DELLE CONDIZIONI DELL'ITALIA ILI'AGRICOITCRA, lllE MMFATTURE E 11 COMMERCIO in confronto DELL'INGHILTERRA E DELLA FRANCIA DELLA LIBERTA DI COMMERCIO STUDI! dell' avvocato VINCENZO ROSSI Cav. dell'Ordine de'santi Maurizio e Lazzaro Membro dell'or cessata R. Giunta Provinciale dì Slatiitiea ^^ MILANO STABILIMENTO CIVELU GIUSEPPE 18 64. — Proprietà Letteraria. ^\BRÀRy^-^ . m A SUA ECCELLENZA CAVALIERE DI GRAN CROCE DECORATO DEL GRAN CORDONE DELL'ORDINE DE' SS. MAURIZIO E LAZZARO URBANO RATTAZZI PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI PIÙ VOLTE E SEMPRE NE' PIÙ DIFFICILI TEMPI MINISTRO NELLE SCIENZE LEGALI ECONOMICHE POLITICHE PRESTANTISSIMO DI QUESTO LAVORO FA OSSEQUIOSO OMAGGIO L'AUTORE. L PREFAZIONE. L'Italia è paese ricco. Questo sentiamo dire da fo- restieri, che, visitandola per lo più a diporto, per loro basta il giudicarla dal sole radiante e dal dolcissimo clima. Noi per amore e lusinga vi facciamo eco ; e si finisce per credere assolutamente vero ciò, che è ine- sattamente detto. Eccede la verità questo giudizio, se con esso s'in- tende, che il nostro paese, in cui si rinchiudono molte ricchezze, abbia già tanto progredito nell'uso dei mezzi per valersi di esse, che poco o nulla gli manchi per giungere a soddisfacente prosperità. L'errore sta nel credere già fatto quello, che è soltanto fattibile. Se non vogliamo illuderci, diciamo che l'Italia non è, ma potrà essere, e presto, eguale alle nazioni più prospere. Ora che essa, non più soltanto di nome, è nazione ; ma affetto e volere, senno e valore fanno che lltalia sia degli Italiani, grande è l'avvenire che le si pre- VI PREFAZIONE para. Essa sarà ricca; e quanto più ricca, tanto più potente. Ma come si trova ora l'Italia rispetto ai mezzi, che resero forti e grandi specialmente la Francia e l'In- ghilterra ? Esporre quali siano le sue condizioni politiche ed economiche ; quale la sua meta ; per qual cammino ed in qual modo essa dee arrivarvi, è argomento, senza dubbio, quanto importante, altrettanto difficile. Ma quando si evitano i nebulosi vortici di sistemi coa- cervati con supposizioni; quando invece si attingono le norme nella pienezza dei fatti e nelle peculiari cir- costanze della nazione ; quando per la loro uniformità od omogeneità con quelH di altri popoli, si consulta l'esperienza, dovunque porge utili consigli ed esempi ; allora molte incertezze svaniscono, molti dubbii ces- sano, ed una luce né debole né fatua rischiara con- tinuamente la via, e ci lascia anche da lungi scor- gere il segno a cui si tende. Allorché, or son due mesi, leggeva la Circolare del ministro barone Ricasoli, che ha la data dell' 11 set- tembre 1861, ed é diretta ai GonsoH GeneraU e Gon- soh di S. M. (1), ne ammirai la grandezza del concetto: e come avviene di ogni idea giusta, che, mettendosi anche nell'altrui pensiero, non giace mai sterile, molte (1) Venne pubblicata nel Giornale Ufficiale del Regno il 25 settembre ultimo scorso, N. 234. PREFAZIONE VII riflessioni io feci, che mi sembrano non mancare di opportunità, e convergere allo scopo di quel concetto, da cui ebbero origine. Col mio lavoro non aspiro al vanto della novità. Esso con poca fatica si ottiene, quando si dimentica lo stato reale delle cose per andare peregrinando nelle sfere delle astrazioni. In questi studii, in cui indivi- dui, società, governo si devono considerare nella cer- chia, in cui esercitano la loro azione ; e questa azione non può separarsi dal concatenamento dei fatti; e questi fatti , siano essi preesistenti o concomitanti , concorrono a formare la condizione politica, mate- riale, intellettuale di una nazione, non si può pre- scindere dall' esame e apprezzamento di questo ordine positivo di cose per avere ana guida sicura. Or bene; relativamente ai fatti, quanto meno sono nuovi, e quanto più sono ripetuti; tanto è maggiore il lor valore. È nel giudizio su di essi, e nelle con- seguenze, che se ne deducono, dove domina l'opinione. Questa è o giusta o erronea. Quanto adunque dirò di non nuovo, avrà, perchè detto anche da altri, maggior guarentìa di verità. Su ciò, che di nuovo dirò, si rifletta, si porti l'esame, e non gli si accordi il' pregio, che è solo proprio del vero, se non dopo di aver riflettuto ed esaminato. Colle indagini incomplete e non ben determinate la scienza dell'Economia politica non si perfeziona. Col- VII! PREFAZIONE Tapplicazione de'suoi principii, quando tanto più fa- cilmente si adottano, quanto il discuterli è più, diffi- cile, il bene o viene a caso, o decresce ; e le nazioni, invece di prosperare, rovinano. Nell'Atto ufficiale sovracitato il Governo si propone di conoscere il vero stato delle cose in quanto al commercio tra il Regno d'Italia e le altre nazioni. Nel mentre che questo lavoro si sta eseguendo, parvemi opportuno di scrivere intorno alle condizioni dell'Italia per quanto si riferiscono specialmente allo sviluppo delle ricchezze, causa e mezzo di benessere e di po- tenza degli Stati, dipendendo da esse la prosperità del commercio interno ed esterno. Si cerchi come siamo e cosa possiamo in casa; e si saprà come saremo e cosa potremo di fuori. 28 novembre 1861. PARTE PR!!V!À enni politici e Agricoltura L'Italia riunila in \ina sola nazione è chiamata a rinnovare quei tempi rjloriosi in cui la liandiora italiana sventolava dovunque simbolo di civiltà, (li operosità, di ricchezza, e quando i prodotti dell'industria , delle arti e del genio italiano erano ricercati in iulte le parti del mondo, RiCASOLi, Circol. 11 settembre 1861. SEZIONE PRIIVIA Cenni politici sull'Italia. CAPITOLO PRIMO «30111.511 ari o. La civiltà procede a gradi vincendo le forze di resistenza — Difficoltà de' teoremi sociali — Forza di resistenza — Essa è ignota quanto alla caiis:i, utile negli efietti — La legge del progresso regola il corso dell'u- manità — La storia riferisce piuttosto ciò che si oppose al progresso, non ciò che gli ha giovato — L'Italia nelle irruzioni .dei barbari — Loro in- fluenza sulle condizioni d'Italia — Perchè l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti d'America sono ora più dell'Italia prosperi e potenti. La via, in cui le nazioni procedono segnando di passo in passo l'opera del loro incivilimento, è con siffatto ordine pro- videnziale tracciata, che nessun popolo vi fu mai, il quale in suo cammino non abbia pagato largo tributo ad errori e sven- ture, incontrando ostacoli da ogni parte e di ogni sorta. Il vero i 2 PARTE PRIMA — SEZIONE PRIMA ed il bene sono ognora in conflitto colle avverse potenze, e non è se non da questa lenta e faticosa lotta che emerge il perfe- zionamento della umanità. Solo in questo modo si svolge ciò che poi mostrasi veramente utile; ed è a questa condizione soltanto che si possono col tempo stabilire i teoremi sociali , dalla cui applicazione dipende la prosperità e la grandezza delle nazioni. Sarebbe non tener conto delle leggi comuni a tutte le cose se si credesse che rincivilimento possa ottenersi senza il con liniw) attrito di forze che agiscono e reagiscono. In questo con trasto tutti i rapporti fra individui e fra popoli , tutti gì' iute ressi morali, politici, economici s'incontrano, si agitano, si urtano, e l'errore contendendo il corso alla verità produce osta coli e calamitosi avvenimenti, le cui tristi conseguenze pesano tanto più sulle nazioni, quanto meno si sono esse inoltrate nella via della civiltà. Per quali cause prime si svolga nella sua reazione il male, non giunge intelligenza umana a perscrutarlo ; ma l'intimo senso dichiara all'uomo, che le vicissitudini non sono per farlo deviare dalla sua meta, sibbene per ritemprare l'animo ed apparecchiare la mente a cadere in qualche errore di meno e fare un poco bene di più. A tali premesse non tema il lettore che vogUasi da noi tra- scorrere ÌTi astrazioni lasciandoci avviluppare nelle nubi di quel trascendentahsmo, che finisce per lasciar vuoti animo e mente sui veri bisogni della società. Dobbiamo attenerci ad un diverso ordine d'idee, massime nell'argomento che ci occupa, ove è necessario l'esame dei fatti che corrobori i principii, e l'esame dei principii che ci conduca a pratiche deduzioni. Tuttavia non dobbiamo neppure dissimularci che dalla storia di tempi anche CAPITOLO PRLMO 5 dai nosti'i poco lontani, come Ai scritta, conosciamo bensi per quali molivi e con quali mezzi venne contrariato il progresso; ma poco possiamo ricavare intorno alle cause ed ni modi che, nonostante le contrarie resistenze, ridussero specialmente l'Eu- ropa all'attuale grado di perfezionamento. Fra tanta oscurità ci è tuttavia dato di desumere che l'Italia non tardò a riaversi da quella terribile scossa provenuta dalla irruzione de' Barbari che infransero il colosso decrepito della civiltà antica; né gl'Italiani furono certamente gli ultimi fra i popoli d'Europa a conoscere il carattere di questo cataclisma sociale che nelle stragi e devastazioni soffocando gli ultimi aneliti dell'antico mondo, preparava il varco per condurre le na- zioni in un nuovo stadio di maggiore incivilimento. In ciò eravi la preparazione al progresso maturato in epoche posteriori. Ma per l'Italia, più che per ogni altro paese, fu questa una elaborazione assai diffìcile, in quanto che le cause che aprirono la strada alle tante incursioni , non scomparvero né subito né del tutto colle distruggitrici violenze. Che anzi per le sue particolari condizioni, che più immediatamente la legavano all'antico stato di cose, nel mentre più gravemente quelle cause influivano su di essa, fu anche per maggior tempo che a suo danno durarono quelle varie e non interrotte calamità. Fu in Italia principalmente che le orde settentrionaU nel fu- ribondo cozzo delle armi si succede .ero le une alle altre la- sciandovi principii, istituzioni, costumanze e leggi tra di loro pugnanti, come lo erano tra di sé gli invasori; ed ogni lembo di terra era misurato colla spada della conquista. Le indagini che ci portano a conoscere la ragione per cui l'Inghilterra, la Francia e, dicasi pure, anche gli Stati Uniti di 4 PARTE PRIMA — SEZIONE PRIMA America precorsero l'Italia in fatto di prosperità e di potenza, ci dimostrano, che colà le forze reagenti erano assai minori e per complicazione e per intensità. Si osservi anzi l'America, che se ha fatti rapidi progressi, fn soltanto in qnelle regioni, dove non era vi che da contrastare con selvaggi , i quah in quegli immensi spazii di vergini terre si ritiravano ove non arrivava il bisogno de'novelh ospiti, desiderosi del resto non di deva- stare, ma di formarsi una patria. Poca qui fu la reazione ma- teriale ; nulla la reazione di principii politici attaccati ad un diverso ordine di cose. Ora però in questo, paese, in cui, no- nostante il decantato progresso, il diritto admette la diversità delle razze per mantenere la schiavitù con tutto il corredo de'suoi dolori come al cadere dell'antica civiltà europea, stanno forse per aprirsi quei tempi, che già corsero per noi e che noi ora indichiamo col nome di Medio Evo ? Quanto alla Fran- cia ed all'Inghilterra (la quale ultima ai tempi del nostro Guicciardini, com'egli scrive nella sua Storia d'ItaUa, contava appena due mihoni abitanti), passarono esse certamente fra le più terribili vicende , che mettono a prova l' energia di un po- polo: ma ormai il tempo, che sempre rende di ogni cosa giu- stizia, fece chiaro, che anche gl'Italiani non mancarono di quelle virtù, che altre nazioni resero prospere e potenti; e se non giunsero prima a poter pareggiare l'altrui grandezza, non di- mentichiamo che dopo il secolo XIV continuamente stranieri eserciti alquanto meno barbari dei primi , ma egualmente de- vastatori, irruppero in Italia, e distruggendo arti, agricoltura, commercio, leggi ed ogni nazionale istituzione , la rituffarono nelle antiche miserie. CAPITOLO SECONDO SoirLiixario. Condizione polìtica attuale dell'Italia — Venezia — Roma — Pace di Villa- franca — Potere temporale — Principio religioso e principio politico — Conferma della legge di progressione nelle condizioni politiche dell'Italia — Come praticamente si opera in Italia — Dal preesìstente stato di cose emergono molti ostacoli — Criterio d'azione — Scopo di questi cenni. Politicamente adesso considerata l'Italia, e qualunque sia stata la via che nel volgere de' secoli abbia dovuto faticosamente per- correre, essa appresenta inconcusso il fatto che ormai tutta è uscita dal ferreo ciclo, in cui era utile allo straniero compri- merla, senza che tuttavolta l'oppressore arrivasse a comprendere che sotto la pressione si rinforzava quella molla, che quando è venuto il momento di espandersi, sbalza ed infrange i macigni; tanto è irresistibile ogni forza sul corso degli eventi che spin- gono i destini di un popolo! Politicamente, ripetiamolo, l'ItaUa è formata : né l'occupazione miUtare della Venezia , né 1' anacronismo del potere temporale del Capo della Chiesa valgono di più, di quanto un materiale inciampo , che solo temporaneamente impedisce la riunione di queste membra che hanno le eguali condizioni di vita. In que- sta opposizione, da cui deve uscire anche il geografico assetto d'Italia, scorgesi pur sempre quel successivo svolgimento di fatti che ci avvicina alla meta, ed a cui, qualche volta più presto, e sempre con maggiore vantaggio si arriva, quanto meglio la legge di progressione é compresa e secoadata. In questo diffì- cile lavoro sta il compito degli uomini di Stato, i quali non pò- 6 PAUTE PIUMA — SEZIONE PRIMA che volte sono pur coslreili, anche a discapito di popolarità, a contrariare in apparenza ciò che in fondo realmente favoriscono. Dopo le splendide vittorie sui campi subalpini e lombardi nel- l'ultima guerra d'indipendenza, si poteva giovare all'Italia di più con nuovi fatti d'arme, o non le si è meglio giovato colle pre- liminari convenzioni di Villafranca? Se Pioma iieirorgasmo delle emancipazioni dai cattivi governi avesse fin d'allora potuto svin- colarsi da que' colali che pospongono Dio alla terra, vedrebbesi adesso la podestà terrena di Colui che ha la missione di per- domre, volgere a rovina per essere a cosi dura e terribile necessità ridotta che nulla può più altro fare se non punire ? Frattanto egli è da questa lotta che emerse più che mai for- titìcato il sentimento della poUtica unità , e la persuasione sal- dissima, che senza terreno potere megho risplende il regno della mansuetudine. Per il che oggi è posto in salvo ciò che poco prima sarebbe stato in pericolo. — Anche il principio religioso, che è fondamentale quanto il poUtico , rimane illeso, essendo apparecchiata l'Italia ad evitare l'errore di cadere dalla non più consentita piena infallibihtà del Papa nel fariseismo di parole, che se hanno il pregio dell' antichità , non hanno tutte il me- rito della verità. Ma in affare tanto grave non si facciano illu- sioni quelli , a cui più particolarmente deve stare a cuore di evitare dissidenze in argomento di religione; poiché chi può essere sicuro, che per distruggere un insopportabile stato di cose, e per arrivare al compimento dei voti della nazione, non si ri- correrebbe da un popolo esasperato, come ad unico mezzo, a qualunque estremo espediente? Cosi è, come sempre fu, che i destini dell' umanità vannosi compiendo nel corso degli avvenimenti, i qnaU modificando le I CAPITOLO SECONDO 7 condizioni politiche, migliorano, ma con grande fatica, le sorti delle nazioni. Se dal simultaneo irrompere di tanti casi vi sa- rebbe stato assai da temere per l'Italia; rispettata invece la legge di progressione, insorsero siffatti bisogni, che cogli stessi mezzi, coi quali si è impegnati a superare gli ostacoli e a di- struggere il male, si va soddisfacendo alle condizioni necessa- rie per consolidare l'opera della progrediente nostra civiltà, che è quanto dire la nostra unità, prosperità, grandezza e potenza. Con questi rapidi cenni non pretendiamo di aver fatto di più che alcune considerazioni, le quali se da pochi sono ignorate, non da tutti però si tengono in conto per portare giudizio sulle presenti questioni che risguardano il nostro paese. Gli sconvol- gimenti, che esso ha lungo tempo sofferti per estere ed interne contrarie ingerenze, ed una politica costantemente avversa ai suoi interessi, lasciarono profonde vestigia, le quali non si pos- sono cancellare col solo fatto che siasi tolta la maggior parte delle cause, né appena che si siano fatte scomparire quelle che ancora vi sono. É opera assai scabrosa quella che consiste nello scegliere e nel mettere in pratica i mezzi che siano atti a fehce- mente condurre per nuove vie una nazione. Agendosi incompleta- mente, si perde il frutto anche di ciò che si fa; saltuariamente, si va in precipizio; intempestivamente, si pregiudica l'avvenire. É detto abbastanza, se, come ci pare, indicammo le vere cause, per cui l'Italia durò maggior fatica dell'Inghilterra e della Fran- cia a politicamente costituirsi, e per diretta, necessaria conse- guenza a mettersi anche in miglior condizione di seguirle nel progresso economico, di cui in appresso parliamo. SEZIONE SECO^JDA Condizioni deirAgi'icoltm^st nell'Italist, Ingtiiltei^r^a e Fi^ancia. CAPITOLO PRIMO Sonimai^io. Considerazioni generali — Il progresso economico è misura della prospe- rità e potenza delle nazioni — Quanto più è agricola una nazione, tanto più può essere manifattrice — Le industrie agricola e manifattrice a vi- cenda si ajutano — Erroneità del dualismo fra agricoltore e manifattore — Ne è esempio l'Inghilterra — Esempio della Spagna — Essa abban- donò l'industria manifattrice e l'agricoltura decadde — Il ministro Al- beroni rialzò le manifatture, e l'agricoltura risorse — Per la stessa causa prima diminuì, poi aumentò la popolazione — Alberoni e Cavour — Altro esempio dell'Italia meridionale lorchè subì le influenze di Spagna — L'alta Italia conferma ciò che diciamo dell'Inghilterra — E conferma il principio che l'industria agricola e manifattrice sono tra di sé solidarie — Su di che e come si svolge l'azione dell'uomo nelle industrie agricola e manifattrice — In qual senso compete preminenza all'agricoltura — Ma eguali devono essere le norme legislative. Il progresso economico , che è la misura della prosperità e della potenza di un popolo, dipende dallo sviluppo e dal per- fezionamento dell'industria agraria e dell'industria manifattrice, e dal commercio, che ne forma il complemento. Tanto più sarà prospera, potente e grande una nazione, quanto più avrà fatti progressi nel modo di valersi di questi mezzi, che l'uno all'altro si legano, e sono tra di loro solidarii. É un errore, che trae seco gravi conseguenze, il credere, che dove i prodotti dfl suolo compensano il lavoro ed il capitale CAPITOLO PRIMO 9 in esso impiegati, non sia utile introdurre l'industria manitat- trice. Né s'insisterebbe mai di troppo per sradicare questa er- ronea opinione, tanto é pregiudichevole , quando si mirasse a concliiudere, che l'Italia essendo eminentemente agricola, non potrà mai acquistare imporianza nelle arti industriali. Questo è pur troppo ciò che in tuono di aforìsmo si andava, non è gran tempo, generalmente dicendo, e che non ogni voce ancora ha pur tuttavia cessato di ripetere. L'essere un paese eminentemente agricola non significa altro se non che esso può molto vantaggiarsi col mezzo dell'agricol- tura. Che il suolo d'Italia sia in sommo grado dalla naiura favorito, è cosa che lutti sappiamo; ed è appunto per questo che meritiamo rimprovero, sfante che molto potremmo avere , e non ci mettiamo in condizione per fruirne. Nulla importa certamente conoscere la possibilità, se non è per condurci al conseguimento di quei vantaggi clie da noi dipendono, e se non ci curiamo di metlere in pratica i mezzi che -sono atti a farci arrivare al nostro benessere. A questo fine non si deve disconoscere l'ordine deUa legge economica, da cui ne viene che ogni industria, o agricola o manifattrice, devesi a vicenda aiutare. Sarebbe non curarsi del- l'influenza grandissima, che le arti manifattrici sull'agricoltura esercitano, se, trascurate od oppresse quelle, si reputasse che questa potesse prosperare. La mancanza di tale esame è causa di una specie di duali- smo tra agricoltore e manifattore, il quale non è interamente estinto; ma dobbiamo augurarci, pel bene delle manifatture e dell'agricoltura, e più particolarmente per l'incremento di que- sta, che non abbia a tardare a scomparire del lutto, in virtù IO l'AUTE PIUMA — SEZIONE SECONDA dei propagati lumi della scienza e dell'evidenza dei fatti che ci proponiamo di succintamente presentare in questo saggio. Perchè si avesse ad accordare prelazione all'agricoltura (il che è Io scopo, a cui senza avvedersi del danno, tendono quelli che professano l'opinione di quasi esclusività a di lei riguardo, stata appoggiata da alcuni dei caduti governi per tenere in basso le popolazioni), sarebbe necessario dimostrare se l'industria agri- cola sussista in virtù di elementi opposti a quelU che fanno prosperare l'industria manifattrice ; inoltre se la ricompensa che l'agricoltore ritrae dai prodotti della terra da lui lavorata possa essere diminuita pel concorso dei lavori manifatturieri; e se in- fine l'ItaUa non abbia acquistata importanza nelle manifatture al pari dell'Inghilterra e della Francia perchè, come si dice, sia più agricola di queste, e non piuttosto perchè anche nell'agri- coltura molto al dissotto sia rimasta in confronto di esse. Per tenace adesione allo stesso errore, parlamìosi specialmente dell'Inghilterra, si vuol sostenere, ma pur sempre senza pon- derato esame, che questa è la prima nazione del mondo per manifatture e commercio, perchè poco ha da occuparsi in fatto d'industria agraria. Ma il vero è, come vedremo, che l'Inghil- terra ha potuto diventare grande nelle arti manifattrici, anche perchè fece immensi progressi in agricoltura; perchè in nes- sun paese, più che in Inghilterra, si è impiegata maggior quantità di capitali, provenienti dalle manifatture, nel terreno, la cui produzione, in questo modo assai accresciuta, è stata di sommo giovamento alle arti industriali. Vi sono pur troppo delle verità, che altrove sono già da molto tempo famigliari, e che presso di noi giaciono nel novero delle paradossali. Ma vileniamo per fernao che P agricoltura langue CAPITOLO SECONDO 11 dove languono le manifatture, e che è impossibile che quella non prosperi dove queste fioriscono. La Spagna, onusta dell'oro del Nuovo Mondo, credendo non le sarebbero mai più sfuggile queste ricchezze, che con falso cri- terio riteneva potere tener luogo della produzione agricola e ma- nifattrice, abbandonò le manifatture, le quali vennero ancor più dispregiate in quanto che in esse avevano presa larghissima parte i Mori, odiati dagli Spagnuoh: e già durante il regno di Filippo II venivano dall'Olanda, dallTughilterra ed alquanto an- che da Genova provvedute le colonie spagnuole; i nove decimi delle merci, che queste consumavano, venivano loro sommini- strate da estere nazioni. DaU'abbandono delle arti industriali ne segui la rovina dell'agricoltura: nel 1702 tutta la grande e fer- tihssima Spagna non bastava ad alimentare la sua popolazione, che erasi ridotta a 5,700.000 abitanti (1). L'italiano cardinale' Alberoni, valentissimo ministro presso la Corte di Spagna (2), dopo più di un secolo che il regno giaceva nella miseria e nella solitudine, dedicò le maggiori sollecitudini per far risorgere le manifatture (5), Richiamate a vita le arti industriali, e nono- (i) I campi di grano della Vecchia-Castiglia sì erano convertiti in pascoli, ed un distretto dei dintorni di Segovia, esteso 2Ueglie, aveva ricevuto il nome di Des^pohlado (spopolato), perchè aveva perduto interamente la sua popolazione. (2^ L' Alberoni, uomo di mente elevata, d'ingegno astutissimo, di vasti con- cepimenti in politica, presenta molti punti, nella sua vita indefessamente la- boriosa, che si assomigliano a molli della carriera politica del compianto mi- nistro Cavour. Un parallelo esatto e bene approfondito dovrebbe riuscire molto utile non solo per confrontare i meriti dei due sommi italiani, ma anche per lo studio sugli avvenimenti e sulle cose politiche in generale. (3) A Giiadalaxara il prelodato Ministro introdusse le manifatture di panni; in pochi anni erano in esse impiegati 24 mila operai, e provvedevano alle forniture militari. Così pur fece per la tessitura delle tele, facendo venire Olandesi per insegnare quest'arte; ed energicamente raccomandava ai capi- 12 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA stante il sollerto abbattimento, la popolazione era già nel 1780 risalita a 10 milioni d'individui, i quali potevano coi prodotti nazionali agncoli soddisfare al bisogno della consumazione; tanto si era, dopo il risorgimento delle manifatture, ripristinata anche Tindustria agraria I E bensi vero che tuttora la Spagna è ben lungi dall'essere prospera quanto l'Inghilterra; ma bi- sogna confessare, con Scherer, che la società spagnuola fino a questi ultimi tempi fu troppo profondamente corrotta e snervata. Nella parte meridionale d'Italia, quando le manifatture erano in mighori condizioni, anche l'agricoltura meglio e più estesa- mente prosperava. Ma sotto la dominazione spagnuola subì le influenze di quell'ordinamento poKtico; e, per imitazione, di- spregiate le arti , ha anche questa feracissima regione veduto rapidamente decadere la sua agricoltura (1). Per contro si volga lo sguardo all' alta ItaUa , sotto il qual nome intendiamo mettere, per quanto ora diciamo ed in seguito diremo, anche la Lombardia, che né in agricoltura, né nelle arti manifattrici, né per il commercio è da posporsi all'ex-Stato Sardo di Terraferma. Anche senza il corredo, pel momento, di dati statistici e di calcoh, si può francamente asserire, né può smentirsi il fatto, che a colpo d'occhio si appalesa, dell'essere il Piemonte e la Lombardia in fatto di agricoltura, di cui qui ragioniamo, assai più innanzi di ogni altra parte della Penisola: ma è pure in Piemonte ed in Lombardia che l' industria ma- nifattrice ed il traffico ebbero assai più grande sviluppo. tani generali delle Provincie di ben accogliere ed aiutare i forestieri nella fon- dazione di opifìci (V. Scherer, Storia del Comm. di tutte le nazioni. Tempi mo- derni, Capit. Spagmioli § 4). (1) Genovesi, lìagionamento sulle Manifatture, CAPITOLO SECO.NDO 13 Possiamo già a fronte di questi fatti vieppiù insistere dichia- rando, che la prosperità dell'industria agricola è in relazione colla prosperità dell' industria manifattrice. Tutte le industrie hanno tra di loro legame e dipendenza. Maravigliosa concate- nazione, stabilita dalla legge d'ordine morale e fisico, che con- duce l'uomo al suo benessere e perfezionamento! L' uomo, non potendo creare un solo atomo di materia , ha r opera sua limitata , nel grande lavoro della produzione, a se- parare, trasportare, combinare e trasformare le molecole, di cui essa si compone. La base precipua di queste operazioni é il suolo , da cui si ritrae la maggior parte delle materie che si dicono prime , e che in seguito passando a subire successive manipolazioni per mezzo di varie altre industrie , servono alla soddisfazione dei bisogni ed ai godimenti della vita. Ne viene di qui la preminenza che sovra tutte le altre indù» strie appartiene all'agricoltura in quanto al succedersi degli atti e delle cose materiali , su cui si esercita l' intelligenza e l'attività dell'uomo. Ma se con ciò intendiamo di precisare il posto che l'agricoltura occupa nell'ordine della produzione, non devesi però ritenere che essa abbia da essere l'oggetto di norme legislative diverse da quelle che devono regolare le altre indu- strie che specialmente si chiamano manifattrici (1). (1) " Non è esatto il porre in antitesi l'agricoltura e le arti; l'equivoco sta nel dare il titolo di produzione agraria, in generale, ed agricoltura, al vitto, alla materia alimentare dell'uomo, ed all'industria che la procuri. — Tutto viene dalla terra, sicuramente, perchè la terra è la speciale località della nostra esi- stenza; ma tutto non vien dalla terra nel senso che non tutto si può pro- durre con la vanga e l'aratro. Quanlo è vero che la maggior parte de' nostri alimenti promana dal regno vegetale ed animale; tanto è vero che la storta ed il fornello potrebbero un giorno reclamare per sé la preminenza decretatasi all'agricoltura, se mai la Chimica riuscisse a congiungere insieme gli atomi d4 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA Ora discorriamo specialmente le condizioni dell' agricoltura in in Inghilterra, in Francia ed in Italia. elementari del pane. Togliamo dunque l'equivoco: non si parfi t^ìù d'agricol- tura ed arti o commercio; si parli unicamente di produzione alimentare e non alimentare. E A0.ÌV alimento guardiamoci ancora di escludere tutto ciò, che non sia destinato a passare Ira il palato e la lingua: giacché se è vero, com'è indubitalo, che un intenso freddo può uccidere l'uomo quanto può farlo la fame, allora bisogna ben dire che la grotta, almeno, la mal connessa capanna, la pelle d' un animale, saranno oggetti di tanto estrema necessità, quanto è l'erba ed il frutto r, (F. Ferrara, Introduzione al voi. Vili della Bibl. dell' Econom., serie 1." Trattati eomplessivi). i CAPITOLO SECONDO SonaiTiario. L'agricoltura in Inghilterra al princìpio del secolo XVIII -- Ingliilterra propriamente detta — Irlanda — Scozia — Superficie del Regno-Unito. Britannico — Superficie dell'Inghilterra propriamente detta — Quantità del terreno ivi coltivato al principio del secolo XVIII — Opinioni erronee intorno all' agricoltura di questo paese — Grande aumento di reddito e di rendita — Aumento della quantità dei prodotti in maggior proporzione della quantità di terra messa a coltura — Confronti rapporto ai mezzi di sussistenza fra l'Ingh'lterra e l'Italia — L'agricoltura in Inghilterra produce a sufficienza per alimentare la sua popolazione? — Riforme di Roberto Peel — Opinioni intorno ad esse ed ai progressi che può ancor fare l'Inghilterra — Epoca di energica iniziativa in Inghilterra nell'agri- coltura -- Guglielmo Pitt — Bisogni finanziarli dell' Inghilterra — Mezzi adoperati da Pitt per sopperirvi — Suo carattere e genio — Si abusò in parte dei mezzi da lui adottati — Catastrofi economiche — Come in Inghilterra la classe de' fittaiuoli siasi fatta ricca e potente. Nel principio del secolo XVIII le due terze parti del suolo inglese giaceva incolto. Intendiamo parlare di quella regione , che ha propriamente il nome d' Inghilterra comprendente il paeso di Galles, ed escludiamo cosi l' Irlanda e la Scozia, le quali, benché concorrano a formare il Regno-Unito Britannico, furono pur nondimeno sempre rette con particolari provvedimenti non ad eguale reciproco vantaggio, ma a favore della parte prepon- derante che a sé le sottopose. Nell'industria agraria, nelle manifatture e nel commercio l'Ir- landa e la Scozia restarono, come tuttora lo sono, a grandissima 16 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA distanza dall'altra parte del Regno; e quanto alla Scozia é d'uopo anche notare che le sue condizioni topografiche e di clima sono in felicissime. La fredda temperatura, quasi a gelo in molla parie dell'anno, si oppone specialmente al lavoro agrario in quelle generalmente poco estese convalli, circondate da inac- cessibili montagne, che s'innalzano a prodigiosa altezza presen- lando dalle loro radici alle vette non altro che nudo macigno, 0 neve e ghiaccio. In [scozia però le arti industriali progredirono di più che non presso gl'Irlandesi: la qual cosa dimostra, che se l'agricoltura non può prendere grande incremento senza il concorso delle manilatiure, queste tuttavia possono, anche isolatamente fiorire, come si vede pure in Olanda. Per conoscere i progressi che nell' agricoltura fece il popolo inglese, dobbiamo considerarli là dove furono diretti i suoi ca- pitali ed il suo lavoro; e questo luogo é nell'Inghilterra pro- priamente detta che comprende il paese di Galles. Limitiamo adunque il terreno su cui dobbiamo ragionare. La superficie totale di tre Regni Uniti è di 51 mihoni di et- tari. Quella dell'Inghilterra propriamente detta è di 15 mihoni,! di cui però un milione è incoltivabile, od almeno sembra tale avendo sinora resistito alla pertinacia che in sommo grado è nel carattere di quella nazione. La superficie adunque di questa parte del Regno Unito Rritannico , che prestasi all' agricoltura , ammonta in tutto a 14 miUoni di ettari. Di questi al principio del secolo XVIII erano posti a coltura, ed assai imperfetta, meno di 5 miUoni. É da poco tempo , come abbiamo già accennato , che va di- minuendo la credenza, che l'Inghilterra non sia paese agricola. CAPITOLO SECONDO 17 La fognatura colà da varii anni adottata, i metodi per formare i concimi artificiali e di farne uso, le varie macchine agrarie, che più la fama, che non l'applicazione o modificate imitazioni divulgarono ft*a noi, cominciarono appena a correggere un'opi- nione che da più di un mezzo secolo è in contrasto coi fatti. Queste applicazioni , che richiedono capitah e meglio riescono quanto più in grande si fanno , non valsero ad attirare abha- stanza l'attenzione né dei piccoli né dei grandi nostri agricoltori per esaminare come e fin dove si potessero da noi seguire ; non produssero presso di noi, generalmente, quasi nessun altro effetto, che quello di farci supporre, che fossero sacrifici fatti a servigio di un falso principio , o di un eccessivo sentimento di amor proprio nazionale. Quelli poi, che, in poco numero, furono cir- cospetti neir emettere giudizio , e si accinsero con più o meno adequate indagini a studiare i mezzi che in Inghilterra si ado- peravano, per valutarne i probabili risultati, propendevano a con- chiudere, che fossero bensì non improflcuamente rivtdti gU studii, le fatiche, i dispendii a vincere l' ingrata natura di quel suolo e l'inclemenza del clima nordico; ma che non si sarebbe mai per niun conto riuscito da quegU abitatori di scogli a ricavare dalla terra quanto si ottiene in ItaUa col nostro comune sistema di coltivazione , ed in proporzione dei capitali impiegati. Per giunta poi a cosi inesatta conclusione, questa sorta d'indagatori si pasceva dell'illusione che il fruttato delle loro terre lavorate coi tradizionaU sistemi fosse ad una misura , oltre la quale è inutile concepire alcuna speranza. Questi furono giudizii che dimostrano essere state le ricerche fatte incompletamente; e conseguentemente le induzioni furono parziali , e contrarie all' indirizzo che V utile proprio avrebbe 2 18 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA consigliato. Non spinsero l'osservazione fino a rilevare, che in Inghilterra i possessori di fondi, i quali nel 1750 ricavavano cinque o sei mila lire sterline, sul cadere del secolo n'avevano, colla stessa quantità di terreno, ottanta e centomila (1). Né questo aumento di rendita proveniente dagU aumentati prodotti è da considerarsi come eccezionalmente derivato da alcuni fondi: non è meno positivo che in ogni parte del terri- torio inglese i prodotti agricoli aumentarono assai più che in proporzione dell' accresciuta superfìcie messa a coltura, e sor- passavano pure di molto quelli, che da un'eguale estensione di terreno, non solo allora si ottenevano, ma anche adesso si ot- tengono in Italia (2). Nel 1760 la popolazione dell'Inghilterra, compreso il paese di Galles, era di 6,479,750 individui. A queir epoca non erano coltivate che 7 mihoni di ettare: risulta dai conti annuali della dogana, che verso il detto anno 1760 l'importazione del grano superava l'esportazione di soli 400 mila quarters (ettolitri 1,160,000) all' anno. Quindi è, che circa 6 milioni di abitanti avevano da nutrirsi di grano prodotto su di un terreno, che arrivava a 7 miUoni di ettare (3). Nel 1830, cioè 70 anni dopo, la popolazione nell' indicata parte del regno unito aveva fatto un grande aumento, essendo arrivato il numero degli individui a 13,840,751. Allora erano già stati messi in coltivazione molti altri terreni, che unitamente alla sovrindicata quantità formavano 12 milioni di ettare. É pure positivo, che intorno a quel tempo, nelle annate normali, (1) Cantù, storia Univ. voi. XVII, pag. 484. (2) V. Prospetto a pag. 62. (3) V. Enciclopedia Britannica, voi. Vili, pag. 764. CAPITOLO SECONDO 19 non si aveva bisogno di dipendere dall'estero per avere cereali destinati alla consumazione interna (1). Or bene neir intervallo di tempo che separa il 1760 dal 1850, si erano messi a coltura 5/12 di più della quantità in prima coltivata; la popolazione più del doppio era aumentata, e senza aver da derivarne dal- l'estero, nutrivasi dei proprii prodotti agrarii. Da questo lato possiamo adunque essere persuasi che i maggiori studii, le mag- giori fatiche, i maggiori dispendii furono utiU anche all'effetto di aumentare la produttività del suolo. E questo importantissimo fatto sempre più si conferma, e toghe ogni più piccolo dubbio ove riflettasi , che , in Inghilterra calcolandosi essere la consu- mazione di prodotti agricoli, per ogni individuo in media, valutata a lire sterline 8 annualmente, si ha, per 15,840,751 individui, un consumo, il quale ascende al valore rappresentato da lire stoi line 110,726,008. Dividasi questa cifra per i 12 milioni di ettaro coltivate, e si avrà il reddito, per ogni ettara, a numero tondo di lire sterline 9 pari a fr. 225. Questo reddito ottenuto in In ghilterra si ka in Itaha ? Argomentando dall' attuale produzione, come in seguito si rileverà dal Prospetto Generale dei prodotti agrarii (2), crediamo di non allontanarci dal vero ritenendo, che a quell'epoca (1850) i prodotti erano nell'alta Itaha una metà, e neir Itaha centrale e bassa tre quarti al disotto di queUi del- l'Inghilterra. Dopo il 1850 in Inghilterra tutto il terreno che era coltivabile, (1) Bivista di Edimburgo; Condizione attuale dell' agricoltura inglese; che leggesi anche nella Bihl. dell' Econom.; serie 2." voi. l,pag. 666. Veggasi pure Carey, Principii di Economia Politica. Capit. V* (2) Veggasi il citato Prospetto a pag. 62. 