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5ER
STUDI
SULLA
VITA NUOVA
DI
DANTE
VINCENZO ZAl^PIA
DELLA QUESTIONE
BEATRICE
L' EPISODIO DELLA DONNA GENTILE IL SEN'SO LETTERALE E L' ALLEGORIA LE RIME E IL RACCONTO DELLA VITA MOVA LA (QUESTIONE STORICA
ROMA
ERMANNO LOESCHER e C.
t BRETSniSEIIiER E REGEXBERG |
1904
Proprietà letteraria dell' autore
DELLA QUESTIONE DI BEATRICE.
' Se lìianifcstamente per le finestre cV una casa uscisse fiamma di fuoco, e alcuno domandasse se là entro fosse fuoco, e un altro rispondesse a lui di sì, non saprei ben giudicare, dice il cantore della ret- titudine, qual di costoro fosse da schernire pili ' . E forse non avrebbe risposto altrimenti a chi gli avesse domandato se la sua Beatrice è persona reale o al- legorica. Certo, non pare oggi inchiesta del tutto ragionevole. Di questa benedetta questione di Bea- trice, se n'è parlato anche troppo; ognuno oramai sentirà stanchezza e fastidio; ed è ben giustificato il timore, non sia vana ogni ulteriore discussione.
E vana probabilmente si giudicherà questa mia qualunque fatica intorno alla 'gentilissima salute' ; nò io m' illudo a tal segno da sperar di risolvere la secolare controversia. Tuttavia, 1' aggruppare e di- scutere a parte a parte i ragionamenti altrui, lo sco- prire le deboli radici di certi arbusti che ingom-
Della questione ài Beatrice
brano ogni tanto la via, il dare nn avviamento ri- gorosamente logico alla discussione, il porre nei suoi veri termini il fastidioso problema; potrebbe pure giovare a qualche cosa, e forse potrebbe avvicinarci alla sospirata soluzione.
Della quale dovremmo certo disperare, se fosse vera l' osservazione dell' Earle. ' Il presente stato della disputa, egli dice, è imperfetto al più alto grado ; il disaccordo nell' opinione minaccia di diventar fa- zioso. Qualunque ragionamento è riconosciuto buono, solo se appoggia la tesi che lo scrittore sostiene ; e le prove più degne di fede sono messe in dubbio quando atti'aversano il sentiero del disputante. In questo modo le difficoltà insite per natura al sog- getto, sono accresciute'. Ma io non voglio credere al ' disaccordo fazioso ' ; credo piuttosto, che la di- sputa sia tenuta accesa da certi malintesi, che sa- rebbe bene chiarire a uno a uno ; che la lite riarda continuamente pel confondere e contaminare che spesso si fa, la vera questione che è semplicemente ermeneutica, con altre questioni, propriamente di ragione storica. E a ogni modo, nessun critico chiude gli occhi alla verità per partito preso.
Mi sobbarco adunque a tanta impresa, con un po' di scoramento, è vero ; certo con poca speranza di toccar glorioso fine; ma con la mente sgombra da ogni preconcetto. Non ho una tesi da sostenere, ma una verità da ricercare ; non devo difendere una causa, ma esaminare gli atti di un processo. Né l'ossequio dovuto all'autorità di qualche gran nome, mi sarà d' ostacolo a guardar bene in fondo alla
Prefazione 7
cosa. Talvolta una va<^-a ipotesi, appena aeconnatn. e con molte cautele, dal maestro, si asside verità acquisita nello scritto del discepolo, che si fa scudo del gran nome, e affastella ipotesi sopra ipotesi al- legramente, e speditamente tira su deduzioni, e con- cliiude. E incredibile la fecondità d'una ipotesi che si annidi nel robusto tronco d' un grande albero; è mirabile la potenza di suggestione che esercita una timida congettura buttata li da un grand' uomo ! Sic- ché allo stringer dei conti, pare di aver fatto molto quando si riesce a debellare le ultime ipotesi, che sono naturalmente le più avventate, ^fa alla prima ipotesi, un po' per rispetto al gran nome e per un eerto sentimento d' inferiorità che tog-lie baldanza : un po' perchè meno strana, e perchè si presenta con modi garbati e molto conciliativi, e non iscopre incautamente il fianco alla critica, e nel giro sagace della frase non offre uncini ad una piena confuta- zione; un po' perchè la suggestione è contagiosa; nessuno guarda con molta dithdenza, nessuno tenta di recarle molestia; e rinvigorita così, quella prima accorta ipotesi entra pian piano, e quasi di sojjpiatto, nel quieto dominio delle verità inconcusse, e tal- volta riesce anche a trascinarsi dietro qualcuna delle ipotesi più avventate, che pareva distrutta. Occorre dunque nell' esaminar la questione, che l' animo sia libero e franco; occorre risalire alla sorgente dell'e- quivoco e dell' errore ; occorre dare alla discussione un andamento affatto spregiudicato.
Ma di questo probabilmente io dovrò appunto dolermi : del non aver saputo, e talvolta forse pò-
Bella questione di Beatrice
tuto, schivare l'aperta e diretta confutazione delle parole e dei ragionamenti di tanti valentuomini, de- gni sotto ogni rispetto, di rispetto e di deferenza. Forse alcuni non avrebbero voluto vederci una certa intonazione polemica ; ma talvolta, oltreché non si può del tutto evitare, come è il caso di questa vessa- tissima questione, l'intonazione polemica forse non guasta ; potrà contribuire anzi, in qualche modo, a far risplendere di maggior luce il trionfo della ve- rità, rendendo più vigoroso 1' assalto al nido dell' er- rore ; certo non si presta a dissimular nelle pieghe sapienti del sudato periodo, le imperfezioni del ra- gionamento ; nò a nascondere sotto il pietoso man- tello del dovuto riguardo, le obbiezioni altrui che non si possano pienamente confutare e ribattere.
Comunque, eccomi tra i numeri innumeri che della ' distruggiti ce di tutti i vizii e reina de le vir- tudi ' hanno parlato o sparlato.
L'EPISODIO DELLA DONNA GENTILE.
1.
Racconta il divino poeta nella Vita nuoca che, al- quanto tempo dopo l' annovale della gloriosa, si innamorò d' una gentile donna, giovane, savia e bella molto, che da una finestra lo riguardava pietosamente ; e che poi, pen- titosi * de lo desiderio, a cui si vilmente s' avea lasciato possedere alquanti die contra la costanzia de la ragione, e discacciato questo cotale malvagio desiderio ', rivolse tutti i suoi ' pensamenti a la loro gentilissima Beatrice ' . Di- chiara apertamente e ripetutamente nel Concicio che co- desto suo secondo amore fu per ' la bellissima e onestis- sima figlia dello Imperadore dell' universo, alla quale Pit- tagora pose nome Filosofia '. La cosa è tanto nota agli stu- diosi che non occorre certo più lungo discorso.
Quando il Biscioni finalmente nel 1723 [Prose di Dante Alighieri e di messer Gio. Boccacci, Firenze : Prefazione, pp. 3 - 39 ) cominciò ad esaminare e primo ad illustrare le due opere minori dantesche di cui parliamo, non trovò contradizione tra la narrazione della Vita nuova e le di- chiarazioni del Concicio ; e dal suo esame spassionato e
10 V episodio della donna gentile
giudizioso fu condotto alla conclusione che bisognava in- tendere allegoricamente i due amori danteschi ('). Né con-
ti) II Fornaciari [ShidJ .sa Dante, Milano 1883. o Firenze 1901: cito dall' ed. fior. p. 146 ) giudica che il Biscioni ' inti'odusse nello studio della Vita Nuova un metodo veramente critico ' . L' Earle ( La Vita Nova di Dante, Bologna 1899 : Bibl. stor.-crit. d. lett. itul. N. 11, p. 13 ) scrivo che questo studio del Biscioni ' non è soltanto notevole por 1' originalità, ma anche per la sobrietà della forma e del giudizio'. Certo non esattamente il Ronier [La Vita Nuova e la Fiammetta, Torino e Roma 1879: p. 142 n ): ' Il Biscioni fece una lagrimevolo confusione della Beatrice con la donna pietosa del Con- vito'; e il Gaspary ( Storia della lett. ital, Torino 1887-1891: 1,205): ' ]N^ol secolo passato il Biscioni ha voluto dimostrare nella Beatrice una personificazione della filosofia : il pensiero era già per questo molto sbagliato, perchè Dante ha per la filosofia, così nel Convivio come nella Commedia, una personificazione tutt'affatto diversa ac- canto alla Beatrice'. Forse la dissertazione jdel Biscioni fu poco letta , benché ristampata anche dal Torri nei Preliminari alla sua edizione della Vita Nuova di Dante Allighieri (Livorno 1843: pp. 28-44 ) : e si accusò spesso il povero canonico e condannò sulla de- posizione acrimoniosa del Fraticelli ( Dissertazione sulla Vita Nuova: cito dalla sett. ed. Barbèra, Firenze 1899, voi. sec. delle Opere mi- nori di D. ) : il quale rabbiosamente sconvolse e falsò il ragiona- mento del Biscioni. Ed il Fraticelli appunto venne primo fuori con queste parole di colore oscuro: {Diss. VN^. p. 10) 'E qui dirò Ter- rore del Biscioni esser nato da questo: che egli identificò e confuse la Beatrice della Vita Nuova con quella del Covilo e della C 0 m m edi a\ Confuse la Beatrice con la donna pietosa del Con- vivio 1' autore dell" Ottimo Commento ( Propugnatore, 1, 443 : Rocca , Di alcuni commenti della Divina Commedia, Firenze 1891: p. 293); il Foscolo ( Discorso sul testo della Commedia di Dante, sezione 29 e 122 ) : il De Sanctis ( Storia della lett. ital : cito dalla terza ed.. IN'apoli 1879: 1, 62 110 139 150 ); Giulia Molino Colombini ( Le donne del Poema di Dante . nella raccolta Dante e il suo secolo , Firenze 1865: p. 184); Carlo Cipolla (Giornale storico della lett. ital. 8. 78 81): Ernesto Lamma {Questioni dantesclie , Bologna 1902: p. 78): e lo stesso Fraticelli, come si può vedere nella sua Dissertazione sulle poesie liriche ( cito dalla quinta od. Barbèra. Firenze 1894. voi. pr.
L' accoìììodamento del Dionisi u
tradizione trovò più tanli il Dionisi . J'itjL,.,,ti^,.,,,t ,.^ì,,,iììì e critica alla nuoca edizione di Dante Alighieri, Verona 1806) ; il ([uale però, confutando il Biscioni e schierandosi risolu- tamente tra i primi e più gagliardi paladini della figliuola di Folco, venne a creare esso stesso una gravissima e troppo palese contradizione nella stessa Vita nuoca ('). Egli bona- riamente argomentava che, (2, 54"^ ' siccome il secondo . . . amore, quello cioè per la gentil donna, fu scientifico e fi- losofico, cosi il primo per Bice o Beatrice, donnesco fu e femminile, e per lui cagione di pensieri e vaneggiamenti fin eh' ella visse, e di travaglio inconsola bile dopo la morte ; della qual pazzia ( non essendo in somma amor altro che insania, a giudizio de' sacj unicersale) (•) egli guari fortu-
(Icllo Oporo minori di D.: pp. 81 41 ): il qualo non mostra ili aceor- t£oi*si elio il poota vuole Au- la donna pontilf d««lla Vita nuora sia la Filosofia. E cosi il buon Praticelli confutava il * visionario inter- potrò'. Il Ce-siiroo poi i Beatrice, in Xatura rrt Arte. 1, 119) ponwi cho, a bandirò * la crociata contro la realtà storica di Beatrice', il disgraziato critico * f u mosso . . . da uno scrupolo affatto pretesco": il cho non ò noppuro esatto. Del resto, in questa fastidiosa questione preti o frati hanno sempre mostrato più simpatia per ijli ndilinqui- monti dei realisti che per le fantasticherie degli allegoristi ; anzi, vero foi'vore alcuni nel propugnare gli amori por la vezzosa Bice. !Ma la colpa di tanti falsi giudizi è foiose tutta del Fraticelli.
(M Non saprei davvero come spiegare la distrazione del Carducci ( Stiuti letterari. Bologna 1893: Opere. 8, 219 ): ' Il Dionisi per ido- latria di Dante non credeva pure alla persona di Beatrice". Cer- mente può far cadere in erroi-e 1' Ozanam ( Dante et la philosophie catlwliqne an treizième siMe : cito dalla quarta ed.. Paris 1859: p. 110 n-): 'Dionisi a soutonu graveraent rhypothèse qui fait des a- mours de Dante autiint d'allégorios " .
(-) Allude e'\ndentemente al Furioi^o. 24. 1 ' Chi mette il piò su r amorosa pania. Cerchi ritrarlo. e non v' inveschi 1' ale : Che non è in somma amor se non insania A giudizio de' savi universale : . . . E quale è di pazzia segno pili espresso. Che por altri voler, per- der se stesso "? '
12 L'episodio della donna gentile
natamente nel nicdo che testé per lui stesso è narrato ' ; cioè con l' amore alla filosofia. Siccome rimaneva tuttavia ' una questioncella ', spiegare perchè il poeta chiama nella Vita nuova vilissimo e avversario della ragione e deside- rio malvagio e vana intenzione il pensiero che gli parlava della pietosa donna, cioè della Filosofia, mentre nel Con- vìvio dice che cotale pensiero era virtuosissimo ; il disin- volto critico speditamente so ne sbarazza spiegando che ' nella Vita Nuova prevalse la memoria e '1 lutto per la dipartenza del primo suo amore ; e però, soggiunge, non è meraviglia, se '1 pensiero che voleva distoglierlo dal de- plorarne la perdita per lui troppo amara, gli sia paruto in allora vilissimo, e alla ragione contrario. Ma in pro- cesso di tempo la vittoria si dichiarò in favore della nuova donna consolatrice, come si narra nel Convito; e allora fu che '1 vittorioso pensiero meritò d' esser appellato virtuo- sissimo . . . Ed ecco sciolta la questione ', conchiude il mar- chese. Ma lasciando da parte codesto ingenuo accomoda- mento, e il lutto, e la pazzia, ed altre questioncelle ; e la- sciando eziandio da l'un dei lati, che non si vede bene come di due amori appajati nello stesso racconto, 1' uno sia reale e r altro allegorico ; notiamo che 1' egregio Gian Jacopo, buon canonico forse nel cospetto di Dio, non molto loico certo nel cospetto del Diavolo, non curò di porre un' altra questioncella e di farci sapere come concepisse egli mai la Filosofia che litiga con la memoria di Beatrice estinta ; e che, dopo aver trionfato della rivale per un po' di tempo, finisce coir averne la peggio ('). Ma probabilmente il Dio-
(1) iS^on pare tuttavia che il Dionisi vodoaso nella Beatrice della Vita nuova soltanto la figlia di Folco; pari anzi, eh' egli sia il capo- stipite di quella numerosa famiglia di critici che vedono parecchio Beatrici nella Vita nuora. Cfr. Prepar. 2, 48 68 n. Del resto, voler trovare coerenza nei ragionamenti del marchese canonico, a me pare
ÌM filosofìa che litiga con la memoria di Bice 13
nisi avrebbe risposto che il poeta, quando scriveva il li- bello (non prima del 1293, secondo il critico, Prc.par. 2, 51), forse soffriva tanto ancora di quella sua pazzia erotica, da non saper bene quel che si dicesse. E cosi sarebbe sciolta davvero la questione ('). Tuttavia non si può ragionevol- mente, nonché al misurato e ponderato scrittore della Vita nuora, ma al più scapigliato e stravagante verseggiatore, attribuir questa strana concezione, porre in contrasto, far litigare la filosofia con la memoria d' una cara estinta. Ben possiamo pensare che un amore reale , anzi una forte e
impressi affatto diRpontta. Il Fraticelli ( Diss. VN. 8 ) nondimeno sen- tenziava che • il fanUistico fnlifizio del Biscioni incominciò a minare per opera del valoroso Dionisi". Maria Zamboni (La critica dante- sca a Verona nella seconda metà del sec. XVIJI , Città di Castello 1901: CoUoz. di opusc. dant. X. GB: pp. 23-104) non rileva le inco- erenze, le incongruenze, le contradizioni dionisiane : nota soltanto ( p. 85 ) ' che il Dionisi non dimostra. .. che una conoscenza molto su- perficiale del Canzoniere, non distintruendo in esso che due cicli di poesie ' . Ma ci fornisce utili notizie sid * collal>oratori ' del marchese, il Perazzini ed il Fontana. Il Barbi ( Ballettino della Società dant. ital., ns. 8, 269 ) lo chiama una • cornacchia che si veste delle penne del pavone'; e non sono tutte penne di paA'one quelle di cui si ve- sìe il Dionisi.
(•l Scrive il Pelli ( Me morir per sercire alla cita di Dante Ali- ff li ieri ed alla sfarla della saa famiglia, sec. ed. Firenze 1823: p. 71 ) : ' Basta osservare . per concepire la follia del suo amore, che egli faceva consistere la sua felicità nel sentir lodar la sua Donna ' ! Altra cosa è certamente la frase alaU» dal Carducci ( Op. 8, 67 ) , * Tutto deve pijingere quando questo povero grande pazzo di poesia e d'amore che si cliiàma Dante piange'. Più discreto tut- tavia e carezzevole, lo Scherillo ( Alcuni capitoli della biografia di Dante. Torino 1896: p. 390) chiama l'amore del poeta 'un così ine- briiuite sogno d' amore e di poesia ' . Ma col Dott. Antonio Canepa ( Xnore ricerche sulla Beatrice di Dante. Torino 1895 : p. 88 ) ritor- niamo ai furori d' Orlando : ' Povero pazzo d' amore egli ha creduto che tutti i cieli aves>;ero concoi"sio nel creare quel miracolo di bel- lezza ' .
2
14 L'episodio della donna gentile
sfrenata passione , ci allontani dall' amore allo studio ed alla filosofìa ; ma non che 1' amore alla filosofia e allo stu- dio affievolisca, o peggio scacci il pietoso e mesto ricordo d' una cara estinta ; e molto meno poi, che codesto affet- tuoso ricordo, ritornando più vivo e insistente , tolga di seggio l' amore allo studio e lo chiami vilissimo e avver- sario della ragione. Certo non bene il Renier, nel suo bello studio del 1879 ( VN. e F. 187), vedeva nell'episodio della donna gentile ' la traccia palese d' una lotta combattutasi fra l' amore per Beatrice estinta, che non era affatto an- cora l'individuazione della teologia, e l'amore per la filo- sofia ' ; comechè già fin d' allora il dotto critico riconoscesse ( non evitando, a dir vero, nuove difficoltà e contradizioni ) che (p. 189) una ' seconda Beatrice ... la Beatrice trasuma- nata, la Beatrice della Commedia ' scaccia la donna gen- tile dalla mente del poeta (').
(1) Il Lubin nel 1881 ( Commedia di D. A. preceduta dalla Vita e da Studi preparatori^ Padova : p. 41 ) trovava ' naturalissima la lotta tra ì due amori. Beatrice, argomentava il critico, ora morta, ma non ora in Dante spento 1' amore che le aveva portato ; anzi a quello s' aggiunse 1" amore intellettuale per Beatrice celeste , di certo non ancora ben compresa da lui che non sapeva se non un po' di gram- matica latina . . . Posto ciò, l' apparire della bellezza della Filosofìa e l'affezionarsi ad essa doveva essere contrastato dal primo amore; e più dall'amore di Beatrice fiorentina, che dalla celeste, non ancora compresa ' . Ma nel 1884 ( Dante spiegato con Dante e polemiche dan- tesche , Trieste: p. 18) la pensava un po' diversamente: ' Chi nella Beatrice della Vita Nuova non vuol vedere se non la Beatrice sto- rica, non riuscirà mai a farsi un'idea chiara degli ultimi paragrafi della Vita Nuova ... In quella lòtta era già la Beatrice allegorizzata, la Beatrice della Commedia. Che vorrebbe dire una lotta cosi aspra tra l'amore per una donna già morta e l'amore per un ideale? Que- sti amori possono sussistere in pace e senza gelosia '• Alla buon'ora, dunque! Già fin dal 1862 (Intorno all'epoca della Vita Nuova di Dante Allighieri, Graz: p. 41 ) egli vedova neU' episodio della Vi- ta nuova 'la lotta tra gli amori della donna gentile e di Beatrice'
L' ipotesi del posteriore adonesta mento 15
Poiché adunque l' accomodamento del Dionisi era pue- rile, e il concedere d'altra parte, che vi siano intendimenti allegorici nell' episodio della Vita nuota, o apriva 1' adito a ben pivi grande ed aperta contradizione, ovvero portava all'allegoria di tutto il libello ('); parve ben presto ai cri- tici miglior consiglio, anziché ritornare al Biscioni e chia- rir meglio la sua interpretazione allegorica, procedere ad- dirittura contro le affermazioni del Concino. A mali estre- mi, estrerai rimedi. — Troppe, si disse e si dice tuttavia, sono le contradizioni tra la Vita nuova e il Concicio. Liberia- moci una buona volta da questo laberinto ; cerchiamo di navigar lontani da codesti aequora interfusa nitentes Cy- cladas del Concicio. Il poeta nel Concicio tentò, cercò, s' in- dustriò di ritorcere a senso allegorico quel benedetto epi- sodio della Vita nuoca-, tentò, cercò, s'industriò di adone- stare queir amore episodico della Vita nuoca ; ' errò, grida pien di amarezza il buon Gm\ìa.nì { Deìl' attinenze della Vita Nuora di D. .\. col Concito e colla Diana Commedia: in lìamegna Nazionale, 15, 373 ), errò pertanto l' Allighieri e doppiamente, cantando per cagione e in risguardo della Donna gentile ; dapprima, perchè l' ebbe amata d' un amore cilissimo e malcagio, disviandosi anco dall' onesto Amore a Beatrice : e secondamente, per aver voluto farcela supporre
del simbolo cioè della Filosotia e di quello della Teologia*. Ma al Prof. Alberto Scrocca ( // peccato di Dante. Saggio critico con un'Ap- pendice intorno a La donna gentile. Roma 1900 : pp. 54 62 67 s ) sor- rido tineora Y ipotesi della strana lotti tra la memoria di Beatrice estintii e la filosofìa.
(•) Ben a ragione il Perez ( La Beatrice svelata . Palermo 1865 e 1898: cito dalla sec. ed., p. 137 s), 'Se altri argomenti non fos- sero per diirci l'assoluta certezza che simbolica sia la beatrice della Vita Xnora. quest' uno varrebbe per tutti : ella deve significare tal cosa di cui potesse dii-si da un uomo sano di mente che , rispetto all' amore per ossa, quello perla filosofìa riusciva abietto e malvagio ".
16 L'episodio della donna gentile
nella Vita Nuova e poi richiamarla nel Convito come Im- magine della Filosofìa, i cui atti gli s' eran meglio dimo- strati nella Donna, che fu il primo suo amore ' — .
L' identità adunque tra la donna del Convido e la donna gentile e pietosa della Vita nuova, è negata da Bal- bo, Tommaseo, Giuliani, Ruth, "Wegele, Selmi, Carducci, D' Ancona, AVitte, Gaspary, D' Ovidio, Rajna, Del Lun- go, Scherillo, Poletto, Casini, Zingarelli, Barbi, e da mol- ti altri. Sicché da tal generale consenso che, direbbe Dan- te, può dirsi quasi cattolica opinione, jDare non sia né le- cito, né ragionevole allontanarsi senza gravi e ben pon- derate ragioni.
2.
E gravi d' altra parte devono essere le ragioni che persuadono tanti valentuomini a negar fede alle aperte di- chiarazioni dello stesso poeta. Veramente molti ( forse poco convinti essi stessi della gravità delle loro ragioni ) , men- tre parlano di posticcio adonestamento della donna gen- tile ed accusano il poeta di mendacio, cercano tuttavia, valendosi d' un luogo del Convimo, dimostrar che il poeta non neghi nell' opera temperata e virile d' aver parlato nel fervido e passionato libello, d' amore, diciamo così, reale. Dice il luogo del Convivio {^) (1, 1, 111): 'E se nella pre- sente opera, la quale è Convito nominata e vo ' che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non in- tendo però a quella in parte alcuna derogare, ma mag- giormente giovare per questa quella ; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, questa tem- perata e virile essere conviene. Che altro si conviene e
(1) Cito dall' od. del Moore, Tnffc le opere di D. A., Oxford 1897.
// giocare e non derogare alla VN. 17
dire e operare a una etade, che ad altra; perchè certi co- stumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra, siccome di sotto nel quarto Trat- tato di questo libro sarà per propria ragione mostrato '. Giovare in che cosa? non derogare in che cosa? Eviden- temente ajutare il lettore a intender la vera sentenza della Vita nuova; non derogare ai propositi del libello, fervido e passionato nell'apparenza; insomma non contradirsi, ma spiegarsi ('). Ma (a tacer di quelli che, senza darsi pur pensiero di quell' incomodo ' giovare ', cercano cavar dal ' derogare ' un tortuoso costrutto a benefizio della loro tesi ) lo Zingarelli ( Dante , Milano ; in corso di stampa nella >>toria Letteraria d'Italia scritta da una Società di Profes- sori: p. 130) da quelle parole appunto del Concivio crede potersi conchiudere, * Dunque, nella Vita Xuota le poesie d'amore, nel Concivio rime di intento morale e filosofico, allegoriche ; ne quelle entrano in alcun modo fra queste, che debbono rappresentare la maturità dell' uomo, quando, secondo le norme della nostra spirituale natura ( Conc. IV, 26 sg. )^ erasi sollevato ad alte speculazioni, tralasciando ormai le cose di amore, che alla sua prima età ben si erano convenute ' . Sennonché , né il poeta dice che alla prima
(1) Biscioni, Frcf. 24 'Quando egli compose il Concito, approvò la Vita Nuora solennemente, e mostrò di comporre qnest' altro libro per giovamento e corroborazione del primo. E se egli sul bel principio dell' istesso Conrito mostrò scusarsi d' aver compo- sto quel primo libretto . . ., questo fece egli, acciocché non fosso biasimata la maniera di quel primo componimento. Per- ciocché vedutosi in processo di t^mpo ( conforme accade di presente ), che la Vita Xnora è un trattsito puramente filosofico ; si sarebbe po- tuto facilmente apporre all' Autore, non essere troppo decente alla gravità della Filosofia 1* averlo tutto vestito d* amorose passioni e de- liquj ' . Lucidissima ed affatto esauriente è la spiegazione che di co- desto luogo del Conririo dà il Barbi, Bull. ns. 2 . 11 s : cfr. anche BartoU, Storia della lett. ital., Firenze 1878-1889: 4, 224 s.
18 L'episodio della donna gentile
età ben si convengano le cose d' amore, né il fervido e pas- sionato ci pnò condurre, così speditamente, a conclusione alcuna, né in fin dei conti il poeta direbbe qui che nella Vita nuova non vi sono clie rime d' amore, e più in- nanzi contradicendosi , spiegherebbe che la donna gentile è la bellissima signora Filosofia ('). Nondimeno, comunque si voglia pensare e del derogare e del giovare, e del fer- vido e passionato, e dei costumi idonei e laudabili nell' a- dolescenza ; non si vede come si possa mai prestare a ma- nipolazioni ingegnose, o ad abili e garbati storcimenti e stiracchiamenti, l'esplicita e tonda dichiarazione, più volte ripetuta, che il secondo amore, di cui si fa menzione nella Vita nuova e che è commentato nel Convivio, fu per la one- stissima figlia dell' imperatore dell' universo. A chi dunque non voglia vedere altro nel libello dantesco che l'ingenuo racconto degli amori di Bice, non resta che negar fede alla testimonianza dello stesso poeta, ed accusarlo di men- dacio.
3.
E concediamo pure che di mendacio si tratti. Parrebbe invero che un bel giorno, forse nell' esilio, il poeta abbia avuto ' timore d'infiimia ', e certa ubbia d' esser ripreso di
(1) Conv. 4, 26, 7 ' Dico adunque, che siccome l:i nobile natura in Adolescenza Ubbidiente . Soave e Vergognosa , Adornatrice della sua persona si mostra, cosi nella Grioventuto si fa Temperata o Forte ed Amorosa e Cortese e Leale. Cfr. 4, 24, IIB; 4, 25, 3. Quanto al ' fervido e passionato ' vd. anche 3, 10, 10. Hor. ad Fis. 114, ' In- tererit multum Davusne loquatur an heros, Maturusne senex an adhuc fiorente juventa F e r v i d u s ' ; 166 * Conversis studiis, aotas animusquo v i r il i s Quaerit opes et amicitias, inservit honori ' : 1 ep. 1, 2 ' quaeris, Moeconas, iterum antiquo me includere ludo, !Xon oadem est aotas, non mens ' ,
La Beatrice del Conricio 19
'levezza d'animo'; e che esilio, timore ed ubbia gli ab- biano consigliato quello sconsigliato travestimento della giovane donna gentile, bella, savia e pietosa della Vita nuova. Ma non pare ci sia lecito dissimulare o non av- vertire le facili conclusioni che, a malgrado di codesta ipo- tesi, che per brevità chiameremo del poi, rampollano tut- tavia, e non ci lasciano del tutto tranquilli nel godimento estetico del dolce idillio della Bice. Se il divino poeta ebbe di codesti timori per quel tanto di passione che di fuori mostrano le sue canzoni, e per quell' innocente desiderio d'alquanti dì della ì'ita mtoca; come mai non ebbe ver- gogna d' aver seguita per tanti anni la passione per Bea- trice? d'aver passato tutta la sua adolescenza sognando e sdilinquendosi dinanzi alla moglie altrui ? d' affermar nel Condcio, già marito e padre, che la sposa altrui viveva in terra con la sua anima? Con tutto il rispetto che si deve all' autorità grande del D' Ancona, diremo forse dav- vero che ( Discorso su Beatrice, prem. alla sec. ed. della Vita Xiioca y Pisa 1884: p. 76; 'dell'affetto per Beatrice non voleva scusarsi che il cuore glie '1 vietava ' ? Mancava forse modo al poeta di trovare un accomodamento anche col suo cuore? E come mai poteva liberarsi dal timore d'infamia, se non adonestava anche quella sì lunga e, co- me si vuole, colpevole passione? D'altra parte, non vide il sovrano poeta che grave incongruenza sarebbe se il li- bello avesse intendimenti allegorici soltanto nell' episodio della donna gentile? che concezione stravagante, se non assurda, sarebbe il litigare e il battagliare della Bice con la Filosofia e nella Vita nuova e nel Conficio? La Bea- trice del Conci rio, ' l' antico pensiero che si corruppe ', deve essere già la simbolica Beatrice della Commedia ; giacché non si vede come potesse nascer contrasto tra il pensiero soave che spesso sen giva al cielo a contemplare il gloriar della Bice, e il nuovo pensiero che parlava in favore della
20 L'episodio della donna gentile
nuova donna allegorica ; come mai 1' uno pensiero fosse ' avverso ' all' altro, se in quel primo pensiero non è da veder che la mesta ricordanza d' una cara estinta. E ripu- gna pensar che il poeta si sperdesse in quelle sue, chia- miamole pure, se così piace, fantasticherie allegoriche. Man- cano certo prove positive ; ma qualche indizio diretto forse non manca. Prima di passare all' interpretazione allegorica della prima canzone, ove appunto è descritto il contrasto tra i due timori, il poeta bruscamente vien fuori con que- sta dichiarazione : ( 2, 9, 49 ) ' Ma perocché della immor- talità dell'anima è qui toccato, farò una digressione, ragio- nando di quella ; perchè, di quella ragionando, sarà bello terminare lo parlare di quella viva Beatrice beata, della quale più parlare in questo libro non intendo '. Ognuno sa come si chiude la Vita nuova ; nessuno può pensare che il poeta avrà dimenticato, scrivendo codeste parole, la pro- messa e quasi il voto solenne fatto dopo la ' mirabile vi- sione '. Nelle parole del Convicio adunque, a me pare vi sia implicita questa dichiarazione : — Qui appresso tratterò dell' allegoria della donna gentile, altrove mostrerò 1' alle- goria di Beatrice, della quale non intendo nella parte al- legorica di questo mio trattato dell' amor filosofico ragio- nare — ; e pensava certo alla Commedia, a cui probabil- mente attendeva ; o almeno a quel qualunque poema o trat- tato che dovea celebrar la gentilissima e mostrarne a chiare note 1' allegoria ('). E non è forse da trascurare il fatto che^
(1) Cfr. D'Ovidio, Stiulii sulla Divi/ia Commedia, Milano-Palermo 1901 : pp. 326 ss, 431 s ; Gorra, Per la Genesi della Divina Commedia. nel voi. Fra Drammi e Poemi, Milano 1900 : p. 179 ss ; Eassegna bi- bliografica della leti. ital. , 8, 136 ; Bull. ns. 9 , 39. Il Bassormann ( Orme di Dante in Italia, Bologna 1902 : p. 373 s ) accetta, con qual- che riserva, la nota storiella dei sette canti ; e il Fodorzoni ( Studi e Diporti danteschi, Bologna 1902: p. 126 ss) crede anche al 'comin- ciamento del poema in versi latini ', nei noti versi latini : non dico
La Beatrice del Convivio 21
procedendo dalla litterale sentenza alla sposizione allego- rica e vera, egli si esprime, toccando evidentemente di Beatrice, in modo ambiguo ('). Comunque, un' altra osser- vazione vorrei fare : se il primo amore volea il poeta che fosse considerato come un amore reale per donna vera, perchè dovea temere che altri potesse accusarlo di levezza
però, perchè codesto comincìainento 'non può essere stato scritto cho prima doU'esilio '. Anche lo Soartazzini ( Prolegomeni della Di- rinn Commedia, Leipzig 1890: p. 419) tlosume dal luogo del Conririo cho il pootii allora ' non avea abbandonato l' idea di consacrare un suo lavoro alla glorificazione di Beatrice : ma, aggiungo il critico, nella mente sua i limiti di questo lavoro erano ancora un po' ri- stretti \ E ci vollero ben venticinque anni, secondo lo Scartazzini, porchò il poeta allargasse e portiisse al punto giusto codesti limiti. Ma, aspettando codesto allargiimento definitivo, il poeta non se ne stava con le mani alla cintola ; intanto raccoglieva ^ materiali ', cio<;* scriveva * centinaja di terzine ', anzi ' forse migliaia ' ( Giorn. stor. 1 , 283 ) ; e del resto, i famosi sette canti non erano altro che * r abbozzo del principio del Poema '. L. Leynardi ( La psicologia del- l'arte nella DC. Torino 1894 : p. 100 ) credo che il poeta scrivesse la Commedia negli ultimi ' cinque o sei anni ' della sua vitii ; anch' egli ammette un lungo periodo di preparazione ; il ' materiale era tutto giìi preparato nella mente di Dante ': ma era preparazione • affatto incosciente'! Comunque, niente c'impedisce di pensare che il poeta potesse attendere nello stesso periodo di tempo a più cose; che poi. volendo finire il Poema che gli st<iva certo più a cuore, lasciasse incompiuto il Conririo e il De Vulgari Eloquentia , par cosa anche naturale.
(1) Conr. 2, 13, 3 * E però principicindo ancora da capo, dico che, come per me fu perduto il primo dilotto della mia anima , d e li a quale fatto è menzione di sopra, io rimasi di tanta tristizia punto, che alcuno conforto non mi valea '. Il Dionisi ( Pre- par. .52 n ) osser^'a : ' Perchè il primo diletto, o '1 primo suo amore, fu Beatrice, per questo dice, della quale: altrimenti sarebbe discor- danza in persona '. Ma non pare spiegazione soddisfacente: cfr. Conv. 2, 7, 76: 8, 57: 9, 6: 10,3: 11, 2: e VN. (cito dalla sec. ed. del Ca- sini, Firenze 1891 ) , 38, 25.
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^ L'episodio della donna gentile
d' animo per essersi dalla memoria d' una morta, e per un tempo assai breve, allontanato? E non si era egli già di quella pretesa leggerezza pentito ? e gli occhi, causa di tanto fallo, non erano stati ben guiderdonati? A me in- vero riesce più ovvio pensare, che il poeta volesse insinuar nel Convivio che coloro i quali potevano riprenderlo d' es- sersi dal primo amore mutato, considerassero 1' amore per Beatrice come allusivo a tal tenore di vita e di studi da parere il secondo amore, accennato nella Vita nuova e svi- luppato nelle canzoni, un'apostasia, o un deviamento, certo un abbandono delle mistiche idealità dell' adolescenza.
Sia come si voglia, il poeta ha dichiarato che la donna gentile della Vita nuova è allegorica ; ha detto che con co- desta dichiarazione non intendeva derogare, ma giovare alla Vita nuova ; ha implicitamente dichiarato che dell' al- legoria di Beatrice si sarebbe trattato altrove; ha insom- ma voluto insinuare eh' egli nella Vita nuova aveva avuto intendimenti allegorici. Se così stanno le cose, anche am- messa l'ipotesi del poi, non vediamo perchè si debba vo- ciferar tanto contro i poveri allegoristi ; perchè gli equites peditesque delle frequenti dantesche platee, debbano elevar si alto cachinno se ogni tanto qualcuno, non bene esperto del canto corale, con audacia insolita nell' impero assoluto della critica, pronunzia 1' abominevole e detestata parola. Concedo che parlare oggi di allegoria, sia grave stonatura nel grande concerto ; ma se Dio vuole, a codesti poveri diavoli pare non si possa negar l'autorevole testimonianza a discarico dello stesso poeta.
4.
Falsa testimonianza, ci assicurano i dotti. E muove forse da lodevole discrezione quel suggerir che si fa all' e- sule imraerito, attenuanti alla sua grave colpa. Ma la scusa
La pretesa confe.s^one del mendacio 23
riesci rebbe allo stringer dei conti a confermar 1' accusa ; sicché non discrezione, ma circospezione sarà da veder nel- l' opera di chi cerca scagionare il poeta del bel tiro che gli si appone fatto agli esegeti dell' opera sua. Sarà dunque necessario alla presente trattazione, veder se nel Concicio si possono, come assicurano i critici del poi, pescare co- deste attenuanti.
Tre luoghi invero dell' opera temperata e virile pare che oflfrano un indizio, se non addirittura la confessione della causale del posticcio opportuno adonestamento. Nel purgare dalla prima macola ( ' parlare di se medesimo pare non licito ' ) il pane del suo convito, cioè il commento alle sue canzoni, il poeta scrive: (1,2, 114) ' Movcmi timore d'infamia, e movemi desiderio di dottrina dare, la quale altri veramente dare non può. Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le so- prannominate Canzoni in me avere signoreggiato. La quale infamia si cessa per lo presente di me parlare interamente ; lo quale mostra che non passione, ma virtù si è stata la movente cagione ' . Veramente in codesto luogo il poeta mostrerebbe, o meglio lascerebbe incautamente trasparire, eh' egli avea desio di adonestare la donna delle canzoni, non la pietosa consolatrice della Vita nuova ; e da quelle parole potrebbe dedursi quello forse che dedurre non si vuole, eh' egli allora ( qualunque ne fosse la cagione, e con qualsivoglia ragione ) considerava come allegoriche gran parte delle sue canzoni ; né forse v'é modo d' escludere le cosi dette rime pietrose ; anzi da quel timore d' infamia par- rebbe che ad esse appunto il poeta pensasse. Ma certo alla donna gentile del libello ci riporta l' altro luogo del Con- vicio; (3, 1, 82):' Dico che pensai che da molti di retro da me forse sarei stato ripreso di levezza d' animo, udendo me essere dal primo amore mutato. Per che a torre via questa riprensione, nullo migliore argomento era che dire
24 /■-' episodio della donna gentile
qual era quella donna che m'avea mutato'. E qui vera- mente par di trovare espressa l' ubbia che avrà consigliato al poeta il posticcio adonestamento. Sennonché quelle pa- role il poeta scrive nell' esporre le ragioni che lo 'informaro' a commendare, con la canzone Amor che ìiella mente, la donna amata ; e l' ubbia, se ubbia si deve chiamare, è da riferire al tempo della composi- zione della canzone. Tuttavia, in un altro luogo del Con- vivio esclama il poeta : ( 1, 3, 15 ) ' Ahi ! piaciuto fosse al Dispensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata ; che né altri contro a me avria fal- lato, né io sofferto avrei pena ingiustamente ; pena, dico, d' esilio e di povertà '. Ma anche qui è fuor di luogo pen- sare al preteso adonestamento. Il poeta scusa la ' durezza ' del suo commento, accagionandone l'esilio ('). Toglier dal loro luogo i tre brani del Convivio, e guardarli fuori del contesto, e cucirli insieme, pare industria molto simile a quella dei centonari che facevano dire a Virgilio quel che essi volevano.
E in fin dei conti, strana senza dubbio é la pretesa di chi vorrebbe scorgere nello stesso Convivio quasi la con- fessione del mendacio. Il poeta nello stesso tempo che, per fuggir taccia di levezza d'animo e per timore d'infamia, mentiva, scusava e giustificava la menzogna, adducendone la movente ragione ! Mentre s' industriava di dar maschera filosofica al suo secondo amore, non ben sicuro di sapere 0 potere aggiustar le cose sue come la gravità del caso ri- chiedeva, previde che, se non subito, fra cinque o sei se- coli si sarebbe scoperto il suo gioco ; e, avveduto com' era, non si lasciò cogliere alla sprovvista; pensò alle attenuanti, e le attenuanti produsse ! In conclusione, nello stesso tempo
(1) Belle osservazioni a codesto luogo dol Convivio, ha il Foscolo, Disc, soz. 99.
La canz. Voi che intendendo, è allegorica
che mentiva, ci forniva la più bella prova del suo men- tire, la causale del mendacio, e implicitamente confessava il mendacio stesso ! Non dico che non sieno cose che non possano capitare ; ma non pare che sia appunto codesto il caso occorso a Dante, che sarebbe per Dante davvero un bel caso.
Né pare che l' esilio e' entri per nulla nella pretesa ri- trattazione. La canzone Voi che intendendo è anteriore cer- tamente air esilio, e in essa canzone è descritto il noto contrasto delle due donne, come nella prosa della Vita nuora e del Concicio. Non si può pensare che quella can- zone non abbia avuto prima dell'esilio che significazione letterale di amori reali, e che poi le sia stato attribuito un significato allegorico ('). Il D'Ancona ( Disc. GS ) affar-
ìi) So bone che il Fauriel ( Dante et les origines de la langae et de la littér. itaL Paris la^A: 1, 402 1, il Balbo ( Vita di Dante Ali- ffhieri, lib. 2, cap. 4 ), o qualche altro { vd. Gaspary, St. 1, 452, ap- pendice a p. 218 ) affermano anche questo. Ma niente contano dun- que, neppure le parole del poetii alla stessei sua canzono ? ' Canzone i' credo che «iranno radi Color che tua ragione intondan bone. Tiinto la parli faticosa e forte: Onde se per ventura egli addi- viene Che tu dinanzi da persone vadi. Che non ti paian d' essa bene accorto ; Allor ti priogo che ti riconforto. Dicendo lor, diletta mia novella: Ponete mente almen com'io son bella'. Cfr. Conc. 1. 1, la"): 1, 2, 123: 2, 12, 21. Del resto, a sentire il Fauriel, Dante composo la Vita nuora a ventun anno, e la canzone di cui parliamo. Voi che intendendo, è inserita nella Vita nuova ! ( 1, 375 s 397 ) . Ma la gratuita affermazione del Fauriel e del Balbo pare oggi si rive- sta di novelle frondi : vd. le curiose argomentazioni di M. Bieger i Bull. ns. 9, 146 s ). Certo, gravi sono le considerazioni del Frac- caroli ( Giorn. star. 33. 365 s ). Nondimeno, si potrebbe osservare che il poeta, quando scriveva la Vita nuora e probabilmente anche le canzoni, forse pensava che fosse lecito fare allegorie con inten- dimenti, come pare, molto riposti. E codesto sospetto sarebbe forse giustificato dal seguente luogo della Vita nuora (25, 44): 'Dunque se noi vedemo, che li poeti hanno parlato a le cose inanimate si
26 L'episodio della doìina gentile
ma perfino che ' la spiegazione allegorica è la sola vera e plausibile ' . Ed invero, codesto disperatissimo espediente non arrise neppure allo Zingarelli {Dante, 131); il quale tuttavia vede la ' prova materiale ' dell' essere diversa la donna gentile della Vita nuova dalla donna allegorica della canzone, ' nel fatto che la canz. Voi che intendendo è po- steriore all' ultimo sonetto della Vita Nuova ', perchè in essa canzone v' è 'un richiamo esplicito ' a quel sonetto. Noi codesto esplicito richiamo non vediamo davvero ; ma se anche ci fosse, neppure lo Zingarelli col desumere che ' la donna gentile della Vita Nuova sta di là, non di qua ' vorrebbe concludere, che dunque la Vita nuova è anteriore alla canzone e quindi anteriore all' amor filosofico.
La canzone allegorica a ogni modo, se non precede, segue ad assai breve intervallo la pretesa ingenua narra- zione del libello, la cui composizione allo stringer dei conti non si può rimandare più indietro del 1293 ('). Nessuno
come se avessero senso o ragione, o fattele parlare insieme; o non solamente cose vere, ma cose non vere ... ; degno è '1 dicitore per rima di fare lo somigliante, ma non sanza ragione alcuna, ma con ra- gione, la quale poi sia possibile ad aprire per pro- sa ... E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che ne li poeti parlano così sanza ragiono, né quelli che rimano deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasso cosa sotto vesta di figura o di colore retorico, e domandato non sapesse denudare le sue parole da cotale ve- sta, in guisa che avessero verace intendimento'. Ma di questo luogo della Vita nuova, anch'esso molto controverso, diremo più innanzi.
(1) Lo stesso Zingarelli ( Dante, 132 s 141 375 s ) afferma cho la canzone Voi che intendendo è della seconda metà del 1293 , e cho 'la prosa della Vita Nuova o è dello stesso tempo, o la precedo pro- babilmente di poco '. Cfr. Carducci, Op. 8, 76. Certo, la narrazione che, ' alquanto tempo ' dopo l' annovale di Beatrice, seguo nella Vita
// gemino battagliare della Bice
dice, nò alcuno sul serio direbbe, che il poeta, appena nar- rato il suo trascorso, chiamiamolo pure cosi, e quando po- chi potevano aver letto, pochissimi aver capito quello eh' e- gli avesse inteso dire di sé e dei suoi amori nella fervida e passionata operetta giovanile, se ne pentì, intese vergo- gna, temette accusa di levezza d' animo, e pensò d' aggiu- stare ogni cosa con ritorcimenti allegorici. Bisogna dun- que pur pensare che il poeta, descritto nella Vita nuova un contrasto tra Beatrice morta e una gentildonna viva, poco dopo veniva fuori con la canzone Voi che intendendo, per notificare ai fedeli d' amore e particolarmente a Carlo Martello il fatto assai singolare, che di un' altra battaglia dopo la prima battaglia, di un altro contrasto dopo il pri- mo contrasto, 1' animo suo era stato disputato campo ; che codesta seconda battaglia era di natura diversa dalla prima bensì, ma, forse per la legge dei ricorsi storici, alla prima affatto simile ; e che in codesto gemino battagliare la glo- riosa Beatrice avea riportato due sconfitte, che poteano però contare per una sconfitta sola ; costretta bensì a liti- gare prima con una gentildonna, poi con una donna alle- gorica ; ma in fin dei conti con due donne che ben po- teano valere quanto una donna sola ; ' savia ' l'una, * sag- gia ' l' altra^ bensì ; ma entrambe ' pietose ' e ' belle donne ' entrambe. Non ricordiamo, perchè la gravità dell' argo- mento cel vieta, il fatto singolarissimo occorso a quell' e- gregio cittadino di Cuneo ; il quale, avendo preso parte a una gita di piacere Cuneo - Aosta e Viceversa, arrivato ap- punto a Viceversa, non sapea darsi ragione come mai co-
nnova . può stringersi o costringersi anche in un semestre. Ma il poeta parla come di cose affatto lontane; ed il solo fatto coevo alla composizione del libello è questo, che il poeta, già ritornato a Bea- trice, avuta la •• mirabile visione ', studiava per poter un giorno dir di lei quello che non era stiito mai detto d' alcuna.
28 L'episodio della donna gentile
desta sua città fosse del tutto simile a Cuneo. Ma dob- biamo dire sinceramente che non si vede bene come il poeta potesse illudersi che gli occhi del vicinato avrebbero bene scorta l' intenzion dell' artista. Giacche bisogna pure sco- prire chi fu quel valentuomo che allora avrà creduto pru- dente aspettar che 1' esilio consigliasse al poeta 1' identifi- cazione delle due avversarie e trionfatrici della gentilis- sima ; e che non avrà fin d' allora cristianamente pensato di risparmiare a quella poveretta una almeno delle due battaglie, e a sé stesso la cura fastidiosa di uno sdoppia- mento non necessario.
Si vuole poi che il poeta nella Commedia confessi di essersi straniato dalla memoria di Bice per sensuali amori ; sicché avremmo che il poeta, appena narrato nella Vita nuova il fallo, o una parte del fallo, corse al riparo con la canzone Voi che intendendo ; poi, mentre meditava la confessione di quel gran fallo nella Commedia, persisteva nel fallo stesso e insisteva, con le dichiarazioni del Con- vivio, neir adonestamento. E gli mancava certo, come al Montefeltrano, la loica del Diavolo.
Comunque, é caso assai curioso certamente quello di chi, mentre pensa che il poeta non volea parere d'essere stato troppo proclive agli amori^ non vede e non intra- vede dappertutto che amori danteschi ; e vagheggia non so quante Pietre, Lisette, Violette, Gentucche, montanine, gozzute e pargolette ; e nella Lonza, nell' episodio di Fran- cesca, neir episodio di Forese, nell' attraversare che fa il poeta le fiamme del Purgatorio, nei rimproveri di Beatrice^ non adocchia che peccati di lussuria dantesca. Perchè, in- somma, pare che la critica sia arrivata a questa conclu- sione, che il ' grand' uomo ' passò quasi metà della sua vita a fare all' amore, e 1' altra metà a lasciarne prosaica e poetica testimonianza ; e che soltanto un bel giorno di efimera resipiscenza, anzi un cattivo giorno di malumore,
Le pretese contradìzioni tra la VN. e il Conv 29
per un suo malinconico ghiribizzo, volle fare, diciamo così, una sostituzione di persona, sentendo scrupolo d'un amo- retto, anzi d' un innocente desiderio di alquanti dì.
Rodolfo Renier e Adolfo Ikrtoli ed altri, hanno già con efficacia e con alcune buone ragioni, ribattute le ar- gomentazioni dei critici del poi, sostenuto che la donna gentile del libello è proprio la filosofia, dimostrato che non vi sono vere contradizioni tra la Vita miova e il Convivio ('). Nondimeno, su codeste pretese contradizioni ancora s' in- siste da ogni parte ; e parrebbe che il poeta non avesse ben presente 1* episodio della Vita nuova, quando appunto quell'episodio nell'opera temperata e virile richiamava. Stranissimo sospetto, senza dubbio ; ma necessario a chi si propone di scoprire contradizioni palesi ; salvochè non si voglia ripetere con S. De Chiara che ' il poeta cercò di togliere le contradizioni tra le due opere, ma non vi riu- scì ' ( - ). A storditezza bisognerebbe dunque pensare, oltre
(*) Ronier. T'.V. e F. 179 8» 186; Giorn. s/or.'2,3S7 n; Bartoli. Sf. 4, 214 88 232; 5, 80 n*; Lubin, Commedia, 39 ss; D. spiegato con D. 37 ; Dante e gli astronomi italiani. Dante e la Donna gen- tile. Trieste 1895, p. 65 ss ; Scrocea. // pece. 59 ss. Dello studio del Carpenter ( The episode of the donna pietosa ) non ho altra notizia che quella fornitami dalla recensione del Pasqualigo, L' Alighieri. 1, 254 ; e conosco 1" opinione del Centofanti ( Sulla Vita Xuoia di D. ) dal breve cenno del Renier. Giorn. stor. 1, 478 n 3 ; e del Kraus ( Dante, sein Leben und sein Werk ) dalla recensione dello Zinga- relli. Eassegna critica della leti. ital. 3, 175.
{-) La Pietra di Dante e la donna gentile, nel Z' Al. 3, 418. '^cm si capisce tuttavia perchè non sia riuscito il poeta a toglier via le eontradizioni, se, come pensa il De Chiara, la Vita nuora non è che un rifacimento : ( p. 436 ) ' Forse le rime pietroso f uron dalla Vita
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so V episodio della donna gentile
che al deliberato proposito di mentire ed all' incanta cau- tela della excusatio non petita. Ma io non so quanti fra gli stessi assidui ricercatori di contradizioni, vorranno aper- tamente dire che il poeta volle adonestare la donna gen- tile, senza pur ricordarsi bene dell' episodio della Vita nuova. E già codesta pregiudiziale avrebbe potuto frenare, anzi fermare addirittura, la corsa frettolosa nel bujo viot- tolo delle contradizioni, se una maledetta fatalità non avesse sempre perseguitato il giovanile libello, e quel be- nedetto amore per la Portinari non avesse sviato anche i critici più avveduti e sereni. Comunque, stridente e palese contradizione si è creduto e si crede di vedere nel fatto che il poeta chiama nella Vita nuova ' vilissimo ' e ' av- versario della ragione ' quello stesso amore che nel Con- vivio è '■ nobilissimo ' ed è per la filosofia. Ma saremmo noi davvero avversari della ragione se non volessimo con- cedere al poeta quel che egli pur vorrebbe, che sotto un certo rispetto 1' amore alla filosofia si possa concepire co- me avversario talvolta della ragione e vilissimo. Perchè in fin dei conti, si tratta d' intendere, non di negare se non s' intende, 1' affermazione del poeta. E con un esame più attento, non si sarebber forse tirate le sue parole a peggior sentenza eh' ei non tenne. Nella Vita nuova ( 38, 25 ) è descritto un contrasto tra ' il cuore ' che teneva per la donna genlile, e ' V anima ' che teneva per Beatrice ; e il cuore è chiamato ' appetito ' e 1' anima ' ragione ' ; adunque il cuore è 1' avversario dell' anima, ovvero 1' ap- petito è 1' avversario della ragione. E benché codesto ap- petito, codesto desiderio malvagio e vana intenzione, sia
Nuova tolte via quando 1" Alighieri tornò su quel che aveva già scritto, e corresse la Vita Nuova ; e per fuggir infamia e non in- ducer sospetti, variò e colori in diversa guisa il già scritto, non vo- lendo in nessun modo a quell" operetta derogare ' !
U aceersario della ragione e vilksinio 31
r amore alla donna gentile, cioè alla filosofia ; non si può a rigor di termini inferire che la donna gentile sia av- versaria essa della ragione, e sia vana e malvagia. D' al- tra parte, anche nel Concìcio codesto nuovo pensiero è ' contrario ' e ' avverso ' alla memoria di Beatrice, cioè al- l'anima che, secondo la Vita nuova, è degno di chiamare ragione ('). Né ragione maggiore si ha nell' inalberar trion- falmente il ' nobilissimo ' del Concìcio contro il * vilissimo ' della Vita nuova. Anzitutto è bene notare che per Dante ' nobile ' vien da ' non vile ' ( Conc. 4, 16, 74 ) ; che ' viltà ' è la ' sfacciatezza ' ( 19, 93 ) ; che ' la viltà di ciascuna cosa dalla imperfezione di quella si prende, e cosi la no- biltà dalla perfezione, onde tanto quanto la cosa è per- fetta, tanto è in sua natura nobile ; quanto imperfetta, tanto vile' (21, 3); che 'quanto il cielo è più pres- so al cerchio equatore, tanto è più nobile ' ( 2, 4, 69 ). E siccome ' non è inconveniente una cosa, secondo di- versi rispetti, essere perfetta ed imperfetta' (4, 11, 48), così non pare vi sia inconveniente che una cosa sia no- bile e vile, vilissima e nobilissima, secondo diversi rispetti. E sotto un certo rispetto invero, il poeta nell' opera fer- vida e passionata chiama * vilissimo ' 1' amore per la donna gentile e savia, quell' innocent-« desiderio, quel gentile pen- siero che gli parlava della pietosa consolatrice : ( VN. 38, 10 ) ' Deo, che pensiero è questo, che in così vii modo vuole consolar me e non mi lascia quasi altro pensare ? . . . Gentil penserò ; e dico gentile in quanto ragionava di gen- tile donna, che per altro era vilissimo ' ( cfr. Perez. Beatrice, 138 ). Del resto, nello stesso Convivio risuona un' eco di codesto vilissimo della Vita nuova. Nella canzone
(») Conr. 2. 2. 28: 7. 73; 8. 64 : 9. 6: 10, 2; 11. 3. Xon mi riesce chiara Y obbiezione del Barbi, Della pretesa incredulità di D. in Giorn. stor. 13. 56 n -.
32 IJ episodio della donna gentile
Voi che intendendo, dice ' uno spiritel d' amor gentile ' al - 1' anima : ' questa bella Donna, clie tu senti, Ha trasmu- tata in tanto la tua vita. Che n' hai paura, si se' fatta vile'; e nel commento: (2, 11, 12). 'Non è vero che tu sia morta ; ma la cagione, per che morta ti pare es- sere, si è uno smarrimento, nel quale se' caduta vilmente per questa donna eh' è apparita '. Il nuovo pensiero adun- que poteva parer vile anche perchè generava smarrimento e viltà ; certo a ogni modo, non perchè fosse turpe o a- bietto (*). A buon conto, bene il poeta ammonì che, sic- come ' il ciel sempre è lucente e chiaro . . . ma per alcuna cagione alcuna volta è licito di dire quello essere tene- broso ', cosi una certa ballatetta considerò la filosofia, che altrove è 'pietosa ed umile', 'orgogliosa e dispietata', ' secondo Y apparenza, discordante dal vero, per infermità dell'anima, che di troppo disio era passionata ' ( Conv. 3, 9, 11 ; 10_, 6 ; canz. Voi che intendendo, 4G ). Non pare in- somma^ comunque la cosa si voglia considerare, che code- sba pretesa contradizione sia tale spauracchio da far in- dietreggiare chi non sia già disposto a fuggire.
6.
Sennonché lo Zingarelli, mésse da parte codeste omai logore obbiezioni, osserva che {Dante, 130 ) ' nella Vita Nuo- va V amore per la donna pietosa è appetito del cuore, che contrasta alla ragione, e dopo un breve trionfo cede a que- sta che ottiene impero definitivo, quando nel Convivio essa è invece la filosofia, e il suo amore si avanza sempre sino a riuscire dominante ' ; e che ' se confrontiamo i cinque
(1) Vilissimo. ' l^a^^l '. si considerava, rispetto al ' valore ' di madonna l'amante àoW Intelligema, st, 10; e Lapo Gianni (canz. Donna, se 'l prego ) volea che madonna non isdegnassc suo ' cor vile '.
V appetito del ctiore 33
sonetti [ veramente son quattro i sonetti dell' episodio nella Vita nuova ] con quella canzone Voi che intendeììdo il terzo ciel movete, nella quale il poeta rappresenta il contrasto tra la filosofia e il pensiero di Beatrice, vi è tale diversa ispirazione e sentimento, quanta suol essere tra i moti delle nostre passioni e quelli del nostro intelletto specu- lativo, tra la natura umana che ama, ride e piange, si turba e rasserena, sempre sofferente e il ragionamento a- stratto del nostro cervello '. Quanto a quest' ultima osser- vazione, lasciamo giudice il lettore ; che, se dovessi dire la mia impressione, non esiterei a giurare che io non vedo la diversa ispirazione e il sentimento diverso. A ogni modo, sarebbe codesta una prova affatto subbiettiva che non pro- verebbe nulla. E poi, altro è parlar dei sonetti, altro del- l' episodio della donna gentile. E lasciamo dunque che la natura umana ami, rida e pianga a sua posta, e che a sua posta si turbi e si rassereni ; che, se la cosa avesse ancora a decidersi a parole, diceva quello, la declamazione che s' insignorisce della critica positiva più spesso di quel che non si creda, ci metterebbe in sacco. Vediamo piut- tosto r altra osservazione. Non è forse esatto, dire che * l' amore per la donna pietosa è appetito del cuore ' ; certo, si sconfinerebbe da ogni part^., se con codeste parole si volesse insinuare che nell' amor del poeta vi fosse, per sua confessione, alcun che di sensuale. Dice il poeta nel noto passo della Vita nuova : ' In questo sonetto fo due parti di me, secondo che li miei pensieri erano divisi. L' una parte chiamo cuore, ciò è 1' appetito, 1' altra chiamo anima, ciò è la ragione . . . Vero è che nel precedente sonetto io fo la parte del cuore contra quella de li occhi, e ciò pare contrario di quel ched io dico nel presente ; e però dico, che ivi lo cuore anche intendo per lo appetito, però che maggiore desiderio era 'l mio ancora di ricordarmi de la gentilissima donna mia, che di vedere costei, avve-
3i L'episodio della donna gentile
gna che alcuno appetito n' avessi già, ma leggero parea '. Adunque ' cuore ' o ' appetito ' sta ad indicare ' maggior desiderio ' ; e T amore per la donna gentile era appetito o cuore, come cuore o appetito era stato il desiderio di ri- cordare la gentilissima Beatrice. ' E che degno sia, dice il poeta, di chiamare 1' appetito cuore, e la ragione anima, assai è manifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia a- perto ' ; giacché, come si legge nel Convivio ( 3, 5, 195 ), al ' nobile ingegno ... è bello un poco di fatica lasciare '. Comunque sia di codesta distinzione e di codesta denomi- nazione ( cfr. Conv. 2, 7, 18 e 76 ), è chiaro che nella Vita nuova abbiamo un contrasto tra due pensieri, 1' uno dei quali è chiamato appetito o cuore perchè ad esso in- clinava 1' animo del poeta.
E neppure si può trovar contradizione nel fatto che r amore alla donna gentile è breve e transitorio nella Vita nuova, mentre nel Convivio ' si avanza sempre sino a riu- scire dominante ' ('). Il sonetto Gentil penserò, come ha no- tato il Bartoli ( St. 4, 228 ), descrive appunto quel trionfo della donna gentile che si legge nella quarta stanza della canzone Voi che intendendo. Nella Vita nuova è brusca- mente troncata la narrazione delle vicende di questo nuovo amore, e nel Convivio è ripresa e sviluppata. Ma da quel che abbiamo dell' opera temperata e virile, non pare che il secondo amore trionfasse definitivamente. Nel secondo trattato si è ancora al litigare ; nel terzo il poeta si deve già scusare d' aver chiamata codesta sua seconda donna, ' orgogliosa e dispietata ' ; nel quarto trattato si commenta la canzone che comincia:
(1) Qualcosa di simile avoa già obbiettato il \Vitte ( La Vita Nuova di Dante Alighieri, Leipzig 1876: Prolegomeni, p. 12), con- vortitosi por la seconda volta alla tesi dell' adonostamento.
// SO)). Paì'ole ))ìie 35
Le dolci rime d' amor, eh' io solia Cercar no' miei ponsiori, Convien eh' io lasci, non ptM-cir io non spori Ad esse ritornare.
Ma perchè gli atti disdognofii e feri. Che nella donna mia Sono appariti, m' han chiuso la via Dell* usato parlare.
E un' altra canzone che dovea anch' essa probabilmente trovar posto nel Convicio, comincia :
Poscia (ir Amor del lutto m' ha hisciato.
Ma e' è di più e di meglio. C è un sonetto, in cui il poe- ta, pigliando commiato da codesta bella donna del Con- cicio, confessa che in lei errò, che in lei non v' è amore, e che non intende più scriver rime per lei.
Parole mie. che per lo mondo siete ; Voi che nasceste poi eh* io cominciai A dir per quella Donna, in cui errai : Voi che intendendo il terzo ciel morete ;
Andatevene a lei, che la sapete. Piangendo si eh' ella oda i nostri guai ; Ditele: Xoi sem vostre; dunque ornai Più che noi seme, non ci vederete.
Con lei non state, eh' è non v'è Amore; Ma gite attorno in abito dolente A guisit delle vostre antiche suore.
Quando trovate donna di valore, Gittatevele a' piedi umilemente Dicendo : A voi dovem noi fare onore ^*).
('} Il Carducci ( Op. 8, 77 ) prima dice che codesto sonetto chiu- de • il periodo della lirica allegorica ' per la donna del Conririo, la fìlosoHa ; poi ( p. 93 ss I vorrebbe insinuare che la donna a cui al- lude il sonetto, e in cui il poeta dice che errò, sia la donna reale
B6 Vepisodio della donna gentile
Potrebbe alcuno sottilmente notare che, secondo la te- stimonianza di questo sonetto, le rime per la donna del
delle rime pietrose, che sarebbe da identificare con la donna del- l' episodio della Vita nuova. Il Bartoli ( St. i, 232 ) prima afferma che la donna in cui il poeta errò, ' è quella, per la quale scrisse la prima canzone del Convito ' ; poi ( p. 258 ss ) scorge nel sonetto ' co- me un pentimento, come un rammarico ', e pensa che ' il sommo artista avesse un giorno sentita quasi ripugnanza per le tre can- zoni dottrinali ', e che allo dottrinali désso commiato, non anche alle allegoriche, ' tutte ispirate da Amore '. Meglio il D' Ancona ( Disc. 70 n2 ) : < Le rime filosofiche si chiudono col sonetto : Parole mie ' ; e il Graspary ( St. 1, 453, append. a p. 221 ) : ' Come chiusa della lirica filosofica si considera, e pare a ragione, il sonetto : Parole mie '. Buone osservazioni ha il Ronier ( VN. e F. 185 s ), e il Por- naciari ( Stndj, 177 s ). Il Gaspary ( St. 1, 452. append. a p. 218 ) intondo 1' errai del sonetto, non nel senso che il poeta ' si sia in- gannato nella filosofia. Errare qui, osserva il critico, come spesso no' Siciliani, ha quasi il significato di « essere in pena, in trava- glio, » come in V. jS^.; 13 : Così mi trovo in amorosa erranza '. Certo, le voci ' orrore ' ed ' erranza ' nel senso indicato dal Graspary, oc- corrono, por influenze occitaniche, nella nostra poesia amorosa delle origini : non mi venne fatto però, di trovare in tal significato il verbo • errare '. Rinaldo d' Aquino ( canz. 'iV amoroso pensare ) : ' Lo meo 'nnamoramento. Che m' ha miso in erranza ' : Semprebene ( canz. Come lo giorno ) : • Però vi prego, dolco mia nemica. Da voi si mova mercede e pietanza. Sì che d' erranza mi ti-aggiate, don- na'; Bonaggiunta Urbiciani (canz. Ben mi credeva): 'là ov' ella appare, [N^essun la può guardare, E mettelo in errore '. Sennon- ché, specialmente noli' esempio della Vita nuova, qualcosa del si- gnificato più comune pur resta ; giacché il K^ostro si trovava •• in amorosa erranza ' appunto perchè, combattuto dìi diversi pensieri, stava • come colui, che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde se ne vada '. Del resto, il poeta nel sonetto Parole mie, non dice soltanto che nella sua donna al- legorica errò, ma che in quella donna, eh' ei credeva amorosa, non v' è amore ; e le dà bellamente congedo. Anche nella canzone Io sento sì d' amor, si legge che il poeta era servente 'di quella che non s' innamora '.
Come s'inizia la serie delle rime filos.
Condcio, jjer la filosofia, cominciano con la canzone Voi che intendendo f mentre le rime per la donna gentile della Vita nuoca cominciano col sonetto Videro li occhi miei ; e concludere che perciò le due donne non siano da iden- tificare ('). Ma si potrebbe rispondere che i quattro so- netti della Vita nuoca non sono, sottilmente considerando, rime per la donna gentile ; che non avrebbero potuto tro- var luogo nel libello che dovea esser ' loda ' della genti- lissima. Quei sonetti sono narratori dell' innamoramento del poeta, descrivono il contrasto, fanno semplice ' men- zione ', come si legge nel Convivio (2, 2, 9 ), di quella gentile, pietosa e savia donna che, scacciata, dovea ren- der così grande il finale trionfo della gloriosa ; ed il poe- ta non ebbe probabilmente intendimento d' inserirli nel- la Vita nuova, ' se non in quanto facesse a trattare di quella gentilissima Beatrice ' ( cjfr. VN. 5, 22 ). Veramente, anche nella canzone che cita il sonetto Parole mie, siamo ancora nel periodo del contrasto ; e il poeta avrebbe po- tuto, anziché la canzone, citare il sonetto della Vita nuova, ultimo dell' episodio della donna gentile, che con la can- zone coincide. Ma il sonetto, posto in servigio della loda di Beatrice, chiudeva nella Vita nuova, non iniziava l' a- more per la nuova donna ; e d' altra parte, era assai po- vera cosa rispetto alla canzone, dove il trionfo della donna gentile è più solenne e più certo, e più fermo il propo- sito di celebrarla. Del resto, quando fu scritto il sonetto
(1| Aveva già notato il Fraticelli ( Dis.<irtazior,r ftnì Comito : cito dalla ott. ed. Barbèra, Firenze 1900. vul. ii izo dellf Opero mi- nori di D. : p. 26 ). ma non por negare codostit identificazione, che * le rimo filosofiche dell' Alisrliiori ebbero nascimento da che o^li incominciò a scrivere la canzuin- Voi rlh . iìifrjiili ìi'hi '. Trovo ora che il Barbi ( Bull. ns. 9, 33 : lU. 97 ) ha formulato la grave obbiezione, che mi si ora parata dinnanzi molto tempo prima eh' io leggessi le suo parole,
38 L'episodio della donna gentile
Parole mie ? Certo molto tempo dopo la canzone Voi che intendendo, e non prima del preteso posteriore adonesta- mento della donna gentile. Adunque, se particolari ragioni non avessero consigliato il poeta a citare nel sonetto Pa- role mie la canzone Voi che intendendo, egli avrebbe, anche per rendere più verosimile l' identificazione, citato il so- netto Gentil penserò come prologo delle rime per quella donna in cui errò.
E degno di nota certamente che codesto sonetto che chiude il periodo dell' amor filosofico, ha bene rispondenza col paragrafo 39 della Vita nuova che chiude 1' episodio della donna gentile. Si domanderà : tra il paragrafo 38 e il paragrafo 39 della Vita nuova vi è dunque una lacuna di tanta estensione da poter accogliere tutte le rime che doveano entrar nel Convivio'^ E forse probabile. Del resto, non si vede perchè il poeta, dopo avere scritta la Vita nuova, non potesse, sviluppando l'episodio del libello, scri- vere altre rime per la donna gentile ; ne perchè^ dopo aver detto che in quslla donna errò, non potesse più tardi com- mentare quelle rime, e per le ragioni appunto eh' egli ad- duce. Sono finzioni, se Dio vuole, e 1' amore alla donna gentile e il ritorno a Beatrice ; e da codesto ritorno fitti- zio e allegorico non si poteva sentir legato il poeta a non iscrivere più rime per quella donna eh' egli avea chiamata savia, pietosa e gentile ; specialmente poi, quando egli chiu- deva appunto quelle rime col noto sonetto che riallaccia il periodo dell' amor filosofico all' episodio della Vita nuova e al ritorno a Beatrice, e incastra tutte codeste rime tra il paragrafo 38 e il paragrafo 39 del libello. 11 precon- cetto che ci fa trovar tante difficoltà, è questo : di credere che il poeta nello scriver le sue rime, dovesse sempre to- glier motivo da un sentimento non solo reale, ma attuale. Tutti sappiamo che nella Commedia egli pone il suo ri- torno a Beatrice, alla vita contemplativa, all' ascensione
Le rime fihs. sviluppano l'episodio della VN. 39
mistica, nel tempo in cui più si era da Beatrice allonta- nato, più si era ingolfato nella vita attiva, più precipi- tava a valle, nella selva erronea di questa vita. E Bea- trice nei suoi rimproveri sulla vetta del Purgatorio, co- mechè intenzionalmente si riferisca allo straniamento della Vita nuova, come vedremo più innanzi; non comprende ella uno spazio di tempo ed una somma di latti che oltre- passano anche il 1300? Sono finzioni; le quali, trovan- dosi come in germe nella Vita nuova, il poeta ha creduto di sviluppare nelle due opere che nella Vita nuova hanno le loro prime radici. Egli non poteva certo non tener conto di quel che era la sostanza della cosa, di tutto quel che era venuto poi a colorire e a dar rilievo ed estensione al primo disegno organico dell' opera sua ; per la fisima di tenersi stretto ai confini, vaghi e indeterminati del resto, delle fi- gurazioni della Vita nuova. A lui dovea bastare, per l' in- tento poetico, che in fin dei conti quelle figurazioni adulte conservassero suppergiù i lineamenti della fanciullezza. Co- me niente gì' impediva di portare il suo ritorno a Beatrice nella primavera del 1300, cosi credeva che gli fosse lecito di allargare e sviluppare 1' amore episodico della Vita nuova. Certo, mentre studiava per dir di Beatrice quello che mai era stato detto d'alcuna, ben poteva, ritornando sull' epi- sodio della donna gentile, scrivere altre rime che quell' e- pisodio sviluppassero ; certo, nelle sue cogitazioni e con- cezioni destinate a glorificar Beatrice, si presentava spon- taneo queir episodio : ed è naturale eh' egli pensasse che neir economia dell' opera sua, ben meritava più largo trat- tato ('). Insomma, siano codeste rime allegoriche e dot-
(1| Il Foriiaciari ( Stiulj. 147 ) muove questa obbiezione al Bi- scioni : • Xon ispiega però il Biscioni la coiitradizione fra l' addio dato nella Vita Knora alla Donno gentili', e il ritorno fatto a lei nel Convito, il quale Siu-ebbe composto tanto tempo dopo ". Ma nei Con-
40 L'episodio della donna gentile
trinali per madonna la Filosofia state scritte prima della Vita nuova, siano state scritte dopo, è molto probabile che il poeta abbia voluto con esse colmare la lacuna della Vita nuova. Certo, per cavar da questo particolare, contradizioni, ci vuole molta buona volontà e deliberato proposito di cavillarci su non poco.
7.
Ma dobbiamo fare una non breve digressione.
Nicola Scarano, in un suo bel Saggio dantesco ( Bea- trice, Siena 1902 : p. 76 ss : cfr. Giorn. star. 40, 208 ss ) non dubita punto che la donna gentile ' sia già nella Vita Nuova immagine della filosofia. Se non dovessimo giovarci delle esplicite affermazioni del poeta per scoprire il con- gegno delle sue costruzioni, io non saprei, dice arguta- mente r amico mio, dove cercare saldo fondamento a' no- stri sforzi esegetici '. Sennonché egli vorrebbe che codesta filosofia della Vita nuova sia ' una filosofia di terzo ed in- fimo grado ' ; giacché ' nella Vita Nuova il poeta ci rap- presenta il secondo amore come inferiore al primo, sin al punto da dire vilissimo e avversario della ragione il pen- siero che parla della Donna gentile, e malvagio il deside- rio di lei ; laddove nel Convito 1' a,more della Donna gen- tile o Filosofia vien rappresentato come più forte e più alto dell' amore di Beatrice '. Osserva che ' per la superio- rità della Donna gentile rispetto a Beatrice giova non di- menticare che Dante chiama la Filosofia figliuola, suora, sposa dello Imperadore delV universo '. E cita molto a pro- posito questi due luoghi del Convivio: (2, 16, 50) ' V a-
riiio il poeta non ritorna Invero alla donna gentile ; commenta le rime fatte, o almeno le rimo che considerava come fatto nel perio- do del suo secondo amoro.
Tm donna gentile dèlia FAT. e la donna del Conc. 41
ìKiiui i>i((nge. Qui si vuole bene attendere ad alcuna mo- ralità, la quale in queste parole si può notare : che non dee r uomo per maggior amico dimenticare li servigi ri- cevuti dal minore ; ma se pur seguire si conviene 1' uno e lasciar 1' altro, lo migliore è da seguire, con alcuna one- sta lamentanza 1' altro abbandonando ; nella quale dà ca- gione a quello eh' ei segue di più amore'; (3, 1, 82) ' Dico che pensai che da molti di retro da me forse sarei stato ripreso di levezza d' animo, udendo me essere dal primo amore mutato. Per che, a torre via questa ripren- sione, nullo migliore argomento era, che dire qual era quella Donna che m' avea mutato. Che, per la sua eccel- lenza manifesta aver si può considerazione della sua virtù ; e per l' intendimento della sua grandissima virtù si può pensare ogni stabilità d'animo essere a quella mutabile; e però me non giudicare lieve e non istabile'.
Certamente lo Scarano tocca qui, un po' speditamente invero, della complessa, anzi ingarbugliatissima questione, un punto assai grave ; alla cui soluzione non possono certo bastare codeste citazioni del Convicio, senza pur guardare né al sonetto Parole mie, né al noto rimprovero di Bea- trice sulla vetta del Purgatorio ( 33, 85 ), né ad altri luo- ghi del Convivio stesso. D' altra parte, la pregiudiziale che il poeta appunto nel Convivio identifica con la donna gen- tile della Vita nuova codesta tanto eccelsa donna (che nella Commedia non sarebbe neppure rappresentata, perchè, se- condo il critico, ' Rachele è bensì nella Commedia simbolo della filosofia ma d' una filosofia che occupa rispetto alla Filosofia del Convito un grado più basso e si stende en- tro confini più stretti ' ), dovrebbe farci andar cauti nel giudicare della superiorità di essa rispetto a Beatrice. Né dal fatto che il poeta mostra di non accorgersi della con- tradizione, è lecito sospettare che egli la contradizione as- sai aperta e stridente non vedesse ; né, se ancora nessun
42 L'episodio della donna gentile
Teseo lia avuto dall' amorosa sua Arianna il filo per uscir dall' intricatissimo laberinto della Vita nuova e del Con- vivio^ sarebbe lecito dire che il poeta nel suo laberinto di astrazioni e figurazioni si sperdette, come ci sperdiamo noi tutti. 11 poeta, come Dedalo, avea sempre pronte un bel pajo d' ali, attaccate bensì con la cera, ma agili e pre- ste ai suoi voleri, cosi da poter uscire speditamente dal suo laberinto quando avesse voluto, o piuttosto quando avea fatto disegno di uscirne. Giacché non bisogna dimen- ticare che il Convivio non è opera compiuta ; e che in fin dei conti, non avea forse torto quel predicatore che, do- vendo fare il panegirico di sant' Antonio, credette fosse suo dovere di dire che sant' Antonio era il migliore di tutti i santi.
Nondimeno, in quel che nel Convivio possiamo pur leggere e' è tanto da poter dissipare qualche dubbio, se pur non basta a tanto nodo disnodare. ' Vita del mio core, cioè del mio dentro, dice il poeta ( Conv. 2, 8, 34 ), solca essere un pensiero soave ( soave è tanto, quanto suaso, cioè abbellito, dolce, piacente, dilettoso ), e questo pensiero . . . se ne già spesse volte a' pie del Sire di costoro a cui io par- lo, eh' è Iddio ; cioè a dire, eh' io pensando contemplava lo regno de' Beati '. Or che la nuova donna, che quel pensiero soave facea ' fuggire ', portasse a celestiali contemplazioni, a mistici rapimenti ( cfr. Conv, 2, 8, 48 ), non pare ; né pare che il poeta alle mistiche contemplazioni desse, almeno per figura, meno valore che alle disputazioni dei filosofanti ; se egli, lasciata stare la nuova donna, a Beatrice ritornò e alla contemplazione del regno dei beati. So bene che del cielo e degli angeli e dei beati nel Convivio qualcosa si tocca, ma quasi di sbieco, e più per incidenza che di proposito. ' Il dono veramente di questo Commento, dice il poeta (1, 9, 48), è la sentenza delle Canzoni alle quali fatto è, la quale massimamente intende inducere gli uo-
La materia del Cono. 43
mini a scienza e a virtìi '. Il primo trattato è proemio al- l' opera ; il secondo parla del contrasto ; il terzo è lode della filosofia ; nel quarto si ragiona della nobiltà, o, come il poeta preannunzia (1, 9, 55 ), come la * vera nobiltà è seminata ', e ( 3, 7, 144 ) come la ' naturai semenza si fa ', e 1, 1, 120) come 'certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra ' ; nel settimo si sarebbe detto ( 4, 26, 65 ) quanto ' piacere ' ri- cevette Enea da Dido ; nel quattordicesimo si sarebbe ra- gionato ( 1, 12, 86; 4, 27, 100 ) della giustizia, e si sa- rebbe mostrato (2, 1, 34) perchè il linguaggio allegorico fu trovato * per li savi ' ; nel 'quindicesimo ed ultimo trat- tato il poeta si proponeva di ragionare (1,8, 128 ) ' per che si caro costa quello che si priega ', e in esso si sarebbe potuto vedere ( 3, 16, 142 ) che le virtù ' talvolta per va- nità o per superbia si fanno meno belle o men gradite ' ('). Certo qualche digressione che risente dello studio che il
(1| Il Biscioni ( Pref. '22 ), Rupponondo che il Conririo dovosso avere un trattato finale * per conclusione di tuttii T opera *, stimava eh' ossa ' sarebbe stata in tutto di setlici Trattati '. Certo non avverti che penultimo trattato sjirebbo stato il quattonlieesimo ( cfr. Conr. 1, 12, 87; 4, 27, 101 1. E forse a codesta svista contribuì I* altra sua «iupposizione ( che poi fu anche del Selmì, del Casini e di molti al- tri ) che, dopo la canzone della nobiltà, terza del Conririo, il poeta intendesse commentare undici canzoni sopra le undici virtù morali di Aristotele ( cfr. Camp. 4, 17, 28 ) : o forse a questa sua supposi- zione ei venne a cagion di quella s^-ista. Ma il conto tornerebbe col csilcolo del Biscioni ; giacché alla giustizia, ultima nella enume- razione aristotelica, egli assegnava il quindicesimo trattato ; non toma più se consideriamo che della giustizia si sarebbe ragionato invece nel quattordicesimo : e molto meno poi se consideriamo che bisogne- rebbe forse fare un po' di posto anche alla ' Prudenza, cioè Senno ', che • ben si pone . . . per molti essere morale Virtù ' ( Conr. 4. 17, 77 (. A codesta immeritamente fortunatii ipotesi del Biscioni e del Selmi, obbietta anche lo ZingareUi, Dante. 393.
44 /--' episodio della donna gentile
poeta avea fatto o faceva per glorificar Beatrice, non to- glie nulla al carattere di questo libro che dovea svolgere r episodio della Vita nuova e commentare quelle rime che a queir episodio intendeva il poeta riferire. Ed è pur no- tevole che appunto sotto gli auspici della nuova donna il poeta, ragionando del latino e del volgare, promette ( 1, 5, 66 ) un libro di Volgare Eloquenza ; e che pur sotto il suo governo egli tocca qualcosa (4, 4, ) di quella materia che poi svolgerà nel De Monarchia ('). Tutto insomma cospira a mostrar che il poeta volesse con le sue figura- zioni insinuare che dalle mistiche contemplazioni egli fosse passato a cogitazioni che nen aveano per fine diretto la vita futura ; e che 1' amor delle ' presenti cose ' lo avesse distolto dalla visione gloriosa di Beatrice.
Né la ' beata mensa ' a cui egli allude nel Concimo (1, 1, 68 ), è forse, come par che intenda lo Scarano, ' la filosofia del cielo ', ' il filosofare dei beati ' ; ma è la mensa di coloro che si cibano di dottrina, ' pane degli Angeli ' ; né il pane degli angeli é, come par voglia poi G. Manacorda ( Da S. Tommaso a Dante, Bergamo 1901 : p. 9 ) ' la scienza divina ', ' la teologia o scienza di Dio '. Alla beata mensa sedeva certamente il suo maestro Aristotile (1, 9, 61 ) ; ' glorioso Filosofo, al quale la Natura più aperse li suoi segreti' (3, 5, 55); 'Maestro della umana ragione' (4, 2, 138 ); ' Maestro e Duca della ragione umana ', ' degnis- simo di fede e d'obbedienza' (4, 6, 71 e 50); 'ingegno quasi divino ' e ' Filosofo sommo ' ( 4, 6, 133 e 156 ); ' Mae- stro dei Filosofi ' ( 4, 8, 141 ) ; ' Maestro della nostra vita ' ( 4, 23, 81 ); ai piedi del quale il poeta certo avea ricolto la maggior parte delle briciole e dei rimasugli eh' ei nel suo convito imbandisce, mosso dal ' desiderio di dottrina
(1) Por le recenti discussioni intorno alla cronologia del libro, vd. Bull. ns. 8. 240 ss : 9, 20 ss 149 ss 279 ss ; Eass. bibl. 11, 54.
La beata meììsa
dare' ( ctr. 4, i>, i'.u e 14v> ;. Ala nuii coluiu ciie primi seggono a quella ' beata mensa ', Aristotile, Platone, Boe- zio e Tullio, lo libereranno dalle tre bestie e dalla selva erronea di questa vita ; ne la * donna di questi autori, di queste scienze, e di questi libri ' ( 2, 13, 38 ) ; ma Beatrice ; e con Beatrice, non con la donna gentile, cioè con la fi- losofia, tornerà, ' nel mezzo del cammin di nostra vita ', al pensiero soave, alla contemplazione del regno dei be^ti ('). Ma lo Scarano osserva : * stando appunto alle afferma- zioni del poeta, nel Convito reca subito maraviglia che Beatrice e la Donna gentile non sian più 1' una contro l'altra armata come nella Vita Nuova : nel Convito esse hanno come fatta pace, pur occupando la Donna gentile un posto superiore a quello di Beatrice, e, dirò meglio, pur cedendo Beatrice il suo posto alla Donna gentile ' (-). Nel
(*) IXel Concino Aristotile è citato lOA volte, Platone 15 volte, Boezio 14 volto, Tullio 24 volto : mentre 4 volto soltanto b citato 8. Tommaso e 5 volto s. Agostino. Cfr. Ozanam, D. et la phil. 265 8 ; D' Ovidio, Sladii, 263. Scrive il Gaspary ( St. 1, 165 1 : ' Benché Boezio stesso fosse già cristiano, pure il suo pensiero filosofico era ancora quello classico ; in lui noi abbiamo un' argomentazione sola- mente con i motivi della ragione, dai quali vengono derivati anche r esistenza e l'essere di Dio : di premio e pena noli' altro mondo si può prescindere, il premio st.i per sé nel bene, la pena nel male, giusta la dottrina della filosofìa del paganesimo, e quando Boezio mentova inforno e purgatorio, questo avviene soltanto per metterli da parto '. Intorno al libro di Boezio è degna di nota la bella pa- gina del Graf ( Roma nella memoria e nelle immaginazioni del ME. Torino 1882 - 3 : 2. .336 ).
(^1 Anche lo Scrocca ( // pece. 22 ) vede una conciliazione ; ma per liù la subordinazione è inversa. 'Ed ho per fermo, egli affer- ma, che il Canario è il libro non della umana scienza disgiunta dalla teologia ( come è opinione dello Scartazzini ). o inopportuna almeno e tale che valse in parte a distoglier Dante dal suo proposito di ce- lebrar Beatrice ( come è espressa opinione del D' Ancona ) : ma della umana scienza conciliata già con Beatrice, anzi fattoi soggetta, e ri-
46 L'episodio della donna gentile
Convivio, a onor del vero, la donna gentile, la filosofia, è anzitutto, come abbiamo veduto, un pensiero ' avverso ' al pensiero di Beatrice, al soave pensiero della mistica con-
corcata appunto in servigio di quella, che nel pensiero di Dante era salita a simbolo altissimo '. Ma non è cosa molto facile veder chiaro nella ricostruzione del critico ( cfr. pp. 4, 35, 38, 40 ). Sbrogliata un po' la matassa, forse abbiamo : Dante si straniò almeno tre volte da Beatrice ; una volta quando, ' morta Beatrice, si die in preda a vani e disonesti amori donneschi ' ; un' altra volta quando, ' ai nuovi studi incominciati per consolarsi della morta Beatrice, egli si diede tutto con esclusiva cura ' ; una terza volta quando ' si applicò a una dot- trina filosofica disforme in parte dalla teologia '. Isella Commedia di codesto trinomio abbiamo il primo termine e il terzo, un binomio molto semplice : peccati di lussuria ( Purg. 30 e 31 ) e dottrina filoso- fica disforme ( Purg. 33, 85 ss ). La Vita nuova e il Convivio ci danno invece notizia, come di cosa passata, dello straniamento che noi ab- biamo classificato secondo, oblio della donna por 1" amore alla filoso- fia. ' Niun dissidio, dunque, conclude il critico, so non passeggero è nel Convivio { e però anche nella Vita Nuova se si creda alla allego- ria della donna gentile ) tra la filosofia e Beatrice ; e questa ultima, non nell' aspetto di teologia ; e quel dissidio stesso è compensato nel Convivio da un ragionevole accordo tra la nuova scienza e Beatrice, non obliata più come donna, e inchinata omai come simbolo '. La- sciando stare che non si vede bene come mai nella Commedia non si faccia cenno alcuno dello straniamento di cui tanto si parla nelle due opere che con la Commedia hanno così stretto legame ; osservia- mo che neppure è molto chiaro perchè mai nella Vita nuova il poeta, che avea da rimproverarsi gli amori vani e disonesti, dovesse far tan- to caso del breve oblio della donna per 1' amore alla filosofia. Scrive il Foscolo ( Disc. sez. 20 ), non certo dello Scrocca: ' Così a me paro eh' egli guardandosi dai falsi sentieri battuti dagli altri, n' abbia spia- nato de' nuovi più tortuosi ; o come cavaliere errante, ei si trova nella selva incantata faccia a faccia co' suoi rivali, senza veder pix\ lume a duellare '. Lo ZingarelU ( Dante, 520 ) dice che, mentre ' r amore della sapienza, filosofia, è nel Convivio rappresentato come diverso da quello di Beatrice subentrato ad esso ' ; ' nella Commedia Beatrice si prende le parti della « donna gentile », ossia della sa- pienza stessa '. Il ' progresso artistico ' della mente del poeta sarebbe
Iji donna del Conv. è acversarìa di Beatrice \~
templazione ; è 'avverso' ed è 'contrario', e 'natural- mente r uno contrario fugge T altro ; e quello che fugge mostra per difetto di virtù fuggire '(2,8, 70 ). I due pensieri battagliano, e in fine la nuova venuta ha il so- pravvento e scaccia 1' altra, perchè ( 2, 2, 32 ) 1' uno pen- siero 'era soccorso dalla parte [della vista] dinanzi conti- nuamente, e r altro dalla parte della memoria di dietro. E '1 soccorso dinanzi ciascuno di crescea, che far non po- tea l'altro '. Vinse la nuova donna e scacciò 1' altra, per- chè ( 2, 9, 30 ) le intelligenze del cielo di Venere 1' amore ' trasmutano di quella parte eh' è fuori di loro podestà, in quella che v' è dentro ; cioè dall' anima partita d' està vita, in quella eh' è in essa '. Loda il poeta altamente la nuova donna, ma ( 2, 16, 76 ) * non è maraviglia se là dice sì, e qui dice no, se ben si guarda chi discende e chi sale '. Non si conchiude dunque un trattato di pace dove sia riconosciuto il vassallaggio, o, come dice lo Scarano, la ' subordinazione ' della povera vinta. Di Beatrice, dopo la sconfitta, il poeta non intende più nel Concicio par- lare ; e la nuova donna, dal terzo trattato, non litiga più con nessuno ; soltanto si accenna due volte, in fine del terzo trattato e in principio del quarto, a un disaccordo col poeta stesso. Certo la fede, la chiesa, il domma, ben- ché conservino rispetto alle dottrine filosofiche autorità
sUito adunque questo : prima, aol Coinirio, adonestare la donna gen- tile della Vita nuora, identificandola con la sapienza, e far litigare la sapienza con la memoria della cara defunta ; poi, nella Commedia, identificare la sfipienza con la sua antica a^'versaria. Beatrice : e sconfessare il primo adonestamento. Insomma le due amanti della Vita nuova con vece alternji venivano identificate con la sapienza : la quale, come le Compagnie di ventura, quando prestitva i suoi servigi air una, combattea contro 1' altra : nel Concicio. militando per la donna gentile, si trova di fronte a Beatrice : nella Commedia, mi- litando per Beatrice^ si trova di contro la donna gentile.
48 />' episodio della donna gentile
maggiore, occorrono tuttavia nel Convivio come ancelle della ragione, o per meglio dire, come suggello delle spe- culazioni dei filosofi. Avviene a chi legge come a colui che, dopo di essere stato persuaso con buone ragioni, riceva uno scapaccione che, più potente d' ogni ragionamento, gli fac- cia andar via, se mai gli venisse, il ticchio di dubitare e di ribattere ('). E si potrebbe forse supporre che nelle figurazioni del poeta si rispecchi del periodo della Scola- stica la lotta tra la ragione e la fede, e il tentativo di con- ciliar fede e ragione, e 1' altalena della ragione ancella della fede e della fede ancella della ragione ; ovvero forse 1' an- tagonismo tra 1' ordine dei predicatori che avea eletto la scienza, e 1' ordine dei minori che avea eletto la carità ; tra la corrente aristotelica e la mistica (^). Sicché, se lo
(1) Con filosofiche ragioni anzitutto, il poeta dimostra per es. r immortalità dell' anima e 1' esistenza e la natura degli angeli ( cfr. 2, 9, 55 ; 5, 11 ).
(2) Certo la Scolastica nelle scuole dei religiosi e nelle dispu- tazioni dei filosofanti, dovea ben presto infastidire il mistico amante di Beatrice ; cfr. Par. 29, 82 - 96. Un bel quadretto di quel dispu- tare dà r Ozanam, D. et la phil. 89 ; cfr. anche Tocco, Le correnti del pensiero filosofico nel s. XIII, nella raccolta Arte, Scienza e Fede ai giorni di D. Milano 1901 : pp. 194, 200. Per le relazioni tra Dante e 8. Bonaventura, vd. lo studio del Di Bisogno, S. Bonaventura e D. Milano 1899 ; e su La letteratura mistica, la bella conferenza del Nen- cloni, nella raccolta La vita italiana nel trecento, Milano 1897. Non mi nascondo tuttavia le gravi obbiezioni che si potranno fare a co- desta mia ipotesi. Il poeta nella Commedia non professa dottrine mi- stiche, ma tomistiche : vd. il citato studio del Tocco, p. 195 ss. Acute mi sembrano a ogni modo le osservazioni del Perez ( Beatrice, 252 ss ) sul misticismo di Dante. 'Anche il Kraus (scrive il Di Bisogno, p. 22) recentemente potè dire che, sebbene sti-ettissima relazione interceda tra la Somma di S. Tommaso e Dante, per quel eh' è dottrina teologi- ca e filosofica, maggiori, per ciò che s'attiene alla disposizione gene- ralo del poema dantesco, alla struttura de' tre l'ogni, all' allegoria, sono forse le relazioni con Bonaventura ' ( Kraus, Dante, p. 438 ).
IJ altalena nelle figurazioni del poeta 4!»
Scarano volesse dir questo, che certo non vuol dire, po- tremmo anche ammettere che dal terzo trattato e' è tra le due donne pace, e sia pure, sotto un certo rispetto, ' su- bordinazione', ma temporanea, di Beatrice. Ma codesto non potrebbe maravigliare alcuno, né alcuno potrebbe per ciò solo proclamare in modo assoluto la superiorità della don- na del Convicio. Ben sarebbe da stupire e del contrasto e della subordinazione, se Beatrice, come vuole lo Scarano, fosse simbolo della libertà. * L' anime libere dalle misere e vili dilettazioni, e dalli volgari costumi ' s' innamorano della filosofia, dice il poeta ( Conc. 2, 16, 65 ) ; or come la filosofia sarebbe mai contraria e avversa alla libertà? or co- me la libertà si sottomette e fa pace con la filosofia ? or come il poeta lascerebbe stare la filosofia e tornerebbe alla libertà? Lo Scarano, cosi cauto e misurato in tutti i suoi saggi letterari, questa volta pare invero che si sia lasciato un po' sedurre dal miraggio di codesto nuovo svelamento della Beatrice. Ebbe certo vaghezza di lanciare sul mercato dantesco, codesto nuovo titolo, piìi lusingato dalla novità della sua originale trovata, che persuaso del valore dell' i- nopinato rinvenimento. Al quale egli è venuto per via d' e- liminazione : Beatrice non è figura di tal cosa, perchè tal cosa ha il suo rappresentante nella Commedia. Sarebbe, a- vrà pensato l' amico mio, sarebbe come un voler dare due deputati ad uno stesso collegio elettorale. Sennonché, la- sciando stare che potrebbe trattarsi di elezioni a scrutinio di lista, chi ci assicura della giusta assegnazione del pro- prio collegio elettorale a ciascun rappresentante ? Né quel che lo Scarano dice di Lia e Matelda mi persuade, perché i sogni del Purgatorio sono vere prefigurazioni ; né vedo perchè la Libertà debba andare a sedere ' con 1' antica Ra- chele '. Catone poi rappresenterebbe ' il desiderio della li- bertà ', rappresentata da Beatrice. E qui si potrebbe vedere il caso del candidato bocciato, rimasto col desiderio di rap-
50 V eimodio della donna gentile
presentare il suo collegio, e del candidato eletto, che rap- presenta veramente il collegio disputato. Ma si avrebbe in fondo quel che appunto si vuole evitare, si avrebbe un vero doppione della Libertà. Comunque, non è da confon- dere r ipotesi, sotto un certo rispetto, seducente, dello Sca- rano, con le (chiamiamole pure supposizioni di Virg. Rossi ( Della libertà nella nuova lirica toscana del 1300, Bologna 1886: vd. Giorn. stor. 9, 311 s ). Tuttavia, anche lo Sca- rano dà un po' di vernice politica alla sua figura della ' libertà santa '. Egli accenna ( pp. 35 - 37, 62 - 65 ) alla coincidenza di rivolgimenti politici con 1' anno della na- scita e con r anno della morte di Beatrice ; e parlando della canzone Donne cK avete, e cercando ' perchè mai, per parlare di libertà. Dante si rivolge alle donne ', pensa pure che il poeta in ciò * dimostra quale alto concetto egli avesse della missione della donna e dell' efficacia, nella vita civile, della educazione morale impartita da essa (').
Ma lasciamo andare. Certo dovrebbe parer quasi na- turale che il poeta nelle sue figurazioni sia costretto a dire e a disdire. Né questa è una supposizione gratuita, per sanare le pretese contradizioni tra la Vita nuova e il Con- vivio. In quella piccola parte che abbiamo dell' opera tem- perata e virile, si vede già come il poeta dica e disdica e non si contradica. Nel tesser le lodi della nuova donna, si scusa egli d' averla chiamata in una ballatetta ' orgo-
(1) Conv. 3, 7, 125 ' Dico che qiial Donna gentile non crede quello eh' io dico, che vada con lei, e miri gli suoi atti ; non dico qual nomo, perocché più onestamente per le donne si prende sperienza, che per r uomo '. Del resto, probabilmente il poeta parlava a donne gentili, quasi per vezzo letterario ; perchè ( VN. 25, 31 ) * il primo che co- minciò a dire sì come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d' in- tendere li versi latini '. Non diversa intenzione ebbe forse il Caval- canti quando cominciava quella sua astrusa canzono filosofica sulla
// poeta dice e disdice e non si contradice 51
gliosa e dispietata" [^'ó, i>, Òj i ' > Dal principio essa fi- losofia parea a me, dice il poeta ( 3, 15, 203 ), quanto dalla parte del suo corpo ( cioè sapienza ), fiera, che non mi ri- dea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea ; e disdegnosa^ che non mi volgea gli occhi, cioè eh' io non potea vedere le sue dimostrazioni. E di tutto questo il di- fetto era dal mio lato '. Fiera e disdegnosa, orgogliosa e dispietata e superba, quella filosofia che è ' donna piena di dolcezza ', ' saggia e pietosa e cortese ' ! Ma ecco, subito dopo la palinodia, in principio del quarto trattato il poeta torna a dire che la sua donna gli si mostrava un' altra
natura d' amoro, col diro che scrivova pregato da una donna. E creilo volesse anche quasi scusarsi di trattar si alta materia in versi vol- gari ; corto non parlava per essere inteso da una donna : né pare d' altra parte che con quel suo ' Donna mi prega ' volesse alludere a tutte le stravaganze che vi hanno scorto i commontatori. Anche Francesco tbi Bjirberino ( Del reggimento e de' costumi delle donne. Roma 1815 : p. 0-7 ) scriveva in • volgar Toscano ' per far piacerò ad una donna : tuttavia egli in una sua • cinzone oscura * sulLi na- tura d'amore ( Docamenfi d" amore, Roma 1640: p. 363), non parla a donne, ma ad uomini : * Dico signori a voi saggi e coperti ; Però che ra' intendete. Voi donne poche sete, A cui omai la mente a- v risse amore, Ch' avete perduto di sangue e d' onore '. A donne però si volge per avere o dar notizia della sua strana donna alle- gorica ( Begg. 76 e 83 ). Comunque, nella Vi/a nuora il poeta si trova spesso in mezzo a ' donne '. e parla quasi sempre di ' donne ', o a • donne * ; e bisognerebbe un po' vedere se costoro erano ' le sfaccia- te donne Fiorentine * che andiivan " mostrando con le poppe il petto '. come dice Forese ( Pnrg. 23, 101 ) ; o, come dice Francesco da Buti ( Commento sopra la DC. Pisi» 18.58-1862: 2. 561 ), che ' al tempo de r autore andavano tiuito sgolate e scollate li panni, che mostrava- no di rieto lo canale de le rene, e d' inanti lo petto e lo fesso del ditello: ma laudato sia Iddio, esclama il buon uomo, che ora porta- no li collaretti, sicché sono uscito di quella abominazione '.
iM Si crede generalmente che codesta 'ballatetta" sia quella che comincia: * Voi che sapete ragionar dì amore ' : cfr. Carducci. Op. 8. 78 : Bartoli. St. 4. 253 : Gaspary. St. 1, 219.
52 L'episodio della dmma gentile
volta 'fiera e disdegnosa': (4, 1, GO ) 'E, conciofosseco- saché questa mia Donna un poco li suoi dolci sembianti trasmutasse a me ( massimamente in quelle parti ove io mirava e cercava se la prima materia degli elementi era da Dio intesa ), per la qual cosa un poco da frequentare lo suo aspetto mi sostenni ' ('). S' allontanò adunque in- grognato da questa sua nuova beatitudine, da questo suo nuovo amore, perchè non era stato contentato nel suo de- siderio. Ma nella lode della filosofia si legge : (3, 15, 9 ) * nella faccia di costei appaiono cose che mostrano de' pia- ceri di Paradiso ', cioè ' quel piacere altissimo di beatitu- dine, il qual è massimo bene in Paradiso ... E la ragione
(1) Non paro che in codesto dubbio di Dante vi sia ribellione alla fede ; vd. Cipolla, Sigieri in Giorn. stor. 8, 83 ss : e Scrocca, // pece. 33 8. Tuttavia, se il poeta non poneva in dubbio che la prima materia degli elementi era stata da Dio creata o tratta dal nulla, ma ' titubava, pensando come mai la materia prima che non ha forma, può in alcuna maniera rientrare nella species intelligibilis, per cui Dio stesso conosce ', come vuole il Cipolla ; ovvero investigava se la prima materia era stata croata ' secondo un tipo od esempio ', come vuole lo Scrocca ; da codesta ricerca ben poteva in ben altri dubbi sdrucciolare, non trovando ragionevole risposta al suo quesito. ' Il modo con cui parla, osserva il Cipolla, fa vedere che egli vuol farci sapere soltiinto d' essersi trovato avvolto in difficoltà puramente fi- losofiche ; e nulla più '. Ma le ' difficoltà filosofiche ' intorno a Dio ed alla prima materia, spianano bene la via al dubbio ed all' errore. ISTon si deve dimenticare che furono condannate anche alcune pro- posizioni dello stesso s. Tommaso ; e che proprio Dante fa dire di sé a Virgilio : ( Piirg. 1. 58 ) ' Questi non vide mai V ultima sera. Ma per la sua follia le fu sì presso, Che molto poco tempo a vol- ger era '. E codesta ' follia ' mi richiama 1' attributo di ' matto '. dato puro ài\ Virgilio ( Pnrg. 3. 34 ) a chi spera di poter con la ragione intendere certe cose ; e il ' folle volo ' di Ulisse ( cfr. P. Cesareo, L' evoluzione sferica del carattere di Ulisse, recensione in Bull. ns. 8, 256; e Chiappelli, Lectura Dantis: il Canto XXVI dell' Inferno, Firenze 1901).
La beatitudine e il desiderio oB
è questa, che, conciossiacosaché ciascuna cosa disia natu- ralmente la sua perfezione, senza quella esser non può con- tenta, che è esser beato ; che quantunque l' altre cose avesse, senza questa rimarrebbe in lui desiderio, in quale [il quale] esser non può colla beatitudine, acciocché la beatitudine, sia cosa perfetta e '1 desiderio sia cosa difettiva ; che nullo desidera quello che ha, ma quello che non ha, eh' è ma- nifesto difetto (^). E in questo sguardo solamente la umana perfezione s' acquista, cioè la perfezione della ragione, dalla quale, siccome da principalissima part€, tutta la nostra es- senza dipende . . . Sicché, perfetta che sia questa, perfetta é quella tanto, che 1' uomo, in quanto elio è uomo, vede terminato ogni suo desiderio, e cosi é beato . . . Veramente può qui alcuno forte dubitare, come ciò sia che la Sapienza possa fare 1' uomo beato, non potendo a lui certe cose mo- strare perfettamente ... A ciò si può chiaramente rispon- dere, che '1 desiderio naturale in ciascuna cosa è misu- rato secondo la possibilità della cosa desiderata . . . Onde^ conciossiacosaché conoscere di Dio, e dire di certe cose, quello e ' sono [conoscere Dio e certe altre cose, come 1' e- ternità e la prima materia], non sia possibile alla nostra natura, quello da noi naturalmente non é desiderato di sa- pere, e per questo è la dubitazione soluta ' ( cfr. 4, 12, 117 ; 13, 63)(-). Ma rampolla a pie del vero il dubbio; né pa-
(M Della Lana ( Commedia di Dante degli Allagherii col com- mento di J. d. L., Bologna 1866: 3, 9): 'Dice lo Filosofo in terzo De Anima: Homo non est perfeote boatus quandiu restat sibi ali- quid dosiderandum '.
(i) Lo Scherillo ( Ale. cap. 310 s ), esaminando il brano del CoU' ri rio. argutamente osserva : ' Il dubbio non isgomenta Dante : anzi ei lo risolve con sofismi in buona fede, poiché egli è innamorato della Filosofia, e non sa e non vuol vedere le imperfezioni dell" a- mata. « Il desiderio naturale ». afferma, « in ciascuna cosa è misu- rato secondo la possibilità deUa cosa desiderata -> : altrimenti. « desi-
7
54 TJ episodio della donna gentile
re che durante gli amori con la nuova donna, nelle scuole dei religiosi, alle disputazioni dei filosofanti, il poeta avesse vaghezza di dissetarsi dell' acqua della femminetta Sama- ritana. Come abbiamo veduto, egli racconta eh' ei ' mirava e cercava se la prima materia degli elementi era da Dio intesa ', e che la sua donna si mostrava in ciò fiera e di- sdegnosa, e eh' egli perciò s' astenne dal frequentare il suo aspetto ; dunque si può conchiudere, che se prima gli parve beatitudine, infine dovette parergli cosa difettiva e imper- fetta, e che non è vero che 1' uomo non desidera di sapere quello che non è possibile alla sua natura ('); e che non è vero neppure che ( 1 , 1 , 7 ) 'la scienza è 1' ultima per- fezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicità '. Poteva il poeta, col ripetersi degli atti fieri e di- sdegnosi della nuova sua donna, pensare che la nostra fe- licità e la perfezione della nostra anima non è nella scienza che conduce a dubbi tormentosi, ma nella fede e nell' a- more ; poteva egli nell' ardenza della ' sete naturai che mai non sazia ', non trovar quella ' pace ' eh' ei vedeva nella dottrina di Cristo ( cfr. Conv. 2, 15, 171) f^).
derando la sua perfezione, desidererebbe la sua imperfezione, impe- rocché desidererebbe sé sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio ». Quasi che non fosse proprio codesta « sete naturai che mai non sazia » ( Pnrg. XXI. 1 ) il tormento della umana ragione ; e questa non fosse per 1' appunto così irragionevole e nemica di sé stessa quale Dante non la vorrebbe ! ' Le belle parole dello Sche- rillo mi farebbero quasi venir la fantasia di spiegare che codesto appetito insaziabile, codesta ragione irragionevole e nemica di sé stessa, sia proprio F avversario della ragione della Vita nuora.
