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DELL'ISTITUTO STORICO

ITALIANO

N.° IL

ROMA

SEDE DELL'ISTITUTO PALAZZO DEI LINCEI, GIÀ CORSINI,

ALLA LUNGAKA

189

APR 8196

Roma, Forzarli e C. tip. del Senato.

CONTENUTO DEL FASCICOLO

Ricerche intorno all'« Anonimus Valesianus II » , per C. Ci- polla pag. 7

Il « De situ urbis mediolanensis » e la Chiesa ambrosiana NEL SECOLO X, per L. A. Ferrai

RICERCHE INTORNO AIA^'ANONYMUS VALESIANUS II

I primi appunti per la compilazione di questo articolo risal- gono al 1883. Cosi come ora si trova, venne da me terminato l'ultimo di aprile del corrente anno 1891, siccome dice la data che leggesi in calce. E voglio qui rilevarla, perchè essa indica eh' io lo scrissi avanti venisse alla luce il primo tomo dei Chronica minora del Mommsen. Avvenuta questa pubblicazione, me ne giovai particolarmente per la descrizione del più antico mano- scritto àQWAnonymus, e per la cognizione del testo tramandatoci dal medesimo.

Circa il valore del codice Vaticano-Palatino, per la restitu- zione critica del testo dell'antico opuscolo storico, il Mommsen giunse a risultati che si accordano quasi interamente coi miei ; nonostante che, da questo lato, al mio lavoro fosse tolta buona parte della sua ragione di essere, non mi decisi tuttavia a sop- primerlo. Mi auguro che il lettore non trovi inutile una dichia- razione più ampia e particolareggiata delle relazioni che corrono tra i due più antichi codici contenenti l'aneddoto.

Le altre due parti del mio scritto, in cui parlo delle Histo- riae impcriales di Giovanni Diacono, dove è utilizzato V Anonymus VaUsìiuiiis, e dell' intima condizione del testo di quest'ultimo, non si trovano distaccate dalla prima parte, la quale serve ad esse quasi di introduzione.

e. CIPOLLA

Non è senza esitazione ch'io abbandono al pubblico le mie congetture sulla natura dQll'Anonymus, e sulla possibilità di riordi- narne i diversi brani. Qualunque giudizio possa venir proferito intorno alle mie supposizioni, mi terrò contento se le mie parole potranno almeno riuscire utili, col sollecitare altri fra noi a far meglio.

Verona, i8 agosto 1S91.

Carlo Cipolla.

PS. Seguendo il metodo adottato per le Fonti, indicheremo colle lettere A e B la colonna prima e seconda del retto, colle lettere e e d la colonna prima e seconda del verso dei fogli del codice Veronese delle Historiae iin- periales di Giovanni Diacono.

I.

Introduzione.

Il codice Meermann-Phillips (ora Berlinese) e il codice Veronese-Vaticano.

Sotto il nome di Anonymus Vaìesìanus siamo usi intendere un esteso aneddoto storico, che solitamente, nelle stampe, fa seguito ai Libri storici di Ammiano Marcellino. Lo pubblicò per la prima volta, nel 163^, Enrico Valois; una nuova edizione ne pro- curò nel 1^81 Adriano Valois, e dal nome appunto dei primi editori l'autore di quell'aneddoto fu nominato Anonymus Vaìesìa- nus. Quando si avvertì che quell'opuscolo si doveva dividere in due parti, da attribuirsi a due autori diversi, il nome di Ano- nymus Valesianus rimase fermo, e soltanto si distinse un Anony- mus I da un Anonymus IL

Per verità l'opuscolo si compone di due parti, sentitamente diverse l'una dall'altra. La prima comprende i capi 1-35, e la seconda i capi 3^-96. Portano nell'antico manoscritto le due parti un titolo diverso. Anche nelle vecchie edizioni (^^ avevamo il titolo della seconda parte : Item ex libris Chronicorum Inter cetera, quantunque si ommettesse il titolo della prima parte, o, per megUo dire, se ne facesse, modificandolo, il titolo

(i) Ho sott'occhio tanto quella di Adriano Valesio, Parisiis, 1681 (cf. ivi, a p. 662), quanto quella del 1636 di Enrico Valesio, nella quale, a dif- ferenza che in quella di Adriano, si legge : « Et post multa quae nihil scitu « dignuni continebant, sequebantur haec in ms. ». 1*

IO e. CIPOLLA

dell' intero opuscolo ; del che avremo occasione a dire più diffu- samente in seguito. Anzi, Enrico Valesio aveva notato che nel manoscritto da lui adoperato, tra la prima e la seconda parte del- l'opuscolo, stavano molte cose, ch'egli aveva trascurate, come quelle che nulla presentavano che fosse degno di pubblicazione. Che cosa fossero queste molte cose, lo si imparò solo negli ultimi anni, quando l'antico manoscritto, che si temeva perduto, fu nuovamente trovato e studiato.

La prima parte dell' Anonynius illustra sopra tutto la vita di Co- stantino, mentre la seconda riguarda la caduta dell' impero di Occidente e i regni di Odoacre e di Teoderico.

Fino a questi ultimi anni, bisognava star contenti alla lezione tradizionale, poiché il codice che aveva servito alle edizioni Va- lesiane si era occultato. Era un antico manoscritto che, proba- bilmente da Metz, era passato a Parigi; quando lo studiò Enrico Valois, esso si trovava nel collegio dei gesuiti a Parigi, cioè nel- l'illustre collegio Claromontano ('). Era stato nelle mani del ce- lebre Giacomo Sirmond, che lo comunicò ad Enrico Valesio, come quest'ultimo dichiara in calce alla prefazione. Dispersa nel 1764 la biblioteca di quel collegio, andò anche il nostro codice smarrito e fu perduto di vista, fino a che il Pertz n'ebbe per primo contezza, e lo trovò in Inghilterra. Il codice era passato dapprima nella collezione di Giovanni Meermann al- l'Aja, donde, per acquisto, giunse in possesso di sir Thomas Phillips, a Middlehill; per disposizione testamentaria del PhilUps venne quindi in proprietà del rev. John E. A. Fenwick, di Cheltenham presso Glocester, dove lo esaminò il prof. Francesco Rùhl (^), che ne rese conto al pubblico nel 1875. Nel suo ar-

(i) Per la storia del codice cf. C. Zangemeister, Zum Anonymus Valesianus in Rhein. Mus. XXX, 310, nota, e Th. Mommsen, Chronica mi- nora, Berolini, 1891, I, 3.

(2) Ueb&r den Codex Meermannianus des Anonymus Valesianus in Ada societatis philol. Lipsiensis, Lipsiae, 1875, IV, 368 sgg. Il codice nella colle- zione Meermann portò il n, 794, in quella di Phillips il n. 537, e in quella di Fenwick ebbe il n. 1885. Quest'ultimo numero è ora conservato nella Berolinense.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 1 1

ticolo egli descrive diffusamente il codice, accennando a tutto il suo contenuto. Certo egli non ne dice tutto quello che desi- dereremmo saperne; ma intanto è a tenere molto conto delle sue comunicazioni. Dobbiamo infiuti essere debitori al Riihl, erudito molto conosciuto nel campo degli studi sull'alto medio evo, e più precisamente sull' età barbarica, se noi per la prima volta abbiamo potuto formarci un concetto sufficientemente esatto in- torno al contenuto di quel manoscritto. Insieme col manoscritto contenente ì'Anonymus, il quale nella biblioteca Claromontana portava il n. DCLXXX, nella biblioteca stessa esisteva, sotto il n. DCXXVII, un altro codice, che in origine faceva un tutt'uno col primo. Alcuni fogh di quest'ultimo manoscritto passarono a Pietroburgo, mentre i rimanenti ebbero col codice DCLXXX comuni le vicende.

Nel 1887 da Cheltenham il manoscritto Claromontano DCLXXX, insieme coi fogli colà esistenti dell'altro manoscritto, passò alla bibUoteca reale di BerHno. Teodoro Mommsen esa- minò di persona i manoscritti di Cheltenham, e ottenne da Ba- silio Latyschew la descrizione delle pagine PetropoHtane; diede per tal modo (') una estesa descrizione dei tre brani sopravanzati del codice primitivo, perfezionando e compiendo le descrizioni fatte dai precedenti eruditi.

Il manoscritto contenente VAnonymus (cioè il Claromontano DCLXXX) è un codice membranaceo del ix secolo.

Esso è una miscellanea storica, nella quale stanno cuciti, l'uno appresso all'altro, parecchi brani estratti da varie fonti, che, nel loro insieme, comprendono una specie di storia universale. Fonti al compilatore di tale miscellanea sono specialmente Isidoro, lordanis, Paolo Diacono &c. Le due parti dell' Anoìtymus Vale- sìanus sono due anelli di questa.

Il codice, lo disse, non è completo. Appartenne, lo ve- demmo, alla collezione PhiUips, dalla quale passò alla biblioteca Fenwick e ora alla BeroHnense, anche un altro codice, che in origine non era se non un brano del codice primitivo, di cui

(i) Chron. min. I, 3-5.

12 C. CIPOLLA

£iceva parte il manoscritto, che contiene Y Anonymus. Il Riihl vide alla sfuggita anche questo secondo manoscritto, ma non lo esaminò diligentemente, poiché il signor Fenwick, nell'atto che gli permetteva di usare dei manoscritti della sua biblioteca, gli imponeva la grave tassa di due sterline per ciascuno dei codici che egli desiderava studiare. il Riihl si trovò disposto a pa- gare altre cinquanta lire per prendere in esame un manoscritto che non aveva diretto interesse per lui. Notò tuttavia che, e per il formato, e per l'argomento, questo secondo manoscritto va unito al primo. L'argomento é storico, e il Rùhl potè rilevare che conteneva estratti da lordanis. Ben vide tosto il Rùhl, che neppure con questo manoscritto si giungeva a ricostituire il co- dice originario, del quale facevano parte altri fogli; forse, dice egli, se fosse possibile cercare nella collezione Fenwick, vi tro- veremmo tutte le membra sparse dell'antico codice, che sarà stato per avventura spezzato in più parti da qualche antico suo posses- sore, desideroso di aumentare, con questo facile sistema, il nu- mero dei manoscritti componenti la sua biblioteca.

Ma la cosa forse non istà propriamente cosi; poiché dalla biblioteca Fenwick nuU'altro, oltre ai due citati codici, pervenne alla Berolinense, che avesse relazione coU'antico manoscritto, pur troppo spezzato.

Bisogna notare che il manoscritto attuale venne formato avvi- cinando assieme quaderni che in origine erano tra loro disgiunti.

A ordinare le parti dell'antico codice, cosi miseramente di- viso, giovano i numeri apposti ai singoli fascicoli. I fascicoli talvolta sono « uniones », talvolta « biniones », e più frequente- mente sono « quaterniones » . Or bene, ciascuno di essi, e se non proprio tutti, almeno una buona parte, ha il proprio nu- mero. Né basta questo indizio, poiché ne abbiamo anche un altro. Abbiamo veduto che la seconda parte doìV Anonymus Fa- lesianus ha il proprio titolo. Altrettanto dovrà ripetersi della prima parte. E altrettanto ancora dirassi delle altre parti, nelle quali si divide la materia del volume. A ciascuno di questi ti- toli trovasi apposto un numero, che può considerarsi siccome il numero progressivo dei capitoli.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 13

Il Rùhl crede assai probabile che tanto i numeri dei capitoli, quanto quelli dei fascicoli non siano della mano che scrisse tutto, o, forse a dir meglio, quasi tutto il codice. Sono stati aggiunti in tempo meno antico, ma pur sempre antico, e degno di nota.

Da questi numeri viene accertato che i singoli fascicoli, nelle vicissitudini alle quali andò soggetto lo sventurato mano- scritto, mutarono di posto, per modo che l'attuale seconda parte dall' Anonymus Vaksianus dovea trovarsi collocata anteriormente alla parte prima. Infatti la parte prima vi porta per titolo : Origo Constantini imp er atoris ('); e questo titolo è preceduto dal numero xv. Oltracciò l'ultimo dei fogli, su cui quell'aneddoto sta scritto, apparteneva ad un quaternione se- gnato xxxiiii, senza contare due fogH, che doveano avere ap- partenuto al fascicolo xxxv. Per contrario, la parte seconda delV Anonymus Falesianus, accanto al titolo : Item exlibris Chronicorum Inter cetera, reca una cifra, che sembra x W; l'aneddoto è scritto sui quaternioni xxi, xxii, e sopra parte del binio segnato xxiii.

Si potrà trovar strano che in una miscellanea storica della natura descritta, e nella quale con brani tolti da varie fonti si intendeva di ricomporre una storia seguita, la narrazione dei re- gni di Odoacre e di Teoderico avesse il suo posto dopo a quella dell'impero di Costantino Magno. Ma anche di ciò non manca la spiegazione, ed è una spiegazione che, se esatta, serve megho a dimostrare la ninna relazione intrinseca esistente tra le due parti del così detto Anonymus Vaksianus. Il Rùhl opina che YAnonymas Falesianus I, o, se vuoisi, la Origo Constantini impera-

(i) Nelle antiche edizioni al complesso àdV Anonymus e più particolar- mente alla prima parte di esso, fu preposta la didascalia: De Constantio Chloro, Constantino Magno et aliis imperatoribus excerpta auctoris ignoti. Ora apparisce chiaro che questo titolo era suggerito ai Valesii non solamente dal contenuto, ma anche dalla didascalia dell'opu- scolo nel codice stesso.

(2) Ma questa cifra manca nella tavola data dal Mommsen (p. 4), ossia è attribuita agli estratti da Paolo Diacono, come si dirà. Il vini è un estratto da Iordanis.

14 C. CIPOLLA

toris, sia di altra e forse un po' più antica mano, che il resto del codice, compreso anche VAnonymns VaUsianiis IL Puossi quindi supporre che il compilatore della miscellanea, dopo di avere terminato la sua serie di aneddoti, e così finito quel brano storico da lui designato, siasi incontrato nei fogli contenenti la narrazione delle gesta di Costantino, e li abbia cuciti alle sue proprie pagine, al termine della sua opera, affinchè servissero quasi di complemento ad una parte di essa. Checché sia da pen- sare sull'opinione del Rùhl e sulla asserita diversità di mano, è certo che, anche nella collocazione di altri brani, non vediamo mantenuto l'ordine cronologico.

In questo manoscritto, dopo YAnonymus Valcsìanus II, sulla quarta pagina del binio xxiii, segue, per quanto impariamo dal Riihl e dal Mommsen, un estratto dai Dialogi di san Gregorio: «Ex libro dialogorum s aneti Gregorii papa e. lu- ce lianus namque huius Romanae Ecclesiae » &c. La sesta pagina è vuota, e sulla settima e sull'ottava abbiamo un brano che co- mincia : « Qui Orestes suscepto exercito » (') e finisce : « ad Theo- « derichi presentiam ». È un piccolo brano tolto da lordanis ^^^. Vi si parla di Oreste, di Nepote, di Glicerio, di Augustolo, di Odoacre e di Teoderico. Fanno seguito sui quaternioni xxiiii, XXV, XXVI e suU'unio xxvii alcuni estratti da Paolo Diacono, sotto il titolo: X. Item ex alia historia. È bene notare anche questo titolo, giacché esso ci spiega quella parola « Item », che vedemmo essere la prima anche nel titolo àéX' Anonynms Va- lcsìanus IL Quanto poi agli estratti Paolini, trattasi solamente di brani staccati, come apprendiamo da G. Waitz (5).

Il Riihl fece anche una diUgente collazione del testo dell' ^«0- nymiis Valesiamis e la comunicò al Gardthausen, il quale se ne giovò per la sua edizione. Sapevasi che una collazione del me- desimo manoscritto era stata comunicata, non era noto da chi,

(i) Con una v sovrapposta alla o.

(2) Getica, cap. 45-46; precisamente il tratto che nell'ed. del Mommsen, Berlino, 1882, occupa i rr. 2-18 della p. 120.

(3) Script, rer. Lang. et Ital. p, 38.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 15

al Mommsen, il quale se ne giovò per alcuni pochi punti fino dal 1872 ('). Forse se la procurò egli medesimo, giacché ora ap- prendiamo che egli si era recato a Cheltenham (^).

Niun altro manoscritto era stato usufruito per l'edizione dd- YAnonymus VaUsianus fino alla recente di Gardthausen, per la quale si adoperò anche il manoscritto Vaticano-Palatino 927, che ci quasi completa la seconda parte àtW Anonymus Valcsianus. È un codice abbastanza conosciuto, dacché fu posta in pubblico la de- scrizione fattane da Lodovico Bethmann (5). È tanto più notevole questo codice in quanto esso pure contiene una miscellanea storica, formata da estratti desunti da vari autori, e insieme congiunti di maniera da farne risultare una storia abbastanza seguita. È curioso infatti che un aneddoto così raro com' è VAnonymus Valcsianus ci sia pervenuto in due miscellanee storiche, composte con iden- tico criterio. Questa circostanza era tanto evidente e tanto grave da far tosto nascere il sospetto che le due compilazioni non siano vicendevolmente indipendenti. Quindi vediamo che senz'altro il Bethmann (4) mette innanzi tale ipotesi, dicendo che il mano- scritto Vaticano, nella sua prima parte, dove trovasi anche VAnonymus Valesianus II, sia copia di un manoscritto più antico, il cui autore, volendo compilare una storia mondiale, ma spe- cialmente romana, usò il medesimo manoscritto che sta a base del codice Phillips,

Il Waitz (5), descrivendo il medesimo manoscritto, ricorda la ipotesi proposta dal Bethmann e la esplica, forse modificandola. Non so se sia tutta colpa mia, ma non arrivo ad intendere in modo chiaro e distinto l'opinione del Waitz, ch'egli, del resto, non enuncia come sua propria, ma come riproduzione di quella del Bethmann. Farmi tuttavia ch'egli supponga che l'attuale co- dice Vaticano sia, nella sua prima parte, copia di una compila-

(i) Hermes, VI, 335-6.

(2) Chroii. min. p. 3.

(3) Archiv, XII, 345-7.

(4) Archiv, XII, 347.

(5) Script, rer. Lang. et Ital. p. 37.

i6 C. CIPOLLA

zione seguita per cura di uno scrittore del ix-x secolo, e quindi posteriore al codice Phillips, ch'egli pure attribuisce al ix secolo. Pare ch'egli ammetta non solo una intima relazione tra le due compilazioni storiche, ma ancora una figliazione, almeno per qual- che porzione dell'opera, della compilazione Vaticana dall'altra. Infatti egli dice che l'autore suddetto del secolo ix-x non avendo trovato nella sua fonte, cioè nel codice Phillips, il testo completo della Historia di Paolo Diacono, ricorse ad altro testo, anzi ad altri testi, giovandosi fors'anco, « fortasse », degli estratti del codice Phillips. Parmi dunque che il Waitz si stacchi in ciò dal Bethmann, che dove quest'ultimo non parla di dipendenza di- retta del codice Vaticano dal codice Phillips, l'altro la ammette, sebbene attenui il portato della sua asserzione supponendo per la compilazione Vaticana altre fonti, oltre al codice Phillips.

Il Mommsen riproducendo (') la tavola del codice Palatino 927 nota che a ciascuno dei due codici mancano aneddoti rispettiva- mente dati dall'altro manoscritto. E di qui e dalla considerazione che nel Berlinese la serie degH imperatori giunge all'anno 820, e nel Palatino all'anno 825, ne deduce che il Palatino dipenda dal Berlinese bensì, ma con interposto un anello, dovuto a mano quasi coeva del Berlinese. Ammette, ad ogni maniera, un in- timo legame tra i due manoscritti, e in forma che, dove si ha divergenza di lezione, si debba preferire sempre la lezione del Berlinese ; anzi avverte che il testo si deve costituire sulla prima mano del Berlinese, asserendo che dove nel Berlinese si hanno correzioni della seconda mano, queste sono state riprodotte e aumentate dall'autore del codice Palatino. Per lo scopo nostro non è indispensabile istituire una più minuta disamina sulle due miscellanee, la Berlinese e la Palatino- Vaticana; per la quale sa- rebbe necessario avere una più precisa cognizione dei due ma- noscritti, e dei testi tutti contenuti nell' uno e nell'altro. Ma può ben essere utile il raffrontare i due codici in quella parte che fa al caso nostro.

Con tale scopo è necessario esaminare più dappresso il mano-

(i) Chron. min. p. 260.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 17

scritto Vaticano-Palatino 927 ('). Ne ho detto (^) qualche cosa quando ne trassi il carme « Eu voce flebili», in cui un anonimo poeta cantò in versi di lamento la caduta di Terra Santa in mano a Saladino (1186). È uno stupendo manoscritto che venne alla Vaticana nel secolo xvir, insieme cogli altri libri della biblioteca dell' università di Heidelberg. Nel secolo xii appartenne al mo- nastero della SS. Trinità in Verona, anzi fu appunto scritto allora da un monaco di quel monastero. A prova di ciò si citano al- cuni Annali veronesi, che si leggono (e. 214 sgg.) in questo manoscritto e che furono diggià pubblicati più vplte. L'ultimo editore, il Pertz (5)^ trovando che l'autore di questi Annali tiene fisso l'occhio al monastero suddetto, li intitolò addirittura An- nales S. Trinitatis, e non fece male. Questi Annalcs, salvo le ag- giunte, le quali appartengono a diverse mani, pare siano stati scritti, o almeno cominciati, nel 1181. Così reputarono il Pertz nella sua edizione, e il Bethmann e il Waitz nei loro surricordati cenni intorno a tale manoscritto. Parlando di questo codice, cercai di mostrare che siffatto giudizio non è forse superiore ad ogni dubbio, non essendo del tutto escluso che gli Annali siano stati cominciati anche qualche anno prima del 1181. Tuttavia la di- versità non potendo essere che piccola, si potrà pur assumere come data approssimativa di loro compilazione l'anno 1181 pro- posto dagH eruditi tedeschi che ora abbiamo ricordato.

Siccome gli Annali sono della medesima mano che la com- pilazione storica che li precede, così anche questa dovrà supporsi scritta verso il 1 181 ; e siccome di questa compilazione fa parte,

(i) Lo esaminai nel novembre 1889. Mi professo sommamente grato al eh. mons. Isidoro Carini, prefetto della Vaticana; la cortesia e la larghezza con cui tratta gli studiosi è troppo notoria perchè ci sia bisogno di qui met- terla in evidenza con lunghe parole. Spero così di poter dare del codice Vaticano una nozione più completa di quella pur larghissima che può tro- varsi presso il Gardthausen ed il Mommsen.

(2) L'apografo Vironese- Vaticano del carme sulla hnpresa di Saladino contro Terra Santa, in fine a: T. Ilgen, Corrado march, di Monferrato, traduzione di G. Cerrato, Casale Monferrato, 1890, p. 133 sgg.

(3) Mon. Germ. hist. Script. XIX, i sgg. 2

i8 C. CIPOLLA

come abbiamo detto più volte^ YAnonymus Vaìesianus II, cosi diremo che questo ci è stato conservato nel codice Vaticano da una mano del 1181, o, se cosi vuoisi, degli anni immediatamente precedenti al 1181.

A prova dell'appartenenza di questo manoscritto al mona- stero della SS. Trinità ('), sarà opportuno trascrivere qui una poesia che, in carattere del secolo xii ex., ma diverso da quello sohto del codice, si legge sul bel principio del manoscritto (e. 3). Le poesie non sono molto rare in questo codice. Ho già detto che vi si trova il celebre carme « Eu voce flebili ». Questo non è certo da attribuirsi a poeta veronese; ma ad un poeta locale, quan- tunque non all'amanuense del codice, si potrà aggiudicare il carme, che parla dell'appartenenza del manoscritto e che qui riproduco. Avvertasi infatti che il carme è in carattere diverso da quello, che si riscontra regolarmente nel codice.

I Codex in quo legis iste,

lector venerande,

Sancte Trinitatis esse

scias sine fraude, 5 Cuius situm est ovile

pulcherrimum valde,

Parum a Verona longe, 8 digna magna laude.

Mons Oliveti vocatur IO monticulus ille Quia ibi imperator cum equestris mille

(i) II ms. esce dal monastero della SS. Trinità in Monte Oliveto, fuori delle antiche mura teodericiane. Una carta del 11 15 (presso Biancolini, Chiese di Verona, IV, 755) lo dice « noviter... edificatum extra urbem Ve- ce ronae supra Clevum in Monte Oliveti ». Nella Vita s. Guai/ardi {Ada sanctorum, apr. Ili, 828 f) leggiamo: «tempore quo Athesis fluvius admo- « dum crcvit ita ut totius civitatis plateas superaret . . . Gualfardus extra civi- « tatem Veronam perrexit: deinde Sanctae Trinitatis ecclesiam, non procul « a praedicta civitate distantem, petivit ». Q.ueste notizie mi furono comuni- cate dal cortesissimo signor Pietro Sgulmero, vicebibliotecario della Comunale di Verona, al quale mi dico obbligatissimo. Quel monastero s'identifica coll'at- tualc parrocchia della SS. Trinità, compresa nel circuito delle mura odierne.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 19

Ab episcopo qui pastor erat huius terre Ramos olive gratanter 16 dignus est suscipere (0.

Nel codice le due strofe sono scritte staccate l'una dall'altra. Ciascuna delle strofe è scritta sopra due colonne, cosi che sulla prima colonna (di sinistra) si abbiano tutti i versi di numero dispari, e sull'altra (di destra) tutti quelli di numero pari. E sic- come le finali di cadauno di questi gruppi di quattro versi cia- scuno, sono identiche, tranne che nell'ultimo gruppo, così esse finali sono state scritte una sola volta, al di fuori di una grafa che raccoghe i rispettivi gruppi. Le finali dei due gruppi della prima strofa sono « e » e « de » ; e quella del primo gruppo della seconda strofa è «r». Quanto all'ultimo gruppo, abbiamo due grafe, per le finaU «le» e «re», che rispettivamente terminano i due primi e i due ultimi versi del gruppo.

Ma se questo carme non va attribuito all'amanuense, a lui non possiamo negare un altro breve carme (e. 3), sebbene questo si debba riguardare siccome aggiunto, dopo terminato il libro. Tale breve carme e' insegna molte cose, e tra l'altro, che lo scriba era proprio uno scriba, nel senso che copiava libri, e che anche la presente compilazione storica non la compose di suo capo, ma la trascrisse. E il carme ancora c'insegna che il nostro scriba era uomo non privo di qualche coltura. Ecco i suoi versi :

Istum librum qui scripsit salvet Deus illum

Secula per cuncta sua; donet ei bona multa

Ut valeat multos et adhuc describere (2) libros

Cum digitisque suis ad scribendum satis aptis,

Atque in litterulis possit bene ponere multis

Aurum nec non argentum color, ad Domini quoque cultura,

Post obitumque suum Christi respicere vultum

Post mortem Magni super altum scandere regnum (3).

(i) Questo carme fu riprodotto anche dal Mommsen, Chron. min. (p. 259), il quale, al v. 16, propone ragionevolmente di sostituire « dignatus » a « dignus ».

(2) Veramente la sillaba «re» rimase nella penna allo scriba.

(3) Forse si dovrà costruire: «regnum Magni», regno di Dio.

e. CIPOLLA

Talvolta raccolse le finali, colla solita grafa, ma senza una regola determinata.

Lo scriba è dunque un poeta. Il carattere con cui questi versi sono scritti combina col testo susseguente, e toglie ogni dubbio sulla loro attribuzione. I versi sono pessimi e assai inferiori a quelli che abbiamo riferito poco fa, e che pure sono alquanto scadenti. Ma questi sono di molto peggiori. Qualcuno è troppo lungo; in tutti pare che il poeta abbia sacrificato l'armonia al senso, e il senso all'armonia. Tuttavolta per un povero scriba è pur qualche cosa.

Ma lo scriba era non solo poeta, ma anche artista. E nel codice sono frequenti abbastanza i disegni a penna, collocati qua e colà ad illustrazione del testo. Di già, proprio qui sul principio, e. 3 B ('), troviamo un duplice schizzo a penna. Sotto due intercolunni, uno per ciascuno, stanno due prelati, palu- dati, il cui atteggiamento è quello di. starsene conversando tra loro. Sulle teste di essi leggonsi rispettivamente le due leg- gende: AUGUSTiNUS EPS, e: OROSius PBR. E non senza motivo troviamo qui sant'Agostino ed Orosio. Poiché il primo anello della miscellanea storica (e. 4) è un estratto da Orosio, che scrisse per volere di sant'Agostino (^) ; quelle due figure quindi significano che sant'Agostino ordinò ad Orosio di scrivere i suoi libri storici. Sulla sesta carta ecco che ci si presenta la figura di un uomo di lettere; è barbuto; siede in mezzo a libri ed a ro- toli. Sulla sua testa corre la leggenda : pompeius trogus. EgH non è solo, poiché al lato destro c'è uno scriba, che volge la testa al letterato. Lo scriba siede in atto di scrivere, e sulla sua testa sta il motto : iustinus adbreviator eius. Guardando queste figure, il pensiero corre alla notissima miniatura del codice Nazionale parigino degli Annali del Caffaro, dove stanno ritratti « Cafarus » e « Macobrius ». Sono seduti ambedue, ma in di-

(i) I due primi fogli del codice sono stati lasciati bianchi.

(2) Cf. e. 57. Più sotto, dando la tavola del codice, riferiremo dalla e. 57 quanto riguarda l'ordine dato da sani' Agostino ad Orosio di scrivere i suoi libri storici.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 21

verso atteggiamento. Caffaro, gestendo colla mano destra e tutto nei suoi pensieri, sta dettando, mentre l'altro scrive obbediente ('). Di qui si comprende che non è originale dell'amanuense vero- nese il pensiero ch'egli espresse disegnando le figure di Pompeo Trogo e di Giustino, abbreviatore delle sue storie. Ma suo è il pensiero di mettere quelle figure in quel posto, dove stanno con giusto motivo. Poiché a e, 6 cominciano gli estratti da Trogo Pompeo: «Historiarum Pompeii Trogi epi- «TOMA. LiBER PRiMUs INCIPIT (^). P R I N clpio rerum « gentium » .

Non mi fermerò a descrivere ad uno ad uno tutti i tratti a penna di questo codice. Il disegno più complicato e ricco di figure è quello che occupa una gran parte della e. 135 b, e che precede il capitolo: Prologus quid sit Germania & que gentes eam inhabitent. Con questo capitolo comincia la storia longobarda di Paolo. Il disegno, a cui alludiamo, si stende sopra due zone. Nella superiore di esse, c'è una scena di cava- lieri emigranti ; li precede un cavaliero, che impugna una lancia, dalla cui asta sventola una bandiera. A costui viene appresso, sedente sopra una mula, con sella femminile, una donna, presso alla cui testa si legge: « Mater ducum, nomine Gambara ». Scritta in rosso, corre sopra la scena la seguente leggenda: « Egres- « sio Uuinilorum de Scandinavia quorum duces fuerunt Ibor et « Aigio ».

Nella seconda zona continua il medesimo soggetto. Quattro bovi, sospinti innanzi da uomini armati di bastoni e preceduti e guidati da altri uomini; connessa a ciò è una figura mitologica, combattuta da guerrieri.

Da queste rappresentanze non possono scindersi quelle della e. 136 A. Quivi abbiamo, disposta pure sopra due zone, una doppia e bella scena di guerrieri a cavallo, in marcia. Nella

(i) L. T. Belgrano, Annali genovesi di Caffaro, I, tav. iii, nei Fonti per la storia d' Italia pubblicati dall'Istituto Storico Italiano, Genova, 1890.

(2) Per la paleografia osservo che la prima e la terza i di incipit sono tagliate trasversalmente. E cosi la i di epitoma, come pure im- mediatamente dopo la prima i di Principio.

e. CIPOLLA

zona superiore i guerrieri sono preceduti da un re, pure a ca- vallo, coronato e armato di lancia, dalla cui asta sventola una bandiera: egli sta per entrare in un edificio. Sopra alla scena corre in rosso la leggenda esplicativa : « Adventus Langobardo- « rum in Italiam, quorum rex iam decimus erat Alboinus».

Tra gli altri disegni rilevo quello che precede il capitolo (e. 122 b): De primo adventu Gothorum ad Italiam et Roma capta. Sono figurati due guerrieri a cavallo, nell'atto di furiosamente combattersi. Ambedue i guerrieri sono armati di maglia il petto, le braccia e le gambe, hanno la testa difesa da un elmo e proteggono il proprio corpo con un grande scudo. Sono provvisti di spada e di lancia. Sopra la testa del guerriero collocato a destra di chi guarda, sta scritto: « Odoachar . rex ». Accanto alla testa dell'altro: « Theodericus . rex ». È dunque un duello tra Odoacre e Teoderico. Siffatto duello non è mai av- venuto, se prendiamo la voce duello nel suo significato materiale. Ma questo duello simboleggia la guerra a morte, combattutasi tra i due re, la quale costituisce la parte precipua òqH' Anonytnus Valesianiis IL

E l'esito del cozzo è abbastanza bene indicato dall'artista. Il combattimento non è finito: Odoacre non è ancora stato trafitto dalla lancia del suo nemico. Eppure si prevede come la pugna andrà a terminare, poiché Odoacre piega leggermente il corpo all' indietro, mentre Teoderico è immobile, fisso sulla sua sella.

Se consideriamo queste figure per determinare il loro valore artistico, non possiamo a meno di riconoscerne i molti difetti. I cavalli specialmente sono riusciti assai male. C'è il cavallo di Odoacre, con un collo lungo e sottile: le sue gambe non hanno alcuna agilità, anzi sembrano ripiegarsi, come se il cavallo si ada- giasse per terra. Un po' migliore è il cavallo di Teoderico, ma c'è una grave sproporzione tra le gambe anteriori, assai piccole, e le posteriori, eccessivamente lunghe. Le code dei due cavalli sono meschine assai e senza alcun movimento. Le orecchie del cavallo di Teoderico sembrano asinine. Molto migliori sono i due re. Non ci sono gravi sproporzioni nelle parti dei corpi, come avviene nei corpi dei due cavalli. Non c'è, e non ci può

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 25

essere espressione nei volti ; ma accontentiamoci di veder ripro- dotte con giusto e lodevole verismo le armi difensive ed offensive dei due guerrieri. E ancora non si può negare che nel tutto insieme non vi sia una qualche animazione e una vera aggiusta- tezza e congruenza nelle mosse.

Or bene, questo soggetto non si considererà siccome nuovo del tutto. Pure a Verona, sulla facciata della basilica di S. Zeno, terminata appena pochi decenni prima che questo codice venisse composto, si vedevano e si vedono anche oggidì alcune preziose sculture, che per certo, anche per sole ragioni paleografiche, non si possono reputare posteriori alla metà incirca del xii secolo. In quelle sculture si rappresenta un duello tra due guerrieri a piedi, e, in altro riquadro, un duello tra due guerrieri a cavallo. Se volessimo scendere a raffronti minuti, dovremmo riconoscere che la conformità tra la scultura zenoniana e il disegno a penna del nostro codice è appena relativa. Poiché nella scultura uno dei due combattenti a cavallo sta per cadere riverso, attraversato il petto dalla lancia dell'avversario. Tuttavia, nel complesso, le due rappresentanze si rassomigliano ; e anche in alcuni particolari si possono rilevare senza dubbio tra di esse molti punti di contatto.

Il Bethmann (') ha già dato la tavola del codice; in forma più completa ce la diede testé anche il Mommsen (^\

C. 3 b: Opus excerptum ex libro Orosii secundo.

C. 6 b: Historiarum Pompei! Trogi epitome. Liber primus incipit.

C. 18: De sex huius seculi etatibus.

C. 32: Excerptum ex chronica Eusebìi.

C. 46: Regnum Romanorum.

C. 47 : Epythoma ex libris Eutropi Victorini historici de consulibus.

C. 57 : Epythoma ex libro Orosii presbiteri, quo ipse hortatu sancti Augu- stini de clarissimorum hystoricorum libris Pompei videlicet Trogi et lustini adbreviatoris eius, Suetonii Tranquilli, Cornelii Taciti, Salustii, Eutropi, Livii, Polimbrii, Valerli, Claudii, Galbae et Anthiae pulcherrimo ordine defloravit.

C. 59: Pompeius Trogus.

(i) Archiv, XII, 345 sgg. La tavola del Bethmann fu riprodotta dal- I'Ohnesorge, Der A non. Vales. de Co n st an ti n 0 , K\el, 1885, p. 2. (2) Chron. min. pp. 259-60.

24 e. CIPOLLA

C. 59: Estratti da Orosio, con elenco d'imperatori.

C. 74 B : Opus excerptum ex historia ecclesiastica Cassyodori Senatoris quam ipse de tribus grecis auctoribus defloravit; uno scilicet Theodorito, etc.

C. i22b: De primo adventu Gothorum ad Italiam et Roma capta (da Isidoro).

Segue di Attila fino alla e. 125 b (').

C. 126. De adventu Oduacher regis Cyrorum et Erulorum in Italia et quomodo rex Theodericus eum fuerit persecutus. *

E, preceduti da questa didascalia, cominciano i primi capi del- VAnonymus VaUsianus II, il quale termina al principio della e. 132 a. Il codice Vaticano non tutt' intero il testo del codice Meer- mann-Phillips. Alcuni brani ne ommette, e, in compenso, inse- risce nel testo vari e lunghi tratti dell'opera Getica di lordanis.

Non avvertirono il Bethmann e il Mommsen che dXVAnonymus Valesianus II qui fa seguito (e. 132) un tratto dei Diaìogi di san Gregorio, ma senza alcun titolo. È il tratto ben noto, nel quale si narra che re Teoderico si sprofondò nel vulcano di Lipari. Comincia : « lulianus namque ».

Dalla tavola del codice Meermann-Phillips pubblicata dal Riihl (^), apparisce che quel medesimo brano dei Dialogi di san Gregorio fu aggiunto, in calce all' Anonymus Valesianus II, anche in detto manoscritto. Nel codice Palatino-Vaticano, dXV Anonymus Valesianus II fa seguito (e. 132 b sgg.) un brevissimo sunto della caduta del regno goto. Colla e. 135 b comincia la storia longo- barda di Paolo Diacono, della quale il testo fu, secondo il Waitz, desunto da vari archetipi, senza, forse, « fortasse », trascurare gli estratti paolini del codice Meermann-Phillips. La storia Paolo nel codice Vaticano viene continuata sino all'anno 825 <^5). Donde dipenda questa continuazione non è accertato.

E cosi ha termine la miscellanea storica di cui si è detto : l'autore aveva raggiunto il suo scopo, narrando la storia del

(i) Cf. loRDANis, Gel. p. 34.

(2) Nessuna indicazione trovasi presso il Mommsen, Chron. min. I, 5.

(3) Q.uesta continuazione, data solamente dal presente codice, fu pub- blicata dal Waitz, Script, rei: Lang. pp. 200-203.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 25

mondo, dalle più remote notizie, sin dopo alla morte di Carlo Magno (814). Come contenuto, quello che segue nulla ha a che fare con quanto descrivemmo finora.

Il primo aneddoto successivo è costituito {ce. 214 B-216) dagli Annales ì quali, fino al ii8r, sono scritti (tranne le aggiunte, dichiarazioni &c.) da quell'amanuense, al quale dobbiamo attri- buire quanto precede.

Inutile sarebbe enumerare ciò che viene in appresso. Basti ricordare che tra gli ultimi aneddoti, scritti da varie mani, trovasi anche (ce. 218 a-2i8b) il bellissimo carme « Eu voce flebili », col quale i Cristiani lamentarono la rovina di loro potenza in Oriente, e la perdita della Palestina, conquistata da Saladino.

Carlo Zangemeister <^'), nel 1875, diede un resoconto abba- stanza diffuso del codice Palatino, per quanto riguarda i testi di lordanis e ddY Ano?iymus Vaìesianus II. Aggiunse a ciò alcune discussioni sulla lezione di certi passi, nonché la proposta di pa- recchie racconciature di testo. Egli tuttavia non pubblicò la col- lazione da lui istituita del testo à.Q\\'Anonymiis, ma la consegnò a Vittore Gardthausen; e costui se ne giovò per la sua edizione, ricordando appunto la benevolenza usatagli dallo Zangemeister. Tuttavia forse si può dubitare che non in ogni singolo passo lo Zangemeister e il Gardthausen abbiano riferito con piena esat- tezza la lezione del codice Vaticano. Nel novembre del 1889, avendo avuto occasione di trascrivere per intero da quel mano- scritto i capitoli tolti daìV Anonymus Vaìesianus II, credo di tro- varmi in grado di rettificare in qualche luogo la collazione predetta. Ma ora abbiamo una collazione nuova, quella del Mommsen.

Questa pure non si può riguardare come del tutto completa, poiché al Mommsen non poteva interessare di riprodurre per intero le lezioni di un manoscritto, che egli giustamente riguar- dava come di secondario valore.

« Sulla relazione del codice Palatino col codice Phillips si é «pienamente all'oscuro ». Questo é il risultato degli studi re- fi) Rhein. Mus. XXX, 368 sgg.

26 e. CIPOLLA

centi, riassunto in poche parole da Guglielmo Ohnesorge ^'\ Ora il Mommsen è giunto a conclusioni assodate; a noi resterà di rafforzare, con osservazioni speciali, le conclusioni dell' illustre tedesco.

Prima di procedere a ulteriori ricerche ci sia lecito rilevare un fatto, oramai universalmente ammesso, che cioè VAnonymiis Vahsianus I, anche per stile, per lingua, per modo di concepire ed ordinare i pensieri, non ha nulla a che fare coli' Aiionyiìius Vahsia- nus IL Se potea sembrare che i due brani avessero qualche mutua relazione, finché gli avevamo soltanto nelle edizioni dei Valois, scoperto il codice Meermann anche quell'apparenza svanisce. I due brani vi stanno disgiunti, e V Anonymus Vaìesiajiiis I segue, in- vece che precedere l'altro, ed è forse dovuto a mano diversa ^^\

(i) Op. cit. p. 4.

(2) Tutti non sono peraltro della stessa opinione. Qui ci sia permesso di accennare ad un recentissimo giudizio di Carlo Frick, Ziir Texlkritik tind Sprache desAnon. Vales. (m: Commentationes Wolffliniatìae, Lipsiae, Teubner, 1891, p. 339 sgg.), il quale pensa che il Bethmann (Archiv, XII, 345 sgg.) siasi in- gannato asserendo che il cod. P sia una copia deWAnon. Vales. II, con alcuni brani di lordanis qua e colà interpolati. Il Frick invece lo giudica un indipen- dente lavoro medioevale compilato coll'uso di due fonti, YAnon. Vales. e la Getica di lordanis. E a prova di ciò Io specchio dei brani che in P sono tolti dalla prima e dalla seconda fonte.

Non vorrei mostrarmi oppositore, ma parmi che la controversia possa es- sere ridotta a questione di parole. Con titolo speciale, in P comincia la trascrizione deir^«o«. Vales.; di esso poi si ommettono sei passi, dei quali due sono suppliti con brani di lordanis. Poi segue la trascrizione dell'Anonimo sino alla fine. I due brani di lordanis sostituiscono: a) i capi 49-50, /') i capi 54 (da « igitur coactus >))-59- In questi luoghi lo scriba preferì una narrazione o più completa, o più vivace, essendo VAnon. laconico o di- fettoso. La tela del racconto è quindi data dall' ^«0;/., del quale lo scriba tralascia qualche particolarità, che crede inutile (ce. 49-51-2, 67-70); se omise il cap. 60 (da « sic gubernavit »), lo avrà fatto perchè gli elogi qui prodigati al re ostrogoto gli saranno sembrati in contraddizione coi rim- proveri mossigli poi àzWAnon. Cosi stando le cose, mal si comprende come si possa recedere dall'opinione del Bethmann. Del resto, sono que- stioni che non toccano il vivo dell'argomento.

Dell'articolo del Frick ci occuperemo ora, in quanto esso tende ad af- fermare l'intima relazione esistente tra VAnon. 1 e VAnon. II.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 27

Tuttavia anche prima che ritornasse alla luce il codice Meer- mann, l'opinione che si trattasse di due autori diversi erasi fatta strada. Il Mommsen osservò che nell' Anonymus I si fa uso della divisione provinciale del 297 circa, la quale ci fu conservata in un prezioso manoscritto della biblioteca Capitolare di Verona, e non della divisione provinciale, che sta nella Notitia diguitatum, e che quindi appartiene al 400 circa. Francesco Gòrres (') ripro- dusse l'osservazione del Mommsen, e notò la grande diversitcà dello stile tra i due brani, accusando il Teuffel di non averla sufficientemente avvertita nella sua Storia della letteratura romana. Ma il Teuffel (^), in un breve articolo di risposta, asserì che la differenza dello stile non gU era sfuggita, e svolse, in poche pa- role, questo argom^to a provare che i due brani sono da attri- buirsi a due autori. Oechsli (5) rilevò che lo stile àtìV Anony- mus II è spesso sgrammaticato, mentre quello deW Anonymus I è passabile, e ne dedusse la certezza che i due brani provengono da due mani. L'argomento dello stile fu svolto ampiamente, e con minute osservazioni grammaticah, da Ohnesorge W ; il quale all'argomento dello stile (5), altri ne aggiunse, e non pochi. Anche

(i) Zur Kritik des Anon. Vales. in Jahrh. fiìr class. Phìlol. CXI (1875), 201 sgg.

(2) lahrh. XCI, 390.

(3) Ueber dieHis tori a Mi s e ella Uh. XII-XFIII una dm Ano ny m u s Valesianus II, Zùrich, 1873, pp. 71-2.

(4) Der Anon. Vales. &c., Kiel, 1885, p. io sgg.

(5) Negli ultimi mesi Carlo Frick, nel citato suo lavoro, giunse a diflFerenti conclusionL Egli ritiene di aver provato che le medesime forme, declinazioni, coniugazioni &c. si trovano in ambedue le parti deWAnon. VaUs. Ma afferma assai più che non provi ; anzi gli esempi ch'egli adduce dimo- strano che gli errori di scrittura e le sgrammaticature sono assai minori in Anon. I, che non in Anon. II. Di niun valore sembra per esempio il passo: « collectam ingenti multitudine » che il Frick cita a provare Tabi. sing. in -a. Come diremo, il Frick non distingue ciò che in fatto di errori si debba at- tribuire ai testi originali, e ciò che bisogna addebitare ai copisti. Sicché la conclusione finale, dove egli dice « almeno nella loro forma attuale « i due brani non vanno aggiudicati a due scrittori », si deve accettare solo con ampie riserve, e col vantaggio della riferita limitazione. Nell'ultima

28 e. CIPOLLA

non annettendo a ciascuno di essi un' eguale importanza, è gio- coforza ammettere che V Anonymus I è laconico e freddo, mentre l'altro è pieno di aneddoti, specialmente intorno a Teoderico : il suo stile, come è deplorevole dal lato della grammatica, cosi in- vece è, sotto altro aspetto, attraente, perchè artistico, drammatico, tutto vita.