20 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA venne dissodalo; e quantunque le ultime terre poste a coltura siano per lo più le infime per suscettibilità produttiva, pure si ottiene in media un prodotto rappresentato per lo meno da franchi 200, che pel diminuito prezzo delle derrate in Inghilterra nelFultimo trentennio, equivalgono ad oltre franchi 250, comparati- vamente al prezzo cui le derrate si vendevano nell'anno 1850. Non deve perciò neppur far meravigUa, che l'Inghilterra, nelle annate che siano appena favorevoh, possa alimentare tutti i suoi abitanti, ed avere anche derrate disponibili, non col solo mezzo di derivazioni estere , per provvedere ai bisogni di altri paesi come vediamo appunto accadere in quest'anno, in cui l'Inghil- terra concorre a colmare la deficienza di raccolta frumentaria che presentemente reca inquietitudini alla Francia. Le riforme economiche di Roberto Peel, che importano dimi- nuzioni di dazio sull'introduzione de' grani, contribuirono molto a radicare non solo presso di noi, ma anche in Francia l' errore, elle l'Inghilterra avesse bisogno di ricevere dalle altre nazioni le derrate alimentari : essa invece all' epoca di quelle riforme era già arrivata a tanto di essere più in grado di darne , che di domandarne. Con eguale ed anzi con maggiore pertinacia coronata da cosi utili risultamenti , gl'inglesi ora colla scorta della progrediente scienza agronomica, e coli' energica appUcazione di ogni perfe- zionamento, continuano a fare rapidi progressi. Non è soverchio insistere su queste nozioni che ci conducono meglio a conoscere la via dagli inglesi percorsa, ed i sorpren- denti successi ottenuti. Megho col corredo di queste notizie po- tremo in appresso renderci ragione dello stato presente dell'a- gricoltura che essi fecero molto prosperare, e potremo eziandio CAPITOLO SECONDO 21 inoltrare lo sguardo verso il sempre più splendido avvenire, che air industria agraria essi preparano coir abbondanza de' capitali e coir incessante studio e lavoro. E opinione di uomini versati in queste materie, e che sono attenti osservatori di quanto in Inghilterra si fa per il continuo miglioi'amento dell'agricoltura, che fra non molti anni la produzione del suolo sarà ben mag- giore di quello che lo sia attualmente; e si giunge fino a pre- conizzare che sarà raddoppiata. Quali sarebbero le conseguenze per r Italia , se fa fondamento sulla consumazione inglese , lo vedremo in appresso. Fu sotto l'amministrazione inaugurata nel 1746 dal ministro Guglielmo Pitt, che l'Inghilterra cominciò la sua epoca storica pel grande impulso dato all' agricoltura, alle manifatture ed al commercio. Quel grande uomo di stato ben vedeva , che non potevano scaturire se non da queste sorgenti i mezzi coi quali poter far fronte alle colossaU lotte , in cui la nazione erasi allora impe- gnata. Soltanto dal regno di Gregorio III alla pace del 1815 il Governo aveva introitato, mediante diverse imposte, la prodi- giosa somma di lire sterline 1,586,468,446; pari a circa 55 mi- liardi di franchi (1). Tutto questo danaro fu nel tesoro pubblico versato in soU 45 anni, ed interamente consunto nelle spese di guerra contro l'America, contro la rivoluzione francese, poi contro Napoleone I. Il ministro Pitt , a fronte dell' immenso bisogno di danaro j come richiedevano^le straordinarie contingenze ed i pericoli del (1) Pablo Pebrer, Histoire Financìére et statistique generale de l'Empire Britannique. Edit. Paris 1831, tom. ì, Tab. 31, p. 171. •22 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA paese , seppe provvedere animando manifatture , agricoltura e commercio. Non ne poteva ignorare la massima importanza, ed arrivò al suo scopo con tre mezzi: colla sufficiente protezione; col favorire la riunione dei campi, a patto però che T aristocrazia si trasformasse in fabbricatrice di prodotti rurali; e coli' adope- rare in sussidio della terra tutti gli espedienti del credito, me- diante cui si aveva il danaro al 5 per cento , il quale a breve andare avrebbe potuto essere rimborsato coi capitali che per r incremento delle manifatture e del traffico , sarebbero da- gli industriali e commercianti passati nelle mani dell* agricol- tore (1). Pilt, che, come dice Cochut, aveva il merito speciale di de- gnarsi di ascoltare — di comprendere — di osare — e di agire, ascoltò e comprese, che poteva non temerariamente osare di agire , perchè infatti erano già preparati gli elementi che rendevano opportuna l' attuazione di si grandi concepimenti. Erano già abohii in massima parte e da molto tempo i servigi de' coloni e de' livellari ; erano già in pratica i lunghi affìtti, che in vari casi passavano fino a due e tre generazioni. I fìitaiuoli, oltre di avere, a causa del lungo affìtto, tutto l'interesse di mi- gliorare la coltura del suolo, avevano anche in altro modo van- taggiata la condizione delle affìtanze, in quanto che pagando essi al proprietario del fondo la rendita annuale in danaro, e (1) Per moUiplicarei Banchi di credito d'istituzione privata nelle Provincie quel ministro limitò perfino entro sole 12 leghe nel circondario di Londra il pri- vilegio conceduto al Banco d'Inghilterra, di emettere biglietti senza paga- mento del diritto di bollo, conferendo eguale esenzione ai Banchi privati pro- vinciali, che in breve salirono a TOC. Questi diffusero immensi capitali per estendere e migliorare la coltura dei campi. Ma di che non si abusa? L'agri- coltura vi ha bensì guadagnato; ma l'esagerazione di un principio buono ed utile preparò le catastrofi avvenute specialmente tra il 181 4 ed il 1826. CAPITOLO SECONDO 25 questo avendo perduto di valore intrinseco per la sempre cre- scente importazione dell'oro e dell'argento, nel mentre che il prezzo delle derrate si manteneva alto a causa delle grandi prov- viste occorrenti nei molti anni di guerra; dall' un canto paga-» vano effettivamente meno al proprietario , e dall' altro il valore venale dei prodotti agrarii per doppio motivo aumentava. CAPITOLO TERZQ Soimixarlo. ('onlizioni politiche ed economiche della Francia prima della Rivoluzione L'agricoltura,le arti ne soffrivano e p3rchi^ — Popolazione della Francia nel 1760 — Dati di sua agiatezza — Priucipii proclamati dalla Rivolu- zione del 1789, abusati dappoi — Superficie totale della Francia — Quan- tità della terra coltivata; reddito agrario complessivo al principio del secolo XVIII — Popolazione a quest' epoca — Dal 1760 al 1800 poco crebbe l'agiatezza pubblica — Quale era allora il prodotto brutto della terra? — Stato dell'agricoltura dalla Rivoluzione al 1815 — Formazione del terzo Stato in Francia — Cause che ivi indussero lo sminuzzamento del terreno — Distribuzione della proprietà fondiaria nel 1815 — Prin- cipii sanciti colla legge 11 agosto 1789, e come male furono applicati — La Francia nel 1847 — Popolazione — Condizioni dell'agricoltura — Fra il 1815 ed il 1847 vi è il periodo più favorevole dell'agricoltura in Fran- cia — £ dovuto allo sviluppo delle industrie manifattrici e del commercio — Attuale distribuzione della proprietà fondiaria — Reddito complessivo della proprietà fondiaria alla fine di detto periodo — Riparto del prodotto per ogni ettara — Confronti risguardanti la Francia nel 1789 e 1847 relativamente all'agiatezza — Opinione di DeLavergne tra il progresso della Francia e quello dell'Inghilterra — Nostra opinione — Conseguenze del taglio dell'Istmo di Suez in ordine all'agricoltura — Probabili pre- visioni di Napoleone III. Ben in diversa guisa i fatti politici ed economici si succede- rano e si complicavano in Francia. Golbert, Sully, Law e le nuove superficiali, ma eccitatrici dottrine divulgate dagli Enci- clopedisti, che erano penetrate fm nelle ultime classi della so- cietà, trasportavano rapidamente quella nazione ad estreme ed opposi? opinioni di reggimento politico ed economico , mante- nendo in lei per lungo tempo un'agitazione febbrile. Erano pas- saggi repentini da un sistema ad un altro talmente fra di loro i CAPITOLO TERZO 25 contrarii, che distruggevano ogni sicurezza , iu cui risiede una delle principali condizioni per lo sviluppo ed il progresso delle industrie, e specialmente dell'agricoltura. Non eravi fiducia, e non eravi perciò neppur credito né in pubblico, né in privato. Tutto sembrava soltanto in via di esperimento ; situazione sem- pre spaventevole per il Governo e per la Nazione. Tutto pre- sentavasi con carattere di precarietà, e con prodromi di pros- simi e gravi disastri, che arrivarono pur troppo fierissimi col- Tessersi passato dal movimento nazionale del 1789 alla più tre- menda rivoluzione, quale si fu quella del 1792 che gettò a soq- quadro la Francia. Frattanto che il momento del terribile scoppio giungesse , le arti, il commercio sempre più languivano; l'agricoltura proce- deva lenta, inceppata anche da ogni specie di servitù , e da una feudale aristocrazia che non conosceva i bisogni della nuova civiltà, né il proprio interesse. Per le quali cose, nel 1760, in Francia, la cui popolazione era di 20 milioni, solamente 7 mi- lioni d'individui potevano nutrirsi di cereali (1). Sorgeva finalmente l'anno 1789 spiegando il vessillo di pace, giustizia e libertà. Tali infatti erano i principii di questo mo- vimento nazi(Miale riassunto in quelle tre magiche voci (2), nelle quali si compendiano i bisogni e le aspirazioni dell'umanità. Ma l'impeto delle passioni inasprite dalle lunghe sofferenze e dalla eccessiva ineguaglianza delle classi, di cui le une troppo co- (1) Journal des Debats 30 Mars 1847. (2) La VERONE, membre de l'Institut et de la Société generale d'agricolture de France, Economie Rurale de la France depuis 1789 — 2.* Edlt. Paris 1861, pag. 46 — Alla squilla cortesia dell'Autore dobbiamo 11 dono che ci fece, di questo pregevolissimo lavoro, che ci giovò per desumere preziosi ed esatti dati statistici che risguardano l'agricoltura in Francia. . .. ; • 26 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA mandavano ed opprimevano, le altre erano costrette a troppo ubbidire senza muovere lagno, fece degenerare quel moto, che conteneva i germi di sociale riforma, negli orrori della rivolu- zione del 1792. A quest'epoca che segna l'entrare del secolo XVIII, la coltura del suolo in Francia erasi bensi ampliata, ma non come si sa- rebbe potuto fare nel periodo di 40 anni, se i tempi fossero corsi non in tanto trambusto. Le condizioni agrarie del paese erano come quelle degli uomini che sentivano il bisogno di rialzarsi; ma gravi erano gli ostacoli, e l'opera della distruzione trionfava. Alcune regioni peiò non ^si videro bagnate dal san- gue de' suoi cittadini, e vi si è potuto alcunché far progredire l'agricoltura. Su 55 milioni di ettare, di cui componesi tutta la superfìcie della Francia, il terreno coltivato era 31 milioni di ettare. Il reddito totale, che ricavavasi dalla terra pare non ol- trepassasse 2 miliardi di franchi. La popolazione allora essendo di abitanti 26 milioni e mezzo, si [veniva ad avere su questo reddito la quota annua per ciascun individuo, di franchi 70. — La coltura a frumento figurava per ettare 4 milioni producenti 8 ettolitri per ogni ettara: il che, ritenuto essere la consuma* zione normale per ogni persona in media di litri 320 annual- mente (1), dimostra che 10 milioni di francesi, invece di 7 mi- lioni come nel 1760, potevano alimentarsi di frumento. Questo risultato, che prova %ii progresso benché lento, era già un bene per quei tempi procellosi , in cui il non retrocedere dal lato della prosperità materiale può considerarsi un vantaggio. Tut- (1) CoRMENiN , Giornale di agricoltura pratica, giugno 1847. CAPITOLO TERZO 27 tavia per estimare con esattezza siffatto aumento di prodotto che inchiude una norma per misurare il benessere pubblico è d'uopo computarlo in proporzione dell'aumento di popolazione, che da 20 milioni era salita nel corso di quarant'anni a 26 mi- lioni e mezzo. Stabilita la proporzione risulta che l'aumento di prodotto in questa specie di cereale (di cui è a desiderarsi venga il tempo, che sotto forma di pane possa eselusivamente ognuno alimentarsi), pochissimo vantaggio recò alla massa della popo- lazione. Ma non era possibile progredire di più, giacché il danaro in mano di pochi si seppelliva negli scrigni; T industria manifat- trice trepidava ; i campi erano oggetto di pompa , e venivano destinati più che per dare alimento al popolo , per mantenere miriadi di conigli che dovevano somministrare le pelUccie per ornamento agli abiti dell'alta classe. Il prodotto brutto della terra non dava perciò in media che franchi 50 per ettara che si ripartiva nel seguente modo: Rendita del proprietario Fr. 12 Guadagno del coltivatore » 5 Spese accessorie » 1 Imposte fondiarie e decime » 7 Mercede del colono . * » 25 Fr. 50 (1) (1) Questa cifra, che sì può considerare, che positivamente rappresenti il prodotto lordo di un ettara di terreno ai principio del secolo XVIII, moltipli- cata per il numero di ettare coltivate, cioè 31 milioni, dà il risultato di 1 mi- liardo e 5o0 milioni: il rimanente, per arrivare ai 2 miliardi, è prodotto dalie ettare 22 milioni Incolte, che però danno un frutto, come i boschi, i pascoli, i minerali, i pesci ecc. 28 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA Dall'epoca della Rivoluzione discendendo poi fino al 1815, il siìpporre che potesse l'agricoltura far dei progressi , sarebbe come credere, che le agitazioni intestine, le combustioni so- ciali e gU eserciti o vinti o vincitori non divorassero le ric- chezze della nazione, e non togliessero migliaia di braccia dal- l'aratro e dagli altri strumenti della produzione scambiandoli con quelli di distruzione. Ma non solamente per tali motivi l'agricoltura in questo pe- riodo di tempo fu condannata a rimaner stazionaria. Nell'intento di erigere sulle rovine dell' antico , si credette di non potervi presto riuscire, che formando un nuovo ordine sociale , basato su nuovi interessi. Allora i grandi possedimenti della nobiltà , del clero, del Demanio, delle Comuni, che sommavano a 50 mi- lioni, furono sminuzzati fra 1,222,000 individui (1). Varie cause in appresso contribuirono anche a rendere sem^ pre maggiore ed inevitabile lo sminuzzamento, e di più anzi a fomentare il desiderio di possedere terre, comunque divise e suddivise in modo non consentaneo alle condizioni che si richiedono , affmchè il suolo possa essere convenientemente coltivato, e se ne possa quindi ricavare quanto, di cui è capace. La perdurante mancanza di sufficienti capitali, il nessun adito aperto per rivolgere ad altre industrie il lavoro furono cause, che secondo l'opinione di molti, pregiudicarono l'agricoltura in Francia per essersi frazionato in piccohssimi appezzamenti il terreno senza calcolo e senza profitto. Secondo Rubichon (2), a cui seguendo l'esattissimo De-Laver- (1) CoCHUT, SuW Industria agricola in Francia, i 2 pr. (2) Du mécanisme de la société en France et en Angleterre, p. 31. V. anche Lavergne, loc. cit., p. 49. CAPITOLO TERZO 29 gne, prestiamo tutta la fede nei dati statistici da lui raccolti, la distribuzione della proprietà in Francia nel 1815 era come risulta dal seguente prospetto ; 21,456 famiglie possedenti in media; Ett. 800 . 168,645 » » 217,817 » » 256,555 » » 258,452 » » 561,711 » » 567,687 » » 851,280 )> » 1,101,421 » » Eltare too. . . . 19,000,000 62. . . . 10,000,000 22. . . . 4,800,000 12. . . . 5,000,000 8. . , . 2,000,000 5. . . . 1,800,000 5. . . . 1,700,000 1,66 are 1,400,000 — 50 550,000 5,805,000 proprietarii di terre che possedono 44,750,000 Si avverta che non sono compresi nella qui indicata quantità di terreni quelli che non sono imponibili, e neppure le pro- prietà dello Stato e delle Comuni. I limiti del presente nostro lavoro non ci permettono di fare di più, che presentare il fatto che risguarda la distribuzione della proprietà in questo periodo trascorso dalla Rivoluzione francese sino alla caduta del primo impero napoleonico. Essendoci ora proposti di esaminare piuttosto le condizioni presenti della Francia e dell'Inghilterra confrontandole con quella delFItaha, troppo lungi dall'argomento, che ci siamo pre- fissi, ci lasceremmo condurre se ci accingessimo ad esporre tutte le cause che influirono su questo stato di cose in ordine al modo che vennero a trasmettersi e distribuirsi i possessi territoriali in virtù della legge 11 agosto 1789 emanata dall'As- semblea Nazionale. Essa abolì il regime feudale, e con esso ogni 50 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA servitù personale senza indennità ; aboli il diritto di colombaia, il diritto di caccia e di conigliera, flagelli del coltivatore ; aboli il vincolo de' censi, che diventarono facilmente riscattabili, come pure le decime ed i privilegi pecuniarii in materia di sussidii, ordinando che il riscotimento avesse da farsi in egual modo sopra tutti i beni e su tutti i cittadini. Se lo svolgimento e Fapplicazione di questi principii, conte- nenti radicali riforme, avessero potuto effettuarsi con provvi- denze, in appresso, meno dominate dalle passioni e dal turbine rivoluzionario, maggiori e più pronti ne- sarebbero stati i be- neficii. Ciononostante arriviamo intorno al 1847, e già la Francia con una popolazione di oltre 30 milioni individui, non più sol- tanto 7 milioni come nel 1760, né 10 miUoni come nel prin- cipio del secolo XVIII, ma 20 milioni di francesi si alimenta- vano di frumento (1), essendo che la produzione di questo cereale a quel tempo saliva, dedotte le sementi, a 70 milioni ettolitri (2). Fra il 1815 ed il 1847 comprendesi il periodo più favorevole all'agricoltura della Francia; e fu appunto in questo intervallo di 32 anni che le arti ed il commercio presero un grandissimo sviluppo. Il traffico esterno quintuplicò, e l'industria manifattrice ha quadruplicato i suoi prodotti (3). Le leggi in questa materia, come quella dell'Assemblea Nazio- nale di Francia del 1789, si noti bene, non giovano, se coloro a cui vantaggio si vogliono fatte, non si trovano in situazione di poterne fruire. Le arti, il commercio diffusero ricchezze, ri- iì) Journal des Debats, loc. cit. (2) Lavergne, loc. cit., p. 412. (3) LAVERGNE, loc. cit.. p. 46, CAPITOLO TERZO 51 stabilita la tranquillità, e tutelati; la proprietà territoriale au- mentò di valore; si accrebbero i prodotti; e maggiore divenne il numero de' possessori, non però per effetto di mal calcolati sminuzzamenti della terra; ciocché si può desumere dal pro- spetto di che ci fornisce il signor De-Lavergne (1), il quale ci presenta lo stato attuale della proprietà in Francia, dedotti i terreni non imponibili, queUi di proprietà dello Stato e delle comuni, nel seguente modo: Ettare 50,000 grandi propr. possed. in media Ett. 500 .. . 15,000,000 500,000 mediani » » » 50. .. 15,000,000 5,000,000 piccoli » » » 5. . .15,000,000 Ett. 45,000,000 I terreni, divisi nel modo ora indicato, davano nel 1847 un prodotto annuo lordo di 5 miUardi, invece di 2 miliardi come nel 1789 (2): e questo prodotto si ripartiva, per ogni ettara, nel modo che risulta dal seguente prospetto, che pure il si- gnor De-Lavergne ci porge: Rendita del proprietario Fr. 50 Guadagno del coltivatore » 10 Spese accessorie » 5 Imposte fondiarie e decime » 5 Mercede del colono » 50 Fr. 100 Riassumendo i dati, che abbiamo fin qui esposti, sotto il punto di vista del benessere della nazione francese abbiamo: (i) Loc. cit.. p. 51. (2) Lavergne, loc. cit.. p. 444. 52 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA 1.^ Nel 1789, per Ogni individuo sulla popolazione di 26 mi- lioni e mezzo franchi 70, che possono considerarsi equivalere ad 1 ettohtro e un quarto di frumento, ad 1 ettolitro e tre quarti di segala ed altri grani, e 18 chilogrammi di carne. 2.'' Nel 1847, per ogni individuo, sempre fatto il computo per ogni anno, sulla popolazione di 55 milioni, almeno franchi 140. Perciò ognuno poteva consumare molto maggior quantità di sostanze alimentari, e provvedersi anche più abbondantemente delle altre cose bisognevoli alla vita. Non ci sembra che più esattamente si possano riepilogare questi risultati riflettenti la Francia, e da noi desunti colla mag- gior diUgenza dai più accurati studii statistici, se non colle parole del già citato De-Lavergne. Egli in argomento tanto a lui famigUare, fa conoscere ciò che la Francia ha fatto, e ciò che di più avrebbe potuto fare. « Questi progressi, egli osserva, bastano per inspirarci un legittimo orgoglio ed una giusta fiducia nell'avvenire; ma non dobbiamo mai dimenticare che i prodotti del nostro suolo avreb- bero potuto esser stati per lo meno raddoppiati, poiché noi ab- biamo perduto circa la metà del tempo decorso dopo la rivo- luzione. Un paese vicino, presso il quale i principii del 1789 sono stati, malgrado alcune apparenti eccezioni, più antica- mente e più costantemente appUcati, di quel che lo furono presso di noi, ha fatto, nel medesimo lasso di tempo, dei pro- gressi ancora più rapidi. Nel 1789, il Regno-Unito aveva 13 mi- lioni e mezzo abitanti; ed oggigiorno è ben vicino ai 30 mi- lioni, senza contare molti milioni d'inglesi sparsi nelle colonie; la sua popolazione si è adunque più che raddoppiata, nel men- tre che la nostra non è accresciuta che di un terzo. Non ci CAPITOLO TERZO 55 vollero per noi meno di settant'anni per dissodare due milioni ettare di lande, per sopprimere la metà de'nostri maggesi, per raddoppiare i nostri prodotti rurali, accrescere la popolazione del 50 per cento, le mercedi del 100 per cento, la rendita del 150 per cento. Con questo conto, per arrivare al punto in cui oggidì trovasi l'Inghilterra, vi vorrebbe ancora per la Francia tre quarti di secolo ». Pur troppo, soggiungiamo noi , né sembraci di essere in er- rore, che non bastano tre quarti di secolo per mettere la Fran- cia al livello dell'Inghilterra nei progressi dell'agricoltura. È un fatto , che lo stesso Lavergne confessa , essere attualmente in Francia l'industria agricola in condizioni meno favorevoli di quanto lo fosse nel 1847 (1). Non contiamo che dal 1847 al 1860 trascorsero 15 anni, e, secondo lui, i progressi in questo tempo si sono sensibilmente rallentati; poiché egU veramente non dice che la Francia da qui a 75 anni sarà al pari dell'Iu- ghilterra, ma computa soltanto, che continuandosi l'opera come si fece dopo la Rivoluzione fino al 1847 , la Francia avrà, in sostanza, un prodotto doppio dell' attuale. Ci permettiamo, con- tro il giudizio di uno scrittore tanto profondo in siffatte mate- rie, di muovere qualche dubbio, appoggiato sul continuo pro- gresso che ringhiltevra fa nell'industria agricola, in guisa che non tarderà, siccome molti ravvisano, tre quarti di secolo a rad- doppiare i suoi prodotti; dal che ne consegue che sempre più si farà sentire anche in Francia col mezzo della libera concor- renza. Questa sarà tanto più efficace per lei , in quanto che i capitali abbondantissimi in quel paese sono ad un tasso mi- \i) Log. cit., pag. 47. Oi PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA iiiino, e forse meno della metà di quello di Francia. Quindi è che la proprietà fondiaria in Inghilterra con un doppio capitale da impiegare nella terra, non ha che un onere eguale a quello che ha la Francia per metà dello stesso capitale. Inoltre il ta- glio dell'Istmo di Suez, non senza grande motivo, tanto dall'In- ghilterra contrariato, ma che pur nondimeno fra non molto avrà aperto una breve via verso le più fertih regioni del mondo, non avrà forse somma influenza anche sull'agricoltura della Francia, come in ogni altra parte d'Europa? Minori saranno le diflicoltà, i pericoli della navigazione, mi- nori i capitali che occorreranno per commerciare colle immense popolazioni dell'Asia quasi a noi nuove; frequente e numeroso sarà il navigUo mercantile delle altre nazioni, che si troverà col navigUo inglese in quelle non più allora lontane spiagge. Che se l'Inghilterra non avrà più esclusivamente quei compensi che ora ritrae dalla navigazione e dall'esterno commercio, è però evidente che l'industria agricola d'Europa va incontro ad una rivoluzione economica. Questo fatto, che sta per compiersi fra pochi anni, dev'essere, quanto merita la sua gravezza, ponde- rato specialmente da quei popoli, che credono di poter de- rivare la loro prosperità soltanto dall'agricoltura : guardino di non trovarsi allora senza l'appoggio delle industrie ma- nif attrici. Noi non siamo in grado di asserire che il Governo di Napo- leone III proceda co' suoi atti in vista di questi non d'altronde lontani eventi. Nulla si deve ommeltere per accrescere i mezzi della nazione, per aumentare la produzione agricola e mani fat- trice del paese. Quel Governo, ed in momenti difficili, dà in sussidio a varii Dipartimenti franchi 25 mihoni per afl"rettare la co- CAPITOLO TERZO 35 struzione di strade vicinali a vantaggio specialmente dell' agri- coltura (1); ma non cade nelFerrore di dire che la Francia es- sendo, come l'Italia, eminentemente agricola, debba meno cu- rarsi delle arti industriali. Vi sono popoli, anche senza agricol- tura, ricchissimi ; non popoli solo coU'agricoltura ricchi. (1) Rapporto del ministro dell'Interno Perslgny, colla lettera di Napoleone III datata dal campo dì Chàlons, 18 agosto 1861, Questi due documenti si leggono nel giornale V Ila He del 23 agosto 1861, CAPITOLO QUARTO SoirLxn.ario. Opinioni sfavorevoli sugli Italiani in fatto di agricoltura — L'Italia nel secolo XV — Perchè d'allora in poi decadde l'agricoltura — Toscana — Agro Romano — Eegno di Napoli — Superficie e rendita del Tavo- liere di Puglia — • Importazione di cereali nello Stato Pontificio nel 1853 — Esiguità dei prodotti — Confronto fra la Toscana ed il Piemonte in ordine all'agiatezza pubblica — I latifondi e le piccole proprietà — La grande e la piccola coltura — Svolgimento della questione — Nostra opi- nìone — Sono esagerate le censure contro l'Editto 19 luglio 1797 di Carlo Emanuele — Cenni storici — Numero de' proprietari! in Inghilterra ed in Francia dal 1821 fino a questi ultimi tempi — Induzioni riguardo al- l'Italia — I grandi poderi non pregiudicano la condizione del colono — Dati statistici sull'Inghilterra , Francia ed Italia — Miserabile condizione del contadino nello Stato Pontificio e nel regno di Napoli — La è meno in Toscana — Ancor meno nell' alta Italia — Mezzi per rialzare l'agri- coltura — Agricoltori ed economisti toscani dimostrano la necessità di sviluppare l'industria manifattrice ed il commercio — Idee generali sulla libertà di commercio — Quali ne furono gli effetti in Toscana — Vedute generali sull'agricoltura delle altre nazioni — Conseguenze su quella dell'Itala. Fiualmente cosa diremo dell'Italia, che dopo di essere giudi- cata dagli stranieri, per loro interesse, inetta all'industria ma- nifattrice, non le si risparmia da taluni perfino l'accusa di non amare l'agricoltura ? (1). (!) Vidalin, che percorse l'Italia nel 1858, arriva ad esprimersi in questi ter- mini: M Quando si viaggia in Italia ciò che di subito colpisce è la scarsità degli abitanti della campagna e l'agglomerazione delle popolazioni in numerose pic- cole città di otto 0 diecimila anime in media. Gli Italiani amano poco la campagna. Per essi, l'esistenza non è possibile che all'ombra dei muri entro la linea daziaria; tengono, com'essi dicono, questi costumi dai Romani, loro padri. In Italia si sta in villeggiatura assai meno per isfuggire i calori d'estate CAPITOLO QUARTO S? Chi visita ìi nostro paese, sorpreso nel vedere la somma fer- tilità de' luoghi in quelle provincie, ove il capitale ed il lavoro vengono in aiuto della terra, si trova forse indotto a supporre, che non sia possibile attribuire ad altra causa il cattivo stato delle campagne in altre provincie d'Italia , che ad una decisa avversione airagricoltura. Altre volte però l'Italia quando primeggiava in tutta Europa e fuori per le manifatture e per il commercio, aveva anche una fiorente agricoltura; ed ai tempi in cui Carlo Vili venne, colle sue armate, di Francia in Italia , biondeggiavano le messi ove ora squallido e disabitato il paese è dominato dalla malaria (1). opprimenti nelle città, che per obbedire ad una moda, la quale si subisce senza rendersene sufficiente ragione. Il cambiamento de' luoghi non li conduce ad un mollo radicale cambiamento di abitudini; si passa il tempo in campagna come in città tra il sonno e la noia. Di giorno, dopo il pranzo si dorme; alla sera si prende il fresco in un boschetto di melaranci o di melagrani; dopo si riuniscono in una grande camera senza mobiglia per giuocare alle carte, o trattenersi con gran fatica in languida conversazione " {Revue des Deux Mon- des, 1858, p. 570). (1) « Negli ultimi anni del secolo XV, quando i Francesi, liberi alla fine da ogni guerra intestina, aspirando a gloria e battaglie, passarono le Alpi dietro al loro giovane re per andare alla conquista del regno di Napoli, furono me- ravigliati di trovare di là dei monti costumi più eleganti che i loro, anche nella corruzione medesima; un lusso più generale e più dotto; arti spinte ad una squisita perfezione e civiltà quasi ignota nel nord. La loro entrata in Italia fu per essi la scoverta d'un nuovo mondo. L'Italia era allora il più ricco ed il più bel paese di Europa. La terra scaldata da un sole energico e coltivata da uomini liberi, presentava una stupenda fecondità. La Lombardia co' suoi innumerevoli canali d' irrigazione , sembrava un vasto giardino. La maremma non era ancora divenuta una sorgente di peste ed una solitudine ; le falde degli Apennini ed il fondo delle vallate erano ognidove sparsi di vil- laggi fortificati e vagamente costrutti, le cui rovine attestano oggidì un'cpu. lenza che non è più. Nelle città una popolazione numerosa era addetta ai la- vori dell'industria e del commercio » (Levasseur, Storia delle classi lavoratrici in Francia, lib. V, cap. 1. (V. Bihl. dell' Economista, serie 2.