(9 Purg. 3, 40 ' E disiar vedeste senza frutto Tai, che sarebbe lor disio quotato Ch' eternalmente è dato lor per lutto. Io dico d' A- ristotele e di Plato E di molt' altri '. Vd. il Commento del Buti, 2, 63.
(2) Certo non é il caso d' insistere, che non si ha prova alcuna, sulla pretesa incredulitc'*^ di Dante ; vd. Bartoli, St. 6, 1% 19 ss : Barbi in Giorn. stor. 13, 37 ss; Cohigronso, Stiidj di lett.ital. YoroniilS92:
Tm filosofìa del Conc. 55
Sennonché, osserva lo Scarano : ' Nel Convito la Fi- losofia ci si offre sotto un triplice aspetto : nel primo aspetto è la filosofia di Dio, nel secondo la filosofìa degli angeli o beati, nel terzo la filosofia degli uomini. Questa viene ad essere così una filosofia di terzo ed infimo grado. Ora Dante, scrivendo la Vita Nuova, è possibile che nel concetto della filosofia non solo non andasse oltre la filosofia umana, ma non vedesse tra essa filosofia umana e la felicità del cielo nessun rapporto o legame, e che considerasse quale scopo precipuo della filosofia la sola felicità della terra la quale derivi dall' esercizio delle virtìi cardinali e dall' uso del- l' intelletto nella ricerca del vero. Beatrice aveva levata alta da terra 1' anima del poeta e 1' aveva rivolta ai beni celesti ; la filosofia, mostrandogli invece la felicità nella vita attiva e nello studio o nella indagine di quelle verità a cui r intelletto può giungere, potè parergli che lo tirasse ai beni terreni e gli facesse porre in secondo luogo o tra- scurare addirittura i beni di lassù '. Ma io credo che la filosofia del Conncio sia proprio codesta filosofia di terzo
p. 15 88. Si tratterebbe invccf ili lui certo investigar troppo filoso- fi camentc corte questioni che è meglio non toccar con la ragione, di un certo sjiper prosuntuoso. ili un certo * malvagio desiderio ', se- condo r espressione della Vita nuora. E codesto sarebbe il secondo amore ripudiato e condannato, per figura. Era stato un seguire una scuola, un indirizzo, che mal poteva seguire la parola di Bejitrice. e che conduceva evidentemente ad uno strsvniamento da lei ( Piirg. 33, 82-99 ; Buti. 2, 820 s ). Quel citar che si fa brani del Convivio, per dimostrar che 1' opera temperata e virilo nulla ha che contra- dica alla Beatrice teologale, non dovrebbe poi provar nulla ; giac- ché il poeta non rappresenta nel Convirio, come attuale codesto suo secondo amor filosofico, conducente o no al dubbio ed all' errore ; anzi dalle suo figurazioni vediamo eh' egli era allora già tornato a Beatrice. Insomma, se si guardasse un po' la cosa dal lato poetico, io credo che molto difficoltà sitrebbero appianate ; né con questo si verrebbe a negiu-e un certo intonto autobiografico.
56 L'episodio della donna gentile
ed infimo grado ; la quale non solo allontanò il poeta dalle mistiche contemplazioni della sua adolescenza, ma lo so- spinse nella vita politica ed in quelle inacidite contenzioni che doveano fruttargli 1' esilio. ' Fatto amico di questa Don- na ... , cominciai, egli dice ( Conv. 4, 1, 18), ad amare e a odiare secondo 1' amore e 1' odio suo. Cominciai dunque ad amare li seguitatori della verità, e odiare li seguitatori dello errore e della falsità, com' ella face ... Io lei segui- tando nell'opera, siccome nella passione, quanto potea, gli errori della gente abbominava e dispregiava, non per in- famia 0 vituperio degli erranti, ma degli errori ; li quali, biasimando, credea fare dispiacere, e dispiaciuti, partire da coloro che per essi eran da me odiati '. Ecco che la nuova donna lo portava all' odio ; e d' odio non gli sarebbe mai mancata materia ; • perversi difficile corriguntur, dice 1' Ec- clesiaste, et stultorum infinitus est numera s '. Ma odio non ispirava Beatrice: ( VN. 11, 1 ) ' Dico che quand' ella ap- paria da alcuna parte, per la speranza de la mirabile sa- lute neun nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m' a- vesse offeso : e chi allora m' avesse domandato di cosa al- cuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente : « Amo- re » , con viso vestito d' umiltà '. Umiltà e amore ispirava la gentilissima donna ; né amore né umiltà la donna gentile. Né io invero riesco a capire che cosa intende lo Sca- rano con le parole ' filosofia di Dio e filosofia degli angeli o beati '. Filosofia é * amoroso uso di sapienza ', il quale é in Dio e negli angeli e negli uomini ; ma con ciò non si ha che la donna del Convivio sia trifronte. La filosofia del Convivio é in fin dei conti la filosofia di Dante. E se, come dice lo Scarano, il poeta ' con la sua andata in pa- radiso pretende di aver udito il filosofare dei beati, il che equivale alla pretesa di aver lui filosofato alla maniera dei beati ' ; non si può certo pensare che Dante sognasse mai
La filosofia e ìa teologia 57
di possedere la sapienza di Dio e degli angeli, di filoso- fare alla maniera degli angeli e di Dio. Contempla bensì nel suo mistico viaggio il regno dei beati, e dice di aver udito il ragionar dei beati ; ma guidato dalla fede e dal- l' amore, non dalla ragione, ma dopo di esser tornato a Beatrice; alla quale, è pur cosa notevole, non lo guida il maestro e duca del Conciaio. Ma forse lo Scarano vorrebbe che la ' filosofia di Dio ' sia * la scienza divina, che è Teo- logia appellata ' ( Conv. 2. 14, 64 ). Sennonché, la teologia è la scienza che i fedeli hanno delle cose divine, non è la sapienza che Iddio perfettissima vede in sé e con la quale ordinò il mondo. Né pare, d' altra parte, che il poeta nel concetto di filosofia vi facesse entrar la teologia ; comechè allora non vi fosse dottrina filosofica che non desse una capatina nel ben chiuso campo della teologia. Si legge nel Convivio (3, 11, 172 ) : ' Per lunga consuetudine le Scienze, nelle quali più ferventemente la filoso- fia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome,* siccome la Scienza naturale, la Morale e la Metafisica; la quale, perchè più necessariamente in quella termina lo suo viso e con più fervore, [prima] Filosofia è chiamata '. E la metafisica, con la quale talvolta si confuse la teologia, è comparata al cielo stel- lato, e la teologia è comparata al cielo empireo. Si é fatta quasi sempre distinzione tra filosofia e teologia, tra la scien- za propriamente detta e la fede, che è di verità rivelate ; né pare che il poeta togliesse via nel Convino la distin- zione e quel dualismo che anche nella Commedia si può vedere e ). La scienza è 'perfetta ragione di certe cose'
(M Aldini invero confondono la metafìsica con la teolosria. Il Postillatore Cassinese (// codice cassinese della DC. Monte Cassino 1865 ), nelle chiose sincrone { Inf. 2, 43 ) dice appunto che tre sono le parti della filosofìa, ' scilicet naturalem. miithcmatieam et theolo-
58 V episodio della donna gentile
( Conv. 4, 12, 128 ) ; e gli occhi della filosofia ' sono le sue dimostrazioni, le quali dritte negli occhi dello in- telletto innamorano 1' anima, libera nelle condizioni. Oh dolcissimi ed ineffabili sembianti, esclama il poeta (2, 16, 27 ), e rubatori subitani della mente umana, che nelle dimostrazioni [cioè] negli occhi della filosofia ap- parite, quando essa alli suoi drudi ragiona ! Veramente in voi è la salute, per la quale si fa beato chi vi guarda, e salvo dalla morte della ignoranza e delli vizi'. E codesta donna, giova ripeterlo, è perfettissima e ci ren- de beati, quando non desideriamo saper certe cose ; quan- do siamo discreti e non le chiediamo più di quanto ella può darci.
E un ben cospicuo esempio poteva consigliare al poeta queir altalena delle due donne, e quelle apparenti discor- danze tra il Convicio e la Vita nuova, ed anche tra il Con-
gicara '. Ma Pietro di Dante (Pet/i Allegherii super Dantis ipsius genitoris Comoediam Commentar iiwi, Florentiao 1845: p. 61 ) -ben di- sàngue la metafìsica dalla teologia, sebbene anch' egli ammetta che ' largo accipiendo ', ' metaphysica . . . idem est quod theologia \ !?f elle altre due note redazioni di codesto Commento però, la distinzione manca ( vd. Rocca, Ale. comm. 416 s ). Il Renier ( VN. e F.Q'd) crede che sor Brunetto comprenda nella definizione eh' oi dà della filoso- fia, anche la teologia. Jacopo di Dante ( // Dottrinale, 38, 43 : ed. Crocioni, Città di Castello 1895: CoUez. di opusc. dant. N. 26-28: p. 235 ) anch' egli distingue la teologia dalla filosofia ; ed anche il Della Lana, 1, 122 ; 3, 8. Francesco da Buti ( 1, 68 ) dice che ' la santa Teologia ... è una medesima cosa con la grazia cooperante e consumante . . . Solo amore, aggiunge, e carità è quella che muove la santa Teologia, o-v^^^ero grazia cooperante e consumante '. Alberto Magno, citato dall' Earle ( VN. di D.5ò), dice: "la Filosofia è la vo- ce della scienza, ma la Teologia qtiella dell' amore '. Secondo 1' Oza- nam ( La ciiilisation aii cinquième siede, Paris 1855 : 1, 362 ), ' la théologie descend de la foi h la raison et la philosophie remonto de la raison à la foi ' ; e altrove ( D. et la p/iil. 77 | afferma che la teologia aveva alloi-a emancipato la filosofia.
Le figurazioni del poeta e i libri di Salomone 50
viiio e la Commedia, che continua la Vita nuora. Una è la colomba e la perfetta di Salomone, la Sposa del Cantico, ' la Scienza divina, che è Teologia appellata ', ' la Sposa e Secretaria santa Chiesa ' ( Conc. 2, 15, 175 : 14, 64 ; 6, 33 ) ; come una è la gentilissima nelle figurazioni del poeta. Ma come il poeta, anche Salomone ha lodi altissime per la sa- pienza ; e pei, vinto dal dubbio e dallo sconforto, dall' a- more di codesta eccelsa donna anch' egli si allontana. Leg- geva il poeta nel libro di Sapienza, della sapienza : ( 7, 14 ) ' Infinitus enim thesaurus est hominibus: quo qui usi snnt, participes facti sunt amicitiae Dei ... ; ( 25 ) Vapor est enim virtutis Dei, et emanatio quaedam est claritatis om- nipotentis Dei sincera , . . ; ( 26 ) Candor est enim lucis ae- ternae et speculum sine macula Dei majestatis, et imago bonitatis illius [cfr. Conv. 3, 15, 53]; (8, 2 ) Hanc amavi et exquisivi a juventute mea, et quaesivi sponsam mihi eam assumere, et amator factus sum formae illius '. E leg- geva nel libro dei Proverbi: (3, 19) ' Dominus sapientia fundavit terram ... ; ( 8, 22 ) Dominus possedit me [sapien- tiam] in initio viarum suarum, antequam quidquam faceret e principio . . . [ cfr. Conv. 3, 14, 62 ; 15, 167 ]; ( 31, 28 ) Surrexerunt filii ejus, et beatissimam praedicaverunt, vir ejus, et laudavit eam'. Ma trovava poi neW Ecclesiaste : ( 1 , 13 ) 'Et proposui in animo meo quaerere et investi- gare sapienter de omnibus, quae fiunt sub sole. Hanc oc- cupationem pessimam dedit Deus filiis hominum, ut occu- parentur in ea ; ( 14 ) Vidi cuncta, quae fiunt sub sole, et ecce universa vanitas et afflictio spiritus ; ( 15 ) Perversi difficile corriguntur, et stultorum infinitus est numerus ; (16) Locutus sum in corde meo, dicens : Ecce magnus ef- fectus sum, et praecessi omnes sapientia, qui fuerunt ante me in Jernsalem : et mens mea contemplata est multa sa- pienter, et didici ; (17 ; Dedique cor meum ut scirem pru- dentiam atqne doctrinam, erroresque et stultitiam : et agno-
60 L episodio della donna gentile
vi qiiocl in his quoque esset labor et afflictio spiritus ; ( 18 ) Eo quocl in multa sapientia multa sit indignatio ; et qui addit scientiam, addit et dolorem ; ( 2, 12 ) Transivi ad con- templandam sapientiam, erroresque et stultitiam ( quid est, inquam, homo, ut sequi possit regem Factorem suum?); ( 13 ) Et vidi quod tantum praecederet sapientia stultitiam, quantum difFert lux a tenebris ; ( 14 ) Sapientis oculi in capite ejus ; stultus in tenebris ambulat : et didici quod unus utriusque esset interitus ; ( 15 ) Et dixi in corde meo : Si unus et stulti et meus occasus erit, quid mihi prodest quod majorem sapientiae dedi operam ? Locutusque cum mente mea, animadverti quod hoc quoque esset vanitas ; (6, 11 ) Verba sunt plurima, multamque in disputando ha- bentia vanitatem ; (7, 24 ) Cuncta tentavi in sapientia. Dixi : Sapiens efìiciar : et ipsa longius recessit a me, ( 25 ) Multo magis quam erat : et alta profunditas, quis inveniet eam ? ( 26 ) Lustravi universa animo meo, ut scirem, et considerarem, et quaererem sapientiam et rationem ; et ut cognoscerem impietatem stulti et errorem imprudentium ; ( 27 ) Et inveni amariorem morte mulierem ... ; ( 30 ) So- lummodo hoc inveni, quod fecerit Deus hominem rectum, et ipse se infinitis miscuerit quaestionibus. Quis talis ut sapiens est? et quis cognovit solutionem verbi? (8, 17) Et intellexi quod omnium operum Dei nullam possit homo invenire rationem, eorum quae sunt sub sole ; et quanto plus laboraverit ad quaerendum, tanto minus inveniat '.
Né solo dalle pagine di quell' ' alta mente, u' sì pro- fondo Saver fu messo, che, se il vero è vero, A veder tanto non surse il secondo ' ; venivano al poeta ispirazioni e motivi per le sue figurazioni. In tutta la letteratura a- scetica dell' età di mezzo, non si fa che battere e ribat- tere lo stesso chiodo. Dice s. Paolo ( 1 ad Cor. 3, 19 ): Sa- pientia enim hujus mundi, stultitia est apud Deum ; ( 8, 1 ) Scientia inflat, charitas vero aedificat ' ; e bello è di code-
La scienza e V amore 61
sta epistola, il capitolo tredicesimo che tratta dell' amore. L' ascesi mistica dei Padri, come la rima del poeta,
spande Luce d'amor, cho gli angeli saluta.
Luce intellottual piena d'amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che traiscondo ogni dolzore.
La ragione è bene un raggio divino, e per essa par- tecipiamo della divinità ; ma è pure un coltello a due tagli. La religione di Cristo non cercava dottori o sapienti, ma uomini di fede e d' amore ('). Una è la colomba di Salo-
(•) Della imitazione di Cristo { trad. di Antonio Cesari ), 1. 1 • Qual prò ti fa di n»eìonar coso alto della Trinità, so tu manchi doUa umiltà, perchè tu dispiaci alla Trinità ? In verità i sublimi ra- (fionamenti non fanno Y uomo santo, né giusto . . . Amerei molto me- \r\\o di sentire la compunzione, che di saperne la definizione. So tu avessi a mente le parole di tutta la Bibbia, e le sentenze di tutti i filosofi, che ti gioverebbe tutto questo senza la carità, e la grazia di Dio ? . . . Ricordati sovente di quel proverbio : che la vista non si siizia per vetlere. né per sentire s' empie 1' udito. 1, 3 Grande stol- tezza è, che noi, trascurate le cose utili e necessarie, a bella posta attendiamo alle curiose e dannose ... Or che ci prendiamo noi pen- siero intorno a' generi, e<l allo specie ? Quegli, a cui parla l' etemo Terbo, si Libera da una farraggine d' opinioni . . . O Verità Dio, fam- mi toco una cosa in amore perpetuo ! . . . Quanti nel secolo per vana scienza periscono ! ... E perchè si eleggono d" esser piuttosto grandi che umili, perciò vaneggiano ne* loro divisamenti. Grande vera- mente è colui, che ha gi-an carità'. E vd. il capitolo 43 del Libro terzo. ' Contro la vana, e mondana scienza '. 3, 5 * Grande cosit è r amore, e al tutto gran bene ; che solo rende leggiero ogni peso, e senza mutarsi regge al mutar delle cose. Imperciocché portj» il peso, senza che gliene gra-\i. e fa tornar dolce e saporito ogni ama- ro . . . L' amore si sforza all' alto, né da veruna delle infime cose pa- tisce d' essere ritenuto . . . diente è dell' amore più dolce, niente più forte, niente più alto, né più largo, niente più dilettevole, niente
8
V episodio della donna gentile
mone. Beatrice è Amore, ma non v' è amore nella donna gentile. Perchè non dovremmo veder espresso nelle figu- razioni del poeta, codesto concetto medievale e cristiano?
8.
E torniamo alle pretese con tradizioni.
C è poi la grossa questione degli accenni cronologici
più pieno, nionto meglio in cielo, nò in terra ; poiché F amore è nato di Dio, né può altrove che in Dio sovra ogni croato bone quotarsi. L' amante vola, corre, ed esulta, è libero, né da alcuna cosa impe- dito . . . L' amore spesse volte non ha misura, anzi sopra ogni misura ribolle. L' amore non sente poso, non conosco fatica, più vorrebbe fare eh' egli non può . . . Come fiamma vivace, e fiaccola accesa, così si scocca in alto, e passa oltre sicuramente. Se v' è chi ami, sa ben egli che vaglia questa parola . . . Dilata nell' amor il cuor mio, ac- ciocché impari ad assaporar col gusto interiore, quanto V amare sia dolce, e lo stemperarsi, e notar nell' amore. Deh ! eh' io sia preso d' amore, e per estasi d' eccessivo fervore mi levi sopra me stesso. Canti io canzoni d' amore ; ti séguiti, o mio Diletto, nell' alto ; si strug- ga nelle tue laudi 1' anima mia, giubilando d' amore '. Il Carducci ( Discorsi letterari e storici, Bologna 1889 : Opere, 1. 40 ) crede che l' Imitazione sia ' il più sublimo libro religioso del medio evo e un de' più dannosi libri del mondo ' ; riconosce però ( Op. 8, 59 ). che ' in quel che dell' amore divino scriveva il Grersenio ... si scorge il fiore delle migliori teoriche della gaia scienza e i pii\ alti intendi- menti della lirica di Dante '. Il IPTencioni, nella testé citata confe- renza ( p. 227 ) : ' L' Imitasione é indiscutibilmente opera del secolo XIII . . . Trulla di scolastico in questo libro — anzi vi si rivela una istintiva antipatia pei nominalisti i sillogissanti ; per la scientia cla- morosa della teologia parigina . . . Ricorda infinitamente più Gioac- chino di Flora e san Fi*ancesco d' Assisi, che san Domenico o san Tommaso. Vi è diffusa un' aura di raccoglimento e di pace, come dal sereno tramonto di una bella e limpida giornata d' autunno. Gran libro ! . . . Li' impressione che proviamo leggendo l' Imitasione. è con- simile a quella che si riceve guardando i quadri dell' Angelico ; nei quali la materia é come trasfigurata, e non resta che una forma eterea, circonfusa di luco o di azzurro . . , '
Gli accenni cronologici: gli alquanti die 63
della Vita nuoca e del Convivio ; 1' arruffata matassa del- l' * alquanto tempo ', degli ' alquanti die ', delle due rivo- luzioni di Venere, e dei ' trenta mesi '.
Noi non lasceremo certamente con N. Angeletti ( Cro- nologia del Convivio e De Valgavi Eloqiieìitia, Città di Ca- stello 188G : p. 10) che 'le date della 1 7to nuota e quelle del Convivio camminino per la loro via indipendenti le une dalle altre ', come par che voglia anche il Barbi ( Bull. ns. 3, 27 ) ; quando il poeta nel Convivio^ e in uno ap- punto di codesti accenni cronologici, richiamando 1' episo- dio della Vita nuova, insinua che coniurant amice. Vediamo piuttosto un po' alla buona, come stanno le cose ; e se re- sta ancora, dopo tanto disputare, qualche via ad una ra- gionevole conciliazione.
Prima di tutto, il poeta non dice nella Vita nuoca che r episodio della donna gentile debba entrar tutto nello spazio di ' alquanti die ' ; ma che, dopo il contrasto e la vittoria della nuova donna, un bel giorno, ' quasi ne 1' ora de la nona ', si levò in lui ' una forte immaginazione ' ; e che egli allora si pentì ' de lo desiderio, a cui si vil- mente s'avea lasciato possedere alquanti die'. Non pare dunque che codesto spazio di tempo, co- munque inteso, corra dall' apparizione della donna gentile al ritorno del poeta a Beatrice ; che insomma, di ' alquanti die ' sia la narrazione della Vita nuova che va dal paragra- fo 35 al paragrafo 39. Codesti benedetti ' alquanti die ' pos- sono bene significare che l' amore per la donna gentile, che la dedizione del poeta, dopo la conquista, fu di breve dura- ta ; che per non molto tempo il poeta si straniò vilmente da Beatrice. Nel paragrafo 38 della Vita nuova si parla an- cora del contrasto ; e certo, cessata la battaglia, il poeta potea dire di essersi lasciato possedere dalla donna gen- tile ; e gli ' alquanti die ' segnano di co tal novello amore solamente la fase del possesso. Nella Vita nuova, salvo co-
64 L'epmdio della donna gentile
desta ben cospicua indicazione, non v' è nulla ( ed aperta è la ragione ) di codesto abbandono del poeta alla bella donna, savia e gentile ; e dal contrasto tra 1' anima e il cuore, si passa bruscamente al ritorno a Beatrice. Tra il paragrafo 38 e il paragrafo 39 abbiamo già osservato tro- varsi una lacuna che il poeta deliberatamente avrà voluto lasciare. Un indizio potrebbe scorgersi nel fatto che nes- suna indicazione di tempo lega, come già in altri casi, la forte immaginazione dell' ora nona del paragrafo 39, alla narrazione del contrasto del pagrafo 38. E quell' ' un die ' , anzi, COSI asciutto, con cui comincia la narrazione del ri- torno a Beatrice, ribadisce la persuasione che il poeta a bella posta avrà voluto eliminare la terza fase del novello amore, affatto estranea alla lode della gentilissima. Co- munque, gli ' alquanti die' indicano uno spazio di tempo, certo non lungo, posteriore al contrasto, posteriore alla narrazione del paragrafo 38 della Vita ntiova ; e a me par chiaro che essi siano affatto estranei ai tormentati e tor- mentatori ' trenta mesi ' del Convivio ( 2, 13, 50 ). I quali non è dubbio che si compivano, quando il secondo amore trionfava già sul primo, e lo scacciava ; e che quindi de- clinano e coincidono colla narrazione del paragrafo 38 della Vita nuova (').
(1) Conv. 2, 13, 5 ' Come per me fu perduto il primo dilotto della mia anima ... io rimasi di tanta tristizia punto, che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che s' argomentava di sanare, pro\"^'ide . . . ritornare al modo che al- cuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. E misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio ... E udendo ancora, che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando dell' Amistà, avea toccate parole della consolazione di Lelio . . . misimi a leggere quello. E av^'egnachè duro mi fosse prima entrare nella loro sen- tenza, finalmente v' entrai tant' entro, quanto 1' arte di grammatica eh' io avea e un poco di mio ingegno potoa fare ... E siccome es-
Le due ricoluzioni di Venere 65
Più filo da torcere tuttavia, ci dà la bella Ciprigna che si volge nel terzo epiciclo. Racconta il poeta: ( Conc. 2, 2, 2 ) ' La stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio che la fa parere serotina e mattutina, secondo i diversi tempi, appresso lo trapassamento di quella Bea- trice beata, che vive in cielo con gli angioli, e in terra con la mia anima, quando quella gentil Donna, di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apparve primamente accompagnata d' Amore agli occhi miei, e prese alcuno luogo nella mia mente '. Il Dionisi ( Prepar. 2, 49 s ) cre- dette che codeste due rivoluzioni di Venere si compiano in due anni; il Balbo ( Vita di 1). 1. 7 . in trentotto mesi e mezzo (') ; il Todeschini ( ^'Scritti su D. Vicenza 1872 : 1 , 315 ) in 450 giorni, ' poco meno che quindici mesi '. Come si vede, ce n' è per tutti i gusti, e non abbiamo che r imbarazzo della scelta.
I trentotto mesi del Balbo son troppi. Il poeta direbbe
BOI' suole, che Y uomo va cercando argento, e fuori doUa intenzione trova oro ... ; io, che corcava di consolare me. trovai non solamonto allo mio lagrime rimedio, ma vocaboli d" autori e di scionzo e di li- bri ; li quali considerando, giudicava beq^ che la filosofìa, che era donna di questi autori, di queste scienze, e di questi libri, fosse somma cosìì. E immaginava lei fattoi come una Donna gentile : e non la potea immaginare in atto alcuno, se non misericordioso ; per che sì volentieri lo senso di vero la mirava, che appena lo potea vol- gere da quella. E da questo immaginare cominciai ad andiire là ov' ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole de' religiosi e allo disputazioni de' filosofanti ; sicché in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tivnto a sentire della sua dolcezza, che '1 suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensie- r o. Per che io, sentendomi levare dal pensiero del primo amore alla virtù di questo, qusisi maravigliandomi, apersi la bocca nel parlare della proposta Canzone [Voi che intendendo].
(*) Veramente il Biilbo dice trentanove mesi ; perchè di 584 giorni fa diciiinnove mesi e mezzo.
66 L'episodio della donna gentile
nel Convivio che, dopo trentotto mesi dalla morte di Bea- trice, apparve a lui la donna gentile, e prese al- cuno luogo nella sua mente; quando nella Vi- ta nuova ( 35, 1 ) si legge che, ' alquanto tempo ' dopo 1' an- novale di Beatrice, la donna gentile gli apparve e gli si mostrò così pietosa che egli pensava già : ' E' non puote essere, che con quella pietosa donna non sia nobilissimo a- more '. L" alquanto tempo ' sarebbe più che due anni ! Ve- ro è bene d' altra parte, che codesti trentotto mesi potreb- bero trovar rispondenza nei trenta mesi dell' altro luogo del Convivio ; giacché, dice il Balbo, ' queste esattezze astrono- miche non erano allora così facilmente conosciute come a' nostri dì ; e Dante potè prendere nel primo passo due ritorni di Venere per 30 mesi all' incirca, come lo dice più chiaramente nel secondo '. Ma codesta rispondenza, resa più compiuta e ragionevole dallo Zingarelli, è più cercata che spontanea, più speciosa che vera. Lo Zingarelli ( Dante, 132 s ) pensa che, il prendere che fece la donna gentile alcun luogo nella mente del poeta, ' e lo scacciarne chi ci stava prima, essendo la stessa cosa, bisognerà intendere che men- tre si compivano i trenta mesi, si compiva anche la secon- da rivoluzione di Venere nell' epiciclo, cioè quella che gli a- stronomi chiamano sinodale, e che si fa in 584 giorni ; che dunque i trenta mesi si compissero quando ne passavano trentotto dalla morte di Beatrice, ossia nell' agosto del 1293. Il poeta, osserva il critico, così dove spiega il senso letterale della donna gentile (capo 11)^ come dove spiega r allegorico ( cap. XIII ), a questo unico fine tende, a mo- strarci la ragione e 1' origine del contrasto fra il vecchio e il nuovo amore, dal quale contrasto sorse appunto la canzone [ Voi che intendendo ] che ora prende a commentare ; egli vuol portarci al tempo in cui nacque la sua canzone, cioè quando la donna gentile teneva un luogo nel suo cuore, ma non era divenuta ancor padrona, quando il pensiero della filo-
/ trenta mesi
sofia discacciava il ricordo di Beatrice, ma non 1' avea an- cora fugato e allontanato. Ora questo tempo è di trentotto mesi se si conta dalla morte di Beatrice, di trenta se dal momento in cui il poeta passò dalla lettura di Boezio e Cicerone agli studi filosofici '. Ingegnoso accomodamento, senza dubbio. Ma abbiamo già veduto che i trenta mesi si compivano quando la donna gentile trionfava già di Beatrice, quando il novello amore ' cacciava e distruggeva ogni altro pensiero ', quando il poeta si sentiva ' levare dal pensiero del primo amore alla virtù di questo ' ; e che invece le due rivoluzioni di Venere si compivano quando la nuova donna, mostrandosi pietosa, prendeva soltanto alcuno luogo nella mente del poeta; che non è lo stesso, con buona pace dello Zingarelli. Giacche il poeta, dopo d' aver detto che erano passate due rivolu- zioni di Venere quando la donna gentile gli apparve e prese alcun luogo nella sua mente, aggiunge : ' Ma peroc- ché non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto, ma vuole alcuno tempo e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo im- pediscono, convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia intra '1 pensiero del suo nutri- mento e quello che gli era contrario, il quale per quella gloriosa Beatrice tenea ancora la rocca della mia mente '. Finito codesto battagliare adunque, il poeta potea dire che la donna gentile trionfava e scacciava 1' altra ; ed allora si compivano i trenta mesi, ed il poeta scriveva la can- zone Voi che intendendo ; la quale parla bensì del contra- sto, ma accenna pure al trionfo della nuova donna, e non può esser nata quando si compivano le due rivoluzioni di Venere, quando cioè, la donna gentile faceva il primo ingresso nella mente del poeta. Sicché ai trentotto mesi bisognerebbe a ogni modo aggiungere un certo spazio di tempo, certo non molto breve, per la lotta ; e far nascere
L'episodio della donna gentile
la canzone Voi che intendendo un po' tardi ; se pure, ag- giungendo i trenta mesi, come fanno alcuni, non si voglia toccare il 1296 ; il che, qualche venticello che spira ap- punto dal cielo di Venere, potrebbe scuotere (').
Quanto ai due anni del Dionisi, fortunatamente non v' è più bisogno di lunga confutazione. Il Lubin, seguito dal D' Ancona e dal Carducci e da altri, avea già soste- nuto codesta ipotesi ( Epoca della VN. 22 e 39 ; Comme- dia, 39 ) ; ma poi si accorse ( D. spiegato con D. 71 ) che 'è erronea', e che la sua 'fu certo buaggine', 'e buag- gine davvero grossa ' ( Il cerchio che, secondo Dante, fa pa- rere Venere serotina e mattutina, in Propiign. ns. b, 45): e divenne il più petulante avvocato dei trentotto mesi. Certo, codesti due anni non contentano né la Vita nuova, ne il Convivio, né 1' astronomia ; e, a malgrado dei gene- rosi conati di L. Mascetta ( Il pianeta Venere e la crono- logia dant. in Giornale dantesco, 1, 314 ss ), non v' è ra- gione alcuna per non lasciarli dormire in pace (^).
Resta il calcolo del Todeschini, rinverdito dalla dia- lettica arguta e profonda di Francesco d' Ovidio ( La Vita nuova di D. in Nuova Antologia del 15 marzo 1884 : p. 259 ) ; quindici mesi^ che è il periodo più discreto e più con- ciliabile sia con la Vita nuova, sia col Convivio. L' ' alquanto tempo ' della Vita nuova sarebbe uguale a due mesi ; la donna gentile sarebbe apparsa al poeta quattordici mesi circa dopo la morte di Beatrice, cioè, secondo la Vita nuova, alquanto tempo dopo 1' annovale ; e dopo qualche altro mese
(1) Cfr. Casini, Aneddoti e Studi danteschi, Città di Castello 1895: CoUoz. di opusc, dant. N. 24 : p. 35 ss.
(2) Si sarebbe potuto trovare un rincalzo a codesta ipotesi dei due anni, nella legge sottima del Codice d' Amore : 'Biennalis vidui- tas suo amante defuneto sxiperstiti praeseribitur amanti '. Ed anche forse neir opinione dell' Anonimo Fiorentino { Commento alla DC. Bologna 1866: 2, 492).
/ quindici mesi conciliatori
avrebbe occupato alcun luogo nella sua mente ; saremmo insomma al quindicesimo mese dalla morte di Beatrice, con la narrazione del paragrafo 35 della Vita nuova. A code- sta prima fase del nuovo amore si riferiscono nel Convi- vio le due rivoluzioni di Venere, che dalla morte di Bea- trice, si compivano appunto quando la donna gentile ap- parve primamente al poeta e prese alcun luogo nella sua mente ; quando, come si legge nella esposizione allegorica e vera, il poeta, dopo la lettura di Boezio e di Tullio, im- maginava la filosofia ' fatta come una Donna gentile, e non la potea immaginare in atto alcuno, se non misericordioso '. Poi venne la conquista degli occhi e del cuore, la lotta, ed infine il trionfo ( VN. 36 - 38, Conv. 2, 2, 22 ); ovvero, secondo l' esposizione allegorica e vera, il frequentar le scuole dei religiosi e le disputazioni dei filosofanti (*) ; e non pare che sia troppo mettere in conto altri quindici o sedici mesi, che abbraccerebbero la narrazione della Vita nuova che va dal paragrafo 36 al paragrafo 38, inclusiva- mente. Or se consideriamo che i ' trenta mesi ' cominciano a decorrere * alquanto tempo ' dopo la morte di Beatrice, troveremo che la donna gentile, sia nella narrazione della Vita nuova, sia nelle dichiarazioni del Convivio, trionfava trentuno mesi circa dopo la morte di Beatrice ; e che col- r entrar del 1203 nacque la canzone Voi che intendendo. Sennonché, accettando i quindici mesi del Todeschini per le due rivoluzioni di Venere, non abbiamo potuto seguire il suo ragionamento, che riesce monco e confuso. Egli non concilia, ma divide le date che si riferiscono al- l' amore della donna gentile della Vita nuova, dalle date dell' amor filosofico ; e infine alla troncatura del Dionisi, dei ' trenta mesi ' in ' tre mesi ', ricorre per liberarsi in-
(M Cfr. VX. 36. 5 ' E certo molte volte ... io andava per ve- dere questa pietosa donna '.
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70 V episodio della dorma gentile
teramente dai trentotto mesi del Balbo. E molto meno po- tremo trovar plausibili le ragioni astronomiche eh' egli ad- duce a sostegno della sua ipotesi. Astronomi antichi e mo- derni concordemente dicono che una rivoluzione di Venere ' in quel suo cerchio che la fa parere serotina e mattu- tina ' si compie in 684 giorni, non in 226 come vorrebbe il Todeschini {}). Due rivoluzioni sinodiche di Venere si compiono dunque appunto in trentotto mesi e mezzo, come vuole il Balbo, e, che a noi più importa, come vuole Al- fragano (^).
(1) Oltre il Todeschini e il D' Ovidio, sostennero il periodo di 225 giorni anche il Carpentor ( vd. L' Aligli . 1, 261 ) e il dott. Prompt, // pianeta Venere e la Donna filosofica, nel L Aligli, i, 184. Ed an- che recentemente si tentò di dimostrare che il luogo del Convivio parli della rivoluziono siderea di Venere, che si compie appunto in 225 giorni, non della rivoluzione sinodica ; ma, come pare, senza buon fondamento ( vd. la recensione critica dell' Angelitti all' arti- colo The Astronomij of Dante, p. 7 s dell' estratto dal Bnll. ns. v. 7, f. 6 ; e dello stesso Angelitti, Salle principali apparenze del pianeta Venere, Palermo 1901 : p. 4 n 2 dell' estratto dal v. 6, s. 3 degli Atti della R. Accademia ).
(2) Anche Francesco da Buti ( 3, 255 ), chiosando il verso Che 7 sol vagheggia or da poppa or da ciglio, scrive : ' Quando va innan- zi al Sole, si leva [Venere] la mattina innanzi al Sole quattro me- si dell' anno, e di rieto al Sole si leva la sera innanti che '1 Sole sia ito al tutto giù ne lo occidente, e dura questo non più che 11 dì, 1' altro tempo sta celato ; ma in diciannove mesi si trovano ri- storati gli appiattamenti e li manifestamenti suoi '. [Bendo sentite azioni di grazie ai miei amici professori F. Millosevich, A. Favilla, F. Chiavassa, che gentilmente mi procurai'ono dal prof. Millosevich dell' Osservatorio astronomico del Collegio romano, dal prof. Conta- rino di Capodimonte, dal prof. Abetti di Arcetri, preziose notizie di fatto, spiegazioni e disegni intorno a Venere serotina e mattutina ; al prof. Lorenzoni, che anche gentilmente mi mandò la sua dotta monografia, // movimento ed il cielo di Venere secondo Dante, Ve- nezia 1891 ; e al prof. Angelitti, che superò in cortesie ogni mia a- spottaziono. ]
Tm qtiestione astronomica 71
Ma quei quindici mesi sono cosi convenienti alla nar- razione fervida e passionata, nonché alla temperata e vi- zile, che, cacciati dalla porta, rientrano per la finestra. Ja- copo di Dante ( Dottr. 16,19 ) così e non diversamente poe- teggia intorno al movimento di Venere nell' epiciclo :
Venus in s««pte mesi Et nove di compresi Il suo epiciclo agirà.
Codesto probabilmente è un errore di Jacopo. Ma, se in grazia dell'astronomia, non vogliamo scompigliare ogni cosa, di tale errore bisogna pure far carico a Dante stesso ('). L' errore avrà avuto origine dalla corrotta lezione, o dalla falsa interpretazione di un passo di Alfragano. Si legge nelle edizioni a stampa degli Elementi d' Astronomia, com- posti nel secolo nono da Maometto di Fergana (-) : ' re- volvit epicyclum . . . venus 1 anno Persico 7 mensibus et 9 diebus fere '. È certo cosa di significato non trascura- bile, la discorde concordanza di codesto luogo dell' astro- nomo arabo con i tre settenari di Jacopo. E poco proba- bile, ma non è forse impossibile, che il passo dell' astrono- mo sia stato inteso così, che Venere si volge nell' epiciclo in un anno persico, cioè in sette mesi e nove giorni ; o per-
ii) Cfr. Torracu, La Dirinn Commedia di D. A. con commento del prof. Giacomo Poletto. in Bull. ns. 2. 198 : Crocioni. Una canzone e un nonetto di Jacopo Alif/tiieri, Pistoja 1898, annunzio in Bull. ns. 7. 323 ; Salvador!. Sulla rifa giovanile di Dante, recensione in Bull. ns. 9, 30.
(-) Muhamedis Alfragani Arabis Cìironologica et astronomica elementa. Francofurdi 1.590 : cap. 20. p. 88. Cfr. Angeletti. Cronol. 6 n 1. Codesto trattato dell" astronomo arabo è certo da identificare col Libro dell' aggregazione delle stelle, citato nel Convivio { 2, 6, 134 ) : vd. la lettera del prof. O. Sehiaparelli nell' opuscolo del Lubin. D. e gli astr. p. 43 : e Paget Toynbee, Ricerche e note dantesche. Bo- logna 1899 : Bibl. stor. - crit. d. lett. dant. X. 1 : p. 51.
72 L'episodio della donna gentile
che nel testo degli Alighieri ci fosse tra ' 1 anno Persico ' e ' 7 mensibus et 9 diebus fere ', qualche segno come h. e., ovvero i. e., o simile ; o forse perchè quel ' Persico ' ag- giunto ad anno, induceva facilmente il lettore, che non te- neva presente il capitolo primo del libro ( p. 10 ), a pen- sare che quei sette mesi e nove giorni fossero come una specie di parentesi, ovvero un' interpolazione dichiarativa ; o forse perchè nel manoscritto come un' interpolazione ve- ramente si presentavano ('). Ma è più verosimile che quel- r anno persico fosse rimasto nella penna del menante del- l' esemplare degli Alighieri, Comunque, non sarebbe che af- fatto fortuita r equivalenza dei sette mesi e nove giorni di Jacopo, con la rivoluzione siderea di Venere, col periodo cioè, di 225 giorni, ' che nel sistema Copernicano segna il tempo di un giro completo di Venere intorno al Sole ', e che ^ non ha alcun significato nel sistema di Tolomeo ', per ser- virmi delle parole dello Schiaparelli al Lubin. Più che pro- babile pare invece, che i suoi sette mesi e nove giorni, Ja- copo li togliesse di peso dal passo di Alfragano. Scrissi al prof. Filippo Angelitti, pregandolo di volermi dire che ne pensasse di tale mia supposizione ; ed egli gentilmente mi rispose ( Palermo, 6 luglio 1901 ), riconoscendo che Jacopo ' desume probabilmente da Alfergano la durata della rivo- luzione del pianeta [ Venere ] suU' epiciclo, di 7 mesi e 9 giorni ' ; ma osservando d' altra parte, che ' Jacopo nell' as- segnare le durate delle rivoluzioni di ciascun pianeta sul- 1' epiciclo e del centro dell' epiciclo sul deferente, commette
(1) È notevole che anche il Giuliani {Attinense in Eass. nas. 15, 365 ) prese tale abbaglio : ' Due rivoluzioni del pianeta Venere nel proprio epiciclo . . . corrispondono per 1' appunto a un anno e pressoché tre mesi, stante che (giusta i Principii astronomici ài X\- f ragano, ai quali Dante suole attenersi ) cotal riioliisione si compie in sette mesi o noce giorm\
Ijt teatinwnìanza di Jacofìo
errori grossolani , mentre ' Dante come scien^uiio e im- mensamente superiore ', e * non si trova mai in fallo '. Con tutto il rispetto che dobbiamo all' autorità del valentuomo che ha portato il largo contributo della sua dottrina nella soluzione delle questioni astronomiche dantesche, crediamo che codeste ragioni, che hanno certo molto valore, non ba- stino a toglier via ogni sospetto. Certo, né Jacopo, né Dante erano astronomi ( cfr. D'Ovidio, Studiif 668 ) ; ma Jacopo in fin dei conti, in alcuni di quei suoi capitoli, si occupa appunto di astronomia, senza veli allegorici e senza ( pur troppo ! ) poetiche infiorature ; e certo, come il padre, do- veva attingere quelle sue cognizioni da qualche trattato che correva ai suoi tempi. L' errore poi nel caso nostro particolare, non è da attribuire a povertà d' ingegno, ma alla fonte ; ne pare che sia da rifiutare senz' altro l' ipo- tesi che il passo di Alfragano in qualche manoscritto fosse corrotto, o poco chiaro, o lacunoso. Le stampe, che ci danno suppergiù la traduzione dell' Ispalense, non quella di Ge- rardo da Cremona, differiscono tra loro specialmente ri- guardo a numeri. Sia come si voglia, non è detto che chi novantanove volte non ha inciampato, non possa la cen- tesima volta inciampare e cadere ; e tutti sappiamo che il poeta mostra d' avere inteso assai stranamente anche qual- che verso di Virgilio, che pure era il suo maestro e il suo autore ('). Insomma, quei quindici mesi sono così neces-
(1) Cfr. Scherillo, Ale. cap. 4ó3. Il Biiti ( 2. 528 | cerca giusti- licare il poetii dell* aver reso il virgiliano ' Quid non mortalia pec- tora cogis, Auri sacra fanies ? ' con ' Perchè non reggi tu, o sacra fame Dell' oro. l'appetito dei mortali ? ' osservando che • li autori usano r altrui autoritadi arrecarle a loro sentenzia, quando commo- damente vi si possano arrecare, non ostante che colui che 1' à ditt<i l'abbia posta in altra sentenzia . . . Simile fece Boezio dell' autorità di Lucano '. Ma forse il poeta leggeva • r e g i s ', non 'cogis' nel luogo di Virgilio {Aeu. 3, .56): e d'altra parte, contribuiva forse a
74 TJ epiaodin della donna fjp.nf'de
sari a conciliare gli accenni cronologici della Vita nuova e del Convivio, che, se anche non ci soccorresse il passo di Jacopo, non vi sapremmo rinunziare.
Dall' esame fatto fin qui. non pare davvero che tra la Vita nuova e il Convivio vi siano vere contradizioni, o che vere contradizioni vi possano essere. Quale sarà dun- que lo spiraglio incautamente lasciato aperto alla criticra, che ha ficcato lo viso al fondo ed ha scoperto il giochetto, anzi il mendacio?
— La finestra. La gentildonna dell' episodio della Vita nuova riguardava pietosamente il poeta da una finestra, e per ciò appunto è più reale della stessa Beatrice, che alla finestra in fin dei conti il poeta non vide mai. La signo- ra Filosofia non istà mica alla finestra, a riguardare e a consolare i giovanotti dell' amor trovadoresco. E chiaro come la luce del giorno — .
Certo, è cosa assai singolare codesta indicazione locale un po' determinata, in quella Vita nuova dove Beatrice non si vede mai se non in ' alcuna parte ' d' una ' cittade ' che non è mai nominata. Vero è bene che una volta ' questa gentilissima sedea in parte, ove s' udiano parole de la reina de la gloria ' ; e un' altra volta ' questa gentilissima venne in parte, dove molte gentili donne erano rannate ' e ' mo- stravano le lor bellezze '. Ma qui, grazie a Dio^ abbiamo finalmente addirittura una finestra ! e non è maraviglia se di codesto buco si sia voluto fare sì gran caso.
Sennonché, e' intendiamo noi oggi tanto di linguag-
sviark) dalla l'etta interpretazione anche quel benedetto punto inter- rogativo : porche la proposizione virgiliana è veramente esclamativa. Tuttavia vd. Scherillo, anche in Giorn. sto/: 32, 102 n*.
Im finestra e il linguaggio allegorico 75
gio allegorico, del linguaggio allegoricu di nueir età che stimava dottrina profonda le più stravaganti e pazze fan- tasticherie dell' esegesi biblica, da giudicar senza appello che tale immagine può esser veste allegorica, e tale im- magine non può allegorica veste costituire (')? Chi sapreb- be oggi indovinare che il palazzo dell' ' amorosa madonna Intelligenza * è ' 1' anima col corpo ' ? che ' la gran sala è '1 core spazioso ' ? il quale, avendo ' tre partite in un' es- senza ', comprende anche ' la sagrestia e '1 tesor nascoso ', e * la scola de la sapienza '. E certo sarebbe oggi più fa- cile scoprire 1' America, se Cristoforo Colombo non si fosse incaricato già della bisogna, che spiegare, se il rimatore, e nello stesso componimento, non avesse avuto cura di spiegare, che ' La camera del verno e de la state È '1 fegato e la milza veramente '. Qualche cultore di fantasti- cherie potrebbe, dopo molto sudare, venir fuori col dire : ' Savete eh' è '1 cenacol dilettoso ? Lo gusto coli' assag- gio savoroso '. Ma non gli si risparmierebbero le beffe. E sarebbe addirittura legato per pazzo, se volesse anche fan- tasticare che * r ossa son le mura ', che i * nervi son le no- bili parete ', e che ' la cappella dove s' ofìzia Si è la fede dell' anima ' del rimatore ( Intell. st. 299 ss ). Il quale, in quello snodar eh' ei fa la sua allegoria, par che fornisca a Dante perfino un verso : ( st. 307 ) ' O voi eh' avete sot- til conoscenza ' ( cfr. Inf. 9, 61 '0 voi eh' avete gì' intel- letti sani ' ) ; e un altro al Guinicelli : ( st. 309 ) * La 'n- telligenza, stando a Dio davanti ' ( cfr. canz. Al cor gen-
(*) La donna gentile, scrive il Canepa ( K. rieer. 87 ), deve * cer- tamente essere ima donna vera perchè le scienze e le astrazioni non se ne stanno alla finestra, e perchè Dante non avrebbe potuto al- lontanarsi da un* astrazione, che, appunto perchè tale, dovea risie- dere nella sua mente *. Certo, certo. Ma si può essere piti semplici di così ?
7(] IJ episodio detta donila gentite
tu, '■ Donna, Deo me dirà, che presumisti? Stando l'anima mia a lui davanti ' ). Certo, dal non saper trovare 1' allego- ria di ogni più piccolo particolare, non si può conchiudere che il poeta ha mentito dicendo e ridicendo e tornando a dire che è tutt' una allegoria. Neghiamo forse tutto quel che non intendiamo? Il Bartoli ( St. 4, 305 ) per esempio, nega che sia allegorica la sestina Al poco giorno per questa ra- gione, che ' i sostenitori dell' interpretazione allegorica si sono dimenticati di dirci, perchè la Filosofia abbia in capo una ghirlanda d' erha, perchè i suoi capelli sieno gialli, come abbia fatto a serrar Dante tra piccioli colli, e come ancora riesca a fare sparire i colli che fanno piti nera ombra sotto il hel verde '. Noi non sappiamo, né alcuno forse oggi po- trebbe dire con certezza, se nelle cosi dette rime pietrose vi siano o non vi siano intendimenti allegorici ; ma non sono davvero ostacoli codesti a considerar quelle rime pure allegorie ; che anzi, a dir netto il mio pensiero, per quelle espressioni appunto, e per altre simili, le giudicherei af- fatto allegoriche ('). Il Bartoli ( St. 4, 295 ) anche a pro- posito della canzone Così nel mio parlar, esclama col Car- ducci ( Op. 8, 89 ) : 'A noi, tanta ardenza di sentimenti, tale sfogo della propria natura dell' uomo, dopo il ritegno della mistica contemplazione di Beatrice, a noi piace '. E, dico il vero, non dispiacerebbe neppure a me. Ma, come dice il proverbio, facile credimus quod optamus. Già il To- deschini, il Witte, il Boehmer, lo Scartazzini, ed altri, cre- dettero che codesta canzone dovesse entrar nell' opera tem-
(1) ' Madonna, il core è sempre pien di voi, E lo intelletto si volge nel prato Dove fioriscon le vostre virtù ', dice il Barberino ( Begg. 4 ) alla sua donna allegorica ; e in un ' prato ' appunto vede poi le Virtù. Nei Documenti { p. 309 s ) pone anche in un ' prato ', a coglier fiori la Gloria, che ha la veste ' gialletta '. Non occorre ricordare il ' prato di fresca verdura ' dogli '■ spiriti magni ' del primo cerchio dell' Inferno, né l' interpretazione degli antichi commentatori,.
Se ffono aììegoriche ìe rime pieiròae
perata e virile ; e così credette recentemente anche il Kraus. Ben si vide un accenno ad essa canzone nel luogo del Con- vivio : ( 4, 26, 64 ) * E quanto raffrenare fu quello, quando [ Enea ] avendo ricevuto da Dido tanto di piacere, quanto di sotto nel settimo Trattato si dirà, e usando con essa tanto di dilettazione, egli si partì, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell' Eneida è scritto ! ' Si legge infatti nella canzone : ' El [ Amore ] m' ha percosso in terra, e starami sopra Con quella spada, on- ci' egli ancise Dido '. Ed è certo congettura ragionevole ; ne sarà di molto peso l' obbiezione del Bartoli, che * Dido è nominata nei versi affatto per incidenza, anzi per figu- ra retorica '. Per incidenza e per figura retorica è nomi- nato nella seconda canzone del Convivio, il Sole, per esem- pio ; e nondimeno il poeta ne tira fuori una lunga digres- sione ( 3, 5, 18 ). C«rto nessuno ' può indovinare quello che di Dido e di Enea avrebbe scritto Dante se avesse termi- nato il Convito ' ; ma tutti sappiamo che pensasse Dante dell' Eneide : e d' altra paite, il dubbio che la canzone che dovea essere commentata nel settimo trattato, non fosse scritta, non mi pare possa insinuarsi nell' animo nostro e renderci, anche per questo rispetto, perplessi ; giacche il poeta si proponeva di commentare quattordici canzoni già fatte (1, 1, 102). E a pensarci sii, quell'ardenza che a noi piace, o non dispiace, forse, intesa alla lettera, potea molto dispiacere al cantor della rettitudine, a colui che aveva scritto la Vita nuova e scriveva canzoni allegorico - filosofiche e canzoni morali e meditava la Commedia. Non pare davvero molto verosimile che tale poeta prestasse an- cora lo stancato dito alla penna d' un amor bestiale, da orsacchiotto ; d' un ' terribile amore . . . che devasta l' anima, traverso a cui passa '. Codesto ' triste Amore ' ( lo afferma proprio il Carducci neir ode a Sirmione ) ' odia le Muse, e lascivo i poeti frange o li spegne tragico '. Certo nessuno
10
78 L'episodio della donna gentile
in quelle condizioni ha mai pensato di scriver versi, d'in- trecciar rime, di divincolarsi sotto le torture della sestina arnaldesca e di una forma ancor più faticosa. D' altra parte, da tutti gli scritti del poeta è così lontana la sensualità, anzi vi è in tale abominio, che non dovrebbe parer cosa molto naturale eh' egli si sia mai lasciato andare a trescar con le vergini Muse, fuori anche d' ogni nobile tradizion letteraria. Né, chi ben guardi, ha nulla che veder qui la contumeliosa tenzone con Forese. Ma guardiamo un po' quella canzone, che è la più incriminata, e non in quei luoghi che per la loro crudezza appunto, dovrebbero pure ingenerar il sospetto, non si tratti d' altro. Il poeta non ci dice che è solo a soifrire per la ' bella pietra ',
La quale ognora impetra
3Ia2gior durezza e più natura cruda
E vesto sua persona d' un diaspro :
ma, secondo il solito, generalizza :
Ed olla ancide, o non vai eh' vxom si chiuda,
^è si dilunghi da' colpi mortali ;
Che, coni' avesser ali,
Giungono altrui, e spezzan ciascun armo.
Beatrice beatificava tutti, costei ferisce mortalmente tutti. E non pare che uell' ardenza del sentimento un innamo- rato possa parlare della donna del suo cuore così. L' a- more è esclusivo e geloso. Dice ancora di costei il poeta:
come fior di fronda, Cosi della mia monte tien la cima ;
e nel Convivio, del verso ' Amor che nella mente mi ra- giona', si legge: ( 3, 3, 1) 'Non senza cagione dico che questo amore nella mente mia fa la sua operazione ; ma ra- gionevolmente ciò si dice, a dare ad intendere quale amore
La cara. Così nel mio parlar 79
è questo, per lo loco nel quale atlopti^ , ^... anche 3, 3, 94 ). E intendimenti allegorici forse hanno questi due versi:
Che tanto dà noi Sol, quanto nt-l rozzo. Questa schorana micidialo <' l;iii:i.
' Probabilmente ( chiosa il Fraticelli ) con questa metafo- ra lia voluto significare eh' ella si conteneva in egual mo- do si neir estate, che nell' inverno '. E il Giuliani : ' Fe- risce del pari quando il sole la irraggia, come allora che si ritrova all' ombra, di e notte, in ogni tempo ella vibra le sue mortali saette *. Ma sarà poi vero ? Sia pure che ' Sole ' possa significare estate, o giorno ; ma ' rezzo ' si dirà r inverno, o la notte ? E non sarebbe espressione af- fatto oziosa dire che una donna nell' inverno e nella state, di notte e di giorno si procaccia degli amanti, o incrude- lisce con 1' amante, o che altro so io ? Quando pure non fosse illepida goffaggine ('). Insomma, tutto cospira a trat- tenerci dal dare giudizi assoluti e recisi su codeste strane rime pietrose ; e la riserva del critico non mi parrebbe uè eccessiva né irragionevole ; perchè potrebbe aver ragione il Dionisi ( Prepar. 2, 43 ), che * quella Pietra, di cui s' in- tese il Poeta, non era . . . delle nostre petraje ' (*).
(t) Nella sestina Al poco giorno, come le parole * pietra * •colli' • erba ' ' verde ' ' donna *, ricorro in fin di verso la parola ' ombnt ' ; e cfr. Conr. 2, 9, 127 ' Vctlomolo por fede perfettamente ; e per ra- gione lo vodemo con ombra d' oscurità, la quale incontra por mi- stura del mortale coli' inimortnle '.
(-) Poco probabile mi pare la recente congettura del Torraca ( Bnll. ns. 10, 157 ss ) : il quale, identificando, come già il Serafini, la donna della canzono • montanina ' Amor, dacché conn'en, con la donna delle rime pietrose, vorrebbe che tutte codeste rime, ed al- tre ancora, fossero composte verso il 1311, nel Casentino. • La bel- lissima e crudelissima fanciulla molto probabilmente ora di Prato- vecchio ', dico il Torraca ; sennonché, considerando che il Boccac- cio e* informa che era ' gozzuta ', egli sospetta o che Gozzuti fosse il
so L'episodio della donna gentile
Sia come si voglia, la famosa finestra della Vita nuova non è poi sì grave negozio come pare a primo aspetto. La ' finestra ' aveva avuto prima di Dante la sua bella signifi- cazione allegorica. Nel Cantico ( 2, 9 ) si legge : En ipse stat post parietem nostrum, respiciens per fenestras, prospiciens per cancellos ' ; e nell' Esposizione attribuita a Gregorio Magno {Opera omnia, Venetiis 1768-1776: 2, 10 ) : ' Quasi post parietem nostrum Christus incarnatus stetit ; quia in humanitate assumta divinitas latuit. Et quia ejus immensitatem si ostenderet, infirmitas humana ferre non potest, carnis obstaculum objecit, et quidquid magni inter homines operatus est, quasi post parietem latitans fecit. Per fenestras autem et cancellos qui aspicit, partim videtur, partim vero se abscondit. Sic et Dominus Jesus Christus dum et mi- racula per divinitatis potentiam fecit, et abjecta per carnis
cognome della fanciulla, o che ' 1' origine di questo comico parti- colare debba cercarsi nel fatto che ella fu di Strumi '. Insomma, a Pratovecchio o a Strumi, intorno al 1311, il poeta sarebbe stato cotto, stracotto e biscottato ; e, nel bisogno prepotente di strombaz- zare il suo amorazzo, avrebbe scritto, oltre il resto, un' epistola a Moroello Malaspina, scomodando così anche F eloquio di Marco Tul- lio per la ritrosetta del Casentino. '• Un amore tormentoso, osserva il Torraca, tempestoso, che s' impossessa, a un tratto, di un cuore agitfito dalla passione politica, non capita tutt' i giorni ; ma pur ca- pita, e la storia ne offre esempi memorabili. Dante avea quaranta- sei anni, 1' età degli amori violenti, nulla refragante virtute ; e lungo tempo s" era tenuto lontano dalle donne, e fu « colto » nell' ozio e nella solitudine, amica solitudo della campagna.... Qualcuno stimerà invorisimile che per una donnetta, comunque bella e attraente, ri- trosa per giunta, il fierissimo uomo dimenticasse quello, che più do- veva stargli a cuore — lo sorti di Firenze, dell' Italia, dell' Impero. Che farci ? « Amor terribilis et imperiosus eiim tenuit », e basta '. Tut- tavia, vd. Bartoli, St. 4, 277 ss ; Zingarelli, Rass. crii. 4, 49 ss ; Dante, 222 s. 232 s.
L' allegoria della finestra 81
infirraitatem pertulit, quasi per fé n est ras et can- cellos prospexit; quia in alio latens, in alio quis esset apparuit'. Madonna la Filosofia dunque, riguardando da una finestra, potava bene aver le sue belle ragioni allegoriche, non dissimili forse dalle ra- gioni attribuite all' itifianimato amante della formosa Sul- lamita ('j.
10.
Ma e' è ancora un altro scoglio, o diciamo piuttosto, un altro bastone m«»sso tra le ruote di questo benedetto carro della donna gentile e pietosa. Michele Barbi ( Due noterelle dantesche, Firenze 1898 ) ha trovato che nel so- netto Per quella eia, anziché ' passa una donna ', nel terzo verso deve leggersi ' passa Lisetta '. E passi anche Lisetta, e solletichi anch' essa le non pigre fantasie dei confettieri di quei rugiadosi romanzetti sentimentali che impinguano la biografia di Dante (-j. Adunque,
(*) D Biscioni ( Pref. 21 ) spiegava : * Per la pietà, Li moralità intendere si dee; per la finestra, an hiogo elevato ed aperto bensì, ma non frià fuori d'ogni terreno abitacolo: a significare che questa donna per lume naturale si può dagli uomini vedere '. Il Bartoli ( St. 4, 223 ) : * La finestra . . . può esprimere qui un luogo alto, e per- chè Dante siasi fatto riguardare dall' alto s' intende benissimo ' : e altrove ( 5, 79 n^ ) richiama molto opportunamente il luogo di Boezio ( De consolatione philosophiae. prosji I | : * adstitisse mihi s u p r a vorticem \Ì8a est mulier '.
(^) ' Come Violetta, impone il Lamma ( Qaest. 134 ), anche ma- donna Listi deve entrare nella schiera delle donne che amarono Dante '. Ed entri pure, senza cerimonie, anche madonna Lisa : e facciamoci una fregatina di mani. Xon intendo però, perchè il Lamma cominci allegramente coli' assicurarci, che ( p. 119 ) ' tra le donne realmente amate da Dante, con buona pace di tatti i crìtici che nelle suo rime d' amore cerciino il simbolismo, più o meno recon-
82 L' episodio della donna gentile
Por quella via che la Bellezza corro Quando a destaro [chiamar] Amor va nella monto, Passa Lisetta baldanzosamente, Come colei che mi si crede tórre.
E quando è giunta a pie di quella torre Che s' apre quando 1' anima consento, Odesi voce dir subitamente [cortesemente] : ' Volgiti, bella donna, non ti porro ' ;
Che donna dentro nella mente siedo, La qual di signoria tolse la verga Tosto che giunse, e Amor sì gliela diede (*).
Quando Lisetta accomiatar si vede Da quella parte dove Amore alberga. Tutta dipinta di vergogna riede.
Il Barbi crede che oramai non si possa vedere altro in questo sonetto, ' se non un contrasto fra Beatrice e una donna vera e propria, o al più tra la Filosofia e una donna medesimamente vera e propria '. Niente si opporrebbe a quest' ultima ipotesi ; che inverosimile non pare che un poeta, amante della filosofia, ad una donna vera e propria che tenti di sedurlo, faccia dire dalla sua donna allego- rica : ' Volgiti, bella donna, non ti porre '. Sarebbe una fantasia poetica che in fondo vorrebbe dire : ■ — Attendo allo studio, Lisetta, e non posso badare a te, che credi di avermi già conquistato ; e vattene — , Sennonché, forte era per sé stessa la tentazione d' identificare codesta bai-
dito o più o mono ignoto allo stesso Alighieri, Madonna Lisa o Li- setta occupa un luogo non secondario ' ; e finisca poi col mostrarsi turbato da dubbi angosciosi : ( p. 138 ) • A Lisetta a^Tà, presto o tardi, ceduto 1' amore di Dante ? O la pi'ofezia di M. Aldobrandino de' Mezzabati sarà stata, come tutte le profezie dei poeti, una pro- fezia mendace ? Sono interrogativi ai quali, io temo, non si potrà rispondere mai '.
(1) Le stampe leggevano : ' Che quella donna, che di sopra sie- de, Quando di signoria chiose la verga, Com' olla volse, Amor to- sto lo diede '.
Passa Lisetta 83
(lanzosa Ijisetta vcon la donna gentile ; e veniva poi in buon punto a rassicurare i bene intenzionati, questa cu- riosa circostanza : si ha un sonetto, responsivo al dante- sco, di un messer Aldobrandino Mezabote ; il quale pare che sia da identificare alla sua volta con un * dominus Aldobrandinus de Mezzabatibus ', padovano, capitano del popolo a Firenze dal maggio 1291 al maggio 1292 ; e coir ' Ildebrandinum Paduanum ' citato in De Vulgari E- loquentia (1, 1-4. 6)('). E concediamo, come 'probabi- le ', che il sonetto dantesco e il responsivo del signor capitano, ' fossero composti in Firenze, quando ancor fre- sca era la memoria di Beatrice e nuovi affetti venivano a tentare il cuore di Dante '. Concediamo, ma a patto di non mischiare in codesta novissima faccenda ne la B e a - trice della Vita nuora, ne la donna gen- tile. Beatrice nel sonetto non è nominata, ne si vede in alcun modo che il poeta volea serbarsi fedele alla memo- ria di una morta. E certo occorre un bel castelletto d' i- potesi per salire fino alla sospirata conclusione ' probabi- le ' (-). Qualche schiarimento o ajuto potremmo sperare an- che noi, come Lisetta, dalla Musa di messer Aldobrandino ; ma il responsivo sonetto del signor capitano è cosi oscuro, che poco costrutto se ne può cavare : tuttavia è notevole che non vi è neppure in questo sonettaccio accenno alcuno né a Beatrice, né a donna morta. D' altra parte, Lisetta, checche vada dicendo G. Manacorda ( Giarn. dant. 8, 105
(*) Cito dall' ed. minore del Rajna. Firenze 1897. Vd. la co- municjiziono di Paget To\Tibee in The Athenaenm. n" 3706 : e Y o- pinione del Hajna nel Bull. ns. 6. 27.
(^) Vittorio Cian ( Bull. ns. 5, 125 ) troppo speditamente, io cre- do, scrive : ' ^Xel Son. Per quella eia è notevole 1* allusione a Bea- trice come a signora della mente del Poeta, signora per virtù d' a- more, giìi donna reale, ma oramai morta, assunta in cielo, idealiz-* zata nelle memorie e nel culto dell' Alighieri ".
84 L'episodio della donna gentile
ss ), non può identificarsi con la donna gentile. Lisetta pas- sava ' baldanzosamente \ credendosi sicura del fatto suo, e la donna gentile della Vita nuova ( 35, 8 ) ' riguardava si pietosamente, quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta '. E il poeta dicea fra sé medesimo : ' E' non puote essere che con quella pietosa donna non sia nobi- lissimo amore ' ; e non cantava la baldanza della nuova donna, ma ' quanta pietate Era apparita ' ; e non dipin- geva tutta di vergogna la pretendente, ma le attribuiva, con tenerezza.
Color d' amore o di pietà sembianti.
Insomma, la donna pietosa, savia e gentile non ha pro- prio nulla da spartire con la Lisetta, che ' passa baldan- zosamente ', e che, quando * accomiatar si vede ', se ne va mogia mogia ' tutta dipinta di vergogna'. Ne si può pen- sare che la donna gentile, dapprima pietosa, poi si sia mo- strata baldanzosa ; giacché, così nella Vita nuova come nel sonetto, si parla della prima fase dell' innamoramento, della conquista cioè, fallita alla Lisetta, riuscita alla donna gen- tile. Oltre di che, non pare molto probabile che il poeta tra il 1291 e il 1292 mandasse in giro per Firenze la sfron- tatezza di codesta Lisetta, che per sua fortuna trovò quel messer Aldobrandino così cavaliere da scioglierla dalla ver- gogna ('Lisetta, io voi dalla vergogna sciorre ', pare che cantasse il capitano ) ; e qualche anno appresso chiamasse savia, pietosa e gentile quella stessa donna ch'egli-avea pubblicamente svergognata (^).
(1) Albino Zonatti ( Rime di Dante per la Pargoletta, nella Ri- vista d' Italia, 15 ott. 1898 : p. 125 e 131 n2 ) si mostra indeciso ; il Lamma ( p. 123 ss ) crede poi che l' identificazione sia impossi- bile, anche pei-chè le dne famose rivoluzioni di Venere ci portano, secondo il critico che crede di seguire il Lubin, al giugno 1292 j
Lisetta 0 licenza/ ftS
Tutto ciò se dobbiamo tener per definitiva la restitu- zione del Barbi. Sulla quale del resto, potrebbe elevarsi qualche dubbio. Il fatto stesso che il nome Lisetta riap- pare nel verso dodicesimo ( ' Quando Lisetta accomiatar si vede ' in luogo di ' E quando quella accomiatar si vede ' ) in qualche manoscritto, e non in tutti gli otto che hanno nel terzo verso Lisetta ( alisetta, Ollisetta ) ; mostra che chi copiava il sonetto, si sentiva talvolta in diritto di far delle sostituzioni. E questa ipotesi pare avvalorata dall' altro fatto, che ben quattro codici hanno suppergiù licenza, an- ziché Lietta, nel terzo verso. Che alcuno cambiasse licenza in Lisetta a me par verosimile ; ma che ad alcuno, salvo che non fosse un burlone, venisse in mente di sostituire licenza a Lisetta non pare probabile. Nel caso di scrittura poco chiara, chi copiava correva più facilmente col pensie- ro a un nome di donna, Lisetta, che all' astratto licenza ; e quindi la sostituzione di Lisetta a licenza è più probabile del caso inverso. Il sonetto del Mezabote pare che tagli netto e corto, e che non dia luogo a supposizioni di questa specie ; ma io ho pure un sospetto, non si tratti di due re-
p quindi la donna trentilo ' sarobV»*» apparsa a Dante quando Aldo- brandino dei Mozzabati avea finito il suo ufficio di Capitt'ino del po- polo e senza dubbio aveji lasciato Firenze '. Ma non era strettamente necessaria la presenza di niesser Aldobrandino a Firenze, perchè madonna Lis.-» avesse 1' ajuto d' un sonetto. C è da domandare piut- tosto ai bene intenzionati, se è molto serio che la donna gentile e pietosa della Vita nuora debba far tutte le parti in commedia, eccetto quella parte che volle farle rappresentare il poeta. Es.sa, così nella Vita nuova come nel Contino, non ha nome personale ; essa è bella, savia, pietosa, gentile, nella Vita nuova e nel Concirio : e nondimeno non dev' essere, non è quella che è ; dev' essere Gemma Donati, de- v' essere non so quale madonna Pietra, dev' essere qualche signora Matelda, dev' essere qualche sfrontata Lisetta ... E quelli che fan- tiisticiino sono poi gli allegoristi !
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86 L'episodio delia donna gentile
dazioni alquanto diverse, la seconda delle quali di poco forse posteriore al sonetto del Mezabote.
Comunque, solo questo a me par sia da concedere ; che se il sonetto dantesco parla di due donne reali, ed è an- teriore alla Vita nuova, è probabile che il poeta, nel creare r allegoria del fervido e passionato libello, non abbia fatto lavoro esclusivamente di fantasia ('). La testimonianza del- l' Ottimo ( L' Ottimo Commento della DC. Pisa 1827 - 29 : 2, 549 ) ha avuto probabilmente origine da un' imperfetta e vaga notizia del sonetto. Dal quale appare chiarissimo che il poeta non amò la baldanzosa, come 1' Ottimo ci at- testa, mettendo in un fascio la ' pargoletta ', la ' Lisetta ', la ' montanina ', e ' quella ', e ' quell' altra ' ; ma la re- spinse. E certo, né 1' Ottimo avrebbe saputo dire, né altri saprebbe dire se quella rejetta abbia fatto poi altri tenta- tivi di seduzione, e sia riuscita infine a conquistare il cuore del poeta.
(1) Un motivo elio pare ispirato e dall' episodio della Vifa finora e dal sonetto dantesco della Lisetta, svolge il sonetto seguente di Sennuccio del Bene :
Era nell' ora che la dolce stella Mostra il segno del giorno a' viandanti. Quando mi apparve con umll sembianti In visione una gentil donzella.
Parea dicesse In sua dolce favella : ' Alza la testa a chi ti vien davanti Mossa a pietà de' tuoi pietosi pianti, Piena d' «amore e, come vedi, bella,
A rimettermi tutta In la tua mano : Tlen me per donna, e lascia la tua antica. Prima che morte t' uccida, lontano '.
Io vergognando non so che mi dica ; Ma per donzella e per paese strano Non cangio amor, né per mortai fatica.
Ond' ella vergognosa volse 1 passi, E piangendo lasciò gli occhi miei bassi.
La canz. E m' incresce di me 87
11.
Vere contradizioni adunque tra la Vita nuova e il Concicio, noi non vediamo ; anzi molte concordanze e ri- spondenze non dubbie ('). E invece di codesto sonetto della vergogna d' una baldanzosa Lisetta, si potrebbe forse più a proposito richiamare a chiarimento e complemento del- l' episodio della Vita nuota, la canzone E" m' iiicresce di me.
Neil' ultimo sonetto del giovanile libello, un sospiro esce dal cuore del poeta ; una nuova intelligenza lo tira in alto, nell' empireo ; a codesta * intelligenza nova ' si volge il poeta, che omai passa i cieli, passa ' Oltre la spera che più larga gira '. * Lo peregrino spirito ' vede quivi una ' donna che riceve onore ' ; ma ' parla sottile ', e il poeta ancora non lo intende. Or come codesto sonetto pronunzia la ' mirabile visione ' dell' ultimo paragrafo della Vita nuova, e come la ' mirabile visione ' accenna già alla Commedia ; così a me pare che la canzone E m' incresce di me sia foriera ap- punto di codesto incielarsi del sentimento del poeta, del ritorno a Beatrice celeste, dopo la ' vana intenzione ', dopo il gentile pensiero per la bella consolatrice. Nella canzone ' r anima ' del poeta ' Innamorata se ne va piangendo Fuora di questa vita. La sconsolata, che la caccia Amore '. Nelle prime quattro stanze il poeta descrive lo stato del- l' animo suo nella dolorosa disillusione del suo secondo a- more, e nelle ultime due ricorda i due innamoramenti e le due donne della Vita nuova. Io credo dunque, che la canzone coincida quasi con la ' forte imaginazione ' del
(t) Cospicua, per esempio, è 1' <>s>.ivazione del Kenier | T'.V. < F. 193 ), che si può vedere ' una connessione fra l' intendimento ed il titolo stesso dell' opera boezian:^ e 1* appellativo tli donna pietosa dato tbi Dante iilla filosofia ".
88 L' episodio della donna gentile
paragrafo 39 del libello, nella quale parve al poeta rive- dere Beatrice ' con quelle vestimenta sanguigne ' che avea quando la vide la prima volta e se ne innamorò.
Sennonché, questa nuova interpretazione non può pas- sare senza più lungo discorso. L' Oeynhausen crede ' che questa canzone sia quasi una transizione dalla Vita Nuova al Concito ' ; e al Witte, ' che pur rigetta F opinione del- l' Oeynhausen, non sembra che in essa canzone si alluda alla Beatrice della Vita Nuova ' ( vd. Bartoli, St. 4, 242 n^ ). Del resto, quanti della canzone direttamente o indiretta- mente si sono occupati, hanno inteso che il poeta parli sempre in essa del suo amore per Beatrice. Il Giuliani però chiude le sue note di commento, con questa grave osserva- zione : ' Veramente chi pon 1' occhio un po' a.ttento a questa canzone, vi discopre si la mano e i concetti del sovrano ar- tefice della Commedia ; ma dubito se gli riesca di com- prenderne ben determinato il disegno. Certo altri potrebbe desiderarvi quella unità, che è costante e proprio suggello d' ogni scritto dell' Allighieri. Forse che le strofe vi son male ordinate, se già non vogliono credersi in uno rifusi due diversi componimenti '. Certo, se in quella canzone dobbiamo intendere che il poeta parli del solo amore per Beatrice, non sé cava chiaro costrutto, e le ipotesi del Giu- liani ci parranno molto ragionevoli. Tuttavia, né il Car- ducci ( O}). 8, 52 ss ) , né il Bartoli ( St. 4, 240 ss ; 5, 55 s ) si fermano a notare o a chiarir le difficoltà d' interpreta- zione ; e ciò forse non può bastare per dire che ai due grandi maestri riescisse ' di comprenderne ben determinato il disegno ' (^). Bene intende ogni cosa il Fraticelli, a co-
(1) Lo Zingiirolli ( Dante, 34 ) vedo ' il combattimento ohe so- stenevano la sua [ del poeta ] mente e la sna vita, 1' una tutta de- siosa o devota alla donna amata, 1' altra afflitta e stremata ' ; e pili innanzi ( p. 107 ), ritornandoci su, scrivo ancora : ' Il poeta, in sei
Ijtt canz. IP m* incresce di me 80
minciare dalla * bellezza e sublimità di questa canzone dettata con pura e nobile favella, e piena di passionate espressioni e di alti concetti . . . Questa ( continua allegra- mente il rabbioso e puerile contradittore del Biscioni ) non parla già d' un amor filosofico, ma d' un amor naturale, ed apparisce scritta vivente Beatrice '. Nondimeno, s' in- gannerebbe chi dalle sue chiose credesse, non dico di acqui- star convinzione della ragionevolezza di codeste due ultime aflFermazioni, che, come tante altre sue, sono aflPatto gra- tuite ; ma e di trarre un costrutto qualunque per l' inten- dimento della canzone. Chiosando i versi, * Ch' altrettanto di doglia Mi reca la pietà quanto il martiro', l'egregio uomo si domanda : * Come mai la pietà, eh' egli implora, po- tea recargli altrettanto dolore, quanto recavagliene il mar- tiro, del quale lagna vasi ? Ciò che ho detto di sopra rende facile la risposta. La pietà, che recava a Dante altrettanta doglia quanto il martiro, era quella che dimostravangli le donne, delle quali, afiinchè sospettar non si potesse di Bea- trice, fingeva d' essere innamorato. E questa pietà per riu- scirgli affatto inopportuna, e per fargli palese come altre femmine erangli piìi benigne di colei, che formava la sua unica fiamma, recava ad esso non già sollievo, ma doglia '.
sUmzo di qualtdidici vci^i, e un unnmitilo. l'spriiiK' il fuiiUahto Uà r anima sua afflitta per un amore non rallegrato da speranza, e la mente desiosii di contemplare l' immagine della sua donna : Beatrice non fu più cortese del suo sguardo a Dante, poiché si accorse del suo amore. Richiama il ricordo del suo innamoramento nella pueri- zia, e come tutu» la sua vita no rimanesse dominata ; si mostra sicu- ro di andare incontro Jilla morte, e finisce raccomandandosi alle don- ne che accolgano le sue proteste, e quasi abbandonandosi al suo de- stino, per la inflessibile crudeltà di Beatrice, QuesUi crudeltà, ed il riserbo da lei assunto quando ebbe conosciuto l' iinimo di Dante, sono i tratti sensuali della canzone, pei quali sarebbe stata più che una stonatura in una storia ordinata a significazione altamente ideale, oom' è la Vita Xuoca \
90 L' ephodio della donna gentile
Si salvi chi può ! Nella nostra canzone Dante implora la pietà ? e codesta implorata pietà poi, è la pietà che reca doglia ? ed è la pietà delle due donne dello schermo ? e dove è detto che le donne della difesa eran donne pie- tose ? Chi ne capisce qualche cosa, può ben dire d' avere interpretato il Fraticelli, che interpreta Dante.
Il Giuliani ha pienamente ragione : stando all' inter- pretazione comune, vi manca unità e congruenza. Ma in- vece di rifugiarci nelle sue disperate ipotesi, vediamo se non sia miglior consiglio accettare l' interpretazione che a me sorride, e a cui ho già accennato ; cioè, che nella canzone si parli di due amori, da identificare 1' uno con 1' amore per Beatrice, 1' altro con 1' amore alla donna pie- tosa, che veramente ' non fu mai pietosa ', benché non ne avesse colpa, come dice 1' ultimo verso.
Il poeta comincia col dire che gli reca doglia tanto 'la pietà quanto il m a r t i r o ' ('). Codesta ' pietà ' è chiaramente determinata più innanzi :
Oimè quanto piani,
Soavi e dolci ver me si levaro [gli occhi],
Quand' egli ineominciaro
La morto mia, eh' or tanto mi dispiace.
Dicendo : Il nostro lume porta paco.
IN^oi darem pace al cor, a voi diletto, Dicieno agli occhi miei Quei della bella donna alcuna volta ; Ma poiché sepper di loro intelletto, Che per forza di lei M' ora la mente già ben tutta tolta, Con le insegne d' Amor dioder la volta ;
(1) Cfr. VN. 38, son. Gentil penserò : ' Oi anima pensosa, Que- sti è uno spiritel novo d' amore. Che reca innanzi me li suoi de- siri: E la sua vita, e tutto '1 suo valore. Mosse de li occhi di quella pietosa, Che si turbava de' nostri martiri'.
La canz. E' ni' incresce di me ftl
Sicché la lor vittorYosit vista
^Ton si rivide poi unu fVata.
Ond' è rimasa trista
L' anima mia che n' attendea conforto.
A me pare evidente che codesta * bella donna ' è la donna pietosa, la ' gentile donna giovane e bella molto ' della Vita nuova, la Filosofia del Concino {^); e non per code- sto attributo di * bella ', che potrebbe essere fortuita con- cordanza ; ma e pel fatto, che nella canzone si parla pro- prio di una bella donna, i cui occhi piani, soavi, e dolci, si levarono verso il poeta, promettendo pace e diletto agli occhi dello sconsolato che n' attendea conforto, appunto come nell' episodio della Vita nuoca ; ma e pel fatto, che gli * occhi ' della ' bella donna ', quando videro che la ' men- te ' del poeta era già conquistata, * Con 1' insegne d' Amor dieder la volta ', appunto come è accennato nel comincia- mento delle canzoni filosofiche Le dolci rime d' amor, Poscia cV Amor del tutto, e nel sonetto Parole mie ; ma e pel fatto, che la ' vittoriosa vista ' di quegli ' occhi ' non si rivide più dopo la conquista, appunto come la vittoria della donna gentile fu di * alquanti die ', secondo la Vita nuova. Ed an- che quel ' bella donna ' in fin dei conti, potrebbe essere più che una fortuita concordanza. Nella canzone Amor che nella mente, della Filosofia si dice appunto, che ' Sua beltà piove fiammelle di fuoco '. D' altra parte. Beatrice nella Vita nuo- va non è mai chiamata ' bella donna ', come due volte è
f*) È certo sorprendente che ijli attributi della donna gentile si trovino dati anche a madonna Intelligenza. Intell. st. 9 ' Bella, savia e cortese in veritate ' ; st. 15 ^ Savia, e cortese, e di novella etate, Sì bella mai non fu al tempo di Darò ' ( cfr. VX. 35. 7 • gen- tile donna gioviine e bella molto ' ; 38, 4 • donna gentile, bella,, gio- vane e savia ' : Conc. canz. Voi che intendendo, 43 ' bella donna ' ; 46 ' Mira quant' ella è pietosa od umile, Saggia e cortese nella sua grandezza ' ).
92 V episodio della donna gentile
chiamata la donna gentile. Si ricorda bensì nelle rime la sua ' beltate ' ( VN. 12, 79; 14, 64 ; 26, 56 ; 33, 41 ), è chia- mata ' bella gioja ' ( 15, 23 ), è detto che ' Per esempio di lei bieltà si prova ' ( 19, QQ ) ; ma potrebbe non esser la stessa cosa. Di Beatrice nella prosa e' è soltanto che il poeta immaginava ' la sua mirabile bellezza ' ( 15, 12 ) ; e nella dicisione della canzone Donne eh* avete si legge, che il poeta in essa canzone dice ' d' alquante bellezze, che sono secondo tutta la persona ' e ' d' alquante bellezze, che sono secondo determinata parte de la persona ' ( 19, 116 ). Quanto al resto. Beatrice è ' gloriosa donna ' (1,4),' donna della salute ' (3, 13 ), ' gentilissima salute ' (11, 13 ), ' mi- rabile donna ' ( 14^ 32 ), e ' mirabile Beatrice ' ( 24, 18 ), e ' nobilissima Beatrice ' ( 22, 4 ), e ' anima bellissima ' ( 23, 61 ), e spesso ' gentilissima donna ', o semplicemente ' gentilissima '. ' Donna di molto piacevole aspetto ' è la donna del primo schermo (5, 5 ) ; e ' gentile donna ... di famosa bieltade ' è Giovanna ( 24, 13 ). Comunque, che nei versi citati non vi sia descritta nessuna fase del primo amore del poeta, sarà chiaro, io spero, a chiunque voglia considerare che Beatrice nella Vita nuova non si offre mai apportatrice di pace al cuore del poeta. Né si saprebbe d' altra parte, donde cavare che il poeta attendea ' con- forto ' da Beatrice ; e neppure s' intenderebbe, riferita a Beatrice, la conquista con promesse mendaci, e il subito abbandono.
L' a n i m a del poeta che n' attendea conforto, non ri- vedendo più la vittoriosa vista della bella donna, e vedendo il cuore, a cui era sposata, quasi morto ; se ne va innamorata piangendo fuori di questa vita, e si lamenta d' Amore che fuor d' esto mondo la caccia ( vv. 22 - 42 ). La bella donna, la cui immagine siede su nella mente ancora, e che vie più lieta par che rida, alza gli occhi mi- cidiali e grida contro 1' a n i m a : ' Vatten, misera, fuor,
La canz. È' tn rncrexce di me tó
vattene ornai ' ( vv. 43-51 ). Certo, codesti ' occhi mici- diali ' ben si convengono alla ' disdegnosa e fera ' donna del Convivio ; e 1' attitudine della bella donna verso 1' ' a- nima ' può ben richiamare l' ' avversario della ragione ' della Vita nuova.
Ma qui sorge una gravissima difficoltà. Il poeta, dopo le testé ricordate crudeli parole rivolte all' ' anima ' dalla bella donna, segue nella quinta stanza cosi :
Lo giorno che ooetei nel mondo venne. Secondo che si trova Nel libro della mento che vien mono. La mia persona parvola soRteniK- Una passlfon nuova. Tal eh' io rimaKi di paura pieno : Cir a tutte mie virtù fu posto un freno Subitamente sì. eh' io caddi in temi Per una voce, che nel cor percosso. E ( so '1 libro non erra ) Lo spirito magerior tremò sì forte, Che parve ben. che morto Per lui in questo mondo giunta fosse : Ora ne incresce a quei che questo mosse.
Qui senza dubbio, il poeta parla di Beatrice ; e vi è, più che un richiamo, un compendio del lungo paragrafo con cui comincia la narrazione della Vita nuova ; ed anche un assai palese riferimento alle parole del Proemio, ' In quella parte del libro de la mia memoria ... si trova una rubri- ca, la qual dice : Incipit rifa nova '. Non mi par verosimile che la prosa del libello sia molto posteriore amplificazione di codesti versi. Certo, se vero innamoramento a nove anni vi fu, non fu quello narrato nella prosa e nei versi ; e non è ragionevole supporre che, prima della morte della donna amata, il poeta idealizzasse tanto quel suo puerile primo incontro, da concepire la solenne fantasia apocalit- tica delia Vita nuova e della canzone. Ma quel ' costei ' del
Vi
94 L episodio della donna gentile
primo verso della stanza, a chi deve riferirsi ? alla ' bella donna ', o all' ' anima ', cacciata da Amore fuori di que- sto mondo ? Riesce infatti un po' duro, sebbene sintatti- camente possibile, non riferire il ' costei ' alla stessa bella donna di cui parlano le stanze precedenti. Ma, se si con- sidera che il poeta nella Vita nuova e nel Convivio, come abbiamo già accennato, par che voglia identificare la Bea- trice con r anima, non si troverà strano che quel ' costei ' si riferisca appunto ad ' anima '. Certo, che in codesta quinta stanza non si parli della donna micidiale da cui il poeta attendea conforto^ si vede chiaro dalle parole che seguono nella stanza sesta ; nella quale il poeta passa a narrare il suo secondo innamoramento, ritornando alla bella donna delle prime quattro stanze della canzone.
Quando m' apparve poi la gran boltato. Che sì mi fa doloro, Donno gentili, a cui io ho parlato, Quella virtù, che ha più nobilitate, Mirando nel piacere,
S' accorse ben, che '1 suo male ora nato : E conobbe '1 disio eh' era criato Per lo mirare intento eh' ella fece. Sicché piangendo disse all' altre poi : Qui giugnerà in vece D' una eh' io vidi, la bella figura, Che già. mi fa paura ; E sarà donna sopra tutte noi. Tosto che sia piacer degli occhi suoi.
Codesta grande beltate, codesta bella figura, che apparve poi, che prese il luogo d' un' altra, non pare assolutamente sia la Beatrice, della quale si narra l' innamoramento nella stanza precedente. E quel dire che l' intelletto, mi- rando nel ' piacere ', conobbe che il ' disio ' era nato dal ^ mirare intento ' della bella donna ; e quel dire che tutte le virtù s' aspettavano di esser signoreggiato quando aves-
La voce del buon senso a")
sero voluto gli occhi di lei i^ cioè, le sue dimostrazioni, come si spiega neir opera temperata e virile ) ; ben pare che ac- cenni alla dolce consolatrice della Vita nuova e del Convivio, a colei di cui il poeta s' innamorò ' appresso lo primo a- more '. Nella tornata infatti, egli perdona
;i (|il"'lla li <■ 1 1 ,1 e CI r- ,i
Che men n'ha colpji, e non fu inni pietosa ('i.
La qual conclusione, sottilmente considerando, pare sia sug- gel eh' ogni uomo sganni.
12.
Non si ha dunque ragione alcuna per negar fede alle dichiarazioni del Convivio ; le quali, anziché abbujare o sconvolgere 1' episodio della Vita nuova, vengono molto a proposito, non derogando a quella narrazione, a dichia- rarla e a toglierle quelle contradizioni e inverosimiglianze che, intesa alla lettera, essa offrirebbe.
Ed invero, è forse quell' episodio cosi semplice e na- turale da ricever nocumento, anziché giovamento, dalle proteste e spiegazioni del Convivio ? In mezzo a tanto scom- piglio d' ipotesi dotte, a si disperato parapiglia di conget- ture argute, o perchè non sarebbe egli lecito di guardar la cosa un po' alla buona, con la fida scorta del senso co- mune? Giacché, anche il buon senso potrebbe aver bene onorevole parte nell' esegesi del libello dantesco. E si veda un po', quale uomo di giudizio, anche concedendo gran parte all'esagerazione poetica, possa sentir tanto scrupolo di essersi lasciato a ventisette anni vincere da un' inno-
li) Cosi stampa il Giuliani ( La Vita Nuora e il Canzoniere, Fi- renze. Lo Monnier, 1885 ). Altri. ' Che men' ha colpa e non fu mai pietosa ".
OB L'episodio della donna gentile
cente passioncella intenzionale, da guiderdonarne ben bene gli occhi col pianto ; quale uomo di senno possa sentir tanto orrore dell' amor platonico di alquanti giorni per una donna gentile, pietosa, bella, giovane e savia, da adone- starlo per timore d' infamia. D' altra parte, quale amore avea mai sentito o dimostrato Beatrice, perchè il poeta do- vesse 0 potesse sentirsi tanto obbligato alla memoria di lei ? Codesta gloriosa donna della mente, codesta gentilis- sima salute, per alquanti anni lo avea, ben è vero, beati- ficato col suo dolcissimo salutare; ma poi gli negò anche codesta magrissima sodisfazione, ed egli allora ripose tutta la sua beatitudine nel cantarne le lodi. Una volta in com- pagnia di certe donne, si gabbò di lui la gentilissima ; e appunto quando egli entrava nella gioventù, mori la glo- riosa^ lasciando vedova e dispogliata un' intera città, ai ma- gnati della quale il poeta scrisse in quell' occasione un' e- pistola latina con un cominciamento di Geremia. Concesso pure che la realtà di codesto amore non si possa negare, perchè molti critici pare che di tali passioncelle abbiano esperienza particolare ; come mai codesto strano amore po- teva aver tanta efficacia oltre la tomba, da far riprovare come vile e malvagio ogni altro onesto e gentile pensiero che ad esso, dopo tanto tempo, si sostituiva ? Né sarebbe il caso di pensare a quel che nella Vita nuova non e' è, ma di considerar diligentemente quel che nella Vita nuova il poeta volle che pur ci fosse. Certo, se non molto con- venienti, molto sennate sono le parole di Vittorio Imbriani ( Studi dant. Firenze 1891: p. 429 ), che, sebbene dette ad altro proposito, io voglio qui riferire. ' Dato anche e non concesso, che Dante avesse difatti amato nella infanzia e neir adolescenza, molto buffonescamente, una Bice qualun- que, che vergogna ci sarebbe, per lui, nello aver amata, dopo la morte di costei, un' altra femmina ? 0 che siamo infeudati in perpetuo alla prima pettegola, che ci fa bat-
Il preteso sentimento di fedeltà <»7
tere il cuore ? E non maucherebb' altro ! Dovea egli forse incenerirsi sul rogo di lei o rinunziare al mondo ? Ride- rebbe chiunque si sentisse dire, che, dopo aver amoreggiato da ragazzo con una piscialetto e fatto gli occhi di tri- glia ad una civetta, è per lui colpa 1' amoreggiar poi con un' altra ! '
Senza dubbio, non mancano esempi di fedeltà alla me- moria dell' amata ; ma non è certo cosa naturale che il poeta per quella sua amata avesse tale eccessivo sentimento di fedeltà, per (^ueH' innocente pensiero gentile tale amaro rimorso ; quel poeta, che pure in quel torno di tempo tolse moglie ; quel poeta, che pare non avesse poi tanti scru- poli in codesto negozio dell'amor migratore, se scriveva a Gino ( son. Io sono stato ) che Amore
Ben può con nuo>i npron punger lo fianco, E qual che sia "1 pÌHc«'r r fi" ora n' a«I<l«'stra. St'iruitar si convion so l'altro è stanco (M-
Tutto insomma, cospira a mostrar che il poeta non volle adonestar niente col Convivio, e che volle invece gio- vare alla interpretazione della Vita nuoca. Se di adonestar qualche cosa egli ebbe veramente bisogno, provvide ap- punto con la Vita nuoca, ritorcendo il significato origina- rio di alcune sue rime ed adattandolo a un concetto or- ganico che governa tutta 1' opera sua. Il breve episodio della donna gentile non macula certo la purezza mistica del giovanile libello, anzi contribuisce a renderla più tersa e splendente. Concludendo, il ripiego del ' poi ' è affatto
(1) Ovid. Jfem. amor. 462 • Successore novo ^incitur omnis a- mor ' : Cod. d' Ani. 17 • Xovus amor voterem compellit abire ': fonti codeste, più dirette forse per Guittone ( son. Donna del cielo ), " Co- tal rimedio ha questo aspro furore Tal aequa suole spegner que- sto fuoco Como d* asse si trae chiodo con chiodo '.
98 L'episodio della donna gentile
gratuito, e allo stringer dei conti non risolve nulla, seb- bene a primo aspetto possa sembrare che sciolga 1' aggro- vigliatosi tra la Vita nuova e il Convivio nodo gordiano, che, non so se debba dire, per non tentare, o per troppo tentare, è fatto sodo.
IL SENSO LETTERALE
1. L ALLEGORIA.
1.
Alcuni critici credettero di pot^r salvare il roman- zetto della Bice, senza negar fede alle dichiarazioni del Concivio ; e alla ipotesi del poi preferirono la soluzione del doppio senso, letterale e storico da una parte, allegorico dall' altra ; bel ritrovato, che permetterebbe anche di spie- gar facilmente le gravi incongruenze della Vita nuova, se non fosse come uno di quegli accomodamenti che, volendo contentar tutti, finiscono sempre col non contentar nessuno.
Il TodeschJni fece della sola donna del Concimo, due donne ; 1' una reale, 1' altra allegorica. * Avea 1' Alighieri, egli dice {Scr. 1, 317), scritto nella sua gioventù quella canzone mentovata da Carlo Martello nel canto Vili del Paradh^o : Voi che intendendo il terzo del movete, nella quale avea parlato dell' insorgere d' un nuovo amore nell' animo suo dopo la morte di Beatrice. Accintosi molto più tardi air opera del Convito ne dedicò il Trattato secondo ad un copioso comento di quella canzone, nel quale prese a darne due interpretazioni diverse, l' una secondo il senso lette- rale, r altra secondo il senso allegorico ; nel primo de' quali
100 // senso letterale e V allegorìa
la canzone si riferisce all' amore di una nuova donna, nel- r altro all' amore della filosofia . . . Non andiamo a cercare, che non sarebbe punto del presente proposito, quale de' due sensi della interpretata canzone fosse il vero e primitivo : il fatto è, che nello sporre la lettera e 1' allegoria della canzone il poeta ci narra due storie diverse, 1' una amo- rosa r altra letteraria, che sono ambedue verissime '. Qual- cosa di simile avea già accennato 1' Ozanam ; il quale, do- po avere scritto {D. et la phil. 116) che il poeta 'tentò vanamente di velare a mezzo, con ingegnose interpreta- zioni, le sue passioncelle passeggiere ' ; insinua che nel com- mento alla canzone Voi che intendendo, il poeta ammette esservi un senso storico e letterale indipendente dal senso allegorico . ' Stando al senso letterale, pensava il critico ( p. 382), egli confessa schiettamente che, dopo la morte della donna amata, le sue incessanti lagrime commossero una giovine donna sua vicina, la cui compassione non fu per lui senza attrattive, né forse senza pericolo. Secondo il senso allegorico poi, costei fu la Filosofia, che sola con- solò la vedovanza della sua giovinezza '. Più esplicito e comprensivo e sistematico il Fornaciari ; ( Studj, 173 ) 'E qui la questione ci conduce ai rimproveri di Beatrice, e al senso o letterale o allegorico della Donna pietosa. Ri- facendoci da questa parte, noi, per analogia colia D. Com- media, dove entrambi i sensi, il letterale e 1' allegorico, sono continui e certi, e dove Beatrice è insieme vera don- na e vera scienza, ci sentiamo costretti a supporre che an- che la Vita Nuova contenga doppio senso, letterale e sto- rico da una parte, allegorico dall' altra ; ma che il Poeta, quando la scrisse, vedesse solo confusamente il secondo, e che in gran parte volesse attribuirglielo dopo . . . Sia pur vero e storico, adunque, 1' amore di Dante per la Porti- nari con tutte le sue circostanze, sia pur vero il secondo amore onestissimo per la Donna pietosa, e il rimorso che
L* ipotesi del doppio senso in
il Poeta ne provò e, fors' anche, il riaccendersi per essa ( diciamo forse anche, perchè le canzoni del Concito potreb- bero essere state scritte solo per figura ), ma deve esserci pure un senso allegorico per ambedue le donne, e questo senso non può essere che di scienza, se è vero che Bea- trice nella Dicina Commedia simboleggi la teologia, e se la Donna pietosa personifica, nel Concito, la filosofia '. 11 marchese Trivulzio avea già escogitato codesto facile espe- diente dell' innesto del senso allegorico sul senso letterale e storico ; e avea bonariamente creduto spenta ogni con- tesa col sofiìarvi sopra una citazione . dantesca. ' Hi mottis animorum, atque haec cerlamina tanta Pulceris exigui jactu compressa quiescent ; e questo pugno di polvere, scriveva il benemerito marchese, lo prenderemo dal Concito, Tratt. II. Cap. l'C).
(*) Anche lo interpretazioni che il Lubin e il Renior ( rjV. <» F. ) davano della Vi/a nuora, pajono ispirato dalla teoria triviilziana. oltreché da certi spunti dionisiani assiti caratteristici ( Prepar. 2. 47 s 07 (ì8 n 71 8 ). Il Lubin trovava nel povanile libello dantesco ' il rac- conto storico delle fasi della !Musa di Dante ' ( vd. Epoca d. VX. ) ; un racconto che ( D. spiegato con D. 17 ) • no fa sapere le circostanze e i motivi che indussero Dante ad allegorizzare la sua Donna, e però a riportiire in esso, dopo le poesie erotiche, alcuni sonetti allusivi ai fe- nomeni psicologici eccitati da quella trasformazione di Beatrice sto- rica in Beatrice mistica . . . Né da quello eh" io dissi, aggiunge il cri- tico, si può ritenere eh' io vedessi nella Beatrice della Vita Kuora due individui per aver detto, confutando e quelli che vi vedevano la sola donna reale e quelli che non volevano esservi se non la sola ideale, che nella Vita Xuora vi era la Beatrice storica e la Beatrice allegorica '. Xon molto diversamente dovea veder la cosa il Renier. La Vita Nuova, egli scriveva ( p. 142 ), mi sembra ' appartenere a quel secondo modo di componimenti allegorici, in cui l' ingegno del poetante risiile dalla realtà delle cose ai principi scientifici e reli- giosi che ad essa si uniformano o in guisa alcuna si riconnettono . . . ( p. 157 ) Dato per illazione logica dalla sussistenza di Beatrice un amore affettivo, cosi lo chiamo per brevità, nell' Alighieri : io stimo
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102 // senso letterale e V allegoria
FÌDalmente lo Scartazzini, senza citar nessuno dei suoi benemeriti precursori e inspiratori, ma non senza lasciarsi sfuggire la propizia e davvero bella occasione, per insinuare che il Giuliani non sapeva leggere Dante ; mise fuori con cert' aria di sufficienza infastidita, una sua geometrica di-
di avoro delli argomenti abbastanza validi per provaro come sopra la realtà appunto si fabbricasse la allegoria, e come ne venisse un amore razionale, contemporaneo all' amore affettivo, ma non sempre parallelamente espresso . . . ( p. 171 ) A mio parere adunque la realtà e la allegoria si svolgono contemporaneamente nella Vifa Nuova. So non che l' allegoria è ben lungi dall' essere qualche cosa di alta- mente vero, di profondamente sentito, cui si conformino i fatti della vita reale. Il passaggio qui è, come notai, dalla realtà all' astrazione, e non dall' astrazione alla realtà. Donde a"S'\"ieno che non vi ha una allegoria che segua parallelamente la realtà, come avverrebbe nello canzoni del Convito e nella Commedia, quando il senso letterale fosso verità e non favola '. Il Renier non voleva probabilmente dire, come forse il Lubin, che il poeta si propose di mostrarci nella Vita nuova le diverse fasi per le quali era passata nella sua mente la donna amata, prima di farsi luna piena quale appare nella Commedia { ma vd. Giorn. stor. 1, 481 ) : che si propose di farci stiperò come e quando e perchè egli venne al simbolo della Commedia ; che insomma, non contento di farci mangiare il suo manicaretto, abbia voluto esibire una specie di ricetta del Ee dei cuochi, per insegnarci come si ah legorizza col metodo induttivo, dal reale all' ideale. Egli voleva forse, che il poeta in un periodo di tempo molto lungo, avesse scritto a poco a poco la Vita nuova, e con intendimenti sempre incerti, an- naspando in un' allegoria vaga. Certo non pensò che le allegorie o sì fanno o non si fanno. Ma la sua ambidestra ricostruzione détte ansa ai realisti puri di fabbricarsi una prima, una seconda, una terza Beatrice, e di risciacquarle tutte con serafica unzione, una, due, tre volte, nella broda aromatizzata della declamazione patria. E se que- sto non fosse, io non avrei, ne qui né altrove, tenuto parola di opi- nioni in gran parte oramai abbandonate dal dotto critico. Alle ri- costruzioni del Trivulzio, del Lubin, del Renier e del Fornaciari, si accosta la recento interpretazione dello Scarano, al quale par che Bori'ida ancora l' ipotesi dello scrivere in partita doppia ( cfr. Bea- trice, 52. 58. 09 ss ).
L ipotesi del doppio senso 103
mostraziuiR', geniKgluiia t- \nJt^iìic-iueiite dall'osservazione dell' Ozanara e del Todescliini ; la quale, essendo quasi come la diagonale del parallelogrammo delle forze delle ipotesi del Todeschini e del Fornaciari, non riesce, con la sua ru- vida ingenuità, che a scoprire quanto vi sia di falso e di storto nei garbati ragionamenti dell' uno e dell' altro. An- ch' egli, dopo avere scritto ( Proleg. 184 ) che ' non senza fondamento si dubitò se fosse veramente da prendere sul serio ', non il sillogizzar di certa critica, ma la ' solenne protesta' del Concicio {2, 16, 99); cosi e non altrimenti ragiona : ( p. 211 ) 'Il Bartoli . . . oppone che Dante « ha lasciato scritto non una ma più volte che la donna pietosa è la Filosofia » . IjO sappiamo benissimo . . . Ma facciamo a intendersi, il trattato secondo del Convivio ha due parti: la prima contiene la • litterale sentenza » della Canzone : Voi che, intendendo ecc. ; e in questa prima parte, che ab- braccia i capitoli I a XII, Dante parla semplicemente di una donna, non già della filosofia ...('). Col cap. 13 poi Dante procede alla s posizione allegorica, e qui la Donna gentile diventa il simbolo della filosofia . . . Ora dunque, se nella parte puramente allegorica Dante afferma « che la Donna pietosa è la Filosofia » dovremo noi dedurne la conseguenza, che essa non fu donna reale ? Dante stesso ci proibisce di intendere in tal modo le sue parole . . . Come nella sposizione letterale Dante parla della donna, della quale s' innamorò, e nella sposizione allegorica egli dice che questa donna fu la filosofia, cosi egli parla in quella a lungo dei cieli, e in questa poi ci dice che per cielo in- tende la scienza e per cieli le scienze ( Conc. II, 14 ). Nega
(1 1 Pare uno scherzo : ma non si ebbe foi*so la pretesa di aver dimostrato che la Beatrice della Commedia è figura storica, col met- tere innanzi questa» acutissima osservazione, che il poeta la chiama donna ?
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104 II senso letterale e V allegoria
egli forse con ciò 1' esistenza reale dei cieli ? E se non la nega, come si può dire che, affermando la Donna gentile essere la Filosofia, egli ne abbia negata 1' esistenza reale ? Insomma, non è vero ciò che tanti andarono ripetendo, avere Dante nel Convivio solennemente protestato che la Donna gentile della Vita Nuova non fu altra cosa che la Filosofia. Là dove egli dà 1' esposizione letterale della sua canzone e' non parla che di una donna j e soltanto nella spo- sizione allegorica egli afferma che questa donna fu la Filoso- fia. Ma da questa sposizione allegorica non lice inferire che quella donna non fosse persona reale '. È proprio così, non lice. Infatti, lo strenuo dantista in questo particolare è ir- removibile. Neil' Enciclopedia dantesca ( Milano 1896 - 1899 : p. 647 ) scrive ancora : ' Ma da questa protesta [Cono. 2, 16, 99] non si può inferire aver Dante voluto negare la realtà storica della Donna gentile, come dall' aver egli scrit- to : « Dico che per Cielo intendo la Scienza, e per Cieli le Scienze » ( Conv. II, 14, 4 e seg. ), e dall' aver egli detto che per i Motori de' cieli intende i Filosofi, « siccome Boe- zio e Tullio » ( Conv. II, 16, 2 e seg. ), non lice in verun modo inferire aver egli voluto negare la realtà oggettiva dei Cieli e degli Angeli '. E davvero che qui non lice in verun modo. Sennonché, il poeta nel Convivio afferma che r interpretazione allegorica è la ' vera sentenza ' (1,2, 124 ; 2, 16, 13 ) ; egli procede alla ' sposizione allegorica e vera ' (2, 13, 3 ) ; e dice che 1' allegoria è ' sentenza vera ', il senso letterale è ' fittizia ' ( 2, 13, 64 ) ; e che la lettera è ' parola fittizia ' ( 2. 13, 77 ) , e che la prima sposizione è 'fittizia e litterale' (2, 16, 15). E cfr. Bull. ns. 2, 11 (').
(1) Cfr. anche 10, 221. Questo fascicolo del Biillctfìno ( aprilo 1933), pervenutomi alla fine di maggio, appena in tempo per fare sulle bozze di stampa codesto rimando ; reca due belle recensioni di Michele Barbi, che mi daranno materia a faro, in fine del volume, alcuno aggiunto alle pagine qui addietro già stampato.
L ipotesi del doppio senso iqò
Codesta ermeneutica del Giano bifronte, senza dubbio escogitata dai dantisti nella dura necessità di conciliare l' in- conciliabile, la realtà della donna gentile della Vita ntioca con le dichiarazioni del Concicio, e alcune inverosimiglianze della narrazione del libello con la pretesa passione per la figliuola di Folco ; appare certo falsa e insostenibile. Tut- tavia il Trivulzio si serve d' una citazione dantesca che pare confermi appunto la sua ipotesi, e lo Scartazzini d' un ragionamento che a qualcuno potrebbe parer logico. D'al- tra parte, noi vediamo che spesso, troppo spesso, si parla del senso letterale nelle concezioni allegoriche, non solo come di (qualcosa che possa star sempre da sé, indipendente dall' allegoria, ma come se fosse storia vera, non sempre finzione allegorica. E sarebbe certamente assai utile che al- cuno, fra tante ( ahi quante ! ) noterelle, appunti, schizzi, asterischi, scampoli danteschi, che continuamente "si libra- no, e volano, e svolazzano continuamente ; venisse un po' a chiarire, studiando a fondo la questione, che s' intendesse per senso letterale e per senso allegorico. Noi, poiché 1' ar- gomento a questo punto lo richiede, faremo qualche osser- vazione, movendo appunto dal ragionamento del Trivulzio.
