mero molto ristretto di sostanze artificiali, specialmente organiche, giungendo, però, grazie alla sceita telicissima dei composti studiati ed alla profondità dell’indagine, a risultati notevolissimi. Un vero modello di metodo è, anche oggi, dopo più di trent’anni, lo studio che lo STRUvER ha eseguito sui derivati della santonina che aveva preparato il Cannizzaro. In quel lavoro sono minutamente ed acu- tamente discusse le relazioni cristallografiche che esistono tra i vari isomeri della santonina, vengono paragonate fra loro le forme cristal- line dell’acido santonico e dei suoi eteri etilico e metilico, ponendo in luce le strette analogie che passano tra Vacido santonico ed il san- tonato etilico, analogie che non si mantengono nel composto meti- lico, mostrando, così, che la sostituzione del metile all’etile produce delle forti modificazioni nella struttura cristallografica. Ai Javori di Groth sulla mortotropia era stata data, per opera di vari studiosi troppo entusiasti, un’estensione eccessiva, fino a snaturare completa- mente i concetti fondamentali del Groth ed a rendere le ricerche morfotropiche del tutto arbitrarie. In base ai risultati ottenuti dai suoi studi sui derivati della santonina, lo StRUvER ha mostrato tutta la fallacia delle considerazioni che si potrebbero fondare su quegli eccessi, ed ha validamente contribuito, con la sua critica severa, a ricondurre gli studi morfotropici nei loro naturali confini, e le pa- role e le considerazioni dello STRiveR dovrebbero anche oggi essere meditate, in Italia e fuori, da tutti coloro che vogliono dedicarsi alle ricerche di morfotropia, poichè in esse è contenuta l’essenza di un vero e proprio metedo di indagine, rigoroso e geniale. Ma oltre che per tutto quanto si è detto, il lavoro dello STRilvER richiama viva- mente l’attenzione per il contributo originalissimo portato allo studio delle cause determinanti l’habitus dei cristalli, mediante le osservazioni da lui fatte sull’acido parasantonico, I cristalli di questo composto, ottenuti con due metodi diversi, presentano due abiti così differenti, che si potrebbero considerare ap- partenenti a due sostanze diverse, se le costanti geometriche, la stal- datura, l’ orientazione ottica non fossero identiche. Trattandosi di 342 NECROLOGIA cristalli preparati con due metodi distinti, si potrebbe spiegare la diversità di habitus con la presenza, nelle soluzioni dalle quali si sono separati i cristalli. di sostanze differenti, essendo ben nota l'influenza che i così detti « Lòsungsgenossen » esercitano sull’habitus ceristallo— grafico. Ma i fatti scoperti dallo STRivER mostrano l'insufficienza della spiegazione. Lo STRUÙVER, infatti, ha stabilito che, ricristalliz— zando per ben cinque volte di seguito i due tipi di cristalli di acido parasantonico dallo stesso solvente e nelle identiche condizioni, ogni tipo si riproduce costantemente, immutato. STRiiveR ha cercato la causa di questa persistenza di tipo nella storia della sostanza, ed ha emesso l'ipotesi, attraentissima, che il metodo di preparazione im- prime ai cristalli il loro abito, entro certo limiti. Questa ipotesi così plausibile, e che discende naturale dai fatti osservati, ha una impor- tanza grandissima, e recentissimamente il MATTER ha fatto vedere come possa servire in discussioni delicate ed elevate sulla struttura dei corpi cristallizzati. Nelle idee dello STRivER, in appoggio delle quali egli stesso ha portato acute osservazioni eseguite su minerali, sono contenuti i germi fecondi di un indirizzo nuovo nelle indagini intorno all’abito dei cristalli, e meritano, perciò, tutta l’attenzione degli studiosi. Notevolissimo è anche lo studio cristallografico eseguito dallo STRùveER dell’ossido cromico, accompagnato da un importante con- fronto con i cristalli di ematite di Stromboli, originatisi in modo analogo. Le ricerche di STRivER sono importanti non soltanto per la miglior conoscenza dell’isomorfismo che passa fra i due composti Cr. O; e Fe. O,, ma anche per lo studio in genere delle sostanze trigonali e delle associazioni regolari fra cristalli di sostanze diverse. Quanto alla mineralogia propriamente detta, è da notarsi come lo StriiveR abbia per il primo osservato in Italia l’assinite, la pe- rowskite, la columbite e la brookite : specialmente notevole è il rin- venimento della columbite, nuova per l’intera catena delle Alpi. Lo STRÙUveR ha anche scoperto un nuovo minerale assai importante, la sellaite, fluoruro di magnesio anidro : il lavoro sulla sellaite è vera- mente ammirevole per la valentia dimostrata dallo STRiivER nel giun- i NECROLOGIA 343 gere a definire perfettamente un minerale del quale egli non trovò che pochi cristallini in un unico campioncino della collezione della scuola degli ingegneri di Torino. Sotto il nome di gastaldite, in onore di B. Gastaldi, descrisse lo STRiiver un anfibolo azzurro di Champ de Praz, che si riconobbe, poi, come assai prossimo al glaucofane, quando, dopo il lavoro di STRùveER, il Liidecke fece conoscere esat- tamente il glaucofane di Syra, che era rimasto, fino allora, noto molto imperfettamente. Ad ogni modo, la gastaldite originaria di Champ de Praz, analizzata dal Cossa, sì differenzia dal glaucofane ordinario per il suo elevato tenore in alluminio, e pochi anni or sono il Murgoci ha appunto proposto di rimettere in uso il nome di gastaldite per tutte quelle varietà di giaucofane che sono ricche in elementi trivalenti. I lavori principali di mineralogia dello STRivER si riferiscono al Piemonte ed alla Provincia di Roma. Veramente classica è la memoria sulla pirite del Piemonte e dell’Elba, nella quale la cristal- lografia di questo minerale è ripresa a partire dalle più antiche no— tizie, e le osservazioni accuratissime ed acute sono fatte servire non solo alla determinazione di ben 24 nuove forme, ma anche alla di— scussione dei problemi più difficili della cristallografia. Pure molto importanti sono le ricerche intorno all’ ematite di Traversella, che han fatto conoscere molte nuove forme ed interessanti particolarità di questo minerale. I classici giacimenti di Val d’Ala hanno trovato nello STRivER un degno illustratore. Egli li ha visitati a lungo e per molti anni di seguito, raccogliendo un materiale straordinariamente ricco. Notevoli sopratutto sono gli studi sull’idocrasio della Testa Ciarva, nei quali vengono trattate varie questioni di interesse generale, e si mostra chiaramente lo scarso valore di quella distinzione in tipi, anche oggi spesso usata nelle descrizioni delle combinazioni dei cristalli di un minerale di un dato giacimento. Lo STRilvER fece anche studiare dal La Valle il diopside della Testa Ciarva, e dal lavoro del suo allievo Egli trasse deduzioni importanti sulla frequenza relativa delle forme semplici in quel minerale, sulla distribuzione dei poli delle facce note nel pirosseno nella proiezione stereografica, e sul valore dei « tipi » (PMO RATA STRO NECROLOGIA fondati sulla relativa estensione delle faccie. Allo STRÙVER si deve, poi, la prima descrizione di due giacimenti di Val d’Ala: quello di Saulera e quello della Rocca Nera N. 2. Anche altri giacimenti e minerali singoli del Piemonte sono stati studiati dallo STRivER, che ha fatto conoscere i minerali del granito di Alzo, e descritti vari altri di Baveno e di Montorfano, di Traversella, ecc. Per quel che riguarda la provincia di Roma, si deve allo STRÙVvER una illustrazione magnifica di molti minerali dei Monti Albani : gli studi sulla haiiynite, sul sanidino, sull’idocrasio, sulla magnetite e sullo spinello appartengono ai più importanti che sieno stati pub- blicati su queste specie minerali, che pure hanno una ricca biblio— grafia. Lo STRÙvER, poi, ha fatto per il primo conoscere gli interes- santi proietti vulcanici, ricehi di minerali, trovati ad est del lago di Bracciano, e dal loro esame ha saputo assurgere a considerazioni generali notevoli sulla loro origine e sulle loro relazioni con i blocchi analoghi dei Monti Albani e del Monte Somma. Tutti gli altri lavori dello STRivER, pure essendo di minor lena, hanno un’importanza considerevole. In essi, infatti, si trovano descritte delle nuove pseudomorfosi, fra le quali notevolissima quella di sodalite, su nefelina del Monte Somma; una nuova legge di ge- minazione dell’anortite del Monte Somma; nuove forme dell’apatite della Corbassera, della baritina dell'Alvernia, ecc. Particolarmente interessante è il lavoro sui geminati polisintetici di spinello orien- tale, nel quale vengono minutamente studiate le oscillazioni dei valori degli angoli diedri omologhi che si verificano in quei geminati, e viene mostrato che un ottaedro unico di quel minerale risponde perfettamente a tutte le condizioni che si possono pretendere da un ottaedro fisico. Lo StRiiver ha anche mostrato che l’aftitalite di Racalmuto, considerata come rombica dal vom Rath, è, in realtà. trigonale, contribuendo, così, validamente a definire la vera natura di quel minerale, allora molto controversa. Anche notevole, quan- tunque non abbia molto richiamata l’attenzione degli studiosi, è il rinvenimento, in uno stesso cristallo di biotite del Lazio, di lamine col piano degli assi ottici parallelo e di altre con detto piano per- pendicolare, invece. al piano di simmetria. ATA À MEPLAVI ati 4% LS Sg i Ai di NECROLOGIA 345 Gli ultimi lavori dello StRÙvER, pubblicati nel 1901, si riferi— scono all’azione che la hauerite esercita a secco ed alla temperatura ordinaria sull’argento. Da questa osservazione accidentale lo STRÙvER trasse occasione per eseguire varie esperienze su reazioni fra mine- rali allo stato solido, esperienze interessanti assai dal punto di vista minerogenetico. Recentemente, uno studioso tedesco, il Beutell, credette di aver dimostrato inesatta la interpretazione data dallo STRUÙVvER ai fatti da lui constatati, ma fu facile ad un allievo di chi scrive, il dott. E. Quercigh, il porre in luce che anche nelle sue ultime ricerche scientifiche il nostro compianto mineralista aveva conservato quella precisione che aveva caratterizzato i suoi prece— denti lavori. * * * Un altro lato ancora dell’attività dello StRIvER va considerato, ed è l’opera da lui spesa come Direttore del Museo di mineralogia della Università di Roma. Può dirsi, infatti, che la magnifica col- lezione di minerali dell’ Università di Roma, che è, certamente, una delle prime di Europa, deve la sua importanza attuale all’opera indefessa del suo illustre Direttore. Ammontano ad oltre diecimila i campioni regalati dallo StRUveR al Museo di Roma, e molti di essi sono di primissimo ordine. Lo SrRiver ha ordinato ed accresciuto la collezione speciale dei Monti Albani: è tutta dovuta alle sue cure quella dei vulcani Sa- batini. Le raccolte di Val d’Ala, della Valle Vigezzo, ecc. sono pure opera personale dello STtRIVER. Nè va dimenticato che solo dopo lunghe pratiche potè lo STRiivER degnamente sistemare e collocare l’ingente materiale che aveva raccolto, e che per lunghi anni rimase imballato in gran parte in alcune casse, per mancanza assoluta di spazio. Solo da pochi anni lo STRivER aveva potuto terminare l’ordinamento della collezione, che desta l’ ammirazione di quanti mineralisti hanno occasione di visitarla. 346 NECROLOGIA * * x GIOVANNI STRiUvER non fu soltanto uno scienziato valente, ma seppe essere anche maestro distinto nel senso più elevato della pa- rola. Dotato di vasta coltura che si estendeva ben al di là del campo speciale della mineralogia propriamente detta, i suoi allievi trovavano in lui incoraggiamento e consigli preziosi per le loro ricerche, in qualunque direzione si svolgesse la loro attività. Renchè fosse portato principalmente per gli studi cristallografici e per quelli intorno ai giacimenti minerali, lo STRiivER guidò e protesse anche coloro che si sentivano più attratti verso altre branche della mi- neralogia. Amò lo STRùuvER grandemente i suoi allievi, ma seppe anche apprezzare ed incoraggiare coloro che, provenienti da altre scuole, si mostravano degni del suo appoggio. Uomo oltremodo mo- desto, non cercò intorno a se l’omaggio e l’adulazione dei molti, sicchè potè sembrare, talvolta, sdegnoso e riservato: chi, però, ebbe la ventura di penetrare nell’intimo dell’animo suo, potè ammirare la lealtà e la franchezza, come pure le doti generose del cuore di GIOVANNI STRÙVER. Si racconta che Gay-Lussac, accomiatandosi dal giovane Liebig che lasciava Parigi per ritornare in patria, dicesse al suo allievo, stringendogli la mano: « Et surtout soyez un brave homme ». Lo stesso consiglio dava lo STRiivER ai giovani studiosi che lo chiama- vano col dolce nome di maestro, e bisogna dire che il consiglio ri- ceveva, dalla persona che lo pronunziava, una forza ed un valore tutto particolare. L’intiera vita di GrovaNnNI STRivER fu, infatti, un esempio continuo di disinteresse personale e di devozione alla scienza, che costituisce un modello da imitare ed un incitamento a bene operare. F. ZAMBONINI. 10. IRE n NECROLOGIA . 347 Elenco delle pubblicazioni del Prof. G. Striiver . Beschreibung des Heterodontus Phillipii BI. (Cestracion Phillipii Cuv.) watt Ritcksicht auf seine fossilen Verwanaten. Mit 2 Tafeln. 4.° Dresden, 1864. Ace. Leopold. Carol. cur. naturae. . Die fossilen Fische aus dem obern Keupersanastein von Coburg. Mit 1 Tafel. Berlin, 1864, in 8°, Zeitsch. d. deuts. geol. Gesellsch. XVI. . Minerali dei graniti di Baveno e Montorfano. Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, in 8°. 1866. . Cenni su alcuni minerali italiani (Nefelina del Monte Somma, Apatite di Val d’Ala, Granato di Cantoira, Assinite di Baveno, Pirrotina di Montorfano). Atti della R. Acc. della Sc. di Torino. Aduzanza 29 dicembre 1867. . Sulla Sellaite, nuovo minerale di fluorio, in 8° con tavole. Atti R. Acc. di di Sc. di Torino. Adunanza 15 novembre 1888 (V. n. 20, 1876). . Su una nuova iegge di geminazione della Anortite in 8°, con tavola. Atti R. Ace. di Sc. di Torino. Adun. 15 nov. 1868. . Studi sulla mineralogia italiana. Pirite del Piemonte e dell'Elba. Memorie della R. Ace. di Sc. di Torino. Serie 2%, T. XXVI; 1869, in 4° con 14 tav. . Note mineralogiche. (Geminato polisintetico di Anortite del Monte Somma, Apatite della Corbassera, Apatite della miniera del Bottino presso Ser- ravezza, Apatite e Arsenopirite del Granito di Baveno e Montorfano, Baritina dell'Alvernia, Baritina di Vialas, Magnetite di Traversella, Pi- rite di Pesey, Siderite pseudomorfa di calcare e Dolomite di Brosso). Atti R. Acc. di Sc. Torino. Adun. 6 aprile 1871, in 8°, con tavola. . Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle Valli di Lanzo. Mem. del R. Comit. Geol. Vol. 1, in 49, Firenze 1871. (Vedasi anche n. 31, anno 1887 ; e n. 33, anno 1888). Vedi anche N. Jahrb, filr Min., ecc. 1871, pag. 337. Studi cristallografici intorno alle Ematite di Traverselta. Atti R. Acc. di Sc. Torino. Adun. 17 dic. 1871, in 8°, con 5 tavole. Storia illustrata del regno minerale « Secondo l’opera del dott. Alaisio Po- korny »: con Appendice geologica sui dintorni di Torino. Torino, Loe- scher 1872, e seguenti (V. 22 e 3® Ediz. (1882); per variazioni ed aggiunte). . Sodalite pseudomorfa di Nefelina del Monte Somma. Atti R. Ace. Sc. To- rino, Vol. VII, disp. 3*. Adun. 14 gennaio 1872. . Nota geologica în « Una salita alla Torre d'Ovarda ». Torino 1873, in 8°, . Sulla Peridotite di Baldissero in Piemonte. Atti R. Acc. Sc. Torino 1874, in 8°. o PL) € NECROLOGIA 15. Sullu Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisilicati anidri. Atti R. Ace. Lincei, Serie 2°,. Tomo II, Roma 1875, in 4°. 16. Lettera a G. vom Rath. N. Jahrb. f. Min., Geol. u. Paleont. 1875. Sui monti Albani e sul tufo giallo della Via Flaminia a resti vegetali e bombe vul- caniche, talora colla più distinta struttura zonata. 17. Studi sui minerali del Lazio. Parte prima. Atti R. Acc. dei Lincei, Mem. di classe di Sc. fis. mat. e nat. Serie 2°, T. III, letta il 2 gennaio 1876, in 49, con 2 tavole. (V. n. 21, 1876). Vedi anche Zeitsch, fiur Kryst. 1877, I. 225. 18. Sulla forma cristallina di alcuni derivati della santonina. Atti R. Ace. dei Lincei, Serie 2%, T. III, letta il 6 febbraio 1876, in 4°, con tavola. (V. n. 24, 1873). Vedi anche Zeitsch. film Kryst. 1878, II, 588. i 19. Lettera a G. Leonhard. N. Jahrb. f. Min. etc. 1876. Sulla prima parte degli 1 studi sui minerali dei Monti Albani e sull'Idocrosio del tufo giallo della via Flaminia. 20. Sulla Sellaite. Atti R. Acc. di Sc. di Torino 1876, p. 39. 21. Studi minerali del Lazio. Parte seconda. Atti R. Acc, dei Lincei, Mem. d. classe di Sc. fis. mat. e nat. Serie 38, T. I, letta il 3: dicembre 1876, in 4°, con 2 tavole. Vedi anche Zeitsch. filr Kryst. 1877, I, 225. 22. Studi petrografici sul Lazio. Atti R. Acc. dei Lincei, Mem. d. classe di Sc. fis. mat. e nat. Serie 32, T. I, letta il 3 dicembre 1876. 23. Sopra alcuni notevoli geminati polisintetici di Spinello orientale. Atti R. Ace. dei Lincei, Serie 3*, T. II, letta il3 marzo 1878. Vedi anche Zeitsch. fir Kryst. 1878, II, 480. 24. Sulla forma cristallina di alcuni derivati della santonina (22 serie). Atti R. Acc. dei Lincei, Serie 3*, T. II, letta il 7 aprile 1878, in 4°, con tavola. Vedi anche Zeitsch. fiùr Kryst. 1878, II, 588. 25. Sulla forma cristallina dell'acido usnico. Gazz. chim. ital. 1878, in-89. 26. Sulla Perowskite di Val Maienco. Transunti della R. Ace. dei Lincei. Serie 38, T. IV. Seduta 6 giugno 1880. 27. Sulla Columbite di Craveggia in Val Vigezzo. Rend. R. Acc. dei Lincei, Serie 48, vol. I, Seduta 14 dic. 1884. Vedi anche Zeitsh. fr Kryst. 1885, X, 85. 28. Contribuzioni alla mineralogia dei Vulcani Sabatini. Parte I. Swi protetti minerali vulcanici trovati ad Est del lago di Bracciano. Mem. R. Acc. dei Lincei. Serie 42, Mem. di classe di Sc, fis. mat. natur. Vol. I. Seduta 1° marzo 1885. 29. Forsterite di Baccano. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 48, vol. II. Seduta 6 giugno 1886. 30. Magnetite pseudomorfa di Ematite micacea dell'Ogliastra in Sardegna. R. Acc. dei Lincei. Roma 1886. Rendic. Serie 48, vol. II. 31. Uber Gastaldit und Glaukophan. N. Jahrb. fr Min., ete. 1887, pag. 213. ì n = k A ve t | —‘’NECROLOGIA ; 32. Ulteriori osservazioni sui giacimenti minerali di Val d' Ala in Piemonte. I. L'Idocrasio del Banco di Granato nel Serpentino della Testa Ciarva al d piano della Mussa. Memorie R. Acc. dei Lincei. Serie 4°, vol. IV. Seduta Ù 12 giugno 1887, con una tavola. (V. n. 33, 1888). V. anche N. Jahrb. fir Min., ecc. 1888, II, 35. 33. Sopra un cristallo di Berillo del’Elba con inclusione interessante. Rendic. R. Ace. dei Lincei. Serie 48, vol. III. Seduta 12 giugno 1887. 34. Ulteriori osservazioni sui giacimenti minerali di Val d' Ala in Piemonte. II. L’Idocrusio del banco d'Idocrasio net Serpentino della Testa Ciarva al piano della Mussa. Memorie R. Ace. dei Lincei. Serie 48, vol. V. Seduta 6 maggio 1888, con 1 tavola. Vedi anche N. Jahrb. file Min., ecc. 1891, I, 1. 35. Sulle leggi di geminazione e ie superficie di scorrimento nella Ematite dell'Elba. Rendic. R. Acc. dei Lincei. Serie 48, Vol. IV. Seduta 2 dic. 1888. 36. Sullu forma cristallina dell’Ossido cromico. Mem. R. Acc. dei Lincei. Se- rie 48. Mem. di Classe di Sc. fis. mat. e natur., vol. V. Seduta 3 marzo 1889. Con 2 tavole. 37. Ematite di Stromboli. Mem. R. Ace. dei Lincei. Serie 48, vol. VI. Seduta 5 Maggio 1889. Con 1 tavola. 38. Dell’Aftalosio di Racalmuto in Sicilia. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 42, vol. V. Seduta 2 giugno (889. 39. Contribuzioni alla mineralogia della Valle Vigezzo. Rend. R. Acc. dei Lin- cei. Serie 48, vol. V. Seduta 17 nov. 1889. 40. Contribuzioni allo studio dei graniti della Bassa Valsesia. Mem. R. Acc. e ge dei Lincei. Serie 48, Vol. VI. Seduta 5 gennaio 1890, in 4°, con 1 tavola. 4l. Sulla Brookite di Beura nell’Ossola. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 42, vo- lume VI. Seduta 2 febbraio 1890. 42. Sui minerali del granito di Alzo. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 52 vol.1. Seduta 4 dic. 1892. 43. Sopra alcune Miche del Lazio. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 38, vol. ILL Seduta 5 febbraio 1893. i 44. [ giacimenti minerali di Saulera e della Rocca Nera alla Mussa in Val d’Ala. Rend. R. Acc. dei Lincei. Serie 5%, vol. VII. Seduta 7 maggio 1899. 45. Azione chimica tra la hauerite e alcuni metalli a temperatura ordinaria e a secco. Rend. R. Ace. dei Lincei. Serie 5*, vol. X. Seduta 3 marzo 1901. 46. Azione chimica dei solfuri di ferro e del solfo nativo sul rame e sull’ar- gento a temperatura ordinaria e a secco. Rend. R. Acc, dei Lincei, Serie 59, Vol. X. Seduta 14 aprile 1903. NOMIECXOREG IENA. IE D. ZACCAGNA La presente nota ha per oggetto la descrizione geologica della parte più meridionale delle Prealpi bresciane, costituite dal gruppo di monti che dalla pianura padana, fra Brescia e Mazzano gradata— mente si eleva sino al Monte Dragone, al Monte Voccia ed al Monte Olivo, che ne segnano il dorso più elevato dal lato settentrionale. Le mie prime osservazioni sulla regione in parola rimontano all’aprile 1901, quando, come membro di una Commissione nominata dal Ministero dei LL. PP. ebbi occasione di procedere ad uno studio sommario sulla formazione geologica dei calcari del Botticino e di Mazzano che, come è noto, vennero usati nella costruzione del mo- numento nazionale a Vittorio Emanuele in Roma. Nel maggio suc- cessivo, compiute le prime escursioni generali a scopo di studio, ho proceduto al rilevamento geologico regolare della tavoletta di Brescia, in cui quella formazione resta compresa; rilevamento che ho poi esteso a tutto il gruppo sopra ricordato il quale, oltre alla forma— zione di quei calcari, comprende anche quella degli svariati terreni da cui essa viene accompagnata. E’ questa perciò una regione che acquista particolare interesse sia dal lato geologico, rappresentando tipicamente i caratteri di pa— recchi termini della serie secondaria di questa zona delle Prealpi ; sia da quello industriale per lo sviluppo assunto dall’estrazione di quei calcari, che vengono oggidì largamente usati anche all’estero come materiale edilizio e decorativo. bel È CI 4 Ti Le ea et O pORIat o) Mea LAN i Nati. TCS Mica Roi. PRA A e: ; - ; paneto K (INS A Le” ie # 392 D. ZACCAGNA ca RI ARA Sulla costituzione geologica della regione esistono, come è noto, gli studi di vari autori; e fra essi sono da ricordare particolarmente quelli del prof. Ragazzoni, che fu il primo illustratore della geologia bresciana, e del prof. Cacciamali che fu il più alacre continuatore dell’opera di lui e che molto contribuì alla miglior conoscenza dei terreni e della tettonica del nostro gruppo montuoso. La descrizione geologica che segue, ha per oggetto principal- mente di esporre il risultato degli studi da me compiuti nel 1901; ai quali ho aggiunte alcune osservazioni e ricognizioni operate di re- cente in seguito alla conoscenza da me acquistata di una vasta esten- sione della regione bresciana sulla quale ho proseguito il rilevamento; ed anche in seguito ai risultati degli studi da altri compiuti. L’unita Carta geologica (Tav. I) che comprende la sola parte della regione che è oggetto di questa descrizione è una riduzione al 1:40.000 di quella in maggiore scala, al 1:25.000, sulla quale venne eseguito il rilevamento. Essa è accompagnata da una serie di Sezioni geologiche alla stessa scala (Tav. II) che mette in evidenza la struttura stratigrafica dei monti che prendiamo in esame. Per la sua speciale conformazione il gruppo montuoso da noi considerato resta in certa guisa staccato dalla massa prealpina che si addensa più a Nord ; alla quale viene ricongiunto soltanto per il colle di S. Eusebio (574 m.), situato verso il margine NE della nostra Carta. Da questo punto infatti si dipartono in senso opposto la valle del Vrenda che mette nel Chiese a Sopraponte verso Est; e quella del Garza che scende al Mella verso Ovest. Al di sopra di queste valli trasversali il nostro gruppo montuoso s’ innalza bruscamente con forte pendio; per cui sul suo versante settentrionale risulta nettamente delimitato nella direzione di Est- Ovest segnata dalle due opposte valli sovraindicate (1). Sulla chinata (1) Il fondo di queste valli, che restano soltanto per una piccola parte rappre- sentate nella nostra Carta geologica, corre a breve distanza e pressa poco parallelo al margine superiore della Carta medesima. I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 353 Sud invece esso viene solcato profondamente da ampi avvallamenti in parte di origine tettonica, in parte dovuti ad erosione profonda, che lo dividono in varie costole, segnatamente a ponente e sul lato meridionale. La principale di esse, a partire dal culmine, rappresen- tato dal monte Voccia (1169 m.), pel monte Dragoncello (1100 m.) si dirige verso Sud al monte Maddalena (875 m.) dopo essersi abbas- sata al colle di S. Vito (555 m.); declinando poi sulla pianura per il monte Mascheda (436 m.) tra S. Eufemia e Cajonvico. Questa grande costola, mentre sul fianco prospiciente a levante è nettamente delimitata dalla valle del Botticino, verso ponente si espande in lunghe appendici di cui le più importanti sono quelle del monte S. Giuseppe che si dirige a NO, e del monte Borno verso Ovest, che colle sue ultime pendici viene a terminare al poggio del Castello di Brescia. Un’altra lunga costola è quella compresa fra la valle del Botticino ed il rio Bedoletto, che partendo ancora dal monte Dragoncello passa al colle del Castello di Serle, e per le al- ture del monte Fratta (699 m.) e del monte Camprelle (564 m.) scende a Mazzano ed a Rezzato. A levante del rio Bedoletto, cioè nella regione fra Serle e Gavardo di cui una parte soltanto è com- presa nella nostra Carta, abbiamo invece una massa poco frasta— gliata, incisa da valloni brevi e poco profondi di cui il maggiore è il rio del Cugno che scende a Nuvolento. DESCRIZIONE DEI TERRENI. Dolomia principale. — I terreni di cui si compone la massa montuosa che consideriamo appartengono tutti al periodo secondario. Il più antico di essi, è la dolomia principale, che, come è noto, viene riferita alla parte superiore del Trias. Nell’ambito della nostra Carta, sulla quale viene rappresentata con la tinta giallastra, comparisce soltanto lungo la scarpata Nord del gruppo, ed al monte Rozzolo sulla destra del Garza; però su questo stesso lato del torrente essa si sviluppa potentemente formando le alture di Conche, del monte Doppo, del monte Paradiso e del monte Pino presso al colle di S. Eusebio. 2 354 D. ZAUCAGNA: Al di là di questo colle, che sta a cavaliere dello spartiacque tra il Garza ed il Vrenda, cioè tra la Valtrompia e la Valsabbia, la dolomia forma le alture di monte Pendolino sulla destra e di Rocca Bernacca sulla sinistra del Vrenda, continuando di qui ampiamente verso la Valsabbia. La dolomia principale ba generalmente tinta biancastra o gri- giastra, struttura granosa, minutamente cristallina e non molto com- patta. Alla parte superiore si presenta per lo più in grandi banchi poco distinti, fessurati, formanti ripide pendici che la scarsa coerenza della roccia riduce per lo più a forme tondeggianti; sebbene non di rado la sua demolizione dia luogo anche a dirupi franosi, termi- nati da bizzarri profili, come se ne ha esempio nelle balze del val- lone di S. Giorgio sulla destra e nello scoglio piramidale detto « la Rocchetta » sulla sinistra della valle di Caino. Più profondamente trovasi d’ordinario una zona a strati sottili grigio-cupi associati talvolta a scisti bruni o nerastri più o meno bituminosi; come ha luogo alla base del monte Paradiso sul Garza. I fossili caratteristici non sono infrequenti in questa formazione. Per non allontanarci dalle località citate o prossime a quelle da noi considerate, dirò che 1’ Av. erilis può raccogliersi con una certa ab- bondanza sul fianco Ovest del monte Rozzolo, in vari punti del val- lone del Doppo e sullo sperone del colle di S. Eusebio che discende dal Roccolo di Serle. In questo stesso sperone ho raccolto la Gyropo- rella triasina che trovasi anche nel vallone di Sarezzo. Il Turbo so- litarius al Dosso dei Morti nello stesso vallone del Doppo e ad a Sarezzo; dove si trova pure il Megalodon Giimbeli. Retico.—Scisti neri e calcari grigi marnosi e compatti si stendono in zona continua sulla dolomia principale formando una ripida parete in alto della scarpata Nord del gruppo montuoso, dalla quale si stacca nettamente a partire dal monte Olivo, rimontando verso monte Voccia e di quì declinando sotto monte Dragone fino a S. Carlo sul Garza. Essa corrisponde alla formazione Retica 0A Infraliassica, che quì può avere circa 200 a 250 m. di spessore, e può dividersi idealmente in due zone, nella superiore delle quali gli strati calcari, bianco-grigiastri, tn è - I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 3559 sono più compatti, più regolari e più nettamente fra loro separati. Essi formano colle loro testate una serie di nudi scaglioni che non permettono di snperare dappertutto la ripida parete. La parte infe- riore consta pure di banchi calcari; ma s1 alternano con scisti mar- nosi grigi, nerastri, giallo-ocracei, sui quali alligna una rigogliosa vegetazione sia per la natura della roccia, sia perchè l’associazione risulta più o meno acquifera, e dà luogo anche ad alcune piccole sorgenti, come quella che scaturisce sotto al monte Fontanelle. La prima corrisponde alla zona della dolomia superiore o del calcare a Conchodon dello Stoppani, che quì non presenta però il fossile caratteristico. Essa resta tuttavia ben delimitata da un banco madreporico, che sotto al ciglione del monte Voccia tra le Scalette d’Albere ed il Roccolo di Serle vedesi sporgere dalla scarpata, circa a metà spessore della serie infraliassica. Questo banco appartiene alla zona inferiore, della quale fa parte anche un banco di lumachella affiorante verso la base del monte Ulivo, al Roccolo di mezzo e sotto monte Dragone. Negli strati soprastanti alla lumachella ho rinvenuto dei corallari che, secondo il prof. Parona, corrispondono alla Cala- mophyllia rhaetiana Koby, trovandoli identici agli esemplari prove- nienti dalla Vall’ Imagna. Sebbene lungo questo ciglione colla scorta dell’orizzonte madre- porico possa segnarsi la divisione fra le due zone, l’intera formazione infraliasica venne, sulla Carta, rappresentata invece con un’ unica tinta violetta, attesa la non grande potenza di essa e la difficoltà di separare nettamente in altri punti le zone medesime. Al di là di S. Carlo, sulla destra del Garza, gli strati infralias— sici ricompajono nella valletta che separa il monte Rozzolo dal monte Montecca. riducendosi ivi a poco più di 100 m. di spessore. Da questa depressione gli strati in parola si espandono considere— volmente al colle di S. Antonio; e proseguono da un lato, verso Nord, assottigliandosi sotto al monte Conche al Pater ed alla Cocca, da dove scendono a Lumezzane; dall’altro, verso SE si dirigono sotto monte Rinato, traversano la valle Listrea e vengono a termi- nare alla C. del Lino, sopra Monteclana, in seno ai calcari liassici. D. ZACCAGNA In questo secondo tratto essi restano piegati in un acuto anticlinale inclinato, di cuni formano il nucleo, rivestito dai calcari del Lias, come diremo a suo luogo. Anche su questa parte gli strati infraliasici serbano i loro carat teri abituali; si hanno cioè calcari grigi più o meno scuri in banchi regolari e scisti marnosi grigi o giallastri, che in vari punti sono fos- siliferi. Presso S. Antonio, sulla via che sale al monte Rinato, negli strati marnosi giallastri ho rinvenuto la Gervilleia inflata (Schaf), ed il Pecten Falgeri (Mer), della zona inferiore. Però la distribuzione fra scisti e calcari riesce quì alquanto confusa; poichè a causa delle strozzature prodotte dalle forti complicazioni stratigrafiche, la zona scistosa e quella dei calcari compatti vi compariscono in modo discontinuo. Così alla salita di valle Merolta per il colle del Pater la formazione infra- liasica è rappresentata soltanto da pochi scisti rossastri, neri e gri. giastri commisti a sottili strati calcari della zona inferiore; in valle Listrea sul fondo del torrente si hanno pure degli scisti neri fogliettati con Leda, e pochi calcari appartenenti alla stessa zona; tra le C. No- vazze e la C. del Lino gli strati calcari della zona superiore sono invece in prevalenza. Essi vennero anzi scavati sui due lati della valle al disopra delle balze, come pietra litografica, per la compattezza e la finezza della grana che localmente presentano (1). Nei letti scistosi che separano i banchi delle cave sottostanti a C. Novazze ho raccolto la Ter. gregaria. Un altro lembo di strati retici, staccato dalla zona descritta, viene ad affiorare poco a monte di Nave, alla Pievevecchia, sulla falda Ovest del monte Dragoncello. Questo lembo, di cui difficilmente si sospetterebbe l’esistenza senza un accurato esame di questa falda, (1) Uno stabilimento mosso da forza idraulica per la segatura e spianatura meccanica di questo materiale venne impiantato presso Monteclana sotto le balze della Listrea. Ma la pietra che si traeva dalle cave soprastanti, è traversata da fili, cioè da sottili venuzze di calcite, le quali oltrechè interrompono l'omogeneità della superficie delle lastre, si staccano sotto la pressione del torchio. Ciò era di grave ostacolo alla utilizzazione del calcare come pietra litografica ; onde l'industria ilovette essere abbandonata. I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO DON risulta da una curiosa conformazione tettonica che ivi assumono gli strati retici in parola coi soprastanti strati liassici fra il monte Mon- tecca sulla destra della valle ed il monte Dragoncello sulla sinistra. Fra questi strati liassici del monte Dragoncello, a mezza costa, af- fiora la zona retica che forma il nucleo di un anticlinale inclinato ad Ovest, cioè verso monte Montecca; ma al tempo stesso gli strati sono ripiegati in senso trasversale, cioè da Nord a Sud, come mostra la sezione II della Tav. II, quì annessa. Ne risulta una doppia curva- tura, di cui questa N-S tra il monte Dragone ed il monte Bonaga è normale; l’altra in direzione E-O. fra monte Montecca ed il Dragon- cello è una piegatura inclinata e rientrante, la quale ricaccia i calcari liassici del Montecca contro al nucleo retico, appunto laddove corri- sponde l’abitato della Pievevecchia. Nel lembo retico in parola non ho raccolto che traccie di fossili nella parte scistosa; però gli scisti neri ed i calcari marnosi grigi che li accompagnano sono quegli stessi caratteristici degli altri affio- ramenti del Retico. Essi si differenziano d’altronde siffattamente dai calcari massicci ceroidi biancastri del Lias inferiore che li includono e la tettonica del ripiegamento descritto è così evidente, che sulla giustezza del loro riferimento non può cader dubbio di sorta. Questo lembo infraliasico che era sfuggito alle osservazioni del Cacciamali nei suoi primi lavori sulla regione, venne in seguito da lui segnalato nello «Studio geologico della regione Botticino—Serle— Gavardo » (1) e lo rappresenta anche sull’abbozzo di Carta geologica unito a quel suo lavoro. Però egli figura il nucleo retico come occu pante tutta la parte della falda del Monte Dragoncello sottostante al calcare liassico sino al fondo della valle; mentre, in causa della conformazione stratigrafica sopra indicata, esso vi affiora soltanto lungo una zona a mezza costa, che può avere 200 m. di ampiezza; sotto la quale ritrovansi i calcari biancastri, ceroidi massicci del Lias inferiore come vedesi nella Carta annessa (Tav.I). Nè questi calcari che vengono ad addossarsi al Retico potrebbero essere scambiati con (1) V. Commentari dell'Ateneo di Brescia 1904. 358 D. ZACCAGNA quelli della dolomia principale, come può nascere dubbio; perchè la loro facies e la loro continuità con quelli della sponda opposta con— fermano ciò che dalle osservazioni stratigrafiche viene a risultare. Lias inferiore. — Il terreno susseguente al Retico, il Lias infe- riore, rappresentato con colore azzurro carico nella nostra Carta, è quello che ha maggiore importanza come estensione e come potenza nella regione da essa abbracciata. Forma verso N. tutto il ciglione sovrastante alla ripida chinata del massiccio montuoso che qui ci occupa, tra il Monte Dragone ed il Monte Olivo, avente per culmine il Monte Voccia (1). Da queste alture, stendendosi a mezzogiorno ed a levante, prende grande sviluppo sull’altopiano di Cariàdeghe, la elevata regione blandamente incavata compresa fra quel ciglione, il Monte Dragoncello, il Monte Zucco ed il Monte S. Bartolomeo : si pro- lunga al Monte Luzzaga e nella conca di Serle passando dal Monte Fratta al Botticino a Mattina, e dal Monte Camprelle a Mazzano ed a Rezzato. Più ad Ovest costituisce quasi tutta la dorsale della costola fra il Monte Dragoncello ed il Monte Maddalena, declinando a St. Eu- femia dove forma le rupi soprastanti a questo abitato. Sulla destra . della valle di Caino già abbiamo fatta menzione dei calcari del Lias inferiore di monte Montecca, di monte Rinato e della C. del Lino, avviluppanti la formazione retica. La facies normale o per meglio dire, regionalmente più caratte- ristica e più frequente di questo piano liassico, è quella di un cal- care biancastro, compattissimo, massiccio od in grandi banchi, va- rianti alquanto di colore e di composizione da un punto all’altro. Nelle località del Botticino e di Mazzano, dove esso ha forma carat- teristica e dove sono aperte le note escavazioni, si hanno banchi che raggiungono sino a 2 e 3 metri di spessore. Essi presentano quà e (1) Il nome di Monte Voccia è dato da quei di Serle alla vetta più alta coro- nante il ciglione, come viene indicato sulla Carta. Generalmente verso Caino il monte è conosciuto invece col nome di Cornalurga, che si riferisce però a tutta la cresta dirupata che si estende dal Monte Fontanella al Monte Dragone; ma più specialmente ad uno scoglio staccato dalla parete verticale, in corrispondonza della vetta, che si avanza alquanto sulla linea del ciglione terminale. i Vr: i LR I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 359 là fratture verticali che li dividono naturalmente in grandi blocchi irregolari, facilitandone la estrazione. Al Botticino il calcare ha tinta biancastra tendente al giallo brunastro, o per meglio dire, color caffè e latte chiaro, grana finissima, pasta dolce, molto compatta. A Maz- zano il colore è un po’ più carico, sì che giunge talvolta al giallo— grigiastro ; la grana è meno fina, e la pasta un po’ più dura e granosa, forse perchè leggermente dolomitico. Una delle qualità più spiccate di questo calcare è la grande so- lubilità che esso presenta alle acque, per quanto lievemente cariche di acido carbonico o di acidi organici. Lo prova il fatto che a con- tatto del terriccio, che quà e là lo ricopre o si interpone alle fendi— ture, presenta cavità tondeggianti o solcature assai profonde. La superficie dei banchi scoperti ed esposti alle acque meteoriche diventa in breve profondamente scanalata ed irta di costole acuminate che si ramificano a guisa di minuscole catene di montagne. Questi cu— riosi rilievi corrispondono alle asperità che nelle formazioni calcari delle Alpi Svizzere sono conosciute col nome di karrenfelder o di lapiez, di rascles al monte Ventoux in Provenza; e che io chiamerei con italiana espressione crestaglie. Nella regione bresciana si osser— vano con frequenza anche al Botticino nelle parti tuttora intatte della falda soprastante alle cave e sul declivea Sud del vicino monte Fratta. Esse sono specialmente estese presso la cappella di S. Rocco a levante di Serle; ed in generale dappertutto dove è sviluppata la forma litologica qui descritta. La grande solubilità del calcare in parola è messa pure in evi- denza dalle frequenti cavità carsiche (doline) che s'incontrano do— vunque sul dorso di questi monti; come avviene ad esempio nella insellatura tra monte Fratta e monte Paina e sul versante Nord ed Ovest di monte Camprelle. Ma la regione dove tali cavità assorbenti, che sono dette sprugole nella regione Apuana, vaî e buse qui nel bre- sciano, sono notoriamente numerose e frequenti, è l’altopiano di Ca- riàdeghe già menzionato, cioè Ja conca compresa fra monte Dragone monte Voccia, monte Olivo, monte Luzzaga, S. Bartolomeo e monte Dragoncello; dove sopra un’ estensione di forse 6 a 7 km. q. se ne 360 D. ZACCAGNA possono contare più di 300 (1). Hanno generalmente forma circolare od ellittica ed un’ampiezza che può variare dai 20 ai 100 metri di diametro. Gli orli della conca hanno a volte la forma tondeggiante ed il fondo piano ridotto a prato ; a volte le pareti dirupate. Fra queste, alcune presentano nel basso caverne più o meno profonde, come vedesi al « Buco della Breda » sopra Villa di Serle; al «Buco di Budrio » presso il Cassinetto, ed al« Buco del Gelo » subito a Nord del poggio di S. Bartolomeo. Anche i dorsi emergenti sull’altopiano sono per lo più nudi ed aspri, mostrando banchi calcari profondamente cariati, spesso ridotti a carcasse, che nell’insieme lasciano appena scorgere ancora il loro andamento generale. Essi sono più o meno, ed in modo discontinuo, rivestiti da una magra ed intricata vege- tazione di arbusti innidati in quelle cavità; ciò che insieme alla ineguaglianza continua del suolo rende estremamente penoso il per- correre la regione fuori delle tracce segnate dai sentieri più frequentati. In qualche punto tuttavia dove potè adunarsi del terriccio, come al Cassinetto e verso il Zovo, che è una depressione sboccante a N. sull’orlo della balza, per cui si scende verso Caino, la conca è ridotta a pascolo. Questo terriccio però, generalmente scarso, è anche poco argilloso e poco coerente: talchè riesce assai diverso dalla solita terra rossa residua della soluzione dei calcari più o meno marnosi e ferrugi- nosi. Qui il terriccio è di un rosso pallido, sciolto e sparso di cristal- lini dolomitici incoerenti; sì che le acque lo attraversano prontamente, inghiottite dalle diaclasi e dalle doline del calcare che esso riveste. Più in basso, a Sud di S. Bartolomeo, a ©. Badia ed a Villa di Serle, l’altopiano si fa più ameno rivestendosi anche di vegeta- zione arborea. Essa è resa possibile dalla maggior abbondanza del terriccio ivi radunatosi per la conformazione del luogo, che si de- prime dolcemente a conca all’inizio del vallone di Medalo o Bedo—- letto scendente a Nuvolento; alla formazione del quale portò un notevole contributo la vicinanza delle roccie giurassiche che vengono ad insinuarsi fra i calcari liassici dell’altopiano (V.lacarta geologica). A. I. 1896. Sezione di Brescia. ò arr <{ 1 DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 361 Però, procedendo tanto a Sud che verso Ovest, questi calcari re- stano nuovamente spogli di vegetazione riprendendo il loro abituale carattere di aridità ; come può osservare chi percorra la strada da Rezzato a Gavardo passante al piede dei monti di Mazzano, Nuvolera e Paitone, tutti formati da quella roccia. I suoi nudi banchi, distin- tissimi, lasciano scorgere le loro dolci curvature succedendosi a gra” dinate sul fianco meridionale di queste alture, che assunsero la par- ticolare colorazione grigiastra delle masse di calcare compatto rima- ste lungamente sotto l’azione meteorica, quà e là macchiata dalla tinta calda impartita dal terriccio che ne fu asportato e dilavato. Oltre al calcare biancastro, compatto, che abbiamo descritto e che è il più sviluppato nella regione ed ha per tipo quello scavato al Botticino, il Lias inferiore comprende altre iorme calcari un po’ di- verse, dipendenti dalla diversa composizione. Abbiamo accennato alla varietà più granosa alquanto dolomitica che costituisce la generalità di quello che scavasi a Mazzano. Ma in altri luoghi il calcare diviene francamente dolomitico ed assume struttura granosa, cristallina; la quale è talora così accentuata da renderlo poco coerente e friabile, sì che facilmente si sgretola e cade in isfacelo; come avviene per la dolomia principale, colla quale in certi casi potrebbe confondersi. Benchè questa forma dolomitica possa trovarsi in tutti i livelli della formazione per il passaggio più o meno graduale dall’una al- l’altra varietà anche lungo uno stesso banco, pur tuttavia essa in- contrasi più comunemente alla parte superiore, doveforma dei grandi banchi come il calcare del tipo Botticino. Tali banchi però riescono talvolta indistinti nelle varietà più cristalline e fratturate per la frequenza delle diaclasi. da cui sono attraversati. Il colore ne è bian- castro o bianco giallognolo come quello degli altri calcari; qualche volta però assumono tinta brunastra, nè mancano i banchi colorati in bigiastro, bardigliacei, fetidi alla percussione, come si osserva nelle cave più prossime a Mazzano, che sono quelle esercite da più antica data. Banchi dolomitici s'incontrano sopra Nuvolera, nella valletta di Virle, sulla pendice meridionale del monte Fratte e sulla destra del rio Rino presso Botticino a Mattina, sul dorso e sulla falda orientale 362 D. ZACCAGNA del costolone che corre fra il passo di S. Vito, monte Salena, monte Maddalena e St. Eufemia; nelle quali località la dolomia corrisponde appunto alla parte alta della formazione, presso cioè al contatto cogli strati del Lias medio. Verso Nave il calcare del Lias inferiore è dolomitico sulla pen- dice Ovest del monte Rinato, in valle Listrea, alla C. Plagne ed alla Stalla sopra Cortine nel prolungamento della piega che ha per nucleo il Retico di C. del Lino. Altrove, cioè ad Ovest di monte Rinato, al monte Montecca, al monte Dragone ed al Dragoncello conservasi la forma tipica del calcare del Botticino. In qualche punto la dolomia per la sua struttura granosa, incoe- rente, si sfacela sino a divenire polverulenta, come vedesi nella valletta di Virle presso Rezzato ed in quella del Carrobbio sopra St. Eufemia. Al monte Mascheda presso questo abitato la dolomia è cavernosa: forma questa che non è frequente nella zona del Lias inferiore. La potenza dei calcari del Lias inferiore è assai variabile; ma può ritenersi in media di 200 a 300 metri. Eccezionalmente essa può giungere però fino a 7 od 800 metri, come risulterebbe dalle Sezioni geologiche unite, dedotte dalle misure stratigrafiche attinte sul terreno. Data l’origine del calcare, dovuta probabilmente a depositi madreporici e di alghe incrostanti, si comprende la variabilità dello spessore, tan- tochè esso può anche ridursi a pochi metri; come avviene nel vallone delle Monache a sinistra della valle Listrea, dove la zona retica e quella del Lias medio sono separate da 40-50 metri appena di calcare dolomitico della zona del Lias inferiore. Il calcare compatto, bianco a grandi banchi del Lias inferiore che consideriamo è noto abitmalmente col nome di corna. Sebbene tale appellativo venga applicato nella regione a tutte le masse di nuda roccia a scogliera, nel linguaggio geologico la denominazione è ormai riservata a questo calcare del piano inferiore del Lias che è anche, per solito, spoglio di vegetazione. Il calcare della corna è abitualmente poco o punto fossHifero ; anzi, per quanto è a mia conoscenza, non sembrami siano stati citati fossili nettamente determinabili raccolti in questa formazione. Nella E ara I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 363 1 valletta di Mazzano, poco sopra la strada che sale alle cave; sulla strada da Serle alla frazione di Magrana, e sulla pendice Nord del monte Dragone io rinvenni delle sezioni di gasteropodi (Chemnizie ?); ma i fossili erano talmente impastati nella roccia da renderne impos- sibile la estrazione. Spesso anche si osservano sulla superficie dei banchi delle protuberanze simili a grosse pisoliti che presentano in sezione delle foliazioni irregolari, concentriche, che il prof. Parona cui furono comunicati alcuni esemplari da me raccolti a Mazzano, opina siano alghe calcari riferibili al genere Sphaerocodium. A Mazzano questi nuclei si trovano con una certa frequenza sul fondo della val- letta, nei banchi delle cave soprastanti alla strada. Non sempre nelle Prealpi bresciane il Lias inferiore è rappresen - tato dal calcare biancastro massiccio della corna. Nei pressi di Gar- done (Valtrompia) come è noto, manca il calcare bianco; e si ha invece il calcare grigio scuro in grossi strati a volte selcifero, la cui attribuzione al Lias inferiore è dimostrata oltrechè dalle condizioni di giacitura, anche dai fossili rinvenutivi (Spirifer Walcotti. Ar. stel- laris, ecc). Nell’ ambito della nostra Carta questa facies del Lias inferiore non s'incontra. Si hanno tuttavia dei banchi grigiastri a pasta ceroide al Roccolo inferiore di monte Montecca e nella zona liassica sottostante, per rovesciamento, agli strati retici, quelli appunto formanti il ciglio della cascata del Listrea e che si dirigono verso C. del Lino; ma non si tratta esattamente della facies gardoniana. La forma massiccia e biancastra e la grigia stratiforme del Lias inferiore bresciano hanno la loro corrispondenza in quelle analoghe della Toscana, dove è frequente il caso di calcari bianchi massicci e grigi stratiformi appartenenti a questo stesso piano. In alcuni punti anzi si trovano insieme le due forme eteropiche, come alla Pania della Croce e sue adiacenze nelle Alpi Apuane e nel poggio delle Paffe all'Isola d’Elba. La sola differenza che può avvertirsi è quella con sistente nella struttura, puramente dovuta all’azione del metamor- fismo; poichè mentre la corna bresciana ha pasta compatta, quasi amorfa, o per meglio dire, microcristallina, i calcari bianchi della Toscana ad essa corrispondenti sono ceroidi o sub-cristallini. 364 D. ZACCAGNA all La parte più alta del Lias inferiore è rappresentata talvolta da una speciale zona calcare non molto potente nè continua, ma carat- teristica, formata di pochi strati, per lo più sottili, grigio—biancastri o rossicci. Sono gli strati del cosidetto corso, la formazione che, pur tenendo ancora del Lias inferiore, preludia a quella del Lias medio. La zona che la costituisce, talvolta è indistinta; e laddove esiste non è mai molto potente, potendo variare da alcuni metri sino a 20-25 metri di spessore. Questi strati, spesso selciferi, hanno struttura omogenea od amandolata e sono separati fra loro da poco scisto verdiccio o rosso- bruno; ciò che ne facilita l’estrazione, sotto forma di lastre, per gli usi edilizi. Tanto la varietà biancastra (corso bianco) che la rossa (corso rosso) sono scavati in vari punti sul versante meridionale della regione; ad esempio presso S. Eufemia e sotto al colle della Liassa sulla via che dal Botticino a Sera, dopo superato quel colle, s’inoltra nel rio Rino, lungo il quale ha luogo il passaggio dal Lias inferiore al Lias medio. In queste cave si possono anche con una certa frequenza raccogliere petretatti caratteristici, come l’Arietites stellaris, Atractites Guidonii, Terebratula rotzoana, ecc. Il seguito di questi strati si ritrova ai Ronchi, sulla pendice S. del monte Fratta dove, sopra l’abitato, sono pure aperte delle cave al passaggio tra il calcare del Lias inferiore e quelli del Lias medio. La zona del corso riappare al monte S. Martino presso Rezzato ed al monte Regogna sopra Virle, dove se ne scavano lastroni che servono egregiamente per balconi, scalini e copertine di muri, costituendo esso un mate— riale assai resistente. In valle del Listrea, poco a monte della Fratta dell’ Erba, tra il calcare bianco dolomitico del Lias inferiore e quello stratiforme grigio del Lias medio trovasi una zona calcare a strati irregolari, quasi massiccia, d’un rosso carnicino a chiazze più scure che deve rappre- sentare la zona del corso stratiforme degli altri luoghi sopra ricordati. Comunque, questa zona, sia per la sua posizione stratigrafica, come pei fossili, sembrami corrispondere presso a poco a quella del calcare rosso ammonitifero (rosso ad Arietiti) delle Alpi Apuane, del I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 365 quale prende anche il colore e la strutttura stratiforme o massiccia; solochè nelle Apuane questa formazione assume, in generale, una im- portanza assai maggiore. Lias medio. — Direttamente sopra la corna od anche, dove esiste, coll’intermezzo del corso, nel bresciano si stende la formazione del medolo. E’ questo un insieme molto potente di strati calcari regolari di 20-30 cm. di spessore, d’un colore bigio-giallastro a noduli di selce scura, separati da letti marnosi. In senso geologico quella de- nominazione viene applicata agli strati corrispondenti alla formazione del Lias medio o domeriano (1). Però nel linguaggio locale il signi— ficato, che è puramente litologico, ne è assai più ampio, compren- dendo tutti i calcari simili a questi, cioè regolarmente stratificati e nettamente divisi da letti scistosi, atti a fornire naturalmente del pietrame da fabbrica in conci quasi regolari (mèdol). Essi possono quindi appartenere eziandio ad altri piani geologici; e si ha perciò un «medolo» nel Lias superiore ed anche nel Giurassico inferiore, come vedremo più avanti. La formazione del medolo propriamente detto, cioè del Lias medio, è largamente sviluppata nella parte occidentale della regione che qui si descrive, come i calcari del Lias inferiore nella orientale. Essa corrisponle alla zona segnata con tinta azzurro-chiara sulla Carta e sulle Sezioni. Sulla destra della valle di Nave gli strati del medolo formano il versante Ovest del monte Montecca sovrapponendosi in basso ai banchi della corna in corrispondenza di Dernago, e sottoponendosi agli stessi, per rovesciamento, verso la cima e nella pendice che de- clina verso Piezze. In tale posizione rovesciata essi passano sulla destra del Listrea stendendosi fra Piezze e Cortine; e di quì sor- (1) Dal monte Domaro in Valtrompia. Secondo il BOoNARELLI il domeriano non abbraccia che la parte superiore del medoto, alla quale la denominazione venne da lui applicata. Tuttavia si è finito per dare alla parola anche un signi ficato alquanto più esteso, comprendendovi tutto il Lias medio, cioè il medoto propriamente detto; ed è in questo senso che viene da me adoperata. 366 D. ZACCAGNA montando il nucleo dei calcari retici e liassici già ricordato, si rad- drizzano espandendosi, in corrispondenza di Bovezzo, al Dosso Cor- nichia ed al monte Spina per proseguire più a Nord alla cima Predosa ed al Dosso Valtero, non rappresentati sulla nostra Carta. In questa falda superiore della piega gli strati banno andamento più o meno regolare e pendenze oscillanti fra N O ed ONO. Negli strati della falda inferiore la pendenza dominante è ancora a N O; ma gli strati sono tormentati da fitti ripiegamenti specialmente nelle vicinanze di Monteclana. Sulla sinistra del Garza il medolo forma tutte le basse pendici delle alture fra la valle Salena ed il lungo contrafforte di S. Giu- seppe e rimonta sul crinale che corre dal monte Salena al monte Maddalena addossandosi ai calcari della corna che ricopre sino al ciglio della sua balza orientale. Di quì discende verso Sud sino a S. Eufemia espandendosi ad Ovest, oltrechè sul contrafforte di S. Giu- seppe sopra ricordato, nel poggio di Santa Margherita ed in quello di Borno, dal quale si spinge fino al Castello di Brescia che ne forma l’ultima propaggine. In questa larga distesa gli strati presentano inclinazione varia- bile a causa delle ondulazioni frequenti che vi si riscontrano. Tut- tavia, in massima, si osserva che a partire dal monte Maddalena, nella parte settentrionale dominano le pendenze verso N O, mentre nella zona meridionale l’ inclinazione è prevalentemente diretta a SO od anche, come nel poggio del Castello, verso S. Data la sua grande estensione, la potenza di questa formazione è quindi ragguardevolis- sima ; poichè, anche tenendo conto delle flessioni, la pila formata da questi strati del Lias medio deve oltrepassare gli 800 metri. (Vedi le Sezioni III e IV). I cambiamenti di pendenza e direzione sono talvolta assai accen- tuati, avendosi in qualche punto delle inclinazioni di 60 a 70° in senso opposto, come avviene alla Cappella del Patrocinio sopra il Rebutfone; ed anche dei forti ripiegamenti a zig-zag, come alle C. Monteverdi. Forse in dipendenza di queste variazioni di pendenza e direzione il prof. Cacciamali fu indotto ad ammettere il sistema di fratture che ® WRTIE” ") (x A r , I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 367 ha figurato nella sua cartina per la regione del medolo bresciano (1). Nelle mie perlustrazioni ho però potuto convincermi che quivi non esistono vere faglie, ma le brevi tratture sono dovute invece a pic- coli disturbi locali, e che, in generale, le diverse inclinazioni e dire- zioni si raccordano con superfici flessuose, come è abituale negli strati calcari relativamente sottili separati da letti scistosi. Sulla Carta egli divide altresì il medolo in una serie di sottopiani che, quando anche fossero contrassegnati dai fossili, non mi sembra possibile seguire sul terreno, giacchè questi calcari presentano una grande uniformità di facies. Intorno alla facies litologica si può tut- tavia osservare che verso l’alto della serie, come al castello di Brescia, il calcare del medolo, sempre grigio-giallastro e selcifero, è alquanto più marnoso, più friabile ed a frattura ineguale, coì letti argillosi interposti più abbondanti. Questa è del resto la facies tipica del domeriano propriamente detto, esattamente corrispondente a quella della classica località del monte Domaro, dove venne studiato dal Bonarelli (2). In qualche luogo, intermezzati cogli strati calcari, si hanno anche dei banchi brecciformi o puddingoidi. Un sedimento di pud- dinga grossolana si osserva, ad esempio, nelle cave di S. Bernardo sotto Costalunga, formata di ghiaia delle roccie alpine. Presso S. Eufemia, al solito calcare marnoso, selcifero, si trovano inter— calati dei banchi di una breccia dolomitica bianca e carnicina a struttura cristallina. Il medolo è frequentemente fossilifero. I fossili, che sono per lo più ammonitidi, appariscono non di rado sulla superficie degli strati, ma più spesso ancora nella pasta stessa del calcare, che facilmente si spacca in lastre. Nel primo caso sono piritizzati o limonitizzati : nel secondo si presentano con rilievi litoidi o con impronte, per lo più assai nette. Le copiose raccolte di questi fossili del medolo bre— (1) V. Rilievi geologici tra Brescia e Monte Maddalena. — Commentario dell'Ateneo di Brescia, 23 luglio 1899. (2) BONARELLI G. — Giwura-lias lombardo — Atti R. Acc. Scienze Torino. Vol. XXX. MT SIP la LE TENCO PASO Pia : ti hp 11, VA e TSE TARA PARATA LI 368 D. ZACCAGNA È bito — sciano studiate dal Bonarelli e da altri dapprima, furono poi, come è noto, con apposito lavoro comprensivo illustrate dal Bettoni (1). Sul versante destro dei Garza sono specialmente fossiliferi gli strati formanti lo sperone che scende e Terzago, presso Bovezzo, dove ho rinvenuto le specie: Lytoceras gardonense (Mgh) e Phylloceras frondosum (Reyn.); sulla sinistra, nello sperone di S. Giuseppe, Phy12. Calais (Mgh). Nelle adiacenze di Brescia, assai comuni sono gli esem- plari di Hildoceras fontanellense (Gemm) ed Hild. algovianum (Opp) che si raccolgono in tutti i punti dove sono aperte delle escavazioni di pietra. Frequente è pure il Pecten Rollei (Stol) che ho rinvenuto sullo sperone di S. Eufemia negli strati immediatamente soprastanti alla breccia già ricordata, alla cava Bornata, a C. Arici e sopra C. Tacconi sul versante Sud dei colli bresciani. Questi calcari del Lias medio bresciano, alquanto diversi nel- l’aspetto, in generale, da quelli della Toscana, che sono abitualmente a piccoli strati, ceroidi, grigio-chiari e selciferi, ricordano tuttavia molto bene quelli del Monte di Cetona corrispondenti allo stesso piano, che sono pure grigio—-giallastri, marnosi e molto fossiliferi. Il medolo, oltre che sul versante Ovest del Monte Maddalena, si ritrova pure lungo una zona allineata da N a S fra il rio Rino sopra Botticino Mattina ed il poggio delle Torricelle che separa il vallone del Botticino a Mattina da quello del Botticino a Sera. In questo sperone si osservano pendenze a S e SE; ma lungo il rio esse sono dirette a NO e SO, sovrapponendosi in concordanza e conti- nuità ai banchi della corna del Botticino. Questa posizione, che riesce pure parallela, ma sottostante ai banchi della corna del Monte Mad- dalena, contro ai quali gli strati s° immergono, deve attribuirsi ad una piega sinclinale che ha luogo fra il Monte Fratta ad Est del | Botticino a Mattina ed il Monte Maddalena; come viene dimostrato da un altro lembo di medolo che s'incontra alla estremità della valletta Salena, dove gli strati del Lias medio trovansi rovesciati sotto alla corna. (Vedi la Sezione III). (1) BetTONI A. — Fossili domeriani della Provincia di Brescia — Mem. Soc. Paléont. suisse. Vol. XXVII. CE Cs Di ST x À dA EITTI nf Ù " 9 FERITE, ART de sta MESI NI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO In prosecuzione dei calcari del poggio Torricelle un altro lembo del medolo si trova sul versante Ovest del monte Regogna presso Rezzato che appartiene alla stessa zona di cui fanno parte i due lembi vicini del monte S. Martino di Virle e di monte Marguzzo presso Rezzato. Tutti tre questi lembi si appoggiano sulla corna del monte Camprelle, di cui seguono la curvatura a cupola. Un ultimo lembo occupa la sella sinclinale che sta fra il monte Camprelle ed il monte Fratte, stendendosi dal Bertondello a Gazzolo e dalla Casella ai Ronchi presso Botticino a Mattina. E’ a notarsi come in questi lembi il medolo presenti uno spes- sore assai ridotto in paragone a quello potentissimo che acquista sul versante Ovest del vicino monte Maddalena. Nè la sua esi- guità deve attribuirsi ad erosione; perchè alcuni di quei lembi, cioè quello della sella di Gazzolo ora menzionato e quelli delle vicinanze di Rezzato, sono anche ricoperti dagli strati del Lias superiore che ne fissa la complessiva grossezza, la quale a Gazzolo può ritenersi di appena 100 metri. (Vedi la Sezione II). Lias superiore. — Sui lembi del medolo selcifero di monte Re- gogna e del poggio di S. Martino presso Rezzato stanno in serie continua dei calcari marnosi biancastri intermezzati da scisti argillosi giallo-verdastri. Questa formazione costituisce il poggio dei Cappuccini e quello minore del Castello di Rezzato: i quali, benchè separati, sono formati evidentemente dalla prosecuzione degli stessi strati, che in entrambi i poggi hanno la pendenza costante verso SO. (Vedi la Sezione VII). Tanto i calcari che gli scisti sono molto fossiliferi ; in questi è frequente la Posidonomya Bronni come nei calcari le ammoniti. Tl Bettoni (1) già fece conoscere la lista dei fossili che le due località vicine hanno fornito. Dietro il Convento dei Cappuccini negli scisti verdognoli ho raccolto io stesso la caratteristica Pos. Bronni e pa- recchi esemplari di Caeloceras Deplacei (d’Orb) e C. Mortilleti (Mgh); al Castello di Rezzato Hildoceras bifrons(Brug) ed Hild. Lottii (Gemm). (1) A. Bertoni — Affioramenti toarciani nelle Prealpi bresciane, — Boll. Soc. Geol. Ital. 1899. 3 fi , Ari è » va Pa , } *D. ZA CCAGNIA Re; ria = si A “ Se LI Ò pas % Un altro lembo di Lias superiore, già segnalato dal Bettoni, in- contrasi al colle di Gazzolo o di Molvina, sopra gli strati selciosi del < medolo » domeriano. Anche qui è composto di scisti argillosi rosso-vinati o verdastri passanti.a calcari marnosi biancastri, grigio— chiari e bianco-verdicci. Questi formano la cima più settentrionale del poggio che si eleva sul colle di Gazzolo; e si stendono per poco Sugli strati del «medolo» tanto dal lato di Gazzolo che verso la C. Molvina. L’altra cima del poggio, che è la più elevata (371 m.), è invece formata da un lembo di diaspri a strati contorti e frammentari profondamente alterati, con scisti rossi e giallastri terrosi, che devono esser riferiti al Giurassico superiore, come vedremo in appresso. | Anche in questi calcari vennero raccolti parecchi esemplari di ammoniti caratteristiche della formazione, come la Hi/do. eras bifrons (Brug); ma gli scisti varicolori associati, forse' perchè troppo alterati, terrosi, non presentano la Pos. Bronni che abbonda invece ai Cappuc- cini di Rezzato. E’ però interessante ricordare che in un piccolo lembo dicalcare amandolato rossastro affiorante verso Est sopra la C. Molvina il Bonarelli ha rinvenuto delle ammoniti (Hammat. sp. ed Erycites faUax) riferibili all’Aleniano (1); ciò che dimostra come, malgrado la esiguità della formazione, gli strati in parola facciano passaggio al Giurassico nella loro parte più alta. Essi sono ancora in continuità col Toarciano; non però cogli strati diasprini soprastanti che appartengono invece ad un piano giurassico assai più elevato (2). Nelle adiacenze di Brescia, altri lembi del Lias superiore s’in- contrano nella valle del Mella. Sulla destra, questo terreno apparisce alla base del Monte Picastrello nello sperone di St. Emiliano a po- nente dell’abitato di Urago ed alle C. Pendolina verso levante, affio- (1) G. BoNARELLI — Sulla presenza dell’ Aleniano nelle Prealpi bresciane. — Boll. Soc. Geol. Ital., 1902. i (2) La continuità degli strati dell’Aleniano con quelli del Toarciano, ed il di- stacco fra l’Aleniano e gli strati susseguenti del (Giura, portano alla deduzione stratigrafica che l Aleniano dovrebbe essere riunito al gruppo liassico anzichè far parte del giurassico; come, dietro criteri paleontologici, fu già osservato per altri luoghi da vari autori. i i, er rando coi caratteri stessi che presenta presso Rezzato. Sul fronte della cava ivi aperta si osserva la serie di questi calcari, che si pre- sentano in grossi e piccoli strati di color bianco-giallastro, di pasta ruvida, intermezzati da scisto marnoso lionato. Anche questa loca- lità di Urago venne segnalata dal Bettoni, che vi raccolse le am- moniti e la Pos. Bronni caratteristiche del Toarciano. Il Cacciamali (1) ha in seguito fatto notare la prosecuzione di quel terreno all’estre- mità dello sperone di Pendolina. Sembra però che ad Urago, quan- tunque scarsamente, sia rappresentato anche il Domeriano, che vi comparisce con pochi strati nel basso. Ma attesa la esiguità della zona ho preferito non indicarlo sulla Carta, mettendo in maggior evidenza la striscia del Toarciano. Sulla sinistra del Mella, un lembo importante di Lias superiore, non comprovato però dolla presenza di fossili caratteristici, credo di dover segnalare alla estremità dello sperone di S. Giuseppe. Tutto il lungo contrafforte terminante con questa altura è costituito, come si è ‘detto, di calcare selcifero del Tias medio, sino alla vecchia chiesa di S. Giuseppe; a ponente della quale s'incontrano banchi di un calcare più duro, aspro, brunastro, che impasta frequenti articoli di crinoidi. Sulla superficie di uno dei banchi ho pure osservato delle tracce assai nette di brachiopodi. Questa roccia, come più dura e resistente, è quella che forma la cima del poggio (395 m.). Scendendo però verso il Roccolo Cavretti, si trovano degli scisti marnosi giallastri associati a calcari bianco-giallastri simili a quelli della zona toarciana di Urago, nei quali rinvenni delle tracce di aptici; non però altri fossili più caratteristici. Tuttavia è indubitato che i calcari giallo—brunastri e la brecciola a crinoidi sono i corrispondenti di quelli che si tro- vano sopra il « medolo » di Val Navezze e che già furono collocati nel Lias superiore dal Cacciamali, ma dimostrati poi come appartenenti alla parte più alta del Lias medio dal Bettoni, separandoli dagli scisti marnosi dello stesso luogo riferibili al Lias superiore. Mi sembra quindi (1) Osservazioni geologiche sulla regione Villa Cogozzo ed Urago Mella. — Boll. Soc. (Geol, Ital., 1901. molto probabile che gli scisti marnosi sormontanti la brecciola a crinoidi del monte S. Giuseppe debbano egualmente da esso staccarsi e riferirsi al Lias superiore. Questa attribuzione trova appoggio anche nel fatto che gli scisti marnosi in parola sembrano trovarsi in corre- lazione con quelli di Pendolina, che hanno la stessa direzione e la stessa facies di quelli del Roccolo Cavretti. Nella nostra Carta un ultimo lembo toarciano è indicato al mar- gine Nord, sempre sulla sinistra del Mella, nei pressi della Pieve di Concesio. Esso appartiene ad una zona che sovrapponendosi al me- dolo del Dorso Cornasello, sale alla cima delle Valli Gemelle e ridi scende a Carcina, sottoponendosi alla serie giurassica del monte Ran- zone. Presso la Pieve la zona in parola forma il contrafforte depresso che sta fra il vallone delle Roncaglie e quello di Cadizzone; e consta, come altrove, di calcari giallastri con molta selce, aspri e terrosi e scisti marnosi giallo-verdicei con Pos. Bronni. Al Dosso Cornasello incomincia la zona del medolo, su cui si appoggia; nè vi mancano le caratteristiche brecciole del Domeriano superiore (1). Giurassico e Neocomiano. — Sopra i pochi strati marnosi del Lias superiore affioranti sulla destra del Mella, alla base del monte Pica- strello si stende una zona di calcari più compatti, a grossi strati cenerognoli con grossi filari ed arnioni di selce scura, assai somi- glianti, nel complesso, ai calcari del Lias medio, cioè al medolo propriamente detto. Questi calcari che figurano nella nostra Carta colla striscia colorata in verde scuro che corre fra lo sperone di S. Emiliano e quello di Pendolina, vanno però distinti da quelli del Lias medio, anzitutto perchè ne restano separati a mezzo degli. strati del Lias superiore che vi si frappongono : poi perchè possono mancare in altri luoghi dove gli strati giurassici succedono, come quì, alla formazione liassica, ciò che mette in evidenza una trasgres- sione fra le due formazioni, malgrado l’apparente concordanza; infine per trovarsi gli strati in parola in perfetta continuità cogli strati susseguenti in ordine ascendente, certamente appartenenti al Giuras- (1) V. CACCIAMALI — L’Infragiura bresciano. Boll. Soc. Geol. It., 1903. JA PIETRA DEL BOTTICINO sico superiore (Malm), come i fossili lo dimostrano. Sebbene mancanti di fossili caratteristici, siamo quindi indotti a riferire quei calcari a facies di medolo, soprastanti alla zona toarciana, alla parte più alta del Giurassico inferiore (Dogger) ; ed in ciò ci troviamo in accordo col Cacciamali, il quale riguarda quei calcari come appartenenti al- l’Infragiura rappresentato nei suoi tre piani, l’ Aleniano, il Bajociano, ed il Bartoniano (1). Io opino però che la serie giurassica del bresciano non sia così completa come generalmente si ammette, sia per le con- siderazioni già fatte, sia per altre che svolgeremo più avanti. I caleari di cui parliamo, ad Urago possono avere 120 a 150 m. di spessore. {Vedi la Sezione VIII). Essi vanno maggiormente svi- luppandosi in Val Navezze e si ritrovano sulla sinistra del Mella nei pressi di Concesio. Tanto da una parte che dall’altra vi fanno seguito i membri superiori della serie giurassica, che si possono fa- cilmente esaminare risalendo lo sperone del monte Picastrello da S. Emiliano o quello del monte Ratto dalle C. Pendolina. Questi membri del Giurassico superiore si compongono di una prima zona assai caratteristica che succede al calcare a facies di medolo costituita da straterelli diasprini nerastri, rosso-bruni, ver- dastri e grigi associati a scisti argillosi pure bruni e variegati, pre- valenti nella parte superiore della zona. Gli strati diasprini sono abitualmente assai fratturati, spesso anche profondamente alterati, e danno luogo ad abbondante detrito. Nella parte più alta, associati agli scisti trovansi talora strati di caleare marnoso rosso e verdastro con be- : lemniti ed aptici del Titonico (Aptychus lamellosus, Apt. Beyrichi, ecc.). A questa zona diasprina, che nel juogo da noi considerato può avere sino o 100 m. di spessore, succedono dei calcari compattissimi, a frattura concoide, con nodi di selce bionda o rossastra. Nella parte inferiore sono abitualmente a strati più grossi, biancastri o rosati ed alquanto marnosi; superiormente divengono più compatti, esclu- sivamente bianchi o cenerognoli, a strati più sottili, con filari e nodi di selce scura. I primi appartengono ancora al Giurassico, (1) Boll. Soc, Geol. Ita)., 1901. PS n Li 5 Leg 5 pa Ù Te A per ; è a ‘ 374 | 4 DD. EAGGAGNA A ICMTIP ERI oa O RR “6 wo La bg a È ;; n » pi © mu Var come lo dimostra la presenza della Z'erebratula diphya, caratteristica del Titonico. I secondi passano al Neocomiano, contenendo l’Apt. Didayi, che venne raccolto in questo poggio anche dallo serivente ed a Costorio, dove si rinvenne pure un Crtoceras ; fossili che fissano in modo non dubbio il piano a cui debbono riferirsi (1). La formazione dei calcari di cui parliamo corrisponde a quella conosciuta comprensivamente in Lombardia col nome di majolica: ed a quella del cosidetto biancone delle Alpi Venete. Sulla nostra Carta la zona dei diaspri giurassici è distinta con colore rossiccio; quella dei calcari majolica soprastanti in verdastro. Questi, che sulla destra del Mella appariscono largamente rappre- sentati dal monte Picastrello al monte Scapia presso S. Vigilio, sono piegati in un lungo sinclinale al disopra dei diaspri, che ricompaiono anche in questo luogo. (Vedi la Sezione VIII). J terreni di cui ci occupiamo acquistano importanza notevole anche tra il monte Maddalena ed i monti soprastanti a Mazzano nella conca che formano le valli del Botticino a Mattina ed a Sera, ed al disopra dell’abitato di Serle. Lungo il rio Rino, sopra Botticino a Mattina, sulla pendice de- stra, i diaspri si sovrappongono ai calcari del medolo nel Poggio della ‘Trinità ; e di qui, ricoperti per poco dal detrito di falda, pro— seguono in una zona continua che passa sotto S. Gallo ed al monte Pistone. Sulla sinistra del rio i diaspri si espandono ampiamente scendendo a Sud per ricoprire il fianco Ovest del monte Fratta sino (1) Una separazione razionale di questi due piani è però assai difficile a farsi qui come quasi dappertutto dove il Neocomiano succede al Titonico con queste stesse forme di calcari: onde risulta mal scelto il piano geologico che dovrebbe. dividere le due epoche Giurassica e Cretacea, Vero è che si ripiegò chiamando Infracretaceo il Neocomiano coi piani soprastanti, dove esistono, del Cretaceo inferiore; ma non per questo l'inconveniente è stato eliminato. La divisione fra le epoche geologiche dovrebbe, a mio avviso, corrispondere a fatti stratigrafici che ripercuotendosi sopra una grande estensione, acquistano un carattere gene- rale; come sono le lacune che si incontrano nella serie geologica di vaste regioni. Così avviene appunto di quella che di frequente riscontrasi fra il Neocomiano ed ì membri soprastanti della serie cretacea. alla C. Paina. Verso Est seguitano poscia nell’ampia insellatura che essi formano tra questo poggio e l’abitato di Castello, rimontano il vallone di Medalo sino alla sua origine e si espandono sui calcari del Lias nell’altipiano della Villa sino alle C. Badia, nei pressi di San Bartolomeo. Da questo punto e precisamente dalle vicinanze del fienile Breda prende origine, sopra quella ora descritta, una seconda zona di dia- spri, di essa meno potente, clie passa sopra la chiesa di Castello e si dirige ad Ovest sotto le balze del monte Dragoncello, sino alla valletta Salena che attraversa in alto fin presso al passo di S. Vito, dove scompare sotto al detrito. Le due zone di diaspri restano fra loro separate dai calcari bian- castri selciferi, in gran parte neocomiani che, a partire dalla C. Badia, formano a loro volta una terza zona compresa fra quelle diasprine in conseguenza di una acuta piega sinclinale ribaltata a Sud formata da questi strati giurassici in seno ai calcari liassici dei monti di Serle e del Botticino inferiormente; e quelli di S. Bartolomeo, Dragoncello e monte Salena nella parte superiore. (Vedi la sezione I). La zona calcare incominciando con lieve spessore nei pressi di C. Badia dove termina l’inclusione del sinclinale, si amplifica gra— datamente nel dirigersi verso Ovest al Castello, a Valle del Fò ed al Luogo dei Frati, dove si sdoppia a sua volta in una zona supe— riore che va a finire non lungi da S. Vito, ed in una zona inferiore che passa a S. Gallo ed alla Trinità e scende fino a Botticino a Sera, sempre sovrapposta alla zona diasprina inferiore. Un lembo di questa riaffiora anzi più a Sud oltre il detrito che qui copre lar- gamente le basse pendici sovrastanti a questo abitato. Dei diaspri, due altri lembi s'incontrano nella stessa valle del. rio Rino; e di essi il più notevole è quello che forma l’estremità Sud dello sperone prominente alle cui falde si stende l’abitato di Botticino a Mattina. Esso è forse un residuo della zona diasprina che più in alto ricopre i calcari liassici alla ©. Paina, e come quella si appoggia da un lato, verso le cave, alla corna ed al medolo dal lato di Gazzolo. In alto sale fino alle ©. Battistini dove forma un ripiano MORA ae Ao gi di Rae i ps n da; . ai Pra ì SERBRZ TO DE SIRIO ato CIS BL Tai Ò de er, e EVIL TE SID) ZAC AGNA IPSE IMBRIANI LE AREE N Di ricoperto da un largo lembo di detrito più o meno cementato in conglomerato. L’altro lembo diasprino, assai più ristretto, è quello che a C. Molvina sopra Gazzolo ricopre gli strati del Lias superiore for- mando la parte terminale del poggio che sta a cavaliere fra la valle del Botticino e quella del rio di Giava. E’ a notarsifrattanto la discontinuità che si appalesa fra questi lembi diasprini e gli strati liassici sottostanti. Nel lembo della C. Molvina essa risulta evidente per il fatto che mentre i diaspri della parte Nord si appoggiano sugli strati scistosi del Lias supe- riore, a Sud sono invece a contatto con quelli del medolo. Sul lato Est poi tra i diaspri ed il Lias superiore vengono a frapporsi anche quei pochi strati di Aleniano a cui abbiamo fatto cenno, che man- cano altrove. {Vedi la Sezione II). Se poi esaminiamo il lembo diasprino del Botticino a Mattina la discordanza fra quei terreni risulta anche stratigraficamente assai marcata, poichè gli strati diasprini hanno una decisa pendenza a NE, cioè contro gli strati liassici che inclinano invece a SO; senza dire della circostanza già rilevata, che verso le cave essi si appog- giano contro la corna e verso Gazzolo sono invece addossati agli strati del medolo. In entrambi i lembi manca inoltre la zona del calcare giuras- sico grigio, selcifero, sottostante ai diaspri, che trovasi invece così sviluppata al Monte Picastrello, come abbiamo veduto. Questa variabilità di contatti, la mancanza o la presenza di alcuni membri liassici o giurassici nella serie e la discordanza nelle inclinazioni dànno indizio d’una lacuna considerevole; la quale, te- nendo conto della presenza dell’Aleniano, viene a corrispondere al- l'epoca della Oolite inferiore. Non è adunque possibile ammettere la continuità della serie fra il Lias ed il Giurassico come da vari autori si accenna; la trasgressione mesogiurassica esiste senza dubbio nelle Prealpi bresciane come nelle regioni finitime, e come in altri punti della nostra penisola, avendo essa carattere generale. i Questi fatti hanno perfetta corrispondenza con quanto avviene $ 1 DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO — nelle Alpi Apuane ed anzi in tutta la Catena metallifera. Con una serie analoga a quella dei monti bresciani anche colà il mesogiuras- sico è rappresentato da calcari griei scuri suberistallini con zonature e noduli di selce, che sono sormontati da una zona diasprina con scisti ed aptici titoniani. I calcari succedono ordinariamente agli strati a Pos. Bronni; ma sovente si ha la sovrapposizione diretta dei diaspri agli strati inferiori del Lias ed anche del Retico. Ma la la- cuna esistente tra le due formazioni nelle Alpi Apuane è posta in evidenza anche dai forti ripiegamenti che presentano gli strati lias— sici, a cui non parteciparono quelli del sovrastante Titonico (1). Ritornando ai calcari biancastri selciferi inclusi nel sinclinale diasprino Botticino a Sera — S. Gallo — Castello, anche qui si nota che in qualche punto, al contatto coi diaspri, essi assumono una colorazione rosea, come avviene sotto Valle del Fo. Nelle vicinanze di C. Badia negli strati superiori della zona diasprina abbiamo delle alter- nanze con straterelli marnosi, biancastri e rossicci. Presso le C. Valle di Sotto fra i diaspri si hanno invece delle ripetizioni del calcare con selce grigiastro. Queste particolarità già notate nelle corrispondenti formazioni della valle del Mella dimostrano viemmeglio che, come non è possibile una separazione netta fra i vari piani del Giurassico, così non esiste neppure fra gli strati da attribuirsi al Titonico e quelli Neocomiani in cui si dovrebbe dividere la zona calcare in parola; onde sulla Carta geologica ho creduto preferibile distinguere quegli strati semplicemente in base alla loro forma litologica nelle zone diasprina e calcare, che corrispondono ad una divisione e ad una rappresentazione più netta e più sicura, che non quella risultante da separazioni artifi- ciose e convenzionali. Cretaceo superiore. — Al seguito del calcare Neocomiano noi tro- viamo un’ultima formazione che viene a chiudere la serie delle roccie secondarié della regione che consideriamo. E° la zona che sulla Carta e sulle Sezioni è stata rappresentata colla tinta verde-chiara. (1) V. D. ZACCAGNA. — Osserv. stratigraf. nei dintorni di Castelpoggio. Boll. R. Comit. Geol., 1880. In valle del Mella essa forma la parte più elevata del gruppo di colli di cui fa parte il Monte Picastrello, che ha per culmine il Monte Peso (m. 485). E’ un insieme di strati calcareo-marnosi variegati, la cui successione si può esaminare salendo da Collebeato alla vetta per la via di Campianelli. Sopra il calcare stratiforme grigio con selce del Neocomiano s’incontrano successivamente: scisti marnosi rosso-mattone o rosso—vinaccia e verdicci; scisti biancastri con strati di calcare marnoso biancastro a irattura ruvida che coll’esposizione all’aria si fessura e si sfacela; scisti rosso-bruni scheggiosi verdastri e grigiastri; infine marne biancastre e calcare screziato grigiastro for- mante la cima. Queste stratificazioni che si prolungano verso Ovest al Santuario della Stella ed a Gussago, stanno in apparente concor- danza cogli strati neocomiani sottoposti, attesa la debole incurvatura in sinclinale di tutta la serie secondaria costituente queste elevazioni montuose. (V. la Sezione VIII). A levante di Brescia la formazione in parola occupa una lunga zona al piede delle balze orientali del Monte Maddalena. Gli scisti