** voi. 3, p. 1131). Il signor Vidalin può quindi ben persuadersi coi fatti veri, narrati dal suo connazionale Levasseur, che gl'Italiani non hanno avversione alla campagna 58 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA Le invasioni e le divisioni distrussero le sorgenti della ric- chezza ; r agricoltura necessariamente venne ristretta nella mi- sura della scarzezza de' capitali , poiché se altrimenti si fosse voluto agire sparpagliando sovra più ampia superfìcie i limi- tati mezzi di produzione, il danno sarebbe riuscito anche mag- giore (1). Ciò quanto alle popolazioni. ^ Quanto ai Governi, che per tanto tempo afflissero Tltaha, essi cercavano di trattenere lo sviluppo del materiale benessere te- mendone un contemporaneo sviluppo intellettuale e politico (2). Stremate ed avversate le forze della n^azione , non deve far meraviglia , che in Italia la piccola coltura abbia sempre per tre secoli dovuto lottare contro l'insuffìcienza dei mezzi; e che la grande coltura, in generale, non siasi potuto esercitare. Egli è perciò che da un lato si sono dovuti abbandonare al contratto di mezzeria i campi suscettibili anche di coltivazione riunita, e da cui ora i mezzaiuoli portano al proprietario del fondo molti lagni e poca rendita, come in Toscana; e dall'al- tro lato il proprietario è sempre stato costretto a rimettersi alla discrezione dei mercanti di tenute, come nella Romagna, o dei Sorgasi, come nella Sicilia. In Toscana le maremme occupano grandi estensioni di ter- reno, quantunque si trovino al dissopra del livello del mare, per i costumi che .tengono dai Romani, loro padri. Se essi discendono dagli antichi Romani sono però più prossimamente i figli degli italiani del secolo XV e XVI. Ben altre sono le cause del cattivo stato presente deU* agricoltura in Italia. (1) «Bisogna sapere determinare in conformità dei tempi, dei luoghi e dei mezzi disponibili il rapporto variabile fra l'estensione e la qualità del suolo da coltivare col capitale occorrente per farlo fruttare »i (Cosimo Ridolfi, Di- scorso finale del Corso di lezioni di agraria, 31 ottobre 1858). (2) V. Circolare Ricasoli, 11 settembre 1861. CAPITOLO QUARTO 59 mentre vediamo che in Olanda con opere quasi incredibili si è respinto il mare per guadagnare terra (4). L'Agro Romano è un deserto. Diresti che nella sua triste so- ntudine s'impronta dei dolori dell'ieterna città , aspettando che a nuovo splendore la chiami il suo Re, quello d'Italia — Vit- torio Emanuele II (2). Lo storico De-Sismondi, che, di origine itahana, non perdette in terra straniera l'affetto verso l'Italia, fece particolare studio sulle condizioni di quelle campagne, ed assevera che non si ri- (1) "Nella Fiandra. neU'Olanda, neli'Alemagna, nell' Inghilterra, nell'Ame- rica... numerosi sono gli esempi di asciugamento delle paludi, che hanno arricchito i capitalisti e gli agricoltori che gli hanno intrapresi. Tutti sanno che la maggior parte dei terreni in Olanda, conosciuti sotto il nome di Polders, furono conquistati sul mare, e che il loro livello è inferiore a quello delle acque che sono trattenute col mezzo dì argini. Il disseccamento delle grandi paludi esige forti capitali, e non può essere fatto che dai governi o dalle so- cietà di capitalisti; ma non è del pari di una massa di terreni palustri, che servono bene o male da pascolo, e che producono pochissimo foraggio dete- stabile e mollissimi miasmi pestilenziali »» (Pareto, membro dell'Accademia reale di Agricoltura in Torino, Trattato dell'impiego delle acque in agricol- tura, pag. 43). Dev'essere di grande soddisfazione il sentire, che ora le operazioni fatte dal commendatore Giorgini di separare le acque salse dalle dolci nelle maremme toscane in tutta l'estensione del littorale, porge certezza, dietro i fatti avve- nuti, che il miasma ha cessato dall' imperversare. (2) "Immaginate qual io mi fossi al vedermi dinanzi per molte e molte miglia un vasto paese squallido al tutto e nudo, e deserto d'uomini, di animali e di piante; una solitudine desolata, nessun riparo alle impreviste turbazioni del- l'aria, nessun soccorso a' tanti bisogni che possono incontrare frequenti al viaggiatore, né scampo veruno dalle feroci incursioni dei masnadieri; un cupo silenzio, interrotto soltanto dai fischi di un vento erratico e sconsolato, e dal queruli mormorii di qualche fonte romita ; non una striscia di fumo che s'alzi da qualche riposto casolare, né suUa via tampoco una rustica cappelletta, una croce, a mesto conforto dell'anima quasi derelitta; al vedermi dinanzi una tanta devastazione in luoghi dove stesi in late pianure, dove sorgenti in colline . di molle declivio, dove sinuosi e giacenti per comode valli ; e tutto ciò fin presso ed intorno alle mura della magna città» (G. Barbieri, Lettera De Sismondi). AO PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA cava la dodicesima parte dei prodotti che potrebbero ren- dere (1). Nel già Regno di Napoli, ove pure le terre incolte e tenute a vago pascolo sono moltissime, facil cosa è il formarsi idea della grande ricchezza che va perduta , se argomentasi dalla misura della rendita che il governo borbonico percepiva dall'af- ri ito del Tavohere di Puglia. La sua superfìcie si estende per sessantacinque migUa in lunghezza da Torre Maggiore fino ad Adria, ed in larghezza ventisei migha da Troja fìno a Rignano. Ai tempi di Filangeri, che meritò lo sdegno de' Borboni perchè scrisse il pregevole libro sulla Scienza della Legislazione, non si ricavava da questa immensa pianura che la rendita di du- cati 499,255 ; né fu dal governo accettato il progetto di miglio- ramento da lui suggerito e dimostrato utile (2). Il conchiudere adunque, che da molti anni le più fertiU con- trade d'Italia provvedono uno scarso alimento a popolazioni che di ogni prodotto potrebbero avere abbondevolmente, non è clie un'esatta, quanto affliggente, deduzione dai fatti positivi esposti. Nel mentre poi le campagne di Roma sono deserte, le dogane dello Stato Pontifìcio del 4855 constatano l'introduzione annua di cereali destinati a consumarsi in paese per oltre 50 milioni di franchi (5). Né in appresso alcunché si é cambiato in meglio. Superfluo (1) Sua Memoria, Della condizione degli agricoltori nelV Agro-Romano. —Ve anche Zuccagni, Geografia dell'Italia, voi. X, suppl. (2) Parere presentato al re sulla proposizione di un affìtto sessennale pel così detto Tavoliere di Puglia, 30 marzo 1788. -— La somma sovraindicata era percepita dal governo; ma dalla memoria stessa appare che i conduttori di quell'incolto terreno, essendone vietato il dissodamento, perchè volevasi che servisse soltanto a pascolo, non facevano buoni affari. (3) Giornale Ufficiale di Roma, gennajo 1835. CAPITOLO QUARTO 41 sarebbe pertanto entrare in minute particolarità per luoghi, ove la produzione, anche attualmente, è al disotto del decimo o del dodicesimo di quanto potrebbe essere. La Toscana però non è al certo da considerarsi essere stata in tanta infelicità di condizioni economiche; e poiché nello svol- gere la questione intorno alla libertà di Commercio avremo di lei molto ad occuparci, non possiamo qui intralasciare un breve confronto fra essa ed il Piemonte rispetto a quella parte di benessere materiale, che si può arguire esservi fra popolazioni dall'uso di quegli alimenti che sono reputati igienicamente mi- gliori. In ordine a ciò abbiamo fatto rimarcare la sempre cre- scente consumazione del frumento in Inghilterra ed in Francia. É utile vedere quale dei due paesi italiani sia , in questo con- sumo, superiore, o il Piemonte o la Toscana. In Piemonte, benché sia molto estesa la coltura mediante ir- rigazione per praterie e risaje , le quaU occupano grandissima parte di territorio, si producevano tuttavia intorno al 1850 et- tolitri 787,741 di frumento (1). La popolazione era in detto anno di 4,568,156 (2). Per ogni individuo adunque, in media, il con- sumo di questa sorta di cereale era di litri 18; e se calcoHamo che la media di consumo per individuo annualmente è di 520 litri; ne risulta, che in Piemonte, dieci anni or sono, 246,100 individui potevano alimentarsi con frumento prodotto in paese. Ben poca cosa é invero in confronto d'Inghilterra e Francia; ma per il Piemonte havvi lina particolare circostanza la quale si é , che producendosi ivi molto riso che somministra un cibo (1) Tavole Statistiche del cav. Despine, pubblicate nel 1852* (2) Despine, loc. cit. 42 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA sano quanto il frumento, quello viene in molta parte a questo surrogato. In Toscana, pure nell'anno 1850, la popolazione saliva a 1,767,140 individui (1). Il prodotto del frumento era da calco- larsi non maggiore di ettolitri 145,750 (2). Quindi è che ivi ad ogni individuo in media non se ne potevano attribuire se non litri 8; e divisa la quantità totale di questo prodotto per 520 litri, come si è fatto superiormente, non potevano essere in To- scana, che 44,922 persone, le quali col prodotto di frumento del paese potessero annualmente aumentarsi. In Piemonte adunque si consuma frumento in più che dop- pia quantità che non in Toscana. Fatto, quanto al consumo delle carni , lo stesso calcolo che per brevità ommettiamo, la differenza sta pure più del doppio in favore del Piemonte. Se il presente lavoro , che ha per oggetto di esporre quali siano le condizioni dell'agricoltura presso di noi e presso altri popoh coi quah abbiamo molti rapporti , comportasse che si prendesse ad esaminare distintamente in qual modo , secondo le località, si dovrebbe dar opera per farla in Italia risorgere, una delle prime questioni a trattarsi ampiamente sarebbe quella delle relazioni che esistono tra il colono o il coltivatore ed il proprietario del fondo ; giacché presso di noi, come in Francia, essendo molto in uso il contratto di mezzeria ed altri che con diversi nomi si chiamano, ma che in sostanza poco tra di loro differiscono, hanno grandissima influenza sulla quantità e qua- lità dei prodotti. (1) Censimento Ufficiale dell'aprile 1851. (2) GuiBERT,' Dizionario pubblicato nel 1850. CAPITOLO QUARTO 43 Ciononostante, se non dobbiamo spingerci troppo innanzi su questo terreno , non ci sembra neppure che abbiasi ad evitare uno dei punti più controversi e difficili per dispensarci dall' e- mettere la nostra opinione. E in voce ancora il detto di Plinio, che i latifondi rovinarono r Italia (1). Ma ci si lascia il dubbio da quelli che ripetono questa sentenza, se abbiano essi studiate le vere cause, per forza delle quali in quei tempi si erano ridotti, in mano di pochi, stermi- nati possedimenti ; né sembra che neanco facciansi carico di contrapporre le asserzioni ai fatti per vedere se i latifondi siano proprio in sé stessi assolutamente incompatibili col vantaggio dell'agricoltura. Si risolvano costoro una volta di spingere lo sguardo verso l' Inghilterra, che anche in agricoltura, come ele- gantemente si esprime il marchese Cosimo Ridolfi , è davvero maestra di color che sanno. Non sono ivi i grandi poderi, che resero sommamente utile l' impiego di grandi capitali ? Non è invece in Francia che grande quantità di capitali troppo frazio- nati, si è consunta senza proporzionato profitto ? Non è poi in questa stessa Italia, e dove sono più fertili i suoi teiTeni, che scorgiamo languire V agricoltura tanto nelle regioni in cui pre- dominano i latifondi, quanto in quelle, in cui è sminuzzata la proprietà territoriale? Noi siamo convinti che la questione tanto in vario senso discussa dei piccoli e dei grandi fondi , della grande e della piccola coltura, sotto il punto di vista della mag- giore 0 minore produzione , non può essere risoluta con prin- cipii generali; ma l'uno e l'altro sistema deve dipendere prin- cipalmente dalle condizioni di luogo, dalla maggiore o minore (1) Verumque confitentibus, latifundia perdidere Ualiani, immo et provincias; mstor, Nalur. lib. XVIII, C. 6). 44 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA quantità dì capitali disponibili, dal grado d'istruzione agrono- mica. Nella piccola proprietà è molto in uso, come abbiamo testé accennato, sia in Francia, sia in Italia, il contratto di mezzeria, che è pur causa della coltivazione in piccolo. In virtù di questo contratto il proprietario del fondo si obbliga di lasciare a di- sposizione del colono il fondo per coltivarlo e di fare anche delle anticipazioni, la cui misura, nel silenzio delle parti, è sta- bilita dalla consuetudine locale o dalla legge; ed il colono pone l'opera e la maggior parte delle anticipazioni occorrenti perla coltura. 11 prodotto, come indica il nome stesso del contratto, è dimidiato fra proprietario e coltivatore, salve particolari con- venzioni (1). Indipendentemente anche da ogni altra circostanza, nelle re- gioni montuose, dove non l'aratro ed il bove, ma soltanto pic- coli strumenti colla mano dell'uomo si possono utilmente? ado- perare, ivi la mezzeria sarà sempre inevitabile , quanlrunque teoricamente tanto le siasi scritto contro. Non devesi però dire che nulla vi resti da farsi per dare miglior indirizzo alla coltivazione che si pratica per mezzo del contratto di colonia parziaria, affine di rendere meglio frutti- fero il terreno ; la qual cosa è d'interesse non solo privato, ma anche pubbUco. Meglio stabiliti i rapporti fra il proprietario ed il coltivatore relativamente alla misura delle anticipazioni ed al modo di somministrarle; e megho definito il contributo del la- (1) Codice Civile delle Due Sicilie art. 1609 a 1614; Codice Civile dèi Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla art. 1763, 1764 e 1766; Costituzioni del Ducato di Modena, lib. II, tit. 30^ e Notificazione del Supremo Consiglio di Giustizia in datft 26 aprile 1817 art. 4; Codice Civile Albertino art. 1786, 1793 e 1794. CAPITOLO QUARTO ' 45 voro, si otterrebbe per tutti grandissimo vantaggio. Né il pro- prietario del fondo, che lo cede a mezzeria, dovrebbe mai spo- gliarsi della facoltà di dirigere i lavori di campagna. Egli, che supponiamo più accessibile alle utili innovazioni, ai dettami della scienza, ed, in breve, a tutto ciò da cui dipende il perfe- zionamento dell'agricoltura, deve venire in aiuto del colono, che si appoggia unicamente alla pratica, la quale nel senso che prendesi da chi non è capace di spingere innanzi la mente, vorrebbesi che tutta consistesse nel guardar molto indietro. Si dovrebbe, fra i primi, evitare l'enormissimo errore di co- stringere il terreno, qualunque ne sia la natura, abbondante o scarso di principii fertiUzzanti, a qualunque altezza o prospi- cienza si trovi, di dare molte specie di prodotti per la sola ra- gione che il mezzaiuolo di tutti questi abbisogna. Finché si continua cosi, é impossibile che da questo lato riceva miglio- ramento l'agricoltura ; le anticipazioni che s'impiegano sul fondo andranno sempre presso che perdute con grande sperpero di di lavoro. Vi sarà sempre poco fruttato e generale miseria. Ritorniamo a quanto dicemmo in principio; non sono i lati- fondi che rovinarono l'Italia, ma la rovina é derivata dal con- corso di varie cause pohtiche che resero deserti i campi e che assiderarono le sorgenti della pubbhca ricchezza. Noi non ve- diamo differenza tra la grande e piccola coltura, sia in rapporto all'estensione dei fondi, sia in rapporto al modo di eseguirla, fino a quel limite, che, impiegandosi la terra nelle produzioni più omogenee al suolo e più necessarie per il benessere gene^ rale, si possano adoperare tutti i mezzi che il progresso della scienza unita ad una buona pratica dimostra meglio corrispon- dere- airinvestimento del capitale ed all'impiego del lavoro, af- 46 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA finché rechino questi , in proporzione , maggiore quantità di prodotti. Questui massima nel modo, che l'abbiamo formulata, riassume le nostre idee intorno alla questione della grande e della pie* cola coltura. Ma in Italia tanto nell'uno quanto nell'altro sistema si è proceduto troppo isolatamente ed imperfettamente. Perciò nei grandi poderi vi fu insufficienza di mezzi, trascuranza ed abbandono ; nei piccoli troppa moltiplicità di coltivazione , in guisa che ogni famiglia e colonica e proprietaria del fondo tendeva, e, diciamolo pure, tende a ricavare dal proprio terreno tutto quanto a ciascuna occorra per i diversi bisogni ed usi della vita. Il che è di danno per chi opera in tal modo, e priva la nazione dei vantaggi che potrebbe avere da una coltura gui- data coi principii della scienza agronomica e dell'economia po- litica. Per storica precisione e per fare anche conoscere quali fos- sero sul finire dello scorso secolo le dottrine che regolavano i grandi interessi dell'agricoltura in Piemonte, non si può la- sciar sotto silenzio passare l'Editto di Carlo Emanuele , in data 19 luglio 1797. Con questa legge gli affìttamenti di estesi poderi venivano proibiti, e gravissima era la pena comminata contro i violatori. La misura di questa sanzione penale era la perdita di un'annata di fìtto, qualunque fosse la somma a cui esso salisse; né poteva mai essere minore di lire cinquemila. Giova vedere le espressioni con cui questa legge spiega la mente dell'ordinatore sovrano; imperocché essa fu oggetto di gravi censure (1). Di esse però in gran parte crediamo si possa (1) V. Opuscoli politico-legali di un Avvocato Milanese, originario Piemon- tese, voi. V pag. 299. Ognuno conosce il nome del distinto personaggio che CAPITOLO SECONDO 47 purgare, se si riflette che gli aflìttamenti di grandi tenute si facevano allora in Piemonte, come ora si pratica nelle Roma- gne, specialmente; ove ricchi capitahsti speculano sopra im- mensi poderi, non coltivando il terreno, ma raccoghendo ciò che la fecondità del suolo rende col minimo di capitale e di lavoro (1). si era velato sotto questa indicazione; ed in proposito di detta legge si rivolge verso chi la consigliò con queste parole: " Come, al dir de' teologi, quando alcun fa bene e crede di far male, fa male, cosi si dee dire che fa bene chi fa male, credendo di far bene. Ma ciò non è vero sotto ogni rapporto, quando il bene erroneo influisce sugli altri, e massime sulla società in generale. L'o- nestà e la riputazione di quelli che commettono gravi errori politici, credendo di far cose ottime pel bene pubblico, sarà intemerata e salva. Ma i cattivi ef- fetti d'una falsa politica misura, d'una legge mal adattata non arrestandosi punto per la buona intenzione degli autori, o, per meglio dire, dei consiglieri di quella misura, o di quella legge , due conseguenze dobbiamo dedurre da questa condizione di cose, massime se è alcun tempo prolungata. La prima è che alcune volte vale più per la società un peccato, che non un'azione buona di quelli che consigliano nella cose governative. La seconda è che verissimo è quel detto che in un'altra occasione abbiamo rilevato dal presidente Fabro, e che è pur verissima 1' osservazione fatta da un' illustre pari di Francia in ordine ai mali che si fanno in buona fede nelle materie governative ». (1) Ecco il succitato editto, di cui riferiamo i motivi e le due più importanti disposizioni. — Mentre con lettera circolare della Segreteria nostra di Stalo per gli affari interni in data del giorno d'oggi si danno per ordine nostro le più efficaci di- sposizioni per la piena ed esatta esecuzione delle leggi tutte già esistenti in torno alla pubblica annona, ma specialmente per impedire l'estrazione de'grani dello Stato, i magazzinamenti egli accaparramenti di essi; e mentre si stanno maturando altre provvidenze dirette a sminuire il prezzo dei generi a sollievo del popolo, abbiamo preso in considerazione le pubbliche doglianze sull'esteso sistema degli afflttamenti , al quale si attribuisce l' accrescimento di angustie de'colti valori, il rinserramento delle granaglie, e la conseguente alterazione de' loro prezzi. Considerando però che se le locazioni di estese tenute, concentrando i latifondi nelle mani di pochi ricchi capitalisti sono dannose per più riflessi, gli affìtta, menti di tenui o mediocri possessioni sono utili all'agricoltura, e di vantag- gio al popolo, perchè vi possano attendere i contadini coltivatori; ci siamo determinati ad apportare a questo oggetto di economia politica una modifica- zione, la quale lasciando anche a' possessori di latifondi il mezzo di farli va- lere con parziali locazioni, rimuova i danni dell'attuale sistema; e perciò col Presente editto ecc. ordiniamo : 48 PARTE PHIMA — SEZIONE SECONDA Questa legge fu sul principio del Governo Francese mantenuta, ma diminuirono alquanto le proibizioni (1). Cessò affatto d'es- sere in vigore colla promulgazione del Codice civile francese, che abolì tutte le altre leggi nelle materie trattate in detto codice. Ma nel 1816, essendo quasi tutta Europa in penuria di grani, il governo piemontese, nell'intento di promuovere i lavori di campagna, si rivolse ai principii adottati nel 1797, e promulgò un editto, ancora più del primo, restrittivo e severo (2). In questione di tanto rilievo quale si è quella delle grandi e delle piccole proprietà, della grande le della piccola coltura, ci facciamo carico di riprodurre i dati statistici, che relativa- mente all'Inghilterra, alla Francia ed all'Italia ha pubbUcati il distintissimo professore cav. Boccardo nel Trattato di Econo- mia politica (5); a cui per complemento aggiungeremo quegli altri più recenti, che abbiamo potuto desumere. Queste notizie tolte dal-'o stato reale delle cose, confermano ciò che abbiamo esposto intorno ai fatti ed appoggiano la nostra opinione in- torno alla grande e piccola coltura. Nel 1821 nelle Isole Britanniche il numero dei proprietarii era di 50,000, colla possidenza in media di ettare 600. Art. l.o Cadun contratto d'affìttamento di terre che seguirà d'or in avaiUi (eccettuate quelle coltivate a riso) non dovrà eccedere l'annuo fitto di lire 5000 sotto pena di nullità. Art. 2." sino al S.° Art. 6." Gli affittuali contravventori soggiaceranno ad una pena pecuniaria applicabile al fìsco, corrispondente ad un'annata di fìtto; e quando la notizia della contravvenzione provenga da denuncia, la metà di tale multa cadrà al dinunciatore, che, volendo, sarà tenuto segreto. (1) Decreto 6 brumaio anno 9.° (28 ottobre 1800). (2) Editto i7 settembre 1816. (3) V. anche Jagini La Proprietà fondiaria in Lombardia, Studii economici, parte II, cap. III. CAPITOLO QUARTO 49 Nel 1825 negli Slati italiani, i proprietarii erano 1,541,000, colla possidenza in media di 25 ettare. Nel 1840 in Francia vi erano proprietarii in numero di 4,000,000 pure colla possidenza in media di etiare 12. ^^ In questo paese, come si rileva dal prospetto superiormente riferito (1), i proprietarii, nel 1815, erano soltanto 5,805,000. Risulta quindi nel solo periodo di venticinque anni non piccolo aumento nel numero dei possessori di fondi rustici; il che ma- nifesta una crescente tendenza allo sminuzzamento del terreno. In appresso, cioè, in quest'ultimo decennio, il numero di essi sarebbesi ulteriormente aumentato, mentre ora tocca la cifra di 5,550,000 colla possidenza in media di sole citare 8 (2). Ma non per ciò ha sofferta diminuzione la massa dei pro- dotti agrarii. Se tuttavia nelle condizioni territoriali della Fran- cia il frazionamento delle proprietà foi^diarie più oltre avesse . luogo, si andrebbe incontro ai disavvantaggi, che abbiamo accen- nati nel corso di queste osservazioni. Ci rincresce di non essere in grado di precisare, se in Italia siavi diminuzione o progressione nel numero dei proprietarii di fondi entro il suddetto periodo di tempo, affine di poter con- statare se avvi tendenza piuttosto al concentramento che al ri- partimento della proprietà fondiaria. I dati che possediamo, es- sendo parziali, non bastano a somministrare i necessarii ele- menti, coi quali stabilire esatto confronto. Se però si considera che da più di trent'anni le sostituzioni^fedecommessarie furono, dove in tutto abolite, dove modificate in senso di maggiore svincolamento ; e varie altre leggi restrittive furono rese in pra- (1) V. pag. 29 ivi. (2) V. pag. 3i ivi. 50 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA tica meno restie al trapasso dei beni fondiarii, si può con buon fondamento indurre, che per lo meno il numero di essi non è diminuito. Questa è la più limitata conseguenza che si possa derivare. Ma quand'anche ne fosse venuto un aumento, e si fossero per tal guisa frazionati molti fondi, poco vantaggio se ne sarebbe ricavato per l'agricoltura in generale; poiché da più tempo ancora, i capitali si trovavano al dissotto del biso- gno; né in appresso le arti industriali ed il commercio fu- rono richiamati nella maggior parte del paese a vivificare l'in- dustria agricola. Finalmente uno degli appunti che si fa al sistema delle grandi tenute, che è gravissimo perchè gli viene attribuito di essere causa del minor benessere materiale della numerosa classe dei contadini, consiste nel dire che gli intraprenditori di estesi pos- sedimenti sono mossi da soverchio egoismo, e non si curano che di trarre dal fondo maggiori frutti colla maggior quantità di privazioni del colono. Se cosi fosse, i grandi poderi dovrebbero assolutamente es- sere condannati all' ostracismo, poiché sarebbe un male altri- menti incurabile. I progressi delle dottrine agronomiche, i prin- cipii più sodi di economia politica, tutto questo apparato di sapere dovrebbe essere respinto dal luogo sublime, dove risiede la scienza. Iddio fa egualmente su tutti risplendere il sole ; a tutti diede braccia e mente, non per opprimerci l'un l'altro, sibbene per vicendevolmente aiutarci. Ma regge questa imputazione ? No certo. Abbiamo veduto che in Inghilterra, più che in Italia, sono molto estesi i possedi- menti, e vi si esercita la grande coltura : é colà pure che i contadini si trovano in una modesta agiatezza superiore a quella, CAPITOLO QUARTO 51 che, presa la generalità, vi è nei contadini in Francia, e nei- ritalia complessivamente considerata, ove dal colono si vive assai stentatamente. Cosi pure abbiamo fatto rimarcare, che in Francia il terreno è molto più sminuzzato che in itaha ; eppure anche in Francia il colono vive assai meglio del nostro; ma men bene che in Inghilterra. Per dare di ciò la prova è necessario che si anticipi a rife- rire alcuni dati statistici, che risguardano lo stato attuale del- l' agricoltura presso queste tre nazioni (1). La popolazione rurale nell'Inghilterra propriamente detta, che comprende il Paese di Galles, ascende a 4,200,000. Essa perce- pisce a titolo di mercede in ragione di franchi 48 per ogni ettara, e queste ascendono a 15 milioni. Ciò, come è chiaro, forma una massa di mercedi rappresentata da franchi 720 milioni, e costi-' tuisce una quota per ogni testa di tutta la popolazione rurale, di franchi 171. In Francia la popolazione rurale ^ammonta a 21 milioni d'in- dividui. Ivi la mercede è in ragione di franchi 50 per ogni ettara, che ascendono a 55 miUoni fra coltivate ed incolte, da cui però alcuni prodotti si ritraggono (2). Perciò la popolazione agricola sul prodotto totale riceve 2 mihardi e 650 milioni. Questa somma divisa sopra 21 milioni d'individui componenti la totalità di detta popolazione dà per ogni testa franchi 122. Neil' ItaUa complessivamente presa è di 17 milioni la popola- ti) V. U Prospetto a pag. 62. (2) Ibidem. 52 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA zioiie agricola. La mercede é in ragione di franchi 45 per ettara, che fra cohivate ed incolte sono 50 miUoni (1). Essa è adunque rappresentata da franchi 1 miUardo e 550 mihoni ; e quindi i prodotti agrarii, che annualmente si consumano per ogni testa della popolazione rurale, arrivano appena al valore di franchi 64. Neil' Alta Italia la popolazione rurale è di 5 miUoni. La mer- cede è di franchi 50 per ogni ettara cumulativamente fra terreno coltivato e non coltivato. Essendo 10 miUoni le ettare (2), la massa delle mercedi è di franchi 500 miUoni, ossia jier ogni testa franchi 100. In Inghilterra pertanto il colono si nutre quotidianamente di eccellenti carni e di ottimo pane ; né gli mancano anche cor- roboranti bevande. Il colono francese si approssima a questo stato di agiatezza, specialmente nelle regioni del nord-ovest e del sud-est.* In Italia invece, ove è lasciata ancora incolta non meno della metà del_ suolo, nei piccoli poderi, per voler raccogliere di tutto, poco di tutto si ottiene : nei grandi poderi vaga rado e scarno bestiame (5), e vi domina la coltura spossatrice de' cereali, sen- z'arte e senza l'impiego dei mezzi che fanno rinvigorire la terra. Né fra i cereaU primeggia il frumento, poiché annual- mente r Italia ne deriva dall' estero molti milioni di ettoUtri ; tiene invece largo posto la segale, che si riguarda dai nostri coloni quale aUmento per loro molto pregevole, né si osa darla (1) V. il Prospetto a pag. 62. (2) Ibidem. (3) Negli Stali Papalini, nel 1840. né d'allora in poi l'agricoltura ha in ge- nerale miglioralo, sopra rubbia di terreno 737,468, che corrispondono in nu- mero tondo ad ettare 1,303,000, pascolano, secondo i calcoli più elevati del Galli {Ceiiui economìci-statntici sullo Stalo Pontificio, p. 78 e seg.) capi vaccini CAPITOLO QUARTO 55 al bestiame, come si fa in Inghilterra. Lo stesso è del grano turco, quantunque si ritenga che abbia tale azione sul cervello da ingenerare la pellagra, la quale malattia infatti, circoscritta nella classe de' contadini, pare faccia più vittime dove maggiore è l'uso di questa sorla di cereale (1). Finalmente si va sempre più estendendo la coltivazione della patata, tre volte meno nu- tritiva del pane di frumento, e quattro o cinque volte meno della carne (2). Frattanto la popolazione rurale, che in Italia supera i tre quinti della popolazione totale, si nutre di scarsi cibi, poco nu- tritivi e debilitanti. e bufalini 663.722; del peso in media di ciiìl. 210, che danno il totale, in peso brutto, di chil. 139.381,620. Nell'Inghilterra propriamente detta sulla stessa quantità di terreno si alle- vano : l."Buoi 680,000 del peso in media di chil. 400 (V, Quaterly, Journ. ' of Agric. nella Bibl. dell'Econ. serie 2.» voi. I, p. 686), formanti in totale peso brutto Chil. 272.000,000 2.» Montoni 3,900,000, peso medio chil. 50; 6d in totale peso brutto (Lavergne, Econom. Rurale in Inghilterra) »' 195,000,000 Totale complessivo Chil. 467,000,000 Invece di soli chil. 139.381,620 come nelle Romagne. Riducendo poi il tutto a danaro, con attribuire lo stesso valore alla carne, cioè franchi 0,50; e calcolata a metà la parte utile del bestiame, possiamo compu- tare che nelle Romagne vi ha un capitale in bestiame di franchi 35 milioni per ogni 1,363,000 ettare, mentre nell'Inghilterra propriamente detta, questo capi- tale sulla stessa superficie di terreno è di franchi 126 milioni. Quasi quadruplo f (1) Jacini, Prospetto Statistico che presenta il numero dei casi in proporzione della popolazione e le località dove più infierisce questo morbo. Parte I cap. II, loc. cit. (2) CocHUT, loc. cit. § 2.