Nella Prefazione all' edizione della Vita nnova^ curata dal marchese G. G. Trivulzio e da A. M. Maggi ( Milano 1826 ) e citata spesso sotto il nome di Editori Milanesi ; si legge questa miracolosa deduzione. Nel trattato secondo, ca- pitolo primo del Concito ' l' Autore dice chiaramente, che le scritture si jìossono intendere, e debbonsi sponere massimamen- te per quattro sensi, i quali sono da lui individuati nel litte- rale, che dicesi anche isterico, nell' allegorico, nel morale, neìV anagogico, cioè socra senso. E queste medesime cose egli ripete nella lettera latina, con cui dedica la terza Can-
lOG II senso letterale e V allegoria
tica della Dimna Commedia a Can Grande della Scala ; dove, come pure nel Concito, arreca gli esempi a dichiarazione di ciascun senso. Ora, dov' egli spiega il senso anagogico^ prende ad esempio il Salmo : In exitu Israel de Aegypto ... ; e dice: acvegna, essere vero secondo la lettera sie manife- sto ; non è meno vero quello che spiritualmente ,s' intende^ cioè, che nelV uscita dell' anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua podestade ; soggiungendo poi, che in dimostrare questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sic- come quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi ; che in ciascuna cosa naturale e artificiale è impossibile procedere alla forma, senza prima essere disposto il suggetto, sopra che la forma dee stare ; . . . che la litterale sentenza sempre sia soggetto e materia delV altre, e cose simili. Di che noi de- duciamo, che letteralmente ed istoricamente la Beatrice della Vita Nuova sia la figlia del fiorentino Folco Porti- nari, di cui Dante innamorò in età di nove anni ; in cui egli contemplò ad amò, finch' ella visse, il complesso di tutte le virtù morali ed intellettuali ... Su questo fonda- mento istorico della vera Beatrice, adorna d' ogni virtù e donna del cuore di Dante, noi crediamo, senza tema di errare, che sia piantata 1' allegoria della Beatrice fanta- stica, donna della sua mente, a cui prese amore nella sua puerizia, cioè della Sapienza, eh' egli coltivava collo stu- dio di tutte le scienze e di tutte le arti, d' alcuna delle quali crede vasi per gli altri, ed era fatto credere da lui, eh' ei fosse unicamente invaghito . . . Ben è il vero, che sarebbe opera perduta quella di chi volesse trovare come ogni circostanza istorica si confronti perfettamente colle allegorie della Vita Nuova, ovvero e converso ... Né forse ogni particella di questo libro contiene ambidue i sensi, ma quale sarà semplicemente istorica, e quale semplice- mente allegorica ; bastando che il doppio senso possa con- venire alla somma dell' opera ed alle principali sue parti '.
L' ipofetii del doppio aenxo Ut?
Codesta molto comoda e sbrigativa soluzione, accolta dapprima con ditHdenza dal Fraticelli ( Disa. VS. 44 ss i, che vedeva probabilmente compromessa la sua vezzosa Bice da codesto compromesso trivulziano ; con più considera- zione dal Torri ( VN. Introduzione, p. 16 }, che non sapeva rassegnarsi a veder tutto piano nella Vita nuova ; certo se- dusse e seduce, giacché si trova anche in fondo ai ragio- namenti dei realisti ; i quali pare non possano divinco- larsi altrimenti dalle strette degli allegoristi, che infilando quella scappatoja del doppio senso ('). Veramente sarebbe curiosa storia codesta, a rovescio simbolico e a risvolti al-
(1) Scrivo il D'Ancona \ Disc. 32), confutiinilo il Poivz : • Xè noi negheromo cho il .sinilK)lismo provalosso ncU' otìi di mezzo, o si ostondosso ad ogni genere di discipline e ad ogni forma di artistica e dottrinale manifestazione; neghiamo bensì che il significato sim- l)olico «lit-truggt'SKo al tutto la espressione letterale e la rejile som- V>ianza degli obbietti ai quali si sovrapponovii, e senza cui. anzi, non ]>otova sussistere. Certo, vuoisi, secondo le dottrino dell' etjl mfnlia, chiaramente espresse da Agostino, « anteporre il senso recondito al letterale, come 1' anima al corpo » ; ma ciò non 'vniol dire che 1' uno, sebbene abbassato e diminuito di pregio, venisse dall' altro intera- mente annullato : e Dante stesso nel Conrito esplicitamente professai che « sempre lo litterale dee andare innanzi ... ». Or noi concederem- mo che Beatrice allegoricamente raffiguri l' Intelligenza attira o Sa- pienza ... : ma non possiamo punto concordare col Perez quando egli non appoggia il simbolo a nulla di reale e di vivente '. Certo, dovea il d' Ancona giudicar molto importante per la sua tesi il luogo del Concino che tratta del senso letterale : giacché quel passo, con un altro di s. Tommaso dello stesso tenore, è posto in fronte a tutto il Discorso, come il più importante postulato nella dimostrazione della realtìi di Beatrice nella Vita nuova. Anche il Mjizzoni ( Bull. ns. 6, .61 s ) concede ben volentieri ' che la Vita Nuora abbia un senso mi- stico e morale voluto da Dante ' : e non nega che • la donna gen- tile è la Filosofia ; ma. osserva, il significato morale o il vero della figura non potrà addui-si contro il racconto reale o il velo, che ben potè e dovè anche in questo caso preesistere ',
108 // senno letterale e V allegorìa
legorici ; e ammesso che sia vero il concetto che il Tri- vulzio, e molti con lui, mostrano di avere del senso let- terale, non sapremmo vedere come in quelle particelle semplicemente allegoriche, si salvi codesto senso letterale ' che dicesi anche isterico '. Ma lasciando stare il curioso piccolo miscuglio di particelle semplicemente isteriche e di particelle semplicemente allegoriche, che solo Iddio, che sa bene scegliere i suoi, potrebbe nella Vita nuova sceve- rare ; il Trivulzio pretenderebbe dimostrare che il ' verace intendimento ' del poeta nella Vita nuova sia doppio, e nella corteccia della lettera e nel senso riposto sotto la cortec- cia ; che il ' velame ' non sia finzione trovata per nascon- dere la ' vera intenzione ', ma vera intenzione anch' esso, anzi storia vera ; che la Vita nuova insomma, sia come un tappeto a due facce, un coltello a due tagli, una specie di arca di Noè impeciata di dentro e di fuori. Egli ha il torto di saltare a pie pari quanto nel Convivio si legge del senso allegorico ; di non considerare che il poeta, nel passo ci- tato, ragiona sopra un esempio della Bibbia ; di confon- dere 1' allegoria dei teologi con 1' allegoria dei poeti.
È noto a tutti che la Sacra Scrittura^ dettata o ispi- rata, non so bene, dallo Spirito Santo, è cosa affatto di- versa dalla Vita nuova e da qualunque altra opera di umano ingegno ('). Scrive Vito Fornari ( DeW arte del dire, lib. 2,
(1) Gregorio Magno, Moralìa, praef. 2 ' Sed quis haec scripso- rit, valde supervacuo quaeritur: cum tamen aiictor libri Spiritus sanctus fideliter credatiir. Ipse igitiir haec scripsit, qui scribonda dictavit. Ipse scripsit, qui et in illiiis opero inspirator oxtitit, et por scribentis vocem imitanda ad nos ojus facta transmisit , . . Scriptores igitur sacri eloquii, quia impulsu sancti Spiritus agitantur, sic de se in ilio testimonium tamquam de aliis proferunt. Ergo sanctus Spiritus por Moyson locutus est de Moyse : sanctus Spiritus per Johannem locutus est de Johanne '. In primum Regniti, 5, 1, 1, ' Cum sacrao hujus historiao profunditatera asscrcrc in istius opcris Prae-
V allegorìa dei teologi e V allegorìa dei poeti lOÒ
lez. 29 ) : ' tutte [ le allegorie descritte, mitologica, fisica, poetica, didascalica, retorica J convengono in queste due cose : che argomentano un difetto d' intelligenza ; e che hanno il vero mescolato di falso, giusta il detto di Esiodo. Il vero è il concetto che giace chiuso nell' intelletto no- stro, e che si vuole indurre nell' altrui intelletto. Il falso è r immagine che covre il concetto, la quale ancorché non sia finta di peso, ma traggasi dalla natura, è nondi- meno sempre mendace, in quanto non significa se mede- sima, ma alcun che altro. Così per non uscire del consueto esempio, avvegnaché la luce sia una real natura, non per- tanto mentisce in certo modo colui che la nomina per di- notare 0 la verità o l'intelligenza. Or ci ha, sappiate, un' al- legoria pura di ogni mendacio, nella quale sono il con- cetto e r immagine, il senso occulto e il senso palese ugual- mente veraci ; si che tu debba pigliare e intendere alla lettera un fatto avvenuto, e credere ad una verità che sotto il velo di quel fatto s' insegna. Questa è 1' allegoria di cui parlano i teologi ; e consiste in un fatto storico o in un reale avvenimento, il quale sia pure segno, figura e vaticinio di un fatto o avvenimento futuro. Compren- dete che allegoria si fatta è onninamente diversa da tutte le altre ; perchè non vi è lega di sorte alcuna tra il vero e il falso, e tanto la parte apparente, quanto la velata, vo-
fatione voIuiRsom, in eo potissimum videri posse asserui, qnod seripta fuerit a Prophetis. Ipsi quìdom mjstica dicere, non solum verbis, sod otiaiu rebus consueverant : plana proferre. sed alta signare. Quia enim per eos Spiritus sanctus loquebatur. et planum erat quoil ipsi. velut homines dicebant ; sed prof nndum et mysticum ; quìa lo- cutionem hominìbus suiuinus et incircumseriptus Spiritus suggere- bat. Quia ergo Pi-ophetam Samuelem loquentem exponimus, tanto majori studio indigemus, quanto ipse in Spiritus spineti gratia su- blimiter assumtas, exteriora dixit. sed interiora vidit. Carnalia pie- rumque asseruit, sed intima et spiritualia signavit '.
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110 // senso letterale e V allegoria
glionsi credere del pari '. Altra cosa dunque è 1' allegoria dei teologi, altra cosa 1' allegoria dei poeti ; e Dante stesso bene avverte la distinzione ( cfr. Perez, Beatrice^ 73 ; Giorn. stor. 15, 274 ; Bull. ns. 8, 162 ). Certo, scrivendo ' avvegna esser vero secondo la lettera sie manifesto ', si riferiva all' ac- cennato passo biblico ; e non poteva ragionevolmente aver r intenzione d' inculcare che vi possa essere una poetica al- legoria in cui la lettera non sia pura finzione, ma verità o storia ; quando neppur nella Sacra Scrittura, pei teologi, il senso letterale è sempre storia o verità ('). Ognun vede che, se poniamo nel passo del Convicio, in luogo del solito ver- setto della Bibbia f i tre primi versi delia Commedia, non po- tremo più dire ' esser vero secondo la lettera ' ; e non an- dremo certamente a cercar nell' Appennino toscano, o altro- ve, la selva reale in cui il poeta si sia veramente smarrito.
(1) Gregorio Magno, Epistola ad Leandr. coepisc. ( prem. ai ilor. ). 3 ' Aliquando vero oxponere aperta historiae verba negligimus, ne tardius ad obscura voniamiis : aliquando aiitem intelligi juxta litte- ram nequeunt ; quia superficie tenus aceepta, nequaquam instruc- tionera legentibus, sed errorem gignunt . . . Aliquando etiara, no for- tasse intelligi juxta littei-ara debeant, ipsa se verba litterae impu- gnant . . . Sed nimirum verba litterae, dum collata sibi convenire ne- queunt, aliud in se aliquid quod quaeratur ostendunt, ac si quibus- dam vocibus dicant : Dum nostra nos conspicitis superficie destrui, hoc in nobis quaerite, quod ordinatum sibique congruens apud nos valeat intus inveniri ', Mor. 4, praef . 3 ' Quia igitur verba haec in su- perficie a ratione discordant, ipsa jam Uttera indicat, quod in eis sanctus vir juxta litteram nihil dicat . . . Hoc nimirum tanto intrin- secus majori mysterio plenum est, quanto extrinsecus humana ratio- ne vacuum. jVam si quid exterius rationabile fortasse sonuisset, ne- quaquam nos ad studium interioris intellectus accenderet. Eo ergo nobis plenius aliquid intus innuit, quo foris rationabile nihil osten- dit'. Homiliae in Esecìi. 2, 1, 3 ' Si ergo cum aliquid deest histo- rìae, aperta ratione ducimur ad intellectum allegoriae ; quanto ma- gia illa spìritaliter accipienda sunt, in quibus juxta ratìonom litterae nihil historieuin sonat ? '
// senno letterale è finzioìie mendace ni
A me pare evidente che dove vi è un senso allego- rico, che è la verace intenzione dell' autore, la lettera, per questo appunto, non possa mai essere anch' essa verità. Chi scrive un' allegoria assume come vero, non quel che la lettera mostra, ma quel che la lettera nasconde. Il senso letterale non è qualcosa che stia da se e per se, che abbia valore finito in se, propriamente e generalmente parlando. E benché nelle rime allegoriche del Concicio, come deduce il Gttspary {'Sf. 1, 217) dal noto congedo della canzone Voi che intendendOy vi sia ' lo sviluppo indipendente del- l' immagine, la quale come allegoria propriamente è pur destinata ad accennare ad altra cosa ' ; tuttavia non biso- gna pigliar troppo alla lettera V affermazione del critico, e molto meno poi non intender con dantesca discrezione la condizionale concessione esortativa del poeta. Anche nella canzone allegorica del Concicio, V immagine non è cosa che stia da se tanto da non esser necessario ricercarne il senso nascosto ; né il poeta dice che si può prescindere da tale appiattamento, che si può considerar come acci- dentale codesta investigazione. Dice solamente che ( Conc. 2, 12, 60 ), chi non sia da tanto da poter vedere la ' sen- tenza ' della sua canzone, non la rifiuti però, ma ponga mente alla 'sua bellezza, eh' è grande, si per costruzione, la quale si appartiene alli grammatici ; si per l'ordine del sermone, che si appartiene alli rettorici ; si per lo numero delle sue parti, che si appartiene a' musici. Le quali cose in essa si possono belle vedere, per chi bene guarda '.
Ed invero, il senso letterale in tanto é, in quanto si manifesta come funzione del senso allegorico. Il raggio, per esempio, del circolo, in tanto é raggio, in quanto si considera come generatore della superficie circolale ; non ha insomma, esistenza a sé, ma un' esistenza funzionale ; che se pigliamo una retta determinata, non è raggio, ma retta. Così, nelle scritture dove non si nasconde allegoria, non v' é propria-
112 // .senso letterale e l' allegoria
mente un senso letterale, ma una storia, una novella, un racconto vero o verosimile o fantastico. Chi scrive un' al- legoria, adopera la lettera come mezzo per velare la ve- rità che vuol significare ; e chi legge non dovrebbe acquie- tarsi in essa, che è pura apparenza. La verità, cioè quel che lo scrittore vuol veramente dire, assume forme non sue ; e queste forme, in quanto sono aliene dalla sentenza che si vuol significare, sono nell' intenzione di chi scrive, e devono essere nel criterio di chi legge, finzione e men- zogna. Il senso letterale è menzogna, in quanto mostra, non quel che si vuol dire, ma altra cosa ; non mostra, ma nasconde il verace intendimento, la vera sentenza, la vera intenzione dell' autore. Chi si fermasse all' apparenza, con- siderando la lettera come per sé stante, sarebbe indotto in errore ; giacché non intenderebbe quel che lo scrittore volle pur dire, ma quel che lo scrittore, allo stringer dei conti, non disse (').
Nel luogo del Convido, citato dal Trivulzio, Dante de- finisce il senso letterale e il senso allegorico ' secondo che per li poeti é usato '. Disgraziatamente il passo è lacunoso ; ma anche cosi com' é, mostra benissimo la sentenza del poeta, specialmente dall' esempio messo innanzi. Si legge
(1) Giorn. stov. 2, 879 n* 'Il Centofanti [Sulla VN. di D. lez. ult. p. 9 s 1 giustamente osserva che tale interpretazione [ di coloi-o che nella donna di Dante trovano nel tempo stesso realtà e simbolo ], credendo di lasciar larga parte alla lettera, ne distrugge il valore. Infatti « o si vuole che il senso apparente così s' introduca in quello recondito, che questo solo sia la verità che si cerca, o si vuole che l'uno non abbia una primitiva e radicalo dipendenza dall'altro». Nel primo caso la realtà non ha valore : essa si atteggia sempre al simbolo, che è il vero oggetto del libro. Nel secondo caso Dante o Beatrice si sarebbero amati sensibilmente o poi in seguito Dante avrebbe « tratto da questi amori naturali un valore scientifico, in- nalzandoli a grande spiritualità ». Ma in questo caso che cosa sa- rebbe avvenuto della realtà ? '
// senno letterale è finzione mendace 113
adunque nel Confido (2, 1, 14): 'Dico che, siccome nel primo Capitolo è narrato, questa sposizione conviene es- sere Utterale e allegorica. E a ciò dare ad intendere si vuole sapere che le scritture si possono intendere e debbonsi spo- nere massimamente per quattro sensi. L' uno si chiama laterale, e (juesto è quello * * * che si nasconde sotto il manto di queste favole, ed è una verità ascosa sotto bella menzogna ('). Siccome quando dice Ovidio che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e gli arbori e le pie- tre a sé muovere : che vuol dire, che '1 savio uomo collo strumento della sua voce fa mansuescere e umiliare li cru- deli cuori ; e fa muovere alla sua volontà coloro che [non] hanno vita di scienza e d' arte ; e coloro che non hanno vita ragionevole sono quasi come pietre. E perchè questo
(*) Oli Editori Milnnesi ( Trivulzio. Monti t- Maggi : Milano 1828 ) restituivano così il passo malconcio : * L* uno si chiama litleralo, e questo è quello in cui lo parole non escono del senso proprio rigo- roso ; il secondo si chiama allegorico, e questo è quello che si na- sconde sotto il manto di queste favole '. Il Todoschini poi ( ìS<t. 2, 120 |, migliorò il conciero milanese cosi : • L' uno si chiama litterale, o questo è quello che la scrittura ci offre secondo il snono e '1 va- lore delle parole, secondo il quale senso le favole de' poeti ci si ' rappresentano come a>"veninienti realmente accaduti : lo secondo si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole '. E un altro conciero mise fuori il Giuliani : • Lo primo si chiama letterale, e questo è quello che risultit dalle Fa- vole o dalla Storia della lettera, né si stende più che la lettera suona. Lo secondo si chìanut allegorico, e questo è quello che si nascondo sotto il manto di queste favole *. Il Fraticelli, nella seconda edizione del Conrito, segui la lezione del codice Riccardiano lOM : ' L' uno si chiama litterale. e questo è quello che non si distende più oltre che la lettera propia, siccome è la narrazione propia di quella cosa che tu tratti : che per certo e appropiato esempio è la terza can- zone che tratta di Xobiltade. L' altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole '. Ma il Moore non accoglie la lezione del codice Biccardiano : alla quale non fa buon viso neppure il Yandeili ( vd. Bull. ns. 8. 160 n 1 ).
114 II senso letterale e V allegorìa
nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo Trattato si mostrerà. Veramente li Teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti ; ma perocché mia inten- zione è qui lo modo delli poeti seguitare, prenderò il senso allegorico secondo che per li poeti è usato ' (').
(1) Segue il poeta, accennando a duo luoghi biblici, come ad esempi appropriati ciascuno al senso eh' egli vuol dichiarare ; a par» lar del senso morale e del senso anagogico. !Xella lettera a Can- grande ( Epist. 10, 7 ) si tocca, un po' sommariamente, di tutti i fa- mosi quattro sensi, col solo e solito esempio del versetto della Bib- bia, accennato nel Convivio pel solo senso anagogico, qui espressa- mente citato, ' In exitu Israel do Aogypto ' ( segue alla lettera que- sto luogo à-eW Epistola, senza però citarla, il Buti, 1, 14 s); e si aggiunge, che il senso morale e 1' anagogico possono chiamarsi an- ch' essi allegorici, ' quum sint a litorali sive historiali diversi ' ( cfr. Buti, 1, 39 ; e Filippo Villani [ // Comento al primo canto dell' Inf. ; ed. Cugnoni. Cittcà di Castello 1896: Collez. di opusc. dant. N. 31-32: p. 28 ] ; il Boccaccio [ // Commento di G. B. sopra la Commedia, Fi- renze 1863 : 1, l.o4 ] traduce dall' Epistola, o da altra fonte comune, non solo il brano sui quattro sensi, come il Buti, ma anche quost' ul- tima osservazione ). IS^on si esclude veramente nel Convivio, che dal senso letterale fittizio si possa cavare, oltre il senso allegorico, an- che r anagogico e il morale ( cfr. Conv. 2. 1, 121 ) : come non si dice neppure che dalla storia non si possa tirar fuori il senso allegorico ; ma insinua bene il poeta, che in questo caso non si ha V allegoria dei poeti, ma 1' allegoria dei teologi. Insomma, pel poeta il senso letterale è. in ogni caso, uno solo, quel che suona la lettera : la quale, intosa prima d' ogni altra cosa, si presta alla generazione degli altri tre sen- si. Degno tuttavia di molta considerazione sono le ossei-vazioni di Francesco d' Ovidio ( Stndii, 461 ss, 481 s ). Cfr Ball. ns. 8, 160. Quan- to air autenticità dell' Epistola a Cangrande, non sappiamo veramente deciderci. Contro 1' autenticità scese gagliardamente in campo il D' O- vidio ( Rie. fi?" It. 15 seti. 1899 ; vd. ora Stndii, 448. 474 ). e giudicò che Dante ben poteva scrivere a Cane, ma non da cane. A codesta sentenza interpose subito appello il Torraca ( Riv. d' It. 15 die. 1899 ). Poiché dunque la cosa non ò ancora passata in giudicato e la sen- tenza non ò esecutiva, contentiamoci di accennarvi con riserva ( vd. Bull. ns. 8, 137: 9, 77).
Le confusioni dell'esegesi 115
Neil' esempio citato di Ovidio, e' è un senso letterale e e' è un senso allegorico. Il senso letterale è finzione, è bella menzogna. Tuttavia, voleva forse con ciò il poeta negare ' la realtà oggettiva ' delle fiere, degli alberi, delle pietre ? Ma, siamo giusti, che e' entra la realtà oggettiva delle fiere e degli angeli col senso letterale ? Quelle pietre, i[uegli alberi, quei cieli stanno forse lì a significar sé stessi ? Stanno a significare altra cosa. Dunque il senso letterale è finzione e il senso allegorico è verità.
3.
Sennonché, V esegesi biblica, volendo, e dovendo tal- volta, trovar 1' allegoria dove non e' era, turbò e<i oscurò ogni genuino e ragionevole concetto di senso letterale e di senso allegorico. Gli odorati campi di mirto e d' alloro dell' allegoria, nel medio evo, come tante altre cose, insel- vatichirono. Si chiamò allegoria un informe accozzo di si- militudini, analogie, moralità ; e non vi fu un' allegoria, ma tante allegorie quante frasi, quante parole ; anzi, spesso una sola parola ebbe la capacità di dar ricetto a molti sensi mistici o allegorici in una volta. La qual moltitu- dine d' intendimenti riposti, se ne stavano insieme bensì nello stesso racconto, ma ciascuno per conto suo. Lo Spi- rito Santo avea certamente appiattato allegorie dapper- tutto, e i sottili ed arguti mettevano piamente a soqqua- dro tutta la loro erudizione, affilavano tutto il loro acume, per scoprire, per cogliere, per sorprendere 1' allegoria, che poteva starsene comodamente accoccolata anche dietro il povero paravento d' una semplice congiunzione della tra- duzione latina della Bibbia. Codesto preconcetto fu causa di febbrili investigazioni, che oggi sembrano deliri e ci fanno mestamente pensare ; di fatiche immani, puerili e
116 // senso letterate e t attegoria
sciocche, che ci fanno ridere : ma un tempo erano singo- lare acume e dottrina profonda.
Quella malattia dello spirito ( stavo per dire dello Spi- rito Santo ) dalla Sacra Scrittura si propagò alle profane scritture, e le attaccò facilmente. L' allegoria, come gra- migna, invase ogni scritto e si abbarbicò ad ogni parola. E si cavarono allegorie, imitando 1' esegesi biblica, anche da testi che eran considerati come scientifici. Chi coli' o- nesto proposito di moralizzare, volea volgere a senso al- legorico una scrittura qualunque ( leggenda, storia, favola, nozioni scientifiche ), dall' esempio autorevole dell' esegesi biblica, si credeva licenziato a trovare, non 1' allegoria coe- rente ed integra che non e' era, ne vi poteva essere, per- chè il senso letterale era tutto ; ma tante allegorie, ma un' allegoria spezzettata e incoerente. La sola cosa ragio- nevole era il senso letterale, nato prima, e non certamente coli' intenzione di sposarsi all' allegoria ; la quale veniva a galvanizzare, dopo averle dilacerate, le povere membra della lettera ; ma non a rivelare quell' anima occulta che non e' era. Si procedeva per similitudini e analogie, e si moralizzava allegorizzando. Non sempre, come nei poeti, si poteva negare la sentenza espressa nella superficie della lettera ; ma si voleva vedere a ogni modo, sotto la lettera, una verità più alta, d' ordine morale e mistico ('). Cosi vi
(1) Non è chi non conosca qualche pagina dell' esegesi biblica. Noto lo Moralisationcs medievali ( vd. Bartoli, St. 1, 83 ss ) ; né oc- corro certo i-icordare le belle pagine del Comparotti ( Virgilio nel ME.', cito dall' ed. di Livorno, Vigo, 1872: 1, 138 ss 156 ss 169 202 ) : cfr. anche Perez, Beatrice, 35 ss, 47 ss; Graf, Roma, 1, 5; 2, 187 ss 305 ss. Traccia della confusione tra allegoi'ia e moralità conservano gli antichi commenti alla Commedia. Il Buti dico espressamente ( 1, 39): ' Allegoricamente si dee intendere, o vero moralmente: imperò che tra moralità e allegoria non fo distinzione, seguendo li gram- matici, che dicono che. quando la seutonzi;! ò altro elio lo pnrolo
ìje confusicni dell' esegesi lt7
fu un ceiLu senso letterale, fuori dei sacri campi dei tec- logi, che a buon diritto rimase saldo e indifferente accanto air allegoria, che in fin dei conti era un' intrusa ; e tal- volta ragionevolmente si chiamò storico, e spesso giusta- mente fu considerato verità. Sennonché, si confuse codesto senso letterale, nato libero e indipendente, ma asservito poi ad una strana allegoria, col senso letterale propria- mente detto, nato schiavo d' un vero intento riposto. L' al- legoria, nel primo caso, era figlia bastarda, e non ricono sciuta, del senso letterale ; nel secondo caso, madre legit- tima ed imperiosa. E si scambiò dunque, un fanciullone e fannullone mezzo stordito, una specie di fantoccio disar-
suonino, ù allegoria^ come dice lo Dottrinalo nel trattato delle figure *. Il Della Lana oliiania ' metafore ' le alloirorie. e dice che il jM)eta ' metafori/za * ( '2, ìì-W ; 3, 2S 5.J 65 ) : nella trattiizione dei soliti quat- tro sensi, dove, come fa notato {Bull. n». 8, 156 n*), egli ha strettii soraii>:lianza con Guido da Pisii ( V Ottimo, nel noto proemio La natura (Ir Ile cose aromatiche [vd. Rocca, Ale. comm. 233 n, 288 s], che si log- ge nella citata stampa del Commento di Jacopo della Lana [1, 95 ss], copia addirittura dal laneo ) : non dice che anche il senso morale e r anagogico si possono chiamare allegorici : ma poi col fatto non fa distinzione tra allegoria e moralità, ^el proemio generale ( 1, 1C6 ) si legge: ' Lo secondo senso è allegorico, per lo quale lo termine della littoratura significa altro che elio non suonti, come ad inter- pretare lo ditto Minos la giustizia la quale giudica le anime secondo sua condizione. Lo terzo senso è detto tropologico ciof' morale per lo quale s' interpreta lo ditto Minos siccome uno Re che fu in Greti che fu giusto e virtudioso '. Ma in una chiosa poi si legge ( 1, 151 ) : • Or questo Minos moralmente parlando significa Giustizia '. Vice- versa, altrove chiama allegoria la moralità : (2. 13 ) ' Brevemente r allegoria di questit fabula si è, che nessuno dovrebbe surgere in tanta audacia per arroganzia d' alcuno volere, eh' elli s' ereggesse contro li divini misteri '. Un luogo di Gregorio Magno ( Epist. ad Leandr. 3 ), come si legge nel Commento di Pietro Alighieri ( p. 7 ), ha : ' quaedara per sola allegoricae raoraliUìtis instructa [ mortali- tatis instrumenta ] discutimus ',
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118 // seìiso letterate e l' allegoria
ticolato, che, senza aver coscienza della propria individua- lità, si piegava come giunco schietto a tutti i capricci del- l' autorità materna ; con un tocco d' uomo, tutto d' un pezzo, scapolo e libertino, a cui si attaccava ai panni una mona- cella isterica, che si diceva figlia sua e che con certe sue moralità ed elevazioni mistiche, se lo tirava dietro recal- citrante tra la gente pia. Codesta confusion di parole, e non sempre di parole soltanto, era poi favorita e aggra- vata dal fatto, che spesso non si faceva vera distinzione tra invenzione verosimile e storia, tra storia e assurda no- vella, tra favola e leggenda e storia ; sicché il senso lette- rale, ora per 1' una, ora per 1' altra ragione, ora per tutte e due insieme, talvolta anche perchè dicendo ' istoria ' s' in- tendeva 'istoria Attiva', cioè novella o favola; fu chia- mato storico anche quando di storia non si trattava, ma di invenzione, perfino inverosimile ed assurda ; e si finì col chiamare ' senso storico e letterale ' indifferentemente tutto quel che non era sentenza occulta, tutto quel che al preteso nascondiglio, o al reale nascondiglio, guidava (*).
(1) Comparetti ( Virg. 2, 20 ) : ' Lo opere dotte dell' ultimo me- dio evo, repertori, riassunti, enciclopedie, manuali o altri simili la- vori scritti in latino o in volgare, mescolano ogni cosa con una as- senza di critica tanto strana quanto strano è lo sfrenato moltipli- carsi delle produzioni fantastiche d' allora. C è di tutto, tutto il de- tritiis medievale di idee classiche, cristiane, e romantiche, mito, leg- genda, romanzo, tutto posto alla pari '. Jacopo della Lana chiama talvolta ' istorie fitti ve ' ( 3, 207 ), o * istorie poetiche ' ( 1, 466 ), o sem- plicemente ' istorie ' ( 1, 466 ; 3, 206 ) le favolo mitologiche ; il senso letterale della Commedia è ' istoria ' : ( 2, 362 ) ' Virgilio dolcissimo padre. Qui per continuare sua novella, 1' autore si lamenta della par- tita del suo duca ; e altro non ha a significare so non lo sono della istoria ' ; (3. 14 ) '1' autore, siccome è ditto, istorialmente intende li preditti quattro circoli, ma per allegoria, le quattro virtudi morali '. Il Buti (1, 14 ) chiama ' storia litterale ' la narrazione dell' incontro del poeta con le tre fiere. Sor Graziole (// Commento j)iit antico e
1^ con f unioni deli' esegesi no
Da codesta confusione dell' etadi grosse, oltreché dal- l' avversione istintiva che si sente oggi per tutti quei pa- sticci allegorici medievali, proviene forse quel considerar
la più antica pernione latina delt Inferno di Dante, Udine 18J>2 : p. 55): ' Farteli bestia che questi non riene. Ammaestrato dalla tua so- rella : hec verba raiinifGHk} sunt ex istoria proxini:» prwtHÌt?nti \ Guido da PÌ8A ( Ball. ns. 8, 158 ) chiama storico il seiMO letterale della Commedia : ' Priinns nainquo intellootiis, sivo HonmiH, quera continot Conu'ilia, dicitur hyKtoricus ... : iste intt'llectus non s«> extondit nisi ad litteram, sicut quando accipimuH Minorcm [sic] jiidicem et att- sosRorom inforni ' ( Della Lana. 1, 104 ' Lo primo si ^ litterale ovoro istorialo, lo (|ualo sonno non si ostondo più innanzi che* comò suon-i la lotterà o quelli termini in li quali ella è posta ; siccome quan- d' elio pone Minos in lo inferno por uno dimnnio fjiudicatoro dello anime ' ). Caratteristiche le distinzioni e lo detinizioni di Pietro Ali- ghieri ( p. 4 ) : ' primo utitur quod'im sonsu, qui dicitur 1 i t e r a li s sivo suporfìcialis et pantbolicus : hoc est quml seribit quaedam. quae non importabunt aliiul intolloctum nisi ut litera sola sonabit . . . Socundo utitur quo<lam sensu. qui dieitur historicus, dictus ii>) historia : quao liistoria dicitur ab /listorin. quod est ridere, ex .1) (juod oa qusio in historia narrantur ac si esecnt subjecta vjsui doclarantiir : et continot res voras et verisimilos... Tertio utitur quodam sensu, qui dicitur apologeticus ab a- pologns. qui est oratio quae nec veras nec verisimiles r o s e o n t i n e t : est t:im',»n inventa ad instructionera transumpti- vani honiìnum ... Et differt a fabula, quae dicitur a fando. quao nihil informationis habet nisi vocem. Tamen poeta eis fabulis uti- tur aut delectationis eausa, aut rerum naturam estendendo, aut prop- tor mores informandos . . . Quarto utitur alio sensu, qui dicitur m e - taphoricus a meta, quod est extra, et fora naturam, unde mo- taphora quasi senno sivo oratio extra naturam : ut cum auctor no- ster fingit lignum loqui, prout facit infra in XIII " Capitulo Inforni. Quinto utitur alio Bensu, qui dicitur allegorie us, quod idem est quam alienum : nam allegoria dicitur ab alleon quod est alie- num. Et differt a metaphorico superdicto, quoti allegoricus loqui- tiir intra se, metaphoricus extra se, ut ecce : haec vox Hierusa- lem. quae historice, ut dixi, prò terrestri civitate accipitur. allego- rico prò civit^ite Dei militante. Et seribit aUegorice, quando per id
129 // senso letterale e V allegoria
che spesso si fa il senso allegorico come cosa accidentale e di cui si può fare, e si fa volentieri, astrazione. Ma s' in- corre nella confusione del tutto opposta a quella degli ese-
quod factum ost intelligitur aliud quod factum est, ut ecco do duello David cum Golia, quod significat bollum commissum per Christum cum Diabolo in ara crucis. Sic et cum auctor iste dicit so descen- disse in Infernum per phantasiara intellectualiter, non personalitor, prout fecit, intelligit se descendisse ad infimum statum vitiorum et inde exisse . . . Sexto utitur alio sensu, qui dicitur tropologicus, unde tropologia dicitur, quasi moralis intellectus, et dicitur a tropoa quasi convevsio ; ut cum verba nostra convertimur ad mores infor- mandos. Et scribitur tropologico, quoniam por id quod factiun ost datur intelligi quod faciendum sit : ut haec vox Hierusalem tropo- logico accipitur prò anima fìdeli. Soptimo utitur quodam alio sensu, qui dicitiu- a n a g o g i e u s , unde anagogia, idest spirifiialis intel- lectus, sive supen'or ; unde dieta vox Hierusalem anagogico intelli- gitur coelestis et triumphans Ecclesia '. A Pietro di Danto si accosta Filippo Villani ; il quale, pur tenendo per autentica la famosa epi- stola canina ( la chiama, p. 28, ' quodam introductorio suo [Dantis] super cantu primo Paradisi, ad dominum Canem de la Scala desti- nato ' ), non la segue però alla lettera, come il Boccaccio e il Buti, in questo particolare : ( p. 25 ) ' nostri theologi quatuor dumtaxat in sacris licteris posuerunt theotoricos intellectus, videlicet hystoricum, allegoricum, moralem et anagogicum : quos in expositione versus prophete dicentis : In exitn Israel de Egypto . . . exemplariter osten- dunt. ]N'am, si simplicis hystorie veritatem velimus agnoscere, libe- ratio ebrayci populi de servitute Pharaonis facta per Moysem ap- parebit. Huic ei persimilem licteralem poterimus applicare, qui nichil affert significati citra vorborum sonum . . . Si vero de licterali hystoricoque aUegoriam velimus elicere, tropum intelligomus, quo aliquid nobis dicitur, et aliud significatur ; iuxta illud : Eva fabricata est de Intere Ade dormientis : hoc ost Ecclesia producta est de latore Christi pendentis in cruce. Similiter in versu nostro figuratur nostra redemptio facta per Christum ... Et prose- quondo dico, quod grecum nomen allegoria est compositum ab al- lon, quod alienum sìa'o diversum latine sonat et gore quod est in- tellectus. Et sub isto generali nomino omncs sonsus, ab hystorico licteralique difforentes, allegorici nuncupantur, Post allegoricum, in
Le conftisioni dell' esegeai 121
geti del medio t-vu. Allora si confuse la moralità con r allegoria, e si chiamò allegoria anche la moralità ; oggi non si vuole vedere che un semplice intendimento morale dove realmente e propriamente si tratta di allegoria. Nel medio evo si volle vedere l'allegoria anche dove non e' era, e si trovò di necessità un' allegoria disgregata e incoerente ; oggi si vuol vedere un senso letterale e storico indipen- dente, anche dove non e' è, e si trova di necessità ( ma non si vuol riconoscere ) un senso letterale malconcio e stravolto e incongruente. Allora si argomentava : — Poi- ché in alcune scritture ( e sono le scritture per eccellenza, la Bibbia ) V intendimento allegorico è consentito dal senso storico e letterale, cosi dunque in ogni scrittura noi pos- siamo trovare un senso allegorico, oltre il senso storico e letterale, che è sempre corteccia e quindi apparenza — . E si trovavano allegorie dove non e' era che storia e verità. Oggi si pensa : — Poiché si credeva che in alcune scrit- ture il senso storico e letterale non era distrutto dal senso allegorico, cosi dunque in ogni scrittura di quei tempi noi dobbiamo trovare un senso storico e letterale, oltre il senso
spocio sua, subsoquìtur la o r a 1 i s , in quo, in versa prophotc, osten- tUtur animo conversi» ynriiro do luctu miseriaquo peccati £id statuni gratio. Vorumtamon huic poteri in u 8 sotiare apolo- gie u m , hoc est f a b u 1 o 8 u m , qiialem afferunt elegante» EHopi fabule, quo transuniptive ad instructionem nostrani, irrationabilium nature. coUocutiones gestaque trasferuntur. Hiis duobus adi- citur tropologicu8,id est conversi vus, in quo, per illud quod factum est. quod fieri debet datar intelligi : et sic resolvitar in m o r a 1 e ra . . . Post moralem theologi a n a g o g i e u m posue- runt. id est s p i r i t u a 1 e m . prò quo versus prophete nobis signi- lìcat, exitum anime sancte. exute eorpore, a corruptionis servitute, ad eterne glorie libertatera . . . Super istos quatuor theotoricos intellec- tus principales, per prudentes, versus editi sant, qui dicunt : « Idc- tera gesta refort : quid crediis allegoria : Moralis quid agas : quid speres anagogia » '.
122 II senso letterale e V allegoria
allegorico, che a ogni modo è cosa secondaria e qnindi tra- scurabile — . E si trova storia e verità dove non e' è che allegoria. Antitesi questa, certo giustificata ; ma novissima confusione non meno strana della prima.
4.
Chi si accingeva a scrivere in quell' ambiente così am- morbato di allegorie, dovea trovarsi in una condizione molto curiosa. Oltreché era messo fuor à,i strada dall' e- sempio di chi si affaticava ad elicere allegorie dalle parole dello Spirito Santo e dalle gentili e gaje immagini dei poeti pagani, non avea certo una buona norma direttiva nep- pure nei precettisti che perpetuavano e accrescevano le confasioni e gli stravolgimenti degli esegeti (*). Sentiva
(1) Isidoro, Etymologiae, 1, 37, 22 'Allegoria ost alienìloquium, aliud enim sonat. aliud intelligitur ; ut t r e s l i t o r e e e r v o s Conspieit errantos. Ubi tres duces bolli Punici, vel tria bella Punica significantur. Et in Bucolicis, Aurea mala decem misi, id est, ad Augustum decem eclogas pastorum [ cfr. Nevati, Inda- gini e postille dant. Bologna 1899 : Bibl. stor. - crit. d. lett. dant. N. 9-10: p. 67 n58]. Hujus tropi plures sunt species. ex quibus eminent septem : Ironia. Antiphrasis, Aenigma, Charientismos, Pa- roemia, Sarcasmos. Astysraos [ cfr. Filippo Villani, Coni. 26 ] . . . Aenigma est quaestio obscura, quae diffìcile intelligitur, nisi ape- riatur : ut est illud : De comedente exivit cibus et de forti egressa est dulcedo: significans ex oro loonis fa- vum extractum. Inter allegoriam autem et aenigma hoc interest. quod allegoriae vis gemina est et sub re alia aliud liguraliter in- dicat. Aenigma vero tantum sensus obscurus est, et per quasdam iraagines adumbratus'. Beda, Liber de schematibus et tropis {HuXm, Rhetores latini minores, Lipsiae 1863 : p. 615 ) : ' Allegoria ost tro- pus, quo aliud signifìcatur quam dicitur, ut : Levato o e u 1 o s V e 8 1 r o s e t V i d e t e r e g i o n e s , quia a 1 1 a e sunt i a ni ad m 0 s s o m , hoc ost intelligito quia populi iam parati sunt ad
Le coticezioni allegoriche i •_>.'.
che per fare qualcosa di vitale e di veramente letterario, bisognava coprire e abbellire ogni cosa con V allegoria, o almeno inquadrare in una cornice allegorica quel che pia- namente gli occorreva dire. Il senso letterale, nel caso suo, era pura finzione ; non si trattava di un lavoro di esegesi, ma di una vera creazione allegorica ; e immagini aliene appunto andava egli escogitando per coprire la ' vera in- tenzione ', che, poveretta ! gli stava davanti nella sua scarna e inestetica nudità. Ma d' altra parte, la moda era capric- ciosa, e pareva che consentisse anche certe vesti d' Arlec- chino, molto comode a fare e molto opportune anche a travisare addirittura quella poveretta ; il che non era poi piccolo vantaggio, E cosi, andava rivestendo i suoi magri
crodonduin. Hiiius sppcios miiUao sunt. ox qiiibus oininont soptom : ironìiu antiphniHis. nonigmsu chariontismos. parooraia, sarcasmoR, antoi- snios . . . Xotandum sano quoti allojroria aliquando factìs. aliquando verl»is tantum modo fìt : factìs quideni, ut scriptum ost : Q u o n i a m Abraham duos fi lios kabuit. unum de anelila et unum de libera, quae sunt duo testamenta, ut ApostoluH expo' nit. Verbis autom solummodo, ut: Egredietur virga de ra- dice lesse et flos do radice eius aseendet: quo si^i- fìcatnr de stirpe David per Mariani virginem dominum salvatorom fuisse nasciturum. Aliquando factis sinuil et verbis una oademque res allegorice significatur . . . Itf^m allegoria verbi sive operis ali- quando historicam rem, aliquando typicam, aliquando tropologicara. id ost moralem rationom. aliquando anagogen. hoc est scnsum ad superiora ducentem figurate denuntiat . . . Xonnumquam in uno eo- demque verbo vel re historia simul et mysticus de Christo sive ec- clesia sensus et tropologia et anagoge figuraliter intimatur. ut tom- plum domini iuxta historiam domus, quam fecit Salomon, iuxta al- legoriam corpus dominiciun . . . sive ecclesia eius . . . Per tropologiam quisque fidelium . . . Per anagogen supernae gaudia mansionis ... Si- mili modo quoti dicitur : Lauda H i e r u s a 1 e m dominum... De civibus terrenae Hierusalem. de ecclesia Christi. de anima qua- quo electa. de patria caelesti iuxta historiam, iuxta allegoriam, iuxt.i tropologiam. iuxta tuiagogen recte potest accipi '.
lui II senso letterate e V allegoria
concettuzzi con immagini allegoriche incoerenti spesso ed oscure. Lo Spirito Santo e Virgilio doveano bene saperne qualcosa dell' arte del dire ! E con industria paziente, ap- piattava sotto la varia corteccia disgregata della lettera, la solita moltitudine d' intendimenti riposti. Codesto ser- viva ad acuire l' ingegno del lettore ; serviva anche a pre- servare dall' avvilimento quei poveri concettuzzi, oltreché conferiva al componimento quella tanto gradita e ricer- cata oscurità, che i maestri inculcavano gridando : — Ab- buja! abbuja! — (Comparetti, Virg. 1, 51). Ed avvenne questo : nell' interpretare si forzò, si costrinse, si compresse la lettera e si disorganizzò per cavarne, per spremerne a ogni costo il senso allegorico, un intendimento allegorico che nell' intenzione dello scrittore non e' era stato ; nello scrivere poi, con quella febbre delle allegorie addosso, con 1' occhio sempre vólto all' allegoria, si maltrattò talmente il povero senso letterale che spesso, non una veste, ma pare a noi un cencio, uno straccio, una misera rattoppa- tura. Guardate l' intelajatura allegorica nel Reggimento del Barberino ; considerate a quante stranezze, a quante gof- faggini, a quante incoerenze si abbandona il senso lette- rale per nascondere le impenetrabili o sciocche allegorie del povero rimatore !
Dove vi è una sentenza allegorica più o meno palese, voluta dallo scrittore e preesistente alla formazione del- l' integumento, il senso letterale è variamente materiato. Non sempre, come nell' esempio dantesco di Ovidio, è l' in- verosimile e 1' assurdo ; vi sono anzi allegorie dove il senso letterale è in gran parte materiato di storia ; ma con ciò non perde il suo essenziale carattere di finzione allegorica. E l' argomentazione del Fornaciari, che nella Commedia ' entrambi i sensi, il letterale e 1' allegorico, sono continui e certi ', e che ' se tutta la Vita Nuova ha un significato letterale, non può non averlo la pietosa e gentile signora,
// seììso letterale neììa Commedia 1^5
che ne tiene si gran parte ' ; non vediamo a che conclu- sione possa condurre. Sicuramente, nella Commedia, come in ogni scritto, il senso letterale è continuo e certo ; senza dubbio, tutta la Vita nuova ha similmente un significato letterale, non esclusa la gentile signora ; ma il senso let- terale non è storia ; è menzogna, è finzione, e non sem- pre neppure finzione coerente. E vero che gran parte de- gli episodi della Commedia sono materiati di storia, ma non sarebbe proprio dire che siano storia, che il senso let- terale sia storia. È storia forse, ' La bocca sollevò dal fiero pasto ' y 0 forse storia si dirà, ' Nacqui sub Julio ancor- ché fosse tardi ' ? È finzione, che dalla storia assume bensì la materia, ma non è storia ; è in certo modo anche que- sta menzogna. E si chiamino pure alcuni episodi, per bre- vità, storia ; ma in essi manca affatto probabilmente un intendimento allegorico particolare, e il senso letterale è in fondo tutto quel che si trova. Tanto la storia è aliena dall' allegoria e ) ! Bene l'estensore della lettera a Can-
(1) Sono probabilmente niente altro che fantiisticherie strava- ganti certe interprotiizioni allegoriche date a luoghi del Poonui, dove la materia storica ò certissima ; sogni di febbricitante d' allegoria sono, secondo ogni probabilits'i. gì' intendimenti riposti che Filippo Villani, per esempio, tira fuori dalle notizie storiche che Virgilio dà di sé nel primo canto della Commedia. Tuttavia, di tale specie di esegesi allegorica, non applicata propriamente alla storia ma alle finzioni dei poeti materiate di storia, Danto stesso avea dato un ben cospicuo esempio nel Convivio (4, 28, ©7 ), spiegando 1' allegoria del Catone di Lucano. E codesta allegoria forse si potrebbe chiamar teologica. Ma chi. profitt:indo di codesta circostanza, volesse dire che il senso allegorico nelln Vita nuova è appunto secondo che per li teologi è inteso, verrebbe a fare un' altra confusione. Lasciando stare che non si vede bene come la Vita nuora passa considerarsi narrazione storica, l' allegoria teologica è ricerca di sensi riposti in un fatto storico, non narrazione, con intendimenti allegorici, di im fatto storico : non esce insomma du\ì confini dell' ermeneuti-
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grande e i primi commentatori avvertono che il Poema è ' Attivo e positivo d' esempi ' ; e bene fu in ogni tempo notato che non è necessario che il senso letterale racchiuda in ogni sua parte un intendimento riposto ('). Dove l' in- tento allegorico è soltanto nell' immagine centrale, il senso letterale, salvo qualche contrassegno, è finzione coerente che, in certo modo, sta da se : è come chi possiede un campo in enfiteusi ; il vero signore è sempre il senso al- legorico, e in qualche inciso, in qualche attributo, afferma r alta sua sovranità, quasi per tema che chi legge non voglia negargliela o dimenticarla ; ma non dà alcuna mo- lestia alla lettera che fa le viste di procedere liberamente per conto suo. Nella Commedia vi sono episodi materiati di storia, che hanno propriamente un intento storico e morale ; e vi sono episodi verosimili ed anche talvolta fan- tastici, che saranno soltanto decorativi. Ma 1' insieme è un' allegoria ; 1' idea centrale al cui servigio stanno i sin- goli episodi, è allegorica. Nel senso letterale non abbiamo che un viaggio nei regni d' oltretomba ; e il sovrano poeta non trascura particolari e circostanze e dati di fatto per rendere la sua finzione sempre più verosimile e credibile.
ca. Che se Dante attribuisce a Lucano intendimenti allegorici nella narrazione di un fatto materiato di storia, e se egli stosso ebbe vera- monte intendimenti allegorici nelle sue finzioni materiate di storia ; questo vorrebbe solo dire che in una finzione allegorica, o credu- ta tale, neppure la storia era immune dal pagare il suo tributo al- l' allegoria. Del resto, non era necessario che lo scrittore avesse avuto coscienza degli appiattamenti che scoprivano gli esegeti. L' allego- ria e' era, ma non e' era per volontà cosciente dell' autore ; cfr. Pnvg. 22, 67-73; Filippo Villani, Com. 157, 168.
(1) Cfr. Sant' Agostino, De Civit. 16, 2 ; Gregorio Magno, Mor. 21, 1, 2 ; Dante, De Mon. ( ed Moore ) 3, 4, 45 ; Della Lana, 2, 360 862; Pietro di Dante, 4; Boccaccio, Comm. 1, 196; Buti, 1, 24 40 61, e Centofanti, nell' Introduzione allo stesso commento, 1, 24 ; Pe- rez, Beatrice, 51.
// seììso letterale nella Commedia 127
E la ' bella menzogna ' è cosi bella e fresca e fiorente di giovinezza e di salute che, con noi certo, fallisce alla sua missione, ci trattiene con se! Il 'velame' non è un'im- maginazione stravagante e incoerente come quelle di tanti altri poemi allegorici, ma è un mondo reale che palpita e vive della nostra vita, è tutto il medio evo che rivive e vive eterno al soffio potente ed animatore dell' ispirato poeta. Non manca certo 1' * ascosa verità ', ma è cosi esile e rannicchiata che impallidisce e sparisce sotto i colori smaglianti del maestoso e ricco paludamento.
Neil' allegoria generale però, che si fa cosi poco sen- tire e valere nei suoi vasti domini della lettera, s' incar- dinano o serpeggiano allegorie secondarie ben più esigenti e importanti ; le quali intralciano spesso il senso letterale, fermano chi non abbia altra voglia che di badare alla * bella menzogna ', e spronano il pigro ingegno sulla via dell' ' ascosa verità ' (•). Sono come le articolazioni e le ar-
(*) Strane .suim rritanu iito lo ossorviizioni che ini.so fuuri con jrran disinvoltura il Borgognoni ( Scelta di Scritti dant. Città di Ca- stello 18.97 : Collez. di opusc. dant. N. Ì6-48 : p. 123 ss ) siili' alle- goria in generale, e suU' allegoria del Poema in particolare. • L' al- legoria sarebbe sempre una faccenda del lettore, non dell'autore'! Sennonché, al Borgognoni venne fatto di porre un' obbiezione che pare sia di qualche peso, a giudiciire dsU fatto che spesso fa capo- lino nei ragionamenti di altri critici. Egli si ferma alla terzina 0 coi eh' arete. e<l alla terzina Aguzza qni lettor, ed ammonisce :* que- sti distinti inviti che il Poeta fa al lettore, questi suoi speciali am- monimenti, riguardano i casi pei quali egli appunto li fa : non im- portano, anzi, al mio parere, negano che l' intero poema contenga una intenzionale, organica, continua, non mai interrotta allegoria. Xegano ; perchè domando io : se Dante avesse avuto neU' intenzione che il lettore per tutto il Poema dovesse darsi briga di quella spe- cie di escavazione del senso sotterraneo alla lettera, ad quid avver- tire e ammonire esso lettore che sotto alcuni particolari versi quel senso nascosto e' è, e ammonirlo proprio dove 1" intelligenza di quel secondo senso è più facile ? " Perchè il poeta abbia proprio fatto ciò.
128 II senso letterale e l allegoria
terie del grande organismo. Alcuni di questi simboli sono materiati di storia ; sono figure^ nel senso letterale, com- piute ; e r intento allegorico traspare dal loro ufficio. Il senso letterale è anche qui signore, sebbene talvolta at- tenda ai contrassegni per 1' allegoria più di quel che la sua natura materiata di storia non comporti. Sono figure disegnate secondo la verità storica o leggendaria, e soltanto qua e là quella verità è macchiettata da qualche neo che mostra apertamente l' intento riposto. Sennonché, codeste figure materiate di storia inducono facilmente il lettore a considerar come ugualmente di storia materiate altre fi- gure che con esse hanno comune una funzione allegorica particolare. Ma, chi ben guardi, le figure in cui l' intento allegorico è predominante e i caratteri storici mancano af- fatto, si presentano, nella lettera, soltanto come verosi- mili (').
non è certo facile dire ; corto è tuttavia, che da codesto fatto non si può desumero quel che desumere vorrebbe il Borgognoni. Manca forse 1' allegoria nel primo canto doli' Inferno ? e nondimeno il poeta non ci ammonisce di aguzzare gli occhi al vero. Ifon dobbiamo forse darci briga dell' escavazione del senso sotterraneo nel canto tren- tesimo secondo del Piwgatorio ? e nonpertanto il poeta non ci esorta a mirare la dottrina che s' asconde. Bello e profonde osservazioni intorno all' allegoria della Commedia ha invece il De Sanctis, St. 1, 186 ss ; cfr. Gaspary. St. 1. 287 s.
(1) Lo Scarano ( Beatrice, 69 s ) per provare che nella Vita nuova vi sia simbolo e realtà, osserva che, ' se così non fosse, an- che Virgilio nella Commedia verrebbe ad aver valore soltanto come simbolo della ragione, e non anche come Virgilio che visse e scrisse sotto il bnon Augusto ' ; e pensa che ciò basti per concludere che lo obbiezioni del Centofanti ( vd. qui addietro, p. 112 n ) ' non abbiano peso '. Veramente, perchè il paragone fosse giusto e valida 1' osser- vazione, occorrerebbe che dello figure della Vita nuora si avesse sicura notizia storica, come si ha di Virgilio. Ma, nonché secondo un' ipotetica verità storica, la narrazione della Vita nuova non pro- cedo neppure secondo il verosimile. ' Quell' argomento poi della città
Il senso letterale nella Commedia 120
Talvolta però, anche nella Commedia, il senso lette- rale non solo non è né storico né verosimile, ma è incoe- rente ed è limitato al puro e semplice significato lessicale e grammaticale delle parole. L' intento allegorico è tutto ; il senso letterale è semplicemente quel che suonano le pa- role. Tuttavia, anche qui 1' allegoria è fondata sul senso letterale, cioè è affidata al senso letterale ; e falsata la let- tera, resta falsata 1' allegoria.
Francesco d' Ovidio, a cui mi lega antico debito di gratitudine e sentimento sempre acceso di affettuosa de- vozione, parlando delle tre ' bestie illustri ', argutamente ha notato ( Studii, 312 ) che ' le condizioni del reale sono l^r tutte e tre le fiere sopraffatte un poco dall' intenzione poetica '. Ed ha detto, senza parere, una gran verità, a cui, come a tutte le verità molto ovvie, non ci si bada tjuanto si dovrebbe. A ogni frase del poeta si volle dare anzitutto un significato letterale ; e questo sarebbe giusto, se per senso letterale s' intendesse in ogni caso quel che suonano le parole, non altro. Ma nel senso letterale si vuol trovar sempre una sentenza verosimile o vera, rispondente alle condizioni del reale ; quando pure non si vuol vedere addirittura una verità storica, non altrimenti saputa. E non si avverte che talvolta, come dice il D' Ovidio, ' il sim- bolismo sforza la lettera, eccedendo i confini del reale '.
senza nome, dice lo Scarano, non è un argomento. Se la donna ama. ta da Dante fu amata da lui nella sua patria, o Dante non ebbe patria o la città innominati» è Firenze '. Ma dove è detto che Dante amò Beatrice * nella sua patria ' ? La prima volta la • città ' è men- zionata così ( VK. 6. 6 ) : 'la cittade, dove la mia donna fue posta da r altissimo sire ' : 1' ultima voltti ( 40, 6 ) è ' la cittade, ove nacque o vivette o morto la gentilissima donna ' : quanto al i-esto, è sempre • la sopradetta cittade ' ; né vi sono indicazioni topografiche o accenni a peculiarità locali che ci assicurino in qualche modo che proprio ili Fu-enze si tratti.
130 II senso letterale e V allegoria
Nella Commedia abbiamo, per esempio, il ' pianeta ', il Sole, che si trova nella costellazione dell'Ariete, e che coi suoi raggi veste le ' spalle ' d' una collina. Si pensa natural- mente al Sole reale, e si trova che nel senso letterale la finzione è verosimile ; ma l' intento allegorico fa uscire il poeta nell' attributiva, ' Che mena dritto altrui per ogni calle '. Nel senso letterale, che non sia lessicale e gram- maticale, non sappiamo più di qual ' pianeta ' si parli. E vero bensì che di giorno si cammina meglio, perchè si vede meglio dove si mettono i piedi ; ma chi non sa la via, non ispera certo indicazione sicura dal sole, guida si- cura nel sole. L' intento allegorico ha sopraffatto il senso letterale, 1' ha forzato e costretto a scoprire quel che esso voleva che fosse aperto ; senza pur guardare, nel suo sen- timento egoistico, se quel poveretto, chiamato a far da pa- ravento, serviva più a qualche cosa, così bucherellato co- m' era('). Similmente, indarno si cercherebbe qual sia 1' a- nimale che ' s' ammoglia ' a molti altri animali ; ovvero qual cane si ciba di ' sapienza e amore e virtute '. Chiun- que volesse concepire, sia pure come immaginarie, bestie simili, dovrebbe prescindere da ogni condizione della vita reale ; il che non occorre neppure nelle concezioni fanta- stiche, che, in fondo, se non sono propriamente verosimili, col verosimile e col probabile mantengono tuttavia rela- zioni di buon vicinato, e sono, direi, verosimili idealmente. Eppure il poeta parla così di una lupa e di un veltro, di animali cioè, notissimi. Staremo forse a strologar sul senso letterale che non sia semplicemente lessicale e grammati- cale ('-)'? Non si ha, come in altre figure affatto fantasti-
(1) Buono ossorvazioni siiU' Jillegoria doi ' raggi dol pianeta ', si leggono nei Saggi danteschi del Finzi, Torino 1888.
(^) Il Boccaccio, cho, noli' esporre il senso letterale, tonta di trovare ( 1, IIB ), ' che speranza poteva porgere di vittoria sopra la
// sienso letterale nella Commedia 131
che, un'alterazione del reale con elementi anch'essi tolti alla realtà; si ha qui la pura realtà, che dovrebbe esser del vero ombrifero prefazio, e che invece si presenta, come un recipiente di vetro, fortemente colorata di quell' alle- goria che la riempie ; si ha la famosa corteccia che per le screpolature mostra il midollo, coperto appena di una pel- licola ; la quale, se con la corteccia non ha stretta parente- la, con la corteccia cospira a render più definita la sen- tenza riposta, che sotto quei discordanti velami cerca riparo dal volgo. Insomma, la realtà assunta a simbolo allegorico, non si può mantenere sempre asciutta e rigida e serrata realtà. E veste, non appesa ad un attaccapanni, ma indos- sata dall' allegoria ; epperò si modella sulle rotondità, e talvolta gibbosità, dell' allegoria. E certe vesti poi, son fatte apposta, non per nascondere, ma per mostrare le nudità della persona. L' essere reale in cui spira 1' idea astratta, l' intento riposto di chi scrive, si comporta, non come un essere reale semplicemente, ma come un essere reale anima- to da queir idea, da quella sentenza che si vuole con quel simbolo reale rappresentare. Ma è degno di nota tuttavia, che il poeta altera e presenta cosi il reale o il verosimile, non mai la realtà storica ; la quale occulta, anzi seppelli- sce addirittura 1' altro intendimento. Ma tant' è : dove ogni
lonza, 1' ora del mattino e la staigiono dolla primavera, conciossiaco- saché, egli dice, in questi duo tempi si sofirlia più ferocit«à essere ne- irli animali ' ; quando poi viene al verso. Molti son gli animali a cui .s" ammoglia, spiega bensì ( 1. 142), ' cioè si congiugne' : ma osserva: • Questo è fuori dell' uso della natura di qualunque animale ... E questo non è da dubitare che l' autore non sapesse, perchè avendol posto, asssii ben si può comprendere. V autore volere altro sentire che quello che semplicemente suona la lettera '. E similmente, al verso. Ma sapienza e amore e virtute: -Questi non sogliono essere cibi de' cani: e perciò assai chiaro appare lui [ il poeta ] intendere altro che non par che dica la lettera '.
132 // senso letterate e V allegoria
frase e quasi ogni parola è gravida di sensi riposti, è quasi impossibile che la lettera non resti talvolta malconcia e deformata, e che possa offrir sempre da sé una sentenza che non sia incoerente.
Ma non sempre il senso letterale appare cosi aperta- mente violato ; talvolta dissimula assai bene la sua dolo- rosa condizione, anzi affetta un certo affrancamento dal suo signore e tiranno. Vi è nella Commedia qualche pen- nellata di stranio colore, che, mentre cerca di afforzare r intelligenza dell' allegoria centrale, nella lettera si mostra come una piccola sciarada che, per servirmi delle parole del mio Maestro, ' piacerebbe vedere sciolta, o potersi glo- riare d' avere sciolta, sol per la smania che dà ogni scia- rada, in ispecie se famosa '. Sono come incastramenti spe- ciali del grandioso mosaico. Si vestono codeste piccole al- legorie, d' un senso letterale che è quasi soltanto gram- maticale e lessicale ; ma, per (^uel trovarsi allogate dove il senso letterale corre unito e appoggiato al verosimile, in- generano il dubbio, non sia in loro il senso letterale si- mile al resto, congruente e secondo le condizioni del reale ; e per la loro piccolezza non tradiscono a prima giunta nella corteccia la loro vera condizione ; cosi che alcuni critici non vogliono riconoscere neppure che si aggrovigli sotto quella lettera un particolare intendimento riposto. Insom- ma, in loro 1' altro intendimento è tutto, e nondimeno si direbbe che non abbiano altro senso che il letterale. Gli antichi, abituati dall' esegesi biblica a questi giochetti al- legorici; se ne sbrigavano subito con disinvoltura ; ma i moderni, forse affetti da mitofobia, direbbe il Perez, non giurano che sul senso letterale, e poi discutono lungamente e accanitamente e vanamente su codesto benedetto loro senso letterale, per far che dalle parole del testo venga fuori una sentenza letterale indipendente dalla per loro ipotetica allegoria, non oziosa, né incoerente col resto della
// senso letterale nella Commedia tìS
luiiiiizione. Tale, pti v..^w..|ììo, quel grave negozio del ' per lungo silenzio parea fioco ' ; tale la famosa e oramai ridi- cola sciarada del 'pie fermo '(').
Per conchindere, il senso letterale, propriamente e ge- neralmente parlando, è il senso del contesto ; è intender le parole nel loro significato proprio o traslato, e nelle
(*) Grt'ijorio Matrju». Mor. 10. 31 • In activa l'tunini vita sino dofoctu inoHK n<ritur : a contemplativa autoni intìrmittitis suao pen- dere vieta lasaatur. Dia quìppo tanto f i r m i u s durai, quanto ad vicina so or^a utilitatom proximi dilatiit : haoc tanto colorius labi- tur, quanto ot carnis claiistra transgrodions, super scinotipsam irò conatur. Illa )> •• t- p I .1 ii ;i ^ •' di r i gi t . <■ * i <l >- i 1 e o p edam oporis robusti US figit: haec antoin quo supor so alta app«'- tit. ad so citius fossji doscondit. Qumì bono ac brevitor Ezochiol in- sinuat. cum eorum, quae >nderat, motu8 animaliura narrat, dicons : Non rcrcrtebanliir rum incedere/i t. Et paulo post subji- cit, adjungons: Et nnimalia ihant et rererfebantnr'. 22, 48 ' Apposi- ti8 igitur quasi quibusdam gradibus profectiu) nostri, m o n t i s p o- d o ni prius por timorem in imo ponimus, ot postmodum por carità- tora ad altji amoris lovamus *. 4. praef. 1 * Qui toxtum considerai, et sensum sacrao locutionis ignorai, non tam se eniditione instruit. quam ambiguit:»to confundit : quia nonnumquam sibi litterao vorba contradicunt ; seti dum a somotipsis por contrarietatom dissidont. lectorem ad intelligontiam voritatis mittunt '. In pr. Reg. 3, 1, 22 ' Dormirit Samuel iisgue mane. Quid est, quod por sacrum oloquiuni Samuolis somnus tara attento doscribitur ? Et quia jam quator ro- potisse somnum dicitur, multum dosipii, qui a Dei Spiritu hoc non spiritualiter dictum credit. Xam otsi dormisse toties recto intelligi- tur prò ventato historiae. ad hoc scribitur. ut in veritate litterae intellectus proferantur allogoriae '. Mor. 18. 1 ' Pleriimque in sacro eloquio sic nounidla mystica describuntur, ut tiimen juxta narratio- nom historicam prolata videantur. Sed saepe dieta talia in eadem historica narratione pormixta sunt. per quae superBcies historiae cuncta cassetur : quae dum nil historicura resomint. aliud in eis in- quirere lectorem cogunt. His enim dictis quae aporta credimus, cum interjecta aliqua obscurius invenimus. quasi quibusdam stimulis pun- gimur, ut ad aliqua filtius intelligenda vigilemus. et obscurius prò- lat.i seutiamus. ea etiam quae aperte dieta putavimus".
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134 // senso letterale e V allegoria
loro relazioni logiche. Comunque materiato e modellato, è sempre finzione , ed è chiaro che bisogna intenderlo prima d' ogni altra cosa, e che chi ben non l' intende non può penetrare V allegoria, come sarebbe il caso di chi non ba- dasse quanto si conviene ai costrutti ed al significato spe- ciale delle parole, e particolarmente a certe strane etimo- logie ad alcune parole allora attribuite. Un senso letterale che, eretto, cammini amabilmente e fraternamente a brac- cetto dell' allegoria, di rado si può trovare ('). Talvolta, come nel primo canto dell' Inferno, V allegoria si lascia senza tanti riguardi il senso letterale indietro, mortificato e rotto dallo sforzo di seguir quella padrona che vuole andar troppo presto, che, impaziente, sdegna di star lì ogni tanto ad incitarlo a seguirla più da vicino, e che talvolta si rasse- gna ad andare avanti tutta sola, purché il servo la segua e le difenda in certo modo le spalle. Ma più spesso, nella Commedia, il senso letterale s' incammina ben lui glorio- samente e severamente solo, pago tuttavia di saper che cammina in servigio della gran dama che lo protegge e 1' onora dei suoi riveriti comandi.
6.
Come il De Sanctis, belle osservazioni intorno alla forma allegorica della Divina Commedia ha Giacinto Ca- sella ( Opere inedite e postume, Firenze 1884 ; 2, 371 ss
(t) Gregorio Magno, Mor. praef. 21 ' Debemus priiis historiae radicem fìgere, ut valeamxis niontem postmodum do allegoriarum fructu satiare '. Sequestrarono il senso letterale dal senso allegorico seguendo 1' esempio di Gregorio Magno, Dante nel commento .alle sue canzoni, e il Boccaccio nel commento ai primi 17 ( o meglio, 16 ) canti dell' Inferno. Ma o in Gregorio e in Dante e nel Boccaccio, codesto parallelismo ò piuttosto un' intenzione che una norma effet- tivamente praticatn. o un roalmonte effettuato dieegno.
Dal reale aìU ideale 135
402 ss ). Egli yiuMiiinente osservava che nell' allegoria dan- tesca ' la idea precede al simbolo, il quale è scelto arbi- trariamente per darle forma sensibile '. Ne invero potrebbe in ogni caso altro processo tenere chi si accinge a fare un' allegoria, si serva di mere personificazioni, o assuma materia dalla storia o dalla leggenda. Nondimeno, pensava il Renier ( VN. e F. 123 ) che ' nel concetto fondamentale della allegoria vi può essere un doppio movimento, dalla verità trascendente alla figura sensibile, ovvero dalla realtà sensibile, alla verità trascendente. Nel primo caso, osser- vava il critico, è molto facile che volendo la figura, od il simbolo, servire esattamente al principio ideale, si plasmi completamente nella fantasia del poetante ; nel secondo caso invece, senza che la verità filosofica abbia a cangiarsi per nulla, può avvenire che la realtà vivente sia ritratta tal quale, ovvero con poche modificazioni. Il primo è certa- mente il caso della Commedia, il secondo è, a mio parere, quello della Vita Xttoca ' ; la quale apparterrebbe ( p. 142 ) ' a quel secondo modo di componimenti, in cui l' ingegno del poetante risale dalla realtà delle cose ai principi scien- tifici e religiosi che ad essa si uniformano o in guisa al- cuna si riconnettono '. Nel creare i simboli della Comme- dia dunque ( le fiere, Virgilio, Catone, ecc. ), il poeta se- gui il processo ordinario e naturale dell' allegorizzare, ' dalla verità trascendente alla figura sensibile ', dal concetto che si vuol rappresentare alla forma allegorica che rappresen- terà velandolo quel concetto ; e nel creare invece i sim- boli della Vita nuova ( meno storici e verosimili certo di molti simboli della Commedia ) un procedimento afiatto nuovo, ' dalla realtà sensibile alla verità trascendente ' . Ma sarebbe stato un voler fare due pesi e due misure, ingiu- stamente. E siccome codesto secondo modo di allegorizzare, che avea il vantaggio di lasciare intatta la verità della lettera del libello, sulla quale come bel coronamento si so-
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vrapponeva il senso allegorico , poteva, con più ragione forse, vedersi anche nella Commedia^ così si generalizzò e si eresse a norma dell' allegorizzare dantesco. Altri pare anzi volesse dare maggior estensione alla cosa.
Ad Alessandro d' Ancona, nel confutare l' idealità del Bartoli, venne fatto di affermare {Disc. 35 s) che gli ' an- tichi dal reale salivano su su, di collo in collo, all'ideale : non andavano ali' ideale di slancio, ne avevano penne a tal volo ' ; che ' oggettivavano l' ideale, ma in qualche cosa di reale ; anzi da questo partivano per giungere a quello ' ; che ' noi moderni siamo capaci di coteste quintessenze del sentimento e del pensiero : ma non erano capaci le corpu- lente fantasie e i rudi ma gagliardi intelletti dell' età me- dia ' ; che ' Beatrice è donna prima di esser simbolo, e può esser simbolo appunto perchè fu donna ' ; che ' i nostri anti- chi procedevano . . . realizzando fortemente e scolpitamente r astratto ; e Dante poi in ciò superò i suoi coetanei che del reale si fece scala all' ideale ' ('). Lasciando stare quel che evidentemente vi è di contradittorio ( sia detto col dovuto rispetto ) in codeste affermazioni; certo, codesto principio,
(1) Cfr. Puccianti, Allegoria di Beatrice, nella raccolta D. e il silo scc. p. 159 s. Il D' Ancona pone in fronte al suo Discorso su Beatrice, oltre le note citazioni sul senso letterale, i seguenti versi della Commedia :
Vostra apprensiva da esser rerapc Traggo intenzione, e dentro a voi la spiega. Sì che r animo ad essa volger faee.
E se. rivolto. In ver di lei si piega (^uel piegare è amor.
Pnrg. XVIU. il. . . , vostro ingegno . . . solo da sensato apprende Ciò che fa poscia d' intelletto degno.
Farad. TV, 40.
Cfr. Nannucci, Mannaie della leti, del primo secolo, soc. ed. Tirenzo 1856: 1, 47.
Dal reni e air ideai e VX,
dal reale all' ideale ', che riceve rincalzo dall'altro assioma del senso letterale e storico che dee andare innanzi, infor- ma tutta la ricostruzione del critico, che, sotto questo ri- guardo, si accosta in certo modo alle vecchie interpretazioni del Lubin e del Renier('). E nessuno vorrà negare che gli antichi dal reale procedevano all' ideale, come nessuno vorrà far torto ai moderni col pensare eh' essi procedano affatto irrazionalmente, slanciandosi sull' ideale. Ma non si vede che abbia a far codesta psicologica osservazione, col fatto dell' imbastire un' allegoria. Chi si accinge a scrivere un' al- legoria, è già arrivato, certo per vie razionali, a quella .sua idea astratta che vuol rivestire di forme aliene e sensibili ; e cerca appunto queste forme, e, come dice il Casella, pro- cede dall' idea al simbolo ; il quale sempre dev' essere reale, sia realtà storica, sia realtà fisica, sia realtà fantastica. Certo, l'anonimo scrittore deW Intelligenza avea veduto gole bianche e trecce bionde, prima di descrivere la sua donna allegorica con quegli appetitosi attributi ; e ser Brunetto similmente, prima di parlarci della bianca fronte e delle labbra vermiglie e del naso aJBfilato e della gola bianci- cante e dell' altre biltà tante di madonna la Natura ; ma sarebbe ridicolo anche il pensare eh' essi, da una donna realmente amata, siano saliti di collo in collo fino alla con- cezione delle loro donne allegoriche ; eh' ossi, anziché an-
(*) A p. 40 n- il D" Ancona scrive : * 11 Dioni.si. Prepara^., pag. 72, dimanda : « E come può essere che due donne { Beatrice e la Sapienza ) così diverse, sieno divenute quasi una sola ? Io mi di- spenserò con destrezza da tiiie istanza, rimettendo V interrogante stu- dioso a richiederne la soluzione allo stesso poeta ». A tale dimanda, risolta con destressa dal Dionisi. vorremmo appunto rispondere con questo studio critico-psicologico '. Xel quale si dimostra che (p. 461, • nel primo momento, Beatrice è donna reale : nel secondo, è vivente personificazione : nel terzo, è simljolo animato in cui si uniscono e congiungono intimamente la donmi e la pei-sonificazione '.
1B8 II senso letterale e V allegoria
dare di slancio all' ideale di madonna, abbiano preferito, o siano stati costretti dal momento storico, di arrivarci a piccole tappe, con graduale processo di trasformazione e idealizzazione e ).
(1) Il Casella aveva anche notato che ' lo antiche mitologie ger- minavano spontaneamente *nolla inconscia fantasia dei popoli infan- ti ', e che ' in queste la idea e la sua forma simbolica nate a un parto si componetrano e s' immedesimano perfettamente '. Pare che il Del Lungo {Dal secolo e dal poema di D. Bologna 1898: p. 151 ss ) abbia tolto ispirazione da codesta affermazione del Casella, per confutare Y altra affermazione del Casella stesso, che il poeta, cioè, ' partendo dall' idea astratta, cercò di poi le forme simboliche che la rivestissero '. Egli crede che si possa dubitare ' se il procedimento del concetto dantesco veramente fu dall' astrazione al simbolo ' ; e pensa che ' piuttosto debba dirsi che 1' oggetto di questa [della rap- presentazione fantastica] e le rispettive forme nacquero, lo une e r altro ad un tempo, nella mente del Poeta . . . Invero, osserva il critico, quelle tempre robuste d' ingegni medievali apprendevano, come la vita, così V arte, con grande unità e immediatezza d' im- pi-essioni e di concetti. Il lavorio dell' analisi, minuto e dissolutivo, essi lo esercitavano largamente nella scienza del pensiero, nel campo della filosofìa . . . Ma nella vita era altra cosa ; era altra cosa nel- r arte, che rispecchia, per proprio ufficio, la vita '. Confesso candi- damente che il ragionamento del dotto critico non mi riesce molto chiaro. Ma non mi parve bene tacere d' un così autorevole contra- dittore dell' opinione del Casella. E vorrei notare che tanto 1' argo- mentazione del D' Ancona, quando il ragionamento del Del Lungo, a me pare che risentano dell' opinione dell' Ozanam ( D. et la phil. 122 8, 375 ss ) sul ' vero simbolismo ', che sarebbe il simbolismo stori- co, per la solita fìsima del senso storico e lettei-ale della Sacra Scrittu- ra sposato all' allegoria. Anch'egli, come 1 nostri due critici, osserva ( p. 379 n ) : ' r idéal et le réel forment . . . par leur réunion, 1' essence mème du symbolisme véritable. L' intelligence robuste des hommes d'autrefois comportait sans diffìculté la présence de deux conceptions sous un méme signe. Nos habitudes analytiques nous perraettent à peine de saisir 1' une ou 1' autre '. Ma 1' Ozanam, per esser coerente, insinua che la donna del Convivio non ò soltanto la Filosofia, ma è anche una gentildonna pietosa. Sulla realtà storica
Dal reale all' ideale l39
Il modo di allegorizzare dantesco, questo ha di par- ticolare : il poeta generalmente non incarna 1' idea astratta in una realtà verosimile o fantastica che pigli nome dal- l' idea , non personifica insomma 1' idea ; ma la incarna in un individuo reale ( la lupa ) , o storico ( Virgilio ) ; e quando poi è costretto a personificare, non sempre, come j>er le Virtù teologali e per la Prudenza, procede scopren- do sgarbatamente la personificazione, ma si attiene al ve- rosimile, e talvolta dà nome personale etimologico alla idea astratta personificata ; e forse cosi facendo credeva d' imi- tare lo suo maestro ed autore, Virgilio ('j.
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8i erge V allegoria, ed ecco il vero simbolo. Anzi, proprio codoRto esempio della donna del Concino offre air Ozanam la prova piA schietta che Dante usò di codesto vero simbolismo nelP innalzare Beatrice, figlia di Folco lK>n8ì, ma non moglie di Simone, all' idea- lità mistica della Commedia. E siccome il vero simbolo non è ohe * un rapprochement *, egli è costretto a far della Portinari una ' vierge chrt'ti*'nne * ( p. 137 ), una ' siiinte inspirét» ( p. 213 ). una * vierge flo- ivutinc' ( p. 382); benché, allo stringer dei conti, finisca col rico- noscere* che in questo Ciiso la realtà si trasfìgura nel simbolo : nel quale non si vede più né la santji vergine, nò la vergine fiorentina I p. 386 ). Ma era questo trasfigurarsi o deformarsi o sparire della realtà che 1' Ozanam volea ve<len> nel suo vero siml>olÌ8mo? No certo. (*) Forse a codesto principio s" inspirò il Boccaccio nell' Ameto. Certo codesta innovazione dantesca avverti Giovanni da Prato : giac- ché nel suo poemetto Filomela ( Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D. A. Bomii 1891 : 3, 311 ss ) dà nome personale alle sue allegoriche figure : Costanza ( che però è anche figura storica ) è chiamata la Fortezza, Ginevra la Prudenza, Margherita la Giu- stizia, Tommasti la Temperanza, Viredia la Speranza. Feronia la Fede, Caterina la Carità, Diana la Vita attiva, Francesca la Vita contemplativa. La Teologia è chiamata con Dante. Beatrice : p. 385 ' Quivi regna una iddea di stato miro : Già 1" hai vedut;i vestita di soli In color vago più che di zaffiro. Questa è colei che sopra tutti i poli Alza sua testa in sua profonditate. Per costei fissi son gli eterni voli. Molti costei d* eterna beltiite La chiaman donna :
140 II senso letterale e V allegoria
Sennonché, un' obbiezione che dà molto da pensare, fece il D' Ovidio ( La VN. di D. in NA. 15 marzo 1884, p. 240 s ) ; il quale, osservando che nelle rime della Vita nuova non vi è traccia di certi ' arzigogoli ', che la ' fan- tasia sul nove ' venne al poeta soltanto dopo morta Bea- trice ; afferma che ' questa è una riprova che il concetto mistico era una sovrapposizione al reale, un neoplasma. Se Beatrice, argomenta il geniale critico, fosse stata una pura creazione poetica, il procedimento noi lo troverem- mo avvenuto in senso inverso: il misticismo e l'astra- zione avrebbero via via assunta in mente del poeta un' ap- parenza di maggior concretezza '. Certo, l' obbiezione è grave. Ma si potrebbe forse rispondere che 1' arzigogolare, del resto sconveniente nelle rime, s' insinuò nella prosa del libello per necessità di cose ; per lo stesso concetto inde- terminato che il poeta sulle prime probabilmente aveva dell' allegoria ; per quel voler costruire un' allegoria con materiali in gran parte non a ciò originariamente desti- nati. Giacche, come vedremo, buona parte delle rime della Vita nuova nulla avevano di comune con gì' intendimenti del libello. D' altra parte, dalla Beatrice della Vita nuova alla Beatrice della Commedia vi è appunto quel che saga- cemente osserva il D' Ovidio ; il misticismo e 1' astrazione assumono via via maggior concretezza. Comunque, a me pare evidente che se il poeta volle dare un senso allego- rico al suo racconto, gli tolse per questo appunto ogni ca- rattere di storici tà_, e lo considerò come pura finzione. Se in qualche parte codesta finzione sia materiata di storia,
ma il tuo dolce Dante. In sno poem.a, fra F alme beate Beatrice la chiama sì raggiante, E chi Teologia per altro nome '. E poco pixi innanzi. Beatrice è anche • la santa diva Poesia ' ; forse perchè, come si diceva allora, i poeti non sono che teologi ( vd. ^N'ovati. In- dagini, 11 s ).
iJal reale alt ideate ui
non sappiamo ; perchè nù documenti storici ci soccorrono, né la lettera della Vita nuova, con le sue inverosimiglianze e le sue incongruenze, ci incoraggia a metterci sulla pe- ricolosa via delle supposizioni. Questo solo sappiamo, che il ' primo amico ' a cui allude più volte il poeta, era Guido Cavalcanti. Ma codesta notizia è di così poco rilievo e quasi cosi estranea allo strano racconto degli amori danteschi, che non ci autorizza certo a far deduzioni eccessive.
Egidio Gorra, dal sao studio Bill RoggettiviRmo od oggettiviamo dantesco ( // soggettiri.tmo di D. Bologna 1899 : Bil)l. stor.-crit. d. lett. (lant. ^. 5 : p. 10 ). si riprometto che ' risulterà . . . come forse non sarji più lecito revocare in dubbio, ad esempio, la realtà storica di 13eatrice. come anzi tale dubbio suonerà offessi all' arto dantesca, come il poeta abbia nella concezione di alcune parti del suo poema e nel generale concepimento seijufto norme determinate e sicure '. Certamente ; ma perchè quell' offesa ? Si offenderà dunque 1' arte di Dante, se cre- diamo, come crediamo, alle sue parole, alle sue solenni affermazioni, che la donna gentile della Vita nuora è solo madonna Filosofia? * Una Beatrice interamente simbolica, conchiude il critico ( p. 85 ). mi sembra distruggere il principio che io ho tentato di stabilire in queste pagine, il canone artistico del nostro poeta, la tendenza istin- tiva del suo genio di pensatore e di artista, eh' b quella di salire dal particolare al generale, dal reale all' ideale, dal concreto all' a- stratto, di fondere insieme obbiettivisrao e subbiettivismo '. Parrebbe che il Gorra non si acquieti nel vedere nell' arte di Dante quel sog- getti>-ismo che si vede nell' arte di tutti i veri e grandi poeti ; vor- rebbe vederci, a quel che pare, un soggettivismo oggettivo, o un og- gettivismo soggettivo, conducente pian pianino dal particolare al ge- nerale, dal rejUe all' ideale, dal concreto all' astratto. Egli, per esem- pio, esamina la descrizione del corso dell' Amo ( Parg. 14, 16 ss ), ed esclama ( p. 30 ) : * un pixì completo obbiettivismo non potrebbe pensarsi '. Ma i poeti del puro subbiettivismo manomettono forse, così come niente, la topografìa, la geografia, la geologia"?
Sennonché, il Gorra col suo oggettivismo vorrebbe forse insi- nuare che la fantasia del poeta e il criterio estetico ed etico che lo guidava nella collocazione e nel disegno d' ogni sua figura, non fos*
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142 II senso letterale e V allegoria
sero che un' eco fedele della cronaca spicciola, dei soliti si dice, pei quali il disdegnoso Fiorentino avrebbe avuto una gran tenerezza è un rispetto assai meticoloso. Il critico non crede che il poeta sia stato affatto libero neppure in quel eh' ei volle fosse sua mera finzione, nel popolare, in gran parte a modo suo, i suoi tre mondi. Il che ci condurrebbe direttamente all' inaspettata conclusione che il Poeta non è un poeta, e che il Poema non è un poema. Al D' Ovidio era occorso di dire che Dante talvolta si servì, talvolta non credette far uso di un certo suo *• diritto di grazia ', per salvare alcuni peccatori ; ed ecco che quest' innocente affermazione urta cosi sgarbatamente r oggettivismo soggettivo, da render necessaria la confutazione della confutazione d' una verità inconfutabile e per se stessa intuitiva.
Codesto negozio delle condanne e assoluzioni dantesche avea già richiamata 1' attenzione del Balbo ( Vita di D. 2, 8 ) ; il quale accusò il poeta d' aver mandato, ' d' autorità usurpata ed atroce ', tanta povera gente all' inferno. Al Balbo rispondeva con grande sem- plicità il Casella ( Op. 2, 377 ) : ' Ma sia detto con pace dell' uomo illustre, questo è un prendere sul serio l' Inferno di Dante per quello di cui si pai'la nel Catechismo '. Il Gorra invece, purgherebbe ora il poeta dall' accusa del Balbo, obbligandolo a lavarsi le mani nella catinella di Ponzio Pilato. ■ Basta al poeta, egli scrive ( pag. 29 ), che nessuno possa accusarlo di avere per cieco entusiasmo o basso livore 0 puerile capriccio, falsata la verità e la storia ; bastava a lui di potere all' occasione mostrare che quanto asserisce ha radici nella realtà o nella coscienza contemporanea '. Certo, né cieco en- tusiasmo, né basso livore, né capriccio puerile ; e nemmeno sciocca intenzione di falsare la verità e la storia ; non sarebbe stato poeta. Ma, e che perciò ? Dice il Gorra ( p. 51 ) : ' Guido, assolto dal papa, è dannato ; il figlio, morto senza assoluzione, è salvo ; come è salvo Manfredi, morto scomunicato ; ma a ritener colui dannato e questi due salvati non fu il capriccio di Dante, sibbene il giudizio di molti, di cui il poeta é l' interprete ; interprete obbiettivo per un rispetto, ma quanto mai subbiettivo per un altro, perché egli riesce co' suoi espedienti e ossequioso agli altri e fedele ai suoi sentimenti, ai suoi principi, ai suoi fini riposti '. L' interprete obbiettivo sì, ma sub- biettivo quanto mai, fece adunque quel che volle ; si servì del suo diritto di grazia. Chi erano allora codesti molti che credevano salvo chi era condannato dalla Chiesa, e dannato chi era stato assolto dal papa *? E se vi erano molti a pensare contro la cattolica opinione, non saranno stati moltissimi a pensare come consigliava la Chiesa ?
// diritto di grazia ]r.\
AI far dei conti, poiché- non si tratUiva di articoli di fo<lo. ognuno era padronissimo di pensarla come meglio credeva : nò alcuno po- tava mai dare alle sue suppoeizioni carattere di certezza, né Dante intese fare altro mai che finzioni poetiche. Che e' entra qui 1' obbiet- tivismo ? Certo, il poeta non poteva alterare la fìsonomia storica delle sue figure, giacché avrebbe fatto cosa non verosimile, e quindi non poetica. Ma dal riconoscere codesto, al dire che non poteva inven- tare di siina piantai una lagrimetta per salvare chi si sia, ci corre. Certo, ' snaturare la verità non poteva giammai ' : né alcun poeta ha mai di i)roi>osito snaturato la verità. Ma che un' anima sia salva o dannati! non «> verità, ma finzione, possibilità, verosimiglianza : •• il poeta era liberissimo di salvare o dannare chiunque, siilvando sempre però, non dannando mai. la verosimiglianza della narrazione. Insistere su codesto punto può parere perfino ridicolo. Si vorrebbe forse che il poeta, prima di porre nel suo inferno, o nel suo purga- torio, o nel suo paradiso qualcuno, avesse spinto lo scnipolo fino al punto di fare un' inchif^tt'», un plebiscito, un referendum, per sa- pere quale fosse 1' opinione pubblica sullo stato d' oltretomba della figura che alla sua fantasia si presentava ? 0\"vero. che avesse fru- gato dappertutto per trovare se in qualche cronachetta si attribuiva la famosjt lagrimuccia a quella creatura della sua fant<tsia ? E data r inchiesta o il rinvenimento della cronachettii, la sua opinione ( se opinione deve veramente dirsi ) e la sua fantasia non valevano ({uanto l'opinione e la fantasia del cronist^i e degli altri? Giacché di fan- tasie e d'ipotesi a ogni modo si tratterebbe. Lasciamo stare Guido da Montefeltro. Buonconte e Manfredi : quali leggende, quali tradi- zioni, quali cronache suggerivano a Dante che i principi della val- letta avevano fatto tutti buona fine ? di quale storico era l' opinione che Forese fosse morto quasi in odore di santità ? e quale storia o tra- dizione orale assicurava Dante che, senza scrupoli, poteva pure ficcar neir inferno Ciacco, Filippo Argenti, e gli altri ? e Celestino ? La tradizione, o la cronaca, potè dar qualche volta incentivo ai suoi fantasmi poetici, non frenarli o fermarli : potè destare, sprigionare, accendere 1* immagine poetica, non soffocarla o spegnerla. Sarà en- trata con gli altri fattori nel concepimento della figura. Ma si sco- noscerebbero i diritti della poesia e si pretenderebbe di veder troppo a fondo nelle oscure vie del genio, se si credesse che il poeti» ha fatto così e cosi perchè cosi e non altrimenti la pensavano alcuni suoi contemporanei. Scrive il Gorra ( p. 54 1 che Dante mai avrebbe assolto il conte Ugolino, * nò per ispirilo partigiano , né per odio o
144 // semo letterale e V allegoria
per amore d' alcuno, né per nessuno di quei principi estetici che do- vettero senza dubbio guidarlo nella composizione del suo poema. La sua coscienza, afferma risolutamente il critico, vi si ribellava ; e seb- bene una leggenda narri che il Conte, giunto all' estremo della sua vita, domandasse ad alte grida penitenza ( cfr. Villani, Cronica, VII, 128 ), Dante non accolse quel grido ; la conoscenza dei fatti non gli permise di assolvere il Conte '. La conoscenza dei fatti ? O che la misericordia di Dio non ha si gran braccia da accogliere qualunque gran peccatore che si penta allo stremo di sua vita ? Dante non ac- colse quel grido, di cui si ha pur cosi cospicua testimonianza, per- chè non gli convenne, perchè non gli parve bene, perchè insomma non volle. ^ Se la fama di Cunizza ( osserva il Gorra, p. 56, facendo suo le parole di F. Zamboni ) non fosse col tempo divenuta migliore, eerto colui che dovea cercare di acquistarsi ogni credenza dai con- temporanei, non avrebbe potuto imparadisare una femmina priva di ogni bontà e che anzi « a vizio di lussuria fu si rotta ». Il santo vate non poteva rimontare contro l' opinione di tutti senza fallire alla propria missione, riformatrice della religione, dei costumi, dello sta- to d' Italia '. Certo, Cunizza nella lunga vecchiaia divenne migliore ; ci voleva assai poco. Ma era allora opinione della maggioranza eh' essa fosse salva, anzi che fosse da adorar sugli altari ? E Dante cercava di acquistarsi credenza dai contemporanei con le sue finzioni? Ma se gli antichi commentatori avvertono bene spesso chi legge, che solo Iddio sa chi è salvo e chi è dannato, e che il poeta non in- tose né dannare né salvare alcuno veramente ? Che la Divina Com- media sia la vera storia documentata dell' altro mondo ? l^on mi me- raviglierei ; attesoché una vera storia di questo mondo ancora non si è potuta fare, pigliamoci quella dell'altro ; certo, è molto più di- vertente. A proposito di Brunetto, domanda il Gorra (p. 57): 'Non poteva il Poeta valersi del suo diritto di grazia, o almeno inven- tare una lagrimetta di pentimento all' ultim' ora ? ' Certo potea, non voUe. Avrebbe trovato anche altri che, niente sapendo della sorte di ser Brunetto nel mondo di là, come niente sapeva Dante, e come niente sapranno i critici, avrebbero trovato ben fatta la cosa ; certo, non inverosimile. I Padri pensavano che Socrate e Platone fossero salvi ; e salvi furono creduti da molti Aristotele, Cicerone, Virgi- lio, ed altri (cfr. Graf, Roma, 2, 184 s 290 s 263 284). Ma Dante non li salva. Probabilmente, in molti casi, neppure Dante stesso avrebbe saputo o potuto dire perché ha fatto questo o perché non ha fatto quest" altro. Vuole il Gorra ( p. 61 ) che il poeta non pò-
// diritto di grazia Ui
tesso assolvere ' in nome di un diritto di e;razia che nessuno gli aveva concesso '. Ma chi dovea conctxlergli, siamo {linsti. il diritto di scrivere le sue finzioni ? Sì chiede il superiore permesso per fare un lavoro di fantasia ? Certo, Dante era guidato dal sentimento della giustizia, non da odio o livore ; ma amore «1 odio bollivano troppo neir animo suo, e neppure lo storico può in tal caso riuscire obbiet- tivo. Certo, ' non dobbiamo ammettere che il Poeta, serv'endosi del suo semplice arbitrio, sia pure in un' opera poetica, . . . condannas.sf a peno ignominiose o crudeli persone stimate dabbene o incolpe- voli, e assolvesse rei '. E nessuno ha mai pensato codesto. Servirsi del proprio arbitrio non vuol dire far coso da matti. E cose proprio dell' altro mondo sarebl>ero stijte queste, porre Francesco d' Assisi a scontare il peccato della gola, e Farinata sulla scala dei contem- planti. Ma non per questo si deve dire ( p. 70 | che i giudizi del poeta ' erano dettati non dal suo arbitrio, ma dalla coscienza sua, e dji quella de' suoi coetanei '. Xò la coscienza siui, né molto meno la coscienza dei suoi contemporanei, entrò per nulla nelle fìnzioni della Commedia. Non arbitrio corto stravagant««. ma arbitrio di potati», che vuol fare opera poetica per incarnare un concetto morale, re- ligioso, politico, non sostituirsi al Padreterno. Più innanzi il Gorra concedo che Dant^ ' u«i degli espedienti di un grande poeta per reagire contro la tradizione e la storia '. E qui parrebbe che il cri- tico conceda troppo ; ma non concede tanto da lasciarci supporre che so Danto avesse voluto assolvere chi si sia. avivbbo ben potuto usjire dogli espetlienti di un grande poeta, senza tuttavia reagire né contro la tnidizione, né contro la storia. Cfr. D' Ovidio, Stadii, 18. ss, 56 67 s. 373, 419. 421. 536.
Ma torniamo a Beatrice. D Gorra ( n **- ) é ' persuaso che dopo elucubrazioni infinite rimarrà fermo quel che scrisse, fra gli altri, il D* Ancona : che cioè i grandi artisti del medio evo « dal reale svi- livano » su di « collo in collo » all' ideale : non andavano all' idealo di slancio '. Il Cian ( Bull. ns. 5, 129 ) scrive infatti, che il poeta • prende le mosso dalla realtà più palpabile e forte per tendere agli ideali più vertiginosamente elevati ", Sicché, dalla realtà palpabile della moglie di messer Simone, Dante salì di collo in collo all' ideale più vertiginosamente elevato, alla Sposa del Cantico. Mirabile e fa- ticosa ascensione, certo : ma, come pare, facilitata dal fatto che 1" o- pinione dei contemporanei doveva essere singolarmente concorde in- torno alla realtà della superlativa glorificazione di madonna Bice nel regno dei cieli.
146 II senso letterale e V allegoria
6.
Assai caratteristica è la propaggine che codesta teoria dell'induzione dal reale all'ideale, distese nei vilipesi campi dei puri allegoristi. Prima il Bartoli, poi il Renier, pur negando la realtà storica della Beatrice della Vita nuova, vi scorgono 1' uno ' idealità non allegoria ', 1' altro ' idea non simbolo '.
Il Bartoli trovava ' idealità ' in tutte le donne della lirica del dolce stil nuovo. ' La beatrice di Dante, affer- mava il critico ( St. 4, 191 ), è la beatrice di Lapo, di Guido, di Gino, ed in questa uguaglianza, in questa uniformità di concepimento artistico sta la prova maggiore della sua non oggettività . . . Basta leggere ... la Vita Nuova senza preconcetti, per accorgersi che la beatrice è un essere pu- ramente ideale. Non, si badi bene, un essere allegorico ... ; ma la donna ; la donna terrena contemplata nelle più no- bili, più alte, più celesti sue qualità ; guardata coli' occhio un po' mistico degli uomini medievali in genere, ed in ispecie di questi Fiorentini Bianchi della fine del secolo XIII ; la donna terrena che a poco a poco acquista qual- che cosa dell' angiolo ; un essere vago, astratto, impalpa- bile che si concretizza in ogni volto gentile di bella fan- ciulla, per tornar poi a sfamare nelle forme più aeree . . . La beatrice dei poeti del nuovo stile non è appunto altro che la oggettivazione di una intima e profonda soggetti- vità '. A prima giunta parrebbe che codesta ' beatrice ' sia una delle tante donne ideali cantate in ogni tempo dai poeti. E certo, intesa cosi la cosa, non vi sarebbe nella Vita nuova allegoria ; la ^ beatrice ' sarebbe una concezione poetica di donna ideale, e bisognerebbe attendere solo al senso letterale. Sennonché, il critico abbandona col fatto
La donna ideale 147
codesta ipotesi die si ricounette per un verso agli ultimi postulati dei realisti, e passa nelle file degli allegoristi quando interpreta qualche episodio della Vita nuoca ( vd. 4, 185 ss ). Ed a me pare che 1' equivoco nella ricostru- zione del Bartoli stia in ciò, eh' egli ora parla di ' donna ideale ', ora deli' ideale della donna, di un' ' idealità tra- scendente ' , che sarebbe incarnata in una figura concreta di donna ideale, in una poetica persona ; e in questo caso non si avrebbe che un' allegoria. ' Beatrice, afferma il Bar- toli, non è per il poeta che un' idea, che un sentimento, che un' astrattezza, com' è 1' Amore, personificato anch' esso da Dante, ma la cui persona non è visibile che dagli oc- chi della mente '. Beatrice è dunque un essere allegorico ; il poeta si servirebbe nella Vita nuoca di figure concrete, che non rappresentano se stesse ma altra cosa, per rap- presentare le vicissitudini della sua ' realtà interiore ', della sua ' idealità trascendente '. Certo, se nel cantare e nar- rare le vicende d' un amore fittizio per una donna, intese parlarci del suo sentimento per un' astrazione, fece un' al- legoria bella e buona. Ma la distinzione del Bartoli avrebbe forse il vantaggio di far riposare l' idealità sulla base granitica della realtà; il che, come pare, non sarebbe, secondo il critico, dell' allegoria. Dalla pluralità reale dov' è implicata, si divincola e si sviluppa e si drizza e si schiu- de all' azzurro puro, bianca e vaporosa e redolente l' idea- lità. * L' allegoria, dice il Bartoli parlando del Cavalcanti (4, 149 ), esclude ogni affetto, mentre nei lirici della scuola toscana e' è afietto vero. Affetto vero si, ma non però af- fetto esclusivo ed assorbente. Non è una donna unica che abbia legato a se il poeta, esercitando sopra di lui quel fascino che esalta lo spirito ed acceca la ragione. Sono più donne che si concretizzano in un ideale unico cantato se- condo che imponeva l' ambiente letterario, e secondo che poteva r ingegno dell' uomo '. E parlando di Cino ( 4, 91 ) :
148 It senso letterate e l' allegoria
' ignoriamo ... se ci sieno poesie scritte per una donna sola, o se tutte collettivamente non abbiano ispirato il poeta, vagheggiatore di una bellezza unica divisa in tanti esseri animati'. Insomma, 1' 'ideale unico', la 'bellezza unica', la 'beatrice' di quei rimatori, sarebbe una specie di minimo comune multiplo o di massimo comun divisore ('). Ma la- sciamo stare la pretesa ' beatrice ' di Lapo, di Guido, di Gino, e degli altri ; certo, la Beatrice della Vita nuova, secondo la ricostruzione del Bartoli, è un essere allegorico, qualunque astrazione rappresenti, e comunque a quell' astrazione sia il poeta venuto. Ne, d' altra parte, è vero che 1' allegoria esclude ogni affetto; né, in fin dei conti, l'affetto straripa da ogni parte nelle rime e nella prosa della Vita nuova (-).
(1) Secondo il Bartoli, quei rimatori doveano faro suppergiù come sì proponeva di fare, pei-duto 1' amore della sua donna, Ber- trando del Bornio ; andavano ' per tot achaptan De chascuna un bel semblan '. Ma quel seminator di discordie, con quelle suo rap- pezzature, voleva in fin dei conti illudersi di aver riacquistato un bene reale perduto ; mentre i nostri avrebbero costruito con ele- menti reali e storici di cui godevano, una realtà fittizia della quale si sarebbero invece innamorati. Pare dunque eh' essi abbiano tratto ispirazione dalla leggenda della Venere di Zeusi, con la quale la loro ' donna ideale ' avrebbe qualche grado di parentela. ]^on così il divin Raffaello: 'per dipingere una bella (scriveva egli a Bal- dassarre Castiglione, a proposito della Oalatea ), mi bisogneria ve- der più belle, con questa condizione che V. S. si trovasse meco a fare scelta del meglio. Ma essendo carestia di buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa idea che mi viene alla mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d' arte, io non so : bene m' affatico d' averla ' ( cfr. Cic. Orat. 1, 9 ' Nec vero ille arti- fex [Phidias] quum faceret Jovis formam aut Minervae, contempla- batur aliquem, e quo similitudinem duceret, sed ipsius in mente in- sidebat species pulcritudinis eximia quaedam, quam intuens in eaque defixus ad illius similitudinem artem et manum dirigebat ' ).
(2) Cfr. Benier VN. e F. 124 ss, 140 s ; Gaspary, St. 1, 217, Altrove però, anche il Bartoli ( St, 4. 179 ) ammette che ' Dante era
La donna ideaU l4d
Il Renier, accettando per la i>^».. .ce Ui Dante il prin- cipio dei Bartoli, propende ora ' all' idea di un' assoluta al- legorici tà ', e crede che le difficoltà della Vita nuota tro- vino ' nella interpretazione allegorica una adeguata solu- zione ' ( Giorn. stor, 1, 483 ; 2, 388 ). Pare nondimeno, eh' ei voglia fare una nuova distinzione tra allegoria e allego- ria. Egli scrive ( Giorn. star. 2, 380 ) : * Ora il campo si divide assai nettamente : abbiamo i sostenitori della pura realtà, senza simbolo di sorte alcuna, e abbiamo quelli che nella beatrice ravvisano o un simbolo o una idea. Si badi che la differenza tra questi due termini è molto notevole. Il fdmboìo è di natura sua qualche cosa che è fuori del- l' oggetto simboleggiato, che è completamente estraneo ad esso, che si atteggia in un determinato modo per sola vo- lontà del pensatore. L' idea invece può essere in siffatto modo immedesimata nella cosa che la rappresenta mate- rialmente, da venire a far parte di essa, poiché fra i due oggetti, r ideale e il reale, non vi è diversità di essenza, ma solo di esistenza. È per questo che il sistema siml>o- lico, quale fu sostenuto dal Biscioni, dal Filelfo, dal Ros- setti, dal Centofanti e ora dal Perez, va distinto dal si- stema idealistico del Bartoli '. La distinzione sarebbe dun- que questa, allegoria simbolica e allegoria idealistica. Ma non sarà che question di parole. Se nella coaa che rappre- senta materialmente l' idea, V idea è immedesimata, allora la cosa è idea, altrimenti è simbolo ? La Beatrice che è una figura concreta di donna, è idea, non simbolo, perchè Videa è immedesimata in quella figura ? Ma è simbolo appunto ogni cosa concreta che rappresenta un' idea ; la quale deve
facile a lasciarsi trasportare dal sentimento, anche parlando di es- seri allegonci '. E non è infatti riverberante d' affetto, non è pla- sticamente calda e talvolta perfino sensuale ed oscena la parola dei
mistici ?
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150 // senso letterale e l' allegorìa
essere necessariamente come immedesimata in quella cosa ; giacché nessuno si sognerebbe di rappresentare la conti- mnza, servendosi, per esempio, del simbolo della lupa. Si dirà : — Beatrice è una donna che rappresenta l' ideale del- la donna, non rappresenta, per esempio, la teologìa, o al- tra astrazione simile — . ' La massima attrattiva, dice in- fatti il Renier ( Giorn. sfor. 2, 390 ), che ha per me la in- terpretazione del Bartoli è data dal fatto che per lui la beatrice non è simbolo di un ente astratto dalla umana natura, ma è semplicemente incarnazione di qualità natu- rali alla donna. Solo nella beatrice tali qualità sono tutte raccolte, sono tutte in grado eminente, ed è perciò detta beatrice da quelli alla cui mente è apparita, i quali non sanno come chiamarla altrimenti \ Se ho ben compreso, l' i- dea ' donna ' è incarnata nella cosa ' donna ' ; ecco perchè la cosa è idea, non simbolo. Ma sia come si voglia, codesta idea finirebbe, pel Bartoli ( St. 4, 229 ss ) come pel Re- nier {Giorn. stor. 2, 389 395 ), coli' essere, nella stessa Vita nuova, un simbolo: Ma scienza divina', 'l'Idea Divina', ' la beatrice celeste ', ' la scienza celeste ' ; giacche, come dice il Renier, la ' beatrice persona va svaporando nella beatrice simbolo '. Colla qual conclusione, non solo s' in- corre nel solito inconveniente di trovar più d' una Beatrice nella Vita nuova ; ma si fa una curiosa distinzione tra ' persona ' e ' simbolo ' (').
y^) Strettamente parlando, la Beatrice degli allegoristi ( Filelfo. Biscioni, Rossetti, Centofanti, Perez. Costerò, Crietmann, Pasqxia- ligo, Earle ) non è mai nn simbolo, ma una persona ; è la personi- ficazione, con nome concreto attributivo, d' un' astrazione ; la Bea- trice degli idealisti sarebbe invece, ora la personificazione d' un' a- strazione, ora la personificazione di un' altra astrazione. La sola Beatrice dei realisti sarebbe, negli ultimi paragrafi della Vita nuova e nella Commedia, simbolo storico d' un' astrazione. Si avverta tut- tavia, che ogni personificazione allegorica non si fa che con sim-
Im donna ideale i.")i
A parte codesta question di parole, non si vede bene di quale sentimento d' idealità femminile fossero accesi i poeti del dolce stil nnovo (') ; non si vede bene come mai la ' beatrice persona ' della Vita nuota rappresenti - V ideale perfetto della donna ' ; in che mai e qnando mai la Bea- trice si mostri • donna ideale '.
Certo, la interpretazione che si può dare della Vita nuova, con l' ipotesi degli idealisti, è, come si può vedere dai saggi del Birtoli e del Renier, tra le meno persuasive ; e forse anche, tra le meno probabili (*).
1>oIi. cioè con roaltò naturali, che hanno con 1' ^tratto alca*
no qnaliUt o attributi comuni, o Hono univor«alni'>nto rìeono8oiuti> conio Kt»pni 8 »n«ibili di ideo astr.itt'».
|M II Renior ( Giorn. star. 1, 483) accenna all' * Ewig weibli- che ' del GroPthe : e idealisti e realisti, scambiando la maniera di (|U('i rimatori con Tidealizzitzione e la sublimazione» della donna e dell' amore umano, attribuiscono a queir et:i le tor- ture del sentimento, i lattei lan^iori, le romanticherie insomma, di un' età a noi molto più vicina. Certo, nel culto della Verdine Ma- dre vi orA qualcosa di quell* etemo femminino che è nella um-:ina natura ( vd. Kerbaker. L' eterno femminile del Goethe, nel La Ta- vola rotonda, an. t?rzo. 1893. nura. 17-19; Nencioni. La leti. mist. nel La cita ital. pp. 226. 239 ). Ma per converso, basso ed intriurio- so era il concetto che della donna si aveva ( vd. Comparetli. Virg. 2. 102 s ) : e non pare davvero che fossero tempi quelli da venire a spiritualizzazioni erotiche, né dall' amore di più donne, né dall' a- more di una donna sola.