marnosi variegati che a Cajonvico terminano sul piano, si appoggiano più avanti ai calcari neocomiani del Botticino a Sera, della Trinità e di S. Gallo; e vanno a puntare superiormente colle loro stratifi— cazioni contro ai calcari della corna fin sotto al Monte Salena. Da questo punto, come mostrano le inclinazioni oppeste che si osservano sopra S. Gallo, essi partecipano della piegatura sinclinale della for- mazione giurassico-neocomiana nella quale restano difatti impigliati colla loro parte estrema, che va assottigliandosi fino a perdersi fra questi calcari al Luogo dei Frati. Per i suoi caratteri litologici, per la sua posizione stratigrafica ed anche pei fossili, la formazione che qui ci occupa è stata riferita al Senoniano. Essa corrisponde infatti esattamente alla scaglia del Veneto, ed ha la più stretta analogia cogli scisti policromi delle Alpi Apuane che rappresentano appunto la parte superiore del Cretaceo. Nelle sue assise più alte a Cajonvico ed ai Fienili di Santa Lucia, cogli scisti rossi e variegati trovansi associati degli straterelli di cal- care grigio—verdiccio psammitico con Hyerogliphicum, come vedesi a Lal nt LA I DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 379 Castelpoggio presso Carrara ed altrove nelle Alpi Apuane. Ma nei colli bresciani in queste intercalazioni calcari furono pure rinvenuti gli inocerami caratteristici del Senoniano, come l’Inoc. conceniricus rac- colto presso alSantuario della Stella nella parte alta della formazione. Anche nella zona che consideriamo la scaglia varia d’aspetto e composizione nella serie dei suoi strati, come al Monte Peso; e così sotto al Fenilazzo, alla base di essa si associa un calcare marnoso biancastro allappante simile a quello dei Campianelli; altrove verso la base in associazione agli scisti rossi e verdastri si hanno invece marne giallastre e brune. Questi strati più profondi potrebbero forse rappresentare un piano alquanto più basso del Senoniano; ma non possono colmare la la- cuna ehe esiste fra i nostri scisti variegati della scaglia ed i sotto— stanti calcari neocomiani, come opina il Cacciamali, che ritiene possano esservi rappresentati oltrechè il Senoniano, il Turoniano, il Cenomoniano e l’Albiano (1). Tale lacuna anzi è senza dubbio molto considerevole, essendo palese la discordanza che esiste fra la scaglia edi calcari liassici coi quali viene a contatto diretto, eviden- temente per l’abrasione della zona giurassica che ha preceduto anche il deposito senoniano. Questo fatto è messo in evidenza da un largo lembo staccato di scisti rossi che occupa la depressione fra il Botticino a Sera e lo spe- rone della Lassa sulla via che mette a C. Ghiacciaiolo in valle del rio Rino. Fsso si applica in parte sui calcari del medolo di quel poggio, in parte sulla zona diasprina che si trova alla base del calcare neocomiano sotto lo sperone della Trinità della quale abbiamo par- lato, adagiandosi sulle testate dei sottostanti calcari neocomiani e diaspri, con inclinazione affatto discordante. Quaternario. — Non ci indugeremo nella descrizione dei terreni quaternari, risultando chiaramente dalla Carta e dalla leggenda an- nessa la loro natura e distribuzione. Mancano del tutto nell’ambito (1) Vedi Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed Urago Mella. Boll. Soc. Geol. Italiana, 1901. SARRI ee. Ti D. ZACCAGNA | di essa abbracciata i depositi morenici; onde i membri del quater- nario si riducono al deposito diluviale più recente che ricopre la ; maggior parte della pianura padana; al deposito alluvionale attuale : lungo il corso del Mella; ai detriti di falda che trovansi con una certa abbondanza in vari punti nelle valli del Botticino a Mattina È ed a Sera: infine ai detriti ocraceo-silicei occupanti il fondo dei val- loni, addossati al piede dei colli confinanti colla pianura. Essi for- mano dei piani inclinati, che.a partire dal piano rimontano i valloni per un tratto talvolta abbastanza notevole, come nella valle Per- sane ad Est di Mompiano, nei valloni del versante Sud di M. Borno tra il Rebuffone e St. Eufemia, e nelle insenature di Botticino a . Sera ed a Mattina. Questi depositi provengono dallo spoglio delle formazioni calcari soprastanti, specialmente del medolo, e constano principalmente di terra rossa e di residui di selce decalcificata e : ferrettizzata; essendo sempre la selce più o meno colorata dell’ossido di ferro e calcarifera, y TETTONICA ED OROGENESI. Sezioni geologiche. — Nella descrizione dei terreni componenti : questo gruppo estremo delle Prealpi bresciane ci è occorso di accen- | nare alla loro posizione relativa ed alla informazione stratigrafica i della regione. Però a meglio illustrare la tettonica generale del gruppo DE ed i rapporti stratigrafici fra le varie formazioni, gioveranno le Se- zioni geologiche, che qui vengono allegate. Sezione I. — E’ condotta attraverso la conca di Cariàdeghe e l’altopiano di Serle, fra il monte San Bartolomeo e la pianura; sotto al quale incontra il sinclinale giurassico che resta totalmente com- preso fra i calcari della « corna » di S. Bartolomeo e di Serle. Sul ripiano di Cariàdeghe a N. di S. Bartolomeo, i calcari del Lias inferiore sono in banchi di poco inclinati a Nord, ma rialzati verso l’orlo dei dirupi soprastanti a Caino; epperciò leggermente in— curvati in sinclinale. Questa conformazione stratigrafica che si estende ; a tutto l’altopiano, ha influito certamente nel determinare la pla- n stica di questa conca orografica, colle lievi alture montuose che a 381 l’attorniano e la formazione delle doline che vi sono così frequenti come abbiamo accennato. Sotto S. Bartolomeo i banchi si raddrizzano invece rapidamente e finiscono per ribaltarsi a Sud, acquistando pendenze di 60° NNO. Al fienile Breda s’incontra la prima zona dei diaspri che ficca sotto al calcare liassico con forte pendenza; poi quella dei calcari neocomiani e quindi la seconda zona diasprina che si adagia sui calcari di Serle espandendosi largamente a causa della mite pendenza che arriva appena a 20°-25°, discordante con quella, assai maggiore, dei calcari sottostanti. In conseguenza di questa debole inclinazione del ramo Sud del sinclinale, anche un lembo staccato di calcare neocomiano si ritrova sui diaspri all’ inizio del vallone di Medalo. (Vedi la Carta geologica). Nelle vicinanze di Serle i calcari liassici cambiano direzione inclinando verso OSO : cosicchè sulla Sezione, che è diretta appunto in senso normale a questa inclinazione, compariscono quasi orizzon- tali. Questo cambiamento di direzione degli strati liassici è dovuto al fatto che qui viene a terminare una seconda piega siniclinale che va sviluppandosi verso Ovest, in corrispondenza del colle di Gaz- zolo; onde ne risulta sotto Serle una conformazione a conca, per cui le inclinazioni verso la depressione del rio Bedoletto convergano in senso radiale. Più a valle, nel poggio Bulle si ha invece un rialzamento delle stratificazioni che, piegando nuovamente in anticlinale, declinano poi verso Nuvolento; come appare nettamente a chi osserva i nudi banchi della « corna» sul fianco Ovest di questo monte, lungo il rio di Giava. In una sezione più ad Est di Serle cioè fuori della zona giu- rassica, sparisce ogni influenza della depressione sinclinale ; per cui i due apticlinali fra cui essa resta compresa, vanno riunendosi in uno solo. i Sezione IT. — E° una sezione generale che dalla valle del Garza in corrispondenza di Caino, attraversa tutto il gruppo montuoso | passando per il monte Dragone, il Dragoncello, il colle di Molvina ed il monte Camprelle, sino a terminare nella pianura presso Mazzano. FURAINI A € ) 13 seta. su vi Ma PRATI 2 DEA Lui n 382 Rae \ UFE SEDI ZACOAGNA SERIE To PA n Tra il monte Dragone ed il Dragoncello, all’origine Ovest del ripiano di Cariàdeghe, i calcari liassici della conca già si mostrano piegati in sinclinale, al quale succede l’anticlinale del Dragoncello cor- rispondente a quello del Monte S. Bartolomeo della Sezione precedente. E° questo l’anticlinale che racchiude il nucleo di strati retici di cui abbiamo parlato, affioranti sulla falda Ovest del monte, sopra la Pievevecchia. Anche sul lato Sud del Dragoncello, nelle rupi declinanti verso il Castello di Serle, i banchi calcari della « corna » rialzati fino alla verticale finiscono per ribaltarsi sulla zona diasprina e sui calcari maiolica occupanti la depressione della valle del Fò; depressione in cui trovasi il seguito della sinclinale giurassica già tagliata colla Se- zione precedente. Più a Sud un secondo anticlinale forma Ja «corna» in corrispon- denza del Monte Paina, ed un terzo al Monte Camprelle, separati fra loro dal sinclinale di Gazzolo, nel quale trovasi il lembo di « medolo» di Toarciano e di Giurassico aleniano e titoniano di C. Molvina di cui già ci siamo occupati. Questo sinclinale, che verso Est termina nella conca di Serle, si estende ad Ovest declinando verso la valle del rio Rino, dove il «me- dolo » forma sulla destra il poggio della Torricella separante i due abi- tati di Botticino a Mattina ed a Sera; e sormonta nel Monte Re- gogna, la «corna» del Monte Fieno sulla sinistra. Alla Torricella le inclinazioni del « medolo » sono dirette a SE, mentre al Monte Regogna pendono in senso opposto, cioè a NO, mettendo in evidenza la piegatura sinclinale il cui asse corrisponde alla bassura del rio Rino tra Gazzolo ed il Molinetto. Sezione III. — Questa Sezione vale a dimostrare specialmente le relazioni stratigrafiche passanti fra le elevazioni liassiche che sorgono ai due lati della Valle del Garza. Dalle falde Ovest del Monte Pesso sulla destra, la Sezione taglia il contrafforte di Medole all’altezza della cascina detta «la Stalla » e passando tra le due frazioni di Nave risale sulla sinistra della valle tagliando il costolone di Monte Salena al Passo di S. Vito. Di TORIRgA e DITO dici MER IL 1 DINTORNI DI ERAGON E : LA PIETRA DEL BOTTICINO 383 ‘qui, per il Monte Pistone, traversando il rio Rino perviene al Monte Fratta soprastante al Botticino a Mattina. Nella sua porzione NE la Sezione mette in evidenza l’anticlinale inclinato formato dalla « corna » che più ad Est ha per nucleo il Retico affiorante sino alla C. del Lino, come abbiamo veduto ; talchè la «corna » resta rovesciata sul « medolo » che vi è soggiacente, come risulta chiaramente dall'andamento dei suoi strati. L’anticlinale però va rapidamente restringendosi sotto la C. Flagna; ed il nucleo formato dalla «corna » sparisce prima di giungere sul piano di Cortine, termi- nando in punta fra gli strati del « medolo». Il Cacciamali, e con esso altri autori, ammettono qui l’esistenza di una frattura con scorrimento per la quale il Retico sarebbe ve- nuto direttamente a contatto col Lias medio, formante la falda inferiore dei poggi fra Monteclana e lo sperone di Medole. Anzi in causa di questo scorrimento anche un lembo di Lias superiore e della zona diasprina del Giurassico ricomparirebbero nelle vici nanze di Cortine in contatto anormale coi membri della serie s0— prastante al Retico, come è rappresentato nell’ abbozzo di Carta geologica che accompagna il suo Studio geologico sulla regione Palosso-Conche (1). Percorrendo e studiando accuratamente la località non ho però potuto raccogliere alcun indizio della presenza di questa frattura; sebbene non abbia neppure argomento per escluderla in modo assoluto. Una semplice frattura potrebbe esistere tuttavia, dato il brusco piegamento del « medolo » all’estremità dell’anticlinale, sotto C. Mezzana. Ma pure ammettendo la frattura sul vertice della piega, certo è che non vi ha scorrimento apprezzabile; perchè mal grado la brusca piega permane la perfetta continuità e la corrispon- denza nei vari membri dell’anticlinale rovesciato, al disopra ed al disotto del nucleo formato dal Retico e dalla « corna». Anche sotto al nucleo infraliasico abbiamo infatti, sebbene meno potente, la zona della « corna» che dalla C. del Lino perviene alle balze della Listrea e passa quindi sulla sinistra rattaccandosi con quella che (1) V. CACCIAMALI. BoUettino detta Società Geol. Ital. 1901. forma il M. Montecca; poi i calcari del «medolo », sottostanti per rovesciamento, che da Medole, a Piezze e di qui a Dernago fanno il giro della valle di Monteclana per andare ad annidarsi sul fianco SO del Montecca, come già si è spiegato. La regolarità dell’anticlinale, per quanto sia fortemente incli— nato, è dimostrata anche dal fatto che percorrendo lo sperone di Medole, sotto al Roccolo inferiore s’ incontrano due banchi della caratteristica brecciola biondastra a crinoidi che solitamente preludia al passaggio del Domeriano al Toarciano. Essa comparisce in due banchi inseriti al « medolo » ordinario, e che come gli strati di questo, s’immergono a NNO. Ne consegue che in questo sperone di Medole, la serie liassica a partire dal nucleo di «corna» affiorante sopra la Cascina della Stalla va ascendendo in ordine stratigrafico a misura che si discende il poggio; talehè nel basso, alle cave aperte presso la strada di Nave, vengono a corrispondere gli strati più giovani della serie. Gli strati del poggio di Medole non subirono adunque nessun spostamento relativo: sono soltanto rovesciati; ciò che esclude la faglia ammessa dal Cacciamali. Quanto al lembo diasprino che dovrebbe trovarsi sotto C. Comini presso Cortine, io non vi ho rinvenuto che un cumulo di quel de- trito di selce e terra rossa proveniente prababilmente dallo sfacelo dei soprastanti calcari del «medolo » che copre copiosamente il piede di questi contrafforti; il quale sopra Cortine si presenta forse un po’ più abbondante e più ricco di frammenti di silice. Nessuna stra- tificazione dei diaspri e delle roccie che li accompagnano vi ho però rilevato. Tornando allo sperone di Medole, mi occorre osservare che gli strati più esterni, cioè quelli delle cave vicine alla strada, hanno l'aspetto dei calcari del Lias superiore più che del « medolo » propria- mente detto, colla loro tinta grigio—giallastra e coll’abbondanza dei letti scistosi; e può darsi infatti che abbiano fatto passaggio al Toar- ciano. Essi occupano del resto il centro d’una piega sinclinale che deve esistere fra questi strati e quelli del « medolo » sulla sinistra del Garza, " Ù Î xe | ‘ CALI - ag | 1 DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 385 | e chesalgono a ricoprire la « corna » del Monte Salena. In questo sin- clinale il Lias superiore, se esiste, come è probabile, deve occupare infatti una zona mediana sottostante all’alluvione della pianura; ed avrebbe la sua rappresentanza negli strati del Coniechio all’estremità dello sperone di S. Giuseppe. Nel vallone Salena, sotto al colle, oltre ai calcari dolomitici della «corna» la sezione incontra altresì un lembo di « medolo» che viene quì a completare l’anticlinale inclinato del costolone segnato da Monte Dragoncello, Monte Salena e Monte Maddalena, e che ri- sulta evidentissimo nelle stratificazioni del fianco Ovest del Monte Bonaga, sulla destra della valle. Gli strati del «< medolo» riescono in conseguenza rovesciati sopra i dirupi formati dalle roccie diasprine del sinclinale giurassico-cretaceo che vi succede. Il passo cade sui calcari neocomiani pure rialzati e roVesciati in un cogli strati senoniani che al Luogo dei Frati vengono a far parte della piega sinclinale. Oltre l’asse di questa piega, le stesse roccie si stendono sui cal- cari liassici con inclinazione assai più dolce, prendendo al tempo Stesso maggiore sviluppo; tantochè i diaspri si espandono sin presso la cima di Monte Fratta, sormontando ad un tempo la «corna» ed il «medolo » con manifesta discordanza. Sezione IV. — E’ condotta attraverso il poggio di Santa Mar- gherita formante il contrafforte occidentale del Monte Maddalena, che taglia all’altezza della C. Cavrelle; e la valle del Botticino a Sera. La parte occidentale della Sezione incontra esclusivamente il calcare del « medolo » mettendo in evidenza la grande potenza che acquista questa formazione sul versante Ovest del Monte Maddalena e le frequenti flessioni dei suoi strati, che sono le caratteristiche di tutti i poggi di quel versante formanti le adiacenze immediate di Brescia. Nella parte orientale, sotto le balze dolomitiche del Monte Mad- dalena dove è messa a nudo la zona della « corna », discendendo verso il Botticino a Sera, s'incontrano successivamente gli scisti marnosi del Senoniano, i calcari neocomiani e la zona diasprina nell’ordine normale della loro sovrapposizione. Quest'ultima non ap- [oa È N . ia è tà e Pai n "N at» x D. ZACCAGNA parisce esternamente sulla Sezione per il detrito che si aietaio pa; falda montuosa declinante verso Botticino a Sera; ma la sua P i senza è accertata dall’affioramento di questa zona sotto la strada che sale da quell’abitato alla Cima del Dosso e che appartiene al ramo orientale del sinclinale giura-cretaceo della Sezione precedente. Quì però la piega delle roccie liassiche che lo include essendo assai più aperta e depressa, non potè conseguirne il piegamento di quelle sovrapposte e la loro costrizione in un sinclinale. Così a partire da S. Vito i loro membri non ricompaiono più lungo due zone distinte. Come effetto della pressione intervenuta si nota soltanto che verso il contatto colla « corna» gli strati della «scaglia » respinti e pigiati contro la parete liassica che corre fra il Monte Salena e Cajonvico, offrono delle pendenze variabili tra quella diretta a SE che normalmente dovrebbero assumere e che, difatti, è la più frequente e la pendenza opposta, cioè a NO, in causa delle flessioni che ne derivano. Il «medolo » frattanto, che dovrebbe rivestire la falda orientale del Monte Maddalena e che ne fu asportato per l’erosione pregiuras- sica, ricompare soltanto nello sperone della Torricella separante i due villaggi di Botticino a Sera ed a Mattina. i Sezione V. — Questa Sezione mostra il rovesciamento che gli strati del «medolo» subiscono sul versante meridionale del Monte Montecca, ripiegandosi sopra se stessi e sottoponendosi alla « corna » che ne forma la vetta ed il dorso verso Nord e verso Est. Questi strati del « medolo» alla base del monte, presso Dernago, stanno in- vece in posizione normale: epperciò restano come annidati nella massa della « corna » che li sopporta e li ricopre. La curvatura dei banchi della « corna» però è più complessa di quella risultante dalla Sezione: poichè mentre partecipa della fies- sione sinclinale, secondo la quale i banchi sono diretti pressapoco fra E ed O, sul fianco E del monte, verso la valle del Garza, la direzione dei banchi diventa pressapoco da N a S, cioè normale alla precedente, per adattarsi alla piegatura dell’anticlinele che passa fra il Monte Montecca ed il Dragoncello, racchiudente gli strati retici della Pievevecchia. < i Il rovesciamento della « corna » del Monte Montecca sul prolunga- mento della sezione verso Nord continua nei pochi strati rappre- sentanti del Retico che occupano la depressione detta % Colle fra il Monte Montecca e Monte Rozzolo; ed anche nei banchi della do- lomia principale di cui è formato questo poggio isolato situato sin- golarmente fra la bassura del Colle e quella del vallone di Merolta. Sulla sinistra del vallone, nel Monte Forche, i bancbi riacquistano però la loro posizione normale, come mostra la Sezicne. La stessa Sezione viene a confermare anche l’esistenza dell’an- ticlinale della C. Stalla sotto Monte Pesso, di cui nella Sezione pre- cedente, il suo rovesciamento e l’assenza del supposto scorrimento in causa di una faglia; quale cioè noi l’abbiamo descritto. I cal- cari del « medolo » del Monte Montecca sono infatti il prolungamento di quelli dello sperone di Medole e della C. Stalla, formando le due ‘opposte pendici del vallone di Monteclana, che è in essi scolpito. La stessa continuità esiste fra i banchi della « corna » del Monte Mon- - tecca e quelli costituenti il ramo inferiore dell’anticlinale a ©. del Lino; ai quali si ricongiungono a mezzo dei banchi traversanti la valle alla cascata del Listrea. Solochè in questo ramo inferiore del- l’anticlinale la potenza della «corna » è assai minore che non nel ramo superiore, sia in causa dello schiacciamento subito dall’anticlinale, sia, come è più probabile, per l’ineguaglianza originaria del deposito calcare. Sezione VI. — La Sezione, condotta dal Monte Fratta al Bot- ticino a Sera, taglia lo sperone meridionale di questo monte, nel quale sono aperte le cave di Botticino a Mattina. La zona diasprina del Monte Pistone nella Sezione III, stendendosi sul fianco Ovest del Monte Fratta, viene intersecata dalla Sezione VI alle C. Paina, sotto le quali si può osservare il contatto anormale dei diaspri sia col calcare della « corna », sia cogli strati del « medolo » che affiora in alto del rio Rino. Nel basso, sulla destra del rio, di rincontro alle cave della « corna», trovansi le cave del «corso » di cui la zona, localmente assai distinta, segue il contatto fra la « corna » ed il «medolo » formante lo sperone delle Torricelle. sd dg ‘D. ZACC Nella Valle del Botticino a Sera, la Sezione incontra superfi- 7 cialmente la massa detritica e la conoide di terra rossa su cui è costruito l’abitato; ma in profondità essa taglia gli scisti e calcari marnosi della «scaglia» che vengono a poggiare direttamente sul «medolo », come si vede sulla via della Lassa. Sezione VII. — Attraversa il Monte Camprelle ed il suo sperone occidentale formato dal Monte Regogna e dal poggio dei Cappuccini di Rezzato, secondo l’inclinazione a SO che gli strati presentano su questa parte estrema dello sperone. La Sezione è semplicissima nella sua struttura, rappresentando la successione normale dei tre piani liassici; cioè la « corna», alla base, formante il Monte Camprelle e la parte inferiore del Monte Regogna; il « medolo » che ne ricopre il fianco Ovest, preceduto da una zona di «corso» che in più punti, verso la vetta, viene scavato ; infine gli strati toarciani formanti il poggio dei Cappuccini, declinante sulla pianura. Sezione VIII. — La Sezione dimostra la struttura dei colli giu- rassico-cretacei situati a NO di Brescia; cioè del Monte Picastrello e Monte Peso, sulla sinistra del Mella. Tale struttura, come vedesi, è assai più semplice di quella delle elevazioni situate verso Est. Sopra un fondo liassico che affiora per poco nello sperone di St. Emiliano presso Urago, ed alle C. Pendolina, si succedono rego- larmente gli strati calcari grigio—cinerei selciferi del Dogger; la zona diasprina del Malm; i calcari majolica rosei e bianco-grigiastri del Monte Picastrello ; infine gli scisti variegati coi calcari marnosi della scaglia del Monte Peso. E tutti questi strati, formanti una pila di ragguardevole spessore, si presentano piegati in un largo sinelipale da N a S; poichè le loro testate si rialzano verso N mostrandosi sulla falda settentrionale del Monte Scapia. Il sinclinale è nel suo . complesso molto blando; però le flessioni parziali e le pieghettature degli strati vi sono assai frequenti e piuttosto accentuate; sopra- tutto nella zona diasprina e nei calcari neocomiani. In questa serie abbiamo già notato lo hiatus che esiste fra il Lias superiore di S. Emiliano e gli strati sovrastanti del Dogger; - e O CE e PA Ur i î - TA vst St a dia see Ala » i sa e DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA DEL BOTTICINO 389 vita | come fra i calcari neocomiani e gli strati della scaglia del Monte | Peso, che apparentemente si succedono senza discordanza stratigrafica. La discordanza risulta invece evidente dalle relazioni fra queste roccie sulle altre sezioni esaminate. * * * Riassumendo lo studio delle varie formazioni componenti le ele- vazioni montuose di cui ci occupiamo e delle loro relazioni strati- grafiche risultanti delle Sezioni geologiche passate in rassegna, siamo condotti alle seguenti conclusioni intorno alla tettonica ed alla oro- genesi di questa regione : A partire dalle roccie triassiche, e fino a tutto il periodo liassico la continuità di deposito risulta evidente. Non si nota infatti nessuna lacuna fra i membri delle varie formazioni; ed i soli episodi avvenuti durante la sedimentazione si riducono a quelli segnalati dalla diversa natura delle stratificazioni che si succedono nella serie; vale a dire dalla varia loro composizione che è talora prettamente calcare, talora scistosa e marnosa, ed anche brecciata o puddingoide. - Alla fine del Lias, o più esattamente dopo il periodo aleniano, la regione subì un notevole sollevamento, in seguito al quale sulle parti emerse avvenne una profonda erosione, che spogliò le eleva- zioni prodottesi di quasi tutto il deposito aleniano ed in gran parte degli strati del Lias superiore e medio; come lo dimostra la forte abrasione subita da questi terreni che ha messo a nudo sopra larga estensione il medolo e la corna. Nel periodo successivo gli strati così mutilati si abbassarono nel mare giurassico per ricevere i depositi del Dogger che ora incontransi interrottamente, nelle località maggiormente depresse, sui terreni inferiori; ma in continuità coi susseguenti, cioè colla formazione diasprina del Malm e coi calcari majolica, laddove le erosioni poste- riori li hanno risparmiati. Dopo il Neocomiano abbiamo evidentemente un altro periodo di sollevamento, mancando bruscamente nella serie cretacea tutti i termini intermedi fino al Senoniano. Nè questa mancanza può attri- eurini | ZACCAGNA buirsi al solo difetto di deposito; perchè gli strati della scaglia si trovano bensì in alto sul Neocomiano, ma altresì negli avvalla— menti, appoggiati ad un tempo sul calcare liassico, sulla zona dia- sprina e sul calcare neocomiano, come ne dà esempio il lembo tra il Botticino a Sera e la Lassa. Risulta quindi dimostrata l’emersione e la conseguente erosione che ha ripresa la sua azione dopo il Neoco- miano per cessare quando un nuovo abbassamento dette luogo al deposito della scaglia, sulle ineguaglianze ulteriormente formate. Un ultimo periodo di sollevamento, che corrisponde senza dubbio alla fine dell’epoca eocenica e fra gli altri il più energico, fu quello che, ripiegando tutte le formazioni, determinò le flessioni sinclinali in cui rimasero comprese le roccie giurassico—cretacee, come avviene per quelle della zona del Castello di Serle; ed accentuò al tempo stesso gli anticlinali già esistenti nelle roccie più antiche. Fra questi, sono particolarmente notevoli l’anticlinale inclinato a SE che ha luogo negli strati liassici in corrispondenza dell’orlo meridionale dell’alti- piano di Cariàdeghe e che seguita nella dorsale del Monte Madda- lena; e quello acutissimo interessante anche gli strati retici fra il Monte Pesso e Monteclana fortemente rovesciato nello stesso senso, che si complica verso E, come abbiamo veduto, colla piega esistente fra il Monte Montecca ed il Dragoncello. Questi forti ripiegamenti non si riscontrano nelle formazioni giura-cretacee del Monte Picastrello perchè non comprese in pieghe preesistenti; non partecipando esse che all’ultima fase del solleva— mento, non subirono l’influenza di quelli già avvenuti in precedenza, come accade per la zona del Castello di Serle sopra ricordata. Abbiamo già avnto occasione di osservare come le roccie delle Alpi Apuane abbiano la più grande analogia con quelle delle Prealpi bresciane ad esse cronologicamente corrispondenti; aggiungiamo ora che anche le varie fasi del loro sollevamento hanno perfetto riscontro in quelle che determinarono l’orogenesi di questa regione. ta LI a PR dl RESCIA E LA PIETRA MATERIALI UTILI. Le diverse formazioni secondarie di cui si compongono le alture di Brescia offrono abbondanti materiali naturali che trovano un impiego svariato tanto nelle costruzioni che nell’industria. Ad eccezione degli strati della scaglia e di quelli diasprini del malm, che per la natura essenzialmente scisto-marnosa dei primi e silicea dei secondi sono pochi atti a dare materiali per questi usi, tutte le altre formazioni si prestano ad essere più o meno largamente utilizzate. Nelle formazioni più giovani gli strati del calcare majolica sono seavati a Costorio sul Mella, per ricavarne stipiti, mensole, scalini e lastre che vengono lavorati sul posto. Essi forniscono un materiale assai solido, se non molto elegante, per ie costruzioni comuni. Sl medolo, di cui molte cave sono intensamente lavorate alla base dei Ronchi presso Brescia, a Santa Eufemia, a Medole, ad ‘ Urago, è roccia che offre nella varietà dei suoi strati più o meno marnosi, compatti e regolari sia un eccellente materiale per l’arte muraria, sia il pietrame atto: a fornire un’ottima calce idraulica. Il corso per la sua compattezza e per la sua struttura a lastre che ne.facilita l’estrazione, viene attivamente scavato laddove questa zona liassica si manifesta più nettamente; cioè sulla riva destra del rio Rino presso Botticino a Mattina, al monte Regogna ed al Poggio S. Martino presso Rezzato. Della corna viene impiegata su larga scala la varietà compatta; ed anche, sebbene limitatamente, quella dolomitica, cristallina, in- coerente e pulverulenta. La varietà compatta che ha normalmente composizione di un calcare quasi puro, è usata specialmente nelle costruzioni civili come pietra da taglio e decorativa, ed anche per averne calce dolce; la dolomitica sotto il nome di polverina è im- piegata efficacemente per la detersione degli utensili domestici e per ripulire i pavimenti e le scale marmoree. Per quanto riguarda gli strati retici, laddove la formazione acquista considerevole sviluppo, come sulla riva destra del Lago vige Se). pregevole marmo intensamente colorato in nero. Nelle vicinanze d Brescia, a Monteclana, si tentò di utilizzarne i.banchi più compatti come materiale litografico ; ma con risultato negativo per le molte litoclasi che li attraversano, come già si è accennato (1). Quanto alla dolomia principale, a causa della sua forma abitual- mente granosa, cristallina, e della tendenza a frantumarsi, general- mente non viene scavata che per ricavarne pietra da calce e pietrisco per inghiajare le strade. : Di tutti questi materiali però quello che occupa il primo posto | come importanza industriale è la corna nella sua varietà compatta; ; che in grazia della sua bella tinta biancastra, della sua struttura a grana fina, della sua omogeneità e delle grandi saldezze che in vari . luoghi presenta, si presta egregiamente pei lavori alle scalpello. L’uso di questa pietra nelle opere architettoniche è antichissimo, i come ne fanno fede gli avanzi dell’epoca romana, rappresentati dal E tempio di Vespasiano in Brescia, rimontante alla fine del II secolo È dell’era volgare. L'impiego del calcare in paroia, d’altronde, è sempre stato molto diffuso tanto a Brescia che in provincia e nei paesi finitimi. A Brescia la Chiesa di Santa Maria in Solario {secolo XI), il Palazzo del Bro- letto (secolo XIII), la Loggia (secolo XV), la Chiesa dei Miracoli (se- colo XVI), il Cimitero monumentale (secolo XIX), oltre a tutti gli edifizi privati costruiti in varie epoche, attestano del largo favore di di cui meritamente ha sempre goduto questo bel materiale nell’arte edilizia e decorativa. (1) Da alcuni anni la pietra litografica viene estratta, e sembra con buon esito, dagli strati del calcare mmajolica biancastro compatto, a grana fina, che fa parte delle colline di Ome e Monticello Brusati situate a NO di Brescia. Una Società denominata « Lithos » con sede in Milano si costituì per la utilizzazione della pietra; la cui lavorazione viene fatta in apposito stabilimento animato da forza idraulica a Virle Treponti (V. Rivista del Servizio Minerario, 1910, p. 117). Attualmente la Società si è fusa colla Ditta Gaffuri-Massardi per lo scavo e la lavorazione della pietra di Mazzano e di Botticino, assumendo la denominazione « Società anonima italiana Lithos e Marmi » che conserva la sede a Milano. a | È - fa! sE 5 3 d # _ In questi ultimi anni però l’estrazione della pietra (1) ha rice- 4, Pei SMETTA Sii E e | e - 1 DINTORNI DI BRESCIA E LA PIETRA ia x Ra «“vuto un grandissimo impulso per essere stata prescelta, fra i tanti altri materiali di classica fama che vanta la nostra penisola, per la costruzione del Monumento nazionale al Re Vittorio Emanuele II. Come abbiamo accennato in precedenza la formazione della corna è estesissima su tutto il versante S. E. del nostro gruppo montuoso. Però i luoghi di provenienza del calcare in parola, sembra siano stati in ogni epoca quelli di Botticino a Mattina, di Mazzano e di Virle Treponti già da noi menzionati e nei quali anche oggidì la estrazione viene praticata. È Facciamoci ora ad esaminare più da vicino il giacimento sotto il punto di vista industriale. Il Botticino è la località da cui traesi la qualità più caratteristica di questa pietra ed anche la più apprezzata per la sua grana fina, omogenea, docile allo scalpello; suscettibile quindi di accurata lavorazione artistica e di ricevere un bel pulimento. Le cave sono aperte a varie altezze nello sperone sovrastante all’abi- tato, in regione detta « Mongia ». I banchi declinanti a S.0., vi hanno uno spessore considerevole, sino a 3 metri. Il colore biancastro del calcare, alquanto variabile di tonalità da un banco all’altro, ri- corda la tinta del caffè e latte. I banchi, quasi spogli di terriccio e di vegetazione, oltre alle fratture naturali che limitano l’estensione dei massi, presentano spesso esternamente delle grosse cavità ton- deggianti e dei solchi profondi dovuti all’azione solvente delle acque. L’escavazione dei blocchi, mal condotta fino a pochi anni or sono, si eseguiva scoprendo il banco dal terriccio e purgandolo supe- riormente dalle parti corrose, poi tagliandolo in posto celle formelle e coi cunei; vale a dire praticando nei massi colla subbia delle sca- nalature profonde, nelle quali a colpi di mazza si ficcavano i cunei per staccarli dal banco. Una volta staccati, i massi vengono squadrati (1) Questa pietra viene qualche volta indicata, impropriamente, col nome di marmo del Botticino o di Mazzano, secondo la sua provenienza. Io ritengo che tale appellativo vada riservato ai calcari più o meno cristallini, cioè ai calcari saccaroidi; e che tutt'al più possa estendersi a quelli a struttura ceroide, come ad esempio il giallo di Siena. | D. ZACCAGNA nel modo solito; digrossandoli dapprima col piccone, poscia spia. So doli colla subbia. i Ordinariamente anche un grosso banco non può dare che dei { blocchi di limitato spessore, forse di 1 m. ad 1,20, ricavandone la parte, per quanto è possibile, scevra da difetti. I banchi infatti, per quanto potenti in apparenza, risultano dalla sovrapposizione di vari strati insieme saldati; come lo indicano le sottili vene giallo-ocracee dette cordoni che secondo l'andamento della sedimentazione spesso traversano i massi. Esse corrispondono ad altrettante superfici un po’ ondulate a sutura craniale, lungo le quali il blocco può fendersi ; per cui spesso conviene ridurne considerevolmente le dimensioni. Ad fi ogni modo questi cordoni costituiscono un difetto, perchè a lavoro i I finito, sotto l’azione delle intemperie diventano assai visibili, si al- Sp largano, e talora determinano una spaccatura. Oltre che dalle traccie dei cordoni, la massa di questo calcare è d ; frequentemente traversata da sottili venature di calcite che vi formano / una fitta reticolatura poco visibile sulle superfici tagliate di fresco. sn Questa vena, detta gessina, è un’altro difetto che nella pratica delle costruzioni può dar luogo alla rottura dei massi sottoposti a notevoli sforzi. Alle intemperie tale venatura diviene più appariscente per il diverso grado di solubilità di essa, che ha struttura cristallina, e della massa amorfa avvolgente, essendo molto spiccata in questa e piuttosto debole in quella; talehè ben presto una superficie liscia diventa ineguale, mostrando in rilievo il reticolato della gessina. La grande solubilità del calcare in parola influisce notevolmente anche sulla impronta che ne ricevono le costruzioni esposte all’aperto. La sua tinta bianco-giallastra, che comunica una gradevole colorazione alle opere eseguite di fresco con questa pietra, ben presto sparisce per essere sostituita da un color bianco opaco, d’aspetto gessoso ; come è avvenuto appunto per il Monumento a V. E. in Roma. Tuttavia in progresso di tempo, come osservasi in tutte le costru- zioni eseguite con calcari compatti, ma segnatamente pei calcari cristallini, la superficie si copre di quella patina travertinosa giallo— bruna, con chiazze nerastre nelle parti meno soleggiate; impartendovi PS |, È io De + ANERIRA v Ko NO sauri e LEQ TA E ILA * DINTORNI DI BRESCIA E LÀ PIETRA DEL BOTTICI sA | quell’intonazione artistica che si osserva anche nei vecchi monumenti . bresciani (1). Altre proprietà spiccate di questo calcare sono inerenti alla sua intima struttura, che è a pasta finissima, compattissima e poco: 0 punto cristallina. Esso è in conseguenza assai fragile, o per meglio dire, facilmente incrinabile ; appartiene cioè alla categoria dei calcari vetrini, come ne danno esempio certi marmi apuani, specialmente quelli del versante settentrionale. In conseguenza di questa sua qua- lità, per l’estrazione del calcare del Botticino dev'essere proseritto; in modo assoluto, l’uso delle mine. Ciò spiega altresì come, col sem- plice mezzo dei cunei, si possano fendere massi di 2 metri di spes- sore; e come nella squadratura dei blocchi sia necessario lasciare un margine di 3 a 4 centimetri sulle dimensioni fissate onde poterli purgare dagli strappi che i colpi di subbia, per quanto moderati, pro- ducono attraverso la massa del calcare. Anche il modo di discesa dei blocchi dalle cave alla via rotabile, primackè si usasse un sistema più razionale, poteva recar danni non indifferenti alla loro saldezza ; poichè i blocchi venivano abbrivati lungo la scarpata del ravaneto: od in varie riprese trascinati o ruzzolati fino al piano di caricazione. Tale rimase lo stato delle cose fino a pochi anni or sono; fino a che cioè le esigenze di una più intensa produzione, che ebbe im- pulso specialmente dalla costruzione del Monumento nazionale a Vit- torio Emanuele consigliarono l’impiego della lizza per la discesa dei blocchi, come si pratica nelle cave Apuane; ed infine, ma solo in questi ultimi anni, anche il metodo di escavazione col taglio in roccia mediante il filo elicoidale. Le cave del Botticino tuttavia, molto sfruttate in passato, assai suddivise e mal preparate per la produzione dei grandi massi, non poterono essere utilizzate nella fornitura del colonnato superiore del Monumento: per il quale si dovette adottare il calcare delle cave di (1) Nel caso particolare del monumento a V. E. in Roma difficilmente questa calda intonazione potrà conseguirsi a causa della esposizione a Nord, che impedisce, od almeno ritarda, la formazione della patina travertinosa, (AD. ZACCAGNA 0 h Mazzano (1). In quest'opera grandiosa il calcare del Botticino i- servò per le parti che dovevano essere più delicatamente scolpite, . (1) Non sembrerà quì fuori di proposito l’osservare, che nasce spontaneo in sa chi ha senso d’arte e di convenienza, come nella costruzione di quest'opera archi- tettonica, la quale per grandiosità di concetto, per venustà di stile e per impor- tanza storica doveva riuscire magnifica sotto ogni riguardo, siasi impiegato un materiale che, sebbene presenti certamente qualità pregevoli, non regge però al confronto di altri di cui ha dovizia il suolo italiano; e segnatamente del marmo apuano che, senza contrasto, era il più indicato, almeno per la costruzione del grandioso portico coronante il Monumento. Non è infatti comprensibile come siasi rinunziato all'uso di questo superbo mate- riale che tutto il mondo c’invidia; mentre le ragioni dell’estetica, del decoro, dell’arte, lo indicavano come il più degno a figurare nella parte più nobile dell’opera architetto- nica. Eppure non valsero a salvarlo dall'ostracismo i suoi pregi intrinseci incontestati, nè la tradizione artistica dei monumenti antichi della stessa Roma, che attestano ad un tempo della nobiltà che loro imparte e della sua durevolezza secolare. Si disse che la tinta giallastra, calda, del calcare del Botticino fosse una delle © ragioni che ne determinarono la scelta: mentre i marmi apuani, almeno nelle qualità più comuni, presentano colorazione bianca, tendente al bigiastro ; epperciò i fredda. Ma l’Alpe apuana offre tali e tante risorse nella varietà ed abbondanza Li dei suoi marmi, che la tinta può dipendere soltanto dalla scelta. DE, La riuscita del materiale impiegato non deve, del resto, essere giudicata ad opera appena terminata. Il monumento non ha ancora raggiunto il suo compi- mento che già il colore giallastro della. pietra adoperata andò scomparendo per Mi: essere sostituito da una tinta biancastra opaca, tutt'altro che artistica. Ben diver- E. » samente si comporta il marmo apuano, nel quale, anche le qualità meno pregiate, | ; perdono tosto il colore grigiastro che loro sì rimprovera; imbiancano cioè, ma vc | senza assumere l'aspetto calcinato dei comuni calcari compatti. Col tempo poi, A come tutti i calcari cristallini, essi acquistano quella tinta calda che rende così si artistici i monumenti di Firenze, di Pisa, di Lucca, della Lunigiana e della Liguria, dove si fece largo uso dei marmi apuani. L'uso del marmo avrebbe reso facile altresì, coi mezzi di cui oggidì si dispone, SG l’impiego di colonne monoliti, aggiungendo non poco pregio all'opera architetto- nica; mentre col calcare bresciano fu mestieri suddividerle in parecchi tronchi, ponendo a riscontro la grettezza dell’età nostra colla magnificenza dell'antica Roma. Me Le difficoltà, enormi in quel tempo, per il taglio, la lavorazione ed il trasporto da lontani paesi dei massi più duri e più voluminosi, non limitavano allora le esigenze del decoro e dell’arte; e le roccie più svariate, graniti, porfidi, marmi e breccie, tratte da regioni aspre e difficilmente accessibili, erano messe a contri- buzione quando la grandezza dell’opera lo richiedeva. CI: ente + 1857 cioè p si capitelli, i fregi e le scolture; al quale uso il Botticino meglio si presta del Mazzano per la finezza e la omogeneità della pasta. Il calcare di Mazzano, come già si è detto, è analogo a quello del Botticino. Ne differisce tuttavia alquanto per il colore che è ge— neralmente un poco più scuro; la sua grana è meno fina, meno omo- genea, meno docile allo scalpello; è quindi anche un po’ più duro, più resistente. Esso mostra, non di rado, sulla superficie tirata a pulimento, quella sorta di grosse pisoliti a struttura concentrica, di origine organica (sphaerocodium) di cui abbiamo parlato. Le cave più antiche sono aperte sulla falda Sud del monte Tar- tarino, dove esiste anche un banco colorato in grigio d’aspetto bardi- gliaceo, che è stato qualche volta lavorato. Queste cave però sono attual- mente adibite più specialmente alla fornitura del pietrame destinato alla fabbricazione della calce, alla produzione della soda caustica, alla raffineria dello zucchero ed alla preparazione del carburo di calcio. Le più importanti per la produzione dei massi sono ormai quelle _che da qualche anno la Ditta Gaffuri-Massardi ha aperto più in alto sul fondo della valletta di Mazzano in luogo detto «la Croce » con- ducendovi anche una apposita strada di lizza. I banchi in coltiva- zione sono assai grandi e vi presentano grandi saldezze che arrivano talvolta sino a 10 m. di lunghezza. Ve ne ha di due tinte, l’una più chiara bianco-giallognola, quasi simile a quella detta bianca del Bot- ticino; l’altra più carica, d’un giallognolo tendente al bruniccio che vien detta semiscura. In comune di Virle Treponti le cave sono aperte nella regione detta « Parti » che è la valletta separante il monte Regogna dal monte Marguzzo. Anche quì scavansi massi di un calcare analogo a quello del Botticino e di Mazzano; ma la produzione non è conside- revole ed il materiale è meno pregiato. Inerenti alla struttura compattissima di questo calcare, oltre a quelle già indicate, sono altre sue proprietà peculiari che meritano di venir rilevate. Fra esse quelle della sua notevole resistenza alla pressione, e della sua facile frattura per flessione; delle quali nelle costruzioni può accadere di dover tenere il debito conto. 398 D. ZACCAGNA ESTA La resistenza alla pressione del calcare del Botticino-Mazzano è altissima, come la provano le esperienze eseguite nel laboratorio del Politecnico a Torino ed a Milano, sopra campioni di forma cubica ; resistenza che, ragguagliata al cm. quadrato di sezione, corrispose ad un carico di 1200 a 1500 kilogrammi. E° però ad avvertirsi che nei pezzi architettonici soggetti a grandi pressioni, come colonne e pilastri, eseguiti con questa pietra, i piani di posa devono essere molto accuratamente lavorati e gli spi- goli convenientemente preparati; perchè le più piccole ineguaglianze concentrando la pressione su pochi punti, provocano, in causa della struttura vetrina del calcare, una fessurazione verticale che ha ori- gine dal punto maggiormente compresso. Ciò può vedersi in qual- cuna delle colonne formate da vari tronchi sovrapposti nei monu- menti di Brescia, ad esempio sulla facciata della Cattedrale. Per contro; la resistenza alla flessione ne è molto limitata. Non è raro infatti di osservare che gli architravi sia negli intercolunni, sia nelle aperture rettangolari inquadrate con stipiti di questa pietra, sì presentino spezzati. Ciò è dovuto alla sua mancanza di elasticità; ed anche questa particolarità va attribuita alla grana fina, serrata, vetrina del calcare. Molto diverso è il modo di comportarsi che si riscontra nel marmo saccaroide riguardo a queste resistenze. A causa della strut- tura granosa, cristallina, la resistenza alla pressione non è così ele- vata. Dalle esperienze fatte a Torino sui marmi apuani risulta che essa può variare da 400 e 500 kilogrammi a cem. quadrato, dallo statuario (Betogli) al bianco comune (Ravaccione): e raggiunge i 600 kilogrammi nelle varietà più salde, che sono quelle a grana fina, secca, degli strati più profondi (Colonnata) e del versante Nord delle Alpi Apuane. Per contro la rottura per flessione è molto rara nei pezzi archi- tettonici eseguiti col marmo apuano ; e ciò a causa dell’alto grado di elasticità di cui esso è dotato. Gli architravi in marmo difficil- mente si spezzano; si dà anzi il caso di trovarli piuttosto incurvati, come accade in qua!che opera di antica costruzione. E’ noto del resto hi (AEG E LA PIETRA DEL BOTTICINO RL: che le grandi lastre, specialmente di alcune varietà di marmo, s° incur- «vano nel rimuoverle; ma riprendono la loro forma piana appena siano sottratte all’azione inflettente del loro peso. Altre proprietà che pure debbono avere notevole importanza nelle costruzioni sono quelle della permeabilità e della resistenza al gelo; due qualità che nel nostro calcare sono tra loro collegate, es- sendo entrambe ancora dipendenti dalla sua struttura molto com- patta. Le prove ‘eseguite tanto sopra il calcare del Botticino che su quello di Mazzano portano a conchiudere che questo materiale non assorbe affatto l’acqua. Per questa ragione della sua quasi assoluta impermeabilità nessuna traccia di alterazione venne osservata. sopra pezzi sottoposti reiteratamente all’azione del gelo e del disgelo, im- mergendoli in acqua di cui la temperatura si faceva discendere a 15° sotto zero. Ciò è dimostrato a sufficienza d’altronde dai vecchi mo- numenti di Brescia, che in un clima rigido come quello di Lom- bardia possono presentare bensì notevoli alterazioni per soluzione del calcare, ma punto o poco per qualità geliva. I marmi sacca- roidi invece nei climi umidi e freddi, sebbene in grado diverso, fini- egir scono per sfaldarsi a causa della porosità che accompagna la loro | testura cristallina. In riassunto, le proprietà della pietra del Botticino-Mazzano ri- E. sultano spiccatamente diverse da quelle dei marmi saccaroidi; e di È esse alcune possono riescire molto apprezzate giustificando in certa misura il favore da essa incontrato in questi ultimi anni nelle costru- zioni. Oltre alla fornitura per il Monumento a V. E. II, molta ne fu impiegata pure in Roma per la decorazione interna e le statue f del Palazzo di Giustizia ; senza dire che da qualche tempo essa viene largamente usata nelle costruzioni pubbliche e private di molte città d’Italia e dell’estero (1). La lavorazione delle cave, in conseguenza, andò progressiva- i vamente intensificandosi, tantochè la produzione di circa 3000 metri (1) Col calcare di BorTIcINo-MAZZANO venne costruito il monumento all’ Impe- ratrice Vitteria di Allahabad (India), il monumento al Generale Gordon a Kartum (Sudan) e quello ai caduti nella guerra Anglo-boera di Grahamstown (Sud-Africa). cubi che avevasi prima del 1880, salì rapidamente ad oltre e tale cifra venne anche sorpassata nel periodo più attivo forniture pel Monumento nazionale, durante il quale pare siasi e@ ceduto in qualche anno il volume di 10.000 m. cubi. Per raggiungere così notevoli produzioni, le Ditte esercenti le cave dovettero però ricorrere all’impiego del filo elicoidale pel taglio | Mi dei grandi massi sul tronte di cava; sistema che alla rapidità dell lavoro permette di accoppiare l’economia sulla perdita del mate- | riale. Così viene praticato ormai correntemente dalla Ditta Gaffuri- Massardi nelle sue cave di Monte Tartarino, dove, tanto il filo elicoi- dale che il trasporto degli attrezzi, vengono animati da energia elet- trica, come si pratica nelle cave Apuane. Ed i progressi introdotti nell’industria estrattiva vennero completati anche con quelli dei più moderni mezzi adottati nella segatura e nella lavorazione della pietra in opifici importantissimi mossi da forza idraulica forniti di torni, di là ritagliatrici e raffilatrici e di scalpelli pneumatici ; talchè un’industria | fiorentissima è venuta sviluppandosi in questa regione, sostenuta con forti capitali da Ditte importanti, quali la Gaffuri-Massardi di Maz- zano già menzionata e la Davide Lombardi di Rezzato, che furono già le principali fornitrici della pietra pel monumento a V. E. e per Palazzo di Giustizia. na Ya Ma anche dopo l’eccezionale periodo di queste forniture è ormai o indubitato che l’ industria della pietra di Botticino-Mazzano potrà | mantenere l’importanza acquistata, non accennando a venir meno le | continue richieste di questo materiale sia dall’interno che dall’estero; | talchè sembra ad essa assicurata una vita prospera e continua al pari di quella che da secoli si svolge nella classica regione dei marmi apuani. CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DI BRESCIA (per la leggenda vedi Tav. Il) Boll. R. Com. Geol. Vol. XLIV Ing. D. ZACCAGNA: I dintornì dî Brescia, ecc., Tav. I delta par fia pa ((2 > n Ti ferrato s Sgustaochi) 9: a 165/154 d a o fail C.Ckterirti > NES O % 3 i fi PAPY, ati DI mati i a P, Dr M I È Martinkzza A 4 n Pain "® ic tg0ss tai Di ariola Scala di 1:40000 ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI * NOVARA L’equidistanza delle curve è di 25 m. SEZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI BRESCIA secondo le linee tracciate sulla Carta (Tav. I) Boll. R. Com. Geol. Vol. XLIV Ing. D. ZACCAGNA: I dintorni di Brescia, ecc. Tav. II MDragancelto CAZZI sins Valle tei Fa MAkvarone (nino rea CT) II Sonlelte d'Albere SZartolaneo 1000 » Cocca Serle sas I Altipivno di Serle to S Cesario Colle di Sito III La Stalla cs di Luago dei Frali r I J Poggio S Margherita bula Grvrelle sv0 uso, Roccolo ‘ Ci VIII S#niliano M Picaulrella Gampiani Mffeso MSsopia S RI RI h È La lasetta Botlicino Sera li Casina Rezzala nt MPaina Poggio di Molvina 99! s70 am SÙ Vv Al Rozzolo he Fornaci ti Dernayo MMontecca ZOurza Botticino Sera Cave di Botticino 4 Frutti Sa VI Mraz Bia Rino so. VII N Convento Mitegogna drz 27 Leggenda per la Carta geologica e per le M. Canprelle Marrone 663 60% 138 R di Merolla Za firina M Fralla Cri Mlamprelle d6% Sezioni ‘cari marnost griglo-giallastri sel- |Scisti marnosi rossi bruni e biancastri; È EO a Ghiaje e clottoli alluvionali. calcari psammitici griglastri (Sea- ciferi: scisti marnosi rossi e verdo- ° glia). o| gnoli. TR (7) 3 #18 | | Brecciole; calcari marnosi plumbel sel- L) ® Ei ì cifert in strati regolari (Medolo). n i ci Detriti calcari sciolti e cemenlati. 7 Catani DIEaCo QUEOILE aeleiari tai E | Ate Mancha grigi CETTE, ca 5 " Î strati so (Neocomiano); cal. cari compa biancastri in gross. î Tar ZOO dei Fei COLI 8 cari rosel. G banchi (Corna). 5) 5 \Straterelli diasprini e scistt rossi, brunt (Calcari grigi: URI marnosi e con- E e variegati (Malm). Retlco patti; scisti argillosi neri e giallastri. (c] A (Calcare biancastro dolomitico eristal- P PI Calca riglo-cinerel selciferi e scisti i y 92 |ciottoli, ghiaje ed argille diluviali. Ae ae EAT AECARETIass\co (fffstnc. 1a banchi prutturatt Dolorata © Cave di pietrame e pietra da calce » Cave di pietra da taglio x Località fossilifere —m—___mi Scala di 1:40 000 ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI + NOVARA ini VENTURINO SABATINI L’ERUZIONE DI SAKURAJIMA DEL GENNAIO 1914‘ Il Giappone è costituito da un arcipelago di cui le isole mag- | giori sono Yesso a Nord, Hondo o Nippon nel mezzo e Kiu-Siu a Sud. i Queste sole tre isole si estendono su 45 gradi circa di latitudine Nord, da 30° a 45°, cioè quasi come da Torino a Tripoli. | Nella costa meridionale di Kiu-Siu si apre una baia, diretta per 70 chilometri verso Nord e separante le due province di Satsuma ad Ovest e di Osumi ad Est, alla distanza di 20 chilometri (Tav. I). ei | Questa baia nella sua parte settentrionale mostra una strozzatura nella i quale trovasi Sakurajima o Isola Fior di Ciliegio ?, dove l’eruzione dello ( | scorso anno si manifestò. Sakurajima ha un giro di 30 chilometri, 0° | e, dei due stretti che la dividono dalle anzidette province, quello di Kagoshima * ad Ovest è largo 2300 metri con 70 metri di profondità ; quello di Seto * ad Est è largo 400 metri con 80 metri di profondità. La città di Kagoshima con 70 000 abitanti trovasi sullo stretto omo- nimo nella provincia di Satsuma, di fronte all’ isola di Sakura ?. Il Giappone in quello che una volta si chiamava « il lontano Oriente » e che oggi meglio si direbbe « l’estremo Oriente », costituisce 1 Questa nota è parte della prolusione al mio corso libero di Vulcanologia, tenuto nel corrente anno nella R.* Università di Roma. Per questa parte devo al Dott. Simotomai la traduzione di numerosissimi e lunghi articoli di pubblicazioni giapponesi e l’abondante raccolta di fotografie originali che vi si riferiscono. ? Sakura= fior di ciliegio, jima= shima= isola. (Pr. Sakuràzima, con la z dolce). î Pr. Kagòscima. | * Pr. Se-tò. " Pr. Sa-ku-ra o Sakura. 5 ha: PA, È "RIAD : 4 x r SPREA AIA RE AMORI AVANT SV MAPPE O Eri OUT ATTI Barbi o VIII, Tage E OO AT eri ati SPIE N Ù VALI Mpeg ja (NE i Lato o gi ca i 4 Na [3 e ‘ Na 22 ni Lc I v Pra - A i P è ve > i I | 4 i AVE P o » spero 402 VENTURINO SABATINI tif 3 una delle terre più vulcaniche del mondo, e si deve aggiungere una delle meno stabili, poichè, tra le più seducenti attrattive della natura, è soggetto non solo alle eruzioni dei suoi numerosi vulcani attivi, ma altresì a frequenti terremoti, e maremoti, e a quei violenti ura- gani che vi pigliano il nome di tifoni. Nelle tre isole maggiori si contano 129 vulcani, di cui 36 attivi. Molti di essi superano i 2000 metri sul mare fino al Fujiyama ! gigantesco che raggiunge i 3800 metri e che nel 1707 ebbe l’ultima eruzione violenta. Ed è notevole che, al pari che in Italia, e a differenza di altre regioni come di quelle della Sonda, tutte le forme di attività vulcanica si ritrovano al Giappone. * *_* Circa 135 anni fa, fra il 1779 e il 1781 molti vulcani giapponesi furono attivi : 1’ Oshima,” l’ Aogashima, l’Asama,* 1’ Unsen, il Sakura. Durante la lunga eruzione di quest’ ultimo si formarono nelle sue vicinanze le isolette che vi si osservano ancora. Inoltre lo stesso Sakura ebbe altre otto eruzioni fra il 1783 e il 1799 come diremo. Sessanta anni fa un grande terremoto sconvolse il Giappone. Dal 1907 i vulcani giapponesi furono molto attivi, avendo dato: nel 1907, Yakeyama o Yakedake, eruzione vulcaniana ; » nel 1908, Asama, eruzione vulcaniana; e Tarumai eruzione i pelatiana ; nel 1910-12, Usu,' sollevamento del suolo, dovuto forse ad i un’ intrusione laccolitica di lava ; i 1 nel 1912, Oshima, eruzione avaiana ; nel 19183, Kirishima, eruzione vuleaniana ; betue, nel 1914, Sakura, eruzione vesuviana. SA: * %* LS »* * Sh L’isola di Sakura ha, come si è già detto un giro di coste di < “ARAN 30 chilometri, ed essendo quasi circolare ha un diametro di circa i Fuji = grande, maggiore; vama = montagna. 1 ?0= grande; shima = isola (Pr. Oscima). ® Pr. A-Sa-ma o Asama. 4 Pr. U-su o Usìù. Dog ° A VI | L'ERUZIONE DI SAKURAJIMA DEL GENNAIO 1914 il A A ‘un cono vulcanico detto « Montagna di Sakurajima » fin dalla più remota antichità !. Questo cono termina con tre cime allineate quasi da Nord a Sud: 1. Kitadake, 1142" s. m. (segnato Ki sulla cartina della Tav.1). A 2. Nakadake,? 1105" s m. (non segnato sulla detta cartina). e. 3. Minamidake * o Moebahi,” 1120" s. m. (segnato Mi sulla ia cartina). a I crateri n. 1 e n. 2 sono spenti ed hanno un circuito di 800 metri, s da, il n. 3 è attivo ed ha un circuito di 2000 metri. 3 da A Il cratere n. 1 è il più antico se si giudica dal suo stato di | poca conservazione; il n. 2 è invece perfettamente conservato, ma Mep. di esso non si ricordano eruzioni, solo vedendovisi le pareti ancora bi; imbiancate dalle alterazioni dovute alle fumarole ; il n. 3 è il più re- i: n cente di tutti essendo ancora attivo. Così l’asse eruttivo di questo nr . vulcano si sarebbe spostato da Nord a Sud. io i RSI Ad E.S.E. del cratere n. 3 si trova un cono parassita, il Na- su beyama che si eleva a 361" s.m. È costituito di pomici ed è aperto ad Est. Le rocce che costituiscono l’isola di Sakura sono andesiti, in tufi e lave. Nella provincia di Satsuma i tufi coprono i dintorni di Kagoshima in un raggio di 10 ch., ma l’andesite pirossenica che trovasi più a Nord continua in una striscia lungo il mare fino alla detta città. La stessa roccia e i tufi si trovano nella provincia di Osumi. I terreni sedimentarii appartengono al mesozoico, e vengono fuori dai prodotti vulcanici nelle due province, principalmente nella seconda, dove trovasi inoltre anche del granito. t «In paragone di quello che arde nel mio cuore, il fumo ardente della « Montagna di Sakurajima è più leggero... » cantava un samurai del tempo antico. ? Ki-ta = Nord, da-ke = yama = montagna. 3 Na-ka = medio. * Mi-na-mi = meridionale. ® Mo-e + ardente, bahi (pr. baci) caldaia. 404 VENTURINO SABATINI SCR ue LI, & WE Veniamo ora all’attività di Sakurajima, che, fino a quando si ricorda, si è manifestata negli anni seguenti : 708: eruzione indicata vagamente. (16 : idem. TIT: idem. 764 (dicembre): fumo e formazione di tre isolette di scorie presso Sakurajima. 766 (giugno): molti terremoti e forse anche maremoti, molte vittime. 1468 : esplosione. 1471 (settembre): eruzione al piede Est del cono, distruzione del villaggio di Kurokami,! molte vittime. 1475 (agosto): eruzione presso il villaggio di Noziri o Nozirimura,> caduta di ceneri per cinque giorni, persone e cavalli morti. 1476 (12 maggio); per parecchi giorni esplosioni, l’isola fu ri- coperta di lapilli e ceneri, molte vittime. Il 12 settembre seguente esplosione a S.0. 1478: eruzione di ceneri, il villaggio di Fukuyama nella pro- vincia di Osumi, a N.E. di Sakurajima, e i terreni circostanti fino a 15 ch. furono coperti di ceneri. 1642 (7 marzo): eruzione. 1749 (agosto): eruzione a S.5.0. del villaggio di Noziri. 1756 (15 agosto): grande attività della sorgente termale del villaggio di Yokoyama ad Ovest dell’isola. 1776 (12 aprile): maremoto. 1779 (29 settembre): alle ore 6 p. m. del 29 settembre terre- moto, le sorgenti calde e fredde divennero bollenti, il mare color lilla. Il 1° ottobre di buon’ ora Minamidake fumava, dopo mezzodì si produsse ad Ovest e a 700" s. m. un’ eruzione laterale. Vennero fuori fumo e ceneri, si ebbero terremoto e fenomeni elettrici. Le scosse si sentirono a Kagoshima, ove per l’oscurità si dovettero ac- ! Pr. Kurokaàmi. ? Mura = villaggio (Pr. Nozìri e Nozirimura). L'ERUZIONE DI SAKURAJIMA DEL GENNAIO 1914 405 cendere i lumi. In questa città però le ceneri non cadono abondan- temente perchè i venti dominanti spirano da Ovest. Ad Est dell’ isola invece, nella provincia di Osumi, la cenere aveva raggiunto 2 metri d’altezza e 18 villaggi furono perciò distrutti con 153 vittime. Durò cinque giorni il periodo di maggiore intensità dell’eruzione, la quale continuò dopo per un mese. Il cratere di Minamidake ne fu trasfor- mato. I fenomeni eruttivi inoltre si prolungarono fino al 1781. In tale periodo si formarono le isolette a N.E. dell’ isola (v. cartina Tav.1), e lo stretto di Seto fu riempito di lava scoriacea, che però in seguito fu portato via dal mare. Le suddette piccole isole si formarono il 14 e 15 ottobre 1779, il 6 novembre, il 9 novembre di notte. L’8 aprile dell’anno seguente se ne formarono due che si riunirono il 1° maggio, altra emerse 1’ 11 giugno. L’' 11 agosto si ebbe un’ esplosione forse dal cratere di Minami- dake, il 2 settembre si formò un’ altra isoletta, il 4 ottobre si ebbe altra esplosione forse dallo stesso cratere terminale, e il 13 ottobre un’ altra | isoletta emerse congiungendosi in seguito a tre delle precedenti. Nello stesso anno 1881 è indicata un’eruzione di fango nel giorno 18 marzo, ma oggi sappiamo che dovette trattarsi di fenomeno do- vuto alle grandi piogge che impastarono le ceneri cadute preceden- temente. Finalmente il 4 ottobre e il 5 dicembre dello stesso anno si ebbero altre eruzioni. 1783 (7 agosto): eruzione di ceneri giunte fino a Kioto !, a 600 ch. di distanza. 1785 (19 ottobre) 1790 (18 giugno) 1791 (14 agosto) 1792 (26 agosto) altre eruzioni. 1794 1797 1799 (23 febbraio) Finalmente fra il 1830 e il 1840 una sorgente calda venne fuori da Arimura °. ! Pr. Kio-tò. ? Pr. Arimura. IS 1 i aa) x CAME et 34 iP. da”. STE RITA 3 kr, i PRIA pe. Pod TRN TR 7g O SOTA po IO (I Re RT MEC Pa OPE YeA PCI e PA 0a PEA) è - Li Tojad set, le 406 VENTURINO SABATINI * * * L’eruzione di Sakurajima del gennaio 1914 ebbe tra’ fenomeni precursori molte scosse di teremoto, cominciate cinque mesi prima. Nei due giorni che la precedettero, il 10 el’11 gennaio, il numero di tali scosse fu grandissimo. Dalle 3,40 a. m. del 10 alle 10 a. m. del- l’11 se ne contarono 418, secondo il meteorologo Hasekava. In questo secondo giorno dal cratere di Minamidake si ebbe molto fumo. Alle ore 3 p. m.-rotolarono dei blocchi dall’alto di tale cratere, perchè le scosse ripetute ne demolivano la vetta. Alle 7,50 p. m. fu avvertito il primo boato. Il 12 del vapore bianco alle 8 a. m. si sollevò dal fianco esterno del cratere terminale, e alle 9 venne fuori dal suo interno. Mezz’ora prima la sorgente terminale di Ari- mura, a Sud dell’ isola, si era rinforzata zampillando ad 1 metro di altezza, mentre altre sorgenti calde si manifestarono in altri punti presso il detto villaggio ed in più punti presso quello di Wakimura. Alle 10,5 cominciò l’eruzione con una grande detonazione, la quale secondo 1’ « Osaka asahi »! o Giornale d’Osaka, dette l’impressione « che si fosse spezzato l’asse terrestre » (sic). Il suolo si aprì a ch. 2,5 dalla costa, in un punto poco a monte del villaggio di Yokoyama, alla quota di 830 m. s. m. Ne uscì una colonna di fumo, prima grigio-chiaro, poi divenuto subito nero, con l’asse infuocato e con blocchi rossi di lava arroventata che si vedevano salire e scendere disordinatamente, dando, secondo il detto giornale, un’ immagine dell’inferno di Otoke *. Dopo cinque minuti cominciarono le scariche elettriche nella colonna di fumo. I lapilli e i blocchi cadevano come grandinata e fischiavano cozzando tra loro. Nel vicino mare la loro caduta era fitta e i blocchi arrivavano a 2 ch. dalla costa. Alle 10,30 a 5.0. del recinto di Nabeyama, con una seconda detonazione, si aprì un’ altra bocca, dando anch’ essa prima fumo bianco, poi nero. Le colonne emesse dalle due bocche di Ovest e di S.E., per man- 1 Pr. Asàci. ? Pr. Otokè (Butsù dei Cinesi, Budda degli europei). ; canza di vento si sollevavano verticali fino a 7 ch. d’altezza, se- condo i calcoli fatti sulle fotografie dell’ eruzione, e tale altezza andò aumentando in seguito. Alle 11 l’eruzione è già molto forte, con lampi e saette (Fig. 1, Tav.II). Alle 3 del pomeriggio si aggiungono le forti detonazioni e sì avvertono delle vibrazioni d’aria. Le bocche devono essere cresciute di numero, e tutta l'isola appare eruttante, 0 tale sembra da Kagoshima. Le due colonne di fumo intanto si vanno allargando, poi sì congiungono (Fig. 2, Tav. II), ed in breve il fumo copre dapprima tutta l'isola, poi sì sparge dovunque nell’aria. Il suolo tremò ripetutamente. e presto il fumo caldo emesso dai due centri riscaldò l’aria vicina, producendo movimenti di ri- chiamo simili al soffiare di vento improvviso. A questo punto l’attività è già divenuta intensa, le detonazioni sono più forti e frequenti da stordire gli abitanti di Kagoshima, av- volti nell’oscurità. Alle 17,30 p. m. secondo Omori un terremoto molto forte scuote le case di Kagoshima. Alle 18,30 altra scossa più violenta distrugge e; & £ È [ t la città, già ricoperta di 35 cent. di ceneri (Fig. 1, 2, 3 nel testo e Fig. 1 della Tav. IV). Delle 70000 persone che l’abitavano solo 13 perdettero la vita, mentre altre 16 vittime si ebbero nelle vicine cam- pagne. Tale risultato si spiega ricordando che il Giappone ha un’ ar- chitettura speciale in previsione dei frequenti terremoti disastrosi, con 408 VENTURINO SABATINI to: le sue case di legno, piccole e costruite in modo ingegnosissimo. Ma se le vittime del terremoto furono così poche, molti furono i feriti dai Fig. 2. — Terremoto di Kagoshima. proiettili lanciati dalle bocche eruttanti, specialmente da quelle del centro di Yokoyama alla distanza di 6 ch., cioè poco meno di quella Fig. 3. — Terremoto di Kagoshima (cimitero). a cui trovasi Ottaiano dal cratere vesuviano, dal quale fu bombardata e in parte distrutta durante l’eruzione del 1906. L'ERUZIONE DI SAKURAJIMA DEL GENNAIO 1914 409 Il terremoto che distrusse Kagoshima fu avvertito ad Osaka, a 560 ch. di distanza. L’oscurità prodotta dalla pioggia di ceneri alla distanza di 340 ch. ravvolse Hiroshima alla stessa ora, mentre il terremoto ne agitò le case. I boati si sentirono fino ad Oita e a Beppu, cioè nella parte settentrionale di Kiu-Siu e a 200 ch. di di- stanza. L’isola sedimentaria di Bonin, che trovasi a 1250 ch. dal Sakurajima sopra la zona vulcanica marina che scende a S.S.E. del Fujiyama, fu oscurata dalle ceneri che vi furono trasportate con una velocità media di 25 m. al 1. A Sakurajima nove villaggi fu- rono distrutti dalle ceneri : 1. Akamizù con 285 case 2. Yokoyàma » 415 » 3. Koikè » 219 » 4. Akaùbara =» 152 » 5. Takè » 249 » 6. Kurokaàmi » 246 » 7. Setò » 227 » 8. Wakì ) 60» 9° Ari » 138 » Oltre questi villaggi interamente distrutti, Fujino ! e Saidò fu- rono distrutti parzialmente. Sui tre villaggi di fronte a Kagoshima sì riversarono 60 cm. di materiali. Le vittime di tutta 1 isola di Sakura furono 29, di cui alcune per inedia, altre perchè colpite da proiettili. Il maggior numero degli abitanti si salvò, parte con tre piroscafi accorsi da Kagoshima e parte con le barche dell’isola. Il 13 la cenere raggiunse Nagasaki a 150 ch. A Miasaki, a 80 ch., alle 9,15 a. m. ve n’era un centimetro. Alle 13 l’eruzione culminò. Alle 13,10 si avvertì un terremoto ad Osaka. Il 14 l’attività diminuì nel centro di Yokovama (Fig. 5, Tav. III), mentre in quello di Nabeyama era ancora forte. La lava del primo centro è giunta a 500 m. a valle del villaggio omonimo con 2 ch. di larghezza e 40 m. di spessore (Fig. 3, l'av. II). ' Pr. Fuzino (= dolce). 410 VENTURINO SABATINI ira, Il) 15 poco fumo alto 4 ch. Il centro di Yokoyama dà esplosioni ogni cinque minuti e la Sua lava raggiunge la spiaggia (Fig. 4 e 5, Tav. II), mentre quella del centro di Nabeyama vi è già arrivata. Nella notte precedente lungo la colata occidentale si sono visti sette od otto crateri allineati, dapprima vivamente illuminati, poi con emissioni A di fumo e di lapilli. Le scariche elettriche si vedevano passare da cra- tere a cratere poichè le saette ne allacciavano le colonne di fumo. Il 16 recrudescenza dell’attività. Alle 9% a. m. forte vibrazione aerea. La cenere a Miasaki raggiunse 20 cm. di spessore. Il 17 grande caduta di ceneri a Kagoshima, da cui non si vede Sakurajima. Alle 9 a. m. oscurità completa. i Il 18 attività indebolita ad Ovest, con eruzione di lapilli. A S.E. attività ancora forte da parecchi crateri. La lava occidentale si è spinta in mare fino ad 1 chil. dalla costa, coprendo 1’ isoletta di Karasujima ! (v. Tav. I). Il 21 l’attività di Nabeyama è ancora forte sa (Fig. 1 e 2, Tav. V). SE Il 23 sì hanno solo fenomeni elettrici, detonazioni nella notte. | Il 24 continuano le detonazioni, ma non più in forma di boati, sebbene a sbalzi. È S Il 25 e il 26 l’eruzione occidentale è quasi finita. È sempre forte quella sud-orientale. uf: Il 27 da Arimura si sviluppa anidride solforosa. La lava ha SI ricoperto i villaggi di Wakì, Arì (Fig. 1, Tav. III), Yokoyama (Fig. 6, i Tav. III) e Setò, già coperti anteriormente dalle ceneri, mentre la colata a S. E. ha invaso lo stretto che da 500" di larghezza (Fig. 2, È Tav. JII) non ne ha più di 25 (Fig. 3, Tav. IlI). Il 30 anche questi i 25 metri sono invasi e lo stretto scompare (Fig. 4, Tav. III). wu Si è calcolato che !/ dell’isola, cioè 16 ch. q. siano stati coperti ; i di dalle lave, la cui cubatura raggiunse otto decimi di ch. cubo, con ci | lo spessore di 30 a 60 em., in generale di 50 cm. $ 9 Questa lava è una labradorite con augite ed iperstene, come ho potuto accertare in un campione favoritomi cortesemente dall’ Istituto Geologico di Tokyo. 1 Pr, Karasùzima (5 dolce). L'ERUZIONE DI SAKURAJIMA DEL GENNAIO 1914 411 a Vediamo ora quali altri fenomeni eruttivi hanno accompagnato quellìi di Sakurajima nel resto del Giappone. I due centri di Sakuraj]ima di cui si è descritta l’attività e il cratere terminale di Minàmidakè si trovano su d’un allineamento 32 nigra gi / . / Kirishima: n; 3 /0 / SE ì IL 7 Ù ELY: = LÀ CES, 7 3 ; ani I N , Ni | NE < il L I E Ì Fis: | f f + i ds 4 il | 7 | pet / i Î ; | I È 7 TÀ | / | 4 | f Ì TRESA | 80° | —|____—__ ea MESE, E DE id SA E LI O.NO.- E.S.E. come si vede dalla cartina della Tav. I. Tale allinea- mento è perpendicolare a quello diretto N.N.E.-S.5.0. che passa pei VENTURINO SABATINI ' Lara vulcani Kirishima, Kaimondake, Iwojima, Suwanose, e che passa altresì per la vetta del Sakurajima. (Questo secondo allineamento si vede completo nella Fig. 4 del testo, in cui i centri vuleanici allineati sono segnati in nero). Il Kirishima, composto di due vulcani gemelli, aveva dato una eruzione l’anno precedente (1913) come già si è detto. Prima del- l'eruzione del Sakurajima del 1914, produsse boati a terremoti, e la sera del 12 gennaio tu attivo. Jl Takukamayama, sempre debolmente attivo, il giorno 13 dette un’eruzione più forte. L’ Asò che fuma sempre, il giorno 13 dette fumo più abondante e nero, con ceneri. Così pure l’Asamà lo stesso giorno e il Yakeyama o Yakegadake la notte seguente. 1] 23 gennaio alle 5 a. m. cominciò un’ eruzione marina a 3 miglia e in direzione N. 20° E. da Minami-Ivojima,! che trovasi a 1350 ch. circa da Sakura, sull’allineamento vulcanico-marino detto Kwazan- retto. Questo allineamento parte dal Fujiyama e si dirige a S.S.E. Una corazzata giapponese con molti naturalisti visitò l'isola il 12 febbraio seguente e ne determinò la posizione in 141° 30' long. E. (Greenwich) e 24° 17' lat. N. La forma di quest'isola è a piramide con base trapezoidale, 4 ch. di giro, 130" d’altezza. Dava eruzioni periodiche di fumo nero con ceneri che rendevano il mare grigiastro. Dall’alba al tramonto del detto giorno si contarono 37 parosismi. Nove anni prima, nel principio del dicembre 1904, dopo esplo— sioni sottomarine durate 3 settimane, altra isola era apparsa in quei dintorni. Raggiunse 5 ch. di giro e 150 m. d’altezza. Non si sa se fosse semplice cupola d’intumescenza o se fosse munita di cratere. Nel giugno 1905 il mare l’aveva distrutta. La lava emessa era una andesite augitica con olivina, secondo le determinazioni giapponesi. Ritornando all’ eruzione del Sakurajima, aggiungerò che tra’ fe- nomeni sussegzuenti, la sera del 25 gennaio si ebbe forte pioggia che ! Minamì — meridionale, ivo = zolfo, jima = shima = isola, Questo vulcano sulla carta geologica del Giappone al 400 000 è segnato col numero d'ordine 117 (dell'elenco dei vulcani giapponesi). se correnti di fango. Molti villaggi nella provincia di Osumî furon o così distrutti. «I danni di questa eruzione e dei fenomeni che la seguirono am- montano a 37 milioni di yen, pari a 92 milioni di lire italiane. Fù- rono coperte di ceneri 13397 ciò di campagne di riso, 67906 ciò di | campagne di grano e 8282 ciò di abitati. In totale 93585 ciò, essendo il ciò quasi ùn ettaro. Sion 250! >oll. R. Com. Geol. d' It. — Vol. XLIV. V. SABATINI, Sakurajima. — Tav. I. ni È D x N = I tondini neri indicano le bocche dell'eruzione del 19r4. Le aree delimitate intorno indicano le lave emesse dalla stessa eruzione. Per le altre indicazioni v. il testo. 1 Boll. R. Com. Geol. d'It. Vol. XLIV. V. SABATINI, Sakurajima. — Tav. II. Fig. 1. — Eruzione di Sakurajima. Giorno Fie 2. — Pomeriggio del giorno 12 gennaio 12 gennaio, ore II a. m. (da Kagoshima). (da Kagoshima). Fio. 3. — Lava di Yokoyama a 500 m. a Fio. 4. Yokovama, 15 gennaio. La lava valle del villaggio omonimo. 4 gennaio ha raggiunto la spiaggia. (da Kagoshima). ì | Fig. 5. — Yokoyama, 15 gennaio. La lava Fio. 6. La lava ha invaso il mare nello C prossima alla spiaggia. stretto di Kagoshima. 18 gennaio (0 qual. che giorno dopo. E I] | Boll. R. Com. Geol. d' It. — Vol. XLIV. V. SABATINI, Sekurajima. — Tav. III. Fig. 1. — Spiaggia di Arimura. Lava nuova Fig. 2. — Stretto di Se-to prima dell’eru- in mare; al primo piano bombe coeve. zione. Fig. 3. — Stretto di Se-to in parte invaso Fig. 4. — Stretto di Se-to invaso comple- dalla lava, 27 gennaio. tamente dalla lava, 30 gennaio (Saku- | rajima a destra). Fig. 5: — Yokoyama, 14 gennaio (nuovo Fig. 6. — Villaggio di Yokoyama coperto cono). dalla lava, 27 gennaio. Ì E. CALZONE — ROMA. Boll. R. Com. Geol. d' It. — Vol. XLIV. V. SABATINI, Sakurajima. — Tav | : | | | ! Fig. i. — Terremoto del 12 gennaio 1914. Fig. 2. — Sakurajima da S.E. A diritta | | Ginnasio femminile sul didietro, muro ca- piano) Nabeyama e la sua lava (strisci: duto sul davanti (Kagoshima). che ha invaso il mare. Acqua calda € morti. | ! Fig. 3. — Il mare coperto di pomici (Saku- Fig. 4. — Effetti della caduta di cei rajima). blocchi (villaggio di Ta-ke) | Fig. 5. — Effetti della caduta di ceneri (Yo- Fig. 6. — Sgombro della cenere che | koyama). perto le case (Usu-ne sulla costa della di O-su-mi), Boll. R. Com. Geol. d It.-- Vol. XLIV. V. SABATINI, Sakurajima. — Tav. V. | Fig. 1. — Crateri di Nabeyama. 21 gennaio. Fio. 2. — Nabeyama. 21 gennaio. Fig. 3. — Nabeyama. Cenere e lava (Mina- midake a destra). Lava in avanti. i | | | | i Fig. 5. — Crokami, ad Est di Sakurajima, Fie, 6. — Bombe attuali coperto di ceneri. Dietro Nabeyama in eruzione III I | o | I M. CASSETTI Appunti geologici su alcune regioni della Capitanata, dell’Irpinia e dell’Abruzzo Chietino ed Aquilano 1} (Campagna geologica del 1913) CAPITANATA ED IRPINIA. I “Buona parte di queste due provincie limitrofe è compresa nei fogli 174 e 175 della Carta dell’ Istituto geografico militare, già da me rilevati nel biennio 1888-89. Nel 1913 ho iniziato la revisione di quel vecchio rilevamento ‘allo ‘scopo di renderlo definitivo. | Le regioni da me percorse in questo anno sono: per la Capi- tanata, tutti o parte dei contigui territori di Orsara, di Montaguto, di Panni, di Bovino e di Deliceto, i quali abbracciano la superficie montuosa adiacente alle due sponde del Cervaro e che precede la pianura Foggiana; e per la Irpinia, tutti o parte dei finitimi territori di Lacedonia, di Bisaccia e di Rocchetta S. Antonio, i quali si esten- dono sull’alta sponda sinistra dell'Ofanto. Entrambe le suindicate regioni sono occupate dal terreno ter- ziario, di cui la parte predominante appartiene al periodo eocenico | ed il rimanente a quello pliocenico. Il periodo miocerico non è affatto rappresentato. L’eocene comprende un esteso e potente deposito di argille va- riegate e di argille scistose, marnose e calcaree, qua e là intercalate da calcari nummulitici a struttura ora uniforme ed ora brecciata, ge- 716 M. CASSETTI ueralmente stratificati, spesso con selce, e talvolta alternanti con straterelli marnosi, non che intercalate da arenarie di vario aspetto, el cioè ora brune-grossolane-micacee più o meno compatte, ora giallastre- sabbiose-calcaree più o meno tenere ed ora rossastre-ferruginose più 0 meno dure con selce. Ho detto che manca il terreno rappresentante il periodo mio- cenico, dappoichè credo sia da escludere che possano essere riferibili a questo periodo, le suindicate arenarie, come altri vorrebbero ritenere, e che vennero da me incluse nell’ Eocene, per la ragione che anche esse, come i calcari nummulitici, sono indubbiamente intercalate nelle argille eoceniche. E nemmeno credo siano da ritenersi mioceniche le arenarie gial- la.tre più o meno compatte con intercalazioni di conglomerati, che affiorano lungo la valle del Cervaro, delle quali dirò in seguito, e ciò non tanto per la loro facies, ma specialmente per la loro fauna del tutto pliocenica. Di guisa che nella regione in esame, si osserva che direttamente sul terreno eocenico si appoggia quello pliocenico e ciò con manifesta discordanza di stratificazione. . Il Pliocene è rappresentato da argille azzurre del Piacentino e da arenarie giallastre e azzurrognole più o meno compatte e di sabbie gialle intercalate sovente da conglomerati sabbiosi più o meno cemen- tati, del piano superiore. La zona montuosa adiacente al corso del Cervaro è quasi comple- tamente costituita di roccie eoceniche, e cioè di calcari nummulitici e di argille scistose; solo in pochi punti s’ incontrano alcuni limitati lembi di roccie plioceniche. Sono formati di calcare eocenico i monti denominati Fedele, Sar- duto, Verciaro, Preisi e Montaguto, i quali s’innalzano sulla sponda. sinistra del Cervaro, non che i monti denominati S. Quirico, Selecchia, Castro, Rotondo, Serra Lunga, La Serra e Panni i quali s’ innalzano sulla sponda opposta. Queste masse calcaree sono contornate, o semplicemente fiancheg- giate, dalle argille scistose eoceniche nelle quali rimangono immerse. LTT ei ; a . APPUNTI UNE REGIONI DELLA CAPITANATA ECC. I depositi pliocenici s'incontrano nelle seguenti località : 1° Nel piccolo colle presso la stazione di Bovino, sulla sinistra del Cervaro, adiacente alla rotabile che porta a Giardinetto. Detto colle è costituito di arenarie giallastre e azzurrognole, qua compatte là tenere, alternanti con conglomerati ora fortemente cementati, ora quasi incoerenti, le quali mostrano abbondanti esemplari di grandi e piccoli pecten, di ostree e di cardi. 2° Nel monte sulla cui sommità sorge la città di Bovino. Quivi il deposito pliocenico è formato delle roccie arenacee suaccennate e mostra la stessa fauna. Esso comincia ad apparire dal lato orientale, nella parte più elevata del monte e sulla quale è fabbricata gran parte della città, e quindi discende nella parte opposta più verso tra- montana, fino a raggiungere la sponda del sottostante Cervaro. 3° Tra il paese di Deliceto e il soprastante monte Selecchia, dove oitre alle arenarie giallastre più o meno tenere, affiorano le sotto- poste argille azzurre. 4° Nel fianco occidentale del monte su cui si appoggia l’abi- tato di Panni. 