Ohnesorge insiste assai, e forse più, sopra un'altra differenza tra i due brani, il secondo dei quali è ispirato a concetti religiosi, che invece mancano al primo. Questo è, in parte, vero, poiché nel secondo spesseggia l'invocazione a Dio, e gli ultimi atti del regno di Teoderico sono giudicati, non solo dal punto di vista po- litico, ma anche con criteri schiettamente religiosi. È tuttavia un fatto, che anche neW Anonymus I abbiamo alcuni punti nei quali 0) si tocca delle cose religiose, stigmatizzando le persecuzioni. È ben vero che Ohnesorge vorrebbe espungerU come interpolazioni, ma egli stesso, alla fine, è costretto a girar di parole, e a riconoscere che a dimostrarlo non ha ragioni di valore assoluto.

Uno dei quattro capitoli, su cui cadono i dubbi di Ohnesorge, contiene l'indicazione dei consoH sotto i quali avvenne un dato fatto. E anche qui quel critico trova motivi per pensare ad una interpolazione, poiché egli osserva che in niun altro luogo V Anonymus I ha simile esattezza cronologica. Anzi su questa mancanza di precisione in fatto di cronologia egli crede di fon- darsi per notare una divergenza di metodo tra Y Anonymus I e Y Anonymus II, dove invece le indicazioni cronologiche sono molto frequenti. Ma, anche per far risaltare tale diversità, si è costretti a supporre una interpolazione dove altra ragione non se n'a- vrebbe. È un fatto verissimo che nei' Anonymus II l'elemento re- ligioso e la cura dell'esattezza cronologica spiccano assai più che non n&ÌY Ano7iymus I. Ma non é agevole l'andare più avanti colle aff"ermazioni e il trarne deduzioni arrischiate.

parte del suo articolo, il Frick promette di spiegar meglio il suo pensiero, in avvenire; attendiamo con desiderio il suo nuovo lavoro, che riuscirà senza dubbio, come è il presente, pieno d'interesse per la novità e la pazienza delle indagini.

(i) V. cap. 8, 20, 29, 53.

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Del resto non è proprio il caso di andar cercando con tanta cura le differenze tra i due brani, mentre se ne hanno tante e cosi gravi e così sicure, da poter essere pienamente tranquilli sulla deduzione ultima. Se ce ne fosse bisogno, si potrebbe tut- tavia discutere il capitolo n, dove sembra che YAnonymus I faccia chiaramente conoscere di scrivere mentre l'impero romano era ancora in piedi e saldo : « a Constantino autem omnes semper « christiani imperatores usque hodiernum diem creati sunt, ex- « cepto luliano &c. ». Ohnesorge riguarda, lo vedemmo, quel passo come interpolato; dal che deduce che il testo genuino è più antico dell'epoca alla quale il passo stesso allude. Egli pensa che lo si possa quindi ritenere dell'età stessa di Costantino.

Quel passo tuttavia che, a primo aspetto, sembra così per- suasivo, va soggetto ad un dubbio, poiché esso corrisponde ad Orosio, VII, 28, 2; ed è cosa controversa questa, se le corri- spondenze tra YAnonymus I e Orosio dipendano da ciò che il primo abbia copiato dal secondo, o viceversa.

Francesco Gòrres opina che V Anonymus I possa appartenere al 390 circa; e quanto aìY Anonymus II, discusse le opinioni di Dahn e di Witershein, lo attribuisce alla metà del vi secolo. Holder-Egger (') riguarda come opinione generalmente accettata quella che distingue le due mani. SuìY Anonymus I è incertis- simo, dicendo che siamo all'oscuro sia sull'autore, sia sul tempo di sua compilazione. Riguardo zYY Anonymus II, mette innanzi ciò che ne dissero il Pallmann ed il Waitz, e finisce per aderire all'opinione che vedemmo proposta dal Gòrres.

Il Mommsen (^) testé osservò che YAnonymus, occupandosi delle relazioni giuridiche tra Anastasio e Teoderico, sembra indicare ch'egli vivesse durante le guerre civili, seguite alla caduta del regno ostrogoto. Ciò significa, nella seconda metà incirca del VI secolo.

(i) Ncues Archiv, I, 316-24. (2) Chron. min. I, 261.

30

C. CIPOLLA

IL

Relazioni tra il codice Meermann - Phillips e il codice Veronese- Vaticano.

Passiamo a parlare delle relazioni del testo tra il codice Meer- mann-Phillips, ora Berlinese, e il codice Vaticano-Veronese. Ve- dremo che tra i due testi corre un' intima relazione, spesse volte accordandosi anche nel dare ambedue alcune lezioni manifesta- mente errate ; tuttavia non saprei asseverare che il Vaticano-Ve- ronese dipenda direttamente e immediatamente dall'altro (').

Premetto che nel codice P distingueremo, per quanto pos- siamo, accuratamente la seconda dalla prima mano. Talvolta, ma non di sovente, il testo originariamente appare scritto con qualche trascuratezza. Il correttore (^) è uomo di qualche inge- gno critico. Dalla natura delle sue congetture non pare che le facesse seguendo un nuovo testo ch'egh collazionasse con quello che volea correggere. Le correzioni sono tali invece da farci credere che le facesse di suo capo; e perciò, se questo è vera- mente, egli non doveva essere un copista manuale. Dalla forma dei caratteri, il correttore è presso a poco contemporaneo al testo primitivo. Se questo spetta al 1181 in circa, quello sarà della fine del secolo xii.

Dicemmo che talora il testo è, pur di prima mano, abba- stanza corretto; tuttavia qualche grave inesattezza si trova. Al § 88(5) abbiamo: « ex Ravenna ». Lascio « ex », che Adriano Valesio sostituì con « rex » (in ciò seguito anche dal Gardthau-

(i) Per brevità chiameremo M il codice Meermann-Phillips e P il co- dice Palatino-Vaticano, già Veronese; e ciò per adottare le vecchie sigle proposte nella edizione del Gardthausen. Il Mommsen indica con B il primo ms., conservando la P per il secondo.

(2) Lo diremo P*, per usare della sigla adoperata dal Gardthausen.

(3) Ed. Gardthausen, p. 303, r. 12; ed. Mommsen, p. 329".

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 31

sen, e dal Mominsen), e rilevo soltanto « Ravenna ». Al § 93 "^'^ in luogo di « sanus », si ha: « san'us », che verrebbe a dire « sanusus ». Questo non toglie che altrove anche il testo stesso ci comparisca siccome il prodotto di un lavoro critico^ che forse può dipendere non solamente dallo scriba che lo trascrisse, ma ancora dal testo adoperato alla trascrizione, e nel quale si fosse ormai esercitato l'ingegno di qualche racconciatore di testi (^). Spiego il mio pensiero con qualche esempio, che potrà, spero, servir di conferma a questa proposizione. Al § 45^^\ mentre M legge «intra Pannonia », P «intra Pannoniam». Poco ap- presso'^'') leggesi nel codice M: « benedictionis ad eum intuitum « deverterunt », dove si parla di Odoacre e di altri barbari, i quali, per desiderio di essere b e ne detti, piegarono il loro cammino, e s'indirizzarono alla cella di san Severino. Il codice P legge, qui: « intuitu », concordandosi col testo genuino della Fita s. Sevcrini di Eugippio (^5). Ben è vero, si può anche sup- porre che il codice P in questi luoghi dipenda direttamente da Eugippio, ovvero si attenga ad un codice dQWAnonymus, nel quale il testo eugippiano originario siasi direttamente conservato qui in buona condizione.

Di queste due supposizioni, la prima non ha alcun fonda- mento, mentre nel codice P non troviamo alcuna traccia d'in- fluenza diretta subita dalla Fita s. Sevcrini di Eugippio. La se-

(i) Ed. Gardthausen, p. 304, r. 18; ed. Mommsen, p. 32936.

(2) Mi pare che si possa, fra le altre correzioni di prima mano, an- noverare anche questa (§71, Gardthausen, p. 299, r. 4; cf. ed. Mommsen, p. 324): « muros alios » sostituito a « muris aliis », dove va osservato che anche « muris aliis » è lezione degna di rimarco, per questo che fu ispirata dal desiderio di migliorare il testo, dando al periodo un senso più piano. Del resto sono parecchie le modificazioni fatte da P, tra le quali nell'oc- chio, p. es., al cap. 83 la voce « malignus » sostituita a « diabolus ». Sopra queste mutazioni si fermò il Frick, Commcnt. ÌVòlfflinianae, p. 342, per mo- strare il carattere di posteriorità che ha il suo testo in confronto con quello del cod. M. Frick non determinò la relazione esistente fra i testi dei due mss.

(5) Ed. Gardthausen, p. 291, r. 24; cf. ed. Mommsen, p. 314.

(4) Ed. Gardthausen, § 46, p. 291, r. 27; cf. ed. Mommsen, p. 314.

(5) Ed. H. Sauppe, Berolini, 1877, § 7, p. 11.

32 e. CIPOLLA

conda ipotesi, quantunque non presenti nulla di assurdo, e abbia anzi alcune apparenze di probabilità, tuttavia è resa un po' diffi- cile dal f;itto, che tra M ed Eugippio si trova una maggiore re- lazione che non tra P ed Eugippio. E questo è manifestamente provato dai due passi seguenti, e specialmente dal secondo.

Nel § 47, parlandosi di Odoacre, che per secondare la do- manda fattagliene da san Severino, prosciolse dal bando certo Ambrogio, nella Vita s. Sevenni di Eugippio (■) leggesi : « cuius « Odoacer gratulabundus paruit imperatis ». Ed il codice M ha : « cuius Odoachar gratulabundus paruit imperati » (^). Il codice P ristabilisce il senso: « cui Odoachar gratulabundus pa- « ruit imperanti»^'). Pare qui che il codice M presenti una lezione media tra quella genuina di Eugippio, che chiede « cuius... im- « peratis », e quella àtìV Anonynius Falesiamis, nella sua forma attuale che esige: « cui.. . imperanti ». Potrebbe dunque sembrare che il codice P conservasse proprio la giusta lezione dell'^wo- nymiis. iMa non bisogna nascondersi che facilmente puossi anche ammettere che P abbia mutato « cuius » in « cui », per dare un senso a parole che non l'avevano; e ignorandosi il vero testo eugippiano, la correzione cadde sopra una parola rimasta inte- gra, invece che sopra una parola sbagliata. A favore di questa spiegazione parla lo spirito critico che puossi riscontrare in P, anche nella sua forma primitiva. E anche l'incertezza del co- dice M riguardo alla parola « imperati » potrebbe fornire un ar- gomento favorevole a tale supposizione. Ma è necessario di aggiungere qui qualche altra spiegazione.

Infatti per sostenere la proposta ipotesi, bisogna ricorrere ad un'altra ipotesi sulla relazione tra il codice M ed il codice P, e sopra di questi codici e l'originale àolV Anonymus. Bisogna am- mettere che VAnonymus avesse qui riprodotto il testo preciso di Eugippio, e questo è credibilissimo, con « cuius - imperatis », In M il testo fu alterato in « cuius - imperati », e un correttore

(i) Ed. cit. § 32, p. 24.

(2) Tuttavia la corretta lezione del cod. M reca qui: « imperanti ».

(3) Questo tratto fu aggiunto in margine di prima mano.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 35

antico per dare un senso alla parola « imperati », la ridusse a « imperanti », coll'introduzione della n. Se si potesse ammet- tere la figliazione di P da M, sarebbe qui agevole il dire, che bastava la sostituzione congetturale di « cui » a « cuius » per avere la lezione attuale di P. La colleganza di P ad M anzi è strettissima; poiché P si dimostra influenzato non tanto dal- l'errore di penna «imperati», quanto anche dalla cattiva corre- zione « imperanti ».

•Più chiaro d'assai è il secondo esempio datoci dal § 48 ('). Narrasi di san Severino, il quale udendo intorno a lui encomiarsi da taluni un re, e chiedendo di chi si parlasse, gli fu risposto : di Odoacre. Nella quale occasione, egli profetizzò che Odoacre avrebbe avuto un regno di 13 oppure 14 anni.

Eugippio (^^ scrive : « Respondentibus : Odoacrem, Odoacer, « inquit, qui integer Inter tredecim ... ». Nel codice M leggiamo: « respondentibus Odoacrem, inquit qui dixit eis inter tredecim ». E nel codice P: « respondentibus Odoachrem, qui dixit eis inter «tredecim...». La soppressione del nome «Odoacer» non distrugge il senso; tuttavia è poco probabile nel testo genuino doiV Anonymus, mentre era facilissimo che uno scriba lo ommet- tesse, tratto in errore dalla precedente voce « Odoacrem ». Ma assolutamente inconcepibile è la presenza simultanea di « inquit » e « dixit eis » che vediamo in M. Il testo è ristabilito in P, in modo peraltro da segnare un distacco da Eugippio. Infatti, se la voce « inquit » ricorda il testo eugippiano, la frase « qui dixit » vuol essere derivata da un'altra fonte, questa fonte sarà o YAno- nymus Valesianus nella sua forma originaria o piuttosto il compi- latore del codice M. Quindi concluderemo che, nel passo esa- minato, P ha quella sola espressione che vedemmo indipendente da Eugippio, mentre M ha questa forma avvicinata stranamente con quella che invece dipende dal vero e genuino testo eugip- piano. Sembra quindi che nel codice M si abbiano le traccie di una influenza della Vita s. Severini eugippiana, indipendente da

(i) Ed. Gardthausen, p. 292, r. 20; p. 293, r. 17. (2) Loc. cit.

3

34 C. CIPOLLA

rimaneggiamenti. Può ora cercarsi se all'antico compilatore o allo scriba del codice M sia da attribuirsi la frase « qui dixit eis », che potrebbe essere nient'altro che una interpolazione dovuta all'epitomatore; questa è l'opinione del Mommsen ('), la quale può offrire alla critica qualche lato vulnerabile. In ogni modo è certo quanto ci proponemmo di provare, che cioè la relazione tra M e Eugippio è più stretta, che non tra P ed Eugippio (^). E quindi riesce probabile che le lezioni « Pannoniam » e « intuitu » provengano piuttosto da congettura, che non da tradizione di- retta. Non si dimentichi tuttavia, che qui si parla di probabilità e non di certezza ; poiché non è del tutto assurdo il supporre che, sia pure per caso, in questo passo il testo genuino siasi conser- vato, di trascrizione in trascrizione, fino a giungere ad un mano- scritto, che in altri e gravi casi si stacca assai dalla fonte primi- tiva, ovvero siasi per altra strada presentato al copista di P. Dico questo, parlando in maniera assoluta; poiché in realtà quanto più approfondiamo l'esame della reciproca relazione tra M e P, tanto più chiare ne vediamo le attinenze reciproche.

Con maggiore certezza e ampiezza possiamo concedere attitu- dine critica all'antico correttore. Comincio tuttavia dall'osservare che, per quanto posso giudicarne, il correttore di P, che é presso a poco contemporaneo al primo scriba, rivide il testo che corresse sopra la fonte di esso. Me ne persuade il capitolo 78 ^'^ Qui il codice P leggeva originariamente : « ita ut in ecclesia clama- «retur», ommettendo la voce « ei », che nel codice Meermann- Phillips segue ad «ut». Il correttore aggiunse questa voce; evidentemente non poteva inventarla.

Altro esempio del medesimo fatto forse lo troviamo nel capitolo 84, dove M legge «praecipjtari », secondo Gardthau-

r

(i) Chron. min. p. 261.

(2) L'unica ragione seria, o piuttosto speciosa, in contrario potrebbe desumersi dalla voce « invitatus » del cap. 47; di ciò parleremo trattando delle divergenze tra M e P, senza tuttavia giungere ad altro risultato, se non questo, che sopra una sola parola non si può costruire un' ipotesi in contraddizione con dati numerosi ed evidenti.

(3) Ed. Gardthausen, p. 300, r. 22.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 35

sen <^'), o « precipitati » secondo Mommsen ^^\ Per render più chiaro il senso, lo scriba del codice P sostituì « praecipitati sunt » ; ma il correttore rimise la voce « praecipitari » ; so se potesse immaginarla per congetturai^'). Tuttavia in gran numero di casi è necessario invece ammettere nel correttore un vero spirito di ricerca critica e congetturale. Raccolgo alcuni esempi. Al §36(4) « mox venìens Ravennam » leggono M e P; ma il correttore di P mutò « veniens » in « venit », per rimettere, a suo giudizio, il senso ^5). Al § 4^ '^^^: «sua vertice contingeret » leggono M<^7) e P, ma il correttore di P, secondo la grammatica, cambiò « sua » in «suo». Il passo dipende dalla Fifa s. St't'mm di Eugippio, dove pure abbiamo « suo vertice ». si può leggere diversamente. Al § ^5 ^^\ il codice M reca: « Eodem tempore intentio orta est ». Nel codice P la terza parola é « contentio », lezione addottata dal Gardthausen, ma non dal Mommsen; ma la sillaba « con » vi é in rasura, forse di mano appunto del correttore, e sostituita a una sillaba ora illeggibile, ma che assai agevolmente potrà sup- porsi sia «in». Al § 71 <^9): « palatium usque ad perfectum « fecit, quem non dedicavit ». Così leggono M e P, ma in quest'ultimo codice, il correttore, per raggiustare la gramma- tica, sostituì «quem» con « quod ». Al § 73 ('°) : « sexaginta « modios tritici in solidum ipsius tempore fuerunt ». Cosi legge M, e così scrisse anche la prima mano del codice P. Ma la grammatica è offesa, sicché Gardthausen trovò opportuno

(i) Ed. cit. p. 302, rr. 12-3.

(2) Ed. cit. p. 327^^.

(3) Siccome il Mommsen legge « praecipitati » nel cod. ora Berlinese, così naturalmente crede che k praecipitari » sia una acuta congettura del correttore di P. Bisognerebbe verificare nuovamente la lezione del codice.

(4) Ed, Gardthausen, p. 289, r. 16; ed. Mommsen, p. 306.

(5) Evidentemente egli ignorava che VAnonymus usava il participio in luogo dell'indicativo presente.

(6) Ed. Gardthausen, p. 292, r. i; ed. Mommsen, p. 314.

(7) Secondo Mommsen forse leggeva « suo » la prima mano di M.

(8) Ed. Gardthausen, p. 297, r. 22; ed. Mommsen, p. 324-5.

(9) Ed, Gardthausen, p. 298, r. 28-9; ed. Mommsen, p. 324. (io) Ed. Gardthausen, p. 299, r. 16-7; ed. Mommsen, p. 324-7.

36 C. CIPOLLA

mutare « fuerunt » in « emerunt «. Invece nel codice P, il so- lito correttore (come pare) cercò di racconciare il testo, cambiando « modios » in a modii ». Al § 84 <^') il codice M ha « terre mota « frequenter fuerunt ». Nel codice P probabilmente ^^^ leggevasi del pari « terremota », ma ora vediamo raschiata V ultima let- tera, e alla t apposto il segno di abbreviazione ' , per indicare la sillaba us. Ne abbiamo la lezione « terremotus », la quale fu accolta dal Gardthausen, ma non ha in suo favore se non l'opi- nione dell'antico critico (5). Al § 87 ^^^t) «ducti in custodia» hanno M e P ; ma il correttore del secondo codice trovando che il senso esigeva « sunt », ve l'aggiunse. Al § stesso (5) « qui mox » hanno M e P. Siccome al posto di « qui » (= Boezio), do- vrebbe stare un accusativo, così già Francesco Rùhl (^^ aveva proposto di sostituire quella parola con « quem ». Il correttore P modificò infatti « qui » in « quem ». Gardthausen propose « moxque ». Al § 89 (') « quibus mihi iniunxeris » hanno M e P; ma il correttore di P, in grazia della grammatica, mutò l'ablativo « quibus » nell'accusativo « quas ». Forse la mede- sima emendazione era stata tentata nel manoscritto.

In parecchi punti la relazione tra M e P è strettissima, e tale da farci concludere che non possono i due codici considerarsi come a vicenda indipendenti. Qui tuttavia bisogna, avanti di procedere, notare alcune cose.

Nel codice Meermann il testo primitivo fu corretto da più mani, e non è dello scopo di queste ricerche l'esaminare il valore critico delle correzioni. Gardthausen ne tenne conto diligente. Il Frick^^)

(i) Ed. Gardthausen, p. 502, r. 15; ed. Mommsen, p. 326-7.

(2) Tuttavia il Mommsen opina clic di prima mano vi si leggesse « terremota «.

(3) E quindi Mommsen legge : « terre mota ».

(4) Ed. Gardthausen, p. 303, r. 4; ed. Mommsen, pp. 328-9.

(5) Ed. Gardthausen, p. 303, r. 7; ed. Mommsen, p. 329.

(6) Ucber dm Codex Meermannianus des Anonymus Valesianus cit. IV, 368 sgg.

(7) Ed. Gardthausen, p. 503, r. 24; ed. Mommsen, p. 328.

(8) Op. cit. p. 342.

I

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II .> 37

invece le riguarda come assolutamente inutili; e l'autorevole giu- dizio del Mommsen non è guari differente. A noi possono tornare utili assai, indipendentemente da ogni questione sulla ri- costituzione del testo delY Jnonymus, per determinare il grado di relazione che intercede tra M e P; bisogna vedere cioè se P riproduca il testo originario di M, o le sue correzioni. È poi chiaro che, se si accetta l'opinione del Frick, le correzioni di M sono modificazioni fatte con criterio soggettivo; e quindi la loro concordia con P proverebbe senz'altro che P attinse proprio dal- l'attuale codice M, e non da un testo parallelo.

Sono importanti le coincidenze tra M e P dove si tratti di er- rori di scrittura. Ma è molto difficile il poter conoscere, almeno in non pochi casi, se si tratti di un errore di scrittura, ovvero di una forma stilistica da attribuirsi aW Anoìiyinus, e~non da riguar- darsi come una specialità, dirò così, accidentale del codice M.

Il dottor Frick è a questo proposito molto ardito. Per quanta stima si abbia a fare dei suoi spogli grammaticali, io dubito molto che un linguista possa acquietarsi ai suoi risultati. Poiché egli tien conto ad un modo di tutte le lezioni del codice M (nella sua forma primitiva) e non appena trova una deviazione dalle or- dinarie regole grammaticali, la registra, siccome una specialità; anzi impHcitamente o esplicitamente la riferisce al testo dell' ^wo- nymus. In questo trovo due punti nei quali non saprei seguire l'egregio critico. Prima di tutto mi pare che una forma gramma- ticale non possa stabilirsi come peculiare ad una scrittura, quando se ne può citare appena un esempio, o poco più. E, in secondo luogo, sarebbe necessario esaminar bene quello che si debba at- tribuire al copista; anzi per poter giungere, in questo argomento, a buoni risultati, bisognerebbe studiare come nel codice M siano stati trattati ^') gii altri estratti che appartengono a testi a noi noti per altre e forse migliori fonti.

(i) Bisogna peraltro non dimenticare che nel codice M VAnon. Vales. I affermasi di mano diversa àalVAiioii. ì'alcs. II, e quindi non vale forse il me- desimo criterio per i due testi. Della mano stessa, che scrisse VAnon. Vales, II, sono i pochi frammenti della HisL Langoh. di Paolo Diacono, che furono

38 C. CIPOLLA

Era indispensabile che il Frick, quando studiava una data forma linguistica, esaminasse se essa ricorre sempre nei medesimi casi, o almeno di sovente; poiché incontrandola appena qualche volta e contraddetta dall'uso ordinario, si ha qualche arca^ Xsyójisvov che non dice nulla.

Alcune forme dal Frick messe in rilievo, temo che abbiano pochissimo valore. E, per principiare dalla prima, egli nota il genitivo singolare della prima declinazione «Rome», «terre», senza il dittongo se. È una peculiarità ortografica e non altro. Come esempio di ablativo singolare della prima declinazione in -am cita dall' Anonymus /, § 21, « vastata - Moessiam », dove il testo completo ha: « vastata Trachia et Moessiam », ed è age- vole il supporre che la finale -m, rappresentata da una linea d'ab- breviazione sovrapposta all'ultima a, non sia che un errore di scrittura <^').

Altri fatti di simile natura si possono addurre qui, sceglien- doh tra le citazioni del Frick. Egli ammette, per la quinta de- clinazione, l'ablativo singolare « diem » citando § 73, p. 299, r. 16, Mommsen, p. 324 3^; potea aggiungere anche § 5^, p. 295,

collazionati coU'edizione Muratoriana da G. E. Pertz. Ma è di già un elemento di dubbiezza il fatto di una collazione con una stampa; eppoi la collazione stessa ci è nota solamente dai pochi passi, scelti e comunicati dal Waitz nella sua edizione di detta Historia di Paolo. Si sa che nell'apparato critico a quel testo il Waitz non riproduce tutte le varianti dei vari codici, ma solo quelle che gli parvero caratteristiche. Tuttavia vi trovai a notare l'accusativo « omniaque tempora » (Paolo, lib. II, cap. i) (= « omni tempore ») che ri- sponde a « totum modum, o « totum modo » (= « omni modo ») del cod. M (ed. Gardthausen, p. 299, r. 13; ed. Mommsen, 324-536), di cui parlò Frick, op. cit. p. 346. Anche nella Historia di Paolo intervenne l'opera del cor- rettore, come vedesi nelle note al lib. II, cap. 4; dove il cod. leggeva « lusti- « niano », il correttore mutò in « Instino ». Avverto che il Mommsen (p. 6) attribuisce all'cpitomatore certe curiose forme sgrammaticate.

(i) Escludendo un errore di scrittura in questa o altra frase simile 63, « accepta uxorem »), si può supporre un falso accusativo in « Moes- « siam » e «uxorem», quasi fossero voci rette dai rispettivi participi; ma non parmi sia il caso di parlare di un ablativo singolare in -am. Ai luoghi citati il MoM.MSEN non riferisce neppure le lezioni « Moessiam » e « uxorem ».

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 39

r. 4, Mommsen, p. 320 '^. Ma dovea anche notare che altrove (') si ha « die ». Si sa come si scriveva nel ix secolo; or bene come puossi distinguere, senza prove sicure, ciò che addebiteremo al copista o all' excerptatore, e ciò che faremo risalire all'originale ?

Parlando della seconda declinazione, Frick cita un genitivo in -iae invece che in -ii, in « Dalmatiae » per « Dalmatii » ; ma ognun vede che qui il copista confuse Tusitatissimo nome della regione, col meno comune nome personale.

Questo tuttavia non impedisce di ammettere che in altri punti il Frick non dica giusto. Quando dimostra che in molti e molti luoghi VAnonymus II forma l'accusativo singolare della seconda declinazione in -o, sembra cogliere nel segno, tanto più che si tratta di un idiotismo abbastanza comune. Non so se riferire alla fonte la frase « totum modo » per « omni modo » ^^\ che leggesi nel testo primitivo di M, quantunque un correttore ve l'abbia cancellata. Gli daremo ragione quando trova da notare con molta frequenza in Anonymus II 1' accusativo singolare in -e (senza la m). Forse può non aver torto dando importanza ai tre esempi (3) di « Ravennatis » per «Ravennae». Più probabil- mente avrà ragione segnando « comis » per « cometes » (*), dove dubitando che altri lo tratti da fantastico, rimanda a due luoghi di Agnello Ravennate, in cui s'incontra l'identica forma; può tut- tavia osservarsi che VAnonymus II spetta alla metà incirca del vi secolo, mentre Agnello è d'assai posteriore. Qualche sicurezza ho quando trovo scambiato il genere alle voci « corpus », « saxum », « edictum », « palatium » (5)^ quantunque siasi sempre nell'incer-

(i) Ed. Gardthausen, § 74, p. 299, r. 22 (M. 324"^); § 94, p. 304, r. 24 (M. 328^°); § 95,p. 305, r. 3 (M. 328^^).

(2) Ed. Gardthausen, § 73, p. 299, r. 13 (M. 324-536). Mommsen legge: « totum modo », e Gardthausen : « totum modum ».

(3) Ed. Gardthausen, § 81-2, p. 301, rr. io e 20 (M. 326-7^", 3263^); § 84, p. 302, r. IO (M. 327"').

(4) Ed. Gardthausen, § 84, p. 302, r. 14 (M. 326-7 ''3).

(5) Ed. Gardthausen, §93, p, 304, r. 21 (M. 3283S); ^ ^5^ p. ^05, r. 8 (M. 328 '^§); § 60, p. 296, r. 2 (M. 322-3 '^^ dove si propone di leggere: « quo ius » in luogo di « quem eius » del codice M); § 71, p. 298, r. 28 (M. 324^5).

40 C. CIPOLLA

tezza. Il Mommsen <^') è disposto ad attribuire tutte queste forme all'epitomatore o allo scriba. Più probabilmente ha ragione il Frick, quando lo segnala scambio di « sui » per « eius », « ipse » per « hic », « erit » per « fuerit ». Ma anche nei verbi non sempre dice giusto, e non ha valore l'esempio di « vinctus » per « victus » ch'egli rilevò neW Anonymus VaUsianus I (^).

L'uso del relativo « qui » per « que » occorre più volte (5). Il Frick poteva anche aggiungere che qui si tratta di non raro idiotismo. Poiché una grave deficienza negli spogli del Frick è la quasi completa mancanza di ogni confronto con la lingua usata dagli scrittori che si possono considerare presso a poco come con- temporanei all' Anonymus IL Un esempio ne reca una iscrizione testé pubblicata dal chiarissimo G. Gatti '^4). Tuttavia il Frick doveva citare che altrove (5) si ha proprio « que », senza va- rianti. Ben facilmente dobbiamo dargli ragione, quando (^^ mette innanzi l'uso singolare delle costruzioni participiali. E infatti troviamo « veniens » per « venit ». Ne parleremo in appresso. Qui peraltro noto che anche in questo campo non bisogna esa- gerare. Si trova anche « accepta fide » (?) come un vero abla- tivo assoluto.

Di qui si comprende coni' io stimi che le deduzioni del Frick non possano accettarsi senza molte e molte restrizioni.

(i) Chroii. min. p. 262.

(2) Ed. Gardthausen, § 12, p. 285, r. 12 (M. 8 '9).

(3) Ed. Gardthausen, § 58, p. 295, r. 16 (M. 323'); § 62, p. 297, rr. 3 e 6 (M. 322-337.39); § 62, p. 296, r. 28 (M. 322-336).

(4) Bulleitino della Commissione archeologica comunale di Roma, Roma, 1891, XIX, 77. « Quemdam curtem nostrani » dice Lotario I in un diploma del 4 maggio 839 (Muratori, Anlicj. hai. I, 579-80). Un altro esempio mi si presenta in una iscrizione di Acqui in Piemonte : f hic req.viescit in pace I B. M. maria Q.VI vixiT | IN HOC SECVLO | &c. C. I. L. V, 2, n. 7 5 29 5 Cazzerà, Iscrizioni cristiane del Piemonte, Torino, p. 63 ; lozzi, // Piemonte sacro, Acqui, I, 33.

(5) Ed. Cardthausen, § 62, p. 296, r, 20 (M. 3223°); § 84, p. 302, r. 14 (M. 326^3).

(6) Op. cit. pp. 3^16-7,

(7) Ed. Gardthausen, § 54, p. 294, r. 25 (M. 3203).

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 41

Ora comincerò dal raccogliere le principali somiglianze fra M e P, tenendo d'occhio a sfuggire quei punti che il Frick ha con minore insuccesso tentato di provare essere peculiarità hn- guistiche da attribuirsi alla fonte stessa, nella più antica sua forma.

Gap. 37, p. 290, r. 3 (M. 308 '^ che congettura: «Scirorum») « Cyrorum » M P. Gap. 45, 291, 22 (M. 314^^, che congettura « regno »): « in regnum » M P. Gap. 45, 291, 21 (M. 314^^) « deposito )) M"" P ('). Gap. 46, 292, i (M. 314^'^): « sua ver- « tice » M P, salvo che il correttore di P mutò in « suo».W Frick adduce questo passo, come unico esempio di un maschile mutato in femminile. Ma perchè non pensare a un errore di penna ? Il passo è la trascrizione di un brano della Fita s. Se- verini di Eugippio dove pure leggiamo: « suo ». Gap. 46, 292, 2 (M. 3 14 3''): « incHnasset » P M, senza « se », pronome richiesto dal senso e che non manca nel luogo corrispondente della Vita s. Severini di Eugippio ^^\ Gap. 46, 292, 3 (M. 315 '): « gloriosum se (corr. « esse») forte cognovit » M; « gloriosum « esse forete cognovit » P, ma colla prima e di « forete » raschiata, così da leggersi « forte ». La lezione genuina è presto so- stituita a mezzo del testo di Eugippio: « se fore ». Gap. 46, 292, 3 (M. 315'): «inquid» M' P. Gap. 48, 293, i (M. 315^), la voce « integer », che si trova nel corrispondente passo della Vita s. Severini di Eugippio, venne ommessa da ambedue i ma- noscritti. Gap. 50, 293, 13: « At vero Odoacer («Odoachar» P) » M' P, « Et » M'. Gap. ^3, 294, 15 (M. 31(3^°): « Festum » M P, in luogo forse di « Faustum », voce congetturata da tutti gli edi- tori, tranne che dal Mommsen ('^\ Gap. 53-4, 294, 12 (M. 316^^,

(i) In M di prima mano leggesi: « deposi... ».

(2) Se stiamo al Mommsen, la prima mano di M forse leggeva : « suo » ; ma egli crede che P legga senz'altro: « suo », e non distingue la lezione originaria dalla correzione.

(3) Mommsen, per congettura, aggiunge il « se ».

(4) In questo medesimo cap. 53, p. 294, r. 6, ambedue i codici leggono « Cremona », dove Holder-Egger, N. Archiv, I, 319, crede si debba leg- gere «Ravenna». Egli dice che, pur secondo l'attestazione dell'.'Z/iOH. Teo- derico prima era andato a Ravenna e di doveva muovere verso Milano. Ma

3*

42 e. CIPOLLA

318^) e 19: «Pineta» M^ (sostituito a « Peneta » o « Penita »), « Pineta, Pinneta » P. Gap. 54, 294, 22 : « in fluvio Vccente » M, « in fluvio Vecentc » P ^'\ Secondo Gardtliausen e Mommsen de- vesi leggere: «in fluvio Sedente». Gap. 60,295,21 (M. 322-3") « perperam » M' (?) P, « perpere » M\ Gap. 62, 297, 9 « dum» M P, forse per « tum ». Gap. 65, 297, 22 (M. 324') « intentio » M; se ora P ha « contentio », le prime lettere cont sono, come pare, del correttore, sicché sembra che la lezione ori- ginaria anche di questo codice fosse «intentio». Gardthausen accettò « contentio », lezione che peraltro si dovrà riguardare niente più che come una congettura dell'antico scriba veronese W. Gap. 65, 297, 24 (M. 324-5 ""): « ei » M P, in luogo di « eo », o di « et» delle edizioni. Gap. 66, 298, 4 (M. 324-5'): « in- « violabiHter » M^ P. Gap. 73, 299, 17 e 18 (M. 324-5 ''^■^): «mo- « dios tritici . . . fuerunt et vinum triginta anforas » M P, ma il correttore di P mutò « modios » in « modii » e « anforas » in « anfore ». Frick invece conserva i due accusativi e li come esempio, ma unico, di un accusativo per un nominativo. Gardthausen mutò « fuerunt » in « emerunt ». Gap. 74, 299, 23 (M. 324-5"^): « infra » M^ P. Gap. 74, 299, 28 - 300, i (M. 324-5 ^^y. « se sae » M) conlocaverunt » M* P (5). Gap. 81, 301,11: « laudent » M (cioè la lezione originaria), « ludent » M", « ludunt » P f^^). Gap. 82, 301, 23 (M. 326^3): « frustati » M,« frustrati» P; Enrico Valesio aveva proposto « fustati », ora

tale ragione per escludere « Cremona » vale solo fino a un certo punto, poiché non è provato che Teoderico da Ravenna non potesse essere venuto a Cremona. La condizione lacunosa del testo lascia luogo a simili dubbi, (i) Gardthausen registra « Uecente » come lezione di ambedue i ma- noscritti. Nel cod. P la seconda e la terza e sono cedigliate; non posso controllare la lezione esatta di M se non colle testimonianze del Gardthausen e del Mommsen.

(2) Con ragione il Mommsen mantiene « intentio ».

(3) Secondo Gardthausen la seconda mano di M legge: « saec...l[o]- « caverunt », e la prima : « culucaverunt (?) ». Secondo Mommsen la seconda: « saelòcaverunt », e la prima: « saeculicaverunt ».

(4) Seguo qui la lezione di Mommsen, mentre quella divergente di Gardthausen è poco chiara.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 43

il Mommsen, adducendo un esempio tolto dall'editto di Liut- prando, conferma « frustati ». Gap. 82, 301, 24 (M. 326-7-"): « Euthericum » M; « Eutherico » P, ma forse con traccia di correzione in fine alla voce. <^') Gap. 84, 302, 14 (M. 326-7 '*3): « pendens » M P, che parmi errore per «splendens». Ho pen- sato se ci fosse modo di difendere « pendens », quasi la stella pendesse, così come « imminebat » la luna descritta da Orazio. Ma non so decidermi ad ammettere un traslato di tanta arditezza. L'avrei accettato, se fosse stato possibile difenderlo con qualche raffronto biblico, e specialmente colla stella apparsa ai re magi. L'unico passo che qui potrebbe addursi è Matteo, 11, 9 : « Stella « quam viderant in Oriente, antecedebat eos, usquedum veniens « staret supra, ubi erat puer » . Così nella volgata; ma lo « staret « supra » dell'Evangelo ha ben altro motivo di essere, che non il « pendens » dei nostri codici. Siccome è opinione di alcuni, anche gravi scrittori, come il Pallmann, che YAnonymus Vaìesianus abbia forse scritto in Verona, cosi cercai se la versio Feronensis ^''> desse qui qualche lezione che facesse per noi ; ma nel luogo che c'interessa essa dice, con poca differenza dalla volgata, solamente cosi: « usquedum venit et stetit supra puerum ». Il Mommsen accettò il « pendens » dei codici, ma senza sufìragarlo con raf- fronti. Gap. 84, 302, 15 (M. 326-7"*): «terremota» M; P nella prima lezione avea: « terre mot.. », dove la lettera finale era forse a od u, ma fu raschiata dal correttore per sostituirla col segno d'abbreviazione indicante us = « terremotus ». M' : « terre «mota» ed M^: «terre motu». Gap. 86, 303, i (M. 328-9"): « rex dolum Romanis tenebat » iM P, che reputasi un errore per « tendebat », lezione per la prima volta proposta da Adriano Va- lesio ed ora seguita anche dal Mommsen. Per bene apprezzare il valore di questo luogo bisogna avvertire che qui Y Anonymus Vaìesianus, scrivendo « sed rex dolum Romanis ten[d]ebat et « querebat quem ad modum eos interficeret » (p. 303, r. 1-2; M. 328-9 '^"J), copia le parole evangehche riguardanti le macchina-

(i) Mommsen crede che l'originaria lezione di P fosse: « Eutherico ». (2) Ed. Bianchini, Evang. quadruplex, 1, 1,9.

44 C. CIPOLLA

zioni dei sacerdoti giudaici contro Gesù Cristo. Matteo, xxvi, 4, scrive: « et consilium fecerunt ut lesum dolo tenerent, et « occiderent » . Marco, xiv, i : « et querebant summi sa- « cerdotes et scriba quomodo eum dolo tenerent et occide- « rent » . Luca, xxir, 2 : « et querebant principes sacerdo- « tum et scribe, quomodo lesum interficerent ». Stanno bene il « tenere » e il « dolum », ma con queste due voci Y Anonymus dovea dire: « dolo Romanos tenebat ». Non so se uno scrit- tore cosi scorretto come il nostro anonimo non potesse fare una simile confusione. Ma è più probabile ammettere che il testo pri- mitivo o avesse « rex dolo Romanos tenebat » o, come era più rispondente al senso voluto dall'autore, scrivesse bensì « rex « dolum Romanis », ma a « tenebat » sostituisse qualche altro vocabolo. E quest' altra parola potea essere anche « tende- « bat». Nulla del resto di più facile che l'excerptatore o un co- pista, sentendosi risonare nell'orecchio la nota frase evangelica, ce l'abbia rimessa qui tutta intera, senza curarsi che il senso ne andasse sciupato. Gap. 87, 303, 7 (M. 328-9^): « Qui mox » M P, dove il correttore di P modificò l'ultima lettera di « qui » ri- ducendola, pare, ad una e, col segno di abbreviazione (= « quem »). Frick sostiene « qui » e lo come unico esempio del relativo nominativo in luogo del relativo accusativo. Gli altri critici in- vece, e credo con più di ragione, s'industriano di emendare il testo corretto; anche Mommsen legge: « quem » ('). Gap. 88, 303, 12 (M. 328-9'^): « ex Ravenna » M P ^'^'>, dove è certo da leggersi: « rex Ravennam » o « Ravenna », perchè si tratta ivi di dire che Teoderico si recò a Ravenna, dove chiamò alla sua presenza il pontefice Giovanni I. Gap. 89, 303, 24 (M. 328-9''°): « quibus » M P (5)j che il correttore di P sostituì con « quas ».

(i) Se una congettura del Mommsen fosse sicura, potremmo qui segnare anche: Gap. 87, 303, 8 (M. 328-91'°): « misìt rex et fecit » M P, in luogo di : <f misere fecit ».

(2) Per scrupolo di esattezza avverto che P legge: « exrauen na ». Pe- raltro si noti che certi distacchi di sillabe, anche non giustificati, sono ab- bastanza comuni in quel ms., ma non hanno alcun valore.

(3) Secondo Mommsen forse il correttore di M uvea già segnato « quas ».

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 45

Suppongo che « quibiis » sia un errore, in cui incappò l'excerpta- tore o un copista, ingannato dalle precedenti parole: « in aliis « causis » (0. Gap. 92, 304, io (M. 328-9^°): « dolo » M P, errore manifesto per « dolore » (^). Gap. 93, 304, 12 (M. 328-9^*): « igitur » IVr P. Gap. 93, 304, 17 (M. 328^'): « pervenisset » M P. Zangemeister propose e Gardthausen accettò « pervenis- « sent », ma è sostenibile « pervenisset », come legge il Momm- sen, il quale poi sostituisce a « lectus » (G. 304, 17; M. 328-9^'), dato da M P, « latus ».

Di fronte a questi punti di contatto, abbiamo da registrare anche parecchie notevoH divergenze. A diminuirle, possono farsi alcune supposizioni a seconda dei casi: errori di scrittura, con- getture critiche &c. Giovano queste supposizioni ad avvicinare il codice P al codice M ? Al lettore il giudizio. Noi citeremo una serie di fatti.

Gominciamo dal cap. 45, p. 291, r. 25 (M. 314^°): « eius » M, « ei » P. Il senso è migliore con « eius », ma anche « ei » non è un assurdo. Può facilmente supporsi la ommissione del segno abbreviativo dopo « ei ». Gap. 4^, 292, 3 (M. 315'): v( vade dicenti » M, « vale dicenti » P. La voce « vade » è un errore manifesto. Gap. 47, 292, 5 (M. 315^): « interim » M, « igitur » P. Gap. 47, 292, ii~2 (M. 315 ^■7): « per litteras « invitatur » M, « invitatus » P. Si può supporre una facile con- gettura di P ; tuttavia è notevole che legge « invitatus » anche la Fifa s. Sevcrinl di Eugippio, della quale non apparisce che lo scriba del codice P abbia fatto uso diretto. Gap. 48, 292, 20-293, I (M. 3 15 '5"4) : « inquit qui dixit eis » M, « qui dixit eis » P, dove il codice P sopprimendo la voce « inquit », che sembra dipendere direttamente dal testo di Eugippio, mostra di non aver cono- scenza di quest'ultimo scrittore. Gap. 62, 296, 15 (M. 322-3 ^'):

(i) Il MoMMSEN accetta « quibus », come lezione esatta.

(2) Nel Lexicon del De Vit, II, 780, si troverà citata una iscrizione na- poletana in cui è dubbio se la voce « dolus » sia stata adoperata in luogo di « dolor ». Ma, fosse anche certo, ciò che è dubbioso, questo non sa- rebbe sufficiente a giustificare il passo dell'^MO». Falcs.,qua.\e è dato dai due mss.

46 C. CIPOLLA

« quaequo » M, « qui quoquo » P. Gardthausen legge « quoquo » , e lo segue il Mommsen. Gap. 62, 29(3, 16 (M. 322 ^^): « sponde- «rat» M, « spoponderat » P, con facile congettura. Gap. ^2,296,21 (M. 322 3°): « ad » M, « at » P ('>. Gap. 62, 297, i (M. 322-3 3*^): « conspec » M (rimanendo, alla fine della pagina, tronca la voce), « conspectu » P. Gap. 62, 297, 5 (M. 322-3 ^^) : « in curibus » M <^^), « in curia » P <^3), Gap. 62, 297, io (M. 322-3"'): « pol- « litus » M, « poUicitus » P. Gap. 63, 297, 15: « Arevagni » M, « Areécagni» P (con patente errore di lettura). Gap. ^3, 297, 17 (M. 322-3"^): « Gundebai » M, « Gundebaudi » P. Gap. 6^, 297, 25 (ìM. 324-5"): « facta pace » M, « post factam pacem » P, modificazione stilistica che Gardthausen, credo inopportuna- mente, adottò nel suo testo. Frick la riguarda come un bel- l'esempio dell' uso del participio peculiare al nostro scrittore. Anche Mommsen legge: « post facta pace ». Gap. 75, 300, 5 (M. 32^-7'): « qui » M, « quis » P. Gap. 75, 300, io (M. 326-73): « potes te » M, « post te » P. Gap. 78, 300, 23 (M. 326-7'''): « in trinitate lanceola non mittis » M, « in trini- « tatem lanceolam mittis » P; la diversità più grave, in ap- parenza almeno, consiste nella ommissione della negativa « non » , poiché l'accusativo sostituito all' ablativo può provenire da con- gettura. Ma anche la ommissione di « non », non è poi cosa di rilievo; poiché, se si osserva, mettasi o no la « non », il senso resta quello; muta appena il modo, non la sostanza della espres- sione. Gap. 81, 301, Il (M. 326-7^^): « laudent » M, corretto in: «ludent»; «ludunt» P. Gardthausen accettò quest'ultima le- zione, ma il senso manca con tutte del pari. Mommsen, aderendo all'opinione del Gardthausen, riconosce incerto il passo. Gap. 82, 301, 24 (M. 3 26-7 3"): « data praecepta » M, « dato precepto » P. Gardthausen preferì questa seconda lezione, ma non so se abbia

(i) Mommsen, non nota la variante: « ad ».