(-) Lo Scartazzini ( Proleg. Ili ss J, trovando facile breccia nella ricostruzione del Renier, si sbarazza del ' si8t?nia simbolico ' in modo assjii sommario e bonario : e crede di aver debellato cosi, una volta per sempre, tutti gli allegoristi. • Il sistema simbolico, egli scrive, non avendo oggimai più difensori attendibili, basterà qui esaminare il sistema ideale, secondo il quale Beatrice é Y ideale della donna'. 3Ia se chi si accinge a combattere, per riportjime facili vittorie, il
• sistema ideale ' o il ' sistema simbolico '. pensasse un po' a com- battere e a ribattere e a superare le obbiezioni che • idealisti ' e
• simbolisti ' muovono ai valoi-osi trionfatori d' una ricostruzione al-
152 // s'ew.so letterale e V allegoria
Degni certamente di miglior causa sono gli sforzi di- sperati della critica, per preservare dai venti gelati della nevosa allegoria le non dubbie finzioni di cui è infarcito il dubbioso racconto della Vita nuova.
legorica, per sua natura, sempre discutibile, le cose antli-ebbero forse un po' più pel loro verso. Perchè lo Scartazzini non ha cercato di rispondere alle ' molto interrogazioni particolari cui ... la Vita Nuova si presta ', che furono mosse appunto dal Renier, od alle quali egli giustamente dice che ' dentro i limiti della lettera non si risponde ' ? D' altra parte, chi si concede hi grande sodisfazione di sbaragliare, con punti ammirativi e con interrogati^T punti, una qualsivoglia in- terpretazione allegorica, dovrebbe, per esser sicuro che non combat- ta coi mulini a vento, rendersi quasi esatto conto di quel che sia linguaggio allegorico. Perchè, se facciamo lo maraviglie che altri, per esempio, possa pensare che un' astrazione si corrucci, è inuti- le qualunque discussione. ' Che esseri reali si corrucciano, dico lo Scartazzini, lo sappiamo troppo bene : ma si corrucciano anche gli ideali, le astrazioni ? e se i puri ideali veramente si corrucciano, come si fa noi altri ad accorgercene ? Via, -s-ia ! ammonisce con bo- nario disdegno il critico. Se Beatrice si corruccio ella era pur trop- po donna reale '. Certo, certo. Come, per esempio, se la donna del Convivio si mostrò fera e disdegnosa, ella era pur troppo donna reale ; tanto più perchè non si può sapere ( p. 213 ) ' quale è la Ji- nestra, dalla quale la Filosofia riguardava il Poeta ' ; e molto meno si può indovinare come mai la Filosofia pensasse veramente ' alla triste condizione della vita di Dante '. Similmente, se le ^ìnfe della ' divina foresta ' ( Piirg. 31, 104 ) danzarono, cantarono, coprirono del loro braccio il poeta, elle ei'ano pur troppo donne reali. Che esseri reali si sdegnino e ballino e cantino, è chiaro anche ai ciechi e ai sordi ; ma si sdegnano e ballano e cantano anche le astrazioni ? E chi se ne accorgerebbe ? ' E composto, domanda con ingenuità can- zonatoria, ahimè ! lo Scartazzini ; è composto anche un ideale di ani- ma e coi"po ? ' È fisiologicamente impossibile ! E il poota sonnec- chiava certamente come il buon Omoi'o. quando commendò madonna
Jja digressione della VN. sulle personificazioni 153
Francesco Perez, in un libro che non finisce col per- suadere alcuno, perchè quel valentuomo caracollò lunga- mente attorno alla vera questione, e talvolta assai lonta- no dalla vera questione, or guardandovi dentro di sbieco, or non guardandovi pure dentro ; tutto chiuso, com' era, nel paludamento della sua ' idea - madre ' ; sempre in fac- cende per procacciar titoli di nobiltà alla sua ' Intelligen- za attiva ' ; come tutti gli allegoristi, occupato quasi sol- tanto, nella sua disdegnosa sicurezza, a scoprir 1' allego- ria della * beatrice ', invece di porre bene in sodo che nel libello di un' allegoria, di una qualunque allegoria, vera- mente si tratta ; ma in un libro tuttavia che meriterebbe certo più considerazione che oggi non ha ; Francesco Pe- rez, nel capitolo quarto della sua Beatrice scehita, inda- gando e trascrivendo quanto il poeta dice ' intorno alla forma allegorica ed all'uso eh' egli ne fece ', dal paragrafo 25 della Vita nuova crede potersi dedurre: i p. 71 ) ' — I rimatori volgari essere quel che erano un tempo i poeti latini ; — Dovere usare allegorie come quelli le usavano ; con questo di più : che le debbano assumere sem- pre apparenza di amore, ' Se fossero davvero codesti i ' principi estetici dell' Alighieri ', espressi nella stessa Vita nuoca, ognun vede che impossibile sarebbe negare che un intento allegorico vi sia nel libello; giacché, salva ogni altra considerazione, non si può pensare che il poeta de- rogasse a quelle norme eh' egli stesso inculcava, e proprio quando, e giusto dove le inculcava. Il Perez, a cui quelle
Filosofia • si secondo 1' a n i m a . come secondo il corpo* ( Coite. 3, 7, 1 ). Ma lasciamo stare le ricostruzioni allegoriche e i quasi in- fantili trionfi che altri vuol riportarne ; questo bisogna bene tener presente, che se nel dichiarar qualunque allegoria si può sbagliare, è certamente fuor di strada chi, dove l' intendimento allegorico è evidente, s' impunta a negarlo, sol perchè non gli si fa vedere un' e- sposizione allegorica che lo pei*suada.
154 // seìiso letterale e V allegoria
conclusioni parevano evidenti e sicure, non insiste gran fatto neir esame del luogo della Vita nuova ; e si contenta d' osservare che ( p. 67 ), ' dove Dante non avesse posto senso allegorico nelle sue poesie — e tanto più in quelle della Vita Nuova — avrebbe dato a se stesso dello stolto e del grosso '. Però, siccome la cosa sarebbe decisiva se fosse a un puntino come vuole il Perez, così meritava certo più riposato esame e più lungo discorso. Un giudizio somma- rio, espresso per giunta in tono così assiomatico, non po- teva naturalmente convincere neppure chi fosse già dispo- sto a lasciarsi convincere ; né il Perez, da una facile con- futazione in fuori alla strana e non troppo perspicua in- terpretazione che di quel luogo dantesco avea dato il Balbo ( Vita c?è />. 1, 7 ), si dette pur pensiero di prevenire e ri- battere qualche possibile obbiezione ; né, a dire il vero, come già ha notato il Gasparj { St. 1, 451, append. a p. 205 ), si tenne scrupolosamente alle parole del poeta, o si contenne nei limiti della sentenza del poeta, nel formu- lare le sue troppo assolute conclusioni che doveano, sen- z' altro, tagliar la testa al toro.
Non pare tuttavia che si accorgessero dell' importanza del paragrafo 25 della Vita nuova, e delle deduzioni a cui si prestava, i primi commentatori del disgraziato libello, eccetto il Biscioni ( Pref. 15 s); il quale; come poi il Pe- rez, da quella digressione appunto, trasse argomento a beneficio della sua tesi. Il Fraticelli vi scivola su, alla che- tichella ; ma né il Torri, né il Giuliani, non sospetti certo di tenerezze allegoriche, si allontanano in fondo dal Bi- scioni e dal Perez nell' intendere che il poeta, parlando del rimar ' cosa sotto vesta di figura o di colore retorico ', accenni appunto all' allegoria. Il Torri annota : ' Qui é ben chiaro che Dante parla di quegl' insulsi poeti che non san- no nascondere sotto i vacui loro versi utili concepimenti, in somma che non usano un linguaggio allegorico, com' e-
La digressione delibi VN. «uUe perdoni Reazioni 155
gli fece nelle sue Rime, e segnatamente poi nel suo mag- gior Poema ' ('). Un po' sulle generali si tiene invero il Giu- liani : ' Dante avvisava che le cose dette per allegoria fossero come velate sotto benda di parola oscura. Libere da cotal ben- da, le parole resta van nude, tali, da doversi intendere lette- ralmente '. Ma, come si vede, anche il Giuliani ammette che nella digressione della Vita nuoca si parli di allegoria. Sennonché, ben vide il velen dell' argomento il Car- ducci ; il quale, confutando il Perez, o, com' egli lo chia- ma, 'il sig. Perez', osserva (D'Ancona, VX. 186 ss):' il poeta riporta ed espone un suo sonetto nel quale egli a- veva introdotto Amore in persona come prenunzio e pre- sentatore ... di monna Vanna e monna Bice. Ma egli al- tro non fa qui che giustificare questa sua personificazione, questa figura o colore retorico (com'è' dice espressamente ), con gli esempj de' poeti latini ... In certo periodo della sua vita che direbbesi di transizione, nel pe- riodo del Convito, abozzò, e alla materia amorosa volle dare, come direbbe il sig. Perez con gli scolastici, forma filoso- fica. Ma nella ]'. N., e nominatamente in questo para- grafo, non si tratta di allegorie : in questo paragrafo si tratta delle personificazioni, e di personificazioni sono tutti gli esempj che allega de' poeti latini : nell' altro caso, per- chè non avrebbe citato esempj, che non gli potevan cer- tamente far difetto, di allegorie splendidamente e notoria- mente adoperate da' poeti romani ? Questo paragrafo adun- que è una giustificazione retorica con le autorità contro i pedanti, i quali avevano che apporre agli ardimenti di stile.
(1) Affatto inopportuna è la citazione del Conn'rio (3. 10. 50) che il Torri aggiunge alle sue parole : ' E questui cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anche necessaria, cioè quando le pa- role sono a una pei*sona e la intenÉione è a un* altra ". Il poeta parla qui delhi 'Dissimulazione'.
156 II -semo letterate e l' allegoria
ai colorì retorici, di che Dante e la nuova scuola fioren- tina dietro gli esempj dei dottori di Bologna, andavano volgarizzando l'uso'. Veramente il Carducci, che cita ed espone quasi tutto il paragrafo 25 della Vita miova^ non si ferma sull'ultimo brano, che è questo: 'E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che né li poeti parlano cosi sanza ragione, né quelli che rimano deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono ; però che grande vergogna sa- rebbe a colui che rimasse cosa sotto vesta di figura o di colore retorico, e domandato non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace inten- dimento. E questo mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che cosi rimano stoltamente' ('). E non solo il Torri e il Giuliani, come abbiamo veduto, intendono che il poeta quivi parli di allegoria ; ma anche il D' Ancona, il cui commento accoglie la nota del Carducci, pare che da tale opinione non si voglia allontanare ; giacché a co- desto punto riporta l' integra nota del Giuliani, e per giun- ta rimanda al trattato secondo, capitolo primo del Cmimmo, dove del senso letterale e del senso allegorico, della ' ve- rità ascosa sotto bella menzogna ' appunto si ragiona ; e chiude tutte le note a questo paragrafo della Vita nuova, col riferire un passo del De Vulgari Eloquentia ( 2, 4, 2 ), dove si legge che la poesia, rettamente considerando, ' ni- chil aliud est quam fictio rethorica musice composita [ in musicaque posita ] ' ('-). Ma ben s' avvide della contradi-
{^) Codesto brano è citato invece dal Carducci nello studio Delle rime di Dante [Op. 8, 12); e da esso e da altri luoghi delle opere del poeta, il critico desume che ' ì difetti da Dante rimproverati a' suoi antecessori e contemporanei erano, d' ispirazione e d' affetto, di ragion poetica, di stile '.
(2) Per codesta restituzione, vd. Eajna, VE. ed. min. Proemio, p. 33, s. Guido da Pisa ( Dichiorasioìie poetica dell' Inferno dant. :
Im digressione della TiV. sulle personificazioni 157
zione di codeste note il Casini ; il quale, tenendosi stret- tamente, come pare, alla sentenza del Carducci, non solo espunge dal suo commento codesti poco opportuni richia- mi al Conricio e al De Valga ri Eloquentia, ma confuta la nota del Giuliani, sebbene assai alla lesta, coli' accodarvi queste sue parole : ' Ma qui veramente più che di alle- gorie si tratta di personificazioni : <• li giustificazione è esclusivamente retorica, come dimostrano gli esempì ad- dotti dai poeti latini. '
Il Carducci adunque, seguito dal Casini, alle catego- riche conclusioni del Perez, oppone che il poeta parla di personificazioni, non già di allegorie ('). Osserva inoltre il Carducci : il poeta par voglia ' determinare e limitare nettamente la questione al solo caso presente, alla perso- nificazione cioè, fatta nel Son. : Io mi senti' svegliar, della passione d' Amore : onde non par lecito il trarre da que- sto passo una teorica d' allegoria per tutta la V. A". : po- trà bene applicarsi la dottrina assai elementare contenuta
Del Balzo, Poesie, 1, 4l>i n '■«>(: • 8cifntia autein poetica multa f i n j; i t t't unum ponit in cortice littere et aliud signiiìcat in nie- dulla allegorice'. Buti, 2, 11: ' Po3BÌ è scienzia che s* appartiene ai poeti, che insegna a fingere e componere le cose non vere sì, che pajano vere ". Filippo Villani. Com. 82 : • Quantum vero ad formam tractandi, eiusque modum, procesHUS est pooticus, fictionibus atque integu mentis redundans '. Il Villani ( p. 155 ss ), par- lando di poeti e di poesia, ricalca le orme del Boccaccio ( Vifa di D. 9 - 10 ; Compendio, 17 - 20 ; Geneol. deor. 14, 5 ss : Comm. 1, 125 ss ), che, com" è noto, ricalca le orme segnate dal Petrarca nella let- tera al fratello Gerardo ( Fam. 10, 4 ).
(1) Il De LoUis ( Dante e i trovatori provenzali, in Flegrea 1, 321 ) lascia stare ora anche le pei-soni Reazioni e pensa alle meta- fore : • Allorché Dante, nella Vita Xova. volle render ragione del parlar figurato di un suo sonetto amoroso, ebbe a dire che 1' uso del linguaggio metaforico era stato un sacrosanto diritto dei poeti latini, e dovea esser ora dei poeti volgari '.
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158 // senso letterale e V allegoria
in questo paragrafo ad altre consimili personificazioni della T". A^. ' Ed invero, con la sua famosa digressione^ già pre- annunziata nella divisione del paragrafo 12, il poeta giu- stifica e chiarisce in fondo ben poca cosa ; e nessuno sa- prebbe dire perchè, a giudizio dello stesso poeta, questa sia la ' parte più dubbiosa ' della Vita nuovo, la personi- ficazione d' Amore nel sonetto Io mi senti' svegliar ; tanto dubbiosa da godere essa del benefìcio di cosi importante difesa, che, in linea subordinata, deve anche all' occorrenza correre in ajuto di qualche altra parte men dubbiosa del libello. Ma codesta benedetta figura non occorre nel pa- ragrafo 24 per la prima volta, e neppure nel paragrafo 12 ; giacché, senza guardare alle personificazioni dello ' spi- rito de la vita ', dello ^spirito animale ', dello ' spirito na- turale', che si trovano sulla soglia della Vita nuova] la personificazione d' Amore occorre continuamente fin dal primo paragrafo, e nelle rime fin dal primo sonetto. Per- chè dunque, questa del paragrafo 24 è la ' parte più dub- biosa ' del libello ? Perchè il poeta vuol solvere qui e di- chiarare quel dubbio che già avea fatto capolino altrove ? E se dubbio era, meritevole d' esser chiarito, perchè in- dugiò tanto a far valere i suoi diritti ? Come si spiega, d' altra parte, che il poeta si mostra cosi sollecito di sol- vere tale ingenua dubitazione, quando, anche secondo la sua sentenza, di dubbi e ben gravi nel libello vi è dovi- zia (')? quando egli stesso dice che teme di avere a troppi comunicato il suo intendimento pur con le divisioni fatte alla canzone Donne eh' avete ? Potrebbe forse pensarsi che il poeta faccia cosa ' simiglian- te all' opera di quello savio guerriero che combatte il ca- stello da un lato, per levare la difesa dall'altro, che non vanno a una parte la intenzione dell' aiutorio e la bat-
[i) Cfr. TX paraiirtìfi 7. 8, 12. 14, 15, '28, 33. 'òi.
La digressione delia VN. sulle personificazion} i:,<.i
taglia' ( Conc. 3, 10, Q^). Nel luogo della Vita nuova che il poeta con la sua digressione vuol chiarire, un dubbio ben più grave della personificazione d' Amore, s' affaccia a chi è certo ' persona degna da dichiararle ogni dubita- zione ', al Renier, per esempio ; il quale naturalmente e ragionevolissimamente si domanda ( Giorn. Mor. 2, 387 ) : * E perchè D., il quale impiega tutto il § XXV nello spie- gare perchè e come egli personifichi 1' amore, non suppone alcuna meraviglia nei lettori per il fatto della somiglianza della beatrice all'amore ? Come poteva esser simile un essere corporeo ad uno incorporeo, spirituale, allegorico?'
Ma forse qui appunto il poeta vuol mostrarsi * savio guerriero '. Un fine recondito par che abbia davvero quel dichiarare eh' ei fa la poco dubbiosa dubitazione proprio quando la ' gentilissima salute ' è chiamata ' Amore ', quan- do r ' accidente ' personificato dice che la * mirabile donna ' ha ' molta simiglianza ' con lui ; giacché, il voler far coin- cidere tale rapporto di somiglianza e tale identità di nome con la digressione sulla personificazione d' Amore, deve aver avuto gran part« nel consiglio di ritardare la solu- zione del dubbio del paragrafo 12 ; se non si vorrà diro j)iuttosto, che la digressione fu consigliata appunto dal- l' opportunità di creare quella coincidenza. Certo, non par verosimile che il poeta togliesse pretesto per ismaltire la sua erudizion letteraria, che non gli sarebbero mancate occasioni meno futili ; né pare probabile eh' egli si scalma- nasse tanto per giustificarsi, cosi tardivo, della personifi- cazione d' Amore, benché a prima giunta sembri eh' ei co- desto soltanto volesse fare. La gente grossa non era certo ' degna da dichiararle ogni dubitazione ' ; di chi, come Gui- do Orlandi, pensava ' Ch' amor sincero non piange né ride ', si era bene sbarazzato di sdegnosamente il suo primo amico.
E, a parte quella significativa coincidenza, altro in- sinuava più apertamente il poeta ; eh' ei derivava 1' arte
160 11 senso letterale e V allegorln
sua dai poeti latini, che, come ognun sa, erano interpre- tati allegoricamente. Ma se voleva parlar di allegoria, co- me pare evidente dall' ultimo periodo, perchè limitava le sue citazioni alle personificazioni ? Certo, il poeta nel più breve spazio possibile ( e il paragrafo 25 è il più lungo della Vita nnova ) volea citare il maggior numero di esem- pi ; certo, i miti dell' antichità classica erano considerati pure allegorie ; certo, allo stringer dei conti, di personi- ficazioni si tratta. Ma che intendiamo noi oggi per perso- nificazione ? Il nome forse è nuovo : pare che allora si chiamasse prosopopea ( cfr. Halm, Rhetores, pp. 15, 23, 72, 514 ), come anche oggi si continua a chiamar ' pro- sopopea o personificazione ' quella figara che ( cito dalle Istituzioni di Rettorica di Francesco Soave ) ' consiste nel dar senso, vita, discorso alle cose inanimate '. Dante, nel Coni-imo ( 3, 9, 14 ), tocca di tale figura così : ' E però mi volgo alla Canzone^ e, sotto colore d' insegnare a lei come sé scusare le conviene, scuso quella : ed è una figura que- sta, quando alle cose inanimate si parla, che si chiama dalli rettorici Prosopopea ; ed usanla molto spesso li poe- ti ' ('). Comunque sia di ciò, nella canzone dantesca Tre
(1) Filippo Villani, Coni. 144 * Mi si fu offerto. Prosopopeia est, seii.etopeia, que species est prosopopeie ; et est introductio alieiiius ad loqiiendum, et dicitur prosopopeia a prosopo, quod est persona, et poio pois qiiod est /ingo fingis. Et est confirmatio, seu e o n f o r - m a t i o nove persone, etiam si res inanimata introdiicatur ad lo- quendnm, ut illa : « Xux ego iuncta vie, cum sim sino crimine vite ». Ceterum ubi sermo ad rem inanimatam dirigitur, potius erit apo- sti'opha, ut : o lapis *. Frate Guidotto ( La Rettorica nuora di Tullio, traslatata di grammatica in volgare : ]N"annucci, 3/an. 2, 128 ) traduce» ' e o n f o r m a t i o ' con ' informare ' : ' Ed è un' altra sentenzia, che si appella informare, la quale ha luogo quando il dicitore pone una persona, che non è presente, che favelli siccome fosse presente, o una cosa che non può favellare, come fosse se favellasse '. Il Car- ducci chiama ( Op. 8, 247 ) ' prosopopea dell' Alighieri ' il sonetto che
La digressione della VX. sulle personificazioni km
donne inforno al cor, il Carducci stesso ( Op. 8, 106 ) vede allegoria : ' La contenenza gnomica di cotesta canzone si drammatizza nella forma allegorica. E V allegoria qui altro non è che la personificazione dei concetti astratti '. Or dun- que, la personificazione può talvolta espandersi in allego- ria ? ovvero, l'allegoria può talvolta assottigliarsi in per- sonificazione ? Pare invero di si ; pare che l' insister trop- po in una personificazione, o 1' uso continuo di personifi- cazioni, converta nei bozzacchioni dell' allegoria le vere susine della jìersonificazione. Allegorici sono chiamati tutti quei poemi che in fin dei conti, di allegorico non hanno altro che personificazioni, la cui favola sulle personifica- zioni ^i sostiene. D'altra parte, la personificazione lascia il nome alla cosa personificata ; e gli esempi addotti nella digressione della Vila nuora, non possono perciò conside- rarsi tutti semplici personificazioni. Insomma, se ' Giuno, ciò è una dea nemica de li Troiani, parlòe ad Eolo se- gnore de li venti ... e questo segnore le rispuose ', ben poteva il poeta vedere in quel colloquio un' allegoria ; sia- no pure personificazioni Giuno, ' cosa che non è ', ed Eolo, ' cosa inanimata ', come spiega il Casini ('). Del resto, for-
coinincia. ' Dante Alighieri son. Minerva oscura ', e ( p. 319 ) ' pro- sopopea della Musica ' il sonetto che comincia, ' Io son la teraa, più ^rata e faconda '. E bene abbiamo la famosa • Prosopopea di Peri- cle ' del Monti.
(') Boccaccio, Comm. 1, 250 'E questa s?dia della ragione es- sere nel nostro cerebro, e perchè quivi, ottimamente sotto maravi- gliosa fizione dimostra Virgilio nel primo dell' Eneida, dove dice : Aeoli a m venit: hic vasto rex Aeolus antro etc. ' Gc- iieol. ( trad. Betussi, Venetia 1581 : p. 215 v ) • Nondimeno sono di quelli che vogliono in questa fizzione di Virgilio che Eolo, il qual siede nella rocca, sia la ragione che nel celebro ha la sua sede, et i Venti siano gli istabili, et vani appetiti che nell' antro dell' human petto fanno tumulto \ Per 1" allegoria di Giunone, che * si piglia per la terra, et 1* acqua, et talvolta per Y aere solo ", vd. p. 113 ss.
162 // senso letterale e 1' allegoria
se è da distinguere personificazione da personificazione. Semplice personificazione potrà vedersi nelle parole : ( VN, 1, 29) 'D'allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la qual fu a lui si tosto dispensata, e comin- ciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria, per la virtù che li dava la mia imaginazione, che mi con- venia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. E' mi co- mandava molte volte eh' io cercasse per vedere questa angiola giovanissima, ond' io ne la mia puerizia molte volte r andai cercando '. Ma personificazione che ben po- trebbe dirsi allegorica, o addirittura allegoria, è nel so- netto A ciascun' alma presa, e nel sonetto Cavalcando V al- tr ier ; ed anche nel sonetto a cui particolarmente si rife- risce la digressione che al presente ci occupa ; nel quale si legge che Amore veniva verso il poeta cosi allegro, che era irreconoscibile ; che quell' ' accidente ' esortava il poeta a fargli onore ; che quella ' non sustanzia corporale ', ' in ciascuna parola sua ridia ' ; che quella cosa che ' non è per sé ' battezzava col suo nome monna Bice, perchè gli so- migliava tanto ! Il poeta per dir tutto codesto del suo ' ac- cidente in sustanzia ', dovea bene avere ' alcuno ragiona- mento ' in sé di quello che diceva, e domandato avrebbe ben saputo ' denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento '. Né veramente la digressione chiarisce codesta allegorica personificazione ; perché il poeta non denuda le sue parole e non ci mostra la vera sentenza ; ma si limita a giustificar con gli esempi dei poeti latini il suo parlar ' per figura '.
Non dice il poeta espressamente, ben é vero, eh' egli faccia liso dell' allegoria ; né che i poeti volgari, se non sono grossi e stolti, debbano usare allegorie, come vorrebbe il Perez : quanto a sé, apertamente mostra di voler giustificare, come dice il Carducci, la personifica- zione d' Amore e le altre personificazioni che occorrono
Im digressione detìa VS. sulle personificazioni 163
nel libello ; e quanto ai poeti volgari, ammonisce che chi vuoi fare allegorie, deve saper bene quel che fa, deve guar- dar bene a quello che fa (*). Nondimeno, sia da codesta ammonizione, sia da codesta giustificazione, sia dal luogo dove ammonizione e giustificazione occorrono, sia da altri indizi ; si potrebbe forse ben desumere che il poeta non tutto quel che pensava, dicesse ; che non quel che volea veramente giustificare, apertamente giustificasse; che l'am- monizione mirava a prevenire i possibili indotti censori della sua, non certo ingenua, storiella d' amore. E oltre a ciò, con quel po' d' apparato erudito mostrava lo studio, a cui egli attendeva, dei poeti latini, e il suo desiderio d'imitarli (-1. Egli dice che il suo Virgilio parla per fi- gura, cioè allegoricamente ( Conv. 4, 24, 94 ; 4, 26, 62 ) ; or pochi crederanno davvero che, quando scri- veva la Vita nuota, non sapesse o non volesse imitare il
(1; >iuii 1111 {(ir.- improbabile che aveRSt* di mira Danlr ila Ma- jano : il quale avoa giudicato ( son. Di ciò che stato sci ) inesplica- bile e pazzesca l' allegoria del sonetto A ciascnn' alma presa : • Sol e* hai farneticato, sappie, intendo ', sentenziava il Majanese, lardel- lando la sua insolenzij di triviali volgarità. Tuttavia, a una vera- mente strana e stravagante visione enigmatica del suo burbanzoso 0 villano omonimo ( son. Prorredi saggio ), pare che il poeta rispon- desse, dichiarandola allegoricamente, con molto garbo ( son. Sarete giudicar: vd. però Scherillo. Ale. cap. 241 n; e cfr. Carducci, Op. 8. 42 ss); sebbene non senza qualche punta di fino ironia, aneht- a giudizio del Carducci e dello Scherillo.
(2) Cfr. VE. 2. 4. 2 e 7. Cr,isp:iry. St. 1, 2l(j • La poesia vol- gare, aspirando a mettersi alla pari con la latina, dovette, dal canto semplice e spontaneo, com' era stata nella bocca del popolo e ne' poeti aulici di amore, divenir proprio quello che si ritenea fosse la poesia latina. Essa divenne una scienza, come il medio evo appellò sempre la Poetica, offrì il vero nel manto del- l' immagine, come la Bibbia e la poesia latina, e richiedeva quindi lo stesso metodo d" interpretazione ".
164 II senso letterale e V allegorìa
suo prediletto poeta che nelle personificazioni retoriche ; che non ammirasse altro nel suo ' autore ' che colori re- torici ; che altro non togliesse dal sno ' maestro ' pel ' bello stile ' che quelle figure di cui s' infioravano anche le rime degli stolti e dei grossi ; quelle figure, delle quali certa- mente non si era aspettato che la nuova scuola fiorentina, dietro gli esempi dei dottori di Bologna, volgarizzasse 1' u- so ; quelle figure, che non si vede bene, in fin dei conti, di che dovessero esser denudate per aver verace intendimento.
Un' altra osservazione sullo stesso luogo della Vita nuo- ta avea creduto poter fare il Perez, la quale ci condur- rebbe senz' altro ad affermar recisamente, che il non forse a torto torturato libello è il racconto d' un amore allego- rico ; e cosi il Carducci bene armò la sua nota di un' al- tra confutazione, la quale alla sua volta ci condurrebbe senz' altro a negar recisamente, che nel certo non ingenuo libello vi sia ombra d' allegoria.
Diceva il giovine critico ( VN. 25, 31 ): ' E 'l primo, che cominciò a dire si come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d' intendere li versi latini. E questo è con- tra coloro, che rimapo sopr' altra matera che amorosa ; con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d' Amore '. Il Perez vorrebbe che la pa- rola ' materia ', nel linguaggio scolastico e quindi dantesco, valesse ' per l' appunto quello che oggi diremmo apparenza o forma esteriore '. Il Carducci ragionevolmente obbietta che la parola ' materia ' occorre in De Vulgari Eloquentia (2, 2 ) e nella stessa Vita nuova ( 17, 6 ; 18, 45 e 48 ), nel significato che ha nell' oraziano ( ad Pis. 38 ), ' Sumite ma- teriam vestris, qui scribitis^ aequam Viribus ' (') ; e con-
(t) Cfr. VE. 2, 4, 3. iS'ella Vita nuova la parola 'materia' oc- corre anche nel significato di ' cagione '. ' motivo " : ( 8, 42 ) ' Poi che
Il rimar sopra materia amorosa 165
chiude: ' Quando scriveva il l'olytd'e EliH^a io. Dante nella maturità delle sue forze, Dante che aveva già composto le tre canzoni della Rettitudine , sentiva di poter allargare, se non altro con 1' esempio suo, i limiti della nuova poesia ; e per ciò le proponeva la triplice materia della salute pub- blica, dell' amore, della virtù. Dante ancor giovine e non ancor sicuro di se, teneva co' più de' suoi contemporanei che le rime volgari non potessero avere altra materia, al- tro argomento che amoroso, essendo i più nobili argomenti degni di sola la poesia latina : tant' è vero che incominciò a verseggiare in latino un di quei concetti primordiali di quel tutto che fu poi la Dicina Commedia ' (*).
Nessuno, senza dubbio, può non trovar giusta 1' ob- biezione del Carducci. Ma forse dall' interpretazione d' una parola non si può cavare tutto quel costrutto che egli vor- rebbe cavare, come non si può venire neppure alla con- clusione esorbitante del Perez. È certo che * la litterale sentenza sempre è suggetto e materia dell' altre, massima- mente dell'allegorica' {Conc. 2. 1, 89): A cprto che le
hiù data matera al cor doglioso, Ond' io vado pensoso. Di te bla- smar la lingua s' affatica ' ( vd. anche 13, 36 e 47 ). Al passo di Guit- tono ( Xannucci. Ma». 2. 152 ), • Perchè non ho materia di tut- ta gioia?' mi par che faccia eco il dantesco, ' Perchè non sali il dilettoso monte. Ch' è principio e cagion di tutta gioia?' Sarebbe ozioso citiire qui i luoghi delle altre opere di Dante, dove la parola * materia ' occorre nei suoi significati ordinari.
(•) Cfr. D' Ovidio, Saggi enfici, IS^apoli 1878: p. 851 s: De LoUis. in Flegrea. 1. 322 s-s. È notevole che, anche in tempi non molto dai nostri lontani, si discuteva ancora suU' attitudine del nostro volgiire a trattar certi argomenti. La lingua italiana venne, per cosi dire, di se- colo in secolo regolarmente promossa per anzianità, di grado in grado ufficialmente abilitata ad esprimere concetti d' ordine sempre più ele- vato. Il Boccalini {Ragguagli di Parnaso, 73) c'informa che Apollo, a malgrado d' una ' gagliardissima istanza ' dei letterati italiani, non volle mai concedere alla lingua italiana di trattar cose di filosofìa.
166 II senso letterale e V allegoria
canzoni allegoriche del Convivio sono '^d' amore materiate ', che la ' materia ' della canzone Voi che intendendo è ' amo- rosa ', come ' amoroso canto ' ( Purg. 2, 107 ) è la canzone Amor che nella mente ('). La canzone Le dolci rime d' a-
(1) Epist. Kaiii, 10 ' Differt ergo [ comoedia ] <a tragoedia in ma- teria per hoc, qiiod tragoedia in principio est adrairabilis et quieta, in fine sive exitu est foetida et horribilis . . . Comoedia vero inehoat asperitatem alieuius rei, sed eius m a t e r i a prospere terminatur . . . Et per hoc patet, quod Comoedia dicitur praesens opus. Nam si ad m a t e r i a m respieiamus, a principio horribilis et foetida est, quia Infcrnns ; in fine prospera, desiderabilis et grata, quia Paradisns '. Della Lana, 1, 103 ' La prima cosa ... è da notare la m a t e r i a 0 V e r o s u b i e 1 1 o della presente opera, la quale è lo stato delle anime dopo la morte '. Sennonché, mentre 1' epistola canina chiama bensì ' subietto ' 1' argomento così del senso letterale come del senso jiUegorico ( 8 ' His visis, manifestum est quod duplex oportet esse snbiectiim, circa quod currant alterni sensus. Et ideo videndum est de subiecto huius operis, prout ad literam aceipitur ; deinde de su- biecto, prout allegorice sententiatur ' ), ma non chiama ' materia ', co- me pare, che il solo argomento del senso letterale ; il Della Lana invece non fa alcuna distinzione, e chiama ' materia ' 1' uno e 1' al- tro ' Bubietto ' : ' Un altro modo, egli dice, può esser considerando la materia o v e r o s u b i e 1 1 o d' essa : cioè lo uomo lo quale per lo libero arbitrio può meritare overo peccare '. Ma veramente, benché il Della Lana collimi in questo particolare con 1' Epistola ( 8 ' Est ergo subiectum totius operis, 1 i t e r a 1 i t e r tantum ac- cepti, status anima rum post mortem sirapliciter sum- ptus ... Si vero accipiatur opus allegorico, subiectum est h o - mo, prout merendo et demerendo per arbitrii li- bo rtatem lustitiae praemianti aut punienti obnoxius est ' ), non dice espressamente che dei due modi di considerare la ' materia o- vero subietto ' della Commedia, V uno riguarda il senso letterale, 1' altro r allegoria. Si poti'ebbe però osservare che il poeta nel Co«- Vìvio ( 1, 1, 104 ; 1, 2, 122 ), scrìvendo che le sue canzoni sono ' si di amore come di virtù materiato ', e poi che ' non passione ma virtù si è stata la movente cagiono ' di quel rimare ; intese forse chiamar ' materia ' il ' subietto ' così del senso letterale come del senso allegorico.
Il rimar sopra materia amorosa 167
iiivr, iiLii è certo di mateiia auiorosa, giacché ■ non eia buono sotto alcuna figura parlare ' ; nondimeno la figura e r amorosa materia non sono del tutto bandite, grazie a quella specie di cornice allegorica, materiata d' amore, in cui s' inquadra la materia dottrinale ('). D' altra parte, una
(1) Non pare si possa negar che il poeta allarga nel De Viil- gari Eloqaentia i confini della poesia volgare segnati nella Vita nuo- va. Xondiint-no. la contrndizrono appare a primo aspetto più stri- dente di 4U«'l che in realtà forse essj» non è. Nella Vita nuota si tratterebbe d' un' affermazione troppo assolnta e troppo recisa, con- sigliata dall' opportunità, ed includente un sottinteso, per giunta : nel De Vn/f/firi Eloquentia invece, d'una classificazione dottriiiiili-. che, a ben considerare, non è fatta che per soggetti, degni, per cosi dire, di materia poetica : poichò, giova notare, la voce • mate- ria ' occorre, non nel testo, ma nella didiiscalia del capitolo ( VE. 2, 2 ). E ben potrebbe la ' materia amorosa ' di cui parla la Vita nuova, abbracciare anche la Virtus e la Salus, o pel fatto dell' al- legorìa, o pel fatto del solito accenno a madonna, consuetudine tro- vadorica. anche in rime di contenuto non amoroso ; o pel fatto del parlare a ' donne innamorate *, anche in rime di contenuto dottri- nale, com' è il caso della canzone Doglia mi reca, citata in De Vul- gari Eloquentia per la Rettitudine : la quale canzone, come anche l'altra Poscia eh' Amor, è tutta di motivi amorosi risonante. An- che a proposito della Divina Commedia si potrebbe forse dire che la visione dantesca, nella sua impostatura, non è che la rappresen- tazione d' un rapporto amoroso verso madonna, che il mistico viag- gio non è, come infatti dice il Del Lungo ( Dal sec. 331 ), che un • aiTivare ' alla donna della Vita nuova, alla donna delle rime del nuovo dolce stile d' amore. Si chiarirebbe cosi qualche curiosa cir- costanza, si toglierebbe via 1' occasione a qualche dubbio o incer- tezza, e non ci sorprenderebbe qualche omissione. Se, come si vuole, il poeta avea sulla coscienza tante rime d" argomento suppergiù e- rotico (e in VE. sono citate: le due sestine pietrose, Al poco giorno e A mor tu redi ben : le canzoni Donna pietosa. Donne che avete. A - mor che nella mente. Amor che movi, e Traggemi de la mente Amor la stiva [■? VE. 2, 11, 3]), nonché l'erotico libello, si proclamava egli cantore della Rettitudine per le tre canzoni dottrinali ( solo due citate in VE. : Doglia mi reca e Poscia eh' amor ) ? Ci tispcttorenimo
168 II senso letterale e V allegoria
poesia amorosa che non abbia intendimenti allegorici, è materiata d' amore, ha per ' materia ' amore, appunto co- me quella che, materiata allo stesso modo, ha tutt' altro intendimento. Un' astrazione può esemplarsi in questa o in quella materia, e vige nella materia scelta dal poeta che parla sotto veste di figura, che rappresenta quell' astra- zione in un' allegoria. Un pittore, potendo in mille modi rappresentar la Pietà, incarna e materializza la sua idea in quelle figure che gli pare che meglio s' attaglino al suo concetto, o che meglio sa disegnare e colorire, o che più predilige, o che i compratori più prediligono. Pel poeta, poniamo, la materia sarà 1' amore, e specificatamente gli effetti della presenza dell' amata, la dolcezza del saluto, la lode della sua donna ; se egli vi farà circolar dentro r altro suo intendimento, se vi soffierà dentro il suo bra- vo senso riposto, la materia sarà sempre amorosa, ma sarà soltanto soggetto della sentenza allegorica, del verace in- tendimento ; se invece quella materia sarà come un basto- ne piombato, non sarà che il soggetto di se stessa, e sarà parimenti materia amorosa ; sarà, per dir così, materia i- norganica, come nell' altro caso sarà materia organica, an- zi animata. Tizio^ insomma, è sempre Tizio, sia che pensi colla sua testa, sia che si lasci suggestionare da Sempro- nio ; la materia amorosa è materia amorosa, sia quando non è mossa né commossa e nemmeno molestata dall' al- legoria, sia quando ubbidisce all' ascosa verità e si atteg- gia secondo i voleri dell' altro intendimento. Or se il poeta non concedeva che si potesse rimar sopra altra materia
anche nel De Vulgari Eloquentia, come vediamo in altri casi, una esplicita ritrattazione della teoria della Vita nuova. A me pare, in- somma, che si vogliano stringer troppo i panni addosso al poeta, senza tener conto neppure dei motivi che gli avranno potuto dettare e r affermazione forse maliziosa, e la classificazione certo dottrinalo.
// rimar sopra materia amorosa im
che amorosa, è naturale che di quella materia dovea ser- virsi chi volea parlar veramente d' amore, come chi volea parlar d' altro ; con questa differenza, che chi volea parlar d' altro, doveva assumere la materia amorosa come veste indossata dalla verità che volea significare ('). Sennonché, codesta verità dovea esser tale, o dovea esser concepita come tale, che non fosse troppo goffa in quell' abbiglia- mento ; epperò, se la materia amorosa non rappresentava un amore reale, un reale sdilinquimento erotico, la ' sen-
(*) !Xon molto lontano dal yom pam-bbo il Rospotto, ohf il poe- ta, con la sua mansiina che ai tirava dietro anche una censura, vo- lesse riprovare lo dissertazioni e le prediche in versi di Guittone : mostrando coli' esempio che ben si potea cantar di Dio, cantando di madonna o a madonna. Xon sarà invero s<^nza sijrnifìcato il fatto che del religiosissimo Dante non una canzone, non un sonetto ab- ì)iamo d' argomento religioso. Comunque sia di ciò, certo non solo Guittone meritava quella tiratina d' oi'ecchi. Voleva Dino Compagni, por esempio, aver dal giudico Lapo Saltarelli un parere legale? e naturalmente poneva mano a un sonetto. E cantava il cliente (vd. Dol Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-80: 1. 327 ss ) : • Per Dio. me date una sentenza vera D' una quistion leg- giera Ch' è nata di diritto maritaggio '. Una donna ebbe tre ma- riti, r un dopo r altro ; un figlio del primo letto e una figlia del terzo letto : e mori. Il terzo marito, rimasto vedovo, sposò un' altra donna, dalla quale ebbe un' altra figlia ; e morì anche lui. La que- stione ò intorno ai beni dotali. ' A questa dote ogni figliuol s' api- glia. Dal primo al terzo, com' avete udito : Ciascun si crede aver dritto pulito. Piacciavi dir se torto vi somiglia'. Rispondeva per le rime U ' sommo saggio di scienz' altera ', messer Lapo : ' Vostni quistione è di sottil matera ' ; e. fatto lungo preambolo per salvar la modestia e gi-atificar di qualche reverenza Dino, • d' ingegno lu- men» ', risolveva brevemente e in fretta ' la sottil matera. Di ra- gione stranerà ', cominciando : • Dico dunque che '1 caso è difinito ' : suppergiù come il dottore Azzeccagarbugli diceva a Renzo; e forse anche il Saltarelli come U suo tardo plagiario, non aveva ben capito {li che si trattasse. Ma vedete un po' che generazione di rime anda- vano escogitando quegli uomini gravi di mercatiinzio e di toghe !
170 II senso letterale e V allegoria
sibile dilettazione ', insomma ; ma da qualche contrassegno dava indizio d' altro intendimento ; l' ascosa verità non poteva essere altro che an amore allegorico. Sicché a ben riguardare, la materia amorosa, anche quando era soggetto della sentenza allegorica, d' amore a ogni modo veramente parlava, e poteva sempre ben dirsi materia d' amore.
Se così stanno le cose, come a me veramente pare che stieno, dal luogo controverso non e' è da cavare gran- de costrutto per l' intelligenza della Vita nuova. Giacché, appunto questo è da dimostrare, che le rime e la narra- zione del libello siano ' suggetto e materia ' della sentenza allegorica, d'una qualunque sentenza allegorica, che critici autorevoli non vogliono ammettere ; ovvero, che rime e narrazione non siano ^' suggetto e materia' di niente altro che di quello che letteralmente dicono, perché quello che dicono letteralmente è verosimile, e non richiede altro in- tendimento, e non accenna in nessun luogo e in nessun modo a sensi riposti. Dall' essere il libello materiato d' a- more, non si può certo dedurre, né che il verace inten- dimento del poeta fosse quello di raccontarci la singolare istoria del suo amore per una donzella o per la moglie altrui, né che la vera sentenza del libello sia 1' amore per un' astrazione. Da ben altro che dall' interpretazione della parola ' materia ' potrà aver soluzione il secolare problema della Vita nuova.
Ma sarà bene a ogni modo notare, che par poco pro- babile che quel precetto, non forse senza intenzione così assoluto ed esclusivo, sia venuto per caso e quasi di sop- piatto ad adagiarsi nella dotta digressione giustificativa della personificazione d' amore.
LE RIME E IL RACCONTO
DF.U.X VITA NrOVA.
1.
Grande sarebbe la delusione di chi si accingesse a leg- gere, spoglio d' ogni commento, il giovanile libello del ' pazzo d' amore ' ; senza aver niente delibato e senza nien- te sapere di quella critica lattiginosa che investe oramai la Vita nuoca come torrente eh' alta vena preme, ma pur col presupposto di trovarvi la storiella d' una passione a- niorosa, o almeno un poetico e sentimentale racconto d' u- na platonica passioncella romanzesca. Però che questo, allo stringer dei conti, è il costrutto del giustamente giudicato 'terribile' libello. 'La gloriosa donna de la mente', 'da molti chiamata Beatrice, li quali non sapeano che si chia- mare ', ' dal principio del suo nono anno ', 'apparve' a un fanciulletto di quasi anni nove, ' vestita di nobilissi- mo colore umile ed onesto sanguigno ' ; e 'in quel punto ' grande fu il commovimento e conturbamento dei novenni ' spiriti ' del miracoloso ragazzo ; i quali, certo compresi della gravità del momento, emisero sentenze la- tine. Dopo nove anni appunto, né un giorno di più, ne una notte di meno, codesta gloriosa donna 'apparve'
172 Le rime e il racconto della Vita nuova
un' altra volta all' oramai giovinetto suo muto spasimante, * vestita di colore bianchissimo, in mezzo di due gen- tili donne, le quali erano di più lunga età ' ; e in questo secondo ' a p p a r i m e n t o ', salutò il suo trasognato a- doratore ' molto virtuosamente '. Per una strana, certo non combinata, combinazione, ' V ora che '1 suo dolcissimo sa- lutare giunse, era fermamente nona di quel giorno ; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire agli orecchi ' del per nove anni troppo paziente e poco esigente innamorato ; a costui ' parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine'. Ma tutto finisce quaggiù, anche la inebriante dolcezza del saluto ! Dopo alquanti anni, la ' gentilissima salute ', la ' donna della mente ', la ' distruggitrice di tutti i vizii e reina de le virtudi ', senza evidente e sufficiente ragione, ' passando per alcuna parte ', ' negò ' al suo malcapitato amante co- desto ' suo dolcissimo salutare, nel quale stava tutta la beatitudine' di quel poveretto, certo di non ecces- sive pretese ; e per giunta, in una prossima occasione, quella ' cortesissima ' sua e d' altri Beatrice, ' si gabbò ' di lui. In fine, non ostante tutto ciò, il sempre, e allora più che mai, infiammato e singolare giovine, pose tutta la sua 'beatitudine' 'in quelle parole ' che fossero lode della gentilissima e cortesissima che lo avea, senza dubbio cortesissimamente e gentilissimamente, schernito ; e non cercò più altro.
Su codesta tenue tela, nella quale si son vedute ' le solite vicende di cui s' intense la vita degli amanti ' ; su codesto semplice canavaccio, che non ha impedito di fare un giovine Werther del giovine Alighieri ed una Carlotta di Beatrice, che non ha distolto dal pensare a Giulietta e a Romeo, che non ha sconsigliato di scomodare Giorgio BjTon e Gian Giacomo Rousseau ; brillano i trapunti di parecchie considerazioni, i ricami di alcuni episodi che di-
Im materia delta VK. e V adattamento delle rime i/B
rettamente o iiminLtamente si licuiuiettuiio all' amor del poeta, i dipinti di sogni e visioni. Ed è certo cosa ben sin- golare e caratteristica questa : in un racconto d' amore così impalpabile e così fuori dalle contingenze della vita, mentre si tace perfino del luogo dove codesto amore così stranamente nacque e in modo così inverosimile si nutrì, vi sono, quasi per accrescer perplessità nel lettore, alcune indicazioni cronologiche cosi precise che, se da una parte non pare giusto attribuirle a un semplice capriccio di fan- tasia, dall' altra parte sembra che sieno, sotto un certo ri- spetto, poco consonanti con l' intonazione generale del libro. E sarebbe forse indagine non priva di positivi risul- tati instituire un confronto tra le rime e la prosa della Vita nuora, e veder se quelle rime avvalorino e confermi- no la notizia della prosaica narrazione, se siano documenti che in certo modo forniscan la prova dei fatti narrati. Giacché, venute alla luce prima della composizione del li- bello ; coeve alle vicende amorose che, come dice la prosa, furono propizia occasione di quel rimare ; frutto, la mag- gior parte, dell' ispirazione d' un tempo in cui il poeta non si era ancora, secondo ogni probabilità, spinto col suo a- more verso le nebbiose latitudini del misticismo ; potreb- bero, anzi dovrebbero, esse rime appunto fornir la più si- cura testimonianza della storicità del racconto, o per me- glio dire, del nocciolo storico del racconto. Ma se, per con- verso, le rime non conservano traccia di quei fatti, se la prosa mostra ritorcimento del primitivo significato delle rime e adattamento a un nuovo e molto posteriore dise- gno organico, e attribuisce talvolta alle rime allusioni così lontane che, a malgrado delle dichiarazioni e delle indica- zioni fornite dallo stesso poeta, non si riesce a vederle punto ; a me pare che si possa dir quasi con certezza che quei fatti sono finzione posteriore, e che il libello è stato messo insieme, sia nella scelta delle rime, sia nel loro ri-
174 Le rime e il racconto della Vita miova
torcimento e adattamento, con intendimenti affatto estra- nei alla concezione delle rime stesse (').
(*) Facevo appunto tali considerazioni o tali raffronti, qnanclo in ima bella conferenza del Flamini, pubblicata nella Eicista d' Italia del 15 giugno l%dfi.{ Dante e lo stil nuovo, p. 230 ), lessi le seguenti parole che mi confermarono nel mio sospetto. ' La Vita Nova è . . . come il preludio o il preambolo della Commedia. Mossa insieme o ordinata mentre l' idea del gran poema si dovea venire a poco a poco determinando e già forse anche disegnando nella mente del- l' autore . . . , la Vita Nova inserve a un alto ed unico concetto, e, di conseguenza, delle rime dantesche già prima « divulgate tra le genti » sol quelle trasceglie ed ospita, che allo svolgimento graduale di codesto concetto o fossero congenite o potessero in qualche modo adattarsi. Poiché ... il cantor di Beatrice ... ha proceduto a un pen- sato lavorio, oltre che di selezione, di adattamento ... In tal guisa più d' un componimento poetico antecedentemente scritto, 1* Alighie- ri, nel mettere insieme la Vita Nova, ha tratto ad una significazio- ne alquanto diversa, o si è sottilizzando ingegnato di dimostrar gra- vido di riposti sensi, d' allusioni segrete, che non contiene, dappoi che, dettandolo, 1' autore certo non vi pensava neppur per ombra. ' Sennonché, il Flamini si tiene ben lontano dalle conclusioni a ciii mi pare si debba venire da tali premesse. ' Quest' adattamento, egli scrive, com' è naturale, in ispecial modo si riferisce ai particolari di fatto, connessi all' occasione o alla materia di quelle rime, a cui nella parte prosastica si accenna ; ciò che di molte cose, s' io non m' in- ganno, vale a renderci ragione, le quali, come inverosimili, appar- vero al Bartoli e ad altri seri indizi per negare la realtà sto- rica dell'amore di Dante'. Ma forse cade qui anche il Fla- mini nel solito equivoco di confondere e scambiare il problema sto- rico degli amori, diciamo così, reiili o sensuali di Dante, con la que- stione dell' amore di cui parla la Vita nuova. Il Bulle ( Dante ' s Bea- trice, vd. Giorn. stor. 17, 131 s ), come vidi poi, aveva già fatto sup- pergiù le stesse osservazioni del Flamini, ed era incorso nello stesso inconveniente. E osservazioni simili a quelle del Bulle e del Flamini, fece più tardi anche lo Scarano {Beatrice, 67 ss). Affatto gratuita l'af- fermazione dell' Earle ( VN. di D.7S): ' non vediamo, egli dice, nessuna ragione per credere che la Vita Nuova fosse una compilazione di poe- sie già composte, ma riteniamo piuttosto che le poesie fux*ono scritte ciascuna per il posto che adesso occupa, eccettuato il primo sonetto. '
Il 8on. A ciasctin' alma presa 175
Esaminiamo dunque le poesie della prima parte della Vita nuoca, per la tesi della realtà certo la piìi importante, nella quale il D' Ancona vede ' Amori giovanili e Rime sulla bellezza fisica di Beatrice '.
Primo Bonetto. A ciascun' alma presa e gentil core ( VN. 3 ). Do- po nove auni <li muta adorazione, il poeta udì la prima volta le pa- role di Beatrice nel ricevere un saluto. Come inebriato si partì da le genti, ricorso al solingo luogo d' una sua camera, e si pose a pen- sare d«'lla cortcsiKsima. (^li sopraggiuns«> un soave sonno, nel qiutle «rli apparve una maravigliasji visione. Svegliatosi, propose di farla sc>ntire a molti, fumosi trovatori in quel tempo, e scrisse il sonetto. Xel quale però, manca (putlunque accenno al saluto: manca 'la ne- bula di colore di fuoco ' ; non è detto che Amore parlasse, e che nelle sue parole dicesse * molte cose ' che il suo fedele * non inten- dea, se non poche ' : non è detto che madonna dormisse ' nuda ' nelle braccia d'Amore: né che il "drappo*, in cui • parea involta*, fosse • sanguigno " : né che 1' amoroso sognatore conobbe eh' essa era * la donna de la salute*, o ch'era Beatrice: cose tutte codeste che si leggono nel racconto in prosa. In fine, che Amore se ne gisse con madonna ' vei*8o il cielo ', è pure un accomodamento alla chetichel- la, molto significativo, della prosaica ' ragione '.
Se nessuno dei ' risponditori ' intese allora il sonetto, e se, come dice il poeta, ' ora è manifestissimo a li più semplici ', non è già da supporre che allora per intendere quella visione fosse necessaria la divinazione del futuro. Gli è che il nuovo intendimento non poteva t'sser veduto allora per alcuno: e quel che alcuno poteva allora ve- liere, non dovea scostarsi troppo da quel che il poeta avea voluto significare con la concezione allegorica del suo sonetto. Il posterio- re adattamento e 1* amplificazione simbolica di quella visione, mi- rano evidentemente a dar valore di profezia a quel sogno che il ])oeta aveva inventato per proporre ai fedeli d* Amore, secondo il vezzo di quei tempi, una specie di indovinello sul motivo, non nuo- vo, del cuore mangiato : né il saluto, o la donna deUa salute, o la gentilissima «Uute, c'entravano per niente in quella finzione d'an-
176 /^e ì'ime e il racconto della Vita nuova
tropofagia amorosa (*). Certo, è ragionevole pensare che, se nessuno dei • risponditoi'i ' ha proprio colto nel segno, o 1' uno o Y altro si sarà bene avvicinato alla prima e vera intenzione del poeta ; o forse, parte 1' uno e parte Y altro, avranno ben dichiarato il sonetto pro- posto. Nessuno vorrà dare oggi ragione allo sguajato ed insolente Majanese, che delle sue insolenze e sguajataggini, d' altra parte, non aveva allora, come non si ha mai, ragione alcuna. Comunque, resta bene assodato che il grande avvenimento dei diciott' anni, il saluto della donna della salute, non riceve conferma dal sonetto ; il quale, nella prosa esplicativa, con opportuno amplificazioni, assume nuovo 0 più profondo significato allegorico.
La nebiila di colore di fuoco, il drappo sanguigno, il cuore ar- dente, sono forse simboli di queir ' incondium amoris ' dallo cui fiam-
(*) Codesto motivo del saluto di madonna, entra Invece In molte altre rime di Dante, Pare motivo dello stil nnovo, e quindi delle nnoie rime ; certo, dal rimato- ri del nuovo dolce stile assai sfruttato. Lapo Gianni (ball. Amore, io non son degno ), a tanta grazia di madonna, pare uscito davvero fuor d' ogni grazia di Dio. Guido Gulnlcelll invece (son. Lo vostro bel saluto), forse per la complica- zione dei • gentil guardo ', rimaneva * come statua d' ottono *. Il D' Ancona vor- rebbe leggere, nel luogo della Vita nuova, ' la donna delle salute ', cioè ' del sa- luti ' ; non escludendo tuttavia che vi possa essere ' doppia significazione e al- lusione alla virtù saiutlfei-a della donna amata '. Osserva 11 Renler ( Giorn. stor. 2, 372), che non è certo "bella cosa il cliiamaro una donna la donna dei saluti, quasiché il salutare fosse jier lei cosa abituale ' ; e gli sembra • che in quel plu- rale vi sia del biasimo ". Nondimeno, anche lasciando stare 1* emendazione del D'Ancona, la Beatrice della Vita nuova è davvero la donna del saluti. Quella mirabile donna non faceva che salutare, o dare salute, cioè saluti, di qua e di là. E quanto codesto costume della gentilissima fosse anche delle costumate fan- ciulle di quei tempi, si vede da questo luogo del Barberino ( Regg. 45 ) : 'E se le avvien, che con la madre sua Per alcun luogo passi. Non s' Inframmetta d' alcun salutare ; Ma cortese e soave, Facendo plcciol passi, e radi, e pari, Vada davanti a lei ; Non guardando sua spera. Né risguardando alcuno. Né dilettandosi nelle dande, che vede. Ma guardi, e pensi come onesta vada '. 3Ia mi dimenticavo che pel D' Ancona si tratterebbe d' una donna maritata. E la ■ donna Ideale ' del Renler, sarebbe per avA'entura 1" idealo della donna marita- ta ? O sarebbe codesta del salutare una delle due qualità ( l'altra sarebbe il gab- barsi, qualche volta ) naturali alla donna, senza tener conto del suo stato civile ? Che si dicesse poi, non solo // saluto, ma anche la salute o la saluta ( cfr. salu- lem dicere, salute data redditaque, prov. la salnts ), non è dubbio. E agli esempi nddotti dal D' Ancona e dal Casini, si può aggiungere questo del Barberino ( Do-
/ simboli dell' incendium amoris 177
me è por\'n«j» la letteratura mistica (*). Beno il Gorra ( La teorica ilrìV .ntiui-r , in /)/•. '• P. ^^ !\ •"• » insinua <-h'' il mantello allego-
CttM. 44) I : - Xò vo' eh* alcano Lsdegnl ; E per camln Me '1 maggior troverai. Da lunzi Inchinerai; E se *1 Aalnta. tu rispondi poi. Se 90. non dir da poi. Non vaglia la salute: eh' egli avviene Talor pensier ehe '1 tiene ; Basti ehe tu Al tuo debito fatto'. Del resto, è ehlaro che il giochetto anfibologleo era solo pos- sibile col doppio senso già consolidato della parola salute.
(•( Gregorio 3Iagno. Homiliac in Erang. 2, 30. 1 ■ Hodle namque Splrltus sanctus repentino sonitu super discipulos venit, mentesque carnaliam In sui a- morem permutavit : et foris apparentibus linguls IgneLs. intus facta ftunt corda flammantla: quia dnm Deum in Ignis visione susciplunt, per a m o • rem snavlter arserunt. Ipse namque Spiritns sanctus Amor est ' . 2, 90. 5 • Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi Mi ardeat f Terra enlm vo- cata sunt eorda terrena, quae dnm semper infìmas in se cogltationes eongerunt. a ninlignis spiritibus conculcantur. Sed ignem Dominus in terram mittit, cum afflatu sancii Splrltus corda carnallum incendlt. Et terra ardet. cum cor carnale in suls pravls volnptatibus frigidum. relinqait concupiscentias praesentls seenli. et Incenditurad amorem Del. Bene ergo in Igne ap- par ni t Spiritns: quia ab omni corde quod replet, torporem frigoris excutit, et
hoc in desiderium suae aeternitatis acceudit Vel certe In linguLs IgneLs ap-
l>aruit Spiritns. quia omnen quos repleverit. ardentes pariter et loquentes facit. Linguas igneas doctores habent : quia dum Deum amandnm praedicant. corda audlentium inflammant. Nam et otiosus est sermo doeentls, si praebere non valet incendium amoris. Hoc doctrlnae Incendlnm ab Ipso Verltatls ore eonceperant. qui dlcebant : Nonne cor nostrum ardens erat in no- bis, cani loqueretur in ria, et aperiret nobis Scriptnras f Ex andito qulppe ser- mone Inardescit animas. corporLs frigns reeedit : fit mens In superno desiderio .uixla, a concuplscentils terrenis aliena. Amor verns qni hanc repleverit. in f I e - tii)us cruciai; sed dum tali ardore cruciatur, Ipsls suLs crnciatlbus pasci- tiir". Mor. 25. 15 • Ignis in altari semper ardebit... Altare qnippe Del, est cor nostrum, in quo julwtur ignis semper ardere: quia necesse est ex Ilio ad Do- ininum caritatis flamniam Indeslnenter ascendere'. In Gregorio anche 1" Imma- ulne della dormiente nelle braccia del divino Amore: Expositio super Cant. cantic. 2. 8 • Sancta auteni anima sponsa ChrLsti a cnnctis mundi perturbai ioni- bus qnlescere appotit, in slnu Sponslsopitls terrenis cupldltati- I1US dormire sancto otto eoncnplsclt... Sed hanc dormlentem (-arnales qui sunt in Ecclesia nonnnmqnam importune excl- i:int, negotlls mandi eam Implicare deslderant*. Anche pel sa- luto, non sarebbe fuor di luogo guardare un po' nella Bibbia : Psal. 9, 16 • Exul- tabo In salutari tuo : 12. 6 Exultabit cor meum in salutari tuo ; 20. 2 Super sa- lutare tnum exultabit vehementer ; 23. 5 HJc accipiet benedlctlonem a Domino et mlserlcordiam a Deo salutari suo : 34, 9 Anima autem mea exultabit In domine, et delectabitnr super salutari suo ; 50, 14 Kedde mlhl laetitlam salutarLs tul ; 84, 10 Terumtamen prope tlmentes enm salutare Ipslns; 118, 41 Et ve- nlat super me misericordia tua. Domine: salutare tnum secundum eloqninm tnum; 81 Defecit In salutare tunm anima mea; 123 Ocnll mei defece-
178 Le rime e il racconto della Vita nuora
i-ico ( ' r amore che signoreggia V amante ' ), di cui parla un an- tico poemetto francese (vd. p. 249), 'potrebbe indurre a pensare che un significato allegorico abbia anche il drappo nel quale Amo- re tiene avvolta Beatrice ignuda nel primo sonetto della Vita Nuo- va \ Dante infatti ( se è di Dante il son. Savete giudicar, responsivo al son. Provvedi saggio ). i versi del Majanese,
Appresso mi trovai por vestlglono Cainlscia di suo dosso a mia parvenza.
cosi interpretava :
Lo vestimento asolate vera spene Che fla da loi. cui desiato, amore ;
cioè, come spiega il Carducci {Op. 8. 44). • Abbiate speranza vorace che il vestimento . . . sarà o sia simbolo significativo elio voi avrete amoro da parte di lei cui desiderato '. Il Barberino, in una canzonci discorrendo della forma da lui data ad Amoro, attribuiva significato allegorico al nudo ( Docmn. 800 ) :
Nudo 1" ò fatto per mostrar com'anno
Le sue virtù spiritual natura.
Non è compresa, ma comprende pura.
E poi per onestura,
Non per significanza il covre al(][uanto
Lo dlpintor di ghti-landa e non manto (*).
Ma forse non a tutti parrà giustificata codesta indagine sid si- gnificato allegorico del drappo e del nudo. Michele Scherillo, in una sua arguta recensione ( Bull. ns. 9, 180 s ), inserì la seguente ' chio- serella \ por ammonire, come pare, ' qualche critico timorato ' cho
runt in salutare tuum; 166 Expectabam salutare tuiim, domine; 174 Con- cupivi salutare tuum, domine ; et lex tua meditatio mea est '. VN. 11, 7 'E quand" ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d' Amore, distrug- glendo tutti gli altri spiriti sensitivi, pingea fori li deboletti spiriti del viso, e dlcea loro : * Andate a onorare la donna vostra > ; ed elli si rlmanea nel luogo loro. E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremore de gli occhi miei. E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amoro fosse tal mezzo, che potesse obumbrare a. me la intollerabile beatitudine, ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che '1 mio corpo, lo (juale era tutto allora sotto '1 suo regg;m?nto, molte volte si movea come cosa grave inanimata. Sì che appare manifestamente che no le suo salute abitava la mia beatitudine, la quale molte volte passava e redundava la mia capacitate '.
(*) Cfr. Petrarca, son. Non d' atra e tempestosa, '('loco non già. ma faretra- to 11 veggio ; Nudo, se non (luanto vergogna il cela ".
// drappo e il nudo iTìi
t^i s)iiiu1ali/znva di vodor madonna, nella vÌRÌono della i un nunia. dormir nuda nelle braccia d' Amore, e ' mulinav.-i allegorie e «im- boli sbalonlitivi '. Scrive dunque lo S<*lH»rillo : • Ho mostrato altrove ^Alcuni capitoli, p. 2B2-3) quftle fosse il modello orientai»» del so- pno dantesco : e ho anche richiamato qualche sconcia narrazione trovsuloresca di sojrni procaci ( 225 - 2B ). E ora, senza pretendere di giustifìcare il giovinetto Dante di quel suo guardare molto inten- tivo, sono al caso <!' aorjji ungere che il costume in cui ei sognò che Beatrice dormisse è un tocco realistico veramente* singolare e pò- tentti ; e tale da sgjinmire, esso solo, tutti i più fer>'enti — e ohimè, ce ne sono ancor tanti ! — investigatori o sognatori di simboli e d' al- legorie. Jfel sonetto aveva detto:
e nelle braccia area Madonna. Involta In nn drappo dormendo.
Il pudore è salvato dal drappo, che nella prosa è specificato san- guigno e leggiero ; ma poiché la bella dormente non s' ora accorta della presenza di quel Signore. « tanto che solo una camicia » aves- se potuto vestire, essa continuava nelle sue braccia a tranquilla- mente dormire nuda. Cosi appunto le donne ( e gli uomini altresì | dormivano a' tempi di Dante : o che fossero madri amorevoli, come quella della similitudine di Inf. XXIII, 38: o gentildonne capric- ciosette, come quelle ritratte in nn affresco della chiesa di San Luc- chese in Poggiijonsi. Quel costume molto semplice e primitivo, che richiamava sì vivamente colei « Il cui palato a tutto il mondo co- sta », era dunque cosi generale in Firense, che Dante non sospetta possji ai fedeli o agi' inf«xleli d'amore sembrare sconveniente che la sua gentilissima non vi si sottraesse ! ' Certo, codestii ipotesi del critico elegante ed arguto, condita della solita festività, è molto se- ducente. Sennonché, non avendo detto il poeta, nella rima presto divulgatii. che madonna dormiva nuda, non pare davvero che quel nudo aggiungesse egli nella prosa della Vita nuora, così esagera- tamente pudica ( vd. VX. 19, 121 ) e così immateriale, per la fisi- ma, giusto in una visione allegorica, del tocco realistico ; o per lo scrupolo, giusto questa volta, di non essere stato, nel sonetto, esat- tamente obbiettivo : preoccupato, come parrebbe, dalla considera- zione che la gloriosi» donna della mente, la donna della salute, non potesse. dormir nelle braccia d'Amore, se non come le donne del cuore e della perdizione nei soffici loro letti. E gli uomini altresì : ma Dante pare che allora dormisse vestito addirittura. Lasciamo
180 Le rime e il racconto della Vita nuova
stare i timorati e i collitorti, che sono poi quelli, per quanto io ne sappia, che più si riscaldano nell' adocchiare qua il ' nudo ' e al- trove la ' carne ' della vezzosa Bice : se allora tutti dormivano nudi ( ed anche ora veramente molti, specialmente in estate ), pare anche poco probabile che fosse il caso di notare tal generale costumanza nella dormiente gentilissima salute, non avendo altra intenzione che qnella del tocco realistico : ora un particolare codesto, che ognuno, senza speciale nota, avrebbe sottinteso da sé, anche nel processo verbale di un sopraluogo. Giusta mi pare invece l' interpretazione, che il ' drappo sanguigno ' fosse ' leggiero ' ; non già ' d' un leggie- ro colore sanguigno ', come chiosa il Giuliani, o ' di nna leggera tinta sanguigna, rosea ', come spiega anche il Casini ; il quale, col Giuliani e il D' Ancona, richiama il ' nobilissimo colore umile ed onesto sanguigno ' di cui apparve A'ostita la pretesa bambinella di otto anni al non ancora novenne servente (*). E potrebbe forse l' in- terpretazione dello Scherillo spianare la via a qualche altra sup- posizione. Se proprio è da leggere : ' ISTe le sue braccia mi parea vedere una persona dormir nuda, salvo che involta mi parea in un drappo sanguigno leggeramente ' ; e non : ' in un drappo leggera- mente sanguigno ', come legge qualche codice (**) ; credo che si possa
(*) VN. 1, 12; cfr. 39, 3 ' MI parve vedere questa gloriosa BeJitrlce con quelle vestimenta sanguigne, co le quali apparve prima a 11 occhi miei'. Per codesto sanguigno abbigliamento, sia detto di passata, Att. Luciani {La VN. preeed. da uno Studio critico, Roma 1883) si pose in cuore di rivolgere gli occhi del corpo e l' acume della mente alle pitture del trecento, e di verificare se le fanciulle di quel tempo vestivano qualche volta, come anche oggi, di rosso. E 1" esplorazio- ne pare che abbia condotto l'editore della Vita 7/no/'flr alla conclusione, che pro- prio le bambinelle allora tlgnevano il mondo di sanguigno. Ma vd. piuttosto Pnrg. 30, 33 ' Vestita di color di fiamma viva '. Anche la donna allegorica del Barberino {Eegg. 76), 'Veste sanguigna avea'; e la Fortezza (p. 350) 'per lo suo vigore ha rossa veste '. Caterina djv Siena scriveva ad una serva di Dio : ' Inebriatevi del sangue, saziatevi del sangue, vestitevi del sangue".
(**) Perchè poi II poeta dovesse aggiungere quel ' leggei-amente ' non ad ' In- volta', ma a ' sanguigno ', non si vede. Non determinava egli abbastanza la gra- dazione del rosso con la sola parola sanguigno ? O si dirà eh' egli voleva qui specificare il colore del sangue impoverito delle clorotiche ? Né il confronto col ' nobilissimo colore umile ed onesto sanguigno ' pare molto congruente. Gli attri- buti ' umile ed onesto ' non determinano una varietà di color sanguigno, ma at- tribuiscono umiltà e onestà a chi di sanguigno si veste, appunto come 1' attri- buto ' nobilissimo ' attribuisce nobiltà. Beatrice vestiva umilmente e onestamen- te e nobilissimamente di sanguigno : 11 color sanguigno non ei-a, insomma, che un contrassegno di quelle sue, cei'to non bambinesche, virtù. Nel paragrafo 39
Involta leggeramente I8l
c-uii qualche probabilità eongetturai'«. eiiu il pu«>t<i. avendo {>ii>tu nel sonetto che madonna era ' involta in un drappo \ e volendo poi dire invece che era ignuda, abbia trovato modo di conciliare il pia detto col nuovo intendimento, di iilentilìcare madonna involtai nel drappo, con la donna della salute ignuda ; aggiungendo ali* affermazione as- soluta, * mi parea vedere una persona dormir nuda ', una specie di limitiizione introdotta da un ' salvo che ', por farci entrare anche il drappo. Il quale, secondo la ragione, ' leggeramente \ appena ap- pena, involgea Beatrice, richiamando l' immagine di quelle vaghe ed eteree figurine ignude, avvolte il seno in un niml>o vaporoso e fiammeggiante di bende morbide. Il significato allegorico che pare abbia il drappo, avvolgente e non sanguigno, nel sonetto, sarebbe muditicato. anzi mutato addirittura, nella prosa, sia coli' aggiunta del sanguigno, sia colla nota del particolare nuovo, che esso drappo lasciava scoperta madonna; e cospirercibbe con la • nebula di colore di fuoco ' e col ' cuore ardente ', a simt>oleggiare V - incendium a- moris ' di cui abbiamo parlato. Al ' nudo ' poi, che manca nel so- netto, e che non senza ragione nella r off ione il poeta insinuò, io credo sia proprio da attribuire il significato allegorico a cui pen- sava il Barberino. Certo, tutto codesto ^ non è cosa che si porti in mano ' : tuttavia, che il poetii in codesti accomo<lamenti dovesse te- ner modi ambìgui, sembra cossi molto naturale. Certo, codesti pa- jono oggi, e forse sono, arzigogoli, stiracchiature, sottigliezze ; tut- tavia, giusta mi pare 1' osservazione del Rocca ( Mate Ida. nella rae- coltii Con Dante e per Dante. Milano 1808 : p. 9(j ), che • il simigli- smo è scabroso anche se trattato da Dante'; e non ingiustificato il suo sospetto, che ' i dubbi o i dissensi ' siano nati dall' aver lasciato ' tJ'oppo da parte ' * i simboli e le allegorie '. Forse talvolta, anche illustri maestri e critici sagaci come lo Scherillo, concedono il pa- trocinio del loro eletto ingegno a qualche pregiudizio che sia riu- scito a insediarsi con improntitudine fastidiosa nell' oramai ben tur- rito castello della critica.
Secondo il Renier ( Giorn. .ftor. 2, 39J ), i ' famosi trovatori ' non capirono niente della visione dantesca, 'perchè in quel sonetto era già presagiti» la beatrice celeste, che era fuori della loro maniera di concepire '. Del tutto cervellotica la ricostruzione dell' Earle ( VX.
infatti, le • restlmenta ' • di nobilissimo colore nniile ed onesto flan^lgno' sono semplicemente • sangmlgne ' : e nel paragrafo 9 si legge, che Amore 'apparve co- me peregrino leggeramente vestito".
182 Le rime e il racconto della Vita nuova
di Z>. 73 s ) : nel sonetto. Amoro sarebbe Cristo ; il pianto d' Amo- re, ' le lagrime di Cristo su Gerusalemme ' ; madonna, ' la Chiesa, la Sposa che obbedisce allo Sposo Divino, perfino mentre si ritira dall' ufficio impostole ' ; ed altro, altro eziandio. Nella prosa poi si vedrebbe un adattamento alla rovescia : ' Quello che nella conce- zione originale non era che una pittura emblematica di una men- tale attitudine, era adesso rivestito di storiche relazioni e di terre- stri contorni ; e 1' emblema di un' idea astratta si era trasformata in un personaggio concreto capace di figurare in un poema epico ', Come abbia fatto 1' Earle, che pure ha qualche buona osservazione, a trasferire nel sonetto quel che è della prosa, e nella prosa quel che è del sonetto ; a vedere in ' madonna ' del sonetto, ' la donna de la salute ' della prosa, e nella ' donna de la salute ' della prosa ' madonna ' del sonetto, io non saprei dire. Certo, non sempre lo buono marito fa la buona mogliera. Si vedano piuttosto le sennato osservazioni dello Scherillo, Ale. cap. 329 ss; del Gorra, Genesi, in Di', e P. 121 s; dello Zingarelli, Dante, 87 s. Riferimenti e con- fronti in D' Ancona, VN. 32 ss ; Benier, Giorn. stcr. 2, 375 s ; Sche- rillo, Ale. eap. 223 ss; Gorra, Genesi, 119 s (ma cfr. Eass. hibl. 8, 134 n 3 ), Non trovo però, che si sia fatto cenno di O-vadio ; il quale {Amores. 3, 5) ha proprio il racconto di un suo amoroso sogno sim- bolico, di cui anch' egli chiese il ' parvente ', ma a persone più com- petenti dei • famosi trovatori ', a qualche interprete di visioni not- turne ; e riferisce la spiegazione avutane (*).
Assai si sono sbizzarriti alcuni per trovare ' lo verace giudi- ciò ' del sogno del giovinetto, futuro splendore italico. Il Lamma, rinfrescando la congettura del Todeschini { Se/: 1, 328 ; cfr. D' An- cona F#. 28 ss. ) intorno alla data del matrimonio di Bice Porti- nari, argomentava ( Qnest. 77 ss ) : ' Se noi supponiamo che il ma- trimonio di Beatrice avvenisse nel 1283, il primo sonetto della Vita Nuova ci sembrerà alquanto più chiaro. Se Beatrice, sposa al De Bardi, amava Dante, non ostante che i vincoli di moglie glielo vietassero, è spiegato perchè Amore l' avesse colta addormentata, cioè in un momento in cui la sua ragione non po- teva illuminarla, e mostrarle, se non colpa, almeno il male che olla
facea concedendo questo amoro al poeta Amoro la svogliava per
farle pascere del cuore di Dante, cosa che olla paventosamente fa-
(*) Un'altra visione d" Amore nel sonno ( • si modo somnus eraf) In Rem. amor, 555.576.
Lo verace giudich 18^
c«-v... j„i,n,. ,,,.-.., Ila. amava tjuaiulo il sud aiuor»' poU-va i»st«ero una colpa. E così si spicca porche Amore fosst» alleorro prima, quan- do ciot* si sforzava iH far m:mjriaro a Beatrice il cuore di Danto, perchè è di sua natura e si compiaco quando può istigare in altri il suo fuoco .... ma piangeva allontanandosi da lei, perchè l'aveva costretti» ad amare quando altri vincoli non glielo permettevano, quasi e »» m <• disse ('ino. <; o m m i s e r a n d o Indonna che. anch' immi \n|,iiil<j. dovea purea- mare. Se è imp(>.ssil)ile ammettere che in questa visione si allu- (l»»srt«« alla morte di Beatrice, e o m e o p i n a v a i 1 C a v a 1 e a n -
1 i . -nltanto così spieghiamo le parole: // verace giudizio è ora
inaiiifrslo al/i pi» semplici, perchè la Vita Xuoca fu divul- gata nel 13 00. quando, cioè, quegli amori comin- ci a v a n o ,i d . - r. <• I- Il I) i i . !• Dante nel Convito dava ad intende- re che Beatrice era la figlia bellissima dell'Impe- ratore dell'Universo^ ( p. 79 * il Conrito fu scritto per nar- rare il suo secondo amore, nel quale la Bice Portinari è convertita nella eccelsa Beatrice " |. Con la hella ipotesi dunque, ch*^ Beatrice non volle sjdiitar Dante prima di andare a nozze con Simone, il Damma spiega il sonetto : e, oltre il sonetto, spiega, o si spiega, pa- recchie altre cost\ E il suo ragionamento potrebl>e forse, bene o male, andare, ed anche correre, se non fosse viziato da molte ine- sattezze ed errori di fatto ; di che il brano citato dà saggio noi luo- ghi segnati con 1' espediente srrafìco dello spazieggiare. Sennonché, il Damma, ripicchiando su codesto chiodo e confutando T interpre- tazione del Melodia (la quale, se non collima» colla sua, riposa sem- pre sulla stessii ipotesi iniziale, il matrimonio di Beatrice, cioè di Bice Portinari, avvenuto intorno al 1:2S3. che sarebbe poi anche data indiscussa del sonetto |, mentre ci ammonisce ( p. 112 s ) di la- sciare * andare, una buona volta, di spiegare questo sonetto con una certa superficialitìi e leggerezza ', ci annunzia eh* ei non ci tiene poi tanto alla sua trovata, ( p. 108 ) può ' anzi ammettere che sia ad- dirittura assui'da '. Sfondimene, la biografìa di Folchetto lo induce a domandarsi ( p. 115 ), ' perchè non si pnti\i supporre che Dante, sotto il celarne delti versi strani, alluda, nel primo sonetto della Vita Suora, al fatto stesso per cui tanto lui che Folchetto debbono ri- correre alle donne dello schermo '. Certo, con un poco di buona vo- lont?». tutto si può supporre. Ma giuste mi sembrano a ogni modo le osservazioni che a codeste inteiiiretjizioni del Damma e del Me- lodia, fa il Gorra ( Genesi, 114 ss ) ; come giustifìcatissima è lu breve
184 Le rime, e il racconto della Vita nuova
nota che vi dedica lo Scherillo {Ale. cnp. 330 ni). E forse tanto discutere non sarebbe mai stato, so si fossero più attentamente con- siderati i sonetti responsivi di Guido e di Cino ; e se si fosse, dal- l' altra parte, tenuto nel debito conto che il ' verace giudicio ', che ' non f uè veduto allora per alcuno ', non era propriamente quello espresso nel sonetto, che certo a un dipresso fu veduto o intrave- duto ; ma quello che volle poi al sonetto attribuire il poeta. Codesto • verace giudicio ', non» del sonetto, ma al sonetto affibbiato, sarà come si suppone generalmente, il presentimento della morte di Bea- trice ; e, nel senso allegorico, suppongo, il presagio dell' ascensione in cielo di Beatrice, del trasferimento dell' affetto del poeta dalle cose di questo basso mondo alle cose dell' altro, dagli schermi della Veritade, dai simulacri della Beatitudine, alla Verità ed alla Bea- titudine eterne, dalla Beatrice ' carne " alla Beatrice ' spirito '. E il pianto d' Amore, non nel sonetto ma nella prosa, avrebbe molta relazione e l'ispondenza colle lagrime che lo stosso dio, in un' altra visiono ( VN. 12 ), versava sul suo fedele, parlando, anche questa volta, ' molto oscuramente ", e dicendo queste parole : ' Fili mi, tem- pus est ut praetermittantur simulacra nostra '. Ma sia come si vo- glia di codeste congetture; certo, sarebbe davvero molto semplice chi volesse prender troppo alla lettera 1' affermazione del poeta, che ' lo verace giudicio del detto sogno . . . ora è manifestissimo a li più semplici '. Manifestissimo è invece, che il poeta prova come un' acre voluttà neir avvolgere nel mistero e nel dubbio chi legge, anche quando, anzi specialmente quando accenna a svelare il mistero e a solvere la dubbiosa dubitazione.
Non è giusto, come ha già avvertito lo stesso Scherillo ( Ale. cap, 329 ). dire che il Cavalcanti nel suo sonetto presentisse la mor- te immatura di madonna. J^el sonetto di Cino ( o di Torino da Ca- stelfìorentino ; vd. Scherillo, 234 ss; Rass. bibl. 7. 250: 8, 343: 10, 138 ; Bull. ns. 9, 46 e 204 ), Katnralmente chere, è spiegata così la vi- sione dantesca : — Ogni amante desidera naturalmente di far cono- scere 1' animo suo alla sua bella, desidera di manifestarle il suo a- more ; e questo significa quel dare a mangiare il cuore alla donna : la quale, prima di sapersi amata, non sentiva amore, non aveva al- cuno affanno amoroso, era corazzata contro i dardi d' amore : e que- sto è il significato della donna dormente avA'olta in un drappo. A- more si mostrava allegro perchè veniva a contentare il suo fedele, perchè conchiudeva felicemente gli sponsali, ' insieme due coraggi comprendendo ' ; ma poi, prevedendo lo pene amoroso che per cagion
// parcente di Ohio e di Guido 183
stia avi*ehbo avuto madonna, obbe piota di lei o piangendo se ne parti — . Codesta spiojrazione «• fal/antÌAKÌnia : il drappo avrebl)e 8Ì«rniJìcato del tutto oppoHto a quello che abbiamo indicato: ma l' in- tei-pretaziono di Tino confermerebbe il fatto, che madonna, nel so- netto dantesco, anziché ignuda, era tutUt chiusa nel suo drappo : qualche dubbio si potrebbe avere intorno alla spiegazione del pianto d' Amore, che non era eerto la nota predominante del sonetto, co- me vorrebbe insinuare il poeta nella ragione : ma ben potrebbe essere sUito quello di Cino appunto il pensiero di Dante nel pro- porre il suo indovinello. Guido invece ( son. Vedesti al mio parere ), intese meno bene la cosa, a quel che pare ; forse volle filosofeg- giare »in po' troppo, afelio due quartine mi pare vi sia suppergiù questo costrutto : — Se ò vero che Amore ti punse, che anche tu sei un fedele d' Amore, che anche tu sei de' nostri, me ne compiac- cio, pt'rché il signor valente, che governa il mondo tlelT onoit^. è nemico della gente nojosa, e dà valore, gioco, etl ogni bone. Insom- ma. 80 ti sei innamorato, bene sta. Questo pare dal tao sonetto ; giacché, proprio quel signore viene nei sogni ai suoi fedeli, e soa- vemente, senza far dolore, porta via i loro cuori — (*). Fin qui non vi è allo stringer dei conti, e si vedo ancor meglio stando alla let- tera, che un elogio del signor valente e una mezza interpretazione del cuore che il valente signore teneva in mano. Poi viene l' im- broglio :
DI te Io core ne portò reggendo Che Ih tna donna la morte chedea : Xodrilla d' esto cor. di ciò temendo.
Quando t'apparve che sen già dogllendo. Ku dolce sonno ch'allor si complea. Che "1 su* contraro la venia vincendo.
Recentemente il Federzoni ( Studi, 103 n ) mise fuori una sua in- gegnosa parafrit.si di code.sti versi che mette conto di riferire. • A- more vide che la morte ( e deve intendersi per morte bassezza e oscurità di vita, qual' è propria di quanti non hanno amore e nobile virtù in loro stessi [ v. canz. Donna mi prega ecc. v. 35 e segg. ] . . . )
(*) Letteralmente: — Se fosti In prova d'Amore, signore valente, governato- re del mondo dell' onore, ogni valore, a mio giudizio, vedesti ed ogni gioco e tutto quel bene che si può avere ; giacché questo signore vive dove ogni noja è lontana, e rende I suol giudizi nella mente di chi sente pietà. Egli viene nel sonno appunto, e così soavemente, che porta via I cuori senza far dolore alcuno—.
186 Le rime e il racconto della Vita nuova
voleva a sé la tua donna ; e però temendo per lei tale morte, cioè oscura, vile vita, nutrì essa donna del tuo cuore, cioè la fece inna- morare di te. Quando poi al finire della visione ti parve di veder Amore andarsene doloroso, quella fu la fine del dolce sognare ; poi- ché nel contrasto che tra V amore e la morte accadeva intanto nel- V anima della donna, la morte ( la naturale avA'ersaria, contraria, opposta, coni' anche é chiamata nella cit. canz. ai vv. 37 - 38 ) pren- deva in lei il sopravvento. Il che vuol dire in sostanza che tal don- na non doveva esser degna di alto o vero amore. E si comprende, mi pare, assai bene questo giudizio, quando si pensi che Guido Ca- valcanti non doveva punto sapere di qual donna fosse innamorato il rimatore che avea scritto il sonetto A ciascun alma presa e gentil core '. Codesta intorprotaziono, certo ingegnosa e sottile, non mi pare che possa aver molta fortuna. Bel valore o gioco, e bene sommo davvero, avea veduto il fedel sognatore ! Bel servizio avea prestato al suo fedele il segnor valente del mondo dell'onore! E Guido fa- ceva anche i mirallegro all' uno e il panegirico all' altro ! Ed altro si potrebbe osservare. Ma vediamo piuttosto l' ipotesi di coloro che intendono, che madonna, giacché • la morto chedea ', voleva proprio andarsene presto all' altro mondo. Perché ? Perché,
Quando novellamente Nasce nel cor profondo Un amoi'oso affetto,
Languido e stanco Inslem con esso In petto Un desiderio di morir si sente.
Ma perché Amore, vedendo che madonna volea morire, dovea por- tar via il cuore del servente "ì Per punirlo dell' istigazione al sui- cidio ? ^o. per darlo a mangiai'e a madonna. Ma il segnor valente, dando a mangiare il cuore dell' amante alla donna innamorata che volea morire appunto perché allora s' innamorava, non accresceva egli le amoi'ose fiamme e insieme il desiderio di morire nella don- na ? ' IN'odrilla d' esto cor, di ciò temendo ', dice Guido ; dunque il dare a mangiare il cuore a madonna non era certo, in quel caso, espediente di buona terapia. E quando mai la donna di quella li- rica è tanto innamorata da desiderar la morte ? 'So, no ; quel dire che madonna ' la morte chedea ', significa che la morte madonna ' la A'oleva come fosse sua, mostrava di essersene quasi impadro- nita : e in ciò si avrebbe una conferma dell' ipotesi che da sogni esterni corporei fosso facile a Danto il presagire prossim:» hi morti» di Beatrice '. Veramente il presagio qui sarebbe di Guido, o da Gui-
Madonna hi morte chedea 187
do attribuito a Danto. SurcblM» (liiido ii V(«i*o jottatoro. Ma a che (ine il wifrnor vali'Utts toiuondo di cod(»«ta morto immatura, nudri- va del cuore del serv'ente madonna ? Per curarla con una specie di amoroso olio di fegato di merluzzo ? M» vedete un po' a che può condurre un secolare pregiudizio, anche critici provetti ed ar- guti ! Ad altro bisogna dunque pensare. Non so perchè nessuno, eh' io siippia, si è incamminato por la via indicata dall' Ercole ( Gui- do Caialciiiiti e le sue rime, Livorno 188.J : p, 31(J). Certo, è la sola via praticabile e meno impetlita da fossi attraversati o da catene. Direbbe Guido : — Madonna chiedeva la morte del tuo cuore, volea che tu morissi (*) : ed Amore, vedendo ciò e temendo di ciò, portò vìa il tuo cuore e di osso cuore nudrì madonna; vale a dire, corso al riparo, questa volta, il mattacchione; tentò di far concepire an* che a madonna, fera e nemica di pietà, passione amorosa — ..A me invero non paro improbabile, che a quell' intrusione del chieder la morte, affatto gratuiti! perchè nel sonetto dantesco non v' ò neppur r ombra di ciò, Guido sia ricorso per trovare una ragione del pa- scolo del cuore : non sembrandogli forse giusto o verosimile che Amore tentasse, sia puix> in un sogno, d' innamorare madonna, so non, qualche volta, in casi estremi. L' interpretazione di Gino, seb- bene piò ricca di esegosi allegorica e senza zeppe, concorda dunque suppfTiriù con r interpretazione di Guido : direbbe in fondo 1' uno e r .litio : — Mio caro, tu sei innamorato di madonna, e ti par\-e che madonna s" innamorasse di te — . Divergenza sostanziale si potrobl>e vedere nella spiegazione del pianto d* Amore. Cino. come al)biaino
{*) Galdo Caralcantl. son. Tn m' hai sì piena. ' Amor che lo tno grande valor fiente. Dice: mi duci che ti convlen morire Per qne<tta fera donna che neente Par che pleiade di te voglia udire * ; canz. Io non pensava, • Xon sentio pace né riposo alquanto Poscia ch'amore e madonna trovai ; Lo qnal mi disse : tu non
camperai. Che troppo è lo valor di costei forte Tu sai. quando venisti, eh' lo
ti dissi: Poi che l'avel veduta. Per forza convenia che tu morissi*; son. Li mie' foli' occhi, ' Quando mi vlder, tutti con pietanza DLsserml : fatto se' di tal servente Che mal non del sperare altro che morte ' ; son. Perchè non foro a me, ' chi gran pena sente. Guardi costui e vedrà lo suo core Che morte '1 porta 'n man tagliato In croce'; son. S'io prego questa donna, ■ Allora par che nella mente piova Una figura di donna jjensosa Che vegna per veder morir lo core ' : ball. /' prego roi, 'Davanti agli occhi miei veggio lo core E r anima dolente che s' anclde. Che mor d' un colpo che 11 diede amore In quello punto che ma- donna vide. Lo suo gentile spirito che ride. Questi è colui che mi si fa sen- tire. Lo qnal mi dice: e* ti convlen morire".
188 Le rime e il racconto della Vita nuova
detto, spiegava che Amore piangeva per gli affanni amorosi di ma- donna :
E r amorosa pena conoscendo Che nella donna conceputo avea, Per pietà di lei pianse partendo.
Guido invece, seguendo il filo delle sue idee, voi-rebbe che Amoro piangesse perchè quello non era, e non poteva essere, che un dolco sogno, presto svanito :
Quando t' apparve che sen già dogllendo, Fu dolce sonno eh' allor si complea, Che '1 suo contraro la venia vincendo.
Madonna è senza pietà ; 1' avere sperato ricambio d' amorosi sensi, non fu che un dolce sogno ; il suo contrario, cioè la realtà ovvero r avversione di madonna, la vinse, e il bel sogno svani ; allo strin- ger dei conti, madonna non è innamorata del servente. Amore, sia per lo scacco patito, sia pel cruccio di veder che i suoi fedeli non hanno mai altro che pianto, nella realtà ; dolendosi, se ne partì in lagrime. Sennonché, anche qui le due interpretazioni in fondo si ac- cordano, se non concordano : Amore, insomma, piangeva per gli af- fanni amorosi degli amanti. E codesto sarà stato il ' verace giudi- ciò ' del giovinetto che allora entrava nell' agone, per gareggiar di simbolismo, di sottigliezza, di casistica amorosa, coi ' famosi tro- vatori '.
Tutto codesto, se non è vero, a me pare molto verosimile. Cer- to, vi è qualche oscxirìtà ; ma chi volesse trovar d' ogni più piccolo particolare una soluzione chiara e lampante come acqua sorgiva, mostrerebbe davvero di credere che Dante proponesse ai fedeli d' Amore il suo amoroso motivo, sviluppato in un' allegoria, come oggi i giornali illustrati propongono ai loro abbonati le loro scia- rade pel sorteggio del premio. Un indovinello era in fin dei conti anche il sonetto di Dante ; ma uno di quegP indovinelli in cui i sensi riposti e il simbolismo non permettono mai di cogliere appie- no la verità, la vera intenzione, il verace intendimento. Bene il D'Ovidio (in NA. 1 sett. 1888: p. 119) avvertiva che 'di queste benedette sciarade mistiche e politiche la soluzione non ottiene mai il premio di riuscire pienamente convincente '. Un indovinello, al- lora ; oggi, piti indovinello che mai. Un simbolo può esser simbolo di questo e di quello, ed anche di altro ; possono aver ragione tutti, 0 nello stesso tempo può non aver ragione nessuno. E a chi mi ob«
Il 8on. 0 voi che per ta via 189
bicttasse che non possono aver ragione tutti se nessuno ha ragio- no, rispondei"ei come rispondeva quel giiulice di pace al suo figliuo- letto : • Hai ragione anche tu '.
«^
Secondo sonetto. 0 coi che per la ria (F amor passate ( Vy. 7 ). Como ognun sa, il poeta, volendo tener celato il suo vero amo- ro, fìnse d' essere innamorato d' una ' gentile donna di molto piace- vole aspetto \ che avoa veduta, pare, in chiesa, starsene ' nel mez- zo de la ritta linea la qual movea da la gentilissima Beatrice e ter- minava ne gli occhi ' suoi, contemplanti quella sua ' beatitudine ' ( VX. 5 ) (*). Poi codesto * schermo de la veritade \ cotlesta * gentile donna ', egli dice, ' co la quale io avea tanto tempo celata la mia vo- lontade, convenne che si partisse de la sopradetta cittade, e andas- se in paese molto lontano : per che io. quasi sbigottito de la bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più eh' io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se de la sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorto più tosto del mio nascondere, propuosi dì farne alcuna la- luentanza in un sonetto, il quale io scriverò ; acciò che la mia don- na fue ìmmediatji cagione di certe parole, che nel sonetto sono, sì come appare a chi lo intende '. Così il poeta nella ragione. Nel so- netto però, non v' è cenno alcuno né di partenza, né di lontananza : né si riesce a veder chiaro, anche con la scorta del poeta, dove mai si annidi 1' allusione alla ^ gentilissima salute \ Questo il sonetto :
O voi che per la via d'amor passate. Attendete e guardate,
S' e^ìi è dolore alcun, qoanto '1 mio grave : E prego sol eh' audir mi sofferlate ; E poi imaginate S' lo son d* o^e tormento ostello e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate, Ma per sua nobiltate,
(*( Fin dal primo • apparimento ' della ' gloriosa donna della mente % ' lo spirito animale ' del quasi novenne trasognato fanciullo, maravigliandosi molto e 'parlando spezialmente a 11 spiriti del vLso, si dLsse queste parole: Appamit Jam beatitndo lesira' ( YX. 1, 20 (.
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190 Le rime e il racconto della Vita nuova
MI poso In vita si dolce e soave,
Ch' lo mi sentia dir dietro spesse fiate :
Dee ! per qiial dlgnltate
Così leggiadro questi lo cor have ?
Or ho perduta tutta mia baldanza. Che si mdvea d' amoroso tesoro ; Ond' io pover dimoro, In guisa che di dir mi vlen dottanza.
Si che, volendo far come coloro, Che per vergogna celan lor mancanza, Di fuor mostro allegranza, E dentro da lo cor mi struggo e ploro.
Data come vera la congiuntura e il proposito di cui parla la ragione, il componimento avrebbe dovuto svolgere il motivo, molto accarez- zato nella nostra lirica delle origini, del dolore per la partenza o per la lontananza dell" amata : e toccar velatamente, in uno spunto, del vero amore e della ' bella difesa ' venuta meno. Ma, come si può vedere, né 1' una cosa, né 1' altra, fa pur capolino nel sonetto doppio o rinterzato che s' abbia a chiamare, di maniera gnittonesca. La rima piange sulla ' vita dolce e soave ' trascorsa, sulla ' perduta baldanza ', sull' amore, insomma, non si sa perchè, spezzato : gere- miadi codeste, certo poco appropriate al caso di cui ragiona la ra- gione. Era proposito del poeta di fare una lamentanza pur per la partita della donna eh' era stata ' schermo di tanto amore ', non già per 1' amore perduto, simulato o no eh' e' fosse. J^essuno poteva pen- sare che quella separazione dovesse spegner così di botto 1' amore creduto vero e sentito ; e quindi il poeta* non poteva veder la ne- cessità urgente di cantare, per celarsi, 1' amore perduto, ma dovea invece veder la convenienza di rimar dell' amore lontano (*). Né, d' altra parte, si spiega, perchè mai il poeta, che per quella parten- za era rimasto sbigottito e disconfortato, dovesse dir nel sonetto che di fuori mostrava ' allegranza ', mentre si struggeva e plorava ' dentro da lo core '. Codesta dissimulazione non era certo consi-
(*) Onesto Bolognese ( ball. La partenza che fo dolorosa ) diceva anzi, che, per la lontananza, ' Ciascun giorno più erosele e più sale L' amor fin conferma- to nel casso '. E infatti Francesco Ismera ( canz. Per gran soverchio), anch' egli per la 'partenza gravosa", portava 'dentro formato nel casso Amaro pianto'. Matteo Frescobaldi (son. Accorr' nomo , accorr' nomo ! ). vedendo che madonna partiva e se ne andava 'con Dio', 'in altra contrada", pretendeva che quella ' ladi-a ' e ' giudea ' gli rendesse il cuore : e non a torto, come pare ; perchè, egli diceva, ' io non veggio di poter campare Poiché 1" anima e '1 cor non è dov" lo '.
V amore perduto o V amore lontano f i9t
aliata nò dal preteso proposito del sonetto, né dalla pretesa condì» zione particolare dell' aiuant«> : e a me pare che in queir atteggiamen. to simulato, sia da veder piuttosto un dispettuccio amoroso (*). Corto, è strano che. volendo il poeta celarsi con la ' lamentanza ' per la partiti! della bella difesa, egli dovesse^ in fin dei conti proprio qui dire che mostrava allegi*ezza per quella partenza. Insomma, coiìesto secondo sonetto della Vi/a nuora, anziché per la partenza o per la lontananza dell' amata, t^sprime un lamento per 1' amore perduto ; e il poeta conchiude che cela il suo dolore sotto un' apparenti» alle- grezza per la vergogna di mostrarsi debole <• «-olpito. jx-r n^n f;ir»> aver vondetta allegra a madonna.
Ed anche invano si cercherebbe V allusione a Beatrict; {**). Tut-
(•( Guido dello C'olonne. oanz. Amor che loitiiinmrnte ( MonJwl. Vrrstoma:ia, p. 218, ' lunfiramentc' I. ' V allumo dentro e sforzo in far sembianza Di non mo- strar ciò che Io meo cor sente. Ahi quanto ò dnra pena al cor dolente Istar tacente e non far dlmostraiuM ! . . . Forca di senno è quella che soverchia L' ar- dir del core, asconde ed Incoverchia : Ben ha ^ran senno, chi lo pnote fare. Saper celare ed essere sigrnore De lo suo core, quand' este in errore '. Ovld. Rem. amor. 491 • Qnamvls infelix media torreberis Aetna. Frigidlor glacie fac videare tnae ; Et sanum <iiniuln. ne. >«lqald forte dolebls. Sentlat. et ride, cum tibi flendns eris '.
(♦♦| D* Ancona. l'.V. .>;; -So noi pfu.siauiu ihi- ijui-sii' i-iiin.- appartengono al tempo nel quale il magLstero poetico di Dante non era qnai fu dappoi, e in che egli seguiva la maniera artificiosa dei provenEall, ricca di spedienti. di sottin- tesi, di allusioni sottllLssime. non parrìk strano che noi dimandiamo, se la coperta menzione al coperto amore verso Beatrice si nasconda nella parola celare del- l'antlpennlt imo verso O forse anche, come si potrebbe desumere dalla divi- sione, le estreme parti delia poesia racchiudono altrn intendimento dal principio della parte seconda che comincia : Amor non già : dacché, nel suo pensiero, di- cendo ore Amore l' area posto alludeva Dante alla donna - schermo, e poi par- lando della sua dolorosa condizione alludeva piuttosto a Beatrice. Ma tutto ciò è così Involuto, che anche colla esplicita avvertenza delle certe parole apparte- nenti a Beatrice, non si riesce a vederci chiaro ". U Ga-sinl : • Sebbene 11 sonetto sia scritto per la partenza della donna dello schermo, alcune parole di esso ac- cennano a Beatrice : polche nella parte che si riferisce alla prima è accennata la gioì:» che per amore veniva a Dante, mentre In quella che riguarda Beatrice si accenna Invece la dolorosa condizione nella quale si trovava, apparentemente per l'allontanamento della donna che egli fìngeva d'amare, ma realmente per- chè 11 sno amore vero non conseguiva una soddLsfazlone piena ed Intera '. La- sciamo stare la ' soddLsfazlone piena ed Intera ' non conseguita, che II libello certo non ci autorizza a far giudizi temerari: dovremo dunque Intendere che 11 poeta mostrava di fuori allegraaza, realmente per dissimulare un dolore vero, e apparentemente per dissimulare II simulato dolore per la jjartenza del para- vento, 11 che sarebbe tale un bisticcio, e sarebbe stato tale un pasticci» di si-
10-2 Le rime e il racconto della Vita nuova
tavia, che un cenno all' amore per Beatrice il poeta, scrivendo la Vita nuova, abbia voluto attribuire al sonetto, non è dubbio ; sicché non ci resta che veder dove egli volle che si cercasse codesta al- lusione. Nella divisione si leggo : ' Questo sonetto ha due parti : che ne la jjrima intendo chiamare li fedeli d' Amore per quelle parole di Geremia profeta : 0 vos omnes, qui transitis per viam, attendile et videte, si est dolor sicut dolor mens ; e pregare che mi sofferino d' audire. Ne la seconda narro là ove Amoro m' avea posto, con altro intendimento che l' est rem e parti del sonet- to non mostrano: e dico ciò che io ho perduto (*). Pare dun- que, che 1' ' altro intendimento ' non sia da ricercare nelle • estreme parti '. Ben è vero che, se ' 1' estreme parti del sonetto non mostra- no ' 1' altro intendimento, si può intendere che lo nascondano ; ma si può anche intendere, e forse meglio, che non 1' hanno : giacché r allusione, por non riuscir del tutto vana, dovoa puro, nel luogo dove si trovava, o meglio, dove il poeta voleva insinuar che ci fosso, dar qualche sentore di sé, mostrarsi in qualche modo (**). Ed io credo che il jioeta avrà, per codesta pretesa allusione, guardato pro- prio alle parole :
lo mi senti'a dir dietro spesse fiate : Deo ! per qual dignltate Così leggiadro (f) questi lo cor have?
È tutt' altro infatti che inverosimile, che in codoisto parole il poeta abbia potuto vedere come un riferimento alle parole dei ■ molti pie-
mulazlonl e di dissimulazioni, di dolori e di allegranze, da perderci la testa. Non pare davvero che occorresse quella dissimulazione né alla pretesa storia del ve- ro amore, né alla storiella dell' amor simulato.
(*) Così stampano quasi tutte le edizioni che ho sott' occhio : Biscioni, Fi- renze 1723 e Venezia 1741 ; Milano, PogUani, 1827 ; Pesaro, NobUl, 1829 ; Torri, Livorno 1843 ; Fraticelli, Napoli 1855 e Firenze 1899 ; Wltte, Leipzig 1876 ; D' An- cona, Pisa 1884; Giuliani, Firenze 1885; Milano, Sonzogno. 1890 ; Moore, Oxford 1897. Il Casini però, 11 Passerini ( Fli-enze 1900), 11 Canevazzl (Milano 1901): "e dico ch'I' ho ciò perduto'. Dall' edizione critica del Beck ( Milnchen 1896 ) si rileva che soltanto tre codici del secolo decimo quinto offrono la prima lezione delle stampe. La quale tuttavia, forse sarà da preferire all' altra, più so- stenuta dalla tradizione manoscritta, ma, come pare, meno difesa dal contesto.
(**) Il Renier ( Giorn. stor. 2, 391 n ) aveva già avvertito clie 1' allusione a Beatrice si annida nella seconda fronte del sonetto; e ali" opinione del Renier, mostrò di aderire anche lo ScherlUo ( Ale. cap. 271 ).
(t) Per codesto leggiadro, vd, la luculenta nota filologica del D" Ovidio, Stn- dii, 575 ss.
La preff'xa allusione a Beatrice 19B
ni irinvitlirt* dol parairrafo 4. Domandavano all' infìanimato giovi- netto, ch'era divenuto 'in picciol tempo di fraile o debolo condi- zione ', e che ' portava nel viso tante de le insegne ' d' Amore, ' che questo non si potea ricovrire ' : « Per cui t' ha cosi distrutto questo amore ? » Ed egli " sorridendo li guardava, e nuUa dic»>a loro '. Cer- to, cosi di codeste parole, come delle parole del sonetto, il poeta poteva ben dire che Beatrice * fue immediata cagione '.
Comunque, codesta pretesa e involuta allusione, e probabilmen- te la parola ' celan ' ( o ' celar ' ) del tera' ultimo verso, e forse an- che la parola • dimoro ' del quindicesimo. par\'ero al poeta più che saldi addentellati o forti uncini per attaccare il sonetto dell' amore perduto al racconto della Vita naoca ; quelle due parole massima- mente, che nel sonetto, senza speciale allusione, occorrono, gli a- vranno potuto, se non suggerire il ritorcimento della prosa, certo mostrar che era convenientemente miischertito codesto ritorcimen- to (*| : senza dire che le parole <U Geremia cospiravano così In-ne con gì' intendimenti del lil>eUo, che, quando altro fosse mancato, non sarebbe parso inopportuno trovare un espediente qualunque per farci entrar tutto il sonetto.
Il quale, chi voglia leggerlo senza il soccorso o il concorso della prosa che gli appresta, con la preziosa oscuritìi. un abile travesti- mento, appare estraneo al racconto della Vita nuova. A ogni modo, è certo cosa ben notevole e singolare questa : negli ' alquanti anni e mesi ' di codesto primo celamento. il poeUi, per la donna eh' ei non amava, fece ' certe cosette per rima ' che nel libello non si leg- gono perchè non toccano di Beatrice; e per la donna amata, non fece né rime che. non dovendo portare scritto in fronte il nome, il
(*( Dimorare nel significato di trorarsi, stare, essere : VX. 13, 25 * Ed In questo stato dimorando, mi giunse volontà di scrivere parole rimate * ; 18, 49 *dlmoral alquanti dì con desiderio di dire e con paura di cominciare': Compiuta donzella, son. .-i la stagion, * Ed ogni damigella in glo' dimora*: Barberino. Docniii. 22S * Primo è suo documento Cli* ognun dimori attento " : Boccaccio. Decani. 1, 7 'trovandosi egli una volta a Parigi In povero stato, si come egli II più del tempo dimorava'; 2, 6 "e trartl della miseria e della cattività nella qual tu dimori"; 2. 8 'non è convenevole che così bella dami- gella, come voi slete, senza amante dimori*; 3, 5 'In voi soia il farmi il più lieto et il più dolente uomo che viva, dimora'; 3. 6 "uè morir sapeva, né gli giovava di vivere : et In cotal dLsposizIon dimorando, avvenne . . . ' ; 4, 5 ' Et In tal dlsposlzlon dimorando, e rìdendo .... avvenne che, sembianti facen- do d* andare . . . '
194 Le rime e il racconto della Vita nuova
cognome, la paternità e il domicilio della gentilissima, il famoso se- greto non avrebbe certo impedito di fare, ed anche di divulgare ; né velate allusioni, da codesta in fuori, clie non si vede.