5° A Sud presso Orsara-Dauno-Irpina, ed in pochi altri punti adiacenti alcorso del Cervaro, e sempre di assai limitata estensione. Dei suindicati giacimenti pliocenici solo il primo rimane appog—- giato dal lato di ponente sulle argille scistose eoceniche, mentre dal lato opposto viene ricoperto dal doposito quaternario della contigua pianura Foggiana. Tutti gli altri sono completamente addossati sulle roccie eoce— niche e cioè parte sui calcari e parte sugli scisti argillosi. In quanto alla suindicata regione dell’ Irpinia da me percorsa, dirò che il territorio di Lacedonia è in, gran parte costituito da ter- reni pliocenici; vale a dire argille azzurre e sabbie con conglome- rati, analoghe a quelle del Cervaro, e che nel rimanente è occupato da argille scagliose eoceniche. Le roccie plioceniche si estendono da T. Lausente, che scorre ad Est poco lungi dall’abitato di Lacedonia, fino al di là delle così 6 ky 418 M. CASSETTI dette Le Serre nella valle La Scafa, che scorre a ponente dell’abitato stesso, occupa perciò una notevole estensione circostante al paese. Invece nel territorio di Bisaccia il deposito pliocenico si può dire che abbraccia soltanto l’abitato del paese. Il territorio di Rocchetta S. Antonio è totalmente compreso nel terreno eocenico, rappresentato da argille scistose e variegate nelle quali s’intercalano qua e là lembi, più o meno estesi, di calcari com- patti o marnosi e di arenarie giallastre o grigie. Così abbiamo che gli abitati di Lacedonia e di Bisaccia sono fab- bricati sopra due giacimenti di conglomerati sabbiosi più o meno cementati. Se non che, mentre il conglomerato di Lacedonia ri- mane appoggiato su di un banco di sabbie gialle e questo alla sua volta su di un esteso deposito di argille azzurre, che si adagiano sulle argille ,scagliose eoceniche, al contrario il conglomerato di Bisaccia sì sovrappone direttamente e quasi completamente sulle argille scagliose. Ed è precisamente questa la ragione della poca stabilità di questo importante centro agrario dell’ Irpinia, dappoichè il facile franamento delle argille a causa delle pioggie invernali, produce sovente la di- sgregazione e il conseguente scoscendimento del sovrapposto conglo- merato, e quindi il lesionamento più o meno profondo delle case sovrastanti e talvolta il completo crollamento. Questo gravissimo inconveniente, non molto tempo fa, ha for- mato oggetto di studi speciali da parte dell’Ufficio geologico, in se- guito ai giustificati timori sollevati dagli abitanti di quel comune. L’abitato di Rocchetta S. Antonio è addossato in parte su un banco di arenaria calcarea e in parte sulle argille scistose-calcaree, nelle quali detto banco rimane interposto. Da Rocchetta alla valle dell’Ofanto e per una considerevole esten- sione, s’incontrano argille scagliose qua e là intercalate da lembi più o meno estesi di calcari nummulitici di varia struttura, a grossi e piccoli banchi con soventi alternanze di straterelli marnosi: non che. da lembi di arenarie di vario aspetto. * sr Foot De i; 5 co. 0% peli Sie IO TESO D GIONI DELLA APITANATA Ecc. 419 ABRUZZO CHIETINO. Di questa importante ed estesa regione abbruzzese, la parte da me percorsa durante la campagna del 1913 è quella compresa nel fo- glio 174 della Carta dell’ Ist. geog. mil., e che abbraccia quasi tutto il versante orientale della Majella. In una mia nota speciale sulla Majella (1) e nella mia rela- zione sulla campagna geologica del 1912 (2) accennai al fatto che detto versante della Majella è in gran parte costituito da un po- tente deposito di calcare eocenico, il quale a guisa di ampio man- tello, ricopre i calcari cretacei che si affacciano nel versante opposto | prospiciente la conca di Sulmona, e che affiorano altresì nella pro- fonda valle Macchia Lunga che sbocca presso l'abitato di Fara San Martino. Il cennato mantello calcareo-eocenico incomincia a presentarsi lungo la più alta cresta del gruppo montuoso della Majella, nella quale sorge il Monte Amaro, punto culminante del gruppo, e di là | discende con leggiera pendenza per tutto il versante orientale, of-. frendo in tal modo l’aspetto di un immenso piano inclinato, inter- rotto soltanto qua e là da valli d’erosione longitudinali più o meno profonde. Dissi altresì che a siffatto deposito succede una estesa forma zione argillo-marnosa ed arenacea anch'essa eocenica, la quale ri- mane quà e là intercalata, da masse di calcare nummulitico ora compatto, ora marnoso, ora brecciato, non che da depositi di arenarie calcaree e altresì da lembi, generalmente assai limitati, di gesso di varia struttura. i Il contatto tra il suaccennato mantello calcareo e la detta for- mazione argillosa, calcarea, arenacea e gessosa si trova lungo la linea (1) M. CassettI, Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone. (Boll. R. Com. geol., vol. XXXV, 1904). (2) Ip., /telazione preliminare sulla campagna geologica det 1912. (Boll. R. Com. geol., vol. XLIII, 1913). piove eÉr Ù « 420 M. GASSETN © delle ultime pendici del detto versante orientale della Majella, dove giacciono gli abitati di Pennapiedimonte, di Fara S. Martino, di Lama dei Peligni, di Taranto Peligna, mascherato qua e là da lembi più o meno estesi e potenti di detriti di falda. Da tale linea si estende per tutta quella zona di terreno adia- cente al corso dei due fiumi Aventino e Sangro, fino alla loro con- fluenza, innalzandosi sulla sponda destra di quest’ultimo fino ad ol- trepassare la catena del Monte Pallano e raggiungere i paesi di Pe- rano, Atessa e Casalanguida. Così che essa abbraccia in tutto o in parte i territorî dei detti paesi, non che quelli limitrofi di Casoli, Gessopalena, Torricella Pe- ligna, Roccascalegna, Alanno e Bomba, Acquista poi sempre maggiore sviluppo nei successivi territori, adiacenti al lungo corso del Sangro, passando dalla provincia di Chieti a quella del Molise e dell'Aquila, nella quale troviamo le principali sorgenti di detto fiume. Fra i giacimenti delle suindicate roccie che attraversano in vario senso il deposito argilloso, citerò i più importanti, sia per esten- sione come per potenza, essi sono : 1° Quello di calcare marnoso e talvolta compatto con num- muliti, il quale occupa l’alta sponda destra dell’Aventino, da sotto il paese di Casoli fino al Monte Mandramancina, avente cioè una lunghezza di poco meno di 5 kil. ed una larghezza di 1 kil. circa, con una potenza superiore ai 100 metri; 2° Quello pure di calcare marnoso prossimo al precedente e che abbraccia il colle di Santa Riparata ; 3° Quello di calcare marnoso sul quale poggia il paese di Pa— lombari ; 4° Quello di calcare compatto su cui si appoggia il paese di Altino. e che si prolunga fino al di là del Calvario : 5° Quello pure di calcare compatto sul quale è fabbricato il paese di Gessopalena e sul cui lato occidentale si addossa una im- portante massa di gesso cristallino, dove da gran tempo è aperta una cava di questo minerale ; a 24 Cia sN CI SU 6° Quello di calcare compatto sottostante all'abitato di ‘'or- ricella Peligna e che si estende all’altura su cui trovasi la cappella della Madonna del Roseto, da dove discende a S. Giusto sulla sponda destra dell’Aventino ; 7° Quello di calcare compatto con nummuliti che costituisce i monti adiacenti agli abitati dei paesi di Colle di Macine e di Fallascoso; 8° Il giacimento di arenarie grossolane giallastre e brune-mi- cacee sottoposto all’abitato di Roccascalegna, dove si può osservare nettamente la intercalazione di dette arenarie nelle argille eoceniche adiacenti ; 9° Il giacimento pure arenaceo prossimo al precedente e che costituisce il vicino monte di S. Panerazio, dove oltre alla interca- lazione nelle argille si può osservare chiaramente il graduale pas- saggio dalla roccia arenacea a quella calcarea. Di lembi di gesso poi, oltre a quello di Gessopalena sopraccen- nato, ne incontriamo diversi lateralmente al corso dell’ Aventino dalle sue sorgenti fin sotto Civitella Messer Raimondo. Sulla sponda destra del Sangro abbiamo poi l'importante massa di calcari prevalentemente marnosi, la quale dal paese di Bomba si prolunga verso Nord più di 7 chilometri, quasi tutta adiacente al corso del fiume. Questa roccia in alcuni dati punti viene estratta ed utilizzata per la fabbricazione del cemento. i A tal uopo vicino all’abitato di Bomba sorge un importante stabilimento di tal genere. Assai estesa e potente è la massa di calcare compatto che forma il soprastante Monte Pallano, la cui cima si eleva a 1020 m. sul mare, la quale massa si mostra ad Est fin sotto l’abitato di Tornareccia e a Sud fino al Bosco Fonte Campana, per ricomparire al contiguo Colle Batino. Non meno importante è la massa di calcare compatto che fa seguito a Nord a quella precedente, la quale dalla R. Portella s’inoltra nel Monte La Serra, oltrepassa l’abitato di Archi e raggiunge il colle La Guardia poco lungi dal paese di Perano sulla sponda destra del Sangro. * tibia do ” M. CASSETTI. | Come nelle suddescritte regioni della Capitanata e dell’ Irpinia, anche nella regione abruzzese di cui si tratta, il periodo miocenico non è affatto rappresentato, e perciò dal terreno eocenico si passa senz'altro a quello pliocenico, che vi si appoggia in evidente discor— danza di stratificazione. I depositi pliocenici sono principalmente costituiti di argille az- zutre sulle quali si adagiano concordemente più o meno estesi gia- cimenti di sabbie e di conglomerati sabbiosi. Ai detti depositi succedono le panchine quaternarie formate da ciottoleti generalmente incoerenti 0 poco cementati. I terreni pliocenici e quaternari si estendono dalla valle del Sangro a quella del Pescara a Nord-Ovest e a quella del Trigno a Sud-Est e quindi s’' inoltrano fino alla sponda adriatica. Il Pliocene comincia a presentarsi nei finitimi territori di Ca- salanguida, Atessa e Perano, e prosegue nella sponda sinistra del Sangro e dell’ Aventino, lungo la quale, in aleune limitate zone, l’ero- sione ha messo allo scoperto le sottostanti argille scagliose eoceniche. Esso si affaccia nel territorio di Guardiagrele, dove lascia il con- tatto colle argille scagliose e si sovrappone direttamente sul man- tello calcareo-eocenico, che scende dai monti della Majella. ABRUZZO AQUILANO. La regione abruzzese da me percorsa nella campagna del 1913 rimane compresa nei due quadranti orientali del foglio 139 della Carta dell’Ist. geog. mil. e precisamente si tratta di quella zona montuosa che s’innalza sulla sponda destra dell’ Aterno e che si estende da Pizzoli alla conca di Montereale, dove, com'è noto, sca- turiscono le prime sorgenti di detto fiume. La grande linea di frattura, la quale partendo dalla conca di Sulmona segue la valle dell’ Aterno, già descritta in una mia nota Ji speciale (1), s' inoltra al di là della città dell’ Aquila, oltrepassa Pizzoli fa ,e termina nella stretta valle deil’Aterno presso l’abitato di Marano. (1) M. CassetTI, Sulla struttura geologica del bacino dell'Aterno da Aquila a Sulmona (Boll. R. Com. geol. vol. XL, 1909). Mu * " Da, À fi Ji. n APPUNTI GEOLOGICI SU ALCUNE REGIONI DELLA CAPITANATA ECC. 423 Per effetto di tale frattura la formazione calcareo-dolomitica, che costituisce la catena di monti dell’alta sponda sinistra dell’ Aterno a Nord di Aquila, e cioè il Monte Pettine e la successiva serie di monti sopra Pizzoli, si trova notevolmente rialzata dal lato di Sud- Ovest, così che in questo versante si affacciano le testate degli strati calcareo-dolomitici per una potenza di qualche centinaio di metri e con una stratificazione pendente verso Nord-Est. Al Monte Pettine si osservano in basso strati di dolomie e poscia una serie di strati di calcare con ammoniti, già riconosciuti come appartenenti al Lias medio e illustrati dal Prof. Chelussi (1). Sui detti calcari liasici si appoggiano in discordanza strati di calcare con selce indubbiamente eocenici. Ora nella successiva catena di monti sopra Pizzoli non solo si incontrano le medesime roccie del Monte Pettine, ma i rispettivi affioramenti sono in esatta corrispondenza fra di loro, anzi direi quasi in una certa continuità, giacchè questa è semplicemente in- terrotta lungo la valle adiacente all’abitato di Arischia, dove gli strati eocenici si abbassano fino a toccare la sponda del fiume. Pertanto sembrerebbe che, sia nel M. Pettine sia nella successiva costa sopra Pizzoli, si passi senz’ altro dal terreno liasico a quello eocenico. Ma l'ing. Crema che attraversò la catena di monti sopra Piz- zoli, nell’estate del 1913 per preparare il programma delle gite della Soc età Geologica, in occasione della sua riunione ad Aquila, afferma che tra il Lias e 1’ Eocene si interpongono piccoli affioramenti di cal- cari secondari, appartenenti al giurese e al cretacico. Questo fatto sarebbe stato da lui constatato percorrendo la rotabile che valica detta catena di monti, passando dalla valle dell’Aterno a quella del Vomano. Allo stato attuale delle mie conoscenze della regione in esame non posso nè ammettere nè escludere tale affermazione, e mi riserbo (1) I. CheLUSSI, Sulla geologia della conca Aquilana. (Atti della Soc. ital. di Sc. Nat. vol, XLII, 1903). M. CASSETTI di studiare meglio la serie di quei calcari non appena avrò l’oppor- tunità di ritornare sul posto. Ad ogni buon fine dirò che non è affatto nuovo il caso della diretta sovrapposizione dei calcari eocenici su quelli liasici, e come esempio assai evidente ne citerò uno, che facilmente può consta- tarsi, quello cioè del versante orientale del non lontano M. Prezza (1) lungo il quale scorre, parte a mezza costa e parte in brevi gallerie, il tronco di strada ferrata che scende a Sulmona della linea Roma- Castellammare. Ivi detta strada attraversa e taglia precisamente prima i calcari nummulitici dei dintorni della stazione di Prezza e subito dopo quelli liasici dei dintorni della successiva stazione di Anversa-Scanno. Nel gruppo montuoso di cui ci occupiamo, oltre la grande linea di frattura sopraccennata, se ne incontra un’altra di limitata esten- sione, ad oriente poco discosta della precedente e a questa quasi perfettamente parallela. Tale piccola linea di frattura passa precisamente lungo la così detta Fossa Grande che, partendo dal piccolo altipiano adiacente alla borgata denominata Ajelli, lambisce la base del versante Sud- Ovest del M. Mozzano e sbocca nella conca di Montereale, separando questo monte dalla contigua catena di monti dell’alta sponda sinistra dell’Aterno tra S. Pellino e Marano. La presenza di questa frattura è evidente; difatti tanto il M. Mozzano come la citata catena di monti sono costituiti di cal- cari liasici sormontati da calcari eocenici con nummuliti; ora si osserva che gli strati di detti calcari sono egualmente rialzati dal lato di S.0. con lieve pendenza a N.E., per modo che nei rispettivi versanti di S.0O. si vedono apparire le testate degli strati predetti. Ne viene di conseguenza che i banchi di calcare nummulitico, che occupano la parte più alta del Monte Castiglione, del Colle Ca- stelmanno e del Monte La Folagna, appartenenti alla detta catena, discendendo, some abbiamo detto, a S.E. vanno a battere contro le (1) M. CassertI, Da Avezzano a Sulmona. Osservazioni geologiche fatte l’anno 1903 nell’Abruzzo Aquilano. (Boll. R. Com. geol. vol. XXXV, 1904). CAI DIL ea ti A: » n de. o: UV CA OGICI SU ALCUNE REGIONI DELLA CAPITANATA ECC. APPUNTI GEO) bu bdicia: testate degli strati di calcare liasico del M. Mozzano, venendo in tal modo a trovarsi ad un livello assai più basso dei corrispondenti banchi di calcare nummulitico sovrastanti ai predetti strati di calcare liasico. Ci troviamo perciò di fronte a quel fenomeno assai frequente nella catena appenninica centrale e meridionale, e cioè ad una serie di fratture a gradini, nel modo indicato dal seguente schizzo di se- zione geologica. F'AIerno M' Castelmanno F Grande M Mozzano’ Gli accennati banchi di calcare nummulitico del M. Castelmanno ‘@ del contiguo M. Castiglione, proseguendo verso N.-N.0. con una pendenza di 10° a 15°, s’inoltrano fino a raggiungere da una parte la conca di Montereale e dall’altra la valle dell’Aterno a monte del paese di Marano. Nella conca di Montereale detti banchi s'immergono sotto il mantello alluvionale che occupa detta conca, invece nell’accennato tratto di valle dell’Aterno essi passano gradatamente a scisti cal- carei marnosi, ai quali fa seguito una formazione arenacea @ grossi e piccoli banchi alternanti con letti argillo-marnosi, e questa forma- zione si estende per parecchi chilometri attorno alla conca di Mon- tereale, fino a raggiungere il territorio di Campotosto, dove tro- viamo il noto bacino che racchiude quell’importante deposito tor- boso, che ora si tenta di utilizzare. Tale deposito arenaceo marnoso, che s’inoltra altresì nel terri- torio di Amatrice, assai presumibilmente appartiene al periodo miocenico, ma stante il fatto di non esservisi trovati sino ad oggi giacimenti di fossili caratteristici, tale riferimento non può venire ammesso che in modo affatto dubitativo. i È BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA fe PER L’ANNO 1912. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1912 0) AIRAGHI C. — I molluschi degli scisti bituminosi di Besano in Lombardia. (Atti Soc. it. sc. nat. e Museo Civ. st. nat., Milano, vol. LI, fasce. 19, pag. 1-30, con 4 tav.). — Pavia. Osserva l’autore che mentre i numerosi e ben conservati resti ittiolitici rinvenuti negli scisti bituminosi di Besano vennero illustrati da diversi stu- diosi e sono quindi ben noti, scarse sono invece le notizie che si hanno in- torno ai molluschi racchiusi nella medesima formazione: ciò che l’indusse ad imprenderne lo studio, giovandosi del materiale proveniente dalle loca- lità denominate Cà del Frate, Vallone, M. Casolo e Tre Fontane. Gli studi dell'autore portarono a stabilire che i fossili di cui trattasi si trovano negli strati più profondi della potente zona scisto-bituminosa rite - ribile al Muschelkalk inferiore, e precisamente alla zona a Ceratites trinodosus. Lo studio dei pesci fossili invece, eseguito dal De Alessandri, porterebbe ad attribiure la formazione di Besano al periodo raibliano; ma, stante il pic- colo numero di forme di pesci trovate in altre località, l’autore è d’avviso che la fauna a pesci di Besano debba considerarsi come propria della zona" a Cera- tites trinodosus, supposizione che sembrerebbe confermata anche da consi- derazioni stratigrafiche. L’autore ha potuto determinare 43 specie di molluschi, tra cui 14 forme nuove. (EURES): ALMAGIÀ R. — I laghi dell’ Abruzzo. (Atti VII Congr. geogr. it., pag. 284-288. Palermo 1911). Oltre un’ottantina di laghi, di cui più della metà ubicati a 1000 e più metri sul livello del mare, aleuni probabilmente d’origine glaciale, altri con- nessi a frane od a fenomeni carsici, si trovano nell’ Abruzzo. (1) Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. è 4 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Benchè poco noti l’autore ne rileva tuttavia la non lieve importanza per gli studi e le deduzioni a cui possono dar luogo. (E. TISSI). ALMAGIÀ R. — Neue Untersuchungen und offene Fragen iiber di Morpho- logie des Zentral-Apennin. (Geogr. Zeitschr., Bd. 18 - H. 5, pag. 255-269). — Leipzig. Osserva anzitutto l’autore come le cognizioni che tuttodì si posseggono intorno alla geografia fisica dell’Appennino ed in particolar modo dell’Ap- pennino Centrale sono, purtroppo, scarse e incomplete, mentre assai meglio studiata è stata, da parte dei geografi e dei geologi italiani, la estesa catena alpina, e la ragione di ciò va — secondo l’autore — attribuita alle difficoltà di accesso e di soggiorno che, fino a pochi anni addietro, presentarono le pro- vincie abruzzesi e quelle ad esse contermini. Fatti alcuni cenni ed esposte alcune considerazioni relativamente agli studi finora compiuti sulla regione di cui trattasi, studi che — ad eccezione di quello del Sacco — sono tutti frammentari e slegati, l’autore descrive la geomorfologia ed orotettonica della zona appenninica centrale; accenna alle differenze stratigrafiche dei vari orizzonti terziari della zona subappenninica del versante adriatico; allo incerto ed incompleto studio morfologico dei fiumi, venendo quindi a parlare dei tre ordini di fenomeni naturali che, secondo lui, hanno contribuito ad imprimere all’Appennino Centrale la sua attuale configurazione e fisionomia, e che sono: il glacialismo, il carsismo ed i pro- cessi franosi delle formazioni argillose. Relativamente al primo dei citati ordini di fatti osserva l’autore come i più recenti studi sulla regione abbiano portato alla constatazione che in tutti i principali gruppi montuosi dell'Appennino Centrale esistano indubbie tracce di antiche glaciazioni. Tali traccie si manifestano più per fenomeni carsici che per accumula- zioni moreniche: quest’ultime, benchè non manchino nell’ Appennino, pre- sentano tuttavia caratteri e distribuzione assai diversi da quelli delle morene del sistema alpino e sono d’ordinario costituite da materiali di differente na- tura ed origine. Riguardo ai fenomeni carsici rileva l’autore come i medesimi presen- tino nell'Appennino Centrale una straordinaria estensione e una non comune varietà di manifestazioni. Non mancano, infatti, esempi di grotte orizzontali, di idrografia sotter- ranea, di valli a sfondo cieco, di concavità a forma di piatto o di scodella, e, sopratutto, delle depressioni a grande ampiezza periferica, che ricordano (9) | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 le polje del Carso balcanico ed hanno non poca importanza oltre che dal punto di vista orografico anche da quello idrografico e climatologico. Recenti studi sui fenomeni carsici dell'Abruzzo hanno prospettato la probabile esistenza di più livelli d’erosione carsica, aventi approssimativa- mente la medesima altezza nei diversi gruppi montuosi. Le parti centrali dei grandi massicci calcari sono povere di sorgenti: tutte le acque si infiltrano nella massa calcarea e vengono poi a giorno in copiose sorgenti alle falde dei massicci medesimi. Tali sono le sorgenti di Nocera Umbra, di Peschiera nella valle del Velino, di Stiffe nella valle dell’Aterno, quella famosa di Villalago, quella di Capo Pescara, quelle di Verde e del- l’Aventino ai piedi della Maiella, quella del Volturno (Meta), di Bojano, Pie- dimonte e Telese ai piedi del Matese ecc., ciascuna delle quali meriterebbe uno speciale studio in relazione alla loro consistenza ed alle condizioni di temperatura, troppo incompleti essendo — secondo l’autore — i dati conte- nuti nelle Memorie illustrative della Carta idrografica d’Italia. Descrive quindi l’autore l’imponente e complesso fenomeno delle frane, che interessano specialmente le formazioni terziarie rivestenti i massicci dei due opposti versanti adriatico e tirreno e che sono specialmente costituite dalle argille turchine del Pliocene inferiore. Connessi alle frane sono i così detti Calanchi, costituenti essi pure un fenomeno caratteristico ed esclusivo delle zone argillose plioceniche. Tutti gli anzidetti fenomeni imprimono, naturalmente, alla regione un profilo morfologico speciale ed hanno altresì una decisa importanza nei ri- guardi antropogeografici, onde un più approfondito studio dei fenomeni me- desimi meriterebbe, qui più che altrove, di essere preso in seria considera - zione dai geografi. (E. TISSI). ALMAGIÀ R. — La Cirenaica: il paese e i suoi aspetti nel passato e nel pre- sente. (Boll. Soc. geogr. it., S. V, Vol. I°, N.° 5, pag. 479-504). — Roma. In questa memoria, che compendia una conferenza tenuta dall'autore l11 febbraio 1912 nell'Aula Magna del Collegio Romano, sono deseritte le vicissitudini storiche che interessano la Cirenaica, le ragioni della sua antica opulenza, dei suoi fiorenti commerci, dei suoi ricchi prodotti, nonchè le cause del suo successivo decadimento. Sono quindi tratteggiati i caratteri morfologici e la struttura geologica della regione. Il suolo dell’Altipiano è costituito, a quanto pare, in massima parte da calcari terziari (forse eocenici) molto fessurati e perciò permeabi- lissimi; le alture litoranee sembrano formate da arenarie tenere, che fasciano mer de n Ria lA 0 ae Ga 6 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 i calcari, specialmente nella parte occidentale. Molto frequenti sembrano essere nei calcari le conche superficiali chiuse (doline) e le cavità sotterranee, ossia i fenomeni che caratterizzano il paesaggio carsico. Alcune delle maggiori conche sono occupate da laghetti; quelle asciutte sono riempite — come accade nelle regioni carsiche — di terra rossa. L’acqua di pioggia s’infiltra quasi tutta nel sottosuolo e probabilmente affluisce al mare per vie sotterranee o per sorgenti subacque; non vi sono corsi d’acqua superficiali perenni, ma solo letti normalmente asciutti, i quali convogliano acqua soltanto quando le pioggie invernali sono così persistenti ed abbondanti che il suolo non può subito interamente assorbirle. Il più im- portante tra questi è l’uadi che sbocca a Derna, ma molti altri minori inci- dono la ripida costa ad ovest di Derna e durante l’inverno portano diret- tamente al mare una parte dell’acqua che cade sull’altipiano. Ricordando gli avanzi di imponenti opere idrauliche romane che tuttodì si incontrano in molti punti di queila vasta regione, l’autore prospetta l’im- portanza che hanno oggidì le ricerche intese a riconoscere le profondità, l'andamento ed il regime delle acque sotterranee, per dedurne gli elementi necessari alla loro utilizzazione sia nella fascia costiera sia nell’interno. (E. TISSI). ALoIsI P. — Tremolite del Monte Perone (Elba). (Proc. verb. della Soc. tosc., Vol. XXI, N. 5, pag. 62-65). — Pisa. Nella peridotite del monte Perone è stata constatata la presenza di un anfibolo in fibre minutissime, sensibilmente diverso, tanto eristallografica- mente che chimicamente, dai pochi minerali anfibolici del Monte Capanne, dei quali si hanno speciali descrizioni. L’anfibolo del Perone è un termine monoelino; ha rifrazione e birifrazione notevoli, per quanto minori di quelle del peridoto al quale è associato, e mostra talvolta un leggero intorbidamento per incipiente alterazione. I risultati dei saggi chimici hanno portato a stabilire che questo anfibolo è quasi esclusivamente costituito da molecole tremolitiche, alle quali si as- sociano in piccolissime quantità le attinolitiehe e le allumino-alealine. Oltre all’anfibolo ora descritto la peridotite del monte Perone contiene in grande quantità l’olivina; abbondanti vi sono la magnetite e il ferro titanato, accessori e scarsi serpentino, opale, talco, prodotti secondari ferruginosi. Soggiunge l’autore essere assai difficile lo stabilire con certezza se la tre- molite di cui trattasi sia originaria o no: una certa quantità di caratteri indu- cono tuttavia ad ammettere l’origine secondaria a spese, in buona parte, del peridoto. (E. TISSI). pr BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 ALOISI P. — Cerussite ed Anglesite di Rosseto (Elba). (Proc. verb. della Soc. tosce., Vol. XXI, N. 4, pag. 43-48 con 6 fig.). — Pisa. Nel Maggio 1912 l’autore raccolse alla miniera di Rio (Cantiere Rosseto) parecchi campioni di galena contenenti la cerussite e l’anglesite, minerali non ancora noti in cristalli all’isola d'Elba e dei quali sono in questa nota descritti ed illustrati i caratteri cristallografici. (E- ‘TESsi). ALOISI P. — Rocce dioritiche del Monte Capanne (Elba). (Estr. dai proc. verb. della Soc. tose., opuse. di 11 pag.). — Pisa. L’ A. fa una chiara descrizione dei principali tipi di roccie dioritiche del M. Capanne, le quali non presentano sempre lo stesso abito, ma, attraverso una numerosa serie di tipi intermedî, variano da un tipo normale a grana relativamente grossa e a struttura ipidiomorfa quasiisometrica, ad un tipo a grana minutissima con forte tendenza alla struttura: spilitica ed a quella por- firica, e con forte prevalenza dell’anfibolo sui feldspati. Egli conclude sui rapporti che corrono fra'la struttura e la composizione mineralogica, osservando che a mano a mano che dai tipi a grana maggiore si passa a quelli a grana minuta con tendenza alla struttura porfirico-spi- litica, si ha un progressivo aumento nella basicità del feldspato ed una dimi- nuzione della sua quantità a vantaggio dell’elemento anfibolico. L’A. accenna anche al fatto che sembra esistere un certo nesso fra le roccie dioritiche descritte e certe anfiboliti orniblendiche di varie località del M. Capanne, come può darsi che vi sia un legame genetico fra queste stesse dioriti ed un tipo molto singolare di roccia anfibolica rinvenuto dell’A. presso Pomonte. (E 0125) ALPAGO R. — Ricerche sulla radioattività dei prodotti delle sorgenti termali euganee. (Atti R. Ist. ven., Tomo LXXI, parte 2?, disp. 72, pag. 1013— 1023). — Venezia. ALPAGO R. e DELL'ACQUA G. — Ricerche chimiche e radioattive di un fango termale. Nota VI. (Atti R, Ist. veneto, LXXI. disp. 10, pag. 1615-1638). Venezia. Gli studi degli autori furono eseguiti allo intento di ricercare a quale elemento fosse principalmente dovuta la radioattività dei fanghi di Monte- grotto (Terme Cittadella - Vigodarzere), che erano stati in precedenza stu- diati dal prof. Vicentini. 8 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ire + ci ITALIANA, 1912 Dalle effettuate ricerche è risultato che l’elemento radioattivo princi- pale di quei fanghi è il torio, ma non è tuttavia da escludersi la presenza . di qualche altro elemento radioattivo. Il torio è contenuto in quantità approssimativamente eguale a 0.02 di idrato per cento di fango secco. (E. TISSI). ALvIsi U. — L'acqua Santa di Ostra (prov. di Ancona). (Rend. Soc. chim. it., S. II, Vol. IV, fasc. XI, pag. 291-292). — Roma. L’autore avendo avuto occasione recentemente di analizzare quest’acqua minerale, nota fino dal Medio Evo, ne presenta ]Ja composizione seguente : Solfato ‘di’ sodio i i 4. gr. ae36:507 persino! » di MIAsnesio- ie Re CO 35,92 ” bicarbonato di sodio . . . . >» 0,22 » cloruro Dt dr na 3,25 » Solfabo:di potassio dr raro 0,96 » Di? SSTLICRICIO N e n a RO 0,96 » Temperatura = 169. (G. A.) ANDREUCCI A. — Avanzi di Elephas Meridionalis rinvenuti a San Gimignano (Siena) ed a Lari (Pisa). (Riv. it. di Paleont., Anno XXIII, fase. II-III, pag. 88-90). — Parma. I fossili di San Gimignano, pertinenti alla piccola raccolta paleontologica annessa alla Biblioteca di quel Comune, comprendono un osso iliaco destro, un osso iliaco sinistro ed una scapola destra e sono tutti più o meno fram- mentari. Furono rinvenuti nell’anno 1885 nel letto del torrente Imbrotoni e donati alla Biblioteca comunale. Quanto al fossile di Lari. si tratta di un incisivo adulto sinistro quasi completo. I terreni ove i suddetti resti furono trovati appartengono al Pliocene marino superiore. All’Imbrotoni, in quel di San Gimignano, il calcare plioce- nico ricuopre direttamente il calcare cavernoso retico; i dintorni di Lari sono formati di sedimenti marini rappresentati da sabbie ed argille ad Ostrea cochlear. L’autore ritiene che tutti i suddetti resti siano da riferirsi all’ Elephas meridionalis. (E. Trssi). =) BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 9 ANDREUCCI À. — Crani umani presunti quaternari di S. Gimignano (Siena). (Riv. it. di Paleont., Anno XVIII, fase. II-III, pag. 37). — Parma. L’autore ritiene che gli avanzi, in numero di tre, da lui esaminati e de- scritti debbano riferirsi al Quaternario recente. (E. TIssI). ANGELINI V. — Le miniere di ferro di Cogne in Val d’ Aosta. (Rass. Min. Vol. XXXVI-N.° 7 pag. 128). — Torino. = Breve esposizione del programma tecnico-industriale della Società col- tivatrice delle miniere. ((VEEND): ARTINI E. — Sulla composizione mineralogica di alcune sabbie e terreni della Tripolitania e dell’ Algeria. (Atti Soc. it. sc. nat., e Museo Civ. st. nat. Milano, Vol. LI, fasc. 2.0, pag. 135-144). — Pavia. Premesso che sulla composizione mineralogica delle sabbie e dei terreni della Tripolitania poco si conosce finora con sicurezza, l’autore presenta in questa nota i risultati delle indagini da lui compiute sopra sei campioni di sabbie raccolte in una zona prossima a Tripoli, e precisamente: 1.0) — Terra dell’oasi presso Tripoli; 2.9) — Terra di un palmeto ad ovest di Tripoli, presso il campo d’a- viazione; 3.9) — Sabbia del deserto, fuori dell’oasi di Tripoli; 4.9) — Terra di Ain-Zara; 5.°) — Terreno ondulato. coltivato ad orzo, presso Gargaresch; 6.9) — Terra presso Gargaresch, verso Zanzur. Il colore di tali sabbie è il giallo-rossastro, ossia il colore tipico delle sabbie desertiche, dovuto ad una patina superficiale di ossido ferrico che ne inerosta parzialmente i granuli. Quanto alla composizione granolumetrica è facile riconoscere che le sabbie in parola risultano da due gruppi di componenti di origine e dimen- sioni medie molto diverse; una parte calcarea, più grossolana, di colore bianco- rossiccio, ed una parte silicea, più minuta, di tinta fulva abbastanza carica; la diversità della grana è così spiccata che con una semplice stacciatura si può separare la massima parte dei carbonati dalla vera arena silicea. In que- st’ultima, malgrado la sua finezza e l'uniformità della grana, è quasi trascu- rabile la quantità di limo impalpabile che può ottenersene con la levigazione. Caratteristico ed evidentissimo è l'arrotondamento degli spigoli che pre- sentano molti dei minerali, anche quelli durissimi, come il quarzo, la torma- lina, il granato, lo zircone. LA $ “i e” 10 BIBLIOGRAFIA GEULOGICA ITALIANA, 1912" Trascurando il calcare, la cui proporzione varia grandemente da sab- bia a sabbia, la composizione mineralogica degli altri componenti è quasi identica in tutti i campioni esaminati. Oltre il quarzo si trova frequente il - feldispato potassico (ortoclasio e microlino), l’orneblenda verde, l’epidoto, la tormalina, il granato (almandino); scarsi i plagiocasi sodico-calcici; rari i pirosseni monoclini, le miche, la glauconite, la titanite, la cianite, la stauro- lite, l’apatite; mancante la selce piromaca. A scopo di confronto con le suddette sabbie l’autore ha pure studiato la composizione mineralogica di una sabbia e di due terre dell’ Algeria, e pre- cisamente: a) sabbie delle dune a sud di Biskra, Sahara algerino; b) Terra dell’oasi di Biskra; c) Terra dell’oasi di Sidi-Okba, L'esame comparativo dimostra che mentre fra i tre campioni provenienti dall’Algeria l’affinità è strettissima, notevoli sono invece le differenze che li distinguono dai materiali delle vicinanze di Tripoli, e ciò tanto per quel che riguarda l’uniformità granulometrica, mancante in quelli, quanto per la presenza, nei medesimi, di quantità non indifferenti di limo calcareo-ar- gilloso. L'elemento calcareo vi è sempre copiosissimo e spesso bituminoso; il quarzo è, per lo più, subordinato alla calcite ed è notevole la presenza del calcedonio organogeno e la rarità di quegli elementi colorati (orneblenda, tormalina, epidoto, zircone, ecc.) che sono invece comuni nelle sabbie di Tri- poli. Notata la presenza dell’apatite ed anche di qualche granulo di fosforite. (E. TISSI). BaLpaccI L. — L'industria mineraria mella Colonia Eritrea. (Rivista del servizio minerario per il 1911, pag. CL XXV-CLXXXI). — Roma. L'autore sintetizza in questo suo seritto quanto ebbe già ad esporre dif- fusamente nella sua Relazione al Ministro degli Affari Esteri (vedasi Biblio - grafia del 1910, pag. 6) aggiungendovi però dati statistici sulla produzione delle miniere aurifere eritree e la descrizione delle importanti saline impian - tate a Massaua fin dal 1905, e che sono ora in via di rapido e prospero sviluppo. (V. UN.) BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 ll BarATTA M. — Contribuzione allo studio delle trasformazioni ‘idrografiche del delta padano avvenute mel secolo XIX. (Boll. Soc. geogr., fasc. XI, pag. 1231-1245, fasc. XII, pag. 1325-1344). — Roma. ‘Questa nota concerne le trasformazioni idrografiche verificatesi nel delta padano durante il secolo XIX, ed ha lo scopo di mettere in evidenza il modo con cui variarono, nell’anzidetto periodo, sia il numero. sia la posizione e l’at- tività dei singoli rami nei quali è venuto e viene a suddividersi il tronco ter- minale del Po. Alcuni di tali rami, comecchè d’antica origine, hanno conser- vata, più o meno attiva, la loro funzionalità, mentre che altri sono già andati o vanno più o meno rapidamente estinguendosi, recando, come necessaria conseguenza, il mutamento della configurazione generale del delta. Le svariatissime vicende del regime idraulico, le varie conquiste o le per- dite fatte da questo o quel ramo, le ostruzioni, le variazioni di portata, gli spostamenti delle foci, — in una parola — le trasformazioni della regione deltoide del nostro massimo fiume sono incessanti, e rappresentano la risultante delle lotte continue tra gli agenti costruttori e le forze demolitrici, la cui intensità è variabile nello spazio e nel tempo. Per mettere maggiormente in evidenza il ciclo delle trasformazioni av- venute nel considerato periodo di tempo, l’autore procede alla descrizione del decorso e delle evoluzioni subite dai singoli rami deltizi cominciando da quello più settentrionale, cioè dalla Maestra, ed illustrando successivamente gli altri che hanno la foce a levante e a sud. ultimo dei quali è il Po di Goro, detto anche Po Vecchio perchè è il più antico del sistema considerato. La nota è illustrata da varie figure intercalate e da una separata carta topografica, nella quale sono segnati, con linee di colore diverso, i limiti risul- tanti dai rilievi geodetici eseguiti negli anni 1786. 1812-13, 1852, 1874, 1893 e 1904. Con i cenni sulle trasformazioni idrografiche del ramo di Goro, l’autore pone fine alla presente 12 nota, alla quale però si riserva di farne seguire un’al- tra intesa a mettere in evidenza le variazioni avvenute in ciascun lobo del- toide durante l’accennato periodo di tempo ed in dipendenza dell’attività dei varii rami deltizî. (E. TISSI). BARATTA M. — Importanza per la geologia e la geografia fisica. della pub- blicazione dei manoscritti di Leonardo da Vinci. (Boll. Soc. geo!. it., Vol. XXX, fasc. 4°., pag. 1007-1014). — Roma. Traendo occasione dalla riunione della Società geologica italiana, avve- nuta in Lecco ne! settembre 1911, l’autore ricorda che quella regione fu il ANI: don ana aiar eri VPN ZANE Ra INS II bce za È eric = Agi È Pi fot Lat, STO a: 3 = ALA e Ri RE 12 Î BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 campo precipuo di un Grande, certamente di uno dei più sommi italiani, di Leonardo da Vinci, che, vero titano dell’intelligenza, con parola quasi profe- tica, oltre tre secoli fa, in tempi dominati dalla superstizione e dall’ igno— ranza, ha divinato alcuni assiomi che costituiscono le basi fondamentali della odierna geologia, ed ha saputo, con la sagace interpretazione dei fenomeni naturali, demolire gli errori prevalenti e tramandarci un sistema geologico in massima ancor tuttodì veritiero. Ricordati gli scienziati italiani e stranieri che resero omaggio alla su- blime mentalità di quel Grande anche in ciò che [attiensi alla scienza della terra, e rilevato che quel gigante del pensiero fu altresì il primo a dimostrare l'origine sedimentaria della maggior parte degli strati terrestri, l’ origine or- ganica dei fossili, ecc. ecc. l’autore dichiara che il miglior monumento che possa erigersi alla memoria del vero fondatore della geologia moderna, l’u nico modo degno di eternarne e celebrarne i singolarissimi meriti, sia ap- punto la pubblicazione dei suoi memorabili seritti, che racchiudono i tesori d’un intelletto altamente sagace e d’uno spirito d’osservazione eccezional- mente acuto. (E. TISSI). BasIiLisKo G. — Uber einige neuventdeckte Hohlen in der Nahe von Canfanaro und Sanvincenti (Istrien). — (Mitt. f. Hòhlenkunde, 1° H., 5 Jahrsg.). — Gratz. La nota concerne la grotta di Sanvincenti, che l’autore ritiene la più bella di tutta l’Istria per le splendide stalattili e per le interessanti inerosta- zioni che vi si ammirano. Sono successivamente descritti il baratro di Pliscovich e la limitrofa caverna, la grotta di Morgani nonchè il pozzo naturale detto « Fombasello » presso Canfanaro, addentrandosi quindi l’autore a parlare della vegetazione e dei caratteri climatologici di quella plaga. (E. TIssI). BASSANI F. e D'ErASMO G. — La Ittiofauna del calcare cretacico di Capo d'Orlando presso Castellammare (Napoli). (Mem. di mat. e fis. della Soc. it. delle Sc., detta dei XL, S. 38, Tomo XVII, pag. 185-241, con $ fig. e 15 tav.). — Roma. L’ittiofauna descritta proviene dai calcari, nei quali sono aperte le grandi cave fra Castellammare e Vico Equenze, che costituiscono le ultime propag- gini settentrionali degli strati superiori delle poderose masse calcaree for- manti la parte centrale è più elevata della penisola di Sorrento: nel ciglio 8u- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 13 periore delle cave questi calcari sono coronati da uno strato di marne ver- dastre ad Orbitoline e Lamellibranchi. Le specie studiate sono nove: Notagogus Pentlandi Ag., Propterus Scac- chi (Costa), Lepidotus minor Ag., Stemmatodus rhombus (Ag.), Coelodus Co- stai Heckel, Leptolepis Brodiei Ag., L. aff. Voithi Ag., Aethalion robustus Tra- quair, Elopopsis Fenzli Heckel. delle quali sei sono cènomaniane. 3 Le Orbitoline indicherebbero secondo il Prever l'appartenenza delle marne fi verdastre che le contengono al Cenomaniano inferiore, mentre secondo il Pa- rona i Lamellibranchi sarebbero piuttosto del Cenomaniano superiore. Gi autori concludono col riferire l’ittiofauna studiata al Cenomaniano È * inferiore tenuto conto dei suoi stretti rapporti con faune più antiche del Neo - ) eretacico. ERI (C. C.) > BASSANI F. e MisuRI A. — Sopra un Delfinorinco del calcare miocenico di Lecce (Ziphiodelphis Abeli Dal Piaz) (Mem. R. Acc. Lincei, S. 5, Vol. IX, pag. 25-48 conl tav. e 6 fir.)) — Roma. Gli autori descrivono in questa memoria un grande frammento di Zè- phiodelphis Abeli Dal Piaz, conservato nel Gabinetto di Storia naturale del- l’Istituto Tecnico di Lecce e costituito da una porzione del rostro e dal tratto superiore del cranio compreso il periatico destro e la cassa timpanica. La specie, ora descritta nel calcare leccese, era nota per gli avanzi trovati nell’a- renaria di Bolzano (Belluno): cosicchè rimangono aumentate le affinità fra questi due giacimenti. (C-5C5). BeNnTIVOGLIO T. — Bibliografia geo-mineralogica e paleontologica del Mo- denese e Reggiano (1906-1910) (Atti Soc. natur. e mat. Modena, S. IV, Vol. XIV, pag. 28). — Modena. Negli Atti della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena, l’au- tore intraprese, fin dal 1901, la pubblicazione della bibliografia geo-mine- ralogica e paleontologica del Modenese e del Reggiano, elencandovi lavori Sea pubblicati dal 1469 al 1900 e poscia fino al 1905. La presente nota contiene il 5 seguito della pubblicazione in parola per il periodo dal 1906 al 1910 (inclu- sivi), ed è corredata da un indice generale degli autori, da un indice delle lo- calità citate nei singoli lavori e dagli indici particolari delle materie trat- tate, le quali concernono la geologia e paleontologia, la mineralogia, l’idro- logia ed i terremoti. (E. TISSI). * Leg I rg LEA Agg = È, pal E nt ro ST. | A L RS SS. de wa: Lab, 14 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 7 BiLLows E. — Analisi di alcuni minerali del Veneto, I: Arduinite, un nuovo minerale (Riv. di min. e crist. it., Vol. XLI, pag. 14 (estratto). — Padova. L’autore analizza e descrive l’arduinite di Val dei Zuccanti, che avrebbe per formola H,; Ca Al, Si} O, Questo minerale fu dapprima descritto come una natrolite rossa e poi come stilbite, ma dalla natrolite differisce per il peso specifico, per la fusibilità e per altri caratteri. Oltre all’arduinite Vautore deserive pure un allofane di Monte Civel- lina, nonchè l’analeimo e l’heulandite di Val dei Zuccanti. (E: LIssl): BiLLows E. — Licerche petrografiche intorno ad alcune rocce del Vicentino. (Riv. di Min. e crist. it., XLI, pag. 65-74). — Padova. Gli studi compiuti dall’autore sui campioni da lui raccolti in varie loca- lità sulla destra dell’Agno portano a stabilire che la srande colata del Monte Altissimo è, in alcuni punti, a facies limburgitica, mentre in altri è meno ba- sica od anche decisamente basaltica, nonostante che unico sia stato il magma eruttivo. Le roccie delle anzidette località sono neovulcaniche mentre quella del Monte Spitz è paleovuleanica. (E. TISSI). BoEGAN 0. — La grotta Dante presso Tolmino. (In Alto, Cron. d. Soc. alp. friulana, XXII, pag. 82-84). — Udine. Questa grotta ha la forma di un corridoio lungo 112 metri, ed immette, internamente, in un vano di 6 metri di altezza e di 28 metri di diametro. Trovasi nella Valle dell’Isonzo, ad un’altitudine di 252 metri dal mare e dista circa 2 km. da Tolmino, (E. TISSI). BonominI C. — Origine delle marne ‘interstratificate. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX, fasc. 39, pag. 639-646). — Roma. Osserva l’autore che la genesi degli interstrati argillosi e marnosi, spesso papiracei, che separano gli strati rocciosi, costituisce una questione tuttora controversa, intorno alla quale i vari autori, italiani e stranieri, che sì occu- parono del fenomeno, hanno fornito spiegazioni assai discordanti fra loro. Egli ritiene che la genesi di detti interstrati argillosi e marnosi debba at- tribuirsi ad alterazione e decomposizione graduale e secolare della parte superficiale o facciale dello strato o della roccia su cui tali argille o marne BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 riposano, o, in altri termini, che tali interstrati non rappresentino che la super- ficie paginale degli strati combacianti, decomposta ed alterata per azione chi- mica, rimasta nel posto originario e nella identica forma e modellatura in cui si trovava prima della alterazione. - Soggiunge poi che le argille e le marne differiscono dal ferretto in quanto che quest’ultimo, stato esposto per secolari periodi all’azione] della luce, del- l’aria e del sole, andò soggetto all’ossidazione e sopraossidazione che lo colorì. % mentre ciò non avvenne per le marne”ed argille interstratificate non essendo queste state esposte all’azione dei suddetti agenti. L’autore ritiene altresì che le forze orogenetiche nello smuovere e sol- levare le masse abbiano prodotto nelle parti paginali degli strati una specie di frizione più o meno lenta e più o meno forte, la quale può avere favorito il fenomeno della marnizzazione. (E. TISssI). BonominI C. — Sulle marne interstratificate. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 49, pag. 945-946). — Roma. E° un appendice alla precedente nota dell'autore medesimo sulle marne interstratificate, appendice in cui vengono confutate le obiezioni sollevate da alcuni studiosi alla teoria da lui esposta sulla genesi degli interstrati mar- nosi, che egli suppone originati dalla secolare decomposizione prodotta dal- l’acqua cir:olante fra strato e strato. Osserva al riguardo l’autore che il trovare fossili accantonati non nel corpo degli strati ma fra strato e strato, pare debba attribuirsi alla causa stessa per la quale furono originate le stratificazioni. (EIISS1): Brest E. — Corallari fossili di Angarano presso Ascoli Piceno. (Atti Soc. it. Se. nat., Vol. L, pag. 365-366). — Pavia. : L’A. presenta un elenco di Antozoi rinvenuti nelle marne argillose plio- ceniche del colle di Angarano, a pochi metri dal paese omonimo. La faunula studiata comprende 11 specie e deve considerasi come emi- nentemente tropicale e vissuta a profondità oscillante intorno ai 500 inetri. (CAIC)! Brest E. — La frana della Selva degli abeti in quel di Ascoli Piceno. (Na- tura, Riv. di Sc. nat. II, pag. 207-208). — Milano. L’azione erosiva delle acque interne, che dissolvono impregnazioni di algemma e depositi gessiferi dànno origine a questa frana, che presenta ca- ai 16 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 ratteri di periodicità ed i cui effetti potrebbero, secondo l’autore, essere arre- stati o mitigati con una razionale sistemazione delle acque e col rimbosca- mento delle pendici. (E. TISSI). CACCIAMALI G. B. — La falda di ricoprimento del Monte Guglielmo, con pre- messo schizzo tectonico della Lombardia orientale. I. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 30., 863-876). — Roma. Rileva anzitutto l’autore che la parte montuosa della Lombardia orien- tale è costituita da tre regioni tectonicamente e petrograficamente diverse fra loro, cioè la regione alpina propriamente detta, Za prealpina orobica e la prealpina baldense, le quali sono rispettivamente separate da due delle più importanti fratture che solcano la zona alpina, vale a dire la frattura Valle Tellina-Tonale e quella Valle Giudicarie-Campiglio. L’autore descrive quindi partitamente le su citate tre regioni metten- done in rilievo le differenze petrografiche, morfologiche e tectoniche ed enu- merando le principali pieghe e fratture ordinarie, pieghe carreggiate e frat- ture di carreggiamento, Osserva che mentre nella Lombardia orientale la tectonica delle Alpi propriamente dette dimostra che queste rappresentano una regione a grandi pieghe coricate ed a carreggiamenti molto spinti, la tectonica delle prealpi meridionali, siano esse corrugate a tipo orobico od a tipo baldense, dimostra invece che esse non sono schiettamente nè unaregione a grandi pieghe coricate ed a carreggiamenti assai spinti, nè una regione a tavolato ed a rigetti ver- ticali, ma che vi si riscontrano rigetti verticali associati a pieghe ordinarie ed a carreggiamenti limitati. È Parla quindi della tectonica del {Trias nell’alta Val Trompia e special- mente dal M. Guglielmo, esponendo l’opinione che la frattura a zig-zag sul versante meridionale di quel Monte, già segnatata dal Tilmann, sia la linea di fronte di una falda carreggiata, per cui ritiene che nella Val Trompia non ci troviamo già in presenza di una unica ma bensì di due falde di copertura, di cui una, costituente il massiecio M. Guglielmo-Monte Stalletti, ha sul versante meridionale ed orientale di esso la propria linea di fronte, mentre l’altra va a costituire la cresta della catena Punta dell’ Oro-M. Redon- done-M. Valmala-Dosso Fontanazzo-M. Nistola-M. Pergna. L’autore conclude col dichiarare che. a suo avviso, nell’Oligocene prevalse il tipo orogenico a corrugamento e carreggiamento, le pressioni essendo state ipogee e quindi in masse plastiche; mentre più tardi, cioè nel Pliocene, prevalse invece il tipo orogenico a fratturamento ed affondamento di zolle, essendo state le pressioni epigee, e quindi in masse rigide. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 17 Caputo E. — Lettere dalla Libia. (Riv. geogr. it., Anno XIX, fase. 3-4, pag. 302-313). — Firenze. In questo fascicolo sono contenute tre lettere da Tripoli, scritte dall’au- tore sotto le date del 4 ed 11 febbraio e del3 marzo 1912, al Direttore della Rivista geografica Italiana. Nella prima lettera sono riportate le impressioni che offre il panorama di Tripoli e della bellissima oasi, detta la Menscia, che cinge la città dal lato di mezzogiorno e di levante e che si spinge sin oltre Tagiura con un’area di parecchie diecine di chilometri quadrati. Nella seconda lettera l’autore accenna al regime pluviometrico ed idrico della regione, al vento del deserto (gibli), ai caratteri stratigrafici e litologici dei terreni costituenti la fascia costiera della regione tripolitana, alla piccola el deliziosa oasi di Gurgi, a libeccio di Tripoli, alla metodica e persistente ineuria dimostrata dal Governo turco per tutto ciò che concerneva la situa- zione economica, igienica, stradale, edilizia ecc. della città e dei dintorni, e, finalmente, porge le prime indicazioni sulle operazioni geodetiche e topogra- fiche iniziate per la formazione della carta fondamentale al 100 mila e di quella speciale della Menscia al 25 mila. (ESTISSI). Capuro E. — Lettere dalla Libia. (Riv. geogr. it., Anno XIX, fase. V pag. 368-383). — Firenze. In questo fascicolo sono riportate quattro lettere dell’autore, scritte da Tripoli sotto le seguenti date: 15 e 30 marzo, 5 e 12 aprile 1912. Nella lettera del 15 marzo l’autore porge qualche cenno sulla costituzione geologica della Tripolitania, riportando all’uopo le concezioni del Suess e ricordando le analogie geo—litologiche dei terreni della Sicilia meridionale e della Tunisia e Tripolitania settentrionale. Parla in seguito delle culture ora esistenti o che potrebbero prosperare in avvenire, dei sistemi d’irrigazione e di sollevamento delle acque, della possibilità di stabilire condutture forzate pel trasporto di acqua potabile dalle pendici del Gebel alla costa. La seconda lettera è quasi esclusivamente dedicata allo studio demo- grafico di Tripoli ed alla descrizione de’ caratteri etnici e fisiologici dei vari tipi (ebrei, arabi, beduini, fezzanesi, sudanesi) costituenti la popolazione della città e dei dintorni, alle loro usanze, al modo di vestire, alle rispettive mentalità ed attitudini ece. Nella terza lettera l’autore parla delle necropoli di Tripoli, delle costru- zioni che contrassegnano le sepolture, delle modalità concernenti il seppel- limento dei cadaveri, ecc. 2* TIZIO ETA x RALE Otero VELI ARSA er 18 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Nella quarta lettera è riportato un prospetto dei sudditi turchi dell’ex Vilaiet di Tripoli, ripartiti per regioni, per sesso e per confessionalità religiosa, documento che ha notevole valore per lo studio demografico della Tripoli- tania. (E. ‘Trssi), Caputo E. — Lettere dalla Libia. (Riv. geogr. it.. Anno XIX, fase. 6°, pag. 437-453). — Firenze. Facendo seguito alle sue precedenti corrispondenze da Tripoli, l’autore esprime, in tre successive lettere, le sue impressioni sulla Cirenaica. Nella prima di tali lettere, scritta da Bengàsi in data 18 aprile 1912, egli — dopo un rapido accenno su Homs, vista da bordo del piroscafo « Enna », e del golfo della Gran Syrte — viene a parlare di Bengàsi (che si annunzia da lontano coi suoi due minareti e con le sue bianche case cubiche che sem- brano allineate in lunga fila sul mare), della sua ubicazione, delle sue saline costiere, delle sue sebke (stagni salmastri), del suo paesaggio generale, delle sue condizioni portuali, ecc. Rileva poi l’autore che la stretta fascia litoranea della pianura, quella, cioè, che racchiude le seblke, ha soprasuolo argillo-sabbioso con frammenti rocciosi, mentre nel resto il terreno è prevalentemente calcareo e vi affiorano frequentemente grossi e scivolosi lastroni. La pianura presenta avvallamenti, buche. cavità probabilmente di origine carsica e che non sono avvertibili nella prospettiva generale. Di natura carsica sono probabilmente anche le grandi caverne nelle quali mormorano le acque del Giokh, forse il rappre- sentante dello storico fiume Lete. Nelle adiacenze della città sono numerose le cave di pietra, in esercizio od abbandonate, che interrompono l’uniformità del piano. Parlando della popolazione bengasina l’autore osserva che, come quella di Tripoli, essa è un misto di eterogenei elementi etnografici in cui però è meno numeroso il tipo camitico. | Nella seconda delle lettere scritta pure da Bengàsi in data del 24 aprile 1912, l’autore porge notizie d’ordine complessivo intorno alla Cirenaica, che definisce come una vasta e compatta zona tabulare calcarea rivolta coi margini più accentuati al Mediterraneo e al golfo di Bomba; inclinata, e quindi più aperta, verso la Grande Syrte ed il deserto libico. La regione si riassume nel vastissimo altipiano del Barca, che tocca le maggiori altitudini nella sua parte occidentale e settentrionale. Rohlfs ne dà l'altezza in 1000 metri; l'Haimann in 850, e quest’ultima cifra è forse più attendibile. è BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 119 Il margine settentrionale corre sulle maggiori alture, ad una distanza media dal mare di 40-50 km. e ad oriente di Tolmetta degrada ‘al medesimo con notevole pendio, foggiato quasi ovunque a terrazzi e interrotto da pro- fondi burroni (uidian). Lungo la grande distesa costiera variano il numero e l'ampiezza dei ter- razzi, ma in generale appaiono più numerosi e meno accentuati nella parte occidentale. Nella plaga di Derna, infatti, si osserva un solo e vasto terrazzo all’al- tezza media di 70 metri dalla spiaggia. La striscia dell’altipiano inclinata al Mediterraneo presenta, dunque, varietà di profilo, con gradini, terrazzi, sbocchi di forre e conoidi. Ma ovun- que, o quasi, manca la spiaggia, causa la viva azione erodente del mare, quasi sempre agitato, e quella della forte corrente litoranea proveniente da Ovest. In dipendenza di ciò la costa mal si presta alle esigenze degli ancoraggi moderni, mentre la navigazione antica vi trovava condiziom sufficientemente favorevoli. Certo è che oggi — soggiunge l’autore — la rotta costiera da Bengàsi a Derna induce penosa impressione per l’assenza assoluta di navi, di porti, di fari, lungo quell’immensa distesa di litorale. Nella sua massima parte. ed astrazione fatta dalla pianeggiante cimosa costiera fra Tocra e la Grande Syrte, e di quella di Bomba, in prevalenza co- stituite da depositi quaternari, la Cirenaica è un unico massiccio di rocce cal- caree poco o punto dislocate e sufficientemente ricche di fossili, che ne fanno attribuire l’età al Terziario superiore e medio. Specialmente lungo i nudi fianchi dei profondi burroni (uidian) si mani- festa in tutta evidenza la successione stratigrafica costituita da potenti as- sise biancastre, orizzontali o quasi, ed in esatta corrispondenza sui due op- posti versanti delle forre. Sotto l’azione meteorica le roccie superficiali si arrossano, si sgretolano e si trasformano in una terra ocracea, che accumulatasi col tempo nelle natu- rali depressioni del suolo o in vicinanza della spiaggia, egregiamente si pre- sta alla vegetazione. Altrove, l’assenza delle piante, le impetuose raffiche del ghibli e dei venti di mare, ed i violenti acquazzoni invernali hanno messo anudo i banchi calcarei e indotta la sterilità del soprasuolo. L'autore continua osservando che la natura del terreno dà ragione dell’i- drografia prevalentemente carsica di quasi tutta la Cirenaica; sono ben note infatti le già mentovate caverne del famoso ‘Lete, nella plaga di Bengàsi, ed altrettanto caratteristiche sono le foibe e i catavotri di cui parlano alcuni esploratori. Anche nelle vicinanze di Derna sono accessibili aleune vaste e belle grotte nelle quali scorgonsi vestigia di abitazioni antiche e recenti. A ‘ C3FUTO E. — Lettere dalla Libia. (Riv. geogr. it., Vol XIX, fase. VII, SEI pag. 538-545). — Firenze. 4 «DE Il fascicolo VII, Annata XIX, della Rivista Geografica Italiana, riporta E altre tre lettere dell'autore. che sono le ultime della serie e con le qualij egli SSR chiude il cielo delle sue corrispondenze dense di osservazioni sullo stato pre- a sente e sull’avvenire della nostra grande colonia mediterranea. Se Nella prima di queste tre ultime lettere, datata da Tripoli 5 maggio 1912, S egli comunica la scoperta di tombe romane venute alla luce nello scavare — = la profonda trincea che darà passaggio alla ferrovia di raccordo del porto con AE la futura stazione centrale. Sono cripte scavate nel calcare arenaceo, arredate — = 5 delle loro funeree suppellettili. Ne vennero scoperte cinque o sei, e sono tuite — se interessanti sia per la loro ampiezza, sia peri curiosi particolari di costruzione, a sia per la copia e la bellezza dei ritrovamenti. Trattasi, a quanto pare, di una necropoli dell’antica città romana. Fra le suppellettili sonvi grandi e bellissime anfore in terracotta, specchi e cine- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 21 rari metallici, vasi di vetro azzurrino di squisita fattura, traccie di tessuti, ece., insomma un vero tesoro archeologico di srande interesse scientifico. Chiudono la lettera larghi cenni sui lavori geodetici e topografici com- piuti e da compiersi tanto in Tripolitania quanto in Cirenaica per la compi- lazione della futura carta fondamentale della Libia alla scala di 1:100.000. La seconda lettera è scritta da Makabez (a bordo del V. Florio) in data 7 maggio 1912. Da bordo, col concorso del binoccolo, potevansi rilevare le caratteristi- che morfologiche della costa. Poco o punto spiaggia, e, adimmediato ridosso, formazioni dunose ad essa parallele; la mancanza di piante, di abitati e la gialliecia intonazione generale determinano l’impressione dominante, che è di immensa, uggiosa solitudine. La penisola di Makabez è superficialmente costituita da sabbie bianca- stre marine, ammonticclriate in piccole e disordinate dune. Larga poche cen- tinaia di metri e leggermente convessa, la penisola è lunga parecchi chilo- metri ed è coperta di poco sparto, da lentischi e da poche palme nane. L’autore ha potuto notarvi un fenomeno idrografico di notevole interesse, consistente nel fatto che a pochissima profondità, talvolta ad un solo metro dalla superficie, si trova quasi dappertutto acqua dolce o quasi tale, e suf- ficientemente limpida, mentre che scavando ulteriormente s'incontrano ac- que salmastre ed anche salmastre e sulfuree ad un tempo. Chiudono la lettera alcune ipotesi dell’autore intese alla spiegazione del citato fenomeno, nonchè la descrizione di alcune particolarità concernenti la morfologia della lunga insenatura marina che determina la penisola di Ma- kabez ed il profilo del suo fondo. Nell'ultima lettera, seritta 1°8 maggio da Tripoli, l’autore rileva che la fascia costiera continentale nei pressi di Makabez è pianeggiante e costi- tuita di nudo terreno calcareo-argilloso. I banchi di calcare frequentemente affiorano: trattasi di formazioni terziarie, pressochè orizzontali, poco com- patte, spesso cavernose, analoghe cioè ai calcari delle adiacenze di Tripoli. Il tratto di costa di Zuara, di Tripoli Vecchia, di Zavia ecc. visto dal- l’autore nel ritorno a Tripoli sulla torpediniera « Alcione » presenta preva- lentemente il tipo di costa dunosa e povera di spiaggia; questa poi manca af- fatto in qualche tratto, ed allora ricorda la costa a falaise, corrispondente alle batterie Hamidié e Sultania presso Tripoli. (Bisso) BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 ST CARLIFANTI E. — Studio analitico sull Acqua salutare Gabinia detta « Meo» 74 presso Anagni e Gavignano in provincia di Roma. (Estr. dall’ Archivio di Farmacologia sperim. e Se. affini, Anno XI, Vol. XIII, opus. di 15 pag). Siena. L'acqua salutare Gabinia detta « Meo » scaturisce da formazioni vulca- niche in territorio comunale di Gavignano (Roma), non molto lungi dalla stazione ferroviaria di Anagni, alla quota di circa 210 m. sul mare. Essa sgorga limpidissima, perfettamente inodora ed incolora e non svolge bollicine gassose. Appartiene a quella categoria di acque che vanno sotto il nome di « oligo- sa metalliche », e contiene una rilevante quantità di silice. j (E. TISSI). E CARNEVALE P. — Fadiolarie e Silicoflagellati di Bergonzano (Reggio Emilia). Foa (Mem. d. R. Ist. Veneto, XXVIII, 4°, pag. 40). — Venezia. aa L'autore descrive e disegna 86 forme nuove di Radiolarie da lui studiate 5° sul materiale raccolto dallo Squinabol nel tripoli di Bergonzano (Reggio E- $ S milia), spettante al Miocene medio. Nell’indicate forme sono nuovi i due generi Dorydiscus e Doryphacus; le Dictyocha vengono tolte dai Radiolari ed assegnate invece ai Flagellati. Pie (E. TISSI). 1 CasoRIA E. — Le sabbie e le ceneri vesuviane cadute a Portici nel mese di Aprile dell’anno 1906. (Ann. Scuola sup. agr. Portici (2), IX, 1909, pag. 26). — Portici. e In questa nota, rimasta per qualche anno inedita per la morte dell’autore 5 e poscia pubblicata a cura del Direttore della R. Scuola Agraria di Portici, 308 sono raccolte interessanti notizie sulle sabbie e sulle ceneri eruttate dal è: Vesuvio nell'Aprile 1906, le quali differiscono tra loro per vari caratteri. È Così la sabbia vulcanica caduta in Portici dal 4 all’8 aprile può rite— AS nersi costituita dal magma grossolanamente triturato dalla violenza delle © esplosioni. Era di colore bruno, pesante, con granelli aventi diametri va— tali riabili fra, 2 millimeri ed 13 di millimetro. Questa sabbia fu ricoperta, nel giorno 9 aprile, da un poderoso strato di cenere grigia costituita dal materiale lavico più attenuato e commisto con i detriti derivanti dal franamento del cono vesuviano. PI Nei giorni 10, 11 e 12 aprile si ebbe emissione di cenere finissima di color a biondo rossiccio caratteristico; finalmente nei giorni 15 e 21 aprile il materiale rigettato dal vulcano era polverulento e di color grigio chiaro. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 23 L'autore ha potuto raccogliere, separatamente e diligentemente, quasi ora per ora, le diverse sabbie e ceneri sopra mentovate e sottoporle a nume- rose analisi chimiche, delle quali espone i risultati. (E. TISSI). CerULLI-IRELLI S. — Fauna malacologica Mariana (Parte sesta) Cerithii- dae, Cerithiopsidae, Triforidae, Diastomidae, Vermetidae, Mathildidae, Caecidae. (Paleontogr. it., Vol. XVIII-1912, pag. 141-169, eon 3 tav.). — Pisa. In questa sesta parte l’autore descrive 3 forme di Cerithium, 3 di Bit- tium, 6 di Cerithiopsis, 3 di Triphara, 9 di Turritella, 4 di Vermetus, 1 di Ce- rithidium, 1 di Mathilda e 4 di Caecum. Alcune di queste forme sono nuove. (E. TISSI). CesARÒ (G. — Formes nouvelles dans la phosgénite de S. Giovanni (Sardai- gne). (Bull. Acad. Royal de Belgique, N. 6, 1912, pag. 381-385). — Bruxelles. Nella galena di San Giovanni, insieme a dei grossi cristalli di fosgenite aventi la solita forma, l’autore ha trovato alcune forme cristalline di tipo spe- ciale, che in questa nota egli illustra e descrive. - (E IRISso) CHAPMAN F. — Foraminifera, Ostracoda, and Parasitie Pungi from the Kai- nozoic Limestone of Cyrenaica. (Quart. J. Geol. Soc., Vol. LXVII, pag. 654-661). — London. Osserva l’autore che i calcari di Derna e sue vicinanze sono ricchiin Num- muliti, Ortophragmine e Lepidocycline e di altre forme ch'egli enumera, come sono, del resto, enumerati e descritti tutti i microzoi portati in Inghilterra dal prof. Gregory. I foraminiferi comprendono Nummulites curvispina Meneghini var. major., e si rinvengono in orizzonti stratigrafici che vanno dall’ Eocene al Plei. stocene. Gli Ostracodi si rinvengono nelle due località di Wadi Nagr ed Ain Sciahat, e vi è tra essi compresa la Lowoconcha eyrenaica, specie nuova rife- rita all’Eocene medio. Un fungo proveniente da Wadi Umzigga è riferito a lgenere Palaeachlya. (E. TISSI). 24 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 CHÒeccnia-RIspoLi G. — Sopra alcuni molluschi eocenici della Sicilia (Estr. dal Giorn. di Sc. nat. ed econ., Vol. XXIX, Anno 1912, opuse. in 4° di 26 pag. con 2 tav.). — Palermo. Il materiale esaminato è stato raccolto in 6 distinte località della estesa formazione eocenica siciliana e contiene specie di molluschi appartenenti a più di 28 generi; ma, stante il loro cattivo stato di conservazione, solamente 20 di esse l’A. potè riconoscere con sicurezza, 11 delle quali egli crede specie nuove. Queste ultime provengono 6 dai dintorni di Monreale e cioè : Sradula Di-Stefanoi, R. Normanna, Chlamis monsregalensis, Ampullina Schopeni, Terebellum siculum e Conus Gemmellaroi; 4 dai dintorni di Bagheria, e cioè: Ohlamys Hofmanni, Amussium Zambonini, Nerita Carapezzai e Calyptrea Brocchii; 1 dai dintorni di Termini Imerese, e cioè: la Chlamys himeraensis; Delle specie già note alcune provengono dalle indicate località, altre dai dintorni di Pachino, meno la T'urritella Sulcifera, che proviene da S. Giuseppe Into (Palermo) e la Velates Schraideli da Raffaduli (Girgenti). L’A. dopo una particolareggiata descrizione di ogni esemplare studiato, presenta due tavole fisurative di 14 delle specie descritte. (M. C.). CHECCHIA-RIsPoLI G. — Osservazioni geologiche sull’'Appenino della Ca- pitanata. (Estr. dal Giorn. di Sc. nat. ed econ., Vol. XXIX, Anno 1912, opuse. in 4° di 12 pag.). — Palermo.5 L’A. descrive la struttura geologica della regione comprendente presso a poco i territori di Casalnuovo, Casalvecchio e Castelnuovo della provincia di Capitanata, iniziando così lo studio geologico del circondario di S. Severo di Puglia. I Detta regione abbraccia una {formazione di argille scagliose, identiche a quelle contemporanee della Sicilia. e cioè Fargille di vario aspetto, passanti qua e là a marne, con intercalazioni di banchi di arenarie, strati dij calcari mummulitici e di brecciole mummulitiche, In complesso un deposito che in aleuni punti sorpassa i 500 m. di potenza. corrugato in una serie di ondulazioni parallele e con pendenza generale ad Est. L'A. dà la lista e la determinazione specifica dei foraminiteri contenuti dai calcari e dalle breccie, e ne desume l’appartenenza all’Eocene fe proba- bilmente al Bartoniano s. l., constatando ancora una volta, la coesistenza di Orbitoides s. st. e di Lepidocicline nell’ Eocene. Riporta alcuni fatti cirea la distribuzione dei vari gruppi del genere Or- bitoides per dimostrare il loro scarso valore cronologico. "dl PENETRA Peet et ini i pg vd o ni . i = > È CITA - _ x e ti ro* pa + BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 25 Passa quindi a descrivere i terreni posteriori all’ Eocene, che vi si appog- giano in discordanza, i qual comprendono una serie di strati di argille sabbiose, sabbie argillose e zonule ghiaiose, ciottolose, sovrapposti ad un deposito di argille cenerine. Il primo gruppo di strati lo ritiene quaternario, per la presenza dell’ #- lephas antiquus, già descritto da lui in altro lavoro. In quanto alle sottostanti argille cenerine, egli con la scorta dei fossili e dietro esatti confronti, le riferisce alla parte più elevata del Pliocene, an- zichè al Pliocene inferiore o al Post-pliocene, come vorrebbero altri autori. (M. C.). CHELUSSI I. Le sabbie di tre pozzi trivellati nelle provincie di Padova e Ferrara. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 39, pag: 715-721). — Roma. La nota contiene l’analisi petrografica delle sabbie incontrate colla per- forazione di 3 pozzi trivellati, eseguiti uno a Montagnana (Padova), uno a Conselve (Padova) ed il terzo a S. Giovanni di Ostellato (Ferrara). Del 1°, che raggiunse la profondità di 117 metri sotto il piano di cam- pagna (101 m. sotto il livello del mare), furono raccolti tre campioni; del 29, spinto fino a 121 metri di profondità e 113 sotto il livello del mare, furono pre- levati ed esaminati sei campioni; del 39, spinto fino a metri 131 (129 sotto il livello del mare), furono prelevati ed esaminati nove campioni. Dopo descritti partitamente i caratteri fisici e la natura mineralogica di tutte le accennate sabbie, l’autore dichiara che dal loro esame non possono dedursifconclusioni generali, ma che tuttavia esse dimostrano, almeno fino ad un certo punto, le condizioni della sedimentazione e le località ed i livelli in cui scorrevano o il Po o i fiumi che seendevano dalle Alpi orientali. Un tentativo per constatare se sabbie di uguale livello sotto il mare, prese in diverse regioni, avessero una medesima composizione mineralogica, pare non abbia dato risultati apprezzabili. L’autore ritiene che si potrà serivere la storia della formazione della pianura padana solo quando si potranno avere numerosissime analisi petro- grafiche di una gran parte delle sabbie che la compongono, prese a numerosi e differenti livelli. (195 IRC) CueLUSSsI I. — Nuove ricerche in roccie terziarie di sedimento. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. 1-26). — Roma. Riferendosi ad una sua precedente pubblicazione concernente la presenza di minerali caratteristici, come glaucofane, staurolite, andalusite, cloritoide, 26 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 cianite, ecc. trovati nei residui sabbiosi ottenuti dalla decalcificazione di molti calcari e di molte arenarie mioceniche dell’Italia centrale, provenienti da roccie di sedimento paleontologicamente riferite all’ Elveziano ed al Tortoniano (se- condo piano mediterraneo del Suess), minerali che mancano invece comple- tamente nei residui delle roccie più antiche del Langhiano, del Miocene infe- riore, dell’Eocene e di moltissime formazioni secondarie, l’autore deduce da tali fatti che un criterio sicuro per distinguere l’ Elveziano dal Langhiano, ecc. era appunto la presenza o la mancanza nelle roccie di sedimento dei minerali anzidetti. Però i dubbi sollevati contro tale ipotesi da vari studiosi ed il desiderio altresì di constatare se i sopraesposti eriteri fossero applicabili a roecie ter- ziarie di altre regioni dell’Italia e dell’estero, indussero l’autore ad estendere l'esame su numerosi campioni di roccie specialmente mioceniche, ed i risul- tati che ne ottenne possono riassumersi come segue: 1°) Le roccie sedimentarie elveziane d’Italia e probabilmente anche di altri paesi, sono caratterizzate dalla presenza (nei loro residui sabbiosi ot- tenuti dopo decaleificazione) di minerali speciali, quali gli anfiboli azzurri, il cloritoide, l’andalusite, la cianite ecc, minerali che non furono peranco tro- vati in roccie più antiche del Miocene medio, eccezion fatta di alcune roccie che provengono dall’immediato disfacimento di massicci alpini, prevalente- mente formati da scisti cristallini ; 2°) I minerali di cui trattasi devono essere provenuti da una catena cristallma (Tirrenide) compresa tra la Corsica, le Alpi Occidentali e la costa ligure-toscana, catena che doveva estendersi più a Sud finoltre la Sardegna. Alle varie obbiezioni sollevate da alcuni studiosi contro le argomentazioni di cui sopra, l’autore, a sua volta, ne oppone altre e conclude col dire: a) che le roccie di sedimento elveziane si distinguono dalle langhiane per la presenza nelle prime di minerali caratteristici ; b) che la provenienza, almeno per l’Italia peninsulare, di questi mine- rali è decisamente occidentale; c) che la posizione stratigrafica di una roccia può essere talvolta de- terminata, oltre che dai fossili, anche dalla presenza in essa di minerali carat- teristici, i quali non sono, come le faune, variabili nei loro caratteri a seconda dell'estensione e della profondità degli strati che li contengono. (E. TISSI). CneLussi I. — Di alcuni saggi di fondo del Mediterraneo. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fase. 1-2, pag. 79-88). — Roma. La nota concerne l’esame di 16 saggi di fondo marino, forniti all'autore dal prof. Issel, stati raccolti nel Tirreno in anni diversi, cioè nel periodo de- corso dal 1885 al 1899, a profondità variabili da 1046 a 3630 metri. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 27 Dallo studio di questi pochi saggi, fatto con materiale scarsissimo per ciascuno di essi, non possono dedursi conclusioni sicure; è solo possibile af- fermare che non sempre la profondità e la distanza dalle coste contribuiscono all’impoverimento in m nerali caratteristici dei fondi marini. Per poterne trarre deduzioni concrete, occorre, secondo l’autore, che gli studi si svolgano sopra un numero molto maggiore di saggi, ed esprime il voto che le possibili future prelevazioni siano fatte tre o quattro volte in un me- desimo punto del fondo marino ed alla distanza di qualche mese l'una dal- l’altra, per poter con ciò stabilire se per avventura il tempo non porti varia- zione nella composizione mineralogica dei fondi di mare. (E. TISSI). CaeLussi I. — Nuove contribuzioni alla psammografia dei litorali italiani. II — Sabbie del litorale da Molfetta a Taranto. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 3.9, pag. 725-738). — Roma. Facendo seguito ad una precedente memoria nella quale l’autore descri- veva la composizione mineralogica delle sabbie marine dell’ Adriatico da Ra- venna a Bari, egli espone nella presente nota i risultati delle ricerche ese— guite per stabilire la composizione mineralogica delle sabbie marine da Mol- fetta a Taranto. Descrive pertanto singolarmente i caratteri fisici, chimici e mineralogici delle sabbie raccolte in località prossime a Molfetta, Giovinazzo, S. Spirito, S. Vito, S. Cataldo di Lecce, Maglie di Lecce, Castro leccese, Tricase, S. Maria di Leuca, Bitonto, Bari, Torre Pelosa, Mola, Polignano, Monopoli, Ostuni, Gallipoli e Taranto, dallo studio delle quali trae le seguenti conclusioni: 1.9) Le sabbie marine da Ravenna a Silvi, sul litorale teramano, con- tengono elementi ch'egli chiamò elementi padani, e che possono provenire tanto dal Po quanto dai fiumi dell'Appennino che sfociano nell’ Adriatico; forse in massima parte dal primo e in minima dai secondi. 2.9) Il pirosseno verde, elemento principalissimo delle sabbie da Silvi a Gallipoli nell’Ionio, la magnetite, il plagioclasio basico e talora il gra- nato, provengono da un massiccio cristallino sommerso a non grande pro- fondità nella parte meridionale del bacino Adriatico; 3.9) Le sabbie di S. Cataldo e di Maglie di Lecce meritano speciale considerazione per il loro quantitativo di pirosseno verde che ne costituisce la quasi totalità. I saggi di fondo, sebbene presi a poca distanza dalla spiaggia, sono notevoli perchè costituiti in totalità dall’augite verde e dal pla- gioclasio e quindi non differiscono dalle sabbie litorali già prese in esame. (E MISSI) 28 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 CneLussi I. — Alcune sabbie marine del litorale ligure. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. 243-258). — Roma. | Proseguendo lo studio delle sabbie dei litorali italiani, l’autore presenta in questa nota l'esame petrografico delle sabbie marine della Liguria, da Ven- timiglia al golfo della Spezia. I campioni esaminati furono presi a Ventimiglia, Ospedaletti, S. Remo, Arma di Taggia, Porto Maurizio, Oneglia, Diano Marina, Alassio, Albenga, Loano, Zinola, Savona, Albissola Marina, Celle ligure, Varazze, Voltri, Prà, Pegli, Sestri Ponente, Final Marina, Capo delle Mele, Vado, Genova, Pieve di Sori, Sestri Levante, Deiva, Levanto, Monterosso al mare, Isola Palma- ria, Porto Venere, Spezia, S. Terenzio e Lerìci. Lo studio delle sabbie del litorale ligure non porta, per ora, a conclusioni definitive; l’autore confida tuttavia di poter pervenire ad un risultato conereto quando avrà compiuto l’esame generale delle sabbie del litorale dell’Italia continentale, studiando quelle del Jonio da Metaponto a Reggio Calabria e quelle del Tirreno da Reggio Calabria a Napoli. (E. TISSI). CneLussi I. — Studio petrografico di alcune sabbie marine del litorale ionico e di quello tirrenico da Reggio Calabria a Napoli. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fase. 1-2, pag. 259-278). — Roma. Giusta la riserva espressa nella precedente memoria l’autore, — a com- plemento dello studio petrografico delle sabbie marine dell’Italia peninsu- lare — presenta in questa nota l’esame petrografico di alcuni campioni di sab- bie dell’Ionio da Taranto a Reggio Calabria nonchè di alcuni punti del Tir- reno tra Reggio Calabria e Napoli. Per il tratto da Napoli a Civitavecchia l’autore riassume brevemente la memoria di G. Uzielli « Sullo Zircone della Costa tirrena », nella quale sono prese in esame le sabbie di quel tratto del litorale tirrenico. Viene con ciò com- pletato lo studio di tutte le sabbie continentali ad eccezione del piccolo tratto Civitavecchia-Monte Argentario, pel quale mancò all'autore la possibilità di procurarsi campioni. Le sabbie furono prelevate a Chiatona, Metaponto, Corigliano Calabro, Fiumarella, Cotrone, Catanzaro marina, Reggio Calabria, Scilla, Bagnara, Nicotera, Pizzo, Nocera tirinese, Amantea, S. Lucido, Paola, Cetraro, Bel- vedere, Diamante, Praia, Sapri, Policastro, Pesto, Pontecagnano, Salerno, Cetara, Maiori, Castellamare di Stabia, Torre Annunziata, Ischia, Golfo di Napoli (tra Villa e Posillipo), Capo Miseno, Spiaggia presso Castel Volturno, Foce del Volturno, Tra il fosso Foligno e Nettuno, Spiaggia dal Porto di Ne- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 29 rone al Porto d’Anzio, Tor S. Lorenzo, Tor Vaianica, Palazzina Borghese, Palo, Fosso Sanguinario presso Torre Flavia, Torre di Macchia tonda presso Santa Severa, Foce del torrente Mignone a nord di Civitavecchia, Pian di Spile presso il torrente Marta a nord di Civitavecchia. Gli studi eseguiti dall’autore sulle sabbie litorali d’Italia lo portano a stabilire i seguenti fatti: i 1.°) Le sabbie del litorale adriatico da Porto Corsini (Ravenna) a Silvi. sulla costa abruzzese, sono preponderantemente formate, nella loro parte pe- sante, da elementi di Po, come glaucofani, staurolite, cianite, cloritoide, epi- doto, ecc. Questi elementi provengono in gran parte dalle deiezioni del Po, portate verso sud-est dalla corrente che scende da Nord e lambisce la costa orientale d’Italia; in parte possono anche provenire dalle torbide dei fiumi del versante orientale dell'Appennino che traversano sedimenti elveziani e tortoniani ricchi dei ricordati elementi. 2.9) I prodotti delle torbide di Po e quelli degli altri fiumi che sfociano nell'Adriatico possono essere portati, sebbene in tenue misura, fino all’estre- mità della penisola Salentina, come lo proverebbe la composizione mineralo- gica di un saggio prelevato lungo la costa del Salento. 3.0) Da Silvi, sulla costa abruzzese, fino al Capo di S. Maria di Leuca gli elementi padani vanno facendosi sempre più rari fino a scomparire, e sono sostituiti da un minerale pirossenico (augite verde passante a diopside) da elementi magnetici e da plagiocasio. L’accennata sostituzione, costante per tutto il versante dell’ Adriatico meridionale, subisce qualehe modificazione da Gallipoli a Taranto e da Me- taponto a Reggio Calabria, poichè in alcuni punti di questo tratto costiero il minerale pirossenico diminuisce ed è sostituito da altri elementi tra cui l’an- dalusite. Le sabbie più rieche di pirosseno verde, di magnetite e di ilmenite si tro- vano nel golfo di Manfredonia. 4.09) Le sabbie formate prevalentemente dal pirosseno verde e dai mi- nerali magnetite ed ilmenite proseguono, quasi senza interruzione, da Scilla a Napoli. I campioni raccolti dall’ Uzielli da Napoli a Civitavecchia conten- gono l’augite e molti anche la magnetite e l’ilmenite. Ricchissime di augite e di minerali magnetici (magnetite ed ilmenite) sono anche le sabbie della costa toscana di Follonica, Torre Mozza, Albegna, Tombolo della Giannella. Da Follonica risalendo il litorale fino a Ventimiglia va scomparendo quasi interamente il pirosseno e la magnetite, che sono invece sostituiti dal glaueo- fane, dalla staurolite, dal cloritoide e dalla cianite, che si possono dire elementi 30 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 padani, benchè forse di origine diversa da quella delle sabbie dell’ Adriatico settentrionale. Sostanzialmente si può affermare che a settentrione, tanto sul litorale adriatico quanto su quello ligure-toscano, predominano nelle sabbie minerali frequenti nelle Alpi occidentali, mentre che nei litorali me- ridionali, fatte poche eccezioni, predominano sabbie i cui elemenfi principali sono l’augite verde, la magnetite. l’ilmenite ed i plagiocasi basici. Il limite tra sabbie pirosseniche a sud e sabbie ad elementi alpini a nord può essere approssimativamente determinato da una linea un poco a sud del 43° parallelo. 5.09) Ammesso che le sabbie marine dell’ Adriatico settentrionale, litorale occidentale, siano formate, nella loro parte pesante, dai detriti convogliati del Po e dai fiumi che sfociano all’ Adriatico, ed ammesso che molte sabbie marine della costa ligure-toscana, da Ventimiglia al Monte Argentario, contengano minerali caratteristici come glaucofani, cianite, eloritoide, cec.. strappati ad un continente attualmente sommerso, resta ora a stabilire se il pirosseno verde, la magnetite e l’ilmenite delle sabbie dei litorali a sud del 43° parallelo provengano da roccie neovulcaniche o da roccie molto più an- tiche; quesito al quale l’autore dichiara di non potere, allo stato delle attuali cognizioni, dare una soddisfacente risposta. 6.°) In alcuni punti degli accennati litorali, come a Viareggio ed a Pizzo sul Tirreno, a Monopoli ed a Tortoreto sull’ Adriatico, si trovano sabbie formave quasi esclusivamente da granato. 