(2) Secondo Mommsen qui M legge: « in curibus », ma secondo Gardt HAUSEN legge: « in auribus ».

(3) Frick, op. cit. p. 342, riguarda « in curia » come un'arbitraria mu- tazione dovuta a P, e conferma la lezione attribuita ad M, rammentando la frase « auribus intimare » che si legge presso Marziano Capella ed altri.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 47

scelto bene. La frase « data praecepta « forse presuppone il verbo « sunt » '^^\ ommesso frequentemente dal nostro scrittore. Am- mettendo solamente tale oramissione, il plurale « data praecepta » meglio si accorda col Eitto che il comando fu dato a più persone ; basta, poiché con « data praecepta » siamo costretti a formare una proposizione a fino ad « episcopum », staccandone quanto segue : « secundum hunc tenorem praecepit, et ita adimpletum «est» (ed. Gardt. p. 302, r. 1-2; ed. Mommsen, p. 526 3^) (^), e in ciò si ha un vantaggio, poiché viene tolta la difficoltà prove- niente dalla ripetizione del concetto di comandare, nella mede- sima proposizione. Gap. 83, 302, 3 (M. 32^-72^): «diabolus» M, « malignus » P. Gap. 85, 302, 17 (M. 32^-7'*'): « inventa» M, « facta » P : quest' ultima lezione é un manifesto errore. Gap. 95, 305, 2 (M. 328-9 '^3): « fluxu » M, « qui fluxu » P, dove Gardthausen, seguito dal Mommsen, propone: « fluxum ». Vi si oppone Frick. Gap. 95, 305, 3 (M. 328-9'''*): « quo re « gaudebat » M; nel codice P dapprima erasi scritto semplicemente: « quo gaudebat », ma poi, fra queste due voci, forse di mano del correttore, fu aggiunto: « se ». E « se » accettano Gardt- hausen e Mommsen, quantunque il senso zoppichi. L'autore vuol significare che Teoderico perdette il regno e la vita nel giorno medesimo « quo (se) gaudebat ecclesias invadere », in conformità agU ordini da lui impartiti. Ora é chiaro che il pronome «se» ha poca ragione di essere. Gap. 96, 305, 5 (M. 328-9 *'^) : « exalaret » M, « animam exalaret » P. Gap. 96, 305, 8 (M. 328-9"^): « saxum ingentem quem » M, « saxum ingentem « (corretto in « ingens » ; ma di qual mano ?) quod » P.

In questo elenco abbiamo trascurato parecchie divergenze di minor conto.

Adesso che il lettore ha sott' occhio, in due quadri, le diver- genze e le somiglianze più rilevanti, che disgiungono e avvici-

(i) Invece Frick crede che l'autore abbia assunto « praeceptum » come nome di genere femminile.

(2) Il Mommsen (326-735) vorrebbe formare una sola proposizione sino ad « adimpletum » sopprimendo « praecepit », e, al fine, « est ».

48 C. CIPOLLA

nano i due manoscritti, potrà darne un giudizio da sé. Risalta subito, elle le somiglianze sono quanto numerose, altrettanto con- cludenti. Poiché si spingono fino alla riproduzione di una lunga serie di errori, di sviste, di accidenti grafici. Non così può dirsi delle dissomiglianze, delle quali niuna forse è tale da costi- tuire una prova indiscutibile per separare i due testi. In qualche luogo abbiamo sostituzione di parole, come 83) « malignus » in luogo di « diabolus » &c. ; ma che cosa concluderne ? Quando P legge « facta occasione » 85) in luogo di « inventa occa- « sione », che è la lezione di M, non possiamo pensare se non ad un lapsus calami. Quando P 95) legge: « animam exalaret », invece dell' « exalaret » del codice M, abbiamo una completazione della frase, la quale pareva rimasta monca; ma tutto fa credere che quella completazione dipenda solo dall'ingegno critico del trascrittore. Pochi, anzi pochissimi sono i passi un po' gravi e che lascino luogo a sospettare davvero che i due testi siano in- dipendenti. Noto al capo 47 « invitatus » in luogo dell'errore « invitatur » del codice P. Ma trattandosi di pochissimi luoghi, se ne può cavare ben poco. Quindi concluderemo : P viene molto, ma molto dappresso ad M, e se anche non si voglia am- mettere che ne sia una pura e semplice trascrizione, certo è che esso non appartiene ad una diversa famigHa di quello, anzi è ad esso unito nel modo più intimo.

Questa relazione è fatta più grave e sensibile dal fatto che P riproduce le correzioni di seconda mano introdotte nel codice M.

Trovandosi i due codici in tale relazione di affinità, sarà bene notare che P è inferiore ad M, ed è verso di esso in relazione di dipendenza. A stabilire questa speciale relazione non è suffi- ciente il fatto che P è del secolo xii, ed M del ix. Poiché, tranne il caso in cui si vogHa considerare P siccome nient' altro che una trascrizione di M, ci sarebbe luogo a supporre che la fonte di P possa essere più antica di M. E quindi si po- trebbe chiedere se non forse.il testo esemplare del codice più antico dipendesse dal più moderno o almeno fosse ad esso in- feriore.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 49

Tale ipotesi, già di per abbastanza ardita, è esclusa dal fatto che in P mancano molti brani esistenti in M, e non vice- versa. Ecco la serie delle mancanze in P :

i.° Parte del cap. 38, da « et quia », p. 290, r. 7 (M. 310^), a tutto il cap. 44, p. 291, r. 19 (M. 314 *^); brano non sostituito,

Cap. 49^ e parte del cap. 50, sino a « victus fugit », p. 293, rr. 3-13 (M. 31^'''''). Questo brano è sostituito da lunghi estratti di lordanis.

3.° Cap. 51-2, p. 293, r. 18 - p. 293, r. 4 (M. 316); da nulla sostituito.

4.° Parte del cap. 54, da « igitur coactus », p. 294, r. 23 (M. 320'), fino a (( annos .xxxiii. » del cap. 59, p. 295, r. 18 (M. 322^); brano sostituito da un breve tratto di lordanis.

5." Quasi intero il cap. 60, da « sic gubernavit», p. 295, r. 21 (M. 322 ''^); da nulla sostituito.

Cap. 6j, 6S, 6^ e parte del 70 sino a « omnibus gen- « tibus », p. 298, r. 25 (M. 324**: « omnes gentes »); da nulla sostituito.

Non e' è più bisogno di altre prove ; ma a meglio mostrare la posteriorità del testo P in confronto dell'altro, è ancora op- portuno rilevare che in M sono indicate alcune lacune delle quali o non resta più alcun segno in P, o forse ne resta un segno caratteristico. Tali lacune sono: prima del capitolo 57, p. 295, tra il r. 7 e r 8, il codice M segna la lacuna di una linea ('). Come si è veduto, il codice P ommette il brano in cui cade questa la- cuna. Prima del cap. 79, p. 300, tra il r. 25 e il 26 (M. 32^-7'^); qui il codice P non accenna a lacuna, ma scrive in lettere grosse il principio, cioè il primo rigo del cap. 79, in questa forma: « Igitur rex Theodericus ixLiTTE]ratus erat, et sic » &c. Capi- tolo 88, 303, 15 (M. 329"^): avanti ad « Item credens » il co- dice M ha una lacuna di un quarto di Hnea. Nel codice P si ha la voce « Item » colla maiuscola iniziale, e nuli' altro.

(i) Nell'ed. del Mommsen, il cap. 57 non comincia con « Theodericus », come nell'ed. Gardthausen, ma un po' prima con « Et morìtur ». La lacuna incontrasi prima di « Theodericus » e non la trovo indicata dal Mommsen.

4

so C. CIPOLLA

Dalle ragioni che abbiamo discorso, mi pare che si possa concludere qualche cosa. Specialmente i seguenti punti mi sem- brano sufficientemente assodati: a) il codice P non solamente è posteriore di epoca ad M, ma anche il testo ch'esso ci è in- feriore a quello del codice P; b) il codice P dipende o diretta- mente o quasi direttamente da M, sicché non è escluso che ne sia una trascrizione, fors'anco senza copie intermediarie ('). Questo secondo punto, anche se non se ne avessero altri argomenti, sarebbe sempre assicurato dalla circostanza che il codice P apparisce come una pura e semplice trascrizione di altra miscellanea storica. Lo scriba, come si è veduto, si prese la cura di dircelo, in un carme, che abbiamo poc' anzi trascritto; infatti in quel carme lo scriba manifesta stesso non come autore, ma come trascrittore di Ubri.

Da questo consegue che per l'edizione critica del testo del- VAnonymus Vaìcsìanus II il codice P ha pochissimo valore. Le varianti possono considerarsi in generale o come errori di scrit- tura, o come sostituzioni, giudiziose forse, ma ad ogni modo arbi- trarie. Se quindi il codice P giova assai poco per la fissazione del testo, non ha neanche molta importanza per la soluzione di un quesito più grave e di ordine generale : possiamo supporre che il testo attuale deli' Anonymus sia una pura collezione di passi staccati, desunti per un determinato scopo d'erudizione dal testo genuino ? Questa supposizione, questo dubbio non possono venire eliminati, se non per mezzo di una ricerca d'ordine interno, dal momento che i sussidi esteriori della critica ci vengono a man-

(i) Nell'elenco delle somiglianze tra M e P ne abbiamo notate parecchie nelle quali quest'ultimo codice riproduceva le correzioni successivamente in- trodotte nel primo ms. Sicché saremmo quasi autorizzati a conchiudere che il codice P dipenda direttamente dal codice M. Ma siccome sulle correzioni di M non è stata forse ancora pronunciata l'ultima parola, cosi è meglio la- sciare per ora sospeso su questo punto il nostro giudizio definitivo ed accon- tentarci di una probabilità. Il Mommsen non raccolse nelle note tutto il corredo delle varianti. E poi prima di dare un giudizio preciso sopra la re- lazione interposta tra i due codici, basandosi soltanto sopra un aneddoto in essi contenuto, sarebbe necessario istituire un esame minutissimo di tutt' in- teri i due mss. A questo esame andiamo sempre più avvicinandoci, quan- tunque ne siamo ancora abbastanza lontani.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 51

care, per l'esclusione del codice P. Finché due erano i codici, si potea ammettere infatti che, nelle sue linee generali, il testo risultasse assodato. Ma ora la questione muta di aspetto.

Prima tuttavia di toccare siffatta questione, dobbiamo dire alcun che di un'altra antica compilazione storica, che contiene VAiionymns Vaìesianus, e di cui finora si ebbe scarsissima notizia, almeno al presente riguardo.

IH.

Giovanni da Verona e V Au 07iym tis Va le si a n u s II.

Fino dal 187^ ^^'^ ebbi occasione di rilevare che ì'Anonymus Valesiamis, nella parte che riguarda la storia di Odoacre e di Teoderico, era stato usufruito al principio del secolo xiv da un veronese, che per ordinario si conosce sotto il nome di Gio- vanni Diacono o Giovanni Mansionario. E anche ultimamente, parlando della leggenda di re Teoderico in Verona (^), ritornai di nuovo sopra questo argomento, ma senza svilupparlo. Men- tre rimando il lettore a quell'articolo, per alcune notizie bibHo- grafiche, mi propongo ora di rilevare se e quale importanza ab- biano le Historiae imperiaìes di Giovanni Diacono per la critica del testo à.Q\V Aìionyìnus Vaìesianns.

Per lo scopo nostro non credetti necessario di consultare il codice ValliceUiano delle Historiae, accontentandomi dello stu- pendo codice, che di esse si conserva nella biblioteca Capitolare di Verona, CCIV '^'X È un magnifico codice membranaceo in fo- gho, a due colonne, colle iniziali miniate e talvolta arricchite da gentili ornamenti, a colori o a doratura. Esso appartiene alla prima

(i) Ardi. Veneto, VI, 386 (a. 1876).

(2) Arch. stor. it., Firenze, 1890, ser. V, voi. VI, 457 sgg.

(3) Per la bibliografia relativa a questo codice sono a consultarsi le erudite notizie che ne l'illustre mons. G. B. Giullari, Arcb. Veneto, XVIII, 20.

52 e. CIPOLLA

metà del secolo xiv, e quindi può considerarsi presso a poco come contemporaneo all'autore. Il carattere è bello, regolare, ma con qualche scorrezione. Abbondano le abbreviature. I titoli dei capitoli sono in rosso.

Per i confronti col codice Vaticano-Palatino mi giovai bensì della collazione frittane da C. Zangemeister, e da questo comuni- cata al dottor Vittorio Gardthausen ^-^\ nonché della edizione del Mommsen; ma sopra tutto mi servii della copia che, per quella parte che contiene YAnonynms Falesiamis'^^\ ne feci io stesso nel novembre 1889.

La collazione del Rùhl è in generale fatta assai esattamente; tuttavia qualche differenza si può notare, e non sempre le diver- genze o le omissioni sono del tutto inutili a rilevarsi. Qui terrò conto anche delle correzioni che una mano quasi contemporanea introdusse non di rado nel testo di questo codice. La collazione comunicata dal Mommsen non credo arrivi ad esaurire ogni no- stro desiderio, rappresentando anche in ogni più minuta e più inutile particolarità il codice Vaticano.

Nel codice Vaticano (e. 126) si comincia a far uso dell' ^«0- nymus Falesianus col capitolo intitolato : De adventu Oduachar regis Cyrorum et Erulorum in Italia et quomodo rex Theodericus eum fuerit persecutus. E nelle Historiae imperiales di Giovanni, codice Veronese, e. 125 b, col capitolo: Qualiter Odoacar Herulorum rex invasit Italiani.

Comincia Giovanni : « Cum autem ^eno imperavit apud « Constantinopolim et Italya multis oppressa calamitatibus foret « imperatoris auxiUo desolata, gens Cyrorum, Herulorum, Rugo- « rum et Turcihngorum, de finibus Germanie prorumpens, cum « validissimo exercitu Ytaliam invasit ». Le prime parole sono quasi identiche a quelle con cui ha principio il citato capitolo del codice Palatino, e che sono pure le iniziali doli' Anonymiis Fale- sianus II nel codice Phillips, cioè : « Igitur imperante ^enone au-

(i) Amm. Marcell. Rer. gest. libri, Lipsiae, 1875, II, 289 sgg. (2) Fol. 126 sgg.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 53

« gusto Constantinopolim » ('\ ì^eìYAnonynms VaUsianus segue un cenno sulle calamità d'Italia e sulla rapida successione degli impe- ratori ; ciò che Giovanni Diacono riassunse nelle poche parole qui riferite. Egli continua poi parlando dei « Cyri » &c. Nell'^- nonymus Vahsianiis il tratto corrispondente è questo: « Superve- « niente autem Odoachar cum gente Cyrorum ». Ma gli Eruli, se qui sono taciuti, vengono ricordati nella riferita didascalia del capitolo; i Turcilingi poi ed i Rugi vengono rammentati poco dopo, in un tratto desunto da lordanis ed interpolato nel testo Palatino-Vaticano dell' Anonymus Valesianiis ^^\ in sostituzione del capitolo 49, e delle prime linee del capitolo 50, che furono om- messe ^^\ Il concetto che Odoacre abbia invaso, dal di fuori, l'Italia, è in contraddizione colla verità storica, mentre Odoacre era soldato negli eserciti imperiali, allorché i Germani lo posero alla loro testa. Quel concetto è dedotto da fonte diversa dulV Anonymus VaUsiaìiiis. Quale sia questa fonte, lo vedremo in appresso.

Prosegue Giovanni dandoci un ritratto di Odoacre, che egli desume pure dalla sua fonte, ma non proprio a questo luogo, sibbene da un passo un po' posteriore. Scrive egli infatti : « Horum rex erat nomine Odoacar, vir strenuus, statura proce- « rus, in disciplina militari peritus. cuius pater Edico dictus est, « vir plebeius et ex infima prosapia genitus». Qui, dopo aver saltato parecchie linee del suo testo, dove si parlava di Glicerio, Nepote ed Oreste, cerca le notizie biografiche sopra Odoacre, che leggeva alla e. 260 a (+). Come è suo costume, ritocca la di- zione, ma qualche frase la conserva : « Edico dictus, statura pro- te cerus ». Ben è vero che VAnonymus VaUsianus non dice che Edicone fosse uomo plebeo e d' infima prosapia; ma Giovanni lo deduceva dal fatto, che Odoacre vestiva molto umilmente, al- lorché si presentò a san Severino.

(i) Avvertasi che cito sempre secondo il ms. Vaticano, pur tenendo d'occhio alla ed. Gardthausen e a quella del Mommsen, che devono star sempre presenti al lettore.

(2) C. 127 A, al fine.

(3) Gardthausen, op. cit. p. 293, rr. 3-15; Mommsen, 5171-17.

(4) Ed. Gardthausen, p. 291; Mommsen, p. 314.

54

C. CIPOLLA

Dicemmo che Giovanni Diacono saltò non poche linee del manoscritto Vaticano ^^^; queste naturalmente si trovano tutte nel testo comune, nel quale ad esse seguono varie notizie sopra l'im- peratore Zenone ^^\

Prosegue Giovanni scrivendo :

De hoc Odoacre in librìs vite beati Severini monachi legltur, quod ei predictus sanctus vir prophetico spiritu revelavit, quod futurus esset rex Ytah'e. nam dum quodam tempore quidam barbari Turcilingi venirent in Ytaliam, contigit eos transire per Panuonias, ubi beatus Severinus religiosam vitam ducebat. predicti ergo viri, audita fama sanctitatis eius, venerunt ad eum ut tanti patris benedictionem haberent. inter quos erat Odoacar tunc iuvenis et vilissimo habitu indutus, set tanta proceritate corporis fulgebat, quod tectum celle viri Dei capite transcendebat, unde incUnans se ad virum Dei cum sociis accessit, dactaque benedictione, cum vale- dicerent, vir Dei Severinus, vocato Odoacre, dixit: vade ad Ytaliam vilis- simis tunc pellibus coopertus, set in brevi multìs plurima largiturus. quod et ita fuit.

Tutto questo tratto è desunto, quasi alla lettera, dall' Anonymus, dove pure si ripete quanto leggesi « in libris vite beati Severini « monachi », citando questa medesima Fifa, colle stesse parole, poi ripetute dal diacono Giovanni, e senza nominarne il suo au- tore, Eugippio. Nel resto si hanno senz'altro le identiche parole dell' Anoìiymus, ovvero queste sono più o meno parafrasate o mo- dificate. In luogo di « Pannoniam », Giovanni scriverà «Pan- ce nonias », che in fondo è lo stesso. La frase « quidam barbari », che è nelV Anonymus, fu dal trecentista riprodotta, ma coU'aggiunta « Turcilingi », suggeritagli unicamente dalla già stabilita relazione di quel barbaro popolo con Odoacre. È fuor di luogo raccogliere qui tutti i punti di raffronto, poiché dovremmo addirittura trascri- vere tutti i passi dall' Anotiyinus. Noto che le parole del santo sono da Giovanni riferite, quasi senza variazioni, cioè colla sola mutazione di « sed multis cito plurima largiturus», in «set in « brevi multis plurima largiturus ». Sopra di un punto peraltro

(i) Ed. Gardthausen, pp. 289-90; MoMMSEN, pp. 308-10.

(2) Ed. GaRDTH.\USEN, pp. 290-91; MoMMSEN, pp. 314.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 55

dobbmaio fermare la nostra attenzione. Parlando dei barbari che entrarono nella cella del santo, dice di Odoacre che dovette chinar la testa, tanto era egli alto di statura: « inclinans se». Quel « se » dato dai testi di Mommsen e di Gardthausen, e anche da vecchie edizioni ('), manca nel testo Vaticano : « et inclinasset », il quale in ciò si avvicina al genuino testo di Eugippio. Come sia saltato fuori quel « se » non si vede chiaro dalla edizione del Gardthausen, dove pare che ce lo dia anche il manoscritto Vaticano, locchè è inesatto; anche dal Mommsen si vede che « se » manca nel codice P. Tale discrepanza di lezione non ci autorizza tuttavia ad ammettere per Giovanni Diacono una fonte differente dal manoscritto Vaticano, poiché qui si tratta di una voce che potea essere facilmente suggerita dal senso. E proseguiamo nell'esame del testo di Giovanni:

Nam post modicum tempus, reverso de Ytalia Odoacre, cum sociis, gens Turcilingorum et Cyrorum centra Ytaliam venire disponens, Odoacrem con- stituit sibi regem. igitur (2) Odoacar, collecto ingenti excrcitu, de sedibus propriis exiens in Ytaliam festinavit, et eam in brevi occupavit, universa dir- ripiens et tradens incendio, ac omnes quos barbari reperiebant, trucidaverunt in ore gladii.

Quest'ultimo tratto ci fa accorti dell'altra fonte, cui ricorse Giovanni, e alla quale facemmo allusione poco fa. E la Historia romana di Paolo Diacono, la quale parla della fortissima molti- tudine di Eruli e degU ausiliari TurciUngi e Sciri che accompa- gnarono Odoacre, e coi quali « Italiam. .. properare contendit ». E poi fa parola della desolazione in cui gli invasori posero le città italiane, ricordando le rapine, gli incendi, e la spada opera- trice di tutte queste rovine : « scaevit ubique gladius » <^5).

Segue Giovanni:

De tercia capcione urbis Rome fa età per Odoacrem regem (4)-

(i) Amm. Marceli. Opera, Lipsia, Holze, 1867, p. 558,

(2) Cod. Veronese, e. 126 a.

(3) Ed. Droysen, p. 210.

(4) Cod. Veronese, e. 126 a.

56 C. CIPOLLA

La prima parte di questo capitolo, che riguarda la conquista di Roma, non è certo desunta dalV Aiioìiy}ìius Valcsianus. La tra- scrivo :

Odoachar ergo rex, capta universa Ytalia et suo dominio subiugata, venit Romam quam diu obsessam et coangustatam cepit, dirripuit et invasit, et eam postmodum possedit. sic ergo urbs Roma, orbis domina, propter pec- cata ^enonis principis, fuit Turcilingis et ceteris barbaris ancillata.

L'ultimo periodo può essere stato forse ispirato a Giovanni dalle considerazioni di lordanis sulla caduta dell'impero romano; per fermo trattasi di espressioni, che potevano sorgere spontanee sul labbro del cronista. L'assedio di Roma, col cui racconto il capitolo ha principio^ non è esattamente storico. Invece la fine del capitolo è desunta quasi alla lettera à^LÌÌ'Anonymus'^^^. Vi si parla delle lettere che Odoacre, dopo ottenuta l'Italia, scrisse a san Severino, il quale da lui chiese ed ottenne il perdono di certo Ambrogio, condannato all'esigilo.

Procediamo collo spoglio delle Historiae di Giovanni:

De bello Odoacris regis contra Feletheum regem Ru- go rum (2)-

La guerra di Odoacre contro i Rugi è appena fuggevolmente accennata dall' Anonyimis Vaìesianus. Giovanni la narra distesa- mente, seguendo la Hìstoria Langohardormn di Paolo Diacono, ch'egU cita nel principio stesso del capitolo: « Eo tempore, ut scribit « Paulus diaconus ystoricus Lombardorum, Inter Odoacrem re- « gem... ». Abbandona Giovanni il suo testo, verso la fine del capitolo 19, dove Paolo Diacono scrive: « Tunc Langobardi de « suis regionibus egressi venerunt in Rugiland ... ». E Giovanni: « Longobardi autem tunc primo habitaverunt in Rugilanda, post « recessum Odoacris, ut infra dicetur ». Qui Giovanni ricorre nuovamente zìY Anonyinus Valcsianus a principiare dal periodo: « Odoacar igitur regnavit in Itaha .xiii. annis, qui fuit vir stre-

(i) Cod. Veronese, e. 126 e. (2) Cod. Veronese, e. 126 a.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 57

« nuus et bellicosus, set superstitione arrianus ». Questo tratto, mentre nelle sue ultime parole rammenta il ritratto di Odoacre, che abbiamo poco fa considerato, nelle prime riproduce altre frasi dQÌVAnoiiymiis^'^: « mansit (l'antico correttore modificò questa voce in « mansitque » ristabilendo cosi l'armonia col codice M) in « regnum ann. .xiii. ». La frase poi « set superstitione arrianus » è desunta, in uno con quanto segue, da altro luogo dcìVAno- nymus. E ciò che segue è la narrazione delia profezia di san Se- verino sulla durata del regno di Odoacre. Infatti nell'^wo- nymus^'^^ si legge: « Nani dum ipse esset bone voluntatis et « arrianae sectae favorem preberet, quodam tempore dum me- « moratum regeni multi nobiles coram sancto viro humana, « ut fieri solet, adulatione laudarent &c. ». E san Severino profetizzò che il regno di Odoacre sarebbe durato tredici o quat- tordici anni.

Giovanni chiude quel capitolo così: « Hic Severinus plenus « virtutibus et sanctitate apud Pannonias in monasterio suo quie- « vit in pace, cuius corpus postmodum Neapolim cum debito « tanto patri honore translatum est ». Per ispiegare queste pa- role non è di mestieri ricorrere alla Vita s. Severini di Eugippio; basta ciò che ne scrive Paolo Diacono ^^\ dove manca soltanto la frase « cum debito », la quale può essere stata assai facilmente introdotta da Giovanni.

Procediamo ad un altro capitolo di Giovanni :

De adventu Theodorici Walamer filli Theodemir cum exercitu Gothorum in Ytaliam, et de Interfectlone Odoacar regis Cyrorum, et qualiter Theodoricus cum Gottis pos- sedit Ytaliam, et primo quomodo Imperator ^eno Theodori- cum Costantinopolim vocavlt et honoravit (4).

(i) Ed. Gardthausen, p. 291, r. 22, cap. 45 (ed. Mommsen, 314^*); cod. Vaticano, e. 126 a.

(2) Cod. Vaticano, e. 126 b; ed. Gardthausen, p. 292, r. 15 sgg., cap. 48; Mommsen, 315 '°.

(3) Hist. Langoh. I, cap. 19.

(4) Cod. Veronese, e. 1260.

58 C. CIPOLLA

E il capitolo comincia con: « Interim Theodemir rex Gotho- « rum ».

Nel manoscritto Vaticano (') si deve trovare la fonte anche di questo capitolo, quantunque Giovanni non riproduca tutto ciò che egli trovava nel suo testo, il quale alla sua volta dipende da lordanis ^^\ Quelle prime voci del capitolo, che testé abbiamo trascritte, ricordano assai dappresso l' inizio del capo corrispon- dente nel codice Vaticano, cioè: « Igitur rex Theodemir », quantunque qui, cioè nel codice Vaticano, la didascaha del ca- pitolo sia alquanto differente : 1 1 e m f u e r e et a 1 i i G o t h i ex quorum progenie Theodericus processi t. Ma dopo di quelle prime parole, che Giovanni Diacono riportò, appena modificate, nel testo Vaticano si procede parlando dei giovani anni di Teoderico, ch'egli passò alla corte di Costantino- poli. Solo più innanzi è fatta parola della morte di Teodemiro : « Nec diu post hec rex Theudemyr in civitate Cerras fatali «egritudine occupatus. .. ». Giovanni trascrive, ma alla parola « Cerras », che fino a pochi anni or sono era enigmatica ^i\ egU aggiunge questa spiegazione: « apud Cerras, civitatem Alanie». La regione detta « Alania », non so dove l'abbia pescata.

Quindi Giovanni trascrive la sua fonte, in generale con poche e poco concludenti modificazioni; ma con qualche varietà, che può far conoscere com'egli si permettesse di modificare anche il senso del suo autore. Il manoscritto Vaticano, rimanendo fedele alle espressioni di lordanis, cosi descrive gH onori e le distin- zioni concesse dall' imperatore Zenone al giovane Teoderico :

. . . imperator Zenón (4) grate suscepit, eique evocatoria destinata, ad se in Urbem venire precepit, dignoque suscipiens honore, inter proceres sui palatii

(i) C. 126 B.

(2) Gel. cap. 55, 56, 57.

(5) loRDANis Get. ed. Closs, Stuttgart, 1861, p. 195, nota; cf. ib. p. 191, nota; qui può vedersi a quali ipotesi diede luogo la tentata identificazione di questo nome geografico. Ora il Mommsen, lordanis Getica, p. 132, iden- tifica questa città con « Cyrrhus » città della I Macedonia.

(4) Sic.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 59

conlocavit. et post aliquot (0 tempus ad ampliandum honorem eius, in arma sibi eum filium adoptavit, de suisque stipendiis triumphum in Urbcm donavit. factusque consul ordinarius, quod summum bonum primumque in mundo decus edicitur, nec tantum hoc sed etiam equestrem statuam ad famam tanti viri ante regiam pallacii collocavit.

E Giovanni:

. . . quem cum summo suscepit honore, et ipsum inter primos principes in palatio collocavit. evoluto vero pauco tempore, imperator (Jeno Teodoricum regem adoptavit in filium et largitionem triumphalem in adoptione populi [populo?] dedit. fecit quoque Theodoricum patri cium et consulem or- dinavit ac magistrum romani exercitus, et ad eius famam amplian- dam, equestrem statuam ante foras palati! collocar! precepit.

Scrissi in carattere distinto quanto Giovanni aggiunse di suo. Che Teoderico fosse patrizio, Giovanni lo sapeva dal capitolo 54 doiV Anoìiyììuis, che si legge anche nel codice Vaticano (^\

Giovanni termina il capitolo, compendiando il suo testo, sol quando ha da narrare di qual maniera Teoderico, lasciata Co- stantinopoli, « versus Ytaliam festinavit » ; ma nel rimanente egli si limita a copiare. E anche le citate parole dipendono dal suo testo: « Hysperiam tendit ».

Procediamo nell'esame dell'opera di Giovanni, il quale viene narrando la venuta di Teoderico in Itaha:

Qualiter rex Theodoricus intravit Ytaliam et eam opti- nuit et Odoacrera interfecit (3).

Continuando la trascrizione del codice Vaticano, Giovanni adesso s' imbatte nel luogo di lordanis, dove si fa parola della venuta

(i) Voce modificata in « aliquod », forse non di prima mano, ma dal- l'antico correttore.

(2) Non mi nascondo che la frase di Giovanni « patricium et consulem « ordinavit » conviene abbastanza bene con un capo (il 49; ed. Mommsen, p. 3163) deW Ation. Vales., che manca al cod. Vat. « quem fecit patricium et « consulem ». Ma non è questa una ragione sufficiente perchè si debba sup- porre che questo passo àeWAnon. fosse noto a Giovanni.

(3) Cod. Veronese, e. 126 d.

6o C. CIPOLLA

di Teoderico a Sirmio, e di qui il suo ingresso nei confini delle Venezie, « Veneciarum fines . . . que est prima pars Ytalie ». Questa frase manca nel codice Vaticano e anche nell'altro testo dell' Anonymus Valcsìanus; all'autore probabilmente fu suggerita dalla descrizione d' Italia fatta da Paolo Diacono ('), dove la Ve- nezia figura come la prima provincia d' Italia. E di 11 a poche parole, dove il codice Vaticano abbandona lordanis per riprendere VAìionymiis Vaìesianiis, altrettanto fli anche Giovanni. Ecco come sta scritto nelle Historiae imperiaks (^^ :

. . . Odoachar armatum contra eum direxit exercitum. quem ille ad campos Veronenses occurrens, magna strage delevit, castraque soluta, fines Ytaliae cum potiore audatia intrat. at vero Odoachar abiit in Veronam, et fixit fos- satum in campo minore Veronense .v. kl. octub.

Qui il codice Vaticano ripete due volte la narrazione della bat- taglia di Verona; poiché il primo periodo ne contiene la descri zione desunta da lordanis ^^\ e il secondo ripete la descrizione che dello stesso fatto si trova noli' Anonyiìius Valesianns ^'^), dove fa seguito al cenno sulla battaglia data all' Isonzo. Unica diffe- renza tra il codice Vaticano e Giovanni Diacono è questa, che lo scrittore trecentista, col giro delle parole, cercò di distinguere le due battaglie, quasi che una fosse stata data « in planitie civi- ca tatis Veronensis », e l'altra « in campo minori Veronensi », dopo r ingresso di Odoacre in Verona.

Per i fatti successivi, la narrazione procede nel codice Vati- cano molto confusa; e la confusione è prodotta da ciò, che lo scriba saltò i capitoH5i-2 àelV Anonymus ^^^ ^ cosi che Giovanni

(i) HisU Langoh. II, cap. 14 sgg.

(2) Cod. Veronese, e. 127 e.

(3) Cap. 57: «... Odoacer armatum contra eum direxit exercitum. quem « ille ad campos Veronenses occurrens magna strage delevit castrisque so- « lutis finibus Ytaliae cum potiore audacia intrat ».

(4) Ed. Gardthausen, p. 293, r. 13 sg. : « at vero Odoachar abiit »; ed. MoMMSEN, p. 3 16 '8; « et abiit in Veronam ».

(5) Ed. Gardthausen, pp. 293-4; ed. Mommsen, p. 316^6.32: Et pc- « rambulavit - Ravcnnam ».

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 6i

trovava detto che Odoacre fuggi a Ravenna (cap. 50), e che usci da Cremona, senza che si fosse ivi soggiunto che Odoacre aveva lasciato Ravenna (■). Quindi Giovanni rammenta Ravenna, e non ricorda Cremona; accortosi che le parole della sua fonte accen- navano al rialzarsi della potenza di Odoacre, soggiunge ch'egli raccolse a Ravenna « universum exercitum Turcilingorum, Ru- « gorum, Herulorum et Cyrorum ac populorum Ytalie, qui sibi « parebant ». Il codice Vaticano seguendo dappresso YAnonymus dice poi, con tutta semplicità, che in aiuto di Teoderico vennero i Visigoti; e Giovanni si incarica di spiegare la cosa, narrando che re Teoderico mandò suoi nunzi per invitare i Visigoti di Spagna.

Il capitolo di Giovanni finisce con un cenno sulla storia dei Visigoti, il quale è indipendente dzìYAnonymus Valesianus.

Apud Guisigothos, qui morabantur in Yspania, regnabat Theodoricus, qui et Theodo, successor Walie. hic direxit regi Theodorico patricio exerci- tum coplosum adversus Odoacar. genuit autem Theodoricus, qui et Theudo, Theodoricum et Transimundum, qui patri successerunt in regno Guisigo- thorum.

Qui tutto è confusione, poiché Teoderico (Teoderido) I spetta al periodo 419-451, Torismondo (di cui può essere alterazione il Transimundo <^^) di Giovanni) regnò sui Visigoti dal 451 al 453, succedendogli il fratello Teoderico (Teoderido) II, che governò dal 453 al ^66. A costui successe Eurico (4^1-85), dopo del quale venne al trono Alarico II (485-507). E quest'ultimo fu in relazione con Teoderico Ostrogoto, di cui sposò una figlia, secondo l'attestazione àdV Anonymiis Valesianus ('), in un passo noto a Giovanni Diacono (^).

([) Anon. Fales. cap. 52.

(2) Transamundo era re dei Vandali: Iordanis, Gd. ed. T. Mommsen, pp. 33, 58; Paulus Diac. Hist. rovi. ed. Droysen (nel Brcviar. di Eutropius), pp. 207, 217-8.

(3) § ^3; ^'^- Gardthausen, p. 297; ed. Mommsen, p. 322.

(4) Anche Garollo (Teoderico re dei Goti e degli Italiani, Firenze, 1879, p. 121) ammette che sia stato Alarico il re visigoto che soccorse Teo- derico.

62 e. CIPOLLA

Procediamo col testo di Giovanni:

De secundo prclio Odoacris adversus Theodoricum et extictione Odoacris (0.

Giovanni Diacono, dopo aver saltato, siccome si è detto, quasi tutto il § 50, e gli interi §§ 51-2, che non trovava nel co- dice ora Vaticano, trascrive il § ^^, dal quale avea diggià tolto la notizia sugli aiuti porti dai Visigoti a re Teoderico. In tutto questo paragrafo trovo un solo punto degno di nota, in cui Giovanni siasi scostato dal testo. A proposito della battaglia sull'Adda, dove YAnonymus VaUsianas, anche secondo il codice Vaticano, dice che vi mori « Pierius comes domesticorum », Giovanni aggiunge di suo questa dichiarazione : « hic erat ex parte Theo- « dorici ». A questo proposito, mi limito a riferire ciò che scrive il GaroUo (^^: « il conte Pierio, uno dei più fedeli e cari uffi- « ciali di Odovacre ».

Giovanni, che tiene sempre presente alla sua mente la storia dell'impero, discorre in uno speciale capitolo della conferma del dominio concessa a re Teoderico dall'imperatore Anastasio:

dualiter Anastasius imperator regnum italicum con fi r- mavit Teodorico regi et de moribus eius(3).

Ricordando Giovanni che Pesto (Fausto ?) capo del Senato era stato mandato da Teoderico a Costantinopoli, egli combina questa notizia col capitolo 64, dove è detto che Pesto concordò la pace tra Teoderico e Anastasio, che questo imperatore rimandò gli « ornamenta palatii », da Odoacre trasmessi a Costantinopoli. Gio- vanni si permette di colorire le scarne espressioni àéìì' Anonymus :

Igitur dum Anastasius imperarci apud Constantinopolim, Theodoricus rex Ytalie, de quo in vita ^enonis dictum est, misit Festum patritium Constanti- nopolim ad principem, obsecrans ut regnum italicum, quod cum Gothis conqui- sierat et praedecessor suus ^eno eidem confirmaverat, ipse sibi concederei . . .

(i) Cod. Veronese, e. 1 27 a. Un'antica correzione in nero : « extinctionc ».

(2) Op. cit. p. 123.

(3) Cod. Veronese, ce. 1290 - 130 a.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 63

Poi inserisce le notizie flimigliari clie stanno nel capitolo ^3. Segue accennando alla tolleranza di Teoderico verso i cattolici ^'\ lodando il re come « corporc decorus, viribus fortissimus ». Quest'ultima parola ci fa pensare a « rex fortissimus » déìVAno- nymiis, in un passo mancante al codice Vaticano '^^\ ma è una rassomiglianza non molto grave. Poscia Giovanni soggiunge che il re era illetterato, e narra della tavoletta d'oro, colle quattro prime lettere del suo nome, secondo si legge nel capitolo 79. Siccome Giovanni mira a dare un po' d'ordine al confuso mate- riale di cui si serve, così congiunge questa notizia coi capitoli 61-2, dove si contengono i detti e fatti memorabili del re, e riferisce i due detti e il giudizio nella questione tra la madre e il figlio.

Qualche volta Giovanni non intende il testo, qualche volta si sbaglia congiungendo una parola o un inciso erroneamente, qualche volta invece spiega felicemente i passi difficili del suo testo. Darò qui qualche saggio : « Quidam mortuus est, relin- « quens filium ex uxore. nesciente matre ('), puer parvulus » &c. ; « tunc sponsus indignatus cepit repetere arras dotis », dove « dotis » manca nel testo dell' Anonymiis. Potrà interessare di conoscere come Giovanni abbia riportato il passo (4), in cui si espone come il giovane, respinto dalla madre, ricorresse contro di lei al re. Poiché qui e è divergenza di lezione tra M, che legge « in cu- ce ribus regis », e P che ci « in curia regis ». Giovanni si accontenta di dire: « omnia gesta regi explicavit », avvicinandosi a P più che non a M. Riferisco la fine dell'aneddoto, quale è

(i) Cf. Anon, Vales. cap. 65.

(2) Ed. Gardthausen, cap. 60, p. 296, r. 2; ed. Mommsen, p. 522''.

(3) Questa frase ha il suo valore. Il cod, M legge: « et reliquid uxo- « rem et parvulum filium nescientem matrem ». Il cod. P ha l'ultima frase: « nesciente matre », con questo che suH' e finale di « matre » c'era il segno d'abbreviazione, indicante m; ma questo segno fu raschiato. Gio- vanni trovò « nesciente matre », e trascrisse tal quale questa frase, quantunque non abbia senso. Per darle un po' di senso, pose punto dopo « uxore »; ne consegue, non più che il fanciullo era tanto piccolo da non conoscer la madre, ma che, a insaputa della madre, fu da altri sottratto. Di qui abbiamo una nuova prova della dipendenza di Giovanni da P.

(4) Ed. Gardthausen, p. 297, r. 5; ed. Mommsen, p. 32239.

64 C. CIPOLLA

narrata da Giovanni, poiché le sue parole possono utilmente ser- vire da commento alle espressioni non sempre chiare del testo :

... dixit ei (0 rex: que est facultas tua, mulier? que air: usque ad mille sollidos. tunc rex videns maliciam mulieris ait : precipio tibi sub ius- iurando, ut nullum alium recipias virum, nisi hunc quem negas filium tuum, et volo quod statim me presente fedus coniugìi celebretur. tunc mulier, con- fusa valde, confessa est filium suum esse, tunc rex omnia que mulieris erant, tradidit, precipiens ut eam tamquam matrem benigne tractaret. multa quoque et alia preclara fecit C^).

Si ha qui anche un bell'esempio del modo con cui Giovanni la- vorava; mentre, per alcuni rispetti, si vede con quanta fedeltà egli restava fermo alle sue fonti, sotto altri riguardi non può ne- garsi ch'egli si permettesse di scostarsene, per aggiungere del suo qualche particolare, che servisse a complemento o spiegazione del suo testo.

Prosegue il capitolo accennando allo scisma romano, di cui si parla nel capitolo 6<) dQÌYAnonynms. In quel passo, rilevo questo soltanto, che, come si avvertì, nel codice ivi leggesi : « intentio orta « est in urbe Roma», dove P ha invece « contentio « &c., colle lettere e o n t , probabilmente aggiunte dal correttore, in rasura.

Nel codice P mancano i capi ^7-9 e parte del 70, ripren- dendosi il testo colle ultime parole del capo 70, cioè: « erat enim « amator fabricarum et restaurator civitatum». E Giovanni, dopo il cenno sullo scisma, tosto prosegue dicendo : « erat autem rex « Theodoricus in fabricandis palaciis et reparandis civitatibus ac « aliis ornamentis urbanis tota intentione solicitus ». E prosegue trascrivendo quasi alla lettera i capi seguenti, sino al 73 inclu- sivamente. Egli si permette, come al solito, qualche ritocco, ag- giungendo o levando. Parmi interessante riferire quello, che egli scrive intorno agH edifici eretti da Teoderico in Verona:

Item Verone fecit thermas. iteni in gens palacium et a porta usque ad palatium e x e e 1 s u m porticum fecit. huius palaci! adhuc apparent vestigia iuxta ecclesiam Sancti Syri, in loco qui dicitur

(i) Cioè alla donna.

(2) Cod. Veronese, e. 129 a.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 65

CastellusCO. aqueductum, qui destructus fuerat, reparavil. item muris novis circuivit civitatem et eam ampliavit muris vetustis in ci vi- tate conci usis. sunt autcm muri quos fecit rcx Theodo- ricus, quibus nunc Vcronensis urbs cingitur. in cadcm etiam urbe sedem sibi regale m statuit.

Perchè immediatamente si distingua ciò che, in questo passo, appartiene c\ìì' Anonymus e ciò che spetta a Giovanni, adottai il carattere spazieggiato per le aggiunte di quest'ultimo.

Solo alla fantasia di Giovanni vorremo attribuire gli epiteti laudativi aggiunti a «palacium » e a « porticum ». Ma trattandosi di un re come Teoderico, del quale la leggenda locale veronese narrava cose spettacolose, ninno poteva pensare che il palazzo da lui costrutto non fosse immenso e il portico non fosse eccelso. Non sono amplificazioni retoriche, ma appunti di erudito le os- servazioni sulle mura, e su quanto di esse rimaneva ancora in piedi ai tempi di Giovanni. Oggidì le asserzioni di Giovanni si pongono in dubbio, poiché si indicano altre mura, posteriori alle Teodericiane e pure anteriori al principio del xiv secolo, cioè an- teriori all'età di Giovanni (^). Ma ciò non ostante resta sempre almeno questo, che Giovanni, relativamente ai suoi tempi, era e erudito e archeologo.

I resti del palazzo di Teoderico sul colle di S. Pietro a Ve- rona furono in questo secolo studiati, illustrati, riconosciuti da Giovanni Orti Manara (3) e da Oscar Mothes W.

Riferii questo brano di Giovanni anche per un altro motivo. La proposizione « item muris novis circuivit civitatem » ha anche un valore per la critica del testo. « Muris novis » in ablativo ci richiama un tantino alla pristina lezione del codice P 71). Mentre nel codice M si ha « muros alios novos », P aveva, per

(i) Il castello, sul colle S. Pietro. Era edifìcio romano, tramutato nel palazzo di re Teoderico, del quale palazzo rimangono ivi ancora imponenti vestigia.

(2) Pompei, Sagoio di studi intorno alle varie mura di Verona, in Archivio Veneto, XVIII, 206.

(3) Illustra:(ione di due antichissimi tempii, Verona, 1840.

(4) Die Baiikunst des Mittelallers in Italien, Iena, 1879, pp. 178-9.

S

66 C. CIPOLLA

quanto pare, cominciato a scrivere « muris aliis », che tosto mutò in « muros alios » ('). Ma più importante è « circuivit ». Così legge il codice P, quantunque dalla collazione usufruita dal Gardthausen possa parere che vi sia scritto; « circumit » (-). M legge invece : « circuì t ». Ecco un' altra prova, se ce ne fosse bisogno, della dipendenza di P da M.

Giovanni, continuando l'esposizione della vita di Teoderico, discorre delle cose religiose :

Q.uod Thcodoricus rex Gothoriim qui regnabat in Yta- lia, cum esset arrìanus in tyrannide versus est et catho- licos persequebatur et quod mandavit lustino principi et(3) hereticis ecclesias redderet(4).