Terzo e quarto sonetto. Piangete, amanti, poi che piange Amo- re, e Morte villana, di pietà nemica ( VH. 8). La morto d' una ' don- na giovane di gentile aspetto molto ', diede materia ai due sonetti. ' Ricordandomi, dice il poeta, che già 1' avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non poteo sostenere alquante lagrime ; anzi piangendo mi propuosi di dire alquante parole de la sua morte in guiderdone di ciò, che alcuna fiata 1' avea veduta con la mia don- na '. E di codesto particolare ( in grazia del quale il mesto episodio potè innestarsi nel racconto della Vita nuova ) ' toccai, dice il poeta, alcuna cosa ne 1' ultima parte de le parole ched io ne dissi, sì co- me appare manifestamente a chi le 'ntende '.
Col terzo sonetto si chiamano e sollecitano ' li fedeli d' Amore a piangere ', e si parla ' del signor loro che piange ', e si narra * la cagione ' ; in fine si dico che Amor fece ' erranza ' a quella pove- retta, lamentandosi
in forma vera Sovra la morta Imaglne avvenente (*).
Di codesta ' orranza ' d' Amore ' in forma vera ', nella ragione non si fa cenno : quivi il poeta dice, eh' ei vide il corpo di quella gen- tile ' giacere sanza 1' anima in mezzo di molte donne, le quali pian- geano pietosamente ' ; il che risponde ai versi :
Amor sente a pietà donne chiamare, Mostrando amaro duol per gli occhi fore.
' E gratuita sarebbe la supposizione che Beatrice fosse del coro delle
(*) Guido Cavalcanti, son. Perchè non foro a me, ' donna, or ci aiuta Che gli occhi ed 1* non rimagnam dolenti. Tu gli hai fasciati sì che venne A- more A pianger sovr'alor pietosamente'; vd. anche ball. Poi che di doglia, v. 8. Cfr. Intelligema, st. 6 ' Amor che per sua dibonaritate. Per farmi bene la grasla compiuta, Non Isdegnando mia vii ciualltato, DI s 6 mi die sensibile ji a r u t a '.
/ due son. Piangete amanti e Aforte villana idS
luifriiuanti. giaechè il poota, lU'ppur nella dirisiuiic. iiiHliiua che sia da ricercare un senso riposto in codeste onoranze funebri del 'si- f?nore de la nobiltiid»' '. Paro adun((ue che 1' ultima parto di questo sonetto sia stata considerata, anche posteriormente, dal po*'ta come una figura poetica sena» doppio fondo, destinata probabilmente a signiticar che lo lacrimanti aveano intelletto d' amen» e che la gio- vane mortai era slitta anch' essa fe<lole d' amore ; e pare che il so- netto sia stato rimorchiato dal suo gemello più pingue^ che, come vuole 51 poeta nolla ragione, aveva appunto il titolo «^he gli dava licenza di libera pratica noi porto misterioso della Vita nuora. Y al- lusione a Beatrice.
Nel sonetto doppio infatti, dopo un lung«ì biasimo alla Jforte il poeta, parlando tlella <lefunta. conchiud»* :
Pib non ro' dlscovrlr qnal donna nln. Che per le proprietà $*ne ponoscinte : Chi non mertii sitiate. Non Hperl mal ti' aver sua compatta <*l.
Veramente, codeste parole non doveano forse racchiudere altro in- tendimento che questo : — Non vi dico altro di lei : questo solo vo- glio aggiungere, che chi non andrft, in cielo, non la viilrà più — : né dovejino probabilnionto esprimere in fondo altro concetto che questo : — Ella è salita in cielo — . Ma il poeta pur vuole che in codeste parole sia adombrata la circostanza della compagnia fatta alcuna fiata dalla sriovino donna a Beatrice, sola circostanza che giustiiìehi r ins*Mv<ìone dei due sonetti nella Vita nuora. Tuttavia, codesta allusione, certo attribuita posteriormente, non è chiara : e il Carducci, dal non vederla dove il poetii pur \in)l.' che ci sia, fu
(•| A qualche confronto col sonetto quarto della Vita nuora si presta la cana. Morte, perche m' ìtai fatta, di Giacomino Pugliese : G. ' Morte, perchè m'hai fatta si ^ran guerra Che m'hai tolta madonna, ond' io ni dolilo?* D. 'Mor- te,.., Poi che hai clata matera al cor dogllo^io. Ond' io vado pensoso ' : G. ' La fior de le belleaze mort' hai in terra. Per che lo mondo n' è rimase spoeto ' ( Monaci, Crest. 92 • non amo né volgilo ' ) ; D. ■ Dal secolo hai partita cortesia . . . In gala gloventnte Distrutta hai 1' amorosa leggiadria ' : G. ' Villana morte, che non hai pietanza': D. 'Morte villana, di pietà nemica": G. • Partlf hai la più dolze compagnia ' ; D. ' Non speri mai d' aver sua compagnia *. Una canzone a- noninia del cod. Vat. 3793, comincia : • Morte fera e dLspietata. Crudele, senza pietanza. Per ragione dèi essere blasmata, Non curi di fare fallanza '. E u- a'altra, parimenti anonima, dello stesso codice : ' Dlspietata morte e fera, Cierto se' da biasmare . . . già mal non credla. Lassa, vedere quella dia Di tanto ismarrlraento, Che da così dolcle compagnia Faciesse partlmento ',
196 Le rime e il rcicconto della Vita nuova
indotto a congetturar che vi fosse dove il poeta non la volle, ap- pvinto noli' altro sonetto. Egli scrive ( W Ancona, T'^. 64 s ) : 'Al- cuna fiata l'avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa nell'ultima parte delle pa- role che io ne dissi, siccome appare manifesta- mente a chi le 'ntende. Parrebbe dovesse intendersi della quarta stanza del son. doppio, i cui due ultimi versi il Fraticelli e il Witte vogliono si riferiscano a Beatrice ; che a me non par con- sentito dalla sintassi e dal retto discorso. Avesse invece ad inten- dersi dei terzetti del primo Sonetto, nei quali Amore che piange in forma vera sopra la morta non è altri, anche a senso del Fraticelli, che Beatrice ? ' Il Casini, senza però lasciare il certo per l' incerto, ritenendo ' che Dante abbia voluto alludere a Beatrice in ambedue i sonetti ', volle corroborare codesta tìmida congettura del Carduc- ci : ' Il Frat., egli scrive, il Giul. e il "Witte credono che in tutto il sonetto [ Piangete amanti ] sia indicata Beatrice col nome d' A- more, come nel son. del cap. XXIV ; crederei invece che la ideale identificazione di Beatrice coli' Amore si abbia solamente negli ul- timi sei versi : primo, perchè Dante ha già avvertito che il senso riposto dei suoi concetti si deve cercare ne l' ultima parte de le pa- role ; secondo, perchè anche nel sonetto del cap. XXIV sono in- dicato contemporaneamente col nome di Amoro la personificazione dell' affetto e Beatrice ' (*). Il valentuomo cerca evidentemente di scansare questa tacita obbiezione : se in tutto il sonetto Beatrice si cela sotto il nome d' Amore, siccome Dante nella diiisione dice : ' chiamo e sollicito li fedeli d' Amore a piangere, e dico del Signo- re loro che piange ' ; così bisognerebbe intendere che Beatrice avea molti fedeli e che era loro Signore. Xondimeno, neppure l' ipotesi restrittiva del Carducci e del Casini e d' altri, pare accettabile. I^el sonetto del paragrafo 24, Io mi senti' svegliar, è proprio Amore che parla e dice al poeta : ' quell' ha nome Amor, sì mi somiglia ' ; che non è indicar contemporaneamente con lo stesso nome due cose nel breve giro di un sonetto. Del resto, •' ne 1' ultima parte de le pa- role ' il poeta insinua trovarsi ricordata la circostanza della com- pagnia, circostanza che nel terzo sonetto non sarebbe certo con co- desta pretesa allusione adombrata. I due sonetti sono considerati
(*) Oltre 11 Fratk-elll. il Toni.. il Giuliani. Il Witte. il Carducci, il Casini e il Passerini, anche lo Scherillo {Ale. cap, 250) vede codesta allusione a Bea- trice nel terzo sonetto della Vita ìinora.
Amore in forma vera 197
come un tutto di parole, e l'ultima parte di esse, è T ultima parte del quarto sonetto. Se in quel!' Amore * In forma vera ' il poeta a- vessG voluto farci vedoro una vclat^i allusione a Beatrice, non si sarebbe probabilmont«> lasciata «fuggire 1' opportunità di farne qiuil- che cenno nella ragione o nella dirisione. Porse non rispondeva a- gl' intendimenti del libello, codesto far piangere Beatrice ' sovra la morta iraagine avvenente ' ; e forse il pianto di B<>atrice voleva il poeta serbare per altro e ben più grave avvenimento. Certo, non è prudente, alle allusioni che volle vedere il poeta nelle sue rime, quando, con altro int(>ndimento, le assunse ed innestò nel racconto della Vita nuova, aggiungere le allusioni che, non saprei se occu- pati o preoccupati, indotti o sedotti dal solito pregiudizio, vogliamo veder noi. ([u.uulo ci accingiamo a dichiararle.
Ma se in nessun modo può vedersi allusione a Beatrice nel ter* zo sonetto, nel quarto bisogna bene scoprire dove mai il poeta volle che ci sia. Egli, volgendosi 'a parlare a indifiniUi persona', dice:
f'hl non merta <wiIato.
Non speri mai d'aver sua oompM^U.
Non certo, come alcuni intesterò, quel 'sua' si può riferirò a B<«n- trico : il poeta {Mirla sempre della giovino donna morta, e il Car- ducci ha ragione da vendere (*). Neppure si può ammettere che il poeta si volgesse a Beatrice ( che «irebl>e T ' indifìnita persona ' ) per dirle, secondo il Totleschini : ' tu avesti talvolta la compagnia della giovane donna defunta : d' ora in poi non si speri d' averla mai so non chi si meriti la salute eterna ' : sarebbe affatto gratuita la prima parto di codesta chiosa, e la seconda parte avrebf>e tuttii r aria d' un monito, che la gentilissima salute e reina d' ogni virtù non avea fatto niente per tirarsi addosso. Né T interpretazione che, dubitando, dà il D' Ancona mi pare migliore : ' solo quegli che me- rita salute, e certo Beatrice la merita, d' ora innanzi potrà sperare
(*| A codesta Interpretazione del Fraticelli, del Torri e del Wltte. 11 Renler [Giorn. stor. 2. 3!H n) forni una nuova acconciatura ; la quale tuttavia non mi pare che la renda più accettabile o meno strana : ' Xet due versi D. si volge a parlare a indifflnita persona, quindi letteralmente saa compagnia si riferisce alla donna morta, come la grammatica vuole: ma quanto all' intendimento AiD. questa persona è diffìnita. Secondo dunque il riposto Intendimento, questo mem- bro va staccato dal rimanente .... si deve far punto dopo conosciute e riferir© sua alla beatrice '. La ' Indlflnlta persona ' non è da vedere nel ' sua ', ma nel > chi % certamente ; è la persona a cni 11 poeta volge 11 discorso.
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198 Le rime e il racconto detta Vita nuova
d' civer in cielo la compagnia della defunta ' : non si terrebbe nel debito conto ciò che più importa rilevare, la circostanza della com- pagnia fatta quaggiù dalla giovine donna a Beatrice ; e di Beatri- ce, cioè della gentilissima salute, della donna della salute, di colei che dava appunto salute, si direbbe che meritava salute. A me sor- riderebbe invece questa ipotesi : il verso
Non speri mal d'aver sua compagnia,
si può intendere in duo modi : — non isperi mai d' aver la com- pagnia di costei; cioè, non isperi d' andare in cielo, dov' ella si trova ; non isperi di vederla più ; ella è salita in cielo — : ovve- ro anche : — non isperi d' aver mai la compagnia che si eb- be costei, la compagnia, cioè, di Beatrice ; di colei che ' qual vuol gentil donna parere ' deve avere compagna ; di colei che ' do- na salute ' a chi la merita : di colei che dà buona fine a chi ' le ha parlato ' ( vd. canz. Donne eh' avete^ vv. 31 - 42 ). Insinuerebbe quindi il poeta nella prosa della Vita nuova, che i due tormentati versi si debbano intendere cosi : — L' indefinita persona e definita quanto al mio intendiménto, sappia dunque che chi non merita sa- lute, non avrà mai la compagnia che si ebbe una beata — . Sarebbe poi vano voler ricercare chi sia proprio la ' indifinita persona ' ; certo non è Beatrice : e sofistica sarebbe l' obbiezione che la de- funta faceva compagnia a Beatrice, non già questa a quella.
Con tale, certo posticcia, sottigliezza, il poeta pigUava più pic- cioni ad una fava : diceva che Beatrice dava salute a chi ne era degno ; diceva che la defunta aveva fatto compagnia alla gentilis- sima ; insinuava che per ciò quella gentile donna era salita in cie- lo ; senza contare che quel ritorcimonto confei-iva, non solo al so- netto, ma a tutto V episodio il pregio pregiato dell' oscurità. Alla parola ' sua ' probabilmente, penultima delle parole che il poeta in quella triste occasione disse, siamo dunque debitori di tutto 1' epi- sodio dell' amica di Beatrice ; quel povero uncino dunque offrì al poeta il destro di poter sospendere i due funebri sonetti alle lut- tuose pareti della V/fa nuova. Opportunità codesta, che, d' altra par- te, non dovea certo sembrar di poco momento a chi volea che in quelle pagine di studiata oscurità, vi spirasse continuo il soffio della morte, vi aleggiasse frequente un sospiro al cielo. Jfotevole infatti, che, dopo il pianto d' Amore ed il versetto di Geremia, spunti melodici del preludio, in queste rime vibra già forte la corda del dolore, prima ancora della morto di Beatrice ; e 1" animo mesto e-
La pretesa comfxigna di Beatrice 19&
pprimo pia con un «romito queir aspirazion»* al cielo che il poet:t pur vorrebbe espressa nel primo sonetto. Xotovole che ai due so- netti dell' episodio della morte della compa|;na di Beatrice, par facciano eco i due sonetti dell* episodio della morte del padre di Beatrice : duplicità di carmi non concessa agii altri episodi, e ripetuta tre volte, quasi con ostentazione, nelle rime per la morte di Beatrice ; prima una canzone e un sonetto, poi due stanze d' una canzono, e, nell' annovale. un sonetto con due e o • mincia mentì.
Per conchiudfiv, il secondo e poeo eviil»«iiltf i^i^nilìcalo dt-i due ultimi versi del quarto sonetto, sembra, e<l i\ posticcio e stiracchia- to : comunque, nò dal terzo né dal quarto sonetto possiamo desu- mere con certezza un indizio qualunque che valga a darci qualche prova della veridicità della storia dell* amor del poeta.
^
Quinto sonetto. Caralcando /" altr ier per un cammino ( VX. 0 ). Vi è descritta una visione simbolica che il poeta dice di aver a- vuta non solo ad occhi aperti, ma cavalcando. Amoro, ' in abito leg- ger di peregrino \ portando il cuore del poeta, gli viene, ' di lon- tana parte', incontro, i' irli dicf oh' fi reca qnol cuore * a sen-ir no- vo piacere '.
Cavalcando l' altr^ ier per an cammino. Pensoso de l' andar, ohe mi flgmdla. Trovai Amore In mezzo de la via. In abito le^f^r di pereprlno.
Ne la sembianza mi parea me<ii-]ilnn. Come avejwe perduta si^nioria ; E sospirando pensoso venia. Per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi ctiiamò per nome. E disse : Io vegno di lontana jwrte, Ov' era lo tuo cor per mio volere :
E recolo a servir novo piacere. Allora pre<<i di lui sì gran parte. Ch* elli disparve, e non m' accorsi come.
Di codesti» immaginazione, come se si trattitssc d' un fatto reale ed
200 Le rime e il racconto della Vita nuova
obbiettivo, il poeta nella ragione determina meglio i particolari ac- cennati nel sonetto (per es. la cagione della sua tristezza, la pro- venienza d' Amore ), ed altri ne aggiunge ( per es. i ' vili drappi ', il ' fiume bello e corrente e chiarissimo ' ) ; mirando evidentemente, non solo ad innestare il sonetto nella narrazione della Vita nuova, ma a completare il simbolo. ' Appresso la morte di questa donna, egli scrive, alquanti die, avvenne cosa, per la quale mi convenne partire de la sopradetta cittade, ed ire verso quelle parti, dov' era la gentile donna eh' era stata mia difesa, avA'egna che non tanto fosse lontano il termine del mio andare, quanto eli' era. Tutto eh' io fossi a la compagnia di molti quanto a la vista, 1' andare mi di- spiacea sì, che quasi li sospiri non poteano disfogare 1' angoscia, che il cuor sentia, però eh' io mi dilungava da la mia beatitudine. E però lo dolcissimo signore, il qual mi segnoreggiava per la AÙrtù de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve come pe- regrino leggeramente vestito, e di vii drappi. Elli mi parca sbigot- tito, e guardava la terra, salvo che talora li suoi occhi mi parca che si volgessero ad un fiume bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen già lungo questo cammino 1^ ov' io era (*). A me par- ve che Amore mi chiamasse, e dicessemi queste parole : « Io ven- go da quella donna, la quale è stata tua lunga difesa, e so che '1 suo rivenire non sarà a gran tempi ; e però quello cuore, eh' io ti facea avere a lei, io 1' ho meco e portolo a donna, la qual sarà tua difensione, come questa era ( e nominollami per nome sì eh' io la conobbi bene ), Ma tuttavia dì queste parole, eh' io t' ho ragionate.
(*) Cfr. VN. 19, 1 "Avvenne poi che, passando lo per un t'animino, lungo lo quale sen già un rivo chiaro molto, a me giunse . . . volontade di dire '. Se- condo 11 Carducci ( D' Ancona, VN. 73 ) : ' leggermente vestito, adombra la leg- gerezza e varietà di siffatti amori ; e di vili drappi, significa che quel nuovo amore fu Indegno : per ciò . . . guarda la terra '. Il D' Ancona : ' Perchè Amore è rappresentato sbigottito, e, come Virgilio nelF Inf. A^II, 118, cogli occhi alla terra e le ciglia rase d' ogni baldanza ? [ cfr. Aen. 6, 862 • frons laeta parum et delecto lumina voltu ' ]. Forse perchè la bontà degli avvolgimenti da lui consi- gliati a Dante era adesso messa In forse dalla partenza della donna - schermo, sebbene Amore provvedesse a trovare altra che facesse 11 medesimo ufficio. Ma perchè poi si volgeva al fiume ? Forse 11 correre del fiume era un simbolo della mutabilità delle cose umane ? ' A me pare che 1 vili drappi, 11 capo chino, la meschina sembianza, siano esponenti simbolici della condizione d* Amore che avea perduto signoria. Giusta, forse, è 1' interpretazione del simbolo del fiume corrente. Eros pellegrino è rappresentato anche In una Anacreontéa , tradotta dallo Zanella (vd. Vitelli o Mazzoni, Mannaie della Ictt. greca, Firenze 1899: p. 215).
// 8on. Cacalcando V altr' ter 201
se alcuna co«i no dicossi, dillo nel modo che per loro non si di- scemefwe il simulato amore, che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare ad altri •. E dette queste parole, disparve que- sta mia ima<rinazìone tutta su1)itamente \
Che significato avea codesta finzione? Quale il proposito del poeta ? Non quello di manifestar velatamente il suo sentimento, l'a- nimo suo. tutto occupato del pensiero della gentilissinui : e di ac- cennare alla dura necessità in cui si vedeva, per la partenza della donna del primo schermo, di provvedersi d' un' altra difesa ; perchè Beatrice e le donne dello schermo appajono solo nelle amplificazio- ni della prosa. È vero bensì, che il poeta nella ragione avverte, che il suo signore gli aveva vietato di fare alcuna allusione al simu- lato amore : ma codesta riserva sarà, come sembra, un naturale ri- piego per r adattamento del sonetto : giacché nel sonetto non si leg- ge neppure che Amore avesst» detto altro, che fosse da tacere. Ne, d* altra parte, il poeta poteva proporsi con questo sonetto di aprir la via al nuovo amoiv. simulato o non simidato ; perchè non sareb- be stata conveniente dichiarazione amorosa venir a dire a una don- na ; — Eccovi il mio cuore, che mi è arrivato or ora, fresco fresco, da lontana parto — ; né il poeta dice che mandò il sonetto alla nuo- va difesa, e che quel sonetto appunto inaugurò U nuovo giochetto (*K
\*\ Assai trita ì- 1* Immagine della spedizione del more dell' amante all' oh- bietto amato. Mazzeo Ricco team. Lo core innamorato) cosi rappresenta una dolce corrispondenza d' amorosi sensi : * — Lo core Innamorato, Messere, si la- menta .. . Avendo di voi roglla. Lo mio core a voi mando; Ed elio vene e con voi si so^loma ; E, poi a me non torna, A voi lo raccomando ; Non 11 facciate gelosia nò doglia — . — Donna, se voi mandate Lo vostro dolze core Innamorato si come lo meo, Sacclate In verltate, Che per verace amore Im- mantinente a voi mando lo meo... — *. Lapo Gianni (ball. Io sono Amor) ha nna figurazione, per cosi dire, alla rovescia: madonna. * avendo cordogl lenza ' del servente, vuol dare * al suo mal guarigione ' ; e dice ad Amore, che era ve- nuto mezzano per Implorare mercè : • Portateli lo cuor eh' avea 'n prigione. E da mia parte li date allegranza '. In una corona di tre sonetti ( Così dirtene a me. Io mi disdico, Grazie e mercè \ Chiaro Davanzati rappresenta un curioso contrasto: messere manda il suo cuore a madonna: 'Così '1 mio cnor. che a voi, donna avvenente, alando perchè vi conti le mie pene ; Con voi rimane, ed Io ne son perdente ' : madonna però risponde : • Io mi disdico che non ho tuo core. E s' Io r avessi, lo ti renderla : Ma poi non 1" ho. richiedilo ad Amore. A cui lo desti per la tua follia ' : e gli dà una buona lezione e un corollario ancor per grazia : ' Se sei saputo, pensalo e provve<ll. Ch' esser non può amor senza pia- cere ' : replica messere, ringraziando, mostrandosi lieto, e promettendo di ubbl- »Hf<^ a sua signoria, l'avvenente. L'Immagine d'Amore che reca 11 cuore del-
202 Le rinie e il racconto della Vi fa nuova
E di posticcio accomodamento risente la causa che il poeta adduce nella prosa per ispiegare perchè quell' andare non gli era gradito : e la circostanza della ' compagnia di molti ', che il poeta aggiunge parimenti nella prosa, sembra anch' essa un espediente per dar più peso alla pretesa cagione della sua tristezza : 1' andare gli sgradla, non perchè fosse solo, come potrebbe alcuno pensare, ma perchè si dilungava dalla sua beatitudine. Amore, nel sonetto, venÌA'a bensì,
Per non veder la gente, a capo chino ;
ma codesta gente non è poi necessario pensare che fosse la compa- gnia del poeta, anziché ogni altro viandante, come Amore e il poeta stesso. Né per intendere il sonetto occorre davvero fare buon viso ai posticci supplementi, che ben a ragione riescon sospetti. Se A- more, meschino nella sembianza, sospirando pensoso, e a capo chi- no, andava in servigio del poeta dall' uno all' altro ' piacere ' ; il poeta, eh' era fedele d' Amore, pensoso e triste dovea andare come il suo signore, a cagion di congruenza simbolica ; nò Amore ora tri- sto e pensoso perchè il suo fedele si dilungava dalla sua beatitu- dine, ma perchè parca che ' avesse perduto signoria '. E codesta causa della tristezza d' Amore, sulla quale destramente il poeta nella prosa sorvola, finisce col darci quasi la certezza che Beatrice era affatto estranea a quella immaginazione. Come avrebbe potuto dire il poeta che gli parea che Amore avesse perduto signoria, se allora, come sempre, lo ' segnoreggiava per la virtù de la gentilissima don- na ' ? Insomma, né del simulato amore, né di Beatrice, ci riesce di scorger traccia in codesto sonetto.
Ifessuna opportunità, come nessun sentimento amoroso poteva dunque ispirar quella finzione. Ma ben poteva l' ispirazione venir dalla casistica amorosa. Il poeta probabilmente si proponeva di ri- spondere alla questione, so amor lontano può durare ; e come poi giudicò ( Piirg. 8, 76 ) che
assai di lieve si comprende. Quanto In femmina foco d" amor darà, Se r occhio o '1 tatto spesso noi raccende ;
COSÌ qui, por esprimer suppergiù la stessa sentenza, si fece venir incontro Amore a notificargli il trasferimento, per ragion di servi-
1* amante alla donna amata, è anche in un sonetto di Hustlco di Filippo, /' ag- gio inteso : ' Lo cor quando dal corpo si partio. Disse ad Amor : Segnorc, in quale parte Mi meni? E que" risposo: Al tuo desio".
Amore spodestato dalla lontananza 303
/io, (ti qiU'l ciiniv ih»< in lontana j>aiU' faceva porder niìinoria al dio perojrrino (*). E si proponeva altresì, probabilmente, d' insinuare che è volontà d' Amore trapsissar da un affetto a»l un altro, appunto come nel sonetto a Cino, Jo sono stato. Probjibile dunque, che co- desta rima, nella prima intenzione, non uscisse dai confini della ciUiistica amorosa. Conferma a questa supposizione pare possa tre* varsi n"i dui' ultimi versi del sonetto:
Allora presi di lui sì g^ran parte,
Cli' elli dl.<)parve, e non m' accorsi come ;
il cui significato forse era questo : — M' infiammai così dell* amore vicino, che quella immatrinazione d' Amore meschino e senai signo- ria, dispai^'e — ; cioè, il cuore divenuto freddo e triste per 1* amoro lontano, s' infiamma qiuindo V amore è vicino ; non pensa più al p<iSKiito, e serve novo piacere. Tuttavia, nella prosa quei versi sono cosi parafi-iisjiti : • E dette queste parole, disparve quesUi mia inui- ginazione tuttii subitamente, per la grandissima parte, che mi par\'o che Amore mi desse di sé '. Bene osser>-ò il Witte che mentre nella prosa r agente è Amore, nel sonetto invece è il poeta. Ma codesta sostituzione non avrebbe certo importanza, se non ingenerasse alcun ritorcimento del primitivo significato dei due versi ; la cui para- f nisi. daUtci dal poeta, par che si possa intendere così : — Disparte quella immaginazione, perchè mi parve che Amore mi d^sse gran- dissimo ajuto, perchè mi parve che Amore prendesse grandissima parte ai casi miei : disparve, quando queir ajuto eh" io, rimasto senza difesi!, speravo dal mio signore, mi parve che fosse venuto — : sen- tenza codesta che, se, forse anche con >un poco di buona volontà, si può vedere nella prosa, non potri'bbe in nessun modo attribuirsi alle parole rimat<» (**).
Ma se nessuna circostanza di fatto noi sapremmo vedere in co* destji rima d' Amore spodestato dalla lontananza, ben seppe scovar-
1*1 La sentenza che la lontananza produce oblio, era già nei precetti cho Amore avea dettato a Guglielmo de LiorrLs. Cecco d' Ascoli ( Acerba, i, 11 ) que- sta Tolta consentiva : ' Infin che U vLso accende e II tatto dura, Fermo è II vo- ler in donna, e ciò consento : Stando dlvLsa, più di te non cura '.
(**| 8er Xoffo notajo, son. Vedete s' è pietoso : * Eo stava si doglioso Ch" o- gnl nom dlcea : el muore. Per lo meo lontan gire Da quella in cui lo poso Piacer tutto e valore Dello mio fin gioire. E stando in tal maniera. Amor m' apparve scorto ; E in suo dolce parlare Mi dLsse nmllemente : Prendi d' A- more spera Di ritornare a porto : Xè per lontano gire Non dLsmagar neente *,
204 t£ rime e il raccónto della Vita nuòva
ne una, e assai importante, la critica positiva, nella sola prima pa- rola del sonetto, in quel semplice ' cavalcando '. Che cavalcata sarà stata mai codesta di Dante ? Certo, è ben naturale che, della gio- vinezza del poeta sapendosi poco o niente, si colga con sollecitudine amorosa e scrupolosa la più piccola occasiono per carpir qualche indizio che, ben coltiA'ato, valga a mitigar sì grande carestia. Ma non sembra molto ragionevole dar valore di prova all' arzigogolare oltre i confini del verosimile. Su quella innocente parola si costrui- sco un capitolo, e il più bel capitolo, della biografia di Dante. Il poeta ha detto : — L' altro jeri, cavalcando, incontrai Amore pere- grino — . Or bene, quel cavalcando non sarà stato messo lì per ren- dere verosimile l' incontro con Amore che veniva da lontana parte, o per qualche altra ragiono poetica ; sarebbe stato un cavalcare con 1' immaginazione, e ciò non piiò essere : con V immaginazione è le- cito cavalcare soltanto ai critici, non ai poeti (*). È straordinaria la potenza suggestiva d' una parola, quando si trovano argute fantasie disposte, a fin di bene, a spaziar liberamente per i campi sterminati delle ipotesi ! In quella cavalcata, anzi in quel ' cavalcando ', il Balbo ( Vì'fa dì i>. 1, 3 e 5 ) A'edi-ebbe Danto giovinetto andar ' per istudio a Bologna ' ; il Todeschini ( Scr. 1. 271 s ), confutando l' ipotesi del Balbo, vi scopre invece ' una marcia guerresca verso il contado di Arezzo ' ; il Witte prende a dimostrare e specifica la marcia guerresca : si tratta dell' imprèsa di Campaldino, e 1' andare era sgradito a Dante perchè . . . egli era già ' propenso al Ghibellinismo '. Alla ' celebre spedizione dei Guelfi a Campaldino ' aveva già pensato anche F Orlandini ( Del' la Vita Nuova, discorso, nella raccolta D. e il suo sec. 394 ) ; ma il D' Ancona scarta Campaldino per ragioni di cronologia, e inculca che ' bisogna dunque pensare a qualche fatto militare, a qualche
(*) Guido d'TJlssel (citato dal Nannuccl, Man. 1, 140 n), ' L' autre lorn per aventora M' anava sol cavalcan Un sonet notau '. Messer Pleti-o Asino comin- ciava un suo sonetto così : ' Per un camln pensando già d' amore ' ; e forse an- ch'egli cavalcava. A Ciacco dell' Angulllara ( vd. ^«5S. W6/. 8, 295 ; Oiorn.stor. 36, 445 ) è attribuita una canzone che comincia appunto, ' Part' Io mi cavalcava ' ( al. ' Mentr' io mi cavalcava ', ' Per Arno mi cavalcava ' ). Al raffronto con lo Pastorelle francesi, obbietta 11 Bartoli (St. 2, 242 n): 'Ma bisognerà dimostra- re che, come si caviilcava lungo la Senna, non si potesse caA'alcare lungo l' Ar- no '. Certo, ed anche lungo II Tevere. Sennonché, quel cavalcare essendo una fin- zione, come tutto il contrasto, ben potrebbe esser motivo venutoci d' oltralpe. Comunque, non ora cosa nuova certamente 11 cavalcare con l' immaginazione : ser Brunetto, per es., dopo di essersi confessato a Montpellier, se ne tornò alla fo» rosta, e tanto cavalcò che arrivò sull" Olimpo, dove si abboccò con Tolomeo,
1m cacalcata di Dante à05
e fi calcata jinterioro ' al 1289, forse all' assedio di Poggio Santa Ce- cilia. Il Del Lungo ( Beatrice nella rifa e nella poesia del sec. XII J, ^Milano 1891 : p. 32 ss ) porta un notevole rincalzo ali* • interpreta- zione militare ' ; egli trova che le espressioni di cui si serve Dante nel racconto di codesta cavalcata, ' ire verso quelle parti \ '■ toma- ta ' ( o ' ritornata * ), sono di ' uso militare ' : e afferma che ' le cir- costanze e locuzioni del testo dantesco ... si adattano benissimo ad una spedizione milit^ire fìorentina quandochessia e per dovecchessia a^'^'onut^l '. E so 1' armigero amante di monna Bice, cosi tenero per le locazioni militari, racconta che Amore tiilora volgea gli occhi 'ad un fiume bello e corrente e chiarissimo', invece di dire eh' ei cavjilcava militando lungo 1' Arno, sjirebbe prova del * solito scru- poloso e perirnistico astrarre dalla storica realtà'; e se nel racconto del poeta non v' è accenno alcuno né a battaglie, né ad assedi, né a Guelfi, nò a Ghibellini, si dovrebbe argomentare che ' nel rac- conto che abl>iauio dinanzi, queste realtìi S4>lenni e tragiche svani- scono, e sottentrano ad esse i fiuitasmi ideali del romanzo d' un' a- nima '. Insomma, quel Grande che tanto fortemente sentì 1' amor di patria, che tjinto virilmente sempre operò, dopo una spedizione mili- tare, sarebbe venuto a dire: — Recentemente cavalcando, come sape- te, per quella gran seccatura di Campaldino, di Caprona, di Pog- gio Santa Ceciliiu che mi iillontanava dalla mia beatitudine; sapete novitc'i che mi occorse? che mi appar\'e Amore vestito leggermente, e mi disse certe cosette che saprete meglio quando piacerà al * si- gnore de la giustizia ' di chiamare a gloriare in cielo quella gen- tilissima che voi non sapete — . Insommii, il più fiero cittadino di Firenze, in un' impresa militare, non avrebbe trovato di meglio che farsi venire nell' immaginazione Amore meschino e peregrino, re- cante il suo cuoricino ' a servir novo piacere ' ! Sennonché, il pun- tello filologico del critico illustre all'ipotesi dell'impresa guerresca, non sembra cosi forte da sostener tanta mole. La frase del paragra- fo 9. ' ire verro quelle parti dove ', non pare che abbia un" and.*!- tura più marziale di molte altre simili della stessa Vita nuora (*) ;
(*) Cfr. FA'. 2, 7 • volse gli occhi verso quella parte ove ' ; .5. 1 ' sedea in parte ove * ; 10, 10 • pa<>.sando per alcuna parte ' ; 12, 3 ■ In sollnga parte andai ' : 12, 49 • nolle mandare in parte sanza me ' : 14, 2 ' renne In parte dove ' : 24, 2 * sedendo io pensoso in alcuna parte ' ; 24. »4 • parve che Amore m" apparisse al- legro da lunga parte ' : 34, 3 ' io mi sedea in parte ne la quale ' : 35. 1 ' con ciò fosse cosa ched io fosse in parte ne la quale ' ; 40, 10 ' Questi peregrini mJ pa« lono di lontana parte *,
20
206 Le rime e it racconto detta Vita nuova
né la A^oce ' toi-nata ', o ' ritornata '. è certo più bellicosa nel para- grafo 10 del colombino libello, che altrove (*). Più discreto il Ca- sini s'ispira ad Ovidio {Amores, 3. 2, 49):
Plaude tuo Marti, mlles ! nos odlmus arma : Pax Invat et media pace repertiis amor.
Egli crede * che si tratti di una cavalcata fatta per dipoi-to nei din- torni di Firenze in compagnia di amici ', Ma non vediamo perchè ' il fatto che Amore gli nominasse la nuova donna in mezzo alla via e gli apparisse in abito di pellegrino non può significar altro se non che quella donna fosse, certamente con altre, nella lieta brigata alla quale si era unito Dante '. Il poeta dice che dopo il ritorno cercò della donna nominata da Amore (**). Certamente, perchè il quadro fosse completo, ci mancavano le dame ; e così in quel ' ca- valcando ' abbiamo, senza tener conto delle Pandette,
Le donne o 1 cavaller, l'armi e gli amori (f).
(*) Il Casini cita V esemplo d' una ballata. Partite amore, conservataci da un Memoriale del 1286 di un notajo bolognese: ' Or me bassa, odo meo ; Tosto sia l'andata, Tenendola tornata Como d' Inamorati '. Cfr. anche Chlai-o Davanzali, son. Adimoraudo, 'Ma tuttavia membrando la tornata, Ched lo veniva a si grande diporto. Lasciava pene e grande pensamento ' ; Novellino , nov. 66 ' Cristo si volse, e ripreseli, e disse : ... E che ciò sia vero, alla tor- nata n' udirete l' assemplo ' ; nov. 90 ' Poi gli venne In talento di tornare a ve- dere il padre e la madre ; . . . con ricca compagnia salì a cavallo e ml- sesi in cammino : . . . ave' elli Imposto al messo che dicesse come elli avesse la gamba spezzata, per attemperare il cuore della grande gioia, la quale elli sapeva che elli avrebbero della sua tornata'; Barberino, Regg. 83 ' Vanne, non pti- re andar cercando come Tu possa più parlar con esso meco, Ch' io sento an- cora alquanto d' adirata ; Direni più cose all' altra tua tornata'; p. 139 ' E dimandando per la terra, chi è questa giovane, e slmili dlmande, tanto 1' allu- strano per la terra In seguitarla Inslno alla tornata In sua magione, che co- stei tornò in casa e comlnclossl a specchlare ' ; p. 359 ' Che se dovete voi tor- nare a Quello Che vi donò l'eccellente corona... Avanti a quella tornata sublime, Degnate a me alcuna grazia fare ' ; Boccaccio, Decam. 1, 4 ' Io voglio andare a trovar modo come tu esca di qua entro senza esser veduta ; perciò stattl pianamente Infine alla mia tornata'. Se poi dalla voce ' tornata ' passiamo col Del Lungo a,lla voce ' andata ', basterà ricordare 11 dantesco, ' Per questa andata, onde gli A&i tu vanto ' ; e se da codesti sostantivi passiamo, come fa Il Del Lungo, alle formo verbali di ' andare ' e ' tornare ' o ' ritornare ', gli e- sempl di uso non castrense, sono senza numero.
(**) Un episodio d' amor cavalleresco che si svolse lungo nn fiume, In una cavalcata di donne e cavalieri, ò narrato dal Barberino, Begg. 137 s.
(f) Cfr. Pnrg. U, 109 ' Le donne e 1 cavaller, gli affanni e gli agi ".
Tm hall afa 307
Tuttrtviii, r ipotesi del Casini, bonchò parimenti gi*atuita, cansa le insormontabili obl>iezioni che tolgon l' andare alle altre, e che ha in parte noWite il Casini 8t*»8RO (*). Perchè mai dobbiamo veder rimescolio cruento di Guelfi e Ghibellini nel pacifico 'cavalcando' del mistico racconto dei mistici amori del poetit ? scorger corrusche d' armi ferree larve jsruerriero nel * cammino do' sospiri ' (**) ? Però che nel sonetto non v' è altro che una visione 8Ìmi>olica del dio dell' amore, e nella prosji tale visione ò accomodata, come pare, al racconto della Vita nuora, che non tratta d' altro che d' amore. Se allegorico è il sonetto, e se T allegoria è anche amplificata nella prosa, perchè non dobbiamo pigliar tutto per una fantasia poetica ? Dovrebbe esser la cosa più naturale di questo mondo, specialmente jv'i- chi sonte giusto ribrezzo dello fantasticherie.
^^
BallaUi. Ballata, f co che tu ritroci Amore ( l'.V. 10 e 12). Quan- do una * soverchievole voce ' parea che ' infamasse viziosamente ' il poeta, perchè egli * in poco tempo * avea fatto la donna, che il suo signore gli ' avea nominata nel cammino de* sospiri '. sua • di- fesji tanto che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cor- tesia ' ; la ' distruggitrice di tutti i vizii e reina de le virtudi, pas- sjindo per alcuna parte, negò lo suo dolcissimo salutare ' al mistico suo adonitore. Allora Amore apparve in sogno, * ne la nona ora del die ', all' inconsolabile insalutato giovine : e, dopo avergli detto che •>ni tempo di lasciare gli schermi, e spiegato con parole oscure la cagione del suo pianto, cosi prese a ragionare *■ de la salute^ hi qual fue negata ' : * Quella nostra Beatrice udfo da certe persone, di te
(*l I-o Scherillo {Ale. cap. 249) procaccia qualche ^rado di probabilità al- r Interpretazione militare. ln<«inuando che la • spedizione ' era • forse di semplice pjirata *.
(»'i I .V. 10. 3. L'Orlandlni (art. elt. p. 3%) troTa che ' anche questa espre«i- slone è ottima a designare la via che conduce ad una Impresa di fratricidio '. ' Xotevoll. «scrive 11 D" Ancona ( l'.V. 75 (. queste designazioni precLse date da Dante a luoghi che furono teatro o testimonj di alcun capitale episodio della sua vita amorosa, e novella riprova Insieme della realtà dell' affetto suo per Bea- trice ■. Certo, è notevole che il • cammino de" sospiri " portava da Firenze al forte castello di Poggio Santa Cecilia, nel contado di Slena.
208 Le rime e il racconto della Vita nuova
ragionando, che la donna la quale io ti nominai nel cammino de li sospiri, ricoTea da te alcuna noia ; e però questa gentilissima, la quale è contraria di tutte le noie, non degnò salutare la tua per- sona, temendo non fosse noiosa '. Codesta dunque la cagione di tanta jattura ; questo poi a tanta jattura il rimedio, proposto o imposto al poeta dal suo provvido signore : * Onde con ciò sia cosa che ve- racemente sia conosciuto per lei alquanto lo tuo segreto per lunga consuetudine, voglio che tu dichi certe parole per rima, ne le quali tu comprendi la forza eh' io tegno sopra te per lei, e come tu fosti suo tostamente da la tua puerizia ... ; e per questo sentirà ella la tua volontà, la quale sentendo, conoscerà le parole de li ingannati '. Nella perdita del saluto e nel consiglio d' Amore si avrebbe dun- que r occasione o l' ispirazione della ballata. Nella quale però, il poeta chiede scusa e perdono e pietà a madonna, eh' oi crede verso di lui ' adirata '. E commette alla sua rima di dirle :
Madonna, quelli, che mi manda a vul,
Quando vi piaccia, vele,
Sed elli ha scusa, che la m' Intendiate.
Amore è qui, che per vostra bleltato
Ijo face, come voi, vLsta cangiare :
Dunque, perchè li fece alti'a guardare,
Pensatel voi, da eh' e' non mutò il core (*)•
E a conferma di ciò, la ballata deve aggiungere :
Madonna, lo suo core è stato Con sì fermata fede,
Che 'n voi servir 1' ha pronto ogne penserò : Tosto fu vostro, e mai non s' è smagato.
In fine, dice il poeta,
falle umil pregherò, Lo perdonare se le fossi a noia. Che mi comandi por messo eh- eo moia ; E vedrassi ubbidir bon servidore (**).
(*) Mazzeo Ricco, canz. Lo gran valore, ' Però, donna avvenente, Por Dio vi prlego, quando mi vedete, Guardate me : così conosciereto Per la mia dora, ciò cho '1 mio cor sente ' ; Chiaro Davanzati, son. Madonna, io non udivi, ' Se l'amore peccò ed lo peccai, Lo coro è messo che sempre v'adora, Cherendovi perdon sed io fallai '.
{**) Enzo re, canz. S' co trovasse, ' non m" è noia Morir, s" ella u' ha gioia " ; Onesto Bolognese, ball. La partema che fo, ' Di' che scovra ver me so volere : Se 'n piacere gli ò eh' eo senta morte, A me forte gradisco esser morto ' ;
Madonna adirata e gelosa 209
* Milli- <>i:imii \<-,U'. né poche, né di poco momento sono le di- screpanze tra la rima e la prosa. Dallo parole della ragione, par- rebbe che il poeta non avesse prima d' allora manifestato aperta- mente il suo amore alla gentilissima : e la ballata dovrebbe esser la prima dichiarazione di un amore lungamente tenuto chiuso in seno. Ma non par conveniente, anzi stranissimo pare, che alcuno, a chi non ha detto mai : — Io v" amo ! — venga fuori un bel giorno a dire : — Voi siete adirata con me perchè ho guardato un' altra ; perdonatemi : so no, falerni il favore di mandarmi a diro eh' io muo> ja — . Vorrebbe, senza dubbio, disincagliar la narrazione deUii Vita nuora da coilesta incongruenza il Casini, intendendo che Beatrice conoscesse * al({uanto per lunga consuetudine ', non giii il segreto amoro del poeta, ma 1' espediente degli schermi. Ma non pjire dav- vero che le parole del libello si prestino di buona voglia a tale in- terpretti/.ione. La concessiva, ' con ciò sia cosa che veracemente sia oonosriuto j>er lei alquanto lo tuo 8t»greto per lunga consuetudine ', )' <li lomplemento air espressione, 'voglio che tu dichi certe parole per rima, ne le quali tu comprendi la forza eh' io tegno sopnt te per lei, e come tu fosti suo tosUimento da la tua puerizia '. E ad ogni mo<1o, non si potrebbe dire che dall' interpretazione del Casini non rampolli altra e non meno grave contradizione. Possiamo noi pensare che il poeta si fosse ser\-ito per molti anni del ripiego dei simulati amori, senza che vi fosse un' esplicita intesa con la donna amata ? Chi ama cosi da divenir gelosa, non si contenta di sapere alquanto per lunga consuetudine che il suo fedele finga d' amare un' altra donna, ma vuol sincerarsi, e acquistar piena fede ed in- tera, e vetlemo aperta o chiara e urgente la necessità, e approvare, e acquetaci. E nel cjiso supposto dal Casini, quel chieder perdono, dovea. nonché dissipare, confermare i sospetti di madonna (*).
Pier delle Vigne però era più ragionevole : • Che ( argomentava, canz. Amore in cai viro ), a* io troppo dimoro, aulente cera, Pare eh* lo pera, e voi mi perde- rete : Adnnqae. donna, se ben mi volete. Guardate eh' eo non mora in vostra spera'. Se poi avea dei torti, madonna poteva ben contentarsi di dargli peni- tenza : * Mea canzonetta, porta estl compianti A quella che 'n baUia ha Io meo core, E le mie pene contale da^^antl. E dille com* eo moro per su* amore ; E mandimi per suo messaggio a dire Com' Io conforti l'amor che le porto: E s" lo ver lei feci alcuno torto, Donimi penitenza al suo volire *.
(*( Guitton A' Arezzo, rimando a freddo su motivi trovadorlcl ( canz. Sì mi distringie ), riesce invero ad accumular ì>en altre assurdità e contradizioni. Egli, sapendo ' "per certanza. Che discoverto amore non vai fiore. Che tempo con dolzoi-o Poco dura, ed un" ora tolte pregio ' ; pensò di andarsene lontano da ma-
210 T^ rime e il racconto della Vita nuora
Comunque sia di ciò, deir ira di madonna si tace nella ragio- ne, come si tace del perdono implorato dal servente ; per converso, manca nella ballata ogni accenno al saluto negato ed alla beatitu- dine del saluto, non v' è traccia della ' soverchievole voce ', ed è poco evidente 1' allusione all' amor della puerizia ; giacché, in luogo di supplire con le parole della ragione. ' tostamente da la puerizia ', si può bene intendere il ' tosto fu vostro ' della ballata così : — ap- pena vi vide, appena cominciò ad amai'\-i, fu vostro, tutto vostro fin dal primo momento — .
Forse codesta rima si proponeva di calmare la proA'ocata a bella posta gelosia di una donna amata ed amante. Pare che il poeta vo- glia dire a madonna : — Voi sapete come dinanzi a voi mi trasco- loro : or di che temete ? Guardai un' altra ; ebbene, sarà stato uno scherzo, sarà stato un ghiribizzo ; volli provaro il vostro affetto, volli avvivare la vostra fiamma ; che so ? pensatoi voi. Certo è eh' io sono stato o son tutto vostro ' — (*). E forse la ballata si riconnette
donna, e fingere di non amarla. Tuttavia, temeva che madonna per ciò lo bia- simasse : ' Fallenza forse pare A lei oh' Io son partuto Di là ove stava, e stogi I or più lontano : Ma non mi de' blasmare. Che piùe già non muto : Lo core meo m' ha pur lei prossimano ; Ma mutat' ò il corpo, e fo sembiante Ch' io non aggia che fare In quella parte ov' è sua dlmoranza '. Egli era disposto perfino a morire per la ' plagonte donna ' : ' Perchè (diceva) mi piace più per lei morire, Che per altra guarire, Poiché mi credo tutto in sua piagenza : Che mi place ed ngienza E morte e vita, qual più n" ha in grato '. Ma il guajo era appunto que- sto, eh' egli non sapeva qual cosa le fosse in grado : 'Et in grato qual sia, Certo non so di vero, Perchè per me né per altrui non posso. Dir lei la voglia mia '. Il ' piacentero sembiante ' di madonna però, gli mostrava ' gran benvo- gUenza ', e gli faceva bene sperare ' dolze mercede ' ; ma egli non osava doman- dare : ' Poi non oso per me né per altrui ; Sì forte temo a cui Eo poi pareggi di sì grande affare, Che me' m' è tormentare, Che 'n ver 1' onor suo far fior di fallenza '. Aveva trovato però un certo espediente per Iscoprir tei'reno, man- dare la canzone : ' Va, mia Canzon, là ov' Io non posso gire, E raccomanda me- ne A lei, che m' ha per suo leal servente : E di' che sia piagente Di dare me matera e 'nsegnamento Di dir lo meo talento Com' lo potesse lei, poich' io non saccio '. E codesta era la vera ragione : il futuro frate gaudente non sapeva fare all' amore neppure per rima.
(*) Cat. Carni. 83 'Irata est: hoc est, nritur et loqultur' ; Ovid. Amores, 1, 8, 95 ' Ne seeurus amet nullo rivale, caveto : Non bene, si tollas proelia. durai amor ; 2, 19, 13 A ! quotiens finxlt culpam, quantumque licebat Insontl, spo- ciem praebult esse nocens ! Sic ubi vcxarat tepldosque refoverat ignls, Rursus erat votis comis et apta mois ; 2, 19, 25 Pinguls amor nlmiumque patens In tae- dia nobis Vertltur et, stomacho dnlcis ut esca, nocet ' ; Ars aniat. 2, 435 ' Sunt. quibus Ingrato timida ludulgentla servii Et, si nulla subest aemula, languot amor . . . Sic, ubi pigra sltu securaquo poctora torpont, Acrlbus est stimulis
It son. Tutti ti mìei penser ali
al sonetto doppio 0 coi che per la mi. u.im. a me paro che il poeta ritragga Io stato del suo animo nel momento in cui vide che ma- donna adii-ata non voleii perdonare. Egli, mosttrando di ftiori ' al- legrunza ' e struggendosi ' dentro da lo core ', avrebbe tentato per altra via di venire a quel rappacificamento che con le scuse e le preghiere della ballatoi non avea potuto ottenere. Ballata e sonetto doppio sembrano infatti, per la lingua lo stile la forma metrica, più vecchi non solo del sonetto Caralcando f altr' ìer, ma e del primo sonetto .1 ciascun' alma presa, e del terzo Piangete amanti.
<S?5?<
Sesto sonetto. Tii/ti li miei penser parlan tf Amore ( VX. 13 ). Perduto il saluto ed eseguito il consiglio, riuscito, come pare, v<mo, del ^ signore de la nobilUuIe ' ; prima della ' nova trasfìgiirazione ' e del proposito d' imprendere ' materia nova e più nobile che la passetta ' ; il poet;». combattuto da diversi pensieri, era incerto per qual via si dovesse incamminare. ' Appresso di questa soprascritta visione, egli dice, avendo già dette le paroh», eh' Amore m' avea imposte di dire, mi cominciaro molti e diversi pensamenti a com- battere ed a tentare, ciascuno quasi indifensibilemente : tra li quali pensamenti quatti-o m'ingombravano più lo riposo de la vita'. Co- desti quattro pensamenti d' Amore, nel sonetto sono esposti, in dop- pia antitesi, con queste parole:
altro mi fa voler sua potentato. Altro folle ragiona 11 suo valore ;
Altro sperando m'apporta doliore, Altro pianger mi fa spesse ffati-.
Pai*e che il poetii volesse, filosofeggiando. Uiiiuir iL-lla natura e de-
ellelendns amor. Fac tlmeat de te tepidamqne recalface mentem ; Palleat Indi- ciò crimlnLs Illa tui. O quater et qnotlens numero conprendere non est Fell- cem. de quo laesa puella dolet. Qnae, simul Invitas crlmen perrenit ad anres, Excidit, et mlserae voxqne colorqne fuglt ! Ille ego slm, cuins laniet furiosa eaplllos ; Die ego sim, teneras cui petat ungue genas, Qnem videat lacrlmans, quem torvLs spectet oeellis. Quo sine non possit vivere, posse vellt .' " Rem. a_ nior. 543 • Flt quoque longus amor, qnem diffidentla nntrit *. Cod. d' Am. 21 • Ex vera zelotypia affectus semper crescit amandl : 22 De coamante suspicione per* cepta zelus iuterea et affectns crescit amandl*.
212 Le rime e il racconto della Vita nuova
gli effetti contradittorìi d' Amore. Sotto un certo rispetto, Amore è savia cosa e desiderabile ; ma per un altro riguardo, è detestabile e folle (*). E per tale incongruente natura e capricciosa signoria, il fedele d' Amore or sente il dolce della speranza, or ò messo in travaglio dal timore, o sente 1' amaro del disinganno. È una tesi astratta, condotta su motivi assai frequenti nella letteratura d' ogni tempo e d' ogni paese (**). IN^uova forse ò la trovata che, volendo
(*) D" Ancona : ' la signoria d" amore ò . . . folle, temeraria, Imprudente ' ; Ca- sini : '■folle, pericoloso cioè e conti-arlo alla ragione, 11 valore, la signoria d'A- more '.
(**) Anacr. Od. 29 ( ed. Rose, Llpslae 1890 ) ; Cat. Carm. 68, 17 ' Non est dea nescla nostri, Quae duleem curls mlscet amarltlem ' ; Terg.^c/. 3, 109 ' et quLs- quls amores Aut raetiiet dulcls, ant experletur amaj-os ' ; Ovld. Ainores, 2, 19, 5 ' Speremus parlter, parlter metuamus amantes ; Hcroides, 1, 12 ' Res est soUlcltl piena tlmorls amor ' [ cfr. Cod. d'Am. 20 ' Amorosus semper est tlmorosus ' ] ; Ars amat. 2, 515 ' Quod luvat, exlguum, plus est, quod laedat amantes : Proponant animo multa ferenda suo ! Quot lepores In Atho, quot apes pascuntur In Hybla, Caerula quot bacas PalladLs arbor liabet, Lltore quot conchae, tot sunt In amo- re dolores ! Quae patlmur, multo splcula felle madent ' ; Inghllfredl, canz. Au- dite forte cosa, ' Eo vivo In pene stando in allegranza ' ; Guido delle Colonne, canz. Amor che longiamente, ' Ben òste affanno dilettoso amare, E dolce pena ben si può chiamare ' ; Maestro Migliore ( ?), son. Amor s' eo parto, ' Ai lasso ! che non è gioia d' amore A nessun uomo che di bon cor ama, Che non haja più doglia che dolciore. Lo cominciare è doglia a chi lo brama, E lo iìnii-e è doglia e più dolore, E '1 mezzo è doglia e conforto si chiama ' ; Dante da Ma- jano, son. NnW omo pnò, 'Xull'omo può saver che sl.a dogllenza Se non pro- vando lo dolor d' Amore ; Né può sentire ancor che sia dolzore, Finché non prende della sua piacenza ' ; Tommaso di Sasso, canz. D' amoroso paese, ' Giam- mai sen sospirare Amore me non lassa solo un' ura. Deo che folle natura ! Elio m' ha preso, oh' io non so altro fare Se non pensare : e quanto più n i sforzo Allora meno pozzo avere abente . . . Amor mi face umile Ed umano, cruccioso, sollazzante, E per mia voglia amante amor negando ; E medica pia- gando Amore, che nel mare tempestoso Naviga vigoroso, E nello piano teme tempestate. Folli, sacclate, finché l' amadore DLsia, vive in dolzore ; e polche tene, Credendosi aver bene. Dagli amor pene, sperando aver gioia : Ija ge- losia è la noia che 1' assale. Amor mi fa fellone. Sfacciato e vergognoso : Quanto più son doglioso, allegro paro . . . Ben ameragglo : ma saper vorria. Che fera signoria mi face amore. Che gran follia mi pare Uomo In orare a sì folle signore. Che allo suo servidore non si mostra ' ; Petrarca, son. Or che 7 cielo, ' sol d' una chiara fonte viva Move '1 dolce e 1' amaro ond" lo mi pasco ' ; son. Amor mi sprona, ' Amor mi sprona in un tempo ed affrena. Asse- cura e spaventa, arde ed agghiaccia, Gradisce e sdegna, a sé mi chiama e scac- cia, Or mi tene in speranza ed or in pena ; Tr. d' Am. 3, 175 ' So com' Amor saetta e come vola ; . . . E come sono instabili sue ruote ; Le speranze dubbio- se e '1 dolor certo ; Sue promesse di fé come son vote ; . . . In somma so coni' è
Motivi antitetici sulla natura cP Amore àia
mc-tu i\' d' accordo codtsti termini Luiitradittorii, si riesce ;ul una nuova contradizione. Converrebbe invocar la Pietà, dice il poeta, per fare con tutti codesti pensieri ' accordanza ' : ma la Pietà è ' ne- mica ', probabilmente perchè Amore è anche fero e crudele, altro fecondo motivo della poesia erotica (*). dunque altra contradiziono, altra antitosi, piusto dove i diversi pensieri si appuntano e concor- derebbero. Parrebbe infatti, che se un sentimento di pietà tempe- rasse la varia natura d' Amore, le sue opposte qualità sarebbero in certo modo ravvicinate e armonizzato, e non tormenterebbero più, col loro stridente contrasto, il povero fedele ; il quale troverebbe allora appunto nella Pietà, una difesa, un compenso, un contempe- ramento alla dura sipioria d' Amore. E d' Amore il poeta vorrebbe pur diro; ma non sji da quale di codesti discordanti motivi debba prender miiteria ; e cosi si trova ' in amorosa erranza ' ; volendo for- se con ciò insinuare che il fiero despota induce anche in errore (**).
Incostante e ruga, Timida, ardita vita degli amanti, Ch' an poco dolce molto amaro appanni:... E qnal ò '1 m<51 temprato con 1* assiensio '. Noti i bisticci di amore amaro amarore ah mor '. Meo Abbracciavacca comlnclaTa un suo sonetto appunto cosi : ' Amore amaro, a mor • te m' hai feruto ' ; Federico dell' Ambra cantava (son. Amor comcnza dolce): "Amor, anzi Amaror'; e diceva che ' A- mor da' suol quasi ah mor! s'espone'. Chi poi non avea materia d* inquietu- dine, non dovea mostrarsi troppo allegro, per conveniensa: cosi Ranieri da l'a- lermo ( canz. Allegramente io canto ) : perchè, diceva. ' nomo senza temere Non par che sia amoroso ; Che amar senza temer non si conviene '. Qui e altrove, per confronti coi rimatori di Provenza, vd. nelle Note del voi. pr. del Man. del Nannnccl. e nel bello studio dello Scarano. Fonti proremali e italiane della li- rica petrarchesca ( negli Stadi di filologia romanza, 8, 269 ss ).
(*) Hor. Carni. 2. 8. 14 • ferus et Cupido, Semper ardentes acnens sagittas Cote cruenta " ; Ovld. Amores, 1, 2, 8 • Et possessa ferus pectora versat Amor * ; Bem. amor. 230 * Et tua saeviLS Amor sub pede colla premlt ' ; Cavalcanti, canz. Donna mi prega, ' un accidente che sovente è fero. Ed è sì altero, eh' è chia- mato Amore * . Federico dell' Ambra passa poi ogni misura : son. Considerando ben, ' Amore è passione ed amarore, Cmdero, fero, falso e disleale : Promette gioia e dà dolor mortale, E dobla sempre "1 mal In via peggiore '. È Insomma il Diavolo ; e come 11 Diavolo, anch' egli • al suo maggiore amico dà più pena ' [ cfr. Tlb. Carm. 1, 2, 9" ' At mlhl parce, Venns : semper tlbl dedita servit Mens mea : quid messes nrLs acerba tuas T ' ; Cavalcanti, son. Morte gentil , ' Amor , perchè fa* mal sol pur a* tuoi, Come quel de lo 'nfemo che t percuote f ' ] ; sicché a Federico ' par fol chi vuole su' amlstanza '. In un altro sonetto lo chia- ma perfino ' soprawlllano '.
(♦*) Vd. qui addietro, p. 36 n. Ovid. Amores, 1, 2, 35 ( descrivendo II trionfo d* Amore ) ' Blandltlae comltes tlbl erunt Errorque Fnrorque, Adsldue partes turba secnta tnas ' ; Petrarca, son. Io son de l' aspettar, ' Allora errai quando r antica strada DI libertà mi fu precisa e tolta " ; son. Amor mi sprona, ' Or
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214 Le rime e il racconto della Vita nuova
Certo, tutto codesto non può fare accordanzii neppur con la naiTazione della Vita uiiova. Il dire che Amore è bensì dolce e no- bile, ma folle, temerario, contrario alla ragione, crudele, errore, può convenire ad una tesi generale, non al caso particolare del poeta che parla della sola beatitudine del saluto e di quolF amore che giammai lo governò ' senza il fedel consiglio de la ragione ' (*). Sennonché, con qualche opportuno accomodamento esegetico, quella battaglia di diversi pensieri e quelF esitazione ad assumer materia all' amoroso canto, ben parve al poeta conveniente preludio all' e- pisodio della ' trasfigurazione ' ed all' entrata della ' materia nuova '. E perchè il sonetto avesse appunto un addentellato col racconto del libello, egli si servi del solito espediente : insinuò nella ragione quel che nella rima non era stato né detto, ne, pare, sottinteso. !Nel so- netto i motivi antitetici del terzo e del quarto ' pensamento ' sono la speranza e il timore o la disperazione:
Alti'o sperando m' apporta dolzore, Altro pianger mi fa spesso fiate.
Ma nella ragione la cosa è ben altrimenti posta ; e il poeta trova pur modo di farci entrar Beatrice e il saluto negato. Prima di tutto, sor^'ola sulla speranza del terzo pensamento ; e, traendo profitto dalla parola ' dolzore ', chiosa : ' L' altro era questo : lo nome d' Amore è sì dolce a udire, che impossibile mi pare, che la sua propia ope- razione sia ne le più cose altro che dolce, con ciò sia cosa che li nomi seguitino lo nominate coso, sì com' è scritto : Nomina snnt con- seqnentia rernm ' (**). Poi spiega, amplificando, il quarto pensamento così : ' Lo quarto era questo : la donna per cui Amore ti stringo così, non è come 1' altre donno, che leggeramente si mova del suo core '. Senza dubbio, leggendo il sonetto a caso vergine, nessuno penserebbe né al nome dolce d' Amoro, né al saluto negato e al-
alto or basso 11 mio cor lasso mena, Ondo '1 vago deslr perde la traccia ; E '1 suo sommo piacer par che 11 spiacela ; D' error sì novo la mia mente è piena ' ; son. Tennenii Amor, ' Omal son stanco, e mia vita riprendo DI tanto error, che di viriate il seme Ha quasi spento ' ; nella canzone alla ' vera beatrice ' ( Ter- giìie bella ) : ' Medusa e 1' error mio m' han fatto un sasso D' umor vano stil- lante '.
(*) Francesco da Barberino ( lìegg. 341 ), • L' Amore lUlclto è uno furore inor- dinato, non contento di dolcezza, né nemico di pena, cieco, disleale e superbo*.
(**) Cavalcanti, canz. Donna mi prega, ' E '1 placimouto che '1 fa diro ama- re ' ; Giudice Ubertino d' Arezzo, son. Se 'l nome, ' Se '1 nome deve seguitar lo fatto, Vera vita è la tua, o fra Gulttone*.
Perchè madonna la Pietà è nemica 215
r irromovibilità di Beatricu ( ). JS'ò oodcstii amplificazione sai'à poi digiuna di sensi riposti. ' Varium ot mutabile semper Femina', di- cova Virgilio {Acn, 4, 569: ofr. Petraiva, son. Se 7 dolce sguardo, • Femmina ò cosa mobil por natura ' ) ; ma Beatrice non era come lo altro ! Tuttavia, se per la ' soverchievole voce ' si era già mossa una volta dal suo cuoi-o, quando poi cosi tosto al mal giunse 1' om- piastre, e il poeta le foco conoscere, secondo il consiglio d' Amore, ' le parole do li ingannati ' ; perchè non avrebbe potuto far come aA'rebl)o fatto certamente qualunque altra donna, ricredersi e resti- tuire il Riluto e ricambiare 1" affetto ? Ma codesta rigida ' donna do la mente ' e ' do la salute ', codesta ' loda dì Dio vera ', amò o non amò mai il fervente cantore della sua lode ? ' Amor nìhii potest a- mori denegare', affermava il Codice d' Amore; or come nuii l'amo- re negava tutto, negava perfìno quel non dico magro pegno d' af- fetto, ma tenue segno di simpatia, quell* innocente saluto, di cui la Bic«> sdirebbe stata cosi lil)erale per le vie di Firenze ? D' altra parte, per testimonianza dello stesso poeta (Purg. 22, 10),
Amore. Acceso di virtù, sempre altro accese, l'ar che la fiamma sua paresse fuore.
Or ({uale amore fu mai più virtuoso di quello di Danto (**) f Ma Beatrice non era come le altre donne!
Sia comunque di codesta irragionevole irremovibUità della * don- na de la cortesia ' : paro poco persuasivo il nigionamento che fa il D' Ancona per ispiegare perchè * madonna la Pietà ' era ' molto ini- mica ' v(>i*so il poeta. 'Se per la tattica sbagliatii di Dante (egli scrive ), mal consigliato da Amore, Beatrice si era straniata dall' a- matore suo, ed ella tion era come le altre donne, ette leggiermente si mora del suo core, evidentemente non vi era altra speranza se non in un sentimento di pietà, di compassione, che difficile era susci- tare in lei. tanto eh' egli ne tremava nel core. Ma Ln tanta erranza amorosa e battiiglia di diversi pensamenti non v' era altro rimedio
(♦( D primo pensamento ( • altro mi fa voler sua potestate * ) è chiosato cosi : ' buona è la signoria d" Amore, però che trae lo 'ntendimento del suo fedele da tutte le vili cose". Ma ampllllcazione meno giustificata è forse quella del se- condo pensamento ( • Altro folle ragiona 11 suo valore ') : ' non buona è la signoria d'Amore, però che quanto lo suo fedele più fede li porta, tanto più gravi e dolorosi punti 11 conviene passare ".
(**) Da codesto luogo del Purgatorio, il Boccaccio ( Contili. 1, 231) desume che Dante fu • onestamente amato " dalla Bice Portlnari.
216 Le rime e il racconto della Vita nuova
se non ricorrore alla Pietà, che ognun lo capisco e lo sente, non è Amore : alla Pietà, da cui Dante rifuggiva, nò ad invocarla pie- gavasi se non sdegnosamente : dicendole Madonna, quasi per isde- gnoso modo di parlare \ Come avviene in simili casi, aveva già. da una parte, cominciato timidamente ad insinuar la cosa il Witte : ' Non s' intende troppo bene, egli osservava, perchè 1' a. chiami sua nemica la Pietà. Sarebbe che, invece di esser compatito, desiderava di esser amato ? ' Ma, dall' altra parte, ora venuto fuori il Tode- schini a spazzar via, con una furiosa ventata di retorica, dubbi 0 titubanze : ' Sdegnoso, ed orgoglioso anche in amore, il nostro poeta trova cosa ripugnante all' animo suo il dover ricorrere alla protezione della pietà. Egli vorrebbe a titolo di giustizia quella corrispondenza e fiducia, che il suo caldo affetto si merita '. I ma- gnanimi sdegni, e il fiero orgoglio, e il titolo di giustizia^ e il caldo affetto, e il resto, sono certo belle e rotonde parole ; ma, per av- A^entura, qui son fuor di luogo. Madonna la Pietà è nemica del- l' amante, sia perchè Amore è crudele e madonna è ' spietosa ', come diceva Lapo Gianni ( ball. Amore io prego ) ; sia perchè, invocata spesso e volentieri, non viene mai in ajuto del povero servente. Nella ballata della Vita nnova infatti, il poeta chiedo * piotate ' a madonna ; nel sonetto Con V altre donne ( VN. 14 ), il poeta dice che ' piotate ' tiene contro di lui * 1' u s a t a p r o v a ' ; e in tutta la Vita nuova, anziché ostentazione di fierezza, e' è esagerazione di umil- tà (*). Dice bensì il poeta eh' ei chiama la Pietà ' madonna, quasi por disdegnoso modo di parlare ' ; ma con ciò non avrà voluto diro eh' egli disdegnasse di muoverò a pietà Beatrice ; sì bene che ad una nemica non conviene il titolo di madonna, se non per ironia. E neppure oserei affermare che Beatrice, non concedendo più la beatitudine del sahito, ' si era straniata dall' amatore suo '. Non sa- prei spiegarmi come mai colei che si era già straniata in vita dal
(*) Cfr. Bartoll, St. i, 245 n ; Renler, Gioru. stor. 2, 373 : Barbi. Ball. ns. 8, 31. Enzo re, canz. >S" eo trovasse pietanza, ' S- eo trovasse pietanza In carnata fi- gura, Mercè le chiederla , Ch' a lo meo male desse allegglamento. E ben f a c- clo accordanza Infra la mente pura, Che '1 pregar mi varri'a, Vedendo lo meo umile gocchlmento. E dico : ahi ! lasso, spero DI ritrovar mercede. Certo '1 meo cor noi crede ; Ch' lo sono Lsventurato Più eh' uomo Innamorato ; Solo per me Pietà verria crudele. Crudele e dispietata Seria per me Piotate...' Tutti chiedevano pietà e mercè ; anzi Dante da Majano ( son. O/rc- sca rosa ) ci assicura che non avea cessato un momento solo dall' invocar mercè ; non avoa neppure pensato a riposarsi un pochino : ' Servente, ei cantava alla fre- sca rosa, Servente voi so stato In bona fede, Non riposando voi mercè chiamare '.
Effetti della presenza delV obbietta amato 217
suo limatore, potesse rimproverar sulla vetta del Purgatorio 1' ama- tore suo di essorsi da lei straniato, quand' olla mutò vitii.
-^
Settimo, ottavo e nono sonetto. Con f al/re donne mia cista gab- bate, Ciò che m' incontra ne la mente more, Spesse fiate vegnonmi a la mente ( VN^. 14 - 1(5 ). Particolare degno di nota, in questi tre soli sonetti della Vita nuora il poeta parla direttamente a madonna ; cosa che già il 'signore de la nobiltade' area giudicato non degna, e ohe più innanzi il poeta stesso stimerà sconveniente ( vd. VX. 12. 49 ; 19, 5 ). Egli svolge qui, con motivi della lirica del Cavalcanti ( cfr. i 8on. Veder poteste, Voi che per li occhi, L anima mia, Io te- mo che, e la ball. Oli occhi di quella ), il vecchio tema degli effetti •Iella presenza dell' obbietto amato. Celebre, su codesto tema, è 1' o- de di Saffo, come noto è il carme di Catullo ( n** 51 ), che ricalca lo orme della poetessa di Mitilone. A torto dunque il Bartoli {St. 4, 193 s ), osservando che alla fine del dugonto erano ' compiuta- mente sconosciute le torture del sentimento odierno, le sue raffimi- tozze, le suo malattie, il suo sUito di orgasmo continuo', volea ve- dere nella rapprosentjizione dugontistica degli effetti d'amore, *il tormento dello spirito che anela ad una idealità non possibile a rag- iriungorsi'. Ma so codesto sentimento non è più recente d'ogni al- tro umano sentimento, non pos.siamo conchiudoro tutta^^a che fosso sempre vero e reale ed attuale lo stato d' animo che i rimatori del dolco stile con molt.-i frequenza descrivono. Il Xannucci ( Jlan. 1, 29 n ), lo Schorillo ( Ale. cap. 259 ss ), lo Scarano { Fonti pror. p. i)7 ss dell' estr. ), per codesto tremore e sbigottimento alla vista doUa don- na amata, istituiscono boi raffronti anche coi rimatori di Provenza : o giova ricordare che il Codice d' Amere recava : 15 ' Omnis con- sue-N-it amans in coamantis aspectu pallescere ; 16 In repentina coamantis visione cor tremoscit amantis'. Un tema obbligato dun- que, che mesticava il convenzionalismo nell'esagerazione, talvolta troffa, dell' espressione, e nei luoghi comuni delle immagini (*).
(*l Xel son. Con i' altre donne. Amore, trovando il poeta presso madonna, ImbaldanzLsce, e con mano sicui-a, mena botte da orbo sa gli "spirti paui-osl ' del trasognato ; sicché, uccisi alcnnl spiriti ed altri scacciati, solo Amore rima-
218 Le rime e il racconto delia Vita nuova
Nel settimo o ottiivo sonetto della Vita nuova occorre inoltre un motivo che par sia 1' ultimo portato delle variazioni sul tema della crudeltà di madonna; il contegno di madonna dinanzi alla pietosa vista del povero innamorato ; il gabbo, lo scherno di ma- donna. E neppure qui mancano invero confronti con altri rimatori. Lo Scherillo {Ale. cap.2Q'^) ricorda Bernard de Ventadorn ; ed an- che Jacopo da Lentino ( son. Chi non avesse ) diceva a madonna :
E certo l' amor fa gran villania Che non dlstrJgne te, che vai gabbando, E a me, che servo, non dà sbaldlmento.
Pucciandone Martelli ( son. Signor sema pietanza ) s' ebbe tanto a male lo * schernire ' di madonna, che la mandò a farsi benedire e a trovarsi ' miglior servente '. Anche Lapo Gianni, che, mirando negli occhi amorosi di madonna, avea sofferto ' passione in ciascun membro ', cantava ( canz. Donna, se 7 prego ) :
ne a veder madonna, e 11 poeta si cangia ' In figura d' altrui " ; ma non così eh' e- gll non senta ' LI guai de 11 scacciati tormentosi '. Jfol son. Ciò che in' incontra, per la presenza di madonna, ' Lo viso mostra lo color del core, Che, tramor- tendo, ovunque può s' appola ; E per la ebrietà del gran tremore. Le pietre par che grldln : Mola, mola ! ' Nel son. Spesse /fate, appena 11 poeta leva gli oc- chi per guardare madonna, comincia nel suo cuore un ' terremuoto ', che fa par- tire 1' anima dal ' polsi '. Gianni Alfanl ( ball. Guato mia donna ) presentiva che sarebbe morto per forza d" un grande sospiro ; 11 che, se non altro, era molto semplice. Negozio assai complicato è Invece la rappresentazione dell' abbattimen- to In una ballata di Lapo Gianni ( Angelica figura ). Nel cuore di Onesto Bolo- gnese ( son. Quella che in cor ) madonna avea piantato ' 1" amorosa radice ', così di primo acchito ; e questo sarebbe stato niente, perchè, come si sa. Amore pian- tò addirittura ' un lauro verde ' in mezzo al cuore del Petrarca ; ma tali erano gli effetti d' Amore, che Onesto avea gli occhi ' morti In la cervice ', e si pote- vano udh'e anche ' gli angosciosi stridi ' del suo cuore ; oltre a ciò, parea che gridasse la morte ' ogni pendice ' del suo corpo. Nel Reggimento ( p. 3 s ) del Barberino, madonna non vuole ' esser conosciuta ', se ne sta ' celata ' e non de- gna di mostrar la sua ' fattura ' al suo fedel Francesco ; al quale deve bastare 1' odor eh' essa spande e lo splendore eh' essa gli ' raggia nel viso ' ; ma, anche senza veder la ' fattura ', messer Francesco sente che 1 suoi spii-iti sono abbat- tuti, e teme morte : ' Madonna, lo sprendore E questo odor che dite M' hanno abbattuto 1 spiriti miei Per modo tale, che non so che parli . . . quando s' ap- pressa Vostra valente e nobile sombranza', Indebolisce la mia vita tanto, Che temo morte '. In circostanze affatto ridicole, lo ZIma del Decamerone ( 3, 5 ) diceva a madonna : ' Spero tanta essere la vostra cortesia, che non sofferrete che lo per tanto e tale amore moi'te riceva per guiderdone, ma con lieta risposta e piena di grazia, riconforterete gli spiriti miei, 11 quali spaventati tutti trieman nel vostro cospetto '.
// gahho di madonna 219
Douna. roi li [ 1 miei dislrl ] gai>l'ittc sorridendo, E vedete la lor riUi morendo Con .sofferenza far riparamento.
11 Casini rieortla Gino dft Pi^toja (son. Se ini luìiste)'.
Se voi adibite la voce dolente De' miei sospiri qnand' escon di fnore, Non gabbereste la vista e -1 colore Ch* i* cangio allora eh' 1' vi son presente.
Da questo stesso sonolto, come dalle parole- di Lapo, si vede che il gabbo di madonna non era che ' riso e gioco ' :
L'anima dice a ini [al core]: ora ti lasso! Per che m' incontra ciò che riso e gioco VI fa menar qnand' avanti vi passo.
E forse anche da un altro sonetto ( Chi a falsi sembianti), dove Gino
o<Mi(lann;i la donna beffarda e crudele :
non chiamo già donna, ma morte. Quella che altrui por servitore accoglie, E poi gabbando e sdegnando l' ncclde ;
A poco a poco la vita gli toglie, E quanto più tormenta, piti ne ride.
E dei miirtiri del servente rideva madonna • disdegnosa *. aucho in una canzone di Dino Froscobaldi ( Un sol pensier ) :
Tu la vedrai disdegnosa ridendo,
Render grasie a colnl
Che co" martiri sui
Mi fa cosi per lei morir piangendo (*).
Sennonché, una circostanza, molto importante per l.t storia del- l' amor del poeta, dovrebbero confermare i tre sonetti danteschi
(♦) Il riso di madonna dava invece buona speranza ed era di conforto al Ca- valcanti (son. Io ridi gli occhi), come ad Ovidio {Amores, 3, 2, 83): talvolta però (ball. Io prego roi), forse per la troppa dolcezza, anche a Guido il rLso di madonna dava noja : ' Lo suo gentile spirito che ride, Questi è colui che mi si fa sentire. Lo qual mi dice : e' ti convien morire '. E ' rise ' di Guido • sbi- gottito ' anche Tnna delle due • forosette nove ' ( ball. Era in pensiero ) ; e benché egli dica che 'molto cortesemente' a lui rispose costei, tuttavia chiama ' pieto- sa ' e • piena di mercede * 1' altra, che non avea riso del suo sbigottimento. Del sorriso di Beatrice si trova già nella Vita nuora ( son. Xe li occhi porta ) : ' Quel eh" ella par qnand' un poco sorride, Non si può dire, né tenere a mente, Si è novo miracolo e gentile'.
220 Le rime e it racconto delia Vita nuova
della ' trasfigurazione ' e del ' gabbo '. Dalla ragione del settimo so- netto sappiamo, che il poeta, intervenuto a un convito di nozze, senza sapere non pur che vi avrebbe trovato Beatrice, ma che an- dava a un convito di nozze ; trovandosi ' in tanta propinqui tate a la gentilissima donna ', tenne ' li piedi in quella parte de la vita, di là da la quale non si può ire più per intendimento di ritornare ' ; e sappiamo che allora appunto la gentilissima donna si gabbò di lui. Ma di codesto episodio nuziale, che avi-ebbe ispirato i tre so- netti, nelle rime non v' è traccia ; anzi non pare che trasfigurazio- ne e gabbo fossero un fatto singolare, un accidente capitato al poeta lina volta sola e in nna particolare e determinata congiuntura : dalle rime pare invoce trattarsi di un fatto ordinario. Cantava infatti il poeta :
non pensato, donna, oncle si mova, Cli' lo vi rassonibrl sì flgiii-a nova, Quando riguardo la vostra beliate.
Amor quando sì presso a voi mi trova Prende biildanza . . .
Quand' lo vegno a veder voi, bella gioia, E quand' lo vi son presso . . .
Peccato face chi allor mi vide, Se l' alma sbigottita non conforta. Sol dimostrando che di me gli doglia.
Per la pietà, che '1 vostro gabbo anclde.
smorto, e d' ogne valor vóto, Vegno a vedei'vl, credendo guerlre :
E s' lo levo gli occhi per guardare. Nel cor mi si comincia un terremuoto. Che da' polsi fa l' anima partii-o.
Certo, a prescindere per ora da ogni altra considerazione, neppur da questi tre sonetti possiamo desumere alcun che di positivo e di concreto por la storia dell' amor del poeta.
2.
Una volta, non so se un erudito o un bellumore, vide dipinto un braccio di mare fra due nude rive. Pretendeva il valentuomo che il dipinto rappresentasse il biblico pas- saggio del Mar Rosso. E a chi gli obbiettava che nel di-
Il dipinto del biblico passaggio del Mar Rosso 221
pinto non si vedevano né gli Ebrei guidati da Mosè, né gli Egizi condotti da Faraone, rispondeva trionfalmente : — Ecco, gli Ebrei sono già passati, e non si vedono ; e gli Egizi non sono ancora arrivati — . Forse qualcosa di simi- le si potrebbe rispondere a chi domandasse dove sia mai, nelle Rime sulla bellezza fidca di Beatrice, Beatrice con la sna bellezza fisica. Certo, non un dato di fetto, non una circostanza confermano del racconto in prosa, le prime dieci liriche della Vita nuora ; le quali, nella storia dell' amor del poeta, dovrebbero pur rappresentare non solo la parte pili viva e caratteristica, ma anche la parte maggiore ; per- chè coli' episodio del gabbo siamo già intorno al 1287, e Beatrice morì nella prima metà del 1290. Si può dun- que con qualche prova positiva affermare, che non era in- tenzione del poeta raccontare, idealizzando, la ingenua storia dei suoi amori. Anche se alcuna di codeste dieci liriche fu ispirata da reale sentimento amoroso e rappre- sentò una verità di fatto, un momento d' una qualunque passione amorosa del giovinetto Dante, assunta nel libello, perdette quel che in essa vi era di sentimento reale e di verità di fatto. Nella Vita nuova le rime servono, non alla storia della passione che le avrebbe ispirate, ma a ben altro intendimento ; esse effettivamente non danno materia ad una pretesa ricostruzione romantica d' una passione amo- rosa, che si sarebbe via via sublimata ed idealizzata ; offro- no soltanto apparenti addentellati ad una costruzione, che in realtà é da loro affatto indipendente.
Ma non cosi di tutte le rime della Vita nuota. Certo, risponde pienamente agl'intendimenti del libello la canzo- ne Donne cKarete intelletto d'amore, con la qaale il poeta assunse ' materia nuova e più nobile che la passata ' ed iniziò le * nuove rime ' ( Ptirg. 24, 50 ). Ed io non ho al- cun dubbio ch'essa sia allegorica.
à^ Le rime e il racconto della Vita nuova
3.
Grande importanza ha sempre attribuito il poeta alla canzone Donne cK avete intelletto di' amore. Non solo ne fa ben due volte onorevole menzione nella Volgare Eloquenza, ma la ricorda in modo solenne nella Commedia, e da essa toglie occasione per definire il magistero dell'arte sua (^).
(1) Assai s'è detto della nota terzina del Purgatorio, e non sa- rebbe cosa lieve riassumere pure la questione. Vorrei solamente no- tare che, non solo la canzone Donne ch'avete, ma anche le canzoni allegoriche del Convivio, ricordate anch' esse nella Commedia ( 2, 2, 112; 3, 8, 37), e allora già commentato, furono scritte a quel modo che Amore dettava dentro. !Nionte giustificherebbe 1' esclusione di queir ' amoroso canto ' dalle * rime nuove '. E quando il poeta scri- veva la Commedia, quale Amore spirava e dettava dentro? Giacché, alla norma del poetare dantesco, non par che si debbano o possano far limitazioni. D'altra parte, la stessa canzone Donne ch'avete non ha pure un periodo che tradisca l'interna commozione dell' affetto, non pure una frase da cui traluca la schiettezza del sentimento, non pure una parola da cui spii'i la calda fiamma della passione d' a- moi*e. Né una rima, a cui il poeta aveva attribuito intendimenti ri- posti, poteva del resto esser citata come esempio di sincerità. La terzina del Purgatorio richiama l'altra terzina del Paradiso, 26, 16. Tutti i poeti si dissero sempre ispirati dalla divinità, e Dante stesso invoca allegoricamente Apollo perché, ' divina virtù ', gli entri nel petto e spiri {Par. 1, 19). Ovidio ammoniva [Ars amai. 3, 547) : ' Va- tibus Aoniis f aciles estote, puellae : Numen inest illis, Pieridesque favent. Est deus in nobis, et sunt commercia caeli: Sedibus ae- theriis spiritus ille venit '. E secondo s. Agostino, non avea parlato la stessa Verità per la bocca di quel Virgilio, da cui il poeta tolse ' lo bello stile ' delle ' rime nuove ' ? Cfr. Pnrg. 21, 94-97; 22, 64-73. Pare che Dante attribuisse l'eccellenza dell'arte sua all'ispirazione 0 allo studio (cfr. VE. 2, 4, 7) ; certo, buona chiosa alla terzina del Purgatorio è il paragrafo 19 della Vita nuova : quando Amore spi- rava, ' la lingua parlò quasi come por so stessa mossa ' ; a quella improvvisa ispirazione, seguirono alquanti giorni di riflessione e di
Im canz. Dmine ch^ acefe, e la citazione della Conim. 228
E nella Vita nuova stessa, è presentata con grande appa- rato, sia nella ragione della sua genesi, sia nella divisione per la sua intelligenza. La ' materia nuova ' , la lode della gentilissima salute, al poeta parea 'troppo alta materia', e stette * alquanti di con desiderio di dire e con paura di cominciare ' ; poi ' passando per un cammino, lungo lo qua- le sen già un rivo chiaro molto' ("ì, c:li venne volontà
studio: il pooUi, poste ' n«.> la iiicntf ron iriaiuli- letizia" it» ispirala paroks notata Tispiraziono, andò poi sifoni fi cjindo corno Amore det- t^iva dentro, come Amore ragionava nella monto (cfr. Conc. 3, 12, 10). E forse l'Amore da cui il poeta Jispettava Tispiraziono, era in fondo, chi potrebbe negarlo recisamente ? . . . era davvero il Primo Amoro, V Eterno Spiro, lo Spirito Santo. Codesta interpretazione della famosii terzina del Purgatorio^ è del resto molto vecchia; òdi Filippo Villani [Com. 85), e fu attribuita anche al Petrarca (vd. De Batines, Bibliogrnfia dant. Prato 1846 : 2, 200 s; Carducci, Op. a 283 s : Papanti, D. secondo la tradizione e i norellatari, Livorno 1873, p. 85 ss), il quale dell'i mmagine dantesca si servi veramente con ben altro intendimento (cfr. canz. In quella parte, 'Colui che del mio mal meco ragiona. Mi lascia in dubbio, si confuso ditta ' : ma Ovi- dio avea già, Amores, 2, 1, 38 ' Carmina, purpureus quao mihi dic- tat Amor'). Molti nel trecento, a cominciare da ser Graziole ( vd. Roccii, Ale. comm. 53 ), credettero che la Commedia fosse d' ispira- zione divina ; e non a torto il Foscolo scriveva {Disc. sez. 158) : * A dirne il vero, ei [ Dante ] tenevasi uno do' pochi degni dell' amici- zia dello Spirito Santo '. Mostra il Lucchese d' avere bene inteso r affermazione del poeta ? Dante parlava di sé, e Buonagiunta di
• vostre penne ' e di ' nostre penne '. E a me pare invero di fiutare una fine ironia in quel far dire a Buonagiunta sentenziando : ' E qual più a riguardar oltre si mette, ISon vede più dall'uno all'al- tro stilo ': ironia che sfirebbe suggellata dalla conclusione del poeta:
* E quasi contentato si taeette '.
(1) Codesto • rivo ', anziché il * fiume bello e corrente e chia- rissimo ' del paragrafo 9. forse richiama il * bel fiumiceUo ' che di- fendeva intorno il ' nobile castello ' degli ' spiriti magni ' (////. 4, 108). È notevole che la ' ricca e nobile fortezza ', il ' palazzo ' di madon- na Intelligenza, era anch'es.so ' Intorneato di ricca fiumana ' {Infell. st. 60).
224 Lp rime e il racconto della Vita nuova
di dire ; e, pensando al modo da tenere, gli venne un' im- provvisa ispirazione, ' la lingua parlò quasi come per se stessa mossa ' ; in fine, dopo d' aver pensato ancora ' al- quanti di', scrisse la mirabile canzone, il canto nuovo, la lode di Beatrice ('). E benché il senso letterale non offra alcuna difficoltà d' interpretazione, e solo qualche punto possa dirsi disputabile, il poeta insinua eh' essa, come la consorella del Convivio, ' parli faticosa e forte ' ; e cosi 1' ammonisce :
Ingegnati, se pnoi, d'esser palese Solo con donno o con uomo cortese.
E * acciò che sia meglio intesa ' egli la divide ' più arti- ficiosamente che 1' altre cose di sopra ' ; e con tutto ciò^ conchiude : ' Dico bene, che a più aprire lo 'ntendimento di questa canzone si converrebbe usare di più minute di- visioni ; ma tuttavia chi non è di tanto ingegno, che per queste che sono fatte la possa intendere, a me non dispia- ce se la mi lascia stare : che certo io temo d'avere a troppi comunicato lo suo intendimento, pur per queste divisioni
(1) Psal. 32, 3 ' Cantate oi canticum novum : bene psallite ei in vociferatione ; 38, 2 Benedicam Doniiniim in onini tempore : somper laus ejus in oro meo ; 39, 4 Et immisit in os moum canticum no- vum, camion Deo nostro ; 50, 17 Domine, labia nioa aperios, et os meum annuntiabit laudem tuam ; 68, 31 Laudabo nomen Dei cum cantico, et magnificabo eum in laude ; 70, 6 In te cantatio moa som- por ; 8 Repleatur os meum laude, ut cantem gloriam tuam, tota dio magnitudinem tuam ; 95, 1 Cantate Domino canticum novum ; 2 Can- tato Domino et benedicite nomini ejus, ann untiate de die in diom salutare ejus ; 97, 1 Cantate Domino canticum novum, quia mirabi- lia fecit ; 118, 131 Os meum aperui et attraxi spiritimi, quia man- data tua desiderabam ; 171 Eructabunt labia raea hyranum, cum do- cueris me justificationos tuas : 143. 9 Deus, canticum novum can- tabe tibi ; 144, 21 Laudationem Domini loquetur os moum ; 149, 1 Cantato Domino canticum novum, laus ejus in ecclesia sanctorum '.
Accenni a un riposto intendimento
che fatte sono, s'elli avvenisse che molti lo potessero udi- re'. Dove giace mai codesta oscurità ? Chi ben guardi, la dicisione più artificiosa non è che per la seconda parte del- la seconda divisione principale, cioè per quella parte ove il poeta canta che di Beatrice * si comprende in terra '. Co- me le parti della prima divisione principale, così la prima parte della seconda divisione principale ( della divisione che contiene tutta la lode di Beatrice, * lo 'ntero [ 'nten- to] trattato ' ), non ha suddivisioni, e il poeta si limita ad avvertire che in quella parte si dice che della gentilissi- ma ' si comprende in cielo '. Ecco graficamente rappresen- tata l'artificiosa divisione:
Divisioni alla canz. Donne eh' avete
Donne ch'avete
Angolo rlnma
Canzone lo so
Donno Io E lo Donno Angolo Madonna è desiata
eh' avete dico non e clama
vo' donzello parlar
Madonna Dice di lei Amor è desiata
Dice Degli occhi «noi
di lei Amor
occhi bocca
Ma, se v'era parte che, per esser meglio intesa, avea bi- sogno di suddivisioni esplicative e dichiarative, era appunto la prima parte della seconda divisione principale. Cosi di Beatrice ' si comprende in cielo ' :
226 Le rime e il racconto della Vita nuova
Angelo clama il divino intelletto E dice: ' Sire, nel mondo si vedo Maraviglia no l'atto, che procedo D'un'anima, che 'nfin quassù risplende '. Lo cielo, che non have altro difetto Che d'aver lei, al suo Sognor la chiedo, E ciascun santo ne grida morzedo. Sola pietà nostra parte difende; Che parla Dio. che di madonna intonde : ' Diletti miei, or sofferite in pace, Che vostra speme sia quanto mi piace Dà, dov' è alcun che perder lei s' attende, E che dirà ne lo inferno: — O malnati. Io vidi la speranza de' beati — ' (1).
Certo, ha molto affaticato i critici, ed è stato dai critici in più modi tormentato, quel!' ' alcun ' che s' attendea di perder madonna, e che doveva andare all'inferno.
(1) Gregorio Magno, Mor. 2, 10 ' Aliter loquuntur Angoli ad Doum ... "V ox namque Angolorum est in laude conditoris, ipsa ad- miratio intimae contemplationis. Virtutis divinao miracula obstu- puisse, dixisse est : quia excitatus ciun rovei'entia motus cordis, ma- gnus est ad auros incircumscripti spiritus clamor a^ocìs. Quae vox se quasi per distincta verba explicat, dum sese per innumeros mo- dos admirationis format. Deus ergo Angelis loquitur, cimi eis vo- luntas ojus intima videnda manifestatur. Angeli autem loquuntur Domino, cum per hoc, quod super semetipsos respiciunt, in motum admirationis sui'gunt. Aliter Deus ad Sanctorum animas, aliter Sanc- torum aniniae loquuntur ad Deum. linde et in Johannis Apoca- lypsi rursum dicitur: Vidi siibter altare animas interfectorum prop- ter verbnm Dei et propter testi monium quod habebant: et clamabant voce magna dicentes : Usqiieqno, Domine , sanctus et verus, non judicas et vindicas sangninem nostrum de his qui habitant in terra? Ubi il- lieo adjungitur, Datae sunt illis singnlac stolae albae, et dictnm est illis, ut requiescerent tempus adJiuc modicum, doncc impleatur nume- ras conservornm et fratrum eorum. Quid est enim animas vindictao potitionem dicore, nisi diem extromi judicii, et rosurrectionem ox- tinctorum corporum desiderare ? '
X,' alcuno della sciarada infernale 227
Naturalmente, prima e per lunga pezza, si pensò al poeta stesso, e si vide un accenno alla Commedia. I primi commenti al libello e le prime dissertazioni sul libello, sono come un porto di mare, dove convengano mercanzie d'ogni genere e da ogni parte, e dove nessuno abbia cura di sor- prendere il contrabbando. Si declama su ' l'importabile pas- sione ', su * l'ingenuo racconto ', ma e si fa buon viso al- l'intempestivo accenno alla Commedia, ed anche al poco a- morevole presagio. Però, fatti meglio i conti, se non parve del tutto malagevole spiegare perchè mai il poeta temeva di veder morire la donna amatA, e come mai gli era venuto in animo di cantarle e ricantarle il funesto prognostico ; l'accenno alla Commedia, o a qualcosa di simile, sconcer- tava un po' il romanzetto della Portinari. E ben si vide che in nessun modo si poteva consentire che, vivente an- cora la moglie di messer Simone, epperò non ancora ve- nuto pel poeta il momento buono di distillare il forte vi- no della sua passione, di idealizzare e trasformare l' altrui fida sposa in madonna Teologia ; Dante pensasse, sia pur vagamente, a un viaggio nell' altro mondo, con l'intendi- mento di glorificarla. Si pensò allora ( poiché accogliere, d' altra parte, non parve si potesse l' ipotesi d' un rifaci- mento posteriore), si pensò che il poeta, per umiltà, si facesse mandare al Diavolo da Domineddio, e si facesse da chi tutto sa e tutto vede ed errare non può, chiamare malnato, per umiltà ; sicché il poeta sarebbe andato bensì all' inferno, ma per restarci, non già per il solito viag- getto di andata e ritorno, a cui allora, in tutt' altre fac- cende affaccendato, non avrebbe potuto pensare.
Sennonché, pare che molti ingojassero, quando pure ingojavano, codesta amara pillola più per timor di peggio, che perchè fossero convinti della virtù del rimedio. Che umiltà sarebbe mai stata questa, di chiamarsi malnato e dannato all' inferno ? e si dava del malnato chi parlava
^28 Le rime e il racconto della Vita nuova
soltanto a ' donne e donzelle amorose ' eh' aveano ' intel- letto d'amore ' ? ed era un predestinato all'inferno chi cele- brava la ' loda di Dio vera ' ? e si faceva qui solennemente dannare da Dio alle pene eterne, chi più innanzi doveva dire ch'ei sperava d'andare in cielo, dopo d'aver detto della gloriosa donna ' quello che mai non fue detto d'alcuna ' (^)? Parve e fu un gran fatto adunque, quando si riuscì di mandare a casa del Diavolo gente più meritevole del- l'eterno castigo che il poeta non fosse, o non si credesse. Guido Mazzoni pensò che, a non render necessario 1' in- grato ancoraggio della dannazione del poeta, e nello stesso tempo a causare le secche pericolose del determinato ac- cenno alla Commedia, bisognava drizzare l'artimone del pe- riodetto dantesco all'ora del desiderio, intendere quell' ' al- cuno' per ' qualcuno ', ' più d'uno ' , ' alcuni '. E cosi pa- rafrasava le parole di Dio il Mazzoni ( Il primo accenno alla DC. ì vd. Bull. ns. 5, 73 s ) : ' Abbiate ancora pazien- za, 0 miei diletti ; 1' ora della morte di lei non è per an- che scoccata, ed è giusto ch'ella rimanga un altro poco a far beato di se il mondo, dove più d'uno, vedendola, pensa, come voi, che quella è cosa di cielo, scesa di cielo tra gli uomini a mostrare un miracolo, e si aspetta di averla a perdere, sempre che paragona sé con lei ; che veramente più d'uno di quelli che l'han vista andrà poi all'Inferno, ma anche laggiù costui, tra' suoi compagni di dannazio- ne, avrà un qualche conforto nel rammentare d' avere in . Terra goduto quasi un saggio del Paradiso, e trarrà alcu- na gloria dal poter dire vantandosi con loro : — Eccomi, come voi, ne' tormenti ; ma io, almeno, prima di piombar qui, ho visto in Terra quella ch'era desiderata perfino da' beati, e chiesta da loro a Dio ! — ' Alcuni fra coloro che
(1) VN. 42, 9; cfr. Conv. % 9, 133; Pnrg. % 91; 13, 133; 21, 24: 24, 77; 32. 100: Par, 30, 135; e vd. Scherillo, Ale. cap. 339 s.
V alcuno della sciarada infernale 2-^9
aveano vista Beatrice andranno dnnque all'inferno; non già il poeta che le avea parlato, ricevendone il saluto ; perchè nella stessa canzone è detto che ' non può mal fi- nir chi le ha parlato'. 'Chi sa, conchiudeva il Mazzoni, fjuanti anche di quelli che avevano vista Beatrice, saranno dovuti andare all'inferno, secondo il giudizio de' loro con- temporanei, se non si vuol dire secondo il giudizio di Dio ! '
Certo, codesta interpretazione aveva principalmente un grave difetto organico : V * alcuno ' della canzone, nella pa- rafrasi era inteso prima per * alcuni ', e poi per ' alcuni di alcuni ' ; alcuni s'aspettavano di perdere Beatrice, e solo alcuni fra essi sarebbero andati all'inferno ; il che non pare davvero dalle parole del poeta. Ma la via aperta dal Maz- zoni (') parve alla bella prima cos'i comoda e sicura, che alcuni critici, senza esitare, anzi con vero entusiasmo, ab- bandonarono tosto per essa i vecchi sentieri. Ad Egidio Gorra essa parve ' la diritta via ' ; però, pensando che il Mazzoni ' ebbe forse a percorrerla quasi frettoloso di giun- gere presto alla meta, come a porto tranquillo e sicuro ', si propose di rifarla, ' sostando più spesso, e girando in- torno con maggiore insistenza lo sguardo, nella fiducia di avere a scorgere qualcosa ... a lui rimasta inosservata '. Tuttavia, l'interpretazione del Gorra, anche dopo le osser- vazioni dello stesso Mazzoni {Bull. ns. 5, 177 ss), e nella sua forma ultima, quale si legge nel volume Fra Drammi e Poemi (p. 127 ss) non pare molto persuasiva.
Pensa il Gorra che ' chi fissi lo sguardo nella terza strofe, nella quale il poeta si propone di dire alquante del-
(1) 11 Barbi (Bull. ns. 10, 97 n^) ricorda che il Tommaseo a- veva già interpretato : ' Iddio risponde : Aspettate alquanto, si che gli nomini la possano ancora godere, e coloro che vanno all'Inferno, raccontino /' ridi la $peransa de beati ( Commento alla D. C, Mi- lano 1S>J:. p. 22 ) '.
29
^ Le rime e il racconto della Vita nuova
le « virtudi effettive» che procedeano dall'anima di Bea- trice, facilmente vi discerne indicate tre sorta di perso- ne : — quelle che avendo da natura sortito « cuore villano » non possono dalla vista di lei derivare nessun giovamento, ed esse non « soffrendo di starla a vedere » devono fug- girla o morire ; — quelle che mostrandosi disposte a mi- rarla, sono perfettibili e perciò ne provano la virtù e ne ottengono « salute » (non il saluto) ; — e infine coloro che avendole parlato (saluto) son certi di non avere, per con- cessione divina ( « ancor l'ha Dio per maggior grazia dato » ), a miseramente finire '. Donde il Gorra cavi fuori codeste sue tre categorie, non si vede bene. Canta il poeta nella terza stanza della canzone:
Dico : qiial vuol gentil donna, parere
Vada con lei; che quando va per via
Gritta nei cor villani Amore un gelo,
Per che ogne lor penserò agghiaccia e p(?re ; 35 E qual soffrisse di starla a vedere,
Diverrla nobil cosa, o si morrla :
E quando trova alcun che degno sia
Di veder lei, quei prova sua ^^rtute,
Che li a^'Anen ciò che li dona saluto, 40 E sì l'umilia, ch'ogni offesa oblia.
Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato,
Che non può mal finir chi l'ha parlato (*).
Pare che nei versi 33 - 36 il Gorra veda descritta la con- dizione della prima categoria. Veramente, dalle parole del poeta pare che anche i ' cor villani ' ricevevano benefizio della dimora quaggiù di madonna, tutti i ' cor villani ' che si trovavano sul suo passaggio ; ogni loro malvagio pen- siero irrigidiva e periva. Ed è opportuno ricordare che Beatrice, non solo '■ sveglia ' amore ' là dove dorme, ma
(1) Sap. 6, 17 ' Quonlam dlgnos se Ipsa [ Saplentla ] clrcult quaerens, et la vlls ostendlt se lllls hllariter, et Iii oninl provldentla occuri-lt illls. Inltlum enim lllius, verissima est dlscIpUnae concuplscentla '.
Il cuor cillano, la salute e il saluto 2"U
là ove non è in potenza, ella, mirabilmente operando, lo fa venire' ( VN. 21, 5). Ben è vero che, se alcuno fosse stato di tanta virtù da sostener la vista di madonna, sa- rebbe divenuto ' nobil cosa ', o sarebbe morto, probabil- mente dalla dolcezza ; ma non mi pare che il poeta allu- da in particolar modo ai cuori villani : anch'egli non sof- friva ' di starla a vedere ' ; e ben glielo avevano ricordato le donne, in quel colloquio che fu come il primo passo verso la materia nuova e la mirabile canzone {VN. 18, 17;: ' A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza?' Diremo forse che anche il poe- ta aveva ' da natura sortito cuore villano ', e non poteva ' dalla vista di lei derivare nessun giovamento ', e dovea ' fuggirla o morire ' V Non pare dunque che nella canzone vi sia posto per gl'infelici della prima categoria. E, d'altra parte, codesti cuori villani così induriti da non potor ri- cavare giovamento veruno dalla vista di monna Bice, o perchè non soflfrivano di starla a vedere, e doveano fug- girla? e perchè, se per curiosità malvagia di cuori villani si fermavano un poco e soffrivano un tantino di starla a vedere, doveano inesorabilmente morire ?
E passiamo alla seconda e terza categoria. Nei versi,
E quando trova alcnn che desmo sia Di veder lei. quei prova sua vertute ; Che li avvien ciò che li dona salute. E si l'urailia, ch'ogni offesa oblia :
il critico vede accennate quelle persone che, ' mostrandosi disposte a mirarla, sono perfettibili e perciò ne provano la virtù e ne ottengono « salute » (non il saluto; '. Sen- nonché, esser degno di veder madonna, non è certo lo stes- so che mostrarsi disposto a mirarla. E perchè costoro non ottengono la salute col saluto? Evidentemente, nella pa- rola ' salute ' il Gorra non vuol vedere il frequentissimo giuoco, perchè con la gente meritevole del saluto vuol for-
232 Le rime e il racconto della Vita nuova
mare i quadri della terza categoria, alla quale ascrive il poeta. Il saluto dunque, come l'accenno alla classe privi- legiata, il Gorra lo scopre nei versi:
Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato, Che non può mal finir chi l'ha parlato.
Fatta codesta distinzione e partizione, il critico passa alla soluzione della sciarada infernale. E senza esitare un momento, manda al Diavolo la prima categoria. E qui ap- pare il vantaggio della classificazione dei Gorra ; perchè i procedenti all'inferno formano una schiera a se, affatto di- stinta dalle due legioni dei meritevoli del paradiso, da quelli che aveano veduta la signora De' Bardi, e da quelli che le aveano parlato ; i quali perciò esulano totalmente dal passo contrastato della canzone, e sen vanno per più si- curo calle in cielo. 11 Mazzoni aveva avuto il torto di avviar dannati e salvati pur per quel passo, che non la- sciò giammai persona viva. ' Non resta per me nessun dub- bio, afferma il Gorra, che coloro ai quali Dante fa da Dio decretare l' inferno sono i malvagi e i disdegnosi, che o non sanno ravvedersi, o non sanno commuoversi dinanzi a colei che il cielo mandò sulla terra « a miracol mostra- re » . Costoro sono destinati al luogo di pena dove diranno di aver veduto un tanto miracolo, ma non per «gloriar- sene» (ecco il verbo usato a torto dai commentatori, ma non dal poeta), sì per attestare una volta di più la infi- nita misericordia divina, che per la salute degli uomini compiè un altro prodigio, inviando fra loro Beatrice ( « e venne in terra per nostra salute » ) ; e sì per rammaricarsi di comprendere troppo tardi il beneficio perduto '. Come si vede, non e' è proprio speranza per costoro ; son proprio dannati, non solo a giudizio dei contemporanei, ma anche dei posteri, eh' è più grave. E bene sta. Quei malnati cuori villani non solo non si mostravano disposti a mirare la fi-
L'ahuno, i cuori villani, le inah femmine 233
gliuola di Folco, ma non soffrivano neppure di starla a vedere, e neppure sapevano commuoversi dinanzi a lei ; senza dire che, per non andarsene sabito all' inferno, dovea- no fuggirla come tanti cani arrabbiati.
Ma chi erano costoro? Dalla indagine del Gorra è ve- nuto fuori che ' Dante, ben lontano dal volervi andare e- gli stesso, vuole invece mandare all' inferno la gente vil- lana, in ispecie quelle male femmine, ch'ei ben conosce, che hanno osato metter male fra lui e Beatrice, dipingerlo a questa come un arnese pericoloso, far sì che ella, moglie fedele e custode gelosa della sua fama, non volesse più sa- perne di lui. Al povero Dante, osserva il critico, altro non rimase se non imitare 1' esempio della volpe della favola, la quale non essendo giunta a cogliere l' uva, disse che non aveva avuto nessuna intenzione di mangiarla ! ' Ma, con buona pace del Gorra, non saranno state ' male fem- mine ' le persone di cui si parla nel paragrafo 12 : ' Quel- la nostra Beatrice, spiegava il signore de la nobiltade, udìo da certe persone, di te ragionando, che la donna la quale io ti nominai nel cammino de li sospiri, ricevea da te al- cuna noia ; e però questa gentilissima, la quale è contra- ria di tutte le noie, non degnò salutare la tua persona, temendo non fosse noiosa'. Ne il poeta poteva compren- dere tra i cuori villani dannati all' inferno, quelle persone, che, se anche ' male femmine ', aveano pur parlato con Beatrice, e quindi non poteano ' mal finire ' {}). Yeramen-
(M Ai mottimalo augurava forse l'inferno Galletto da Pisa, eanz. In alta donna : ' Li mai parlier che mettano scordansa. In mar di Settelia Possali 'nnegare e vivere a tormento '. In una canzone anonima del Yat. 3793 ( Quando la primavera ) : ' Dio sconfonda in terra Le lingue do' mai parlanti Ch' en tra noi due misero guer- ra, Ch'eravamo leali amanti. Chi disparte sollazo, Gioco ed ispel- lamento. Dio lo metta in tormento, Che sia preso a reo lazo, E giudicato di serra '. E in un sirventese ( Monaci, Crest. 297 ) : * A
234 Le rime e il racconto della Vita nuova
te, secondo il critico, parlar con Beatrice non significa di- scorrere con lei, e molto meno dipingere a lei il poeta co- me un arnese pericoloso ; significa ricevere il saluto ; giac- ché chi riceveva la ' salute ', non riceveva il ' il saluto '; e chi parlava con lei, non le parlava, propriamente par- lando, ma riceveva il ' saluto ', che non era la ' salute ', comechè ' salute ' portasse. Tuttavia, codeste male femmi- ne non si può dire, a onor del vero, che non soffrissero di stare a veder madonna Bice, e che la fuggissero, se an- davano a chiacchierar con lei degli amorazzi di Dante.