7.0) Le sabbie ricche di elementi ferriferi potrebbero dar luogo all’ap- plicazione industriale delle medesime, cioè alla estrazione del ferro coi metodi di cernita magnetica, a condizione però che le sabbie stesse non siano titanifere; dai saggi effettuati non sembra però che l ultima accennata cir- costanza si sia appalesata. (EDTSsD)) Cimino E. — Lavorazione razionale delle solfare Virdilio e Mintinella. (Vo- lume di 152 pag. con 2 tav. fuori testo). — Palermo. E’ una particolareggiata descrizione delle fasi in cui si svolse la lavo- razione di quelle importanti miniere e delle vicende che precedettero e sus- seguirono il memorabile crollamento della solfara Virdilio, verificatosi il 10 giugno 1886 e che costò la vita a circa 80 operai. L’autore esordisce porgendo le opportune indicazioni sull’ ubicazione della località che forma oggetto della memoria, sulla configurazione del giaci- mento solfifero, sulla costituzione geologica e sui caratteri stratrigrafici e li- tologici di quella formazione. descrivendo poscia i vari metodi proposti per il razionale e sicuro sfruttamento di quel ricco ma pericoloso ammasso solfifero BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, ]912 31 e la definitiva adozione del metodo per fette verticali con riempimenti metodici, suggerito e messo in pratica dall'autore, metodo che corrispose sotto ogni rapporto. Nell’esame delle cause che originarono il suaccennato crollamento e con- temporaneo incendio delle anzidette miniere. l’autore ritiene non potersi ragionevolmente escludere, almeno come causa concomitante, quegli speciali fenomeni denominati « Bergschlige » o « Gebirgstòsse » dagli ingegneri minerari tedeschi, fenomeni che sono stati ripetutamente osservati in varie regioni minerarie. La monografia è corredata da due tavole comprendenti la pianta e varie sezioni della miniera. (E CDISSI). CoramonIco C. — Per la conoscenza dell’idrografia sotterranea in Puglia. (Atti VII Congr. geogr. it. pag. 232-245). — Palermo. La nota concerne le acque sotterranee in Puglia, la cui esistenza fu, se- condo l’autore, constatata da numerose perforazioni che diedero incorag- gianti risultati, ma che converrebbe continuare spingendo le trivellazioni a maggiore profondità onde portare un efficace e decisivo contributo a questo problema di vitale importanza per la sitibonda regione pugliese. (E. TISssI). CoLomBa L. — Ricerche sui giacimenti di Brosso e di Traversella. — Parte prima. Osservazioni petrografiche sul massiccio dioritico di Valchiusella. (Mem. della R. Acc. Sc. di Torino, S. II, Tomo LXIII, pag. 271-325 con 2 tav). — Torino. L’autore dedica questa prima parte del suo lavoro allo studio del mas- siccio eruttivo, intorno al quale stanno i noti giacimenti minerali di Brosso e Traversella. Premessa una descrizione dei caratteri generali del massiccio, accompagnata da uno schizzo planimetrico, l’autore si diffonde nella deseri- zione petrografica delle rocce che lo costituiscono o lo accompagnano, distin- guendo le rocce granulari dalle forme di contatto ed inclusi, e dalle rocce por- firiche. Nelle rocce granulari s'incontrano i seguenti minerali: ortosio, feldispati plagioclasici, biotite, clorite, orneblenda, diopside, bronzite, quarzo, magne.ite, apatite e titanite, oltre a piccole quantità di 2ircone, pirite, ematite, e come pro- dotti di alterazione serpentino, talco, caolino, epidoto e elorite. Il corpo prin- cipale della roccia è costituito da una diorite; come varietà subordinata com- 32 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 paiono la diorite quarzifera, e dioriti pirosseniche, micaceo-pirosseniche, bronzitiche, ed una diorite esclusivamente anfibolica (Pian del Gallo). Delle rocce di contatto od inclusi sono descritti unicamente alcuni tipi, essendo uno studio più generale ed approfondito riservato alla seconda parte del lavoro. Le rocce porfiriche sono divise in due gruppi e cioè in apofisi del massiccio propriamente dette, legato alla diorite di questo, ed in porfirite in filoni, la cui diffusione va molto oltre il territorio considerato dall'autore. (V. NOVARESE). CRAVERI M. — Comparazione tra la flora fossile e la fora vivente di Val Vigezzo nell’Ossola in relazione col mutato ambiente. (Mustr. Ossolana, Anno ITT, N. 1-2, pag. 30-32 e N. 3-4 pag. 60-61). Domodossola. Dagli studi comparativi eseguiti risulta che varie specie vegetali studiate allo stato fossile nei giacimenti di Re e di Folsogno, più non si rinvengono tra la flora attuale della Valle Vigezzo, e l’auto ie è d’ avviso che la scomparsa di cui trattasi debba attribuirsi alla sparizione del lago che, durante ilperiodo glaciale, occupava tutto il bacino di S. Maria Maggiore nell’ anzidetta Valle Lepontina. Tale lago, in virtù della potente azione modificatrice che — per la loro cattiva conducibilità termica — esercitano le grandi masse d’acqua, induceva nella Val Vigezzo un clima relativamente mite, e quindi vegetazione abbon- dante e ricca di specie, mentre assai più sfavorevoli erano le condizioni clima- tiche nelle altri valli ossolane, occupate ancora dal ghiacciaio. Ma dopo il definitivo ritiro dei ghiacciai essendosi stabilito un clima quasi uniforme in tutte le valli dell’Ossola, compresa la Val Vigezzo ove andava via via scomparendo il lago, ne venne per tal fatto, neì Postglaciale, un clima più mite nelle altre valli ed un clima più freddo in Val Vigezzo, nella qual ultima non poterono pertanto più svilupparsi certe specie di piante che iuvece vi prosperavano durante l’esistenza del lago. (E. TISSI). CRrAvERI M. — La raccolta paleontologica del Museo Mellerio-Rosmini di Domodossola. (Opus. di 32 pag). — Domodossola. L’autore ha determinati ed ordinati i fossili esistenti nel Museo Melle- rio-Rosmini di Domodossola,fi quali giacevano dapprima confusamente ab— bandonati nei cassetti di quel Liceo, con searse ed incomplete annotazioni. Sono, in complesso, 739 specie fossili animali e vegetali. Per ogni esemplare l’autore ha indicato, sempre quando gli fu possibile BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 33 farlo, il genere, la specie, l’antore della determinazione, l’età, la località e talora qualche altra osservazione, riportando le stesse indicazioni in un ap- posito elenco. (E. TIssI). CRAVERI M. — A proposito della ferrovia Domodossola-Valle Vigezzo-Locarno. (Giorn. Geol. prat., Anno X, fase. 1°, pag. 1-12). — Parma. Premesse aleune considerazioni sul contributo scientifico apportato dalla geologia alla grandiosa opera del traforo del Sempione, l’autore si occupa in questa nota della ferrovia elettrica Vigezzina destinata ad unire, secondo il progetto dell'Ing. Marzoli, Domodossola a Locarno, con uno sviluppo di circa 50 km. di cui 24 su territorio italiano e 16 su quello svizzero. Descritto il sistema idrografico ed orografico e delineati i caratteri geo- logici e morfologici di questa splendida Valle Lepontina, l’autore entra nei particolari concernenti il tracciato, l'esecuzione pratica, l'allacciamento degli amenissimi paeselli interni colla costruenda ferrovia, e quindi con Domo- dossola, Milano, Torino e Genova, accennando al costo complessivo della linea, alle modalità del suo esercizio, alle tariffe di trasporto dei viaggiatori e delle merci, e, per ultimo, ad alcune considerazioni relative al paventato deturpamento dell’armonia pittorica della valle in ordine alle costruzioni richieste dalla progettata opera e di altre ad esse concomitanti o conseguenti. (ESMIISSo): CRAVERI M. — Ancora sul Palaeodictyon. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fase. 1-2, pag. 238-242). — Roma. E’ una risposta polemica ad alcune eritiehe mosse dal prof. Silvestri ad un precedente lavoro dell'autore sull’origine dei Palaeodietyon (1909). (C. C.). CREMA C. — Acque salienti della Liguria orientale e della Lunigiana. (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, fasc. 49, pag. 287-347, con 12 fig.), — Roma. I depositi alluvionali che si trovano alla parte terminale delle valli della regione considerata formandovi delle zone pianeggianti più o meno estese, poco sollevate sul livello del mare ed in forte contrasto col resto del litorale d’ordinario a tipo nettamente rupestre, come è noto, sono assai po- tenti e sviluppati relativamente all’ampiezza dei bacini idrografici ed alla portata dei corsi d’acqua cui devono Ja loro origine; essi scendono inoltre molto al di sotto del livello marino. 3* S* 34 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Questi depositi costituiscono una massa in gran parte permeabile e per- ciò atta ad essere percossa da correnti subalvee, che si formano in generale a spese dei corsi d’acqua superficiali, ma alle quali portano eccezionalmente qualche contributo anche le infiltrazioni laterali. Queste masse permeabili con- finano da un lato col mare che forma battente e dagli altri sono racchiuse in generale fra formazioni pochissimo permeabili; inoltre gli strati ghiaiosi e sabbiosi si alternano in esse con altri prevalentemente argillosi onde spesso si possono verificare le condizioni necessarie perchè le falde subalvee possano fornire, mediante trivellazioni, acque salienti. La ricerca e lo sfruttamento di tali falde hanno incontrato grande e giu- stificato favore tantochè, mentre nel 1903 i pozzi trivellati vi erano quasi seo- nosciuti, ora già hanno raggiunto un numero rilevante. L'A. raccoglie e coor- dina le notizie relative ai saggi già eseguiti, affinchè esse possano servire di guida a nuovi tentativi, poichè la distribuzione dei terreni permeabili ed im- permeabili ha luogo nelle alluvioni in esame senza alcuna legge determinabile a priori, cosicchè i fatti messi in luce da precedenti trivellazioni costitui- scono il sussidio principale per stabilire l'opportunità o meno di tentarne delle nuove. I sistemi di acqua salienti passati in rassegna sono dieci dei quali otto e cioè quelli delle valli del Bisagno, di Recco, di Rapallo, dell'Entella, del Petronio, di Magra, del piano del Carrione e del litorale Massese, apparten- gono al tipo detto pendio artesiano: le resistenze, incontrate dalla falda acqui- fero profonda nel suo movimento di deflusso a mare e che la costringono sotto la copertura impermeabile, sono essenzialmente due: 1.° l’attrito interno, 2.° la pressione esercitata dalla colonna d’acqua marina sotto la quale va a far capo: siccome l’acqua marina ha un peso specifico di 1,027, così può fare equi- librio ad una colonna di acqua dolce di maggior altezza. La falda saliente degli Stagnoni (presso Spezia) è in parte alimentata dalle acque piovane, direttamente assorbite dalle alluvioni dell’alta valle Ferra- rezza, ma in parte anche dalle acque che si adunano nelle quarziti formanti il soleo originario della valle e permeabili in grande perchè più o meno fes- surate; sì ha quindi un sistema misto, riunente in sè i caratteri del pendio arte- siano e quello del bacino alimentato da diaclasi. Infine il sistema artesiano della Spezia (Sprugolotto, Sprugola, Cadimare) è ad afflusso naturale ed appartiene ad un’altro tipo, quello delle acque arte- siame in relazione a cavità lungo faglie o superficie di contatto. Le conclusioni pratiche, sono le seguenti: a) lungo il litorale compreso fra le valli del Bisagno e del Frigido, quando le formazioni alluvionali raggiungono una certa importanza, la ricerca BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 35 di acque sotterranee salienti può essere intrapresa quasi dovunque con buone speranze di successo; tuttavia le condizioni particolari di una determinata perforazione sono difficilmente prevedibili. b) le maggiori probabilità di riuscita si hanno a breve distanza dal mare e presso la riva del corso d’acqua prossima ai più ripidi ed alti rilievi; inoltre, per determinare i punti migliori dove eseguire gli scandagli, conviene tener conto dei recenti spostamenti dei corsi d’acqua, essendo in generale più ricco il subalveo sottoposto ad un antico letto. e) le trivellazioni devono arrestarsi appena raggiunti i terreni roc- ciosi entro i quali è scavato l’alveo originario del corso d’acqua. d) l’acqua solo eccezionalmente è zampillante, ma il suo livello piezo- metrico si trova in generale a poca profondità dalla superficie, cosicchè age- volmente può essere sollevata e distribuita. e) l’acqua è d’ordinario raccomandabile per l’alimentazione e solo per eccezione in qualehe punto non è chimicamente o batteriologicamente potabile. (CHIC)! CrIinò S. — Per uno studio geografico delle frane in Sicilia. (Atti VII Congr. geogr. it., pag. 297-300). — Palermo. La nota descrive tre frane periodiche o continue ubicate in provincia ‘ di Girgenti, il cui studio offre qualche importanza, anche scientifica, per i caratteri di avvicendamento che esse presentano. (E ‘TISSI). CrINÒ S. — Il Lago di Rebuttone. (Atti VII Congr. geogr. it., pag. 301-304, — Palermo. Un piccolo lago in provincia di Palermo, stato già rilevato nel secolo XVIII ma che non figura sulle carte attuali, viene dall'autore fatto conoscere con questa nota. (E. TIssi). CRUCANI A. — Uno sguardo ai giacimenti metalliferi dei territori di Fiu- medinisi e di Novara di Sicilia, in prov. di Messina ed alle loro condizioni di sfruttamento industriale. (Rass. ind. soif., Anno XXIV, N. 2, pag. 4-10 e N. 3 pag. 1-6). — Caltanissetta. In questa nota l’autore si occupa dei giacimenti metalliferi del territo- rio di Novara di Sicilia, riservandosi di parlare in un successivo articolo di quelli situati in territorio di Fiumedinisi. 36 a BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Esposta la eronistoria delle lavorazioni eseguite in passato e riportate le notizie tramandate dalla tradizione e dagli seritti dell'abate Francesco Ferrara intorno alla natura di quei giacimenti ed alla supposta possibilità del loro industriale sfruttamento, l’autore, dopo qualche accenno alla costi- tuzione geologica ed ai caratteri litologici di quelle formazioni, conclude col- l’augurare che possano essere eseguiti gli occorrenti saggi preliminari onde trarre norma per la eventuale costituzione di un’ azienda mineraria. (E. TISSI). CUPPARI G. — Commissione tecnica per lo studio delle condizioni presenti del Campanile di Pisa. — Sul regime idrografico sotterraneo e sulle at- tinenze con la stabilità del Campanile. (Ann. Soc. Ing. e Arch. it. XXVII, pag. 354-360, con 2 tav. - Roma, e Giorn. geol. pr. Anno X, fase. IV. pag. 179). — Parma. Rileva l’autore che presso la base della celebre Torre pendente di Pisa scaturiscono delle polle che trascinano seco non piccole quantità di minutîs- sima sabbia, 'polle che sono alimentate dalla superiore falda acquifera del sottosuolo, giusta quanto hanno confermato esperienze dirette di colora— zione con l’uranina. Le risultanze degli studi della Commissione appositamente.istituita fanno senz’ altro risalire all’ accennata asportazione di sabbia l’ inelinazione del Campanile e consigliano pertanto di abbassare il pelo della falda acquifera nelle immediate vicinanze del celebre Monumento. (E. TIssI). D’AcHIARDI G. — Minerali dei marmi di Carrara. (Atti fsoc. tose. Proc. verb., Vol. XX, N. 4, pag. 54-58. — Pisa. In questa nota l’autore descrive : a) un minerale con aspetto nuovo per la località e che è rappresentato da piccoli cristallini conici o prismatici, di color grigio metallico, a riflessi bronzino-verdastri, con vivace lucentezza, impiantati in campioni di marmo bianco proveniente da Lorano. Dall’insieme dei pochi caratteri che fu possibile di determinare, l’autore ritiene che il minerale in parola, se non costituisce una specie nuova, debba riferirsi alla galena. b) Cristallo di fluorina violacea. E’ un piccolo cristallo dimm.2 X2X1, ma molto regolare, di fluorina violacea, impiantato su di un campione di marmo bianco, proveniente pure da Lorano. Presenta le faccette del cubo predominantied accompagnate da piccole faccette di} m n 0 led] mauni. Ciò a parziale modificazione di quanto era stato detto in precedenti note dall’autore sulla fluorina dei marmi di Carrara, ove facevasi notare come essa BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 SN si presenti o in cristalletti del tutto incolori od in masserelle cristalline. vio- lacee impiantate sopra un marmo giallognolo impuro, senza forme cristalline ben definite. e) Baritina fibrose-raggiata. In un recente campione di marmo car- rarese, l’autore ha potuto constatare la baritina in cristalli aciculari riuniti in fascetto, ma gli aciculi osservati al microscopio si mostrano rettangolari. L’autore rileva essere singolare, per la baritina dei marmi, la struttura costan- temente fibroso-raggiata, che non è frequente riscontrarsi nella specie. Già fin dal 1906 l’autore determinava come baritina un minerale fibroso, aciculare, biancastro, che era stato per l’innanzi indicato come tremolite. (E. DISSI): D’ACHIARDI G. — Aniofillite di S. Piero in Campo (Elba). (Proc. verb, della Soc. tosc., Vol. XXI, N. 4, pag. 48-52). — Pisa. Fra gli spurghi ammonticchiati nella cava di magnesite di Grotta d’Oggi, presso S. Piero in Campo, l’autore rinvenne, nel Maggio 1912, un campione di roccia costituito da un minerale fibroso aciculare, di color rosso-salmone chiaro, con lucentezza serica. Dagli eseguiti saggi analitici l’autore ha ottenuto la formula dell’anto- fillite (Mg, Fe) Si O,, con parziale sostituzione di magnesio e ferro con pic- cole quantità di idrogeno, sodio e alluminio. Ricerche per nichelio, cromo e manganese dettero risultati negativi. Il peso specifico risultò di 2.95; la durezza di 4,5 a 5. Peri caratteri ottici il minerale di cui trattasi si avvicina più alla gedrite che all’antofillite, ma annettendo, più che ad ogni altra cosa, importanza alla composizione chimica e ritenendo i caratteri ottici variabili in questa spe- cie, l’autore riferisce il minerale elbano all’antofillite. (E RTISSO). D'ACRIARDI G. — Il minerale ferrostannifero di Campiglia marittima. (Rass. min., Vol. XXXVII, N. 16, pag. 299). — Torino. E° una lettera critica ad un articolo del prof. Stella sullo stesso argo- mento, nella quale il prof. D’Achiardi erede di poter con sicurezza affer— mare che, anche prima delle osservazioni del prof. Stella, nessuno abbia avuto mai l’idea che lo stagno di quel giacimento sia chimicamente legato agli altri componenti del minerale ferrugginoso. (GreBa)i 38 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 DAINELLI G. — Carta della permeabilità delle roccie del bacino del Cellina. (Friuli), (R. Mag. Acque, Uff. idrogr., pubblicaz. N. 37, con carta e sez. geolog.). — Venezia. Premesse alcune indicazioni concernenti l'ubicazione del bacino del Cel- lina, ch'è il più occidentale fra quelli prealpini del Friuli, l’autore descrive i caratteri idrografici ed orografici e la costituzione geologica del bacino me- desimo, e successivamente parla delle sue condizioni teetoniche, dei rapporti della idrografia e della orografia con le condizioni geologiche, della permea- bilità delle roccie, e finalmente accenna ad alcune circostanze che si collegano alla varia permeabilità del bacino stesso. Relativamente alla permeabilità l’autore stabilisce due gradazioni, cioè permeabilità per imbibizione e permeabilità in grande, e così nell’uno come nel- l’altro gruppo include rocce poco permeabili e rocce molto permeabili. Tra le rocce poco permeabili del 1° gruppo (permeabilità per imbibizione) egli annovera la scaglia rossa, gli scisti eocenici e le arenarie mioceniche; — tra le rocce molto permeabili comprende le alluvioni terrazzate, i detriti d falda, i coni di deiezione, le alluvioni attuali. Le rocce poco permeabili del 2° gruppo (permeabilità in grande) com- prendono la dolomia marnosa, le dolomie ed i calcari dolomitici, i calcari mandorlati oolitici e selciferi; le rocce molto permeabili invece compreni dono icalcari ippuritici, i quali imprimono alla morfologia superficiale una fiso- nomia tipicamente carsica, con notevole sviluppo di grandi e numerose doline. Le suaccennate distinzioni riguardano però soltanto la diversità di per- meabilità secondo i vari caratteri litologici; ma a modificare la permeabilità relativa delle diverse roccie intervengono altri coefficienti. di cui il principale risiede nel vario rapporto tra l’inclinazione degli strati ed il rilievo orografico. (E. RIsso) DAINELLI G. — Nota preliminare sopra i Gasteropodi eocenici del Friuli. (Mem. Soc. tosc., Vol. XXVIII, pag. 38). — Pisa. Sciogliendo la riserva espressa in una precedente memoria, nella quale pubblicava un elenco di Lamellibranchi eocenici del Friuli, l’autore espone in questa nota un elenco dei Gasteropodi dell’ Eocene della medesima regione. Sono 243 forme diverse di Gasteropodi che egli ha potuto riconoscere tra i fossili dell’Eocene friulano da lui studiati, tra cui 38 forme nuove, le ( uali ultime sono erò soltanto sommariam nte d sseritt : | ente de e (E. TISSI). Mi Giai vd io 1491 (Pd Nestor "i (ae n L x * x = v are BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 39 DAINELLI G. — Nota preliminare sopra gli Echinidi eocenici del Friuli. (Mem. Soc. tosc., Vol. XXVIII, pag. 91-100). — Pisa. Dopo aver ricordato che degli Echinidi dell’Eocene friulano non si tro- va negli antichi autori aleun cenno o (citazione, sia pure generica, mentre essi costituiscono il gruppo di fossili che fu per primo monograficamente studiato nel Friuli, l’autore, seguendo lo stesso metodo già adottato per i Gasteropodi, elenca ben 50 forme di Echinidi eocenici friulani, tra cui 8 forme nuove che egli ha potuto riconoscere ma che non sono ancora nominate. (E. Trssa). DAINELLI G. — Nota preliminare sopra alcuni fossili dell’Bocene friulano. (Proc. verb. Soc. tose., Ad. 5 maggio 1912, e Riv. it. di Paleont., An- no XVIII, fasc. IV, pag. 107.). — Parma. Continuando la esposizione delle determinazioni di fossili eocenici dei Friuli, l’autore, seguendo lo stesso metodo da lui tenuto per l'illustrazione dei Gasteropodi e degli Echinidi eocenici della stessa regione friulana, rag- gruppa nella presente nota quelle relative ai Crinoidi, Chetopodi, Brachio- podi, Scafopodi e Cefalopodi da lui riconosciuti. (E. TISSI). DAL Praz G. — Studi geotettonici sulle Alpi Orientali — Regione fra il Brenta e î dintorni del Lago di Santa Croce. (Mem. Ist. geol. R. Univ. di Padova, Vol. I; (1912) pag. 1-295, con 7 tav., 8 prof. e 22 fig.). — Padova. Iniziato col modesto intento di raccogliere i materiali e le osservazioni necessarie ad una illustrazione geologica del Feltrino, questo lavoro venne successivamente esteso ad un’ area molto più vasta, comprendente tutta la | provincia di Treviso, una porzione delle provincie di Vicenza e Belluno e la parte Sud-orientale del Trentino, una estensione, cioè, di circa 4.000 kmq. com- prendente il cuore delle Alpi Venete e che ha per confini una parte del corso del Brenta, la Valle del Grigno, la valle di Premiero, la Conca di Agordo con la limitrofa regione Zoldana, un tratto del Piave, i dintorni del lago di Santa Croce e la pianura Trivigiano—Vicentina. Per ciò che concerne la ripartizione degli argomenti il lavoro è diviso in due parti distinte. La prima comprende la deserizione dei terreni e la se- conda l’esame tettonico della regione; quest’ultima costituisce lo scopo essen- ziale del lavoro. L'autore dissente dalla vecchia interpretazione tettonica che riteneva le Alpi Venete attraversate da una rete di fratture e di faglie, tra cui - nell’area da lui presa in esame — le principali sarebbero la faglia di Valsugana-Co- 40 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 melico, quella di Belluno, quella di Val Mareno, quella di Santa Croce e varie altre di minore importanza. Egli invece erede che — eccezione fatta di piccoli salti affatto locali e di scarso significato tettonico — non esisterebbero vere e proprie faglie nel senso classico della parola, ma bensì un sistema di pieghe più o meno lunghe, sempre continue, per quanto complesse, rovesciate o stirate in conseguenza di subite tensioni. (E. TISSI). DAL Praz G. — Sulla fauna batoniana del Monte Pastello nel Veronese. (Mem. Ist. geol. R. Univ. di Padova, Vol. I. 1912, pag. 215-266). — Padova. Molto disparate furono le opinioni dei vari cultori che si dedicarono allo studio della celebre fauna del Monte Pastello, nel Veronese e che tentarono di stabilire il livello cronologico a cui la medesima doveva riferirsi. I signori Pellegrini e Pizzolari, che furono gli scopritori del giacimento fossilifero, ascrissero quella fauna alla Grande Oolite. Vari anni dopo, il D’A- chiardi sì mostrava invece propenso a ritenere quel deposito oxfordiano, e forse anche più recente, cioè riferibile alla base del Coralliano. - In seguito il giacimento fossilifero di Monte Pastello fu preso in esame, dal punto di vista paleontologico, dal Meneghini, e da quello] stratigrafico dal Taramelli; il primo si limitò ad asserire che il suo studio veniva a con- fermare le conclusioni del D’Achiardi, mentre il Taramelli riportò la convin- zione che il discusso deposito debba essere sincronizzato alla zona della Post- donomya alpina (Batoniano) o ad un livello di poco soprastante. L’età della fauna di Monte Pastello rimase quindi per vari anni contro— versa; ma l’autore, ripreso in esame l’interessante argomento, potè, in base a nuovi fossili personalmente raccolti ed in seguito ad un nuovo studio delle condizioni di giacitura, constatare e riconfermare in modo definitivo l’età batoniana della fauna di Monte Pastello, e quindi l’esistenza della Grande Oolite anche nel versante meridionale delle Alpi, malgrado il contrario avviso del Vacek che l’ha costantemente negata. {.a località fossilitera si trova sulla sinistra del sentiero che dal caseg- giato di Verago scende pel burrone di Resentera, nella sottostante valle del Progno. Il principale livello fossilifero è costituito da una dolomia farinosa, friabile, prevalentemente di colore giallo chiaro, ma bene spesso venata ed iridata di rosso, di roseo e di giallo più o meno intensi. In questa dolomia è tale la dovizia e la perfetta conservazione degli avanzi da far ricordare le con- dizioni di giacitura dai depositi pliocenici a sabbie gialle. i Trentasei sono le forme descritte ed in gran parte figurate in questa memoria. (BRNLISSO)! Î BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 4l Dar Piaz G. — Geologia dell’ Antelao (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, fase. 3°, pag. 201-212, con 1 tav. e 2 fig.). — Roma. Premessi alcuni cenni sulla maestosa imponenza del Monte Antelao, comunemente detto il re delle dolomiti, e sull’apparente semplicità delle sue linee tettoniche, l’autore ricorda gli studiosi che si sono in precedenza occu- pati della struttura geologica di questo gigante delle Alpi bellunesi, tra i quali vanno particolarmente annoverati il Catullo. il Loretz. l1Hoernes, il Moisi- sovies, il Taramelli, l’Harada, il Bhohm, il Mariani. Secondo il Loretz e l’Hoernes, l’area compresa tra il Boite ed il Piave sarebbe attraversata da due linee di frattura (linea della Valsugana e linea dell’Antelao), per effetto delle quali la regione montuosa risulterebbe divisa in tre zone tettoniche (schollen) disposte a gradinata degradante verso sud, in pieno accordo ai concetti generali sulla struttura della conca ‘adriatica esposti dal Suess. La prima di quelle fratture, detta di Valsugana per le sue lontane origini nella Valle del Brenta, attraverserebbe il Boite sotto il passo di Venas, e per- correndo il ripiano fra Valle e Tai raggiungerebbe Calalzo per risalire poi buon tratto del Piave verso il Comelico. La seconda frattura, detta linea dell’Antelao, sarebbe meno intensa del- la prima, e — sempre secondo gli accennati autori — avrebbe origine alla confluenza del Molinà col Piave. Il decorso di questa seconda frattura coinciderebbe con la Valle di Otten, lungo la quale si renderebbe prevalente lo spostamento verticale con rigetto. Il fenomeno avrebbe particolare intensità ed evidenza alla ForcellaPiccola dove, secondo il Loretz, gli strati del Dachstein dell’ Antelao andrebbero a battere contro le dolomie cassiane dello Scotter. L’Antelao sarebbe per tal modo un monte tettonicamente isolato e di- sgiunto dal massiccio del Sorapis. Secondo il Mojsisovics, cotesta frattura non si limita alla regione del- l’Antelao-Sorapis, ma procede alquanto verso ovest, e tenendosi a nord del Pelmo passerebbe per Selva bellunese, Caprile e Rocca Pietore. Gli studi del Taramelli conducono, per quanto ;concerne la tettonica del- l’area esaminata, a risultanze analoghe a quelle a cui giunsero i geologi au- striaci, giacchè anch’ egli ammette l’esistenza della grande frattura di Val- sugana (detta anche di Belluno-Comelico) e di altre minori interessanti la massa del Monte Antelao. Ma per ciò che concerne la descrizione dei terreni, spetta al Taramelli il merito di aver meglio interpretata l’età dei diversi li- velli dolomitici delle regioni più elevate e di aver riconosciuto la presenza e l'estensione dei calcari liasici alla Forcella Piccola e nel versante setten - trionale dell’ Antelao, comunemente riferiti invece al Trias superiore. LU - ì = 42 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Gli studi dell’autore conducono invece a concezioni diverse. A parte l’erroneo riferimento della dolomia dello Sceotter, che pei fossili che contiene non risulta cassiana, egli dice che i prenominati studiosi non diedero suffi- ciente importanza alla presenza e all'andamento dei magnifici contorcimenti che gli strati liasici dell’Antelao presentano nel Monte Bala, poco al di sopra della stessa Forcella. Alla Forcella Piccola non vi ha quindi una faglia nel verso senso della parola, ma bensì un semplice fenomeno di piega accompagnato da lieve rove- sciamento ed assottigliamento della gamba mediana. Esclusa pertanto l’esistenza di una faglia alla Forcella Piccola — dove, secondo i geologi austriaci, il fenomeno di rigetto aveva la sua maggiore ma- nifestazione — vengono a mancare le migliori argomentazioni a sostegno della frattura dell’Antelao. Infatti la concordanza stratigrafica esistente tra le formazioni dei due fianchi della Valle di Otten è così perfetta, che si rispecchia altresì sulla di- stribuzione e sull’andamento delle vallecole secondarie, com'è logico avvenga nelle valli d’erosione non percorse da linee di faglia. (E. TISSI). Dar Praz G. — Sull’esistenza del Pliocene marino nel Veneto. (Atti Soc. Ven. Trent-Istr., S. 38, Anno V, fase. 1-2, pag. 212-215). — Padova. La presenza del Pliocene marino nel Veneto era stata dall’autore segna- lata e descritta anche in un suo precedente lavoro, ma nuovi elementi raccolti in seguito confermano le anteriori constatazioni porgendogli così occasione di ritornare sull’argomento. Indubbie prove dell’esistenza del Pliocene marino nella regione veneta furono dall’autore raccolte presso Cornuda, nel Trevigiano, e precisamente in una cava di argilla situata a N-0 del detto paese, a mezzo chilometro di distanza dal medesimo. Descritta la serie stratigrafico-litologica del giacimento e gli avanzi fos- sili rinvenutivi, l’autore fa notare che tanto nei riguardi della fiora quanto in quelli della fauna, quella serie mostra l’identica associazione di elementi riscontrata nei ben noti lembi plioceniei di S. Colombano, di Faido e di Folla d’Induno, in Lombardia, come anche nel celebre bacino piemontese. 5 Soggiunge anzi l’autore che le affinità concernenti la successione stra- tigrafica e la natura litologica dei sedimenti sono così perfette che non sa- rebbe possibile, dal semplice esame dei materiali, distinguere quelli pro- venienti dal giacimento di Cornuda da quelli pliocenici del Piemonte e della Lombardia. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 43 Osserva inoltre l’autore che anche in tempi successivi al Pliocene il mo- vimento di dislocazione orogenetica non solo non si arrestò nelle estreme col- line meridionali venete, ma continuò con la stessa intensità manifestatasi nelle vicine regioni alpine ed appenniche, locchè può dar ragione di parecchi fatti concernenti la morfologia e l’idrografia Veneta, fatti che non possono trovare spiegazione se non ammettendo un sollevamento prealpino affatto recente e che, con ogni probabilità, persiste tuttora. E’ quindi logico ammettere — soggiunge l’autore — che l’intera regione veneta sia andata soggetta ad un contemporaneo movimento di ascesa da un lato, dove agivano le maggiori azioni erosive, e di sprotondamento dal lato opposto, ossia verso il mare, dove veniva formandosi un sovraccarico di massa, ciò che starebbe in perfetto accordo coi concetti fondamentali della teoria isostatica. (ESiSsT) DE ANGELIS D'Ossat G. — Le acque dei calcari (Le sorgenti di Caposele). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fase. 3.9, pag. 479-492 con 1 tav.) — Roma. L’autore ha istituito delle esperienze per determinare il potere di solu- bilità naturale sui calcari delle acque attraversanti terreni agrari in genere e boschivi in ispecie, in confronto con la solubilità della semplice acqua pio- vana, e dagli effettuati esperimenti ha potuto dedurre le seguenti conclusioni: a) che la solubilità dell’acqua piovana aumenta dopo aver attraver- sato la terra di bosco, sino a poter divenire oltre 5 volte maggiore, motivo per cui aumenterà proporzionalmente l’energia con cui l’acqua di infiltrazione allarga ed approfondisce le vie sotterranee della rete idrografica, la quale di conseguenza tenderà vieppiù ad abbassare; b) che l’acqua piovana o distillata dopo avere attraversato per un certo tempo un sottile strato di terra di bosco, pur non acida e ricca in calcare, acquista una maggiore solubilità, che va aumentando coll’aumentare della quantità di acqua di bosco e colla durata del tempo, sino al limite di un mese ; e) che la durezza di un’acqua è indice d’impurità, aumentando tale impurità coll’aumentare della durezza ; d) che nei riguardi dell’igiene conviene che le acque piovane attraver- sino uno strato vegetale il più tenue possibile e con la maggior possibile ve- locità, specialmente quando le rocce sottostanti siano calcaree e facilmente attraversabili, e che per una sorgente proveniente da tali rocce è preferibile che il bacino di raccoglimento sia nudo. Nel caso poi di rimboschimento que- sto non dovrebbe eseguirsi nè presso l’uscita a giorno della sorgiva, nè nelle 44 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 zone in cui le pluviali possono facilmente raggiungere le vie profonde, poichè diversamente operando si altererà la composizione chimica dell’acqua. Applicando i suesposti principi alle sorgenti del Sele, che dovranno ali- mentare il grandioso acquedotto pugliese, l’autore viene alle seguenti con- siderazioni : 1.°) che l’avere esteso ed il voler ancora più estendere la copertura boscosa nel bacino delle sorgenti porterà come necessaria conseguenza un cambiamento nella composizione chimica delle acque ed un aumento del re- lativo grado idrotimetrico ; 2.°) che le acque, dopo avere filtrato attraverso la terra di bosco, acquistano una maggiore attitudine a!disciogliereji calcari, abbreviando così il ciclo evolutivo carsico e determinando un finale abbassamento della rete idrografica sotterranea e quindi un precoce spostamento in basso degli affio- ramenti idrici; 3.9) che l’acqua scioglie più facilmente il calcare in presenza disostanze scistose e piritose. Dalle suesposte considerazioni l’autore è tratto a ritenere che il rim—- boschimento eseguito allo sfioramento delle sorgive del Sele può portare ad un tempo un danno igienico ed uno idrologico non meno notevole. (E- Tisst). De ANGELIS D’Ossar G. — Giacimento ferro-manganesifero presso S. Pietro (Fabro, Umbria). (Rass. min., Vol. XXXVI, N. 17, pag. 325-326). — Torino. Presso S. Pietro, in Comune di Fabro (Umbria), in una disturbata forma- zione costituita da scisti fargillosi fvaricolori e calcari marnosi rossi, sono intercalati strati e lenti, più o meno silicei, impregnati di ferro (12,46%) e di manganese (5,98%), i quali per le favorevoli condizioni di ubicazione me-. riterebbero, secondo l’autore, di essere studiati dal punto di vista estrattivo. (E. TISSI). De Fiore 0. — Il periodo di riposo dell’Etna (1893-1907). (Rend. e Mem. R. Ace. Zelanti di Acireale, S. 3.23, Vol. VI, pag. 57-128). — Acireale. La nota ha per oggetto la ricerca delle leggi che definiscono all’Etna i periodi di riposo intercedenti fra due eruzioni, non cbe l'esatta determinazione della loro durata. A tali ricerche ha fornito occasione la straordinaria lunghezza del periodo di quiete decorsa fra l'eruzione del 1892 e quella del 1908 e la grande quan- tità di dati che fu possibile raccogliere durante l’accennato periodo. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 45 L'autore porge una particolareggiata descrizione dei fenomeni eruttivi e sismici verificatisi nella regione Etnea dal 1895 al 1907, ricerca le relazioni intercorrenti fra i medesimi e compendia, anno per anno, in apposito quadro gli elementi relativi alle manifestazioni sismiche, cioè qualità, direzione e grado delle scosse, data e loralità delle relative segnalazioni. Raccoglie quindi in riassunto le conclusioni generali dello studio, con- clusioni a cui è consentito di giungere dall’esame dei fatti appalesatisi nello anzidetto periodo di riposo, osservando tuttavia che molte questioni riman- gono nonostante insolute o mal note, e che tali rimarranno fino a che non sia possibile estendere notevolmente la] cerchia delle osservazioni e basare gli studii sopra un più lungo periodo "di tempo e sopra un maggior numero di eruzioni. (E. TISSI). De GasPERI G. B. — Laghi esistenti e scomparsi nell'Appennino Toscano. (Club alp. it., Vol. XXXI, N. 7, pag. 215-216). — Torino. Premessi alcuni cenni sulla spianata detta della Ciliegetta (a [circa un chilometro da jCapo d’Arno, ove nel 1838 furono rinvenute statuine, mo- nete, ecc.) e che rappresenta il fondo di un lago, nelle cui acque si bagnarono, probabilmente a scopo terapeutico, gli antichi, l’autore fa menzione di alcuni altri laghetti dell'Appennino Toscano, originati tutti da frane staccatesi dai fianchi argillosi e marnosi delle valli e che soffermatesi sul fondo di queste, ostacolarono il libero corso delle acque obbligandole di ristagnare a monte ed originando per tal modo laghetti più o meno estesi e profondi, la massima parte dei quali in seguito scomparve sia per la progressiva erosione dell’emis- sario, che incise la briglia caotica, sia per le colmate prodottevi dalle acque di torbida. L’autore descrive così il lago detto Gorga nera, generato da una frana staccatasi il 15 Maggio 1335 dalla montagna della Falterona e che sbarrò il corso d’acqua detto fosso di S. Godenzo; quello originatosi nel 1898 per una smotta staccatasi dal fianco destro della valle dell’ Argomenna (Pieve), che lentamente scese a sbarrare il corso del fiume; quello denominato Lago di Prato ai Galli o anche Lago Virginia, originato da una frana staccatasi nella notte dal 7 all'’8 maggio 1898 dal Monte Vadiglione, presso la confluenza del Gravina con l’Arno. (E. TISSI). 46 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 DE GASPERI (x. B. — ‘testi di un laghetto carsico nella valle di Polcanto. (M. Senario — Firenze). (Mondo sott., Anno VIII, N. 2, pag. 47). — Udine. Rileva l’autore che sul fondo della valle di Polcanto, lungo la strada che dalla valle del Mugnone conduce in Mugello, si scorge una zona spianata erbosa, un po’ acquitrinosa, la quale rappresenta il fondo alluvionato di un piccolo laghetto carsico, attualmente scomparso sia per l’alluvionamento del fondo vallico sia per l’erosione della barra rocciosa che lo conteneva. (E. “TIssI). Dr GaspPERI G. B. — I bacini chiusi delle Alpi Svizzere. (Riv. geogr. it., Anno XIX, fase. V, pag. 384-386). — Firenze. Riferisce l’autore che ad opera di M. Lugeon ed E. Jeremine è stata di recente compiuta una statistica dei bacini chiusi delle Alpi Svizzere, che ven- nero delimitati e misurati risultandone un catalogo descrittivo dei singoli bacini per ognuno dei quali è indicata l’area, i limiti, la natura dello sbarra- mento, le altezze di alcuni punti caratteristici, le condizioni geologiche e in fine il tipo dei bacini e la genesi dei medesimi. I bacini chiusi delle Prealpi Svizzere occupano una superficie comples- siva di 64 kmqg., dei quali 48 appartengono alla zona mediana delle Prealpi. In tutta la zona prealpina il fenomeno dell’assorbimento delle acque si effettua di preferenza nelle rocce cretacee (Neocomiano). Nelle alte Alpi calcaree, dalla Savoia al Reno, il Lugeon ha distinto 126 bacini, occupanti l’area complessiva di 333 kmq., comprendenti, in grandis- sima parte, terreni a scolo carsico. Nelle Alpi Pennine, Lepontine e Retiche i bacini chiusi sono 48, occu- panti 48 kmq.; 27 di questi, dell’ estensione di 32 kmq., sono sbarrati da roccie in posto, e gli altri da morene e detriti. La scarsità di conche chiuse in questa vasta zona delle Alpi è spiegata dall'enorme estensione dei terreni cristallini. In tutte le Alpi Svizzere i bacini chiusi sono 258 e rappresentano 445 kmq. di superficie a scolo sotterraneo. Le depressioni sì trovano di regola sulle alture. Nelle Prealpi sono poco addensate ma frequenti; nelle Alte Alpi calcaree sono raggruppate in serie ma in località separate, e nelle Alpi cristalline si mostrano solo sporadicamente. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 47 De GaspeRrI G. B. — La qrotta di Viganti (Prealpi Giulie). (Mond. sott., Anno VITI, N. 3, pag. 54-59, con 1 fig.), — Udine. La Grotta di Viganti, localmente conosciuta col nome di Olobigneza, giace in località denominata Loch, in fondo alla Val Ta-pot-eletia, al piede della balza su cui si aderge il paese di Viganti. E° una delle più interessanti tra le grotte friulane, così per la morfologia come per il regime idrografico cui è soggetta. La sua complessiva lunghezza è di m. 382; la lunghezza del Canale principale è di m. 170. Nel primo tratto, vicino alla bocca, ha sezione rettan- golare di m. 10x7. — E’ totalmente scavata nei caleari compatti del Cre- taceo superiore, diretti da nord-est a sud-ovest ed inclinati di circa 20° a nord-est. Nel suolo della grotta si osservano numerose marmitte dei giganti, in alcune delle quali vennero trovati resti fossili di orsi e di altri animali. La nota è illustrata dalla planimetria e da varie sezioni della grotta nel rapporto grafico di 1:1500. (EANIISSo): De GaspPERI G. B. — £Pesti di mammiferi rinvenuti nella Grotta di Viganti (Priuli). (Mond. sott., Anno VIII, N. 4, pag. 81-92). — Udine. A complemento della precedente nota l’autore descrive i resti fossili rin- venuti in una recente esplorazione della grotta di Viganti, ove si ruiscì a di- sotterrare un discreto numero di esemplari offrenti un certo interesse. I resti fossili sepolti nel terriccio di riempimento di una marmitta dei giganti erano stati evidentemente fluitati e rimaneggiati dalle acque e; presentano diversi gradi di fossilizzazione. Essi non offrono sicuri elementi per giudicare della loro età; però dal modo secondo cui le ossa si trovano rimescolate l’autore erede che tutte provenissero da un unico deposito originario caratterizzato dalla presenza dell’ Ursus spelaeus. Con i nuovi reperti della grotta di Viganti la fauna fossile delle grotte friulane che, secondo il recente elenco del Fabiani, contava 19 forme, viene ad arricchirsi di tre nuove specie, cioè del Canis vulpes, del Gulu luscusj e del- l’Arvicola sp. — Importante tra queste il Gulu luscus, trattandosi di un ani- male di clima freddo di foresta, che porge per sè stesso un dato sicuro per la storia climatologica della regione friulana. Non prive d’interesse sono poi le serie di denti di orso testè rinvenutevi, in base alle quali l’autore ‘è tratto a supporre che la razza piccola dell’orso delle caverne non possa tenersi di- stinta come varietà, ma debba invece considerarsi una semplice variazione o forma. (E Enssr). 48 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 DE GaspPeRI G. B. — La grotta Pre-oreah. (Mondo sott., Anno VIII, N. 1, pag. 6-14). — Udine. Questa grotta, nota da lungo tempo ai paesani ma scientificamente co- nosciuta solo dal 1903, s’apre sulla destra del Cornappo, nella massa centrale dell’elissoide del Bernadia, e precisamente nei calcari a camacee inferiori (Giura e Creta inferiore), alla quota di 293 metri sul mare e ad una decina di metri dal letto del torrente. Il suo complessivo sviluppo è di 306 metri; lo sviluppo del canale principale è di m. 280. La bocca della caverna, ben visibile dalla strada che da Torlano conduce a Monteaperto, è ampia, misurando 4 m. di altezza e 5-6 metri di larghezza. Ad un centinaio di metri dall’esternofs’incontra una prima grande sala, foggiata in alto a cupola, con calotta alta circa 20 metri dal suolo. — Una seconda grande sala si trova a circa 250 metri dall’imboceco. Il rimanente della caverna è un corridoio liscio col suolo ricoperto di materiali svariati, tra cui, degni di nota, alcuni tronchi fluitati, la cui présenza, unitamente ad altri fatti, serve a dimostrare la comunicazione di questa grotta con quella di Vi- ganti, anzidescritta, dalla quale dista circa 500 metri. La Pre-oreah è, secondo l’autore, una grotta di sbccco intermittente di un canale sotterraneo. (E. TISSI). DE GaspERI G. B. — Fenomeni carsici nei conglomerati preglaciali della ___ Valle del Tagliamento. (Mondo sott., Anno VIII, N. 3, pag. 66). — Udine, Nell'aprile 1912 l’autore visitò alcuni aggruppamenti di doline sul ter- razzo conglomeratico soprastante al Molino Tomai, fra il Tagliamento ed il Ciarsò di Raveo, nonchè la grotticella della Madonna del Ponte. Le doline, del tipo a piatto o ad imbuto, hanno dimensioni variabili da 1a 40 metri e sono profonde da 1 a 8 metri; la grotticella è una piccola cavità di 6-7 metri di rientranza. (E. TISSI). De GASPERI G. B. — Fenomeni carsici nei gessi dei dintorni di Gesso. (Mar- che). (Mond. sott., Anno VIII, N. 3, pag. 65-66). — Udine. L’autore dà notizia di alcuni fenomeni carsici nei gessi dei dintorni della borgata di Gesso, sul confine orientale della Repubblica di S. Marino, e pre- cisamente di tre doline dette localmente budri; di alcuni solchi ricordanti i Karren dei calcari, osservati nei pendii rocciosi del Monte del Gesso, e di una grotta esistente sulla destra del rio che scende da Monte Ghelfo, grotta che l’: utore non ha potuto esplorare. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 49 DE GASPERI G. B. — Osservazioni sui ghiacciai delle valli di Salarno e Adamè. (Valcamonica). (Club alp. it., Vol. XXXI, N. 3, pag. 74-76). — Torino. L'autore descrive i ghiacciai delle Valli di Salarno e di Adamè, nel Gruppo dell'Adamello, come purei ghiacciaietti situati nei circhi laterali delle Valli medesime. Stante l’imprecisione delle carte topografiche in ciò che attiensi alla rap- presentazione dei ghiacciai e delle loro fronti, l’autore ha dovuto riparare, almeno in parte, con rilievi spicciativi alla bussola, all’imperfezione della rappresentazione topografica disponendo in seguito alcuni segni per lo studio delle oscillazioni dei ghiacciai. L’autore ha potuto constatare che nelle suddette valli le fronti dei ghiac- ciai sono in ritiro. (E. TIssi). De GaspeRI G. B. — Appunti sui fenomeni carsici nei gessi di M. Mauro (Casola Valsenio). (Riv. geogr. it., Anno XIX, fase. 3°-4.0, pag. 319-326). — Firenze. La nota concerne i fenomeni di tipo carsico che si mostrano nella zona conosciuta sotto il nome di Vena del Gesso fra le argille mioceniche e quelle plioceniche dell’ Appennino bolognese, ed in partieolar modo quelli, finora poco conosciuti, della regione compresa fra il Sintria ed il Senio. Un primo gruppo di fenomeni notevoli si manifesta a nord della chie- setta diS. Mauro; ivi si vede una serie di valli a dolina allineate da nord a sud lungo il pendio del monte e disposte a gradinate. Le valli a dolina fanno parte di un vallone chiuso, scavato nel gesso, nelle cui pareti si aprono alcune grotticelle, tra cui l’autore specialmente annovera quella presso C. Pedriolo. Piuttosto diffusamente l’autore descrive poscia l’inghiottitoio detto del Re-d-s°-terra (Rio di sotto terra) e la grotta del Ke Tiberio, scavata nello spessore di uno 0 più strati di gesso. E° questa una grotta di sbocco, attualmente inattiva, nota dalungo tempo come una importante stazione neolitica e che paletnologicamente formò og- getto di alcuni studî. L’autore rileva che alla fine del Quaternario questa grotta doveva tro- varsi in condizioni simili alle attuali. L'uomo neolitico vi ha lasciato copiose traccie della sua presenza nel terriccio e negli incavi conformati a sedili e a nicchie scavati nella roccia presso l'apertura. (E. TISSI). 4* 50 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 DE GASPERI G. B. — Fenomeni carsici delle Prealpi Bellunesi e Carniche. (Mondo sott., Anno VIII, N. 4, pag. 97). — Udine. Le sorgenti carsiche perenni dette Brent del Meschio e Follina e quelle intermittenti dette Piovisini furono dall’autore osservate nel versante me- ridionale delle prealpi Bellunesi. Alcune voragini di piccole dimensioni dette bislongole furono dallo stesso autore osservate e rilevate nella regione Barberie; altrettanto dicasi di alcune piccole voragini del Cansiglio, del torrente Caldieron presso Vittorio (torrente a marmitte con un ponte naturale) e della cosi detta Busa de la Bislonga, che è una grotta lunga circa 250 metri, aperta nella scaglia rossa nei pressi « i Pederobba e pecorsa da un ruscelletto. (E. TISSI). DE GaspPERI G. B. — Alcune vecchie indicazioni relative a grotte nel Bolo- gnese.(Mondo sott., Anno VIII, N. 2, pag. 37— 40). — Udine. In un volume dell’abate Gioan-Ignazio Molina, pubblicato a Bologna nel 1821, l’autore trovò menzione di alcune grotte del Bolognese, tra eui la grotta di Brento o Monte Donico, più comunemente conosciuta col nome di Tana delle Fate, della quale parla anche il Calindri e che, più recentemente, venne esplorata e descritta dal Trebbi. (E. TISSI). De GasperI G. B. — Fenomeni carsici della Majella (Mondo sott., Anno VIII, N. 4, pag 97). — Udine. Interessanti fenomeni carsici, tra cui aleune conche e doline, nonchè le due grotte denominate del Cavallone e del Bove, furono dall’autore osser- vate nel calcare eocenico della Majella. (E. TISSI). De GaspPERI G. B. — La grotta azzurra di Busi. (Mondo sott., Anno VIII, N. 2, pag. 46). — Udine. L’autore dà notizia di una grotta esistente sulla costa dell’isola di Busi in Dalmazia, nella quale si ripete il fenomeno della grotta azzurra di Capri. L’interno della grotta in parola non essendo direttamente illuminato dalla luce solare ed i raggi luminosi pervenendovi attraverso una finestra su- bacquea, ne consegue che i raggi rossi e gialli dello spettro rimangono assorbiti dall'acqua e nell’interno della grotta arrivano soltanto i raggi azzurri. (E. TIssI). de =» , 1 x i i BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 51 De Gasperi G. B. — Alcune conche sorgentifere nella bassa pianura friu- lana. (Estr. dalla Riv. geogr. it., XIX, 1, opus. di 7 pag.), — Firenze. Nella bassa pianura Friulana, sulla destra del Tagliamento, tra S. Vito ed Azzano Decimo, l’autore ha osservato delle pozze o bacini sorgentiferi, designati localmente col nome di laghi, i quali, per vari caratteri, si possono ravvicinare alle ole descritte dal Lorenzi e che frequentemente si rinvengono presso la zona delle risorgive o fontanili. I bacini o laghetti di cui trattasi hanno forma grossolanamente quadran- golare, circolare od ovale, con lato o diametro di una cinquantina di metri e con profondità aggirantesi sui 10 metri, ed hanno acqua perenne perchè si- tuati ad un livello più basso delle risorgive. (E. Tissi). DeL CAMPANA D. — Resti di Ofidio (Zamenis viridiflavus Lacèp.) nel Quater- nario di Monte Tignoso (Livorno) (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fase. 3°, pag. 838-842, con 1 tav.). — Roma. I resti che formano oggetto della presente memoria furono rinvenuti nella breccia ossifera quaternaria di Monte Tignoso. Si tratta di due serie di vertebre le quali, secondo ogni probabilità, devono essere appartenute al medesimo esemplare. Le serie più grande consiste in otto vertebre che dovevano, secondo l’au- tore, far parte della sezione mediana della colonna verterbrale; la serie più piccola è rappresentata da cinque vertebre che dovevano trovarsi più verso la coda. Dalle effettuate indagini l’autore deduce che gli ‘avanzi stessi appar- tengano allo Zamenis viridiflavus Lacép, quantunque di dimensioni alquanto maggiori dei termini di confronto viventi. (E. TIssI). De Lorenzo G. — SulVetà degli scisti cristallini della valle del Sinni (Ba- silicata). (R. Acc. Napoli, S. 3, Vol. XVIII, fase. 5° e 69, pag. 197-200). — Napoli. Gli scisti cristallini della valle del Sinni, in Basilicata, che per la loro composizione e struttura rassomigliano agli scisti cristallini pretriassici della Calabria, appartengono, secondo l’autore, al Flysch eocenico ed eocenici fu- rono pure ritenuti dal Sacco. Il Viola li ritenne invece antetriassici e una tale interpretazione fu, senza critica, accettata dal Suess. BIBLIOGRAFIA GROLOGICA ITALIANA, 1912 (9) | DO Anche il Pilla li ritenne dapprima arcaici, o almeno antetriassici, ma avendo in seguito osservato che i medesimi passano insensibilmente al terreno di grès, di marne e di argille di cui è quasi esclusivamente costituito il Flysch eocenico dell’ Appennino meridionale, ed avendo altresì rimarcato che l’insieme di questo terreno scistoso cristallino-arenaceo argilloso anzichè fare da base alle montagne secondarie, come avrebbe dovuto se fosse stato antico, si ap- poggiava alle montagne calcaree ed elevavasi sui loro fianchi raddrizzandosi fino alla posizione verticale, ne dedusse che il terreno scistoso cristallino, da lui prima creduto antico, altro non sia che il terreno argilloso-arenaceo ap- penninico, alterato e modificato al punto da mentire le caratteristiche di un terreno scistoso cristallino primitivo. (E. Trissr). DeL Prato A. — Mammiferi fossili di Belvedere di Bargone (prov. di Parma) (Riv. it. di paleont., Anno XVIII, fase. 1°., pag. 18-36, con 1 tav.). — Parma. Premesse alcune considerazioni sulla diversa importanza paleontologica, specialmente in fatto di Mammiferi fossili, esistente tra le due finitime pro- vincie di Parma e di Piacenza, pur così affini dal lato geologico, l’ autore descrive ed illustra gli avanzi scheletrici di mammiteri rinvenuti, nell’a- prile 1911, in una cava aperta nelle sabbie gialle del colle di Belvedere di Bargone, a pochi metri dalla strada che scende a Borgo S. Donnino. I resti fossili di cui trattasi sono riferibili ai generi Hippopotamus, Bison e Bos. Al genere Hippopotamus spettano due rami del mascellare inferiore dello stesso individuo, con undici denti relativi, una rotula dell’arto destro e una costola; al genere Bison sono riferibili quattro ossa del corpo, il meta- carpo, un calcaneo, l’omero, radio-cubito; al genere Bos un radio sinistro assai incompleto. Tenuto conto delle scoperte fattevi in precedenza è lecito dedurre che nell’accennato punto di Belvedere di Bargone si trova il solito complesso di mammiferi fossili riconosciuto in molte altre località riferibili al Terziario superiore e al Quaternario. (E. TISSI). DeRrvieUx E. —- Geo-paleontologia di un lembo della città di Torino. (Atti Pont. Acc. Nuovi Lincei, Anno LXV (1911-1912), Sess. 7 del 16 giugno 1912, pag. 161-170). — Roma. La nota contiene la descrizione geo-litologica e stratigrafica di una in- teressante zona del sottosuolo torinese, zona compresa entro la circoserizione BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 dI della nuova cinta daziaria della città di Torino ed ubicata parte in pianura (fra le abitazioni cittadine) e parte in collina, e specialmente in un piccolo poggio di forma conica, detto Monte dei Cappuccini, alto 284 metri sul livello del mare e circa 70 metri sul livello ordinario dell’acqua del Po. Nella nota sono enumerate le specie fossili rinvenutevi. (E. TISSI). DeRrvIEUXx E. — Revisione delle Lagene terziarie piemontesi. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fase. 3°., pag. 674-676). — Roma. La nota tende a stabilire che gli esemplari che si conservano nelle colle - zioni del Conte Luigi di Rovasenda e che dal Fuchs furono determinati come Lagene, non sono invece tali, avendo l’autore riconosciuto trattarsi di No- dosaria radicula (Lian) e di Nodosaria pyrula D'Orb. Così pure dallo elenco di Lagene pubblicato nel 1889 dal prof. Federico Sacco, l’autore crede che, eccezion fatta della Lagena laevis Mont., le altre specie possano con poco fondamento rimanere nell'elenco delle dette specie fossili piemontesi, mentre per altra parte l’autore è d’avviso che le marne elveziane e tortoniane e specialmente il tripoli da lui scoperto a Marmorito (Alessandria), devono certamente contenere le numerose specie state altrove rinvenute nei su citati orizzonti. (E. TIssI). DE STEPANI C. — La Geologia endodinamica in Italia nell'ultimo cinquan- tennio. (Atti Soc. tosc., Mem., Vol. XXVIII, pag. 3-34). — Pisa. In questa memoria l’autore esamina l’avvicendarsi delle indagini e dei progressi scientifici verificatesi nell'ultimo cinquantennio in ciò che ha tratto ai problemi della Geologia endodinamica, e passa in rassegna le varie ipotesi emesse dai numerosi autori, italiani e stranieri, per spiegare le cause degli imponenti fenomeni che vi sono connessi. Egli comincia coll’enumerare i tentativi finora escogitati per determinarè in cifre il periodo trascorso dalla Terra dal suo consolidamento in poi, e passa poi a considerare partitamente i complessi fenomeni concernenti i terremoti, i vuleani, la genesi delle rocce cristalline antiche, venendo per ultimo a par- lare della Litologia, scienza maturata soltanto nell’ultimo periodo del cin- quantennio dopo l’estesa applicazione del mieroseopio. L’autore esprime però l’avviso che non solo alla Litologia ma bensì ad una Stratigrafia bene studiata debbono subordinarsi le questioni concer- nenti l'età e l'emissione delle rocce intrusive, o di profondità o paleovul caniche ed in sostanza plutoniche. 54 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Dovrà egualmente essere perfezionato lo studio dei metamorfismi, in forza dei quali certe roccie vulcaniche antiche, identiche a quelle attuali, deb- bono essersi trasformate in modo tale da parere completamente diverse. (E. TISSI). DE STEFANI C. — Sunto geologico dei Sette Comuni nel Vicentino. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fase. 3.9, pag. 433-456). — Roma. E’ la descrizione dei caratteri morfologici, stratigrafici, litologici e geo- logici dei Sette Comuni e di tutta la regione fra l’Astico e il Brenta. ed una dettagliata elencazione delle specie fossili finora rinvenute in quei terreni. Vi sono anche largamente descritte le fasi del periodo glaciale e del con- seguente apparato morenico, nonchè i caratteri genetici dell’idrologia super- ficiale e sotteranea. (E. TISSI). DE STEFANI C. — Lumachella infraliasica del Bagno della Duchessa. (Atti Soc. tose., Proc. xerb., Vol. XXI, pag. 20). — Pisa. Osserva l’autore che nel Museo dell’Istituto superiore di Firenze si con- servano due frammenti, raccolti dal prof. Cocchi, i quali presentano una fitta lumachella in cui si distinguono delle piccolissime Turricolate, e che anche sulla destra della valletta di Asciano sono stati trovati fossili alla base dello stesso calcare già attribuito all’Infralias, ma pel quale non erano stati indi- cati fossili. (E. TISSI). DE STEFANI €. — Noduli fosfatici dei dintorni di Siracusa. (Atti Soc. tose., Proc. verb., Vol. XXI, pag. 17-20). — Pisa. L’autore ha trovato nei dintorni di Siracusa dei noduli fosfatici identici a quelli che, entro le marne calcaree del Miocene medio, erano stati rinvenuti a Modica, a Ragusa, al Capo S. Maria di Leuca ed a Malta. I noduli dei dintorni di Siracusa furono trovati nelle marne di plaga lan- ghiana, di mare abbastanza profondo ma non tanto quanto i Globigerine beds di Malta, coi quali hanno comuni i caratteri stratigrafici e litologici. Di dimensioni variabili e irregolari, scuri, contenenti talvolta fossili fram- mentizi e accompagnati da glauconia o da idrossido di manganese, i no- duli in parola sono scarsamente sparsi, isolati o in piccole lenti più o meno continue, caratteri che li fanno ritenere coproliti di pesci e di altri vertebrati pelasgici. Ut (D) d BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Non presentano importanza industriale, ma potrebbero essere utilmente scavati per uso agricolo locale, sembrando ormai assodato che alla presenza, per quanto searsa, del trifosfato calcico nella roccia marnoso miocenica della Sicilia meridionale, certo non disgiunta da favorevoli condizioni climatolo- giche, devesi attribuire la ricchezza produttiva di quel suolo, specialmente in cereali. (E. TISsi). De Sterano G. — Sui pesci fossili della pietra di Bismantova (prov. di Reg- gio Emilia). (Boll. Soc. geol. it., Vol XXX, fase. 3.9, pag. 351-422, con 3 tav.). — Roma. La nota concerne gli avanzi di pesci fossili trovati nel calcare di Bisman- tova e conservati nel Museo « Spallanzani » di Reggio Emilia. Dall'esame di tali fossili e dagli opportuni raffronti col materiale ittio- litico del Museo geologico e mineralogico dell’Università di Modena, l’autore potè stabilire che la ittiofauna della pietra di Bismantova è rappresentata da 15 specie che egli partitamente enumera e descrive. Relativamente all’età di detta pietra, la questione è stata fin qui contro- versa, disparatissime essendo le opinioni al proposito emesse dai diversi stu- diosi che si occuparono dell'argomento. Dall’eseguito esame dei sopraccennati fossili l’autore ritiene che la roccia dalla quale essi provengono debba riferirsi all’ Oligocene. La nota è corredata da tre tavole, comprendenti 81 figure. (E. TISSI). De SterANO G. — Appunti sulla ittiofauna fossile dell’ Emilia conservata nel Museo geologico dell Università di Parma. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc., 1-2, pag. 35-78, con 2 tav.). —. Roma. Facendo seguito alle sue precedenti ricerche sulla ittiofauna fossile delle formazioni terziarie della Toscana e dell'Emilia, l’autore descrive ed illustra in questa memoria gli avanzi dei pesci fossili emiliani che si conservano nei Musei geologici delle Università di Parma e di Modena. Trentaquattro sono le specie determinate che l’autore partitamente descrive. Di queste il maggior numero appartiene a depositi del Terziario medio e superiore e vive ancora nei nostri mari; poche soltanto sono riferite al Ter- ziario inferiore. (E. TIssI). a } i ni 56 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 DE STEFANO lr. — La ittiofuuna del mare pliocenico italiano. (Riv. it. di Pa- leont., Anno XVIII, fasc. ITHIII, pag. 74-82). — Parma. In questa nota l’autore presenta l’elenco comparativo dei pesci che po- polarono il mare pliocenico dell'Emilia, della Toscana e dell’ Italia meridio- nale, dal quale elenco emerge evidente la identità esistente fra la ittiofauna delle regioni italiane esaminate, ciò che induce ad inferire che il mare plioee- nico italiano è stato popolato da un complesso di specie abbastanza uniforme in tutte le regioni delle attuali terre emerse, specie che si possono dividere nei seguenti gruppi: 1.9) Specie neogeniche, che comprende 11 forme; 2.0) Specie determinate dubitativamente o solo genericamente, che com- prende 5 forme; 3.9) Specie viventi, comprendente 24 forme, tutte viventi nei nostri mari. L’accentuata prevalenza di specie viventi nell'odierno Mediterraneo con- sente di inferire che la ittiofauna fossile del Terziario superiore italiano è quasi tutta identica a quella dei mari che attualmente bagnano l'Europa meridionale ed occidentale, e può quindi risultare di grande valore come indice cronologico nella determinazione dei terreni pliocenici e postpliocenici. Paragonando poi la ittiofauna dei terreni oligocenici e miocenici italiani con quella pliocenica esaminata, l’autore ravvisa evidente il rinnovamento delle specie manifestatosi col sopraggiungere dei tempi del Terziario superiore ed osserva che già nel Miocene si appalesano scomparse o modificate un gran numero di forme che avevano popolato i mari eocenici ed oligocenici delle nostre regioni, e che col sopraggiungere dei tempi pliocenici tali forme seom- paiono del tutto, rimanendo appena poche specie neogeniche, destinate a scomparire anch'esse man mano che ci avviciniamo all’ epoca presente. (E. TISSI). De Tont A. — Studi geologici e morfologici sul lido di Venezia. (R. Mag. Acque, Uff. Idrogr., Pubbl. N. 18, con 3 tav.). — Venezia. Per incarico dell'Ufficio Idrografico del R. Magistrato alle Acque, l’au- tore ha iniziato ricerche d’indole geologica e morfologica sul Jido della Laguna Veneta, ricerche che formavano parte del programma di lavoro dell'Ufficio Idrografico anzidetto. In base a tali ricerche l’autore confida di giungere a spiegare l'origine dell’importante lingua di terra che, decorrendo dal Porto di Piave veechia al Porto di Brondolo, divide e preserva dal mare la laguna; egli ha pertanto cominciato le sue osservazioni simultaneamente su vari ordini di fenomeni, f dg CA ty age gd "= NETTE Me Sr STI nia a RO - c Pale Vy n de e 2% pa 0% 7 } x n i i e BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 57 procurando con ciò di stabilire quali fattori abbiano maggiormente esercitato la loro attività morfologica. Nella presente nota trova posto la descrizione di quelle forme che sono da attribuirsi all’azione del mare sulle spiagge a lento declivio; in una succes- siva pubblicazione l’autore si propone di trattare dei fenomeni la cui causa risiede nell’azione deflatrice e accumulatrice del vento. In seguito a tali ricerche potranno ricavarsi dati sufficienti per risalire dalle leggi che regolano i fenomeni attualmente osservati al processo origi- nario di formazione di quel classico cordone litorale: dati che saranno messi in relazione coi risultati emergenti dallo studio petrografico dei materiali sab- biosi e colle conclusioni derivanti dall'aspetto morfologico e dalle topografiche variazioni che il Lido ebbe a subire in epoca storica. M(ESSLISSÌO): De TonI A. — La fauna liasica di Vedana (Belluno). Parte seconda: Mollu- schi. (Memoires de la Soc. Paléontol. Suisse, Vol. XXXVIII (1911-1912) opusc. di 29 pag. con 1 tav.). — Genève. In questa seconda parte del suo lavoro, che fa seguito alla prima parte riferentesi ai Brachiopodi, l’autore descrive ed illustra i molluschi rinvenuti in un grande masso di calcare bianco, saccaroide, pieno di fossili, che trovasi in prossimità della Certosa di Vedana (Sospirolo) e che probabilmente pro- viene da una località poco discosta, ove affiora uno strato di roccia del tutto analogo al masso medesimo. (E. TISSI). DE TonI A. — La fauna liasica di Vedana (Belluno) Parte seconda. — Mol- luschi. (Mémoires Soc. paléont. Suisse, Vol. XXXVIII (1912), pag. 33-51). — Basel. In questa nota l’autore descrive ed illustra 8 forme di Cefalopodi, 6 forme di Lamellibranchi, 6 forme di Gasteropodi ed 1 forma di Echinodermi. In una precedente nota vennero invece descritte 27 forme di Brachiopoli, di guisa che lo studio della fauna di Vedana porta l’autore a riconoscere l’esi- stenza di 48 forme diverse, ch’egli riunisce in un elenco e compendia quindi in una tabella riassuntiva, nella quale viene anche comparata la diffusione delle specie riscontrate. Nella frequenza di individui il primo posto è tenuto dai Crinoidi, di cui risulta spesso quasi integralmente composta la bianca roccia del M, Vedana, alla quale pertanto potrebbesi giustamente applicare il nome di Caleare a Crinoidi. . 58 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Assai frequenti sono pure le Ammoniti, i Brachiopodi, i Lamellibranchi; scarsissimi invece i Gasteropodi. Lo studio del materiale che forma oggetto della presente nota, induce l’autore a confermare, in via definitiva, il riferimento della fauna di Vedana al Lias medio. Una tavola illustrativa correda la memoria. (E. TISSI). De Toni A. — Brachiopodi della zona a Ceratites trinodosus dî Monte Rite in Cadore (Mem. Ist. geol. R. Univ. di Padova, Vol. I, (1912), pag. 319- 349). — Padova. Il M. Rite, che fa parte di quella interessante regione dolomitica com- presa tra il corso del Maé e quello del Boite, in provincia di Belluno, è noto nella letteratura geologica quale importante località fossilifera, e le sue ammo- niti. già illustrate dall’ Airaghi, si trovano in un calcare marnoso nero, fine- mente stratificato, riferito al Trias medio e più precisamente alla zona a Ce- ratites trinodusus Mojs. (Atinico superiore). Recentemente l’autore ed il prof. Dal Piaz trovarono, in un banco di cal- care rossastro. una ricca fauna di brachiopodi, forse la più ricca di quante siano state finora scoperte nel Trias medio delle Alpi e che presenta grandi affinità colla fauna del Trias medio della Selva Baconia, della Bosnia, della Dalmazia e del Montenegro, mentre ha minori analogie colla fauna alpina. L’autore descrive ed illustra quelle forme di brachiopodi che ha potuto determinare con sicurezza, riservandosi di descrivere in seguito anche quelle che per ora ha dovuto trascurare, non essendogli stato possibile di stabilire per esse una sicura determinazione specifica. (E. TISSI). Di Franco S. — Gli inclusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paternò. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V., Vol. XXI, fasc. 4.9, 2.° sem., pag. 249-256, con 2 tav.). — Roma. La nota concerne lo studio di aleuni inclusi riscontrati dall’autore in una corrente di lava in località denominata Rocca $. Paolo, presso Paternò, inclusi che differiseono da quelli già conosciuti e studiati, frequenti nelle lave del- l'Etna e che, per lo più, sono di natura quarzosa. Gli inclusi di Rocca S. Paolo si presentano in grossi frammenti e sono co- stituiti di calcare compatto o di argilla trasformata in termantite, di arenaria e qualcuno anche di lava. Tali inelusi sono dall'autore partitamente descritti ed illustrati con due tavole contenenti 12 figure. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 59 Di STEFANO G. — La dolomia principale dei dintorni di Palermo e di Ca- stellammare del Golfo. (Palentogr. it., Vol. XVIII (1912), pag. 57-103, con 10 tav.). — Pisa. In questa nota, che è destinata ad illustrare la fauna della Dolomia principale dei monti del bacino di Palermo e di Castellammare del (Golfo, l’autore porge un riassunto di una parte delle conclusioni stratigrafiche e paleontologiche dedotte dall’esame delle dolomie più elevate dei dintorni di Palermo, Monreale, Parco, Montelepre, Torretta, Carini, Castellammare del Golfo e S. Vito Lo Capo, e si riserva di dare in ulteriori pubblicazioni le con- clusioni complete e definitive sull’argomento, non potendosi scindere le con- siderazioni emergenti da questa prima monografia da quelle derivanti dalle memorie successive, le quali avranno per oggetto altri gruppi triassici con- nessi con la Dolomia principale. L'autore deserive ed illustra le forme della ricca fauna da lui rinvenutavi. (E. TISSI). FABIANI R. — Za regione montuosa compresa fra Thiene, Conco e Bassano, nel Vicentino. (R. Mag. Acque — Uff. Idrogr., pubbl. N. 41 e 42). — Venezia. La regione che forma oggetto della presente memoria comprende la zona montuosa che s’erge fra il Brenta e la vallata dell’ Astico, a mezzodì dell’alti- piano dei Sette Comuni, formando, nel suo complesso, come una grande scar- pata che raccorda l’altipiano stesso con la pianura vicentina. Geologicamente considerata, la regione in parola è costituita da forma- zioni secondarie, terziarie e quaternarie, con grande sviluppo, specialmente nella parte occidentale, di roccie basaltiche. Le più importanti ed insieme le più conosciute sono le formazioni ter- ziarie, le quali in molti punti ed a vari livelli fornirono copiosi ed interes- santi materiali paleontologici e porsero argomento di studio a molti autori, così italiani come stranieri. La presente monografia è divisa in due parti, la prima delle quali com- prende la descrizione stratigrafica, tettonica e morfologico-idrografica, men- tre la seconda racchiude le note illustrative concernenti le condizioni di per- meabilità delle rocce della regione medesima. (E. TISSI). SME a di PAR SA e I UR ja Pa è Aia -_ Lot, Ar Se © ale SI o E 5. VIA RL da 60 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 FABIANI R. — Nuove osservazioni sul Terziario fra il Brenta e l’ Astico. (Atti Acc. Ven.-Trent.-Istr., Anno V, fasc. 1.° e 2.0, pag. 94-125, con 1 tav.). — Padova. L’autore ha studiato le formazioni terziarie (che vanno dall’ Eocene in- feriore al Miocene superiore) della regione compresa fra Thiene, Conco e Bas- sano, e mette specialmente in rilievo quei risultati delle sue ricerche che contribuiscono a completare la conoscenza della stratigrafia locale e definiscono meglio alcuni livelli anche in riguardo ai loro limiti rispettivi. In un quadro sinottico posto in fine alla memoria l’autore ha compen- diato la serie delle formazioni terziarie del territorio studiato, messa a raffronto cogli orizzonti più noti de! Terziario vicentino e veronese, e ciò perchè resti più facile gettare uno sguardo d’insieme sulla successione stratigrafica de- scritta e perchè possano essere più agevolmente rilevate le modificazioni e le aggiunte apportate alla interpretazione cronologica di alcuni orizzonti. (E. TISSI). FABIANI R. — Relazione preliminare di nuovi rilievi geologici nei Lessini vicentini e veronesi. (Atti Soc. Ven.-Trent.-Istr., S. 3.2, Anno V, fase. 1° e 2°, pag. 216-219). — Padova. Incaricato dal R. Magistrato alle acque di illustrare dal lato geomorfo- logico ed idrografico le valli dell’Alpone, della Tramigna e del Progno d’Jl- asi, nella zona dei Lessini, l’autore studiò anche le formazioni secondarie della zona stessa, completando per tal modo il rilievo geologico che, collo stu- dio delle formazioni terziarie del Veneto occidentale, aveva iniziato alcuni anni addietro. In attesa della relativa pubblicazione da parte del Magistrato alle Acque, l’autore porge, nella presente nota. alcuni cenni sui risultati delle proprie ri- cerche, specialmente in rapporto al rilevamento geologico ea alle rettifiche che esso viene a portare a quelli compiuti in precedenza da altri autori, ed in particolar modo dal Nicolis e dal Negri. (BE VDISSDI FABIANI R. — Formes singulières d’érosion dans les breccioles basaltiques des monis Lessini. (Estr. dal Bull. de la Soc. de Géogr., Opuse. de 6 pag., con 3 fig.). — Paris. La nota ha per oggetto i caratteri morfologici tutt’affatto speciali che si manifestano nella località denominata Crocegrande, nei montiche si esten- dono tra Chiampo e S. Giovanni Ilarione (Vicenza), in gran parte costituiti BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 6l da roccie eruttive e piroclastiche (basalti, tufi e brecciole basaltiche) spettanti in gran parte al Terziario inferiore. La Tocalità in parola, eccezionalmente caratteristica, è sfuggita finora agli autori che studiarono questa interessante regione Lessina, i quali. per la sua vincinanza al celebre M. Bolca, si sono occupati solo di ciò che ha tratto alla paleontologia, nonostante che dal punto di vista morfologico ed idro- grafico la località medesima costituisca un tipico esempio del genere. Descritta la successione stratigrafica che vi si osserva, l’autore rileva che l'alternanza di roccie di struttura e di resistenza diverse conferisce al paesaggio una speciale fisonomia, che si manifesta sopra tutto nella confor mazione delrilievo, che è brulla e dirupata nelle zone calcaree mentre, che nelle zone costituite da brecciole le forme sono dolci ed arrotondate, tanto da farle rassomigliare a degli enormi cumuli di grano o di sabbia, ed in cui i fenomeni d’erosione e di corrosione hanno originato un sistema oro-idrografico del tutto speciale, quantunque esteso su di una superficie ristretta. Dopo aver accennato che l'erosione si manifesta quasi esclusivamente nell'orizzonte medio delle roccie piroclastiche e che le medesime breccinole sono costituite da frammenti basaltici di proiezione mescolati a detriti calcarei e cementati da calcite, l’autore espone le proprie vedute intorno alle cause che determinarono i suaccennati fenomeni morfologici. (E. TIssI). FABIANI R. — Contributi alla conoscenza dei vertebrati terziari e quaternari del Veneto (Il tipo del Crocodilus vicetinus Lioy). (Mem. Ist. geol. R. Univ. di Padova, Vol. I (1912), pag. 197-214, con 1 tav.). — Padova. Con la presente memoria sul Crocodilus vicetinus Vautore inizia una serie di pubblicazioni allo scopo di illustrare i resti di vertebrati terziari e qua- ternari della regione veneta. I resti terziari di cui l’autore si occupa appar- tengono quasi esclusivamente al gruppo dei rettili; quelli quaternari a mam- miferi di alluvioni e di grotte. Aleuni vennero già sommariamente deseritti; altri sono invece completamente inediti. L’esemplare di cui forma oggetto la presente nota è uno dei più completi e cospicui stati finora scoperti nel Terziario veneto, e giustamente merita l’ap- pellativo di « magnifico » attribuitogli dallo Zittel. L'autore deserive partitamente il cranio con le mandibole ed i denti, la colonna vertebrale, le cinture e gli arti. Dall'esame dei caratteri generali e singolarmente del cranio, raffrontati con quelli di altre specie viventi e fossili, autore deduce che il Crocodilus vicetinus presenta maggiori affinità col 0. porosus dell'Asia sud-orientale 62 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 che non col C. niloticus africano, e che, rispetto alle forme fossili terziarie, il Coccodrillo di Bolca s'avvicina di più al C. depressifrons Blainv. dell’ Eocene interiore di Meudon. Discordi sono i pareri dei vari autori relativamente al riferimento erono- logico del livello a Coccodrilli di Bolca, ma l'opinione prevalente è che gli strati a C. vicetinus spettino alla parte superiore dell’Eocene medio. La nota è corredata da una tavola, raffigurante l'esemplare completo e aleuni denti. (E. TISSI). FABIANI R. — Nuovi resti di Vertebrati scoperti nella « Velika Jama » (Estr. dal Mondo Sotterarneo, Anno VIII, N. 1-2, opusc. di 12 pag. con 1 tav.). — Udine. La Velika Jama (nome sloveno che significa grotta grande) trovasi nella montagna di Tercimonte e s’apre nelle formazioni eoceniche del versante destro della valle della Rieka, circa 7 km. a Nord-Est di S. Pietro al Natisone, alla quota di 372 metri sul mare. Nel suo complesso è conformata a corridoio. E’ lunga una trentina di metri, con un’altezza massima di m. 6% e con larghezza variante da 5 ad 8 metri. La caverna non è chiusa al fondo, ossia allo spunto, ma continua entro monte con un angusto cunicolo discendente, che diviene ben presto im- praticabile e che sta a rappresentare la via delle antiche correnti d’acqua, le quali dopo aver contribuito all’escavazione della grotta la colmarono in parte di materiali detritici e poi l’abbandonarono pel comune fenomeno del- l'abbassamento dei corsi sotterranei. La caverna rimase per tal modo asciutta e potè quindi servire di abita— zione all'uomo neolitico, della cui presenza sonvi numerose prove, essendosi trovati punteruoli d’osso, pezzi di corno lavorati e numerosi frammenti di vari fittili assai analoghi ai consimili resti trovati nelle palafitte di Fimon, d’Arquà Petrarca e nella grotta del Colombo dei Mori nel Trentino. In questo strato archeologico vennero inoltre raccolti avanzi di pasti rappresentati da ossa, nelle quali il prof. E. Regalia riconobbe i resti delle seguenti specie: Felis catus, Myoxus glis, Sus scrofa, Sus domesticus?, Cervus elaphus, Ca- pra hircus, Ovis aries, Bos taurus. Ulteriori scavi, eseguitivi nel novembre 1910, fecero conoscere che anche nella e Velika Jama », come in gran parte delle grotte del Veneto. esistono almeno due livelli distinti, cioè uno inferiore ad Ursus spelaeus, senza in- dizi della presenza dell’uomo, e l’altro superiore in cui, oltre ai resti di ani- mali selvatici, si trovano quelli di specie domestiche, insieme a svariati pro- dotti dell'industria dell’uomo preistorico. iaia i de UM RT i RE VENE ene — 30 = Jin "T% più x 2 P f = BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 63 Il deposito ad Ursus spelaeus resta bene individuato e dev'essere molto più antico dell’altro; in questo invece, a giudicare dall'aspetto delle ossa che in parte sono in un stato avanzato di fossilizzazione, in parte fresche e d’aspetto recente, si ha certamente mescolanza di materiali appartenenti ad età diversa. Le specie determinate dall’autore e che formano l’oggetto di questa mo- nografia sono le seguenti: Bufo vulgaris Laur., Aquila chrysaétus L., Ursus spelaeus Rosenm., Canis lupus L. ?, Felis catus L., Arctomys marmotta L., Y Myoxus glis L., Sus scrofa L., Cervus elaphus L., CU. capreolus L., Capra hir- cus L., Ovis aries L. (E. TISSI). FABIANI R. — Gita Leeco-Novate-Como. Congresso geologico nazionale in Lecco, 10-17 settembre. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 4.0, pag. CCCLXXIX-CCCLXXXV). — Roma, E° la descrizione della gita che chiuse la serie delle escursioni compiute dai Congressisti che intervennero all’adunanza della Società geologica ita- liana tenutasi a Lecco nella seconda decade del settembre 1911. L'autore descrive anzitutto la visita effettuata il giorno 15 settembre al così detto Orrido di Bellano, che è un punto della profonda e stretta gola in cui-scorre la Pioverna e che costituisce uno dei più interessanti e pittoreschi esempi di forra incisa negli scisti cristallini, I congressisti visitarono quindi la cava di feldspato di Piona (Olgiasca) e particolarmente il grande filone di pegmatite formatosi tra la massa degli scisti cristallini, da cui estraggonsi grandi lamine di mica muscovite, grossi cristalli di basalto e di granato, tormaline nere ed altri minerali più rari. A Novate i Congressisti visitarono le cave di granito esercite dalla Coo- perativa lombarda dei lavori pubblici. E’ il così detto granito di S. Fedelino, del quale si fa largo uso specialmente a Milano. Poco prima di giungere alla stazione di Novate, e precisamente allo sbocco della valle del Ratti, furono osservati i disastrosi effetti del memorabile nubi- fragio che imperversò sulla Valtellina nell’agosto 1911. (E. TIrssr). FERRARIS E. — Analisi complete di dolomie gialle di Monteponi (Sardegna); (Res. Ass. min. sarda, Anno XVII, N, 5, pag. 7). — Iglesias. Si comunicano alcune analisi di dolomie gialle di Monteponi ed un’ana- lisi di dolomia listata proveniente da Nebida, le quali potranno essere utili per la migliore conoscenza dei terreni antichi dell’Iglesiente. 