°, osserva che questi alimenti di qualità jinferiore, quand'anche siano sani, riescono doppiamente cattivi. Quanto son meno so- stanziali, tanto dev'essere maggiore il volume che si deve immettere nello stomaco per attingere i principii ristauratori di cui ha d'uopo. Da ciò ne viene un travaglio nella digestione, che reagisce secondo il temperamento sopra chi ne fa uso, e lo aggrava, lo abbatte, lo scolora. Ciò riguardo al fisico. Relati- vamente agli effetti industriali, il far uso di cattivi alimenti, rende facile il ribasso delle mercedi, ingenera inerzia negli operai, oppure colpevole avidità ne'padroni. Se n'è fatto in Irlanda triste esperimento. n'f PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA Il De Sismoiidi, che abbiamo già citato per gli studii che fece sull'Agro Romano, si occupò anche non poco delle condi- zioni agricole della Toscana, ove aveva dei poderi. Prese però per tipo la privilegiata valle di Nievole, ove i suoi fondi erano situati, per fare il quadro generale dello stato del contadino to- scano (1). Ci fa minutamente conoscere in che consista il suo vitto; ma per considerarlo suflìcientemente nudrito, vede ne- cessario di premettere che in Toscana il campa gnuolo è molto sobrio (2). Dice che il pane, parte fondamentale del loro nu- trimento, è usato di puro frumento presi>o i contadini delle col- line, i quali, più avveduti, hanno riconosciuto come il frumento, sebben più caro degU altri grani, sia però quello che più torna a conto, e che contiene per un dato prezzo maggior quantità di materia nutritiva: è però bigio, tuttoché purgato dalla crusca e da ogni mistura. Presso i contadini delle pianure si fa uso promiscuo del grano mescolato e della segale, del grano turco, de'fagiuoh, de' piselU e del miglio africano. Poi nella stagione invernale sottentra al frumento la farina di castagne, ed anche farina di mehga o grano turco, colla quale si fa una polte, op- pure una pasta dura senz' altro condimento che un po' di sale, e senz' alcun altro camangiare. In estate soltanto, nel tempo del maggiori lavori, il pranzo componesi di una zuppa e di una pietanza, la quale riducesi ad un po' di pesce secco, o di le- gumi, 0 di erbaggi ; e solo due volte alla settimana si pone nella zuppa un pezzetto dì carne salata. Si procede proprio colla bilancia alla mano per non far loro perdere la virtù della so- (1) De SisMONDi, Della Condiziune degli agricoltori in Toscana in principio di questa sua Memoria. (2) De SiSMONDi loc. cit. passim. • CAPITOLO QUARTO 55 brietà ! Finalmente alla domenica sul desco del contadino vi è un piatto di carne fresca ; ma un pezzo del peso di una libbra o al più di una libbra e mezzo (da un terzo a mezzo chilogramma) deve bastare per tutta la famiglia, per quanto ella sia numerosa. Quantunque sarebbe necessario ammirare la sobrietà del conta- dino toscano per crederlo non esuriente e felice, tuttavia si po- trebbe ancora essere meno afflitti, se questa sorte dei valligiani di Nievole fosse «comune agli altri coloni della Toscana. Ma non è pur troppo cosi. In generale la condizione degli uomini a gior- nata non solo, ma perfino de' mezzaiuoli, è misera, grossolana ; e cattivo e scarso hanno il cibo (1). Nelle Romagne il vivere, quasi selvaggio, del mandriano muove non meno a pietà, che a sdegno contro chi lasciò imbrutire il suo simile. Scarso pane, mezza libbra di carne salata alla set- timana, un po' d'olio misurato a goccie, alquanta ricotta, ecco- il vitto del mandriano , che in quelle desolate e solitarie cam- pagne riceve quasi il tutto da Roma; poiché, coane osserv^a il DeSismondi, quelle pianure sono un deserto, in cui non v'ha né forno , né massaia da cuocere il pane , o da ammanire il pranzo, né un orto che dia il minimo camangiare. Le vestimenta poi sono parimenti si misere che nulla più; si ravvisan da lunge alle pelli d'ariete col pelo in fuori, con cui si copron le spalle e le coscie ; sotto queste pelli non hanno altro che cenci. D' abitazione non se ne parla ; e infatti, il più delle volte dor- mono allo scoperto, o vanno a cercarsi un covacciolo in qual- cuna delle antiche rovine , ond' é cosperso il territorio , o in (1) Jones, Saggio sulla dislribuzione della ricchezza, lib. T, cap. Ili, sez. V; e Cosimo Ridolfi Della Mezzeria in Toscana ecc. % 1. r.i; PARTE PRfMA — SEZIONE SECONDA qualclio naturale spelonca, non infrequente in quel terreno vul- canico, 0 nella bocca di una catacomba (1). Nella parte più \erso mezzogiorno dell' Italia, più fertile d'ogni altra ; nell' ex Regno delle Due Sicilie , se stiamo a ciò che scrive Vidalin (2) , il pane è un oggetto di lusso ; gli alimenti caldi sono un'eccezione. I legumi crudi e senza condimento, come i citriuoli, le radici, gli erbaggi; le frutta, come ciliegie, pesche, fichi, uva, e poponi, formano il nutrimento fondamentale. Che se dubbio ci restasse sulla realità di tanta ristrettezza in generale, dove prodotti di ogni sorta potrebbero essere abbon- dantissimi, e proporzionata agiatezza in tutti potrebbe essere diffusa, conferma ciò che scrivesi da uno straniero, uno scrittore ifahano che vive fra quelle popolazioni, e ben di poco anche da lui si può vedere mighorato il quadro della misera condizione di quei contadini. Essi ricevono da tre a quattro carlini (in me- dia franchi 0,90) aU giorno; sono alloggiati in tugurii sucidissimi, mangiano cipolle, patate, polenta, agh, pesce salato, cacio e fave, che colà ahmentano le bestie e gU uomini. Talvolta mangiano porco salato, raramente altra carne (5). Egli è forse perciò che le loro fattezze sono migliori della conformazione dei lorocorpi? (4). Il contadino nell'alta Italia è ben lungi dal trovarsi al grado di ben essere, in cui è posto il contadino inglese ; appena si ap- prossima a quello delle regioni collocate al nord-ovest e al sud-est della Francia, che sono le più prospere (5). (1) De Sismondi, Condizione degli agrieoUori nell'agro romano. (2) Lcc. cit. pag. 573. (:?) T. PiETROcóLA-RossETTi , Rìvìsla Coutemporanea, fase, di settembre 1861, pag. 427. (l) Ibid. pag. 434. (5) La regione nord-ovest comprende le anliclie Provincie della Fiandra CAPITOLO QUARTO 57 Dopo tutto ciò non puossi a meno di conchiudere, che ogni altra questione, specialmente intorno alla grande e piccola pro- prietà, in Italia non è che secondaria nello stato attuale delle cose; e che il primo ed importantissimo studio per noi dev'es- sere quello che ci diriga ad attuare i mezzi, coi quali si au- mentano e si diffondono i capitali. Quanto più questi si forme- ranno, tanto maggiore impulso e vigoria riceverà l'agricoltura. Ma per accrescere i capitali vi vuole il concorso delle arti e del commercio. Verità è questa da tanti anni proclamata anche in Toscana, ma altrettanto avversata sotto gli speciosi colori di libertà economica (1). Nulla havvi di più naturale nell'uomo che il sentimento ed il bisogno di libertà. Ma senza leggi adatte all'indole, al progresso della nazione, alle contingenze di tempo, alle circostanze di luogo libertà non vi è. A suo luogo (2) svilupperemo questo concetto d'Artois, Picardia, Isola di Francia, Orleanese. -- La regione del sud-est com- prende parte della Borgogna, il Lionese, Forez, Delfinato, Vivarais, Avignone, Linguadoca, Provenza. {{) Le cause di questa grettezza presente e gli argomenti della povertà te- muta (osserva Gino Capponi in una Memoria intorno alle mezzerie toscane letta all'Accademia de'Georgofili il 6 luglio 1834) non credo, o signori, che stieno nei troppi o troppo piccoli proprletarii. Non credo nemmeno che stieno nei troppo grandi... Ma e piccoli e grandi padscono a proporzione del basso prezzo delle derrate (V. quanto diciamo noi ivi più avanti), e peggio patiscono delle generali condizioni della nostra economia sociale. E quei soccorsi che invoco a prò drir industria agraria, io non li invoco per far valere le terre, ma per far valere i prodotti delle terre, né tanto per crescere la quantità della produzione, quanto per aumentare i benefizi! che noi dalla produzione rica- viamo, per darci un avanzo non tanto meschino. Vorrei che le arti succursali e la forza de' commerci venissero a sostenere la nostra povera agricoltura, che sola, ignuda e assiderata vive derelitta d'ogni aiuto fralerno, d'ogni opera soc- corritrice, e dimagra consumando, come l' eremita nel deserto , i frutti crudi dell' orlicello, sinché maggior fame non la stringa a consumare sé stessa Lasciamo che altri le eserciti queste arti ingegnose, e ci renda poi le stesse nostre merci cosi trasformate: perché noi paghiamo la mano d'opera, e le mac- chine, e i grossi guadagni, che vi fanno gli stranieri. (2) V. Parte II, sez. 2.% Della libertà di Commercio. 58 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA in cui non possono contenersi eccezioni in qualsiasi ordine di interessi sociali, e conseguentemente neppure nelle materie eco- nomiche per giungere alla vera libertà di commercio , ed ai vantaggi che ne derivano. La guida, a cui ci atterremo, è quella di non considerare isolatamente alcuni particolari interessi, ma sibbene di portare lo sguardo e l'attenzione su lutto il compli- cato meccanismo sociale, di cui tutte le parti sono fra di loro collegate e solidarie; investigheremo come agiscano nell'econo- mia generale le leggi della produzione della ricchezza, da cui dipende la prosperità e la potenza delle nazioni. Allora, crediamo, potremo renderci ragione del perchè la Toscana, da gran tempo in mezzo alla più ampia libertà commerciale, non ha industrie manifattrici, non ha commercio; e l'agricoltura ben lungi dal produrre in modo e quantità da avere derrate per vendere fuori di paese, non ritrae dal suolo abbastanza per ahmentare con- venientemente la sua popolazione. Qualunque principio , per quanto vero e giusto sia, può essere causa di gravi danni, se la legge di progressione non è rispettata. Gli uomini di teorie astratte ed assolute possono per un momento ' abbagliare ; ma gli uomiiii veramente grandi, per edificare, non distruggono im- mediatamente l'opera del passato, ne disprezzano i tìiateriali, che il tempo ha preparati e che l'esperienza dispose per dare maggior perfezionamento al nuovo lavoro. Cosa havvi di più giu- sto, cosa vi sarebbe di più utile che l'Italia già fruisse dell'u- nità delle leggi civih ed amministrative? Ma quante cautele si devono adoperare, quante disposizioni transitorie adottare, quante eccezioni, per lo meno in pratica ammettere, per giungere al- l'attuazione di quel principio di giustizia e per compiere un fatto di generale utilità! CAPITOLO QUARTO 59 Se vuoisi evitare di volgere il bene in male, non si deve mai dimenticare, che nell'opera dell'uomo molte cose sono giuste ed utili solo quando ed in quanto sieno in rapporto colle sociali contingenze che informano la vita, l'azione, gl'interessi di un po- polo. Ed in quanto può questa considerazione risguardare l'I- taha, si porti il pensiero sul fatto, che in Toscana, ove i mag- giori favori si sono presentati agU stranieri per fare come in casa propria il loro commercio, questi vi importarono bensì i prodotti manufatti del loro paese, ma l'agricoltura toscana non ebbe con ciò ajuto di sorta per sollevarsi dallo stato non sod- disfacente, in cui da lungo tempo si trova (1). Il motivo ne è che nell'Inghilterra e nella Francia, anche per i prodotti dell'a- gricoltura, non si ha bisogno deU'ItaUa; e che, ove occorresse a quelle due nazioni di provvedersi di derrate alimentari, sanno che in altre regioni possono farne acquisto a prezzi più bassi che non presso di noi. Tolga del resto il cielo che gli Italiani avessero a discendere, economicamente parlando, in condizioni taU da potere, per servirci di un'espressione tecnica, far con- correnza pel basso prezzo ai frumenti dell'Ungheria, della Po- lonia, della Turchia e delle altre regioni di Levante. Si rifletta anche che l'America va ognor più estendendo la coltura de' ce- reaU, e per immensi valori ne spedisce annualmente in Europa a prezzo molto al dissotto di quello dei grani d'Itaha. Né si perda di vista la rivoluzione economica che immancabilmente (1) V. la nota a pag. 57 ove colle parole di Gino Capponi riassumiamo le condizioni dell'agricoltura in Toscana. A quanto espone questo scrittore al- l'Accademia fiorentina de'Georgofilì, che sempre si occupò con vivo interesse dello stato economico di quel paese, potremmo aggiungere altri egualmente illu- stri nomi, le cui opinioni sono concordi. Avremo occasione nel corso del pre- sente lavoro di farne distinta menzione. 60 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA deve venire nei rapporti agrari! delle nazioni dal taglio dell'Islmo di Suez. Come per lo passato, come al presente, cosi sempre gli In- glesi e Francesi avranno convenienza di darci le loro merci, non in permutazione dei nostri prodotti agrarii, ma esportando da- naro, la qual cosa, in questo caso, ha per effetto d'impedire nel nostro paese quella circolazione di valori, da cui l'agricoltura può solo ricevere incremento. Questo fatto, su cui l'esperienza non permette di dubitare, deve anche condurre a ben ponderare quale abbia ad essere l'indirizzo da darsi all'agricoltura in ItaUa. ' — -^'-a-g^i^-s- I CAPITOLO QUINTO HoTrimario. Prospetto statistico generale dell'agricoltura in Inghilterra, Francia ed Italia — Utilità e difficoltà di formare questi prospetti — La statistica è guida nelle questioni di economia politica — Scopo della statistica — Avvertenze intorno al Prospetto — Paralleli dedotti dal i)rospetto statistico tra l'Iu- ghilterra, la Francia e l'Italia relativamente all'agiatezza pubblica — In Inghilterra, ad eguale quantità di terreno, il prodotto è assai maggiore che in Francia ed in Italia — In proporzione la Francia dovrebbe produrre più del doppio di quanto produce ; l'Italia il triplo — Quantità di terreno in media coltivato da ciascun individuo della popolazione rurale in Inghil- terra, in Francia, in Italia ; e valore del prodotto che col lavoro di ciascun individuo si ottiene presso ciascuna di queste nazioni — In qual propor- zione in Inghilterra, Francia ed Italia sta la popolazione rurale, sia rela- tivamente alla popolazione totale, sia nei rapporti tra di sé — In Italia si fa spreco di braccia nell'agricoltura — Sulla base d'Inghilterra basterebbe, al massimo, l'attuai popolazione rurale per coltivare tutto il terreno d'Italia» ove ora soltanto la metà è a coltura — Danni immensi che ne derivano da questo spreco di braccia — Vantaggi che l'Inghilterra, coU'opposto si- stema, ritrasse — Da ciò gran parte della sua ricchezza e potenza — Suo grande accumulamento di capitale che dall' industria manifattrice e dal commercio rifluì verso l'agricoltura — Grande aumento della produzione agraria — Parallelo fra l' Inghilterra, la Francia e V Italia — Un uomo addetto all'agricoltura in Inghilterra, in Francia, in Italia produce per sé e per quanti altri individui? — Mercedi — Complessivamente sono minori in Inghilterra, ed individualmente il riparto è maggiore che non in Francia ed in Italia — Vantaggi che ne risultano all'Inghilterra — Quota de'pro- dotti agrarii in ragione della popolazione totale in Inghilterra, in Francia, in Italia — Imposta territoriale in questi tre paesi — Riflessioni a que- sto riguardo — E molto maggiore in Inghilterra — E là rendita netta resta tuttavia ancor tripla di quella della Francia; più che quadrupla di quella dell'Italia complessivamente presa; più che doppia di quella del- l'alta Italia. A maggior conferma di quanto sin qui abbiamo detto, occorre di presentare lo stato attuale e generale della produzione agri- cola nei tre paesi, su cui instiluiamo il confronto, cioè in Inghil- terra, in Francia e in Italia. I 62 Q S 2 « 5 S -s 53 '■a H 3 o ^ e e -3 e 3 « ?|::Ee o> o o o o o o o C) o «. <=> ^ G^J tfS IS^ « V E3 So.S ^ O so »Jil ao e, 00_io t«^ O,^ ^-' s^ ^« ~ ^ i ■^•S s=y S=>a •^ ^ t- ^ 3 o Cd H o .a fe i i 5 OS -ra K E CAPITOLO QUINTO 65 I prospetti in materia di statistica, come si nota da Gioja, che scrisse la Filosofìa della Statistica, si devono formare, ovun- que è possibile , perchè essi risparmiano parole , facilitano i confronti, additano all'occhio le mancanze (1); perché in so- stanza sono utilissimi. Ma è però anche vero che le difficoltà che s'incontrano nel redigere siffatte tabelle, sono molte, massime quando è caso di paesi, in cui non si è ancora voluto bastan- temente riconoscere l'importanza di questa scienza, o si rac- colgono le notizie, e si riassumono i dati senza unità di con- cetto e senza la guida della scienza. Questa scienza, senza di cui anche quella dell'economia po- Utica procederebbe priva di appoggio e mal sicura , deve addi- tarci : 1.^ La ricchezza o la povertà; %^ La scienza o l'ignoranza ; 3.** La fehcità o l'infelicità; 4.® La moralità o la corruzione; 5.^ L'incivilimento o la barbarie; 6.** La potenza o la debolezza delle nazioni (2). Nelle difficoltà di fatto, e nella vastità dell'oggetto che ci oc- cupa, abbiamo usate le debite cautele, né risparm'.ate le più diligenti indagini ; né tanto meno accettammo alcuna cifra senza addentrarci in tutti i suoi componenti. Prima di esporre le principali osservazioni di confronto suite stato presente dell'agricoltura in Inghilterra, Francia ed Italia, é d'uopo premettere alcune av\^ertenze, che servono a far me- glio palese l'idea, colla quale venne redatto il riferito Prospetto, (1) Gioja, Filosofia della Statistica , Disc, prelim. S 2. (2) toc. -cit gì. 64 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA e giovano eziandio a dare maggior chiarezza specialmente a ciò, su cui avremo da instituire il confronto. Trattandosi di apprezzare dei fatti in generale e complessi- vamente, se sarebbe stato superfluo presentare un quadro sta- tistico ne' suoi elementi , non occorre nemmeno che i transunti siano fatti con queir estrema esattezza in cui si tiene conto perfino delle frazioni. Abbiamo potuto scorgere che in questo caso siffatta minutezza di computi, nel mentre non conduce ad alcun effetto utile , avrebbe recato pregiudizio alla concisione del discorso sopra un argomento, che quantunque non sia in- tralciato, è però già per sé stesso arido per la moltiplicità delle cifre. Ci sembrano altronde di tanta importanza i punti, su cui stiamo per stabilire i confronti, che per meglio tener raccolta su di essi l'attenzione , abbiamo evitato quanto non fosse ne- cessario, dopo però di esserci accertati , che le frazioni de' ri- sultamenti parziali si compensano tra di loro in modo che le conseguenze fmali, che se ne traggono, sono né meno concrete, né diverse da quelle che emanano dai più minuti calcoli. Non è meno da avvertirsi, che nel separare, come si è fatto le terre coltivate dalle incolte, non é che vogliasi con ciò in- dicare che i prodotti siano soltanto provenienti dalle prime. Nelle terre incolte abbiamo comprese non solo quelle assoluta- mente non coltivabih, ma in questo novero si sono anche collocati i terreni sodi e i boschi, dai quali alcun prodotto si ha ed anche di molto rihevo com'è quello appunto che si ricava dai boschi. Nella nomenclatura che si è adottata per dividere in due sole classi- ficazioni i terreni, annoveriamo fra gli incolti queUi, in cui né semente, ne lavoro, o altro capitale è impiegato per aiutare la terra a dare quanto da essa si potrebbe ottenere ; ma invece CAPITOLO QUINTO 65 Tuomo si limita a ricevere da essa ciò che naturalmente pro- duce. E questi naturali o spontanei prodotti, a cui il lavoro ed il capitale quanto alla produzione sono estranei, furono pur essi calcolati nel nostro Prospetto. Una terza avvertenza rimane a farsi. Abbiamo presentate le coadizioni dell'agricoltura di tutto il Regno-Unito britannico, che comprende T Inghilterra propria- mente detta, la Scozia e l'Irlanda; in seguito abbiamo riferito quanto in ordine pure alle condizioni agrarie risguarda sola- mente all'Inghilterra propriamente detta, la quale comprende il Paese di Galles. Il motivo che suggerisce di considerare l'In- ghilterra sotto questo duplice punto di vista, l'uno generale, r altro parziale , è quello di mettersi in grado di vedere che nella parte del regno ove l' incremento delle manifatture e del commercio è più grande che non nell'Irlanda e nella Scozia, è pure ivi che l'agricoltura ha fatti maggiori progressi. Rapporto all'Italia ci siamo attenuti alla stessa norma sepa- rando l'alta ItaUa dall'Italia centrale e bassa ; poiché vi concor- rono le medesime ragioni per cui abbiamo fatta distinzione tra l'Inghilterra propriaménte detta e la rimanente parte di quel regno. Formulato il prospetto generale d'Itaha, diamo quello parziale dell' alta Italia , in cui comprendiamo il Piemonte e le Provincie Lombardo-Venete. Benché questa parte dell'Italia abbia suolo meno ferace e sia meno favorita dal chma, pur tut- tavia è di gran lunga più innanzi nell' agricoltura delle altre parti, centrale e meridionale, come lo è anche nelle arti mani- fattrici e nel commercio. '' Ora i confronti: I. L'Inghilterra propriamente detta sulla su- perfìcie di soli 15 milioni di ettare, cioè di poco più di una 5 Gfi PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA quarta parte della superfìcie territoriale della Francia, e di ùttìa' metà uiiuore di quella deiritalia, ottiene un prodotto di soli due quinti meno della Francia, e di un terzo maggiore di quello di tutta l'Italia: o in altri termini, se la Francia e l'Italia avessero progredito in agricoltura al pari deiringliilterra, i prodotti agrarii della Francia non dovrebbero essere rappresentati come lo sono ora, da 5 miliardi di franchi, ma da oltre 12 miliardi; e quelli dell'Italia non da 2 miliardi e 350 milioni, a cui ammonta il valore degli attuali suoi prodotti agrarii , ma da 6 miliardi e 400 milioni. E ciò supposta egual fertilità di terreno in tutti questi paesi, ed eguale bontà di clima, quantunque la Francia, e più ancora l'Italia, abbiano sotto questi due rapporti un gran- dissimo vantaggio al dissopra dell'Inghilterra; e quantunque per la differenza del valore venale delle derrate tra l'Inghilterra, la Francia e l'Italia abbiamo già dedotto dal risultato totale dei prodotti agricoli inglesi, riferito nel nostro Prospetto, il 20 per cento affine di conguagliare il maggior prezzo dei prodotti del- l'Inghilterra con quello che corre in Francia ed in Italia. II. Nel Regno-Unito britannico , la cui popolazione rurale è di 12 milioni d'individui, ed il cui terreno coltivato è di ettare 20 milioni, s'impiega un uomo per ettare 1 e tre quarti e si ottiene da questa superficie di tefreno un prodotto non mi- nore di franchi 210. Nell'Inghilterra propriamente detta, la cui popolazione rurale è di 4 milioni e 200 mila individui, ed il terreno coltivato è di ettare 14 milioni, basta un uomo per 5 ettare almeno, dalle quaU si ricava un prodotto rappresentato da franchi 659. In Francia, che ha la popolazione rurale composta di 21 mi- lioni d'individui ed una superficie coltivata di ettare 34,000,000, CAPITOLO QUINTO 67 s'impiega un uomo per poco più di etlare 1 e mezzo, che pro- ducono per frenelli 142. Nell'Italia complessivamente presa, la popolazione rurale è di 17 milioni, il terreno coltivato è di 14 milioni ettare. Un uomo non coltiva che otto decimi di eitara che dà il prodotto per franchi 65 circa. Nell'alta Italia è di 5 miUoni la popolazione rurale, che col- tiva ettare 7 milioni. Un -uomo adunque basta per ogni super- fìcie di ettare 1 e quattro decimi, che danno un prodotto valu- tabile in franchi 175. Per le ragioni superiormente accennate prendasi per punto di confronto l'Inghilterra propriamente detta, ove nell'agricol- tura si riscontrano i risultati ottenuti da una intelligente e per- fezionata coltivazione mediante l'abbondanza de'capitali, e si avrà un rilievo molto importante a farsi; vale a dire in Francia' l'impiego di forza viva, quello delle braccia dell'uomo, è più del doppio di quello che è in Inghilterra; nell'Italia comples- sivamente presa, questo impiego di uomini è più del quadruplo di quello che occorra nell'agricoltura inglese; nell'alta Italia è in confronto dell'Inghilterra alquanto minóre del triplo. Se, come in Inghilterra, si fosse in ItaUa progredito nell'agricol- tura, col numero di uomini che ora s'impiega per coltivare meno della metà del terreno d'Italia; si potrebbe non solo col- tivarlo tutto, ma anche avanzare per soprappiù molti milioni d'individui, che utilmente si applicherebbero ad altri lavori. Tutt'al più 12 a 15 miUoni di uomini possono coltivare tutta la superfìcie territoriale d'ItaUa. Essa comprende una popola- zione di 24 milioni; e si sostiene da alcuni che mancano le braccia per l'agricoltura, mentre se ne fa tanto spreco! {)l\ PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA 111. Nel Regno-Unito Britannico, soddisfatti i bisogni per l'agri- coltura, rimangono ancora 17 milioni d'individui disponibili per altri lavori, essendoché la popolazione totale è di 29 milioni, di cui solo 12 milioni vengono occupati nei lavori agrarii. In Francia sulla popolazione totale, che è di 56 milioni, de- dotti i 21 milioni di uomini addetti all'agricoltura, non ne re- stano che 15 milioni a cui poter dare altra destinazione. In Itaha complessivamente presa, essendosi calcolata di 24 mi- lioni la popolazione totale, togliendosi da essa i 17 milioni d'in- dividui impiegati nei lavori agricoU, si- ha la rimanenza di 7 milioni. Da questi fatti derivano grandi conseguenze. I prodotti agricoli nel Regno-Unito Britannico ammontano a franchi 4 mihardi e 500 milioni, di cui la parte che si consuma dalla popolazione rurale, in proporzione aritmetica è di fran- chi 1,800,000,000. In Francia i prodotti agricoli sono valutati a 5 miliardi; e la parte che la popolazione rurale ne consuma è di fr. 2,900,000,000. In tutta Italia computati i prodotti dell' agricoltura in 2 mi- hardi e 550 miUoni, il tanto che di essi si consuma dalla po- polazione agricola è- di franchi 1,665,000,000. Ne segue che al Regno-Unito Britannico avanzano prodotti da permutarsi, all' infuori delle permutazioni che si fanno colla po- polazione agricola, per franchi 2,700,000,000; alla Francia fran- chi 2,100,000,000; all'Italia soltanto franchi 685,000,000. E quindi ancora: all'Inghilterra rimane un avanzo in più della Francia di franchi 600,000,000; alla Francia in più dell'I- taha di franchi 1,415,000,000; all'Inghilterra in più dell'Italia di franchi 2,015,000,000. CAPITOLO QUINTO 69 Ma non emerge solo questa immensa superiorità di valori permutabili a favore della Francia, e più ancora dell'Inghilterra, in confronto dell'Italia, i quali forniscono già da sé un grande capitale per dar vita al com.mercio; liavvi un altro non meno ragguardevolissimo vantaggio che deriva dall'impiego di mag- gior numero d'individui e nelle arti manifattrici e nel commercio. A questo riguardo facciamo un'ipotesi, ma in limiti anche molto ristretti per poggiar megho sul sicuro. Abbiamo veduto che la popolazione rurale dell'Inghilterra é di 12 milioni di individui; quella della Francia di 21 milioni. Deduciamo dal totale della popolazione di ciascuno di questi due paesi la popolazione ru- rale. Avremo individui non addetti all'agricoltura in Inghilterra 17 milioni; in Francia 15 milioni; ossiano 2 miUoni di più in In- ghilterra. Or bene, supponiamo che in questo paese soltanto 2 milioni di uomini più che in Francia siano occupati nelle manifatture e nel commercio. I valori giornalmente prodotti da ciascuno di questi individui siano fìssati, benché a stregua molto bassa, a franchi 2. Si avranno 4 milioni di franchi per ogni giorno; e cosi per giorni 500 di lavoro il loro prodotto annuo toccherà l'enorme cifra di 1 miUardo e 200 milioni; indiretto vantaggio che si ritrae dai perfezionamento dell'agricoltura, per cui mezzo si ottiene maggior prodotto dalla terra con minor numero di braccia. Qui dobbiamo pur troppo mettere da parte Tltalia, che in siffatti confronti non può essere posta in linea coll'Inghilterra e neppure colla Francia. Riassumiamo quanto si è or detto nei rapporti tra queste due nazioni, e risalendo a prendere la cifra di 600 miUoni quale avanzo di prodotti agricoli permutabih che l'Inghilterra ha an- 70 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA nualmeiite in più della Francia, uniamo questi all'altra cifra di 1 miliardo e 200 milioni pure annualmente derivanti dalle ma- nifatture e dal commercio in cui sono impiegati i detti due milioni d'individui, ed avremo la cifra complessiva di 1 miliardo e 800 milioni, che ogni anno Tlnghilterra può mettere in più della Francia a vantaggio dell'agricoltura, delle arti manifattrici e del commercio. Si noti che non abbiamo considerati che questi soli due punti in cui il Regno-Unito Britannico è superiore alla sua emula vicina nazione. La Gran Brettagna è in questo stato progressivo dopo il 1811 (1). Invece di cinquant'anni, poniamo che questo progresso vada operandosi da soli quarant'anni. Calcoliamo entro questo più ristretto periodo i risultati che si sono compiuti in dipen- denza di quei due fatti. Computato per quarantanni il solo ca- pitale in relazione al modo in cui è prodotto, risultano fran- chi 72 miUardi; in quanto agl'interessi supponiamo il minimo, che però non può essere al dissotto di altri 72 miliardi ; si ag- giunga ancor meno per i vantaggi recati con questi mezzi al- l'agricoltura, alle manifatture ed al commercio, ma non si potrà mai restare al dissotto di 200 miliardi (2). Ecco (^a quali, molle volte , innavvertite cause , e che si reputano secondarie , di- penda la ricchezza e la potenza di una nazione. IV. Con questa abbondanza di capitale nell'Inghilterra propria- mente detta si è potuto arrivare a tanto da mettere in spese (1) Pablo Pebrer, H/s/o/re Financiéreecc. de l'Empire Brilannique, Paris 1834, (trad.) voi. II, pag. 10. (2) Questa cifra si trova d'accordo coi computi fatti da Pablo Pebrer nel 1830, joc. cit., p. 59, che fino a quell'epoca riassume il capitale dell' Inghilterra pro- dotto dagli sfòrzi riuniti deil'inda^tna di queJ paese. *^ ""*^* ' CAPITOLO QUINTO 71 accessorie fino 40 franchi annualmente per ogni ettara. Devonsi intendere per tali spese, quelle che s'impiegano per procurarsi gl'ingrassi artificiali, per la manutenzione delle macchine agrarie, per la rinnovazione di sementi, di animali riproduttori e simili. // podere è potere; quanto più alla terra si dà, tanto più da essa si riceve; e in Inghilterra, che molto le si può dare, molto ricavasi. Il reddito per ogni ettara è ivi valutato a franchi 215. In Francia invece poco si eroga in spese accessorie. Vi si arriva appena a franchi 5; ma il prodotto per ogni ettara ol- trepassa ben di poco franchi 94. Ancora meno neiritalia, complessivamente presa, si fanno spese accessorie, toccando esse appena in media (che si è for- mata computandovisi anche V alta Italia) franchi 4. Questa gret- tezza proviene forse dalFimpossibiUtà di fare di più ; ma se ne subiscono le conseguenze che sono abbastanza qualificate dalla meschina quantità di prodotto che si ottiene e che non arriva per ogni ettara a franchi 79. L'alta ItaUa spende a questo titolo franchi 20, e ricava per ettara franchi 125. Questa cifra è però ancora lontana da quella che segna il prodotto in Inghilterra; ma il motivo sta nella differenza che passa tra i 40 ed i 20 franchi, che s'impiegano nel provvedere quanto sotto nome di oggetti accessori abbiamo indicato, e che, comunque si vogliano essi chiamare, giovano sommamente ad accrescere la produttività del terreno. Y. L'Inghilterra in proporzione della Francia e dell'Italia im- piegando molto meno forze vive, cioè il braccio dell'uomo, nella produzione agricola, fa U30 invece assai più di agenti naturali ed industriali, come sono gl'ingrassi ed i macchinismi. Quindi è che ivi ogni individuo addetto all'agricoltura può 72 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA produrre alimenti per sé e quasi per altri quattro individui, i quali possono perciò occuparsi in altre industrie. E questo ri- sulta dal fatto che 4 milioni e 200 mila agricoltori sono poco presso in ragione del quinto della popolazione totale dell'In- ghilterra propriamente detta, che è di 20 milioni. In Francia tre agricoltori producono per sé e per altri due uomini. Nell'Italia tutta, tre agricoltori producono per sé e solo per un altro individuo. Nell'alta Italia cinque agricoltori produ- cono per sé e quasi per altri quattro, che possono conseguen- temente impiegare in altro modo la loro opera. VI. Dalla possibilità in cui si trova l'Inghilterra d'impiegare abbondante capitale nella terra, e dal ben inteso impiego di esso, ne segue, che nel mentre in questo paese si ricava dal suolo un reddito assai maggiore di quello che si ottiene presso gli altri, si è pure aumentata la produttività del lavoro del con- ladino, il quale per conseguenza è retribuito molto più che in ogni altro luogo (1). Dal Prospetto, che abbiamo redatto, può a prima vista sem- brare che in Francia e nell'alta Italia le mercedi siano supe- riori, in vantaggio del colono, a quelle che si danno in Inghil- terra. Sono esse infatti più elevate; ma basta riflettere un mo- mento per convincersi che tanto in Francia , quanto nell' alta Itaha, nel mentre il maggior prezzo della mano d'opera aggrava di più la condizione del proprietario di fondi, il colono real- (1) " L'accresciuta produttività del lavoro applicato alla coUivazione mette in grado di traslocare una gran parte delle forze produttive sopra altri rami d'in- dustria; e ad ognuno di tali trasferimenti avviene un aumento nel valore della proprietà — nel valore de' suoi prodotti — nella rendita del proprietario — e nelle mercedi del coltivatore M.(CAREY,Prmc«p?i di Economia politica; Propo- sizione preliminare, cap, XII, Rivista Riccardo). CAPITOLO QUJNTO 73 mente, in compenso del suo lavoro, riceve molto meno di quello che è dato al contadino inglese. Abbiamo detto che le mercedi assorbono maggior valore, che è quanto dire maggior quantità di prodotti, in Francia ed in Italia che non in Inghilterra; ma che questa maggiore quan- tità è un infruttuoso dispendio da parte del proprietario, e non reca nn vero beneiìcio al contadino, in maniera che la sua con- dizione non può considerarsi migliore di quella del contadino in Inghilterra, ove i proprietari di fondi spendono effettivamente meno in mercedi. Proviamo queste due proposizioni. In Francia le mercedi pei lavori di agricoltura sono quasi due quinti al dissopra di quelle dell'Inghilterra propriamente detta, In questo ultimo paese la retribuzione ascende a franchi 720 milioni. Patta la proporzione del lerreno coltivato in Francia, che è di ettare 34 milioni, dovrebbosi, sulla base di quanto si spende in Inghilterra, erogare soltanto la somma di 1 mihardo e 600 milioni; invece si spendono 2 miliardi e 650 milioni (i). Nell'alta Itaha per il corrispettivo della mano d'opera agra- ria, presa in massa, come si è ora fatto relativamente alla Fran- cia, si paga circa un terzo di più che in Inghilterra. In ragione della quantità di terreno coltivato, che è in questa parte d'Ita- Ua di 7 milioni di ettare, dovrebbosi pagare soltanto la somma di franchi 360 milioni, e non franchi 500 milioni. Neiritaha complessivamente presa si vede dal Prospetto, che la mercede che si corrisponde al contadino è di franchi 45, invece di franchi 48 come in Inghilterra. Standosi materia 1- (i; V. ivi pag. 51; e si noti che , ad abbondanza, abbiamo presa la somma di 720 milioni per l'Ingliilterra, computando anche la parte incolta di terreno, cioè su 15 milioni di citare, invece di li milioni. 74 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA ménte al confronto di queste due cifre , sembrerebbe che dai proprietarii di fondi in Italia si fruisse di un vantaggio. Ma è ben lungi dall'essere cosi; la qual cosa chiara apparisce insti- tuendosi il calcolo colle debite proporzioni. Ed in vero in tutta Italia sono coltivate 14 milioni ettare, precisamente come nel- l'Inghilterra propriamente detta. In questo paese, come già ab- biamo dimostrato, si spendono a tal titolo franchi 720 mihoni, mentre in tutta ItaUa questa spesa ascende ad 1 miliardo e 350 mihoni; vale a dire sono franchi 630 milioni di più, òhe si spendono in Italia per coltivare la stessa superfìcie di terréno (1). Egh è certo, che non vi ha capitale che torni verso la terra, da cui si è ricavato, più direttamente e più pì^ontaitìente di quello che consistè nella rimanenza dei prodotti, iiòpò coperte le spese della precedeiite coltivazióne e la rendita dei éapitali già investiti nel fondo. Quale immensa sómma dì danaro de- v'essere stata in questo sollécito ihodò impiegata a profittò del- l'agricoltura in Inghilterra , che seppe annualmente fare iahtà economia nelle spese di mano d'opera! Si restririgatiò piire i computi in un periodo di soli venti od anche quindici anni'; ifi& il risultamento sarà pur sempre quello, che grandi èàpìtàli af- fluirono anche con questo mezzo verso V agricoltura di quel paese. Per provare la seconda proposizione, riferentèsi alla ifòSàdi- zione dell'agricoltore che non risente un vero beneficio per il (1) Giova avvertire per maggior chiarezza che i franchi 45 che si spendono per mercede nell'Italia complessivamente presa, sono la media della spesa calcolala per ogni etiara e su tutta la supertìcie territoriale coltivata ed incolta^ come risuUa dal Prospetto generale: ma effettivamente si deve restringere la spesa totale delle mercedi alla quantità di ettare coltivate che sono 14 milioni. — Lo stesso è dell'alta Italia e della Francia nei rapporti di cui qui si parla. CAPITOLO QUINTO 75 troppo sminuzzato ripartimento delle mercedi, tuttoché in Fran- cia ed in Italia formi una gran massa di capitale molto al dis- sopra .di quella che in Inghilterra si corrisponde alla classe agricola, non abbiamo che a richiamare, a scanso di ripetizioni, ciò che si è superiormente dimostrato (1), hmitandoci in que- sto luogo a dare il risultamento di comparazione sotto il rap- porto delle mercedi, il quale è come segue : l.*" In Inghilterra propriamente detta la quota dei prodotti agrarii che tocca alla popolazione rurale per ogni testa a titolo di mercede è di franchi 171. 