Da molti passi àoìY Anonymus risulta questo pensiero : Teode- rico, pur essendo ariano, si comportò giustamente e imparzial- mente verso i cattolici sino agli ultimi suoi anni. U Anonyìmis, nel testo pervenutoci comincia a parlare della persecuzione di Teo- derico contro i cattolici, accennando (capo 80) al favore che il re diede ad Eutarico, il quale « nimis asper fuit et contra fidem catholi- « cam inimicus ». Era facile quindi che un lettore erudito attri- buisse ad Eutarico la trista parte di seduttore del re. « Eo tem- (( pore - scrive Giovanni - Theodoricus rex Gothorum, de quo « superius scripsi, cum regnaret apud Ytaliam, licet esset arrianus, « tamen (5) modeste usque ad hec tempora regnaverat. sed de- ce pravatus fuit ab Eutharico consule in tantum quod, omni reve- « rentia spreta, contra catholicos insurrexit ». Quindi Giovanni trascrive i capi 80-2, tranne le ultime righe di quest'ultimo (^^, dove è fatta parola degli ordini dati ad Eutarico e a Pietro vescovo di

(i) Di questa particolarità del cod. P tacciono Gardthausen (p. 299), e MoMMSEN (pp. 324-5).

(2) Anche Mommsen (p. 325 ^9) avverte che P legge: « circuivit »,

(3) Corretto in nero : « quod »,

(4) Cod. Veronese, ce. 1 34 B- 134 e.

(5) In queste prime parole abbiamo un ricordo del cap. 60 àoiVAnon. Valcs.

(6) Ed. Gardthausen, p. 301, r. 24 - 302, r. 2 ; ed. Mommsen, p. 327 34-s.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 67

Ravenna, in riguardo alla riedificazione delle sinagoghe distrutte dai cattolici. In questo brano alcuni punti sono modificati, per farli più chiari. E bisogna confessare che le spiegazioni di Gio- vanni son giuste : dove non intende, sorvola, ma in alcuni luoghi commenta assai bene il suo autore. Dice questo (cap. 81), se- condo il codice P, che i giudei di Ravenna non volendo sa- perne dei battezzati « dum ludunt (') frequenter oblatam in aquam « fluminis iactaverunt ». E Giovanni: «... iudei multas deri- « siones de religione christianorum fecerant, et in tantum ausi sunt « quod oblatas, sive ostias simplices, in contemptum dominici « corporis sepe in flumen proiicerent » . Per cui i cattolici « non « reservantes (^) neque regi, neque Eutharico aut Petro, qui tunc « episcopus erat», assalirono le sinagoghe. E Giovanni: « sine « licentia regis et Eutharici, non consulentes etiam beatum Petrum « Ravennatem episcopum, sed fervore indignationis accensi ... ». Le ultime parole del capitolo 8 r sono molto oscure : « quod et « in cena eadem similiter contigit ». Francesco Eyssenhardt ('^ propose di sostituire « Caesena » a «cena», quasiché YAnonymus parlasse di altro incendio delle sinagoghe avvenuto a Cesena^ in conformità a quanto era avvenuto a Ravenna. L'ipotesi e la con- gettura sono più speciose, che fondate, poiché in tutto il resto della narrazione si parla unicamente e sempre di Ravenna ; e anche l'ordine per la ricostruzione delle sinagoghe venne dato dal re al vescovo di Ravenna e non anche a quello di Cesena.

Per questo motivo provo pure difficoltà ad aderire all'opinione del Mommsen, il quale (pp. 32^-7 ^'^) racconcia il passo cosi : « quod « et in Roma in re eadem similiter contigit ». Egli si appoggia

(i) Il cod. M aveva la lezione: « laudent » corretta poi In « ludent », secondo il Mommsen ; invece Gardthausen come prima lezione: « ludent », e come seconda: « livident », che è appunto quella accettata da Enrico Va- lesio (p. 484).

(2) Mommsen propone di leggere : « observantes ».

(3) Jahrhùcher fùr classische Philologie, CXI, 560. Gardthausen, che regi- stra con diligenza le correzioni proposte dai dotti che lo precedettero, non tien conto di questa, pubblicata nel 1875, cioè nell'anno stesso della sua edizione. Forse egli non fece in tempo a giovarsene.

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al capo 82 dove è detto che Teoderico ordinò che « omnis po- « pulus Romanus Ravennatis synagogas, quas incendio concre- « maverunt.. . restaurarent ». Siccome erasi pocanzi parlato dei cristiani di Ravenna che avevano distrutto col fuoco le sinagoghe di quella città, così credo che qui si debba intendere della po- polazione romana di Ravenna. Si escludevano, cioè, da quest'ob- bligo i Goti, cristiani bensì, ma non cattolici, sibbene ariani.

Il preposito del cubicolo, che consigliò Teoderico in questa circostanza, è appellato «Triuuane» dalYAnonymus; non attribuisco a semplice errore il fatto, che Giovanni lo dica « Trigilla », ma alla circostanza che Boezio ricorda « Trigguillam regiae praepo- « situm domus », contro alle cui cattive azioni egli si oppose ('\ Giovanni vuol mettere d'accordo VAnonymns con Boezio, levando ciò che ai suoi occhi era una discordanza. Il passo di Boezio, egli lo cita nel capo seguente, scrivendo « Trigillam ». Trigilla e Trìvoane è tutt' uno. « Trigilla » forse leggeva in uno scritto che Giovanni di qui a poco citerà sotto il titolo di Vita di BocTJo.

E di Boezio non lascia di parlare anche Giovanni:

De Boetio senatore et operibus eius et iniusta occisione ipsius (2).

Quasi per intero, la narrazione del processo di Boezio è de- sunta dai capi 83-7 dLdY Anonymiis VaUsiamis e dal hbro I, capo 4, §§ 37>455 50> 81 Jel libro De consolalione di Boezio, che Giovanni cita esattamente. Cita anche il II del Z)^ consoìatione (cap. 3, 27), dove Boezio ricorda i due suoi figli consoli. Tuttavia non tutta la sua narrazione è desunta da queste fonti. Trascrivo qui quanto sembra dipendere da una Vita di Boezio che non ha relazione con quelle raccolte dal Peiper(3). Cosi comincia Giovanni il capitolo che stiamo considerando :

Tunc temporis florebat illustris vir Boetius Severinus, natione romanus, magister officiorum regis Theodorici. hic latina et greca lingua suficientis-

(i) De consci, philos. ed. Peiper, I, 4, 31, p. 11.

(2) Cod. Veronese, ce. 1340- 135 e.

(3) Nella prefazione alla sua edizione dei libri De consol. philos. p. xxx sgg.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 69

sime instructus, multa conscripsit, ut inferius dicitur. hic etiam cum esset patricius, consulatum promeruit prò Cassìodoro Senatore, collega suo, viro eruditissimo, de quo etiam inferius diceturCO. habuit autem IBoetius uxorem nomine Helpem, filiam Quinti Aureli! Symachi patricii, qui erat caput Sena- tus, cum quo ipse Boetius senatum gessit. hec Helpes, omni castitate et reverentia, precipue litteratura, floruit. nam hymnos apostolorum Petri et Pauli felix per omnes composuissc fertur (2).

Dopo di aver citato il libro II, cap. 3, 27, De consolatione^ sui consolati dei figli di Boezio, prosegue così:

Cum esset itaque Boecius primus palaci! et fidem catholicam per omnia sequeretur, contra arrianos insurrexit in defensione catholicorum. nam, ut

(i) Vorrà significare che Cassiodorio procurò il consolato a Boezio e non viceversa. Sulle relazioni tra Boezio e Cassiodorio non pare che Gio- vanni conoscesse i libri Variaruni del secondo. In essi si parla tre volte di Boezio. La I, ep. io, è diretta a Boezio, « uomo illustre e patrizio », incari- candolo di provvedere al regolare pagamento dello stipendio ai « protectores « equitum et peditum ». Indirettamente si chiariscono gli studi di Boezio ; poiché la lettera è in massima parte una esposizione della teoria del numero. Colla I, ep. 45, Teoderico (ossia Cassiodorio) chiede a Boezio un orologio solare per il re dei Borgognoni (cf. I, ep. 46) ; il contenuto di questa let- tera in un punto può raffrontarsi con Giovanni, poiché vi si parla dei libri greci da Boezio tradotti, per primo, in latino. La II, ep. 40, riguarda la mu- sica, ed é pure indirizzata a Boezio patrizio. Ma a proposito dell'amicizia tra Boezio e Cassiodorio, mi viene il sospetto che quest'ultimo alluda al primo, e non favorevolmente, quando (X, ep. 12) scrive al Senato in lode della famiglia Anicia, « familia toto orbe praedicata, quae vere dicitur nobihs, « quando ab ea actionis probitas non recedit ».

(2) Qui Giovanni fa una grande confusione di nomi e di fatti. Una tradizione, relativamente tarda, giudica moglie di Boezio il filosofo, Elpide, cui poi si attribuisce l'inno dei santi Pietro e Paolo. Ma è incerto se Elpide fosse invece moglie di qualche altro Boezio, più antico o più moderno di questo. G. B. De Rossi (Inscr. christ. urbis Romae, II, i, 426-8), la cui au- torità é somma, in questa materia specialmente, opina che Elpide non fosse moglie del nostro Boezio, ch'ebbe, secondo egli crede, una sola moglie, e questa fu Rusticiana, figlia di Simmaco, la quale, com'è noto (Procopio, De hello t^othico, III, 20), sopravvisse al marito. EgU ricorda che gli eruditi per mettere d'accordo colle antiche fonti alcune scritture dei sec. xiii-xiv che parlavano di Elpide, come della moglie di Boezio, attribuirono a quest'ultimo due mogli. Qui vediamo che Giovanni confonde addirittura Elpide colla figlia di Simmaco.

70 C. CIPOLLA

scribit lordanis, in vita eius, adversus memoratum Trigillam se opposuit ne fieret quod consulebat. induxerat enim Trigilla regem ad tantum facinus, quod omnes catholicos fecisset interfìci, nisi se Boetius opposuisset. hoc testatur ipse Boetius in primo phylosophiae cons ol ati onis dicens: quociens Trigillam . . . (0.

lordanis nella storia Getica e nella Romana non parla neppure di Boezio ; sicché dovrassi veramente pensare ad una Fifa che passava sotto il nome lordanis, e che sarebbe forse preziosa, non potendosi evidentemente confondere coìY Anccdoton Hoìderi, nel quale non si narra del processo e della morte di Boezio.

Dopo la citazione del De consoìatione, Giovanni riprende in mano YAnonymus Falcsianiis, da cui trascrive il capitolo 85, con alcune aggiunte alla notizia sulla demolizione della chiesa di S. Stefano:

... nam apud Veronam iussit altare sancti Stephani ad fonticulos in suburbio civitatis in odium catholicorum subverti et ecclesiam verti. erat autem tunc ecclesia cathedralis.

Prosegue narrando degli altri atti di tirannia, coi quali Teo- derico si rese odioso al popolo. Nel suo racconto risuona senza dubbio la eco delle parole di Boezio stesso nel De cojisolatione, ma non posso ben affermare, che anche qualche altra fonte non sia stata da lui usufruita. Richiama l'attenzione nostra anche la spiegazione, pienamente esatta, ch'egH della parola « coemptio » usata da Boezio ^^\ mentre non conosceva le Variae di Cassio- dorio, dove (') avrebbe potuto trovarne la spiegazione. Questo argomento si riferisce solamente di lato allo scopo nostro, e quindi mi limito a riferire quel brano, che sembra più indipendente dalle parole usate, nel luogo citato, da Boezio:

Contigit autem co tempore, quod fames gravissima totam Ytaliam invasit, ex qua multi Ytalicorum propter indigentiam mortui sunt. rex autem Theo- doricus cum horrea piena frumento per civitates Ytaliae haberet, iussit ut

(i) Cf. I, cap. 4, 51 ; ed. Peiper, p. 11.

(2) I, cap. 4, 39.

(3) Variar. V, ep. 13; VII, ep. 22; X, ep. 18.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 71

nullus frumentum acciperet, nisi de horreis regis, quibus prepositi erant offi- ciales ad accedendum et carissimo precio vendentes pecunias a miseris ci- vibus quedam coemptio poneretur (0, quasi sub spe frumenti emendi, de huius collecte terribili quantitate ipsc Boetius in eodem libro (2) sic refert : cum acerbe . . .

Era di uso anche sotto i Goti che lo Stato curasse la vendita del frumento. Abbiamo, per esempio, una lettera di Cassiodorio C^) ai vescovi e agli onorati. Vi si dice che alcuni cittadini avevano fatto la « esecrabile sevizia » di nascondere il frumento, durante la carestia, per farlo rialzare di prezzo ; si ordina che, fatta ricerca di quanto frumento ciascuno possiede, lo si venda a prezzo conve- niente. Nel libro XI, epistola 5, chi scrive si preoccupa della carestia che angustiava Roma. Sopra tutto interessanti sono le epistole XII, 25, 26, 27 pure delle Fariae di Cassiodorio, poiché il loro contenuto si presta assai bene al commento di Giovanni. Nella prima epistola si parla dei granai pubbHci, che si aprivano a sollievo dei privati, stretti dalla fame, nella Venezia. La seconda attesta che si aprivano i granai di Concordia, Aquileia, Cividale, dove il frumento veniva raccolto per l'esercito. L'ultima delle tre citate lettere si riferisce ad altre popolazioni affamate, in favore delle quali si aprivano i pubbhci granai di Tortona e Pavia, i quali dovevano vendere il frumento ad un soldo per 25 moggie, ridu- cendo tale prezzo ad un terzo per i poveri. Abbiamo imparato d:iìV Ationyinus Valesianus (cap. 73) che in momenti di grande ab- bondanza sessanta moggie eransi vendute ad un soldo; ma quel prezzo erasi reputato come straordinariamente basso. Nell'epi- stola X, 27 Cassiodorio ricorda che per i Liguri provvedono i granai di Pavia e di Tortona, e per i Veneti quelli di Trento e Treviso.

Appena può essere utile rilevare che tutte le epistole di Cas- siodorio qui allegate spettano all'età post-teodericiana. Agli « horrea » sopra ricordati possiamo aggiungere quello di Verona,

(i) Q.UÌ comincia la e. 135 a.

(2) I, cap. 4, 37.

(3) Variar. IX, ep. 5.

72 e. CIPOLLA

il quale, se non è ricordato da antichi storici, è tuttavia indicato nella iconografia Rateriana <^').

La narrazione del processo contro Boezio è desunta dai ca- pitoli 85 e 87 dQÌVAìiOìiymiis, con inserti tre brani (^) del De conso- latione. In I, 4, 81 parla Boezio di « lettere falsificate », che si fabbricarono per perderlo, e YAnonyinas (cap. 85) narra che Ci- priano accusò Albino di aver scritto lettere all'imperatore Giustino. Giovanni ha un racconto più particolareggiato e diff"uso, ma che forse ha per unica base le magre attestazioni citate. Cipriano, egli dice, accusò Boezio di due cose :

...primo per se ipsum dicebat, quod aliqui amici regis scripserant regi litte- ras, ut caveret a seditione, quam Albinus et ceteri senatores machinabantur centra eum ; et quod Boetius hoc sciens misit nuntios suos et fecit auferri nuntiis predictorum amicorum regis litteras predictas ne deferrentur ad regem. secundo vero accusar! fecit Boetium per quosdam viles personas et de la- trocinio damnatos (3), quod Boetius scripserat litteras lustino imperatori ad- versus Theodoricura. item ad omnes senatores, ut uno animo rcsisterent Theodorico. litteras autem scribi fecerat Cyprianus sub nomine Boetii et sigillo ipsius, quod fraudolenter a notario Boetii habuerat, sigillari. cum igitur rex tunc esset Ravenne, predicti accusatores, a Cypriano instructi, ac- cesserunt ad regem, dicentes se velie sibi aliqua utilia dicere et predictas litteras tamquam scriptas a Boetio et ipsius sigillo munitas regi tradiderunt. tunc rex valde gavisus, latrones illos absolvit et Boetium absentem, quia Verone tunc erat, non citatum, non culpabilem, set omnino insontem et pre- dieta ignorantem, contra iuris ordinem, damnavit exilio, et ad predicta verba confirmanda, falsos testes contra Boetium (4) Cyprianus exhibuit omnia de

(i) Per questa iconografia, cf. Saggio di cartografia della regione veneta, Venezia, 1881, p. i (dove per errore di stampa l'iconografia è attribuita al sec. XI, invece che al x), e C. Cipolla, Fonti edite della storia della regione veneta, Venezia, 1882-3, p. 137-8. Probabilmente Raterio non fece che trascrivere una tavola più antica, siccome viene congetturato nel Saggio cit.; sicché 1' « horreum » veronese qui ricordato può facilmente rimandarsi ad epoca assai più antica che non sia quella di Raterio. In ogni modo un « horreum » viene rammentato in un documento veronese del 927, edito da G. G. DiONisi, De Aldone et Notingo, p. 103.

(2) I, cap. 4, 50, 81, 117.

(3) VAnon. Vales. cap. 86, scrive : « falsos testes ». Boezio, I, cap. 4, 51-4, mette sotto pessima vista i suoi accusatori Basilio, Opilione e Gaudenzio.

(4) Cf. Anon. Vales. cap. 86.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 75

consensi! regis faciens. lecta autem tam crudeli et iniqua sententia contra Boetium et Albinura, statim rex misit satelites suos Veronam et iussit Boc- tium et Albinum, verberibus cesos, in exilium Papiam duci, et apud ba- ptisterium maioris ecclesie in carcere mittiCO; in quo vidclicet loco ipse Boetius libros de philosophie consolatione composuit...

Dopo aver citato un passo del De consolatione ^^\ Giovanni narra in breve la morte di Boezio, sopprimendo alcun che di quanto narrasi daW Anonymus Vaìesianus (cap. 87); solo egli dice che Teoderico venne a Pavia, e quindi chiamò a Eusebio prefetto.

Sulla morte e sul culto professato al corpo di Boezio, Gio- vanni scrive ancora alcune linee che meritano di essere ricordate:

Freculphus vero Lixoniensis (5) episcopus in libro .1111. de annotationi- bus temporum scribit, quod Boetius iussu Theodorici decollatus est. alii dicunt quod duni Boetius esset Papié, contigit quod inter duos fratres orta est prò patris hereditate disse[n]sio, cumque questio delata fuisset ad Boetium utpote iurisconsultum, secundum legem sententiam tulit, et uni fratrum victoriam litis, alteri vero perditionem iudicavit. tunc frater qui succubuerat, missis satellitibus, Boetium quodam mane orantem in ecclesia beati Petri ad celum aureum 0) occidi fecit. corpus itaque Boetii taraquam martiris in ecclesia beati Petri prefata sepultum est; in qua videlicet ecclesia requiescit corpus beati patris Augustini doctoris precipui, de cuius translatione inferius loco suo dicetur. Papienses vero festum beati viri Boetii et martiris sub nomine sancii Severini martvris colunt, quia Boetius alio nomine vocatus est Severinus.

Qui Giovanni mostra di ignorare il vero nome di Anicio Manlio Torquato Severino Boezio.

Giovanni continua la storia di re Teoderico, parlando di papa Giovanni I :

De nequitia Theodorici regis qualiter misit lohannem papam Consta ntinopolim et postea eum in carcere occidit; et de Decisione Symachi patricii,soceri Boetii (s).

(i) Cf. Anon. VaUs. cap. 87. (2) I, cap. 4, 117.

(5) Presso Freculfo, Chron., Coloniac, 1539, nulla trovo circa la morte di Boezio.

(4) S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia.

(5) Cod. Veronese, ce. 135D-136A.

74 C. CIPOLLA

Come è noto, V Anonynms Falesianus, contrariamente al Libcr pontificalis, discorre della morte di Boezio, prima che della mis- sione di papa Giovanni a Costantinopoli. Egualmente fli Gio- vanni Diacono, anche in questo particolare dimostrando, come base della sua narrazione storica fosse VAnonynms Falesianus, e precisamente nel testo a noi pervenuto. Nel presente capitolo, e nel successivo, nel quale pure si accenna a s. Giovanni I papa, il nostro cronista fece uso indubitatamente del Libcr pontificalis. Anzi, tutto intero il presente capitolo è un amalgama dell' Anony- mus e del Libcr pontificalis. Quest'ultimo è usufruito diggià nelle prime parole del capo, le quali sono le seguenti:

Eodem tempore Theodoricus rex in profundum malorum devolutus, au- diens quod lustinus imperator foveret catholicos et arrianorum ecclesias fa- ceret consecrari secundum morem catholicorum, ac hereticos exterminaret . . .

E il Libcr pontificalis (I, 275) in maniera non difforme :

... ad lustinum imperatorem orthodoxum, quia eodera tempore lustinus imperator, vir religiosus, sumrao ardoris amore religionis christianae voluit hereticos extricare. nani summo fervore christianitatis hoc Consilio usus est, ut ecclesias arrianorum catholicas consecraret.

E anche in seguito, al racconto desunto dall' Anonymus Fale- sianus, si inseriscono frasi e pensieri che Giovanni trovava soltanto nel Libcr pontificalis. Quindi non solo dice il papa essere « valde « egrotum », ma anche dove ricorda i suoi compagni di viaggio, li nomina con una circostanza ricordata nel Libcr pontificalis. Infatti i laici vengono dall' Anonymus (cap. 90) cosi menzionati : « Senatores Theodorum, Inportunum, Agapitum et alium Aga- « pitum ». E Giovanni: ((...senatores Inportunum et Agapi- (( tum exconsules et aHum Agapitum ». La parola «exconsules» egli la ricavò dal Libcr. l'Anonymus, il Libcr (') narrano che papa Giovanni, entrando a Costantinopoli, abbia miracolo- samente guarito un cieco, mentre Giovanni scrive: (( Hic Ioannes

(i) E neppure ne parlano i Bollandisti, Ada sanctorum, mai 27, VI, 47 sgg.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 75

« papa apud portam Constantinopolim, que dicitiir Aurea, cuidam « ceco, in cospectu omnium, lumen reddidit ». Alla narrazione della legazione costantinopolitana di Giovanni papa, egli inserisce la notizia della morte di Simmaco, per la quale si giova del- VAnonynius, come può vedersi da queste sue parole :

. . . timens ne Symacus, socer Boetii, aliquid moliretur centra eum, fecit duci vinctum a Roma Ravennani, ex obiecto sibi crimine fecit eum decolari.

E YAnonymiis Falesianus 92) aveva detto:

Symacus (0, caput Senati cuius Boethius filiam habuit uxorem, deducitur de Roma Ravennam. metuens vero rex ne dolore generi aliquid adversus regnum eius tractaret, obiecto crimine iussit interfici.

Ma Giovanni, alle recitate parole aggiunse : «... consulatu « Probi, set sequenti anno, ut dicitur, vitam finivit ». La frase « consulatu Probi » si riferisce alla morte di Simmaco, ed è desunta dai cronografi ^^\ mentre il Liber pontificalis ne tace. Siccome V Anonymus il Liber poniificaìis dicono che a Gio- vanni papa, nel viaggio verso Costantinopoli, fosse compagno Pie- tro, vescovo di Ravenna, così crederemo che il nome di Pietro l'abbia di suo capo aggiunto alla serie il nostro cronista. U Ano- nymus menziona bensì il vescovo di Ravenna, ma non Pietro, sibbene Ecclesio. Ma siccome si era poc'anzi menzionato il ve- scovo Pietro, così facile era la confusione.

Veniamo ad un altro capitolo di Giovanni Diacono:

De occisione lohannìs pape et morte Theodorici regisCJ),

Per la morte di papa Giovanni I, il cronista si giova, come è da attendersi, tanto ddY Anonymus Falesianus, quanto del Liber pontifi- calis. Dal primo (cap. 93) deduce, per esempio, il miracolo avve- nuto intomo al feretro del pontefice; dal secondo ritrae la data

(i) Cosi ha tanto il cod. Palat.-Vatic, quanto il cod. Meermann-Phil- lips; Gardthausen e Mommsen scrivono: « Symmacus ».

(2) Cf. Marius Aventicensis, Chron. ; Gallandius, Bihl. vd. Pah: XII, 514; Holder-Egger, in N. Archiv, I, 365.

(3) Cod. Veronese, e. 135 d.

76 C. CIPOLLA

della morte, « .xv. kl. iunii » . Che papa Giovanni I morisse durante il consolato di Olibrio è detto così dal nostro cronista, come dal Liber pontificaìis (').

Quando poi Giovanni Diacono passa a narrare la morte del re, introduce il discorso dicendo ch'egli morì « .lxxxxviii". die a pas- ce sione beati lohannis », frase ch'egU potea desumere tanto dal Li- hcr pontificaìis, quanto àdW^. Historia romana^^^ di Paolo Diacono; ma tutto fa credere che Giovanni Diacono avesse, senz'altro, sot- tocchio il Liber pontificaìis, del quale riproduce quasi esattamente l'espressione. In appresso Giovanni riferisce i prodigi dei quah trovava menzione presso VAnonymus Valesianus (cap. 84). Questa è circostanza notevole, poiché rivela l' intenzione di Giovanni Diacono di dare un po' d'ordine al confuso racconto dell'^^zo- nymiis. Farmi evidente che quei prodigi, nel posto in cui si tro- vano, non abbiano alcuna ragione di essere, mentre si spiegano abbastanza bene, supponendoli preannunziatori di qualche grande, terribile avvenimento (5). so vedere che questo avvenimento altro possa essere se non la morte del re.

Narrati i prodigi, Giovanni trascrive i capitoli 94-9^ àdYAno- nymus, dove si parla dell'ordine scritto da Simmaco Scolastico, giudeo, per la consegna delle chiese cattoHche agli ariani, e si narra la morte di Teoderico, la sua sepoltura, e la elevazione di Atalarico al trono. Pare sia da attribuirsi alla tendenza di Giovanni ad abbellire il suo argomento, qualche particolarità, ch'egli sa narrarci sulla morte di re Teoderico. Ecco la sua de- scrizione della morte del re, la quale ha il suo fondamento nelle parole deW Anonymiis che pure parla del « flusso di ventre », e rammenta la morte di Ario.

Statini enim gravissimo ventris profluvio egrotans, ad instar Arii aucto- ris eius intra triduum omnia viscera cum polmone, iecore et splene, et aliis

(i) Non si giovò certo dell'opuscolo Gloria martyrum di Gregorio Tu- RONENSE (ed. B. Krusch), in Script. Mcrov. I, 513, Hann. 1884.

(2) Ed. cit. p. 219.

(5) Per contro il Mommsen (Chron.inin. I, 262), pur volendo dare ordine cronologico alle materie contenute nell'opuscolo L]cìVAHonyìnus, mantiene i prodigi al posto attuale.

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precordiis egessìt; et die dominico, quo se credebat invadere catliolicorum ecclesias, regnum finivit et animam in manu demonum exalavit. ante vero quam moreretur, Athalaricum nepotem suum, vocatis principibus, regem Ytalie constituit. mortuus est igitur ipse rex Tlicodorious anno regni sui .XXXI., anno Domini .dxxvi. et sepultus est Ravenne in sepulcro, quod sibi vivus paraverat, magnis et miris ornatus lapidibus.

UAnonymus Valcsianus è più esatto, poiché parla espressamente dell'immenso monolite, di pietra istriana, che ricopre tutt' intero il mausoleo del re in Ravenna, e che costituisce anche oggidì una delle cose più belle, che il forestiero ammiri nella monu- mentale Ravenna. Il cronista Giovanni, che senza dubbio non conosceva Ravenna, non intese bene le parole della sua fonte, e le sciupò.

Rilevo che Giovanni scrivendo, come ora vedemmo, « ani- ce mam... exalavit», si accosta zlYAnonymus, quale lo abbiamo in P, e non nella forma dataci da M.

Il ricordo del consolato di Ohbrio, in occasione del decreto di Simmaco Scolastico, Giovanni lo trovava nQÌYAnonymus Valc- sianus. A proposito della traslazione del corpo di papa Giovanni a Roma, egli trascrive quasi alla lettera dal Lihn pontificalis, so- lamente pone fuor di posto il ricordo del consolato predetto ; il Liber dice di papa Giovanni che il suo corpo fu da Ravenna trasportato a Roma, e quindi definitivamente tumulato, essendo console Olibrio.

Il modo di esprimersi del cronista o è errato addirittura o è almeno poco chiaro. Tuttavia la confusione ch'egU fa non è sotto ogni riguardo completa : distingue i processi e le morti di Boezio e di Simmaco, e sa che il processso subito da quest'ultimo si col- lega col consolato di Probo. Coli' aiuto doìV Anonymus Valesianus, del Liber pontificalis e di qualche cronografo, egli non commette l'errore dell' Anonimo Ctispinlamo che (almeno se le sue parole sono da intendersi nel senso che loro il Duchesne (')) pone sotto uno stesso giorno i suppHzi di Simmaco e di Boezio, e come avvenuti appena diciotto giorni prima della morte di Teo-

(i) LiVcr pontif. I, 277.

78 C. CIPOLLA

derico (■). Mommsen (^) crede che YAnonymus Valesianus siasi giovato àdV Anonimo Cnspinianco, ma nella forma originaria, non nel magro frammento a noi giunto.

Il Liber Pontificalis scrive: « cuius corpus translatum est de « Ravenna et sepultus est in basilica beati Petri, sub die .vi. kal. « iunii, Olybrio consule « (526).

Invece Giovanni Diacono confonde la cronologia, poiché, ri- ferendo il passo del Liber pontificalis, v' introduce un inciso, nel quale asserisce che la traslazione ebbe luogo un anno dopo la morte. Ecco le sue parole :

Igitur gloriosus martyr et pontifex sepultus fuit Rome in ecclesia beati Petri, .VI. kl. iunii, revoluto anno a die passionis sue, mortuo iam Theodorico rege, consulato Olybrii.

Dopo aver discorso, colle riferite parole, del sepolcro del re a Ravenna, segue Giovanni dicendo di una leggenda che correva a Verona, al tempo suo, secondo la quale Teoderico fabbricò l'anfiteatro a Verona e fu generato dal demonio; la parte essen- ziale della leggenda, quale è qui narrata da Giovanni, consiste nel bagno e nella caccia, quale è riferita dalla ben nota saga germanica. Sopra questo passo di Giovanni non insisto, aven- dolo in altra occasione riportato e illustrato ^^'l Citerò qui in- vece alcune osservazioni colle quali Giovanni fa seguire questo racconto; e queste sue osservazioni serviranno anche a conferma della sua erudizione:

Hec autem varia et frivola (4) sunt et sugestione demonum fìctas, nam demones ut deludant horaines multa fantastica ostenderunt hominibus sicut de societate illa satis apparet, que dicitur ire de nocte, de cuius revelatione no-

(i) Ora il passo del così detto Anoii. Cusp. si citerà sotto il nome di Fasti Vindohonenses posteriores (presso Mommsen, Chron. min. I, 323): (523) «... Theodericus occidit Symmachum {var. Symmacum) et Boetium et « mortuus est post dies xvtii... et mortuus est lustinus imp. .. ».

(2) Chronograph von j/4, p. 637, nota.

(3) Per la leggenda di re Teoderico in Verona, in Arch. stor. ital, Firenze, 1890, ser. V, tomo VI, p. 457 sgg.

(4) Qui nel cod. Veronese comincia la e. 1360.

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toria in vita Valentiniani tercii impcratoris scripsi, qualitcr bcatus lermanus Altisiodorensis episcopus predictam societatcm demones esse ostcndit. de tali apparitione animarum refert Helinardus in cronicis ... ».

E dopo aver narrato alcune apparizioni demoniache citando Helinardus e le Fite imperatorum franconmi post Karolum Magnmn, riferisce il passo dei Dialoghi di s. Gregorio Magno ^^'^ sulla ca- duta di Teoderico nel cratere di Lipari. Anche qui egli trovava la sua fonte nel codice Vaticano-Palatino (-), il quale, siccome abbiamo visto in addietro, riferisce tutto il tratto di s. Gregorio senza tuttavia citarne l'autore e il titolo del Hbro. Invece nel codice Meermann-Phillips (ora Berlinese) si riferiscono le parole e si citano e autore e opera.

E qui il nostro esame è finito. Giovanni Diacono si giovò del testo stesso del codice Palatino-Vaticano, e la sua cronaca, per la critica del testo dQÌV Ano7iymus Valesianiis non ha valore. Egualmente il codice Palatino-Vaticano ha poco o anzi niun va- lore di fronte al codice Meermann-Phillips. Rimane quindi asso- dato che solo sopra questo manoscritto può poggiare l'edizione critica àQÌYAnonymns; dal codice Palatino-Vaticano si potrà trarre qualche vantaggio, nei limiti accennati, tanto più che forse, vo- lendolo, si può ancora riguardare come non dimostrato che la dipendenza di questo da quello sia tanto diretta e tanto com- pleta, quanto sarebbe una pura e sempUce trascrizione. Una mi- gliore disamina del codice Meermann-Phillips sarebbe estranea al nostro tema; mi basti ricordare che il Mommsen, distin- guendo in quel manoscritto la prima dalla seconda mano, ri- tiene che solamente la prima abbia valore per la critica del testo. Il Mommsen ha posto à fondamento della sua edizione la prima mano del codice Berlinese; e se in Italia, come è da augurarci, si farà una edizione critica à.Q\\'Aìionymus, non potremo staccarci troppo da questo criterio.

Dal lungo esame di parecchi capitoh delle Historiae imperia-

(i) Dlal. lib. IV, cap. 51; anche in Script, rer. Langoh. et Ital. p. 540. (2) Freculfo, Chron. cìt., e. 157, si limita a ricordare l'attestazione di s. Gregorio, senza riportarla.

So C. CIPOLLA

Ics di Giovanni da Verona, vorrei che un'altra conseguenza si ritraesse, oltre a questa puramente negativa; ed è che quel cro- nista ci apparisce ora sotto un punto di vista speciale. EgH è, per il suo tempo, un erudito di molto valore. Conosce una quantità di opere e sa giovarsene. Ne è soltanto erudito, ma critico. È uomo d' ingegno^ sa aggruppare, con ordine logico, gli avvenimenti, e dalle scarse nozioni storiche che gli offrivano le cronache e gli antichi, egli si studia, senza buon risultato, a restituirci la vita dei personaggi dei quah discorre. Di qui si comprende quanto possa tornar utile una ricerca larga e siste- matica delle fonti delle Historiae imperiaks. ciò si è da pa- recchi parlato, e in diverse occasioni, ma parmi che troppo poco finora siasi fatto in tale proposito.

Di qui ancora potremo apprendere che molti hbri doveano esistere a Verona nel secolo xiv. Questa non è cosa ignota, poiché senza abbondanza di Hbri, Guglielmo da Pastrengo - eru- ditissimo amico del Petrarca - non avrebbe potuto scrivere il suo opuscolo De originihns. il Flores moraìimn, conservato ma- noscritto nella biblioteca Capitolare di Verona, si sarebbe potuto comporre senza il soccorso di gran numero di libri. Ciò costi- tuisce un fatto storico, che fa conto di rilevare.

IV.

Condizione del testo dQ.\V AnoTiy7Jius Valesianus IL Conclusione.

L'Anonymus Valesianus II, da qualunque parte lo si consideri, apparisce sempre come un insieme di notizie, male ordinate, e giammai come un tutto organico f'). Ohnesorge trovò che questo aneddoto si differenzia daìY Aiionymus Valesianus I per l'abbondanza dei dati cronologici. L'osservazione, come si é veduto, é giusta,

(i) Quindi il MoMMSEN (Chron. min. I, 261-2) sentì il bisogno di dare lo specchio cronologico delle materie contenute nell'opuscolo.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 8i

ma solo in parte. Poiché le date cronologiche non si trovano egualmente compartite nei diversi capitoli; e, anche dove si tro- vano, non sono riferite in maniera uniforme.

I capitoli 55 e 54^'^ ci si presentano come note storiche dei Fasti consolari (^); e non è a dubitare che i Fasti consolari abbiano avuta influenza sopra YAnonymus. Quei capitoli infatti cominciano col nome dei consoli, ai quali stanno aggiunte le narrazioni che prin- cipiano, colle formole consuete nei Fasti: « his consulibus », « hoc « consule ». Altrove abbiamo una data, col mese, col giorno, coir indizione e col consolato ('), quale si trova non nei Fasti, ma nelle narrazioni seguite, per esempio, nel Libcr pontificaìis. C è quindi la scrupolosa esattezza cronologica, ma in forma di- versa.

Altrove si hanno traccie di indicazioni cronologiche andate perdute, e che si saranno trovate senza dubbio in quei brani dei Libì'i chronicortim, che furono ommessi dall' excerptatore. Al capi- tolo 50 (4) è detto che Odoacre fissò il suo esercito nel « campo « minore veronese » addì « .v. kal. oct. », ma se ne tace l'anno.

(i) Ed. Gardthausen, p. 294; ed. Mommsen, p. 316, 318.

(2) W. Oechsli, Ueber àie Hisioria Miscelili Uh. XII-XVIII und den Anonvmus Fatesi anus II cit., p. 84, dopo di avere lungamente esa- minato la relazione tra VAnon. Vaìcs. e i Fasti, e dopo avere riconosciuto il grande valore che per questo rispetto hanno le ricerche del Mommsen, del Waitz &c., giunge alla conseguenza che i Fasti furono usufruiti àaWAtion. per la compilazione dei capitoli 36, 37, 45, 50-6. Sulla relazione àzVC Ano- nimo coi Fasti (Ravennati) è a vedersi Holder-Egger, N. Archiv, 1876, I, 316-524. Adesso abbiamo nella edizione del Mommsen il raffronto continuo coi Fasti Vindohonenses, col codice Havniense, con Agnello, Q.cc.; sicché la relazione àtVCAnon. coi Fasti risulta provata, anzi evidente. Il § 54 trova la più chiara corrispondenza desiderabile coi Fasti Vindohonenses priores; in- vece al § 53 non è apposto alcun passo di confronto. Si noti che in molti altri luoghi, nei quali nel testo deìVAnon. non fu conservato ricordo dei consoli, il testo del racconto evidentemente deriva da antichi Fasti, cioè ha comune la fonte colle compilazioni per consolati, quali noi possediamo.

(3) Ed. Gardthausen, cap. 94, p. 304, rr. 25-26; ed. Mommsen, p. 328^°: « septimo kalend. septembris, indictione quaru, Olybrio con- « sule ».

(4) Ed, Gardthausen, p. 293, rr. 14-15; ed. Mommsen, p. 3i6»9-2°.

6

82 e. CIPOLLA

Al capitolo 51 (') narra che Tufa ed altri de' principali di Odoacre passarono a Teoderico, nelle « kal. aprilis » ; e tosto proseguendo si soggiunge che « eo anno » Teoderico mandò Tufa, maestro dei militi, ad inseguire Odoacre a Ravenna; ma quale sia quell'anno non è detto.

Stavano benissimo le indicazioni del mese e del giorno nei ca- pitoli ^^ e 54, che portavano al principio i nomi dei consoli; ma dove questi mancano, non hanno più ragione di essere.

Talvolta la narrazione si riferisce strettamente alla storia d' Italia, ma non di rado il cronista abbandona questo paese, per soffermarsi cosi a lungo sulla storia d'Oriente, da farci credere eh' egli voglia scrivere la storia dell' impero. Veggansi special- mente i capitoli 39-44, nel quale ultimo e' è bensì un riferimento al Senato romano, ma soltanto casuale, e i capitoli 74-78. Par- rebbe che la preoccupazione maggiore, o anche unica, fosse quella di tessere la storia degli imperatori Zenone e Anastasio. Non cito altri capitoli, nei quali la storia di Oriente si fonde con quella di Occidente; ma bensì rilevo che ai capitoli sopra citati fanno contrapposizione parecchi altri, che sono dedicati unica- mente alla storia italiana.

Che il nostro aneddoto sia un estratto, è cosa notoria, e lo dimostra anche il titolo che lo contrassegna nel codice Meermann- Phillips; ma ora voglio notare come esso non. sia un brano preso tale e quale da alcuni Libri chronicorum, ma voglia essere giu- dicato come un insieme di brani presi di qua e di là, e spesso slegati o poco legati tra loro. A ben vedere, anche il titolo I te m ex libris Chronicorum inter cererà combina benissimo con questa supposizione, poiché esso significa che dai vari libri componenti un'opera che avea per titolo Chronica, si estras- sero quelle notizie, le quali vi si trovavano frammezzo ad altre molte.

Leggendo di seguito il testo si avranno altre conferme di questa opinione. Ma si avrà altresì occasione di notare qualche altra cosa, riflettente il modo con cui il testo fu messo assieme.

(i) Ed. Gardtiiausen, p. 293, r. 22; ed. Mommsen, p. 316^3.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 83

Qui sul principio intanto osservo come molte parti delle bio- grafie di Odoacre e di Teodcrico vi manchino affatto. Di Odoacre abbondano le notizie sulle sue relazioni con s. Severino, e sulle sua guerra con Teoderico. E quanto a quest'ultimo re, ci sono punti diffusamente esposti : lo stabilimento del regno, le cose famigliari, i suoi motti famosi, i lugubri avvenimenti degli ul- timi anni di sua vita, le molte e splendide fabbriche da lui co- struite. Ma ci sono altri fiitti che noi desidereremmo conoscere minutamente, e che qui sono o appena toccati, o taciuti. La spiegazione di ciò dovrà cercarsi soltanto nel modo di scrivere dell'autore, o anche in altre ragioni }

Come tutti osservarono, il principio « igitur imperante Zenone « Augusto » denota che siamo dinanzi ad un estratto (^'). E denota ancora che l'excerptatore volle essere fedele assai al proprio testo, se non si permise di modificarne in nulla la lezione, e conservò perfino quell' « igitur », che al posto dove si trova non ha più senso.

Al cap. 47 la frase « eodem tempore » (^), a primo aspetto, pare non abbia qui alcuna ragione di essere. Poiché nelle parole pre- cedenti, si era detto semplicemente che Odoacre, entrato in Italia, vi aveva conquistato il « regnum », e non si era determinato un tempo speciale, al quale si potesse riferire ciò che si racconta nel pe- riodo, che principia « Eodem tempore », ed è che Odoacre scrisse a s. Severino, chiedendogli se potesse fargli alcuna cosa gra- dita. La frase « eodem tempore » tuttavia non è sufficiente mo- tivo a farci sospettare che qui il testo sia lacunoso, poiché essa può considerarsi siccome una trascrizione quasi esatta della fonte, che in questo luogo veniva usufruita dall' Anoìtymus, cioè della Vita s. Scverini di Eugippio. I capitoli 46-48 sono desunti da questa Fita, che si cita sul finire del capitolo 45. UAnonymiis ne espilò quanto, in diversi luoghi, riguarda Odoacre e lo rac- colse assieme. Il § 32 della Fita^^^ comincia: « Isdem tempo-

(i) Holder-Egger, N.Archiv, l, 316-24, a proposito dell'aneddoto crede che anche il modo con cui termina, lo dimostri un frammento. (2) Ed. Gardthausen, p. 292, r. 7 ; ed. Mommsen, p. 315^. (5) Ed. Sauppe, p. 24.

84 C. CIPOLLA

« ribus Odoacer rex s. Severino familiares litteras dirigens ». E V Anonymiis mutò « isdem temporibus » in « eodem tempore » . Questo può servirci di regola per andare a rilento prima di asse- rire con certezza che il testo è lacunoso o falsato, solamente in base ad irregolarità di dizioni. Tuttavia noi vedremo, che la- cune ed errori ce ne sono innegabilmente.

Può sospettarsi di una lacuna tra il capitolo 47 e il 48, il quale ultimo comincia seccamente con « igitur Odoachar ». Ma forse anche questo « igitur » si può spiegare pensando che l' autore qui si preoccupava soltanto di riunire assieme i passi di Eugippio riguardanti Odoacre. « Igitur » è una modificazione di « qua- « propter », che leggesi nella Vita <^').

Più forte sorge il sospetto di corruzione nel testo un po' più innanzi, nel medesimo capo (^):

...nam dum ipse esset bonae voluntatis et arrianae sectae favorem prae- beret, quodam tempore dum memoratum regera multi nobiles coram sancto viro... laudarent...

San Severino profetizzò la durata del suo regno. In Eugippio (5) leggiamo : « Quodam etiam tempore dum memoratum regem » &c. Le linee che yìqV^ Anonymus precedono a queste, non hanno signi- ficato, così come stanno, poiché suonerebbero un elogio all'aria- nesimo, locchè è assurdo, mentre e san Severino e l'Anonimo erano tutt' altro che ariani. Questa prima difficoltà si potrebbe levare supponendo qualche errore di trascrizione, di modo che il testo genuino dicesse: quantunque egli favorisse la setta ariana, era tuttavia uomo di buona volontà. C è poi una seconda diffi- coltà, ed e che la sintassi esige che con « quodam tempore » co- minci un nuovo periodo, così come avviene nella Vita s. Seve- rini di Eugippio. Se leviamo tutto il tratto: « nam - praeberet» ^'^\ otteniamo non solo di ristabilire il senso e la sintassi, ma con-

(i) Ed. clt. cap. 44, § 4.

(2) Ed. Gardthausen, p. 292, rr. 15-19; ed. Mommsen, p. 315 i"-^,

(3) Ed. cit. cap. 32, § 2.

(4) Ed, Gardthausen, p. 292, r. 15-7; ed. Mommsen, p. 315 ''^-i.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II >. 85

serviamo il carattere a tutto il tratto presente, che è desunto per in- tero da Eugippio. Probabilmente anche il tratto « nam - praeberet » è da spezzarsi in due, l'uno riguardante la buona volontà e l'altro l'arianesimo, e i due tratti apparterranno a qualche brano delle Cronache trascurato dall' abbreviatore ('\

Gap. 57 (*). Avanti a questo capo il codice M segna la la- cuna di una linea. Il senso tuttavia corre almeno fino ad un certo segno, giacché qui si tocca dell' ambascieria mandata da Teoderico a Costantinopoli, il cui esito dipese dalla morte di Ze- none, che è oggetto al racconto delle ultime linee del capitolo 56^5). Le prime linee di detto capitolo 57 sono scorrette. Difatti i co- dici leggono: « Teoiericus enim, qui in legationem direxerat « Faustum Nigrum adZenonem »,e poi il senso è sospeso; Gardt- hausen soppresse « qui » ; ma con quale diritto ? Anche la proposizione seguente « at ubi - reverteretur » è sospesa, e non si lega direttamente con quanto segue ^^).