64 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 FERRARIS E., TESTA L. ed altri. — Sopra alcune gite nella regione tra San- l'Angelo, Candiazzus e S. Nicolò (Sardegna) allo scopo di riconoscere Ve- stensione del Cambriano). (Res. Ass. min. sarda, Anno XVII, N. 4. pag. 17-20). — Iglesias. E° un allegato ai resoconti delle Riunioni dell’Associazione mineraria Sarda, in cui si espone il resultato di alcune gite geologiche nella regione fra Sant Angelo, Candiazzus e San Nicolò, allo scopo di riconcscere l’esten- sione del Cambriano, di cui furono trovati fossili caratteristici nelle arenarie che affiorano sulla strada che conduce alle case della miniera di Candiazzus. Fu osservato che non esiste un distacco netto fra l’arenaria e la dolomia istata e oolitica, corallifera, ma vi è una zona di transizione che spiega la di- di ‘parità di vedute nel valutare l'estensione del Cambriano arenaceo. Circa le formazioni del cosiddetto Metallifero, fu rilevato che vi sono tre terreni metalliferi ben distinti e cioè la dolomia gialla, il calcare azzurro o ceroide e la dolomia listata ed oolitica, corallifera, concordante con le are- narie e con esse alternata. Seguono altre considerazioni sulle cosiddette « anageniti» e sul caleare a sud di Monte Oi, che, secondo l’esame del Prof. Parona, conterrebbe real- mente fossili. con riserva attribuibili al Cambriano. (005): FeRUGLIO E. — Grotta presso il Fontanon del Cosa, (Mond. sott.. Anno VIII, N° 4, pag. 97). — Udine. Pochi metri a monte dell’anzidetto Fontanon, nei calcari eretacei sulla sinistra del Cosa, esiste una grotta che si presenta con due bocche, di cui l’in- feriore, larga m. 5 e alta m. 2,50, immette in un condotto che termina in una serie di fessure ed altri meati impraticabili la bocca superiore, più piccola, dà accesso ad un canale che va pure sempre più restringendosi verso l’interno. Un vero torrente, che si scarica nel Cosa, esce dalla grotta dopoi periodi di pioggia. SA (E. Tissi). FeruGLIO E. — Il Fontanon del Cosa. (Mond. sott., Anno VIII, N° 4, pag. 97). — Udine. Sbocca dai caleari cretacei sulla destra del torrente Cosa, a pochi metri sopra il letto di questo, alla quota di circa 250 metri sul mare. E° ubicato N. N. 0. della piccola borgata di Mulinars; da una bocca ampia (larga 5e alta m. 3) sgorga una grossa e perenne massa d’acqua che si preci- pita nel Cosa formando una cascata visibile anche dall’opposto versante della valle (E. DISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 65 FERUGLIO G. — I fenomeni carsici della Cirenaica. (Mondo sott., Anno VIII, N. 3, pag. 59-63). — Udine. Osserva anzitutto l’autore come le notizie che fino a pochi anni fa si avevano sulla costituzione geologica della Cirenaica erano poche, incerte ed anche contradditorie. Così, ad esempio, lo Zittel ed il Fuchs avevano attribuito al Miocene tutto il vasto altopiano libico fino alla Grande Sirte: miocenica la conside- rarono pure il Rolland e lo Schirmer, e poichè la carta del Rolland è riportata integralmente nell’edizione francese del Suess, non reca meraviglia se anche la carta geologica internazionale considera miocenica tutta la Cirenaica. Anche l’Hildebrandt, nella sua importante monografia, pure ammet- tendo che qualche lembo di terreni più antichi possa trovarvisi, special- mente lungo la costa, accetta le idee dello Zittel e del Rolland e ritiene che la regione, nella sua quasi totalità, sia costituita dal Miocene. Non mancarono, invero, studiosi, come il Della Cella, lo Spratt, 1’ Arci- duca Francesco Salvatore e l’Haimann, i quali accennano alla presenza di calcari ricchi di nummuliti e di altri fossili eocenici, e probabilmente basan- dosi sui riferimenti dei due ultimi citati autori anche il T'aramelli considerò eocenica tutta la Cirenaica. Osserva pure l’autore che in quest’ultimo periodo di tempo sono inter- venuti gli studi della Commissione nominata dalla Jewish Territorial Orga- nization (conosciuta comunemente col nome di (Commissione della Ito), ed in base ai rilievi ed alle determinazioni del materiale fossile fatti dal Gregory, pare non possa più mettersi in dubbio che l’Eocene sia effettivamente rap- presentato nella Cirenaica. Gli studi dell’anzidetta Commissione dimostrano anzi come il Miocene costituisca totalmente solo il territorio ad Est del meridiano di Capo el Tin e del golfo di Bomba, mentre ad Ovest esso si manifesta solo in lembi isolati di cui i maggiori sono quelli ad oriente di Bengàsi e quello dell’altipiano di Guba; per contro assai sviluppati sono 1 Focene e l’Oligocene Focene, Oligocene e Miocene hanno facies completamente calcare. Si tratta di calcari bianchi, giallognoli o rossastri, di aspetto qualche volta are- naceo od oolitico, ed in qualche luogo con pretto carattere di calcari di sco- gliera, per lo più compatti, ma che sotto Vazione degli agenti atmosferici si vanno alterando per corrosione, lasciando come residuo un terriccio di aspetto identico alla terra rossa del Carso. La corrosione del caleare, oltre alla produzione della terra rossa, ha avuto una azione importantissima nella morfologia della regione. Le grotte, le vora- 66 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 gini, le sorgenti, i ruscelli perdentisi in cavità sotterranee ed altri fenomeni di tipo carsico attirarono l’attenzione dei viaggiatori, che nelle loro descri- zioni lasciarono di ciò frequenti accenni. (Es TISSD: Forti A. — Primo elenco delle diatomee fossili contenute nei calcari di M. Gibbio. (Nuova Notarisia, XXII, pag. 8, e Riv. it. di Paleont., Anno XVIII, fase. IV, pag. 109). — Parma, In questa nota l’autore presenta un elenco preliminare di 124 forme di diatomee fossili, tra cui aleune nuove. (E. TISsSsI). FucINI A. — Trionyx pliocenicus Law. (Paleontogr. it., Vol. XVIII, (1912), pag. 1-28, con 5 tav.). — Pisa. Il bellissimo esemplare di Trionyx che forma oggetto della presente nota appartiene alla ricca collezione paleontologica del Sig. Lawley, a Montecchio pisano, e fu trovato alcuni anni fa nelle argille turchine del Pliocene inferiore (Piacenziano) a Mapesi, presso il Poggio alle Monache, non lungi dalle Saline di Volterra. Il Lawley, l'aveva provvisoriamente chiamato Trionyr pliocenicus, ed ora l’autore lo descrive di bel nuovo, ma con maggiore estensione e con particolare accuratezza, e ciò sia in vista della singolare bellezza del fossile, sia perla speciale importanza che esso può avere nella sistematica, assai scarsi e poco conosciuti essendo i Triony chidi fossili del Pliocene, a differenza di quelli del 'Perziario antico e medio che sono numerosi e riecamente illustrati. L'autore istituisce accurati raffronti tra le varie specie di Trionyx, ed esamina lo scheletro fossile di cui trattasi nelle sue parti conservate e special- mente nello seudo. Sono poi particolareggiatamente descritti il piastrone, la testa, la colonna vertebrale, la cintura scapolare, la cintura pelvica e tutti gli arti. In 5 nitide tavole allegate alla memoria sono figurate le varie parti del- l'esemplare descritto. (E. TISSI). FucINnI A. —— Fossili nuovi o interessanti del Batoniano del Sarcidano di Laconi in Sardegna. (Mem. Soc. Toscana di Se. Nat., vol XXVII (1911) pag. 93-107 con 1 tav.). — Firenze. I fossili studiati dall’A. appartengono alle seguenti specie: Ostrea perda- lianae Mgh., Pecten lens Sow., P. arenatus Sow., P. redemptus n. sp., P. an- nulatus Sow., P. disciformis Sch., Hinmites abjeetus Phil, Lima complanata BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 67 Laube, L. Lycetti Laube, Pleroperna costatula Desl., Trigonia duplicata Sow., Lucina bellona d’Orb., Unicardium cfr., gibbosum M. e L., Nerinea sp. ind. Questi fossili provengono da un calcare grigio dolomitico del Sarcidano di Laconi, il quale deve perciò considerarsi del Batoniano, cosicchè si viene sempre più ad avvalorare l’opinione che questo piano sia esteso in Sardegna assai più che non sì credesse ed a scapito di formazioni precedentemente rife- rite, come quella in discorso, al Trias. (CHE) VucINI A. — Lo Schiarmuziano superiore nella valle del Piastrone presso Bolognola. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX (1911), fase. 3°, pag. 843-848). —— Roma. L’A. illustra aleune ammoniti raccolte dal prof. Canavari nella valle del Fiastrone nei dirupi che si trovano fra Villa di Mezzo e Villa da Capo ed ap- partenenti alle specie seguenti: Philloceras retroplicatum (Geyer,, Ithacophyllites costicillatus Fuc., Ly- toceras mompianense Bett., Caeloceras medolense Haher, Hildoceras Manzo- nii Gemm., Harpoceras Curionii Mgh. Questa faunula è certamente da riferirsi al Scharmuziano superiore; per- ciò le assise che la contengono e che fanno parte di una compagine di calcari marnosi grigi fin qui riferiti al Lias sup. debbono esserne staccati. La se- parazione sembra debba farsi fra gli strati a macchie rossastre e quelli senza tali macchie, ? (C. C.). Fucini A. -- Polyplacophora del Lias inferiore della montagna di Casale in Sicilia. (Paleontogr. it., Vol. XVIII, 1912, pag. 105-127 con 2 tav.). — Pisa. L'A. illustra i Polyplacophora della Montagna del Casale raccolti dal dott. Merciai e conservati nel Museo di Pisa aggiungendovene pochi altri in- viatigli in esame dal prof. Scalia, fra i quali gli originali delle nuove specie da quest’ultimo istituite. Le specie descritte sono undici: Pterigochiton busambrensis Scalia, Pt. Di Stefanoi n. sp., Pt? mirificus n. sp., Heterochton giganteus Scalia sp., H. Zitteli Sc. sp., H. compressus Sc. sp., H. Buccai n. sp., H. Vinassai n. sp., Al- lochiton Gemellaroi n. sp., A. costulatus n. sp.., A. altus n. sp. Nuovi sono i generi Ieterochiton ed A llochiton. (GGI) BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA 1TALIANA, 1912 69 GaBBA L. e TURNER. — Contributo allo studio chimico di una torba pavese. (Rend. R. Ist. Lomb., S. II, Vol. XLV, fase. XIV-XV, pag. 765-769). — Milano. Con la presente nota gli autori comunicano i risultati desunti dallo studio analitico di un campione di torba fornito per l’esame chimico al laboratorio di chimica tecnologica del R. Istituto Tecnico Superiore di Milano. Il campione proviene da un giacimento torboso esistente in territorio comunale di Cava Carbonara, sulle rive del Ticino, nei dintorni di Pavia. Appena estratta dalla torbiera questa torba contiene circa il 60 % di acqua. Il suo peso specifico, dopo essiccata all’aria, è =: 1,35. Dopo essiccata a 100 €. e sottoposta all’arroventamento diede i seguenti risultati: Caronia. "Ata e Ei A CI IVA IANCQUAZIETOSCOPICAL ME SIT a OTT SOBLANZERVo 26) ee Se e 000 (CATDONIORISSO MI 00 ET 00 Il suo potere calorifico, determinato colla bomba Mahler, risultò di 4390 calorie. La memoria contiene altresì i risultati dell’analisi elementare, dell’ana- lisi delle ceneri, dell’analisi del gas ottenuto dalla torba in parola, nonchè quelli della distillazione frazionata del catrame di detta torba. (E. TISSI). GaLLi I. — Sui fenomeni luminosi osservati nei terremoti. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 4°, pag. 922-924). — Roma. Presentando alla Società geologica una sua monografia intitolata: Rac- colta e classificazione di fenomeni luminosi osservati nei terremoti, stam- pata nel Bollettino della Società Sismologica italiana (Vol. XIV, N. 6-8), l’autore ne accenna il contenuto. Dopo aver ricordate le opinioni degli antichi filosofi e dei fisici anteriori al secolo decimonono intorno all’origine del terremoto e di certe apparizioni che d’ordinario lo precedono, ha radu- nato i documenti relativi a ben 148 terremoti (dall’anno 89 a. C. fino al marzo 1910) nei quali furono avvertiti fenomeni di luce. L'autore esclude che la sensazione di luce si riduca ad un vago fenomeno subbiettivo provocato dall’urto delle rovine o dallo spavento, perchè nel maggior numero dei casi il fenomeno luminoso fu osservato prima della scossa, e perchè molte apparizioni di luce, anzichè essere indeterminate ed istantanee, avevano forma nettamente definita, durarono per un tempo apprezzabile, mutarono di luogo e si appalesarono colla medesima figura e col medesimo colore a tutti i testimoni. 1* 70 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Se la realtà obbiettiva dei fenomeni luminosi oltrechè essersi ampia- mente dimostrata in molti dei terremoti memorabili di cui la storia ci tra- manda il ricordo o che, per essere di data recente, la relativa descrizione ne vien fatta da testimoni oculari tuttora in vita, non abbiamo il diritto di negarla per molti altri casi osservati e narrati isolatamente si, ma da persone a cui è lecito prestare ampia fede. Così, per esempio, il rev. Barchers, ministro protestante nell'Africa au- strale, scrisse che una sera del 1809 egli e la sua famiglia udirono un forte rombo e videro un lampo vivissimo che riempì di luce tutta la casa. Suppo- sero un temporale improvviso; ma, in luogo del tuono, avvertirono, dopo il bagliore, una scossa molto violenta seguìta da un’altra meno forte. E’ invalso l’uso di dare al fenomeno la denominazione di lampo sismico, forse perchè la forma di baleno o di bagliore è la più frequente. Ma si presen- tarono anche altre apparizioni di figura speciale e ben definita, come fiamme, fiammelle colorate e vaganti, scintille, sfere e trombe luminose, masse di va- pore fosforescente, e, infine, le così dette travi e colonne di fuoco. Le forme sferiche, osservate in 42 dei terremoti elencati nel catalogo, sembrano veri fulmini globulari. Le travi e le colonne di fuoco, che corsero sempre velocemente e talora con rumore o con sibilìo, sono probabilmente sottili trombe ad asse orizzon- tale o verticale. Molte volte la scossa del suolo fu accompagnata da un vortice atmosfe- rico invisibile, rivelato soltanto dagli effetti meccanici ed indicato dai testi- moni col nome di aeremoto. Non è neppure raro uno speciale odore di acido solfidrico o solforoso, o di bitume, oppure una sensazione di calore simile ad una vampata. Al solo intento di intavolare la questione, finora generalmente trascu- rata, l’autore ha avanzato qualche ipotesi per spiegare la manifestazione dei fenomeni di cui trattasi, e confida che la raccolta abbastanza copiosa di fatti possa porgere occasione ai sismologi ed ai geologi di considerarli attentamente e trarne una logica e fondata spiegazione. (E. TISSI). GaLLo G. — Relazione del viaggio d'istruzione fatto in Sardegna cogli allievi del 1° Amno di Applicazione della R. Scuola Ingegneri»di Roma nell’aprile 1911. (Estr. dall’Ann. della Scuola per l’anno 1911-1912, opus. in 16° di 21 pag.). — Roma. E’ la particolareggiata descrizione di un viaggio d’istruzione in Sardegna compiuto da un gruppo di 62 allievi del 1° Anno di Applicazione della Scuola Ingegneri di Roma allo scopo di visitare le importanti miniere e gli impianti metallurgici dell’Iglesiente. La comitiva, guidata dai professori Meli e Gallo LR SIN LI e LIZA IT e te A sei BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 71 e dal dottor Cenni, nel tragitto da Golfo Aranci a Cagliari ebbe campo di osservare la costituzione geologica dei terreni attraversati dalla ferrovia e di visitare successivamente gli impianti delle miniere e delle officine di trat- tamento di Monteponi, Montevecchio e S. Giovanni e delle grandiose Saline di Cagliari. (E. TIssI). GaUTHIER V. — Il bradisismo flegreo all’epoca ellenica. (R. Ace. Napoli, S. 3&, Vol. XVIII, fasc. 3° e 4°, pag. 91-94). — Napoli. Dalla Società Terme Agnano, proprietaria del bacino di Agnano e della collina di Montespina, sono stati intrapresi, per iniziativa dell’autore, alcuni scavi nella regione orientale del cratere di Agnano, in vicinanza della zona ove sgorgano numerose sorgenti di acque minerali ed ove esistevano pochi ruderi dell’epoca romana. Gli scavi furono iniziati allo scopo di rintracciare, possibilmente, l’an- tica sorgente utilizzata dai Romani nel fabbricato cui appartenevano i ruderi anzidetti, in mezzo ai quali furono rinvenuti dei canalettidi scolo formati con materiale laterizio. Per effetto degli scavi di cui trattasi furono rinvenuti, sotto le note costru- zioni romane, imponenti avanzi di mura greche costituite da blocchi paral- lelepipedi di tufo verde, sovrapposti gli uni agli altri senza interposizione di malta, e dalla loro presenza ed ubicazione l’autore induce che le oscillazioni del suolo nei Campi Flegrei sono anteriori e più estese di quelle fin qui pale- sateci dalle colonne del tempio di Serapide. (E. TISSI). GEMMELLARO M. — Ittiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni della Provincia di Palermo e di Girgenti. (Giorn. Se. Nat. ed Econ., Vol. XXIX, pag. 117-156, Palermo, e Riv. it. di Paleont., Anno XVIII, fasc. IV, pag. 109). — Parma. La nota illustra e descrive alcune forme di pesci fossili provenienti dalle località di Campofiorito, Corleone, Palazzo Adriano in provincia di Palermo e Burgio in provincia di Girgenti. (E. T1ss1). GEMMELLARO M. — Ittiodontoliti eocenicì di Patàra (fra Trapani e Termini Imerese). (Giorn. Sc. Nat. ed Econ., Vol. XXIX, pag. 288-312, Palermo, e Riv. it. di Paleont., Anno XVIII, fasc. IV, pag. 110). — Parma. L'autore descrive e figura 9 forme di Ittiodontoliti fossili di Patàra, di cui due nuove (Acrodus siculus e Ginglymostoma Priemi) e porge altresì una descrizione del territorio da cui proviene la piccola ma interessante fauna eocenica di cui è oggetto la presente nota. (E. TISSI). 72 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 GIGLI T. di Pisa. (Gazz. chim. it., XLII, parte 12, fasc. 6°, pag. 576-577). — Roma. Sopra due scaturigini di gas infiammabile scoperte nel territorio Dotati di notevolissima tensione si sviluppano da queste due scaturigini dei gas costituiti da metano, azoto, ossigeno, anidride carbonica, ece. (E. TISSI). GORTANI M. — Falde di detrito e coni di deiezione nella valle del Taglia— mento. (Mem. Geogr., N. 20, VII, pag. 339-434, con 34 fig.). — Firenze. La nota ha per iscopo di dimostrare che il lavorio demolitore degli agenti atmosferici non è già, come generalmente si crede, disgiunto e distinto da quello dell’acqua corrente, ma che, invece, gli accennati due ordini di forze si com- penetrano nell’azione e si sommano nei risultati, e ciò non soltanto in riguardo alla demolizione, ma benanco nell’opera di trasporto e di deposito dei mate- riali. Un lento e graduale passaggio — osserva l’autore — lega î cumuli di detrito o di frana ai coni di deiezione, e molti di tali passaggi sono dall’autore stesso illustrati con esempi tolti dalla valle del Tagliamento. (E. TISSI). GORTANI M. — Rinvenimento di filliti neocarbonifere al piano di Lanza (Alpi Carniche). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX (1911), fasc. 39, pag. 909-912). — Roma. Il piano di Lanza a nord-est di Paularo nelle Alpi Carniche orientali è noto fra i giacimenti carboniferi ed offre una serie particolareggiata di strati che dal Neocarbonico ascendono fino al Permocarbonifero tipico. Irregolare però è il contatto fra Carbonifero e Devoniano, così che la se- rie carbonifera è trasgressiva sull’altra, ciò che è provato anche dai fossili, i quali indicano mancanti fra le due serie il Neodevonico ed il Carbonifero in- feriore e medio. Un recente studio su quella formazione procurò all’autore la ventura di scoprire una località nuova ed finteressante perchè ricca di piante ben conservate. Di tale località, situata fra il Cason di Lanza ed il Rio Pale di San Lorenzo, l’autore descrive la serie stratigrafico-litologica. dalla quale è dato di rile - vare la posizione degli strati con filliti, posizione analoga a quella degli strati con filliti del Monte Pizzul e che non lascia alcun dubbio sulla pertinenza della flora di Lanza al Carbonifero superiore. Fra gli esemplari contenutivi dominano Alethopteris Grandini e Annularia e sono presenti Pecopteris, Goniopteris, Nevropteris, Linopteris, Calamites ece., mentre non fu ancora notata alcuna Sigillaria. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 73 Blocchi con filliti furono inoltre dall’autore osservati a poca distanza dal passo Cason di Lanza verso Pontebba, e tali blocchi sembrano provenire dal rio Val Dolce. Il rinvenimento di cui trattasi ha interesse anche per la esatta delimi- tazione del litorale neocarbonifero carnico e dell’area più soggetta ai movi- menti della linea di spiaggia. (E. TISSI). GORTANI M. — Stromatoporoidi devoniani del Monte Coglians (Alpi Car- niche). (Riv. it. di Paleont., Anno XVIII, fasc. IV, pag. 117-128, con lftavo) Se =#Roma: In questa nota l’autore descrive ampiamente gli Stromatoporoidi deter- minati nella serie stratigrafica del Monte Coglians, che è la più completa e particolareggiata delle Alpi Carniche, e nella quale egli ha potuto ricono- scere i seguenti orizzonti: Eodevonico inferiore, medio e superiore; Mesode- vonico inferiore e superiore; Neodevonico inferiore e superiore. Questi diversi piani, tutti nettamente caratterizzati da fossili nel ver- sante italiano del gruppo montuoso, offrono una ricca messe paleontologica, della quale sarà data a suo tempo l’illustrazione completa. (E. TISSI). GORTANI M. — Rilevamento geologico della tavoletta Pontebba (Alpi Carniche). (Boll. Com. geol. it., Vol. XLIII, Anno 1912, fasc. 1°, pag. 91-112, con 2 tav.). — Roma. L'autore dopo aver rilevato che i monti di Pontebba hanno una certa rinomanza nella geologia alpina, soprattutto per le celebri faune carbonifere del Nassfeld e dei monti circostanti, osserva che il territorio che forma og- getto della presente memoria fu già in precedenza studiato da diversi autori, e particolarmente dal Taramelli, dal Frech e dal Geyer, i quali però, forse per averlo studiato troppo superficialmente, non concordano nelle loro deduzioni. L’autore ha dato alla struttura del territorio in esame una interpreta- zione notevolmente diversa, che egli espone, descrivendone la successione stratigrafica a cominciare dal Carbonifero e Permiano e venendo quindi al Trias inferiore, medio e superiore, e infine al Quaternario. Riguardo a quest’ultimo l’autore osserva che i monti di Pontebba conservano le tracce di un intenso glacialismo, e che sopra tutto il M. Glazàt, il Fortin ed il dossone della Vene- ziana si mostrano profondamente limati ed arrotondati e sopportano estese morene. T4 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Parlando della tettonica l’autore osserva che anche di essa si hanno tre interpretazioni diverse a seconda delle speciali vedute dei sunnominati stu- diosi, dai quali però, anche in questa parte, l’autore profondamente dissente. Dopo un rapido accenno ai prodotti minerari e da costruzione, dei quali il territorio in esame è povero, l’autore descrive i caratteri geomorfologici della regione, osservando che - in generale - ilpaesaggio offre i più svariati tipi e contrasti, dalle punte e forcelle dolomitiche aguzze e dirupate ai dossi arro- tondati e ammantati di pascoli; dai sassosi e brulli greti calcarei ai fertili de- clivi coperti di boschi, di abitati e di campi. Corredano la memoria una tavola fotografica, una cartina e alcune se— zioni geologiche. (E. CLISSD). GorzincER G. Morphologische Bilder der nordlichen Adria und von Istrien. (Stille, Geol. Charakterbilder, H. 5, Berlin, 1911, e Geol. Zentr. Bd. 17, N. 11, pag. 501-502). — Leipzig. Rileva l’autore che la regione adriatica settentrionale è delimitata, nella sua parte orientale fin sopra Trieste e Monfalcone, da una costa dirupata; da ivi procedendo verso Norde Nord-Ovest essa è invece delimitata da una linea litoranea appiattita, formata dai materiali d’alluvione depositativi dai fiumi alpini. Per effetto delle correnti litoranee e più ancora per effetto dei venti si formano nei depositi sabbiosi dei caratteristici solchi ondulati. Lungo la dirupata costa istriana si osservano numerosi scogli costituiti da calcari a rudiste, i quali rappresentano i residui di una zona litoranea in gran parte distrutta dall’azione erosiva del mare. Tipici della regione adriatica sono anche i così detti Karren che si mo- strano con aspetti diversi in corrispondenza alla diversa natura delle roccie e al diverso grado di più o meno avanzata erosione. Il continente istriano può suddividersi in tre parti fra loro geologica- mente e morfologicamente diverse, e precisamente: 1°) nell’Istria Carsica, rappresentata dai bianchi e nudi calcari ereta- cei spogli d’ogni vegetazione, la quale perciò viene chiamata l’Istria bianca; 2°) nella bassa regione ‘del Flysch, posta a Sud-Ovest della prece- dente e denominata l’Istria grigia; 3°) nella regione istriana depressa, detta Istria rossa a motivo dei rag- guardevoli depositi di terra rossa che coprono i calcari cretacei. L’autore descrive quindi aleune particolarità caratteristiche riferibili a ciascuna delle anzidette zone ed espone le ipotesi relative alla idrografia sotterranea e superficiale ed alla conseguente morfologia derivatane all’in- tera regione. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 T5 Grecorr J. W.— The fossil Echinoidea of Cyrenaica. (Quart. Journal Geol. Soc., vol. LXVII, pag. 661-679, tav. XLVII-XLIX). — London. Tra gli Echinoidi raccolti dall’autore durante la sua spedizione in Cire- naica sono comprese 10 specie ben determinabili, tra cui tre nuove. Gli esemplari raccolti superano il centinaio; molti di essi sono imperfetti e ser- vono soltanto ad agevolare la esatta designazione delle forme sicuramente determinabili. Nella nota sono particolareggiatamente descritte e figurate le seguenti specie: Clypeaster biarritzensis Cotteau; Fibularia luciani (Loriol); Scutella tenera Laube; Amphiope Luffi, sp. nov.; Echinolampas chericherensis Gauth.; Echinolampas discus Desor; Hypsoclypens hemisphericus (Greg.); Hemiaster scillae Wright; Schizaster ederi, sp. nov.; Sarsella lamberti sp. nov.; Euspatangus sp. (E. 'TISSI). HiLDEBRAND G. — La Cirenaica e il suo avvenire specialmente dal punto di vista economico. (Vol. di 50 pag. con 1 carta). — Roma. Questa pubblicazione è un ampliamento della tesi di laurea del Dott. Got- thold Hildebrand ed è preceduta da una breve ma lusinghiera prefazione del prof. Teobaldo Fischer, che a disposizione dell’autore mise tutto il materiale diligentemente raccolto in epoca precedente per i propri lavori. Il libro che è stato pubblicato in Germania nel 1903 è diviso nei seguenti principali Capitoli : Cap. I- I caratteri generali; » II —- La posizione della Cirenaica; >» III —- Confini, estensione ed accenno ai tentativi di colonizzazione; » IV - Elementi di geologia; » V — Le coste; » VI - Le forme del terreno; >» VII - Il clima; > VIII — Vegetazione; ) IX - La fauna; » X — Antropogeografia. 76 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Relativamente alla costituzione geologica l’autore riporta anzitutto le ipotesi dello Zittel e dello Schweinfurth, secondo le quali tutto l’altipiano libico è formato da calcare marino miocenico; cita, in seguito, gli studi e le osservazioni di Pacho, di Beechey, del Della Cella, di Rohlfs, dell’Haimann, dell’Arciduca Francesco Salvatore d'Austria, del Rolland, dello Schirmer, ecc. alcuni dei quali ritenevano invece eocenica la Cirenaica. L’autore è di parere che la questione è, al riguardo, tuttora aperta, e riconosce che la presenza di stratificazioni eoceniche, per quanto non dimostrata, non è del tutto infondata. La terra miocenica di Barca avrebbe dovuto subire, durante l'abbassamento del grande tavoliere deserto fino al bacino conico, un leg- gero spostamento verso Nord. La cosa più probabile - soggiunge l’autore - è che la Cirenaica sia di formazione miocenica e che sia emersa dal mare dopo quest'epoca. Petrograficamente è fuor di dubbio che essa è di formazione calcarea. Tutto il massiccio cirenaico è formato di un calcare bianco e duro. La zona costiera invece è in parte di carattere sabbioso ed argilloso, onde da molti è indicata come composta di arenaria. Ma sembra che questa formazione sab- biosa si limiti ad una zona ristretta e dovrebbe trattarsi o di stratificazioni eoceniche più basse o di una formazione più recente pliocenica o quaternaria. Altre relazioni dicono che la zona sabbiosa si estenda fino all’altipiano. L’Haimann dice che l’arenaria compatta ricopre tutta la zona litoranea. Il volume è corredato da una ricca bibliografia, da un elenco di esploratori e da una carta economica, a colori, della Cirenaica in iscala dil a 2.000.000. (E. TISSI). HoERNESs R. — Zur Geologie von Predazzo. (Sitz. Ber. d. k. Akad. d. Wiss., RUIZ Sep = Win In difformità alle vedute di W. Pencks, di Philipp e soprattutto della Sig. M. Ogilvie Gordon, la quale ultima suppone una straordinaria compli- cazione nella tettonica delle formazioni dei dintorni di Predazzo, l’autore è d’avviso che tanto le roccie eruttive ed effusive quanto quelle alle mede- sime concomitanti, debbansi ritenere coeve e riferibili all’epoca triassica o ad epoca di poco posteriore a questa. E d 4 È (005 CINARIER) IssEL A. — Un òmero di « Felsinotherium ». (Mem. R. Ace. Lincei, S. V, vol. IX, pag. 119-125, con 2 tav.). — Roma. L’omero descritto venne alla luce negli scavi eseguiti nel 1911 nellamarna pliocenica inferiore della piazza Deferrari a Genova per la costruzione della BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 7 nuova sede della Banca d’Italia, poco lungi da numerose altre relique di Felsi- notherium subappenninum Bruno. x Il fossile studiato presenta un particolare interesse perchè l’omero del genere Felsinotherium non era peranco conosciuto. (CERCO KiLIAN W. et JacoB CH. — Sur la ‘tectonique des montagnes situées entre le Mont-Blane et le Petit Saint-Bernard. (C. R. Ace. Sc., Tome 154, N. 14, pag. 802-806). — Paris. In questa nota gli autori dimostrano l’esistenza, tra Bourg-Saint-Maurice e l’estremità meridionale del Monte Bianco, di tre compagini nettamente distinte, e precisamente: A. la copertura mesozoica del Carbonifero del Piecolo S. Bernardo, formata da una serie di assise mesozoiche a facies mista, ove dominano delle brecce poligeniche e dei scisti lucenti (schistes lustrés) accompagnati da roccie verdi; B. una serie di terreni a facies brianconnese, limitata da due linee di contatto anormale; C. il contorno sedimentario del massivo del monte Bianco, a facies provenzale. Le suddette formazioni rappresentano, secondo gli autori, il prolunga- mento strutturale di qualcuno dei grandi accidenti delle Alpi Pennine, re- centemente descritti dall’Argand. (END ssa) KILIAN W. et JacoB CH. — Sur le non-parallélisme des Zones isopiques et des accidents tectoniques dans les Alpes franco-italiennes et le Valais. (C. R. Ac. Sc., Tome 154, N. 14, pag. 853-856). — Paris. La memoria tende a dimostrare che la zona delle Aiguilles d’Arves, sti- rata e in qualche punto, come dietro il monte Bianco, sormontata da una falda più interna, mostra le radici d’una parte delle masse esotiche esterne delle Alpi, e che i limiti delle zone isopiche, obliqui per rispetto ai limiti delle zone tettoniche, tagliano successivamente in direzione da N.-E. e S.-0. il lembo o bordo frontale di tutte le falde. (ESSNISST)A KILIAN W. et PussenoT CH. — Sur l’dge des Schistes lustrés des Alpes franco- italiennes. (C. R. Ac. Sc., Tome 155, N. 19, pag. 887-891). — Paris. Ricordano gli autori che nel 1894 Marcel Bertrand osservava, alla mon- tagna di Pichery, nell’Alta Savoia, il passaggio laterale degli scisti lucenti 78 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 (Schistes lustrés) della Grande-Sassière a marmi fillitici delTrias medio, e ri- cordano altresì come successive osservazioni dimostrarono che in alcuni punti delle Alpi piemontesi gli scisti lucenti racchiudono delle Belemniti e riposano sui calcari triasici, la cui fauna indica il Trias superiore (livello a Werthenia solitaria). Recentemente gli autori hanno potuto constatare nei medesimi scisti lucenti l’esistenza di incontestabili rappresentanti del (Giurassico medio e superiore al Pas de la Mulatière, a Lasseron ed a Gondran nel Brian- gonese. Nella compagine designata sotto nome di scisti lucenti del Piemonte, gli autori credono di poter distinguere due parti diverse e precisamente:® a) Una serie sedimentaria di facies speciale, alla quale il duplice effetto del metamorfismo regionale con intrusioni eruttive basiche (pietre verdi) e della energica deformazione meccanica (laminazione), ha impresso un carat- tere particolare: questa serie comprende la facies scistosa del Giura medio e superiore, nonchè l’equivalente d’una parte dei Marbresjen plaquettes del Briangonese, che rappresenta la sommità della serie mesozoica. Le intrusioni di rocce verdi - spesso trasformate in veri micascisti per effetto delle azioni dinamiche - sono limitate a questa prima serie, della quale costituiscono uno dei tratti più caratteristici. b) Una seconda serie, con facies analoga alla precedente, ma costituita d’assise meno calcaree, più fogliettate e più argillose, tagliata da banchi si- licei o arenosi di colore brunastro; l’età di questa serie è dagli autori ritenuta sicuramente eocenica. Questa seconda serie, molto meno importante della prima, che si mostra sovrapposta alla precedente a Gondran e nel massivo del Prorel, non contiene le roccie verdi che in forma di ciottoli formanti le brecce rinvenute nel Flysch eocenico in vari punti di quella zona alpina. Dalle esposte osservazioni risulta che se agli scisti lucenti è consentito di applicare, giusta le concezioni del Termier, l’espressione suggestiva di Serie comprensiva, è tuttavia necessario osservare che nelle Alpi franco-italiane la serie in parola non è realmente comprensiva che per le assise mesozoiche, e che la porzione di tali scisti appartenente al Terziario (stata confusa alla ri- manente parte solo in dipendenza di analogie superficiali) ne è probabilmente separata da una lacuna stratigrafica di grande importanza, la cui traccia fu distrutta da successive dislocazioni. Gli autori hanno creduto opportuno di richiamare l’attenzione sui fatti accennati, che potranno giovare per l’ulteriore studio di questa curiosa for- mazione, specialmente dopo che, per opera del Termier, l’estensione degli scisti lucenti è stata constatata nelle falde carreggiate delle Alpi orientali e della Corsica. (E- TISSTI). = a BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 79 KLIincHARDT F. — Vorlaufige Mitteilung iiber eine Kreidefauna aus Friaul. (Centralblatt. f. Min., Geol. u. Pal., 1912, N. 10, pag. 318-320) — Leipzig. In seguito a recenti constatazioni sarebbe risultato che il calcare di Ma- niago, nel Friuli, deve ascriversi al Senoniano. Quel calcare ha fornito bellissimi esemplari di Rudiste (tra cui la Joufia reticulata Boehm), insieme ad alcune specie di Chamide e Caprinide. (RININISSDO)E KRANZ W. — Vulkanismus und Tektonik in Becken von Neapel. (Peterms. Mitt. 1912, pag: 131-135; 203-206; 258-264, con 2 tavole). — Gotha. In altrettanti separati capitoli l’autore tratta delle vicende geologiche e di alcuni caratteri geognostici e morfologici: 1°) dei Campi Flegrei; 29) del- l’Isola d’Ischia; 3°) dei vulcani di Roccamonfina e Vesuvio; 4°) delle forma- zioni tufacee della' regione; 5°) della tettonica generale del bacino di Napoli. (ESSLESSIO)E KRANZ W. — Begleitwort zur Karte des Tertiirs im Vicentin 2wischen Ca- stelgomberto, Montecchio Maggiore, Creazzo, Monte Crocetta und Monte- viale. (N. Jb. f. Min. Geol., Pal., Beil-Bd. XXXIII, pag. 580-582, con tav.). — Stuttgart. Facendo seguito ad una precedente pubblicazione, l’autore enumera al- cune specie fossili per le quali ha scoperto nuovi punti di ritrovamento, senza tuttavia trovare forme nuove, redigendo poi una carta geologica alla scala di 125.000 delle formazioni terziarie fra Castelgomberto, Montecchio Maggiore, Creazzo, Monte Crocetta fe Monteviale, accompagnata da cenni esplicativi. (EMIIISSO). LORENZI A. — Le piene e il prolungamento dell'alveo della Lavia di Galla- riano (pianura pedemorenica del Friuli). (Mondo sott., Anno VIII, N. 3, pag. 49-54). — Udine. La nota concerne gli speciali caratteri idrografici delle così dette lavie (corsi d’acqua effimeri che esausti dall’assorbimento delle ghiaie cessano di esistere anche come alvei nella pianura situata ai piedi dell’anfiteatro more- nico friulano) ed in modo particolare della lavia che scende dalle colline di Fagagna e si perde nei dintorni di Gallariano. (E. (IISSD): 80 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 LoTTI B. — Cennì sulla geologia dei dintorni di Spoleto. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. 279-280, con 1 tav.). — Roma. Questi cenni furono destinati a servire di guida nelle escursioni della Società geologica durante il suo congresso in Spoleto nel 1912. In essi è rias- sunto succintamente quanto l’autore espose nel suo seritto precedente dal titolo «Di un caso di ricoprimento presso Spoleto. — Boll. Comit. geol. 1905». (B. L.). LorTI B. — Escursione nella valle delle Carceri (M. Subasio) presso Assisi. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. 281-282). — Roma. E’ una esposizione succinta specialmente della tettonica del M. Subasio ad illustrazione della carta geologica alla scala di 1: 50.000 rilevata dall’au- tore e dall’ing. Fiorentin. (B0US)i LoTTI B. — Sopra un ciottolo siliceo del Verrucano del Monte Argentario. ( Toscana). (Boll. Com. geol. it., vol. XLII, pag. 281-283). — Roma. Mentre l’autore in altro scritto (Verrucano e pseudoverrucano in Toscana + Boll. comit. geol. 1910) aveva sostenuto che vera selce piromaca mai si era trovata fra gli elementi clastici del verrucano permiano, mentre compariva frequente fra quelli del pseudoverrucano cretaceo, il Fucini credè di averne trovata nel verrucano del M. Argentario e ne inviò un saggio all’autore. Stu- diato petrograficamente il campione dal Franchi, questi lo trovò costituito da una roccia che non possiede più la struttura delle selci, struttura che in- vece è conservata nelle selci del pseudoverrucano. (BISI): LovarI D. — Descrizione dei giacimenti calcareo-marnosi delle colline di Casale Monferrato ed alcuni cenni sulla loro utilizzazione per la produzione della calce idraulica e del cemento. (Pubblicazione del R. Ispettorato delle Miniere; opus. in 8°, di 54 pag., con 2 tav.). — Roma. La monografia dell’Ing. Lovari riassume i dati raccolti dall’A. sulla for- mazione eocenica del Casalese in rapporto ai giacimenti calcareo-marnosi che forniscono la materia prima per l’industria dei cementi naturali e delle calci idrauliche, così sviluppata nella regione di Casale Monferrato. I depositi eocenici in esame corrispondono al piano Liguriano e sono rappresentati da argille prevalenti con banchi di arenarie e banchi di caleare "x N . . . . ai più o meno marnoso, che è la parte utile della formazione liguriana. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 81 Nel sistema di colline che si estende da Torino a Valenza sulla destra del Po, questa costituisce probabilmente, secondo l’A., la base generale su cui poggiano le altre formazioni, ed emerge in quattro zone principali comprese fra Chivasso e Casale che possono distinguersi coi nomi di zona di Lauriano, zona di Verrua, zona di Brusaschetto e zona di Casale. La zona di Lauriano è ricca di banchi calcarei compresi fra le argille sca- gliose, ma questi sono tormentati e rotti, e difficili ad essere seguiti per lungo tratto. La zona di Verrua, molto estesa ma poco importante per qualità, potenza e regolarità dei banchi, può considerarsi come il prolungamento verso levante della zona di Lauriano, e fa passaggio a quella successiva di Brusaschetto per il tramite di aleuni lembi isolati della formazione liguriana, i quali si trovano sulla riva sinistra del Po, ad Est del Castello di Verrua, e lasciano supporre che le formazioni oligoceniche e mioceniche che separano le due zone d’affio- ramento, non si estendano notevolmente sotto le alluvioni padane, le quali ricoprirebbero direttamente il Liguriano per un vasto tratto della pianura fra Crescentino e Trino. La zona di Brusaschetto, sviluppata per numero, potenza e qualità dei banchi marnosi, ma poco estesa, s'immerge a valle del ponte di Trino sotto le marne dell’Aquitaniano. La zona di Casale è la più vasta e la più importante per il grande sviluppo e l’ottima qualità dei banchi, ed è limitata a Nord dalle alluvioni padane, ad Ovest e a Sud da depositi miocenici e ad Est dal Quaternario della pianura di Casale e San Giorgio. L'A. la descrive in dettaglio determinando minuta- mente la serie stratigrafica e indicando l’andamento tettonico dei singoli ban- chimarnosi, i quali«hanno la caratteristica di portare indistintamente al tetto uno strato di calcare a fucoidi, detto localmente madre o pe’ d’oca, e di pog- giare sopra uno strato d’arenaria o prea che varia di spessore da banco a banco e si riduce in alcuni casi ad una semplice patina sabbiosa, ma non manca mai ». L’A. tratta in seguito dell’estrazione del calcare in rapporto ai lavori di coltivazione, i quali si svolgono ormai quasi tutti in profondità, ed in rap- porto alle condizioni di sicurezza di queste cave sotterranee, in cui un peri- colo piuttosto grave è dato dalle frequenti emanazioni di grisou. La descrizione delle principali cave in esercizio e dei mezzi di trasporto del calcare, alcuni dati relativi alla produzione delle calci e dei cementi ed ai tipi di forni comunemente usati per la cottura della pietra, ed infine un’ac- curata analisi del prezzo di costo dei prodotti, completano questa memoria, la quale è corredata di una carta dei giacimenti di Casale e di una tavola di sezioni. (G(0D59): 82 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Lovisato D. — Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna). (Rend. R. Acc. Lincei, Vol. XXI, fasc. 2°, 1° sem., pag. 109-116) — Roma. A Monte Plebi, lembo scistoso ineluso nella formazione granitica, il metamorfismo è talora spinto sino al punto da trasformare la roccia in lenti più o meno grandi di scisti anfibolici. L’A. si occupa dei minerali in esse contenuti (principalmente actinolite, tremolite, asbesto, steatite, talco, mica, serpentino) e viene alla conclusione che tali lenti presentano un interesse puramente scientifico e che non gli pare il caso di farvi lavori di ricerca e di estrazione dell’amianto. (CP) LuPaNo G. — Cenni geologici sui dintorni di Camino Monferrato. (Atti Soc. it. se. nat. e Museo Civ. st. nat., Milano, Vol. LI, fase. 2°, pag. 145-190, CONS UaVva) —SEAvia: Premesse alcune indicazioni sull’ubicazione della località che forma oggetto della memoria e premessi alcuni cenni d’indole bibliografica, l’autore passa alla descrizione geo-litologica della zona in esame (costituita dalle for- ‘mazioni del Liguriano, Bartoniano, Tongriano, Aquitaniano, Langhiano ed Elveziano) ed alla descrizione dei fossili rinvenutivi. L’autore fa quindi seguire una descrizione piuttosto estesa dei materiali utili racchiusi nei precitati terreni. (E. TISsSsI). MADDALENA L. — Studio geologico e petrografico delle roccie eruttive del ba- cino di Tretto (Alto Vicentino). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX (1911), fasc. 39, pag. 722-724). — Roma. Osserva l’autore che questo bacino ripete, in piccolo, la morfologia di quello di Recoaro ed è caratterizzato da un ampio ripiano o terrazzo costi- tuito dal calcare del Monte Spitz e da grandi masse di roccie eruttive trias- siche, presentanti notevoli analogie con quelle del Trentino meridionale. Le roccie del bacino di Tretto si dividono in porfiriti, melafiri e basalti. Le porfiriti sono contemporanee ai caleari del Monte Spitz; se ne deduce che nel bacino di Tretto le eruzioni triassiche sarebbero state contemporanee a quelle del Trentino meridionale ed anteriori a quelle Wengeniane dei ba- cini del Leogra e dell’Agno. I melafiri sarebbero invece posteriori al calcare di M. Spitz; si trovano in filoni e in colate, e di questi ultimi alcuni sono a grana fina ed altri a grana grossa. Meravigliosa è la somiglianza, osservata al microscopio, dei campioni provenienti dalle colate del bacino di Tretto con) quelli derivanti dal Tren. tino meridionale. A e MRI RIS E AE AR TROTTO AN TOO O MIRO “ Y gaia H DI ni mi Ù w BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 83 Da basalti tipici e da tufi basaltici sono in gran parte costituite le col- line pedemontane tra Schio e Sant'Orso. Questi basalti, come quelli delle colline di Zugliano, Marostica, Valdagno e del Veronese, costituiscono, pro- babilmente, la base delle formazioni terziarie. (EMITSSH)E MADDALENA L. — Osservazioni chimico-mimeralogiche su alcuni berilli elbani. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, fase. 10, 1° sem., pag. 633-639). — Roma. E’ uno studio comparativo delle proprietà fisiche e della composizione chimica di alcuni berilli provenienti dal granito tormalinifero di San Piero in Campo. I resultati delle ricerche fatte dall’A. sono riuniti con i resultati analoghi ottenuti da altri esperimentatori su berilli del Madagascar e su berilli ame- ricani, in una tabella comparativa la quale mette in evidenza la relazione esi- stente fra il valore crescente della somma degli alcali e i valori pure crescenti degli indici di rifrazione, della doppia rifrazione e della densità, e mostra come non sia possibile fare nè per la composizione chimica, nè per le proprietà fisiche una distinzione netta fra due tipi di berillo, come vorrebbero Dupare, Wunder e Sabot, basandosi principalmente sulle differenze di abito cristallino. (G. P). MaAGISTRETTI L. — Ilmenite delle cave di pietra ollare al Sasso di Chiesa (Val Malenco). (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 10°, 2° sem., pag. 688 e fasc. 11°, pag. 761-767, con 1 tav.). — Roma. Facendo seguito ad una precedente memoria, nella quale ebbe occasione di descrivere i minerali delle cave di pietra ollare al Sasso di Chiesa, l’autore si occupa nella presente nota in particolar modo della ilmenite, la quale, nel giacimento di cui trattasi, si trova associata al granato, alla vesuvia- nite, all’aragonite, all’apatite ed alla clorite. ‘L’ilmenite si presenta in cristalli di caratteristico colore nero piceo, visibile sopratutto sulla frattura fresca. L’abito dei cristalli è, nel maggior numero dei casi, tabulare tozzo; ma in alcuni esemplari è pressochè rom- boedrico in causa dello sviluppo predominante del romboedro fondamentale. Non mancano tuttavia individui sottilmente lamellari per predominio asso- luto della base, mentre rarissimi sono i cristalli tabulari secondo !1011 DI I cristalli hanno, spesso, lucentezza metallica, talora invece sono appan- nati da un sottile velo di ossido. Il loro peso specifico è — 4,55. LA Ru ei Siae , gt sk “ 7, 84 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 L’autore espone i risultati dell’analisi chimica dell’ilmenite di Val Ma- lenco e confronta questi risultati con quelli delle ilmeniti di Suarum, Tvede- strand, Monte Ilmen, Kragerò, Pràgraten. (E-URITSSO): MALGERI E. — Fenomeni di erosione nella Calabria meridionale. (Atti VII Congr. geogr. it., pag. 293-296). — Palermo. I fenomeni di erosione che si osservano nella Calabria meridionale ven - gono dall’autore raggruppati nelle tre seguenti categorie: 1°) Piramidi di terra, o pilastri, nelle argille plioceniche; 2°) Monti deltiformi isolati, nei punti di attacco fra le argille plioce- niche ed i conglomerati eo-miocenici. 3°) Ambe o Terrazze isolate da profonde valli di erosione, somiglianti a veri canons. Il paesaggio ed il clima della Calabria meridionale sono pure sommaria- mente descritti nella nota. (E. TISSI). MALLADRA A. — Il fondo del cratere vesuviano. (Rend. Ace. Sc., Napoli, S. 33, Vol. XVIII, fasc. 79, 89, 90, pag. 223-234). — Napoli. Premesso che dopo la grande eruzione vesuviana dell’aprile 1906 è risultato un cratere di esplosione e di sprofondamento avente dimensioni di gran lunga superiori a quelle presentate anteriormente al parossisma, l’autore passa alla descrizione dei più notevoli franamenti dei bordi e delle pareti del cratere, nonchè degli avvallamenti e sprofondamenti del fondo, verificatisi nel marzo e nel novembre 1911 e nel gennaio 1912. L'autore descrive in seguito la constatazione delle condizioni del fondo del cratere, da lui personalmente effettuata il giorno 14 maggio 1912, col con- senso del Direttore prof. Mercalli e colla cooperazione dell’antico inserviente dell’Osservatorio Sig. A. Varvazzo. Durante l’ardita escursione l’autore ebbe cura di prendere, nei punti principali, delle misure di altimetria e di temperatura, che poi dettagliata- mente riporta nella nota e di osservare le particolarità inerenti alla costitu- zione del fondo, particolarità che non è possibile discernere guardando dai bordi del cratere. Egli constatò che il profilo del fondo è ben lungi dal presentare quella uniformità che appare dall’orlo, da dove l’occhio appiattisce dislivelli anche notevoli. Oltre ad una grande spaccatura, larga circa 3 metri, un vero reticolato di piccole fenditure, spinte in ogni senso, interseca tutta la posizione rilevata NE I ANA a E CRT Di n E di È; Y BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 85 nella parte centrale del fondo. Il fondo medesimo è inoltre cosparso di grandi blocchi, veri monoliti del volume di parecchi metri cubi, che guardati invece dall’orlo sembrano avere dimensioni insignificanti. L’autore osservò altresì che molte piecole fumarole, affatto invisibili dai bordi del cratere, si sprigionano tra il ciottolame del fondo, e tali fumarole sono fortemente acide, distinguendovisi bene l’odore penetrante dell’ HCl e quello soffocante dell’ SO?. La troppa vicinanza a quelle fumarole provocava sternuti e tosse vio- lenta, effetti che erano massimi nei pressi della « fumarola gialla », per la quale l’autore ebbe a constatare un aumento di ben 167° nella temperatura in con- fronto a quella constatata dal dott. Cappello in occasione della discesa da questi effettuata nel settembre 1911. (180 AMS) MANASSE E. — Ricerche petrografiche e mineralogiche sul Monte Arco. (Isola d'Elba). (Atti Soc. tosc., Mem., Vol. XXVIII, pag. 118-198). — Pisa. In questa memoria, concernente lo studio litologico del Monte Arco, l’au- tore confuta, tanto dal punto di vista mineralogico, quanto da quello chimico e petrografico, le ipotesi avanzate dal Termier circa l’esistenza nella parte orientale dell’isola d’Elba di un esteso piano milonitico derivato da lamina- zione di un complesso di roccie di tipo granitico, comprendente la granitite normale, il porfido granitico e l’aplite porfirica. Il Monte Arco trovasi nel versante orientale dell’Isola d’Elba, tra le valli di Ortano e di Terranera, alla distanza di circa 4 km. (misurata in linea retta) da Rio Marina (a Nord) e di km. 8 dal Capo Calamita (a Sud). (EX CRIssT): MANGANO G. — I pozzi artesiani nella regione di Tripoli. (L’Agricolt. colon., VI, pag. 238-241, Firenze, 1912, e Giorn. geol. pr., Anno X, fasc. IV, pag. 180). — Parma. La nota concerne un tentativo di pozzo artesiano eseguito a Tripoli nel 1910, la cui perforazione si arrestò alla profondità di 217 metri, in un grosso banco argilloso, senza trovare acqua saliente. L’autore riporta la serie dei vari campioni incontrati nel corso della per- forazione, campioni che potè rinvenire nel Castello diT'ripoli e che, confron- tati con quelli forniti dai pozzi di Zarzis, gli permettono di arguire che lo strato acquifero debba trovarsi a profondità molto maggiore. (EX IDESSO)I VR, 9. LIEICE E Vane GE 86 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 MANZELLA E. — Contributo allo studio delle pozzolane italiane. — Ricerche su una pozzolana di Sicilia. (Gazz. chim. it., XLI, Parte 22, fasc. 5-6, pag. 730-747, Roma. Il materiale che forma oggetto della memoria è una terra rossa, molto somigliante alla pozzolana di Roma, che si escava fra le lave dell’Etna nelle vicinanze di Catania. Di tale pozzolana sono determinati il valore idraulico e la resistenza alla trazione ed alla compressione delle relative malte. (E. TISSI). MARTELLI A. — Sulla natura delle masse pirosseniche in relazione con i gia- cimenti ferriferi di Rio e Capo Calamita (Isola d’Elba). (Rend. R. Ace. Lincei, Vol. XXI, fasc. 12°, 1° semestre, pag. 803-808). — Roma. E’ uno studio chimico-petrografico dei metasilicati pirossenici che ac- compagnano i giacimenti ferriferi di Rio e della Calamita e derivano da uno stesso metamorfismo dei calcari con cui le masse minerali sono specialmente collegate. I resultati delle ricerche fatte dall’A. mettono in evidenza la' natura edembergitica-schefferitica del pirosseno verde-scuro di Torre di Rio che per il suo contenuto in manganese potrebbe senz’altro distinguersi come edembergite manganesifera, mentre la pirossenite di Capo Calamita accusa un’originaria composizione assai simile a quella di una edembergite poco man- ganesifera, oggi talmente alterata da conseguirne prodotti calcitici, limoni- tici e perfino serpentinosi, ed inoltre profondamente uralitizzata. Nelle masse pirosseniche di Capo Calamita sarebbe accertato, secondo l’A., l'intervento di termini augitici poco ferriferi uniti peraltro a prevalenti termini del gruppo del diopside di tipo edembergitico e non schefferitico. (Gebo): MARTELLI A. — L'isola di Ustica (Studio geologico-petrografico). (Mem. di mat. e fis. della Soc. it. delle Sc. detta dei XL, S. 33, Tomo XVII, pag. 141-184 con 6 tav.). — Roma. Premesse alcune interessanti indicazioni intorno agli studî ed alle descri- zioni dell’isola d’Ustica fatte da precedenti autori; ricordate le generalità, la posizione geografica, le particolarità topografiche, i caratteri orografici e la morfologia dell’isola, l’autore passa a descrivere, con grande copia di particolari, le rocce basaltiche, le rocce andesitiche, i proietti e scorie riget- tate, gli agglomerati e tufi subaerei, i tufi subacquei e panchine, le formazioni del tempo dei basalti, le formazioni del tempo delle andesiti, compendiando BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 87 poi, in forma riassuntiva, la genesi cronologica delle suddette formazioni, i fenomeni relativi alla cessata attività vulcanica e le analogie di costitu- zione cogli altri membri del distretto eolico. La memoria è corredata da sei bellissime tavole. MARTELLI A. — Note geologico-minerarie sulle formazioni marmifere del Monte Corchia. (Rass. min., Vol. XXXVI, N. 1, pag. 1-5). — Torino. La formazione marmifera del Monte Corchia si estende per circa 150 et- tari, con potenza verticale talora superiore ai 100 metri e forma il nucleo di una sinclinale rovesciata. L’autore enumera le diverse varietà di marmi che vi si rinvengono ed osserva che il marmo del M. Corchia ha tutte le qualità che si convengono al marmo statuario, essendo esso bianco, puro, saldo, cristallino e traslucido. Accenna pure alle diverse cave che vi sono state aperte, alle condizioni di escavazione, lizzatura, trasporto, ecc., deducendone che la formazione di cui trattasi è una tra le migliori delle Alpi Apuane, e che la sua grande im- portanza giustifica le speranze e le spese che la Società «La Versilia », che ne è proprietaria, ha sostenute per metterne in evidenza l’alto valore industriale. (EMIISSI) MARTINELLI G. — Notizie sui terremoti osservati in Italia durante l’anno 1908. (R. Uff. Centr. di Meteor. e Geodin., Append. al Vol. XV del Boll. Soc. Sism. it.). — Roma. E’ la descrizione particolareggiata dei terremoti stati avvertiti in Italia nel corso del 1908, esposti per ordine cronologico, coll’indicazione delle lo- calità in cui furono avvertite le scosse e da quali Osservatori ed apparecchi sono state segnalate, con speciale accenno ai terremoti più notevoli. Sono descritti i caratteri specifici e salienti relativi alle singole segna- lazioni, cioè l’intensità del fenomeno sismico, l’ora della segnalazione, l’am- eli piezza delle ondulazioni, la forma del tracciato, la durata del periodo, % effetti materiali del fenomeno, le impressioni subite dalle popolazioni, i segni precursori, ecc. (ENMIRIS SOI MARUSSIA B. — L’industria degli scisti ittiolitici nell'Italia Meridionale. (Atti R. Ist. d’Incoragg. di Napoli, (6), LXIII, pag. 241-236). — Napoli. Da certi scisti ittiolitici nero-grigiastri intercalati nelle formazioni dolomitiche della regione detta Giffoni di Vallepiana (provincia di Sa- 88 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 lerno), sì ottiene, per distillazione, un olio di colore brunastro ed odore em- pireumatico, molto somigliante all’olio contenuto negli scisti di Besano, Mereda, Seefeld, Seeberg, Pertisan, Minster, ecc. (E. TISSI). MELI R. — Intorno l’origine dei due laghi Albano e Nemerense. — Ristampa di una dissertazione scritta nel 1758 dal dott. Giovanni Girolamo Lapi, romano, con indicazioni dei naturalisti che nella seconda metà del se— colo XVIII parlarono dei Monti vulcanici dell’antico Lazio. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX, fax..4°, pag. 981-1006). — Roma. La memoria del medico romano Giovanni Lapi fu letta il giorno 3 set- tembre 1758 nell’adunanza dell’Accademia Quirina, tenutasi in Roma nel palazzo Pallora del Cardinale Corsini, alla Lungara, ed oggi spettante alla R. Accademia dei Lincei. Per la data di lettura (3 settembre 1758) e per quella di stampa (1759) la memoria di cui trattasi è senza dubbio uno dei più antichi scritti coi quali chiaramente”si sostenga che gli imbuti racchiudenti i pittoreschi laghi di Al bano e di Nemi sono stati due bocche eruttive, dalle quali un tempo uscirono le ceneri, i peperini, le lave e gli altri materiali vulcanici che costituiscono l’ossatura di quei recinti craterici. Il Lapi fu condotto a tale conclusione per la morfologia dei due erateri- laghi e per aver ritrovato intorno ai medesimi rocce simili a quelle emesse dai moderni vulcani. Contemporaneamente al Lapi, Charles Marie De la Condamine ricono- sceva l’origine vulcanica dei monti laziali e presentava le sue osservazioni scientifiche sull’Italia (invero interessanti ed esatte data l’epoca in cui ven- nero scritte) alla R. Accademia delle Scienze di Parigi. Lapi e De la Comandine sono quindi i primi, in ordine di data, che abbiano scientificamente dimostrato essere i colli dell’antico Lazio d’origine vulcanica. La memoria del Lapi ha oggidì uno scarsissimo valore scientifico, ma è importante per l’epoca in cui fu concspità e coneretata, giacchè se non as- solutamente il primo, fu egli certamente uno dei primi autori che, con ar- gomenti basati su osservazioni di fatto, abbiano ritenuto che gli imbuti craterici raccoglienti i laghi di Albano e di Nemi, siano stati un tempo due boeche vulcaniche. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 89 MENOZZI A. —. Sulla composizione di terre sabbiose della Tripolitania. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLV, fasc. VII, pag. 322-330). — Milano. I sette campioni di terreni su cui l’A. riferisce provengono dai dintorni di Tripoli, da Ain Zara e da Gargaresch. Dall'esame dei risultati delle ana- lisi meccanica, chimica e mineralogica di tali terreni, risulta che sebbene essi siano attualmente poveri di quelle sostanze che sono il prodotto della disgregazione chimica e dell’opera della vegetazione, tuttavia come substrato primo non solo non si possono dire sterili, ma neppure poverissimi di so- stanze minerali nutrienti per le piante. (CPI) MERCIAI G. — Fenomeni glaciali nelle Alpi Apuane. (Atti Soc. Tose., Mem., vol. XXVIII, pag. 70-89 con 3 tav.). — Pisa. , Premesso che le più sicure traccie di fenomeni glaciali quaternari nelle Alpi Apuane furono scoperte nel 1872 da Antonio Stoppani e ricordati gli studiosi che dopo quell’epoca si occuparono del fenomeno glaciale Apuano e lo descrissero (Cocchi, De Stefani, Zaccagna), l’autore dichiara di aver tro- vato nella Catena Apuana traccie sicure dei seguenti nove ghiacciai: 1°) ghiacciaio dell’Orto di Donna; 2°) ghiacciaio di Gramolazzo; 3°) ghiac- ciaio del Pisanino; 4°) ghiacciaio di Campocatino; 5°) ghiacciaio della Tam- bura; 6°) ghiacciaio di Arni; 7°) ghiacciaio dell’Altissimo; 89) ghiacciaio del Corchia; 9°) ghiacciaio della Pania Secca. Alcuni di questi, come i ghiacciai dell’Orto di Donna, del Pisanino, della Tambura, di Amni, dell’Altissimo e della Pania Secca furono, secondo l’au- tore, vallivi, ossia di primo ordine o di tipo alpino; gli altri invece, cioè quelli di Gramolazzo, di Campocatino e del Corchia, furono ghiacciai sospesi o di second’ordine. Quelli dell'Orto di Donna e della Tambura ebbero 5 km. di lunghezza, gli altri giunsero a 2 km. di lunghezza 0 poco più. Si trovavano tutti sul ver- sante orientale della catena, mentre sul versante occidentale non rinvengonsi che poche ed incerte traccie di ghiacciai, e ciò in dipendenza della diversità del clima dei due versanti. L’autore ritiene che la glaciazione quaternaria apuana non ha avuto una grande estensione, ma è stata frazionata e limitata alle valli più internate del versante orientale della catena. (E. TISSI). 90 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 MirLosevicn F. — Zeunerite ed altri minerali dell’isola di Montecristo. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V2, vol. XXI, fase. 9, 1° sem., pag. 594-597). — Roma. Riferisce l’autore d’aver trovato nelle collezioni Foresi del Museo di Fi- renze alcuni campioni di una roccia granitica proveniente da Cala Maestra nell’isola di Montecristo, sui quali egli potè notare dei piccoli cristalli lami- nari aventi il contorno, la lucentezza ed il colore propri delle così dette miche d’uranio. Con accurate determinazioni egli potè accertare che si tratta di zeunerite, cioè di una specie rara in genere e nuova per l’Italia, e fu trovata nelle druse di una granitite porfirica tormalinifera insieme ad ortoclasio (adularia), arse- nicopirite, caleopirite, bornite, tormalina e fluorite. (ENCDISSTE MisurI A. Sopra un nuovo Chelonio del calcare miocenico di Lecce (Euclastes Melii, Misuriî). (Paleontogr. it., vol. XVI, pag. 119-136). — Pisa. L’esemplare esaminato, appartiene al Museo geologio della R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Roma, ed è in uno stato di conservazione di gran lunga migliore di quello della maggioranza dei Cheloni conosciuti. Le parti conservate sono: 1° Il teschio, con l’apice “del muso fortemente danneggiato e con la base frantumata, mancante della mandibola destra e con le orbite alquanto deformate per la subìta depressione. 2° L’omero di sinistra, assai incompleto nella sua parte distale e nel rimanente ridotto in uno stato di grande fragilità. 3° La metà anteriore del clipeo, facilmente determinabile e rico- struibile, benchè privo di quasi tutte le piastre marginali e percorso da rotture. Pure considerando la depressione sofferta, si può ritenere che l’ani- male possedesse uno seudo non molto convesso, che visto dal dorso ricorda la figura cordiforme riscontrata nei clipei della specie viventi del gen. Ohelone. L’A. descrive queste varie parti dell’ Euclastes e ne presenta la ricostru- zione in due figure schematiche. Confrontandolo con le specie affini trova che esso per le sue particolarità e soprattutto per l’istmo della nucale e per la presenza della prima neu- rale cuoriforme, è da considerarsi come una specie nuova che egli chiama col nome di ZEuclastes Melii. (M. C.). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 9l MODERNI P. — L’Agro Pontino attraverso i secoli. 1 opuse. in 8°. — Roma. E’ questa una conferenza detta nel Circolo Cittadino di Terracina, nella quale l’autore comincia per descrivere sommariamente la genesi della pianura pontina: abbassamento delle acque in questa parte di costa tirrenica, dovuto al sollevamento appenninico e forse anche alle modificazioni nella forma della Terra, provocate dalla diminuzione della forza centrifuga; riempimento, con deiezioni vulcaniche, dei due golfi che esistevano alle estremità della catena formata dai Lepini e dagli Ausoni; sollevamente del cordone litoraneo fra Capo d’Anzio ed il Circeo e riempimento graduale del bacino rimasto fra esso cordone e la catena montuosa. Sapendosi che nell’Agro Pontino furono trovate armi ed utensili dell’età paleolitica, l’autore dimostra che tali ritrovamenti non sono sufficienti a sta- bilire l’epoca della prima comparsa dell’uomo in questa regione e da sè soli avrebbero uno scarso valore cronologico. Passa quindi a ricercare da quale parte vennero i primi abitatori della Regione Pontina, concludendo con il ritenere probabile che essi poterono venire dalle coste settentrionali dell’Africa. Dopo avere accennato alle prime e leggendarie notizie su Terracina e l’Agro Pontino, contenute nell’Odissea, dà brevi notizie storiche su le princi- pali città Volsche ancora esistenti e su lo stato delle paludi pontine all’epoca dei Volsci; quindi su le città sparite, trasformate o sérte sotto la dominazione romana e su i lavori fatti nelle paludi in quest’epoca; similmente fa per il sus- seguente Medio Evo, fino ai grandiosi lavori di bonifica fatti eseguire da INA Da ultimo, dopo avere accennato ad un recente progetto per il totale bonificamento dell’Agro Pontino, precorrendo gli eventi, descrive a grandi tratti l’infelice regione completamente bonificata e trasformata, cosparsa di villaggi, folta di popolazione, ricca di prodotti, di commerci e d’industrio. (P. MoDERNI). NASINI R. e AGENO F. — Sulla presenza dell’uranio in rocce italiane. Gra- miti dell’isola di Montecristo e tufo radioattivo di Fiuggi. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, vol. XXI, fase. 119, 1° sem., pag. 689-692). — Roma. Avuto notizia della presenza di un minerale uranifero nell’isola di Monte- cristo, gli autori, nella supposizione che fosse possibile trovarvici minerali molto più riechi in uranio e anche minerali molto radicattivi quali la pechblenda, l’autunite ed altri adatti per l’estrazione del radio, intrapresero delle ricerche su alcune roccie di quell’isola messe a loro disposizione dalla 92 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Amministrazione della Real Casa e constatarono una leggera radioattività dovuta alla presenza. dell’uranio nella mica di quei graniti. Soggiungono gli autori che maggiore radioattività presentano le trachiti ed i tufi del Monte Amiata e molte roccie vulcaniche dei Monti Cimini. La presenza dell’uranio fu dai medesimi autori constatata nel tufo ra- dioattivo dal quale scaturisce la celebre acqua di Fiuggi, nel quale tufo - che tra le roccie comuni è senza dubbio la più radioattiva d’Italia - sono pure contenuti rame, titanio, vanadio, bario ed acido fosforico. (E. TISSI). NASINI R. e BascHIERI E. — Analisi di una molibdenite di Calabria. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, vol. XXI, fase. 11°, 1° sem., pag. 692-696). — Roma. Premessi alcuni cenni sulle località italiane in cui finora è stata trovata la molibdenite, gli autori descrivono i caratteri fisici e chimici del loro mi- nerale proveniente da Stilo (Calabria), caratteri concordanti con quelli ge— neralmente ammessi per la molibdenite, aggiungendo alcune nuove reazioni. Ricordando che in una molibdenite del Giappone fu trovata la presenza di un nuovo elemento, il nipponio, gli autori si sono accinti alla ricerca del me- desimo, che fu negativa. L'analisi qualitativa e, quantitativa delminerale ha rivelato in esso unicamente la presenza di solfo e molibdeno e questi in una proporzione assai concordante con la composizione teorica. (F. RATTO). NASINI R., MaRINO L., AGENO F. E PorLezza C. — L'acqua acidulo—al- calina di Uliveto. Nuove analisi e ricerche chimico-fisiche, (Atti R. Ist. Veneto, LXXI, disp. 10%, pag. 1331-1366). — Venezia. Premesse alcune considerazioni sulla antica fama delle acque acidulo- alcaline di Uliveto, le quali zampillano dalla viva roccia in vicinanza della Verruca, là dove il Monte Pisano sta a ridosso dell'Arno, gli autori rilevano anzitutto che le medesime sono abbondantissime, limpide, ricche in anidride carbonica, con reazione alcalina, e che per la loro felice ubicazione sono pre- servate da ogni possibile inquinamento. Le recenti analisi degli autori, confermano che la composizione dell’ac- qua di Uliveto si mantiene assai costante e conserva perfettamente il suo tipo. Le indagini fisico-chimiche mettono per la prima volta in evidenza la notevole radioattività di quest’acqua, proprietà in massima parte dovuta ad emanazione di radio. x Con la radioattività sta in relazione la ricchezza in elio dei gas, ricchezza veramente non comune nei gas delle acque minerali italiane. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 93 Gli autori osservano pure che dato il sempre crescente uso per bevanda e per bagni di acque rese artificialmente radioattive e la conseguente istitu- zione di emanatori radioattivi, le scaturigini di Uliveto sarebbero un eccel- lente emanatorio radioattivo naturale. (E TISST NASINI R. E PoRrLEZZA €. — Sull’esistenza di acque naturali ozonizzate e probabili teorie del fenomeno. L’acqua forte delle: Bagnore nel Monte Amiata. (Rend. .R. Ace. Lincei, S. 5%, Vol. XXI, fasc. 11°, 2° sem., pag. 740-750). — Roma. Riferiscono anzitutto gli autori di non aver trovato nessun cenno nella letteratura chimica sull’esistenza di acque naturali, minerali o no, contenenti ozono quale componente normale, nonostante che alcuni studiosi affermino di aver constatato la presenza dell’ozono nelle acque di Fiuggi e quantunque nell’ etichetta apposta sulle bottiglie dell’ « Acqua Precilia » figuri pure l’ozono quale componente della parte gassosa. Gli autori ritengono che se realmente l’ozono fosse contenuto nelle anzi- dette acque, la sua presenza dovrebbe manifestarsi dall’odore caratteristico alla sorgente, odore che ricorda quello che si ha nella ossidazione del fosforo e che si avverte benissimo nelle acque del Monte Amiata esaminate dagli au- tori medesimi e precisamente nell’acqua dei Bagnòli di Arcidosso, in quella delle Bagnore (detta anche Acqua Forte) e, infine, in quello di altre tre sor- genti che scaturiscono a poca distanza da quest’ultima. Le esperienze di cui è oggetto la presente nota concernono specialmente l’acqua delle Bàgnore (Acqua Forte), che scaturisce nella valle degli Ontani ed è allacciata in una modesta casetta attualmente di proprietà del Sig. Gen- naro Banchini. Tale acqua, da gran tempo usata a scopo terapeutico, è assai ricca in anidride carbonica e contiene in prevalenza bicarbonato di calcio e di ma- gnesio e piccole quantità di ferro. Le esperienze eseguite dagli autori si riferiscono a determinazioni quali- tative e quantitative fatte sul posto, sia sui gas che gorgogliano attraverso l’acqua suddetta, sia sull’acqua stessa per quanto riguarda i gas disciolti; le esperienze furono completate con misure di dispersione fatte col contaioni di Ebert e con ricerche complementari eseguite in laboratorio. Tali ricerche portarono a stabilire che in un litro d’acqua sono disciolti 0,135 cm. cubi di ozono e che piccole quantità di questo elemento sono altresì contenute tanto nell’aria della casetta in cui sgorga l’acqua, quanto nel gas che si sviluppa dall’acqua stessa. (E. TISSI). ni TATO RIE Ri a EAU E TRUTONA, META, NE Me OT RAI PRIA RI RT OTT ° tax: o STAR E MERO OVA PRCIOPAI ORE TO IPRATRT TE « z L Gole t 94 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 NASINI R. E PorLezza €. — Sulla presenza di notevoli quantità di acido borico nelle acque minerali di Salsomaggiore. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 79, pag. 379-383). — Roma. Gli autori facendo nuove analisi dell’acqua madre e di altri prodotti delle RR. Saline di Salsomaggiore, riscontrarono quantità cospicue di acido borico. Ammettendo che questo provenisse dall’acqua naturale, con una serie di de- terminazioni analitiche poterono stabilire che la proporzione di acido borico nelle diverse acque si aggira intorno a gr. 2,5 per litro, quantità ben maggiore di quella trovata da precedenti analizzatori, e che le fa ritenere come le più ricche tra quelle congeneri già conosciute. Esaminano la questione se l’acido borico nell’acqua di Salsomaggiore sia allo stato libero o combinato, riferendo la composizione dell’acqua, e conclu- dono dicendo che l’azione antisettica e terapeutica dell’acqua è da ascriversi alla forte concentrazione dell’acido borico. La scoperta di questa eccezionale quantità può suggerire nuove applicazioni dell’acqua stessa. k Gli autori si prefiggono infine di iniziare su di essa delle ricerche di chi- mica fisica, con l’indirizzo che dette il van’t Hoff ai suoi studî sulle deposi- zioni marine in relazione con i sali di Stassfurt. (F. RATTO). NASINI R. E PorLEZZAa (. — Ricerca sulla radioattività delle acque sorgive del Monte Amiata ed esperienze sulla dispersione atmosferica della regione. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, vol. XXI, 1° Sem., fasc. 59, pag. 316-324). — Roma. Dopo alcuni cenni sulla radioattività delle acque minerali in generale, gli autori ricordano gli studi e le esperienze fatte in precedenza per stabilire la radioattività delle acque potabili, Venendo poi a parlare delle acque sorgive della regione del Monte Amiata, espongono le misure della radioattività di queste acque, della roccia da cui scaturiscono, e le ricerche sulla dispersione atmosferica fatte alla sorgente. Concludono facendo notare la notevole attività delle acque dolci del Monte Amiata, il contrasto fra questa radioattività e quella relativamente piccola delle roccie, il cui studio si riconnette a vari problemi di geologia chimica di cui tratteranno in altra nota. (F. RATTO). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 95 NeELLI B. — Il Postpliocene di Lampedusa. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX, (1911), fase. 3°, pag 815-837, con 1 tav.). — Roma. I calcari esaminati dall’autore provengono dalle cave presso al porto di Lampedusa; furono raccolti dal Sig. Angelo Martorana e regalati al Mu- seo geologico di Firenze. Si tratta d’una formazione d’origine organica, costituita da calcari duri, non granosi, non arenacei nè argillosi, non compatti, ma cavernosi, di età tut- tora' discussa, cioè miocenica per alcuni, più recente per altri. L’autore ha potuto determinare 22 specie di Lamellibranchi e 13 di Ga- steropodi, forme di mare poco profondo e quindi non molto diverso dall’at- tuale che raggiunge ivi una profondità massima di 200 metri. Delle 35 specie determinate, appena 6 sono oggidì estinte. I fossili osser- vati appartenendo al Postpliocene ne consegue che assai recente dev'essere l'emersione dell’isola. (E. TISSI). PANICHI U. — Solfo di Muthmamn osservato all’isola di Vulcano. (Geol. Zentr., Bd. 18, N. 6, pag. 253). — Leipzig. Il metalloide, in forma di {sottile patina giallo-verdognola, îassociato però in qualche punto a numerosi cristallini di solfo trimetrico, fu rinvenuto sulla parete di un crepaccio nell’interno del cratere e costituisce un ritrova- mento interessante essendo questa la prima volta che il solfo di Muthmann si appalesa in formazioni naturali. (E. TISSI). PANnICcHI N. — Sullo zolfo di Vulcano (Isole Eolie). (Atti Acc. Gioenia, S. 5, Vvolfave Mem 2XVarcon d'ivavo— Catania. La nota, che concerne lo studio Crisiallognaico di diversi stati allotropici dello zolfo delle fumarole di Vulcano, reca un nuovo contributo alle attuali conoscenze sulla natura e]sulla formazione {delle fumarole, in correlazione alla temperatura e composizione delle medesime, e porge dati nuovi e più sicuri sulla forma cristallina di questi stati allotropici del metalloide in pa- rola, dati che presentano una speciale importanza perchè derivanti dallo studio dei prodotti naturali anzichè da quello effettuato su materiali di Di boratorio. (Bosso) 96 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 PANTANELLI D. — Sulle cosidette molasse ofiolitiche dell'Appennino setten- trionale. (Atti Soc. it. sc. nat. e Museo Civ. st. nat. Milano, vol. LI, fasc. 19, pag. 86-98). — Pavia. Rileva l’autore che la parola molassa ha origine dalla Francia, e come fu introdotta da Lyell e Murchison, coll’inglese, nel linguaggio internazionale geologico, così fu portata in Italia per l’influenza delleTopere francesi nella prima metà del secolo scorso. Primo ad adottarla in Italia fu probabilmente il Collegno, che l’usò nel suo « Trattato di Geologia » nel 1847. Con la traduzione dell’opera di Murchison « Sulla struttura geologica delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi » fatta da Savi e Meneghini nel1850, la parola molassa acquista colla cittadinanza italiana il suo determinato si- gnificato di arenaria del Miocene medio; però gli stessi Savi e Meneghini ri- conobbero che facevano parte dello stesso piano miocenico anche certe are- narie grossolane ricche di elementi serpentinosi, per cui essi schivarono per quest'ultime roccie il nome di molassa e preferirono indicarle col nome di conglomerati ofiolitici. Nell’Emilia e nel versante adriatico dell'Appennino la parola molassa nel nuovo e: preciso significato fu introdotta con i lavori di Spada, Searabelli e Bianconi. Manzoni, nella Geologia della provincia di Bologna, che porta la data del 1879, distingue nelle arenarie del Miocene due strutture differenti, cioè una molassa quarzosa in base ed una molassa superiore ad echinodermi; in questo lavoro però egli usa indistintamente i due qualificativi di serpentinose ed ofiolitiche, e sembra che la scelta ‘dell’uno o dell’altro dipenda soprattutto dall’eufonia della frase. Capellini non usa mai questa parola, e quando gli occorre di ricordare roccie che contengono detriti serpentinosifimpiega l’appellativo di conglomerati ofiolitici nel preciso significato di coloro che per la prima volta lo usarono. Finalmente Bombicci nell’ « Appennino bolognese » pubblicato nel 1881 e in « Montagne e Vallate » del territorio di Bologna, pubblicato nel 1882, ac- coglie la parola molasse ofiolitiche, senza abbandonare completamente l’altra di conglomerati ofiolitici, per la massima parte delle arenarie mioceniche della regione. Entrato nella scienza il nome di molassa ofiolitica, esso si è diffuso nel campo industriale e con estensione maggiore di quella supposta da coloro che per primi lo usarono. Nel lungo periodo durante il quale l’autore percorse i monti bolognesi, mo- denesi e reggiani, egli potè raccogliere numerosi campioni di queste roccie, ma e at e i ii Ret a ER ee ci A AN e PN x î 9 Aia È, n A tt h #3 ' po V a vin BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 97 ben poche sono quelle che contengono elementi serpentinosi, onde ne induce che la denominazione di molasse o arenarie ofiolitiche non può essere assunta come qualifica di un fatto generale, essendo la presenza di detriti serpenti- nosi una contingenza limitata e locale; assai più conforme al vero sarebbe l’appellativo di arenarie quarzose, essendovi sempre abbondanti i detriti di quarzo, ma a ciò sì oppone la limitata suggestività della parola. Le roccie serpentinose della regione essendo eoceniche, mentre le arenarie, le marne ed i calcari marnosi dell'Appennino sono oligocenici, ne consegue che i detriti di serpentino non possono comparire che raramente negli strati depositatisi dopo quelli che tali detriti contengono; di quì la loro mancanza 0 la estrema loro rarità negli strati oligocenici. Gli affioramenti serpentinosi si resero visibili solo in dipendenza della erosione delle roccie soprastanti a quelle in cui sono inclusi, e l’autore ritiene che le erosioni svoltesi dal Miocene in poi abbiano distrutti molti degli antichi affioramenti di serpentina, producendo così i detriti che si trovano in certe arenarie mioceniche, come pure la maggior ricchezza in serpentino delle sab- bie plioceniche e delle sabbie dei veli acquiferi quaternari della pianura mo- denese. (BRURISSD): PANTANELLI D. — Acque sotterranee. (Natura, Riv. di Sc. nat., vol. III, pag. 225-233). — Milano. E° un riassunto in forma semplice e piana delle più importanti nozioni sulle falde acquee profonde nel quale il compianto autore insiste in particolar modo sull’influenza della pressione degli strati soprastanti nel determinare la salienza delle acque artesiane ed accenna brevemente alle formazioni ac- quifere della valle padana e dei nostri nuovi possedimenti africani. (CRC). PARLATI L. — Studio analitico di alcune argille di Caltanissetta. (Atti R. Ist. d’incoragg. di Napoli, (6), LXIII, pag. 159-169). — Napoli. L’eseguito studio analitico concernetle argille terziarie provenienti dalle località dette Stella, S. Anna e Cappuccini nei pressi di Caltanissetta. Sono adoperate sul posto per la confezione di oggetti di terra cotta e de- rivano dalla decomposizione di roccie silicate basiche. Quelle provenienti dalle due prime fcitate località hanno colore azzur- rognolo; la terza invece è una terra rossa. (E. TISSI). RE TTI EI E 98 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 PARONA C. F. — Rudiste della scaglia veneta. (Atti R. Ace. Se. Torino, Vol. XLVII, pag. 468-477 con 1 tav. e 2 fig.). — Torino. Poco è noto sulle rudiste della scaglia cretacea veneta benchè meritevoli di particolare considerazione per la verifica dei rapportiffaunistici e cronolo- gici che questa facies del Cretaceo superiore presenta colla serie superiore dei calcari di scogliera posturgoniani del Veneto orientale. i Interessante quindi questa revisione degli esemplari finora raccolti in detta formazione ad eccezione di quella degli Euganei, già illustrata dal Da Rio, e che l’A. non potè ottenere in imprestito dal Museo di Padova. Il risultato dello studio si riassume nel seguente elenco di forme, che conferma l’età senoniana della scaglia: Praeradiolites Hoeninghausi (Desm.), Radiolites mamillaris Math., R. biosculatus (Cat.), Distefanella Rossi n. f., Durania Spadai n. f., D. f. ind., Hippurites cfr. Toucasi d’Orb., H. cfr. cor- nuvaccinum Bronn. (C. C.). PARONA C. F.—- Fossili neocretacei della Conca Anticolana. (Boll. Com. geol. it., Vol. XLIII, Anno 1912, fasc. 1°, pag. 1-17, con 2 tav. e ll fig.). — Roma. Oggetto di questa nota è lo studio di una piccola fauna a rudiste raccolta dall’ing. Crema in varii punti della Conca Anticolana e dimostrante la coe- sistenza in essa del T'uroniano col Senoniano, quest’ultimo assai meno abbon- dante. Rappresentano il Senoniano i calcari con Stromatopora Virgilioi, Osimo, Chondrodonta sellaeformis n. f., Radiolites angeiodes (Picot de Lap.), E. spinulatus n. f. enumerose Miliolidi trematoforate ed il Turoniano i calcari con Eoradiolites colubrinus,n.f., Eor. cfr. liratus (Conr.), Bournonia sp., Sauva- gesia Sharpei (Bayle), Durania runaensis (Choffat), D. Arnaudi (Choffat). Delle nuove specie interessante la Ch. sellaeformis, affatto priva di co- stole e stata ritrovata anche in parecchi altri punti dell'Appennino centrale. (CH (0)L PARONA C. F. — dffioramento di T'itonico con Diceras Luci presso Parenzo. in Istria. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 9°, pag. 578-579). — Roma. La fauna esaminata proviene dalla Punta di Fontane nell’isolotto di Rivo e scogli vicini, a sud di Parenzo, e comprende Diceras Luci Defr., Isastraca Thurmanni Etall. ed Isastr. variabilis Et., frustoli di alghe probabilmente appartenenti alla Tetraploporella Remesi Steinm. e pochi foraminiferi. Essa permette quindi di sincronizzare il calcare che la contiene col T'i- tonico coralligeno di Stramberg. Cio La Aria. bc die FRA e Ti a RAC) eee de PMR LLIA NASCITA pAT40 at a (CPI \ È s ? BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 99 L'interesse del giacimento stà nel fatto che finora il Neogiurassico non era conosciuto nel litorale istriano. (C. ©.) PARRAVANO N. — Contributo allo studio chimico dei pirosseni della provincia di Roma. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 7°, pag. 469-471). — Roma. L’autore ha analizzato due varietà di pirosseno: una verde (I) proveniente da Castelnuovo di Porto (Roma), e una nera (II) rinvenuta nelle sabbie del fosso del Tavolato e proveniente dai Monti Albani. Ecco i risultati delle analisi: I TI AO LI RO e e 0 44.53 LO ee Ut e OA 0.69 MRO. de OO 10.29 DELOITTE s92603 2.95 Re A 27 9.14 MIO E eee = 0.04 COLE e 2246 20-22 MOR ata Bet 5.78 NESSO ee. 086 — FEON(socto rin ii00) 007 _ H,0 (sopra ii110°) . 0.34 0.02 99.78 99.77 Le due augiti differiscono notevolmente nella composizione fra loro ed anche rispetto ad altre varietà studiate da altri analisti, e ciò perchè i pirosseni non possiedono una composizione chimica costante, rappresentando soluzioni solide dijvarî silicati. i (E. RarTo). PARRAVANO N. — Sulla composizione chimica della haiymite dei Colli Albani. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 9°, pag. 631-633). — Roma. La varietà di haiynite esaminata dall’autore fu trovata nel peperino del parco Chigi presso Ariccia (Prov. di Roma); ha colore verde-bluastro e pre- senta la composizione seguente: SARO I Ce a Ie, 32.18 ATO. e 271) (COORNEt ae 10026 NSOE Min... LE ROM anni 0108 Sigean 12.10 Cime a Ash 0.81 100.38 O da togliere per Cl 0.07 100,31 100 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Osserva l’autore che i risultati dell’analisi concordano con i valori ri- chiesti dalla formola di Brògger e Bickstrom per l’haiynite: [S1 O,]3 AI, (AI, SO, Na] Na, Ricordando le analisi di altre varietà di haiiynite, che presentano per 1’ SO, valori diversi da quelli calcolati in base alla formola suddetta, si intrat- ‘tiene sull’interpretazione da dare alla formola dell’haiiynite e sull’affinità di questa con la sodalite. (F. RATTO). PeLLoUx A. — Variscite del Sarrabus (Sardegna). (Estr. degli Ann. $t. nat., Genova, S_ 3%, Vol. V (XLV), 1912. Opusc. di 3 pag.). — Genova. L’ A. segnala questo minerale nuovo non solo per la Sardegna, ma an- che per l’Italia, riservandosi di dare ulteriori notizie sia sul minerale stesso, sia sulla roccia scistosa in cui, sotto forma di venuzze e noduli, esso venne trovato. (CES) PeLLOUX A. — Sopra alcuni minerali dell’arcipelago della Maddalena (Sar- degna). (Estr. dagli Ann. del Museo Civ. di St. nat. di Genova, S. 32, Vol. V (XLV), opuse. di 9 pag.). — Genova. L’ A. si occupa di alcuni minerali, contenuti nelle granuliti della Mad- dalena, che non vennero ancora descritti, o lo furono soltanto in modo in- completo, o che, sebbene già descritti, presentavano qualche particolarità. Essi sono : pirite, galena, solfoantimoniuro di piombo, ematite, magnetite, calcite, apatite, zircone, epidoto, heulandite, laumontite. (GERRP)E PeLLOUx A. — Conmellite di Arenas in Sardegna. (Estr. degli Ann. del Museo Civ. di St. nat. di Genova, S. 33, Vol. V(XLV). Opuse. in 8° di4 pag.). — Genova. Il minerale descritto è nuovo per l’Italia, e venne trovato in una geode entro una massa quarzosa proveniente da Arenas. Nella stessa geode erano anche cristalli di azzurrite, spangolite, fluorite e linarite. (C. P.). PiLorTI (. — Fossili nei calcescisti dell’Iglesiente (nota preliminare). (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, Anno 1911, fasc. 4°, pag. 349-350). — Roma. E’ segnalata la presenza di frammenti di Coscinocyathus nei calcescisti di varie località dell’Iglesiente. (C. P.). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 101 Pirorri C. — Conglomerati scistosi (anageniti) dei dintorni di Domusnovas {Cagliari). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fase. 1-2, pag. XLVIII-XLIX). — Roma. Sono descritti tali conglomerati e ne è segnalata la presenza in R. Jundali presso Domusnovas. (Co 036)E PiLortI C. — Caleari e calcari scistosi a Coscinocyathus in E. Corongiu de Mari e M. QUastu (Iglesiente). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fase. 1-2, pag. XLIX-L). — Roma. Come appare dal titolo, viene seznalata l’esistenza di fossili in alcuni calcari e calcari scistosi dei dintorni di Iglesias. (CIR) PrortTI A. — Le ricerche dell’Elio nell’atmosfera. (Atti VI Congr. geogr.it., pag. 177-214, Palermo, 1911). Esposte le circostanze che portarono alla scoperta dell’Elio sul nostro pianeta, l’autore descrive gli apparecchi da lui ideati per determinare questo gas ed enuncia anche i risultati delle ricerche da lui eseguite sui minerali del Vesuvio. (B. TISSI). PriortI A. e ComanpuccI E. — Analisi chimica dell’acqua minerale « Minerva » di Torre Annunziata. (Rend. R. Ace. Napoli, S. 3%, XVIII, pag. 159-161). — Napoli. Quest’acqua minerale sgorga ad 11 metri di profondità dal suolo di Torre Annunziata, nell’interno del molino di proprietà Jennaco e tu trovata durante l’escavo delle fondazioni del molino stesso. Probabilmente essa alimentava qualche terma dell’antica città di Oplunto, essendosi rinvenuti, presso la sorgente, tubi di piombo, vasche da bagno e Statue di marmo, tra cui una di squisita fattura greca, raffigurante la dea Mi- nerva, da cui il nome dell’acqua. La sua temperatura è di 24°; è limpida, inceolora, inodora, con reazione alcalina al tornasole e con peso specifico di 1.002. La portata è di circa 15 me- tri cubi all’ora. Contiene 00; N, (0, Si10,, Cas0,, MgSO,, NaCl, KCcl, NaHC0,, Ca (HCO,),, Mg (HCO,),, Fe (HCO,),, Al (HCO,),, oltre a piccole quantità di SS) * 102 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 iodio, litio, ece.; nei residui gasosi furono rinvenuti Elio in quantità rile- vante, Argo e Neo. Osservano gli autori essere questa la prima volta che si rimarca la pre- senza dell’elio in un’acqua minerale vesuviana e concludono col dichiarare che l’acqua minerale « Minerva » può essere definita alcalina, magnesiaca, calcarea, fortemente carbonica, leggermente litiaca e iodica, contenente inol- tre piccolissime quantità di acido borico e di manganese. , (E. TISSI). PLATANIA G. — I singolari terremoti di S. Caterina (Acireale). (Rend. e Mem. R. Ace. Zelanti di Acireale, S. 3, vol. VI, pag. 27-33). — Acireale. In questa nota l’autore espone le osservazioni da lui fatte in occasione di alcuni terremoti che scossero violentemente la frazione di $S. Caterina, piccolo villaggio situato a S. E. della città di Acireale, alla quota di 100 m. sul mare. Questa frazione si aderge su di un ristretto altipiano a cui dalla città si accede per un pendio ripido e fiancheggiato in certi tratti da balze e burroni, x lungo uno dei quali è stato eretto lo stabilimento balneare Pennisi, alimen - tato dalle acque sulfuree di S. Venera. Riferisce l’autore che nel 1893, quando l’eruzione dell’Etna era già ces- sata, S. Caterina fu violentemente scossa da un forte terremoto. Gli abitanti uscirono terrorizzati all’aperto. Parecchi caddero a terra e qualche casa fu lesionata. Nello stabilimento dei bagni e nelle vicinanze fino al quartiere Carmine di Acireale, la scossa fu sensibilmente notata, mentre nella parte alta della città non fu avvertita che da poche persone allo stato di quiete. La scossa fu sussultoria, di brevissima durata. La chiesetta era cerol- lata, ma nessun masso notevole era precipitato giù nel burrone dal suolo ad Ovest della chiesa, ed una fenditura erasi prodotta nel terreno in dire— zione S.S.E-N.N.W. Il 23 aprile 1898, alle ore 1,25, una forte scossa di terremoto svegliò gli abitanti di S. Caterina e dopo qualche minuto ebbesi una lieve replica. Non si deplorarono danni, e le lesioni si ridussero alla riapertura di qualche antica fessura nei muri dei fabbricati e della fenditura del suolo prodottasi nel 1893. La scossa non fu avvertita in Acireale, nemmeno nella Sezione Carmine, pur tanto vicina a S. Caterina, e nessun masso era pre- cipitato nel burrone. Il 2 giugno 1909, verso le ore 22, si verificò un’altra forte scossa di t-rremoto nella frazione di S. Caterina. Fu di tale intensità da svegliare la BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA; 1912 103 maggior parte degli abitanti e molti uscirono, gridando, dalle loro case. In Acireale invece la scossa non fu notata nemmeno nel quartiere Carmine. Questi terremoti, ad area così limitata, sono da attribuirsi, secondo l’autore, alla natura del sottosuolo della regione, costituito da banchi di lava alternati con depositi di materiali frammentari e con strati di tufi. I banchi di lava, che sono intersecati da numerose fratture, rassettan- dosi sui sottostanti materiali stemperati e resi incoerenti anche dall’azione solvente delle acque, producono piccole scosse di area limitatissima, con in- tensità rapidamente decrescente e con estinzione quasi immediata. (E. TISSI). PLATANIA G. — La grande eruzione etnea del settembre 1911. (Riv. geogr. it., Anno XIX, fasc. VII, pag. 511-529, con 9 fig.). — Firenze. Dopo aver rilevato che l'eruzione etnea del marzo-aprile 1910 aveva avuto una durata troppo breve ed una cessazione troppo repentina per poter lasciar supporre un lungo periodo di calma, l’autore descrive la memorabile eruzione etnea che si manifestò dal 10 al 29 settembre 1911, e ricorda i gravi fenomeni sismici verificatisi dopo brevi intervalli di tempo e che con insolita frequenza tennero agitata la regione settentrionale ed orientale dell'Etna. (EMIISSo) PLATANIA G. — L’erosione marina all'Isola di Acì Trezza. (Rend. e Mem. R. Acc. Zelanti di Acireale, S. 33, vol. VI, pag. 35-48, con 4 tav.). — Acireale. i L’autore esordisce rilevando che i faraglioni, bellissime rupi basaltiche torreggianti a picco sul mare nella incantevole spiaggia di Aci Trezza, lamae- stosa rupe di basalti globulari di Aci Castello, spesso profondamente inca- vati dall’azione meccanica e chimica dell’acqua marina e ornati di sinuose creste inattacate, costituiscono prove eloquenti, esempi meravigliosi dei gran- diosi effetti del lavorio lento ma continuo con cui il mare erode e distrugge a poco a poco le rocce anche le più resistenti. L'isola di Aci Trezza però, con la sua speciale costituzione geognostica, con i suoi movimenti bradisismici, si presta in modo speciale allo studio degli effetti prodotti dal mare sopra rocce di natura e di resistenza diverse. Due sono i modi particolari con cui ivi si manifesta l’effetto della potente erosione marina, cioè: 1°) con solchi e spaccature di diversa grandezza nel basalto e nella marna metamorfosata; 29) con buche di erosione di dimensioni 104 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 estremamente diverse e di forme svariatissime che ricordano le marmitte dei giganti delle regioni glaciate, sebbene per alcune di esse, a cagione della loro piccolezza, sarebbe forse più confacente il nome di marmitte dei pigmei. L'autore descrive particolareggiatamente i solchi e le buche di erosione marina dell’isola di Aci Trezza e fa voti che questo magnifico monumento geologico, ora di proprietà della R. Università di Catania, sia conservato alle scienze geologiche con quell’amore che la sua importanza ben merita e ne sia facilitato l’accesso agli studiosi. (E. TissI). PLATANIA G. — Il terremoto del 7 dicembre 1907. (Rend. e Mem. R. Acc, Zelanti di Acireale, S. 3, Vol. VI, pag. 13-20). — Acireale. Il giorno 7 dicembre 1907, nella zona già devastata dal terremoto del 1904, si produsse un movimento sismico leggero e breve in sul principio, ma seguito ben tosto da una scossa forte, durata circa 7 secondi. Il moto fu sussifltorio e ondulatorio: si manifestò improvvisamente con ondulazioni brevi che andarono rapidamente crescendo, ma che pure rapida- mente diminuirono e cessarono. Dopo un’ora si avvertì una seconda scossa, ma più leggera e più breve. La scossa fu più disastrosa nelle località denominate Madonna della Stelîa e Campanaro, e fu forte anche a Santa Venerina, a Zafferana, a Nicolosi, a Via- grande, ad Aci S. Antonio e fu lieve invece a Giarre. A{Catania fu registrata dalla maggior parte degli strumenti ed anche avvertita da qualche persona in riposo, cosicchè si può affermare che il moto prodottosi nell’area mesosi- smica interessò la regione a Sud e Sud-Est dell'Etna. L'area di cui trattasi oltre che dal terremoto del 1894 è stata funestata anche dafaltri terremoti più estesi (1818—-1879-1889) e da moltissimi altri più ristretti, i quali ultimi non essendo stati avvertiti nella vicina Acireale non furono segnalati agli uffici competenti e restarono ben presto dimenticati. Sog- giunge l’autore che i terremoti ad area limitata sono frequenti in quella zona. Il Prof. Orazio Silvestri studiando simili terremoti li ritenne dovuti alla energia vulcanica dell’Etna, ed una simile opinione manifestò il Baratta a proposito del terremoto che funestò quelle contrade nel 1894. Il prof. Lorenzo Bucca li chiama terremoti di distruzione e li ritiene do» vuti ad assettamento. L’autore crede che trattisi di terremoti tettonici, in relazione con la grande frattura di suolo limitata verso terra dal burrone di Acireale (Timpa BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 105 della Scala) ed in relazione con la spaccatura che da Macchia va verso S. Leo - nardello. Il frequente ripetersi di intense scosse nelle medesime località ad inter- valli di tempo non molto grandi, sia durante le eruzioni dell'Etna, sia nei periodi più o meno lunghi di riposo è — sempre secondo l’autore - un fenomeno importante che tende a dimostrare come i terremoti delle regioni vulcaniche debbano attribuirsi alla natura speciale del terreno, formato da correnti di lava frammiste a materiali frammentari, soggetto a movimenti bradisismici e attraversato da numerose fenditure del suolo. (E. TISSI). Ponte G. — Sulla cenere vulcanica dell’eruzione etnea del 1911. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, Vol. XXI, fasc. 39, 2° sem., pag. 209-216). — Roma. Rileva l’autore che la violenta eruzione dell’Etna scoppiata la mattina del 10 settembre 1911, si caratterizza per un notevole decentramento dei fenomeni eruttivi; intfatti-mentre la lava, accompagnata da fenomeni strom- boliani e vulcaniani, usciva dai crateri formatisi sul versante nordico del vul- cano lungo una fenditura di circa 8 km. di sviluppo, dal cratere centrale invece si svolgeva una enorme e densa massa di vapori e di ceneri, che si mantenne quasi costante per tutto il periodo dell’eruzione, e che il gagliardo vento di ponente riversava sui fianchi del vuleano e specialmente nella direzione di Aci Reale, a sud-est dell’Etna. Il feldspato, l’augite, l’olivina, la magnesite e la sostanza vetrosa sono i soli elementi mineralogici che si riscontrano in quella cenere; la sostanza vetrosa ne è il materiale prevalente. La cenere in parola è, secondo l’autore, un prodotto della polverizzazione di un magma fluido, come lo dimostra l'aspetto della sostanza vetrosa. Confrontando i risultati di un'analisi eseguita su questa cenere con quelli ottenuti analizzando la cenere dell’eruzione del 1879 risulta poca concordanza di dati, e poichè è noto come le numerose analisi delle lave eruttate dal 1879 in poi dimostrano che il magma dell’Etna non ha subito una notevole diffe- renziazione chimica, ne consegue che le accennate discrepanze dovrebbero attribuirsi al diverso modo col quale la cenere fu raccolta. (RRUDTSST)I 106 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Prever P.L.-La fauna aNummutliti e adOrbitoidi dei terreni terziari dell’alta valle dell'Aniene. (Mem. deser. Carta geol. d’Italia, Vol. V, parte II). — Roma. La fauna presa in esame in questa rnemoria, seritta per incarico del Servizio geologico, proviene dai terreni terziari affioranti nelle colline e nei monti, a tettonica generalmente non molto complicata, delle due rive dell’alto Aniene fra Tivoli e Roviano, costituenti, come è noto, la porzione meridionale dei monti Sabini, i monti Tiburtini e la parte settentrionale dei Prenestini. Il materiale, ricco ed abbondante, venne raccolto dagli ingegneri Viola e Crema principalmente nei dintorni di Licenza e di Castel Madama. In queste regioni il terziario, giusta i recenti studi dell’ing. C. Crema, si presenta costituito nel modo seguente: L’Eocene è prevalentemente rappresentato da quella potente e complessa formazione conosciuta sotto il nome di scaglia, la quale comprende inferior- mente i noti calcari marnosi rosso mattone (scaglia rossa) e superiormente degli scisti marnosi, verdastri o vinati (scaglia cinerea). Più raramente esso consta invece di calcari chiari, con sottili letti marnosi e lenti talora grandiose di un caleare bianco, a piccoli banchi, colla stessa tessitura della scaglia tipica (scaglia bianca). Il Miocene è costituito dalla nota formazione caleareo-marnosa, tanto estesa nell’Appennino e formata da marne e calcari più o meno marnosi, ripetutamente alternanti fra loro e con strati alquanto arenacei od arenaceo— argillosi; questa formazione riposa in trasgressione ed in discordanza per erosione sulle precedenti. I giacimenti fossiliferi terziari dei dintorni di Licenza ed in genere del- l’alta valle dell’Aniene assumono importanza per il fatto che i medesimi ter- reni, con gli stessi fossili, sì continuano nei monti Simbruini, negli Ernici, negli Affilani, e, più lungi, nelle conche Aquilana e Sulmontina, in molti altri punti dell'Abruzzo, del Molise, della Basilicata, delle Puglie, e, più a Nord, nella Toscana e nell’Umbria. La presente memoria comprende anche altri generi di foraminiferi ri- tenuti comunemente di minore importanza, quali Linderina, Gypsina, Si- derolites, Amphistegina, Operculina, Heterostegina; ma è principalmente de- stinata all'esame delle Nummulites e delle Orbitoides e specialmente di quest'ultime, per le quali esiste tuttora non poca incertezza nella deli— mitazione dei diversi generi e delle diverse specie, essendo le medesime studiate da meno lungo tempo e perciò meno note. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 107 Le forme illustrate superano il centinaio; sono nuove le sei seguenti : Laharpei Rosae, L. sub-Rosae, Linderina® Baldaccti, Orthophragmina Isseli, Lepidocyclina Cremai, L. Mortoni. Acerescono pregio all’opera un capitolo sulla distribuzione eronologica delle Nummuliti e delle Orbitoidi nel terziario italiano, ed un altro sulla sistematica di queste due famiglie di foraminiferi. L’opera è illustrata da 14 nitide tavole, mostwanti un gran numero di sezioni sottili di roccie fossilifere. (EMISE S.S)E PRINCIPI P. — Affioramenti sabbiosi pliocenici nei dintorni di Perugia. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXI (1912), fasc. 1-2, pag. 27-34). — Roma. Ricordato che le colline poste in vicinanza di Perugia sono quasi essen- zialmente costituite da depositi pliocenici continentali rappresentati da strati alternanti di conglomerati, argille e sabbie, l’autore passa a descrivere i de- positi di Civitella d’Arno, Montebello, Brufa, S. Fortunato, S. Enea e Casa- lina, riportandone i caratteri fisici e mineralogici, dai quali emerge anzitutto che la composizione mineralogica delle sabbie del Pliocene perugino si distin- gue per l’abbondanza di quarzo, di feldispati e di mica, ciò che sta a dimostrare come quei materiali provengono dal disfacimento delle arenarie appartenenti all’Eocene e al Miocene. E’ stata ugualmente notata la presenza di granuli di glauconite, di oli- vina e di serpentino, locchè dimostra che abbondanti dovevano essere i ma- teriali provenienti dalla parte settentrionale dell'Umbria, dove si trovano nu- merose lenti di rocce oliviniche e serpentinose. Nei depositi sabbiosi di cui trattasi furono trovati anche cristallini di zircone, oristalli rossi di granato, prismetti di apatite e granuli di epidoto, distene, sillimanite ed andulusite, provenienti dai ciottoli di gneiss e di altre roccie antiche che rinvengonsi inclusi nelle arenarie terziarie dell'Umbria cen- trale e settentrionale. (BRSLISSID)E 108 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 PRINCIPI P.- JI. — Fenomeni carsici nei terreni mesozoici ad est di Perugia. (Riv. Geogr. it., Anno XIX, fasc. II, pag. 142-149, con 7 fig.). — Firenze. Facendo seguito ad un suo precedente lavoro sulla geologia del Monte Malbe, presso Perugia, nel quale accennavasi alla struttura carsica che si ap- palesa in quelle formazioni mesozoiche, l’autore, allo intento di completare la conoscenza della morfologia di una regione assai importante dal punto di vista geologico, porge nella presente memoria una descrizione dettagliata dell’anzidetto monte, costituito quasi interamente da calcari dell’epoca se- condaria e nel quale il fenomeno carsico si manifesta sopratutto colla presenza di grandi accumuli di terra rossa e di doline più o meno ampie che si notano specialmente nella parte più elevata del monte. I Quelle che si presentano ben definite sono in numero di sette e dagli abi- tanti del luogo vengono denominate Fosse o Buche. Sono di varia grandezza e presentano tre tipi principali, cioè quelli delle doline 4 piatto, a scodella e ad imbuto. Tutte le accennate depressioni raccolgono le acque che cadono sui rispet- tivi bacini e le smaltiscono rapidamente sul loro fondo. Per questo carattere e per la stratigrafia dei calcari in cui sono aperte, l'origine della maggior parte delle cavità è — secondo l’autore — da ricercarsi in un franamento di tetto o nell’abbassamento graduale degli strati forte- mente inclinati verso le loro pareti. (ECTISST)E PrIncIPI P.— III. — Alcune osservazioni sulla morfologia della collina di Pe- rugia. (Riv. geogr. it., Anno XIX, fase. IX-X, pag. 647-653). — Firenze. Con questa nota l’autore entra in un particolareggiato esame della mor- fologia della collina su cui si adagia la città di Perugia, ed esamina le diverse fasi per cui è passato il rilievo della collina stessa, la quale è costituita da una formazione spettante al Pliocene continentale ed ‘è rappresentata da con- glomerati alternanti con straterelli di marne sabbiose e di argille facilmente erodibili. Il rilievo in parola, sia per effetto di cause naturali sia per la cooperazione dell’uomo, si trova oggidì incamminato verso uno stadio di maturità, inquan- tochè i torrenti che lo solcano si approssimano od hanno già raggiunto la loro curva di equilibrio ed il regime delle acque accenna a conseguire una certa costanza ed una certa regolarità. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 109 ReMmEs M. — Pin Beitrag zur Kenntnis des Eocdns bei Besca Nuova auf der Insel Veglia. (Verhandl. K. K. geol. Reichs., N.7, 1912, pag. 212-215).— Wien. La nota enumera e descrive nuove località nelle quali si manifesta la formazione eocenica nei pressi di Besca Nuova, nell’isola di Veglia (Dalmazia), due delle quali località contengono una fauna discretamente ricca. (E: ITSSE): RICCHIERI G. — Libia interna. (Boll. Soc. geogr. it., S. V, Vol. I, N. 8, pag. 841-879, con 13 fig.). — Roma. In questa nota, che compendia la 1% parte di una Conferenza tenuta il 14 aprile 1912 nell'Aula Magna del Collegio Romano, l’autore tende a dimostrare che l’appellativo di Libia interna, già usato da Tolomeo, sembra adatto a de- signare la parte meridionale della nostra vasta colonia mediterranea, la quale parte si distingue, per vari ed importanti caratteri, dalla zona litoranea. Im quest’ultima la Tripolitania psopriamente detta, la Sirtica e la Cirenaica co- stituiscono altrettante regioni minori, aventi caratteri naturali abbastanza distinti per giustificare l’individualità che ad esse riconobbero gli antichi geografi. Invece la vastissima distesa inferiore, od a Sud, pure ammettendo che possa essere suddivisa in parti o regioni minori dipendentemente da differenze e particolarità inevitabili del suolo e delle genti, presenta tuttavia nel suo com» plesso una tale unità di caratteri fisici ed antropogeografici da rendere neces- saria un’unica denominazione. Anche all’appellativo di Libia interna viene però mossa qualche obbie- zione, e ciò im dipendenza specialmente dal fatto che incerte e fluttuanti erano anche presso gli antichi la significazione del nome Libia e la sua delimitazione specialmente verso Occidente. Soggiunge l’autore che la circoscrizione di cui trattasi sarà sempre arti- ficiosa e convenzionale dal punto di vista della pura scienza, poichè l’esten- sione da essa abbracciata, considerata nei riguardi della genesi e delle altre con- dizioni fisiche, biologiche ed antropogeografiche, non può staccarsi dal resto del Gran Deserto, anzi dell’Africa equatoriale. Il primo punto da stabilire è infatti questo: che la Libia tutta, litoranea ed interna, è veramente una terra africana in ogni singolo carattere, a differenza dell’attigua regione dell'Atlante, che per molti riguardi può qualificarsi quasi una fascia dell'Europa medi- terranea unita per accostamento al continente africano. Il bacino del Mediterraneo — osserva sempre l’autore — così vario e sbrandellato nelle parti sommerse e in quelle emerse, si considera originato 110 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 da una serie di sollevamenti e sprofondamenti successivi — repentini alcuni, lentissimi altri — e di corrugamenti rivelati dai fasci di catene manifesta- tisi specialmente nell’epoca terziaria, in deciso contrasto col massiccio afri- cano, che è di emersione più antica e di configurazione prevalentemente tabulare. Anche la Libia presenta quest’ultimo carattere, mentre il sistema del- l'Atlante, colle sue distinte catene montuose, si dimostra come un prolunga- mento della Sicilia e dell’Appennino, ed originato da un medesimo corru- gamento. Il bacino centrale del Mediterraneo, che corrisponde in gran parte al mar Jonio, inabissatosi a più di 4000 metri, determinò la insenatura della Gran Syrte, che può dirsi il solo vero golfo dell’Africa. Ritenendo non essere possibile intendere la geografia, il suolo, il clima, la morfogenia della regione libica, se non la si considera nel suo più naturale complesso e nei suoi rapporti col’resto dell’Africa e particolarmente col Sahara, l’autore riassume in rapido quadro le più recenti induzioni sulla genesi di questo deserto e quanto si conosce intorno alle sue condizioni fisiche e biologiche, rilevando sopratutto la profonda differenza esistente tra le antiche e le moderne concezioni relativamente alla orogenesi del grande deserto sahariano. Anticamente si concepiva il Sahara, anzi in generaleji deserti, quali fondi di mari disseccati. Ma specialmente dopo gli studi di Barth, di Richardson, di Overweg, di Vogel, di Daveyrier, di Rohlfs e di altri arditi esploratori, geografi e geologi, il concetto del Deserto fondo di mare disseccato, con super- ficie tutta uniforme, tutta coperta di sabbia, venne abbandonato, essendosi i viaggiatori trovati di fronte al potente sollevamento delTassilli, del Tibesti (che presenta elevazioni superiori ai 2500 m.), dei massicci dellAir, dell’Ahag- gàr, dell’Adràr e di altri numerosi rilievi, dei quali le recenti esplorazioni mettono sempre più in evidenza la complessità di struttura e le differenze di forme e di clima. Anche dal punto di vista geologico la distesa del Sahara si rivela assai meno semplice di quella ritenuta in passato. Le vecchie carte geologiche indicavano sulla superficie Saharica largamente estesi i terreni arcaici e cristallini (graniti, gneiss), specialmente nelle zone di maggiore altitudine, e rocce vulcaniche in parecchie parti, non esclusa la Libia litoranea; dei terreni sedinentari era indicata la presenza nell’interno solo di quelli dell’epoca paleozoica od al più secondaria (Cretaceo medio e superiore), localizzando brevi estensioni ter- zarie in prossimità alle coste e qualificando non di origine marina, ma subaerea, le distese dei terreni quaternari delle regioni più depresse; [per la tettonica poi consideravano orizzontali gli strati dell’intera distesa Sahariana. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 1ll Ora invece, specialmente dopo le esplorazioni francesi, lembi di terreni terziari (Focene) si fanno penetrare più verso l’interno, specialmente nel Sahara meridionale, ed il concetto della generale orizzontalità di struttura, cui natu- ralmente si associa quella di una uniforme emersione in blocco, viene in più luoghi modificato da profili che rivelano non soltanto forti dislocazioni, di- scordanze di strati, faglie, raddrizzamenti ece., ma eziandio tracce di veri e propri corrugamenti, di pieghe d’età antichissima, che dai geologi francesi sono identificate con le così dette pieghe Erciniche e Caledoniche e intito- late già Altaidi africane e Saharidi. Ma ad imprimere a quella vasta regione la sua attuale morfologia e topo- grafia concorsero, sempre secondo l’autore, l’erosione acquea e l’erosione eolica, le cui cause ed i cui effetti sono particolareggiatamente descritti nella memoria. (Bo MISSA Riccò A. — Fenomeni geodinamici consecutivi alla eruzione etnea del settem- bre 1911. (Boll. Soc. sism., it. Vol. XVI, N. 1-2, pag. 9-38, con 7 fig.). — Modena. Rileva l’autore che l’eruzione etnea scoppiata il 10 settembre 1911 cessò bruscamente dopo 183 giorni di attività nonostante il grandioso apparato erut- tivo e la straordinaria energia dei primi fenomeni. Un tale fatto, in contrad- dizione con quanto ordinariamente succede, sorprese anche gli intendenti di vulcanologia e fece pensare alla possibilità di altri dannosi fenomeni tellurici. Infatti dopo l’anzidetta eruzione si ebbe in quella regione una serie di manifestazioni della attività endogena terrestre che è interessante?di esa- minare per le relazioni che possono intercorrere tra loro e colla grande con- flagrazione etnea. Il giorno 15 ottobre 1911 si ebbe il !forte terremoto di Fondo Macchia che devastò una zona di 6500 metri di lunghezza e 500 metri îdi larghezza (quindi un’estensione superficiale di poco più di 3 km. quadrati), producendo danni a fabbricati ed a strade per un valore di oltre 4 milione di lire, cagio- nando la morte a 12 persone e ferite ad altre 48. In apposita tabella l’autore ha riunito i dati principali relativi a quel ter- temoto, cioè le località in cui fu avvertita la scossa, la sua intensità espressa nella scala Mercalli, la natura e durata della medesima e qualche altra parti- colarità relativa alle caratteristiche di quel fenomeno sismico. La località devastata dal terremoto del 1911 essendo quella stessa che tu danneggiata dal precedente terremoto del 19 luglio 1865 l’autore descrive anche i caratteri di quest’ultimo e trae occasione per parlare dell’instabilità 112 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 della regione e dei rovinosi terremoti di cui essa fu teatro anche in precedenti epoche, ricordando specialmente che il terreno è in quella plaga eterogeneo, rotto, dislocato, caratterizzato da bruschi dislivelli e gradini e costituito da banchi di lava poggianti su "materiali incoerenti o con questi alternanti. Oltracciò quel terreno è anche soggetto a movimenti bradisismici. Constatata l'analogia di caratteri e di effetti negli anzidetti due terre- moti (del 1865 e del 1911), l’autore viene poi a parlare della relazione tra il fatto sismico ed il fatto vulcanico, e la spiega ammettendo che finita l’eruzione e saldata la frattura dai materiali eruttati e quindi chiusa la via di uscita e di sfogo alla tensione dei fluidi interni, questi, reagendo sui fianchi del vuleano, possano produrvi delle spinte, le quali producono, nei punti meno resistenti del suolo, dei movimenti che alla superficie si manifestano come terremoti. L'autore porge quindi una descrizione del terremoto di Malta del 30 set- tembre 1911 e del periodo sismico di Mineo, località quest’ultima dotata, da epoche lontane, di una singolare attività geodinamica, e conclude col dichia- rare non essere certamente nè facile nè sicuro il dire quali relazioni possano avere tra loro i descritti fenomeni geodinamici, compresa l'eruzione Etnea, ma che sarebbe egualmente arrischiato l’affermare che non ne abbiano al- cuna, anzi pare che il legame esista non solo tra l’accennata eruzione etnea ed il susseguente terremoto di Fondo Macchia, ma che debba ritenersi esteso a tutti gli altri accennati terremoti come pure a tutte le altre manifestazioni dell'attività endogena della regione. (E. TISSI). RoccatI A. — Iticerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della pianura padana. — I. — Pozzo di Alessandria. (Atti R. Acc. Se. Torino, Vol. XLVII, disp. 18%, pag. 770-791). — Torino. Il pozzo di Alessandria fu trivellato, tra gli anni 1895 e 1898, dalla Ditta Bonariva di Bologna per incarico di quel Municipio allo scopo di risolvere il grave problema dell’alimentazione idrica del Comune. Il risultato fu però negativo, essendo stata spinta la terebrazione fino ad oltre a 200 metri senza incontrare acqua che rispondesse allo scopo. L’esame del materiale incontrato alle varie profondità dimostra come il territorio di Alessandria costituì già un’ampia depressione lacustre di rilevante profondità che si venne man mano ricolmando durante il Pliocene superiore e gran parte del Quaternario. Infatti mentre i fossili lacustri sono sempre abbastanza bene conservati, quelli di origine marina e terrestre sono in frammenti fortemente fluitati e rotolati, tanto da renderne difficile e talvolta anche impossibile la deter- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 113 «minazione. Tali fossili devono provenire dalla abrasione del Pliocene marino (Astiano), sul quale esercitavano la loro azione erosiva le grandi fiumane ap- penninico-alpine, le quali poterono anche trarre una parte del materiale fluitato dai conglomerati oligocenici. Il materiale del pozzo di Alessandria rivela un altro fatto interessante, cioè che esso è tutto della medesima provenienza, essendo sempre gli stessi elementi rocciosi e minerali che si ripetono — più o meno abbondantemente — ai diversi livelli, salvo il prevalere momentaneo, per speciali circostanze, del- l’uno o dell’altro dei corsi fluviali che operavano il trasporto dei materiali di colmata. Alcuno dei materiali incontrati sì deve ritenere di provenienza appenninica (calcare alberese, arenaria, scisti neri, diaspri, ece.); la maggior parte però dimostra di essere di provenienza alpina e più particolarmente delle Alpi marittime (gneiss, dioriti, apliti, anageniti, scisti verdi e violacei, molti cal- cari, ecc.). TLe roccie serpentinose o quelle contenenti granato, anfibolo, glaucofane, pirosseno, ecc., possono provenire dalle Alpi Cozie e particolarmente dal gruppo di Voltri, ove le roccie verdi sono assai abbondanti. ’ (E. TISST). RoccartI A. — Ricerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della pianura padana. — II. Pozzi di Suzzara, Galliera, Massa Lombarda e Lodi. (Atti R. Ace. Se. Torino, Vol. XLVII, disp. 15%, pag. 1014-1086). — Torino. L'autore presenta in questa nota i risultati delle ricerche lito-mineralo- giche da lui eseguite sopra i materiali delle trivellazioni di Suzzara, Galliera, Massa Lombarda e Lodi. 1°) Pozzo di Suzzara. — Il pozzo di! Suzzara (prov. di Mantova) fu trivellato dalla Ditta G. Piana, di Badia Polesine, per incarico di quel Mu- nicipio, allo scopo di ricercare acqua potabile. La terebrazione fu spinta fino a 257 metri di profondità senza ottenere un decisivo risultato, non essendosi trovata la vagheggiata falda idrica; però dal lato geo-litologico la trivellazione in parola ha notevole importanza, essendo uno dei pozzi più profondi finora eseguiti nella pianura padana. Il materiale incontrato ai differenti livelli rappresenta una mescolanza delle alluvioni del Po con quelle dell'Adige, anzi — eccettuato forse l’ultimo livello — con normale prevalenza di queste, abbondanti essendo i granuli di pasta felsitica, provenienti dallo sfacelo dei porfidi del Trentino, nonchè l’an- gite, la cianite, la tormalina bruna, il rutilo, eec. che sono searsi per le sab- bie del Po. 114 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Le alluvioni padane sono specialmente caratterizzate dal serpentino, dagli anfiboli, dalla glaucofane. Quanto ai carbonati, così abbondanti nei diversi livelli del pozzo, seb- bene siano caratteristici delle sabbie dell'Adige, l’autore pensa che, almeno in parte, essi possano rappresentare materiale portato dai fiumi appenninici, i quali nel Quaternario dovevano convergere nella grande fiumana che allu- vionò il territorio di Suzzara. 2°) Pozzo di Galliera. — Il pozzo di Galliera, in provincia e eircondario di Bologna, fu trivellato, per incarico di quel Municipio, dalla Ditta Stier- lin di Milano, e fu spinto fino a 135 metri di profondità senza però ottenere completamente l’effetto desiderato, cioè quello di dotare il Comune di acqua potabile. La scarsezza del materiale esaminato non consente deduzioni molto precise sulla provenienza del materiale alluvionale del sottosuolo di Galliera; pare si possa tuttavia concludere ch’esso deve essenzialmente essere di origine appenninico-padana con associazione di materiale del bacino dell'Adige. 3°) Pozzo dì Massa Lombarda. - Nel territorio di Massa Lombarda, in Circondario di Lugo (Ravenna), furono trivellati parecchi pozzi per acqua potabile e con risultati soddisfacenti. Le due ultime trivellazioni furono eseguite nel 1911 dalla Ditta Piana per incarico di quel Municipio. La prima si spinse fino a 109 metri di profondità incontrando una falda acquea della portata di circa 204 litri al minuto primo, livellantesi a 3 metri sopra il suolo; la seconda, spinta fino a 116 metri di pro- fondità, trovò una falda idrica saliente a 6 metri sul piano di campagna, con portata di circa 700 litri alminuto primo a m. 0.50 sopra il suolo. Il materiale incontrato presenta notevole costanza di costituzione ai diversi livelli e pare non lasci alcun dubbio sulla sua origine in parte padana, in parte appenninica. 4°) Pozzo di Lodi. — Nel Comune di Lodi furono eseguite — a par- tire dal 1905, e generalmente con buoni risultati — parecchie trivellazioni, tre delle quali nell’imnterno della stessa città per dotare questa di acqua pota- bile. Notevole è il fatto che per quanto gli indicati pozzi nell’interno della città non siano situati a grande distanza l’uno dall’altro (tutt’al più 200 m.) le formazioni incontrate presentano nondimeno grande differenza di costi- tuzione geologica, e ciò pel fatto che il sottosuolo lodigiano consta di depo- siti assai irregolari, più o meno lentiformi, di origine fluvio-lacustre. Il pozzo di Lodi, che fu spinto fino a 141 metri di profondità, attraversa sabbia e ghiaie che dimostrano un alluvionamento del sottosuolo assai com- plesso e probabilmente operato dal Po, dal Ticino, dall’Adda e relativi affluenti. ((RFRRISUSISTO)E RUHLA. — Elba. (Z,d. Ges. f. Erdkde., N. 4, S. 288-297). — Berlin. L'autore sostanzialmente rileva essere la costituzione geologica dell'Isola intricata e complessa ed aggiunge che le formazioni sedimentarie, astrazione fatta dai depositi quaternari, hanno risentito forti disturbi tectoniei e stra- tigrafici per effetto delle copiose rocce eruttive emersevi. Speciali concezioni in rapporto alla compagine stratigrafica dell’Isola vennero di recente esposte dal Termier, senza però conseguire una piena e generale adesione alle sue teorie da parte di alcuni studiosi. Morfologicamente l'Isola presenta i caratteri di un frastagliato brano di regione montana di risentito rilievo e di disturbata compagine interna; il suo contorno costiero attesterebbe uno sprofondamento avvenuto in epoca geolo- gicamente non lontana. i i (E. TISSI). SABATINI V. I Vulcani dell’Italia Centrale e i loro Prodotti. Parte Seconda: Vulcani Cimini. (Mem. deser. Carta Geol. d’It., Vol. XV: pagine 636, con 76figure nel testo e con XVII tavole, oltre ad una carta geologica). — Roma. Nei primi capitoli è studiato il basamento sedimentario dei due vulcani cimini. La formazione più antica vi è data dall’Eocene che forma montagne di calcari a Barbarano, a S. Giovanni di Bieda e a Monte Razzano ad oc- cidente della regione, e ricomparisce a mezzodì a Ronciglione. L’arenaria si associa al calcare a M. Razzano. Il Miocene, sebbene segnalato da qualcuno, manea assolutamente, come dimostrò coll’A. il Prof. Di-Stefano. Il Pliocene è rappresentato dall’argilla che apparisce in molte località nelle valli del Tevere e della Vezza ad Est ed in quella del Mignone a S.0., e perfino verso il centro della regione, come alla Fornacchia di Soriano e a Bagnaia, oltre che da conglomerati di ciottoli. Questi ultimi prendono grande estensione sull’argilla, nella valle del Tevere ad Est e al Monte Monastero a S.0. Finalmente i conglomerati quaternarii, spesso ce- mentati dal calcare, e i travertini coronano le formazioni sedimentarie, principalmente nella Valle del Tevere. Le prime eruzioni si manifestarono forse verso la fine del Pliocene e il principio del Quaternario, poichè elementi vuleanici in scarsa quantità si trovano disseminati nella parte più alta delle formazioni precedenti. Ma le prime eruzioni sicure e grandiose si ebbero con la comparsa del peperino delle alture, una trachioligoclasite di cui il modo di emissione è dubbio. La sua perfetta rassomiglianza nel microscopio con una roccia certamente frammentaria, il peperino tipico, e i passaggi dall’una all’altra ben visibili 1* Patti CZZOI ” " BIBLIOGRAFIA GEOLO y ta Da) i GICA ITALIANA, ad occhio nudo autorizzano il dubbio che anche la prima sia di origine frammentaria. A tale conclusione si opporrebbero altre considerazioni, come l'aspetto normale della roccia medesima. Una lunga discussione conduce lA. alla conclusione sicura per la natura della seconda roecia, mentre per la prima, dopo esposte le ragioni per ognuna delle due ipotesi, si limita a proporre la quistione. Il peperino delle alture — una delle mnecroliti del Brocchi — avrebbe prodotto un grande cono A con la prima ipotesi, od una cupola (cupola dî intumescenza, vulcano-cumulo) con la seconda. La cupola avrebbe avuto il suo periodo esplosivo che vi avrebbe scavato il eratere, prima che l’erosione lo ingrandisse e quindi ne demolisse gran parte del recinto, riducendolo ai pochi denti attuali. Al pericdo del peperino delle alture l’A. riattacca l'emissione : delle oligolabradoriti di Monte Torello e di Montecchio. Sopra un frammento del cono A rimasto all’interno del vecchio recinto sì sarebbe edificato, dopo un lungo riposo, il cono B o Montagna di Soriano con emissioni d’una grande massa frammentaria, il peperino tipico. Queste emissioni, certamente numerose, furono seguite da un lungo sonno, il cui ri- sveglio dette luogo alla emissione di lave e di ceneri, onde con molti tufi si formarono le oligoclasiti della Quercia e d’altre località. Contemporaneamente poco, più a Sud, e in modo da intersecare il grande cratere A del Vulcano Cimino, si aprì il camino del Vulcano di Vico. Pare che le sue prime emissioni siano state di una bella roccia, compattissima, hi una fonotefrite con anina, la quale si trova oggi solo in frammenti abondanti i dentro tutti i tufi della regione e alla superficie del suolo. Seguirono tre tipi di leucotefriti, con leuciti di grandezza crescente. Dapprima quelle con leuciti piccolissime e spesso invisibili ad occhio nudo, poi quelle con leuciti di aleuni millimetri, poi, più tardi, quelle con leuciti fino ad un centimetro e più di diametro. A questo punto il Vulcano (Cimino si addormentò, mentre nel Vicano sì ritornò ai tipi con leuciti più piccole. ma di grandezze molto diverse, costituendo così i petrischi. Finalmente vennero fuori colate di trackhioligocla- siti talvolta speronacee, come presso il Quartuceio di Vetralla, e alle quali lA. conserva il nome di vulsinite dato loro dal Washington. Queste lave del vulcano di Vico, sono accompagnate da tufi abondanti, e il loro insieme ha costruito il cratere A del vulcano medesimo. 1% Dopo queste emissioni anche il Vulcano di Vico si addormentò per un Cita i numerosi fossili di questo calcare e conclude con l’attribuirlo al- l’Eocene superiore. Tra il Cretacico e l’Eocene il passaggio sembra talora abbastanza gra- H duale, al contrario tra questo e le formazioni posteriori vi è un forte iatus. ii o Wahl Ma > d È RESTA I x fi + ra % ti, ds % r à A BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Li Il Miocene è rappresentato da un calcare granuloso, marnoso e arenaceo, detto Pietra leccese, il quale si adagia direttamente sul Cretaceo, e per l’as- sieme dei suoi fossili l’A. lo riferisce all’Elveziano passante inferiormente al Langhiano. Il terreno pliocenico, assai importante dopo il Cretacico, ha una strati- ficazione orizzontale o poco inclinata e si appoggia in trasgressione sui ter- | reni sottostanti. ‘ L’A. lo distingue in Pliocene superiore, rappresentato da arenarie cal- caree, grigio-bianchiccie (Materano) e dalle soprastanti marne argillose grigie (Piacenziano) e in Pliocene inferiore rappresentato da arenarie e sabbie giallastre (Astiano). i Tale interpretazione cronologica, dice 1’ A., non è però ammessa da altri, che riferiscono al Pliocene (anzi al Pliocene superiore) solo le arenarie del Materano e tutto il resto lo ritengono del Postpliocene. Su tale proposito lA. accenna ad alcune sue ragioni a sostegno della propria opinione. Per tal fatto i depositi plistocenici della Puglia risultano assai limitati nella fauna marina e abbastanza estesi con quella continentale. Al Plistocene marino lA. riferisce solo la formazione arenaceo-calcarea talora panchinoide, indicata volgarmente col nome di tufo-càrparo o sempli- cemente càrparo, spesso alternante con lenti irregolari argilloso-calcaree, con . fauna marina quaternaria. E qui l'A. esamina le regioni di Taranto e di Gallipoli, dove meglio si può osservare tale formazione. o Al Plistocene continentale attribuisce quei veli di argilla impura rossa stra (così detta argilla rossa o terra rossa) sparsi sia sul Cretacico sia sul Pliocene. Parla del fenomeno di terrazzamento, riguardante tanto il periodo pli- stocenico come quello olocenico, e indica le località in cui si osserva tale fenomeno. Al periodo olocenico, dice l’A., appartengono i detriti di falda, certi veli argilloso-terrosi, gialli o rossastri, le dune sabbiose, i depositi littoranei sabbiosi, o sabbiosi-melmosi e talvolta ghiaiosi, e certe panchine, plistoce- niche in basso ma che continuano a formarsi durante } Olocene, ed enumera quindi i fossili contenuti da questo terreno. Parla infine dei depositi di fosfati nel Leccese. Chiude la sua memoria con aleuni cenni paletnologici, non senza far ri- levare come la Puglia sia una regione meravigliosamente ricca sotto questo aspetto. M. CASSETTI. *4 4 a "i a : à ù ir ipse (i ta LR) Mar I Pi ” x N } wr e : e di E bi n ra e ai AAA Pa Ù * 4.0: ì É sedia A et Ù bre - i SERA | —»—°‘’ BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 ScALIA S. — Le fauna del Trias superiore del gruppo di Monte Judica. Parte II. (Atti Acc. Gioenia in Catania, S. 5, vol. V, 58 pag., con 3 tav.). — Catania. In questa seconda parte del suo lavoro, che ha per iscopo la illustra— zione dei fossili triassici del Monte Judica, l’autore si occupa esclusivamente dei lamellibranchiati di cui descrive le forme, molte delle quali sono nuove. Tre tavole illustrano la memoria. (ES CLISS1): ScHUBERT R. — Geologischer Fiihrer durch die nordliche Adria. (Samml. geol. Fihrer, Bd. XVII, S. 213). — Leipzig. La nota descrive la stratigrafia e l'estensione della PERO creta» cica del Carso Triestino, del Quarnero settentrionale, dell’Istria meridio- nale e della parte insulare e settentrionale della Dalmazia. Viene quindi tratteggiata la facies giurassica della regione Dinarica e dei dintorni di Fiume. Nella descrizione della formazione eocenica è fatta particolarmente menzione della straordinaria frequenza di Nummuliti, Alveoline, Orbitoidi ecc. che si rinvengono specialmente nella zona costiera. Dopo alcune considerazioni d’ordine tectonico generale, e dopo un elenco bibliografico-letterario sulla regione in esame, la nota porge l’enumerazione . di alcune escursioni geologiche effettuate in quelle interessanti contrade. d di (E. TISSI). SCHUBERT R. J. — Die Fischfauna der Schliermergel von Bingiafargeri (bei Fangario) in Sardinien (Verh. d. k. k., geol, Reichsanst., Jahrg, 1912, S. 160-165). — Wien. Riferisce l’autore che in seguito alle nuove scoperte di Otoliti nelle marne di Fangario ad opera del prof. D. Lovisato, è ora possibile completare il quadro faunistico di quel giacimento, poichè oltre alle due nuove specie di Otoliti (Otolithus fangariensis ed Otolithus Lovisatoi), vi sono state rin- venute anche altre forme affatto nuove per quella località, tra cui vanno specialmente ricordate le due specie state prima d’ora trovate soltanto nel Miocene di Monte Gibio, vale a dire il Dentex speronatus e lo Sparidorum mutinensis. Dichiara l’autore che i ritrovamenti di cui trattasi sono di una certa importanza, giacchè anteriormente ai medesimi la lista dei pesci fossili di quelle formazioni marnose comprendeva soltanto i Plagiostomi, che veni. vano generalmente identificati dalla conformazione dei denti. I Teleostiri, ui, SEN O LAI CAPIRE ARRE, MR 9 gie fo. AI j j i bh A © È a è n r* ; pae ce di ” e È ' x =” s- feet ML ; i # sig AR ; ? ni : N si 233 = fee pr x “a (1 RIFLE Sio OGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912/1925 che prima erano scarsamente rappresentati, sono ora. dopo il ritrovamento degli Otoliti, notevolmente aumentati di numero, così che nelle marne di Bingia Fargeri se ne contano 18 specie. | (E. TISSI). . ScHwriz. GEoL. KommIssion. — Erlauterungen zur Geologischen Karte der Schweiz. 1: 500,000. — Aarau. Opuscolo che accompagna la seconda edizione della carta geologica della Svizzera al 500,000, fatta dal prof. Heim per incarico della Commis- sione geologica svizzera. In questi cenni illustrativi è data ragione della scelta della base topogra- fica, dei colori, e per quanto si riferisce alla Svizzera sono anche enumerati i materiali che hanno servito alla compilazione della carta. + La serie dei terreni che per ragioni di spazio nella carta è stata dichia— rata con una leggenda molto concisa, sebbene chiarissima, è nell’opuscolo so- briamente illustrata con maggiore sviluppo. (VINI): SCHWINNER R. — Kristallines Erratikum in 2650 m. Meereshohe auf dem Hauptkamm der Brentagruppe(Sidwesttirol). (Verhandl. k. k. geol. Reichs., N. 6, 1912, pag. 173-178). — Wien. La nota ha per oggetto la descrizione di un ritrovamento di roccia brec- ciosa rinvenuta dall’autore a circa 2650 metri d’altezza nel così detto Passo di ValGelata, che fa parte del gruppo montuoso delBrenta (Tirolo meridionale). I componenti di quella roccia conglomeratica sono fortemente cementati e tra essi mostransi numerosi elementi di roccie cristalline estranee alla - località. L'autore deserive la natura, la forma e la grossezza dei singoli componenti di quella roccia clastica e formula varie ipotesi per spiegare la possibilità della sua presenza ad una così rilevante quota altimetrica. (Bi DESSE): SCHIMMER R. — Der Monte Spinale bei Campgilio und andore Bergstiirze in den Siidalpen. (Mitt. geol. Ges., Vol. V, n. 2, pag. 128-200, con | carta). — Wien. In questa estesa memoria sono particolareggiatamente descritte le ca— ratteristiche geo-litologiche del Monte Spinale (nei pressi dell’abitato detto « Madonna di Campiglio » nel Tirolo Meridionale) e delle formazioni co- stituenti il Gruppo del Brenta, coi contigui bacini del Meledrio, del Sarca e di Vallesinella, e sono specialmente descritti i tratti morfologici e pe- TY Pag” a asent Dr vili affa 7" OC. Si CS F MZ BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 trografici degli ingenti ammassi detritici ivi esistenti e originati da immense — frane preistoriche. L’autore parla quindi dell’orogenesi delle valli e dei gruppi montuosi, delle glaciazioni e dei franamenti verificatisi nelle Alpi meridionali, e correda la sua memoria con una carta geologica della regione alla scala di 1 :25mila, "SR con una ricca bibliografia e con un elenco delle frane verificatesi nelle Alpi < 7 6 anzidette. (E. TISSI). SILVESTRI A. — Lagenine terziarie italiane. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. 131-180 con 44 fig.). Roma. Con questa memoria l’autore tende a ricostruire la storia delle Lage- nine terziarie del Piemonte, illustrandone alcune già studiate e proponen- ue dosi di farne via via conoscere altre : vi è altresì l’illustrazione di certe 4 Lagenine siciliane finora inedite per le località da cui provengono. Ritiene l’autore che lo studio delle Lagenine, se accuratamente ese- guito, sia destinato ad acquistare notevole importanza dal punto di vista della filogenesi di certi gruppi tassimomici dei Rizopodi reticolati, importanza che potrebbe anche riflettersi nel campo della geologia. i Alla particolareggiata descrizione ed illustrazione delle forme conside- rate, l’autore fa seguire un quadro in cui le forme stesse sono esposte in base alla loro distribuzione od al loro ordine di frequenza. (E. (TISSI): SiLvestrI A. — Nuove notizie sui fossili cretacei della contrada Calcasacco presso Termini-Imerese. (Paleontogr. it., vol. XVIII-1912, pag. 29-56 con 2 tav.). — Pisa. L’A. ritorna con questo lavoro sopra l’età di certa formazione calca- reo-marnoso-argillosa della contrada Calcasacco, presso Termini-Imerese, la quale era stata da lui riferita al Dordoniano in base alla faunula degli pe straterelli calcarei mentre i prof. Di Stefano e Checchia-Rispoli l’attribui- scono al Bartoniano per essere detta faunula associata a Nummulites, Orto- phragmina, Alveolina e Baculogypsina e pel suo ritrovarsi in istrati superiori ad altri con fossili eocenici. Esaminando nuovi materiali del giacimento, l’A. afferma che i fossili cretacei non possono ritenersi contemporanei alla roccia che li racchiudema sono anteriori ad essa; però le osservazioni stratigrafiche e paleontologiche dei suddetti professori gli farebbero ritenere che la formazione debba ascri- versi all’Oligocene, C.. C. As DAGO oe, FSTNNO. tà GEOLOGICA ITALIANA, 1912 SirovicH .— Sulla marcasite di Castelnuovo di Porto. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXI, 2° sem. fase. 60, pag. 362-354). — Roma. Questa marcasite, che si trova nel fosso detto Torraccio, presso Castel- nuovo di Porto ( Roma), si presenta con struttura mammellonare ed in qualche punto stalattitica, frattura lucentissima, splendore metallico-argenteo. Presso questo deposito di marcassite vi sono parecchie sorgentelle di acque ferruginose e polle di idrogeno solforato, le quali, insieme con la forma mammellonare e stalattitica della marcassite, indicano chiaramente essersi questa originata per via umida, per azione di H, S_ sopra i sali di ferro a temperatura ordinaria: deduzione corroborata anche dal fatto che la forma- zione delle stalattiti è continua in quella località, potendosene continua- mente osservare la produzione di nuove ed assistere pertanto falla sintesi della marcasite, nelle condizioni, cioè, in cui è recentemente riuscito ad al- cuni scienziati americani di riprodurla sperimentalmente in laboratorio, per azione di H, S sopra i sali di ferro a temperatura ordinaria. L'aumento della temperatura invece favorisce la deposizione della. pirite. I terreni della località e dei dintorni sono costituiti quasi esclusiva- mente da formazioni tufacee. ; (E. TISSI). SIrovicHa G. — Analisi del granato del fosso del Tavolato. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, vol XXI, 2° sem., fasc. 9, pag. 643-645). — Roma. Osserva l’autore che nei dintorni di Roma granati. diversamente eolo— rati sono contenuti nei blocchi rigettati dai vulcani, ad est del lago di Brac- ciano nella regione fra Anguillara ed il lago di Martignano, come al monte S. Angelo vicino a Baccano e presso Cesano. I blocchi vulcanici che contengono i granati sono o aggregati di sani- dino, oppure masse verdi porose di pirosseno, oppure anche masse di Wol- lastonite; la Melanite si trova nel peperino dei Monti Albani. Avendo raccolto dei bei cristalli di granato nel fosso delTavolato, l’au- tore ha creduto interessante di sottoporli ad analisi chimica e ne espone i risultati nella presente nota. (E. TISsI). StAaRK M, — Beitrige zum geologisch-petrographischen Aufbau der Buganeen und zur Lakkolithenfjrage. (Tscherm. min. u, petrogr. Mitt., 31 Bd., I Heft, pag. 1-80, con 9 figure nel testo e 1 tav.). — Wien. Dopo aver rilevato che la regione Euganea forma da lungo tempo og- getto di speciali ricerche scientifiche e che, specialmente per ciò che con- cerne le forme intrusive, essa è certamente una delle più interessanti e ca- VIZIO "a ITALIANA, 1912 I. è Da Te o h, * CRI SER ic RIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ratteristiche plaghe d'Europa; l’autore, confutando spesso le concezioni e le deduzioni del Lachmann, del Reyer, del Penk, dello Zirkel e di altri, entra in una minuta disamina dei caratteri orogenetici ed orotettonici della re- gione stessa, prendendo specialmente a considerare : 1°) La presenza e la natura dei materiali intrusivi ; 2°) Le formazioni eruttive superficiali e le vie da cui derivarono; 3°) Le formazioni che hanno stretta relazione e concomitanza coi prin- cipali centri eruttivi. (E. TIssI). STEFANINI (. — Mammiferi terrestri del Miocene veneto. (Mem. Ist. geo]. R. Univ. di Padova, vol. I-1912, pag. 267-318). — Padova. Osserva l’autore che mentre i giacimenti italiani contenenti avanzi di mammiferi pliocenici sono piuttosto numerosi e meritatamente celebri, ben più rari sono invece nel nostro paese quelli che abbiano fornito tracce di mammiferi terrestri miocenici. i Le specie cui appartengono gli scarsi e mal ridotti avanzi formanti og- getto della presente nota sono conosciute per numerosi ritrovamenti in vari giacimenti miocenici d'Europa e sono le seguenti: 1°) Khinoceras cfr. Teleoceras aurelianensis (Nouel); 20) Hyomoschus crassus (Lart.) ; ° 3°) Dinotherium giganteum (Kaup.); 4°) Mastodon cfr. Arvernensis (Croiz et Jok). I resti della 1% specie furono rinvenuti nell’arenaria di Libàno nel Bel- - lunese, riferita al Langhiano; quelli della 22 specie si ebbero dalle molasse a Cassidula sp. di Pinzano al Tagliamento appartenenti al Sarmatiano; quelli ; della 32 specie furono trovati nelle ghiaie a Unio flabellatus di Anzano presso Vittorio e sono da ascriversi al Pontico; quelli della 48 specie, in- fine, provengono dalle ghiaie del livello con ligniti presso Sarmede e nei dintorni di Soligo e spettano pure al piano Pontico. Le anzidette specie costituiscono un argomento di qualche importanza a conferma delle attribuzioni cronologiche già intuite dall’autore e per esse è ora possibile estendere all’Italia l'habitat di quattro specie che durante il Miocene si svilupparono, più o meno intensamente, in varie parti d’ Europa ma che non erano ancora state segnalate nel nostro paese. (E. TISSI). È di x pren n 90 È ti au “ » ela A TA E ter! IIP4 VÀ, si II Age sca ea Mi Se sa, AZ, a "PE ; 1 » La Ù Persi Ca i GRAFIA Ni AO Ra ROOT A | RIBLIO GEOLOGICA ITALIANA, E) CAO: So 129 | STEFANINI G. — Due nuovi lembi terziari nel Friuli. (Att. Acc. Ven.-Trent.- Istr., S. 38, Anno V, fase. 1° e 2°, pag. 3-5). — Padova. Facendo seguito a precedenti studi sul Miocene del Friuli, l’autore ha potuto recentemente scoprire due piccoli lembi terziari, impigliati nelle pieghe di calcari mesozoici delle Prealpi Friulane. Uno di tali lembi trovasi nei dintorni di C. Moschiatinis sopra Meduno, non lungi dalla strada Meduno- Tramonti, ed è costituito da alcuni strati marnoso-arenacei a facies di /lysch. In questi strati s’intercala anche una lente di una brecciola compatta, rieca di foraminifere, che permette di ascrivere questi terreni al Paleogene. L'altro lembo terziario si trova tra Poffabro e Navarons ed è costi- tuito da un’arenaria micacea verdastra contenente Pecten praescabriusculus e Tapes sp. Quest’arenaria, pei suoi.caratteri litologici e paleontologici, deve aseriversi0val più basso di quei tre livelli che altra volta l’autore ha avuto occasione di distinguere nel Miocene del Friuli. (E. TISSI). STEFANINI G.— Osservazioni sulla distribuzione geografica, sulle origini e sulla filogenesi degli Scutellidae. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX (1911), fase. 39, pag. 739-754). — Roma. ila drei na ia Fa notare l’autore che tra le famiglie degli Echinodermi una delle più curiose ed interessanti è quella degli Scutellidae, i quali compaiono fin dal Paleogene e si svolgono rapidissimamente soprattutto nell’Oligocene e nel È Miocene. I generi appartenenti a questa famiglia — soggiunge l’autore — hanno / quasi sempre un habitat assai ristretto ed una distribuzione geografica limi- | tata, degna pertanto di osservazione e di studio. Descritta l’attuale distribuzione geografica degli Scutellidi, l’autore viene a parlare della loro origine e filogenesi, avvertendo tuttavia come in 1 questa ardua ricerca egli abbia tenuto per guida costante il principio della a irreversibilità del processo evolutivo, e ritenendo che negli Echinodermi i fe- nomeni di convergenza 0, meglio, di parallelismo dei processi evolutivi deb- bano essere assai frequenti. Dallo studio sugli Scutellidi l’autore ha cercato di trarre deduzioni zoogeografiche, filogenetiche e paleogeografiche, deducendone che la costanza con cui determinate leggi di localizzazione dei generi sembrano regolarne la distribuzione geografica, rende le prime di tali deduzioni assai probabili, mentre le osservazioni filogenetiche e paleogeografiche debbano considerarsi solo come ipotesi. ì di di sati MT, E A SI PUO Na PORT Lal Na x pi a n (7 E u da a | $ x v i è ea SPUTI VERTE 0 J la 130 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 : La memoria è corredata da un quadro sinottico della distribuzione degli Scutellidi nel tempo e nello spazio e da un quadro della classificazione dei medesimi con alcuni dei caratteri principali dei vari generi. (E. TISSI). STEFANINI G. — I bacini della Meduna e del Oolvera in Friuli. (R. Mag. Acque, Uff. Idrogr., Pubblicaz. N. 20 e 21 con 9 tav.). — Venezia. Dall’ Ufficio Idrografico del R. Magistrato alle acque, l’autore ebbe l’in- carico di studiare i bacini della Meduna e del Colvera, specialmente dal punto di vista della impermeabilità delle roccie, in modo da iniziare anche per il Friuli le ricerche sviluppate in altre zone della regione Veneta. L’autore divide il suo lavoro in due parti principali: la prima parte si occupa dei limiti dei bacini ed ha speciali capitoli sulla geologia, sul- l’orografia, sulla morfologia e sull’idrografia degli anzidetti due bacini, La seconda parte tratta della permeabilità delle roccie dei bacini medesimi, descrivendo in un capitolo la classificazione delle roccie secondo la loro per- meabilità e trattando in un successivo capitolo della estensione e distribu- zione dei vari tipi di roccia. La memoria è corredata da varie figure, da profili, da una carta geo- logica dei dintorni di Meduna e da una carta della permeabilità delle roccie dei due bacini. (E. TISSI). STELLA A.— Sulle condizioni geologiche di una grande galleria dello Spluga. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX, fasc. 49, pag. 961-968). — Roma. Gli studi ultimamente compiuti per il traforo della grande galleria dello Spluga, secondo il tracciato Rigoni-Locker, concordato fra i due Co- mitati svizzero ed italiano nel 1907, importano la perforazione di una grande galleria lunga Km. 24 1{4, avente l’imbocco Sud rimpetto al villaggio di Who (940 m.) e l'imbocco Nord appena a monte di Andeer (935 m.). Essa attraversa la linea spartiacque quasi esattamente sotto il Passo di Emet, sopra Madesimo, ove coincide il punto culmine della galleria a 1030 m.; per tal modo essa assume pendenza del 71 p. oo nel versante italiano e del 3 p. °%oo nel versante svizzero. Verso i due imbocchi la gal- leria si avvicina al profilo del terreno, venendo per tal modo ad avere da ciascuna estremità una tratta di approccio di circa 2 4 Km., attaccabile anche con pozzi, sì da ridurre il tratto centrale del sotterraneo a soli 19 Km. Per lo studio delle condizioni geognostiche e termiche probabili, si pro— cedette alla escavazione di 5 pozzi tubolari di 10 m. di profondità con ca- mera inferiore naturale, scaglionati fra Andreer e Who attraverso al passo > è a { ] I I I I di L. Nero e muniti di termometri, in modo da avere la temperatura quasi costante in corrispondenza alla media temperatura annuale della superficie per altitudini crescenti di 500 in 500 m. fra i 1000 e i 2500 m. d’altezza. Per la valutazione della temperatura lungo l’asse della galleria fu adot- tato il metodo K6nigsberger, basato sulla legge di trasmissione del calore, da cui dipende la nota variabilità del gradiente geotermico lungo le verticali condotte in regioni montuose, in confronto della costanza del gradiente me- desimo in regioni di pianura. Il risultato delle relative calcolazioni fu poi graficamente tradotto nel diagramma delle linee isotermiche su una sezione verticale condotta lungo l’asse della galleria, diagramma che dimostra essere le probabili condizioni termiche del progettato traforo analoghe a quelle della galleria del Sempione, anzi con un massimo di qualche grado inferiore, salvo eventuali sorgenti d’acqua che potessero modificare alquanto le previsioni. Per lo studio delle particolarità geognostiche si eseguirono tante sezioni trasversali alla traccia della galleria, prolungando fino a questa gli anda- menti medii desunti dalle misure agli affioramenti, riportando poi i punti limiti delle formazioni su altrettante verticali segnate in una sezione longi- tudinale lungo l’asse della galleria ed ottenendo, per punti, il profilo delle linee limite delle diverse formazioni nella sezione longitudinale. Ne risultò pertanto la probabile esistenza delle seguenti formazioni : dall’imboeco Who (Km. 0) al Km. 6, zona micascistoso-gneissica ; dal Km. 6 al Km. 124, zona calcarea; » 125 » 18, zona miascistoso-gneissica ; AREAS » 24 1/4, (imbocco Andeer), zona porfirica. La zona di gran lunga più importante è quella calcarea, sia perchè in essa possono trovarsi porzioni rocciose meno coerenti, sia perchè è detta la zona acquifera, interclusa fra le contigue zone di scisti cristallini impermeabili. Però la eventualità di incontrare vene d’acqua, anche rilevanti, nelle estreme porzioni di contatto della tratta calcarea potrebbe, in definitiva, anche tradursi in un vantaggio dal punto di vista delle condizioni termiche. (E. TISSI). STELLA A. — Il minerale ferrostannifero di Campiglia marittima e il suo possibile arricchimento. (Rass. min., Vol. XXXVII, n. 14, pag. 253-255). — Torino. La nota del prof. Stella riassume alcune nozioni sul minerale ferrostan- nifero proveniente dalle miniere di Monte Valerio nel Campigliese, nozioni recentemente acquisite in seguito a studii intrapresi dall'A. e diretti a consta- tare la possibilità di un arricchimento del minerale povero di quella località. 2» BIONE Mate PE GOT VA BIBLIOGRAFIA GEOLOG ICA ITALIANA; 1912 È = È 5 \ | Questo minerale povero si presenta come un minerale di ferro che va dal tipo ematite al tipo limonite-ocracea, a tessitura macroscopica spesso minutamente cavernosa, ma a grana sempre compatta. Lo stagno non è visi- bile che per eccezione ad occhio nudo o colla lente; tuttavia esso non è chi- micamente collegato agli altri componenti del minerale, ma si presenta sotto forma di cassiterite finissimamente disseminata nella ganga ferrugginosa in granuli submicroscopici isolati o raggruppati fra loro.’ Il tenore in stagno varia fra il 6 e il0,5%, cui corrisponde un tenore in cassiterite compreso fra il 7,5 e il 0,6%. Il problema dell’arriechimento delminerale si riduce quindi a quello della concentrazione artificiale dei grani di cassiterite mediante opportune opera- zioni di preparazione fisico-meccanica. La preparazione meccanica ha permesso di ottenere dei concentrati con un tenore maggiore del 20 % in stagno, che possono essere ulteriormente arric- chiti mediante separazione magnetica e dei residui altamente ferrugginosi, utilizzabili come minerale di ferro. (GEP5i STRAMPELLI G. — I terreni della Tripolitania. (Riv. Agr. rom., XLI, 3, pag. 50-56). — Roma. E° la riproduzione parziale delle « Note geologiche sulla Tripolitania », del prof. Vinassa de Regny, pubblicate nei Rendiconti della Acc. delle scienze di Bologna sin dal 1902 (Nuova Serie, Vol. VI). N È ‘Tacconi E. — Sul deposito argilloso di Tartavalle in Valsassina. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol, XLV, fase. XVIII, pag. 874-877). — Milano. Il deposito argilloso di Tartavalle, a Sud diTaceno, affiora qua e là nel letto del torrente Pioverna e viene utilizzato per la fabbricazione di laterizi. L'autore non ritiene improbabile che questo deposito argilloso rappresenti il sedime di un laghetto postglaciale, progressivamente riempito dalle allu- vioni del Pioverna e dalle conoidi postglaciali delle circostanti morene. Il limite a valle di questo supposto laghetto sarebbe, sempre secondo l’autore, stato formato dalla massa delle quarziti micacee incise dalla profonda gola scavata dal Pioverna fra Taceno e Bellano, ben nota ai touristi col nome di Orrido di Bellano, scavo indubbiamente postglaciale e che provocò, Li insiene coll’interrimento, la scomparsa del supposto laghetto. di È Il deposito argilloso di cui trattasi è costituito da una fanghiglia minu- n pe tissima, perfettamente omogenea, di colore grigio-cenerognolo, assolutamente 71 priva di elementi grossolani e che al tatto presenta una certa plasticità ed untuosità dovute forse alla estrema finezza delle particelle che la costituiscono. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 L’autore ha creduto non privo d’interesse sottoporre questo materiale ad ) ‘esame microscopico e chimico, onde poterlo confrontare con quello estratto i in diversi punti dal fondo del lago di Como per lo studio della temperatura del lago medesimo. Sottoposto il materiale ad una accurata levigazione, allo scopo di eli- ea minare la grandissima quantità di limo mineralogicamente indeterminabile, l’autore ottenne come residuo una quantità minima di sabbietta quarzosa, minutissima, di color grigio-roseo, nella quale, oltre il quarzo notevolmente preponderante, furono determinati calcite e dolomite, granato, muscovite, ‘anfiboli, zoisite, epidoto, staurolite, clorite, feldispati alterati, aghetti di ru- tilo inclusi nella clorite, granuli argillosi e prodotti leucoxenici di alterazione. RITO E EI — —t Dal confronto del materiale argilloso di Tartavalle coi diversi campioni di fondo del lago di Como studiati dal prof. Artini, emerge subito una no- tevole differenza, per riguardo ai caratteri mineralogici, in causa della scar- | ._sezza di elementi pesanti e nella assoluta assenza di resti organici nella sabbia argillosa esaminata dall’autore, elementi che invece non mancano in quasi tutti i campioni esaminati dal prof. Artini. i Si può quindi concludere che il deposito argilloso di Tartavalle è costi- tuito esclusivamente da materiali appartenenti al bacino del Pioverna e che î la sua formazione non venne in alcun modo influenzata da altro materiale proveniente dal maggior bacino lariano. (E. TISSI). TARAMELLI T. - Sulle valli sommerse del golfo Ligure. — (Estr. dalla Riv. i i mens. « Natura », Vol. III, opus. di 8 pag.). — Pavia. ; 5 Riferendosi a due comunicazioni fatte all'Accademia di Francia dal i ; prof. Issel, con cui questi rilevava l’esistenza nel Golfo Ligure di profonde di ‘valli sommerse in continuazione colle attuali depressioni vallive dalla Roia al Bisagno, e ne riferiva lo scolpimento ad un periodo di emersione prece- dente al Pliocene e precisamente al Messiniano, ipotesi che l’autore aveva, È in precedenti pubblicazioni, cercato di dimostrare inesatta, dovendosi, con maggiore probabilità, attribuire quei solchi vallivi ad un periodo del Postplio- ‘cene, l’autore medesimo ritorna ora sull'argomento e ricordando alcuni parti- colari del fenomeno in parola, espone le considerazioni che lo inducono ad insi- stere sulle sue deduzioni ed a considerare pertanto quelle valli sommerse come quaternarie e dissociate dalle valli attuali della Riviera di Ponente per un movimento orogenetico verificatosi al termine della prima fase del Quaternario. (E. TISSI). 134 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 T'ARAMELLI T. — Rapporti fra popolazione e natura del suolo nel Friuli e nell’Appennino pavese. (Giorn. geol. pr., Anno X, fase. IV, pag. 141-146, con 5 tav.). — Parma. Questa nota è la recensione di uno studio di geografia antropologica in rapporto alle condizioni del suolo e del, clima del Friuli, pubblicato dal prof. Musoni dell'Istituto tecnico di Udine, studio che, per certe considera- zioni, rientra nel campo della geologia grafica. La serie dei terreni che formano le montagne e le colline friulane va dal Siluriano inferiore al Quaternario, con poche trasgressioni. La pianura è attraversata da una zona di risultive che seguendo la base delle conoidi alluviali e diluviali va abbassandosi verso levante fino alla quota di 20 metri. Per la sua postura e conformazione orografica il Friuli rappresenta la regione più piovosa d’Italia, raggiungendo, in alcuni punti, le precipitazioni atmosferiche annue l’altezza di 3 metri, con acquazzoni che in poche ore dànno fino a 200 mm. di pioggia; da ciò il carattere eminentemente torren- tizio dei fiumi friulani. Relativamente alle condizioni fisiche determinanti le grandi differenze nella distribuzione della popolazione, l’autore distingue all’uopo le tre grandi zone del Friuli alpino, del Friuli medio e del Friuli basso. La zona alpina, per ciò che concerne le particolarità nella distribuzione degli abitanti, può distinguersi in tre sottozone, che corrispondono alla preva- lenza di determinati terreni e che sono: la più elevatadei terreni paleozoici, la media dei terreni caleareo-dolomitici e la terza delle alluvioni grossolane della vallata del Tagliamento. Interessanti sono i rapporti tra la popolazione e le condizioni del suolo nel Friuli medio, che può dividersi in più sottozone. L’autore lo distingue in eocenico orientale, morenico, conoidi di deiezione ad ovest del Tagliamento, al- luvioni grossolane del medio Friuli, nelle quali sottozone la densità della popo- lazione è molto varia, come è molto varia nella zona dell’anfiteatro morenico. Il Friuli basso viene distinto in una zona delle risultive e in una zona litoranea. Nella prima la popolazione è relativamente densa, mentre nella se- conda il terreno spesso paludoso e l’estensione delle lagune causano una mi- nore densità di abitanti. La corrispondenza tra la densità della popolazione e le condizioni oro- grafiche e geologiche delle varie plaghe friulane è chiaramente dimostrata da una delle 4 tavole che corredano la memoria. (E. TISSI). Mei BLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 TARAMELLI T. — A proposito del giacimento carbonifero di Manno presso Lugano. (Rend. R. Ist. Lomb., S. II, Vol. XLV, fase. XIV-XV, pag. 721-730). — Milano. L’A. prende occasione da alcuni cenni sul Carbonifero di Manno, posti in appendice ad una pubblicazione del dott. Berend Giorgio Escher di Amsterdam e nei quali sono trascurate le citazioni degli autori italiani che hanno studiato ed illustrato per primi il giacimento, per fare una rassegna ‘critica di questi lavori. Essi sono dovuti allo Stoppani, al Taramelli stesso, a Spreafico e Negri, al Sordelli, che ne illustrò la flora, ed allo Stella. In quanto alle conclusioni del dott. Escher, che il Taramelli esamina pure, due di esse erano perfettamente note, e l’altra che il Carbonifero sia in piega tra le rocce azoiche non è punto dimostrata, ed anzi il Taramelli è d’opinione che il lembo di Carbonifero formi un cuneo limitato da piani di frattura nei micaseisti che lo contengono, Chi serive ha visitato pure il giacimento e può pienamente confermare l’ interpretazione del Taramelli, che esclude la piega non dimostrata da alcun serio indizio. (MSN TarICco M. — Contributo allo studio del Cambriano della Sardegna. (Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. XXI, fasc. 2°, 1° sem., pag.116-123). — Roma. Le arenarie del Cambriano dell’Iglesiente presentano in vari punti, nelle | vicinanze del contatto col metallifero, un-fossile che il prof. Parona ritenne una forma di Eophyton. Negli scisti a Paradorides di Cabitza, come in altri scisti di Siliqua, di Domusnovas, di Villasalto, di Meana Sardo si trovano , impronte a contorni regolari subcircolari, parte delle quali, a quanto potè I giudicare il prof. Parona dall’imperfetto stato di conservazione, sarebbero di Oldhamia (cir. Oldh. radiata Forb.), fossile genericamente accennato dal Gambera in una serie schematica del 1897. Osservazioni stratigrafiche nell’Iglesiente farebbero ritenere assai verosi- mile la successione ascendente: scisti a Paradorides ed Oldhamia di Cabitza — calcoscisti — metallijero — scisti a Paleospongia e Lingula — calcari oolitici ead Archacocyathus e Voscinocyathus — arenarie ad Eophyton e trilobiti — La serie si estende nel Sulcis (Serbariu, Santadi). Il Cambriano compare pure nella Nurra (Sassari), ove gli scisti presen- tano tracce fucoidiformi in una delle quali il prot. Parona riconobbe una forma strettamente somigliante al Palaeophycus plumosus Withf. del Postda- _miano; quivi i giacimenti di ferro oolitico ricordano le rocce oolitiche assai frequenti del Cambriano dell’ Iglesiente. (MO): Testa L. — Fossili silurici di Planu Dentis (Sardegna). (Rend. Ass. Min. Sarda, Anno XVII, n. 5, pag. 8 con 1 tav.). — Iglesias. Il rinvenimento all’imbocco della galleria Modigliani della Miniera Planu Dentis (Iglesias) fatto dal capo-servizio sig. Marongiu di impronte, confer- mate per Schyphocrinus dal prof. Parona, dà occasione all’A. di riaffer- mare quanto egli, cogli ingegneri Ferraris e Wright aveva precedentemente esposto in base a considerazioni stratigrafiche, essere cioè silurica la lente di ‘ scisti che da Flumini per le miniere Candiazzus, Serra Trigus, Planu Dentis e Pira Roma si unisce ad altra lente proveniente da Nanni Frau. Tale lente, identica agli scisti di Flumini, è rimasta pizzicata tra le dolomie e le are- . narie cambriane che attraversa nel isuo percorso. Pure silurica è la lente di scisti di Enna Murta e Pubuxeddu (Aequaresi) continuazione a sud della lente precedente. Le impronte di Schyphocrinus sono figurate in una tavola. (MENIESE Testa L. e SARTORI F. — Le filladi di Malacalzetta. (Rend. Ass. Min. Sarda, Anno XVII, n.2, pag. 19 con 1 tav.). — Iglesias. Gli autori hanno osservato nelle concessioni minerarie di S. Benedetto e Coremo la serie seguente, procedendo da sud a nord e dal basso all’alto: Arenarie cambriane di Cucecuru Contu passanti alla dolomia rigata — scisti parzialmente ricoperti da importante ed estesa breccia di falda — calcoscisti — infine calcare bianco molto fratturato. Gli scisti sarebbero per- tanto dello stesso orizzonte di quollo sottostante al calcare del Marganai. I calcari bianchi presenterebbero imponenti faglie, di cui una, rappre- sentata nella tavola, avrebbe separato la cima Genna Ricosta da quella di quota 691. (MOETO): Tiweus G. — Il litio e la radioattività quali mezzi d'indagine nell'idrologia sotterranea. L'origine del fiume Timavo (Istria). (Atti Soc. it. per il progr. delle Sc., Quinta Riunione; Roma, 1911; pag. 751-771, con 7 tav.). — Roma. Ricordata la classica rinomanza del fiume ‘Timavo e le supposte sue comunicazioni col Recca che s’ inabissa nella grotta di S. Cangiano, e ricor- dati i numerosi esperimenti per l’addietro inutilmente tentati per avere la prova diretta dell’accennata comunicazione, l’autore viene a parlare dei sali di litio e della radioattività quali mezzi d’indagine nell’idrologia sotterranea e descrive i procedimenti da lui applicati per la risoluzione del problema. Recca-Timavo. A tal uopo egli immise a S. Cangiano 50 kg. di cloruro di litio rae- chiuso in 10 sacchetti ed immerso nella linea mediana del corso d’acqua, e | prelevò poi campioni nei puoti delle risorgenze sospettate. Potè così procu- rarsi l’assoluta certezza della comunicazione del Timavo col Recca e col Vip- paco e potè altresì stabilir: in modo indubbio che il ‘Timavo sotterraneo forma il principale sistema idrico del territorio triestino. L’autore continuò poscia i suoi studi di idrologia sotterranea coll’im- piego di sostanze radioattive, valendosi a tale uopo delle pechblenda di Joachimsthal (uranite) ridotta in granelli ed immersa nell'acqua entro sac- chetti da 1 kg. assicurati con funicelle. La pechblenda immersa nell’acqua ne aumenta notevolmente il grado di radioattività è fornisce la possibilità, di identificarla anche dopo un lungo pertorso sotterraneo. Gli esperimenti, riuscitissimi, furono fatti sul fiume Bisano e su altri | corsi d’acqua. L'autore afferma che l’impiego del litio presenta notevoli vantaggi sopra tutti gli altri metodi finora usati compresa la fluoresceina, specialmente quando si tratta di risolvere problemi che si riferiscono a lunghi corsi d’acqua 9 quando questa passa attraverso zone filtranti. La pechblenda pure è preziosa nelle ricerche di cui trattasi, perchè ha il vantaggio di poter determinare la radioattività immediatamente allo sbocco delle acque senza il sussidio del laboratorio. Concludendo si può dire che gli accennati due metodi si sono dimo- strati veramente preziosi sopra tutto quando si tratta di risolvere problemi riferentisi a lunghi percorsi sott:rranei, anche con zone filtranti, o a grandi volumi d’acqua e perchè — data la facilità e la celerità dei procedimenti — l’indazine può essere estesa a vaste zone. (E. TISSI). ) lo) UGOLINI R. — La terra refrattaria di Lugnano in prossimità di Pisa. (Atti Soc. tosc., proc. verb., vol. XXI, pag. 5-15). — Pisa. La cava per l'estrazione della terra refrattaria è situata presso il villaggio di Lugnano, alle falde del Monte Verruca, nella catena dei Monti Pisani. La roccia dal cui disfacimento deriva la terra refrattaria di cui trattasi, è una quarzite micacea a grossi elementi e con struttura più o meno sei- stosa, un tipo litologico intermedio fra gli scisti quarzoso-micacei e le ana- geniti propriamente dette. Osservata mieroscopicamente la roccia di Lugnano si presenta sotto l’aspetto di una massa granulare bianceo-grigiastra, alquanto scistosa, costi- \ pa, A 0) DG STI. SEDI BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITAI tuita da elementi quarzosi bianchi e rosei tenuti insieme da un’ abbondante sostanza cementizia. La nota riporta l’analisi chimica e la costituzione fisica di questa terra, il suo quoziente di refrattarietà, il peso specifico, la porosità, la compat- tezza, nonchè alcune indicazioni circa l'entità del giacimento, gli usi a cui la terra si presta, ece. (E. TIssi). Vaccaro V. — Le miniere di Cogne. (Rass. min., vol. XXXVI. pag. 77-78). — Torino, Esamina i giacimenti di Cogne dal punto di vista della loro utilizzazione. — VERRI A. — Una osservazione circa la genesi del tufo lionato da costruzione del Vulcano Laziale. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fasc. 1-2, pag. XLVIII). — Roma. In una cava di materiali da fabbrica, situata presso l’ incontro della Via Latina col Vicolo della Caffarella, l’autore ebbe occasione di osservare che un potente banco di pozzolana grigio-chiara includeva una specie di amigdala di tufo lionato da costruzione e posava su tufi terrosi. Il tufo, nella parte superiore, presentava struttura grossolanamente scagliosa e la sua massa era intersecata da fenditure poliedre. La pozzolana presentava pure qualche fenditura ed aumentava di coesione in vicinanza del tufo. (E. TISSI). VerreRs H. — Vorliufige Mitteilungen iiber die geologischen Ergebnisse einer Reise nach einigen dalmatinischen Inseln und Scoglien. (Werhandl, k. k. geol. Reichs., N. 6, 1912, pag. 184-187). — Wien. bi Il viaggio, di cui è cenno nel titolo della presente nota, fu effettuato per incarico della I. R. Accademia delle Scienze in Vienna, allo scopo di fare nuove indagini sulla fauna e sulla flora delle piccole isole e degli scogli della Dalmazia meridionale. Particolarmente studiate furono le Isole di Busi e St. Andrea ed i vi- cini scogli di Melisello, Kamil: e Pomo ad Ovest di Lissa, nonchè le isolette e gli scogli situati a levante ed a ponente dell’isola Lagosta, cioè le isolette di Cazza e Cazziola e gli scogli di Bielac, Pod Kopiste e Cernac, ed il gruppo dei Lagostini di Levante. Alcune osservazioni furono altresì fatte sugli scogli di Galiola e Pettini, presso Premuda e su quelli di Bacili e Planchetta esistenti fra le isole di Curzola e di Lesina. BIBI DEIR EESTUGIGA ITALIANA, 1912 Relativamente all’isola di Busi l’autore fa notare che insieme a calcari a rudiste ed a sabbie quaternarie sciolte, si incontrano, discretamente svi- luppati, i caleari nummulitici, i quali ultimi si mostrano nella parte cen- trale dell’ isola, mentre che i calcari a rudiste sono limitati alla parte sud-est e sud-ovest della medesima. Piuttosto frequenti vi si rinvengono Nummuliti ed Orbitoidi, per cui è lecito ritenere — anche in seguito alle constatazion]i del Dr. Schubert — che i calcari nummulitici di Busi rappresentino il più antico Eocene marino della regione adriatica austro-ungarica. L'isola Sant’ Andrea è totalmente costituita da formazioni cretacee rife- ribili — anche per la presenza delle Hippurites Laperousei Goldîf — al piano Senoniano. Lo scoglio Kamik, poco ad occidente di Sant'Andrea, rappresenta la continuazione delle dolomiti delle principali creste dell’isola. zoccolo dolomitico dello scoglio è però in gran parte coperto da una breccia dolomitica piuttosto cavernosa. Lo scoglio Melisello, detto anche Brusnik, è invece costituito da una roccia eruttiva di colore oscuro, analoga a quella che incontrasi nella baia di Comisa, nella vicina Lissa, roccia che fu dapprima creduta diallagite, ma che poi dal Martelli fu riconosciuta per diabase. Della medesima roccia è costituito il ripido Scoglio Pomo. Il gruppo dei Lagostini di Levante è formato da quattro isolotti mag- giori e da quattro minori ed è costituito da stratificazioni calcaree piatte, di colore parte bianco e parte grigio-scuro, le quali alternano con dolomiti granulose. calcari bianchi sono ricchi di Gastropodi e segnatamente di Nerinee, generalmente mal conservati, e sono da ascriversi all'orizzonte Cenomaniano. Del gruppo dei Lagostini di Ponente fu visitato soltanto lo Scoglio Tajan, costituito da calcari a rudiste. L'autore fa pure qualche accenno delle isole situate a ponente di La- gosta, tra cui merita di essere riievata l’isola di ('azza, formata da caleari bianchi, compatti, con numerosi ma non ben precisabili resti di Gastropodi. Vi sono pure calcari oolitici. Le formazioni dell’ isola di Cazza sono da rife- rirsi, secondo l’autore, al Titoniano od al Neocomiano. L’isola di Cazziola, cogli scogli Bielac, Pod Kopiste (Lukovae) e Cernac, sono costituiti da banchi calcarei chiari o grigio-brunastri e da dolomie grigie. Vi si rinvennero alcuni resti di Crinoidi e nella dolomia di Pod Kopiste due resti, non ben precisabili, di Ammoniti. L’autore rileva essere tuttora incerto se queste formazioni debbano riferirsi al Cretaceo medio od al Titoniano. È BIBLIOGRAFIA (GI Dei rimanenti piccoli scogli visitati l’autore rileva che il calcare num- mulitico principale («Hauptnummulitenkalk») si mostra nella parte occiden- tale dei Pettini, presso Premuda, e che lo scoglio Planchetta nel Canale fra Lesina e Curzola, è costituito dal Flysch arenaceo. L'autore conclude rilevando che la costituzione geo-litologica delle isole dalmate è molto più complessa di quello che le precedenti descrizioni geo- logiche lasciavano supporre. {E. TISSI). VINASSA DE REGNY P.E.— Piante neocarbonifere del Piano di Lanza(Carnia). (Riv. it. di paleont., anno XVIII, fasc. 19, pag.12-!7, conl tav.).— Roma. Al Piano di Lanza, nelle Alpi Carniche orientali, e segnatamente in una località situata tra il Cason di Lanza ed il rio delle Pale di S. Lorenzo, il Gortani rinvenne un giacimento ricco di piante ben conservate e strati con filliti analoghi a quelli del Monte Pizzul, già descritti dall’autore ed indub- biamente riferibili al Neocarbonifero. Sul materiale raccolto dal Gortani si basa il nuovo studio dell’autore che forma oggetto della presente memoria, studio nel quale vengono elencate varie forme di piante che arricchiscono e completano la conoscenza di questi giacimenti neocarboniferi, che sono i più ricchi delle nostre Alpi Carniche. (BSLISSI)I Vinassa DE REGNY P. E. — Rilevamento nelle tavolette di Paluzza e Prato Carnico. (Alpi Venete). (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, fasc. 39, pag. 213- 232, con l tav.). —. Roma. E’ la relazione del completato rilevamento della tavoletta di Paluzza e di quello svoltosi nel contermine foglio di Prato Carnico, che insieme por- gono il rilievo completo della Val Calda. Osserva l’autore che la regione presa in esame doveva considerarsi assai malnota; inquantochè la Carta geologica del Taramelli non segna che i soliti scisti siluriani e le rocce eruttive al Monte di Terzo: quella del Frech non porge che una uniforme rappresentazione di Culm per tutta la Val Calda, e quella di Geyer, per quanto migliore di quella del Frech, è tuttavia per certe particolarità evidentemente errata. La carta dell'autore fa vedere che frequenti sono nella regione le roccie eruttive e che il terreno è abbastanza svariato e quindi molto diverso da: quello rappresentato dalle carte precedenti, nelle quali predomina una uni- formità che non risponde menomamente alle vere condizioni geologiche della regione. i a. LP deri nua 4, IOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Seguendo il metodo già adottato nella precedente relazione l’autore passa particolareggiatamente in rassegna le singole formazioni a cominciare dalle più antiche. Descrive pertanto i terreni silurici, devoniani, carboniferi e per- miani, triassici e quaternari, confermando — quanto alla tettonica — le idee da lui ripetutamente espresse, che, cioè, il motivo tettonico dominante sia la curvatura dei caleari devoniani, sui quali sta in trasgressione la massa prevalentemente scistosa del Carbonifero. L'autore descrive, per ultimo, ed illustra la fauna del Neodevonico inferiore. . (E SLISST): Vivassa DE ReGNY P. E. — Sulla origine di talune impronte litorali fossili. (Boll. Soc. geol. ital., vol. XXX, fase. 3°, pag. 518-522). — Roma. Nel tratto sabbioso litoraneo interposto tra la foce di Cecina e Vada dove la spiaggia è soggetta, a causa di forti correnti e di mareggiate, & molteplici cambiamenti sia nel fondo sia nell’andamento della riva, l’autore ha potuto assistere alla formazione di impronte a maglie più o meno rile- vate e in tutto simili alle Nemertilites ed ai Palaeodictyon. Tali impronte derivano, secondo l’autore, dalla presenza di materiale argilloso portatojdalle onde e dai venti, e sono quindi di origine inorganica. Egli non intende tuttavia negare ed escludere l’organicità di alcune im- pronte fossili di Nemertilites e di Palaeodietyon. potendosi in natura avere effetti identici anche da cause assolutamente diverse. (E. TISSI). VINASSA DE REGNY P. E. I terreni della Cirenaica e la relazione della « Ito ». (Giorn. Geol. pr., Vol. X, fasc. 1°, pag. 21-42). — Parma. i E’ un’analisi critica della relazione della nota Commissione « Ito », par- ticolarmente dal punto di vista del terreno agrario e della irrigazione: l’au- tore dissente dalle conclusioni di quella relazione, le quali furon poi, egli dice, interpretate da qualche scrittore in modo troppo pessimista. (G. A). ù Vivassa DE REGNY P. E. — Storia naturale della Libia. (Boll. Soc. geogr. it, S. V, vol. 19, n. 4, pag. 352-353), — Roma. . E’ una breve notizia di una conferenza fatta alla Società geografica italiana. 0" BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA Vixassa DE ReGNyY P. — Relazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911. Foglio 13° (Tav. Prato Carnico). (Boll. R. Com. geol., Vol. XLIII, fasc. 1°. pag. 85-87). — Roma. La porzione rilevata dall'autore nella campagna geologica del 1911 comprende il gruppo dei Monti di Volaia o Biegengebirge dalla cima di M. Canale-Sassonero sino al passo di Giramondo. Comprende altresì l’ inte- ressante gruppo Cretabianca-Vas, l’intricato e malagevole Avajust-Bordaglia e, finalmente, le cime eruttive della Creta verde e di Fleons. L'autore osserva anzitutto che le risultanze del proprio rilievo differi- scono notevolmente da quelle emergenti dalle osservazioni del Geyer e del Frech, sia per quanto riguarda il nucleo siluriano. dell’Avajust, sia per ciò che concerne il seno di Bordaglia, il quale ultimo, benchè complicatissimo in apparenza, si riduce effettivamente ad una sinclinale ristretta e schiac- ciata tra le due grandi masse devoniane dei Monti Volaia-Cretabianca e dell’ Avajust. Altro nucleo siluriano si ha presso il passo di Volaia. La Cretabianca è un massiccio calcareo devoniano ricoperto da scisti earboniferi. Il Trias ed il Permiano si presentano coi soliti caratteri. Fre- quenti vi sono le morene ed i giacimenti morenici rimaneggiati. Grande sviluppo vi assumono anche i detriti, specialmente nella valle di Fleons. (E. TISssI). VINASSA DE REGNy P. E. e GorTANI M. — Il motivo tettonico del nucleo centrale Carnico. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXX, fasc. 3°, pag. 647-654, con 1 tav.). — Roma. Essendo riuscito agli autori, in seguito a diligenti ricerche, di documen- tare con fossili le assegnazioni cronologiche del nucleo centrale delle Alpi Carniche, fu loro di conseguenza possibile stabilire una base sicura per co- struire le linee tettoniche di quel gruppo montuoso. Di interpretazioni tettoniche della Catena Carnica, due furono fin qui in prevalenza; quella del Taramelli e quella del Frech. Il Taramelli aveva intuito che le Alpi Carniche centrali dovevano consi- derarsi una catena a pieghe, e un tale concetto, salvo alcune particolarità di dettaglio, può riguardarsi tuttodì sussistente. Il Frech invece diede delle Alpi Carniche una interpretazione fonda- mentalmente diversa da quella del Taramelli, sostenendo egli trattarsi di una regione di fratture ed escludendo per ciò ogni traccia di piegatura. Secondo l’interpretazione del Frech esisterebbe un vero reticolato di faglie intersecantesi in tutti i sensi, ed originato in parte da un corruga- mento mesocarbonico e in parte da un successivo corrugamento oligocenico. a nigi Ni DLOGICA ITALIANA, Nè l'uno nè l’altro degli accennati corrugamenti avrebbe prodotto pie- gature di qualche importanza. La concezione tettonica del Frech venne pochi anni dopo combattuta dal Geyer, il quale dimostrò la pertinenza al Devoniano del M. Germula ed È al Permocarbonifero delM. Trogkofel, e riconobbe l’esistenza di una trasgres- sione neocarbonifera dai monti di Pontebba al M. Lodin, ossia nella parte orientale della catena. tE/) Gli studî degli autori portarono a stabilire che il nucleo centrale carnico è una catena a pieghe. Queste sono ovunque accertabili e ben definite, quando si faccia astrazione dalla copertura trasgressiva neocarbonifera che si estende fino alle regioni più occidentali della catena medesima. Delle numerose faglie segnate nella Carta del Frech, gli autori ne am- mettono una sola, di piccola dimensione, esistente tra Comeglians e Zarello. | (E. TISSI). Vinassa DE REGNY P. E. e GORTANI M. — Le paléozdique des Alpes Carniques. (Extr. du C. R. du XI Congr. géol. intern.; opus. di 8 pag.). — Stockholm. E’ un riassunto di quanto ‘oggidì si conosce intorno al Paleozoico delle Alpi Carniche, segnatamente nel versante italiano. Gli autori fanno notare che molti dei concetti precedentemente esposti sulla costituzione geologica di quel gruppo montuoso vanno corretti e in qualche parte anche rigettati; le faglie — per esempio -- intravvedute dal Frech non esistono affatto. Si tratta invece di un sistema di pieghe successive e di una trasgressione carbonifera che assume, nel caso in esame, rilevante importanza. La tettonica della catena è, nel suo complesso, assai semplice. Un quadro allegato alla nota dimostra la successione stratigrafica dei terreni costituenti la catena centrale delle Alpi Carniche. (E. TISSI). O VINASSA pE REGNY P., Riccò A., ARCIDIACONO S., STELLA STARABBA F., ZAFFARA L., DE FioRE 0. — L’eruzione etnea del 1910. (Vol. in 4°, con «Il tav. e 34 fig.). — Catania. Questa relazione è opera di collaborazione di vari specialisti, ed è na primo tentativo di unione armonica di forze tendenti ad un medesimo fine, i. troppo evidente essenda che di un fenomeno così complesso qual'è quello di una eruzione vulcanica non possa con adeguata competenza occuparsi una sola persona, troppo svariati essendo i punti di vista dai quali il feno- meno dev'essere considerato. RIITTA i Wi, "AR, | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Alla compilazione della memoria avendo preso parte diversi cultori, il lavoro resta suddiviso e distribuito come segue: Parte I. ARCIDIACONO e ZAFFARA, Storia dell’ Etna dal 1° gennaio 1893 al 31 maggio 1906 sotto il punto di vista geodinamico-eruttivo; Parte II. ArcIpIACONO, Sismologia dell’eruzione ; Parte III. Riccò, Il cratere centrale dell’ Etna dal 1892 al 1910; Parte IV. Riccò, Vinassa, ZAFFARA, DE FIORE, Visite all’eruzione; Parte V. Vinassa, Osservazioni geologiche e morfologiche; Parte VI. STELLA STARABBA, Studio petrografico sulle lave dell’eruzione etnea del 1910. (E TISSI). WiLcHENns R. — Beitrag zur Tektonik des mittleren Ogliotales. (Zeits. d. Deut. geol. ges., 1911, Monatsber. N. 11, S. 540-550). Nei monti incassanti la media Val Camonica l’autore ha osservato che la configurazione stratigrafica della gamba meridionale di una sinelinale non è semplice come quella del corrispondente ramo settentrionale, ma è invece più complessa e caratterizzata da una faglia con notevole rigetto che può . seguirsi dal massivo Tonalitico fino alla valle-di Dezzo e che sembra apparte- nere ai sistemi di rotture che attraversano le Alpi Dinariche. (E TISSI). Woyrxo T. J. —- Petrographisce Untersuchung der Casannaschiefer des mittleren Bagnetales (Wallis). (N. Jb. f. Min., Geol., Pal., XXXIII Beil. Bd., 1 H., pag. 136-207, con 2 fig. nel testo). — Stuttgart. Riassumendo il contesto della sua nota l’autore conclude col dichiarare che gli scisti di Casanna si appalesano come un complesso petrografico co- stituito da svariati tipi di rocce, i cui principali componenti sono il glauco- fane, l’epidoto, la clorite, l’albite, la sericite, il quarzo e la calcite e le cui caratteristiche chimiche sono il notevole contenuto di sodio e la ragguar- devole percentuale di acido titanico. La roccia può suddividersi in una serie di tipi in alcuni dei quali sono frequenti le fluttuazioni tanto nella quantità dei componenti minerali quanto nella struttura e nella grossezza dei medesimi. Alcuni degli accennati tipi sono costituiti di elementi provenienti da roccie eruttive che si sono mescolati con elementi d’origine sedimentaria, dando così luogo ad una roccia di natura promiscua, caratterizzata dal- l'elevato tenore di sodio e di minerali titanati. Un tale fatto viene a confermare le ipotesi già al riguardo espresse dal Grubenmann che considerava quella roccia come originata da tufi teralitici. (E. TISSI). Zaccagna D. — Relazione preliminare sulla campagna geologica del 1911: Toscana. (Boll. R. Com. geol., XLIII, pag. 25-29). — Roma. ZAMBONINI F. — Appendice alla Mineralogia vesuviana. (Rend. R. Acc, Sc., Napoli, S. 32, Vol. XVIII, fasc. 7°, 89, 9°, pag. 223). — Napoli. L’autore espone l’argomento di una memoria, dal titolo indicato, da inserirsi negli Atti dell’ Accademia. ZurFraRDI P. — Cenni geologici sui dintorni di S. Andrea dei Bagni (Prov. di Parma). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXX, fasc. 4°, pag. 947-960). — Roma. Rileva l’autore che una località interessantissima per copia e varietà di acque minerali, per quanto ancora poco conosciuta, è quella di S. Andrea di Medesano, detta anche S. Andrea dei Bagni, in provincia di Parma, della quale località sono deseritte nella presente nota la costituzione geologica e le caratteristiche tettoniche e litologiche. Le sorgenti sgorgano tra le marne elveziane a differenti livelli sulla sponda sinistra del Rio Fabbro, affluente delDordone, che a sua volta sbocca nel Taro. L’esame chimico ha dimostrato trattarsi di acque salso-iodo-bromiche, solforose, ferruginose-arsenicali, bicarbonato-caleiche, molto affini a quelle di Tabiano e Salsomaggiore; infatti breve è la distanza che le separa e iden- tica la formazione che le ricetta. Nel greto del Rio Fabbro è tale l'abbondanza delle acque minerali che, oltre a sgorgare naturalmente alla superficie, basta perforare di poco il ter- reno per averne in rilevanti quantità. (E. TIssi). Zurrarpi P.— L’ Elephas antiquus Pale. nella filogenesi delle forme elefantine . fossili. (Rend, R. Ace. Lincei, S. V, Vol. XXI, 2° sem. pag. 298-304). — Roma. L’A. espone ed illustra le conclusioni alle quali è giunto studiando la bella raccolta dei denti elefantini del Piemonte, posseduta dal R. Mu- seo geologico di Torino e che si possono così riassumere: L’2. antiquus Falc. si può considerare come membro mediano della serie iniziatasi con 1 E. meridionalis e facente capo all’ 7. primigenius, serie che con le forme intermedie può essere così rappresentata: £. meridionalis Nesti — E. antiquus Falc. var. intermedius Gaudry — E. antiquus typus Falce. — E. primigenius Blum var. trogontherii Pohlig — . primigenius typus Blum. ( CIO. va và CLORO da | BIBLIOGRAFIA GE AGPIR'IBN'D'EICESG CasserTI M. — Lelazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911: Campania, Foglio 172 (Caserta) e 173 (Benevento); Abruzzo, Foglio 146 (Sulmona) e 147 (Lanciano); Marche, Foglio 109 (Pesaro). (Boll. R. Com. geol., Vol. XLII, fasc. 1°, pag. 72-74). — Roma. Uampania. — Una delle quistioni più importanti, che rimane da risol- vere, per la geologia di questa regione è la determinazione di alcuni lembi SIAE AE I PTE e - di arenarie, che s’incontrano insieme ad altri di calcari nummulitici, in mezzo alle argille scagliose. Mg A 1° L'A. per ragioni tettoniche ritiene che tali lembi siano da ritenersi tutti dell’ Eocene; invece dall’esame fatto dal dott. Prever dei foraminiferi contenuti in alcuni campioni, essi risulterebbero in parte miocenici. La quistione dunque rimane ancora aperta, e l’A. si riserba di ritor- nare sul posto nella lusinga di raccogliere ulteriori e più risolutivi elementi paleontologici. Abruzzo. — Si tratta del versante Nord della Majella, dove l'A. ha ri- conosciuto e delimitato i giacimenti asfaltiferi e la zona a congerie di no- tevole sviluppo. Appena completato lo studio di questa importante regione l’A. ne farà oggetto di speciale pubblicazione. i Marche. — T. A. ha riconosciuto e delimitato alcuni affioramenti della . zona gessoso-solfifera, che appariscono nella Valle del Metauro a N.F. di Fossombrone. Essi sono tutti allineati da N-0 a S-E, e sono in continuazione di quelli del bacino solfifero del Peglio, già da lui illustrato. (M. C.). CREMA 0. — Relazione preliminare sulla campagna geologica del 1911: Abruzzo Aquilano; Lazio. (Boll. R. Com. geol., XLIII, pag. 61-68). — Roma. | DELGROSSO M. — Sopra una dolomite ferrifera del traforo del Sempione. (Riv. di Miner. e Cristall. it., Vol. XLI). — Padova. i I campioni del minerale che forma oggetto della presente nota proven- gono dal traforo del Sempione, e precisamente da una tratta situata nei pressi della progressiva 4,300 Sud. Essi si presentano in forma di romboedri bianchi dotati di facile sfaldatura, con le facce talora piane e talora tem-. a LAI A ai BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 147 pestate di piccolissimi cristalli di pirite. che però si limitano alla parte superficiale senza inquinarne la massa interna. Sui cristalli di dolomite si trovano qua e là impiantati anche piccoli cristalli di quarzo trasparente e incolore. L’autore riporta le caratteristiche eristallografiche dettagliate e le de- terminazioni chimiche del minerale in parola e ricorda pure le ipotesi e le deduzioni dei vari autori che si erano in precedenza”occupati delle dolomiti ferrifere, osservando al riguardo come essi non siano d’accordo nella de- nominazione da dare alle dolomiti ricche in ferro e nel modo di spiegarne la costituzione. L’autore ritiene più probabile l’ipotesi che esse sieno da considerarsi come dolomiti nelle quali una parte del carbonato di magnesio sia stato so- stituito dal carbonato di ferro, e ritiene fpertanto [razionale attribuire al minerale da lui studiato il semplice nome di dolomite ferrijera, sebbene per l'aspetto e per le costanti fisiche esso si approssimi molto all’ankerîte. (E. TISSI). DaL Praz G.- Relazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911 : Studi nelle Alpi Venete. (Boll. R. Com. geol., Vol. XLIII, anno 1912, fasc. 1°, pag. 82-84). — Roma. Gli studi compiuti dall’autore, per incarico del R. Comitato geologico, nella campagna del 1911. si svolsero in tre centri principali, e precisamente: 1° Nella regione Cadorina, con speciale riguardo falle tavolette di Cibiana e Pieve di Cadore ; 2° Nella tavoletta di Trichiana, a S-O di Belluno ; 3° Nella provincia di Treviso, e precisamente nel territorio compren- dente i fogli: Vittorio e Cison di Val Marino. Il rilevamento della regione Cadorina, della quale fanno parte terreni della serie triasica e del Permiano superiore, ivenne effettuato nel primo periodo gdella campagna estiva. Particolarmente interessante vi è la zona delle pietre verdi, che occupa il livello o piano Ladinico ed è costituita da un insieme di materiali svariati, come ftaniti, quarziti, tufi, diabasi, por- firiti, rocce serpentinoso-cloritiche, calcari subsaccaroidi alternati ad argille scistose, gessi, ecc. Di grande interesse è ivi anche la tettonica, avendo l’autore osservato — tra l’altro — una grande piega rovesciata, accompagnata da numerosi salti nella parte occidentale, ed una seconda grande piega-faglia rovesciata nella parte orientale di quella plaga. 3 * 148 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Il rilevamento della tavoletta di Trichiana, eseguito nel 2° periodo della campagna. ha posto in evidenza la grande entità ed esiensione che ivi hanno così le formazioni moreniche, come anche l’ Eocene con tacies di Flysch ed il Cretaceo costituito dai soliti materiali, cioè Scaglia e Biancone. Nella parte Sud-orientale della tavoletta in parola (Trichiana), comin- ciano a mostrarsi le prime tracce di calcari a Rudiste. La tettonica vi è particolarmente semplice: tutta la serie dei terreni è uniformemente ineli-’ nata da Sud a Nord e forma la gamba meridionale della sinelinale Bellunese. Il rilievo dei fogli Vittorio e Cison di Val Marino fu eseguito nell’ul- timo periodo della campagna annuale. Di particolare interesse per questa regione — osserva l’autore — sono le formazioni moreniche e le alluvioni interglaciali, di cui sono bellissimi esempi gli altipiani di Farrò, presso Pieve di Soligo, nei quali l’autore opina debbansi ravvisare non già quattro pe- riodi glaciali (come pensarono Penk e Bruckner) ma bensì due sole glaciazioni. Del Pliocene marino l’autore non rinvenne, nell’area in esame, tracce sicure. La morfologia della regione fornisce criteri precisi sulla presenza e sulla distribuzione locale dei vari terreni riferibili al Miocene, La tettonica presenta linee semplici; tutta la serie è più o meno forte- mente inclinata da Nord a Sud e fa parte della gamba meridionale dell’an- ticlinale prealpina. (E. TISSI). FRANCHI S. — Itelazione preliminare sulla campagna geologica del 1911: Appen- nino ligure; Alla valle di Susa; Valle Sesia e Biellese. (Boll. R. Com. geol., XLIII, pag. 41-60). — Roma. GORTANI M._-— Relazione preliminare sulla campagna geologica dell'anno 1911: Valle di Gorto e monti fra Paularo e Pontebba. (Boll. R. Com..geol., Vol. XLIII, Anno 1912, fase. 1°, pag. 88-89). — Roma. Il rilevamento geologico eseguito dall’autore nella campagna del 1911 si svolse nei due distinti settori di Valle di Gorto emonti fra Paularo e Pontebba. Particolare interesse, nella Valle di Gorto, assunse lo studio del Monte Coglians e delle contermini vette. Le osservazioni tettoniche ed i fossili raccolti dimostrarono l’esistenza in quella giogaia delle Alpi ('arniche dei seguenti orizzonti: Neosilurieo, Eode- vonico inferiore, medio e superiore, Mesodevonico inferiore e superiore, Neodevonico inferiore e superiore, Neocarbonifero. Il Mesodevonico inferiore non era ancora stato segnalato nelle Alpi Carniche. Il Neodevonico superiore si estende in lembi discontinui sul versante BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA TPALIANA, 1912 149 meridionale del Coglians, per continuarsi più ad occidente sul fianco esterno dei monti di Volaia. I colossi silurieo-devoniani della catena principale carnica si risolvono in una serie di ellissoidi sui quali si estende poi la copertura neocarbonifera trasgressiva. La seconda serie di studî, comprendente i monti fra Paularo e Pontebba, riguarda pure formazioni triasiche, salvo qualche eccezione. Il rilevamento eseguito sui monti di Pontebba indusse l’autore a rico- noscervi una serie di pieghe longitudinali compresse contro il massiccio an- tico della catena di spartiacque ed a ritenere che anche la linea tettonica Pontebbana-Fella sia una piega-taglia, nonostante le differenti interpreta- zioni di precedenti autori. (BR DISSI). Lotti B. - Relazioni preliminari sulla campagna geologica dell’anno 1911: Umbria. (Boll. R. Com. geol., Vol. XLIII, Anno 1912, fasc.19, pag. 19-24). — Roma. Queste relazioni riguardano il lavoro di rilevamento nelle tavolette di Bevagna, Foligno e Padule. Le osservazioni più importanti son quelle che si riferiscono alla posizione stratigrafica della formazione arenaceo-marnosa, in seguito alle quali osser- vazioni essa risulta sottostante alle argille scagliose dell’Eocene, e poichè essa fa passaggio graduato alla scaglia eretacea, il suo riferimento al Miocene in base alla presenza in essa di Lepidocicline diviene, secondo l’autore, insostenibile. (BL) Movnaco E. — Ricerche sulla diffusione dell’oro in roccie basiche della Valsesia. (Scuola sup. agr. Portici (2), IX, {909). — Portici, 1910; (sunto nel Geol. Zentr., Bd. 18, n. 5, pag. 198). — Leipzig. Il risultato delle ricerche dell’autore per stabilire se anche le rocce basiche (dioriti e peridotiti) attraversate dal fiume Sesia e dai suoi affluenti contenessero dell’oro, fu completamente negativo. Tali ricerche furono motivate dalla considerazione che nella Valsesia le rocce aurifere più importanti sono gli gneiss del Monte Rosa e che l’oro si ritrae appunto dalla lavatura delle sabbie del fiume Sesia e dei suoi affluenti. L'oro delle sabbie del Vercellese proviene invece secondo l’autore — dal Cervo e dall’Elvo, i quali attraversano, per buona parte del loro corso, sieniti, serpentine e dioriti basiche, ricche di granati e magnetite, minerali questi che si mostrano piuttosto abbondanti nelle sabbie aurifere vercellesi. (E. TISSI). AMBI AIA PTT. LAI AL : Lo 150 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 Novarese V. — Il Quaternario in Val d’ Aosta e nelle valli del Canavese. — Parte I. Il morenico nelle Valli del ('anavese. (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, Anno 1911, fase. 4°, pag. 251-280). — Roma. E’ la prima parte di un esteso lavoro destinato a studiare i caratteri del Quaternario dentro le valli delle Alpi Piemontesi, e riguarda il morenico delle valli del Canavese, cioè quelle della Chiusella, dell’Orco e della Stura di Lanzo, e minori. Le tracce di glaciazioni anteriori al Wiirmiano o periodo dei grandi an- fiteatri, si trovano meglio conservate nelle valli rimaste fuori degli alvei delle grandi fiumane di ghiaccio. Tale Prewirmiano si osserva in Val Chiu- sella fra Traversella e Vico, con due sistemi di depositi dovuti probabil- mente piuttosto a due stadii di una stessa glaciazione che a due periodi diversi; nei bacini di Rueglio e di Issiglio, e più chiaramente di altrove al Pian Vittone sopra Brosso nella valletta dell’Assa affluente della Dora Baltea. In Val d’Orco il Prewiirmiano è largamente rappresentato fuori valle dagli avanzi di un grande anfiteatro, ma nella valle è dubbio se i terrazzi da Col- letto a Frassinetto, superiori alle tracce wirmiane, siano coperti da mo- renico o siano totalmente in roccia. ò Nel Wiuwmiano la Val d’Orco era? occupata da un ghiacciaio di 600 m. di potenza massima che giungeva fino a mezza strada fra Cuorgnè e Valperga, invadendo la parte inferiore della Val Soana, la quale non fu totalmente occupata dal proprio ghiacciaio, non sceso oltre Villanova. L’autore piglia da ciò occasione per ricordare un fatto analogo osservato da lui nella Val Strona (di Omegna) invasa nella sua parte inferiore dal ramo d’Orta del ghiacciaio della Toce. Nella valle della Stresa di Lanzo (Val Grande) il ghiacciaio aveva solo 400 m. di potenza, e non oltrepassava perciò di molto Pescinetto. Piccoli anfiteatri wirmiani ben conservati si trovano sul massiccio della Verdassa fra l’ Orco e la Chiusella, nella val Savenca all’ Alpe Moia. e nel vallone di Codebiolo a Fraschietto. Nellie valli maggiori non si trovano indizi sicuri di stadii post-wiirmiani, mentre ne presentano di mirabili talune tributarie ; così neli'Alta Val Soana a Campiglia e Piamprato, e nella valle di Ribordone a Prascondù. Tutti però sono dello stadio più antico: quello 2 o di Bihl. Chiude questa prima parte un cenno sulla sviluppatissima crosta elu- viale che riveste tutte le pendici delle Alpi piemontesi rivolte verso la pia- nura, dal piede fino ad un’ altezza variabile, ma non superiore ai 1200-1300m., però solo colà dove la superficie del suolo sfuggì all’azione dei ghiacciai wiirmiani. Questa crosta eluviale che è dovuta alle stesse cause del ferretto della pianura, manca nell’ interno delle valli. (VENDE STO TRL da ta A ui Va fee” | mn BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1912 151 NovarESsE V. — Relazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911: Alpi Occidentali, Foglio 61 (Pinerolo). (Boll. R. Com. geol., Vol. XLIII, anno 1912, fasc. 1°, pag. 30-38). — Roma. Sono esposti i risultati delle revisioni fatte nell’imminenza della pubbli- cazione dei fogli della carta geologica delle Alpi Occidentali. Nel foglio 61 (Pinerolo) fu rilevato l’alto valloncino Garnier in Val Chisone, sopra Perosa Argentina, rinvenendovi la zona di calcari cristallini e di talco che collega gli affioramenti della Roussa con quelli della Valle della Germagnasca. Nella vicinanza d’Aosta fu riveduto il tratto di valle fra questa città e St. Marcel, per accertare una quantità di fatti e circostanze, molto inesat- tamente riportate nelle ricostruzioni tettoniche che si vanno ogni giorno fa- cendo della catena alpina specialmente da autori transalpini. Infine nei fogli di Cannobio (16), Varallo (30) e Varese (31) furono fatte revisioni nelle rive del Cusio e del Verbano, dalle quali sono risultati alcuni interessanti fatti intorno all’altezza quasi costante con cui i vari grandi ghiacciai quaternari alpini incominciavano i loro anfiteatri morenici. (VESONT). Novarese V. — XXX riunione estiva annuale della Società geologica itaiiana a Lecco. (10-17 settembre 1911). (Boll. Com. geol. it., Vol. XLII, fasc. 3°. pas. 233-241). — Roma. E’ una succinta relazione delle sedute ed escursioni fatte in occasione della XXX Riunione della S. G. I., a Lecco e nei suoi dintorni, con rapidi accenni sull’interesse geologico delle località visitate. (VERNIO) NovaRESE V. — Il terreno carbonifero di San Giorgio a Sud di Monteponi. (Res. Ass. min. Sarda, Anno XVII, N. 8, pag. 7). — Iglesias. Breve comunicazione sulla estensione ed i caratteri dell’interessantissimo lembo di Carbonifero dell’Iglesiente, scoperto anni sono dal signor Gambera, (VIENI) PATRINI P. — / terrazzi orografici del bacino Verbano. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XL1V, fase. XVIII-XIX, pag. 1026-1042). — Milano. L'autore distingue sulle due sponde del Verbano e valli adiacenti tre serie di terrazzi con pendenza abbastanza uniforme, che attribuisce all’ero- sione dell’acqua in prevalenza, limitando l’azione dei ghiacciai ad un modella— mento ed arrotondamento. Il primo e più alto terrazzo corrisponderebbe al peneplano pliocenico, mentre l’ultimo sarebbe stato inciso dall’erosione postglaciale. (IVZNA)A di i nr BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALI PATRINI P.-— I terrazzi orografici della valle Camonica e del bacino Sebino. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLV, fasc. XIV-XV, pag. 703-720). — Milano. L'autore analogamente a quanto ha fatto per il Verbano (Vedi nota precedente) ricercò molto diligentemente le tracce dei tre terrazzi successivi che si trovano nella Valle dell’Oglio, assai più complicata. Questi terrazzi | corrispondono probabilmente ai tre periodi interglaciali oppure anco al pe- riodo preglaciale e eli altri ai due primi interglaciali. (V-DN)f PiLorti C. — Relazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911 : Sardegna. (Boll. R. (‘om. geol., Vol. XLIII, Anno 1912, fasc, 1°, pag. 69- 71) += MRoma: Sono brevemente esposti in questa relazione i ritrovamenti di fossili nell’Iglesiente che fecero oggetto di altre note e la determinazione di alcuni livelli (Chattiano e Rupeliano) nell’ Oligocene lacustre di Perfugas (Sardegna Settentrionale). (OP)! Ageno F., Nasini R. Airaghi C. Almagià R. Aloisi P. Alpago R. Alpago R. e Dell'Acqua G. Alvisi U. Andreucci A. Angelini V. Arcidiacono S., Vinassa de Regny, ... l Artini E. Baldacci L. Baratta M. Baschieri G., Nasini L. Basilisko G. INDICE O x Si Oo x o 9 0 0A Law l) Bassani F. e D’Erasmo G. Bassani F. e Misuri A. Bentivoglio T. Billows E. Boegan O. Bonomini C. Brest E. Cacciamali G, B. Caputo E. Carlinfanti E. Carnevale P. Casoria E. Cassetti M. Cerulli-Irelli S. Cesarò G. Chapman F. Checchia-Rispoli G. Chelussi I. Cimino E. Colamonico 0, Colomba L. Craveri M. Crema 0. Crinò S. Cruciani A, 24 20, 26, 27, 28 ì 30 31 3] 32, 33 33, 146 35 35 Cuppari G. 36 D’Achiardi G. 36, 37 Dainelli G. 38, 39 Dal Piaz G. 39, 40, 41, 42, 147 Dell’ Acqua G. 7 De Angelis d’Ossat G. 43, 44 De Fiore O. 44 De Fiore O., Vinassa de Regny,... 143 De Gasperi G. B. 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51 Del Campana D. 5) Delgrosso M. 146 De Lorenzo G. 5l Del Prato A. 92 D’Erasmo G. Bassani F. 12 Dervieux (G. De Stefani ©. De Stefano G. De Toni A. 56, Di Franco S. Di Stefano G. Fabiani R. Ferraris E. Ferraris E., Testa L. ed altri Feruglio I Forti A. Franchi S. Fucini A. Gabba L., Turner Galli F. 69 Gallo G. 70 Gauthier V. 71 Gemmellaro M. 71 Gigli T. 2 Gortani M. 12:19) 148 Gortani M. e Vinassa de Regnv 142, 143 Gotzinger G. 74 Gregory J. W. 75 Hildebrand G. (UNA Hoernes R. 76 Issel A. 76 59, 60, 61, Jacob Ch., Kilian W. TI Kilian W., Jacob Ch. Th Kilian W., Poussenot Ch. Ti Klinghardt F. 79 Kranz W. 79 Lorenzi A. 79 Lotti B. 80, 149 Lovari D. 80 Lovisato D. 82 Lupano G. 82 Maddalena L. 82, 83 Magistretti L. 83 Malgeri E. 84 Malladra A. 84 Manasse E. 85 Mangano G. 85 Manzella E. 86 Marino L., Nasini R. 92 Martelli A. 86, 87 Martinelli G. Ù Marussia B. 87 Meli R. 88 Menozzi A. 89 Merciai G. 89 Millosevich F. 90 Misuri A. 90 Misuri A., Bassani F. 13 Moderni P. 9] Monaco E, 149 Nasini R., Ageno F. 91 Nasini R., Baschieri E. 92 Nasini R., Marino L., Ageno F., Por- lezza O. 92 Nasini R., Porlezza C. 93, 94 Nelli B. 95 Novarese V. 150, 151 Panichi U. 95 Pantanelli D. 96, 97 Parlati L. 97 Parona C. F. 98 Parravano N. 99 Patrini P. 51M? Pelloux A. 100 Pilotti O. 100, 101, 152 Pintti A. 101 Piutti A., Comanducci E. 10] Platania G. 102, 103, 104 Ponte G. 105 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITAL ‘ Taramelli T. a.) TANA} 1912. + fui È Porlezza C., Nasini R. 92, 93, Poussenot Ch., Kilian W. Prever P. L. Principi P. 107, Remes M. Riechieri G. Riccò A. Roccati A. 112, Riihl A. Sabatini V. NERD UA Sacco F. 119, 120, Sartori F., Testa L. Scalia S. Schuber R. Schweiz. Geol. Kommission Schwinner R. Silvestri A. Sirovich G. Stark M. Stefanini G. 128, 129, Stella A. 130, Stella Starabba F., Vinassa De Regny Strampelli G. Tacconi E. 133, 134, Taricco M. ; Testa L. Testa L., Ferraris E. Testa L. e Sartori F. Timeus G. Turner e Gabba L. Ugolini R. Vaccaro V. Verri A. Vetters H. Vinassa de Regny P. È. Vinassa de Regny P. E. e (Gor- tani M. 142, Vinassa de Regny P. E., Riccò A., Arcidiacono S., Stella Starabba F.. Zaffara L., De Fiore O. Wilchens R. Woyno T. J. Zaccagna D. Zaffara L., Vinassa de Regny Zambonini F. Zuffardi P. 140, 141, i , ] È yV (fn pe sà alia tea. i ivi da, re, ERpree ig 7, 94 TT 138 142 143 143 144 144 145 143 145 145 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GHOLOGICO. VOLUME QUARANTAQUATTRESIMO (4° della V Serie) 1913-14 ATTI UFFICIALI “i sa NOMINE NEL R. COMITATO GEOLOGICO Con Decreto Reale del 22 Maggio 1913 : Professori signori BASSANI FRANCESCO, PANTANELLI DANTE, PARONA CARLO e TARAMELLI ToRquaTo sono confermati nell’ Ufficio di componenti il R. Comitato geologico per il biennio 1913-1914; il Professore signor DI STEFANO PEREZ GIovaANNI, ordinario di geologia e di paleontologia nella R. Università di Palermo, è chiamato a far parte del R. Comitato geologico per il biennio 1913-1914 ; il Professore signor IsseL ARTURO è nominato Presidente del Comitato pre- detto per l’anno 1913. Con Decreto Reale del 3 Settembre 1913: il Dott. FERRUCCIO ZAMBONINI, Professore nella R. Università di Palermo, è chiamato a far parte del R. Comitato geologico, in sostituzione del defunto Prof. Igino Cocchi, sino al 31 Dicembre 1913. IV ATTI UFFICIALI R. COMI'PFATO GEOLOGICO VERBALE DELL'ADUNANZA DEL 2 GiuGNno 1913. La seduta è aperta alle 9,10. Sono presenti il Presidente Tssel ed i mem- bri Baldacci, Bassani, Di Stefano, Pantanelli, Parona (anche quale presidente della Società geologica italiana), Striiver, Taramelli, il Direttore dell’ Ufficio geologico ing. Lotti, il Comm. ing. Mazzuol]i, già Ispettore Capo delle Miniere e Direttore del Servizio Geologico, espressamente invitato all'’adunanza da S. E. il Ministro ed infine l’ing. Crema in qualità di segretario. Ha scusato la sua assenza il prof. Cocchi. Il PRESIDENTE annunzia con rammarico che l’illustre senatore Capel- lini, il quale dalla morte del compianto Meneghini sopraintendeva al Comi- tato, desiderò di essere esonorato da tale ufficio affine di concedersi, senza preoccupazioni, quel riposo che egli ha ben meritato per i suoi lunghi ed apprezzati servigi e che d’altronde non sarà di pregiudizio alla scienza, poichè egli si propone di attendere alla continuazione dei suoi lavori paleontologici tenuti in sì alto conto. Seguano il benemerito collega nel suo quieto ritiro di Portovenere i reverenti saluti ed i più lieti augurii da parte del Comitato, dolente di non averlo più nel suo seno. Propone che al Prof. Capellini venga spedito un telegramma esprimente tali sentimenti. BALDACCI e LOTTI si associano a nome della Direzione e del personale dell’ Ufficio. Il Comirato approva all'unanimità. Il PRESIDENTE riprende la sua comunicazione dicendo che S. E. il Ministro credette di affidare a lui l’onore, non certo aspettato, di succedere al Capellini e che egli accettò, non per vana soddisfazione d'amor proprio ma col fermo convincimento di adempiere ad un dovere coadiuvando, nella misura delle sue forze, il Ministro affinchè l’opera del Servizio geologico torni sempre a maggior vantaggio della Scienza e della Patria e ben sapendo anche di poter fare affidamento sulla benevolenza dei colleghi e sulla simpatia del personale dell'Ufficio geologico. R. COMITATO GEOLOGICO N Soggiunge come ad un amico, incontrato mentre partiva per Roma e che gli domandò quando mai potrà darsi compiuta questa carta geologica, per la quale da oltre mezzo secolo si lavora attivamente, abbia risposto: mail! Come la tela, che si tesseva nella petrosa patria d’Ulisse, tale opera non avrà fine; ciò che si è fatto ieri dovrà essere domani annullato e ricominciato da capo e così indefinitamente a norma dei nuovi criterii. Ma, dissimile forse in ciò dall’antica. questa novella tela di Penelope, ogni giorno che passa si arricchisce di nuovi eolori, di rieami più fini e svariati, e nessuno può affer- mare che non debba essere sempre così. Di più — ed è da dichiararsi senza am- bagi — la costruzione della Carta geologica del Regno non è l’unico obbiet- tivo dell'Ufficio geologico; l’esperienza dimostra come esso debba attendere anche ad altri studii più o meno compresi fra le applicazioni della geologia: frane, regime delle acque sotterranee, stabilità dei terreni dal punto di vista degli edifizii e delle opere stradali, ecc., ecc. Ringrazia poscia i presenti per il loro intervento all’adunanza, compia- cendosi di vedere fra essi il prof. Di Stefano, chiamato dalla fiducia del Mi- nistro a far parte di questo Consesso, e rivolge infine un caldo saluto al prof. Parona ed agli ing. Franchi e Crema, reduci dalla Libia, dove non si rispar- miarono fatiche e disagi per rendersi utili al Paese, ben degni di seguire le orme gloriose delle nostre impareggiabili milizie. PARONA ringrazia vivamente anche a nome degli ing. Franchi e Crema. Di STEFANO è grato al Presidente per il suo cortese saluto e cogliendo l’occasione porge vivi ringraziamenti all’On. Ministro ed alla Direzione del Servizio e dell’Ufficio, che lo proposero a membro del Comitato geologico, dove egli ritrova insieme con grati ricordi la compagnia di illustri colleghi e maestri, di cari antichi superiori e compagni. BALDACCI dopo aver porto un deferente saluto all’illustre nuovo pre- sidente del Comitato, è dolente di dover ufficialmente annunziare che l’Ispet- tore Mazzuoli dopo lunghi anni dedicati all’Amministrazione chiese che gli fosse concesso un ben meritato riposo. La sua presenza alla riunione odierna è dovuta a speciale invito del Ministro, che desiderò partecipasse a questa se- duta nella quale si dovevano discutere lavori compiuti sotto la sua direzione; ricorda l’opera sua sempre intesa con grande amore ed alta competenza al buon andamento del Servizio geologico, che diresse dopo la morte del com- pianto Ispettore Pellati, dando un grande impulso alle pubblicazioni: fa voto, sicuro d’interpretare il desiderio di tutto il personale, che egli possa presto far parte del Comitato come membro effettivo. PARONA, quale Presidente della Società geologica, si associa al voto ed augura che il collega Mazzuoli possa a lungo partecipare ai lavori della Società «e del Comitato, VI ATTI UFFICIALI Il PRESIDENTE propone che il Comitato faccia un voto al Ministro perchè non rimanga privo della preziosa collaborazione del Comm. Mazzuoli. Il ComiraTO approva all'unanimità. MAzZzuoLI ringrazia il presidente ed i colleghi tutti per la loro bene- volenza e dice che sarà ben lieto se potrà. come pel passato, prestare la sua opera quale membro del Comitato. LorTI ad invito del Direttore del Servizio riferisce sui lavorie seguiti nel 1912 ed informa innanzi tutto come alla Relazione, la quale, per un ritardo della Tipografia non potè venir pubblicata e distribuita al Comitato che in questi ultimi giorni, non si siano potuti allegare, analogamente a quanto si fece lo scorso anno, i rapporti preliminari sui risultati dell’ultima campagna stante l’assenza di quattro operatori, che, impegnati in missioni diverse, non poterono prepararli in tempo utile. L'esposizione dell’ing. Lotti dà luogo alle discussioni e deliberazioni che seguono. LorTI rendendo conto delle escursioni compiute dalla Commissione incaricata dal Comitato di studiare l’età della formazione marnoso-arenacea dell'Umbria, dice che per l'assenza del Prof. Parona non fu possibile di con- tinuarle questa primavera; cosicchè il compito della Commissione stessa non sì può ancora considerare come esaurito; propone perciò che il Comitato au- torizzi la continuazione delle gite. PANTANELLI conferma che per ora sarebbe prematuro qualsiasi giu- dizio; tuttavia inclinerebbe a credere coll’ing. Lotti che la formazione discussa possa comprendere l’Eocene ed il Miocene. Di StErANO è lieto che l’ing. Lotti riconosca ora che in Umbria oltre all’Eocene (formazione marnosa) vi è anche il Miocene, sebbene poco esteso, l cui tipo è dato dall’importante lembo fossilifero di S. Maria Tiberina (Città di Castello). Nel 1904 egli e l’ing. Baldacci riferirono favorevolmente all’esi- stenza del Miocene, in contraddittorio coll’ing. Lotti come risulta dagli atti del Comitato; ora egli apprende con piacere che quelle vedute dopo i sopra- luoghi dell’ing. Lotti coi prof. Pantanelli e Parona, col gen. Verri e coll’ing. (Crema siano state riconosciute esatte dall’ing. Lotti medesimo. Ritiene ne- cessaria una revisione minuta ed obiettiva di quelle formazioni TARAMELLI, avendo visitato i dintorni di Schifanoia in occasione dell’adunanza della Società geologica a Spoleto, esprime il dubbio che la posizione dei varii terreni terziari possa spiegarsi ammettendo delle fratture parallele; raccomanda, perciò, che la questione sia ben studiata dal lato tettonico, R. COMITATO GEOLOGICO VII IsseL, a suffragio di quanto espone il collega Taramelli, dice che gli fu additato un punto con fratture e spostamento sensibile presso Città di Castello (1). LoTTI osserva che gran numero di sezioni ben chiare sembrano esclu- dere la possibilità dell’interpretazione tettonica accennata dal prof. Taramelli. Il Comrraro delibera che la Commissione continui le sue gite fino ad esaurimento del compito affidatole. TARAMELLI a proposito di questioni singole bisognose di soluzione ricorda quella relativa all’età del verrucano nella catena metallifera, che in un recente studio venne ritenuto non più carbonifero, come in passato, ma cretaceo. Dopo breve discussione nella quale prendono la parola Bassani, Lotti e Pantanelli il Comitato autorizza il Prof. Taramelli a visitare le località in questione con facoltà di aggregarsi l'ing. Lotti e chi crederà più opportuno. Di STRFANO, a proposito delle pubblicazioni ultimamente fatte dal- l'Ufficio, esprime il suo compiacimento per la ripresa stampa delle Memorie in 4° e per l’impulso dato a quella delle Memorie descrittive in 8°. Così è stata possibile, egii nota, la stampa delle importanti monografie paleontologiche del prof. Parona e del dott. Prever, per le quali si compiace con gli autori e coll’ Ufficio geologico. gli fa poi rilevare l’importanza del volume sui Vuleani Cimini dell’ing. Sabatini, frutto di minuziose osservazioni, che hanno prodotto pure ‘un’interessante Carta geologica, la quale servirà di base agli studi ven- turi. Nota che in questa monografia, in cui la parte petrografica è trattata in modo esauriente, sono applicati, per la prima volta in Italia, i metodi della differenzazione magmatica delle roccie. Ricorda che questi studii vulcano- logici dell'Ufficio hanno dato la spinta a ricerche di roccie leucitiche per l’e- strazione dell’allume e per la fabbricazione di concimi chimici. Conchiude che tali memorie fanno onore all’ Ufficio geologico e tanto più se ne compiace che egli ebbe il bene di appartenervi per quattordici anni. PARONA ringrazia per le lusinghiere espressioni a suo riguardo e dice cae la direttiva del suo lavoro fu data da quelli classici del collega. (1) Dalla via di circonvallazione, or sono 80 a 40 auni, non si poteva vedere il convento del Buon Riposo, situato a ponente, sul monte che limita da quella parte la valle del Tevere, a causa di una collina interposta, la quale ha nome Teverana ; ora, invece, mentre questa non subì cambiamento alcuno per mano dell’uomo, il convento è dagli stessi puntì in gran parte visibile. Similmente, lo stesso edifizio che ora si vede liberamente dal palazzo Bufalini, rimaneva anni fa completamente coperto. In conseguenza dello stesso fenomeno la fattoria della Montesca, che mi sì mostrò da una loggia situata al secondo piano della casa Baldeschi era, 50 0 60 anni addietro, occultata dalla collina pro- spiciente, la quale da allora in poi subì senza dubbio, notevole abbassamento ; il fenomeno sì ac- “ centuò negli ultimi 20 anni, (Atti della Soc. Ligustica di Sc. nat. e geogr., vol. IN, Genova, 1898) VIII ATTI UFFICIALI LOTTI espone il programma per i lavori ordinari e straordinari da ese- guirsi durante la prossima campagna geologica 1913-1314. Il COMITATO approva senza osservazioni LoTTI passa quindi ad esporre il programma per le pubblicazioni da farsi sul prossimo esercizio finanziario e comprendente oltre alcuni fogli della Carta geologica d’Italia al 100,000 anche tre monografie del prof. Stella, del- l’ing. De Castro e dei proff. Vinassa e Gortani. Per l’esame di ciascuna di queste ultime chiede che il Comitato deleghi, come al solito, un suo membro. MazzuoLiI rileva l’importanza pratica delle monografie Stella e De Castro ed esprime il suo compiacimento che si entri nel campo da lui sempre caldeggiato. Il ComiTATO approva il programma esposto affidando l’esame delle tre monografie Stella, De Castro, Vinassa e Gortani, rispettivamente al prof. Pantanelli, all’ing. Baldacci ed al prof. Taramelli. BALDACCI informa che, essendosi già da parecchi anni esaurita la tira- tura di un certo numero di fogli della Carta geologica d'Europa nella scala dil a 150,000, fin dal Congresso geologico di Stoccolma ne era stata pro- posta una ristampa colle opportune modificazioni. Questa ristampa ver- rebbe estesa successivamente ai rimanenti fogli in modo da costituire una seconda edizione della Carta, che potrebbe essere compiuta in una decina d’anni; il costo di questa nuova edizione sarebbe alquanto superiore a quello della prima per l’aumento verificatosi nel prezzo della mano d’opera e dei ma- teriali. I varii foverni ed enti partecipanti dovrebbero impegnarsi all’acqui- sto di un numero di esemplari almeno uguale a quello della 1? edizione e natu- ralmente avrebbero diritto ad un prezzo di favore in confronto di privati e dei librai; la somma da inseriversi annualmente in bilancio non sarebbe però grande, perchè la spesa verrebbe a ripartirsi in molti esercizi. Propone che senza prendere subito una deliberazione definitiva si autorizzi la Direzione del Servizio a fare al Ministero quelle proposte che risulteranno opportune dopo il Congresso geologico del Canadà, dove si potranno avere notizie precise sull’accoglienza fatta dagli altri Stati a questo progetto. Il ComiTATO approva. | BaLpaccI informa ancora che il « Geological Survey » degli Stati Uniti d'America ha preso l'iniziativa per unà Carta geologica del Mondo in proie- l zione stereografica alla scala di 1:5,000,000, in 80 fogli di em. 55 X 75. Anche per questa Carta i varii governi dovrebbero abbonarsi ad un certo | numero di copie, da pagarsi alla comparsa dei singoli fascicoli. Si publiche- R. COMITATO GEOLOGICO IX rebbero ogni anno 8 dispense di 10 fogli ciascuna, cosicchè la carta sarebbe pronta in 8 anni. Ir ComIitATO, dopo un breve scambio di idee, autorizza la Direzione del Servizio a fare al Ministero le opportune proposte d’acquisto, insistendo però perchè la spesa relativa venga impostata su di un capitolo diverso da quello della Carta geologica. Barpacci dice che la Carta geologica d’ Italia al 1,000,000, benchè vecchia, è sempre ricercatissima, onde l’opportunità di farne una nuova edi- zione al corrente cogli ultimi studî. Una nota Ditta sembrava anzi disposta a compiere questa ristampa, ma il saggio, proposto per la base topografica e che il Comitato ha sott'occhio, non appare accettabile. Crederebbe oppor- tuno di continuare le trattative, interpellando anche al riguardo l’Istituto Geografico Militare. TL COMITATO approva. BALDACCI dice che i rilevamenti sono ormai così avanzati che sarebbe possibile di cominciare la preparazione di una carta geologica nella scala di 1a 250,000, per la quale potrebbe costituire un’ottima base topografica quella del T. (. I., testè pubblicata e che si potrebbe avere senza tratteggio. Chiede se il Comitato sarebbe di parere che tale questione venga studiata. Ir ComiraTO approva, plaudendo all’iniziativa presa dalla Direzione del Servizio. BALDACCI è dolente di dover informare che malgrado i voti ripetu- tamente emessi dal Comitato non si potè ancora rimediare alla nota e tante volte lamentata deficienza del personale d'ordine nell’Ufficio geologico. Del pari è assolutamente necessario un maggior spazio per la Biblioteca e per le Collezioni, spazio che potrebbe venir concesso in occasione del pros- simo trasferimento di altri Uffici che si trovano attualmente nel fabbricato dove ha sede l’ufficio geologico. Il Comitato, convinto dell’assoluta necessità che tali richieste della Direzione vengano al più presto accolte dal Ministero, all'unanimità delibera che siano fatte al riguardo le più vive premure. BaLpaccI informa di alcuni studii compiuti dal Dr. Cheechia-Rispoli nella Capitanata e di una domanda di sussidio presentata dallo stesso. Os- serva come le disposizioni vigenti si oppongano alla concessione di sussidi; però trattandosi di studii e di raccolte utilizzabili dall’Ufficio per la revi (er avo ton USE - AS a5he PE PAIS PRA Si, np it a - ERI SPE SRI INaRRIARIO > k LA Di dre "> Cali! x ATTI UFFICIALI sione di alcuni fogli di prossima pubblicazione, essi potrebbero venir richiesti al Checchia contro un adeguato compenso. IL COMITATO approva. BASSANI chiede se è stato stabilito che il Comitato venga rapresen- tato al prossimo Congresso del Canadà. BALDACCI risponde negativamente, aggiungendo però che egli vi pren- derà certamente parte in rappresentanza dell'Ufficio geologico. PRESIDENTE propone che venga anche incaricato di rappresentare il Comitato. Il CoMmiTATO approva. PANTANELLI chiede, se vi è qualche legame fra i lavori deì Magistrato delle Acque e quelli dell'Ufficio. BALDACCI risponde negativamente. MazzuoLi informa che dietro sua iniziativa, per quanto riguarda gli studii meteorologici, vennero presi, già da qualche tempo, speciali accordi fra il Magistrato delle Acque e l'Ufficio centrale di Meteorologia. BALDACCI crede inutile di stabilire analoghi legami per i lavori di in- dole geologica da compiersi dal Magistrato delle Acque, trattandosi di mono- grafie locali, che potranno poi essere utilizzate a suo tempo. TARAMELLI è dello stesso parere. PARONA ricorda ai colleghi che in settembre avrà luogo ad Aquila la riunione della Società geologica e spera che vorranno intervenirvi. Confida poi che, come sempre, la Direzione del Servizio vorrà esser larga d’aiuti per l’or- ganizzazione delle escursioni. BALDACCI dice che sarà sempre lieto di rendersi utile alla Società geo- logica. PARONA ringrazia. La seduta è tolta alle ore 11,20, dopo aver autorizzato il Presidente a firmare il verbale. Il Presidente. A. ISSEL Il Segretario. . Ing. C. CREMA RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO XI RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO sui lavori eseguiti per la Carta geologica d’Italia nel 1912 e proposta di quelli da eseguirsi nel 1913-14 RIT.EVAMENTI Esaurito il lavoro di revisione per la pubblicazione dei cinque fogli delle Alpi occidentali: M. Bianco, Aosta, M. Rosa, Gran Paradiso e Ivrea, si è po- tuto in quest'anno dedicare un tempo maggiore al lavoro di rilevamento, abbenchè a questo non abbia potuto attendere l’ing. capo Franchi, distolto per molti mesi dall'Ufficio per un'importante missione in Libia. Soltanto l’aiut. principale cav. Cassetti continuò il lavoro di revisione nei Lepini, ne- gli Irpini e nella Maiella allo scopo di preparare per la pubblicazione i fogli relativi. Il sottoscritto, sostituito validamente nelle cure d’ufficio dal vice-diret- tore ing. capo G. Aichino, potè anche quest'anno dedicare un poco di tempo al rilevamento dell'Umbria, e potè iniziare il nuovo ingegnere Fiorentin nello studio dei terreni di questa regione per metterlo in grado di proseguire poi, insieme coll’ing. Pilotti, ormai abbastanza provetto, il rilevamento delle Marche e di una parte dell'Appennino centrale. Nel mese di maggio fece appunto coll’ing. Fiorentin alcune escursioni nella tav. di Foligno, e procedè quindi, col medesimo, al rilevamento del M. Subasio, del quale fu redatta dal detto ingegnere una memoria accompa- gnata da una cartina geologica, una cartina idrografica, tavole fotografiche e sezioni. Nei mesi di luglio, agosto e settembre proseguì il rilevamento della tav. di Gualdo Tadino, nei dintorni di Fossato di Vico, occupandosi specialmente della formazione marnoso-arenacea, ed iniziò quello della tav. di Fabriano studiando il gruppo del M. Cucco ed una parte dei dintorni di Fabriano. In- sieme coll’ing. Fiorentin condusse a termine il rilevamento della tav. d’As- sisi e di quella di Padule, contigua ad ovest a quella di Gualdo Tadino, dove potè essere studiata molto accuratamente e con risultati decisivi la questione dell’età della formazione marnoso-arenacea. Il sottoscritto estese poi il la- voro alla tav. contigua di Gubbio rilevando completamente la catena uni clinale mesozoica omonima, nel lato N. E. della quale potò osservare qua XII ATTI UFFICIALI dappertutto il passaggio graduato dalla scaglia cinerea dell’ Eocene inferiore alla formazione marnosa. Fece, infine, in unione ai professori Pantanelli e Parona, gen. Verri e ing. Crema, varie escursioni nei dintorni di Schifanoia, Fossato, Gubbio e Umbertide, esplicando una prima parte dell’incarico ricevuto dal Comitato geologico di studiare e possibilmente risolvere la questione della formazione marnoso-arenacea. L’area totale rilevata dal sottoseritto fu di kmq. 325. *"* La campagna geologica dell’ing. capo D. Zaccagna si svolse durante il solo trimestre dal luglio al settembre, e venne ripartita fra la Liguria orien- tale e le Prealpi bergamasche. Nei mesi di luglio e agosto attese al rilevamento della parte N. 0. della tav. di Rapallo. o meglio del quadrante di Favale della recente levata topo- grafica al 1/25,000, estendendolo parzialmente anche alle adiacenti tavolette di Bargagli e di Recco alla stessa scala. Al rilevamento dei dintorni del Lago d’Iseo non potè dedicare che il solo mese di settembre, a causa della stagione piovosa che lo impedì anche di tornare in Liguria, onde svolgere completamente il programma prestabi- lito. La parte rilevata delle Prealpi bergamasche comprende la regione a sud di Lovere che si estende fra il gruppo del M. Clemo, la valle di Fonteno e la conca di Piangiano. L'area rilevata dall'ing. Zaccagna fu di kmq. 120 nella Liguria, e di 45 nei dintorni del Lago d’Iseo (1). «*x Conforme al programma preordinato l’ing. capo V. Novarese nei mesi di luglio e agosto proseguì il rilevamento geologico della regione dei la- ghi lombardi, operando nelle tavolette alla scala di 1/25,000 di Luino, Ger- mignaga, Ghiffa, Pallanza e Laveno. Una parte del tempo, però, più che a rilevamento sistematico fu destinato a gite di revisione e di orientamento, in cui l’ing. Novarese fu accompagnato dall'ing. G. Pullè che doveva pren- dere conoscenza dei terreni della serie alpina per procedere, poi, da solo, al rilevamento di essi. Nel mese di settembre l’ing. Novarese riprese il rilevamento della Val Camonica con stazione a Ponte di Legno e ad Edolo. Non fu potuto fare però un lavoro un po’ esteso per il maltempo eccezionale. Sotto la direzione dell’ ing. Novarese fu pure iniziato nell’ aprile, e continuato poi nel dicembre, il rilevamento regolare dell’ Iglesiente, cui furono applicati, insieme al Novarese, gl’ingegneri C. Pilotti e G. Pullè. Fu fatta dapprima collettivamente una serie di gite di orientamento, e fu (1) Veggasi: /telazione preliminare, in questo « Bollettino , vol. XLIII, pag. 314. 8 RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO XIII poi assegnato a ciascun operatore un determinato campo di lavoro, riservan- dosi l’ing. Novarese il rilevamento delle tre tavolette 1/25,000 di Iglesias, Ne- bida e Buggerru. x*x La campagna dell’ing. capo V. Sabatini si svolse nei mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre. Più che un vero lavoro di rilevamento nor- male, fu questo del Sabatini la continuazione dello studio degli antichi vul- cani dell’Italia centrale con speciale riguardo al gruppo dei Vulsinii. Visitò a tal uopo quell’importante residuo di colata di Coppaeli (Cupaello della carta) presso Rieti, e dedicò una ventina di giorni all’ Isola di Capraia, ove fece raccolta di un ricco materiale. Si tratta di un gruppo importante di rocce, quello delle necroliti di Brocchi, che in quest'isola fa un’altra abbondante apparizione e che il Sabatini ha già studiato nei Cimini ed incominciato a stu- diare nel M. Amiata, alla Tolfa e altrove. Nell'ottobre e novembre continuò lo studio e il lungo lavoro intorno al gruppo dei Vulsinii facendo stazione ad Arlena di Castro e a Montefiascone. x*« L'ing. C. Crema dedicò la maggior parte della campagna al rileva- mento di quella porzione della tav. di Fiamignano che è compresa nella cir- coscrizione della prov. di Perugia, non che del piccolo tratto sulla sinistra del fiume Salto nell’adiacente tavoletta d’Antrodoco. L'area studiata corri- sponde quindi a poco meno di mezza tavoletta a 1/50,000. A qualcuno dei principali fatti osservati l’ing. Crema ebbe già ad accennare nella riunione della Società geologica a Spoleto. «*« L'ing. Pilotti in primavera continuò il rilevamento dell’Iglesiente, già da lui iniziato l’anno prima, recandosi in Sardegna coll’ing. capo Novarese e coll’ing. Pullè. Incominciò lo studio delle tavolette di Domusnovas e Mi- niera Sa Duchessa e delle regioni limitrofe nelle tavolette d’Iglesias e di Mi- niera San Benedetto: fece inoltre qualche escursione nella tavoletta di Ne- bida (area rilevata: kmq. 110 circa). Nell’estate si recò nelle Marche onde completare la parte $S. O. della ta- voletta di Gualdo Tadino (area rilevata: kmq. 80 circa). si Nell'autunno ritornò in Sardegna, ove dedicò il suo lavoro, parte alla : provineia di Sassari, parte all’Iglesiente. In provincia di Sassari continuò lo studio, già da lui iniziato, del bacino lacustre di Perfugas (tavoletta di Nulvi), estendendo le sue ricerche anche alle zone finitime nelle tavolette di Ploaghe ed Osilo; nell’Iglesiente, ove rimase poco tempo per la stagione inoltrata, fece qualche escursione nel territorio in cui era già stato in pri- mavera (area rilevata: Sardegna settentrionale, kmq. 50 circa; Iglesiente kma. 20. circa). La superficie totale rilevata dall’ing. Pilotti fu quindi di kmq. 260. XIV ATTI UFFICIALI xx Dopo alcune gite preliminari nei dintorni di Foligno e nel M. Su- basio, eseguite insieme col sottoscritto allo scopo di prendere cognizione della serie dei terreni secondari e terziari dell'Appennino umbro, l’ing. Fiorentin continuò il rilevamento del Subasio e di quella parte della tav. di Foligno che comprende l’antielinale dei monti Brunette e Cimamonte. Dopo di che rilevò la metà sud della tavoletta alla scala di 1/50,000 di Padule. L’area complessivamente rilevata dall’ing. Fiorentin nelle tav. di Assisi, Foligno, Nocera-Umbra e Padule, fu di circa 220 kmq. x +» L'ing. Pullè iniziò durante la primavera la sua prima campagna nel- l’Iglesiente. Dopo un ciclo di escursioni preliminari eseguite sotto la guida dell'ing. capo Novarese allo scopo di riconoscere un territorio di caratteri così diversi da quelli dell’Italia continentale, egli cominciò il rilevamento di dettaglio delle tavolette di Porto Scuso e Barbusi, entrando in parte an- che nelle tavolette limitrofe di Nebida e Iglesias. Tale rilevamento tu poi proseguito nei mesi autunnali, mentre in luglio ed in agosto il lavoro dell’ing. Pullè si svolse nel territorio dei grandi laghi lombardi. Anche qui occorse un periodo di gite di ricognizione attraverso tutta la regione compresa fra il Lago Maggiore e il Ceresio nelle quali pure l’ing. Pullè ebbe a guida l’ing. capo Novarese. Il lavoro di rilevamento fu quindi intrapreso in quell’area triangolare che è limitata dal Verbano, dalla Val Cuvia e dalla Valle delia Margorab- bia. Fu portata a compimento la tavoletta al 25,000 di Laveno e abbozzata quella alla stessa scala di Ghiffa per la parte posta ad oriente del Verbano. L’area rilevata fu di circa 240 kmq. di cui 130 nei terreni vulcanici e se- dimentari della Sardegna e 110 nella regione dei Jaghi. «*« L’aiut. prince. M. Cassetti, come fu già accennato, non eseguì alcun nuovo rilevamento ma continuò il lavoro di revisione già iniziato l’anno pre- cedente nei Lepini, negl’Irpini e nella Maiella (1). INCARICHI STRAORDINARI. Nelle Alpi venete la campagna geologica dei proff. Vinassa e Gortani ebbe per còmpito il rilevamento dell’ estremità occidentale del nucleo centrale carnico compreso nelle tav. di Prato Carnico N. 0. e Val Visdende, e la revi- sione di alcune parti del gruppo rilevato negli anni anteriori, tanto nel lato italiano come in quello austriaco dal Bordaglia al Volaia. Il lavoro, benchè ostacolato da una stagione eccezionalmente piovosa, dette risultati soddisfacenti di cui sarà reso conto dagli autori in note pre- liminari allegate alla presente relazione (2). (1) Veggasi: Kelazione preliminare, in questo « Bollettino », vol. XLII, pag. 350. (2) Veggasi questo « Bollettino », vol. XLIII, pag. 364 (P. Vinassa de Regny) e 370 (M. Gortani). RELAZIONE AL R., COMITATO GEOLOGICO XV Il prof. Dal Piaz portò a compimento lo studio della bassa Valle del Boite rilevandone la carta alla scala di 1:10,000 essendo ciò richiesto dalla com- plicata struttura tettonica della regione. I risultati delle sue ricerche formeranno oggetto di pubblicazione nel nostro Bollettino. PUBBLICAZIONI, Durante l’anno decorso 1912, oltre alla pubblicazione regolare del Bol- lettino fu eseguita quella del vol. XV delle « Memorie descrittive », contenenti lo studio dell’ing. Sabatini sui Vulcani Cimini e della parte 22 del vol. V delle «Memorie per servire alla Descrizione della Carta geologica », contenente lo studio del dott. Prever sulla fauna a nummuliti ed orbitoidi dell'Alta Valle dell'Aniene. Videro inoltre la luce i cinque fogli alla scala di 1:100,000 delle Alpi occidentali: M. Bianco, Aosta, M. Rosa, Gran Paradiso e Ivrea e tre di Terracina, Gaeta e Caserta, e furono preparati per la stampa i fogli di Susa, Pinerolo, Cesana ed Oulx nonchè quelli di S. Marcello Pistoiese, Massa e Spe- zia che fanno seguito a nord a quelli della Toscana. LABORATORIO CHIMICO. Il passaggio del Servizio Idraulico alla dipendenza dell’ispettorato delle miniere, permise di applicare al Laboratorio chimico il dottore Filippo Ratto appartenente a quell’ufficio. Si potè così dare all’ing. Aichino, il quale, come è noto, era solo ad occuparsi del laboratorio pur dovendo nel contempo attendere ad altro, un aiute che si dimostrò molto valido. Non è il caso di dilungarsi per dimostrare che questa misura, di carattere transi- torio, non attenua affatto la necessità di dare al laboratorio una sistema- zione che gli permetta di adempiere adeguatamente al suo compito. Si era proposto di riunire i due laboratori che attualmente dipendono dall’Ispet torato delle miniere: quello del nostro Ufficio e l’altro del Servizio idraulico, il quale non è certo in migliori condizioni; si sarebbe così potuto conseguire una migliore utilizzazione dei mezzi disponibili. La idea, che parve ben ac- colta, non ebbe seguito: ma in questo od altro modo, occorre assolutamente provvedere, aumentando personale e locale. Null’altro è da dire intorno al laboratorio; se si tolga che, per decisione dell'Ispettorato, esso dovrà in avvenire provvedere anche alle analisi che possano abbisognare al servizio distrettuale, per le quali si ricorreva sino ad ora ad altri laboratori. La misura, affatto ovvia, rende però più urgente la sistemazione di questo servizio. ros A DE Morra a i PICENI 2 IONE la ai 1 PR edo tn È fe Aia 3 x Li A CRI XVI ATTI UFFICIALI BIBLIOTECA (1). Durante l’anno finanziario 1912-1913 è cominciata, per opera del so- lerte bibliotecario cav. Moderni, la nuova sistemazione della Biblioteca del R. Ufficio Geologico, che l’ineremento sempre crescente della medesima ren- deva ormai indispensabile. Si è dapprima scaffalato su tre pareti, da terra al soffitto, un piccolo ambiente adiacente alla sala dei disegnatori; quindi si è completata la scaffalatura delle tre pareti del salone grande e si è fatta la sopraelevazione alla medesima, con ballatoio praticabile, per modo che le tre pareti scaffalate sono rivestite da terra al soffitto. Si sono acquistate 27 cassette di noce lustre, sistema brevettato Staderini, per schedari: 21 delle medesime hanno servito per iniziare un nuovo scebedario della Biblioteca e con le altre 6 si è pure iniziato un nuovo schedario bibliografico. Si sone pure acquistate le prime 5300 schede speciali per le suddette cassette. Sistemato molto materiale, che si era accumulato durante l’ assenza di 20 mesi del bibliotecario dall’ Ufficio {{eologico, si sono ordinate poi, nella parte alta degli scaffali costruiti nel piccolo ambiente adiacente alla sala dei disegnatori, le poligrafie dell’Africa, dell'Asia e dell'Oceania; nella parte media ed inferiore di essi le pubblicazioni del Ministero di Agricoltura, quelle dell'Ispettorato delle Miniere, del R. Ufficio Geologico ed altre poligrafie italiane. Negli scaffali esistenti nel corridoio che conduce alla sala dei disegna- tori, furono riordinate tutte le poligrafie americane. Nella sala delle mono- grafie furono riordinate quelle riguardanti l’Italia centrale. Durante l’anno finanziario 1912-1913, sono giunte alla Biblioteca circa 2297 opere (volumi, fascicoli ed opuscoli) e 439 carte, oltre un grande atlante fotografico della Libia. Questo materiale fu in parte acquistato nella misura indicata dall’annessa nota delle spese, ma la parte maggiore di esso è perve- nuta per cambi o doni. [Il valore totale di tutto questo materiale, quale ri- sulta dalle variazioni fatte all’inventario della Biblioteca, è di L. 6820,70. Le riviste di società ed istituti scientifici pervenute alla Biblioteca si divi- dono, secondo le lingue in: italiane n. 99, francesi 59, tedesche 79, inglesi 80, spagnole 16, olandesi 2, slave 21, diverse 12. Oltre alla sistemazione di questo abbondante materiale, sistemazione difficile per la ristrettezza dello spazio, e la sua registrazione a catalogo e ad inventario, fu curata la stampa del 7° Supplemento al Catalogo della Biblio- teca ed eseguita la compilazione dell’8; furono preparate 3400 schede per il nuovo schedario della Biblioteca e 550 per il nuovo schedario bibliografico, (1) La relazione sulla Biblioteca si è dovuta riferire all'anno finanziario per ragioni contabili. RELAZIONE AL R, COMITATO GEOLOGICO XVII e più ancora si sarebbe spirto avanti questo lavoro ed il riordinamento ge- nerale della Biblioteca se si fosse potuta ottener: la sostituzione dell’impie- gato d’ordine che manca fin dal marzo 1912 , mentre invece si ebbe solo per qualche mese, in via provvisoria, un funzionario non pratico e non adatto al servizio di Biblioteca. Le spese per la Biblioteca fatte in quest'anno finanziario sono le seguenti: per la scaffalatura del piccolo ambiente |. . . . L. 900.00 scaffalatura del salone grande rara 450000) per 27 cassette di noce lustre an ie ai tt pt 395 DO per 5300 schede CRAS Nan Ae SA od 275900 perll'5SRiCEMar a prensile 38,85 per 70 numeri in ferro smaltato per gli scaffali. . >» 35.00 per 112 targhette in ferro smaltato per la deno- minazione dei vari reparti della Biblioteca . . » 78.40 per abbonamenti ed acquisto di Riviste e Libri . . » 2395.50 per rilegature O O To A AM I NE BERN] Ha DO) L. 9009.30 Le scaffalature eseguite in questo anno sono una specie di liquidazione dei passato. Per mancanza di spazio la Biblioteca era ridotta un informe ac- cumulamento di libri nel quale difficilmente ci si poteva raccapezzare ed in qualche reparto non era più possibile collocare un solo volume. Le nuove scaffalature hanno rimediato in gran parte a quest’infelice stato di cose; però nella grande sala, destinata alle poligrafie europee, escluse le italiane, non sarà possibile riunirle tutte, fino a che non siano state portate nella sala attigua, dove già si trovano le monografie italiane e Je opere teoretiche, an- che le monografie d’Europa e d’altre parti del globo che ora occupano due grandi scaffali della sala grande. Onde potere sistemare tutte le monografie e le opere teoriche in quest'ambiente, è necessario corredarlo di nuove scaf- falature eguali a quelle della sala delle poligrafie, cosa che si spera poter ot- tenere nel nuovo anno finanziario 1913-1914. Nello stesso periodo di tempo sarebbe desiderabile pure ottenere nuovo spazio per il materiale cartogra- fieo che per certi reparti non si sa più come sistemare: tale spazio si potrà, per il momento, ottenere assai facilmente, quando si trasporti in apposito locale, da ricavarsi nel soffittone dell’Ufficio, } Archivio, ora sistemato alla meglio in una porta cieca del corridoio al III piano, e questa (come già altredu e vi- cine) venga trasformata in un altro scaffale per le carte. Fatte queste scaffalature si potrà dare una conveniente sistemazione alle monografie italiane ed estere, alle opere teoretiche ed alle poligrafie estere; però rimarrà sempre da dare una sistemazione definitiva: a quelle poligrafie 2% XVIII ATTI UFFICIALI ìtaliane (e sonola maggior parte) che oggi, sono disperse fra la sala dei disegna - tori ed altre tre piccole camere di funzionari dell’ Ufficio Geologico. L'essere obbligati a tenere scaffali di libri appartenenti alla Biblioteca, entro ambienti destinati al personale dell’ Ufficio, e perciò di difficile accesso, è un inconve- niente che per molteplici ragioni dev'essere eliminato al più presto possibile. D'altra parte anche le scaffalature fatte per le poligrafie, nel piccolo a m- biente attiguo alla sala dei disegnatori e nella sala grande non offrono spazio che per un tempo assai limitato. Infatti come abbiamo veduto, sono entrati in Biblioteca durante l’anno finanziario n. 2297 fra volumi, fascicoli ed opu- scoli; prendendo per spessore medio di queste pubblicazioni quello di 0,01 e per l’altezza dei palchetti degli scaffali quella di 0.35, vedremo che occorrono annualmente alla Biblioteca mq. 8.04 di nuove scaffalature senza tener conto di un possibile maggior incremento. Le nuove scaffalature costruite nei due ambienti più volte ricordati, misurano mq. 35.12 nell'ambiente piccolo, e mq. 52.53 nell'ambiente grande, in totale mq. 87. 65. A questo punto giova ricordare che da oltre 7 anni non erasi più costruito neppure un metro qua- drato di scaffalature, per cui a sanare il disagio nel quale era venuta a trovarsi la Biblioteca, occorreranno una cinquantina di metri quadrati di scaffala- tura. Ne resteranno perciò disponibili un 837 metri quadrati, i quali potrebbero servire a collocare tutti i libri che arriveranno nei prossimi cinque anni, se però fosse possibile distribuire uniformemente tutto l’abbondarte materiale in arrivo. Questa distribuzione uniforme però non è possiblile per varie cause, una delle quali è il funzionamento delle nostre collezioni di poligrafie in tanti ambienti. La seaffalatura nel corridoio che conduce alla sala dei di- segnatori, dove sono collocate le Poligrafie americane, difficilmente sarà suf- ficiente a collocarvi gli arrivi di altri due soli anni! Inoltre, vi sono centinaia di fascicoli illustrativi di carte geologiche estere per i quali non essendovi posto, sono stati accumulati senza nessun ordine e che perciò bisognerà si- stemare ed ordinare. Per evitare che la mancanza di spazio riduca nuovamente la Biblioteca nelle infelici condizioni nelle quali era venuta a trovarsi presentemente, è necessario che fra due anni, siano pronte altre scaffalature onde avere nuovo spazio per le poligrafie americane, senza sconvolgere tutto il nuovo ordina- mento che ora si viene facendo. Per collocare queste nuove scaffalature in modo da poter dare una conveniente e definitiva sistemazione al materiale della Biblioteca, bisognerebbe anzitutto trovare altro e più ampio locale, per le collezioni geologiche, che ora si trovano nella galleria annessa appunto alla sala delle collezioni. Separata questa galleria dal Museo delle collezioni geologiche e corredata di apposite scaffalature che ricoprano interamente e pareti, in essa potrebbero venire riunite tutte le poligrafie italiane: negl "4 Igt ELI CAS A Mi Ma ì e ‘ ppt ali ? è RELAZIONE AL R, COMITATO GEOLOGICO XIX scaffali della sala dei disegnatori potrebbero estendersi le polisrafie ameri- cane; nella parte media ed inferiore della scaffalatura costruita nel piccolo ambiente adiacente alla sala dei disegnatori. si potrebbero collocare le poli- grafie dell’Africa, dell'America e dell'Asia, che ora si trovano nella parte su- periore di questa scaffalatura, e perciò in luogo poco accessibile; in loro vece si potrebbero collocare in questa parte della scaftalatura i fascicoli illustra- tivi delle carte geologiche estere. Con questo impianto la Biblioteca avrebbe sicuramente spazio per col- locare gli arrivi e gli acquisti di una diecina d’anni, oltre il qual termine non è possibile, nè sarebbe serio fare delle previsioni. L'aumento continuo del materiale di Biblioteca, la conoscenza del me- desimo per mezzo del Catalogo e dei supplementi triennali, hanno aumen- tato di assai il movimento nel servizio di Biblioteca, che la Direzione del- l'Ufficio Geologico ha creduto di disciplinare con norme fisse onde evitare dispersioni e smarrimenti. La medesima ha compilato e fatto stampare un Regolamento per il servizio di Biblioteca che sarà applicato non appena verrà restituito all'Ufficio Geologico lo scrivano che vi manca fin dal marzo 1912 ed al quale oltre al lavoro di seritturazione, sarà affidata anche la distribu- zione dei libri a quelli che li richiedono in consultazione. (COLLEZIONI. Nelle collezioni geologiche e paleontologiche oltre all'aumento ordina- rio, in relazione col progresso del rilevamento, null’altro vi è da segnalare in quest'anno. Pur troppo però devesi insistere ancora una volta sulla insufficienza di spazio ad esse destinato per cui non è possibile pensare per ora ad un ordi. namento definitivo del prezioso materiale raccolto. Già fino dal 1911 il sottoscritto fece presente al Ministero la necessità di provvedere a rimuovere le difficoltà sempre crescenti che si oppongono ad una regolarè sistemazione del copioso materiale illustrativo del rilevamento geologico esistente nel nostro museo. Questo materiale trovasi in gran parte giacente senz’ordine in varî am- bienti provvisori ed anche tuttora in casse, e ciò per mancanza di mobili nei quali disporlo e conservarlo, e di locali adatti ad accogliere detti mobili. Preoccupato di un tale stato di cose, che pel costante aumento di que- sto materiale illustrativo diviene ogni anno più imbarazzante, il sottoscritto propose la sistemazione del grande locale al piano terreno, posseduto dal no- stro Ufficio, ed avanzò domanda per ottenere nuovi locali al 29 piano, dove già si hanno le collezioni dei materiali edilizi e dei minerali utili. XX ATTI UFFICIALI Oggi che trattasi dal Ministero di adattare il fabbricato del Museo a nuovi usi e servizi, il sottoscritto crede suo dovere d’insistere nel reclamo di prov - vedimenti affinchè il nostro Ufficio non sia trascurato nell’assegno che verrà fatto di detti locali ai varî servizi tecnico-scientifici del Ministero, E non solamente di spazio e di mobili hanno bisogno le nostre collezioni ma anche di personale che ne curi l'ordinamento e la conservazione. A_que- sto servizio suole esser preposto uno dei geologi dell'Ufficio, ma non si può pretendere che tale incarico venga accettato con diretta responsabilità se al funzionario incaricato non si assegni un assistente il quale, oltre al lavoro di maneggiamento del materiale, sappia compiere quello di relativa serit- turazione. PROGRAMMA DEI LAVORI DI RILEVAMENTO E DELLE PUBBLICAZIONI DA ESEGUIRSI NELL’ANNO 1913. RILEVAMENTI. Alpi occidentali e centrali. — Ad opera dell'ing. capo Novarese e del- l'ing. Pullè sarà continuato il rilevamento nella regione dei laghi lombardi e nell’alta Valcamonica andando incontro a quello, già avanzato, dell’inge- gner capo Zaccagna nei dintorni del lago d’Iseo. L'ing. cap. Franchi, se non ne sarà distolto, come lo è al presente, da nuovi incarichi in Libia, proseguirà il rilevamento del foglio di Biella, con. tiguo a quelli già pubblicati e farà alcune revisioni nell'alta Val Maira e nella valle della Stura di Cuneo. Liguria. — L’ing. capo Zaccagna, oltre al lavoro nelle prealpi berga- masche, continuerà il rilevamento della Liguria orientale nei fogli 82 e 83. Umbria e Marche. — Il sottoscritto attenderà anche in quest'anno allo studio della regione umbra proseguendo il rilevamento delle tavolette di Gub- bio, Bevagna, Massa Martana e Foligno, già molto avanti e le sole che ormai restano di questa regione. In questo lavoro sarà coadiuvato dall’ing. Fiorentin e dall’ing. Pilotti, il quale ultimo estenderà il rilevamento alla regione contigua delle Marche nelle tavolette di Camerino e di Fabriano. Nelle Marche e precisamente nella tav. Fossombrone sarà continuato il rilevamento dall’aiut. prine. Cassetti. Vulcani dell'Italia centrale. — L'ing. capo Sabatini proseguirà lo stu- dio dei Vulsinii. ° Lazio. —- L'ing. Crema continuerà il rilevamento delle tav. di Anagni e di Alatri al quale non potè attendere l’anno decorso. RELAZIONE AL R., COMITATO GEOLOGICO XXI Abruzzi. — Sarà inoltre proseguito dallo stesso ing. Crema il rilevamento delle tav. di Borgocollefegato e di Fiamignano e saranno fatte inoltre delle recognizioni nell’Aquilano allo scopo di studiare la zona di passaggio fra le due facies meridionale e settentrionale del Mesozoico. Nella Maiella saranno continuate le revisioni ad opera dell’aiut. princi- pale Cassetti. Molise e Campania. — Dallo stesso aiut. principale saranno fatte revi- sioni anche nei fogli di Ariano di Puglia e S. Angelo dei Lombardi onde pre- pararli per la pubblicazione. Sardegna. — Sotto la direzione dell’ing. capo Novarese, gli ingg. Pilotti e Pullè, cui sarà aggregato anche l’ing. Fiorentin, proseguiranno il rilevamento così nell’Iglesiente come nella provincia di Sassari. Alpi venete. — Allo scopo di pubblicare lo studio e la carta del Gruppo centrale carnico dai professori Vinassa e Gortani sarà fatta una revisione generale delle tav. di Prato Carnico e Paluzza, soprattutto lungo il crinale della catena principale e nella porzione settentrionale di essa con addentel. lati in territorio austriaco. Per questa revisione è stato previsto un lavoro di circa 30 giornate per ciascuno degli operatori. Al prof. Dal Piaz potrà esser rinnovato l’incarico affidatogli l’anno de corso dello studio della zona scistosa del Comelico in rapporto a quella paleo- zoica carnica, incarico che per ragioni di salute non potò disimpegnare. . PUBBLICAZIONI. Come fu già accennato sono in corso di pubblicazione per quest'anno i fogli di S. Marcello Pistoiese, di Massa, di Spezia e di Chiavari e si spera che possa veder la luce la carta geologica di Roma alla scala di 1: 15,000, la qual pubblicazione per ragioni indipendenti dal principale collaboratore ing. ge- nerale Verri e da quest’Ufficio, non potè aver luogo l’anno decorso come era stato annunziato nel programma. Del pari in corso di pubblicazione sono per le Alpi Occidentali i fogli di Susa, Pinerolo, Oulx, Cesana Torinese, come già si disse, a cui si devono ag - giungere quelli di Domodossola e di Val Formazza. Come pei cinque fogli delle Alpi occidentali, già comparsi nel 1912, la direzione e la cura di questa pubblicazione è affidata all’ing. capo Novarese, avendo cessato di far parte dell’Ufficio gli ingg. Mattirolo e Stella, ed essendo l’ing. capo Franchi occu - pato dalla sua missione in Libia. Questa pubblicazione dei fogli delle Alp Occidentali, già di per sè molto laboriosa per la natura stessa del difficile ri- levamento, è rallentata dalla penuria di disegnatori in cui versa l’ufficio XXII ATTI UFFICIALI — RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO N DAI Geologico, inconveniente più volte lamentato ed a cui non si potè porre fi- SA: nora riparo. SES Neppure potè essere iniziata la pubblicazione delle 9 tavolette alla scala "de di 1: 25,000 delle Alpi Apuane, pubblicazione già deliberata dal Comitato A e che potrà forse aver Inogo in quest'anno con grande interesse per l’indu- stria dei marmi. Sarebbe desiderabile che si pubblicasse insieme la carta alla stessa scala dei dintorni di Montecatini e Monsummano, composta delle due metà contigue delle tav. di Buggiano e di Serravalle Pistoiese, di cui già si possiede una completa deserizione per opera dell'ingegnere capo Zaccagna. La Il prof. A. Stella del Politecnico di Torino ci ha gentilmente offerta la pubblicazione d’un suo lavoro di idrografia sotterranea della pianura del oe Po. Jl lavoro è in gran parte basato su osservazioni fatte quando egli faceva ancora parte del nostro Ufficio geologico e quindi se ne propone la stampa nelle « Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia » di cui costituirà il VARNICA volume XVI. La spesa prevista per questa pubblicazione è di L. 1,200. Così l’ing. capo C. De Castro ci ha consegnato il manoscritto di una sua memoria sui giacimenti cinabriferi della Toscana, del quale pure proponiamo al Comitato la pubblicazione nelle « Memorie descrittive ». Un'altra pubblicazione che si propone, è la stampa di due carte alla scala Bi di 1: 50,000 e di una tavola di sezioni, riflettenti lo studio eseguito dai profes sori Vinassa e (rortani del Gruppo centrale Carnico, nonchè la stampa della relativa memoria illustrativa, con appendice petrografica, comprendente 3 o 4 cartine al 1:25,000 delle località più interessanti. e varie tavole in fototipia. } . Si 7 + Roma, 1° Giugno 1913. » Il Direttore dell’ Ufficio he B. LoTTI. RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO XXIII APPENDICE. INCARICHI SPECIALI. Inc. Capo LorTI. — Continuò a far parte della Commissione centrale per le sistemazioni idraulico-forestali e per le bonifiche e con altri membri di detta Commissione in primavera visitò la valle del Potenza presso Pioraco (Macerata). La spesa relativa rimase a carico del Ministro dei LL. PP. Ne! mese di maggio fece parte della Commissione giudicatrice di un concorso per un posto di allievo-ingegnere nel R. Corpo delle Miniere. Inc. Capo ZaccaGNA. — In primavera a richiesta ed a spese del Mi- nistero delle Finanze si recò nel Bresciano per uno studio relativo alle cave di pietra pel Monumento a Vittorio Emanuele II in Roma. ING. Capo AICHINO. — Nel mese di maggio fece parte coll’ing. Lotti della Commissione giudicatrice di un concorso per un posto di allievo-inge- gnere nel R. Corpo delle Miniere. Inoltre egli fu chiamato a far parte della Commissione per lo studio delle norme da seguirsi nell'impiego della pozzolana e dei cementi nella fabbri cazione dei massi artificiali. ING. Capo NOVARESE. — Nel mese di gennaio fece parte di una Com- missione nominata dal Ministero dei LL. PP. per visitare i comuni calabresi di Gallico, Maropati, Nocera Tirinese, Magisano, Maranise, Fossato Serralta e Badolato, onde riferire su alcune difficoltà insorte per il loro spostamento o consolidamento. In novembre insieme al consigliere intimo prof. Dr. F. Beyschlag, Direttore del R. Istituto Geologico di Prussia ed al Dr. G. Fliegel dello stesso Istituto eseguì uno studio geologico e tecnico di una serie di cave di marmo bianco e colorato nelle valli di Massa e di Camajore nelle Apuane. ING. Capo SABATINI. — In primavera visitò gli abitati di Montecalvo Irpino (Avellino) e Torricella Peligna (Chieti) per alcuni studii relativi al loro consolidamento. 