E mi pare affermazione parimenti gratuita, che il poe- ta desideri ' che la sua canzone non sia troppo chiaramen- te e ampiamente compresa ', perchè non vuol ' troppo di- vulgare la malignità o risuscitare i pettegolezzi e le dice- rie ' delle male femmine. Ma forse quella volpe, a cui non era riuscito di toccar l'uva della vigna di messer Simone, veramente provvide a non divulgare la malignità, non solo con la oscurità della canzone, ma anche col non far cenno alcuno di codeste male femmine nella ballata, e col non lasciare in tutto il libello (salvo, s' intende, quella molto dissimulata vendetta di animo esacerbato ), altrimenti trac- cia di costoro. Nessuno però avrebbe mai pensato che il poeta imprese ' materia nuova e più nobile che la passa- ta', per 'smentire i maldicenti'; ne che 'da più luoghi del libro [della Vita nuova] chiaramente risulta che non po- chi a quei di giudicavano sensuale l'amore di Dante an- che per Beatrice '. Nessuno crederà oggi, che ' la stessa in- sistenza sua [di Dante] nel ripetere, nel protestare che il suo ultimo fine altro non era che il saluto di questa gen-
loro [ ai mal parlori ] mandi Deo pistiloncia et serra, Quello Doo glie struga che formò la terra. Ch' anguano siano morti e portati in barra Al fossato ; Po eh' ol loro malfare agli amanti ono in- grato'. Per riscontri provenzali, vd. iScliorillo, Ale. cap. 204 ss.
India d' ainor semuale f 235
tilissima donna', basti 'a metterci sulla\\i.so , su code- sto avviso ; e nessuno vedrà che un indizio dell'amor sen- suale sia andato ad annidarsi proprio in queste parole del- la diamone della canzone Donne ch'avete : ' ne la seconda [ parte ] dico de la bocca, la quale è fine d'Amore. E acciò che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci legge, che di sopra è scritto che '1 saluto di questa donna, lo quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine de li miei desiderii, mentre ch'io lo potei ricevere'. Certo, era lecito sperare che non avrebbero piìi adescato nessuno le bonarie congetture dell'Orlandini { Disc, in D. e il suo sec. 389 s ) ; e si poteva sorridere, oggi più che mai, di que- sta sua ingenua osservazione ( p. 401 ), che il Gorra pa- rimenti raccoglie e riconsacra: ' Questa scrupolosità ombro- sa e quasi soverchia di essere meno che delicatamente in- teso o franteso, non apparisce nel secondo stadio della sua passione , in cui pur narra di aver veduto , almanco per virtù di estasi, la nudità dell'amata. A questo dovrebbero pensare coloro che si lasciano prendere dalle mistiche sdol- cinature di certi illustratori spigolistri, e vedrebbero nella Vita nuova quello che vi è veramente , e non quello che essi sognano'. Dio mio, si! I sogni degli illustratori spi- golistri ! Ma certo, solo un prepotente pregiudizio poteva oggi spingere il Gorra ad accodare questo curioso codicillo all'osservazione deirOrlandini : ' E le amiche di Dante, che non ignoravano che egli della immagine di queste nudità si era compiaciuto, certo non cosi facilmente sapevano in- dursi a credere che i suoi pensieri fossero ad un tratto di- venuti purissimi'. Le ' amiche di Dante ', a cui qui il Gorra allude, sono le ' donne, le quali rannate s'erano, dilettan- dosi l'una ne la compagnia de l'altra ', del paragrafo 18 della Vita nuova ; l'una delle quali chiese al poeta, quale fosse il fine del suo amore, poiché egli non poteva la pre- senza della sua donna sostenere. E codeste donne non igno-
^36 Le rime e il racconto della Vita nuova
ravano che il poeta si era compiaciuto della immagine delle nudità di Beatrice? E chi aveva lor detto che il poeta si era mai compiaciuto della immagine delle nudità di chi si sia? Al Gorra, che pure discorre a lungo, in questo stesso studio, del primo sonetto della Vita nuova, è sfuggito qui che in quel sonetto madonna è ' involta in un drappo dor- mendo '. Quel primo sonetto della Vita nuova è davvero disgraziato !
Ma torniamo alla chiosa della sciarada infernale. I cuo- ri villani, le male femmine , dunque , avranno detto nel- r inferno : — 0 malnati, noi vedemmo la speranza dei bea- ti — : e non altrimenti, giacche il Gorra, coi codici, si tie- ne alla lezione col vocativo. E bisognerà notare, a perpe- tuale loro infamia e depressione, che codesti cuori villani di prima categoria saranno stati gente affatto stravagante e pazza e villana e peggio, anche nell'inferno. Prima di tutto, si volgono villanamente ai loro compagni di sven- tura, apostrofandoli : — 0 malnati ! — come se malnati non fossero anche loro ; poi impudentemente affermano di aver veduto colei che non avevano voluto vedere, che non aveano sofferto di stare a vedere ; in fine pazzescamente proclamano che è speranza dei beati colei, della quale a- veano ' offesa la fama, disconoscendone la virtù e la mis- sione divina'. Però, i cuori villani, prima di far codesto sermoncino ai malnati consorti, appunto quando offende- vano la fama e disconoscevano la virtù e la missione divi- na della signora De'Bardi, appunto quando non si mostra- vano neppure disposti a mirarla, e la fuggivano come la testa di Medusa, appunto allora ... si attendevano di per- derla. ' Il verbo s'attende , spiega il Gorra , qui significa non solo si aspetta, prevede, ma anche, comprende, sa, do- vrà. Qui attendersi vuol dire aspettarsi, ma nel significato in cui questo verbo occorre, a mo' d'esempio, nella I'"* no- vella della Giorn. V^ del Decamerone: «Forte gridò: arre-
Come il ctior villano dorrà perdere Beatrice a^t
statevi, calate le vele, o voi aspettate d' esser vinti e som- mersi in mare » . Chi ha cuore « villano » , continua il Gor- ra, cioè malvagio e disdegnoso al punto che dinanzi a Bea- trice sentendosi correre nelle vene un gelo di morte, non vuole sofferirne la vista , ne rispecchiarsi in lei affine di rendere se stesso migliore, oppure muore senza ch'ella ab- bia su di lui « virtuosamente operato » , costui « dovrà per- dere » Beatrice '. "\'eramente, nel luogo del Boccaccio il verbo ' aspettare ', o * aspettarsi ', è usato nel suo signi- ficato ordinario di * ripromettersi ', ' tener per fermo ', ' far conto ', 0 simile ; né si vede come codesto esempio possa condurre ad una nuova interpretazione del passo dantesco. Ben muterebbe significato il verso
Lìt, dov' è alcun che pordor loi g'attende, se si potesse leggere
Lil. dov' è alcun che pordor lei s'attenda ;
giacché, è appunto il modo imperativo che dà aWaspettarsi del Boccaccio quel!' atteggiamento che vorrebbe vedere il Gorra neìVattendersi della canzone. Ma i cuori villani, co- me ' dovranno perdere ' Beatrice ? ' Quelli che la fuggono o la disdegnano, spiega il Gorra, dovranno perderla per- chè essa, che è «contraria di tutte le noie» (cap. XII), finirà col lasciarli in balìa della loro protervia e dei loro vizii '. Iddio, insomma, direbbe agli angeli e ai santi, che la figliuola di Folco Portinari e moglie del nominato Si- mone de' Bardi, madonna Bice, finirà col non incaricarsi più di chi la fugge, agghiaccia dinanzi a lei, e non vuol soffrire di starla a vedere ; e che così il cuor villano do- vrà perderla, che in questo modo le male femmine do- vranno perderla, prima ancóra di andarsene all'inferno ad insultare gli altri malnati e a testimoniare il falso. Par- rebbe dunque, che i cuori villani non s'aspettassero niente,
30
238 Ze rime e il racconto della Vita nuova
e che Iddio li ammonisse del pericolo che correvano, di essere abbandonati da Beatrice. Sennonché, il Gorra d'al- tra parte riconosce che il verso
Là, dov' è alcun che perder lei s'attende,
' esprime quello che passa nell' animo di alcuno '. Ed in- vero, è proprio così. Non diremo dunque che alcuno ' do- vrà ' perdere Beatrice, ma che alcuno ' prevede ', ' s'aspet- ta ', ' teme ' di perderla ; che alcuno ' prevede ', ' s'aspetta ', ' teme ' che Beatrice finirà col lasciarlo in balìa della sua protervia e dei suoi vizii. E resterebbe a spiegare perchè mai, proprio nell'animo di chi fuggiva e disdegnava ma- donna Bice, dovessero passare simili malinconie.
Ma se il Gorra, mettendosi per la via aperta dal Maz- zoni, si è, come pare, smarrito, ha però il merito di aver richiamato sui suoi passi lo stesso antesignano della chiosa fortunata. Neil' esaminar lo studio del Gorra, il Mazzoni, emendando evidentemente e chiarendo la sua prima inter- pretazione, scrive ( Bull. ns. 5, 184 ) : ' Perdere nel verso
là dov' ò alcun che perder lei s'attende
ha per me, come Beatrice^ come salute^, come vedere^ come parlare, come tante altre voci nella Vita Nuova, un dop- pio significato, reale e morale ( non direi allegorico) . Se i « villani » presentono che di Beatrice non son degni, e se ne andranno all' Inferno, mentre essa in Paradiso, ne perderanno per sempre la vista, non la vedranno più dalle loro tenebre nella sua luce : e del pari, disdegnando il mi- racolo, sottraendosi alla benefica efficacia di lei, la perde- ranno, perchè perderanno l'anima loro '. Il D'Ovidio {Stu- dii, 329 ) così riassume la chiosa del Mazzoni : Iddio direb- be agli angeli e ai santi : ' Abbiate pazienza che Beatrice stia ancora un pezzo a beare il mondo, dove più d' uno (i cor villani) ha vedendola il presentimento che nulla a-
La nuova chiosa nella sua forma pietosa 239
vrà mai di comune con quel raggio di cielo disceso in terra, ma nell'inferno potrà dire agli altri malnati d'aver alme- no visto in terra un raggio di cielo '. E il D' Ovidio stesso ridurrebbe ' alla più semplice espressione ' codesta chiosa così : ' — I celesti vorrebbero subito in cielo la celeste don- na, e Dio lo concederebbe se un solo essere celeste, la Pie- tà, noi rattenesse. I celesti avranno un giorno Beatrice, gli uomini destinati a salvarsi l'avranno ugualmente ; ma e quei poveretti che non vedranno mai il Paradiso ? Dio misericordioso pensa di lasciar che essi godano almeno un raggio di Paradiso in terra vedendo Beatrice — '. Ovvero : ' — Ella è già così celeste che Dio certo la chiamerebbe subito a sé, ove un sentimento pietoso non gì' insinuasse di lasciarla come un saggio del Paradiso a quei che il Pa- radiso non vedran mai ; dobbiamo quindi solo a codesto sentimento pietoso se e' è riserbata a noi tutti la conso- lazione di vederla lungamente quaggiù — ' (*).
Certo, méssa in questi termini, la cosa pare a primo aspetto assai piana e naturale. Alcuni -s'attendeano di per- dere Beatrice, di esser privati un giorno o l'altro per sem- pre di quel raggio di cielo; perchè pensavano ragionevol-
(') Il Barl)i [Bull. ns. 10, m\ propono: -Diletti niiui. tollerate in pace che Beatrice, vostra speranza, rimanga ancora quanto mi piace nel mondo per SiUute e consolazione degli uomini (v. 8 : solo Pietà nostra parte, cioè di tutti gli uomini, difende): nel mondo ove c'è pure chi s' aspetta di averla a perdere per sempre, non poten- dosi salvare ; e anche questi poveretti ( e Dante doveva porre fra questi anche se stesso, che altrimenti non si spiegherebbe bene per- chè appena ricordato il mondo, il suo pensiero si fìssi esclusiva- mente su chi è destinato a perder Beatrice ) potranno almeno aver la consolazione d* aver veduto la speranza dei beati in terra '. Af- fatto alieni dalla nuova interpretazione sono il Faiani ( L'opera di D. nella race. Xel VI centenario della DC. Messina 1900 : p. 32 n 20), il Federzoni ( Stndi. 132 s ) e il Ciuffo, delle osservazioni del quale non ho notizia diretta (vd. Bull. ns. 8, 132).
240 Le rime e il racconto della Vita nuova
mente che essi sarebbero andati all' inferno e Beatrice in paradiso ; e non la perdevano subito per intercessione della Pietà. Ma perchè poi, per sentenza irrevocabile di Dio, co- storo doveano andare davvero all' inferno ? Eiconoscer che Beatrice era cosa di cielo, non era già un titolo di meri- to, pel quale poteano sperar guiderdone ? Riconoscer se stessi meritevoli dell'inferno, non era egli tale atto di umiltà e di contrizione da meritar da Dio men dura sentenza ? Giacché, chi s'aspettava di perder Beatrice, di andare cioè all'inferno, doveva andare all' inferno davvero, senza mi- sericordia, per giudizio di Dio ! Il quale avrebbe detto sup- pergiù ai suoi diletti : — Sopportate che Beatrice stia quan- to mi piace nel mondo, dove alcuni poveretti s'aspettano di andare all' inferno ; ed io infatti all' inferno ve li man- derò ; ma quei poveretti avranno almeno la consolazione di poter dire : Non siamo nel regno dei beati, ma vedem- mo la loro speranza; e questo ci è di grande sollievo. Sia lodato Iddio che ebbe pietà di noi malnati! — Ma quei mal- nati poveretti aveano avuto già quella soddisfazione, po- teano già vantarsi di aver veduta la speranza dei beati ; perchè dunque Iddio non contentava subito i suoi diletti ? perchè codesto eccesso di pietà verso chi era destinato al- l'eterna dannazione? verso chi non avrebbe saputo trarre vantaggio alcuno per l'anima sua, dalla prolungata dimora di Beatrice nel mondo? D' altra parte, il poeta parla alle donne che hanno ' intelletto d'amore ', alle ' donne e don- zelle amorose ', e dà loro notizia che * Madonna è desiata in sommo cielo ' ; e quando dice
iSola Pietà nostra parte difondo.
intende probabilmente di sé e di quelle gentili a cui parla. La Pietà difendeva certo, non la parte dei malnati ( che secondo ogni verosimiglianza non pensavano a Beatrice ),
Di chi cUfendea la parte madonna la Pietà ì 241
ma la parte di coloro che avrebbero avuto dolore nel ve- der la ' cittade quasi vedova e dispogliata da ogni digai- tade ' per l'assunzione in cielo di Beatrice ; del poeta e delle donne gentili principalmente, che non aveano nessuna ra- gione di aspettarsi l'inferno. Perchè dunque Iddio mostre- rebbe di aver pietà soltanto dei malnati ? Osserva il D'O- vidio : * la Pietà, col muovere Dio a concedere ai futuri dannati almeno un ricordo di un raggio paradisiaco . . . , viene a difendere la nostra parte, cioè a far la causa di noi uomini, compreso Dante, ai quali interessa che Bea- trice resti a lungo nel mondo. La Pietà non perora diret- tamente la causa di Dante e degli altri buoni. Difende ha qui tutta l'elasticità di un tuettir o tutatur. In quanto sup- plica pegl' infelici, essa giova alla causa degli altri : di tutto il mondo '. Ma se Dante e gli altri buoni aveano interesse che Beatrice restasse a lungo nel mondo, e più di chiun- que altro sapevano quanto ella fosse cosa di cielo ; Dante e gli altri buoni, più di chiunque altro, doveano temere di perderla, se non nell'altro modo o nell'altro mondo, nel modo, diciamo così, ordinario ; e la Pietà dovea in ogni caso difendere principalmente la parte dei buoni ; i quali, concesso pure che potessero avere interesse minore, aveano però maggior merito e maggior diritto dei malnati al suo patrocinio. E ben diceva il poeta alle sue donne amorose, che la Pietà difendeva la loro parte. Chi mai invero, s'a- spettava di perder Beatrice, se non il poeta ? Chi mai te- meva di perderla, se non colui che allora annunziava ap- punto che madonna era desiata nel cielo ? se non colui che poco dopo farneticò d'averla perduta davvero ? se non co- lui che poco dopo la perdette davvero, e vide per questa morte la cittade vedova e dispogliata, e lacrimando ne scrisse ai ' principi de la terra ' ? Non certo i cor villani s'aspettavano di perderla, se alla sua morte il poeta scri- veva ( canz. Li occhi dolenti^ VN. 31, 66 ):
242 Le rime e il racconto della Vita nuova
No è di cor villan sì alto ingegno, Che possa imaginar di lei alquanto, E però no gli vien di pianger doglia.
Né certo alcuno meglio del poeta, poteva dire ai malnati nell'inferno d'aver veduto, conosciuto, riconosciuto, che Bea- trice era cosa di cielo ; né alcuno meglio di chi allora can- tava la ' loda di Dio vera ', di chi allora riferiva i celesti colloqui, poteva un dì volgersi ai dannati dell' inferno e dir loro : — 0 gente malnata, io vidi la salute ; io vidi, non voi, la speranza dei beati — .
Sicché, tutto sommato, é meglio forse tornare all'an- tico ; tornare alla prima e spontanea e generalmente accet- tata interpretazione (•;. Che il poeta allora pensasse alla più o meno prossima morte di Beatrice, non mi par cosa di cui si possa dubitare: anche stando all'interpretazio- ne del Mazzoni, la Pietà intercedeva per ottenere un pro- lungamento della vita di Beatrice, non già per la longe- vità di chi s'aspettava di perderla; per la longevità, po- niamo, dei cor villani; i quali;, se mai, temevano di per- derla prima in questo mondo e poi nell'altro. Dubitar si dovrebbe dell'opportunità, della convenienza che avrebbe veduto il poeta, di fare un complimento alla sua bella di-
(1) Bene osserva il Renier ( Giovn. sfor. 35, 411 n"^ ) : ' Che però in quel passo siavi allusione alla Commedia futura, ò opinione molto antica, se poniamo mente che già noll'odiz. 1518 di alcune rimo di Dante, i tre ultimi A-ersi della strofe seconda sono modificati cosi :
È nel mondo un che perdendo lei Intende D'andar giù ne l'Inferno a gli malnati E veder liv speranza de' beati.
Osservò il fatto recentemente il D'Ancona nella sua Rassegna, VII, 247. Si aggiunga che la medesima lezione occorreA-a anche nel ms. cinquecentista Marciano IX, 191, ove fu poi emendata. Vedi l'ediz. Bock della Vita No uà, p. 40".
Torniamo aW antico 2tó
cendole ch'essa era cosa di cielo, che gli angeli e i santi pregavano Iddio di chiamarla a se, che insomma quaggiù in terra e' era chi s'aspettava di perderla, probabilmente come si perdono tutte le persone care, e che lassù in cielo c'era chi avea fretta di acquistarla ('). Che vi sia un pre- ciso accenno alla Commedia, nessuno certo vorrà sostene- re; ma che fin d'allora il poeta fosse sulla via della Comme- dia, mi par che quasi nessuno voglia, allo stringer dei conti, negare. La scenetta che allora si svolgeva in paradiso, e la scenetta che dovea svolgersi nell' inferno, sono certo spunti belli e buoni del gran dramma dell'altro mondo. È facile pensare ad un di quei drammatici episodi che tanta
(•) Verainf*nt»>, da qualcho t^sonipio sì potrebbe inferire ohe non riuaoisser senipn» sgraditi cmlesti malaugurosi complimenti. Proper- zio avo» già qualcosa di simile ( Carm. 2, 2. 55 ) : ' Cur haec in ter- ris facii"» humana moratur? .Tuppit4'r. ignosco pristina furta tua'; ma si osst>rvi che 1' elegiaco latino conchiudeva : ' Hanc utinam fa- ciem nolit mutare senectaa, Etsi Cumaeae secala vatis aget '. Il Petrarca non è certamente parco di tali effusioni Rentimentnli con madonna Laura : ma avea forse lo sue buone ragioni (vd. Scherillo, Ale. cap. 328} : casa strana però, egli perseguiva con le stesse adu- lazioni anche re Roberto ( vd. Foscolo. Disc. sez. 33 ). Il Ci'Siireo {Oiorn. (lant. 1. 480) ricorda questi versi del son. Re glorioso. • ma- lamente attribuito da F. Trucchi {Poesie ital. ined. 1, 56) a Giacomo di Lenti no * :
Re glorioso, pien d'ogni pietate. Xon guardate a' prleghl che fanno 1 santi. Xè agli angeli che vi stanno davanti. Che per lor gioì' qnesta donna chiamate.
E corto, se la cosa avesse a restringersi al vago presagio della canz. Donne ch'avete, nffh si avrebbe buon fondamento per istituire gravi considerazioni. Ma, e la canz. Donna pietosa, scritta, come pare, dopo breve intervallo di tempo '? Anche queUa visione di morte e di ster- minio, quella specie di finimondo ( vd. Carducci, Op. 8. 65 : Sche- rillo, Ale. cap. 351 ss ), parve al poeta ' amorosa cosa da udire ' ( VX. 23. 94). Xe udiva di belle madonna Bice!
244 Le rime e il racconto dèlia Vita nuova
vivezza e movimento danno alla Visione dantesca ; sarebbe anzi facile ricostruire una scenetta di Fiorentini, meravi- gliati di veder piombare anche Dante fra loro : — Ci sei dunque anche tu ? — Ma io non son qui per restare ; io vidi la speranza dei beati — . Certo, un'idea concreta di quel che poi fu il gran poema, lampeggia soltanto nel para- grafo ultimo della Vita nuova ; ma qui qualcosa di più mo- desto, di più rudimentale, di meno determinato forse e più vago, a me pare che ci sia già : e davvero, non a me solo. Sia come si voglia, anche a prescindere dalla sciagu- rata sciarada infernale, la canzone Donne ch^avete è molto probabilmente allegorica. Della sua allegoricità potrebbe esser prova non dubbia la stretta analogia che essa ha con la canzone Amor che nella mente ('). Certo, è cosa notevole che la lode della donna gentile e pietosa sia inferiore alla lode della gentilissima che si era gabbata del suo mistico cantore (^). Certo, pochi si persuaderanno davvero che di una
(1) Probabilmente un intendimento allegorico dovette fmtarN'i chi, a nome delle donno, fece la nota canzone di risposta per le ri- me Ben uggia l'amoroso et dolce core, che a me pare scritta dopo la pubblicazione della Vita nuova, e non certo dall'Alighieri (vd. a ogni modo, Federzoni, Studi, 3 ss ; e cfr. Giorn. stor. 26, 195 ss ; Bass. bibl. 10, 139 s; Bull. ns. 10, 99 ss). Analogie offre anche una can- zone di Matteo Frescobaldi, Amoi', dacché ti piace pnr ch'io dica (vd. I^annucci, Man, 1, 337 s), senza dubbio allegorica; come pure la lode della donna allegorica del Barberino (vd. spec. Regg. 77), e di madonna Intelligenza.
(2) La donna gentile, la fdosofia, ' ajuta la nostra fede ' ( vd. Conv. 3, 7, 155 ) ; ma la gentilissima salva addirittura : • non può mal finir chi l'ha parlato ' ; nel qual verso il Tommaseo ( La Commedia di D. A. col Comento di N. T. ]N"apoli 1^39 : p. 380. nota a Pnrg. 31, 49 ) trovava perfino ' il germe dell' intera Commedia '. Del ' color di perle ', che Beatrice avea * quasi in forma, quale Convene a donna aver, non for misura ' ; e che oi'a fra le ' bellezze che sono secondo tutta la pei-sona ' {VN. 19, 116); ha discorso da par suo lo Schorillo (Ale. cap. 315 hr ; e vd. anche Flamini, Riv. d' It.
Ti- 8071. io mi sentV svegliar 24à
donna viva e vera, di una fanciulla fiorentina, della moglie altrui, il poeta dicesse che ' non può mal finir chi 1' ha parlato '. Non è certo una volata lirica, un'alata frase, una poetica immagine, codesta ; concesso pure che altrove non ci sia niente altro che esagerazione poetica.
4.
Nessuna delle rime della Vita nuova ci lascia tanto perplessi quanto il sonetto Io mi senti^ svegliar dentro lo core. Comechè il poeta nella ragione intendimenti allego- rici gli attribuisca, non pare a prima giunta che allego- rico fosse fin dalla sua origine. Ripugna infatti pensare che il poeta chiamasse ' monna Vanna e monna Bice ' due sue astrazioni. Certo, altro è Beatrice, altro Bice ('). Si
15 0ugno 1900 : p. 227 s). Vorrei notare tuttavia, che le perle eran chiamate anche margherite, che ' margherita ' era spesso chiamata hi Vergine (Dino Frescobaldi, son. Poscia ch'io reggia, anche della sua donna : * Che luce il lume della sua bellezza Come stella dlCana o margarita"), o che la Sposa del Cantico era 'dealbata', secondo Gregorio Magno: Mor. 18, 87 ' Hinc est enim quod spensi voce de sancta Ecclesia dicitur: Quae est ista qaae aseendit dealbata? Quia enim sancta Ecclesia caelestem vitam naturaliter non habet, scd su* perveniente spirita, pulcritudine donorum componitur, non alba, sed dealbaia momoratur ' .
(1) Michele Scherillo ( // nome della Beatrice amata da D. p. 4 n 4 dell' estr. dai Rendiconti d, r. Isf. lomb. d. se. e lett. s. 2 *, voi. 34 ) giustamente osserva che, * pur da poeti che non avevano la pre- occupazione d' tina madonna Beatrice, avviene di vedere usata fre- quentemente la voce beatrice. Gino: Ella sarà del mio cor beatrice. Il Petrarca : Dolce del mio pensier ora beatrice, Vaghe farille ange- liche beatrici. Giusto de' Conti : 0 sola agli occhi miei vera beatrice. n Poliziano : Fra ' quai la mia beatrice Sola talor sen nene ', E be- ne avverte anche il critico arguto che, nella Vita nnoca, la donna del poeta è detta talvolta beatrice • probabilmente nel significato di datrice di beatitudine *.
31
246 Le rime e il racconto delta Vita nuova
potrebbe tuttavia osservare, che Bice, allo stringer dei conti, il poeta chiama la sua donna, certamente in veste allego- rica, anche nella Commedia (3, 7, 14). E per chi non vo- lesse vedere nel B ed ice del luogo del Paradiso, il Bice della Vita nuova, valga questa osservazione : la donna del poeta è chiamata ' Beatrice ' nella Vita nuova v e n t u n a volte, e ventuna volte tre è chiamata ' Beatri- ce ' nelle tre cantiche della Commedia ('). È quindi molto probabile che 1' unico ' Bice ' del libello abbia anch' esso la sua rispondenza nel poema. Certo, le concordanze nu- meriche son tante che non potranno attribuirsi al caso ; sarà piuttosto un caso, e un bel caso, il caso inverso ; che il poeta nel luogo del Paradiso non abbia voluto dire Bice, come nel sonetto della Vita nuova (-).
Nel quale invero, se si togliesse via 1' ostacolo di quei due accorciativi, non parrebbe cosi ostica l'interpretazione allegorica. E a pensarci meglio, se in quell' ostacolo inca- glia 1' allegoria, in gravissime obbiezioni s' imbatte 1' in-
(1) VN. 1, 5 ; 5, 13 ; 5, 24 : 12, 33 ; 14, 26 ; 22, 4 ; 22, 17 ; 23 13 ; 23, 76 ; 23, 76-77 ; 24, 18-19 ; 24, 24 ; 24, 31 ; 28, 8 ; 31, 46 (nella divisione è citato due volte 1' emistichio Ita n è Beatrice ) ; 31, 86 ; 39, 3 ; 39, 13 ; 40. 54 ; 41, 50 ; 42, 11. Per la Commedia, vd. Scar- tazzini, Elicici. 194 ; e F Indice del Toynbee nelF ed. del Moore di fatte le opere di D.
(2) Leggono ' Bice ' nel luogo del Paradiso, fra gli altri, il Boc- caccio, Comm. 1, 224 ; il Bartoli, 8t. 4, 235 ; il Del Lungo, Beatrice, 52 8 ; il Rajna, La genesi della DG. in Vita ital. nel 300, p. 180. Sennonché, codesto Bice della Commedia, se da una parte parve po- tesse confortar l' ipotesi della Bice Portinari, dall' altra parte do- vette parer pericoloso per la stessa tesi della realtà, alla quale ba- stava del resto il ' Bice ' del sonetto, senza la compagnia di raffronti o rimandi compromettenti. Perchè infatti Danto non chiama Bice la donna sua nel colloquio con Forese ? E fu così che per alcuni ' il dolce nome di Bice ' non echeggiò pixì fra gli splendori fiammeg- gianti del cielo di Mercurio.
Bice e Beatrice. H segreto 247
terpretazione letterale. Non è certamente un fatto molto ordinario, e in ciò ci soccorre la magistrale indagine di Francesco d' Ovidio ( Madonna Laura in NA. del 1° ago- sto 1888, p. 397 ss ), che alcuno metta fuori apertamente nelle sue poetiche fantasie il nome della donna del suo cuore ; e nel nostro caso particolare, non si saprebbe come spiegare che il poeta da una parte facesse tanto per tener celato il suo amore, e dall' altra spiattellasse in un sonetto il nome della donna amata, e per giunta non si curasse neppure di serbare il segreto dell' amico suo. Ci liberereb- be da tale intoppo l' ipotesi dello Scherillo (// nome, 21 s), che il poeta, nelle riine in vita, * il nome vero della donna sua, monna Bice, non rivelò che in un sonetto, che doveva rimaner certamente intimo, destinato a quel Guido, che nella Vita Nuova è ripetutamente dichiarato «primo» de- gli amici suoi ' {}). Guido sarebbe stato per Dante una specie di secretario, un rappresentante a Firenze sul cader del dugento, di quella cavalleresca istituzione di cui parla Andrea Cappellano. Ma se l' ipotesi dello Scherillo, cosi saldamente piantata nell' ' insigne codice della galanteria del secolo decimo terzo ', vale, riguardo alla finzione del li- bello, a sanar la quasi incurabile contradizione che vi è tra la balda spensieratezza mostrata dal poeta nel sonetto, e il suo esagerato timore del paragrafo precedente, d' es- sersi lasciato sfuggire, pur nel vaneggiare di un sogno, il nome dell' amata donna ; guardata poi la cosa sotto il ri- spetto della verità storica o di fatto, tal ripiego non pa- re accettabile. Non pare davvero che, anche in mezzo a quel comunicare per rima e tenzonare d' allora, alcuno scri- vesse un sonetto che avrebbe dovuto restar chiuso con sette suggelli e riguardato come una lettera riservata e
(1) A codesto ripiego avevano già accennato contempcranea- monto I. Sanosi o F. Eonchetti nel Giorn. dant. 1, 294 o 331.
248 Le rime e il racconto della Vita nuova
particolare ; che alcuno volesse ' perdere rime sillabe e so- netto ' per confidare al suo secretario non si vede bene che cosa. Né Andrea Cappellano ci dice che 1' amante, secre- tario del suo secretario^ affidasse gli amorosi segreti a so- netti riservatissimi. D' altra parte, dato pure, come pensa lo Scherillo, che non importasse più a Dante, morta la donna sua, di conservare il suo segreto ; non avrebbe però il secretario del suo secretario probabilmente inserito il so- netto nella Vita nuova per conservare il segreto di Guido, la cui donna, certo abbandonata, non sarà morta anch' essa in acerba etate. Si potrebbe piuttosto pensare che il poeta abbia avuto vaghezza d' incastonare il nome della donna sua, una Bice qualunque, in una gentile fantasia, non trat- tenuto da alcuno scrupolo, perchè in fin dei conti egli non si dichiarava amante della Bice, ma ammiratore della sua bellezza, e non diceva neppure che la Vanna era 1' amante di Guido ; che quando poi pubblicò la Vita mwva, giacche la Bice era morta e la Vanna era stata abbandonata, del doppio segreto non importasse più a nessuno, anche per- chè la cosa era un po' tirata all'allegoria. Sennonché, nes- suno potrà dire con profonda convinzione che Dante fosse più discreto e riservato con la donna deli' amico suo, quan- do credeva eh' ella fosse riamata, che non quando sapeva eh' era stata lasciata in abbandono ; e con la donna sua, quando quella maraviglia era coi vivi ancor congiunta, che non quando quella poveretta era sotterra (^). Alla postic-
(*) Bene osserva lo Scarano ( Beatrice^ 59 ) : ' quel sentimento delicato [ sentimento di delicata riservatezza ] verso la donna viva non ora poi men doveroso verso i parenti di lei morta, specialmente verso il marito ; senza diro che la morte ha per certe cose potere contrario alla sua stessa natura, di rendere cioè più vivo ogni buon sentimento che si riferisca alla persona morta '. Il Gaspary credeva di superar tale obbiezione pensando che la Vi'fa nuova fosse rima- sta por molto tempo clandestina. ' 11 libro, egli chiede ( St. 1, 206 ),
Il segreto 249
eia allegoria nessuno avrebbe più ne guardato né creduto, se con la pubblicazione del libello fosse stato facile iden- tificar le due donne, specialmente la Bice. Del resto, se nel sonetto della Vita nuova occorre soltanto ' monna Van- na ' e non anche il nome del suo servente, bene occorre r uno e r altro nome nel sonetto Guido vorrei. Il qual so- netto veramente imbroglia ancora più la matassa, che è poi arruflfata addirittura dall' intervento di questi due so- netti, furbeschi forse, certo oscuri, del Cavalcanti, Dante un sospiro e Amore e monna Logia. Nel sonetto dantesco Guido correi, pare che, in luogo di ' monna Bice ', si deb- ba leggere * monna Lagia ' (') ; e certo ' monna Lagia ' occorre anche nei due sonetti del Cavalcanti. Come Bice e Vanna, anche Lagia è un accorciativo ; forse aferesi di Alagia 0 Adalagia ; e accorciativi saranno Pinella e Man- detta, pur delle rime di Guido ; Pinella da Beppinella, Man- detta da Armandetta. Ma che dobbiamo pensare di tutte codeste denominazioni, che tutte vanno per la scorciatoja ? Forse bisogna distinguere, e caso per caso giudicare;
Che quegli è tra gli stolti bono abbiisso, Che senza distinzione afferma o nega.
Quanto a Pinella e Mandetta, bisogna avvertire che code- sti nomi o nomignoli non occorrono più di una volta sola nelle rime del Cavalcanti ( Pinella nel son. Ciascuna fre- sca, di risposta a un sonetto di Bernardo da Bologna, nel
quando si pubblicò ed uscì esso al principio da una cerchia ristrettji di amici ? Viveva ancora, quando esso fu più generalmente noto, lo sposo della morta, che solo avrebbe potato risentirsi di un af- fetto di tal natura ? ' Ma. avrà aspettato il poeta, per di^'lllgare la canzone Li occhi dolenti, che messer Simone se ne fosse ito anche lui in r alto cielo ?
(1) Td. Bnll. ns. 4. 160. Aveva già il Torri ( VN. 1.58) pubbli- cato codesta variante dal Yat. 3793.
250 T^ rime e il racconto della Vita nuova
quale appare la prima volta quell'accorciativo; Mancletta nella ball. Era in pemier ; nel son. Una giovine donna, Man- detta non è nominata, sebbene di lei parli il rimatore ) ; che si tratta probabilmente di due amorazzi di corta du- rata, e certo di donne viventi in paesi molto lontani da Firenze, a Bologna e a Tolosa; e che, quanto alla Pinella di Bologna, altro ancora sarebbe da dire. Codesti due ac- corciativi potevano dunque benissimo rispondere ai nomi di battesimo delle due donne, sia che si voglia vedere in essi veri nomi familiari, sia che si voglia pensare che siano stati foggiati, per analogia, sui nomi di battesimo dallo stesso Guido ('). Ma quanto a Lagia, il caso è diverso. Lagia non pare che fosse donna del Cavalcanti ( cfr. Er- cole, G. 0., 97 s ), e dai due sonetti citati non si può esclu- dere che queir accorciativo fosse un nomignolo furbesca- mente affibbiato a una donna da chi non era suo amante e voleva forse ridere alle sue spalle e alle spalle del suo servente. Sennonché, nel sonetto di Dante, ' monna Lagia ' si presenta in onoratissima compagnia, insieme a ' monna Vanna ' e a ' quella eh' è in sul numer de le ti'enta ' ; e non pare che in questo sonetto vi sia niente di furbesco (-).
(1) Lo stesso può dirsi della Bcccliina { Bechina, Bichina ) di Cecco Angiolieri, figlia d' un ' asinel calzolajo ' ; o forse anche della Teccia di Gino da Pistoja.
(2) A titolo di curiosità, ricordo qui una scoperta del Torri- colli ( Stndii sul Poema sacro, sec. ed. IS'apoli 1856, p. 276 s ), il quale leggeva : ' La Monna eh' è sul numer delle trenta '. ' Insegnato dun- que, egli dice, de' rudimenti arguti alli scuola di Ormanno, scrissi in abbreviatura del dugento le parole « Numer delle trenta » cosi:
N DE TTA
e, ubbidientissimo al poeta, scrissi sopra { aranti ) il « Numer », in abbreviatura del dugento, la Monna, o Madonna, eh' ò « M. a » ; e così m' ebbi sotto gli occhi
JM.A N I)K TTA
Leggo; e che leggo? il nome della bella Tolosana amata da Guido Cavalcanti, Mandetta ! '
It segreto àJl
Ma che Lagia e Vanna fossero i veri homi delle due donne, non mi pare probabile ; giacché il poeta sarebbe venuto a spiattellare i nomi delle amanti dei suoi amici, appunto quando taceva il nome della donna sua. Saranno dunque, se non designazioni allegoriche ( non improbabili forse nel sonetto di chi dovea dar nome personale perfino a due sup- poste città, chiamandole Lucia e Maria ; e il sonetto man- dato in risposta da Guido, S* io fosse quelli , potrebbe forse puntellar tale ipotesi); saranno dei nomignoli, probabil- mente trovati da Dante stesso; dei nomignoli, coi quali Dante si compiaceva di chiamare le donne dei suoi amici ; sarà stato un dantesco ghiribizzo. Non saprei davvero tro- vare una spiegazione che fosse men peggio ; e volentieri, seguendo il famoso consiglio del Parini, stamperei l' altra, se un' altra ne avessi. Bene avrei un empiastro, tornare alla lezione * monna Vanna e monna Bice ' ; tolta di mezzo queir imbarazzante monna Lagia, si semplificherebbe la questione. Ma non par che il consenta la terapeutica delle carte vecchie ('),
Sia come si voglia, se alcuni vorranno pur riconoscere la ragionevolezza delle obbiezioni accennate, certo non tro- verà facilmente grazia l' interpretazione allegorica del so- netti) della Vita mioca. Eppure, non mancherebbe qualche incentivo al fantasticare. Incoraggia lo Scarano ( Beatrice, 58 ) a dire che il sonetto sia ' improntato di realismo ', an- che ' il riso di Amore, il quale riso, egli osserva, dà ad Amore atteggiamento quasi di comico '. Ma forse Amore, con quel suo riso, assume atteggiamento malizioso:
E 'n ciascuna parola sua ridia:
quasi volesse con ciò il poeta insinuare che nelle parole
(*) Un cospicuo risconti-o col sonetto Gnido rorrei, offrono i versi 213-235 del Mare amoroso ( Monaci, Crest. .324 ).
^52 Le rime e il racconto delia Vita nuova
del suo signore vi era bene adombrato il suo pensiero. In una ben singolare ballata, il Cavalcanti avea celebrato 1' ' angelicata orlatura ', la cui lode doveano cantare ' gli augelli ' su le verdi fronde, e ' tutto lo mondo '. Comin- ciava :
Fresca rosa novella. Piacente primavera, Per prata e per rivera, Gaiamente cantando Yostro fin pregio mando a la verdura (*).
Quel secondo vocativo, 'primavera', che non avea certo pretensioni antonomastiche più che non ne avesse il pri- mo, avrà ispirato all' Alighieri quella sua maliziosa fan- tasia. Egli, col sussidio della solita erudizione etimolo- gica, ha escogitato che la donna dell' amico suo era stata chiamata Primavera, perchè doveva apparire a lui prima di Beatrice. Diceva Amore : ' Quella prima è nominata Pri- mavera solo per questa venuta d' oggi ; che io mossi lo im- ponitore del nome a chiamarla così Primavera, ciò è pri- ma verrà, lo die che Beatrice si mostrerà dopo la imagi- nazione del suo fedele '. E pare davvero che il poeta da quel Primavera abbia cavato fuori quel suo Giovanna o Vanna, che indarno si cercherebbe nelle Rime di Guido. Diceva Amore : ' E se anco voli considerare lo primo nome
(1) Anche Giulio d' Alcamo cominciava 'Fresca rosa au- lentissima ', e Lapo Gianni ' Questa rosa n o v e 1 1 a ', e il Maja- neso 'O fresca rosa, a voi chero mercede '. Lo stesso Caval- canti, con motivi primaverili, cominciava anche un sonetto : ' Ave- te 'n voi li fiori e la verdura ' ; cfr. Intell. st. 12, ' Quand' ella ap- par. . . Allegra 1' aire e spande la verdura ' ; Guinicolli, son. Voglio del ver, ' Voglio del ver la mia donna laudare E rassembrargli la rosa e lo giglio . . . Verde rivera a lei rassombro e 1' aire. Tutti color e fior, giallo e vermiglio '.
Primatera, prima verrà, ùtovanna 2.jJÌ
suo, tanto è quanto dire prima terrà, però che lo suo no- me Giovanna è da quello Giovanni, lo qual precedette la verace luce, dicendo : Ego vox clamans in deserto : parate viam domini '. A me pare fuor di dubbio che, come 1' un nomignolo vale l'altro, cosi l'un nomignolo condusse al- l' altro. Dant€, insomma, trovando un' occasione o un ad- dentellato nella ballata di Guido, chiama la donna dell' a- mico suo Giovanna perchè venne prima della donna sua, ch'ei chiama Beatrice, cioè Amore ('). E chi avesse vo-
(*) Lo Schorillo ( // nome. 17 s) pt.n.>Hi vìa- Vanna o Bice fos* Boro i veri nomi dello due donne, e che Prinuivera e Amore fos- sero i loro senhals. Ma sarebbe forse questo di Danto il solo esem- pio di senhaUi accoppiati ai nomi veri. Che nel son. Piangete amanti, Amore sia senhal di Beatrice, ho già detto che non mi pare vero- simile ( vd. qui addietro, p. 104 ss); del reato, dal son. Io mi senti' sregliar. e più chiaramente dalla ragione, si può vedere che il poeta non avea altre volte chiamata la sua donna Amore, che non s' inten- derebbe che novità fosso allora venuto a dire il signore della nobiltà al suo fedele, con queste parole : * E chi volesse sottilmente consi- derare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simi- glianza che ha meco '. Comunque, Dante, come Guido nella ball. Fresca rosa soltiinto, si sarebbe servito del senhal soltanto nel son. Piangete amanti. [Amore non è certo senhal di madonna nel son. Di donne io ridi : cfr. Cavalcanti, son. f^hi è qaesta, ' E mena seco Amor ' : Dino Frescobaldi, son. Qiiest' <^ la giovinetta. ' Quest' è la giovinetta eh' Amor guida . . . Vienle dinanzi Amor, che par che rida ' ; Ja- copo Mostacci, canz. Amor ben veggio, 'Donna ed Amore han fatto compagnia, E teso un dolco laccio ' : Giraldo da Castello, ball. Guar- date in che beltà. ' EU' ha con seco Amore in compagnia'; Ovidio. Amores, 1, 6, 34, ' Solus eram, si non saevus adesset Amor . . . Ergo Amor . . . Mecumst '. ] Ma bene osserva lo stesso Scherillo : • Il poeti* latino o il provenzale, sceltosi il nomignolo, lo adoperava poi libera- mente, tinzi ne faceva pompa. Il senhal era quasi il suggello, o la firma, che il trovatore apponeva alla sua canzone '. E per tale buona ragiono il critico nega che Bice e Tanna fossero senhals. Ma per la stessa ra- gione si può forse negare che fossero senhals Xmore e Primavera. Cer- to, se una rondino non fa primavera, una primavera non fa senhal.
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254 Le rime e il racconto della Vita nuova
luto ' sottilmente considerare ', avrebbe potuto notare pur nel sonetto, che le due donne venivano 1' una dopo 1' al- tra ; che Vanna o Giovanna era chiamata Primavera, la cui etimologia era appunto prima verrà ('); che se c'è equi- valenza tra Primavera e Giovanna, evidentemente Gio- vanna è da quel Giovanni che precedette 1' Amor divino ; Beatrice infatti veniva dopo ed era chiamata Amore (^). Chi avesse voluto sottilmente considerare, avrebbe potuto avvertire che la produzione poetica dell' Alighieri veniva dopo quella del Cavalcanti, il quale, quando Dante scri- veva il primo sonetto della Vita nuova, era già famoso trovatore ( cfr. Bartoli, St. 4, 210 s ), Che più? Anzi il poeta avrà temuto di aver parlato troppo chiaro, e si servi dei due accorciativi, Vanna e Bice (^). Chi dunque avesse voluto sottilmente considerare, non nuovo allora ai motti oscuri e a quel fantasticare etimologico che in servigio del- l' allegoria pare addirittura una specie di demenza nell' e-
(1) Cora' ò noto, di codeste etimologie tagliate coli' accetta, non v' era allora penuria. Del solo nome femina nel Reggimento del Bar- berino ( p. 343 ) occorrono due etimolotrie : ' la femina si lasciò in- gannare, e fu cagione di tanto nostro danno e affanno. E però fue detta Femina, peroccliè fé men, eh' alcuno altro animale ' (cfr. Cecco d' Ascoli, Acerba, 4, 11, ' Femmina, che ha fé meno di una fera ' ) ; ' detta è femena, perchè la fé mena, e fé guberna '. Giuste osserva- zioni fa Ildebrando della Giovanna ' intorno alla efficacia delle eti- mologie sulle finzioni poetiche di Dante' {Lecfara Dantis : Il canto XXIII dell In f Firenze 1901: p. 18 s).
(2) Bernardo di Chiaravalle ( Opera omnia, Parisiis 1690, voi. fec. ), De Caritate, 2, 9 : ' Deus amor est, quem qui amat, amorem amat. Amare autem amorem circulum facit, ut nullus finis sit amoris '.
(3) Forse non a caso codesti due nomi occorrono nel nono verso del sonetto. Cfr. VN. 6, 11. Ed anche nel nono verso del so- netto Guido vorrei starebbe il nome della gentilissima, preceduto sempre dal nome della donna di Guido, se non fosse venuto a to- glierlo di seggio monna Lagia.
Non sapeano che si chiamare
segesi biblica e nell' interpretazione allegorica dei poeti la- tini, avrebbe probabilmente trovato. E se alcuno non sa- peva trovare, tanto meglio ; al poeta non dispiaceva se gli lasciavano stare le cose sue. perchè temeva sempre d' aver comunicato a troppi il suo intendimento.
6.
l'^in dalle prime battute del misterioso racconto della Vita nuova, un fort€ dubbio già s' insinua nell'animo del let- tore intorno al vero nome dell' eroina dell' opera dantesca. ' La gloriosa donna de la mia mente, dice il poeta (1,4), fu da molti chiamata Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare '.
Alcuni solitari non videro altro partito che quello di considerar come guasto il luogo della Vita nuota, e di pro- pone capricciose e talvolta sterili emendazioni ('). Ma i più, cauti e industriosi, lasciarono le cose come stavano e come realmente stanno, e cercarono di cavar dalle non so- fisticate parole del poeta un senso che sempre più consoli- dasse il presupposto dell' identità del nome della donna ama- ta. E si divisero in due forti schiere procedenti verso l'ob- biettivo comune. Per gli uni ( Targioni - Tozzetti, Giuliani, Todeschini, Casini, Barbi ), quei ' molti ' non sapevano co- me Beatrice veramente si chiamasse, ma ne indovinavano
(*) Il Trivulzio, ' i quiUi non saponno che si (così) chiama- re ' ; il Fraticelli, 'e quali (ed altri) non sapeano che si chia- mare ( non sapeano come chiamarla ) ' : ovvero, * fu chiamata da molti Beatrice, ed altri v'avea, i qaali non sapeano che si chiama- re ' ; il Bressan, ' i quali non sapeano che sì si chiamasse'; il Borgognoni, ' li quali non siipeano che si chiamare ella dirit- tamente si dovea'; il Eonchetti ( Giorn. dant. 1, 330), 'fu d a' molti chiamata ' ; il Davidson e 1' Haller ( vd. Ross. bìbl. 10, 41 s ; Bull. ns. 9, 178 ss ), * i quali non sapeano che s i e (sia) chictmare '.
256 Le rime e il racconto della Vita nuoca
tuttavia il nome, chiamandola appunto Beatrice (') ; per gli altri ( Orlandini, Witte, Fanfani, D' Ancona, Flechia, Gaspary, Scartazzini, Del Lungo, Zingarelli, Passerini, Sche- rillo ), i ' molti ' sapeano bene come si chiamava la gloriosa, ma non vedevano quanto quel nome si convenisse a quella beatitudine, non sapevano che cosa quel nome veramente predicasse di Beatrice, ' ignoravano quanto dirittamente appropriassero alla fanciulla questo nome significativo, che le davano senza pesarne il valore ' (-).
La prima interpretazione che pareva abbandonata, non mi pare che abbia veramente alcun titolo per esser riam- messa in servizio. Certo, ben a ragione il Barbi {Bull. ns. 9, 44 ) trova più conveniente ' che il poeta voglia sul priu- cipio dell' amoroso libretto dar questa lode alla sua donna, che la sua vista beatificava tanto che molti indovinavano dagli efi'etti il suo nome vero '. Ma possiamo dalle parole del poeta desumer codesto ? Qualunque si fosse la ragione per la quale quei molti avrebbero chiamata Beatrice la gloriosa donna, e qualunque si fosse il miracolo per il quale, senza che ad alcuni venisse il ticchio di chiamarla Angiolina e ad altri Serafina, tutti in quel nome si sareb- bero accordati ; come mai può venir fuori dalle parole del
(1) Primo ispiratore di codesta chiosa fu certo il Biscioni , il quale però veniva a conclusioni affatto divei-se: Pref. 17 * le fu po- sto allor quel nome, da chi non sapeva come chiamarla. Sicché si può conchiudei-e, che questo nome non era suo proprio, ma che in quella età così fu colei denominata da molti, i quali non sapevano come altrimenti nominarla; vedendosi quivi chiaro, che tal nomo ebbe origine dall' intrinseca natura del soggetto, e non dal benepla- cito dello genti'. Cfr. Bartoli, St. 4, 187; 5, 57 s.
(2) Il Tommaseo, nel dar fuori, forse primo, quest' ultima più vagheggiata interpretazione, era indeciso : Com. a ////. 2, 103, p. 91 : ' non sapevano qual senso arcano fosso in quella voce ; oA'vero : non sapevano con quivle più alto nomo chiamarla'.
Xon sapeano che ai chUtmare 257
poeta che essi indoviuavano il vero nome? Bisognerebbe almeno emendare : — fu anche da molti, che non sapeano che si chiamare, chiamata Beatrice — . E lasciando stare che * non sapeano che si chiamare ' non certo molto age- volmente si può intendere ' non sapeano come si chiamasse come altrimenti chiamarla, con quale altro nome chiamar- la ' ; avrebbe detto il poeta che molti, non sapendo come chiamare la donna della sua mente, tiravano a indovinare, quando egli stesso nelle rime l' avea chiamata Bice e Beatrice? avrebbe detto che molti non sapeano che nome avesse la gentilissima, se era venuta ' in tanta grazia de le genti che quando passava per via le persone correano per vedere lei ' ( VN. 26, i
Sordi dunque, o negligenti, ma, come pare, molto per- spicaci, codesti molti della prima chiosa ; certo, meno stor- diti e più intendenti degl' inconsapevoli o sbadati della seconda interpretazione, che non è più persuasiva della prima. Perchè mai il poeta dovea con tanta sollecitudine occuparsi di quegli sciocchi che non aveano saputo vedere quanto alla gentilissima fosse appropriato il nome di Bea- trice? E come mai e perchè mai la Bice era chiamata Bea- trice appunto dagli sciocchi ? Per quale ragione quegli stor- diti, senza intenzione riposta, avrebbero chiamata la bella Fiorentina, anziché Bice, com' ella si chiamava. Beatrice ? Se degli sciocchi il poeta si fosse voluto occupare, avreb- be detto : — fu chiamata Beatrice, benché molti, non sa- pendo quanto quel nome le si convenisse, la chiamassero Bice — ; o qualcosa di simile ; e non gli sarebbe certo oc- corso di esprimere il suo pensiero alla rovescia. E in fin dei conti, * non sapeano che si chiamare ' può egli valere ' non sapeano con quale e quanto nome chiamassero ' ?
Giacché, se non tutta, gran parte della questione è qui : che valore ha * non sapeano che si chiamare ' ? Tal- volta in simili costrutti troviamo, come in latino, il con-
25S Le rime e il racconto della Vita nuova
giuntivo. Nella stessa Vita nuova abbiamo : 13, 19 ' mi fa- cea stare quasi come colui, che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde se ne vada ' ; 13, 36 ' Ond' io non so da qual matera prenda ; E vorrei dire e non so ch'i' mi dica '. E nella Commedia: 1, 24, 11 'Come il tapin che non sa che si faccia'. Ja- copo da Lentino, canz. Madonna dir vi voglio^ ' Vivo in foco amoroso e non saccio che dica ; Lo meo lavoro spica e poi non grana ' ; Barberino, Begg. 81, ' Pensoso, che non so qual via mi prenda ' {}). Ma più spesso occorre l' in- finito : Folcacchiero, canz. Tutto lo mondo vive, ' Non so onde fuggire, ne a cui m' accomandare ' ; Rustico di Fi- lippo, son. Poiché vi piace, ' Merzede, Amor, eh' io non saccio che dire ' ; Novellino, 52 ' che tutti gridino a una voce mercè, e non sappiano a cui la si chiedere ' ; 61 ' non seppe che si dire ' ; 64 ' non sapea che si fare ' ; 87 ^ non sapea che si dire, ne che si lare ' ; 89 ' ma non sapea come '1 si fare ' ; Fioretti, 4 ' frate Masseo non sa che si fare, ne che si rispondere ' ; 26 ' per nessuno modo non sapea che si fare, né che si dire ' ; 45 'io non so che mi ti addiman- dare ' ; Decamerone, 2, 4 'non sappiendo che farsi ' ; 2, 5 ' non sappiendo altro che rispondersi ' ; 2,9 'né sapea che si sperare, o che più temere' ; 3, 3 ' non sapeva che dirsi '; 4, 7 'non sappiendo che dirsi'. Sono evidentemente locu-
(1) L' espi-essione * non so elio mi dica o mi faccia ' pnò valere, non solo 'non so che diro o fare', ma anche 'non so quel che io dico o faccio'; giacché paro da qualche esempio che in quel con- giuntivo abbiano confluenza e V una e 1' altra espressione, di signi- ficato ben differente: cfr. VN. 25, 75 'non avendo alcuno ragiona- mento in loro di quello che dicono ' ; Coni. 2, 15, 59 ' Quello che Aristotile si dicesso di ciò, non si può bene sapere'; Buti, 2, 531 ' profetò non sapendo quello che dicesse ' ; Decani. 2, 5 ' Come, disse Andreuccio, non sai che io mi dico ? certo sì sai ' ; 2, 5 ' senza sjv- pere dove s' andasse, preso la via per tornarsi allo albergo '.
•fc^on sapeano che si chiamare ^50
zioni ellittiche ; manca il servile o perifrastico o modale al congiuntivo, che si trova invece in questi esempi : Tavola Rotonda ( Nannucci, Man. 2, 161), ' io non soe eh' io altro vi ne possa dire ' ; Decamerone, 2, 3 * più non sappiendo che aspettare si dovessono ' ; 2, 8 ' appena sapeva che far si dovesse ' (*). Pare dunque, che per analogia * non sapeano che si chiamare ' valga ' non sapeano che si dovessero chia- mare '. Il poeta avea già chiamata la donna della sua mente, nelle sue rime, Bice e Beatrice ; ma la g e n- t i 1 i s s i m a , conosciuta da tutta la * cittade ' come un miracolo, non era, stando alla narrazione della Vita nuota, conosciuta come donna di Dante ; quindi il poeta insinue- rebbe che molti, pur chiamando la donna della sua mente Beatrice perchè cosi leggevano nelle sue rime, non sapeano tuttavia che cosa dovessero con tal nome chia- mare ; non sapeano a che attribuire tal nome ; non sapea- no che cosa il poeta con tal nome volesse significare ; non sapeano insomma, di che cosa fosse egli innamorato (*).
(*> Por attrazione pro>>abilinente. U Boccaccio metto talvolta all'infinito anche il servile: Decam. 2, 6 'senza saper dove mai al- cuno dover g-e no ritrovare ' ; % 7 * nò sappiendo che dovermi dire '.
(-) La formula risolutiva del Fleehia (vd. D' Aiitonu. VN. 16 s), • i (j[uali non sapevano che si chiamassoro. chiam:indo Beatrice', non può piegarsi che a tiile interpretazione : giacché codesto congiuntivo dovrebbe alla sua volta risolversi, non nell' indicativo, ma nell' in- finito. La distinzione messa fuori primamente dal Fanfani ( Stndj ed osserra^ioni sopra il testo delle opere di D. Firenze 1873: p. 2ft4 s). che in tali costrutti l'infinito ora si usa * con riferenza ad un' azione non ancor fatta .... dove gli antichi lo usavano . . . nell* attualità d' azione ' : cosicché la frase dantesca, anziché richiamare il servile al congiuntivo, varrebbe * non sapeano ciò che attiuilmente chiama- vano ' : è forse più speciosa che vera. Certo, molti dotti oggi chia- mano Matelda la donna della ' divina foresti» ', senza saper chi deb- bano chiamare con tale nome. Il diro. ' senza sjiper chi si chiama*
^ Le rime e il racconto della Vita rmpxid
Qualcosa di simile disse anche Gino ( son. A vano sguardo):
no ', sarebbe altra cosa ; a quei critici scrupolosi si attribuirebbe trascurataggine, mentre si vuole attribuire onesta dubitazione. I ' molti ' della Vita nnocn pur pensavano : — Noi chiamiamo Beatri- ce la donna di Dante ; ma che dobbiamo chiamare Con tal nome ? Ifoi non sappiamo bene che cosa chiamare — . È naturale dun- que, che il poeta dica eh' essi ' non sapeano che si chiamare '. I tre esempi addotti dal Fanfani, saranno leziosaggini del Davan- zati e del Varchi ; leziosaggini che lasciano in dubbio il lettore sul loro vero significato. Non è chiaro infatti se debbano essere inter- pretati come vuole il Fanf ani, ovvero in altro modo : ' disse quel Re guerriero che sapeva che dirsi ', ^ disse Dante il quale sapeva che dirsi ', ' Annibale seppe che dirsi quando avverti il Castelve- tro ', possono valere, anzi dovrebbero valere, non già ' sapeva ciò che diceva ', ma ' sapea che eflt-a da dire, sapea bene quel che do- vesse dire ', o simile. E lo stesso suppergiù può dirsi degli altri e- sempi addotti, a sostegno di codesta chiosa, dal Gaspary ( cfr. Bull. ns. 9, 44 ). IVla, concesso pure che in simili costrutti l' infinito fosse tah'olta usurpato in tal modo, non resta però escluso che fosse usato più generalmente e più correttamente noli' altro significato : e gli esempi del Novellino, dei Fioretti, del Decamcrone, che abbiamo ad- dotti, son certo buona prova ; come buona prova è 1' uso costante ed esclusivo moderno. Del resto, anche se il luogo della Vita nuova può valere ' non sapeano ciò che si chiamavano, ciò che essi nomi- navano', si può bene intendere che quei molti ignoravano che cosjv fosse la gloriosa donna del poeta : diceano che si chiamava Beatrice, ma non sapeano altro. Pur credendo alla realtà della donna amata, negava l' identità del nome Paolo Costa : ' Se molti e non tutti, egli scriveva ( Vita di D. prem. alla DC. Firenze 1839 : 1, 7 n ), così la chiamarono, è da credere che tale non fosse il nome suo. E forse Dante stesso, per riverenza all' onestà dell' amata donna, ne ascose il vero nomo e, chiamandola Beatrice, avvisò di significare la bel- lezza del corpo e dell' animo di quella gentilissima che faceva beati coloro che la riguardavano '. Alla stessa conclusione veniva poco dopo anche Luigi Muzzi ( vd. Torri, VN. 102 ) : ' tal nome idealo fu imposto a donna vera, ma in quel tempo non conosciuta da ninno ; e forse le fu imposto dal medesimo Danto, dal quale udendolo molti, ei potò dire, da molti fu cìiiamata, che non sapeano altro ',
AVw .sapeano che »i chiamare ^1
A vano sguardo od a falsi sombianti Colo poloi cho nolla monto ho pinta: E covro lo dosio di tjilo infintji. Ch'altri non wi di qiial donna io mi canti.
Molti similmente chiamavano Corinna la donna di Ovidio, ma anch' essi non sapeano qnal donna cliianiar si doves- sero con tal nomignolo :
Et multi, qnac Kit nostra Corinna, rogant.
avea pur cantato {Ars amai. 3,638) 1' amoroso poeta la- tino. E pare davvero che il Nostro, nel tormentato luogo della Vita nuova, voglia fare un' insinuazione che potrebbe trovar rispondenza o riscontro nell' altra sua affermazione, che i molti risponditori al primo sonetto non aveano sa- puto vedere il * verace giudicio ' del sogno del cuore man- giato. Pare eh' egli, fin dalla soglia del dubbioso libello, voglia insinuare che molti ancora chiameranno Beatrice la gloriosa donna della sua mente, ma non sapranno tut- tavia che si chiamare. Certo, a questo appunto, non ad altro, riesce il misterioso racconto della Vita nuoca.
Bai fatto stesso che il poeta chiama Beatrice la donna amata e nelle rime e nel racconto della Vita nuoca, sarei indotto piuttosto a negare che a riconoscere aver egli mai amato una fanciulla di tal nome. Ma sia come si voglia ; abbia egli amato una Bice qualunque: abbia egli amato la Portinari ; il povero Biscioni concedeva anche codesto : abbia egli cantato di codesta Bice ; si può concedere anche
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262 Le rime e il racconto della Vita nuova
codesto : ne verrà forse eh' egli di tal donna e di tale amo- re ha parlato nel mistico e misterioso racconto della Vita nuova? Certo, se la narrazione del libello rasentasse pure il verosimile, sarebbe codesta logica conseguenza.
Il Todeschini (Scr. 1, 326) e lo stesso D'Ancona ( VN. 8 ) revocano in dubbio 1' innamoramento dei nove anni e la passione del secondo novennio, sia perchè il poeta ci dice che solo dopo nove anni dal primo ' apparimento ' udì la prima volta le parole dell' amata sua, sia perchè non ha saputo trovare nel ' libro de la memoria ' , di tutto co- desto lungo intervallo, nessun episodio degno di esser ri- cordato. Sarà stato ' un sentimento fanciullesco', sarà stata ' piuttosto una inclinazione che una passione ', sarà stata ' un' affezione simpatica ', secondo il Todeschini ; ' si trat- terebbe di una di quelle illusioni che spesso fanno a sé stessi gli innamorati', secondo il D'Ancona. A diciott'anni dunque, sarebbe divampata la potente ed eterna passione, e parva favilla di tanto incendio sarebbe stato il saluto della gentilissima.
Ma quali saranno poi gli episodi verosimili della gio- vanile passione ? Nel primo periodo quasi solo campeggia 1' episodio delle due donne dello schermo. Il poeta, per ce- larsi, finse per alcuni anni che altri fosse veramente 1' og- getto del suo amore. E non occorre certo ricercar nei co- stumi dell' amor trovadorico, né scomodar Guglielmo di San Desiderio, né fastidir Folchetto di Marsiglia, e neppure oc- corre turbar la pace del sepolcro del gran Torquato, per trovar, come si direbbe, dei precedenti e delle controprove. Gli amanti, cosi solleciti sempre nel protegger la loro fiam- ma dai venticelli di don Basilio, sempre cosi abili nello schermirsi dalla petulante oculatezza degl' indiscreti, avran- no in ogni tempo, come con altri espedienti, cosi anche talvolta con codesto ripiego, distratto dal vero oggetto del loro amore le indiscrezioni dei ciarlieri e le malignazioni
V episodio degli schermi 203
degl' invidiosi ; e avranno così, pel conseguimento dei loro fini, sopito la vigilanza molesta delle persone interessate ('). Ma se verosimile è il fatto in se stesso, non pare che ve- rosimile sia nel caso specifico. Si intende e si giustifica in certo modo il prendersi giuoco di una gentildonna per ope- rar diversioni e assicurar la via ad una tresca; ma nell'a- mor della Vita nuova codesto espediente di manichini o pa- raventi riesce, stando alla lettera, del tutto inesplicabile. Ben potremmo supporre che, se il poeta avesse voluto nella Vita nuora ammannir la storiella di un amor trovadore- sco, non avrebbe probabilmente lasciato da parte cotale ingrediente, che si dice ' canone principalissimo nelle leggi dell' amore e della poesia cavalleresca '. Ma non pare dav- vero che, per la fantasia d' imitar le tresche dei trovadori. Dante giovinetto abbia voluto seguir cosi appuntino i ca- noni dell' amor cavalleresco, da ricorrere efiettivamente a quei pericolosi e indegni ripieghi che dal suo amore non erano richiesti, a cui anzi il suo amore repugnava ; da provvedersi di schermi, quando il fine del suo amore di nessuna diversione doveva giovarsi ; non pare davvero eh' egli abbia avuto vaghezza di simulare pel solo gusto
(•) Miirlioro doirli Abati cantava:
Sici-oinc il l)uon arciere a la battaglia. Che sa di guerra l>en venire a porto. Che tragio 1' arco o mostra eho jrli rafirlia Di tal ferir che no gli sta conforto;
E filr» mano e poi fere in travaglia A tal che de 1" arciere non è accorto ; Ed co, per la nojosa indivina^lin De la mia donna, simile mi porto.
Che faccio vista d'amare e sembianti, E mostro in tale loco benvogllenza. Che giammai non vi sclese U mio coraggio.
Por li nojosi falsi malparlanti Che "nfra li fin' amanti d.inno intenza : Xon sanno onde move il mio alegragglo.
264 Le rime e il racconto della Vita nuova
di simulare, di fare insomma una canagliata cavalleresca per la ridicola pretesa di mostrarsi perfetto trovadore. E certamente^ né pudore né verecondia giovanile potevano consigliare, né hanno mai consigliato, quelle simulazioni. Se il ritroso amante avea verecondia di confessare il suo vero amore j3urissimo e idealissimo, se lo schivo giovinetto sentiva pudore della sua innocente passione, come e per- chè nello stesso tempo perdeva ogni verecondia nell' amor simulato, tanto che una soverchievole voce parca che l' in- famasse viziosamente? No, certo, né pudore né verecon- dia. — Perché, si dirà, voleva del tutto celare altrui il suo amore per Beatrice — (^). Ma quel suo amore, cosi poco esigente e così privo di azione, per tenersi celato do- veva proprio rimpiattarsi dietro quello sconveniente rÌ2)a- ro? non bastava forse il silenzio? Il fine dell'amore del poeta è così innocente e così puro, che il contaminarlo con infingimenti scandalosi pare cosa assurda. Ma concediamo che il poeta, per ragioni che non si vedono, si servisse di tali amori simulati; perché doveva egli offuscare, col so- spetto che nasce dalla confessione di codesti mezzucci o mezzacci, il cristallo purissimo del suo vero amore? Anche se il suo amore non fu così puro come nella Vita nuova è rappresentato, nella Vita nuova resta a ogni modo l'in- coerenza. E perché, d'altra parte, doveva egli esporre alla derisione due gentildonne, probabilmente alla pubblicazio- ne della Vita nuova ancora in buona salute ? Sarebbe per avventura anche questo un altro canone dell' amore e della poesia cavalleresca, che 1' amante cavalleresco, dopo aver gelosamente tenuto nascosto il suo amore, venga quando-
(1) Grrogorio Magno, Mor. 8, 78 • Bona nostra ot intorapestive manifestata deperount, ot diutius occultata solidantur '. Cod. (T Ani. 2 ' Qui non celat, amaro non potost ; 13 Amor raro consuevit du- rare vulgatus '.
// epi.iodio degli schenni 265
chessia a dir tutto, anche dei mezzi adoperati per coprir- lo? che l'amante cavalleresco non possa essere che cana- gliesco scrittore? Insomma, a intender la cosa secondo la lettera, codesta cavalleresca birbonata non si vede proprio perchè debba tener tanto luogo nel breve racconto della Vita nuova. Certo non tornerebbe né ad onore del cantor della rettitudine, né a lode della distruggitrice di tutti i vizi e reina delle virtù.
Sennonché, dinanzi all' assurdo, sono costretti a fan- tasticare anche i più gagliardi persecutori di fantastiche- rie; trovandosi nella curiosa condizione di Lodovico dei Promessi sposi, che si era ridotto ft viver coi birboni per amor della giustizia. Non simulazioni, ma ' affetti giova- nili ', ' debolezze della carne inferma ', ' deviazioni sensua- li ', giudica il D' Ancona ( VN. 75 s ) gli amori delle due donne dello schermo; e per ispiegar la convenienza del racconto di tali trascorsi camuffati a quel modo e colle- gati con 1' amore a Beatrice, l' illustre critico osserva, che il poeta, ' dovendo in questo libretto far le sue confessioni, non poteva tacere ', e che, * volendo anche mostrare la fa- talità e la perennità dell' amore a Beatrice, li collegò con questo rappresentandoli quali schermi all' occhio e ai com- menti altrui '. Veramente, comunque si stia la cosa, di con- fessioni nella Vita nuota non é il caso di parlare ; e molto meno poi, se le cose stanno come pensa il D' Ancona. Ma, d' altra parte, ben si dovrebbe riconoscere che il travesti- mento dei due affetti giovanili è dovuto alla fantasia da cui pare predominato il poeta, di mostrare la fatalità e la perennità dell' amore a Beatrice. ' Nemo duplici potest amore ligari ', ammonisce il Codice d'Amore. Debolezze della carne inferma, deviazioni sensuali, bensì; ma debo- lezze e deviazioni con la prima gentildonna durate ' al- quanti anni e mesi ' ; debolezze e deviazioni che, appunto per la infermità della carne, doveano finire coli' esser vere
266 Le rime e il racconto della Vita nuova
passioni ('); debolezze e deviazioni che il poeta, senza al- cun riguardo né a se stesso ne alle due gentildonne, non nascondeva, egli che teneva così gelosamente celato 1' a- more ideale! Ma a che si riduce allora, e dove si va a confinare la passione per .Beatrice ? Che se è naturale che Beatrice per codeste deviazioni sensuali dovesse scemar queir affetto e quella stima che a noi piace supporre ani- massero il suo cuore, è poco naturale che il poeta, senza aver avuto in alcun tempo altro segno di affetto e di stima che il saluto, s' infiammasse più che mai della gentilissima e si consacrasse ad un eterno amore per lei, appunto quan- do quella cortesissima gli toglieva il saluto ; poco naturale che pensasse di rigar diritto, di fortificarsi contro le de- bolezze della carne, di corazzarsi contro le insidie degli af- fetti giovanili, quando sui 22 anni perdette quel conforto che fra le debolezze e le deviazioni era stato sua ineffa- bile beatitudine ; poco naturale che cominciasse a entrar- gli in corpo la fantasia che codesto amore era stato fatal- mente perenne , quando la cortesissima col suo gabbo a- vrebbe fatto scappare V amore dal più cieco e ubriaco spa- simante ('-); poco naturale che, per mostrare 1' eternità del suo inverosimile amore alla beffarda, pensasse al tiro bir- bone di esporre al pubblico scherno le due gentildonne delle deviazioni e delle debolezze, che d' amor vero ed u- mano gli aveano tuttavia scaldato il petto (^).
(1) Ovid. Ars amat. 1, 615 ' Saopo tanion voro coopit simula- tor amaro; Saopo, quod incipions finxerat osse, fuit*. Rem. ciiiior. i99 'Saopo ogo, no biborom, volai dormirò vidori: Diim vidoor, somno lumina vieta dodi. Docoptum risi, qui so sìmulabat ama- ro In laquoos auceps decidoratquo suos '.
("^) Gino da Pistoja, son. Se non si move. ' So non si movo d' o- gni parto amoro, Si dall' amato, corno dall' auianto, Non può molto durar lo suo valore ; Clio '1 mozzo amor non ò formo nò stanto '.
(3) Chiavo di tutto 1' episodio sono l'orso lo famose parole oseii-
Ije parole oscure e i »imutacri ^ Amore 387
Nel Concicio ( 2, 13, 27 ) il poeta confessa che, nella mistica adolescenza della Vita nuova, ' molte cose, quasi come sognando, già vedea '. Certo, egli non aveva ancora temprato i suoi muscoli alla severa disciplina delle armi ; non ancora nella destra gli balenava la * spada lucida ed
re d' Amore, cho ri lofrafono noi p:ira*fi'afo 12. Danto, por il Kimu- lato amore alla gentildonna del secondo schonuo, avoa perduto il Hjiluto di Beatrice : ' un giovano vestito di bianchissime vostimen- t;i ', ciò»' Amoro, gli apparve in sogno, e sospirando gli dìss(3 : * Fili mi, tempus est ut praotormittantur simulacra nostra ". Poi piangeva * pietosiimente ', e il poeta gli chiese : ' Signore de la nobiltade, e per- chè piangi tu ? ' E Amoro allora <lisso quf>ste oscure parole : ' Ego tamquam contrum circuii, cui simili modo se habent circuraferen- tiao partes : tu autem non sic \ Il poeta non capiva, e voleva spie- gazione ; ma Amore tagliò corto, dicendo : ' Non «lomandaro più cho utile ti sia ' ; e si pose a ragionare ' de la salute negata ', senza poro muovere alcun rimprovero al suo fedele. Potrebbe il luogo attri- buito a s. Bernardo, qui addietro citate ( p. 2.>4 n ? ), illustrare co- deste oscure parole ? Oltre le spiegazioni riferitt» nello edizioni della Vifa nuora del D' Ancona e del Casini, ricordo : l' interpretazione di ( ». Maruffì ( Le parole oseare (f Amore. Venezia 1895 : estr. dal q. 2"*, a. 3'* dol liior». doni. ), alla quale si accostai in fondo il Boflìto ( Bull. ns. 10. 266 ) : 1* interpretazione di A. Butti ( Giorn. dant. 6. 129 s): o, insiorao alle ossorvazioni del Federzoni {Studi, 108 ss) o dolio Scarano ( Beatrice. 42 K un recente articolo di E. Pi-oto {fiass. rrit. 7, 193 ss), cho muove appunto dalla chiosa del Federzoni, e la sviluppa e conforta di 'ragioni filosofiche'. Sta bene: il circolo rappresenta perfezione e nobiltà ; dunque si tratta di perfetto e no- bile amore. Si è citato il luogo del Paradiso, 18, 49 - 51, e il luogo del Conririo. 4, 16. E si potrebbero ricordare di Jacopo della Lana più luoghi, e specialmente questo (2, 198): 'nelle cose naturali quella line che torna al suo principio, è detta perfetta, siccome appare nel moto circolaro, il quale è tra li altri movimenti il più perfetto, perchè il suo fino torna al suo principio, conio appare noli' ottavo
à68 Le rime e il racconto della Vita nuova
acuta ' eli Paolo ; come il rapito di Patmos, venia ' dor- mendo con la faccia arguta'.
Veramente, due soli sogni fanno parte della dubbiosa narrazione; e non sono pur chiamati sogni, ma ' visioni ' nel sonno ( § § 3 e 12 ) ; e ' vana imaginazione ' è chia- mato il farneticare in una specie di dormiveglia ( § 23 ). Altri episodi sono visioni ad occhi aperti, ' imaginazioni ', come le chiama il poeta ( § § 9, 24, 39 ) ; una sola ima- ginazione, 1' ultima, è chiamata ' visione ', ' mirabile visio-
(lella Fisica e noi libro De Coelo et Mnndo d' Aristotile ', Cecco iT A- scoli poi, dell' amor sensualo cantava ( Acerba, 3, 1 ) :
Amor nel cerchio non tlen fermo punto, O cala o monta nell' uman concetto, Sempre col moto fu così congiunto.
Ma una spiegazione chiara, e per ogni verso convincente, non si potrà mai dare, se non si spiega 1' episodio degli ' schermi della ve- ritade ', dei ' s i m u 1 a e r a ' d' Amare. [ Dionigi Areopagita ( Ope- ra, Antuerpiae, 1634 ), De divinis nominibas, 4, 12 ' Cum enim verus amor non a nobis solum, sed ab ipsis sanctis Seripturis, ut Deum decet, laudetur, vulgus hominum, cum non percepisset illam iini- formitatem quam divinura nomen amoris significat, convenientor sibi ad aniorem patibilem et corpoi-eum atque distractum delapsum est, qui non est verus amor, sed imago, voi potius lapsus a vero a- more: multitudo enim non potest cogitatione capere ili ud singulare divini et unius amoris'. Paraphrasis Pachymerae (1, 659): 'Hoc igitur divini amoris nomen vulgus non intelligens, ad amorora cor- poroum et distractum ac divisum dilapsum est : alius enim aliud amat, et alius aliud appetit secundum istiusmodi amorem, qui non est verus amor, sed magis s i m u 1 a e r u m vel prolapsio ab amo- re divino . . . Amor corporeus s i m u 1 a e r u m est amoris divini '• In Dionigi anche il paragono col circolo : De die. noni. 4, 14 ' Qua in re et fine et principio se carerò divinus amor oxcollenter osten- dit, tamquam sempiternus circulus '. ] Certo, stando alla lettera, nò degli schermi, nò delle parole oscuro, anche so rischiarate un poco da ragioni filosofiche, non se ne vede davvero la ragione. Cfr. Oiorfi, Sfar. 2. aS6 e nn2.
Le visioni ^
ne' i t? -i- .') ' mi labi le ' come la prima \ .o.v...e nel sonno. Sette sono dunque le visioni che occorrono nel breve rac- conto ( cfr. BuU. ns. 9, 262 ). E se non pare del tutto ine- splicabile che il poeta, passando dalla visione alla realtà e dalla realtà alla visione, rimpolpi con visioni i pochi accenni alla strana storia del suo amore ; ben desta me- raviglia che le visioni siano cosi opportune e necessarie air integrazione del racconto, che mal si apporrebbe chi volesse considerarle come semplici adornamenti poetici. D'al- tra parte, anche in quel che come realtà è narrato, pare che le condizioni del reale siano sopraffatte da un inten- dimento riposto; che il simbolismo sforzi la lettera, ecce- dendo i confini del reale ; certo, codesta pretesa realtà sto- rica è rappresentata essa stessa come vero sogno e vera visione.
Come una visione è narrato l' apparimento sanguigno della gloriosa donna della mente al novenne fanciullo ; come una visione il bianco apparimento della donna della sa- lute al diciottenne giovinetto. E visione, estasi mistica, ascetico rapimento, pare davvero la ' trasfigurazione * del poeta e l' apparizione della gentilissima nel convito nu- ziale ('). Si legge nei Salmi ( 83, 3 ) : ' Concupiscit et de- ficit anima mea in atria Domini ' ; ed un altro versetto (21, 8 ) potrebbe pure averci avuta qualche parte nel fatto del gabbo : * Omnes videntes me, deriserunt me : locuti sunt labiis, et moverunt caput. ' Comunque, all'inverosimiglian- za del racconto ( vd. Bartoli, St. 5, 64 ss ), si aggiunge la grave incongruenza di codesto ingrato particolare. Nes- suno vorrà certo dii*e che la donna amata non si possa burlare dell' amante, che spesso non si burli dell' amante ; ma il gabbarsi di chi si sia è forse delle gentilissime e
(l) Cfr. Gresorio Masrnn. Mm: \ "> ss: f??.. 41 ss; -27, 31 s; 31, 70.
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270 Le rime e il racconto della Vita nuova
cortesissime donne? Se altro non fu 1' intendimento del poeta, riesce davvero affatto strano e incongruente codesto ricordo nell' apoteosi della gentilissima, della cortesissima, della distruggitrice di tutti i vizi e reina delle virtù (^).
(1) L' Orlandini ( Disc, in D. e il suo sec. 408 ) osserva : ' la Vita nuova non è, comò altri affermava, una storia compiuta dogli amori di Dante per Beatrice ; ma una eletta di fatti appartenenti a quella storia, e precipuamente di quelli che fossero bastanti ad apparec- chiare e giustificare 1' apoteosi che il Poeta si accingeva a farne in una maggiore opera futura, che fu poi la Commedia '. Ma il critico non si dà punto cura di farei sapere come, nella ' eletta di fatti ap- partenenti a quella storia ', e' entrasse il gabbo, eh' egli stesso chia- ma ( p. 399 ) ' volgare leggerezza '. Lo Scartazzini ( Proleg. 185 ) non vuole che si esageri: 'E non meno naturale è pui-e quel gabbarsi di Beatrice, su cui ultimamente si fraseggiò e declamò tanto, e tanto inutilmente. Non si tratta di uno scherno spietato nò di una beffa spinta oltre il segno, come alcuno favoleggia, si tratta di una sem- plice derisione'. Dio mio, sì! Una semplice derisione. Cose che pas- sano coli' acqua fresca. Il Canepa poi si spiega ogni cosa ( N. ricer. 29 ) : '■ Non è perciò tanto inesplicabile questo gabbarsi : inoltre nel- 1' angiola giovanissima adorna di tutte le virtù, forse potrà parere una stonatura, ma quando Dante canta le virtù della sua amata è poeta e segue l' ispirazione, mentre esponendo i fatti è storico, e non gli è lecito travisarli '. Ma Dante dice che madonna si gabbò di lui, anche quando, come ' poeta ', ' segue l' ispirazione ' ; e la chiama ' gentilissima ' ben quattro volte appunto quando, come * storico '? espone il fattaccio del gabbo. A ogni modo, il Canepa ( e non il Ca- nepa soltanto) farebbe dire a Dante: — Signore e signori! Questa è la vera storia di una gentilissima donna, la cui * ineffabile cor- tesia è oggi meritata nel grande secolo ', Ma badate bene eh' io, co- me poeta, seguendo l' ispirazione, la chiamo gentilissima e cortesis* sima ; perchè, a parlarvi da storico, vi so dire che quella gentilis- sima giunse a tal punto di villana crudeltà, che una volta, e non faccio per vantarmi, si gabbò di me. Se nell' esposizione dei fatti voi, gentili signore e cortesi signori, trovate incoerenze e contradi- zioni, sappiate che la colpa non è mia, ma della storia che non si sa metter d' accordo eoli' ispirazione poetica. Potevo io far tacere l'ispirazione? o dovevo manomettere la storia? E perchè poi? per
Episodi che arieggiano la visione •2~\
E sogno o visione pare anche il colloquio con le donne che s' erano rannate non si vede ben dove, e che aveano così poca verecondia e cosi grande familiarità col poeta, da chiamarlo alla loro adunanza e sottoporlo, fra i sospiri, a un indiscreto interrogatorio intorno al fine del suo a- more. Come trasognato infatti il poeta risponde, e come trasognato si parte e ' quasi vergognoso ', per essere stato còlto in contradizione.
E che altro se non sogno o visione ad occhi aperti sarà l'episodio della morte del padre di Beatrice? Giacché, niente varrà a rimuovere le obbiezioni del Centofanti e del Bartoli ( St. 5, 71 s) . All' episodio del gabbo fa da contraltare 1' episodio della pietà di Beatrice. ' Melius est, dice r Ecclesiaste (7, 3 ), melius est ire ad domum luctus, quam ad domum con vi vii '. Il Barberino cantava ( Do- cimi. 374 ) :
Piotii non Andi, ma crcnìo in voi sia, Xon per tór pena mia. Ma por averla colà dove iisaro Disonestjite non puote chiamare Alcun, nò dir follia.
E dalle incongruenze, dai sogni, dalle visioni, dal far- neticare sulla futura morte di Beatrice, colla morte di Bea- trice passiamo bruscamente al calcolo ed all' enigma. In- troduce quest' altra ' nova materia ' un cominciamento di Geremia : ' Quomodo sedet sola civitas piena populo ! facta est quasi vidua domina gentium '. Ed ecco, tra il grave e il malizioso, il poeta vien fuori con questa dichiarazio- ne : ' E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare
la sciocca pretosa di essere coerente ? Ma l' incoerenza, vi dico, non è mia. Ville a dire, non è di chi è poeta e si trova talvolta nella dura necessità di far lo storico : ma è della storia e della poesia che si guardano come cani e gatti — .
272 Xe rime e il racconto della Vita nuova
alquanto de la sua partita da noi, non è lo mio intendi- mento di trattarne qui per tre ragioni ' ('). Tuttavia egli
(1) Son queste le tre ragioni : ' la prima che ciò non è del pre- sente proposito, se volemo guardare nel proemio, che precede que- sto libello [ queste le parole del proemio : ' In quella parto del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica, la qual dice : Incipit vita nova. Sotto la qual' io trovo scritte le parole, le quali è mio intendimento d' assemprare in questo libello, e, se non tutte, almeno la loro sentenzia ' ] ; la se- conda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sofficiente la mia lingua a trattare, come si converrebbe, di ciò ; la terza si è che, posto che fosse 1' uno e 1' altro, non è con- venevole a me trattare di ciò, per quello che, trattando, conver- rebbe esser me laudatore di me medesimo, la qual cosa è al po- stutto biasimevole a chi lo fae: e però lascio cotale trattato ad al- tro chiosatore '. Queste tre ragioni restano tuttavia oscure e impene- trabili. Non occorre confutare le varie interpretazioni date, anzi le varie bizzarrie escogitate o improvvisate dai critici nell' onesto ten- tativo di penetrare, anche con un colpo di mano, nella tre volte cer- chiata d' alte mura ragione dantesca. Dei più cauti e discroti, al- cuni non tengono conto del fatto che il poeta aveva trattato della morte di Beatrice nella canzone Li ocelli dolenti'.
No la ci tolse qu.-illtà di gelo, Né di calore, come 1' altre face ; Ma solo fue sua gran beiilgnltate : Che luce de la sua uinllltate Passò U cieli con tanta vertute, Che fé' maravigliar 1' eterno Siro ; Sì che dolce destre Lo giunse di chiamar tanta salute :
ed anche nel frammento della canzono Quantunque volte :
Il piacere de la sua bleltate, Partendo sé da la nostra veduta, Divenne spiritai bellezza grande, Che per lo cielo spande Luce d' amor che gli angeli saluta :
rimo codeste che il poeta appunto allora inseriva nella Vita nuova. Altri, intendendo che il poeta non voglia trattare della condizione di Beatrice in cielo, dà forse significato un po' arbitrario alle pa-
Im morie di Beatrice e V nitro chiosatore 27:'.
crede ' al proposito couvenirsi ' alcune considerazioni ca- balistiche sul numero nove, che fu * tanto amico ' della gentilissima; anzi, dice il poeta, ' secondo la infallibile ve- rità, questo numero fue ella medesima ', cioè * per simili- tudine ' ('i. In fine, per giustificare l'introduzione fatta
l'ole del lilwllo : pt'ifhè il poota veramento dice di non voler trat- ture ' de la sua partita da noi ', non dico della sua condizione in ciolo, così! del resto non taeiiiUi niella Vita nuora. Forse il poota volle insinuare che. nello rimo, della morte di Btjatriee ' sententia- litor canitur, quamquam transumptivo more poetico '( cfr. ^. ^IvH- tanti Pistoriensi ) ; e che la chiosji eh' egli rimetteva ad * altro chio- satore', doveva spiegare la natura di t-ale avvenimento, doveva sottilmente ragionare del vero significato della transumanaziono di Beatrice, doveva insomnui svelarne l' allegoria ( vd. qui addietro, p. 1H4 ). Cosi si spiegherebbe che il far tale chiosai non era propo- sito di chi allora scriveva il libello, la cui prosa non è un commonto alle rime, non ò già, come alcuno mostra di crt>dere, la prosa del Conririo ; cosi si spieghei-obbe che la lingua non era sufficiente a ciò, perchè avrebbe dovuto il poeta con filosofici argomenti tratUire i quel che con unj4 figurazione poetica più facilmente e più efficace- meato rappresentava ; casi si spiegherebbe perchè sarebbe venuto il poetii con tido chiosa a lodare so stesso ( cfr. Conc. 1, 2). Corto r * altro chiosjitore ' non è la Commedia né il Conririo, che, so mai, sarebln» altra chiosa, non altro chiosatore : né potevji il poeta allu- dere alla famosa consolatoria di C*ino : perchè, liisciando stiire ogni altra consideniziono, la canzone di Cine, Ar regna ch'io non aggia, non ò chiosa, e a ogni modo non v' è detto niente che il poeta po- tesse considerar come altro trattato o altra chiosii che giìi non si avesse nelle rime della Vita nuora. Per la stona della questione, vd. Torri, VN. 64 n iO ; Perez, Beatrice, 248 s ; Bartoli, St. 4, 226 : 5, 51 n^: Scartazzini, Proleg. 193 s. e Giorn. dant. 1. 105: Giorn. stor. 17, li32 ; Seherillo, Ale. cap. 364 s ( in nota e' è una bella riissogna di iiltro opinioni, che io qui perciò non cito), 368 s; Federzoni, Studi. 416: Bnll.ns. 8. 2<J5: 10, 86 e 267 s : Canovazzi, VX. 116 n. (l| D Giuliani, seguendo 1' edizione stroppiata e cer\'ellotica del Sermartelli ( Firenze 1576 ), legge : ' secondo l' ineffabile verità ' ! Del resto, il Sermartelli aveva fatto ben altro: aveva sostituito la parola * felicità ' siila parola ' beatitudine ', in tutta la Vita nuora ;
274 Le rime e il racconto della Vita nuova
col cominciameli to di Geremia, racconta che, dopo la morte di Beatrice, ' rimase tutta la sopradetta cittade quasi ve- dova e dispogliata da ogni dignitade; e che egli perciò , ' ancora lagrimando in questa desolata cittade ', scrisse ' a li principi de la terra alquanto de la sua condizione ', in un' epistola che aveva appunto il citato cominciamento di Geremia, non inserita nella Vita nuova perchè scritta tutta in latino. La cosa parve e pare affatto inconciliabile col fatto della morte di una gentildonna fiorentina ; e natu- ralmente si cercò un accomodamento, qualche accomoda- mento che salvasse la tesi, o che non molestasse troppo la tesi. L' epistola latina non sarà stata mandata ai prin- cipi del mondo, ma ai principali cittadini di Firenze ; non sarà stata mandata a nessuno ; forse non sarà stata neppu- re scritta ; non avrà parlato il poeta della morte di Beatrice. Certo, ognuna di codeste ipotesi ha i suoi buoni gradi di probabilità; ma nessuna vale a spiegare, perchè mai il poeta ci dica qui che, per la morte della sua donna, scrisse un' e- pistola latina ai principi della terra con quel cominciamen- to di Geremia. Lasciamo stare quel che vi possa esser di vero in ciò ; quel che importa per l' intelligenza della Vita nuova è pur questo, vedere a che fine il poeta parli di co- desta epistola, vedere con quale intenzione egli ci dice che per la morte della sua donna ( e non dico per la morte
aveva mutato '• donna do la salute ' in ' donna della quiete ' ; aveva insomma dato fuori la prima edizione della Vita nuova ' con vaghez- za, dice il Torri, di variare negli attributi di questa donna '. Oltre a ciò, queir edizione principe corso mutilata di tutto le divisioni. Sup- pliva però a tale deficienza e giustificava lo curiose omendazioni, la Vita di Dante del Boccaccio, che lo teneva buona compagnia. E, fatto degno di nota anche per la storia della questione di Beatrice, fino al Biscioni, cioè fino al 1723, per un secolo e mezzo, una Vita nuova, anzi novissima, conciata a quel modo, sola si offriva alla let- tura degli eruditi ed alle deduzioni dei critici.
V epistola ai princìpi della terra 275
della moglie di Simone de' Bardi ) non scrisse un com- pianto poetico, dove qualunque esagerazione sarebbe stata naturale e sincera, ma un' epistola latina ai principi della terra, lamentando la dolorosa condizione di una non si sa ben quale città, rimasta vedova e dispogliata da ogni di- gnitate per la morte della gentilissima. Giacche non pare che abbia niente che vederci con la morte dell' amata e col dolore dell' amante, la condizione della città, i prin- cipi della terra, il latino e Geremia. E bene ammonisce il Torri ( VN. 07 n ) : ' Giova leggere per intero il citato capitolo 1" di Geremia, per entrare neil' intendimento del- l' Allighieri, cioè nella fina allusione alle miserie politiche e alla Babilonia del suo tempo, in tutto ciò che il Pro- feta dice di Gerusalemme ' ('). E d' altra parte, non si può qui del tutto dimenticare che quel cominciamento di Ge- remia, allegato nel libello * quasi come entrata de la nova materia che appresso viene ', è appunto il cominciamento di un'epistola latina che il poeta indirizzava molto più tardi ai cardinali italiani (-). Sia pure come vuole lo Sche- rillo, che i cardinali allora non. eran chiamati ' principi ' ; ben poteva tuttavia chiamarli principi il poeta, in quel libello che ha certo ben più coverte allusioni ('). Né sarà
(1) Una lettora di Guìttone agi" • infatnnti miseri Fiorentini' ( Xannucci, Man. 2, 137 ss ), non è in gran parte cho parafrasi dei treni di Geremia.
(i) 11 Crocioni ne difende 1' autenticità ; vd. Bull, ns, 9, 206.
(3) È notevole che nell' epistola ai cardinali, subito dopo il co- minciamento di Geremia, si ricorda la cupidigia dei principi dei Farisei. Cosi comincia l'epistola : ' Qiiomodo sola sedcf cin'fas, piena popiilo : fada est quasi vidiia domina gentiam ! Principum quondam Pharisaeorum eupiditas, quae sacerdotium vetus abominabile fecit, non modo Leviticae prolis ministerium transtulit, qiiin et praeelec- tae civitati David obsidionem peperit et ruinam '. Per Y importanza che dà il Gietmann a codesta epistola nell' interpretazione allego- rica della Tifa nuova, vd. Giorn. sfor. 15, 275 s.
270 Le rime e il racconto delia Vita nuova
ostacolo insormontabile il fatto cronologico : buona parte dell' epistola ai cardinali ( quasi tutta, meno gli ultimi due paragrafi ) potrebbe bene essere stata scritta ( e se non scritta, progettata, pensata, abbozzata ) molto tempo prima del conclave di Carpentras. Comunque, 1' essere state 1' una e r altra, l' epistola accennata nella Vita nuova e l' epistola ai cardinali, scritte in latino, e 1' avere avuto 1' una e l' altra lo stesso cominciamento di Geremia ; l' essere state 1' una e 1' altra indirizzate a capi o principi, e 1' avere avuto 1' una e 1' altra suppergiù lo stesso soggetto, la dolorosa condi- zione d' una città, ' vedova e dispogliata e desolata ' nel- 1' una, ' viduam et desertam ' nell' altra; son fatti che do- vrebbero pure aver qualche peso nella questione. Certo, codeste concordanze tra le due epistole ingrossano il già ben pingue manipolo dei dubbi intorno al vero significato dell' episodio della morte di Beatrice. Ben codesto episodio è determinato nel tempo. Ma se bastasse una data a dar suggello di storica verità ad una narrazione qualunque, dovrebbe considerarsi come storica verità anche il viaggio del poeta nell' altro mondo {}).
(1) È stata fatta più volte 1' osservazione, che il poeta, con fa- ticoso stento, ajiitandosi con ' 1' usanza d' Arabia ' e con ' 1' usanza di Siria ', arriva a conciliare la data della morte di Beatrice con le sue misticlie fantasie sul numero nove ; il che sarebbe prova della storicità del racconto. Vi accennò in una nota il Dionisi, Prepar. 2, 50 ; poi anche il D' Ovidio, NA. 15 marzo 1884, p. 240 ; il Casini, VN. Notisia, p. 29 ; il Del Lungo, Beatrice, 63 ss ; il Cesareo, N. ed A. 1, 121 ; il Moore, Bull. ns. 2, 58; il Toynbee, Ricer. 56. Ma non si considera che quella data potrebbe, dato un intendimento allego- rico, rispondere a un altro fatto reale. Non potendo il poeta mu- tare il verso ' Già eran quasi che atterzate F ore ', trovò che la vi- sione del cuore mangiato gli era apparita nella ' prima ora de le nove ultime ore de la notte '. Si dirà per questo che il sogno è vero, e che è anche vera la data precisa del sogno? I^è è da vedere in tanto arzigogolare sul nove altro che im inez/o poetico p(M- dai-
ùii accenni cronoìogici 27?
Non è altrimenti verosimile 1' episodio del cosi detto fratello di Beatrice, di colui che ' fu tanto distretto di san-
qualche contrassegno della sentenza riposta. Ed è pur notevole che, anche quando il poeta potrebbe dare il suo bel novo tondo tondo, forse per faro più credente altrui, forse por non tradiro goffamente la finzione, si serve d' un' espressione approssimativa, e dice ohe una visiono gli apparve ' quasi ne 1' ora de la nona ' ( VN'. 39, 2 ). D' altra parte, dovrebbe parer naturale che il poeta, * per seguir sua finzione ' ( come direbbero gli antichi chiosatori della Commedia ). ci dica anche 1' ora e il giorno della morto di Beatrice, anche se ora e giorno siano determinazioni un po' arbitrario nella data del fatto reale eh' egli con quella morte vuole rappresentaro ; come dovrebbe parer naturale elio uno scrittore conio Dante non si poteva conten- tar di schierare tanti nove 1' uno appresso dell' altro, senza variare ed innalzare il dettato, senzii far bella mostra della sua erudizione. Esigenze cotleste che, in parte, potrebbero spiegarci anche la pre- cisa d«'tenuiiuizione dell' età di B<3atrice al primo apparimento. Certo, stupisce vedere che a codesto particolare dell' età, che in umi nar- razione così scarna nessuno si aspetterebbe, sia attribuita dal poetai tanta importiinza ; certo sorprende, nel racconto di quel primo in- contro o apparimento, trovar notizia, con tanto lusso di erudizione astronomica significata, dell' oth precisa della bambinella che a\Teb- be mosso e commosso gli spiriti del futuro splendore italico ; in quel racconto, dove invano si cercherebbe il dove, il come, il perchè ; dove invano si cercherebbe pure un cenno sulla bellezza, sulla gra- zia, sulla leggiadria della divina bambinella ; dove della bambinella divina non campeggia altro che codesta età di otto anni e quattro mesi ; codesto particolare poco aspettato, meno desiderato, cosi stra- namente preciso ; cotlesto particolare, certamente ultimo fra lo cose notando. Ma, un ideale di otto anni e quattro mesi ? Il poeta che a nove anni s' innamora d' un' idealità di anni otto e mesi quattro ! Un ideale di otto anni e quattro mesi non si può certamente tro- vare ; ma sarebbe eccessiva la pretesa di chi volesse sostenere che non si tratti d' allegori.1, sol perchè il poeta a nove anni non s' inna- morò di una donzella di anni venti, l* età della Gi'iisfizia del Bar- berino, o di anni venticinque, 1' età della Gloria, o di anni trenta, r età della Prudenza { Docnm. 321, 309, 227 ). Se avesse, poniamo pure per dannata ipotesi, se avesse voluto fare un' allegoria, non
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278 Le rime e il racconto della Vita ìiuova
guinitade con questa gloriosa che nullo più presso 1' era '. Costui era anche amico di Dante, ' secondo li gradi de l' a-
avrebbe dovuto il poeta attribuirò all' idealità simboleggiata, 1' età alla sua conveniente ? JYè è strano che un fancinllo si rappre- senti un' astrazione come qualcosa di fanciullesco. Le scienze tntto por i ragazzi non sono bambine ? quando non sono pur troppo ' va- ne orride larve '. Ciò in tesi generale. IS^el caso particolare poi, ben altre ragioni potevano indurre il poeta a dare otto anni e quat- tro mesi alla gloriosa donna che gli apparve quasi alla fine del suo nono anno. A considerar sottilmente, egli nella Vita nnora dice che la donna della sua mente, quando gli apparve la prima volta, ' era in questa vita già stata tanto, che nel suo tempo lo cielo stellato ora mosso verso la parte d' oriente de le dodici parti V nna d' un grado ' ; e nella canzone E' m' incresce di me, descrivendo appunto codesto primo apparimento, dice che allora Beatrice era venuta ili mondo ( vd. qui addietro, p. 93 ) : ' apparve ' dunque costei al poeta, quando ' nel mondo venne ', cioè quando cominciò a dare alcun se- gno del suo essere, quando ' eli' era in questa vita già stata ' otto anni e quattro mesi. Costei che al mondo venne, avendo un' età di sei o sette mesi inferiore all' età del poeta, era lo ' spirito nuovo ' per cui 1" animai' diviene 'fante'? Td. Pnrg. 25, 37-75; e cfr. Conv. 4, 21, 32. Si potrebbe forse con tale ipotesi spiegare, perchè solo gli * spiriti ' inferiori si siano commossi al suo primo apparire. O il poeta fu battezzato di sei o sette mesi nel suo bel San Grio- vanni ? Nel Convivio poi si legge che ( 4, 24, 44 ) ' 1' adolescenza non comincia dal principio della vita, pigliandola per lo modo che detto è [ cioè, ' accrescimento di vita ' ] , ma presso a otto mesi [ al. ' anni ' ] dopo quello '. La morte di Beatrice coincide col tramonto dell' ado- lescenza del poeta. Avverto chi legge, eh' io non presumo con ciò di svelare la Beatrice della Vita naova. Faccio a cagion d' esempio qualche ipotesi, per mostrare che non è poi impossibile rimuovere, o almeno smuovere, le poche serie obbiezioni in cui s' imbatte l' in- terpretazione allegorica. Per svelare la Beatrice della Vita nuova bi- sogna bone che i critici si mettano prima un po' d' accordo intorno al significato allegorico della Beatrice della Commedia, allegoria que- sta concepita con ben altra maturità di studi e con ben altra mano disegnata. Né alcuno si dovrebbe sgomentare se di Beatrice si facesse, anche nella stessa Vita nuova, un simbolo mutabile, cangiante, prò-
Il preteso fratello di Beatrice iTO
mistade . . . immediatamente dopo lo primo ' ; e quando il poeta aveva già scritto la canzone Li occhi dolenti, andò a trovarlo : ' E poi che fue meco a ragionare, mi pregò, egli dice, eh' io li dovessi dire alcuna cosa per una donna che s' era morta ; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d' un' altra, la quale morta era certamente ('): onde io accorgendomi che questi dicea solamente per que- sta benedetta, sì li dissi di fare ciò che mi domandava lo suo prego '. Scrisse infatti il sonetto Venite a 'ntender, dove l^erò chi si lamenta non è un fratello ; e poi due stanze d' una canzone ; nella prima delle quali, 1' autore, lamen- tandosi ' come fratello ', chiama * donna ' la persona com- pianta ; nella seconda, lamentandosi ' come servitore ', la chiama ' donna mia ', come già nel sonetto. E già code-
teiforme. secondo i procetiimenti doli' esegesi bii>lu-a. Danto stesso por lu Sposii del Cantico ora intondo la Chiesa, or la Teologia ( cfr, Sehorillo, Ale. cap. 294 gs ); o nel!' Esposizione di Gregorio Magno, la Sposa è bensì laCliiesa, ma ò anche Y Anima iniìammatii delFamor di Gesù ; il quale è bensì lo Sposo, ma le sue mammelle sono i Santi nomini, sono gli Apostoh', sono i Predicatori della chiesi». Della sua donna allegorica il Bjirberino avvertiva ( Rcgg. 14 s ) : * E ponetevi a cura, che in diverso parti del libro voi udirete parlare la dotta Donna, sicché se voi siirete accorte persone e usate di udir parlare cosi gentilmente, porrave essere che cavoroto grazia da Iddio di conoscere chi è quostji Donna, che ci appar cosi chiusii. Simigliane temente voi vedrete eh' elhi m' apparirà in diverse e nuove forme e figure, e quando mi mostrerà una virtù, e quando un' altra in A-ostro servigio, e perchè voi la vediate. Sicché anco nella sua ap- parita, chi s' assottiglierà, la porrà conoscere, che non sjirà picciola grazia a chi Iddio la desse ". Chi parla oggi di allegoria e di non allegoria, probabilmente non guarda né alle vere, né alle credute vero allegorie di quel tempo.
{•) • Certamente ', leggono il Casini o il Beck ; altri, ' cortamen- te ". Ma 'cortamente' vale breviter, non già 'recentemente', o. co- me si diceva allora, ' novellamente '. Pel testo critico del Beck, è da vedere la recensione del Barbi iu Bull. ns. 4. 33 ss.
2S0 Le rime e il racconto della Vita nuova
sto sottile discrimine, che nessuno vedrebbe senza 1' espli- cita dichiarazione del poeta, fa nascer dei dubbi sulla ve- ridicità del racconto. Ma oltre a ciò, non si può davvero spiegare la richiesta simulata del fratello di Beatrice, amico del poeta, né coli' ipotesi eh' egli qualcosa sapesse, né col- r ipotesi eh' egli niente sapesse degli amori dell' amico suo (*).
E dagli enigmi e dalle inverosimiglianze torniamo al sogno ed alla visione coli' episodio dell'annovale. ' In quello giorno, dice il poeta, nel quale si compiea 1' anno, che que- sta donna era fatta de li cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte, ne la quale ricordandomi di lei disegnava un angelo sopra certe tavolette: e mentre io lo disegnava, volsi li occhi, e vidi lungo me uomini a li quali si con- venia di fare onore. E' riguardavano quello che io facea ; e secondo che mi fu detto poi, elli erano stati già alquanto anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi^ mi levai, e salutando loro dissi : « Altri era testé meco, però pensava » . Onde partiti costoro, ritornai a la mia opera del disegnare de li angeli : e facendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole, quasi per annoale, e di scrivere a costoro, li quali
(1) Vd. le belle osservazioni del Eeniei';, Gioni. stor. 2, 374 s. Secondo il Perez ( Beatrice, 398 s ) il ' distretto di sangiiinitade con questa gloriosa ', il preteso fratello di Beatrice, sarebbe Gino da Pi- stoja. Si può infatti osservare che Dante nella Volgare Eloqiiema chiama amico suo soltanto il Pistojese. È stato ricordato più volte che di madonna Filosofia dice il poeta ( Conv. 3, 1, 12 ) : 'E non so- lamente di lei era cosi desideroso, ma di tutte quelle persone che alcuna prossimitade avessero a lei, o por familiarità o per pare n- tela alcuna '. Del resto ò noto che la pigrizia parca ' sirocchia ' di Belacqua, e che la Commedia era chiamata ' sorella ' da Jacopo Ali- ghieri. Virgilio ha, 'consanguineus Leti Sopor ' ( Aen. 6, 278 ) ; e nei Proverbi si legge (7, 4 ) : ' Die sapientiae: « s o r o r mea es » : et prudentiam voca araicam tuam, Ut custodiat te a muliore estra- nea, et ab aliena, quao verba sua dulcia facit ',
Gli episodi delV annocah e dei lìellegrini lNi
erano venuti a me '. Scrisse infatti un sonetto ; il quale ha 'due cominciamenti'; nel primo è ricordato * l' al- tissimo signore ', e il ' ciel de l'umiltate ov' è Maria ' ; nel secondo, Amore che piange : nell' uno e nell' altro, madon- na è chiamata ' donna gentile '. Al sonetto col secondo co- minciamento, segue 1' episodio della donna gentile e pie- tosa, della Filosofia, secondo le dichiarazioni del Concicio. Al Pasqualigo ( vd. U Aligh. 1, 2G2 ) venne fatto di ac- cennare ad una molto probabile congettura per codesti uo- mini gravi, che, penetrati cosi di soppiatto nel luogo dove il poeta disegnava, se ne stavano li zitti zitti, quasi per lungo silenzio fossero fiochi, come 1' ombra di Virgilio nel gran deserto: il poeta alluderebbe a Boezio e a Tullio ('). Certo, non si può dire che il racconto e la stessa rima non tradiscano un intendimento riposto.