2.** In Francia è di franchi 126. 5.^ Neiritaha, complessivamente presa, è di franchi 79. 4.** Nell'alta Italia è di franchi 100. VII. L'Inghilterra per imposte varie, direttamente a carico della terra, pagali quadruplo di ciò che pagano la Francia e l'Italia'. Questo è un gran male ! si dirà forse da non pochi , i quali , anche nella gestione dei loro privati affari reputano essersi sempre tanto guadagnato, quanto non si è speso. Noi però non portiamo un'opinione cosi assoluta. Il dissenso non può al certo cadere sulle spese che occorrono per la difesa dello Stato, per la tutela delle persone , delle proprietà e di ogni altro diritto de' cittadini : ma in tesi generale noi pensiamo, che quando le imposte sono in rapporto colla pubbUca ricchezza ed a condi- zione che il loro ricavo sia dal Governo a generale vantaggio impiegato, può non essere un male che siano alte, e può non essere un bene che siano basse. É ufficio del Governo il provvedere coi mezzi che gli spettano e che non possono venire (1) V. ivi pag. 51. 76 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA che dalla nazione, a quei bisogni, dal cui soddisfacimento de- riva generale beneficio. Sarebbe egli bene, che le imposte fos^ sero minime, e che perciò il Governo si trovasse nell' impossi- bilità di costrurre strade ferrate, di ampliar porti, aprire canali e per la navigazione e per l' irrigazione ? Sarebbe bene che il Governo non avesse mezzi per vivificare il commercio, le arti, e r industria agricola , a cui riguardo recentemente il Governo francese diede luminoso esempio assegnando 25 milioni per la più pronta costruzione di strade vicinali ? Vi sono delle opere in una nazione, che per essere di utilità generale, non possono eseguirsi che dallo Stato. Se il tanto meno che si verrebbe a pagare per imposte , fosse lasciato a mani di ciascun contri- buente , ciascuno impiegherebbe quel danaro in cose di parti- colare interesse, e la nazione avrebbe men bene impiegati molti capitaU , e quindi meno utilmente di quello che possa farlo il Governo operando con grandi vedute, con uni4à di concetto, e con apprezzamento dei varii bisogni. Vili. L'Inghilterra propriamente detta, dopo di aver megho prov- veduto alla sussistenza del colono, dopo di aver pagato il qua- druplo d'imposte, ricava ancora una rendita netta tripla di quella della Francia : di oltre il quadruplo di quella dell' Italia com- plessivamente presa ; di poco più del doppio di quella dell' alta Italia. CAPITOLO SESTO Som.m.ario. Come gl'Inglesi acquistarono superiorità nell'agricoltura — Loro metodo di coltura — Duplice vantaggio che si ottiene — La Francia va imitando questo sistema — Si confutano errori ed obbiezioni che a questo riguardo si sostengono in Italia — L'Italia per suolo e clima gode del privilegio dì colture speciali — Fra queste può primeggiare il Cotone — Una volta era estesamente coltivato in Italia — Grandi vantaggi che ne derivereb- bero. — L' Italia in questa coltura precedette l'America — Ma l' Italia ri- mase stazionaria o retrocedette — Eccitamenti di economisti, di agricol- tori e dell'Accademia de'Georgofili per estenderne la coltura — Si avreb- bero anche vantaggi politici — Il cessato Governo Francese aveva compreso questa felice condizione del nostro paese — Nello Stato Pon- tificio coltiva vasi, ora non più — I Governi di Roma e di Napoli non secondarono l'opera del Governo Francese e perchè — L'Inghilterra é la Francia comprerebbero di preferenza il cotone in Italia che non altrove — Eccitamenti di scrittori viventi, Pietrocóla-Rossetti e Cav. Zobi — Sempre crescente aumento di prezzo e consumo del cotone — Opifici in America — Spedirà sempre meno materia prima — Il territorio non per- mette in America di estendere la coltura — Rapido incremento di questa coltura anche in regioni ove dominava la mal'aria. — Nel 1784 ne produsse 8 balle — Si giudicava non suscettibile di questa coltura — Ora ne pro- duce 4 milioni di balle — L'America nel 1793 rispetto a questa coltura — Macchine per la pulitura di questo vegetale — Cosa dovrebbe fare il Governo italiano per estendere questa coltura — Come si vince la malsa- ria — Esempi; Olanda, Inghilterra, America — Riassunto dei vantaggi economici e politici che ne deriverebbero dalla coltivazione in grande. Dopo di aver dimostrata la prospera condizione dell* agricol- tura in Inghilterra , e di aver rilevato come e quanto questa nazione sia superiore alla Francia ed all'Italia per tutti gì* in- teressi materiali e morali che dipendono dal progresso dell'in- dustria agricola, è ben naturale di domandarci, come è impor- tante di conoscere, quali siano i mezzi, che essa adottò per 78 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA conseguire cosi grandi vantaggi, che valsero a collocarla al dis- sopra degli altri popoli , i quali, essi pure , vi aspirano , come condizione ed effetto di maggiore incivilimento. Il soggetto è vastissimo: e per trattare questo argomento nei suoi particolari , bisognerebbe che ci estendessimo molto oltre ai confini che si addicono al presente lavoro. Che se però lo studio minuto di queste materie si attiene piuttosto alla tecno- logia agraria , cionondimeno dal punto di vista dall' economia politica dobbiamo prendere in questo caso i fatti nel loro com- plesso per apprezzare i finali risultamenti. Dobbiamo, in sostanza, limitarci a considerare la destinazione in grande data al terreno nella coltura. Per ottenere nell'agricoltura la superiorità, che gl'inglesi hanno acquistata con utiUtà pubbUca e privata, impiegarono minor ter- reno possibile nella coltivazione di prodotti , che direttamente servono all'aUmento dell'uomo, come sono i cereali. La maggior parte del terreno venne destinato alla nutrizione del bestiame. Nell'Inghilterra propriamente detta si possono calcolare circa 10 milioni di ettare, che sono assegnate alla coltivazione per il mantenimento degli animali ; ed appena circa 5 mihoni di ettare producono alimenti (quasi tutto frumento) per il consumo umano. or inglesi si sono da tempo avveduti , che la coltura de* ce- reali, essendo spossatrice del terreno, non si doveva estendere se non in rapporto colla coltura miglioratrice, cioè in propor- zione della possibiUtà di restituire alla terra sostanze fertiliz- zanti. Hanno in questo modo conseguito doppio vantaggio. La terra sempre convenientemente resa satura di materie ristoratrici , è ognora in grado di dare il massimo dei prodotti, e più di quanto CAPITOLO SESTO 79 una doppia ed anche maggior superfìcie di terreno mal fornito de* principii che ne aumentano la fertilità, potrebbe dare: e nello stesso tempo coli' allevamento in grande di animali, si é provveduto in abbondanza ad uno dei principaU mezzi di mi- gliore e più sana nutrizione dell'uomo. In Francia che, pochi anni or sono, av^va a coltura pei* Ta- limento umano 18 milioni di ettare, e per pascere il bestiame non più di 9 miUoni, si andò correggendo questo sistema , ed ora si è già arrivati a rimediare a questo vizio in modo che il suolo in questo grande ripartimento trovasi per metà diviso fra quello destinato alla produzione de' cereali , e quello che serve per il nutrimento del bestiame (1). Il sistema di coltura inglese , che concede la maggior parte del terreno alla nutrizione degli animali, potrebbe forse indurre alcuno a credere , che la pastorizia , la quale è in Italia molto • estesa, non sia che 1' applicazione dello stesso principio, e che per conseguenza o gl'Inglesi hanno imitato gl'Italiani o che noi Italiani nulla abbiamo da immutare. Una conseguenza di tal fatta non riuscirebbe ad altro che a far continuare il nostro male , tenendoci sempre a petto di loro in una deplorabile inferiorità. Affrettiamoci a togliere cosi grave errore , il quale consiste nel modo di esercitare questa parte d'industria agraria. In Italia, dove non si coltiva il suolo per lasciare libero campo alla pa- storizia , com' è specialmente nelle Romagne e nelle Provincie napolitane , quand' anche si vogliano ammettere i calcoli del Galli, che fece nel 1840, mentre copriva la carica di computista generale presso la Corte di Roma, ove fu poi ministro (2) , si (1) De Lavergne, Economia Rurale della Francia ; Introduzione § V* (2) V. pag. 52 ivi* ^ 80 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA alimenla un animale di razza vaccina o bufalina per ogni 2 el- tare : e questo animale (di razza vaccina o bufalina) pesa chilo- grammi 210. In Inghilterra basta poco più di 1 ettara per nutrire un bue del peso di chilogrammi 400 , e tre montoni del peso comples- sivo di chilogrammi 150. Si ha adunque, con poco più della metà di terreno, quasi il quadruplo di prodotto animale (1). Ma a questo punto potrebbe esser fatta una obbiezione da chi pretendesse difondere 1' attualo stato agrario in ItaUa per soste- nere ciò che non si è volulo far prima. JXon vi sarebbe a stu- pirsi che si sentisse a sillogizzare nel seguente modo. La po- polazione ora in Itaha è quasi, in numero, come quella del- l' Inghilterra propriamente detta. Secondo le basi, che voi po- nete, basterebbero tutto al più 20 miUoni di ettaro per alimen • lare tutta l' attuale popolazione, e quand' anche fosse di indivi- dui 50 milioni, atteso che i terreni d'Italia sono più fertili di queUi dell'Inghilterra, e sono anche più favoriti dal clima. Ma perchè si pretenderà che si aiuti col capitale e col lavoro la terra, ihentre, con eguale popolazione dell' Inghilterra, abbiamo terreno il doppio di lei? Finalmente, si continuerà ad obbiet- tare, non dimenticatevi di due cose, 1' una delle quali voi stesso provaste, V altra è da sé evidente. La prima si è, che ove tutte le ettaro 30 miUoni, di cui componesi la superfìcie d' Italia, fosse ridotta a coltura secondo la teoria, o, se meglio vuol dirsi, secondo la pratica inglese, si avrebbe un'immensa quantità di cereali, che non si potrebbe vendere né agU Inglesi né ad altri stranieri, o perchè non ne hanno bisogno, o perchè, avendone (1) Quanto si è detto nella Nota a pag. 52 riguardo aU'Ingliilterra è solo per il bestiame destinato al macello. CAPITOLO SESTO 81 bisogno, altrove se ne possono provvedere a minor prezzo clie non in Italia. La seconda si è, che, allevandosi molto bestiame e più di quanto la consumazione interna ne richiedesse, non vi sarebbe tornaconto, come non vi è pei cereali, benché per mo- tivi diversi; ed essi sono, che questa è una merce la quale non può subire manipolazioni, e viva non forma gran fatto oggetto di commercio d'esportazione per le difficoltà e le gravi spese di trasporto, e per essere la medesima soggetta a forte deperi- mento nei viaggi di terra e nei tragitti di mare. Per arrestare l'impeto di questa obbiezione, che romoreggia, ma non batte nel segno, sarebbe sufficiente rispondere, che pel momento non trattasi di temere sovrabbondanza di prodotti, ma devesi pensare a provvedere di una migliore sussistenza la gene- ralità della popolazione. Ma sino a che continueremo nel modo fin qui praticato, saremo sempre come siamo stati finora. Dove però è ancora più peccante siffatta obbiezione, si è nel presupporre che il suolo italiano non possa produrre altro che cereali per V uomo, e foraggi per il bestiame. Ma questo è il linguaggio di colui che vive di tradizioni, e che da lungo tempo, vedendo il triste quadro d'Italia, non ne ha ricevuto che im- pressioni di sconforto. E bensì vero , che per la viticoltura il nostro paese avrebbe molti altri rivali, e che una grandissima quantità de' nostri ter- reni è meno omogenea a questa coltivazione : cosi dicasi di va- ni altri prodotti che avremmo comuni con altre regioni ancor- ché meno delle nostre siano favorite e dalla natura del terreno e dal clima. Ma si noti ben bene, che vi resta ben altro ; e le nazioni che vogliono provvedere non precariamente al loro vantaggio, devono 6 82 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA saper valersi delle particolari condizioni, in cui sono collocate; devono saper approfittare de' speciali favori, che il suolo ed il clima loro presentano. Sarebbe pessima determinazione, e in- gratitudine verso la Previdenza , che tanti doni sparse sulF I- taUa, se non mettessimo a buon partito quanto questa ci diede. Ove anche vogliasi supporre, che, nonostante si continui in un sistema irrazionale di coltura, si possa tuttavia giungere, a motivo della grande estensione di terreno che si ha in Italia, a diffondere agiatezza dove ora le popolazioni versano nelle an- gustie economiche, sarebbe egU scusabUe, sarebbe utile far uso di mezzi più di quanto occorra per il conseguimento del fine ? Quando bastano 20 miUoni di citare, non se ne devono impie- gare 50 mihoni per avere la stessa quantità di prodotti. In Italia si potrebbero impiegare almeno 10 miUoni di ettare per produrre ciò che, ad eccezione della Spagna, nessun altro popolo d' Europa potrebbe avere come prodotto indigeno. Fra i vegetali, a cui gì' immensi terreni incolti del Sud d' Italia sono adattatissimi, havvi il cotone, che è divenuto una derrata indi- spensabile, il cui bisogno va ognora estendendosi immensamente, e che ha formata la principale ricchezza dell' America. Già da molti anni il Genovesi ricordava agli ItaHani, che que- sto preziosissimo vegetale era una volta estesamente coltivato in Itaha (1). Eppure r uso, che allora se ne faceva, paragonato a quello de' nostri giorni, sta nella proporzione di uno a mille. Non mancarono in appresso uomini del pubbhco bene zelan^ tissimi, che vivamente raccomandarono la coltura di questo ar- ci) Bagioname ìlio sulle Manifatture § XII; e Lezioni d'Economia Civile, Parie fj cap. YIII, i 12 e cap. XXII, | 19.j CAPITOLO SESTO 85 busto ili Italia, ove si può ritenere indigeno, stante che tino dal secolo XIV italiani mercanti vendevano in Inghilterra cotone in Italia coltivato. I vantaggi che ci deriverebbero da questa coltura si com- prendono più facilmente di quel che si possano esprimere, tanto sono essi grandi, argomentando da ciò che è avvenuto presso gli Americani; benché, circa sessantanni or sono, da molti e perfino in Inghilterra si ritenesse, che 1' America non avesse terreni atti a produrre, in un anno, una quantità di co- tone, che al presente non basterebbe neppure per il lavoro di un' ora negU opificii inglesi. Quando 1' America faceva, si può dire, i suoi primi esperimenti , prendendo i semi dalle Indie e dalle regioni del Mediterraneo, l' Italia era già produttrice avanzata (1). Ma dove l'Italia si arrestò; e fin dove l'America ha progre- dito! Anche in questa, come in ogni altra parte dell' agricoltura r Itaha fu stazionaria o retrocedette. Non valsero gli eccitamenti fatti, dopo il Genovesi, dal cavaliere Edoardo Berlinglieri, che sostenendo potersi coltivare il cotone non solo nelle Romagne e nelle Due SiciUe, ma anche nella Toscana, ne diede ampia prova ne' suoi possessi di RadicondoU presso Siena : e l' Acca- demia de' Georgofili, a fronte dei fatti, persuasa che in questa (1) Savary, DicL Univ. de Comm. Voc. Colon.; — e Reviie des Deux Mondes^ Livraison 1, janv. 1882, pag. 176-208, ove su questo argomento leggasi un importantissimo articolo del signor Eliseo Reclus, il quale dimostra essere in sommo grado l'Italia acconcia per la coltivazione in grande del cotono; e da questo pregievole lavoro risultano eziandio i grandi vantaggi economici e po- litici, che al nostro paese da questa coltura deriverebbero. — Tuttoché sia il nostro lavoro in corso di stampa, ci troviamo ancora in tempo di citare al- cune delle sue osservazioni. }V4 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA parie d'Italia poteva naturalizzarsi, pubblicò una istruzione sulla masiiera di coltivarlo. Anche il celebre Filippo Re scrisse dilTu- samentc su questo argomento, che ravvisava di somma impor- tanza per il nostro paese, potendo esso in grandi masse sommi- nislrare questa materia prima, per ahmentare un complesso di arti manifattrici, in cui sono impegnati interessi gravissimi delle maggiori Potenze d' Europa (1). Avendo noi di questa merce, si renderebbero queste tributarie al nostro suolo ed al nostro com- mercio. 11 cessato Governo francese, che reggeva l'Italia colla spe- ranza che essa dovesse ognora essere attaccata ai destini della Francia, aveva compreso questa felice condizione del nostro paese. Nello Stato Romano, ove già cresceva il cotone, ed ora non havvene più traccia, ne venne incoraggiata la coltura (2), Ma quel Governo poco durò ; e con lui cadde il grande con- celio, 0 forse, dopo di lui, si volle distruggere ciò che avrebbe portato troppa ricchezza, come già sì cominciava a vedere presso gli Americani. La ricchezza dà vigore ai popoli per rompere i ceppi del servaggio. Né a guadagnargU favore presso la Corte di Roma giovò V au- torevole voce del computista generale Angelo GaUi, che cura- vasi d' indicare perfino le estesissime pianure specialmente adatte alla coltivazione di questa pianta, quali sono quelle di Campo- sahno, di Maccarese e di Grossetto (5). La stessa cosa è avvenuta nell' ex-regno delle Due Sici- lie. Se non che ivi nascendo quasi spontaneo il cotone non (1) Re, Elementi di Agricoltura. (2) Ordine della Consulta, Febbrajo 1810. (3) V. Opera cit. passim. CAPITOLO SESTO 85 si è potuto per forza governativa estirpare il temuto arbusto ; ma la coltura non si estese nò al di qua nò al di là del Faro. La produzione è in poca quantità relativamente a quanto | o- trebbe essere. Si potrebbe averne in si gran copia da esten- dere, con molto vantaggio dell' agricoltura , non solo immen- samente gli opificii che si alimentano di questa materia prima in paese, ma da farne eziandio un forte e lucroso commercio coir Inghilterra e colla Francia , le quali troverebbero conve- niente provvedersi da noi piuttosto che dalla lontana America. Benché dove parla il fatto, che dimostra i molti vantaggi che può alla nazione procacciare la coltivazione di questa lana ve- getale, l'autorità delle persone poco monta e non serve che a ribadire i rimproveri che toccano ai governi ed ai privati, n)n vogliamo però ommettere le recentissime e sennaie osservazioni di Petrocòla-Rossetti , e del cavahere Antonio Zobi, il quale ci* porge anche occasione di sventare que' sohti spauracchi, e di togUere quelle trepidazioni, che si mettono in chi o ha perduta 0 non ha ancora acquistata energia di azione. Il primo di essi ci dice non una cosa nuova, ma tale, che merita di essere ripetuta finché si è arrivati aUo scopo. Egli ripete, colla convinzione dell' uomo conoscitore de' luoghi, che « se si facesse attenzione alla coltura del co Ione, e vi fossero « manifatture in SiciUa, il cotone produrrebbe ricchezze im- « mense a quegli isolani (1). » Il secondo cosi si esprime : « Ora che la SiciUa gode del beneficio delle libertà sanzio- « nate dal Re galantuomo , che il suolo ed il suo clima per- « mettono la coltivazione del cotone, importerebbe assai che {ì) Hivista contemporanea, fase. Settembre {m, pag. 426, }{G PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA « questa fosse fomentata a tutta possa nell' isola, donde pro- « prietarii, agricoltori e commercianti ne potrebbero ritrarre « inestimabili vantaggi. E tanto più verrebbe adesso opportuna « e profìcua tal coltivazione, quand'appunto le grandi cotoniere « dell' America meridionale soffrono gravi sconcerti e detrimenti « a cagione delle intestine discordie introdottesi negli Stati del- « r Unione (1). » A quest'ultima proposizione, nella quale sta il vero, che la mag- giore opportunità ed il maggior profitto sarebbe dipendente ora dalla circostanza della guerra d' America, aggiungiamo, che però l'opportunità ed il profitto, che l'Italia ritrarrebbe dalla coltura del cotone poggiano anche su ragioni di carattere permanente ; e quand' anche le ostilità ed il blocco cessassero in America fra brevissimo tempo, non ne sarebbe la coltura né meno oppor- tuna, uè meno lucrosa. Imperocché 1' opportunità ed il guada- gno sono inerenti al fatto della crescente consumazione, e al crescente prezzo del cotone greggio, il quale dal 1845 al 1857 aumentò del doppio (2). Ove anche potesse 1' America raddop- piare e triplicare il suo prodotto, non vi sarebbe tuttavia mag- gior offerta, che domanda di questa materia prima (3). Ma r America , che può disporre d' immensi capitali si mise da alcuni anni ad erigere opifìci perfezionati quanto quelli de- gli inglesi ; ed a quest'ora ha già d'uopo di valersi della quarta parte della totale raccolta del cotone (4). Non trascorreranno (1) Letfera IX, Firenze 4 Nov. 1861, sull'Esposizione Nazionale di Firenze, dal Giornale l'Opinione 11 Novembre 1861. (2) Journal des Debats 4 aoùt 1861. (3) Veggasi quanto in proposito si dice nel capit. Ili e IV. (4) Journal des Debats 4 aoùt 1861. CAPITOLO SESTO 87 molli anni, che essa spedirà in Europa assai minor rpiaiitilà di quella che finora ci ha inviata (1). Né in America si può più gran fallo estendere la coltivazione del cotone, perchè a quasi tulle le regioni adattate a questa coltura si è già data tal destinazione. Esse ahhracciano tutto il territorio del sud al grado 55" di latitudine negh Stati Atlan- tici, del 57" grado negli Stati che discendono verso il Mississipi, e di seguito una hnea che dal mezzo dello Slato d' Arckansas divide il Texas e si prolunga verso il Rio Grande : le località elevate del Messico del nord continuano questa regione , ma nelle parti più basse di questo territorio le piogge tropicali d' estate impediscono la coltura della specie americana in un modo non meno deciso che nei distretti troppo caldi dell'Antico Mondo. Nei territorii stessi che qui circoscriviamo, le eccezioni non mancano neppure: cosi la parte montana degU Stati del sud non permette la coltura del cotone, una piccola parte della Georgia e deha CaroUna del sud, una parte più grande dell'A- (i; "Gli Americani che discendono dagli Inglesi non dimenticarono le tendenze della madre patria ove l'industria fuma e ruggc da milioni di bocche e di ca. mini. La loro attività vagabonda soddisfatta dal benessere, lasciarono le im- prese avventurate ai nuovi immigranti. Essa divenne più sedentaria, e tentò di sostituire alla febbre delle intraprese lontano un'industria locale, che au. montasse la ricchezza individuale nelle città e nei porti dell'Unione. Un vec- chio fomite di rancore nazionale non fu senza dubbio estraneo a questo slancio industriiile. Gli Stati Uniti cercano adunque senza troppo volerlo ad un tratto, ma piuttosto istintivamente, a diventare manifattori. Le innumerevoli dovizie, del Icro suolo, tanto al sud quanto al nord, ne for.i^.ano per loro una legge, che l'amor proprio nazionale s'incarica di mettere in pratica, principalmente negli Stati non produttori di cotone. Ora i tessuti dell'Unione Americana s'in- contrano coi prodotti analoghi dell'Inghilterra sui mercati delle Indie, dei mari della China , e ne sostengono con tal qual successo la concorrenza. Dal momento che gli Stati Uniti divengono manifattori e che cominciarono ad uti- lizzare il loro proprio cotone, il gran passo era fatto, la linea di demarcazione tra Liwerpool e Boston era tirata. Vi ebbe scissione tra le forze produttive del- l'Unione e l'insaziabile appetito dell'Inghilterra». {Revue desDeux Monde s,iS6l). 88 PARTE PRIMA SEZIONE SECONDA labama e la mela quasi del Tennessee, la parte nord-ovest del- TArckansas e le località elevate del Texas centrale ed occiden- tale devono essere posti fra queste eccezioni (i). Coir energia, che ogni ostacolo sa vincere, gli Americani in breve tempo, ed a misura che aumentavansi i capitah, ridussero a coltura di cotone grandissime estensioni di terreno per la prima volta solcato dall' aratro , e dove, come è di ogni luogo 0 abbandonato o non mai stato abitato, dominavano i miasmi delle paludi. Nel 1784 non si produssero negU Stati Uniti che olio balle di cotone (2) ; intorno a queir epoca furono seque- strate a Liwerpool settanta balle di cotone dichiarate provenienti dall'America, perchè non si credeva che questo paese potesse dar tanto! In oggi sono oltre a quattro milioni di balie che esso produce (5). Sarebbe finalmente venuto il tempo, in cui anche l'Italia possa operare di tali prodigi, che sono il risultamento del fermo volere, e non del solo concorso di circostanze fortuite e straor- dinarie? Gli Americani, avendo conquistata la loro indipendenza, e rimasti perciò svincolati dalla gelosa politica dell'Inghilterra, poterono togliere dalle colonie inglesi delle Indie e dalle regioni del Mediterraneo le migliori sementi di questo vegetale e perfe- zionarne il metodo di coltura; il che fu intorno all'anno 1793. (1) Journal des Dehats, loc. cit. — V. Anche nella Bevue des Deiix Mondes, LivRAisoN 1 Janv. 1862 il gicà citato articolo di Eliseo Reclus , che espone esattan'cnte le cause, per le quali l'America ben lungi dal poter estendere la coltivazione del cotone, è obbligata di restringerla di molto, se gli Stali del Sud si costituiscono, come sembra assai probabile, in regno separato dagli Stati del Nord. (2) Carey, Principii d'Economia politica, cap. XII, Rivista Riccardo, (3) Journal des Pebals, loc. cit. CAPITOLO SESTO 89 Sarebbe ridicolo il credere che in essi si trovasse tanta virtù d' intuizione da poter commensurare i vantaggi materiali e po- litici, ehe ne sarebbero derivati. Ma vasto e profondo era il sentimento che innalzava quella giovine nazione alla più grande fiducia, accompagnata dall'incessante azione, e dallo studio de' più acconci mezzi. Whitney, americano, coli' invenzione di una semplicissima macchina (Cotton-gin) era venuto in soccorso del coltivatore per separare la semente dal lanaggio, a cui forte- mente aderisce. Questa scoperte rese possibile coli' ajuto di un solo uomo il depuram^nto di trecento libbre di cotone ili un giorno , mentre prima in egual tempo di lavoro un uomo non poteva nettarne che una libbra (1). Cosi semplice ed utile macchina operò una rivoluzione nell' industria di preparare la materia greggia, pari a quel travolgimento, che erasi poco prima operato nella filatura colla macchina (Spinning-jenny) di Ark- wright, ed in appresso nella tessitura col telaio meccanico (Povy^er-loom) di Cartwright, (i) Ma i perfezionamenti si succedono gli uni agli altri e si completano. Già da qualche tempo una Società conosciuta sotto il nome di The Coltoti siipply Association, i cui elementi appartengono al fiore della città di Manchester, cerca diffondere i mezzi più perfezionati per pulire il cotone in lana. Importò nelle Indie l'eccellente macchina detta Patent Roller-gin di Mac'Arthy di Sa- vannah, i cui modelli migliori sono stati costrutti da Thomas Myddleton, abile ingegnere di Londra; e comincia ad essere apprezzata anche in Egitto sotto il nome abusivo di Dunlop'z patent Cotton-gin, essendo questi il copista e non l'inventore. Questa macchina di Mac'Arthy è ciò che si è inventato di più perfetto sino a questi giorni per il cotone lunga-seta, e dopo l'introduzione di questa macchina il Saw-gin che fa tre volte dì più di lavoro, ma che rompe la fibra, venne lasciala alle piantagioni, ossia agli Stati, che non producono se non cotoni di corta-seta. Valgano queste nozioni peri coltivatori d'Italia che non fanno uso di alcuna di queste tanto utili macchine; e per quelli che ne fanno uso, servano a met- tfrli in guardia quanto alla scelta. 00 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA Per IMlalia, por questo paese, qiiant'aUri mai favorito dai clima @ dalla fertilità del suolo, che essere potrebbe sommameute prospero, e ad ogni altra nazione in ninna cosa inferiore, in molle superiore, uniamo i nostri voli a quelli espressi dal cav. Antonio Zobi, a che e dal Governo e dai privati e individual- mente e per associazioni si fomenli a iulta possa la coltura del cotone, e senza esitazioni, immediatamente, estesamente vi si dia opera. Anche le vicine nazioni tengono a noi rivolto lo sguardo, e ci animano ad approfittare del vantaggio della nostra situazione. Il già menzionato Reclus (1) , molto acconciamente in questi giorni osserva agli ItaHani, che le regioni del Mediterraneo som- ministrarono all'America le prime sementi del cotone; che per molto tempo queste regioni bastarono quasi sole ad alimentare le filature d'Europa ; che è facile ridonare al nostro suolo quel- r importanza che già aveva acquistata in tale coltura, è che la Sardegna, la Sicilia, le Provincie napoletane offrono terreni som- mamente propizii alla produzione del cotone. Moltissimi sono i terreni che non presentano ostacoli di sorta. Su di essi si rivolgano le prime cure, vi si indirizzino i lavori. Il Governo esprima questo intendimento; e se in paese ora mancassero i capitali, vi accorj-eranno quelh degli stranieri, che pagìieranno questo primo tributo al nostro suolo; verranno so- lide compagnie inglesi, che ora cercano perfino in alcune pic- cole spiagge dell'Africa troppo aride e cocenti per la coltiva- zione del cotone, di naturalizzare questo vegetale, ohe all'Inghil- terra non solo economicamente, ma anche politicamente, è in dispensabile. (1) Log. cit., pag. 201). e A TITOLO SESTO 91 Il nostro Governo non avrebbe da dar larghi premii o com- pensi, come ora fa (jneìlo deiringhilterra e della Francia per incoraggiarne la collura, in qualunque luogo venga eseguila. Il suo concorso dovrebbe esirere, come ^i piatica nei più dei casi, quello di concedere a lungo termine le terre contro il pa- gamento di proporzionato canone secondo la natura del lerreno, secondo le difficoltà che si devono superare, e secondo le spese che occorre agli intraprenditori di sostenere. Dovrebbe il Go- verno, quanto a quelle terre dove i diritti di servitù e di pa- scolo ne impediscono il dissodamento , restringerli, per poi al più presto abolirli, dando in corrispettivo agii utenti altri ter- reni. Ciò non sarebbe che una più estesa applicazione della massima adottata per la Toscana, pure dal nostro Governo, col Decreto del 9 Marzo 1860 (1). Si vedrebbero in breve t^^mpo non solo popolate e floride le campagne che ora giaciono ab- bandonate e sterili, ma eziandio eseguite per il prosciugamento delle paludi quelle opere gigantesche, che già fecero gli Olan- desi, i quali a palmo a palmo contesero al mare il terreno; glTnglesi nelle loro nordiche e selvose regioni; gli Americani in quelle vergini terre non per lo innanzi calcate da piede umano, e dove gli elementi, terra ed acqua, si confondevano. Il bel sole d'Italia allora irradierà le nostre contrade noh più in alcuna parte infestate dalla mal' aria (2). Nell'interesse stesso della col- (I) Rapporto del nav. Antonio Salvagnoli-Marchetti, Segretario delia Commis- sione sul Bonificamento delle Maremme, fatto al Governatore della Toscana sulle operazioni idrauliche ed economiche eseguite nel 1859-60 nelle Maremme toscane. Edizione di Firenze. Tip. delle Murate, pag. 48. == Quand'anche poi per legge il Governo dovesse alienare i beni demaniali, nulla osterebbe che circo- stanze nuove inducessero a far sancire eccezioni e modificazioni. (2) " Quando si chiede ai romani della mal' aria, si ode quasi sempre con me- raviglia rispondere che iiuesla mal' aria è una finzione. Non negano già che 92 . PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA livazioiic \Hd coione i concessioiiarii de'teiTeni apriranno canali, foruierainio strade comuni e ferrate, erigeranno villaggi; e si faranno anche presso di noi qne' rapidi progressi di popolazione, di ricchezza, di henessere generale e d'incivilimento, che ve- diamo con nieravigUa essersi compiuti nell'Inghilterra e nel- l'America. Queste cose [>iii che i sentimenti di simpatia, che cadono in politica al primo benché débole, urto ; più che le convenzioni diplomatiche, di cui non ve n'ha una sola che non sia stata lacerata quando l'interesse lo esigeva, valgono a tenersi fra loro unite le nazioni. L'Inghilterra, specialmente, per il cotone, ve- drà di buon occhio la nostra grandezza e prosperità. Quindi la sua potenza sarà sempre fermamente unita alla potenza d'Itaha. Secondo i calcoli che l'americano Ketidall fece sulla coltura del cotone, questa verrebbe a costare molto meno in Italia che in quelle desolate campagne infieriscono le malattie, ma dicono -essere questo l'effetto e non la cagione di tanta desolazione. L'aere, dicono essi, è sempre mai insalubre negli ampli pascoli a causa delle copiese rugiade che vi cadono; e insalubre nelle terre rimestate dopo un lungo riposo; è insalubre in quei campi, ove non si pone rimedio al dilagare delle acque, ed ove perciò ogni sorgente produce nn pestifero padule; è insalubre laddove l'uomo non trova un puro fonte da dissetarsi , dove la sua abitazione è situata senza verun igie- nico riguardo, dove i suoi cibi, consistendo di puro pane e di carni salate, non sono mai variati con freschi camangiari e legumi, dove moltiplicandosi all'infinito e senza verun ostacolo gl'insetti, le punture delle mosche e delle zanzare estive bastano di per sé ad infiammare il sangue e a render la vita molesta ed insopportabile, dove finalmente l'uomo si vede privo di tutti gli agi e conforli domestici, e di tutte le cure che avrebbero per lui la moglie ed i figli. Egli è certo di fatti che nelle deserte praterie d'America, e in tutti gli ampli dissodamenti che si intraprendono in que' vergini terreni, si corre lo stesso rischio di contrarre la febbre, che nella campagna di Roma; eppure vi si vede che col progredire del lavoreccio della terra si fuga la mal'aria^ nella slessa guisa che, guardando le cose al rovescio , si vede evidentemente che questa mal' aria non ha infestate le campagne, se non dopo che la popo- lazione vi è scomparsa » (De Sismondi della Condizione degli Agricoltori nel- l'Agro Romano). CAPITOLO SESTO 95 non in America; perciò l'Inghilterra, la Francia e Intle le altre nazioni, che ora si provvedono in America, h'overebbero con- veniente di fare i loro acquisti presso di noi; e vendendosi da noi questo vegetale anche a minor prezzo di quello che si pra- tica sui mercati americani, si farebbero tuttavia larghi profitti. Infatti in America cerne in Italia 4 acri (ettare 1,G0) possono produrre cotone in media Chil. 1000 che al prezzo, per ogni chilogr^mma, di ... . Fr^ 1 danno un valore rappresentato da Fr. 1000 In America questo prodotto brutto è ripartito come segue: 1.