19* LI I apo st ei: pui" XXVII IR. COMITATO GEOLOGICO VERBALE DELLA RIUNIONE DELL’ 8 GIUGNO 1914. Seduta antimeridiana. La seduta viene aperta alle ore 9.40. Sono presenti: il presidente Issel, i membri Baldacci, Bassani} Di Stefano, Mazzetti, Mazzuoli, Parona, Striver, Taramelli, Zambonini, il Direttore dell’ Istituto geografico militare, gen. Gliamas, il Direttore dell’ Ufficio geologico, ing. Lotti e l’ing. Crema, incaricato delle funzioni di segretario. Ha scusato l’assenza il prof. De Lorenzo. Il PRESIDENTE ringrazia i presenti per il loro intervento ed esprime la sua viva soddisfazione per vedere nuovamente nel Comitato l’ing. Mazzuoli, vice-presidente del Consiglio delle miniere, già capo del Servizio geologico e che alla compet-nza scientifica unisce una lunga esperienza amministra— tiva; porge quindi un cordiale saluto ai nuovi colleghi ing. Mazzetti, Ispet- tore superiore delle miniere, e prof. Zambonini. Il PRESIDENTE ricorda due cari estinti che lasciarono di sè la più ve- nerata memoria. Il prof. Igino Cocchi, un veterano della geologia italiana, nacque nel 1827 e mancò ai vivi il 13 agosto dell’anno scorso. Delle sue benemerenze come scienziato e come maestro diede già conto in una commemorazione comparsa nel Bollettino, e le indagini compiute allo scopo di rintracciare i particolari concernenti la vita e la carriera del compianto collega fecero ri- fulgere, oltre ai suoi meriti scientifici, la nobiltà del suo animo. Egli era uno di quei pochi di cui si può dire che più si conoscono e tanto più si stimano e si amano, Dante Pantanelli, che tutti videro pieno di vita in Roma nel giugno dell’anno scorso all’ultima adunanza del Comitato geologico e più recente- mente ancora in settembre al Congresso geologico di Aquila, morì il 2 novem- bre 1913 a 69 anni. Apparteneva ad una famiglia che aveva sofferto gravi persecuzioni per la causa italiana e combattòè nel 1866 tra le schiere di Garibaldi. XXVIII ATTI UFFICIALI Fu tra gli scienziati italiani uno dei più operosi, esercitando la sua at- tività intorno agli argomenti più disparati. Fu il primo in Italia a segnalare le radiolarie fossili dei diaspri e delle ftaniti e sono altamente apprezzati i suoi lavori sui petroli e sulle acque sotterranee dell’Emilia. La versatilità del suo ingegno si manifestò non soio colle opere ma anche cogli insegna- menti: prima di assumere la cattedra di geologia e di mineralogia nella Università di Modena, fu professore di fisica e di matematica. Con Pantanelli l Italia ha perduto una nobili-sima figura di scienziato e di cittadino; di lui sarà degnamente detto dal prot. Parona in una necrologia che comparirà nel prossimo fascicolo del Bollettino. Anche all’estero la geologia ha da lamentare recenti lutti: allude alla morte del prof. Teernyteew e del prof. Suess, questi ben noto in Italia, di cui era caldo amico. A nome del Comitato geologico furono mandate condo- glianze all'Istituto geologico russo ed alla Società mineralogica di Pietroburgo, come pure all’ Istituto geologico ed all’ Accademia delle scienze di Vienna. Anche alle famiglie Cocchi e Pantanelli fu espresso per iscritto il dolore del Comitato per il loro lutto. Il PRESIDENTE è lieto di poter chiudere le sue comunicazioni informando i colleghi di una circostanza della quale tutti si rallegreranno. S. E. il Ministro, visitando la sede dell’ Ufficio geologico potè persua- dersi dell’insufficienza dei locali che gli sono destinati e ha promesso di assegnargli anche quelli che erano occupati dall’ex-museo agrario. Si potrà allora collocare convenientemente le svariate collezioni necessarie per le de- terminazioni e i confronti occorrenti ai lavori di rilevamento e verrà a formarsi un vero museo di g:ologia pratica. Ognuno vede come, anche pre- scindendo dai bisogni del Servizio geologico, queste collezioni siano suscet- tibili di prestare valido sussidio nel disimpegno delle loro mansioni, agli inge- gneri di miniere e ad altri professionisti e studiosi. Propone quindi, prima di dare la parola all’ispettore Baldacci per le comunicazioni della Direzione del Servizio, un voto di ringraziamento al Ministro per la illuminata sollecitudine da lui dimostrata a vantaggio del. LU fficio geologico. Il Comitato approva all'unanimità. Barpacci ricorda come a Stoccolma, nel 1910, fosse stato stabilito che avesse luogo a Pietroburgo nel 1915 la III Conferenza agro-geologica inter- nazionale, come preparazione ad un Congresso: senonchè da qualche mese si stanno facendo pratiche perchè la Conferenza sia tenuta a Roma. Ufficiato personalmente e da varie parti di occuparsene, egli rimase da prima rilut- R. COMITATO GEOLOGICO XXIX tante specialmente per le difficoltà d’indole finanziaria: pregato di fare i passi presso il Governo, dapprima dalla Presidenza generale della Commis- sione, dippoi dal prof. Von Sigmund a nome anche degli altri due presi- denti delle Sottocommissioni speciali, egli si riservò di dare una risposta definitiva solo quando il Ministero avrà concesso i fondi necessari. Sarebbe grato al Comitato, se volesse esprimere il suo autorevole parere sull’utilità della Conferenza, sulle questioni da trattarvisi e sulla opportunità che essa venga riunita in Italia. Rammenta che da noi non esiste un vero servizio agro-geologico, ma si fecero soltanto studi dovuti ad iniziative isolate, si- stema del resto più adatto al nostro paese, data la grandissima varietà esi- stente nella sua costituzione geogaostica, ciò che formerebbe una grave dif- ficoltà per la costruzione di una carta agro—geologica generale. ® MazzuoLi informa che due anni or sono il Ministro Nitti nominò una Commissione per lo studio preliminare dei metodi da seguire nella forma- zione di una carta agro-geologica italiana, ma questa Commissione non compiè i suoi lavori. Conviene col Baldacci sulle gravi difficoltà che si pre- senterebbero per la preparazione di tale carta. 'TARAMELLI dice che, se la Commiesione nominata dal Ministro Nitti non potè presentare le sue conclusioni, raccolse però molto materiale storico per l'esame dei vari sistemi adottati presso le altre nazioni. Ritiene anch'egli che per l’Italia il sistema migliore sia quelio delle monografie agrarie. ZAMBONINI osserva che i metodi di analisi chimica per i terreni agrari non sono abbastanza noti e che la conferenza servirebbe a farli conoscere; ritiene perciò che sarebbe assai utile che essa fosse tenuta in Italia. Il Comitato unanime è dello stesso parere. Barpacci presenta le minute dei fogli Napoli e Siena della carta geo- logica d’Italia in 58 fogli, attualmente in progetto. Fa rimarcare che la scala adottata (1:250.000) permette di segnare tutte le suddivisioni dei ter- reni indicate nella carta al 100.000. BASSANI e ZAMBONINI esprimono il loro compiacimento per l'esattezza del lavoro, che è molto particolareggiato. Il Comiraro fa voti perchè se ne inizi prossimamente la stampa. MAZZuoLI raccomanda che non si ritardino le altre pubblicazioni attual- mente in corso. i BALDACCI dà assicurazioni in proposito, e soggiunge che nella nuova ‘carta si introdurranno tutti gli aggiornamenti necessari. BALDACCI parla quindi degli incarichi straordinari per rilevamenti geo- logici, aggiungendo che non gli pare sia il caso di sospenderli ed infine dice XXX ATTI UFFICIALI che l’ing. Stella ha chiesto di poter compiere alcune revisioni nelle Alpi oc- cidentali in vista della imminente pubblicazione di par-cchi fogli, al cui ri- levamento ha preso parte. IssEL ricorda come sia sempre stato suo fermo convincimento che il compito dell’ Ufficio geologico non sia esclusivamente e strettamente quello di rilevare la carta geologica — al quale còmpito d’altronde a rigor di ter- mini si connettono le più disparate indagini relative al terreno ed ai materiali estrattivi —, ma che quest’Ufficio debba considerarsi come un istituto di geologia applicata in genere. Perciò, inspirato dal desiderio di adoperarsi per il bene pubblico, si permette di sottoporre all'approvazione del Comitato due voti da porgere a S. E. il Ministro. Il primo di questi voti è che voglia sollecitare lo studio e l’attuazione di una legislazione sulle acque sotterranee. Questo studio fu già iniziato dal ministro Sacchi per mezzo di una Commissione, la quale adempì alle proprie mansioni per la parte tecnica, ma non in quanto concerne la parte legale. che pure è di urgente necessità, poichè l’uso delle acque sotterranee sl va sempre più diffondendo. Mazzetti fa rilevare le enormi difficoltà che si oppongono alla solu= zione della questione, specialmente nelle provincie dove vigono ancora sulla proprietà terriera i principii del diritto romano. Mazzuoi non crede che sia il caso di preoccuparsi di tale difficoltà, perchè il voto si limita alla raccomandazione che si affretti una soluzione. LotTI ricorda il voto sullo stesso argomento già emesso dalla Società geologica nella riunione di Lecco. TARAMELLI è favorevole al voto proposto, teme però che esso esorbiti dal compito cui è indirizzata l’opera del Comitato. IssEL non nasconde che provò una certa ritrosìàa nel proporlo, ma fu mosso dalla necessità, nell'interesse pubblico, che l’emungimento delle acque venga disciplinato. Aleuni comuni fanno uso per i loro acquedotti di falde sotterranee, e, siccome alle stesse possono attingere senza alcun freno anche i privati, ne consegue che potrà col tempo scemare o mancare del tutto lo alimento dei pubblici acquedotti. Del resto, i problemi relativi alle acque sotterranee sono problemi di stratigrafia: essi sono perciò strettamene ine- renti ai lavori della carta geologica e rientrano nella competenza dell’Uf- ficio e del Comitato. BarpAcciI dà alcune informazioni sui lavori della Commissione mista per la irrigazione. BASSANI non vede inconvenienti ad esprimere un desiderio al ministro. IsseL dice che sarà un’occasione di mostrare al pubblico che l’Ufficio R, COMITATO GEOLOGICO XXXI geologico ed il Comitato non si occupano soltanto di questioni teoriche, e potrà così anche giovare indirettamente all’Ufficio. Ti Comirato all'unanimità approva il voto proposto. IssEL presenta il suo secondo voto, col quale si dovrebbe esprimere a S. E. il Ministro il desiderio che le relazioni fra l’ Ufficio geologico ed il Servizio idrologico siano rese più intime, analogamente a quanto si veri- fica in altri stati. Dice che l’ Ufficio geologico e l’Ispettorato idraulico, come pure l'Ufficio centrale di meteorologia, fauno capo ad una stessa Dire- zione, ma sono indipendenti fra di loro, ciò che rende meno efficacela loro opera. Chiede, se il Comitato è dello stesso avviso. MazzuoLI osserva che la separazione esistente fra il servizio geologico e quello idraulico è assolutamente arbitraria. BASSANI si associa alle parole del prof. Issel e del comm. Mazzuoli, no- tando che le carte dell’ Ufficio geologico non possono venir direttamente utilizzate per gli scopi idrologici come quelle ultimamente pubblicate dal Magistrato delle acque. BALDACCI conferma che i diversi servizi hanno un’ unica direzione, ciò che gli pare sufficiente a mantenere la necessaria unione fra di essi. Data la grande disparità di reclutamento del personale dei tre uffici, non sarebbe possibile pel momento fare di più. Informa che il lavoro dell’ Ispettorato idraulico deve per ora limitarsi essenzialmente a misure di portata ed a studi sul regime dei corsi d’acqua; ricorda in ogni caso la larghezza di mezzi a disposizione del Magistrato delle acque. ZAMBONINI trova utile il voto proposto dal Presidente, perchè tende a stabilire comunione di direttive fra servizi affini. Certo non saranno possibili provvedimenti immediati, ma il voto intanto avrà affermato la necessità di seguire una certa tendenza. PARONA ritiene che l’indirizzo ideale per gli studi idrologici sia quello seguito dal Magistrato delle acque, indirizzo scientifico e pratico ad un tempo. MAZZzuoLI erede convenga limitarsi ad affermare la naturale connes— sione del servizio idraulico col geologico, esprimendo il desiderio che essa vada sempre meglio realizzandosi. Il Comirato approva all'unanimità. PARONA ringrazia la Direzione del Servizio degli aiuti di cui fu larga per il Congresso geologico tenuto }lo scorso anno ad Aquila sotto la sua presidenza e ricorda l’opera prestata dall'ing. Crema per l’organizzazione delle escursioni. XXXII ATTI UFFICIALI BaASSANI rivolge anch’egli un plauso all’ing. Crema. Il COMITATO si associa. Di SteFANO segnala ai colleghi l’importanza e la bellezza della nuova carta al 25 000, dell’ Istituto geografico militare di Firenze. Propone un voto di lode al Generale Gliamas ed ai suoi valenti rilevatori, che ebbe il bene di conoscere in Sicilia, dove con coscienza ammirevole stanno compiendo un’opera veramente monumentale. PARONA deve fare analoghe lodi ai rilevamenti che lo stesso Istituto sta compiendo in Libia. GLIAMAS esprime tutta la sua riconoscenza ai colleghi per aver messo in evidenza l’opera preziosa, assidua é competente dei suoi rilevatori. La seduta è tolta alle ore 11.30. Seduta pomeridiana. La seduta è aperta dal Presidente Issel alle ore 15.10, essendo pre- sentii membri: Baldacci, Bassani, De Lorenzo, Di Stefano, Gliamas, Lotti, Mazzetti, Mazzuoli, Parona, Taramelli, Zambonini e il segretario Crema. LorTI, ad invito del Direttore del Servizio, parla dei lavori eseguiti nel 1912, rimettendosi però in gran parte alla relazione che venne distri- buita in bozze. E° a disposizione del Comitato per tutti quegli schia- rimenti che fossoro richiesti. ZAMBONINI richiama l’attenzione del Comitato sull'importanza delle ana- lisi chimiche nella determinazione delle roccie e sulla conseguente neces- sità che all’ing. Aichino, attuale direttore del laboratorio chimico, vengano dati almeno due assistenti. MazzuoLI ritiene che tale questione potrà trovare più opportuna sede quando si discuteranno le proposte della Direzione per un ampliamento nel- l’organico del personale dell’Ufficio geologico; intanto, però, il Comitato po- trebbe esprimere il desiderio che all’ing. Aichino venga prontamente dato un aiuto, anche ricorrendo al personale di altri uffici. Il ComiTATO approva. BALDACCI dice che non mancherà di fare a suo tempo le opportune pro- poste al Ministro. Di STEFANO si compiace del nuovo ed ottimo ordinamento dato alla biblioteca dell’ Ufficio, la quale è la più importante del genere che vi sia mn Italia e costituisce un centro scientifico di grande utilità per gli studiosi. Fa osservare, però, che, mentre è ingente il lavoro di seritturazione che essa R. COMITATO GEOLOGICO XXXIII richiede, non vi è addetto che un solo scrivano; propone perciò che il Co- mitato preghi S. E. il Ministro, perchè vi sia aggiunto un altro ufficiale d’or- dine, insistendo sulla necessità e l’urgenza del provvedimento. Il ComiTATO approva. LorTI richiama l’attenzione del Comitato sull’insufficienza, segnalata nella relazione, di personale di servizio che assista chi è preposto all’ordi- namento ed alla conservazione delle collezioni. Il Comitato si associa alle richieste del Direttore dell’ Ufficio, ricono- scendone l’urgenza. LorTI espone il programma per i lavori da eseguirsi durante la pros- sima campagna 1914-15. Il Comitato lo approva colle osservazioni che seguono. MazzuoLi, notata l’insufficienza della somma stanziata per i lavori del- l’ Ufficio geologico in confronto a quella, relativamente assai maggiore, messa a disposizione dell’ Ispettorato idr:ulico, vorrebbe che fosse meglio equilibrata la ripartizione delle somme fra i due servizi. BALDACCI dice che terrà conto della raccomandazione. MazzuoLI raccomanda pure che non vengano rallentate le revisioni. senza le quali non sarebbe possibile di continuare la pubblicazione dei fogli delle Alpi della carta al 100 000. LorrI dà schiarimen*ti ed assicurazioni in proposito. TARAMELLI chîede, se non sarebbe opportuno che l’ing. Zaccagna conti nuasse il rilevamento delle Alpi lombarde. BALDACCI informa che l’ing. Zaccagna trovasi attualmente in Tripoli tania, essendo stato incaricato di una missione di studio nell’oasi di Ghadames, e che al su) ritorno dovrà dapprima pensare al'a relazione da presentare al Ministero delle Colonie. Ad ogni modo, se gli rimarrà tempo disponibile, po- trà dedicarlo ai rilevamenti in Lombardia. BASSANI chiede, se l’ing. Pullè non potrebbe anch'egli continuare lo studio intrapreso nei dintorni di Laveno e sul quale già pubblicò una nota preliminare. l'ARAMELLI osserva come la questione, che interessa il collega Bassani, non sia chiaribile coll’estensione dei rilevamenti. DI STEFANO si compiace dell’importanza data nel programma dei lavori alla. Sardegna allo scopo poi di mantenere la necessaria uniformità nello studio delle roccie vuleaniche italiane, raccomanda l’invio di un ingegnere specialista. BaLpACCI e LortI informano che nelle regioni attualmente in corso di rilevamento, le roccie vuleaniche sono poco sviluppate; del loro studio petro- XXXIV ATTI UFFICIALI grafico si occupano i rilevatori stessi. In ogni caso sarà sempre possibile, ove occorresse; di provvedere altrimenti al riguardo. LoTTI passa quindi ad esporre il programma delle pubblicazioni da farsi nel prossimo esercizio finanziario, programma che viene approvato senza mo- dificazioni. MAazzuoLI vorrebbe sollecitata la pubblicazione dello studio della Conca Anticolana, stato compiuto da un ingegnere dell’ufficio. LorrI informa che tale ritardo è dovuto al fatto che a detto ingegnere vennero affidate altre missioni di carattere urgente (e principalmente una in Tripolitania), sulle quali dovette e dovrà primariferire. Subito dopo potrà dare l’ultima mano allo studio in questione, il quale verrà senz’altro pubblicato. IsseL chiede, se l’ufficio potrebbe pubblicare nelle sue memorie in 40 un lavoro del prof. Principi sulla Flora tongriana di Santa Giustina. Si tratta di una flora poco nota e nello stesso tempo ricchissima, forse la più ricca d’Italia, comprendendo non meno di 500 specie; perciò l’opera riuscirà ingente e fondamentale. Occorrendo, si potrebbe anche farla comparire a puntate. BALDACCI risponde che non può pronunciarsi, finchè non saprà quali saranno le somme messe a sua disposizione nel prossimo esercizio finan- ziario. Intanto, però, si potrebbe affidare secondo la consuetudine, ad un membro del Comitato l’esame del lavoro. Viene delegato il prof. Parona, che accetta. PARONA chiede a che punto si trovi la memoria dell’ing. Zaccagna sulle Alpi Apuane. BALDACCI informa che è già in gran parte redatta. MazzuoLi trova che l’ing. Zaccagna vedendo esaudito un suo antico desiderio colla imminente pubblicazione delle undici tavolette al 25. 000 della zona marmifera apuana, dovrebbe ora affrettare la preparazione della Me- moria, in mode da poterne stampare almeno una prima parte. Il Comitato si associa. IssEL, dopo aver ricordato che, se l'Ufficio geologico dispone di un per- sonale ottimo, questo è numericamente insufficiente, è lieto di potere in- formare che 1’ Ispettore Baldacci ha compilato un disegno di modificazioni nell’ordinamento dello Ufficio stesso, nel quale è pure tenuto conto della antica aspirazione dei naturalisti di venire ammessi a collaborare cogli in- gegneri per il rilevamento della carta geologica. Propone che il Comitato prenda oggi stesso in esame il progetto presentato, ed intanto è certo di interpretare i sentimenti dei colleghi ringraziando vivamente il comm. Bal- dacci per la sua iniziativa, intesa a migliorare il servizio e ad aprire ad un R. COMITATO GROLOGICO XXXV tempo un nuovo campo di attività ad un certo numero di studiosi, la car- riera dei quali si è fatta difficle ed incerta, in seguito alle recenti dispo- sizioni relative alla nomina degli insegnanti di storia naturale nelle scuole medie, alla libera docenza ed all’assistenza nei gabinetti universitari. BaLpACCI ringrazia il Presidente delle cortesi espressioni per il perso- nale dell'Ufficio e per lui, ma deve lamentare che qualcuno abbia male im- postata la questione, quasichè i provvedimenti in progetto fossero richiesti dal non essere l’attuale andamento dei lavori rigorosamente scientifico. IsseL dichiara di non condividere affatto tali censure; apprezza ed am- mira i lavori compiuti dall’ Ufficio geologico e, se desidera che vi siano ammessi anche i naturalisti, sì è per aprir loro una nuova via in un mo- mento nel quale particolarmente difficili sono le loro condizioni di carrera. Per conto suo ricorda con compiacenza di aver fatto le prime armi sul ter- reno con un ingegnere delle miniere. MazzuoLI ringrazia del ricordo e dice di rammentare sempre con pia- cere quell’epoea. TARAMELLI dice che sono note le sue idee sull’ordinamento del Servizio geologico, ma, come già ebbe pubblicamente a dichiarare, riconosce che gli ingegneri delle miniere si sono dimostrati eccellenti geologi, dando prova di sapere affrontare i più disparati problemi della geologia; secondo lui non vi è che un sol modo di diventare geologi: fare della geologia. DE Lorenzo si associa alle parole dei professori Issel e l'aramelli, tro- vando esemplare e degna di plauso l’opera dell’ Ufficio: ricorda con gratitu- dine l’influenza esercitata sui suoi studi dai lavori dell’ing. Baldacci. PARONA si associa agli elogi fatti al personale dell’ Ufficio, col quale ebbe varie volte occasione di collaborare e che perciò è in grado di apprez- zare ed ammirare. ZAMBONINI non può nutrire alcuna sfiducia verso il personale dell’ Uf- ficio geologico, ove fu allievo e venne iniziato alle ricerche petrografiche, BASSANI è d’accordo coi colleghi nel respingere le accuse alle quali fece allusione l’ispettore Baldacci. Il SEGRETARIO ad invito del Presidente dà lettura del progetto, il quale, come disegno di massima, viene approvato senza aleuna modificazione . Il Comrraro decide che esso venga trasmesso all’on. Ministro, sperando che questi voglia accoglierlo. La seduta è tolta alle 17.10, dopo aver autorizzato il Presidente a fir- mare il verbale. Il Presidente Il Segretario Prof. ARTURO Isspc. Ing. C. CREMA. LU e k È; . " te , z di BS % pu x "ASI î * n e n De i ag î >; "I ' eg” ri i. rai 7 "i Z Ta 4 = K Rea XXXVII RELAZIONE sui lavori di campagna e d’ufficio eseguiti nel 19153 e proposta di quelli da eseguirsi durante l’anno finanziario 1914-15 RILEVAMENTI. Data la diminuzione del fondo assegnato alle trasferte del personale operatore di quest’Ufficio, che da L.16,000 dell’anno precedente discese quest'anno a 12,000, il lavoro di campagna non potè essere produttivo, come sarebbe stato desiderabile e come sarebbe necessario, se vuolsi aver pronto il materiale per il proseguimento della pubblicazione della carta geologica. La sola campagna estiva esaurì infatti quasi tutta la somma destinata al lavoro Gi rilevamento per l’anno finanziario 1913-14, dimodochè solo poche centinaia di lire rimasero a disposizione del personale per la continuazione del rilevamento in Sardegna. E’ da notarsi in proposito che i più anziani degli operatori, mentre per la pratica acquistata in seguito a lungo tirocinio potrebbero dare il maggior contributo di lavoro alla formazione della carta geologica, sono costretti a contenere in troppo angusti confini Ja loro attività produttiva per non contendere ai più giovani lo sviluppo e l’incremento della loro educazione pratica nel rilevamento geologico. Devesi pur ricordare che scopo precipuo del nostro servizio si è la pub- blicazione in grande scala della carta geologica d’Italia, opera questa alla quale il paese prende ormai il più vivo interesse, come è dimostrato dalle continue richieste delle nostre Carte e delle Memorie relative. Tale pubbli cazione, che ebbe notevole spinta ed incremento per merito dell’ispettore Mazzuoli, ora giubilato, ma pur sempre membro di questo spettabile con- sesso, minaccia da ora in avanti di arrestarsi non essendovi ormai più alcun foglio completamente rilevato, riveduto e pronto per la pubblicazione e ciò appunto per la necessità di contenere in limiti troppo angusti il lavoro di campagna. E’ vero però che non per questo cessa il nostro Ufficio di ren- (XXVIII B. LOTTI k dere utili servizi, perchè la sua opera ha ormai acquistato presso il pub- blico colto e laborioso e presso le amministrazioni dello Stato, delle Pro- vincie e dei Comuni, tale favore, che il nostro personale geologico è costretto a svolgere una notevole attività per sodisfare alle continue richieste di pareri e visite per la risoluzione dei più svariati problemi di geologia ap- plicata. E di questa pratica attività dei nostri geologi operatori fu tratto largo utile dallo Stato anche per missioni nella nostra colonia Libica, dove cin- que di essi sono già stati, mentre tre vi si trovano tuttora, e per la durata di vari mesi, compiendovi studi importanti, come sarà detto più innanzi enu- merando e descrivendo gli incarichi ad essi affidati. * * * Il lavoro d'ufficio, congiunto alla sopra accennata scarsità di fondi, non permise al sottoscritto di dedicare molto tempo al lavoro di campa- gna per la prosecuzione del rilevamento dell’Umbria che ormai è presso al suo termine. Così, nei due mesi di luglio e agosto, dopo brevi revisioni e ricognizioni nell’area delle tavolette di Foligno e di Gubbio, proseguì il rile- vamento geologico della tavoletta 1:50 000 di Massa Martana, |già prece— dentemente per un quarto rilevata, ed iniziò quello della tavoletta contigua alla stessa scala, di Bevagna. L’area rilevata nelle due tavolette fu di circa 250 kq., impiegandovi 30 giorni, con 850 km., di percorso e una spesa complessiva di L. 775,68. Nel mese di settembre approfittò della riunione della Società geologica ad Aquila per fare un esame comparativo fra le due diverse facies dei ter- reni cretacei dellUmbria e degli Abruzzi e per effettuare alcune visite colla Commissione nominata dal Comitato geologico per lo studio stratigrafico e cronologico della formazione marnoso-arenacea dell’ Umbria. Occorsero per tali studi 13 giornate con un percorso di 303 km, ed una spesa di L. 350,14. «*. L'ingegnere capo D. Zaccagna operò in [due regioni : nelle Prealpi Bresciane, nei mesi di maggio, giugno e agosto, e in Liguria nel mese di luglio e settembre. Nella prima regione eseguì 50 kq. di rilevamento nelle tavolette 1:25 000 di Preseglie, Nave e Gussago; nella seconda quello delle tavolette, pure a :25000, di Busalla, Rivarolo, Savignone e Lerma per un’area complessiva di kq. 110 ed una spesa totale di L. 1763,56. +”. L'ing. capo V. Novarese continuò in primavera il rilevamento delle due tavolette 1:25000 di Iglesias e di Nebida, sul guale riferì in un articolo pubblicato nel 1° fascicolo del vol. 44 del nostro Bollettino. RELAZIONE SUl LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XXXIX L'ammontare dell’area rilevata fu dikq. 60 impiegandovi 19 giorni con un percorso di km. 295 ed una spesa complessiva di L. 508,39. Nella estate la campagna alpina fu brevissima e poco fruttifera a cagione dell’ostinato maltempo durato fino al 15 agosto, per cui egli potè dedicare poco più di due settimane di effettivo lavoro al rilevamento dell’alta Valea- monica. L'area rilevata fu di ca. 50 kq. e quella riconosciuta di ca. 500 im- piegando giorni 42 con un percorso di 542 km. ed una spesa totale di L. 944,48. +«*2 L'ing. capo V. Sabatini iniziò in primavera lo studio del gruppo trachitico della Tolfa e nei mesi di luglio, agosto e settembre, dopo aver dedicato alcuni giorni al rilevamento dell’Isola di Montecristo proseguì quello dei vulcani Vulsinii. L'area rilevata può stimarsi di ca. 100 kq., ma non è possibile una valutazione precisa stantechè l’ing. Sabatini si occupa sopratutto dello studio dei materiali sia per se stessi, sia per risalire alla cronologia dei fenomeni vulcanici. Le giornate impiegate per lo studio dell’Isola di Montecristo furono 11 e quelle per ia Tolfa ed i Vulsinii 72. In totale giorni 83 con un per- corso di km. 1750 ed una spesa complessiva di L. 1826,28. a*. A causa della missione in Libia, di cui si dirà più avanti, e del tempo che, dopo il ritorno in Italia,richiesero la redazione della parte geo - logica e idrologica della relazione e la preparazione del materiale illustrativo del quale particolarmente si occupò, l’ing. capo S. Franchi non potè appli- ‘earsi che per poco tempo al rilevamento delle Alpi, dove, fra il 138 e il 30 agosto, eseguì delle revisioni in quella importantissima zona di terreni secon- dari che cinge dal lato occidentale i terreni a facies cristallina della. grande sinclinale del Monviso e particolarmente nell'alta Val Maira, nelle tavolette 1:25900 di Monte Chambeyron, Bellino, Colle della Maddalena e di Prazzo. Per questi studi l'ing. Franchi impiegò giorni 24 con un percorso di km. 485 ed una spesa complessiva di L. 604,64. «*« Anche l’ing. €. Crema, a causa della lunga missione in Libia e di altri incarichi, di cui sarà detto più oltre, non potè destinare agli ordinari lavori di rilevamento che una piccolissima parte del tempo, dedicandosi spe- cialmente a stabilire la serie dei terreni nel versante nord della conca aqui- lana. Egli fece inoltre una breve visita al lago di Canterno per ricercare le sause del suo saltuario prosciugamento. Per questi lavori vennero complessivamente impiegate 11 giornate con un percorso di km. 251 ed una spesa totale di L. 242.65, di contro ad una spesa complessiva di L. 616.85 o-corsa per incarichi speciali come vedremo a suo luogo. PIL XL B. LOTTI I lavori della Commissione per lostudio agrogeologico della Tripolitania non permisero all’ing. Créma, come pure al prof. Parona, di prender parte ad alcune escursioni presso Foligno e al Trasimeno, compiute ‘dalla Com- missione per lo studio della formazione arenaceo-marnosa dell'Umbria su- bito dopo il Congresso della Società geologica in Aquila. +*, L'ing. C. Pilotti fece in primavera alcuni studi di confronto fra i nrodotti vulcanici della Sardegna e quelli del Vesuvio. Nel maggio si recò rell’Iglesiente, ove continuò il rilevamento delle tavolette 1:25 000 di Do- musnovas, Miniera Sa Duchessa, Miniera S. Benedetto, Fluminimaggiore e limitrofe. Il 15 maggio. mentre tornava dal lavoro, un incidente di vettura, causato da un ciclone, gli produsse la lussazione di una spalla, cosichè do- vette interrompere il lavoro di rilevamento e, dopo alcuni giorni di perma- nonza all’ospedale della Viefile Montagne in Iglesias, ritornare a Roma. L’area rilevata in questo tempo fu di ca. 50 kq., con un percorso di km. 376 ed una spesa di L. 676.38. Nell'estate eseguì alcune escursioni presso Cottanello e Piediluco nel- l’Umbria per studiare i terreni liasici di quella regione. Si recò poi nelle Marche ove continuò il rilevamento della parte orientale della tavoletta di Gualdo Tadino ed iniziò quello della tav. di Fabriano, facendo anche qual- che escursione nelle adiacenze di Serra San Quirico e San Severino Marche. Nel settembre poi prese parte, per incarico dell’ Ufficio, al congresso della Società geologica in Aquila. L’area rilevata fu 110 kq. circa con un percorso di km. 735 ed una spesa complessiva di L. 732.08. «* L’ing. L. M. Fiorentin, recatosi in Libia verso la meta d’aprile per una speciale missione, di cui sarà detto più oltre, vi rimase a disposizione dell'Ispettorato delle Opere pubbliche in Tripolitania e Cirenaica. nè ancora è ritornato in Italia. Egli non poté perciò attendere durante il 1913 ad alcun lavoro di ordinario rilevamento geologico. x*. Anche l’ing. Pullé, recatosi in Libia allo stesso scopo, non potè at - tendere ai lavori di rilevamento nella zona meridionale dell’Iglesiente. Ri- prese però le ordinarie funzioni Ci ufficio col 1° di agosto, si recò subito nel territorio dei grandi laghi lombardi per continuarvi i lavori cominciati io scorso anno, portando quasi a compimento la tavoletta di Ghiffa, dove molte gite dovettero essere tuttavia dedicate ad uno studio particolareggiato della complicata tettonica del gruppo dei Pizzoni di Laveno. Senonchè la necessità di dover limitare i fondi da dedicarsi a questa campagna in previsione deì più urgenti lavori di rilevamento nell’Iglesiente, i quali dovevano essere ri- presi durante la primavera del 1914, impose che il predetto ingegnere la- RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO GLI sciasse in tronco i suoi studi dopo un brevissimo soggiorno. Conseguente- mente l’area rilevata, data anche la natura alpestre dei luoghi, non fu che di poche diecine di chilometri quadrati. «fx L’aiutante principale M. Cassetti proseguì la revisione del rileva- mento geologico della Irpinia e della limitrofa Capitanata, da lui stesso ese- guito nel 1888-89, e precisamente del foglio 174, non che la revisione del rilevamento nel versante orientale del Majella, e compreso nel foglio 147, rilevamento eseguito molti anni fa da altri operatori. Continuò poi il rilevamento geologico dell’ Abruzzo Aquilano (tav. di Amatrice F.° 139-I) e prese parte al congresso della Società geologica tenu- tosi in Aquila nel settembre, anche allo scopo di fornire ai congressisti delle indicazioni geologiche su quella parte della regione abruzzese già da lui ri- levata. Infine fece una breve gita nelle Marche per riconoscere e delimitare i terreni che costituiscono i dintorni di Fano. In complesso si può calcolare che la superficie riveduta o rilevata dal- l’aiutante Uassetti sia stata di kq. 600 ca. impiegandovi giorni 75 con un percorso di km. 1675 ed una spesa totale di L. 1342. INCARICHI. Il sottoseritto, oltre agli incarichi permanenti come facente parte del R. Comitato Talassografico Italiano e della Commissione centrale per le si- Stemazioni idraulico-forestali e per le bonifiche, fu invitato ad assistere uffi- cialmente al congresso della Società ceologica di Aquila onde studiare com- parativamente i terreni terziari e secondari dell’Abruzzo e dell'Umbria durante le escursioni eseguite in quella circostanza. Ling. capo Aichino prese parte alle Commissioni aggiudicatrici dei con- corsi ad allievo-ingegnere, aiutante ed ufficiale d’ordine nel Corpo delie miniere. L’ing. capo Novarese fece parte di una Commissione insieme con due ispettori superiori del Genio civile, per studiare, neil’interesse dell’Ammini- nistrazione dei LL. PP., le condizioni delle cave che provvedono il mate- riale per la costruzione dei porti di Punta Penne, Ortona a Mare e Pescara sull’ Adriatico. Per incarico del Ministro di Agricoltura, rappresentò poi l’ Ufficio geo- logico nei festeggiamenti commemorativi del cinquantenario della fonda- zione del Club Alpino italiano, tacendo omaggio, in nome del Servizio geo- logico, dei fogli finora comparsi della carta geologica delle Alpi Occidentali, e XLII B. LOTTI ricordando le benemerenze, rispetto a tale carta geologica, di Sella, Gastaldi e Giordano fondatori del C. A. I. L'ing. capo Sabatini per conto del Ministero dei lavori pvbblici, esegui vari sopraluoghi per gli spostamenti di S. Donato Ninea, S. Lorenzo Bel- lizzi e Montegiordano in provincia di Cosenza e per la rotabile in costru- zione 110 nella provincia stessa. L'ing. capo Franchi, che nella primavera del 1912, quale presidente della Missione Nitti aveva eseguito un primo studio dei terreni quaternarii del territorio di Tripoli fra Gargaresc e punta Tagiura, potè proseguire lo studio degli stessi terreni nella zona costiera nei territorii di Homs, di Zliten e di Misurata fino a Taurgha ed al Capo El Arar sulla Gran Sirte, avendo fatto parte, in qualità di vice-presidente, della Commissione per lo studio agro— logico della Tripolitania, nominata dal Ministero delle colonie con. deereto del 18 febbraio 1913 e presieduta dal prof. Parona. L’ing. Franchi potè inoltre osservare il grande sviluppo che ha il Miocene (Langhiano) da lui scoperto nel 1912 al Mergheb, estendentesi sopra una vasta regione circo- stante ad Homs, nei cui dintorni immediati lungo Ja costa, insieme al prof. Pa- rona fu trovata una facies di quel terreno arenaceo-quarzitico ad Amphiope. Il Cretaceo, che è ricoperto in trasgressione dalle marne del Langhiano sempre fossilifero fino al confine di Mesellata, è riccamente fossilifero nei dintorni di Homs e di Gusbàt, con particolare sviluppo del Cenomaniano arenaceo-calcareo. I risultati principali delle esplorazioni dell’ing. Franchi, nonchè di quelle compiute in altre zone del territorio tripolino dal prot. Parona e dal- l’ing. Crema, che come si dirà più avanti faceva pure parte della Commis- sione, formarono già oggetto di una breve comunicazione preliminare alla Società geologica in Aquila, nonchè di alcuni capitoli della relazione pre- sentata dalla Commissione al Ministero delle colonie e pubblicata sul finire dello scorso anno; queste due pubblicazioni saranno presto completate con una nota che i tre geologi hanno preparato per il nostro Bollettino. L’ing. Crema prese parte, in qualità di segretario, ai lavori della R. Commissione sismica, presieduta dal senatore Blaserna, la quale a ri- chiesta del Ministero dei LL. PP. tenne una nuova sessione per l’esame di alcuni reclami e per lo studio di parecchi quesiti di massima trasmessi ad essa da detto Ministero, Negli ultimi giorni di febbraio dovette recarsi in Libia, ove si soffermò no al 31 maggio, essendo stato chiamato anch'egli a far parte della Com- missione per lo studio agrologico della Tripolitania, nominata dal Ministero delle colonie. Le sue esplorazioni ed i suoi studii si svolsero principa]lmente rc iI. zz o E RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XLIII nella grande pianura detta Gefara (esclusa la zona centrale Tripoli-Garian) e, sull’altipiano, nei territorii di Ifren e di Tarhuna. Già si disse delle pub- blicazioni destinate a far conoscere le osservazioni geologiche fatte da questa Commissione. Nella prima metà di agosto fece parte di una Commissione nominata dal Ministero delle finanze per provvedimenti ad una frana minacciante il tratturo Centurelle-Montesecco in prossimità dell'abitato di Orsogna. In conformitì di accordi intervenuti fra la Direzione del servizio e la Presidenza della Società geologica l’ing. (rema fu incaricato di compiere, d’aecordo con detta presidenza, tutte le gite occorrenti alla preparazione ed al regolare svolgimento delle escursioni da farsi in occasione del Congresso geologico in Aquila. Tali gite richiesero complessivamente 23 giorni di cui ll in luglio e 12 in settembre. In esse naturalmente non vennero mai per- dute di vista le varie questioni sollevate dal rilevamento in corso nel- l’Abruzzo e particolarmente degne di studio per la grande estensione di ter- ritorio che interessano. Sulle osservazioni fatte l’ing. Crema pubblicò già una breve relazione nel Bollettino della Societa geologica. A richiesta del Ministero della marina, in ottobre, l’ing. Crema fu man- dato a Spezia per compiere alcuni studi di ricerca d'acque per il R. Arsenale marittimo e la relativa relazione venne già presentata a detto Ministero. Infine, in dicembre, fu incaricato dello studio deile sottocorrenti della Valle di Baone (Colli Euganei), in ordine alla loro utilizzazione per l’ap- provvigionamento delìîa vicina città di Este. Questa gita richiese 4 giorni e la relativa relazione fu a suo tempo presentata direttamente a detto Mu- nicipio. Le gite occorse per questa missione e per quella relativa al Congresso della Società geologica rimasero a carico dell'Ufficio, con una spesa com- plessiva di L. 616.85; tutte le altre gravarono sui bilanei dei singoli mini- steri nel cui interesse erano state compiute. Per ragioni di comparazioni fra i terreni degli Abruzzi e quelli con- tigui dell'Umbria sui quali svolgevasi il suo lavoro di rilevamento, l’ing. Pi- lotti fu invitato ad a-sistere al Congresso della Società geologica in Aquila e a prender parte alle escursioni. Ebbe inoltre l’incarico dal Ministero d'agricoltura, industria e com- mercio di far parte della Commissione esaminatrice pei conduttori di caldaie a vapore. L’ing. Fiorentin, come fu detto, partiva per la Libia verso la metà di aprile, e per conto della Commissione agrologica, intraprendeva, in col- Jaborazione coll’Ing. Pullè, uno studio dettagliato della idrografia sotterra- nea dei dintorni di Tripoli. XLIV B. LOTTI Ampliato il programma di tali studi in seguito ad accordi presi dalla Commisione coll’Ispettore superiore delle Opere pubbliche in Tripolitania e Cirenaica, vi rimaneva per intraprendere lo studio delle falde adquifere fra la costa tripolina e il Gebel e per eseguire sistematiche esperienze di esanrimento nei pozzi dell’oasi di Tripoli, allo scopo di determinare l’in- fiuenza reciproca dei pozzi stessi, coadiuvato in ciò da altri funzionari dell’ Ispettorato delle Miniere. L’Ing. Pullè, recatosi anch’esso in Libia alla stessa data, prese parte al primo cielo di studî e ricerche sull’idrografia sotteranea, iniziando lo studio della prima falda acquifera delle oasi tripoline, coll’eseguire una serie di profili attraverso la falda mediante livellazioni del pelo d’acqua nei pozzi. In collaboraziane coll’Ing. Fiorentin, mise in evidenza la conti- nuità dello strato acquifero che alimenta i pozzi ordinari dell’oasi, facendo numerose osservazioni sulle condizioni di giacitura di questa falda, sulla portata dei pozzi, la potabilità delle acque ete. Furono fatte le operazioni preliminari per l'impianto di alcuni idro- metri registratori, ed in alcune gite di ricognizione nel Gebel furono stu- diate e misurate alcune sorgenti. Il risultato di tali studi trovasi riassunto nelle pubblicazioni della Commissione per lo Studio agrologico della Tripolitania, ed insieme alle ulteriori ricerche fatte e da farsi dal personale del R. Ufficio geologico che trovasi ancora in colonia, sarà oggetto di monografie speciali. INCARICHI STRAORDINARI. I professori P. Vinassa de Regny ed M. Gortani eseguirono, secondo il programma stabilito, una revisione generale del gruppo centrale cearnico sopratutto lungo .il crinale della catena principale estendendosi alquanto nel territorio austriaco. Il compito ad essi affidato resta così esaurito e presto avrà luogo la pubblicazione di questo importante studio che servirà di caposaldo per il futuro rilevamento normale delle Alpi Orientali. Infine anche quest'anno si affidò al prof. Prever dell’Università di Torino lo studio micropaleontologico di molti campioni di rocce special- mente appenniniche, ottenendo con sollecitudine le determinazioni relative alle sezioni sottili inviategli. Sento a questo punto di dover rivolgere uno speciale ringraziamento al prof. Parona per il suo prezioso contributo ai nostri lavori con lo studio del materiale paleontologico ehe continuamente viene da noi sottoposto al suo esame, RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XLVI PUBBLICAZIONI. Nel 1913 si pubblicarono 5 fogli della Carta geologica al 1/100 000, € cioè: Val Formazza, Domodossola, Susa, Pinerolo e S. Marcello Pistoiese. Si continuò la pubblicazione del Bollettino, la quale, invero, non pro- cedette con la voluta regolarità: alle consuete cause di ritardo essendosi aggiunto il passaggio da una ad altra tipografia, verificatosi due volte in breve volger di tempo. Ad ovviare alla troppo stridente contraddizione fra l’anno cui si rife- risce il volume e la data di pubblicazione, si decise di riunire in un sol volume, il 44m0, le annate 1913 e 1914. Ma è molto dubbio che la pubblica- zione possa compiersi nel corrente anno. Alle ragioni ordinarie che rendono lenta questa pubblicazione, quali la non sempre facile riunione del materiale e la frequente assenza da Roma degli autori, i quali non possono provvedere con la desiderata solerzia alla revisione delle bozze quando attendono ai lavori sul terreno, si ag- giungono quelle, ben più gravi di conseguenze, inerenti alle forme regola- mentari per l’assegnazione dei lavori di illustrazione. La quale vien fatta senza intervento dell’ Ufficio e quindi spesso con notevole ritardo; e, ciò che è peggio, mancando all’Ufficio stesso una diretta sanzione sugli ese—- cutori, questi facilmente trascurano i lavori nostri per attendere a quelli di altri committenti. Ciò si ripete per la tipografia: per la*quale si aggiunge il fatto che assumendo la stampa in seguito a gara, senza curarsi di verificare la dif- ficoltà del lavoro, si trova poi ad eseguirlo di mala voglia, per i prezzi rite- nuti inadeguati. LABORATORIO CHIMICO. Nella Relazione per il 1912 si accennò al provvedimento preso per aumentare alquanto la potenzialità di questo laboratorio annettendovi il dot - tore FP. Ratto del Servizio idraulico, servizio dipendente esso pure dall’ Ispet- torato delle Miniere. Non si mancò allora di rilevare che era quella una misura transitoria; ed invero fu più effimera ancora di quanto non si pre- vedesse, poichè nel novembre dello stesso anno il dottor Ratto — che nel frattempo aveva dato prova di particolari attitudini al lavoro e di grande zelo — dovette far ritorno al suo ufficio. Il laboratorio chimico rimase quindi nuovamente affidato alle cure del solo ing. Aichino, il quale è spesso distratto da altre occupazioni come vice-direttore dell'Ufficio. Permane così uno stato di cose da troppi anni deplorato ed occorre ancora insistere sulla necessità di provvedere. XLVI B. LOTTI La cosa è tanto più spiacevole quando si rifletta che qualche rimedio, sia pure parziale, potrebbe trovarsi senza aggravio del bilancio. Venendo ai lavori eseguiti durante il 1913, oltre a quelli normali su materiale presentato dai rilevatori della Carta geologica (fra cui una serie di analisi di rocce delle Apuane eseguite dal dottor Ratto), si può ac- cennare all'esame fatto di campioni provenienti dalla Tripolitania, inviato in parte dalla Commissione agrologica del Ministero delle Colonie ed in parte da funzionari del R. Corpo delle miniere colà in missione. Si ebbero pure da eseguire saggi di minerali per dichiarazioni di scoperta di miniere. BIBLIOTECA. Come nell’anno decorso la relazione sulla Biblioteca viene per ragioni contabili riferita all’anno finanziario anzichè a quello solare. In quest'anno finanziario 1913-1914 fu eseguita la scaftalatura nuova nella stanza del Bibliotecario, utilizzando tutto lo spazio delle pareti, da terra al soffitto. In questi nuovi scaffali sono state collocate tutte le opere teoriche e tutte !le monografie italiane e straniere : la costruzione della scaf- falatura in detta camera essendo stata ultimata alla metà di Maggio l’ordinamento e la compilazione del nuovo schedario riferentesi al materiale in essa contenuto non si potè ancora incominciare. Sarà un lavoro lungo che durerà parecchi anni, poichè del medesimo potrà occuparsi soltanto il Bibliotecario nei ritagli di tempo.che lasciano ad esso le altre sue occupa- zioni ordinarie. Nella sala grande, della quale fu completata la scaffalatura nell’eser- cizio finanziario 1912-1918, sono state riunite tutte le poligrafie europee ad eccezione di quelle italiane e, come può vedersi a colpo d’occhio, lo spazio rimasto disponibile non è molto e basterà soltanto agli arrivi di due o tre anni al più. Di questa sala si sta continuando il riordinamento e la compilazione dello schedario. Utilizzando i vecchi scaffali esistenti nella stanza del Bibliotecario, che furono situati nel corridoio attiguo alle due maggiori sale della Biblio- teca, in questi, ed in altri due rimasti vuoti nella stanza dei disegnatori per il trasporto di tutte le monografie europee nella sala grande, vennero sistemate le poligrafie italiane che si trovavano nelle camere dei funzionari. La compilazione dello schedario nuovo di queste poligrafie, sarà fatta appena ultimata quella delle poligrafie europee. Il collocamento di scaffali di libri nei corridoi, non è certo un bel si- stema e può accettarsi soltanto come sistemazione provvisoria. Intanto con questo ripiego si è ottenuto di togliere i libri dalle stanze dei funzionari RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XLVII rendendole completamente libere, mentre contemporaneamente si toglieva al servizio di biblioteca un grave inconveniente. Fra non molto, quando si dovrà trovare altro spazio per le poligrafie americane, bisognerà sistemare in modo migliore le poligrafie italiane ora sparse in diversi ambienti, non adatti e non esclusivamente adibiti ad uso di Biblioteca, ed allora si vedrà dove sarà possibile di collocarle. Per il materiale cartografico non si è potuto ottenere in quest'anno finanziario l'aumento di spazio che si sperava e che diventa sempre più ne- cessario per gli arrivi continui ed abbondanti. Durante l’anno finanziario 1913-1914 sono giunte alla Biblioteca 1834 _opere (volumi, fascicoli ed opuscoli) e 224 carte oltre ad 1 atlante. Questo materiale fu in parte acquistato nella misura indicata dall’an- nessa nota delle spese, ma la parte maggiore di esso è pervenuta per cambi o doni. Il valore totale di tutto questo materiale, quale risulta dalle varia- zioni fatte all’inventario della Biblioteca, è di L. 5792.61. Le riviste di Società ed Istituti scientifici pervenute alla Biblioteca si dividono secondo le lingue in: italiane 90, francesi 41, tedesche 77, inglesi 72, spagnuole 20, olandesi 1, slave 19, diverse 7. Oltre alla sistemazione di tutto questo nuovo materiale arrivato, fu- rono preparate N. 1368 schede per il nuovo schedario bibliografico, avendo così il primo raggiunto la cifra totale di 4768 schede, ed il secondo quello di 943 schede. Le spese fatte per la Biblioteca durante l’anno finanziario sono le seguenti : Per la nuova Scaffalatura . . . . . LL. 3,600.00 AC QUISTOROA LO RIA 27002992 Per N. 150 poggia libri in ferro . . >» 123.70 Per 1 cartella per carte geologiche. . >» 30.00 Per 13 etichette in ferro smaltato —. 3 8.60 Ralecat ital 231.70 Per 4000 schede AR. ) 200.00 Totale L. 6,696.92 Per quanto vi sia bisogno ancora di miglioramenti e di ampliamenti, la Biblioteca dell’ufficio geologico ha ora una sistemazione organica, come è dimostrato dalla qui unita piantina, la quale indica i diversi reparti della medesima (1), sistemazione che bisogna procurare di mantenere provvedendo in tempo utile lo spazio necessario per il materiale in arrivo, del quale si conosce oramai la quantità media annuale. (1) All'ultimo piano vi sono i due reparti per le opere di chimica e petrogratfia, è per quelle di paleontologia. XLVIII BSOLOTMI Quello che non è stato ancora possibile di attuare è un servizio rego— lere di Biblioteca, applicando il regolamento già fin dall’anno scorso prepa— rato dalla Direzione dell’ufficio. Questo servizio, porterebbe necessariamente un aumento non indifferente di lavoro da eseguire, ed in ufficio manca il personale a cui affidarlo. L'ufficiale d’ordine, recentemente assunto in servizio, il solo addetto all'Ufficio geologico, arriva appena a sbrigare tutto il lavoro ORDINAMENTO DELLA BIBLIOTECA DELL’ UFFICIO GEOLOGICO Direttore dell'Ufficio Archivio Ingresso Corridoio DE , am 1 larle geologiche e fopografiche 14 4 (a di a 3 id Ud Opere leoreliche 8 Monografie italrane e straniere 9. Poligrahe ilaliane li Partesup" 7o/igrafie dell'Africa dell'Asia e dell'Oceania Parle inf“ fo/igrafie ilohane (o 2 “ 6 8m È ordinario di seritturazione tanto dell Ufficio che della Biblioteca e non sa- rebbe nè giusto, nè pratico addossargliene ancora di più. Fin dal 1900 fu riconosciuta la necessità assoluta per l’ Ufficio geologico di avere almeno due ufficiali d'ordine e per qualche tempo li ebbe. Presentemente. l’aumentato lavoro amministrativo dell'Ufficio in generale e quello della Biblioteca in particolare, richiedono imperiosamente che all'Ufficio geologico venga ad- detto un altro ufficiale d’ordine, in sostituzione di quello che fu trasferito al RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XLIX Ministero. Ad uno di questi due impiegati verrebbe affidata la voluminosa scritturazione della Biblioteca e la distribuzione e ritiro delle opere chieste in lettura; all’altro la copiatura della corrispondenza, il protocollo, l’archi- vio, i registri del magazzino e l’inventario particolareggiato delle collezioni, che non esiste ancora per mancanza di personale. Fino a tanto che non vi sarà un impiegato speciale per la consegna ed il ritiro dei libri chiesti in lettura, il lungo e faticoso lavoro di riordinamento e compilazione dei nuovi schedari, che sta facendo il Bibliotecario, non por- terì i suoi frutti e sarà impossibile disciplinare questo importante servizio. Occorre tener presente che questa nostra Biblioteca è unica in Italia per il materiale scientifico che contiene, perchè solamente in essa è accolto tutto quanto si pubblica nel mondo intiero sulle scienze geologiche ed affini ed essa costituisce ormai un patrimonio dello Stato di inestimabile valore e che deve ad ogni costo esser conservato ed accresciuto. COLLEZIONI. Nelle collezioni geologiche e paleontologiche oltre all'incremento ordi- nario in relazione col progredire normale dei rilevamenti, vi è da segnalare l'importante aggiunta di materiale raccolto in Tripolitania nella primavera del 1913 dalla Commissione agrologica della quale già si è altrove parlato. Sono rappresentati in detto materiale tutti i terreni esistenti nella zona esplorata dal Trias al Quaternario: quest’ultimo però comprende propor- zionatamente un assai maggior numero di campioni data la sua speciale importanza dal punto di vista della colonizzazione. Provvisoriamente tutti questi saggi verranno collocati in due ampii scaffali nella galleria di ingresso al III piano Per le collezioni dobbiamo ripetere quest'anno ciò che fu detto l’anno decorso; dobbiamo cioè lamentare di nuovo l’insufficienza dello spazio che, pel costante aumento del materiale raccolto a corredo della carta geologica, diviene ogni anno sempre più imbarazzante, e la mancanza assoluta di per- sonale di servizio che assista chi è preposto all'ordinamento ed alla conser- vazione del materiale stesso. Questo stato di cose, cui non si è potuto finora apportare un rimedio, deve esser segnalato a scanso di responsabilità per parte di quest’ufficio che non ha mai mancato d’insistere sulla necessità ed urgenza di un provve- dimento. L B. LOTTI PROGRAMMA DEI LAVORI DI RILEVAMENTO E DELLE PUBBLICAZIONI DA ESEGUIRSI NELL’ANNO 1914-15. RILEVAMENTI. Il programma dei lavori di campagna deve essere elaborato in accordo coi limiti in cui è contenuto il fondo assegnato alle trasferte per le escursioni. Questo fondo che, come fu detto più sopra, fu di L. 16.000 per l’eser- cizio 1912-13 fu ridotto a L. 12.000 per quello che sta per scadere, nè è lecito sperare che possa essere aumentato per l’esercizio venturo. Ora, questo fondo non permette una media maggiore di 50 giorni di trasferta per ciascun operatore, compresi i giorni di viaggio e di prepara- zione che per l'Alta Italia e la Sardegna sono almeno quattro fra andata e ritorno. Occorre tener presente che al maggior numero dei nostri operatori, per antica consuetudine, viene assegnato un doppio compito in rapporto alla stagione più adatta pel rilevamento di certe regioni. Così l’ing. Zaccagna attendeva alternativamente al rilevamento delle Prealpi Bergamasche e a quello della Liguria orientale ; l’ing. Novarese insieme all’ing. Pullé a quello delle Alpi Occidentali e Centrali e a quello della Sardegna; l’ing. Crema a quelle dell'Abruzzo Aquilano e a quello del Lazio orientale; l’ing. Pilotti a quello delle Marche, di parte dell'Umbria (quest’ultimo insieme con lo scrivente) e della Sardegna; l’aiutante principale Cassetti, cui era affidato specialmente un lavoro di revisione, dedicava a questo parte del tempo nella Irpinia e nella Capitanata, parte nella regione orientale della Maiella, pur compiendo un poco di rilevamento ex novo nei dintorni di Fano e di Fossombrone nelle Marche. Per meglio utilizzare il lavoro di questi operatori, in relazione ai mezzi disponibili, sembra ora opportuno di concentrare la loro attività in una sola regione ed in quella precisamente dove, sia per le esigenze scientifiche generali del lavoro, sia per il completamento dei fogli da pubblicarsi, sia infine per giuste sollecitazioni in rapporto alle nostre industrie minerarie, lo studio geologico ed il rilevamento è ritenuto più necessario od urgente. In quest’ultima categoria devesi porre il rilevamento geologico dello Igles:ente reclamato da molto tempo e finalmente iniziato nella primavera del 1912 ad opera degli ingegneri Novarese, Pilotti e Pullé i quali compierono un lavoro lodevolissimo di orientamento per stabilire ia serie dei terreni, studio che il Novarese ha riassunto in un’importante nota preliminare nel nostro Bollettino e che servirà di caposaldo per procedere con facilità al dtt trai RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO LI rilevamento della Sardegna sud-occidentale ove si concentrano le nostre industrie minerarie. Ma se il personale fu adeguato allo scopo, tali non furono i mezzi messi a disposizione di essi, tantochè dopo tre anni il rilevamento dell’Iglesiente trovasi ancora all’inizio e mentre l'Associazione Mineraria Sarda si è mo- strata soddisfatta dei risultati scientifici ottenuti dai nostri operatori, ri- producendo per esteso nei suoi atti la relazione del Novarese, non sembra esserlo altrettanto per la lentezza con cui procede il lavoro. Il Presidente di questa spettabile associazione infatti nella seduta straor- dinaria del 15 marzo decorso, dopo aver comunicato di avere scritto allo Ispettore Capo del R. C. delle Miniere per aver notizie riguardo al rileva- mento geologico dell’Iglesiente, rimasto sospeso da circa un anno, aggiunge che « considerate le difficoltà «li natura prevalentemente finanziaria, sino ad ora mostratesi quasi insormontabili, che si oppongono per ottenere un rilevamento fatto dall’Ufficio geologico, rilevamento che corrisponderebbe alle massime aspirazioni della Società, ha creduto opportuno di rinnovare il voto che, almeno per ora, si affidi all'Ufficio minerario d’Iglesias, il com- pletamento della carta geologico-mineraria dell’Iglesiente ». L'ispettore capo comm. Baldacci rispose giustamente rassicurando che il rilevamento dell’Iglesiente non era stato. sospeso, ma soltanto rallentato per essere stata una parte del personale chiamata ripetutamente in Libia e che era ferma intenzione della Direzione del servizio che il rilevamento geo- logico della Sardegna e quello geologico-minerario dell’Iglesiente venissero attivamente e presto ripresi. Con tutto ciò l'Associazione restò ferma nell’opinione che e malgrado le buone intenzioni deil’Ispettore Capo delle Miniere e malgrado l’interes- samento preso dagli ingegneri dell’Ufficio geologico inearicati del rileva- mento in questione, vi saranno sempre degli ostacoli che impediranno il raggiungimento di uno dei suoi più antichi ed importanti voti », e l’assem- blea deliberò la nomina d’una Commissione” « la quale dovrà rivolgersi di presenza al Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio per dimostrare l’importanza e la necessità che il rilevamento geologico-minerario dell’Igle- siente non venga ritardato più oltre, ma ripreso e condotto a termine senza ulteriori interruzioni ». Di fronte alle date assicurazioni ed alla insistenza delle richieste è in- discutibile la necessità di dedicare un notevole maggior lavoro al rileva- mento dell’Iglesiente e poichè le disponibilità del nostro fondo per le tra- sferte non potranno essere aumentate sarà necessario sospendere il lavoro in altre regioni per concentrarlo in Sardegna. TI » Se Po POT — Va pr a Me heal ene a _* i P i LII i B. LOTTI E’ in base a queste considerazioni che io sottopongo al giudizio della Direzione del servizio e del Comitato il seguente programma: Alpi. — Delle Alpi sono stati finora pubblicati 9 fogli, cioè: Val For- mazza, Domodossola, M. Bianco, Aosta, M. Rosa, Gran Paradiso, Ivrea, Susa e Pinerolo; sono in corso di stampa quelli di Oulx e di Cesana, e sarebbero ora pronti per la pubblicazione, essendo già rilevati e disegnati alla scala di 1:100.000, quelli di Biella, Varallo, Argentera, Dronero, Demonte, Boves, S. Remo e Porto Maurizio,che fanno seguito a nord e a sud a quelli già pubblicati. È Siccome però, secondo gli autori del rilevamento, prima di procedere alla Joro pubblicazione, sarebbe necessario di rivedere alcuni punti, si pro- pone di procedere subito a questo lavoro di revisione per aver pronto il materiale necessario onde proseguire l’opera di pubblicazione che altrimenti dovrebbe essere interrotta . Poichè il maggior lavoro fu compiuto in questi fogli dall’ing. capo Franchi, sarà ad esso assegnato il compito suddetto col mandato preciso di procedere prima alle revisioni sui tre di Biella, Varallo e Dronero, contigui a quelli già pubblicati,'e poi, se ne avrà il tempo, su quelli di Demonte, Boves e S. Remo. Si proseguirà in estate per parte dell’ing. capo Novarese il rilevamento dell’alta Valcamonica, mentre verrà sospeso, finchè non si abbiano maggiori assegni in bilancio, quello dell’ing. Pullè nella regione dei laghi. Liguria. — L’ing. capo Zaccagna continuerà il rilevaniento della Li- guria orientaie. Umbria. — Il sottoscritto proseguirà e forse porterà a termine il rileva- mento delle tavolette di Massa Martana e di Bevagna nell’ Umbria. Vulcani dell’Italia Centrale. — L’ing. capo Sabatini estenderà lo studio dei vulcani Vulsinii nei dintorni di Capodimonte e di Canino. Abruzzi. — L’ing. Crema proseguirà il rilevamento della regione com- presa nelle tavolette di Aquila, Antrodoco, Borgocollefegato e Fiamignano. Molise e Campania. — Dall’aiutante principale Cassetti saranno por- tate avanti le revisioni nella Campania. Egli porterà a termine quelle, man- canti solo in piccola parte, del foglio 173 ed eseguirà quelle delle due ta- volette di M. Carvino Rovella e Calabritto del foglio 186, i quali fogli fanno seguito mspettivamente a quelli gia pubblicati di Caserta e Salerno. Sardegna. — Al rilevamento dell’Iglesiente oltre agli ing. Novarese, Pilotti e Pullé sarà applicato anche l’ing. Fiorentib. La campagna in Sardegna sarà divisa fra l'autunno e la primavera e sarà complessivamente di almeno 70 giorni per gli ingegneri Pilotti, Fiorentin e Pullè, e della metà per l’ing. capo Novarese, dovendo questi dedicare una parte del suo tempo al rilevamento delle Alpi come fu detto. RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO LIII PUBBLICAZIONI. Pel prossimo anno finanziario 1914-15 si prevedono le seguenti pub- blicazioni: 1° I due fogli alla scala di 1:100.000 di Oulx e Cesana Torinese e Chiavari già in corso di stampa e quelli di Spezia e Massa; 2° Le 11 tavolette alla scala di 1: 25.000 della zona marmifera delle Alpi Apuane: 3° La carta geologica alla scala di 1: 15,000 della città e dei din- torni di Roma; 4° Si inizierebbe la pubblicazione della carta geologica d’insieme alla scala di 1: 250,000 coi fogli di Siena e Rema; 5° I volumi XVI e XVII delle Memorie Descrittive contenenti rispet. tivamente « Le Miniere di Mercurio » del M. Amiata dell’ing. capo C. De Castro e l «Idrografia sotterranea della valle del Po » del prof. ing. A. Stella. Del primo di questi si sta ormai facendo la tiratura e vedrà forse la luce prima della fine del corrente esercizio; 6° Sarà inoltre pubblicato 1° 8° supplemento del catalogo della Bi- blioteca; 7° Un’altra pubblicazione sarà infine quella della memoria illustrativa del Gruppo centrale carnico che sarà accompagnata da un appendice pe— trografica, da due carte geologiche alla scala di 1: 50.000, da 3 o 4 cartime 1: 25.000 delle località più interessanti, da una tavola di sezioni e da varie tavole in fototipia. ID Direttore dell’ Ufficio B. LOTTI. SOMMARIO DEL FASCICOLO Ap ISSELI Igino. Cocchi (necrologia). Note originali. —I.- B. Lorm: Relazione il cignas geologica del 1y12.— Il, — V. Novarese: Il rilevamento geologico delle tavo- lette di Iglesias e di Nébida, — TIL - P. MopERNI: Note geologiche | sulla catena dei Lepini e degli Ausoni e sul promontorio Circeo. Bibliografia geologica italiana per il 1912. Parte ufficiale. — R. Comitato geologico: Nomine; Verbale della adunanza. sel 2 Giugno 1913, i ROMA ; s TIPOGRAFIA, DITTA LUDOVICO CECCHINI 1914 | ELENCO LATE DEI COMPONENTI IL COMITATO. E L'UFFICIO GEOLOGICO (Gennaio 1914) KR. Comitato geologico. IsseL ARTURO, prof. di. geologia, R. Università di Genova, Presidente. BassanI FRANCESCO, prof di geologia,-R. Università di Napoli. —. CERMENATI MARIO, Deputato al Parlamento, prof. di storia delle. scienze DARI, R. Università di Roma. | De LoRENZO GIUSEPPE, prof. di geografia fisica, R. Università di Napoli. ‘DI STEFANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università di Palermo. MazzuoLI Luco, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere; in riposo. PARONA CARLO FABRIZIO, prof. di geologia, R. Università di Torino. STRUÙVER GIOVANNI, prof di mineralogia, R. Università di Roma, TARAMELLI ToRQuATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. BaLpacci Luigi, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. LorTI BERNARDINO, Ing. Capo del R. Corpo delle. Miniere, Direttore del so Ufficio | geologico. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: Ing. BALDACCI LUIGI, predetto. R. Ufficio geologico : È | LOTTI BERNARDINO, diret-|} > CASSETTI MICHELE. tore dell'Ufficio. Aiutanti -\ TISSI ENRICO. MoDERNI PoMPEO, biblio= ZACCAGNA DOMENICO. , principali £ G TN tecario. ICHINO GIOVANNI; Nes. L pi i ; USWERGH CESARE (a CARL direttore dell'Ufficio. (a). Novak NATO Archivisti { CozzoLINo FILIPPO. i RR VARSTRINO disegnatori f AURELI AMEDEO. i I»7. i . "SARE, x È i E FRANGHI SECONDO. Ufficiale d'ordine: CHELOTTI GIUSEPPE. SPARVOLI VINCENZO (pre- paratore presso il labora- CREMA CAMILLO, torio chimico-petrogra- . | PiLoTTI CAMILLO. Uscieri (fico). Ingegneri ; L FIORENTIN LUIGI. FRANCESCONI LUIGI. \ PULLÉ GUIDO. | SALVATELLI FILIPPO, | (a) Distaccato presso l'ufficio tecnico per)a costruzione ilella nuova sede del Ministero di Agricoltura, La sede del R. Urricro GroLogIico è in Roma, Via S. Susanna, n. 13. VA cat OI De SV” DET A PIE 0 I d RECENTI PUBBLICAZIONI del R. Ufficio geologico | Carta geologica d'Italia alla scala di 1:000.000: Foglio N, 5 (Val Formazza) PIZZO SE 2,50 23 - » 15 (Domodossola). » : - ; ic) 450 ZA: >» 55 (Susa) » Fic DADO “> 67 (Pinerolo) SS 1 AO » 97 (S. Marcello Pistoiesè) > —. a aa i E = CRE DO, ; - Abbonamento annuo al ‘Bollettino sì per Italia, L-8; per l'estero, 1.10. = DILLO Prezzo del volume L. 10; del fascicolo IL, 2,50. ‘Per l'acquisto delle pubblicazioni del IR. Ufficio geotogico ‘rivolgersi: alla ditta Fratelli Treves; ed all'Istituto geografico De Agostini (Novara, Roma). | CES. i - Anni 1913-1914 — Pase. 2°, ; Y == ; di | ‘SOMMARIO DEL FASCICOLO C. F. Parona : Dante Pantanelli (necrologia). \ Note originali. —I.- F. Bassani: Sopra un pesce fossile degli scisti cal-_ } careo-marnosi triassici del Galletto presso Laveno sul Lago Mag- LORA giore. —II. - B. Lorm: La trachite quaternaria della Tolfa e i feno- ; meni metallogenici adh'essa collegati. — III. - C. F. Parona: Notizie ) | paleontologiche sui terreni attraversati col pozzo trivellato della ; Semola di Agricoltura presso Tripoli. — IV.-V. SagarINI: Gli ultimi. || , I Fg PI risultati sullo studio della catena dei Puys:d’Alvernia, con conside- ì le razioni sulla prismazione delle lave. — V. - H, Simoromal: Ricerche PLAZA morfologiche sulla conca di Bolsena, con prefazione di V. SABATINI. ni ‘|| Bibliografia geologica italiana per il 1912. Continuazione. ERI LIDO 00 Parte ufficiale. — Appendice alla Relazione per i] 1912; Verbaledella. || MRI DUTY LESUL riunione dell’ $ Giugno 1914 del R. Comitato geologico; Relazione | Rd Kali '.. della Direzione. Io n Au o TOR VI \ ROMA TIPOGRAFIA DITTA LUDOVICO CECCHINI 1914 ELENCO DEI COMPONENTI IL COMITATO E L'UFFICIO GEOLOGICO (Ottobre 1914) IR. Comitato geologico. IsseL ARTURO, prof. di geologia, R. Università di Genova, Presidente. ‘BASSANI FRANCESCO, prof. di geologia, R. Università di Napoli. CERMENATI MARIO, Deputato al Parlamento, prof. di storia so scienze naturali, R. Università di Roma. DE LoRENZzO GIUSEPPE, Senatore, prof. di geografia fisica, R. Università di Napoli. DI STEFANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università di Palermo. MazzuoLi Lucio, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, in riposo. PARONA CARLO FABRIZIO, prof. di geologia, R. Università di Torino. STRÙVER GIOVANNI, prof. di mineralogia, R. Università di Roma. TARAMELLI TORQUATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. Il Presidente della Società geologica italiana. BaLDACcI LuIGI, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. MAzzETTI Lopovico, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma, LoTTI BERNARDINO, Ing. Capo del R. Corpo delle Miniere; Direttore del R. Ufficio geologico. SA Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: Ing. BALDACCI Luigi, predetto, R. Ufficio geologico : LOTTI BERNARDINO, diret- CASSETTI MICHELE. tore dell'Ufficio. Ridiani Tissi ENRICO. ZACCAGNA DOMENICO prin ipali MODERNI POMPEO, biblio- Le incipali Ineri capi | AIOHINO GIOVANNI, vice- i 8 p direttore: dell'Ufficio. . LuswERGH CESARE (a). NOVARESE VITTORIO. Archivisti { CozzoLINo FILIPPO. SABATINI VENTURINO. disegnatori £ AURELI AMEDEO. \ FRANCHI SECONDO. Ufficiale d'ordine: CHELOTTI GIUSEPPE. SPARVOLI VINCENZO (pre- Ul ; OREMA CAMILLO, paratore presso il labora- TARICCO MICHELE. dn torio chimico-petrogra- Ingegneri ‘ PILOTTI CAMILLO. Uscieri fico). FIORENTIN LUIGI. FRANCESCONI LUIGI. | PULLE GUIDO. SALVATELLI FILIPPO. (4) Distaccato presso l’ufficio tecnico per]a costruzione della nuova sede del Ministero di Agricoltura., La sede del R. UrFIcio GEOLOGICO è in Roma, Via S' Susanna, n. 13. 2 i ear un eg ate Re ALE RECENTI PUBBLICAZIONI del R. Ufficio geologico Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia. Vol. XVI. — Le miniere di mercurio va Manto Anlala, di C. De CASTRO, ERENCIRI Capo nel Carta geologica d'Italia alla scala di 1: 000. D00: (cf Foglio :N.'94 (Chiavari), PreZz0 il, SRI A Abbonamento annuo al “ Bollettino sì per I Italia, L. 8; per Naso Di 10, Prezzo del volume L. 10; del fascicolo si se 00 Anni I9I81918 - Fase. D OLLETTINO . SOMMARIO DEL. FASCICOLO. | Note originati. — I.- P. Toso: Contributo allo studio dei giacimenti | cinabriferi del Monte Amiata. — II. - D. Lovwisaro: Undicesimo “ contributo echinodermico con nuove specie di Cypeaster del Mio- .cene medio sardo. — III - B. Lorti: Sulla questione del terziario dell'Umbria. —'IV.- V.Novaress: Il Quaternario in Val d'Aosta e nelle valli del Canavese. — V.- V.Sagatrini: Note sul terremoto di Linera dell’ $ maggio,19114. — VI.= P. Vixassa pe REGNY! Ordo- | viciano e Neosilurico»nei gruppi del Germula e di Lodin. — VII. - M.Gorrant: Revisione del rilevamento geologico nel nucleo cen- trale carnico. = VIII, = V. SagaTINI: La dislocazione del Giglio. — IX.- C. CREMA: Osservazioni geologiche nei dintorni di Cagnano | Varano (M. Gargano). — X. = G. PurLf: Il pozzo trivellato di Soleminis (cireondario di Cagliari). Mo ROMA | TIPOGRAFIA DITTA LUDOVICO CECCHINI Ò 1915 (Aprile 1915) R. Comitato geologico. ISseL ARTURO, prof. di geologia, R. Università di Genova, Presidente. BassanI FRANCESCO, prof. di geologia, R. Università di Napoli, CERMENATI Mario, Deputato al Parlamento, prof. di ODE dele scienze naturali, : R. Università di Roma, = DE LoRENZO GIUSEPPE, Senatore, prof. di geografia fisica, R. Università di Napoli DI STEFANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università-di-Palermo. ì MazzuoLi Lucro, Ispettore superiore del R, Corpo delle Miniere, in riposo. PARONA CARLO FABRIZIO, prof. di geologia, R. Università di Torino. TARAMELLI TORQUATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. — Il Presidente della Società geologica italiana. unta BaLpaccIi Luci, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma, -MAZZETTI Lopovico, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. LoTTI BERNARDINO, Ing. Capo del R. eu delle Miniere, Direttore del-R. Di geologico. % Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: Ing. BALDAGCI Luigi, predetto. R. Ufficio geologico :- / LOTTI BERNARDINO, diret- CASSETTI MICHELE. tore dell'Ufficio. | Ajutanti )Trssr EnRICo. ZACCAGNA DOMENICO. principali ) MoDERNI PoMPEO, bibli Ingi capi < SEDI TARE vice | . tecario. NOVARESE VITTORIO. PASS ; STRATI N TRINO: | disegnatori f AURELI AMEDEO. FRANCHI SECONDO. ‘| Ufficiale d'ordine: CHELOTTI GIUSEPPE. Archivisti $ CozzoLINo FILIPPO. - | “SPARVOLI VINCENZO. (pre- J t) CREMA RBDILO “paratore presso il labora: TARICCO MICHELE, torio re pg : Ingegneri ‘ PILOTTI CAMILLO. ! Uscieri fico). FIORENTIN LUIGI. ì FRANCESCONI LUIGI. |. _ PuLLÈÉ GUIDO, SALVATELLI FILIPPO. — n La sede del R, UrFIcIio GEOLOGICO è in Roma, Via S. Susanna, n. 13, v RECENTE PUBBLICAZIONE del R. Ufficio geologico . (8 È . Memorie Arseritive della Carta geologica d'Italia. Vol, ‘XVI, — Le miniere’ di mercurio del Monte Amiata, di C. DE CASTRO, Ingegnere Capo nel R. Corpo delle Miniere. — 1 vol. di em. 19x27, pag. 207, con XV tavole” D. 6 6 de - Abbonamento annuo al Bollettino sì per l'Italia, L, 8; per l'estero, L. 10. e Prezzo del volume L. 10; del fascicolo L. A i | Per l'acquisto delle Livonia del R. Ufficio Peologico rivolgersi: alla ditta Fratelli Ti ‘eves; ed all’Istituto dporaner De Agostini (Novara, Roma). ALI (4° della Serie V°) A Anni 1918-1914 — Fase. 4°. SOMMARIO DEL FASCICOLO F. ZaMBONINI: G. Stritver (Necrologia). Note originali. — I. - D, Zaccagna: I dintorni di Brescia e la Pietra del Botticino, — II. - V.Sagatini: L'eruzione di Sakurajima del gennaio 1914, — III. - M, CassertI: Appunti geologici su alcune regioni della Capitanata, dell’ Irpinia e dell'Abruzzo Chietino ed Aquilano, Bibliografia geologica italiana per il 1912. Continuazione e fine. s ‘ROMA TIPOGRAFIA DITTA LUDOVICO CECCHINI 1915 ELENCO Be DEI COMPONENTI IL COMITATO E L'UFFICIO GEOLOGICO (Aprile 1915) R. Comitato geologico. IsseL ARTURO, prof. di geologia, R. Università di Genova, Presidente. BASSANI FRANCESCO, prof. di geologia, R. Università di Napoli. E: CERMENATI MaRIo, Deputato al Parlamento, prof. di storia delle scienze naturali, R. Università di Roma, Si DE LoRENZO GIUSEPPE, Senatore, prof. di geografia fisica, R. Università di Napoli, — DI STEFANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università di Palermo. si MazzuoLI Lucio, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, in riposo. SS ParoNA CARLO FABRIZIO, prof. di geologia, R. Università di Torino. E° TARAMELLI TORQUATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. Ti ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. Il Presidente della Società geologica italiana. BaLpAccI Luci, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. — MAZZETTI Lopovico, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. LortI BERNARDINO, Ing. Capo del R. Corpo delle Miniere, Direttore del R. Ufficio 5 geologico. A Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: Ing. BALDACCI LuIGI, predetto. R. Ufficio geologico: | LOTTI BERNARDINO, diret- | CASSETTI MICHELE. tore. i . Aiutanti } Tissi ENRICO. n: ZACCAGNA DOMENICO. | principali ) MopERNI PoMPEO, biblio S Ing. capi o GIOVANNI, vice-| tecario. Db: % direttore. Rao È [aos a ar rina ò | Archivisti $ CozzoLiNo FiLIEPO. cd N AUS A U . I =, ) o, è disegnatori { AURELI AMEDEO. ù | SABATINI VENTURINO. ia Ro” = % | FRANCHI SECONDO. Ufficiale d'ordine: CHELOTTI GIUSEPPE. SPARVOLI VINCENZO (pre paratore presso il labora: torio chimico-petrog | CREMA CAMILLO. Uscieri | fico). n TARICCO MICHELE. Ingegneri ‘< PILoTTI CAMILLO. FIORENTIN LUIGI. PuLLÉ GuIpo. FRANCESCONI LUIGI. \ SALVATELLI FILIPPO. La sede del R. Urricio GroLoGICO è in Roma, Via S. Susanna, n. 18, È RECENTI PUBBLICAZIONI del R. Ufficio geologico con 10.tavole . Carta geologica d'Italia alla scala di 1:000,000: Foglio-N:54{0U0D:-3: 338 REED! di 3.»°66-(Gesana Torinese) {ie au A. VERRI. Abbonamento annuo al “ Bollettino ..: per l’Italia, L.8; perl Prezzo del volume L. 10; del fascicolo L. 2,50. Per l'acquisto delle pubblicazioni del R. Ufficio geologico rivolgersi : Fratelli Treves; ed all'Istituto geografico De Agostini (Novan È ai - x _ PR ,* A w e 2 i < 3 - = ni n Pe 4 4 i È p -. È 3 1 Lr n > +S s : * È : Rare } Dx È - . ) { - : 2 5 î 3 : = = U o Ù c CI < 5 E È . 1 - . > + I \ - î 3 4 È = ax A “Neg AT A MAIO / si pa N I AMNH LIBRARY LULU 100209027 Ù tav 848 MILICI VOCI vi MILIZIC] Page DODICI è » srelera o velalalaa a0atg CI DIL ICIOIOO .