Gap. 60. Diggià Francesco Rùhl f>) rilevò una singolare tra- sposizione di parole avvenuta in questo capo. È una trasposi- zione che si scorge facilmente, dacché io stesso l'aveva notata

(i) Al principio del cap. 53 si dice che « Odoacer rex exiit de Cre- « mona et ambulavit Mediolanurn ». Holder-Egger, M Archiv, I, 519,05- serv'audo che non era mai stato detto che Odoacre fosse andato da Ravenna a Cremona, crede errato il passo, e a « Cremona » sostituisce a Ravenna ». Ma la notizia desiderata da Holder-Egger potea trovarsi benissimo nei brani ommessi dall'excerptatore.

(2) Ed. G.\RDTHAUSEK, p. 295, r. 8; ed. Mommsek, p. 322- (in questa ed. il § 57 comincia con « et moritur » Scc, cioè colle parole che nella ed. Gardthausex chiudono il 5 5 6).

(3) Anzi queste ultime linee, come si disse nella nota precedente, fu- rono dal Mommsek succate dal § 56 e poste al principio del S 57-

(4) Anche i capp. 55-6 sono confusi, lacunosi. Tra le lezioni dispu- tate c'è « praeveniente », Gardt. p. 295, r. 3. Il tratto mancando in P, abbiamo solo il codice M che ha « praevenientem ». Gardthausen preferisce « praeveniente », e dice che Mommsen propone « perveniente ». Ciò è ine- satto, giacché egli legge invece « pervenientem »; nel suo lavoro Johannes V. Antiochia und Malalas, in Hermes, [1872], VI, 335, nota 4; e ora nella sua edizione, p. 320'", accetta sempre: « pervenientem ».

(5) Acta socict. Lips. IV, 374-5.

e. CIPOLLA

molti anni prima di leggerla accennata dal Rùhl. Il codice Meer- mann <^') legge : « dum ipse quidem arrianae sectae esset, tamen « militia Romanis sicut sub principes esset praecepit ». E di a qualche linea (rr. 2(3-7) ^^ l'iì^ìl contra religionem càtho- « licam temptans ». È chiaro che queste ultime parole deb- bono seguire a « tamen ». E con ragione, o con apparenza di ragione, il Rtihl, seguito ora dal Mommsen^ propone anche di leggere « mihtiam » (^\ che diventa l'accusativo di « esse prae- « cepit » .

Gap. 61. Qui comincia un tratto abbastanza ordinato e se- guito, che continua sino a tutto il capitolo 62. Si parla dei detti memorabili, pronunciati dal re, e dei quali al tempo dell'autore era tuttora viva la ricordanza. Ma è un tratto che non ha da fiir nulla con quanto precede, e con quanto segue. Anzi non solo manca il legame, ma ci sono indizi del contrario. Infatti il capitolo 61 comincia cosi, come se il lettore fosse informato della mancanza di coltura letteraria che l'autore deplora nel re: « Hic « dum inlitteratus esset, tantae sapientiae fuit... ». Viene in mente che al capitolo 61 debbasi far precedere il capitolo 79, che dov' è, sta fuor di posto, e che parla appunto della ignoranza letteraria del re, principiando il discorso in forma di affermazione diretta: « Igitur rex Theodoricus inlitteratus erat » &c. Dopo un' affermazione diretta, s' intende il « dum inlitteratus esset » del capitolo 61.

Il tratto 61-2 come si allaccia male con quanto precede, così egualmente non si unisce convenientemente con quello che segue. Infatti il capitolo 63 comincia con « Postea vero accepta uxore ...» ^^\ dove il « postea » non può difendersi affatto, mentre non si era fatta parola di alcun precedente avvenimento, stabilita alcuna data cronologica.

(i) Ed. Gardthausen, p. 295, rr. 22-24. Questo tratto manca nel co- dice Vaticano-Palatino. Ora il Mommsen (p. 322) introduce nel testo la trasposizione, presso a poco nel modo proposto dal Ruehl.

(2) Frick, op. cit. p. 345, questa voce « militia » come un esempio di accusativo in -a.

(3) Ed. Gardthausen, p. 297, r. 13; ed. Mommsen, p. 322^*.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESlANUS II » 87

Gap. 66 e ^9. Anche qui abbiamo un periodo spezzato in due, e partito in due capitoli, che restituiremo così:

Deinde veniens, ingressus Urbem, venit ad senatum et ad Palmam po- polo adiocutus, se omnia, Deo iuvante, quod retro principes romani ordi- naverunt, inviolabiliter servaturum promittit; verba enim promissionis eius, quac populo fuerat adiocutus, rogante populo, in tabula aenea iussit scribi et in publico poni.

Nel testo queste ultime parole seguono, affatto fuori di posto, dopo il cenno sopra una condanna a morte pronunciata da Teo- derico. La relazione di argomento tra le due proposizioni è evi- dente, ed è confermata dalla rispondenza della voce « adiocutus », che viene usata in ambedue. A levare ogni dubbio in propo- sito basterà aggiungere che essa venne riconosciuta dai chiarissimi G. B. De Rossi e G. Gatti in un importante loro studio sul luogo appellato « ad Palmam » e sul suo emiciclo nel Foro romano ('>.

I capitoli 68-9 sono un mosaico di frammenti^ uno dei quali, l'ultimo del capitolo ^9, l'abbiamo testé aggiunto al capitolo 66. Comincio dal considerare il principio del capitolo ^8: « Item Ama- « lafrigdam germanam suam in matrimonium tradens regi Wanda- « lorum Transimundo ». Per levare ogni scrupolo, osservo che l'uso del participio presente « tradens », come forma diretta, è comune al nostro autore. Ne abbiamo avuto testé un esempio in « temptans (contra religionem catholicam) » del capitolo 60. Un altro ce lo offre il « mittens » del capitolo 54 '^^^ Quindi la proposizione attuale può considerarsi come proposizione diretta, e non é necessario cercarne un'altra, cui essa si appoggi.

Egualmente sembra fuor di luogo un'altra notizia di carattere famighare che abbiamo nel capitolo 70, dove nel codice M (il co- dice P non ha questo tratto) leggesi :

Deinde {dopo di che?) sexto mense revertens Ravennam, alia germa- nam suam Amalabirga tradens in matrimonio Herminifrido regi Turingorum :

(i) Bollettino della Commissione archeol. comunale di Roma, Roma, 1887, XV, 64. Il MoMMSEN, p. 324, il testo nella forma ordinaria, senza al- cuna osservazione.

(2) Ed. Gardthausen, p. 294, r. 15; ed. Mommsen, p. 316^°.

^8 C. CIPOLLA

et sic per circuitum placuit omnibus gentibus. eratCO enim amator fabri- carum. . .

Non ha da far nulla l'amore alle fabbriche, col matrimonio di Amalabirga; eppure la voce « enim » farebbe credere che il primo fatto formasse la spiegazione del secondo ; peraltro è certo che il si- gnificato della parola « enim » in quest'opuscolo non è molto chiaro. Il Mommsen '^^^ crede che questa voce vi sia usata più volte, quale una semplice copula. Egh cita alcuni luoghi '^^\ uno dei quali è appunto quello che stiamo ora considerando. Il brano del § 69 « verba enim promissionis eius » muta di senso, trasportandolo, come proponemmo, al § 66. In due luoghi 57, 62) « enim 0 sembra significare soltanto poi, peraltro, infatti, o similmente; ma nel § 72 parmi che quasi si possa lasciare ad « enim » un signifi- cato simile all'ordinario, che esso mantiene anche in qualche altro luogo dell'opuscolo ^'^\ Complessivamente apparisce che « enim » significa perchè, infatti &c., con valore rinforzativo od esplicativo. Sicché nel § 70 avremmo sempre un brutto accordo della proposizione contenente « enim » e riguardante le fabbriche, con quanto precede.

Siccome si sa che Amalabirga era nipote (5) e non sorella ger- mana di Teoderico, così alcuni, e tra questi il Gardthausen, cer- carono emendare il passo leggendo: « filiam germanae suae ». Ma ancora la piaga non è sanata, e li in quel posto quella no- tizia non ha proprio senso. Se colla frase « et sic per circuitum » l'Anonimo voleva significare che Teoderico coi legami nuziali

(i) Da questa voce in poi il testo è dato anche dal codice P.

(2) Chron. min. I, 261.

(3) § S7 i^^- Gardthausen, p. 295, 8; ed. Mommsen, p. 322, 2), § 62 (ed. G. p. 296, r6, 26; ed. M. p. 322, 27, 34), § 69 (ed. G. p. 298, 19; ed. M. p. 324, 18), § 70 (ed. G. p. 298, 25; ed. M. p. 324, 23), § 72 (ed. G. p. 299, 7; ed. M. p. 324, 31).

(4) § 60 (ed. Gardthausen, p. 295, 20; ed. Mommsen, p. 322, 12), § 72 (ed. G. p. 299, 18; ed. M. p. 324, 33).

(5) Cf. Dahn, Di& Kònige der Gcrmanm, tomo II, tavola genealogica degli Amali.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 89

cercava di farsi amiche le genti barbariche (^\ dovea raccogliere assieme tutte le notizie di tal genere, e non sparpagliarle nei ca- pitoli 6^, 6S, 70. Ed è precisamente quello che, dagli indizi raccolti, sembra proprio ch'egli abbia fatto; poiché tutte queste notizie, che tra loro converrebbero assai bene, stanno poi male nei luoghi dove le abbiamo trovate. Anzi a farci credere che il vero sia proprio questo, giova non solo la frase testé esaminata « et sic per circuitum » &c., ma anche la voce « alia » nella frase « alia germana[m] sua[m] » del codice Meermann. Il Gardthausen la espunse per sostituirla con « filia », ma é una supposizione, e il passo potea racconciarsi diversamente, tanto più che pote- vasi anche supporre che VAnonymus s'ingannasse in questo par- ticolare, cioè sui vincoli di parentela colleganti Teoderico ad Amalabirga ^^\

UAnonynms è inclinato a raccogliere, nella biografia di Teo- derico, le sue notizie, disponendole per materia. Lo vediamo a proposito delle fabbriche (capitoH 71-72), le quali sono qui enu- merate l'una dietro l'altra, solo per questo motivo; lo vediamo anche per quanto riguarda i detti memorabiH (capitoli 61-62). È quindi verisimile che anche le notizie di carattere famighare fossero, in origine, le une vicine alle altre. possiamo esser certi, che non manchi qualche notizia. UAnonymus (capitolo 80) sa dell'affetto di Teoderico verso Eutarico, si comprende come ignorasse che costui ebbe in moglie Amalasunta, altra figlia del re.

lordanis (') parla prima del matrimonio di Teoderico colla figlia del re dei Franchi ; e immediatamente dopo tien parola dei matrimoni coi quali il re legò la sua famigHa con Alarico, re dei

(i) Mi pare eccessivamente ardita la ipotesi del Mommsen che a <^ placuit (c omnibus gentibus « sostituisce « placavit omnes gentes ».

(2) Avevo scritto queste parole quando lessi l'articolo citato del Frick (Cotmmnt. Wòlfflinianae, Lipsiae, 1891, p. 345, nota i) dove egli pure fa la stessa osservazione, anzi nota che un altro errore commise VAnon. quando disse (cap. 63) che Teodegota, figlia di Teoderico, sposò Sigismondo, re dei Burgundi, mentre fu donna di Alarico, re dei Visigoti. Cf. N. Archiv, XV, 583, e HoDGKiNG, Italy and ber invaders, III, 354.

(3) Getica, cap. 57-58, ed. Mommsen.

6*

90 C. CIPOLLA

Visigoti, Sigismondo dei Burgundi, Trasamundo re dei Vandali, con Ermanfredo dei Turingi, nonché con Eutarico (').

Nel seguito del capitolo 68 si dice che Teoderico nominò patrizio Liberio già prefetto del pretorio. E poi VAnonymus pro- segue così:

. . . itaque Theodorus fìlius Basili, Odoin comes eius (2) insidiabatur ei.

Gap. 69. Dum haec cognovisset, in palatio, apud sessorium, caput eius amputari praecepit . . .

Forse il tratto «Odoin» &c. ha riferimento col tratto «dum «haec», quantunque si possa credere che qualcosa manchi a completare il senso. Ma le parole « itaque Theodorus fìlius Ba- « siH » stanno affatto sospese (3). Non so se qui si parli di quel Ba- silio, che fu «regio ministerio depulsus», e che poi figurò come uno tra i più perfidi delatori di Boezio W. Di un Basilio parla Cassiodorio (5). Che si abbia a pensare circa la identificazione del Basilio doìY Anonymtis Falesianus non lo so, ma questo posso affermare che qui il testo è lacunoso; anzi non si ha un testo seguito ma piuttosto quasi un mosaico di proposizioni staccate.

Capitolo 79 '^^\ Prima del principio di questo capo, cioè prima di « Igitur », il codice M segna una lacuna di una linea e un quarto; e nel codice P questo capitolo comincia in lettere onciali, quasi ad indicare l'inizio di un capitolo nuovo; in questo fatto si ha probabilmente una traccia alterata della lacuna ancora indicata dal codice M. Tale lacuna, espressamente segnata, ac- cresce valore alle congetture già da noi fatte intorno a questo capitolo. Dicemmo che lo si doveva legare ad altro tratto, al

(i) Anche Paolo Diacono, Hist. romana, ed. Droysen, pp. 215-16, con- serva unite tali notizie famigliari.

(2) Cioè: di Teoderico.

(3) Non so dire se Mommsen (p. 324'^) sia riuscito a sanare questa piaga, racconciando il passo cos'i : « [successi! in] administratione praefecturae itaque « Theodorus filius Basili «, poiché la voce « itaque » vi starebbe fuori di posto affatto.

(4) De. coìtsol. pbilos. I, 4, 51, ed. R. Peiper cit. p. 12.

(5) Furiar. IV, epp. 22 e 23.

(6) Ed. Gardthausen, p. 300, r. 26; ed. Mommsen, p. 3 26 '6.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 91

quale doveva immediatamente precedere. Ora vediamo da questa circostanza che in realtà si lega a quanto gli andava innanzi: locchè poi apparisce, non solo dalla lacuna, ma anche dalla sua parola iniziale « igitur ». Nel capitolo 78 terminavasi il tratto (capi- toU 74-78) riguardante l'Oriente, dove si parla di Anastasio im- peratore e della eresia eunomiana, ma nulla affatto dicevasi dell' Itaha, di re Teoderico. La parola « igitur » è proprio fuori di posto.

Capitoli 80-82. Questi tre capitoh formano una narrazione abbastanza continuata, dove si parla delle lotte tra cattolici ed ebrei in Ravenna e delle decisioni prese a tale riguardo da Teo- derico. Eppure anche questo tratto presenta qualche grave dif- ficoltà. Nel capitolo 81, ì'Anonymus, dopo aver detto che i cat- tolici di Ravenna diedero fuoco alle sinagoghe, soggiunge: « quod et in cena eadem similiter contigit » . Francesco Eys- senhardt, che nella sua edizione (') à^W Anonymus Valesianus, in fine al suo Ammianus Marceììinus, aveva lasciato il passo tal quale, in un successivo articolo '^^^ propóse ^^^ la lezione « Caesena » in luogo di «cena», quasi che a Cesena siansi rinnovati i tu- multi di Ravenna. Gardthausen registra che Wagner propose: « quod et in Roma scena eadem ». E il Mommsen vi si accostò leggendo : « quod et in Roma in re eàdem » &c. Ma sono le- zioni, se non m' inganno, impossibili, poiché nel tratto seguente parlasi sempre di Ravenna e di ordini che Teoderico diede sol- tanto in riguardo a Ravenna. di Cesena, di Roma qui si parla. Ben è vero che in riguardo alle sinagoghe si ebbero, al tempo di Teoderico, altri tumulti, dei quaU il re si preoccupò neir intento di pacificare gli animi. Ma tutto questo è estraneo al caso presente.

E neppure è medicina adeguata alla piaga la congettura dello Zangemeister : « quod et in synagoga ». Infatti, di qual sinagoga

(i) Lipsiae, 1871.

(2) Del quale - come si avvertì - non tiene conto, forse perchè uscito troppo tardi, il Gardthausen.

(3) In Jahrhuch fiìr class. Pini CXI, 560.

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si parla ora, se si è pur teste detto che le sinagoghe andarono bru- ciate ? Gardthausen registra questa congettura, ma non la intro- duce nel testo, dove lascia la oscurissima lezione dei manoscritti.

Il capitolo 83 ha relazione di pensiero, ma forse non di forma con quanto precede. Poiché non si sa come stiano verso i fatti di Ravenna le due notizie ivi date, cioè la distruzione della chiesa di Santo Stefano a Verona e la proibizione delle armi in odio ai Romani. U Anonymus è entrato oramai nella esposizione del- l'attrito politico-religioso tra Teoderico da una parte, e i Romani e i cattolici dall'altra. Ma la narrazione probabilmente ci per- venne frammentaria. L'ordine generale c'è senza dubbio, poiché vien detto, che nel momento, in cui scoppiò la rivolta ravennate, il re era a Verona (cap. 81); ora dal libro De cotisolatione phiìoso- phiae sappiamo che l' inizio del processo di Boezio, cui si riferi- scono i capitoli 85-87 deli' Anonymiis Valesianus, si svolse a Ve- rona, e poi dal cap. 88 risulta che il re era fuori di Ravenna, dacché si dice che si recò appunto colà.

Il capitolo 83 comincia con «Ex eo enim^'^invenit diabolus W « locum, quem ad modum hominem bene rem publicam sine « querella C') gubernantem subriperet». Che cosa significa qui «Ex eo » ? Di qual tempo s'intende parlare? Se, come forse risulta dalle altre parole che abbiamo riferito, YAnonymus vuol descriverci il principio della nuova politica di Teoderico, come si spiega che anche il capitolo 85 s' inizia con frase simile ? Infatti quel capitolo, col quale si apre la narrazione del processo di Boezio, comincia cosi : « post haec coepit adversus Romanos « rex subinde fremere » . Ma non aveva cominciato anche prima a « fremere » contro i Romani, conforme a quanto vien detto nel capitolo 83 ?

Si potrà dire che « Ex eo » non è una mera indicazione cro- nologica ; in quella voce si allude anche alla causa. Ed è antica, ma sempre bella congettura quella di Giovanni Diacono, il quale

(a) P malignus (b) P querelam

(i) In P Sta qui aggiunta la voce « tempore », che fu poi cancellata di prima mano (?).

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II « 93

nel capo Quod Tlieodoriciis rex Gothorum qui re- gnabat in Ytalia &c., connette tutte queste notizie colle parole del capitolo 80, dove VAnonymns fa cenno dell'amicizia di Teoderico con Eutarico, il quale « nimis asper fuit et contra « fidem catholicam inimicus » ('). Ma questa opinione può senza dubbio legare idealmente, non forse materialmente i due passi.

Il capitolo 84 poi nulla ha a che fare col capitolo 83, di cui parlammo e col capitolo 85, che apre la narrazione del processo di Boezio. È un tratto incuneato e contiene la narrazione dei prodigi accaduti a Ravenna. Comincia con « Item, mulier « pauper » &c., dove « item » è un mero richiamo materiale al- l'ultima proposizione del capitolo 83, la quale contiene notizie del- l'ordine che levò ai Romani l'uso delle armi; tale proposizione comincia pure con «item», e cioè: «item ut nuUus Romanus « armas » &c. Porsela ricorrenza dei due « item » fu cagione dello sbaglio.

Giovanni Diacono, quasi sei secoli addietro, si era accorto pienamente della sconcordanza; e avea ('') trasportato il tratto sui prodigi nel suo capitolo De occisione lohannis pape et morte Theo dorici regis, dopo la morte di Sim- maco, di Boezio e di papa Giovanni, narrandoU come prean- nunziatori della morte del re. Questa congettura del vecchio erudito ha il suo valore, e ad ogni modo ci assicura che non c'illudiamo credendo fuori di posto quel capitolo. Ora levando quel capitolo, un certo quale ordine ricomparisce nel complesso della narrazione, pur ammettendo e lacune e depravazioni di testo.

I capitoli 88-9^ sono occupati dal racconto della legazione di Giovanni a Costantinopoli, del supplizio di Simmaco senatore, dell'ordine scritto da Simmaco Scolastico per la consegna delle chiese cattoliche agli ariani, e della morte di Teoderico. Qui la

(i) Scrive Giovanni: « Eo tempore (= ex eo dell' Ano n.) Theodo- « ricus rex Gothorum . . . cum regnaretapud Ytaliam, licet esset arrianus, tamen a modeste usque ad hec tempora regnaverat. set depravatus fuit ab Eutha- « rico consule...»; cod. Veronese, e. 134 e.

(2) Cod. Veronese, e. 136 b.

94 C. CIPOLLA

narrazione procede abbastanza seguita. Quantunque esaminando i singoli punti si possa forse sospettare qualche lacuna ('), tut- tavia il discorso segue abbastanza ordinato.

Anzi mi piace di rilevare che ì'Anonymus Valesianus combina coi cronografi <^^) in alcuni punti di molto rilievo. Boezio morì sotto il consolato di Opilione nel 524, Simmaco sotto il conso- lato di Probo nel 525, e papa Giovanni nel 526 (18 maggio), poco prima della morte di re Teoderico (30 agosto). UAnonymus parla prima di Boezio, del suo simulato processo, e del durissimo suo supplizio ; poi della legazione di papa Giovanni a Costantino- poli, quindi di Simmaco ingiustamente ucciso, come il suo ge- nero, e quindi della morte di papa Giovanni, e di quella del re. Il posto che in questo racconto tiene la legazione costantinopo- litana di papa Giovanni è chiarito dal Liber pontificalis, dove pure si pone la partenza di Giovanni per Costantinopoli prima della morte di Simmaco, e questa è posta avanti al ritorno di Giovanni dall'Oriente. Solamente il Liber pontificaUs si esprime confusa- mente, avvicinando Boezio a Simmaco in un'unica frase : « Theo- « doricus rex hereticus tenuit duos senatores praeclaros et ex- « consules, Symmachum et Boetium, et occidit interficiens « gladio » ^3). Alla morte di Simmaco e di Boezio, come osservò acutamente il Boissier W, il Liber pontificaUs attribuisce carattere religioso, in quanto che adopera a tal riguardo la frase : « Theo- « doricus rex hereticus «, che è proferita qui dove si espongono gli ultimi fatti del re. U Anonymiis Valesianus si limita ad esporre i

(i) Cf. p. es. il cap. 88.

(2) Cf. Holder-Egger, in N. Archiv, I, 364.

(3) Rilevo una rispondenza di parole tra VAnon. e il Lih. pont. Q.uesto dice che Teoderico « cum... dolo suscepit » papa Giovanni e i suoi com- pagni ritornanti dalla legazione; e anche VAnon. (cap. 93), scrive, allo stesso riguardo, « cum dolo suscepit ». Non tuttavia VAnon. al papa il titolo di « martyr », usato dal Lib. pont. (ed. Duchesne, I, 276). L'antichità della vita di Giovanni I nel Lib. poni, è del resto dimostrata dal Duchesne, préf. pp. Liii-Liv.

(4) Journal des. savants, 1889, p. 449 sgg. Cf. anche Revue bislorique, XLV, no.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 95

punti d'accusa scagliati contro Boezio, in modo conforme a quello che Boezio stesso espone ('). Ma non per questo può dirsi, che sotto altra luce VAnonymus ci rappresenti quei fatti, poiché tutti gli espone come quelli che costituiscono la persecuzione politico- religiosa, intrapresa dal re, dopo che in lui « invenit diabolus « locum ». Sono pagine piene di vita, scritte da un contem- poraneo, da uno di quei cattolici, da uno di quei Romani, i quaU o in se stessi, o nei loro compagni di aspirazioni politiche e di fede religiosa, furono fieramente colpiti dalla spada del re goto. Qui il racconto si fa vivace, drammatico, pieno; e, per buona sorte, l'excerptatore e i copisti furono più indulgenti con noi. Faccio questa osservazione sopratutto collo scopo di dimostrare quale sia uno dei luoghi, che ci attestano lo stile àQW'Anonymus. Un altro è, per esempio, quello in cui si ripetono i detti memorabili del re illetterato, ma saggio. Tenendo presenti alla mente questi passi, che per la loro importanza meno furono sciupati da chi com- pendiò o trascrisse le Cronache, più facilmente ci avvezzeremo l'orecchio a distinguere i passi male conservati, corrotti o lacunosi (^). La rispondenza cronologica che abbiamo trovata tra YAnonymus Valesianus, il Liher pontificaìis e i dati dei cronografi di maggior

(i) Di consol. philos. I, 4.

(2) Non so se sia stato da altri notato che V Anonymus parlando del pro- cesso contro Albino e Boezio, adopera frasi tolte dal Vangelo, in modo da avvicinare Teoderico ai giudei crocifissori di Cristo, e le sue vittime a Cristo stesso. Più addietro abbiamo avuto occasione di intrattenerci su alcune pa- role del cap. 86 (ed. Gardthausen, p. 503, rr. 1-2; ed. Mommsen, p. 5284-5): « sed rex dolum Romanis ten[d]ebat et quaerebat quem ad modum eos in- « terficeret ». Vedemmo che quelle parole dipendono da Matteo, xxvi, 4, da Marco, XIV, i, e da Luca, xxn, 2. Nel capo stesso (G. p. 302, 27; M. p. 328'*) dice VAnonymus che il referendario Cipriano addusse « falsos testes » contro Albino e Boezio. Questo ci fa ricordare del « falsum testimonium », o « testimonium falsum », di cui è fatta parola da Matteo, xxvi, 59 e da Marco, xiv, 56. Verso il principio della narrazione di questi anni dolorosi, VAnonymics (G. cap. 83, p, 302, r. 3; M. p. ^26^^) scrive: «ex eo enini « invenit diabolus locum », facendoci ricordare di Luca, xxii, 3 : « intravit « auteni Satanas in ludam ». Cf. Bianchini, Evang. quadrupkx, II, i, 267, dove viene recata la concorde lezione della versio Veronensis.

96 C. CIPOLLA

valore, assume speciale importanza, in quanto che s'introdusse assai presto una confusione assai grande. Già il Liber pontificalis avvicina un po' troppo il supplizio di Boezio a quello di Sim- maco. L'Anonimo Cuspinianco, siccome abbiamo detto, pone le due morti sotto il medesimo giorno, per quanto pare, e le at- tribuisce all'anno stesso della morte di re Teoderico, quantunque non le registri poi sotto il consolato di Olibrio e l'anno 526. Anche Procopio (') associa, in una sola frase, le morti di Boezio e di Simmaco, quasi che fossero accadute assieme.

Concludo dunque dicendo, che questi ultimi avvenimenti della vita di re Teoderico sono abbastanza bene ordinati, salvo alcune eccezioni, nei capitoli che chiudono il testo doli' Anottymus Vale- sianiis IL

Ma conchiudo ancora asserendo che il testo d^Vi Anonymus ci pervenne frammentario, pieno di lacune e con non rare traspo- sizioni di passi o di parole.

Pertanto i risultati ai quali siamo arrivati sono questi :

Il codice Veronese-Vaticano (P) non un testo suo proprio à&WAnonymus, ma il testo di quel codice è forse immediatamente, certo intimamente legato col codice Meermann-Phillipps (M), ora Berlinese, e il vincolo è di inferiorità e di dipendenza.

Giovanni da Verona, compilando al principio del xiv secolo le sue Historiae imperiales, si giovò àQÌYAnonymus VaUsianus nel testo P, e quindi il suo testo è inferiore a quello di M. L'esame dei pochi brani qui studiati delle Historiae ci fece conoscere il valore del Hbro, come opera di erudizione, e fino a un certo segno, determina il carattere di Giovanni come erudito.

Dalla relazione esistente tra le Historiae di Giovanni e il co- dice P risulta manifesto che quest' ultimo esisteva ancora in Ve- rona al principio del xiv secolo.

Il testo del codice M non ha dunque alcuna conferma este- riore a sé. Bisogna studiarlo nel codice stesso che ce lo con- serva. Il critico si trova in condizione di avere molta libertà nelle indagini. In tal modo esso ci apparisce come una serie

(i) De bello Gothico, I, e. i.

RICERCHE INTORNO ALL' « ANONYMUS VALESIANUS II » 97

di brani estratti da una estesa fonte storica. Quindi sono molte le lacune; molti del pari sono i luoghi nei quali avvennero o cor- ruzioni nel testo o spostamenti di brani.

Abbiamo testé veduto che Giovanni diacono cita anche una Fita di Boezio, eh' egli attribuisce a lordanis. Forse questa cita- zione potrà altrui fornire argomento ad indagini. Io mi accon- tento di rilevarla.

Torino, 30 aprile 1891.

POSTILLA.

Era di già stampato questo articolo allorché Th. Hodgking, l'illustre autore dell'opera Italy and her invaders, pubblicò un bel lavoro sopra il primo re ostrogoto '^'\ in cui si toccano molti punti che destano interesse per noi. Annoto qui quanto mi pare degno di maggiore attenzione. A p. 128 egli asserisce, seguendo la ben nota opinione di Holder-Egger, che VAnonymus Valesianus va probabilmente identificato col celebre Massimiano, vescovo cattolico di Ravenna <^^^; quell'opuscolo viene da lui riconosciuto (p. 285) come la principale autorità contemporanea, per la storia dell'origine del regno ostrogoto. Anche egli (pp. 308-1) colloca il palazzo di Teoderico in Verona sul colle di S. Pietro ; sola- mente accennando al «Ponte Nuovo», lo dice invece «Ponte «Vecchio ». Il Ponte Nuovo in pietra fu abbattuto dall'Adige nella piena del 17 settembre 1882: fu sostituito col ponte Um- berto, in ferro.

Al § 81 doli' Anonymus Valesianus, dove si parla delle sina- goghe di Ravenna incendiate dai cristiani, e' é un passo che non s'intende; non si sa bene se venga detto che un simile incendio sia avvenuto anche a Roma o a Cesena. Hodgking non parla

(i) Theodoric the Golh, the harharian champioii of clviìisation, New-Yorlc and London, Putnam, 1891.

(2) Pure recentemente F. Wrede {Uber die Sprache der Osigoten hi Italien, Strassburg, Trùbner, 1891, p. 29) si accontentò di dire che l'aneddoto fu scritto a Ravenna verso la metà del vi secolo.

98 C. CIPOLLA

delle sinagoghe di Roma o di Cesena, ma, come facciamo noi pure, crede che la sollevazione sia accaduta solamente a Ravenna ; tuttavia ammette (p. 260) che il passo dell' Anonynius, in cui si descrivono tali eventi, sia corrotto così, che difficilmente se ne ricavi il giusto significato. Siccome il Mommsen si appoggia al § 82, dove è fatta parola dell'ordine dato dal re al « populus ro- « manus » per la ricostruzione delle sinagoghe incendiate, per so- stenere che un incendio avvenne anche a Roma, così è opportuno rilevare che Hodgking (p. 222) dimostra d' intendere il passo nel senso da noi pure difeso; vale a dire, Y Anonymiis non parla che dei cittadini « Romani di Ravenna » .

Sulle morti di Boezio, Simmaco e papa Giovanni I, lo Hodg- king ritiene (p. 281) che la uccisione del primo abbia avuto luogo verso la metà dell'anno 524; segna la morte del pontefice sotto il 25 maggio 526 (p. 284); e narra (pp. 284-5) ^'^ catastrofe di Sim- maco come avvenuta durante il soggiorno del papa a Costantino- poli: Simmaco fu pure fatto morire da Teoderico. Questo riguarda la cronologia di quei grandi fatti, intorno alla quale ritorna poco dopo l'autore (p. 286) per rilevare che Procopio <^') si inganna rite- nendo che Teoderico, morto addi 30 agosto 526', abbia finito la sua vita pochi giorni dopo la morte di Boezio e di Simmaco. Que- sto è un errore, soggiunge egh, poiché Teoderico mori due anni dopo Boezio, e parecchi mesi many monthy ») dopo Simmaco.

Non tralascio di avvertire che Hodgking (p. 277) continua ad attribuire non poco valore all' Anecdoton Hoìdcri, ma neppur egU si ferma a confutare le obbiezioni messe innanzi da Scheeps(^), le quali furono trascurate anche da G. Boissier, nel notevole ar- ticolo che sul cristianesimo di Boezio pubblicò nel Journal des savants (1889, p. 489 sgg.).

(i) De hello Gothico, I, e. i (ed. Bonnensis, I, 11). (2) N. Archiv, XI, 123 sgg.

IL DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS

E LA CHIESA AMBROSIANA NEL SECOLO X

I.

La istoriografia milanese del medio evo si preannunzia con un ritmo stampato più volte, dal Muratori <^'), dal Diimmler (^), dal Traube (3)^ che si crede concordemente risalga al 739. L'epi- gramma d'Ausonio W suggella, per così dire, il ricordo della mo- rente civiltà romana a Milano; il ritmo del secolo viii prelude alla sua lenta e profonda trasformazione. Come infatti per il breve epigramma del gentile poeta d'Aquitania, che, come dimo- strammo altrove ^'>^, non rimase ignoto al medio evo, giunge a noi l'eco lontana della tumultuosa vita latina nella seconda Roma, cosi il ritmo ci offre il modo di ricomporre, sia pure incompiutamente, la configurazione topografica di Milano all'età longobarda. Dal- l'epigramma di Ausonio al ritmo corrono poco più di tre secoli ; eppure quale profonda trasformazione non mostrano le due in- sufficienti, ma pur tanto preziose testimonianze sul vivere politico

(i) Cf. Rer. It. Script. II, 11.

(2) Cf. Poetae aevi Carolini in Moti. Genti, hist. recens. E. Duemmler, I, 24 sgg.

(3) Nelle Caroliiigische Dichtungeti che non mi fu possibile di vedere, e di cui mi ha dato cortesemente notizia il prof. C. Cipolla.

(4) Cf D, Magni Ausonii Opuscula in Mon. Gènti, hist. XVIII, 35.

(5) Cf. Beti^o d' Alessandria e i cronisti milanesi del secolo xiv in Bull, del- l' Ist. Stor. Ital. n. 7, Roma, 1889, p. 97 sgg.

100 L. A. FERRAI

del popolo milanese, quando le si pongano di fronte l'una all'altra! L'ultimo poeta della gentilità, Ausonio, che serenamente

Cercava ai suoi cadenti anni riposo

tra i dolci studi profani e non se ne lasciava distogliere dalle mistiche esortazioni del suo più caro discepolo Paolino da Nola ('), sembra abbia quasi voluto consacrare nell'arte il doloroso rim- pianto di una civiltà destinata a perire, ma pur sempre grande anche nel suo declinare. Milano che ne era stata, e ne era tuttavia uno dei centri più ragguardevoli, ispira il vecchio e paganeggiante poeta. Tra le città illustri dell' impero egli non oblia quella cara a Massimiano Erculeo, e le dedica un epi- gramma in cui ritrae tutta la classica venustà della seconda Roma, prima che il ferro barbarico la deturpi. Ausonio dettava quei versi sullo scorcio del secolo iv; pochi anni innanzi, tra i colonnati delle basiliche, sotto gli archi maestosi, presso il teatro ed il circo da lui descritti, il popolo milanese avea ascoltata la parola vivi- ficatrice di Ambrogio, e l'esempio delle virtù del santo avea gettato sul fecondo terreno i semi di una civiltà nuova. Come questa alla sua volta si sia bella e formata, come ai sentimenti e alle idee, agli istituti reHgiosi e politici della società romano- germanica fatta cristiana rispondano nuove e strane forme anche nell'aspetto esterno della metropoli lombarda, ce lo attesta il ritmo del secolo viii. Nella succinta descrizione di Milano che esso contiene, il ricordo degli edifici romani, che pur sfidano ancora maestosi le ingiurie del tempo e la incuria degh uomini, cede il luogo alla enumerazione delle chiese, degli ospedali, dei monasteri. Ma è per le postume vittorie di Ambrogio sui vin- citori e sui vinti, è per il trionfo incontrastato della Chiesa mi- lanese su gli Ariani vecchi e nuovi, che il ritmo encomiastico erompe spontaneo dal cuore di qualche monaco solitario. Il pensiero dominante di quel curioso documento parmi infatti deb- basi cercare nell' acquistata importanza della città, derivatale dalla

(i) Cf. Le opere di Decimo Magno Ausonio volgari\:{iìie da Pietro Canal, Venezia, Antonelli, 1S51, p. 41 sgg.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » loi

crescente potenza della sede arcivescovile, a cui obbedivano fin dall'età longobarda la maggior parte delle chiese dell' Italia set- tentrionale :

Haec est urbium regina, matcr atque patriae Quae praecipuo vocatur nomine metropolis, Q.uam conlaudant universi nationes scculi. Ingens permanet ipsius dignitas potentiae, Ad quam cuncti venientes praesules Ausoniac luxta normam instruuntur synodali canone (0.

tale potenza affermata dal poeta lombardo negli anni in cui re Liutprando lottava aspramente con Roma, decrebbe per nulla dall'età carolingia in poi. L'affermarsi anzi di questa va- sta potenza ecclesiastica in Lombardia è, per così dire, il fatto più saliente e fecondo di avvenimenti nell'età feudale. E poiché la storia della Chiesa milanese trascende nella sua progressiva evoluzione le leggi che sono comuni allo sviluppo della potenza episcopale in tutte le nazioni che formarono parte dell'unità ca- rolingia, doveva necessariamente avvenire che anche la istorio- grafia milanese rispecchiasse quella singolare condizione di cose, presentandoci nei documenti suoi propri un carattere affatto par- ticolare. Cosi dal ritmo del 725, dove ancora le tradizioni della vita civile si mescolano e si confondono colla storia ecclesiastica, si giunge al De siili urbis o meglio alle ntae pontificum mediola- mnsiam, monumento insigne di favole tendenziose e di pietose leggende, per il quale gli annali della metropolitana si ricollegano direttamente alla storia del cristianesimo primitivo, agli Apostoli, a Cristo.

IL

Le controversie che intorno a quel testo, pubblicato la prima volta dal Muratori <^^), si sono agitate dalla critica moderna, anzi- ché portar luce sull'ordine e l'età delle più antiche scritture mi-

(i) Cf. Poétae aevi Carolini cit. p. 25; Ottonis et Rahewini Gesta Fri- derici I imperatoris, ed. Waitz, Hannover, 1884, III, 38. (2) Rer. Il Script. I, cap. 11, e. 203 sgg.

L. A. FERRAI

lanesi, non hanno fatto che accrescere il cumulo delle incertezze e degli equivoci. Come e questi e quelle sieno stati originati da un errore perpetuatosi fino ad oggi sulla presupposta unità di quella scrittura, già lo accennammo. Ma è tempo che ormai penetriamo più addentro nelle varie questioni che intorno ad essa si sono finora dibattute con poco frutto, anche perchè è convinzione nostra, dopo le fortunate indagini intraprese, che si possa seriamente pensare a raccogliere, quando che sia, in un unico volume i monumenti più antichi della storia milanese.

Il testo del De sìtii urbis nell'edizione Muratoriana consta di due scritture diverse, le Vitae pontificum mediolanensium, e la De- scriptio situs et urbis, che in altra nostra memoria (') distinguemmo chiaramente dalla perduta operetta del secolo xiii di Bonvesino da Ripa. Quando il Muratori iniziò le ricerche necessarie per dare in luce le Fitae pontificum, dei manoscritti antichi che ce le hanno serbate non gli era noto che il codice Ambrosiano C, 133, inf., eh' io crederei della fine del secolo xi, o al più tardi dei primi anni del xii ^^\ Com' è noto, mancano a questo ma-

(1) Cf. Le cronache di G. Fiamma e le fonti della Galvagnana, in Bull, dell' ht. Slor. Ilal. n. io, Roma, 1891, p. 93 sgg.

(2) La scrittura de' ternioni membranacei che contengono le Vitae pon- tificum attesta una remota antichità del codice, da Luigi Biraghi, moderno editore di questo testo, fissata tra il ix e l' vni secolo. Egli fonda in gran parte il criterio di tale attribuzione cronologica sulla forma delle lettere maiuscole miniate, che sono proprie della scrittura longobarda, come se la presenza di esse sia sufficiente indizio dell'età a cui egli fa risalire il ms. Com'è noto, tali elementi grafici longobardi si riscontrano anche in testi del XII secolo. Considerando invece Io sviluppo di tutte le lettere in ge- nere, e più specialmente del t minuscolo che non si eleva mai sull'altezza delle altre, e la relativa perfezione dell' a unciale, si hanno dati relativamente sicuri per credere il ms. dell' xi secolo. L' illustre paleografo ab. Ceriani, da me interrogato in proposito, ascriverebbe appunto il ms. a quell'età. Il Biraghi fu tratto forse in errore da una nota che leggesi nella prima pagina del ms. ove ò detto: « Codex venerandus ob antiquitatem octingentorum an- « norum ». La nota, per testimonianza di Daniele Papebroch, appartiene al 1660. Cf. Ada sanctorum, 25 maggio, nel Prologo della vita di s. Dionigi, e A. Biragus, Datiana historia Ecclesiae mediolanensis, ab anno Christi li ad ccci\' Scc, Mediolani, mdcccxlviii, p. 9.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 103

noscritto il prologo, che certamente appartiene alle Vitae pon- tificiim ('\ ed una rubrica che nell'edizione del Muratori segue il proemio, e ha dato il titolo all'operetta. Noi non esclu- demmo altra volta la possibilità che la fusione delle due scrit- ture, la Dcscript'w sitiis et urbis, rappresentataci dal capitolo primo del De sita urbis, con le Fitae poiitificum, non sia avvenuta anti- camente <^^\ tanto più che lo storico Landolfo in due noti luoghi sembra accennare alle due scritture già riunite in unico testo (5) ; ma è certo che il Muratori ne ricompose artificialmente l'unità, che credette originaria, su di un tardo manoscritto del secolo xv, nel quale trovasi appunto il titolo da lui accettato W. La du- plicità delle scritture contenute nel De siiu urbis è in gran parte dimostrata dalle seguenti ragioni estrinseche: Galvano Fiamma citando le fonti usate per il Manipulus floriiin, come già in altro luogo avvertimmo, distingue nettamente la Descriptio urbis dalla leggenda del beato Barnaba ciim vitis pontificum (5); Michele Pizzolpasso che nel secolo xv trascriveva il De situ urbis in un codice elegantemente miniato, sebbene avesse rac-

(i) Cf. Prologo in ed. Muratori.

(2) Cf. Le cronache di G. Fiainvia, loc. cit. p. 124.

(3) Cf. Landulphi Historia Mediolanensis in Mon. Germ. hist. ed. Wat- TENBACH, Hannoverae, 1848, voi. VITI, cap. 11, 2 il noto passo già da noi commentato nella precedente memoria) e cap. 11, 15: « Q.uam [civitatem « Mediolanensem] ut in situ descriptionis eiusdem comperi anno- « sam, postmodum Romani reges et principes, expulsis Senonum populis, (c longe melius sublimantes opere mirifico auxerunt » &c.

(4) È il ms. Ambrosiano H, 56, inf. pergamenaceo in-8 piccolo, mi- niato, già da me illustrato, dove il testo del De sita urbis è descritto da Michele Pizzolpasso, e dedicato al bolognese Francesco Pizzolpasso, arcive- scovo di Milano, con lettera del trascrittore che porta la data : « Ex Medio- « lano .VI. non. iulii .mccccxxxviii. ». Il titolo dell'operetta è evidentemente riassunto dal Pizzolpasso così : « Incipit historia de situ et vocabulo urbis « Mediolanensis seu beatissimi apostoli Barnahae visitatione ad eamdem di- ce vinitus directa, nec non et venerabili viro Anatalon eius coapostolo atque « coetaneo ab eodem epischopali benedicione inibi consecrato, vel quibusdam « eius successoribus » ; e. 3.

(5) Cf. Manip. florum in Muratori, Rer. It. Script, voi. XI, cap. i, e. 539.

104 L. A. FERRAI

colto le varie scritture sotto un unico titolo, avvertiva di aver riunito i due opuscoli, « qui in veternosis codicibus pulvurulenti « et tineati iacebant » ('); nel codice che contiene il Cerimo- niale ambrosiaìium di Beroldo, e che appartiene al secolo xii, come con sufficienti argomenti provarono il Puricelli e il Sassi, si ritrovano trascritti di mano pure del secolo xii i due opuscoli, sotto r intitolazione De situ civitatis Mediolani, et de adventu Bar- nabae et Anathalonis et vita eorum. Or bene, il fatto non sfuggi al Muratori, come apparisce da una sua nota apposta all'edizione del Cerimoniaìe^^^ ; ma certo egli, che per aver precedentemente pubblicato il testo del De situ urbis con le Vitac pontificum negli Scriptores su di un codice del secolo xi, integrato con un ma- noscritto del XV, non sapea più in che modo valersi del prezioso codice, non avvertì che effettivamente esso ci avea serbato in una redazione migliore il testo dei due opuscoli. Come vedremo in seguito, la separazione della materia del De situ urbis dal De adventu, è nel detto codice soltanto apparente. Di fatti la descri- zione della Lombardia e di Milano, e gli accenni alle antichità ro- mane che vi si trovano sono preceduti nel primo degli opuscoli da un prologo, che di certo appartiene alla materia del secondo. Ma il copista del secolo xii separò deliberatamente la prima dalle altre rubriche del manoscritto che avea sott'occhio, perchè gH rappresentavano, sia pure incompiutamente, due distinte ope- rette, delle quaU egU avea cognizione distinta, probabilmente per le citazioni orali e scritte che se ne facevano al tempo suo. Altri argomenti, che acquisteranno in seguito della trat-

(i) Nella cit. Dedicatoria in ms. H, 56, inf.