Ultimo episodio quello dei pellegrini, i quali venivano da lontani paesi, andavano a Roma, ed erano affatto sco- nosciuti al poeta. Il quale, pensando che costoro forse non sapevano neppure che ' la città dolente ' avea ' perduta la sua Beatrice', fece il sonetto Deh peregrini che pensoid an- date. Poi quei pellegrini ' mandaro due donne gentili a me, dice il poeta, pregando che io mandassi loro di queste mie parole rimate ' ; ed egli * pensando la loro nobilita ', li gra- tificò di triplice rima ; fece il sonetto Oltre la spera, e lo mandò insieme ad altri due sonetti, al sonettto Deh pe- regrini e al sonetto Venite a ^ntender, già fatto pel fratello di Beatrice. Certo, oltre l' inverosimile circostanza delle due donne gentili, accenna a un intendimento riposto anche la bella antitesi che prima si mostra in iscorcio e che in
(•) Dante Gabriele Rossetti, nel suo quadro, Dante sorpreso a disegnare un angelo, dava codesta interpretazione all' episodio della Vita nuova ? Td. La Vita Nuova di Dante con le illustrazioni di D. G. Eossctii, Roma - Torino 1902.
282 Le rime e il racconto della Vita nuova
fine dell' episodio campeggia. Coloro, ' peregrini ', anda- vano a Roma; ma il poeta, 'peregrino spirito', passava
Oltre la spora che più larga gira (1).
Egli ebbe allora una ' mirabile visione ' ; alla quale accen- nando, finisce di assemprare la sentenza delle parole della rubrica della ' vita nova '. Bene quei peregrini andavano a Eoma; ma egli forse (e perchè forse?) pensava a più santo peregrinare.
8.
L' immortale don Ferrante farebbe questo semplice ra- gionamento. — Quattro sono i generi di narrazione : histo- rìa, fabula, argumentum, negotialis vel iudicialis asserito (-). Che la Vita nuova sia assertio, è uno sproposito che nes- suno vorrebbe sostenere ; sicché è inutile parlarne. Che non sia aì'gumenttmi, si dimostra in quattro parole : quel che ivi è narrato, non è mai potuto accadere. Che se, per e- vitar questa Scilla, i signori critici si riducono a dire che sia fabula, danno in Cariddi ; perchè favole son quelle di Fedro e di Ovidio. E-iman da vedere se possa essere histo-
(1) Non è forse senza significato il fatto, elio il poeta chiama ' peregrini ', anche nella prosa, coloro elio andavano a Roma ; e non- dimeno avverte, cho propriiuuente si chiamano 'romei' (cfr. Giorn. star. 2, 388).
(^) Marziano Capella, Liber de arte rhetoHca ( Halm, Ehetores, 486 ) : ' IN^arrationum genera sunt quattiior : historia, fabula, argu- mentum, negotialis vel iudicialis assertio. Historia est, ut Livii : fa- bula ncque vera est ncque verisimilis, ut « Daphnen in arborem versam » : argumentum est, quod non facta, sed quae fieri potue- runt continet, ut in comoediis « patrom timori » et « amari raore- tricem » : iudicialis autom narratio est rerum gostarum aut verisi- milium expositio '.
Le concatenazioni di don Ferrante à83
ria. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori critici eh' essa sia una storia poetica ; che questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante storielle senza costrutto. Ora, se fosse una storia poetica, dovrebbe partecipare della storia e della poesia del reale ; e se io provo che la Vita nuova non partecipa ne dell' una ne dell' altra, avrò pro- vato che non è storia poetica. E son qui. L' incongru- ente e r assurdo non è idealizzazione poetica di fatti reali, dunque non è poesia del reale. Ma il racconto della Vita nuova è pieno d' incongruenze e di assurdità, dunque il racconto della Vita nuova non è poesia del reale. Ma se non è poesia del reale, molto meno sarà storia ; perchè, supponendola storia, verrebbe a essere una storia invero- simile, due parole che fanno a calci, non essendoci in tutta la filosofia cosa più chiara e più liquida di questa, che il vero deve essere, prima di ogni altra cosa, verosimile. Po- sti questi principi ... —
Posti questi principi, la Vita nuova non sarebbe niente. Ma non è poi detto che le concatenazioni di don Ferrante non abbiano qualche volta un certo valore. Se non si può dire che la Vita nuova, intesa alla lettera, è niente, non si può dire neppure eh' essa sia cosa della quale un attento lettore possa contentarsi. E un racconto sui generis : pen- satamente oscuro ed enigmatico, a disegno inverosimile ed incongruente, a bello studio incoerente ed assurdo, non pare che possa essere altro che una concezione allegorica. Sicché la conclusione sarebbe pur questa, che bisogna a- prire ufficialmente a due battenti la porta alle fantasti- cherie ; e dico ufficialmente, perchè nel fatto le fantasti- cherie nella esegesi della Vita nuova, per amore o per for- za, son sempre riuscite ad esercitare il contrabbando.
E in fin dei conti, nessuno dovrebbe opporsi. Il D' An- cona ( Disc. 41 ) concede che ' non vi ha quasi un mo- mento nella Vita Nuova in cui Beatrice sia soltanto una
^ Xe rime e il racconto della Vita nuova
vaga giovanetta, una creatura mortale al pari di tante al- tre: al modo stesso come, e converso, non vi ha un mo- i](iento nella Divina Commedia nel quale colei che siede accanto a Maria nell' empireo cielo, non sia anche la leg- giadra pargoletta, per cui Dante sospirò e scrisse nell' età giovanile '. Il Rajna ( in Vita ital. nel 300, p. 154 ) ammo- nisce: ' Guai di sicuro a chi nella Vita Nuova prenda ogni cosa alla lettera ; ma la Vita Nuova non è neppure un tes- suto di finzioni immaginate colla mira di comporre un ro- manzo ; anche là, dove non è storia di fatti reali, essa viene ad essere pur sempre — talora con una certa pertur- bazione cronologica — storia di sentimenti, di pensieri, di fantasie'. Lo Scartazzini { Proleg. 320; cfr. 198) risolu- tamente afferma : ' Questa storia ( chiamiamola così ) degli amori di Dante e Beatrice, procede per via di visioni e di sogni che sono, non esitiamo un momento a dirlo, non già storia, ma invenzione poetica. Onde quelle interminabili questioni, se la Vita Nuova sia « un' ingenua storia de' giovenili amori di Dante con Beatrice » ( Fraticelli ), op- pure « un libro da cui non può ritrarsi nulla per la sto- ria della vita di Dante » ( Bartoli ). Non è ne 1' uno né 1' altro. È un lavoro d' arte. Realtà e invenzione, storia e poesia fuse insieme in modo, che anche coli' acqua forte della più arguta critica non è a noi possibile di separarne i due elementi e dire, tal passo essere storico, tal altro poe- tico. Sopra un fondo di realtà, di esperienze della propria vita, Dante eresse un edifizio ideale, poetico, in buona parte allegorico ', E lo Zingarelli ( Dante, 99 ) : 'La storia dell' amore di Dante per Beatrice, in ciò che vi ebbe di reale, deve procedere tra molte difficoltà ; la narrazione prosastica della Vita Nuova è scritta dopo la morte della sua donna e quando le aveva dato carattere simbolico, le rime accoltevi furono scelte nella mede- sima disposizione d' animo, le escluse ( e certo non le ab-
Le conctusioni della critica 285
biamo o non le sappiamo tutte ) non serbano un chiaro indizio della loro destinazione, molte situazioni erano già convenzionali nella lirica amorosa. Ma tutti questi elementi velano la realtà, non la fìngono, e a chi li esamini nelle reciproche relazioni e coi necessari sussidi, danno modo di scoprirla, e di intessere con quella storia gli altri fatti reali della vita di Dante '.
Della giovinezza di Dante non sappiamo niente che possa considerarsi come notizia storica. C è 1' affermazione del Boccaccio e del codice Ashburnhamiano sugli amori di Bice Porti nari, e e' è 1' affermazione di Francesco da Buti sulla vestizione dell' abito francescano ; notizia l' una e r altra che merita conferma, come dicono i giornalisti (').
(*) Voraraonto il JJuti. n.-I Proemio posto innnn/i all' «'sposizio- ne (lolla prima cantica, toccando alcuna coHa della vita dol pootji. non fa conno dol fatto cho Danto vestì Y abito francescano. Jfo parla a proposito della famo»i corda (1. 488): 'questa corda ch'olii a- voa cinta sitrnifica eh' olii fu frate minore : ma non vi fece profes- sione nel tempo della sua fanciullezza. E con essa... pensai... al- cuna volta, cioè quando mi feci frate . . . Questa lonza, come fu posto nel primo canto, si^^nifìcn la lussurisi, la qu.iIo 1' autore si pensò di lejxare col voto della religione di «in Frtincesco . . . Poscia che F ebbi da me. . . tutta sciotta .. . Sì come il Duca ... m' area comandato, que- sto si dee intendere quand' olii fu in questa considerazione de' vizi, ove la ragione li fece vedere cho quello pigliamento di religione era stjito spezie di fraudo, cioè atto d* ipocresia, poi che non v' era perseverato ; e però li comandò che si sciogliesse la corda, cioè quel- lo atto e sogno d' ipocresia '. E ne tocca anche altrove : 2, 735 ' Pri- ma di' io fuor di puerizia fosse, cioè inanti eh' io Dant« avesse pas- sato la puerizia, che si finisce al xim anno; e per questo appare che '1 nostro autore infino quando era garsone s' innamorasse de la s. Scrittura ; e questo credo che fusse quando si fece frate dell' or- dine di 8. Francesco, del quale uscitte inanti che facesse professio- ne ' : 2. 740 ' Anco si de intendere che Beatrice sia pure la santa Scrittura, come ditto è, de la quale s' innamorò 1* autore quando era garsone. quando si fece frate ' : 2, 741 ' tornò adrieto lassando la
36
286 Le rime e il racconto della Vita nuova
Quale realtà velano le figurazioni della Vita miova? Apriamo a due battenti la porta alle fantasticherie, che altro non si può fare. Salvochè non si voglia preparare alla Vita nuova un funerale di prima classe.
religione e tornando al mondo ' ; 2, 759 ' E però bene apparo in que- ste parole che Beatrice lo riprendo de lo sviamento e de 1' errore suo, quando abbandonò la religione e toi-nò al mondo . . . Le pre- senti cose . . . cioè mi feceno tornare adrieto et uscire de la religio- ne '. Che sia codesta un' invenzione del Biiti, è poco probabile. Egli una volta, per esempio, scrivo ( 2, 266 ) : 'Se queste istorie narrate non si diceno per me a pieno, abbimi scusato lo lettore, eh' io nol- 1' ò trovate altramente, et io non volilo fìngere da me '. Yd. Pelli, Memorie, 79 s ; Hass. crit. 3, 173 ; Bnll. ns. 8, 317 ; 9, 30 e 176 ; 10, 85 ; D' Ovidio, Stndii, 585 ; Rass. bibl. 10, 116.
LA BEATRICE STORICA.
La storia o storiella eh' essa sia dell* amore per la fi- gliuola di Folco, ha tanto che vedere con 1' interpretazione della Beatrice della Vita nuoca, quanto la relazione di qual- che fededegna persona intorno a un vero smarrimento in una vera selva avrebbe che vedere con l' interpretazione del primo canto dell' Inferno. Giacche, questo appunto bi- sognerebbe prima d' ogni altra cosa dimostrare, che il poeta nella Vita nuova parli di un amore reale, o, diciamo piut- tosto, sensuale ; ovvero che abbia avuto almeno intenzione di ricordare in qualche modo il suo sensuale amore. Indi- zio sicuro non è certamente il nome della donna amata. Indizio sicuro potrebbe esser V età e la data della morte di Beatrice ; ma, eh' io sappia, nessuno sinora ha provato che la figliuola di Folco e moglie di Simone de' Bardi na- scesse sul cader del 1265 e morisse nel 1290. Se codesti particolari cronologici potranno un giorno essere acquisiti alla storia, sapremo allora la genesi dell' allegoria della Vita nuova] diremo allora che il poeta, movendo da alcuni casi della sua vita amorosa, imbasti 1' allegoria della Bea-
288 La Beatrice storica
trice ; la quale tuttavia, nell' opera sua, non sarebbe mai quella madonna Beatrice di cui egli già sentì corale amore, ma sarebbe sempre, come è, ben altra cosa ( ' ). Certamen- te, per risolvere una dubbiosa questione non è bene con- fonderla con un' altra questione ancor più dubbiosa. Altra è per ora la questione di Beatrice, altra la questione della Bice Portinari (^). Intendo bene che se le due questioni fossero risolute, potrebbero lumeggiarsi a vicenda ; ma nel loro stato presente, 1' una non può offrir valido ajuto al- l' altra. Né la Beatrice di Dante pare ben disposta a sor- reggere l' ipotesi dell' amore per la Bice di Simone, che anzi pare che le voglia dar lo sgambetto ; ne le notizie che della figliuola di Folco si hanno, son tali e tante che pos- sano recar qualche lume air esegesi della Beatrice di Dante, che anzi par che addensino tenebre sopra tenebre ( ^ ). Sap-
(1) Il Del Lungo (Beatrice, 55 s) fa un gran caso della sco- perta fatta nel 1759 del testamento di Folco Portinari. Nel quale si leggeva : ' Item domino Bici otiara fi Ho sue, et uxori domini Simo- nis de Bardis, legavit de bonis suis libras l ad florenos '. Ma il Bi- scioni, benché non sapesse nulla, come paro, di quel testamento, non metteva in dubbio 1' esistenza di codesta Bice. Certo, quel che nes- sun ser Tedaldo Rustichelli, per autorità imperiale giudice e notare, potrà mai venirci a rogare e certificare, è questo appunto, che la ' gentilissima salute ' sia una figliuola di Folco Portinari. sia la mo- glie di Simone de' Bardi.
(2) Primo a confonder le duo questioni fu il Dionisi. Egli era certo degli amori di Danto per la Bice Portinari, perchè credeva {Prepar. 2, 51 n2) che il Boccaccio nella Vifa di Dante affermasse che egli, il novelliere, * vide e conobbe viA'onto ' madonna Bice ! Ma del resto, il marchese non era alieno dal riconoscere che codesta Bice nella Vita nuova rappresentasse la • Morale Filosofìa ', e la ' Ve- rità ', e non so che altro ( 2, 40 e 68 n ).
(3) La Beatrice di Dante non pare che fosse donna maritata, nò vicina di casa del poeta ; non pare neppure che il ' genitore di tanta maraviglia ' morisse pochi mesi prima di lei. Oltre a ciò, poi- ché la Portinari avca fratelli e sorelle, il poeta parlando di lei non
i
Fm tradizione della Bice Portìnan 389
piamo solo che la Bice Portinari viveva, moglie di Si- mone de' Bardi, il 15 gennajo 1288 ( 1287, stile fiorenti- no ), e che allora viveva anche il padre di lei, il quale poi morì il 31 decembre 1289, Si può benissimo dire che, se codesta Bice viveva sposa nel 1288, nulla osta che fosse nata nel 12(>5, e che morisse nel 1290 ; come si può be- nissimo dire che nulla osta che fosse nata prima o dopo il 12G5, e che morisse prima o dopo il 1290.
Tuttavia, quella benedetta tradizione della Bice Por- tinari fa sempre un certo effetto nelle dicerie dei critici, e preoccupa a tal segno 1' animo di chi legge le opere di Dante, che alcuno non se ne sa in nessun modo liberare; costretto quasi inconsapevolmente a un processo di fanta- stica integrazione, in cui la scarna ed aliena notizia del testamento di Folco assume l' importanza di un vero docu- mento, del solo vero documento che ci dica qualcosa della prima giovinezza del divino figliuol di monna Bella. Non sarà pertanto estranea al presente proposito quest' altra piccola indagine, veder quanto siano legittime le origini di quella benedetta tradizione, che in forma parassitaria ger- mogliò e si abbarbicò prima che sul tenue stelo del bian- co fiorellino della ' gentilissima ', sul robusto tronco della ' donna di virtù ', della * loda di Dio vera '.
Pare infatti che la pubblicazione della Commedia ab- bia fatto quello appunto che la pubblicazione della Vita nuova non avea potuto fare. La storiella della Portinari non pare che si sia formata con la divulgazione del libello. I primi lettori del divino poema o non sapeano di quale Beatrice storica il poeta parlasse, o non vedevano altra Beatrice che l' allegorica. L' illustre professor Francesco
avrebbe detto, come dice, che il secondo amico suo * fu tanto di- stretto di sjinguinitade con questa gloriosa che nullo più p r e s so r e r a '.
290 La Beatrice storica
Stabili non si sarebbe tenuto dal rimproverare al poeta la straordinaria glorificazione della moglie di messer Simone, la stravagante teologica apoteosi d' un amore adultero; l' il- lustre professore, a cui tanta senapa al naso faceva venire il sonetto Io sono stato con amore insieme ('). E chi sa quanti
(i) Vd. Acerba, 3, 1 ; 4, 5. Il Carducci ( Op. 8, 168 ) vede nel- r Acerba ( 1, 2 ) anche ' una cinica burla su 1' amoro per Beatrice, per buona ventui'a, egli dice, non facilmente intelligibile '. Ecco le parole dell' Ascolano, come si leggono in un manoscritto della Bi- blioteca JN^azionalo di IS^apoli, segnato XIII. C. 12. [ Pagine non nu- merate ; ' Incomenza il primo libro del claris | simo philosopho Ci- che Asculano dicto lacei'ba ' ; finisce, ' Lans dee et deiparae uirgini in coolum as | sumptao in cuius uigilia finitur liic liber | Anno Chri- sti 1381.']
[ st. 11 ] Oltre quo! cielo non o qualltade
NI tanche form.a che moue lutellecto
Ma nostra fede uol che pleiade
Dimori sopra nel beato regno
Al qual la spene mena a quel effecto
De quella luce del factor benegno. [ st. 12 ] Del qual già ne traete quel fiorentino
Che 11 lui si conduce beatrice
Dal corpo umano mai non fo diulno
Ne può si come el perso esser bianche
Perche si rlnoua come fenice
In quel desio che gli ponge el fianco. [st. 13] No gli altri regni dono andò col duca
Fondando- gli sol pie nel basso centro
La lo condusse la soa fede pocha
El suo camln non fece mal ritorno
Chel suo desio lui sempre tlen dentro
De lui mi do! per suo parlar adorno.
Il Carducci logge la stanza 12 così :
Del (lual già no trattò quel fiorentino
Che li lui ci condusse Beatrice.
Tal corpo umano mal non fu divino
Né può, sì come 'l perso, essere bianco ;
Perchè si rinnovò come fenice
In quel desio che gli pungeva II fianco.
A me non paro davvero che vi sia alcuna cinica biula, che sarob-
Cecco cC Ascoli 291
Fiorentini, in ijuei primi anni della pubblicazione della Commedia, avrebbero con facili malignazioni sfogato il loro cruccio! Probabilmente neppure Gino da Pistoja si sarebbe guardato dal fare qualche confronto maliziosetto ; egli che ' fra gli altri difetti del libello ', cioè della Commedia, tro-
be del resto cosa molto in^iolitii alhi >f luui dell' AHColano. Direbbe Cecco Ruppor^iù : — Del boato regno trattò già Danto, il qiuilo finse che Beatrice se lo conducesse colà. A torto si crede che, per code- sta aaà fantastica ascensione, sia ( o sia stato ) uomo divino. Egli non fa ( o fece ) che rinnovarsi continuamente in quel desio che gli pungo (o pungeva! il fianco, e che lo tiene (o tenne) sempre nel» r inferno, ove, d' altra parte, lo condusse la sua poca fede — . A me pare che Cecco non faccia che ribattere qui il solito chiodo del son.
10 sono stato. Area detto Dante. ' rescrivendo a meeser Cine ', che Amore
Ben pnò con nnorl npron pnnger lo fianco. E qnal rhe sia '1 piacer eh' ora n' a<I(le<<tra. Seguitar si conrien se l'altro è stanco.
Con la quale sentenza il poeto, a sentir Cecco, non avea mostrato di aver veduto Amore nella ' pura forma ' nella quale lo vedeva lui. Del resto, codesto sonetto dantesco non il solo Cecco fece er- rante. Ma non pare che sia lecito trar deduzioni eccessive per la nostra questione : vd. VN. 13 ; Conv. 2, 9, 20 ; Ep. ExnlaHti Pisto- n'cnsi : oltre a ciò, si mottn in conto che Dante, in un altro sonetto ( Io mi credca del tutto ), rimprovera a Cine appunto la poca fermez- za neir amore, la facilità a mutar desio, a rinnovarsi, come diceva r Ascolano, continujimonte in quel desio che gli pungeva il fianco.
11 Pistojese, secondo il poeta, si lasciava pigliare ad ogni uncino. Vero è bene che Dante dice che alla sua *■ nave, già lungo dal llto ', * si conviene ornai altro cammino ' : ma con ciò non axrh voluto diro altro so non che oramai la sua Musa era ben lontana dal punto donde primamente si mosse, daUe questioni di casistica amorosa. Avea creduto che messer Gino non lo avrebbe infastidito più con quelle inezie : e se allora prestava un poeolino a quella penna il dito da ben altre penne stiincato, gli era per ammonire ed esortare 1' amico e correggerne il costume ; e certo, egli non doveva rimpro* vonu*si il vizio che altrui rimproverava.
^^ La Beatrice storica
vava che Dante avea fatto male a non ricordare Selvag- gia e Onesto Bolognese ; egli che appunto in quel torno di tempo tante lodi tributava al primo detrattore della Commedia, a Cecco d' Ascoli ( ' ). E se Cecco Angiolieri,
(1) Vd. per es. il son. Cecco, io ti prego per virth di quella. Lo Zingarelli ( Dante, 348 ) non erodo elio siano di Gino i tre sonetti : Messcr Boson lo vostro Manoello, In verità questo libel di Dante, In fra gli altri difetti del libello. Il Carducci ( Op. 8, 173 ss ), pur ri- fiutando i due primi, non si mostra alieno dal riconoscere come o- pera dL Gino il terzo sonetto. Il Bartoli ( 8t. 4. 57 s : n' 150, 151, 158 ) indica due codici per tutti i tre sonetti ; e dice ( n° 213 ) di non aver veduto in nessun codice la canzono Sn per la costa, Amor, dell' alto monte, che sfirebbo il compianto di Gino per la morto del poeta. Comunque sia, Beatrice è così ricordata nel son. /// fra gli altri difetti:
Li'altr'è: socomlo che '1 siio canto dice. Che passò poi nel boi coro divino, Li\ dove vide la sua Boatrieo.
E quando ad Abraam guardò noi sino. Non riconobbe 1' unica fenice Che con Sion congiunse l'Aponnlno.
E Beatrice è anche ricordata nella canz. Sn per la costa :
Ah vero Dio, che a perdonar benogno Sei a ciascun che col pentir si colea, Quest' anima, blvolea Sempre stata e d' amor coltivatrice. Ricovera nel grembo di Beatrice.
Ma qui si tratterà, molto probabilmente, della donna allegorica. Kella famosa consolatoria poi ( canz. Avvegna eh' io non aggia ), non saprei davvero rassegnarmi a vedere neppure qnalcho debole con- ferma dell' ipotesi d' una storica Beatrice. Codesta canzone, che si può leggere, ricca di chiose, nella Beatrice del Del Lungo (p. 167 ss), non è in fin dei conti che la parafrasi di alcuni motivi della Vita nuova ; una specie di florilegio delle canzoni Donne eh' avete, Donna pietosa, Li occhi dolenti, Quantunque volte, Voi che intendendo ; e si potrebbe sospettare che fosso scritta dopo la pubblicazione della Vita nuova ; e che Gino, scrivendo, ' Beata gioia, coni' chiamava il nome ' ( al. ' Beata cosa eh' uom chiamava il nomo ' ). ave.sse frain*
Cino da Pistoja, Cecco AngioUeri 295Ì
anche prima della divulgazione della Commedia ( non sap- piamo se egli ancora vivesse ), avesse saputo nulla di co- desta moglie di raesser Simone, ne avremmo sentito delle belle ! A Cecco Angiolieri non sarebbero mancati motti mordaci per codesta Bice di Simone ; a quel Cecco che, leggendo il sonetto Oltre la spera, avea già trovato a ri- dire suir intendere e non intendere il ' sottil parlare ' della Beatrice (son. Dante AUaghìer, Cecco 7 tu' sere' amico ) ; a ([uel Cecco che scambiava anche ingiurie col poeta ( son. Dante Allaghier, s'io son buon hegolardo). I primi esposi- tori, chiosatori, commentatori del poema, o non parlano che dell' ' allegorica Beatrice ', o, fra tante loro storielle, non hanno modo di confettar la più ghiotta delle storielle. Il Capitolo di Bosone da Gubbio, la Dichiarazione poetica di Frate Guido da Pisn. 1' F.<pn<:i-inììp poi^fim di Minod'A-
teso il 'non sjipoano cho si chiamar»'' del libello, (."omunquo. si po- trà diro soltjinto, che il Pistojose allora intendeva alla lettera an- che la canzono Donne eh' avete, e che dalle rime giudicava sensuale l'amore del poeta. Egli più tardi scriveva all' Aliirhinri (son. Dante, io non odo ) :
Dnnqne. s'al bene o^i reame è tolto Nel mondo, in ogni parte ove tu girl, Vao* mi tu fare ancor di piacer molto T
Diletto frate! mio di pene involto. Mercè per quella donna che tu miri : DI dir non star, se di fé non sei sciolto.
E non mi pare che il Pistojose quivi parli di donna reale, come non parla certo di donna reale nel testé citato sonetto a Cecco d' A- scoli. Egli poi assunse anche come appellativo il nome di Beatrice ( ' Ella sarà del mio cor beatrice ' ), nel sonetto Norellamente amor., a cui Dante rispose, come pare, un jk)' imbronciato. Del resto, la consolatoria di Cino, che allora dava del voi al poeta, non puntel- lerebbe che r ipotesi d' una Beatrice fiorentina : ma non sa- rebbe certo suggello alla tradizione della Bice di messer Simone de' Bardi.
37
294 Tm Beatrice storica
rezzo, non conoscono che la Beatrice allegorica ( ' ). E dai loro versi si vede chiaro che, se in qualche altra figura
(*) Si possono leggere nel primo volume della citata raccolta del Del Balzo. Cantava Bosone : v. 31 ' Ma perchè V ;irra che si prende al fonte Del nostro batisteo ci dà uno Innie, Lo qual ci fa le cose di Dio conte. Venne del lustro del supei-no acume Una gratia di fede, che si dice Che jifonde l'alma come terra il fiu- me ; E mosse lui con la ragion felice, Per farli ben conoscer quel- le fere : En que ci lalegorica Beatrice '. [ Questo ultimo verso si può forse leggere : ' Et quest' è V allegorica Beatrice ' ; cfr. v, 73 ' Et quest' è quella gratia che prevene ' ; v. 79 ' Et quest' è quella gratia coaiuvante '. ] Di Virgilio si legge : v. 40 ' Et la ragion per cui da lor non pere Descriver per Vergilio el vuol mostrare Ch' eb- be da' libri suoi molto savere '. E cantava Frate Guido : v. 71 ' Et quinci fugo il duca le vedute, Quando Beatrice sul grifone ap- pare, Perch' eli' è sola la nostra salute. Questa '1 condace sola a Dio junare, Spiegandoli quelle bellezze eterne, Ch' occhio carnai non puote contemplare. Senza lei dunque 1' alme sempiterne Ne la beata e sempre angusta sala Esser non puon beatamente eter- ne ' ; V. Ili ' Quivi virtù lo sprona infin al caldo Spirto di carità di quella dea Che 'n sul grifone tien lo 'ntento saldo ' ; v. 144 ' La prima è quella gracisi che prevene L' uom a ben fare ; e que- sta donde vegna Non lo sapem ; però tra le serene Del ciel nome non ha, ma sola regna ; La seconda ò la gratia illuminante, Che figura Lucia eh' è tanto degna ; La terZit è la gratia cooperante. Segnata per Beatrice ; et questa invia Lo Mantovan con le parole sante '. E nella chiosa al verso 141 si legge : • Prima domina non habet nomen, et ista significai gratiam prevenientom, quo dicitur provenions, qnia ante venit ad hominem, quara homo suis ipsam meritis mereatur. Et qida nescimus nude veniat, quod Deus in statu peccati miseratur hominis peccatoris, ideo ista domina sino nomino ponitur ab autore. Secunda domina significai gratiam illuminantom, quia postquam preventi sumus, indigomiis lumino dirigente, undo recto por viara Dei vadamus. Ideo ista domina ponitur sub nomino beate Lucie. Tertia domina significai gratiam cooperantem, quia quantumcumque Deus gratia siui nos preveniai et in agendis nos dirigai et illustret, quia multa suni impedimenta, indigomus imdo ipso nobiscum op^retur, quia sino ipso nihil l)oui po^sumus operari.
Bo.sone, Frale Guido, Mino, Jacopo Alighieri 2<)5
allegorica della Commedia vedevano, oltre la figura alle- gorica, anche la figura storica, in Beatrice non vedevano che una pura e semplice allegoria. Né torse di altra Bea- trice parlano le Chiose di Jacopo Alighieri (').
Et isdì U'rtia firatiu «'riìcit iios hcatos. et ideo ponitur sub nomino Bc«atriei.s ". K cantava Mino: ////. 2, 2"} 'La U'iv.a donna, eh' a sua putiziono Sct«o dal Ciol noli' inforno al Poeta Cho '1 soccor- roKSo col suo Ih'I sornioni'. Quosta è la donna dilocUi ot discre- ta Di tutto r altro più splondida pura. La cui chiarezza passa o- gni pianeta. Ciò viene a dir, che le sue luci sjincto Virgilio stu- diando noir inforno Dello cose di Dio mostrò alquanto : Ma non cho cognoficossf il liono otorno. Poro la forma con pietoso viso. Quando li mostra l' iniìnito verno. ( Cioè che Virgilio non conobbe Doo. ) iSorbantlo il lume ilei suo chiaro ^^8o. Dove, chi seguo lei, convion cho rida Di tutta gioia pione in paradiso. A'prirghi suoi Virgilio facto guida, A'on vuol dir altro, cho noi suo trattato Di Virgilio Danto più si tìda. ( Cioè di lioatrico cho thoologia impe- trata ilivina scriptura. ) Cho mai non fu poeta coronato. Cho del- l' Inforno cotanto cercasse. Quanto Virgilio PooUi honorato '.
(1| Cfiiotte alia Canlica dell' Inferno ili D. A. altribuitc a Jacopo tuia figlio, Firenze 1H4S : p. J) • Boatrice, dicendo la qnal per tutto questo libro la Divina Srritura s'intendo, sicome perfetti» e beata ' ( cfr. Dottrinale, 58, .11) ). Di Virgilio si logge : • 1' effetto de 1' uma- na ragione dinanzi agli occhi ilolla utente gli apparve il qual
effetto ligurativamonto ... in forma «li colui che più nella ragion»» umana poetando si steso, compone cioè di Virgilio '. Di Jacopo a- vrenirao oggi un commento latino, di cui in questi giorni la tipo- graiìa Carno.socchi di Firenze ha stampato il volume secondo. Pur- gatorio ( Chiose (li Dante le quali fece el jigliuolo co le sue mani, messe in luce da F. P. Luiso ). Queste Chiose latine, che un figliuolo di Danto avrebbe fatto * co lo suo mani '. non danno cho un* espo- siziono frammentaria di ciascun canto del Purgatorio, e restano af- fatto disgregate : sono insomma vere chiose o postille marginali, non un volt) e proprio commento : sicché non presentano quei caratteri principali delle Chiose volgari publilicato dal Vernon, che così bene rilevò e descrisse Luigi Rocca ( Ale. comm. 7 ss, 33 ss. Per brevità indicherò nelle pagine sogiu-nti con un R. il bel libro del Rocca. ). ^ono certo molto antiche, forse anteriori al 1320, come giudica il
La Beatrice storica
Sennonché, come le parole del poeta si facevano ser- vire a strane deduzioni, eh' egli era stato uomo fraudo-
benemerito editore ( vd. p. 174, append. a p. 25 ) ; e ben preludono a lavori più compiuti ed organici intorno alla Divina Commedia. Si trovano nel codice Laurenziano pi. xc sup. 114, non rimasto, co- me pare, sconosciuto al Rocca ( vd. p. 7 n ) ; il quale, d'altra parte, giudicava ( p. 26 s ) che ' assai probabilmente non sono di Jacopo ' le postille latine marginali del codice Laurenziano pi. XLii. 15, che iu parte concordano con lo Chiose pubblicate dal Luise, e che nel 1431 un Bartolomeo di Piero de' Nerucci da San Geminiano trasse di sua mano, com' egli dice, * d' uno Dante antiquo tanto, che do- ve era alcuno testo dubbio et oscuro, era legato insieme quello tale testo et dicea : Jacobe facias declarationem '. Quanto alla no- stra questione importa notare, che il chiosatore non trova alcuna allegoria o moralità nei miti e nelle leggende dell' antichità clas- sica, e par che assuma miti e leggende come storia vera ; il che non occorre nelle Chiose volgari attribuite a Jacopo Alighieri, e neppure occorre nel Commento di Jacopo della Lana. Oltre a ciò, pare che el figliuolo di Dante non conosca né le Rime del padre, né la Vita nuova, né il Convivio, né \\De Vnlgari Eloqiicntia, né il De Monarchia. Di Beatrice si legge : p. 129 ' Quel dolce pome . . . Dicit autor quod Virgilius loquitur Danti de Beatrice, quam hic ponit prò beatitudine'; p. 144 ' Sotto candido velo . . . T^ota quod hic loquitur de Beatrice, idost de sacra teologia, quam fulgore dicit spe fide et caritate ' ; * Ma lo spirito mio . . . Hic dicit autor quod Danto ropetit, quomodo ab infancia dilexit hanc Bea- tricem, et quod semper spiritus eius cum ipsa fuorat, et ipsam vai- de dilexerat. Inteligit de sacra theologia ' ; p. 148 • Sotto suo velo . . . Hic vult dicere quod ei Beatrice, sub suo A^elo et ultra flumen sita, nunc ostendit magis se ipsam in pulcritudino antica, idost quam in vita habebat, quam tunc vivens vincere alias dominas videbatur ' ; ' Di pentere sì mi punse . . . Hic vult dicero quod nunc, videndo pul- ciùtudinem Boatricis, sic oum penituit dolictorum, quod illud quod magis retracxoi-at eum ab amoro Beatricis ipsa vivente, magis ab-
oruit, et odivit vanitatom ' ; p. 149 ' Fot/, quando 7 cor dixe-
runt ei se deputatas ad bonoplacita Beatricis, idest ad sacram thoo- logiam, antequam nasceretur Christus ' ; p. 151 ' Tant' cran li occhi miei . . . Dicit autor quod orunt X anni, quod mortua erat Beatri-
Ser Grazialo de Batnbogiuoli
lento, e avaro, e sodomita, e peggio ; così ben presto dalle stesse parole del poeta naturalmente germogliò nella fan- tasia di alcuni lettori e chiosatori la supposizione che la Beatrice della Commedia fosse 1' anima beata di qualche fanciulla fiorentina, veramente amata dal divino Alighieri C^rto, fin dal 1324 ser Graziolo ebbe codesto sospetto. E- gli, dall' indirizzo dato al suo Commento air Inferno, era condotto ad intender come donna reale Beatrice, e «juindi a dar qualche notizia di lei. 11 valentuomo mii lu sa- peva niente ; ma non disperava, come pare, di saperne qualcosa in processo di tempo ; e lasciò il posticino da riem- pire, una lacuna per la jmternità ; una lacuna, che, se era semplice previdenza per Graziolo, fu poi grazioso invito per quelli che vennero dopo. Nel latino pubblicai' . dil Fiammazzo si legge ( p. 13 ) : * quedam felix et pulcerima domina venit ad me meque vocavit et requisivit ut ad te amicum ipsius in hoc formidando itinere sub pericnlo con- stituto et prò succursu et protectione tua absque dilatio- ne pervenire deberem declarando michi qualiter ipsa domi- na erat olim [anima] generosa domine Beatricis et domi- ni Quo quidem intellecto Respondi
e*- ' : p. 158 * Sola sedeasi . . . Dicii quod Beatrice sola sedebat ad custodìain currus. quem Iì<:atutu viderat prius griffoni : idest quod sola sacra scriptiira gubernat et custodii ecclesiam ' : p. 159 • J/a. riprehendendo leg . . . Dicit autor quod Dante per Dominam suam inteligit B., que prò theologia et siura scriptura ponitur ' ; p. 1(82 s * £t Beatrice sosspirosa . . . Hic autor inteligit de siicra theologia. que dolebat de transsfonuacione et dexstruccione sui currus, soilicet ecclesie '. Lucia è la ' beatii Lucia " ( p. 33 ) : Matelda ' fuit conii- tissii Jlatelda ... et per hanc Mateldiiui inteligit felicitntem munda- nam. Ipsjt vero comiti^Sii fuit Siipientissima et potens et victoriatrix domina, et moribus et virtute repleta ; et ideo dicit quod coligebat et eligebat flores in floribus. quasi dicat quod in vita activa elegit sibi preheminenciores virtutes. Et est domina illa quam videbat in sompnis. que se nominat Liam ' ( p. 13<Ì ).
298 La Beatrice .storica
0 domina virtutis hoc est o summa vlrtus per qiiam scili- cet virtutemlmmana species excellitur magnificatur et tran- scendit omnia contenta in minori circulo hoc est ', ecc. (';.
(1) Ed. di Udine, gita citata. Bono il riammazzo aggiunge ' a- nima ' dinanzi a ^ generosa ' ; cfr. infatti, p. 39 ' anima illa beata do- mino Boatricis canit . . . sicut obtulit anima dicto domine Beatricis ' ; p. 50 'iinima Domino Beatricis quo in summo Colo landibus divi- nis instabat '. Ma bisognerebbe correggere anche qualche altra men- da ; mutare ' et domini ' in ' l'[ilie] domini '. IfolF edizione del Ver- non ( Comento alla Cantica dell' Iiif. di D. A. di untore anonimo, Fi- renze 1848 ), che, come tutti oramai Sitnno, è traduzione del com- mento latino di sor Graziolo, si legge : p. 30 ' dichiarandomi eh' es- sa donna era stata anima nobile di mona Beatrice, figliuola che fue ; la qual cosa ' ecc. Codesta lacuna in un codice
fu poi colmata da qualche lettore ; e in un altro codice, nel quale parte del commento di Graziolo si trova mescolato con altre chiose, fu colmata dallo stesso menante ; ma 1' una e T altra colmata non sono anteriori alla line del trecento. 11 codice Barberiniano XLVi, 13, scritto nel 138(3 ( vd. R. 50), ha: 'figliuola che fu di folco porti- nari ' ; ma, come avverte il Rocca ( p. 57 n ), • il nome di Folco Por- tinari è scritto con inchiostro e carattere diverso '. 11 nome del pa- dre ed anche il nome del marito, occorrono nel codice Magliabe- chiano Pai. i, 39 ( \à. R. 51 n ) : ' il quale però, essendo guasto ne' margini, ci dà una lezione incompleta ' ( R. 57 n ) : ' dichiaran- domi come essa . . . era stata anima nobile di mona biatrice iìgliuola cheffu . . . folco de' Portinari di fìrenze e moglie che fue di me . . . di geri do' bardi di iìrenze : la qual cosa ' ecc. Il Rocca recente- mente ( Giorn. dalli. 11, 142 ) ha creduto di vedere in codesta le- zione incompleta, una nuova testimonianza favorevole alla Bice Por- tinari. e indipendente dal Commento del Boccaccio; nel quale invero, sì parla bensì di messer Simone do' Bardi, ma non si dice eh' era figlio di Geri. Ma, che codesto messer Simone di Geri de' Bardi fosse esibizione del Cancelliere di Bologna, mi par poco probabile. Senza dire che non sarebbe facile spiegare come mai, nei primi vent' anni d' esegesi del Poema, degli amori di Dante si avessero più notizie a Bologna che in Toscana i* nella stessii Fii-enze, e si avessero anche a Bologna notizie così precise dello stato civile di madonna Bice e delle generalità di messer Simone ; non mi pare
Chiose anonime del Selmi 299
Era una bella e buona suggestione : ma non se ne videro gli effetti che molto tardi.
Non vanno oltre il presupposto di un' amata fanciulla fiorentina 1' estensore delle Chiose anonime alla prima can- tica e i rimaneggiatori di esse chiose, pubblicate prima dal Selmi e poi dall' A. valle ('i. Dicono le Chiose anonime : ' I\
davvero che ci si» nesHuna Haldu ratji'nif <\i,- pttHsa pienaniwit*' spiofraroi. porche tutti jrli altri codici dol comuu'iito di sor Cìra- ziolo, sia doli* originaUì hitino, sia doUa traduziono volgare. «•.. ri- servino oHtinatamonte la nota lacuna, che d* altra parto dov • varo, fra i;li altri, anche l'Ottimo. Che poi noli' ultimo troiiltu- nin dol troconto, ci fossero a questo mondo almono una trentina di persone ohe potevano l)enÌ8.simo 8{i|>ore il nome del padre di niossor Simone, «mI anche 11 nomo del nonno o del bisnonno, non mi par coRJi di cui si poss^i rajjionovolmont*^ dubitiro. A sentire sor (ìraxiolo de' Bamltii^iuoli cancelliere di Bologna, il poeta nel primo canto 'aperte niostravit quditorlongo tempore in hac vita miserie a via voritatis erravorat et maxime in inipootu vitinniin luvurio su- perbie et avaritie vel cupiditatis ' ( |i. 1: ifr. Il' • Il t.iini>. sa corda signiiica che '' Dant^'s aliquando vnlmi <iuii iraudulfutia ' accosUirsi a lussuria ( p. 72 |. il couimonUitore non conosc»» certji- mente la Vifa nuora. Delle Rime cita alcuni versi della canzone Tre (io/me inforno al cor me son renate ( p. 7 ; vv. 03 - 72, manca però il V. 09), e tre versi «lolla sestina Amor fu redi ben che yucsfa don- na { p. 124 ; v\'. 25 - 27 ). Conosce anche il Parf/atorio e il Paradiso ( vd. p. 15 e 68 I : tuttavia, molto singolaro ò quost;i chiowi : '^ Alle guai poi se fu corrai salire . . . Ad quam quidem gloria m beate gen- ti8 si volueris pervenire dicit ipso poeta danti {*.'< oportebit esso vir- tuosioris oporationis et vite quam ego fnerim quia — cum ego Vir- gilius fuerim paganus et sic fucrira divino legis contrarius — hoc est quia ex aqua et spirita sancto non fui baptismato ronovatus — non possimi ad illam summam et incessabilem gloriam per\-onire. Con lei ti lascerò nel mio partire. Dicit poeta cum ad illa superiora beata contrarietur accessus cum te usquo ad locum michi habilom et concessum tunm presentiara sotiavoro tunc te reliquani cum ilio choro gontiura et felicium animarum' (p. 10).
(t) Chiose anonime alla prima cantica della DC. di nn confem- poìoiico ih ' P->- >■• '■•ii'ì>lit(ift' jìrr Ut juiiiin '"if" '1" F<:Mi.t.w..n SpI-
BOÒ La Beatrice storica
lina lupa che di tutte brame. Dicie 1' autore, che guardando egli a le divine cose, e guardando che per iscientia si pos- sono avere, volentieri le seguiva, e 1' avaricia lo stregneva sì forte per avancare gli altri, che del tutto abbandonò lo studio, e recossi a guadagnare, non volentieri, ma quasi isforcato. E mentre che su 1' avaricia s' era rechato per vo- lere avancare gli altri, trovò di libri di questo sommo auc- tore, ciò è Virgilio, el quale pone come Enea fu ne lo 'n- ferno e nel purghatorio, e pone e ramenta e meriti de le vertù e le giusticie de' vicij. E dicie che questo libro li fu messo inan9Ì per gratia di questa vertù, la quale è bea- tricie, cioè, proprio nome a dire Beatricie [ Sei. virtìi, che è da la biatitudine, ciò è proprio nome a dire biatitudine, cioè biatrice ] ; e pone per figura d' una bella donna fio- rentina chui già Dante amò di carnale amore, la quale a- veva nome Beatricie ' ( p. 3 ) ; '■ L' amico mio^ e non de la ventura. Questa donna, si come parla di sopra, è Beatri- cie ; e come decto è indietro dove parla di lei Dante, ad- vegnia che fusse una donna di chui esso Dante sentì già carnale amore [ Sei. donna fiorentina, non è Biatrice di cui Dante sentì già corale amore ] ; ora ne parla in questo li- bro per quella virtù che | fa ] beate le cose ... E '1 camino unde si va a beatitudine si è questa virtù che si chiama beatricie, e sempre aita e chiama e dà aiuto a chi vole essare beato, e però disse: amor mi mosse che mi fa par- lare . . . O donna di viriti . . . Adunque non potiamo essare contenti un pocho se non per Beatricie, ciò è per la gratia di dio ' ( p. 8 ). Insomma, il così detto Anonimo del Selmi non ne sa più del Cancelliere di Bologna. Forse, che Dante abbia
mi, Torino 1865. Giuseppe Avalle, Le aiiticlie Chiose anonime al- l' Inf. di D. secondo il testo Marciano, Città di Castello 1900 : CoUez. di opiisc. dant. N, GÌ - 62. Cito dall' ed. del cod. Marciano. Vd. B.
79 88.
Jacopo della Lana ;kii
amato di corale o carnale amore una fanòiulla fiorentina chiamata Beatrice, non sarà, come nella chiosa di ser Gra- ziolo, che un semplice presupposto dell' Anonimo ; forse an- che, nelle sue parole si potrebbe scorgere come una bo- naria concessione a chi avea già messo fuori codesto pre- supposto della fanciulla fiorentina. Certo, V Anonimo nega che nella Commedia di tal donna e di tale amore si parli, e par che voglia attribuire a ragioni etimologiche la scelta del nome proprio. A ogni modo, la storiella della Bice Por- ti nari non era certo nel ricco corredo di storielle della po- polare erudizione del chiosatore.
Ed anche a Jacopo della Lana, che^ come ha osser- vato il Rocca ( p. 183, cfr. p. 195 ), * difficilmente si lascia sfuggire le occasioni ofiferte dal poeta per narra re 7iore//e ', manca materia per la novella della moglie di Simone, che sarebbe tornata certo ^ molto a destro ad udire '. Matelda è bensì la Contessa, ma Beatrice non è in tutto il com- mento che la Teologia (').
(•) V«l. noli' oìì. bolo«int'so «U<llo ScaralK'lli jjiji citato, ////. pp. 1-22, 288 ; Fiuff. 18, 172, a>9, 38», 370, 371, 372, 873, 37.5, 380, .382. 394. 898 ; Far. 23, 29, 53, 70, 73, 7ó, 76, 122, Ktt, 167, 171, 181, 235, 278, 2K0, 322, 381, ij82, 407. Sopra alcuna chiosa potrebbe forse ca- der qualche dubbio : Anima fia a ciò piìi di me degna . . . ' Siche que- sto è quello che proffera Virgilio a Dante : io ti mostrerò quello che per i-airiono umana ni può vedere : 1' altro ti mostrerà una anima sant<i alla quale ha voluto lo Signoro revelarlo. E intende questa anima Beatrice, la quale per allegoria s' intornio la scienzia di teo- logia ' ( 1, 117 ) ; Sotto suo celo, ed oltre la riderà . . . ' Pone sua bel- lezza che sicorao Beatrice al mondo li parve più bella dell' altre, cosi qui pareva eccellere quella riviera si delli angeli come d' ogni altra gente eh' ivi era ' ( 2. .374 ) ; A disbramarsi la decenne sete, ' Dieci anni erano passati che Beatrice era morta, ed elli avea a- vuto fedo di vederla ; quasi a dire che dieci anni stette vagabondo ed errante" (2. 380): Onde a pigliarmi fece Amor la corda, 'Cioè che amor prima mi congiunse con Beatrice, e questo si è l' iste-
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HCÉ La Beatrice storica
Ma la prova più certa che fino al 1334 nessuno ave- va ancora pensato a porre o proporre o suggerire la can- didatura della figliuola di Folco, ce 1' offre 1' Ottimo Com- mento. L' Ottimo si mostra ' pratico delle cose di Firenze ' ( E. 318 ), e ' non solo toscano, ma fiorentino ' ( R. 330 ); conobbe il commento di ser Graziole ( R. 243 ), e non gli mancava dunque l' incentivo ; non è meno di Jacopo della Lana vago di raccontar novelle, e non gli mancava dun- que la voglia; ma neppure lui sa nulla della Portinari. Scrive il Rocca (p. 336 ss): 'Quanto a Beatrice, l'Otti- mo ne presuppone la realtà storica, e non dubita punto che Dante abbia veramente amato una donna di tal nome; quindi per lui i canti xxx e xxxi del Purgatorio, ne' quali ella rimprovera al Poeta d' averla dimenticata, oltre al si- gnificato allegorico, ne hanno nno reale e storico ; un si- gnificato più « laicale » , com' egli dice, in confronto del-
riale ; o T amore divino mi illumina ad amare teologia, e questo si è senso allegorico ' ( H, 425 ). Sennonché, dice il commentatore : Sovra candido vel cinta d' olirà . . . ' Quasi a dire : io pegno Biatrice per allegoria essere la scienzia di Teologia e introducola a tale es- sere un sermone poetico, e però 1' adorno di segni poetici ' ( 2, 361 ) ; ' Alla quinta cosa si è da sapore che l' autore pone Beatrice tra 1' altre alme sante per adornare sua pootria, avvegnaché 1' allegoria d' essa sia da intendere la teologia si come più volte è detto, e per- chè teologia è scienzia più contemplativa, pone Beatrice essere in simile grado o scanno di Rachel mogliero che fue di Jacob, la quale figura in la santa Scrittura la vita contemplativa ' (8, 471 ; cfr. 485). Il Della Lana avea notizia delle Rime di Dante, ma non cono- sceva, come pare, né la Vita nuova né il Convivio : ' Qui è da sa- pere che r autore fé', fuori che questa Commedia, molte altre cose in rima e suoni, e sonetti, e ballate canzoni, e canzoni distese, e fra le altre vogliendo alcuna cosa toccare d' amore concupiscivo fìngen- do poeticamente la opinione, della quale é fatta menzione nel prin- cipio del presente capitolo [ vni ], si cominciò o disse : Voi che in-- tendendo il terso del movete^ (3, 137),
ottimo Commento H08
l'altro «spirituale» . .. L'Ottimo Commento dun<iue po- trebbe essere addotto in sostegno della realtà storica di Beatrice, ma solo in guanto il commentatore presuppone tale realtà storica, basandosi sopra le parole stesse del Poe- ta ; perchè sembra non ne abbia altre notizie all' inliiori di quelle ch'egli ricava dalle opere di Dante' (').
(•( Commento roltjan' ni trr primi canti della DC. del codice di San Daniele del Tagliamento : Propugnatore. 1, 382 - 335 e 4ìtt - 464 ( vd. R. 290 H« ) : p. 443 ' E donna, dice Virgilio, mi chiamò beata e bella... E «[Ili »• (la notimi la poi"Hoiia di oosUn esigerò «ccelleiite in tri) i-OM\ in iK-atitudiiK', in ìk>IU«zzh ìmii aiitoribitt) : u hi ))er»ona di Virgilio 038ere laudabile a discrezione «f quanto a subieaione. Vuole r autore questa donna avere nome Be<itriee. della «(uale teli sponi- tori divi'i-siimonte sentono. Perocché alcuni la vogliono [ alcuno la vuole I interpretare per uno lume di felle che sia infuso nel batte- simo da Dio in colui che si battezza [ e T autore nella disposizione eh' elli stesso fece su una sua canzone che comincia : ] Voi che '«• tendendo il terzo del moiete — cioè in quella parto della sposizione, eh' egli chiama allegorica, dice che per Beatrice egli intende la ti- losoiìa, e gli occhi suoi sono le sue [dijmostrazioni le quali diritte neir intelletto in<tmorano 1' anima libera. Alcuni dicono, cho questa Beatrice s' intende per la ttMilogia, e qui essi [ e questi J pajouo me- glio sentire. >'^è osti», che l'autore la prese per la lihjsolìa, perocché, come io di sopra dissi, avendo diversi rispetti una persona, li poeti quella chiamano per varj nomi. E questo medesimo pare fare 1' au- tore in questo libro di questa medesima donna ; cho alcuna volta pare volere, che Beatrice sia queUa Beatrice bella che e in carne umanji egli tanto amò. E cosi [ intendere ] pare volere il nome a lettera sanza altra allegoria, come quivi : Quando di carne a spirto era salita, capitulo xxx purgatorii. Alcuna volta pare eh' e' la vo- glia porro per la beatitudine, quivi : Come degnasti d' accedere al monte .' . . . capt. xxx purgatorii. E il più polla scrittura di teologia, onde quivi capitulo vi purgatorii : Veramente a così fatto sospet- to. ..^ L' Ottimo Commento, ed. del Torri citata : * introduce qui [ Piirg. xxx 1 Beatrice, la quale pone per la teologica scienza ... la quale innanzi a ogni altra dimostrazione dichiara e dimostra, come r autore amò cei'to primo e poco tempo lei, la cui cagione fu il poco
304 La Beatrice .storica
Ma codeste insistenti supposizioni intorno a nn' ipo- tetica fanciulla fiorentina, doveano pur dare il loro frutto ;
conoscimento che ebbe della cosa amata ; e poi procede, come per amore delle cose temporali e sansibili abbandonò 1' amore delle e- terne ed invisibili ; quasi dica : Tu apprendesti della scienza di teo- logia corti principi intelligibili, e quasi per sé nati ; ma quando la lettura porvenia allo cose divine e profondo, tu abbandonasti la scuola e '1 maestro e donastiti a cose lascive, e con esse ottenebra- sti la memoria e lo intelletto ... E più laicamente si potrebbono sporre a lettera le parole di Beati'ice, prendendo lei semplicemente per quella madonna Beatrice, eh' egli amò con pura benivolenza ( siccome mostra nelle sue Canzoni, e nella sua Vita N^uova ), la quale partita dal mortalo corpo tosto dimenticò, ed amò quella, per la quale disse : Io mi son pargoletta bella e nova, ecc. Ondo disse Beatrice : se tu m* amavi prima quand' io era al mondo, molto mi dovevi più amare quando io era salita al Cielo, dove li Angeli han- no pace, poich' io era venuta a quel sommo grado di beatitudine, eh' è r ultimo fine : ... e eh' io vi fossi pervenuta, tu stesso il provi quivi : Ita n' è Beatrice in l' alto Cielo, Nel reame ove li Angeli han- no pace'' (2, 525); Alcun tempo il sostenni col mio rotto... 'Dico qui Beatrice in reprensione di Dante, che declinando 1' autore a la- scivia e vanitade, ella il sostenne per alcuno tempo con la bellezza del volto suo conducendolo in parte diritta e virtuosa. E questa lettera ha due sposizioni : 1' una puoi riferire, eh' elli parli di Bea- trice, in quanto ella fu tra' mortali corporalmente, che aveano tanta forza le sue bellezze in Dante, che toglievano di lui ogni malo pen- siero, e inducevano e cercavano ogni pensiero buono, secondo che appare in sue canzoni e in suoi sonetti, e ancora di messer Gino da Pistoia, dove elli disse di lei ; e qui cadrebbe una lunga-dimo- strazione, la quale per brevitade è da lasciare : 1' altra è da riferire a spirito ed intelletto, che l' Autore incominciando lo studio di teo- logia infine da fanciullo, al quale ora ottimamente abituato, come dice capitulo xv Inferni, quivi : Vcggcndo il cielo a te così benigno ecc. ; che questo studio per pili tempo il sostenne e difese da non cadere nello lascivie e viziositadi del secolo ' ( 2, 539 s ) : Ben ti do- vevi per lo primo strale . . . ' Dice Beatrice : poiché la mia carne o le bello membra, che tanto piacere ti rappresentarono, orano fallite ( il quale fu il primo strale delle cose fallaci, che più ti punse ), tu
Giovanni Boccaccio 305
e 1' Ottimo, col ricordare eh' ei la la canzone Li occhi do- lenti e la consolatoria di Gino e la stessa Vita nuova, seb- ben vagamente, e il Convivio, benché questa volta a spro- posito, dava già un buon avviamento alla cosa ; veniva, quasi con prove di fatto, a giustificar la lacuna di ser Graziolo. E quel che ne seguì, è cosi naturale e necessario, che ci maraviglieremmo se, in mezzo a tante storielle corse allora sulla vita e gli amori di Dante, non fosse nata anche la storiella della Portinari, o qualche altra storiella simile.
Il Boccaccio, che scriveva il suo Tratta tello in laude di Dante passata la prima metà del trecento, si fece au- torevole banditore di codesta storiella, come di molte al- tre storielle che udiva ; e si compiacque di colorirla cosi, che si direbbe abbia avuto intenzione di renderla ancora più storiella di quel che per fama non corresse.
Pare che il cosi detto Compendio del trattatello del Boccaccio sia redazione meno meditata, anteriore alla cosi detta Vita intera {*); e pare che la notizia sugli amori di
non dovevi jiUfiulcif. ir- diRian'. s^i ».lit* un altro tf no losbo dilet- tato. E dico, che uè quella giovane, la quale eli! nelle sue Rimo chiamò pargoletta, né quella Lisetta, né quell' altra montiinina, né quella, né quoll' altra li dovevano gravare lo penne delle ale in giù, tanto eh' elli fosse ferito da uno simile, o quasi simile strale * ( 2, 549 ). (1) La Vita di Dante: testo del così detto Compendio attribnito a Giovanni Boccaccio, per cura di H. Bostagno, Bologna 1899: Bibl. stor. - crit. d. lett dant. N. 2 - S. La Vita di Dante scritta da Gio- canni Boccaccio : testo critico con Introduzione, Note e Appendice di Fniueesco Macrì - Leone, Firenze 1888. [Cito da queste due edizio- ni, prima la pagina e poi la linea.] Per la priorità del Compen- dio, vd. lo buone ragioni addotte dal Bostagno nella sua Prefasio- ne, p. 35 ss.
306 La Beatrice storica
Dante per la Portinari, sia passata via via per un pro- cesso di elaborazione e di integrazione, che si rispecchia nei tre luoghi boccacceschi dove quella notizia occorre, Com- pendiOf Vita, Commento.
Nel Compendio si legge (p. 14, 15): ' Fu questo amore di Dante onestissimo, qual che delle parti, o forse amen- due, fosse di ciò cagione ; e quantunque, almeno dalla parte di Dante, ardentissimo fosse, ninno sguardo, ninna parola, ninno cenno, niuno sembiante, altro che laudevole, per alcuno se ne vide giammai'. Nella Vita ( p. 16, 3 ) : ' Tanto solamente non voglio che non detto trapassi, cioè che, secondo eh' egli [ Dante ] scrive e che per altrui a cui fu noto il suo disio si ragio- n a , onestissimo fu questo amore, né mai apparve, o per isguardo o per parola o per cenno, alcuno libidinoso appetito ne nello amante né nella cosa amata '. Il biografo nella Vita non si contenta più dell' indeterminato alcuno del Compendio, ma più avvedutamente chiama a testimonio di tanto miracolo, alcuno a cui fu noto il desio del poeta. Chi infatti poteva sicuramente dire che Dan- te, in cui ' truovò ampissimo luogo la lussuria, e non so- lamente ne' giovani anni, ma ancora ne' maturi' ( Vi. 61, 31 ), non mostrò in quella ' fierissima e importabile pas- sione d' amore ' ( Vt. 13, 16), neppure con uno sguardo, neppure con una parola, neppure con un cenno, alcuno libidinoso appetito? Certo colui, a cui fu noto il desio del poeta. Ma nel Commento si viene a determinazione maggiore, che pare svolgimento della notizia della Vita. Chi poteva aver conosciuto il desio del poeta , e assi- curar degli atti onestissimi di quell' amore , se non colui che aveva conosciuto Beatrice ? Soltanto Beatrice poteva confidare a qualche sua amica o sorella la delicata riser- vatezza di Dante, Ed ecco nel 1373 1' accenno a testimo- nianza più determinata e più attendibile. Si legge nel Coni-
Foid della notizia delia Portinari 307
s
mento ( 1, 224 ) : ' Fu adunque questa donna (secondo la relazione di fé dedegna persona, la qua- le la conobbe, e fu per consanguinità stret- tissima a lei) figliuola di un valente uomo chiamato Folco Portinari, antico cittadino di Firenze ... E fu di costumi e di onestà laudevole, quanto donna esser debba, e |V)ssa ; e di bellezza e di leggiadria assai ornata ; e tu moglie d' un cavaliere de' Bardi, chiamato messer Simone, f nel ventiquattresimo anno della sua età passò di questa vita, negli anni di Cristo MCCXC. Fa questa donna me- ravigliosamente amata dall' autore : né cominciò questo amore nella loro provetta età, ma nella loro fanciullezza; perocché essendo ella d' età d' otto anni, e 1' autore di nove, siccome egli medesimo testimonia nel principio della sua Vita Nuova, prima piacque agli occhi suoi : ed in questo amore, con maravigliosa onestà }>prsfvorò mentre ella vis- se' (•).
Nel Compendio come nella Vita, il vago accenno a fonte orale mira a confortar di prove 1' asserto della pu- rezza incredibile e maravigliosa di quell' amore ; nel Com- mento invece, la fededegna persona è invocata a confer- mare, come se alcuno già ne dubitasse, che la Beatrice del poeta era figlia di Folco Portinari, e moglie di Simone
(*) Una ben curiosa occasione introduce nel Commento codesta notizia della moglie di messer Simone : ' Ma potrebbesi qui muo- vere un dubbio, e dire, come sai tu che questa donna parlasse fio- rentino ? A che si può rispondere, apparire in più luoghi in questo volume. Beatrice essere stata una gentildonna fiorentina, la quale r autore onestamente amò molto tempo ; e per questo comprendere e dire, lei in fiorentino volgare avere parlato. E perciocché questa è la primiera volta che di questa donna nel presente libro si fa men- zione, non pare indegna cosa alquanto manifestare, di cui 1' autore in alcune parti della presente opera intenda, nominando lei : con- ciossiaoos;i<'lit'' non senipr»- di Ifi allegoricamente favelli '.
B08 La Beatrice storteci
de' Bardi ; particolare questo del matrimonio di Beatrice che, si noti bene, non era stato prima d' allora detto dal Boccaccio, non nel Compendio, non nella Vita. Certo, a codesta definitiva elaborazione della notizia della Portinari, il Boccaccio non venne da se ; ma non è forse troppo te- merario il sospetto che vi avesse contribuito il suo tratta- tello. Il biografo insomma, e le sue fonti orali, congiura- rono amicamente al definitivo assetto di quella notizia, a cui avevano dato il primo incentivo e bene auspicato i primi commentatori del Poema.
La fededegna persona del Commento che conobbe Bea- trice, è la stessa persona della Vita a cui fu noto il desio del poeta, e che quando il Boccaccio scriveva la Vita (cioè intorno al 1364, secondo il Macri-Leone ; vd. Intr. p. 69 ss), andava ragionando dell' onestissimo amore di Dante ? Se si, quanti anni sarà mai vissuta codesta fededegna perso- na? Quando Beatrice morì, costui (o costei) non doveva essere un bambino ; giacche, non solo intorno al 1364 ricor- dava bene la consanguinea, ma ricordava anche gli amori di lei, perchè, nella sua giovinezza certamente, avea co- nosciuto il desio del poeta. Pare dunque che fosse supper- giù dell' età di Beatrice ; e nel 1364, tempo in cai ancora ne ragionava, dovea esser quasi centenaria la famosa fe- dedegna persona ; il che, se non è impossibile, è poco probabile. Ovvero diremo, che la persona accennata nella Vita non è la fededegna persona del Commento! Sarebbe infatti ipotesi, sotto ogni rispetto, più probabile. Ma, con- cesso pure che la indeterminata persona della Vita for- nisse al Boccaccio la monca notizia del trattatello in- torno alla Portinari, cosa che il biografo non dice ; code- sta monca notizia era già di seconda mano. Nata la fonte del trattatello quando Beatrice mori, nel 1364 a 74 anni poteva certo godere buona salute e voglia migliore d' an- dar ragionando dei miracoli della passione amorosa del di-
La fededegna persona 30d
vino poeta. Ma aveva attinto ad altra fonte, molto tardi, una notizia che, per la sua stessa natura delicata, richie-^ deva scrupolosa diligenza e conoscenza esatta dei dati della Vita nuova per essere accertata ('). Se dunque fino al 1364 il Boccaccio non avea trovato per la notizia di quegli a- mori, fonte più ricca e più schietta di quella che poteva venirgli dalla indefinita persona, a cui, non si sa come, fu noto il desio del poeta, e che andava confermando solo le parole del poeta ; come mai in processo di tempo poteva egli trovare la fededegna persona che avea conosciuto Bea- trice ed i poetici amori di lei?
Da chi abbia saputo il Boccaccio, non dico del roman- zesco innamoramento in casa di Folco, ma dell' amore del poeta per la Bice Portinari, nel trattatello veramente non dice. Probabilmente verso la metà del secolo la storiella di cotlesto amore, lungi dall' esser consolidata , si andava appena formando. Certo, intorno al 1355 1' amore di Bice era già una di quelle storielle che riesce sempre impossi- bile trovare come siano nate, e donde, messe le alucce, ab- biano preso primamente il volo. Nessuno inventa di pro- posito deliberato. Ad alcuno, colpito da qualche circostan- za, abbagliato dalla luce improvvisa di qualche remini- scenza, balena un' ipotesi che, in un momento di curiosità morbosa, pare una rivelazione. Altri riferisce l' ipotesi, non come ipotesi, ma come notizia altrui ; e allora l' ipotesi si veste delle autorevoli assise del si dice, e nessuno ne du- bita più, anzi ognuno, senz' avvedersene, sviluppa di nuovi
(1) Il dubbio di Giacomo Colonna intorno all' amore del Petrar- ca per Laura, e le incertezze che si hanno intorno agli amori del Leopardi o di altri poeti moderni, mostrano quanto sia difficile, an- che por gli amici od i parenti, anche oggi in tanto lume di critica e con tanta febbre di ricerca, saper niente di positivo intorno a co- deste passioncelle poetizzate. Cfr. G. A. Cesareo, Beatrice, in iV. ed A. 1, 199.
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310 La Èeatrìce storica
particolari la notizia di patrimonio cornane. Il Boccaccio accolse nel suo trattatello quella voce spuntata in quel pri- mo grattarsi pel prurito della curiosità stuzzicata, fiorente in quel primo fervore di letture dantesche ; accolse quella voce, senza dubitarne, e senza pensare che era impossibile che alcuno allora ricordasse gli amori affatto platonici del- l' adolescenza di Dante, se nessuno seppe mai dirgli nulla di queir adolescenza, nulla intorno a fatti di ben altro ri- lievo, intorno a fatti veduti certo e toccati con mano da amici e nemici del povero esule. Egli non ne dubitava ; la notizia era infatti, non solo molto probabile, ma molto opportuna anche ad una comoda esegesi dell' opera dan- tesca ; e , che forse più gì' importava, opportunissima al suo panegirico. Né si può supporre eh' egli, scrivendo il trattatello, sapesse nulla della relazione della fededegna persona, e del particolare che occorre nel Commento. Egli nel trattatello, non solo non fa cenno del matrimonio di Beatrice, ma carica le tinte sulla purezza di quell' amore più di quel che tale circostanza non consigliasse. E dal- l' aver poi saputo codesto particolare, sarà venuto quell' at- tenuar eh' ei fa nel Commento V incredibile e miracolosa onestà della ^ cosa amata '. Egli infatti nel Commento scrive che la Bice fu bensì ' di costumi e di onestà laudevole ', ma ' quanto donna esser debba e possa ', non più ; giacché, avrà pensato il novelliere che di questi negozi se ne in- tendeva, codesta donna, in fin dei conti, moglie di messer Simone, avrà anch' essa amato il poeta, se egli tanto ne arse ; e 1' amare un uomo lussurioso come Dante, non é certo per una moglie il miglior titolo d' onestà.
Comunque, a ben guardare, il Boccaccio non disse mai d' avere attinto a fonti orali dirette quella sua notizia. Nello stesso Commento^ dove 1' accenno alla fonte é fatto con certa intenzione critica, e viene a conferma dell' identità della Beatrice di Dante con la Bice di Simone, il Boccac-
La fededegna j)en>ona :;ii
ciò non dice già : — secondo la relazione eh' io ebbi da fe- dedegna persona — , o simile ; raa ' secondo la relazione di fededegna persona'. Probabilmente alcuno, dopo il 1364, disse al Certaldese, che una fededegna persona, parente della Bice, (che avea veramente conosciuta la Portiuari, e che allora da una ventina d' anni dovea esser morta ot- tuagenaria ) gli aveva detto che avea conosciuto la figliuola di Folco, la quale era stata moglie virtuosa di Simone de' Bardi. E il locacelo nel 1373 volle citare quell' au- torevole fonte, sia perchè forse alcuno cominciava a dubi- tare, sia perchè il nuovo particolare acquisito del matri- monio della Bke, rendeva })oco probabile 1' identificazione della moglie altrui con la Jieatrice della Commedia. Certo, r affermazione della fededegna persona era vera, e lo prova il testamento di Folco; ma siamo noi sicuri che co<lesta fe- dedegna persona affermò alla fonte diretta del Boccaccio che la moglie di Simone amò Dante, e che morì negli anni di Cristo 121X)? La fonte orale del Boccaccio potè, sia per mezzo dei primi commenti al Poema, sia per mezzo dello stesso trattatello del Boccaccio, accomodare o completare la notizia della fededegna persona ; ovvero, il Boccaccio stesso potè integrare la monca notizia con i dati eh' egli desumeva dalle opere di Dante.
Certamente il novelliere non guardava la cosa tanto pel sottile. Non solo egli non approfondì quella notizia, ma par lecito sospettare, non si servisse delle sue fonti orali con bonarietà maggiore dell' incuria che mostra nel- r uso delle fonti scritte. Dalla Cùmmedia, egli o altri, de- sunse 1' anno della morte, e a un dipresso anche 1' età di Beatrice. Ma alla determinazione maggiore del trattatello, che Beatrice morì ' quasi nel fine del suo vigesimo quarto anno ' ( Cmp. IG, 6; T7. 17, 6 ), e del Commento, che ' nel ventiquattresimo anno della sua età passò di questa vita ' : che insomma Beatrice morì senza aver compiuto i suoi 24
312 La Beatrice ^lorica
anni ; il Boccaccio sarà forse venuto con la scorta di un luogo non bene inteso della Vita nuova. Egli narrando romanzesca- mente r innamoramento del poeta in casa di Folco ' il primo di di maggio ', afferma che Beatrice allora ' di tempo non passava 1' anno ottavo ' ( Cmjì. 13, 14 ), d' ' età era forse d' otto anni ' ( Vt. 14, 14 ) ; mentre nella Vita nuova si leg- ge che Beatrice d' otto anni e quattro mesi, ' quasi dal principio del suo nono anno ', apparve la prima volta al poeta, che era ' quasi da la fine' del suo nono anno. Cosi, avendo il Boccaccio fatto nascer Beatrice tra il maggio e il giugno del 1266, anziché tra il decembre del 1265 e il gennajo successivo, venne alla conclusione eh' ella fosse morta senza aver compiuto i 24 anni, probabilmente tra il marzo e 1' aprile del 1290, giusto dieci anni prima della Visione dantesca ; mentre ella compiva i 24 anni, o sullo scorcio del 1289, o coli' entrar del 1290^ e non mori nel suo ventiquattresimo anno, ma nel suo venticinquesimo anno inoltrato, nel giugno del 1290 ('). Il Boccaccio, come le
(1) La data dol primo ' apparimento ' di Boatrico può farsi o- sciliare tra 1' aprile e il maggio del 1274, giacché nella terza deca- de di quel maggio appunto cadeva il nono compleanno del poeta ; la nascita di Beatrice si può dunque porro tra il decembre 1265 e il gennajo 1266. Il Gambéra, in un opuscoletto di 4 pagine che porta la data di Salerno, maggio 1902 ( tip. Jovane ), e il titolo Data della nascita di Dante e di Beatrice e altre date relative alla loro vita ; vorrebbe conciliare la data che ci dà il Boccaccio per la festa e il convito e l' innamoramento in casa di Folco, con gli accenni cro- nologici della Vita nuova ^ dove certo nò di feste ne di conviti non vi è pur r ombra. E pone che Beatrice ' nacque il 1" gennajo 1266 ( venerdì ), cioè sette mesi dopo di Dante, nato il 31 maggio 1265 '. Ben è vero che della sua età dice il poeta che, al primo appari- mento della gentilissima, novo volte ' era tornato lo cielo de la luco quasi a uno medesimo punto quanto a la sua propria girazione ' ; ma o si sta strettamente a queste parole, e allora ò meglio porre il pri- pio ^ apparimento ' nella seconda quindicina di maggio ; o in quel
U età di Beatrice .secondo d lioccaccio ;U3
sue fonti orali dirette, identificavano la Beatrice di Dante con la figliuola di Folco, in modo assai bonario e som- mario, un po' alla carlona ; certo senza troppi scrupoli, anzi mostrando una certa compiacenza. Giacche di una vera Beatrice si aveva stretto bisogno, quando si trovò che una Bice era vissuta a Firenze durante la giovinezza del poeta, e quasi sua vicina di casa, parve che ciò ba- stasse, anzi per le esigenze critiche di quell' età era an- che troppo. Insomma, se da una parte il Boccaccio attinse la notizia della Portinari a fonti orali tardive, dall' altra parte non mostra che sapesse o volesse ben vagliare ogni particolar circostanza di quella notizia ; anzi pare eh' egli quella notizia completasse con circostanze particolari non esattamente desunte dalla Vita nuova e dalla Commedia.
Certo, comechè possa sorprendere che il Boccaccio in una notizia di tanto rilievo, nella sola notizia eh' egli sap- pia riferire dell' adolescenza di Dante, prima non accenni neppure alla sua fonte e finalmente nel 1373 , accennan- dovi appena, tenga celato il nome sia della fededegna per- sona, sia del relatore della relazione della persona fedede- gna ; e comechè codesta fededegna persona possa per al- cuno aver 1' aria dell' altra non meno fededegna persona che viene anch' essa in buon punto a testimoniare della verità, del racconto in cui s' inquadrano le cento novelle
' quasi ' ci può entrare un mese, e allora ci può bene entrare anche un mese e mezzo. E a me pare invero che. se al • principio ' del- l' anno nono Dante dava quattro mesi parlando dell' età di Beatri- ce, sia poco probabile eh' egli désso un mese ( o una ventiuci di giorni ) alla ' fine ' dello stesso anno parlando della sua età. Credo piuttosto che Dante ponga quel primo ' apparimento ' nell' aprile del 1274. Comunque. 1' errore del Boccaccio, quanto all' età di Beatrice, resta. [ Ringrazio il mio caro amico prof. F. Cantiirella d' avermi procurato, grazie alla cortesia del prof. Gambéra, suo preside, il prezioso opuscoletto di cui qui è parola.]
314 La Beatrice storica
del Decamerone ; niente giustificherebbe il sospetto che il Boccaccio abbia scientemente mentito ; tutto anzi par che cospiri ad insinuar la supposizione che anche la sua fonte orale fosse in buona fede. Certo, le accuse che si muovo- no al Boccaccio sono ingiuste. Egli non volle fare una vera biografia, ma con lodevolissimo e nobilissimo inten- dimento, tessere un bel panegirico. Suo principale assunto è questo,, mostrar che Dante fu un uomo straordinario ; che grande ±u a malgrado di gravissimi ostacoli, e prin- cipalmente a malgrado della passione per Beatrice ; che ' e per gli impeti superati e per 1' acquistata scienzia, sia di doppia corona da onorare ' ( Cmp. 30, 2 ) ; che * se ob- stanti cotanti e cosi fatti avversari . . . egli per forza d' in- gegno e di perseveranza riusci chiaro qual noi veggiamo ', sarebbe, rimossi quegli ostacoli, ' in terra divenuto uno Iddio ' {Vt. 31, 7 ) ; che insomma. Dante fu un uomo mi- racoloso. E sui miracoli infatti il Boccaccio si trattiene con maggior compiacenza. Secondo il biografo, primo e prin- cipale ostacolo alla grandezza del filosofo e teologo Dante, fa 1' amore, e specialmente 1' amore che occupò e in parte sciupò gli anni suoi migliori. Non è esatta 1' osservazione del Moore, non confutata, anzi riconosciuta giusta dal Ro- stagno ( Pref. 30 e 38 ), che nel Compendio ' 1' amore per Beatrice è affermato stimolo ai sacri studi ', mentre nella Vita intorno a ciò vi sarebbe ' un certo riserbo '. Il moti- vo dell' amore avversario agli studi del filosofo e teologo Dante, non escluso, anzi magna parte e in capo della lista, 1' amore per Beatrice, è cantato e ricantato e tornato a cantare nella Vita non meno che nel Conqjendio (').
(1) Noi Covipendìo, i noti luoghi della Commedia dove Dante parla del suo rimaro ( ' Clic non soccorri quei elio t' amò tanto, Che uscio per te della Aolgaro schiera ? ' — 'e forse è nato Chi 1' uno e r altro caccerà di nido ' : — ' lo mi son un che, quando
// panegirico e t importabile passione 31o
Difficile cèrto sarebbe dire come il Certaldese conce- pisse quella * fierissima e importabile passione d' amore '
Amor» spira, ii<ii<> .-«1 a (jutl iu<«l.. t U.- iliiiu tlt-iitro, vo Higiiitit-aii- do')^ sono pai-af rasati con questo parole (p. 13, 5): 'dal viso di questa giovane donna ... fu primieraraento desto nel petto suo lo 'ngegno al dovere parole rimate comporre ; ... e tal maestro sospin- gendolo amore, no divenne, che tolta di gran lunga la fama a' di- citori passati, mise in opinioni» molti, che ninno nel futuro ossero no dovesse, che lui in ciò potesse avanzare '. Ma in questo luogo non si parla di studi, nò sacri, nò profani. E che 1' amore per Bea- trice, quel ' troppo focoso desiderio spesse volte nojoso e grave a sofferire ' ( Cmp. Ift, 5 ), fosse ostjicolo ai s.acri studi, nel Compendio è detto più volte. Prima di parlar di quel!' incitamento al rimare, scrive il Boccaccio, come prrsimbolo al romanzetto della Rice ( p. 12, 4): 'Oli studij generalmente sogliono solitudine e rimozione dì sollecitudine disideraro o tranqnillitji d* animo, e massimamente gli speculativi, a* quali, si come mostrato è. il nostro Dante, in quanto la possibiliti'i permetteva, s' era donato. In luogo della quale rimo- zione e quiete, quasi dallo inizio della sua puerizia infìno allo e- stremo della sua vita, Dante ebbe fierissima et importabile pas.sione d' amore '. E dopo d' aver detto di quell' incit<imento al rimare, ed accennato agli amori ' per una giovane ' di Lucca, che, secondo il Boccaccio, Dante 'nomina Pargoletta': e 'per una Alpigina ' del Casentino, ' la quale, dice il 1»iografo, se mentito non m" è, quan-> tunquc bel viso avesse, era gozzuta ' : scrive ( p. 17, 13 ) : ' Agro e valido nimico degli studij è amore ... ; perciò che, poi che con lusin- ghevole speranza ha tuttji la mente occupata [ cfr. canz. £' m' in- cre di me, 'Ma poiché sepper di loro intelletto, Che per forza di lei ir era la mente già ben tutta toltji ' ] di chi nel principio non 1' ha con forte resistenzia scacciato, ninno pensiero, ninna medita- zione, ninno appetito in quella patisce che stia, se non quelle sole, le quali esso medesimo vi reca ; e eh enti questo siano e come con- trarie allo speculare filosofico et alle poetiche invenzioni, sì mani- festo mi pare, che superfluo estimo sarebbe il metterci tempo a più chiarirlo '. Xel qual periodo, che manca nella Vita, come manca r accenno alla Pargoletta lucchese ed alla gozzuta del Casentino, amore non solo è contrario ' allo speculare filosofico ', ma anche, e questo nessuno qui se lo aspetterebbe. * alle poetiche invenzioni ',
816 La Beatrice storica
per Beatrice, quel ' concupiscibile appetito ', quel ' troppo focoso desiderio spesse volte nojoso e grave a soiFerire ' ;
Ancora, corno riassumendo ( p. 29, 4 ) : ' Assai credo che manifesto sia da quanti o quali accidenti contrarij agli studij fosse infestato 11 nostro Poeta, il quale ne gli amorosi desiri, uè le dolenti lagri- me . . . tutte imbolatrici di tempo agli studianti, non poterono con le loro forze vincere, né dal principale intento rimuovere, cioè da' sa- cri studij della filosofia ' ; ( p. 63, 13 ) 'In così fatte cose, quali di sopra narrate sono, consumò il chiarissimo uomo quella parte del suo tempo, la quale egli agli amorosi sospiri, alle pietose lagrime, alle sollecitudini private e pubbliche . . . potè imbolare '. Né si pensi che il biografo non alluda in codesti brani all' amoro per Beatrice, ma agli altri amoii : degli altri amori non occorre che un breve cenno, mentre dell" amore per Beatrice, è quasi piena tutta la di- ceria ; e di tale amore si legge ( p. 16, 1 ) : * Gravi erano stati i so- spiri e le lagrime, mossi assai sovente dal non potere aver veduto, quanto il concupiscibile appetito desiderava, il grazioso viso della sua donna ; ma troppo più ponderosi glieli serbava quella estrema et inevitabile sorte che, mentre vivere dovesse, ne '1 doveva pri- vare '. Codesto si legge nel Compendio. IVella Vita il Boccaccio af- ferma le stesse coso, 1' amoro per la Portinari sprone al rimare, ma avversario ai sacri studi : ( p. 16, 12 ) * Se tanto amore e sì lungo potò il cibo, i sonni e ciascun' altra quiete impedire, quanto si dee potere estimare lui essere stato avversario ai sacri studi e allo in- gegno ? Certo non poco ; come che molti vogliano lui essere stato incitatore di quello ; argomento a ciò prendendo dalle cose leggia- dramente nel fiorentino idioma e in rima, in laude della donna a- mata, e acciò che li suoi ardori e amorosi concetti esprimesse, già fatte da lui ; ma certo io noi consento, se io non volessi già affermare 1' ornato parlare essere sommissima parte d' ogni scienzia ; che non è vero '. E del rimare, scrive ancora ( p. 44, 18 ) : ' Quanto fervente- mente esso fosse ad amore sottoposto, assai chiaro è già mostrato : questo amore è ferma credenza di tutti che fosse movitore del suo ingegno a dover, prima imitando, divenire dicitore in vidgare, poi por vaghezza di più solennemente dimostrare le sue passioni e di gloria, sollecitamente esercitandosi in quella, non solamente passò ciascuno suo contemporaneo, ma in tanto la dilucidò e fece bella, che molti allora e poi di drieto a sé n'ha fatti e farà vaghi d' essere
V amore per Èeafrice amersario agli studi :\\ 7
che, se da una parte era cagione di pensieri, di sospiri, di lagrime e di ' altre passioni gravissime ' le quali non permettevano al filosofo e teologo di occuparsi quanto a- vrebbe voluto di teologia e di filosofìa ; d' altra parte poi, non si manifestava neppure con uno sguardo, neppure con una parola, neppure con un cenno ! Ma è affatto impos- sibile dire che pensasse egli mai del chiamare che fa il fi- losofo e teologo Dante, vile e malvagio, rispetto all' amore per Beatrice, l'amore alla Filosofia. Del Convivio il Boc- caccio parla un po' vagamente. Nella Vita ( p. 74, 4 ), e suppergiù anche nel Compendio ( p. 63, 3 ), si legge : ' Com- pose ancora un Comento in prosa in fiorentino volgare so- pra tre delle sue Canzoni distese, come che egli appaia lui aver avuto intendimento, quando il cominciò, di e o- mentarle tutte, benché poi o j^er mutamento di pro- posito 0 per mancamento di tempo che avvenisse, più ce- mentate non se ne trovano da lui ; e questo intitolò Con- vivio, assai bella e laudevole operetta '. Non si serve, ne cita il Coni'icio, nell' investigare che fa, perchè la Comme- dia sia stata scritta in volgare. Però, due affermazioni pare che egli dal Convivio appunto desumesse ; sulle quali dob- biamo un po' fermarci ; perchè, se già abbiamo veduto co- me si servisse il biografo della Vita nuova per determinare 1' età di Beatrice, la prova più chiara della sua negligenza
esperti '. Ai brani citati del Compendio ( 12, 4 ; 29, 4 ; 63, 13 ), dove r amore per Beatrice è considerato come avversario agli studi, cor- rispondono i seguenti luoghi della Vita, 13, 11; 30. 30; 74, 23. Il Boccaccio salda nella Vita le due affermazioni contradittorie del Compendio intorno al rimare, e con più riserbo giudica dell'eccellenza delle rime dantesche ; ma sostanziale contradizione tra la Vita e il Compendio, non solo riguardo all' amore avversario agli studi, ma neppure riguardo all' amore spi-one al rimare, non e' è. L'osservazio- ne del !Moore, accettata dal Eostagno, muove dall' osservazione più discreta del Witte, accettata dal alacri -Leone, vd. T7. 87, app. ap. 64.
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318 La Beatrice storica
nell' uso delle fonti scritte, e specialmente della Vita, nuova, ce r offrono appunto queste sue deduzioni dal Convivio.
Afferma il Boccaccio nella Vita ( p. 63, 7 ), che Dante, ' duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice, quasi nel suo ventesimosesto anno compose in un volu- metto, il quale egli intitolò Vita Nuova, certe operette, sic- come sonetti e canzoni, in diversi tempi davanti e in rima fatte da lui, maravigliosamente belle ; di sopra da ciascuna partitamente e ordinatamente scrivendo le cagioni che a quella fare l'avevano mosso, e di dietro ponendo le divisioni delle precedenti opere. E come che egli di avere questo libretto fatto, negli anni più maturi si vergognasse molto, nondimeno, considerata la sua età, è egli assai belio e pia- cevole, e massimamente a' volgari ' ('). Molto probabil-
(1) Nel Compendio si leggo soltanto ( p. 53, 19 ) : ' Compose que- sto glorioso Poeta più opere no' suoi giorni ; tra le quali si erede la prima un libretto volgare, che egli intitola Vita nuova, nel quale egli et in prose et in sonetti et in canzoni gli accidenti dimostra dell' amore, il quale portò a Beatrice in gioventù '. Secondo la te- stimonianza di un codice della Vita nuora { Laurenziano pi. xc sup. 136; vd. Beck, Danfen Vita Nova, prof. pp. 8 s, 22 ss), del Boc- caccio sarebbe questa Nota, che si legge in ben altri cinque mano- scritti del disgraziato libello di Dante : ' Maraviglierannosi molti per quello eh' io avvisi, perchè io le divisioni de' sonetti non ho nel to- sto poste, come 1' autore del presente libretto le pose. Ma a ciò ri- spondo, due essere state le cagioni. La prima, per ciò che lo divi- sioni de' sonetti manifestamente sono dichiarazione di quegli ; perchè più tosto chiose appajono dovere esser, che testo ; et però chiosa r ho poste, non testo . . . La seconda ragione è, che, secondo eh' io ho già udito più volte ragionai'o a persone degne di fede, avendo Dante nella sua giovanezza composto questo libello, et poi essendo col tempo nella scienza et nelle operazioni cresciuto, si vergognava aver fatto questo, parendogli opera troppo puerile ; et tra 1' altre cose di che si dolea averlo fatto, si rammaricava d' avere inchiuse le divisioni nel testo, forse per quella medesima ragione che muove me. Laonde io, non potendolo negli altri omendiin*. in questo che
f.p drduzioni dal Convirìo •rt
mente, come già è stato osservato dal Macri-Leoue ( Intr. p. 114; e Appendice, p. 05, append. a p. 03), il Boccac- cio desume ()u»'.ste sue atfermazioiii dal seguente luogo del Concicio 1,1.111 ; • E se nella presente opera, la quale è Concito nominata e vo' che sia, più virilmente si trat- tasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per que- sta quella; veggendo siccome ragionevolmente quella fer- vida e passionata, questa temperata e virile essere convie- ne. Che altro si conviene e dire e operare a una etade, che ad altra ; perchè certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra ... E io in quella dinanzi all' entrata di mia gioventute parlai, e in questa dipoi quella già trapassata '. Della seconda af- fermazione del Boccaccio, che Danto si vergognasse della Vita nuoca, comunque si vogliano intendere le parole del- l' opera temperata e virile che già abbiamo esaminate, non occorre neppure parlare ; è, sul luogo del Contacio, un ri- Hesso del concetto che il biografo si era fatto intorno al filosofo e teologo Dante, ed alla importabile passione d' a- more per Beatrice. La prima atfermazione, che Dante com- pose la Vita nuova nel suo ventesimo sesto anno, mostra chiaramente che il Boccaccio non tenne alcun conto, quan- to alla Vita nuoca, dell' annovale di Beatrice, e dell' epi- sodio della donna gentile, e del resto ; e, quanto al Con- cicio, dei trenta mesi, di Venere, e del suo famoso epici- clo. Secondo il biografo, Dante un primo dì di maggio non avea finito il suo nono anno, e Beatrice non avea fi- nito r ottavo ; se Beatrice, secondo il biografo, morì nel
scritto ho, n" ho voluto sodisfare 1* appetito de V autore ". Le o.sser- razioni fatte n questa Xota, non sono degli Editori Milanesi ( Tri- vulzio e Magiri ) della Vita nuora, come mostra di ci*edere il Beck, ma sono del Biscioni. Frase di D. A. e di mesaer 0. B. ed. cit. p. 329 s.
320 La Beatrice storica
fine del suo ventiquattresimo anno, evidentemente il poeta era allora anch' esso sul compiere il suo venticinquesimo anno : or bene, se il Boccaccio avesse aggiunto a codesta età del poeta alla morte di Beatrice, un anno, ricordan- dosi dell' anno vale, e alcuni mesi, ricordandosi della nar- razione della Vita nuova che segue all' episodio dell' anno- vaie ( e non dico delle dichiarazioni del Convivio ), ed al- cuni mesi ancora per la composizione della Vita nuova ; non avrebbe detto che Dante compose il libello ' quasi nel suo ventesimosesto anno ', perchè tale espressione vuol dire propriamente che Dante compose la Vita nuova suU' alba dei suoi 26 anni ; a conceder molto, nella seconda metà del 1290, alquanti mesi dopo la morte di Beatrice, ' duranti an- cora le lagrime della morte della sua Beatrice ', come spie- ga egli stesso. Né possiamo pensare che codeste lagrime, pel Boccaccio, durassero molto a lungo. Sappiamo ( Vt. 18, 1 ) ' che Dante infra alquanti mesi apparò a ricordarsi, sanza lagrime, Beatrice essere morta ' ; e sappiamo che non solo le lagrime dopo poco tempo erano passate, ma anche i sospiri : ' né guari di spazio passò, che dopo le lasciate lagrime, li sospiri, li quali già erano alla lor fine vicini, cominciarono in gran parte a partirsi sanza tornare'. Insomma, largheg- giando, mese più, mese meno, un anno non si può concede- re che il Boccaccio credesse che fosse passato tra la morte di Beatrice e la composizione della Vita nuova (^).
(1) Corto nessuno direbbe che Dante composo la sua giovanile operetta, anche lasciando stare il ' quasi ', nel suo ventesimo sosto anno. Danto era entrato già nel suo ventesimo sesto anno, quan- do Beatrice morì ; e nell' annovale ora entrato noi suo yontisottosi- mo anno; dunque Dante compose il libello, al pivi presto, nel suo ventisettesimo anno, e neppure quasi nel suo ventisettesimo anno, ma nel suo ventisettesimo anno molto inoltrato. Il Macri - Leone ( Appena, p. 98 ) corca di salvare il Boccaccio, ragionando così : ' le parole diuanli ancora le lagrime di Beatrice quasi nel suo ventesimo
T/ì data della composiz. della \'N. .secondo il Bocc. 821
Certo, se non si deve Ikr troppo carico al Boccaccio (l'aver raccontato tante storielle; d'aver confuso Attila
sesto anno composr in un luluimllu t-rc mm si ilrvijiKj iieceKsariti- mento iutoiidero noi sonso che alquanto tempo dopo il 9 giugno 1290 Danto avesse f;ià finita di comporre la Vita Xiiova, ma, come da altri fatti ci vien confermato, che avesse cominciato a comporla per finirla alquanto tempo dopo l' anniversario di Beatrice, verso il 1292'. Cosi il critico, usurpando un * cominciò a comporre ' per * compose ', concilia le parole del Boccaccio colla data più remota che si possa tentar di attribuire alla composizione della Vita nuoca. Ma le pa- role del Boccaccio veramente significano che Dante absolvit il suo libello alcuni mesi d<ìpo la morto di Beatrice, che d' altra parte il biografo non poneva nel giugno 1290, nm alquanti mesi prima. E, liisciando stare che • compose ' non può certo valere ' cominciò a comporre quel che poi fini di comporro circa due anni dopo ', come concepiamo noi la narrazione della Vita naocat davvero come un diario ? La data del 1300 pare oramai del tutto arbitraria ; vd. Baj- na, Fer la data della VX. e non per essa soltanto, in Giorn. stor. G. 113 ss ; cfr. Scolari, appresso Torri, VN. 133. Tuttavia, io credo eh' essa si avvicini più al 1300 che al 1290; vd. qui addietro, p. 26 n. Il Casini sta pel 1295, e tiil datii assegnarono alla Vita nuoca an- che il Pelli, il Foscolo, il Ginguené, ed altri. Come si spiegano dun- que lo parole del Conririo ? O si logge, ' in quella dinanzi [ cioè nella Vita nuora ], sdì' entrata di mia gioventute parlai '. e in ([uosto caso niente e' impedisce di considerare i primi tre o quattro anni della gioventù ( che pel poeta durava 20 anni ) come • entrata ' della nuova età : o si vuol leggere, ' in quella [ cioè nella Vita nuoca ], dinanzi al- l' entrata di mia gioventute parlai ', e si vuol tener fermo nei confini delle età segnati dal poeta ( Conc. 4, 24, 11 ), e in questo caso bisogna venire all' assurda conclusione che la Vita nuoca fu composta prima del maggio del 1290 ; giacché non pare in nessun modo che sia accet- tabile r ipotesi che Dante parli delle rime della Vita nuoca, non già di tutto il liljello. Del resto, le stesse rime, senza tener conto delle dichiarazioni del Conricio, oltrepassano di un anno e mezzo, a dir poco, il limite dell' adolescenza di Dante. Dal D* Ovidio ( Studii, 588 ) apprendo che Varrone faceva terminare 1' adolescenza a 30 anni, ed Isidoro a 28 anni. Il poeta stesso poi av^'erte, che i confini da lui posti alle età dell' uomo, possono, secondo i casi, essere ximossi.
322 Ln lieatì'ice storica
con Totila ; d' aver fatto nascer Dante sotto papa Urbano IV, morto fin dal 2 ottobre del 126-4 ; d' aver fatto andare 1' esu- le, ' nel primo fuggire ', presso Alberto della Scala, morto prima dell' esilio di Dante, nel settembre del 1301 ; quando s' invoca appunto la testimonianza del Boccaccio a soste- gno dell' identità della Beatrice di Dante con la Bice Por- tinari, quando quella sua notizia appunto impiglia e svia r interpretazione della Vita nuova, del Conmcio, della Com- media ; non si può prescindere dal fatto che il Boccaccio non mostra di avere attentamente esaminato né la Vita nuova, ne il Convivio ; e nessuno si dovrebbe dissimula- re che, per questo appunto, la sua identificazione è poco probabile.
Il buon Certaldese non avrebbe mai creduto che la sua affermazione fosse di tanto peso, e dovesse accender sì gran lite. Egli faceva quel che sapeva fare, della ' re- torica novelliera ', per servirmi delle parole del Del Lun- go ; e ' chi fa quel che sa, più non gli è richiesto ' dice lo stesso biografo scusandosi dell' operetta sua. Quel che si può ragionevolmente e sicuramente desumere dal Boc- caccio è questo, che verso il 1350 germogliava o fioriva a Firenze la storiella della Portinari, non altro ; e, se al- tro si vuole aggiungere, che quella storiella germogliò e fiori come germogliano e fioriscono tutte le storielle di questo mondo ; la quale ebbe molto propizie le stelle, se tra i suoi fattori è entrato, e di lieto animo, anche chi, come il Boccaccio, avrebbe forse dovuto meno di ogni altro fa- vorirne lo sviluppo. Certo, il Boccaccio in questo partico- lare si mostra meno sollecito, meno diligente, meno critico che non in altre occasioni. Ma se di questa sua negligenza noi non abbiamo alcun diritto d' incolparlo, abbiamo bene il dovere di esaminare attentamente le sue parole, e di non veder più di quello eh' egli ci lasciò scritto.
Pietro di Dante e la ìez. Ashburnhamiaìia 32à
3.
Oltre il Boccaccio, fa cenno dell' amore di Dante per la Portinari la cosi dotta terza redazione del Commento di Pietro Alighieri, la oramai famosa lezione del codice Asli- burnhamiano 841, che sulle prime tanto sconcertò e mor- tificò il povero Bartoli. Non è questo il luogo di trattar della paternità, spesso negata, del commento o dei commenti che ix)rtano il nome di Pietro di Dante: ricordo soltanto che, se qualche ragione o parecchie ragioni militano in favore di tale paternità per la prima redazione che abbia- mo stampata e che molti codici conservano, è assai discu- tibile e malferma l' ipotesi che siano anche di Pietro le al- tre due redazioni posteriori che soli tre codici contengono ; e che i dubbi più gravi cadono appunto sulla terza reda- zione, che reca la notizia della Portinari come si legge nel trattatello del Boccaccio. Il Rocca stesso, che conchiude pro- ponendo di riconoscere 1' autenticità di tutte le tre reda- zioni del commento, non si dissimula che per le ultime due redazioni dubbi vi sieno ; e, che a noi più importa, non pare eh' ei voglia del tutto escludere che nell' una o nel- r altra ' sia entrata una mano estranea ' ('). D' altra parte.
(*| Aie. ronim. 40() 'confrontandola attf^ntamente l'una coli' al- tra [ la redazione stampata o la redazione Ashbumhamiana ), si tro- va che concordano non solo circa l' indirizzo generale e il metodo che seguono, ma ancora nello svolgimento dei singoli passi e nel 8uecedei-si delle idee ; sebbene non ci occorra mai nep- pure una pagina, in cui le due lezioni convenga- no perfettamente alla lettera... Gli autori citati, tran- ne poche eccezioni, sono gli stessi nell' una e nell' altra redazione ... ; tuttavia, e questo pure è d' avvertir e, non sono sempre gli stessi i testi che troviamo riportati
3^4 La Beatrice storica
notò il Rocca che una buona metà dei fogli del codice Ashburnhamiano portano impressa una marca di fabbrica
n e ir u n a e n o 1 1' a 1 1 r a ' ; p. 402 ' il commento tlol codice Yati- cane non è molto diverso dell' Aslibnrnharaiano, ma ci offre in più luoghi lina lezione dalla quale sembra derivata l'Ashburnhamiana : in generale quella ò più ampia, questa più compendiosa, e raramente avviene il contrario ; quindi, dato chenè in questa nò in quella sia entrata una mano estranea, dobbia- mo ritenere che il codice Vaticano contenga la seconda redazione del commento di Pietro, e che 1' Ashbnrnhamiano contenga la stes- sa seconda redazione, ma ritoccata, riordinata, e qua e là rifatta. Potremmo anche dire, che il Vaticano ci offre la seconda redazio- ne, e l' Ashburnhamiano la terza ; ma in tal caso dovremmo sog- giungere, che tra la seconda e la terza redazione non hanno luogo le diversità continue, che si riscontrano tra la prima e le altre due ' ; p. 404 ' Ma sono veramente opera di Pietro tutt' e due queste nuo- ve lezioni ? . . . Il dubbio non può essere tanto per la Vaticana, quanto può essere per la Ashburnhamiana ; perchè mentre riesco difficile giudicare quella come un rifacimento d' altra mano della Ashburnhamiana, può invece sorgere facilmente il dubbio, che que- sta sia opera di qualsiasi altro scrittore, il quale abbia creduto bene di l'itoccare qua e là il commento del codice Vaticano. Tale dub- bio parrebbe anzi aver buon fondamento, se ci fermassimo solo a certi passi del commento, in ispecio a quelli ne' quali la re d a - z i o n e Ashburnhamiana compendia o altera 1' a 1 - tra, rendendola anche meno chiara'. A tutto questo si aggiunge, che un codice Barberiniano, il quale riproduce la lezio- ne del codice Ashburnhamiano, ha in principio : ' Quamvis librum comedie Dantis Alegerij de Flor.'^ mei p r ecesso ris... non- nulli tentaverint aperire . . . nitar et ego post eos ad presens, non tam fiducia sciontie quam quodam zelo et caritativo m o t u accensus, si poterò . . . ' ; in luogo di queste parole del codice Ash- l)urnham : ' Quamvis librum comodio Dantis Alegerii de Floi-on- eia Petri mei genitori s... [ non]nulli temptaverint tota- liter calamo aperiro . . . nitar ego post eos ad presens, non tam fi- ducia scientie. quam quodam zelo et e a r i t a t e filiali accen- sus, si poterò...' In fine poi del Barberiniano non si ha l''ego Petrus prefatus ' che si ha nell' Ashburnhamiano ( vd. Rocca, in
Pietro di Dante e la lei, Aalihurnhamiana 323
che si trova anche in carte scritte a Padova tra il 13G1 e il 1309. Or bene, giacche il codice non è certo nn au- tografo del figliuolo di Dante (cfr. Giom. stor. 7, 371 n), a me pare che niente impedisca di supporre che sia stato scritto tra il 1365 e il 1370, e che la notizia della Porti- nari sia entrata nel commento appunto allora, quando le due redazioni del trattateli© del Boccaccio 1' avevano già divulgata fuor di Firenze ; e tale ipotesi parrà molt^ ve- rosimile, se si consideri che qnella notizia nel commento ci sta un po' a disagio, e che è monca come nel tratta- tello (').
Giom. sfar. 7, 382 ). Inoomino, il codice Barborìniano, anch' esso del Bocolo tlocimo quarto, non attribuisce la lozione ARhbumhamiana a Pietro di Dante (cfr. Cesjireo, in X. ed A. 1, 198).
{}) Lezione del rad. Afdib. { vd. Rocca. Appendice ) : Inf. 2 * Venio Jid (luartum et ultimiim. ubi auctor mistico valdo loquitur, vodoH- cot partim ad literaui, partim allegorico, partiin anagogico, et partim tropologico, prout infra pntebit. Et quia modo hic primo de Beatrice Ht nientio. do qua tantns est sermo maxime infra in t«*rcio libro pa- nulisi, promittendum est quod revera quedam domina nomine Bea- trix, insignis valde moribus et pnlcretudino, tempore auctorìs vi- guit in civitato Florentie, nata de domo quorundam civium floren- tinorum qui dii-untur Portinarii, do qua Dantes auctor procus fnit et amator in vita diete domine, et in oius laudem mnltas fecit can- tilena» ; qua mortua. ut in eius nomen in famam levaret. in hoc suo pooniate sub allegoria et typo theologie oam ut plurimum ac- cipere voluit ' : Piirg. 31 * Post hoc auctor mistico loquens, scili- cet ad litoram in hoc passu et allegorico, inducit ipsam Beatricem non sub typo theologie, seti ut animam ipsius Beatricis mulieris iam corporaliter defuncte ad reprendendnm enm, ut olim eius procum, cur post eius mortem ad aliam rem mortalem amandam et sequen- daiu processit, ut fuit pargolecta, eius soquens domina in pi-ocando, cum nunquam natura vel ars, id est pictura, sibi in hoc mundo presontavorit pidcriorem formam mulieris, quam fuerit sua morta- lis extinftit '. Questi due soli luoghi del commento del codice Ash- burnharaiano accennano alla realtà storica di Beatrice. A me pare che si tratti proprio d' interpolazioni. Beatrice non è mai intesa dal
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3à6 Tm Beatrice storica
Ma concediamo tutto quel che si vuole ; concediamo che proprio Pietro, figlio di Dante, verso il 1355, postosi per la terza volta a quella sua fatica, abbia fatto cenno della Portinari ; concediamo pure che verso il 1355 non fosse scritto il cosi detto Compendio del Boccaccio ; non si potrà conchiudere altro che questo, che verso il 1355 cir- colava già la storiella della Portinari, e che, come 1' ac- colse in quel torno di tempo il Boccaccio nel suo tratta- tello, V accolse anche Pietro Alighieri nella terza redazio- ne del suo commento. Si dirà per questo che la notizia è piÌT attendibile? Certo, Pietro nel 1341, quando scriveva la prima redazione, non ne sapeva niente ; e neppure quan- do scriveva la seconda redazione, posteriormente al 1348 ; giacché, come fin dalla prima redazione non tacque della contessa Matilde, non avrebbe aspettato, per identificare la Beatrice del poema con la Portinari, che gli fosse ve- nuto il talento, stavo per dire il ticchio, di rifare, non si vede bene con quale intenzione, per la terza volta il suo faticoso commento. Concediamo dunque tutto quel che si vuole ; in fin dei conti, la tardiva attestazione di Pietro Alighieri che non avea, come pare, notizia alcuna della Vita nuoim, non è certo più autorevole dell' attestazione del Boccaccio. Dal fatto poi, che nella redazione Ashburnha-
Comraeiitatoro noi solo senso letterale, come insinuerebbe la chiosa del secondo canto dell' Inferno. Quanto alla chiosa del Pnrgatoì'io, non si vede come mai il commentatore cominci il capitolo con lo spiegare allegoricamente tutto il contenuto del canto trentesimo pri- mo, venga poi a dire che il poeta parla secondo la lettera e secon- do 1' allegoria, e, toccato della lettera, torni da capo con 1' allego- ria. Il commentatore non nega espressamente la realtìi storica di Beatrice, ma non conosce altra Beatrice che 1' allegorica, cosi nella prima redazione, di cui ha curato la stampa il Nannucci ( od. cit. vd. pp. 57 ss, 512 ss, 516 ss, 523), come nella seconda del codice Vaticano ( A'd. Rocca, Appendice ).
Francesco da Buti 327
miana, come nel trattatello del Boccaccio, non e' è alcun cenno del matrimonio di Beatrice, si può trarre nuova con- ferma che la storielia della Portinari nel suo primo decen- nio corresse succinta, senza quell' impaccio matrimoniale, senza quell'ingombrante messer Simone; circostanza que- sta del matrimonio di Beatrice, che, se fosse stata cono- sciuta a tempo, avrebhe probabilmente compromesso la car- riera, se non tarpate le ali o fiaccate le gambe a quella, lasciatemelo dire, stupida storiella.
Non era infatti passato forse un decennio dalla esu- mazione boccaccesca di messer Simone de' Bardi, che già si negava fede alla storiella della Portinari. Francesco da Buti non vuol riconoscere che il poeta parli d' una donna veramente amata ; si tratta di una pura finzione, dice il commentatore; 'crederebbe forsi altri che Beatrice fusse stata una donna di carne e d* ossa come sono le altre, ma non è così ' (ed. cit. 2, 740). Credeva Ireneo Sanesi ( Giom. dant. ì, 302 ) che il Buti non volesse con ciò smentire il Boccaccio. Ed invero, un' aperta confutazione nel commento non e' è. Ma è pure da avvertire, che il Buti non pole- mizza mai coi commentatori che lo precedettero, come fa, per esempio, qualche volta 1' Ottimo ; e che non è proba- bile eh' egli * non conoscesse ne punto ne poco la testimo- nianza boccaccesca ', come asserisce il Sanesi suU' autorità del D' Ancona. Francesco da Buti fa espressa menzione del Commento del Hoccaccio (2, 674; cfr. anche 1,357); e non e' è alcuna ragione per sospettar che a lui fosse sfug- gita la notizia della Portinari. Osservava poi il D' Ancona ( Disc. 27 ), che ' il difetto di ragionevole interpretazione letterale e storica ' avea tratto il Da Buti ' di necessità alla spiegazione allegorica '. Sennonché, anche chi pensava ad una donna veramente amata, avea già dato, prima del Butese, interpretazione allegorica ai canti 30 e 31 del Pur- gatorio ; ne l' interpretazione allegorica fu abbandonata da
323 T.a Beatrice sfor/cn
chi, dopo il Boccaccio, ricordò gli amori per la Portinari. Il povero Buti avrebbe solo il torto di aver pensato per un momento alla contessa Beatrice, figliuola dell' impera- tore di Costantinopoli, madre della contessa Matilde (').