^ Vitto e vestito che il proprietario somministra al negro, che coltiva in media la suddetta quantità di ter- reno , Fr. 575 2.'' Interesse del danaro per l' acquisto del negro la- voratore, calcolato anche il deperimento » 400 5.° Spese diverse, trasporti ecc » 450 4.*" Profitto del proprietario piantatore .... ^> 75 Totale Fr. 1000 In Italia lo stesso prodotto brutto si ripartirebbe nel seguente modo: 1.^ Mercede al colono che può coltivare la suddetta quantità di terreno (ett. 1,60) Fr. 500 2.^ Spese accessorie, trasporti ecc » 60 5.^ Imposte ed altri oneri » 20 4."* Profitto del proprietario piantatore ... - » ^^0 Totale F^JIOOO Si vede da questo confronto che il piantatore americano è molto gravato del capitale che impiega per l'acquisto del negro ; 94 PARTE PRIMA — SEZIONE SECONDA e l'interesse di questo capitale è molto elevalo specialmente per- chè devesi computare anche il deperimento, cui è soggetta que- sta proprietà. Ma il piantatore italiano ha nessun capitale da sborsare per Tacquisto di braccia servili. Il lavoro, se non ancora in tutta Europa, in Italia è libero. Pagata la mercede al contadino, che si fa salire abbondantemente a franchi 500, non si hanno che a fare le altre spese, le quali sono pure a larga misura calco- late nel prospetto: e dal medesimo risulta, che rimane ancora, dopo tuttociò, per il coltivatore un ragguardevolissimo profitto; cioè doppio di quello che ricavano grioglesi dalla coltura del loro suolo, ed abbondantemente il sestuplo di quello che dagli altri prodotti agrarii si ricava attualmente nell'Italia complessi- vamente presa. Dai sovresposti dati si deduce altresì che con 2 milioni di ettare si possono produrre 1 miliardo e 250 milioni di chilo- grammi di cotone; e noi abbiamo veduto, che ci sovrabbondano non meno di 10 milioni di ettare. Nelle regioni incolte della Sardegna, della Sicilia, e delle provincie Napoletane, scelte an- che le raighori zone , si ha ad esuberanza terreno per soddi- sfare ai bisogni deiratluale consumazione, quand'anche V Italia divenisse V unica provveditrice di cotone a tutta Europa. E bensi vero che il bisogno di questa materia prima, tutto giorno, aumenta; ma non ci manca il suolo per raddoppiarne la coltura, se pur anco si lasciasse una grandissima estensione di terreno per un'altra molto utile coltivazione, qual'è quella del tabacco, per il quale si è non meno voluto finora essere tributarli al- Testero, mentre noi agli esteri ne potremmo dare moltissimo. In questo capitolo, che la brevità di un semplice saggio ci CAPITOLO SF.STO 95 obbliga di cbiudere, abbiamo, soltanto sollo il rapj>orlo del- ragricoltura, parlato della coltivazione deirimpoiiantissinio ve- getale quarè il cotone. E nella parte seconda, ove ci occupiamo delle condizioni manifattrici deiringiiilterra, della Francia e del- l'Italia, cbe ritorneremo su questa materia sotto il punto di vista della manifattura. E per ultimo, ove trattiamo la que- stione della libertà di commercio, nel mentre lo sviluppo della medesima deve seguire nelle sue fasi e ne' suoi bisogni l'industria agricola e l'industria manifattrice in generale, rivol- geremo speciali considerazioni sulle manifatture di cotoncrie, la cui già grandissima e sempre crescente influenza sugli inte- ressi economici e polilici delle moderne nazioni è tale in que- sto secolo, che per antonomasia più o meno seiiamente cliia- masi secolo del cotone. -^■■^^H^^- PARTE SECOr^SDA Industria manifattrice, Commercio e Libertà di Commercio. SEZIONE PRIMA In dui strila, mani fattici e e e Gon:iLnaei^GÌo. CAPITOLO PRIMO oiiiinano. Differenza sostapziale fra l'industria agricola e l'industria manifattrice ed il commercio — Conseguenza relativamente alla ricchezza pubblica — Stato delle manifatture e del commercio dell'Inghilterra nel 1^30 — lutato attuale — Rapido accumulamento di capitale — Stato delle manifatture e del commercio della Francia nel 1860 — L'agricoltura tanto in Inghil- terra quanto in Francia ha progredito in proporzione dello sviluppo dell« manifatture e del commercio — Quota di riparto in ragione della popo- ilazione dei due paesi — Indagini per stabilire l'entità delle manifatture e del commercio in Italia — 1." base nei rapporti colla Francia — 2/ base desunta dalle statistiche dello Stato Pontificio — Computi di ap- . prossimazione — Riassunto risguardante il movimento manifatturiero e commerciale dell'Italia — Riassunto del movimento manifatturiero e com- merciale dell'Inghilterra, Francia ed Italia — Riparto, e pari^llelovjfia queste tre nazioni , indicanti la pubblica agiatezza — Inferiorità grande dell'Italia confermata dalla Circolare 11 settembre 1861 del Ministro Ri- casoli — Cause di ciò — Le cause politiche non ne sono esclusivamente imputabili — Esempio della Lombardia — Rinvio. QuaPè la differenza sostanziale, che, in ordine alla ricchezza pubblica, e conseguentemente al generale benessere, passa fra .rindustria agricola, e Pindustria manifattrice ed il cpmmercio? L'agricoltura, quand'anche venga spinta al massimo punto di perfezionamento, -di produzione e^di esteasiqne, ha,,un limita 7 98 PARTE SECONDA SEZIONE PRIMA che non può essere oltrepassato né dall'intelligenza né dal la- voro nò dal capitale, e questo é il limite di territorio. Nelle manifatture al contrario e nel commercio non vi sono limiti; l'intelligenza ed il lavoro si esercitano intorno al capitale, che indefìnitamente si può aumentare. Egli è perciò che se l'Inghilterra e la Francia possono an- cora raddoppiare i prodotti dell'agricoltura, se l'Italia può qua- druplicarli; nulla vi ha che loro impedisca di tanto più esten- dere e le manifatture ed il commercio, quanto più crescono i loro capitali. Trent' anni or sono , le manifatture inglesi producevano , annualmente, valori rappresentati da quasi 4 mihardi di fran- chi; il commercio saliva allora quasi a 5 miUardi (1). Oggi il movimento dell'industria manifattrice e del commercio non è minore di 26 miliardi (2). In Francia, nel 1860, il commercio rappresentò il valore di circa 6 mihardi di franchi : e le manifatture , fatta la propor- zione collo sviluppo del commercio, che sono elementi, i quali stanno in correlazione, si possono ritenere, a computo di mas- sima approssimazione ,. ascendere al valore di franchi 9 mi- liardi (3). * . Come si scorge, lo sviluppo dell'industria manifattrice e del (i) Pablo Pebrer, loc. cit. voi. I, tav. XV. . (2) "Anche in Francia dal 1815 in poi l'ind astria rnanifattrice triplicò; ed il oommercio è divenuto cinque volte maggiore " (De Lavergne pag. 46 dell'opera Economia Rurale delta Francia). (3) Vedi anche De Lavergne , Economia Rurale della Francia, pagine 44-46. — Vedi anche il Politecnico , che si stampa a Milano (fascicolo di gennaio 1862, pag. 56 e 59). Esso dà il riassunto dei valori che rappresentano il com- mercio e le manifatture della Francia. Il loro risultato finale concorda con i computi da noi fatti a che qui complessivamente riferiamo. CAPITOLO PRIMO 99 commercio fu meno grande in Francia a paragone di quello delie arti e del traffico in Inghilterra. E bensì vero che a mi- sura che in Francia scaturivano i capitali da queste due ine- sauribili sorgenti anche l'agricoltura ne riceveva incremento; ma questa restò molto al dissotto a quella dell'Inghilterra, poiché è pure molto più ristretto il movimento delle sue industrie ma- nifattrici e del suo commercio. S'instituisca la proporzione tra lo sviluppo delle arti e del com- mercio in Inghilterra collo sviluppo che arti e commercio eb- bero in Francia nel rapporto collo sviluppo dell'agricoltura presso queste due nazioni, e risulterà che l'agricoltura ne'due paesi è progredita nella ragione del capitale che colle manifatture e col commercio si è accumulato. Quanto abbiamo precedentemente esposto intorno all'agricoltura dell'Inghilterra e della Francia; e ciò che qui esponiamo intorno al movimento manifatturiero e commerciale di esse, ci somministrano gli occorrenti dati per determinare siffatta proporzione, e per avere una completa di- mostrazione di un principio che altronde non permette più di dubitare dopo i progressi in questa parte delle dottrine econo- [ miche, ed ancora più di tutto dopo i fatti più positivi. All'appoggio di questi dati vi è da rilevare, che in Inghil- ^< terra, divisi i franchi 26 mihardi per la totaUtà della popola- zione, che è di 29 milioni d'individui, si può considerare un i riparto di franchi 800 per testa. ■' In Francia divisi i franchi 15 miliardi per 56 miUoni che è il numero dell'intera popolazione, si hanno per ciascun indivi- duo franchi 400, numero tondo. In ItaUa, ove la condizione economica, presa la media, è al dissotto. di quella della Francia , se applichiamo ai 24 milioni 400 PARTE SECOiNDA — SEZIONE PRIMA individui, componenti la totalità della popolazione, la cifra di franchi 500 per testa, si avrebbe il risultato che indicherebbe il prodotto delle manifatture e del commercio espresso colla somma di franchi 7 miliardi e 200 miUoni. Benché questo computo rappresenterebbe per l'Italia una con- dizione economica più della metà al dissotto di quella dell' In- ghilterra, e circa un quarto minore di quella della Francia, pur tuttavia è fatto a troppo larga misura, e non le si può asso- lutamente appUcare senza andar a gran pezza lontani dalla realtà. Non essendovi dati statistici precisi e completi intorno all'ar- gomento che qui trattiamo, e specialmente per quanto si rife- risce all' Italia, è d'uopo procurare di giungere alla verità per mezzo d' induzioni , tenendo conto dei dati parziali che posse- diamo, e facendone cautamente uso. Mettiamo per un momento qual base delle indagini le no- zioni che ci presenta il già citato Galli ne' suoi Cenni econo- mico-statistici sullo Stato Pontifìcio (1). Sóipponiamo pure che negU ultimi venti anni siasi dato qualche maggior sviluppo ai diversi rami di manifatture in quella parte d' Italia. Ciò pre- messo, possiamo fissare i valori da esse annualmente prodotti in franchi 20 miUoni per lo Stato Pontificio, Proseguiamo. Con un calcolo di proporzione, ritenendo, che a numero tondo la popolazione dello Stato Romano sia di 5 mi- lioni, avremo sui 24 milioni d' Italiani un prodotto , in quanto alle manifatture, corrispondente a franchi 160 miUoni per tutta r Italia. ' (1) Edizione di Roma, 18 iO; pag. 24i e seg. CAPITOLO PRIMO 101 Questo risultalo è però decisamente molto al dissotto della realtà, poiché nello Stato Romano, meno che in ogni altro luogo della Penisola, hanno le manifatture posto sede. Nel solo Piemonte, se argomentiamo dal progresso dell' agri- ' ■ ''''"' ' ' ' ■•''"■■ '■ "' ■ ■ ■ • ■ . ,- coltura e ^all'ammontare dei prodotti che da essa si ricavano, Je industrie manifattrici devono dal loro canto produrre per un \P ON'r^.— < ■:' •■ ..... . . . • . ,.^ ,,^, valore rappresentato da non meno di franchi 800 milioni. Al- '"'-*- • '- ■■ ■■ ■ " ■ ''■'"' ' *■''■ '" • ■ . ■■ ■■ -' • ^,- trettanto nelle altre provincie italiane, lombardo-venete, che ab- biamo comprese nel nome di alta Italia. Quindi è che tenendosi conto che le manifatture in tutta la rimanente Italia si sono avanzate assai più che non nelle re- ffioni che erano sottoposte, e in quelle, che sono tuttora sog- gette ^lla Corte di Roma, benché assai meno che nell' alta Ita- Ha, ci è dato di approssimarci con molta probabilità al vero emettendo la cifra di franchi 400 mihoni, rappresentanti il va- lore dei prodotti delle manifatture esercitate nella centrale e bassa Italia. Dal che ne viene che abbiamo l'ammontare com- plessivo per tutta l'Italia dei prodotti delle mdustrie manifattrici di franchi 2 miUardi. Quanto al movimento generale del commercio si ha una base che ci permette di fare deduzioni in modo più diretto. E bensi vero che per apprezzare fatti con generali e complessive ve- diate none rigorosamente necessaria matematica precisione ; ma, siccome non l'abbiamo trascurata in tutte le altre parti ;4el nostro lavoro, cosi desideriamo pure di tenere intorno, a o <^ 2 " 5 H g o ^ > « o (^ CD « S 'S H ^3^^fe§- ^. o_ C5_ S ^ fc r-r -s 3 s E -^ -=,0 o g .- o. PRO! base i d'acq ellar pri) avori in ra( dell o" = "5 . .s " ■: 1 i>. »oi ^ S 2 -2 ^ o O w 'S." ^~ fi -9, a rt — « " ìi 2 <=5 •^ 1 g :| ® o" ^o' o^ o o <=> <=> o o " "3 „ « M " -S 'H S « ^5 -*§- '«S- co '^- ls.-ì to •c 3 s 2 '^ s to ■^ o- 1 -2 -S ENTC chine :c. e del 0 ^ ^ o 'S « "^ ii o « ^ '« ^ o^ o^ <=> s -S s 2. RIM Mac e. et igion 0 0/ o § 11-^ W ^ g S ^ o so o' sili § - - in e^ «s 1 ^ i .2, ^ ^ o» ^ 2 1 1 rt o_ «© 1** « ^ o o .- •" o ■ •r. « B '^ '-^ <=> Sfili £ i 2 è '^ "« si = •- a. -*" ■^ !> 1 J « .s .s ^ .- o o o MACCHINE ed Immobili pe filatura e lavori derivai VALORE in Franchi (1) 1 §^ •S •« 5 1 g « 1 1 1 1^1 =3 r 1 •§ ^ E ìa >4> ■5 S S S " a o ^ o e g 0 J3 -- "" s 1 •s s g 2 'S E- «^ -> - 2 O &3 -* f^ o~ o o *>r s > o t<» •s s =3 s 1, .2 ._ o ^ o OTONE greggio PESO in lilogrammi 1 mT « G «o «^ »< 0 ^ ■: s -s £ -< OS S 2 S 1 •§ £ ? Si ;< ^ •S fc 0 « « r -- e ^H « S (§ 2 ^ 3 ^ -< .5 •- S. è - -S 3 1-:? ìli S É -< ^ ^-.0^0'^ ° cn -3 2 0. j 5 I no PARTE SECONDA SEZIONE PRIMA Anche iielF industria del cotone, il cui movimento è indicato da migliaia di torri e della forza idraulica di mille correnti , r Inghilterra giganteggia sopra la Francia e V ItaUa. Essa con positivo e penetrante criterio libra i veri bisogni , ed ha ben presto riconosciuto, che, dopo il nutrimento, il cotone avrebbe preso il primo posine fra gli oggetti di prima necessità. A que- sta industria ha perciò rivolta V energia della sua popolazione e la potenza de' suoi capitali, che di poi con quella industria ha maggiormente e rapidamente accresciuti. Cosi la nazione inglese operò : benché rispetto alla materia prim^, che alimenta siffatte manifatture, avrà sempre da essere tributaria ad altri paesi, e, se vorremo , lo sarà anche all' Italia ; e nei medesimo tempo che noi somministreremo all'Inghilterra, alla Francia, e ad altri popoli settentrionaU copiosamente questo indispensabile vegetale, che dà lavoro a molti miUoni di uomini , avremo noi stessi , con grande benefìcio dell'agricoltura e con lutti quei vantaggi che derivano dall'aumento della popolazione, fiorenti ed estese manifatture , intorno alle quali prosperando la coltura di cosi preziosa pianta si arriverà ad accrescere la ricchezza nazionale nel modo , di cui non havvi esempio fuorché nell' America e neir Inghilterra. Eppure da alcuni , perché V ItaHa é agricola , si teme con maraviglioso controsenso che divenga manifattrice. Perniciosis- simo assurdo. Imperocché tanto vale , quanto propugnatore la convenienza di tenere in istretti limiti la produzione , di non approfittare dei favori del suolo e del cUma , che ci danno il privilegio di alcuni prodotti , di lasciare alle altre nazioni il vantaggio di lavorare le nostre materie gregge. Sono errori, che già ci recarono gravissimi danni, e che hanno radice nei- CAPITOLO SECONDO 111 l'ignoranza delle legaci dcireconomia sociale ; la quale ignoranza fa velo a comprendere la benefica e vicendevole a/ione dell'in- dustria agricola e dell' industria manifattrice. Tanto chi ara la terra, quanto clii lavora i suoi prodotti, abbisogna l'uno dell'al- tro. Lo sviluppo, il perfezionamento delle arti mani fattrici è in ragione diretta della produzione del suolo , sia perchè sui pro- dotti della terra quelle si esercitano, sia perchè il coltivatore , in causa della maggiore agiatezza, cerca di soddisfare a'bisogni, che non si limitano alla mera necessità. Cosi pure lo sviluppo ed il perfezionamento dell' agricoltura dipende dall' incremento delle manifatture, che portano in milioni di uomini in esse oc- cupati i mezzi di comoda sussistenza. In nulla 1' una all'altra nuoce; entrambe anzi si danno animosamente mutuo aiuto. É inutile supputare i vantaggi economici e politici, che già a quest'ora l'Italia avrebbe ottenuti per virtù dell'accordo e della reciprocanza delle due industrie nel periodo di tempo, in cui gli Slati Uniti dell'America e l'InghilteiTa incominciarono l'una a coltivare, 1' altra a lavorare il cotone. Nel corso di soli qua- ranta a cinquant'anni si sarebbero accumulati capitali immensi, quand'anche si fosse fatto assai meno, di quanto fecero quelle due nazioni: e se non era ancora venuto il tempo della sua unità politica, non sarebbe stata però considerata, almeno eco nemicamente, fino a'nostri giorni un'espressione geografica. E Rivolgiamo la mente e l' opera all' avvenire, che è ancora per noi. L' America produce annualmente cotone per il valore non al dissotto di 1 miliardo e 500 miUoni di franchi (1): Tlnghil- . terra a questo valore della materia prima aggiunge colla mani- fattura, per la parte che essa lavora, un valore di non meno (1) V. anche Reclus, loc. cit., pag. 177. ai PARTK SECONDA — SEZIONE PRIMA altri 2 miliardi. Si ha un totale annuo di franchi 5 miUardi e mezzo. Sarebhe egli troppo il dire che fra non molto potremmo ar- rivare almeno alla terza parte del cammino percorso in mezzo secolo dall' America e dall' Inghilterra ? Non si tenda 1' orecchio a parole o timide, o invide, o insipienti. Cosa sarebbero gli Stati Uniti d' America se si fossero arrestati dietro le previsioni degU uomini di Londra, che si dicevano competenti ad emettere giudizio, e che sostenevano che l' America non sarebbe mai riu- scita a produrre grandi masse di cotone ? Che ne sarebbe delle sue manifatture, a cui miUoni di operai attendono, se l'inghil- terra avesse paventati gl'impedimenti che attraversano le umane imprese? Dove e quando non s'incontrano ostacoli? E opera del genio, con prudenza ma con tenacità, superarli di volta in volta. E non sono gl'ItaUani, che già un tempo per il loro ge- nio erano ammirati? SEZIONE SECONDA Liberata di Gomnnei'cio. CAPITOLO PRIMO Souainario. Sorgenti della grandezza e potenza delle nazioni — La libertà di commercio favorisce lo sviluppo di queste sorgenti — Necessità di precisare questo principio della scienza de'cambii — In qual modo — Divergenze fra gli scrittori di Economia politica e fra i Governi in ordine al principio della libertà e della sua applicazione — Detti e ftitti di Elisabetta regina d'In- ghilterra — Spirito delle moderne istituzioni sociali — Ufficio della libertà in commercio — Sua ragione di verità e di giustìzia — Corollari — In- certezze dell'Economia politica — Modo in cui trattiamo la questione della libertà di commercio. La grandezza e la potenza delle nazioni sono in proporzione delle loro ricchezze. L'industria agricola, l'industria manifat- trice, il commercio ne sono la sorgente. La libertà dei cambii ne è r anima. Ora che ci siamo occupati per conoscere la natura e l'im- portanza di queste tre fonti, da cui scaturisce la prosperità ge- nerale, non sarebbe possibile per la grande varietà delle opi- nioni formarsi un criterio sufficientemente preciso sul modo, in cui debbono esse venir dirette verso il comune scopo, ove non si cercasse di precisare cosa si deve intendere per libertà di commercio, ed ove non si esaminasse attentamente, se questo 8 114 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA canone della Catallattica, o Scienza dei Cambii, debba essere applicato sempre senza ottemperare alla legge generale di pro- gressione. Noi non siamo da oggi soltanto fra quelli che riconoscono nel libero cambio un principio, su cui dovranno poggiare i veri interessi delle nazioni; ma in cosa di tanta gravità e compli- cazione non possiamo a noi medesimi dissimulare, che non an- cora in ogni sua parte una tal questione è inappellabilmente risoluta colla sicura scorta dei fatti. Quindi è che non dobbiamo dispensarci da un accurato esame, che partendo dal principio fondamentale e in sé stesso vero della libertà di commercio, ci metta in grado di dare il valore che meritano , alle diver- genze, che in questa vitale controversia sono tuttora vivissime fra i più riputati scrittori di Economia politica, non meno che fra i Governi relativamente all'appUcazione di questo principio. Né gli uni, né gli altri sono d'accordo quanto al tempo ed al modo, in cui meglio convenga abbandonare il sistema di restri- zione, che, pochi anni sono, era la norma generale, per entrare nel nuovo sistema, quello della libertà! E tanto meno ancora cadono nella medesima sentenza sul punto egualmente impor- tantissimo, se cioè convenga appHcare ad ogni ramo d'industria il principio di hbertà, ovvero ad alcuni soltanto di essi, fintan- toché uno Stato abbia potuto attuare i mezzi che sono neces- sarii, affinché, in concorrenza di un altro Stato, non abbia a rimaner paraUzzato nell'esercizio della propria azione. In tutte queste hmitazioni, che non intaccano il principio della libertà, ma si riferiscono unicamente alla sua appUcazione, racchiudesi una regola di pubbUco interesse, considerato, non solo nei rapporti interni di uno Stato, ma eziandio nei rapporti CAPITOLO PRIMO 115 fra stato e Stato. Queste limitazioni o, diremo più precisamente, queste cautele si considerano essere il mezzo necessario e sa- lutare di transizione dall'uno all'altro sistema, e mantenere l'e- quilibrio delle forze, che devono agire a reciproco aiuto fra le nazioni, affinchè, invece di giovarsi a vicenda, non si rechino fra loro nocumento. Esponiamo su questo dissenso le nostre vedute. Nessuno certamente a' nostri tempi troverà né giusto il detto, né utile il fatto di Elisabetta regina d'Inghilterra, la quale, espel- lendo dal commercio inglese gh Anseatici, diceva: pri;?2« il mio 'popolo, poi lo straniero. Secondo lo spirito delle istituzioni delle società moderne, sotto il rapporto specialmente della prosperità materiale , devono le nazioni considerarsi distribuite sulla su- perfìcie del globo colla umanitaria missione di giovarsi vicen- devolmente. Né le leggi, che politicamente separano le une dalle ' altre , vi sono per loro natura contrarie , perchè dovendo esse venir conformate al grado di civiltà, a cui ciascun corpo collet- tivo è arrivato , tendono , nella conservazione dell' autonomia politica, al medesimo fine. E conservandosi questa autonomia, si conserva la divisione del lavoro , che come fra individuo e individuo, cosi fra popolo e popolo, lo fa meglio convergere ad uno stesso punto, e si ottengono maravigliosi risultati nell'opera della produzione. La libertà di commercio ha per ufficio di fa- cilitare la riunione, l'avvicinamento e la distribuzione dei pro- dotti elaborati dall'umana famigha, che non è circoscritta se non dai confini del mondo ; e questa libertà di commercio trae la sua ragione di verità e di giustizia e di generale interesse' dalla legge che regola il mondo , in cui nessuna cosa essen- dovi che operi isolatamente, tanto meno può essere isolata l'a- 116 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA zione degli uomini, né individualmente né collettivamente con- sidenti. Da questa legge di ordine, da questa armonia di azione con^ segue : 1.° A nessuno essere vantaggiosa la libertà di commercio, se non si applica gradatamente, affine di conciliare l'interesse generale, che consiste nella maggiore produzione di cose utili. 2." Non essere giusto, che un popolo eserciti la sua azione presso di un altro, paralizzando l'azione di quest'ultimo, il quale possa utilmente esercitarla; 3.*^ Impedendosi l'esercizio dell' azione utile di un popolo , stante il vincolo che unisce tra di loro le nazioni, il danno che a quello si reca, rifluisce anche su chi lo cagiona. Queste tre norme ci sembrano inchiudere quanto occorra per condurre all'adozione di quei provvedimenti, da cui la vicende- vole prosperità delle nazioni venga promossa e assicurata. Colali norme, che sono in sostanza regole di giustizia e mi- sure di prudenza, in cui risiede la sapienza del governare, si trovano non tanto suggerite da quegli economisti, che sono as- sorti nelle pure astrazioni della scienza, quanto praticate dai Governi. Si noti bene; queste, che abbiamo enunciate, sono proposi- zioni, che riflettono la sostanza del principio fondamentale, e cercheremo di svolgerle accuratamente coli' appoggio dei fatti; imperocché i principii generali sono pericolosi, se la loro sin- tesi non è il frutto di minute indagini avvalorate dall'esperienza. A condizione che tengasi conto dei fatti, si può camminar si- curi nell'applicazione dei principii. Ma se è vero, com'è inne- gabile, che la giovine scienza dell'economia politica si agiti tut- CAPITOLO PRIMO 417 torà fra non poche incertezze anche su punti fondamentaU , si deve procurare di non rompere negli scogli accettando quali verità di pura matematica ciò che non corre se non il periodo della prova nello svolgimento dei fatti. Questo modo di esaminare la questione del libero cambio in quanto alla sua appUcazione, non incontrerà certamente favore presso chi ama i principii astratti ed assoluti. Ma noi senza pretensioni, ed animati non meno di loro dal solo desiderio di giungere al vero , ricordandoci di quanto avverte Bacone , che in Universalihus latet dolus, diremo con Hume, che ragionando sopra argomenti generah , è lecito a chiunque non far buon viso alle nostre idee, dovendo bastarci che siano esatte. In ap- poggio di quelle che stiamo per esporre , invocheremo fatti e cifre. Ci si tenga almen conto dello scopo, a cui nell'interesse generale miriamo. -5-@5^S-E_r-^ CAPITOLO SECONDO »oin.m.ariO. 1.^ Proposizione — Come il Governo inglese passò per mezzo ai due opposti sistemi di libertà e di proibizione — Riforme di Roberto Peel — Osser- vazioni e prove in favore del sistema adottato dall'Inghilterra — Della Scala Mobile — La subitanea abolizione de'dazii fa diminuire le mercedi di più che in proporzione dei ribassi daziarli sui prodotti dell'industria agricola o manifattrice — Non giova ne all'agricoltura, nò al manifattore né a qualsiasi consumatore — La libertà di commercio fa, dove crescere, dove diminuire i prezzi delle derrate — Il vero vantaggio di essa con- siste nel far aumentare la quantità dei prodotti — Condizioni senza di cui non si ottiene questo vantaggio — Funeste conseguenze dell'appli- care ad un tratto ed in modo assoluto i principi! economici — In tutto vi è la legge di progressione — Opinione di Carey. L' Inghilterra, che è la nazione, la quale da molto tempo ha il maggiore interesse nella Ubertà di commercio, è stata quella che diede la prova più chiara e positiva di conoscere che il libero cambio deve essere in armonia coi rispettivi interessi delle nazioni, affinchè non sia ridotto ad essere una simulazione di libertà ed un effìmero benefìcio. Colle riforme economiche proposte .dal suo grande ministro Roberto Peel, il Parlamento inglese inaugurò il principio della libertà di commercio sui cereali. Era colà troppo elevato il prezzo del grano, e la massima parte di quel popolo si trovava sovente, in gravi sofferenze. Era uno stato di cose, che non avrebbe po- tuto prolungarsi senza grande pregiudizio della popolazione e di ogni ramo dell'industria manifattrice. Vigente il sistema di restrizione, era, per esempio, il frumento in Inghilterra a fran- CAPITOLO SECONDO 121 chi 25 l'ettolitro, mentre in Francia, in Italia ed altrove non saliva che al prezzo in media di franchi 15, eguale misura. Egli é fuori di dubbio, che il grano estero sottoposto per en- trare in Inghilterra a spese doganali, valutabili per franchi 10, ogni ettolitro, non avrebbe potuto essere presentato alla consuma- zione in quel paese se non molto eccezionalmente, quando cioè, per qualsiasi causa, fosse slato assai depresso il suo prezzo di origine. Bisognava, oltre ai franchi 10 di spese doganali, tener conto di altri franchi 2 per spese di trasporto ed accessorie ; infine bisognava computare almeno franchi 1 per il guadagno del commerciante. L' ammontare di queste spese unitamente al lucro per tale operazione di commercio saUva a franchi 15 ogni ettolitro. L' avere pertanto in Inghilterra grano estero, non era sperabile se non quando negh altri luoghi di produzione non avesse oltrepassato il prezzo di franchi 12 per ogni ettolitro. Ma ciò non avveniva che assai raramente. Per levarsi di mezzo i gravi imbarazzi, a cui il Governo si trovava frequentemente esposto, sarebbe stato, secondo l'avviso degU amici de'principii assoluti, unico partito quello di aboUre ogni dazio. Tolto il dazio, sarebbe da ogni parte afiluito il grano in Inghilterra al prezzo, per ogni ettolitro, di franchi 18 a 20 al massimo; é conseguentemente a questo limite avrebbe do- vuto discendere anche quello nazionale. Ma siffatti slanci, che non hanno altro pregio se non quello della speciosità, e che non possono recare alcun utile positivo, non furono secondati dal prudente Governo. Esso invece si at- tenne al sistema della cosi detta Scala Mobile, modificata a di- versi periodi, ed il cui scopo era che il dazio dei grani fosse maggiore o minore secondo il maggiore o minor prezzo di esso. 120 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA II Governo inglese modificò, non tolse di subito il dazio ; e nello stesso tempo che si apriva la strada alla illimitata libertà del commercio dei cereali, trovò per mezzo di questa scala mo- bile il modo di conseguire vantaggi reali, É qui dove sta il me- rito deir applicazione. Operandosi altrimenti, ne sarebbe venuto, che le mercedi sa- rebbero state diminuite non solo in proporzione del diminuito prezzo del grano, ma molto probabilmente sarebbero anche di- scese a più basso limite, perchè gli agricoltori, a motivo del subitaneo deprezzamento dei prodotti agrarii tornando men con- veniente la coltura del suolo, avrebbero meno domandata V o- pera de' contadini ; una maggiore concorrenza di braccia si sa- rebbe perciò portata nelle manifatture ; e Cosi il danno avrebbe pesato principalmente sulla massa della popolazione, a cui fa- vore intendevasi rivolgere quei provvedimenti ; poiché il danno cade sempre su quelli che offrono a chi meno ha bisogno di domandare. Non sarebbe neppure derivato un vantaggio sotto il rapporto del soddisfacimento di altre necessità, quale sarebbe quello di avere i prodotti delle manifatture a più basso prezzo. E bensi vero che il manifattore avrebbe minori anticipazioni in danaro da fai e per l' acquisto di materie prime, per le mercedi e si- mili. Ma ove si consideri, che effettivamente la compra-vendita altro non è che la permutazione di prodotti di una specie con- tro prodotti di altra specie, apparirà di leggieri, che nessun vantaggio può scaturire dall'abbassamento del prezzo dei pro- dotti manufatti pel solo motivo che venga in tal guisa diminuito il prezzo de' cereali, o di qualunque altra sorta di prodotto. Per maggiore rischiarimento e precisione appigliamoci alle CAPITOLO SKCONDO 121 cifre. Prima che queste due diminuzioni, l'una dall'altra cau- sata, succedessero nei prodotti agricoli, e nei prodotti delle ma- nifatture, l'agricoltore si provvedeva, supponiamo, di 40 metri di tela per franchi 20, i quah rappresentavano il valore di 1 ettoUtro di frumento; in appresso, ribassati i prodotti manufatti nella proporzione del ribasso avvenuto nei* prodotti agricoli, quei 40 metri di tela possono essere dati a soli franchi 1 5 : ma que- sti 15 franchi rappresentano 1 ettolitro di frumento come per lo innanzi; epperciò saranno sempre 40 metri di tela contro 1 ettolitro di frumento, poiché il ribasso delle merci ed il ri- basso del grano si compensano. Continuando la stessa ipotesi, e invertendo solo le parti, os- sia il computo non nell' interesse dell' agricoltore ma in quello del manifattore, domina sempre la stessa legge di proporzione. Infatti dando, come prima, 40 metri di tela, ma per soU 15 fran- chi invece di 20, riceve però sempre il controvalore che è 1 et- toUtro di frumento ; ed è per lui inconcludente, che questo et- tolitro di frumento avesse prima il prezzo di 20 franchi, ed ora l'abbia soltanto di franchi 15. Egualmente corre la proporzione per l'operaio. Nello stesso modo che l'agricoltore dà il prodotto della terra o in natura o rappresentato dal danaro al manifattore per provvedersi dei pro- dotti della sua industria; ed il manifattore i suoi prodotti per avere in cambio quelU dell'industria agricola; l'operaio dà in corrispettivo o opera o danaro, il che torna alla stessa cosa, per avere la merce, di cui abbisogna per alimentarsi o per ve- stirsi. Ma l'opera sua, prima del ribasso avvenuto ne' cereali, era retribuita, supponiamo, col valore rappresentato da franchi 10, e con questi acquistava ^0 metri di tela o 50 litri di frumento* i^^ fAHTE SECONDA — SEZIÓNE SECONDA Il prezzo della merce per la diminuzione del prezzo dei cereali, discende a franchi 7. 50. Ma per lo slesso motivo diminuisce d'altrettanto la mercede dell'operaio, viene cioè ridotta anch'essa a franchi 7. 