(2) Cf. L. A. Muratori, Aniiq. Ital. medii aevi, Milano, 1741, IV, 834: « Subsequuntur haec in eodem codice : De situ civitatis Mediolani, De adventu <' Barnàbae et Anathalonis, et vita eorum, quae duo opuscula iam evul- « gavi par. II, to. I, Rer. Ital. p. 860 ». Notisi che il Cerimoniale di Be- roldo credesi con buon fondamento scritto nel 1135, e che quindi il ms. che illustreremo più innanzi appartiene certamente al secolo xii, come e confermato dalla scrittura. Detto ms., che per lungo tempo credetti per- duto, con molti altri venduti o dispersi già dalla biblioteca Capitolare di Mi- lano, si conserva tuttora nell'Ambrosiana,

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 105

tazione una maggiore consistenza in favore della nostra tesi, ce li offre il testo stesso del De sitii urbis. Nel prologo che pre- cede l'opuscolo, l'anonimo scrittore "^'^ non preannunzia altra materia all' infuori della leggenda del beato Barnaba, e delle vicende della Chiesa milanese nei primi secoli. Sulla fine del proemio egli si esprime in questi termini :

Haec in primo, velut ad ingressum carinae navigationis insolitae anci- pitem formidans eventum idcirco praemisi. (2)

Dalle quali parole apparirebbe che subito dopo dovesse seguire la trattazione della materia, non già una seconda premessa. Tanto è vero che l'anonimo e antico giuntatore del testo delle Vitae pontificum con la Descriptio sitiis et urbis o per lo meno con la parte più importante di quest'operetta, riprende, quasi a nascon- dere la giuntura, dall' imagine della nave e della navigazione :

Navigationis coeptae cursus, quod ut credo, Spirita Sancto gubernante ac impellente, eo dirigere cogor ut primo de urbis, ad quam vela tendere proposui, situ, qualitate loci (3);

dal che si rileva una evidente deficienza di nesso logico, la quale se non è ammissibile in uno scrittore esperto, e non privo di ele- ganza come è l'anonimo autore delle Vitae pontifictim, parmi debba considerarsi quale uno sconcio involontario della aggiunzione di un testo all'altro. Tuttavia noi non voghamo dar troppo peso a questa analisi intrinseca dei due luoghi, poiché la sconnessione logica da noi notata potrebbe ancora giustificarsi pienamente qualora si ammettesse che l'anonimo autore delle Vitae pontificum abbia egli stesso inserita una più antica scrittura nel proprio testo. Contro però quest' ipotesi, che vedremo in seguito come non sia sostenibile, stanno fin d'ora, se non e' inganniamo, le stesse proteste

(i) « Auctor nomen suum consulto ipse omissum voluit ut muta sit «pagina nec loquatur auctorem»; cf. L. A. Muratori, P r a e - fatio in op. cit.

(2) Cf. Prologo in op. cit.

(3) Op. cit. cap. I.

t

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d'inesperienza e la manifesta trepidazione che l'anonimo dimostra nel prologo prima di avventurarsi in un mare cosi periglioso, proteste e trepidazione, che non avrebbero avuto alcun motivo se egli avesse fin dal bel principio trascritta fedelmente, o meglio raffazzonata, abbreviandola, la prosa di un più antico scrittore.

La rubrica prima che contiene sommariamente e parzialmente la Dcscriptio situs et urbis precede in ordine di tempo le Vitae pontificiiììi o è opera più tarda? Ognuno intende che se si po- tesse dimostrare con sufficienti argomenti che l'anonimo autore delle Fitae pontificum inseri egli stesso buona parte di quel testo nell'opera sua, la questione sarebbe di per risolta; ma poiché per ora non osiamo affermarlo, ma tutto induce a credere che cosi non sia, limitiamoci per il momento a riscontrare che nel testo del De sitii urbis pubblicato dal Muratori si hanno due di- stinte scritture.

III.

Ammessa la duplicità dei testi che compongono l'operetta edita dal Muratori, esaminiamo le particolari questioni che toc- cano il contenuto delle Vitae pontificum. Dal prologo, che cer- tamente appartiene ad esse, quantunque manchi nell'autorevole manoscritto Ambrosiano del secolo xi, si ricava che l'anonimo autore, probabilmente un presbitero della chiesa madre di Mi- lano, stendeva quelle poche pagine sull'apostolo Barnaba e sui più antichi arcivescovi milanesi ad istanza appunto di un arcivescovo ed in un'età di gravi perturbazioni interne per la Chiesa di Mi- lano (^'). Certo a tutto ciò non pose mente Michele Pizzolpasso, che offriva pure, ad un arcivescovo suo parente, allora al governo della Chiesa di Milano, la trascrizione degli antichi opuscoH mi- lanesi. Infatti nella lettera dedicatoria egli poneva innanzi l'ipo- tesi che quelle antiche biografie, così ricche di lingua e corrette

(i) L'anonimo autore nel cit. Prologo ci fa conoscere che 1' arcive- scovo al quale egli dedica l'operetta « non sine maxima divinae gratiae dis- « pensatione in praesenti turbine » mantenne il suo grado.

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di Stile, risalissero nientemeno che alla fine del iv secolo, e po- tessero appartenere alla dotta penna di Sulpicio Severo <^'). Quanto sia strana e cervellotica tale opinione fu già dimostrato da Luigi Biraghi, il secondo e poco avventurato editore del De sitn urbis dopo il Muratori. Com'è noto, di Sulpicio Severo sono fino ad oggi così incerte le notizie biografiche che non ci è dato meno determinare con qualche precisione l'età in cui fiori. Gli sono attribuiti una Historia sacra, alcuni dialoghi, e poche lettere. Lo stile in cui è dettata la Historia, l'opera sua princi- pale, un sommario raffazzonato sulla Bibbia, sugli evangeli, gli atti degli Apostoli, Egesippo ed Eusebio, differisce cosi evidente- mente da quello oltremodo caratteristico in cui sono dettate le Fitae, che non si capisce com'egli ne possa esser stato sospet- tato autore. Nella Historia di Sulpicio non si riscontrano che fi-iggevoli accenni alle vicende della Chiesa milanese (^), e nulla intorno al supposto apostolato di s. Barnaba, alla fondazione delle Chiese minori di Lombardia per opera del greco Anata- lone (Anatolio), Gaio, Castriciano. L'opera di Sulpicio Severo è una compilazione schiettamente storica ; le Fitae pontificiim, per gran parte surrettizie e tendenziose, raccolgono tutta una serie di leggende sorte evidentemente in un'età di scarsa cultura, avida di favole, e sopra tutto proclive a ricomporre con le fila artifi- ciose dell'imaginazione le sdrucite traccie della tradizione storica. Che Sulpicio Severo sia stato in rapporto col dotto biografo di s. Ambrogio, con Paolino da Nola, è, a dir vero, una prova troppo indiretta e troppo poco convincente delle notizie e delle infor- mazioni che si suppongono da lui prese e narrate sulla storia

(i) « Ausi nec improbe reor ad tuam integritatem dirigere opuscula quae- « dam, ni fallor, licet muta sit pagina, auctorem non continens, a beato Se- « vero Sulpicio, viro quidem eloquentissimo, in laudem urbis Ecclesiae tuae « Mediolanensis edita » &c. Cf. la cit. Dedicatoria in ms. cit.

(2) SuLPicn Severi Opera, Veronae, 1754, in Prefazione. Nella Historia sacra s. Severo trae le poche notizie dalle vite dei pontefici mila- nesi, che continuano il testo del De siiti urbis nell'edizione Muratoriana, e che furono pubblicate la prima volta dai BoUandisti. Ci. Ada sanclorum, die xxiv mail, p. 45, 224.

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lanesi, non hanno fatto che accrescere il cumulo delle incertezze e degli equivoci. Come e questi e quelle sieno stati originati da un errore perpetuatosi fino ad oggi sulla presupposta unità di quella scrittura, già lo accennammo. Ma è tempo che ormai penetriamo più addentro nelle varie questioni che intorno ad essa si sono finora dibattute con poco frutto, anche perchè è convinzione nostra, dopo le fortunate indagini intraprese, che si possa seriamente pensare a raccogliere, quando che sia, in un unico volume i monumenti più antichi della storia milanese.

Il testo del De situ urbis nell'edizione Muratoriana consta di due scritture diverse, le Fitae pontificum mediolamnsium, e la Dc- scriptio sitiis et urbis, che in altra nostra memoria (^') distinguemmo chiaramente dalla perduta operetta del secolo xiii di Bonvesino da Ripa. Quando il Muratori iniziò le ricerche necessarie per dare in luce le Fitae pontificum, dei manoscritti antichi che ce le hanno serbate non gli era noto che il codice Ambrosiano C, 133, inf., eh' io crederei della fine del secolo xi, o al più tardi dei primi anni del xn '^^\ Com' è noto, mancano a questo ma-

(i) Cf. Le cronache di G. Fiamma e le fonti della Galv apiana, in Bull, dell' I$t. Slor. Ital. n. io, Roma, 1891, p. 93 sgg.

(2) La scrittura de' ternioni membranacei che contengono le Vitae pon- tificum attesta una remota antichità del codice, da Luigi Biraghi, moderno editore di questo testo, fissata tra il ix e l' vin secolo. Egli fonda in gran parte il criterio di tale attribuzione cronologica sulla forma delle lettere maiuscole miniate, che sono proprie della scrittura longobarda, come se la presenza di esse sia sufficiente indizio dell'età a cui egli fa risalire il ms. Com'è noto, tali elementi grafici longobardi si riscontrano anche in testi del XII secolo. Considerando invece lo sviluppo di tutte le lettere in ge- nere, e più specialmente del t minuscolo che non si eleva mai sull'altezza delle altre, e la relativa perfezione dell' a unciale, si hanno dati relativamente sicuri per credere il ms. dell' xi secolo. L' illustre paleografo ab. Ceriani, da me interrogato in proposito, ascriverebbe appunto il ms. a quell'età. Il Biraghi fu tratto forse in errore da una nota che leggesi nella prima pagina del ms. ove è detto: « Codex venerandus ob antiquitatem octingentorura an- ce norum ». La nota, per testimonianza di Daniele Papcbroch, appartiene al 1660. Cf. Ada sanciorum, 25 maggio, nel Prologo della vita di s. Dionigi, e A. Biragus, Datiana historiu Ecclesiue mediolanensis, ab anno Christi li ad cccn' &:c., Mediolani, MDCCCXLViii, p. 9.

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noscritto il prologo, che certamente appartiene alle Vitae pon- tificum ('), ed una rubrica che nell'edizione del Muratori segue il proemio, e ha dato il titolo all'operetta. Noi non esclu- demmo altra volta la possibilità che la fusione delle due scrit- ture, la Descriptio sitiis et urbis, rappresentataci dal capitolo primo del De sitii urbis, con le Fitae pontificum, non sia avvenuta anti- camente W, tanto più che lo storico Landolfo in due noti luoghi sembra accennare alle due scritture già riunite in unico testo ('^ ; ma è certo che il Muratori ne ricompose artificialmente l'unità, che credette originaria, su di un tardo manoscritto del secolo xv, nel quale trovasi appunto il titolo da lui accettato ('^). La du- plicità delle scritture contenute nel De situ urbis è in gran parte dimostrata dalle seguenti ragioni estrinseche: Galvano Fiamma citando le fonti usate per il Manipuìus flornm, come già in altro luogo avvertimmo, distingue nettamente la Descriptio urbis dalla leggenda del beato Barnaba cum vitis pontificum (5); Michele Pizzolpasso che nel secolo xv trascriveva il De situ urbis in un codice elegantemente miniato, sebbene avesse rac-

(i) Cf. Prologo in ed. Muratori.

(2) Cf, Le cronache di G. Fiamnia, loc. cit. p. 124.

(5) Cf. Landulphi Hìstoria Mediolaneiisis in Mori. Gemi. hist. ed. Wat- TEN'BACH, Hannoverae, 1848, voi Vili, cap. 11, 2 il noto passo già da noi commentato nella precedente memoria) e cap. 11, 15: « Quam [civitatem « Mediolanensem] ut in situ descriptionis eiusdem comperi anno- « sam, postmodum Romani reges et principes, expulsis Senonum populis, <( longe melins sublimantes opere mirifico auxerunt » &c.

(4) È il ms. Ambrosiano H, 56, inf. pergamenaceo in-8 piccolo, mi- niato, già da me illustrato, dove il testo del De situ urbis è descritto da Michele Pizzolpasso, e dedicato al bolognese Francesco Pizzolpasso, arcive- scovo di Milano, con lettera del trascrittore che porta la data : « Ex Medio- « lano .VI. non. iulii .Mccccxxxviii. ». Il titolo dell'operetta è evidentemente riassunto dal Pizzolpasso così: « Incipit historia de situ et vocabulo urbis « Mediolanensis seu beatissimi apostoli Barnabae visitatione ad eamdem di- ce vinitus directa, nec non et venerabili viro Anatalon eius coapostolo atque « coetaneo ab eodem epischopali benedicione inibi consecrato, vel quibusdam « eius successoribus »; e. 3.

(5) Cf. Manip. florum in Muratori, Rer. It. Script, voi. XI, cap. i, e. 539.

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nelle varie Chiese italiane di cataloghi e di biografie di ponte- fici. Evidentemente le Fitae pontificum nudiolancìisìum compar- vero poco dopo il 530.

Se questa illazione sia precipitata lo lasciamo giudicare a chi ha avuto la pazienza di seguirci fin qui. Ma il Biraghi puntella la prima e debole argomentazione con molte altre prove. Per lui nel capitolo primo del testo, o meglio nel De situ urbis, ch'egli considera la prima rubrica del testo, lo stato della Lom- bardia e di Milano è descritto come prospero e fiorente, la città conserva ancora le mura di Massimiano coi suoi forti propugna- coli. Ciò risponde perfettamente alla testimonianza che intorno alle condizioni di Milano prima del 539, in cui soffri non pochi danni dai Goti, ci ha lasciato Procopio. A questo proposito si può osservare che il Biraghi ha dato ad espressioni vaghe e ge- neriche un valore troppo determinato ^'\ e che inoltre le mura di Massimiano furono nel medio evo restaurate dall'arcivescovo Ansperto (^).

Non degno di confutazione è uno strano argomento del Bi- raghi, che cioè l'anonimo autore avendo affermato nel prologo di voler dettare la vita dei più antichi vescovi sino al tempo suo, « cunctos viros apostolicos et omni laude dignissimos », è fuori di dubbio ch'egli non scriveva posteriormente a Dazio, che fu l'ultimo dei santi di quella nobilissima schiera (5). Di ben

(1) Cf. i due luoghi di Procopio in D,i hello '^othico, Bonnae, 1833, voi. II, lib. II, cap. e 2 1 : 7, « Tipwxv] . , . 7ió?.sti)v xcòv éanspicov [Jistà ys Ta)|j,y)v (MeSióXavog) « iisys-S-st TS 'xat TtoXuavS'pctìutq:, '/.ai -ivj aXXif) sù5ai|iov[qc, sxuyxavsv ouaa » &.c. e più innanzi : « Ms§ióXavog •^à.p rjSs, tióXsojv tó&v èv 'IxtxÀia Tiaacóv . . . Tiapà uoXò « TcpoOxouoa . . . Tz^óc, xs rspiiavoùg v.cd xòug aXXoug pappipoug è,iiixzlj}.Q\ì.ii. xs oOaoc « V.OLÌ uctovjg, (bg sÌTcelv, TcpopepXTjiJisvyj zy\c, Tcoiiaitov àpX'jS »•

(2) A dir vero, il Biraghi non ignorò il fatto, ma credette erroneamente che le mura di Massimiano fossero state totalmente distrutte dai Goti nel 539. Ciò è assolutamente falso. « Moenia et propugnacula a Maximiano « condita, anno 539 a Gothis funditus eversa ». Cosi il Biraghi, op. cit. p. XV.

(3) Le Vitae pontificum più antiche che ci rimangono non vanno oltre la vita di s. Materno. Cf. ms. C, 133, inf. nella biblioteca Ambrosiana. Però

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maggior peso è l'osservazione che il Biraghi ha fatta sulle divi- sioni geografiche alle quali accennasi nelle Fitae pontificum, e al- l'estensione di significato che vi si concede alla parola « Liguria». Effettivamente quelle divisioni appartengono all'ultima età impe- riale; ma chi non sa che appunto il ricordo di esse, sulle quali si era adattato l'antico ordinamento politico e amministrativo del- l' impero, si perpetuò sino alla metà del secolo xi, poiché appunto sull'organismo civile romano venne modellandosi e lungamente si mantenne la costituzione gerarchica delle chiese soggette alla metropolitana milanese ? Ma vi ha di più ; perfino nei cronisti del secolo xiii e xiv, il nome di « Liguria » mantiene ancora l'ampio significato dell'età imperiale ('). Ne un esame, certo dotto e diligente, fatto dal Biraghi sullo stile e la erudizione dell'anonimo autore potevano offrirgli delle prove molto più convincenti. Per il Biraghi, l'operetta è degna dell'età di Ennodio e di Boezio, e sorse precisamente quando Milano vantava già gli scritti di Lorenzo vescovo, del grammatico Deuterio, di Aratone il poeta, di Con- stanzo, di Fedele, di Celso e degli altri dotti ricordati da F. En- nodio. Che più ? Perfino ai traviamenti del gusto letterario nel secolo vi il Biraghi ritrova una sicura allusione nel nostro testo dove è detto :

Praesentium temporum novelli auditores vocalioribus sententiis, quasi tinnientibus cymbalis, multo amplius delectantur et syllogismorum consonan- tium modulis raagis quaeque legerint vel audierint, quam rerum gestarum pondera metiantur (2).

Accusa di ridondanza e di vacua sonorità, che è troppo inde- terminata e imprecisa per credere che ne sia colpito più tosto lo stile della prosa latina del vi secolo, che non quello di un'età più tarda.

è presumibile che la narrazione giungesse fino all'età dello scrittore, cioè, come vedremo, fino al x secolo, anzi al 947, poiché lo si rileva dal Pro- logo del De situ urbis.

(i) Veggansi i primi capitoli del Maiiipulus florum, della Galvagnana, della Historia di G. da Cermenate.

(2) Cf. cap. XII in ed. cit.

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Il troppo severo giudizio che sulle condizioni della cultura nei secoli barbari pronunziarono il Muratori nella nota disserta- zione <^'), e il Sassi (^) per Milano su la scorta del Muratori, of- friva naturalmente ottime armi al Biraghi per negare decisamente che uno scrittore che abbelliva la sua prosa con emistichi vir- giliani, e mostrava di conoscere Lucrezio, Ovidio, Plauto, po- tesse appartenere all'età più tenebrosa e meno nota del medio evo. Certo uno scrittore che si dice conoscitore della lingua greca, e mostra di fatto di aver utilizzato le epistole del martire Ignazio, della Chiesa di Smirne, Eusebio, Sulpicio Severo, s. Gi- rolamo, Orosio, Lattanzio, e spesso fa uso delle sentenze di Var- rone, di Floro, di Eutropio, di Ausonio, di Trogo Pompeo, dato che appartenga, come noi crediamo, al secolo x, soverchia per dottrina i più eruditi monaci dell'età sua itahani e stranieri; ma appariranno proprio indegni di stargli a fianco il cronista cremo- nese Liutprando, Raterio vescovo di Verona, Attone vescovo di VercelH? Eppoi, chi non sa come quanto più avanzano gli studi sulla latinità nel medio evo, cadono non pochi dei pregiudizi che sulla cultura dei secoli barbari si sono venuti accumulando ; tanto che l'opinione del Muratori non potrebbe oggi accettarsi se non con molte riserve ?

meglio soccorrono a sostegno della tesi difesa dal Bi- raghi alcuni argomenti, che egli chiama storici. Per lui il si- lenzio che sul martirio di s. Barnaba serba l'anonimo autore, è prova convincente ch'egli non conobbe ne la narrazione che in proposito ci ha lasciato Alessandro Ciprio il monaco, la quale non fu nota in occidente che sulla fine del vi secolo, gli atti del martirio di Barnaba attribuiti allo pseudo Giovanni, che non si diffusero prima del secolo viii. L'argomento si rovescia da vero con poca fatica. Lo storico della Chiesa milanese si pro- pone di scrivere il De adventu Barnabae, non già la sua vita, onde il silenzio ch'ei serba sui primi e sugli ultimi anni del suo apo- stolato. Quanto poi ad alcune frasi liturgiche che il Biraghi nota

(i) Cf. Atitiq. hai. meda aevi, to. Ili, diss. XLiii, pag. 807. (2) Cf. De studiis Mediolani prodromus, cap. vi.

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nel testo, e che sono proprie alle costumanze e ai riti della so- cietà cristiana primitiva, e precisamente non posteriori al secolo vi, giova considerare ch'esse più che darci un indizio dell'età vissuta dal biografo dei vescovi milanesi, suffragano l'opinione ch'egli effettivamente si valesse anche di fonti greche, ne può destare meravigha che rifacendo egU la storia primitiva della metropo- litana milanese, usasse il linguaggio proprio dell'età più antica, in cui vennero fissandosi gli ordinamenti e il rituale cristiano.

Ma il Biraghi vuole stravincere. Poiché tutto concorre a per- suaderci, egli dice, che le Fitae pontificum risalgono alla metà del secolo vi, probabilmente il vescovo in servigio del quale l'operetta fu dettata, è Dazio (530-53^), e il dissidio della Chiesa milanese, al quale accenna l'anonimo autore, si riferisce precisa- mente alla persecuzione che Teodato re dei Goti, e aspro fau- tore della sètta ariana, mosse ai vescovi di Lombardia. D'altra parte noi sappiamo che a Dazio sono attribuiti degli annali in un noto luogo della Historia miscdla <^'), compilata nel secolo viii, che di questi antichissimi annali milanesi è fatta pure menzione da Landolfo seniore (^) ; evidentemente il De situ urbis altro non è che la Historia Datiana, che per essere stata dettata da anonimo scrittore, e per suggerimento di Dazio, fu a lui attribuita, giusta il proverbio: « Qui per alium hcìi, ipse facit».

Ma tutto questo edifìcio lo si abbatte assai agevolmente. La citazione dei perduti annah di Dazio, così largamente sfruttati nel secolo XI da Landolfo, si ritrova nello stesso testo delle Vitae pon- tificum, a meno che, ciò che è storicamente assurdo, non si voglia ammettere che Milano abbia avuto un'opera storica dal titolo An- nahs prima del secolo vi. L' ipotesi non sarebbe poi in nessun modo sostenibile, perchè l'anonimo autore del De situ urbis cita gli annah antichissimi a proposito di notizie geografiche che Lan-

(i) Cf. lib. XVI, cap. 15 : « Praeter belli instantiam angebatur insuper « Roma famis penuria, tanta siquidem per universum mundum eo anno, « maximeque apud Ligurìam fames excreverat, ut sicut vir beatissimus Da- « cius mediolanensis antìstes retulit » &c.

(2) Cf. Landulphi Mediai, historia in Moti. Germ. hist, ed. cit. voi. Vili, cap. 2, 4, 12, 13.

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dolfo dichiara di aver cavato dagli annali di Dazio ('\ Eppoi, non possediamo noi due manoscritti delle Fitae pontificmn, l'uno del se- colo XI exeunte, l'altro del xii ? Se al Biraghi rimase sconosciuto quest'ultimo, eh' io ho avuto la singolare fortuna di ripescare nella biblioteca Ambrosiana, egli ha però condotta la sua edizione sul più antico. Come può conciliarsi il fatto che nei due codici l'operetta non s' intitoli Annales Datii, mentre questi Aìinaìcs erano noti ad uno scrittore del secolo xi, Landolfo ?

La identità adunque dei due testi è affatto arbitraria, lo pos- siamo affermare fin d'ora ; le indagini nostre porranno anche fuori d'ogni discussione la remota antichità attribuita alle Vitae pontì- ficuììi. Non per questo accettiamo l'opinione dell'illustre profes- sore F. Schupfer, il quale dopo il Biraghi e solo incidentalmente trattò la questione, e sostenne che il testo del De sita urbis ap- partiene al secolo xi. Lo Schupfer ebbe occasione di entrar nel dibattito, proseguendo con una serie di articoh pubblicati nel- V Archivio giuridico gli studi dell' Hegel, del Betmann-Holweg su la società milanese all'età del risorgimento comunale. Egli os- serva (^) giustamente che dalla scrittura in questione traspare una

(i) « . . . Mediolanum, quae ex priscis temporibus, ut in veracissimis re- « peritur aiinalibus, altera post inclytam Romani magni imperii dignitate ac « ditione potita est ». Cf. De sita urbis, I, par. II, capo i in ed. cit. ; e Bi- raghi, op. cit. p, 4. Il Biraghi si levò d' imbarazzo commentando cosi : « Pro « annalibus intelligendum puto Ausonii, poetae saeculi quarti, carmen (?) .vi. « De claris urhibus ». si può obiettare all'osservazione nostra, che avendo noi stessi considerato come una scrittura a il capo i, questa testimonianza poco o nulla vale per il testo delie Vitae pontificmn, poiché anzitutto tanto la Descriptio situs et urbis, come le Vitae pontificum risalgono, come ve- dremo, al secolo x, secondariamente nelle Vitae pontificum stesse trovansi citazioni di Annales : « Verum tamen ut certo certius noverit, integrum nos « annorum series praesentis deprompsisse pagina materiae, scilicet veterum « scriptorum annales diligenti indagine eorum qui olympiades priscorum « temporum actusque beatorum solicite descripserunt, alioqui tacere quam «falsa dicere decrevissem «. Cf. Datiana historia, I, cap. 11, col. 216.

(2) Cf. Archivio giuridico diretto da F. Serafini, Bologna, Fava e Gara- gnani, luglio 1869, voi. III, fase. 4, in articolo : La società milanese all'epoca del risorgimento del comune, p. 469 sgg.

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manifesta antipatia per Roma. Milano nulla ha da invidiare a Roma rispetto alle origini gloriose della sua Chiesa. Le tradizioni ecclesiastiche della metropolitana risalgono direttamente all'apo- stolato di Pietro, come precisamente quelle della cattedra romana. La venuta di s. Barnaba a Roma cade, per l'anonimo autore delle Fitae poìitificum, nel 41 ; egli suppone bensì che s. Pietro e s. Iacopo lo istruiscano, ma secondo lui la iniziazione non sarebbe già avvenuta in Roma ma a Gerusalemme, prima an- cora che Pietro assumesse l'episcopato. Onde le ragioni di fatto di un rituale separato e distinto nella Chiesa ambrosiana, sede apostolica al pari della romana. L\inonimo autore conduce a sua posta s. Barnaba a Milano, e gli per compagno il greco Anatolio. L'uno è il fondatore della Chiesa milanese, l'altro dell'episcopato bresciano. Tutto ciò, dice lo Schupfer, è fatto ad arte. La giurisdizione ecclesiastica di Milano, all'epoca del potente Eriberto, è posta a repentaglio dalla pretensione giuris- dizionale del patriarca d'Aquileia. Nel 103 1 il vescovo di Brescia osò presentarsi ad un sinodo provinciale convocato dal patriarca. Urgeva rivendicare dei dritti, che minacciavano d'essere offesi, bisognava dimostrare che la conversione dei Bresciani e l'episco- pato di Brescia erano una conseguenza dell'apostolato di s. Bar- naba, e della fondazione della Chiesa milanese. Non per nulla l'anonimo autore afferma che Barnaba « orans et manus impo- « nens » consacrò Anatolio. Barnaba, fondata la Chiesa, si recò altrove, e restò Anatolio. Questi, giunto a morte, consacra a Milano il suo successore, e provvede nello stesso tempo alla va- canza dell'episcopato bresciano. L'eletto alla Chiesa di Milano è un tal Gaio, di cui si hanno notizie storiche, commenta lo Schupfer, ineccepibili, poiché lo si ritrova in Roma partecipante ad una disputa sostenuta dai pontefici romani contro le comunità asiatiche intorno al battesimo degU Ebrei. Ma all'anonimo preme di far conoscere ben altro. Gaio, secondo luì, ottiene con l'arci- vescovato il diritto di precedenza su tutti i vescovi italiani: l'au- torità sua segue immediatamente dopo quella del papa, e ciò è conforme alle tradizioni apos' oliche della sua Chiesa, e all' im- portanza della città affidata il suo governo, tra le più popolose

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dell' impero, tra le più splendide per suntaosità di edifici, con- degna sede più tardi della grandezza cesarea.

I popoli della Venezia, della Liguria, dell' Emilia, della Rezia e delle Alpi Cozie finirono per riconoscere come « caput et decus « insigne » il metropolita milanese. Ora, argomenta lo Schupfer, il punto controverso all'età di Eriberto rimaneva pur sempre la immediata dipendenza del vescovo di Milano dal pontefice, onde la necessità di alterare le tradizioni apostoliche in servigio di un vescovo, a cui venivano aspramente contrastati gli antichi pri- vilegi. La leggenda di s. Barnaba, rinfrescata, amplificata, ab- bellita, offriva un'arme potente ad Eriberto per riaffermare una supremazia, che, per l'opposizione di Roma, gli sfuggiva di mano. Ma vi ha di più ; Gaio lascia negli ultimi anni il governo della propria Chiesa e si reca a Roma ; gli apostoli vi hanno già subito il martirio, ma sopravvivono ancora i discepoli loro, e da essi Gaio ascolta reverente il racconto della morte dell'apostolo, e così le prerogative dei vescovi di Milano poggiano su una più sicura base. Forse che, osserva lo Schupfer, questo luogo non accenna ad un'età, in cui il rituale ambrosiano veniva nuova- mente contestato ? « L'opuscolo, in sostanza », egH conchiude, « è una continua apologia, seminata qua e di falsificazioni . . . « ma queste non si vogliono condannare, come si farebbe oggidì. « Erano falsificazioni scusabili, erano un atto di politica, un'arma « di guerra, e infine correvano certi tempi in cui la verità non « era meno richiesta » 0). Ma lo Schupfer va anche più in- nanzi. In un passo della vita di Castriciano successore di Gaio egli vede riflesso l'entusiasmo del rinascente patriottismo munici- pale, di cui, secondo lui, tutto l'opuscolo è un insigne monu- mento letterario.

In massima noi concordiamo perfettamente con l'illustre Schupfer sul carattere e sullo spirito che domina in quella scrittura, ma non possiamo convenire con lui rispetto all'età a cui egli la fa risalire, e conseguentemente attribuirla ad un prelato della corte feudale di Eriberto. Riassumiamo brevemente gli argo-

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(i) Cf. art. cit. p. 470.

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menti che stanno in nostro favore. È noto, che nel prologo delle Fitae pontificum l'anonimo autore si dice confortato all'opera dal consiglio autorevole dell'arcivescovo Anatolio^'^. Evidentemente si tratta di un errore, e Io avvertiva per primo il Muratori. Al- l' infuori dell' Anatolio discepolo e compagno di Barnaba, nessun altro arcivescovo ci compare negli antichi cataloghi con quel nome, onde la naturale ipotesi che si tratti di un nome tedesco alterato per disattenzione del copista. Ma è egli supponibile che questi imbattendosi nel nome di Eriberto non riescisse a deci- frarlo, e lo alterasse fantasticamente? Quale altro vescovo nei secoli XI e xii, a cui pare appartengono i manoscritti che ci con- servano le Fitae pontìficiiin, mantenne una popolarità maggiore di quella di Eriberto ? Da s. Ambrogio in poi non ce n'è ri- cordato alcuno che arrivasse a cosi alto grado di notorietà e di potenza. Si obietterà che l'autore delle Vitae. pontificum insiste a più riprese sui torbidi interni della diocesi milanese, e che forse non ve ne furono mai di più gravi prima dopo il 103^, quando s'impegnò la lotta tra i valvassori ed Eriberto. Va bene, e che per questo ? Nella storia della Chiesa milanese si riscon- trano prima d'allora ben altri momenti di subbuglio e di disor- dine. D'altra parte i torbidi accennati, per il modo e l'espres- sione dell'accenno stesso, sembrerebbero più tosto di carattere ecclesiastico e religioso, anziché politico ; e ciò non si attaglia alla ostinata resistenza della « motta » lombarda. Che le Vitae pontificum sieno sorte in servigio dei minacciati interessi spirituaH, e in difesa della minacciata giurisdizione ecclesiastica di Milano, lo s' intende, ma che proprio le abbia promosse la sollevazione dei « mihtes secundi ordinis », ecco ciò che veramente contrasta col carattere particolare dell'operetta su cui discutiamo.

Io non conosco nelle vicende della metropolitana un mo- mento di maggior potenza di quello rappresentatovi da Eriberto, non ostante i suoi contrasti con i valvassori, Corrado II, i Lo- digiani e la loro Chiesa. Fatta eccezione infatti per il vescovo

(i) « Amplitudinis vestrae, o beatissime praesul, Anatolonis religiosissimi « iussu solicitor ». Cf. in Prologo, I, 11, loc. cit.

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di Lodi, che con la protezione imperiale tentò allora sottrarsi alla giurisdizione dell'arcivescovo ^^\ nessuno dei suffragane! osò disconoscere i secolari diritti giurisdizionali della Chiesa ambro- siana. Per quanto infatti essi sieno stati a più riprese menomati dal secolo v all' xi, è fuori di discussione che nella dignità della sede vescovile di Milano rimanevano allora più che mai evidenti le vestigia dell'antica grandezza civile, di cui quella città fu il centro all'età imperiale. La giurisdizione del vicariato d' Italia, che dall'epoca Costantiniana in poi ebbe per suo centro Milano, per gran parte si trasferisce nella giurisdizione ecclesia- stica milanese. Al vicario di Milano spettavano sette provincie : la Liguria, l' EmiHa, la Flaminia, il Piceno annonario, la Venezia, a cui furono pure aggiunte l' Istria, le Alpi Cozie, e le due Rezie. Or bene, a quest'antica partizione, che divenne il fondamento della giurisdizione ecclesiastica milanese '^^\ ma in più ristretti limiti per l' importanza die di fronte a Milano acquistarono il pa- triarcato d'Aquileia e la Chiesa ravennate, non accenna forse il nostro anonimo, come già avvertiva il Biraghi ? Noi non ne dedurremo con lui la conseguenza che il nostro testo delle Fitae pontificum risalga al secolo vi, ma non negheremo per questo il valore della testimonianza. Chi stendeva le Vitae pontificum sentì il bisogno di riaffermare le ragioni storiche su cui si basava la potestà del metropolita, e l'opera sua trovò suggerimento e motivo da un contrasto di opinioni, che all'età di Eriberto forse fu meno vivo che in altri tempi. Le rivalità tra le due Chiese di Roma e di Milano esistevano da tempo immemorabile, le intenzioni che si attribuiscono ad Eriberto finirono per trasci- narlo mai in una vera e propria lotta col papato, come pure

(i) Cf. GiULiNi, Meìtiork di Milano, III, 291. Non so donde lo Schupfer abbia tratta la notizia dei conati fatti dal vescovo di Brescia per sottrarsi alla giurisdizione del metropolita all'età di Eriberto e di Corrado II. Ben son noti i contrasti di precedenza tra il vescovo di Brescia e quello di Vercelli come suffraganei della metropolitana. Cf. Giulini, op. cit. Vili, 384.

(2) Cf. L, A. Muratori, Anecdota, Mediolani, 1697, I, 225 ; Bintgam, Orlg. eccles., Londra, 1824-29, lib. IX, cap. i, §§ 5 e 6 ; P. Verri, Storia di Milano, Firenze, Le Monnier, 185 1, I, 28 sgg.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS « 119

avvenne ad alcuni suoi predecessori. La tradizione apostolica della metropolitana, meno che in altri tempi, ebbe bisogno al- l'età sua di sostenitori e di apologisti, perchè la supremazia di lui si era affermata di fatto.

L'anonimo autore delle Vitac pontificnm rifa a suo capriccio la storia delle origini della Chiesa milanese, perchè in seno ad essa si è manifestato un profondo dissidio per il quale è minac- ciata ed offesa la tradizione apostoHca. Collegare abilmente il presunto apostolato di Barnaba con la predicazione di s. Am- brogio, stabilire, come la fantasia accesa dalla fede gli suggerisce, gli inizi e lo sviluppo della supremazia del metropolita, ecco il suo assunto, ed è in servigio di un arcivescovo eletto secondo le antiche consuetudini, ma non riconosciuto da Roma, in aperta opposizione con una fazione che gli contesta l'obbedienza e l'o- maggio, che gli impedisce, o per lo meno gli pone dei limiti all'esercizio del suo ministero, e rende inesecutivi i suoi atti, che le Fitae pontiflcum s' interpongono tra le scritture polemiche e apologetiche che solevano accalorare consimili lotte, monca e insufficiente testimonianza di un gravissimo scisma che straziò la Chiesa di Milano a mezzo il x secolo. Eriberto non è poteva essere l'arcivescovo, di cui i copisti dell' xi e del xii se- colo s' imbarazzassero a decifrare, e tanto meno avessero inte- resse ad alterare il nome. Quel nome apparteneva ad un me- tropolita, che i cataloghi antichi considerano come illegittimo al pari del suo antagonista, perchè, come vedremo, ne l'uno l'altro, a quanto sembra, fecero in tempo a ricevere da Roma il « placet » della consacrazione. Se nei manoscritti lo vediamo sostituito capricciosamente dal nome di Anatolio, l' abrasione de- liberata è frutto di zelo ortodosso in un'età in cui la piena sot- tomissione di Milano a Roma, dopo la lotta dei preti concubi- nari coi Paterini, e le riforme ecclesiastiche ildebrandesi, può rendere giustificabile la circospezione paurosa e la cautela del tardo copista. Si tratta insomma, secondo noi, di tal Adelmanno pontefice della Chiesa milanese nel secolo x, per ben cinque anni, e costantemente avverso a Manasse, pure arcivescovo di Milano, e più tardi cancelliere di Ottone 1. Ma delle due forti e vigo-

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rose figure dell'episcopato lombardo, poiché la questione delle Fitae pontificum e' invita a trattarne, discorreremo tra breve. Non trascuriamo intanto alcuni altri argomenti che stanno in favore della nostra ipotesi, e, se non c'inganniamo, definitivamente esclu- dono l'opinione dello Schupfer.

mi.

Le Fitae poìitìficiun, che noi facciamo risalire al secolo x, non discostandoci gran fatto dal parere del Muratori, sono, come già avvertimmo, citate da Landolfo e da altp (') come un testo an- tico. Ora e egli ammissibile che qualificasse per tale una scrit- tura di poco più che mezzo secolo anteriore a lui ? È noto che Landolfo seniore, la cui Historia Mediolanensis giunge al 1085, la dettava sulla fine del secolo xi, e ch'egli stesso non trascurò di farci sapere da quali fonti avesse cavata la materia più antica del suo racconto, cioè anteriormente al 1045. Chierico della Chiesa metropolitana ^^\ forse egli conobbe le Fitae pontificum sul codice più antico che ce n'è rimasto, e appunto perchè le con- siderava antichissime, egli le cita insieme ad altri testi di non dubbia antichità ^^\ Sorge anzi il sospetto, per l'ordine da lui serbato in queste citazioni, che effettivamente egU abbia creduta l'operetta delle Fitae pontificum del vi o del vii secolo, fors'anche perchè non si ritrovava più al suo luogo, nel prologo di quelle, il nome di « Adelmanno » che gli avrebbe dato in mano il ban- dolo per scuoprire la vera età di quel testo. Notisi inoltre che

(i) « Lcgitur in antiquissimis historiis quae hodie habentur in civitate « Mediolani, quod ipse beatus Barnabas de Romana civitate » &c. Così nel Catalogo degli arcivescovi milanesi che il Muratori pubblicò nel voi. I, par. II, p, 228 sgg. Rer. It. Script, e che attribuì al mccli. Quanto alle ci- tazioni di Landolfo, v. la nota 3 a p. 103.

(2) Cf. la prefazione di L. C. Bethmann e del Wattenbach all'edizione di Landolfo nei Moii. Gemi. hisl. Vili, 32.

(3) Cf. prefazione cit. sopra.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 121

nei diplomi imperiali, nelle lettere pontificie, negli atti di Eri- berto, come di alcuni suoi immediati predecessori non si riscontra che raramente il titolo di « praesul » che l'anonimo autore as- segna al metropolita, da cui ha avuto l'incarico di scrivere le Fitae pontificiun. Nel secolo xi prevale nell' uso il titolo di « ar- ce chiepiscopus », che il metropolita milanese non assunse prima del secolo vii.

Ma sopra tutto mi preme di richiamare l'attenzione sopra un fatto sfuggito all'attenzione di quanti si sono occupati di questa materia. Il nostro anonimo afferma in più luoghi di aver messo a profitto fonti latine e greche (■), con parole greche latinizzate infiora frequentemente una prosa che nei suoi costrutti medesimi risente talvolta! caratteri della prosa greca; non ci offre dunque egli stesso un cumulo di prove per far risalire l'età da lui vis- suta al di del 1000? È infatti noto che per la conquista nor- manna nei primi decenni del secolo xi divennero assai meno frequenti i rapporti tra l' Italia meridionale e la Lombardia. Che se nella « Langobardia greca » o « Sicilia cismarina » incorpo- rata nel ducato di Puglia e definitivamente nel regno delle Due Sicilie le Chiese greche dipendenti da Costantinopoli poterono ancora serbarsi centri di cultura ellenica per la società ecclesia- stica italiana, è anche vero che lentamente quelle Chiese scom- parvero, onde la certezza che la conoscenza del greco tra i chie- rici dovesse essere molto più diffusa prima della dominazione normanna che posteriormente. Si suole affermare generalmente che la conoscenza del greco si accrebbe non poco nell' ultimo

(i) Dopo aver narrato i fatti della vita di Anatalone scrive: « Hucusque « de primis Ecclesiae Mediolanensis propagatoribus, prout parvi tulit captus « ingenii, ex diversis coUccta utriusque linguae paginis, ceu dis- « color in amoenis solet pratis compingi coronula, satis adnotasse et con- ce glutinasse sufficiat ». Cf. De siili urbis, in Rer. It. Script. I, 11, 206. In seguito alla vita di s. Castriciano : « Porro fastidioso Icctori ut quod prius « dicere debui, prepostero ordine ponam, sive omnino perduelli cuipiam « nostra lecturo illud ultra, supraque dcnuntio, quatenus in his, quae inlegit, « si forte minus credulus existit, perquirat aliarum tam Romanorum quam « Graiorum chronicarum commenta» &c.; op. e Ice. cit. p. 211.

122 L. A. FERRAI

periodo di essa ; e ciò è conforme al vero, ma è il carattere della nuova cultura per gran parte laica, e la abbondante mèsse dei documenti giunti a noi perchè dei secoli più a noi vicini, che ha fatto credere ad un rinascimento di studi ('\ che altro non è se non riacquisto di patrimonio scientifico miseramente disperso ed obliato nei primi decenni del secolo xi ^"-^ A buon conto tale risveglio non ebbe efficacia sufficiente a rianimare gli studi religiosi sui testi greci nell' alta e nella media Italia. Noi ne ab- biamo una convincente prova in questo. Per tutto il secolo xi il clero lombardo, per quanto addottrinato e addestrato nelle lotte dogmatiche e disciplinari, si dimostra quasi affatto ignorante della lingua greca e della letteratura teologica bisantina. Ce lo attesta indirettamente Landolfo accennando ad un fatto che dovè egli stesso considerare eccezionale nell'età sua, in quanto appunto lo credè degno di nota, che cioè nelle dispute insorte tra i seguaci di s. Arialdo e i partigiani dell'arcivescovo Guido da Velate, sorsero in favore dell'audace novatore tre diaconi, che citavano testi greci (5). Egli escludeva cosi che ad altri fossero dischiuse così facilmente le fonti genuine della dottrina dei padri.

Se noi ci avviciniamo agli inizi del secolo x, ed entriamo in questo, di mano in mano che ne risaliamo il corso, si fanno più frequenti le testimonianze della cultura ecclesiastica bisantina in Occidente. La vita di s. Nilo abate di Grottaferrata nella Tuscia fu dettata da un suo discepolo in greco, e ce ne è rimasto il testo originale in questa lingua ^'^K Che il vescovo Attone di Vercelli la possedesse, è flitto fuori di discussione '^^\ Il cronista cremo-

(i) Cf. H. Bresslau, Haiidbuch dcr Urkundenhhre far Deutschland und Italicn, Leipzig, 1889, P- 599-

(2) Cf. L. Dresdner, Knltur- iind SitUitgéSchichte der italienischen GcistlichJceit in IO. und 11. Jahrlnindcri, Breslau, Koebner, 1890, in Kapitel v, Int el- le ktuelles Leben, p. 195 sgg.

(3) Cf. Landolfo, op. cit. cap. in, 89, 90 e 196.

(4) a. Ada sanclorum, 26 sept., VII, 283-343; A. Potthast, IFei^weiser dtirch die Geschichtswerke des Eiiropaischen Mitielalters Scc, Berlin, 1862, p. 829.

(5) Cf. ScHULTZ, Alto von Vercelli, Gòttingcn, 1887, pp. 65-66 ; Dres- dner, op. cit. p. 196.

u

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS ^> 123

nese Liutprando, che fu ambasciatore di Berengario II e di Ot- tone I a Costantinopoli, ne era praticissimo (■). Si potrà sospet- tare che Gunzo di Novara citasse il Timeo di Platone, e il Tiepl £p[jL£V£'a(; di Aristotile di su le traduzioni latine che se ne pos- sedevano, ma che qualche cosa di greco sapesse, lo afferma egli stesso. E che cosa dire di Raterio ? Intorno alla cognizione della Hngua e dell'antica letteratura greca del dotto vescovo di Verona si è disputato e si può ancora battagliare a lungo (^\ ma se si tien conto delle peregrinazioni da lui flitte in Oriente ^^\ e dell'altissima fama di dotto negli studi profani che gli e at- tribuita, e ch'egli stesso, non senza affettazione, mostrò di spre- giare (4)^ dobbiamo convenire che è inammissibile in lui un'assoluta ignoranza del greco. Per il nostro assunto è già sufficiente con gli esempì di Liutprando e di Attone poter affermare con sicu- rezza che la società ecclesiastica lombarda sembra aver avuto molto maggiore famigliarità con la lingua greca nel secolo x che non nel seguente, e che ciò è conforme alle condizioni sto- riche profondamente cangiate dopo il 1000.

V.

È sfuggito, per quanto ci è noto, ai cultori delle antichità milanesi un luogo di Bonizone che getta molta luce sulla storia

(i) Cf. Wattenbach, Deutschland's Geschichtsquelknim Mittelalter, Berlin, 1889, I, 392; Dresdner, op. e loc. cit.

(2) Cf. Dresdner, op. e loc. cit.

(3) Cf. VoGEL, Raiherms von Ferona, Jena, 1854, I, 2j, 174.

(4) «... me indigere doceri quam docere convenire profiteor magis, qui « licet in ipsis initiis quorundam quaestiunculis Mediolanensiura haud leviter « pulsatus, quaedam ex his quae vos requirere non ambigo, visus sum prae- « libasse ; infulatus hac qua, Dei misericordia, funger sarcina, illud statim « desìi agere, iniunctum mihi hoc officio cogitans ni Dei potius lege ac nocte «meditar! debere »; Epist. 11 i ad Rotbertum archiep. [Trevirensem] in Ratherii episcopi Veronensis Opera, Veronac, mdcclxv, c. 527. Quanto alla questione se o meno Raterio abbia saputo di greco cf. ibid. e. xxxi; in- torno ai suoi viaggi cf. Epist. V ad Ioannem summum pont. ib. e. 538.

124 L. A. FERRAI

della metropolitana milanese nel medio evo. Bonizone che det- tava le opere sue sullo scorcio del secolo xi, in quel curioso trattatello in forma di epistola « ad amicum», conosciuto più co- munemente col titolo di De pcrsccuiione Ecclesiae, toccando dei rapporti tra la Sede Apostolica e la Chiesa ambrosiana, a pro- posito dei noti avvenimenti del 1057, scriveva:

Eodem tempore Mediolanensis Ecclesia quae fere per ducentum annos su- perbiae fastu se a Romanae Ecclesiae subtraxerat dicione, primum se inter alias Ecclesias subiectam esse cognovit (0.

Evidentemente Bonizone allude all'arbitrato che dietro istanza di Arialdo e di Landolfo Cotta il pontificato romano assunse in quell'anno, delegando a propri rappresentanti in Milano il mo- naco Ildebrando e Anselmo da Badagio vescovo allora di Lucca (^\ Ed infatti quella autorevole interposizione dei legati pontifici tra le due fazioni contrastanti dei preti concubinari e dell'arcivescovo, e dei seguaci ed ammiratori di s. Arialdo, fu un primo e deci- sivo passo per una più diretta soggezione della Chiesa ambro- siana all'apostolica di s. Pietro. Ma Bonizone ci dice di più, afferma cioè che la metropolitana si era per circa ducent'anni sot- tratta ad ogni dipendenza da Roma, vale a dire dal dissolvimento dell' impero carolingio fino all'età sua. Ognuno intende come questo risponda perfettamente al vero.

L'unità della Chiesa occidentale latina come fu la base più sicura del sacro romano impero, cosi trasse dagli ordinamenti e dalla organizzazione di esso nuovi elementi di vita e di consi- stenza. Ma quando la compagine politica che le si era adattata andò in fiiscio, e più nulla potè salvarsi da quella rapida decom- posizione, che preparò il trionfo del feudalismo e l'annientamento d'ogni sovranità, anche l'unità della Chiesa sub! danni e minacele, ch'erano una naturale conseguenza dell'infrangersi violento dei vincoU che l'aveano fino allora strettamente cointeressata all'im-

(1) CL Monumenta Gregoriana, ed. ] affé, Berlino, 1865, nellibro vi della lettera di Bonizone « ad amicum », p. 638.

(2) Cf. GiULiN'i, Memorie di Milano cit. Vili, 412 sgg.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 125

pero. Le condizioni morali del pontificato stesso sullo scorcio del secolo ix e nella prima metà del x, secondarono il progres- sivo rilassamento dei reciproci rapporti gerarchici delle varie Chiese tra loro, e in particolare della Chiesa ambrosiana con Roma. Nel testamento di Carlo Magno del 713, che assegna una quota del tesoro della Camera imperiale alle chiese metropolitane del- l' impero, l'enumerazione di esse mantiene l'ordine che la tradi- zione più volte combattuta riuscì a far prevalere. Roma precede Ravenna, Ravenna Milano, questa Aquileia &c. (■>. Ma in pro- cesso di tempo, scaduta la potenza e il prestigio della Chiesa ravennate, divenuta la corona ferrea il simbolo di una sovranità che meno debolmente che altrove si afferma in Lombardia, Mi- lano acquista dal lento sviluppo della potenza feudale della sua Chiesa quei nuovi*elementi di resistenza e di forza che nel rispetto poHtico la contrappongono a Pavia, e in onta alle tradizioni del- l'antica capitale del regno longobardo, fanno di lei il nuovo centro ; nel rispetto rehgioso le prestano le armi per contestare, più o meno apertamente, la preminenza del vescovo di Roma su tutta la cristianità. Nel secolo x infatti l'acquisto del serto regio e imperiale diviene sempre più malagevole per i grandi feudatari che aspramente se lo contrastano, l'esercizio della podestà regia si fa ogni giorno più fiacco e limitato. Ma dove meglio si esplica e si afferma, è pur sempre nella più popolata città della Lombardia; dove la vacillante sovranità cerca la protezione e l'appoggio del potere ecclesiastico. Il metropolita, che lo esercita su tanta parte d'Italia, presta infatti l'antico rituale della sua Chiesa alle più solenni manifestazioni della vita politica, e ne è parte- cipe e regolatore, mentre per il naturale sviluppo del feudalismo s'accrescono le prerogative della sua giurisdizione civile. Che se nqn ci è noto alcun diploma d'esenzione in favore dell'arci- vescovo di Milano, è fuori di dubbio che sin dalla metà del se-

(i) Cf. EiNHARDi Vita Caroli Magni in Monumenta Carolina, ed. F. Jaffè, Berlino, 1867, p. 539: «Nomina metropoleorum ad quas eadem elemosina, « sive largitio facienda est, haec sunt : Roma, Ravenna, Mediolanum, Forum <f lulii, Gradus, Colonia » &c.

126 L. A. FERRAI

colo IX egli esercitava liberamente la maggior parte dei diritti comitali. Le concessioni regie e imperiali non erano infatti l'unica via aperta ad ottenerli, ma la « potestas missiatica » divenne il tramite giuridico per il quale la giurisdizione civile si trasferi a molti dei vescovi di Lombardia. È risaputo da tutti come la « potestas missiatica », da temporanea che era, divenisse con Carlo il Calvo neirSy^ un ufficio stabile e permanente ('). Ciò avvenne pure a Milano, e se per alcun tempo essa fu esercitata dal conte e dall'arcivescovo associati^ in seguito passò all'arcivescovo. Era destino inevitabile che anche a Milano i conti, « sentinelle avanzate «di un reame sfracellato », per usare la felice espressione dello Schupfer, finissero, come da per tutto, in esilio. Quale meravigHoso impulso dovesse ricevere il poter vescovile dall' infrangersi dell'au- torità comitale, è di per evidente. Esiste un diploma dell' 880 che si riferisce all'ampliamento delle mura della città di Milano. Da esso si rileva che l'abate di S. Ambrogio fece istanza ed ottenne dall'arcivescovo Ansperto, dal conte Alberico, dal clero e dal popolo alcuni « semita » per la fortificazione delle mura del monastero (^\ Fino a quell'anno dunque il governo della città appartiene cumulativamente al conte e all'arcivescovo, ma già la delibera- zione del clero e del popolo richiesta a conferma delle decisioni di Ansperto e di Alberico accenna ad una prevalenza del potere ecclesiastico sul civile. La quale cresce progressivamente sullo scorcio del ix e nei primi decenni del secolo x. Che l'arcivescovo all'età di Lamberto (92^-927) abitasse il palazzo imperiale, pos- sedesse il « brolium », lo avverti G. Fiamma nella G ah agii ai i a '^^\

(i) Cf. Kar. II Convmt. Ticin. a. 876 in Mon. Genn. hist. (Legum, voi. 1), Hannoverae, i<S35, e. 12, p. 531: « ipsi nihilominus episcopi singuli in suo « episcopio missatici nostri potestate et auctoritate fungantur ». V. Schupfer, art. cit. p. 463.

(2) Cf. G. Fumagalli, Coà.àìpls. Amlr., Milano. 1805, p. 480; Schup- fer, art. cit. p. 464.

(3) « Habuit [archiepìscopus] tria loca feralia tertius locus erat extra

« civitatem qui dicitur brolium ubi nundinae fiebant »; Galvagnana, in § De edifitiis archiepiscopi, ms. Braidense AE, X, io. Di quest'opera ine- dita del Fiamma, di cui abbiamo parlato altra volta, si conserva un ms. del secolo XIV nella Trivulziana, n. 1438.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 127

è confermato da Liutpraiido ^'\ lo ripete l'anonimo compilatore del Flos floruììi (^) ed è notizia che il Fiamma tolse probabilmente ad una cronaca tedesca perduta (5). quanto il Fiamma narra intorno al governo di Milano nel secolo x, è tutto parto di fantasia. Il Fiamma, ricordando alcuni privilegi imperiali con- cessi all'arcivescovo, parla del « ius sanguinis », che ad esso spet- tava con l'assistenza dei « vicecomites » (4). È evidente per me l'accenno, sia pure impreciso, ad uno dei supremi diritti della « potestas missiatica ». il potere temporale dell'arcivescovo, che si estendeva alla città e al distretto esterno sino a due

(i) Cf. LuiTPRANDi Antapodoseos seti rerum per Europatn gestarum, lib. Ili, cap. i\-, in Muratori, Rer. IL Script. I, par. II; Mori. Gemi. hist. ed. Pertz, III, 298.

(2) « luxta muros civitatis erat eius [archiepiscopi] viridarium, quod adhuc « Verzarium dicitur. extra civitatem erat brolium eius, quod nunc intra ci- « vitatem inclusum est, ubi adhuc continue fiunt nundinae »; Cbroii. Flos ftorum, ms. Braidense AG, IX, 35, e. 121. Su questo manoscritto vedasi l'altra mia memoria cit. Benio d' Alessandria e i cronisti milanesi del secolo xiv

P- 97 sgg.

(3) « Tempore ergo Karuli Magni usque ad tempora Federici Barbarubcae (c fuerunt in civitate ista tria regimina . . . sicut evidcnter colligitur ex chro- « nica alamannica ». Cosi il Fiamma in questo e in altri luoghi della Gal- vagnana; cf. ms. cit. § 219.

(4) «De dominio archiepiscopi, ei usque divitiis. Ar- « chiepiscoporum dominium fuit fortissimum nimis ultra quara credi posset, « unde sic procedamus quia primo dicemus de officialibus eius, postea de pri- « villegiis ecclexiasticis et imperialibus, tertio de divitiis eius, et hedifitiis, et « quibusdam aHis dignitatibus. auctoritate enim corporah cuius robur et « firmamentum est papalis dignitas archiepiscopus Mediolanensis contulit pri- « vìllegia tria, ut dictum est. primum privillegium fuit quod archiepiscopo « contulit ius sanguinis, cuius auctoritatis executionem contulit viro secundum « cor suum. qui ex tunc dictus est vicecomes, idest sotius archiepiscopi, qui « archiepiscopus erat comes ipso facto quod erat archiepiscopus, ut infra di- « cetur in locis suis. hic vicecomes cum progrederetur, ante se gladium « evaginatum portari fatiebat, sicut docet apostolus Paulus, omnia sua negotia « cum duodecim consulibus peragebat. et poterat archiepiscopus absque irre- « gularitatis periculo, papali privilegio indulto, de consiliis privatis, de iuditiis « sanguinis interesse, item habuit advocatrinum sive advocatorium et confano- « rium et multos alios offitiales » &c. ; cf. Galvagnana, cap. 221 a ce. 57-58 b.

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miglia, esclude la possibilità dell'esistenza di alcune magistrature, che il Fiamma dice consoli eletti dall'arcivescovo, e talvolta dai « milites maiores ».

La testimonianza ritrovasi nel citato Flos flomm, ma è indub- biamente attinta dalla Galvagnana del Fiamma <^'\ Simili notizie per quanto indeterminate ed incerte, e se si vuole anche amph- ficate ad arte da scrittori che non guardavano troppo per la sot- tile, né sempre si attenevano con scrupolo alla verità perchè non ne sentivano il bisogno, contrastano forse con la condizione reale dei tempi che di poco precedono la dominazione dei principi sas- soni ? Non è a buon conto concepibile che la potestà vescovile sulla città, che ebbe così lunga durata, quantunque gravante po- polazioni miste e per lunga tradizione nemiche, non abbia avuto un suo proprio sviluppo; credo quindi debbansi a chiusi occhi respingere come fole le scarse notizie che sulle condizioni della città nel secolo x ci hanno tramandato il Fiamma e i cronisti a lui posteriori. Ma certo esse vanno interpretate con cautela e con discrezione. La dominazione vescovile si fece indubbiamente generale sulla città alla metà del x secolo, si limitò alle terre murate, ma comprese i borghi esterni, i corpi santi, tanto é vero che all'arcivescovo di Milano appartenne il « brolium » impe- riale, situato allora fuori delle mura. Del « brolium » come ap- partenente alla Chiesa trovasi cenno nella Dcscrìptio situs et urbis {De sita urbis &c.) (^), e conseguentemente nel Fiamma, e nel Flos floriun. I dodici consoli di cui parla il Fiamma e dietro a lui il Flos florum, con un anacronismo che è in un cronista del secolo XIV pienamente giustificabile, forse non sono che gli antichi

(i) Cf. Flos fìonim, loc cit. in ms. cit. e nota precedente. « Quartum « regimen », scrìve inoltre il Fiamma, « fuit tempore Karuli Magni usque ad « tempora Federici Barbarubeae, quia tunc rexerunt .xii. consules et credentia «et archìepiscopus ». Cf. cap. 218 in ms. cit. e. 56 b.

(2) « Erat et iuxta muros viridarium ubi senatores » ; cf. G. Fiamma, Manip. jlor.; Benzo d'Alessandria in Bull, dell' hi. Stor. Itah n. 9, p. 26; Landolfo, ed. cit. II, 2, 41. Sono i noti luoghi, già da noi illustrati, e che tutti derivano dal testo perduto e più ampio della Descriptio situs et urbis. Ci. Le cronache di G, Fiamma cit., in Bull, dell' Ist. Stor, Ital. n. 10, p. 125.

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scabini franchi che nel ix secolo si dissero anche « iudices do- « mini imperatoris sacri palacii », e che più tardi furono inve- stiti della loro autorità dall'arcivescovo, col consenso del clero e del popolo, ciò che è conforme alle leggi carolingie ('). è fuori del verosimile che 1' amministrazione della città fosse affidata a gastaldi scelti in quella più alta classe di « milites », che a Milano si disse de' « capitani » ^^\ Si è discusso se sia ammissibile e riferibile alla vita cittadina in Milano nel secolo x, ciò che ci è attestato unicamente dal Flos fiorimi, che cioè la città fosse divisa in quartieri denominati dalle varie porte, e che il governo di ciascuno di essi si affidasse ad alcune famiglie ^^\ Lo Schupter congettura che una tale divisione abbia servito di base al governo locale nel municipio, e accenni al carattere ereditario della podestà giudiziaria. Ma crederei necessarie non poche riserve in proposito, poiché la testimonianza del Flos floniìu è di un raffazzonatore di cronache del secolo xv, e non- trova riscontro alcuno nel Fiamma, il favoloso ma pur anche l'unico raccoglitore di notizie da lui ripescate in testi a noi sco- nosciuti. Veramente pregevoh sono infatti quelle ch'egli ci ha serbato sulle rendite arcivescovili con maggiori dettagli che nelle altre sue cronache nell'inedita Gaìvagnana. Ivi é detto esplici- tamente che all'arcivescovo spettava il diritto del « teloneum » o di dogana sulle strade regie « in exitu quolibet de comitatu », e che a pagarlo erano pure tenuti tutti gli stranieri, che a piedi o a cavallo ne oltrepassassero i confini (^4). Con molta indeter-

(i) Cf. ScHUPFER, art. cit. p. 464; Ficker, Forschungen ^ur Reichs uiid Rechtsgeschichk Scc, Innsbruck, 1868-76, III, 17 ed anche: Max Handloike, Die ìomhardischcn Stàdie unter der Hernchaft der Bischófe, Berlin, 1883, p. 63 sgg.

(2) Cf. Landolfo, ed. cit. II, 176 M. Handloike, op. cit. p. 40.

(3) Cf. Ughelli, Italia sacra, IV, 93 sg. ad a. 947; Schupfer, loc. cit.

(4) Cap. 226:«De theloneo archiepiscopi. Insuper archiepisco- « pus Mediolanensis quosdam alios maximos redditus imperiali auctoritate re- « cipiebat. quia super stratas regales in exitu quolibet de comitatu habuit « telloneum et dum intrabat aliquis extraneus in equo vel cura curro aut pe- ce dibus, dabat theolenario (sic) archiepiscopi, immo innumerabilibus teolenariis a censura, et archiepiscopus tenebatur facere custodiri passus, et omnibus dapni- (( ficatis infra territori um restituere de suo tantum quantum dampna fuissent

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minatezza accennasi invece nella Gahagnaìia all' impegno che l'arcivescovo assumeva di rifiire i danni a quanti, entro i limiti del comitato, ne avessero sofferto, e alla quota che l'arcivescovo stesso si riservava sul valore delle derrate che vi si introduce- vano per essere esposte nel verziere al mercato. Il Fiamma ci inoltre per certo che ohre i redditi ordinari che il metro- polita traeva dalle decime e dalle prestazioni di vassallaggio del duca della Bulgaria, del marchese della Martesana e del conte di Seprio, non che dalle pievi del comitato milanese, affluivano a lui non poche ricchezze dalla Sicilia e dalla Liguria, sul cui litorale la Chiesa Milano possedeva per più che cinque miglia. Forse anche la valle di Blegno e la Levantina sulla metà del x se- colo appartenevano all'arcivescovo (') ; però giova ricordare che l'atto di donazione che se ne è prodotto, attribuito ad Attone vescovo di Vercelh, fa già dimostrato falso dal Giulini <^'). Ma certo non è flilso il privilegio di re Lotario che concede all'arci- vescovo il diritto di batter moneta, e la direzione della zecca

« existimata. item de quolibet curru lignorum recipiebat unum, de qua- « libet sporta piscium unum, de qualibet fornata panis unum, et omnia « alia ducibus concessa fuerant, imperiali auctoritate sibi dabantur « &c. ; Gal- vagnana, ms. cit. e. 58 b.

(i) Gap. 225: «Archiepiscopi divitiae et possessiones in «Sicilia. Archiepiscoporum possessiones et redditus singulis annis fue- « runt plusquam octuaginta millia florenos (sic) auri, in Sicilia habuit castra « et redditus magnos, sicut supradictum est. sua erat terra de Guastalla cum « Padl rippa. in riperia lanuensi et civitate singulis annis recipiebat ultra « decem millia libras, cuius aliquale vestigium adhuc apparet, circa civitatem « per tria milliaria totum erat suum. etiam eius erant omnes plebes comi- « tatus Mediolanensis, et decimae et dignitates. item erat dux Burgariae, «marchio Marchesanae, et comes Saprii; quid plura? ipse solus in civitate « Mediolanensi(s) erat praeclarissìmus et ditissimus, habens sub se cathaneos « et valvassores innumerabiles, fidelitatis sacramento sibi adstrictos. et quis « vult de divitiis archiepiscopi certificar!, feudia archiepiscopalìa consideret, « quia vix est aliqua parentella quae non sit pinguedinis eius adipe ditata. « Atho Comes episcopus Vercellensis dedit Ecclesiae Mediolanensi vallem « Bellegi et Leventinae » ; Galvagnana, ms. cit. e. 58 b.

(2) Gf. Memorie di Milano, III, 237. Il documento trovasi in Attonis sanctae Vercellensis Ecclesiae episcopi Opera, Vercellis, MDCCLXvni, p. xvu sgg.

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milanese, concessione che presuppone per se medesima un eser- cizio amplissimo di poteri entro l'antica circoscrizione del comi- tato, e che implicitamente conferma le attestazioni del Fiamma (^'^ Forse non mai come sulla metà del secolo x si estese la giuris- dizione feudale, e si accrebbe la ricchezza immobiliare della metropolitana. Sta anche a provarcelo la tradizione serbataci dal Fiamma delle splendide feste religiose che si celebravano in Milano, e della parte che vi prendevano i vari ordini feudali del territorio posseduto dall'arcivescovo. L'onore dell'apparato per la processione della domenica delle palme spettava, ad esempio, ai « milites » di Rho. Il capitano di quella milizia apriva il corteo ; circondavano i « milites » l'arcivescovo montato su di un cavallo riccamente bardato offertogli in dono da quei vassalli. Il clero si raccoglieva nella chiesa madre e accompagnava il suo capo fino a S. Lorenzo, e di a S. Ambrogio (*>.

VI.

Una così profonda trasformazione degli istituti episcopali in Lombardia, divenuti le pietre angolari del regno italico e più tardi dell' impero restaurato dai Sassoni, come provocò una rea- zione salutare nel seno delle Chiese stesse affrettando la riforma disciplinare del secolo xi, così mise fin d'allora in più diretto

(i) « Insuper archiepiscopus Mediolanensis solus monetam cudere aut « mutare ex imperiali privilegio [ius possidebat] » ; cf. cap. 225 della Galva- gnana, ms. cit. Cf. Muratori, Antiq. Hai. medii aevi, II, 590; Giulini, op.cit. II, 228.

(2) « Eius festum olivarum fuit ultra modum solempne. ipse archiepi- « scopus in equo magno residebat, qucm praecedebat unus ex capitaneis de « Raude indutus vaio nobili piilis vali extra pendentibus, qui archicpiscopum (f freno dextrabat. lume praecedebant quatuor viri de Littis vassalli capita- « neorum de Raude, qui de terra ellevabant lapides ne pedes equi archiepi- « scopi ledere[n]tur. et ducebatur archiepiscopus, universo clero subsequente, « de ecclesia malori ad ecclesiam sancti Laurentii, deinde ad ecclesiam sancti « Anibrosii, postea ad suum palatium reducebatur. cuius equus erat aurigae, « idest iliius de Raude, qui ipsum dextraverat » ; Galvagnaiui, ms. cit, e. 58 b.

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contatto la feudalità laica ed ecclesiastica, offrendo occasione alle prime e feconde lotte dei vari ordini che la costituivano. A chi bene consideri inflitti le rapide vicende degli ultimi re itahani, apparirà manifesto che esse sono per gran parte subordinate ai capricci e alle anibizioni dell'alto clero, e che da esse hanno prin- cipalmente origine quegli urti iniziali della società feudale laica, ai quali si attribuiscono erroneamente le cause prime della fortuna di questo o quel principe. Ogni spontanea tendenza politica, regia o feudale, si trova per cosi dire sopraffatta e dominata dalla prevalenza degli interessi dell'episcopato lombardo. A me sembra che la storia degli ultimi e infelici possessori della co- rona ferrea, prima della restaurazione sassone, tutta si risolva in una serie di compromessi, più o meno legittimi, tra essi e l'epi- scopato lombardo ; ma non vi è il più delle volte nemmeno pa- rità di condizione tra i contraenti. L'usurpazione della sovranità ha trovata una difesa così valida nel carattere sacro di chi la compie che le parti s' invertono, e detta legge chi dovrebbe su- birla. Le rivoluzioni politiche che si succedono con rapidità ver- tiginosa derivano bensì da quell'ondeggiare incessante di fazioni nel seno della società feudale laica; ma sono le sempre crescenti esigenze dell'alto clero lombardo che ne iniziano il moto e gli danno direzione e misura. Rodolfo dell'alta Borgogna, Ugo di Provenza, Lotario suo figlio, Berengario II debbono tutti la loro breve fortuna come re italiani ad un accordo transitorio delle Chiese italiane in loro flxvore, e la instabilità e provvisorietà di esso determina appunto il carattere di un potere, che divenuto non per propria virtù fortissimo in alcuni luoghi, si serba costantemente debole altrove, o s'annienta improvisamente, e proprio com'è sorto, scompare e svanisce ad un tratto perchè gli sono venute meno le artificiose combinazioni che lo aveano reso possibile.

contro fatte condizioni di cose valse per nulla la audace resistenza di qualche vescovo solitario. Anzitutto nel secolo x quanti con vivace opposizione lamentarono, con la licenza del costume, la preponderanza politica delle autorità vescovili nelle faccende interne d' Italia, o non uscirono mai dal campo di una idealità vaga e indeterminata, o, ciò che è peggio, non seppero

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essi stessi sottrarsi alla legge storica che dominò i loro tempi, condannando così con gli atti della loro vita, le audacie del loro pensiero. Il potere vescovile uscito incolume tra i rottami del- l' unità cosmopolitica carolingia, avea dovuto necessariamente as- similarsi elementi nuovi ed eterogenei, che ne denaturavano il carattere e le funzioni. Le intelligenze più elette del secolo x dimostrarono d'averne coscienza, ma solo incompiutamente. La vita avventurosa e tribolata del vescovo veronese Raterio, più volte privato illegittimamente del suo vescovato, è tutta una di- gnitosa protesta contro il diritto de' forti non contenuto più da alcuna legge divina umana "^'^ meno potente della sua voce tuonò quella di Attone vescovo di Vercelli, un sufFraganeo della metropolitana, a cui le vicende della vita permisero di non perdere mai la tranquillità e la serenità dello spirito. Tra un commento e l'altro alle epistole di s. Paolo, Attone trovò il tempo di stendere una scrittura, il De, pressiiris ecclesiaslicis, che è una requisitoria spietata contro i vescovi del suo tempo, e la loro sfacciata mondanità (^). Ma l'opera ha carattere più filoso- fico che storico, le allusioni personaU e gli accenni a sin- goli fatti discostano l'autore dal metodo astratto e speculativo, onde r inefficacia pratica del suo insegnamento. In compenso l'operetta di Attone è ispirata da un senso così profondo di giu- stizia, e contiene tanta ricchezza ideale da sembrar quasi ch'egli abbia precorso i grandi riformatori disciplinari del secolo xi (J).

(i) Cf. più particolarmente l'epistola di Raterio ad Agapito II in Ratheru Opera, ed. cit. p. lxxiii e 538. Cf. intorno alla vita di lui: Ada sanclorum ora. s. Benedicti, voi. VII, e P. Ceillier, H'nioìrc da auci. ccch'siastiqucs, XIX, 633, nonché Tiraboschi, Storia della ìdlcrat. Hai., Milano, Bettoni, 1833, I, 478.

(2) Cf. Attonis Opera, ed. cit., Libellus de pressuris ecclesiaslicis, pp. 322-352.

(3) Cf. più particolarmente ciò che egli dice nella parte seconda del suo trattato De ordiuatiouihus episcoponwi, p. 359, a proposito della ignoranza dell'alto clero al suo tempo. « Et qui adhuc nec ipsa rudimenta humanae « naturae suffecerint discere, hos ad magisterium elevare non formidant iu- « dicesque constituunt animarum, qui adhuc quid anima sit intelligere penitus « nequeunt. et qui doccre populum instanter debuerant de divinis, doceri « de saecularibus et etiam vilibus, praeceptorum verberibus incipiunt. et qui « vereri ab omnibus debuerant, ipsos etiam scholasticos timent »,

134

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Di tutt' altra natura è l'antico testo delle Fitac pontificum, che ha dato motivo alle nostre indagini. Ma in quanto esso sorge a difesa delle prerogative della metropolitana milanese mano- messe, come vedremo, per cause politiche, dall'audacia di un prelato straniero, arbitro per alcun tempo dei destini d' Italia, rientra nel novero delle scritture polemiche, di cui il trattato di Attone è uno dei pochi saggi che ci sono rimasti, e in quanto tende a contrapporre la storia della Chiesa milanese all'aposto- Hca romana, è un prezioso documento di quella decomposizione gerarchica e disciplinare a cui nel secolo x contribuirono la pre- valenza del sistema feudale e la decadenza morale del pontificato.

VII.

Tra le personalità più caratteristiche dell'alto clero lombardo a mezzo il secolo x ci si fa innanzi una forte tempra di sacer- dote e di soldato, l' audace arcivescovo e cancelliere di Beren- gario e di Ottone, il borgundo Manasse. Accaparratore abilis- simo di prebende e di benefici!, egli fu uno dei più destri e sfacciati violatori delle leggi canoniche. Arcivescovo d'Arles, Manasse governò ad un tempo le Chiese di Verona, di Man- tova, di Treviso, e finalmente si assise sulla cattedra di s. Am- brogio. È a deplorarsi che sulle origini di lui, che per ben due volte dispose a suo talento della corona ferrea, creò e disfece a suo talento principi e re, come un antico patrizio barbaro, non ci restino che confuse memorie.

Sulla fede del Fiamma si è ripetuto erroneamente ch'egli fosse fratello di Ugo di Provenza e quindi figlio di Teobaldo conte di Provenza e di Berta. Ma la notizia fu già chiarita falsa da Giorgio Giulini. Questi dimostrò come di Manasse ar- civescovo di Arles si sia fatta una sola persona con un Teobaldo fratello appunto di Ugo re d'Italia, che questi volle consacrato tra gU ordinari della metropolitana per aprirgli la via al possesso di quella Chiesa. Tuttavia non si esclude che Manasse non fosse parente, probabilmente nipote, di Ugo re d' Italia e che la

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fortuna sua non s' iniziasse se non dopo la sconfitta che il duca di Baviera Arnoldo pati dall'armi del re borgognone. Infatti sap- piamo che a sollecitare Arnoldo alla spedizione contro Ugo erano concorsi i vescovi di Mantova, di Verona, di Trento, e lo stesso marchese di Trento, onde la spogliazione dei tre prelati e il conferimento simultaneo delle tre nuove dignità all'arcivescovo di Arles (935) ^'\ Come la potenza di Ugo di Provenza decli- nasse in Italia è ben noto : le fallite spedizioni contro Alberico, che gli si mantenne avverso anche dopo aver impalmata Alda sua figlia, la concessione fatta del marchesato di Toscana prima a Bosone suo fratello, più tardi a Uberto suo figho naturale, la protezione accordata ai soprusi e alle violenze di ^Manasse, la im- potenza dimostrata nella difesa della penisola devastata orribil- mente dagli Ungheri nel 945, finalmente le male arti messe in opera per fiivorire il giovine suo fratello Teobaldo, tentando afiìret- tare la morte all'arcivescovo di Milano Arderico, scossero nei signori feudali ogni fiducia riposta nel re straniero, e incoraggia- rono Berengario marchese d' Ivrea a tentare un colpo di mano ^^\ Berengario se bene parente di Ugo, come genero di Bosone fra- tello di lui, non si era potuto salvare da gravi sospetti ; e per sfuggire alle minacele del re, viveva in volontario esilio alla corte di Ermanno duca di Svevia. Fu che le notizie giuntegH dal- l' Italia stimolarono in lui il sentimento della vendetta, e gli aprirono 1' animo a nuove speranze. Che i rapidi successi della sua prudente politica sieno per gran parte dovuti ad un se- greto complotto dei vescovi lombardi in suo favore, fuori d'ogni dubbio; ma giova fin d'ora esaminare quanto vi abbiano partecipato direttamente Manasse e l'arcivescovo di Milano Ar- derico.

(i) Giulivi, op. cit. II, 186. La vittoria di Ugo ebbe per effetto la prima spogliazione del vescovo di Verona Raterio. « Fatto prendere il ve- « scovo Raterio, Ugo lo confinò in una prigione di Pavia, dove ebbe tempo (c di poter descrivere graziosamente i fatti della sua buona e rea fortuna ». Così il Muratori, Annali d'Italia, ad a. 934, Firenze, 1827, XIII, 178.

(2) Cf. W. GiESEBRECHT, Gcschichle dcr deutschen Kaiserieit, Braunschweig, 1860, I, 311 sgg.

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Il cronista Liutprando afferma che il marchese d' Ivrea inviò in Italia un suo rappresentante, un tal Amedeo, ma non dice precisamente dove egli si dirigesse, e con quali signori laici od ecclesiastici aprisse trattative ('). Ma non è poi tanto diffìcile r arguirlo, non ostante il silenzio dell'antico cronista. Le per- secuzioni e le insidie di cui Arderico era stato fatto segno, non compensate dalla generosa donazione dell' abbazia di Nonantola, con la quale il re d' Italia avea cercato placarlo (^\ giustificano a dismisura il favore e l'incoraggiamento che l'arcivescovo di Milano prestava ai nemici di Ugo. Che il centro di un'oppo- sizione violenta alla sovranità di lui fosse Milano, lo prova il fatto che le trame segrete contro Ugo sono opera dei suffiraganei della Chiesa milanese, onde la certezza che il messo Amedeo dirigesse appunto i suoi passi a Milano. D'altra parte Beren- gario poteva esser abbagliato dal seducente miraggio della co- rona italica, ma per il momento non pensò che alla rivendica- zione piena di tutti i suoi diritti feudah. Come duca di ^Milano a lui spettava il riacquisto di quel potere politico e giudiziario, che nella più popolosa città dell'alta Italia egli avrebbe potuto o esercitare direttamente o trasmettere ad altri. Ma è egli am- missibile che Berengario osasse intraprender la guerra senza una previa intelligenza con Arderico ? Riassumere la podestà ducale in Milano significava per Berengario divider con lui l'esercizio della podestà civile; solo da un accordo con Arderico sarebbe stata agevolata l'adesione di tutti i suffiraganei della metropoli- tana ad una più ardita impresa; la detronizzazione d'Ugo, e la conquista dell' ambita corona. L' appoggio di tutti o della mag- gior parte dei vescovi dipendenti da Milano si sarebbe risolto nella incondizionata sottomissione delle podestà ecclesiastiche della Lombardia e della Liguria, ciò che a quei tempi, in cui la giurisdizione civile nella città e nei contadi più prossimi ad essa

(i) Liutprando, che ha abbellito con vivaci colori la misteriosa mis- sione di Amedeo, lo chiama « apprime nobilem »; cf. lib. V, cap. 8 in ed. cit.

(2) Cf. GiULiNi, op. cit. II, 208. La notizia illustrata dal Giulini ci è data da .A.rnolfo.

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apparteneva ai vescovi, significava appunto il riconoscimento della nuova sovranità da parte degli ordini feudali e delle plebi cittadine. Ne meglio potrebbe esser confermata la ipotesi nostra che dalla notizia dell' itinerario seguito dal marchese d' Ivrea nel suo ritorno in Italia (^'). Narra Liutprando (^) che dalla Svevia Beren- gario penetrò nel marchesato di Trento per la valle Venosta. Il santissimo Manasse, come ironicamente lo chiama Raterio, tutto avea predisposto per sbarrargli la via. Vescovo di Trento oltre che di Verona, di Mantova e d'Arles, egli sapeva di aver in suo arbitrio le sorti d'Italia. All'avvicinarsi delle milizie di Beren- gario mandò ordine ad un suo devoto prelato, Adelardo, di con- trastare loro il passo dal castello di Formicaria che dominava la valle dell'Adige. Le masnade del marchese d'Ivrea si prepara- vano per forzare il passo a cinger d'assedio il castello, quando, per ingiunzione dello stesso duca, se ne sospesero le operazioni. Berengario recavasi in persona a parlamentare con Adelardo, e gh proponeva che fosse lasciato libero il transito alle sue genti, impegnandosi a procurare a Manasse 1' arcivescovato di Milano, e ad Adelardo stesso il vescovato di Como, non appena avesse con- seguita la sovranità regia, « post acceptam regni potestatem » (5). Manasse, che non desiderava di megUo, accettò i patti, o meglio simulò di accettarli, e inviò lettere ai più potenti signori italiani, stimolandoli ad abbandonare la causa di Ugo, e a dichiararsi per Berengario; quindi aggiunta la propria comitiva a quella del duca, h accompagnò con segni speciaU di onore sino a Verona (marzo 945). Ivi giunse a Berengario l'invito di recarsi a Mi- lano, ed egli aderendo al desiderio di Arderico, vi andò, lieto di riassumere a fianco dell'arcivescovo una dignità eh' era scala sicura al potere regio. Stava Ugo assediando il castello di Vi- gnola in un feudo di pertinenza del vescovo di Modena, Guidone,

(i) «(Quantunque Ugone tentasse in ogni modo di acchetare l'animo « dell'arcivescovo nostro Arderico giustamente adirato, non gli dovette ciò « riuscire molto bene, come si vedrà nei fatti che avvennero nel seguente « anno ». Cosi il Giulini, op. cit. II, 210.

(2) Loc. cit.

(3) Cf. Liutprando, op. cit. lib. V, cap 12.

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suo acerrimo nemico, quando gli giunse notizia dell'ingresso di Berengario in Milano. Corse egli a Pavia ^'^ già disperando di sé, e vi intimò la dieta ; ma la evidente condotta di Arderico, e la sospettata defezione di suo nipote Manasse non gli lascia- vano più alcun dubbio sulla prossima ruina della sua fortuna. Se non che Manasse giuocava a doppia partita, e già sospet- toso delle promesse incerte e problematiche di Berengario, te- neva in iscacco il vecchio protettore e il nuovo alleato. Lo provano luminosamente i fatti posteriori. Liutprando assegna ad un episodio a tutti notissimo un' importanza soverchia. Avreb- bero avuto secondo lui un salutare effetto sull'animo di Berengario e dei suoi partigiani le lacrime e gli scongiuri di Lotario figlio di Ugo. Prostrato innanzi agU altari il giovane principe, strin- gendo tra le mani il crocifisso, si sarebbe umiliato dinanzi al- l'avversario del padre suo, nella chiesa di S. Ambrogio, e lo avrebbe commosso con le preghiere e con le lacrime. Noi non mettiamo in dubbio la verità del racconto, tanto più che consimili scene ben si conf:uino al viver forte e passionato dell'età feudale; forse poteva rimanere infruttuoso il ricordo che tra i singulti deve aver fatto in quella occasione Lotario di un recente bene- ficio ch'egli stesso avea reso a Berengario ; ma chi potrà negare che arbitri della situazione non fossero allora, più di lui, Arderico e Manasse, e tra essi il più audace ? Manasse comprese d' aver buon giuoco imponendo in quel momento a Berengario il ri- spetto al diritto di Ugo e del figUo, divenuto affatto formale, fino all'adempimento solenne della promessa (^). La corona ita- lica rimaneva all'arbitrio dell'arcivescovo di Milano e del suo presunto successore, ed entrambi s' accordarono a mantenerla an- cora sul capo dei principi ai quali erano astretti da giuramento. Dicesi che a imbrighar 1' ambizione di Berengario fossero mossi anche dal timore che Ugo fuggisse in Provenza, asportando le immense ricchezze ch'erano in suo potere. La cosa è probabile, ma se noi consideriamo che i rapidi successi di Berengario deriva-

(i) Cf. Liutprando, op. cit. lib. V, cap. 13.

(2) Cf. GlESEBRECHT, Op. cit. I, 315.

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vano per gran parte dalla coalizione delle più ricche chiese lom- barde, ci sembra che la condotta di Arderico e di Manasse debba avere una più vaUda giustificazione. Se si temeva che il tesoro trafugato potesse servire ad Ugo per una spedizione armata dalla Provenza, il pericolo non era ne imminente, insuperabile.

Se non che Ugo di Provenza, com'è noto, non si piegò alla parte umiHante, cui lo condannava la cupidigia di un prete faci- noroso. Spogliato Uberto suo figUo della marca di Spoleto e di Camerino per favorir Bonifazio ('), celebratesi le nozze di Lotario con Adelaide figlia di Rodolfo II dell'alta Borgogna, rinunziò spartanamente al fasto sovrano di cui per irrisione non era stato spogHato da' suoi nemici e si ritirò in Provenza. Manasse ottenne, associati nel regno Lotario e Berengario, ogni più ampio favore. Morto Arderico, ebbe finalmente l'arcivescovato di Milano, e con Attone, vescovo di Vercelli, il grado di consigliere alla corte di Berengario <^^).

Non è nostro proposito, ad illustrazione di un testo che poco o nulla giova a mettere in chiaro la storia poHtica di quest'età, seguire ordinatamente le vicende dei regni di Lotario e di Be- rengario II, ma solo metter meglio in luce le condizioni partico- lari della società feudale in Lombardia, nel momento in cui Manasse ottenne il compenso del tradimento. Assolutamente errata è l'opi- nione che la lotta tra i vari ordini della feudalità, cui corrisponde un contrasto tra l'alto e il basso clero, sia un fatto senza prece-

(i) Cf. Chroii. Farfense in Rei: It. Script, par. II, voi. II, e Muratori, Annali d'Italia, ed. cit. p. 229, ad a. 946.

(2) La morte di Arderico avvenne il 13 ottobre 948, come concordemente asseriscono i vari cataloghi: « Ardericus sedit ann. xii. mens. 11. ob. iii. id. « octob. sepultus est in ecclesia Apostolorum intra capellam sancti Lini pa- ce pae ». Così il più antico; cf. I. Mabillox, Muscum Italicum, Lutetiae Paris. 1724, I, 212. Cf. anche Giulini, op. cit. II, 221 sgg. Che Manasse e Attone vescovo di Vercelli ottenessero il grado di consiglieri dei re Be- rengario e Lotario apparisce da un diploma di Lotario del 31 maggio del 950 fatto conoscere dall' Ughelli e dal Ratti. In esso Lotario dice : « Ma- « nasses venerabilis archiepiscopus, noster etiam consanguineus, atque Atto « eo-regius praesul, reverendissimi consciliarii nostri, pietatis nostrae celsitu- « dinem petierunt ». Cf. Giulini, op. cit. II, 239.

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denti dell'età di Eriberto e di Corrado II il Salico. Come preci- samente la grande riforma disciplinare, che restaurando la perico- lante unità della Chiesa, e contenendo in più giusti limiti il potere vescovile, è di lunga mano preparata nel secolo x, cosi pure quel moto ascendente della minore feudalità, che tanto concorse allo sviluppo del comune medioevale, trae le sue origini dalle lotte interne ecclesiastiche del secolo x. Tra i predecessori della ri- forma Ildebrandea grandeggiano, com'è noto, il querulo vescovo di Verona Raterio, e Attone vescovo di Vercelli. Le tendenze innovatrici delle loro dottrine disciplinari si manifestano appunto nell'età in cui per la prima volta si affilano le armi tra i « ma- « iores mihtes » ed i «minores». Il campo dove la lotta meglio si accentua e si esplica è pur sempre Milano. Ivi, dopo il con- ferimento dell'arcivescovado a Manasse, si manifestò una salu- tare reazione contro l'arbitrio regio violatore d'antiche consuetu- dini, traenti efficacia da una tradizione, che il naturale sviluppo della città e l' incremento della potenza feudale del metropolita tenevano desta ed esageravano. Meno audacemente si contrap- pose a Roma Eriberto di quello che non abbia osato un vescovo liberamente eletto dal clero e dal popolo di Milano un secolo innanzi. La scelta di Manasse ad arcivescovo avea dato origine ad un grave dissidio in seno alla Chiesa ambrosiana; alcuni ecclesiastici, legati a lui da vincoli personali o d'interessi, o solo perchè ossequenti alla volontà regia, lo riconobbero per loro le- gittimo pastore; altri, e furono i più, seguiti da tutto il popolo milanese, gli contrapposero un proprio concittadino, Adelmanno de' Menclozi. Costui, eletto regolarmente a clero e a popolo, difese energicamente il minacciato diritto, e non è dubbio che spalleggiato dalla plebe e dai « milites minores », non abbia, te- nendo testa al suo avversario, governata la Chiesa e la città di Milano per ben cinque anni, cioè dal 94^ al 951. Della lotta sostenuta da Adelmanno contro Manasse è testimone esplicito Arnolfo: « Manasses et Adelmannus simul quinque fuerunt annos « non in cathedra sed in arcu et pharetra » ^^\

(i) Così nel catalogo che egli premise all'opera sua.

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Se non che questa testimonianza parrebbe contraddetta da un luogo della Galvagnana del Fiamma; e vale da vero la pena di togliere ogni antinomia tra le due attestazioni, perché Galvano molto probabilmente ci rappresenta uno scrittore degno di stare a fronte al cronista Landolfo. Or bene, che cosa afferma Gal- vano ? Egli dice che Manasse e Adelmanno si divisero le immense ricchezze della Chiesa milanese ^■). Ciò fa supporre che il periodo dei litigi e degli attriti cessasse una buona volta per dar luogo ad una composizione tra le due parti. Ma mi permetto, contro l'autorità del Giulini, di osservare in proposito che si tratta di un conflitto di poteri, i quali escludono per la natura loro la possi- bilità di un accordo e di una divisione, e che la notizia riferitaci dal Fiamma non è che una breve ampliazione di un passo di dubbia interpretazione dell'antico catalogo dei vescovi milanesi con- servatoci in un manoscritto Ambrosiano, pubblicato dal Mabillon e dal Muratori, e di un luogo di Arnolfo. In quel catalogo, che nella sua prima redazione è certamente anteriore al 1024, trovasi scritto cosi: « Manasses et Adelmannus inter se diviserunt » '^^). Anzitutto osservo che « divisio » non ha qui il significato mate- riale di divisione ; e se anche, ciò che non mi pare, l'anonimo

(i) « Lotharius imperator (?) Manasem fratrem suum cardinalem Eccle- « siae Mediolanensis de archiepiscopatu investivit per baculum et anulum, sed « nunquam fuit consecratus. quia cives de Mediolano elligerunt quendam « alium cardinalem, nobilem civem de Mediolano, qui dictus est Ademarus « de Mencloziis, qui etiam nunquam fuit consecratus. isti duo ellecti, ut dicit « cronica Arnulfi, licet non essent consecrati, nec essent archiepiscopi veri, « introytus archiepiscopatus diviserunt. et quaecumque pretiosa quibus Ec- ce clexia Mediolanensis super omnes Ecclexias mundi incomparabiliter afflue- « bant {sic), prò suo libitu destruxerant ». Cf. Gaìvujnaua, ms. cit. e. 56 a.

(2) Cf. Mabillon, op. cit. I, 112. Che la prima redazione del catalogo dei pontefici edito dal Mabillon, e ristampato dal Muratori e dal Pertz, sia anteriore al 1024, apparisce, oltre che dall'antichità del codice che ce lo ha conservato, da un'epistola di Paolo e Gerberto di Bernried monaci di Rati- sbona al presbitero Martino custode del tesoro di S. Ambrogio, nella quale essi lo richiedono, tra gli altri libri, del catalogo degh arcivescovi: « Insuper et « cathalogum, quem mihi Paulo promisisti Mediolanensium episcoporum sub- « iungas, » &c. ; cf. Mabillon, op. cit. I, 95. La lettera è appunto del 1024.