(1) Francesco da Buti, nel suo lunghissimo commento, non ò troppo vago di digressioni filosofiche, teologiche e scientifiche, né di storielle, come Jacopo della Lana e V Ottimo ; non isnocciola nep- pure sul tosto di Danto tutte quello citazioni od autorità, che sono spesso inutile ingombro nel commonto di Pietro Alighiori. Egli vuole invece rendersi ragione dello finzioni dantesche, e pone o risolvo molte di quello questioni alle quali oggi guardano con più insisten- za i dantisti ; egli spiega, por esempio, perchè Catone è posto a guardia del Purgatorio (2, 17 ss ) ; perchè occorro la finzione del jiontimonto di Manfredi (2, 71 ) ; perchè Sordello mostra i principi della A^alletta amena (2, 160); perchè altra è la classificazione dei peccati noli' Inferno, altra nel Purgatorio ( 2, 239 361 ). Quanto alhi nostra questiono, attribuisce a ragioni' etimologiche la scolta del no- me Beatrice per la ' teologia ' { 1, 65 ; 2. 129 733 ; 3, 818 ), come del nome Lucia per ' la grazia illuminante ' (1, 73 ), e del nome Ma- telila per ' 1' autorità sacerdotale ' ( 2, 675 766 : ' mathesiin laudans, cioè lodante la divinazione, o vero la scienzia d' Iddio ' ; ' dante loda a la scienzia di Dio ' ). Spiega perchè Beatrice, cioè la teologia, è ' beata ' ( 1, 66 ) ; perchè ha sua sede in cielo (1, 74 ; 2, 792 ; 3, 816 ). Trova che, con 'intendimento allegorico', della 'teologia', 'de r amor do le virtìi ', ' della benignità ', aveva il poeta cantato in alcune sue canzoni ; e segnatamente della teologia nella canzone Donne di' avete, e della benignità nella canzone Voi die intendendo (1, 9 ; 2, 576 ; 3, 259 ). Pensando tuttavia, che il poeta voglia che la Commedia " sia repertorio di tutto le persone diffamate e di tutte le persone virtuose note a lui infine al suo tempo ', sospetta il Butese che egli abbia voluto ricordare, come in Matelda la con- tossa figlia, così in Beatrice la contessa madre, ' por fare menziono di due donne virtuose che occorsero a la memoria sua, avendo nomi convenienti a la sua figurazione ' ( 2, 646 s ). Ma non dà im- portanza a codesta sua congettura : ' questo pensieri m abbo fatto, egli dice, per cagione solamente dei nomi. Se questa fu la inten- zione dell' autore^ nollo approvo, perchè noi testo non è parola cho '1 provi, se non no la tersa cantica xxxiii, nel quale fìngo
Benvenuto da Imola 329
Tuttavia, se il Buti negava, Benvenuto Rambaldi da Imola continuava la tradizione boccaccesca ('). Egli era confortato dall' esempio del Petrarca: ' Simile vidimus tem- poribus nostris in alio poeta fiorentino ; nam Petrarca amavit Laurectam per tempus xxi annorum historice et jwetice ' ; e confortato anche da un esempio biblico :* Nec videatur tibi indigiium , lector, quod Beatrix mulier car- nea accipiatur a Dante prò sacra theologia. Nonne Rachel secundum historicam veritatem fuit pulcra uxor Jacob sum- me amata ab eo?... et tamen anagogice figurai vitam con- templati vam, quam Jacob mirabiliter amavit ' ( 1, SU ). Ed anche Minerva, dice Benvenuto, ' de rei ventate fuit mu- lier carnea, inventrix raultarum et bonarum artium, sicut sapientia facit, quae hic ponitur sub nomine Beatricis * (4, 210). Sicuro dunque del fatto suo, il commentatore
cho vetk'890 Beatrice soderò noi torso grado do' beati con Rachele '. Della quale ragione, il Buti non solo non tion conto per Lucia, ma altrove non tion conto neppure por la stessii Beatrice ; la qua- le, secondo il commentatore, discese dal suo * beato scanno ' per- chè ' ogni gnizia viene di hissù, et in cielo essenzialmente abita e st.-u benché nelli uomini adoperi ' (1, 74 ) : * la spirituale Teologia, i^gli dice, sempre è in cielo, imperò che li Teologi spirituali sem- pre abitano co la mento in cielo, ma li carnali stjinno in teiT» col- r ossa snoo cho sono li libri in che è scritta' (2, 792); 'e ch'ella sia tornatii ora al lerao grado intende delli santi Dottori, che la santa Teologia, come istrumento dello Spirito Santo, hanno compo- ski e scritta ' ( 3, 810 ). Comunque, alla contessa Beatrice pensò in questi ultimi anni anche il Kraus ( cfr. A'a.ss. crit.'ò, 1S8). Ad Bea- tricem Ducitisam, Gothifredi Ducis Tusciae nxorem, ò diretta un' E- pistola gratidatoria di Pier Damiano {Opera omnia, Parisiis 1(>42: 1. 116). Pare che la duchessa, d' accordo col marito, facesse propo- sito di osservare perpetua continenza. 'Solutum est in te, scriveva Pier Damiano, illud antiquae maledictionis elogium. quo primae mulieri dictiim est : Sub viri polestate eris, et ipse dominabitiir tibi '. (1) Bemcnnti de Rambaldis de Imola Comcufum saper Dantis A'<lif]lierij CouìQcdiam. curante I. Ph. Lacaita, Florontlae 1887.
330 La Beatrice storica
riassume la notizia del trattatello, traducendo quasi alla lettera le parole del Certaldese ( 1, 89 ; 4, 210 s 221 ) ; ma la ' mulier carnea ', la Bice Porti nari, cede quasi sempre il luogo alla Teologia, anche nell' esposizione di Benve- nuto ; che, d' altra parte, per qualche nuova stranezza e lagrimevole confusione, riesce talvolta più incongruente delle altre (1).
Quanto ai posteriori commenti del Poema, ricordo sol- tanto, che il Postillatore Cassinese e Guiniforto delli Bar- gigi non conoscono altra Beatrice che 1' allegorica (-) ; che
(1) L' Imoleso trova non mono di citiquo ragioni por il 'fioco' di Virgilio. La quarta ragiono sarebbe questa : ' quia ratio autoris hucusquo fuorat rauca ; nam do rei voritate autor fuerat panca lo- cutus hucusquo ; fecorat onim solum quasdam cantiones et sonitia, de quibus postea verecundabatur in niaturiori aetate ' ( 1, 43 ). E poiché il poeta, jiarlando del suo ' bello stile ', dico, cìic in lui fatto onore, Benvenuto spiega: 'idest dabit niilii perpetuani l'amam ; et sic nota quod autor ponit pi-o facto illud quod futurum sperabat ' (1, 52 ; cfr. Boccaccio, Coiiiin. 1, 140 ) ; e ripete col Boccaccio che Dante, del ' suo tractatu de vita nova, quem fecit in juv^entute, . . . erubescobat in matura Jietate' (4, 220). Dice che Gentncca vuol dire ' genticula ', ' gens obscura ', e chiama ' Pargoletta ' la Lucchese (4, 73 s ) ; la quale poi sarebbe la ' pargoletta ' dei rimj)roveri di Beatrice ( 4, 231 ). E cosi spiega Benvenuto le parole di Beatrice : ' 8) come in su la porta fui, voi soglia, di mia seconda etate, idest in initio adolescentiae, e mutai vita, quia nupsi, questi si tolse a me e diessi altrui, scilicet, aliis rauliei-ibus. Alii tamen exponunt istam litoram non histoi'ico sed allegorice, et dicunt ', ecc. ( 4, 221 ).
{^) In una sola chiosa fra le ' sincrone ' del codice Cassinese ( ed. cit. ), si legge ( Purg. 31, 84 ) : ' quandclla cera . quasi velit di- cere . quod ista . Beatrix . cum fuit vÌA^a in mundo multo plus pulce- rima aliarum animarum . modo . fac sic constructum . videbatur railii beatricem anticam . idest . senem . sub suo volo et ultra flumen letlie- um plus vincere in pulcritudine . scilicet . motìpsam rospectu pulcri- tudinis quam haJ)ebat dum vivebat quam vincere hic alias domi- nas'. E in una chiosa delle ' posteriori ' si leggo (////. 2, 50 ):' r///«- tesi.'A Beatrice amata tua quo quandoquo prò sua amasia ponittir
Posteriori commenti wa
Cristoforo Landino vede nella Commedia solo la Teologia ; la (jnale, dice il commentatore, ' certo è Beatrice, perchè ci fo beati, facendoci conoscere Iddio,... et chiama et ec- cita la mente nostra, et conducela a beatitudine ' ('); che
qiiandoquo prò sacra thoologia '. Noll«< 'HÌiiorone' invoco {Inf. 2. 4ìJ): 'et l)oatrirom tortiani (Inniinain accipit liic ot infra por totum prò sjicra tln'olojiia '. MatoMa, ncllf oiiioso HÌncrone, ò fjiìl la Con- tossa, (lujniforto (lolli Har^i<;i poi scrivo ( Lo Inferno della Com- media di D. A. col Coment 0 di G. d. B.. con inlrod. e note dell' arr. O. Zaohoronl, ^farsilia Fironzo 18518): ' /" amico mio. e non della ren- tura, cioè Danto voro mìo amico. ♦• qnosto si «lice qni ÌKtoricamonte, porocchò Danto fu cupido »■ -^tu-lio^) più di «.'MlMiri.i ciio di ìdtri boni temporali o fortuiti \
(1) Ho prosonto 1' od. di V«'n«*/ia dol !.">;{(>: Comedia del diri no poeta Dantlie Alighieri con la dotta et leggiadra .^posizione di CItri- stophoro Landino. Lo parole citato sono a f. 19. Ammetto il Lan- dino cho il po<?t^i amò la Bice di Folco Portinari : ma, noi commonto, delia Beatrice reale si legge soltanto questo: ////. 2, 70 Io .son Bea- trice che ti faccio andare, ' Fu Beatrice donna fiorentina et dal poeta nostro amata come disopra nella sua vita narrarne ; ma in questo luogo puon Beatrice por la thoologia come già habbiamo dotto ' ; 2, 91 Io .son fatta da Dio sua mercé tale, ' ... Et se pigliamo Beatrice por uno spirito boato, ò vera la sontentia cho ogni anima' ecc.; Piirg. ììO, 24 £t lo .spirito mio, che già cotanto, ' Xella vita dol poeta dimostrammo chi fusso Beatrice iìgliiiola di Folco Portinjiri, et dipoi in più })arti di questo poema è stato manifesto cho 1' amoro pudico, il quelle portava a questa donnii, foco cho lui riducesse la historia a poetica fantjisia et fìttione, ot ponghila per la vita contemplativa se* condo la religione Christiana. Il perchè fu molto aiutato dal nome: perchè Beatrice significa, piena di beatitudine; et nessuna cosa ab- bonda di beatitudine, se non la cognitione di Dio et delle celesti cose '. E poiché il Landino, nella Vita et costami del poeta ( somma- ria notizia, desunta, ci-odo. dalla Vita di Dante del Manetti : e pre- messa, con molte altre dicerie, al commento ), accenna anche all' a- more dei nove anni ( era Beatrice, come Dante ' ne' suoi versi di- mostra, noir ottavo anno : et lui non era uscito del suo nono ' ), ed alla morte di Beatrice ' nel . xxiiii . anno della sua età ' : nessuno si aspetterebbe di leggere tuttavia queste chioso: Piirg. 30, 37 Sanza
33à Tm Beatrice storica
Giovanni da Serravalle e Stefano Talice da Ricaldone se- guono il Certaldese, e l' Imolese ; raccontano la storiella del calendimaggio in casa di Folco ; ma non fanno cenno di messer Simone : si direbbe che per Frate Giovanni, Bea- trice morisse nubile, e che per Stefano Talice, l'identità della Portinari con la Beatrice della Coìnntedia, sia da con- cedere soltanto per (lualche luogo del Poema ('). Comun- que, solo r Anonimo Fiorentino, dopo il Commento del Boccaccio, ricorda Simone de' Bardi ; dando tuttavia an- che lui poco sviluppo all' interpretazione storica dei canti
de gli ocelli ' . . . Fingo adunque già in pueritia esser stato inna- morato di Beatrice ... Il che dinota che infino da' teneri anni V huo- mo comincia ad amare Beatrice, idest, il soiamo bene, il quale ci beatifica ' ; 30, 73 (ìli ardami ben . . . ' Ma acciocché meglio intendia- mo tutto questo luogo, le querelle di Beatrice inverso Danthe sono, che lui havondola amata nella prima età, dij^oi nella seconda età nella quale essa mutò vita, et di carne sali ad spirito et era più bella, esso la lasciò per un' altra. Questo finge Danthe. Ma noi intendiamo Beatrice per la theologia, la quale è di duo spetie. po- sitiva et speculativa ', ecc.; 32, 2 ^Decenne sete, cupidità dui*ata . x . anni. Et vuole intendere che, da poi che hebbe cognitione del senso letterale et morale delle sacre lettere, dopo il quale abbandonò tali studii, insino che l'itornò per bavero lo intelletto allegorico et spi- rituale, furono in mozzo dieci anni. Et però fingo che stette dieci anni sanza Beatrice '.
(1) Fratria loJiannis de Serravalle Translafio et Comentnìn tofins libri Dantis Aldigherii cu in te.vfn italico fratris Bartìwlomaei a Colle, Prati 1891: vd. p. 15. La Commedia di Dante Alighieri col Com- mento inedito di Stefano Talice da Ficaldone. pubblicato per cura di V. Promis e C. Negroni: sec. ed. Milano 1888: vd. 2, 403; Giorn. stor. 4, 56 ss; Rocca. Ale. comm. 137 n^, Noto qui, che por sem- plice svista lo Scartazzini nell' Enciclopedia ( p. 198 s ) afferma, che non è facile sapere so il Talice ammetta ' accanto all' allegorica an- che una Beatrice reale ' ; come per semplice svista avrà dotto pure, che Benvenuto Rambaldi ' iunraette la lealtà storica di Beatrice, ma non dico chi ella fosse ' ; e che il Landino non dice ' che fosse la Portinai i nei Bardi né che {"oKf.e altra donna'.
t biografi: Antonio Pucci, Filippo Viìtani iì33
30 e 31 del Purgatorio ; e cita auche un brano del Con- rido ; ma confonde la donna gentile della Vita nuova e del Convivio con la Lucchese, che anch' egli chiama Par- goletta ( vd. ed. cit. 1, 42 61 ; 2, 390 s 49-2 .
Cosi pei commentatori. Pei biografi la cosa non istà altrimenti. Come si sa, Giovanni Villani nella sua Cronica (9, 136) non fa cenno dell'amore di Dante per alcuna Beatrice. Ma se il silenzio del sobrio cronista non può ra- gionevolmente provar nulla nella nostra questione, non mi pare eh' esso basti tuttavia per ispiegare il silenzio di An- tonio Pucci, verseggiatore della Cronica. Il popolano fio- rentino, nel capitolo 55 del suo Centiloquio, altre notizie aggiunge intorno al divino poeta ed all' opera di lui ; e, che pare molto significante, condanna quei chiosatori della Commedia che allora davano interpretazione letterale alle finzioni dantesche. Insomma, se il Pucci avesse saputo della storiella della Portinari e vi avesse prestato fede, nel Cen- filajuio troveremmo probabilmente qualche traccia.
Dopo il trattatello del Boccaccio, un' altra Vita di Dante scrisse Fili])po Villani ('). Il nuovo biografo, benché nel cita- to Contento al primo canto delV Inferno (vd. Bull. ns. 4, 81 ss) non mostri di voler riconoscere altra Beatrice che l'allegorica ( Matelda è anche per Filippo la Contessa ), nella Vita parla invero dell' amore di Dante per una Beatrice, che per vez- zo fiorentiiif^ro era cliianiata Bice. Ma non dice chi fosse (-).
(*) Philippi Villani libcr de cirìtatix Fìorentiae famofiis ciribns ex codice mediceo laurentiano nane primnm editas, et de Fiorentino- rum litteratnra principes fere si/nr/ironi Scriptores denno in Incem prodennt cnra et studio Gustavi Carailli Galletti. Florontint» 1<S47. Cito da questa Riceolta anello per lo biografie di Dante scritte dal Bruni e dal Manetti.
(-) De vita et moribas Dantis in.signis comici, p. 9 ' Is, ut retro paululum cedam, dum iuvenis admodum dulei usu patriae fruere- tur. Beatricis. eui. iiiorositate florentinao facetiae. Bice dicebatur,
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334 La Beatrice storica
E vero che la notizia è sommaria, e che il biografo in fine rimanda alla Vita del Boccaccio, chi dei casi del poeta vo- glia aver notizia più larga ( p. 13 ) ; ma è vero altresì che in più luoghi contradice tacitamente al Boccaccio ('). Se in Filippo Villani non abbiamo 1' esplicito ' ma non è cosi ' di Francesco da Buti, sarà da attribuire ciò alla convin- zione molto diversa che avevano i due scrittori intorno al nome della donna amata. Il Buti probabilmente non cre- deva che il poeta avesse amato una donna di nome Bea- trice: ' fu ancora, egli scrive (1, 9 ), lo prefato nostro au- tore passionato nella giovanezza sua di quella passione che comunemente si chiama amore, coni' elli dimostra in al- cuna delle sue canzoni morali ' ; certo, non credeva che a una donna veramente amata, a un' oscura Fiorentina, il poeta alludesse chiamando Beatrice il simbolo della teolo- gia. Il Villani invece, non pare che avesse ragioni per ne- gare 1' amore per una Bice ; ma pare che avesse qualche ragione per non credere, o almeno per dubitare, che co- desta Bice fosse la figliuola di Folco. Sennonché, si può
amore castissimo, qui in ipso piioritiae limine coopit, ardentissime teneretur, in eius honorem multas morales composuit cantilenas, ele- gantiao multae, eloqnontiao multao, multaoque gravitatis et doctri- nae, sub certa podum monsuratione legoque decurrontes, quao au- dientium ingeniosas aures mira cum suavitate demulceront, et pru- dentium ingonia prò allogoriarum mysteriis in admirationem suspen- deront : quarum plorasquo sub corto volamino copulavit, cui impo- suit titulum Vitae I^ovae. Cumque Beatrix dies obiisset suos, serio coopit poeta utiliora tractare ; arduumque et prof undissìmum Co- moediae opus aggressus est '.
(1) Per esempio, vuole che la moglie di Cacciaguida fosse ' ex nobili stirpe de Adiguoriis de Parma ' ( p. 8 ), non di Ferrara ; af- ferma che il poeta ' f uit insupor morum mirabili praoditus hono- stato, omnique actu ordinatus atquo compositus, vitae continentis- siraae ' ( p. 11 ) ; e non parla nò di pargoletto, nò d' impedimenti amorosi.
Leonardo Bruni Aretino
anche osservare che neppure il Villani doveva dar troppa importanza alla cosa ; perchè, se si fosse dato cura di ve- rificare la notizia del Boccaccio, e avesse trovato eh' era falsa, o eh' era vera, ne avrebbe probabilmente fatto qual- che cenno. Si tratterà dunque, d* un dubbio affatto sub- biettivo. Non mi pare infatti, eh' egli avesse cognizione diretta nò delia Vita nuova, né del Conririo. che del resto non è neppure citato.
Leonardo Bruni Aretino ( Della vita, studi e costumi di Dante, Galletti, p. 46 ss ), benché non faccia menzione del Convivio, né mostri in alcun modo di averne notizia, pare tuttavia che avesse conoscenza diretta della Mta nuo- va ('}. E qualche lieta speranza ci farebbe poi concepire anche quel cominciare eh' ei fa, rimproverando il Boccac- cio, ' dolcissimo e soavissimo uomo ', d' avere scritto ' la vita e i costumi di tanto sublime Poeta, come se a scrivere a- vesse il Filocolo, o il Filostrato, o la Fiammetta. Peroc- ché, soggiunge, tutto d' amore e di sospiri e di cocenti la- grime é pieno ' (-). Tuttavia, quanto alla nostra questio- ne, non si vede ben chiaro che cosa ne pensasse l' Aretino. Dopo aver raccontato che Dante, nella sua prima gioven- tù, ' vivendo e conversando con gli altri giovani di sua età, costumato ed accorto e valoroso ad ogni esercizio gio-
(M Ricordano il famoso paragrafo 25 della Vita nuora, queste sue affermazioni: • Or questa è la verità certa ed assoluta del nomo e dell'effetto de' poeti, lo scrivere in istile letterato o vulgare non ha a fare il fatto, ne altra differenza è, se non come scrivere in Greco ed in Latino ' ( p. 50 ) : " Cominciossi a dire in rima, secondo scrive Dante, innanzi a lui anni 150 ' ( p. 51 ).
(2) Vero è bene eh' egli subito dopo dichiara, eh' ei non iscrive ' per derogare al Boccaccio, ma perchè lo scrivere sao sia quasi in supplimento allo scriver di lui ' : ma è evidente che si trattai di mo- destia e di semplice cortesia. Se il Bruni non iscriveva * per dero- gare ', scriveva certo derogando al trattatello del Boccaccio, a co- minciare dalla notizia intorno agli antenati del poeta.
3% La Beatrice storica
vanile si trovava ' ; e che ' in quella battaglia memorabi- le e grandissima che fu a Campaldino, lui giovane e bene stimato si trovò nell' armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera ' ; fatto discorso della batta- glia, conchiude : ' Tornando adunque al nostro proposito dico, che Dante virtuosamente si trovò a combattere per la Patria in questa battaglia, e vorrei che '1 Boccaccio no- stro di questa virtù più tosto avesse fatto menzione, che dell' amore di nove anni, e di simili leggerezze, che per lui si raccontano di tanto uomo. Ma che giova a dire ? La lingua pur va dove il dente duole, ed a cui piace il bere, sempre ragiona di vini ' ( p. 46 ). Intendea con ciò il Bruni negare 1' amore di nove anni e le altre simili leg- gerezze ? Non è chiaro. Questo è chiaro, che all' Aretino non doleva quel dente che doleva al Certaldese. Non fa nessun cenno ne di Folco né di Simone, ne per negare né per affermare ; e non parla neppure di alcuna Bice, o Bea- trice. Il poeta ' fu usante in giovanezza sua con giovani innamorati, ed egli ancora di simile passione occupato, non per libidine, ma per gentilezza di core; e nei suoi teneri anni versi d' amore a scrivere cominciò, come veder si puote in una sua operetta volgare, che si chiama Vita Nuova ' ( p. 49 ). Allo stringer dei conti, dell'identità della Bice Por- tinari con la donna amata dal poeta, Leonardo Bruni, co- me già Filippo Villani, avea probabilmente dei dubbi, forse non ci credeva affatto ; ma non credette che la cosa me- ritasse qualche diligente ricerca. Era per lui un' inezia, una puerilità, alla quale lo storico non doveva neppure guar- dare. Dante, nella sua prima gioventù, come tutti gli al- tri amò, e scrisse rime d' amore ; ecco tutto. Così supper- giù anche Francesco da Buti.
Al Bruni tennero dietro, nella seconda metà del quat- trocento, il Manetti ed il Filelfo. Giannozzo Manetti ( Vita Dantii) I*oetae Fiorentini, Galletti, p. 70 ss) torna al Boc-
Giannozzo Manetti, Mario FileJfo .557
Cciccio, traducendo, parafrasando, ricamando il trattateli©. Si direbbe che, di fronte all' accusa rappresentata dall' A- retino, Giannozzo abbia voluto assumer la difesa del Cer- taldese. Ai miracoli, ai sospiri, alle lagrime, agi' impedi- menti amorosi dell' uno, il Manetti aggiunge però le bel- liche gesta dell' altro ; ma talvolta, volendo integrare, rie- sce a strane confusioni ('). Talvolta, spinto da troppo zelo, esagerando, tira a peggior sentenza le parole del Boccac- cio ; e talvolta, con le penne di messer Giovanni, Gian- nozzo fa più alto volo. Gemma Donati fu addirittura una Santippe. Quanto a Beatrice, comincia il biografo con la festa del calendimaggio, e si distende sul banchetto in casa di Folco, sulle danze, i canti, le sinfonie, e tutto il resto, come nel trattateli©, e pivi che nel trattateli©. Aveva il Manetti conoscenza diretta della Vita Xuoca? ìiion mi pa- re (-;. Ne c©uosceva probabilmente neppure il Commento
(*) Anche pel Manetti, por ck.. Dante riparò presso Alberto della Scala ; ma non ' nel primo fu<rgire ' come vuole il Boccaccio, si bone dopo 11 vano tentativo di rientrare a Firenze del 1304. Evi- dentemente Giannozzo volle completare, con la notizia del Boccaccio, la narrazione del Bruni, che dice semplicemente : * fallita adunque questa tanta speranza . . . parti d' Arezzo ed andossene a Verona, dove ricevuto dai signori della Scala, fece dimora alcun tempo '.
(-) Egli dice che è opportuno parlare degli amori di Djinte per la figliuola di Folco, ' praesertim quum ipse [DantesJ quodam librorum suorum loco praecipuam quamdam eius rei mentionem fecerit ' ( p. 71 ). Parlando della bellezza e dei costumi lodevoli della bambinella di circa otto anni, aggiunge : * quemadmodum ipse [Dantes] quodam loco scriptorum suorum manifeste testatur ' ( p. 72 ). Parlando infine delle opere di Dante, scrive : • Xam praeter solutos quosdam ryth- mos, compluresque solutas cantilenas, adolescens duo egregia opera litteris manda vi t. Horum alterum Vita I^ova, alterum vero ConAàvium inscribitur, in quibus quidem opusciilis claras quai undam cantilenarum suariuu expositiones congregavit' ( p. 81 ). Dante, se- condo il biografo, ' non multo post adamatae puellae obitum, vigesi- mo sexto aetatis suae circiter anno ( 1291 ) uxorem accepit ' ( p. 73 ).
3B8 l.a Beatrice .storica
del Boccaccio ; giacché, egli fa morire bensì Beatrice nel ' vigesimo quarto aetatis anno', ma non fa cenno alcuno del matrimonio di lei. Era proprio destino che, per la glo- ria della vezzosa Bice^ si andasse sempre più coprendo d'o- blio quel povero messer Simone, che Iddio lo abbia in glo- ria insieme alla gloriosa !
Troppo discredito s'è tirato addosso il Filelfo, con al- cune sue non saprei dire se imposture o improvvisazioni. Tuttavia, al giudizio dello studioso di Dante ed esposito- re della Commedia, non si può ragionevolmente negare un certo valore. Comunque, se al Manetti piacque tornare al Certaldese, al Filelfo piacque tornare all' Aretino. E lo segue nei rimproveri al Boccaccio ; ma intorno all' amoro per Beatrice è più esplicito e radicale. Egli crede ( Vita Dantis, FJorentiae 1828: p. 19 s ), ' fìctam esse rem om- nem ' ; che se il poeta scrisse ' ad amicam cantiones \ scris- sero, dice il critico, ' et poetae somnia, quae figurata ratio- ne majus aliquid complectuntur. Scripserant et navalia bella, et castra in liostes firmarunt, et machinas erexerunt poetarum carmina, quibus nunquam adfuerunt '. Sicché, di- ce il Filelfo, ' ego aeque Beatricem, quam amasse fingitur Dantes, mulierem unquam fuisse opinor ; ac fuit Pandora, quam omnium Deorum munus consecutam esse fabulantur poetae '. Non era molto, certamente ; ma era già qualche cosa. Ne sapremo di più, quando il Biscioni avrà per il pri- mo esaminato attentamente la Vita nuova ed il Convivio.
E qui avremmo finito. Ma alcuni critici abbandonano volentieri al loro destino il testamento di Folco e il trat- tatello del Boccaccio, Bice Portinari e Simone de' Bardi, e sostengono le sorti della tesi storica da una rocca ben
La modesta ipotesi d'una Bice fior, e la prova della Comm. 33Q
munita e non facile, per la natura del luogo, ad espugnare, quasi fuori del tiro demolitore e birbone dei rivoltosi ; co- me quel prudente capitano che non vuol compromettere r esito finale della campagna, col distrarre e disperdere le sue forze in difese e piccoli fatti d' arme d' importanza as- sai discutibile.
La prova della storicità si troverebbe nella Comme- dia. Dicono alcuni : — Lasciamo pure dormire in pace la moglie di Simone, che davvero non e' entra. Ma non si può sostenere che la Beatrice della Commedia non sia l' a- nima beata d' una fanciulla amata veramente ; e la con- corde testimonianza degli antichi commentatori, è certo qui di molto peso. Quindi, anche la narrazione della Vita nuo- va ha un certo valore storico per gli amori giovanili di Dante — .
Veramente, gli antichi commentatori, e non tutti, pri- ma confondendo, in questo particolare come altrove, il senso letterale col senso storico, poi sviandosi dietro la notizia della Bice Portinari, hanno talvolta pensato, nell' esporre la lettera, ad una donna veramente amata, che coli' inter- pretazione allegorica non ci aveva poi nulla che vedere, ed era anzi incompatibile coli' interpretazione allegorica, a cui principalmente attendevano. Il che potrebbe dimo- strare, che quell' interpretazione storica era illegittima e intrusa ; e che, nata da un pregiudizio, fu confermata da una diceria, a cui essa stessa aveva dato origine. Comun- que sia di ciò, a noi veramente importa che si tengano ben distinte le due questioni, della donna amata e della Beatrice delle finzioni. Alla questione storica, anche se ri- dotta ai minimi termini, dovrebbe rispondere la Vita gio- vanile di Dante, che noi non ci sentiamo autorizzati a co- struire sulle finzioni del poeta. Certo, è oramai tempo di uscire da questo secolare circolo vizioso : in luogo della po- sitiva notizia storica, un presupposto genera l' interpreta-
'J40 La Beatrice storica
zione storica delle poetiche finzioni ; con questa interpre- tazione poi si dimostra che quel presupposto è storicamente provato, e provato anche nelle sue particolari circostanze. Insomma, non e' è che una data interpretazione di alcune poetiche fantasie, la quale si sostituisce alla prova positi- va del presupposto che le serve di base. Ne meno vizioso è il circolo di prove corrente e ricorrente tra la Vita nuova e la Commedia : la Vita nuova, non letta o non attenta- mente letta, conferma 1' interpretazione storica della Bea- trice della Commedia ; letta e discussa, chiede alla Comme- dia la prova del valore storico del senso letterale di qual- 'che suo episodio.
Ma, benché a prima giunta possa parere strana la pretesa di chi, dalle nebbie della Vita nuova rifugiandosi nel quieto aer sereno della divina foresta del Purgatorio, pensa di trovar quivi, fra tutte quelle personificazioni al- legoriche, la prova più salda della realtà storica di Bea- trice ; tuttavia bisogna pur riconoscere che appunto la Bea- trice della Commedia, certamente allegorica, pare meno al- legorica e più reale della Beatrice della Vita nuova. E d'al- tra parte, la convenienza di veder modellate sullo stesso stampo le principali figure allegoriche del Poema, ben a ragione persuade oggi critici arguti e profondi a veder nella Beatrice di Dante la donna amata, veramente donna e veramente amata dal divino poeta.
Certo, se la cosa stésse nei termini in cui general- mente vien posta, che tutte le principali figure allegori- che della Commedia siano anche figure storiche, assai de- bolmente forse si potrebbe obbiettare qualche arzigogolo ; e si dovrebbe, allo stringer dei conti, pur riconoscere che il poeta, così nella Commedia come nella Vita nuova, volle in qualche modo ricordare i suoi giovanili amori, e glo- rificare la donna amata. Ma la cosa sta bene altrimenti. Principali figure allegoriche del Poema sono Dante, Vir-
/ simboli storici della Commedia ;ui
gilio e Catone, Lucia, Matelda e Beatrice. Che la prima triade, alla quale si può aggregare Stazio, sia di figure storiche, non è il solo nome che ce lo faccia ricordare. Le figure storiche e allegoriche insieme, nella Commedia sono ben determinate storicamente, e sol qualche tocco o con- trassegno particolare ci addita 1' allegoria. Anzi la figura storica è quel che si vede sicuramente a prima giunta, e solo le esigenze della finzione richiamano la nostra atten- zione su quel tocco o contrassegno che ci mette sulla via del senso allegorico, appena sospettato. Dante è Dante Ali- ghieri, nepote di Cacciaguida, ' florentinus natione non moribus ', e futuro ' exul immeritus '. Virgilio è Publio Virgilio Marone, ' anima cortese Mantovana ', * gloria de' Latini ', ' cantor de' bucolici carmi ', scrittor dell' Eneide, nato a Pietole, vissuto a Roma ' sotto il buono Augusto', morto a Brindisi, sepolto a Napoli. Catone è . . . Catone, a cui per la 'libertà non fu ' amara in Utica la morte '. E cosi. Stazio è 1' autore della Tebaide e dell' Achilleide. Ma, quanto alla triade donnesca, alla quale si può anche ag- gregare r Innominata ( la ' donna gentile ' che mosse Lu- cia ), la cosa è affatto diversa. Nessuna di codeste quattro * donne ' è determinata storicamente in qualche modo ; e chi vuol dimostrare che 1' una o 1' altra di esse è figura storica, non può che aggirarsi in un altro circolo vizioso : r una è figura storica, perchè le altre sono storiche figure. Cosi, per un sentimento di convenienza e di equità, si pensò di provvederle tutte, una alla volta, d'un bel titolo storico, aifinòhè nessuna rimanesse in una condizione d' in- feriorità rispetto alle compagne, ed ognuna potesse degna- mente star nella storica famiglia ; come oggi di necessità si fa senatore alcuno che, senz' esser persona parlamenta- re, venga nominato ministro. Così, dell' Innominata si fece la Vergine Maria, o Sant' Anna ; di Lucia si fece la mar- tire sirarnsana, ovvero, a scelta, la beata Lucia Ubaldini ;
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342 La Beatrice storica
di Matelda si fece ... E che non si fece di Matelda ? Si può dire che ogni dantista che si rispetta, ha la sua brava storica Matelda.; come ogni buon cabalista il suo ' colpo sicuro ', il suo bel terno secco, per ogni prossima estrazione del lotto. Grande è la ressa delle Matelde ; e più grande sarà, se cominciamo a presentare al concorso anche le Mad- dalene, Certo, nessuna storica Matelda avrà mai altro ti- tolo da far valere che il nome. Il poeta una sola volta , e in fine, chiama Matelda, la ' bella donna ' della divina foresta ; ne in tutto 1' episodio si trova altro che possa con- durci ad una identificazione almeno probabile.
Si dirà : — Sia pure così di Matelda, di Lucia e del- l' Innominata ; ma non è forse Beatrice 1' anima beata di quella Bice fiorentina che Dante amò di puro amore, e che morì in su la soglia di sua seconda etade ? Non è così di Virgilio ? non è cosi di Catone ? —
Veramente l' anima beata di codesta signora o fanciulla fiorentina, forse perchè più saggia di Virgilio, forse per- chè più beata di Catone, si comporterebbe in modo aifatto nuovo, e direi stravagante ; tanto che, a stare al senso letterale, si direbbe una pazza. Non dico che Virgilio, al solo sentire il suo nome, la chiama
donna di virtù, sola per cui L' umana spezie eccede ogni contento Da quel ciel che ha minor li corchi sui.
Non dico eh' egli parla sempre di lei come d' autorità ri- conosciuta ed infallibile:
Veramente a cosi alto sospetto ISon ti fermar, se quella noi ti dice, Che lume fìa ti-a il vero e l' intelletto.
Non so so intondi ; io dico di Beatrice.
Se In Beatrice della, Comm. sìa fUjura storica iU8
E su hi mi:i ra|;ion non ti <Usfani:i. Vedrai Beatrice, ed ella pienamente Ti terrà questa o cijiscun' altra brama.
(guanto niijion 4111 wdv. Dirti posH* io ; dn indi in là t' aspetta Puro a Beatrice, eh' ò opra di fede.
La nobile virtù Beatrice intonde l'er lo libero arbitrio.
Non dico che Lucia la chiama ' loda di Dio vera ', come riferisce essa stessa a Virgilio ; ne che i beati del cielo di Mercurio esclamano al suo apparire,
Ecco chi crescer.'» li nostri amori.
Nuli iliou lIk- il pufia la invoca :
O amanza del primo amante, o diva !
Non dico né questo né altro. Ma essa stessa dice delle cose sconvenientissime a qualunque anima beata, anzi a qua- lunque anima nata. Prima, parlando alle ' sustanzie pie ', muove al piangente e dolente poeta acerbo rimprovero d' essersi tolto a lei e dato altrui ; poi, volgendo per punta al poveretto quel suo parlare che pur per taglio era stato così acro, richiede 1' esplicita confessione di sì grave colpa ; e allora, dice il poveretto,
Confusione e paura insieme miste òli pinsero un tal si fuor della bocca, Al quale intender far m^stior le viste.
Ma r anima beata della fanciulla fiorentina ( e lasciamo stare la moglie altrui ) non si queta per questo ; e il rab- buifo continua ; e perchè quel poveretto abbia più vergo-
344 La Beatrice storica
gna ancora del suo gravissimo errore, più orrore ancora della sua vergognosa colpa, d'essersi dato altrui, d'aver rotto fede al cener dell' amata fanciulla ( e lasciamo stare la moglie altrui ), gli ricorda, pudicamente e modestamente, che mai non fu donna in questo mondo più bella né più piacente di lei ; che le sue belle membra, eccetera ; che lei morta, eccetera ; che nessuna pargoletta, eccetera eccetera. E solo tacque, quando quel misero dolente, punto dall' or- tica del pentimento, morso dal rimorso del grave fallo, cadde vinto. Insomma, dinanzi a quel mistico 'coro che tutti sanno, dinanzi a tutti i venerabili rappresentanti del Vecchio e del Nuovo Testamento, la vezzosa fanciulla fiorentina ( e lasciamo stare la moglie altrui ) farebbe una scenetta di gelosia, farebbe un piccolo schiamazzo da beata pettegola al malcapitato marito altrui, che avea fatto tanto per rivederla.
— Ma che andate dicendo ? Allora non parla soltanto la vezzosa Bice, parla anche il simbolo e al simbolo si parla. Evidentemente qua e là parla come donna reale, vissuta in questo mondo, non come simbolo. Si può tutto riferire al simbolo ? —
Ogni volta eh' io penso a codesto episodio del Pur- gatorio e ai critici realisti, mi viene innanzi, non so per quale associazione d' idee, il dialogo di Luciano tra Dio- gene ed Ercole giù nell' Ade. Certo, se di un solo Ercole si potevano fare tre Ercoli, qui della vezzosa fanciulla fio- rentina si fanno due Beatrici : una, teologica personifica- zione, parla allo sviato peccatore, stando come ammiraglio sul mistico carro del Grifone ; un' altra, anima bella di gio- vinetta fiorentina^ parla all' antico amante, oramai povero padre di famiglia, stando come torre ferma che non crolla, nella fantasia dei critici.
Parla certamente, e si parla al simbolo. Ma quando dunque Beatrice parla come un'anima beata? come tutte
Se la Beatrice delUi Comm. sia figura Hlorìca :;j.)
le anime dei defunti della Commedia'^ come Virgilio? come Catone ? Quando Virgilio dice mai parola, anche con inten- dimento allegorico, che a quell' anima cortese mantovana non convenga ? Quando Catone dice mai verbo che al ma- rito di Marzia non convenga? Quando dell' uno o del- l' altro si dice mai cosa che all' uno o all' altro non con- venga (')?
(») V.l. ( ..mi.u.tti. Vii;/. 1, 27n 2iU :i.»4 jJ;»?. 11 D" Aucoim {Beatrice, ik-Hji Iliblioteca delle Stuoie ital. Torino 1889: 1, 257 ss; v(l. !«nch«' Dol Lungo, Dal aec. ;J2:-J ; o Cian in Bull. ns. 5, 181 : o cfr. L' Aliffh.l, 211 s) osserva cho 'il nomo di Boatrico ò da Dan- to pronunziato soltanto nel colloquio con Forese ': e nota che, come quel goloso ricortla la sua Nella, Danto ricorda Heatrice ; e trova che * essi riconoscono e confessjino quanto tlebbano a cotesti loro angeli tutelari *; e desume da tutto ciò ' una nuova prova della realtà umana di Beatrice '. Veraniento, altro è il dolce e tenero ricordo della * vedovella * di Forese, altro è l' accenno, affatto indeterminato, a Beatrice : né Dante, come Forese, parla dei suoi obblighi verso il suo angolo tutelare, che poi sarebbe la moglie altrui. Dice sol- tanto: — Pochi giorni or sono, colui che va innanzi, mi ritrasse dalla vitaccia di queir aiuola che ci fa tanto feroci ; o con questa mortai soma, mi guidò por 1* inferno : or mi conduce per il purgatorio, e mi proinottc di ranni compairnia fino a tanto
Ch" lo sarò là dove Ca BeatrU-c ; Quivi fonvlen oho senza lui rimagna.
Egli è Virgilio : 1* altro mio compagno ò quoll" anima beata por cui tremò questo monto poco fa — . Corto, niente in codesto accenno a Beatrice che richiami, anche lontanamente, le parole di Forese per la sua Nella ; anzi, il poeta non dice neppure a Forese che Virgi- lio lo volse dalla selva selvaggia per intercessione di Beatrice. Chi non sjipesse altro, come niente altro poteva sapere Forese, crede- rebbe che il merito di tale conversione fu tutto di Virgilio : ed in- tenderebbe che Virgilio prometteva di guidar Dante fino alla bea- titudine, dove lo avrebbe abbandonato, perchè non era anima beata, perchè aveva fatto e faceva
346 La Beatrice dorica
E di quale colpa, di quale errore rimprovera così a- cerbamente la fanciulla fiorentina ( e lasciamo stare la mo- glie altrui ), il confuso e vergognoso e dolente e pentito e contrito marito di Gemma Donati ? Di essersi dato ad amori sensuali e lascivi dopo la morte di lei (^)? Ma, lasciando
come quel che va di notte, Che porta 11 lume retro, e sé non giova ; ila dopo so fa lo persone dotte.
Che Dante non pronunzi mai, fuor che in questa occasione, il nome di Beatrice, non ò poi vero. Anche so s' intonde del suo discoi-so diretto, Dante pronunzia quel nomo un' altra volta, nella divina fo- resta {Piirff. 82, 85). D'altra parte, il nome di Beatrice non suona mai tra i dannati ; suona due Aolte nella prima cantica ( come duo volte il nome di Yii-gilio nella terza cantica ). ma fuori della città dolente, dell' eterno dolore, della gente perduta ; e nel regno dell' e- spiazione non occorre mai se non nel suo più schietto significato al- legorico. All'accenno alla triste vita abbandonata, all'intonazione contrita dell' episodio di Forese, ben si accorda quel mostrare la guida alla beatitudine, quel nominare eccezionalmente Virgilio e Beatrice; né occorre vederci sottintesi che sarebbero del tutto cam- pati in aria.
(1) Si è fatto e si fa tuttavia un gran parlare della vita lus- suriosa e scioperata di D.inte dopo la morte di Beatrice : e si tro- vano le prove per codesta imputazione, oltreché nei rimpi-overi della Sposa del Libano, nelle Bime pietrose e nelle testimonianze di U- baldo da Gubbio ( Teleutelogio, vd. Zingarolli, La data del Telent. in Studi di leti. ital. jmhbl. da una società di studiosi, I^apoli 1899: 1,193), del Boccaccio e di alcuni antichi commentatori del Poema; nella contumeliosa tenzone con Forese ; nelle parole stesse che il poeta rivolge a quel goloso nell' incontro del Purgatorio ; nel sonetto di Guido Cavalcanti, /' veguo 7 giorno a te 'nfinite volte, nel fatto che il poeta partecipa alla pena delle anime purganti il peccato della lussuria. Lasciamo stare le Rime pietrose, che, comunque in- tese, non provano nulla ; e lasciamo stare le testimonianze dell' Eu- gubino, del Certaldese, e degli antichi commentatori, che della vita intima di Dante ne sapevano forse meno di noi. Vediamo un po' le prove dirette. La tenzone con Forese fu una volgarità pettegola e indecorosa, alla cui memoria dovea tornare con rincrescimento e
/ rimproveri di Beatrice e la lussuria di Dante 347
stare ogni altra considerazione, niente certo dovrebbe tanto valere a spiegare aì^^ •^'^ '•- finzioni allegoriche della Cnm-
disgusto il poota (cfr. D'Ovidio, Siudii. 218 da quei ve-
lenosi sonotkicci ( vd. Del Lun^o. Dino. 2, 612 ks; Duiiit ne tempi di Dante, Bologiui 1888, p. 435 ss ) qualche costrutto si cava, ò questo, che Diinte inveì contro Forese, sputandogli in viso Y origino adul- terina, i bairortli. «rli stravizi e le mariolerie ; e che Forese si sca- gliò su Dante, abbiijandogU contro eh' era un pezzente ed un vi- gliacco, e forse mordendolo velenosamente con allusioni a colpo che il nostro cotlice penale chiama peculato, concussione, corruzione. Certo è, che nelle contumelie di Forese indarno si cercherebbe puro la più lontana allusione a vita dissoluta : anzi, da qualche cenno si potreblw? desumere che Dante allora menasse vita operosa, ben- ché non decorosa nò onesta, a sentir Bicci novel. Come si possa da queir ontoso metro argomentare che Forese fu a Dante compagnone di vita scapestrata, io non ve<1o punto ; salvochè non si voglia con- tinuare a vedere in quella tenzone una burhi, un badalucco da begli umori, un palleggio di rime preburchiellesche. Né vedo bene perchè le contumelie siano propri(> di un periodo di vita che prenda nome dalla passione mondana. Neil" epismlio del Purgatorio e' è un'eco do- lorosi! di codesta tenzone abominevole, che non fu certo la sola briga che allora cercasse T Alighieri. Dice il poeta, s\'elandosi, a Forese ;
Se ti ritlncl a mente Qiul fosti meco e quale lo teoo fai. Ancor fìa ^rave II m*<morar predente. DI «luolla vita mi volse costui
• 111' mi \ .1 luiiiiiizl . . .
Qiial fosti meco, cioè comò ti comportasti con me, contro di me : Di quella cita, cioè di odii e di litigi, pettegola e volgare. Certo, cotleste contumelie, codeste l)righe non sono della inistica <idolescenza del poeta ; ina non si può dire che siano indici di un periodo di vita lussuriosa e dissolut<i. Direi piuttosto che sono escrementi d' un periotlo di vita attiva e battagliera. [Notevole un recentissimo ar- ticolo di G. Venturi. Dante e Forese Donati, nella Rie. d" It., mar- zo 1904, p. 391 ss. Xon credo però che la tenzone sia anteriore al 1293. ] E allo sviarsi e ingolfarsi nei pubblici negozi, e incanagliarsi tra i popolani del Comune, par che alluda il sonetto del Cavalcanti ( cfr. Lamina. Qtìisf. 44 <« ) ; il quale non volle mai uscire • dalla
348 La Beatrice storica
media, quanto la testimonianza chiara ed esplicita dello stesso poeta. Il quale afferma che, dopo il primo amore,
disdegnosa solitudine nella quale l'ispetto a tutto e a tutti s' ora rin- chiuso ' ; non volle, benchò, a quel che paro, stuzzicato e invitato, ' seguire sotto le vittorioso insegne dello Arti il suo Dante ', nò volle ' portare ne' Consigli del Popolo e ne' magistrati del Comune il tributo del potente suo intelletto ' ( Del Lungo, Dino, 1, 372 ). * L' annoiosa gente' fastidiva Guido, come il ' profanum vulgus ' Orazio ; ed egli pretendeva imporre la sua linea di condotta all' amico. Comunque sia di ciò, perchè bisogna bene tener nel debito conto le osservazioni del D' Ovidio [Stndii, 202 ss), il Cavalcanti non rimproverava certo a Dante la vita mondanetta, della quale egli stesso era buon campione. Resta l'ultimo indizio di prova, il partecipare alla pena dei lussu- riosi. Ma anche qui si tratterà del solito caso di daltonismo. Danto e Virgilio e Stazio andavano ad uno ad uno ' dal lato schiuso ' della cornice dei lussuriosi, perchè fiamma di quoll' incendio non li assa- lisse ; o Danto poi si teneva cosi stretto al ciglio della cornice, che temeva di cader giii. Attraversa bensì, con Virgilio e Stazio, per entrare nel paradiso terrestre, quel muro di fuoco che chiude il passo a tutte le ' anime sante ' del regno dell' espiazione ; ma, ben- ché non vi siano, come pare, netti confini tra le fiamme della cor- nice dei lussuriosi e questo fuoco che sequestrava Dante dalla bea- titudine, tuttavia si tratterà di ben altra figurazione ; cfr. Piirg. 9, 19 - 33 ; e vd. Buti, 2, 116 e 202. Corto, nessuno può penetrare nella divina foresta ' se pria non morde ... il fuoco '. Il poeta, d' altra parte, non si accusa di lussuria, ma d' invidia e di superbia (Fun/. 13, 133-138); e non sopporta tormento nella cornice dei superbi, né in quella degl' invidiosi, perchè 1' espiazione è por lo sole anime dei defunti. Adunque, se non si vuole assolvere Dante, né per ine- sistenza di reato, né per non provata reità, si ordini almeno un supplemento d' istruttoria ; ma si eseluda ad ogni modo che a vita lussuriosa e dissoluta alludano i rimproveri di Beatrice. Affatto gratuita è poi la supposizione che Beatrice, nel canto trentesimo, rimproveri al poeta colpe diversissime, di senso e d" intelletto. Una è la colpa rimproverata, lo straniamonto ; il quale, poco per volta, condusse Dante tanto giù che, per salvarlo, la loda di Dio vera dovette visitar 1' uscio dei morti, e lasciare nell' inferno le sue ve- stige ( vd. Fornaciari, SfiKÌj. 17.') ss).
Di quale strania menfo parli ftenipre il poeta 349
s' accese dell' amor filosofico, e che 1' amor filosofico scacciò Beatrice dalla rocca della sua mente, e che in questo suo secondo amore errò. Questo, non altro, è lo straniamento di cui parla sempre il poeta ; e nessuno dirà eh' egli, nel- r episodio della divina foresta, voglia smentire le dichia- razioni del Convicio ; eh' egli, nella Commedia, voglia dis- adonestare il preteso adonestamento della donna gentile della Vita nuoca.
Del resto, nella stessa Commedia è chiarita ogni cosa. Dopo il rabbuffo, il pentimento e le trasformazioni del Carro, chiedeva il poeta a Beatrice:
Ma percliì' Uinto gopra mia veduta Vostra parola desiata vola. Che più la perde quanto più h' aiuta?
E Beatrice,
Perchè eonoschi, dinso, quella scuola Ch' di seguitata, e veggi sua dottrina Come può seguiliir la mia parola :
E veggi vostra via dalla divina Distar cotanto, quanto si diaconia Dm terra il eiel che più allo festina.
Ma il poeta, che aveva bevuto dell' acqua di Lete, ob- biettava :
Non mi ricorda Ch' io straniassi me giammai da voi Né henne coscYenza che rimorda.
E Beatrice,
E se tu rlcord.tr non te ne puoi, Sorridendo rispose, or ti rammenta Come bevesti di Lete ancoi ;
E se dal fummo foco s'argomenta, Cotesta oblivion chiaro conchiude Colpa nella tua voirlia altrove attenta.
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350 Tm Beatrice storica
Se non si pensasse che le più semplici questioni dantesche s' ingarbugliano spesso maledettamente per uno sciocco pre- giudizio, non si saprebbe spiegare come mai alcuni si siano messi in testa che qui Beatrice rimproveri al poeta una nuova colpa, ben più grave della colpa per taglio e per punta già colpita. Qui, nessuno dovrebbe negarlo, si tratta dello straniamento dalla Beatrice allegorica : si parla non solo di ' scuola ', ma di ' dottrina ' che non può seguitar la parola della ' loda di Dio vera ' ; si parla di via umana e di via divina ('). Ma lo straniamento qui ricordato, non può esser diverso dallo straniamento già rimproverato. Al- trimenti bisognerebbe conchiudere, che il rimprovero più grave Beatrice si riserbò di farlo per incidenza e quando Dante non poteva più pentirsi, perchè non poteva più ricor- dare il fallo stesso ; e che 1' alto fato di Dio era stato rotto, perchè lo straniato avea passato Lete e gustata tal vivanda senza alcuno scotto di pentimento ( cfr. Bull. ns. 9, 33).
Più volte ho pensato che è poco probabile che Dante non abbia lasciato nessuno spiraglio da cui si possa ve- dere, come due e due fanno quattro, che Beatrice è una figura meramente allegorica.
(*) Cfr. Scrocca. // pece. 8 s. Dico Virgilio a Stazio ( Pnrff. 21,31):
fili tratto fuor cloU" ampia Rola D" Inferno, por mostrargU, o mostreroUi Oltre, quanto 11 potrii menar mia scuola.
Inclinei'ei u vedovo adombrata unii figurazione dello straniamento di Dante, anche noli' ' oblio ' in cui, nel cielo del Sole ( Par. 10, 00 ), ' ecolissò ' nella mente del poeta Bealrico. ohe quoista volta ne rÌKo.
È Beatrice nella Comm. V anima d'una donna morta.' xa
È Beatrice, nella Commedia, V anima beata d' una don- na morta?
Certo, la prima volta che Virgilio parla di lei, la chiama ' anima ' :
Anima fi» u ciò di me più degna, Con lei ti lascerò nel mio partire.
]\[a, lasciando stare che qui la voce ' anima ' occorre per una specie di attrazione del comparativo, non bisogna di- menticare che * Amore è forma di filosofia, e però ... si chiama Anima di lei ' ( Conc. 3, 13, 109 ).
Essa è ' beata ' ; lo afferma Virgilio, fuor della valle dolorosa :
E donna mi chiamò beata e bella.
Ed anche nel (aiucìcìo ( 2, 2, G ; 9, 53 ) il poeta la chiama 'Beatrice beata'. !Ma, anche la Fortuna è 'beata' (/»/". 7, 94 ) ; e se Beatrice ' vive in cielo con gli angioli ', come si legge nel Conricio e si vede nella Commedia, anche la Fortuna vive ' con V altre prime creature lieta ', e come le altre Intelligenze, è ' ministra e duce '.
Resta dunque a vedere se si tratti d' una defunta. Le anime dei defunti, uomini o donne, non sono mai chia- mate né uomini né donne. Virgilio dichiara subito che non è più un uomo:
^Xon uomo, uomo già fui.
' Donna ' invece è sempre chiamata Beatrice, come ' donne ' son sempre chiamate le personificazioni allegoriche (*). Vero
(1) 'Donna', Beatrice: ////. 2. óìì : 2. /•» "donna di virtù*; 1.), 90 : Piirg. 1, 53 ; 26, 59 : 30, 32 : 30, (M : 30. 96 : 32. 122 : 33, 29 • Ma- donna ' : Por. 2, 46 • Madonna ' : 4, 134 : 5. 94 : 7, 11 : 8. 15 ; 8. 41 : 10. 93 ' bella donna '. cosi chiamata da s. Tommaso : 14. 84 : 15. 32 :
352 La Beatrice storica
è bene che Piccarda ( Par. 3, 98 ) chiama ' donna ' s. Chia- ra ; ma in questo caso, affatto eccezionale del resto, si po- trebbe vedere come un riferimento alla donna, all' archi- mandrita, alla guida terrena, piuttosto che all' anima di quella ' pianticella spirituale ' di s. Francesco. ' Donna ', ' Nostra Donna', e 'Donna del cielo', è anche chiamata la Vergine ; ma la Vergine è stata sempre chiamata così ; né ad alcuno è mai venuto in mente d' invocare la Madon- na, chiamandola anima della madre del Redentore. Del re- sto, Maria fu assunta in cielo con tutto il corpo, e bene è anche donna in cielo (').
17, 7; 17, 114; 18, 4; 21, 2; 22, 100; 23, 10; 24, 82; 25, 16; 25, 110 ; 25, 115 ; 2G, 10, da s. Giovanni : 20, 68 ; 26, 82 ; 26, 119 • tna donna ' ; 27, 76 ; 28, 40 ; 28, 61 ; 28, 88 ; 31, 56 ; 31, 79 ; 32, 137 ' tua donna '. Cfr. Far. 27, 88 ' La monto innamorata, che donnea Con la mia donna sempre . . . '. con Par. 24, 118 ' La grazia, clie donnea Con la tua mente . . . ' ////. 2, 94 ' Donna gentile ', F Innomi-
nata ; 2, 124 ' tre donne benedette ', le tre Grazie ; 10, 80 ' donna che qui [ noli' inferno ] regge ', Proserpina ; 19, 57 ' bella donna ', la Chiesa di Eoma ; 32, 10 ' donne ', le Muse ; Fitrfj. 1, 91 ' donna del cielo'. Virtù, Grazia divina (cfr. v. 68, Beatrice); 9,55 'don- na ', Lucia ; 9, 88 ' Donna del cielo ', Grazia divina ( Lucia ) ; 19, 7 ' femmina balba ', la Sirena ; 19, 26 ' donna santa e presta ', la Ra- gione ; 28, 40 ' donna soletta ', Matelda ; 28, 43 e 148 ' bella donna ', Matelda ; e così, ' donna ' e ' bella donna ', Matelda, in più luoghi ; 29, 121 'tre donne', le Virtù teologali; 29, 180 'quattro [donno]', le Virtù cardinali ; e così, ' donne ' e ' sette donne ', le sette Virtù, 32, 25, e 33, 3, e 33, 109 ; Far. 11, 58 ■ donna ', la Povertà ; 20, 127 ' tre donne ' le Virtù teologali.
(1) Cfr. Far. 25, 127. Non credo che a codesta mia argomen- tazione si vorrà anche obbiettare, che il poeta parlando di anime di defunti dice ( /«/. 4, 29 ) che erano • turbe ... Ed' infanti e di femmine e di viri ' ; qui si parla della loro apparenza, della lor va- nità che par persona. Dice infatti Virgilio: 'Tu non dimandi Che spiriti son questi che tu vedi?' Né maggior valore avrebbe l'altra obbiezione, che il poeta dice d' avere intoso ( ////. 5, 71 ) ' Nomarlo
Indici della pura allegoricità
Comunque, Beatrice è anche chiamata ' diva ' ( Par. 4, 118 ). Ma ' diva ' è chiamata la Musa { Par. 18, 82 ), e ' dei ' le Intelligenze come la Fortuna ( Inf. 7, 87 ), e ' tre dee ' tre ordini di Angeli ( Par. 28, 121 ), e ' dee ' le Virtù teologali ( Purg. 32, 8 ), che, come le cardinali, sona an- che chiamate * vergini ' e ' sorelle ' di Beatrice ( Purg. 33, 7 e 11 ). E qui non vi sono eccezioni.
Un altro indizio che Beatrice non è 1' anima d' una morta, si potrebbe vedere in ciò, eh' essa parla della re- surrezione della carne come se non dovesse, con tutte le anime beate dei defunti, partecipare a quella novissima gloria ( Par. 7, 142 - 148 ; 14, 13 - 18 ).
Non mi pare poi che sia da esagerare la portata del fatto, che Beatrice ha nel * convento delle bianche stole ' il suo scanno. Veramente, ella siede * con l' antica Rachele ' ( Inf, 2, 102 ; Par. 32, 8 ) ; e la cosa è già un po' inde- terminata. Tuttavia, nel convento delle bianche stole e' è anche il simbolo della potestà imperiale al posto dell' alto Arrigo, che è ivi aspettato. Or chi ci assicura che il poeta, ' figli uol di Grazia' (Par. 31, 112), non avrà voluto con la figurazione di Beatrice nella Rosa celeste, presentarci un'altra faccia del suo bai prisma? chi ci assicura ch'egli non avrà voluto porre nel seggio che vagheggiava a se riserbato, il simbolo della sua teologica Musa ? i simboli di quella sua Grazia divina, al cui piacere egli pregava che r anima sua un giorno si liberasse dal corpo ? Certo, r indeterminatezza della figurazione ben si attaglierebbe a tale intendimento riposto. La congettura è un po' cam- pata in aria ; ma intorno a codesti indovinelli allegorici, quante ipotesi hanno più solido fondamento?
donne antiche e i cavalieri '. K^ella rassegna di quelle anime ( ' ani- nime affannate ' chiama il poeta due di quelle ' ombre ' ) si dice eh' es- se furono, non sono, donne e cavalieri.
354 La Beatrice storica
E qui abbiamo veramente finito. Ma non oso dire che sia finita la questione di Beatrice. Vorrei soltanto sperare che, in sede di critica positiva, si finirà, un giorno o l'al- tro, di trattar 1' ombre come cosa salda ; e che, dopo que- sta mia qualunque fatica,
con miglior voci Si pregherà perchè Cirra risponda.
NOTE AGGIUNTE
NOTE AGGIUNTE
ALLA PARTE PRIMA E SECONDA : L' EPISODIO DELLA DONNA GENTILE, Il senso LETTERALE E l' ALLEGORIA ]
Paride Chistoni ( La seconda fase del pensiero dantesco. T^ivor- no 1903 ) afferma, che la Vita nuova e il Conricio sono ' frutti ben diversi di duo diversissime età ' ( p. x ) ; che è ' accertato e indi- scusso che osso sono state concepite e distese in due diversi mo- menti dello svoljrimento psichico del compositore ' ( p. 9 ) : che * il periodo nello scritto giovanile non è plasmato, non è pieno e saldo come neir opera filosofica ' ( p. 68 ) : che insomma la Vita nuora fu scritta prima, e il Conriiio fu scritto dopo. Il che nessuno invero ha mai negato, ila nessuno può consentire alle deiluzioni del cri- tico, che la donna gentile e pietosa della Vita nuova non è la Fi- losofia del Conririo, neppure per il preteso posticcio adonestamento, e che lo rime allegoriche sono posteriori al libello, per confessione dello stesso poeta. Il critico confonde la prosa costruttiva della Vita nuora con la prosit esegetica del Conririo, e confonde le rime del Conririo col commento alle rime stesse. Egli crede che sia di Dante r ' asserzione che, soltanto dopo aver messo insieme questo libretto [ la Vita nuora ] e dopo la morte di Beatrice, egli [ Danto ] siasi dato allo studio dei elassici e dei filosofi antichi ' : e che lo stesso poeta confessi la ' scarsità delle sue cognizioni durante il periodo della composizione della Vita Xuova ' ( p, x ). Quindi, nessuna ma- raviglia se egli, con moltii sicurezza, conchiude : ' la seconda fase è rappresentata dal Convivio e dalle rime allegorico - morali, ed ebbe inizio quando, dopo Ijì morto di Beatrice e la composizione della Vita Xuova. 1' Alighieri si diede a consultare i dotti capola- vori del tempo, distesi nella lìngua delle Scuole, gli autori greci nello traduzioni latine, ed i chissici romani nella lezione originale * ( p. X - XI ). Codesto afferma risolutamente il critico nella Lettera - prefazione, codesto va ripetendo per tutto il volume. Ma il ragio- namento riposa suir equivoco. Dante dice bensì di essersi dato agli studi filosofici •alquanto tempo* dopo la morte di Beatrice, ma non
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dopo di avere scritto la Vita nuova ; anzi vuole che il poriodo dogli amori filosofici sia adombrato noli' episodio della donna gentile della
Vita nuova ; e, stando allo sue affermazioni, quando scrisse la Vita nuova aveva almeno letto Boezio e Tullio, e aveva anche sci-ìtto le canzoni allegoriche del Convivio. Altro è negar fede alle affermn- zioui del Convivio, altro è travisarle. E so siamo sempre da capo, è meglio far giustizia sommaria di tutta la farraginosa letteratura dan- tesca, e non pai-larne più. Nò pili saldo fondamento ha 1' altra affer- mazione del critico, che Diinte, quando scriveva la Vita nuova, era quasi un mezzo analfabeta. Egli desume tal corollario dalle parole del Convivio (2, 13, 22) : 'E avvegnaché duro mi fosse prima entrare nella loro [ di Boezio e Tullio ] sentenza, finalmente v' entrai tan- t' entro, quanto 1' arte di grammatica eh' io uvea e un poco di mio ingegno potea fare ; por lo quale ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea : siccome nella Vita Nuova si può vedere '. Buo- ne sono corto le osservazioni dello Schedilo {^Alc. cap. 448 s), a coiestb luogo del Convivio, che a torto il Chistoni rifiuta. Le pa- role dell' opera temperata e virile, intese con discrezione, non di- cono altro che questo : che, prima degli studi filosofici ( quindi pri- ma della morto di Beatrice, non già prima della composizione della
Vita nuova ), Dante vedea vagamente, quasi come sognando, certe verità, che poi, leggendo Cicei-one e Boezio, vide ad occhi aperti. Se dunque egli dice, che nella Vita nuova si possono vedere co- deste verità sognate prima della morte di Beatrice, bisogna inten- dere eh' ei si riferisca alle rime della Vita nuova anterioi'i all' epi- sodio della donna gentile ( cfr. Bull. ns. 10, 318 ). Che fantasia è questa di far come la mula di Florimonte, che, come ricorda lo Scherillo,
Dal più profondo e tenebroso contro Dove Dante ha alloggiati 1 Bruti e 1 Cassi,
faceva nascere i sassi pel gusto di darci dentro ? e che vantaggio vi ò nel sostituire alle pretese contradizioni tra la Vita nuova e il Convivio, altre pretese contradizioni tra una pagina e 1' altra, anzi tra un periodo e 1' altro d' uno stesso capitolo del Convivio "ì Ma cosi non la finiremo più. Il Chistoni trova (p. 18 n), che il Convivio non deroga, ma, g i o a' a alla Vita nuova, ' per la medesima ragio- ne .. . per la quale 1' Otello del Verdi non deroga affatto alla Tra- viata, anzi le giova, mostrando 1' evolversi di un grande genio mu-
sicjile ; ma i criteri niflotlici o annoriici ( airfjiiingo ) che ci guidano nollo etudio dt'll' un* opera non valtrono pret'isjimentf» por 1' altra. Si tratta di due maniere ! ' Ma, con buona pace del Chistonì, è proprio rairionando cosi che arriveremo a capir qualche cosa dello figura- zioni di Dante ?
Ma il critico ha provo ponitivo o dirette per dimostrare che Dante, quando scriveva la Vita nuora, era ancora uno scolaretto di ginnasio. Nega il Chistoni ( p. 45 bs ) che sia da far conto dell* e- rudizione astronomica che ostenta il poeta nella Vita nuora. Non si può dire, osserva il critico, che allora Danto conoscesse Alfra- gano, perchè ' nella Vita Xuova non si trova citato lo scrittore a- raho ' ; quello notizie astronomiche, egli avverte, si trovano anche nei Metafisici commentati da Alberto Magno, si trovano anche nella Teorica dei pianeti di Alpetragio, si trovano anche nella ' spiega- zioìie dei libri de Cacio et Mundo^ di s. Tommaso. Dunciue parreb- be che, so non Alfragano, .siirà stato Alberto Magno, Alpetragio, o 8. Tommaso. No, signore : neppure Alpetragio ! • Dante molto pro- babilmente, qualora si voglia tener conto, intendendola a dovere, della sua stessa confessione al e. 13°, tr. II del Convivio, non era in grado, quando poneva mano a narrare le suo avventure amorose, di capire dimostrazioni «istronomiche, tanto più se esposto in lingua 1 a t i n a ' ( p. 49 s (. Si tratterà dunque di ' qualcuno dei compendi scolastici del tempo ' : •■ ■ iniìne, osserva il critico, bi- sogna sempre tener conto di quel patrimonio comune a tutta un' etfi, composto di apoftegmi, proverl)i, nozioni scientifiche che corrono sulle bocche di tutti ' ( p. 50 ). Insomma, l' astronomia della Vita nuora sarà stata, sul cader del dngonto a Firenze, come oggi La rifipa Teresa, Chi cammina con io zoppo impara a zoppicare, La terra è rotonda, e simili. Lo stesso si dica della citazione della Metafisica di Aristotele ( VX. 41. 23), e di qualche altro 'riferimento A^ago' a dottrine filosofiche ( p. 52 ss). Nel paragrafo 25 del disgraziato li- bello, vedo il Chistoni ' termini trascritti senza variazione alcuna da un compendio di stilistica ' ( P> 58 ). Dante, secondo il critico, non era allora neppure molto forte nel suo latinuccio da scolaretto : giacché, i ' brani latini ' che nella Vita nuova occorrono, ' eviden- temente messi insieme dall' autore stesso, non brillano corto per e- loganza e non mancano di solecismi ' ( p. 04 |. Sicché, se Dante a 27 anni non intendeva bene il latino del De amicitia, e non era ' molto pratico neppure nella parte grammaticale della lingua lati- na ( p. 60 ), e ' slatinoggiava ' scrivendo in un Uitino • sgrammati-
•*^ìO Note a r; c; i r x t k
caio ' quello suo proposlzioncoUo con cui lardellò Li Vita nuova : si può concliiudore cho non doveva avere neppure quel po' d' inge- gno eh' egli si attribuiva ; perchè allora appunto gli ora saltata la fantasia di scrivere epistole in latino ai principi della terra, ed aveva anche la sciocca pretensione di potere scrivere la Vita nuova in la- tino. ' Povero Dante ! dirò anch' io col Chistoni ( p. 45 ) ; e dire che è campato meno di Matusalemme ! '
Quanto al senso letterale ed all' allegoria, il critico divido, sud- divide, distingue, e definisce. Avremmo, da una parte 1' allegoria retorica, e dall' altra parte 1' allegoria filosofica ; poi avremmo, da un lato r allegoria filosofica fantastica, e dall' altro lato 1' allegoria filosofica reale ; e poi avremmo, per un verso 1' allegoria filosofica reale teologica, e per un altro Aderse 1' allegoria filosofica reale poe- tica ( pp. XII e 197 s ). Ed io credo cho si potrebbe continuare ; ma senza cavarne alcun costrutto. A ogni modo, ecco le conclu- sioni del Chistoni : 1' allegoria della Vita n uova è retorica , quel- la del Convivio e della Commedia è filosofica reale poetica. Ma cho cosa intende il critico per allegoria retorica 'ì Tina ' metafora pro- tratta, quale viene definita ed esposta in tutti i trattatolli reto- rici ' ; per esempio, dice il Chistoni, ' nel proemio della Vita Nuova per relazioni di similitudine la memoria ò assomigliata ad un libro, formandosi perciò una metafora ; questa poi viene continuata col discernimento di due parti nella memoria, e di conseguenza nel li- bro, poiché nell' una si addita un punto culminante, al quale nel- 1' altro corrisponde una rubrica ' ( p. 73 s ). Ma con buona pace di ' tutti i trattatelli retorici ' dei nostri tempi leggiadri, codesta non è allegoria, cioè ' alieniloquium ' ; è un parlare ordinario per simi- litudini. Dicendo ' nel libro della mia memoria ', non si vuole dire altro che, ' nella mia memoria che è come un libro '. Qui non e' è un altro intendimento, dunque non c'è allegoria. Ma non è la stessa cosa per l' indovinello del cuore mangiato. ' Amore perso- nificato, spiega il Chistoni, ha tra le braccia Beatrice, il cui son- no ne raffigura, per metafora, l' inconsapevolezza ; que- gli ha in mano un cuore ardente, quello del Poeta, e ciò, per metafora, significa grande affetto, mentre il tenerlo in ma- no Amore è indizio, sempre per metafora, della sua potenza. Così ( conchiude il critico ) continuando nell' analisi di que- ste fantastiche visioni, troviamo che, fondate principalmente sul pri- mo traslato e sulla prosopopea, diventano poi allegorie, che noi chia- miamo retoriche ' ( p. 74 ). Ma, lasciando stare che la prosopopea
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non ò inotafora, o che Danto non proponova corto ai fedeli d' a- moro la soluzione d' una ' protratta metafora ' ; come mai si può diro che il sonno di madonna ^ raffigura * questo o quello, ' per meta- fora ' ? che il cuor*.* ardent*' * significa' quello o quell'altro, 'per mot^ifoni ' ? e che cosa è un * indizio per metiifon* * ? La vera sen- tenza di quella A'isiono non è nella letifera, nel significato proprio o tr.uilato dei vocaboli e nel loi-o nesso logico, ma bisogna cercarla sotto la lettera : dunciuo abbiamo una vera allegoria. E che cosji è poi pel Chistoni la vera allegoria, cioè l' allegorismo, cioè l' allegoria filosofica ? * L' allegorÌ!>mo. egli scrivo ( p. 80 s |, o allegoria filoso- fica, è datii dalla figurazione per mezzo di un essere umano, o con- siderato comò tale, di un concotto superiore, al quale si saio per una scala omogimea. di modo che questo contiene quello nella sua estensione e ne è contenuto nella comprensione. Por esempio Cji- tono ò rappresentiizione allegorica di Dio '. Ma, anche stando alla definizione del critico, perchè madonna dormente nello bntccia d' A- raore non può essere rappri-sontazione allegorica di qualche con- cetto superiore ? perchè manca forse la scala omogenea ? ovvero perchè il senso letterale * dove contenere un avvenimento realmente accaduto per poterne poi significare un altro ' ( p. 216 ) ? E non è apertamente negatii dallo stesso poeta 1' affermazione del critico ( p. 20(i I, che ' por Dante non vi può essere allegorismo otl allegoria filosofica senza fondamento di senso storico o letterale, che inchiu- da realmente un' assolut;i veritii ' ? [ Cfr. Bull. ns. 10, 322. ] Ma la vei"a rsigione che persuade il Chistoni a negar recisamente che nella Vi/a nuora vi sia un' allegoria vera e propria, è questa : Dante ap- prese r allegorismo dopo la composizione della Vita imoca, secondo la profonda convinzione del critico ( p. 92 ss ) : solo allora egli * ap- preso la teoria dei quattro sensi principali ' ( p. 142 : cfr. p. 195 s ) ; egli, * nel tempo che riordinava 1' operetta amorosa, era completa- mente allo scuro del metodo allegorico ', perchè era ' la teoria al- legorica propria esclusivamente, come affermano Planciade ed Ugo da San Vittore, di gente dotta o familiare coi misteri della scien- za ' ( p. 202 |. Tuttavia, checche dica Planciade. il poeta vuole che la canzone allegorica Voi che intendendo sia stata scritta prima della Fifa nuora. Del resto, si richiedeva grande dottrina per 1' esegesi allegorica, specialmente dell' Eneide e della Bibbia, non già per imbastire qualche allegoria. Certo, è più facile fare un indo- vinello che risolverlo, come è più facile imbrogliare una matassa cho dipanai'la.
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Il Chistoni, pur tenendo separati i dati cronologici della ViLi nuova e del Conviiio che si riferiscono all' episodio della donna gen- tile, vuole che la famosa rivoluzione di Venere ' in quello suo cer- chio che la fa parere serotina e mattutina ', non sia la rivoluzione neir epiciclo, ma la rivoluzione nel circolo eccentrico ( p. 21 ss ) ; la quale, dice il critico, ' più nota dell' altra, al suo tempo veniva di- versamente computata, oscillando la sua durata fra i dodici mesi calcolati da Tolomeo e quindi proposti da Alfragano e i dieci va- lutati da altri e propugnati dal Doctor universalis ' (p. 38). Il Chi- stoni poi starebbe per i dieci mesi del Doctor universalis. Ma an- che questo è affatto arbitrario e contradetto dallo stesso poeta nello stesso Convivio { 2, 6, 136 ) : dei tre movimenti di Venere, il secondo, quello * secondochè lo epiciclo si muovo con tutto il cielo ugual- mente con quello del sole ' ( cioè per F eccentrico o deferente ), si compie evidentemente in un anno, non in dieci mesi ; e quel che più importa, non è questo il movimento per cui la stella di Venero appare serotina e mattutina, ma il primo, quello ' secondochè la stella si muove per lo suo epiciclo ', perchè è 1' epiciclo appunto il ' suo cerchio ' ( cfr. Bull. ns. 10, 315 s ).
A proposito dei sette mesi e novo giorni del Dottrinale di Ja- copo Alighieri, il Chistoni ( p. 37 ) fa proprio lo ipotesi che si leg- gono qui addietro ( p. 71 s ). Devo certo compiacermi della con- cordanza ; ma devo anche aggiungere, che non mi pare oggi ve- rosimile quello che io stosso ho scritto e che il Chistoni ha scritto, nello stosso torno di tempo, quasi con le stesse parole ; cioè, che il passo di Alfragano sia stato inteso cosi, che • Venere percorre il suo epiciclo in un anno persiano, cioè in sotte mesi e nove giorni'. Oggi direi che è più probabile che quell' ' anno persico ' sia stato letto 0 inteso come un genitivo ; così : ' Venere si volge nel suo epiciclo in sette mesi d' anno persico e novo giorni ', 11 mese dell' anno per- siano era di 30 jjiorni.
Pier Angelo Menzio ( // traviamento intellettuale di D. A. .se- condo il Witte, lo Scartassini ed altri critici e commentatori del se- colo XIX, Livorno 1903 ; vd. Bull. ns. 10, 220 s ) credo che la canzone Voi die intendendo ' sia stata scritta por una donna vera, e che solo più tardi, por quei inotiAÙ che tutti conoscono e che il Poeta ci dico chiai'amonto in molti luoghi del Convivio, co n' abbia voluto amman-
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nire una intorprotazion»' iiiriirata '. Ma il nuoro miscredente muove un' ol)l»iezione che si riconnotto all' osservazione che il lettore di qu«>- sto mie panine già conosco. ' Se il pensiero, dico il Menzio, che caccia la memoria di Beatrice ò quello che parla di madonna Filosofìa, tutta la canzone è un non senso : perchè, (juale opposizione vi poteva es- serti tra madonna e la memoria di Ht>atrice?' Giusta l'osservazio- ne, non <riusta la deduzione alla rovescia. Invece di negare che la canzone è allegorica, avrebbe dovuto il Menzio, come gij'l il Lubin ed altri, riconoscere che la lotta non è tra la memoria d' una morta e la iìlosofìa, ma tra la Beatrice allegorica e 1' allegorica madonna Filosofia. Nò vedo d' altra parte, come si passjino accetUiro lo os- servazioni che all'obbiezione del Menzio fa il Barbi: 'Non giudi- chiamo, egli scrive, st>condo la comune psicologia, ma secondo il sentimento e il pensiero di Dante. Egli viveva del ricordo di Bea- trice, e si studiava di giungere a dire di lei ciò che non fu mai detto d' alcuna : qimnd' ecco il desiderio della scienza farsi tale da cacciare e distruggere ogni altro pensiero, anche quello cosi soave che « solea esser vita de lo cor dolente ». Perchè ha da essere un « non senso » la poesia che narri simile contrasto? È esso invero- simile perfino come invenzione poetica?' Dato e non concesso che Dante jilhn-a. e non dopo Titmore alla pietosji e gentile, e non dopo il ritorno alla gentilissima, studiasse per diro di Beatrice quello che non era stato detto d' alcuna, come mai lo studio filosofico si trova- va in contrasto, era avverso alla Bt^atrice indiata? Che cosa stu- diava allora Dante per glorificar Beatrice?
Francesco Flamini ( / significati reconditi delia Commedia di Dan- te e il suo fine supremo. Parte prima. Preliminari — // celo: la fin- zione. Livorno 1903 ) ha l)ello osservazioni sulT importanza e sul- r uso dell' allegoria nel medio evo, e sulla necessità di considerare la Commedia come un poema allegorico - didattico ( pp. 4 - 18 ). Cre- do però che, quanto all' interpretazione dei simboli e delle allegorie del divino poema, gli antichi commontiitori valgano più di quel che il Flamini non si mostri disposto a riconoscere ( pp. 27 - 33 ). Non dalle definizioni bene o male intese del resto, né dal generalizzare una norma bene o male desunta da qualche piccolo esempio d' al- legoria, dovremmo oggi sperare ajuto o lume nel rintracciare la vera sentenza degli appiaUamonli e travestimenti danteschi ; ma
B64 Note aggiunte
dal renderci familiare 1' esegesi allegorica, specialmente dell' Eneide e della Bibbia ; e dal meditar, senza preconcetti, sulle concezioni al- legoriche del medio evo. Impresa certo non facile, oggi meno che mai.
Quanto alla disperata questione del senso letterale e del senso allegorico, il Flamini ( pp. 33 - 44 ) ben distingue V allegoria dei teologi dall' allegoi-ia dei poeti ; 1' una fondata sul senso letterale storico, 1' altra sul senso letterale fittizio. Sarebbe tuttavia bene av- vertire, che 1' allegoria dei teologi non è concezione allegorica, ma esegesi allegorica ; e che neppure per i teologi il senso letterale è sempre storica A'erit.à. In un punto, e dì capitale importanza, non so tuttavia acconciarmi alle conclusioni del critico. Egli non considera come allegoria lo smarrimento del poeta nella selva, e quindi né la selva selvaggia ne il dilettoso monte ; il velo comincerebbe, nella Commedia, con gì' impedimenti, con le tre bestie illustri. Ma codesta distinzione delle figurazioni del canto primo, sarebbe cosa di poco conto, se il critico, considerando gli ' antefatti dell' azione ' come espressi pur nella lettera, cioè senza alcun lelo^ fuor d' allegoria, non venisse a questa importante conclusione : che i rimproveri di Beatrice nei canti 30 e 31 del Purgatorio, non sono ' bella menzogna '. ma ' verità ' ; sicché ' il senso letterale, dice il Flamini, quivi non si può dir velo, ma vero, ed un senso allegorico come lo intende Dante, cioè « secondo che per li poeti é usato », quivi non può aver luo- go '. Beatrice, aggiunge il critico, ' non finge, ma solo parla, dirò ancora coli' Alighieri | VN. 25, 77 ] « sotto veste di figura o di co- lore retorico », come usano i poeti ; onde le sue parole, dinudate « da cotal vesta », debbono avere « verace intendimento » secon- do la 1 e 1 1 e r a ' ( p. 50 8 ). Ma lasciando stare che il Flamini in- tende le parole del paragrafo 25 della Vita nuova forse come le in- tendeva il Balbo, cosa che a me, come già al Perez ( Beatrice, 67 s ), pare assai strana ; come si concilia il lùmprovero di straniamente * dei canti 30 e 31 del Purgatorio, che sarebbe fuor d' allegoria, col ricordo dello stesso straniamente, certo fuor d' allegoria, del canto 33 ? Il Flamini compone la cosa smussando gli angoli : ' 1' Alighie- ri, egli scrive, in un periodo della sua vita tenne condotta disformo da quella che più tardi si persuase convenire all' uomo conscio de- gli alti suoi fini, e che prima della morte dì Beatrice avea tenuta. Perciò, qu.ando la sua donna salita « di carne a spirito » nari-a a- glì angeli di averlo alcun tempo menato « in dritta parte volto » col mostrargli i propri « occhi giovinetti », e fa loro sapere eh' e-
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iiìi dopo la morte di lei, volti i passi « per via non vera », « giù cadde » tanto che non e' era per salvarlo se non un mezzo, distan- do codesta via, cioè la via del mondo, da quella di Dio
i|uanto ni discorda «la tiTi-a il old ohe più alto fosfina.
olla non fingo ... E nel fatto significano [ lo parole di Beatrice ] che Dante, guidato verso la salute doli' anima dalla bellezza, fuori tralucente, doli' anima della sua donna, tosto che questa fu sparita da' suoi occhi, si dcHte alle cure o dilettazioni del mondo, e fini con accostarsi molto alla perdizione' (p. óO ss). Ma il raccostjimento del rimprovero dei canti 30 e 31, al ricordo del canto 33, legittimo e naturale nel senso allegorico, nella lettera è coartato e falso. Beatrice prima rimprovera al poeta di essersi tolto a lei o dato altrui, di a- vore amato, dopo la morto di lei, alcuna pargoletta o altra vanità, con manifesta allusione allo straniamento della Vita nuora : poi, fuor d' allegoria, gli ricorda non solo che la via del mondo discorda da quella di Dio, come intende il Flamini, ma che ha seguitato una 'scuola'. la cui 'dottrina ' non può seguibir la 'parola' sua. E ap- punto allora gli dico :
oramai saranno nude Le mie parole, quanto conrerrassl Quelle scovrire alla taa vista rade.
Nei canti 30 e 31 del Purgatorio non si parla, nella lettera, né di ' scuola ', nò di * dottrina ' ; dunque so uno è, come uno è, lo stra- niamento di Dante da Beatrice, nel rimprovero dei canti 30 e 31 bisogna riconoscere che e' è il velo, l' altro intendimento, V allego- ria, secondo che per li poeti è osatji.
Alla ia(,in"a .">7 ]
Con molto piacer^ u..»., dio iliohele Rirbi { Bn/I. ns. 10, 2:24 | riconosce che Dante distingue nel Concino la filosofia dalla teolo- gia : ' la « scienza divina, che è teologia appellata » ( IL 14 ) è na- turalmente fuori della filosofia umana : in questa < la prima scien- xa . . . si chiama metafisica » ( II, 14 ; e cfr. III. 11 : « la metafisi-
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B66 Note a o g i r n t tì
Cii , , . prima filosofia ò cliiiimata » ) ; e la metafisica non dà quel perfetto appagamento al nostro intelletto che dà la teologica, che « piena è di tutta pace » o « perfottamonto ne fa il Vero vedere, nel quale si queta 1' anima nostra » ( II, 15 ) '. Osserva inoltre il critico arguto : ' Se D. chiama nel Convivio filosofia anche la sapien- za divina, è perchè avendo definito la filosofia stessa « uso amo- roso di sapienza », doveva ammettere questo uso « raassiniamento in Dio, però che in luì è somma sapienza e sommo amore e som- mo atto » (III, 12). Ma che egli distingua la filosofìa divina dal- l'umana, basta a provarlo l'affermazione (IH, 13): « della... fi- losofìa umana séguito poi per lo trattato, essa commontando » ' ( al. ' commendando ' ). Io non ho invero tenuto conto di quost' ultimo luogo del Convivio; dal qu.ale si potrebbe dodivri-e, che dunque Dante nella canzone Amor clic nella mente commenda anche la teologia, e che dunque il contrasto della canzone Voi che infendendo non può Gssero tra madonna Teologia e madonna Filosofia. Ma sarebbero forse deduzioni eccessive. Anzitutto, il contrasto non sarebbe pre- cisamente tra la teologia e l:i filosofia, ma tra tendenze mistiche e tendenze scolastiche ; in secondo luogo, la canzone della lode è po- steriore al contrasto, e quindi si può supporre che il poeta voglia in essa adombrare la conciliazione ; in terzo luogo, la lode, salvo il vago accenno al filosofare divino ( che non sarebbe poi la teologia ), è per la filosofìa umana, cioè por la scienza.
A PAGINA 80]
Quanto alla Lisetta, o Lisa, o Lisabetta, o Isabetta, bisogna faro i conti anche con un sonetto di Giovanni Quirini ( vd. Bull. ns. 10, 408).
A PAGINA IIB]
Col sussidio del cod. Ital. 536 della Bibl. Nat. di Parigi, oggi il Mooro (vd. Bnll. ns. 10, ItKJ) così reintegra il passo lacunoso del Convivio : ' 1' uno si chiama letterale e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera propria, 1' altro si chiama allego- rico e questo è quello' ecc.
X () T E AGGIUNTE 367
A l'A<ilNA 151 ]
Vii. pur r importante studio del Vosslor (l'i: pliilosophischen Grundlagen znm « sUssen neuen Stil » des Guido Guinicellì, Guido Caralcanti inid Dante Alighieri. Hcidollierg 1904), La Critica, riri- sta di letteratura, storia e filosofia, diretta da Benedetto Croce : 2,
132 88.
A l'A(.IN.\ !••'• I
Cfr. VE. 2. -i. (> • El nuamlu. >i Ik-uu ixi.oliimis, f<uium;i siim- luis esse digna iain fiiit probatura, et iste quem tragiciim appella- mas summus videtur esse stilorum, illa qun siunme canenda di- Rtinximu8 Ì8to solo sunt stilo canenda : videlicet, Salus, Amor et Virtus, et que propter oa concipimus, dum nullo a e e i <l !■ n t e \ i I '■ - I- a II t '.
AI.I.A l'AKTK TKKZA : Li". KIMK K li. KA( foNTo I»I:L1.A VlTA M <i\ A ]
Per il racconto della Vita nuora, e non per esso soltitnto. è da vedere ocìtì la cospicua recensione di Michele Barbi al Dante dello Zingarelli ( Bull. ns. 11. 3 ss ). Trascrivo lo osservazioni di maggior rilievo nella nostra questione. * Chi ci assicura che 1' amore per Bea- trice cominciasse t:uito presto h fosse davvero il primo? Guardia- mo pui*e al racconto della Vita Xuoca. Xon è strano che dopo un primo sonetto, che parla genericamente di * madonna *. e, invece di rappresentiire la grande commozione prodotta dal saluto di Bea- trice, sembra composto a freddo por fare una sottile questiono ai rimatori del tempo. Dante non scriva più alcuna poesia in onoro di lei per molti anni e mesi, ma solo lilluda ad essa — allusioni an- che per lo Zingarelli « assiti dubbie » — nello rime per la donna dello schermo ? So 1' amore per la gentilissima orfi già nato, perchè non celebrarlo mai, neppure con Guido, col suo * secreLirius ' ? An- zi — guardato un po' ! — anche al Cavalcanti mostra il desiderio di avere per Y immenso mare il simulacro piuttosto che 1' oggetto vero del suo amore I Allontanandosi poi la prima donna della difesii, che bisogno ci sarebbe stato di nascondere ancora con un' altra donna
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qiiell' amore, del quale da anni e luosi mostrava, anche cogli inti- mi, di non curarsi affatto ? , . . I sostenitori della realtà di Beatrice eccedono quando si fanno a difendere come storico ogni racconto della Vita Nuova. È un' opera poetica, e il poeta è libero di rap- presentare i suoi affetti non solo in quella veste che gli suggerisce la fantasia, ma anche trasfigurando la realtà por ragioni di conve- nienza o poetica o sociale : può anche rinnovare per una data oc- casione quei sentimenti che ha provati in un' altra e immaginare in atto quello che ha semplicemente desiderato . . . Le difficoltà che incontriamo a voler accertare quello che di reale sia in queste fin- zioni o rappresentazioni poetiche, scompaiono, o s' attenuano d' as- sai, quando sia nostro proposito dedurre da esso quel tanto che oc- corre a intendere e giudicar 1' opera d' arte, cioè in quale stato d' a- nimo r autore la componesse, e quali impressioni con essa volesse destaro. Questa è la mira che deve avere il critico letterario, e a cui deve essere indirizzata ogni sua indagine : rifare la storia in- teriore di Dante quale egli ha creduto o voluto che fosse x'va via che s' accingeva alla composizione delle singole opere, servendosi di quel po' di vero che la critica ha potuto accertare nella vita e- steriore a precisare il tempo, il luogo e le circostanze in cui cia- scun' opera nacque, od anche a scoprire, quando sia possibile, con- frontando la probabile realtà con la finzione, lo più riposte inten- zioni dell' autore '.
Quanto alla canzone IT m incresce di ine, mantengo l' interpre- tazione data ( vd. qui addietro p. 90 ss, e 278 ). Il Barbi pensa ' che Dante abbia servito successivamente due gentildonne . . . , e che da ultimo sia comparsa Beatrice, della quale il poeta avrebbe ricevuto una così profonda impressione, da sembrai'gli che quello solo fosse vero amore, e da immaginare volentieri che il suo spirito fosse in comunicazione miracolosa con quella gentilissima sin da eh' eli a comparve al- la luce. Che poi nella Vita Nuova piacesse al poeta di collocare a nove anni quei mirabili effetti che nella canzone aveva immagi- nato d' aver proA-ato assai prima, si spiega col proposito di far ap- parire costante il numero nove negli avvenimenti del suo amore ; eie una conferma che 1' apparire di Beatrice a nove anni e il riap- parire a diciotto è invenzione e non realtà '. Certo, sono finzioni. Ma che poetica fantasia sarebbe mai questa, mettere un bambino di sei o sette mesi in comunicazione miracolosa con una gentilis- sima neonata ? far sostenere a un lattante di sei o sette mesi ' Una
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paflsYon nuova ' ? farlo rimaner • di paura pieno * ? farlo anche ' su- bitamente ' eadoro * in terra Por una voce che nel cor percosse ' ? E il • freno ' posto a tutto lo • virtù ' ? o lo • spirito maggiore ' ? La gravo obbiezione eho muovo il Biirbi allo Zingarelli, che il verso
• Lo giorno che costei nel mondo venne ', non può spiegarsi * nel giorno che Beatrice venne innanzi agli occhi miei e al mio cuore *, porchò dell* apparizione di Bwitrico si parla nella sUinza seguente,
• Quando m* apparve poi la gran bollato ', ecc. ; sarebbe rimossa dalla nostra ipotesi, che nella canzone si p:trli di due innamoramenti.
A l'Ai.lNA IMI I
Cfr. Della Lana, 2. '•)'■) : ■ K iuichi- 1' auioru di tarit.ulu ù ac- i-ondevole, sì lo pone l'autore in colore rosso. Li quanto a gravez- za e arduità lo figura anco sanguinolento'; Buti, 2, 708: 'lo bat- tismo ò di colore vermillio o sjinguiirno «-h" siirnifi»'.-» la pietà cho sta radicata in su la caritli '.
A I'A<.INA lf>Sl
Cfr. VX. 2^-J, IM : • «^»u»'f>ta canzono ha duo parti : no la prima dico, parlando a in difinita persona, coni' io fui levato d' una vana fantasia da certe donno '.
A l'A<.iNA 2H))
Cfr. Cavalcanti, son. 0 do/ina mia : • El fu Amore che, trovan- do nui. Meco restette, che venia lonUmo, En guisa d' arcier pre- sto siriano Acconcio sol per uccidere altrui '.
A l'AGlXA S4r7 ]
Alle chiose che il Del Lungo, il Suchier, il Gaspary. e recen- temente il Chini, già fecero alla tenzone di Dante con Forese Do-
370 Note aggiunte
nati, nuovo contributo reca oggi il Torraca con una notevole Me- moria letta all' accademia Pontaniana nella tornata del 17 aprilo 1904 ( La teiisonc di Dante con Forese Donati, Ifapoli, stab. tip. nella r. universiti, 1904 ). Molte lo nuove ipotesi, alcune assai seducenti. Ma non mancheranno le obbiezioni, perchè non tutte persuasivo a un modo. Per esempio, non avrà forse molta fortuna F ipotesi che Alighiero, padre di Dante, morisse scomunicato, e non avesse ' se- poltura ecclesiastica ', perchè ' eretico ', ' paterino ', ' cataro ', ' come il magnanimo Farinata '. Dante allevato in casa di paterini ? Ed era così a corto di contumelie Bicci novello ? A chi gli dava dello strac- cione, come crede il Torraca, rispondeva : — Straccione, va bene ; ma tu sei figlio di un paterino, e 1' anima di tuo padre è là, tra le fosse, • legata dei vincoli così del peccato come della scomunica ' ; e voleva che io la sciogliessi per amor tuo, voleva da me 1' ego te absolvo, queir anima dannata ! — Certo, feriva F animo del figliuolo codesto irriverente licordo ; ma, in fin dei conti, che colpa aveva il figliuolo so il padre era stato paterino ? Ed era onta che potesse ricader sul figliuolo, era vergogna di cui il figliuolo dovesse arros- sire, codesta pretesa scomunica toccata ad Alighiero ? Tuttavia, molto significativo pare il nesso che il Torraca vede tra il ' nodo di Salamene ' del sonetto di Forese, e il fatto che proprio un fra Salomone da Lucca ' era inquisitore dell' eretica pravità, in Firen- ze, il 21 agosto 1282 '. Non si troverà forse neppure molto ferma F ipotosi che Dante trattasse da straccione che non abbia cenci da coprirsi la notte, chi mandava giù ' tanta roba ' e si ti'attava a •' petti di starne '. Forese, secondo Dante, era un ghiottone, dissipatore e dissoluto, ridotto perciò quasi al verde, o perciò datosi alle mario- lerie. Il ' copertoio cortonese ', e il ' difetto ' che la moglie sentiva ' al nido ', alluderanno piuttosto alla irregolare condotta del mari- to. Ma è pure da avvertire, che il cominciamento della risposta di Forese, par che confermi davvero la nuova interpretazione. Il Torraca così restituisce il cominciamento del secondo sonetto di Forese :
Va, ti vest' 1' San Gal, prima cho dlflil Parole o motti d' altrui povertato.
Direbbe Bicci novel : — Ya a vestirti in San Gallo, che è F ospe- dale dei poveri e dei bastardi, prima di parlare della povertà al- trui — . Non vi sarebbe dunque un accusa di peculato in codesta
Note aggi un* tk H71
alIuRÌoiii- il S;iu dalli». Ut- alhulorobboro a cunuzioiif Ui • liivuihiato d' Altafronte * [Altra fonte, nel sonetto, è errore di stampa ]. Forese trattorol)l)o D.into da pitocco. Certo, niojrlio pitocco che ladro. Ma la restituzione non mi \y.\yf molto felice: — Va a pitoccare, prima di chianiiirci pitocclii . I. >il»biezione < li.' il iritieo muovo con- tro la vecchia interpreta/ione, non Harebl>o poi molto jjr!»ve. Danto poteva ljenis.simo aver sottratto o distratto danaro o vestiti o altro dair ospe<1ale di San Gallo, e tuttavia non es.sor ricco, essoro anzi costretto a viver sempre di illeciti espcnlionti. Né bisoijnu dimenti- care, che qui si trattr»robl)o di m.ilijine insinuazioni. Ma foree il Tomica h;i ragiono. Anche il Barbi, senza ricorrerò a lezioni con- jjetturali. scrive ( Ball. ns. 11, 18 n^ ) : * A me le grembiale che Danto ha dal castello d' Altiifronto mi paiono alludere piuttosto a elemosino • In A illeciti guadafriv : ■• ;iiii'ho por San Gallo, non Avrebbe avuto parti' nell'amministrazione, ma vi sjireblK» ricorso per il suo sosten- tamento tante volte e con tantit fam;> da ridurlo in cattive con- dizioni '. Sennonché, avrebbe detto Forese.
V:i. rivesti San Gal, prima rho dichl
I>.'irwl<' M motti d' altro! povertate.
se non si fosse trattato d' altro che di elemosine ? E non sarebbe forse più piano intendere in altro modo ? suppergiù : — Ti sei un po' rimpannucciato a San Gallo, ed ora vieni a parlar della pover- tà altrui ! Va, va, restituisci quel che hai rubato a quei poveretti che quest' inverno facevano pietà a tutti i loro benefattori, e poi ne parleremo — . Comunque sia d» ciò. ò certo un fatto degno di nota che per cotlesta famosa tenzone ci siamo oramai liberati dai vecchi pregiudizi ; non si tratta più della vita scapestrata di Danto dopo la morte di Beatrice. Anzi il Torraca insiste nel porre non * molto più tardi del 1:283 ' la composizione dell' ultimo sonetto, nel quale Forese rimprovera a Dante di non essersi vendicato d' un' offesa fattii al padre. Ma codesta data, che nessuna buona ragione sostie- ne, con molte ragioni avrebbe pure da aggiustare i suoi conti.
Il Bjirbi poi. rinunzia anche alla prova del .sonetto di Guido. Io regno il giorno a te. ' Il documento, egli scrive ( Ball. ns. 11, 13 ). è da porsi non con la tenzone avuta con Forese, ma con la conso- latoria di Cine per la morte di Beatrice : Gino adopera la persua- sione, il Cavalcanti il rimprovero '. Ma quando Cine scrisse la sua famosa consolatoria ? E quanto al rimprovero, domanderò col D' O-
37'^ K O T E A (1 G T {' K T K
vidio ( Stndii, 210 ): • ad un amico avvilito, sia pure soverchiamen- te, ma da oneste cagioni, si nega anche il conforto di visitarlo ? Gli s' inculca di sfuggir la gente ? O non gli si raccomanderebbe, invoce, di non fare il misantropo ? I^on gli si perdonerebbe anche un po' il cercar distrazione tra gente volgaruccia ? '
INDICE
Prefazione l'I'
L' EPISODIO DELLA DONNA OENTILE pp
1. L' accoiuodainonto il«*l Diouisi — Ìjh lilosofìa eliti litijra con la iii«>nioria ili Bioo — L' ipotesi del poHterioro a*lon»>stii monto pp. 9-16
2. Il iriov.ii-c I' imii (l»M-o<^;irt' alla Vi/a niio- ni pp. 16- 18
3. La Beatrice d»»i Coni il io pp. 18-22
4. La pretesa confesHione del mendacio — La can- zone Voi che iiiteiifìendo ò aIlog:oricH — Il gemino battagliare della Bice pp. 22-28
5. Lo protese contradizioni tra la Vita iinoia e il Concino — L' avversario della ragione e vilissi- rao pp. 29-32
6. L' appetito del cuore — Il aon. Parole mie — Co- me s' inizia la serie delle rime fìlosoiiehe — Le rimo filosi>fiehe sviluppano l'episodio della Vita nuora pp. 32-40
7. La donna gentile della Vita nuora e la donna del Conr. — La beata mensa — La donna del Conr. è avversiiria di Beatrice — L' altalena nelle figu- razioni del po«'la — Il poeta dice e disdice e non si contradice — La beatitudine e il desiderio — La filosofia del Conr. — La filosofia e la teologia — Le . figurazioni del poeta e 1 libri di Salomone — La scienza e I' amore pp. 40 - 62
8. Gli accenni cronologici — Gli alquanti die — Le due rivoluzioni di Venere — I trenta mesi —
i'
374 Indi c e
1 quindici mesi conciliatori — La questione astro- nomica — La tostimonianzn di Jacopo Aligliio- ri pp. 62 - 73
9. La finestra e il linguaggio allegorico — Se so- ' no aj[legoriche lo rime pietrose — La canz. Co- si uri mio parlar — L' allegoria della fine- stra pp. 74 - 81
10. Passa Lisetta — Lisetta o licenza ? . . . pp. 81 - 8(i
11. La canz. E' /«' iiicresce di me . . . pp. 87 - 9.'5
12. La voce del buon senso — Il preteso senti- mento di fedeltà pp. 05 - 98
Il senso letterale e l' allegoiua pp. 99 - 170
1 - 2. L' ipotesi del doppio senso — L' allegoria dei teologi e l'allegoria dei poeti — Il senso lettera- le è finzione mendace ......... pp. 99-115
3. Le confusioni dell' esegesi .... pp. 115 - 122
4. Le concezioni allegoriche — Il senso letterale nella Commedia pp. 122 - 134
5. Dal reale all' ideale pp. 134 - 141
[ Il diritto di grazia pp. 141 - 145 ]
6. La donna idealo pp. 140 - 1.51
7. La digressione della Vita iinova sulle per- sonificazioni — Il rimar sopra materia amo- rosa pp. 152 - 170
Le rime e il racconto della Vita nuova pp. 171 - 286
1. La materia della Vita nuora e l' adattamento delle rime pp. 171 - 174
Primo sonetto. A ciascun alma presa e gentil core — I simboli dell' incondium amoris — Il drap- po e il mulo — Involta leggeramente — Lo verace gtudicio — Il parvente di Gino e di Guido — Ma- donna la morte cliedea pp. 175 - 188
Secondo sonetto. 0 voi die per la via d' amor passate — L' amore perduto o 1' amore lontano ? — La pretesa allusione a Beatrice . . . pp. 189-194 ^
Terzo e quarto sonetto. Piangete, amanti, poi che piange Amore, e Morte villana di pietà nemi- ca — Amore in forma A'era — La pretesa compa- gna di Beatrice pp. 194 - 199
Quinto sonetto. Cavalcando /' altr ier per un
I X 1» 1 e n 375
rammiiio — Amore tspoilt'stalo «lalla lontananza — La cavalcata di Dant«< pp. 199-207
Ballata. Ballata, i' cu che tu ritrori Amore — Madonna adirata t« golosa pp. 207 -211
Sosto sonetto. Talli li miei penser parla it d' A- more — Motivi antitetici snila natura d' Araoro — Perrli»"' madonna la Pietà è nemica . . . pp. 211 - 216
Settimo, ottavo e nono sonetto. Con f altre ifo/i/ie mia rista gabbate. Ciò che m' incontra nella mente more. Spesse paté reguonmi a la mente — Il gabbo di madonna pp. 217 - 220
2. Il dipinto del biblico passa'^frio tiel ilar Ros- so pp. 220 - 221
3. La canz. Donne eh' avete intelletto d amore, e la citazione della Commedia — Accenni a un riposto intendimento — L' alcuno della sciarada inferna- le— Il cuor villano, la saiuto e il saluto — L' alcu- no, i cuori villani, le malo femmine - - Indizi d' a- mor sensualo ? — Come il cuor villano dovrà per- dere Boiitrice — La nuova chiosa nella sua forma pietos;i — Di chi difendea la parte nuulonna la Pie- tri — Torniamo all' antico pp. 222 - 24')
4. D son. Io mi senti' svegliar dentro lo core — Bice e Beatrice — Il segreto — Primaverju prima vorrfi, Giovanna pp. 24.J - 205
5. 2fon sapeano che si chiamare . . . pp. 255 - 261
6. L' episodio degli schermi — Le parole oscure e i simulacri d' amore pp. 261 - 267
7. Le visioni — Episodi che arieggiano la visiono — La morte di Beatrice e l' altro chiosatore — L' epi- stola ai principi della terra — Gli accenni cronolo- gici — Il preteso fratello tli Beatrice — Gli episodi dell' anno vale e dei pellegrini pp. 287-282
8. Le concatenazioni di don Ferrante — Le con- clusioni della critica pp. 282 - 286
La Beatrice storica pp. 287 - 354
1. La tradizione della Bice Portinari — Cecco d'A- scoli— Cino da Pistoja. Cecco Angiolieri — Bosone, Frate Guido, Mino, Jacopo Alighieri — Ser Gi-azio- lo — Chiose anonime del Selmi — Jacopo della La-
o7o Indice
n;i — Ottimo Commento pp. 2S7 - 805
2. Giovanni Boccaccio — Fasi della notizia della Portinari — La fededegna persona — L' età di Bea- trice secondo il Boccaccio — Il panegirico e Y im- portabile passione — L' amore per Beatrice av- versario agli studi — Le deduzioni dal Cornicio — La data della composizione della Vi/a nuova se- condo il Boccaccio . pp. 305-322
3. Pietro di Dante e la lezione Ashburnhamiana — Francesco da Buti — Benvenuto da Imola — Po- steriori commentì — I biografi : Antonio Pucci, Filippo Villani — Leonardo Bruni Aretino — Gian- nozze Manetti, Mario Filelfo pp. 323 - 338
4. La modesta ipotesi d' una Bice fiorentina, e la prova della Commedia — I simboli storici della Commedia — Se la Beatrice della Commedia sia figura storica — I rimprovei-i di Beatrice e la lus- suria di Dante — Di quale straniamente parli sem- pre il poeta pp. 338 - 350
5. È Beatrice nella Commedia anima beata d' una donna morta ? — Indici della pura allegorici- tà pp. 350 - 354
JN'oTE AGcauNTE pp. 357-372
Edizione di 270 esemplari
finita di stampare
il di 20 giugno 1904
nel premiato stabilimento tipografico
DI L. DE Martini e Figlio
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o7o I X n I e E
na — Ottimo Conimonto pp. 287 - 305
2. Giovanni Boccaccio — Fasi della notizia della Portinari ^ La fedodegna persona — L' età di Bea- trice secondo il Boccaccio — Il panegirico e l' im- portabile passione — L' amore per Beatrice av- versario agli studi — Le deduzioni dal Comiiio — La data della composizione della Vifa nuova se- condo il Boccaccio . pp. 305-322
3. Pietro di Danto e la lezione Ashburnhamiana — Francesco da Buti — Benvenuto da Imola — Po- steriori commenti — I biografi : Antonio Pucci, Filippo Villani — Leonardo Bruni Aretino — Gian- nozzo Manetti, Mario Filolfo pp. 323 - 338
4. La modesta ipotesi d' una Bice fiorentina, e la prova della Commedia — I simboli storici della Commedia — Se la Beatrice della Commedia sia figura storica — I rimproveri di Beatrice e la lus- suria di Dante — Di quale straniamento parli sem- pre il poeta pp. 338 - 350
5. È Beatrice nella Commedia anima beata d' una donna morta ? — Indici della pura allegorici- tà pp. 350 - 354
IfoTE AGGIUNTE pp. 357-37'-:'
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