50. Egli può ora acquistare tela o grano non in maggiore quantità di prima, quantunque Tuna e l'altro siano diminuiti di prezzo. Anzi, se per effetto della maggiore offerta di opera la mercede ancor più diminuisce, come si è superior- mente notato, l'operaio ne avrebbe danno. Da tutto ciò evidentemente risulta che niente avrebbe appro- fittato la classe dei lavoranti, che anzi avrebbe corso pericolo di risentirne pregiudizio; che nessun vantaggio avrebbe avuto né il manifattore nò il consumatore de'prodofli manufatti; e che si sarebbe rovinata l'agricoltura nazionale. Ma continuiamo ad esaminare le conseguenze, che sarebbero derivate dalla subitanea abolizione di dazio, rispetto anche alla nazione, da cui sarebbero stati esportati i cereali per essere venduti in Inghilterra. Vedremo brevemente, che da ciò, che è erroneo, non può mai in nessun modo e per nessuna classe di persone o produttrice o consumatrice uscire alcunché di utile. Infatti nessuna nazione, presso cui i cereali fossero stati ad un limite appena poco più basso che in Inghilterra, avrebbe po- tuto trattenerli per la consumazione propria, se non aggiungendo al prezzo di prima quella differenza che lo speculatore avrebbe potuto ricavare vendendo quelle derrate in Inghilterra. Per lo meno si sarebbero dovuto aggiungere franchi 3 per ogni etto- litro, i quali, come abbiamo già notato, rappresenterebbero le spese di trasporto ed altre accessorie, oltre la parte di guadagno del commerciante. Ma l'aumento di franchi 5 fa d'altrettanto salire le mercedi sia CAPITOLO SECONDO 125 per i lavori di agricoltura, sia per quelli di maniiatlura, e de' cui prodotti vicendevolmente hanno bisogno manifattore ed agricoltore, artigiano e colono. Avremmo anche in questo caso quanto abbiamo veduto nelle sovra fatte ipotesi, variazioni di cifre ora in meno, ora in più ; ma i rapporti dei valori, che sono Ira prodotti e prodotti, restano sempre eguali. Perciò il men disfavorevole risultato sarebbe quello di non ottenere alcun be- neQcio. Né alcun beneficio si può ottenere dalla libertà di com- mercio, se non in quanto sia diretta a promuovere Vauìnento della quantità dei prodotti. Ma perchè ne segua questo effetto, fa d'uopo adottare prov- vedimenti che non tronchino tutto ad un tratto ogni rap- porto tra il passato e l'avvenire, tra ciò che è, e ciò che dovrebbe essere; ma bensi devesi procedere per gradi dal regime economico di restrizione a quello di libertà commer- ciale. In tutto si cammina sicuri seguendo nelle sue leggi la natura che non agisce mai a sbalzi, ma sempre con ben mi- surate gradazioni. QuelU che consigUano i cangiamenti subita- nei, osserva fra i molti distinti economisti anche l'americano Carey (1), sono uomini pericolosi. Questi non abbastanza riflet- tono, che la violenta azione anche nel rimuovere le restrizioni tende a produrre perturbazioni e mancanza di sicurezza ; a di- ci) Principii di Economia politica, parte I, cap. XII, osservazioni sulle teorie di Riccardo. Quest'opera fu meritamente scelta dal Prof. Francesco Ferrara a far parte della Biblioteca ùeW Economista in corso di pubblicazione coi tipi de' cugini Pomba e Compagno in Torino: Vedine il voi. Vili, Prima Serie, Trattati Complessivi. Cogliamo volontieri questa occasione, che ci si offre, per dichiarare al dotto economista, che in questa Scelta Collezione delle più im- portanti produzioni di Economia politica antiche e moderne , italiane e stra- niere , accompagnata dalle sue molte dissertazioni, dimostra grande sagacilà nell' ordinamento dei materiali delia scienza , e somma valentia nel trattare anche le più ardue questioni. 124 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA minuire la produzione; ad impedire raccumulazione del capi- tale. Finalmente nella conclusione della precitata sua opera, questo esimio economista insiste sulla importanza di ricordarsi, che un fatto antecedente di quella medesima società, ove si vuole adottare il libero cambio, è ciò che ha spinto lavoro e capitale verso i diversi rami di produzione, in cui sono impe- gnati; e come la giustizia, cosi non meno l'interesse di tutta la nazione esige, che tutti i mutamenti avvengano di grado in grado, aftinché il miglioramento desiderato implichi la minore (1) V. loc. cit. della Biblioteca (\e\V Economista, pag. 1130. ove leggesi una nota che merita tutta la considerazione, dimostrandosi in essa il vantaggio di un' azione dolce e graduata anche nel fare i miglioramenti. In essa si parla specialmente delle riforme legislative, ma non passa differenza fra queste e le riforme economiche. » 1 più saggi e più efficaci riformatori, e coloro le cui opere durano più, sono quelli che edificano sopra basi antiche. Le loro opere non hanno la bellezza sistematica dei riformatori all' ingrosso , ma riescono molto più convenienti ai varii usi della società. Un gran poeta tedesco (Schiller) ha vestito di una nobile e filosofica immagine questa verità. La forza corre al suo scopo, egli dice, come la palla del cannone che va diretta e rapida, ma distrugge tutto ciò che incontra. Non è questa la linea che percorrono gli usi umani, attraversati continuamente dagli antichi ostacoli della vita; essa devia, segue il corso del fiume, o gira il giardino, ed arriva finalmente alla sua meta, tardi si, ma con certezza. Ecco, soggiunge, come viaggiano le riforme benefi- che. — Vi ha una legislazione che altera, che riforma, che innova; ma sempre sopra investigazione deliberata, sopra lente e caute inchieste, sopra consulta- zioni prese da ogni lato , dcvunque la lu:e e la cognizione possa trovarsi. Vi ha poi la legislazione di mera teoria, spesso teoria dei ragionatori jJiù astrat- tamente speculativi , più spesso quella di un' altra sorta di teorici , i quali si chiamano uomini pratici, perchè inferiscono le loro regole generali dalla pro- pria stretta esperienza (stretta perchè individuale), come giudici, forensi o|le- gislatori. Una tale legislazione, quando prescrive grandi e permanenti regole d'azione, somiglia alla strada ferrata dell'ingegnere istruito a metà, il quale traccia la sua via sino all'ultimo fine, solcando montagne e vallate, attraver- sando foreste e paludi. Senza tenere alcun conto d'impedimenti naturali, né di usi 0 bisogni degli.umani affari, egli arriva al suo fine per la via più corta, ma con immensa spesa, e coll'estremo disprezzo di ogni diritto privato e d' ogni pubblica convenienza. Una via migliore e più saggia è quella che, adottando 1 miglioramenti della scienza moderna, abilmente li applica in quella direzione che l' esperienza ha CAPITOLO SECONDO 125 distruzione possibile di capitale esistente: cosi il fine di accre- scere la produttività del lavoro, sarà conseguito più presto, con più certezza, con più vantaggio (1). trovato essere la più facile, o che il tempo, l'abitudine, o anche ircaso, han reso familiare e perciò conveniente. Questa via gira le montagne e costeggia le paludi, scansa il villaggio, ri spetta la casa ed il giardino, e fino l'albero vecchio, ereditario, del suo vicino, e tutti i sacri diritti della proprietà. È questa la strìkda sulla quale 1' uman genere si può muovere facilmente e felicemente, è questa la strada sulla quale vanno e vengono i benefìzi dell'umanità. Questa è quella che noi possiamo indicare al cammino della giustizia perchè essa faccia il suo giro regolare e benefico su tutto il nostro paese, questo il carattere che noi poss'am dare alla nostra giurisprudenza quando intrapren- diamo la sacra opera delie riforme legali concepite in uno spirito retto» ap- prossimandosi ad esse senza ardire e con riverenza, senza orgoglio né pregiu- dizio, liberi parimenti dal pregiudizio che accetta tutto ciò che sia antico e fa contrasto ad ogni miglioramento; come da quell'orgoglio di opinioni che, at- teggiato in fantastica saggezza, sdegna di profittare e dell'esperienza contem- poranea, e delle sapienti tradizioni dei tempi andati »• Verplanck, Discorso sulla riforma Giudiziaria. CAPITOLO TEUZQ ;om.n-LariO. 2.^ Proposizione — La libertà di commercio presuppone parità di diritto — Quando vi e parità di diritto — La libera concorrenza si limita a promuovere l'esercizio dei diritti di cinscuna nazione — Quali ritegni convengono alla libera concorrenza — Distinzioni necessarie da farsi air infuori delle quali non sarebbero giuste le limitazioni — Cenni storici sull'Inghilterra, Svizzera, Francia e Italia sull'introduzione di manifatture — L'Italia precedette anche in ciò le altre nazioni — Decadenza delle manifatture in Italia e perchè — La storia non meno che in politica è utile nelle ricerche di economia sociale — Stuart Mill — Sua opinione in questa materia — Esame della sua dottrina — Conseguenze relativa- mente all'Italia sulle manifatture naturalizzabili — Considerazioni di con- fronto fra l'Italia, l'Inghilterra e l'America. Esaminiamo ora Ja seconda proposizione, che abbiamo di so- pra riferita ed espressa, nel senso che sarebbe contrario alla giustizia, che una nazione venisse posta nell'impossibilità di esercitare la propria azione in qualunque ramo d'industria sia agraria , sia manifattrice , quando si trovi in condizioni di po- terla utilmente esercitare: o in altri termini diciamo che la li- bertà di commercio non deve essere adottata in modo cosi as- soluto e subitaneo, che non lasci agio ad una nazione di valersi dei mezzi , coi quali può mettersi al livello delle altre nazioni in un dato ramo d' industria ; e che tanto più ciò sarebbe in- giusto, ove particolari condizioni di luogo e di clima, ed altre favorevoli circostanze fossero tah, che quella nazione potesse in non lontano tempo rendersi alle altre superiore relativamente ad una data industria. CAPITOLO TERZO 127 Se si riconosce il principio, che tutte le nazioni sparse sulla superficie del globo non sono, sotto il punto di vista dell' eco- nomia politica, se non altrettante provincie dello stesso regno, non si può comprendere come, sotto il vessillo della libertà di commercio, una nazione, che alla lìn fine non è cjie una frazione della grande famiglia umana , possa pretendere di comprimere colla sua forza industriale già consoUdala e potente, l'attività di un popolo che appena esordisca, e si addestri nel correre quello stesso cammino, in cui da altri, soltanto per ragione di tempo 0 per circostanze fortuitamente propizie, è stato preceduto. I II principio, che legittima la libertà di commercio, non im- pUca solamente la materialità degU atti , coi quali si fanno le permutazioni dei prodotti , ma presuppone innanzi tutto parità di diritto ; e questa parità di diritto non vi è , se non quando non è violato l' esercizio delle facoltà di ciascuno, sia nell' ordine morale e intellettuale, sia nell'ordine fisico. La prima idea fondamentale adunque , che deve regolare i rapporti internazionali anche relativamente ai cambii, si è quella che risiede nel libero esplicamento dei mezzi intellettuali e fi- sici , di cui possa utilmente disporre un popolo per adempire al suo compito particolare nell' opera di civiltà, che conduce al perfezionamento ed al benessere di tutti. Ma é necessario che in questa azione siavi l'elemento della possibihtà , che essa venga a riuscire a comune vantaggio. A questa sola condizione esiste il diritto; entro questi limiti esso è contenuto. Se l' Inghilterra si prefiggesse di coltivare le viti 0 di apphcarsi alla bachicoltura, ove il cUma vi è contrario; se la Francia insistesse nel voler estendere la coltivazione di ve- getali soltanto per estrarne zuccaro, ove ad altre colture meglio 128 PAltTE SECOISDA — SEZIONU SECONDA si confà il suolo; se l'Italia aspirasse alla manifattura de' ferri ove il combustibile è meno adatto alla loro lavorazione, ed é più caro che non in Inghilterra ; se in taU loro rispettivi intenti domandassero guarentigie , che avessero da premunire la loro azione ed il loro capitale, che all' esercizio di queste industrie si volessero rivolgere, contro la concorrenza delle altre nazioni; esse di certo verserebbero in gravissimo errore , attribuendosi un diritto che loro non può competere col voler occupare un posto nella mondiale divisione del lavoro, in cui non potranno roai essere utili nell'opera comune della produzione. Ma d' altra parte non bisogna argomentare da questi fatti per ponchiudere che devesi lasciar fare dalla libera concorrenza , ritenendosi che essa limiti la sua influenza nel tenere a segno ohi vogUa spostarsi. Un' opinione cosi generalizzata abbracciando più cose, inchiude bensì anche questo salutare effetto; ma l'im^ peto della sua forza, che tende a dilatarsi e ad imporsi su tutto e dovunque, se, come quello di un torrente, non è regolato, ne viene che anche le forze utiU esordienti, che cercano di svol- gersi, soprafatte dalla sua irruzione, resteranno dapprima impe- dite per essere dappoi distrutte. Ciò è appunto quello che non è giusto avvenga; ma in questo caso soltanto , e non mai per sorreggere ed aUmentare, sia nel- r industria agraria, sia nell' industria manifattrice, un lavoro e r impiego di capitali che non potranno mai essere produttivi quanto quelli di altre nazioni che vi si appUchino in condizioni più adatte. É facile l' avvedersi che è qui dove sta il nodo della questione ed il criterio della convenienza , in cui non si deve mettere né la spada per scioglierlo, né l' arbitrio per esimersi da ponderato esame. CAPITOLO TEUZO 129 La questione si fa però molto semplice, e Tesame riesce assai più facile se, riflettendo che vi sono canse intrinseche ed estrin- seche, che concorrono a favorire o ad attraversare tanto l'azione dei singoli uomini , quanto quella dei popoli , ci addentriamo nello studio , che ci porti a separare le une speciali ad una o più nazioni dalle altre comuni a tutte. Fatta questa distinzione, si discerna poi bene , se la superiorità di un popolo in una data specie di prodotti provenga da (jitclle cause ciie gli sono inerenti e particolari, oppure da un solo fortuito concorso di accidentalità. Queste indagini con special cura devonsi fare quando si agitano le sorti di ima nazione recenlemente costi- tuita per non sacrificarla a premineiìx fittizie. Se non si ammettesse questa distinzione, a cui prova non occorre grande apparato di dimostrazioni parlando da sé all'in- timo senso, si verrebbe all'assurda conseguenza, che pel solo fatto che una nazione siasi più di un'altra avanzata in qualche industria, le si dovrebbe rispettare quella preponderanza, che non avrebbe ritraila do uno stato di cose sostanzialmente a lei riservato, quand'anche ciò avesse ad essere con danno futuro della generalità dei consumatori. Bisognerebbe giungere perfino alla conseguenza pratica, che gl'Italiani nell'industria serica, per esempio, devono limitarsi a poco più della produzione della ma. teria prima, e lasciare agli Inglesi e Svizzeri la parte manifat- trice, perchè ora essi più di noi lavorano perfettamente ed a buon mercato questi nostri primi prodotti. La superiorità degli Inglesi e Svizzeri provenne da circostanze estrinseche; e basta riflettere che la seta greggia è per loro merce forestiera. Nel secolo XV era già in Itaha mollo estesa l'industria ma- nifattrice della seta, e di qua, intorno a quell'epoca, con operai 9 150 PARTE SECONDA SEZIONE SECONDA italiani, diffondevasi in Francia sotto gli auspici di Caterina De-Medici ; quindi nella Svizzera nel secolo XVI (1). Solo al principio del secolo XVII, per mezzo d'italiani e francesi, si fon- darono le prime manifatture di seta in Inghilterra, ove un atto del Parlan:c!:'o (a:^no 1697) proibì riraporlazione di tutte le seterie straniere. In appresso queste non più esordienti mani- fatture furono protette da un dazio del 50 per cento fino all'anno 1846, epoca delle riforme di Roberto Peel, che lo ridusse in ra- gione del 15 per cento (2). Questa industria da grande^che era in Italia, è decaduta per le stesse vicissitudini, per le quaU ivi decaddero le altre manifatture, l'agricoltura ed il commercio (5). L'Italia però non deve volere proibizione, né sproporzionata protezione; ma non deve dimenticare la storia, che quando presenta fatti ben precisati, è istruttiva non meno in politica, che in economia sociale. Abbiamo qui parlato specialmente dell'industria serica: ma è appena da notarsi, che eguai norma devesi seguire per ogni altro ramo d'industria o agraria o manifattrice, che nelle stesse condizioni si trovi. L'inglese economista Stuart Miil, che in questi ultimi tempi scrisse presentando la somma delle teorie attuali, riconosce la {{) Levasseur, storia delle classi lavoratrici in Francia , lib. V, cap. I. (2) ScHERER, Storia del Commercio di tutte le nazioni dai tempi antichi fino a' nostri giorni. Parte 2." — Gl'Inglesi— riferita nella Biblioteca dell'^co?20- mista, serie 2.% voi. IV, pag. 600. (3) « Gl'Inglesi secondo le condizioni della pace di Utreclit nel 17t3, divenuti padroni di Gibilterra per cessione lor fatta dalla Spagna, avrebbero potuto di struggere i pirati barbareschi che sommamente molestavano il commercio d'Italia: ma appunto perchè le molestie ed i gravi danni non cessassero, l'In- ghilterra si limitò a pagare, per difendere il suo commercio, un riscatto, che gl'Italiani non potevano corrispondere per preservarsi dalle piraterie»» (Sche- RER, loc. cit., pag. 406). CAriTOLO TKHZO 151 verità di questo principio con un'estensione molto maggiore di quanto abbiamo noi l'atio sinora; poiché noi (in qui ci siamo ristretti a mettere per base, che questa proporzionala protezione abbia da accordarsi, quando trattisi di prodotti formati con materie greggìe indicene, o di prodotti dclhi terra a cui il clima ed il suolo siano confacenti. EgU va oltre, ed osserva che le lasse di protezione si possono sostenere, quando sono stabilite temporaneamente in una giovane nazione, e che siano inq:»oste colla speranza di naturalizzare un'industria, la quale per sé stessa sia adatta alle circostanze del paese (1). Ci dichiariamo pienamente con lui d'accordo, che in qualunque caso queste tasse non devono essere se non temporanee; e dal canto nostro per di più ripetiamo, che non devono neppure es- sere soverchiamente elevate, bastando che siano in proporzione della lotta che si deve sostenere contro chi già più di noi è divenuto possente. Come mai, tenendo una diversa linea di con- dotta, potrà un governo ragionevolmente aspettarsi, come osserva il succitato scriliore, che gl'individui a rischio loro, o piuttosto con loro sicura rovina, vogliano introdurre una nuova manifat- tura, e sostenere il peso di alimentarla, finché i lavoratori siano venuti ad un liveliO di educazione con quelli a cui quegli usi sono tradizionali? Il signor Stuart Mill, che nel novero delle eccezioni, in cui accorda temporaneamente le tasse di protezione, mette quelle industrie straniere, che si possono naturalizzare, allude eviden- temente, per quanto concerne le arti manifattrici, a due casi, i quali sono: (l) Stuard Mill, Principii di Economìa poli He a, lib. V, cap. X: opera com- presa nella succitala Biblioteca ^ììW Economista, ove il passo ^'li fì allude leg- gasi a pag. 1051 del voi. XII, serie 1.° 152 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA i.*^ Di considerare l'industria, che vuoisi naturalizzare, in- dipendentemente dalla materia prima ; 2^ Di considerarla in rapporto anche della produzione della materia prima. A rischiarimento di questi due casi adduciamo un esempio, che ci sembra più consentaneo per i dati che offre rispettiva- mente all'Italia ed in ordine alle deduzioni, che siamo per fare. Si è già notato che l'Italia racchiude in sé elementi adatta- tissimi per far prosperare l'industria del cotone; ma si è pur dovuto osservare, che è rimasta molto addietro dell'Inghilterra in quanto alla manifattura di questa lana vegetale , e dell'A- merica in quanto alla produzione della medesima. Se il Go- verno si proponesse di naturalizzare questa industria, vale a dire di farle prendere quella grande estensione di cui l'Itaha è susceltibiie, vi sono due aspetti, sotto cui la si dovrebbe con- siderare. L'uno nei rapporti tra l'Itaha e Tlnghilterra, facendosi astrazione dal luogo ove si produce la materia prima ; imperoc- ché l'Inghilterra non produce cotone greggio, e noi, quantunque potremmo produrlo in grandi masse, ne produciamo pochissimo, talmente che per ora ci pareggiamo in questa parte aU'Inghil- terra. L'altro aspetto, sotto cui si dovrebbe prendere in esame questa industria, sarebbe nei rapporti tra i nostri luoghi e gh altri stranieri in cui si produce il coione ; e ciò per fissare tra l'Italia e queste altre regioni la rispettiva posizione al proposito di siiTatta importantissima coltura. Or bene, quah sono le cause che fanno ostacolo aUa natura- lizzazione, 0, diremo piuttosto, al grande sviluppo presso di noi dell' industria manifattrice del cotone; che ci impediscono di metlerci a livello dell'Inghilterra, la quale neh'esercizio di que- I CAPITOLO TERZO 155 sta industria ha una delie principali sorgenti della sua prospe- rità? Quali sono le circostanze o le cause intrinseche, inerenti particolarmente aU'Inghilterra, per sostenere, che essa non sarà mai da noi né raggiunta, né tanto meno superata^ Nessuna causa di tal natura essa ha, che costituisca un suo particolare vantaggio ; e, per servirci dell'espressione di Stuart Mill, non ha in suo favore, che il fatto d'essere entrata prima in campo. Non ha che una superiorità del momento, frutto deiresperienza, dei mezzi meccanici e dei capitali che ha potuto accumulare nel- l'esercizio di questa industria pel corso di un secolo, incomin- ciata sotto l'egida della più soverchiante proiezione, che venne mantenuta fino a questi ultimi anni , (ino al momento , in cui essa non aveva più a temere alcuna concorrenza. A fronte di questi fatti dev'essere permesso di allontanarci per un istante almeno dalle assolute teorie, per riflettere stori-, camente sui mezzi dall'Inghilterra praticati. Troviamo perfino, che respingeva dal suo consumo i tessuti di cotone delle Indie Orientali, nel mentre che U riceveva ne' suoi porti colla condi- zione che fossero trasportati in altri paesi. In questo modo, se- condo i suoi principii , mirava a due fini; a difendere la sua nascente industria, ed a vantaggiare il suo commercio. Da una parte veniva premunita colla proibizione l'industria interna con- tro la concorrenza straniera; dall'altra acquistandosi in porto i tes- suti stranieri se ne faceva traffico di fuori con grande utile e del commercio e della navigazione. Noi Italiani, ora specialmente che perfino in Inghilterra , te- sté attaccatiti al sistema di proibizione o quanto meno di ele- vata protezione , si proclamano diverse teorie , dobbiamo con migUori intendimenti rifuggire da taU esorbitanze, che chiame- 154 PARTE SECONDA SEZIONE SECONDA renio anche gravi errori economici : non arrestiamoci neppure a cliiederci, se la protezione sia veramente un flagello, mentre portò tanta prosperità all'Inghilterra, la quale se, anche al prin- cipio del volgente secolo avesse esposte le sue industrie alla li- fiera concorrenza, avrebbe veduta la sua azione paralizzata da quella ahneno della Francia in iTiOlie di esse, da cui ora ricava immense ricchezze. Noi dobbiamo essere persuasi, e sentirci da tanto che ci abbia a baslarc un'equa e temporanea compensa- zione di forze per sostenere la lotta contro il colosso , che da ogni lato continuamente ci stringe (1). " L'esame poi dei rapporti che si instiluisse fra l'Italia e l'A- merica, luogo della maggiore produzione del cotone , non riu- (1) Oltre quanto abbiamo disopra accennato sui mezzi adoperali dall'Inghil- terra per farsi grande nell'industria del cotone, seguiamola in altri rami di manifatture dietro la scorta del già citato Scherer (loc. cit.). Mentre la mani fattura della lana, trovando nel paese una gran copia di materia grezza, avrebbe potuto sussistere e grandeggiare, anche senza dazii protettori o proibitivi, molte altre industrie furono chiamate in vita, 7nercé l'intervento del Governo e delle leggi, e furono artificialmente incoraggiate. Tale è quella delle tele. Essa esi. steva, senza dubbio, da lungo tempo in Irlanda alla condizione di industria domestica, ma fu soltanto allora che cominciò ad esportare, e che i suoi pro- dotti si presentarono sui mercati stranieri, ove fino allora non eransi co- nosciute che tele francesi, neerlandesi, russe e tedesche. Nel 1696, il Parla- mento emise un atto che aveva per iscopo l' incoraggiare in Irlanda l' indu- stria liniera, come l'importazione del lino e della canapa, e la fabbricazione della tela da vele. Le tele fabbricate in Irlanda andavano esenti dai dazii dì importazione in Inghilterra; era pure permesso spedirle direttamente dai porti d'Irlanda alle Colonie. Nel medesimo tempo sl favoriva in tutti i modi l'in- troduzione di rifugiati protestanti francesi, pratici nella fabbricazione di tes- suti fini. Altre disposizioni molte procurarono ogni specie di agevolezze alla nuova industria per compensare all'Irlanda le restrizioni a cui vi si erano assoggettate le fabLilchedi pannilani nell'interesse degli Inglesi. Indipenden- temente dagli alti dazii con cui si colpirono le tele straniere, escludendole dal consumo, si accordarono anche grossi premii al prodotto nazionale. Nel 1689 non si esportava dall'Irlanda per più che 6 mila lire sterline di tele; nel 1760 l'esportazione britannica era di 900 mila lire sterline. CAPITOLO TERZO 155 scirebbe meno soddisfaceole per spingere a grandemente esten- dere la coltura del prezioso vegetale. A scanso di ripetizioni rinviamo il lettore a quanto già abbiamo esposto su tal riguardo (1); e ci limitiamo qui di ricbiamare alla memoria, che 1' America, la quale ora produce non meno di 4 milioni di balle di cotone, non ne produsse nel 178i che balle 8 ; ed intorno a queir anno si sequestrarono a Liverpool 71 balle di questo lanaggio colà trasportate come provenienti dall' America, perchè si giudicava impossibile, che essa potesse averne prodotto tal quantità; tanto si era scettici al riguardo dell'attitudine degli Stati Uniti nella coltivazione del cotone. E per contro furono gì' itaUani i primi, che verso il secolo XIV portavano in Inghilterra cotone coltivato in Itaha. -^3^?e^^«: (1) Parte I. sez. 2.% cap. VI, e Parte II, sez. l.« cap. II. §1. ^oinmario. Si risolve un'obbiezione — Condizioni economiche della Toscana — Nella Toscana, nelle Eomagne, nelle Due Sicilie domina il basso prezzo — In Inghilterra domina l'alto prezzo — Scrittori toscani che deplorano la si- tuazione economica del loro paese e non vedono mezzo per farlo risorgere che colla introduzione dell' industria manifattrice — Inopportunità del sistema economico di Leopoldo I — Il Piemonte con opposto sistema fiori — Considerazioni in relazione a questi due fatti — Supposta poli' tica industriale dell'Inghilterra in Italia. Ma arrivati a questo punto de' nostri ritiessi, ben possiamo avvederci che ci sarà ripetuta quella solita obbiezione, che si riduce al dire, che appunto perchè le nostre condizioni sono in gran parte più favorevoli che altrove, non occorre che il Governo si dia pensiero di promuovere l'industria agricola e manifattrice con speciah provvedimenti. Questa obbiezione, che conduce al quietismo economico, non regge né a fronte del ra- gionamento, né a fronte dell'esperienza. Le condizioni favore- voli d' Itaha ci lasciano vedere un avvenh-e bello e grandioso ; ci dimostrano attitudine e possibilità, e ci presentano elementi che dobbiamo rendere fecondi colla nostra industria agricola e manifattrice. Ma nel mentre che ferree barriere ci dividevano da provincia a provincia, e quasi da comune a comune, altre na- zioni ci precedettero di molto colle istituzioni di credito, col- l'abbondanle circolazione di valori, coll'accumùlamento di capi- tale, con navigazione estesa, con ferrovie, con tutti insomma quei mezzi acquisiti, che non temono più la concorrenza dei soU vantaggi naturali. Chi conosce le latenti molle di questi mezzi, il primo dei quali però espone anche a gravi pericoli, CAPITOLO TERZO 157 sa quanto sia la loro efficacia fra una nazione provetta nelle combinazioni commerciali, e quanto sia T appoggio che essi danno all' agricoltore ed al manifattore. Ma in Italia non si hanno ancora questi vantaggi in modo da poter rivaleggiare con quelle nazioni, e specialmente col- r Inghilterra, che da più di un mezzo secolo fanno passi da gigante. L' Italia esordisce ora soltanto ; e chi sarà mai che vorrà abbandonarsi solo a sé stesso nello estendere e far sor- gere nuovi stabilimenti industriali, e nell' intraprendere una col- tura che si vedesse privata perfino del beneficio d' avere su luogo una consumazione certa almeno sul principio dell'intrapresa (1)? L'obbiezione, che confutiamo, eretta da alcuni in principio, viene sostenuta, invocandosi la prosperità della Toscana, ove da (1) A questo riguardo Giovanni Rae osserva che fra le circostanze peculiarmente favorevoli alla trasmigrazione di un'arte straniera, si può notare l'esistenza delle materie grezze necessarie alla manifattura che vuoisi introdurre in un paese. In questo caso, la conquista di un' arte risparmia le spese di un doppio trasporto. Ed é sotto una tale veduta, che può riguardarsi come un felicissimo ritrovato quello di aver voluto trasportare in Inghilterra la manifattura delle lane. — Il Legislatore effettua il suo intento, per mezzo di premii accordati alle imitazioni del prodotto straniero; per mezzo di ricompense alla manifat- tura indigena; o per mezzo di dazii sull'importazione dall'estero. Fra questi metodi, quello dei premii attinge tanto poco al fondo comune, che il loro am- montare si risolve in una liccola spesa, incalcolabile nelle questioni del re- gime governativo. I premii sono utili come un mezzo di provare la possibilità del trasferimento di un'arte. Quando ciò è provato, quando si è sufficiente- mente riconosciuto che nulla si opponga alla creazione di una nuova industria, fuorché le ordinarie difficoltà delle nuove imprese , la mancanza di pratica abilità, e una bastevole cognizione sulle attitudini dei materiali da impiegarsi nella formazione del nuovo strumento; allora è opportuno il decidersi ai di- retti e generali incoraggiamenti che vengono dal sistema doganale. In tal modo un capitale reale ed uno spirito di salutare industria vengono a rivol- gersi verso la nuova arte; spariscono in poco tempo le difficoltà inerenti alla sua prima introduzione; e i prodotti che ne risultano costeranno molto meno di quello che costavano quando si facevano venire dall'estero. (V. Biblio- teca dell'Econom^sto, 1.° serie, voi. II, pag. 906). V. anche la Nota che abbiamo posta a pag. 124. 