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compilatore del catalogo avesse veramente inteso riferirsi a una partizione dei beni della Chiesa ambrosiana, questa non può già esser stata il risultato di un patto formale tra i due contendenti; bensì una naturale conseguenza dello scisma religioso, che divise in due campi la feudalità, ed eccitò i « minores milites » contro i « maiores » '^^\ Il favore che per lungo tempo mantenne in seggio Adelmanno, ci fa credere che per lo meno i vassalli del Seprio, della Martesana, della Bulgaria gli rimanessero fedeli. Del resto non intendiamo determinare in quaU limiti si sia esercitata la giu- risdizione di Adelmanno. Ciò riesce a noi troppo disagevole per deficienza di dati positivi. È però fuori di dubbio che nei cinque anni che corsero dalla sua elezione Milano gli rimase ossequente e soggetta, mentre è presumibile che il potente Manasse di- sponesse a suo talento delle maggiori ricchezze della Chiesa ambro- siana, e che a lui prestassero obbedienza, se non tutti, la maggior parte dei suffraganei della Chiesa milanese '^^\ Non si saprebbe altrimenti comprendere come Adelmanno abbia fondato la chiesa di S. Giorgio al Pozzo in Milano, che certamente sorse fra il 947 e il 950. Ad essa Adelmanno legò con testamento, che fu noto

(i) Il passo di Arnolfo citato dal Fiamma è il seguente: « Ille ex factione « regis, scilicet Burgundiae, hicex factione plebis et [cleri] de Mediolanoqiiin- « quennio contra se invicem pertinaciter altercati sunt, factis partibus ex alte- « nitro )). Cf. Arnulphi Hist. Mediol. in Mon. Gemi. hist. ed. Pertz, Vili, lib. I, cap. 4. È evidente che Galvano fraintese tanto le espressioni del cata- logo, come quelle di Arnolfo, e specialmente il « factis partibus ex alterutro », con che non s'indica già a una partizione di beni e di ricchezze, ma aduna scissura faziosa.

(2) Il Giulini lo rileva dall'avere Manasse partecipato alla dieta e con- cilio di Augusta del 952 come arcivescovo di Milano. Indirettamente anche i pontefici lo riconobbero come legittimo nella serie degli arcivescovi. Ci resta infatti una bolla a favore di Oberto metropolitano di Milano di papa Alessandro III, nella quale si confermano a lui i diritti sulla zecca milanese, donata da Lotario re d' Italia al beato Ambrogio, cioè all'arcivescovo Ma- nasse di pia ricordanza: « beato Ambrosio, et piae recordationis Manassi « antecessori tuo ». Cf. Giulini, op. cit. II, 228, e Sormani, De analhem. cotilra Gallos, Mediolani, 1740, cap. xii, p. 232. Oggi gli scrittori cattolici lo considerano tuttavia come intruso. Cf P. BoNiF. Gams, Series cpiscopomm Ecclesiae caiholicae, Ratisbonae, 1873, p. 796.

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al Torre, un diritto di giuspatronato, che a lungo godette la fa- miglia de' Menclozi e che dal nome del fondatore si disse 1' « adcl- « mannia » de' Menclozi (^\ L'atto testamentario ci offre forse il modo di precisare qualche cosa di più intorno all'estensione della giurisdizione episcopale effettiva di Adelmanno. I beni ch'egli legava per donazione alla chiesa di recente fondata trovavansi nel territorio della Chiara d'Adda. Se dunque si tratta di possedi- menti feudali appartenenti alla metropolitana, com'è più probabile, e non già di beni allodiali de' Menclozi, è presumibile che per lo meno il vescovo di Cremona, nella cui diocesi si trovavano i detti beni, avesse riconosciuto come legittimo l'arcivescovo Adelmanno. Ma lo scisma della Chiesa milanese concorse indirettamente a fomentare anche quel primo moto degli ordini feudali infe- riori e delle plebi lombarde per il quale si affrettò la restaurazione dell'impero sulle rovine del regno italico indipendente. La fine miseranda di Lotario, la tirannide pubbhca e privata di re Be- rengario e di Adalberto suo figlio ruppero definitivamente gli stretti legami di quella coalizione da cui era stato sopraffatto Ugo di Provenza. Non le lacrime della vedova di Lotario, Adelaide, non le proteste dei partigiani di lei potevano indurre Ottone I all' impresa d' Italia. Perchè essa si effettuasse era necessario che in suo favore, come «jià ner Berengario, si costituisse una nuova coalizione tra i grandi prelati di Lombardia. Lente e laboriose furono le pratiche della sua formazione, e conseguentemente lenta ed aspra fu l'opera del principe sassone per l'acquisto della sovranità italiana. Il partito d'opposizione a Berengario trova il suo naturale centro in Milano, dove i diritti di Adelmanno sono disconosciuti e offesi dal fedifrago consigliere regio Manasse. Con Adelmanno stanno pronti a combattere i « milites minores » e la plebe. Fanno causa comune con Adelmanno, quantunque forse accettino come legittimo metropolita Manasse, Azzo vescovo di Reggio, l'ospite generoso della perseguitata Adelaide, e il fiero Waldone, vescovo di Como. Resistono a questa corrente, che

(i) Cf. C. Torre, Ritratto di Milano, Milano, 1714, p. 335; Giulini, op. cit. p. 270 sgg.

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minaccia di divenire sempre più impetuosa, Manasse superbo e geloso del grado di consigliere, avido più che mai di dominio e desideroso di soverchiare Adelmanno e di assumere finalmente il governo di Milano e della sua Chiesa, Attone vescovo di Vercelli che pur condannando la tirannide del suo signore rimane estraneo agli intrighi dei suoi confratelli, e teme nelle sollevazioni dei minori vassalli contro i maggiori un sovvertimento pericoloso. Ed eccoci così ad un nuovo atto della commedia, cui il pro- tagonista è pur sempre Manasse. I pericoli che lo minacciano sono infatti gravissimi; la concessione dell'arcivescovado di Mi- lano non era stata ratificata per lui, per il suo avversario dal privilegio della consacrazione ; men male per Adelmanno che ostentava di non averne bisogno ^^\ ma per lui diminuivano ogni giorno più le speranze che il papa convahdasse la sua usurpa- zione. Nel pianto di Adelaide Ottone ascoltava volentieri la voce di tutto un popolo oppresso dalla duplice tirannide regia ed eccle- siastica, la minore feudahtà insorgeva dovunque contro i feudatari maggiori. Manasse calcolò e misurò ponderatamente la minaccia dell' invasione straniera, e come già altra volta contro Berengario, si preparò a resistere. Toccava al santo vescovo di Vercelli, che pur tanto coraggiosamente caldeggiò nei suoi scritti un più tem- perato esercizio del potere vescovile, divenire uno degli strumenti della sua politica. Waldone vescovo di Como lo avea incorag- giato ad abbandonare le parti di Berengario e Adalberto, fors'anche

(i) Nei Regesti pontifici è costante il ricordo dei privilegi inviati agli arcivescovi di Milano per la consacrazione. Nel marzo, ad esempio, del 951 Giovanni XI invia a Ilduino arcivescovo di Milano « privilegium cum ar- te chiepiscopali pallio ». Cf. Jaffé-Loewenfeld, Regesta pontif., Lipsia, Weit, 1885, p. 454. Sono anche frequenti gli atti di deposizione e di sco- munica, specialmente nel secolo x, di vescovi eletti irregolarmente e consa- crati senza il privilegio pontificio. « Anno 947. Leonem Triventinum et « Benedictuni Termulensem episcopos simoniace electos, et centra privilegium « lohannis XI epìscopi Beneventani, irrationabiliter a se consecratos . . ., ex- « communicat, muncribusque orbat ». Cf. ReÉ;esta cit. p. 460. Per le formule usate nelle lettere pontificie, che accompagnavano l' invio del pallio cf. Liber diurnus Rowanoruin poìitificum, ex unico codice ì'aticano deiiuo cdidit Th. E. Ab. Sickel, Vindobonae, 1889, p. 32

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lo avea impietosito, narrandogli gli strazi e le persecuzioni sof- ferte da Adelaide in Como quando gli sgherri del re la arrestarono per trascinarla a Pavia <^'); ma il mite vescovo non si commuove, si sente imperiosamente obbligato ad un giuramento e tutto sa- crifica ai doveri che gli impone il grado, fors'anche teme l' ira e le minacele dello stesso Manasse. Come infatti risponde a Waldone ?

Non leve estregalem impugnare maicstateni, etsi iniusta in aliquo videatur. Dei enim ordinatio est. Dei est dispensatio. profanum est cnim violare quod Deus ordinat. ait enim Dominus per Moysen : principem populi tui ne male- dicas . . . unde, domine mi, tanta vestro cordi subripere potuit tcmeritas? undc tam exquiri potuit occasio? unde vestra mens tam cito potuit concitari, ut sacerdotalis imraemores reverentiae ex improviso a vestro disccderetis seniore, vestrisque benevolis confratribus, et gratis in ipsos insurgere non veremini? . .. secundi quoque ordinis milites ita nos admonerc oportet, ut divina iugiter mandata custodiant, suique regis fidelitatem, quam iurando promiserant, in- violabilem teneant, et suae legis transgressores nullo modo efficiantur &c. (*)

E poiché egli stesso riconosce di non poter difendere la con- dotta dei due re, vuol persuadere il confratello che anche ai prin- cipi malvagi devesi rispetto e obbedienza, e che è improvvido

eccitare alla ribellione i vassalli minori,

quia donec regibus repugnari nequeunt Paganis undique opprimuntur et fini- timis gentibus adeo conculcantur (3).

Ma il fermento nella feudalità e nel popolo milanese cresce di giorno in giorno, i partigiani di Adelaide e Adelmanno si risol- vono finalmente ad invocare la protezione del re sassone. Presso di lui si fa interprete del malcontento degli Italiani il vescovo di Verona, Raterio. Cacciato di seggio ancora una volta, il dotto prelato chiede giustizia anche per sé, e vuole che il conte Milone gli restituisca il mal tolto, e che il governo della Chiesa di Verona ritorni a lui, e non rimanga più a lungo affidato ad un nipote di Milone, un fanciullo che appena sa l'alfabeto e teme ancora la

(1) Non ci resta di Waldone ad Attone alcuna lettera, ma è presumi- bile che l'epistola xii di Attone (cf Opera cit. p. 3 1 >) risponda ad una e forse piij lettere di lui.

(2) Cf. Attonis Opera, ed. cit. pp. 515-320.

(3) Cf. Attonis Opera, loc. cit.

IO

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ferula del pedagogo ("). Il re sassone che nella tradizione caro- lingia vede tracciata la linea della sua condotta, e medita una più audace affermazione del diritto della corona germanica sull'Italia, ascolta di buon grado le proteste dei vescovi italiani, della feuda- lità, del popolo e per prepararsi la via all'impresa, invia il proprio figlio Liudolfo al di delle x^lpi ^^\ Discende questi per il san Gottardo, e da Como, dove Waldone lo attende, si reca frettoloso a Milano, e vi è accolto festosamente da Adelmanno, dal clero, dai minori vassalli

clarum referens sìne marte triumphum (3).

Ma la maggior parte delle minori città di Lombardia devote an- cora a Berengario e Adalberto e parziali per Manasse, all'annunzio che Liudolfo sta per avvicinarsi, si armano, gli chiudono le porte in faccia (4). Enrico di Baviera ha fatta sua la difesa del tiranno italiano, e in odio al fratello Ottone e a Liudolfo, anima alla re- sistenza l'episcopato lombardo. Che cosa potrà riferire Liudolfo al padre suo ? La conquista d' Italia non esser poi tanto agevole come a primo aspetto sembrava, non potersi iniziare senza un forte esercito, e previa intelligenza col maggior numero dei vescovi lom- bardi e con l'alta feudaUtà itahana.

Ed ecco cosi, contro le speranze dei Milanesi, divenuto ancora una volta arbitro della situazione l'arcivescovo di Arles. Che Ot-

(i) Cf. Ratherii Opera, ed. cit. epist. v, p. 538 sgg., e Jaffé-Loe- WENFELD, op. cit. p. 461. A proposito delle frequenti consacrazioni a ve- scovi di fanciulli inesperti, cf. Attonis Opera, ed. cit., Lihellus de pressuris ec- clesiasticis , par. II, p. 357.

(2) Cf. W. GlESEBRECHT, Op. cit. I, 381.

(3) Uroswitha, De gestis Oddonis in Mon. Gemi, bist., Hannoverae, 1841, IV, 33,.

(4) Cf. Continuator Rheginonis ad a. 951 in Mon. Gertn. bist., Hannove- rae, 1826, I, 621, e Annalista Saxo, ed. Waitz in Mon. Genn. bist. VI, 607: « nec civitas, nec castellum, que subsequenter regis pistoribus et cocis pa- ce tuerant, (ìlio regis aperiuntur ». Tenendo conto delle divisioni provo- cate in Lombardia dalla rivalità tra Adelmanno e Manasse s'intende benissimo la contraddizione che tra l'attestazione di Hroswita e l'annalista sassone nota- rono il Muratori, Annaìes, XIII, 252, e il Giulini, op. cit. II, 238.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS « 147

tone prima di muovere dalla Germania, sia venuto a patti con Manasse, come già prima con lui avea fatto Berengario, nessun cronista, nostro o tedesco, lo afferma esplicitamente. Ma i fatti parlano chiaro. Quando nell'ottobre del 951 il re sassone con buon nerbo di truppe si affacciò alle Alpi, Manasse corse nel mar- chesato di Trento ad accoglierlo. Come già a Berengario, così a lui lasciò libero il passo per la valle dell'Adige, e lo accompagnò a Verona <^'). E evidente che Ottone sacrificava a più alti interessi dinastici le cause di Adelmanno e dei Milanesi, e che Manasse ri- tentava a proprio profitto l'antico giuoco. Tuttavia non e fuor di luogo il supporre che Manasse sperasse di ottenere da papa Giovanni XII il privilegio della consacrazione, o, ciò che è più probabile. Ottone stesso si sia deciso ad abbandonare Adelmanno e il clero milanese, perchè li sapeva fautori di un'autonomia ecclesiastica, che il futuro re e imperatore giudicava pericolosa, e fors'anche, non ostante i documenti che se ne adducevano, repu- tava insussistente.

A Manasse il doppio giuoco questa volta non riuscì; le nozze di Ottone con Adelaide celebratesi in Parma provocarono con altre cause la ribellione di Liudolfo al padre, onde la necessità per Ottone di trattare con Berengario e Adalberto, cedendo loro la sovranità d'Italia a titolo feudale (^). Partito Ottone, ripresero il sopravvento i due re Berengario e Adalberto e animati da un sen- timento indomabile di vendetta infierirono tanto più accanita- mente contro i loro nemici, quanto maggiore era stata la umilia- zione cui essi li aveano condannati. Tra le prime vittime oltre il vescovo di Reggio, Azzo, il protettore di Adelaide, assediato per ben tre anni in Canossa, noi ritroviamo appunto Adelmanno e

(i) Quando Ottone giunse in Verona vi trovò vescovo già consacrato Milone, nipote del conte Milone, e non osò deporlo. Ottimamente osserva a questo proposito il P. Ballerini, editore delle opere di Raterio: « Otto « qui imperatoris dignitatem a summo pontifice obtinere peroptabat, nihil « contra Milonem episcopum ausus, spem omnem Ratherii irritam reddidit. « Is itaque tum apostolicae auctoritati, tum regiae maiestati cedens, Italiani « deserere compulsus est ». Cf. Ratherii Opera, ed. cit. p. Lxxii.

(2) Cf. GlESEBRECHT, Op. cit. I, 387.

L. A. FERRAI

Manasse, ambedue simultaneamente deposti e privati del grado ch'era stato oggetto di così lunga tenzone. La cattedra fu con- ferita a Gualberto <''\ che eletto canonicamente ottenne senza dif- ficoltà alcuna il privilegio della consacrazione. A Manasse non rimase che un titolo, quello di cancelliere di Ottone ; la morte gli concedette di godere i benefizi che eg'i si riprometteva dalla restaurazione regia e imperiale del principe sansone <^^).

Vili.

Cosi ebbe fine lo scisma di Milano, a cui i fatti della storia ge- nerale d'ItaHa dal 947 al 953 si riconnetton assai più intimamente di quello che il Muratori, il Giulini, il Leo, il Giesebrecht non abbiano riconosciuto: ne noi avremmo deliberatamente insi- stito tanto sull'argomento, se esso non ci avesse giovato a lumeg- giare meglio i rapporti tra l'episcopato lombardo, Berengario II ed Ottone, e a determinare con maggior precisione lo spirito di quella società milanese, di cui crediamo ci sia giunto un monu-

(i) Arnolfo, ed. cit. voi. Vili, lib. I, cap. iv, accenna ai danni ciie de- rivarono alla Chiesa milanese dalla lunga lotta dei due vescovi: « quorum •( execrabili iurgio iacturam praegrandem sustinuit Ecclesia, praecipue in « thesauris et cymiliis omnibus, quibus inconiparabiliter affluebat ». Evi- dentemente il cronista intende parlare dello sperpero che dei tesori e dei cimelii della Chiesa milanese fece appunto Adelmanno, per resistere al- l'avversario che disponeva della maggior parte delle rendite della metropo- litana. Aggiunge di più che Gualperto seppe trarre il maggior vantaggio dal dissidio, interponendosi tra Manasse e Adelmanno: « Inter hos fluctus « natabat caute Walpertus, contrahens suo lateri quasi undas consilii, usque « adeo, ut utrisque sponte vel invito cedentibus, sedem teneret ipse solus » ; Ice. cit.

(2) Dell'arcicancellierato (o arcicappellania) di Manasse si hanno due documenti nei diplomi imperiali del io ottobre 951 e del 15 febbraio 952; cf. SicKHL, Monummta-Ausgahi, i;8, 145 cit. da H. Bresslau, op. cit. I, 321. Però è sfuggito al Bresslau che gli editori italiani sull'autenticità del primo di essi in MoH. hist. pattine iiissii Caroli Alberti (cod. dipi. Lon^^.), Torino, 1862, mossero gravissimi dubbi.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 149

mento prezioso nel testo, che il Biraghi identificò con gli Annali di Dazio, ed il Muratori appellò De situ urbis Sic. Noi crediamo appunto che questo testo, o meglio le Fitae pontificmn potessero sorgere in servigio della causa di Adelmanno, e precisamente nel momento in cui, con la speranza che Ottone ne avrebbe as- sunta la difesa, se ne annunziava prossima la venuta tra noi. Che se la storia primitiva della Chiesa milanese vi è artificiosa- mente alterata e amplificata, ciò avviene in servigio di un in- tendimento poHtico. Bisognava che l'autonomia di Milano da Roma poggiasse su di una tradizione sicura, e Adelmanno volle contrapporre alle File di s. Damaso, le biografie dei proprii pre- decessori, sperando in Ottone un potente ausiliario di fironte al pontefice Agapito II che gli contestava il privilegio della con- sacrazione. Ma egli aveva fidato troppo nelle sue forze ; quando nel 951 Ottone calò per la prima volta in Italia, la maggior parte dei vescovi lombardi rifuggirono di seguire Adelmanno sulla via pericolosa nella quale si era incamminato; tra gli altri se ne ritrasse Attone di Vercelli, non ostante le molte aderenze sue col clero milanese. Ma la baldanza di Adelmanno, che di poco meno d'un secolo precorse Eriberto, è in gran parte giu- stificata dagli incoraggiamenti di tutto un popolo, dalle esorta- zioni della minore feudalità (■).

(i) Della potenza esercitata da Adelmanno in Milano è bel documento l'epitafio che fu ritrovato tra i manoscritti di Francesco Castelli, e che fece conoscere il conte Giulini :

HIC TVMVLATVR ADALMANNVS PRAESVLQUE BEATVS

CLARIOR IN TANTA Q.VI FVIT VRBE POTENS

HVIVS ORIGO FVIT CELSO DE SANGVINE DVCTA

PAVPERIBVS LARGVS EXTITIT ATQ.VE PIVS

HVC GRESSVM REFERENS MODICVM TU SISTE VIATOR

Die lAMVLO REQ.VIEM CRIMINA PELLE DEVS

OBIIT AVTEM ANNO INCARNATIONIS DOMINICAE .CMLVI.

MENSE DECEMBRIS INDICTIONE DECIMA Q.VINTA

cioè nel dicembre dell'anno 956 in cui appunto correva la xv indizione. Cf. Giulini, op. cit. II, 269.

L. A. FERRAI

Noi conveniamo perfettamente con lo Schupfer; le Fitae pontificum non sono opera fredda e scolorita, ma si animano di certo spirito democratico che potrebbe fiirle credere di un secolo più a noi vicine. Se non che quel carattere non contrasta af- fatto con le condizioni particolari della Chiesa milanese a mezzo il secolo X. Non sembrerà vana anche se tutta consjetturale la ricerca della persona a cui forse Adelmanno affidava l'opera in- signe, che avrebbe dovuto porgere un documento sicuro per fa- cilitare il compito dell'arbitrato di Ottone I. A me pare ch'essa si possa riconoscere in quel presbitero milanese Ambrogio, di cui ci rimane una lettera ad Attone, con la risposta del vescovo a lui. Dal contenuto dei due documenti, che si attribuiscono ap- punto agli anni dello scisma, si rileva come egli fosse oltre che dotto canonista, conoscitore esperto della storia delle Chiese orientali. Ambrogio infatti nella lettera sopracitata (') interrogava il vescovo di VerceUi sulla questione delle nozze tra coloro che sono astretti al vincolo della cognazione spirituale, e Attone nel dargli risposta lo interpellava su certi statuti di Chiese orientali vigenti in Milano riguardo al rituale della consacrazione arcive- scovile (^\ Curiosa informazione quest'ultima, che parrebbe oc- casionata dal dissidio stesso, che rapporto alla consacrazione era sorto in Milano dopo la libera elezione di Adelmanno. Comun- que sia, i due documenti provano l'altissima stima che il pre- sbitero Ambrogio godeva allora, e che gli era attestata da uno dei più illustri prelati di quell'età, il vescovo di Vercelli. A meriti così eccezionali non mancarono adeguati compensi ; noi sappiamo che il presbitero Ambrogio rimase in Milano anche dopo l'elezione di Gualberto (953), che nel 95^ eletto cancel- liere imperiale da Ottone T, rimase presso di lui sino al 970, nel

(i) Cf. Attonis Opera, ed. cit. p. 301 sgg.

(2) « Sinceram caritatem vestram humiliter exposcimus de epistola, quae

« in canonibus sive de statutis antiquis orientalium, quorum capitula

« centum dinumerantur. ex quibus primum apud vos in omni episcoporum « consecratione perquiritur, cuius ìnitium est: qui episcopus esse «debet, necesse est ut antea examinetur» &c. Attoxis Opera cit. p. 303.

IL «DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 151

quale anno passò al governo della chiesa di Bergamo ^'\ L'ele- zione a cancelliere di Ottone il Grande ci conforta nell'opinione che in giovinezza egli abbia potuto seguire le parti di Adelmanno e quindi che a lui, conoscitore della lingua greca e dotto nella patristica orientale in mezzo ad una societcà di clerici non del tutto digiuna di studi profani (^\ siano forse da attribuirsi le Fitae pontificum, opera tendenziosa di politica ecclesiastica, non affatto priva di merito letterario.

Villi.

Intorno alle fonti delle Vitae ponùficum riassumeremo breve- mente, dopo ciò che ne hanno scritto il Papebroch, il Muratori, e recentemente il Biraghi, lo Schupfer, il Braunsberger (^5), quanto a noi sembra definitivamente sicuro. È un errore che si è ripe- tuto con troppa insistenza anche di recente, che cioè gli elementi della leggenda dell'apostolo Barnaba si ritrovino oltre che nelle Recognitiones Clcmentinac, nell'opera attribuita a Simone Metafrasto intorno ai settanta discepoli. Recenti indagini intorno a detta compilazione ed al suo autore hanno posto in chiaro che esso è raffazzonamento di scritture più antiche, e che il compilatore scriveva sulla fine del secolo x, perchè Simone Metafrasto, e Si- mone logoteta e maestro, autore di una nota cronaca, sono una stessa e identica persona. Ora si sa che il cronista viveva

(i) Sulla identità del presbitero Ambrogio con l'Ambrogio cancelliere di Ottone I, a cui è diretta l'epistola xn di Raterio del luglio 968 cf. Ra- THERii Opera cit. p. 561, in nota. Intorno al cancellierato di Ambrogio mi- lanese cf. H. Bresslau, op. cit. I, 321.

(2) Cf. Ratherii Opera, epist. ni « ad Robertum archiepiscopum », col. 527. In questo luogo Raterio accenna ad alcune « quaestiunculae » let- terarie sulle quali i Milanesi lo avevano interrogato, e confessa di aver de- liberatamente abbandonato gli studi profani. Intorno alla cultura milanese dei secoli ix e x vedi oltre la nota Dissertazione Muratoriana F. Argelati, Biblioiheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani, 1745, I, p. xxvni.

(5) Cf. D'' Otto Braunsberger, Der Aposiel Baruabas, san Leben, und der ihni beigeUgte. Briej, luissenscbaftlicb gewùrdigt. Mainz, 1876.

IS2 L. A. FERRAI

appunto all'età dell'imperatore Niceforo Foca, e fioriva tra il 9^3-965 d. C. ^'^ L'opera dei settanta discepoli, considerata apocrifa dalla Chiesa, non contiene che un brevissimo accenno sulla venuta dell'apostolo Barnaba a Roma, e tale testimonianza è per noi così tarda da escludere senz'altro l' ipotesi che abbia giovato al presbitero Ambrogio, o a chi, per suggerimento di Adelmanno, dettò le Fitae pontijìcum.

Ben altro valore per la formazione della leggenda di s. Bar- naba acquistano per noi le Rccognitioìies Clenientinae. Sebbene apocrife per il loro contenuto, esse risalgono al terzo secolo di Cristo, anzi non sono posteriori al 216. Com'è noto, quest'opera ha carattere essenzialmente filosofico, ed è stata giustamente considerata un'imitazione dei Dialoghi di Platone, o meglio delle Diatribe di Giustino iMartire col pagano Trifone W. Libro di polemica, sorto in difesa del cristianesimo giudaizzante contro il gentilesimo di s. Paolo, è moho probabile fosse assai poco letta nel medio evo, inquanto appunto rappresentava un momento sto- rico transitorio, che non destava oramai se non scarso interesse. Le Recognitiones, scritte originariamente in greco, ebbero però tra- duzioni in siriaco (3) e in latino, e furono note più specialmente in Occidente perla versione che nel secolo ivne fece Rufino d'Aquileia. Le Recognitiones attestano la venuta e la predicazione di s. Barnaba

(i) Cf. Karl Krumbacher, Geschichte der hyiantinisch&n Litteratiir von Ju- stinianhis ■^im Ende des Ostrómischen Reiches {$2^-14}^), Mùnchen, 1891, in Handbuch der klassisch. Altertums- tVissenschaft, herausgegeben von d/ Iwan von MUELLER, p. 136 sgg.

(2) Sulla fede di Tertulliano (De pudicitia, cap. xx) molti attribuirono a s. Barnaba una epistola « ad Haebrcos », che per il suo contenuto appa- rirebbe scritta dall'Italia; ma s. Girolamo non solo nega che gli appartenga, ma considera quella scrittura come apocrifa: « Bapvocpag Kóupiog, ó xaL 'Icóayjcp « AeuiTYjs [istà IlauXou xwv èO-vwv àTtóatoXog xaTaata^S-eìg |i[av Tipòg oiy.o- « Sóiiyjv xric, 'ExxXvjotag sTrioxoXTjv ouvéTa^sv, ^xig sic, xàg àTróxpucpoog àvayivo)- « axexat ». Cf. Hieronimus, De viris illustribus, cap. vi, in Migne, Patrologia Ia- lina, II, 650. Quindi la pii^i antica notizia sul viaggio di s. Barnaba a Roma non può ricercarsi in una testimonianza anteriore alle Recogniliones Clcmcntiiiae (edite in Gallano, Maxima hihliolh. patrum, Lugduni, 1677, to. I).

(3) Una traduzione siriaca ne conserva l'Ambrosiana.

IL «DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 153

a Cipro, ad Alessandria, a Roma ; ma è notevole ch'esse tendono a contrapporre il presunto fondatore delia Chiesa di Milano al- l'apostolo delle genti. Ora di un tale contrasto, che pur tanto avrebbe giovato all'anonimo compilatore delle ritae pontilìciuìi, non si ritrova allusione od accenno, onde il dubbio che le Rc- coi^ìiitiones possano considerarsi, come vorrebbe il Biraghi, fonti dirette delle Vitac pontijiciun. A chi ben guardi, la leggenda di s. Barnaba non poteva pienamente svilupparsi che in Lombardia, e poiché le Fitae pontificutn ci rappresentano quasi definitivamente legittimata una tradizione orale, che deve essersi amplificata len- tamente, gli elementi primigenii di essa debbonsi piuttosto cer- care in opere schiettamente storico-religiose. Concordiamo per- fettamente col Papebroch e col Muratori che lo scrittore delle Fitae ponlifìciim non deve aver ignorato il Commentar'ms ecclesia- sticus de .Lxx. discipidis Doìnini dello pseudo Doroteo, opera originariamente scritta in latino, ma più nota in una redazione greca che si crede del vr secolo (525), e nella quale non solo è affermata la venuta di s. Barnaba a Roma, ma l'apostolato suo e la fondazione della Chiesa di Milano per opera sua <^'\ A questa fonte greca altra ne aggiunge il Biraghi, che certamente non ri- mase sconosciuta allo scrittore del x secolo, voglio dire l'encomio di s. Barnaba del monaco Alessandro di Cipro vissuto pure nel vi se- colo, il quale accennando alla venuta di s. Barnaba a Roma e alla sua predicazione in tanta parte del mondo, dava adito a supporre esteso l'apostolato del santo anche alla Lombardia e a Milano (^).

(i) Il testo greco fu pubblicato dal Du Gange in appendice al Chronicon Paschale sive Alexandrinuvi, Venezia, 1729; cf. SrrrPAMMA ErrAHSIASTI- KON X. X. X. p. 342 sgg. e Biraghi, op. cit. p. xxxix; il testo latino sotto il titolo Synopsis da ulta et morte, propbetartim &c. vedilo in Gallano, op. cit. III, 427 sgg.

Nel Commeiitarius ecclesiasticus (testo greco) il luogo che fa al caso nostro è il seguente: « Bapvapag, 6 [istà IlauXou 5iaxovi^aas, upòjxog sv T(i)[j.i[j xòv Xpi- « oxov èxvjpu^ev, sTtiaxoTxog MsStoXocvou jjisxéTceLxa fB'^owóyc, ». A proposito della Synopsis dello pseudo Doroteo cf. anche Puricelli, De ss. viarlyrihus Naiario et Celso ac Protasio et Gervasio &:c. liìstorica dissertatio, Mediolani, 1656, p. 6.

(2) Cf. in B a r n a b a e encomio, Actu sani tornili, 2 giugno, XI, 442, questo passo: « "ExeiO'Sv òuò xoù àylou Tcvéu|xaxog ó5r(Yoó|j.svoi; ègsXS-wv, io*

154

L. A. FERRAI

Ma certo se nel secolo x la leggenda avea preso così valida consistenza, essa già doveva essersi in precedenza arricchita di quegli elementi che invano si ricercano nelle fonti greche e la- tine dei primi secoli. Ora tali elementi si riscontrano appunto in due scritture molto più recenti, e di origine lombarda: cioè una iscrizione onoraria, conservataci dall'Alciato e dallo Scaligero, che il vescovo di Milano Mirocle avrebbe fatto incidere sotto una statua di Anatolio suo predecessore CO.

L'iscrizione presenta caratteri di non dubbia autenticità, ma certo essa non risale ne all'età di Mirocle al iv secolo, come vorrebbe il Biraghi. Essa fu incisa probabilmente nel piedistallo di una statua romana, che si credè rappresentasse il secondo ve- scovo della metropolitana, e l'errore di un'età più tarda, forse del IX o X secolo, rispetto al vero significato del simulacro, ha dato origine ad una iscrizione, confermando una leggenda orale che si era largamente diffusa. Di consimiU fritti si hanno infiniti esempi, e basterà ricordare che nella stessa Milano in una statua di antico oratore, che conservavasi nell'atrio di S. Ambrogio, la rozza plebe del secolo xi volle riconoscere la figura dell'arcive- scovo Adelmanno de' Menclozi, e la deturpò a capriccio dipingen- dola a doppio colore bianco e nero, coi colori cioè dello stemma di quella famiglia CO.

Il fatto avvenuto per Adelmanno in età relativamente tarda, spiega a sufficienza come fosse antico l'uso di ribattezzare con nuove attribuzioni i simulacri romani sopravvissuti nel medio evo tra le rovine delle terme di Massimiano, dell' anfiteatro o del circo; è improbabile che nel secolo ix e x esistesse una statua antica falsamente attribuita ad Anatolio, onde l'iscrizione sorta

« Si'^XS-sv è\)a.YfBX{.^óiizwoc, iene, nóXsig Tidoag y.aì x^'^P'^'S sto; xoù èXO-eìv aOiòv « eìj tìfjv iJLsyiotTjV 'Pé[xy]y, aOxòg yap rcpò Tiavcòg èxépou xwv loù Kupiou « [ia^a-vj-cfov sxY^pugsv èv Tc()|ji.t[j sùaxyéXXtov xoO Kpiaxoù ».

(i) Cf. in Biraghi, op. cit. p. xli ; Brauksberger, op. cit. p. 85, e De Rossi, Inscriptiones christianac, to. II, par. I, pp. 185-84. Nell'iscrizione incisa in pietra « iuxta imaginem s. Anathalonis episcopi» Anatolio è appunto detto « socius Barnabae ».

(2) Cf. GiULiNi, op. cit. II, 274 sgg.

IL « DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS »

unicamente dalla credenza popolare. Ne meno eflkace per la determinazione delle linee principali della leggenda parmi, oltre l'iscrizione e la statua, oggi perduta, una scrittura, pubblicata la prima volta da Bonino Mombrizio, e ristampata dal Papebroch di su un manoscritto del secolo x o ix sotto il titolo : Sermo legendus in natali s. Barnahac apostoli. In questo antico sermone, che il Papebroch crede del secolo viii ('\ oltre le notizie auten- tiche su s. Barnaba offerteci dagli Atti degli apostoli, ritrovasi già bella e intessuta la trama del leggendario racconto, che l'autore delle Vitae pontificmn farà suo, e amplificherà a suo talento. Ri- cercandone le fonti, senza entrare deliberatamente nell'aspra que- stione degli elementi storici che quel testo contiene, noi non in- tendiamo tuttavia di togliere allo scrittore del secolo x il merito, o la colpa, di aver faticosamente tentato di colmare, per un fine ten- denzioso che ci si rivela chiarissimo, una profonda lacuna nella storia ecclesiastica di Milano. Noi lo abbiamo già detto, il valore delle Fitac pontificum non va cercato nel contenuto narrativo che esse ci hanno serbato, ma nel carattere polemico, per cui esse si contrappongono alle Viìe di s. Damaso, e attestano lo spirito po- litico della società ecclesiastica milanese a mezzo il secolo x. devesi dimenticare che col frammentario testo delle Vitae ponti- ficum ci è giunto il frammento di un'operetta preziosa, la Descriptio situs et urbis Mediolanensis, della quale noi oseremmo ricostruire alla meglio le varie parti con l'aiuto che potrebbero prestarci le varie citazioni, che di questa scrittura riscontransi nelle cronache di Landolfo, di Benzo, di Galvano Fiamma.

X.

La Descriptio situs et urbis non è un testo particolare della istoriografia milanese, ma si collega per il suo carattere e per il suo contenuto a tutta una serie di scritture, che hanno servito come anello di congiunzione tra la istoriografia classica e la

(i) Cf. Ada sanctorum, giugno, XI, 442.

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cronografia municipale del medio evo. Nella sola Lombardia col testo milanese fanno riscontro la Descriptio Miithiensis, testo del secolo x ('), e il De laudibtis Papiae, che se bene compilato nel secolo xiv, ci rappresenta tuttavia un rifacimento tardo di più antiche scritture ^^\ Or bene, questo e molti altri testi che po- trebbero essere ricordati, manifestano una stretta parentela con la Graphia aureae urbis, anzi si può dire che su di essa, che fu tra le più diffuse e tipiche operette di topografia storica, si siano venute modellando tutte le altre. Che la Graphia fosse molto conosciuta in Lombardia lo provano ad esuberanza le citazioni di Landolfo, del Fiamma, di B. Morigia, del Cermenate; noi abbiamo qui bisogno di dimostrare che le notizie topografiche ed archeologiche, classiche e cristiane della città di Roma, che i nostri cronisti del secolo xiv mostrarono di possedere, fossero attinte ad altro testo, dal momento che solo della Graphia tro- vansi citazioni ed esatti riscontri. Non mi è mai capitato infatti veder citata da scrittori lombardi la più moderna, e per il contenuto suo assai diversa redazione che ci è conservata nel De mirabiìihìis Urbis dell'antica Graphia.

Com'è noto, la Graphia fu fatta conoscere la prima volta su di un manoscritto Laurenziano dall'Ozanam. Venuti in luce altri manoscritti, riprese a trattare le questioni, che intorno a quel testo si erano agitate, il Giesebrecht ^i\ ed in modo esauriente. Contro l'opinione dell' Ozanam egli sostenne che la Graphia pre- cede cronologicamente il De rdirabilibtis Urbis, ma è posteriore al trattatello topografico che passa sotto il nome di Anonimo di Einsiedeln ^'*\ È noto del resto come opere consimili si ricolle- ghino per una non interrotta catena con alcune scritture geo- grafiche e topografiche della bassa latinità. Esse sono troppo conosciute, perchè si debba da noi, per solo sfoggio di facile

(i) Cf. Muratori, Rer. IL Script, voi. II, par. II, p. 691 : Descriptio urbis Mutinensis, sive additamenium ad vitam s. Geininiaiii aiicloris anonimi.

(2) Cf. Muratori, Rer. It. Script. XI, 6.

(5) Cf. op. cit. voi. I, nelle Aggiunte, p. 636 sgg.

(4) Intorno all'Anonimo d'Einsiedeln cf. Gregorovius, Storia della città di Roma nel medio evo (trad. ita!.), Venezia, Antonelli, ICS73, III, 627.

IL «DE SITU URBIS MEDIOLANENSIS » T57

erudizione, farne menzione particolare. Già furono raccolte in un sol volume dall'Ulriclis e dottamente illustrate ('). La lette- ratura romana degli antichi tempi ci offre, com'è risaputo un famoso manuale storico del 354, che già presenta tutti i carat- teri, che sono propri agli zibaldoni enciclopedici del medio evo.

Il manuale in discorso, oltre un quadro generale di storia romana sino alle leggi Licinie e molte altre scritture, contiene abbondanti notizie sulle cose notabih di Roma. Questa che forma l'ultima parte dell'opera sotto il titolo di Notitia regiomun, od an- che semplicemente Notitia, ritrovasi staccata in più manoscritti, ed ha servito di fondamento al più tardo testo d'archeologia ro- mana, il Curiosum Urbis dell'età di Onorio ^^^.

Del resto nulla vi è di originale in questo genere di scrit- ture : anch'esse, compresa la Graphia aiireae urbis, possono consi- derarsi come un tardo riflesso di una letteratura storica particolare che fu propria de' Greci. Che cosa sono infatti le Attidi rispetto alla fiorente istoriografia greca, se non delle ricerche e delle no- tizie intorno alle antichità e alle cose memorabih di questa o quella città? Per i frammenti che ce ne rimangono si può con- getturare che le opere di Clitodemo, di Filocaro e degli altri ab- bracciassero forse una più vasta materia, comprendessero cioè con la descrizione dei luoghi e dei monumenti, notizie sommarie sulla religione e sul culto, sulla storia e la cultura dei singoli popoli <^5)- ma forse non si riscontra altrettanta varietà di conte- nuto nella Notitia e nel Curiosum, e nelle stesse Graphiae e Dc- scriptiones del medio evo ? Ora a me pare indiscutibile che la Descriptio Mutinensis e la Descriptio situs et urbis Mediolanensis sieno appunto, al pari della Graphia, tarde rifioriture delle opere storico-topografiche dell'antichità, e come queste integrano il materiale storico de' grandi scrittori, cosi quelle preparino in

(1) Cf. Codex urbis Romae topographicus, Wirceburgi, 1871.

(2) Cf. G. S. Teuffel, Storia della Ietterai, romana (trad. ital.), Padova, 1873, II, 515, nota 9 al § 390.

(3) Cf. R. Nicolai, Griechische Litteraiurgeschichte, Magdeburg, 1873, I, 316 sgg.

158 L- A. FERRAI

Lombardia il sorgere della cronaca medioevale. Ma se la De- scriptio situs et urbis sorse, come non mi par dubbio, sul mo- dello della Graphia, è evidente eh' essa non può essere stata compilata se non dopo la diffusione di questo testo nelle città lombarde, e perciò non prima del secolo xi. È noto infatti che il Giesebrecht assegna la redazione della Graphia all'età di Ot- tone TU, e ch'essa trovasi per la prima volta citata da Benedetto di Soracte, fiorito intorno al 1024'^'). Ecco così consolidata con prove più sicure l'opinione da noi enunciata nelle prime pagine della presente memoria, che cioè il primo capitolo del testo De sitii urbis nulla abbia a che fare con le Fitae pontificum. Come queste sono un insigne monumento dell'età in cui l'episcopato lombardo soverchia il potere regio feudale, lo .domina talvolta e lo assog- getta, mentre s'erge la dignità del metropolita e si contrappone al pontificato romano, cosi la Descriptio situs et urbis risponde perfettamente ad un'età in cui il risveglio delle tradizioni impe- riali per opera della restaurazione sassone soffoca ogni altra ten- denza storica '^^\ A Roma, ravvivate le tradizioni classiche e in- carnatesi per cosi dire nei nuovi e forti principi di Sassonia, si ridestano la curiosità e l'amore per le memorie gloriose dell'aurea Roma, e sorge la Graphia; a Milano che ha finito per togliere alla vicina Pavia ogni importanza politica nel regno italico, i mo- numenti crollanti della passata civiltà parlano un linguaggio nuovo alle menti intorpidite dal lungo e non cessato servaggio eccle- siastico e feudale, e ad imitazione della Graphia, per opera pro- babilmente di un monaco meno severo nel condannare gli studi profani, si compie la Descriptio situs et urbis, prima che la bar- barie teutonica trionfi ancora una volta sulle accumulate rovine dei monumenti cesarei.

(i) A. PoTTHAST, op. cit. p. 163; Wattenbach, Deutschlamìs Geschichis- quéllen, I, 213 ; Bethmann, in Pertz' Archiv, X, 381.

(2) La prima rubrica del De sita urbis che contiene la maggior parte della Descriptio fu erroneamente attribuita a s. Ambrogio. Cf. S. Ambrosii Opera per A. Zarottum, in-fol., ad litt. y.

IL « SITU URBIS MEDIOLANENSIS » 159

XI.

Le nostre ricerche hanno posto in chiaro, che non meno che nelle cronache del secolo xiv, è aperto un campo vastissimo di nuovi studi nella istoriografia milanese più antica. Il pensiero di riunire in un solo volume i monumenti che le appartengono sorge spontaneo quando si considera che L. A. Muratori pub- blicò il Di' sitn urbis sul più antico ma scorretto codice del se- colo XI, e gli rimase sconosciuto, o meglio non conobbe che troppo tardi un secondo manoscritto del principio del secolo xii, che ai tempi suoi conservavasi nella Capitolare milanese, e che presentemente ritrovasi nell'Ambrosiana <^'). Il vantaggio che un nuovo editore potrebbe trarre dall'uso del codice da me rintrac-

(i) È il ms. Ambrosiano I, 152, par. inf. in-4, pergamenaceo, di pp. nume- rate 178. Contiene il Cerimoniale diBeroldo diverso dallo stampato (pp. 26-94), il De sita urbis (pp. 94-99), il De adventu Barnabae et Anathalonis et vita eorum (pp. 99-105), un calendario ambrosiano con postille storiche sincrone (pp. 71-5), ed altre scritture di minor conto. Nella guardia leggesi di mano recente : « Hic « ille est Beroldus vetus sic appellatus quem vidit et exscripsit Muratorius in « Antiqu. m. aevi diss. 57, tomo IV, e. S61 sqq. Hic olim ad canonicum « Lantium spectabat, et saeculo Christi xii videtur conscriptus. V. Mura- « tori, ibid. col. 848 e, et 895 b, vide et Giulini, tomo V, p. 213 sqq. ». E più sotto : « Il testo del Cerimoniale quale sta in questo codice, non risponde « perfettamente, massime nei titoli di alcuni capitoli e nell'ordine de' medc- « simi, al testo pubblicato dal Muratori. Questo codice non fu veduto « dall'Argelati, dal Giulini. Come venisse in possesso della biblioteca « Ambrosiana non si sa ; pare che vi venisse sulla fine del secolo xviii, e « solo da qualche anno ebbe segnatura e posto tra i codici «. L'opuscoletto De siili civitatis incomincia a e. xcini. Che la lezione di questa rubrica, come delle altre che ci conservano le Vitae pontificum sia di gran lunga mi- gliore di quella serbataci dal ms. più antico di cui fecero uso il Muratori e il Biraghi, apparisce evidente a un primo raffronto. È poi notevole che il ms. più antico, come già notammo, non contiene il prologo alle Vitae pon- tificum né il De siili urbis, e che quindi per la nuova edizione di essi noi non avremmo più bisogno di ricorrere, come fecero il Muratori e il Biraghi, ad un codice del secolo xv.

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ciato apparisce evidente. Non solo esso ci offre una migliore lezione, ma ci ha conservato oltre le Fitae pontìficum propriamente dette, il prologo di esse e la rubrica: De sita urbis. Questa erro- neamente ha dato nome all' intero testo, mentre, come già dimo- strammo, ci rappresenta un pregevole frammento, o meglio un riassunto della perduta Descriptio sìtiis et urbis Mediolanmsis. Com- pletare detta rubrica con i frammenti che della Descriptio si trovano in Landolfo, nel Benzo, nelle cronache del Fiamma, ricostruendo per tal modo, come meglio e più sicuramente è possibile, quella pregevole scrittura, curare la nuova edizione delle Vitae pontìficum col sussidio del codice, che il Muratori non mise a profitto, ecco ciò che mi pare dovrebbe essere il risultato pratico delle nostre indagini. Non è mia intenzione di determinare fin d'ora ordina- tamente quali altri monumenti storici potrebbero riunirsi alle due operette con le quali noi intenderemmo sdoppiare, migliorandolo e commentandolo, il testo edito nei Rerum Itaìicarum Scripiores. A buon conto crederei che non si dovessero escludere dal vo- lume l'epigramma d'Ausonio, di cui Benzo d'Alessandria usava già nel secolo xiv come di documento storico, il ritmo in lode di Milano del secolo vili, che se bene stampato più volte, attende ancora un commento, gli altri ritmi fatti conoscere dall'Oltrocchi, il catalogo degli arcivescovi del 1024, nonché quei versi ritmici di non dubbia antichità, che si trovano disseminati nelle cronache edite ed inedite del Fiamma, e sui quali mi riservo di parlare particolarmente in altra occasione.

L. A. Ferrai.

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