138 PAIITK SI-JOONDA SEZIONE SECONDA lungo loiiipo hi libera coiicorrciiza (u iionim seguila dal caduto riovenio. Come inconij)aral)ile ed evidenle beiielicio di questo regime jiel modo più lato , si accenna al basso prezzo di tutto ciò che serve al vitto ed al vestito. Ma non si riilette che vitto e vestilo si hamio pure a buon mercato nelle Romagne e nel già Regno di N(ìpoli, ove fu sempre in vigore il sistema opposto, quello della più elevata protezione, che è nn sistema non meno erroneo lìcrcliè la sonnecchiare. Non si riilette die in Inghil- terra la popolazione, quando era povera perchè senza manifat- ture e commercio, nonostante che il prezzo del vitto e del ve- stito fosse come in Toscana, nelle Romagne e neUe Due Sicilie, si copriva di cenci, e, nell'impossibilità di megho nutrirsi, sa- lassava il bestiame per alimentarsi col sangue ; e che ora in quel paese, ove tutto è a carissimo prezzo, neppure il conta- dino manca mai di ottime carni, di eccellente pane e di corro- boranti bevande. Cosa signilìca il basso prezzo del vitto e del vestito quando in Toscana, che si porta ad esempio, non solo i coloni che lavorano a giornata, ma perfino / mezzaiuoli si vedono ridotli in qualche luogo a quesl tiare il pane por vivere (1) ? Si consultino gli scritti di Leonida Landucci, di Gino Cap- poni, di Cosimo Ridolfi e di altri toscani, e ci convinceremo che si fecero idillii sulla prosperità di questo paese, ma che in fatto, nonostante le cure ed i sacrificii di uomini insigni anche viventi, di cui si onora V Italia, miserrime ne sono le condi- zioni, se appena si eccettuino alcune località, in cui il fertilis- simo suolo abbisogna di minor capitale e lavoro (2). E non è (1) Cosimo Ridolfi, Bella Mezzeria in Toscana nelle condizioni attuali della possidenza rurale; Memoria letta alla R. Accademia dei GeorgofiU nell'Adu- nanza del 4 marzo 18Ìjo. (2) Cosimo Ridolfi, loc. cit. , cosi scrive della Toscana. —mJ forestieri al- CAI'ITOLO Ti.nzo 139 forse in Toscana ciio da \ronV anni of/nuii snnlc hi vecps-siìà di accrescere le manifatkiro, ìieccssilà che è scìititd, anche dal- r agricoltore per V aiuto viceìnlcvolc che V agricoltura e le al- tre industrie tra loro si danno (1) ? E non è (orso in Toscana che si fa voto a clic si procari r introdazione di (jualcìie ma- nifaltura e commercio che faccia rigurgitare come al tempo passato in prò dell' agricoltara cjnclle ricchezze, che si atiin- gmno dall'estero (2)? Per quasi tre secoli, dal 1500, Spagnuoli, Tedeschi e Fran- cesi depredarono l'Italia rovinando l'agricoltura, le manifatture ed 11 commercio. Tn appresso da Leopoldo I , epoca in cui le nazioni settentrionali si erano già fatte possenti nell'industria, la Toscana fu abbandonata alle sole proprie forze per sostenere la nuova lotta economica ; l' agricoltura, le manifatture, il com- mercio non risorsero. Il Piemonte tenne altra via, e, per quanto il permisero i ristretti confini territoriali, fiori. Teniamo conto di questi fatti nell' apprezzamento e nelF ap- plicazione di teorie troppo assolute, non dimenticando, che sic- come nelle istituzioni umane nulla vi è di assolutamente buono, lucinati dal nostro bello, anche gli ingegni severi, si fecero artisti, e videro qui l'Eldorado perchè scrutarono la genlilez-a dei modi, ammirarono la va ghezza dei siti, riconobbero un'ingrata natura vinta dagli sforzi dell'uomo, e lodarono senza chiedere i conti a nessuno; e talora prendendo per segni di ricchezza e di prosperità la spesa ed il lusso, s'ingannarono spesso anche nei criterii intorno alla situazione economica del nostro paese. Cosi fra i plausi dei culti e gentili viaggiatori, fra le acclamazioni di valenti scrittori , tra la con- vinzione nostra la più profonda , i padri copiarono gli avi , noi insistemmo nelle pratiche dei genitori, e non dubitando punto di ciò che per molte e molte generazioni si tenne per vero, spendemmo lodati, e fummo della lode più che del guadagno contenti ». (1) Gino Capponi, Sui vantaggi e svantaggi si mora li che economici del sistema di Mezzeria; Memoria Iella all'Accad. dei Georg, nell' Adun. del 14 aprile 1833. (2) Leonida LANouccf, Intorno al sistema di Mezzeria in Toscana ; V. Gior naie Agrario, 1833, e Bill, dell' Econom. , serie 2.», voi. II, pag. 579. » 140 PARTE SECONDA — SEZIOiNE SECONDA e nulla di talmente cattivo da cui non esca qualche bene, cosi ringliilterra, che sotto, o nonostante il regime proibitivo, si è fatta ricca e potente, seguendo ora il sistema di libertà procede però molto cauta, in casa sua, nel modo di applicarlo, ed ele- vatissimi dazii conserva su molti stranieri prodotti. E qui per incidenza ci domandiamo come stia la cosa, che gl'Inglesi tengono discretamente ben chiuse le loro porte, e chie- dono, che siano ben aperte quelle degli altri ? Il signor Bulwer Lytton, membro del Parlamento inglese, parlando teste dell'Italia alla società agricola di Nitchin, ci dà la risposta abbastanza spie- gativa. Egli disse, per quanto riflette questo argomento, che si deve veder di buon occhio l' Italia informata ai principii di li- bertà, perchè sarà un avventore che incoraggerà la prosperità dell' Inghilterra. Ecco, egli conchiude , per quanto credo , la chiave della politica ingles\ Pare che sia una chiave, colla quale si chiude e si apre come, dove e quando ad essa conviene (1). (1) Sentiamo infatti cosa a questo proposito dice un altro inglese, Eisdel nel Trattato sull'industria delle Nazioni, lib. I, cap. XIV, sez. 3.» : — »< Fin qui noi non abbiamo motivo di temere che le altre nazioni ottengano il sopravvento sulla nostra. Ad onta di tutti i perfezionamenti che abbiamo di già realizzati in quasi tutti i rami della nostra industria, le invenzioni non sono esauste, e procedono tuttavìa. Esse sembrano anzi procedere con passo più rapido di quello con cui gli altri paesi potranno seguirci. Si dice che le macchine nella manifattura del cotone non debbono essere cosi solide da durare più di sette anni, perchè se non fossero logorate entro tal tempo, potrebbero andar soggette al fato degli altii miglioramenti trovati prima di esse, di essere supplantate da macchine più perfette che si creeranno certo prima che tal periodo sìa tra- scorso. Cosi la superiorità che abbiamo ottenuta sugli altri paesi cresce conti- nuamente piuttosto che diminuire, e sono affatto senza fondamento i timori intrat- tenuti da alcuni che rimaniam sopraffatti dalla concorrenza degli altri paesi »'. Quantunque la dimostrazione appoggiata unicamente sui perfezionamenti de- gli strumenti dì produzione poco o nulla provi, perché la questione ridurrebbesi nel vedere se le altre nazioni possano procurarseli dove ed a misura che que- sti perfezionamenti avvengano; tuttavia si discopre a tutta evidenza , che il principio che muove gl'inglesi nella libertà de' cambii parte dall'idea che essi non hanno a temere la concorrenza straniera. su. Sonxinarlo. Si risolve una seconda obbiezione, che non è se non la prima in alti- termini — Nozioni elementari per sciogliere qnesta obbiezione — Dati statistici, in comprova, relativi all'Inghilterra, Francia ed Italia — Dedu- zioni che confermano la nostra tesi — I capitali abbondano dove fiori- scono le arti manifattrici ed il commercio — L'agricoltura non può vivi- ficarsi se non col mezzo di capitali — Confronti fra l'alta Italia e l'Italia centrale e bassa — • Superiorità in ciò dell'alta Italia — Altre prove desunte dalle regioni manifattrici dell' Inghilterra — Triplicarono ivi le rendite, i profitti e le mercedi dell'agricoltura in confronto delle altre regioni d' Inghilterra puramente agricole — Anche i valori imponibili sommamente aumentano — Riassunto risguardante questa parte della questione. Un' altra obbiezione , o , diremo più precisamente , la stessa obbiezione che abbiamo sin qui cercato di risolvere , viene ri- petuta sotto diverso colore. Si dice, che la protezione, comunque minima, ha per effetto di mettere un'imposta sulla consuma- zione; la qual cosa, si con chiude, è di tutto danno della na- zione che deve sopportarla. L'errore, che, secondo noi, racchiiidcsi nell'obbiezione presen- tata in questi termini, dipende da che non si distingue indu- stria da industria, e non si guarda a quelle che prolltievolmenfe si potrebbero da un popolo esercitare, di più che a quelle altre, le quali sempre gli saranno esotiche ; dipende anche dal non poggiare sulla realtà, ma di accontentarsi piuttosto delle appa- renze di un vantaggio diretto, perchè non si tiene abbastanza conto delia connessione dei fatti economici presi nel loro com- plesso. Sebbene le dimostrazioni, al dire del simpatico e dotto eco- 142 PARTE SECO^'DA — SEZIONE SECONDA noiiìisla Federico Bastiat, rechino, specialmente nelle materie di economia politica, alquanto di noia, poiché invero i fiori dello sfile e le vaghe supposizioni della mente devono piegare sotto la grettezza e l' inesorahihtà delle cifre in mezzo alla congerie d'interessi materiali, non dobbiamo tuttavia rimanerci sulle sem- plici generalità che sfuggono il rigore delle prove. Se inoltre non si segue il metodo di considerare complessivamente i fatti economici per ;quindi stabilirne i rapporti che tra di loro esi- stono e scrutare gli elìetti che gli uni in dipendenza dagli altri producono, sarà sempre incompleta la dimostrazione, non riso- luto il problema e conducevole a danni gravissimi. Dobbiamo adunque attentamente e con vedute non isolate e- saminare, se sia vero, che la protezione, benché limitata ad ac- cordare una temporasiea compensazione di forze contro la pre-» ponderanza dell' industria agraria e manifattrice straniera , sia propriamente un danno, che, sotto forma d'imposta sulla con- sumazione, si reca ad una nazione, presso cui si dessero a tal uopo gii opportuni provvedimenti. Secondo quanto abbiamo già superiormente esporto, e messo, come ci lusinghiamo, in evidenza, la consumazione non potendo cadere che direttamente sopra i prodotti proprii, o indirettamente, cioè mediante permutazione, sopra prodotti esteri, ne viene che per sostenere il danno , di cui gli avversarli parlano , bisogne- rebbe provassero, che gli ordinamenti inducenll proiezione fanno diminuire la somma dei prodotti interni, o quanto meno che , dandosi alla nostra industria per sorreggerla ne' primi stadii del suo sviluppo qualche maggiore quantità di prodotti in cor- rispettivo di quelli che si ricevono daW industria nazionale, i onsumatori ne risentano , a conto finito, un pregiudizio. CAPITOLO TERZO 1 Ì5 Crediamo che ciò non si possa provare. Noi invece partendo da idee semplici, e che ci semhrano evidenti, procureremo di aprirci la strada che ci guidi alla dimostrazione del nostro as- sunto con tutti quegU elementi , richiesti da un argomento di tanta importanza, e per quanto sia a noi possihile di fare. Or dunque poniamo per base, 1.^ Che per la produzione si richiedono capitali; 2.^ Che i capitah si formano colla simultanea azione delle forze agricola e manifatturiera; 5.** Che quanto più vicendevolmente queste due forze si aiutano, tanto è più efficace la loro azione nell' accumulare i capitali; 4.° Che quanto maggiori sono i capitali, tanto maggiore è la produzione; 5.^ Che la maggiore produzione portando il maggiore ben essere generale, ogni cura dev'essere verso di essa rivolta. Dove abbiamo discorse le condizioni agrarie d'Italia, d'In- ghilterra e di Francia, si è veduto, che nell' alta Italia, in cui vi è maggior capitale, che non nella rimanente parte delia Pe- nisola, per il vicendevole soccorso che si prestarono le due in- dustrie agricola e manifattrice, si ottiene sopra un'eguale su- perficie di terreno , tuttoché meno fertile , maggior quantità di prodotto, che non nella media e bassa Ilaha. Si è veduto che la differenza in meno nella media e bassa Italia è della metà; e che in confronto dell'Inghilterra e della Francia, il divario è per noi ancora più desolante. Dovendo ora ritornare su queste nozioni, saremo brevi, e so- pratutto precisi nei dati per ottenere anche chiarezza. In Inghilterra , ove immensamente abbonda il capitale, si è % i44 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA in grado di dare al terreno, per ogni ettara franchi 40 di spese sotto forma di concimi artificiali, riparazione degli attrezzi, rin- novazione di sementi , di animali riproduttori ed altre simili, che abbiamo chiamate accessorie. La Francia in queste spese arriva a franchi 5 per ogni ettara. L' Italia complessivamente presa non giunge che a franchi 4, eguale misura. L'alta Italia a franchi 20. Il frutto di queste spese si è, che in Inghilterra dai terreni coltivati a frumento si ricavano 25 ettolitri per ogni ettara, dedotta la semente. In Francia 12. Nell'alta Italia 19. Nella cen- trale e bassa ItaUa, regione incomparabilmente superiore per fertiUtà, si è al disotto di ettolitri 12, pure per ogni ettara. Restringiamoci al confronto tra il prodotto dell' alta Italia e quello dell' Italia centrale e bassa. Si ha il prodotto in più nell'alta Italia di ettolitri 7 per ogni ettara. Fissiamo a questi 7 ettolitri il prezzo di franchi 18 per ciascuno, e avremo nella centrale e bassa Italia un ricavo minore per ogni ettara di franchi 126. Supponiamo che 2 milioìii di etiare siano seminate a frumento, avremo un ricavo, minore di ciò che potrebbe dare la terra lavorala con sufficiente capitale, di 252 milioni per lo meno , e , si noti bene , soltanto in questa specie di prodotto. Ma completiamo il calcolo. L' alta Italia sopra la sua superficie di 10 milioni di ettare coltivate e non coltivate, fatta deduzione del prodotto del fru- mento, che, calcolandolo a 10 milioni di ettolitri a franchi 20, costituisce il valore di 200 milioni di franchi , dà negli altri generi di coltivazione un prodotto rappresentato da 1 miliardo e 50 milioni di franchi. La media e bassa Italia sulla sua su- perfìcie di 20 milioni di ettare coltivate e non coltivate, fatta CAPITOLO TEUZO 145 deduzione del prodotto del frumento, che calcolato a 24 milioni di ettolitri a franchi 18, costituisce ii valore di franchi 352 milioni, dà negU altri generi di coltivazione un prodotto rap- presentato da 668 milioni di franchi. Ecco un altro minor prodotto in confronto dell'alta Italia va- lutato in franchi 582 milioni, i quali uniti ai precedentemente notati 252 milioni, formano in totale franchi 651 milioni, che rappresentano la minor quantità annuale di prodotti agrarii , che la media e bassa ItaUa ricava in confronto dell'alta Italia, e con una doppia e più ferace superfìcie di territorio. Da ciò risulta che le terre nella media e bassa Italia non essendo vi- viflcate dai capitah che vengono dal concorso delle altre in- dustrie , nella misura in cui esse lo sono nell'alta Itaha , ren- dono, in confronto tra di loro, assai minor frutto; mentre, fatta la proporzione in ragione di superfìcie, dovrebbero quelle annualmente produrre per una somma, in più dell' attuale, di franchi 1 miliardo e 268 milioni almeno per essere al livello in questa parte dell'alta Italia. Tale e lo stato, in cui trovasi nella centrale e bassa Itaha l'industria agricola, come più estesamente abbiamo precedente- mente esposto. I suoi danni , su cui è d' uopo insistere, non sono di cosi poca rilevanza, che possa restarvi dubbio che altre circostanze, all'infuori del difetto di capitali, abbiano quasi esclu- sivamente influito a cagionare cotanto divario. La differenza in meno è gravissima. Non sta nei limiti di 1 miliardo annual- mente, quand'anche la si vogha paragonare soltanto colla parte settentrionale della Penisola. Molto più ancora sarebbe affliggente il quadro se spingessimo i confronti con quanto ricavano gli inglesi dal loro suolo, che quantunque sia nella più parte ingrato» 10 14G PAIATE SECONDA SEZIONE SECONDA l'hanno però convenientemenle abbuonito col mezzo de' capitali a larga mano somministrati dalle manifatture e dal commercio, ed ora ottengono prodotti assai maggiori e migliori di quelli, che in ItaUa generalmente si possano finora per mancanza di mezzi dal feracissimo terreno ricavare. Ammettiamo, che strade ferrate, comodi, sicuri e frequenti mercati, istituzioni di cre- dito, che però non creano valori reali, ma ne agevolano sol- tanto la circolazione, avrebbero potuto alquanto diminuire que- sto gran vuoto; ammettiamo che la compressione politica fu anche compressione economica. Ma il difetto di queste agevo- lezze, come anche gli ostacoli poUtici, non avrebbero potuto es- sere di si grave impedimento da privare l'industria agricola di qualche migUore risultato in regioni tanto favorite dalla natura ' se le altre industrie avessero fiorito. L'argomento che si volesse trarre da queste contrarie circostanze, non proverebbe altro se non che tutto colà restò nell' inazione , perchè paralizzato : ma per contro non restano indebolite le conseguenze che si dedu" cono dal fatto consistente nella mancanza di capitah; e che questa mancanza ha tenuto quei luoghi molto addietro, mentre avrebbero potuto essere già molto innanzi , e al dissopra di tutti gU altri d' Europa. Fin qui si è indicato il danno soltanto con induzioni , che emergono dal confronto tra i prodotti agrarii dell'alta Italia e quelli deiritaUa centrale e bassa; danno, che giova ripetere, è di oltre un miUardo annualmente computato. Ma i danni non finiscono qui ; ben altri maggiori ve ne sono , come fra breve esporremo. Iiitanto il filo dell'argomentazione ci obbliga a seguire spe- cialmente quell'ordine di idee e di fatti che valgono a confu- CAPITOLO TERZO 147 tare le supposizioni di coloro, clic asserendo essere sempre pre- giudice voli gli ordinamenti diretti a sorreggere le nascenti in- dustrie per farle prosperare, sostengono che questi provvedi- menti includono in sostanza una tassa sulla consumazione, e che questa tassa riesce a pregiudizio della generalità dei con- sumatori. Si deve adunque ricercare quale sia T influenza ch« le indu- strie manifattrici esercitano sull'industria agricola ; e constatare che la cosi detta tassa sulla consumazione , non essendo che un'anticipazione colla quale si accresce la produzione, non è un sacrificio per il consumatore. Ma prima di venire alla dimostrazione, affine di evitare equi- voci, riteniamo non superfluo mettere in avvertenza, che se ab- biamo nel corso del presente lavoro insistito sull'industria del cotone, come quella che può in ItaHa diventare di somma im- portanza tanto dal lato della manifattura, quanto da quello della coltura , non per questo crediamo che nella centrale e bassa Italia manchino i capitali solo perchè non si estese né la ma- nifattura né la coltivazione di questo vegetale. Ci sembra tanto più opportuno fare questo rimarco , inquantochò appunto da molti la prosperità dell'Inghilterra in gran parte si attribuisce all'estesissima industria delle cotoncrie, essendoché soltanto in mercedi essa eroga fra quattro milioni di operai adetti a que- sto ramo industriale 1' enorme somma di due miliardi di fran- chi annualmente. Certo é, che molto in Inghilterra questa industria contribuì ad accrescere la ricchezza nazionale. Ma in ItaUa, non solo que- sto ramo di manifattura si restrinse in piccole proporzioni, ma anche ogni altra industria in generale restò negletta o nell' in- 148 PARTE SECONDA — SEZIONE SCCONDA faiizia. Perciò il danno che ne venne all'industria agraria è da ripetersi non da ima sola causa o d'imperfezione o di man- canza , quantunque il difetto della manifattura di cotone sia, più di quanto si crede in Italia , una non ultima causa , per cui l'-agricoltura non si è ivi rialzata dalla sua misera con- dizione. Nella contea di Lancashire sul principio del secolo XVIII il valore totale imponibile era di franchi 2,375,000: nel 1860 era salito a franchi 262,500,000 (1). Si diffalchi pure quanto si voglia per attribuire agli opifici , ai casamenti e a tutto ciò che è relativo all'industria specialmente del cotone , molto estesa in quella contea, la massima parte di cosi prodigioso e rapido aumento di valore imponibile ; ma resterà pur sem- pre un enorme valore aumentato anche della proprietà fon- diaria. Imperocché è un fatto costante, che nelle regioni ma- nifa tirici, quaU sono quelle che cominciano al sud della con- tea di Warwick e terminano al nord nel West-Riding della contea di York, è dove le rendite , i profitti e le mercedi del- l'agricoltura ascendono al più alto punto , tre volte di più che nelle altre regioni puramente agricole (2). Dietro questo fatto, che abbraccia una grande estensione di territorio ed una grande compUcazione d'interessi, si potrebbe già incominciare a formarci il criterio, che per lo meno in modo assoluto non regge 1' obbiezione, colla quale si tende a soste- nere, che, dandosi qualche maggior quantità di prodotti del (1) Chadwick, Bopporto all'Associazione britannica, 1861. (2) Lavergne, loc. cit., V. anche Considerazioni sulprogresso della ricchezza agricola in Inghilterra, Quarterly Review, riferite nella Bibl. deWEconomi- sfa, serie 2.% voi. I, p?g. 64i. CAPITOLO TERZO 149 suolo per l'acquisto di oggetti manufatti in paese allo scopo di far sviluppare l'industria manifattrice nazionale, altro non si fa che met- tere un'imposta sulla consumazione a tutto danno del consumatore. Pare che in vero non si richieda mollo sforzo di raziocinio per persuadersi che 1' avversaria obhiezione non si appresenta talmente salda da arrogarsi il carattere di una verità stabilita; imperocché, arrivati appena a questo punto del nostro esame, troviamo che le stanno già innanzi due scogh, che essa dovrebbe superare per non cedere il posto ad altri principii. Non solo i prodotti dell' agricoltura nella centrale e bassa Italia, ove man- cano le arti manifattrici, sono minimi, cioè al dissotto di un terzo di quanto potrebbero essere, andie preso per punto mas- simo soltanto il prodotto che si ricava dall'agricoltura nell'Alta Italia, la quale è pure lontana da queir alto grado a cui può giungere ; ma riscontriamo ben anco che in Inghilterra le ren- dite, i profitti e le mercedi dell' agricoltura si sono triplicate dove fioriscono le arti manifattrici, e che queste arti vennero in quel paese sviluppate e rese prospere col mezzo di provve- dimenti, che involvono una tassa sulla consumazione. Or bene si può egli supporre che questa immensa deficienza in Italia possa essere un sacrificio minore di quello che importerebbe la cosi detia tassa sulla consumazione ? Non sarebbe certamente di troppo, se di fronte a quel solo fatto, che risguarda il mi- nor prodotto agrario nel paragone tra l' alta Itaha e l' Italia centrale e bassa, si propendesse a ritenere che, quand' anche qualche cosa di più si dovesse pagare per avere una maggior produzione nelle manifatture nazionali, non si pagherebbe mai tanto, quanto si perde per non poter invigorire 1' agricoltura coi capitali, che le manifatture diffondono. PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA Che se inoltre si vuol dar giusto peso ai fatti superiormente riferiti della contea di Lancasliire e delle altre regioni mani- fatturiere d'Inghilterra, non occorrerebbe aggiungere a questi luminosi esempi altre prove per essere convìnti, che quella che si chiama imposta sulla consumazione, retrocede a molti doppi nelle mani del consumatore stesso, il quale si rinsangua col triplicare le rendite, i profitti e le mercedi; il che significa, che il consumatore non paga un' imposta a suo danno, ma fa una tenue anticipazione a mani dei manifattore, il quale sotto mille forme e con mille mezzi gliela restituisce immensamente ac- cresciuta. Anche gllnglesi^^^ e sembra abbiano l'istinto più sviluppato di ogni altro popolo per provvedere coi migliori mezzi al proprio interesse, respingendo i prodotti manufatti esteri, e perfino queìU di cotone delle loro Colonie dell'India, vedevano più conveniente di pagare queUa supposta tassa sulla consu- mazione. Essi, se si vuole, hanno ecceduto negli espedienti; ma quah ne siano tuttavia stati i buoni risultanaenti, è inutile il ripeterlo. Ecco come succede la concatenazione dei fenomeni econo- mici dipendenti dai fatti, che per potersi conoscere a dovere ed apprezzare, non vogliono essere considerati isolatamente, ma bensì nel loro complesso, e secondo la loro connessione stabi- lita dall'unica e grande legge, che nell'ordine naturale ogni cosa regge e governa. S IH. 'OiniTia,x*io. Conthiuazione — Si esamina la suddetta obbiezione analiticamente — Si arriva in questo modo a due dimostrazioni nello stesso tempo — La con- sumazione del cotone meglio di ogni altra derrata misura il grado di benessere delle nazioni — Dati statistici — Si determina a questo riguardo l'ammontare della cosi detta Imposta sulla consumazione — Si esaminano la natura e le conseguenze di essa sotto il punto di vista, die si voglia o non contribuire in questo modo a vantaggio tanto dell'industria mani- fattrice, quanto dell'industria agricola. Benché da quanto si è esposto, siasi potuto rilevare che è grandissima l'inilueni^a esercitata dall'industria manifattrice in l vantaggio dell'agricoltura facendone sommamente aumentare la produzione, per cui maggiori sono le rendite, i profitti e le re- É. tribuzioni del lavoro mercenario, e sebbene siasi pur rilevato che questo vantaggio è di gran lunga superiore al sacrifìcio, se pur cosi vogUasi considerare ciò che non è se non un'anti- cipazione di prodotti ossia di capitale che poi ritrae copiosissimi frutti ; ci siamo pur nondimeno proposti di continuare nelle in- traprese indagini per aggiungere prova a prova in argomento di cosi vitale importanza. In esse però intendiamo di procedere E in modo analitico, perchè nello stesso mentre, che con tale più rigoroso metodo si porta vieppiù di luce nella questione, che qui più direttamente ci deve occupare per mettere in evidenza anche i maggiori danni derivanti dal sistema da noi combattuto, come superiormente abbiamo accennato ; si riesce eziandio a 152 PARTE SECONDA — SEZIONE SECONDA somministrare la prova a sostegno di altri punti, che formano oggetto di questo lavoro, e che ci sembrano meritare non mi- nore considerazione. Si riesce cioè nello stesso tempo a dimo- strare sempre più essere vero che l'industria manifattrice è di grandissimo giovamento all'industria agricola; e siccome fra le varie industrie manifattrici quella del cotonifìcio è tale che ha molta efficacia per rialzare le condizioni dell'agricoltura, cosi ci faremo carico di far conoscere lo sviluppo che presso di noi può prendere, misurandolo coi dati della consumazione in Inghilterra, ed il vantaggio cheque deriverebbe. Queste parti- colareggiate notizie ci lusinghiamo che possano servire di qual- che norma all'azione o privata o governativa, o ad entrambe insieme, se venisse a prendersi la determinazione di rivolgere speciali cure verso siffatta industria, che in Italia può insieme- mente prosperare e come arte manifattrice e come ramo di col- tivazione agraria. Venne di recente e con esatto criterio pratico osservato che la consumazione del cotone megho di ogni altra derrata o mer- canzia misura il grado di ben essere, a cui sia arrivata una nazione (1). Da alcuni si era già preso per regolo la consuma- zione del caffè; ma molti, anche fra le più agiate popolazioni, non ne fanno uso. Lo stesso è della seta e della lana; ma nes- suno, anche agiatissimo, si esime dal consumare cotone. In In- ghilterra nel 1760 non si consumava annualmente che circa un decimo di chilogramma di cotoncrie per ogni individuo (2) ; ora, che si consuma in confronto d'allora, fatta la debita pro- porzione coir aumento della popolazione, anche maggior quantità (1) Jourìinl dcs Dehats, 4 aoùt 1861. (2) SCHERER, loc. Cif, , § cil. CAPITOLO TERZO 155 di lana e di seta, la consumazione annua del cotone giunge in media a chilogrammi 10 per testa. In quel tempo l'entità delle sue arti manifattrici, della sua agricoltura e del commercio che si esercitava nell'interno ed all'estero, si computava a milioni; presentemente sale a miliardi. In ItaUa, computato il prodotto in cotoncrie delle manifatture proprie (1) senza l'ammontare della importazione, specialmente inglese (2), arriva attualmente la consumazione a poco meno di 1 chilogramma per ogni individuo. Supponiamo a cifra tonda 1 chilogramma. Sono adunque 24 milioni di chilogrammi di cotone, a cui applicandosi il prezzo di 5 franchi per ogni Chi- logramma di questa materia, trasformata in mille foggie, avremo un valore, indicato in franchi di 120 milioni. Seguendo questa ipotesi (che se non è matematicamente precisa, tocca però abbastanza il vero per ponderare fatti generali e po- ter dedurre quei corollarii, che procedendo dalle medesime pre- messe danno risultamenti proporzionati e compensati), conce- diamo pure che questa massa di prodotti manifatturati in paese venisse a pagarsi, pongasi anche, il 15 per cento di più che non si pagherebbe comperandoli all'estero. Ne conseguirebbe; 1.° Che ogni consumatore sopra 1 chilogramma di cotone manifatturato al prezzo di franchi 5 pagherebbe per la cosi detta imposta sulla consumazione franchi 0, 75, centesimi al- l'anno; 2.*' Che sopra 24 miUoni di consumatori questa imposta sommerebbe a 18 mihoni. (1) Veggasi il Prospetto a pag. 109. (2) Veggasi le Statistiche pubblicate dal Board of trade , settembre 1861, se- condo le quali una grande quantità di cotoni manifatturati inglesi è presen- temente introdotta in Italia. Veggasi quanto ne diciamo a pag. 182. 154 PARTE SECO.NDA SF.ZIONE SECOINDA 0.° Che comperando invece all'estero la stessa quantità di prodotti, i consumatori del nostro paese, in luogo di spendere 120 milioni di franchi, non ne spenderebbero che 102; vale a dire darebbero in permutazione una quantità dei loro prodotti minore di quant'è la differenza tra 120 e 102, ossia 18 miUoni di meno. Ma questo è veramente un risparmio di cui avvantaggiasi il consumatore? Qui per consumatore intendiamo non solo l'agri- coltore, che permuta i prodotti del suolo con quelli della mani- fattura; m.a intendiamo pure di comprendere nel novero dei con- sumatori la gran massa de' proletarii, che ne costituiscono il maggior numero, e che per avere i prodotti delle arti manifat- trici, danno il loro lavoro direttamente, o il prodotto del mede- simo rappresentato dalla comune misura, il danaro. Sosteniamo, che questo risparmio non include un vantaggio, nello stesso modo che per l' agricoltore sarebbe bensì un ri- sparmio l'impiegare minor capitale nella terra, ma la terra gli darebbe una rendita, un profitto minore; nello stesso modo che la classe proletaria, a cui generalmente appartengono gU operai, vedrebbe esser minore il prezzo di quanto serve al vitto ed al vestito ; ma invece di potere andare ad opera e di avere larghe mercedi, non avrebbe da offrire il suo braccio e la sua abilità, che per un' assai meschina retribuzione , la quale basterebbe appena per provvedersi delle cose il più strettamente necessarie quantunque queste fossero a bassissimo prezzo. Sosteniamo , che questo risparmio , se non e' inganniamo a gran partito, non è che un' apparenza di beneficio ; e che quan- di anche in realtà, isolatamente considerato, fosse un utile, esso dileguerebbe però a fronte di un cumulo di svantaggi e di per- CAPITOLO T[ 113^ Capitolo Secondo 1.^ Proposizione — Come il Governo inglese passò per mezzo ai due op- posti sistemi di libertà e di proibizione — Riforme di Roberto Peel — Osservazioni e prove in favore del sistema adottato dall' Inghil- terra — Della Scala Mobile — La subitanea abolizione de' dazii fa diminuire lo mercedi di più che in proporzione dei ribassi dazia- rli sui prodotti dell' industria agricola o manifattrice — Non giova né all'agricoltura, ne al manifattore nò a qualsiasi consumatore — La libertà di commercio fa, dove crescere, dove diminuire i prezzi delle derrate — Il vero vantaggio di essa consiste nel far aumentare la quantità dei prodotti — Condizioni senza di cui non si ottiene que- sto vantaggio — Funeste conseguenze dell'applicare ad un tratto ed in modo assoluto i principii economici — In tutto vi è la legge di progressione — Opinione di Carey " 120 INDICE 203 Capitolo Teuzo. * Proposizione — La libertà di commercio presuppone parità di di- ritto — Quando vi è parità di diritto — La libera concorrenza si limita a promuovere l'esercizio dei diritti di ciascuna nazione — Quali ritegni convengono alla libera concorrenza — Distinzioni ne- cessarie da farsi all' infuori delle quali non sarebbero giuste le limi- tazioni — Cenni storici suU'Iaghilterra, Svizzera, Francia e Italia sul- r introduzione di manifatture — L'Italia precedette anche in ciò le altre nazioni — Decadenza delle manifatture in Italia e perdio — La storia non meno che in politica è utile nelle ricerche di economia sociale — Stuart Mill — Sua opinione in questa materia — Esame della sua dottrina — Conseguenze relativamente all'Italia sulle ma- nifatture naturalizzabili — Considerazioni di confronto fra l'Italia, l'Inghilterra e l'America Pag. 126 §1- Si risolve un'obbiezione — Condizioni economiche della Toscana — Nella Toscana , nelle Romagne , nelle Due Sicilie domina il basso prezzo — In Inghilterra domina l'alto prezzo — Scrittori toscani che deplorano la situazione economica del loro paese e non vedono mezzo per farlo risorgere che colla introduzione dell' industria manifat- trice — Inopportunità del sistema economico di Leopoldo I — Il Piemonte con opposto sistema fiori — Considerazioni in relazione a questi due fatti — Supposta politica industriale dell' Inghilterra in Italia : « 136 §11. Si risolve una seconda obbiezione , che non è se non la prima in altri termini — Nozioni elementari per sciogliere questa obbiezione — Dati statistici, in comprova, relativi all' Inghilterra , Francia ed Italia — Deduzioni che confermano la nostra tesi — I capitali abbon- dano dove fioriscono le arti manifattrici ed il commercio — L' agri- coltura non può vivificarsi se non col mezzo di capitali — Confronti fra l'alta Italia e l'Italia centrale e bassa — Superiorità in ciò del- l'alta Italia — Altre prove desunte dalle regioni manifattrici del- l' Inghilterra — Triplicarono ivi le rendite , i profitti e le mercedi dell'agricoltura in confronto delle altre regioni d' Inghilterra pura- mente agricole — Anche i valori imponibili sommamente aumen- tano — Riassunto risguardante questa parte della questione . « 141 i-*4 INDICE § ni. Continuazione — Si esamina la suddetta obbiezione analiticamente — Si arriva in questo modo a due dimostrazioni nello stesso tempo — La consumazione del cotone meglio di ogni altra derrata misura il grado di benessere delle nazioni — Dati statistici — Si determina a questo riguardo l'ammontare della cosi detta Imposta sulla consuma- zione — Si esaminano la natura e le conseguenze di essa sotto il punto di vista, che si voglia o non contribuire in questo modo a vantag- gio tanto dell'industria manifattrice, quanto dell'industria agricola Pag. 151 § IV. Continuazione — La cosi detta tassa sulla consumazione viene nella più gran parte erogata in mercedi — Dimostrazione — Vantaggi che ne derivano alla maggioranza della popolazione — Vantaggi che ritornano a favore dell'agricoltura — Dal concorso dell'industria agri- cola e dell'industria manifattrice si ha il lavoro proporzionato ai bisogni della popolazione — Opinione di Jones sulla teoria e sulla pra- tica nelle materie economiche — Dove non havvi lavoro , havvi indi- genza -- Dove havvi indigenza sotto molte forme si pagano molte tasse — Scopo della scienza dell'economia politica è di conciliare colla produzione della ricchezza, la miglior distribuzione di essa ed il per- fezionamento morale — Beneficio che ritrae F agricoltura dalla diffu- sione del lavoro nelle arti » 158 § V. Continuazione — Richiamo di nozioni e di dati statistici — Quali indu- strie in Italia non possono ancora abbandonarsi alla illimitata libera concorrenza — Danni che da questo abbandono deriverebbero anche all'agricoltura — Scarsezza di capitale in Toscana e perchè — Con- seguenze in ordine al benessere pubblico — Sua agricoltura — Opi- nioni di Jones e di Arturo Young sulle condizioni economiche della Toscana — Confermate anche da economisti toscani — È eccezionale ivi l'agiatezza — Dove essa sì trovi e da quali circostanze locali essa proviene " 1"2 § VI. Continuazione — Prosperità di cui è suscettibile la Toscana ed in ge- nerale l'Italia — Dipende dal perfezionamento dell'agricoltura e dallo sviluppo dell'industria manifattrice e del commercio — Errore di quelli che credono mancar le braccia per i lavori di agricoltura — Uno dei mali è il soverchio uso che vi si fa dell' uomo come strumento INDICE 205 — Confronto fra l'Italia e l'Inghilterra — Elementi per calcolare lo sviluppo delle ricchezze agrarie e manifattrici in Italia — Condizioni per poter pagar molto in imposte — Prestiti — Riassunto . Pag, 169 § VII. Continuazione — Lo sviluppo delle manifatture e del commercio favo- risce r aumento della popolazione — E tanto più rapido 1' aumento quanto è maggiore quello sviluppo — Dati statistici di varie epoche che segnano questo aumento in Inghilterra — In Italia la popola- zione diminuì a misura che l'industria ed il commercio andavano de- cadendo — Confronto fra il Piemonte e la Toscana — Maggior au- mento di popolazione in Piemonte — Dati statistici — Vantaggi poli- tici derivanti dall'aumento della popolazione. — La massima del basso prezzo nei rapporti col principio dell'aumento di popolazione. — La questione del basso prezzo non si deve discutere e risolvere isolata- mente — Errori notati da Malthus per la tendenza di semplificare e generalizzare di troppo i principii della scienza economica — Lo stesso scrittore dimostra la necessità delle limitazioni e delle eccezioni in un gran numero di principii fondamentali dell' Economia politica, ed il pericolo di agire risolutamente nell' applicazione dei principii generali v 175 § Vili. Continuazione — Riforme economiche in Piemonte — Per alcune indù-' strie si è ecceduto — Dichiarazione del ministro Cavour — .Voto del Senato del Regno nell'adunanza del 15 luglio 1861 — Effetti — Dati statistici — Avvertenza : 181 Capìtolo Quarto S.** Proposizione — Richiamo — Osservazioni sull'industria del ferro, della seta e della lana — Divisione del lavoro fra le diverse na- zioni — In quali casi l'illimitata concorrenza nuoce a quelli stessi che la invocano — Interesse presente e interesse futuro in contra- sto — Proponimenti del Governo Italiano di promuovere l'industria ed il commercio ^ . . • ! . 184 ERRATA Pag. 16 1 inca 19 La superficie lot:iI(! d Rogni Uniti . 16 20 Ettari . 16 25 Ettari . 50 11 fa » Si 21 Ad . 13 27 pai,'. 5 » 7S 11 pag. 126 » 86 28 Capit. IH e IV . 87 9 locaiità . 90 16 è » 110 24 propugnatore » 136 5 di promuoYcre . 1/i^ 9 dagli . 159 26 a pag. 62 . 162 11 milioni a 29 « no 5 impiegano » 186 8 medesimo CORRIGE LegQi La superficie (ij lutto il Rovjno Unito » Eltare » Ettaro » l'anno . dei .. pug. 51 ., pag. 122 » Parie II » località » e » prop\tgnare • per promuoTere . dogli . a pag. 109 » a 29 milioni • impiega ') medesimi ERRATA CORRIGE Pag. ÌQ linea 19 La superficie totale Leggi La superfìcie di tutto il di tre Regni;Uniti Regno Unito. H 16 M 20 Ettari „ Ettare »i 16 « 25 Ettari h Ettare D -^':^WQi SÉ.CÌ. .^c> HD Rossi, Vincenzo 1970 Delle condizioni dell'Italia R68 PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY