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DIZIONARIO

DI ERUDIZIONE

STORICO-ECCLESIASTICA

DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI

SPECIALMENTE INTORNO

AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI^ AI SOMMI PONTEFICI, CARDINALI E PIÙ CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI, Al VARII GRADI DELLA GERARCHI A DELLA CHIESA CATTOLICA, ALLE CITTA PATRIARCALI, ARCIVESCOVILI E VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII , ALLE FESTE PIÙ SOLENNI, AI RITI, ALLE CEREMONIE SACRE, ALLE CAPPELLE PAPALI , CARDINALIZIE E PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.

COMPILAZIONE

DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROMANO

PRIMO AIUTANTE DT CAMERA DI SUA SANTITÀ

GREGORIO XVI.

VOL. XXII.

IN VENEZIA

DALLA TIPOGRAFIA EMILIANA MDCCCXLIII.

DIZIONARIO

DI ERUDIZIONE

STORICO-ECCLESIASTICA

E

ERA

J-jRA (Aera). L'era è presso a poco lo stesso che Epoca (Fedì), essendo anch'essa un punto fìsso, dal quale si principia a contare gli anni. Altri la definiscono una serie d'anni civili, adattata per con- tare i tempi, riferendosi a un pun- to storico od astronomico; ed al- tri l'epoca, cioè il principio cro- nologico di un qualunque fatto de- gno di particolare osservazione. La differenza però tra le ere e le epo- che consiste in questo, che le epoche sono punti fissi , determinati da cronologisti, e le ere sono punti determinati generalmente da qual- che popolo o nazione. Il dotto p. Menochio, nel tomo III delle sue Sluore, a pag. 364, parlando del .modo di computare gli anni se- condo l'era, dice eh' è stato assai differente in vari tempi e luoghi il modo di computare gli anni nel- l'istorie, come nelle scritture pub- bliche e private, perchè alcuni gli hanno contati dalla creazione del mondo, altri o dalle Olimpiadi dei

ERA

greci, o dalla fondazione di Ro- ma, o dai consoli, o in altra si- mile maniera. Osserva inoltre che si trovano notate le antiche me- morie , particolarmente di Spagna, con l'era, dicendosi nelle storie sa- gre e profane, nei concilii ed al- tre scritture, essere seguita questa o quell' altra cosa nell'era tale : e confrontandosi gli anni di essa con gli anni di Cristo, si trova che ebbe principio alcuni anni prima, laonde volendosi aggiungere all'era gli anni del Signore, doveva dirsi l'anno N. N. dell'era, di Cristo N. N. Supposto questo, nascono due dub- bi, il primo è del nome, cioè quale sia l'origine della voce Era; il se- condo, con quale occasione sia stato inventato questo modo di compu- tare gli anni. Alcuni hanno detto che non si doveva scrivere questa parola con M dittongo, ma con i aspirazione Hera s volendo che sia derivata da Herus3 il Signore. Altri sono stati del parere che si debba scrivere Aera> e che perciò

6 ERA

sia così detto ab Aera, perchè nel bronzo si notassero il numero de- gli anni. Altri, che la prima lette- ra A deve dalle altre separarsi, e voglia dire abbreviatamente An- nus, e con le seguenti Annus eras, ovvero così A. ER. A. cioè An- nus eras Augusti, perchè vera- mente al tempo di Augusto ebbe il suo principio, o secondo altri Annus erat regni Augusti, facen- do con quelle lettere una sola pa- rola.

Il Baronio nelle annotazioni al Martirologio Romano, a' 22 otto- bre riferisce queste congetture , che sono di alcuni autori spagnuo- li che cita ; quindi aggiunge che la sua possa essere la più proba- bile, colla quale ragione del nome , e dell' istituzione dell'era. Questo autore si fonda su quanto scrisse Dione Cassio nella di lui storia, il quale mentre distintamen- te racco u la le cose seguite di an- no io anno, dice che nel consola- to di Marzio Censorino e di Cal- visio Sabino, furono da Augusto, per mezzo di Domizio Calvino, domati certi popoli della Spagna, e che ristesso Domizio raccolse tanta quantità di denaro dalla Spa- gna, che non solo bastò per le spe- se del trionfo, per le quali si so- leva dalle altre provincie dell' im- pero contribuire, ma fu eziandio sufficiente a riparare alcune fab- briche di Roma. Tiene adunque il Baronio per molto probabile, che questa copiosa contribuzione di de- naro, fatta dalla nazione spagnuola in quell'anno, nel quale cominciò l'era, ab aere colleclo, abbia avu- to il nome e l' origine, e che par- ticolarmente le provincie di Spa- gna si sieno servite di quel modo nel computare gli anni, in memo-

ERA ria di quel fatto, tanto segnalato e memorabile. Tuttavolta l'origine di questa parola è molto incerta. Alcuni la fecero derivare da aesj perchè indica vansi gli anni con cer- ti piccoli chiodi di rame, ed il Macri nelle Not. deJ vocab. eccL tra le diverse etimologie che ripor- ta, cita quella che fa derivare que- sta voce da JEs, perchè nelle mo- nete di bronzo si notava ed im- primeva l'anno corrente. Altri di- cono che la parola Era si dovreb- be scrivere èra. In cronologia a- dunque, un'era è un metodo rice- vuto di contar gli anni, i quali scorrono riferendosi tutti, secondo la loro successione, ad un punto fisso storico od astronomico, eh' è il principio di questa era. Così l'era cristiana è il metodo di con- tare gli anni trascorsi dopo la na- scita di Gesù Cristo, essendo l'an- no di questa nascita il primo del- l'era di questo nome. A voler qui riportare un ristretto delle ere prin- cipali, -di cui si sono serviti i ero- nologisti e gli astronomi, ci atter- remo ai migliori e più critici trat- tatisti delle ere diverse.

Ere anteriori a quelle di Gesù Cristo.

U era mondana degli ebrei fu istituita antichissimamente, ma al- cuni critici la fanno al più risali- re all'undecimo secolo dell'ersi vol- gare. Dagli ebrei viene chiamata l' era della creazione del mondo, e la incominciano 3761 anni avan- ti Gesù Cristo. Dunque il primo an- no della nostra era volgare è il 3762, secondo quella degli ebrei, incominciando in primavera giusta lo stile ecclesiastico, ed in autunno 4i questo medesimo primo anuo,

ERA per Io stile civile. L'era degli ebrei è regolata dal ciclo di diecinove anni, composto di dodici anni lu- nari, e di sette altri della medesi- ma natura, i quali ricevono un'in- tercalazione, quindi chiamansi em- bolismici.

Sull'era della creazione dicono i cronologisti, che la sagra Scrit- tura non fu data per soddisfazio- ne della curiosità; e la Chiesa, ob- bligandoci a venerare tuttociò che in essa si rapporta al domma, la- scia poi alle dispute i punti di scienza umana : come per esempio la questione sulla durata dei sette giorni della Genesi. Sarebbe più importante determinare i tempi dopo la creazione di Adamo ; ma la santa Scrittura neppur qui gli ordina altrimenti che col contare gli anni vissuti dai dieci patriarchi anti- diluviani. In ciò corre differenza tra i testi, e differenza tra gl'in- terpreti sul modo di ordinarne la serie, onde nasce la varietà tra i modi di contare gli anni dopo la creazione secondo i testi ebreo, samaritano, dei settanta in Euse- bio, di Gioseffo, di Giulio africa- no, di s. Epifanio, di Pelavio, e di altri. Avvertono i cronologisti, che i primi padri della Chiesa si attenevano alla versione dei set- tanta, come attesta Eusebio, il quale pure dichiara corrotti i nu- meri della Volgata, ossia del testo ialino della Bibbia; altrettanta dif- ferenza è nei patriarchi successivi al diluvio, cioè in quella che si chiama seconda età del mondo. Molte ragioni però militano a fa- vore della cronologia dei settanta, che sono criticamente riportate dai cronologisti; e Giuseppe Flavio, il più dotto ebreo, segui anch'egli la cronologia, come fecero tutti i santi

ERA 7

padri, e scrittori ecclesiastici dei primi secoli. Più di cento dicias- sette sistemi s'inventarono per con- ciliare la storia sagra colla profa- na, tra' quali vuoisi il più lungo quello di Alfonso re di Castiglia, e di Piegiomontano, che pone la nascita di Gesù Cristo all'anno 6984 del mondo, mentre il vene- to Lippomano la ritrae all'anno 36 16. Il p. Riccioli stabilisce i cinque seguenti canoni intorno a questi sistemi:

i.° Dalla creazione del mondo a Gesù Cristo, nessuno conta più di 7000 anni, meno di 3700.

2.0 Dal testo ebraico, dalla Volga- ta, e dalla storia umana, sem- bra più probabile che decorres- sero 4IQ,4 anni: in tale ipotesi non possono essere più di 433o anni, meno di 3705.

3.° Dai settanta, e dalla più vera storia umana appariscono 5634 anni; in tale ipotesi è fatto non essere stati più di 5t)o4 anni , meno di 5o54-

4-° Sebbene alcuni siensi ingegnati d'investigare l'origine del mon- do da alcuni caratteri del cielo, e dalla posizione delle stelle, e dei veri segni del zodiaco, ogni opera loro riuscì invano; e alle volte caddero in errori gravis- simi, attribuendo al mondo una età più favolosa che vera.

5.° Probabile è aver Dio creato il mondo 5634 anni avanti la nascita di Gesù Cristo.

Alcuni cronologisti sostituiscono a creato il mondo, creato l'uomo, perchè da Adamo soltanto comin- ciano i dati per valutare il tem-

La

pò. L.a maggior parie ciegh storici

ie dei

8 ERA

adottano il calcolo di Usserio, se- condo il quale nacque Gesti Cristo nell'anno 4°°4 dopo la creazione. Questa varietà non reca poi mol- ta confusione, giacche si riferisce soltanto ai tempi più antichi, e quasi affatto la si evita col segna- re gli anni non dalla creazione, raa dalla distanza da Gesù Cristo. I più moderni cronologisti dicono, che principal fondamento della cronologia sagra dopo la Bibbia, è la cronaca di Eusebio vescovo di Cesarea, della quale non si eb- be che piccola parte, fin quando il vicario del patriarca armeno ne scuopiì a Gerusalemme una tra- duzione armena, che portò a Co- stantinopoli verso il 1787, donde fu mandata a Venezia una copia nel 1790, che servì poscia per un' edizione fatta in Milano nel 18 18. Ma già più intiera copia se n' era avuta a Venezia stessa nel 1793, in cui si eseguì un'edi- zione nel medesimo anno 18 18 colla latina traduzione, che com- pie i frammenti già conosciuti.

Era di Abramo.

Questa incomincia colla voca- zione di detto patriarca, fissata a 201 5 anni avanti Gesù Cristo, ed al primo di ottobre. L'anno 2016 di quell'era incomincia con l'istes- so giorno immediatamente anterio- re al principio dell'era cristiana: Eusebio si servì dell' era di Abra- mo per la sua cronologia, e fu imitato da altri cronologisti cri- stiani.

Era delle Olimpiadi.

L' introduzione di quest' era si attribuisce nelle opere degli stori -

ERA ci greci, a Timeo scrittore sicilia- no, e posteriore al regno di Ales- sandro il Grande. Questa era venne però accettata lungo tempo dopo l' introduzione de' giuochi o- limpici nella Grecia, ed all'epoca di questa accettazione se ne fece riferire il punto iniziale a molti secoli addietro. Sull' epoca della istituzione de'giuochi, eranvi molte incertezze, per cui non potevasi ri- montare sino alla detta istituzione, laonde si cercò di scuoprire un punto fisso fuori da qualunque contestazione; e fu scelto quello in cui venne introdotto l' uso d' in- nalzare al vincitore ne'giuochi, del- le statue ed altri pubblici monu- menti. In tal modo si rimontò fi- no a Corebo, che pel primo otten- ne l'onore di una statua. Fu dun- que l' era delle Olimpiadi nella sua origine fissata a quella in cui Corebo aveva ottenuto un tale ono- re, cioè 776 anni avanti Gesù Cri- sto, formandosi ogni olimpiade di quattro anni, essendo i giuochi celebrati ogni quattro anni. L'usò delle Olimpiadi fu continuato sino alla fine del quarto secolo dell'era nostra. AH' imperatore Teodosio I viene attribuito l'editto, che vietò di contare per mezzo delle olimpiadi.

Era di Nabonassar.

E una delle più celebri ere, e delle più generalmente usate nelle diverse mutazioni dei tempi. L'a- stronomia ne ritrasse grandi van- taggi , perchè Tolomeo nel suo Almagesto conformò ad essa la da- ta delle osservazioni che trovò ne- gli scritti de' suoi predecessori . Teone, che fiorì dopo di lui, ne imitò l' esempio ; e la necessità di

ERA

esprimere con termini uniformi l'epoca delle osservazioni che do- vevano fra di loro essere confron- tate, fece moltiplicare quest'esem- pio. Questa era prese il suo no- me da Nabonassar, considerato il fondatore del regno di Babilonia ; ed il suo principio è fissato al mezzogiorno di un mercoledì, che era il 26 febbraio dell'anno 747 avanti Gesù Cristo. Si serve que- sta era dell'anno vago, ossia di 365 giorni, senza intercalazione, essen- do stato tale l'anno egiziano.

Era di Roma.

L' era di Roma, che dicesi della fondazione della città, è posta da Vairone nel terzo anno della sesta olimpiade : da Verrio Fiacco nel- l'anno seguente, 755 o 754 anni avanti Gesù Cristo : da Catone poi nel 752. Infinite sono le dispute dei cronologisti per determinare que- sto tempo, paragonandolo anche ai celesti fenomeni. L' opinione di Vairone del 7^5, 21 aprile, è se- guita da Dione Cassio, Plinio mag- giore, Vellejo Patercolo, Claudio imperatore, Lattanzio Firmiano ec, ma Dionigi di Alicarnasso, e Tito Livio seguono 1' opinione di Cato- ne. Gli anni poi venivano notati più comunemente col nome dei due consoli, che reggevano la romana repubblica. Prima di Dionigi il pìccolo, la Chiesa e i Pontefici calcolavano il tempo per gli anni di Diocleziano, è pei fasti conso- lari, i quali fasti cominciarono dall'anno 244 delia fondazione di Roma, secondo i marmi del Cam- pidoglio; oppure 245 secondo l'e- poca di Varrone, vale a dire 5og avanti Gesù Cristo. In quanto alle ere degli altri popoli italiani, che

ERA 9

Varrone aveva raccolte, vennero assorbite nell'unità romana, e cad- dero in dimenticanza.

Era di Alessandro il Grande.

È conosciuta altresì col nome di era di Filippo, o dei Lagidij e la morte di Alessandro n' è il punto essenziale. Il suo primo anno incomincia col ^i5 dell' era di Nabonassar, e nel 12 novembre dell'anno 324 avanti Gesù Cristo^ Somigliante in tutto alla succitata era, può essa considerarsi come un'appendice, e il rispetto che tutti i popoli dell'Egitto particolarmen- te professavano per la memoria del macedone conquistatore, fu il mo- tivo dell'istituzione dell'era di A- lessandro, o di Filippo Arideo suo figlio, oppure dei Tolomei, cioè i Lagidi suoi successori in Egitto, dove quest'era fu prontamente ri- conosciuta, lì suo primo giorno, il 12 novembre, non fu quello della morte di Alessandro, benché sia il punto iniziale dell'era; ciò deriva dall' uso che avevano gli egiziani di contare gli anni del regno de' loro principi, riferendoli sempre al principio del loro anno civile; ed il primo del loro mese thot dell'anno 42^ di Nabonassar, cadendo in queir anno nel 1 2 novembre, questo giorno diventò il primo dell'anno con cui comin- cia l'era di Alessandro. Gli astro- nomi se ne servirono spesso, come fecero alcuni scrittori de' primi se- coli dell'era cristiana.

Era dei Seleucidì.

Questa pur si distingue co' no- mi di era di Alessandro per con- fusione coll'era del conquistatore

io ERA

macedone, o per rapporto a suo figlio dello stesso nome; era dei greci, ovvero era dei Sirv-Mace* doni, Tarikd'houl-Karnain , ossia era dei contratti de' giudei di Si- ria, soggetti ai re greci. Questa era è una delle più conosciute, come delle più usate negli scritti, e sui monumenti; ed è perciò che tro- vasi nel libro de' Maccabei, sulle medaglie ed altre incisioni greche, nella storia ecclesiastica, ne'padri della Chiesa, e nei concili, nelle opere degli orientali, e particolar- mente degli arabi, i quali se ne servono ancora quando non fanno uso degli anni dell' egira. Tutti gli autori sono d'accordo intorno le cause della sua istituzione, ch'è l' innalzamento di Seleuco JNicatore al trono di Babilonia, dopo la dis- fatta di Demetrio Poliorcele a Gaza, e la morte di Alessandro re di Macedonia. Sono egualmen- te tutti d'accordo sull'epoca ini- ziale di quell'era, che è l' estate dell'anno 3 1 2 di Gesù Cristo. Se- condo l'opinione comune Tanno ba- bilonese sarebbe stato fisso a giorni 365 ed un quarto per questa mede-? sima epoca.

Era di Tolomeo Filadelfo,

Il regno di questo principe fu confuso coll'era di Dionigi l'astro- nomo. Dionigi istituì la sua era nel regno di Tolomeo Filadelfo, e ne riferì il primo anno al prin- cipio del medesimo; ma le due epoche iniziali non furono assolu- tamente le stesse: ciò che segue accenna quanto avvi di analogo, e di differente tra l'una e l'altra.

Era di Dionigi.

Questa era, tutta astronomica, componevasi di anni solari fissi,

ERA

di dodici mesi, ciascuno de'quali portava il nome di un segno del zodiaco. L'epoca radicale della me- desima fu l'esaltazione al trono di Tolomeo Filadelfo, ed i cronolo- gisli non dubitarono punto a con- tare gli anni dell'era con quelli stessi del regno di Tolomeo. Su di che consultato l'Almagesto IX, 7, toni. II, pag. 170, essendo il primo giorno di Dionigi il 24 di giugno dell'anno 283 avanti l'era cristiana, essa incominciò nel sol- stizio di estate che precedette l'e- saltazione al trono di Filadelfo, fissata molto approssimativamente al 2 di novembre dopo il mede- simo solstizio.

Era di Tiro.

Baia re di Siria, avendo nel- l'anno 1 25 avanti Gesù Cristo ac- cordato ai Tiri l'autonomia, que- sti consagrarono un tale avveni- mento colla istituzione di una nuo- va era, della quale questo atto protettore fu il motivo, ed ab- bandonarono l'era dei Seleucidi. La nuova era incominciò col 19 ottobre, corrispondente al mese di hyperberetqus.

Era Cesariana di Antiochia.

Essa riguarda Giulio Cesare, e la vittoria da lui riportata a Farsaglia nell'anno /\.S avanti Ge- sù Cristo. Antiochia si servì di quest'epoca per le sue date, inco- minciando dal primo giorno del suo anno, che principiò nell'autun- no dello stesso anno 4^ avanti Gesù Cristo. La medesima città aveva altresì istituita un'era in onore di Pompeo Magno; quindi Giulio Cesare vincitore ottenne

ERA

egual distinzione. Però non andò guari che all'era di Cesare suc- cesse quella di Augusto, che inco- minciò nel primo settembre; vi- gilia dell'altra famosa battaglia di Azio, ed in memoria di essa. I greci, i quali seguivano l'era Ce- sariana di Antiochia, la incomin- ciavano col loro anno medesimo, dal 49.

Era Giuliana.

Prese il suo nome da Giulio Ce- sare che riformò il calendario, ac- comodandolo per un anno di 365 giorni con un 366.°, intercalato ogni quattro anni; ed è questa la me- morabile riforma donde prese ori- gine 1' era giuliana. Essa incomin- ciò Tanno 45 avanti Gesù Cristo. Pel calcolo regolare de' tempi an- teriori a detto anno, i cronologisti si servono degli anni della stessa era giuliana, benché la medesima non esistesse ancora, ed è appun- to in questo caso, che si chiama- no anni dell'era giuliana proletti- ca. Tanto di questa era, come di diverse delle ere qui memorate, si tratta in parecchi ed analoghi ar- ticoli di questo Dizionario.

Era di Spagna.

Ebbe origine dalla conquista di tutta la Spagna fatta da Augusto nell'anno 39 avanti la nascita di Gesù Cristo, ed incominciò col primo gennaio dell'anno 38. Fu quindi di uso generale nella Spa- gna, in Africa, e nel mezzodì della Francia. L' accettazione generale poi deli' era Cristiana ne fece per- dere l'uso, e venne questa era a- bolita con decreto dell' autorità pubblica in Catalogna nel 1180;

ERA ir

nell'Aragona nel 1 35o ; in Valen- za nel 1 358 ; in Portogallo nel 1 393 ; in Castiglia nel 1/4.22 , ed anco nel 1 4 1 5 secondo altri : questa era si regolava coll'anno giuliano or- dinario.

Era Aziaca.

La famosa battaglia d'Azio die- de occasione a questa era, la qua- le venne ammessa in diverse pro- vi ncie del romano impero con le seguenti differenze. In Egitto dove l'era fu primieramente istituita, il suo principio venne fìssalo al primo del mese tìiol3 ossia al 3o di agosto immediatamente ante- riore al giorno della battaglia, la quale succedette nel 2 settembre dell'anno 3o avanti Gesù Cristo; essendo il 3o di agosto il giorno giuliano fisso corrispondente al primo di thotì ovvero primo del- l'anno vago egiziano il 719 di Nabonassar. I greci d' Antiochia incominciarono l'era aziaca col pri- mo settembre del medesimo anno . In Roma quest' islessa era princi- piò col primo gennaio seguente, cioè dell'anno 29 avanti Gesù Cri- sto. Quest'era non ebbe lunga du- rata, e fu confusa collera seguente.

Era degli Augusti.

Parecchi sono i motivi che si danno per lo stabilimento di que- st'era; fra gli altri l'atto del se- nato che conferì ad Augusto la suprema autorità. Quello però che sembra più certo è lo stabilimen- to medesimo dell'uso dell'anno fìs- so da Augusto colT intercalazione. L'anno vago egiziano fu renduto fisso da Augusto colf intercalazio- ne di un 6.° epagomeno, od

i* ERA

306.° giorno ogni quattro anni; Teone di Alessandria disse, che questa riforma ebbe luogo quan- do il primo giorno dell'anno vago egiziano corrispose al 29 agosto giuliano, il quinto anno del regno di Augusto secondo gli egiziani. È uniformemente riconosciuto che l'Egitto fu soggetto a quel prin- cipe fino dall'anno 29 avanti Ge- sù Cristo, e che la sua autorità vigeva in Egitto in quel medesi- mo anno. Il quinto anno di que- sta autorità equivaleva al i5 avan- ti l'era cristiana; in questo i5.° anno il 29 agosto giuliano cor- rispose in fatto al primo thot va- go egiziano; il 29 agosto giuliano dell'anno 25 avanti Gesù Cristo è dunque il punto iniziale dell'era degli Augusti, di cui si fece uso dal principio dello stabilimento dell'autorità romana in Egitto, e durante il corso dei primi secoli dell'era cristiana.

Era Cristiana , di Gesù Cristo 9 ovvero dell' Incarnazione 3 od Era volgare.

Fu ed è ancora quest' era di uso universale, principalmente nella chiesa latina, ed in occidente. N'è l'origine la nascita di Gesù Cristo, per cui fu lungamente disputato intorno all'epoca reale di questo grande avvenimento, e le più ap- prezzabili ricerche dimostrano che dovrebbe essa incominciare tre , quattro, o cinque anni prima del- l'epoca fissatale neh1* attuale nostro computo; su di che è a consul- tarsi l'opera de vulgaris aerae emen~ dottane del p. Sanclemente abbate camaldolese, stampata in Roma nel 1793. In quest'opera eruditissima, dimostra 1' infaticabile autore, che

ERA Cristo nacque net 747.° anno della fondazione di Roma , poiché egli dice non poter essere nato il Mes- sia ne prima del 746, ne dopo il 749. Non dopo il 749 perchè Cri- sto nacque vivente Erode il gran- de. Ma Erode morì nella prima- vera del 75o, come consta dalle monete di Erode Antipa, e dal 2 5 dicembre 749 alla primavera del 75o non poterono accadere quei fatti della prima infànzia del Re- dentore; cioè non solo l'adorazione de' magi, ma la fuga in Egitto , la uccisione degli innocenti ec, fatti che richiedono ben più di tre me- si. Aggiungasi essere nato Cristo mentre Ponzio Saturnino era pro- pretore della Siria, e fu tale fino al 748. Perciò Gesù Cristo non nacque dopo il 749, nell'anno stesso 749, essendo nato ai 2 5 di- cembre come porta una costante veneranda tradizione. Non potè na- scere prima del 746, poiché Cristo nacque essendo il mondo in pace, ciò che non avvenne avanti il 746. Non nacque nell'anno 746 perchè si deve supporre che la beata Ver- gine il concepisse appunto nel tem- po della pace universale. E sicco- me la pace sotto Augusto avvenne nel 725, nel 729, e nel 746 nel mese sestile; perciò non si può dire essere stafo concepito il Messia nel 746, stando alla costante tradizione della sua nascita al 25 dicembre. Non nacque nel 748 poiché rimanendo ferma la sua nascita nel 25 dicem- bre, siccome nacque sotto Ponzio Saturnino pro-pretore della Siria, e di già nel 748 ebbe Ponzio per successore Varo, perciò sarebbe na- to Cristo sotto' Varo, e non sotto Ponzio Saturnino. Dunque non es- sendo nato il Redentore prima del h\$> non nel 746, non nel 748,

ERA

non nel 749, dopo il 749, ri- mane, secondo V opinione del dot- tissimo camaldolese, l'anno 747? a^ quale si dovrebbe attribuire la glo* ria della nascita del Messia. Que- sta opinione piacque assai al Pon- tefice Pio VI, allora regnante, di- modoché credevasi dai dotti di quel tempo, che il Papa avrebbe rinno- vato e corretto l'era volgare, chia- mandola Era Cristiana- Pio. Non devesi ommettere che l'era volgare incominciò dal primo gennaio del- l'anno Varroniano 754, 4^-° à*el- l'impero d'Augusto, perciò l'era Dionisiana ha origine o dal 754, o dal 753.

Ma l'uso prevalse alla scienza, ed è , seguendo un tal uso , che contasi presentemente l'anno i843 di detta era. 11 suo stabilimento non risale al di del sesto secolo di Gesù Cristo. Dionigi per la sua statura appellato il piccolo o l'esì- guo, abbate in Roma, di nazione scita, cominciò il primo a prendere la data degli anni dalla nascita di Gesù Cristo, nel suo ciclo pasqua- le, verso l'anno 527 secondo al- cuni, o 54i secondo altri. A quel- l'epoca si il nome di Era cri- stiana, Era volgare, Era Dioni- siana. Per Taddietro si computa- vano gli anni del cristianesimo, qualunque ne sia stata la cagione, coll'era di Diocleziano. Sembrò al- l'ingegnoso Dionisio, siccome esper- to nelle matematiche ed in crono- logia, cosa non opportuna alla cri- stiana repubblica il computare i suoi anni dal nome del più fiero persecu- tore del nome cristiano, pensò egli dunque a formare un'epoca, la quale incominciasse dal glorioso nascimen- to di Gesù, e da questo ne trasse il nome. Dionisio la propose in Ita- lia, e venne accettata nel settimo

ERA

i3

secolo in Francia ed in Inghilter- ra. L'uso in Francia però non fu bene stabilito se non nell'ottavo se- colo, per la volontà e coll'esempio di Pipino, e del suo figlio Carlo Magno. I concili di Germania del 742, di Lestines del 743 , e di Soissons del 744» presero la data dagli anni dell'incarnazione; dal qual tempo, e massime da Carlo Magno, gli storici sono accostumali a pigliare la data dei fatti che re- cano, dagli anni di Gesù Cristo , dappoiché, dopo il regno di quel- l' imperatore l'usanza di mettere le date, servendosi degli anni della incarnazione, diventò quasi genera- le. Da ciò rilevasi, ch'essendo stala l'era cristiana istituita molti secoli dopo la nascita di Gesù Cristo, fu facile il variare, ed anche l'ingan- narsi intorno l' anno preciso di quella nascita medesima. Però i calcoli istorici non ne soffrono ve- run detrimento, ed il primo anno dell'era cristiana, essendo messo in concordanza coli' anno ben cerio di un'altra era, non ne può risul- tare né ommissione, confusione. Il p. Lupi nel tom. I delle sue Dissertazioni, dice che la nascila del Redentore si deve fissare cin- que anni e sette giorni prima del- l' era comune , che non vi è mese, se si eccettui luglio, in cui non vi sia chi sostenga, essere nato Gesù Cristo, la cui nascita si deve fissare nella notte che precede il 25 dicembre. Sull'epoca dell'incarna- zione in uso ne' secoli ottavo, no- no e decimo ci erudite notizie il Borgia, Difesa del dominio della, Sede apostolica, pag. 93 e 94.

L'era cristiana, volgare, comune, o dell' incarnazione, è composta di anni giuliani. L'uso d'incominciare questo medesimo anno, fu variabile

tf\ ERA

nel medio evo, come in seguito fu variabile la maniera di contare la successione degli anni secondo Pe- ra cristiana. È provato dai monu- menti scritti, che in diversi paesi incominciossi l'anno, i.° al primo di marzo; 2.0 al primo di gen- naio; 3.° al 25 dicembre; 4*° al 25 marzo, anteriore al primo gen- naio del numero 2.0; 5.° nel me- desimo giorno, ma contando un anno di meno; 6.° a Pasqua di ri- surrezione; 7.0 al primo gennaio, ma contando un anno di più del numero 2.0 Su questo grave pun- to si possono consultare gli articoli Anno, Anno del Pontificato, Bol- le, Calendario, ed altri relativi ar- ticoli del Dizionario.

Era di Costantinopoli.

Ha questa per origine la crea- zione del mondo, secondo la chie- sa greca, la quale conta 55o8 an- ni avanti il primo anno dell' era cristiana. Sebbene il reciproco rap- porto di queste due ere non pre- senti alcuna difficoltà, nondimeno ve ne può essere alcuna nella con- cordanza precisa degli anni, per la ragione che l'era di Costantinopoli sembra si servisse di due anni di- versi nel loro cominciamento, prin- cipiando l'anno civile col primo settembre, mentre per P anno ec- clesiastico il primo giorno fu il 2 r marzo, od il primo aprile. È egual- mente certo che gli anni dell'era mondana di Costantinopoli comin- ciavano col primo settembre , se- condo i greci, ed al primo gennaio, secondo i romani. Trovasi usata nel settimo secolo per le date dei concili, ed i russi la conservarono fino al regno del czar Pietro il Grande, epoca in cui essi sosti tui-

ERA rono l'era cristiana, con quella dif- ferenza che notammo all' articolo Calendario.

Era di Diocleziano, o de1 martiri.

L'esaltazione di questo principe all'impero fu per gli egiziani il mo- tivo, e l'origine dell'era che ne porta il nome. 11 calendario egi- ziano era già regolato da un anno fìsso, ossia di giorni 365 ed un quar- to, sino dai tempi di Augusto. E perchè gli egiziani contavano an- cora gli anni del regno degli im- peratori, incominciando dal primo giorno di quello, durante il quale saliva ciascuno di essi al trono , così essendo stato Diocleziano pro- clamato imperatore ai 17 settem- bre dell'anno 284, il 29 agosto precedente cioè il primo giorno dell' anno egiziano , fu da essi te- nuto come il primo del di lui re- gno; questo stesso giorno del me- desimo anno fu pure il primo del- l'era che istituirono in onore di quel principe. L'era di Diocleziano fu poscia chiamata era de martiri, a motivo delle persecuzioni sofferte dai cristiani pochi anni dopo. Su questa era il succitato p. Lupi ec- co quanto scrive. Dionisio, che forse per umiltà prese il nome di pic- colo, per quanto la rozzezza del suo secolo il comportava, appli- candosi in Roma a ristorare le scienze, prostrate per le invasioni barbariche, nel tradurre che face- va dal greco nel latino idioma vari opportuni libri, s'imbattè nel ciclo di cui la chiesa Alessandrina ser- vivasi per regolare la Pasqua ; e giudicando essere opportuno l'adat- tarlo al calendario romano, lo tras- portò dal greco, e dimostrò cori esso a' latini il vero metodo del

FRA computo orientale. Ma perchè gli alessandrini, secondo il costume molto diffuso in que' tempi, con- tavano gli anni loro tanto solari, quanto lunari dal primo anno del- l' impero di Diocleziano, che tanto insanguinossi nel sangue de' fedeli, fu questa era chiamata de' marti- li. Abborrendo Dionisio tal epoca, e giudicando indegna cosa, che do- vesse la Chiesa regolare i suoi com- puti sulla memoria d' un persecu- tore sì fiero, salì sopra l' era dei martiri, per quindici Enneadecaele- ridi o dieci novi ne d'anni , e calco- lando essere nel primo anno di questa nato il Signore, fu forse il primo, o almeno il più accredita- to , a contare gli anni dell' incar- nazione del Verbo. Quindi, essen- do bramosi i romani Pontefici di stabilire un metodo certo per re- golare le feste mobili , promossero nella chiesa di occidente V accetta- zione del ciclo orientale , secondo la versione fattane da Dionisio. Per conseguenza ne venne un grande utile alla storia ed alla cronologia, e la diffusione, insieme col ciclo Dionisiano, a tutte quante le na- zioni dell' era cristiana, benemerita per le memorie conservateci e di- stinte per ben tredici secoli, che da quel tempo sono trascorsi . Benemerita altresì potrebbe chia- marsi in riguardo de' tempi a lei antecedenti, se il conto fatto dal- l' erudito monaco affine di trovare la natività di Gesù Cristo, fosse stato felice egualmente, che labo- rioso.

Era dell'Ascensione,

Il greco autore della cronaca Pasquale, o di Alessandria, volle servirsi di un'era, il cui motivo fu

ERA |0

l'Ascensione di Gesù Cristo in cie- lo. Secondo questa era, per le date da lui stabilite, il primo anno cor- risponde al trentanovesimo dell'era cristiana.

Era degli armeni.

Questa era propriamente detta , che servì vasi di un anno vago di 365 giorni senza intercalazione, eb- be per origine la separazione della chiesa armena dalla latina, in con- seguenza della condanna del con- cilio di Calcedonia, e per epoca iniziale il 9 luglio dell' anno 532 di Gesù Cristo. Inoltre usavano al- tresì gli armeni nella loro liturgia di un anno fisso od intercalato. Il loro primo giorno di questo anno fu fissato agli 1 r del mese di ago- sto giuliano. Adoperarono in se- guito il computo, secondo questo anno giuliano, e così trovaronsi in concordia, per i giorni coi latini , colla sola differenza di cifra per gli anni, a motivo della differenza delle due ere ec. Talvolta gli ar- meni nei loro atti servironsi anche dell'era volgare. Questo è quanto si raccoglie dai nostri cronologisti, ma a voler parlare con più esat- tezza riporteremo sull' era armena quanto si legge nella dotta opera intitolata Quadro della storia let- teraria dì Armenia, del rispettabile monsignor arcivescovo Sukias So- mal, abbate generale de' monaci ar- meni mecchitaristi di s. Lazzaro in Venezia, a p. 34 e seg. Parlando egli della letteratura del secolo VI, dice che questo fu per l'Armenia af- fritto da politiche turbolenze, e dal- le guerre sino dall'epoca in cui il tiranno Isderge troncò le comuni- cazioni coi greci. Però alla metà di tal secolo si eifettuò l'impor-

16 ERA

tante correzione del calendario ar- meno, nel modo seguente.

erano rettamente computati i tempi pel corso de' primi 532 anni dell'era volgare, ma da tale anno sino al 55 1 non vi era che confusione. A determinare un or- dine fìsso e invariabile, pel cle- ro che pel popolo, e per rego- larsi intorno alla annual ricor- renza della Pasqua, e pegli altri giorni festivi, si applicò di propo- sito Mosè II Elivardense, appena elevato alla dignità patriarcale di Armenia. Per grave argomento convocò nell' anno 552 di Cristo un sinodo nella città di Tevino, o Duvina nella provincia di Arara t; e siccome versato nella cognizione de' periodi e cicli solari, e di quan- to può dare norma a formar un perfetto calendario , così, coll'aiuto di parecchi suoi vescovi, e di altre erudite persone, stabilì alcune re- gole fondamentali , che all' ardua impresa servissero di base. Primie- ramente, acciocché in avvenire procedessero i computi colla bra- mata regolarità, nel medesimo an- no dell'era comune 553, agli 1 1 luglio fissò il principio dell'era ar- mena, cioè il primo giorno del pri- mo anno , il perchè sino all' anno i32o dell'era volgare, vi è tra questa e l'armena, la differenza di 552 anni. Siccome poi col volger dei secoli, a cagione dell'anno bi- sestile, cresceva l'era armena, e di- minuiva la detta differenza, fu cre- duto opportuno di aggiungere al- l'era armena nel i32o un altro anno, e ne risultò la differenza che tuttora sussiste d'anni 55 1. Ed è perciò, che a voler trovare a' no- stri dì l'era armena fa d'uopo dif- falcare 55 1 anni dall'era volgare, o a meglio dire devonsi sottrarre

ERA 552 anni , e il resto , aumentato di una unità, darà l' era armena. Quindi è , che il corrente anno i843 dell'era volgare, corrisponde all'anno 1292 dell'era armena.

Era di Hiesdedger.

Presso i persiani quest'era ebbe origine dall'esaltazione di Hiesded- ger al trono di Persia, che vuoisi avvenuta ai 6 giugno dell'anno 632 di Gesù Cristo. Regolavasi allora questa era coll'anno vago, ossia di 365 giorni. Continuò co- sì fino a Dagelaleddin, sultano di Khorasan . Ma questo principe nel- l'anno 4^7 dell'Egira, 1075 di Gesù Cristo, consultò il corpo de- gli astronomi, e venne quindi con- chiuso che l'anno dell'era sarebbe fisso. Fu determinato l'ordine dei giorni che sarebbero per questi effetti intercalati, fu fissato l'equi- nozio di primavera al 14 marzo giuliano, ed il principe ordinò che questa riforma del calendario a- vrebbe il suo principio coll'anno 471 dell'egira, ossia 1079 di Ge- sù Cristo. Questa era fu pure chiamata Melikana, essendo cor- retta de Melik-Sebah- Dagelaleddin. Del resto i persiani fanno l'anno di questa era di 365 giorni, quat- tro ore, 49 l$ > o", 48 ""; ed al- cuni astronomi la considerano co- me una delle ere più esattamente determinate.

Era dell' Egira.

Egira è una voce araba che significa fuga, e della quale gli storici, e i cronologi si servono per denotare l'epoca, da cui i mao- mettani cominciano a contare i loro anni, cioè dal tempo in cui

ERA Maometto fuggi dalla Mecca e Medina. Questo avvenimento ebbe luogo la notte del giorno i5 o 1 6 luglio, di venerdì, nell'anno 622 dell'era cristiana. Fino da quell'e- poca, stabilita per la prima volta da Omar, i mussulmani non con- tavano gli anni loro se non che dall' ultima guerra considerabile eh' essi avevano sostenuta. Alcuni scrittori arabi la incominciano ai 1 5 luglio : tutti i maomettani si servono di questa famosa era per le loro date, ad esclusione di qua- lunque altra. Gli anni dell' egira sono lunari, e distribuiti in cicli di 3o anni; diecinove di questi trent'anni sono comuni, ossia di 354 giorni ; gli undici altri chia- matisi intercalari perchè di 355 giorni, e questi anni sono il 2, 5, 7, 10, i3, 16, 18, 21, 24, 26, e 29. I mesi di queste due sorta d'anni sono in numero di 12, al- ternativamente di 3o e di 29 gior- ni : negli undici anni intercalari il 12.0 mese è di 3o giorni: è adun- que chiaro che i rapporti degli anni dell' egira, con gli anni del calendario gregoriano sono varia- bilissimi, la differenza naturale es- sendo di undici giorni fra questi due anni, e la diversità delle inter- calazioni aumentando ancora le differenze medesime. Di più: i giorni dell'anno dell'egira comin- ciano col tramontar del sole. A motivo pertanto di grandi varie- tà succede ben di rado, che un anno dell'egira incominci e termini nello stesso anno dell'era nostra "volgare. Ecco i nomi dei mesi tur- chi : r. Muharrem , 2. Sefer, 3. Reb-il-evvel} 4- Reb-il-aker3 5. Ge- masil-evvel3 6. Gemasil-aker, 7. Regeb3 8. Sciabar, 9. Ramasan3 10. Scewal, i\.Zilcade3 vii. Zìi*

ERA 17

hagge. Ecco poi nomi dei giorni della settimana. 1. el-Ahatì 2. el- Thani, 3. el-Theleth, 4. el-Arba3 5. el-Khamis, 6. el-Giumea, 7. el- Sebt.

Era della repubblica Francese.

Benché di corta durata, impor- ta farne cenno, segnando molti at- ti ancora in uso, e potendo servi- re di regola per trovare la con- cordanza degli anni, dei mesi e dei giorni fra i due calendari di Gregorio XIII , e repubblicano. Se ne conoscono altresì molte ta- vole già fatte. Col 12 settembre 1792, in cui fu proclamata la re- pubblica francese , si promulgò una nuova era. Contava gli anni da esso 1792, cominciandoli la mezzanotte del giorno che succede all'equinozio vero d'autunno, per l'osservatorio di Parigi. L'anno di quest'era fu di 365 giorni, diviso in dodici mesi di trenta giorni per cadauno, e seguiti da cinque, o sei altri complementari, che aggiun- gevansi al fine. Un sesto giorno complementario aggiunto periodi- camente faceva gli anni sestili. Il mese era diviso in tre decadi di dieci giorni : i giorni denomina- va nsi primidì3 duodìf tridì3 quarti - ec3 il decadì doveva essere di riposo. I mesi erano divisi in au- tunnali3 in invernali, in primave- rili'_, ed in estivi. Gli autunnali e- rano: Vendèmiaire, Brumaire, Fri- maire . Gli invernali erano: Nivó- se3 Pluvióse, Ventóse. I primave- rili erano : Germinai 3 Floreal, Prairial. Gli estivi poi : Messidor, Thermidor, Fructidor. I quali no- mi flel calendario repubblicano rammentavano il progresso, ed i lavori successivi della campagna,

voi. XXII.

i8 ERA

oppure lo slato dell'atmosfera nel- le diverse epoche dell'anno. Il pri- mo giorno del calendario repub- Hicano era il 22 settembre per gli anni I, II, III, V, VI, e VII repubblicani, che sono il 1792,

I793>1794, '796> J797> e *798 gregoriani ; 2 3 settembre per gli nnni IV, Vili, IX, X, XI, XIII, e XIV che furono il 1795, 1799, 1800, 1801, 1802, 1804, e i8o5 gregoriani : finalmente il primo vendemmiale , corrisponde al 24 settembre dell'anno XII, ch'era il 180 3. L'anno VII avrebbe dovu- to essere comune secondo l'ordine gregoriano; ma invece i repub- blicani lo fecero bisestile, il che alterò la corrispondenza coll'anno nostro. Questo calendario durò meno di quattordici anni : il suo i4-° anno cominciando nel 2 3 settembre i8o5, terminò col 3i dicembre seguente, il quale corris- pondeva al giorno io nevoso an- no XIV. Un decreto del senato del 2 1 fruttidor, anno XIII, rista- bilì il calendario gregoriano, inco- minciando dal primo gennaio se- guente 1 806. Della durata delTef- fimera repubblica romana, procla- mala in Roma dai repubblicani francesi a' i5 febbraio 1798, e terminata a5 28 settembre del se- guente anno, si parla all'articolo Diario ni Roma.

ERACLEA 0 ERACL1A. V. Citta* Nova o Eraclea.

ERACLEA . Città vescovile e metropolitana della provincia di Europa, nella diocesi di Tracia, chiamata Pcrinthus, 0 Per\nta3 ed anche Pantiro. Essa fu sotto que- sto nome celebre per l'anfiteatro di marmo formato di una sola qualità di pietre, il quale fu tenuto per una delle meraviglie del mon-

ERA do. Eraclea è situala sul mare di Marmara in Romania, distante cin- quantadue miglia da Costantinopo- li, e settanta da Gallipoli. Ancora si vedono degli avanzi di grandi muraglie e di vecchi fabbricati. Al presente è una citta della Tur- chia europea nella Romelia, con duplice porto sul mare di Mar- mara, chiamata Erekli3 od Hera- clea. V. Tracia.

Eraclea, o Perinthus, fu celebre nelle notizie ecclesiastiche, giacche il vescovo di Bisanzio, poscia Co- stantinopoli (Fedi), come dicesi a questo articolo, era ad Eraclea soggetto. Fu Eraclea la sede del- l'esarcato di Tracia, che pur si disse esarcato di Romania, ed il suo arcivescovo era uno de' più conside- rabili della chiesa greca. La sua sede vescovile, eretta nel primo se- colo, nel secondo divenne metro- poli, e nel quarto fu elevata al grado di esarcato di tutta la Tra- cia, colle seguenti sedi vescovili per suffraganee: Phanarium, o Fa- nari, che poi si eresse in arcive- scovato; Bisia, o Bilsier, anch'essa eretta in seguito in seggio arcive- scovile; Gano, Gallipoli ed Arcà- diopoli, che pur furono decorate del grado arcivescovile; A tira o Metri, Turulus, Redasto, Miriofì- ti, Peristasi, Cheropoli; Apri seu Teodosiopoli, Drusipara, e Midia, tutte e tre divenute in progresso arcivescovati. Delcos, o Dercon ; Mai- ton, la quale eziandio ebbe l'ono- re dell'arcivescovato; Caclos seu Cyla, Sabadia, Afrodisios, Lisima- ca o Hexamili, Pamphili, Teodo- ropoli , Chalcis } Daonia , Lizici, tSergentza, e Adriana. Questa sede conta quarantotto vescovi, le cui notizie riporta il padre Le Quien, 11 eli ' Oriens Chrisl., lom. I, pag.

ERA. ERA 19 11 or e seg. Attualmente Eraclea, e quelli di un teatro scavato nel Hcracleen., è un titolo arriverò- monte. Cinque vescovi vi ebbero vile in partibus, che conferisce la sede, cioè Aploneto, Dionisio, Teo- Sede apostolica, con quattro sedi doro, Gregorio 1, e Gregorio li, suffraganee titolari, cioè Callipoli, come si ha dall' Oriens Christ., Dercon, Medea, e Miropoli. Su toni. I, pag. 906. Nella Siria sa- questa Eraclea o Perinto abbia- gra, a p. 260, sono le notizie di mo interessanti notizie, anche ec- Eraclea, sede vescovile di Palesti- clesiastiche, dal Eonarroli, a pag. na, città meridionale del Libano, 149 e seg. delle sue Osservazioni sotto la metropoli di Cesarea, il storiche sopra alcuni medaglioni cui vescovo Procopio fu presente antichi. ad un sinodo provinciale di Geru-

ERACLEA la Grande. Città salemme, celebralo ne' pi imi anni

vescovile della provincia di Ar- del sesto secolo dal patriarca Gio-

oadia, nel patriarcato di Alessan- vanni.

dria, nell'Egitto, sotto la metro- ERACLEA di S,ìlbace. Città

poli di Oxyrincus seu Behense, la episcopale della provincia di Ca-

cui erezione, al dire di Comman- ria, nella diocesi d'Asia, sotto la

ville, risale al nono secolo. Abbia- metropoli di Stauropoli. Questa

mo da Sozomeno, che s. Antonio sede nel concilio Calcedonese è

era di Coma, villaggio dipendente chiamata Heraclia Lyncestidum.

da Eraclea Magna, h' Oriens Christ., Policromo che intervenne al conci-

nel tom. II, pag. 579, dice che Ho d'Efeso, Menandro che fu a quel-

ne furono vescovi, oltre Pietro lo di Calcedonia, e Basilio che si

Meleziano, Pottamon, Ipaziano, ed recò al sinodo di Fozio, ne furo-

Eraclide. no vescovi. Oriens Christ, tom. I,

ERACLEA sul Latmo. Città ve- p. 904. scovile della provincia di Caria, ERACLEA Sintica. Città vesco- nella diocesi d'Asia, sotto la me- vile della prima provincia di Ma- tropoli di Afrcdisiade, cosi chia- cedonia, nell'esarcato del suo no- mata per essere sul monte Latmo, me, diocesi dell' llliria orientale, quindi sotto Stauropoli. La sede sotto la metropoli di Tessalonica, venne eretta nel secolo quinto, ed eretta nel quarto secolo. Nel sesto è pur conosciuta sotto il nome di divenne arcivescovato onorario dcl- Hagio Porto. Questa città dell' A- la diocesi di Bulgaria. Dicesi pure sia minore nella .Fonia, è situata Pelagonia3 e Xevosna. Plinio la in fondo al golfo Lalmico, sulle chiamò Eraclea Sintica, perchè po- rive del Lalmus. Fu vittima della sta nella contrada di tal nome, destrezza di Artemisia regina di all'oriente della città di Scotusa, Caria, che non avendo potuto e poco lontana dallo Strimone. prendeila per assedio, usò dell'ai- De' sette vescovi, che vi ebbero tifìzio per sorprendere i suoi abi- sede, di soli cinque si sa il nome, tanti senza difesa. Restò sotto il cioè di Evagrio, Quintillo, Beni- dominio di questa regina sino alla gno, Teodosio, e Giovanniciot di sua morte. Seguì la sorte della tutti ne le notizie 1' Oriens Jonia, e tra le sue rovine distin- Christ., tom. II, p. 82 e seg. guevansi gli avanzi di un tempio, ERACLEA del Ponto o Por*

20 ERA

tici. Città vescovile dell'Asia mi- nore, della provincia Orioriade, nella diocesi di Ponto, sotto la metropoli di Claudiopoli. E situa- ta sopra un piccolo golfo presso il mare di Marinara, col nome di Erekii, o Eregri. Ora è una città della Turchia asiatica nell'Anato- lia, sangiaccato. 11 golfo è chiuso al nord da una piccola penisola, anticamente chiamata Acherusia Chersonesus. Erekii è cinta da un muro fiancheggiato di torri, e rinchiude varie moschee, bagni ed altri edifizi; ancora esistono avan- zi della sua passata grandezza. La rada ed il molo sono sicuri nell'e- state, a cagione delle alture che li circondano.

L'antica Eraclea stava a venti stadi di dal Lycas, sopra una costa elevata, e dominante il ma- re. Tutti gli scrittori la celebrano come una delle più belle dell'o- riente. Si mantenne in repubblica governata dai propri magistrati in mezzo a due possenti sovrani, Mi- tridate e Nicomede, ai quali ser- viva di comune barriera. Si crede fondata dai milesii, ed accresciuta da una colonia di Augara, alla quale si congiunse un popolo di Beozia, oriundo di Tanagra. Que- sta colonia si mantenne in forma repubblicana sino a che Clearco se ne impadronì tirannicamente, il che fecero i suoi successori per quasi un secolo. Fu esposta alle invasioni dei gaulesi, ma riacquistò la propria libertà, sino al tempo che Mitridate, sconfitto da Lucul- lo, s'impadronì di essa facendo uccidere tutti i romani, che vi si trovavano. Il suo popolo numero- so, e le sue frequenti navigazioni sul Ponto-Eusino , la misero in grado di fondar Colonie, e fra le

ERA altre Chersoneso nella Tracia, e Calatide nella Mesia. Eraclea som- ministrò alcuni soccorsi a Tolo- meo contro Antioco, soccorrendo anche i romani colla sua marina, il che però non impedì a Cotta, collega di Lucullo, e malgrado il trattato offensivo e difensivo tra Roma ed Eraclea, di prenderla per tradimento, saccheggiarla, e quasi ridurla in cenere. Sdegnato il senato romano di tale turpissima azione, rinviò tutti i prigionieri , ristabilì gli abitanti nel possesso de' loro beni, e riparò la città. Augusto, dopo la battaglia d'Azio, pose Eraclea nel dipartimento del Ponto, congiunto alla Bitinia, ed in tal modo fu questa città in- corporata all' impero, sotto al qua- le crebbe in floridezza. Passò poscia sotto l'impero de' greci, e quando già incominciava a declinare, le si diede il nome di Penderachi, il quale sembra essere un nome cor- rotto di Eraclea del Ponto. Teo- doro Lascaris la tolse a David Comneno, imperatore di Trebison- da. Indi i genovesi s'impadroni- rono di Penderachi nella loro con- quista di oriente, e la conserva- rono fino che Maometto II, im- peratore de' Turchi, gli scacciò, e da tal epoca rimase in potere degli ottomani.

Le notizie ecclesiastiche ci dico- no, che Eraclea fu elevata a seg- gio vescovile nel secolo quarto, e nel decimoterzo diventò metropoli quando Claudiopoli, di cui era prima sufFraganea, cessò di esserlo. Conta dodici vescovi, che vi ebbe- ro sede, e sono: Eusebio, Teodo- ro I, Epifanio, Stefano, Giovanni I, Paolo, Melezio, JMiceforo, Teo- doro II, Giovanni II, e Metodio, giacché del decimo vescovo s'igno-

ERA ra il nome. Di questo e degli altri si leggono le notizie nell' O- riens Christ., tona. I, pag. 57 3. Al presente Eraclea, Eracleen., è un titolo vescovile m partibus infide- lium, che conferisce il Sommo Pontefice, ma dipendente dall' an- tica sua metropoli di Claudiopoli, egualmente sede titolare in parti- bus. Il Bonarroti, nelle Osserva- zioni storiche sopra alcuni meda- glioni antichi\ riporta erudite noti- zie sopra Eraclea di Ponto, da pag. 2j5 a 283.

ERACLEOPOLI. Città episco- pale dell' isola di Creta, nella dio- cesi dell' llliria orientale, sotto la metropoli di Gortina. Teodoro suo vescovo sottoscrisse al VII conci- lio generale. Oriens Christ.3 t. II, pag. 268. Tolomeo la chiamò Eracleo, e la pone sulla costa set- tentrionale di Creta.

ERACLIOPOLI. Città vescovi- le della prima Armenia, nella dio- cesi di Ponto, sotto la metropoli di Sebaste. Gli atti del VII concilio generale la chiamano Didachtoe, e le storie greche ne fanno un arcivescovato. Commanville la chia- ma Pedactoe seu Heracleopolis, e la crede eretta nel nono secolo, e quindi arcivescovato onorario. Que- sta città fu così chiamata quando l' imperatore Eraclio fece la guerra ai persiani. Ne furono vescovi An- tenogene, Giovanni, e Teodoro. Oriens Christ., tom. I, pag. 4^7.

ERARDO (s.). Nacque in Iseo- zia, e percorsi gli studi sacri, si recò in Germania a predicare il vangelo. In Treveri diede lezioni di sacra Scrittura. Avendo il santo vescovo Idolfo, nell'anno 753, rinun- ziato alla sua dignità per recarsi nella solitudine a terminare i suoi giorni, Erardo sull'esempio di lui si mosse

ERA 21

verso Ratisbona, ed ivi fondò un monistero. Onorato del dono dei miracoli, ancor vivente, morì in questa città, e dopo morto, segna- lati prodigi resero celebre la sua tomba. Gli scozzesi ricordano il gior- no 9 febbraio sacro alla sua me- moria.

ERARIO (Aerarium). Tesore- ria del pubblico; e dicesi del luo- go destinato a conservare il teso- ro, e delle persone, che custodi- scono ed amministrano esso tesoro.

ERARIO PONTIFICIO. ^.Te- soro Pontificio.

ERASMO (s.). Illuminato da una viva fede, e tutto ardente di amo- re verso Gesù Cristo, predicava il santo vescovo Erasmo le verità del vangelo in que' tempi , nei quali regnando Diocleziano e Massimia- no, il cristianesimo veniva fiera- mente perseguitato. Non andò gua- ri, che preso Erasmo e condotto dinanzi al tiranno, fu obbligato to- sto a mutar consiglio, o ad assog- gettarsi ai più crudeli martori. Niente turbatosi il santo vescovo ad una tale intimazione, tutto gio- condo e sereno, sostenne quanto di più atroce immaginar poteva quel crudo. Cacciato dipoi in prigione tutto pesto e piagato, e per ec- cesso di barbarie fatto persino pri- vo di alimento, era esposto a mo- rire di fame. Liberato prodigiosa- mente dalla prigione, si diresse verso Lucrano, terra della Puglia, e sparse anche in que' luoghi l'e- vangelica semente con non dissi- mile zelo di prima. Molti e rapi- di furono i vantaggi, che colla pre- dicazione ivi ritrasse; recatosi fi- nalmente in Formiana, città non molto lungi da Gaeta, coli' esem- pio, colla voce , e col dono dei miracoli, santificò que' popoli in-

aa ERA

volti dapprima nelle tenebre del gentilesimo, e li condusse all'ovile di Gesù Cristo. Indebolito dagli anni, e molto più dalle fatiche e dalle austerità, mentre un giorno slava in orazione, udì una voce dal cielo, che gli disse: Erasmo mio fedele, perchè come buon sol- dato hai combattuto per me, vieni a riceverne la corona. Subito vide egli una corona ricchissima, che gli **ra portata dal cielo, e chinando il capo rispose: Ricevi, Signore, in pace il mio spirito: e con questo in figura di bianca colomba, ac- compagnato dagli Angeli, se ne vo- lò al suo Creatore , che dato gli avea fortezza nelle battaglie, e li- berato lo avea tante volte da' tor- menti e dalla morte. Mori li i giugno dell'anno 3o3. Il suo corpo fu deposto nella chiesa di Formia, e dopo trasferito a Gaeta, ove al presente trovasi onorato con gran divozione. Il martirologio assegna il 2 giugno solenne alla sua me- moria.

ERASMO Desiderio. Nacque a Rotterdam, verso l'anno i465, e di- venne poi apostata dell' Ordine a- gostiniano, ed autore di una setta di mille eresie, appena potute con- futare in ventidue libri da Alber- to Pio; colle quali eresie l'empio Erasmo preparò la strada in Ger- mania a Lutero, per disseminarvi le sue egualmente perniciose, e il suo astio contro i religiosi, arri- vando a chiamar giudaismo la teolo- gia. Sino all'età di nove anni fu chie- richetto nella cattedrale di Utrecht. Morto Gherardo suo padre, i suoi tutori lo costrinsero a prendere l'abi- to di canonico regolare di s. Agosti- no. Nel chiostro dimostrò somma assiduità allo studio , e grande ca- pacità: anzi compose alcune ope-

ERA rette di pietà, come quella del dis- pregio del mondo. Nell'anno i49* fu ordinato sacerdote, quindi passò a Parigi col vestito dell' Ordine a proseguire i suoi studi. Nel corso di pochi anni, andò e ritornò varie volle e per diversi motivi da Pa- rigi in Inghilterra. Ma mosso fi- nalmente da vivo desiderio di ve- dere l'Italia, nel i5o6 si recò a Bologna, ove dimorò un anno, e fu laureato in teologia. In que- sto mentre ottenne dal Papa Giu- lio II la dispensa da' suoi voti, e quindi da Bologna passò a Ve- nezia, come correttore nella cele- bre stamperia di Aldo Manuzio. Chiamato a Padova dal principe Alessandro figliuolo naturale di Ja- copo IV re di Scozia, lo seguitò a Ferrara ed a Siena, e da qui, ec- citato da'suoi amici, si condusse a Roma, ove fu benissimo accolto dal Papa e dai Cardinali , e special- mente dal Cardinale de' Medici , poscia Leone X. Dopo avere per- corso molti altri luoghi, e ricusati ovunque onori e dignità, si stabilì in Basilea. Neil' occasione in cui Leone X venne elevato alla santa Sede, col consenso di lui, gli dedicò la sua edizione greca e latina del nuovo Testamento, la quale fu gra- ve soggetto di molta critica. Tale ei a la stima, che di lui avea Carlo V, che lo fece consigliere de' suoi stati d'Austria; titolo che gli accrebbe credito e riputazione. Verso l'anno i520 compose le sue parafrasi sul nuovo Testamento, per cui mol- tissimi eccitarono la facoltà di Pa- rigi a censurare i suoi colloqui familiari , come conlenenti molti errori contro la fede ed i buoni costumi : ragione per cui Erasmo pubblicò con somma astuzia ed oc- culto dolo, alcune spiegazioni e di-

ERA chiarazioni sopra ogni censurata proposizione, e le indirizzò alla stessa facoltà , con una prefazione rispettosa ed onorevole ad esso corpo. Non è vero che per ammol- lire la di lui durezza Paolo III volesse innalzarlo al Cardinalato, e molto meno che gli conferisse una pen- sione di seicento scudi , essendo pur falso che gli offrisse consi- derevoli uffici. Clemente VII ed Enrico Vili, re d' Inghilterra , di propria mano gli scrissero, per trarlo ognuno appresso di se. Il re Francesco I, Carlo V, Sigis- mondo re di Colonia, Ferdinan- do re d' Ungheria e molti altri principi, tentarono in vano di rite- nerlo negli stati loro con notabili pensioni. Dopo averne perduto l'a- micizia, Lutero cercò colle più insi- nuanti espressioni di cattivarsi il suo animo, anzi stimolato Erasmo dagli amici suoi contro l'opinione di Me- lantone, compose un trattato che intitolò: Conferenza sul lìbero ar- bitrio, in cui attacca V errore di Lutero, senza punto toccare la per- sona. Se non che vedendo final- mente che il corpo de' pretesi ri- formatori diveniva ogni più po- tente in Basilea, si ritrasse nel 1529 a Friburgo, ove diinorò circa sett'anni affaticando continuamente. Nel i536 ritornò a Basilea, dove fu onorato con la dignità di ret- tore dell' università. Dappoiché eb- be riveduti i suoi scritti, e li pose in istato d'essere tutti stampati, morì d'una dissenteria a' 12 lu- glio d'anni settanta. Fu quivi se- polto, e nella piazza maggiore gli fu eretta una statua di bronzo, effetto della stima e venerazione*, che di lui aveano i basileesi.

Tutte le opere di Erasmo ven- nero stampate a Basilea nel i5/±o

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in nove volumi in foglio, con una lettera dedicatoria all' imperatore Carlo V. I due primi tomi, ed il quarto contengono le opere gram- maticali, rettoriche e filosofiche; il terzo comprende le sue lettere; il quinto i libri di pietà ; il sesto la versione del Testamento nuovo con le sue annotazioni ; il settimo le sue parafrasi parimenti sui nuo- vo Testamento; l'ottavo le tra- duzioni di alcune opere de' Padri greci ; ed il nono le sue geolo- gie.

Ad onta della riputazione che si procacciò col suo ingegno e dot- trina, Erasmo fu un perniciosissi- mo eretico, e li principali suoi er- rori sono notati dal Bernini nel Compendio delle eresie, a pag. 596. Mise in derisione i santi, e chi gli venerava, così fece dei divoti pel- legrinaggi, delle sagre cerimonie, ri- ti, feste, reliquie de' santi, delle chie- se, digiuni, e delle indulgenze. Scris- se contro la potestà del Papa, chia- mò tirannide de* preti le decreta- li, aggravando i sagri canoni ; ri- provò ne' sacerdoti e ne' vescovi il celibato, e preferì alla verginità il matrimonio che non sempre contò per sagramento; diceva superflua la confessione auricolare ; illecita la guerra de' cristiani contro il turco; proibito a' fedeli il giusto giura- mento, e lecita la bugia ; dubitò delle sagre Scritture, approvò l'a- rianesimo. Morì da mai cattolico, non però da luterano, poiché Ec- clesiae judicio se, librosaue sitos subjecil.

ERBIPOLI (Herbipolen.). Città con residenza vescovile nel regno di Baviera, chiamata anche JVurtiur burg o Wurzburgo, Virisburgum3 capoluogo del circolo del Meno in- feriore, e di due presidiali. E ia

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vaga situazione sul Meno, distante ventuna leghe da Norimberga, e quarantanove da Monaco . E sede di un commissariato generale, di una corte di appello, di una dire- zione di polizia ; cinta da un alto muro, e da profonda fossa, con sei porte. La città è divisa in due parti dal Meno , cioè la città pro- priamente detta che sta sulla spon- da destra, ed il quartiere del Me- no sulla sinistra sponda. Il fiume è attraversato da un bel ponte. Dalla parte del quartiere del Me- no, sorge su di una rupe alta quat- trocento piedi, la fortezza di Ma- rienberg, o Martinberg. Non è la città edificata regolarmente; tutta- via si osservano parecchie parti ele- ganti, ed un bel castello regio con giardini. Hannovi trentatre chiese, tra le quali si fa distinguere la cat- tedrale antica ; ammirandosi pure la cappella di Schonborn. Wurz- burgo possiede vari utili stabili- menti, come la casa degli orfani , molti spedali, università cattolica, la quale prima era diretta dai ge- suiti, che conta circa settecento stu- denti, ed alla quale appartengono una biblioteca, gabinetti di storia naturale e di fìsica, e l'importan- te ospedale Julius, che ha un isti- tuto di partorienti, un giardino botanico , un anfiteatro d' anato- mia ec. Questa città contiene inol- tre un ginnasio, un seminario nor- male , un seminario ecclesiastico , scuole ec. , ed un teatro. Erbipoli ha bei passeggi, ed i dintorni sono coperti di pingui vigneti. Antica- mente era capitale della Franco- nia, città libera ed imperiale , ma poscia ne divennero signori i suoi vescovi.

La fede fu predicata sul decli- nar del secolo VII, dallo scozzese

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s. Kiliano, o Chiliano, cioè verso l'anno 678, e s. Bonifacio arcive- scovo di Magonza, nell'anno 742, o 75 1, ovvero nel 760, l'eresse in sede vescovile, e vi stabilì un ve- scovo. Nella vita del Pontefice s. Zaccaria, si legge ch'egli nel 742 confermò l'erezione di questo ve- scovato, sotto la metropoli di Ma- gonza. Dopo l'anno u 65, il ve- scovo divenne principe del sagro romano impero, e duca di Fran- conia, al dire di Comman ville; ma secondo altri il re Pipino, in ve- nerazione del primo vescovo di Er- bipoli, li dichiarò duchi di Fran- conia, con diritto d'ogni giurisdi- zione civile. E malgrado 1' aliena- zione di una parte della Franco- nia, fatta dall' imperatore Enrico IV, i vescovi di Erbipoli, sino agli ultimi del secolo decorso , sempre conservarono la sovranità nella lo- ro vastissima diocesi.

Il primo vescovo fu s. Burcar- do. Altri santi onorarono questa illustre sede vescovile, come s. Ar- none, che edificò la cattedrale , e venne ucciso dai normanni nell'89 1 , quando sbaragliarono le truppe dell' imperatore Arnoldo. S. Bru- none, figlio di Corrado II, duca di Cario tia, rifabbricò la cattedra- le. Essendo andato in Ungheria nell'anno io45 coli' imperatore En- rico III, e cenando con quel prin- cipe, la soffitta della sala cadde improvvisamente addosso alle per- sone quivi riunite. L'imperatore soltanto n'andò illeso, e s. Bruno- ne ne mori in conseguenza delle ferite e lacerazioni riportate. Al- cuni dicono , che fu canonizzato verso l'anno 124^, e si celebra la sua festa a' 17 maggio. In quanto agli altri vescovi di Erbipoli , ne trattano gli scrittori ecclesiastici del-

ERB la Germania , massime di quelli della Franconia. Per terminare poi le antichissime differenze, ch'erano fra questo potente vescovo (la cui rendita si faceva ascendere ad an- nui scudi centomila) e l'abbazia di Fulda, Benedetto XIV, nel l'jSi, eresse questa in vescovato ; ed in compenso ai vescovi di Erbipoli, per lo smembramento che per ciò fece d' una parte della loro diocesi, coll'autorità della costituzione Ro- mana Ecclesia, data a' 5 ottobre 1 752 , presso il Bullar. Bened. XIV, tom. IV, p. 35, concesse il privilegio del pallio, e di farsi pre- cedere dalla croce astata nella lo- ro diocesi soltanto, come gli arci- vescovi, salve le prerogative dell'ar- civescovo di Magonza, alla cui pre- senza, o a quella de'Cardinali e dei nunzi ( qualora essi non glielo per- mettessero), non potrebbe usare di tali distinte insegne; cosi ancora nei comizii dell' impero, ai quali erano intervenuti come principi di esso, e sovrani di Erbipoli e suo dominio temporale. Questo vescovo, col cir- costante territorio, componeva un vescovato sovrano, con superfìcie di i65 leghe quadre, e popolazio- ne di circa duecento ottanta mila individui, che dopo il trattato di Presburgo del 26 dicembre i8o5, fu dato all'arciduca Ferdinando III gran duca di Toscana, in cambio del dominio sul vescovato di Salis- burgo accordato alla Baviera. Ma restituiti dopo il 181 3 a quel so- vrano gli etruschi dominii, rientrò Erbipoli sotto il bavaro regime, cui era stato concesso nelle note politiche vicende. Finalmente nel concordato fatto nel 18 17 tra il Pontefice Pio VII, e il re di Ba- viera Massimiliano Giuseppe, si con- venne l' erezione della chiesa di

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Bamberga in metropoli , Erbipoli in di lei suffraganea, e che la parte bayarica della diocesi di Fulda sareb- be aggiunta alla diocesi di Wirtzbur- go o Erbipoli, venendo stabilite le rendite, il capitolo, e quanto appartie- ne a questo vescovato. Tuttociò si ef- fettuò colla bolla del primo aprile 1 8 1 8, Dei ac Domini Nostri Jesu Christi, e nel concistoro de' 2 ot- tobre, Pio VII preconizzò in vesco- vo di Erbipoli, monsignor Adamo Federico de Gross della medesima città.

La cattedrale è dedicata a s. Andrea apostolo ; l'antica lo era al ss. Salvatore, il cui capitolo com- ponevasi di ventiquattro canonici capitolari , e di ventinove domici- liari. Attualmente è composto di due dignità, il prevosto ed il de- cano, di otto canonici fra' quali il teologo, ed il penitenziere, di sei vicari, e di altri preti e chierici addetti al servigio divino. Nella cattedrale, in cui avvi il sacro fonte battesimale, esercita le funzioni di parroco un sacerdote. Nella mede- sima si venera il corpo di s. Bru- none vescovo di Erbipoli, che al- tri chiamano e confondono con s. Burcardo (Vedi), che fu il primo vescovo di Erbipoli , o Wurtzbur- go, ed ebbe in successore Megin- gando. S. Burcardo venne seppel- lito prima nella cattedrale di Wurtz- burgo, poscia vicino a s. Chiliano, sul monte s. Maria, dove avea fat- to edificare un monistero col titolo di s. Andrea. 11 vescovo di Erbi- poli, Ugo, fu quegli che, con au- torizzazione del Pontefice Benedet- to Vili, fece la traslazione delle re- liquie di s. Burcardo ai 14 otto- bre del 983. In seguito l'abbazia prese il nome di s. Burcardo, che poi nel i4^4 fu cambiata in un

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collegio di canonici. Decente è l'e- piscopio. Oltre la cattedrale, nella città sonvi altre otto chiese par- rocchiali col battisterio: evvi il se- minario pei chierici, ed alcune con- fraternite. La mensa vescovile ad ogni nuovo vescovo, è tassata nei libri della camera apostolica, in fiorini seicento.

Concilii di TVurtzburgo, o Erbipoli.

Il primo si celebrò neh' anno 1 080, ed in esso venne ricevuto nella comunione della Chiesa En- rico IV imperatore. Regia t. XXVI, Labbé toni. X, Arduino tom. VI.

Il secondo ebbe luogo nel ii3o in ottobre, contro l'antipapa Ana- cleto II, ed in favore del legitti- mo Pontefice Innocenzo II, che vi la riconosciuto per tale, in presen- za dell'arcivescovo di Ravenna suo legato. Pagi, ad hunc an., Diz. dei Concili.

Il terzo si adunò a' 2 3 maggio 11 65, ma non è riconosciuto; al- tri lo registrano al 1 1 66 con Len- glet. L' imperatore Federico I, e quaranta vescovi, compresi quelli che non erano ancora consagrati , giurarono che non riconoscerebbe- ro mai il legittimo Pontefice Ales- sandro III, e che starebbero invio- labilmente attaccati all'antipapa Pa- squale III. Due inviati d'Inghilter- ra giurarono a nome del loro re Enrico II, che osserverebbero tut- lociò, che 1' imperatore avesse giu- rato. Pagi, ad hunc annum., Diz. de Concili j Mansi, Suppltm. t. II, col. 555.

Il quarto venne celebrato nel 1287, a' 18 marzo. Lo presiedette Giovanni vescovo di Frascati , le- gato del Pontefice Onorio IV in Germania. Gli arcivescovi di Ma-

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gonza, di Colonia, di Salisburgo, e di Vienna con molti de' loro ve- scovi sulfraganei, e molti abbati, vi compilarono un regolamento composto di quarantadue articoli o canoni, per la maggior parte ris- guardauti la disciplina ecclesiastica. In questi canoni si veggono i dis- ordini, che allora regnavano in Germania. Tra gli altri molti ec- clesiastici frequentavano le osterie, giuocavano ai dadi, entravano nei monisteri delle religiose, giuocava- no nei tornei, mantenevano concu- bine, entravano nei benefìzi per intrusione fraudolenta, e riceveva- no benefizi da mani laiche senza la collazione dell'Ordinario. I ve- scovi trascuravano in guisa la vi- sita delle loro diocesi, che trova- vansi persone sessagenarie, le quali non erano cresimate. Ne minore era il rilassamento presso i mona- ci: alcuni vestivano abiti secolari; si permetteva troppo alle religiose di uscire dai monisteri, e di prov- vedere in particolare al manteni- mento e al vestito loro. Per l'al- tra parte si dilapidavano i beni degli ecclesiastici, oltraggiavansi le loro persoue, erano impunemente uccisi , feriti , mutilali , carcerati ; tutti questi disordini erano l'effetto almeno in parte della lunga vacan- za dell' impero , della deposizione di Federico II, fatta nel concilio generale di Lione, dal Papa Inno- cenzo IV, ciocché avea ridotta la Germania in istato d' anarchia. I concili perciò radunati non vi op- ponevano che delle scomuniche e degl' interdetti ; deboli rimedi per mali gravi, particolarmente per le violenze, alle quali non si po- teva opporre che la podestà seco- lare. Regia t. XXVIII, Labbé t. XI, Arduino t. VII, e Diz. de Concili.

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Il p. Mansi, nel t. Ili, col. 129 e i3o del citato supplem., crede che debbasi aggiugnere agli atti di questo concilio quanto si legge nel- la cronaca di Eccardo, vale a dire che il vescovo di Toul, già fran- cescano, si oppose solo in questo concilio a ciò, ch'esigeva giusta- mente il Papa Onorio IV intorno ai beni ecclesiastici. Di più : un canone nel quale fu ordinato agli abbati, alle abbadesse, ai priori ec, che ritenevano alcuni possedimen- ti ecclesiastici per cauzione, avendo ricevuto più di quello che aveva- no prestato, dovessero restituirlo ai prelati delle chiese cui appartene- vano i detti beni in origine. Lo stesso p. Mansi nel tom. HI, col. 343 e seg. cita un' assemblea te- nuta in Erbipoli pel ristabilimen- to della pace in Germania nel i 1 2 1 ; e dice che non va confusa con l' altra di cui parla Anselmo di Gemblac, dappoiché in questa nulla fu conchiuso, ciò ch'ebbe luo- go neh' altra.

ERCAVICA, o ERGA VIC A. Cit- tà vescovile della Spagna Tarra- gonese, già abitata dai celtiberi , al sud di Bilbilis, ed assai una vol- ta considerabile. Tito Livio, par- lando della campagna di Gracco , dice che Eigavica, città illustre e possente, cadde in potere di lui. Strabone la cita come una di quel- le, il cui territorio fu il teatro del- la guerra tra Sertorio e Marcello. Secondo il Morales, Ercavica, che altri pur chiamarono Ergavico., era situata tra la città di Cesarea e quella di Malina, dove scorgesi pre- sentemente un luogo chiamato Mu- da di s. Giovanni, nel quale tro- vansi molte vestigia d'antichità ro- mane. Queste vestigia sono nel re- gno d' Aragona, a cinque leghe del-

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la città d* Albarazin , o d' Albari- zin, fre due villaggi chiamati Grie- gos e Gualatiaz, dove secondo l'an- tica tradizione del paese, era si- tuata la città di Ercavica. Si tro- vava lungi da Segobriga o Arco- briga, il cui vescovato era soggetto a quello di Ercavica, ch'eretto nel sesto secolo venne sottoposto alla metropoli di Toledo. Erangli pure soggette le sedi di Compiuto, pre- sentemente Alcalà di Henares, Si- guenza, e Falera o Valeria, sog- gettate poscia a Cuenca. Ervarica fu distrutta interamente dai mori, ed il vescovato venne trasferito in Albarizin, Lobetum, siccome il luo- go più proprio, ed il più fotte pei vescovi e pei cristiani, dopo avere avuto ventisette vescovi. Albarazin è suffraganea dell' arcivescovo di Saragozza ; la sua cattedrale è de- dicata al ss. Salvatore; il capitolo ha quattro dignità, otto canonici compreso il penitenziere, e diversi beneficiati. Un prete esercita ivi le funzioni di parroco, vi sono pure nella città due altre parrocchie, tutte munite di battisterio. L'epi- scopio è contiguo alla cattedrale; vi sono quattro monisteri, e con- venti di religiosi, ed uno di mona- che, come avvi il seminario, l'ospe- dale, e il monte di pietà. Ad ogni nuovo vescovo la mensa è tassata nei libri della camera apostolica in fiorini cinquanta.

ERCOLAJNI Luigi, Cardinale. Luigi Ercolani, discendente da no- bile famiglia di Sinigaglia, nacque in Foligno a' 17 ottobre del 1758. Mandato a Roma da' suoi sino dai più teneri anni, fu educato nel no- bile collegio Nazareno dei pp. Sco- lopi , e compì i suoi studi nella nobile accademia ecclesiastica , e quindi continuò a dimorare quasi

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sempre nella medesima città. Seb- bene egli sia stato l'ultimo super- stite maschio di sua doviziosa fa- miglia, nondimeno restò sempre celibe, e benché secolare fu ognora più intento alla pietà, che alle cose mondane. Allorquando nel 1814 felicemente fu ristabilito in Roma il paterno e soave governo ponti- ficio, egli per la fiducia e stima eh* erasi guadagnata, meritamente fu scelto fra i membri della con- gregazione di governo temporanea- mente stabilita, ed ebbe il mini- stero delle finanze, avendo già fat- to parte della deputazione delle medesime finanze al cessare dell'e- ra repubblicana. Non andò guari, che, senza percorrere veruna car- riera prelatizia, Pio VII lo anno- verò tra i suoi prelati domestici, e lo promosse alla cospicua carica di tesoriere generale. Ne funse l'uf- fizio con zelo, integrità, e con van- taggio de'luoghi pii, i quali pel cam- biamento dell'amministrazione stra- niera, che li avea soppressi , suc- cessivamente andarono a ripristi- narsi. Rapida perciò ne fu la pro- mozione alla sagra porpora; laon- de Pio VII agli 8 marzo 1816 lo creò Cardinale diacono, e lo riser- vò in petto: poscia lo pubblicò nel concistoro de' 11 luglio del mede- simo anno. All' articolo Diaconie Cardinalizie (Vedi), dicemmo co- me il Cardinale passò all'ordine presbiterale col titolo di s. Marco, essendosi ordinato sacerdote. Il me- desimo Papa, nel 18 18, lo fece ab- bate commendatario, ed ordinario dell'abbazia di s. Maria di Farfa, e di s. Salvatore maggiore. Di que- sto pastorale governo fa onorata menzione il eh. monsignor Marino Marini, nella Serie cronologica di questi abbati, a pag. 28, e quali-

ERC fica il nostro Cardinale uomo re- ligiosissimo, e degli indigenti largo sovvenitore. Ebbe egli questa ab- bazia per alcun tempo, prima in governo, poi in amministrazione, e dopo di lui fu dal Papa conferita al Cardinal Cavalchini. Ma questi, avendola quasi subito abdicata, ven- ne di nuovo Ercolani destinato a presiedervi, e la ritenne sino alla morte. Di questa abbazia il Cardi- nale fu provvido benefattore, sia col l'istaurare le chiese, cui fece dono di suppellettili ed arredi sagri , e sia col migliorare i fondi delle pa- niceli i e, facendo rifiorire il semi- nario di s. Salvatore, coll'incorag- gi mento accordato ai maestri, e col mantenervi a sue spese undici gio- vanetti. Ai suoi diocesani in più. modi fu utile, ed estese la sua ge- nerosità persino alla chiesa di s. Salvatore in Campo di Roma, per- chè soggetta all'abbazia di Farfa, operandovi utili ristauri. Fu inol- tre prefetto dell'economia della sa- gra congregazione di Propaganda Fide, e fece parte di quella de' ve- scovi e regolari, del concilio, della correzione de' libri della Chiesa o- rientale, della fabbrica di s. Pie- tro, di consulta, del buon governo, della lauretana , e dell' economica. Eziandio fu visitatore apostolico dell' arciconfraternita della ss. An- nunziata , e del monistero de' ss. Giacomo e Maddalena , non che con visitatore della pia casa de' ca- tecumeni. Fra le sue protettone, nomineremo la benemerita congre- gazione di s. Ivo, il collegio dei maroniti, e quello dei caudatari, le arciconfraternite degli agonizzan- ti, del ss. Crocefisso, di s. Girola- mo della carità , del monistero di s. Orsola di Foligno, delle bene- dettine di Corneto, e delle cappuc-

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cine di Fabriano ; dell' intero Or- dine carmelitano ; della congrega- zione del buon Gesù di Foligno , della città di Sinigaglia, di Pergo- la e di Poggio Mirteto. Fu an- che grande di Spagna, e gran cro- ce dell'Ordine della Concezione. D' animo grande, \isse con decoro corrispondente alle sue ricchezze , e con una carità verso i poveri , la quale non avea altri limiti, che quelli delle proprie forze. Dopo es- sere intervenuto al conclave per l'elezione di Leone XII, e di aver beneficato la sua chiesa titolare, al modo che dicemmo al voi. XII, pag. 88 del Dizionario, nonché i propri famigliali, assalito da una paralisi, con lenta e dolorosa ma- lattia finì di vivere a' io dicem- bre 1825, nell'età di sessantotto anni, e fu deposto in mezzo alla detta chiesa titolare, con corrispon- dente e decorosa iscrizione di elo- gio.

EREDIO (di s.) Elia, Cardina- le. Elia di s. Eredio volgarmente saint Yrieix, nacque in Attano, og- gidì s. Aredio nel Limosino, e pro- fessò nell'Ordine di s. Benedetto . Nel i335 divenne abbate di s. Fiorenzo, nella diocesi di Samur, e ricevette la laurea nel diritto ca- nonico. Ma spinto dal desiderio di condurre una vita più austera, co- me scrivono parecchi autori , ab- bracciò l'Ordine minoritico, presso il quale così si distinse nella più pro- vetta virtù, che il Papa Clemente VI, nel i345, lo promosse al ve- scovado di Uzes. Non mancano pe- rò scrittori, tra' quali Giorgio Eggs, nel Supplemento alla porpora dot- ta, i quali dimostrano con forti prove non esser vero quel passag- gio dalla benedettina alla france- scana famiglia ; e il Baluzio nelle

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Note alle vite de' Papi di Avigno- ne, t. I, tacendo questo fatto, scri- ve che il monaco Elia fu uditore delle contraddette. Nel novembre del 1 35 1 trovossi presente al con- cilio provinciale celebrato nella cat- tedrale di Beziers dal Cardinale Pietro del Giudice, arcivescovo di Narbona. Fu promosso quindi al Cardinalato in Avignone da Inno- cenzo VI a' 19 dicembre del i356, e gli fu assegnato il titolo di s. Stefano in Montecelio. Da questo però, nel 1 363, dopo la morte del Cardinal Alberti, passò al vesco- vado di Ostia e di Velletri. Fu an- che in seguito designato coi Car- dinali deputati a giudicare la cau- sa di Riccardo, arcivescovo di Ar- ni acano, contro i frati mendicanti. Innocenzo VI gli diede eziandio la commissione di esaminare la con- troversia insorta tra il vescovo di Valence e Aimaro conte di Poi- tiers, a cagione del castello di di- sta. Così pure Urbano V lo de- stinò giudice della quistione, che allora si agitava tra il capitolo del- la cattedrale di Parigi , e quello della collegiata di s. Benedetto. Pose fine alla mortale carriera in Avignone, l'anno 1367, e in quella cattedrale ebbe la tomba. Scris- se alcune opere, di cui al presente non si ha memoria alcuna : anzi da molti scrittori vengono piutto- sto attribuite al Cardinale Elia di Nabilan {Vedi).

EREMBERTO (s.). Nacque s. Eremberto nel contado di Poissy, e sentitosi chiamato allo stato mo- nastico andò a ricoverarsi nel con- vento di Fontenelle. Clotario UT, informato della santità e dottrina di Eremberto, lo propose alla sede vescovile di Tolosa. Obbedì egli contro sua voglia , e resse quella

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diocesi con saggio ed edificante governo pel corso di anni dodici , in capo ai quali, attesa la sua vec- chiaia e i molli acciacchi, non po- tendo più attivamente disimpegna- re il gelosissimo incarico, si dimi- se spontaneo, e tornò di bel nuo- vo al suo monistero, sotto la di- rezione di s. Lamberto, successo a s. Vandrillo. Morì santamente verso Tanno 671, e la sua festa è asse- gnata a' 14 maggio.

EREMITA (Eremita, Anacho- reta, vir solitarius). L'eremita è un uomo divoto, che si è ritirato nel- la solitudine, per meglio dedicarsi a Dio , attendere alla orazione, ed alla contemplazione delle cose ce- lesti, ed ivi vivere lontano dal con- versare del mondo. Eremita è voce greca, che significa solitario. Si di- stingue T eremita dall' Anacoreta (Vedi), perchè questi discostandosi dalia conversazione umana, vive so- litario nei deserti, cibandosi di er- be, o altri prodotti e fruiti della terra, ad imitazione di s. Giovanni Battista. Anacoreta poi si chiama colui, che nel proprio monistero vive separato dagli altri monaci chiusi nella cella, come sono, al dire del Macri, i camaldolesi ere- miti, ed i certosini. I maroniti li chiamano Habis, che significa im- prigionato. Appresso di essi vi sono anche vescovi , che nei monisteri fanno vita da anacoreti, chiusi, e separati dagli altri monaci, e vi- vono in perpetuo silenzio. Il Mu- ratori, nelle Dissert. sopra le an- tichità Italiane, nella dissero LXV, sull'erezione de' monisteri , e del- l'istituto de' monaci, dice che una volta furono rinomati anche gì'//*- chiusi, cioè gli eremiti antichi , la vita austera de' quali si tirava die- tro l'ammirazione d'ognuno. E fu

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dopo il terzo secolo della Chiesa, che cominciarono a vedersi uomini di tal pietà, che si confinavano nel recinto di una Cella (I ''etli), dove senza uscirne giammai menavano il resto della vita, superando coloro che si chiamavano anacoreti. Du- ro questa sorte di monaci per più secoli, e quantunque da Cassiano, e da s. Isidoro non sia approvato l'istituto loro, pure dal popolo ris- cuotevano una gran venerazione. Tali si possono chiamare anche gli stiliti, famosi in oriente. Trovatisi ancora vergini e donne, che chiu- se in qualche cella , seguitarono questa maniera di vivere. V. Ere- mo, e Disciplina Regolare.

Alcuni fanno rimontar l'origine della vita eremitica sino ad Elia, ed a s. Gio. Battista. Però l' opi- nione più comune è che s. Paolo primo eremita, nativo della bassa Tebaide, fosse il padre, ed il pri- mo degli eremiti. Le persecuzioni contro i seguaci del vangelo die- dero occasione ai primi cristiani d'ambo i sessi, di ritirarsi nei de- serti tanto per evitare le crudeltà dei tiranni, quanto per praticarvi gli esercizi della vita Asceta, o A' scetica (Vedi). Che la vita solita- ria e monastica venisse introdotta nella Chiesa sino dai suoi primi tempi, lo si legge nel Ruinart, Atti sinceri de martiri. Che poi lo stato eremitico sia eccellente in stesso, lo abbiamo dagli scritti de' santi padri pieni di elogi su questo pun- to. Parecchi fra loro vi hanno pas- sato una parte della loro vita, ed ingiustamente gli eretici la condan- nano, come dimostra il Bergier al- la voce Eremita. Egli dice : « alla parola Anacoreta abbiamo fatto 1' apologia della vita solitaria , ov- vero eremitica, e contro la stolta

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censura dei filosofi increduli, mo- strammo, che un tal genere di vi- ta non è un effetto di misantro- pia, ne una violazione dei doveri della società e dell'umanità, ne un esempio inutile al mondo, e con- futammo i tratti satirici lanciati dai protestanti contro gli eremiti ". Forse alcuni scelsero questo gene- re di vita per non essere dipen- denti, altri per nascondere il liber- tinaggio col velo della pietà; ma questi abusi non sono giammai stali comuni , ed assai ingiustamente gli increduli ne accusano i solitari in generale. Gli antichi storici, ed an- che i romanzieri parlano con ve- nerazione degli eremiti ; compren- devasi che se non ne fosse stata sincera la pietà , non avrebbero perseverato lungo tempo nella vita austera , che avevano intrapreso. Tra gli stessi protestanti si forma- rono alcune società, che, tranne il celibato, hanno molta rassomiglian- za colla vita degli antichi cenobi- ti: tali sono gli emuli, o ernute- rii , setta di entusiasti introdotta negli ultimi tempi nella Moravia , nella Veteravia, nell'Olanda e nel- T Inghilterra, conosciuti sotto il no- me di fratelli moravi.

Si distinguono due sorta di ere- miti ', gli uni sono attaccati a qual- che regola appartenente alla Chie- sa, e vivono sotto un legittimo su- periore ; gli altri non lo sono , e portano solamente l'abito, che pos- sono dimettere quando loro piace. I primi eremiti sono veri religiosi, e godono dei privilegi propri del elencato ; gli altri non lo sono, e perciò non godono. Di questi ultimi ve ne sono nelle chiese sub- urbane di Roma, e in qualche chiesa di titolo, o diaconia cardi- nalizia, poste ne'rimoti luoghi del-

3ERE 3r

la città, i quali hanno la custodia di dette chiese, incedono in abito religioso di lana naturale, vivono di questue, ed oltre che dai supe- riori delle rispettive chiese, sono dipendenti dal Cardinal vicario. Qui appresso riporteremo i prin- cipali Ordini , e congregazioni di eremiti, secondo l'epoca de' tempi, in cui furono istituiti, i quali però nella maggior parte più non esi- stono.

Eremiti di s. Paolo. V. S. Pao- lo rumo eremita, Ordine religioso.

Eremiti di Monte Luco. Rac- conta il Bonanni , Catalogo degli Ordini religiosi, par. HI, pag. IX, che in un monte poco distante dal- la città di Spoleto, chiamato Mon- te Luco, vivono alcuni eremiti, i quali riconoscono la loro istituzio- ne da s. Giovanni di Antiochia. Questi si recò in Italia, fu creato vescovo di Spoleto dal Pontefice s. Caio, e patì il martirio sotto Mas- simiano 1' anno 3o4- Ciascuno di questi eremiti vive ritirato in sepa- rate celle, come gli eremi de' ca- maldolesi. Riconoscono però, e di- pendono da un capo chiamato il priore, che eleggesi ogni anno con voti segreti : vi sono sacerdoti e laici, i primi chiamati padri, i se- condi frali. Però tali eremiti pel- le vicende de' tempi, terminarono di esistere nel secolo decorso. L'a- bito nella forma partecipava di quello dei paololti, ed il colore era cannella scuro. Dopo averlo preso facevano un anno di noviziato, in- di erano ammessi nella congrega- zione senza voli , onde potevano ritirarsi, od essere licenziati. Si e- sercitavano negli esercizi spirituali e manuali ; potevano possedere be- ni stabili, e quanto raccoglievano dai benefattori ponevasi in comu-

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«e. Alcuni di questi eremili anda- vano scalzi , altri usavano scarpe o zoccoli, e fuori del romitorio portavano il cappello , il bastone e la sporta, come si vede nella fi- gura, che produce il Bonanni. Di questi religiosi si leggono le noti- zie storiche nel Jacobilli nella vita di s. Francesco di Paola, nel Leon- cilli, e nel Campelli nella storia di Spoleto. Ma da ultimo, nel i836, vennero compendiate dottamente nell' Orazione accademica illustra- ta con erudite notte, e detta per la solenne distribuzione de' premi dell' arcivescovile seminario Spole- tino. Ivi, a pag. 22, si legge che negl'impuri boschi, e ne' delubri del monte Luco, mercè i Benedet- ti e gl'Isacchi, ebbero culla i ce- nobiti di occidente. Si celebrano i superstiti eremi, e pel primo quel- lo maggiore di Nostra Signora del- le grazie, eretto dal vescovo di Spoleto Sanvitale, e dal Cardinal Cibo abbellito; cosi si parla del luogo prescelto a sua dimora da s. Isacco e suoi compagni e con- sorti nel martirio, che patirono sotto Domiziano e Massimiano. Si descrive il cenobio di s. Giuliano, la cui chiesa vuoisi uno de'migliori monumenti dell'architettura più re- mota del medio evo. Essa fu eretta da un altro s. Isacco, abbate coetaneo di 8. Benedetto, colla sovvenzione del- la santa vergine Spoletina Grego- ria. Ivi dicesi essere questo santo l' istitutore di quella schiera av- venturosa di santi eremiti, che po- polarono i romitori del monte Lu- co. I cenobiti di s. Giuliano adot- tarono poscia la regola benedettina, e con essa fiorirono per lunga età, ed ebbero santissimi abbati e mo- naci sepolti in detta chiesa, mentre le ceneri di s. Isacco riposano in

ERE quella di s. Ansano. S. Isacco vuoi- si scrittore di monastiche regole pei cenobiti del monte Luco. Negli eremi pur eretti con austeri ordi- namenti, rinnovati dal celebre Vi- gile vescovo di Spoleto, fiorirono romiti di provata santità, tra'quali fra Egidio di Gregorio da Spole- to, e il b. Gregorio di s. Brizio, che oggi si venera in un altare dedicatogli nella metropolitana spo- letina.

Eremiti di s. Agostino. V. Ago- stiniani O EREMITI DI S. AGOSTINO, ED AGOSTINIANI SCALZI.

Eremiti Camaldolesi di Tosca- na. V. voi. VI, pag. 297 del Di- zionario s tuttora esistenti.

Eremiti fondati da s. Guglielmo di Vercelli. V. Monte Vergine, tuttora esistenti.

Eremiti fondati da s. Gugliel- mo. V. Guglielmiti.

Eremiti di Monte Bello. V. Gi- rolamini fondati dal b. Pietro Gam- bacorta, tuttora esistenti.

Eremiti Girolamini. V. Girola- mini istituiti nel secolo XV in Fie- sole. V. Girolamini di Fiesole, non più. esistenti.

Eremiti Camaldolesi di Monte- Corona. V. voi. VI, pag. 3oi del Dizionario, tuttora esistenti.

Eremiti detti Coloriti. 11 p. Fi- lippo Bonanni gesuita, nella sua parte I del Catalogo degli Ordini religiosi, a pag. CXXXVII, tratta dell' eremita religioso detto colori- to, e ce ne la figura e le no- tizie. Racconta egli, che nel regno di Napoli eravi un Ordine reli- gioso, il quale si chiamava de' co- loriti da un colle di Calabria, co- si detto, situato presso la terra di Morano nella diocesi di Cassano, sul qual colle era un'antica e di- vota chiesa, dedicata alla gran Ma-

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dre di Dio. Un pio sacerdote, chia- mato Bernardo, nativo della terra di Regiano, fabbricò presso tal chie- sa un piccolo tugurio, dove, ve- stito un abito aspro di eremita, viveva in continue orazioni e peni- tenze, e venerato da tutti quelli che visitavano la chiesa. Perciò al- cuni furono allettati a vivere seco lui, e quindi la principessa di Bi- signano donò loro, nel i552, il colle con tutto il territorio.

Questa concessione, venendo con* fermata da Pio IV, nel i56o, si accrebbe in essa il numero degli e- remiti. Avendo poi ordinato s. Pio V, nel 1567, che tutti quelli i quali vestivano abiti differenti dai secolari, o li lasciassero o profes- sassero i voti religiosi, questi ere- miti elessero di vivere sotto la re- gola degli eremiti di s. Agostino; il perchè nel 1592 professarono pubblici voti, ritenendo però il nome di coloriti, e l'abito, eh' è una tonaca, un cappuccio largo e tondo, sopra del quale usavano un mantello corto, il tutto rozzo, e di lana dei colore naturale , come di lana era la cintura. Volle però monsignor Fivizano, allora vicario generale dell' Ordine romitano di s. Agostino, che portassero sotto la cintura di lana quella di cuoio propria degli eremiti agostiniani, e che gli oblati la portassero sul- la tonaca. Questa congregazione con- fermata da Clemente Vili, si dilatò in guisa che nei primi del secolo de- corso contava undici conventi, go- vernati da un superiore col titolo di vicario generale. La vita di fr. Bernardo fondatore di questi ere- miti, nel 16 io fu pubblicata colle stampe da Gio. Leonardo Tufa- rello.

Eremiti di .9. Giovanni della

VOL. XXII.

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penitenza. Nel regno di Navarra, e principalmente presso la città di Pamplona, fiori questa congre- gazione religiosa, distribuita, come riferisce il Maurolico, in cinque eremi, in ciascuno de' quali vive- vano otto eremiti . Il primo si chiamava di san Clemente , il secondo della Madonna di Mon- serrato, il terzo di s. Bartolom- meo, il quarto di san Martino, l'ultimo di s. Fulgenzio. Vivevano con molta austerità, camminavano con piedi nudi, vestivano con pa- no grosso di lana, osservavano con- tinuo silenzio, cibavansi di legumi, e bevevano acqua; si disciplinava- no tre volte la settimana, ed ogni giorno nella quaresima ; dormivano sulle nude tavole , e portavano sempre pendente dal collo una cro- ce di legno assai pesante. La to- naca , che cingevano attorno ai lombi con cintura di pelle, era di colore lionato, come il corto man- tello, il quale ne cuopriva le spal- le. Fiorì questa congregazione di penitenti per molti anni soggetta al vescovo di Pamplona; ma reca- tosi in Roma il superiore, ottenne da Gregorio XIII l' approvazione delle costituzioni, e l'esenzione dalla giurisdizione vescovile, oltre la fa- coltà di eleggere un provinciale da cui tutti gli eremiti fossero gover- nati. V. il p. Bonanni, Catalogo degli Ordini religiosi, parte I, pag. CXXIII, ove pure ce ne la fi- gura. Tratta di questi eremiti an- che il Bergier, al proprio articolo. Eremiti di Roma. Narra il Fa- nucci, nelle Opere pie di Roma, che un certo Albenzio Rossi cala- brese, della terra di Cedraro, dopo avere per lungo tempo cercata l'e- lemosina per l'arciconfraternita del- la Carità dei cortigiani, e per le 3

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zitelle del Conservatorio di s. Ca- ieri fid. dt Fu nari (ledi), fondò coi soccorsi di pii benefattori in Ro- ma, e presso la porta Angelica nel- la città Leonina, un piccolo ospe- dale. Quivi egli riceveva i poveri romiti forestieri per alloggiarli , e prmcipalmente assisterli se infermi. Ad aiuto di questa opera elesse de' compagni , i quali cercassero l'elemosina, dicendo con voce alla: Facciamo bene adesso che abbia- mo tempo. Vestivano panno grosso di lana bianca, ed incedevano per Roma co' piedi scalzi , e col cap- pello in una mano, tenendo nell'al- tra la bussolelta per ricevere l'ele- mosine. Appresso 1 l'ospizio, o speda- le, eravi una piccola chiesa dedi- cata all' Ascensione del Signore , nella quale il fondatore di questi eremili co' compagni, recitava le litanie con altre orazioni. Il Paa- ciroli dice, che la chiesa con ap- provazione di Sisto V, fu fabbri- cata nel 1 588. La loro congrega- zione, che sembra incominciata nel i588, successivamente si aumentò senza professare voti religiosi, per cui molti individui presero l'abito eremitico. Nella chiesa Albenzio po- se una divota immagine della b. Vergine, la quale nel 1587 avea portato da Terra santa, e pei mi- racoli e per le grazie, che Dio ope- rava a favore di quanti con divo- zione ad essa ricorrevano, prese la denominazione di s. Maria o Ma- donna delle Grazie, e pel concor- so, e per 1' elargizione dei fedeli , massime del Cardinal Laute, si po- tè edificare la bella chiesa, che tut- tora sussiste , rimanendo sempre l'immagine in particolar venera- zione. Perchè poi rimanesse la me- moria dell'antico titolo della chie- sa , Albenzio le dedicò la prima

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cappella, eh' è sagra nll'AsceiiMcnc. Gli eremiti vivevano sotto la pro- tezione di un Cardinale con vita comune, dando ogni giorno da mangiare a tredici poveri, secondo l'istituzione del fondatore. Celebra- vano la festa dell'Ascensione, e quel- la della beata Vergine agli 1 1 giu- gno, perchè in tal giorno nell'an- no 16 18 fu per la prima volta esposta alla pubblica venerazione , ovvero perchè fece il primo mira- colo. L'abito adottato poscia da questi eremiti, è, come si vede nella figura riportata dal p. Bo- nanni, nel Catalogo degli Ordini religiosi, par. 111. pag. XIV, ove riferisce le notizie di essi. Consiste- va in abito di tela grossa bianca corto, mantello pure corto, cap- pello bianco. Siccome poi non por- tai ano calze, usavano scarpe o sandali , come scrive il Piazza , Opere pie di Roma _, pag. 35, capo X Dello spedale dell' 'Ascen- sione de' romiti a porta Angelica. Questo scrittore aggiunge, che Cle- mente X collocò in una parie del convento dei romiti un ospizio pei convertendi (Vedi), eie è per quelli che recavansi in Roma ad abiura- re gli scismi e le eresie, avendo contribuito a lodevole impresa il Cardinal Cesare Rasponi coli' e- redità a tal effetto lasciata. In pro- gresso di tempo l' ospizio venne trasferito ove ora sta , presso la chiesa di s. Giacomo Scossacavalli in Borgo. Cessando poi di esistere gli eremiti, in vece la chiesa ed il contiguo convento si diedero ai re- ligiosi della Penitenza (Vedi), delti degli Scalzetti, dopo la metà del secolo decorso. A detto articolo si riparlerà della Chiesa di s. Maria delle Grazie.

Eremiti di monte Senario. Nel-

ERE l'anno 150,3, Lelio Baglioni fioren- tino, generale dell'Ordine de' servi di Maria, vedendo che nel monte Settario, ove ebbe principio la sua religione, e dove erano sepolti i corpi dei beali fondatori, abitavano in luogo angusto tre suoi religiosi, determinò di fabbricarvi dappresso una chiesa, con decoroso convento. All'uopo ottenne, nel 1 601, da Cle- mente Vili, mediante la bolla De- cet, facoltà di porre ad effetto il suo desiderio, che eseguì a tenore della pontificia prescrizione . Nel nuovo convento pose sette sacerdoti con alcuni laici, i quali vivessero conforme alla primitiva fondazione, non mangiassero mai carne, digiu- nassero ogni seconda e quarta feria dell' anno e il venerdì , ma nella quaresima ed avvento il digiuno di tali tre giorni fosse di pane ed acqua ; come ancora prescrisse, che vivessero in perfetta vita comune. Questo eremo venne dichiarato a- derente al convento di Firenze, det- to della ss. Annunziata, e soggetto al generale dell' Ordine. Dipoi il medesimo Clemente Vili, colla bol- la In his rebus, confermò la pre- cedente, ed ordinò che tra gli e- remili fosse eletto un vicario, auto- rizzandolo ad accordare agli infermi di mangiar carne. Indi Paolo V ag- giunse col disposto della bolla Se- dis Apostolicae, emanata nel 16 12, la facoltà di accettare i novizi, miti- gando il digiuno in pane ed acqua nel mercoledì. Questi eremiti ve- stivano di panno nero, con to- naca, pazienza e cappuccio , con un mantello lungo, e colla barba come i cappuccini. Michele Fioren- tino, ed altri storici de Serviti {Ve- di), descrissero questo eremo, ed i religiosi eremiti, non che il p. Bo- natini, Catalogo degli Ordini religio-

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si, p. I, pag. CXXV1I, ove ne riporta anche la figura. Tali eremiti cessa- rono di esistere nel decorso secolo EREMO (Eremiti). Luogo solita- rio e deserto , soliludo, focus de- serlus , dove abitano gli Eremiti [Fedi). Pigliossi ancora sovente il nome di eremo per solitudine, o deserto renoso, ed ancora si chiamò eremitaggio o remilaggio, ed anco ere- mitorio e romitorio. Anticamente gli eremi erano in luoghi incolti e sel- vaggi, o anche nel più folto o nel più cupo delle foreste meno frequen- tale. I solitari, che vi si ritiravano, non crede vansi mai abbastanza lonta- ni dal commercio degli uomini; ma la fama delle loro virtù si spar- geva loro malgrado, e procurava ad essi a poco a poco ammiratori, di voti e discepoli, co'quali talvolta edificarono un monistero {Vedi) , coltivavano e mettevano a frutto i terreni che trovavano all'intorno, o anche diboscavano le foreste vi- cine. Perciò siffatti diboscamenti, e bonificazioni agricole furono soven- te cagione, che vicino a quegli e- remi primitivi si riunissero abita- tori, e formassero borghi e città. Loda la solitudine, ne dimostra i pregi con opportuni testi, massime di s. Bernardo de laudibus eremi, il Sarnelli nella lettera XLV1I , Dell'amore della solitudine, nel t. VII delle sue lettere ecclesiastiche. Dal p. Menochio, Stuore, tom. I, p. 604, abbiamo il cap. LVIII, del Monserrato di Spagna, dell'imma- gine di Nostra Signora, che quivi si venera , e degli eremiti, che spar- latamente abitano in quel monte. Degli eremiti , e della loro varia condizione, e tenore di vita, eru- ditamente tratta il Garampi nella dissertazione III delle sue Memorie ecclesiastiche.

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Narra il Sarnclli, loc. cit., che il celebre gesuita Toledo procurò in- darno presso Clemente Vili, che l'avea creato Cardinale, di rinun- ziare a tal dignità per ritirarsi in luogo solitario, e gliene scrisse os- sequiosissima lettera. Il Papa, che non voleva privare il sagro Colle- gio d'un uomo dotto e santo, lo fece chiamare e gli disse , che Dio voleva, che non lasciasse il suo uffizio; e licenziandolo, sorriden- do, soggiunse che insieme andreb- bono al deserto. Dalla solitudine di Majella nell'Abruzzo, fu tolto s. Celestino V, e collocato nella cat- tedra apostolica, ma per tornare ad essa, passati cinque mesi ed otto giorni , rinunziò solennemente al pontificato. E mentre Amadeo III, ultimo conte, e primo duca di Sa- voja, rinunziati i suoi stati, viveva nel romitaggio di Ripaglia, dagli scismatici del conciliabolo di Basi- lea fu eletto in antipapa col nome di Felice V, che poscia virtuosa- mente rinunziò per la pace della Chiesa. Del tempo in cui Amadeo stette nel romitaggio, e del tenore di vita ivi tenuto, parla nell'Isto- ria degli antipapi Lodovico Agnel- lo Anastasio, t. II, p. 2g5 e seg. Al presente gli eremi regolari so- no quelli degli eremili camaldolesi, come quello sopra Frascati, onorato dalla presenza di vari sovrani, e Cardinali, e da Benedetto XIV, lo è ogni anno dal regnante Grego- rio XVI. In quest'eremo, come nar- ra il Cardella nel t. VII, p. i42> nel 1666 fu tenuto un capitolo ge- nerale, composto di tutte le con- gregazioni dei camaldolesi, e pre- sieduto dal protettore di essi Car- dinal Volunnio Bandinelli.

ERESIA (Heresìs). Questa pa- rola greca, che al presente prende-

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si in mala parte, e che significa un errore pertinace contro la tede, non che i falsi e perversi domini e le opinioni contro il cattolicismo, in origine indicava una scelta, un partito, una setta buona o cattiva. Tale è il senso del greco hacresis, derivato da aeromai, prendo, scel- go, abbraccio. Dice vasi eresia pe- ripatetica, eresia stoica per indicare le sette di Aristotile e di Zenone ; e i filosofi appellavano eresia cristia- na la religione insegnata da Gesù Cristo. L'apostolo s. Paolo dichiara, che nel giudaismo avea seguito L'e- resia farisea, che fra gli ebrei era in pregio più di qualunque altra. Veramente, se eresia avesse allora significato un errore, questo nome for- se sarebbe convenuto più alla setta dei sadducei, che a quella de'farisei. An- che il Macri, nella Not. de vocab. eccl. , dice che questo nome tal- volta fu preso in buon senso dagli scrittori ecclesiastici. Sinesio chiamò Haeresim la filosofia; e Costantino imperatore servissi di questo voca- bolo per dinotare la religione cri- stiana, la quale Tertulliano ancora in buon senso chiamò divinavi se- ctam, de pali. cap. ult. L'eresia si definisce pertanto un errore volon- tario e pertinace contro qualche domma di fede. Altri la definisco- no un errore volontario ed ostina- to di un cristiano, riguardante una o più verità cattoliche, vale a dire verità rivelate da Dio, e proposte come tali ai cristiani dalla Chiesa. Quelli che vogliono scusare questo delitto, domandano come si possa giudicare se un errore sia volontario od involontario, colpevole od in- nocente, se proceda da una pas- sione viziosa, piuttosto che da una mancanza di lume. Ecco come ri- sponde il Bergiei ; i.°Che come la

ERE dottrina cristiana è rivelata da Dio, è una colpa voler conoscerla da se stessi, e non per mezzo di quel- li, cui Dio ha stabilito per inse- gnarla ; che voler scegliere una o- pinione per formarne undomma, è ribellarsi contro l'autorità di Dio; 2.0 Poiché Dio ha stabilito la Chie- sa, od il corpo dei pastori per am- maestrare i fedeli; quando la Chie- sa ha parlato, è un orgoglio perti- nace per parte nostra resistere al- la di lei decisione, e preferire i nostri lumi ai suoi ; 3.° La passio- ne, che ha guidato i capi di setta e i loro partigiani, si è manifesta- ta dalla loro condotta, e dai mez- zi che hanno adoperato per istabi- lire le loro opinioni. Aggiunge il Bergier, che Bayle definendo un Eresiarca (Vedi), suppone, che si possa abbracciare una opinione fal- sa per orgoglio, per ambizione di essere capo di partito, per gelosia, e per odio contro un antagonista, ec. e lo pruova colle parole di s. Pao- lo. Un errore asserito per tali mo- tivi certamente è volontario e col- pevole. Non può dirsi Eretico (Ve- di) colui che sostiene una cosa contraria alla decisione della Chie- sa, allorquando la sostiene in buo- na fede e per ignoranza. I teologi fanno varie distinzioni sulla eresia, come la formale, la materiale, e l'obbiettiva. La formale è quella di sopra accennata, vale a dire l'asse- rire una proposizione contraria alla fede, e questa ha tutti i caratteri op- posti a quella materiale, ed è in questo senso la massima .fuori del- la chiesa non vi è salute. La ma- teriale ha per oggetto una cosa contraria alla fede, che non si sa essere tale, per conseguenza, senza pertinacia, e colla sincera disposi- zione di sottomettersi al giudizio

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della Chiesa (Vedi). L'obbiettiva è pure contraria alla fede, sia che si conosca tale, o che non si conosca. I medesimi teologi dividono altresì l'eresia formale, in eresia mentale, o puramente interna, la quale non apparisce esternamente, ed in ester- na che si manifesta colle parole, o per qualche altro segno.

Iddio permise, che vi fossero e- resie sino dal principio del cristia- nesimo, e nel tempo in cui ancora vivevano gli apostoli, ad oggetto di convincerci che l'Evangelio non si è stabilito nelle tenebre, ma nella luce; che gli apostoli non sempre ebbero uditori docili, ma spesso trovarono di quelli eh' erano di- sposti a contraddirli; che se avessero narrati fatti falsi, dubbi, o soggetti a disputa, non avrebbero mancato di confutarli, e convincerli d'impostura. Gli stessi apostoli se ne querelarono, dicendo ch'erano contraddetti dagli eretici sopra i donimi (Vedi), e non sui fatti. Scrivendo s. Paolo a'Co- rinti, I, Cor., v. 19, disse loro: E necessario che vi sieno delle eresie, affinchè si conoscano quelli, la cui fede è messa alla prova. Come le persecuzioni servirono a distingue- re i cristiani veracemente attaccati alla loro religione, dalle anime de- boli e di virtù vacillante ; così le eresie separano gli spiriti leggeri da quelli che sono costanti nella loro fede; tanto riflette Tertulliano. Per altro era d'uopo che la Chiesa fosse travagliata, perchè si conoscesse la sapienza e la solidità del sistema che Gesù Cristo avea stabilito af- fine di perpetuare la sua dottrina. Era cosa buona, che i pastori in- caricati d'insegnare, fossero obbli- gati a fissar sempre i loro sguardi suir antichità, consultare i monu- menti, ricominciare senza iuterru-

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zione la serie della tradizione, non istaucar.si d'invigilare sul deposito della tede, ed essere stati costretti a farlo pei continui assalti degli eretici. Senza le dispute degli ultimi secoli, dice il Bergier, forse sarem- mo ancora immersi nello stesso sonno, che i nostri padri: dopo la turbolenza delle guerre civili la Chiesa suol fare conquiste. Qualo- ra gl'increduli vollero fare un sog- getto di scandalo della moltitudine di eresie, di cui fa menzione la storia ecclesiastica, non videro: i.° che la stessa eresia per ordinario si è divisa in molte sette, e alcu- ne volte ebbe dieci o dodici no- mi diversi; cosi fu de'gnostici, dei manichei, degli ariani, degli euti- chiani, e dei protestanti; i.° che l'eresie degli ultimi secoli furono una ripetizione degli antichi errori, come i nuovi sistemi di filosofia non sono che le visioni degli anti- chi filosofi; 3.° che gl'increduli stessi sono divisi in diversi partiti, e non fanno che copiare le obbie- zioni degli antichi nemici del cri- stianesimo.

Si osserva, che nel secolo de- cimo la divina Provvidenza dispo- se, che poche eresie turbassero la pace della Chiesa, in un tempo, che per la rozzezza, e sterilità del bene , e per l' abbondanza della malvagità , fu appellato il secolo di ferro, di piombo ed oscuro. La cattedra romana ne andò sempre esente, ed illibato si conserva il suo splendore, dappoiché, come dice il ven. Bellarmino, praefat. in lib. de Rom. Pont., » il Pontificato roma- no, non già nel consiglio urna- « no, non nella prudenza, non nel- " le forze per tanto tempo si è »» conservato , ma perchè questa pietra è dal Signore siffattameu-

ERE » te rinforzata, divinamente pian- « tata, dalla custodia degli angeli *> circondata, e dalla Mugolar prov- » videnza e protezione di Dio mu- » Dita siffattamente, che le porte »» dell' inferno in ni un modo po- » Iranno prevalere contro di essa; « e queste porte vengono figurate » per le persecuzioni de' tiranni, o »> per la rabbia degli eretici, o pel » furore degli scismatici, o per la « scelleraggine e malvagità degli » uomini ". Imi in uri-abili sono le provvidenze prese dai romani Pon- tefici contro le eresie, ed i concili che furono perciò celebrati, come la istituzione della Congregazione del- la santa romana ed universale in- quisizione, detta del s. Off/zio (Fe- di), principalmente preposta alla estirpazione delle eresie, che sono di grave danno pei fedeli e per la Chiesa. Fu il Papa Giulio HI, che pubblicò una bolla contro i secolari , i quali s' intromettessero nel conoscere i punti di eresia ; ed allora il senato veneto ordinò, che nei domimi della repubblica , agli inquisitori ecclesiastici fossero ag- giunti de' secolari. Prima di Giulio

III, già il predecessore Alessandro

IV, de haeret. in sexlo, aveva proi- bito a qualunque persona laica, sotto pena della scomunica, di dis- putare sulle eresie. V. il Bernini a pag. 449> cne «porta le disposi- zioni di Alessandro IV contro gli eretici.

11 p. Menochio poi, nel tomo I delle sue Stuore, a pag. 586, ci il cap. XLV Come s'intendono quel- le parole che la Chiesa dice nel- lojfizio della beata Vergine : Gau- de, Maria Virgo, cunctas haercses sola interemisti iu universo mundo. Fra le ragioni che riporta , note- remo essere stata la Madre di

ERE Quello, clie ha scacciato le tene- bre di tutti gli errori, quale mae- stra degli apostoli, la dottrina dei quali getta a terra tutte le eresie; e perchè ha dato particolare aiuto a coloro, che sono stati i campioni della fede, e si sono opposti all'e- retica perfìdia. I protestanti soven- te accusarono gli autori ecclesiasti- ci, che fecero il catalogo delle e- resie, come Teodoreto, s. Epifanio, s. Agostino, Filastrio,ec. di averle moltiplicate mal a proposito, di avere messo fra gli errori alcune opinioni ortodosse od innocenti ; ma i nemici della Chiesa cattolica sono cattivi giudici in materia di dottrina. Parecchi autori posteriori fecero la storia e il novero delle eresie, fra' quali faremo menzione di due. Domenico Bernini ci diede l' Istoria di tutte l'eresie, che com- pendiata ed accresciuta da Giusep- pe Lancisi , venne per la prima volta pubblicata in Venezia nel 1737, coi tipi del Salviati. L'altra è dell'abbate Pluquet, che compilò il Dizionario delle eresie, degli er- rori e degli scismi, che va sotto il nome di Tommaso Antonio Con- tin C. R., per aver tradotta l'opera dal francese, ed accresciuta con nuovi articoli, note ed illustrazio- ni, di cui nel j 77 r fu pubblicata in Venezia, nella tipografìa Garbo, la seconda edizione, corretta ed au- mentata di un sesto tomo intorno le frodi degli eretici, per cura del- lo stesso Conlin. Jn quest'opera a pag. XXVI si legge un erudito catalogo degli scrittori eresiologi, dal primo secolo al decimosesto e seguenti inclusive ; quindi seguono tre classi di notizie storiche : la prima rammenta i principali scrit- tori d' istoria ecclesiastica , i quali di anno in anno , o di secolo in

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secolo tanno esposta l'istoria delle eresie; nella seconda sono nove- rati gli scrittori eresiologi , che hanno formata l'istoria di tutte, o di buona parte delle eresie; nella terza sono notati i compendiatori d' istoria ecclesiastica , o eresiolo- gia. Tale opera va però letta con qualche cautela, avendovi gl'intel- ligenti notata qualche inesattezza , ed anche qualche errore. Nel tomo IV del supplimento della Bibliote- ca sacra ec. delle scienze ecclesia- stiche, dottissima opera pubblicata in Milano dall'editore Fanfani, a pag. 294 e seg., si legge un utile ed erudito catalogo delle eresie e degli eretici principali dal secolo primo dell'era volgare fino al se- colo decimottavo, sino al numero di duecento ottantotto ; coll'avver- tenza che per altre novissime sette discoperte del citato decorso seco- lo, e in principio del corrente, pre- cise notizie si pubblicarono a Pa- rigi, nel 18 14, da M. Gregoire, coli' opera intitolata: Storia delle sette religiose, che dal principio del passato secolo fino all'epoca attua- le, sono nate, o modificate, o estin- te nelle antiche quattro parti del mondo. Però è noto, che se Gre- goire è un uomo stimato per la dottrina, è però un autore, il quale si deve leggere con diffidenza, es- sendo stato un vescovo costituzio- nale, che dicesi sia morto senza ri- trattare l'errore.

Ulteriori e più recenti notizie finalmente, oltre quanto dicesi ana- logamente in vari articoli di que- sto Dizionario, si possono vedere nella Continuazione della storia del Cristianesimo 3 proseguita dall' ab. Giovanni Bellomo, e pubblicata in Venezia da Girolamo Tasso nel i832 ; e nella Istoria universale

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della Chiesa, dalla predicazione degli apostoli fino al pontificato di Gregorio XVI, del barone Hen- rion, di cui abbiamo un* edizione italiana pubblicata in Mandrisio nel i838, dalla tipografia della Miner- va Ticinese.

I fonti cattolici, donde può im- pararsi con sicurezza a fuggire l'er- rore, sono i concili, massimamente i generali, e le costituzioni ponti- fìcie. Siccome gli errori dominanti tra i latini sono stati principalmen- te condannati dall' ultimo concilio generale tenuto in Trento, così la santa Sede esige, che nel professare la fede si segua il medesimo con- cilio, e si dichiari colla forinola detta di Pio IV. Gli orientali poi si assoggettano ad una professione di fede più ampia, che scorre per tutti i concili generali finora cele- brati. Siccome gli errori dei gian- senisti sono stati condannati spe- cificatamente da Pio VI, colla bolla Auctorem fidei3 se si tratta di essi bisogna riportarsi a tale veneran- do documento; e bisogna pure ri- portarsi principalmente alla bolla del medesimo Pio VI, se trattasi degli errori della costituzione det- ta civile del clero di Francia. I Pontefici successori non hanno ces- sato di emanare gli opportuni de- creti, ai quali i veri cattolici, figli docili della Chiesa, attendono per sapere in tutto e per tutto le trac- eie, secondo le quali devono nel credere appuntino regolarsi.

ERESIARCA ( Haeresiarchus , Haeresiarcha ). Inventore o primo autore di un' Eresia (Vedi), ov- vero il capo di una setta di Ere- tici (Vedi). Dissero alcuni prote- stanti, che non è facile sapere che cosa sia un'eresia, e che è sempre una temerità trattare un uomo da

ERE eretico. Ma, come osserva Rergier, poiché s. Paolo comandò a Tito di schivare un eretico dopo averlo corretto una o due volte (e. 3, v. io), egli dimostra che si può co- noscere, se un uomo sia eretico, o no, se il di lui errore sia innocen- te o volontario, degno di perdono o di censura. Quelli che pretesero doversi tenere come eresie soltanto gli errori contrari agli articoli fon- damentali del cristianesimo, niente hanno guadagnato ; dappoiché non v' è alcuna regola certa per giudi- care se un articolo sia o non sia fondamentale. Un uomo dapprima può ingannarsi per buona fede; ma tosto che resiste alla censura della Chiesa, cerca far proseliti, formare un partito, congiurare, fare rumo- re, non più la buona fede lo fa operare, ma V orgoglio e V ambi- zione. Quegli eh' ebbe la disgrazia di nascere ed essere allevato in se- no all'eresia, di succhiare sin dal- l'infanzia l'errore, certamente è molto meno reo; ma non si può conchiudere che sia innocente , specialmente quando può conosce- re la Chiesa cattolica ed i carat- teri, che la distinguono dalle diver- se sette eretiche, ovvero sospettar- ne. Tanto male, tanto grave dan- no, tutto si deve agli eresiarchi* Nel secolo primo della Chiesa in- sorsero gli eresiarchi Simone il Ma- go, Cerinto ed Ebione, Menandro, Imeneo, Filetto, ec. V. Semidei, Compendio della storia degli ere- siarchi_, Napoli 1737; e Travasa, Storia critica delle vite degli ere- siarchi del primo secolo della Chie- sa, Venezia 1752.

I più antichi eresiarchi sino a Manete capo de' manichei, insorto nel terzo secolo, inclusivamente fu- rono o alcuni Ebrei (Vedi), che

ERE volevano assoggettare i cristiani al- ia legge di Mosè, od alcuni paga- ni mal convertiti , che volevano sottomettere la dottrina cristiana alle opinioni della filosofia; dap- poiché i filosofi di que' tempi non videro senza gelosia un popolo che dispregiavano, divenuto senza stu- dio infinitamente più illuminato di essi sulle questioni più interessanti il genere umano, sulla natura di Dio e dell' uomo , siili' origine di tutte le cose, sulla provvidenza che governa il mondo, sulla regola dei costumi. Cercarono appropriarsi una parte di queste ricchezze, per far credere che si dovevano alla filosofia, anziché al vangelo. Una religione rivelata da Dio, che pro- pone di credere dei misteri , sot- tomettere la ragione e la curiosità al giogo della fede, vincolare le passioni colla morale severa del vangelo, questo è un doppio sagri- fì/io penoso alla natura ; non è perciò meraviglia, che in ogni se- colo si sieno trovati uomini poco disposti a farlo, o che dopo di a- verlo fatto, tosto sieno ritornati ad- dietro. I capi dell'eresie non fece- ro che portare nella religione lo spirito contenzioso, inquieto, gelo- so, il quale regnò sempre nelle scuole di filosofia. Gli eresiarchi più antichi, e che furono in istato di verificare i fatti riferiti nell'e- vangelo, non ne contrastarono mai le verità, e sebbene impegnati a screditare la testimonianza degli apo- stoli, non ne negarono la sincerità. ISe un eresiarca potesse preve- dere la sorte della sua dottrina , non avrebbe coraggio giammai di pubblicarla. Non v' è un solo, i cui sentimenti sieno stati fedelmen- te seguiti dai suoi proseliti , che non abbia prodotto guerre intesti-

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ne nella sua propria setta, che non sia stato confutato e contraddetto in molti punti da queglino stessi, che avea sedotti ; gli uni dicono anatema agli altri, ed entrambi ar- rossiscono del nome del loro fon- datore ; i luterani non seguono i sentimenti di Lutero, ne i calvini- sti quelli di Calvino. Nel terzo se- colo Tertulliano, nel lib. de prete- script.y descrisse anticipatamente gli eresiarchi di tutti i secoli ; ed E- rasmo ne fece un ritratto perfet- tamente simile. Rigettano, dice Ter- tulliano, i libri della Scrittura che danno loro fastidio , interpretano gli altri alla loro foggia, non si fanno scrupolo di cambiare il sen- so nelle loro versioni. Per acqui- stare un proselito, gli predicano la necessità di esaminar tutto, di cer- care la verità da stessa ; quan- do lo hanno acquistato non per- mettono più che loro contraddica. Lusingano le donne e gì' ignoran- ti, col far loro credere, che ben presto sapranno più che tutti i dottori ; declamano contro la cor- ruzione della Chiesa e del clero; i loro discorsi sono vani, arrogan- ti, pieni di fiele; camminano die- tro a tutte le passioni umane ec. ec. Gli eresiarchi nello spargere gli av- velenati loro dommi contro la pu- rità della vera fede, presero lo spe- cioso titolo di riformatori, con dia- bolica astuzia dimostrando ad ogni qualità di persone, che gli eccle- siastici della Chiesa romana vive- vano affatto alieni dalle regole del- la primitiva Chiesa, come dice- vano Lutero e Calvino. Per tal guisa gli eresiarchi acquistarono credito e concetto in modo da ti- rare molti altri al loro partito, non tanto dell'infima plebe, ma anco- ra della primaria nobiltà , illustri

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per untali, e pei vasti loro domi- mi, il che assai contribuì a dilata» re 7Ìe più i loro errori. Fede rito 11, il Grande, re di Prussia, ed anche celebre filosofo, parlando del protestantismo, dice che Io propa- gò in Germania l'avidità de' prin- cipi per occupare i beni ecclesia- stici ; in Inghilterra la passione del re Enrico Vili per le donne: in Francia una canzone, che aveva per ritornello: O frati, frali do- vete ammogliarvi.

ERETICO (Haerelicus). Segua- ce o difensore di una opinione contraria alla credenza della Chie- sa cattolica. Sotto epiesto nome non solo si comprendono quelli che in- ventarono un errore , e che per propria elezione l'anno abbracciato, ma quelli ancora , eh' ebbero la sventura d'esserne fino dall'infanzia imbevuti , e perchè nacquero da genitori eretici. Eretico, dice Bos- suet, è quegli che ha un' opinione sua, che segue il suo proprio pen- siero, e la sua particola r opinione; un cattolico al contrario segue sen- za esitare il sentimento della Chie- sa universale, giacche l'ereticità è l'opposto di cattolicità e di orto- dossia. Dicesi ereticità, o meglio e- resia, perchè appunto significa mar- ca di eresia impressa ad una pro- posizione colla censura della Chie- sa. Dimostrare poi l'ereticità o ere- sia di un'opinione, è far vedere eh' è formalmente contraria ad un domma di fede deciso e professa- to dalla Chiesa cattolica. Chiamami eretici negativi, quelli che, sebbe- ne convinti di eresia con prove incontrastabili, stanno sempre sulla negativa, dichiarano di avere or- rore della dottrina di cui sono ac- cusati, e professano di credere le verità opposte.

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L'eretico è propriamente quegli che, professando il cristianesimo ; sostiene con ostinazione un erro- re contro la fede, tanto se questo errore tende alla speculazione, quan- to se tende alla pratica. Tre sono le condizioni , che qualificano un eretico. La prima è la professione del cristianesimo, ed in ciò l'ereti- co differisce dal giudeo e dall'ido- latra ; non è però necessario che un uomo sia battezzato per essere eretico; poiché un catecumeno, il quale faccia professione di credere nel vangelo, e che negasse ostina- tamente qualche verità di fede, sa- rebbe eretico davanti Dio, quan- tunque non lo fosse in faccia alla Chiesa, in modo di esserne punito, perchè non vi appartiene ancora come non battezzato. La seconda condizione necessaria per fare un eretico, è di rifiutare di credere una verità rivelata, e decisa dalla Chiesa ; giacché la rivelazione, e la decisione di essa, assolutamente de- vono in ciò concorrere. Non basta per un articolo di fede che una cosa sia rivelata e contenuta nella parola di Dio, bisogna pure che Ja Chiesa abbia dichiarato che vi è compresa, e l'abbia proposta da credere come articolo di fede. La terza condizione è l'ostinazione, per lo che la buona fede, la semplicità, V ignoranza , la volontà di abban- donare l' errore se si conoscesse , impediscono che uno si chiami ere- tico. Il Bergier, all'articolo Eresia, in proposito ecco come si esprime: « Non pretendiamo asserire, che non vi sieno molti uomini na- ti nell' eresia , che per la po- ca loro cognizione sono in una invincibile ignoranza, per conse- guenza scusabile innanzi a Dio; ma per confessione di tutti i teologi

ERE sensati» questi ignoranti non devo- no essere messi nel numero degli eretici. Quanto a quelli che difen- dono un'opinione falsa e cattiva senza pertinacia, soprattutto se non I1 hanno inventata per un' audace presunzione , ma se l'hanno avuta dai loro genitori sedotti, e caduti nel!' errore, e se con diligenza van- no in traccia della verità, e sono pronti a correggersi, qualora l'a- vranno trovata, non si devono met- tere tra gli eretici ". Tale è il lin- guaggio dei teologi sulla nozione degli eretici. Passeremo ad accen- nare, coll'autorità de' medesimi teo- logi, le cose principali riguardanti gli eretici, sui loro giudicii, pene, commercio, libri, dispute, e sulle provvidenze prese dai sommi Pon- tefici sui seguaci dell'eresia.

Essendo l' eresia contraria alla religione ed allo stato, ove non sia ammessa la libertà e tolleranza dei culti, è un delitto ecclesiastico e civile insieme. E delitto ecclesiasti- co perchè combatte la dottrina del- ta Chiesa, lo è civile perchè dis- turba la pace de' regni , cagiona scandalo ec. Come delitto ecclesia- stico la conoscenza spetta al giudice della Chiesa, il quale deve dichia- rare quali sono le opinioni contrarie alla dottrina della Chiesa, e punire con pene canoniche coloro che le sostengono con ostinazione; come delitto civile la cognizione è devo- luta ai giudici secolari, che hanno maggiori o minori poteri secondo i luoghi.

Le pene decretate contro gli e- retici si dividono in temporali , o spirituali. Le temporali erano la confisca de' beni, ì'infamia, l'esilio, la prigione, la morte ec. ; le spi- rituali consistono nella scomunica, nella privazione della giurisdizione

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ecclesiastica, nell'irregolarità, nella perdita de' benefìzi , e nell'impo- tenza di possederne de' nuovi. Gli eretici incorrono pel solo fatto nel- la scomunica maggiore, non di di- ritto divino, ma solamente di di- ritto umano, secondo il parere del- la maggior parte de' teologi. Que- sta scomunica fu pronunziata nel concilio generale lateranen.se IV, celebrato dal Pontefice Innocenzo III, contro tutti gli eretici, con riserva al Papa, secondo il comu- ne diritto, e secondo i gradi della eresia. Le prime leggi fatte dai pri- mi cristiani contro gli eretici risa* liscono a Costantino, il quale, nel- l'anno 371, proibì con un editto le assemblee degli eretici, coman- dò che i loro templi fossero dati alla Chiesa cattolica, e confiscati. Il Bergier, all'articolo Eretico, ri- porta le successive repressioni de- gli eretici fatte da altri imperatori, e le leggi perciò pubblicate pro- scrissero gli errori , e ne arresta- rono la propagazione lagrimevole. In sostanza egli prova ad eviden- za , che i principii e la condotta della Chiesa cattolica furono costan- temente gli stessi in ogni secolo; cioè adoprare le sole istruzioni, e la persuasione per ricondurre gli eretici quando sono pacifici al suo grembo; implorare contro di essi il braccio secolare quando sono fe- roci, violenti e sediziosi. V. il vo- lume XVIII, pag. 3oi e seg. di questo Dizionario, ove si parla di alcune crociate contro gli eretici e gli scismatici. Il commercio, ossia- no i matrimoni cogli eretici, sono illeciti, quantunque validi, ed il Papa può colla suprema sua au- torità permetterli, su di che sono a vedersi gli articoli Dispensa, Di- vorzio, e Matrimonio. Sono illeciti

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perché proibiti dalla Chiesa, nei concili di Calcedonia, di Elvira, di Sardica, dal terzo di Cartagine, e di altri. Non sono invalidi, perché non dichiarati nulli, dal diritto naturale, o divino, da quello comune. Il matrimonio contratto fra due cattolici , non è sciolto quanto al legame, ma solamente quanto al letto ed all'abitazione, quando uno de' coniugi si fa ere- tico. Il concilio Tridentino senten- ziò l'anatema contro quelli, i quali dicono che un tal matrimonio è sciolto quanto al legame. E sciol- to dunque quanto al letto ed al- l'abitazione soltanto, come pure se- condo 1' uso della Chiesa.

E proibita la lettura de' libri eretici dal diritto naturale a tutti quelli a' quali questi libri sono dannosi, anche allorché avessero il permesso di leggerli, obbligando il diritto naturale tutti indistintamen- te, e ciò per evitare qualunque oc- casione o pericolo di perdersi. I trattatisti di queste materie danno le spiegazioni sulla estensione e restrizione di siffatto divieto. Sino dal nascere della Chiesa gli ereti- ci non si sono contentati di com- por libri per disseminare i lor er- rori, ne hanno anche inventato, e composto sotto il nome dei per- sonaggi i più venerabili dell'anti- co e del nuovo Testamento. Il No- vaes nella vita di Alessandro VI dice, che questo Pontefice verso l'anno i5oo fece delle leggi con- tro la stampa de' libri degli ereti- ci. V. il Zaccaria, citila proibizione de9 libri. Giulio III, a' 22 aprile i55o, con apostolica costituzione, rivocò a tutte le persone, eccettuali gì' inquisitori, le facoltà che potes- sero avere ottenute da' Pontefici suoi predecessori , per leggere o

ERE ritenere libri de' luterani, e di qual- sivoglia altri eretici. Perciò fu egli il primo Papa, che abbia fatta la prima generale proibizione de' li- bri eretici , poiché prima di lui ninna pontificia legge si trova, la quale generalmente proibisse la let- tura di libri simili, sebbene spesso ritrovatisi proibiti particolari libri degli eretici, o di particolari ere- sie. V. Indice de' libri proibiti.

Le dispute cogli eretici sui punti controversi sono permesse, giacche abbiamo da s. Paolo, Acl. e. 17, ad Tic e. 1, che disputava nelle si- nagoghe cogli ebrei , eli' egli vuole che un vescovo sia capace di cor- reggere, e di convincere quelli i quali contraddicono la verità. Nul- la di più comune nell'antichità ec- clesiastica, quanto le dispute de' pa- dri contro gli eretici, cui combat- tevano perpetuamente, tanto a viva voce quanto in iscritto, come lo provano le analoghe opere polemi- che; ma vi sono le debite regole e condizioni, acciò simili dispute sieno permesse. Il Bergier all'articolo Controversi a, dopo averla definita, disputa, o in voce o in iscritto sulle materie di religione , aggiunge : » Questa sorte di dispute sono ine- vitabili, perchè il cristianesimo sem- pre ha avuto ed avrà dei nemici : sono necessarie perchè niente si de-» ve trascurare per ricondurre nel buon sentiero i traviati. Se distur- bano la pace bisogna prendersela con quelli che ne sono i primi autori, e spiegano bandiera contro la dottrina della Chiesa. Perchè producano buoni effètti, è mestieri che da una parte e dall' altra non solo sieno libere, ma sempre tenute dentro i limiti dell' onestà e della moderazione". Fra i controversisti nomineremo a cagion di onore, il

ERE ven. Cardinale Bellarmino gesuita, il quale essendo stato mandato da Gregorio XIII a predicare in lin- gua latina, contro gli errori del luteranismo nelle Fiandre, vi an- darono ad ascoltarlo i più dotti protestanti, d'Inghilterra e dell'O- landa. Quindi il Papa lo destinò ad insegnare le controversie contro i protestanti, nel collegio Romano da lui fondato: quivi lavorò in que' trattati, che ci rimangono in questa importante materia. Fra le opere di lui, le sue Controversie, stampate più volte in quattro to- mi, saranno sempre un eterno te- stimonio della sua vasta dottrina, e del suo impegno per la difesa dell'autorità pontificia, essendo que- st' opera l'ampio arsenale, donde i teologi dopo di lui hanno cavato le loro armi contro gli eretici, ai quali niuno fu mai tanto formida- bile fra tutti i contro versisti. Van- no pur lodali, s. Francesco di Sa- les vescovo di Ginevra, che nelle sue prediche convertì settantamila eretici ; il gran Bossuet , Piccole , Pelisson, Papin, i fratelli Wallem- bourg, e, per non dire di altri, il dottissimo Cardinal Gotti domeni- cano, ed il celebre Cardinal Gerdil barnabita.

Intorno poi alle principali prov- videnze prese dai sommi Pontefi- ci sugli eretici, abbiamo, che san Pio I Papa, eletto nell'anno i58, ordinò che gli eretici venuti dalla eresia de'giudei alla religione cat- tolica, vi fossero ricevuti, e battez- zati. Vi fu una gran controversia tra il Pontefice s. Stefano 1, e s. Cipriano vescovo di Cartagine, il quale co' vescovi africani, e dell'o- riente sosteneva doversi ripetere il battesimo dato dagli eretici, ciò che da quel Papa venne proibito,

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e poi confermato dal concilio Pi- ceno. San Stefano I insistè sulla massima di nulla doversi alterare l'antica tradizione dalla quale con- stava che gli eretici tornati alla Chiesa, dovevano soltanto purgar- si colla imposizione delle mani, e non già col secondo battesimo; co- me ancora constava dalla medesi- ma tradizione, che il battesimo am- ministrato colle parole evangeliche era valido benché fosse ammini- strato dagli eretici o dagli scisma- tici, e costantemente il Pontefice protestò che il battesimo conferito colla debita forma dagli eretici , non dovevasi reiterare. Molti auto- ri sostengono, che questa contro- versia non fosse dagli orientali e dagli africani riputata cosa appar- tenente al domma cattolico, ma so- lo da essi creduta riguardare la semplice disciplina. V . il Marchetti, Esercii. Ciprianiche circa il batte- simo degli eretici. Papa s. Caio del 283, determinò, che nessun pa- gano od eretico potesse accusare i cattolici. Nel concilio lateranense, celebrato 1' anno 3 1 3 dal Papa s. Melchiade, venne condannato il ve- scovo africano Donato, capo dei donatisti, i quali negavano la vali- dità del battesimo dato dagli ere- tici.

Il p. Chardon, nel t. I, capitolo V della Storia de' Sa grani enti, tratta che non fu mai creduto doversi repli- care la Confermazione una volta ri- cevuta dalla Chiesa, e che dagli avvenimenti si esamina , se siasi creduto il medesimo circa quella data dagli eretici, con le diverse discipli- ne su questo grave punto, intor- no a che può vedersi l'articolo Con- fermazione (Vedi). Il medesimo Chardon riporta la benedizione sopra quelli che si convertono dal-

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l'eresia, e la maniera con cui la Chiesa riceveva prima gli eretici convertiti colla imposizione delle mani, accompagnata dalla invoca- zione dello Spirito santo, giacché nella maggior parte delle chiese orientali ed occidentali , si faceva l'unzione col crisma a quelli che ritornavano dall' eresia al cattolici- smo. Valfridio Strabone, il quale fiorì nel nono secolo, afferma, che al suo tempo, e prima ancora, gli e- retici si riconciliavano col crisma, e colla imposizione delle mani. Conchiude il Chardon, che nel più delle chiese gli eretici si ricevevano alla cattolica unità con que'mede- simi riti con cui si dava il sagra- meli to della Confermazione, e ciò forse non per confermarli di nuo- vo, ma solamente per impetrar lo- ro la grazia dello Spirito santo per unirli interiormente ed utilmente al corpo della Chiesa. Col ripeter- si tale unzione la Chiesa non in- tendeva reiterare il sagramento della Confermazione, perchè in con- ferire questa usava il termine di segno o segnatilo, e quando am- metteva gli eretici alla sua comu- nione adoperava il termine consi- gliare. Con questa diversità di opi- nioni manifestava la Chiesa le sue differenti intenzioni.

Vittore III, del 1086, in un con- cilio celebrato a Benevento, "vie- tò con pena di scomunica, di rice- vere dagli eretici i sagramenti del- la penitenza, e dell'Eucaristia. Av- visato il Pontefice Giulio III, che molte persone di tutte le condi- zioni, cadute in eresia differivano la loro conversione a motivo della pubblica penitenza, cui secondo le leggi ecclesiastiche dovevano subire con pregiudizio della loro riputa- zione, mediante la costituzione II-

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lius, presso il Bull. Rom. t. IV, par. I, pag. 2G7, ordinò che tut- ti quelli, i quali dentro tre mesi abiurassero i loro errori, eccettua- te le persone dipendenti dalle in- quisizioni di Spagna e Portogallo, con privata penitenza fossero dagli inquisitori riconciliati, e che gl'im- penitenti si costringessero colle pe- ne ordinarie, a soggettarsi alla Chie- sa cattolica. Nel pontificato poi di Clemente VIII, vedendo Enrico IV re di Na varrà, calvinista-ugonotto, che non gli sarebbe riuscito di a- scendere pacificamente al trono di Francia, se persisteva nella sua set- ta, domandò a'suoi ugonotti, se poteva salvarsi nella religione ro- mana, ed essendogli stato risposto affermativamente, disse : sarà dun- que meglio eli io vada in cielo re di Franciaì che re soltanto di Navar- ra. Cominciò quindi ad istruirsi ne' nostri dommi, ed ai5 luglio i5o,3 abiurò pubblicamente in Pa- rigi nella chiesa di s. Dionisio il calvinismo, professò la fede catto- lica, e ricevette dall'arcivescovo di Bourges l'assoluzione dalle scomu- niche incorse per l'eresia, lo che convalidò con bolla Clemente Vili, Divinae gratiae _, presso il Bull. Rom. t. V, part. Il, p. 127, dopo aver dichiarata nulla quella del- l'arcivescovo, perchè data senza la autorità della santa Sede. In que- sto tempo Gondislavo Ponze, spa- gnuolo di gran dottrina, pubblicò in Roma un Commentario, nel quale pretendeva di provare che il Papa non poteva dispensare un ricaduto nell'eresia per poter esse- re eletto re, al quale sentimento rispose egregiamente il francese Arnoldo Ossat, poi Cardinale, con un'opera, che allora però non ven- ne stampata.

ERE ERE 4- Sapendo Clemente XII, che mol- e da ogni parte eli frequente si ti eretici di Germania per tempo- odono confortanti e stupende con- iali interessi non abiuravano gli versioni dall' eresia r.lle verità dei- errori, pubblicò una bolla, nella la Chiesa apostolica romana; e il quale concesse ad essi il pacifico predominante puseismo d'Jnghilter- possesso de' beni ecclesiastici che ra, ravvicina di molto gli animi godevano, i frutti de'quali serviva- alle sante pratiche religiose della vera no al mantenimento delle loro fa- Chiesa. Laonde a gran passi procedia- miglie, purché alla religione cat- mo per un'era nuova e tutta gloriosa tolica facessero ritorno . Questa pegli annali del mondo cattolico, paterna provvidenza trasse alla ve- qualora il divin Padre de' lumi e ra fede un gran numero di ereti- delle misericordie continui a spai- ci. Volendo poscia nel ij35 leva- gere le sue celesti benedizioni sui re l'ostacolo per cui alcuni luterà- membri che vivono disgraziatamen- ui dei Palatinato, e del ducato di te separati dal centro e dall'unità, Neoburgo, non tornavano al giem- fuori della quale non avvi salvezza. bo della Chiesa cattolica, per ti- Florido altresì è lo stato attuale more di perdere i benefizi eccle- delle missioni in Europa, Asia, A- siastici dai loro maggiori usurpati, frica, America ed Oceania, dove i Clemente XII concesse loro, come veri discepoli di Gesù Cristo, in avea pur fatto coi sassoni, la fa- virtù della missione data da esso colta di poterli godere come prò- ai suoi apostoli, e trasmessa di pri, acciò non temessero di cadere generazione in generazione ai Io- in miseria. Qui noteremo, che tra ro legittimi succesori sino ai no- ie legr' imperiali sopraccennate, ev- stri tempi, non cessino di obbedire vi quella riportata dal Bernini, Sto- alla voce divina; essendo intente ria delle eresie, sec. VI. cap. IV, le numerose missioni a confermare cioè di Giustiniano I, il quale or- nella fede i cattolici, a promovere dinò che i cattolica figli di ereti- e predicare la dottrina di Gesù ci, potessero ereditare, e domandare Cristo, anche dov'è ignoto il nome gli alimenti, non però i figli ereti- cristiano, e ad illuminare gli sci- ci da' padri cattolici. Delle prodi- smatici e gli eretici sulle tenebre giose e repentine conversioni degli de'loro errori. Le nostre missioni eretici, tratta il Bernini, il quale sono perciò un'opera veramente del fa pur menzione dell' Ospizio dei tutto cattolica ed apostolica, sia ri- Convertendi (Vedi), eretto in Ro- guardo al principio ed ai mezzi, sia ma nella città Leonina, nel ponti- riguardo al modo e all' oggetto, ficato di Clemente X, pegli ere- Opportuno ed analogo a questo liei convertendi , già incomincia- argomento, ci sembra il far qui to da Giovenale Ancina e Maria- menzione dell' applaudita disserta- no Soccino prete dell'Oratorio, e zione del Cardinal Bartolomeo Pac- poi compito coi generosi aiuti dei ca, decano e principal decoro dei Cardinali Rasponi, Nini e Gastaldi, e sagro Collegio, e da lui stesso con tuttora fiorente. forza ed eloquenza recitata nella In questo maraviglioso secolo sala massima dell' università Ro- emiuentemente predomina lo spi- mana, per la solenne apertura del- l'ito e la tendenza al cattolicismo, la celebre e benemerita accademia

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di Religione cattolica, a' 27 aprile i843. Tolse egli a subbietto della dissertazione appunto la esposizio- ne dello stato attuale della Chiesa, e delle credenze religiose nei vari paesi di Europa, con quella piena cognizione storica delle cose, che gli danno una luminosa e lunga spcrienza degli affari, come delle persone, l'erudizione e la dottrina di cui è eminentemente adorno. In- cominciando dalla Germania, disse, che sebbene abbia a deplorarsi la perdita de' principati, delle badie e delle cospicue rendite fatta dal cle- ro nei secoli XVIII e XIX in quel- le contrade, tuttavia v' era oggi un motivo di consolazione nel rilevare dal confronto di quei secoli coi tempi nostri il risvegliamento dello spirito ecclesiastico, ed il riacceso zelo in quel clero ed in quei pa- stori. Dipoi, analizzando le varia- zioni infinite del protestantismo, in- dicò i suoi languori, prevedendone lo sfacimento. Dalla Germania tra- passando alla Francia vi ritrovò cagioni diverse, altre di gioia, al- tre di dolore. Sono queste il deismo, che debellato imbaldanzisce anco- ra, le associazioni del Fourier, del Saint-Simon, del Chàtel, i mille romanzi che guastano ne' giovanili intelletti ogni idea di moralità : so- no quelle l' istituto della propaga- zione della fede, che da Lione, ove nacque e si valido, promuove con ogni ragione di aiuti i trionfi del- l' evangelio ; sono la dottrina e lo zelo del clero e dell' episcopato , che stretti con intimo nodo alla cattedra della verità, combattono i nuovi e i rinnovati errori. Poscia invitò a piangere su le note vi- cende della chiesa spagnuola e por- toghese, riferendo l'origine di tan- to male alle iufluenze dell' Arancia

ERE e del marchese di Pombal : peroc- ché costoro, alleandosi coi filoso- fanti e sofisti della Francia, e se- guitando le teorie dei giansenisti , guastarono il pubblico insegnamen- to, e l'adito aprirono a libri pe- stiferi d'ogni maniera. Ancora ri- guardò l' Inghilterra, e si rallegrò del numero crescente delle chiese, de' fedeli, delle regolari congrega- zioni, a fronte del vivo impegno e delle forti opposizioni dell'anglica- no protestantismo. Per ultimo a- nimò gì' italiani a tenersi sempre più stretti alla cattedra di Pietro, e a guardarsi da coloro che vor- rebbero allontanare questo nodo soavissimo di unità religiosa, come si guardarono i padri nostri dal contagio calvinista e luterano. Tal mirabile discorso fu subito reso di pubblica ragione colle stampe di Do- menico Ercole in Velletri, bramando- sene da tutti avidamente la lettura. Alcune cose interessanti e ris- guardanti gli eretici, si leggono al- la categoria haeresis, et haercticos, nella Nolitia del p. Plettemberg del- la compagnia di Gesù. Gli errori, le costumanze nefande attribuite ca- lunniosamente ai cristiani dagli e- retici, i quali più volte per pravi fini alterarono gli atti dei marti- ri, si leggono nel p. Ruinart, Al- ti sìnceri dei primi martiri della Chiesa cattolica. Che gli eretici fos- sero cagione di molte e gravi dis- sensioni sino dal principio della Chiesa, e che mai sempre i catto- lici zelassero con grandissima atten- zione di ri condurli alla vera fe- de , ne tratta il p. Mamachi, Dei costumi de3 cristiani. Della forinola che usano i romani Pontefici scri- vendo agli eretici, e della benedizione apostolica, che alcuni di loro non dubitarono dare ai medesimi , si

ERE può vedere nel voi. V, pag. 65 e 6G del Dizionario. Finalmente no- teremo, che non si usa più di ri- cevere gli eretici con una specie di confermazione, di cui parlam- mo di sopra . Abiurano i loro errori, s'impone loro una peniten- za salutare, e poi si assolvono dal- la scomunica in forma Ecclesiae consueta.

ERETRA o ERITREA ( Ery- threa). Città vescovile della diocesi d'Asia, e nell'esarcato del suo no- me ; una delle dodici della Jonia, in una penisola con un porto, sot- toposta alla metropoli d'Efeso, ed eietta nel quinto secolo, chiamata anche Passaggio, e Ritrè. Secondo Strabone, diede essa il nome alla celebre sibilla Eritrea , ovvero vi ebbe i natali. Questa città fu eret- ta da Neleo, figlio di Codro. Pau- sania pretende che avesse per fon- datore Eritreo figlio di Radaman- to, che vi condusse una colonia ; ina Cnopo essendo quivi giunto con una quantità di jonii, la ingrandì, e la popolò sempre più. Aveva un tempio di Ercole, e due porti, uno chiamato Casytes, l'altro Eritreo. Si conoscono cinque vescovi, che vi ebbero residenza , cioè Eutichio , Draconzio, Teotisto, Eustazio, e Ar- saflo. Oriens Christ. t. I, p. 727. Eritrea o Colira, Aerftren., al pre- sente è un vescovato titolare in partibus infidelium, sotto il patriar- cato pure in partibus di Costanti- nopoli.

ERETRIA. Città vescovile di Eubea, sulla riva del mare^ poco distante da Calcide o Negroponte, in faccia alla foce deìVAsopus, che sul continente formava in questo luogo i limiti della Beozia, e quel- li dell'Attica. Si congettura essere stata questa città eretta da alcuui

VOt. XXII,

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ateniesi , avanti di Troja, secondo Strabone, e posteriormente, al dire di Erodoto. Portò prima i nomi di Melaneis e di Arobia; fu per lungo tempo considerabile^ ed era in uno statò florido sotto il regno di Dario figlio di Itaspe. Allorché i Persiani portarono la guerra nella Grecia, fu questa città da essi di- strutta. Si riedificò ben presto, di- venne ricchissima , e sussìsteva al tempo di Strabone. Menedeo vi sta- bili una scuola di filosofia, i cui di- scepoli chiamaronsi Eretri. Al pre- sente non resta che la memoria e la persuasione che esistesse in un suolo chiamato dai greci moderni Gravalinais. Al presente Eretria e Vatia, Eretrian., è un titolo vesco* vile ut partibus , sotto la metro- poli egualmente in partibus di Cal- cide, ossia Negroponte. Il regnali* te Pontefice , ne fece vescovo in partibus , monsignor Andrea Scott> ed insieme vicario apostolico del distretto occidentale di Scozia, vi- cariato che tuttora funge , e go- verna.

ERFORT, ERFURT (Erfordia). Città Vescovile negli stati Prussia*- ni, provincia di Sass, capoluogo di reggenza e di circondario, già ca- pitale della Turingia, fra Weimar e Gotha, altre volte chiamata Bi- cungium o Bicorgium. Questa cit- tà viene da alcuni posta nella Mi- snia. Dicesi inoltre, che Meroveo re di Francia desse ad Erfort il suo nome, e perciò venne anche chia- mata Merigisburgo. E cinta di mu- ra e fosse, non che difesa da una cittadella chiamata Petersberg , e- retta sopra la collina che domina la città, e dal forte Cyriaksburg. La città è assai estesa, ma una parte del luogo che occupa è com- posta di soli giardini, oltre sei sob-

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5o ERF

l)orglii. Rinchiude qualche hel cdi- fìzio, e fra le chiese cattoliche é degna di osservazione l'antica cat- tedrale. Vi sono utili stabilimenti, come un monistero di orsoline, due orfanotrofi, ec. Uno di questi prima era convento, ed ivi Lutero avea fatto la sua professione religiosa. Avvi pure un'accademia di scienze ed arti, una biblioteca, un museo, un gabinetto di storia naturale, ec. L'università di Erfort fondata, se- condo alcuni, nel i3(>2, e secondo altri nel i 392, fu riunita a quella di Halle nel 1816: il fondatore era stato Corrado Winsperg, ot- tantesimo arcivescovo di Magonza. L'origine di questa città risale al quinto secolo, e prese il nome che porta dal castello situato nelle sue vicinanze, il signore del quale a- veva un diritto di pedaggio dal castello alla città, che al tempo di s. Bonifacio era già considerabile. L'imperatore Lodovico II, nell'852, vi tenne i comizi provinciali ; ed Enrico I, e Ridolfo I vi adunaro- no una dieta imperiale. La città fu anticamente alleata coi margra- vi e landgravi di Misnia, Assia e Turingia, cogli arcivescovi di Mag- deburgo, coi duchi di Sassonia , e con altre case sovrane. Benché non sia mai stata città immediatamen- te, e libera dell'impero, .ciò non ostante fu in possesso di vari di- ritti signorili e privilegi. Le pre- tensioni, che l'elettore di Magonza ebbe sopra questa città , sino dai tempi dell'imperatore Ottone, il quale donolla agli arcivescovi di Magonza, dopo la morte di Bur- cardo signore di Turingia, furono soggette a molte controversie. Do- po che Erfort abbracciò il lutera- nismo, gli arcivescovi perdettero la loro autorità, ed i borghesi si po-

ERF sero sotto la protezione dei duchi di Sassonia. Il re di Svezia Gu- stavo se ne impadronì, quindi nel 1648, pel trattato di Osnabrulv, ri- tornò sotto il dominio degli arci- vescovi di Magonza. Gli abitanti non volendo obbedire, furono dal- l' imperatore posti al così detto bando dell'impero; ed il re di Francia mandò truppe all' arcive- scovo di Magonza, che nel 1664 lo fecero padrone della cittadella, la quale fu per lui governata da un governatore, ossia Vìce-Domi- nus, che sceglieva dal suo capito- lo, ed al quale il popolo prestava giuramento di fedeltà. Appartenne poscia alla Prussia a titolo d' in- dennizzazione, indi fu ceduta alla Francia nel trattato di Tilsit. Suc- cessivamente venne riunita alla Sas- sonia ; ma dopo la battaglia di Je- na, la città cadde nel potere dei francesi , con un parco di cento venti pezzi d'artiglieria. Nel 1808 quivi ebbe luogo una memorabile conferenza fra l'imperatore di Rus- sia , e quello di Francia ; e nel 181 3 questa piazza protesse forte- mente la ritirata dell'armata fran- cese dopo la battaglia di Lipsia.

La sede vescovile venne eretta in Erfort, verso l'anno 742, da s. Bonifacio apostolo dell' Alemagna , lo che approvò il Pontefice s. Zac- caria. S. Bonifacio vi pose per ve- scovo il beato A delardo, che ne fu il primo e l'ultimo vescovo, dappoi- ché essendo egli, insieme a s. Bo- nifacio, stato ucciso nelle missioni di Frisia, il vescovato di Erfort fu unito a quello di Magonza. La chiesa collegiale principale è dedi- cata alla beata Vergine. Prima in Erfort, e nella sua diocesi eranvi alcune abbazie e monisleri. Sicco- me questa città era troppo lonta-

ERF na dalla sua metropolitana, gli ar- civescovi di Magonza avevano l'u- sanza di nominare un suffraganeo che risiedeva e faceva le funzioni episcopali in Erfort , e nei paesi vicini di Assia, Turingia, Eichsfeld e Sassonia.

Concili Erfort.

Il primo fu celebrato Tanno 932 il primo di giugno, sotto En- rico I re di Germania. Vi si fe- cero dai vescovi cinque canoni. Con essi venne vietato di patrocinar le cause ne' giorni di domenica, nelle feste, e ne' giorni di digiuno; ed ai giudici fu imposto di non rice- vere citazioni di alcuno avanti di loro, nelle settimane che precedono la festa di Natale, e quella di s. Gio. Battista, ne dalla quinquage- sima fino all'ottava dopo Pasqua. Venne ordinata la celebrazione del- le feste dei dodici apostoli, e di digiunar le vigilie, che sino allora erano state osservale. Si vietò di presentar libelli, di citare in giu- dizio quelli che vanno alla chiesa, o che vi sono, affine di non distorli dalle preghiere, e d' imporsi da per te digiuni, che alcuni facevano più per superstizione, che per pietà. Pagi, ad hwic annum; Diz. de Con- cili.

11 secondo fu tenuto l'anno 1078, a' io marzo, non però riconosciu- to. Vi si divisero le decime di Tu- ringia tra Enrico IV re de' roma- ni, e Sigifredo arcivescovo di Ma- gonza, di cui le principali erano delle abbazie di Fulda e di Her- feld. Diz. de' Concili. Il Mabillon, A nnal. s. Bened. t. V, p. 72, al- l'anno 1075, lo dice celebrato nel 1074, ed accennato come di Ma- gonza, se pure non è il seguente.

ERG Si

Il terzo ebbe luogo nel 1074 in ottobre. Sigifredo arcivescovo di Magonza volle assoggettare gli ec- clesiastici ai decreti del concilio ro- mano dello stesso anno contro la simonia, e la incontinenza de' chie- rici; gli costrinse a non più indu- giare, ed a rinunziare o al matri- monio, od al servigio degli altari. I chierici allegarono molti pretesti per eludere le provvidenze dell'ar- ci vescovo^ che sarebbe stato ucci- so, se i suoi vassalli non avessero quietato i più furibondi. In que- sto concilio volle reprimersi anco la simonia. Diz. de' Concili.

Il quarto si adunò nel 11 49- Fu presieduto dall'arcivescovo di Magonza, Enrico, che vi terminò le vertenze tra l'abbate di Burgi- lin, e il conte Piron eh' erasi im- padronito di alcuni beni dell' ab- Jjazia. Venne inoltre deciso che l'in- cestuoso conte d'Hildensheim non potesse contrarre matrimonio prima di aver fatto la penitenza che gli verrebbe imposta. Venne inoltre citato l'abbate di Harevelde, il qua- le senza consultare l'arcivescovo di Magonza, aveva accettato l'abbazia di Fulda. Mabillon, Annal. s. Be- ned. tom. VI, pag. 466 ; Mansi , Suppl. t. II, col. 47

Il quinto concilio si tenne l'an- no 1^35. Si ordinò che venissero celebrate tutte le feste, le quali a- vevano un officio proprio. Mansi, Suppl. t. II, col. 919.

ERFORT. F. Herford.

ERGASTOLO oERGASTULO (Ergastulum). Prigione in cui si tenevano anticamente gli schiavi incatenati a lavorare. Oggi si pren- de per carcere ristrettissimo. Bion- do da Forlì, nella sua Berna trion- fante _, a png. 161, parlando delle diverse carceri dell'antica Roma,

5i ERI

dice che l'Ergastolo era un luogo, ove si condannavano i colpevoli a farvi qualche lavoro, come soleva- no essere i gladiatori, e quei che segavano i marmi. Il Macri , alla voce Ergasterium, racconta che fu usata per significare il mouistero , un luogo di lavoro, il pubblico tributo che pagavano le officine della città, ed anche il postribolo. y. Carcere, e Lipsio, de Ergastu- list II, i5. Nello stato Pontifìcio, ed in Corneto, avvi il carcere pei chierici colpevoli , che appunto si chiama Ergastolo. Di esso parlam- mo al voi. IX, pag. 263, ed al voi. XVII, pag. \hi del Diziona- rio; ma colla qualifica di Pia ca- sa di penitenza. Gio. Giorg. Simon scrisse de Ergasteria disciplinaria, Jenae 1678.

ERIBERTO (s.). Trasse i natali da un'illustre famiglia della Ger- mania, e compi i suoi studi nel monistero di Gorze in Lorena. Tornato a Worms sua patria, di- venne prevosto di quella chiesa, e di poi cancelliere dell' imperatore Ottone III. Fu chiamato in segui- to a reggere la chiesa arcivescovi- le di Colonia. Egli si recò a Ro- ma a ricevere il sacro pallio dalle mani del Pontefice Silvestro II, e partito per Colonia, fu ivi conse- crato il 24 dicembre 999. Con quella sollecitudine, eh' è propria dei più santi pastori, resse Eriber- to la chiesa affidatagli , e la sua carità verso i poveri, la sua umil- tà, ed il suo fervore nella preghiera, gli attiravano di continuo l'ammi- razione e venerazione dei suoi dio- cesani. Finalmente, occupato nella visita pastorale, fu colto da grave malore, e dovette fermarsi nella piccola città di Duitz, ove placida- mente morì li 16 marzo 1022.

ERI

L'atto di sua canonizzazione asse- gna la di lui festa ai 16 marzo.

ERICO di Svezia (s.). Sino dalla sua prima età incominciò Erico a fornire la mente collo studio delle scienze, e adornare il cuore di ogni cristiana virtù. Divenuto adulto, si unì in sacro nodo con Cristina fi- glia d' Ingone IV, re di Svezia. Morto che fu Smerchero II, con- vocati gli stati, scelsero gli svedesi Erico per loro re, e lo collocaro- no sul trono. Governò egli da sag- gio re, vegliando sopra se stesso coll'assidua preghiera, coll'austerità del digiuno, e adoperandosi verso i suoi popoli affinchè esattamen- te amministrata fosse la giustizia, sbandita la prepotenza, e tolto il mal costume. Di spesso si recava al letto degli infermi, e li solleva- va, se poveri, con larghe limosine. Fabbricò molte chiese, e con savie leggi represse gli abusi, ed assicu- rò la pubblica tranquillità ne' suoi stati. Benché d' indole pacifica, non potè sottrarsi di prender l' armi ; ma noi fece mai per capriccio, per voglia d' ingrandimento , solo per difesa de' suoi popoli. Assog- gettata la Finlandia, perchè questa era in preda al paganesimo, diede l' incarico di predicarvi il vangelo a s. Enrico vescovo di Upsal , e fece anche innalzare un gran nu- mero di chiese.

Magno, figlio del re di Dani- marca, il quale vagheggiava per mire ambiziose la corona di Sve- zia, aizzato da alcuni svedesi osti- nati nel paganesimo, cospirò contro i giorni del santo re Erico, e rag- giuntolo nel momento che usciva dalla chiesa, nel giorno dell'Ascen- sione, dopo aver udita la messa, i congiurati si slanciarono contro di lui, lo rovesciarono da cavallo, ed

ERI

offeso in mille modi, gli mozzaro- no per ultimo il capo in odio dei- la religione. Il suo martirio accad- de il giorno 18 maggio dell'anno 1 1 5 1 . Il suo corpo si conserva tuttora incorrotto nella chiesa di Upsal, e molti miracoli furono o- perati alla sua tomba. La festa di lui è assegnata ai 18 maggio.

ER1MANNO, Cardinale. Non ci e chiaro a qual titolo e diaconia, O ordine cardinalizio, Erimanno ap- partenesse, perchè il suo nome trovasi scritto semplicemente in una bolla spedita in Cremona da Ur- bano II nel 1095, a favore dei monistero di s. Egidio, la quale fu anche confermata nel concilio di Piacenza.

ERINDELA ( Aeryndelen.). Se- de episcopale d'Asia, nel patriarca- to di Gerusalemme, sotto la me- tropoli di Tarso. Con tal qualifica, e con quella di titolo vescovile ira partibus > la santa Sede conferisce questa dignità. V. Mireo, Not. E- piscopatuurn.

ERIOPOLI. V. Tripoli. Sede epi- scopale della Fenicia marittima, e ti- tolo vescovile ira partibus infidelium.

ERISSO , seu Hierissus. Città vescovile della provincia di Mace- donia nella diocesi dell' Illiria orien- tale, sotto la metropoli di Tessa- lonica, ed eretta nel nono secolo, al dire di Commanville, il quale inoltre aggiunge che divenisse poi arcivescovato onorario. Era situata a' piedi del monte Athos, e fu pur chiamata Agios Oros3 Monte San- to, ed Apollonia. Si disse Monte santo, o sagro, dal gran numero di monaci, i quali vi dimoravano, tutti governati dal vescovo. h'Oriens Christ.j t. II, p. 100, registra tre vescovi. Davide del 1 564 ; Euge- pio suo successore, che scrisse al-

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l'arciduca Carlo esponendogli quan- to soffrivano i monaci dagli otto- mani; e Daniele, che viveva nel 1720. Al presente Erisso, Aran- then.j è un titolo vescovile ira par- tibus} che conferisce il sommo Pon- tefice, sotto l'arcivescovato egual- mente ira partibus di Tessalonica.

ERISSO , seu Hierissus. Sede vescovile della seconda provincia dell' isola delle Cicladi, nell'esarca- to d' Asia , eretta nel nono secolo secondo Commanville, Hist. de tous les arch. et évéq.9 e fatta suffra- ganea della metropoli di Mitilene.

ERITREA. V. Eretrea.

ERIVAN, IREWAN, o REVAN (Revanum). Città arcivescovile della Persia, già capitale della grande Armenia, nel patriarcato di Ezmia- zin , capo luogo di provincia, e di distretto, sulla riva sinistra del Zenghi. È composta di circa due mila case sparse in mezzo a campi fertili e deliziosi giardini, ed è di- fesa da una fortezza, situata sopra una roccia che s'innalza perpendi- colarmente a cento tese al di sopra del livello del Zenghi, protetta dal lato opposto da una larga fossa, a secco, su cui si gettarono dei ponti amovibili. Questa fortezza ha un doppio recinto di terra , fiancheg- giato da torri, e rinchiude il pa- lazzo del governatore, edifizio so- lido ed elegante, una bella mo- schea, una fonderia di cannoni, delle caserme ec. Gli abitanti, per la maggior parte armeni, fanno un commercio considerabile coi rus- si ed i turchi. Conta circa dieci mila abitanti.

Erivan, secondo l'opinione degli armeni, è il luogo in cui ritirossi Noè, dopo essere disceso dal mon- te Ararat, ove arrestossi l'arca. L'istoria de' turchi fa provenire la

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paiola Erivan da un verbo ar- meno che significa vedere, e' dice che si diede un tal nome alla città, perchè il suo territorio fu il pri- mo scoperto da Noè, appunto quan. do scese dall' Ararat. Altri dicono, che la parola Erigati significa ap- parizione, perchè a chi discende dal monte Masis, il quale nella Scrit- tura è detto Ararat, apparisce sol- tanto la pianura, ed il paese di E- rivan ; ed ancora perchè quivi ap- parve, dopo il tremendo diluvio , l'arca di Noè. Non vi è apparenza che questa città sia stata eretta prima della conquista degli arabi in Armenia, mentre non vi si scor- ge nemmeno segno di remota an- tichità. Un tempo stava un terzo di lega più lunge, ma avendo mol- to sofferto nelle guerre Ira i tur- chi ed i persiani, ed essendo sta- ta quasi distrutta in seguito di lun- ghi e diversi assedi , venne riedi- ficata nel i635, sul luogo che oc- cupa presentemente. I turchi se ne impadronirono nel i582; e costrus- sero la sua fortezza , la quale fu presa dai persiani nel 1604. Però i turchi vi rientrarono dopo la morte di Abbas I, nel 1629; ma poscia Cha-Sefi, sultano di Persia, gli scacciò nel i635. Tuttavolta nel 1724 nuovamente i turchi si impadronirono della fortezza con grande loro sagrifizio , ma venne ripresa dai persiani nel 1748, che la conservarono sempre, respingen- do con somma perdita anche i rus- si, i quali, nel 1808, tentarono d' impadronirsene. A due leghe e- ravi il celebre amnisterò, detto dai turchi delle tre chiese, ossia Ezmia- zin. Sui confini del territorio di Erivau si vedono le rovine della città chiamata dagli antichi Arta- xala> e fra esse gli avanzi del pa-

ERK lazzo di Tiridate: altri però asse- riscono, che il palazzo di Tiridate fosse in Valarsciabat; cui forse al- cuni chiamarono Artaxata, ed al- tri, che Erivan sia subentrata alla detta città di Valarsciabat, cosi chiamata perchè fu edificata dal re armeno Valars. A dodici leghe dalla parte dell'oriente vi era la famosa montagna volgarmente det- ta di Ararat, e che i turchi chia- mano Agridg, cioè montagna alta, e gli armeni ed i persiani, Macis.

Erivan è registrato da Comman- ville pel primo arcivescovato della sede patriarcale di Ezmiazin, il cui arcivescovo risiedeva ad Armena- Perkìk.

ERIZI o SIZON. Città vesco- vile della Caria, nell'esarcato d'A- sia, sotto la metropoli d'Afrodisia- de, che Commanville disse eretta nel nono secolo. I vescovi Papia e Magno vi ebbero sede. Oriens Christ. t. I, p. 922.

ERKONWALDO (s.). Trasse i natali da un'illustre famiglia d'In- ghilterra. Egli sentì e secondò sino dalla sua infanzia una santa incli- nazione al servizio del Signore. Per otteuere perfettamente lo scopo, se- guendo i consigli dell'evangelio, di- venuto adulto, abbandonò la pa- tria, e si recò nel regno dei Sas- soni orientali. Venduti i propri be- ni, converti il ricavato nell 'erigere due monisteri, l'uno a Chertsey presso il Tamigi, e l'altro a Bar- king nella contea di Essex, e que- sto per religiose. Presiedette Er- konwaldo per molti anni al regi- me del primo, traendovi la sua santità di vita gran numero di di- scepoli. I] re Sebba, che domina- va in quei dì, da pari fama ecci- tato, chiamò il santo solitario a se- dere sulla cattedra episcopale di

ERL Londra, e venne consecrato da s. Teodoro vescovo di Cantorbery, nel- l'anno 6j5. Governò egli quella illustre e vasta diocesi pel corso di anni undici, con ogni sollecitu- dine, ed evangelica carità; final- mente spiro nel bacio del Signore. Fu seppellito nella sua cattedrale di Londra, e la tomba di lui di- venne celebre pei frequenti mira- coli. Ricorre la sua festività li 3o aprile.

ERLAUo ERLAW (Agrien.). Città con residenza arcivescovile nel regno di Ungheria. Oltre quan- to di questa illustre metropolitana dicemmo all' articolo Agria, qui aggiungeremo, che al suo odierno patriarca arcivescovo, dal regnante Pontefice fu dato in vescovo au- siliare, monsignor Carlo Rajner di Strigonia, fatto vescovo di Amoria in partibus, nel concistoro de' 17 aprile 1840; e che il primo ve- scovo fu Catapranus del 1099. So- no poi a nominarsi s. Buldo, il Cardinal Tommaso Bakacs del 1 49^, il Cardinale Ippolito d' Este del 1 498 , Benedetto Risdey, fondato- re dell'accademia Cassiovense, del 1648.

La cattedrale è dedicata ad o- nore di Dio, ed a s. Giovanni a- postolo ed evangelista, ante Por- tam La ti nani _, ed ha il fonte bat- tesimale , esercitando le funzioni della parrocchia tre cappellani. Fra le reliquie, che nella medesima si venerano, avvi il corpo di s. Sim- plicio martire. Il capitolo si com- pone di sei dignità, la prima del- le quali è il prevosto maggiore, di sei canonici, comprese le pre- bende del teologo, e del peniten- ziere, in tutto dodici canonici, ol- ire otto onorari, non che di altri preti e chierici per l'officiatura. Le

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dignità, oltre il preposto maggiore, sono il lettore, il cantore, il cu- stode, il preposto della B. V. Ma- ria de Castro, l'arcidiacono, e l'ar- cidiacono di Pankota. L'episcopio, vasto edifizio, è vicino alla sontuo- sa e ricca cattedrale. Nella città vi sono cinque conventi pei reli- giosi, il seminario cogli alunni, l'o- spedale, ed altri utili e pii stabili- menti. Ogni nuovo arcivescovo è tassato ne'libri della cancelleria a- postolica, in fiorini tremila, in pro- porzione delle pingui rendite della mensa, e della sua ampia arcidio- cesi.

ERLUFIO (s.). Mosso dall'esem- pio di vari missionari, che percor- revano l'Alemagna predicandovi il vangelo di Gesti Cristo, abbandonò Erlufio la patria, e si diede con santo zelo a raccogliere frutti co- piosi nella mistica vigna. Promos- so dipoi al vescovato di Verden, egli adempì esattamente ai doveri dell' episcopato , e si rese degno sempre più. della altrui stima e venerazione. Alcuni però di quei barbari, in vendetta dell'abbando- no, che ne sentivano i falsi loro idoli, per i trofei riportati dalla predicazione di Erlufio, il trucida- rono in Eppokstorp l'anno 83o. Il giorno io febbraio è sacro alla sua memoria.

ERMANO Giuseppe (b.). Da po- veri genitori nacque in Colonia sotto l'impero di Federico Barba- rossa. In età assai verde si ricovrò nel monistero di Steinfeldt diretto dai canonici regolari di Premonstra- to. Attendendo con ogni sollecitu- dine alla vita contemplativa , vi pervenne egli rapidamente in grado sublime, a mezzo del digiuno, del- l'umiltà e dell'orazione. Molte fu- rono le tentazioni , a cui il mali-

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gno spirito volle esposto il nostro santo, ina egli seppe rintuzzarle tutte col favore della grazia cele- ste. Vivamente divoto alla Vergine santissima, ricordava con tenerezza di affetto a Gesù. Cristo il mistero di sua incarnazione, e si sentiva in soave estasi rapito, ogni qual- volta recitando le laudi, giungeva al cantico Benedictus. Giunto al ter- mine di sua vita, vi si dispose con quella tranquillità, che non può esser sentita se non da chi è in pace col suo Iddio. Il giorno 7 aprile del 1236 Etmano volò al cielo, e fu sopran- nominato Giuseppe per la sua ca- stità. È onorato nei Paesi Bassi, ed il suo corpo riposa nell'abbazia di Steinfeldt. La sua festa è fissa- ta il di 7 aprile.

ERMANNO, Cardinale. Erman- no, creduto da alcuni appartenente alla famiglia Cibo, conseguì dal Pa- pa Alessandro li, del 1061 , il grado di Cardinale, col titolo pre- sbiterale de* Santiquattro o piutto- sto di s. Vitale , come vogliono altri autori. Nel pontificato di Ur- bano II fu arciprete della Chie- sa romana, e sebbene fregiato di tanta dignità, pure per volontà del Pontefice, portò il pallio all'arci- vescovo di Milano, per singoiar di- stinzione di quel pastore. S. Gregorio VII Io spedì legato nella Corsica, do- ve ebbe molto a sofferire in difesa della giustizia e della fede. Si fa menzione di Ermanno negli atti sinodali promulgati da Urbano II nella città di Troja nella Puglia, e così pure nella vita dell'anzidet- to Papa, scritta da Pandolfo Pi- sano.

ERMANNO, Cardinale. Erman- no suddiacono e notaio apostolico, al quale il Panvinio attribuisce il titolo di maestro, nei principii del

E KM pontificato di Alessandro III eser- citò l'ufficio di vice cancelliere, e fu creato prete Cardinale del ti- tolo di s. Susanna alle due case. Soscrisse una bolla, nel 1 1 66, spe- dita da quel Pontefice a favore del monistero di s. Croce in Gerusa- lemme di Roma. È probabile cosa, che la morte di lui sia accaduta nel 1172, dopo cinque o sei anni di Cardinalato. Sappiamo infatti che il suo titolo nel 1171 era pas- sato ad altro soggetto.

ERMANNO, Cardinale. Erman- no fu creato diacono Cardinale di s. Angelo, nella sesta promozione fitta da Alessandro III, nel 1179- Stese di sua mano una bolla, spedita in Laterano dal nominato Pontefice a favore della chiesa e del moniste- ro di s. Clemente dell'isola di Pe- scara. L' Ughellio ci riferisce, che l'originale di questa bolla si con- servava presso il Cardinale Giro- lamo Colonna, commedatario del- l'anzidetto monistero.

ERMAS (s.). Romano di nasci- ta, e da illustre famiglia sortito, si diede Ermas a seguire la scuo- la degli apostoli , e meritò che lo stesso s. Paolo lo ricordasse in una sua lettera diretta ai Roma- ni. Pieno di fervore e molto be- ne versato nelle divine lettere, com- pose un libro intitolato del Pasto- re. Questa opera è scritta in uno stile semplice e pieno di unzione, ed è divisa in tre parti. La prima e la terza rapportano molte rivelazioni in forma di apologhi, per condurre i cuori alla santità de' costumi; la seconda poi, divisa in dodici capito- li, racchiude le principali regole della morale cristiana. A questa seconda parte diede Ermas il tito- lo del Pastore; perchè il di lui angelo tutelare gli appariva, sotio

ERM quella figura per istruirlo, quando egli la scriveva. Una gran prova si è questa dell'antichità della dot- trina cristiana intorno agli Angeli custodi. Visse sotto il pontificato di s. Clemente I, è ascritto nel novero dei santi, e la sua festa è assegnata li 9 maggio.

ERMELANDO (•.). Nacque Ér- melnndo in Noyon da nobili geni- tori, e conobbe per tempo, che la vera nobiltà consiste nel seguir la virtù. Penetrato di questa verità, nel corso de'suoi studi non mai si permise di accomunarsi coi giovani suoi pari, e visse sempre a se, man- tenendosi puro ed incontaminato. Spedito alla corte di Clotario III, servì quel principe in qualità di coppiere, ed accortosi che i suoi si adoperavano per provvederlo di una sposa , coll'assenso del re si allontanò dalla corte. Rifugiatosi nel monistero di Fontanelle, e ri- cevuto da s. Lamberto, intraprese il suo noviziato. Compito questo, fu ammesso alla professione, e per la sua specchiata virtù venne an- che ordinato sacerdote da s. Audeno arcivescovo di Rouen. Alcuni anni dopo fu spedito a Nantes dal santo vescovo Pascano, con altri suoi compagni , e da di passarono nell'isola di Aindre, ove fabbrica- rono due chiese, che divennero poi celebri sotto il nome della badia di Aindre. Governò egli santamen- te pel corso di vari anni in quali- tà di abbate quel monistero, e final- mente sentendosi dalle fatiche, dal- l'età, e molto più da' digiuni vicino al termine di sua vita , rinunciò al governo a lui affidato. Placida- mente spirò verso l'anno 710. Il martirologio romano assegna la sua festività il i5 marzo. ERMELINDA (s.). Presso Lo-

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vanio, città del Brabante, trasse i suoi natali Ermelinda nel sesto se- colo. Nell'età di anni dodici consa- grò al Signore la sua virginità. I genitori di lei tentarono inutilmen- te di torla dal suo divisamento, e dopo averne sperimentata la co- stanza, le diedero un pieno assen- so. Per sottrarsi da ogni monda- na distrazione, si rifugiò in un luo- go chiamato Bevec, ed ivi visse in orazione e nel digiuno, per viep- più piacere al celeste suo sposo. Passava dal ritiro alla chiesa, e perchè ebbe a conoscere un gior- no, che due giovani tendevano lac-* ci alla sua virtù, fuggì di subito da Bevec, e si recò a Meldrik, ed ivi consumò il resto del vivere suo conducendo una vita solitaria, e tutta spesa in austerità e vigilie. Spirò santamente il 29 ottobre sul terminar del sesto secolo, È ono* rata con celebrità a Meldaert nel Brabante, e la sua festa ricorre in tal giorno.

ERMENEGILDO (s.). Da Leo- vigildo re de' goti in Ispagna nac- que Ermenegildo, e fu allevato nell'arianismo. Cresciuto negli anni, s'impalmò con Ingonda, cattolica zelantissima, e figlia di Sigiberto re d'Austrasia. Il padre di lui as- sociatolo alla dignità reale, gli die- de a governare porzione de' suoi stati, ed ebbe Siviglia per capitale. Le virtù di Ingonda e le continue ammonizioni , eh' ella dirigeva al suo sposo , perchè abbandonasse l'arianismo, fecero tale impressio- ne nel cuore di Ermenegildo, che finalmente si arrese alle verità del- la cattolica fede, e dal santo ve- scovo di Siviglia Leandro fu rice- vuto nella Chiesa, ed unto col san- to crisma. Leovigildo sdegnato col figlio per un tal cangiamento di

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udienza, lo spogliò della corona non solo, ma il minacciò altresì eli ...ilo de' beni, tifila moglie e della vita medesima, se non muta- va consiglio. Ermenegildo ad una tale intimazione cercò l'appoggio di vari principi per contrapporre ia forza alle violenze paterne ; ma tradito nella implorala assistenza, non potendo resistere ad un asse- dio in Siviglia, che durò per più di un anno, si diede alla fuga, e si rifugiò a Cordova, e poscia ad Osselo. In questa città eravi una chiesa molto bene fortificata, ed in quella si rinchiuse con trecento uo- mini scelti. Non fu Ermenegildo neppur salvo in questo sacro asi- lo, che strappato a forza dai sol- dati del padre suo, tu caricalo di catene, tradotto a Siviglia qual prigioniero, e posto in una torre. Tentò Leovigildo, ora colle minac- ci e ed ora colle promesse, di con- durre il figlio a rinunziare al cat- olicismo ; ma costante il principe nella abbraeciata credenza , stava impavido attendendo il martirio. La prigione divenne intanto per lui una scuola di virtù; col digiu- no volontario si macerava, col ci- licio domava ia carne, colla fervi- da prece si univa a Dio. Il Sab- ba to santo deiranno 586, suo pa- dre incaricò un vescovo ariano a recarsi da lui, ed offerirgli la sua grazia, purché volesse ricevere la comunione dalle vescovili sue ma- ni. Ermenegildo rigettò con orrore una siffatta proposta, e rimproverò il vescovo cjual seguace di un'em- pia dottrina. Montalo il re sulle fùrie a franca condotta, ordinò che gli fosse mozzata la testa, ed Ermenegildo senza opporvi resi- slenza si sottomise al fiero colpo, il che seguì il giorno i3 aprile 3

EHM nel quale viene dal martirologio romano assegnato il suo glorioso martirio.

ERMENEGILDO. Ordine tu/uc- sire di Spagna. Nell'anno 1808, per le discordie intestine della Spa- gna, e per le armi violenti di Na- poleone, il re Carlo IV dovette ce- dere il regno a Ferdinando VII suo figlio; quindi profittando Na- poleone di una occasione favore- vole, fece rinunziare ambedue alla corona, che diede al proprio fra- tello Giuseppe Bonaparte. Ma de- clinata la fortuna di Napoleone, si risolvette egli nel i8i3 di resti- tuire la Spagna, che mai aveva po- tuto domare, al legittimo re Fer- dinando VII, ciò che effettuò a' i5 dicembre. Tornato il principe nei suoi stati, dopo essersi occupato a riordinarli , per rendere durevole a' posteri la memoria del suo ri- torno al trono, nel 18 14 eresse l'or- dine cavalleresco di s. Ermenegil- do , acciò fosse di guiderdone a que' prodi sudditi che a lungo e con gran coraggio avevano sostenuto i suoi diritti alla corona, contro le forze del formidabile con- quistatore francese. Fu stabilita per decorazione a' cavalieri una croce, che sospesa ad un nastro di seta ondata di colore rosso, ma con orli colore di perla, si dovesse portare nella sinistra parte del petto; e in pari tempo furono pubblicati i sta- tuti dell' ordine.

ERMESIANI. Seguaci delle dot- trine di Giorgio Ermes. Questi nac- que in Dregerwald, nel principato eli Munster nella Westfalia. Studiò nel collegio o ginnasio di Rheines> dal 1785 al 1792, nel quale an- no passò a Munster per cominciar il corso di filosofìa nella universi- tà. Nello studiare teologia sorsero

ERM in lui diversi dubbi intorno a Dio, alla rivelazione, e alla vita eterna. Nel i 798 ricevette 1' uffizio di pro- fessore nel ginnasio di Miuister, continuando in pari tempo i stu- di filosofici e teologici ; encomian- do grandemente nelle sue lezioni Kant e Fichte. Nel declinar del 1798 ricevette la tonsura, quindi gli ordini minori, il suddiaconato, e nel febbraio 1799 il presbitera- to, a titolo della mensa così detta del principe. Nel 1807 fu fatto professore ordinario di dommatica neir università di Miinster, ed al- lora incominciarono le sue verten- ze sul metodo dell'insegnamento, e sull' uso della lingua tedesca , perchè con questa alterava il sen- so del rigoroso parlare teologico ; ed incominciò successivamente a far conoscere i suoi sentimenti, massi- me in un suo Parere intorno al- le controversie tra il capitolo di Miinster, ed il vicario capitolare , in opposizione ad un comando di Pio VII. Nel 18 19 pubblicò l' In- troduzione alla filosofia, e passò all' università di Donna a professo- re di teologia dommatica. Ivi nel seguente anno pubblicò la sua In- troduzione alla teologia cristiano- cattolicaj e continuando ad inse- gnare la teologia in quella univer- sità sino all'anno i83r, in questo mori a' 26 maggio, nell'età di cin- quantasei anni. Lungi dal fare la storia di Ermes, e de' suoi segua- ci, premettemmo questi cenni sto- rici , per riportare l' idea gene- rale che della dottrina di Ermes ci diede il dottissimo p. Giovanni Perrone della compagnia di Gesù, il celebrato autore delle tanto ac- clamate Praelectioncs theologicae , nel toni. VII degli Annali delle scienze religiose, a pag. 65.

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Domesticatosi Ermes, come si è detto, con la nuova filosofìa di Kant e di Fichte, e al nuovo metodo introdotto da Stalller, si propose niente meno che di date una di- mostrazione compiuta e rigorosa a priori, colla sola ragione; della reli- gione cristiano -cattolica. Rigettati perciò tutti i metodi seguiti dai santi padri, dagli scolastici e dai teologi che loro tennero dietro, volle tentare una via novella onde ottenere il suo scopo. A tal effetto risolvette di fare astrazione da tuttociò che credeva, e da tuttociò che sapeva; di presuppone che non vi fosse ancora per lui nulla di certo, di sicuro; di dubitare di tutto, non pur della dottrina cattolica, ma di qualsivoglia verità, dell'esistenza di Dio, di quella del mondo, e della possibilità stessa ben anco di giun- gere ad una cognizione qualunque di tutti questi oggetti. Pose perciò il dubbio positivo qual punto don- de cominciare le ricerche sue , e volle far prova se perverrebbe alla perfine a superare un cotal dub- bio col suo pensiero, e trovar cos\ un punto d'appoggio solido, un primo principio di cognizione e di certezza, da cui potesse in processo dedurre le verità tutte della reli- gione cattolica. In altri termini cercò di stabilire una base, e uno stabile fondamento su cui potesse da prima innalzare l'edificio di un sistema delle verità generali , indi successivamente, e per una conca- tenazione stretta e rigorosa , delle verità religiose, della verità cristia- na, e della verità cattolica, di mo- do che si trovasse in istato di for- mare definitivamente questo dilem- ma : o non si verità alcuna, o se si dà, questa verità è il catto- licismo. Tale è l' idea generale del

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lavoro di Ermes; tale lo scopo ch'egli si propose, al quale appli- cò l'animo con ostinata costanza , e a cui ottenere, lottò, com'egli confessa, seco medesimo più di venti anni. Fin dal i8o5 avea egli gittato il germe del suo sistema in un breve scritto che comparve al pubblico sotto il titolo di Ricerche su la verità interiore del cristia- nesimo. Piti tardi poi, cioè allor- ché credette avere raggiunto il fi- ne che si aveva prefìsso, diede in luce l'opera grande della Intro- duzione, divisa in due parti, della quale si è fatta menzione. Non che però ottenere il suo scopo, gli fallì esso intieramente, e tutto capovolse l' insegnamento cattolico, e tolse le basi della certezza, e con ciò della dimostrazione del cristianesimo e del cattolicismo.

Quindi insorsero due partiti, uno contrario ad Ermes, l'altro favore- vole : il primo lo accusò come au- tore di novità perniciose, e indu- centi allo scetticismo e al sovver- timento de' principii cattolici; il secondo che da lui prese il nome di Ermesiano, sostenne essere anzi il proprio maestro sommamente or- todosso, e sostenitore della vera fe- de e del cattolico insegnamento contro il protestantismo ed il ra- zionalismo. La lotta andò avan- ti, che ne venne in cognizione la santa Sede, la quale nel i833 ne incominciò 1' accurato esame , che continuò con lentezza e maturità, richieste dalla gravità della cosa, dappoiché la dottrina di Ermes agitava e teneva in dissensione di- verse provincie della Prussia, e spe- cialmente la Westfalia. Risultò da- gli accurati esami , contenere le opere di Ermes dottrine sovversi- ve del principio cattolico, e in gra-

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do più o meno grave erronee, con- venendovi pienamente i più cele- bri teologi di Germania; laonde il sommo Pontefice Gregorio XVI re- gnante, nel settembre 1 835 emanò il decreto di riprovazione e con- danna delle opere di Ermes. Nel voi. IX de' citati Annali, a pag. 32 1 e seg., è riportato : Ada Her- mesiana, ec. scripsitt p. I. Elve- nich, in cui il p. Perrone tolse ad esaminare il sistema filosofico del- l'Ermes ; e nel voi. X, a pag. 6 1 e seg., abbiamo : Esamina d'una diatriba contro il R. p. Perrone, scritta da un pseudo Lucio Sin- cero Ermesiano vero. Nel voi. XVI poi, a pag. 25 1, sono riportate: Ri- flessioni sul metodo introdotto da Giorgio Hermes nella teologia cat- tolica, e sopra alcuni speciali er- rori teologici del medesimo, disser- tazione che il eh. autore p. Per- rone recitò nell'accademia di reli- gione cattolica di Roma, meritan- do di stamparsi pure separatamente.

ERMETE (s.). Neil' anno 1 32 , durante la persecuzione di Adria- no imperatore , Ermete ricevette la palma del martirio in Roma. Nella via Salaria fu deposto il suo corpo, ed ornata la sua tomba con grande magnificenza dal supremo Gerarca Pelagio II. Parecchie chie- se vantano di essere arricchite del- le reliquie di lui, ed il martirolo- gio romano ne riporta la festa a' 28 agosto.

ERMINONE ( s. ). Nacque in Laon. Cresciuto in virtù e versato molto nelle scienze ecclesiastiche , fu promosso all'ordine sacerdotale. Divenne in appresso abbate di Lo- bes nell' Hainaut , succedendo de- gnamente a s. Ursmaro. La sua umiltà, l'austerità di vita, e lo spi- rito di preghiera edificarono i re-

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ligiosi a lui soggetti. Consecrato vescovo, fu anche dal Signore fa- Torito del dono di profezia. San- tamente mori il i5 aprile del- l'anno 737, ed in tal giorno il ro- mano martirologio ne assegna la festa.

ERMOCAPELIA (Hermocape- lia ) . Città vescovile della pro- vincia di Lidia, nella diocesi d'A- sia, sotto la metropolitana di Sar- di, la cui erezione risale al secolo nono. Teopisto e Niceforo ne fu- rono vescovi. Oriens Christ. t. I, p. 890.

ERMOGENE, Cardinale. Er- mogene Cardinale prete della S. R. C. e del titolo di s. Prisca, inter- venne ad un concilio celebrato nel 761 dal Papa s. Paolo I. Credesi che sia stato elevato a quella digni- tà dal Pontefice Stefano II, detto III, antecessore del nominato s. Paolo I.

ERMOGENE, pittore di profes- sione, innalzò nel secondo secolo cattedra di eresie in Alessandria. Diceva, che la materia era eterna ed increata, che i demoni doveano un giorno riunirsi alla materia, e che il corpo di Gesù. Cristo stava nel sole. Scrissero contro di lui Ter- tulliano, s. Teofilo, Eusebio e Lat- tanzio.

ERMOPOLI la grande. Città vescovile, e capitale della Tebaide, nel patriarcato di Alessandria, sot- to la metropoli di Antinoe, eretta nel quinto secolo, che Commanvil- le dice pur chiamarsi Benesuef. Pli- nio la chiama città di Mercurio, Mercurii oppidum, perchè vi si onorava questa divinità sotto la te- sta d'un cane. Alcuni pretendono che la Reata Vergine e s. Giusep- pe ivi si recassero con Gesù Cristo bambino, nella fuga in Egitto, e che vi fosse un tempio, i cui idoli

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cadessero a terra allorquando vi en- trò il Signore del mondo. A minia- no Marcellino asserice, che era una città celebre. Le sue rovine si vedono nel villaggio d'Achu- munein, nel basso-Egitto. Otto ve- scovi vi ebbero sede, cioè Conone, Fasileo, Andrea, Gennadio, Euge- nio, Paolo, Severo, Chail, ed un giacobita. Oriens Christ. tom. II, pag. 5g5.

ERMOPOLI la piccola. Città vescovile del primo Egitto, sotto il patriarca di Alessandria, e la me- tropoli di tal nome, eretta nel se- colo quinto. Strabone dice, eh' è vicina al Nilo dalla parte del mon- te. Fu ritiro famoso di un gran numero di monaci, ch'erano sotto la giurisdizione del vescovo della città. Commanville e il p. Vansleb dicono essere presentemente Demen- hour presso il Delta ove non sono più vescovi melchiti, copti. E- rodoto narra, che fu vicino a Sebe- nyte, piuttosto presso al mare, al- l'est di Ruto. Abbiamo dieci ve- scovi i quali vi ebbero sede, Am- mon, Draconzio, Isidoro, Dioscoro, Isaia, Gennadio, Zaccaria, Menna, Gabriele, ed un altro che fiori nel 1 147. Di tutti si riportano le no- tizie dal p. Le Quien, Oriens Christ. tom. II, pag. 5i4 e seg. Al pre- sente Ermopoli, Hermopolitan. , è un titolo vescovile in partibus , dipendente dalla metropoli in par- tibus di Damiata, che suole confe- rire la santa Sede. Ne portò il ti- tolo vescovile il celebre monsignor Dionisio Antonio Luca Frayssinous, l'autore della Difesa del Cristia- nesimo. Dopo la sua morte, il re- gnante Gregorio XVI, nel concisto- ro de' 27 gennaio 1842, lo con- ferì a monsignor Antonio Fuathow- ski di Posnania, che in pari tem-

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po lece sufTraganeo all' arcivescovo di Plosko in luogo di Pultow.

ERNESTINO. Ordine equestre di Sassonia. A seconda degli sta- tuti de' i5 dicembre i833, i du- chi della linea Ernestina, Federi- co di Sassonia- A Itenburg, Ernesto di Sassonia-Meiningen , e Hildbur- ghausen, per onorare la memoria della linea speciale di Sassonia-Go- tha-A Itenburg , estinta nel 1825, rinnovarono 1' Ordine dell'integrità germanica, che porta per divisa : fideliter et constanter, istituito già nel 1690 da Federico I duca di Sassonia - Gotha - A Itenburg , come un'onorifica distinzione, ed una ri- compensa al merito ; però tutti i principi del ramo Ernestino, appe- na nati, per diritto sono noverati alla prima classe di questo ordine equestre. L'ordine si divide in quat- tro classi, cioè di gran croci, di commendatori di prima classe, di commendatori di seconda classe, e di cavalieri; rimanendo stabilito il numero dei membri in nove gran croci, dodici commendatori di pri- ma classe, diciotto della seconda , e trentasei semplici cavalieri , non comprendendosi nel numero gli stra- nieri. Coloro che sono fregiati del- la gran croce , nel tempo istesso sono aggregati alla nobiltà, tras- missibile ai discendenti; e ciascuno dei duchi delle tre linee, ha il di- ritto di nominare i propri sudditi a tutte le menzionate classi dell'or- dine, sino alla concorrenza del nu- mero prestabilito. Nell'ammissione degli stranieri, il cui numero è in- determinato , debbono concertarsi almeno due delle case ducali capi e conferitrici dell'ordine. Oltre le suddette quattro classi, vi è anco- ra una decorazione aggiunta all'or- dine medesimo della linea Erne-

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stina-. questa è la croce di merito in argento, e la medaglia del me- rito. I gran croci portano al lato sinistro del petto una piastra ot- tagona, alternativamente d'oro e di argento, sulla quale si trova im- pressa la croce bianca, e nel mez- zo un campo d' oro colla corona di ruta e l'epigrafe: fideliter et constanter. 1 commendatori della prima classe portano la croce, ma senza piastra al di sotto. Pei sud- diti sassoni, gl'impiegati civili han- no di più in questa decorazione una corona di quercia, e i soldati una corona di alloro. La decora- zione comune a tutte le classi, ma di differente dimensione, è una cro- ce ottagona smaltata in bianco, e incrostata d'oro: lo scudo della faccia principale della croce rap- presenta il busto del duca Erne- sto Pio, stipite della linea Erne- stina da cui piglia nome l'ordine, e nel rovescio si vede lo stemma, e l'epigrafe menzionata dell'ordine stesso. La medaglia poi ha sulla faccia il busto del fondatore di quella linea che la conferisce, e nel rovescio vi è il motto.

ERRHA, ERRA, seu HERRI. Sede vescovile della seconda pro- vincia di Arabia, nel patriarcato di Gerusalemme, sotto la metro- poli di Boslra, eretta nel secolo quinto. Ebbe un sol vescovo.

ERSK1NE Carlo, Cardinale. Car- lo Erskine, oriundo da nobile fa- miglia di Scozia, nacque in Roma ai i3 febbraio 1743. Sino dai tem- pi d'Innocenzo VI il capo della famiglia Erskine sedeva nel parla- mento d'Inghilterra col titolo di Pari sotto il nome di lord Niellie. Ricevuta una buona educazione letteraria e religiosa, e dedicatosi al servigio della santa Sede, siccome dotto nella giù-

ERS imprudenza, e celebre nell'esercizio dell'avvocatura, in Roma meritò che alcuni lo chiamassero il restau- ratore del bello scrivere forense nel latino idioma, prima di lui alquan- to trasandato. 11 perchè fu da Pio VI annoverato nel collegio degli avvo- cati concistoriali, quindi fu fatto ca- nonico della basilica vaticana, e promosso alla prelatura domestica, ed alla rilevante carica di suo udi- tore , dandogli poi in vice-uditore , monsignor Alessandro Lacchi ni pro- tonotario apostolico. Divulgatasi la voce di un congresso da tenersi dalle potenze belligeranti contro la Francia sulla pace generale, il Cardinal de Zelada segretario di stato, in data àe 6 giugno 1793, deputò e nomi- nò monsignor Erskh.e a rappre- sentare in detto congresso la santa Sede, e gli spedi conseguentemen- te le credenziali , e le istruzioni. Il medesimo Pio VI lo inviò in Londra colla qualifica diplomatica di residente presso la real corte di Inghilterra, o v'ebbe onorevole acco- glienza, e si vide ammesso in cor- te in abito nero ecclesiastico, cosa a quel tempo singolarissima. Essendo morto nel fine di agosto 1799 il Pontefice in Valenza di Francia, mon- signor Erskine a sue spese gli fece celebrare nella chiesa di s. Patrizio di Londra solennissime esequie , cui intervennero tutti i ministri delle corti cattoliche , insieme a quello di Russia, come si legge nel No- vaes, t. XVII, pag. 193, che nota fossero allora scorsi circa 270 an- ni dacché l'Inghilterra si era sepa- rata dalla Chiesa cattolica, nel qual tempo non 'eransi più praticati si- mili omaggi ai Romani Pontefici defunti; ciò che pure abbiamo dal Cancellieri, Possessi, p. ^.7.0. Tal pompa funebre, che non crasi più

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veduta permessa dopo la lagri- mevole riforma, fu decorata da iscri- zioni lapidarie, che in islilcpurgatissi- mo ed ottimo gusto furono composte dallo stesso Erskine, e che venne- ro collocate intorno al tumulo; ed inter solcmnia vi si recitò l'elo- gio funebre. L'orazione poi dal- l'Erskine composta in lingua in- glese per tale circostanza, ebbe generale accoglienza e plauso, che nella medesima città di Londra fu obbligalo darla alle stampe, e ven- ne poscia tradotta e pubblicata in italiano da monsignor Pio Ferrari. Nel ritornare da Londra a Roma, passando per Parigi ebbe udienza da Napoleone, che nel congedarlo gli disse: mi piacerebbe esservi u- tile3 perchè vi stimo assai. In Lon- dra il nostro prelato avea sostenu- to la corrispondenza della congre- gazione di Propaganda fide colle missioni orientali, che sovvenne ge- nerosamente . lasciando poi a di- sposizione della congregazione la somma di 1 34/ 7 1 « ie sterline. 11 nuovo Papa Pio VII diede all'Er- skine per coadiutore nel! avvocatu- ra concistoriale monsignor Agostino Valle, quindi volendone rimunera- re i meriti, le virtù, e i servigi prestati alla santa Sede, mentre era pure suo uditore, nel concisto- ro de'3 febbraio 1801 lo creò Car- dinale dell'ordine de'diaconi, pub- blicandolo in quello de' 17 gennaio i8o3, nella settima promozione car- dinalizia. Indi gli conferì per dia- conia la chiesa di s. Maria in Cam- pitelli, annoverandolo alle congre.- gazioni del concilio, di Propaganda fide, deVili, e della fabbrica di s. Pietro. Divenne protettore del re- gno di Scozia, del collegio scozzese in Roma, del monistero di s. Fran- cesco detto di Monte Luce di Pe-

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rugia ; come ancora fu visitatore apostolico del monistero de'ss. A- gostino e Rocco nella terra di Ca- llaiola, e per un tempo fu anche pro-segretario de'brevi pontificii. In- vasa Roma dagl'imperiali francesi, il nostro Cardinale, come tutti gli altri, fu deportato in Parigi, dove morì, nell'età di 68 anni, ai 20 marzo 181 1, e venne esposto nel- la chiesa di s. Tommaso d'Aquino sua parrocchia, parata a lutto, es- sendosi posto sopra il letto del cadavere il baldacchino; e dopo le consuete esequie venne sepolto in quella di s. Genovieffa. Essendo e- gli morto nel giorno stesso che nacque il figlio di Napoleone, chia- mato il re di Roma, ed attese le pubbliche feste che per tale avve- nimento ebbero luogo, dovette il suo corpo rimanere nella casa quat- tordici giorni, celebrandovisi tutto messe ed uflìzi. 11 decimottavo giorno decretato avendo il consi- glio di stato che gli si rendessero gli onori come ad un senatore, fu perciò trasportato in funebre car- rozza con grande accompagnamento di milizia alla chiesa suddetta di s. Tommaso, destinata dal ministro dei culti a tali solenni esequie, coll'in- tervento del seminario di s. Sul- pizio, dei preti della parrocchia, e di tutti i vescovi e Cardinali che trovavansi allora in Parigi, prenden- do luogo dopo di essi il mini- stro de' culti in grand'abito di eti- chetta. Cantò la solenne messa di requie il Cardinal Giuseppe Doria, e dopo le consuete cerimonie , fu trasportato col medesimo corteggio in s. Genovieffa, e qui ricevuto da una deputazione del capitolo di nostra Signora ; e il curato nel consegnarlo all' arciprete della chie- sa ne recitò il funebre elogio a cui

ERU l'arciprete fece una bella risposta. Venne sepolto in una camera sot- terranea di detta chiesa di s. Ge- novieffa, ov' erano già stati sepolti i predefunti Cardinali Capraia, e Vincenti; ed inbalsamato, fu ri- posto nelle solite tre casse, come si costuma coi Cardinali. Venne scolpi- ta sopra una lastra di granito la modesta e semplice iscrizione com- posta dal medesimo porporato Er- skine, e trovasi ripetuta in una con- simile lastra marmorea, nella men- tovata sua chiesa diaconale di s. Maria in Campitela, o in Portico, di Roma.

ERUDIZIONE (Eruditio, Do- ctrìna ). Vocabolo che propriamen- te vale dirozzamento , ma si usa anche in significato di dottrina, e quindi dai nostri antichi scrittori si accennano uomini di grande e- rudizione, letterati di non ordina- ria erudizione, ec. Pigliossi poi in men largo significato l' erudizione per filologia, o sia dottrina e co- gnizione di molte cose, acquistate non per argomentazione o discorso, ma per semplice veduta o quasi veduta de* sensi o della mente, conservata nella memoria. Quindi si disse l'erudizione rara, vasta, meravigliosa, profonda, recondita, sacra, ecclesiastica, profana, filosofi- ca, istorica, filologica, ec, e talvolta anche triviale. Così il Dizionario del- la lingua italiana, e il Dizionario delle origini. Colle nozioni di questa seconda utilissima opera, e coll'au- torità di altri scrittori, aggiunge- remo altre erudizioni sul vocabolo erudizione, titolo di questo nostro Dizionario, nel quale parecchi so- no gli articoli eh' espressamente ri- guardano la scienza e il vocabolo erudizione , principalmente quella della antichità.

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L'erudizione, secondo il d'Alem- bert, è un genere di cognizioni, in cui i moderni si sono singolar- mente distinti per due ragioni : più il mondo invecchia, e più s'au- menta la materia dell'erudizione, e per conseguenza dee trovarsi al presente maggior numero di eru- diti , come maggiore quantità di ricchezze trovasi, allorché avvi mag- giore abbondanza di numerario. D'altronde l'antica Grecia non fa- ceva gran conto se non che della sua storia e del suo idioma , e i romani non erano se non che ora- tori e politici ; lo studio adunque dell'erudizione propriamente detta, non era molto coltivato dagli an- tichi. Tuttavolta trovossi in Roma sul finire della repubblica, e poscia sotto gl'imperatori, un piccolo nu- mero di eruditi , come il celebre Vairone, Plinio il naturalista, ed alcuni altri. Però il trasferimento della sede dell' impero a Costan- tinopoli, la divisione dello stesso impero, e in seguito la distruzione di quello d'occidente, annientarono ben presto in quel genere qualun- que specie di cognizioni in questa parte del mondo, massime nel se- colo decimo. Al secolo decimoquin- to si deve il risorgimento e glo- rioso incremento delle scienze, seb- bene possa fondatamente dirsi che in Italia rinato già fosse il gusto della erudizione* e coltivato gran- demente quello studio, massime dopo il ritrovamento e la pubbli- cazione de' classici greci e latini. L' oriente si sostenne per lungo tempo anche nei secoli che delti furono della barbarie, e la Grecia più o meno ebbe sempre alcuni uomini dotti, versali nella cogni- zione de libri, e specialmente nel- la storia. Ma que' dotti per lo più

VOL. XXII.

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non leggevano e non conoscevano se non che i greci scrittori, ed al- cuni fanno loro il rimprovero di avere ereditato dagli antenati loro una specie di disprezzo per tutto quello che scritto non era nella lo- ro lingua. Tuttavia siccome al tem- po degl' imperatori romani, ed an- che avanti quel periodo, molti scrit- tori greci , come Polibio , Dione , Diodoro Siculo, Dionigi di Alicaiv nasso ed altri, avevano scritta la storia romana , e quella di altri popoli, così t' erudizione storica, e la cognizione de' libri anche sem- plicemente greci, formato aveva si- no da que' tempi un oggetto con- siderabile dello studio de' letterati d' oriente.

Costantinopoli ed Alessandria avevano due biblioteche riputatis- sime, come le aveva avute Roma : la prima fu distrutta nel secolo Vili , per ordine dell' insensato Leone V Isaurico, la seconda fu bruciata da' saraceni nel secolo pre- cedente. Fozio, che viveva sul de- clinar del secolo IX, allorché quasi tutto l'occidente era immerso nel- T ignoranza e nella barbarie più profonda , meno quelle eccezioui che in più luoghi abbiamo notalo, ci lasciò colla sua famosa bibliote- ca, o ragguaglio di molti libri, ch'e- gli aveva letti attentamente, un mo- numento immortale della sua va* sta erudizione, al modo che dicem- mo al voi. XX , pag. 8 del Di- zionario. Dal gran numero del* le opere, delle quali egli porta giù* dizio, o delle quali riferisce estrat- ti o frammenti, e delle quali è in oggi perduta una grandissima par- te, si raccoglie che la barbarie del* T imperatore Leone, e dei sarace- ni per comando di Omar, non ave- va ancora potuto distruggere

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gusto dell'erudizione nella Grecia. Benché i dotti, che successivamen- te fiorirono dopo Fozio, non fos- sero egualmente forniti di erudi- zione quanto quel grand' uomo, tuttavia per lungo tempo appresso la comparsa di quel patriarca sci- smatico, ed anche sino alla presa di Costantinopoli fatta nel i453 da Maometto II, la Grecia ebbe sempre alcuni uomini istrutti, o almeno versati nella storia de' loro tempi, e nelle lettere, tra' quali possono annoverarsi Psello, Tzetze, Suida, Eustazio commentatore di Omero, che fu poi arcivescovo di Tessalonica, non che Giorgio da Trebisonda, il Cardinal Bessarione, il patriarca Gennadio, ec. E qui ad onore dell'Italia nostra va notato, che la prima versione e illustra- zione latina del commento di Eu- stazio sopra l' Iliade di Omero, fu pubblicata in Firenze nel iy3o dall'eruditissimo. p. Alessandro Po- liti fiorentino delle scuole pie. Cre- desi comunemente che la distru- zione dell'impero orientale sia sta- ta la cagione, o almeno una delle cagioni che promossero il rinasci- mento delle lettere in Europa; e si vuole da alcuni, che i dotti del- la Grecia cacciati o fuggiti da Co- stantinopoli e ben accolti dal Pa- pa Nicolò V, e dai Medici di Fi- renze col loro sapere, e colle ope- re che seco portarono, ricondusse- ro i lumi della erudizione nell'oc- cidente, il che (dice il citato Alem- bert) non è vero se non in parte. Che le lettere greche e latine avessero da Nicolò V una grande protezione, Io abbiamo dalManni, Storia degli anni santi, pag. 72 e seg. Egli dice che per ordine di quel Papa, e con convenienti ono- rari vennero a beneficio universale

ERU tradotti dal Poggio Bracciolino dal greco in latino Senofonte, e Dio- doro Siculo; da Flavio Biondo fu scritta l' Italia illustrata; da Anto- nio degli Agli s'incominciarono a scrivere gli Atti de* santi j da Gre- gorio di Trebisonda si voltò in la- tino Eusebio della preparazione e- vangelica, Platone de legibus, VAI- mageston di Claudio Tolomei, ot- tantina omelie di s. Gio. Crisosto- mo sopra s. Matteo, e due orazio- ni di san Gregorio Nazianzenoj da Nicolò Peratto si tradusse Po- libio; da Lorenzo Valla Tucidi- de (per la qual versione Nicolò V gli diede di sua mano cinque* cento scudi ) ed Erodoto j da Gua- rino Veronese, e da Gregorio di Città di Castello, la Geografìa di Strabone} e la traduzione de' li- bri de regno di Dionej da Pietro Bandidio Decembrio, Appiano A- lessandrino; da Teodoro Gaza al- cune opere di Aristotile, e l' istoria delle piante di Teofrastoj da Egi- dio Libellio alcuni opuscoli di FUo- ne Ebreo; e da Giannozzo Manetti il vecchio e il nuovo Testamento. E laddove il Petrarca cento anni prima , per la lettura che faceva di Virgilio, veniva chiamato miscre- dente, nel pontificato di Nicolò V, l' Iliade, e V Odissea di Omero , da Orazio romano e da un altro, di comando del dottissimo Pontefice, munifico mecenate delle lettere e suoi cultori, in latini versi furono tradotte. Non deve tacersi che l'ar- rivo in Europa dei dotti dalla Gre- cia era stato preceduto dalla uti- lissima invenzione della stampa, e gli stessi francesi osservano che pre- cedentemente erano comparse le opere di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, le quali ricondotta avevano in Italia l'aurora del buon

ERU gusto e deir amore allo studio dei classici.

I suddetti greci di Costantino- poli riuscirono sommamente utili ai letterati di occidente per la pie* na cognizione della lingua greca , che incominciarono ad insegnare con regolare metodo, e della quale resero comune lo studio, forman- do allievi talmente ingegnosi, che ben presto eguagliarono e supera- rono i loro maestri. Lo studio profondo delle lingue greca e la- tina , e degli antichi autori che parlato e scritto avevano in quelle lingue, preparò insensibilmente gli spiriti ai buon gusto della erudi- zione., e della bella letteratura. Fu allora che i dotti dell'occidente si avvidero che Demostene e Cice- rone, Omero e Virgilio, Tucidide e Tacito, seguiti avevano gli stessi principii nell'arte di scrivere, e fa- cilmente ne trassero la conclusione, che quei principii erano i veri fon- damenti dell'arte. Ciò non pertan- to i veri principii del buon gusto, dice il citato d'Alembert, non fu- rono ben conosciuti ed accurata- mente sviluppati se non quando si ricominciò ad applicarli alle lin- gue viventi; e in questo ancora primi furono gì' italiani. Siccome la memoria tenace è il principal ca- pitale di un vero erudito, nell'in- titolare l'eruditissimo Cancellieri al celebre cav. Millin la Dissertazio- ne intorno agli uomini dotati di gran memoria, ec, cosi gli scrive- va: •> Finche ho avuto la sorte di •» starvi vicino a Parigi ed in Ro- * ma, non mi facea di mestieri » di consultare verun libro. Qua- » loia mi occorreva di procurar- » mi qualche notizia, o di sapere » quale autore avesse scritto sopra » qualunque materia, bastava che

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» a voi ricorressi, trovando un ar- * chivio, un museo, una bibliote- » ca sempre aperta nella vostra y> memoria. Poiché tenete, per dir « così, tutto il tesoro ed il capi- •» tale dell'immensa erudizione che » possedete, in pronto e lucidis- ti simo contante, da dispensare, e « d'arricchire chiunque ne abbiso- » gna ". 11 Muratori , il Tirabo- schi, l'Andres, e tanti altri sommi dotti, furono appellati principi dell'i- taliana erudizione, nella quale fu tan- to celebre il mentovato Cancellieri. In oggi il vocabolo di erudizio- ne si applica più comunemente a- gli studi della filologia, ossia stu- dio delle belle lettere, e di quello che chiamiamo appunto erudizione, non che dell'antiquaria. Egli è perciò, che per ultimo accenneremo quanto Filippo Buonarroti scrisse sullo studio e sulla difficoltà del- l'erudizione, nel suo proemio alle dotte Osservazioni istoriche sopra alcuni medaglioni antichi. Il vero sapere consiste in gran parte, non nell'avere apprese e conservate nel- la memoria molte cose, ma bensì nel discernimento di conoscerne il valore, la scienza di esse, le cose chiare e certe dalle dubbie, e la- sciare le inutili. E se veruna scien- za ha bisogno di un fatto pre- paramento d' intelletto , e cautela , lo studio dell'erudizione e della an- tichità è quello che ne ha una necessità particolare, non solo per le cagioni addotte, ma ancora pel gran numero degli scrittori, e per la varietà delle opinioni che ci sono, non che per la differenza degli stili, ond' è molto difficile in una strada tanto frequentata da ogni sorte d' ingegni seguitare le vestigie che conducono alla veri- tà. Ma siccome tali cose rendono

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difficile un tanto studio, è pur ve- ro che con grandissima utilità si assuefa l'intelletto, e lo rende più abile ad apprendere e seguire in ogui affare la verità; imperocché, se l'e- sercizio delle altre scienze ce lo restringe, per così dire, ad un cer- to, solo e regolato metodo , che non è tanto a proposito per gli altari comuni, lo studio dell' eru- dizione dall'altro canto è più adat- tato ad abilitarlo a ben discernere e giudicare negli accidenti, e nelle cose umane, le quali dipendono da congiunture e cagioni diverse ed uràni te, per la ragione che questa scienza dipende, come si è detto, da molti principi*!.

ERULI (Heruli). Questi anti- chi popoli ebbero l' origine nella Germania o nella Pomeriana, se- condo S trabone e Tacito, e furo- no prima chiamati Lemovii. Tolo- meo nella sua geografia , dice che gli eruli uscirouo dalle isole del golfo del Codano o dell'Ellespon- to Danico. Zosimo e Procopio che ci fanno conoscere i principii di questi popoli , attribuiscono loro un'estrema ferocia. Questi popoli entrarono in Europa , dopo aver passato lunghesso il Ponto Eussi- no. Gli uni si stabilirono sulle ri- ve del Danubio, altri si imbarca- rono, ma vi perirono in gran nu- mero. Fecero la guerra ai lom- bardi, e poscia agi' imperatori gre- ci, per cui Anastasio fece loro la guerra, e in parte li sottomise. Giustiniano 1 accordò loro delle terre, e li sollecitò a farsi cristia- ni, siccome poi diremo. Al dire di Procopio gli eruli entrarono in I- talia nell'anno 47^, avendo alla loro lesta Odoacre. Narra il Ri- naldi, all'anno 47 5, num. 3, che Giulio JXepote imperatore fu quel-

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lo, che per vendicarsi di Oreste, il quale avea proclamato imperatore il proprio figlio Romolo Augusto, detto per dispregio Momillo Au- gustolo, come sdegnato in un ai suoi partigiani, nulla curando la rovina d'Italia, chiamò gli eruli, popoli della Seandivania, inviando a tal uopo una legazione ad Odoa- cre, cui s. Severino avea predetto il suo futuro ingrandimento. Odoa- cre dopo poca resistenza, nel 47*> occupò anche Roma , depose Ro- molo Augusto rilegandolo nella Campagna, cioè in Luculiano, ca- stello vicino a Napoli, dando cosi fine al romano impero cinque se- coli dopo la sua fondazione > e la possente dominazione romana fon- data da Romolo, e stabilita da Augusto ebbe fine sotto l' infelice e debole principe, che indegna- mente portava il nome di ambedue. Lungi Odoacre di assumere la porpora imperiale, prese in vece l' insegne e il titolo di re d'Italia, fissando la sua sede in Ravenna (Fedi). Allora Roma venne consi- derata come città secondaria, sot- toposta al governo dei luogotenenti del re, e le sue provincie limitrofe formarono il ducato romano. Ri- cordevole Odoacre del vaticinio di s. Severino, gli scrisse invitandolo a domandare ciò che avesse volu- to. Odoacre mostrò molta mode- razione, e sebbene seguace dell'a- rianesimo, non turbò le cose sa- gre, e concedette varie grazie ai vescovi cattolici. L' erulo conqui- statore mise nel suo consiglio il celebre Cassiodoro , creandolo nel 485 conte delle rendite private, e tre anni dopo conte delle sagre largizioni. Indi nell' anno 487 vin- se Feba re de' rughi, e lo mandò schiavo con la moglie Gisa in Ita-

ERU lia, ove trasportò pure le sue genti quando superò Federico figliuolo di Feba, che avea ricuperato il pa- terno reame. Mal soffrendo Teo- dorico re degli ostrogoti o visigoti in Italia, che in questa nobile e bella regione regnasse pure O- doacre, ottenne l'assenso da Zeno- ne imperatore di oriente di mar- ciar contro di lui con poderoso esercito l'anno 489. Lo vinse in due battaglie, lo costrinse a rac- chiudersi in Ravenna, e dopo tre anni di assedio, Teodorico a' 5 marzo 49/3 ebbe per capitolazione la città, indi dopo pochi giorni a tradimento uccise Odoacre, termi- nando colla sua morte il regno degli eruli in Italia. Fu dunque nel 493 che Teodorico assunse il titolo di re de' goti e d' Italia, e Roma fu a lui sottoposta. Abbia- mo inoltre dal citato Rinaldi, al- l'anno 527, num. 52, la conver- sione al cattolicismo degli eruli, ed essendosi recato il loro re Getes a Costantinopoli, si fece battezzare, e l' imperatore Giustiniano I, ch'erasi servito degli eruli nella guerra di Persia, lo tenne al sagro fonte. Di questa conversione degli eruli ne trattano anco Evagrio e Niceforo. ERULI Eberardo, ovvero Ber- nardo, Cardinale. Eberardo Eruli nacque in Narni l'anno 1409. Giu- sta il Ciacconio e l'Ughellio ebbe i natali da famiglia volgare ed oscura ; ma secondo lo Sperandio, il Marchesi , il Viviano, sembra piuttosto che avesse abbastanza ci- vile casato. Ciò si conferma da quanto disse Pio II nel concistoro in riguardo all'Eruli, cioè non igno- bili loco natus. In qualunque mo- do però siasi la cosa, egli è certo che fino da' primi anni si rese lo specchio della integrità ne' coslu-

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mi, e la meraviglia comune per la profonda sua dottrina. Fu caro as- sai a Nicolò V, che Io fece refe- rendario, e lo ammise nel palazzo vaticano, affidandogli liberamente le cose di maggior importanza. Lo di- chiarò quindi uditore di rota, e nel i44^ gb' conferì il vescovado di Spoleti, da cui lo richiamò l'anno seguente per eleggerlo a suo vica- rio in Roma. Succeduto poi nel trono pontificio Calisto III, fu egua- le il grado di onore eh' ottenne presso questo Papa, ed anzi da lui sarebbe stato promosso alla sagra porpora, se le umane passioni che talvolta nascondonsi anche nelle persone eminenti, non gli avessero ingiustamente opposto de' speciosis- simi obbietti. Pio II però, non avu- to riguardo a' nemici di lui , a' 5 marzo 1460 , lo creò Cardinale dell' ordine de' preti , e gli asse- gnò il titolo cardinalizio di s. Sa- bina e l'abbazia delle tre fonta- ne. Decorato di cospicua digni- tà, visse con mensa frugale ed u- mile suppellettile, per modo di ren- dersi il modello dell'altrui condot- ta. Nondimeno sapea sostenere i diritti dell'alto suo grado con tale fermezza da lasciarne le più lu- minose memorie, e raccontasi nella vita di lui che non abbia voluto discendere a fare pel primo la vi- sita al secondogenito del re di Na- poli recatosi in Roma , sebbene i suoi colleghi l'avessero già fatta. In Narni avea fondato un ampio monistero ed uno spedale pei po- veri con una chiesa in Monterosi. Dimesso il primo titolo, nel i474j sotto Sisto IV, passò al vescovato di Sabina, e quindi sostenne la le- gazione di Perugia e dell'Umbria. Ebbe amicizia col Cardinale di Pavia, che di lui parla molto nel-

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le sue lettere, e col santo arcive- m'(ivo di Firenze Antonino, il qua- le spesso usava di consultarlo ne- gli affari della più grande impor- tanza. Morì in età di settanta an- ni nel i479> e *" seP°'to ne^a ba- silica vaticana, dove ottenne anche un'iscrizione, che venne poi illustra- ta dall'erudito ab. Dionisi ne' suoi Monumenti delle grotte vaticane.

ERUMNINA. Sede episcopale d'Africa, il cui vescovo Massimia- no intervenne al concilio di Cabar- susa nell'anno 2 34- Not. Afr.

ERYTRHAEA. V. Eretra.

ERYTRHON. Sede vescovile del- la Libia Pentapoli, nel patriarcato Alessandrino, sulle coste del mare. Si crede stabilita da s. Marco, co- me pure le sedi d'Idrace e di Pa- lebisca; luoghi poco considerabili, che le furono aggiunti, sebbene nel quarto secolo avesse ognuno il proprio vescovo. È noto, che il concilio di Sardica avea proibito di erigere vescovati ne' borghi. Si sa ancora che ad onta di ciò ve ne furono molti nella Pentapoli, in altri luoghi d'Africa, ed in Asia. Commanville dice, che Erytrhon venne eretta nel quinto secolo , e dichiarata suffragauea della metro- poli di Cirene. Neil' Oriens Christ. tom. II, pag. 625 , sono le notizie de* quattro suoi vescovi Orione , Sabazio, Paolo e Teofilo.

ERZERUM, Erze-Roum, Aziris, o Teodosiopoli ). Città arcivesco- vile dell'Asia maggiore nel patriar- cato di Ezmiazin, della nazione ar- mena, la quale chiama questa cit- tà col nome di Cariti o Garin. s antica capitale dell'Armenia mag- giore. Essa appartiene alla Turchia asiatica neh' Armenia , ed è capo luogo di pascialatico e di sangia- cato, sorgendo in una vasta pia-

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nura, a piedi di un'alta monta- gna, chiamala Egarli-Dagh , e di molte colline, distante due leghe dal braccio settentrionale dell'Eu- frate. E assai grande, cinta di mu- ra, e fosse; nel centro avvi una cittadella circondata pur di fossa, e da doppia muraglia in pietra , ed è fiancheggiata di torri. Questa cittadella ha quattro porte, e rin- chiude il palazzo del pascià, e qua- si tutta la popolazione turca. Si distingue tra le sue numerose mo- schee l'Ulà Giamì, vastissimo edi- fìzio. Vi sono inoltre molti bagni pubblici, bazar, e belle piazze : la fabbrica della dogana è pur vasta. Quivi è il centro del commercio fra la Persia, la Turchia, ed altri luoghi , perchè è assai frequen- tata dalle carovane. Si calcolano i suoi abitanti a circa settantamila , turchi, armeni, greci ec. Sebbene il clima sia freddo , e l'aria pura, la peste vi fece delle grandi stragi nel 1807 : precedentemente avea provato il flagello del terremoto a' 9 luglio 1784. Fuori della porta di Tauris, vi sono ameni passeggi, molti bei sepolcri di santoni , che si vanno a visitare, e sorgenti mi- nerali assai rinomate.

Commanville, nell' Hist. de tous les archèv., dice, che Erzerum è residenza di un arcivescovo arme- no, che prima chiamavasi di Surp- Xrixor, ossia di s. Gregorio, nel pa- triarcato d'Ezmiazin (Vedi), e nel monistero di tal santo. La provin- cia d'Erzerum si componeva del- l'arcivescovato d' Erzerum, e di tre vescovati suffraganei. Questi vesco- vati erano Surb-Astuasasin, con re- sidenza nel monistero della Madre di Dio, quattro leghe lungi da Er- zerum ; Ginisuvanch) con moniste- ro distante otto leghe da Erzerum ;

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e filamruanavanch, città nel Be- glerbei d'Erzerum. Oltre a ciò e- ranvi gli arcivescovati onorari di Derganav aneti, residente nel mo- nistero d'Erzerum, e di Arsingam. Di Erzerum si tratta in vari ar- ticoli del Dizionario , massime al voi. XVIII, pag. 1 1 3 e 124, ove dicesi del suo stato presente delle provincie che le sono soggette, che degli armeni cattolici, di quelli sci- smatici, ed anche dei greci.

ESALTAZIONE della ss. Cuo- ce, Festa. V. il voi. XVIII, pag. 236 e seg. del Dizionario.

ESAME (Examen, inquisitio). L' esame prendesi generalmente : i.° per la ricerca colla quale si procura di scuoprire la verità di una cosa : i.° per la deposizione de' testimoni : 3.° per quello della religione , dappoiché gì' increduli bene spesso hanno insistito sulla necessità di esaminare le prove del- la religione, la quale in vece di proibircelo, e' invita anzi a farlo : 4-° per la discussione di coscienza, o il riscontrare che devono fare i cristiani tutti i giorni alla sera, ed allorquando essi si dispongono a confessarsi , affine di conoscere le loro colpe : 5." per la prova della capacità di quello che aspira a qualche carica, od a qualche gra- do nelle scuole, o negli ordini sa- gri, ovvero a qualche benefizio a cura di anime. Di tutte queste, e di altre specie di esami , si tratta a' rispettivi articoli. Solo qui ag- giungeremo un cenno sull'-E^me deJ vescovi.

Gregorio XIV prescrisse la di- ligenza da usarsi nell'esame de' ve- scovi ; quindi Clemente VIII de- cretò, che gli eletti ai vescovati di libera provvisione del Papa, com- presi quelli di Avignone, e del con-

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tado Venosino, allora domini» del- la Chiesa romana, ed anche quelli di nomina o presentazione di prin- cipi sovrani d' Italia ed isole adia- centi, si dovessero esaminare pub- blicamente alla presenza del Papa, nella sagra teologia, ovvero in sa- gri canoni. Ed è perciò, che Cle- mente Vili istituì la Congregazio- ne deW esame de* vescovi (Vedi), al quale articolo si riporta quanto riguarda la congregazione cardina- lizia, il prelato suo segretario, gli esaminandi, ed il modo pubblico o segreto col quale si fa l'esame. Di- cesi inoltre essere soggetti all' esa- me tutti i vescovi delle parti sud- dette, i vescovi coadiutori e suf- fraganei (massimamente dell'Italia), e quelli che essendo vescovi tito- lari sono trasferiti ad una chiesa residenziale. Ivi pure si dice chi gode l'esenzione, e chi n'è dis- pensato. Altre analoghe notizie so- no riportate all'articolo Concisto- ro, cioè nel voi. XV, p. 23oe seg. del Dizionario. Aggiungeremo qui, che prima d'incominciar l'esame il Papa legge l'orazione che suole recitarsi al cominciar delle con- gregazioni cardinalizie \ e che gli esaminatori de* vescovi essendo Car- dinali , prelati , e distinti reli- giosi , prima esaminano i prela- ti, o i religiosi, poi i Cardinali. Dall'esame sono dispensati gli esa- minatori, gli uditori di rota, i con- sultori del s. offizio ec, ma essi sono tenuti a presentarsi all' atto dell'esame, e ad inginocchiarsi avan- ti il Pontefice alla presenza degli esaminatori. Il Papa però li fa su- bito alzare. Lessi in carte autenti- che, che sono pure dispensati dal- l' esame ed esentati i vescovi di Gorizia, di Trento, di Macarska, di Sardegna , di Savoia ec. Fu per le

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testimonianze uffiziose ilei sovrani, e la considerazione delle spese e dell'incomodo dei viaggi, che l'e- same dei vescovi fu ristretto ai soli promossi ai vescovati d'Italia. Dal- ie medesime carte rilevai, che Cle- mente XI, Benedetto XIII, e Be- nedetto XIV talvolta approvarono alcun vescovo, il quale nell'esame si smarrì ; anxi Benedetto XIV e- saminò in privato monsignor Co- lombari, eletto di Bertinoro, ch'era stato riprovato nell'esame pubbli- co. In questo talvolta esaminò lo stesso Papa, come fece Pio VI ; ne mancarono esempi sotto Clemente XIII, Clemente XIV, Pio VI e Pio VII, che alcuni eletti vescovi, non sostenendo bene l'esame, non furono approvati , e perciò non promossi all'episcopato. Non solo si dispensarono alcuni dall' esame , e ad altri venne accordato quello particolare , ma ad altri bastò la sola presentazione nel pubblico esa- me, e quindi vennero esentati dal- l' indulgenza pontificia, per ispecia- le considerazione.

Noteremo per ultimo, che anche gli avvocati concistoriali promossi al vescovato , credono godere il privilegio di esenzione dall' esame, e ne fecero umile rappresentanza al Papa Pio VI quando promosse all'arcivescovato di Taranto l'avvo- cato concistoriale Capecelatro. Non fu data allora alcuna risposta, ma quando il detto avvocato si pre- sentò all' esame, il Pontefice si e- spresse con queste parole : » Ut ># nostrani erga te clementiam o- >' stendamus placet a rigido exa- » mine te dispensare; habemus » enim non unum sed multiple* » doctrinae sapientiaeque tuae prae- » clarum testimonium ; idcirco tuis » ita exigentibus meritis soliusCar-

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» dinalis Marefusci objectionibus »» respondebis , sitque hoc perpe- tuutn nostrae erga te benevolen- ti tiae monumentum ".

ESARCA, o ESARCO (Exar- chus). Questa parola significa pro- priamente principe, o capitano. E nome di uffizio e dignità ecclesia- stica e secolare , e propriamente era colui che dall'imperatore di oriente veniva preposto come suo vicario al governo delle provincie d'Italia soggette all'impero, e che ordinariamente risiedeva in Raven- na. V. Esarcato d' Italia o di Ravenna , ove dicesi che X Africa avea il suo esarca, ossia governa- tore. La dignità ecclesiastica di tal nome era di diverse specie ; pri- mieramente per officio della chiesa Costantinopolitana, e chi lo funge- va era come un legato del patriar- ca. A lui spettava raccogliere le decime, ed eseguire altri negozi della chiesa. Secondo il Codino ta- le esarca era uno de'm inori officia- li della chiesa di Costantinopoli, giacche egli lo registra il quaran- tunesimo, dei quarantasei che no- mina nel lib. 4- Nel pontificale della Chiesa greca si legge una formola dell'istituzione degli esarchi. Il patriarca, fatta l'imposizione del- le mani, loro un comando o lettere testimoniali, che contengono la obbligazione delle loro cariche. Es- si dovevano visitare i monisteri che dipendevano dal patriarca, cor- reggere i superiori e gl'inferiori, fa- re uno stato delle rendite dei mo- nisteri, dei vasi sagri, degli orna- menti ec. L' esarca inoltre co- me legato e deputato di detto pa- triarca, faceva la visita delle pro- vincie al medesimo sottoposte, con potere di prevenire e di correggere gli abusi con saggi ed opportuni

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regolamenti, come d'interdire e de- porre quelli che meritassero puni- zione, e di assolvere i penitenti. Questa non era che una autorità delegata, e non propria e persona- le attaccata ad una sede.

Altra specie poi d'esarchi erano quelli di una diocesi, che presie- devano a molte provincie. Esso era superiore al metropolitano, ed inferiore al patriarca, corrisponden- do la sua dignità a quella del Pri- mate (Vedi). Chiamavansi esarchi coloro fra i vescovi che venivano scelti dai patriarchi , per visitare in loro nome una parte della loro diocesi o provincia. Il Macri nella Not. de vocab. ecclesiastici, dice che questa voce Exarchus Provin- ci ae , significava il metropolitano o l'arcivescovo, come si raccoglie da queste parole: Exarchi Provinciae dico auttm episcopi metropolitani. Conc. Sardicensis can. 6. Sopra questo canone Balsamone dichiara, come per nome di esarca in que- sto luogo s' intenda il primate, il quale nei concili si sottoscriveva dopo i patriarchi, e prima dei me- tropolitani : Exarchus aulem dioe- cesis non unius cujusque provinciae metropolitanus est, sed metropo- litanus totius dioecesis : dioecesis vero dicitur, quae multas in se provincias contine!. E così sotto il patriarcato Costantinopolitano si enumeravano tre esarchi, o primati: l'Efesino per tutta l'Asia; quello di Cesarea di Cappadocia in Ponto; il terzo era il prelato di Eraclea nella Tracia, e perciò esarca del- l'esarcato di Tracia. Aggiunge lo stesso Macri, che di cesi Exarchus

Dioeceseos, in significalo di prima- ESARCATO ECCLESIASTICO, te. Si auteni cimi ipsius provinciae metropolitano episcopus, vcl cleri- citSy controversiam habuerit, veldioe-

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ceseos Exarchum adeat, etc. Conc. Calced. can. 9. Finalmente ripor- teremo su questa dignità di esar- ca, anche quanto ne scrive il Sar- nellinel tonti. IX delle Lettere cccl., nella lettera XL.

La polizia ecclesiastica della chie- sa orientale era costituita in que- sta maniera, che i vescovi delle sedi inferiori erano soggetti ai me- tropolitani di ciascuna provincia; sopra i metropolitani vi erano gli esarchi, che in occidente sono detti primati, come a presidenti di più provincie ecclesiastiche; e sopra gli esarchi i patriarchi, di maniera pe- rò che la potestà, che competeva a'vescovi inferiori intorno ai pro- pri sudditti, e la loro giurisdizione non riceveva detrimento alcuno dai gradi superiori, salvo il diritto del- le appellazioni. Gli esarchi più ce- lebri di tutto l'oriente furono il nominato Efesino nella diocesi del- l'Asia; il Cesariense nella Cappado- cia, a cui era soggetta la diocesi di Ponto ; il Tessalonicense nella diocesi di Macedonia; e il vescovo di Eraclea nella diocesi di Tracia, a cui nei primi tempi era sogget- to il vescovo di Bisanzio o Costan- tinopoli (V. Diocesi). A quell'ar- ticolo avvertimmo che in orienle il nome di diocesi era assai più ampio che in occidente, dappoiché presso gli orientali la diocesi ab- bracciava più provincie, che ubbi- divano ad un esarca o patriarca; e ciascuna provincia, cui presiede- vano i metropolitani, si chiamavano Esarchie, e quelle di ciascun vescovo inferiore dicevansi parrocchie. V. Esarcato Ecclesiastico.

Diocesi composta di diverse pro- vincie , presieduta da un vescovo insignito della dignità di esarca,

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essendo egli come un primate, o come un metropolitano non di una provincia ma di più provincie. /". Esarca e Diocesi.

ESARCATO D'ITALIA, o di Ravenna. Così chiamavasi quella parte d'Italia che era governata dal- l'esarca, cioè dal vicario o prefetto per l'imperatore di oriente, il qua- le risiedeva ordinariamente in Ra- venna per difenderla in un ai do- mimi ad essa annessi, contro i lon- gobardi, che avevano conquistato tut- ta l'Italia. Dopo che Odoacre re degli Ertili (Fedi), ebbe per condiscenden- za de'goti in balia l'impero di occi- dente, e costrinse l'inetto imperatore Romolo Augusto ad abdicare l'impe- rio in Ravenna a'2 3 agosto dell'an- no 47 5> fissò la sua sede in Ra- venna, per cui Roma fu considera- ta come città secondaria, sottoposta al governo dei luogotenenti del re Erulo_, e le sue provincie limitrofe formarono il ducato romano. Ma Teodorico avendo poi vinto co'suoi goti o ostrogoti Odoacre, lo spen- se a tradimento, restando cosi i goti signori d'Italia. A liberare dal servaggio questa regione, Giustinia- no I inviò contro gl'invasori pri- ma Belisario, e poi Narsete, che ri- portarono sui nemici gloriose vit- torie. Sarebbe stata felice l'Italia se i trionfi del prode Narsete avesse- ro posto termine alle sciagure di lei; ma questo medesimo capitano che era stato la cagione di sua tranquillità, divenne invece l'auto- re della pubblica rovina. Narsete lodato per valore ed altre virtù, ebbe taccia di disordinato amore al- le ricchezze; e venuto in odio ai patrizi romani, fu da essi accusato all'imperatore Giustino II. Gli a- mici di Belisario profittarono del- la circostanza per vendicare il suo

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richiamo dal comando delle armi in Italia, quando gli fu sostituito Nar- sete, che per essere eunuco, e per- siano era il disprezzo de'greci. Gli emuli pertanto di Narsete rappre- sentarono all'imperatrice Sofia, che Narsete profittava de'tesori, co'qua- li potevasi risarcire il depauperato erario imperiale; laonde essa co- me potente presso il marito Giu- stino II, imprudentemente scrisse a Narsete, che non conveniva ad un eunuco il maneggio delle armi, per cui poteva tornar fra le ancelle a filare. Adontato fieramente Narsete continuò l'allegoria, rispondendo a Sofìa, ch'egli a'suoi comandamenti ubbidiva, ma che del filo fatto dalle sue mani, una tela tessuta avrebbe, che essa, ne il suo marito sviluppare giammai potreb- bero. Quindi Narsete sollecitò Al- boino, re de'longobardi, ad occu- pare l'Italia, che trepidava al solo loro nome, essendo stata testimone del valore di quegli scandiva ni , quando ausiliari di Narsete scaccia- rono i goti. Ad evitar l'odio dei romani, Narsete da Roma si con- dusse a Napoli, intanto che i lon- gobardi riempirono di spavento e di stragi l'Italia.

Sedeva sulla cattedra apostolica il Papa Giovanni III, amicissimo di Narsete perchè aveagli ottenuta da Giustino II la dignità di ex-con- sole. A placar l'ira di questo , re- cossi a Napoli, gli riuscì di persua- derlo, e seco il ricondusse in Ro- ma, ove morì di dispetto vedendo- si impotente di rimediare alla ro- vina d'Italia, giacché Alboino avea fissata la sua residenza in Pavia, e dato principio al regno longobar- dico, che durò 206 anni: altri dicono 184, ed altri, computandovi il tem- po che governò Narsete, anni 218.

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Giunse in questo tempo, spedito da Costantinopoli a Ravenna, Lon- gino patrizio, fatto successore di Narsete, seco recando per mare un esercito. Udita egli la morte di Narsete, trasmise all'imperatore il cadavere di lui chiuso in cassa di piombo, ed insieme tutto l'immen- so tesoro del defunto. Essendo sta- to Longino spedito in Italia con assoluto arbitrio, inventò nuova fog- gia di governarla, facendo Raven- na, non più Roma, sede della pre- fettura, né chiarnossi duca, ma e- sarca dell'Italia, a somiglianza del governatore dell'Africa, che pari- menti esarca nomavasi . E perchè della venuta de'longobardi teme va- si, fortificò Longino le città fron- tiere d' Italia verso Lamagna, e

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munì di valide soldatesche Roma e Ravenna. Cosi ebbe principio l'esar- cato di Ravenna, di cui andiamo a dire di quali dominii componevasi, rammentando qualche tratto stori- co principale, mentre il resto si dice all'articolo Ravenna (Fedi). Siccome gli esarchi alcune fiate a- busivamente, e al modo che di- cemmo ad Elezione de sommi Pon- tefici (Fedi), influirono all'elezio- ne dei Papi, e talvolta ne ratifi- carono l'esaltazione pegl'imperatori di oriente, speriamo non riuscirà discaro che qui si riporti il nove- ro de'medesimi esarchi., che pren- diamo dalla celebre opera del eh. Cesare Cantù: Cronologia per ser~ vire alla storia universale^ a pag, 354.

Esarchi Ravenna.

Narsete, duca d'Italia dal 544

Longino primo esarca « 568

Smaragdo » 584

Romano » 5o,o

Callinico ....>» 597

Smaragdo, per la seconda volta 602

Lemigio » 6 1 1

Eleuterio » 616

Isacco » 619

Platone » 638

Teodoro I Calliopa * 648

Olimpio » 649

Teodoro I Calliopa, per la seconda volta . . * 652

Gregorio « 666

Teodoro II » 678

Giovanni Platino »» 687

Teofilace 702

Giovanni Rizocopo » 710

Eutiehio » 7 1 1

Scolastico » 7 1 3

Paolo 727

Eutiehio, per la seconda volta « 728

Astolfo pose fine all'esarcato il 752.

al

568 584 59° ^97 602 611 616 619 638 648

649 652

666

678

687 702 710

711

7i3 727 728 752

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Dal Muratori, e dalla seconda sua dissertazione, del regno d'Ita- lia e de' suoi confini, rilevasi quel- li dell'esarcato di Ravenna. Egli pertanto dice che lungo la spiag- gia dell'Adriatico arrivava il domi- nio de' longobardi sino ai contini di Ravenna , dove risiedendo gli esarchi, cioè i ministri ossia go- vernatori postivi dagl' imperatori greci, davano il nome di esarcato a parte dell'Emilia, ed a Flaminia, tuttavia suddite del greco impero. Noteremo che l'Emilia è un'anti- ca contrada d'Italia, cui la strada Emilia diede il nome, situata fra il Po, l'Apennino e la Flaminia. Comprendeva porzione della Lom- bardia di dal Po, e della Ro- magna, si estendeva da Rimini si- no a Piacenza, rinchiudendo por- zione degli stati della Chiesa, e dei ducati di Parma, Modena, Mantova e Mirandola, colle città di Piacenza, Parma, Reggio, Bolo- gna ed Imola. La Flaminia poi, altra contrada d'Italia, cosi chia- mata ne'primi tempi. I popoli di questi paesi, detti lingoni e seno- ni, erano gaulesi venuti a stabilir- ■visi dalle provincie di Langres e di Sens, per lo che questa parte di Italia prese poscia il nome di Gallia Cisalpina, quindi di Roman- diola o Romagna. Noteremo inoltre, che sebbene 1' Anastasio , in Vii. Steph. Ili, ove riporta il modo come l'esarcato fu dato alla santa Sede, non vi comprenda la pro- vincia del Piceno, tuttavolta il Borgia è di avviso coi geografi, che ancor essa stesse sotto il go- verno degli esarchi di Ravenna . Il Piceno, contrada dell'Italia anti- ca, lungo l'Adriatico, abitato dai picenti originari della Sabina, è un paese vagamente variato da colline

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e fertili piani. Soggiungo però il Muratori, che alcuni vollero am- pliare r esarcato comprendendovi Piacenza, Parma, Reggio e Mode- na, ma aggiunge che ciò non è vero. Di quelle quattro città, e per- sino d'Imola, sul principio s'impa- dronirono i longobardi ; e Mauri- zio imperatore nell'anno 5c)o, col- legato co' franchi, ricuperò Mode- na, Mantova, Aitino, Cremona, ed altri luoghi. Il re Agilulfo in ap- presso tutto riprese, e il confine degli stati tornò ad essere fra Mo- dena e Bologna. Presero poi altri re longobardi l' esarcato, e resta tuttavia in Bologna un monumen- to del dominio del re Luilpranclo in quella città. Pipino re de' franchi, co- me meglio diremo, restituì e fece un dono dell'esarcato al Romano Pon- tefice; e perchè il re Desiderio tornò ad occuparlo, Carlo Magno lo ricuperò alla Chiesa Romana, e conquistò per se il regno d'Italia. Fin qui il Muratori. Ma di altre interessanti notizie dell' esarcato di Ravenna, oltre quanto dicesi a quel citato articolo, de' suoi popoli che si posero sotto la protezione della santa Sede, del dono fattone ad essa da Pipino, e quali provincie abbracciasse, lo diremo brevemen- te coll'autorità del Borgia, Memo- rie isteriche di Benevento, tom. I, pag. 8 e seg. Di questo esarcato, come dominio pontificio, si parlò an- cora all'articolo Comacchio (Fedi). L'empio Leone l'Isaurico aven- do dichiarato guerra alle sagre im- magini, e vessando i popoli Italia- ni in altre guise, questi, all'udire che l'imperatore minacciava d'im- prigionare il zelante Pontefice s. Gregorio II siccome difensore del culto delle sagre immagini, si sot- trassero dalla sua ubbidienza, ricu-

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saremo di pagaie i tributi, ed li- ni ti ai longobardi signori del resto d'Italia, presero le armi in difesa del Papa. Si pensò in questo tem- po dagl'italiani di eleggere un nuo- vo imperatore, e di condurlo spal- leggiato dalle loro armi a Costan- tinopoli; ma il saggio s. Gregorio li, sperando nel ravvedimento di Leone, raffrenò gli spiriti. Roma però, e i luoghi del suo ducato, soggetti sino allora all'imperatore d'oriente, verso l'anno y3o si sot- trassero anch'essi dall'ubbidienza di Leone, e de' suoi ministri , cioè dagli esarchi di Ravenna , come narrano Teofane, Cedreuo , e Zo- nara presso il Bellarmino, de Rom. Poni. cap. 8, lib. 5. Ponendosi dun- que Roma in libertà costituì il Pa- pa (l'autorità temporale del quale da molto tempo era quivi riverita) per capo suo non meno che del du- cato romano. Non andò guari che s. Gregorio II, con coraggio, dovè opporsi al re Luitprando, il quale confederatosi con Eutichio patrizio, ed esarca di Ravenna, macchina- va di soggettare a i duchi di Spoleto e Benevento, e la città di Roma all'esarca, che ne dovea fa- re l'assedio. Fu allora, che il Pa- pa ammansò colla sua robusta e- loquenza il re longobardo, lo in- dusse a rendere omaggio a s. Pie- tro, a ritrocedere coll'esercito, e ad implorare il perdono all' esarca come il Pontefice gli accordò. I santi Pontefici Gregorio III e Zac- caria difesero contro i longobardi alcune città del loro dominio, da essi prepotentemente occupate; an- zi il secondo, come padre comu- ne, rivolse le sue cure sui popoli dell' esarcato, e della Pentapoli pro- vincia del medesimo esarcato, che ancora dipendevano dall'impero o-

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rientale. Venivano questi angustia- ti dalle armi vittoriose di Luit- prando, eh' erasi impadronito di Ravenna capitale dell'esarcato, e di altri luoghi, mentre le forze dell' esarcato erano ineguali per far fronte al nemico, da oriente ri- ceveva aiuti, perchè Costantino, succeduto nel 741 a suo padre Leone, era impegnato a reprime- re il cognato Artabano, il quale tentava detronizzarlo. Laonde tan- to l'esarca Eutichio, che Giovanni arcivescovo di Piavenna, per iscam- pare mali maggiori, si raccoman- darono a s. Zaccaria, acciocché qua- le amico del re Luitprando fa- cesse l'uffizio di mediatore. Non fu renitente il Pontefice a queste do- mande, per cui prendendo subito cura e sollecitudine di quelle Pro- vincie, nelle quali sebbene gl'im- peratori greci ne ritenessero il ti- tolo di padroni, non ne curavano la conservazione e la difesa. Dopo avere il Pontefice a mezzo de'suoi legali pressato il re, con l'offerta di molti doni, s' incamminò egli stesso alla volta di Pavia. In pas- sando per Ravenna vi fu salutato ed accolto con questa tenera accla- mazione: Bene venit Pastor, qui suas relìquit ovesi et ad nos qui perituri eranius liberandos occurrit. Giunto s. Zaccaria nella regia cor- te di Pavia, indusse Luitprando a restituire alcuni territorii a Raven- na, e due parti del territorio a Cesena, obbligandosi di restituire poi Cesena stessa, ed il rimanente del suo territorio. Ciò venne in cognizione di Costantino, il quale per compensare il Papa di quanto avea operato per la quiete dell' e- sa reato, concesse all'apocrisario del- la santa Sede, che gliele doman- dava, le due masse, o sieno unio-

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ni di vari predi e possessioni, che si sotto la protezione e difesa del- erano di ragion pubblica, appella- la sede Apostolica, implorò ed ot- te Ninfa e Norma. tenne l'aiuto di Pipino re di Fran- Dopo che l'esarcato di Ravenna eia, ove il Papa si recò nel 754. si pose sotto la protezione dei Pa- In questa occasione Stefano III un- pi, successivamente ne sperimentò se re di Francia Pipino, insie- i benefìci effetti. Il medesimo Zac- me co' suoi figli Carlo e Car- caria continuò a proteggere i pò- lomanno, dichiarandoli patrizi dei poli dell' esarcato, conchiudendo a romani, affinchè s'impegnassero ai- favore di esso col re Rachisio un la difesa della Chiesa romana, e trattato di pace per venti anni, degli stati suoi, e si convenne tra A Rachisio successe nel regno lon- Stefano III e Pipino, che rito- gobardo Astolfo suo fratello nel gliendo questi colle armi dalle ma- 749. Questi nel pontificato di Ste- ni degli usurpatori longobardi l'e- fano lì, detto III, e nel 752 mos- sarcato di Ravenna, egli per mu- se le sue armi contro V esarcato, nifìcenza degna di cattolico prin- occupandone la capitale, di dove cipe lo donasse alla Chiesa Romana, scacciò Eutichio ultimo degli esar- come narra il de Marca, de Cori- chi, ed indi orgogliosamente le ri- cord. lib. I, cap. 12, § 3; la qua- volse contro le città del ducato le Chiesa da tanti anni aveva as- romano, tentando ogni via di sot- sunto tutto il peso di quelle pro- tomettere ancora queste al domi- vincie, e tanto si era affaticata per nio longobardo. Adoperò il Papa salvarle, come ora per ricuperarle donativi e preghiere, ed ottenne dalle mani de'longobardi. capitoli di pace per quaranta an- Erano stati, siccome abbiamo ni. Ma il re ponendo in non cale detto, i popoli dell'esarcato abban- la giurata fede, tornò a minaccia- donati da'greci in preda de'barbari, re i romani ed il Papa, volendo e perciò costituiti in diritto, a fine che ciascuno del ducato gli pagas- di provvedere alla propria salvez- se un soldo d'oro in tributo. Al- za e conservazione, di separarsi dal lora il santo Pontefice credette capo dell'imperio; e vedendosi pa- miglior partito far uso dell'autori- droni, o di rimanere sotto il giogo e della forza. Ricorse prima a Co- dei re longobardi, o di darsi ad stantino, cui doveva essere a cuo- altri, si erano già donati ai Papi re la repressione di Astolfo, che ch'eglino avevano da prima eletti avea occupata Ravenna e buona per loro duci e protettori. Venne parte dell'esarcato; ma quel prin- quindi Pipino in Italia nello stes- cipe impegnato nel sacrilego pen- so anno 754 alla testa di pode- siero di distruggere le sagre imma- roso esercito contro del re Astolfo, gini, dimentico del dovere conna- ed assediatolo in Pavia, il Papa turale ad ogni principe di difen- per liberarlo dal totale esterminio dere e conservare i propri stati, fu che gli sovrastava, gli offrì la pa- sordo alle richiesle del Papa. Que- ce affine di risparmiare anche il sii dunque per sottrarre dall'ava- sangue cristiano , purché gli re- rizia de' longobardi il ducato 10- stituisse quanto aveagli tolto, e gli mano ed i popoli dell'esarcato, che consegnasse Ravenna, eie altre città Zaccaria suo predecessore avea pie- da lui occupale, secondo il conve-

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mito col re Pipino. Il timore di maggiori disastri indusse Astolfo ad accettar con giuramento tali condi- zioni; ma appena Pipino tornò in Francia, e Stefano III in Roma, il longobardo re con infame perfi- dia andò ad assediare quella città nel 7 55, non senza grave danno de'luoghi suburbani. Subito il Pa- pa fece sapere al re di Francia il temerario procedere di Astolfo , laonde volò Pipino ad assediarlo in Pavia, obbligandolo a ridurre ad effetto tutte le condizioni della precedente pace. Per tal modo si stabili il dominio temporale, che la Chiesa Romana gode presente- mente, non solo colla restituzione de'luoghi intorno a Roma, e massi- me della città di JMarni, che i du- chi di Spoleto avevano tolto al ducato romano; ma anche colla cessione di Ravenna, della Penta- poli, e di tutto l'esarcato. Allo strepito di queste vittorie ed av- venimenti, si scosse l'imperatore Costantino, ripetendo con promesse ed offerte, le nominate provincie a Pipino; ma il religioso principe ri- spose , che per niuna ragione a- vrebbe permesso che quelle città fossero alienate dal diritto della Chiesa Romana, giacche non per altro fine aveva egli intraprese quel- le spedizioni, come si legge presso l'Anastasio, in Vit. Steph. III. Quin- di con ampio diploma Pipino re- stituì e donò alla Romana Chiesa il dominio assoluto dell'esarcato di Ravenna, e perciò osserva il Cenni, tu praefat tomo IV A nasi. Bi- bliothec. num. 21-22, che il prin- cipato della Chiesa Romana non fu allora istituito, ma bensì amplificato. Sul novero delle città e luoghi sottoposti all' esarcato di Ravenna, suoi confini ed estensione, il citalo

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Borgia, a pag. 18 e seg., riporta quanto ne scrissero l' Anastasio , Cencio Camerlingo presso il Mura- tori, Antiq. italìc. med. aev. diss. 69, l'epistole contenute nel codice Carolino, e l'Ughelli nel t. II, Italia sacra. Pel resto è a vedersi Ravenna, e Sovranità" de' romani Pontefici.

Il Frizzi nella bella storia che ci ha dato di Ferrara, al tom. II eru- ditamente parla dell'esarcato detto anco Emilia, dei suoi confini , del modo cui passò dai greci ai lon- gobardi, e come donato ai roma- ni Pontefici; quindi come usurpato dagli arcivescovi di Ravenna, e da altri , e come tornato alla Chiesa.

Per ultimo non riuscirà discaro aggiungere quanto il p. Antonio Brandimarte, minore conventuale, scrisse dell' esarcato nel suo Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata, a pag. 1 2 e seg., ove par- la pure della summentovata Pen- tapoli. Distrutto il dominio de' go- ti in Italia, e costituita Ravenna città capitale dell' esarcato, il Pi- ceno Annonario o Gallia Togata, formante ora la metà della .pro- vincia della Marca, mutò allora nome, e la parte marittima di esso fu chiamata Pentapoli, e la parte montana fu chiamata Provincia dei Castelli, e fu divisa in due pro- vincie. L'anonimo ravennate enu- merando le regioni d' Italia dice , che la sesta era Annonaria Pen» tapolensis, cui adnexa pars Pice- ni annonarii , septima est supra ipsam Pentapolim, idest Provincia

Castellorum, quae ab antiquis

Il p. Berretti contro il Fontanini supplisce la parola aggiungendo quae ab antiquis dieta est Pice- niun, e crede che il contado Fer- mano sia la Provincia de' Castelli, li Catalani, Stefano Borgia, ed il

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Rallaclli si uniscono a lui. 11 Bran- di marte però pensa diversamente, e crede che la Pentapoli Annona- ria, a cui era annessa porzione del Piceno, l'osse composta in principio da cinque città, cioè da Rimino, da Pesaro, da Fano, da Siniga- glia, e da Ancona, cioè dalla Gal- lia marittimo, e che la Provincia de' Castelli situata sopra la stessa Pentapoli, che dagli antichi fu chia- mata Piceno, fosse composta della Gallia Montana, cioè da Cameri- no, Maidica, Attidio, Tufìco, Sen- tino, Alba, Ostia, Suasa, Pitulo, Jesi. La voce Pentapoli è compo- sta da due parole greche, che si- gnificano cinque città. Col tempo la provincia di Pentapoli distese i con- fi ni ; imperocché nel sinodo roma- no celebrato nel 680 sotto il Pa- pa s. Agatone, gli atti del quale furono poscia inseriti nel sesto con- cilio Costantinopolitano , i vescovi di lumini, di Pesaro, di Fano, di Numana, di Osimo, di Ancona, tutti uniformemente chiamano se stessi vescovi Provinciae Penlapolis. Lu- dovico Pio, confermando le dona- zioni e restituzioni fatte alla Chie- sa da Pipino e da Carlo Magno, pone molte città nella Pentapoli , con queste parole : » Similiter et » Pentapolim, videlicet Ariminium, »» Pisaurum, Fanum, Senogalliam, » Anconam, Ausimum, Hesim, Fo- rum Sempronii, Monte Feretri, m Urbinum , et territorium Bal- » nense, Callem, Luciolis, et Eu- » gubium cum omnibus flnibus, » ac terris ad easdem civitates per- » tinentibus". Queste città non e- rano più degl'imperatori greci, ma erano passate in mano dei longo- bardi . Pipino re di Francia le ritolse al re Astolfo, mandò Fulra- do abbate di s. Dionisio co' depu-

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tati del re Astolfo per la Penta- poli e per l' Emilia, come narra Anastasio Bibliotecario, per riceve- re le chiavi delle città, e portatosi in Roma le depositò nella confes- sione di s. Pietro , e gli donò o restituì le città di Ravenna, Ri- mini, Pesaro, Conca, Fano, Cese- na , Sinigaglia , Jesi , Montefeltro , Urbino, Cagli, Luccoli, Gubbio ec. Siccome i longobardi divisero l'I- talia in ducati, cos\ chi sa dire quanti ducali costituirono colla Pen- tapoli, che loro fu ritolta, e po- scia donata e restituita con tal no- me alla santa Sede ? Anastasio Bi- bliotecario, nella vita di Adriano I, nomina il ducato Fermano, Osi- mano, Anconitano, e dice che es- sendosi gli abitanti di questi vo- lontariamente dati alla santa Sede, more romanorum tonsurali sunt.

ESBONA. Città vescovile della provincia di Arabia, nella Samaria, diocesi di Antiochia, sotto la me- tropoli di Bostra. Esbona, Esboti o Esebon era la capitale de'moa- biti : qui regnò Seon re degli a- morrei, che poi fu vinto ed ucciso in sanguinosa battaglia dagli israe- liti. Gli amorrei l'avevano conqui- stata dai moabiti. Era nella tribù di Ruben,, e separata pei leviti, ai confini della tribù di Gad, incontro a Gerico. Nella Sìria sagra si leg- ge, eh' era lontana dal Giordano venti miglia^ e quaranta dal mare Asfaltide; e che celebri erano le sue fontane, vaste., e mirabili pel modo col quale erano costrutte. Gen- nadio, Zosio e Teodoro ne furono vescovi, Oriens Christ. toni. II, p. 864- Al presente Esbona, Esbonen , è un titolo vescovile in parlibus, che conferisce la sede Apostolica, sotto la metropolitana di Bostra, altro titolo in parlibus. Attualmente

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n'è vescovo monsignor Antonio Pez- zoni dell'Ordine de'niinori cappuc- cini, promosso a tal dignità, ed a vica- rio apostolico del Thibet ed Indostan, a' 27 gennaio 1826, da Leone XII. ESCART (d') DI GIURY An- na, Cardinale. Anna d'Escart di Giury de' conti di Limoges , con- giunti colla real casa di Fran- cia Tanno i435, nacque in Pa- rigi , e fu rigenerato colle acque battesimali nella chiesa di s. Pao- lo. Professò dapprima nel moniste- io benedettino di s. Benigno di Bigione, e colà diede principio ad esercitarsi in ogni genere di cri- stiane virtù. Riuscì di ammirazio- ne a Caterina de' Medici , regina di Francia, a Carlo IX, e ad En- rico III, il quale conosciuto anco- ra il profondo sapere di lui , nel i584, lo nominò al vescovado di Lisieux. Assunto il reggime pasto- rale, cominciò con ogni potere a purificare la sua diocesi dagli er- rori che v* erano disseminati, e ri- condusse in ogni luogo la pietà, e la purezza della fede. In alcune dissensioni nate tra Ja corte e i grandi del regno si rese mirabile pel suo ben misurato contegno, e per la sperienza consumata che mostrò negli affari. Neil' interregno specialmente dovette fare più volte il viaggio di Roma, e sono indici- bili i rischi e le fatiche che in tali incontri sostenne pel bene della Chiesa. Clemente Vili, pesati ch'eb- be tanti meriti di quel vescovo in- signe , a' 5 giugno 1 5g6 lo creò Cardinale prete di s. Susanna, e gli prescrisse nel tempo stes- so di non abbandonar più la Francia , la quale dalla presenza di lui dovea ripetere i più gran- di vantaggi. Ma dopo la concilia- zione di Enrico IV, recossi in Ro- vol. xxu.

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ma, e vi ottenne la protettola del- l'Ordine cistercense e del regno di Francia , e fu ascritto ancora alle congregazioni del s. officio e de' vescovi e regolari. Nel 1608 fu destinato al vescovado di Metz ; e in questa diocesi con molto impe- gno si adoperò alla riedificazione della Chiesa quasi abbattuta dalla formidabile eresia di Calvino. Po- chi assai erano ivi i cattolici quan- do egli assunse le redini dello spi- rituale governo ; ma pochi ezian- dio erano gli eretici quando egli lasciò colà le sue spoglie mortali. Predicava con ardentissimo zelo, ed era infaticabile nel cercare tutte le vie per persuadere e convincere. Obbligò ancora tutti gli ebrei della diocesi a trovarsi presenti ogni sab- bato alla predica che si faceva nel- la chiesa di s. Paolo , ne mai la- sciò cura per faticosa che fosse , quando trattavasi della salute dei suoi. In mezzo a tante serie e gra- vissime occupazioni trovava il tem- po di consecrarsi all' orazione , ed alla contemplazione de' divini mi- steri, non meno che di esercitarsi nelle più aspre corporali peniten- ze. Era di venerabile aspetto, ga- stigatissimo nel parlare, e assai mode- sto nello sguardo. Vivea separato dal- le conversazioni, contento di tratte- nersi soltanto con poche, ma sa- pienti persone. Nondimeno era af- fabile, cortese ed umano con tutti. La sua mensa riducevasi al neces- sario per mantenere la vita, il suo corredo era ristretto assai per quan- to chiedeva il decoro della sua di- gnità, il vestito di molto dimesso, ma ben eloquente. Non usava pre- dilezione pei carnali parenti, ne vi fu esempio eh' egli volesse distin- guerli nel lasciare loro legati, o abbazie, 0 benefìzi ecclesiastici pri- 6

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ma che se lo avessero meritato coi ben provati servigi. Che se qual- cuno lo stimolava a superare que- sti suoi giusti riguardi, rispondeva con franchezza : pensiamo che cosa avrebbe fatto s. Carlo Borromeo in queste circostanze. Nel conclave di Paolo V poco mancò che fosse e- letto Papa. Questo celebre perso- naggio morì nel 1 6 1 1 , e fu se- polto nella sua cattedrale. Il Suas- sy, nel suo martirologio Gallicano, fa menzione di questo Cardinale a' i g aprile, giorno della sua morte. ESCHILLO (s.). Inglese di na- scita, allevato e cresciuto nei sodi principii della cattolica religione, ar- deva di cocente brama, che occa- sione se gli presentasse per semi- nare sul campo evangelico le ce- lesti dottrine. Intesa dall'arci vesco- vo di Yorch s. Sigifredo l'aposta- sia della Svezia, deliberò di recarsi sul luogo, ed Eschillo, che n'era anche parente, con somma alle- grezza gli si fece compagno. La santa parola enunciata da questi due zelantissimi apostoli , riportò copiosi frutti di benedizione, e di salute. Il re ed il popolo concepi- rono per essi una grande venera- zione, e dovendo s. Sigifredo ritor- nare al suo gregge, questi fu pre- gato dal re a voler lasciargli Es- chillo, e consecrarlo per loro ve- scovo. Fu quindi dal s. arcivesco- vo conferita ad Eschillo la pienez- za del sacerdozio , e la chiesa di Svezia, sotto un tanto pastore, cre- sceva ogni più a moltiplicare i credenti alle verità del vangelo. Per mala ventura trucidato il re Ingon da un'orda d' infedeli, fu posto su quel trono Swenone, detto il San- guinario, ed in allora la novella chiesa ebbe a sentirne funestissimi eflEetti. Introdottasi di nuovo la bar-

ESC barie e l'empietà, non si perdette però di coraggio il santo pastore, ed in un giorno di grande festivi- tà idolatrica in Strengis_, col suo clero si presentò in mezzo a que- ll'infedeli. Perorò con forza, rim- proverò la loro condotta, e veden- do inutili le sue rimostranze, pre- gò il Signore di far conoscere la sua possanza con qualche visibile segno. Una grandine all'improvviso si suscitò, ed un fulmine atterrò l'ara e distrusse tutto quello che servire doveva al sagrifìzio di que- gl' infedeli. Un tale prodigio fu da que' protervi accagionato a magico spirito, e si vendicarono col santo vescovo mettendolo a morte a col- pi di pietre. Fu seppellito nello stesso luogo, ove egli sostenne il martirio. Ivi indi appresso venne eretta una magnifica chiesa , e la tomba del santo fu onorata da una moltitudine di prodigi. Morì s. Eschillo nell'undecimo secolo, e la festa viene celebrata in Isvezia e nella Polonia li \i giugno.

ESCLUSIVA. Avvertenza paci- fica, cui impropriamente fu dato il nome di privilegio e di prero- gativa; avvertenza che talvolta le tre corti di Vienna, Parigi e Ma- drid esercitano per un solo indi- viduo nei conclavi per la elezione de' sommi Pontefici , dichiarando non riuscir loro gradita la esalta- zione di un Cardinale, per loro particolari ragioni e motivi. Nei primi tempi l'esclusiva non soleva- no darla che l'imperatore, ed il re di Francia, come quelli ch'era- no intervenuti , al modo che di- remo, alla eiezione pontificia. A voler conoscere l'origine della con- suetudine delle esclusive, e la pru- denziale tolleranza de' Pontefici, fa d'uopo principalmente, anzi è ne-

ESC cessano leggere l'articolo Elezione de' sommi Pontefici Romani. In es- so si vedrà pel corso di tredici se- coli, qual fu la maniera di creare i Pontefici, in qual modo s'immi- sero nella pontifìcia elezione i re di Italia dapprima, indi gli impe- ratori di oriente, o per essi i loro esarchi di Ravenna, e poi gl'impe- ratori di occidente, trovandosi per- ciò la Chiesa romana per molto tempo soggetta a dolorose vicende, fino a dover pagare un tributo nella pontificia elezione, e consa- grazione. A queste vicende fu ella costretta di cedere o per la pre- tensione dei sovrani di que' giorni, o per la necessità della pace , che a cagione de' tempi spesso manca- va ne' sagri comizi , onde alcuni Pontefici dovettero talvolta ricor- rere all'assistenza degli ambascia- tori imperiali , per essere da èssi garantiti dai contrari partiti, e dal- le fazioni nella loro consagrazione e coronazione. fatta assistenza , che vuoisi secondo alcuni essere un personale privilegio agi' impera- tori Carolingi accordato , fu nuo- vamente praticata dagl' imperatori tedeschi, i quali non si contenta- rono della sola assistenza de' loro ambasciatori, ma talora vollero al- tresì intromettersi nell'elezione me- desima de' Pontefici , finche essa dal clero, cui si univa la presenza del popolo romano, fu trasferita saggiamente dai Papi a' soli Car- dinali, che non senza contraddizio- ne degli antichi elettori furono dopo qualche tempo stabiliti pa- cificamente in questo diritto. V. Cardinali, ed Ambasciatori.

L' ultimo Papa, alla cui consa- grazione assistettero gli ambascia- tori, e che prima di questa signi- ficasse la sua elezione all'impera-

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tore, fu s. Gregorio VII, del 1073. Ma per la pretensione di Enrico IV sulle investiture ecclesiastiche (abuso che s. Gregorio VII vole- va togliere ), nacque la famosa dif- ferenza tra il sacerdozio e l' impe- rio, per cui il Papa fulminò le cen- sure e pene canoniche. Irritato per- ciò Enrico IV, in un conciliabolo pretese di deporre il Pontefice, sur- rogandogli scismaticamente 1' an- tipapa Clemente III. Da questo scisma nacque 1' eresia degli En- ricliiani , condannati nel concilio Quintdineburgense o di Quedlinbur- go nell'anno io85, i quali osavano affermare , che 1' imperatore aveva somma autorità sopra l'elezione dei vescovi e del Papa, e perciò non si doveva conoscere per legittimo, se non se l'eletto dall' imperatore, o dal re di Germania. Fu dunque dopo s. Gregorio VII, che ricupe- rarono i sagri comizi l'intera loro libertà, che gli eletti non aspettas- sero l'assenso degli imperatori per effettuar la consagrazione e coro- nazione ; indipendenza mantenuta sino ai nostri dì. Resta però la connivenza dell'avvertenza pacifica delle esclusive che l'imperatore di Austria, e i re di Francia e di Spagna talora danno per mezzo dei rispettivi ambasciatori presso la san- ta Sede, o di quelli straordinari, che spediscono talvolta in sede va- cante al sagro Collegio de' Car- dinali , adunali in conclave per l' elezione del Pontefice ; manife- stando essi l'esclusiva direttamen- te al Cardinal decano, acciò lo partecipi ai Cardinali elettori. So- gliono ancora i medesimi amba- sciatori dichiarare siffatte avverten- ze a mezzo di qualche Cardinale nazionale, o aderente alla corona, e per lo passato que' Gardinali ch'e-

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rano protettori, ambasciatori, o mi- nistri dei tre nominati monarchi , per loro facevano noti ai colleglli i sentimenti del sovrano, cui era- no addetti. Del modo di dar 1* e- sclusiva si parlerà al suo paragrafo.

I. Opinioni sull* esclusiva. II. E- sempì di quando non fu attesa, o venne rivocata. III. Esclusiva de* Cardinali. IV. Modo di da- re V esclusiva.

I. Il Novaes, nel tomo XIII, p. 9, degli Eleni, della storia de* som- mi Pontefici^ su questo argomento dice quanto qui riportiamo. Vo- gliono alcuni che il preteso privi- legio della esclusiva, che oggi qual- che volta viene esercitata ne' con- clavi dalle tre nominate coiti, ab- bia avuto il principio dal concilio lateranense, celebrato da Nicolò II nel 1059, e sia compreso nella Dislint. a 3, cap. 1. Ma quel de- cantato privilegio agi' impelatoli accordato , come bene osserva il Cenni, Bull. bas. vatic t. Ili, p. 228, risguarda solamente la coro- nazione, non già l'elezione dei som- mi Pontefici. Questo punto lo spie- gammo al citato articolo Elezione, nel quale dicemmo, che Nicolò II non concesse ad Enrico IV il di- ritto di eleggere di propria auto- t or ita il Pontefice, perchè essendo l'elezione pontificia una facoltà spi- rituale ed ecclesiastica , non può essere giammai di essa capace un principe secolare ; ma bensì sem- bra che in parte gli permettesse di confermare l'elezione fatta dal cle- ro romano, ovvero di nominare il Pontefice, a richiesta però, ed a nome soltanto dello stesso clero, a cui allora apparteneva l'elezione. Ma le espressioni usate , o che si attribuiscono al Pontefice Nicolò

TI, hanno un scuso ben diverso ed assai piìi limitato ; deve tacersi che vi si rinvengono dai dotti cri- tici delle viziature, il perchè van- no consultati , Baronio all' anno 1059, cap. i, dist 23, num. 23 e seg., ed il Berardi ad decret. Gra- ttarli; par. 2, cap. 82. Egli è per- ciò, che ripeteremo col p. della No- ce, Adnot. in Chron. Cassin., pag. 34i, edit. Parisiis, 1668, che se gli imperatori hanno avuto qualche concessione sull' elezione de' Ponte- fici, ciò avvenne o per rintuzzare gli scismi, o per difendere la s. Chiesa. Nascendo sempre nuove vi- cende, e cessando le antiche, ben poteva annullarsi qualunque con- cessione, come appunto fecero s. Gregorio VII nel concilio di Late- rano, e Vittore III in quello di Be- nevento.

L' uso dunque delle esclusive , soggiunge il Novaes, che si pratica da circa cent'anni in qua (egli pub- blicò la sua opera nel terminare del decorso secolo, ma dimostrere- mo co' fatti storici in appresso che la consuetudine di questa pacifica avvertenza ebbe incominciamento molto tempo prima, onde forse po- teva dire il Novaes praticarsi con maggior frequenza da cento an- ni ec. ), fondasi nella connivenza piuttosto che nell' autorità Ponti- ficia ; dissimulazione di savia prov- videnza, affinchè il supremo capo del mondo cattolico non sia eletto con dispiacere de' sovrani, avendo sempre desiderato la santa Sede , che a tutti sia accetto il loro pa- dre e pastore.

Su queste e molte altre ragioni appoggiato, il Cardinale de Lugo gesuita, nel conclave del i655, in cui fu assunto al pontificato Ales- sandro VII, compose sull'avverten-

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za dell'esclusiva una scrittura, la quale diede motivo ad alcune osser- vazioni per parte del Cardinale Al- bizi. Abbiamo ancora il Discorso istorico-politico-legale e teologico .sopra V esclusiva dei Papi, per i- siruzione ai signori Cardinali in conclave per la morte dJ Innocenzo XIII, al quale rispose l'avvocato Sozzini con alcune riflessioni, che vanno unite a quel discorso nella descrizione ms. di questo medesi- mo conclave fatta dal Cardinal Zon- dadari, che si conserva in Siena pres- so la sua famiglia de'marchesi Chi- gi, dove il Novaes la lesse. Questi invita a leggere, nelle sue Dissert. stor. critic, Giangiorgio Estor, Com- mentario de j'ure esclusivae, ut ap- pellant quo Caesar Aug. uti po- test, quum Patres purpurati in crean- do Ponti/ice sunt occupati, Jenae 1 740. L' Oltieri poi, nella Storia di Europa, tom. Vili, p. 5 io, di- ce, che l'esclusiva la quale si suole attendere per un solo soggetto che possa dispiacere a ciascuna delle tre corone, l'imperio, la Francia e la Spagna, talora si ammette non per patto o determinazione alcuna, ma soltanto per provvido riguardo, acciò non nascano guai di veruna specie alla Chiesa, e non sia di pre- testo a malcontento, nel caso che alcuno de' mentovati principi, come fra i cattolici i più. potenti, non volesse avere tutta la filiale con- fidenza in un Papa che col suo dispiacere fosse eletto. Finalmente, quelli eziandio che ammettono la avvertenza delle esclusive , ripor- tano tra le altre ragioni, che sic- come nei primi secoli della Chiesa concorreva il popolo alla elezione; e siccome Stefano IV, per ovviare agli scandali, massime nell'intrusione dell'antipapa Costantino, ordinò che

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si facesse alla presenza degli amba- sciatori imperiali, come si legge nel capo : Quia Sancta Romana, di- stin. 63 ; cosi vogliono che nei sovrani cattolici dell'imperio, o del- la Francia forse si trasmettessero le parti del popolo, il quale se e- sclusivamente non eleggeva o e- scludeva, avea grande influenza, o un avanzo palesava di quella in- fluenza, in certe epoche da esso esercitata. Oltre ai citati autori suU' esclusiva possono consultarsi: il p. Giuseppe Tamagna., Origine e prerogative de' Cardinali, tom. I, cap. VII ; Dell'elezione del romano Pontefice ai Cardinali della S. R. C. riservata ; ed il Discorso ano- nimo sopra l'esclusiva dei Papi, Venezia 1722.

II. Che talvolta la pacifica avver- tenza dell' esclusiva non sia stata attesa, ed altre volte sia stata ri- vettata , ne abbiamo diversi esempi, per cui ne riporteremo alcuni. Nel i555, per morte di Marcello II, nel primo ingresso del conclave, Mendoza ambasciatore di Carlo V imperatore, e re di Spagna e Na- poli, esortò il Cardinal Giampietro Caraffa napolitano a non pensar punto al pontificato, perchè dal suo sovrano era in primo luogo e- scluso, a quel modo che n'aveva ricevuto l'esclusiva ne' due prece- denti conclavi per morte di Paolo III, e Giulio III, siccome narra il Pallavicino nella Storia del conci- lio di Trento. A questa intimazio- ne, il Cardinale con intrepidezza e serietà rispose : L'imperatore non potrà impedire che se Dio mi vuol Pontefice, io non lo sia: anzi al- lora sarò pili contento, perche non obbligato di questa dignità se non che a Dìo solo. V. L'Oldoino in Ciac- conio ViL Ponti/, t. Ili, col. 824.

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Otto giorni dopo il Cardinale re- stò eletto Papa per adorazione, e prese il nome di Paolo IV. La scissura fra Carlo V, e il Cardinal Caraffa , accadde quando essendo vacata la sede arcivescovile di Na- poli, a lui la conferì Paolo III ai 9 novembre i549; ma per Top- posizione del viceré Pietro di To- ledo non potè entrarne in possesso, se non in tempo di Giulio III, il quale per ciò ottenere, a'21 set- tembre i55o, scrisse una lettera assai risentita a Carlo V. Tale fu l'affetto ch'ebbe il Cardinale per la sede di Napoli, che ne ritenne il governo nel pontificato.

Nell'Istoria de conclavi dei Pon- tefici romani, a p.799, si osserva es- sere costante opinione, già dichiara- ta col detto comune, semel exclusus, semper exclusus9 ed ivi si aggiunge, che siccome gli spagnuoli si oppon- gono alla esaltazione di chi una volta fu da loro impedito che giungesse al pontificato, cosi ognuno tenne sino dalla creazione d'Inno- cenzo X, che le loro forze si sareb- bero in tutti i conclavi opposte all'esaltazione del Cardinal Sacchet- ti; e che ben potevano mancare i motivi della prima esclusione, ma sempre sarebbe durato nel suo vi- gore quello di averlo escluso una volta. Con tuttociò questa regola ha avuto talora la sua eccezione, come quando il Cardinal Aldo- brandino dichiarato dissidente di Filippo II, per la memoria di Sil- vestro suo padre ministro favo- rito di Paolo IV (il quale in qua- lità di avvocato del fisco pon- tificio, a* 27 luglio i556, in pub- blico senato citò il re come reo di violato giuramento, già prestato a Giulio III nel ricevere in feudo il regno di Napoli , e lo dichiarò

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decaduto dalla sovranità di esso per la suddetta guerra) in tre con- clavi provò l'esclusiva, e nel quarto, l'anno i5git venne esaltato col nome di Clemente Vili, con l'in- clusione dello stesso Filippo li.

Correndo l'anno 1644» nel con- clave per morte di Urbano Vili, nel quale si procedeva all'elezione del Cardinal Pamphily, non ostan- te l'esclusiva che il Cardinal Anto- nio Barberini, nipote del Papa de- funto, e potente per essere capo di cinquanta e più Cardinali, creature dello zio, gli aveva procurata dalla Francia, perchè il detto Pamphily era creduto aderente alla Spagna siccome stato nunzio presso il re Filippo IV , tuttavolta 1' esclusiva fu sospesa dall'ambasciatore france- se Sansciamon, per opera del Cardi- nal Theodoli, e del marchese suo fratello. Quindi avendo il Cardina- le Panciroli guadagnato colle per- suasioni il detto Cardinale Barbe- rini, ad onta della valida resistenza del Cardinal Bichi, tutto aderen- te della corte di Francia, il Pam- phily venne creato Papa, e prese il nome d'Innocenzo X. Per que- sta sospensione di esclusiva, restò cosi irritato il re di Francia Lui- gi XIV, che privò il Cardinal Bar- berini della protezione del suo rea- me, e chiamò in Francia l'amba- sciatore, non perchè il re fosse con- trario alla persona d'Innocenzo X, ma perchè il cardinale e 1' am- basciatore ne avevano prima da lui procurato l'esclusiva. Pur trop- po talvolta le brighe, l'ambizione e l'abuso di fiducia di qualche Car- dinale , o di alcun ambasciatore nei conclavi tradirono la propria coscienza, non che i propri sovra- ni, e sagrificarono degnissimi Car- dinali, cui per altro Dio non avea

ESC destinati a suoi vicari. Altra volta i ministri delle corti furono di ciò cagione con detrimento della repu- tazione del rispettivo sovrano.

Morto Innocenzo X nel i655, nei primordi del conclave, molti sagri elettori del partito Barberini, con- correvano pel Cardinal Sacchetti, che ricevette l'esclusiva dalla Spa- gna. Allora divulgossi una scrittura che si attribuì al Cardinal Albizi, ma poi si seppe essere stato lavo- ro dell'avvocato Lini^ in cui si vo- leva, che i principi con grave colpa e con obbligo di risarcire i danni si opponessero all' esaltazione di qual- che Cardinale; e che gli elettori ancora peccassero gravemente, se per compiacerli, o per privato in- teresse, negassero il voto a'meri- tevoli. Ebbero luogo in allora i suaccennati scritti dei Cardinali de Lugo ed Albizi. Nella citata Storia dei conclavi, si leggono interessan- ti notizie sull'esclusiva del Cardina- le Sacchetti, che dalla medesima Spagna l'aveva ricevuta nel prece- dente conclave. Vi fu pure in questo conclave qualche trattativa pel Car- dinale Bapaccioli , ma sebbene a lui non fosse impedimento l'essere na- to da un bottegaio di Collescipo- li, e col solo merito del sapere e dei costumi essere giunto alla por- pora ; tuttavia era di fresca età , contando quarantasei anni , ed aveva un'abituale malattia di calco- li, che lo faceva riputare di corta vita. A questo impedimento si ag- giunse l'esclusiva della Francia. Fu tuttavia rivocata questa esclusiva contro il Rapaccioli, ma il trattato per la esaltazione di lui non pre- se perciò maggior vigore. Quindi » sagri elettori si rivolsero al Car- dinal Chigi di Siena, porporato di Innocenzo X, che sempre avea co-

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piose votazioni, sebbene avesse a- vuto l'esclusiva della Francia, per- chè con ecclesiastica fermezza , nel congresso di Mmister, qual nunzio apostolico, avea parlato della poca inclinazione del Cardinal Mazzarini primo ministro di Francia , alla pace che ivi si procurava conchiu- dere. Il Cardinal Sacchetti però con una robusta lettera, scritta allo stesso Cardinal Mazzarini, ottenne che l'esclusiva fòss*e ritrattata, laon- de subito il Chigi fu eletto Papa con venticinque voti di scrutinio , e trentanove di accesso, non man- candogli che il suo voto, il quale nello scrutinio si diede da lui al Cardinale Sacchetti, e nell'accesso al Cardinal Pallotta. Egli prese il nome di Alessandro VII. Così terminò questo conclave, la cui lun- ghezza fu celebrata da Gregorio de Pina, ne'suoi Componimenti, pag. 9. Pei dibattimenti poi relativi al- l'esaltazione di diversi soggetti, nel- la mattina dell'elezione uno del conclave graziosamente disse: « Che stravaganza è mai questa? Gli spa- gnuoli vogliono un Papa senza in- teresse; i francesi uno che avevano escluso; i Cardinali giovani un sa- nese; ed i Barberini uno che non è loro creatura " .

III. L'esclusiva de' Cardinali ha luogo quando una parte di essi si oppone costantemente ad altra, che vuole innalzare al pontificato un soggetto, il quale non piace alla prima, per cui talvolta ad un Car- dinale per molti giorni mancò un solo voto per restar eletto, come avvenne al Cardinale Aldovrandi, nel conclave in cui fu eletto Bene- detto XIV, ed al Cardinale Belliso- mi nel conclave nel quale venne crea- to Pio VII. Si osserva che le esclusi- ve reciproche per gl'interessi tanto

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pubblici che particolari, ritarderei no T elezione di Gregorio X coti trentatre mesi e due giorni di se- de vacante, per cui quel Papa sta- bili il Conclave (Fedi); non po- tendo pone rimedio a tal vacanza di sede, e alle reciproche esclusive dei quindici Cardinali, che allora componevano il sacro Collegio, la presenza di due re, ch'erano a par- te dell'impegno, e che perciò e- ransi recati in Viterbo, luogo del- l' elezione. Per simili reciproche esclusive dei Cardinali, l'elezione di Clemente V fu preceduta dalla se- de vacante di dieci mesi, e ven- totto giorni: ne egli Gregorio X erano Cardinali. Le esclusive dei Cardinali, che per morte di Cle- mente V, ed elezione di Giovanni XXII, volendo gli uni un Papa di Guascogna, cui altri ripugnavano, fecero durare la sede vacante ven- tinove mesi, e diciassette giorni. Fu da alcuni notato, che nel conclave tenuto pel conciliabolo di Basilea nel 1439, l'antipapa Felice V dai trentatre elettori , benché in tre scrutini sedici di essi gli avessero dato l'esclusiva, a' 5 novembre con ventisei voti restò eletto pseudo Pontefice.

Venne da alcuni osservato, che dopo il Pontificato di Paolo II ve- neziano, s'introdusse una politica comune nel sagro Collegio, contro i Cardinali veneti, ma questo abu- so, s'è vero che abbia esistito, fu tolto nella elezione di Alessandro Vili. Si nota a pag. 809 dell'Isto- ria de' 'conclavi > che l'esclusive dei Cardinali dal secolo XVI in poi pei stretti congiunti de' Papi sono manifeste, non volendosi rinnova- ti gli esempi di Eugenio IV e di Paolo II, Sisto IV e Giulio II, di Calisto III ed Alessandro VI, di

ESC Pio II e Pio III, tutti zii e nipoti, come dei cugini Leone X e Cle- mente VII, non volendosi più nel- le famiglie raddoppiati i pontificati. Ne valse al celebre Cardinal Ales- sandro Farnese l'affetto dei Cardi- nali, la stima dei principi, e l'in- teresse principalmente del redi Spa- gna, per sedere sulla sedia occu- pata dallo zio Paolo III. Per mor- te di Adriano VI volle il Cardinal Colonna promovere l'elezione del Cardinal Giacovacci o Jacobazzi , ma que'Cardinali, ch'erano del suo stesso partito, gli diedero l'esclusiva, come quegli che seguiva le parti dell' imperatore, e in conseguenza contrario agl'interessi di altri prin- cipi. Nel conclave in cui restò e- lelto Clemente Vili, doveva eleg- gersi per adorazione il Cardinal Santorio detto San Severina ; ma in quel punto surse il Cardinal A- scanio Colonna, e gli diede l'esclu- siva, dicendo ad alta voce: Asca- nio Colonna non vuol San Severina Papa, perche non e dato da Dio. Ciò bastò per istornare la elezio- ne di lui, che tenevasi come fat- ta, ond'ebbe anche spogliata la Cella (Fedi). Dopo la morte di Urbano Vili, il Cardinal Montal- to fermò i negoziati diretti alla esaltazione del Cardinal Mazzmini, con una pubblica e costante prote- sta. In questo conclave, prima che il Cardinal Sacchetti avesse la for- male esclusiva dalla Spagna, l'ave- va dai Cardinali, perchè ventiquat- tro di questi aventi alla testa il Cardinal Albernoz l'escludevano dal pontificato. Nel conclave di Clemen- te X, il Cardinal Conti fu escluso da molti suoi colleghi, perchè avea troppi parenti; ed il Cardinal Gri- maldi venne escluso per opera prin- cipalmente del Cardinal Altieri. Era

ESC \ agallo del re di Spagna il Cardi- nal Pigna tei li , ed era soggetto di tanta viriti, che i ministri di Fran- cia non si avanzarono a dargli l'esclusiva; e pure, al diredi alcu- ni, non si potè conchiudere la sua esaltazione, se prima non si conob- be la neutralità del nuovo Papa, che prese il nome d'Innocenzo XII. Nel conclave di lui fu dai Cardi- nali escluso il Cardinal Barberini. IV. L'esclusiva si pratica in questo modo nei conclavi da chi è incaricato. Quel Cardinale che è ministro , ambasciatore , ben affetto ed attinente ad una del- le tre corone cui è concesso di e- metterla per un soggetto, il quale sia stato dalla sua corona incom- benzato di dare l'esclusiva a quel porporato Cardinale, che potesse divenir Papa, si pone sulla soglia della porta della cappella dello scrutinio, e ad ogni Cardinale, che per essa entra nella Cappella rac- comanda di prendere in conside- razione , che il Cardinal N. non sarebbe gradito al suo sovrano. Il Cardinale , che n' è incarica- to, dà pure l'esclusiva col recarsi alle celle dei colleghi, ed avvisar- li dell'esclusiva, se concorressero nel Cardinal N. Queste manifestazioni vanno fatte avanti che i Cardinali incomincino l'atto dello scrutinio, giacche quando si celebra lo scru- tinio, di cui trattasi all'articolo E- lezione, già citato, e molto meno quando leggonsi i voti, l'esclusiva non è in tempo di essere presa in considerazione, ne si attende, come raccontasi essere avvenuto nel 1823, allorché legge vansi i voti per la elezione di Leone XII, la quale ai Cardinali francesi Clermont, e de la Fare, che dicesi avessero per lui l'esclusione della Francia, riuscì nel-

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lo scrutinio inopinata, fino a teme- re de' rimproveri della loro corte. Altri dicono, che avessero dimo- strato questo dispiacere affine di non essere ripresi dal proprio sovra- no, e che il Cardinal Haeffelin li avesse segretamente avvisati dell'e- lezione. La maniera poi più. con- veniente di dare l'esclusiva, è quel- la di significarla al Cardinal de- cano del sagro Collegio, o a voce o in iscritto, il quale a mezzo di un biglietto, o in altro modo, la no- tifica a tutti i Cardinali. Siccome il Cardinal Giacomo Giustiniani romano, fu l'ultimo ad avere l'e- sclusiva, all'articolo di sua biografia ne riporteremo il modo, e il di- scorso da lui perciò pronunciato al sagro Collegio.

Noteremo per ultimo, che la magnanimità e la clemenza de'Pon- tefìci eletti nei conclavi in cui qual- che Cardinale ebbe l'esclusiva, fe- cero sì che per essi praticassero debitamente tutti i riguardi. Usa- rono quindi ad essi distinzioni, con- ferirono loro benefizi ecclesiastici, li promossero a cariche cospicue, ed a notabili onorificenze, e li con- sultarono ne'gravi affari, come quel- li che avevano meritato la fiducia, il rispetto, e l'alta considerazione della maggior parte del sagro col- legio. Di alcuni di siffatti Cardina- li, ch'ebbero l'esclusiva, e che poi furono beneficati , e meritamente distinti dai Pontefici , faremo qui breve menzione, oltre quanto di essi si dice alle rispettive biografie. Innocenzo XIII fece vicario di Ro- ma, il Cardinal Paolucci appena eletto, il qual porporato aveva avuto l'esclusiva dall'imperio, e po- scia Benedetto . XIII lo promosse a segretario di stato, e nella sua assunzione al pontificato, e precisa-

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incute nell'atto della votazione, vo- to in favore di Ini nello sernlinio. Benedetto XIV, appena seguila la Mia esaltazione, conferì la cospicua e urica di pro-datario al Cardinal Aldovrandi, che era stalo escluso <la alcuni Cardinali. Altrettanto pra- ticò Clemente XIII col Cardinal Cavalchili), (piando la Francia Io escluse, conferendogli il pro-dataria- io. Questo uffizio si diede da Leo- ne XII al Cardinal Severoli subito dopo la sua elezione, ricevuta a- \endo l'esclusiva dall'imperatore di Austria. Da ultimo, divenuto Pon- tclìce il regnante Gregorio XVI, dichiarò il suddetto Cardinal Giu- stiniani, che avea ricevuto l'esclu- siva dalla Spagna, primieramente Cardinal palatino mediante la ca- rica'di segretario de'memoriali, ed in seguito gli aggiunse quelle altre cariche ed onorificenze, che ripor- teremo nella sua biografia.

ESCOBLEAU Francesco, Car- dinale. V. Surdis (de).

ESENZIONE. Privilegio che di- spensa da alcuna obbligazione; exem- ptios exceptio, invmmitas. Dicesi poi esente, esento, per privilegiato, fran- co, libero, inimunis. L'esenzione in generale è una dispensa, che ec- cettua dalla regola comune. L'esen- zione ecclesiastica è o temporale, o spirituale. L'esenzione temporale è quella che il principe accorda ; l'e- senzione spirituale è quella che la Chiesa: questa è personale, o reale, o mista, od universale, o particolare. L' esenzione personale è quella che dispensa una perso- na dall'obbedienza del suo superio- re ordinario, sottoponendola alia giurisdizione immediata di altro su- periore. L'esenzione reale, o locale, è quella che cade sui luoghi, co- me sulle chiese, e sui monisleri coi

ESE loro abitanti. L'esenzione uni verta le, o totale, sottrae pienamente una persona, od una cosa, dalla poten- za e dalla giurisdizione dell'Ordi- nario, per sottometterla immedia - temente alla sede apostolica. L'e- senzione particolare o parziale non sottraeva in tutto, ma in parie solamente un luogo od una per- somi dalla giurisdizione dell'Ordi- nario. Tale è la definizione, che i canonisti danno della natura della esenzione, e sue specie. Essi inol- tre trattano della proprietà, degli effetti, e delle prove dell'esenzione ; dell'esenzione de'monisteri, le qua- li piene ed intere furono frequen- ti dall'ottavo al nono secolo, co- sì sui sagramenti, e sulla discipli- na esteriore della diocesi, e sul rispetto dovuto a' vescovi; e del- l'esenzione de' capitoli, le quali e- senzioni sono più recenti di quel- le de'monisteri. V. il Tomassini, de vet. et nov. Eccl. di sci pi. part. I, lib. 3, cap. 16 e 27, e de la Com- be, Giurisprud. canon., alla parola Esenzione ; Benedetto XIV , de Synod. dioec; l'articolo Abbate, ed altri relativi di questo Dizionario. ESEQUIE. Cerimonie e pom- pe funebri, che si fanno nella se- poltura o mortorio di un morto: exequia, j usta funebri a, parentalia. Questo vocabolo deriva da obse- quium, perchè le esequie sono gli e- slremi doveri o servigi, che si ren- dono ai defunti. Questa parola in latino significò eziandio 1' uffizio ec- clesiastico, o la messa che si fa ce- lebrare pei morti. Il Macri, alla parola Exequiac . dice essere cos'i chiamato 1' uffizio che si fa pel defunto, perchè con esso si esegui- sce la sua volontà, come insegna Mutio cappuccino, de Off. mori. cap. 6. Durando però stima che

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V etimologia di questo vocabolo si derivi da ciò, che 1' uffizio de' rnorti si recita extra lioras canonicas. Donato poi dice, che tal nome ha la sua origine, perchè i defunti so- no seguitati dai vivi all'altro mon- do. Jl vescovo e martire s. Zeno- ne, nel sermone terzo sopra A bra- mo, chiama Isacco Fivas exequias, mentre stava in procinto di esse- re sagrifìcato. Carlo V volle, che vivente, e disteso sul feretro gli si celebrassero le solenni esequie. V. Funerali.

ESERCIZI Spirituali. In ma- teria di pietà, cosi si chiamano o le pratiche cristiane giornaliere dei fedeli , o certi giorni di ritiro , che si scelgono per meditare e far l'esame della propria condotta, o pei libri che racchiudono le me- ditazioni destinate a questi ritiri, per la riforma della vita, o per ^ricevere gli ordini sagri. Il p. Me- noebio nelle sue Stuore, tomo III, p. 207, nel capo XXIII tratta: Quan- to sia efficace rimedio per rifor- mare la vita il ritirarsi per alcu- ni giorni^ per occuparsi in eserci- zi spirituali. Dei pregi ed utilità degli esercizi spirituali ne tratta pure il Piazza , nell' Eusevologio, trattato XI, capo IX, massima- mente di quelli composti da s. Igna- zio nel suo libro aureo degli Eserci- zi spirituali: questi dal medesimo santo furono chiamali un mezzo potentissimo per mettere in cuore di chi che sia lo zelo per la propria eterna salute, e per quella degli altri. Il citato Piazza riporta le sentenze e gli alti elogi, che degli esercizi di s. Ignazio fecero Pietro Ortiz, celebre dottore dell'accade- mia di Parigi, e fi*. Luigi di Gra- nata grande ornamento dell'Ordine de' predicatori, altro teologo, del

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quale disse, che stimava pia la teo- logia degli esercizi di s. Ignazio, che quella tutti insieme i dot- lori del inondo. Così il p. mae- stro d'Avila, con simili sentimenti diceva, che questi erano un effi- cacissimo istromento della divina grazia, per la riforma della vita e de 'costumi. Ne dubitò s. Carlo Boi - romeo di dichiarare, che dagli eser- cizi di s. Ignazio trasse principalmen- te le norme per porsi nella strada dell' apostolica perfezione. Dal li- bro degli esercizi san Carlo traeva ogni giorno l'ordinario soggetto delle sue contemplazioni , alcune delle quali il medesimo Piazza ri- porta a pag. 218 e seg. Fu san Francesco Borgia che ottenne da Paolo III la bolla Pastoralis of- ficiij con l'approvazione degli e- sercizi spirituali di s. Ignazio.

Questa pia opera non solo fu praticata di frequente da molti santi, e servi di Dio, ma anche dai Pontefici, ad onta delle im- mense cure per la Chiesa univer- sale. Clemente IX due volte all'an- no si ritirava a fare gli esercizi spirituali nel convento di s. Sa- bina. Benedetto XIII una volta all'anno ritira vasi nel piccolo con- vento del suo Ordine domenicano a Monte Mario, ed ivi faceva i santi esercizi, dava sfogo alle sue penitenze, ai suoi digiuni, confor- mandosi alle religiose pratiche del- la comunità sia di giorno che ói notte. Benedetto XIV, prima di celebrare l'anno santo dell' univer- sale giubileo, per maggiormente avvalorare colla sua, la disposizio- ne che in altri eccitava per l'ac- quisto dell'indulgenza del giubileo, si ritirò per dieci giorni a fare gli esercizi di s. Ignazio, sotto la di- rezione del gesuita p. Duranti per

Vi ESE ESE niten/iere della basilica vaticana, cizi per dieci giorni, quindi stabi- Clemenle XIV, avanti di farsi con- lirono che potessero fruire eguale Mgiwre, non essendo vescovo, si indulgenza quelli che gli avessero ritirò per nove giorni al ritiro dei fatti per cinque giorni. Ed accioc- santi esercizi, affine di prepararsi che questo gran beneficio fosse co- a sublime dignità. mime anche alle religiose ed alle Alessandro VII, nel i656, aven- monache di qualsivoglia istituto, do fatti venire in Roma i due ni- massime alle novizie, eh* entrano poti Agostino, e Flavio poi Car- ne' monisteii per abbracciare lo dinale, li mandò a fare gli eserci- stato religioso, Innocenzo XI ordi- zi di s. Ignazio nella casa di no- nò, che ninna fosse ammessa per viziato de' gesuiti presso s. Andrea la monacazione, se prima non aves- al Quirinale, ove gli avea già fat- se per qualche tempo fatti gli e- ti il nipote di Pio IV il Cardinal sercizi affine d'ottenere da Dio lu- s. Carlo Borromeo. Questo luogo me e grazia a conoscere, se lo sta- fu destinato per gli esercizi spiri- to , a cui si dedicava , era per tuali dal medesimo s. Francesco procurare ad essa 1' eterna sai- Borgia, generale della compagnia vezza: e rinnovando il decreto di di Gesù, pei Cardinali, prelati, ec- Alessandro VII ordinò, che quelli, clesiastici, e laici di nobile o civi* i quali dovevansi promovere agli le condizione. Inoltre Alessandro ordini sagri , prima di riceverli si VII prescrisse con sua bolla, eh' è ritirassero per dieci giorni a far la 169 del Bull. Rom. tom. V, gli esercizi spirituali di s. Ignazio, p. 366, rammentata dal Lamberti- Innocenzo XII poi determinò, che ni, Istituzioni io4, che tutti gli i parrochi, ed i nuovi ministri del ecclesiastici, i quali in Roma si do- sagramento della penitenza, si do- vevano promovere agli ordini sa- vesserò preparare ad un così im- gri, per trenta giorni dovessero portante ministero, col far per die- esercitarsi nella pia casa de'Signo- ci giorni gli esercizi spirituali di ri della Missione negli esercizi s. Ignazio, e meditare le cose spirituali, che nelle funzioni de' sa- eterne.

gii riti e delle cerimonie. S. Vin- Non solo Clemente XI avanti cenzo de Paoli, fondatore di quel- di entrare in conclave per ordi- l' istituto e delle missioni ai pove- narsi sacerdote premise il riti- ri della campagna, nella detta ca- ramento degli esercizi spirituali , sa istituì gli esercizi spirituali, non ma dipoi, essendo Pontefice, con solo pei chierici ma anche pei lai- una lettera circolare a' vescovi d'I- ci. Diversi vescovi nelle loro dio- talia, data il primo febbraio 17 io, cesi introdussero fatta utilissima ponendo in vigore il decreto d'In- opera, come pur fece in Milano il nocenzo XI , come si legge nel detto s. Carlo, col nome di Asce- Bull. Maga., tom. VIII, p. 422> te riunì ossia sacra solitudine. Tanto comandò loro, che gl'iniziandi agli alle case della compagnia di Gesù, ordini sagri facessero precedere gli che a quelle della Missione pegli esercizi spirituali di s. Ignazio per ordinandi, e per tutti gli altri, i dieci giorni; inculcando a' vescovi, Pontefici accordarono l'indulgenza che esortassero i canonici, i par- plenaria a chi ivi facesse gli eser- rochi, i beneficiati, i sacerdoti ec,

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a farli almeno una volta l'anno nelle case dei gesuiti o dei mis- sionari. Imperciocché diceva quel gran Pontefice, che in quel sagro ritiro si lavava facilmente qualun- que macchia di polvere mondana, si ricuperava lo spirito ecclesiastico, l'intendimento dell'anima s'innalza-

tva alla contemplazione delle cose divine, e la norma del retto e san- to vivere o s'imparava o si confer- mava. Roma, centro del cattolici- smo, si dislingue anche negli eser- cizi spirituali, che in più volte al- l' anno si fanno in vari luoghi, il perchè accenneremo i principali.

Narra il gesuita p. Memmi nelle Notizie istoricìie dell'Oratorio detto del p. Gravita, pag. 146, che ivi nel 1673 si cominciò a dare pub- blicamente gli esercizi spirituali di s. Ignazio, non solo ai fratelli del- l'oratorio, ma a quelli che voles- sero profittarne, e riporta il meto- do e la forma di essi. Quindi, a pag. 208, per le cure del p. Tyr- so Gonzalez, generale della compa- gnia, nel 1702, col l'approvazione di Clemente XI, fece istituire gli eser- cizi per le dame, che ne furono sommamente liete, ed il Papa con- cesse perciò grazie e privilegi spi- rituali. Va notato che al presente gli esercizi non si danno più dai gesuiti nella casa del noviziato, ma in quella presso la chiesa di s. Eu- sebio, dove più volte all'anno li dan- no tanto ad ecclesiastici, che ai re- ligiosi di altri Ordini , ed ai se- colari. V. il dott. Agostino Thei- ner : // seminario ecclesiastico, o gli otto giorni a s. Eusebio di Ro- ma. Questa opera fu scritta in te- desco, e dal p. Giacomo Mazio fu recata in italiano , e stampata in Roma nel 1 834-

Essendo poi il ritiro uno dei

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mezzi i più opportuni per ascol- tare con profìtto la voce di Dio, ed essendo diffìcile il conservarsi ben raccolto nello spirito dopo a- ver ascoltata la parola del Signore, quando si debba andar vagando per affari, o per domestiche faccen- de, quindi in Roma sono molte case religiose e laiche, nelle quali ricevonsi le persone di ambo i sessi, e vi si fanno trattenere per un numero di giorni stabiliti, man- tenuti e serviti di tutto, acciò solo attendano alla contemplazione del- le massime di nostra santa religio- ne, ed al pensiero della riforma dei propri costumi. In tal modo si danno gli esercizi dalle monache del Bambino Gesù, del Divino Amore, dalle Orsoline, ed in genere in que- sta stessa guisa si praticano dagli Ordini regolari dell'uno e dell'altro sesso, dagli ospizi, e dai conserva - toni, desistendo in quei giorni da- gli studi e dai lavori, e non am- mettendo alcun commercio colle persone estere. Nella casa de'mis- sionari di s. Vincenzo de Paoli a Monte Citorio, si danno gli eserci- zi spirituali per lo spazio di dieci giorni in tutti i tempi che prece- dono le ordinazioni generali, ed ove debbono ritirarsi tutti quelli che sono per ricevere qualunque degli ordini sagri, quando non sieno re- ligiosi, o non si trovino in qualche seminario o collegio dove fanno gli esercizi sotto la direzione di persona a ciò destinata. Nella stes- sa casa debbono radunarsi tutti i parrochi e confessori di Roma, non regolari, per lo spazio di cinque giorni ogni due anni a fare gli e- sercizi spirituali. Quivi pure si dan- no gli esercizi ai secolari nella set- timana santa, oltre di che vi si ammettono nel corso di tutto fan-

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no tanto gli ecclesiastici che i lai- ci, i quali per loro divozione vo- gliono, o dai superiori sono man- dati a ri ti larvisi , costituendosi ad essi in tal caso un parlicolar di- rettore, che assiduamente si accom- I M^na con loro, e li guida nelle opere proprie di tal ritiro.

Dai religiosi passionisti sul mon- te Celio, e dai religiosi francescani nel ritiro di s. Bonaventura alia polveriera antica, presso il foro ro- inaiio, più volte fra l'anno trat- tengonsi agli esercizi spirituali per- sone anche di alta portata, e tan- to gli uni che gli altri ordinaria- mente una volta l'anno ammettono agli esercizi i soli ecclesiastici. Lun- go sarebbe ad enumerare tutti i luoghi, le chiese e gli oratorii di Roma, in cui vi si fanno gli eser- cizi spirituali per ambo i sessi. Di ciò per la maggior parte si parla ai rispettivi articoli, come del pio luogo di Ponte rotto, di s. Pa- squale in Trastevere, di s. Galla, del ritiro de' divoti di Maria sul monte Gianicolo, ed altri molti, e persino dei condannati esistenti in Castel s. Angelo; de'quali, e di al- tri, tratta d. Guglielmo Costanzi neir Osservatore di Roma, tom. I, lib. XI, capo I, e seg. V. Cate- chismo, e Dottrina Cristiana.

ESOCATACELI, o Exocatacoe- li. Nome generico che davasi in Costantinopoli al grand' economo , al gran sacellario, o gran maestro della cappella, al gran scevofilace, o custode de' vasi, al gran carto- filace, o maestro della piccola cap- pella, ed al proteedico, o primo difensore della Chiesa. Gli esoca- taceli erano in principio sacerdoti, ma furono poscia ridotti all'ordine di diaconi, giacche avendo siccome sacerdoti le loro chiese, in esse uf-

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Oziavano nei giorni solenni , men- tre in questi il patriarca di Co- stantinopoli trova vasi all'altare sen- za i suoi primari utfiziali. Benché diaconi, erano gli esocataceli di u- na grande autorità, avevano il di- ritto di assumere le pianete , non la stola, erano chiamati Cardinali, e godevano quelle prerogative, che notammo al voi. XIX, pag. 3o8 del Dizionario. Aggiungeremo, che probabilmente furono chiamati eso- cataceli per quanto si racconta dal Codino. In Costantinopoli il palaz- zo patriarcale e gli appartamenti del sincello, e di tutti i monaci , i quali erano al servizio del pa- triarca, occupavano in quella città un luogo assai basso ; mentre i grandi officiali alloggiavano fuori di quella valle, e in altre parti. Furono questi perciò chiamati e.?o- cataceli3 persone cioè che sono fuo- ri dei calaceli, ossiano luoghi bassi. ESOMOLOGESI (Exomologe- sis). Confessione, secondo la parola greca. Con questo nome per altro appresso i santi Padri ordinaria- mente non s'intende la confessio- ne sagramentale , ma la pubblica confessione , e gli atti conseguenti dei penitenti , i quali sulla porta della chiesa con abito vile, confes- sando di essere miserabili pecca- tori, ^domandavano perdono dai fe- deli con raccomandarsi alle loro orazioni. V. s. Cipriano, lib. 3, e- pist. 27, dal quale si apprende si- gnificare esomologesi una mera ri- conciliazione colla chiesa dei pub- blici penitenti, poiché in caso di necessità, o pericolo di morte, qual- sivoglia diacono, con licenza del suo prelato, poteva assolvere tali peni- tenti, siccome qualsivoglia chierico di ordine del prelato può assolve- re dalle censure. Tanto dice il Ma-

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cri nella Not. de' vocab. ecci, alla parola Exomologesis.

Per lo più si dava principio a questa penitenza pubblica nel pri- mo giorno di quaresima, nel quale i penitenti, coperti di cenere e ve- stiti di cilicio, si fermavano sotto i portici delle chiese per udire la messa ed i divini uffizi ; ma poi al tempo della consagrazione, era- no riconciliati , come si raccoglie dai rituali antichi. La voce esomo- logesi significa pure, o più pro- priamente, quell'ultimo atto del pubblico penitente, quando compi- ta la soddisfazione impostagli , era condotto dal vescovo in chiesa ove prostrato in terra alla presenza di tutto il clero e di molto popolo , detestava le passate colpe promet- tendo di non commetterle più. V. Tertulliano, de Poenit. cap. 91, ed il citato s. Cipriano lib. J, epist. II. La confessione de' peccati pro- priamente si dice in greco Exa- goreusìs. Finalmente talvolta col vocabolo Esomologesi vuoisi signi- ficare la pubblica processione, con segni di penitenza, per placare Id- dio , ed implorare la sua divina misericordia in tempo di qualche grave gastigo, come si ha dal con- cilio di Toledo XVII, can. 6, e da quello celebrato sotto s. Leone III, al can. 3i. V. Chiesa, Confessio- ne, Penitenza.

ESORCISMO (Exorcismus). Ce- rimonia della quale si serve la Chiesa per iscacciar i demonii dai corpi ch'essi possedono o che im- portunano, o dalle altre creature, di cui abusano o possono abusarsi. Dice Gesù Cristo nell'ultimo capi- tolo di s. Marco: questi miracoli saranno con quelli che avranno creduto, essi scaccieranno ì demo- mi in mio nome. È dunque giu-

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sto il motivo per cui la Chiesa esorcizza quelle creature, affine di scacciarne i demonii, che di esse si abusano, e di questo potere ella si è sempre prevaluta. Le creatu- re che la Chiesa esorcizza , ordi- nariamente sono quelle afflitte da qualche possesso od ossessione del demonio, i luoghi infestati dal de- monio; l'acqua, il sale, l'olio, e le altre cose di cui ella servesi nelle sue cerimonie. Essa esorcizza pure i bruchi ed altri insetti perniciosi per le piante, le cavallette, le tem- peste ec. per impedire loro di nuo- cere ai prodotti della terra. Lo stesso Gesù Cristo, che con un sem- plice cenno poteva porre in fuga i demonii, volle tuttavia servirsi di alcuni segni e cerimonie este- riori. Prudenzio, in Apoteos. con- tra Jud., compose alcuni versi, nei quali si contiene la forinola usala in quei tempi, mentre si esorciz- zavano gì' indemoniati energume- ni. Gli esorcismi hanno una virtù indipendente dalle disposizioni del- l' Esorcista (Fedi) , e producono infallibilmente il loro effetto, a me- no che non incontrinsi ostacoli da parte dell'esorcista o delle perso- ne in favore delle quali si fanno gli esorcismi. Il perchè gli esorci- sti debbono prepararsi a questa cerimonia col digiuno , colla pre- ghiera , coli' umiltà , colla purità , astenersi da qualunque questione curiosa ed inutile, e seguire pun- tualmente tutto ciò eh' è prescritto nel libro degli esorcismi. V. Ener- gumeno.

Il Sarnelli, nel tom. IX delle Lett. eccl., tratta perchè gli esor- cismi hanno la conclusione, Per Dominimi Nostrum Jesum Christian, qui venlurus est judicarc vivos, et morluosy et saeculum per ìgnem.

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Amen. Quindi col Micrologo , de observ. Ecclesiae, cap. 7, dice che i demonii niuna cosa temono più, che il rammentar loro il giorno del giudizio, quando tutti saranno ridotti nell'inferno in sempiterno; imperocché, sebbene sieno stati dan- nati dal principio del mondo, su- bito che peccarono, e sieno conti- nuamente cruciati dal fuoco infer- nale, che per l'onnipotenza di Dio sentono anche assenti, nondimeno nel giudizio universale saranno da Gesù Cristo di nuovo coartati, e carcerati nell'inferno. V. Demonio. Soggiunge il medesimo Sarnelli , che anticamente si facevano gli -esorcismi non nelle case private per la paura, non nelle chiese per ri- verenza, ma all'aria aperta, ciò che non si pratica più. Si domandava il nome del demonio, e il segno della uscita, il che si fa oggi an- cora, e si stimava utile esorcizzare i cibi che gli ossessi od energu- meni mangiavano , come si vede dal rituale romano. Sono poi gli esorcismi certe orazioni e coniu- razioni usate dalla Chiesa, come si vede nel concilio IV cartaginese , il quale per materia dell' ordine dell' esorcista to il libro degli esorcismi, dalla Chiesa approvati. Dell'ordine degli esorcisti si fa men- zione da s. Ignazio martire, nel- l'epistola agli antiocheni, ed in quella di s. Cornelio Papa a Fa- biano. Sino dalla nascente Chiesa, si usò discacciare i demonii cogli esorcismi, come in unione a s. Giu- stino martire, de ventate Christia- na* religionis, dicono altri antichi padri. Fu poi particolare ufficio dell'ordine divinamente istituito, ed a questo effetto destinato dalla Chie- sa, come prova il Baronio ne' suoi Annali, all'anno 56, il quale inol-

tre nota, che talvolta i demonii s'ingegnarono d'ingannare gli esor- cisti fingendo, e volendo far cre- dere, che lo spirito ch'era in quel corpo, era l'anima di questo o di quello, per dare ad intendere che non tutte le anime de' dannati an- davano all'inferno, e per turbare la fede sul giudizio, e sulla risurre- zione de' morti.

11 p. Menochio, nelle sue Stuo- re tom. Ili, p. 46*9, cap. LXXVI Degli esorcismi degli ebrei, nana che il Cardinal Toledo, sopra il capo II di s. Luca, all'annotazione 4i, osserva come anche avanti la venuta di Gesù Cristo, avevano gli ebrei i loro esorcismi ed esorcisti, i quali si adoperavano in iscaccia- re i demonii dai corpi ossessi ed energumeni , e che tra gli ebrei eravi la tradizione dello scongiu- rare, essendo stato Salomone, se- condo Gioseffo , l' inventore degli esorcismi contro i demonii. Sulla quale autorità riferisce Beda, che Salomone ordinò nel tempio alcu- ni esorcisti, ed insegnò loro il mo- do di scongiurare in un libro da lui composto; anzi Origene, nel suo trattato 55 sopra s. Matteo, affer- ma che al suo tempo conservavasi il detto libro. Il Rinaldi all' anno 56, num. 2, narra come Eleazaro esorcizzò in presenza dell' impera- tore Vespasiano. S. Epifanio, nella eresia 3o, dice essere stata comune opinione fra gli ebrei, che se al- cuno avesse saputo il nome di quat- tro lettere, cui i greci chiamano Telragrammaton , e gli fosse stato lecito di proferirlo, avrebbe avuto potestà sopra gli spiriti maligni. Noteremo per ultimo , che non mancarono anticamente ingannato- ri, i quali giravano per le città, professando per guadagno l'arte di

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cacciare i demonii , servendosi, in vece degli esorcismi, di superstizio- ni ed incantesimi, de' quali parla Ulpiano lege j , ff. de variis et ex- traordinariis cognìtionìbus. V. s. Dionisio Areopagila nel lib. de Ec- clesiast. hierarchia al cap. 3, e s. Cipriano nell' episl. j6.

ESORCISTA (Exorcisla). Chie- rico tonsurato, che ha ricevuto quello tra gli ordini minori , che porta un tal nome. Si questo nome al vescovo, od al sacerdote delegato dal vescovo, il quale esor- cizza un posseduto dal demonio, un energumeno. Questo termine di esorcista deriva dal greco, che si- gnifica scongiurare, invocare il no- me di Dio per iscacciare i demo- nii dai luoghi o dai corpi ch'essi posseggono. Sembra che i greci non riguardino la funzione di e- sorcista come un ordine, ma come un semplice ministero, convenen- dovi s. Girolamo. Tuttavolta il p. Goar, nelle sue note sull'Eucologio de' greci, prova coli' autorità di s. Dionisio e di s. Ignazio martiri , che questo era un ordine. Questo ordine il potere agli esorcisti appunto di scacciare i demonii per mezzo dell' invocazione del nome di Dio. Sebbene però questa fun- zione sia riserbata a' sacerdoti, nep- pure essi possono incaricarsene sen- za licenza del vescovo. Non è vie- tato di darla anche ai chierici ca- paci , purché possano , come dice Fleury, distinguere gli ossessi ed energumeni dai fraudolenti. Nei primi tempi erano frequenti le in- vasazioni, specialmente fra i pagani. Per testificare poi un maggior dis- pregio del potere dei demonii, si adoperò per discacciarli uno dei ministri inferiori della Chiesa. Nel quarto concilio cartaginese, e negli voi,. XXH.

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antichi rituali si prescrìve la ceri- monia della ordinazione degli esor- cisti. Essi ricevono il libro degli Esorcismi (Vedi), dalle mani del vescovo , che loro dice : prendi e studia questo libro 3 ed abbi la po- destà d'imporre le mani sugli e> nergumeni, sieno battezzati, sieno catecumeni. L' ordinazione dell' e- sorcista si fa durante la messa, co- me le altre.

L'esorcista deve preparare l'ac- qua, il sale, e tuttociò ch'è neces- sario per fare I' acqua benedetta , di cui servesi la Chiesa per iscac- ciare i demonii, ed accompagnare il sacerdote, il quale fa nella chie- sa l'aspersione dell'acqua benedet- ta. Dice il Macri, eh' era anco of- fìzio dell' esorcista di esorcizzare i catecumeni prima di ricevere il san- to battesimo, come persone sog- gette all' impero diabolico, e cita gli scrittori che parlano di questa specie di esorcismi, notando che s. Isidoro chiamò gli esorcisti Actores templi, lib. 2, cap. i3 de Eccles. off. Secondo il pontificale romano era pure officio degli esorcisti di avvisare quelli che non comunica- vano, acciò dessero luogo agli ai- tri, di versare l'acqua pel ministe- ro, d'imporre le mani sopra gli os- sessi e gì' infermi. Il Sarnelli , t. VI, lett. XVI, num. 8, osserva che avendo l' esorcista la potestà del- l' ordine di esorcizzare, può far an- che il segno della cróce, dove l'e- sorcista lo richiede; ed aggiunge che il Marcanzio, Hort. past. Can- delabr. myslic. trat. 5, lect. as- serisce come nella chiesa di Liegi nel sabba to santo, quando si por- tano gl'infanti a battezzare, si com- mettono gli esorcismi, che si fan- no prima del battesimo, a' chierici d'ordini minori, acciocché si di- 7

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mostri la loro potestà in qualità cT esorcisti. Dal Rituale romano ap- parisce, che detti esorcismi richie- dono molti segni di croce. Nel to- mo X tratta nella lett. LXIII, Co- me possano gli spiritati intromette- re, e mandar fuori del corpo lo- ro, cose solide e grandi. Invita quindi coloro che vogliono esor- cizzare gli energumeni, a leggere il libro delle disquisizioni magiche, di Martin del Rio, lib. 3, sect. 6, ove particolarmente discorre di que- sta materia, come filosofo e come teologo; ne parla nel lib. 6, sect. 3, de Remediis supernaturalibus di- linis, seti ecclesiaslicis, ove nella pag. 719 fra le allre cose avvisa, che gli esorcisti si guardino di non ischerzare col demonio , intro- durre con lui discorsi giocosi, dap- poiché il cacciar via i demonii co- gli esorcismi della Chiesa è cosa santa: e però si deve trattare san- tamente, siccome hanno fatto quan- ti da principio adoperarono con ef- ficacia il rimedio degli esorcismi, e se talvolta non si discacciò il de- monio, res clara est, in peccatis vel obsessi , vel abjurantis posse contingere, vel ob majorem ipsius aegri utilitatem, Deique gloriarli. Pegli esorcismi , come si disse al precedente articolo, molto giovano i digiuni, l'orazione ec. Dal Rinal- di, all'anno 56, num. 6, si appren- de, che talora esorcizzarono anche i laici; ma i concili vogliono, che i vescovi non permettano di esor- cizzare ai non ordinati. Si stabili- rono poi molte cautele, perchè ne- gli esorcismi non si frammetta al- cuna superstizione. Che poi la fede dello spiritato aiuti assai la virtù dell'esorcismo, l'insegnano s. Ci- priano, de idolatr. vanit., ed altri ; e che gli spiriti maligni sieno soliti

ESP stare negli invasi pertinacemente, lo esperimentarono gli apostoli, e lo dimostra Origene, in Josue ho- mil. 24. Gli stessi apostoli ci fan- no sapere, che eranvi esorcisti giu- dei, i quali si vantavano di scac- ciare i demonii in nome di Gesù Cristo. Marco 9, 37 ; Luca 9, 49« V. il Psello, Della natura dei de- monii, e spiriti folletti, Venezia i645.

ESORCISTA o ESORCISTA- TO. 11 secondo degli ordini mino- ri, divinamente istituito, avvegnaché la più sana opinione è quella del dottore angelico, e de'più accredi- tati teologi, che anche gli ordini minori abbiano per istitutore nostro Signore Gesù Cristo. V. Ordine, Esorcismi, ed Esorcista.

ESPEN (Van)Zegero Bernardo. Celebre canonista e giureconsulto, nato in Lovanio nell'anno 1646, si diede per qualche tempo alla teolo- gia scolastica; ma non essendo suffi- ciente questa arida scienza ad ali- mentare il suo intelletto, si dedicò allo studio della disciplina antica e moderna della Chiesa, e ne acqui- stò profonda e vasta cognizione. Nel 1675 gli fu data la laurea dottorale, e da questo tempo in poi insegnò con applauso questa scien- za nel collegio di Papa Adriano VI. Se non che la fama cui go- dea di uomo celebre, ed i suoi meriti gli destarono non pochi in- vidiosi nemici, più godendo del- la primiera pace, massime per aver approvata la consagrazione di Stee- noven arciveseovp scismatico d' L1- trecht come canonica, dovette riti- rarsi prima in Maestricht, e poi nella città d'Amersfort, ove finì di vivere nel 1728, di anni ottanta- tre. Le principali sue opere sono : i,° Jus ecclesia stianti universum,

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nella quale si mostra quanto eru- dito altrettanto zelante di quelle massime erronee sparse in tutte le altre sue opere, per cui meritarono di essere condannate, e proscritte dal- l'Indice. 2.0 De peculiarità te, et si- monia. 3.° De officiis canonicorum. 4«° Tractatus historico canonicus in canones. 5.° De censuris. 6.° De promulgatione legum ecclesiastica- rum. 7.0 De recursu ad Princi- pem. 8.° Alcune scritture sugli af- fari de' suoi tempi. Opere tutte, le quali offrono chiara prova dell'as- sidua lettura che fatta avea della Scrittura sacra, de'padri, de'conci- li, del diritto civile e canonico. Il Bergier ci avverte che questo dotto giureconsulto spesso ripete il già det- to dal p. Tomassino; che in diverse opere volle servire al partito dei nemici della Chiesa, ch'egli avea abbracciato ; e che i suoi senti- menti sul Formulario, e I* Apolo- gia dello Steenoven, come riempi- rono dì amarezza i suoi giorni, cosi lo manifestarono come uno de' più zelanti partigiani del giansenismo.

ESPETTATI\E. V. Aspetta- tive.

ESPETTAZIONE del parto della b. Vergine [festa). Celebrasi in diverse parli della cristianità , e specialmente in Ispagna, per de- creto del concilio Toletano X del 657, a* 18 dicembre la festa dell'In- carnazione del" Verbo divino, essen- do vietato ne'giorni quaresimali, se- condo il costume della Chiesa orien- tale, seguito dall'ambrosiana, di ce- lebrare in allora veruna festa, come giorni destinati alla cristiana peni- tenza, ch'esclude ogni dimostrazio- ne di allegrezza, per cui la Chie- sa non usa altri abiti sagri , se non i lugubri. Così il Piazza, E- merologìo, a' 1 8 dicembre. Parlando

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il Sarnelli, nel tom. X, lett. XXif, della festa della ss. Annunziata (Vedi), dice, che in molte chie- se costumavasi celebrarla agli 8 di- cembre, perchè appunto non si sti- mò celebrare la solennità dell' inef- fàbile incarnazione del Verbo eter- no in quaresima , tempo di tri- stezza, come si ha dal detto conci- lio, tenuto dall'arcivescovo Eugenio. Se non che essendogli succeduto S. Idelfonso, il quale difese la pu- rità della Concezione immacolata di Maria Vergine (Vedi), contro alcuni eretici i quali l'impugnava- no, volle che detta festa in avve- nire si celebrasse col nome del- l' Espettazione del parto, e sette giorni innanzi il Natale (Vedi), non nella quaresima destinata agli esercizi della penitenza, od alla solennità della risurrezione di Ge- sù Cristo.

ESPIAZIONE (Expiatio). Si pren- de per l'atto od azione, colla qua- le si soffre la pena decretata con- tro il delitto, o pei sagrifizi che si fanno a Dio per la remis- sione de'peccati; si dicono anche espiazione quelle cerimonie, che Dio ha istituite per purificare gli uomi- ni dalle loro colpe, non solo coi sagrifizi, ma eziandio co'sagramen- ti, e colle opere di penitenza. Qua- lunque espiazione del peccato si fa mediante l'applicazione dei meriti di Gesù Cristo, e co'detti mezzi da lui istituiti. Le altre cerimonie, come le aspersioni dell'acqua be- nedetta, le assoluzioni ec. non sono altro che un simbolo ed un segno della purificazione , cui la grazia divina opera nelle anime nostre; segni stabiliti per avvertirci di chiedere a Dio questa grazia. Se- condo la credenza cattolica, le a- nime di quelli che muoiono senza

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avere interamente soddisfatto alla giustizia divina, purgano nel pur- gatorio dopo la morte le reliquie od avanzi de'loro peccati. Gli ebrei avevano diverse sorta di sagri fizi di espiazione pe'falli commessi per i- gnoranza contro la legge, e per pu- rificarsi da certe immondezze le- gali, ch'erano ritenute come falli da doversi espiar con certe vittime. Questi sagriflzi di espiazione non rimettevano per se stessi i falli reali commessi contro Dio; riparavano semplicemente la mancanza este- riore o legale , ed assolvevano i trasgressori dalla pena temporale con cui Dio od i giudici puniva- no questi falli, quando trascura- vano d'espiarli nel modo prescrit- to dalla legge.

La festa solenne dell'espiazione celebra vasi dagli ebrei il decimo giorno del mese di tìzri, il quale corrisponde al mese di settembre. Gli ebrei la chiamano festa del perdono, perchè esp'ravansi le colpe di tutto l'anno. Le principali ceri- monie erano, che il sommo sacer- dote dopo essersi lavato tutto il corpo, vestivasi di semplice lino, indi offriva un torello ed un arie- te pe'suoi peccati, e per quelli de- gli altri sacerdoti : poneva le ma- ni sulla testa di tali vittime, e con- fessava i suoi peccati e quelli di sua casa; poscia riceveva dalle ma- ni dei capi del popolo due becchi o capri pel peccato, ad un ariete per essere offerto in olocausto in nome di tutta la moltitudine. Indi tiravasi a sorte, quale dei due bec- chi dovesse essere sagrificato, e qua- le posto in libertà. Allora il som- mo sacerdote incensava il santuario, ed intingendo il dito nel sangue del torello già sagrificato, ne get- tava sette volte fra l'arca dell'al-

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leanza, ed il velo che separava il santo dal santuario. Sacrificava po- scia a fianco dell'altare degli olo- causti il becco destinalo dalla sor- te ad essere sagrificato. Ne portava il sangue nel santuario, e sette vol- te faceva delle aspersioni col suo dito intinto nel sangue fra l'arca ed il velo, che separava il santo dal santuario. Dopo ciò, faceva delle aspersioni all'intorno del ta- bernacolo col sangue del becco ; quindi recavasi all'altare degli olo- causti, ne bagnava le quattro cor- na col sangue del becco e del torello, e l'innaffiava sette volte con questo stesso sangue; metteva la mano sulla testa del becco, che era destinato ad essere libero, con- fessava i suoi peccati e quelli del popolo, pregava Dio che li scari- casse sopra di lui , e consegnava questo becco ad un uomo, il qua- le lo conduceva in un luogo deser- to, e lasciavalo in libertà, ovvero lo precipitava, secondo altri. Per questo si chiamava tal becco il Capro emissario. Fatta questa ce- rimonia il sommo sacerdote si la- vava tutto il cqrpo nel tabernaco- lo, e vestendosi di altri abiti, im- molava in olocausto due arieti, uno per se, l'altro pel popolo. La festa dell'espiazione solenne era u- na delle principali festività degli ebrei, i quali in tal tempo viveva- no nel maggiore riposo, ed osser- vavano un digiuno rigoroso. Que- sto era il solo giorno, in cui fosse permesso al sommo sacerdote di entrare nel Santo dei Santi, ove era l'arca dell'alleanza.

La quarta solennità, la quale celebra al presente dalla sinagoga, è questa delle espiazioni , tenuta per la principale che abbia luogo in tutto l'anno, come descrive Pao-

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lo Medici, Riti e costumi degli ebrei, capo XXIII, Del digiuno e festa delle espiazioni. Primiera- mente passano gli ebrei la notte, che precede tal festa, nella sinago- ga, intenti nella preghiera e negli esercizi di penitenza. Si vestono d'abiti di lutto, di bianco o di ne- ro, ed alcuni indossano l'abito con cui bramano essere seppelliti. Van- no alla sinagoga senza scarpe e senza calze, ed ivi fanno quattro preghiere solenni, cioè alla matti- na, al mezzodì, al vespero ed alla sera. Quando è notte, e veggonsi le stelle, suonano il corno per in- dicare che il digiuno è terminato, e ritornando allora alle proprie abitazioni, si vestono di abiti bian- chi, e rompono il digiuno osser- vato per tutta la giornata , ed in quel giorno si riconciliano reci- procamente. Sogliono confessarsi si- no a dieci volte in un giorno, prin- cipiando dalla vigilia avanti cena, in memoria del nome di Dio, che per altrettante volte pronunziava il sommo sacerdote. V. su questa fe- sta il Sarnelli, Lettere ecclesiasti- che, tomo IV, lettera XXVII, che la chiama Chipurim, cioè della pro- piziazione, anche in espiazione del peccato commesso dagli ebrei nel deserto, adorando il vitello d'oro. I greci e i romani facevano espiazioni , col mezzo delle quali pretendevano di purificare i colpe- voli , ed anche i luoghi profani. L'espiazioni presso gli antichi ro- mani consistevano in alcune ceri- monie particolari, colle quali inten- devano placare Tira di Dio mani- festata con alcuni prodigi. Vi ave- vano però diverse sorta di espia- zioni, e ciascuna aveva cerimonie proprie. Le principali erano quelle che si praticavano in occasione di

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qualche omicidio, allorché si vede- va nel cielo qualche prodigio, ed allorché espiare volevansi le città, gli eserciti, i templi , ec. Apollo- nio Rodio ha minutamente descrit- te tutte le cerimonie delle espia- zioni pegli omicidii, ch'erano le più gravi sino dai secoli eroici. Diffe- renti erano le cerimonie romane da quelle de' greci sull' espiazione, e le storie ce ne danno ampie de- scrizioni.

ESPINAY (d') Andrea, Cardi- nale. Andrea d' Espinay nacque di nobilissimo lignaggio nella bassa Bretagna. Fu abbate di s. Croce di Bordeaux, canonico di quella metropolitana, priore di s. Marti- no de' Campi a Parigi, e licenzia- to nel diritto canonico. Nel i479> Sisto IV, per favore del re, lo pre- pose alla Chiesa di Bordeaux, ed Innocenzo Vili nel 148 3 lo creò a' 9 marzo prete Cardinale di s. Martino, indi per singoiar distin- zione gli spedì in Francia il cap- pello cardinalizio, destinando per darglielo, il nunzio di quel regno Leonello Cheregato. Alessandro VI, nel 1 499, Io trasferì all'arcivescovato di Lione, ma gli concesse di tenere ben anco la Chiesa di Bordeaux ; quindi fu nominato governatore di Parigi. Fu accettissimo al re di Fran- cia Carlo Vili e Luigi XII, ai quali rese importanti servigi. Accompa- gnò Carlo Vili quando prese pos- sesso del regno di Napoli, e nella battaglia di Fornonovo , accaduta nel i49^> colla croce nelle mani, e colla mitra in testa, volle star- sene sempre accanto del re. Ripro- vò poi altamente la condotta di quegli ecclesiastici , che avevano prese le armi contro il nemico, in- segnando loro , che pei sacerdoti l'arme più sicura è la croce. Nel

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1 4^5 s* era trovato presente all'as- semblea del clero gallicano. Mori in Parigi nel castello di Tournel- les l'anno i5oo , e fu sepolto nella chiesa dei celestini presso 1' altare maggiore.

ESPOSIZIONE dbl SS. Sacra- mento dell'Eucaristia. V. Euca- ristia § IV. Delle esposizioni della SS. Eucaristia.

ESSENI o ESSENIANI (Essaci). Setta celebre fra i giudei verso il tempo di Gesù Cristo. Lo storico Gioseffo parlando delle diverse set- te del giudaismo, ne annovera tre principali, i farisei, i saducei, e gli esseni, ed aggiunge che questi ul- timi erano di origine giudei; per- ciò equivocò s. Epifanio quando gli annoverò fra le sette samarita- ne; il loro modo di vivere si av- vicinava molto a quello de' filosofi pitagorici. Siccome menavano una vita austera ed erano divisi dagli altri, alcuni li riguardarono come scismatici, non volendo gli esseni neppure sagrificare nel tempio, van- tandosi in vece di praticare ceri- monie più sante. In quanto ai co- stumi furono lodati da tutti, e te- nuti pei più virtuosi, onde anche i pagani ne fecero encomio. Quelli però dei quali parla Filone, sono differenti da questi, perchè secon- do il sentire di s. Girolamo, parla Filone dei cristiani di Egitto, di- scepoli di s. Matteo, sotto nome pure di esseni, pensando di lodare la sua nazione, mentre vedeva quel- la chiesa ancora giudaizzante. Era- no chiamati Essei, o Jessei da Ge- sù nostro Salvatore , o da les- se padre di Davide , su di che va letto quanto dicemmo al volu- me XVIII, pag. 202 del Diziona- rio. V. il p. Calmct nella Biblio- teca sagra, al titolo: Setta degli

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Ebrei, nel suo Dizionario della Bibbia, alla parola Esseniani.

ESTAIN (<T) Pietro, Cardi- nale. Pietro d'Estain, nobile fran- cese, nacque nel castello di Estai n, diocesi di Rodez. Fu monaco be- nedettino, e poi vescovo di s. Flour, donde nel i368 fu trasferito al- l'arcivescovato di Bourges. Urbano V, a' 7 giugno 1370, lo creò prete Cardinale di s. Maria in Trastevere, dalla quale passò al vescovato di Ostia. Indusse con altri Cardina- li Gregorio XI a trasferini colla corte in Roma, ed ivi egli pure morì nel 1377, pie**0 di meriti pegl' incorrotti suoi costumi, e per l'ammirabile sua destrezza nel ma- neggio dei più difficili affari, e di gloria per le sue legazioni in Ita- lia eseguite con gran vantaggio della santa Sede.

ESTAMPES (d') Achille, Car- dinale. Achille d'Estampes di Va- lensè, nacque in Tours di nobile famiglia nel i584- Fanciullo anco- ra, fu ascritto all'Ordine religiosa gerosolimitano, e nell'età d' anni di- ciassette cosi era divenuto esperto nel combattere, che nell'assedio di Mal- ta, posto dai turchi, egli guerreggiò con virile calore fino a che vinto dalie gravi ferite, e perduta la me- tà d'un orecchio per un colpo di moschetto, depose le armi. Riavu- tosi poi in sanità, militò nelle Fian- dre e nelle Gallie; e nell'assedio di Montalbano, contro gli ugonotti riportò quattro mortali ferite. Si volle premiare il di lui valore, e venne tosto avanzato al grado di capitano. Passò quindi a militare in qualità di generale sotto le ban- diere di Carlo Emanuello duca di Savoia, dove in una sortita da lui fatta nell'assedio di Verrua, contro gli spagnuoli, riportate otto ferite

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ed abbandonato da'suoi, fu fatto prigioniero di guerra. Ricuperata poi la sua libertà, servi in quali- tà di ammiraglio al re Cristianis- simo, nel famoso assedio della Ro- cella, dove fece tali prodigi di va- lore, che atterriti gl'inglesi non osa- rono di aiutare gli ugonotti, e la piazza fu ridotta all'obbedienza del legittimo principe. A questo fatto si richiedeauna ricompensa ben gran- de, e in vero fu egli subito dichia- rato generalissimo di tutte le trup- pe francesi. Nelle controversie in- sorte tra Luigi XIII e la madre di lui, l'Eslampes tenne il partito di questa, e n'ebbe anzi il coman- do della fortezza ; ma temendo poscia lo sdegno del Cardinale di Richelieu, ritirossi in Malta, dove diede eguali segni del suo invitto valore. Da Malta fu chiamato a Roma, e il Pontefice gli affidò il suo esercito sotto la dipendenza del Cardi- nal Barberini per la guerra d'Italia. Sotto la di lui condotta, le squadre pontificie guerreggiarono cosi van- taggiosamente che Urbano Vili, qual degna ricompensa, lo vestì della sa- gra porpora, dichiarandolo a' 1 3 lu- glio i643 Cardinale diacono di s. A- driano. Fece due volte il viaggio di Francia; ma nella prima gli fu inti- mato di non entrare neppur in Pa- rigi, che troppo il re era adirato con- tro di lui per aver imbrandite le ar- mi contro il duca di Parma ; nella seconda poi fu ammesso all'udienza, ma senza poter ottenere quello che domandava. Consumato dalle fati- che, morì in Roma nel 1646, e fu sepolto nella chiesa di s. Ma- ria della Vittoria, senza alcuna iscri- zione.

ESTASI ( Extasi s3 raptus ani- mi extra sensus). Rapimento dello spirito, situazione nella quale l'uo-

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ino è come trasportato fuori di stesso in modo che sono sospese le funzioni de' suoi sensi. Il rapimen- to di s. Paolo al terzo cielo era un' estasi. Abbiamo dalla storia ec- clesiastica, e dalle vite de' servi di Dio, che questi furono rapiti in estasi per lungo tratto di tempo, e persino per intere giornate. Pu- re la menzogna e l' impostura pos- sono imitare l'estasi reale. Mao- metto persuase gli arabi ignoranti, che i parosismi di epilesia cui era soggetto, erano estasi nelle quali riceveva le divine rivelazioni. Di- cesi estasi contemplativa , quando in certe persone sono sospese le funzioni de' sensi esterni, gli orga- ni interni s' infiammano , si agita- no, e mettono l'anima in uno sta- to di riposo, di quiete, che le sem- bra assai dolce. Siccome ciò in al- cuni può essere effetto di tempe- ramento, devesi usare molta pru- denza prima di decidere, che que- sto sia un effetto soprannaturale della grazia, ed una elevazione del- l'anima a Dio.

ESTE (d') Ippolito, Cardinale. Ippolito d'Este detto I 0 seniore, dei duchi di Ferrara, nacque nel 1478. Sortì le più felici disposizioni naturali , e giunto appena all' età di sette o nove anui, per insinua- zione di Beatrice sua zia, e moglie del re Mattia d' Ungheria , fu no- minato da questi ad arcivescovo di Strigonia. Però Innocenzo Vili ricusato avea sulle prime di con- fermare tale prematura elezione; ma essendosi egli recato in Roma col duca Ercole I suo zio, ricevette la pontifìcia approvazione; col pat- to però che non gli fosse data l'e- piscopale consegrazione prima della età canonica. Per sette anni si trat- tenne presso di quel sovrano, e

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colle sue gentili ed insinuanti ma- niere si rese universalmente ap- plaudito ed amato. Colà apprese assai bene l'arte militare, e riuscì a meraviglia nel maneggiare le ar- mi più difficili, come nel coman- dare e diriger le truppe. In età di quindici anni, a'2i settembre i49^, fu creato da Alessandro VI diacono Cardinale di s. Lucia in Selci ; e a titolo di commenda , come si postumava frequentemente in quei tempi , gli vennero assegnate pa- recchie metropolitane e cattedra- li ; anzi il prefato Pontefice , nel 1497, gli conferì per opera di Lo- dovico Moro, la chiesa stessa di Milano, da lui governata per lo spazio di tredici anni; e nel i5o2, la chiesa di Capua. Pio IH ami- cissimo della casa d' Este, un anno dopo, gli diede la chiesa di Ferrara, e nel i5o7 Giulio II gli conferì il vescovato di Modena, colla dignità di arciprete della basilica vaticana, alle quali dignità fu aggiunta l'ab- bazia di Nonantola con qualche al- tra. Recatosi a Roma affine di rin- graziare Alessandro VI della sua promozione alla porpora, e di quindi partito per soddisfare agli impegni dell'alta suo condizione, vi ritornò poi in occasione del ma- trimonio del principe suo fratello Alfonso I con Lucrezia Rorgia, ed ivi rimase per qualche tempo. Ma sotto il pontificato di Giulio II av- viatosi di bel nuovo a Ferrara , die grande aiuto al duca Alfonso I nei pericolosi cimenti cagionati dal- le armi de' veneziani e da quelle del Papa. In tale incontro si di- resse con tanta prudenza e sveltez- za, che meritossi la stima de' più gran principi dell' Europa , e sin- golarmente dell'imperatore Massi- miliano, che lo regalò di graziosis-

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simi doni, e gli conferì il vicaria- to d'Italia, nell'occasione in cui venne spedito col carattere di le- gato a Cesare, come eziandio a Ladislao re di Ungheria, ed a Si- gismondo re di Polonia. Sembra che per la guerra della casa d'Este col Papa, non vi fosse un perfetto accor- do di spirito tra lui e il Pontefice Giulio II. E infatti chiamato da que- sto a Roma, finse di essere stato assalito da grave malattia per istra- da, e così deluse il Papa presso del quale avea saputo colorir molto bene la cosa. Con tuttociò non si tenne abbastanza sicuro in Italia, e si trasferì quietamente al suo vescovado, fattosi con un pretesto chiamare colà dal re di Ungheria. Che egli avesse ragione di temere il Pontefice, lo si conobbe di poi dalla maniera onde giustamente venne in Roma trattato il duca Alfonso I. Suc- ceduto però Leone X, di cui go- deva la più intima confidenza, tor- nossene a Roma; e fatta rinunzia della chiesa di Milano , cangiò la sede di Strigonia con quella di A- gria, la quale non obbligava a re- sidenza. Era questo Cardinale mol- to amante delle arti s delle scienze e della musica, non meno che de- gli esercizi cavallereschi , ne' quali profondeva gran parte delle sue rendite. Manteneva al suo servizio suonatori, cacciatori, buffoni ed al- tra gente di beli' umore. Stipen- diava eziandio non pochi scienziati, oratori, poeti; cosicché la corte di quel libéralissimo principe si potea dire l'accademia delle scienze e delle arti. Il famoso Lodovico Ariosto, ch'e- ternò la memoria di questo Cardinale nelle sue opere, dopo quindici anni di fedel servitù, perde la sua gra- zia; ma non se ne seppe mai il vero motivo. Aveva il Cardinal d'j^-

EST ste molte belle virtù del cristiano , oltre ad una tenera devozione per la beata Vergine, in onore della quale ogni giorno recitava l'officio, ed ogni anno dotava dieci fanciul- le ; egli nudriva una singolare ca- rità pei poverelli, che ogni di pro- vedea del cibo o del vestito. Era poi attaccatissimo alla santa Sede, e ne diede le più. chiare prove, quan- do nel conciliabolo di Pisa non volle punto aderire alle suggestioni dei nemici di Giulio II, ohe lo ec- citavano a dichiarategli contrario. In tale incontro si condusse con tale saggezza, che la corte di Fran- cia se ne chiamò molto contenta, e assieme a qualche altra si con- venne nello assegnargli il glorioso titolo di sapiente. Morì in Ferrara nel i520, e fu sepolto in quella cat- tedrale; ma nel 1607 venne traspor- tato nella medesima chiesa appiedi del sepolcro di Urbano III, e rin- chiuso in un'urna marmorea. Scris- se la battaglia eh' egli stesso con- dusse nel 22 dicembre i5og, alla Policella , contro alle armate veneziane, cui sbaragliò pienamen- te, e spogliò di tredici gallere ed altri legni minori. Tal descrizione per volontà del Cardinale fu vol- tata in latino dal Calcagnini. Di questo magnanimo Cardinale, co- me degli amplissimi Cardinali Ip- polito giuniore, Luigi, ed Alessan- dro, se ne parla molto nell'articolo Ferrara (Vedi), ove è pure la sto- ria della sovrana casa d'Este. La vita di questo Cardinale fu scritta con grande eleganza da Alessandro Sardi.

ESTE (d' ) Ippolito, Cardina- le. Ippolito d' Este detto li o giu- niore, nipote del sullodato Car- dinale, nacque nell'anno 1 5oo, , dalla famiglia dei duchi di Ferra-

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ra. Si coltivò nelle scienze presso 1' università di Padova, secondo che ne dicono parecchi autori, o piut- tosto in Ferrara, giusta la più co- mune sentenza. Frequentò fino da- gli anni più verdi, oltre la corte paterna, quella ancora di Francia, e ben presto crebbe in tutte quelle doti, le quali si rendono indispen- sabili al governare. Nel i53o, ebbe da Paolo III l'arcivescovato di Lio- ne, e nel i5^6 la chiesa di Au- tun. Poi Giulio III gli conferì, nel i55o, la metropolitana di Narbona, e quattro anni dopo quella di Aucb. Pio IV, nel i562, lo assunse alla sede di Arles; ma, nel iSQj, egli la rinunziò a favore di Prospero Santacroce. Ebbe in seguito parec- chie abbazie; ma non mai la chie- sa di Ferrara, come alcuni autori si sono adoperali di dimostrare. Pel- le istanze di Francesco I, a' 20 di- cembre i538 fu creato da Paolo III diacono Cardinale di santa Maria in Aquiro, e poscia da Giulio III fu fatto governatore di Tivoli. In appresso venne incaricato della le- gazione al senato veneto, e quindi presso il re di Francia Enrico II, ch'era stretto con lui in parentela, dal quale ottenne peculiar protezio- ne a favore del concilio, che allora celebravasi in Trento. Finita la le- gazione, si recò nuovamente in Ro- ma , ed ivi ricevette l' incarico di governare la città di Siena a no- me del re di Francia, al quale s'era data quella città. Pio IV Y onorò per due volte della legazione del Patrimonio, e di quella di Germa- nia presso T imperatore per facili- tare la via della pace. Nella va- canza della santa Sede per la mor- te di Paolo III, egli era quasi per essere eletto Pontefice. Questo fat- to sarebbe sufficiente ad annuncia-

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re quali virtù corredassero la bell'a- nima di lui. Infatti era libéralissi- mo co' poveri, generoso assai cogli uomini di merito, cultore delle scienze, candido ne' costumi, gran- de nelle sue idee, e celebre assai pei suoi talenti. A tutto ciò univa poi anche una splendidezza nel trat- to, un' ospitalità singolare, e molta prudenza nel maneggio degli affa- ri. In Tivoli con somma magnifi- cenza edificò la villa d'Este, cele- bre per diversi titoli , perchè de- corata di giardini, di fabbriche, di un palazzo con superbe pitture, ed ivi accolse anche Enrico II di Francia, che trattò con isplendi- dezza degua di tanto sovrano. Do- po la sua morte quella villa venne in potere del Cardinale Luigi suo ni- pote, indi del Cardinale Alessandro, che dovette poi sostenere una lite col Cardinale decano del sacro Col- legio, che spiegava non pochi di- ritti. La veduta di questa superba villa , della quale si parla all' ar- ticolo Tivoli (Fedi), e della sua prospettiva , al palazzo ed al giardino l'idea d'un castello in- cantato, e vuoisi che Torquato Tas- so dimorando in questa villa alla splendida corte del Cardinal Ippo- lito II, si lasciasse ispirare da que- sto delizioso soggiorno nella descri- zione del palazzo di Armida. Non così potè accadere all'Ariosto, come alcuni pretendono, essendo quell'in- signe poeta morto alcuni anni a- vanti che la villa fosse fabbrica- ta. Mancò a' vivi nel i5ji3 e da Roma fu trasferito a Tivoli, e se- polto nella chiesa di s. Maria Mag- giore con una breve iscrizione. Ab- biamo di lui alcune lettere tradotte in francese , che dirette aveva al Papa ed al santo Cardinal Borro- meo , tu Ite riguardanti gli affari

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che gli veui van commessi. Nel to- mo terzo delle vite de' principi , troviamo anche un'altra sua lette- ra al vescovo di Caserta, colla da- ta i gennaio i562, nella quale si legge una sua discolpa scritta a cagione di una certa calunnia, che gli venne data presso la santa Sede. Dal cav. Ercole Cato si ha V Ora- zione falla nelle esequie del Car- dinal Ippolito d'Esle, che fu stam- pata a Ferrara pel Baldini nel i 587. ESTE (d') Luigi, Cardinale. Luigi d'Este, nipote dell'anzidetto Ippolito giuniore, nacque in Arezzo l'anno i5j8, dalla nobilissima famiglia dei duchi di Ferrara. Giulio III nel i553 lo creò vescovo della sua patria. Trasferitosi poi in Francia presso la corte di Enrico II, otten- ne parecchie abbazie ed anche la chiesa di Auch , ri inumatagli dal detto Cardinal Ippolito suo zio. Pio IV, nel concistoro de' 26 febbraio i56i, lo creò Cardinale dell'ordi- ne de' diaconi, sebbene assente, e quindi gli diede per diaconia la chiesa de' ss. Nereo ed Achilleo, e dipoi lo fece governatore di Tivoli. Quattro anni dopo incon- trò a Trento la sorella dell'impe- ratore Massimiliano^ che s'era con- giunta in matrimonio con Alfon- so li suo fratello, e l'accompagnò sino a Ferrara. Fu poi dichiarato protettore della Francia presso la santa Sede, e in quell' ufficio molto si adoperò per la concordia dei principi co'Pontefici s. Pio V e Gre- gorio XIII. Per commissione di questo Pontefice, fece due volte il viaggio della Francia ; nella prima delle quali, vivente Carlo IX , in- tervenne ad un' assemblea a nome della sede Apostolica , e nella se- conda si accinse a persuadere En- rico III, afliuchè non prestasse al-

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cun aiuto al suo fratello ii duca di Aleuson, il quale faceva guerra nelle Fiandre a Filippo 11 re di Spagna, e si riconciliasse piuttosto con quel monarca. Presiedette an- cora all'assemblea del clero, tenu- ta in Blois, e si distinse in ogni incontro pel suo intemerato amore alla giustizia e all' equità. Dimes- sa la sua diaconia, ottenne quella di s. Maria in Via Lata, e diven- ne cosi il primo dei Cardinali dia- coni. Fu protettore dell' Ordine de' cisterciensi , de' canonici di s. Giorgio in Alga; e nel i58i pro- tesse Giovanni Leves de la Cossiè- re granmaestro di Malta, con molti altri cavalieri, che s' erano recati in Roma per giustificarsi d'una ca- lunnia. Egli li ricevette in sua ca- sa a Monlegiordano, e li trattò con molto splendore, somministran- do il vitto ancora alle persone del loro seguito, che, secondo il Car- della, ascendevano a mille. Fu mecenate de' letterati , ma non me- no benefattore de' poveri, anzi ver- sava nel loro seno gran somme di danaro, e ne prestò ancora a tal oggetto al Cardinal Osio, che da- va tutte le sue sostanze in patri- monio dei miseri. Racconta il Sal- viati, che tra le altre sue benefi- cenze, diede eziandio cinquecento fiorini ad un certo, che spinto dal bisogno aveva derubato nella casa di lui qualche materiale. Riscosse questo Cardinal d'Este le più bel- le lodi de' suoi contemporanei, che lo dicevano il lume del sacro se- nato, l'ornamento della corte ro- mana, e il tesoriere de' poveri. Po- se fine a' suoi giorni in Roma nel i586, dopo venticinque anni di Cardinalato. Trasferito a Tivoli, fu sepolto nella Chiesa di s. Maria Maggiore de' minori osservanti, con

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una brevissima iscrizione postavi da Cesare d'Este, che fu poi duca di Modena. Da Leonardo Salviati si ha T Orazione delle lodi di d. Lui- gi d' Este Cardinal 3 Firenze 1587; e da Sebastiano Forno Ardesi, 1 Vari lamenti d'Europa nella mor- te di d. Luigi Cardinal d' Estey Padova i587.

ESTE (d') Alessandro, Cardina- le. Alessandro d'Este, cugino di Al- fonso 11, duca di Ferrara, e fratello di d. Cesare duca di Modena^ nacque nel i568. Cresciuto negli anni, le belle qualità della sua persona si svilupparono per maniera , che in breve divenne l'ammirazione degli stessi precettori di lui. Era di modi soavissimi, di presenza avvenente, e d' ingegno acutissimo. Studiò iu Padova le lettere e le scienze, e specialmente quella delle leggi. A- rnava assai gli uomini colti, ed anzi con loro era sempre impegnato nella conversazione. Clemente Vili, nel concistoro de' 3 marzo 1 599, lo creò diacono Cardinale di s. Maria in Via Lata, e poscia governatore di Tivoli. Visse in Roma con {splen- dida magnificenza, e fatto di poi ritorno in patria, si trasferì in Ispa- gna a visitare Filippo III, dal quale fu accolto con sommo onore. Nel 1621, Gregorio XV lo promosse al vescovato di Reggio, dove mo- strò un incomparabile zelo per la salute del suo popolo, e pei van- taggi del pubblico. Visitò la diocesi, celebrò sinodi , tolse abusi , stabili regolamenti, corresse errori, regolò la clausura delle monache, e pre- pose degli eccellenti parrocchi alla cura del suo gregge. Per la inter- cessione di lui i chierici regolari teatini furono introdotti in Mo- dena, e ben assai provveduti. Ne- gli ultimi anni della sua vita fis-

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so di nuovo il suo soggiorno in Roma , dove trattassi con mol- ta splendidezza ; ma sofferendo as- sai delia salute , si recò a Tivoli per respirare un' aria migliore ; ed ivi sorpreso da gravissima malattia si fece portare in Roma, dove, l'anno 1624, spirò nel bacio del Signore. Il cadavere di lui fu tras- ferito a Tivoli , e venne sepolto nella chiesa di s. Maria de* minori osservanti francescani, presso al Car- dinal Luigi d'Este. Lasciò alla sua cattedrale dei doni assai preziosi , e tutta la suppellettile della sua cappella domestica.

ESTE (d') Rinaldo, Cardinale. Rinaldo d'Este, de'duchi di Mode- na, nacque nel 1618. Negli anni pri- mi di sua vita si dedicò alla carriera delle armi, e molto dava a sperare di se per la sperienza ed abilità som- ma che vi mostrava, e per l'acuto suo intendimento, e forte coraggio. Abbracciò poscia lo stato ecclesia- stico, e venne ad istanza dell'impe- ratore a' io luglio, ovvero a' 16 di- cembre 1641 creato da Urbano Vili diacono Cardinale di s. Nicolò in Carcere, ed ascritto alle congrega- zioni de'riti, di Propaganda, de' ve- scovi e regolari, ed altre. Sebbene vivesse in mezzo allo splendore del- la grandezza , pure apparve sem- pre sobrio, pio, continente e devo- to, come pure inalterabile negl'in- contri sinistri. Sembra però, da quanto ne scrive il Battaglini, che fosse d' un carattere alquanto in- quieto. Alessandro VII lo stimava assai, e i due Clementi IX e X, per l'esaltazione de'quali molto con- tribuì, lo amavano teneramente. Nel 1 65 1 , creato vescovo di Reggio da Innocenzo X, si mostrò zelantissi- mo per la ecclesiastica disciplina. Pose le fondamenta ad un magnifl-

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co episcopio, ma non lo vide com- piuto. Trasferì in un luogo molto più convenevole le sagre reliquie de'santi Grisanto e Daria. Ma oc- cupato assai in all'ari di altra sor- ta, che non sono gli ecclesiastici, rinunziò la sede nel 1 66 1 sotto Ales- sandro VII, riservandosi una pen- sione di duemila scudi, e l'uso del palazzo episcopale. Aveva contem- poraneamente ottenuto il vescovato di Montpellier; ma Innocenzo X, quantunque sulle prime glielo avesse accordato, pur volle che lo dimet- tesse. Era però provveduto di pa- recchie abbazie in Italia e in Fran- cia, e tra le altre quella di Clu- gny. Fu anche protettore della Francia presso la s. Sede. Dimessa la sua diaconia, ottenne successiva- mente nel 167 1 da Clemente Xil vescovato di Palestrina; ma l'anno seguente egli compì la mortale carriera in Modena , ed ivi ebbe tomba nella chiesa de' cappuccini.

ESTE (d') Rinaldo, Cardinale. Rinaldo d' Este, anch'esso de'duchi di Modena, e nipote del preceden- te, nacque in detta città a' 2 5 giu- gno i655. Essendo ancor vivi nel- la curia romana gli affronti recati ad essa dal Cardinal suo zio nel pontificato di Alessandro VII, pel notissimo trambusto de' soldati cor- si, e dell' ambasciatore di Francia Crequì , in nessun conto volevasi il nostro Rinaldo decorarsi del Car- dinalato. Quindi per le vive istan- ze del suo cognato Giacomo II re cattolico d'Inghilterra, a' 2 settem- bre del 1686, fu creato da Inno- cenzo XI, diacono Cardinale di 8. Maria della Scala. Ma essendo morto nel 1 694 senza successione il di lui fratello Francesco II duca di Modena, egli, che non avea ancora ricevuti gli ordini sacri, a' 2 1 mari

EST EST 109 zo 1695 dimise la porpora Cardi- stro delle sentenze è una delle mi- nalizia, e sposò Carlotta di Brun- gliori teologie che abbiamo, svich duchessa di Annover, cognata ESTOJN Adamo, Cardinale. A- del re de' romani, per continuare damo Eston, nato di oscura fami- la successione della sua nobilissi- glia nella contea di Herford nel- ma famiglia. Dopo avere ottenuto l'Inghilterra, professò ancor giova- da essa numerosa prole, il duca netto nell'Ordine benedettino pres- Rinaldo morì di apoplessia a' 26 so il monistero di Nordvich. Cre- ottobre 1737 d'anni ottantadue. sciuto nella pietà del pari che nel ESTEVENS (d') Giovanni Al- sapere, lesse teologia nell'universi- fonso, Cardinale. Giovanni Alfonso di Oxford ; poscia fu nominato d'Estevens nacque in Àzambuja , vescovo di Londra, e per le istan- castello di Portogallo, diocesi di ze di Riccardo II, creato da Ur- Lisbona. Sulle prime si diede alla bano VI, a' 18 settembre 1878, carriera delle armi; ma poscia da- prete Cardinale di s. Cecilia. Cad- tosi allo stato ecclesiastico, fu prò- de in sospetto di tradimento con- mosso al vescovato di Silves nel tro il Pontefice , e perciò nel 1389, dopo due anni fu trasfe- 1 385 fu carcerato nella città di rito a quello di Porto , poscia Nocera de' Pagani con altri cinque a quello di Coimbra, e nel 1402, Cardinali. Vuoisi che desse fonda- alla metropolitana di Lisbona. Fu mento a tali sospetti, l'aver lui due volte ambasciatore in Roma, scritte in cifra alcune lettere a Giovanni XXIII lo creò prete Car- Carlo Durazzo , re di Napoli, le dinaie di s. Pietro in Vincoli, nel quali non poterono da alcuno ve- concistoro de' 6 giugno 14.11. Mo- nir mai esplicate. Siasi però la co- ri nel i4*5, in Bourges, città del- sa comunque si voglia, egli è cer- le Fiandre, stimato per uomo di to che, sebbene venisse lasciato in rara prudenza e di letteratura di- libertà sotto la custodia di un che- stinta, rico di camera , di nazione fran- ESTIO Guglielmo, di Gorenna cese, fu nondimeno deposto dalla in Olanda, di nobile famiglia, fece di lui dignità. Bonifacio IX pe- i suoi primi studi ad Utrecht, ed , conosciuta meglio la cosa , lo apprese la filosofia e teologia a restituì ai perduti onori, e scrisse al- Lovanio. Nell'anno i58oebbela lau- cune lettere vantaggiosissime al par- rea di dottore in teologia nella lamento d' Inghilterra. Morì con stessa città. Accadde la sua morte fama di singoiar virtù in Roma a Douay nel 161 3, mentre conta- nel 1398, ed ebbe sepolcro nel- va setlantadue anni di età. Abbia- la sua chiesa titolare. Due secoli mo di lui molte dotte opere in circa dopo la di lui deposizione, latino. 1 La Storia de martiri di smosso il terreno di quella chiesa Gorenna, uccisi nella rivoluzione per istabilire il nuovo pavimento, che il calvinismo cagionò in quel fu trovata la salma incorrotta, che paese; i.° Alcuni Commentari , in 1 venne trasferita con grande onore volumi in foglio; 3.° Osservazioni al lato sinistro della porta di quel- sui passi difficili della sagra Scrit- la chiesa, dove si vede il suo an- tura3 stampati a Douay ed in An- tico mausoleo, colla statua rappre- versa. Il suo commentario sul mae- sentante il Cardinale in abili pon-

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tificali giacente sull'urna. L'Eston conosceva assai bene le lingue o- rientali, e produsse molte opere sulla divina Scrittura, facendone ancora una versione dall'ebreo; cosa che da s. Girolamo fino a quei tempi non era stata eseguita da alcun altro autore. Compose ancora l'uffi- zio per la festa della Visitazione di Maria Vergine, come si può ve- dere in Lambertini, De feslis, ec, la cjual festa era stata istituita da Urbano VI per ottenere 1' estinzio- ne dello scisma che devastava la Chiesa.

ESTOUTEVILLE Guglielmo , Cardinale. Guglielmo de' signori d'Estouteville e Vallemont, di san- gue regio, nacque in Normandia l'an- no 1402. Professò nel monistero del- la Congregazione di Clugny, fu dotto- re in legge canonica, e priore di s. Martino de' Campi presso Parigi. In seguito venne arricchito colle pre- bende di molte chiese, la prima delle quali fu quella di Mirepoix nella Linguadoca, che ottenne da Eugenio IV nel 1 4^ i, e ritenne per due soli anni ; quella di Di- gne nella Provenza, ch'ebbe nel i43g, e possedè fino al i44^; quella di Nimes, che gli fu confe- rita nel i44*> e dipoi nel i45o ebbe quella di Lodève da Nicolò V; nel i^5i quella di Muriena nella Savoja; e un anno dopo il vescovato di Roano. Alcuni vorreb- bero che avesse avuta anche la chiesa di Béziers, ma pare cosa più, probabile che l'ottenesse a so- lo titolo di commenda. Quando era vescovo di Lodève, istituì nel- la chiesa di s. Genesio la confra- ternita della ss. Annunciata, e re- stituì alla cattedrale di Digne tut- te le rendite che aveva da essa percepite, perchè non avea assunto

EST mai il reggime di quella diocesi. Ad istanza del re cristianissimo, a' 18 di- cembre 1439, da Eugenio IV fu creato prete Cardinale di san Mar- tino; ma egli non volle assumere la sacra porpora, se prima non ottenne di reggere contemporanea- mente la chiesa di Angers. Nel 1 452, Nicolò V lo spedi legato a laterc presso i re di Francia e d'Inghil- terra per conchiudere tra loro la pace; ma tutto fu inutile. In quel- 1' occasione però diede riforma al- l'università di Parigi ; cosa che gli meritò il titolo di ristauratore del- le lettere e delle scienze. Carlo VII, re di Francia, lo desiderava suo ambasciatore presso Calisto IH; egli però non volle accettare quel- l' incarico, perchè Io credeva in- compatibile col suo ministero. Il re nondimeno l' ebbe in altissima stima, ed anzi voleva che i suoi ministri in Roma non imprendes- sero cose di grande rilievo, se pri- ma noi consultavano. Il Pontefice, valendosi del favore che godeva presso quel principe, lo mandò in qualità di legato presso di lui af- fine di eccitarlo a prender parte nella guerra contro i turchi ; ma la spedizione riuscì senza effetto, perchè il re dovea impiegar le sue forze nel ricupero della Norman- dia e della Gujenna. Fabbricò in Roma da' fondamenti la chiesa e il convento di s. Agostino agli ere- mitani, de'quali aveva la protezione presso la santa Sede, e ne assegnò ancora considerabili rendite. Quan- do era arciprete di santa Maria Maggiore, risarcì le navi laterali e le volte di quella basilica, do- nandole molti sagri vasi d'argento e d'oro, e parecchie suppellettili di gran valore. Abbellì l'altare della confessione, e l'ornò di quattro

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glandi colonne di porfido che tut- tora esistono. Fabbricò anche una cappella dedicata a' santi Michele Arcangelo e Pietro Apostolo, la quale più non esiste, ma se ne ve- de però qualche traccia nell' inter- no della basilica. Nel 14^2 con- sagrò solennemente l'altare della ss. Annunziata in Firenze, come se ne legge memoria in quella cap- pella. Sisto IV lo elesse Camerlen- go della S. R. C, carica resa va- cante per la morte del Card. Or- sini. Fu ancora uno di que' Car- dinali, che accompagnarono Pio li i n Mantova. Questo Papa, nel 1460, dal vescavato di Porto, che aveva ottenuto da Nicolò V, lo trasferì a quello di Ostia e Velletri, dove fabbricò l'episcopio, e in Cori, cit- tà della diocesi, un convento di agostiniani. Cessò di vivere in Ro- ma nel i483, ed ebbe la tomba nella chiesa di s. Agostino. Lasciò una pingue eredità ai suoi nipoti, pei quali aveva comperato varie terre. Nel conclave per l'elezione di Pio li poco mancò che non con- seguisse il triregno che ambiva, ri- manendo deluso pei motivi che narrammo al volume XV, pag. 283 del Dizionario.

ESTRÉES (d') Cesare, Cardi- nale. V. Etrees.

ESTREMA UNZIONE. Sagra- mento istituito per sollievo spiri- tuale e corporale degl' infermi. Si conferisce loro facendo diverse unzioni con olio benedetto dal ve- scovo nel giovedì santo insieme col crisma e 1' olio de' catecumeni, accompagnate da certe preghiere, che esprimono lo scopo ed il fine di queste unzioni. V. Olio Santo. Meritamente si colloca il sagra- inento della estrema unzione dopo quello della penitenza, di cui egli

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è, per cosi dire, il compimento e la perfezione, ma produce lo stesso effetto in riguardo alla cristiana vita in generale rimirata, dovendo essa essere una perpetua peni lenza, giusla l'espressione del concilio di Trento, sess. 14 , de extr. unct. L' estrema unzione è un sagramen- to, che contribuisce a procurare la remissione de' peccati ai fedeli ma- lati pericolosamente, che loro la forza di ben soffrire e ben mo- rire, che ravviva loro la fede , e che procura loro la salute , dove questa sia utile all'anima loro, sic- come meglio si dirà. Non ministrasi ai condannati a morte, non ispe- rando essi per tal mezzo la salu- te corporale. Questo sagramento non ebbe in ogni tempo il nome di estrema unzione, ma il riportò dall' abuso introdotto, e troppo co- munemente ricevuto da alquanti secoli in qua, di aspettare agli estre- mi a riceverlo, siccome osserva il p. Chardon, Storia de' sacramenti, tom. II, lib. Ili, dell' Estrema un- zione.

5 I. Denominazione , natura ed esistenza della estrema unzione, e suo autore.

L' estrema unzione è chiamata dai greci olio santo, olio con ora- zione, perchè 1' olio n' è la mate- ria. Dai latini si chiama olio del sagro crisma, olio di benedizione, sagramento della sagra unzione, unzione degli ammalati, estrema unzione perch' è l' ultima unzione che si fa sui fedeli, il sagramento di quelli che passano da questa vita all'altra, il compimento e la consumazione della penitenza, una celeste medicina per l'anima e pel corpo. In un antico Manuale, pres-

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so il Borgia, Memorie t. Ili, pag. 18 r, si contiene l'ordine Exlre- mae unctionis, e secondo tale scrit- tore questo sagramento s' incomin- ciò così a chiamare verso la line del secolo duodecimo, poiché pri- ma dicevasi Sacramentimi unctio- nis, Unctio infirmorum, ec. Alcu- ni attribuiscono fatto cambia- mento di nome alla variazione al- lora seguita dell' antichissimo rito di ricevere la sagra unzione pri- ma del sacrosanto Viatico (Vedi), con posporla a questo, chiedendola dopo. Più verosimile però sembra 1' opinione di quelli, che riferisco- no il cambiamento a denotare che questa unzione è l'estrema tra quel- le cui riceviamo, prima nello sta- to di catecumeni, poi quando sia- mo battezzati , indi nella confer- mazione, e finalmente quando sia- mo prossimi a far passaggio da questa all'altra vita. Ed in fatti anche dopo che l'uso s'introdusse di chiamare questo sagramento E- strema unzione, leggesi ammini- strata prima del viaLico , in uno de' più antichi documenti presso il Wabillon, e del 1209, in praefat. saec. Is Bcnedict. n. 98.

L' estrema unzione è un vero sagramento della legge nuova. Da- gli scritti degli apostoli la Chiesa trasse ciò che crede e pratica per rapporto a questo sagramento. Leg- giamo nel XIV versetto del V ca- pitolo dell' epistola canonica del- l'apostolo s. Giacomo: « S'infer- " ma alcuno tra voi? chiami i sa- >> cerdoti della Chiesa, e preghino >> sopra di esso , facendogli delle *> unzioni coli' olio nel nome del <> Signore ; l' orazione unita alla » fede, salverà l' infermo, ed il Si- » gnore lo solleverà, e se ha pec- *> cati gli saranno rimessi ; dun-

EST »» que confessate i vostri peccati « gli uni agli altri ". Il concilio di Trento in conformità di questa dottrina, nella sess. i4, can. ^de- cretò: »» Se alcuno dirà, che l'e- strema unzione non è veramen- » te e propriamente un sagramen- » to istituito dal nostro Signore » Gesù Cristo, e promulgalo dal- »* l'apostolo s. Giacomo , ma che « solamente è una consuetudine » ricevuta da' padri, oppure un'in- n venzione umana , sia anatema ". Nel can. 2 : » Se alcuno dirà, che » la sagra unzione, la quale è data »» agl'infermi, non conferisce la » grazia, non rimette i peccati, ne » solleva gl'infermi; e che a' » nostri non deve più essere in » uso, come se un tempo non fosse « altro stata che la grazia di sa- » nare gì' infermi , sia anatema ". Nel can. 3 : » Se alcuno dirà, che « la pratica e l' uso della estrema « unzione secondo che la santa « Chiesa romana 1' osserva , ripu- gna al sentimento dell'apostolo « s. Giacomo , e che per questo m bisogna farci qualche cambia- « mento, e che i cristiani possono » senza peccato disprezzarla , sia » anatema ". Nel can. 4 : «Se al- » cuno dirà, che i preti della Chie- » sa, cui s. Giacomo esorta di an- » darsene ad unger l' infermo, non » sono i preti ordinati dal vesco- * vo, ma i più antichi di età d'o- « gni comunione, e quindi, che il m ministro della estrema unzione » non è il solo prete, sia anate- » ma ". Dopo di ciò sembra qui inutile riportare altri anteriori e posteriori monumenti , anche del- l'accordo della Chiesa greca e della Ialina in tutti i tempi , nel rico- noscere il sagramento della estre- ma unzione.

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Secondo le parole di s. Giaco- mo, la estrema unzione ha le tre condizioni necessarie e sufficienti per fare un sagramento della nuo- va legge: i." è un segno sensibile e sacro che consiste nella unzione dell' olio, e nella preghiera del sa- cerdote; 2.* è un segno che pro- duce la grazia, poiché rimette i peccati, i quali non possono essere rimessi senza la grazia; 3.a è un segno istituito da Gesti Cristo, giac- ché un segno sensibile non può produrre la grazia, la remissio- ne de' peccati senza che sia istitui- to da Dio, potendo egli solo dare agli elementi sensibili la virtù di produrre la grazia. Origene, ho- mil. i in Levita parlando delle dif- ferenti maniere, colle quali si ri- mettono dalla Chiesa i peccati, u- nisce 1' estrema unzione alla peni- tenza, e dice che il peccatore vie- ne purificato quando si eseguisce ciò che prescrive s. Giacomo. E s. Gio. Grisostomo, lib. Ili, cap. 6, del Sacerdozio 3 dice che i sacerdoti rimettono i nostri peccati, non solo quando ci battezzano, ma anche quando fanno sopra di noi l' un- zione di cui parla s. Giacomo. Os- serva il Bergier, eh' egli è da cre- dere, che Gesù Cristo abbia isti- tuito od ordinato questo sagramen- to, poiché gli apostoli niente fece- ro che pei di lui comandi, e per l'ispirazione dello spirito di lui.

Che Gesù Cristo sia l'autore im- mediato dell'estrema unzione, co- me di tutti gli altri sagramenti del- la nuova legge, vale a dire che non abbia dato solamente l'ordine ed il potere d' istituirlo a' suoi aposto- li, nel che, siccome si esprimono i trattatisti, consiste l'istituzione mediata; ma che l'abbia istituita egli stesso immediatamente colla

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sua propria bocca , lo si ha dal concilio di Trento. È vero, che il concilio non disse espressamente , che Gesù Cristo abbia istituito im- mediatamente 1' estrema unzione , ed è perciò che non devonsi con- dannare gli antichi scolastici, i qua- li pretendevano che gli apostoli a- vessero istituito questo sagramento per ordine di Gesù Cristo; ma nes- sun teologo lo ha sostenuto dopo il concilio tridentino. Quindi si so- no accordati tutti col dire, che Ge- sù Cristo aveva istituito questo sa- gramento con tutti gli altri, e che gli apostoli l'avevano pubblicato. È inoltre probabile, che Gesù Cri- sto lo abbia istituito nel tempo che passò tra la sua risurrezione e la sua ascensione, e dopo l' isti- tuzione del sagramento della pe- nitenza, di cui, lo ripetiamo, l' e- strema unzione è il compimento e la perfezione.

§ II. Materia e forma della estrema unzione.

Sonovi due sorta di materie ne- cessarie dell'estrema unzione, la materia remota, e quella prossima. La materia remota è l'elemento di cui è composto il sagramento della estrema unzione; la materia prossima è l'applicazione di questo elemento. L'elemento della materia remota è l'olio d'uliva, indicato espressamente da s. Giacomo , ed approvato da Eugenio IV, e dal concilio di Trento. E pure neces- sario per la validità del sagramen- to, che l'olio sia benedetto, secon- do il parere di molti teologi; ma non è necessario che sia benedet- to dal vescovo, bastando la bene- dizione di un semplice sacerdote. Ciò è nella Chiesa greca , a secon-

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da dell'approvazione di Clemente Vili, ina tra i latini la benedizio- ne dell'olio pegl' infermi è devolu- ta ai soli vescovi. Altri teologi opi- nano, ch'espressamente dev' essere benedetto per questo uso, dicendo che la benedizione particolare è quella che lo costituisce materia valida del sagramento della estre- ma unzione. La materia prossima poi di questo sagramento è l'un- zione che il sacerdote fa sull' in- fermo, perchè è l'unzione che Io Spirito Santo ha ordinata nel ca- pitolo quinto dell' epistola di san Giacomo. Questa unzione deve far- si in forma di croce, perchè tale è l'uso della Chiesa, ma ciò non è necessario per la validità del sa- gramento. Non è neppur necessa- rio che il sacerdote faccia l'unzio- ne col pollice immediatamente , può farla con qualche istrumento secondo l'uso della sua chiesa; bisogna però che 1' unzione sia tale da poter dire, che la parte del cor- po alla quale si applica è vera- mente unta. Il Ma cri riporta, che in tempo di peste è lecito al sa- cerdote unger l'infermo con una bacchetta, Diana, traci. 4 de Sa- crani. Resol. 167; anzi alcuni pen- sano che basti ungere una sola parte, dicendo la solita forma, Sii. 3 pari, quaest. 32, artic. 7, opi- nione approvata dall' università di Lovanio l'anno i588. Il medesimo Macri deferisce al sentimento del citato p. Diana, il quale in tal caso stima bene, che il sacerdote unga con prestezza un orecchio, e cosi degli altri sentimenti, pro- nunciando una sola volta la forma seguente per tutti: Per istas san- clas unclioneSj et suani piisimam miserìcordiam indulgeat libi Deus auidquid per visitili 3 auditum ,

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odoratimi , gustum , laclum deli- <l u isti.

La pratica dei greci è di unge- re la fronte, il mento, le due guan- ce, il petto, le mani ed i piedi. L' uso più comune dei latini è di ungere gli organi de' cinque sen- timenti: gli occhi, le orecchie, le nari, la bocca, i piedi e le mani. In molti luoghi si ungono pure le reni, ma agli uomini soltanto. Nel- la chiesa di Parigi si sostituisce a quest'ultima unzione, quella del petto tanto per gli uomini, che per le donne: In foeminarum un- ctione tangat tantum sacerdos par- lem pectoris superiorem, come si legge nel rituale di Parigi. Il Duran- do nota, come alcuni del tempo suo insegnavano non doversi far l'unzione alle spalle, perchè già fatta nel battesimo, doversi un- gere sulla fronte, ma sulle tempie, chi era stato cresimato. Quando i sensi e le membra che devonsi ungere sono doppi, si comincia dal destro. Quando l'infermo man- ca di qualche membro, dove si deve fare l'unzione, bisogna farla nella parte del corpo la più vici- na, come sarebbe ai polsi se Y in- fermo avesse le mani tronche. Se r infermo spira prima che le un- zioni sieno compite, si deve cessa- re. La unzione delle mani si fa al di dentro per i laici o secola- ri, ed al di fuori per i preti, per- chè il di dentro delle loro mani è già stato consagrato coli' ordina- zione. Non si fanno unzioni alle orecchie de' sordi, agli occhi dei ciechi fino dalla nascita: si fa l'un- zione sulle labbra dei nati muti, ma dicendo solamente quidquid peccasti per gustum. S. Tommaso dice necessaria per la validità del sagramento l'unzione de'cinque or-

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gnni dei sentimenti ; ma molti teo- logi credono valido il sagramento con una sola unzione sopra uno degli organi de* sensi, almeno quan- do si ha premura, e nelle malat- tie contagiose, pronunziando que- sta formola universale: Indulgeat tibi Deus quidquid peccasti per sensus. Ma al dire del Chardon, loc. cit, pag. 371, in quanto alle parti del corpo che si ungono neir amministrazione di questo sa- gramento, avvi un' infinita varietà giusta i luoghi e i tempi. In al- cuni si ungevano molte parti, in altri pochissime. Vi sono anche esempi della unzione fatta in una sola parte del corpo, e s. Eugen- do fu unto solamente al petto. Siccome questa unzione ha per fi- ne, quantunque men principale, la guarigione dell' infermo, in molte chiese facevasi specialmente sulla parte addolorata, in cui era la se- de del male, come si può vedere nei rituali presso il p. Martène.

La forma poi dell' estrema un- zione consiste in queste parole, che il sacerdote pronuncia facendo le unzioni : » Che Dio per questa « santa unzione, e per la sua piis- » sima misericordia , vi perdoni tutti i falli, che voi avete com- » messi colla vista, coll'udito, col- l'odorato, col gusto, col tatto ". Dicono i trattatisti , che di tut- te le qui riportate parole, non vi sono che queste, le quali repu- tinsi essenziali: che Dio vi per- doni , indulgeat tibi Deus, per la validità del sagramento, perchè si- gnificano sufficientemente la causa principale del sagramento eh' è Dio; l'effetto del sagramento che è la remissione de' peccati; il sog- getto ed il ministro del sagramen- to. La forma dell'estrema unzione

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era un tempo indicativa ed asso- luta, cioè pronunciata al modo in- dicativo, come si scorge da quella del rito ambrogiano in uso sino dal quarto secolo, e citata da san Tommaso, da s. Bonaventura, da Riccardo di s. Vittore ec. Anche il Macri dice, che la forma del rito ambrogiano nell'amministrazio- ne di questo sagramento, non è deprecatoria o deprecativa, ma in- dicativa, che però non viene ap- provata da alcuni dottori fondati sulle parole di s. Giacomo, orent super eum: con tuttociò non si deve condannare la forma usata da questa Chiesa, approvata da altri, come dal p. Suarez tom. 4> disput. 40, sect. 3, num. 8. Una antichissima formola ambrogiana viene recata da s. Bonaventura, Dist. 23, art. 1, quaest. 4, che di- ce : Ungo te oleo santificato in nomine Patris3 ec. Un libro sagra- mentale di Venezia, approvato dal Papa Leone X, ha : Ungo te oleo sancto, ut hac unctione protectus fortiter3 stare valeat adversus ae- reas catervas3 in nomine Patris, ec. La forma dunque non è sta- ta sempre deprecatoria in tutte le Chiese particolari. Anche presso i latini, non sono che circa cinque o sei secoli, ch'è universalmente ri- cevuta. Si trova anche in un ri- tuale ms. di Jumieges, ch'è alme- no tanto antico : Per istam unctio- nem et suarn piissiniam misericor- diam indulgeat tibi Dominus quid- quid peccasti per visurri, ec. Essa è simile in tutti i rituali. Al tem- po del Pontefice s. Gregorio I, in Roma si faceva uso d' una forma, che in parte era deprecatoria, in parte assoluta ed indicativa. Essa comprendeva queste parole, che so- no assolute, inunge te, e queste

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altre che sono deprecatorie, fri te habitet virtù* Cliristi. Nei rituali, avverte pure il Chardou, le parole della forma sono estese assoluta- mente, e in altri deprecativamente, in altri in un modo misto. Diver- se forinole si leggono in un sagra- mentano di Catalogna, e nell'anti- co pontificale di Naibona.

Neil' oriente ancora la estrema unzione è noverata tra i sette sa- gramenli, ed il Renaudot c'istruisce della credenza dei greci, e dei loro riti su questo punto, lib. V, cap. i , Delle cerimonie che i greci orientali usano per la estrema un- zione, delle quali parleremo al § VI di questo articolo. Solo qui noteremo, che i greci ed orientali usano olio benedetto non dal ve- scovo, ma dai sacerdoti nella ce- lebrazione di questo sagramento , come si disse di sopra; ma il p. Goar avverte, in not. ad Euchol., citando 1' istruzione di Clemente Vili, la quale porta per titolo : Circa oleum sanctum infirmorum3 fatta pei greci, ove dice che nei luoghi soggetti ai latini essi non sieno obbligati a pigliar l' olio be- nedetto dal diocesano, perchè giu- sta l'antica consuetudine della loro chiesa, essi lo benedicono nel me- desimo tempo, che lo amministra- no. Inoltre il p. Goar, per non lasciar verun dubbio su questa ma- teria, si fa un dovere di soddisfare alle obbiezioni dei teologi più pre- venuti in favore de'principii scola- stici, secondo i quali egli e l' Ar- cudio fanno consistere la forma di questo sagramento fra i greci in una orazione che comincia : Padre santo) medico delle anime ec, la quale spiega i principali suoi effetti, cioè la remissione de' peccati, e la guarigione dei corpi.

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I greci al presente si servono di una forma deprecatoria, ina la for- ma deprecatoria e l'indicativa od assoluta sono egualmente convene- voli e sufficienti per la validità del sagramento, per quelle spiegazioni e ragioni che ne danno gli scrittori di questo argomento. Il sacerdote poi deve pronunciare la forma del sagramento nel medesimo tempo che fa le unzioni, di modo che non deve terminarla se non quando termina 1' unzione de' membri che sono doppi, eccettuato il caso che T infermo pel grave male sia estre- mamente in pericolo.

Deve pure asciugare le unzioni con un poco di cotone o di stop- pa, od altra cosa simile, a meno che quegli che l'assiste non sia negli ordini sagri, nel quale caso gli sa- rà permesso di asciugare le unzio- ni fatte dal sacerdote. Ciò che ha servito per asciugare le unzioni , deve essere portato in chiesa in un bacino pulito, per essere abbrucia- to, e le ceneri si gettano nel sa- crario. Terminate che abbia il sa- cerdote le unzioni, egli stropiccia il suo pollice e le dita che hanno toccato l'olio, con mollica di pane, quindi si lava ed asciuga le mani : la mollica, e l'acqua della lavanda per le mani, secondo le prescrizio- ni de' rituali, devonsi gettare nel fuoco.

§ III. Ministro dell'estrema unzione.

I soli sacerdoti sono i ministri capaci di conferire validamente il sagramento dell' estrema unzione, punto di fede deciso dal concilio di Trento, come riportammo di sopra, nel can. 4- Questa decisione del concilio è appoggiata alla Scrit-

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tura, ed alla tradizione. Per la Scrittura, s. Giacomo dice espres- samente, che sono i sacerdoti che debbono amministrare Y estrema unzione; per la tradizione quella delle due Chiese, le quali hanno tempre riconosciuto in tutti i tem- pi i soli sacerdoti per ministri del- la estrema unzione, come si può vedere negli Eucologi de' greci, e ne'rituali dei latini. È dunque inu- tile, che i novatori pretendano che il vocabolo presbiteri significhi gli antichi Jaicij perchè evvi unito quel- lo di ecclesiae. Si può però dire, secondo il parere di moltissimi teo- logi, che il Papa s. Innocenzo 1 permise a tutti i fedeli anche laici d'applicare l'olio sugl'infermi in caso di bisogno, ed allorquando non vi sono preti per farlo, presso a poco come possono essi servirsi del- l'acqua del fonte battesimale, o di qualche altra cosa benedetta; ma in questo caso l'unzione non è mai sagramentale. Il Chardon riporta le parole della lettera, che s. Inno- cenzo I scrisse a Decenzio vescovo di Egubbio, cioè Gubbio, il quale dubitava se i vescovi potevano am- ministrare l'estrema unzione: « Che « l'apostolo avea parlato de' soli sa- » cerdoti perchè i vescovi occupati » da moltissime brighe non pote- » vano andar a visitare gl'infermi. » Del resto, se il vescovo può, o » vuole, gli è lecito benedirli e un- » gerii, anzi ciò gli conviene ". Indi, in prova che la Chiesa con- fidò mai sempre a' sacerdoti o ve- scovi un tal ministero, il Chardon così traduce l'altra parte della pon- tifìcia decretale: « Non vi ha dub- »» bio, che il testo di s. Giacomo * non si debba intendere de'fede- » li infermi, i quali possono esse- » re unti col santo olio del cri-

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» sma, il quale consagrato dal ve- » scovo deve essere adoperato non « solo pei sacerdoti, ma per tutti » i cristiani nelle infermità loro e de' loro attinenti ".

Qualunque prete, tanto secolare quanto regolare, può validamente amministrare il sagramento della estrema unzione, perchè questo po- tere è unito al carattere sacerdo- tale ; ma non vi è che il solo par- roco, od il sacerdote commesso da lui che possa amministrarlo lecita- mente; e se qualche altro prete seco- lare o religioso volesse amministrarlo, oltre al peccato mortale che com- metterebbero ambedue, il religioso incorrerebbe la scomunica maggiore pel solo fatto, non potendone essere assolto che dal Papa. Sono però eccettuati i casi di necessità, come se il parroco fosse assente o impe- dito, o pure se ritardasse, ed allo- ra qualunque prete potrà ammini- strare T estrema unzione. Sebbene la pluralità de' sacerdoti sia stata altre volte necessaria per precetto ecclesiastico, affine di amministrare l'estrema unzione, non è in oggi, e non è giammai stata, per precet- to divino. Le parole di s. Giaco- mo, le quali esigono più preti, pre- sbyteros, non racchiudono che un dovere di convenienza soggetto alla disposizione della Chiesa, d'altron- de non avvi nella Scrittura niente di più ordinario e comune, quanto quello di prendere il singolare pel plurale, ed il plurale pel singolare. Tutta volta, dice il p. Chardon, ci- tando il p. Martène, t. II, e. VII, art. IV, che questa unzione degli infermi facevasi da uno o più sar cerdoti, e gli atti de' santi ne re- cano esempli ne' due modi; anzi alcuni rituali prescrivono che si fac- cia da più sacerdoti, altri suppon-

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gono che si faccia da uno solo, se- condo le diverse consuetudini delle chiese, e la comodità de' luoghi e de' tempi, giacche nelle ville era dif- ficile radunar molti sacerdoti, spe- cialmente in tempi che il loro nu- mero non era grande. Fra questi sacerdoti, soggiunge il p. Chardon, alle volte uno applicava l'olio san- to, e l'altro proibii va la forinola delle orazioni. Altra volta tutti in- sieme ungevano le parti del corpo consuete, e ciascuno recitava la me- desima forma. Altre volte infine uno di loro ungeva una parte del cor- po dell'infermo, e un altro un'al- tra, recitando ciascuno le forinole a quella parte adattate. Non si cre- deva però essenziale al sacramento che più sacerdoti lo ministrassero, benché si credesse più conveniente e più conforme al precetto aposto- lico, come asserisce s. Tommaso.

§ IV. Soggetto dell' estrema unzio- nej ed effètti di questa.

L' apostolo s. Giacomo chiara- mente accenna i soggetti, a* quali si dee ministrare l' estrema unzione, quando dice : Infirmatur quis in vo- bis? Il soggetto dunque, o la per- sona, cui devesi dare questo sugl'a- mento, è il solo adulto battezzato, e pericolosamente malato. I fanciul- li, che non hanno l'uso della ra- gione, non sono capaci dell'effetto principale dell'estrema unzione, il quale consiste nella remissione dei peccati, o degli avanzi de' medesi- mi. £ il solo battezzato che possa riceverlo, perchè il battesimo è la porta degli altri sagramenti. I vec- chi decrepiti sono considerati come pericolosamente ammalati, e si deve

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dar loro la estrema unzione, quan- d'anche non avessero altra malat- tia che la loro decrepitezza. Dice il p. Chardon, che questo sagramen- to non fu mai dato ai sani, ma rac- conta come lo ricevesse certa Odila, cui era stata predetta la morte, seb- bene allora sanissima. Osserva poi, che se s. Giacomo escluse i sani da questo sugramcnto, escluse ancora gl'innocenti, come sono i fanciulli ed i neofiti, ne si trova ver un esem- pio di tale unzione data a' novelli battezzati, finche portavano la ve- ste bianca. Nella vita dell'abbate Adelardo si legge ch'eravi dubbio se dovesse darsi tal sagrameli to a coloro, i quali erano vissuti con tan- ta purità, che non si presumevano rei d'alcun peccato; a questi tali d'ordinario non si ministrava.

In quanto poi all'età di quelli che debbono riceverla, gli statuti di Odone vescovo di Parigi, e quelli di Simone e Galone legati di In- nocenzo III, ordinano, che l'estrema unzione si dia a chiunque abbia l'età della discrezione; il che pare conforme allo spirito della Chiesa, poiché in quell' età i figliuoli sono capaci di peccato, e in conseguenza di un sagramento istituito per la remissione de' peccati. Nondimeno vi sono autori, tra' quali Durando di Menda, e Federico Nausea, ve- scovo di Vienna in Austria, i quali vogliono che non si dia, se non in età di diciotto anni, e questo ulti- mo anche dice almeno in questa età. Gli statuti della chiesa di Pa- rigi proibiscono che si dia ai gio- vani privi dell'uso della ragione, a' furiosi, agli sciocchi. Quanto ai frenetici e furiosi per qualche ac- cidente, si darà loro l'estrema un- zione, purché non vi sia pericolo attuale d'irriverenza da parte loro

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verso il sagramento. Quelli di Vail- lant di Guisli, vescovo d'Orleans, n'escludono anche i rei condanna- ti a morte, i fanciulli innanzi la prima comunione, i pazzi, e quel- li che non l'hanno mai domandato. Le Gouverneur, vescovo di s. Ma- lo, esclude solamente gli stolti na- ti, perchè non poterono mai pec- care, ma se hanno avuto qualche momento di ragione si deve dare anche ad essi l'estrema unzione, per- chè in questi momenti possono ave- re offeso Dio, e cosi sono capaci dell' effetto del sagramento. Il Car- dinal Monti, arcivescovo di Milano, esclude i fanciulli, i pazzi, gli sco- municati denunciati, gl'impeniten- ti pubblici peccatori, i condannati a carcere perpetuo, e le partorien- ti. Bit. Ambr. de sacr. Extr. UncL, p. 170. Ne sono esclusi pure i sol- dati schierati in battaglia contro il nemico, e in procinto di combat- tere ; ed escluse ne sono pur anche le persone le quali si trovano in pericolo di naufragare.

Molti autori accusarono i greci, ed altri orientali, de' grandi abusi circa questo sagramento, che am- ministrano ai sani del pari che agli infermi, perchè i sacerdoti, dopo aver unto l'infermo, si ungono scam- bievolmente, ed ungono gli astanti. Su di che va letto il p. Chardon, t. II, p. 386 e 387, ove rapporta la di- fesa che fa degli orientali il p. Renaudot, col raziocinio del Tour- nely, de sacr. Extr. Urici, quaest. 3, p. 4^5. Interessante è la nota ana- loga che ivi si legge del p. Ber- nardo da Venezia minor riformato. Altri teologi dicono: « Agli infer- mi che ricercano con mente sana, e con sentimenti perfetti questo sa- gramento, o verosimilmente lo chie- derebbero, ovvero hanno dato se-

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gni di contrizione, e poscia abbia- no perduta la favella, o sieno di- venuti pazzi, o delirassero, oppure non sentissero; tuttavolta si am- ministri ".

Circa gli effetti della estrema un- zione, il primo è quello di accre- scere la grazia santificante, cioè quella che rende il giusto ancora più giu- sto ; rimette i peccati tanto morta- li che veniali, in quanto alla colpa, ma per accidente e secondariamen- te, avendo Gesù Cristo istituita la estrema unzione, prima per santi- ficare vieppiù un moribondo già santo, per fortificarlo contro le ten- tazioni del demonio, contro i dolori della malattia, contro la languidezza dello spirito; ed in secondo luogo per rimettergli i peccati veniali od anche mortali, qualora per inno- cente dimenticanza non gli fossero stati rimessi per accidente nel sa- gramento della penitenza; terzo, la estrema unzione rimette almeno una parte della pena de' peccati, perchè è il compimento della penitenza, e perchè al cristiano, in quanto può, l'ultima disposizione per an- dar a godere della gloria del pa- radiso; quarto, cancella il rimanente de'peccati, vale a dire l'inclinazione al male, la tiepidezza nel far bene, l'inattitudine nel pensare alle cose celesti, cagionate dai peccati attua- li; finalmente solleva l'anima del- l'infermo, e la fortifica, eccitando in lui la confidenza nella misericordia di Dio; gli dei soccorsi partico- lari per evitare tutti i pericoli, e superare tutti gli ostacoli della sa- lute dell'anima in quegli ultimi mo- menti della vita; gli qualche volta la salute del corpo, quando è pel meglio dell'anima sua, secon- do molti teologi.

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§ V. Proprietà, disposizione ', e di- vertita dd rito dell estrema un- zione.

Le proprietà dell' estrema unzio- ne sono la sua necessità, e la sua reiterazione. L'estrema unzione non è necessaria alla salute di necessità di mezzo, perchè i catecumeni pos- sono essere giustificati dal battesimo, ed i battezzati dalla penitenza. Non è necessaria di necessità di precetto divino, poiché l'apostolo s. Giacomo ne comanda il ricevimento a tutti i fedeli, che sono pericolosamente malati, e le sue parole sono tenu- te un vero precetto da alcuni teo- logi e da'concili, tra' quali da quel- lo di Colonia del i538. L'estrema unzione, al dire di altri teologi, è necessaria di necessità di precetto ecclesiastico, e questo precetto si prova per la premura che la Chiesa ha sempre avuto di conferire questo sagramento agli ammalati , e per l' ordine che ne ha dato a' suoi ministri in un gran numero di concili. Va qui avvertito, coll'aulo- rità di s. Alfonso de Liguori, lib. 5, tract. 5, e. i e 733, che non consta del precetto divino, dell' ecclesiastico ; laonde la comu- ne sentenza de' teologi , come os- serva Io stesso autore, nega essere grave peccato, tolto però lo scan- dalo ed il disprezzo, il non rice- vere l'estrema unzione. Aggiunge però, che può ben gravemente pec- care l'infermo contro la carità ver- so sé stesso, non ricevendo, allor- ché lo può, questo sagramento.

Si dava altre volte l'estrema un- zione colla comunione alla stessa persona, nella stessa malattia, e nel medesimo stato della malattia; ma si può e si deve dare a lui più volte nei diversi stati della mede-

EST sima malattia, perchè queste diffe- renti situazioni della stessa malat- tia, se questa è lunga, sono come varie malattie, allorquando per in- tervalli accada qualche specie di convalescenza, che abbia posto l'in- fermo fuori del pericolo di morte. Pio II mori in Ancona a' i4 ago- sto 1 464, avendo prima doman- dati e ricevuti tutti i sagramenti. Egli già aveva ricevuta l'estrema unzione quando fu attaccato dalla peste al concilio di Basilea. Alcuni teologi che opinavano non poter- si ricevere due volte, furono di sentimento che non gli si dovesse reiterare. Non ignorava il dottissi- mo Pio II, che questa opinione era stata sostenuta nel secolo XII, ma sapeva ancora che aveva essa avuto pochi partigiani , e perciò non volendola seguire, si fece am- ministrare per la seconda volta an- che questo sagramento. V. Berca- stel, Hist. de l'Eglise, tom. XVI, pag. 1 69. Gregorio XIV , dopo una lunga infermità, nella quale tre volte fu vicino a morire, che perciò per altrettante volte spedi- ronsi corrieri ad invitare i Cardi- nali al conclave, soccombette alla violenza del male a' 1 5 ottobre 1 5g r , dopo avere ricevuta la estrema un- zione, che nella sua vita gli ven- ne amministrata quattro volte. Cle- mente XIII cessò di vivere nel 1769; ma nel 1765 a' 19 agosto, essendo stato sorpreso da forte sin- cope, gli furono amministrati i sa- gramenti del viatico e della estre- ma unzione, e gli fu letta la for- inola della professione di fede, che secondo l'uso de' Papi sottoscrisse. Passati però pochi momenti ricu- però interamente la sanità, per cui la colletta prò Ponlifice infirmo, nelle messe, fu cambiata con quel-

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la prò gratiarum actione. Ai Pon- tefici la estrema unzione soglio- no ministrarla i Cardinali Peni- tenzieri Maggiori (Vedi). Abbia- mo dal Macri, che nella Spa- gna costumavasi dedicare in per- petuo al servizio di Dio, coloro che sopravvivevano dopo di avere ricevuto l'olio santo, come perso- ne conservate in vita per miracolo e grazia singolare del Cielo; il perchè dal concilio Toletano XIII fu ordinato che non si conferisse questo sagramento, se non a colo- ro, i quali lo domandavano con sen- timenti perfetti, ed erano sani di mente.

Dicemmo poc'anzi superiormen- te, che l'estrema unzione altre vol- te si dava colla comunione, e d'or- dinario innanzi al viatico. Questo è l'argomento, che con altre par- ticolarità discorre il p. Chardon nel cap. II, insieme al tempo in cui terminò 1' uso, e che si dava per più giorni successivamente, col- 1' opinione de' primi dottori scola- stici sopra la sua reiterazione. Ri- porla pertanto le prove dell'estre- ma unzione data innanzi al viati- co, confermandone l' usanza cogli antichi rituali citati dal p. Mar- lene. Quest' uso durò sino al prin- cipio del secolo XVI; ed il Lati- nojo, nel suo trattato della unzio- ne degli infermi, reca le testimo- nianze di vari rituali di Francia, in cui si vede , che tal disciplina durò sino dopo la metà del secolo XVII. mancano antichi esem- pi, che l' estrema unzione venne data dopo del viatico. Dagli anti- chi rituali si ha inoltre, che si rei- terava 1' estrema unzione per set- te giorni continui. Questa usanza si trova ridotta in pratica nella persona di s. Ramberto arcivesco-

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vo d'Amburgo, leggendosi nella vita di lui : » che sette d'i innanzi « la sua morte si cominciò ad un- » gerlo coli' olio santo , e che ri- m cevè la salutare medicina colla » comunione del corpo e sangue * di Cristo ogni giorno, finché re- » se l'anima a Dio ". Ciò dimo- stra qual conto si debba fare del- l' opinione di quelli, i quali inse- gnavano non doversi replicare la unzione degl' infermi, non solo nel- la medesima malattia, ma neppure in tutta la loro vita. 11 Chardon lascia poi ai teologi esaminare, se un infermo che abbia ricevuta una volta l'estrema unzione dal vesco- vo, debba poi, per rispello al ca- rattere vescovile, riceverla da un semplice sacerdote.

Passando a dire sulle disposi- zioni dell' estrema unzione, diremo che la prima disposizione necessa- ria all' infermo per ricevere il frut- to, o l'effetto del sagramento, è lo stato della grazia, perchè l'estre- ma unzione non è un sagramento de' morti, ma de' vivi ; ed è per- ciò, che quegli il quale la ministra deve far confessare il malato , o almeno eccitarlo alla contrizione , se non può confessarsi. La secon- da disposizione è la virtù, attuale, e la fede nella virtù del sagra- mento , accompagnata dalla confi- denza in Dio, dalla rassegnazione alla santa sua volontà, dall'unione di spirito col nostro Signore ago- nizzante nell'orto, o nel Calvario ; le dimostrazioni di penitenza , che accompagnavano il ricevimento del- l'estrema unzione negl' infermi , e sino a quando essi cuoprivansi col- la cenere e cilicio, è quanto trat- ta il Chardon nel capitolo V. I cri- stiani anticamente credevano, che la miglior maniera di prepararsi a

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comparire al tribunale di Dio, Tos- se la penitenza, e i più santi tra loro erano i più persuasi di tal ve- rità. Sulpizio Severo, narrando la morte di s. Martino, dice che, quan- tunque consumato da febbre arden- te, non cessava di attendere a Dio, passando le notti in vigilie ed ora- zioni, coricato in letto sopra la ce- nere e il cilicio, dicendo non con- venir ad uu cristiano morire altri- menti, e che peccherebbe se desse altro esempio. Questo pietoso ed edificante costume passò poi in leg- ge in molti luoghi della cristianità, e divenne in qualche modo parte del rito della estrema unzione. Da un antico Ordine Romano ms. del- la biblioteca di Corina, da quello di Kutoldo, e da altri viene pre- scritto lo stesso. Nel secondo si leg- ge così. « Tal è l'ordine dell' lin- ai zione degl' infermi. Il sacerdote » dice all'infermo: fratello perchè « mi avete chiamato. Questi rispon- » de: perchè mi diate l'unzione. Il » sacerdote gli dice: il signor Gesù » Cristo vi dia la vera unzione... » Ma s'ei vi rimira pietoso, e vi risa- n na, manterete voi questa unzione ? » Ei risponde: la manterrò. Ailo- m ra il sacerdote gli fa una croce » colla cenere sul petto, e gli mette h il cilicio, dicendo ec. ". Un an- tichissimo Pontificale ms. della chie- sa di Cambray contiene lo stesso rito, e le orazioni per la benedi- zione delle ceneri e del cilicio; ed il Launoyo ci ha dati lunghi estratti di tali mss., come anche di rituali ed altri libri su questo argomento. In alcuni luoghi, come nella dio- cesi di Vannes, dopo che l'infermo aveva ricevuto il viatico, prima di dargli l'estrema unzione, se gli fa- ceva un segno di croce sul petto colla cenere benedetta, e fluita l' uu-

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zione se gli metteva il cilicio o il cappuccio sulla testa, dopo averlo asperso con acqua benedetta, di- cendosi: « Rivestitevi della veste » candida in nome dell'uomo nuo- * vo, che fu creato nella giustizia h e santità della verità, il quale è » G. C. Signor nostro, che vive e » regna ec. ". Nel XVI secolo in Rohan ed in Evreux si costumava spargere la cenere in figura di croce sul petto dell' infermo, senza coprir- lo di cilicio, e ciò facevasi prima di ungerlo, e dopo di averlo co- municato, pronunciando le parole: Memento homo, quia pulvis est et in pulverem reverteris. V. Ceneri, e Cilicio.

Giusta il Manuale della diocesi di Limoges, dopo che l'infermo avea ricevuto il viatico e l' unzione, si copriva di cilicio, e si spargevano sopra lui ceneri benedette, accom- pagnando il tutto con parole mol- to commoventi; e questo spargi- mento di ceneri si faceva fino a tre volte in figura di croce. Fuvvi pure l'uso di trai* l'infermo dal letto dopo ricevuti gli ultimi sa- grameli ti, e distenderlo sopra un cilicio coperto di cenere benedetta. Questo rito trovasi comandato in tre antichi Pontificali mss., e si ri- portano dal p. Chardon. Tale pia ce- rimonia divenne couiunissiraa nella Chiesa, massime ne' monisteri ; e s. Ugone abbate di Auny ne fece una regola per tutti i religiosi del suo Ordine, prescrivendo a quelli che assistono gl'infermi, quando li veg- gono agli estremi, di distendere in terra un cilicio, spargervi sopra la cenere in forma di croce, indi co- ricarvi l' infermo. Altrettanto adot- tarono i certosini ed altri religio- si, come i cisterciensi ed altri con qualche varietà, cioè un sacco o

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stuoia in vece del cilicio, o della paglia. Tanto fu praticato da mol- ti cristiani laici, e da parecchi prin- cipi, siccome fecero Luigi il Grosso, s. Luigi IX, ed Enrico III re d'In- ghilterra. In progresso di tempo sif- fatte pratiche penitenti furono tol- te, contentandosi di spargere della cenere sul letto del moribondo, e costumandosi pure involgere i ca- daveri ne'cilici, sui quali eransi di- stesi infermi. Nel manuale della Chiesa di Venezia, impresso nel i555, siccome ivi osservavasi tal disciplina, così vi è la benedizione e gli esorcismi delle ceneri, e la be- nedizione del cilicio da porsi sopra l'infermo o sopra il defunto, con analoghe orazioni. Nota il p. Ber- nardo da Venezia, traduttore ed annotatore del p. Chardon, che for- se da tali riti venne il costume nei secoli più vicini a noi, che molti moribondi chieggono l'abito fran- cescano, il quale, soggiunge, è un cilicio, perchè venga steso sopra il loro corpo sul letto, e muoiono con esso coperti; al qual costume avrà poi dato maggior desiderio l'acqui- sto delle indulgenze concesse dai Papi a chi muore col detto abito in dosso. Tutto ciò, osserva il Char- don, prova che i fedeli in molti luoghi usavano dare chiari segni di penitenza alla loro morte, e in al- cune diocesi innanzi, o dopo, o nel tempo stesso della estrema unzione; cosicché si può dire che questa ce- rimonia ne fosse parte in alcune chiese, non però parte essenziale del sagramento: dappoiché ella era usanza lodevole in alcuni paesi, men- tre in altri era sconosciuta. Cosi la Chiesa risplende, come la sposa dei cantici, per questa gradevole varie- tà della sua disciplina.

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§ VI. Altre cerimonie dell' estrema unzione _, e superstizioni insorte su di essa.

Il sacerdote accompagnalo da un chierico, giunto presso l'infermo col- l' olio santo, gli fa baciare la cro- ce, lo asperge d'acqua santa, in uno cogli assistenti, l'esorta, dice l'ora- zione, poscia immerge il pollice del- la mano destra nell'olio degl'infer- mi, e fa le unzioni in forma di croce cominciando dall'occhio, es- sendo chiusa la palpebra. Termina- te le unzioni il sacerdote recita an- cora delle preghiere, le quali sono seguite da un' esortazione all' infer- mo, e l' eccita a raccomandarsi al Crocefisso, a pensare alla sua morte e passione, e ad unire i suoi do- lori a quelli di Gesù Cristo, ed ap- plicarne il frutto con cristiana ras- segnazione. Per quello che riguarda P ordine , col quale bisogna am- ministrare l'estrema unzione, è dif- ferente secondo le diverse diocesi. Anticamente usavano gl'infermi di andar alla chiesa se potevano, o di farvisi portare per ricevere l'estre- ma unzione; laonde si rileva che gl'infermi non la ricevevano sem- pre distesi in letto, come ora si fa; e da molti rituali del p. Marlene sappiamo, che eziandio ricevendola nelle case loro, la ricevevano fre- quentemente inginocchiati o seden- do. Ciò prescrive il rituale di Sa- lisburgo, dicendo: » L'infermo si metta in ginocchione alla destra del sacerdote, e si canti l' antifona, ec. " Osserva il p. Chardon, che questa maniera di riceverlo sarebbe più conforme allo spirito della Chiesa, e mostrerebbe più di rispetto per un sagramento proficuo alle anime nostre; ma per così fare, nou bi-

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sognerebbe aspettare a chiederlo nel- T ultima estremità, come si fa og- gidì, ma in tempo che l'infermo fosse ancora in forze, ed avesse la mente libera, per conoscere e pro- fittare di tanto bene.

Il Chardon riprova Pattendere pro- priamente il punto estremo, per l'am- ministrazione di questo sagramen- to, quando l' infermo è mezzo mor- to, il che è contrario all' intenzio- ne della Chiesa. Questo abuso eb- be origine nel secolo XIII, per l'o- pinione sparsasi, che quelli i quali avessero ricevuto l'estrema unzione, se guarivano non potessero più usa- re il matrimonio, mangiar carne, e andar scalzi. Un concilio d'Inghil- terra ci fa sapere essere stata dai falsi dottori sparsa questa opinione fra la plebe; anzi i vescovi per sradicarla dichiararono, che ne de- testavano e scomunicavano gl'in- ventori. Durando queste idee false e ridicole, vennero riprovate dai concili di Worcester, di Winche- ster, di Oxford ec. Anche in Fran- cia, o almeno in Normandia, si sta- bilì tale superstizione; fallace opi- nione, che in parte sussisteva ver- so la fine del secolo XV nella dio- cesi di Verdun. Affine di vincerla del tutto, si volle piuttosto, per non iscandalezzar i semplici, aspettare quasi l'imminente pericolo di morte per conferire questo sagramento, e prevalse un tal uso, tuttora in pra- tica. Non si deve tacere, che altro motivo dell'abuso di ritardare l'e- strema unzione, fu l'avarizia d'al- cuni preti, i quali esigevano tante cose da quelli, a cui la ministrava- no, che mettevano i poveri nella impossibilità di riceverla, e distor- navano i ricchi dal domandarla. Il Chardon riporta l'esigenze di sif- fatti ecclesiastici a pag. 382, in-

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sieme alle condanne e provvidenze prese opportunamente.

Il sagramento della estrema un- zione si può, anzi si deve dare agi' infermi ancorché privi di sensi, tranne qualche caso straordinario, per esempio come quello di un pub- blico peccatore, colpito e tolto di sentimenti in tale stato, e che non abbia dato alcun segno di pentimen- to, come esprimesi Benedetto XIV, de Synado dioecesana lib. VII, e. 2 3. L'adulto battezzato, benché privato di sensi dalla forza del male, può ricevere tutti quegli effetti, che que- sto sagramento produce di sua virtù, ossia, come dice la scuola, ex ope- re operato j non quelli ex opere operanti? sùbjecti, come avverrebbe se l' infermo accompagnasse la sa- cra unzione coi divoti movimenti dell'animo. La Chiesa poi mai non permise, e molto meno prescrisse, che si desse la estrema unzione ai fanciulli non ancora giunti all'uso della ragione.

Il principale effetto di questo sa- gramento si è quello espresso da s. Giacomo colle parole : et si in pecca - tìs fuerit, remittentur e?', giacche l'ef- fetto principale di un sagramento non può essere la fìsica e tempo- rale guarigione; ma i fanciulli pri- ma della discrezione del bene e del male morale sono incapaci di commettere peccato, dunque inca- paci di questo sagramento. Che se si legge alcuna unzione praticata in alcuna chiesa co' pargoletti, quella non era un sagramento, ma una divota cerimonia per impetrare la sanità del fanciullo. V. Benedetto XIV, de Synodo dioec. lib. VII, cap. 21, ed il Tournely. Il p. Martène, de anliq. Eccl. ritibus cap. 7, art. 1, par. 2, prova il medesimo con an- tichi monumenti. Quanto poi al Cai-

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dinal Cusano, epistol. ad Bohem., e Maldonato, de Sacramenti?, i qua- li sembrano asserire il contrario, dice Cornelio a Lapide aver così parlato senza fermo fondamento , come risulta da certi monumenti ec- clesiastici ; seppure non vadano in- tesi quegli autori di una unzione divota senza la pronunzia della for- ma sagra menta le ; unzione la qua- le consta essere stata in uso nella Chiesa, come può vedersi nel Tour- nely, de Ex trema Vnctione quaer., 3 in addinone.

Le cerimonie e le orazioni che an- ticamente accompagnavano l'unzio- ne degli infermi, le prenderemo da un Pontificale ms. del monistero di Jumieges in Inghilterra, il cui ca- rattere è di circa mille anni. « Quan- « do i sacerdoti saranno stati chia- » mati alla casa dell'infermo per « fargli l'unzione, il più. degno tra » loro si vesta di cotta, stola .... » il diacono, che porta il vangelo » e l'olio degli infermi, e così i ce- » roferari, si vestano ciascuno giusta » il loro ordine. Un ceroferario » porti nella mano dritta un cero, « e nella sinistra un turibolo con » incenso. Così preparati, quando » entreranno in casa dell'infermo, il » sacerdote tenga nella mano sini- « stra il libro che contiene le ora- » zioni di questo uffizio, e colla » destra faccia il segno della cro- » ce, acciocché possa con umiltà » e timor di Dio compiere quan- w to avrà cominciato. Nell'ingresso »> dica l' antifona : La pace sia in » questa casa, e ne' suoi abitanti, » e sopra quelli eh' entrano ed » escono da essa ". Stando il sa- cerdote alla porta faceva un'orazio- ne adattata . Poi avanzandosi asper- geva coli' acqua benedetta, dicendo: asperges me ec. Indi si accostava

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all'infermo con somma dolcezza, diceva un'orazione dopo l'aspersio- ne dell'acqua benedetta, e un'altra dinanzi il letto, prima di parlargli. Mettendosi poi inginocchione innan- zi all'infermo, gli domandava: Fra- tello, perchè ci avete voi chiamali? Questi rispondeva : Acciocché vi piaccia darmi V estrema unzione. Al- lora il sacerdote doveva con poche e soavi parole istruirlo, e dirgli : Preparatevi prima a fare una buo- na confessione, e poi riceverete l'un- zione. Se era un secolare, gli di- ceva : Assettate gli affari di vostra casa, e se avete livore con alcuno perdonategli, acciocché per divina pietà, e virtù di questa unzione pos- siate ricevere il perdono de' peccati. Seguiva una breve orazione, e l'in- fermo si confessava. Si dicevano le litanie coi capitoli e l'orazione, e un'antifona, che comincia: An- gelus Raphael , ec. Dopo si un- gevano le ciglia , le orecchie , le narici, i labbri, il collo, le spalle, il petto, le mani, e i piedi in for- ma di croce, aggiungendo a ciascu- na unzione un' orazione adattata, come per esempio, Ungo te oculos tuos ec. ; la quale era seguita da un' antifona e da un salmo. Il li- bro raccomanda d' ungere la parte afflitta, o la sede del male. Dopo tutte queste unzioni e formole, il Pontificale dice: « Si fa questo, m acciocché, se i cinque sentimenti » del corpo e dello spirito sono » macchiati, si mondino con que- » sto divino rimedio ". Finalmente chiudevasi la cerimonia con otto o nove orazioni, colle quali si doman- dava a Dio per l' infermo la re- missione de' peccati e la sanità. Il Rituale ambrosiano del Cardinal Monti, pag. 168, prescrive bensì la unzione dopo il viatico, ma avver-

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te i parrochi, clic non aspettino a farla quando l'infermo è fuori di se, anzi, se v'ha pericolo che dopo la comunione possa egli restar pri- vo di cognizione, vuole che seco portino il vaso dell'olio santo, as- sieme col vaso della ss. Eucaristia, per ungerlo subito, dopo averlo co- municato.

In quanto alle cerimonie che i greci ed orientali usano per l' estre- ma unzione, riporteremo quanto ne scrive il dotto Renaudot. Queste ce- rimonie consistono in un maggior apparato di riti e di orazioni che non nell'occidente. L'uffizio si fa ordinariamente da sette sacerdoti, in che pretendono seguire alla let- tera le parole di s. Giacomo: In- ducat presbyleros, ec. Se però non si trovano sette, lo fanno cinque, o tre, ma non mai un solo. Siccome, giusta la loro disciplina, non si aspetta che l'infermo sia agli estremi per dargli l'olio santo, così que- sta cerimonia spessissimo si fa nel- la chiesa, ove si fa portare l'infer- mo. Si può tuttavia in casa di que- sto far l'uffizio, quando non sia in istato di essere trasferito. Si pren- de olio di oliva, si mette in una lampada con sette lucignoli, e il più anziano de' sette sacerdoti dice preghiere e benedizioni. Poi si un- ge r infermo in diverse parti del corpo, dopo aver acceso il primo lucignolo, e così degli altri conti- nuando le orazioni, e facendo il segno di croce. Perciò Tommaso di Gesù, ed altri, scrissero, che i cristiani orientali non danno l'estre- ma unzione agl'infermi, ma li un- gono coli' olio di una lampada, per- chè non avevano presa informazio- ne da genti di quelle parti, e mol- to meno da' loro libri ecclesiastici, che tutti contengono questo uffizio.

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Il rituale di Gabriele patriarca dei cofti prescrive così: «S'empie d'o- lio buono della Palestina una lam- pada con sette stoppini, che si col- loca dinanzi l'immagine della B. Vergine, appresso l'è vangelo e la croce. Si radunano sette sacerdoti, o più o meno, che non importa. Il maggiore comincia l' orazione del rendimento di grazie, eh' è nella li- turgia di s. Basilio. La incensa pri- ma di leggere 1' epistola di s. Pao- lo. Poi dicono tutti : Kyrie eleison, l'orazione dominicale, il salmo 3i , l'orazione pegl' infermi, eh nella liturgia, ed altre particolarità nota- te nell'uffizio della estrema unzio- ne. Finite le quali, accende un lu- cignolo facendo la croce sopra l'olio, e gli altri frattanto cantano salmi. Quando poi ha terminate le altre o- razioni pegl' infermi, legge la lezione dell' epistola cattolica di s. Giacomo in lingua cofta, e poscia in arabo. Poi dice: Sanctus, Gloria Patri, l'orazione del vangelo, un salmo alternativamente con un altro sa- cerdote, poi un evangelo in cofto, e in arabo le tre orazioni che se- guono nella liturgia, una al Padre, l'altra per la pace, un'altra gene- rale, il simbolo niceno, e l'orazio- ne che gli vien dietro. Comincia poi il secondo sacerdote dalla be- nedizione del suo lucignolo, accen- dendolo, e facendo il segno di croce. Poi dice 1' orazione dominicale, e il resto come il primo. Gli altri per ordine fanno lo stesso; cosicché, giu- sta l'osservazione dell'autore della scienza ecclesiastica, in questa fun- zione si dicono sette epistole, sette evangeli, sette salmi, e sette ora- zioni particolari, oltre le comuni tolte dalla liturgia. Finita ogni co- sa quegli per cui si fa tal benedi- zione, se le sue forze il permetto*

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no, si accosta, e si fa sedere colla faccia rivolta all' oriente. I sacerdoti gli tengono alto il libro de'vange- li sopra il capo, e gì' impongono le mani. II sacerdote anziano dice le orazioni proprie, poi fanno alza- re l'infermo, lo benedicono col li- bro de' vangeli, e recitano il Pater noster. Poi si apre il libro, e si leg- ge sopra di lui il testo che a ca- so s'incontra. Si recitano il sim- bolo, e tre orazioni, dopo le quali si alza la croce sopra il capo del- l'infermo, e allo stesso tempo si re- cita sopra di lui l'assoluzione gene- rale della liturgia. Se il tempo il permette, si dicono altre orazioni, e si fa la processione per la chie- sa colla lampada benedetta, e cande- le accese , chiedendo a Dio la sa- nità dell'infermo per l'intercessione de' martiri ed altri santi. Se l'in- fermo non può andare all' altare, un altro fa le sue veci. Dopo la processione, i sacerdoti ungono colle solite unzioni l' infermo. Tali sono i riti prescritti dal patriarca Gabrie- le per la chiesa Giacobita di Ales- sandria, il che affermano anche Eb- nassal ed Echmini. I giacobiti so- riani hanno riti assai somiglianti, i quali non descrivo, perchè non dif- feriscono essenzialmente, come an- che l'uffizio de'greci e degli etiopi ". Finalmente, circa le superstizio- ni insorte in occasione della estre- ma unzione, oltre quella sum men- tovata, ci fu pure l'immaginare che questo sagramento diminuisca il ca- lore naturale, faccia cader i capelli, o acceleri la morte, o che le donne incinte che lo ricevono soffrano mag- giori dolori nel parto, e che porti la itterizia ai loro figli, ovvero fac- cia morire in poco tempo le api le quali sono intorno alla casa dell'am- malato, e che quelli che l'hanno

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ricevuto moriranno se danzeranno nel rimanente dell'anno, o che sia peccato filare nella camera dell'in- fermo moriente, perchè mona se si cessa dal filare , o se il filo si rompe, o che non si debbano lavar i piedi, se non molto tempo dopo che si ha ricevuta 1' estrema unzio- ne, o che bisogni aver sempre una lampada od un cero acceso nella camera del malato finché dura la malattia, o che nel tempo in cui si amministra sia d'uopo di un cer- to numero di candele o di ceri ac- cesi. Queste ed altre sono le super- stizioni sulla estrema unzione, ri- provate dalla Chiesa, di che tratta M. Thiers nel Trattato delle supersti- zioni, tom. XIV, lib. 8. Il Chardon per ultimo, a pag. 3 96 e seg., ri- porta per appendice al trattato del- l'estrema unzione un documento, che ne contiene l'antichissimo rito, e il modo come si amministrava circa nove secoli addietro, chiama- to dal p. Morino il ms. di Sicilia. Del Cardinal Stefano Eorgia, ab- biamo l'erudita dissertazione, de Sacramento Extremae Unctionis, non che il Compendium ordinis Ale- xandria illustratimi, atque latina lin- gua donatimi, una cimi caeteris orien- talium ecclesiarum de sacra ELAJO lampade officiis editimi. Ivi il eh. autore si propose di addimostrare, che quantunque i copti ossia ales- sandrini amministrino altramente il sagramento della estrema un- zione, nondimeno in ciò convengo- no coi greci ortodossi riguardo al- l'essenza.

ESTREVELD. Luogo d'Inghil- terra dove fu tenuto un concilio nell'anno 703, di cui parla il p. Mabillon, Annal. s. Bened. t. II, p. 5.

ESTUNICA Giovanni, Cardi- nale. V. ZUNIGA.

1*8 ESU

ESUPERIO (s.). Nativo di Aqui- tania, crebbe Esuperio cogli anni in santità e dottrina, per cui alla morte di s. Silvio fu innalzato al- la sede di Tolosa. Quivi fece egli brillare la sua carità verso i po- veri, che più volte lo espose a sof- frire la fame , per provvedere ai bisogni de' suoi fratelli. Sotto il suo episcopato i vandali , gli svevi e gli alani recarono alle Gallie orri- bili guasti. In tanta iattura Esupe- rio con sollecitudine la più viva si adoperò a soccorrere gì' infelici. S. Girolamo tenne con lui corris- pondenza di lettere, e molti elogi faceva in quelle della sua carità; e lo stesso s. Paolino vescovo di Nola, scrivendo nell'anno 4°9> PUD_ blicava Esuperio per uno dei più insigni vescovi delle Gallie. S'igno- ra il luogo e l'anno di sua morte. E onorato in Tolosa nel giorno 28 settembre.

ESUPERIO (s.). Poche sono le notizie, che si hanno di questo satito. Romano di nascita, predicò l'evangelio in Normandia, eresse la chiesa di Bayeux, e divenne an- che il primo suo vescovo: mori verso la fine del quarto secolo. Nell'anno o,43 il suo corpo venne trasferito a Corbeil, sette leghe di- stante da Parigi. Ivi è in grande venerazione pei molti prodigi ope- rati, e la sua festa si celebra il primo di agosto.

ETÀ' del mondo. Sono ordina- riamente tutti i tempi che prece- dettero la nascita di Gesù Cristo, che dividonsi in sei età. La pri- ma comincia col mondo, termina al diluvio universale, comprende i656 anni. La seconda età comin- cia col diluvio, termina colla vo- cazione di Abramo, nel 2082, e comprende 426 anni. La terza età

ETÀ comincia dalla vocazione di Àbra- mo, termina coll'uscita degl' israe- liti dall'Egitto nell'anno del mon- do 25 1 3, e comprende 43 1 anni. La quarta età comincia coll'uscita dall'Egitto, termina colla fondazio- ne del tempio di Salomone nel- l'anno del mondo 2992, e compren- de 479 annì' La quinta età inco- mincia dalla fondazione del tempio di Salomone, termina colla cattivi- tà di Babilonia nell'anno del mon- do 34i6, e comprende 4^4 anni- La sesta età principia dalla catti- vità di Babilonia, termina colla nascita di Gesù Cristo , successa nell'anno del mondo 4°o°> il quar- to, o secondo altri il quinto anno avanti l'era cristiana, e compren- de 584 anni- Quindi si osserva una notabile differenza tra la Bib- bia ebraica, seguita dalla Volgata, e la Bibbia dei settanta intorno la cronologia degli anni del mon- do: la Bibbia greca dei settanta conta dalla creazione del mondo fino alla nascita di Abramo, 1 5oo anni di più della Bibbia ebraica e della Volgata, e da ciò appunto proviene la divisione, e i diversi opinamenti dei cronologi. Su que- sto argomento si possono vedere gli articoli Epoca ed Era, ove sono riportati alcuni autori che trattano di esso. Inoltre sulle suddette sei età, si può vedere il gesuita Mu- sanzio nelle sue Tabulae Chrono- logicae. Sulle età del mondo nar- ra cose erudite il Sarnelli nelle Lelt. eccles., tom. Ili, p. 91 e 92, e tom. IV, pag. 3i, num. 8.

ETÀ* dell'uomo. Diversamente da vari autori sono stati divisi i gradi dell'età degli uomini. Aulo Gellio nel lib. io, cap. 28 ne fa solamente tre, cioè la puerizia, la gioventù, e la vecchiaia, seguendo

ETÀ in ciò l'autorità di Tubcrone, il quale riferisce clic Servio Tullio, sesto re di Roma , putti chiamò tutti quelli che non avevano an- cora compiti dieciselte anni, dopo del qual tempo entravano nella classe da' giovani, e si ascrivevano tra' soldati, e questa età sino al- l'anno quarantesimo sesto si esten- deva, indi cominciava la vecchiez- za, ch'era l'ultima, e durava per tutto il restante della vita. Gale- no, famoso medico, distinse quat- tro gradi, nel suo libro Dcfinitiones mcdicae: il primo è dei giovani j il secondo è di quelli che con voce greca chiamò acmazontas , che equivale a vigorosi, il che ap- partiene alla virilità; il terzo di quelli ch'erano in uno stato di mezzo fra questi che abbiamo detto, ed i vecchi che metteva nell'ultima classe. A Marco Var- rone però parve che si dovesse distinguere in cinque gl'adi, cioè: il primo è dei fanciulli sino al- l'anno decimo quinto, e questi con voce latina si dicono pueri3 quasi puri, perchè sono impuberes; il secondo è dei giovani , l'età dei quali comprende i primi trenta an- ni della vita, e questi sono da Var- rone detti adolescens, perchè ado- lescunt, stanno in crescere; nel ter- zo, che dai trenta anni si estende sino ai quaranta anni compiti, so- no quelli appellati juvenes, giova- ni, perchè possono colle forze cor- porali giovar alla patria, servendo alla milizia; il quarto grado è di quelli che hanno passato quaranta- cinque anni, sino ai sessanta, e que- sti l'istesso autore chiama seniores, perchè già si vanno avvicinando al quinto ed ultimo grado di quelli che non seniores, ma assolutamen- te si dicono senesj vecchi ; e que- vol. mi.

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sto grado dura sino ali 'estremità della vita.

Il Pontefice s. Gregorio I, nel lih. II de' suoi Morali, al cap. i5, fa parimenti cinque gradi, che so- no questi: infantici, pueritia, adole- scenza, Juventus, senectus. Ecco poi come si esprime. « Prima hominis « aetas infantia est, cura et sit in- nocenter vivit, nescit tamen fari innocentiam quam habet; ac dein- de pueritia sequitur, in qua jam valet dicere, quod vult; cui suc- cedit adolescenza, quae videlicet prima est aetas in operatione ; quam Juventus sequitur, scilicet apta fortitudini, ac postmodum senectus etiam per tempus con- grua maturi tati ". Il dottore s. Gi- rolamo nel lib. 3 contra Pelagia- nos, seguendo Filone ebreo, e Pla- tone filosofo, numera sette gradi di età. « Quid dicemus de utriusque » sexus aetate diversa, quae juxta w Philonem, et prudentissiraumphi- losophorum, ab infantia usque « ad decrepitarti senectutem septe- » nario ordine devolvitur, dum si- » h\ sit invicem aetatum incremen- » ta succedunt, ut quando tran- « seamus de alia ad aliam sentire » minime valeamus ". Il medesimo s. Girolamo scrivendo sopra il cap. 6 di Amos profeta, numera que- ste sette età dicendo : infanzia, pue- rizia, gioventù, età matura, vecchiez* za, età decrepita. La medesima distinzione fa anche Ippocrate prin- cipe de' medici, il quale dice che il primo grado finisce ne' sette anni, il secondo ne' quattordici, il terzo ne' diciotto, il quarto ne' trentacin- que, il quinto ne' quarantacinque, il sesto ne' settantuno, il settimo final- mente si termina colla vita. Solo* ne ne' suoi versi elegiaci divise tut- to il tempo della vita umana in 9

i3o ETÀ

dieci parli, e Clemente Alessandri- no riferisce detti versi, ne' quali non solo si pongono i gradi dell'età, ma ancora quello che in essi occor- re agli uomini, mentre che per quelli vanno ascendendo e discen- dendo. Sono tutti questi gradi di- stinti per settenarii ; nel primo set- tenario nascono all'uomo i denti; nel secondo Jit pube*, ed alto alla generazione; nel terzo spunta sulle guancie e sul mento la prima la- nugine della barba; nel quarto l'uo- mo è nel maggior vigore delle sue forze corporali; nel quinto è in età conveniente a pigliar moglie, per lasciar prole, che poi gli succeda; nel sesto si perfeziona il giudizio, ed aspira l'uomo a cose grandi, e sdegna le piccole; nel settimo e nell'ottavo cresce tuttavia il sape- re, e la facoltà di spiegar bene con la lingua i concetti della men- te; nel nono comincia a declinare il vigore dell'animo; e nel decimo è l'uomo maturo per la morte. I versi greci di Solone sono citati Clemente Alessandrino nel lib. 6 Stromatuni, e prima da Filone nel lib. i de mundi officio.

L'età competente per le dignità ecclesiastiche, la decretò il concilio di Trento, sess. 24 de Re forni., e. 12. « È proibito a' vescovi di am- » mettere un ecclesiastico ad una » dignità, se ei non ha ordine sa- » grò richiesto da quei benefizi, o w almeno se non ha l'età necessaria » per ricevere quest'ordine nel tem- « prescritto dal gius, e dal con- » cilio che lo ha regolato ad un solo » anno ". Per l'età rispetto a' be- nefizi, da'eanonisti si riportano più regole, come per l'età ai voti solen- ni, pel matrimonio, e rispetto agli ordini sagri, di che se ne tratta ai rispettivi articoli, laonde solo qui

ETÀ ci permetteremo qualche cenno su tali età che richiedonsi per ognu- no. E primieramente, per riguardo a' benefizi, ve ne sono sacerdotali, cioè che non possono essere confe- riti se non ai preti, gli uni per la legge, gli altri per la fondazione: relativamente a questi ultimi, che sono le cappelle sacerdotali ed al- tri simili benefizi , osservasi alla lettera la legge particolare della fon- dazione, e non si possono conferire se non a quello che sia già prete. Rispetto agli altri benefizi, come le prebende, le cappelle o semplici prio- rati, o le commende, bisogna seguir l'uso, a norma del quale ve ne so- no alcuni, che non si danno se non a coloro che sono negli ordini sa- gri, altri a' semplici chierici; moti- vo per cui sonovi tanti chierici che rimangono semplici tonsurati o sot- todiaconi. Da una tal regola derivò quella dell'età : bisogna avere ven- ticinque anni pei benefìzi sacerdo- tali, ventidue per quelli che obbli- gano in sacrìs, e sedici pei bene- fizi regolari, essendo questa l'età nella quale si può far professione. Pei benefizi di semplice tonsura la regola non è tanto certa : a nor- ma del concilio di Trento, sess. 2 3, e. 6, se ne potrebbe ottenere qual- cuno prima dei quattordici anni, età nella quale secondo il diritto romano si sorte di tutela. In Fran- cia seguivasi una regola antica dei- la cancelleria romana, a tenore del- la quale richiedevasi undici anni per le prebende delle cattedrali, dieci per le collegiali, bastando soli sette anni pei semplici priorati e per le semplici cappellanie : la ragione od il pretesto era di mantenere quei giovanetti durante i loro studi nei collegi o seminari.

L'età pei voti solenni onde en-

ETÀ

(rare in qualche ordine religioso, fu diversamente regolata : dalla pu- bertà sino alla piena età maggiore, che è di venticinque anni, si pote- va fare tale obbligazione. 11 con- cilio di Trento, sess. i5) e. i5, la determinò a sedici anni, dichiaran- do nulle le professioni prima di questa età, ed obbligando a fare almeno un anno di noviziato. Per riguardo all' età del matrimonio, i canonisti dicono potersi contrarre all'età della pubertà, che è a do- dici anni per le fanciulle, ed a quattordici pegli uomini, avvertono però che devesi avere riguardo al- la vera disposizione del corpo, piut- tosto che al numero degli anni. Finalmente per conto dell'età ri- spetto agli ordini sagri, per la ton- sura bisogna aver compiuti i sette anni ed essere cresimato, od alme- no sei colla pontificia dispensa, co- me decretò il concilio di Trento, sess. a3, cap. 12. Pei quattro mi- nori viene rimesso alla prudenza de' vescovi; mentre pel suddiacona- to fa d'uopo ventidue anni, pel dia- conato ventitre, pel sacerdozio ven- ticinque anni cominciati, e pel ve- scovato trenta, od almeno ventiset- te cominciati.

ETALONIA o ETALONE. Se- de vescovile della Celisiria, chiama- ta anche Costantina, posta tra i monti, al termine della terra Pro- messa, ed ove l'Arabia si unisce al- la Celisiria, presso la città di Da- masco. La sede episcopale fu fon- data nei primi secoli della Chiesa, sotto la metropoli di B ostia. Chi- lone suo vescovo intervenne al pri- mo concilio di Costantinopoli , e Solemo a quello di Calcedonia, co- me si legge nella Siria sagra, pag. ili. Al presente Etalonia, Heta- lanieri, è un titolo in partibus, che

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conferisce la santa Sede, dipenden- te dalla metropoli di Bostra egual- mente in partibus.

ETAMPES o ESTAMPES (Siam- pae). Città di Francia, dipartimen- to di Senna ed Oise, capoluogo di circondario e di cantone in li- na valle fertile, al confluente del- la Juine e dell' Estampes sulla stra- da da Parigi ad Orleans. E sede di un tribunale di prima istanza, e di altri stabilimenti. Assai ben fabbricata è questa città, ha quat- tro chiese parrocchiali, uno speda- le, un collegio comunale, una so- cietà di agricoltura, ed un teatro. Sonovi intorno la città belle passeg- giate piantate di alberi, e sulle ri- viere più di trenta macine. Etam- pes è una città antichissima, che fu fortificata, e nella quale il re Ro- berto gettò i fondamenti di un ca- stello fortificato, che a richiesta de- gli abitanti fu distrutto nel princi- pio del regno di Enrico IV, e del quale vedonsi ancora gli avanzi. Du- rante i torbidi del 16^2 questa città, con dispiacere degli abitanti sempre fedeli al re, fu ceduta al- l'esercito de'principi, e ben tosto fu assediata da quelli di Luigi XIV, il quale dopo sei settimane fu obbli- gato di levarne l'assedio, per anda- re incontro al duca di Lorena, che veniva in soccorso de'principi. In questa città Luigi VII il giovane, prima del suo viaggio per 1' orien- te, radunò il suo parlamento, la- sciando la reggenza del governo a Raoul conte del Vérmandese, ed a Suggero abbate di s. Dionisio. La città, che aveva prima il titolo di ba ronia, fu eretta in contea nel 1327 da Carlo IV, a favore di Carlo d'Evreux suo cugino, e quin- di da Francesco I in ducato a favo- re di Giovanni di Brosse di Bre-

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lagna, e d'Anna di Pessileu sua sposa. Enrico II li spogliò di tal ducato nel 1 553, onde rinvestirne Diana di Poitiers sua favorita ; ma Carlo IX, nel i562, lo restituì a Giovanni. Morto questi senza po- sterità, Enrico 111 nel i5j6 negra- tifico il duca Giovanni Casimiro, che, avendolo tosto rinunziato, lo diede alla duchessa di Montpen- sier, e quindi donollo a Marghe- rita di Valois, sua sorella, regina di Navarro. Questa lo cedette qual- che anno dopo a Gabriella di Es- trées, duchessa di Bea ufo rt, che lasciollo a Cesare di Vendotue, fi- glio naturale di Enrico IV.

Concili di Etampes.

Il primo fu adunato nel 1048 da Gerdoino arcivescovo di Sens, come si legge nelle vite degli arci- vescovi di quella città.

Il secondo celebrossi nell'anno 1091 o 1092, in cui Richerio ar- civescovo di Sens, ci volle deporre Ivone od Yves di Chartres, ordinato da Urbano II, per istabilirvi Go- fredo, dicendo che Ivone erasi fat- to ordinare in Roma, il che per suo avviso tornava in pregiudizio dell'autorità reale, perchè erasi re- so reo di lesa maestà. Ma Ivone appellò al Papa, e arrestò così la procedura del concilio. Ivo, epist. 12; Labbé tomo X; ed Ardui- no tom. VI.

Il terzo fu tenuto nel 1099 so- pra la disciplina. Arduino tona. VI, ed Ivo, epist. Altri lo registra- no all'anno 11 12, e dicono che vi si fecero degli statuti sulla riforma de' costumi.

Il quarto fu concilio nazionale, celebrato nel 1 1 3o per cura di Lui- gi VI il Grosso, re di Francia, in

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occasione dello scisma dell'antipapa Anacleto II, contro il legittimo In- nocenzo II. Questo principe vi fe- ce esaminare quale dei due fosse stato canonicamente eletto. S. Ber- nardo v'intervenne ad istanza del re e dei principali vescovi, ma trepidante a cagione della grave disputa. Dopo il digiuno e le pre- ghiere, il re, i vescovi e i signori convennero tutti di comun consen- so, di riportarsi all'abbate Bernar- do, e di stare al parer suo. Allo- ra s. Bernardo, dopo aver accetta- ta la commissione, e dopo aver ester- nato il suo gran timore ed umiltà in interloquire in grave affare, con attenzione scrupolosa, esaminò la forma dell'elezione, il merito degli elettori, la vita e la riputazione di quegli che il primo era stato elet- to, cioè Gregorio cardinal di s. An- gelo, chiamato Innocenzo lì, e di- chiarò eh' esso era quello che do- vevasi riconoscere per Papa, e tutta l'assemblea applaudì ; quindi s. Ber- nardo intraprese penosi viaggi per fare riconoscere Innocenzo II, e vi riuscì. Labbé tom. X ; Arduino t. VI ; Diz. dei Concili.

Il quinto ebbe luogo nel 1 1 47, sotto il pontificato di Eugenio II I, ed il regno di Luigi VII, e fu deter- minata la crociata di Palestina. Lab- bé tom. X, ed Arduino tom. VI.

ETELBERTO (s.). Sino dai te- neri suoi anni mostrò Etelberto un tenero amore verso Iddio, con- secrando alla religione tutti i mo- menti, nei quali dallo studio non era occupato. Successo nel regno dell'Anglia orientale ad Etelredo suo padre, con molta saviezza e pietà governò egli i suoi popoli pel corso di anni quarantaquattro. Quando si determinò di condur moglie per dar successione alla co-

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rona, e gettò gli occhi sopra la principessa Alfreda, figlia di Offa re di Mereia, giovine dotata di specchiate virtù. Si recò a tal fine Etelberto presso Offa, e conchiuse di celebrarvi le nozze. La regina Quendreda non contenta di un tal matrimonio, perchè vagheggiava di unire a' suoi stati il regno di Mereia, col mezzo di un suo fido uffiziale fece assassinare Etelberto, ed il buon principe restò vittima del tradimento nell'anno 793. Fu segretamente seppellito a Marden, ma il Signore coi miracoli volle glorificare il suo corpo, e questo disotterrato , fu trasferito in un magnifico tempio a Hereford. La sua festa è assegnata il giorno 20 maggio.

ETELBERTO (s.) . Pronipote Etelberto di Engisto, capo degli anglo-sassoni, nell'anno 56o salì sul trono di Rent, e sposò Berta, figlia unica di Cariberto re di Pa- rigi. Educato e cresciuto nell' ido- latria, lasciò però che la princi- pessa sua sposa seguisse liberamente la religione cattolica, ed il santo ve- scovo Letardo adoperavasi a tutto potere per sempre più assodarla nelle cristiane virtù. La divina mi- sericordia, che volea salvo Etel- berto, dell' esempio della sposa si valse per illuminarlo ad abbando- nare il culto delle pagane divini- tà, e ad abbracciare il vangelo. S. Gregorio Magno facendo l'elo- gio della regina Berta la parago- na a s. Elena madre di Costanti- no. Divenuto Etelberto cristiano, parve un altro uomo, e per venti anni da che egli visse convertito, tutti furono essi da lui consegrati per vantaggio della religione. Col- le sante virtù dell' umiltà, della mortificazione, e con una assidua

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e fervida preghiera rintuzzò egli le passioni tutte contro il mondo ed il demonio. Abolì le pagane superstizioni, profuse in limosine a sovvenimento de' poveri, fondò la cattedrale di Kent, non che l'ab- bazia di s. Pietro e di s. Paolo. Affievolito dall'età e dalle indefesse sue cure sostenute per cinquanta- sei anni di regno, morì santamen- te l'anno 616, e fu seppellito nel- la chiesa dei ss. Pietro e Paolo. La sua festa dal martirologio romano è assegnata li 24 febbraio.

ETELBURGA (s.). Sorella del santo vescovo di Londra Ercon- waldo, e principessa anglo-sassone fu Etelburga. Consecratasi al Si- gnore fin dalla sua fanciullezza, si ritirò nel monistero di Barking , nel paese di Essex, e divenne po- scia badessa. Etelburga esercitò il suo incarico con somma cura, e- dificando coli' esempio le sue con- sorelle religiose. Di nulla altro cu- rante che di piacere al suo sposo celeste, continuamente anelava di congiungersi a lui, e giunta al ter- mine di sua vita, con santa gioia dolcemente spirò. Dopo la sua morte, alcuni segni visibili della divina possanza attestarono, eh' el- la era a godere la gloria de' bea- ti. La sua festa ricorre li 1 1 otto- bre.

ETELDRITA o ALFREDA (s). Nata Eteldrita o Alfreda da Of- fa re de' Merciani, anziché segui- re l'invito paterno, che la voleva impalmata ad Etelberto re degli est-angli, preferì piuttosto di con- sagrarsi al Signore. Per esattamen- te riuscire nel suo santo progetto, lasciata la reggia paterna, si recò in mezzo le paludi di Crowland nella contea di Lincoln, ed ivi rin- chiusa in una cella visse santamen-

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te pel corso di quaranta anni. Una secolo, in cui v'ebbero sede i vc-

assidua preghiera, accoppiata ad una scovi Troilo, Eutropio, Eudosio,

ricicla penitenza purificarono l'ani- Giovanni, e Pietro. Oriens Christ.

ma sua in modo da renderla de- torn. I, pag. 1004. gna di esser portata in cielo, il ETERODOSSO ( Heterodoxus ).

che avvenne l'anno 834- La sua Dicesi delle persone, e dei domini

festa è assegnata li 2 agosto. che sono contrari alla dottrina cat-

ETELWOLDO (s.). Da una il- tolica, ed è l'opposto di ortodosso. lustre famiglia di Winchester sor- Questo nome deriva dal greco, che ti Etelwoldo i natali. Sino dalla sua significa altro sentimento o opinio- giovinezza ardeva di un santo a- ne. L'eterodosso non vuole l'autorità more di Dio, ed intesa la buona della Chiesa, vuol essere giudice da fama, che di dava s. Dunstano stesso delle scritture, e rigetta in Glastenbury, si recò a lui, e la tradizione e le verità da Dio ri- dallo stesso ricevette l'abito mona- velate.

cale. Le orazioni, le lacrime ed il ETIOPIA. Nome che fu colmi- la voro erano le più gradite sue ne a diversi paesi dell'Africa e dei- occupazioni, e con tali mezzi seni- l'Asia, perchè i greci chiamarono pie più addentravasi nella perfe- Etiopi tutti i popoli che avevano /ione. Amava lo studio delle scien- la pelle nera o meticcia ; fu dato ze ecclesiastiche, e fu ben presto però più particolarmente ad una promosso a decano della sua comu- contrada dell'Africa, che gli antichi nità. Avanzando negli anni e sem- divisero in forme diverse. Seguen- pre più acquistando egli merito e do la divisione più comune con To- riputazione, fu innalzato al grado lomeo, viene divisa in tre parti, episcopale, e consecrato vescovo col nome di isola di Meroe, Etio- della sua patria. Con zelo indefes- pia sotto l'Egitto, e Etiopia interna, so sostenne egli la pastorale digni- Questa ultima comprendeva tutto- tà, sovvenendo con le limosine ai ciò che stava al sud del fiume jNì- bisogni de' poveri, istruendo colla ger, ed all'ovest meridionale della voce il suo popolo nella scienza Abissinia. L'Etiopia sotto l'Egitto della legge evangelica, e visitando corrisponde alla Nubia, all' Abissi- gli infermi, e confortandoli nei lo- nia, ed a questa Tolomeo assegna ro travagli. Dagli anni oppresso, e la Trogloditica degli antichi che cor- molto più dalle sue cure apostoli- risponde alla costa di Abesch. A che, venne al termine di sua vita, questa parte propriamente si diede e chiuse nel bacio del Signore i il nome d'India nell'antichità. Lo suoi occhi il di primo agosto del- stesso Tolomeo chiama Barbarla l'anno 984. La sua tomba fu ono- una provincia dell'Etiopia, che cor- rata di vari prodigi operati per risponde al Zanguebar, e di cui di lui intercessione, ed il giorno Rapta era la capitale. Chiama egli primo agosto è sacro alla sua me- Asania il moderno regno di Adel, moria. e situa una piazza marittima, chia-

ETENNA, ETHENA, *eu Tena. mata l'Hippodromo di Etiopia, ver-

Sede vescovile della prima Panfi- so il luogo della Guinea, ove sta

lia, nella diocesi d' Asia, sotto la Christiansborg. La Etiopia fu illu-

inetropoli di Sida, eretta nel quinto stre nell'antichità per la ricchez-

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za del suo commercio, che per la guerra che sostenne contro gli egi- ziani. Produceva oro, rame, ferro, ed altri minerali mancanti all'Egit- to, ma soprattutto il primo abbon- dantemente. Le pietre preziose era- no pure una delle ricchezze dell'E- tiopia, trovandovisi singolarmente molte miniere di smeraldi. Malgra- do tante dovizie, gli etiopi condu- cevano una vita trista, perchè abi- tavano un terreno ingrato, respi- ravano un'aria malsana, ed erano lontani dagli altri popoli. Questa nazione però fu assai possente, ed estese la sua dominazione sino alla Siria, ma Sesostri la soggiogò. Più modernamente sotto il generico no- me di Etiopia, s'intende l'Africa propriamente di mezzo, e si divide in alta e bassa. La prima com- prende la Nubia, l'Abissinia, e por- zione della Guinea ; la seconda i paesi situati al sud della linea. Per mare di Etiopia intendesi la parte dell'oceano atlantico presso l'equa- tore, e specialmente il golfo di Gui- nea. Altri dicono che l'Etiopia oc- cupava poco meno della metà del- l'Africa, dividendosi in alta e bas- sa; che l'alta ha il nome di Abissinia; che anticamente il suo impero era più esteso, ma dai turchi, dagli arabi, ed altri popoli vicini fu per tal modo diminuita, che in appresso appena restarono la metà de' suoi antichi possedimenti. Dell'Etiopia , di ciò che riguarda la sua storia civile, politica e religiosa se ne par- la anche agli articoli Abissinia , Egitto, ec. ec. (Vedi). In Parigi, nel i55g, l'Heliodoro pubblicò YHistoi- re Aethiopique, che fu tradotta in italiano da Leonardo Ghini, e stam- pata dal Giolito in Venezia nel »i56o. Abbiamo inoltre Chaldeae, seu Aethiopicae linguae institutio-

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nes, Romae i63o, di Vittorio Maria- no. Nella tipografia di Propaganda fide vi sono varie opere in idioma etiopico, come la dottrina cristiana del Cardinal Bellarmino, YAlphabe- tum Aethiopicuni, ec.

Nella dirai sagra dell'abbate Ter- zi di Lauria, a pag. 390 e seg., vi è la descrizione dell'Etiopia, e sue provincie. Egli dice, che il va- stissimo impero dell'alta e bassa Etiopia consisteva iti quaranta e più provincie, che enumera, o sie- no regni qua e dalla linea equi- noziale, abitati da cristiani scisma- tici, e da mori idolatri, divisi in molte lingue, sebbene nella scrittu- ra convengano in una, com'è tra noi la latina. Aggiunge che ubbi- divano gli etiopi ad un monarca da loro chiamato Hugus, e dagli europei Prete Gianni, voce corrotta dalla persiana Pedes Han, che se- condo lo Scaligero equivale a re apostolico. Di questo sovrano, che vantava discendere dal re Davide, pel suo figlio Salomone e la regi- na Saba, come dicemmo al citato articolo Abissinia, il Terzi ne de- scrive le forme, gli usi, le vesti- menta e le insegne, dicendo che un tempo ebbe settandue re tribu- tari. Indi descrive la bassa Etiopia colle sue provincie, non che la men- tovata celebre isola di Meroe, colle principali città, e la reggia della regina Candace; parla dei due ordini di s. Antonio d Etiopia, de' quali si tratta nel voi. II, pag. 226 e 227 del Dizionario ; e riporta la suc- cessione cronologica degl'imperato- ri d'Etiopia, dalla regina Saba a Faciladas persecutore de' cattolici , fiorito nell'anno 1660. Il Rinaldi, all'anno 3i, num. i3, ed all'anno 353 num. 27, dice che gli etiopi mangiavano le locuste ; che appiè-

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sero dagli ebrei la circoncisione ; clic i ciotti etiopi adoravano un Dio im- mortale cagione di tutte le cose, ed un altro mortale senza nome, pri- ma che l'eunuco della regina Can- dace (il medesimo Rinaldi dice che in Etiopia regnavano le donne con tal nome) si convertisse al cristia- nesimo, essendo egli il primo gen- tile che ricevette il battesimo. Si aggiunge che l'Etiopia, eccettuata l'Abissinia, o regno del gran Negus, non fu conosciuta dagli antichi ro- mani; e che fu principalmente sot- to l'impero di Costantino il gran- de, che questa parte d'Etiopia venne scoperta dai romani. Ora passeremo a dire compendiosamente , come s'introdusse la fede in Etiopia, non che della sua chiesa, de' suoi erro- ri e principali avvenimenti.

In due modi il vangelo si pro- pagò nell'Etiopia, il primo fu a mezzo dell' eunuco della regina Candace, o Giudich, della quale par- lano gli atti apostolici. Risiedeva essa in Cachsumo, città metropoli del regno di Goiam, ove istrutta de' divini oracoli , fondò un magni- fico tempio, diviso da cinque gran- di navi, in onore di Dio e di s. Maria di Sion. L'eunuco, dopo ave- re ricevuto il battesimo dall'aposto- lo s. Filippo, passò ad annunziar il vangelo nelle provincie littorali, nell'Arabia Felice, nell'Eritrea e nel- l'isola Tapobrana. Il secondo mez- zo si riconosce dall'apostolo s. Mat- teo, nel tempo istesso che s. Mattia lo portò nell'Etiopia inferiore, e s. Tommaso ai parti, medi, battìi, ircani, magi, ed altri popoli dell'In- die. Di altro efficace mezzo si servì Dio per illuminare questi popoli, e fu che un tal Meropio filosofo di Tiro, ad esempio di Menodoro, in- traprese il viaggio delle Indie con

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due fanciulli suoi congiunti , uno chiamato Edesio, Tallio Fruuienzio, istruiti di parecchi linguaggi : ciò avvenne negli ultimi anni dell'im- pero di Costanzo e Massimiano ne'primi del quarto secolo. Ma ri- bellatisi gli etiopi ai romani, Me- ropio venne ucciso, ed i fanciulli furono presentati al re, che aven- doli presi ad amare, cresciuti di età conferì loro cariche onorevoli nella corte, ove si acquistarono tanto cre- dito, che alla morte del re fu lo- ro affidata la reggenza del regno, e la cura dell'erede del trono. Di- venuto questi maggiore di età, Ede- sio ritornò in Tiro, ove fu ordina- to sacerdote, e Frumenzio, giunto in Alessandria, ragguagliò dello sta- to dell'Etiopia il santo patriarca Atanasio da cui fu consagrato ve- scovo, e rimandato nelle Indie per la conversione degli etiopi, laonde penetrando nelP alta Etiopia quivi pure meravigliosamente propagò il cristianesimo, regnando allora Abrà. Tanto si legge nella Geografia sa- gra del p. Carlo di s. Paolo, e nel- YHistor. di Rufino lib. r, e. 9.

Frumenzio «/chierici che s. Ata- nasio gli avea dati, stabilì la sede sua in Ausuma, o Axwn (Fedi), ch'era già la metropoli civile di questo regno, e al dire di Com- inan ville questa capitale del regno del Tigre, nel IV secolo divenne sede vescovi les e nel VII patriarcato ma senza suffragane*!, per cui av- venne sovente, che in questo paese non vi fu alcun vescovo, ma sol- tanto alcuni preti, particolarmen- te dopo che il patriarca di Ales- sandria cessò di mandarvene, come molte volte successe. In fatti dopo quel tempo non vi furono altri ve- scovi che quelli mandati dal patriarca alessandrino, e neWOriens Christt

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lom. II, pag. 6^1 e seg., si ha la serie e le notizie di quaran- ta metropolitani di Etiopia. Va qui notato, che gli etiopi non pensano a scegliere un patriarca tra i loro dottori, dice il cinquantesimo secon- do canone arabico, perchè il loro patriarca è sotto la dipendenza di quello d'Alessandria, e perchè spet- ta a lui il nominare ed ordinare il loro Cattolico (Fedi) che gli è inferiore, e perchè non ha alcun diritto di stabilire dei metropolita- ni come il patriarca. Ne ha però gli onori, non già il potere. Que- sto cattolico è dunque il patriarca degli etiopi, ma non è se non co- me vicario del patriarca d'Alessan- dria. Gli fu ingiunta ancora altra regola da osservare, cioè di non poter ordinare più di sette vescovi in tutta la sua dipendenza. 11 Re- naudot, de Alex, patriarchi num. 1 08, dice che gli etiopi vollero ob- bligare il loro metropolitano, men- tre era patriarca di Alessandria Gabriele Jarik, ad ordinare più di sette vescovi; lo che egli rifiutò co- stantemente, perchè sarebbe stato contro l'antico costume, e contro la legge che lo proibisce, per ti- more che se vi fossero nella chie- sa d'Etiopia dodici vescovi, nume- rò che gli orientali richieggono per ordinare un patriarca, non iscuotes- sero il giogo della Chiesa alessan- drina, e non eleggessero un patriar- ca. Da ciò ne provenne che gli etio- pi hanno conservato sempre lo stes- so credito e rispetto pel patriar- ca alessandrino che li mandava e che li ordinava; ed è perchè la sede d'Alessandria, rimasta poscia vacante circa ottanta anni, non es- sendo quindi occupata che da un patriarca giacobita , questi popoli si avvezzarono a ricusale la fede

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del concilio di Calcedonia, e poscia fecero lo scisma colla Chiesa ro- mana. Perciò che concerne la di- gnità di questo metropolitano, Io stesso canone arabico citato, porta, che se avviene che si riunisca un concilio sulle terre dell'impero ro- mano, il patriarca o cattolico di Etiopia, avrà l'ottavo rango nell'as- semblea, dopo il cattolico di Per- sia e delle Indie.

Ritornando ai progressi della fe- de in Etiopia, essi non mai si a- vanzarono senza opposizioni. Nei primi anni del sesto secolo, regnan- do Elesbaana, chiamato anche Cha- leb, principe di eminente pietà, e residente in Axum , avvenue che un giudeo, chiamato Dunaan , di somma autorità, nella città di Na- gran fece morire il santo Areta con trecento quaranta cristiani, ed incrudelendo cogli altri, l'impera- tore Giustino I con alto risenti- mento, e col mezzo di Asterio pa- triarca d'Alessandria, ne scrisse ad Elesbaana, il quale con poderose forze uccise in battaglia il tiran- no; quindi rinunziando al regno, inviò il suo diadema al santo sepolcro, e ritirassi a vita contem- plativa nel monistero di Ascuma, sotto la regola di s. Basilio, ove poi fu sepolto. In quanto all'in- troduzione della vita monastica in Etiopia, alla moltiplicità de' moni- steri, ed al copioso numero di mo- naci, vuoisi promossa dai monaci della Tebaide e dell' Egitto. Di molti monisteri fa menzione il Ter- zi a pag. 3cp, come delle vesti usa- te da' monaci , e dello scopo dei loro istituti ; così parla dell' eresia introdottasi anche tra essi, seguaci degli errori di Eutiche e di Dio- scoro, dappoiché l'eresia eutichiana, che separò dall' unità cattolica la

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Chiesa alessandrina, perverti anche l'Etiopia e 1' Abissinia che, come dicemmo, faceva parte di quel pa- ti sforato. questo impero va- sto, benché circondato da popoli barbari quasi per ogni parte, gli abitanti furono sempre benigna- mente riguardati dalla pietà del- l'Altissimo , che così nel vecchio come nel uuovo Testamento diffuse sopra di essi bellissimi raggi della vera e santa religione ; ma invol- to poi nelle tenebre dell' eresia, e privo delle necessarie assistenze di chi gliele sradicasse, non conservò la purità della fede, della quale seb- beue più volte si mostrassero de- siderosi, e più volte ancora fosse dai romani Pontefici usata ogni cura e diligenza per ritornarvela, non se ne ritrasse mai che poco e brevissimo frutto.

1 principali errori de' popoli di Etiopia intorno alla religione, sono la circoncisione, la purificazione, la sautificazione de' sabbati, il digiu- no fino alla sera, 1 astenersi dalla carne porcina, leprina, soffocata, e da pesce che non abbia squame, la poligamia, che però non si os- serva generalmente, ed il ripudio. Gli etiopi negano il purgatorio , credono che lo Spirito Santo pro- ceda solo dal Padre, e che l'uma- na natura di Cristo sia eguale alla divina. Non ammettono in Cristo che una volontà, rinnovano il bat- tesimo, e dicono che le anime dei giusti non godono Dio prima della fine del mondo ; non costumano il viatico, reputano superfluo il confes- sare il numero e qualità de' peccati, e credono che l'anime si cavino dalla materia, e non si creino. Riprova- no pure il concilio Calcedonese per aver condannato il patriarca a- lcssundrino Dioscoro , e negano il

ETI primate della Chiesa apostolica ro- mana. Amministrando il battesimo segnano qualche parte del volto con un ferro rovente. Qui ram- menteremo che molle regioni del- l' Asia e dell' Africa portarono il nome di Etiopia, laonde non si può precisare le contrade in cui successivamente venne sparso il cri- stianesimo. Al dire del Bergier si tiene per certo che gli abitanti del- la Nubia, eh' è la parte dell'Etio- pia più vicina all'Egitto, sieno stali convertiti alla fede da s. Matteo , che il cristianesimo si sia conser- vato fra essi sino verso ranno 1 5oo, e che dopo quel tempo sieno di- velluti maomettani per mancanza di pastori che gì' istruissero. Quan- to ai popoli dell'alta Etiopia, che si chiamavano Axuniiti, e eh' ora si chiamano Abissini, si sa che fu- rouo convertiti al cristianesimo da s. Frumenzio, stato loro dato per vescovo da s. Atanasio patriarca d'Alessandria verso l'anno 329, e che l'arianesimo non fece alcun progresso fra essi. Sempre soggetti al patriarca alessandrino , conser- varono la fede pura sino al terzo secolo, nei qual tempo furono tra- scinati nello scisma di Dioscoro, e negli errori di Eutiche, o de' Gia- cobili (Vedi\. Essi vi perseverarono perchè non ebbero altri vescovi, se non quello che sempre loro fu spe- dito dai patriarchi copti di Ales- sandria successori di Dioscoro. Cre- demmo opportuno questa specie di riepilogo ed opinione del Bergier per salvare possibilmente le tante su questo argomento.

Il primo romano Pontefice che si adoperasse a distorre gli etio- pi od abissini dai loro errori, fu Alessandro III, Bandinelli, e n'eb- be occasione da un tal maestro Fi-

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lippo, che portatosi in quelle par- ti, e veduto che vi si professava la religione cristiana, benché discor- dante in molte cose dalla romana Chiesa, risvegliò nel re di que' po- poli , detto volgarmente il Prete Gianni, un desiderio di conoscere la verità. Questo principe volle per- ciò spedire ai Papa Filippo, che il trovò in Venezia per la pace con- chiusa a mediazione del doge Zia- ni coli' imperatore Federico I. Al- lora Alessandro III, a' 27 settem- bre 1177, gli scrisse una lettera, nella quale paternamente gli di- chiarò la consolazione provata in sentire che il re ed i magnati del reame bramavano di essere istrui- ti ne' misteri della vera fede, sug- gellandola col pontificio sigillo , e consegnandola a Filippo. Nel for- molario il Papa a consolazione del re lo trattò come sovrano cattoli- co, usando quella di Carissimo fi- glio in Cristo, salute ed apostoli- ca benedizione. Siccome il principe aveva richiesto ad Alessandro III una chiesa in Roma per la nazio- ne etiopica, ed altra in Gerusalem- me affine d' istruire nelle discipline cattoliche gli etiopi che vi avrebbe inviati , quindi si apprende a detto anno dal Baronio, che Alessandro III die la Chiesa e monistero di s. Stefano deJ Mori ( Fedi), dietro la basilica vaticana, alla nazione etiopica. Non si riconoscono i ri- sultati di siffatte relazioni. Certo è che Papa Innocenzo IV del 1243 destinò i religiosi dell'Ordine dei predicatori per missionari agli etio- pi ed abissini, ed i successori di lui scrissero premurose lettere ai prin- cipi dell'Etiopia, cioè Alessandro IV del 1254, il quale per ottenere anche 1' unione co' greci aveagli permesso ommeltere la parola Fi Ho-

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que nel simbolo della fede ; Urba- no IV del 1261, Clemente IV del 1265, Innocenzo V del 1276, e Nicolò III del 1277, zelatore d'illu- minare pure i greci sui loro errori. Altrettanto pur fecero Nicolò IV del 1 288, Benedetto XI del i3o3, Clemente V del i3o5, e Giovan- ni XXII del 1 3 16. Quest'ultimo ad istanza di Carlo Roberto re d' Un- gheria approvò l'ordine di s. Paolo primo eremita della Tebaide, fiorito nel terzo secolo. Tutti in somma i nominati Pontefici furono solle- citi della salute spirituale degli etio- pi ed abissini. Il medesimo Giovanni XXII, scrivendo al re di Etiopia, si servì del titolo solito praticarsi co- gli infedeli, cioè : gratiam in prae- sentij quae producat gloriarli in fu- turo j meno sollecito della loro conversione fu il Pontefice Urbano V, che nel 1370 confermò i greci ed altre nazioni orientali neli' ubbi- dienza alla Chiesa romana.

Nell'anno i439 Eugenio IV ce- lebrò il concilio generale di Fi- renze, ed in esso pubblicò il de- creto dell' unione de' greci co' la- tini, alla presenza di quattro de- putati del re di Etiopia Zara Gia- cob. Intervenne pure al concilio Ni- codeino abbate degli abissini, il quale ammesso in quella sagra ed augusta assemblea , vi pronunziò una bella orazione , assicurando i padri, che tanto lui, quanto il mo- narca d'Etiopia altro ardentemen- te non bramavano , che 1' unione colla santa Sede. Fu dunque Eu- genio IV il primo Papa a tentare 1' unione de' copti, invitando amo- revolmente il loro patriarca Gio- vanni al concilio, al quale avea inviata la sua professione di ihi\^ a mezzo di Andrea abbate di s. Antonio nell' Egitto, come abbia-

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ino dal Labbé torri. XIII, ove ri- portasi la lettera del patriarca, il quale fra i titoli clie usa v' ha quello di Etiopia. Quindi Euge- nio IV nel i442 ebbe ^a paterna soddisfazione di riunire alla catto- lica Chiesa, ed alla sede apostoli- ca i giacobiti, a' quali diede per questo fine un istruttivo ed esem- plare decreto, non che gli etiopi col loro monarca Zara Giacob o Jacopo, volgarmente detto il Pre- te Gianni . 11 Rinaldi all' anno i44!> num. 2, 3 e 4> tratta del suddetto abbate Andrea ambascia- tore de' giacobiti di Egitto, del pa- triarca loro, e di Costantino im- peratore d' Etiopia , non che del suo compagno Pietro diacono ; par- la pure dell'ambasciatore di JNi- codeino abbate degli etiopi dimo- ranti in Gerusalemme, il quale am- basciatore, come Andrea, fece un'o- razione al concilio per l' unione delle due Chiese. All'anno i442> num. 2 e 8, dice della condanna delle eresie, che avevano contami- nato l'Etiopia, l'Egitto e la So- na , e altre analoghe notizie. Dipoi, e mentre la crescente eresia luterana poneva a soqquadro la religione cattolica in Germania, e lacerava l'animo di Clemente VII, David re degli etiopi negando ub- bidienza al patriarca di Alessan- dria, collegandosi prima con Em- manuele re di Portogallo, spedi al Papa per suo ambasciatore il por- toghese Francesco Alvarez, che trovando Clemente VII in Bolo- gna per coronare Carlo V, gli con- segnò due lettere del re, nelle quali lo riconosceva come capo del- la Chiesa universale, e lo pregava a sollecitare dai principi cristiani la sua difesa contro i turchi, al che il Pontefice rispose con espres-

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sioni benigne. Narra il Terzi nella Stria sagra, che l' imperatole Da- vid , volendo decorare la chiesa di Etiopia del suo primate, vi no- minò Giovanni Bermodez , e fu confermato con preminenza patriar- cale. Il citato Rinaldi, all'anno 1 533, num. 29 e 3o, riporta la sommis- sione degli etiopi alla Chiesa ro- mana, mediante pubbliche scrittu- re promulgate in pieno concistoro. Morto il re David, gli successe Claudio suo figlio, che vedendosi minacciato da' turchi, ricorse a Gio- vanni III re di Portogallo, il qua- le prima col Pontefice Paolo III, e poi con Giulio III, e con s. Igna- zio fondatore della compagnia di Gesù, incominoiò a trattare di man- dar nell' Etiopia dodici gesuiti , e di costituirne uno patriarca del- l'Etiopia, e due altri in coadiutori con futura successione. Giulio III fece pertanto patriarca il p. Gio- vanni Nugnez Bareto portoghese, di detta compagnia, per nomina del re Giovanni III, ed in coadiu- tori Andrea Oviedo, e Melchior- re Carnero. Non andò guari che Claudio mostrò la sua contrarietà, il patriarca non potè entrar in Etiopia, ed avendovi penetrato l'Oviedo fu bersaglio di persecuzioni, senza po- ter giovare alla religione. Al Nugnez successe sotto Gregorio XV, come diremo, il p. Alfonso Mendez, che poscia pel troppo suo zelo ne fu espulso. Claudio nel i55o; fu uc- ciso, ed il suo fratello Neva che salì al trono, si mostrò talmente nemico della Chiesa romana , che avendo fatto imprigionare l'Ovie- do, meditava di farlo uccidere ; ma essendo morto nel i562, gli suc- cesse il figlio Serezza Dengal , il quale benevolo coi cattolici, asse- gnò loro certi luoghi per vivere

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pacificamente ne' loro riti. Frattan- to terminandosi in Trento la ce- lebrazione del concilio generale, il Papa Pio IV con sue lettere esor- tò il re Serezza ad inviarvi amba- sciatori ; e bramoso di riunire i copti alla vera fede, perchè col lo- ro patriarca seguivano gli antichi errori, spedì a Gabriele patriarca XGV , il p. Cristoforo gesuita, ma senza fruito, sebbene si fosse di- mostrato desideroso di rinnovare 1' unione colla santa Sede. Il Pon- tefice s. Pio V scrisse al pio re Sebastiano di Portogallo , ed allo zio Cardinal Enrico, che poscia di- venne re, per interporsi col re de- gli etiopi ; ma vedendo la ripu- gnanza di quel principe e di quei popoli, comandò al patriarca Ovie- do di trasferirsi nel Giappone, ma non potendo uscire dall' Etiopia , dovette passare una vita misera- bile in Fremona nei regno di Ti- gre, ove successivamente morirono i suoi compagni. Gregorio X1IF , che successe a s. Pio V, zelante della propagazione del vangelo, con opportune esortazioni e grazie spi- rituali confortò il patriarca Ovie- do. Nel 1 597 mori in Etiopia il p. Lupi gesuita, e tentando i suoi confratelli di penetrarvi furono uc- cisi dai turchi , fatti padroni di molti porti del paese. Tutta volta nel i6o3 riuscì al p. Paes d' in- trodursi a Fremona , ove ammae- strò alcuni giovani portoghesi nel- le verità cattoliche, ciò che sapu- tosi dal re Zadanghel, volle inter- venire alle loro dispute, ed ascol- tar la messa nel rito romano, non che la predica, restando pieno di divozione per la santa Sede. Com- mise quindi al p. Paes, di scrive- re al Papa che gli mandasse un patriarca, ciò che fece egli stesso :

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ma r Abuna o metropolita, aven- do promossa la ribellione , il re venne ucciso.

Susneo ascese al trono , e per acquistarsi l'amicizia de' portoghesi, accarezzò i gesuiti, e richiamò a corte il Paes. Scrisse al Papa per aver missionari, mentre il fratello Zela pubblicamente professava il cattolicismo , seguito da molti etio- pi. Vedendosi poi dal re che i ge- suiti riuscirono vittoriosi nelle di- spute sulle due nature di Gesù Cri- sto, comandò con editto che ad esse dovesse credersi. Represse i monaci, gli ecclesiastici , e il me- tropolitano che perciò avevano co- spirato contro la sua vita ; indi ordinò l'osservanza del sabba to, ed allontanandosi dagli antichi errori, si confessò all' uso della Chiesa ro- mana, licenziò le concubine, e for- malmente dichiarò non riconoscere altra sede che la pontificia, e che al solo Papa ubbidiva. Queste cose saputesi a Roma, Gregorio XV che avea istituito per dilatare e pro- pagare la fede la congregazione di Propaganda , istituto che riconosce la sua infanzia da Gregorio XII l ( il quale avea data l' ispezione in ciò che risguardava l'Egitto e l'Etiopia a tre Cardinali), nel con- cistoro de' 19 dicembre 1622, creò patriarca di Etiopia il gesuita p. Alfonso Mendez, il quale fu corte- semente ricevuto dal re Susneo, che colla famiglia imperiale, e con tutto il regno giurò fedeltà al ro- mano Pontefice , e fece edificare una chiesa pel patriarca. In pro- gresso essendo insorti gravi tumulti, perchè i popoli amavano le anti- che abitudini, il re ebbe la debo- lezza di ripristinare lo scisma ales- sandrino, con dire che la Chiesa alessandrina era la stessa clie la

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romana, e perciò ognuno potesse conoscere per suo pastore quel pa- triarca. Tutti i grandi spiegarono la loro contrarietà ai gesuiti, e do- po la morte di Susneo gli euro- pei furono banditi dall' Etiopia, ed il Mendez fu l' ultimo patriarca che pose piede in queste regioni. Urbano Vili intese con dolore tali avvenimenti, come quello che avea ricevuto il solenne giuramento del- l'Etiopia, di ubbidienza alla roma- na Sede : però ebbe la consolazio- ne di ricevere una lettera di som- missione da Matteo patriarca dei copti. Aggiungiamo col Terzi, che successore al Mendez fu nominato il patriarca Apollinare d'Almeida, che vi fu trucidato nel i638, e che di poi il re di Portogallo Pie- tro II nominò primate il p. Luigi de Silva.

Riuscirono inutili le sollecitudi- ni di Innocenzo X in favore degli etiopi, ma sotto il successore Ales- sandro VII si concepì speranza di veder tornare all'ubbidienza del Pa- pa il patriarca alessandrino, per- chè gli avea scritto con venerazio- ne, e perchè a mezzo del p. Sa- lemme de'riformati avea emessa la professione di fede, avea confessa- ta l'unione delle due nature in Gesù Cristo realmente distinte in umana e divina, ed unite in una divina persona, e professata avea ubbidienza alla santa Sede. Ma la paura de'turchi, e la solita mali- zia ed incostanza degli etiopi, tolse questa allegrezza alla Chiesa. Mos- so a compassione degli etiopi In- nocenzo XII, donò per le missio- ni di tante anime abbandonate cinquanta mila scudi, laonde furo- no dichiarati missionari dell'Etio- pia i pp. riformati francescani di s. Pietro Montorio di Roma, ve-

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nendo nominato superiore della missione il suddetto p. Sa lem me, che dal Papa fu inviato nell'Egit- to con lettere apostoliche, e gene- rosi donativi pel patriarca, acciò si riunisse alla cattolica comunione. Le lettere e i doni furono a lui consegnati, ma egli si contentò ri- spondere, che nutrendo sentimen- ti di unità, non poteva effettuarli per le guerre che allora ardevano nell'Egitto, e per la disunione dei principali della nazione; laonde la congregazione di Propaganda fide, si limitò a mandar missionari al Cairo. Con apostolico zelo Clemen- te XI, oltre che sull'Egitto, prese sollecitudini stili' Etiopia, esortan- do il re Dodemannt, affinchè se- guendo l'esempio del genitore, che mostrava prima di morire propen- sione ad unirsi alla Chiesa ro- mana, professasse eguali sentimenti, e definitivamente effettuasse la bra- mata riconciliazione, al quale fine gli mandò il p. Giuseppe, minore riformato di s. Francesco, che cal- damente raccomandò all'arcivesco- vo di Etiopia, ed all'abbate gene- rale de'monaci di s. Antonio. Va- rie volte la santa Sede tentò in- viare in Etiopia i carmelitani, i cappuccini e i suddetti religiosi ; ma tutti furouo mal visti, venendo uccisi molti missionari dai turchi, ed anche dagli etiopi. Sono pur noti gli inutili sforzi fatti eziandio dai re di Portogallo, per ricondurre questi popoli alla fede della Chie- sa, essendo una delle principali difficoltà l'ignoranza de'medesimi. Le ultime notizie ecclesiastiche dell'Etiopia sono, che da circa un mezzo secolo nell'Abissinia non era entrato alcun missionario cattolico. Riuscì finalmente nel i838 al si- gnor Giuseppe Sapeto, prete della

ETR congregazione della missione, di penetrarvi accompagnalo dai dnc benemeriti cavalieri Abbadie, che colà viaggiavano per oggetto scien- tifico. Il missionario trovò delle buone disposizioni, ne gli fu mol- to difficile d'insinuare, e far gu- stare le massime più essenziali del caltolicismo. Quindi recandosi in Europa uno de' cav. Abbadie, gli furono affidati due abissini, e fra questi un monaco con la commissio- ne di presentare al regnante Pon- tefice Gregorio XVI gli omaggi di quel clero, al modo che dicemmo al citato articolo Abissini.*. Al Sa- peto vennero aggiunti due altri distinti missionari della medesima congregazione di s. Vincenzo di Paoli, vale a dire il signor De Jac( bis, già superiore della casa di Napoli , dichiarato prefetto della missione, ed il sig. Luigi Montuori. Arrivati al loro destino, il primo si stabilì in Adua, ed il secondo a Gondar città capitale dell' Abis* sinia; inoltre il signor Sapeto pns- fra i Gallas, per profittare delle buone disposizioni che que' popoli infedeli mostravano verso il cato- licismo. Della deputazione di etiopi spedita al medesimo Papa che re- gna dal signor del Tigre, ed accom- pagnata in Roma nel 1 84 1 dallo stesso signor De Jacobis, se ne trat- ta al volume XIII, pag. 4^ del Dizionario. Nel 1839 'a sag> a con- gregazione di Propaganda co' suoi tipi pubblicò una chiara e prezio- sa Istruzione sulla dottrina della Incarnazione per uso degli abissini t dietro le traccie che su questo cat- tolico domina voleva compilare monsignor Lercari, onde agevolare ad essi, ai copti ed agli etiopi il ritorno alla Chiesa cattolica.

ETREES Cesare, Cardina le. Ce-

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sare Etrees, o d'Estrees, nacque nel 16*27, ^i nobilissima famiglia dedu- cili di questo nome, in Parigi. De- dicatosi nella tenera età allo stato ecclesiastico, ebbe dal re di Fran- cia l' abbazia di s. Germano, e nel i655 il vescovato di Laon nella Piccardia e l'abbazia di Staffardn. Nel 1660 raccoltasi l'assemblea del clero, egli compose gli animi divi- si per insorte quistioni col nunzio pontificio, e conchiuse la pace. Il re cristianissimo in seguito a tanto merito, gli conferì altre insigni ab- bazie e lo creò commendatore del- l'ordine dello Spirito Santo. Cle- mente X nel 1671, a'24 agosto, lo assunse alla dignità di Cardinale per le istanze del re di Francia, e della vedova regina di Portogal- lo di cui era stretto parente^ e gli assegnò il titolo della santissi- ma Trinità nel Montepincio; ol- tre a ciò lo costituì ancora pro- tettore e ministro del Portogallo presso la santa Sede. Nel pon- tificato d'Innocenzo XI, l'anno 1 68 r , si trasferì di nuovo in Parigi per finire molte controversie eccitatesi per le regalie tra il Papa e Lui- gi XIV. Eletto Clemente XI, sta- bilì la sua dimora in Roma, e gio- vò assai il Papa nel trattare rile- vantissimi affari colla repubblica veneta e con altri principi d'Italia, del pari che nelle dissenzioni di bel nuovo insorte nel clero di Francia. Dopo la morte del di lui fratello ambasciatore di Francia presso la santa Sede, fu surrogato in qnell'uf- zio, e destinato insieme a seguire Filippo V re di Spagna e disporre gì' interessi di quel vasto dominio. Nel i665 celebrò le nozze di Ma- ria di Nemours, sua nipote, col du- ca di Savoja Carlo Emanuele ; e nell'anno seguente quelle di Maria

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Francesca Elisal>elta, altra nipote, con Alfonso re di Portogallo. Di- messo il suo primo titolo, fu tra- sferito da Innocenzo XII al vesco- vato di Albano. Ivi assegnò la cu- ra del seminario a' religiosi delle scuole pie, e molto operò al bene spirituale di quella diocesi. Versa- to, com'era, nelle scienze e nelle lettere, dolce e gentile del tratto, lepido assai nel conversare, veniva da tutti amato e molto venerato; cosicché la sua morte, accaduta in Parigi nel 1 7 1 4^ produsse molto duolo nell'animo di ciascheduno. Ebbe la tomba nella chiesa di s. Germano ed una prolissa iscrizione.

EUBERTO (s.). Fu compagno Euherto nelle evangeliche fatiche di s. Piatone apostolo di Tournay. Nel terminar del terzo secolo sof- ferse varie torture, e finalmente fu martirizzato. Le virtù da lui pra- ticate, ed il martirio sostenuto gli procurarono nelle Fiandre un ce- lebre culto. Con molta venerazio- ne si conservano a Lilla le sue re- liquie. Nel martirologio romano viene assegnata la di lui festa il primo febbraio.

EUBOLO (s.), martire di Pale- stina. Nel settimo anno della per- secuzione di Diocleziano, Eubolo partito da Mangane per recarsi a Cesarea, onde visitare i confessori del vangelo, venne alle porte del- la città interrogato quale fosse l'og- getto che il conduceva. Non esitò «gli punto a dichiararlo, e tosto dal governatore fu ordinato che fosse straziato il suo corpo con un- ghie di ferro, e condannato per ultimo alle fiere. Sostenne egli con invitto coraggio il martirio il 5 marzo dell'anno 309, ed in tal giorno si ricorda la sua festa. EUC ARISTI A ( Eucharislia ) .

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Sagramcnto o mistero della nuova legge, in cui Cesò Cristo fece ri- splendere con tanta magnificenza la sua divina sapienza, la sua su- blime possanza, e la sua adorabi- le carità. La santa eucaristia è il più grande miracolo dell' onnipo- tenza divina; perocché essa è la conlinuazione del mistero ineffàbi- le della sua incarnazione,, e della sua dimora tra noi. E un mistero che le creature non avrebbero mai riguardato come possibile, median- te la divina rivelazione, se veduto non lo avessero ad elfettuarsi. Ma è insieme un mistero tanto più degno di un Dio infinito in tutto ciò ch'egli è, quanto esso supera infinitamente le intelligenze create, le più sublimi in iscienza e lu- mi, siccome esprimono i teologi. La santissima eucaristia è un sa- grifizio e un sagramento in cui Gesù Cristo esaurisce tutto il suo amore per gli uomini. Gesù Cri- sto istituì la santa eucaristia, per rendere perenne la memoria del cruento sacrifizio da esso offerto una volta sul Calvario, e perchè ella ne fosse un sagrifizio memo- rativo, benché sia insieme un sa- grifizio reale, incruento, od una rinnovazione del sagrifizio della croce, senza spargimento di san- gue, affine di rendere permanente e continua l'applicazione de' suoi frutti. Egli lo ha stabilito come un sagramento, od un segno sa- gro di sua presenza, nascosta sot- to veli misteriosi, ai quali si il nome di specie o di accidenti, benché il contengano realmente ; dappoiché egli vi è in modo in- visibile ed inaccessibile ai nostri sensi, onde adattarsi alla debolez- za nostra.

A cagione, e per rispetto e ve-

EUC Iterazione di questo sublime argo- mento, ci limiteremo a qui riu- nire le principali erudizioni che lo riguardano, anche nel riflesso che in molti articoli del Diziona- rio si tratta della ss. eucaristia, come Messa, Ostia, Vino, Sangue prezioso di Gesù Cristo, ec ec. Della celebrazione della sua festa può vedere il voi. IX, pag. 44 e seg. ; della consacrazione della ss. Eucaristia, se ne tratta al voi. XVI, pag. 3o4 e seg. ; de' luoghi ove custodivasi, ed al presente si custodisce, oltre all' articolo Cibo- rio, possono leggersi Pisside, Ta- bernacolo, Calice ec, e principal- mente all'articolo Comunione sono molte nozioni sulla ss. eucaristia, giacche trattammo al § I. Comu- nione eucaristica, o sacramentale. § II. Comunione sotto le due spe- cie. § III. Comunione Pasquale. § IV. Comunione de3 fanciulli. § V. Comunione degli infermi . § VI. Principali disposizioni alla Comunione, e della Comunione frequente, § VII. Delle cerimonie ed usi antichi della Comunione. Da questo breve riepilogo si com- prenderà di leggieri, come molti interessanti punti sulla ss. eucari- stia, già furono trattati ne' luoghi citati.

§ I. Nomi, definizione, figure, e verità dell' eucaristia, e presen- za reale in essa di Gesù Cri" sto; decreti de3 concili su questo sagramento.

Il sagramento augusto dell'eu- caristia ha varie denominazioni . i.° Chiamasi Eucaristia con voce greca, che significa azione ó ren- dimento di grazie, a buona gra- zia : dicesi rendimento di grazie,

\OL. XXII.

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perchè Gesù Cristo rese grazie a Dio istituendolo. Leggiamo nei vangeli, che Gesù Cristo nella vi- gilia della sua morte, corrispon- dente al giovedì santo, fatta la cena co' suoi apostoli, prese del pane e del vino, rese grazie a suo Pa- dre, benedisse il pane, lo spezzò, distribuillo ai suoi apostoli, loro dicendo: prendete, mangiate, que- sto e il mio corpo ; di poi diede loro il calice del vino, e loro dis- se: bevetene tutti, questo e il mio sangue ec, fate questo in memo- ria di me, laonde dicesi grata me- moria. L'eucaristia è il principale mezzo con cui noi cristiani rendia- mo grazie a Gesù Cristo del se- gnalato benefizio della redenzione. Dicesi buona grazia, perchè contie- ne realmente Gesù Cristo, sorgen- te di tutte le grazie. 2.0 Si chia- ma Eulogia o benedizione (Vedi) perchè Gesù Cristo impiegò la be- nedizione istituendolo, e perchè i sacerdoti della nuova legge la u- sano ancora consagrandolo. 3.° Si chiama il Santo de Santi, il corpo 6 il sangue di Gesù Cristo, perchè rinchiude e l'uno e 1' altro. Chiamasi Pane (Vedi) a motivo della sua materia ; e frazione del pane per la maniera colla quale si distribuisce. 5.° Chiamasi co- munione, comunicazione, sinossi, tanto perchè ricevendo noi questo sagramento ci comunichiamo con Gesù Cristo, e con i fedeli, quan- to perchè per riceverlo si usa di riunirsi in uno stesso luogo. Dice il Macri che chiamasi Synaxis, in significato di assemblea o radunan- za, perchè i fedeli si congregavano nei primi secoli nelle case private per ricevere l'eucaristia, nel tem- po delle persecuzioni, come adesso si fa nelle chiese. 1 greci sono io

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quelli che particolarmente appella- no Sinassi (Pedi); la celebrazione di questo mistero, e lo chiamano Euhgia, mentre le altre sette o- ricntali lo chiamano Anforas cioè oblazione. Il Piazza nel suo Menolo- gio aggiunge, che dicesi Comunione perchè in esso si comunica ai cri- stiani il corpo e il sangue del Re- dentore. 6." Chiamasi vita e salu- te perchè contiene Gesù Cristo , l'autore della vita spirituale delle nostre anime, e della nostra salu- te. 7.0 Chiamasi ftalico (fedi), perchè è un nutrimento che sostie- ne e fortifica i fedeli nel pellegri- naggio di questa vita, e soprat- tutto perchè si per provvisione nel passaggio pericoloso di questa all'altra vita. 8.° Si chiama Cena del Signore (fedi), perchè è un banchetto divino di Gesù Cristo colla Chiesa; perchè Gesù Cristo l'ha istituito la sera dopo la cena legale, e perchè è una commemo- razione dell' ultima cena di Gesù Cristo. 9.0 Si chiama Pasqua ( Ve- di), perchè fu istituito al tempo pasquale, e perchè contiene Gesù Cristo nostra vera pasqua, io.0 Chiamasi la tavola del Signore, perchè Gesù Cristo stava seduto a tavola allorquando lo istituì. 1 r.° Chiamasi Augustissimo Sagrameli- lo, ed il Sagramenlo del nuovo Testamento per eccellenza, e per i profondi misteri in esso racchiu- si. Di cesi Santo Sagramenlo, e presso i greci santi misteri, perchè questo è il più augusto dei segni stabiliti da Gesù Cristo per do- narci la grazia. 12.0 Dicesi Ostia, perchè si offerisce al Padre Eterno l'ostia viva dell'unigenito suo fi- gliuolo. i3.° Dicesi Sagrifizioj per- chè in esso si fa il vero ed incruen- to sagrifizio dell'Agnello immaco-

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lato. [4° Si chiama metalessi, vale a dire assunzione, perchè in certo qual modo c'innalza al di sopra di noi stessi, per unirci a Gesù Cristo; o partecipazione, per- chè ci fa partecipi della divinità; o transmutazione e transustanzia- zione, perchè il pane e il vino sono cambiati fisicamente nel cor- po e nel sangue di Gesù Cristo, e perchè i fedeli che lo ricevono sono cambiati e trasformati spiri- tualmente in lui. Dice il Macri che Eucharistia Hierarchica vie- ne chiamato il simbolo della fede da s. Dionisio; e che questo me- desimo vocabolo di Eucaristia ap- presso s. Cipriano significa qualsi- voglia sagramento.

I teologi definiscono l' eucaristia un sagramento della nuova legge, che contiene sotto le specie del pane e del vino, il corpo e il sangue di Gesù Cristo, per la refezione spi- rituale del cristiano, secondo l'isti- tuzione di Gesù Cristo stesso. È un articolo di fede che l'eucari- stia sia un sagramento, avendolo cosi definito il concilio generale lateranense IV, celebrato dal Pon- tefice Innocenzo III, nel capit. de summa Trinit., e nel concilio di Trento cap. 1 e 2. Dei decreti de' concili sulla eucaristia, ne par- leremo al termine di questo para- grafo. Quantunque poi l'eucaristia sia composta di due materie, le quali sono il pane ed il vino, e di due forme, l'ima per la consa- grazione del pane e l'altra per quella del calice o del vino, non è però che un solo sagramento, per- chè forma un solo convito, e per- chè la moltiplicità di materie e di forme non basta nella nuova leg- ge, onde ne risulti una moltiplici- tà di sagramenti . Sulle figure

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dell' eucaristia, i teologi ne distin- guono quattro. Le prime spettano alla sua materia, cioè al pane ed al vino: e tali erano il pane ed il vino che Melchisedech offrì in sagrifìzio; i pani di proposizio- ne; quelli delle primizie; il pa- ne cotto sotto la cenere, che man- giò il profeta Elia. Le seconde fi- gure spettano al corpo ed al san- gue di Gesù Cristo: e tali erano tutti i sacrifizi antichi. La terza specie di figure rappresentava l'ef- fetto dell'eucaristia: tale era l'al- bero della vita, e la manna. La quarta specie di figure rappresen- tava 1' eucaristia tutta intiera : tale era la pasqua, o 1' agnello pasquale degli ebrei, che Gesù Cristo man- giò la vigilia della sua morte co- gli altri ebrei, siccome può veder- si all'articolo Pasqua. Sulla verità dell' eucaristia poi, o presenza rea- le di Gesù Cristo in questo sa- gramento, due specie d'eretici in- sorsero. Gli uni l'hanno combat- tuta indirettamente, e sono quel- li, i quali hanno negato che Ge- sù Cristo abbia avuto un vero corpo : tali sono stali i discepoli di Simone, di Menandro, di Ma- nete ec. Gli altri hanno negato direttamente la presenza reale : e questi sono stati Giovanni Scoto Erigene , Berengario , Pietro di Bruis, i gnostici, i montanisti, i priscillanisti, gli artoriti, i giaco- bini, gli ebioniti, gli encratiti , i pepuziani, i collirio1 ia ni , i catari , gli albigesi, i viclefisti, i valdesi, i cariciani, i pauliciani, i calvini- sti, i sociniani ec, come si può vedere a' loro articoli. I luterani poi ammettono la presenza reale, ma negano la transustanziazione, e vogliono la impanazione, cioè la coe- sistenza del corpo di G. C. col pane.

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Gesù Cristo può essere presen- te in tre maniere Dell' eucaristia : i.° per impanazione, ch'è l'unione ipostatica del Verbo divino col pa- ne; 2.° per consustanziazione, ch'è la presenza locale del corpo di Ge- sù Cristo col pane, di modo che sussistono ambedue, senza alcun cambiamento di sostanza, nel me- desimo sagramento; 3.° per tran- sustanziazione, ch'è il cambiamento fisico della sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo ; ed è così che il di- vino Salvatore è presente realmen- te nella santa eucaristia. Seguono alcuni de'principali canoni e de- creti de'concili sull'eucaristia.

« Non si conserverà il eorpo di » Nostro Signore più di otto gior- » ni : sarà portato agli infer- » mi che da un sacerdote o da un diacono ". Concilio di Lon- dra an. 1 1 38, can. i.

t* Non si darà l'eucaristia tern- » piata, sotto pretesto di rende- » re più completa la comunione". Id. il 75, can. 16. 11 che prova, che fin d'allora l'uso più comune era di non comunicare che sotto le specie del pane.

« Non si consacrerà la ss. euca- » ristia, che in un calice di oro » e di argento, e non di stagno ". Id. can. 17.

« Non si porrà il corpo del Si- » gnore senza lumi, croce e ac- » qua benedetta, e senza che vi « sia un prete presente, fuori del » caso di estrema necessità ". Con- dì, di Roano an. 1190, e. 3. Lo stesso canone del concilio di Yorck, an. 1 195, can. 1.

Canoni di dottrina. « Nel sa- « grifizio dell'eucaristia, Gesù Cri- » sto è egli stesso il sacerdote e » la vittima. Il suo corpo e il suo

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••> lancile sono veramente conte- n nuli nel sagramento dell' aitine. » Il pane essendo transostanziato » nel corpo, e il vino nel sangue » per onnipotenza divina; e que- » sto sacramento non può essere » fitto che dal sacerdote ordina- » lo legittimamente , in virtù del »* potere della Chiesa, accordato da »» Gesù Cristo agli apostoli e a'ioro » successori". IV concil. gen. La- ter, an. i2t 3, e. i.

« Se alcuno negherà, che il cor- >* del Nostro Signore Gesù Cri- »> sto, coll'anima e colla divinità, » e per conseguenza Gesù Cri- » sto tutto intero, non sia conte- » mito veramente, e realmente, e » sostanzialmente nel sagra mento » della ss. eucaristia; ma dirà che » vi sia solamente come in un » segno, oppur in figura e in vir- »> tu, sia anatema ". Concil. di Trento, sess. i3, can. i.

« Se alcuno dirà, ehc la so; » stanza del pane e del vino ri- ti mane nel ss. sagramento del- « l'eucaristia, insieme col corpo e « sangue del Nostro Signore Ge- » su Cristo, e negherà questa con- » versione ammirabile e singola- » re di tutta la sostanza del pane » nel corpo, e di tutta la sostan- » za del vino nel sangue di Gc « su Cristo, non restando sola- » mente che la specie del pane e m del vino, la qua! conversione è » chiamala dalla Chiesa cattolica « coi nome proprissimo di transu- « stanziazione, sia anatema ".Can. 2.

« Se alcuno negherà , che nel » venerabile sagramento dell' euca- » ristia, Gesù Cristo tutto intero « sia contenuto sotto ciascuna spe- » eie, e sotto ogni parte di cia- » scuna specie dopo la separazio- » ne, sia anatema". Can. 3.

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« Se alcuno dirà, che dopo l'al- ti la consa grazi one, il corpo e sangue del Nostro Signore Gesù Cristo non è nell'ammi- rabile sagramento della eucari- stia, ma che v'è solamente nel- l'uso, mentre si riceve, e non prima dopo; e che nell' ostie o particole consagrate, che si conservano, o che restano dopo la comunione , non rimane il vero corpo di Nostro Signore, sia anatema ". Can. 5. » Se alcuno dirà, che il frutto principale della ss. eucaristia è la remissione de'peccati, o che ella non produce altri effetti, sia anatema ". Can. 5. « Se alcuno dirà, che Gesù Cri- sto, figliuolo unico di Dio, non deve essere adorato nel sagra- mento dell'eucaristia con culto di latria, nemmeno esteriore; e che per conseguenza non biso- gna nemmeno onorarlo con una festa solenne e particolare, portarlo con pompa e con ap- parato nelle processioni, secon- do il lodevole costume e l' uso universale della santa Chiesa, o che non bisogna esporlo pub- blicamente al popolo per essere adorato, e che quelli che lo a- tlorano sono idolatri, sia anate- ma ". Can. 6.

« Se alcuno dirà, che non è permesso conservare l'eucaristia in un vaso sacro, ma che su- bito dopo la consacrazione bi- sogna necessariamente distribuir- la agli astanti, o che non è permesso di portarla con onore e rispetto agl'infermi, sia ana- tema ". Can. 7. « Se alcuno dirà , che Gesù Cristo presentato nell'eucaristia, è mangiato soltanto spiritualmen-

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» le, e non così sagrnmentalmen- » te e realmente, sia anatema". Can. 8.

« Se aldino negherà, che ogni » e ciascuno de'fedeli cristiani del- » l'uno e dell'altro sesso, essendo » giunti all'età della discrezione, » sieno obbligati a comunicarsi » ogni anno, almeno da Pasqua, »■ secondo il comandamento della » nostra santa madre la Chiesa, 6 sia anatema ". Can. 9.

« Se alcuno dirà, che non è » permesso a un sacerdote cele- ' beante di comunicarsi da sé, » sia anatema ". Can. io.

« Se alcuno dirà, che la «ola » fede è una preparazione baste- « vole per ricevere la ss. eucari- >■ stia, sia anatema ". Can. ti.

«.- E per impedire, che un tati- *s to sacramento non sia ricevuto » indegnamente, e in conseguenza » a condannagione, il concilio or- » dina e dichiara, che quelli che

* si sentono la coscienza aggrava- ta da qualche peccato mortale,

' per quanto si credano contriti,

* sono necessariamente obbligati, » se possono avere un confessore, » di far precedere la confessione » sagrarnentale; e se alcuno aves- •> se la temerità d'insegnare o di

* sostenere il contrario in pubbli- » ca disputa, sia da quel punto » scomunicato ". Can. 12.

§ II. Materia, forma , proprietà, necessità, effetti, e disposizioni per la ss. eucaristia.

La materia necessaria dell'euca- ristia, senza la quale non si può consacrare validamente, è il pane di frumento, ed il vino di vite. Era pane di frumento, e vino di vile, che Gesù Cristo consagrò, e

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che comandò agli apostoli. Perchè il pane possa essere validamente consagrato, bisogna che sia sensi- bile e presente al sacerdote d'una presenza fìsica e morale. Gesù Cri- sto non avendo determinato la quantità del pane, che il prete può validamente consagrare, tutto il pane che trovasi a lui moralmen- te presente, può essere da lui con- sagrato. Il pane azimo o senza lievito, ed il pane fermentato o con lievito, sono egualmente buo- ni per la validità della cousagra- zione; nulladimeno il pane azimo sembra più conveniente. I dotti sono divisi sull'uso del pane azimo, e del pane fermentato nella Chie- sa greca e nella latina. Che il pane di grano sia materia valida, non vi è questione. La questione sta se Nostro Signore consagrasse nel- l'azimo o nel fermentato. La Chie- sa greca usò il secondo, e la la- tina il primo. Bisogna mischiare un poco d'acqua col vino nella con- sagi azione; ma questo miscuglio d'acqua non è altro se non un precetto ecclesiastico fondato sul fatto da Gesù Cristo, come si ha dalla tradizione de'padri. È -mol- to probabile, quantunque non sia di fede, che l'acqua si cangi, come il vino, nel sangue di Gesù Cristo; ma questa è questione da lasciar- si ai teologi.

La forma dell'eucaristia, comu- nemente dai teologi si fa consiste- re (vale a dire la forma essenzia- le della consag razione) nelle sole parole evangeliche: Questo b il mio corpo, questo è il mio sangue, le quali parole dai santi padri sono chiamate preghiera, invocazione e benedizione. Iu quanto alla pro- prietà dell'eucaristia, i teologi spie- gano se devesi adorare, se consi-

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ste solamente nell'uso, dimodoché Gesù Cristo non sia più presente dopo la comunione attuale; se è necessaria, e come Io sia. Quindi all'crmano che si deve adorare l'eu- caristia interiormente ed esterior- mente, poiché contiene Gesù Cri- sto tutto intero, il quale è adora- bile in qualunque luogo si trovi, e perchè la Chiesa lo ha sempre adorato. Gesù Cristo è nell'euca- ristia fuori del tempo della comu- nione attuale, e per conseguenza questo sagramento non consiste nel solo uso, ma in una cosa perma- nente, perchè il divin Salvatore ha detto le surriferite parole: Questo è ec, prima che gli apostoli si co- municassero. D'altronde la Chiesa ha riservata l'eucaristia in tutti i tempi, perchè fosse mandata dai Pontefici a' vescovi lontani, come il sigillo della reciproca comunio- ne, acciò i fedeli la portassero nelle loro case per nutrirsene in parti- colare, per portarla agli infermi, per portarla in viaggio, per servi- re alla messa de' presantificati, che celebrasi presso i greci in tutti i giorni di digiuno, e presso i lati- ni uua volta l'anno, nel venerdì santo, come si disse al citato ar- ticolo Comunione. In quanto al por- tare in viaggio la ss. eucaristia, al seguente articolo, Eucaristia porta- ta avanti ai Papi nt viaggi (Fedi), si dirà che Stefano II detto III fu il primo Papa che valicando le Alpi si facesse precedere da essa, e che questo rito essendosi anche talvolta praticato nelle solenni ca- valcate de' Pontefici pel solenne possesso, cessò ne'possessi dopo Leo- ne X, il quale fu l'ultimo Papa che lo prese con essere vestito chi faceva parte della cavalcata, e che ne aveva 1' uso, cogli abiti sagri

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e colle mitre ; mentre Benedetto XIII fu l'ultimo che l'usò nei viag- gi nel modo che si dirà. Sulla necessità dell' eucaristia, dicono i teologi, che non è di necessità di mezzo, perchè il battesimo basta solo per la salute dell'anima : que- gli che crederà e sarà battezzalo sarà salvo j ma è necessaria agli adulti per il precetto divino, e per il precetto della Chiesa, che pre- scrive a'fedeli di comunicarsi al- meno una volta l'anno, alla Pa- squa, per adempirlo. Circa agli ef- fetti di questo sagramento, s. Tom- maso ne attribuisce tre principali, cioè la remissione de' peccati, la grazia e la gloria. Per i peccati s'intendono i veniali, non imme- diatamente, ma a mezzo degli at- ti fervorosi di carità, che l'uomo fa pe' soccorsi che riceve da Dio in virtù del sagramento. Per la grazia s'intende quella che aumen- ta e conferma quella ricevuta dal battesimo e dalla penitenza , la quale di giusto rende ancora l'uo- mo più giusto ; quella che nutre spiritualmente l' anima di coloro che si comunicano, che gli unisce strettamente a Gesù Cristo, e li fa vivere della sua vita; che produce finalmente la gloria e la vita e- terna, in quanto che somministra diritti e soccorsi particolari per giungervi, quantunque non operi mai l'impeccabilità. Le disposizioni necessarie poi per ricevere l'effetto dell'eucaristia, riguardano l'anima od il corpo, e di esse pur si par- lò all'articolo Comunione.

5 III. Ministro e soggetto dell'eu- caristia ; cerimonie ed usi di questo sagramento, ed altre no- zioni relative.

Si distingue il ministro della

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consacrazione, e quello della dis- pensazione o distribuzione dell'eu- caristia. 1 ministri della consacra- zione sono i soli sacerdoti, perchè questi sono i soli, cui Gesù Cri- sto ha dato il potere e l'ordine di consacrare con quelle parole che diresse loro a mezzo degli aposto- li: Fate questo in memoria di me. ]n tal modo lo ha inteso la Chie- sa in tutti i tempi, poiché non ha permesso a niuno di consacrare, neppure agli uomini apostolici, ai più. santi solitari, ai martiri, ai monaci che non fossero sacerdoti; ed essa ha condannato al contra- rio tutti quelli che senza questa qualità, osavano tentare la consa- crazione, siccome si ha da molti concili, e santi padri. In quanto al ministro della dispensazione del- l'eucaristia, i preti ed i vescovi ne sono i ministri ordinari, come lo sono della sua consacrazione per diritto divino. I diaconi erano in passato i ministri della dispen- sazione dell'eucaristia: potrebbero distribuirla ancora col permesso del vescovo, o del parroco in caso che non potesse egli portarla, farla portare da un sacerdote ad un infermo. Anche sul modo di dispensare e ricevere l'eucaristia, ne trattammo all'articolo Comunio- ne. Pei soggetti dell'eucaristia in- tendonsi le diverse persone che sono capaci di riceverla, come si disse al detto articolo. Le cerimo- nie finalmente dell' eucaristia ri- guardano o la materia di questo sagramento, o la forma, od il mi- nistro che lo distribuisce, od il soggetto che lo riceve, o la situa- zione del corpo colla quale devesi ricevere, od il luogo della sua di- stribuzione.

Abbiamo dal Macri , che nel

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giorno di Pasqua niuno può am- ministrare l' eucaristia ai popoli, se non nella chiesa parrocchiale, ancorché avessero soddisfatto al pre- cetto , o avessero intenzione di adempierlo in un altro giorno, co- me si dichiara nella costituzione di Gregorio XIII, del i585. Il pa- ne che doveva essere consagrato, veniva scelto in passato fra i pa- ni che i fedeli olili vano, e ch'essi portavano alla chiesa, allorquando vi si raccoglievano. Dipoi i chie- rici, o le vergini consagrate a Dio fecero le ostie cantando salmi. Era il sacerdote che presiedeva all'as- semblea, che distribuiva alle per- sone presenti il sagramento dell'eu- caristia. Nella chiesa di Gerusalem- me i fedeli s'appressavano alla sagra mensa inchinati profondamente, ed in quella di Costantinopoli vi si appressavano in piedi, ec. ec.

Nelle processioni, dice il Macri, la eucaristia si deve portare in mano dal sacerdote, e non sopra le spalle, com'è stato dichiarato dalla sagra congregazione de'riti a'2 gennaio 1 618 : tuttavolta, egli aggiunge, in alcune chiese di Fran- cia si pratica la cerimonia di por- tare sulle spalle dei sacerdoti l'eu- caristia, nella solenne processione del Corpus Domini, rito antichis- simo di cui fa menzione il conci- lio di Praga III, al can. 5.

Non si può portare l'eucaristia agl'infermi, i quali non possono comunicarsi, soltanto per adorarla, giacché ciò fu proibito da s. Pio V. L'eucaristia davasi subito dopo il Battesimo (Vedi), non solo agli adulti, ma ai bambini, siccome di- cemmo a quell'articolo, ed il Piaz- za nel suo Fmerologìo, p. 42> di- ce altrettanto con altre erudizioni. L'uso di conservare nel giovedì

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santo l'eucaristia dopo il sagrifìzio, e fuori dell'altare ove è stato ce- lebrato, e di riporta dentro un ca- lice, in qualche cappella, oratorio, o nella sagrestia, secondo il Maz« /incili è un rito assai antico. Di quello che chiamasi il Sepolcro, se ne parla nel voi. Vili, a pag. 289 e seg., ed a pag. 3o4 e seg. Qui aggiungeremo, che terminato nel giovedì santo il sagrifìzio, e tolta dall'altare la ss. eucaristia, secon- do l'uso più comune, si piegano le tovaglie, e l'altare resta senza ornamento; laonde il discoprimen- to degli altari, ed il trasferimento dell'ostia consagrata in altro luo- go, è un resto di quel rito che facevasi anticamente ogni giorno con minor pompa ecclesiastica.

Il Sarnelli nel tomo VI delle Lettere eccl, lett. XXV, num. io, parla dell'antico uso di conserva- re in un calice la ss. eucaristia, il quale calice tene vasi pendente sopra l'altare ; e che in tempo delle persecuzioni si custodiva nelle ca- se particolari in una scatola di le- gno. Quindi narra ch'era vietato il parlare di questo sagramento ai gentili in presenza de'catecumeni; che la ss. eucaristia non guasta il digiuno; e se si debba dare agli ossessi.

Era solito Alessandro VI tene- re il ss. Sagramento in una scato- la d'oro fatta a modo di palla, e lo portava seco familiarmente sen- za che altri se ne accorgesse; ed il Cardella nel tom. IV, p. 162, Memorie de' Cardinali, racconta la premura del Papa di averla seco, un giorno in cui trovavasi negli orti del Cardinal Adriano Castel- li senza averla portata, per cui spe- di a prenderla Giampietro Caraffa, poi Papa Paolo IV. Fulvio Se*-

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vanzio, nel suo Diario <!<!t'iino- roteazione di Alessandro P/l, pres- so il Gattico, Ada cacrem. p. 4i7> racconta che nella comunione del- la messa, la quale dal Pontelìce si riceve al trono, Alessandro VII, in vece di genullettere sullo sga- bello della sedia della cattedra , quando gli fu portata la ss. euca- ristia, ed ivi rimanere sino alla consumazione delle specie sagra- mentali, volle in vece genuflettere, comunicarsi, e comunicare anche il diacono e suddiacono latino, al ri- piano dello stesso trono, per mag- gior riverenza ed umiltà. Nel 1742 Benedetto XIV, col disposto della costituzione Certiores effecli, data a' 1 3 novembre presso il Bull. Maga. tom. XVI, pag. 1 1 7, tolse la con- troversia nata in Crema e propa- gata in Italia, dell'obbligo che si pretendeva avessero i sacerdoti di amministrare nella loro messa pri- vata l'eucaristia a'fedeli che la do- mandassero. Il dotto Pontefice, con molte sode ragioni, dimostrò non esservi quest' obbligo ne' sacerdoti, laonde esortava i vescovi a per- suadere su questo punto i loro diocesani, massime colle testimo- nianze dell'antica disciplina, in cui dovendo i soli parrochi ammini- strare i sagramenti, alla sola loro messa si dovessero comunicare 1 fedeli. Dipoi, uel ij55, il vice-cu- rato della chiesa di s. Nicolò in Carcere di Roma, a cagione di un vicino incendio che minacciava estesa propagazione, vestito de'sa- gri paramenti, trasse la pisside dal ciborio colle ostie consagrate, e con essa diede la benedizione al fuoco. Molti approvarono questa benedi- zione, altri la disapprovarono, per cui Benedetto XIV a' 17 luglio di- resse al Cardinal Vicario il breve

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Cam ut recte, loco citato, toni. \l\, p. 167, ed espose colla so- lita erudizione le ragioni degli uni e degli altri; ma la conclusione fu la sua disapprovazione nell'operato tlel vice-parroco, vietando siffatte benedizioni . Copiosamente tratta della ss. eucaristia il p. Chardon, Storia deSagramenli toni. I, p. 2o5 e seg.; Genebrardo, il Cardinal Bona, d. Claudio Vert, il Marna- chi, il Bergier, e specialmente il p. Le-Brun. Delle arciconfraternite, ed altri sodalizi istituiti in onore del ss. Sagramento, se ne parla a'rispettivi articoli, così degli or- dini e congregazioni religiose isti- tuite per meglio venerare la ss. eucaristia.

§ IV. Dell'esposizione del ss. Sa* gramen to dell' eucaristia .

Quantunque sia molto probabi- le, che la processione solenne del- la festa del Corpus Domini abbia dato origine al pio e divoto co- stume di portarlo pubblicamente, e di esporlo nelle chiese; tuttavia non è facile assegnare con preci- sione il tempo, in cui questo se- condo sagro uso fu ricevuto, e M. Thiers, che perciò ha fatte tante ricerche, assicura che non si po- trebbe dimostrare essere nate am- bedue queste venerabili cerimo- nie ad un tempo, ed inoltre dice essere molto verosimile, che quan- do le prime volte si fece la pro- cessione del Corpus Domini, non si portasse il Sagramento esposto, ma nella maniera in cui si usa- va portarlo nelle altre processioni avanti tal festa, cioè in una bara o cassa, racchiuso nel ciborio, den- tro il calice, ce., ovvero coperto e velalo, o chiuso dentro una borsa.

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Nondimeno l'usanza di esporre il ss. Sagramento è antichissima in alcune chiese , e in antichità non la cede molto alla istituzione della processione del Corpus Domini, la quale, come si disse al suo luogo, non incominciò al tempo medesimo della festa, ne hi ogni luogo in- sieme, ma si è introdotta nelle chiese in diversi tempi, ed insen- sibilmente, siccome pensa il p. Char- don. Ma il suo traduttore ed an- notatore, p. Bernardo da Venezia, è di sentimento che il rito della esposizione del ss. Sagramento sia più antico, almeno non come par- ticolare funzione, in vasi traspa- renti, o racchiuso in opachi, cioè in Oslensorii (Vedi), o in pissidi; ostensorii che per essere raggianti, e per la loro forma furono chia- mati sole, e ve ne furono di ve- triati.

Il Thiers assegna la propaga- zione della pubblica esposizione della santissima eucaristia dopo la me- tà del XIV secolo, cioè la dimo- strazione scoperta delle specie eu- caristiche fuori del sagrilìzio. Nel concilio provinciale di Colonia del i4^2j presieduto dal Cardinal le- gato di Nicolò V, si trova il pri- mo regolamento che sia stato fat- to per la esposizione del ss. Sagra- mento, dappoiché prima di allora non si trova nessuna legge eccle- siastica in tal proposito; egli è concepito così. « Per rendere più » onore al ss. Sagramento, ordi- « niamo che in avvenire non sia « in qualunque maniera essere si » voglia esposto, portato pro- *> cessionalmente alla scoperta in « certi ostensorii trasparenti , in » quibusdam monstrantiis, se non « durante la festa del Corpo del » Signore, e la sua ottava, e fuor

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»» eli quel tempo una volta all'an- » no solamente, in ogni città o » borgo, ovvero parrocchia; e que- »> sto con permissione espressa del- » l'ordinario, come a dir per la » pace, o per qualche altra ur- »» gente necessità, dovendosi anche »> allora far questo con somma « riverenza e con grandissima di- » vozione". Tal concilio, secondo alcuni autori, ha preteso con sif- fatte disposizioni, di sopprimere la esposizione frequente del ss. Sagra- mento, come anco la processione, vale a dire di ridurre l'una e l'al- tra a due esposizioni e a due pro- cessioni solamente, il giorno della festa del Corpus Domini, e della ottava; affinchè rendendo più rara questa divozione, i fedeli vi assi- stessero con più rispetto e religione. Al presente il ss. Sagramento, detto ancora Venerabile, ordina- riamente si espone in giorni di pubbliche divozioni, ed in occasio- ni importanti, o per liberarsi dalle calamità, o per impetrare il divino soccorso negli affari di conseguen- za, ed anco nelle gravi infermità. Le divozioni pubbliche sono il tem- po del giubileo, le indulgenze ple- narie, le pubbliche orazioni che si fanno per distornare le minacciate o presenti calamità, e finalmente la orazione delle Quaranta Ore (Vedi). Si può vedere quanto dice sopra questa ilThiers nel suo lib. IV, e vi si troveranno infinite cose de^ gne da sapersi, e importanti. Tra le altre vi si vedrà che i prelati ec- clesiastici per la maggior parte usa- rono molto sobriamente della loro autorità in permettere l'esposizione del Sagramento in simili occasioni. 11 Cardinal s. Carlo Borromeo, in occasione delle quaranta ore, pre- scrisse mia regola molto prudente,

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che moltissimi prelati dipoi hanno seguila. Nel rituale ambrogiano so- no distinte due sorta di quaranta ore : alcune che si fanno per ca- gione pubblica ed importante, ed altre per altri motivi. In quel ri- tuale si permette la esposizione del- l' eucaristia in quelle, ma non in queste. Le prime e più antiche quarant'ore, dice il Thiers, essere quelle istituite dal p. Giuseppe di Milano cappuccino, in memoria del tempo che Gesù stette nel sepolcro. Le seconde sono quelle che altre volte ogni mese si facevano in Roma dall' Arciconfraternita del- l'Orazione, o della Morte (Fedi), ad imitazione del digiuno di qua- ranta giorni osservato dal Reden- tore nostro nel deserto, e dagli apostoli e primitivi padri della Chiesa, che oravano senza inter- missione. Queste furono conferma- te ed approvate a' 17 novembre i56o dal milanese Pio IV, colla bolla Divina disponente clementia, dalla quale rilevasi che i confrati supplicavano il Papa, che conce- desse loro di portare in processio- ne il ss. Sagramento nella penul- tima domenica di ogni mese, o in altro giorno al principio delle qua- rant'ore, ma che il Papa non ri- spose loro su questo articolo. Inol- tre queste quarant' ore non erano istituite per causa pubblica, ma per soddisfare alla pietosa inclina- zione de' confratelli. Le terze sono quelle che si fanno tutto l'anno giorno e notte, senza interruzio- ne, alternativamente nelle chiese di Roma, di Venezia, di Milano, e di altre città. Clemente Vili le istituì il i5 novembre 1^92, col- l'autorità della bolla Graves et diuturnae, a cagione delle rivolu- zioni di Francia, e per implorare

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la divina assistenza contro gli ero- tici e i turchi. Quindi confermate furono da Paolo V nel 1606, stan- do esposto il ss. Sagramento du- rante tali orazioni. E ciò sembra conforme alle mire che si ebbero in principio, quando s' istituì la esposizione, poiché queste furono introdotte per motivi pubblici e ingenti. In Francia però si fecero molte volte l'esposizione del Sagra- mento. La quarta sorte di qua- rant'ore è quella che si fa dalla domenica di quinquagesima sino al martedì seguente inclusive. Que- ste furono istituite per contrappor- le alle sfrenatezze ed eccessi che si commettono d'ordinario in tali giorni del carnovale. S. Carlo fu zelantissimo per questa divota os- servanza , contrapposta ai sollazzi ed alle dissolutezze di tal tempo. Non fu però il primo san Carlo Borromeo, che abbia introdotta que- sta divota usanza. Il p. Nicolò Or- landini, della Compagnia di Gesù, narra che nel i556 i gesuiti espo- sero il ss. Sagramento a Macerata per le quarant'ore in quei tre ul- timi giorni del carnovale per lo stesso fine, e narra che la maggior parte de' cittadini vi concorse, e che si seguitò negli anni seguenti, e che finalmente s' introdusse tal costume in tutte le case della com- pagnia.

Non solo il Chardon tratta che non si può fare di frequente la esposizione del ss. Sagramento, ma ciò venne anche deciso dalla sagra congregazione de' riti, ai 4 marzo 1606, con queste parole: « Eu- » charistia non est singulis diebus « exponenda super altare, sed in » quibusdam tantum solemnitati- « bus", cioè nell'orazione delle quarant'ore, secondo il Talù, e nel-

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la festa con tutta l'ottava del Cor- pus Domini 3 come dichiararono Clemente XI, Benedetto XIII, e Clemente XII. Dice per altro il p. Cristiano Lupo, in dissert. de sa- cris processionibus > cap. 12, che non è però da biasimarsi la fre- quenza, come mezzo di distrarre il popolo dalle cose vane, di chia- mare il concorso de' fedeli alle chie- se, e di muovere i fedeli medesi- mi a fare atti di virtù, e chiedere a Dio perdono delle loro colpe. Ma il p. Raynaud, Heteroclita spirilualia, tom. XV, pag. 83, non ■volendo decidere su questo punto, per rimetterne la risoluzione a chi governa, ecco come si esprime: h Timendum est, ne majestas my- « sterii fidei tam crebra, ve! etiam assidua ejus vulgalione detera- *> tur, nec adeo facile percellat « contuentium mentes, quam si in- » frequentius, et quod fere conse- « quens est, majore cum appara- » tu, et accuratione proponeretur. Viderent ii, ad quos attinet, quid magis in hac re sit et Dei glo- « ria, et bono animarum; nam ** meum hic judicium interponere » consultum non foret ". Così per- plesso pure rimase il ven. Cardinal Tommasi, come si legge nella sua vita, al cap. VII. Dovendo egli rispondere intorno a questo argo- mento all'arciprete di Palma, così disse: « In quanto poi all'esposi- » zione del ss. Sagramento ogni » domenica , è cosa da pensarvi, » prima di risolverla ; perchè la » frequente esposizione non sempre viene a gloria di Dio, e a fiut- to de' popoli ". Dubbioso però non rimase su questo medesimo punto monsignor Albergati, nunzio apostolico nella città di Liegi, co- me si apprende dalla sua vita,

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giaci he francamente disse: » Multo >y melius est, ut non ita frequente* éiponatur, et Urne cimi debita » ivvcrentia, qtuini ut frequenlius, » et siue debito obsequio, et reve- » reatine signifìcatione id Hat : ut w cura nostra animi commolione » limilo in locis ex poni vidimus , « et iuvenimus ". Comunque siasi pero di siffatte opinioni , certo è clic non si può fare pubblica espo- sizione del ss. Sagramento, cioè eoli' ostensorio, di privata autorità del rettore o superiore di una chie- sa; ma si esige l'espressa licenza «KM ordinario, come si ha dai sino- di di quasi tutte le diocesi. Osser- va inoltre il citato Chardon, che i nostri maggiori erano si gelosi del mistero della ss. eucaristia, che non vollero mai mutare condotta m.ilgrado le atroci calunnie, con cui gì' infamavano i nemici della lede, tentando di renderli odiosi ai popoli per celare con diligenza (pasto adorabile mistero. Aggiun- ge ancora che avrebbouo potuto dissipar lecaluuuie spiegandosi chia- t aulente sopra questo mistero, e celebrandolo in presenza di quelli, presso a' quali venivano accusati; ma noi fecero mai, e vollero piut- tosto sopportar con pazienza per tre secoli le persecuzioni suscitate loro contra dall'odio de' prevenuti avversari, che non violare il segre- to de'loro misteri.

L'altare di un santo, di cui ce- lebrasi la festività, non può essere maggiormente adornato di quello dove sta esposta la ss. eucaristia. 11 Bauldry dice, che non è da ap- provarsi la consuetudine, da pochi anni iuvalsa, di esporre il ss. Sa- cramento nelle maggiori solennità dei santi, poiché altra solennità esi- gono le festività de' santi, ed altra

EUC diverta e speciale esige l'esposizio- ne di Gesti Cristo. Imperciocché, presente il sommo Dio, cessar de- ve l'onore che al servo si tributa, e presente il sole tutti gli astri del firmamento perdono il loro splen- dore. E per questa ragione ciò vie- ne proibito dagli atti della chiesa di Milano, e molti vescovi un tal costume abrogarono, come nota il medesimo Bauldry, e come opina- no Lambertini, noti/le. 3o , n. 4 > il Thiers, lib. IV, cap. 23, ed altri ancora. La sagra congregazio- ne dei riti poi prescrisse » Eucha- » ristia non est singulis diebus ex- « poneuda super altare " ec. , come dicemmo di sopra. Ora dunque , couchiudouo i liturgici , se non si permette di esporre Gesù Cristo nelle solennità de' santi, onde non si diminuisca per nulla quel culto che ad Esso è dovuto; come sos- tenere si potrà, che seguendo un

tal abuso, fornir sia lecito con

più

lumi l'altare de' santi, in paragone a quello, su cui alla pubblica ado- razione sta esposto il vero Dio? Qui noteremo che l'uso di esporre le reliquie dei santi, massime dei san- ti martiri, e di benedire ancora con esse i fedeli è antichissimo. V. il Trombelli, de calta sancto- rum, toni. II, p. I, diss. VII e Vili.

Avverte il Macri , Nat. de vo- cab. eccles., che mentre sta esposta sopra l'altare la ss. eucaristia, oc- correndo celebrare, il sacerdote non solo scenderà fuori dell'altare per lavarsi le mani, ma anco volterà la faccia al popolo, secondo il Cae- rem. episcop. I. II, e. 33. Pompeo Sarnelli, Lettere ecclesiastiche, to- mo Vili, tratta nella lett. XXVI, che il celebrante, il qaale incensa il ss. Sagramento esposto, deve gè-

EUC nuflettefe sopra il primo gradino dell'altare. Noteremo inoltre, che sebbene la ss. eucaristia non si possa esporre ove sono le sagre im- magini alla pubblica venerazione ; nella celebre cappella Borghesiana della patriarcale basilica di s. Ma- ria Maggiore di Roma, la ss. eu- caristia si espone anebe in forma di quarant'ore, colla venerabile im- magine della beata Vergine sco- perta per ispecial privilegio. Ed è perciò, che avendo fatto il defunto principe d. Marcantonio Borghese una macchina, che dicesi gli co- slasse quattordici mila scudi, e che cuopriva l' immagine cui tutti pro- fessano particolar divozione, il ca- pitolo della basilica impedì che la macchina per 1' esposizione si po- nesse in opera. Per altre nozioni sulla ss. eucaristia può vedersi il Thiers, Traile de Vesposition du s. Sacrament de V Aulel 3 Paris 1668.

Dell'antico costume di ritenersi da' fedeli 1' eucaristia nelle private case, e di trasmetterla agli astanti, abbiamo il trattato di Francesco Antonio Vitale, stampato in Roma nel 1779. Da Francesco Antonio Mondelli si ha una dissertazione sopra il rito di conservare l' eu- caristia nelle case e nelle chiese , praticato dagli antichi fedeli, nella Decade di dissertazioni ecclesiasti- che, Roma 1786. Il summentova- to p. Chardon, nel tomo I, pag. 3oi, parla al capitolo io, della se- verità con cui punivansi nella Chie- sa, e tra gli orientali si puniscono ancor al presente, le irriverenze com- messe contro il ss. sagramento del- l' eucaristia. Copiosissime erudizio- ui si leggono sull'eucaristia, nei preziosi indici ragionati degli An- nali ecclesiastici, tratti dal p. O-

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dorico Rinaldi da quelli del Car- dinale Baronio.

EUCARISTIA (ss.) che precedi: 1 Papi nei viaggi. All'articolo Cro- ce Pontificia (Fedi) si è detto che viene essa presa dal sommo Pon- tefice tutte le volte che compari- sce in pubblico, vestilo con moz- zetta ed istola , 0 co' sagri para- menti. Così quando suole intra- prendere lungo viaggio si fa pre- cedere dalla ss. eucaristia, con ec- clesiastica pompa, avendo ciò fallo per ultimo nel decorso secolo Be- nedetto XIII. Solevano altresì i romani Pontefici portarla anche in brevi viaggi, come nei loro solen- ni possessi, ed eziandio in qualche pubblica cavalcata. Prima però di parlare dell' origine di questa pia usanza , della pompa sagra colla quale eseguivasi, e della maggior parte de' Pontefici che ne' viaggi brevi che lunghi, ne' possessi ed in alcuna cavalcata si fecero pre- cedere dalla ss. eucaristia, colf au- torità del p. Chardon, Storia dei Sagr amenti , tom. I, p. 108 e seg., per cercare l'origine di tal rito, di- remo brevemente de' vari usi del- l'eucaristia fra i primitivi cristia- ni, de' vescovi che se la manda- vano reciprocamente in segno di comunione, del serbarsene una por- zione dal sagrifìzio precedente pel seguente giorno, e dell'averla in Roma mandata il Papa a tutte le chiese titolari; parlando ancora del quando portavasi ne' viaggi dal Pa- pa perchè servisse di salvaguardia, giacche da tali riti vuoisi derivato quello di cui è argomento questo articolo.

I vescovi dei primitivi secoli del- la Chiesa avevano il costume di mandarsi scambievolmente 1' euca- ristia in segno di unione, e la man-

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davano ai più vicini non solo, ma eziandio ai più lontani dalla loro residenza, come alle chiese eli Asia, non ostante la varietà delle disci- pline che seguivano; usanza pero che proibì nei primordi del quar- to secolo il concilio Laodiceno, poi- ché la spedizione della ss. Euca- ristia non si poteva fare senza grandi inconvenienti, specialmente in tempo delle persecuzioni. Quin- di all'uso dell'eucaristia fu sosti- tuito quello di mandare pani or- dinari e benedetti, i quali espri- messero la reciproca unione de'cri- stiani. Questi pani si chiamavano Eulogie (Fedi). Dalle antiche glose sopra le decretali , citate dal p. Mabillon,si apprende che i sacer- doti, a' quali il vescovo mandava quella particella di ostia consa- grata, la mettevano nel calice al- lora quando nella messa dicevano: Pax Domini sii semper vobiscum, al qual tempo anche al presente s' intinge una particella dell' ostia nel calice. Se il predetto uso fosse un simbolo della comunicazione dei vescovi co" sacerdoti, e di questi e quelli coi cristiani , un altro uso mentovato nel primo Ordine romano, pubblicato dal p. Mabillon, era simbolo dell' unità del sagra- melo ed insieme del sagrifìzio. Ecco in che consisteva questo uso. Quando il vescovo o il celebrante sortiva dalla sagrestia per andare all'altare, onde cominciare la mes- sa, era preceduto dal corpo di Ge- sù Cristo, che due accoliti porta- vano in una cassetta dinanzi a lui. Procedeva così fino all'altare, dove arrivato adorava questo divin sa- gra mento, adorabat scinda } e poi cominciava la confessione. Le spe- cie consagrate, che si portavano in tal modo all'altare, erano state ser-

EUC bate dal sagrifìzio precedente a quetto clfetto, per indicare sensi- bilmente essere sempre la medesi- ma vittima quella che si offeriva sui nostri altari, la quale durerà in tutti i secoli.

Un altro uso molto antico e che lungamente si è conservalo nella Chiesa, era quello di portar seco il corpo del Signore ne' viaggi lun- ghi, perchè occorrendo qualche pe- ricolo di morte, avessero pronto il viatico, e perchè difendesse contra tutti i pericoli di corpo e d'anima, a' quali uno si espone in tali oc- casioni. S. Ambrogio ne diede un esempio assai noto, nella persona di Satiro suo fratello, il quale tro- vandosi in pericolo di naufragio, e temendo non tanto la morte, quan- to morire senza il battesimo, che non aveva ancora ricevuto, doman- dò » ai fedeli, ch'erano con lui « nella nave, il divin sagramento, « non per pascere la sua curio- si sita ma per ottenere soc-

« corsi dalla sua fede. Ottenutolo » sei fece legare al collo in una « fascia , in orario ( o fazzoletto , » ossia Unicum abslergendae faciei » deslinatum ), e si gittò così al »> mare, non cercando neppure » qualche tavola dello sconnesso » naviglio per aiutarsi, perchè met- » teva tutta la sua confidenza nel- » le armi della fede ". Il Ponte- fice s. Gregorio I, nel lib. Ili dei suoi Dialoghi riporta un consimile fatto; e s. Birino vescovo di Dor- chester, mandato da Onorio I nel- la gran Bretagna per predicarvi l'evangelo , ricevè da questo Papa il corporale, sopra cui consagrava 1' eucaristia, e nel quale la invol- geva per portarla sempre al collo sospesa. Questo costume era molto esteso nelle chiese di Bretagna ,

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donde poi si sparse in altri paesi della cristianità. Nell'Alemagna l'in- trodusse s. Bonifacio, ordinando nel quarto de' suoi statuti, che i mo- naci non andassero mai per viag- gio senza l'eucaristia, e che i sa- cerdoti portassero mai sempre seco loro in campagna l' eucaristia, l'o- lio degl'infermi, e la cresima. In Francia lo introdussero i discepoli di s. Colombano. Essi costumava- no di serbare in un vaso, chiama- to crismale , una parte dell' ostia , alla quale davano il nome di sa- gri/iziOy e portarla con loro nei viaggi ; costume che s. Colombano aveva preso dal monistero di Ben- chor in Irlanda, dove era stato e- ducato, e dove si usava. Adalber- to di Praga avendo offerto il divin sagrifizio, fece raccoglierne gli avan- zi dopo essersi comunicato, e dopo aver comunicato i neofiti ; ed in- voltili in un candidissimo pannoli- no li custodi per valersene come di viatico, cioè per portarli ne' viag- gi, ai quali l'obbligavano le sue missioni tra* gentili . Questo san- to apostolo dell'Ungheria, della Polonia e della Prussia , ove fu martirizzato, viveva nel decimo se- colo, lo che fa vedere che in quel tempo si serbava comunemente la eucaristia per tale uso. Il Rocca, come meglio si dirà , prova che prima e dopo di allora i Papi ave- vano questo religioso costume, ed alcuni ne' loro viaggi portavano anche l'eucaristia pendente dal col- lo sopra il petto. Questo uso non era solo proprio dei Pontefici, per- chè s. Tommaso di Cantorbery , nel ritirarsi in Fiandra, portò se- gretamente addosso il corpo del Si- gnore, per ricevere nuova fortezza nel combattimento che doveva sos- tenere con Enrico li. Contempo-

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rancamente si narra nella vita di s. Lorenzo di Dublino, che quat- tro sacerdoti portando il ss. Sagra- mento furono spogliati dagli assas- sini, i quali provarono gli effetti della divina vendetta, per aver pro- fanato i santi misteri.

JXon solo i sacerdoti e i vesco- vi , ma i laici ancora credettero dover prevalersi di tal patrocinio ne' loro viaggi , come pur fecero Roberto, e s. Luigi IX re di Fran- cia: avutane licenza questo secon- do nella spedizione della crociata , dal vescovo Tusculano legato della santa Sede. Sembra però, che d'al- lora in poi il privilegio di portare, o far portare in viaggio 1' eucari- stia, non fosse più accordato ai vescovi, a' sovrani, ne a' gran- di personaggi, e perciò soltanto sia stato riservato al Papa. In fatti quando Nicolò V, nel 1 449? assol- vè dalle censure l'antipapa Felice V, che avea rinunziato il pseudo- pontificato, benché in premio gli concedesse alcune insegne pontifi- cie, espressamente eccettuò il farsi precedere dalla ss. eucaristia. E prima di tal tempo l'antipapa Be- nedetto XIII, come quello che trat- tavasi come legittimo Pontefice, pra- ticò simile usanza nel viaggio da lui intrapreso nella Spagna , per esigere maggior rispetto , mentre temeva il furor del popolo, come racconta Paolo Emilio, nel lib. X de rebus gestis Francorum. Quin- di Paolo II, nel 1466, represse l'orgoglio degli arcivescovi di Be- nevento, i quali, oltre ad altri pri- vilegi usurpatisi nella loro arcid io- cesi, si facevano portare davanti la ss. eucaristia. Di tali privilegi ne parlammo nel volume V, pag. 1 \l\, del Dizionario. Il Marini ne' suoi Archiatri, tom. II, pag. 161, ci

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avverto che la bolla fu spedita nel- lo (Blende ili giugno a Nicolò ala- ndoli l'iccolomini sancse, allora ar- civescovo di Benevento, e non da Sisto IV, come scrisse 1' Ughelli.

Nc'pacsi orientali ciò si usava più comunemente. L' Arcudio dice cliiaramentc, che i monaci greci, quando intraprendono un lungo viaggio, portano seco loro il ss» sagramento dell'eucaristia. E Ga- briel Sionita afferma che i maro- niti, quando vanno alla guerra, o quando vogliono fare qualche viag- gio lungo e pericoloso, hanno at- tenzione di recarsela seco sotto la sola specie del pane, per poter co* inimicare in alcune fastidiose con- giunture, nelle quali fosse la loro vita in pericolo. Il Cancellieri, De Secretariis Chris tianorum, p. 1 1 4> § IX, de Eucharislia ante Pontifi- ceni e secretano praelata, ha di- mostrato, colla testimonianza del primo Ordine Romano, la remo- tissima antichità dell'uso di porta- re avanti il Papa, in luogo della croce, dalla sagrestia V eucaristia, ch'egli adorava mentre gli veniva mostrata da due accoliti, che poi la collocavano sopra l'altare, in cui doveva celebrare. Ivi ancora fa os- servare con altri passi degli Ordi- ni X, XI, e XIV, che si esegui- va questo rito specialmente nel venerdì santo, in cui l'ultimo Car- dinal prete portava dentro una cassa il corpo del Signore innanzi al Papa , il quale andava a piedi scal- zi dal Laterano alla basilica di s. Croce in Gerusalemme. Quindi ri- leva, mantenersi un vestigio di questo uso nella consuetudine, che è in vigore anche a'nostri tempi, di adorare il ss. Sagramento pub- blicamente esposto in un altare, prima che il Papa portato in se-

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dia gestatoria vada per assistere o per celebrare il divìn sagri fìeio in qualche chiesa. Dal qual uso non v;i disgiunto anche l'aliro di rite- nere il Papa il sagramento nella sua cappella domestica , di che parlammo nel volume IX, pag. i5a e 1 53, del Dizionario, ove pur si disse come Paolo IV or- dinò che nelle lampade di dette cappelle, in venerazione al ss. Sa- gramento, dovessero ardere lumi di cera bianca, e che nelle cappelle maggiori del palazzo apostolico era- vi anticamente nel ciborio il ss. Sagramento tanto in particola che in ostia grande. Nel volume X, a pag. i5, notammo che i Pontefici adoravano il ss. Sagramento, non solo nell'ingresso ma anche nel re- gresso, e talvolta solamente nel re- gresso. V. il p. Gattico, Acla se- lecta: ss. Eucharistia ad Lalcramini soleniniter equilantem, p. 367; eun- tem ad Ecclesiam s. Crucis, p. 1 1 o ; in copiano servata, p. 44» ^ar' dinalis in parascevc ad altare il- lam deferebat, p. 34-

Il Bonanni, nella Gerarchia ec- clesiastica, coli' autorità del sagri- sta pontificio Angelo Rocca, a pag. 382, ci il capo LXXXX1IJ, del sagramento della santa euca- ristia portata avanti al Papa, ed indagando le ragioni sopra questo rito, stima essere proceduto dall'u- so di portarsi dai Pontefici l'euca- ristia pendente dal collo sopra il petto, e nel tempo delle persecu- zioni, e quando intraprendevano viaggi, siccome era portata da qual- sivoglia persona costituita in dignità ecclesiastica, anzi dai laici di ogni condizione, a'quali era prima lecito portarla seco alle loro case priva- te. Costume che in progresso di tempo fu abolito, quando resa la

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pnce alla Chiesa, restò più tardi in uso soltanto presso i Romani Pon- tefici, massime in occasione di fa- re lunghi viaggi, portandosi avanti ad essi lontano per molte miglia, con divota pompa. In quale anno si cominciasse ciò a praticare non si può con certezza stabilire, leg- gendosene la più aulica memoria in Anastasio Bibliotecario, parlan- do di Stefano li detto III, il qua- le non potendo ottennere da A- stolfo re de'Longobardi, che ces- sasse di far più stragi nella pro- vincia romana, partì da Roma ai i4 ottobre del 753 per doman- dare in Francia soccorso al re Pi- pino, il quale gli andò incontro a Ponthieu colla famiglia reale, e fe- ce da scudiere al pontifìcio cavaljo. Ecco però come scrive l'Anastasio: « Venientem Romam Aistulpho n longobardorum rege, ut eam de- » vastaret, Pipini regis auxilium » poslulavit, et Roma Galliam ver- » sus discessi t, assumens secum ex » hac sancta Ecclesia quosdam sa- » cerdotes, proceres etiam et caete- » ros clericorum ordines, nec non » ex mililiae oplimatibus, Christo » praevio captum prosequutus est « iter " Nelle quali parole Chri- sto praevio, sebbene possa intender- si l'immagine del crocefisso, la qua- le suole precedere il Pontefice, nulladimeno il Vittorelli nelle Ad- dizioni al Ciacconio, tom. II, pag. 733, scrisse: « Anastasium allusis- » se ad morem priscum euchari- « stiae ante Pontificem iter haben- >' tem. " Altra notizia più antica il Rocca non rinvenne, persuaden- dosi che anco precedentemente fos- se dai Papi portata ne'viaggi, ma avanti al petto con privata divo- zione.

Essere portata la ss. eucaristia

VOL. XXII.

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pubblicamente da Gregorio XI nel 1377, affermò Pietro Amelio sa- grestia del palazzo apostolico, di- cendo che dovendo il Papa anda- re in Anagni , si trasferì dal pa- lazzo vaticano alla basilica co- stantiniana, ed ivi, dicendo messa « reservata eucharistia^ repositaque « per suas manus sacratissimas in

» custodia primo mane junii

« Corpus Christi omnibus viam pa- » tefecit " . Da questo veridico racconto, il dotto Rocca giusta- mente argomentò, che se nel bre- ve viaggio da Roma ad Anagni, quaranta miglia distante, volle Gre- gorio XI che lo precedesse il ss. Sa- gra mento, molto più si deve cre- dere essersi praticalo dagli ante- cessori, i quali fecero lunghi viaggi, benché non si trovi ciò riferito. Che l'eucaristia fosse stata portata da altri Pontefici ne'viaggi, pen- dente al collo sopra il petto, il p. Chardon riporta gli esempi di Ste- fano IV detto V, dell'8j6, quan- do portossi in Francia, di s. Gre- gorio VII, del 1073. di Urbano li, del 1088, degli immediati succes- sori Pasquale II e Gelasio II, non che di Alessandro 111, del 1 1 59. Più antico di Gregorio XI anche altri stimano il rito di portarsi la ss. eucaristia dai Papi nei viaggi, fondati eziandio sopra un passo della vita di Urbano VI, che nel 1378 era succeduto a detto Pon- tefice, nel quale l'autore della se- conda vita di Gregorio XI, appres- so il Bai uzio, fa Vitis Po parum Avenion. tom. I, pag. 4^4? cnce> che Urbano VI uscì di Roma a cavallo come uno stolto senza la croce avanti, e senza il corpo di Cristo, le quali parole come uno stolto, non avrebbe egli dette, se tal costume non fosse più antico 1 1

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(ii Gregorio XI. Quando poi Ur- bano VI, nel i38b\ ritornò in Roma, per iscortu lo precedeva nell'aria l'immagine di s. Pietro, simile a quella che allora stava nel portico vaticano, la qual visio- ne essendo tenuta occulta dai suoi familiari, dopo la sua morte fu pubblicata in un sermone dal ve- scovo di Todi, confessore del me- desimo Urbano VJ.

Fu quindi questa pratica lode- volissima usata ne' viaggi da Pio II, come si legge ne'suoi Commen- tari, ove si trova che portandosi nel i458 a Mantova per ivi sta- bilire una crociata contro la cre- scente potenza de'turchi, nel gran congresso che vi avea convocato, era egli preceduto da una piccola arca d'oro, portata da un cavallo bianco, e circondata da lumi, e nel- la quale era vi la ss. eucaristia, sericum desuper umbraciilum. Nel i494 Alessandro VI usò il mede- simo rito nel viaggio che fece si- no a Vicovaro presso Tivoli, per parlare ad Alfonso II re di Napo- li, leggendosi nel tomo li dei Dia- ri del Burcardo: « Coram Sum- « mo Ponlifìce sanctissimum Sa- » cramenlum super achineam de- « latum fini ". Della speciale di- vozione di Alessandro VI alla ss. eucaristia, e del portarla che sem- pre facea seco in una scatola d' oro, dicemmo al precedente ar- ticolo Eucaristia ( Fedi ), § III. Così Paride de Grassis, maestro di cerimonie, affermò di Giulio li, il quale avendo ricuperato alla san- ta Sede diverse città usurpate da Cesare Borgia, per riavere Peru- gia e Bologna nel i5o6 vi si por- tò in persona, preceduto dalla ss. eucaristia. Leone X parimenti l'u- sò nel viaggio fatto nel i5i5 a Fi

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renze ed a Bologna, pel congresso con Francesco ' I re di Francia; anzi avvicinandosi a Bologna, gli abitanti avendogli mandato incon- tro un magnifico baldacchino, ed altro meno ricco pel ss. Sagramen- to, il Papa saggiamente destinò il più ricco alla ss. eucaristia, e per riguardo a se rinunziò l'altro. Cle- mente VII fece lo stesso quando, nel 1529, si avviò per Bologna onde coronarvi Carlo V, come scrive Biagio da Cesena maestro delle cerimonie pontificie; ed al- trettanto praticò quando fece ri- torno in Bologna, per abboccarsi con Carlo V, che avea fatto ri- torno in Italia. Paolo III nel i538 andando a Nizza di Provenza per conferire con Carlo V e con Fran- cesco I onde pacificarli, e stabili- re la lega contro i turchi, si fece precedere dal ss. Sagramento, co- me aveva pur fatto nel 1 535 quan- do recossi a Perugia per liberarla dai sediziosi. In seguito, avendo risoluto Gregorio XIII di visitare la sua patria Bologna, ordinò che si preparasse quanto era necessario per la pompa sagra del trasporto della ss. eucaristia, e fece ricama- re una preziosa coperta da impor- si sopra il tabernacolo, in cui do- veva essere il ss. Sagramento, fre- giata colle sue armi gentilizie ; coperta che restò nella sagrestia pontifìcia, non essendosi effettuato tal viaggio.

Nei detti viaggi non sempre fu portata la ss. eucaristia nel mede- simo modo, poiché alcune volte, essendo le strade disastrose, fu por- tato il tabernacolo ov'era racchiusa, sopra il dorso di muli, come si portano le lettighe; altre volte, e per lo più, da un cavallo, coli' ac- compagnamento che si dirà, e co-

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me vede nelle due figure che riporta il citato p. Boriarmi a pag. 385, tolte dall'opera di monsignor Rocca. Prima di narrare il ceri- moniale usato da Clemente Vili, e da Benedetto XIII, che furono gli ultimi Papi che si facevano pre- cedere ne'viaggi dalla ss. eucaristia, aggiungeremo col medesimo Bonan- ni, che il motivo per cui gli anti- chi cristiani conservavano in casa, o portavano ne'viaggi il ss. Sagra- meli to per viatico, era di cibarse- ne in pericolo di morire, ed i Pon- tefici ciò praticavano per riceverlo nel viaggio, dove in questo fossero stati sorpresi da mortale infermità. Si può per altro obbiettare, che se a tal fine portavasi il ss. Sagra- mento quando i Papi viaggiavano, per qual cagione venivano da es- so preceduti per un'intera giorna- ta, e non si portava piuttosto vi- cino o in compagnia dei medesi- mi? Rispose a questa obbiezione il Rocca, a p. i5 del suo trattato, dicendo ciò farsi per evitare gli incomodi soliti a patirsi da chi viaggia per istrade fangose o sas- sose, affinchè portandosi il ss. Sa- gramento avanti il Papa alcune miglia, si potesse facilmente evitarli, e mantenere il decoro e la ve- nerazione dovuta al sagramentato Signore : che se accadeva doversi fermare il Pontefice in alcun luo- go, subito a mezzo d'un corriere si avvisava monsignor sagrista, cu- stode della ss. eucaristia, acciocché non proseguisse il viaggio sino a nuovo avviso. In quanto alla pom- pa ed accompagnamento del ss. Sa- gramento, ciò non fu senza miste- ro, dappoiché ne fu tolta l'idea da quella colla quale il popolo ebreo precedeva ed accompagnava l'Ar- ea da Dio ordinata, in cui con-

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servavasi la manna, figura vivissi- ma del sagramento dell'altare. Dei due chierici della cappella ponti- fìcia che accompagnavano il ss. Sa- gramento, portando lumi, e suo- nando il campanello ec, se ne tratta al volume XI, pag. io,3 del Di- zionario. All'articolo Famiglia Pon- tificia (Vedi), nel riprodurre alcu- ni antichi ruoli di essa, si vedrà che prima eranvi tra i famigliari pontifìcii il cappellano, e i pala- frenieri del ss. Sagramento. Il Can- cellieri, nelle sue Disseriazioni epi- stolari, pag. 3 1 6, ci dice che vo- leva pubblicare una Dissertazione intorno al canonico don Ruffino Fisregno nobile novarese, palafre- niere della chinea destinata a por- tare la ss. Eucaristia nel solenne possesso , e ne viaggi de3 sommi Pon- tefici Giulio II, Leone X3 e Cle- mente VII, con un'appendice di settantasei documenti, e col diario inedito di Gio. Paolo Mucanzio, sopra il viaggio di Clemente Vili a Ferrara. Fu in occasione di que- sto, che monsignor Angelo Rocca agostiniano, sagrista di tal Pontefi- ce, e che accompagnò la ss. Eu- caristia che Io precedeva, pubblicò sopra siffatto rito il trattato eru- dito : De sacrosanto Christi Corpore Romanis Pontificibus iter conficicn- ti bus pra eferendo Commentarius, Ro- mae 1 5o,g. Questo commentario fu riprodotto a pag. 35 del tom. I, Opera omnia, Roma 17 19.

Dovendo trasferirsi Clemente Vili a Ferrara nel i5g8, per prender possesso di quel ducato, ricaduto nel pieno dominio della santa Sede per morte di Alfonso II, celebrò messa privatamente, e consagrate due ostie, ne collocò una nella cu- stodia, che doveva essere portata nel viaggio, dando poi la chiave

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a monsignor Rocca come sagrista. La detta custodia fu da tal pre- lato descritta con queste parole. « Capsula lignea est longitudine h palmorum circiter quatuor, lati- ti tudine duorum, altitudine autem >, unius palmi, et amplius, holose- « rico rubri coloris panno intuì *> forisque conglutinato cooperta; « ejus operculum habet foris in » medio basini quandam ex aere » aurato, intra quam statuitili » Crucis aerae pes auratae cum v sacra Cbristi imagi ne unius palmi, » et eo amplius, eidem cruci ere- » ctae super illam basim affixa. » Haec interea capsula habet intus « in fundi medio sericeum rubri « coloris sacculum desuper con tra - « bendimi , et funiculis sericeis » coustringendum, in quo vasculum *• sive bosliaria, vel, utajunt, custo- m dia cum sacratissima hostia a » sacrista de septimo in septimo » diem, ut jam diximus, mutan- ti da reconditur, et custoditur.

« Extat etiam super capsulam » opertorium ex tela aurea, seu « potius ex serico, et auro conte- >* xta, in quatuor partes divisum, « atque hinc inde pendens, partim >* vero extremitatis laciniis, item h sericeis et aureis distinctae, et « ornatae sunt, nec non Ecclesiae » sanctae s uni mi Poutifices, et so- « cietatis Corporis Christi insigni- » bus decoratae. Ad quatuor ca- » psulae angulos, quatuor virgae « ferrae, et auratae palmorum cir- « citer quatuor columnarum in» w star ad tres, et amplius palmos « saprà capsulae operculo emi- » nentes aptatae cernuntur; super » quarum summitatibus umbel- » la, quam vulgo baldacchinurn » appellant, ex serica item, et au- h ro contexta sustentatur, bine in-

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»» de pendens, laciniis, et lcmniseis *> seu flocculi* tum sericeis, tuoi »> aureis distincta , et ornala, in » eujus vertice ad quatuor an- *> gulos lotidem stellulae ex aere * inaurato super glandes ilern au- » reas, et auratas, ac satis quidem « grande* collocatae magnani ertì- » ciunt venustatem. Hunc in mo- » dum, etc.

Tale macchina cosi preparala fu portata sopra le spalle di otto canonici della basilica vaticana. Pre- cedevano molti ascritti aH'arcicou- fraternita delta del ss. Sagrainenlo, con torcie accese, e i religiosi di ciascun ordine. Dopo venivano i musici della cappella di s. Pietro, quindi seguiva la croce con il cle- ro, e dopo il clero era portata la macchina suddescritta , sotto un grande baldacchino sostenuto da otto camerieri segreti del Pontefi- ce, e veniva accompagnata dagli scudieri, e svizzeri del medesimo. Seguiva poi il sommo Pontefice con torcia accesa in mano, e dopo lui i Cardinali, i prelati e i nobili romani, portando parimenti le tor- cie accese. Giunse tal processione al luogo ov'era un cavallo bianco riccamente coperto con sella e gual- drappa lunga sino a terra di colo- re rosso, con campanello di argen- to dorato pendente dal collo, so- pra del quale fu imposta la mac- china, e bene stabilita nella sella a detto effetto disposta, e fabbri- cata con viti e ferri in modo che più non si potesse muovere, ne cadere da essa. Montò poi il sa- grista sopra una mula bianca, ve- stito di mantelletta e mozzetta , con un bastone bianco in mano, e con cordone di seta nera ornato in segno della cura a lui commessa, e s'incarnino verso la porta detta

EUG Angelica, ov'erano pronte le per- sone destinate per il viaggio. Il Pontefice intanto genuflesso, non si alzò finché non perde la vista del Santissimo portato dal cavallo, e poi si ritirò nel palazzo vati- cano. Segue l'ordine del viaggio, e treno.

Precedevano i carriaggi e mu- lattieri portando i sagri arredi co- perti con panni rossi, ornati coi pontificii stemmi ; seguiva con una tromba una squadra di uomini a cavallo, dopo i quali otto cavalli con selle vuote, ornate di preziose gualdrappe di colore rosso, e due di essi portavano scalini per uso del sagrista, quando doveva operare nel tabernacolo. Dopo succedevano a cavallo i servitori e famiglie dei prelati, due cursori portando in ma- no una verga rossa, e venti can- tori della cappella pontifìcia, due scudieri, e due mazzieri con mazze di argento in mano. Seguiva un maestro di cerimonie , con due chierici della cappella pontificia , vestiti con veste paonazza, portan- do a cavallo due lanterne in cima ad un'asta, sostenuta da una staffa a detto fine adattata nel fianco, dentro le quali erano facelle di ce- ra accese. Dopo essi seguiva il ca- vallo che portava il ss. Sagramen- to, tenuto per il freno da due pa- lafrenieri del Pontefice, e nelle par- ti laterali camminavano gli svizzeri armati. Dopo il Sagramento caval- cava il sagrista, che teneva un ba- stone bianco in mano in segno del- la sua giurisdizione, e poi seguiva- no molti prelati referendari, i ca- merieri, ed i cappellani pontificii, cogli scudieri ; e con tal ordine fu fatto il viaggio precedendo d' una giornata avanti il Pontefice , sem- pre dicendosi dalla comitiva i sal-

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mi, o altre divote orazioni. In qua- lunque luogo, ove terminava nella sera il viaggio , era il ss. Sagra- mento incontrato da uomini arma- ti in distanza d'un miglio, e dopo dal clero secolare e regolare del luogo, alla porta del quale si tro- vava il magistrato con trombe, e tutti accompagnavano la ss. euca- ristia alla chiesa, cantando inni, ed ivi la notte si custodiva con l'assi- stenza di ecclesiastici, e con lumi accesi. Concorrevano da tutti i vi- cini luoghi alle pubbliche strade i popoli per adorare la ss. eucari- stia, e i magistrati facevano a ga- ra coi nobili per riceverla sotto il baldacchino. Con simile pompa si giunse a Ferrara, e da questa cit- tà si tornò a Roma. Si può leg- gere il minuto dettaglio di siffatto viaggio nel Rocca, a pag. 55 sino al fine.

Il p. Gattico, Ada Caerem. pars secunda, p. 204, dice che nelle chie- se ove si esponeva il ss. Sagramento che portavasi nel viaggio, dopo datasi col medesimo al popolo la benedizione, dalla parte del vange- lo dal superiore della chiesa si pub- blicava l'indulgenza concessa da Clemente Vili, con questa formo- la. m La Santità di N. S. Cleraen- « te Papa Vili, e concede a m tutti quelli che hanno incontra- » to, ovvero accompagnato il ss. « Sagramento, ed a quelli che nel » partire T accompagneranno , ed » a tutti quelli che si trovano » presenti sette anni, ed altret- » tante quarantene di vera indul- » genza in forma della Chiesa. Pregate dunque Dio per il feli- » ce stato di s. Chiesa, <$ della San- » tità Sua ". Avverte però il me- desimo padre Gattico che tale era T indulgenza che dal Papa si con-

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cedeva quando il ss. Sagramento .si posava prò omnibus terris, op- pidh, et locis. Pro civitatibus ve- ro concessi l annos X et totidem quadragenas.

L'ultimo Pontefice che usò nei viaggi farsi precedere dalla ss. eu- caristia, fu Benedetto XIII, e seb- bene Pio VI si conducesse a Vien- na, e Pio VII a Parigi, non l'u- sarono, come non l'usò il regnante Pontefice Gregorio XVI ne' suoi viaggi (V. Viaggi de* sommi Pon- tefici). Benedetto XIII, volendo visitare il suo antico arcivescovato di Benevento, che continuava a go- vernare, partì da Roma a' 24 mar- zo 1727, e giunto a Terracina , nella chiesa di s. Salvatore , posta fuori della città, celebrò la messa, ed ivi si fece precedere dalla ss. eucaristia, perchè solo fuori dello stato pontificio volle usare di que- sto rito, e perciò se ne servì sino a Benevento. Entro una cassetta portata da un cappellano segreto, fu collocata la s. Ostia consagrata dal Papa, descrivendosene il modo, alquanto diverso dai precedenti , nel volume Vili, pag. 108 del Di- zionario. Precedeva altresì a Bene- detto XIII la croce pontificia, con due cavalleggierì, ed alcune perso- ne per vanguardia, vestite con abi- ti da viaggio. Giunto il Papa a Cervi nara, diocesi di Benevento, ai 3 1 marzo , lasciò fuori di essa e nella chiesa de' religiosi Serviti, il ss. Sagramento. Dipoi a' 12 mag- gio ripartì per Roma, ed a Ceri- gnano si fece nuovamente prece- dere dalla ss. eucaristia, e si avviò per Monte Cassino; indi a' 21 mag- gio passò ad Aquino, e giunto al convento degli agostiniani scalzi, un miglio distante da Frosinone, ivi fece riporre il ss. Sagramento,

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che non fu più ripreso viaggiando ne' suoi dominii. Nel 1729 Bene- detto XIII tornò a visitare la sua amata arcidiocesi Beneventana , e passato il Garigliano, fu ossequiato per parte del vice-re di Napoli, offerendogli per servirlo ed accom- pagnarlo cento militari granatieri ; ma il Papa li ringraziò dicendo che quando il sommo Pontefice viag- gia senza la ss. eucaristia, deve dispensarsi da tanti onori. Fin qui abbiamo detto de' viaggi fatti per terra, laonde è necessario fare un cenno di quelli fatti per mare.

Pio II, avendo destinato nel 1 4^4 di partire da Ancona alla testa d' una possente spedizione navale contro i turchi, volle che per mare eziandio il precedesse ed accompa- gnasse la ss. eucaristia, leggendosi perciò ne' suoi Commentari, a pag. 34 1: »» Stabimus in alta puppe, « aut in aliquo montis supercilio, * habebimusque ante oculos di- h vinam eucharistiam , id est D. « N. J. C., ab eo salutem , et vi- » ctoriam puguantibus nostris mi- » litibus implorabimus ". Clemen- te VII, a'9 settembre i533, parti da Roma alla volta di Pisa , ove montato sulle galere francesi, nel- la prima di esse, ch'era la capita- na, si fece precedere dal ss. Sa- gramento, portandosi a Marsiglia per mare , per trattare col re di Francia Francesco 1 la conversione di Enrico VIII re d'Inghilterra dallo scisma, e fare il matrimonio di sua nipote Caterina de' Medici, con il duca d'Orleans, poi Enrico II. Dell' uso di portare anche per mare la ss. eucaristia, sono a con- sultarsi l'eruditissime note del Car- dinal Stefano Borgia, air orazione di Pio II, de bello Turcis inferen- do, pag. 49- Non solo ne' viaggi

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per terra e per mare i Pontefici si fecero precedere dalla ss. euca- ristia, ma eziandio per città, mas- sime ne' solenni possessi. Prima ne accenneremo alcuni esempi, e dire- mo per quali circostanze i Papi l' usarono nelle città , poi diremo dell'uso che ne facevano prenden- do possesso alla basilica lateranense. Oltre quanto dicemmo all' arti- colo Cavalcala ( Vedi), cioè di quel- la fatta per Bologna nel i53o da Clemente Vii , e da Carlo V in occasione che questi ricevette da quel Pontefice le insegne imperia- li, qui aggiungiamo quanto ne scris- se Paolo Giovio nel lib. XXVII. " Nec multum inde succedebat eu- » charistia sub aurea umbella lo-

* culo •cbrystallino inclusa, et sella » generosi , et tainen parali equi w super imposila. Lanterna ingens d ante, et circum dena fanalia fe- « rebantur ". Agostino Patrizio , nel descrivere la solenne cavalcata fatta per Roma da Paolo li nel 1468, per la venuta dell'impera- tore Federico III, racconta al n.° 'zi: « Incedebat subdiaconus cru- w cem praeferens .... Crucem ve- m ro sequebaulur primo clerici pon- » tificalis cappellae^ quorum alter ;> lanternam cum lumine praefere- }•- banl in lionorem ss. Eucharisliae 3 s> alter vero loculum pontifìcalis »> mitrae .... Post hos ducebatur » equus albus s aerati ssimum Clivi- » sti Corpus vehens in capsula or- n natissima reconditum, quem prae-

* cedebat sacrista Pontificis, ba- » culum teretem manu ferens, et » supra sacram hostiam sericeum » umbraculum ferebatur; circum- » circa vero fanalia multa accensa ". Il Quii-ini, Vindiciac PauliJI, capo IV, narra della messa celebrata in tal circostanza dal Papa nella ba-

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silica lateranense, e degli atti di ossequio che volevagli tributare l'imperatore. Nel i522 Adriano VI fu eletto mentre era assente da Roma. Giunto alla basilica ostiense, entrò in città a' 29 agosto a ca- vallo, preceduto dal ss. Sagramento si avviò al Vaticano ove venne co- ronato, come narra il Rinaldi, men- tre l'Ortis , che scrisse l' itinerario del viaggio di Adriano VI , non fece menzione della ss. eucaristia. Ma Biagio Martinelli che, qual maestro di cerimonie, diresse la ca- valcata, ecco quanto scrisse. « Qui- » bus fìnitis, omnes ad equitan- » dum iverunt cum multa confu- f> sione, et malo, sine baldacchini » prò ss. Sacramento , et Papa ". Ma questo rito molto più fu in uso nelle cavalcate, come prescrive il Cerimoniale al § XIX, pei so- lenni possessi che ogni nuovo Pa- pa prende della basilica lateranense, prima partendo dalla basilica va- ticana, e poi dal palazzo che abita, come rilevasi dalle relazioni dei medesimi possessi , pubblicale dal Cancellieri, de' quali faremo men- zione di alcuni. Sembra che il pri- mo ad usarlo in questa solenne funzione, fosse Nicolò V, allorché cavalcando, e portando la Rosa d'oro (Fedi) in mano, essendo la domenica Laetare 3 a' 19 marzo i447j prese solenne possesso, fa- cendosi precedere dal Corpo di Cri- sto, circondato da molti lumi. Ai 12 settembre i4^4 prese possesso Innocenzo VIII, leggendosi nell'or- dine della descrizione quanto se- gue: « Subdiaconum cum cruce, » sive ceroferariis , et thuribulo, » secum habens alios subdiaconos » collegas suos. Duodecim familia- » res Papae vestibus rosaceis in- * duti, qui duodecim magna intor-

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» ticia alba accensa ante Corpus » Chrisli ferebant pedestres. Unus « familiaris sacristae equester, si » recte menimi, super pellicio in- » dutus, qui super bacalo inau- m rato lan ternani ferebat cum can- »> dela accensa prò Corpore Chri- v sti. Cantores cappellae nostrae w super pelliciis indunt, secretarli, p et advocati mixtum cum suis « pluvialibus, acoliti Papae, omnes » in albis. Clerici camerae, audito- » res Rotae, etc. ". Giulio II prese il possesso colla solita solenne ca- valcata a* 5 dicembre i5o3 , ove per T argomento nostro si legge : « Praelati quatuor servi tores di- « versi modo vestitos, et major « pars sine baculo, excepto sacri - » sta, qui habebat sex servitores *> juxta se in vestibus rosaceis, et « ambo clerici cappellae equita- « runt in cocta ante Sacramentum, « et Finus a dextris cum lanter- *> na, et Federicus a sinistris, ejus « vicarius .... Papa descendi t de « equo , quem , et baldaccbinum » receperunt romani portantes pa- » cifice, et quiete, quia fuit cum » eis ita conventum, ut retineret, « et Papa esset eis aliquid dona- » turus prò baldacchino Sacramen- » ti . ..." e parlandosi della di- stribuzione del presbiterio, si dice che a Baldassare, famigliare del sa- crista Pontifìcio, fu dato un du- cato. Leone X, agli 1 1 aprile i5i3, si recò al Laterano per prendere il possesso, leggendosi nella descri- zione : « XII parafrenarii con XII » luminaribus pedites. Duo fami- » liares sacristae equites cum lan- »» ternis. Equus cum Sacramento. Baldacchinum super Sacra men- » tum per cives romanos Vili vi- » cissim. Sacrista cum baculo in v manu ", In altra relazione poi

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é scritto: »» Ilostiarj con un baculetto » in mano per uno, coperto di » velluto chermusi, in segno di lo- » ro oflìzio. Et drieto a loro tre » subdiaconi apostolici , li quali , » quel di mezzo, portava sopra de » un gran bastone argenteo , et » deaurato la santissima croce. Se- »» guiva poi una bianchissima chi- » nea; et quella sopra del dorso >♦ suo aveva un tabernaculetto, a- » domato di broccato d'oro, nel m quale dentro si posava la sacra a eucharistia, onde sopra era un « bellissimo baldacchino , et cir- » cumcirca forse venticinque para- »# frenieri, con torcie di purissima » cera bianca accesa in mano, et » dietro il sacrista con un baculo » ligneo in mano per custodia di » Cristo". Finalmente, essendosi cessato dopo Leone X di prendere il possesso cogli abiti sagri , colle mitre, coli' incontro de' turiboli del- le chiese, dinanzi le quali passava la cavalcata, terminò anche il rito di farsi precedere i Papi in questa funzione dalla ss. eucaristia, e mai più fu quindi ripreso, come osser- vano il Rocca a pag. 46, ed il Ca- talani nel tom. I del Cerimoniale, pag. 126.

Nel codice della biblioteca Za- luski di Varsavia si rappresenta il viaggio del Papa Giovanni XXIII a Costanza, e si vedono tre cavalli bardati , sopra uno de' quali è il ciborio del ss. Sagramento fra due candellieri con candele accese. Alla sinistra cavalca il crocifero, vestito di tonaca azzurra con cappuccio e mozzetla bianca, ma a capo sco- perto. Alla destra altro cavallo con sacchi e valigie sul dorso. Antolo- gia Rom.s tom. II, p. 267. In al- tra tavola, in cui si rappresenta l' ingresso degli elettori in conclave

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agli 8 novembre 1^17, si vede una turba di laici con ceri accesi, ed un cavallo bardato col ss. Sacra- mento sopra di esso, e il crocifero pure a cavallo. Ivi, tom. II, pag. 275. Su questo argomento, oltre i citati autori, sono a consultarsi : il Sarnelli, nel Lume a* principian- ti, a pag. 1 io, ove tratta come al Papa che fa viaggio preceda la ss. eucaristia; Cristiano Lupo, de Pro- cessionibus cap. 11, tom. II, Ope- re, p. 34o ; il p. Gattico, Acta se- lecta caerimonialia, sia per le ca- valcate in qualunque luogo, che per quelle che facevansi al Lutera- no, si può leggere l'indice per rin- venire le analoghe nozioni. Altre se ne leggono nelle relazioni stam- pate per l'andata di Clemente Vili a Ferrara, accompagnato da ven- tisei Cardinali; per cui abbiamo: Annibale Banordini, Narrazione del- l' entrata pontificale fatta da Cle- mente ì III in Ferrara ec, Roma 1598; Breve ragguaglio del ss. Sa- gramento a Ferrara, con li rice- vimenti, onori, ed archi fatti dalle comunità, ed altri signori, Roma 1598; Annibale Mareggia, Rela- zione delle accoglienze fatte dal duca di Urbino a Clemente Vili, ivi ; Odoardo Magliani, Ordini te- nuti nell'andata del ss. Sagramen- to, e di Papa Clemente FUI da Roma per Ferrara, ivi ; Domeni- co Amici, // bellissimo ordine, che si e tenuto nel partire il ss. Sagrar mento da Bologna il 3o novem- bre 1598, ivi; Entrata di Clemen- te FUI nella città di Bologna, ivi.

EUCARPIA. Sede vescovile della prima provincia della Frigia Salutare, nell'esarcato e diocesi d'Asia, sotto la metropoli di Sinna, e la cui ere- zione risale al quarto secolo. 1 suoi

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abitanti si chiamarono Eucarpii, e ne fanno menzione Tolomeo e Stra- bone. Dall' Oriens Clirist., tom. 1, p. 845, si apprende che cinque ve- scovi vi ebbero sede, cioè Eugenio, Auxamano, Ciriaco, Dionisio, e Co- stantino. Al presente Eucarpia, Eu- carpien , è un titolo vescovile in partibus della gran Frigia, sotto- posto a Sinna, arcivescovato in par- tibus, che suol conferire la sede apostolica.

EUCHAITA seu Euchetae. Se- de episcopale della provincia di El- lesponto, nella diocesi ed esarcato di Ponto, dipendente dalla metro- poli di Amasia, eretta nel nono secolo. Le notizie greche ne fecero un arcivescovato, e quelle di Leone una metropoli, ma onoraria. Fu pur chiamata Teodoropoli dall'im- peratore Giovanni Zimisce, a ca- gione d'una gran vittoria che avea riportata il giorno della festa di s. Teodoro Tyron contro i russi , a- vendo, com'egli diceva, veduto quel santo combattere pei romani o gre- ci, e rompere i battaglioni de' ne- mici. Ed è perciò che vi fece edi- ficare una magnifica chiesa sotto T invocazione di tal santo martire, nel luogo istesso ove riposavano le sue ceneri. Il p. Le Quien, nell'O- riens Christ., tom. I, p. 544 e seg > ci le notizie de' sedici suoi ve- scovi, che furono : Epifanio, Teo- fìlatto, Eufemiano ì, Teodoro San- tabareno, Eufemiano li, Simeone, Filoteo, Michele, Nicola, Giovanni, Basilio, Costantino, ed Alessio, de- gli altri tre se ne ignora il nome.

EUCHANIA. Sede vescovile del- la provincia di Europa, nella dio- cesi di Tracia, sotto la metropoli di Eraclea. Alcuni la confondono con Euchaita, e sembra secondo al- tri che divenisse metropoli. Dall' O-

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riens Chrìst.y tom. I, p. 1 44> s' ha che vi ebbero sede i vescovi Gre ^orio, Giovanili 1, Nicola, e Gio- vanni II.

EUCHERIO (s.). Ebbe per pa- tria Orleans, ed i suoi genitori ap- pena nato il consecrarono al Si- gnore. Vi corrispose egli mirabil- mente facendo rapidi progressi col crescere dell'età nelle scienze divi- ne, e nelle cristiane virtù. Medi- tava sovente l'epistole di s. Paolo, e quella fra le altre, in cui l'apo- stolo consiglia a disprezzare le ric- chezze. Ammaestrato da tale dot- trina abbandonò il mortelo, e si ri- tirò nell'abbazia di Jumieges in Nor- mandia, circa l'anno 7 1 4. Passali dolcemente sette anni in quella so- litudine, il clero ed il popolo di Orleans, rimasti senza vescovo, rivolsero a Carlo Martello ad og- getto di ottenere Eucherio per lo- ro prelato. Intesa tal nuova da Eu- cherio, fece quanto più potè per esimersi da un grave incarico , ma per nulla valsero le sue istan- ze, e dovette cedere per spirito di ubbidienza. Nell'anno 721 fu egli consegrato, e posta ogni sua fidan- za nel sommo Pastore Gesù Cristo, si diede con tutto il zelo a regge- re il gregge affidatogli. Colla pre- dicazione ammaestrava il suo po- polo, con le limosine sovveniva ai poveri, colle sue visite agli infer- mi inspirava loro la rassegnazione, e confortavali colle sue ammonizio- ni. Ebbe le sue contraddizioni , e Carlo Martello si credè autorizza- to di allontanare il sauto vescovo Eucherio dalla sua sede, ed esiliarlo in Colonia, indi nel castello di Ha- spengaw, per essere stato con evan- gelica libertà rimproverato di va- lersi dei beni della Chiesa senza scrupolo, per riparare le spese del-

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la guerra. 11 governatore di Liegi però edificalo dalla pietà del santo vescovo lo trattò con tulli i riguar- di, lo elesse a suo elemosiniere, e gli permise di ritirarsi nel mo- nistero di s. Tradone, ove ai 20 febbraio dell'anno 743 santamente spirò. Il martirologio romano as- segna in tal giorno la sua festività.

KDCHERIO (s.). Vescovodi Lio- ne, era stato prima ricchissimo se- natore. Sposò una fanciulla chia- mala Galla, da cui ebbe due fi- gliuoli, Salone e Verano, i quali furono vescovi vivente ancora il padre, dopo essere slati da lui medesimo educati nella vera pie- tà e virtù. Cessò di vivere verso l'anno 4^4> ignorasi in quale età. 11 primo degli scritti suoi che ci rimangono, è un Tratlato a fog- gia di lettera indirizzalo a santo Ilario } e contiene un grande elo- gio del deserto, e della utilità della solitudine. Poi una Lettera a Va- leriano suo parente, i cui ragiona- menti pieni di vigore e forza dan- no chiara idea della vanità e ca- ducità delle cose terrene, e quindi dell' inganno di chi le apprezza ; un Trattato delle formole, il quale altro non è che una spiegazione d'alcuni passi della Scrittura , ad uso del suo figlio Verano; i due libri delle Istituzioni, i quali sono d'una maggiore utilità dell'anzi- detto trattato, spiegandosi in essi un gran numero di difficoltà della Scrittura; finalmente la Storia di s. Maurizio e degli altri martiri della legione tébana.

EUCOLOGIO (Euchologium).U* bro di preghiere, così chiamato dai greci, e contenente le preghie- re, le benedizioni, il rituale e le ce- rimonie di cui si servono nell'am- minislrare i sagrameati, e nella li-

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lurgia, come nella collazione degli ordini sagri. L'Eucologio è pei gre- ci propriamente il Rituale e il Pontificale, contenente tutte le fun- zioni sacerdotali ed episcopali. Lo stamparono i greci scismatici nel 1 63 1 pieno di errori, laonde i greci cattolici , sudditi di Filippo JV re di Spagna, ne avvisarono questo principe , il quale ricorse ad Urbano Vili, che perciò depu- tò una congregazione particolare di teologi, a cui ascrisse i più dot- ti, fra 'quali il p. Gio. Morino del- l'oratorio di Francia, ed il celebre gesuita Dionisio Petavio, che per la provetta sua età non potè re- carsi a Roma: poscia vi furono aggregati Luca Olstenio, e Leone Allazio. Alcuni vi trovarono errori e cose che loro sembravano rende- re nulli i sagramenli; altri dimo- strarono che i riti contenuti Dello Eucologio erano più antichi dello scisma di Fozio, e che non si po- tevano condannare, senza compren- dere nelle censure l'antica Chiesa orientale. Ottanladue congressi eb- bero luogo fino all' anno ì6^5, senza che i membri della concie- gazione compissero il loro lavoro, che però fu continuato lentamente sotto Innocenzo X, ed altri Ponte- fici, sino a Benedetto XIV. Ma que- sti, avendo rinnovata tale congre- gazione, di cui avea fatto parte, e volle averne nei successivi lavori, ebbe la gloria di portare a fine l'opera. Quindi l' Eucologio, egre- giamente corretto, coll'aiuto di quel- lo pubblicato in Parigi nel 1647, greco-latino, con note ed eccellenti giunte, dal dotto domenicano Gia- como Goar, intitolato Euchologìum «Ve Rituale graecorum, e di molti altri mss. che si conservavano in diverse biblioteche, lo fece pubbli»

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care nel 1754 dalla celebre tipo- grafia della congregazione di Pro- pagandante, col titolo Euchologium ec. Benedetto XIV il propose a tutti i vescovi ed ecclesiastici del rito greco, per uso delle loro chie- se, con una lettera loro diretta il primo marzo 1756, Ex quo ec. , Bull. Magn. tom. XIX, p. 192, nella quale il Pontefice die saggio di quella sagra erudizione che lo rese immortale.

EUDE (di) Giovanni, Cardinale. Giovanni di Eude, soprannominato Caramagna, della famiglia de'viscon- ti di Caramagna, pronipote di Gio- vanni XXII, nacque in Chaors nel- l'Aquitania. Fu dapprima canoni- co della metropolitana di Tours, protonotario apostolico , e quindi nel i35o a' 18 dicembre, da Cle- mente VI creato diacono Cardina- le di s. Giorgio in Velabro. Cle- mente VI lo promosse anco a con- templazione della parentela con- tratta tra la sua famiglia Roger, e quella di Caramagna, pel matri- monio del proprio nipote Gugliel- mo con Eleonora della casa di Caramagna. Innocenzo VI lo amava molto, e ne facea di lui altissima considerazione. Morì in Avignone pel contagio, l'anno i36i, ed ivi ebbe eziandio onorevole sepolcro.

EUDISTI. Congregazione di pre- ti secolari destinati a dirigere i seminari, ed a fare le missioni, i- stituita dal p. Giovanni Eude , il quale era fratello di Mézeray isto- riografo di Francia. Il padre Eu- de era stato prete della congre- gazione dell'oratorio, e uscì da es- sa per formare la sua. Dapprima la stabilì a Caen li 25 marzo i643, e di la congregazione si estese in molte provincie della Francia, principalmente in Normandia , a

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Roano , a Lisieux , ad Evrctix, a Coutanccs, ce. Questo istituto ha per iscopo di formare alla Chiesa dei zelanti preti, e dei buoni ec- clesiastici nei seminari , allorché i vescovi ne affidano ad essi la di- rezione, prendendo il nome di Con- gregazione di Gesù e Maria, det- ta degli Eudisti. Il fondatore fece una particolare professione di di- vozione alla santissima Vergine , e dispose che i suoi religiosi vestisse- ro come gli ecclesiastici secolari, e che il generale risiedesse nella casa di Parigi. Gli eudisti si applicano con frutto alla educazione de' gio- vani chierici nello spirito ecclesia- stico, nel ricevere quelli che vo- gliono fare ritiri ed esercizi spiri- tuali per avanzarsi nella perfezione, o per emendarsi dai loro disordi- ni dopo aver condotta una vita mondana, e in fare delle missioni massime nelle campagne. Professa- no gli eudisti di essere sottomessi agli ordinari de' luoghi ove sono stabiliti, e meritarono per il loro zelo e benemerenze gli elogi e le benedizioni de' vescovi. In Vincen- nes, negli Stati Uniti di America, gli eudisli hanno un collegio. Sic- come il p. Eude fu chiamato anche Odone, cosi gli eudisli furono ap- pellati da alcuni Odonisti. Il padre Eude è pur fondatore dell'ordine religioso di nostra Signora, ossia della congregazione delle religiose della Madonna della Carità, della quale si parla nel volume X, pag. 36, del Dizionario.

EUDOCIA. Città vescovile della seconda Pamfìlia., nella diocesi di Asia, sotto la metropoli di Pirgi , che Com man ville dice eretta nel quinto secolo. Vuoisi che prendesse il nome dalle imperatrici Eudossie, mogli di Teodosio e di Arcadio.

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L' Oriens Christ. , tom. I, pag. 102 r, assegna cinque vescovi a questa città, cioè Timoteo, Sabiniano, In- nocenzo, Costantino, e Calisto.

EUDOCIA. Sede episcopale di Licia, nell'esarcato e diocesi d'Asia, sottoposta alla metropoli di Mira, che Comman ville dice eretta nel nono secolo. Anche questa città vanla di aver preso il suo nome dall' imperatrice Eudossia , moglie di Teodosio II. Abbiamo dall' O- riens Chrislianus, tom. I, p. 908, che vi ebbero sede i vescovi Ti- moteo, Zenodoto, e Fotino.

EUDOSSIA. Città vescovile del- la seconda Cappadocia , nella dio- cesi di Ponto , sotto la metropoli di Pessinunte: altri la pongono nel Ponto di Galazia, o nella seconda Galazia. Ne\Y Oriens Christ., tom. I, pag. 4ì)5j sono registrati suoi ve- scovi Aquila, e Menna.

EUDOSSIOPOLl ( Eudoxiopo. lis ). Sede vescovile di Pisidia , nella diocesi d'Asia, sotto la me- tropoli di Antiochia , secondo le notizie di Jerocle. Teodoro ne fu vescovo, vedendosi il suo nome sot- toscritto nella lettera de' vescovi della sua provincia all'imperatore Leone.

EUFEMIA (s.). Verso l'anno 307, nella città di Calcedonia, ebbe Eufemia a sostenere i più barbari strazi, e finalmente la morte per amore di Gesù. Cristo. Sino da fanciulla aveasi ella con voto di virginità consegrata al Signore. Colle dimesse sue vestimenta, e col- l'esercizio della penitenza e santa umiltà si fece ella conoscere ben presto di appartenere alla sequela del divino Riparatore. Scoperta per tale, e tradotta dinanzi al magi- strato, fu ordinato tosto che fosse crudelmente percossa, uncinata, ed

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in mille modi tormentata. Eufemia il tutto sofferse con eroica costan- za, e condotta di poi in prigione lodava il Signore con canti i più soavi e giocondi. Infuriato vieppiù il tiranno per la fermezza di Eu- femia, ordinò ch'ella fosse vittima delle fiamme, e senza punto alte- rarsi ad una barbara intimazio- ne, Eufemia montò sul rogo da per se stessa, dando a divedere a- gli astanti la gioia eh' ella sentiva di entrare nella gloria di Gesù Cristo. Questa santa è onorata in tutto l'oriente anche dalla Chiesa greca, e le sue reliquie sono spar- se in vari luoghi, come pure la chiesa della casa di Sorbona in Parigi ne conserva una porzio- ne. La sua festa si celebra ai 16 settembre.

EUFEMIA. Sede episcopale dei Giacobiti della Mesopotamia, sotto la metropoli di Antiochia. Il p. Le Quien ne riporta le notizie nel- YOriens Chris t. , tom. II, p. i44tj dicendosi che ne furono vescovi Giovanni, Elia, Anastasio, e Ser- gio.

EUFRASIA o EUFRASSIA (s.). Nacque Eufrasia da un ragguarde- vole personaggio addetto alla corte dell' imperatore Teodosio il giovi- ne, del quale era anche stretto pa- rente, ed appena ella comparve al mondo, fu da' pii suoi genitori con- sagrata al Signore. Morto il padre l'anno seguente, la madre per cu- stodire più gelosamente la propria prole, si ritirò da Costantinopoli, e recatasi in Egitto, ove si trova- vano i ricchi suoi poderi, andò ad abitare nelle vicinanze di un mi- nistero di cento e più religiose, le quali spandevano il buon odore di santità. La giovinetta Eufrasia non ancor giunta al settimo anno di

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età, sentì fortemente gl'inviti della grazia, che la chiamava al ritiro, e richiesto l'assenso alla madre sua di servire a Dio in quel moniste- ro, non senza lagrime dalla tene- rezza scaturite, le accordò quanto ricercava, ed ella stessa la pre- sentò alla superiora , perchè fòsse accettata. Rimasta orfana Eufrasia anche della madre non molti an- ni dopo il suo ingresso nel moni- stero , l' imperatore Teodosio, cui spettava di tutelare la giovanetta, pensò al di lei collocamento, e mandò a prenderla per consegnar- la al ritrovato sposo. La santa fanciulla, bene rassodata nella sua vocazione, con fermezza ammirabile mandò all' imperatore la seguente risposta. « Siccome è di già noto « a voi, o invitto imperatore, ch'io » ho promesso a Gesù Cristo di vi- » vere in perfetta castità, vorrete « voi obbligarmi a violare la mia « promessa , sposandomi ad un n uomo mortale, il quale diverrà » presto pasto dei vermi ? Vi sup- » plico adunque, per quella vostra m bontà onde onoraste i miei ge- « nitori, a disporre dei beni ch'es- « si mi hanno lasciato, in favore *• dei poveri, degli orfani e delle » chiese. Date la libertà a tutti i « miei schiavi, a'miei affiliamoli con- « donate quant' essi mi devono, « onde sciolta affatto da ogni pen- » siero degli affari temporali, pos- » sa senza alcun impedimento ser- » vire a Dio. Pregate il Signo- >* re che mi renda degna di lui, » e la stessa grazia oso doman- « dare all'imperatrice vostra spo- » sa". Letta dall'imperatore una tal lettera, non potè trattenere le la- crime , e piansero con lui tutti quelli che degnò mettere a par- te di nobili e religiosi sentimen-

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li. L'imperatore eseguì prontamen- te i voleri eli Eufrasia, e disciolta ella da ogni cura terrena si adden- trò sempre più nella perfezione c- vangclica, e santamente morì nella fresca età di anni trenta, nel 410. Fu onorata del dono dei miracoli prima e dopo la sua morte, ed il martirologio romano assegna la di lei festa li 1 3 marzo.

EUFRATESIA o EUFRATEN- SE. Provincia dell'Asia nella Siria, lunghesso il fiume Eufrate, avendo questo all'oriente, al ponente la prima Siria, ed al nord il monte Tauro e l'Eufrate, secondo la geo- grafia sagra. Questa provincia di- pendeva dal patriarcato d'Antio- chia, e fu prima chiamata Coma- gene, ed in ordine gerarchico è l' ottava provincia di detta diocesi Antiochena. L' imperatore Cesare Augusto ne fece una provincia ro- mana, e la chiamò Eufratesia, per- chè, come si disse, termina col fiu- me del suo nome. Di essa spesso se ne fa menzione negli atti dei concili; aveva Jerapoli per metro- poli civile ed ecclesiastica, chiama- ta anche Membisc, che eretta in vescovato nel IV secolo, nel V di- venne metropoli con sedici vesco- vati per suffraganei, tre de' quali in progresso furono elevati al gra- do arcivescovile. V. Jerapoli.

EUFRAZIO (s.). Brevi sono le notizie di s. Eufrazio , e nulla di più ci è dato a conoscere. Fu egli vescovo di Al vergna, sede che ven- ne in seguito trasferita a Clermont. Nell'anno 5o6, nel concilio diAgde, si fece rappresentare, ed in quello di Orleans, nel 5ii, vi assistè in persona. Ricovrò in sua casa il santo vescovo di Rodez Quinziano, e provvide con liberalità ai suoi bisogni. Morì santamente nell'anno

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5 1 ed è registrato nei martiro- logi il giorno |5 maggio.

EUFRONIO (s.). Dotato Eufro- nio di somma piudcnza, e di pro- fonde cognizioni fornito, fu da sem- plice sacerdote, ben presto chia- mato a reggere la chiesa vescovile di Autun. Assunto a tale dignità occupossi ad edificare il suo greg- ge coli' esempio di una santa vita e colla voce. I più celebri prelati della Chiesa gallicana erano suoi amici ed ammiratori. Sottoscrisse al concilio radunato in Arles nel 475. Ignorasi in qualanno sia mor- to, ma il suo sepolcro è onorato nella chiesa di s. Sinforiano. La sua festa si celebra il giorno 4 di ago- sto.

EUFRONIO solitario (s.). Lom- bardo di origine, ebbe Eufronio sino dalla più fresca età una te- nera divozione a s. Martino vesco- vo di Tours. Recatosi nel Limosi- no, e fattosi seguace di s. Aredio, si ritirò poi presso T reveri, e si costrusse un romitorio. Viveva Eu- fronio di pane, acqua ed alcune erbe soltanto, ed innalzata una co- lonna, su quella predicava agli abi- tanti circonvicini, ch'erano pagani, esortandoli ad abbattere i loro ido- li. Erasi determinato di condurre i suoi giorni sopra quella colonna, ma alcuni vescovi il consigliarono a rientrare nel suo monistero, ed egli obbediente vi si sottomise. Mo- rì in pace nel termine del sesto secolo, e fu seppellito nel moniste- io da lui eretto. Le sue reliquie si onorano nella città di Yvois, e la festa si celebra li 21 ottobre.

EUFRONIO (s.) , vescovo di Tours. Dedicatosi assai giovine allo stato ecclesiastico, le sue virtù ed il suo sapere gli fecero strada al- l'episcopale dignità. Fu a questa

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chiamalo dal voto del clero e del popolo, e venne consegrato nel- l'anno 556, e nel susseguente as- sistette al concilio di Parigi. Con- tribuì non poco alla riedificazione della città di Tours, dalle guerre civili quasi distrutta, e provvide alla sussistenza de' poveri, versando in seno a questi i frutti della sua mensa episcopale . Nell'anno 566 convocò Eufronio un concilio, chia- mato il secondo di Tours, nel qua- le si fecero ventisette canoni di disciplina. Quantunque assai stima- to dal re Cariberto, rare volte, e con ripugnanza, si recava alla sua corte. Disimpegnate con perseveran- te sollecitudine le cure episcopali, finì egli di vivere li 4 agosto del ^7 3, ed ebbe a successore s. Gre-» gorio, suo congiunto, il quale vie- ne riguardato come il padre del- l' istoria di Francia. La festa di s. Eufronio nel martirologio roma- no è notata li 4 agosto.

EUFROSINA (s.). Figlia di Paf- nuzio, personaggio illustre di Ales- sandria, spiegò Eufrosina sino dai verdi suoi anni ardente brama di consagrarsi al Signore, e segregar- si dal mondo. Il padre suo attra- versava a tutto potere le sante in* t.enzioni di lei, ed ella vedendo impossibile in via ordinaria di con- seguire lo scopo prefissosi, in età di diciott'anni abbandonò il tetto paterno, e travestita da uomo si presentò all'abbate Teodosio, che dirigeva un monistero presso Ales- sandria, di circa trecento cinquan- ta religiosi. Il savio abbate la con- sigliò di chiudersi sola in una cel- letta, e la assoggettò ad un abile direttore. Quivi divideva ella il suo tempo nelT esercizio della pietà cri- si urna, nella pratica della mortifi- cazione, e nelle opere delle sue

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mani. 11 padre suo naturale visi- tava di spesso quel monistero, e senza riconoscerla, riceveva da lei dei savi consigli per la condotta spirituale di sua vita. Giunta ella al termine de'suoi giorni si scoper- se al padre, e santamente morì fra le sue braccia nel quinto secolo, avendo scorsi trenta anni in quella solitudine. Una tale scoperta fatta da Pafnuzio diede l'ultima mano per determinarlo a lasciare anch'egli jl mondo e morire santamente presso quei religiosi. Dal martiro- logio romano è ricordata s. Eufro- sina il primo gennaio.

EUGENDO (s.). I due santi fra- telli Romano e Lupicino, fondatori del monistero di Condat nella Fran- ca Contea, allevarono Eligendo sino dall'età di sette anni. Corrispose egli mirabilmente alle loro cure, ed in progresso di tempo divenne an- che abbate di questo monistero. Austerissirna conduceva la vita, un solo pasto al giorno ci faceva, do- po il tramonto del sole, e mangia- va assai poco. Una sola era la ve- ste che usava in ogni stagione, ed un perpetuo cilicio lo stringeva. Sereno sempre il suo volto, dimo- strava a tutti quanto era egli tran- quillo, ed il suo tratto dolce lo ren- deva caro ad ognuno. Con una continua orazione, Eligendo era sempre a Dio intento, e tanto a lui si univa, che piti volte ne di- veniva estatico. Sentito prossimo il suo fine, chiamò a se un sacer- dote, e lo pregò di amministrargli l'estrema unzione, e cinque giorni dopo in età di sessantun anno mo- ri dolcemente nel bacio del Signo- re, l'anno 5i4« I grandi miracoli operati per di lui intercessione gli procurarono una fama estesissima in quelle contrade, ed è onorata

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la sua memoria il di primo gen- naio con culto speciale.

EUGENIA (s.). Poco ci è da- to di riferire di questa santa vergi- ne, e ci limiteremo soltanto a di- re, che sostenne in Roma il mar- tirio l'anno tx58 all'incirca. S. Avi- to di Vienna asserisce che il no- me di Eugenia era nella Chiesa assai celebre nel quinto secolo. Il suo sepolcro, secondo gli antichi martirologi, era nel cimiterio di A promano, nella via Latina. La sua festa dai latini è celebrata ai 2 5 dicembre, e dai greci il 24.

EUGENIA (s). Questa santa vergine fu figlia di Adalberto du- ca di Alsazia, e divenne badessa nella badia dell'alto Hodenbourg. Pel corso di quindici anni sostenne Eugenia il governo di quel moni- stero, mantenendo sempre la pace ed il buon ordine fra quelle reli- giose, e dando sempre di se prove non dubbie di specchiata santità. La sua morte fu conforme al suo vivere, e si addormentò nel Signore li 16 settembre dell'anno 735, ed in tal giorno viene celebrata la sua festività.

EUGENIO (s.). Questo santo fu discepolo di s. Dionigi primo ve- scovo di Parigi, sofferse il martirio a Deuil nel Parisis, ed ivi fu an- che sepolto. Molti anni dopo seguì la sua traslazione nella badia di s. Dionigi., La di lui festa è assegna- ta li i5 novembre.

EUGENIO (s.). Vescovo di Car- tagine. Unnerico re demandali, nel- V anno 48 1 permise ai cattolici di Cartagine di eleggersi un vesco- vo, dopo ventiquattro anni ch'era- no rimasti senza pastore. Eugenio dotato d' ogni sapere, zelo e pru- denza fu scelto a tal dignità, e si procacciò colla sua condotta l'amo-

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re de' suoi, ed il rispetto degli stes- si eretici. Grandi furono le sue li- mosine versate io seno degli indi- genti, e quanta pietà sentiva pel suo simile, altrettanta austerità e- sercitava con se stesso. Ogni gior- no digiunava, e parco era il suo pranzo sulla sera. Gli ariani , che a mal cuore vedevano i rapidi pro- gressi, che Eugenio faceva nella diffusione delle cattoliche verità , suggerirono al re Unnerico di or- dinare, che si unisse in Cartagine pel primo febbraio dell'anno 4^4 una conferenza di vescovi ariani, e che a quella dovesse concorre- re anche Eugenio. Con evangelica fermezza protestò che egli vi assi- sterebbe semprechè fossero chia- mate anche le chiese di oltremare, e segnatamente quella di Roma , capo e centro di tutte le altre. A- perta la conferenza il giorno sta- bilito, si presentò Eugenio, e fece sentire a tutta l'adunanza quanto era egli fermo nei veri principii di credibilità del tutto opposti all'a- rianesimo ; ma come il maggior numero de' convocati erano segua- ci di quell' eresia, così si disciolse la conferenza, senza nulla conclu- dere, anzi inferociti sempre più gli ariani contro i veri credenti. La persecuzione incominciò a spiegare il suo furore contro il santo ve- scovo Eugenio, e strappato dal suo gregge, fu esiliato dalla città, e confinato in Linguadoca, ove san- tamente morì in un monistero da lui fatto fabbricare a Vianza pres- so Albi. 11 giorno i3 luglio del- l'anno 5o5 volò egli al cielo , ed in tal se ne celebra la festività. EUGENIO I (s.) Papa LXXVII. Primo fra'Pontefìei di questo no- me, fu romano del Monte Aven- tino, figliuolo di RuttiniauOj e co*

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me credono alcuni della famiglia Sa- velli, fu fatto chierico mentre ancor era nella culla, come si esprime il Marlene, de Antiquit. Eccl. ritib. Kb. i , cap. 8, art. 3, n.° 2, il quale perciò cita il libro Pontificale. A'dì 8 set- tembre del 654 venne eletto Pon- tefice dal clero romano mentre vi- vea ancora Martino I, attese le mi- nacele di Teodoro esarca di Ra- venna, il quale per espresso coman- do di Costante imperatore erasi re- cato a Roma per fare eleggere un successore allo stesso Martino I an- cor vivente. Trovavasi allora que- sto Pontefice in esilio, e per be- ne della Chiesa di buon gra- do approvò l'elezione del suo suc- cessore fatta dal clero romano in Eugenio I, per tema che l'im- peratore non esaltasse al pontifi- cato qualche fautore dei monote- li li. Per altro il Baronio (Ann. ec- cles.3 ad an. 652, num. 1 1 ) è di opinione, che Eugenio I, mentre vi- vea Martino I, fosse soltanto vicario, e ne prendesse 1' assoluto governo solamente dopo la morte di lui, e col rinnovato consenso del clero. Ben tosto fu messa alla prova la fer- me/za e vigilanza del nuovo Pon- tefice. Pietro patriarca Costantino- politano, successore di Pirro, e non meno di lui fautore de' monoteliti, spedì ad Eugenio I, secondo l'antico costume, la pistola sinodica, piena di astuzie e sentimenti dolosi sulle volontà ed operazioni di Gesù Cri- sto. Mosse ella a sdegno ed a vivo zelo il clero e popolo di Roma, in guisa tale, che non si permise al Papa di celebrare la messa nella ba- silica di s. Maria Maggiore, s'egli prima non l'avesse solennemente ricusata. Il santo Padre quindi ani- mato da magnanima santità e co- stanza la rigettò come dubbiosa ed

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occultamente eretica, e, secondo il costume, spedì all'imperatore la propria sua sinodica, facendolo con- sapevole del suo esaltamento. Gli apocrisari del Pontefice, che gliela recarono, sedotti ed ingannati dal patriarca , approvarono i suoi er- rori, e quindi dallo stesso Eugenio I furono condannati come apostati della vera fede. (V. Baronio, An- noi, ad Mariyrol. Rom., IV Non. Jun.). Questo Pontefice ordinò che i vescovi avessero delle carceri, nel- le quali fossero puniti i delitti de- gli ecclesiastici. Creò in due ordi- nazioni ventidue vescovi : governò due anni, otto mesi e ventiquattro giorni dalla sua elezione, e un an- no, otto mesi, quindici giorni dal- la morte di Martino I. Morì distinto per la sua pietà, dolcezza e libe- ralità a' 2 giugno del 65 7 , e fu sepolto nel Vaticano. La santa Se- de vacò due mesi e nove giorni.

EUGENIO II Papa CU. Nacque in Roma da Boemondo. Fu cano- nico regolare, come vuole il Ciac- conio, e rendutosi insigne, come scrive il Cardella, per le doti dello spirito, non meno che per l'eccel- lenza della dottrina, e per l' ele- ganza e maestà della persona, fu arciprete della Chiesa romana, e Car- dinale di s. Sabina, creato da Leone III. A' 16 febbraio dell' 824 successe nel pontificato a Pasquale I. Non ignorasi com'egli con sommo onore ricevesse in Roma X Augu- sto Lottano I, quivi spedito da suo padre Lodovico I imperatore, per togliere lo scisma , che si era ec- citato dall' antipapa Zinzinio nella sua esaltazione, onde prese Lotta- rio 1 1' occasione per dare fuori una legge o costituzione sulla elezione de' Pontefici. Da un canone del concilio che celebrò in Roma, ri- 12

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ci vano alcuni l'istituzione de' se- minari de' chierici. Non pochi eru- diti gli attribuiscono la purgazione, o prova dell' innocenza per mezzo dell'acqua fredda. Mori a* 27 di agosto dell' 827, dopo tre anni, sei mesi ed undici giorni di pontifica- to. La magnificenza e la liberalità co' poveri gli meritarono il nome di padre comune. 11 Vaticano rac- colse le ceneri di lui. Vacò la san- ta Sede quattro giorni.

EUGENIO III Papa CLXX1V. Chiamato prima Pietro Bernardo, nacque in Monte Magno nella To- scana, dall'illustre famiglia de' Pa- ganelli. Dopo essere egli stato ca- nonico di Pisa , indi monaco ci- sterciense ed abbate prima de'mo- naci ches. Bernardo mandò all'ab- bazia di Farfa (Vedi), poi nel mo- nistero de' ss. Vincenzo ed Anasta- sio alle tre Fontane, due miglia da Roma tra la via Ardeatina e l'Ostiense, ove avealo pure collo- cato s. Bernardo, di cui era stato discepolo, sebbene non fosse Car- dinale, come avea prescritto Stefa- no III, fu innalzato alla sede di Pietro nella chiesa di s. Cesario a' 27 febbraio ii4^>- In quest'anno medesimo Eugenio 111 approvò l'Or- dine militare di s. Giovanni di Ge- rusalemme, volgarmente chiamato di Malta, ed in Viterbo fece la prima promozione di quattro Car- dinali. Nell'anno seguente 1 146 ne nominò altri cinque, fra i quali Ni- colò Brekspear, poscia Pontefice nel li 54, col nome di Adriano IV.

Non appena Eugenio III era stato eletto a Pontefice che , tre giorni dopo, temendo l' impertinenza de- gli a maidici congiurati a deporlo, se non avesse loro confermato l'u- surpato senato, fuggì di notte coi

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Cardinali nel suo antico moniste- ro dell' abbazia di Farfa nella Sabina, venticinque miglia lontano da Roma, ove fu consecrato a' 4 marzo. Quindi passò a Città di Ca- stello, poscia a Viterbo, ove sog- giornò diciotto mesi. Sedata intan- to la rivoluzione degli arnaldisti, e ricevute da essi le più belle pro- messe, a ridonare la primiera pa- ce a Roma, ed abolire ogni loro innovazione, il santo Padre, in mez- zo alle pubbliche acclamazioni ed esultanze, nel dicembre dello stes- so anno 11 4^, fece ritorno in Ro- ma, ove celebrò colla solita mae- stà la festa della Natività di Gesù Cristo.

Se non che nell'anno seguente datisi que' sediziosi a nuova rivolta, Eugenio III partì alla volta di Fran- cia , ove fu ricevuto con grande onore dal re Lodovico VII, ma sol- tanto vi giunse nel 1 i47> essendosi soffermato per via in vari luoghi. In Parigi celebrò la Pasqua col re, e radunò un concilio per trattarvi la causa di Gilberto Porretano, ve- scovo di Poitiers, accusato di alcu- ni errori sul mistero della Trinità, la quale fu rimessa al concilio che nell'anno seguente si sarebbe cele- brato in Reims, Frattanto Eugenio III da Parigi andò a Meaux, dov'era a* 26 di giugno, e dopo avere tras- corso altre città passò a Treveri, e vi celebrò un concilio, nel quale si prese anche a disamina gli scritti di s. Ildegarda. Sul fine di feb- braio del 1 1 48 da Treveri passò a Reims, dove nel mese di marzo ebbe luogo il preordinato concilio a condanna del vescovo di Poitiers, il quale , confessati i suoi errori , ritornò al governo della sua chiesa. Poco dopo celebrato questo con- cilio, Eugenio III si trasferì al suo

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anlico monisterodiCistello, nel qua- le consertando nascosto l'abito di monaco, si trattenne pochi giorni nell'esercizio delle più rigide virtù. Quindi passò a Langres, e da qui scrisse ad Alfonso Vili re di Leone e Castiglia una lettera col- la quale confermava il primato della chiesa di Toledo, e diceva di mandargli la rosa d'oro. Da Langres fece ritorno in Cistello, in- di s' avviò alla volta d' Italia e soffermossi a Frascati per reprimere le sollevazioni che in Roma avea di nuovo suscitato Arnaldo di Bre- scia. E vi riuscì, giacche sostenuto dalle truppe del re Ruggero, trion- fò degli arnaldisti romani, co'quali stabilita la pace, entrò in Roma circa la fine del i i^g. Ma insorti nell'anno seguente altri tumulti contro di lui, fu costretto nuova- mente ad uscire , e dimorare per non breve tempo nella Campagna romana. Frattanto nell'anno stesso fece la promozione di altri quin- dici Cardinali, molti de' quali mo- rirono in odore di santità.

Nel suo soggiorno nella Cam- pagna romana il santo Padre, nel 1 1 Si, ricevè i due vescovi di Co- lonia e di Magonza , chiamati a render conto della loro condotta. Conoscendo essi a pieno il gran bisogno a cui l'avevano ridotto i ribelli romani, seco portarono gran somma di denaro, cui egli costan- temente ricusò a fronte delle re- plicate offerte. Dopo lungo esame della loro causa , fu riconosciuta l' innocenza dell' arcivescovo di Co- lonia Arnolfo ; il Pontefice quindi lo assolse, e con diploma dato in Segni agli 8 gennaio i i5i, accor- dò ad esso e di lui successori il diritto di coronare i re de' roma- ni entro i confini della propria

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giurisdizione, e di tenere ne' con- cistori il primo luogo dopo il Pon- tefice. Acconsentì inoltre che nella chiesa di Colonia vi fossero sette preti Cardinali, i quali vestiti colla dalmatica e colla mitra , ne' due principali altari di quella chiesa ce- lebrassero il divino sacrifizio, assi- stiti da altrettanti diaconi e sud- diaconi, coli' uso de' sandali. Cre- desi poi che circa questo tempo Eugenio III unisce al vescovato d'Ostia quello di Velletri, giacché Ostia mancante di abitanti lasciò di essere città.

Nell'anno seguente 11 52, Euge- nio III canonizzò s. Enrico I im- peratore, e II re di Germania , ele- vò nell'Irlanda al grado arcivesco- vile le chiese vescovili di Armadi, Dublino , Cashel , Tuamense o Gallowai, e, ad istanza di Gra- ziano, monaco benedettino a Bo- logna, stabilì nelle accademie i gra- di di baccelliere, licenziato, e dot- torato nei decreti, ec, con diversi privilegi per animare la gioventù allo studio del diritto canonico.

Conchiuse poi finalmente, come aveagli predetto la s. vergine Il- degarda , la pace cogli arnaldisti , neh" ottobre del ii52, e ritornò in Roma. Ne qui è a dirsi con quali e quante magnanime azioni preve- nisse il momento di sua morte, e cercasse di confondere l' ingratitu- dine de' romani. Egli li ricolmò di segnalati benefizi : abbellì colla sua munificenza Roma, ove eresse dei superbi edifici i. ristaurò la chiesa di s. Maria Maggiore aggiungen- dovi un portico corrispondente alla sua maestà, del quale parlammo, come della tradizione del miraco- lo della neve caduta nel luogo ove fu eretta quella basilica, al volu- me XII, pag. 116 del Diziona-

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rio. Non si dimentico della sua famiglia, cioè dell' Ordine dei ci- stcrciensi : confermò i suoi statuti, e le accordò tutti i privilegi che potea mai desiderare. Mentitegli era in Francia intervenne al ca- pitolo generale di questi monaci , come se fosse stato uno di loro. Il zelo, la pietà, la saviezza, il disin- teresse , T applicazione al governo della Chiesa, al progresso della re- ligione, alla estirpazione dell'errore, virtudi tutte, V unione delle quali forma Vi idea d' un gran Pontefice, trovaronsi a meraviglia congiun- te nella persona di Eugenio III , che sulla carne portava una tona- ca di lana, e dormiva sul nudo terreno. Non poteva essere altri- menti la sua gloriosa condotta, co- me quello che si regolò secondo i consigli del dottore s. Bernardo, che per lui scrisse il celebre libro De Consideratìone. Egli amò la gente studiosa , ricompensò le persone dot- te, ravvivò lo spirito dello studio, fece rinascere l'emulazione, procurò la traduzione de' libri di s. Gio. Damasceno sopra la fede ortodos- sa, e diede una nuova forma alle scuole di teologia e di legge. Egli ricuperò Terracina, Sezza, Norma e la Rocca di Fumone, e fabbricò un palazzo in Segni, ed un altro in Roma presso il Vaticano, che si crede il principio di quella va- stissima macchina, che oggi serve di abitazione a' Pontefici ed a tutta la numerosa loro corte.

Eugenio III governò otto anni, quattro mesi e dieci giorni. Tivoli fu il luogo della sua morte, quivi recatosi per sollevare il suo animo dalle cure pontificie. Il giorno 8 luglio del ii 53 fu l'ultimo della sua vita. Ugone vescovo d'Ostia lo chiama ornamento della Chie-

EUG sa, padre detta giustizia, amatore e protettore della religione. Fu se- polto nel Vaticano, ove il suo se- polcro fu illustrato da molti mi- racoli, ed il suo nome si trova nei Calendari cisterciensi (V. il Papc- brochio, in Propylaeo, part. II, pag. 22, num. 7). Non vacò la Sede romana.

EUGENIO IV Papa CCXVII. Chiamato prima Gabriele, fu pa- trizio veneto. Trasse sua origine dalla famiglia Condulmieri, venu- ta da Pavia in quella città , co- me dicemmo all' articolo Condul- mieri ( Vedi). Nacque da Angelo Condulmieri e da Beriola Corra- ro. Appena morto suo padre, Ga- briele diede ben tosto a conoscere come infastidisse della terrena gran- dezza, ed a tesoro si avesse la vera ca- rità, distribuendo a'poverelli venti mila ducati del suo ricco patrimonio, e facendosi canonico della congre- gazione Celestina di s. Giorgio in Alga. Vuoisi che fino da questo punto due romiti gli predicessero il suo futuro pontificato non solo, ma anche la durata e le tristi vi- cende che ne lo avrebbero accom- pagnato (Vespasiano Fiorentino, nelle Gesle Eugenio; Enea Sil- vio, in EuKop. cap. 58 ). Anzi (co- me nota Filelfo, Orat. ad Jaeob. Anton. Marcellum ) glielo predisse- ro ancora i ss. apostoli Pietro e Paolo, neir occasione che prodigio- samente lo guarirono da grave malattia. 11 Cardella aggiunge che glielo predisse pure s. Giovanni da Capistrano. E questa si fu la via per la quale giunse al soglio pon- tificio.

Gregorio XII, suo zio materno, da canonico di Verona lo fece suo tesoriere, indi vescovo di Siena nel 1407, quand'egli non avea che

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ventiquattro anni di età. Ma accortosi che i senesi bramavano piuttosto un vescovo della loro nazione, dopo un anno rinunziò all'episcopato, e passò a chierico di camera, ed alla cospi- cua carica di tesoriere generale: po- scia nel 1408 a' 9 maggio fu innal- zato a prete Cardinale di s. Cle- mente, nel qual grado rimase sino all'anno i424> m cui Martino V Io dichiarò legato prima della Mar- ca, sconvolta dalle sedizioni dei malcontenti, e poi di Bologna da lui ridotta all'ubbidienza e divo- zione della romana Chiesa. Dopo la morte di questo Pontefice, tre- dici Cardinali si rinchiusero a'2 di marzo i43i nel conclave, che si era preparato nel convento della Minerva, e quivi nel giorno se- guente elessero concordemente Ga- briele Condulmieri in età di anni quarantotto, il quale col nome di Eugenio IV fu solennemente coro- nato nella scalinata della basilica vaticana dal Cardinale Santi Quat- tro Coronati agli 1 i dello stes- so mese.

Fu in quest'anno medesimo del suo innalzamento che si aperse quella per lui funesta sorgente di avver- sità e contraddizioni, le quali ne lo accompagnarono in tutto il suo pontificato, che passò nella mag- gior parte in più luoghi errante pel corso di nove anni, tre mesi e venti tre giorni , per evitare le in- sidie dei suoi nemici.

Tre Colonnesi, Antonio princi- pe di Salermo, Odoardo conte di Celano, e Prospero Cardinale, ni- poti di Martino V, s'impadronirono del tesoro che lo zio aveva radu- nato per somministrare le spese a' greci, i quali dovevano condursi al concilio in cui si dovea conchiu- dere l'unione loro co' latini, e per

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fare la guerra a'turchi, servendosi così di questo denaro, per ammas- sare della gente, affine di oppri- mere il nuovo Pontefice, e di re- care in poter loro la città d'i Roma. E ciò sarebbe ad essi riuscito il giorno 22 d'aprile, se i Colonnesi non fossero stati respinti da'soldati della Chiesa, uniti alle truppe man- date al santo Padre da' fiorentini e da'veneziani, allorché videro la gen- te spedita in loro soccorso contro di Eugenio IV dalla regina di Na- poli Giovanna II, corrotta dal de- naro de'Colonnesi e voltata a favo- re di questi. Il Papa scomunicò i Colonnesi; ma avendo eglino, dopo sparso molto sangue, restituito alla Chiesa parte del tesoro, e le terre occupate, furono ancor essi restitui- ti alla comunione de'fedeli.

Pochi mesi dopo la sua inco- ronazione il nuovo Pontefice pro- mosse i due primi Cardinali; e Fran- cesco Condulmieri, nobile veneziano, figlio di suo fratello, fu tra que- sti. Siccome stava oltiemodo a cuore ad Eugenio IV la riduzione degli ussiti alla vera fede, così nell'an- no slesso i43 1 confermò la lega- zione del Cardinale Giuliano Cesa- rmi, già deputato da Martino V, a celebrare in suo nome nella cit- tà di Basilea il concilio generale da lui stabilito. Ed infatti nel gior- no 23 luglio dell'anno medesimo avea avuto principio; quando il Papa, per nuove ragioni insorte, ordinò che fosse sospeso e fra due anni trasferito da Basilea a Bolo- gna. Si opposero a tale decreto i padri di Basilea, e però nel i432 lo continuarono, come aveano co- minciato.

Mosso Eugenio IV dal più forte timore di un nuovo scisma ne per- mise la continuazione, e tanto più

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che tale era il desiderio di Sigi- smondo re de 'romani, cui egli co- ronò in Roma coll'insegne imperiali, nell'ultimo giorno di maggio i433, cerimonia che fu soggetto all'immen- so affollato popolo della più viva commozione e meraviglia nel ve- dere che T imperatore, giusta il consueto rito, colla corona d'oro in capo serviva di palafreniere a sua Santità mentre montava a cavallo, e glielo conducea per tre passi , montando poscia anch'egli sul suo destriere alla sinistra del Papa ed accompagnandolo fino a Castel sant' Angelo, ove preso da lui commiato, Cesare prosegui fi- no al palazzo lateranense, dopo avere creato sul ponte più cava- lieri.

Nell'anno i4^4 Eugenio IV ri- mise nel primiero stato i Cardinali Ugo Lusignano fratello del re di Cipro, Giovanni da Casanuova, e Domenico Capranica, quando i ro- mani sollevaronsi contro di lui, per li danni che riportarono da Nicolò Fortebraccio ; quindi gli tolsero a forza dal suo lato il Cardinale Condulmieri suo nipote, lo posero in custodia, ed attorniarono di gen- te armata il palazzo pontificio. E già aveano premeditato il reo dise- gno di dare il Papa in mano di Fi- lippo duca di Milano insieme colla città di Roma, e nel palazzo tradur- lo de'ss. apostoli abitato già da Mar- tino V, e quivi tenerlo prigione finche il duca ed il concilio di Basilea a- vessero stabilito ciò che di lui dovea- si fare; se non che fatto Eugenio IV consapevole di tutta la trama, travestito da monaco, in una barchet- ta giù pel Tevere se ne fuggì. Giunto ad Ostia, ma inseguito da'romani, salì su di una galera, colla quale per Civitavecchia prese terra in Pi-

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sa, quindi pochi giorni dopo passò a Firenze, ove giunse a'^3 di giugno, mandando così a vuoto le insidie dei romani, i quali anzi furono poscia soggiogati dalle trup- pe pontificie, comandate da Gio- vanni Vitelleschi degli Orsini, ve- scovo di Recanati , uomo de'più periti negli affari di guerra, che allora si trovasse in Italia. Cadde ben tosto la giusta pena sopra il capo de' sediziosi chiamato Poncel- letto, e fu innalzato all' onore di maresciallo di Roma Gaspare di Gio. di Lello Petroni, pei distinti servigi prestati al Pontefice nella ricuperazione della città, e libe- razione del Cardinale Camerlengo suo nipote. Se non che ben pre- sto nell'anno seguente i435 nuovi disastri insorsero ad agitare l'ani- mo del buon Pontefice. Mentre Eu- genio IV stava in Firenze, ivi pure trova vasi il vescovo di Novara, spedi- to come ambasciatore dal duca di Milano per trattare col santo Padre della pace. Sedotto questi da cer- to Riccio spagnuolo, astuto maestro di tradimenti, tese insidie ad Euge- nio IV, e mentre trovavasi a s. An- tonio fuori delle mura, lo voleva tradurre col soccorso di Nicolò Pic- cinino, nello stato del duca Filip- po Maria; ma scoperta la trama perchè trattata fra molti, il vesco- vo fellone fu accomiatato dalla cor- te, esperimentando la generosa cle- menza del Pontefice , ottenutagli dal b. Cardinale Albergati. Poco dopo ebbe Eugenio IV il conforto di vedere ritornati alla sua ubbidien- za i bolognesi, e restituitagli con pubblica scrittura la signoria di quella città, ciò che altresì fecero quelli di Città di Castello, ed i Malatesta, che aveano occupata la città di Pesaro.

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Successe in questo mentre il gior- no 1 1 di febbraio la morte della regina di Napoli Giovanna II, e le ragioni di questo reame apparte- nevano alla santa Sede, non solo per l'accordo fatto tra la Chiesa romana e Carlo I d'Angiò, ma si ben anche per quello confermato da suoi successori e da Giovanna medesima, ultima della stirpe di Carlo. Tornato quindi Eugenio IV al potere supremo di questo regno, ne stabilì amministratore il Vitel- leschi, vescovo di Recanati, avver- tendo i napoletani a non ricevere come re, se non chi egli stesso, secondo l'antico costume, avesse no- minato. Ma questi poco curando le ragioni del Pontefice, parte in- vitarono allo scettro Renato, fra- tello del defunto Lodovico d'Angiò, e parte Alfonso V, re di Aragona, il quale, accompagnato da' suoi fratel- li Giovanni II, re di Na varrà, Enri- co, e Pietro, assediò con numerosa armata la città di Gaeta, ove essi con molti altri signori restarono prigioni dell'armata de'genovesi che vi avea inviato il duca di Milano, il quale generosamente li trattò e ri- mise nella primiera libertà. Il san- to Padre colla maggior parte del regno si mise a proteggere Renato, ne lo invitò con lettere al posses- so di quel regno, e perciò replica- te istanze diresse a Filippo duca di Borgogna, onde dalla prigionia lo sciogliesse, in cui giaceva.

Oppresso da tante cure il Pon- tefice, il giorno 18 aprile del i436, da Firenze si portò a Bologna. Fu in questo tempo che i cittadini di Forlì, essendo stati sconfitti da Fran- cesco Sforza, generalissimo dell'e- sercito della Chiesa e gonfalonie- re di essa, si sottoposero dr nuovo ad Eugenio IV, e n'ebbero l'assolu-

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zione da ogni pena contro di essi stabilita. 11 prode Vitelleschi poi soggiogò la città di Palestrina, e do- mò Lorenzo Colonna, abbattendone interamente la rocca, c'entro delle sue scorrerie sul territorio romano.

In tutte queste mosse altro non avea a fine il santo Padre che la pace non solo propria, ma bensì anche universale. E fu perciò che tutto si diede all'opera di pacifi- care i francesi cogli inglesi ; ma la pertinacia degli odii o 1' ambizione mandarono a vuoto ogni suo sfor- zo. Accordò benignamente con sua bolla ad Odoardo re di Portogal- lo di fare la sacra guerra agli a- fricani , ma colla condizione che non tornasse a pregiudizio di ve- run altro re cristiano , ne fosse quindi causa di nuove dissensioni. Neil' occasione della lite insorta fra Giovanni re di Castiglia ed il pre- detto re portoghese sulle isole Ca- narie, ove viveano schiavi i neofiti sottommessi da' cristiani, Eugenio vietò tale servitù, sotto gravissime pene, intimando puranche con le piti forti minaccie ad Odoardo ed a Jacopo II re di Scozia, eli rivocare gli editti pubblicati contro l'immu- nità ecclesiastica. Nel giorno poi 9 agosto del i4^7 innalzò al Car- dinalato il solo Giovanni Vitelli Vi- telleschi, celebre nella storia di quei tempi.

Tale si era e così infelice la si- tuazione di Eugenio IV, che gli fu d'uopo approvare tutto quanto sta- bilivasi nel concilio di Basilea. E già coi suo estorto consenso dalla sessione XVII erano giunti que'pa- dri alla XX V celebrala a 7 maggio 1437. Quando insorta questione fra essi sopra il luogo in cui do- veasi celebrare il concilio per la riunione de'greci, i quali aveanori-

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fiutato BariUn, Eugenio IV trovan- dosi in Bologna, nel primo ili ot- tobre del 1437 ordinò che si riu- nisco il concilio in Ferrara, ove trasferi rotisi la maggior parte dei padri, e nel principio dell anno se- guente vi si diede principio. 11 Pa- pa medesimo, ai 1 5 di febbraio, assistè alla seconda sessione con settautadue vescovi : e nel giorno 4 di marzo vi giunse puranche Giovanni VII Paleologo, impera- tore d'oriente, accompagnato da suo fratello Demetrio, da cinquanta e più arcivescovi ed altri prelati greci, e da più di settecento per- sone di comitiva. Narrasi ch'egli avesse montato sulle galere del Pa- pa, rifiutando quelle inviategli dai padri, ch'erano ostinatamente ri- inasti in Basilea, come abbiamo da Andrea di s. Croce, pag. 70 Ad. conc. Fior.

Assalita in questo tempo la cit- tà di Ferrara dalla peste, Eugenio IV fu costretto a trasferire il con- cilio in Firenze nell'anno 14^9, ov' egli stesso si condusse dopo se- dici sessioni tenute in Ferrara. A questo nuovo concilio generale XVI presedette il Papa coli' intervento di centoquaranta vescovi , e del suddetto imperator greco. In esso si pubblicò il decreto dell' unione de' greci sottoscritto dal Papa, dai deputati delle due Chiese greca e latina, e dallo stesso Paleologo, che lo segnò con inchiostro rosso al- l' uso degl' imperatori greci. Ma riuscì vana ogni cosa. Mentre ri- tornati i greci alla loro patria, mos- si da Marco vescovo d' Efeso, il quale avea ricusato di sottoscriver- ne il decreto, nel 1 44^ ritornaro- no all'antico scisma, nel quale in- sistono tutt'ora, dopo la decima- quinta volta, secondo alcuni, che

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s' erano riconciliati colla Chiesa la- tina.

Intanto si proseguiva il concilio di Basilea, divenuto conciliabolo do- po la partenza del Cardinale Ce- sarmi legato. Carlo VII re di Fran- cia, nel i438, estrasse da' decreti di questo conciliabolo la celebre prammatica sanzione divisa in tren- totto articoli e condannata da Eu- genio IV. Nell'anno seguente i439, i pochi padri di Basilea, cioè undi- ci vescovi, sette abbati e quattor- dici dottori col presidente Lodovi- co Alamand Cardinale d'Arles, do- po avere dichiarato come verità di fede nell'ultima sessione 33, che l'autorità del concilio generale era superiore a quella del sommo Pon- tefice, ed opposti ad Eugenio IV diversi capi di accusa, lo degradaro- no dal pontificato , sostituendogli l'antipapa Felice V. Intrepido il buon Pontefice, nel i44° scomu- nicò l'antipapa co' suoi fautori, ed annullò tutte le sentenze date dai basileesi dopo la transazione del concilio a Ferrara.

Nell'anno 1 439, a' 18 dicembre, mentre celebrava il concilio in Fi- renze, fece il santo Padre la terza promozione di diciassette Cardina- li, ed ai 22 di giugno dell'anno seguente la quarta di altri due; cioè del famoso Scara m Mezza- rota, e del suo nipote Pietro Bar- bo, poi Pontefice Paolo 11. Confer- mò tutti i privilegi dell' università di Padova, concessi da Urbano IV e Clemente VI, ed institui in Fi- renze una scuola di chierici gra- tuitamente mantenuti ed istruiti perchè avessero ad assistere ai di- vini uffizi. Durante il medesimo con- cilio, dopo la partenza dei greci da Firenze, Eugenio IV pubblicò il rinomalo decreto, in cui islrui-

EUG va e riceveva nella Chiesa roma- na gli armeni , che per ambascia- tóri gliel'avevano richiesto. V . Ber- nino, Storia dell' eresìe, tom. IV, p. 1 34- Perchè poi questo conci- lio acquistasse sempre più di au- torità io trasferì da Firenze a Ro- ma nell'anno i442? ove si Pr0" seguì di una sola sessione nella ba- silica lateranense.

In quest'anno stesso partendo Eugenio IV da Firenze, si portò con ventiquattro Cardinali a Siena, do- v'era stato vescovo. Vi soggiornò sei mesi , e quindi passò al con- vento di Lecceto , a cui con due bolle dei 6 settembre i442 con" cesse molti privilegi, e così purea tutta la congregazione agostiniana. In Siena benedisse la rosa d' oro , e la donò a Rinaldo signore di Piombino, generale de' senesi. Qui- vi fu visitato da' signori di Man- tova e di Urbino, e vi fece pace e lega col re Alfonso di Napoli, e col duca di Milano, secondochè narra il Gigli, Diar. Sanese, tom. II, pag. 1 64- Quindi si restituì in Roma a' 21 settembre i443-

In mezzo alle tante angoscie da cui era di continuo oppresso, ebbe in quest'anno il Pontefice la con- solazione di riunire alla nostra re- ligione prima i giacobiti , a' quali diede per quest'oggetto un istrut- tivo ed esemplare decreto, e po- scia gli abissini o siano etiopi, l'im- peratore de' quali Costantino Zara Jacopo, volgarmente detto Pre- te Gianni, invitato dal santo Pa- dre a ricevere la benedizione cat- tolica, gli spedì a tale effetto i suoi ambasciatori, che da Eugenio furono accolti in Roma con parti- colare tenerezza. Nelle porte di bronzo della basilica vaticana, fat- te da questo Pontefice, leggonsi

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quei versi che analogamente a tale ambasceria riportammo al voi. I, pag. 1*6 del Dizionario.

Se non che nuovi perigli ed am- bascie insorsero ad affliggere l' a- nimo del Pontefice. Alfonso V re di Aragona, dopo di avere nel i442 stretta di assedio la città di Na- poli, ai 28 di giugno vi entrò trion- fante a fronte del rinforzo cui per ordine di Eugenio IV vi recarono i genovesi. Mancando quindi il santo Padre di forze bastevoli a scac- ciamelo dall'usurpato regno, ed a riacquistare le molte città dello sta- to ecclesiastico da lui per frode oc- cupate, tentò ogni mezzo a vin- cerlo colla dolcezza. Quindi creollo bentosto gonfaloniere della Chiesa : ma proseguendo egli nelle sue ree imprese e tradimenti, Eugenio IV ne lo privò dell'uffizio di gonfalonie- re, lo spogliò d'ogni diritto, che come feudatario della Chiesa ro- mana avea acquistato, e lo sotto- mise ad altre pene. Vedendo però il santo Padre che nulla di ciò rimuoveva l'Aragonese, e temendo ch'egli si unisce all'antipapa Feli- ce V, col quale già di ciò comin- ciava a trattare, nel i44^ prese il consiglio di dargli in feudo il regno di Napoli, ch'egli a forza s'era sottom messo, con una bolla si- mile a quella, con cui Clemente IV l'avea dato a Carlo I, siccome si legge nel Biondo, dee. 4j nD« I*

Quantunque da simili ed altre cure occupato ed oppresso il Pon- tefice, stavagli oltremodo a cuore l'abbattimento de' turchi , già vin- ti dal prode Scanderberg. A tale fine nell'anno 1 44^ inviò lettere interessantissime a tutti i cristiani, perchè avessero a prendere le armi contro di essi. Quindi nell' anno se- guente somministrò ad Uladislao re

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di Ungheria , con cui il soldano Amurat 11 guerreggiava, grande copia eli denaro, col quale si as- soldò un possente esercito nella Dalmazia , nel regno di Napoli, e nella Fiandra, diviso in due cor- pi , uno per mare, V altro per ter- ra, al primo de'quali fu destinalo come legato il Cardinal Condulmie- ri, al secondo il Cardinale Giulia- no Cesarini, il quale nella vittoria de' turchi restò ucciso coll'anzidetto Uladislao , il giorno io novembre del i444> come abbiamo da Enea Silvio, Europ., e. 4- Fu circa, que- sto tempo che il santo Padre de- cise la lite fra gli ambasciatori del re di Castiglia e di Aragona, so- pra la preminenza del luogo nel- le cappelle papali, rimanendo per sentenza di Eugenio IV il Casiglia- no nel possesso del primo luogo : come pure fece la quinta promozio- ne creando Cardinale Alfonso Bor- gia, che fu poscia Pontefice col nome di Calisto III.

Nell'anno i44^ arrido il re Ste- fano Tommaso abiurati gli errori de' manichei, ebbe Eugenio IV il dolce conforto di ricevere nell'unio- ne della Chiesa romana gli scismatici dell' isola di Cipro, e della Bosnia. Se non che gli sopraggiunsero ben tosto nuove afflizioni per parte de- gli scismatici di Basilea, quantun- que colla maggiore dolcezza e di- ligenza procurasse di ridurneli alla vera pace. Ed infatti avea egli be- nignamente assolto dalle incorse censure Ottone vescovo di Tortosa, il quale abbandonato l'antipapa, rifiutò il falso titolo cui avea ricevuto di Cardinale: e simile perdono con- cesse ad Enea Silvio Piccolomini, invialo ambasciatore a Roma da Fe- derico III re dei romani, il quale era incorso nelle censure per avere spal-

EUG leggiate il conciliabolo di Basilea ( V. Enea Silvio, Comment. de. re- bus Basileae gestis, pag. 108). An- che nella Germania nell'anno 1446 suscitaronsi nuovi nemici contro di Eugenio IV, per la deposizione da lui fa Ha dei due arcivescovi di Colo- nia e di Treveri, per essere stati favorevoli al concilio di Basilea ed a lui nemici. Efficacissima fu per allro la mediazione di Enea Silvio, ambasciatore di Cesare appresso il Pontefice, a rimetterneli, in vista appunto della cotanto desiderata concordia , la quale fu conchiusa per opera di Giovanni Carvajal e di Tommaso Parentuccelli. Colla bolla pubblicata al solito nel gio- vedì santo contro gli eretici, sci- smatici ed usurpatori delle ragioni della Chiesa, furono colpiti l' anti- papa, e Francesco Sforza usurpa- tore della Marca, sostenuto e soc- corso dai fiorentini ; motivo per cui il santo Padre, riuscendo inu- tile ogni sua preghiera, incitò Al- fonso V re di Aragona perchè ne li facesse desistere dal soccorrerlo. Nel giorno 16 di dicembre del i446 Eugenio IV fece la sesta pro- mozione di quattro Cardinali, fra i quali il detto Tommaso Parentuc- celli, che fu suo immediato succes- sore, col nome di Nicolò V. Nell'an- no seguente poi, al primo di feb- braio, canonizzò nella basilica va- ticana s. Nicolò di Tolentino [V. Ridolfìno Venuti, Numism. Pontif. Roman. , pag. 9 ). Consumato da- gli affanni del suo torbido ponti- ficato, cadde finalmente Eugenio IV nello stesso mese ed anno ammala- to, e per molti giorni contrastò colla morte. Ed essendogli già im- minente, per non lasciare occasio- ne a continuarsi lo scisma, aven- do riprovati i decreti di Basilea,

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formati col nome di concilio gene- rale, ordinò con sua bolla, che il suo successore fosse eletto a nonna delle leggi di Gregorio X nel con- cilio di Lione, e di Clemente V in quello di Vienna, esortando nel tempo stesso i Cardinali ad eleg- gere un Pontefice degno di soste- nere la dignità della santa Sede. Munito quindi dei ss. sagramenti mori nel bacio del Signore, fra le braccia di s. Antonino, nel giorno 23 febbraio i447> contando anni sessantaquattro di età, e quasi se- dici di governo, cioè meno dieci giorni. Fu egli l'unico Pontefice a cui ricorsero due Augusti greco e latino, per riconoscerlo padre e pastore universale , come osserva Paolo Emilio, De reb. gestis Frati- cor. , lib. io, pag. 225. L'udi- tore di rota Malatesta, ed il Car- dinale Parentuccelli gli fecero l'o- razione funebre , ed il suo cor- po fu in piana terra sepolto nel Vaticano, accanto al sepolcro di Eugenio III, com' egli avea ordi- nato a'suoi famigliari, in un mo- destissimo avello, il quale poi dal Cardinale Condulmiero suo nipote fu ridotto in magnifico deposito; ma nella riedificazione di questa basilica fu questo deposito traspor- tato alla chiesa di s. Salvatore in Lauro, ove officiarono per duecento sessantasei anni i canonici di san Giorgio in Alga da lui medesimo istituiti.

Era Eugenio IV di statura grande e di animo sempre eguale, di aspet- to grave ed estenuato, di poca let- teratura, ma insigne storico; ma- gnifico nel ristoramento delle chie- se e ornamenti di Roma, in mezzo alla quale alzò 1' edifìcio dell'uni- versità chiamata Sapienza j protetto^ re de'virtuosi e de'letterali ; disinle-

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ressato copnrenli ; mantenilore del- la pace e della giustizia, zelante propagatore della religione cattoli- ca, e pronto in ogni occasione al soccorso de'poverelli. Ebbe presso di lui onestissimi e zelanti fami- gliari, da cui voleva essere infor- mato delle cose, per prenderne provvidenza. In una parola Euge- nio IV fu uno de'più. grandi Pon- tefici, benché uno de' meno felici, siccome pur notò sant' Antonino, part. 3, tit. 22, cap. 2. Vacò la santa Chiesa dieci giorni.

EUGENIO Romano, Cardinale. V. Eugenio II Papa CU.

EUGENIO, Cardinale. Eugenio assunto al vescovato di Ostia, fu delegato nell'878 da Giovanni Vili alla corte dell' imperatore Basilio in qualità di legato Pontificio, assie- me al vescovo di Ancona, per ri- chiamare all'antico lustro quel cle- ro decaduto nel costume, e nel domma, e per togliere le dissen- sioni che incominciavano a produr- re i nuovi insegnamenti dell'em- pio Fozio , e riordinare la di- sciplina ecclesiastica. Sedotto però da quell'eresiarca, finse di essere stato spedito per deporre il pa- triarca legittimo s. Ignazio, e so- stituirvi il già discacciato Fozio. Presiedette ancora al conciliabolo per tal motivo raccolto; ma fu se- veramente condannato dal Pontefi- ce, il quale tuttavolta perchè ri- parasse al mal fatto, lo destinò nella nuova legazione pel medesi- mo oggetto, e in quella presso ai bulgari, nelle quali si diportò con zelo e sollecitudine veramente ec- clesiastica, e riparò agli scandali che dato aveva. altro dice il Cardella di lui.

EULALIA da Barcellona (s.). Al tempo della persecuzione di

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Diocleziano, sostenne questa santa vergine il martirio in Barcellona. Ella è la principale protettrice di <|tusla città, ed ivi, come dicemmo all'articolo Barcellona (Vedi), con mnm venerazione si custodiscono le sue reliquie. La sua festa viene celebrata il 1 1 febbraio.

EULALIA (s.). In Merida, ca- pitale della Lusitania in Ispagna , nacque Eulalia. Allevata nella cat- tolica religione, dotata di un'in- dole dolce, e di una rara mode- stia, diede ancor giovinetta a co- noscere quanto ella amasse la vir- ginità. Non avea Eulalia ancor tocchi gli anni dodici, che dall'im- peratore Diocleziano sentì intima- to a tutti i cristiani un editto di sacrificare agl'idoli. Eulalia anziché spaventarsi, sentì in suo cuore l'ar- dore del martirio, e trascurando le premure della madre, che vole- va sottrarla dal pericolo, di notte- tempo ella fuggì, ed il vegnen- te si presentò al tribunale del giu- dice per nome Daciano. Ivi con eroica fermezza lo rimproverò di perseguitare i seguaci della vera religione e lo rinfacciò di sua em- pietà. Daciano sorpreso da un generoso ardimento, volle lusingar- la sulle prime a mutare consiglio, ina inutili riuscendo le sue am- monizioni, passò alle minaccie, e posti sotto gli occhi di lei gli stromenti, coi quali sarebbe tor- mentata, la invitò ancora ad ob- bedire al sovrano comando. Eula- lia a tutto resistè, ed intanto che due carnefici con uncini di ferro le laceravano i fianchi, e le scopri- vano le ossa, ella vide in quelle pia- ghe i trofei di Gesù Cristo, e die gloria al suo Signore, senza man- dare un lamento. Assoggettata per ultimo a morire fra le fiamme,

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ella spirò, ed è onorata dalla Chie- sa per vergine e martire il 20 dicembre.

EULALIO, Cardinale. V. Eu- lalio Antipapa.

EULALIO Antipapa. V. Anti- papa III.

EULOGIE (Eulogia). Questa parola deriva da un vocabolo gre- co che significa benedizione o mu- nificenza; e siccome tal nome si diede ai pani benedetti, dalla be- nedizione che si faceva con orazio- ni, si prese il segno per la cosa segnata. L'apostolo s. Paolo die questo nome all'eucaristia, Cor. I, cap. io, v. 16; ma poscia si chia- marono eulogie diverse cose bene- dette, come il pane, il vino, ed altre vivande che si distribuivano (ed il pane finita la messa) a quel- li ch'erano presenti alla chiesa, co- me una specie di supplimento del- l'eucaristia, o che si mandavano agli assenti in segno di comunio- ne. Le eulogie che davansi come un supplimento dell' eucaristia, e che consistevano in pani benedetti, si distribuivano colle stesse cerimo- nie esterne dell' eucaristia medesi- ma. Bisognava essere digiuni per mangiarne, non si davano agli infedeli, ne ai cristiani scomunicati. Quello che davasi a'eatecumeni, che sant'Agostino chiama Eulogia, ed una specie di sagramento, era il sale benedetto che loro ponevasi nel- la bocca, il latte e il mele che pur davansi loro benedetti, per denotare la loro infanzia nello spirito. V. l'Albaspina, nelle sue Osservazioni de' sagri riti, lib. 2, osserv. 35 e 36. Il Berlendi, con altri, è di opinione che la Chiesa latina desse le eulogie pure a'eatecumeni, seb- bene fossero congedati dalla chiesa prima della presentazione delle ob-

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blazioni, ed opina che come con- servavasi l'eucaristia per comuni- care gli energumeni, che non era- no presenti ne alle obblazioni, al sagrifizio, così potessero conser- varsi pei catecumeni, e che fossero quegli alimenti chiamati minuti sa- gramene, mentre il sale davasi so- lo ne'giorni solennissimi di Pasqua. Avverte il medesimo Berlendi, che veramente l'eulogie erano di solo pane, distribuendosi il vino ed al- tro quale eulogia solo dalla Chiesa alessandrina, e da poche altre chiese. Siccome in progresso di tempo non si poteva spedire l'eucaristìa tanto ai vicini, che ai lontani, per gl'inconvenienti che potevano acca- dere, specialmente nel tempo delle persecuzioni, così verso il quarto secolo, e nel suo principio, venne- ro sostituiti i pani benedetti, o eu- logie, in segno dell'unione de'cuori che regnava tra le diverse Chiese, e la reciproca unione, credenza ed amicizia de'cristiani, e qual simbo- lo di carità e di pace; tali pure essendo i motivi della precedente trasmissione della eucaristia. Al Pontefice s. Melchiade, eletto l'an- no 3 ii, viene attribuita l'istituzio- ne delle eulogie, ossia la distribuzio- ne del Pane benedetto [Vedi), la quale fu poi similmente comandata da s. Silicio Papa del 385, e da s. Innocenzo 1 del 402. V. il San- dini, Vitae Font. t. I, p. 84. Pe- rò riporta il Macri, che già avea decretato s. Pio I, del i58, col cap. 4- u Ut de oblationibus quae « offeruntur a populo et consecra- » tioni supersunt, vel de panibus, » quos deferunt fideles ad Ecclesiam, » vel certe de suis conveniente!* •' partes incisas habeat in vaso 11 i- •> tido , et convenienti , et post « missarum solemnia, qui comuni-

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«• care non fuerint parati, eulogias » omni die dominica, et in die- »> bus festis ex inde accipiant ". V. Eucaristia, nonché l'articolo Mes- sa. Nella liturgia armena si dichia- ra, come questa distribuzione di pa- ne benedetto sia un vivo simbolo delle molliche che desiderava la Cananea cadute dalla mensa di Cri- sto.

Inoltre il Papa san Melchiade ordinò che i preti delle parrocchie di Roma pigliassero in segno di comunicazione il pane dal Pontefice benedetto, per quindi distribuirlo al popolo; ed Innocenzo III attesta che tal pane lo recavano ai preti da parte del Papa, gli accoliti. I Papi usavano mandare delle eu- logie ai vescovi più lontani; ed i vescovi e i sacerdoti se ne man- davano pure a vicenda gli uni a- gli altri, principalmente nelle gran- di feste, come al Natale, alla Pa- squa ec. I semplici fedeli e le don- ne stesse se ne mandavano del pa- ri. Ne' monisteri distribuivansi le eulogie nel refettorio, giacche tutti i religiosi offrivano alla messa con- ventuale dei pani, di cui consacra- vasi una parte per comunicare alcuni fratelli. Gli altri erano be- nedetti per essere distribuiti nel refettorio a quelli che non si era- no comunicati, e che doveano co- minciare dal mangiar questo pane prima del pranzo. Abbiamo dal Surio, i.° marzo, che trovandosi nel concilio Aurelianense, celebrato nel 54o, fu pregato s. Albino vescovo Andegavense, perchè volesse bene- dire alcune eulogie da mandarsi ad uno scomunicato, avendole già benedette altri vescovi ; rispose che lo avrebbe fatto perchè gli si co- mandava, ma che Dio vi avrebbe provveduto, siccome avvenne, gtac-

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che lo scomunicato mori piÌÈM

ili ricevere le dilogie.

Nana il Baronio, all'anno 645* che il Pontefice Teodoro 1, rice- vendo alla comunione cattolica il penitente Pirro patriarca Costanti- nopolitano, protettore dei monote- lili, poi convertito, e convinto in pubblica disputa da s. Martino, non solo gli restituì la dignità pa- triarcale, ma in segno di maggior unione e comunicazione lo fece se- dere sopra la cattedra vicino all'al- tare, e distribuire al popolo le eu- logie.

In quanto al tempo della di- stribuzione, ordinò il concilio Lao- diceno col can. 4* cne s* faccia questa distribuzione di pane bene- detto dopo la messa, eccettuando il giorno di Pasqua ( nel quale tutto il popolo doveva ricevere l'eucari- stia), e il tempo quaresimale per non rompere il digiuno. Allora, in vece del pane, il sacerdote diceva l' orazione sopra il popolo, come si costuma sino al presente do- po la comunione, avendo il diaco- no pronunciato le parole : Humilia- te capila vestra Deo. Parlando il Berlendi, delle obblazioni all'altare, pag. 22, del cucchiaio col quale si raccoglievano i frammenti delle obblazioni che si distribuivano ai comunicanti, dice che queste par- ticole del pane consagrato si tro- vano, negli antichi secoli, talvolta chiamate col nome di eulogie, seb- bene ordinariamente non fossero le eulogie particole della sagra comu- nione che davasi al popolo, ma una semplice loro rappresentanza. Dappoiché facendosi tre divisioni del pane che veniva offerto all'al- tare, una pel celebrante, l'altra per i comunicanti, la terza che sopra- vanzava, con rito solenne benedetta,

EUL tagliandi in molte parti, e nel fine «Itila messa distribuivasi a quelli ohe non volevano o non potevano comunicarsi ; benché si legga esse- re state talvolta date anche a chi si era comunicato. Queste pro- priamente chiamavansi eulogie, che al dire del Berlendi significano cibi benedetti, a questo fine introdotte, acciocché facendo le veci dell'eu- caristia, rappresentassero quella co- munione più frequente, che prati- cavasi per innanzi da'fedeli, e per- ciò chiamate dai greci, Sacrimi an- tidorum, hoc est vice doni, dice il p. Morino.

Abbiamo detto di sopra che del- le eulogie non potessero partecipa- re se non coloro eh' erano digiuni, e che avevano diritto alla comu- nione, e perciò non fu stimato de- gno Leudasse di riceverle da s. Gregorio di Tours ; tuttavolta si davano dai greci anche ai catecu- meni ed agli scomunicati : prò cri- mine obstrictis, dice Germano pa- triarca, haec oblatio sanctitate re- dundans alterili* vice sanctioris in missa solemnitalibiis, substiliritiir, et qfferturj anzi comandò Niceforo Ca- no, dovere i delinquenti partecipare Eidogiae et pani confracto, alla quale eulogia del pane univano i greci anche quella dell'acqua, per imitare la comunione sotto le due specie, che intendevano coll'eulogie di rappresentare. Si legge nel cita- to Macri, che la cerimonia di di- stribuire il pane benedetto si man- tiene al presente nella Chiesa greca ed armena. E ciò esse fanno an- cora in Roma nelle funzioni solen- ni dopo la messa cantata, ed in alcune parti si fanno ancora dalla Chiesa latina particolarmente nella Francia, dove con molta solennità nel tempo dell' offertorio viene por-

EUL

Info il pane por essere bene- detto.

La voce dilogia finalmente si disse in altri significati, come di limosi- na, o altro donativo. Così chiama- ronsi eniogie le cene benedette dai vescovi e dai sacerdoti, ed i sem- plici doni non benedetti. S. Leone IV proibì ai vescovi di Bretagna di obbligare i loro sacerdoti a por- tar loro dei doni, eulogias, quan- do vengono ai sinodi; ed Incmaro di Reims proibì ai suoi arcidiaco- ni di ricevere eulogie o doni dai sacerdoti di loro giurisdizione, se non vengono offerti volontariamen- te. Eulogie furono pur detti i di- ritti e le rendite annuali. Il Rinal- di, all'anno 3i4, num. 56, parla delle eulogie pubbliche, segno di cattolica comunione, e di quelle private che gli amici ebbero in co- stume per antico di mandarsi uno all'altro, del qual costume ne ri- porta diversi esempi. Delle eulogie pubbliche e private, e perchè il diacono nelle messe feriali della quaresima dica humiliate capi- ta veslra Deo 3 ne tratta il Sar- nelli, tom. VI, pag. 38 delle Leti, ecclesiastiche.

EULOGIO m CoimovA (s.). Da una delle più cospicue famiglie di Cordova in Ispagna sortito Eulogio, i primi suoi anni visse fra i chie- rici della chiesa di s. Zoilo. Dive- nuto in progressso sacerdote, fu de- stinato a presiedere alla scuola ec- clesiastica della sua patria. Col di- giuno, veglia ed orazione santifica- va i suoi studi, e coll'umiltà, dol- cezza e carità si procurava l'ami- cizia e venerazione di ogni persona. Suscitatasi una fiera persecuzione ncir anno 85o contro i cristiani, furono posti in carcere il vescovo e molti preti, fra' quali anche il

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nostro Eulogio, per avere incorag- giato i martiri a sostenere i tor- menti. In prigione si occupò egli a scrivere la sua esortazione al martirio, e posto dipoi in libertà non si occupò che di annunziare la divina parola. Morto nell'858 l'arcivescovo di Toledo, Eulogio fu eletto ad una voce per successo- re. Sopravvisse però di poco alla sua elezione, e sofferse il martirio per aver ricoverata una figlia di un mussulmano, la quale istruita da un proprio parente nella reli- gione cristiana, e ricevuto anche il battesimo, avea implorata assisten- za dal santo vescovo. Tradotto Eu- logio al cospetto del giudice, e rim- proverato di aver dato mano alla insubordinata fanciulla, rispose fran- camente, e provò, che in questa cosa la disobbedienza a' genitori tornava dovere; e si mise poscia ad istruire il giudice, e a dimo- strargli quanto grande impostore era Maometto. Sommamente irrato il regio ministro, fece condurre Eulogio al cospetto del re, il qua- le sull'appoggio soltanto delle depo- sizioni del suo ministro, non de- gnando neppur d'un ascolto il san- to vescovo, ordinò che fosse decapi- tato. Eulogio condotto al luogo del supplizio consumò gloriosamente il suo martirio li i i marzo dell'an- no 809, e la Chiesa in tal giorno ricorda la sua festività.

EULOGIO (s.). Nativo Eulogio di Siria, assai giovane abbracciò in patria lo stato monastico. Agitate in quei le chiese di Siria e di Egitto dagli eutichiani, divisi nelle loro eresie in varie sette, seppe Eu- logio preservarsi dal guasto gene- rale , e con una vita pura, farsi da tutti ammirare per vero segua- ce della cattolica dottrina. Datosi

19* EUM

egli a tutto uomo allo studio citi- le teologiche verità, alla lettura del- la sacra Scrittura, e degli scritti de' padri , fornito di un ingegno penetrante, fece rapidissimi progres- si, e giunse ben presto a porsi in ìstato di combattere l'eresia domi- nante, e divenne uno dei più bril- lanti lumi della Chiesa di quei gior- ni. S. Anastasio patriarca di An- tiochia, conosciuto il pressante biso- gno, chiamò a se Eulogio, ed or- dinatolo sacerdote divise con lui le cure dell' apostolico ministero. Ti- berio Costantino, principe saggio, volendo riparare i mali cagionati alla Chiesa da'suoi predecessori, in- formato delle virtù e meriti di Eulogio il volle a reggere la chie- sa di Alessandria, ed elettolo pa- triarca, fu consagrato sul finire del- l'anno 583. Due anni dopo, obbli- gato a recarsi in Costantinopoli, ivi trovò per apocrisario pontificio san Gregorio il grande, e con lui si strinse nella più intrinseca ami- cizia. Separatisi dipoi , continua- rono a tenere una santa corrispon- denza. Con zelo e con carità reg- gendo ed ammaestrando il suo po- polo mori santamente Eulogio nel- l'anno 608. La sua festa è asse- gnata ai i3 settembre.

EUMENIA. Città vescovile della prima Frigia Pacaziana, nella dio- cesi ed esarcato d' Asia, sotto la metropoli di Laodicea, che Com- manville dice eretta nel quinto secolo. Si vuole fabbricata sul Clu- drus da Eumene fratello di Atta- lo, e Stefano di Bisanzio la chia- ma Eumcneia. Cinque vescovi vi ebbero sede, Trasea, Teodoro, Leo- ne , Paolo , ed Epifanio . Orù'tis Clirist. tom. I, p. 807. Al presente Eumeni», Éumetuem, è un titolo in parlibus , che si conferisce dai

EUN romani Pontefici, appartenente alla metropoli pur titolare di Laodicea. EUNOMIAN1 (Eunomiani). Gli Eunomiani erano i discepoli diEu- nomio, vescovo di Cizico, il quale sosteneva gli errori d'Ario, e ve n'aggiugneva degli altri. Vanta va- si di conoscere Iddio tanto perfet- tamente, come Iddio conosceva stesso. Osava dire che il Figlio di Dio non era Dio che di nome ; che non si era unito sostanzial- mente all'umanità, ma solamente per la sua virtù e per le sue ope- razioni. Condannava il battesimo dato in nome della ss. Trinità, e ribattezzava quelli che lo erano stati con quella forma. S. Girola- mo lo accusa di avere disprezzato le reliquie de'santi martiri, e di a- vere sostenuto che non potevansi onorare senza delitto, e che i mi- racoli, che facevansi alle loro tom- be, non erano se non illusioni del demonio. S. Basilio ci lasciò cinque libri contro Eunomio, e venne al- tresì confutato da s. Gregorio Na- zianzeno, e da s. Gregorio Nisseno. EUNUCO (Eunuchus). Vocabo- lo derivato da due parole greche indicanti la persona che ha la cu- ra o la guardia del letto nuziale o del talamo. I diversi significati di questo termine diedero motivo ad alcune false critiche sopra al- cuni testi della sagra Scrittura . Fa- vorito osserva che la parola eth nuco, significa custodire il letto, o l'interno di un appartamento, anzi vuoisi che questo in origine fosse il titolo di tutti i camerieri del re. Nella Scrittura prendesi frequente- mente per un ulliziale di un prin- cipe, che serve alla sua corte, ed occupato nell' interno del palazzo, sia che fosse veramente eunuco, sia che non lo fosse. Era pine nume

EUN di uffizio e di dignità, come fu Putifar eunuco di Faraone e pa- drone di Giuseppe, che aveva mo- glie e figli. Iddio avea proibito al suo popolo d'Israele di fare gli eu- nuchi e di castrare anche gli ani- mali, come si legge nel Levitico 22, 24, e nel Deuteronomio 2 3. Il Salvatore in s. Matteo 19, 12, par- la d'una specie di eunuchi differen- ti da questi, e sono quelli che si sono fatti eunuchi pel regno dei cieli, vale a dire, che per un mo- tivo di religione hanno rinunziato al matrimonio, e ad ogni piacere della carne, e non già che siensi effettivamente castrati da se medesi- mi, siccome intendeva Origene, pren- dendo rigorosamente alla lettera le parole di Gesù Cristo. Nell'an- no 25o fu tenuto un concilio nel- l' Acaja contro i valesiani o eu- nuchi. Baluzio in Collectio. I va- lesiani imponevano per precetto l'evirazione, così il Bernini, Storia delle eresìe, pag. 5o. Già la Chie- sa aveva detestata siffatta mutila- zione, come consta dai canoni apo- stolici 22 e 23. V. Jo. Lami, de eruditìone aposlolorum,i6i. Il con- cilio di Nicea, del 325, condannò coloro che si facevano eunuchi da se medesimi. « Se alcuno è stato « fatto eunuco da' chirurghi in ma- n lattie, ovvero da'barbari, resti nel « clero ; ma quegli che mutilò se stes- « so essendo sano, deve essere inler- » detto, se trovasi nel chiericato, e » d'ora innanzi non se ne dee pro- si movere nessuno". Can. 1. Il per- chè quelli che si erano castrati da medesimi, vennero esclusi da- gli ordini sagri.

L' uso barbaro di mutilare gli uomini risale nell' oriente alla più rimota antichità ; e gli scrittori sa- gri e profani e' insegnano che i re

VOL. XXII.

EUN i93

dell'Asia avevano eunuchi presso le loro persone ; che questi dive- nivano i loro favoriti, o i loro pri- mari uffìziali, e che ad essi confi- davasi sovente l'amministrazione de' pubblici affari, ed anche il co- mando delle armate. Fu la corru- zione de' costumi , che introdusse fra gli orientali la pluralità delle donne, e la gelosia de' mariti por- tò i grandi a far mutilare gli uo- mini che servivano nel loro palaz- zo, ed allora il termine di eunuco cambiò di significato , e qualificò quelli che venivano privati della virilità. Nessun esempio di questa barbarie forniscono le repubbliche greca e romana, qualora però si eccettuino i sacerdoti di Cibele, e quelli di Diana Efesina, i quali spontaneamente mutilaronsi da medesimi. Soltanto più di trecen- to anni dopo V istituzione della re- pubblica , gli imperatori romani , che mai non avevano avuto presso di loro gli eunuchi, lasciando l'I- talia per trasportare la sede del- l' impero in oriente, contrassero il costume di avere uomini snaturati al loro servigio, che sovente pose- ro nel numero de' loro grandi uf- fìziali ad imitazione degli asiatici. Abbiamo dal Rinaldi, all'anno £29, num. 18 e 19, che gli eunuchi per la camera imperiale si soleva- no pigliare tra' popoli absagi. Bion- do da Forlì, nella Roma trionfan- te, p. 1 65, tratta del disprezzo cui erano tenuti nella repubblica ro- mana gli eunuchi, escludendo Ge- nuzio, eunuco e sacerdote di Ci- bele, da una eredità eh' eragli sta- ta lasciata, non essendo considera- to né uomo femmina. Il Ma- cri, Notiz. de' vocab. eccl.3 dice che Tertulliano chiamò Archigallus, il capo degli eunuchi. Domiziano , i3

ig4 ELN

Nerva, Adriano, ed altri imperato- ri proibirono ogni mutilazione, tan- to da per se, che per mezzo di altri. Alcuni vietarono pure la Cir- concisione (Fedi). Costantino Ma- gno proibì che agli eunuchi fosse- ro conferite le prefetture o magi- strature; Teodosio II ordinò con legge che non potessero divenire patrizi, e Giustiniano I proibì ezian- dio la castrazione.

Dubitano alcuni, che l'uso pro- babilmente antichissimo nell'Egitto di castrare gli animali, aprisse la strada alla barbarie di formare gli eunuchi. Ai lidii si attribuisce la prima invenzione della castrazione, o dello snaturamento del sesso del- le femmine , e quella scoperta si ascrive ad Andramiri re di Lidia, il quarto che regnato avesse in quel paese avanti Onfale. La ca- strazione si pratica comunemente in Asia, e specialmente dai turchi, i quali mutilano tutti quelli tra gli schiavi loro che destinano alla custodia delle donne ; a questi an- cor tolgono con una orribile cru- deltà tutti i segni distintivi del ses- so al quale appartengono. Noto è che gli eunuchi non hanno barba, e la voce loro, benché assai forte, non è mai grave. Non è ancora scorso molto tempo che si prati- cava il barbaro uso di privare i giovanetti destinati al canto, de- gli organi della generazione, per conservare loro quella voce acu- ta che ottimamente riesce nelle par- ti chiamate alte e soprano. Seb- bene per l'uso introdotto si am- mettessero castrati nella cappella pontifìcia, vuoisi che nel secolo de- corso il Pontefice Clemente XIV proibisse severamente quella ope- razione, e minacciasse gli autori o fautori della medesima della pena

EUN

della scomunica. Il perchè ora i musici e cantori eunuchi sono po- chi , essendo tali soltanto quelli , che per qualche disgrazia, infer- mità, o caso fortuito vennero pri- vati delle parti genitali. Nel Dizion. enciclop. pubblicato sotto la dire- zione di Saint-Laurent, ecco come è definito l'eunuco. « Castrato, » nome dato ad un cantante in « voce di contralto o di soprano, » che nella sua infanzia o avanti m la pubertà è stato privato degli » organi della generazione, nello » scopo d'impedire i cangiamenti » che fanno subire alle voci i fe- » nomeni della pubertà, e di con- servare al cantore una voce fles- « sibile ed acuta. La voce di que- » sti cantori aveva un metallo e « un accento molto più penetran- ti te di quello delle donne ". Il Sarnelli, Lett. eccl. tom. V, lett. XIV, num. i o, dice che la castra- zione dell' uomo è vietata dalle leg- gi divina ed umana; e nel tom. VII, lettera XXIV, tratta di qual pena sia meritevole colui che si ca- stra, perchè niuno è padrone delle sue membra e della sua vita, ma solo Iddio. Dotta poi ed assai in- teressante è la lettera suddetta XIV del tom. V: Se tutù gli eunuchi sono irregolari ? Risponde di no , perchè quello solo è irregolare, che essendo sano, volontariamente si castrò, o si fece castrare, qualun- que ne fosse il fine, anche per amore alla castità; quindi sono ir- regolari anco quelli che cooperano alla castrazione; riportando per ul- timo le sei cagioni per le quali i sagri canoni tanto detestano il ca- slramento degli uomini, perchè dis- pongono: Qui sili virilia amputa- vcrit3 clericus non efficetur, sui e- nim ipsius homicida est, et minti-

EUN cus creationi Dei. V. il citato Ber- nini a pag. 42- Nelle nostre vi- genti leggi, l'evirazione dolosa, che produce la morte del paziente, è punita colla galera perpetua.

Anticamente nella Spagna erano frequenti i matrimoni degli eunu- chi, dai quali con gravissimo scan- dalo nascevano pubblici disordini, a cagione del divorzio, che le in- gannate spose chiedevano al tri- bunale di quella nunziatura apo- stolica. Ricorse il nunzio a Papa Sisto V, supplicandolo d' opportu- no provvedimento, perchè oltre lo scandalo e le risse, non poteva egli resistere al disbrigo di tante simili cause. Allora Sisto V convocò una congregazione composta di medici e di teologi, da' quali fu conchiu- so, che gli eunuchi non erano atti al fine preciso del matrimonio, e però coll'autorità della costituzione Cum frequenterà data a* i 3 aprile 1587, Bull. Rom. tom. IV, part. IV, p. 319, dichiarò nullo il con- tratto, e gli eunuchi inabili a con- trarre il matrimonio ; perchè im- potenti ad essere genitori ed aver figliuoli, che è il preciso ed unico fine del matrimonio. Divenuto l'eu- nuco Eutropio consoie potentissi- mo, alcuni barbari si fecero eu- nuchi per emularlo e giungere ad eguali onori, ma ne morirono. Eu- nuchi furono i santi fratelli martiri Nereo ed Achilleo, battezzati da s. Pietro. Il Papa s. Liberio rifiutò dall' eunuco Eusebio, uno dei pri- mi ministri dell' imperatore Costan- zo, una somma che voleagli dare quando fu esiliato per sostenere s. Atanasio. L'eunuco Eutichio atten- tò alla vita di s. Gregorio II, quan- do era esarca di Ravenna. Leon- zio antiocheno fu privato del sa- cerdozio, perchè erasi evirato., il

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Pontefice s. Nicolò I scomunicò e depose il famoso eunuco Fozio , eh' erasi intruso nella sede di Co- stantinopoli. Giovanni Vili Papa dell' 872 radunò un concilio in Ra- venna di settantaquattro vescovi, in cui venne composta la contro- versia insorta tra Orso Partecipa- zio doge di Venezia, e Pietro pa- triarca di Grado, che ricusava di consagrare vescovo di Torcello Do- menico abbate del monistero Ai- binate, perchè si era eunucato. Nel- 1' epistola che Leone IX scrisse nel io54 a Michele Cerulario patriar- ca di Costantinopoli, gli rinfacciò l'obbrobrio di questa chiesa , nel- 1' ordinare degli eunuchi per suoi vescovi, per cui fra questi fu tro- vata una femmina. Nella splendi- da corte del Cardinal Ippolito d'E- ste, de' duchi di Ferrara, fatto Cardinale da Alessandro VI, era ri- vi de' suonatori, de' musici e degli eunuchi. L'infame delitto delia pe- derastia, che fu in orrore anche presso di molti gentili , e che fu in abbominevole uso tra i greci , come rilevasi dalle pene decretate su tal reato, e da Luciano nel tom. II, cum notis Reilhii, p. 411? ® stato condannato pur colla pena dell'evirazione dalle leggi dei visi- goti. 11 Cancellieri nelle Dissert. epist. bibliografiche, a pag. 392 , riporta le pene fulminate contro la pederastia, chiamata delictum spi- nae dorsum, e giustamente anche punita col rogo, e novera molli autori che ne hanno trattato; men- tre sugli eunuchi, oltre i citati, pos- sono consultarsi: Gio. Bonifacio, nell' Arte de cenni, del tagliarsi i genitali; Petri Zornii, Dissert. de eunuchismo Origenis Adamantii 3 Gissae 1708; s. Epifanio, Haeres. 58, lib. I, tom. Il ; s. Agostino ,

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fiacre*. 18 -, Theoph. Raynnmli , Minitela nati, farti, my siici, ex sa- cra, et huniana litteratura illustra- ti, Divion i655; C. d' Ollincan (Ancillon), Traile des eunuques, Trevoux, 1707.

EUPLIO (s.). Il santo martire ili Sicilia Euplio era diacono in Catania , e nella persecuzione di Diocleziano fu egli fatto prigione e condotto dinanzi al governatore Calvisiano. Euplio tenendo in ma- no il libro de' santi evangeli, non esitò punto a dichiararsi in faccia al giudice per seguace di Gesù Cristo. Calvisiano sdegnato della franca confessione di Euplio , per rimuoverlo ordinò che fosse sotto- posto alle più crudeli carnifìcine. Euplio con invitta costanza le sos- teneva, anzi in cambio di mover lamento, andava leggendo le divi- ne scritture. Calvisiano vedendo riuscir inutili i suoi sforzi, onde indurre Euplio a sagrificare agli dei, ordinò che fosse decapitato. Nel mentre che Euplio veniva con- dotto al luogo del supplizio, an- dava egli ripetendo per istrada le seguenti parole : vi ringrazio, o Si- gnore Gesù: confermate ciò che avete in me operatoj e giunto al palco, postosi in ginocchio pregò alquanto, indi esibito il collo al carnefice, fu decapitato. I cristiani raccolsero il suo corpo, ed imbal- samato Io seppellirono con grande venerazione. I martirologi di occi- dente ricordano la sua festa ai 12 agosto.

EUPSICHIO (s). Giuliano Fa- postata irritato contro Cesarea , capitale della Cappadocia per aver distrutto il tempio della Fortuna, unico al culto del paganesimo, in- fierì contro tutti quelli che pro- fessavano la religione di Gesù. Cri-

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sto. Spogliò le chiese d'ogni suo avere, impose tasse enormi ai lai- ci, arrolò il clero alla milizia, e condannò i più zelanti confessori a suggellare col proprio sangue la lo- ro credenza. Fra questi generosi campioni vi fu compreso Eupsi- chio, uomo per natali illustre, e da poco congiunto in matrimonio. I suoi concittadini gli contestarono la propria venerazione, coli' erigere a suo onore un tempio , e s. Ba- silio, otto anni dopo, celebrò la di lui festa, invitando tutti i vescovi del Ponto a concorrervi, e fissan- dola li 8 aprile.

EURIA o EUROMA, seu Do- natiana. Sede episcopale della Gre- cia, nell'Epiro antico, nell'esarcato di Macedonia, che vuoisi fosse ove poi surse il borgo di s. Donato in Albania. Nel concilio di Calcedo- nia si fa frequente menzione di Eu- ria; e s. Gregorio VII indirizzò la seconda lettera, eh' è nel XII libro, al vescovo di Euria, che altri im- propriamente chiamarono Isauria. Commanville dice che fu eretta in vescovato nel quinto secolo, sotto la metropoli di Cassiopea ossia Jan- nina. Al presente è un titolo ve- scovile in partibus, che conferisce la santa Sede, e Pio VII lo con- ferì a monsignor Gioachino Sal- vetli dell'Ordine de' minori osser- vanti di s. Francesco, attuai vica- rio apostolico di Xansi e Xensi nel- la Cina.

EURIQUEZ Enrico. Gesuita por- toghese, prese l'abito della compa- gnia, vivente ancora il suo fonda- tore. Fu impiegato con felice suc- cesso specialmente nell' insegnare. Abbiamo di lui una Somma di teologia morale. Morì in Tivoli nel i6o3.

EUROPA. La terza delle cinque

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parli del mondo, e di questo la meno estesa, ma la meglio colti- vata, la più civilizzata , e propor- zionatamente alle altre, la più po- polata. Questa è un' antica parte del globo rispetto all' America, e che nuova regione può dirsi ri- guardo all' Asia, prima parte del Mondo, ed all' Africa eh' è la se- conda. E sebbene anco a questa ceda l'Europa in ampiezza, tutta- volta ha innumerabili titoli per es- sere alle altre nell' ordine preferi- ta. In fatti, osservano i geografi che l'Europa non è che la conti- nuazione del continente asiatico , come bene indica la confusione ed incertezza de' suoi confini orientali, e nelle antichissime emigrazioni marittime, che la politica domina- zione dei grandi imperi precedet- tero, ebbe, secondo alcuni, il suo nome da Europa figliuola di Age- nore, celebre capo delle genti feni- cie, e famoso tra i nautici avven- turieri. Di Europa in quella mi- tologica età assai si decantò l'alle- gorico rapimento, o più veramen- te il maritaggio con Aslerio re del- l' isola di Creta ; sebbene altri fac- ciano derivare il nome di questa nobilissima parte del globo, da un piccolo paese in vicinanza dell'El- lesponto. Ma gli autori che hanno fatto derivare il nome di Europa, dalla principessa Europa figlia di Agenore, e rapita da Giove, ap- poggiarono questa congettura sopra una favola, che distesamente si leg- ge nella mitologia. La spiegazione di Gi bel in sembra la più verosi- mile. Egli fa venire il nome di Europa dalla voce JVrab} ovvero la occidentale, il che presenta un duplice carattere di verità, tanto riguardo al suono materiale delle due voci, quanto alla posizione del-

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Y Europa , relativamente all' Asia. Altri poi dicono che la provincia d' Europa (Vedi), diede il suo no- me a tutta l'Europa. L'Europa si comprende nella zona temperata settentrionale fra il 33°, 45°, ed il 71°, ii°, lat. nord, e si estende dal 22° 1. ovest, ed il 48° 1. est del meridiano di Roma , ossia fra l'8° el'8i°l. est dell' isola di Fer- ro. La sua maggior lunghezza pre- sa dal sud-ovest verso il capo San Vincenzo fino al nord-est verso i monti Urali ascende a mille leghe circa, e la larghezza dal capo Nord nella Lapponia svedese al capo Ma- lapan nella Grecia non eccede le- ghe novecento. Nella varietà delle misure della superficie europea (che solo basta a far conoscere quanto nella scienza geografica si desideri di esattezza), Mac-Carthy stabilisce 295,735 leghe geografiche qua- drate, popolate in ragione di sei- cento sessantasei individui circa per ciascuna lega.

La superficie dell'Europa è di- visa in due versatoi generali, l'uno oceanico, l'altro mediterraneo. Se il suolo dell' Europa non eguaglia nei luoghi più fertili le contrade dell' Asia , dell'Africa, o dell' Ame- rica, è almeno più equabile e con- forme che le altre parti del mon- do. I limiti poi che contrassegna- no 1' Europa, sono al nord il ma- re gelato, da cui la Lapponia vie- ne circondata ; all'est la linea del fiume Kara, i monti Urali, il fiu- me Ural, e que' seni del Mediter- raneo, i quali assumono il nome di mar di Marinara, Nero, e d'A- zof; al sud la linea del Mediter- raneo stesso, che dall'Arcipelago greco continua fino allo stretto di Gibilterra, per mezzo del quale è separata 1J Europa dall' Africa ; ed

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all'ovest quella parte del grande Oceano, che col nome di Atlanti- co si distingue. Attorniata per tal modo l'Europa in tre lati dalle ac- que, ha diversi mari che in essa s'internano, ed una moltitudine di golfi e baie, medianti i quali age- voli si rendono le comunicazioni, animato il commercio , coltissimi gli abitatori. Noteremo che gli an- tichi geografi non conoscevano le parti di Europa al di del 60. ° grado di latitudine, se se ne eccettui T isola Tole al nord dell' isole Bri- tanniche. I confini dell'Europa era- no gli stessi che gli attuali, come devono esserlo; ma gli antichi che pervennero a conoscere quelli del sud e dell' ovest , non conobbero mai bene quelli del nord, non a- vendone che idee confuse. Quanto all'Europa adottarono quasi gene- ralmente la opinione che il Tanai separasse l'Europa dall'Asia. Tolo- meo divise l' Europa in due parti, occidentale ed orientale. La Eu- ropa è generalmente bene innaffia- ta; tutte le sue acque vanno a perdersi parte nei mari interni , e parte nelP Oceano ; il mare Nero riceve esso solo il doppio di ciò che riceve ciascun altro mare. L'O- ceano assume le varie denomina- zioni secondo i paesi che va ba- gnando. Dal Reno fino all'estremi- tà della Norvegia, dicesi mare d' A- lemagna, perchè bagna tutte le ri- ve occidentali dell'antica Germa- nia, e con poca proprietà va pur chiamandosi mare del Nord. Il tratto che dalla parte settentrio- nale della Scozia si estende ver- so il circolo polare, è l'antico ma- re di Calcedonia, che appellasi e- ziandio mar de' Sarmati. Quella parte poi che comprendesi fra il circolo polare suddetto ed il polo,

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è nota sotto il nome di mar Già* ciale, ovvero Oceano artico. Enor- mi ammassi di ghiaccio fluttuimi e lo rendono quasi impraticabile ai naviganti, e vani si resero fin qui gli sforzi arditi degli olandesi e degli inglesi per aprirsi di un passaggio al grande Oceano, non essendosi potuto mai trascorrere il 78. ° grado di latitudine. Il risul- ta mento pero di questa scoperta , quando anche avvenisse, dicono i geografi che non avrebbe una som- ma importanza geografica, mentre l'inaccessibilità osterebbe sempre ad ogni commerciale vantaggio. Nul- 1 adi meno immensi tesori da que- sta solitaria parte di Oceano ri- traggono le circostanti nazioni col mezzo della pesca. Ricchissima è quella delle balene , e di tutti i mammiferi marini, abbondante so- pra ogni altra è quella delle a- ringhe e merluzzi , i quali sboc- cando ne' dati tempi dalla regio- ne polare, innondano le baie di Nor- vegia, d' Inghilterra, di Alemagna e di Olanda.

Fra i mari interni il Mediter- raneo primeggia, limitando l'Euro- pa al sud, ed è con siffatto nome distinto, per essere situato .nell'in- terno delle terre. Il Mediterraneo dalle rupi Ab'da e Colpe ì ossia dril- lo stretto che custodisce l'africa- na fortezza di Ceuta, e l'europea di Gibilterra, già tanto note sotto il nome di Colonne d'Ercole, giun- ge fino alla Siria per la lunghez- za di mille settecento e venti miglia secondo le più. recenti misure. Di- cesi mar Tirreno, o Toscano, e presso gli antichi Mare inferum nella parte che bagna il . lato sud- ovest dell' Italia. L' Arcipelago gre- co, o mar Egeo, è uno de' vasti golfi, che dal più ampio suo bacino

EUR fra l'Asia e l'Europa penetra in mez- zo alle terre di Grecia e di Turchia, mentre lo spazioso golfo Adriatico, o Veneto bagna la parte orientale d'Italia, e l'occidente dell' Illiria. Dal fondo dell'Egeo apresi il Me- diterraneo la via mediante l' Elles- ponto , oggi stretto de Dardanelli , e forma il mar di Marinara, che ha sessantatre leghe nella sua mag- gior lunghezza, e fu già noto sotto il nome di Propontide. Per mezzo poi del famoso Bosforo Tracio, o stretto di Costantinopoli, comunica col Ponto Eusino, o mar Nero, il quale riceve dai circostanti fiumi copioso tributo. Finalmente oltre Io stretto Coffa terminano il corso le acque mediterranee, pro- ducendo de' bassi fondi, che Palu- de Meotide si dissero ne' tempi an- dati , e mar d'Azof, o mar di Za- bacche chiamatisi nei moderni. Fra la Danimarca e la Svezia s'inter- na l'Oceano a formare il golfo di Skager Rack, o canale di Jutlan- dia, che nel volgersi poi al sud prende il nome di Categat, e me- diante gli stretti del grande e pic- colo Belt, i quali s' intromettono a separare il Jutland, e le isole di Fionia e di Seeland, non che per l'altro angusto stretto di Sund pas- sa a formare il mar Baltico. Scor- re questo in mezzo ai dominii prus- siani, russi e svedesi, e si divide poi ne' due golfi di Botnia e di Finlandia, soggetti al gelo nell'in- vernale stagione. La parte artica dell' Oceano si addentra nelle ter- re di Lapponia e di Russia a mo- do di golfo, che dilatandosi nella sua estremità costituisce il cosi det- to mar Bianco, sparso di piccole e mal note isolette.

I principali golfi, che non trac- ciano mare interno, sono que' di

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Guascogna e di Biscaglia nell'A- tlantico, ed i minori di Lione e di Genova nel Mediterraneo: l'Ocea- no Atlantico che i limiti stabilisce dell' Europa all' ovest, riceve il suo nome dal monte Atlante situato nell' Africa, e chiamasi pure Ocea- no occidentale.

Oltre i mentovati stretti , sono pure rimarchevoli: i.° il passo di Calais, tra Calais e Douvres, che l' Inghilterra dividendo dalla Fran- cia, dà principio al marittimo ca- nale della Manica, che fra quei due regni sino a Brest si prolun- ga ; 2.0 il faro Messinese per cui la bella isola di Sicilia viene dal rimanente d' Italia separata. Ma sebbene questi due sieno i princi- pali, quindici sono gli stretti di Europa degni di osservazione. Si distinguono in fine i due rinomati istmi , di Corinto che la Morea con- giunge alla Grecia, e di Precop, pel quale la Crimea si unisce al continente russo.

I principali e più cospicui laghi di Europa, sono que' di Ladoga e di Onega nella Russia, di TVen- ner nella Svezia ; di Neusiedler nel- T Ungheria ; di Costanza nel paese di Baden ; di Losanna e di Gine- vra nella Svizzera ; di Garda, di Como o Lago maggiore nell' alla Italia ; il Fucino, il Trasimeno, ed il Lago di Bohena nella bassa Ita- lia, per non nominarne altri.

Nel novero dei molti fiumi in Europa sono per l'ampiezza loro e per il lungo corso degni di men- zione, nella Russia il Volga, il Don, il Dnicper, ed il Dniesterj nell'In- ghilterra il Tamigi; nella Germa- nia il Reno, \Elba, e il Danubio; nella Polonia e nella Prussia la Vistola; nella Francia il Reno, il Rodano, la Loira, la Senna, la

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Gaivnnaj nell' Italia il Po, X Arno, ed il Tevere; nella Spagna YEbro, la Guadiana, e il Tago, il quale scorre pure nel Portogallo; lo Schei- da ne' Paesi Bassi, ec.

I canali più distinti sono quelli della Russia e della Francia, fra i primi quello primeggia che sta- bilisce la comunicazione fra il mar Baltico, il Ponto Eusino ed il mar Caspio ; tra i secondi , famoso è il canale del mezzodì, ossia della Linguadoca, che il Mediterraneo congiunge coli' Oceano Atlantico.

Indipendentemente dalle isole Bri- tanniche l'Europa molte altre ne contiene, come l'Islanda, Ivica,Ma- jorica e Minori ca , la Corsica, la Sardegna, la Sicilia, le isole Jonie, quelle di Candia , Malta , ec. ec. Dicono i geografi che la penisola Danese, la Crimea e la Morea sa- ranno forse un giorno contate nel numero delle isole europee, giac- che non sono unite al continente che coi mezzo de' terreni bassi, in parte sommersi o continuamente rumati dai flutti.

In generale frequenti catene di montagne attraversano in diversi sensi l'Europa: la più grandiosa è quella delle Alpi (nome col quale gli antichi celti designavano una elevata cima ), che dalla Francia si estendono fino alla estremità del- la Schiavonia. Le diramazioni as- sumono il nome di Alpi Maritti- me dal Varo al Po; di Cozie dal monte Cemelione a Susa; di Graje da Susa al grande s. Bernardo; di Pennine da s. Bernardo a s. Gottardo ; di Rezie da s. Gottar- do fino alla sorgente della Drava ; di Noriche dalla Drava al Lison- zo; di Cantiche dal Lisonzo alle sorgenti di Laubach e del Riza- no, di Giulie fino alla sorgente del

EUR \\ ipacìo; di Svcve in una linea di venti leghe parallela al Danubio, nel lato orientale de' monti della Selva nera, e di Transigane fra Clausemburgo ed Abrobania. Tie- ne il secondo rango la catena dei Pirenei , che dal Mediterraneo al- l'Atlantico si prolungano per no- vanta leghe, e separano la Fran- cia dalla Spagna. Sebbene le cime ne sieno coperte di ghiaccio, ed offrano ne' loro declivii immensa varietà di climi e di produzioni, \i si contano cinquanta passaggi adatti a' pedoni, e cinque comode vie per vetture. Il Canigù e il Monteperduto, il Vignemale ed il Pico di mezzogiorno vantano le som- mità più elevate. Viene poscia la catena de' monti Dofrins, forse gli antichi Rifei nella Scandinavia, che formano il limite naturale fra la Svezia e la Norvegia, e diraman- dosi quindi, intersecano la Lappo- nia svedese e la danese. Minore è l'altezza de' subalterni monti Kra- packs o Carpazi, che dal mar Ne- ro si estendono fino alle frontiere della Sassonia, e dividono Ja Mo- ravia dalla Slesia, la Transilvania e l'Ungheria dalla Bukowina e dal- la Galizia, e la Vallachia dalla Moldavia : sono queste ricche di miniere d'oro e d'argento, ed han copiose saline. S'innalzano sopra ogni altra le cime del Lomnitzera- Spitze, del Zeutschetrich, e del gran Kriwan a sette in otto mila piedi sopra il livello del mare. Nella in- feriore categoria trovansi finalmen- te gli Apennini, i quali si consi- derano come una ramificazione del- le Alpi, e dal ducato di Genova percorrono e partono l'Italia in tutta la sua lunghezza, terminando all'estremità meridionale del regno di Napoli. Il famoso Vesuvio, l'Etna,

EUR o Gibele de' Siculi, l' Ekla nella remota Islanda, sono i tre vulcani più noti delle montagne europee.

La varietà centrale dell' antico continente appartiene all'Europa, tranne la Lapponia, e però si am- mira negli abitanti il colorito bian- co e vermiglio, che soltanto nelle parti meridionali talor s' imbruna, e l'aggiustatezza e proporzione dei lineamenti avvicinano l'europeo al- la perfezione dell'umana natura. Strabone , qual geografo filosofo , parla col maggior elogio delle ric- chezze naturali dell' Europa, e dei suoi abitanti, gli uni propri alla guerra, come i greci, i romani, i macedoni; gli altri più utili in pa- ce, perchè occupantisi dei lavori delle campagne. La temperatura atmosferica va esente da quegli ec- cessi di calore e di freddo, che sono ordinari nelle altre parti del mondo. Diverse cause modificano in Europa il clima, il quale preso generalmente, è temperato, ad ec- cezione delle due estremità : la quantità di pioggia che cade nel- le diverse contrade di Europa, va- ria necessariamente i climi ; così dicasi della neve, ove cade in gran copia, ed ove di rado apparisce e subito si discioglie. L'atmosfera è generalmente salubre in Europa. E superfluo narrare, che il suo- lo è proprio ad ogni sorta di col- tura di cereali , legumi e frutta , che vi prosperano dovunque le viti e gli ulivi, se si eccettuino le par- ti settentrionali, e che non solo vi è gran copia di canape e di lino, ma ne' paesi meridionali si fanno con successo utili saggi della ve- getazione del cotone, del caffè, e di altre piante esotiche. Oltre le summentovate preziose miniere car- pazie , ve n' ha pure sparse nelle

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altre montagne di varie specie, co- me di piombo, di ferro, di rame, di cobalto e zinco ec. ec. ; molte pur sono le cave di differenti inai- mi, alabastri, ed altre pietre: però il regno minerale non è tanto ric- co in Europa, come lo è nell'A- merica. Vi sono parecchie salutife- re sorgenti di acque termali e sul- furee ; e le foreste, che servono di ricovero ad un gran numero di sil- vestri animali, e prive sono di quel- le tante belve e venefici rettili, i quali infestano il rimanente del glo- bo, somministrano pure eccellen- te legname da costruzione. L'Eu- ropa ha minor numero di generi e di specie di animali che le al- tre parti del mondo, e fra questi in proporzione ve n'hanno pochi che sieno pericolosi. Vi si alleva- no quasi tutti gli animali dome- stici conosciuti, giacché molti ani- mali sono stati egualmente impor- tati e naturalizzali in Europa . Strabone parla delle ricchezze na- turali dell' Europa , dicendo che rinchiude nel suo seno ogni sorta di metallo, produce alla sua su- perfìcie vegetabili di ogni genere, e nudrisce una grandissima varie- tà di animali.

L' Europa è la sede delle scien- ze e delle arti, venendo chiamata l' Italia il giardino dell' Europa^ e la più nobile parte di essa. Si no- verano in Europa più di ottanta- cinque università, e vi si pubbli- cano più di due mila giornali , e fogli periodici. Il suo commercio abbraccia tutto l'intiero globo. Ol- tre le antiche lingue greca e la- tina, che si coltivano dall'universa- le de' dotti, sonovi nell'Europa ot- to principali idiomi, cioè l'italia- no , il francese , proprio non solo della nazione, ma altresì della di-

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plomazia europea, lo spagnuolo col portoghese suo derivativo, l'inglese, il teutonico suddiviso nei vavi dia- letti germanici e scandinavi, ed e- steso alla Svizzera ed a gran parte de' Paesi Bassi, lo slavo comune ai russi, a' polacchi, agi' illirici, il tur- co, ed il greco moderno che dal primitivo essenzialmente differisce. Le diverse razze europee possedo- no tante così dette famiglie di lin- gue che si suddividono in un nu- mero infinito di lingue derivate, di dialetti e di Ternacoli. L'Eu- ropa durante gli ultimi secoli, ha posseduto colonie importanti nelle altre parti del mondo, ed oggidì ancora i principali popoli maritti- mi posseggono vasti stati o fertili isole in America, in Asia, in Afri- ca, nelP Oceania e terre Australi. Questi possedimenti alimentano il commercio di Europa, singolarmen- te nel cambio delle derrate colo- niali contro i prodotti e le mer- canzie europee. Gli europei si sono stabiliti in copioso numero nelle altre parti del mondo, massime in America, che si può dire per loro ripopolata.

La popolazione di Europa da molti geografi si fa ascendere a circa 193,420,000 abitanti. Però la popolazione è molto inegual- mente sparsa nel suolo di Euro- pa, secondo il clima, la qualità del territorio, la libertà e il carattere degli abitanti, ed i mezzi del com- mercio e dell' industria , non che in proporzione della fecondità dei matrimonii , tra il mezzodì e il nord di Europa, essendo le donne più prolifiche nel primo clima.

Le cinque grandi potenze mo- narchiche dell'Europa, cioè l'Au- stria, la Francia, Y Inghilterra, la Russia, e la Prussia, rinchiudono

EUR piìi di due terzi della popolazione e del territorio europeo : e vi so- no compresi, al dire dei geografi, più di centoquaranta milioni d'a- bitanti.

Sotto il rapporto della religione più di undici dodicesimi dell' Eu- ropa professano il cristianesimo in- trodottovi dagli apostoli, i princi- pi de' quali, cioè i ss. Pietro e Pao- lo, si portarono anche in Roma che illustrarono colla predicazione del vangelo , e con glorioso martirio. Il primo qual sommo Pontefice vi stabilì la santa Sede ; il perchè Roma è il centro del cattolicismo che tanto lustro, vantaggi e splen- dore derivò all'Europa, più che in qualunque altra parte del mondo, sebbene per ognuna costantemente sieno state rivolte le indefesse e zelanti cure de' romani Pontefi- ci. All'articolo Diocesi (Vedi), ev- vi il numero di quelle di Europa, colle rispettive distinzioni del loro grado, coli' indicazione degli stati in cui sono. In Europa non vi so- no che i turchi e gli ebrei i quali professano culti opposti al cristia- nesimo coli' islamismo o maomet- tismo, e col giudaismo. Nel nord e nell' est dell' Europa, alcune po- polazioni barbare sono ancora pa- gane, o piuttosto senza alcuna re- ligione. Se si vuole esaminare gli europei cristiani si trova prima la Chiesa greca od orientale che com- prende i russi, i greci, gli albane- si, i bulgari, gì' illirici, i serviani, gli schiavoni, i serbi o rezi, i mol- davi, ed i vallachi, sebbene tra essi un gran numero sieno di rito la- tino. Indi la Chiesa latina od oc- cidentale, la cui sede, come dicem- mo, è in Italia, e nell'alma Roma, ed alla quale appartengono pure il Portogallo, la Spagna, la Frau-

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eia , una parte della Svizzera e dell' Alemagna, l'Ungheria, la Boe- mia, la Polonia, il Belgio, e la maggior parte dell'Irlanda. La Chie- sa protestante, che negli ultimi tem- pi ha pure in parte assunto il ti- tolo di Chiesa evangelica, abbrac- cia la Gran Bretagna, una parte dell' Alemagna, 1' Olanda, la Dani- marca, la Norvegia e la Svezia. In mezzo ai protestanti vivono altresì parecchie differenti sette. AH' arti- colo Congregazione di Propaganda fide sono noverati i vicariati, de- legazioni e prefetture apostoliche stabilite dalla santa Sede nei paesi acattolici dell'Europa, ove il culto cattolico non è dominante. In con- clusione la religione ed unità cat- tolica serbasi illesa nelle regioni me- ridionali, e in alcune centrali, men- tre la riforma protestante è diffu- sa in gran parte della Germania, e ne' regni settentrionali. 11 rito greco scismatico si esercita nel va- sto impero russo, e nelle parti o- rientali. Intorno all' enumerazione degli stati di Europa, alle diverse forme de' loro governi, ed altro, se ne parlerà per ultimo ; ora passe- remo compendiosamente ad indi- care i principali avvenimenti sto- rici della nostra parte del mondo, premettendo alcune generiche no- zioni sul popolamento ed incivili- mento di Europa.

I popoli che abitano 1' Europa appartengono a differenti razze, delle quali molte traggono eviden- temente l'origine dall'Asia. La sto- ria fa menzione di molte emigra- zioni di popoli asiatici in Europa, e se ne sono senza dubbio verifi- cate anche delle altre che fuggiro- no alla conoscenza degl' istorici. E- gli è perciò che le idee religiose, e le lingue dei popoli i più. famosi

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dell'Asia ebbero un' influenza mar- cata nella civiltà dell'Europa. Que- st' ultima rimase sepolta lungo tem- po nella barbarie, e non fu che in grazia del suo contatto coli' Egitto da una parte, e con l'Asia dall'al- tra, che la Grecia esci la prima da quello stato generale di tene- bre, e dalla vita selvaggia che me- navano tutti i popoli dell'Europa. Le belle arti, le lettere, le scienze, le forme del governo, le virtù, so- ciali, tutto fu portato ad un alto grado di perfezione dai greci, po- polo felicemente organizzato e ca- pace del più grande sviluppo dello spirito e della immaginazione. I fenici apportarono dall' Asia nel mezzodì dell'Europa il gusto del commercio e della navigazione, fon- dandovi depositi di mercanzie e colonie mercantili. Ebbero per suc- cessori i cartaginesi, popolo più con- quistatore e più militare ; indi dal canto loro i greci si stabilirono in folla neh' Italia, ove sorse ben pre- sto una nuova potenza, quella dei romani. Anche la religione cristia- na, come si accennò, penetrò dal- l'Asia in Europa, ma scorsero molti secoli avanti che questa religione fosse portata e stabilita nel nord dell'Europa.

Jafet, uno de' tre figli di Noè , per consenso generale degli erudi- ti, fondati sulla fede dovuta alla tradizione, viene salutato qual pa- dre delle genti europee, conosciute sotto le originarie denominazioni , che ciascuna provincia dal suo fon- datore assumeva. Allorquando poi incominciarono a sorgere le diver- se popolazioni, i celti occuparono la parte occidentale, comprese le sue isole dalle Alpi all'Atlantico, e dieremo vita ai galli, agi' iberi, ai batavi, ai pitti, ed ai calcedoni ; i

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finlandesi si diffusero nel centro, e nella parte orientale, e quindi derivarono i germani, i geti, i tra- ci, i cimmeri ; i lapponi poi, affi- ni agli asiatici samojedi ed agli americani esquimesi, abitarono la parte settentrionale 3 ove poscia comparvero i sarmati, gli sciti, e gli scandi vani, mentre gli autoctoni e gli aborigeni , così detti quasi primigeni, furono dal lato meridio- nale progenitori de' greci e degli italiani. Alle ripetute incursioni dei goti, e degli eruli asiatici sono de- bitori della loro origine gli odier- ni russi, polacchi ed alemanni : co- lonie di Iberia e di Mauritania accrebbero la popolazione delle Spagne, ed i pelasghi d' incerta e controversa origine, col qual nome secondo il più sensato moderno pensamento tutti indistintamente vogliono indicarsi i nautici avven- turieri , sparsero in molte par- ti i primi semi della coltura so- ciale.

Mentre tutto il rimanente del- l'Europa trovavasi avvolto nella rozzezza e nella barbarie, co- nosceva altri esercizi che quelli della caccia , della pesca , d' una continua guerra depredatrice, con- ducendo vita noma da ed errante, Cadmo, Inaco, Lelege, Prometeo, Ogige e Saturno lasciarono tra- vedere, in mezzo alla oscurità del- le mitologiche finzioni ed allegorie, la civiltà, e le leggi edificarono il seggio nei vari regni dell'Egialea, dell'Emonia, e nella federazione dell'etnische Lucumonie. Dopo l'an- no 3oo4 del mondo, circa, ossia dieci secoli innanzi l' era volgare, incominciò a dissiparsi il velo che ottenebrava le ricordanze de' tem- pi precedenti, ed il linguaggio de- purato della storia c'indica eleva-

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te in isplendida fuma le greche repubbliche di Atene, di Sparta, di Corinto, di Tebe, e la luce da quelle contrade nella Trinacria e nella Magna Grecia mirabilmente si diffuse.

Nell'anno 776 avanti la nascita di Gesù Cristo, gli storici stabili- scono colla prima olimpiade l'epo- ca principale della cronologia gre- ca, mentre sulle rive del fiume Albula, ch'ebbe poi il nome di Te- vere, ov' erano già noti i piccoli regni d'Alba e del Lazio, nasceva l' immortale fondatore di Roma, Romolo. Questa città, edificata nel- l'anno quarto della sesta olimpia- de, o settecento cinquantatre anni prima della divina incarnazione , asilo ne' suoi principii di profughi e di avventurieri, contrasse, col famigerato ratto delle sabine, i so- ciali legami, ed ebbe dai primi suoi re la religione, e le civili isti- tuzioni. Dopo l'espulsione del re Tarquinio, il Superbo, Roma adot- tò nell'anno 5 12, ch'era il 241 della sua fondazione, le severe for- me repubblicane, e. colle guerre, non meno che colle scaltrite al- leanze, dilatò ampiamente i suoi confini. Gli albani dapprima , e quindi i latini, gli equi, gli eroi- ci, i volsci, i fidenati, i sabini, gli etruschi furono distrutti o doma- ti. La famosa cadula di Vejo, e le successive sconfitte de' sanniti com- pirono di spargere il tenore del nome romano ne' popoli circostan- ti, che colla soggezione, coll'allean- za, e colla cittadiuanza romana ne ricercarono 1' amicizia e la pace. Nella istallazione del nuovo magi- strato decemvirale, il breve e suc- coso codice di giurisprudenza con- tenuto nelle dodici tavole, compi- lale per ordine dell'attica saggez-

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za, proclamò il gius scritto della repubblica. Alla tirannide de' de- cemviri successero i tribuni mili- tari con potestà consolare, ed i censori; ed i celtogalli indi offriro- no largo campo al valore romano. Dopo essersi i celtogalli propagati nel territorio cisalpino, e fatti pa- droni della Liguria e dell' Jnsu- bria, nell'anno 390 invasa Roma sotto il comando di Brenno, resta- rono sconfìtti pel coraggio di Ca- millo. Allora in Roma furono e- manate le due rinomate leggi pu- blia3 e petelia: colla prima il dit- tatore Publio Filone cangiò in po- polare l'aristocratico reggimento, e Cajo Petelio colla seconda distrus- se i diritti di vassallaggio, che sui debitori plebei vantavano i patri- zi. A quell'epoca la monarchia macedone avea assorbito tutti i greci potentati , ed esteso per A- lessandro Magno i conquisti nel- 1' Asia. Dopo la morte di quell'e- roe, i successori si divisero gli sta- ti, ma la Grecia per le sue vicen- de formò la lega achea. Pirro re dell' Epiro pel primo inviò i greci contro i romani, s'impadronì della Sicilia; ma poscia i romani lo de- bellarono insieme ai tarentini , ai senoni, ai boi ed altri popoli col- legati: Taranto e Brindisi, in un alle altre città sicule ed alle pi- cene, furono ridotte in provincie romane.

Animati i romani da tanti trion- fi sfidarono i potenti cartaginesi, che da tre secoli imperavano sul mare, e dettavano leggi al Medi- terraneo coi loro navigli. La pri- ma guerra punica segnò l'epoca del loro colossale imperio. Dopo la battaglia navale e la vittoria di G. Duillio, ed il trionfo di Me- tello, la storia di Roma divenne

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quella non solo di Europa ma di tutto il mondo allora conosciuto. Distrutta Cartagine, conquistata la Grecia, l'Insubria , la Liguria, le Spagne, la Lusitania, la Carnia, Pil- line e la Tracia, furono quindi vinti i numidi 3 i cimbri , ed i teutoni . Ma nel!' apice di for- midabile possanza, già Roma nu- driva in se i primi semi di sua decadenza. Siila portò la guerra a Mitridate, e Lucullo a Tigrane, mentre Cinna, Mario e Sertorio cercavano di opprimere la patria. Siila ne li punì, e Tullio Cicerone sventò le prave macchinazioni di Catilina; però non andò guari che Cesare, Pompeo e Crasso si di- visero il potere col primo fatai triumvirato. Successero le rapide vittorie che Cesare riportò sugli elvezi, sui belgi, sui sassoni, su- gli svevi, sui britanni, e sui galli. La sua ambizione lo fece nemico della patria. Passa il Rubicone, in Farsaglia vince Pompeo, e giunge alla dittatura perpetua : se non che l'amore alla libertà di alcuni ne terminarono la dominazione col- Pucciderlo. Tuttavolta i destini di Roma non variarono: l'armata re- pubblicana fu dispersa a Filippi, per cui Ottaviano nipote di Cesa- re, Marc' Antonio e Lepido costi- tuirono il secondo triumvirato; il primo prevalse, Io stato di Roma fu cangiato, alla repubblica succes- se l'impero, ed Ottaviano col nome di Augusto venne solennemente proclamato imperatore. Fu sotto di lui che il mondo fruì i vantag- gi d'una lunga pace, e che nacque il sospirato Messia Gesù Cristo Si- gnor nostro, il cui avventuroso na- scimento die incominciamento alla corrente era. I successivi secoli sot- to diversi imperatori, ciascuno si

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distinse por svariati avvenimenti. La brutalità, la crudeltà, la cor- ruttela, e qualche raro lampo di f.juità e di clemenza si confusero colle prodezze dei romani eserciti, parte in mantenere le conquiste, parte in farne delle nuove. Surscro quindi imperatori saggi e filosofi, come Trajano, Adriano, Antonino e Marc'Aurelio, che fecero alquan- to dimenticar le precedenti sciagu- re; ma nel terzo secolo le milizie pretoriane usurpando il potere, a capriccio crearono e deposero gli imperatori, per cui al pubblico in- canto vendevano obbrobriosamente l'impero, e la sorte di tanti diffe- renti popoli e nazioni. La fortuna delle aquile romane incominciò a piegare, e gli stessi governatori del- le provincie innalzarono lo stendar- do della ribellione, disputandosi il supremo potere.

1 saggi e valorosi Aureliano e Probo, degni di tempi migliori, rav- vivarono ancora, co'trionfi che ri- portarono, gli estremi tratti d'una luce ch'era vicina al tramonto. Gli stessi imperatori nel quarto secolo prepararono la caduta della quasi u- niversale monarchia col dividere la unità della dominazione, ciò che pei primi fecero Diocleziano e Mas- simiano, succedendosi sanguinarie e civili discordie. Nei pontificati di s. Melchiade e di s. Silvestro I ces- sarono le persecuzioni contro il cri- stianesimo, e Costantino il grande restituì la pace alla Chiesa, pro- fessando pubblicamente l'evangelo, mentre in quasi tutte le provincie dell'impero le arti e le lettere, u- scite da un focolare comune, ci- vilizzavano i barbari, e la lingua latina si confuse cogl'idiomi degli indigeni. Ma il pio Costantino che sotto l'insegne del labaro avea riu-

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nito l'impero, in vece di consoli- darlo lo minò da'fondamenti col- l'averne trasportalo la sede da Ro- ma a Bisanzio, che per lui prese il nome di Costantinopoli, quindi eternò la divisione coll'aver dispo- sto dell'impero, come di privata e- redità, ne'tre suoi figliuoli. Laon- de dipoi Valentiniano e Valente resero sistematica la separazione dell'impero d'oriente, o di Costan- tinopoli, dall'impero d'occidente, o di Roma, dopo che per circa do- dici secoli nella grandezza di Ro- ma erano fissati gli sguardi dell'u- niverso. L' impero romano dopo una lunga serie di rivoluzioni sem- pre più. andò in decadenza; popo- li barbari avendo invaso l'est del- l'Europa, ed essendo seguiti da quel- li del nord s' impadronirono di quell'impero per l' addietro così potente, e ne saccheggiarono per- sino la capitale. Fu il quinto seco- lo che fece cessare la storia uni- versale europea, ed a quella viene surrogata l'altra de' nuovi popoli, che dagli avanzi della squarciata monarchia pullularono. L'Italia ri- mase aperta a un diluvio di bar- bari, che ne fecero ogni strazio, deponendosi da Odoacre re degli eruli, Momillo Augustolo l'ultimo degli imperatori d'occidente.

Le invasioni de'popoli barbari fe- cero nascere nell'Europa nuovi sta- ti, e nuove dinastie sovrane; i franchi ed i borgognoni si stabi- lirono nelle Gallie ; i visigoti e gli svevi occuparono la Spagna ; i sassoni e gli angli fondarono piccoli regni nella gran Bretagna ; i varequi, che si credono origina- ri della Scandinavia, diedero vari dominatori alla Russia ; i pirati normanni venuti dalla Danimarca e dalla Norvegia , si fecero cedere

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una provincia della Francia; i mori dell'Africa traversarono lo stretto di Gibilterra, invasero una gran parte della Spagna e si spar- sero persino nella Francia ed in Sicilia; gli unni, i goti, i vanda- li, gli eruli, i visigoti, i longo- bardi ed altri barbari successiva- mente dominarono sull'Italia, meno qualche brano dipendente dalla de- bole dominazione del greco im- pero.

L'eresia di Leone l'isaurico fece perdere a' greci i possedimenti di Italia, le principali città si sottras- sero dalla loro ubbidienza, ed il ducato romano, con Roma, e se- dici città della Campania si diero- 110 verso l'anno 7 3o al sommo Pontefice, e perciò sotto s. Gre- gorio li ebbe origine la sovranità de'Papi, ch'è la più antica di qua- lunque altra dinastia europea. Ste- fano II detto III, coli' invocare i soccorsi di Pipino re di Francia , contro i longobardi , diede motivo al successivo debellamento di que- sti, e alle conquiste che di una gran parte dell'impero romano fece Car- lo Magno figlio di Pipino; il per- chè s. Leone III nell'anno 800 rin- novò in lui l'impero d'occidente coronandolo solennemente nella ba- silica vaticana : impero che Carlo Magno divise poscia tra'suoi figli. Le chiese e i monisteri si erano moltiplicati in tutti i punti dell'Eu- ropa; le lettere trovarono un asi- lo nei chiostri, in mezzo alle guer- re ed alle istituzioni feudali che pesarono su tanti popoli, mentre l'ignoranza, la superstizione e la barbarie ne'secoli chiamati di fèrro oppressero l' Europa. Fu nel me- dio evo (questo tempo de' secoli barberi principiò l'anno 5oo della nostra eia cristiana, e durò per

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T intero corso di mille anni, sino al i5oo secondo l'autore dellV7po- logia de' secoli barbari), che princi- palmente si formarono e si consolida- rono le diverse monarchie che com- pongono oggidì l'Europa ; e le città marittime dell'Italia divennero stati potenti sul mare. La celebrata caval- leria dell'undecimo secolo, e il fer- vido zelo delle crociate non addi- tano che fugaci lampi di virtù passeggiera, mentre le ragioni feu- dali, l'accanimento delle differenti fazioni, gli scismi, e le religiose di- scordie provocarono sanguinose guer- re e carnificine. Nel XIV secolo sette Pontefici risiedettero in Avi- gnone, con grave danno di Roma e d'Italia, cui successe il lungo sci- sma che tenne divisi tanti popoli e nazioni. Tuttavolla in quel se- colo, prima o dopo, i ritrovamen- ti della bussola, della polvere, del- la stampa, ed il risorgimento del- le lettere, delle scienze e delle ar- ti , segnano incomparabili van- ti all'Europa. 1 mori furono final- mente espulsi dalla Spagna, ma i turchi invasero l'impero greco, e lo hanno sino d' allora conservato; e i tartari furono per qualche tempo padroni della Russia.

La scoperta dell' America fatta nel declinar del XV secolo dagli europei assoggettò loro un nuovo mondo, ove fondarono immense colonie, e da dove apportarono in Europa immensi tesori, ed una fol- la di prodotti sconosciuti. L'altra scoperta del Capo di buona speran- za pose il commercio europeo in relazione diretta con l'Africa, e colla più bella parte dell'Asia; la navigazione si perfezionò, e si vi- dero distinguersi parecchi stati, e sopra tutti l'Inghilterra, per la for- za della loro marina. Deplorabile

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fu il secolo decimosesto per le la- grimevoli eresie di Lutero, di Cal- vino, ec. , e per la riforma d'En- rico Vili, e funestissime ne furo- no le conseguenze che tuttora de- ploriamo. Nel decimo settimo se- colo un trattato di pace, quello di Vestfalia parve imporre un termi- ne alle guerre dei sovrani dell'Eu- ropa intorno al soggetto della loro religione, e delle loro pretensioni di dominio, giacche la memorata riforma religiosa introdotta dagli errori di Lutero aveva staccato dall'unita della Chiesa romana qua- si tutto il nord dell'Europa. L'im- pero di Russia accresciutosi di tut- ta l'Asia settentrionale, e degli stabilimenti cosacchi, cominciò ad influire sui destini dell' Europa; quest'impero è divenuto il più e- steso di tutti gli stati di questa nostra parte di mondo. L'Inghil- terra dal suo lato fu il più ricco degli stati europei, pel valore di sue colonie, che moltiplicò in ap- presso sino alla quinta parte del mondo. Alla fine del secolo deci- mottavo la rivoluzione che scoppiò in Francia, cangiò in parte la fac- cia dell'Europa. Antiche dinastie furono rovesciate, e parecchi stati vennero incorporati nella repubbli- ca francese, che al principio del decimonono secolo si eresse in im- pero. Napoleone primo imperatore de' francesi, conquistò ed invase una gran parte dell'Europa ; ma aven- do sollevato contro di lui i princi- pali sovrani, fu rovesciato dal tro- no, e l'antico ordine di cose fu ri- stabilito almeno in parte. Solamen- te le nuove costituzioni, create in conseguenza della rivoluzione fran- cese, e fondate, al dire di alcuni, sui bisogni dei popoli, e sui de- cantati lumi del secolo, furono con-

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servate la maggior parte. In questa lotta generale in Europa, una parte considerabile delle colonie in Ame- rica scosse l'antico giogo, la indu- stria fece rapidi progressi, e la po- polazione meno esposta alle stragi del vaiuolo, a merito della vacci- nazione, e godendo d'altronde di una lunga pace mercè la saggez- za de'sovrani, si accrebbe ben pre- sto malgrado le emigrazioni veri- ficatesi pel nuovo mondo.

I popoli di questa bella parte del globo, vengono politicamente divisi dai geografi in tre grandi sezioni geografiche formanti tutta l'Europa. La prima settentrionale comprende il vasto impero russo, coll'unito regno di Polonia, la Sve- zia a cui è unita la Norvegia, la Danimarca, e le Isole Britanniche. Alla seconda centrale si tribuisco- no l'imperio austriaco, insieme ai regni che ne dipendono, la confe- derazione germanica, cogli stati che la compongono, i Paesi-Bassi, ossia l'Olanda ed il Belgio, la Francia, e la Svizzera. La meridionale rac- chiude l'impero ottomano co' suoi accessorii , il regno ellenico della Grecia , l'Italia colle sue partizio- ni , la Spagna , ed il Portogallo. Nell'Europa, complessivamente con- siderata, si numerano cinquanta stati sovrani, cioè i tre imperi di Russia, di Austria, e di Turchia; i sedici regni di Francia, d'Inghil- terra, di Spagna, di Portogallo, di Sardegna, delle due Sicilie, di Prus- sia, di Olanda, del Belgio, di Bavie- ra, di Sassonia, di Grecia, di Wit- temberga, di Anno ver, di Dani- marca, e di Svezia cui è unita la Norvegia; l'elettorato d'Assia; i sei gran ducati di Toscana, di Baden, d'Assia-Darmstadt, di Weimar, di Meclenburgo-Schwerin, e di Stre*

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litz; i tredici ducati di Modena, di Parma, di Lucca, d'Oldemburgo, di Gotha, di Meiningen , d' Ilde- burgausen, di Coburgo, di Brun- swick, di Nassau, di Dessau, di Bernburgo e di Roeten; i dieci principati di Hohenzollern-Hechin- gen e Sigmaringen, di Lictenstein, Schwarzeburgo-Rudolstadt e Son- dershausen,, di Reuss ramo prin- cipale, e cadetto, di Lippa-Detmold e Schauenburgo , e di Waldeck ; lo stato ecclesiastico ; le quattro repubbliche della Svinerà, delle Isole Jonie, di San-Marino, e di Cracovia; e le quattro città ansea- tiche di Francfort sul Meno, Lu- becca, Brema ed Amburgo.

Quanto ai governi l'Europa ne presenta di tutte le forme, dal dispotismo il più assoluto, sino al- la democrazia pura ; egli è però vero che le repubbliche, altra vol- ta così numerose , sono state la maggior parte distrutte; quelle che abbiamo nominate, e che tuttora sussistono, non possono essere an- noverate tra gli stati possenti.

Il potere assoluto domina an- cora ne' grandi stati, ma il potere moderato e costituzionale ha pre- so in questo secolo un gran ascen- dente. L'impero di Turchia è gover- nato il più dispoticamente, ed i cul- ti che prevalgono sono il maomet- tano ed il greco. L' impero di Russia è sottomesso egualmente al potere assoluto; ed i culti di quel- l'impero sono il greco, il cattoli- co ed il luterano: il regno di Po- lonia dipendente dalla Russia sog- giace al suo potere assoluto. L'im- pero d'Austria mantiene il princi- pio del potere assoluto, ma al- cune provincie del suo impero hanno corpi rappresentativi, e l'Un- gheria ha un'antica costituzione; vol, xxu.

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i culti dell'impero austriaco sono il cattolico, il greco , il riformato e il luterano. Il regno di Prussia è assoluto, cogli stati provinciali; i culti suoi sono luterano, catto- lico, e riformato. I regni di Sve- zia, della gran Bretagna, di Olan- da, del Belgio, di Francia, di Por- togallo, ellenico di Grecia sono go- vernati costituzionalmente ; la Svezia segue il culto luterano; la gran Bre- tagna V episcopale, il presbiterale e il cattolico; l'Olanda il cattolico e il riformato ; il Belgio il cattolico ; la Francia il cattolico, il rifor- mato e il luterano; il Portogallo il cattolico; ed il regno di Grecia o ellenico il culto cattolico e quello greco. Costituzionalmente pur si go- vernano i regni di Baviera, di Wur- temberg, e tale è la forma de' piccoli stati di Alemagna, ove il culto è cat- tolico, luterano, riformato, evangeli- co ec. Il regno di Spagna al presente è costituzionale, ed il cullo è cattoli- co. I re di Sardegna e delle due Si- cilie, il Pontefice, ed il re di Dani- marca, e molti principi di Alema- gna e d'Italia regnano senza con- trolleria con potere assoluto : nei primi stati il culto dominante è il cattolico, in Danimarca il luterano. La Svizzera, composta di cantoni liberi, ha repubblicano federativo il governo, ed il culto riformato, e cattolico. Neil' isole Jonie il go- verno è repubblicano, sotto il pro- tettorato dell'Inghilterra, coi culti greco, cattolico , ed episcopale. I ducati d'Italia sono di governo as- soluto, con culto cattolico; ed il principato di Monaco è sotto il protettorato della Sardegna. La repubblica di Cracovia è protetta dalla Russia, Prussia, ed Austria, con culto cattolico, senza nomina- re altri stati già mentovati.

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EUROPA. Provincia, ed anti- chissima contrada dell' Illiria, nel- la parte orientale della Tracia, lungo la costa, che guarda l'Asia minore, dal Ponto-Eusino fino al- l'Arcipelago. Le città principali e- rano Costantinopoli, Selivreè, Ru- disto, Apri ec. Secondo alcuni ap- parentemente questo paese comu- nicò il suo nome a tutta l' Euro- pa, come l'Asia minore diede il .suo nome al restante dell'Asia, e l'Africa propria a tutta l'Africa. Eraclea (Fedi), era altre volte la metropoli della provincia ecclesia- stica di Europa, come poi lo fu di tutta la Tracia: a quell'artico- lo notammo gli arcivescovati ed j vescovati della provincia di Eu- ropa, sotto il patriarcato di Co- stantinopoli, del quale fu la prima provincia.

EUROPA, EUROPI, o EURO- PO. Città vescovile dell'Asia, nel- la Siria, nella provincia di Eufra- te, diocesi di Antiochia , sotto la metropoli di Gerapolh che secondo Commanville fu eretta nel quinto secolo. Era situala sulla riva del- l'Eufrate all'est di Gerapoli, ed al sud di Zeugma. Fu chiamata con diversi nomi, come di Amphipo- lis, Thapsacum , e Turmeda, se- condo la Siria sagra. Al dire di Procopio, l'imperatore Giustiniano I vi edificò una fortezza. De' suoi vescovi non si conosce che David, riportando il p. Le Quien, nel- 1' Oritns Christ. tom. II, p. 4q5j ch'egli non intervenne al concilio, ma fu ivi rappresentato dall'arci- vescovo di Gerapoli, che sottoscris- se pegli altri suoi vescovi suffra- gaci siccome assenti. Attualmente Europa, Europe/i, è un titolo ve- scovile 7/1 partibus che si dai sommi Pontefici, sotto la metropo-

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li di Gerapoli pure in partibus. II Tapa che regna, a' 7 giugno i83<), fece vescovo d'Europa monsignor Lodovico di s. Teresa de' carmeli- tani scalzi, non che coadiutore del vicario apostolico di Gerapoli.

E USE Jacopo, Cardinale. V. Giovanni XXII Papa.

EUSEBIA (s.). Neil' anno 63 7 nacque Eusebia da nobili e vir- tuosi genitori. Fu educata sotto la direzione della propria avola la beata Gertruda, la (piale governa- va in quei giorni in qualità di ba- dessa il monistero di Hamaige. Cresciuta negli anni, ed informato il suo cuore ad ogni esercizio di virtù cristiana, venne eletta a suc- cedere nel ministero dell'avola. Una profonda umiltà, accoppiata aduna inalterabile dolcezza, la rendette cara a tutte le sue conreligiose. Colla austerità mantenne puro il suo corpo ed il suo spirito, e nel- la fresca età di anni venti tre, il giorno 16 marzo dell'anno 660 volò al cielo a cogliere il premio dei giusii. In questo giorno me desimo nel martirologio di Fran- cia e dei benedettini è ricordata la sua festività.

EUSEBIAM (Eusebiani). Gli eu- sebiani erano eretici ariani che furono così chiamati da Eusebio di Nicomedia, principal difensore della dottrina e della persona d'Ario. Essendosi Eusebio lasciato sorpren- dere dagli errori di questo eresi ar- ca., finse di abiurarli al concilio di Nicea, per non cadere in so- spetto dell'imperatore Costantino; ma i vescovi cattolici avendolo fat- to conoscere, siccome per uno dei principali fautori d'Ario, quel prin- cipe l'esiliò dappoi. Il partito aria- no avendo ottenuto il suo richiamo, diventò egli il più gran nemico di

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s. Atanasio primario difensore del cattolicismo ; fecelo quindi esiliare, riunì diversi concili contro di lui, circondò l'imperatore Costantino fino alla sua morte, ed infettò dell'eresia ariana Costanzo suo figlio e tutta la famiglia imperiale. Fecesi poi eleggere per forza vescovo di Co- stantinopoli, dopo aver fatto esilia- re Paolo , prelato ortodosso, nel 338, egli in fine si eresse incapo di partito. Dopo la morte d'Ario, i pu- ri ariani lo consideravano come loro apostolo, e si diedero a gloria di portare il nome d'eusebiani. Fu egli pure che compose quasi tutte le for- inole ariane. Disprezzò tutte le sco- muniche scagliate contro di lui dai vescovi cattolici, e morì nello scisma e nell'eresia, l'anno 34 1.

EUSEBIO (s.) Papa XXXII. Gre- co, medico, o figlio di medico, il gior- no 5 febbraio del 309 fu innalzato alla sede di s. Pietro. Confermò il decreto di Stefano I riconcilian- do tutti gli eretici che trovò in Roma colla sola imposizione delle mani. Battezzò s. Eusebio, illustre vescovo di Vercelli, a cui impose il suo nome. Sostenne la legge dei santi Pontefici Cornelio e Lucio suoi pre- decessori, per la quale veniva pre- scritto ai caduti nell'apostasia di far penitenza, ond'essere restituiti alla pace e comunione ecclesiastica. Dice- si aver egli prescritto che i corpo- rali non fossero di seta, ma sola- mente di lino benedetto dal vesco- vo, e che la cresima fosse ammi- nistrata soltanto dai vescovi, a' qua- li determinò la moderazione, che dovevano usare alla loro mensa. Fe- ce una sola ordinazione nella quale creò quattordici vescovi, tredici preti e tre diaconi. Patì a'26 settembre del 3ii, e fu sepolto nel cimite- rio di Callisto, dopo avere gover-

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nato due anni, sette mesi, e sedi- ci giorni. Vacò la santa sede sei giorni.

EUSEBIO (s.). Nacque Eusebio in Sardegna, da nobili genitori. Ri- masto privo del padre in tenera età, la madre sua si trasferì in Roma con lui. Educato colà nella pratica delle cristiane virtù, e nello studio delle ecclesiastiche scienze, fu dal Ponte- fice s. Eusebio battezzato, per cui gì' impose il proprio nome, e po- scia dal Papa s. Silvestro I ordi- nato lettore. Passato in progresso a reggere la chiesa di Vercelli, fu egli il primo suo vescovo. Con la mag- gior pastorale sollecitudine governò Eusebio il gregge alla sua cura affi- datogli, ed in breve la città di Ver- celli avvampò tutta di sacro fuoco verso Gesù Cristo. Nell'anno 354 fu dal Pontefice s. Liberio mandato Eusebio ad Arles nelle Gallie, ove trova vasi allora T imperatore Co- stanzo, per stabilire con quel prin- cipe la convocazione di un con- cilio, che fu in Milano radunato nell' anno seguente. Recatosi Euse- bio in Milano, gli ariani, che assai lo temevano, sostenuti però dal dominatore di quel tempo, riusci- rono per dieci giorni d'impedirgli l'ingresso al concilio, ma final- mente vi fu ammesso. Prima di dar cominciamento all'affare di s. Atanasio, per cui si erano convo- cati, volle il sauto prelato che tutti i vescovi accettassero in iscritto il simbolo di Nicea, per dare così un colpo decisivo alle calunnie inven- tate a carico del santo vescovo A- tanasio. Il commendevole zelo di Eu- sebio per la causa di s. Atanasio gli procurò l'esilio dall' imperatore Co- stanzo in sul declinare dell'anno 36 1 . Dipoi dal suo successore fu richia- mato Eusebio a reggere la sua

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chiesa, ed egli recatosi , cercò con ogni premura ed instancabili atti di virtù di riparare ai guasti oc- casionativi da una lunga assen- za. Dagli anni e molto più dalle fatiche logorato mori il santo ve- scovo il primo agosto dell'anno 370, e le sue spoglie mortali sono con gran venerazione conservate nella cattedrale di Vercelli. Il Bre- viario romano assegna la sua festa li i5 dicembre a cagione della tu- mulazione fatta in tal giorno delle sue reliquie.

EUSEBIO (s.). Nell'anno 366 il santo vescovo Eusebio occupò la sede di Samosata in Siria, e nello stesso anno assistette al concilio di Antiochia. Molta fu l' influenza che egli ebbe nella elezione di s. Mele- zio patriarca di Antiochia. Gli aria- ni, quantunque contrari a lui per principii religiosi, avevano però grande venerazione per la sua pro- bità. Nel 370 concorse all'elezione di s. Basilio arcivescovo di Cesa- rea, e si legò strettamente a lui, mantenendo un'amichevole ed apo- stolica corrispondenza. Destatasi in que' dall'imperatore Valente una fiera persecuzione contro i cattoli- ci, il santo vescovo Eusebio si ado- però con tutto potere a garantire il proprio gregge dal veleno del- l'eresia. Incontrò viaggi per la Si- ria, Palestina e Fenicia per ordi- nar sacerdoti, per assistere vesco- vi, per rimetter pastori nelle cure vacanti, per rassodare finalmente i credenti nelle verità della fede. Una tale vigilanza operosa, gli pro- curò dalla setta ariana, che in quei giorni dominava, un odio impla- cabile, e questa condusse l'impera- tore ad esiliare Eusebio nella Tra- cia. Il santo obbedì all' imperiale comando, e raccomandata al Si-

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gnore con fervente preghiera la sua greggia, si mosse verso il luogo di sua destinazione. Accortisi i suoi dell'allontanamento del proprio pa- dre e pastore, si diedero in fol- la a seguirlo , e raggiuntolo a Zeugma, lo scongiurarono di non ab- bandonarli al furore dei lupi. Som- mamente commosso Eusebio, li benedisse, eccitandoli ad adorare le divine disposizioni, volle ac- cettare niente di quanto in denaro essi gli offrirono pe'suoi bisogni. Nell'anno 379, daudo i goti gua- sto alla Tracia, fu accordato ad Eusebio di ritornare alla sua sede per cogliere la corona del marti- rio; ma passando per Dolico, pic- cola città della Comagena, infetta allora dell'arianismo, una femmina eretica gli scagliò una tegola sul capo, che in brevi giorni lo con- dusse a morte. Prossimo il santo vescovo a spirare, fece viva istanza che non si facesse alcun male a chi gli toglieva la vita, imitando così il divino nostro Redentore, il quale dalla croce pregò pe'suoi crocefis- sori. Dai greci è onorato Eusebio li 22 giugno, e dai latini il gior- no 21.

EUSEBIO Abbate (s.). In un monistero fra Berea ed Antiochia condusse Eusebio la santa sua vi- ta. Chiamato a presiedervi in qua- lità di abbate, seppe col suo esem- pio conservar pura la disciplina, e condurre i suoi conreligiosi nella via della perfezione. L'austerità di sua vita si rendette celebre in quei dintorni, e molti allievi procurò al monistero. Carico di anni e di meriti riposò nel Signore li 23 gennaio nell'anno 4°°> ea* in tal giorno se ne celebra la memoria.

EUSEBIO Prete (s.). Fu Eu- sebio prete e confessore in Roma,

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ed ebbe molto a combattere l'a- rianismo sotto il regno di Costan- zo. Confinato prigione nella sua propria stanza per ordine dell'im- peratore, egli si santificò in quella col mezzo di una continua orazio- ne. Morì, e fu sepolto nel cimite- ro di Calisto. Il suo culto fu sem- pre celebre in Roma, e la sua fe- sta è assegnata ai i4 di agosto.

EUSEBIO Prete e martire (s.). Sotto il regno di Diocleziano e Mas- simiano viveva il sacerdote Euse- bio addentrato in grado eminente nello spirito della preghiera, ed in tutte le apostoliche virtù. Colla pre- dicazione molti furono da lui con- vertiti; e gl'idolatri irritati dai gran- di progressi ch'egli faceva a sca- pito del loro culto, provocarono il preside Massenzio ad assoggettar- lo all'inquisizione. Comparso Euse- bio al tribunale, con eroica fermez- za non si lasciò sedurre dalle lu- singhe, né vincere dalle minaccie del tiranno, che indurlo voleva a sacrificare agi' idoli. Quindi si as- soggettò al martirio, e venne de- capitato il giorno i4 agosto circa il terminare del terzo secolo, ed in tal giorno è ricordata la sua festi- vità negli antichi martirologi.

EUSEBIO Prete (s.). V. Mar- cello (s.).

EUSEBIO Martire (s.). V. Ne-

STABLO (S.).

EUSEBIO, Cardinale. Eusebio Cardinal prete del titolo di s. Lo- renzo in Lucina, si trovò presente al concilio celebrato dal Pontefice s. Paolo I nel 761.

EUSEBIO di Cesarea. Per quan- to si crede nacque nella Palestina verso la fine dell' impero di Gal- lieno. Durante la persecuzione di Diocleziano ebbe a maestro s. Pan- filo, sotto del quale molto profit-

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tò. Credesi falsamente che nel tem- po di sua prigionia offerisse incen- so agli idoli per evitare il mar- tirio. Quando venne restituita la pace alla Chiesa, Eusebio, il quale avea aperta una famosa scuola a Cesarea, fu eletto vescovo in quel- la città nell'anno 3i3. In questo tempo in cui produceva grande guasto nella Chiesa 1' arianesimo , Eusebio, sedotto dal suo parente Eusebio di Nicomedia, prese a di- fendere Ario, e fece ogni sforzo per ristabilirlo appresso Alessandro suo vescovo. Cotale caduta d'Eu- sebio fu al suo nome una macchia tanto maggiore, quanto più tentò occultarla colla dissimulazione. Nel concilio di Nicea durò grande fa- tica a sottoscriversi nella condan- na degli errori d'Ario, ne volea ammettere il termine consustanzìa' le aggiuntovi dai padri. Indotto dai vescovi ariani , intervenne al concilio d' Antiochia nel 33o , in cui Eustazio vescovo di questa cit- tà venne ingiustamente deposto: e così pure nel 335 a quello di Tiro tenutosi contra s. Atanasio.

Morì poco tempo dopo nel 338, e senza dubbio ariano, tale essen- do, contro l'opinione di alcuni mo- derni, la testimonianza di s. Eu- stazio, s. Atanasio, s. Ilario, s. Epi- fanio, e s. Girolamo. Abbiamo di lui: i.° la Confutazione di J erode, il quale metteva Apollonio Tia- neo al di sopra di Gesù Cristo ; 2.0 la Preparazione evangelica, in quin- dici libri ; 3.° la Dimostrazione e- vangelica, divisa in venti libri, del- la quale non ci rimangono altro che i primi dieci; 4«° un Trattato di storia ecclesiastica, dopo la ve- nuta di Gesù Cristo fino al primo concilio universale; 5.° una Cro- naca, eh' è un indice di storia uni-

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versale da Adamo fino all' anno ventesimo di Costantino; 6.° la Vita di Costantino, in quattro li- bri ; 7.0 alcuni Commenti sui sal- mi pieni del veleno dell'arianesi- mo, ma veleno mascherato con grande artifizio; 8.° certi Commen- ti sopra Isaia, che si trovano nel- la collezione delle opere d' alcuni padri greci, pubblicata a Parigi nel 1706.

EUSIZIO (s.). Da poveri geni- tori sortì Eusizio i natali nel Pe- rigueux, e si ricoverò in qualità di laico nel monistero di Percy, nella diocesi di Burges. Servita la comunità per alcun tempo, fu ac- cettato poscia nel numero de' mo- naci, ed ordinato sacerdote. Coll'as- senso del superiore si staccò dai suoi conreligiosi, e si ritirò nel Ber- in un luogo solitario. Fece in progresso fabbricare nel luogo del suo romitaggio un monistero, che prese il nome di celle, e vi concor- sero molti allievi. Il santo eremita finì in pace i suoi giorni nell'anno 542, li 27 novembre, ed in tal se ne celebra la sua festa.

EUSTACHIO (s.). V. Antonio, Giovanni ed Eustachio (ss.).

EUSTACHIO (s). Regnando in Roma l'imperatore Adriano, Placido, che tale era il nome di Eustachio prima di sua conversione, viveva ascritto alla romana milizia. Dedito egli alla caccia, si recò un giorno a diporto in una folta boscaglia, e nel silenzio di quel luogo, scoprì in un'al- tura un cervo, avente fra le corna l'immagine di Gesù Crocefisso. Ad un tanto prodigio Placido si arre- stò maravigliato, ed intesa in quel mentre una voce che lo invitava a farsi cristiano, si prostrò bocco- ne, e da quell'istante si dichiarò seguace di Gesù, rinunziando al fi-

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no allora professato gentilesimo. Ri- tornato Placido in sua casa, rac- contò a sua moglie Taziana , che poscia chiamossi Teopista, l' avve- nuto, ed invitata a seguire l'im- pulso divino, abbracciò anch' ella di buona voglia il consiglio del suo sposo, ed insieme ai due figli A- gapio e Teopisto si fecero tutti ammaestrare nei santi principii del- la morale cristiana, e quindi colle acque battesimali rigenerati, diven- nero figli adottivi dell' autore del- la grazia. Viveva Eustachio con la sua famiglia tranquillo e sereno nel novello suo stato, quando occorren- do all'imperatore Adriano valersi di lui in una militare impresa, fu chia- mato all' esercito in qualità di ca- pitano generale. Eustachio obbedi- sce prontamente ai comandi del principe, assume l'incarico affidato- gli, va al campo, fuga i nemici, e vittorioso ritorna in Roma. L'im- peratore grato ai servigi prestati da Eustachio, lo onora di sua gra- zia, e Io invita altresì a rendere tributi di laude agli dei per l'otte- nuta vittoria. Eustachio per esser divenuto cristiano, si rifiuta di ob- bedire; l'imperatore che ignorava il novello stato di lui, s'inquieta; vuole eseguiti ad ogni modo i suoi ordini, ed Eustachio vi resiste fer- mamente. La grazia ed il favore sovrano di prima si cangia in fu- rore, ed ordina Adriano che Eu- stachio con la moglie e i figli , sie- no esposti nel parco de' leoni, per esser da quei divorati. Si eseguisce il comando, vengono essi tradotti sul luogo, e quelle fiere, anziché segui- re l'istinto proprio, mansuete si avvicinano a lambire i loro piedi. Adriano vieppiù infuriato per l'av- venuto, comanda che sieno essi po- sti in un bue grande di metallo ,

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e chiusi in quello, vengano dal fuo- co sottopostovi arrostiti ed incene- riti. Colla rassegnazione dei veri n lieti di Cristo si assoggettarono tutti a tale barbaro comandamen- to. Tre giorni vi stettero rinchiu- sa in capo ai quali, aperto il bue si trovarono i loro corpi intatti, e senza alcuna lesione, pel quale pro- digio molti sul fatto ebbero a con- vertirsi. JVel giorno 20 settembre dell'anno 120 subirono essi il mar- tirio, ed in tal giorno il martiro- logio romano assegna la loro fe- stività. Agli articoli Chiesa di s. Eustachio, e Conti famiglia, sono riportate diverse erudizioni risguar- danti questo santo.

EUSTACHIO, Cardinale. Eu- stachio Cardinal prete, fu uno dei padri componenti il concilio Roma- no celebrato da s. Zaccaria nel 745.

EUSTAZIANI. Nome d'una set- ta eretica del IV secolo. Se si cre- de a Socrate ed a Sozomeno, que- sti eretici ebbero per patriarca Eu- stazio, vescovo di Sebaste in Ar- menia, il quale non essendo che semplice prete, fu deposto da suo padre chiamato Eulogio, arcive- scovo di Cesarea in Cappadocia , perchè vesti vasi da filosofo paga- gano, e faceva portare a' suoi di- scepoli abiti straordinari. Baronio crede che l'eresiarca Eustazio sia quell'Eutacto di cui s. Epifanio parla come d' un impostore , che era monaco d'Armenia, il di cui nome è stato alterato e cangialo in Eustazio. L'opinione la più co- mune è che fosse un monaco , il cui amore eccessivo per la sua pro- fessione lo fece cadere in molti er- rori. Condannava il matrimonio come contrario alla salute, e divi- deva le donne dai loro marili. Ab-

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bandonava le pubbliche adunanze delle chiese per farne delle priva- te, ed appropriavasi le obblazioni dei fedeli. Credeva che non si po- tesse niuno salvare senza abbandona- re tutti i propri beni; divideva i fi- gli dai loro padri ed i domestici dai loro padroni, sotto pretesto di far condur loro una vita più per- fetta, e ricusava le obblazioni dei preti ammogliati. Sosteneva ch'era vietato in tutti i tempi il mangiar carne, disprezzava i digiuni ordinari della Chiesa come inutili, pratican- done degli altri a suo capriccio, anche negli slessi giorni di dome- nica. Aveva in orrore i luoghi san- ti ed i sepolcri dei martiri. Que- sti eretici furono condannati nel concilio di Gangra in Paflagonia , l'anno 342.

EUSTAZIO (s.). Era della città di Sida in Panfilia. 11 suo merito lo innalzò alla sede vescovile di Be- rea, ove si distinse fra i più zelan- ti difensori de'dommi apostolici. Ciò animò s. Alessandro vescovo d' A- lessandria ad unirsi seco nella guer- ra, cui avea intrapresa contro l'e- resiarca Ario. Con generale appro- vazione de' vescovi, del clero e del- la provincia, fu trasferito da Berea in Antiochia. Tali e tante furono le persecuzioni alle quali fu sog- getto Eustazio per parte degli a- riani, e specialmente di Eusebio di Cesarea, eh' erasi acquistato il glo- rioso titolo di Confessore. Sedotto finalmente Costantino dagli ariani, lo esiliò nella Tracia, dove morì pieno di meriti e santità l' anno 338. Tra le opere che ci riman- gono di lui vi sono : 1 le Ome- lie ; 2.0 alcuni trattati dell'anima; 3.° una dissertazione sulla Pito- nessa ; 4-° un' allra dissertazione coulro Origene; 5." molte opere

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contro gli ariani. Secondo s. Gi- rolamo, Eustazio fu il primo che scrivesse contra tali eretici.

EUSTAZIO Abbate di Luxeu(s.). Da nobile famiglia di Borgogna sortiti i natali, con molta cura fu Eustazio educato dal proprio zio Migeto vescovo di Langres. Di buon'ora conobbe quanto periglio- so sia il seguire il mondo e le sue vanità , e quindi ricoveratosi nel monistero di Luxeu sotto la dire- zione di s. Colombano, si die tut- to con lo spirito all' orazione , al- l' umiltà, ed alla celeste contem- plazione. Nell'anno 612 successe a s. Colombano, e si vide capo di seicento monaci, che lo riguarda- vano come loro padre. Per puro spirito evangelico si allontanò al- cun tratto dal suo monistero per diffondere nella Baviera e nella Franca Contea la morale cristiana, e la divinità di Gesti Cristo, com- battuta dagli errori di Folino e di Bonoso. Egli si procacciò su tutti la stima e la venerazione. Morì santamente nel 625, e nel marti- rologio romano è ricordato il 29 marzo.

EUSTOCHIA (s.). Eustochia era figlia di s. Paola, e vera seguace della madre, seppe sotto la dire- zione di s. Girolamo, tanto perfe- zionarsi nelle cristiane virtù, da meritare gli elogi i più estesi da un grande dottore della Chiesa. Soccorreva ella ai bisogni dei po- veri, e dava ad essi tutto quello che le altre del suo sesso profon- dono in vanità ed in lusso. Visi- tava di spesso s. Marcella, la pri- ma fra le matrone romane, che praticasse la vita ascetica , e verso l'anno 382 si consecrò al Signore con voto solenne. Accompagnò Eu- stochia la madre sua nei viaggi

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che intraprese per la Siria, l'Egit- to e la Palestina , e ricoveratasi nel monistero di Betlemme, nel 4o4, morta sua madre, fu eletta a superiora di quel sacro ritiro. Dopo avere edificato col suo esem- pio quelle vergini spose di Gesù Cristo, e rigorosamente mantenuta ed osservata la disciplina , morì santamente nell'anno 4*9» e la sua festa è assegnata ai 28 set- tembre.

EUSTOCHIA (beata). Nella cit- tà di Messina l'anno i43o trasse Eustochia i natali da una illustre famiglia. Spiegò ella sino dall'in- fanzia un cuore inclinato alla vir- tù, ed oltre a questo pregio dello spirito accoppiava anche quello di una rara avvenenza. Cresciuta ne- gli anni, e vieppiù aumentando i suoi meriti, parecchie famiglie del luogo anelavano alle sue nozze ; ma ella non acconsentì mai ad alcun partito, risoluta di dedicarsi intie- ramente a Gesù Cristo, e superate da forte tutte le opposizioni de'suoi genitori, riuscì finalmente a rico- verarsi nel monistero di s. Chiara di Bassicano. Fatti i voti di reli- gione si diede con ogni austerità a farsi modello alle sue compagne. Esattissima nell'osservanza delle re- gole del proprio istituto, chiese al supremo Gerarca Calisto III la per- missione di fondare un nuovo mo- nistero. Ottenuto l'assenso fondò la casa detta il Monte delle Vergi- ni, e ne divenne poscia badessa. Ac- cesa sempre di santo zelo nella pratica delle virtù, e di una tene- ra e costante divozione pel santo sa- cramento dell'altare, e per la Bea- ta Vergine, passò la sua vita sino al cinquantesimo quarto anno di età, e morì li 30 gennaio del 1484. I miracoli operati alla sua tomba

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mossero il Pontefice Pio VI ad ap- provare il di lei culto, e la sua festa si solennizza li 27 febbraio.

EUSTOCHIO (s.). Uscito Eusta- chio da nobile famiglia dell* Al ver- gila , si rese celebre colla pratica delle cristiane virtù. Elevato nel 444 al'a sede episcopale di Tours, si mostrò subito zelantissimo nel concilio di Angers a sostenere i di- ritti della Chiesa, turbati da una legge di Valentiniano III. Accreb- be il numero delle parrocchie nel- la sua diocesi, e fece anche col proprio edificare una chiesa in cit- tà, nella quale depose- le reliquie de'ss. Gervasio e Protasio, recate dall'Italia da s. Martino. Dopo di- ciasette anni di regime il più atti- vo morì santamente nell'anno 4^r> e le sue spoglie furono deposte nella chiesa di s. Brizio. Il marti- rologio romano accenna la sua fe- sta ai 19 settembre.

EUSTRASIO ovvero EUSTA- CHIO, Cardinale vescovo di Al- bano, creato da s. Stefano III Pa- pa. Di questo Cardinale sappiamo solo che nel 767 contribuì alla ele- zione dell'antipapa Costantino, e quindi con altri vescovi lo consa- grò Pontefice. Intervenne però al concilio Romano, celebrato nel 769 dall'anzidetto Stefano III detto IV, per lo che sembra che abbando- nato lo scisma, sia ritornato all'ub- bidienza del legittimo Pontefice.

EUSTRASIO, Cardinale prete del titolo di s. Anastasia, visse nel pontificato di s. Gregorio III del 73i.

EUTICHE. Fu monaco e sacer- dote, ed anche abbate generale o archimandrita di un celebre mo- nistero di trecento monaci presso Costantinopoli. Nell'anno 44^ spar- se i suoi errori, mentre poc'anzi

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avea ricevuto dal Pontefice s. Leo- ne I lettera di grande encomio per la guerra che faceva a' nestoriani. Negava egli le due nature in Gesù Cristo, asserendo essere la di lui carne celeste, e solo passata per le viscere di Maria, senza prende- re T umanità. Indi soggiungeva , che, avanti 1* unione, Cristo avea due nature, ma non dopo, essen- do stata assorbita l' umana dalla divina , e che questa poi patì in Cristo Dio, e non uomo. Di più, negando le tradizioni, e male spie- gando la sacra Scrittura, sostenne, che i corpi umani nella risurrezio- ne dovessero rendersi impalpabili e sottili. Questi suoi errori furono condannati in più sinodi e con- cili, come dal concilio generale di Calcedonia.

EUTICHIANI (Eutychiani). L'e- resia degli eutichiani, discepoli di Eutiche, fece gran progressi nell' o- riente, e si divise in molti rami, che, quantunque differenti fra di loro in alcuni articoli, s' accordava- no tutti a non ammettere se non una sola natura in Gesù Cristo , cioè la divina, pretendendo che la divinità e l'umanità fossero state mescolate in Gesù Cristo, di modo che la divinità aveva assorbita l'u- manità , non essendo rimasta che la divinità. Niceforo fa menzione di dodici rami d'eutichiani. Gli uni furono chiamati Schematici od Ap- parenti, i quali non attribuivano a Gesù Cristo se non una immagi- ne di carne ; altri furono chiamati Teodosiani, da Teodosio vescovo di Alessandria ; oppure Giacobiti, da un certo Giacomo di Siria. Ve ne furono che si dissero Acefali, cioè, senza capo, e Severiani, da un monaco detto Severo che s'im- possessò della sede della chiesa di

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Antiochia nel V?..'». Questi ultimi si divisero in cinque fazioni , ò?A- gnoeti t che attribuivano qualche ignoranza a Gesù Cristo, eli setta- tori di Paolo Nero, d'Angeli ti, d'A- driti, di (.Innoviti. V. Eutiche, e tutti gli articoli riguardanti questo ere- siarca, i suoi errori, ed i suoi se- guaci.

EUTICHIANO(s.)Papa XXVIII. In Limi nello stato di Genova, cit- tà peraltro ora distrutta , ebbe i natali Eulichiano, e il di lui padre si chiamò Marino o Martino. Fu creato Pontefice a' 4 giugno del 275. II Burio (Romanor. Ponti f. bre- vi* nolitia, p. 4o), insieme con mol- ti altri, attribuisce ad Eulichiano la istituzione dell' offertorio nella messa; la benedizione de' rami d'al- beri e delle frutta; la scomunica degli ubbriachi fino all'emenda, e la libertà dei fedeli di ritenere o no la moglie cheaveano presa prima di essere battezzata. Colle proprie mani diede sepoltura a più di trecento quarantadue martiri, ed ordinò che fossero sepolti col colobio, o dal- matica di colore rosso, mentre pri- ma seppellivansi co' lini bianchi aspersi del loro sangue. Tenne cin- que ordinazioni, e creò nove ve- scovi, quattordici preti, cinque dia- coni. Governò otto anni, sei mesi, quattro giorni. Cessò di vivere agli 8 di dicembre del 283. Conser- vatisi le sue ceneri nella cattedra- le di Sarzana nello stato di Geno- va, perchè essendo stato sepolto il suo corpo nel cimiterio di Calisto, fu poi trasferito in patria. Ma que- sta distrutta , dalla cattedrale di Limi venne collocato in quella di Sarzana, che a Luni fu sostituita nella sede vescovile. Vacò la santa Sede sette giorni.

EUTICIIIO, Cardinale. Euti-

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chio Cardinale di s. Adriano, fu pro- mosso a tale dignità da Alessandro III nell'anno 1 180. Di questo Car- dinale non abbiamo più estese no- zioni.

EUTIMIO (s.). Dal ritiro del chio- stro, Eutimio fu innalzato alla sede vescovile di Sardi in Lidia. Nell'an- no 787 intervenne al concilio di Nicea, ove fece sommamente cono- scere la sua dottrina e santità. Per ordine dell' imperatore Niceforo fu strappato dalla sua sede, per ave- re consegrato una giovine, la qua- le con la fuga erasi sottratta dai lacci tesi alla sua castità. Rimesso dappoi nella sua sede, corresse con grande attività tutti que' disordi ni, eh' erano corsi nella sua assenza, e con tanta libertà evangelica che di nuovo venne esiliato sino al- l'anno 81 3. Richiamato per la se- conda volta non iscemò punto di zelo, e si diede a rassodar la fe- de di quelli, ai quali la persecu- zione avea intiepidito l'ardore, e a combattere gli errori degli iconocla- sti, e quindi fu per la terza volta esi- liato. Capo d'Ucrito in Bitinia fu il luogo destinato per sua rilegazio- ne, e quivi per ordine del princi- pe posto in prigione, e crudelmen- te con nervi di bue pesto e squar- cialo, morì finalmente in capo ad otto giorni verso l'anno 820. Nel martirologio romano è accennato per martire, e la sua festa ricorre agli 1 i marzo.

EUTIMO (s.). Da Melitena nella piccola Armenia Eutimio sortì i na- tali. Fu educato sotto la direzione di quel vescovo, e crebbe in dottrina non meno, che in purità di costu- mi. Entrato nella clericale milizia, ed ordinato dipoi sacerdote, fu de- stinato superiore generale dei mo- nisteri di quella diocesi. In età di

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anni ventinove uscì dal proprio paese per recarsi in Palestina, alla visita de' santi luoghi di Gerusa- lemme. Per ben cinque anni si ricoverò egli in una cella due le- ghe lontana da quella città, ed ivi morto al mondo, ed a se stesso, conversava unicamente col suo Id- dio per mezzo dell'orazione. Da quel luogo recatosi poscia verso Gerico, s'associò ad un santo ro- mito per nome Teotisto, e con questo visse Eutimio unito, abitan- do in una caverna, e di sole erbe cibandosi, sino a tanto che scoper- ti ambedue, in folla la gente ve- niva a visitarli. Allora Eutimio verso l'anno 411 s' determinò di fabbricare un monistero, e ne die- de il governo a Teotisto. Molti furono i discepoli che accorsero ad arruolarsi in questo novello romi- toio. Raccomandava Eutimio di spesso a' suoi discepoli, la mortifi- cazione, e riprovava in essi i digiu- ni particolari ed estraordinari, giu- dicando questi più propri a fomen- tare la vanità, che a perfezionarsi nella santa umiltà. Fu Eutimio fa- vorito ancor vivente del dono dei miracoli, e tanta venerazione ri-

da si

scosse da si speciale concessione, che molti accorrevano processio- nalmente alla sua celletta per im- plorare soccorso nelle pubbliche calamità. Anche il dono di profe- zia gli venne concesso da Iddio Signore; ed infatti nel giorno i3 gennaio 47 3, Elia e Macario suoi discepoli venuti a visitarlo, per ac- compagnarlo quindi nel deserto, dove era solito passare la quare- sima, ebbero ad intendere da lui medesimo, che la sua morte si ve- rificherebbe nel sabato susseguente, lo che successe infatti il 20, coniando egli l'età di novantacin-

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que anni, sessantotto de'quali vis- suti nella solitudine. Molti furono i prodigi operati per di lui inter- cessione. San Sabba, uno dei suoi più cari discepoli, celebrò la di lui festa subito dopo la morte. Ed il giorno 20 gennaio è dai latini e dai greci consagrato alla sua me- moria.

EUTROPIA (s.). Dall'Alvergna sortì i natali Eutropia , e fiorì nel quinto secolo. Rimasta vedova, ella si ritirò dal mondo, per clonar- si a Iddio, praticando la peni- tenza , ed altre opere pie. Ebbe a soffrire delle tribolazioni, tutte però sostenute con cristiana rasse- gnazione. Morì santamente, ed è ricordala la sua festività il giorno i5 settembre.

EUTROPIO (s.). Mosso da puro e santo zelo di episcopal ministero, Eutropio primo vescovo di Saintes, predicò il vangelo ai galli, ma que- sti in allora immersi nell'idolatria, si avventarono contro il santo pa- store e gli fracassarono il capo. Di lui ci lasciò scritto s. Gregorio di Tours. « Palladio vescovo di Sain- « tes, il quale assistè al quarto » concilio di Parigi, ed al secondo » di Mac.on, avendo fatto edificare » una chiesa in onore di s. Eu- « tropio, volle trasportare le sue » reliquie. Invitò molti abbati alla m cerimonia di questa transazione : » e come fu discoperto il feretro, » due di costoro scorsero una feri- « ta d'accetta nella testa del santo. w La notte seguente lo stesso san- « t'Eutropio apparì loro, e disse di » essere per un colpo stato tolto « di vita. In questa guisa si ri- « conobbe ch'egli era martire, per- » che allora non era vi più la storia » de' suoi patimenti ". iNelIa catte- drale di Saintes si venera il capo

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di questo santo, e la sua festa dai martirologi è assegnata ai 3o aprile.

EUTROPIO (s.). Sotto il regno dell'imperatore Onorio nacque Eu- tropio in Marsiglia da nobile e ricca famiglia. Rimasto vedovo si consagrò al servigio di Dio, ed in tale stato vieppiù brillando le sue virtù, si determinò il santo vescovo Eustachio di associarlo al suo clero, benché la modestia di Eutropio vi resistesse. Ordinato diacono, si die- de ad una austerissima penitenza. Piangeva e notte dirottamente le passate mancanze, ed ebbe final- mente a conforto due misteriosi so- gni, ne' quali il Signore si degnò accertarlo dell' ottenuto perdono. Morto il vescovo d'Orange, tutto il clero ed il popolo di quella cit- tà acclamarono Eutropio a succe- dergli. Consecrato in tal dignità, si diresse subito alla cura del suo gregge, ma atterrito dappoi nell'e- sercizio di grave ministero, volea soltrarsene colla fuga; ma fu da una visione avvertito, che questa sua risoluzione era dal demonio provocala, e che piuttosto si pro- ponesse a modello s. Paolo, il qua- le vuole, che il vescovo lavori col- le proprie mani per provvedere ai suoi bisogni, ed a quelli degli altri. Si determinò allora Eutropio a rimanere nel suo episcopal mini- stero, e darsi tutto alla santifica- zione de'suoi diocesani. Governò la sua chiesa per dodici anni, condu- cendo una vita austera, e dividendo coi poveri i redditi della sua men- sa. Morì santamente nell'anno 47 5, ed è onorato il 27 maggio con pubblico culto.

EUTROPIO (s.). V. Martino ed Eutropio (ss.).

EUX (d') Bertrando, Cardina- le. V. D'Euio o Deucio.

EVA

EVANGELARIO od EVANGE- LI STA RIO ( Evangeliarium, Eva ri- geli.stari uni). Chiamasi con questo nome appresso i greci ed i latini un libro che racchiude tutti gli evangeli che diconsi ogni giorno nella messa. Narra il Rinaldi al- l' anno 8 1 3, num. 1 4 , che l' im- peratore Carlo Magno fece ottima- mente emendare co' testi greci e soriani i libri scritti de' quattro vangeli. Osserva il Bonarroti, nel- la sua opera sui Fasi antichi di vetro, pag. 57, che talvolta gli ar- tisti denotarono in quattro volumi gli evangeli, ed a pag. 9 3 dice che furono pure espressi in forma di volumi e di libri, ornati di gioie nelle coperte, e talvolta sovrastati da corone. Per queste corone vuoi- si significare, che Iddio è Y unica corona e mercede di tutti gli elet- ti, seguaci della sua dottrina e dei suoi insegnamenti contenuti ne' li- bri evangelici. V. Jos. Catalani, de cod. s. Evangelii, Romae 1750; Joh. Matth. Hammerich, de uso evangelici codicis apud Christìanos, Hauniae 1 78 1 ; Andr. Schmid, de cultu Evangeliorum. In Triga exer- citationum,iex\&e 1692. Monsignor Francesco Antonio Mondelli, nella sua Decade di ecclesiastiche disser- tazioni, trattò nella X della de- corosa custodia in che tenevansi i sagri libri, e della pompa con cui al popolo leggeasi massima- mente il vangelo. V. Messale, ed Evangelio, massime nel paragrafo ultimo: Altre nozioni sulV evange- lio, e sul libro che lo contiene.

EVANGELICO. Che è secondo la dottrina di Gesù Cristo e del- l' evangelio. I protestanti assumo- no il titolo di evangelici perchè disprezzano la tradizione da' padri, e perchè fanno professione di non

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attenersi se non al vangelo . che ciascuno di essi interpreta alla sua maniera, e secondo il suo senso particolare. I cantoni Svizzeri di- vidonsi in cattolici, e riformati od evangelici. Evangelico è pure il culto dominante negli stati d'An- halt-Bernbourg, di Baden, di An- nover, di Nassau , di Prussia , di Heuss, di Waldeck, ec.

EVANGELIO o VANGELO (Evangelium). Questo vocabolo de- riva dal greco Evangelion, che si- gnifica buona novella, annunzio al- legro e felice, annunzio di felici- tà, di beatitudine, e di regno ce- leste; ovvero secondo l'etimologia della voce ebraica Eban, che signi- fica pietra Ghellion, che vuol dire manifesta, perchè in esso si mani- festa al genere umano il vero Mes- sia, pietra angolare riprovata dalla sinagoga, come spiega il Macri nel- la Not. de' vocab. eccl. Evangelio si prende, i.° per la dottrina di Gesù Cristo compresa nel vangelo ; 2.° pel libro che contiene quella dottrina ; 3.° pel libro che contie- ne gli evangeli, chiamato Evange- larìo (Vedi), che leggonsi nel corso dell'anno; 4*° Per gn estratti dei vangeli che portansi sopra di se, o che si recitano sopra altre per- sone. La Chiesa non riconosce che quattro evangeli canonici, cioè di s. Matteo, di s. Marco, di s. Lu- ca, e di s. Giovanni; ma ve ne sono in gran numero di apocrifi, e senza autorità , i quali secondo alcuni ascendono a circa quaranta. Il Bergier dice che evangeli o van- geli apocrifi furono chiamate al- cune storie composte ad imitazio- ne dei nostri evangeli, o da alcu- ni cristiani male istruiti, o da al- cuni eretici, che volevano imporre a' loro seguaci , e questo nome

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vuol dire che ignoravasi 1' origine e gli autori di questi scritti. Al- cuni pervennero sino a noi, alme- no in parte, altri sono del tutto periti ; non se ne conosce che il titolo, si ha motivo di doler- sene, quindi ne riporta i principa- li. Né lascia di avvertire che molti di questi pretesi evangeli portaro- no diversi nomi differenti , e che forse si potrebbero ridurre a do- dici, o quindici al più. Aggiunge ancora, che sembra che la più. parte fossero catechismi, o profes- sioni di fede degli eretici, piuttosto che le storie delle azioni e discor- si di Gesù Cristo. V. il Fabricio, nel suo Codex apocryphiis novi Teslamenti3 e il p. Calmet, nella sua Dissertazione sugli evangeli a- pocrifi. Noi qui parleremo dell'e- vangelio per la dottrina di Gesù Cristo, oltre quanto su ciò è detto in vari articoli del Dizionario, co- me Cristianesimo , Dottrina cri- stiana, ec. ec, quindi dunque dire- mo quanto riguarda l'evangelio della messa, con altre relative erudizioni. Evangelio significando buona nuo- va, questo è il nome che si dà, nel senso proprio, alla storia delle azioni e della predicazione di Ge- sù Cristo, e in un senso più esteso a tutti i libri dei nuovo Testa- mento, perchè questi libri ci an- nunziano la buona nuova della sa- lute degli uomini, e della reden- zione fatta da Gesù Cristo. L'e- vangelio può essere considerato co- me un libro di cui si deve sape- re l' origine, come una storia del- la quale giova esaminare la veri- tà, come una dottrina di cui si devono ponderare le conseguenze. Il Bergier lo considera sotto que- sti tre rapporti, ma noi ci limite- remo al primo, e solo diremo qual-

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che cosa de' secondi, giacche le a- nalo-he nozioni sono sparse in pa- recchi articoli del Dizionario. La società cristiana, ed anche gli ete- rodossi, avvegnaché divisi su molti punti di credenza dalla vera Chie- sa di Gesù Cristo, ricevono quat- tro evangeli come autentici e ca- nonici, cioè quelli di s. Matteo, di s. Marco, di s. Luca, e di s. Gio- vanni, chiamati Evangelisti (Pedi) perchè li scrissero. A queir artico- lo si dice della mirabile concor- dia e consonanza de' quattro evan- geli, e del disegno tuttavia parti- colare che sembra avere avuto o- gnuno di essi.

Quello di s. Matteo fu scritto l'anno 36 della nostra era , altri dicono nell'anno 41 > Per conse- guenza tre ovvero ott' anni dopo 1' ascensione di Gesù Cristo, in un tempo nel quale la memoria dei fatti era del tutto recente. Fu com- posto nella Palestina, forse in Ge- rusalemme, in ebraico o siriaco, lin- gua volgare del paese, per conse- guenza pei giudei ; o per confer- male nella fede quelli che già e- rano convertiti , o per condurvi quelli che non per anche si erano convertiti. Jl testo originale subito fu tradotto in greco, e la versio- ne latina non è molto meno an- tica : non si sa quali fossero gli autori dell' una e dell' altra. L' e- braica esisteva ancora al tempo di s. Epifanio e di s. Girolamo. Cre- dettero alcuni autori che fosse sta- la conservata dai si ri i ; ma con- frontando il siriaco che oggi esiste, col greco , scorgesi che il primo non è che la traduzione del se- condo, come Mi II ha provato, Pro- leg. p. 1237 e seg. V'ha però l'o- pinione non disprezzabile di chi ha creduto greco l'originale di s.

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Matteo; rendendo ragione di quel- lo che dicesi originale ebraico. V\ Domenico Diodati, di- Cliristo grae- ce loqutnte, nell'appendice.

Molti critici pensarono, che 8. Marco avesse scritto il suo evan- gelio in latino, perchè lo compose in Roma, sotto gli occhi, e secon- do le istruzioni di s. Pietro verso l' anno 44 ° 4^ della medesima era cristiana. Ma è probabile che lo scrivesse in greco, lingua allora familiarissima ai romani. Questo è il sentimento de' ss. Girolamo ed Agostino. La questione sarebbe terminata, se i quaderni di questo evangelio, che si conservano in Pra- ga, e questo stesso vangelo intero, che si custodisce a Venezia in la- lino, fossero lo stesso originale scrit- to dalla mano di s. Marco. Fu so- lo nel i355 che l'imperatore Car- lo IV, avendo trovato negli archi- vi di Aquileja un preteso autogra- fo di s. Marco, in sette quaderni, ne levò due che spedi a Praga. Quello di Venezia si conservò sol- tanto dopo l'anno 1420.

San Luca, nato in Antiochia, e convertito da s. , Paolo, scriveva in greco, lingua tanto comune in quel- la città come il siriaco : ciocché fu verso l'anno 53 o 55 dell'era cri- stiana. Lo stile di lui è più puro che quello degli altri evangelisti ; tuttavolta ha mantenuto alcune frasi che sanno del siriaco. Perchè fu unito a s. Paolo, e lo seguì nei di lui viaggi, credettero alcuni au- tori che s. Paolo stesso avesse fat- to questo evangelio; altri pensano che s. Pietro vi avesse presiedu- to : ma queste sono semplici con- getture.

Comunemente si pensa che s. Giovanni abbia composto il suo evangelio, dopo ritornato dall'isola

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di Patmos, verso P anno 96 o 98 di Gesù Cristo, il primo anno del- l'impero di Trajano, sessanlacin- (jue anni dopo l'ascensione del Sal- vatore, ed allora s. Giovanni ave- va circa novantacinque anni ; lo compose per opporlo alle nascenti eresie di Cerinto, Ebione, ed altri, alcuni de' quali negavano la divi- nità di Cristo, altri la realtà della di lui carne. L'originale greco, o l'autografo di s. Giovanni, si con- servava ancora in Efeso nel secolo settimo, od almeno nel quarto, se- condo quello che dice Pietro Ales- sandrino. Fu tradotto in siriaco, e la versione latina è di una gran- dissima antichità.

Questi quattro evangeli sono au- tentici, e furono veramente scritti dai quattro autori dei quali portano il nome; il Bergier, ed altri mol- ti compiutamente lo provano. Al- trettanto fanno sulla divinità del cristianesimo, la quale è fondata sulla verità dei fatti riferiti. Quan- do dicesi che gli apostoli hanno predicato l'evangelio, stabilito a co- sto della lor vita, che i popoli ab- bracciarono l'evangelio ec. , inten- desi non solo i fatti scritti nell'e- vangelio, ma la dottrina di Gesù Cristo , i cui dommi e la morale comandò agli apostoli che insegnas- ro. Osservano però i teologi , che sebbene santa e sublime fosse que- sta dottrina, gli apostoli non sa- rebbero mai riusciti a persuader- la, se i fatti riferiti nell' evangelio non fossero stati di una certezza e notorietà incontrastabile. Gli apo- stoli non provarono la dottrina che predicavano con raziocini, ma coi fatti. Lo dichiara s. Paolo, 2 Cor. e. 2. Questi medesimi fatti faceva- no parte della dottrina, e sono in- dicati nel simbolo: per essere cri-

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stiano era d'uopo cominciare da1- l'esser convinto. Dunque non è la dottrina che fece credere i fatti , anzi i fatti provarono e persua- sero la dottrina ; questo è ciò che gì' increduli non vogliono intende- re. Nel supplemento al giornale ecclesiastico di Roma dell' anno 1795, a pag. 4°4 e seS"> s* trat" ta con critica in quale anno, in quale lingua, e perchè vennero scrit- ti i quattro evangeli, discorren- dosi a pag. 4^9 della conferma , che i veri vangeli prendono dagli stessi scritti apocrifi.

Leggiamo nel vangelo, Joan. r, 1 8, che il Figliuolo unico che è nel seno del Padre, ce lo ha fatto co- noscere, e ci ha insegnato le più sublimi verità. Questo ha fatto di- re a s. Agostino, Tr. 3o in Joan., che noi dobbiamo ascoltare la let- tura di questo libro divino, come ascolteremmo Gesù Cristo stesso se fosse in mezzo di noi : s. Tomma- so d'Aquino Io leggeva sempre in ginocchio. Noi ci troviamo non so- lo le divine istruzioni del Salvato- re, ma ancora la storia della sua vita sulla terra, la quale ci è pro- posta per esemplare. S. Basilio, in Constit. monast. e. 2, dice: « Ogni » azione, ogni parola del Salvato- » re, è una regola di pietà. Egli « si è rivestito della natura uraa- « na , affine di metterci sensibil- » mente innanzi agli occhi il mo- » dello propostoci da imitare Tanto è il rispetto che dobbiamo avere per il vangelo. In questo li- bro divino immense ne sono le bel- lezze : ivi si ammira in concerto l'armonia della verità, della sa- pienza, della misericordia, della ca- rità, e della giustizia di Dio. Que- sti attributi vi compariscono in una maniera degna di lui, e in una lu-

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ce risplendentissima , quantunque incomprensibili sieno alle creatu- re. Quivi noi scopriamo le incom- parabili meraviglie del divino amo- re, l'orridezza e l'enormità del pec- cato, la felicità inestimabile della nostra liberazione dalla tirannia delle potenze dell'inferno, e della nostra società o comunione con Dio, della nostra intrinsichezza con Ge- sù Cristo, e per ultimo dell'eleva- zione della nostra natura, fievo- le e meschina per stessa, poi- ché fu fatta partecipe e come con- sorte della divinità. Quanti beni non possediamo noi 1 quale sorgen- te inesausta di lumi, di virtù, di consolazioni non troviamo nella dottrina e negli esempli di No- stro Signore, massime nella medi- tazione de' suoi patimenti, e nella contemplazione de' suoi gloriosi mi- steri I Qual impressione non deve fare su noi la cognizione e la con- siderazione di tuttociò che s. Pao- lo chiama, Rom. i, 16: ««il van- » gelo di Gesù Cristo, la virtù di « Dio per la salute di tutti quelli * che credono " ? Tali sono le bel- lezze dell'evangelio. Maraviglisi poi furono i suoi progressi, dappoiché il disegno di convertire il mondo divenne un'impresa assai più me- ravigliosa ancora per la scelta de- gli stromenti che Dio adoperò per compirla. I banditori del vangelo per tutto menan trionfo, e chiu- dono la bocca ai dottori della si- nagoga, agli oratori, e ai filosofi del gentilesimo. I progressi che fe- ce il vangelo sino dai primi secoli della Chiesa sono tanto più mara- vigliosi, quanto che la sua dottri- na per la sua sublimità non può capire in mente umana, ed è in- sieme affatto contraria alle passio- ni, alle massime, ai pregiudizi, al-

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le inclinazioni , ed alle leggi del mondo; fu stabilita che col trionfare delle opposizioni de'prin- cipi, de' sapienti, e de' filosofi del- la terra, osservando s. Agostino che al vangelo si arrese tutto il mondo per aperto ed irresistibile convincimento: ciò è uno de' più stupendi e più visibili prodigi che abbia mai operato il braccio di Dio. Della venerazione cui fu sem- pre tenuto il libro del vangelo, diremo in appresso, e ciò pel suo venerabile contenuto.

Evangelio della Messa.

Questi sono tratti cavati dal li- bro degli evangeli, e relativi all'uf- fizio del giorno che il sacerdote legge, e il diacono canta nelle mes- se alte , ed anticamente su d' una tribuna, pulpito od Ambone (Vedi), acciocché meglio s' intendesse. Del- l'ambone si parla anche all'artico- lo Chiesa (Vedi). Questo pulpito venne pur chiamato Analogium, perchè in esso si leggeva il van- gelo. Osserva il Macri che è cosa ragionevole, e piena di misteri, la lettura del santo vangelo in luogo pubblico ed eminente acciò sia da tutti udito, perchè la dottrina di Gesù Cristo dev' essere promulgata in pubblico, non nei nascondigli, come quella degli eretici, perchè lo stesso Cristo promulgò la legge e- vangelica sul monte, e finalmente perchè la sapienza del vangelo è alta, sublime e celeste. S. Germa- no, nella sua teoria, dice che il pul- pito, sopra il quale il diacono in- tuona l'evangelio, allegoricamente può denotare la pietra , sopra la quale l'angelo sedeva alla porla del santo sepolcro, annunziando la ri- surrezione del Salvatore. Jo. Chiist.

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Vlichius, scrisse, de Ambonìbus ve- teris Ecclesiae, Lipsiae 1687.

L'evangelio si dice nella messa dopo il graduale, o l' alleili ja : il celebrante dalla parte dell'altare ove ha letto T epistola, se la messa è privata, passa all'altra chiamata a cornu evangelii 3 e passando per mezzo dell'altare china il capo al- la croce; indi stando colle mani giunte innanzi al petto, alzati gli occhi a Dio, e tosto dimessi, e profondamente chinato, dice segre- tamente il Munda cor menni 3 e il Jube Domine benedicere3 ec. Do- po ciò va ai messale per leggere l'evangelio con voce bassa, cantan- dosi nella messa solenne con voce alta dal diacono. Ciò per altro non fu sempre. Imperocché ne' più ri- moti tempi il vangelo leggevasi dal lettore, come si raccoglie dalle let- tere 33 e 34 di s. Cipriano, e dai concilio Toletano I, al capo 2 ; essendo poi per l'onore dovuto al vangelo, stato dato al diacono l'in- carico di leggerlo. Quindi è che s. Girolamo, nella lettera a Sabinia- no, scrisse: Evangelium Chrisli qua- si diaconus lectitabasj e s. Boni- facio vescovo di Magonza, nella let- tera al Pontefice s. Zaccaria, si la- gnò di alcuni diaconi, che benché avessero più concubine, osavano di leggere il vangelo. I greci moder- ni però ritengono l'antico costume, che il vangelo pubblicamente si leg- ga dai lettori. Il Rinaldi all' anno 253, num. 93, afferma, che pure nella Chiesa africana il vangelo leg- gevasi dai lettori. Ugo di s. Vittore poi, in Specul. eccl. cap. 7, rico- nosce nel trasporto del libro dalla destra alla sinistra, dell'altare, la predicazione evangelica, che dalla Giudea passò tra i gentili.

Incominciò l'evangelio a leggersi

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nel principio della Chiesa. S. Pao- lo, nella seconda lettera ai corinti al cap. 8, parlando di s. Luca com- pagno de' suoi viaggi, dice : Cujus laus est in evangelio per omnes Ecclesias. Eusebio, nel lib. 2 del- la Storia eccl. cap. i5, racconta,, che da s. Marco fu scritto il suo vangelo, cosi pregato dai romani; e s. Giustino martire, nell'apologia 2, attesta, esser la lezione del van- gelo apostolica istituzione : vi è antica liturgia, ove non sia pre- scritta la lezione del vangelo, co- me attesta il p. Le Bruii nel tom.

1, pag. 21 4- Il p. Morino, nella par. 3, esercitaz. 9, cap. 1, num. 1 2, riportando la lettera di s. Gre- gorio I a Giovanni vescovo di Si- racusa, in cui si dice essere stato costume degli apostoli di consa- grare l'Ostia, dopo aver solo reci- tato il Pater noster, vuole che pel corso di molti anni nella messa non si leggesse il vangelo. Ma il Cardinal Bona, Rerum liturg. lib.

2, cap. 7, num. 1, saviamente in- terpreta il detto di s. Gregorio I, come ristretto a quel tempo in cui per anco non eia scritto il vange- lo; ed il p. Lupo, nel tom. 5 so- pra i concili generali e provinciali, alla pag; 376, dopo aver portate le antiche autorità de' primi pa- dri circa la messa, conchiude : « I- » tem liquet, eos, qui a Domini- » co Corpus consecrantibus aposto- » lis existimant fuisse adhibitam n solam Dominicam orationem, in- » signiter labi ". Nelle messe so- lenni il diacono porta il libro de- gli evangeli con cerimonia, accom- pagnato dall'incenso e da cerei ac- cesi, il coro si alza per riverenza; il diacono incensa il libro prima di leggere l'evangelio del giorno ec. E queste cerimonie sono quasi le

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stesse nelle diverse chiese orien- tali.

Stando il sacerdote al messale, colle mani giunte innanzi al petto, dice, con voce intelligibile il solito saluto : Dominus vobiscum, cui vie- ne risposto , Et cum spiritu tuo. Indi col pollice della mano destra col segno di croce segna primiera- mente il libro sopra il principio del vangelo che è per leggere, poi stesso nella bocca e nel petto, dicendo : Sequentia, o Inìtium san- ed Evangelii, cioè Initium quan- do incomincia uno de' quattro e- vangeli , Sequentia, quando è il proseguimento d'uno di questi san- ti libri, e ne* quattro giorni della settimana santa, ne' quali si recita la passione del Signore, in luogo di dire Sequentia, si annunzia con un' unica espressione adattata al soggetto il più importante della nostra religione, che si va a reci- tare la passione di Gesù. Cristo : Passio Domini Nostri Jesu Chri- sti. Recitandosi il vangelo, dopo il titolo o Initium o Sequentia, il ministro risponde Gloria tibì Do- mine. Qui noteremo che il dotto Sarnelli nel tom. IX delle Leti, eccl., nella lett. LXXII tratta del- ia epistola, del vangelo, e del sa- luto Dominus vobiscum, quindi par- la del dubbio se In diebus illis, che dicesi in molte epistole, ed In ilio tempore, che si dice nel prin- cipio del vangelo, sono di signi- ficati differenti, dichiarando essere lo stesso in quanto al significato, e ne riporta erudite ragioni: av- verte però che si debbono eccettua- re i principii de' sagri libri, come In principio erat verbum ; Liber generationis Jesu Christi, ec. Così nell'epistola, Primum quidem ser- moneni : mukìfariam. Inoltre non '

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solo negli atti apostolici, ma quasi in tutto il Testamento vecchio non trovasi che In diebus illis ; ma s. Matteo, da cui si prendono più frequentemente le lezioni evangeli- che, usa In ilio tempore, che si premette sempre al vangelo. Ag- giunge il Sarnelli, che il vangelo è Ja cosa principale di quante altre se ne dicano nella messa , conve- nendo ancor esso sull'introduzione a' tempi apostolici ; e siccome il capo ha la preminenza su tutte le altre membra, e tutte queste con- sentono al medesimo capo , cosi all' evangelio tutto 1' uffizio della messa, di cui dice Ruperto, 1. i, e. 37 : Verbum Verbi est, sermo sermonis, et sapientia sapientiae.

Dopo aver detto il sacerdote Se- quenza, o Initium, giunte di nuo- vo le mani al petto, prosegue 1' e- vangelo sino al suo termine. Men- tre si legge il vangelo tutti per ri- verenza sorgono in piedi, notando il Macri nella Not. de' vocab. eccl., che il vescovo nella Chiesa greca in quel tempo si leva il pallio, simbolo della pecorella smarrita, e lo al diacono, perchè, dice Si- meone Tessalonicense, mentre Cri- sto pasce con la sua divina parola le pecorelle, cessa il prelato da questa cura. I maroniti stanno nel- la chiesa col capo coperto sempre, solamente si scoprono nel tempo della consagrazione, e mentre si leg- ge il vangelo. Al diacono precede il suddiacono con le mani vuote, perchè comparendo la chiara luce del vangelo svanirono le tenebre del testamento antico, di cui è fi- gura il suddiacono, come spiegano Innocenzo III, e Durando Jib. 4, e. 24- Questo ultimo anzi aggiun- ge, che in alcune chiese prima del vangelo si canta un'antifona chia-

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mata ante evangelium, della quale fa menzione Rodolfo Tungrense, af- fermando che non era in uso nel- la Chiesa romana, come anco Y al- tra, che si cantava dopo il vange- lo., riportando il Macri le stesse parole, de Canon. observ.3 prop. 23. Il diacono poi bacia la mano pri- ma di cantar il vangelo, e il sud- diacono dopo letta l'epistola, per- chè la legge vecchia ebbe termine in Cristo, dal quale principia la nuova. Inoltre il diacono quando leggeva il vangelo, voltava la fac- cia verso la parte meridionale, do- ve stavano gli uomini, come si ha da Micro log. , de Eccles. observ. cap. 9. Questi pur dice, che per abuso si cominciò a voltarsi verso acquilone, dal vedere il sacerdote voltato verso quella parte mentre diceva il vangelo, perchè non era tenuto ad osservare questa cerimo- nia, non essendo intorno all' alta- re donne, ma solamente ministri ecclesiastici. Vedi Innocenzo III, lib. 2 de myst. Missae, cap. 43, il quale in tal sito riconosce un misterioso significato.

Il Pontefice s. Anastasio I, nel- 1' anno 398 ordinò che gli stessi sacerdoti stessero in piedi e chi- nati al leggersi dai diaconi l'evan- gelio nella messa, per dimostrare la prontezza con cui come servi sono disposti ad eseguire ciò che in esso si promulga. Con questo decreto quel Papa volle terminar le dissensioni eh' erano insorte tra di loro (Vedi Diaconi ). Neil' Isto- ria delle parrucche, a p. i56 si legge, che talvolta la Chiesa dis- pensa i sagri ministri di assistere all'uffizio, e di celebrar la messa colla testa nuda, ma non in tem- po della lettura del vangelo, per- chè vuole che si uniformino al

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resto de' fedeli che allora hanno il capo nudo : indi riportasi, che il secondo Ordine Romano della mes- sa pontificale , pubblicato dal p. Mabillon, t. I, Mus. hai. p. 4&> dice positivamente, che quando si legge il vangelo alla messa, i fede- li lasciano i bastoni che portano nel- le loro mani per sostenersi. Sul doversi tenere il capo nudo alla lettura del vangelo, se ne parla pure a pag. 161 e 164. Dice s. Girolamo, che quando si leggeva il vangelo in tutte le chiese di o- riente, si accendevano i cerei, ben- ché risplendesse il sole, e ciò in segno di allegrezza. Il citato s. A- gostino, lib. 5o, komil, 26, assicu- ra, che la parola di Dio non è meno stimabile, che il corpo di Gesù Cristo. Sull' alzarsi in piedi alla lettura del vangelo è a ve- dersi Joh. Sigismundum Susckium, De more surgendi, standique in ecclesia, quum divina verba reci- tantur. In trìfolio publico, 3, p. 197, Magdeburgo 1732. Antichis- simo è l' uso che leggendosi il van- gelo il popolo stia in piedi, per denotare eh' è pronto ad eseguire i comandi del Signore, che si leg- gono nel vangelo.

11 medesimo Macri aggiunge, che prima precedeva al diacono la croce quando andava a leggere il vangelo, per denotare che predicava Cristo crocefisso. V. Durando 1. caP- 14. Questa cerimonia osservano pure i domenicani, come si legge nelle rubriche del loro messale. deve tacersi che l'evangelio legge- vasi sopra un leggio fatto a forma di aquila, e questa di pietra, di bronzo, o di altra solida materia, ovvero sopra i pulpiti od amboni. In quanto all'accendersi i lumi por- lati dagli accoliti, ciò si fa non per

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Scacciar le tenebre che allora non vi sono, ma per denotare la luce del santo vangelo, e il gaudio ap- portato dallo sposo già presente ai fedeli, come si esprime s. Girolamo, cont. Vigilali. Altro significato mo- rale vi riconosce Innocenzo III in questa cerimonia, ut proxhnis o- pera lucis ostendat, lib. i de myst. Missae, cap. 3. Inoltre il diacono prima di cominciare a leggere, ed anche tutti ^li astanti si segnano colla croce nella fronte per mostra- re di non vergognarsi del vangelo, nella bocca per confessarlo, e nel cuore acciocché le suggestioni dia- boliche non impediscano l'uberto- so frutto del seme evangelico. V. il detto Innocenzo III, loco citato, lib. 2, cap. 4^, il quale aggiunge: « Signare se debet in fronte, sigua- « re se debet in ore, in pectore, ac » si dicat. Ego Crucem Christi non n erubesco; sed corde credo, quod « ore praedico ". L'uso antico di segnarsi colla croce è pure ram- mentato da Amatorio, su di che possono consultarsi l' Eisengrein, de Crucis frequenti apud veteros in se signandi usu, Ingolstadii 1572; il Wilduogelius, de venerab. signo Cru- cis, Jenae 1690; il Collin, Traile du signe de la Croix fait de la mairi, Paris 1 775, ec.

Lo stesso Innocenzo III sul ba- cio che si fa del vangelo in fine di esso, dice che ciò si fa affine di ricevere la pace da Cristo cro- cefisso , per quam reconciliationis recepimus. Finito dunque il van- gelo, il ministro stando in cornu cpistolae , giù dell'infimo grado dell'altare, risponde: Laus libi Chrisle, ciò che non si dice nel venerdì santo dopo letta la Passio- ne, essendo quello stato il tempo degli improperi di Cristo. Una vol-

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ta finito il vangelo si diceva Àmen (Vedi), il che ancora si dice se- condo il rito mozarabo. Altre vol- te dicevasi Deo gratias (Vedi), ed oggi dicesi Laus libi Chrisle, come può vedersi nella 4 parte della somma del trattato de officio Mis- sae dell'AIense. « Perlecto evangelio >> diclini assistentes Amen, quasi » dicant: Faciat nos Deus perseve- « rare doctrina evangelii. Alii di- » cunt Deo gratias in gratiarum »> actionem prò beneficio tantae « doctrinae et tam saluterà. Non » dicimus Laus tibi Chris te ". Sog- giunge poi il sacerdote, alzando un po' il libro, e baciando per rispetto nel principio del vangelo ov'è im- pressa la croce : Pro evangelica dieta deleantur nostra delieta, sopra le quali parole riflette il p. Le Bruii, al tom. I, p. 240, che quantunque, generalmente parlando, la parola delictum significhi mancamento e peccato, quando però la Chiesa non propone il sagramento della penitenza per cancellare i peccati, s'intende che parli de' peccati leg- geri e veniali.

Le parole : Pro evangelica, ec. si dicono sempre, fuorché nelle messe dei defunti, e quando celebrasi innan- zi al sommo Pontefice, o Cardinale, e legato della santa Sede, oppure innanzi al patriarca, o arcivescovo, ovvero vescovo nelle loro residen- ze, nel qual caso il libro si porterà a baciare a qualunque de'predetti; e il celebrante allora non lo ba- ci era, ne dirà : Pro evangelica ec.

Secondo il decretode'riti, 1 8 otto- bre 1 6 1 8, al vescovo fuori della sua diocesi non si compete il detto bacio. Il Lamberti ni, della santa Messa, sez. I, cap. IX, § ri, dice che del bacio che si dal celebrante al vangelo, parla Giona vescovo d'Or-

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leans nella prefazione del lib. 2 de eulta imaginum, ove osserva ciò farsi per culto e adorazione di quello, di cui sono le parole del vangelo eh' è stato letto. Il citato Macri sul bacio dice, che al fine del vangelo si bacia il libro o mes- sale per pigliar la pace di Cristo; ma se vi sarà presente qualcke persona di quelle prescritte nella rubrica, non baderà il sacerdote il libro, ma lo si darà a baciare alla persona più degna, e non ad altre, ed essendo di egual dignità non si dovrà dare ad alcuna di esse, perchè Cristo è un solo, ne si può dividere, Gau. p. 2, tit. 6. Questo è l'uso di Roma, dove tro- vandosi nelle cappelle cardinalizie molti Cardinali, a niuno si a baciale il libro. Onorio III in una lettera decretale che incomincia: Ad audientiam, data nel 1221, vietò sotto pena di scomunica il dare a baciare il vangelo ai principi seco- lari, se non fossero re unti col- l' olio santo, come ampiamente di- mostra il p. Merati tom. I, part. *j pag- 444 e seg.

Avverte però monsignor Peri- mezzi, Dissert. eccl. part. 1, dissert. 8, pag. 237, che pel rito moder- no si tollera, che si porti ancora il messale a baciare a' principi, non però ai laici inferiori. Sul canto o lettura del vangelo nei pontificali del Papa, quando assiste alle mes- se solenni o private, vanno letti i voi. Viri, p. 247, e IX, p. 21 e i5i dei Dizionario, ove (come in diversi luoghi dell' articolo Cap- pelle Pontificie) dicesi quanto ri- guarda le cerimonie ed altro nei diversi tempi in cui si canta o leg- ge l'evangelio, ed il tempo in cui lo si canta in latino ed in greco. Anticamente però si porgeva a tut-

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to il popolo il libro per essere ba- ciato. Gem. lib. 1, cap. 119. Nel- la chiesa Remense, quando il sud- diacono nel principio della messa porge il libro degli evangeli al- l' arcivescovo celebrante per ba- ciarlo, gli dice: Haec est lex scin- da, Pater, ed esso risponde : Cre- do et confiteor. Va notato., che quando nel vangelo nominasi Ge- sù, o il nome di Maria, o di quel santo, di cui si celebra la messa, o di cui si avrà fatta commemo- razione, si deve chinare il capo verso il libro, come si deve genu- flettere quando nel vangelo sarà indicato. V. il Mondelli, Decade di eccl. dissert., dissertazione Vili, sopra il rito di leggere V epistola ed il vangelo nella messa.

In Costantinopoli nelle messe so- lenni si leggevano l'epistola e il vangelo in latino, ed in greco, quia aderant et graeci, quibus igno- ta erat lingua latina; aderant et la- tini, quibus incognita erat graeca, et propter unanimitatem utriusque populi. Nella stessa chiesa di Co- stantinopoli, come attesta il Goar neìì'Eucologìo, allorché nel giorno di Pasqua cantavasi il vangelo: In principio erat Verbum, che secondo il rito greco cade in quel dì, i vescovi, gli arcivescovi, e i metro- tropolitani di qualunque rito, tutti vestiti con abiti greci, si dispone- vano in linea retta, secondo il lo- ro ordine. Il patriarca greco dava principio al primo versetto in lin- gua greca, che si ripeteva da cia- scuno, un dopo l'altro, nel proprio idioma, finche si dava fine a tut- to il vangelo, che così veniva tra- dotto in ogni periodo in diverse lingue. Nel concilio generale di Lio- ne li, adunato nel 1274 sotto Gre- gorio X, cui intervenne Michele

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Paleologo, imperatore di oriente, nella messa solenne che il Papa celebrò, in argomento della sincera sua riconciliazione colla Chiesa gre- ca, furono cantati il vangelo, e l'epistola greca in abiti greci, e dai Cardinali e prelati latini cantato il simbolo della fede in latino, ri- petuto in greco dal patriarca di Costantinopoli , e da'vescovi greci della Calabria , come leggesi in Rodotà, Origine del rito greco in Italia^ t. Ili, p. 243. Questo stes- so uso di tradurre il vangelo si conserva ancora in Roma nella chiesa di s. Girolamo degli Schia- voni, in cui cinque volte l'anno si canta il vangelo nella lingua lati- na, e poi nell' illirica.

Negli Ordini Romani XI, XII, XIII, XIV e XV, si legge il co- stume ne'solenni pontificali che ce- lebra il Papa, del cantarsi l'epi- stola e l'evangelio prima in latino, poi in greco : secondo il Rodotà, un tal rito fu ammesso nella cap- pella pontificia nel secolo IX, co- me tratta nel cap. XVI, t. Ili, dell'origine del rito greco in Italia. Questo rito non solo fu seguito nel concilio di Pisa l'anno i4°9> nell'incoronazione di Alessandro V, ma di più fu cantata nella catte- drale l'epistola e l'evangelio anche in ebraico, come consta dagli atti del concilio pubblicati dall'Ardui- no, t. Vili, p. 92, e dal Dachery, nel tom. VI dello Spicilegio, 334- Questi nel t. VI, p. i3j, dimostra quanto fosse gradito in Roma, e nella Magna Grecia il greco idio- ma, ed a ciò attribuisce la consue- tudine del canto dell' epistola e vangelo greco nella cappella papa- le : altri dicono denotarsi l'unione delle due Chiese, indicandosi il pri- mato della Chièsa latina sulla gre-

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ca, col canto che si fa prima in latino dell'epistola che del van- gelo, e ciò pratica vasi pure in Co- stantinopoli. Siccome nel cantare messa il sommo Pontefice riuni- sce in parte, in segno della co- munione con tutti i cattolici del mondo, i riti latino e greco, cosi in queste due lingue si canta l'e- pistola e il vangelo. Talvolta an- che da'Cardinali è stato esercitato il ministero del diacono greco nel- la messa pontificale : di fatti ab- biamo nel cerimoniale di Paride de Grassis, ad graecum evangelium duo, nisi sit et ipse Card, diaco- nia, quo casu simililer septem lu- minaria adhibentur, ut olim fieri solebat. Sed tamen nostro tempo- re Card, diaconus in graeco non cantat. E però al canto del vange- lo greco, ora restano due soli can- delieri. Nell'Ordine Romano XIV del Cardinal Gaetano, si legge che due monaci basiliani dell'abbazia di Grottaferrata, nella cappella pon- tificia cantavano anticamente il vangelo e l'epistola in greco. Nel- la coronazione di Nicolò V, nel i447 ì *l Cardinal di s. Angelo cantò il vangelo latino , e un ab- bate basiliano il greco. In progres- so questo onore fu accordato ad altri religiosi, o sacerdoti secolari. Giacomo Volaterrano, nel suo dia- rio, dice che nel i4^r, nel giorno di Pasqua, epistola ab Isaacio Ar- gyropulo cubiculario ; evangelium ab abbate s. Balbinae graece can- tatimi fuit. Che tale uffizio venis- se esercitato pure da un vescovo, lo dicemmo al voi. Vili, pag. 1 44 del Dizionario, mentre al voi. XIV, pag. 169, si disse come Sisto V attribuì a due alunni del collegio greco l'onorevole incarico di fare da diacono e da suddiacono nei

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pontificali , cantando in greco l'epistola che l'evangelo. V. il Mar- celli, Sacrarum cerimonìarum lib. Ili, tit. X, p. i32, de evangelio et epistola graece legendis. Nella co- ronazione poi e possesso d' Inno- cenzo VIII, del i484> recandosi questi dopo la prima funzione se- guita nel Vaticano, con solenne ca- valcata per la seconda al Laterano, dopo gli uditori di Rota si legge : Subdiaconus latinus, diaconus et subdiaconus graeci, sacrìs vestibus indiai, quorum medius erat diaco- nus _, a dextris e/us latinus, et a sì- nistris graecus, subdiaconi.

Racconta il Macri , che nella chiesa del santo sepolcro di Geru- salemme , il diacono che leggeva nella solennità di Pasqua il santo vangelo, quando pronunziava le parole : Surrexit non est hic, mo- strava col dito il s. Sepolcro, e che in una terra del Friuli, detta Ci- vidal, eravi una collegiata, nella quale nel giorno dell'Epifania il diacono cantava il vangelo con la spada sfoderata in mano, e l'elmo in capo, per denotare il mero e misto impero della Chiesa. Su que- sto proposito rammentiamo , che parlando nel voi. XIX, p. 3o5 del Dizionario, di alcune funzioni da diacono che esercitarono nella cap- pella pontificia gl'imperatori, dicem- mo che nel cantare il vangelo im- pugnavano la spada nuda: però non lo cantavano che per la solen- nità del Natale, come non lo cantò Cailo IV, quando nel d' Ognis- santi del i368, esercitò alcuni uf- fizi diaconali, alla messa pontificata da Urbano V. Osserva il citato Lamhertini , che i religiosi degli ordina equestri, mentre si dice il vangelo, mettono la mano sopra la spada, e la levano dal fodero^ per

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dimostrare che sono pronti a spar- gere il sangue per la fede di Ge- sù Cristo. Può consultarsi il Car- dinal Bona, Rerum liturg. lib. 2, cap. 7, num. 3. Nella città di Na- zaret, nella chiesa dedicata alla Beata Vergine, edificata nel mede- simo sito, nel quale un tempo era stata la santa Casa che ora si ve- nera neh" avventurosa Loreto, in venerazione del mistero dell'Incar- nazione operato in quel luogo, si possono giornalmente celebrare le messe dell'Annunziazione, nella qua- le si recita il vangelo colla forino- la: Missus est Gabriel Angelus in hanc civitatem, cosi ancora nell'ul- timo vangelo di s. Giovanni si pro- nuncia : Et Verbum caro hic factum est. Anticamente, come avanti le altre lezioni della sagra Scrittura, così pure avanti quelle del vange- lo intimavasi pubblicamente il si- lenzio : tale pratica della Chiesa greca , venne adottata da alcune chiese latine, ed in quella di Mila- no sussisteva a'tempi di s. Ambro- gio, che ne fa qualche menzione, in psalm. I.

IlLambertini, della santa Messa, sez. I, cap. IX, dice che dopo la lezione della legge , e de' profeti, nelle sinagoghe degli ebrei era so- lito che si parlasse al popolo, e s. Luca al e. 4 del vangelo, racconta che essendo Gesù entrato in gior- no di sabato nella sinagoga , lesse Isaia profeta, e sermoneggiò. Ne- gli Atti al e. 1 3 si vede, che dopo la lezione i ss. Paolo e Barnaba furono invitati dai principi della sinagoga a fare una esortazione al popolo. Nella seconda apologia di s. Giustino martire^ e nel 1. 8 delle costituzioni apostoliche, al e. 4, si vede che 1' omelia, ossia il sermone di esortazione al popolo

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facevasi dopo che era stato Ietto il ■vangelo; e s. Cipriano nella vita di s. Cesareo d'Arles, al e. 14, nar- ra che faceva chiudere le porte della chiesa dopo il vangelo, ac- ciocché ognuno restasse a sentire il sermone. Abbiamo da s. Ambro- gio, epistol. io ad Marceli. 4> che dopo la lezione del vangelo, il ve- scovo dava principio al suo trat- tato o discorso, cui non solamen- te intervenivano i fedeli, ma pote- vano anco assistervi i catecumeni, i penitenti, ed i gentili stessi. Tut- ti questi però terminato il discorso venivano licenziati. I giorni in cui il vescovo soleva ragionare al po- polo romano erano le solennità e le domeniche. Oltre il sermone si facevano ancora alcune ammonizio- ni al popolo, delle quali parla il concilio d' Orleans appresso Ivone, nella part. 2 del decreto al e. 1 20. Dura ancora questo costume nella Francia ; e questa parlata ossia ammonizione si chiama prone, la qual parola francese deriva dal greco pronao s, che significa quella parte della chiesa, che dall'ingres- so si estende al coro, nella quale Stavano i laici, stando i chierici nel coro e nel presbiterio. Ed in Italia ancora i parrochi nella mes- sa parrocchiale delle feste, dopo il -vangelo fanno il sermone al popo- lo, in cui gl'insegnano ciò che cia- scuno deve sapere e fare per con- seguire l'eterna salute. Benedette; XIII, in conformità de' decreti del concilio di Trento, cap. 2, sess. 5 de reform. , nel 1724 ordinò ai curati, che in tutte le domeniche e feste solenni, dopo il vangelo nel- la messa parrocchiale istruissero il popolo con chiaro modo, nelle co- se appartenenti all'eterna salute, e perciò concesse cento giorni d'in-

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dulgcnza non solo a' curati, ma a quelli ancora che v'intervenissero. V. Lambertini, Notijicaz. io del tom. I. Il Ferrari compose due e- ruditi tomi delle sagre concioni. Su quelle che si pronunziano nella cap- pella pontifìcia, dopo il vangelo, ne tenemmo proposito nel citato voi. Vili del Dizionario) a pag. 236 e seg.

L'annunzio delle feste fra la set- timana facevasi pure dopo il van- gelo : il diacono ne riceveva la no- ta dal vescovo, e dal pulpito od ambone ne faceva dopo il vangelo la pubblicazione. Dal terzo concilio di Milano questo uffizio è stato af- fidato a'parrochi, a' quali fu pure ingiunto di denunziare nelle dome- niche le stazioni, le processioni, i digiuni, le indulgenze, le orazioni, e gli uffizi dei defunti, che nella susseguente settimana avevano luo- go, come pure di dover promul- gare i decreti notati nel calendario. Tuttavolta nella medesima chiesa Ambrosiana, al diacono è stato ri- serbato l'antico uso di annunziare nel dell'Epifania, cantato il van- gelo, il giorno della futura Pasqua. Finalmente, quando ha luogo, dopo il vangelo si recita o si canta il Credo o la professione di fede. Pre- tendesi che un tempo l'imperatore si levasse il diadema per riveren- za quando dicevasi l'evangelio. Cer- to è che ora se è vestito coll'abi- to dell'alta sua dignità, al vangelo alzasi in piedi, impugna lo scet- tro con una mano, tenendo coll'al- tra il globo. Nella festa della Can- delora, e nella domenica delle pal- me, al canto del vangelo e del passio, si sostengono alzate le can- dele accese, e le palme. L' Ordine Romano prescrive a'ehierici, che si levino la berretta dal capo, alla let-

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tura o canto del vangelo. Oltre quanto abbiamo detto sul bacio del vangelo, qui aggiungeremo, che in alcune chiese ne' giorni solenni il diacono porta questo libro a ba- ciare a tutto il clero, dicendo : queste sono le parole sante j e cia- scuno risponde : lo credo di cuor e , e lo confesso colla bocca. Con queste diverse cerimonie., il senso delle quali compendiosamente di- chiarammo, la Chiesa professa di credere che l'evangelio sia la pa- rola di Dio, e la regola della sua fede.

Evangelio di s. Giovanni.

Non si ommette mai in fine della messa, se non che quando si fa de festo in qualche domenica o feria che abbia l'evangelio proprio, il quale si legge in vece di esso. Nella terza messa di Natale si leg- ge in fine il vangelo dell'Epifania: Cum natus esset Jesus, e nella do- menica delle palme nella messa privata si legge l'evangelio che si è letto nell'uffizio. Nelle vigilie che occorrono nella quaresima, o nelle quattro tempora, non si legge l'e- vangelio della vigilia nel fine della messa. Similmente nelle messe vo- tive mai non si legge nel fine altro vangelo che quello di s. Giovanni. Tanto rilevasi dal Messale romano [Vedi), nella parte I, rubr. i3, num. i.

Data la benedizione dal cele- brante, o dopo il Placeat nelle messe de'morti, il sacerdote va nel- la parte del vangelo, dice il Do- minus vobiscum, e risposto dal mi- nistro: Et cum spiritu tuo, fa u;n segno di croce sul principio del

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vangelo, ovvero sull'altare, ne fa un altro sopra la sua fronte, so- pra la sua bocca, e sopra il suo petto, e dice: Initium sancii Evan- gelii sccundum ec. , e risposto dal ministro Gloria tibi Domine, colle mani giunte legge il vangelo di s. Giovanni, o il vangelo di qualche festa, della quale si fa l'uffizio, se essa cade nella domenica, doven- dosi allora leggere, come dicemmo, l'evangelio del giorno, e non quel- lo di s. Giovanni ; e leggendosi il vangelo di s. Giovanni , quando arriva alle parole: et Verbum ca- ro factum est, s'inginocchia per a- dorare il Verbo divino, che si è voluto abbassare fino a prendere la nostra carne. Il ministro, stando dalla parte dell'epistola, dice Deo gratias, acciocché la inessa finisca sempre col rendimento di grazie. Gilberto Grimaud, nella sua Litur~ già sagra } alla part. 3, e. 17, por- ta molti documenti per dimostra- re la gran divozione, che altre vol- te avevasi al santo vangelo In prin- cipio j avvegnaché una volta legge- vasi in alcune chiese, dopo che si era dato il battesimo ai fanciulli, il viatico e l'estrema unzione agli ammalati ; ma confessa di non a- ver potuto ritrovare, per ordine di chi si reciti nel fine della mes- sa. Ciò però oggi non ammette dif- ficoltà, imperocché concordano gli eruditi, che s. Pio V fu quel- lo, che stabili la regola di dover recitare nel fine della messa il vangelo di s. Giovanni, mentre pri- ma di lui alcuni lo recitavano, al- tri l'ommettevano, come si legge nel citato Cardinal Bona, Rerum litur. lib. 2, cap. 20, num. 5; nel p. Le Brun al tom. I, p. 687 e seg.; nel Pouget al tom. II Insti t. Cathol. p. 890, ove dice, che nemmeno

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oggidì si legge tlai certosini ; nel p. Meiati al tom. I, par. I, pai». ■243, ove alla seguente attesta non recitarsi il vangelo di s. Giovanni nel fine della messa da chi anche oggidì canta la messa nella cappel- la pontificia, i quali, come osserva il Novaes, t. VII, p. 247, comin- ciando la recita del vangelo nel partire dall'altare , la proseguono fino alla sagrestia. Va però notato che se ha luogo la lettura di altro evangelio, il celebrante lo legge in mezzo all'altare, assistito dai mini- stri. Il Burio, nella sua Brevis noti- ti a Bom. Pont., così scrive nella vita di s. Pio V: « Inter alia or- dinavit, in fine missae a sacer- * dotibus dici evangeli um s. Joan- » nis (quod ante non ex. manda- ci to hinc inde dicebatur), quia est « veluti compendium mysteriorum « princi paliti cu fidei nostrae ss. Tri- » nitatis, creationis mundi, Incar- ti nationis Christi, quae profitetur ** tUnc sacerdos suo et totius Eccle- » siae nomine ".

Erudita è la lettera XIX, Del- l'evangelio di s. Giovanni infine della messa pontificale^ del Sar- nelli , Lett. eccl. tom. VII , di- cendo che s. Pio V ne coman- dò stabilmente la recita nel suo messale riformato , per una con- tinua memoria dell' ineffabile mi- stero della Incarnazione , recitan- dosi prima ad arbitrio, il perchè non ne parlano gli antichi rituali, benché s'insinui doversi leggere, almeno in qualche cosa, nella li- turgia di s. Pietro ov' è detto: Deinde plenitudo legis, et prophe- taruni. Lindano cita la liturgia di s. Simeone siracusano, che fioriva nell'anno 800, nel cui fine si pre- scrive la lezione, per la quale al- cuni usavano l'evangelio di s. Gio-

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vanni. Ma il concilio Triburiense, cap. Quidam de celebr. missarum, proibì di leggersi quotidianamente tal vangelo, come le messe parti- colari, per la superstizione di al- cuni, che credevano in quel gior- no nel quale udivano alla messa l'evangelio di s. Giovanni, non do- ver morire senza confessione, e per quelle messe particolari, dover ot- tenere abbondante raccolta di bia- de, ovvero perchè alcuni poneva- no tanta divozione in quel santo di cui sentivano la messa, che cre- devano quello poter più. esaudire le loro preghiere, che se sentissero Ja messa del giorno per la riveren- za di Dio, come se il sagri fi zio non si offrisse a Dio solo, il quale so- lamente si deve adorare con culto di latria. Quindi aggiunge il me- desimo Sarnelli, che nell'antico or- dinario de' domenicani si leggeva : « Evangelium s. Joannis : In prin- « cipio; cum collecta, poteri di- » cere deponendo vestes, vel post » depositionem ". La colletta era: « Omnipotens sempiterne Deus, di- »> rige actus nostros in beneplaci- ti to tuo; ut in nomine dilecti Fi- » lii tui mereamur bonis operibus « abundare ". Altrettanto è pre- scritto in alcuni messali mss. del- la biblioteca vaticana ; e questo è quello che oggi si pratica nelle messe pontificali. si bacia il li- bro, o la tabella detta volgarmen- te cartagloria^ ove è riportato tutto il vangelo di s. Giovanni , perchè la recitazione di questo evan- gelio è in certo modo privata , ed esclude la solennità, onde neppure si canta nelle messe solenni, come avverte Lopez, de ritu Missae. Non sarà qui superfluo il dire se sia lecito portare addosso l' evangelio di s. Giovanni : In principio , ec.

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secondo l'antico uso de* primi cri- Altre nozioni sull'evangelio, e sul stiani, i quali portavano appeso al libro che lo contiene. collo il testo vangelico scritto, co- me preziosissima reliquia. Iiispon- Fu sempre e in tanta venera- de s. Gio. Grisostomo, hom. 4^> zione il santo vangelo, che veniva super Math.y in Opere imperfecto: ricevuto dai sagri ministri della se- « Quidam aliquam partem evan- de apostolica, dalle mani de' Pon- »> gelii scriptam circa collimi por- tefici, per la conversione delle gen- » tant : sed nonne quotidie evan- ti, come narra il Rinaldi all'anno « gelium in Ecclesia legitur, et 4^ii num> ICJJ« Il medesimo al- « auditur ab omnibus? Cui ergo l'anno 232, num. 1 3, dice che s. « in auribus posita evangelia ni- Cecilia usava portare in petto l'e- »» hil prosunt, quomodo possunt vangelio di Cristo, come facevano « eum circa collum suspensa sai- altri, della quale antica consuetu- w vare? Dicne, ubi est virtus e- dine fa menzione s. Gio. Grisostomo » vangelii, in figuris litterarum, an summentovato; ed è mirabile quan- » in intellectu sensuum ? Si in fi- to analogamente narra pure il Rinal- guris, bene circa collum suspen- di di s. Teofilo, all'anno 3or,num. » dit. Si in intellectu : ergo me- 34- Fu inoltre costante costume *> lius in corde postea prosunt , della Chiesa universale nei concili m quam circa collum suspensa ". di ergere in mezzo del consesso S. Tommaso però nella 2. 2. qa. un trono, sopra il quale ponesi il 9. 7, art. 4 ad 4> dice doversi inten- libro del vangelo. Di ciò parlam- dere s. Gio. Grisostomo di quelli che mo all'articolo Concilio (Vedi), ed hanno maggiore rispetto alle fìgu- altrove. Il Rinaldi all'anno 325, re scritte, che alla intelligenza del- num. 5g, discorrendo del primo le parole: « Dicendum, quod Chry- concilio generale, dice che a secon- » sost. loquitur, quando respectus da dell'uso, nel mezzo del conses- » habetur magis ad flguras seri- so fu collocato in real trono l' e- » ptas, quam ad verborum intel- vangelio, come rappresentante la di- » lectum ". Conchiude il Sarnelli, vina persona, come se gridasse nel- che se è lecito portar pendente dal l'orecchio de' vescovi, secondo che collo qualche reliquia, colla fidu- si esprime s. Cirillo Alessandrino eia in Dio, e ne' santi , di cui è in JpoL: Justum judicium j udiente j la reliquia, molto più è lecito por- e secondo le parole del salmo 8 1 : tar le parole sacre, non essendo Deus stetit in synagoga deoruni; di minor santità la parola di Dio, in medio miteni Deos dijudicat. che le reliquie de'santi dicendo s. Negli atti del concilio Fiorentino, Agostino « quod non minus est celebrato da Eugenio IV, si legge h verbum Dei, quam corpus Cini- che sopra l'altare maggiore, vi era » sti ". Si deve finalmente sapere, il codice de sacri evangeli, in mez- come si raccoglie dal Registro di s. zo alle sagre teste de' ss. apostoli Gregorio I, lib. 12, epistol. 7, che Pietro e Paolo, ivi esposte fra ce- anticamente si soleva per divozio- rei ardenti. Per tali teste debbon- ne riporre nei reliquiari il testo si intendere le immagini loro. Del- del santo vangelo. l'antico rito di porre in mezzo ai

concili il grande e giusto giudice

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Gesù Cristo figurato nel vangelo, egregiamente ne diede spiegazione Gio. Battista Casali, de vet. sacris christianoruni ritìbus , pag. 177 e

4.8.

Era poi grande la riverenza de' primitivi cristiani verso questo libro , che non osavano toccarlo, se prima non si lavavano le mani, come rilevasi daH7io//zf7. 7 ad pò- pul. di s. Gio. Grisostomo. I mo- scoviti, prima di toccar il detto libro si fanno il segno della croce con profondissima riverenza, e col capo scoperto. Anche i barbari ri- spettarono l'evangelio. Si legge nel p. Severano, Memorie sagre, pag. 170, che avendo preso Roma nel 547 Totila re de' goti, nondime- no recossi ad orare nella basilica vaticana, dove Pelagio diacono por- tando nelle mani il libro degli evan- geli, se gli fece incontro : indi pro- stratosi a' suoi piedi, gli domandò in grazia che non fossero offesi i romani, e l'ottenne, almeno per al- lora. Quando nell'anno 657 s< Vi- taliano partecipò la sua assunzione al pontificato all' imperatore Co- stante, questo donò ai legati apo- stolici per la basilica di s. Pietro un libro dell' evangelio coperto d'o- ro, e tempestato di gemme. Nel celebre concilio di Costanza, dopo la deposizione di Giovanni XXI H, e dell'antipapa Benedetto XIII, e la generosa rinunzia di Gregorio XII, si deliberò dai mille padri compo- nenti quell'augusta assemblea, che i sagri elettori procedessero all'ele- zione del legittimo Pontefice. Al- lora Sigismondo re de' romani, as- siso nel suo soglio, avendo tocca- to colla mano la croce e gli evan- geli , recatigli da due Cardinali , giurò solennemente, che avrebbe difesi gli ordini che il concilio avea

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l'orinato riguardo al conclave, con- formi alle costituzioni di Gregorio X. Antichissimo è il rito di giu- rare sull'evangelio, come si dirà a suo luogo. Accusato il Pontefice Pelagio I dal popolo romano, di fazione contro l' immediato prede- cessore Vigilio morto nell'anno 555, celebrate con Narsete capitano im- periale le litanie, ascese il pulpito nella basilica di s. Pietro, ed aven- do sul capo l' evangelio, si purgò con giuramento dalle accuse, come già avea fatto Sisto III nel ^2 , e dopo di lui fece ancora s. Leo- ne III nell'anno 800: per fatto giuramento, cessò subito il tumul- to del clero e popolo romano.

Abbiamo dal Macri, che il libro del vangelo solevasi portare nelle processioni, massime in quella del- la domenica delle palme, nella qua- le con maggior solennità dell'ordi- nario, sopra una bara ornata era portato, cioè sulle spalle de' dia- coni, e ciò per rappresentare Cri- sto trionfante. Cencio Camerario, nell'Ordine XI, pag. 176, descri- ve il rito di portare in processione, sulle spalle de' diaconi, tra le pal- me , gì' incensieri , i candelieri , e dopo gli stendardi delle scuole di Roma, una bara ben ornata, che chiamavasi feretrum o portalorium, col testo de' sagri evangeli , affin- chè si usasse al vangelo un onore consimile a quello ricevuto da Ge- sù Cristo. V. il Catalani, Evange- Lium in processionibus delatum 3 praecipue dominica palmarum, p. 137. Questo rito si propagò in al- cune chiese, e T origine si rinvie- ne nei sagramentari Gelasiano, e Gregoriano, e in antichissimi ca- lendari. I greci non solo usano di portar il detto libro quando il sa- cerdote entra nel sagro altare, ma

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anclie in qualsivoglia processione. Nella chiesa di Costantinopoli era chiamato praefectus evangelii} quel- lo che soleva portarlo nelle proces- sioni. Nelle grandi solennità faceva questo uffizio l'arcidiacono patriar- cale, e in questa chiesa era appel- lato doctor ev angelii 3 quello che àvea la cura di ragionare in pub- blico, con ispiegar il testo evange- lico. Nella chiesa Andegavense, quan- do si fanno le processioni, oltre il segno della croce, si porta il libro degli evangeli, quella come guida, questo come luce. Il delinearsi i sagri evangeli nei bicchieri di ve- tro degli antichi cristiani, ci ricor- da che le loro mense erano ac- compagnate dalla lezione spiritua- le de' medesimi, onde pascere l'a- nima.

Filippo Buonarroti , nelle sue Osservazioni sui vasi antichi di vetro, riporta diverse erudite noti- zie sugli evangeli e loro libri rap- presentati dagli artisti, che qui ac- cenneremo. Quei libri degli evan- geli , come si legge in Anastasio Bibliotecario, donati alle basiliche di Roma ed ornati d' oro, di ar- gento e di gemme, doveano esser- lo nelle coperte. Di questi orna- menti de' sagri codici , prima di tutti se ne trova fatta menzione da s. Girolamo nell' epist. 19 ad Eustochìuni.

San Lorenzo ed altri diaconi vennero rappresentati col volu- me de' santi evangeli nella sini- stra mano , perchè era offizio dei diaconi il portarlo e il leggerlo. Furono rappresentati i santi vesco- vi, aventi nella sinistra lo stesso li- bro, perchè devono custodire con ogni cura quel santo deposito, rac- comandato loro con grandissima premura in persona di Timoteo ,

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dall'Apostolo, siccome eglino sono i vigilanti mantenitori nel popolo della purità della dottrina del Sal- vatore, ed i principali promulgato- ri, e fedeli interpreti della medesi- ma; onde in riguardo di ciò, per rito antichissimo, accennato anche dall'autore delle costituzioni apo- stoliche, e dall' altro della gerar- chia ecclesiastica nell' ordinazione de' prelati, è tenuto sopra il capo loro il divin codice del vangelo. Dei volumi poi che sono in mano dei santi apostoli ne hanno parla- to molti autori, e significano le o- pere canoniche lasciateci dai me- desimi, ovvero la facoltà di predi- care il vangelo data loro da Gesù Cristo. Per tal volume posto tal- volta in mezzo de' ss. Pietro e Pao- lo, vuoisi dimostrare che l'evange- lio è un solo, benché egli sia ri- partito in varie scritture, e per si- gnificare altresì l' uniformità della predicazione degli apostoli. Ma il Bernini, // tribunale della Rota, a pag. 14, rende ragione perchè gli evangelisti e gli apostoli si dipin- gono con il rotolo o scrittura in mano spiegata, e i profeti e i pa- triarchi complicata : i primi sono cosi rappresentati per significare Evangelium revelatum 3 i secondi s' indicano così, Evangelium vela- tum, in conformità di quanto scris- se s. Paolino nell' epist. 29: Chri- stus in le ve latti r, et in lege re- velatura perchè al dire di s. Ago- stino, 1. de cons. evangeli Prophe- tia est evangelium velatimi : evan- gelium vero est prophetia revelata. V. il Barbosa, Tractatus in evaii* geliumj il p. Zaccaria, Onomasti- con rituale, in Evangelari, et Evan- gelium j ed il p. Menochio, che nelle sue Stuore, tratta del vange- lo se sia stato predicato nelle In-

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die occidentali, ossia in America , prima che il Colombo la scuopris- se , tratta ancora del vangelo por- tato dagli antichi presso di loro , come venerato., e de' miracoli ope- rati da Dio con esso. Inoltre van- no consultati gli articoli, Collegio Urbano, Congregazione di propa- ganda fide , e Missioni apostoli- che, per la diffusione e propaga- zione del vangelo in tutto il mondo.

EVANGELISTA o VANGE- LISTA (Evangelista). Nome dato ai quattro discepoli che Dio ha scelti ed ispirati per iscrivere Y E- vangelio (Fedi), o la storia del no- stro Signore G. C. Questi sono i ss. Matteo, Marco, Luca, e Giovanni. 11 nome Evangelista significa colui che annunzia una buona notizia ; quindi chiamatisi evangelisti gene- ralmente tutti coloro che annun- ziano qualche felice notizia, ma più particolarmente quelli che predica- no il vangelo di Gesù Cristo, ed in ispecie le dette quattro persone che lo hanno scritto, autrici dei quattro vangeli che sono i soli dalla Chiesa riconosciuti per cano- nici. Diconsi pure evangelisti i sa- cerdoti che recitano certi evangeli, mettendo un' estremità della stola sulla testa delle persone che fan- no dire questi evangeli.

I ss. Matteo e Giovanni erano apostoli, i ss. Marco e Luca di- scepoli ; non si sa positivamente se questi due ultimi fossero del nu- mero dei settantadue discepoli se- guaci di Gesù Cristo, se lo abbia- no udito predicare , o se sieno stati soltanto istruiti dagli apostoli. Nella primitiva Chiesa da vasi il no- me di vangelisti a quelli che si portavano a predicare l'evangelio qua e là, senza che fossero uniti ad alcuna chiesa particolare. Pen-

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sano alcuni interpreti che in que- sto senso sia chiamato evangelista il diacono s. Filippo, Art. e. 21, v. 8, e che s. Paolo raccomandi a Timoteo di adempiere le funzio- ni di evangelista, 1 Timot. e. 4> v. 5, e Io stesso apostolo nella sua epistola agli efesii, e. 4> mette gli evangelisti dopo gli apo- stoli e i profeti. V. il Rinaldi al- l' anno 35, num. 8, che rende ragione come Filippo che annunziò il vangelo a' samaritani, abbia il nome di evangelista. V. gli arti- coli Matteo, Marco, Luca, e Gio- vanni. Fu Bonifacio Vili che nel 1295 ordinò, che in tutta la Chie- sa si celebrassero con rito doppio le feste de' ss. apostoli ed evan- gelisti.

Molti increduli fecero ogni sfor- zo per provare che gli evangelisti non si accordano punto nella sto- ria che fanno delle azioni di Gesù Cristo ; e che su molti punti, e in molte circostanze si contraddicono. Osserva il Bergier che questi cri- tici per riuscirvi fecero uso di un metodo che si avrebbe rossore di adoperare per attaccare la storia profana. Quando s. Matteo, per esempio, riferisce un fatto od una circostanza, della quale gli altri evangelisti non parlano, dicesi che sono in contraddizione con esso. Ma in qual senso un autore che tace, contraddice quello che parla? Forse l'ommissione d'un fatto ne prova la falsità? Se ciò fosse, di tutte le storie che furono fatte da diversi autori, neppure una ve ne sarebbe che non fosse piena di contraddizioni. Quando si voglia avere la cura di leggere la con- cordia od armonia degli evange- listi, si scorgerà che i quattro testi uniti s' illustrano T uno 1' altro, e

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formano una storia esatta ed or- dinata. Il citato Rinaldi, all' anno 3i, num. 2, rimarca la mirabile convenienza tra gli evangelisti, si- gnificati ne' quattro animali miste- riosi da Dio mostrati ad Ezechie- le, e come scrivessero i vangeli in diversi luoghi e tempi, e con varie occasioni. Tuttavia per divin consi- glio avvenne, che con mirabile con- sonanza quello che fecero tutti, fece nello scrivere ciascun di loro, con- forme all'enimma profetico. Diversi autori poi composero la concor- danza de' quattro evangeli, facendo- ne di quattro uno, come fra gli an- tichi sono a nominarsi Teofilo ve- scovo antiocheno, Taciano, Ammo- nio, ed Eusebio, che scrissero al- cuni canoni della convenienza de- gli evangelisti. Tali canoni furono da s. Girolamo in latino tradotti. Fra' moderni e fra quelli che si sono occupati dello stesso argomen- te, sembra che tenga il primo luo- go Cornelio Giansenio vescovo Gandavense.

Ciascuno degli evangelisti pa- re che abbia avuto un disegno particolare, ed analogo alle circo- stanze in cui si trovava, essendosi già detto al citato articolo Evan- gelio in qual tempo ciascuno ab- bia scritto il suo. Quello di s. Mat- teo era di provare ai giudei che Gesù Cristo è il Messia. Mostra colla di lui genealogia che è nato dal sangue di Davide e di Àbra- mo. Cita ai medesimi giudei le profezie, giusta il senso che dava- no i loro dottori, ed in tal guisa ne cava un argomento personale. Sembra che s. Marco non abbia avuta altra intenzione, se non di fare un compendio delle azioni e dei discorsi di Gesù Cristo per istruirne i fedeli, almeno delle cose

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più essenziali. S. Luca si propone di dare questa storia più particola- rizzata, di raccogliere tuttocìò che aveva appreso da testimoni ocula- ri, e di supplire a tuttociò che eia stato ommesso nei due precedenti evangeli. S. Giovanni ebbe princi- palmente per oggetto di confutare l'eresie che cominciavano ad in- sorgere sulla divinità di Gesù Cri- sto, e sulla realtà della di lui car- ne. Questo è pure il soggetto del- le sue lettere. Pertanto con mag- gior estensione degli altri riferisce i discorsi ne' quali Gesù Cristo parla della sua persona, e della sua unione col suo Padre. Ma nes- suno dei quattro ebbe in animo di riferire ogni cosa, e niente om- mettere. S. Giovanni attesta abba- stanza il contrario nel fine del suo vangelo.

In questa maniera, senza che tra essi siavi stato un premeditato con- certo, ciascuno dirige il suo stile e la sua maniera al fine che si pro- pone. Nel confrontarli si conosce perchè uno ommetta la cosa che riferisce l'altro; soprattutto si scor- ge che nessuno dei quattro teme di essere contraddetto sui fatti che racconta, perchè erano fondati sul- la notorietà pubblica. Anche il Ri- naldi all'anno 34, num. 164 e 223, nota che gli evangelisti non pre- sero a narrare tutte le cose latte dal Signore, ma quante bastassero a far fede di lui, usando un mo- do comune di parlare. In quanto ai quattro misteriosi animali de- scritti da Ezechiele, I, 10, e nel- l'Apocalisse, IV, 7, i ss. Ireneo, Girolamo, Agostino, e gli altri pa- dri trovano raffigurati gli evange- listi. Si conviene generalmente che l' aquila è il simbolo di s. Giovan- ni, il quale sino dai primi versi

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del suo vangelo, s' innalza fino al seno della divinità per conlcmplu- plarvi la generazione del Verbo. Si conviene che il vitello o bue è il simbolo di s. Luca, il quale comin- cia dal far menzione del sacerdozio del Salvatore. Secondo s. Agostino s. Matteo è rappresentato dal leo- ni', perchè egli spiega la dignità reale di Gesù Cristo; ma altri dan- no questo simbolo a s. Marco , perchè comincia dalla missione di s. Giovanni, e dalla sua voce che grida nel deserto: in tal caso Va- mimate che aveva la figura qua- si d'uomo dovrà appropriarsi a s. Matteo, che comincia il suo van- gelo dalla generazione temporale «lei Salvatore. Questo uomo si suo- le rappresentare anche in forma d'angelo e colle ali. Ordinariamen- te ognuno de' quattro evangelisti si sogliono effigiare in atto di scri- vere, cioè col libro nella sinistra in ci no, e colla penna nella destra, come altre loro caratteristiche. V. Just. Wessel Rumpai, Isagoge ad lectionr.m novi Testamenti, pag. »i; Jac. ThomasiuSj De insignibus qua- tuor evangelistarunij Lipsiae 1667 et 1672; Dan. Guill. Mollerus, De insignibus IV evangelistarum, Alldorhi 1699 et 1700; Jo. Ihr- mann, De insignibus IV evange- listarum, Upsalae 1728; Jo. de Ayalo, Pictor christianus eruditus, Matriti 1730.

E VARI A od EVARÌO. Sede vescovile della Fenicia del Libano, nella diocesi di Antiochia, sotto la metropoli di Damasco, la cui ere- zione, al dire di Commanville, ri- sale al quinto secolo, e chiamasi anche Giustinianopoli. Altri dissero essere Errea di Epiro, che fu fab- bricala dall'imperatore Giustiniano. Uno de' suoi vescovi per nome

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Tommaso assistette e sottoscrisse al concilio di Calcedonia, ed alla lettera dei vescovi della sua pro- vincia all'imperatore Leone. Al presente Evaria, Evarien, è un ti- tolo vescovile in partibus sotto la metropoli di Damasco egualmente in pai-tibiiSj che conferisce la san- ta Sede.

EVARISTO (santo), Papa VI. Nacque in Betlemme di Palestina, il di lui padre chiamavasi Giuda, e fu innalzato alla sede pontifìcia il giorno 27 luglio dell'anno 112. Si crede che seguisse la tradizione a- postolica ìiell' ordiuare che i ma- trimoni fossero fatti pubblicamen- te, e colla benedizione del sacerdo- te, e che sette diaconi assistessero il vescovo mentre predicasse, affin- chè i loro emuli non gì' imputas- sero alcuni errori , come vuole il Ciacconio, oppure perchè imparas- sero lo stile della verità nel mini- stero della predicazione, come in- terpreta il Bianchini. Molti ripetono l'origine de'titoli de'Cardinali preti dalla divisione cui fece Evaristo delle chiese di Roma a'preti stes- si. Aggiunse alcune cerimonie al rito della consagrazione delle chie- se. In tre o quattro ordinazioni, creò quindici o cinque vescovi, sei o diciasette preti e due diaconi. Durò il suo governo nove anni e tre mesi, e pati a' 26 ottobre del 121. La santa Sede vacò di- ciotto giorni.

Contra l'opinione de' napoletani, i quali vantano di possedere il suo corpo, è certo essere egli sta- to sepolto nel Vaticano ( V. Ol- doino t. I, pag. 99).

EVASA seu Teodosiopolì. Sede episcopale dell' Asia minore, nella diocesi d' Asia, sotto la metropoli di Efeso, eretta nel quinto secolo.

EVO

h'Oiìens Chrht., nel t. I, p. y32, fa menzione di sei vescovi che vi ebbero sede, cioè di Eutropio, di Bassiano, del suo successore, di Olimpio, di Gregorio e di Nico- mede.

EVOCAZIONE. Formola di pre- ghiera, o di scongiuro col quale i pagani invitavano gli dei protetto- ri di una nazione, o di una città nemica ad abbandonarla^ o portar- si ad abitare tra essi, promettendo d' innalzar loro templi ed altari. Questa cerimonia pagana fu erudi- tamente descritta dal p. Casto In- nocente Ansaldi domenicano, con questo titolo : de Diis multo rum gentium Romani evocati*, Brixiae 1743. Evocazione si dice pure de- gli spettri che fanno apparire gli stregoni ed i maghi, i quali per- suadono che sieno anime o demo- ni che fanno venire dall'altro mon- do. La pitonessa evocò il defunto Samuele, per farlo vedere ai re Saulle. SuU' evocazione de' morti V. Negromanzia.

EVODIO (s.). Neil' anno 56o circa Evodio successe a s. Paulia- no nel vescovato di Puy in Lingua- doca. Fabbricò egli in distanza di due leghe una chiesa dedicata alla B. Vergine, ed in quella fu poscia trasferita la sede episcopale. S'igno- ra in qual anno morisse questo santo vescovo, è onorato però agli 1 1 di novembre, ed esiste a Puy una chiesa dedicata al suo nome, nella quale conservansi le sue re- liquie.

EVODIO (s.), vescovo di Rouen. Seguendo la più comune opinione Evodio fu figlio di Fiorentino, e di Celina, e fu addetto sino da fanciullo alla chiesa di Rouen, sotto la direzio- ne di s. Vittricio. Vuoisi che sia egli morto ad Andelis, e poscia sepolto

voi. XXII.

EVO a#i

nella chiesa di Rouen. Fu trasfe- rito dipoi a Braine, nella diocesi di Soissons, e quivi avvi un'abbazia de- dicata al suo nome. Visse nel quin- to secolo, ed è onorato il 8 ot- tobre.

EVORA (Elboren). Città con re- sidenza arcivescovile nel Portogal- lo, capitale della provincia di Alen- tejo. È considerata come la secon- da città del regno, ed è capo luo- go di provincia , e di comarca. Sorge questa antichissima città so- pra unJ altura, in mezzo di una vasta e fertile pianura, fra i mon- ti della Sierra Alpedreira. Essa è cinta di bastioni rovinosi, e muni- ta di vecchie fortificazioni, cioè da una cittadella, e dai forti s. An- tonio, e s. Barbara. Le strade so- no strette e tortuose, e le case an- tiche e mal fabbricate. Rinchiude splendide chiese, degli spedali, uno de' quali magnifico, e caserme di regolare costruzione, non che alcu- ni stabilimenti. Aveva un tribuna- le dell'inquisizione, ed una univer- sità fondata dal magnanimo Car- dinal Enrico prima che fosse re di Portogallo . L' università restò soppressa nel secolo passato sotto il regno di Giuseppe I. Fra i suoi antichi monumenti , avanzi della romana dominazione, si distingue un grandioso acquedotto ancora ben conservato, e gli avanzi di un tem- pio di Diana: edifìzi che si attri- buiscono al celebre Sertorio, il qua- le fece cingere la città di mura, allorché divenne la capitale del suo governo : egli per lungo tempo vi dimorò.

Evora è un'antichissima piazza di guerra del regno, che chiamos- si un tempo Ebora. I romani, se- condo Plinio, la chiamarono Libe- ralità* Julia. Essendo stata occu- 16

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pata dai mori, riuscì ad Alfonso f, redi Portogallo, di espugnarla; e in memoria di tal vittoria nel il 47 o nel 1162, istituì l'ordine equestre di Avis, i etti cavalieri da principio si chiamarono cavalie- li di s. Maria d*Evora. Presso di questa città gli spagnuoK furono sconfìtti dai portoghesi, sotto gli ordini del duca di Schomberg.

La sede vescovile fu eretta ver- so l'anno 4oo, quindi ristabilita ver- 30 l'anno 11 80. Prima era stata suffraganea di Merida, poi lo fu di Compostella. Ma il Pontefice Pao- lo III, per secondare le pie brame del re di Portogallo Giovanni III, nel i54o l'eresse al grado di me- tropoli, assegnandole per suffraganee le sedi vescovili di Elvas, Porto, Algarvia, e Lacobriga, e ciò in gra- zia dell' infante sullodato Enrico di Portogallo, che ne fu fatto primo arcivescovo, e poscia nel i5/\5 dal medesimo Papa fu creato Cardina- le. Questo degno figlio del re Em- manuele fu quello che come su- premo inquisitore del regno stabi- lì in Evora il tribunale dell'inqui- sizione. Ivi a' gesuiti fabbricò un collegio, poi dichiarato università, nel quale un tempo abitò esemplar- mente come uno di essi. Per morte del suo nipote il re Sebastiano, montò sul trono portoghese, ed essendo po- scia morto nel i58o in Ahneirim, nel giorno stesso in cui era nato ses- santotto anni prima, ordinò che il suo corpo fosse trasportato nella chiesa di detto collegio, donde Fi- lippo II re di Spagna lo fece tras- ferire nelle tombe reali di Belem. Andrea Resendio ha fatto il cata- logo de' vescovi di questa città. Me- rita inoltie tra i pastori di questa illustre chiesa speciale rimembran- za il successore del Cardinale En-

EVO

rico, d. Antonio di Braganza, figlio del duca di Braganza, perchè si rese venerando per la sua vita il- libata ed adorna di tutti i pregi che fanno un vescovo degno di me- moria. Ebbe corrispondenza epi- stolare con s. Teresa, e con s. Carlo Borromeo, morendo in odo- re di santità nel 1602. Si deve pur notare, che prima la sede ve- scovile di Tanger era suffraganea di questa metropoli, ma cessò di " esserlo dopo che il re di Portogal- lo Alfonso VI, nel 1662, die la città in dote all'infante d. Cateri- na, quando sposò Carlo II re d'In- ghilterra.

Al presente la metropolitana di Evora ha tre vescovati in suffra- ganei, Faro, Elvas, e Beja, oltre Villa Vicosa (Vedi). La sua gran- de e bella cattedrale è dedicata a Dio, ed alla Assunzione in cielo della beata Vergine Maria, deco- rata di fonte battesimale, ricca di insigni reliquie, e precipuamente di un significante pezzo di legno del- la vera croce. Il capitolo si com- pone di quattro dignità essendo la prima quella del decanato, e di ot- to canonici compresa la prebenda teologale. Vi sono più baccalaurei e beneficiati, non che altri preti e chierici addetti al divino servi- zio. Il palazzo arcivescovile è con- giunto alla cattedrale, la cui cura d'anime alternativamente è disim- pegnata dai quindici baccalaurei, e dai dieci beneficiati mentovati. Ol- tre la cattedrale, nella città esisto- no altre quattro chiese parrocchia- li, che sono pure collegiate, e tut- te munite del battisterio. Sette so- no i monisteri e conventi di reli- giosi, ed otto i monisteri delle mo- nache, oltre diversi sodalizi. Ad ogni nuovo vescovo la mensa è

EVR tassata ne' libri della camera apo- stolica in fiorini mille trecento set- tantasette.

EVORSIO (s.), vescovo d'Or- leans. Sotto il regno di Costantino il grande fiorì Evorzio, e mori poi verso l'anno 34o. Nessuna au- tentica storia si ha della sua vita, egli però è assai onorato negli an- tichi martirologi dell'occidente. Le sue reliquie si conservano nella badia di Orleans, la quale porta anche il suo nome. La di lui festa è segnata li 7 settembre.

EVREMONDO (s.). Nacque E- vremondo a Bayeux da ricca e nobile famiglia. Presso il re Teo- dorico III si procacciò amore e sti- ma, e si unì in matrimonio con una donna virtuosa. La grazia del Signore istillò in Evremondo il di- sprezzo delle umane grandezze, e dalla moglie virtuosamente secon- dato, tutti e due abbandonarono il mondo, l'uno fondando nel Bes- sio vari monisteri, e l'altra votan- dosi religiosa. La fama delle vir- tù di Evremondo pervenuta all'o- recchie di s. Auberto vescovo di Suez, fé' che a se il chiamasse, e lo eleggesse abbate del monistero di Montmaire, ove egli santamen- te chiuse gii occhi, circa l'anno del Signore 720. Il giorno io giugno è sacro alla sua memoria.

EVREUX (Ebroicen). Città con residenza vescovile nel regno di Francia, dell'alta Normandia, capo luogo del dipartimento dell' Eure, di circondario e di cantone, in una valle, sull'Iton o Yon, che si divi- de in tre rami prima di entrare in città. La sua posizione sopra tre grandi strade le apre delle re- lazioni colle principali città di Fran- cia, e favorisce il suo commercio. Vi risiedono la corte di assise, il

EVR 243

tribunale di prima istanza, le di- rezioni delle contribuzioni e de'de- manii, la conservazione delle ipo- teche ec, oltre una società di me- dicina, di chirurghia e di farma- cia . Avvi pure un collegio comu- nale, ed una biblioteca pubblica, un giardino botanico, un teatro ec. Questa antica città è grande, ed assai bene fortificata. Fra i suoi ^difìzi degni di osservazione v' è la cattedrale, che può annoverarsi fra le più belle chiese della Fran- cia. È fabbricata in forma di cro- ce, con istile gotico, è sostenu- ta da sedici pilastri da ciascuna parte, e vi sorge nel mezzo una cu- pola ottagona sostenuta da quat- tro pilastri. Fu Luigi XI che fe- ce innalzare questa chiesa per cu- ra del Cardinal Balve, in allora ve- scovo di Evreux. Vanno pure ri- cordati il palazzo vescovile, quello della prefettura, le prigioni ec. Questa città ha belle passeggiate, ed all'estremità di uno de'suoi sob- borghi sta il bel castello di Navar- ra, un tempo appartenente al du- ca di Bouillon, le cui superbe di- pendenze aggiungono nuovo pre- gio alla sua magnificenza.

Il nome di questa città si tro- va ne' commentari di Cesare, ed in altri autori latini che la chia- mano Mediolanum Aulercoruni , Ebroeca, Ebroìcam, civitas Ebu- ronicum od Ebroicorum, ed Ebu- ro. Più non si dubita che Evreux non rimpiazzi un'antica città roma- na il cui nome primitivo era Me- diolanum, ma che fu poscia can- giato in quello di Eburovices, no- me dei popoli che abitavano anti- camente nel suo territorio, e dal quale senza dubbio derivò quello di Evreux. Questa città diede il nome ad una celebre famiglia. Sos-

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tenne molti assedii, e fu saccheg- giata da Enrico I re d'Inghilterra, poscia fu abbruciata alla fine del secolo XII dal re Filippo Augusto. Fu già capo luogo della contea di Evreux, uno degli antichi do- minii della corona, per cui talvol- ta ne portarono il titolo e fu da- ta ai principi reali. Questa con- tea, nel celebre ministero del Car- dinal Richelieu, fu ceduta al duca di Bouillon, in cambio del prin- cipato di Sedan.

La sede vescovile appartenne al- la seconda provincia Lionese, nel- l' esarcato dei gauli, sotto la me- tropoli di Rouen, di cui è tutto- ra suffraganea. La diocesi, la di cui origine risale fino al terzo se- colo, contava nella sua giurisdizio- ne cinquecento cinquanta parroc- chie, quattordici abbazie, più di trenta priorie, molte chiese colle- giate, ed un gran numero di cap- pelle : quanto alle congregazioni re- ligiose, aveva sei stabilimenti. Il vescovo di Evreux godeva di ven- timila lire di rendite. Ne fu il pri- mo s. Taurino , il quale occupò la sede vescovile verso l'anno 412: tutti si accordano a dire, ch'egli fu pure il primo che predicasse il vangelo nel territorio di Evreux. Gli successe s. Valdo il quale an- nientò gli avanzi delle superstizio- ni pagane, e si disegnò a succeder- gli il prete Maurusione. Indi ne furono vescovi Landolfo, Eterno od Eterio, ed Aquilino, venerati dal- la Chiesa per santi. Gisleberto II fu mandato come ambasciatore al Pontefice Alessandro II da Gugliel- mo duca di Normandia; ed Enri- co II re d'Inghilterra con tal qua- lifica spedì in Roma nel 1171 il vescovo Egidio dei conti di Perche, ed intervenne al successivo conci-

EVR lio lateranense. Giovanni II fece collocare le reliquie de'suoi prede- cessori, i ss. Taurino e Landolfo, in casse di argento , per esporle alla venerazione de' fedeli; e nel 1255 fu inviato al Pontefice per difender i religiosi mendicanti. Pao- lo Capranica romano, segretario di Martino V, fu da questi nel 1420 fatto vescovo di Evreux. Gabriele Le Veneur si distinse al concilio di Trento, fece restaurare la catte- drale danneggiata dal fuoco, e la beneficò con parecchi donativi. Du Perron, splendore della chiesa di Francia, fu consagrato vescovo in Roma, e nel 1604 Clemente Vili il creò Cardinale.

La cattedrale è dedicala alla Beata Vergine, e munita del sagro fonte battesimale. Il capitolo si com- pone di otto canonici, fra' quali avvi la dignità del decano, il teologo, ed il penitenziere, di diversi canonici onorari, sacerdoti, e puerì de cho- ro per Y ufficiatura. Un canonico esercita le funzioni parrocchiali. Prima il detto capitolo era assai più numeroso, avendo trentuno ca- nonici. Eranvi pure quattro vicari per supplire alle incumbenze dèi canonico ebdomadario, quando que- sti era impotente, od assente. In- oltre vi erano quarantacinque cap- pellani che dovevano assistere al- l'uffizio, la maggior parte de'quali fruiva alle distribuzioni inter prae- sc.ntes. L'episcopio è contiguo alla cattedrale, e come dicemmo è un edifizio decoroso. Nella città sonovi due altre parrocchie coi battisteri, diversi monisteri di religiose, i be- nemeriti fratelli delle scuole cri- stiane, delle confraternite , l'ospeda- le, e due seminarii con alunni. La mensa ad ogni nuovo vescovo è tassata nei registri della camera a-

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postolica in fiorini trecento set- Devonshire , cioè di Cridia e di tanta. Cornubia, ch'erano smembramen- EVROEA. Città vescovile dell'an- ti di quello di Skrewsbury: sede tico Epiro, nella diocesi dell'Ill'iria che fu suffraganea della metropo- 01 ientale, sotto la metropoli di Ni- litana di Cantorbery. Vi ebbero re- copoli, che credesi sia il borgo chia- sidenza trentatre vescovi, il primo malo s. Donato in Albania, dove fu Leofrico, borgognone di origine, per le preghiere di tal santo coni- segretario di detto re, e l'ultimo parve una sorgente di acqua. Al- fu Giacomo Tuberville, nominato tri la confusero con Isauria, ed dalla regina Maria, morta la qua- Isoria. Il p. Le Quien ne\\' Oriens le nel i558 abbandonò la sede. Cìirìst. toni. II, p. i43, riporta le La cattedrale, la cui fabbrica du- notizie de' suoi sei vescovi, cioè s. cinquecento anni, rinchiude bei- Donato, Marco, Eugenio, Teodo- le pitture sul vetro, e statue di ro, Giovanni I, e Giovanni II. patriarchi, monarchi, ed eroi del-

E\ALUS. Città episcopale della le crociate. L'episcopio è cinto di

seconda Palestina, nella diocesi di alto muro. Evvi un palazzo della

Gerusalemme, sotto la metropoli di città assai vasto, così uno di giusti-

Scitopoli, alle falde del monte Ta- zia, un bel circo, un teatro, delle

bor. Partenio suo vescovo interven- prigioni con un elaboratorio, un

ne e sottoscrisse nel 536 al conci- grande spedale, case di carità, e

lio di Gerusalemme. molte scuole gratuite ben dotate.

EXCESTER o EXETER. Città Vi è pure uno spedale pei demen- vescovile d'Inghilterra, capoluogo ti, la nuova prigione della contea, della contea di Devon, deliziosa- ed una caserma per la cavalleria, mente situata sul declivio di un Dell' antico castello eretto sulla monticello, e sulla riva destra del- montagna, e soggiorno di qualche l'Ex o Isca, che si attraversa so- re sassone, non restano che alcuni pia un ponte di pietra. È grande, pezzi di mura esteriori. Ha un buon e figura un parallelogramma; le porto sopra un canale navigabile., muraglie che la circondano sono e la dolcezza del suo clima, ed ai- in parte rovinate. E sede di molte tri pregi hanno attirato a stabilir- corti di giustizia dei contado. Ha visi moltissime famiglie. Questa circa quindici parrocchie nella città, città, con titolo di contea, manda alcune ne' sobborghi, molte cap- due membri al parlamento, pelle ed una sinagoga. La catte- Excester occupa il luogo del- drale è un grande e bello edifi- l' Isca Damnoriorum o Dumnorio- zio, la cui costruzione devesi al rum dei romani. Fu distrutta due re sassone Etelstano, che la eres- volte dai danesi, presa da Gugliel- se in onore di s. Pietro l'anno ino il conquistatore, ed in progres- g32, non essendo però allora cat- so assediata da Stefano ed Odoar- tedrale, perchè questa città non do IV. Sotto il regno di Enrico divenne sede episcopale, che sotto VII fu assediata da Perkin-War- il regno di s. Edoardo il confesso- beck; ma gii abitanti si difesero re., che nel 1075 vi fece trasferi- allora tanto valorosamente, che hi re i due vescovati di s. Germano obbligato di ritirarsi, ed il re per in Cornovaglia, e di Kirton nel ricompensare tanta fedeltà e vaio-

a46 EXU

re donò loro la propria spaila, raccomandando al podestà di cin- gerla a tutte le processioni. Ric- cardo II la eresse in ducato in favore di Giovanni Jolando, conte di Hungtinton ; Tommaso Cecili l'ebbe a titolo di contea sotto Gia- como I, dal quale passò ne' suoi discendenti. Nell'anno 1286 a' 16 aprile Pietro Quivil vescovo di Excester adunò un concilio, e vi fece delle costituzioni in cinquan- ta articoli, sopra tutti i sagra men- ti, e sopra varie materie. Diz. de Concili.

EXEQUATUR REGIO, o Pla- citum Regium, V. Regio Exequa-

TUR.

EXOCATACOELI. V. Esoca-

TACELI.

EXTRA TEMPORA. Dispensa che concede il sommo Pontefice a mezzo della segreteria de' brevi pontificii, della dataria apostolica, e della sagra congregazione di propa- gandante a coloro che sono sogget- ti alla sua giurisdizione, non che a mezzo di qualcuno specialmente autorizzato dalla santa Sede, con limitate concessioni. Questa ò\s- pensa serve per ricevere gli ordi- ni sagri fuori del tempo prescrit- to dai canoni, epctra tempora, e per riceverli prima della fine de- gl'interstizi. La Chiesa ha fissato un tempo per conferire gli ordini, ma questo tempo non è sempre stato il medesimo, come si potrà vedere agli articoli Ordinazioni, ed Ordini sagri. Solo qui notere- mo, che le dispense extra tempora contengono sempre la clausola che riguarda la capacità dell'ordinato, e le facoltà legittime dell' ordi- nante.

EXULTET. Inno, o preconio pasquale, cioè benedizione o pre-

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ghiera che cantasi dal diacono al- la benedizione del Cereo pasqua- le (Vedi), nel sabato santo, della quale pure si parla nel volume Vili, p. 319. Alcuni fanno autore di questo inno s. Ambrogio, altri s. Agostino, altri s. Leone I, altri Io attribuiscono a Pietro diacono , ma senza sufficienti ragioni per ac- certarne l'autore. V. Alex. Lesla- cum, in Mi s sali mixto mozarabico p. 52i ; Stor. leti. t. XII, p. 45>2 ; Geminiano lib. Ili, cap. 102; e Durando, Rationale de dìvin. offic. lib. VI, cap. 80. Osserva il Macri nella Notizia de' vocab. ecci, che questa benedizione , toltone il prin- cipio, discorda molto dall' ambro- giana, onde altri ne fanno autore s. Agostino, come si raccoglie da un messale gotico antichissimo nel tom. VI della Bibliot. de* Padri, ove si dice, che fosse composta dal medesimo santo ancor diacono, or- dinato da Valerio vescovo Ippo- nense, anzi fu da esso cantata ; e sebbene si chiami preconio per le prime parole, con tuttociò è vera e real benedizione, poiché quando si comincia, Vere dignum et ju- slum est, ec, si legge il seguente titolo nel medesimo messale: Con- secratio cerei. Fa quindi meraviglia al Macri come alcuni , per altro professori de' sagri riti , abbiano voluto ostinatamente affermare non essere questa una vera benedizione, contro 1' avviso di tutti gli antichi scrittori de' riti : Cereus a diacono benedici, et consecrari oportet, non autem a sacerdote, vel episcopo etiam si sint praescntes, quantum- vis minoris sit ordinis , et dignita- tpr9 come esprimesi il Celeth, de di- vìn. offic. e. 106: la medesima dot? trina fu insegnata da Durando ne] luogo citato. questo rito deve

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sembrar slrano , poiché , come si legge nell'Ordine romano, l'arci- diacono benediceva gli Agnus Dei di cera, e li distribuiva al popolo, come scrivono Alcuino e Amala- rio, anzi il medesimo Beleth ag- giunge, che nella festa di s. Ste- fano un diacono faceva l'officio in coro, e dava la benedizione alle le- zioni : Noclurnus3 et universum of- fidimi crastinum celebrabunt dia- coni, gitoci Stephanus fuerit diaco- nus, ad lectiones concedunt bene- dictiones. Loco citalo cap. 70. L'Zi- jLidtet jam, ec. è composta di due parti, una che comincia con que- ste parole, e l' altra con Sursum corda, che determinano a cantare quest'ultima parie come una prela- zione, anche nelle chiese dove leg- gesi semplicemente sul re la prima parte. Si canta questa benedizione dal diacono presente il sacerdote, perchè tocca all' inferiore annun- ziare la risurrezione di Gesù Cri- sto, la quale fu promulgata dalle donne, di natura più debole, agli apostoli, tanto a cagione del sesso che del grado ad esse superiori, Ruperto lib, VI, cap. 3o ; e Duran- do predetto.

L' Exultet si canta a Besanzone nel sabato vigilia della Penteco- ste, come nel sabato santo , om- messo ciò che riguarda lo Spirito Santo, come abbiamo dal de Vert, Cerimonie della Chiesa, t. I, pag, 33 1 e 342. Avverle lo stesso Ma- cri, che nell'anno i5io„ nel ponti- ficato di Leone X , fu disputalo come si dovesse cantare la solita acclamazione dell' imperatore allo- ra morto, essendo stati alcuni di parere, che si dovesse lasciare, co- me riferisce Paride de Grassis mae- stro delle cerimonie, il quale dopo matura ponderazione stimò essere

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bene che si mutassero le parole, dicendosi : Respice etiam ad ro- manum imperium, cuj'us tu Deus fidelium vota praenosces. Fu que- sto sentimento approvato dal Pa- pa, come scrisse Angelo Rocca sa- grista pontificio, ne' suoi mss. che si conservano nella biblioteca An- gelica di Roma. Il medesimo caso avvenne nel i658 nel pontificato di Alessandro VII, dopo la morte di Ferdinando III, ed allora si du- bitò se si doveva lasciare la detta acclamazione, ma fu ommessa per consiglio del Macri, ciò che appro- vò il Papa, e la congregazione dei riti. Fu posta in pratica con dar- ne avviso a tutte le chiese, ordi- nandosi di più, che nelle orazioni del venerdì santo si cantasse: Ore- mus, et prò romano imperio, ut tu Deus, ec. Dopo lo scioglimento del- l'impero romano od occidentale, tali acclamazioni e preghiere ter- minarono interamente di pronun- ziarsi. Delle acclamazioni se ne tratta agli articoli Domestico, uf- fizio della chiesa di Costantinopoli, e Dominus (Fedi). 11 Ferrari ci die, De veterum acclamationibus , et plauso, Mediolani 1627. Sull'/?- xultet sono a vedersi, il Martène, de ant. eccl. disc. e. 24; Azevedo, de dw. officio, exerc, XIV, 261 ; Joh. Climax, de necessitate pecca- ti Adae, et felicitate culpa ejus- dem, Parisi is i5ig ; De necessita- te peccati Adae, et felicitati culpae ejus, apologetica disceptatio, auct. Jodoco Chlichtovaro, Parisiis i56i ; Camelli tom. X delle Lettere eccl., lett. LXXIX : Come la colpa di Adamo si possa dire felix culpa, e della benedizione del cereo pa- squale, che citammo altrove.

EZERO. Sede vescovile della seconda provincia di Tessaglia, nel-

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la diocesi dell' llliria orientale os- sta dell'esarcato di Macedonia, sot- to lav metropoli di Larissa , la cui erezione risale al nono secolo, al dire di Conimanville, il quale ag- giunge essere anche chiamata Bae- be, o Esero. Era situata verso il monte Olimpo, e verso il campo di Magnesia.

EZM1AZIN, ECSMIASIN, o E- schmiazw. Patriarcato armeno sci- smatico, o monistero celebre d'Ar- menia, situato alla distanza di tre leghe da Erivan verso ponente. Questa è la sede principale del cattolico , o patriarca d' Armenia nella Persia, considerato dai suoi soggetti come il centro e il san- tuario della religione. Autore di questo monistero si fa il patriar- ca Nierse, il quale lo eresse verso l'anno 65o. Il fabbricato è com- posto di quattro corpi di abitazio- ne, disposti sopra un quadrilungo. Tutte le camere sono terminate con una specie di piccola cupola. Sono destinate tanto per l'alloggio de' religiosi (che hanno circa ot- tanta celle, benché il loro numero sia molto inferiore), quanto pegli stranieri. La residenza ed apparta- mento del patriarca trovasi alla destra entrando nella corte. È mol- to più elevato, ed ha una più bel- la apparenza degli altri fabbricati. La chiesa patriarcale trovasi situa- ta nel mezzo della gran corte, ed è 'dedicata all'apostolo dell'Arme- nia s. Gregorio Illuminatore. La chiesa termina con tre grandi cap- pelle, essendo situato l'altare in quella di mezzo. Le altre due ser- vono 1' una di sagrestia, e V altra per il tesoro, già ricchissimo per ornamenti preziosi d'oro e di ar- gento. Avvi un campanile con sei campane. Degli antichi patriarcati

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armeni, questo, uno dei due sot- to il dominio persiano, era il pri- mo e principale, detto ancora Va- garsciabat, e dalla capitale del pae- se ove sta, Artaxiasala o Arta- xata: l'altro è quello di Ganzar, di cui parleremo all'articolo Pa- triarcati armeni (Vedi). La parola Ezmiazin, in latino suona descen- sus unigeniti, ed in italiano, la di- scesa del figliuolo di Dio, perchè si pretende essere questo il luogo dove il Figliuolo di Dio si fece ve- dere da s. Gregorio V Illuminato- re, giacché questa sede è quella medesima ove stette quel santo, e primo patriarca degli armeni. Si dice ancora che Gesù Cristo gli apparve con predirgli quanto do- vea avvenirgli, come si legge nella sua vita scritta da Metafraste, pres- so il Surio. Ezmiazin dicesi pure in lingua turca iucikilise, cioè tre chiese, perchè dal re Tiridate fu- rono fatte edificare tre chiese nel- la medesima città, fra loro distanti circa centocinquanta passi : una di s. Cajana , 1' altra di s. Ripsime , che il medesimo re a vea già fatto uccidere in odio della fede, e la terza detta propriamente la pa- triarcale di Ezmiazin, e suddescrit- ta brevemente. Queste chiese sono state sempre in molta venerazione presso gli armeni, e perciò di fre- quente risarcite ne' diversi avveni- menti : rovinate le due minori, su- perstite n'è la sola prima.

La città ove slava la chiesa di Ezmiazin, fu chiamata Vagarscia- bat o Valarsciabat perchè fu fab- bricata da Valars re armeno, e fatta sua residenza, poscia distrut- ta, ed in suo luogo, cinque miglia distante, subentrò la città di Eri- vati, capitale dell'Armenia maggio- re o persiana. Ciò non pertanto,

EZM benché della regia città di Vaiar- svinimi non sia restato vestigio al- cuno, i patriarchi proseguirono a chiamarsi d'Ezmiazin. Il p. Butler dice nel mese di settembre a pag. 4*5, che il primate di Armenia , che anticamente prendeva l'onori- fico titolo di cattolico, piglia ora quello di patriarca ; che la chiesa fu fondata dal patriarca s. Grego- rio nel palazzo del re Tiridate. I patriarchi di Sis pretendono di avere la successione non interrot- ta, ma quelli di Ezmiazin affer- mano di occupar la sede dal loro primo apostolo stabilita a centro di loro religione. E siccome in pro- gresso di tempo si trovarono le t\i\e Armenie soggette a diversi principi , appartenendo la piccola , ove trovasi il patriarca di Sis, al- l'impero ottomano, e la grande, ove risiede quello di Ezmiazin, per la maggior parte a' persiani, cosi potè ciascuna sede contro l'altra sostener- si, senza che mai fosse stato possibi- le di riunirle. È d' uopo confessare che il patriarca di Ezmiazin pre- valse a quello di Sis non solo per la venerazione degli armeni al luo- go di sua dimora, ma ben anche pel numero delle chiese, e per la moltitudine di quelli che sono sot- to la sua giurisdizione. Tavernier disse che tal patriarca avea sotto di se quarantasette arcivescovati, i quali contavano circa centocinquan- ta vescovati in suffraganei, parti- colarmente sparsi nella grande e piccola Armenia , nella Georgia , nella Cappadocia, nella Mesopota- mia, e nella Persia. Commanville nell' Histoire de tous les archevé- clu's, et évèckès de Funìvers, a pag. 33 1 e seg. parla degli arcivescovi e vescovi degli armeni di Persia, uon the della chiesa patriarcale di

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Ezmiazin, di quelle ad essa sotto- poste, e delle diverse provincie e diocesi comprese nella sua giuris- dizione. 11 p. Le Quien nel tom.

I dell' Oriens Chris t., oltre le noti- zie ecclesiastiche di Ezmiazin , ri- porta la serie de' suoi patriarchi.

II patriarca di Ezmiazin ha il po- tere di consagrare il sagro crisma per tutte le chiese da lui dipenden- ti ; è proposto all' osservanza della fede, della disciplina, e delle isti- tuzioni, essendo il principale vesco- vo tra gli armeni scismatici, dopo che nel concilio di Calcedonia, ve- nendo condannata l'eresia di Euti- che, molti di essi separar onsi dalla cattolica comunione, e dalla Chie- sa romana. Passeremo a dire al- cuna cosa, dei principali patriarchi d'Ezmiazin.

S. Gregorio soprannominato Y Il- luminatore, apostolo e primo cat- tolico o patriarca della Chiesa ar- mena, fu consagrato in Cesarea da Leonzio arcivescovo di quella città, quindi si portò in Roma dal Pon- tefice s. Silvestro I, per avere la conferma delle sue facoltà, ed ap- provazione di tutti i riti e leggi ecclesiastiche pegli armeni . Gli armeni pretendono che il corpo di s. Gregorio sia stato trasportato a Costantinopoli sotto l' imperatore Zenone. Non è certo però che il suo braccio destro, del quale ser- vi vasi nella consagrazione dei cat- tolici, per denotare con tal cerimo- nia, eh' erano essi i veri e legit- timi successori di s. Gregorio, esista tuttora in Ezmiazin. La chiesa di Sis ne possiede 1' altro braccio. Me- liteo, XVI patriarca, discepolo di s. Isacco, stabili la sede patriarcale a Tuin o Thevin, trasportandovi il mentovato braccio, ciò che avven- ne verso Tanno 4^2- H di lui sue-

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tvssore, dopo Ire altri patriarchi, Giovanni Mantacunense , pose in buon ordine le preghiere, e la li- turgia armena. Nierse II, XXVII patriarca, riunì un concilio in com- pagnia di dieci vescovi a Tuin per ordine del re di Persia, fattosi il primo a sinodalmente dichiararsi contra il sacrosanto concilio di Calcedonia, ed a separarsi intiera- mente dai greci. Sotto Mosè, XXIX patriarca, insorse lo scisma tra i vescovi di Armenia, che non vol- lero andare a Costantinopoli per unirsi in comunione coi cattolici, ossia ortodossi. Esdra o Jeser , XXXV patriarca, tenne un conci- lio a Carni, o a dir meglio Carili, ora detta Erzerum {Vedi}, cui intervennero tutti i principi , e i vescovi di Armenia, e molti dotti della Grecia, regnando l' imperato- re Eraclio. Ivi gli armeni accetta- rono solennemente il concilio di Calcedonia, e si concordarono coi greci, rigettando i canoni di Tuin. Nierse III, che gli successe, fondò il monistero di Ezmiazin. Giovan- ni VI, soprannominato Vahano Vasburacense, LXIII patriarca, fu pio e dotto, e tentò la riunione delle Chiese sotto gli imperatori Basilio, e Costantino, e spedi a questo fine legati al Papa s. Gre- gorio VII, il quale, a mezzo dei medesimi, diresse un affettuosissimo breve al patriarca, esortandolo a significare precisamente la credenza del suo popolo. E benché non esi- sta presentemente la di lui risposta, Uittavia dalla condotta degli arme- ni di quel tempo, e dall'assistenza eh' essi prestarono alle crociate sot- to il di lui successore Gregorio III, si rileva la perfetta loro unione colla santa Sede. In quanto al pa- triarca Gregorio III, egli fu di tanta

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religione e dottrina, che il Papa Innocenzo II, in segno della sua benevolenza, gli spedi le insegne patriarcali , accompagnate da un breve pieno di paterne espressioni. Gregorio III continuò nel suo gran- de attaccamento alla Sede aposto- lica, e mandò una solenne legazio- ne al sommo Pontefice Eugenio III sopra alcune differenze che gli armeni avevano coi greci. Il di lui fratello e successore JVersete Cla- jense, e dopo lui Gregorio IV, e Gregorio V, furono egualmente at- taccatissimi alla santa Sede. Il pri- mo di essi scrivendo al patriarca, ed all'imperatore dei greci, nomina il Pontefice romano cogli epiteti, primo e capo di lutti quanti i metro- politani. Gregorio VI, che in or- dine è il LXXVIII patriarca, scris- se al sommo Pontefice Innocenzo III, per T unione della sua chiesa colla santa Sede. Nel 1239 Costan- tino I, che fu 1' LXXXII patriar- ca, ebbe dal Papa Gregorio IX il pallio, e gli altri ornamenti pon- tificali. Il XCIV patriarca chiama- to Giacomo li, nel i333 fu cac- ciato dalla sua sede pei disordini insorti nella Chiesa armena, ma subito dopo fu restituito al suo grado. In questa epoca la Chiesa armena contemporaneamente ebbe tre patriarchi o cattolici , de' quali però quello che risiedeva a Sis fu sempre considerato il principale, si- no al tempo del patriarca Ciriaco o Siriaco verso l'anno i447« fedi Sis, e il volume XIII, pag. i36 del Dizionario, ove si accennano i vari trasferimenti della sede patriar- cale di Ezmiazin, e l'origine del patriarcato ortodosso di Cilicia. Tuttavolta qui è indispensabile un analogo schiarimento.

Il zelante Pontefice Eugenio IV

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risolvette di operare efficacemente la riunione delle chiese di oriente alla Sede apostolica , quindi nel 1439 celebrò il concilio generale di Firenze, al quale l'Armenia in- viò molti legati per le sollecitudi- ni del patriarca Costantino VI; ed i legati sottoscrissero il celebre de- creto della unione della Chiesa orientale alla latina. Ed una ver- sione armena del sullodato decreto esiste tuttora nella biblioteca di Firenze in un codice antico. La porta maggiore della basilica di s. Pietro, come dicemmo altrove, rap- presenta in bassorilievo i legati armeni ivi intervenuti.

Morto intanto il patriarca Co- stantino VI, non che il di lui succes- sore Giuseppe III, si rinnovarono le dissensioni , e ne furono cagione i cambiamenti ulteriori della sede patriarcale. Avvegnaché nel prin- cipio i patriarchi, come dicemmo, risiedevano in Ezmiazin sotto il dominio persiano, e vi rimasero circa un secolo e mezzo, finche \ennero discacciati dalla spada dei conquistatori nel suddetto anno 452. Rifuggiaronsi prima in Tuin, città che divenne capitale del regno armeno, e dove i patriarchi rima- sero sino all'anno 924, in cui ven- ne occupata dai turchi. Allora il re Aschod III trasferì ad Ani la pro- pria corte, e vi chiamò i patriar- chi, che sembra vi si stabilissero propriamente verso V anno 993, e vi dimorarono sino al 1064. A quell' epoca la necessità delle vicen- de obbligò i patriarchi a cambiar spesso soggiorno, come di errare talvolta per le città poste sulla ri- va dell' Eufrate, stabilendosi prima a Tav-plur, poscia e nel 1 1 1 3 a Monte Nero in Cilicia , nonché a Hr-omgla o Romela nel 1 1 47- Ma

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siccome il sultano di Egitto s'im- padronì nel 1294 di questa ulti- ma città, i patriarchi seguirono a Sis il re Leone II, mutarono la sede fino al mentovato patriar- ca Giuseppe III, cioè nel i447- Gregorio IX, suo successore, fece alcune innovazioni nella propria chiesa, laonde quattro vescovi della Cilicia indirizzarono una lettera a tutto il clero armeno, colla quale dolendosi sulla incapacità di quel pastore, e sullo stato deplorabile a cui aveva ridotta la sede di Sis, fu risoluto di restituire nuovamen- te ad Ezmiazin il seggio patriar- cale. Con tale scopo si raccolse in quella città numerosissima assem- blea, composta di vescovi, di su- periori di monisteri, di eremiti, e di semplici sacerdoti, i quali depo- sero Gregorio IX, e passarono al- l' elezione di un patriarca cattolico, cioè universale. La sorte cadde so- pra Siriaco o Ciriaco, abbate del monistero di Virap, che riunì in se il voto delle quattro prime chie- se particolari dell' Armenia, il cui assenso era necessario, onde legit- timarne l'elezione, fu riguardato come il vero e supremo patriarca, e quindi decorato del titolo di cat- tolico.

Da quell'epoca i patriarchi di Ezmiazin esercitarono una piena giurisdizione spirituale, quelli di Sis altro ebbero che il secon- do posto, ad onta che conservas- sero il diritto di nominare un cat- tolico che esercita la sua giuris- dizione nella Cilicia, nella Cappado- cia, e neJ paesi circonvicini. Va qui rammentato che David arcivesco- vo d'Agatmar, piccola città situa- ta nel mezzo del lago di Van in una isola dello stesso nome, fin dal 111 3, allegando la giovanile

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ci i del legittimo patriarca Grego- rio III, nominato Ralilavuni, ra- dunò un certo numero de varia - l'itti ', col maneggio dei quali inti- tolossi cattolico, e si rese indipen- dente dal patriarca universale. Co- sì la Chiesa armena trovossi divisa in tre chiese distinte, di Sis cioè, di Agatmar, e di Ezmiazin, aven- ti ciascuna la propria rivalità, i propri interessi, ed il rito proprio, funeste sorgenti di scissura e di dispute senza fine: e ciascuna di quelle chiese conservò i suoi pa- triarchi. Tali dissensioni e turbo- lenze erano state predette da s. Gregorio Illuminatore , e da s. Nierse ne' suoi versi profetici.

Nel i5o,3 Melchisedecco, CXXX patriarca , fu nominato coadiutore con futura successione dal suo an- tecessore Davide. Fu a quest'epo- ca che il re di Persia portò ad Ispahan il braccio di s. Gregorio, volle restituirlo che contro il pa- gamento di due mila scudi. Non potendo Melchisedecco sborsare quel- la somma per riscattare la san- ta reliquia, si ritirò a Costantino- poli, quindi portassi in Polonia ove morì nel 1629. Altri chiamano Melchisedecco col nome di Mosè, e dicono che fosse il primo che senza elezione sedesse nella chiesa patriarcale ; egli era di Gami, villaggio dov'esisteva un celebre monistero di monache, e gli si il merito di aver sopite le dissen- sioni vedute con mal animo dagli armeni. Tanto egli, quanto il suo predecessore Davide, ne' loro ulti- mi anni scrissero lettere di som- missione àfla santa Sede; il primo nell'anno 1622 a Gregorio XV, e

EZM nell* anno seguente ad Urbano Vili, mentre quelle di Davide portano la data del i6o5, e vennero anterior- mente ricevute da Paolo V. Gli successe, dopo tre altri patriar- chi, Filippo tenuto in concetto di politico, che visse nella sede venti- due anni; fu per intercessione di questo prelato, che il re di Per- sia restituì il braccio di s. Grego- rio, permettendogli in pari tempo di ristabilire la chiesa di Ezmiazin, che era stata rovinata da Schah- Abbas. Filippo morì nel i655, ed a lui sottentrò Giacob, che dopo ventidue anni di patriarcato, si risolvette di portarsi in Roma, per effettuare colla santa Sede l' unio- ne per tanto tempo sperata, ma sempre veduta lontana. Il p. Gaspa- re Dupuy della compagnia di Ge- sti, missionario di Erivan, ciò scrisse alla sagra congregazione di propaganda fide , dicendo che il patriarca Giacob era uomo per autorità, per ingegno, e per ogni altra cosa così potente, che da po- chi suoi predecessori era stato egua- gliato, e che avea ridotte le cose di Armenia così disposte a' suoi voleri, che professando egli la fe- de ortodossa, avrebbe tirato al suo partito tutti quanti gli armeni. Quindi nel 1G62 il patriarca scris- se al Pontefice Alessandro VII una lettera piena di divozione, di rispetto, e di desiderio di portarsi in Roma, accompagnato da venti- cinque vescovi ed altrettanti varta- bieti ; ma mentre egli ciò si met- teva ad effettuare morì in Costan- tinopoli. Dopo di questo tempo, mancano notizie importanti sui patriarchi di Ezmiazin.

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FABBRICA, e FABBRIC1ERE, ministrazione agli arcivescovi,, ai ( fabrica , aediftcium ). In termine vescovi, agli arcidiaconi, ai parro- ecclesiastico dicesi fabbrica, quella chi, o a corporazioni, come capi-

rendita che serve al mantenimen- to di una chiesa, massime delle chiese cattedrali ed insigni, tanto per le riparazioni , manutenzione del sagro edifizio, ed ornamenti, quanto per tuttociò che abbisogna per la celebrazione dei divini uffi- zi ; quindi si chiamano fabbricieri coloro che amministrano tali ren- dite, che sopraintendono alle ac- cennate lavorazioni, alla economia, ed altre temporalità, sieno eccle- siastici 3 che laici. Dicemmo all'ar- ticolo Beni ecclesiastici (Vedi), che questi prima erano divisi in quat- tro parti, una delle quali era asse-

toli, confraternite, ed altri luoghi pii, secondo i luoghi e le pie i- stituzioni. Gli obblighi, l' autorità e i privilegi dei fabbricieri sono secondo V importanza degli affari che disimpegnano, e le consuetudi- ni de'luoghi. Sono responsabili dei fondi che amministrano, e in mol- te cose devono riportare il consen- so del superiore ecclesiastico, e del- le pie corporazioni. Concilio di Tren- to, sess. 22, de reform. e. g.

Benché l'amministrazione di fatti beni di chiesa e delle fabbri- che sia passata nelle mani dei lai- ci, sono però essi sempre beni eccle- gnata per la fabbrica della chiesa, siastici, quindi partecipano ancora e ciò sino dai primi secoli della di tutti i privilegi accordati ai beni Chiesa. Sono comprese in questa del clero. In Roma avvi la Congre- sorta di rendite, anche le obblazio- gazione cardinalizia della reverenda ni religiose, che per la fabbrica fabbrica di s. Pietro {Vedi), aven- ricevonsi dalla pietà de'fedeli nelle te per prefetto il Cardinal arci-

questue, e nei donativi volontari e spontanei. Anticamente gli stessi vescovi si occupavano dell'ammi- nistrazione economica delle rendi- te per le fabbriche, come della lo- ro erogazione; poscia questa cura fu successivamente affidata agli ar- cidiaconi ed ai parrochi ; ma non potendo il più delle volte questi attendere con eguale impegno ed esaltezza agli affari temporali e spi- rituali della propria chiesa, la cu- ra dei primi data venne finalmente a idonei e distinti secolari, cono- sciuti per zelo e probità, i quali come i fabbricieri ecclesiastici sono obbligati a rendere conto dell'am-

prete di quella patriarcale basili- ca, ed in economo e segretario un prelato canonico della mede- sima. Questa rispettabile congre- gazione , oltre l' economica ammi- nistrazione delle rendite della ba- silica vaticana, e di tuttociò che riguarda la conservazione, ornamen- to, e restauri di quel sontuoso tem- pio e sue adiacenze e pertinenze, gode ancora il singoiar privilegio della gelosa cura a" invigilare al- la esecuzione , ed esatto adempi- mento dei legati pii, ed analoghe disposizioni. In molti luoghi, in molte chiese e capitoli il fabbri- cieri è un ecclesiastico, addetto ai

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medesimi. Delle indulgenze con- cesse dai Papi a coloro che a- vessero concorso ai restauri ed al- la edificazione di chiese, se ne tratta al volume XI, pag. 237 e 2 38. In quanto propriamente al- l' arte di fabbricare e di edifi- care , è noto che si riguardano gli egizi , come i primi popoli, in cui siasi posto in uso l'arte del muratore, cui succedettero gli as- siri, gli ebrei, i greci, e i romani che colla straordinaria solidità che die- dero ai loro edilìzi vollero emular- li e superarli, unendo alle scoper- te degli egizi e de' greci un sin- golare artifizio. -

FAB1 ANO (santo), Papa XXI. Eb- be a padre Fabio, ed a patria Roma. Era ancora canonico regolare, se- condo alcuni, quando a' 16 gennaio del 2 38 venne creato Papa. Ciò che indusse gli elettori a promoverlo fu la prodigiosa visione di bianca colom- ba, la quale spiccatasi dall'alto nel tempo della elezione, dopo avene girato qua e sopra le teste di quel sacro consesso, si soffermò so- pra Fabiano che ne formava par- te (Eusebio, Hist. eccl. lift». 6, cap. 29, pag. 186). Provvide questo Pontefice al processo dei martiri, aggiungendo a' sette notali, stabili- ti da s. Clemente I per raccoglierne gli atti, sette suddiaconi, perchè li assistessero in un'opera così inte- ressante e pia. Inoltre destinò sette diaconi perchè gli atti stessi dei martiri fossero segnati al disteso, non già con abbreviature, come per lo avanti si praticava ( V. Bollando, in Praefal. gener. ad vi- tas ss., tom. I, pag. 4)- Ridusse a soli sette rioni i quattordici , nei quali Augusto avea diviso Roma , e volle che gli stessi sette diaco- ni avessero la cura dc'poveri in al-

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trettante chiese. Da questa divi- sione ecclesiastica ebbero poscia o- rigine i titoli de' Cardinali diaco- ni, perciò chiamati anche regionari. Gli si attribuiscono diversi decre- ti, come la rinnovazione del cri- sma nel giovedì santo; che niuno fosse ordinato prete prima di ave- re trenta anni di età ; che niuno in giudizio potesse essere accusato- re, e giudice, o testimonio; che i fedeli si comunicassero tre volte Tanno; che i preti idioti non po- tessero celebrare ; che niun fedele potesse contrarre il matrimonio con parente , che fosse dentro il quarto grado, ec.

Molti fra i moderni critici sos- tengono che s. Fabiano battezzas- se Filippo, primo cristiano fra gli imperatori romani , unitamente a suo figlio dello stesso nome. In cinque ordinazioni creò all' incirca quattordici vescovi, ventitre preti ed otto diaconi. Patì nella settima persecuzione della Chiesa (Orosio lib. 7, e. 21), a' 20 gennaio cfel 2 53, dopo quindici anni e quattro giorni di governo, e la santa Se- de rimase vacante più di sedici mesi. Fu riposto il suo corpo nel cimiterio di Calisto. Ciò che for- ma la maggior gloria di questo santo Pontefice fu il zelo e la fer- mezza con cui dilatò e sostenne la cattolica Chiesa.

FABRI o LE FERRE Giovanni, Cardinale. Giovanni Fabri o le Fer- re, dottore in ambe le leggi, nato a Limoges, era cugino di Papa Gre- gorio XI, il quale nel i37i, lo creò Cardinale prete del titolo di s. Marcello. L'anno innanzi, essen- do decano della chiesa d'Orleans, era stato da Urbano V innalzato alla sede vescovile di Tulle. Morì in Avignone nel 1372, nove mesi

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dopo la sua promozione ai cardi- Jlbacina, accrebbero 1' importanza «alato. Non è da confondersi que- di Fabriano. Va qui notato, che sto con un altro Giovanni Fabri la regione Sentinate, indi Fabria- che fu vescovo di Chartres. nese, e talvolta la Camerte, ossia FABRIANO ( Fabrìanen). Città Camerinese, non si compresero nel con residenza vescovile dello stato Piceno memorato, ma nel duoato pontificio, nella Marca, delegazione .Spoletino, nell'Umbria transapen- apostolica di Macerata, e propria- nina, che i sennoni invasero, e che mente nel Piceno antico, detto da dal fiume Esi al fiume Foglia Augusto quinta regione d' Italia, venne poi racchiusa dentro i limiti e poscia Piceno suburbicario, con- della Marca Anconitana, finante coli' Umbria. Questa antica Ingrandimento ed abbellimento città è posta a pie degli Apen- ebbe principalmente Fabriano dal nini, fra 'quali si apre l'estesa pia- Pontefice Nicolò V con fabbriche mira , ond' è circondata da dolci e decorazioni. Tra i suoi edifìzi colli, con aria buona. La bagna e la cattedrale è pregevole per va- quasi divide per mezzo il fiume stità, pei dipinti, e per altri orna- Ciano , che vuoisi prendesse tal menti che l'adornano. Ivi ancora nome da un sagrifizio fattogli da si custodiscono i sagri paramenti Decio, ed è influente dell'Esi. Nel di arazzi, ricamati in seta ed oro, suo stemma municipale si vede il donati ad essa da Nicolò V, e che fabbro Giano, che alza sopra l'in- per l'antichità e pregevole lavoro cudine il martello , dal culto del sono tenuti in estimazione. Quel quale pretende di aver sortito il Pontefice li adoperò quando vi proprio nome. Ha pure altro stem- pontificò nel giorno dell' Assunta ma onorevole, di un campo metà del i449- Insigne è la collegiata rosso e metà bianco, in memoria sagra a s. Nicola di Bari, di bella della pacificazione del i524 fra i architettura, e decorata di un ca- guelfi ed i ghibellini, rappresen- pitolo con un priore, dodici cano- tati in que'due colori, come quelli nici, oltre i mansionari, e fra gli che in vari tempi l'ebbero strazia- altri venerandi suoi templi, sono da ta colle fazioni. Dalle rovine di encomiarsi i seguenti. Il santuario os- Attidio, celebre municipio romano sia chiesa di s. Biagio con moni- distrutto verso la metà del seco- stero dei camaldolesi, ove in ricco e lo quinto, come poi meglio si dirà, nobile sotterraneo riposa il corpo del ebbe origine il castello di Fabria- fondatore di loro benemerita ed il- no, che per molti secoli fu uno lustre congregazione, il patriarca s. de'quattro più celebri d'Italia, an- Romualdo: nella chiesa superiore dando del pari cogli altri rinoma- si ammirano belle cappelle, con ti tre castelli , cioè di Crema in qualche interessante dipinto. Avvi Lombardia, di Prato in Toscana, pure la chiesa e monistero dei e di Barletta nella Puglia; castel- monaci silvestrini, eh' è il princi- li che, come Fabriano, furono eie- pale della loro congregazione : la vati al grado di città, ed all'ono- chiesa è dedicata a s. Benedetto, ranza d'illustri seggi vescovili. Le i cui recenti restauri fanno risplen- rovine di Sentino, e dell'altro mu- dere le molte sue decorazioni, e nicipio romano Tiifico3 ov' è oggi pitture affresco. Lodato n'è Tar-

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chitelfo, perche superando le cliffì- eoltà dell'arte, seppe erigere soli- damente, a cagione dell'area, sopra un sagro sotterraneo, una bella chiesa. Questi monaci in Monte Fa- nof poco distante dalla città, cu- stodiscono con molta venerazione il corpo di s. Silvestro abbate loro fondatore, essendo il luogo ov'egli morì. Il convento e la chiesa di s. Francesco de'minori conventuali: questa è antichissima, e di gotico stile; nel secolo decorso fu benefica- ta e riedificata da Clemente XIV, ad istanza del p. Giuseppe Bontempi, eh' era figlio di quel convento e benaffetto a quel Pontefice, il qua- le avea appartenuto al suo ordine de'convèntuali . Il prospetto late- rale di questo tempio è ornato di grandiose loggie, che Nicolò V, nel- la lunga stazione che fece in Fa- briano, a mezzo dell'architetto Ber- nardo Rossellini fece costruire al- lorquando rifabbricò tal chiesa dai fondamenti, e fece ingrandire la gran piazza. Queste loggie metto- no nell'istessa piazza, che la co- mune nel 1088 adornò con vaga fonte, ed a proprie spese, ciò che altri attribuiscono falsamente a Ni- colò V, o ad Alessandro VI, o ad un Chiavelli. L' ampiezza di tal piazza serve a divertire il popolo col giuoco del pallone ; ed altre volte colla caccia del toro, cioè prima che Pio Vili provvidamen- te abolisse nello stato ecclesiastico fatta specie di giostre. Di fron- te antichi portici introducono al- l'ampio palazzo vescovile, essendo il palazzo della comune alle mede- sime loggie congiunto. Contiguo al palazzo comunale evvi 1' oratorio denominato della Carità, apparte- nente all'istessa comune. In questa chiesa esistono diecinove dipinti di

V A B Filippo Bellini, celebrati dal Lnnzi nella Storia (iella pittura, ed una tavola di Ambrogio monaco greco, lodata anche dall' Agincourl. Poco lungi è un'altra piazza assai più grande , ma non lastricata, la quale giunge vicino al fiume, che vi stra- ripò cagionando molti danni nel settembre 1807, con alcuni por- tici all'intorno pei settimanali incr- eati. 11 ponte sul Giano fu costrui- to dallo stesso Rossellini, che me- ritò di essere ricordato dall' Agin- court nella Storia delle arti, e regge molti edifici su ambi i suoi lati, proseguendo l'andamento della contrada.

Vi sono in Fabriano: uno speda- le pegli esposti , eretto dal celebre s. Giovanni della Marca nell' an- no i456, ponendovi la prima pie- tra, come si ha dallo stesso Agin- court, monsignor Orsini arcivesco- vo di Taranto presidente del Pice- no; un altro pegli infermi già fioren- te nel 1 3 1 6, ed a cagione della pestilenza allora afìidato alla cura dei cavalieri dei ss. Maurizio e Laz- zaro; il monte di pietà, uno de'più antichi in Italia, perocché fu eret- to nel 1496 dal b. Marco di s. Maria in Gallo; il monte fìu- mentario, ed altri pii stabilimenti. Nel pontificato di Pio VI fu eietto l'orfanotrofio, per cui le medaglie, che nella pontificia zecca si conia- rono nel 1783, da una parte ave- vano l'efligie del Papa, colle paro- le in giro : providentia pii vi font, max. anno viii , e nel rovescio l'edifizio dell'orfanotrofio, coll'epi- grafe: gynecaeum pupillarum fabria-

NI EXCITATUM.

Due musei di storia naturale, e di bellissime opere in avorio si posseggono dai nobili Rosei , e Possenti ; musei che acquistano

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giornaliero incremento. Il musco o collezione di avori in Fabriano, per la sua copiosa e squisita raccol- ta presenta la storia progressiva dell'arte in questo genere, essen- dovi avori superbamente lavora- ti al tornio , allo scalpello , a graffio, a tarsia, ad impressione, ed in un modo misto, che degli altri cinque partecipa. Di ognuno di que'sei generi è la raccolta dovi- ziosamente fornita. 11 benemerito della patria, il conte Girolamo Pos- senti, senza risparmio d'ingenti spe- se e d'indefesse cure, divisò, e col consiglio di parecchi artisti e letterati venne meravigliosamente a capo di riunire una sceltissima serie di avori, unica che possa pre- sentare al pubblico un'idea di quan- to in varie epoche fu fatto dagli uomini in questo genere, siccome si espresse il chiaro storico della nobile arte scultoria, il celebre Ci- cognara. Va notato, che il conte Cesare, padre di Girolamo, avea la- sciata al figlio una limitata quan- tità di oggetti scolpiti in avorio. Al gusto, alla generosità si unì nel conte Possenti l'amor patrio, e con saggia antiveggenza, perchè cotan- to raro e prezioso museo conti- nuasse per sempre a decorare Fa- briano, e giammai fosse da essa rimosso, vi stabilì un fidecommis- so, a cui chiamò pel primo, sic- come privo di prole, il nipote con- te Gio. Battista Pettoni-Possenti ; e volle che in lui continuasse il nome della famiglia Possenti, prov- vedendo a un tempo alia perpetua conservazione d'un prezioso monu- mento di eburnei lavori di ogni spe- cie. A prendere un' idea di questo tesoro va letto l'opuscolo intitola- to : Vùìta al museo di avori in Fabriano, ove dicesi da quali ope-

VOL. XXII.

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re è siffatto opuscolo rammentato. 11 Tiberino, distinto giornale ro- mano , con quarantadue articoli dell' autore dell' opuscolo, illustrò il museo, cui dagl'intendenti non si dubita di attribuire il primato su quelli di simile genere, esistenti nelFItalia.

In Fabriano l'industria è stata sempre operosa, e gli si attribui- scono (sebbene da taluno contesi) i primi sperimenti del prezioso ri- trovato di ridurre a carta gl'inu- tili stracci di lino. Ne' suoi archivi si vedono protocolli in carta di li- no, che portano la data del fine del secolo XIII ; ed il celebre Bar- tolo., che scriveva verso la metà del secolo XIV, fa menzione delle carte di Fabriano, che unitamente alle pergamene conservano tuttavia la loro rinomanza . La cartiera dei Miliani, è già giunta ad imi- tare le carte forastiere, ottenendone della maggior grandezza per le im- pressioni de' rami.

11 Tiraboschi ai fabrianesi il vanto di aver scoperto l'arte di fabbricare la carta collo straccio di lino, la quale a parer suo è compresa in quella sotto il nome di carta di papiro, come si legge nel tom. V, part. 1, pag. 99 e 100 della Storia leti. d'Italia, e ne'do- cumenti che sono citati nel Pice- num del Pamphili colle note del Durastanti a pag. LVII. Quelli poi che disputano a Fabriano fatto merito, non negano che i fabria- nesi furono i primi a seguire con impegno l'invenzione, e che la con- dussero al maggior perfezionamen- to, diffondendola i primi in altre parti d'Italia, come Soia, Bologna, Firenze, Trevigi ec, e conducendo- la al maggiore perfezionamento , tentando pure per i primi in Ita- 17

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lia la sostituzione di altre materie allo straccio, siccome fece il colto fabrianese Carlo Campioni, che l'ottenne dalla paglia, dalla malva, dal grano turco, dai fagiuoli, da mol- ti altri vegetabili, e sino dalla se- gatura di legno mista ad un terzo di straccio, come si legge nel Gior- nale Arcadico tomo XIV, p. 3o5.

Non più venticinque^ come negli scorsi secoli, ma tuttavia sono mol- ti e grandiosi gli opificii delle car- tiere in Fabriano, i quali un tem- po fornirono nou solo gran parte d' Italia, ma eziandio i paesi di oriente, divenendo inesausta sor- gente di ricchezze. Ancora la scelta carta fabrianese si diffonde per molti luoghi dello stato pontificio e dell'estero, essendone vivo ed ubertoso il corrispondente commer- cio. In Fabriano sono in oltre di- verse fabbriche di vari oggetti. E se può dirsi ora affatto perduta l'arte della lana, è a sapersi che la sua università nel medio evo ten- ne commercio fiorente col levan- te, ed a ciò deve Fabriano il suo ingrandimento e molte opere pub- bliche: l'arte della lana nata sotto il nome di arte delle pannine o rascie, di cui vi erano venti- cinque fabbriche, oltre quella delle calzette a mano lavorate, ebbe inutilmente a suo favore nel 1784 la mano benefica di Pio VI. Sus- sistono tuttora le fabbricazioni del- le pelli, pergamene ec, e quella del cremor di tartaro, sostituite alle altre del nitro e della polvere; final- mente quella delle terraglie portate ora a molta finitezza per le cure del cav. Antonio Ronca, comeehè anni prima se ne lavorassero con que' pregevoli dipinti allora in co- stume.

La giurisdizione, ossia il regime

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di Fabriano fu un tempo presso due consoli eletti per un anno fra i cittadini, secondo l'uso delle no- bili città d' Italia, come particolar- mente apparisce da varie tavole del secolo sesto e duodecimo, non che dal processo fatto ad istanza del senato fabrianese in occasio- ne di lite per giurisdizione coi presidi della Marca, nel quale si portano più di cinquanta teslimo- ni. Dopo i consoli nel secolo de- cimoterzo ogni sorta di amministra- zione occuparono nobili personag- gi giureconsulti, col titolo di po- destà, da principio fabrianesi, quin- di esteri, che dagli stessi fabriane- si si sceglievano nelle nobili città d'Italia, e quindi soltanto nelle persone soggette alla santa roma- na Chiesa, per sei mesi, come ri- levasi dalla bolla del Pontefice Sisto IV, data in Foligno a' 17 settembre 1 47^- Al dire del eh. Calindri, Saggio statistico-storico dello stato pontificio, fu Sisto IV che nel i474 decorò Fabriano del titolo di città, quindi confer- mato nel 1728 da Benedetto XIII. La dignità poi dei memorati po- destà fu tanta, che Mattia Conti romano, nipote di Gregorio IX, Giovanni Visconti consanguineo di Gregorio X, Orso degli Orsini ni- pote di Nicolò III, Marco Corna- lo nobile veneto, ed altri molti della primaria nobiltà, ebbero per sommo onore la pretura di Fabria- no. Nel secolo seguente, ossia il decimoquarto , la funsero Bevineo, Ciuccio, Pietro Elamberte, de Pur- lati Aretini di Pietramazza, Claret- to Gentile signore di Fermo, Nelfo conte di Montefeltro, Magliardo degli Ubaldini, ed altri nobili e valorosi personaggi. Nel secolo de- cimosesto Leone X elesse a perpe-

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tuo governatore di Fabriano il Car- dinal Innocenzo Cibo suo nipote, come consta dal breve pontifìcio, Alma Metter Ecclesia, col quale però Leone X revocò Ja detta for- ma di governo, esprimendovi alcu- ne cose. Tutta volta siccome i fa- brianesi mai poterono piegarsi a riconoscere col dovuto ossequio tal perpetuo governatore, non ebbe effetto . Ciò non pertanto otten- nero di poi da Leone X il governo di Fabriano, il proprio cugino Cardinal Giulio de' Medici, poscia Papa Clemente VII, e l' altro ni- pote Cardinal Salviati. Quindi Cle- mente VII nominò a governatore Varino vescovo di Nocera, e suc- cessivamente i vescovi di Tivoli, e dell'Aquila, e finalmente il con- te Nicolò Piccini di Siena. Piitornò poscia la giurisdizione ai pretori, e presidenti del Piceno , finché Paolo V, cosi esigendolo il biso- gno del popolo, ordinò che fosse retto dai prelati della santa Sede, colla dignità e nome di governa- tore. Tali prelati governarono sino al declinare del secolo decorso, ed ai primi del corrente, finché occupato di nuovo lo stato ponti- fìcio dai francesi, nel 1808, Fa- briano divenne vice- prefettura e capo luogo di un circondario del dipartimento del Musone: estenden- dosi il suo territorio a Sassoferrato, Arcevia, Barbara, Serra de' Conti, Fossato, e Sigillo. Stabilito vi fu 1' uffizio del bollo e registro, e can- celleria del censo, che vi restano tuttora; e dopo il 18 14 venne stabilito un governatore secolare. Oggi ha ne' limiti del suo distret- to anche i governi di Sassoferrato, e de' castelli che nomineremo.

Prima la città mandava rappre- sentanti alla congregazione gover-

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nativa delle Marche in Loreto. Elesse un giudice di appellazione., ed ebbe talora il privilegio della zecca, intorno a cui possono leg- gersi i Cenni storici pubblicati dal eh. Camillo Bamelli in Fabriano pel Crocetti, nel i838, con disegni di monete. Al governo di Fabria- no soggiacciono le comuni di Ser- ra s. Quirico, cogli appodiati Do- mo, Rotorscio, e Sasso. Dalla am- ministrazione sua municipale inol- tre dipendono gli appodiati Albacina con tre villaggi annessi, Cancelli, Cerreto, Colle Amalo con due su- balterni casali, e San Donalo. An- ticamente Fabriano aveva ed ha tuttora sotto di moltissime vil- le, e principalmente i seguenti quindici castelli: Albacina, Cerreto, Colle Amato, Belvedere, Cancelli. Bastia, San Donato, la Genga feu- do della famiglia di Leone XII, e vera patria di quel Pontefice, come si vedrà a quell' articolo , 31 o?ite Orso, Tor ricella, Piero- sara, Porcicchie, Por car ella, Ca- stelletta, e Duomo. Di questi castel- li andiamo a dare un cenno sto- rico mentre della Genga (Vedi) se ne parla a quell'articolo.

Albacina fu edificata dopo che i longobardi , forse a* tempi di Desiderio, distrussero l'antica e no- bile città di Alba che non fu ai piedi dell'altissimo monte Sanvici- no o Suavicino, o dove sorge ora Albacina, spettando al municipio di Tufico gli antichi avanzi , i marmi e le medaglie che si ritro- vano colà presso la riva del. fiume od in Fabriano; ma sibbene special- mente in un colle detto Cavalalbo, tra Sassoferrato, Arcevia e Genga, siccome mostrò il p. Brandimarte nel suo Piceno annonario, cap. 5. Di- cesi che Albacina aveva tre rocche

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chiamate Altiera, di s. Giorgio, e Fonte, che la difendevano. Avvi la chiesa di s. Venanzio vescovo di Luni, col suo corpo, fiorito nel VI secolo, la cui festa celebrasi a' 7 giugno. Venne questo castello sotto la giurisdizione di Fabriano nel 12 io o 121 1, facendone dona- zione, altri dicono vendita, Gentile del conte Franco, il quale fu dal- la repubblica rimeritato ne' discen- denti coli' esenzione da tutte le gravezze . Il castello di Cerreto fu fabbricato a' tempi de* goti per opera del famoso Belisario, alle radici del monte Sanvicino , cosi chiamato dall' adorarsi ivi la dea Cerere: Innocenzo III volendo com- pensare i fabrianesi per l'aiuto da- togli contro Enrico VI imperatore donò loro il castello nel 1 2 1 1 . Ivi fiorirono diversi capitani , e Teo- baldo Starnotti in premio fu da Clemente VII fatto comandante di Castel s. Angelo (Fedi). Nelle Me- morie di Matelica, a pag. 68, si legge che il castello di Cerreto fu venduto a Fabriano a' 26 aprile 12 io da Appilliaterra figlio del conte Guarniero. Colle Amato, co- sì detto dalla sua amena posizio- ne, vanta l'origine dagli attidiati , o dai milanesi profughi dopo l'ec- cidio fatto della loro patria da Fe- derico I, o dai fabrianesi : soffrì molto negli anni 11 99 pei mate- licani, e nel i34g per Alberghet- to Chiavelli, mentre Chiavello IV, signore di Fabriano, nel 1421 ri- fece le muraglie che lo cingono. Colle Amato, per autorità di Pa- pa Giovanni XX, verso il io33, passò sotto la giurisdizione di Fa- briano. Belvedere fu dai nocerini edificato fra l'apennino e il mon- te Regedano sotto l'impero di Tra- jano, quindi sotto quello di Gor-

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diano lo venderono per sei mila scudi a Camerino, dal quale passò ai gualdesi, indi di nuovo a Ca- merino, finché nel io43 lo com- prò Fabriano per ottomila fiorini. Vengono Saradica, Cacciano t Can- celli. I due primi castelli furo- no edificati verso l'anno 1129, da due mercadanti pisani fuggiti dalla rovina che i genovesi avevano fat- to di loro patria , ed Ufred uccio, uno di essi, li donò a Fabriano, giacche aveano bene accolti e fatti cittadini lui ed i compagni suoi. Nel i349 i due castelli si ribella- rono ai fabrianesi, il perchè Al- berghetto I ne spianò le mura, e divennero ville. In quanto a Can- celli fu una villa, che per opera de' fabrianesi divenne castello , e perciò cinto di mura, avendo due miglia distante la sorgente del fiu- me Giano, poi chiamato Esio. Ba- stia 3 Monte Orso 3 Torricella: il primo è un castello che alcu- ni fanno salire ad un'epoca roma- na, ed il cui nome falsa mente ri- petono dal Busta Gallonivi di Pro- copio, ed altri, quantunque siavi l'avanzo di un'antica strada che da Luccoli menava al Senlino, dicono ch'ebbe nel i443 l'ingrandimen- to da Francesco Sforza. Ingrandi- to fu pure da Tommaso Chiavelli il secondo castello, verso l' anno i423, ed il terzo nel 1243 lo fu principalmente per Gualtiero Chia- velli. San Donato ebbe principio con Sassoferrato e Fabriano , cioè dopo la distruzione di Sentino e di Attidio, prendendo il nome che porta perchè s' incominciò a fab- bricarlo nel sagro a tal santo, venendo ceduto a Fabriano verso il 1220. Pierosara è un castello antichissimo edificato sulla sinistra sponda dell'Esio da alcuni cittadi-

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ni romani, fuggitivi dalla crudeltà di Nerone, anche per conservare la fede cristiana che avevano ab- bracciata. Da qui passa la strada detta la Rossa, tra altissime mon- tagne; e Perosara nel 1284, per concessione di Martino IV, venne data a* fabrianesi. Duomo vuoisi edificato dai goti, o da alcuni osi- rnani l' anno 546, quindi si pose sotto la protezione di Fabriano a cui poi lo die Gregorio XI in premio di fedeltà, ovvero Leone X nel i52o. Le Procicchie e Por- carella ebbero signori particolari, donde passò nel 1094 ai fabria- nesi. Finalmente il castello di Ci- vita sul monte di tal nome , non ha che vetuste reminiscenze.

Che la religione cattolica abbia sempre fiorito in Fabriano, oltre quanto si dirà in progresso, baste- rà il riflesso che prima del mille aveva tutto all' intorno moltissimi monisteri di benedettini, i quali vi ebbero potenti abbazie; che nel secolo XIII vi ebbe culla ed in- grandimento la congregazione sil- vestrina ; che vi prosperò in modo particolare la francescana , special- mente in Valle Romita, luogo ce- lebrato da molti scrittori, ed ono- rato del soggiorno dei santi Fran- cesco d'Assisi, Bernardino da Sie- na, Giacomo della Marca, Giovan- ni da Capistrano, ed altri ; che nel XVI secolo vanta in s. Maria del- l'Acquarella presso Abbacina l'isti- tuzione dei cappuccini, i quali ori- ginati nel modo che dicemmo al loro articolo, tennero nel 1529 in quel convento, stato per essi il ter- zo, il primo capitolo, ove statui- rono le loro costituzioni, ed elesse- ro il primo superiore generale; e finalmente ch'entro le proprie mu- ra, sino alle note ultime vicende,

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ebbe dieciotto case religiose d'am- bo i sessi, delle quali dieci ne so- no superstiti, con grande utile del- la città.

Oltre l'industria, fiorì in Fa- briano pure la pittura, che a giu- dizio del Lanzi fu una scuola mol- to antica del Piceno. Nel secolo XV ivi si fondò un'accademia det- ta dei Disuniti, nella quale fiori- rono molti uomini insigni, e nel 1725 fu fondata una colonia d'Arcadia, chiamata Giania. Del- l'accademia di Fabriano ne parla Giuseppe Garuffi Malatesta nella sua Italia accademica ec, Rimini 1688. Giuseppe Colucci poi ci ha dato ( exst. nel tom. XVII dell'^rc- tichità picene), Degli uomini illustri di Fabriano, con una memoria del governo politico di essa città, e la serie dei podestà estratta dai zi- baldoni di Francesco Lancellotti.

Qui riporteremo i principali fa- brianesi degni di special menzione. Leonardo Venimbeni, dottissimo fi- losofo, astrologo e poliglotto ; Giu- lio Argentino, giureconsulto; Tom- maso Agostino Benigni, erudito in varie scienze; Agostino, Giambat- tista, e Girolamo Brunetti; Gio- vanni Caldoro frate agostiniano; il classico Gentile, il più famoso tra i dipintori della fabrianese scuola : scuola che molto fiorì dal XIV al XVIII secolo; il b. Costanzo da Fabriano domenicano , il cui culto fu approvato da Pio VII ; fr. Fran- cesco Festo de' minori, santo, e dotto; diversi della famiglia Flo- rio, e di quella dei Giampè; Ono- frio Gilii ; Margherita Niccolini, di cui parleremo, e le poetesse Livia Chiavelli , Ortensia di Guglielmo , Eleonora della Genga , Giovanna Fiori, una delle prime a scrivere commedie in italiano; fr. Nicolò

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da Fabriano , fatto anticardina- le dal pseudo-pontefice Nicolò V nello scisma di Lodovico di Ba- viera, filosofo, teologo, e predicato- re esimio ; alcuni lo dicono della famiglia Chiavelli, altri dicono che abbia dimesso la dignità, ed altri che a lui la concedesse il Papa Giovanni XXII. Vanno inoltre lo- dati Mambrino Roseo, Gio. An- drea Gilio, Agostino Angelelli, Giu- seppe Favorini Clavari , Antonio Possenti vescovo di Montefeltro ec, Andrea Petrolini camaldolese, Sal- vatore Severini agostiniano, Anni- bale Stelluti, e Francesco Stelluti, uno de' primi tre compagni di Fe- derico Cesi nella fondazione della celebre accademia de' lincei. Ma su di questo insigne letterato, va letto il dotto Discorso intorno a Francesco Stellati da Fabriano , del chiarissimo suo concittadino, il professore Camillo Ramelli acca- demico linceo, e membro di al- tre accademie, Roma iSzj-i- Final- mente meritano special menzione il Cardinal Giuseppe Vallemani (Vedi)3 nato da Francesco, e da Maddalena de' conti della Genga, ch'ebbe la sagra porpora da Cle- mente XI ; Francesco Corradini , vescovo de'Marsi, oltre altri di que- sta famiglia; Reginaldo Archibu- gieri, abbate generale de' camaldo- lesi ; Alberghetto Chiavelli, erudi- tissimo in tutte le scienze; Vin- cenzo Petrolini, vescovo di Mura- no; Pietro degli Anselmi, filosofo dottissimo a cui la morte involò la porpora cardinalizia; Vincenzo Pierini medico; Adriano Bussi, e Andrea Vallemani, abbati camal- dolesi ; e sul fine dello scorso se- colo il Buti, il Saraceni, il Cinotti, il Marcellini, il Casini, ed i pre- lati Carlo Vallemani, Carlo ed At-

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tone Benigni, Silvestro Bargagna- ti ec. ec, senza nominare altri che fiorirono per dignità ecclesiastiche e civili, nelle arti, nelle scienze, e in santità di vita, e persino nelle armi. Fra i santi però sono a ri- cordarsi il b. Costanzo, il b. Gio- vanni dal bastone, i beati Gio- vanni e Pietro fratelli Becchetti agostiniani , il b. Venimheni , il b. Andrea Sanucci, il b. Ranieri, ed altri trenta de' quali si pregia que- sta città.

Fabriano ebbe origine nel se- colo Vili , dopo che i longobardi furono vinti dalle armi di Carlo Magno, e dopo che fu distrutto il loro regno. Non ebbe origine dalla distruzione di Sentino fatta da quei barbari, ma sibbene dalle rovine di Attidio manomessa da Alarico re de' goti, o dagl'istessi longo- bardi, o da quelli di Tufico, altro municipio appartenente alla tribù Affentina di sopra ricordato , che soggiacque alla stessa sorte, di cui parla il Colucci nelle Antichi- tà picene, t. II, e di cui si dette- ro non ha guari alcune lapidi ine- dite nel Tiberino , e nell'Arcadico giornali romani, dal lodato Ramel- li. Attidio o Attiggio fu antica e nobile città, non che municipio dei romani, appartenente alla tribù Le- monia, come attestano molti sto- rici, le medaglie, ed altri avanzi di sua esistenza rinvenuti nel ca- stello di Attiggio , posto nel sito ove sorgeva la città, cioè nella pia- nura eh' è tra Fabriano e Colle Amato. Sembra che nel novembre del 41 19 Alarico la facesse distrug- gere, ma non si può affermare. Certo è che il castello che gli suc- cesse, col territorio, fu donalo al comune di Fabriano nell' anno ii 65; come è altresì vero, che i

FAB fabriauesi ebbero per lungo tempo e sino al 1216 il fonte battesimale nel castello di Attidio. Dell'antica città di Attidio parla Giuseppe Co- lucci nelle Antichità picene , tom. IV.

Dopo la vittoria Carlo Magno restituì al Pontefice Adriano I le terre, che i longobardi avevano usurpate alla Chiesa romana, tra le quali quelle di questa regione. Gli abitanti di Altiggio ed altri de' dintorni, tratti dalla temperan- za dell' aria, dalla comodità delle acque e dalla bellezza del sito co- minciarono la edificazione di Fa- briano, verso l'anno 776 o 777, e siccome vi esistevano egualmen- te che in Sentino e Tufìco ricchi e celebrati collegi di artisti (alla latina Fabrorum), che il Murato- ri interpretandone i marmi, e i decreti tuttora esistenti , giudicò essere dei Cen tonarli, ossia facito- ri di schiavine ed altri lavori vili di lana ( arte principalissima in Fabriano dalla sua origine a tutto lo scorso secolo siccome dicemmo), e dei Denaro fori , ossia sacerdoti di Cibele ed A ti o Attide, tanto perciò connessi con Attidio sacro a quella seconda divinità ; cosi si reputa con fondamento che dai collegi sopraddetti Fabriano venis- se fabbricata e traesse il nome, os- sia come Pompejanum da Pom- pei , Lucullianum da Lucullo, Tul- lianum da Tullio, ed altri molti luoghi che furono alla latina chia- mati. Egualmente lo sarà stato Fab rianimi da Fabri , cioè artisti ed artigiani di Attidio e Tufico. Ne qui va taciuto, sebbene poco appoggiata dalla critica, sulla ori- gine di questa città, la costante tra- dizione storica tramandata sino a noi dalla remota antichità, dicen-

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dosi che primieramente si compose di due castelli, uno chiamato Pog- gio, ov'è ora il monistero di s. Mar- gherita, l'altro appellato il Castel vecchio, cioè dove sorge il moni- stero di s. Caterina. Essendo tra le genti di questi due luoghi tan- to vicini, divisi solo da piccola val- le, frequenti discordie ed inimi- cizie, un buon vecchio, per nome chiamato mastro Marino, che go- deva presso gli abitanti de' due luoghi qualche reputazione, ed eser- citava sul fiume Giano , poco più da basso nella valle, ov'è ancora il ponte antico, il mestiere della fabreria, spesse volte gli mise d'ac- cordo, e gli riuscì persino a for- mare dei due castelli un solo, affin- chè godessero gli abitanti perpe- tua pace. Gli abitanti allora inco- minciarono a dilatarsi, ed a for- mar la terra che poi chiamarono Fabriano, come quella che per ope- ra del fabbro dimorante sul fiume Giano, ebbe principio, ciocché cor- risponde all' impresa araldica della comune di cui facemmo di sopra parola. Si narra ancora che i sen- tinati, e gli altri abitatori di que- sti luoghi ottenessero a Fabriano da Adriano I, e da Carlo Magno il mero e misto impero; che per agevolare l' erezione degli edilizi, per dieci anni fossero esentati da ogni pubblica gravezza; e che Lo- dovico vescovo di Sentino ponesse la prima pietra ne' fondamenti , rile- vandosi che sino da' suoi principii la città prese quella celebrità, che la fece noverare come uno de' quat- tro nobili e grandi castelli pri- mari d'Italia.

Sino all'anno io io non si han- no certe notizie storiche del suc- cessivo stato di Fabriano, se non che a detto anno figurarono in

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aiuto della repubblica di Firenze, e contro Fiesole, i capitani fabria- nesi Antonio e Federico alla testa di trecento concittadini , che coo- perarono alla disfatta di Fiesole. Quando 1' imperatore Enrico IV rivolse le sue armi contro Firen- ze, colla quale, non meno che con Genova, Fabriano per Farle della lana, principaJe anche in quelle fa- mose repubbliche, ebbe comuni in- teressi, reggimento e perfino il sau- to protettore Gio. Battista, fu da duecento fabrianesi sussidiata Fi- renze stessa, che li ricolmò di do- nativi dopo aver respinto l' impe- ratore. Non solo Fabriano divenne confederata, pel valore de' suoi, di Firenze, ma anche di Foligno, e di Perugia. Nella occupazione che fece l'imperatore Federico I, dei dominii della santa Sede, un suo parente capitano di cinquecento uo- mini, chiamato Ruggiero di Chia- velli, s' impadronì di Fabriano , e trattolla soavemente che gli abi- tanti presero ad amarlo, il perchè Ruggiero li protesse presso Fede- rico I, ed in vece di seguirlo nella spedizione dell'Asia, si elesse Fa- briano per patria, congiungendosi in matrimonio colla figlia del si- gnore della rocca chiamata la Ca- pretta. Da questo maritaggio deri- varono quelli che in progresso po- tentemente dominarono Fabriano. II benemerito storico di Fabria- no Scevolini, domenicano di Ber- tinoro, dice che la famiglia Chia- relli è antica d'Italia, non prove- niente da Germania , muovendolo a ciò affermare, la memoria della beata Filomena. E perciò a saper- si, che in Sanseverino a' 5 luglio i526, facendosi nella chiesa di s. Lorenzo di nuovo l'altare maggio- re, si rinvenne nel muro antico

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una cassa di legno, che sembrava fatta da poco tempo, con entro un corpo tutto intero, colle treccie dei capelli al capo avvolte con vari fio- ri ed erbe, che sembravano allora colte, e con questo scritto : « Cor- » pus sanctae Philomenae ex nobi- h li Clavellorum prosapiae septem- » pedanae tempore gothorum trans- Ai latura in ecclesia Severini » post aliare majus "; e nel fine Severinus episcopus maini propria. Da ciò si vede che la famiglia Chia- velli già era nobile ed antica in Settempeda , dalle cui reliquie si edificò Sanseverino, al tempo dei goti, e che verso l' anno \\i si portarono in Roma ; od almeno che nelle vicende politiche, i Chia- velli passarono in Germania, dove s'imparentarono colla famiglia di Federico I, e ritornati con lui nel- le loro parti, vi si vollero ristabi- lire.

Subito i fabrianesi nel 1179 provarono gli effetti del valore e perizia militare di Ruggiero Chia- velli, contro Camerino, Rimini, ed Ancona. Quindi, essendo morto nel 1197, fu sepolto onoratamente nel- la chiesa ora cattedrale di s. Ve- nanzio. Qui noteremo che la pri- ma alleanza che fecero i matelica- ni coi fabrianesi nobili e plebei, fu nel 1191, ma fu rotta di poi nell'anno 1 199, indi ristabilita con solenne concordia con diversi ca- pitoli nel 121 1. Intanto conser- vandosi Fabriano fedele alla santa Sede, mentre Marcualdo generale dell'impero teneva tirannicamente la provincia della Marca , supera- rono il nemico con forte esercito , guidato dal prode Gualtiero figlio di Ruggiero. Indi nel i23i s. Sil- vestro Gozzolini d' Osimo , fondò nel monistero di Monte Fano, da

FAB lui edificato presso Fabriano , la congregazione monastica , che da lui prese il nome di Sìlvestrina (Fedi). Disgustatosi il Pontefice Gregorio IX coli' imperatore Fede- rico II, nacquero o per dir meglio si aumentarono le celebri e mal- augurate fazioni de' Guelfi (Vedi), e de' Ghibellini (Vedi), i primi se- guaci del Papa, i secondi dell'im- peratore. Ne provò i funesti effetti lungamente anche Fabriano, dappoi- ché Alberghetto Chiavelli , con la parte de' più nobili, si diede a se* guir la fazione ghibellina, tentando d' insignorirsi della città, e il po- polo si accordò co' guelfi ; per lo che molte volte fu cacciato Alber- ghetto , e molte volle da lui fu presa Fabriano e governata a suo modo. 3Nel 1255 Frollando nipote di Alessandro IV, rettore e legato della Marca, permise ai fabriane- si, ed ai matelicani di poter guer- reggiare coi camerinesi; indi Al- berghetto ingrandì le mura di Fa- briano, comprendendovi il moni- stero degli agostiniani eretto dal suo genitore Gualtiero, ingrandi- mento che la comune compi nel i3oo. Passati sei anni Alberghet- to fu dalla città cacciato, nel qual tempo furono creati in Fabria- no sedici gonfalonieri, quattro cioè per ogni quartiere, per opera d'un podestà pisano, che diede il nome alla porta verso s. Antonio, onde conservar la pace e la libertà del- ta terra. Contemporaneamente fu segnalo il trattato di pace tra Ca- merino da una parte, e Matelica, Sanseverino e Fabriano dall' altra. Non andò guari, che nel 1 3 1 7 Al- berghetto con trecento cavalleggie- ri ritirandosi dal servigio che avea preso nell' esercito del re di Napo- li, occupò Fabriano, e profittando

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delle cittadine discordie, volle es- serne chiamato signore. Ampliò quindi le muraglie per compren- dervi le case edificate al di fuori, e mentre la cappella di s. Nico- lò convertiva in una chiesa , do- vette fuggire.

Afflitta l'Italia per la residenza che i Pontefici sino dal 1 3o5 fa- cevano in Avignone, fu messa a scompiglio dallo scismatico Lodo- vico di Baviera, ed allora Alber- ghetto profittando delle circostan- ze, ed essendo stato fatto vicario di Fabriano da Lodovico, come si ha dal Borgia, Memorie isteriche, t. Ili, p. 3oo„ costrinse i fabria- nesi a ribellarsi alla Chiesa ro- mana, e ad unirsi ai ghibellini, ma- nomettendo con essi più luoghi , finche l'esercito ecclesiastico, coman- dato da Tanò signore di Reggio, distrusse quello de'fabrianesi, e la città trovossi in profondo lutto im- mersa, per tanti morti, e tante perdite fatte, non che involta nel- la lagrimevole eresia de' Fraticelli (Vedi), che sussistettero sino al pontificato di Martino V, ed in Fabriano sino a Nicolò V. Nella coronazione eh' ebbe luogo in Ro- ma del suddetto Ludovico, fr. Ni- colò da Fabriano eremitano di s. Agostino, montò in un luogo emi- nente, invitò a difendere l'impe- ratore, che il Pontefice Giovanni XXII avea scomunicato, quindi in- veì con un discorso contro di lui, e in favore di Ludovico. Al- lora questi dichiarando decaduto Giovanni XXII, creò in antipapa Nicolò V, il quale tra i sette Car- dinali che promulgò, vi comprese fr. Nicolò da Fabriano, e spedi nuovi vescovi in varie parti. Non deve però tacersi, che nelle citate Memorie di Matelica, a pag. 1 1 7,

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è detto all' unno i326, che io tal lillà i frabrianesi, da Amelio ret- tore furono riconciliati col Ponte- fice Giovanni XXII. 11 Colucci nel- la sua Trcjity a pag. i 17 e seguen- ti, narra come il detto Papa fa- cesse assolvere i fabrianesi, dopo che essi cogli altri ribelli ebbero giurato fedeltà nelle mani di Pie- tro vescovo Mirapiscense, a ciò de- stinalo dal Cardinale Bertrando ret- tore della provincia, di abbando- nare il partito ghibellino, e quello del principe bavaro, che avea spe- dito nella Marca il conte di Chia- lamonle per guadagnar genti. Con- linuando le rappresaglie di Alber- ghetti) su Fabriano e circostanti terre dalla rocca di Bellario ove crasi fortificato, il legato della Mar- ca per Benedetto XII, nel 1 338 inviò a Fabriano Lipazzo di Osi- mo per una tregua e pace gene- rale, il quale colla sua persuasiva facondia, ricompose gli animi. Al- berghetto restituì la rocca di Bel- lario alla comunità, e questa a lui le possessioni, e la calma fu resti- tuita a Fabriano ; sol per poco turbata da molti banditi , dalia carestia del 1 34o, e dalla succes- siva pestilenza. Passati sei anni, Alberghetto, tratto dalla cupidità di dominare, si congiunse con Nol- fo conte di Urbino, si portò ad occupar la città contro la data fe- de, e per tre anni pacificamente la dominò, superando il colpo di mano, che avea tentato per oppri- merlo M. Salimbene dottore e ca- valiere bandito da Fabriano, e i suoi seguaci. Per fatto emergen- te, alcune famiglie stanche dai fre- quenti tumulti che gravitavano sul- la patria, passarono a stabilirsi in Grecia, in Schiavonia, ed altrove, vedendo l'Italia tutta sossopra per

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la dimora dei Pori telici in Avi- gnone.

Correndo l'anno 1 347 Bel MU:_ se di deccmbre , Fabriano accolse con grandissima pompa Lodovico I re d' Ungheria, il quale con po- deroso esercito recavasi nel regno di Napoli per vendicare la vitu- perosa morte del fratello Andrei, marito della famosa regina Gio- vanna I. Il re fu incontrato sino a Sassoferrato , e magnificamente trattato da Alberghetto signore del- la città, il quale profittando del- l'assenza de' Pontefici per consoli- darsi nel potere, mosse i cittadini ad offrire al re il loro governo, e ad implorare la sua protezione. Lo- dovico I accettò, promise difesa e protezione, regalò con ricchi pre- senti Alberghetto e la repubblica; indi da Napoli inviò in governa- tore, con diploma dato a' 22 feb- braio i348, Giovanni figlio di Lan- cislao di Rade, colla provvisione di sessanta fiorini d'oro per ogni me- se, raccomandandogli il buon go- verno, tutela, e cura di Fabriano, sue terre e castella. Alberghetto, co' fratelli Giovanni e Crescenzio Chiavelli furono invitati dal re a seguirlo colle loro belle truppe al- la conquista del regno di Napoli, ove si distinsero in Sulmona, e nel- le altre vittorie riportate dai regi eserciti. In progresso Alberghetto, imitando gli Ottoni di Matelica, i Scala di Sanse veri no, entrato in le- ga con Giovanni Visconti ghibellino che aspirava al regno di Italia, co- me da istromento de' 2 5 marzo i353, sostenne la sua dominazio- ne contro i banditi, contro le ri- belli terre, e contro i perugini col ricuperare Rocca Contrada, mentre la peste imperversò sui fabrianesi, e fece molte vittime; tutlavolta la

FAB città ebbe da Alberghetto de' miglio- ramenti, e la chiesa di s. France- sco ebbe principio,, non facendo più menzione gli storici dell' ungherese domina/ione. Bramoso il Pontefice Innocenzo VI di liberare i dominii della santa Sede dai tiranni che li signoreggiavano, spedì in Italia il valoroso Cardinal Egidio Albori ioz con grande autorità, il perchè fu sollecito Alberghetto di portarsi ad Orvieto, ed accomodossi con lui; ma però il Cardinal legato, giun- to a Sassoferrato, fece rimettere in Fabriano i banditi da Alberghetto che per sicurezza si ritirò. Ed es- sendo Fabriano indifeso, nel i358 Anichino Mongrado capitano dei sanesi, minacciò di rovinarlo e sac- cheggiarlo, onde il legato avendo le sue genti rivolte ad altre im- portanti imprese, gli die quaranta mila fiorini acciò tornasse in To- scana. Nel 1 363 la pestilenza ri- comparve a Fabriano, e nel i365 vi ritornò Alberghetto, facendo tron- car il capo a coloro ch'erano ri- corsi al Cardinal Albornoz; e quan- do questi fu da Urbano V riman- dato in Italia, Alberghetto se ne procurò il favore. Ma morto poco dopo il legato, M. Ghino Presen- tacelo con altri labrianesi recaron- si a Viterbo a' piedi del Pontefice Urbano V, supplicandolo che vo- lesse liberar Fabriano dalla tiran- nide di Alberghetto, il quale per- ciò col figlio Guido passò al servi- zio della signoria di Venezia, dopo che un pontificio commissario in nome di Urbano V, e del sagro Colle- gio l'avea invitato a presentarsi in Vi- terbo. Narra il Colucci citato, a pag. i3g, che nel 1367 le armi pontifì- cie espugnarono Fabriano, e col l'aiu- to de' montecchiesi lo ridussero alla divozione della Sede apostolica.

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M. Ghino, pagati 5oo ducati, ot- tenne la rocca di Fabriano , e si fece signore della patria; ma dopo due anni venne deposto, e temen- do il ritorno di Alberghetto, gli domandò perdono, e procurò che rientrasse al dominio nel 1370. Però Urbano V l'obbligò a resti- tuire Fabriano alla Chiesa, altri- menti l'avrebbe punito colla mor- te in Viterbo ov'erasi portato, quan- do ivi lo richiamò il Pontefice. In questa città, a' 7 luglio, Alberghet- to morì d'anni cento dodici, e pla- cidamente, dopo aver esortato il fi- glio Guido a non usurpar le giu- risdizioni di s. Chiesa. Fu sepolto onorevolmente nel duomo, ed Ur- bano V fece capitano il detto fi- glio, con stipendio, perchè aveagli promesso ricuperare alla Chiesa il vicariato di Rimini, con speranza di riavere Fabriano. Intanto i la- brianesi tentarono di porsi in li- bertà, mentre Gregorio XI era in guerra co' fiorentini, i quali ambiro- no signoreggiarlo in concorrenza di Ridolfo da Camerino, che fecero nelle piazze, e sulle porte della città dipingere come traditore, per averli abbandonati , affine di seguir il partito del Papa. Indi benché Gregorio XI avesse restituita a Ro- ma la residenza papale, nel 1378 Guido di notte tempo occupò im- provvisamente Fabriano, e dopo parecchi fatti d' armi coi bretoni ed altre milizie della Chiesa, Fabria- no fu orrendamente saccheggiato, e Guido potè signoreggiarlo senza contrasti per tre anni, nel qual tem- po edificò il monistero di s. Cate- rina de' monaci Olivetani , ove nel i383 ebbe sepoltura, avendo pri- ma sostenuto molti combattimenti co'vicini castelli. Qui va notato che alcuni tolgono a Guido il merito

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di tal edificazione, come ha da- gli A anali camaldolesi t. VI, p. i43. Tommaso suo figlio amò la pace, fu lontano di tiranneggiar la patria, che perciò l'onorò sempre, e l'aggregò al consiglio. Stette in questo tempo Fabriano per ben venti anni senza guerre, il perchè fiorì in ogni maniera , e per ric- chezze. Nel 1401 si trovavano ivi ventiquattro cavalieri aurati, altret- tanti dottori, sette medici eccellen- ti, e nove valorosi capitani. Suc- cessero quindi discordie tra'cittadi- ni per la forma del reggimento, ed a rimediarvi fu eletto Tommaso Chiavelli a capo del magistrato, che avendo pienamente corrisposto alla confidenza di sua patria, ad onta della sua virtuosa ripugnanza, ven- ne obbligato e costretto dal popo- lo a conservare il potere, e Boni- facio IX, nel i4°4> dichiarò vi- cario della Chiesa in Fabriano. Tom- maso si die tutto alle opere pie : edificò a' domenicani il convento di s. Lucia, nella qual chiesa era- no le sepolture de'Chiavelli; fece un ospedale pei poveri; dotò mol- te donzelle, e procurò al popolo l'abbondanza, la libertà e la pace, per cui fu amaramente pianto, quan- do la morte troncò i suoi giorni nel i4°9-

Gli successe nel potere il fratel- lo Alberghetto II, pieno di belle doli, e di maturo consiglio, dotto, giusto e valoroso. Prospero fu il suo governamento : aggrandì la muraglia di porta Cervara, e quel- la del Piano, e indi fino a s. Ni- colò ; ma mentre era stato chia- mato a Milano per capitano dal duca Filippo Maria Visconti , e mentre nutriva intenzione di ricu- perare lo stato degli avi suoi, nel 14^1 5 terminò di vivere, lasciando

FAB tre figliuoli, Guido, Chiavello, e Tommaso II, i quali un dopo l'air tro ebbero il principato di Fabria- no. Guido, per malsana salute, fe- ce governare Chiavello, e morì dopo due anni. Chiavello corag- gioso, e di singoiar giudizio nelle cose militari, riuscì mirabilmente in ogni impresa, e stette alquanto allo stipendio del duca di Milano, donde ne partì per ricomporre i fabrianesi, che volevano insorgere contro la sua famiglia. Parlò gra- vemente nel consiglio delle bene- merenze de' suoi antenati, ciò che nel popolo produsse a un tempo amore e spavento; e gli riuscì bo- nariamente far ritornare all'ubbi- dienza i castelli ch'eransi ribellati a Fabriano , e superare alcuni po- tenti nemici di esso. Indi passato allo stipendio de' veneziani con buo- na compagnia di cavalli, morì in Venezia nel 14^8, venendo trasfe- rito il suo corpo a Fabriano, e sepolto al luogo della Romita, pres- so le ceneri di sua consorte Livia. Allora prese la signoria di Fabriano Tommaso II benché avanzato nel- l'età, per cui visse senza far nulla degno di memoria , ed avendo molti figliuoli, al primogenito Bat- tista die il governo della terra; ma questi, giovine senza esperienza, si regolò secondando il furore e l'im- peto giovanile. Immerso in amori disonesti, gravò il popolo di contri- buzioni, e spendeva con prodigalità oltre le sue forze. Per queste cose nell'anno i435 fu da molti del po- polo fatta una congiura a danno della famiglia Chiavelli, che scoppiò nella chiesa di s. Venanzio, mentre tutta la famiglia- assisteva nel coro alla messa, essendo il dell'Ascen- sione. Sedici masnadieri congiurati si condussero a tal effetto nel coro,

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ma indugiando nell'atroce disegno, Jacomo di Nicola ne die la mos- sa, saltando nel coro e gridando, viva la libertà, e muoiano i tiran- ni. Spaventate le donne, e il resto del popolo si diedero alla fuga , mentre i congiurati uccisero Tom- maso, ad onta della difesa che op- pose, indi Battista e Borgato suoi figli, mentre si cantavano le paro- le del simbolo : et incarnatus est de Spinili sanclo. Gli altri figli di Tommaso, che di Borgato e di Battista, due fuggirono verso la sagrestia, cioè Guido Antonio, e Alberghetto, ma raggiunti da due congiurati furono ammazzati. Al- tri tre fanciulli, Ridolfo, Chiavello, e Marco, nascosti presso l'altare ove celebravasi la messa, non furono allora trovati, essendo stati occul- tati dai canonici di s. Venanzio; in una parola furono poscia tru- cidati, ed avvelenati gli altri figli. Le donne ripararono ad Urbino ; e di Guido, e Nolfo, altri figli di Tommaso, che trovavansi fuori , non se ne seppe altro . Vuoisi che in una famiglia di contadini della Castelletta solo esista un ram- pollo del chiaro sangue de' Chia- velli. Venne per ultimo saccheg- giato ed incendiato tutto ciò che loro apparteneva , e senza onore i cadaveri furono tumulati in certi fondamenti, che allora per fabbri- care si facevano a s. Venanzio. Sulla famiglia Chiavelli può veder- si il Sansovino nell' Origine e fatti delle famiglie illustri d'Italia.

A cagione delle parentele, che gli estinti Chiavelli avevano colle più illustri famiglie d'Italia, come i Varani, i Montefeltro, i Malate- sla ec, non essendo la repubblica in sicuro, i fabrianesi invocarono la protezione del prode Francesco

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Sforza, che avea tolto a Papa Eu- genio IV la Marca, col patto di conservargli la libertà, e n'era po- scia stato istituito dal medesimo in marchese. Per questo lo Sforza ne pretese il dominio, anziché la protezione, e bisognò cedere, nulla calcolandosi che la santa Sede n'era la suprema signora ; ed al suono della campana del comune, convo- catosi tutto il popolo, il 3o agosto, si gridò: viva il gran Fran- cesco nostro marchese. Nell'anno seguente lo Sforza con grandissimo onore fu ricevuto in Fabriano, e dalla comunità gli furono presen- tate le chiavi della terra. Quindi accordò a'nemici de'Chiavelli esen- zioni, che poscia furono tolte dalla repubblica, e considerando i sin- golari pregi del luogo, e trovatolo degno di pareggiare con molte no- bili città di Italia, ordinò lo Sfor- za 1' erezione d' una rocca alla porta del Piano, ed altre fortifi- cazioni. Dopo aver difeso Francesco i fabrianesi dal celebre Nicolò Pic- cinino, ritornò a loro con Bianca Visconti sua moglie, e fu ricevuto principescamente, e con archi trion- fali. Non potendo lo Sforza difen- dere Fabriano dalle armi di Eu- genio IV, esso ritornò al dominio della Chiesa nel i444> godendone i pacifici effetti, e solo agitato da- gli avanzi dell'eresia de' fraticelli. Intanto, a cagione della pestilenza che infieriva nel i449 m Roma, il Pontefice Nicolò V, accompa- gnato da dieci Cardinali e da mol- ti prelati, a' 24 luglio si portò in Fabriano, ricevuto con somma ve- nerazione dalla repubblica, dal ve- scovo di Camerino suo pastore, e da tutto il clero con torcie accese, il quale processionalmente l'incontrò fino a s. Antonio. Cento fanciulli

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leggiadramente vestiti, con palme in mano precedettero il clero, ed imo recitò al Papa analoghi versi Ialini. Giunto Nicolò V a s. An- tonio, discese da cavallo, e ponti- ficalmente vestito, entrò nella chie- sa adornata dalla comunità super- bamente. Indi ricevuto sotto bal- dacchino di velluto paonazzo con fregi d'oro, passò sotto un arco trionfale alla porta Pisana, in cui erano dipinte l'opere del Papa con bellissime allegorie. Tutte le strade per ove passò erano coperte di panno bianco, e in diversi luoghi furono eretti altari riccamente de- corati; e per un altro arco trion- fale entrando nella piazza de'prio- ri, giunse a s. Venanzio, ove be- nedì il popolo, concedendogli mol- ti anni d' indulgenza, e prendendo alloggio nell' antico palazzo dei Chiavelli.

Nicolò V, siccome zelante del- l'apostolico ministero, volle estir- pare la setta de' fraticelli, e dodici pertinaci nell'errore furono puniti col fuoco, restando così liberata Fabriano da' loro pestiferi errori. Fu in questo tempo che Nicolò V fece la loggia di s. Fancesco, e le altre cose di cui facemmo disopra menzione. Margherita Nicolini figlia di Anselmo, e di già memorata, rese grande onore a Fabriano nel- la stazione di Nicolò V; dappoiché, essendo dottissima in lettere Iali- ne, ivi perorò con forbita orazione innanzi al Pontefice, mitigando il suo risentimento per l' eresia dei fraticelli sino allora esistente. La regalò di mille scudi, e 1' udì con piacere disputar più volte in filo- sofia col dottissimo Poggio. Risie- dendo Nicolò V in Fabriano, fece molti atti di sua pontificia autori- tà come Papa, e come sovrano,

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ciò che risulta dai diplomi e bolle che abbiamo colla data di Fabria- no, delle quali ne fa menzione il Novaes al tom. V, p. i£5 e seg. Ritornato a Roma per la celebra- zione dell'anno santo, a motivo della peste dovette ritornare nella Marca, ed a' 4 luglio di nuovo o- norò di sua presenza Fabriano, e colle medesime ossequiose distin- zioni fu accolto. Indi nel i456 venne edificato l' ospedale di s. Maria del buon Gesù; ma la pa- ce fu a Fabriano interrotta per la tirannica prepotenza di Guerriero, che la travagliò in ogni maniera, e meritò essere bandito due volte da Pio II, cui il popolo ricorse. Questo Papa, avendo nel 1464 stabilito porsi in Ancona alla testa della crociata contro i turchi , passò per Fabriano con religioso tripudio degli abitanti, che in ogni modo ne celebrarono l'avvenimen- to, giungendo ad Ancona a' 19 luglio.

Memorabile fu per Fabriano Te- poca del pontificato di Sisto IV, non solo per averla dichiarata cit- tà, ma per avere acquistato il sa- gro tesoro del corpo di s. Romual- do fondatore de' camaldolesi. A- vendolo due malvagi monaci, con molti argenti ed altre cose pre- ziose, portato nascostamente dal- l' abbazia di Val di Castro, ov' e- gli morì a' 19 giugno del 1027, eh' era posta sotto il castello del- la Porcarella, alla città di Jesi nel r 48 1 , fu nell' anno seguente a' 7 febbraio con molta pompa e solen- nità di tu Ito lo stato fabrianese, portato in Fabriano nella chiesa di s. Biagio de' medesimi camaldo- lesi. Intorno a questo va letto quanto si disse nel voi. VI, pag. 291 del Dizionario. Si narra inol-

FAB tre, che il sacco ove i sacrileghi monaci avevano poste le ossa del santo, mandasse fiamme, le quali discoprirono il l'urto, e che ripe- tendolo i camaldolesi dai jesini, il sagro corpo venne posto su di un carro tirato da giovenche che mai avevano provato il giogo, e lasciatesi in loro libertà si ferma- rono avanti la chiesa di s. Biagio, suonando miracolosamente le cam- pane della citlà, quando il carro entrò in Fabriano. Certo è che fatta causa tra i jesini, ed i fa- brianesi su tal preziosa reliquia, il Cardinal legato della Marca decise in favore de' secondi, lasciando a loro il corpo, e dando a'primi per memoria un braccio che tuttora venerano nella cattedrale.

Mentre Fabriano tranquillamente attendeva alle arti ed al traffico, a' 9.0 settembre i5iy fu crudelis- simamente saccheggiato da circa diecimila soldati dell' esercito di Massimiliano! re de' romani, per la maggior parte spagnuoli, i quali es- sendo all'impresa di Verona, era- no furibondi per essere stati licen- ziali in uno a Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, spo- gliato de' suoi stati da Leone X. Si racconta, che mentre le dette soldatesche danneggiavano la Mar- ca e l'Umbria, costrinsero il Papa a permetter loro il sacco di Fa- briano, o di Foligno, nel qual caso si sarebbero ritirale. Foligno si difese con guardie, ma Fabria- no inerme ne fu la viltima anche, al dir di alcuni, perchè Leone X non avea per esso premura* dap- poiché per sostenere i loro dirit- ti, non avevano accettato per go- vernatore perpetuo, e vicario del- la santa Sede il Cardinal Cibo ni- pote del Pontefice e da lui investi-

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to della terra. L' esercito nemico era comandato da d. Ugo Mon- cada vice-re di Napoli, e molti furono i fìibrianesi che restarono morti e feriti. Salvate furono le donne nella rocca e nei moniste- ri, ma le case furono interamente spogliate, in un al monte di pietà. In tarila desolazione la città spedì quattro oratori a Leone X, che pateticamente esposero le deplora- bili calamità che gravila vano sulla infelice patria. 11 Papa ne restò commosso, e fulminò la scomuni- ca a chi avesse acquistato cose appartenenti ai fabrianesi, ma po- chi ne fecero la restituzione ; indi le concesse la quarta parte delle taglie, benefìcio che durò poco più di un anno. Tra le conseguenze del disgraziato avvenimento, è da notarsi il di scaccia mento fatto per consiglio del vescovo di Camerino a' 9 novembre i5i8 delle mona- che di s. Tommaso, di s. Romual- do, e di s. Margherita, perchè vi- vevano poco osservanti. La comuni- tà non si occupò di loro, per cui raminghe erano per essere raccol- te nell'ospedale, quando Leone X impose al legato della Marca di far loro restituire i monisteri, e poscia vennero riformate dal Car- dinal Santiquattro.

Tra le altre disgrazie che pro- vò Fabriano, vanno noverate le discordie intestine, e il rancore che il popolo avea contro il magistrato, che lo avea lasciato indifeso all'av- vicinarsi degli spagnuoli, laonde se- guirono uccisioni e saccheggi. Cer- to Zubicco signoreggiò la pallia, e potè imporre al Cardinal legalo Armellini, e respingere l' escreilo della Chiesa, pel valore ed alla reputazione eh' erasi guadagna ir, Leone X preferì allo spargimene

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di sangue il chiamare in Roma il potente Zubieco, e Teobaldo capo di fazione. Sulle prime sem- brava tutto quietato, ma scuoprcn- dosi che il Zubieco meditava di sollevar la Marca, gli fu mozzata la testa sul ponte di Castel s. An- gelo.

Intanto i fabrianesi domandaro- no un governatore, che separata- mente li governasse, rivolgendosi perciò al Cardinal Giulio de' Me- dici, che fu poi Clemente VII. Il Papa condiscese alla inchiesta, e fece governatore il medesimo Car- dinale, e per luogotenente France- sco Chieregato vicentino, commissa- rio pontifìcio, con gran soddisfa- zione di tutti per l'esatta ammini- strazione che fu quindi resa della giustizia.

Nella sede vacante per Leone X, in Fabriano si rinnovarono tu- multi, poi puniti negli autori da Adriano VI ; ma la concordia e la pace generale si fece nel i5i^ regnando Clemente VII, dopo es- sere stata edificata una nuova roc- ca in forma di triangolo, poco lun- gi da quella fabbricata dallo Sfor- za, rimpetto al monte di Civita. Clemente VII, nel i528, confer- mò ai fabrianesi tuttociò che loro avea concesso nel i520 Leone X. Gli animi si quietarono, restando la città divisa nello spirito in due parli, una chiamata ecclesiastica, l'altra cliiavellesca per l'elezione de' ci vici magistrati. Nella sede va- cante di detto Papa, e ne' primor- di del pontificato di Paolo III, la pace fu interrotta dalle discordie suscitatesi fra la comunità, e i conti della Genga, per cui quel castello andò bruciato per opera de' fabria- nesi, cui seguì un fiero saccheggio, colla morte di due della famiglia

FAB de' conti della Genga. Paolo III ne fu irritato, e multò Fabriano di pagar alla camera apostolica sedici mila fiorini, e dodici mila ai conti pei danni sofferti ; altri dico- no che tale avvenimento costasse a Fabriano più di sessanta mila fiori ni. x Ma la solida pace tra la comunità ed i conti, si deve al- l'interposizione del nipote del Pa- pa, Pier Luigi Farnese duca di Parma, ch'essendo nato in Fabria- no, la chiamava sua patria, e le era affezionato. Paolo III non so- lo fu benemerito di Fabriano , per aver confermato ed ampliato i privilegi, ma per aver onorato nel i5/j.3 di sua presenza la città, in occasione ch'ei portossi a Bolo- gna, e poi a Busseto, tra Parma e Cremona, per abboccarsi con Carlo V, e pacificarlo con Fran- cesco I, come narra il Ferlone, de' viaggi de Pontefici, pag. 3 12. Sotto Giulio III il vescovo di Camerino, nel i554, rimosse da Fabriano i monaci silvestrini, che però a mezzo del Cardinal Crispi, protettore della congregazione, nel seguente anno furono reintegrati da Paolo IV. Lo Scevolini dice che Giulio III era inclinato a di- chiarar città Fabriano, onde sem- bra che la concessione di Sisto IV non sia vera. Si legge nel me- desimo storico, che il Cardinal di Ravenna fu ricevuto in Fabriano cogli onori degni d'un Papa, giac- che tra le altre cose gli fabbrica- rono quattro archi trionfali. Altri fatti memorabili non presenta la storia di Fabriano, godendo gli effetti del soave dominio della san- ta Sede , esercitato a mezzo di prelati, e poscia di governatori, e godendo altresì della protezione di un Cardinale. Patroni della città

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e diocesi sono i ss. Gio. Battista, Romualdo e Silvestro abbati , ed altri santi.

Clemente XII nel 1734 fece la strada consolare, chiamata per lui Clementina, che per Fabriano , e per Jesi conducesse per Nocera ad Ancona. All'epoca repubblicana del 1799, Fabriano, siccome attaccata al pontificio governo, non voleva sottomettersi a quello degl'invaso- ri, per cui soffrì molti guasti, e fu quindi saccheggiata, e in parte arsa dai francesi, che distrussero in tal modo interamente il palaz- zo Valleruani; indi fece parte del dipartimento del Musone, nella do- minazione dell' impero francese. Nell'anno poi 184.1, e nei giorni 18 e 19 settembre, il regnante Pontefice Gregorio XVI, nella vi- sita che fece di alcuni santuari del suo stato, onorando di sua presen- za Fabriano, pose il colmo alla religiosa consolazione dei fabria- nesi, il perchè qui ne riporteremo la breve descrizione di sua stazio- ne, accennando le principali dimo- strazioni tributategli dall'esultante popolo.

Partendo Gregorio XVI da Jesi la mattina de' 18 settembre per Fabriano, via facendo passò sotto archi di verdura, o padiglioni fatti in comune dai tripudiane e divoti abitanti di Monte Roberto, Castel Bellino, Majolati (beneficata patria del valente maestro di musica com- mendatore Gaspare Spontini), Mon- te Carotto, Castel del Piano, Ro- sola, Margo, e finalmente quello preparato a Serra San - Quirico, ov' erano riuniti il clero, la ma- gistratura, e la popolazione. Disce- so in questo luogo il santo Padre, venerò nella chiesa di s. Lucia la reliquia di una sagra spina che ivi

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si custodisce, e santificata dalla passione di Gesù Cristo, colman- do poscia di benedizioni tutti gli astanti. Presso Fabriano il comune di Albacina, fece ancor esso le sue dimostrazioni di festa per l'augu- sto passaggio. Dopo mezzogiorno, festeggiato per tutto, giunse il Pon- tefice a Fabriano. Presso la porta della città sorgeva un maestoso ar- co trionfale con iscrizioni di feli- citazione, e di fedele sudditanza. Era esso sovrastato dal pontifìcio stemma, non che decorato da bas- sorilievi a chiaro oscuro, da fame alate, da due candelabri , e dalle statue de' ss. Pietro e Paolo. Ivi permise il Papa che si traesse la sua carrozza da un drappello di giovani decentemente vestiti, di no- bile e civile condizione. Alla por- ta Pisana, ov' era stato eretto un decoroso padiglione, gli si presen- tarono con omaggio di rassegnazione e di rispetto, monsignor Domeni- co Savelli vigilantissimo delegalo della provincia di Macerata, Giu- seppe Gubbiani governatore della città , e il gonfaloniere Alessan- dro Altini colla magistratura che gli presentò le chiavi della mede- sima. Lungo il corso pendevano dall'uno all'altro lato della via a foggia di festoni molti ricchi drap- pi di vario colore con frangie di seta intrecciate d' oro. Altro arco più grande del precedente era sta- to eretto presso la piazza maggio- re, decorato dal pontificio stemma, sorretto da fame alate, ed avente nelle due parti dell' attico corri- spondenti iscrizioni. Nell'istessa piaz- za fu innalzala nel mezzo una gran- diosa colonna trionfale, invenzione, come degli altri monumenti, del fabrianese Tommaso Rossetti. Sette iscrizioni celebranti le virtù e le 18

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gesta del Pontefice , erano state collocate attorno la colonna , nei rettangoli della base, ed in mezzo; sotto stavano i geni delle quattro parti del globo, personificate in al- trettante statue; agli angoli poi del- la gradinata corrispondevano quat- tro statue, rappresentanti la for- tezza, la prudenza, la giustizia, e la sapienza, con analoghe iscrizio- ni; finalmente decorava la base del- la colonna l' arme pontificia tra due fame, e la gradinata aveva dei leoni per abbellimento. Altre allu- sive iscrizioni poi, erano nella fac- ciata esterna del palazzo governa- tivo ; in quella della chiesa de' ca- maldolesi, sopra la porta dell'ap- partamento del contiguo moniste- ro, che, come diremo, fu abitazio- ne del Papa; neh' interno del mo- nistero delle monache cassinesi di s. Margherita; sull'atrio dell'ora- torio comunale, ove fu raccolta una collezione di eccellenti dipinti fa- brianesi, per opera dei proprietari cittadini; sull'ingresso al famige- rato museo di avori Possenti; sul- la porta della cartiera Miliani ; sulla torre della comune in piaz- za ; e nella facciata del duomo. Tali iscrizioni, con una dedicato- ria del gonfaloniere, magistrati, e concittadini, a chi n'era glorioso argomento, colle incisioni della co- lonna, e dei due archi furono im- presse in un opuscolo e dispensate. Tra le più vive acclamazioni e sensi di pura gioia, il sommo Pon- tefice discese dalla carrozza alla chiesa di s. Biagio de' camaldolesi, ove venne debitamente ricevuto dal Cardinal d. Ambrogio Bianchi, già abbate di quelP attiguo monistero, ed allora, come al presente, abba- te generale della congregazione ca- maldolese, e da tutta la monasti-

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ca famiglia. Ivi pur Irovavasi mon- signor Francesco Faldi, zelante ve- scovo di Fabriano e Matelica, col capitolo della cattedrale. Dopo di avere orato, e ricevuto dal mede- simo monsignor vescovo la bene- dizione colla ss. Eucaristia prece- dentemente esposta, passò il Pon- tefice all'alloggio preparatogli, nel- l' annesso monistero, dagli antichi suoi correligiosi, come quegli che avea prima professata la regola del s. padre Romualdo, ed anche avea dimorato nel medesimo monistero, allorché essendo abbate camaldo- lese si portò due volte a Fabria- no per venerare le ceneri del san- to, alla cui chiesa, all'esaltazione al pontificato, donò i sagri para- menti che adoperava da Cardinale, oltre altre beneficenze. Anzi in questa circostanza avendo appreso che per aggrandire la piazza, ch'è dinanzi al monistero, occorse demo- lire un piccolo oratorio della con- fraternita del ss. Sagramento, som- ministrò una generosa somma in compenso al sodalizio, colla quale il medesimo ha un poco più. indie- tro edificato un bell'oratorio sul disegno del eh. Rossetti, sodalizio che dal medesimo Pontefice venne ulteriormente beneficato con per- petua dotazione. Nella seguente mattina Gregorio XVI calò a ce- lebrare la messa all'altare maggio- re della chiesa, assistito da due abbati camaldolesi, da alcuni mo- naci, e dagli individui di sua cor- te, e lasciò alla chiesa per dona- tivo il nobile paramento bianco ri- camato in oro, e il bel calice di argento, colla coppa e patena d'o- ro che avea adoperati nel sagrifi- zio; indi al medesimo altare ascol- tò la messa di monsignor Giusep- pe Arpi nobile fabrianese, suo pri-

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mo cappellano segreto e caudata- rio. Accompagnato poi dal suo de- coroso corteggio recossi il Papa al- la cattedrale, ov'era decorosamen- te esposto il ss. Sagramento, col quale die la triplice benedizione monsignor vescovo di Fabriano. Passando poscia nel contiguo epi- scopio, benedì solennemente i fa- brianesi e l' immenso popolo divo- ta mente accorso dai circostanti luo- ghi, che assordarono l'aria coi gridi di letizia di cui erano religiosamen- te penetrati. Asceso poscia in tro- no in una delle sale dell'episcopio, avendo a fianco il Cardinal Bian- chi, monsignor vescovo presentò al comun padre e sovrano il clero se- colare, e per il primo il capitolo della cattedrale, quello regolare, ed altre distinte persone. Essendo va- cante la prima dignità della cat- tedrale, ossia il priore, in quella circostanza il Pontefice ne investì il canonico penitenziere della me- desima d. Antonio Bracci, prò- vi- cario generale, siccome zelante, pio e dotto ecclesiastico ; e in pari tempo conferì il di lui canonicato ad altro rispettabile soggetto. Se- guito da monsignor vescovo , dal governatore e dalla magistratura, il santo Padre si portò ad orare nella chiesa di s. Benedetto de'mo- naci silvestrini, ove venne ricevu- to dal Cardinal Mario Mattei, be- nemerito protettore di quella con- gregazione, dal p. generale , e da tutta la religiosa famiglia, che pa- ternamente ammise ai bacio del piede. Uscito il Pontefice dalla chie- sa passò ad onorar la casa del conte Girolamo Possenti, dove am- mirò la tanto stimata collezione di lavori antichi in avorio, e si congratulò col benemerito conte , raccoglitore industre e intelligente

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de'medesimi, pel decoro che ne ri- sultava alla città , rimarcando il nobile e prezioso incremento di sii importante collezione e museo, da quando l'avea visitato allorché era abbate camaldolese. Fu allora che il conte Possenti, pieno di giubilo per l'onore singolare compartito- gli, e per le parole benignissime che a lui rivolse il supremo Ge- rarca, gli umiliò l'opuscolo che de- scrive il suo museo, di cui facem- mo superiormente menzione, con apposita dedica relativa alla lieta circostanza, e ne fece contempora- neamente dispensare al nobile di lui seguito. Essendo di detto opu- scolo autore il eh. Camillo Ramel- li, che colla coltura delle scienze onora la patria, così ebbe l'onori- fica soddisfazione di fare al Papa la descrizione erudita dei principali oggetti, che fermarono 1' attenzio- ne del Pontefice, siccome intelli- gente mecenate delle arti belle, che perciò esternò eziandio il suo com- piacimento al dotto illustratore del- la collezione di avori ( Il conte Gi- rolamo nell'agosto i843 morì, e nel num. 72 del Diario di Roma, si legge un' onorevole necrologia dettata dal concittadino monsignor Emidio Gentilucci). Dipoi si tras- ferì il Pontefice alla primaria car- tiera del Miliani, osservò il gran lavorio ivi attivato, lodò la perfe- zione cui è giunta, e cui va sem- pre più ad aumentare, ammise tutta la famiglia e lavoranti al ba- cio del piede, ed accettò un omag- gio d'ogni specie di carta che gli venne presentato. E qui noteremo, che Leone XII ad incoraggire utile e fiorente opificio, dall'estero e da Fabriano fece portare a Ro- ma campioni delle carte più bel- le, laonde si potè allora conoscere

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che la cartiera Miliani non teme- va verun confronto, e superava le estere cartiere nella qualità e gran- dezza della carta per imprimere i rami ; il perchè rendendo ciò noto al pubblico con articolo inserito nel Diario di Roma, premiò i tre fra- telli Miliani con altrettante meda- glie d'oro colla sua pontificia effi- gie, e con epigrafe incisa in lode dei premiati. Nelle ore pomeridia- ne sua Santità consolò di sua pre- senza i monisteri delle domenicane di s. Caterina, delle cassinesi di s. Margherita, delle benedettine di s. Luca, e delle cappuccine di s. Giuseppe. Nella sera , come nella precedente, nella città vi fu gene- rale illuminazione , distinguendosi particolarmente quella delle faccia- te degli archi eseguita a lampadi- ni colorati, ed ebbe pur luogo l'in- cendio di un vago fuoco artifizia- le. Finalmente dopo aver dispen- sato varie beneficenze, e divoti do- » ni, decorati della croce cavallere- sca di s. Gregorio il gonfaloniere, e Giuseppe Miliani, nella mattina seguente del 20 il Pontefice, as- sistito da due abbati camaldolesi , celebrò la inessa nel nobile sotter- raneo della chiesa , ove sono in gran venerazione le ceneri di s. Romualdo , e poscia compartendo ai fabrianesi di nuovo la benedi- zione apostolica, e rivolgendo parole benevoli e di pieno gradimento e soddisfazione a monsignor vescovo ed al magistrato, s'avviò alla volta di Gualdo Tadino, essendosi al- quanto fermato a Cancelli ed a Fossato per benedire il popolo che impaziente lo attendeva.

Della storia di Fabriano scrisse- ro i seguenti autori. L'Arsenio, nel- la Censura sopra la cattedra li di Fabriano j Giovanni Blavio ,

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Tliealrum civitatum et admirando- runi Italiae; Nintoma accadèmico disunito, Lettera sopra la batta- glia tra i romani, e i galli e san- niti nel contado Seminate, Vene- zia 1749- Sotto tal nome è na- scosto quello del fabrianese monsi- gnor Filippo Montani, del quale inoltre abbiamo : Seconda lettera sopra la battaglia tra Narsete ca- pitano di Giustiniano I imperato- re, e Totila re de' goti; e Terza lettera sopra il nome di Giano da un ramo dell'Esio, che passa per Fabriano, con annotazioni, Vene- zia 1754; e Quarta lettera postu- ma intorno alcune iscrizioni di Sen- tino, Tufico, ed Attidio, Jesi pel Bonelli 1775. Fr. Gio. Domenico Scevolini, Dell'istorie di Fabriano , colle annotazioni del Colucci, Fer- mo 1792; oltre gli altri autori succitati, e che da ultimo note- remo.

Fabriano restò nella diocesi di Camerino sino al pontificato di Be- nedetto XIII, senza distinzione, ma essendone vescovo Cosimo Sil- vio Torelli di Forlì sino dal 17 19, quel Pontefice avuti in considera- zione i tanti pregi che distingue- vano Fabriano, nel concistoro dei i5 novembre 1728, e coll'autori- della costituzione Notoriae situi, che si legge nel Bull. Iìom. tom. XII, pag. 332, diede il titolo di città a Fabriano, ed eresse in cat- tedrale la sua principale chiesa di s. Venanzio, e dichiaratala vesco- vato, la unì a quello medesimo di Camerino, per cui il nominato vescovo s' intitolò vescovo di Ca- merino e Fabriano. V. Bcncdictus XIII bulla super erectione insignis collegiatae s. Venantii in cathedra- leni, et terrae Fabriani in civìla- tem, Romae 1732, typ. R. C. A.;

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Franciscus Corazza, Restrictio farti, et juris cur?i summarìo prò capi- tulo, et ecclesia s. Venandì Fa- brianij contro, capitulum3 et eccle- siam cath. Camerini, ejusque co- muni totem, ac capitulum s. Nico- lai civitatis Fabriani, Romae typ. Mainateli ij3i; Sanctis Josephus Philippus, de Camerinen, et Fa- brianen , praetensae cathedralita- tis, 1732; Pacomio, Lettera istrut- tiva sopra la pretesa cattedralità di Fabriano al capitolo e magi- strato di Camerino; Aurelio Sa- nucci, Risposta sopra quanto ha scritto l'arciprete Pacomio in pro- posilo della cattedralità di Fabria- no, Roma 1732; Pacomio, Lettera di replica alla risposta di Aure- lio San ucci circa la pretesa catte- dralità di Fabriano. Si può anche consultare 1' Ughelli, Italia sacra s non che Octavius Turchius, De ecclesiae Camerinensis Pontificibus libri VI, praecedit de civit. et ec- cL Camerinensi dissertatio, Romae 1762. Cagione di fatte scrittu- re furono i camerinesi, che avendo in Camerino l'insigne collegiata di s. Venanzio loro patrono, la cui chiesa ora si sta magnificamente riedificando, con dispiacere videro eretta in cattedrale la chiesa che al medesimo santo era dedicata in Fabriano.

11 sommo Pontefice Pio VI, vo- lendo erigere nuovamente in sede vescovile Maidica (Fedi), e ad essa unirvi quella di Fabriano eretta da Benedetto XIII, e da lui unita a Ca- merino col carattere non di figlia, ma di eguale, udite prima le con- trarie rimostranze di monsig. Luigi Amici camerinese, vescovo di Ca- merino e Fabriano, e l'esatta rela- zione dello stato così civile che ec- clesiastico della città di Fabriano,

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fatta da monsignor Vinci arcivesco- vo di Berito, mandato colà in vi- sitatore apostolico, conobbe ch'era utilissimo alla salute spirituale del- le numerose popolazioni, lo smem- bramento di due città, che rimane- vano troppo lontane da Camerino, cioè Matelica e Fabriano, conti- nuando tuttavia ad essere la dio- cesi camerinese molto vasta. Nel- 1' esonerare Pio VI il vescovo di Camerino del governo pastorale di Matelica e Fabriano, conservò a quella mensa intatte le sue ren- dite, obbligando in vece la città di Matelica e Fabriano all' onesto e decoroso mantenimento del nuovo vescovo, ed incorporando alla men- sa diverse parrocchie camaldolesi dell'abbazia di Val di Castro. Quin- di, con bolla data a'7 luglio 1785, effettuò il ripristinamento del seggio vescovile di Matelica, 1' unì a quel- lo di Fabriano, staccandoli ambe- due da Camerino, e dichiarandoli immediatamente soggetti alla san- ta Sede. V . Sanctissimus in Chrì- sto Patris, et Domini nostri Pii divina providentia Papae sexli lit- terae apostolicae, quibus Fabria- nensis episcopatus a Camerinensis sejungitur, et Mathelicensis civitas in episcopalem reintegratur, et quate- nus opus sii de novo erigitur, eaque Fabrianensis ecclesiae aeque prin- cipe liter unilur, Romae 1785, ex typ. R. C. A. Nel concistoro poi de' 26 settembre 1785, Pio VI preconizzò per primo vescovo di Fabriano e Matelica, monsignor Nicola Zoppetti patrizio di Foli- gno, ex. provinciale degli eremita- ni di s. Agostino. A questi pro- gressivamente successero i monsi- gnori Gio. Francesco Cappelletti nobile di Rieti, fatto da Pio VII agli 1 1 agosto 1800; Domenico

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Buttaoni di Tolfa, nominato dal medesimo Papa a' 26 agosto 1806; Pietro Balducci forlivese , della congregazione della missione, trasla- to da Sarsina dallo stesso Pio VII, 3*27 settembre 1822; e l'odierno monsignor Francesco Faldi di Bolo- gna, fatto vescovo dal regnante Gre- gorio XVI nel concistoro de' 2 ot- tobre dell'anno 1837.

La chiesa cattedrale di Fabriano è dedicata a Dio, e in onore di s. Ve- nanzio martire, avendo tra le reli- quie il capo del b. Costanzo do- menicano fabrianese: ha il fonte battesimale, e la cura d'anime è affidata al parroco. Il capitolo si compone della dignità del priorato, di tredici canonici cui sono unite le prebende del teologo e del pe- nitenziere, nonché di otto cappella- ni, ed altri preti e chierici addetti all' uffiziatura. Oltre la cattedrale in Fabriano sonovi tre altre parroc- chie, tutte munite di battistero, una delle quali è la collegiata di s. Nicola. Inoltre vi sono sette con- venti e monisteri di monaci ed altri religiosi, compresi quelli di s. Silvestro sunnominato, e di Val- le Eremita; cinque monisteri di monache, comprese le maestre pie; Torfanatrofìo di donzelle, il con- servatorio delle esposte, l'ospedale pegli infermi, diverse confraternite, il monte di pietà, il mónte fru- mentario, e il seminario per am- bedue le diocesi. Ad ogni nuovo vescovo la mensa di Fabriano e Matelica è tassata ne' libri della cancelleria apostolica in fiorini duecento. Le due città hanno o- gnuna l'episcopio, per cui il ve- scovo risiede alternativamente, per l'ordinario, sei mesi per cadauna. FABRONI Cablo Agostino, Car- dinale. Carlo Agostino Fabroni ,

FAB nacque nel i65i in Pistoia da no- bilissima e chiara famiglia. Percorre nella patria i primi studi, li prosegui in Roma nel collegio romano, e li compì nella celebre università di Pi- sa, dove ottenne la laurea nelle civili e nelle ecclesiastiche discipline. In questa città fu ammesso più volte alla corte di Cosimo 111, grandu- ca di Toscana , il quale dovette ammirare nel Fabroni le più scelte doti di spirito, e non comune vi- vacità dell' ingegno. Si acquistò quindi l'affetto di quel principe , che adoperò tutti i mezzi per aver- lo seco in Toscana ; ma non aven- do potuto distorlo dal suo propo- sito di stabilirsi in Roma, conser- vò secolui nondimeno familiare car- teggio , scrivendogli quasi sempre di propria sua mano. Recatosi per- tanto nella capitale del cattolico mondo, sotto la protezione dei Car- dinali Jacopo e Felice Rospigliosi , suoi concittadini e parenti , si con- ciliò la benevolenza di tutti gì' il- lustri personaggi e specialmente del Cardinale Gianfrancesco Albani, che fu poi Clemente XI; i quali in molte letterarie adunanze, e in par- ticolare in quelle che tenevansi nel collegio di propaganda, ebbero a co- noscere il di lui sapere molto profon- do e maturo. Fu incaricato dall'arci- vescovo di Napoli , il Cardinale Cantelmo, di assumere le sue di- fese contro i regi ufficiali, che gli contrastavano alcuni punti sulla episcopale giurisdizione, e tal affa- re così felicemente condusse a fine che Innocenzo XII , prevenutone dalla fama, lo promosse alla cari- ca di segretario de' memoriali. In quest'ufficio fece risplendere le bel- le qualità che adornavano l'animo di lui, sempre attento ad onorare ed esaltare le virtù degli altri , ed

FA13 occultare i propri suoi meriti. As- sai egli infatti si adoperò per l'e- saltamento degli onorati soggetti ; ma quando trattavasi della gloria propria, non permise mai che al- cuno facesse una sola parola a suo favore. Ad onta di tanta virtù , chi '1 crederebbe ? si attirò le sa- tire de' maligni ed invidiosi super- bi, e non poca agitazione dovette sostenere quell' animo ben avventu- rato, che riuscì peraltro sempre vit- torioso delle petulanti maldicenze ini miche. Col pretesto di onorevo- le promozione, lo si fece passare, nel 1695, all'ufficio di segretario di propaganda, allora impiego dif- ficile assai pel decadimento nella economia, accaduto per le turbo- lenze di Pietro Codde, vicario apo- stolico nelle missioni di Olanda. Il Fabroni però così bene seppe de- ludere le insidie degli avversari suoi, che non solo ridusse al ter- mine la causa di quel perturbato- re, ma ottenne ben anco dal Pa- pa un dono di centomila scudi , colla qual somma rimise l' equili- brio negli affari sbilanciati di quel- la congregazione. Clemente XI, pe- netrato vivamente del merito rea- le di lui, volle ricompensarlo, ascri- vendolo al sacro collegio. Siccome però non avea ricco patrimonio, il Cardinale Sperelli gli presentò la rinunzia di una ricca abbazia, co- sa che il Papa non volle permet- tere. Disposte però le cose diver- samente, a' 17 maggio 1706 lo creò prete Cardinale di s. Agosti- no, e poscia lo nominò prefetto del- la congregazione dell'indice, e mem- bro della congregazione del s. offi- zio, dei vescovi e regolari, di propa- ganda, de' riti, e protettore de'ca- nonici lateranensi e de' monaci di Vallombrosa. Ebbe gran parte uel-

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la costituzione Vnigenilus , in cui si studiò che fossero esposte nel modo il più chiaro le insidie del perverso Quesnello. Fu destinato ancora a trattare gli affari col sig. d'Amelot, spedito a Roma da Lui- gi XIV, il quale tornato in Fran- cia, non cessava di fare magnifici elogi del Cardinale Fabroni. Oltre di tuttociò , venne impiegato in molti diversi affari della Chiesa , come apparisce da parecchi bigliet- ti, scritti di mano propria del Pa- pa, e conservati dall'abbate Alfon- so Fabroni di lui nipote ed ere- de; ne' quali fu sempre costante la sua saggezza , nonché l'ottimo disinteresse. Cultore delle scienze, e protettore degli studiosi , lasciò alla patria la sua biblioteca ben numerosa e scelta, per la quale fe- ce erigere una bellissima sala, e destinò una parte delle annue sue rendite. La maggior quantità però delle sue facoltà , impiegò nelle opere pie, tra le quali il perpetuo mantenimento di due chierici nel seminario di Pistoia. Una vita cosi utile alla Chiesa e allo stato con universale dolore fu tolta in Ro- ma l'anno 1727; e le spoglie mor- tali consegnate furono ad una tom- ba dinanzi l' aitar maggiore nella chiesa di s. Agostino, dove si leg- ge a perpetua memoria la più lo- devole iscrizione. L' orazione fune- bre in lode di questo Cardinale fu stampata a Firenze nel 1729.

FACCHINETTI Giannantonio. V. Innocenzo IX Papa.

FACCHINETTI Antonio, Car- dinale. Antonio Facchinetti della Noce, de' marchesi di Vianino, pa- trizio bolognese, e dal canto ma- terno pronipote d'Innocenzo IX, nacque nel iSj^. Non tardò a spiegarsi nel giovanetto un' indole

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la più soave, un' illibatezza di co- stume, e una prudenza maggiore assai dell'età, per cui molte cose si dovettero sino da' più teneri an- ni predire di lui. Nell'età di anni dieciotto dal medesimo Innocenzo IX a* 18 dicembre i5()i fu creato diacono Cardinale de'Santiquattro, ed ascritto alle primarie congregazio- ni. Nelle sedute che si tengono in queste, fece ammirare la sua sag- gezza e dottrina, di modo che più volte se ne destò la meraviglia co- mune. Ma un' immatura morte recise il filo di tante speranze che sopra di lui fondava la Chiesa, e il orna nel 1606 dovette piagne- re la sua perdila. Due giorni pri- ma della sua morte scrisse una lettera assai commovente alla ma- dre ; e il prima di morire in- torno a raccolti i domestici suoi, tenne loro fervoroso sermone, esor- tandoli all'esercizio delle cristiane virtù. Lasciò la suppellettile della sua cappella alla diaconia da lui posseduta. Le spoglie mortali fu- rono deposte nella chiesa di s. Ma- ria della Scala.

FACCHINETTI Cesare, Cardi- nale. Cesare Facchinetti bolognese, nipote del Cardinale Antonio, e pro- nipote di Innocenzo IX, ebbe i na- tali nel 1608. In età di ventiquat- tro anni recatosi in Roma , inco- minciò subito la carriera degli ono- ri, che sostenne sin dal principio con massimo decoro e virtù. Ur- bano VIII, allora regnante, cono- sciutone il di lui beli' ingegno e l'ottimo cuore, lo nominò segreta- rio della congregazione de' vescovi e regolari. In quest' impiego con tale saggezza pose fine a parecchie dillcrenze, insorte in qualche reli- giosa comunità, che molte cause venivano dalla congregazione ri-

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messe al solo suo arbitrio. Fu po- scia annoverato tra i prelati del buon governo, ed ebbe non poche importanti incombenze, tra le qua li quella che in dataria si appella il Conccssum. Col carattere di nun- zio straordinario si trasferì alla corte di Madrid presso Filippo IV, per trattare la lega de' principi cristiani contro i turchi. In appres- so poi fu confermato in quella de- stinazione, come nunzio ordinario, nel qual officio sostenne con fortis- sima intrepidezza i diritti della santa Sede. Circa tre anni dacché fungea quell'offizio, fu chiamalo in Roma, e dopo un anno da Urba- no Vili a' i3 luglio i643, ascritto al sacro collegio col titolo de' Santi- quattro. Nel i645, venne eletto a vescovo di Sinigaglia, dalla qual se- de, nel i655, fu trasferito al ve- scovato di Spoleti. Quivi accrebbe le rendite del seminario e contri- buì considerabili somme pel ristau- ro della cattedrale, che arricchì di sacre suppellettili. In questa chiesa accolse con ecclesiastica pompa la re- gina di Svezia Cristina, che recavasi in Roma. Egualmente aveva amplia- to ed arricchito la cattedrale di Si- nigaglia, alla quale vi aggiunse la tribuna. Siccome sagacissimo vesco- vo, usava gran diligenza nella scelta de' parrochi, e nessuno ammette- va alla cura, quando non lo avesse prima esaminato severamente nel- la scienza e ne' costumi. Era ele- mosiniere per modo che si acqui- stò il bel titolo di padre de po- veri. Dolce assai di maniere, affa- bile con ogni qualità di persone, protettore degli studiosi, cultore delle scienze, rigido osservatore del- la giustizia, venia insieme amato da ciascheduno e temuto da' ma- levoli. Dopo la morte del Cardi-

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nal Barberini , sostenne provviso- riamente il carico di vice-cancellie- re della S. R. C, e dimesso il primo titolo, ebbe, nel 1G80, il vescovato di Ostia e Velletri, divenendo anco- ra decano del sacro collegio. Tre anni dopo morì in Roma, ed ebbe sepolcro nella cappella di s. Tere- sa in s. Maria della Scaia. Era stato egli presente a cinque con- clavi, e più d'una volta avea avuti parecchi voti per la cattedra pon- tificia.

FACOLTÀ' ( Facultas). In ter- mine di scuola, si dice dei membri di una università, divisi secondo le diverse arti o scienze che ivi in- segnano. Sonovi diverse facoltà det- te facoltà delle arti liberali,, che comprendono la umanità e la fi- losofìa, quelle di medicina, di giu- risprudenza, di teologia ec. V. Dot- tore ed Università'.

FACUSA. Città vescovile della prima Augustamnica, sotto il pa- triarcato di Alessandria, che altri chiamano con più nomi, cioè Pha~ cusa, o Phacussa dai greci, e Tall- Faqous o semplicemente Faqous dagli arabi. Commanville la dice eretta nel quarto secolo, e sottopo- sta alla metropoli di Pelusio, seu Belbais o Damietla. Tolomeo rac- conta che Facusa fu città capitale di un Nomo, ossia prefettura del- l' Arabia, che al dire dei geografi appellavasi Tarabia. Questa città era situata sulla riva orientale del ramo più considerabile del Nilo, dello pelusiaco ; e le sue rovine sono vicino a B ubaste* Di Mosè suo vescovo , ne fa menzione Melezio.

FAENZA (Faventin). Città con residenza vescovile degli stali pon- tificii, nella legazione apostolica di Ravenna, e in quella parte d'Italia oggidì chiamala Romagna, e in

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antico Gallia Togata, indi Flaminia, e poscia Emilia. Questa nobile ed antica città è attraversata dalla via Emilia, così detta perchè Marco Emilio Lepido, continuò la strada Flaminia, che da Roma conduceva a Rimini, sino a Piacenza. È po- sta in fiorente pianura bagnata dal fiume Amone, che volgarmente ap- pellasi Lamone, e da Plinio è deno- minato Alleino, e nelle antiche scrit- ture Amo, perchè in molti luoghi della terra erano templi sacri a Giove Ammone, uno de' quali era dappresso a Brisighella. Dai gioghi dell' Apennino deriva tal fiume, il quale decorrendo a levante della città, quasi ne bagna da quel la- to le mura, e la separa dal borgo di Urbecco mediante un bel ponte antichissimo di marmo, ch'era sor- retto da tre grandi archi, sopra de' quali si elevavano due massic- cie ed alfe torri merlate, che per la loro costruzione indicavano la rozzezza de' tempi in cui vennero edificate. Questo ponte, ritenuto già uno de' più importanti monu- menti di Faenza, e che dava co- municazione alla città col borgo, cadde fatalmente a' i4 settembre 1842, a cagione delle alluvioni, che ingrossando i torrenti i quali uni- scono le loro acque a quelle del Lamone, con impeto il rovescia- rono, e rompendo gli argini in- nondarono le campagne, recando immensi danni, anche in qualche parte della città, ove le sue acque penetrarono, per non poter il fiu- me, per ristraordinaria piena, aver il consueto regolar corso sino al- l'Adriatico, ove mette foce. L'im- magine della B. V. Annunziata ch'era affissa nella detta torre, pro- digiosamente si salvò. Ora venera- si in una cappella del duomo.

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A'tempi di Costantino imperato- ri*, in vece del caduto ponte altro ne sorgeva ad un solo arco, di mi- rabile lavoro, e degno di quel l'e- poca. Per molti secoli si ammirò quella colonna che i grati faentini aveano ivi eretta a memoria del- l'edilizio, e di quel pio, ed anco per loro magnanimo principe. Dal Lamone si partono le acque del ca- nale Zanetti^ che agevola le comu- nicazioni mercantili col Po di Pri- maro. Va qui notato che la città di Faenza nel secolo XIV godeva il beneficio della navigazione, e di un porto, ed è perciò che i faen- tini nel declinar del secolo XVII, persuasi dei vantaggi che sareb- bero derivati alla patria rinnovan- do l'antico commercio per un ca- nale navigabile, non dubitarono di affidarne il progetto al valente ma- tematico Pietro Maria Cavina, il quale colle slampe del Zarafagli, nel 1682, pubblicò in Faenza l'o- puscolo intitolato: Commercio dei due mari Adriatico e Mediterra- neo per la più breve e spedita stra- da dell'Italia occidentale 3 conside- rato neW antichissima strada per V Apennino, e sopra il pensiero di un nuovo canale navigabile da Faenza all'Adriatico. Ma a cagio- ne delle circostanze de' tempi, la città non fu in grado di mandare ad effetto utile ed ingegnoso pro- getto. Negli ultimi anni del seco- lo seguente il conte Scipione Za- nelli, non potendo persuadere ne il governo, il civico magistrato, che il suo analogo progetto presentava facile riuscita, ed era migliore del primo, deliberò di assumerne da se l'impresa, che portò a compi- mento sotto gli auspicii del Pon- tefice Pio VI, a cui era in paren- tela come cugino. 11 sovrano fa-

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vorc appianò gli ostacoli, laonde col benefico aiuto del magistrato, fece il canale che dal suo cogno- me è chiamato Zanetti, lungo ot- to leghe, fornito di ponti, di mu- lini, di barche da trasporto, di magazzini, e d* una darsena vicino alla città. Lungo le rive sonvi ver- deggianti pioppi , e maceratoi di canape e di lino, il quale è molto stimato.

E qui noteremo , che Faenza abbonda di tutte le rurali produ- zioni, e feracissime sono le sue vi- ti, per cui gli antichi stemmi del- la città, erano adorni di foglie di viti. Nel secolo XIII, e prima che Faenza sostenesse il micidiale asse- dio di Federico II, la città com- prendevasi nello spazio di cinque e più miglia, e in modo che il fos- sato che al presente la cinge alia distanza d'un miglio, e che appel- lasi la Cerchia , mostra essere ciò che rimane dell'antico recinto de' molti e importanti borghi che sor- gevano in que' giorni, come si ve- dono i luoghi ov' erano le porte della città. Ma Federico II impera- tore fatte atterrare le borgate e i diversi bastioni, ne diminuì così la forza e l'ampiezza. Se non che giun- ti dappoi i Manfredi a signoreg- giare la città e il territorio., ne ri- fecero la muraglia con fortificazio- ni, e fu circoscritta entro il re- cinto di quasi tre miglia. La stra- da chiamata il Corso è spaziosa e rettilinea, qualità che risaltano pu- re nelle altre strade principali. A cagione delle guerresche devasta- zioni, non vi sono in Faenza avan- zi di edifizi anteriori alla gotica dominazione ; sebbene negli scavi si rinvenissero colonne, statue, la- pidi con romane epigrafi, da cui si congettura che l' odierna città

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sia nata dalle rovine dell' antica. Faenza è decorata di parecchi edi- lìzi leggiadri e magnifici; facendo mostra d'anfiteatro la piazza mag- giore, pel duplice loggiato ch'e- stendesi da ambo i lati. In una delle loggie superiori, ove pur fu- rono le pubbliche scuole, vi fecero residenza i podestà di Faenza, ed era vi contiguo l'antico teatro, cui presiedeva l' accademia de' Remoti. Ivi pur sorgeva un'alta torre, che per decreto magistrale fu demo- lita nel 1776, esistendo altra tor- re, ad altro angolo della piazza, più sontuosa, sulla quale nel i6i5 fu collocata l'immagine della Bea- ta Vergine di marmo bianco e ben lavorata. Il palazzo della comune è ampio e magnifico, ed ivi at- tualmente risiedono il governatore e il magistrato della città, coi loro uffizi e dipendenti. In questo pa- lazzo, già abitazione dei potenti Manfredi , si ammirano leggiadri dipinti a fresco, anche recenti. Mol- ti e vasti appartamenti, due ampie sale, e gallerie decorano l'edifizio. Da una di queste gallerie si passa al nuovo teatro , opera pregevole dei cav. Pistocchi, architetto faenti- no, che il compi nel 1788; essen- do encomiato per la struttura che per gli eleganti abbellimenti che lo nobilitano. Raro e vago or- namento della medesima piazza maggiore, è la fontana che sta da un lato, circondata di cancelli, de- corata da tre grandi leoni, simbo- lo del civico stemma, nonché da varie aquile e draghi di bronzo che ricordano quello di Paolo V sotto del quale la fontana fu ter- minata. Dalle bocche ed altre par- ti del corpo degli animali zampil- la l'acqua, che insieme agli altri gettiti cade neh" ampio sottoposto

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lavacro di marmo. Ne fu architet- to il p. Paganelli domenicano, ed illustre faentino. Carlo Cesare Sca- letta celebrò i singolari pregi di questo fonte, coll'opuscolo intito- lato: Il fonte pubblico di Faenza, e la descrizione ogni sua parte, col modo di mantenere e di rego- lare le acque, aggiuntavi un ap- pendice che serve di scuola agli architetti per comporre simili fab- briche, Faenza 17 19, per GiosefFo Antonio Archi.

Sugli avanzi dell' antica rocca, già dai vicari della santa Sede innalzala a valido propugnacolo del- la città, il faentino monsignor Can- toni, vescovo della città, eresse il pubblico e grandioso ospedale, con- tribuendovi eziandio altri ospedali e pii stabilimenti. Avvi inoltre l'o- spedale de'proietti, l'ospizio pei po- veri fanciulli, l'orfanotrofio pei ma- schi, ed altri lodevoli pii luoghi. Cospicua è la pubblica biblioteca, ora esistente entro il novello pur pubblico ginnasio , ed il fiorente seminario venne fondato dal vesco- vo de Grassi nel 1077, e perciò uno de' primi istituiti dopo il con- cilio di Trento. Nel ginnasio è col- locata una serie di pregevoli pit- ture, prima esistenti nella pinaco- teca del liceo. Copioso è il nume- ro delle belle chiese, che formano il principale ornamento di Faenza, delle quali ci limiteremo ad un cenno delle primarie, mentre è no- to che nel secolo XVII, settanta- due erano i sagri templi. La cat- tedrale, ossia il duomo, fu inco- minciata nel 147 3 dal vescovo Fe- derico, figlio di Astorgio Manfredi signore di Faenza , compiendola Galeotto suo fratello: vuoisi archi- tettata da Bramante Lazzeri, con tre navate grandi, come grande n'è la

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cupola. Venti sono le cappelle la- terali, oltre l'altare maggiore. Tra i tanti suoi pregi e decorazioni, sono a nominarsi i marmi, le co- lonne, i dipinti ec. , mentre tra le cappelle merita special menzione quella elegante di Maria Vergine delle Grazie, speciale protettrice de'faentini, i quali sempre a lei ri- corsero con prodigiosi successi. Des- sa fu coronata alla presenza del Cardinal Cennini vescovo di Faenza nel 1 63 1 , ed i pubblici rappre- sentanti gli offrirono le chiavi del- la città per averla liberata dalla peste, ciò che avea fatto prima, e fece anche dopo; sperimentando per simile flagello, come pel terremoto, il suo patrocinio anche altre cit- tà. Prima la sagra immagine si venerava nella chiesa de' domeni- cani, donde liei 1760 fu traspor- tata nella cattedrale. Va qui no- tato, che sopra la porta della cit- tà a dimostrazione di gratitudine, fu, anni sono, posta in plastica l'effi- gie in grande dell'istessa Beata Ver- gine delle Grazie per cura del ma- gistrato comunale, e ciò per la pre- servazione del cholera.

Inoltre avvi nella cattedrale la cappella di s. Pier Damiano, o- norevolissimo monumento. Orna- ta essa è di buoni stucchi e buo- ni dipinti. L'urna di marmo fino, dove sono gli avanzi del santo dot- tore, è di bel lavoro, e se ne de- ve lode al reverendissimo capitolo, ed al vescovo Stefano Bonsignore, che concorsero nella spesa; grande è la divozione de'faentini, verso di gran santo. Questa chiesa di- venne cattedrale, dopo che Luit- prando re de' longobardi rovinò la città ; e da ultimo coi tipi del Mon- tanari e Marabini, nel i838, in Faenza il dotto can. della medesi-

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ma d. Andrea Strocchi faentino pubblicò le eruditissime Memorie isloriche del duomo di Faenza, e de personaggi illustri quel capi- tolo, corredate di XIV tavole in- cise, il tutto con isplendida edizio- ne. Ma il primo tempio cattolico di Faenza si è la chiesa di s. Ma- ria vecchia o ad Nives, chiamata già foris Portam, perchè esisteva fuori dei sobborghi, e che avanti la detta rovina, e innanzi l'anno j /\o, serviva di cattedrale. Succes- sivamente 1' ebbero in custodia i benedettini neri, i monaci dell'A- vellana, e i cisterciensi. Abitano al presente l'attiguo monastero le don- zelle esposte: pia istituzione che ri- sale all'anno i43o circa. Delle al- tre chiese, delle parrocchiali, di quel- le pertinenti a vari istituti religio- si d' ambo i sessi, come di quelle di juspatronato, ne fa la descri- zione il eh. Bartolommeo Righi faentino, nel voi. I, pag. 23 e seg. de'suoi importanti e applauditi an- nali della città Faenza, e qui- vi pubblicati nel 1840. Del con- vento e chiesa di s. Girolamo dei pp. osservanti ne tratta il p. Fla- minio da Parma nel tom. Ili del- le sue Mem. storielle ; del moni- stero e chiesa di s. Maglorio ve- scovo scozzese, delle monache ca- maldolesi, ch'ebbero ivi origine nel 1 3 1 7 dalla cella del b. Lorenzo camaldolese, abbiamo da Giovanni Grilli 1' Origine delle monac/ie ca- maldolesi di s. Maglorio di Faen- za succintamente esposta, Faenza 1747, pel Maranti; e da Giacomo Laderchi abbiamo V Inventario del- le reliquie e reliquiari di s. Lucia di Faenza dell'ordine cistcrciense, Faenza 1733, per l'Archi.

Tra gli opificii di Faenza pri- mieramente va fatta distinta men-

FAE zione delle manifatture e fabbri- cazione delle stoviglie di maiolica ad imitazione delle porcellane, che qui ebbe principio, e dilatatasi poi nella Francia e nell' Inghilterra portò seco il nome di Fayence derivatole da questa città : nome che danno gli esteri ai vasi di quella foggia lavorati; e comunque dall'odierno raffinamento sieno es- si migliorati notabilmente, ninno può toglierne a Faenza il pregio dell'invenzione. Osserva il lodato Righi, che forse alle ottime con- dizioni di cotale manifattura ha cospirato grandemente una qualità di terra, che nel faentino territo- rio si trova in gran copia, ed è mirabilmente idonea a venire ma- neggiata, e a ricevere qualsivoglia forma e impronta. Comunque legge- rissima essa diviene di tanta soli- dità che regge costantemente al fuoco e a' bollenti umori. Aggiun- ge poi che gli scolari di Raffaello non isdegnarono di dipingere so- pra vari pezzi della faentina maio- lica, di guisa che invalse l'opinio- ne, benché fallace, che Raffaello stesso vi dipingesse; opinione pur bastevole a far che tali dipinti vasi si guardino tuttavia del pari alle più mirabili pitture in alcune gallerie. Il Cavina porta opinione che nel secolo XI "V fiorissero e- sperti maestri di maiolica in Faen- za ; e le recenti manifatture hanno aumentato V antico suo lustro, tan- to nelle stampe, che nel disegno, dipinture e dorature. Va pure ri- cordato l'ingegnoso filatoio, inven- tato nel i559 da Paolo Ponteghi- no, cui certi negozianti francesi domiciliali in Faenza, nel 1670 ri- dussero al più alto grado di perfe- zione. E pregiala la cartiera eretta nel 1687, per ^a carta cne v' s' 'av0'

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ra, la quale ha il credito di una delle migliori. Le arti e l'indu- stria vi fioriscono, forse più del- le altre città di Piomagna. Vi ab- bondano eccellenti ebanisti ed in- tarsiatoli, massime l'officina di cer- to Mingozzi, in cui s'imitano i pregiati lavori antichi in legni co- lorati e in pietre dure; e bravi carrozzieri, tra' quali hanno acqui- stato speciale rinomanza i fratelli Casalini, che non lasciano invidia- re alla patria e allo stato ponti- ficio le carrozze di Milano, di Parigi e di Londra. Faenza gode aria salubre, ed ha fecondo terri- torio; né manca di acque termali. A quattro miglia della città sca- turiscono quelle dette di s. Cristo- foro, delle quali abbiamo da Blan- chelli Menghi, De baltico s. Chri- stoforì Faventiae. Extat inler scriptor. de balneis3 etc. Venetiis i553. Inoltre venne dimostrala la salutifera virtù di tali acque dal dottore Corsieri con opuscolo stampato nel 1761. Alla stessa distanza della città nel 1819 s* discoprirono sorgenti d'acque mi- nerali, che tengonsi più efficaci che quelle di Rio-lo-Secco. Si rin- vengono in alcuni strati di ter- ra diversi minerali , pietre , ec. V. V opuscolo di scelta erudizio- ne di Pietro Maria Cavina : Faveti- iia anti qui ssìma regio rediviva co- uatu hislorico-geographico, Faven- tiae 1670, ex calcografia Josephi Zanofallii, con figure. Qui notere- mo che ad un Giorgio Zara fagli riminese si attribuisce l' introduzio- ne della stampa in Faenza, cioè al i623; ma è a sapersi, che ivi un secolo prima l'avea introdotta il cremonese Gio. Maria de' Simo- netti, che vi durò a stampare pa- recchi anni. Inoltre la descrizione

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(Iella citlà di Faenza fu stampata ìiell' Itinerario italiano nel i8o5, pregiato lavoro del eh. faentino eonte Francesco Ginnasi.

La città di Faenza stese un tempo i suoi domimi fino alle Al- pi , signoreggiando da quel lato Brisighella, Modigliana, Marradi, eia città d'Imola. Al piano do- minava Lugo, Cotignola, Bagna- ea vallo, Solarolo, e Russi , oltre parecchi castelli, e munite torri, che ne' diversi luoghi del territorio sorgevano. Forlimpopoli e Meldola erano anch'esse soggette per mol- ti rispetti a Faenza, in quanto che erano tenute a ricevere un citta- dino di Faenza per loro podestà; al che eziandio Forlì ebbe ad accon- sentire. Cervia venne pure aggre- gata alla signoria di Faenza, quan- do quei cittadini abbisognavano di aiuto contro i ravennati; i quali dai faentini furono sconfitti, ed in- seguiti sin dentro Ravenna, e al luogo detto allora Pai Chiavato, che dovettero soggettare alla giu- risdizione spirituale del vescovo di Faenza, oltre lo smantellamento di parecchie castella. Combattendo Carlo Magno il re Desiderio rin- chiuso in Pavia, Faenza mandò al primo poderose forze. Quando i generosi lombardi formarono la rinomata confederazione contro Fe- derico I imperatore, Faenza fu la sola città di Romagna che entras- se in pericolosa impresa. Deg- gionsi pure rammentare gli eletti giovani affidati da Faenza al zelan- te vescovo Giovanni, per la cro- ciata di Palestina. Confederata ai bolognesi diede essa validi soccor- si, ed essendo seco loro in guerre, due volte li pose in fuga. Tre memorabili assedii intrepidamente sostenne, cioè nel ii85, e nel

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ia4» dagli imperiali, e nel i5oo dal famoso duca del Valentinois. 11 Garampij nelle Memorie istori- che, p. 3, enumerando i fuochi delle principali città di Romagna, dopo Rimini, la preferenza a Faenza, che ne avea più di Ra- venna, Forlì, e Cesena. Che Faen- za avesse la zecca, lo si ha da Gui- do Zanetti, Delle zecche d'Italia t. II, dalla quale opera fu estra- to l'opuscolo intitolato: Delle mo- nete di Faenza dissertazione, Bo- logna 1777. Quando Astorgio IH Manfredi, a persuasione del beato Bernardino da Feltre istituì a sol- lievo degli indigenti il sagro mon- te di pietà per le gratuite pre- stanze di denaro, per memoria fu in Faenza coniata una moneta di argento del valore di paoli due circa, coli' effìgie di Astorgio III da una parte, e dall' altra l' inse- gna della cristiana pietà.

In quanto ai dominatori della città di Faenza, vuoisi che gli at- tici ne fossero i primi reggitori, e che il governo sentisse del po- polare come quello de' greci. Suc- cessi a quelli gli etruschi, è pro- babile che toscano ne fosse il go- vernamento; e caduta Faenza al- la signoria de' galli, indi migliorò la sua sorte, divenendo municipio romano. Nei diversi 'avvenimenti della repubblica, Faenza talvolta seguì le parti degli ambiziosi, che meditavano impadronirsi del pote- re, poiché fu seguace di Pompeo. Dopo la distruzione dell' impero occidentale, e lo smembramento della potenza greca in Italia, pas- sò Faenza sotto il paterno regime pontifìcio con proprie leggi, e pel- le circostanze eie' tempi divenne poi preda di alcuni dominatori. Lo fu temporaneamente d'un Mainar-

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rio Pagana da Sussenana nel i3oo, e dal 1 3 1 3 sino ai primi del i5oo fu soggetta alla potenza dei Man- fredi, finche, dopo la breve usur- pazione di Cesare Borgia ed oc- cupazione de' veneti , nel 1 5 io tornò al pieno dominio della santa Sede. Vario fu il reggimento civico di Faenza, ed a seconda delle suddet- te dominazioni. Quando reggevasi a popolo, la suprema potestà era nelle mani de' consoli ; poscia dei podestà ch'erano cittadini di altre città, ivi chiamati a fungere l'uf- fizio di rettori. Venne pure retta dai capitani del popolo, che ordi- nariamente venivano eletti fra i principali cittadini ; ma dessi abu- sando del potere divennero assolu- ti dominatori. Dal i5oo in poi, facendo intera parte del governo pontificio, fu sottoposta ai Cardina- li legati di Romagna, tranne il bre- ve periodo della repubblica cisal- pina, e quello del regno italico. Ora è dipendente dalla legazione apostolica di Ravenna, e governata da un pontificio governatore. Nel distretto di Faenza sono compresi i governi di Brisighella, e di Rus- si. Nel proprio governo poi si nu- merano quaranta casali. Brisighel- la, già rinomato castello, è oggi un importante borgo nella valle del Lamone, e presso la riva sinistra di questo fiume. Risale la sua ori- gine all'anno goo dalle rovine del castello di Beccagnano, ed ingran- dita fu quindi nel 1277 dal Pa- gano. Gli uomini de' dintorni nei bassi tempi furono prodi guerrieri ed eccellenti condottieri di eserciti. Fiorirono anche uomini per digni- tà ecclesiastiche preclari, come i Cardinali Galantina Agostino (Ve- di), e Spada Bernardino ( Vedi). A tal onore era vicino il rispetta*

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bile monsig. Domenico Cattani, as- sessore della sagra romana ed uni- versale inquisizione, se la morte in patria non troncava i suoi preziosi giorni. Le sue preclare virtù meri- tarono di essere lodate coli' Elo- gio stampato pel Conti in Faenza nel i838, e dedicato dai fratelli dell' illustre defunto all' odierno monsignor vescovo, che ne fu l'a- morevole scrittore. Le vecchie mu- ra di Brisighella attestano la sua antica fortezza; ma nel i5oo, l'op- posizione che fece alle armi di Giu- lio II, le produsse molti guasti. Vi è la collegiata di san Miche- le arcangelo, e la chiesa di san Giovanni Battista va rammenta- ta , insieme a quella de' mino- ri osservanti. Nel governo di Bri- sighella evvi il villaggio Fognano sulla riva del Lamone, presso il toscano confine, in cui fiorisce in bellissimo fabbricato l' educandato delle fanciulle, fondato dalla pia generosità del faentino Giuseppe Maria Emiliani. La chiesa ricevet- te per la fabbrica la somma di sei mila scudi dal Cardinal Giuseppe Fesch, suo munifico protettore; ma il lodato Emiliani vi spese il triplo per condurla a termine. In quanto al governo di Russi, questo è un borgo posto nella bassa pianura fra il Montone ed il Lamone, alla sinistra del torrente Via Cupa, che influisce ne'due fiumi sotto Ra- venna. Russi venne eretto nell'an- no 963, poi ingrandito nel 1 37 1 da Guidone di Polenta, e nel i5i?, era un paese assai forte: è circon- dato di mura, con bella piazza, e rimarchevoli edifizi. In Bagnaca- vallo (Fedi) sono i conventuali, e due monisteri di cappuccine.

Lo stemma della città di Faen- za è figurato da un leone rampante,

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con la spada nella destra zampa, con corona in capo di foglie di quercia, e sopravi tre gigli d' oro. Delle antiche famiglie illustri della città di Faenza ne tratta il Righi, loco citato, pag. 5o e seg., ove principalmente parla delle famiglie Terenzia; Claudia, donde uscì l'im- peratore Tiberio Claudio; Cejonia Vera ; e Domizia. Lucio Elio Vero Ccjonio Comodo vuoisi faentino, e prese in moglie Domizia Lucilla pur faentina, da cui nacquero Lucio Au- relio Vero Antonino, che imperò con Marc'Aurelio, e Cejonia che fu im- palmata da Marco Aurelio Anto- nino : Domizia si fece cristiana, e col nome di Emiliana sostenne glo- rioso martirio. Il Papa s. Calisto I romano, creato l'anno 221, era del- la famiglia Domizia, la quale fiorì in Faenza sino al 1200 col nome di Caminizia; mentre la Cejonia ivi sussistette sino all'anno 74°- Dell'origine e gesta delle altre no- bili famiglie faentine, il medesimo Righi ne parla in vari luoghi de- gli Annali, con importanti notizie; ed il can. Strocchi nei suoi Primor- dii della chiesa faentina, ci preziose notizie sui cospicui perso- naggi sunnominati, che fiorirono nei primi secoli della corrente era. Fra le moderne nobilissime famiglie , oltre quella di Pietro Pagano, già possente nel 1 o45, ci limiteremo ad accennar quella de' Manfredi che divennero signori della città, e che alzossi sopra ogni altra pel suo slato principesco, protestando però che la sua origine si tiene favolo- sa . Narrasi pertanto che un nobi- le cavaliere per nome Manfredo, essendo in Bisanzio alla corte di Costantino s' innamorò di sua figlia Emide, colla quale fuggì, unen- dosi in matrimonio. Stabilitisi na-

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scostamente nel territorio di Mo- dena, acquistarono su^li abitatori autorità ed impero. Dai loro fi- gliuoli derivarono parecchie nobili famiglie in quelle parti, massime quella che divenne signora di Faen- za. V. il Sansovino, Origine delle famiglie ec, della famiglia Man- fredi j e M.r de Chasoiv, Génea- log. historiq. 3 Seigneurs de la mai- son de Manfredi, tom. II, pag. 54i. Faenza fiorì per letterati, ar- tisti, guerrieri, ed altri uomini in- signi. Andrea Zanone ci ha dato : Lettera ad un amico in cui si parla dell' opuscolo de lille ra tur a Favenlinorum , data in Faenza i.° febbraio 1775. Tale opera è del p. Gio. Benedetto Mittarelli, che porta per titolo : De litteralura Favenlinorum 3 sive de viris do- ctis, et scriptoribus urbis Faven- tiae. Appendix ad accessiones hi- storicas faventinaSjYenelidLe 1775. Sull'accademia poi de' Remoti ', ab- biamo l'opuscolo intitolato : Fon- dazione e progressi dell' accade- mia de' signori Remoti di Faenza, ivi 1G81. Il eh. Righi, nel tom. Ili de' suoi Annali, a pag. 199, discorre dell'accademia de' Filoponi, cioè di amatori della fatica ; acca- demia che fiorì per lungo tempo, e la cui fondazione risale al 16 19; ed a pag. 262, dell'accademia de- gl' Incitati, eh' ebbe principio nel i685. 11 Garuffi nell' Italia acca- demica, ove parla di#diverse acca- demie dello stato pontifìcio, discor- re pure dell' accademia di Faenza. Corre già felicemente il IV anno che con pubblica lode e gradimen- to periodicamente si pubblica in Faenza l'utile, dilettevole e dotto giornale letterario, intitolato Y Im- parziale, di cui sono benemeriti e zelanti i chiarissimi abbate Giù-

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seppe Macco! ini coestensore, e Vin- cenzo Rossi direttore proprietario ; nomi che risuonano onorati e di- stinti nella repubblica letteraria.

A tali due valenti scrittori mi corre tenero obbligo di eterna ri- conoscenza, per essere di quelli che presero amorevole parte alle mie molte e calde lagrime, sparse al- lorché piacque a Dio privarmi dell'unico figlio maschio, fra sei figlie femmine di cui pur sono padre, cioè dell' amabilissimo e di- letto Gregorio Moroni romano ; grave perdita che tanto più. mi colpì e trafisse, per la brevità del male che lo rapì, per le liete e grandi speranze, ch'egli mi dava. Non solo egli meritò essere compianto nel lodato faentino Im- parziale dai eh. Maccolini e Rossi, ma nel medesimo foglio da ultimo lo fu eziandio con cordialissimi cenni biografici dal eh. professore Gaetano Lenzi.

Distinguevasi l'egregio mio fi- glio novenne per regolari forme e statura vantaggiosa, animandone il volto belli e nerissimi occhi : in- genuo e grato n' era l' aspetto, in cui traspariva il candore del suo pieghevole animo, tutto inclinato alla compassione del suo simile ; distinguevasi inoltre per aurea in- dole, per senno superiore alla sua età, per piacevolezza e lepidezza ; in fine per pronto e felice ingegno, dandone chiare prove, non senza sorpresa de' suoi maestri, nel pro- gresso mirabile e rapido eh' egli fece negli studi . Laonde per pregevoli qualità, e pel singoiar complesso delle circostanze che pre- cedettero, accompagnarono, e se- guirono il triste inatteso avveni- mento, sarà sempre per me funesto il 22 agosto, giorno in cui, con vol. xxii.

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inesprimibile ed immenso dolore, nel 1842 fui privato quasi repen- tinamente del tanto pianto, e degno mio figlio. A pubblica testimonian- za di verace stima, e di sviscera- to amore verso di esso, e del cordo- glio che mi accompagnerà alla tom- ba, giammai tralascerò di ulterior- mente e con tutti i mezzi possibili, renderne vieppiù illustre, distinta e perenne la ricordanza. La sua ca- ra memoria fu già resa eminente- mente tale in vari modi da diversi primari artisti di Roma, e con decoro venne celebrata da chiaris- sime penne, con stupendi ed ele- ganti necrologici componimenti , è con soavi poesie, piene tanto di con- forto per me, e di giusto elogio pel defunto, quanto di belle immagini ed affettuosi concetti. Desse non si ponno leggere dagli animi gentili, senza provarne sensibile commo- zione : dappoiché i cortesi ed insi- gni autori, penetrati dell' acerbità del caso , fecero proprio il dolor mio. Abbiano perciò essi anche qui un ringraziamento, che vorrei espri- mere colle più splendide parole, e tali che significassero il sentimento dell'animo. fatte amorevoli, pub- bliche e solenni dimostrazioni, nel- la maggior parte graziosamente rac- colte da mano amica, vennero con pietoso divisamento , siccome fiori non caduchi, ed ancor tiepidi delle mie lagrime , sparsi sulla tomba del figlio , a me intitolate, e col ritratto del giovanetto in fronte ed in fine del libro, furono decorosa- mente e con bella edizione pub- blicate in Roma dalla rinomata tipografia Salviucci, nel primo an- niversario della morte del mio fi- glio Gregorio, epoca di mia gra- vissima sventura ; ed epoca infelice che pur volle rammemorare colla !9

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suddetta biografia l'ottimo e rispet- tabile Lenzi. L'amabile giovinetto pei copiosi doni di cui gli fu lar- gì natura e fortuna, non solamente fu avventuroso vivente, ma lo fu pure dopo morto, percbè assai o- norato, encomiato ed applaudito per le sue eccellenti non comuni qualità. Di grazia si condoni beni- gnamente ad un desolato e af- flitto genitore questo sfogo, forse abbondante, caduto per gratitudine naturalmente dalla penna in que- sto mio Dizionario, molti articoli del quale scrissi appositamente pel defunto, che vide con piacere pub- blicato il XIV volume. Però ri- torno sommesso a chinare rive- rente il capo alle venerate dispo- sizioni e voleri di Dio, e a bene- dirne, glorificarne, e magnificarne il sagrosanto suo nome.

Ritornando sulle opere che trat- tarono di Faenza e che le danno nobile rinomanza, dirò che per conto ai santi e beali faentini si può leggere quanto pubblicò Ro- mualdo Maria Magnani. Nel 174* egli ci diede per l'Archi , le Vile de santi e beati della città di Faenza, ove si tratta delle imma- gini della Beata Vergine, e di va- rie memorie sagre di essa città, ec. Nel discorso preliminare egli cognizioni sulle famiglie illustri di Faenza, e di vari storici della me- desima. Quindi nell'anno seguente e per lo stesso tipografo, il Ma- gnani pubblicò: J' ite de' santi e bea- li della diocesi di Faenza con una descrizione proemiale di tutte le ter- re e castelli esistenti in essaj il medesimo scrittore parla di alcuni santi martiri anonimi faentini sot- to Diocleziano e Massimiano l'an- no 290. Meritano pure speciale ri- cordanza s. Umiltà istitutrice del-

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le monache vallombrosane , la b. Margherita sua compagna , il b. Giacomo Filippo Bertoni servita, e il b. Andrea Bovi domenicano martire, de' quali trattano i boi- landisti e il Magnani. In fine av- vi un supplimento di alcuni sog- getti tralasciati nel tomo degli uomini illustri per santità di Faen- za. Tra quelli che fiorirono nelle dignità ecclesiastiche, a cagione d'o- nore, nomineremo i Cardinali Bo- schi Gio. Carlo (Fedi), Severoli Antonio Gabriele (Fedi), che fu vicino al pontificato, e Zauli Giam- battista (Fedi). Qui va notato che il Cardinal Boschi lasciò alla cat- tedrale molti arredi sagri, ricama- ti in oro e ricchi di pietre pre- ziose; e procurò che fossero au- mentate le rendite della fabbrica e della sagrestia.

Quanto alle arti belle, Faen7a ebbe sempre valenti professori fino dai tempi del Giotto, di cui furo- no discepoli Pace e Ottaviano da Faenza. Giovanni Battista Bertucci il vecchio n' è forse il più loda- to pittore; poi Jacopone suo figlio discepolo di Raffaello, insieme con Marco Marchetti detto Marco da Faenza, di cui furono contempo- ranei Sigismondo Folchi, imitato- re, e forse scolare del Frate, non ricordato, non si sa il perchè, dal Lanzi; e Giulio Cesare Tonducci, chiamato il Figurino, scolare di Giulio Romano; e Gio. Battista Armellini disegnatore esimio e pit- tore, che scrisse i lodatissimi e più volte stampati Veri precelti della pittura. Al principio del secolo XVII fiori il cav. Ferrati Fono- ni , e un Manzoni degno scolare e imitatore de' Caracci. E tacen- done più altri può nominarsi il cav. Tommaso Minardi , che vi ve

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in Roma per gloria di questa cit- tà, e dell' Italia. Pietro Barilotti, di cui tace im meritamente il Ci- cognara, dopo il principio del se- colo XVI esercitò con molta lode la scultura, e ci restano monumen- ti di suo scalpello assai pregiati. Agli architetti , oltre i nominati cav. Giuseppe Pistocchi, e p. Do- menico Paganelli che fu maestro del sagro palazzo, e matematico, e architetto de' Papi Leone XI, e Paolo V, potrebbesi aggiugnere il p. servita Andrea de' Manfredi si- gnori di Faenza, che architettò e costruì a sue spese nel 1377 il portico de'Servi di Bologna, e dise- gnò gli stalli del coro dell'annes- sa chiesa, che fu deputato a di- ligere il modello della chiesa di s. Petronio di quella città, e meritò per la dottrina e bontà sua di essere eletto generale del suo or- dine. A compir la serie degli ar- tisti, non è da tacere Giuseppe Santi, che si annovera fra i clas- sici maestri di musica. Venendo ai letterati, sono a ricordarsi, fra gli scrittori ecclesiastici, i due dome- nicani Luca Castellini e Girolamo Armellini, e il francescano Filippo Fabbri , che già ebbero nome di grandi teologi; e Giacomo Lader- chi, prete dell' Oratorio di Roma, che continuò gli annali del Baro- nio e del Rinaldi ; e il canonico Filippo Rondinini. Nella filosofia si segnalarono Pier Nicolò Castellani, e il nipote monsignor Giulio Ca- stellani, che fu anche oratore e letterato insigne, e mori in R.oma nel i586, poco dopo essere stato eletto vescovo di Cariati ; e Gre- gorio Zuccoli, già nominato fra gli storici, e ultimamente il dottor An- tonio Bucci. Il gran Torricelli è no- tissimo a tutto il mondo. Furono

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pur buoni matematici i ricordati Pier Maria Cavina e Carlo Cesare Scaletta. Furono chiari medici i due Vettori Leonello, e Girolamo; Mengo Bianchelli ; Antonio Cittadi- ni, che dopo aver professato in più università italiane l' arte sua, acquistossi in Parigi il nome di grande italiano; Pietro Sali Diver- si ; e Domenico Masotti ( detto ma- lamente fiorentino dal Lombardi continuatore della storia del Ti- raboschi ), il quale professò in Fi- renze la chirurgia, e pochi scritti pubblicò , lasciando manoscritte molte cose, delle quali dopo lui altri forse si sarà fatto bello. Co- me giureconsulti si segnalarono Bartolommeo Ercolani ; Ercole Se- veroli, che fu uno de'promotori del concilio di Trento; Gabriele An- tonio Calderoni ; e monsignor Zauli Teseo vo di Veroli. Fra i poeti let- terati ed eruditi sono a nominarsi Ugolino d'Azzo Ubaldini, encomia- to da Dante; Alessandro Caldero- ni; Lodovico Zuccoli; Gio. Battista Zarattini Castellini; monsignor Mar- cello Severoli ; Porporino Baroncini monaco celestino; il parroco An- tonio Laghi che in eleganti versi latini voltò i salmi ed altri libri scritturali, e molte poesie italiane; e il giovane morto testé in Pari- gi, discepolo di Champollion, Fran- cesco Salvolini, che parecchi scrit- ti ha dato in luce ad illustrazione delle antichità egiziane; e vive tut- tavia in Ravenna con vigoria di mente e di corpo il Nestore dei letterati italiani, il eh. cav. Dio- nigi Strocchi, traduttor di Callima- co, e delle Buccoliche e Georgiche di Virgilio.

L'origine di Faenza probabilmente si deve agli attici, i quali in com- pagnia dei tessali e di altri popoli

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della Grecia, dopo il diluvio di Deucalione, dalle loro contrade na- vigando pel mare Adriatico , ap- prodarono ne' dintorni di Ravenna circa 1200 anni avanti l'era cristia- na. Indi si narra che i tessali po- sero le fondamenta di Ravenna, e gli attici avanzandosi verso i colli, nello spazio più acconcio, gettaro- no le fondamenta della città, ove radunando i rozzi abitanti de' din- torni la chiamarono con greco vo- cabolo Splendeo, per denotare la magnificenza e il lustro cui dovea salire la comune patria, che poi prese il nome di Faenlia , donde provenne l'odierno di Faenza. Non si può stabilire come questo venne imposto alla città, o ciò seguisse per opera degli etruschi, che di- scacciando gli attici estesero la do- minazione per molta parte del paese, che oggidì appellasi Emilia o Romagna ; ovvero più probabil- mente ciò avvenisse per opera dei romani, i quali dagli abitanti eb- bero validi soccorsi in gente ed armi all'epoca della seconda guer- ra punica, che per significare i rilevanti aiuti conseguiti contro Annibale, mutarono l' appellativo Faentia in Favenlias acciocché fatto nome facesse per sempre pub- blica testimonianza del favore che i romani trassero dai faentini nel- la memorata impresa. Altri dicono che fu fondata dagli umbri, che Flavio romano la eresse, che fu fatta città nell'anno 3i3, e circon- data di mura nel 1 286 : così il Calindri nel Saggio statistico stori- co dello stato pontificio, pag. 1 1 6. Altri finalmente asseriscono che questa antichissima città, sino al tempo di Costantino il Grande chia- mossi Flavia, e prese allora il nome di Faventia, per ordine dello

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stesso imperatore che l'avea sem- pre favorita, e che da questo si formò per corruzione il suo mo- derno nome di Faenza. Tutta volta vuoisi dai critici, che di Faenza, seb- bene città antichissima, se ne igno- ri affatto l'origine ; e che quanto dicesi di sua fondazione, e del primo suo nome sia mera congettura. Che avesse il nome di Flavia da un Flavio romano, cambiatole poi in quello di Faventia da Costan- tino si vuole indubitatamente falso, Tito Livio ne fa menzione parlan- do della sconfitta che vi ricevette Carbone, poscia costretto da Siila a fuggirsene dall' Italia. Vellejo Pa- tercolo parla di una vittoria quivi riportata da Metello Pio; Plinio fa l' elogio dei lini del territorio, parlando dei faventini ; e Silio Ita- lico dei pini che coronavano le sue ubertose campagne. Quivi Negrino da Faenza, console in Roma, della famiglia Domizia, nell'anno 118 fu ucciso per gelosia e malevolen- za del romano senato, con ram- marico di Adriano imperatore che lo avea designato in successore. Qui fu il tradimento fatto da Tufa generale dell'erulo Odoacre re d' Italia, con- tro Teodorico re de'goti nel 489; e poi nel 542 fu quivi la vittoria de' goti contro i greci, a' tempi del re Totila ; e nel medesimo secolo ven- ne dai goti saccheggiata. Non andò guari, che chiamati da Narsete in Italia i longobardi , gì' imperatori d'oriente furono costretti di gover- nare Roma per capitani, e Raven- na per Esarchi (Vedi); laonde Faenza soggiacque alle vicende del- l'esarcato, in cui trova vasi compre- sa, e siccome l'esarcato si sottopose alla protezione della Chiesa roma- na nel pontificato di s. Zaccaria, sino d'allora incominciò Faenza a

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sperimentare le paterne sollecitu- dini de* romani Pontefici, per l'ab- bandono che fecero dell' esarcato i greci imperatori.

Mirando il re de'longobardi Luit- prando all' ingrandimento del suo regno., ed al conquisto della flori- da provincia di Romagna, secondo- che racconta il Tolosano, seguendo un'incerta tradizione, nell'anno 740 strinse d'assedio Faenza, e non riu- scendogli prenderla colle armi, tras- se in inganno i cittadini, e nel sa- bato santo, mentre erano raccolti nella cattedrale di s. Maria Foris Portavi, intenti ai divini uffici, il nemico penetrò nella città, ponen- do ogni cosa a ferro ed a fuoco,, non perdonando a sesso e ad età, rispettando neppure le chiese; indi ne furono smantellate le mu- ra. Venne poscia reintegrata in parte la città, quando destò com- passione al barbaro re. Ristorati in qualche modo i gravissimi danni cagionati da Luitprando, e riedifi- cata la cattedrale e l'episcopio in luogo più opportuno , coi mezzi somministrati nel 743 da Papa s. Zaccaria, venne eletto ad occupar la vedova sede Giovanni I, ottavo vescovo di Faenza. In appresso non potendo il Pontefice Stefano li detto 111 ottenere da Astolfo re de' longobardi , che cessasse di far stragi nei dominii della Chiesa ro- mana, implorò ed ottenne che Pi- pino re di Francia nel 754 co- stringesse Astolfo a restituire l'e- sarcato, laonde die alla Chiesa le ricuperate terre, compresa Faenza, come afferma il Borgia, Memorie isteriche tom. I, p. 19. Vero è pe- rò che Astolfo non restituì allora tutte le città dell'esarcato, ma es- sendo morto nel 756, il Papa po- tentemente contribuì che gli suc-

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cedesse nel trono Desiderio, col patto che gli restituisse le città ri- tenute dal predecessore contro la data fede, fra le quali Faenza, ed altre cinque primarie città; ma so- lo Faenza e il ducato di Ferrara 1' ingrato Desiderio restituì. Che Faenza e il ducato ferrarese fosse- ro effettivamente restituite al Pa- pa, lo afferma anche il Rinaldi, all'anno 756, num. 5. Minaccian- do Desiderio al Pontefice Adriano I la rovina di Roma se non ade- riva a' suoi ambiziosi disegni, ed insieme d' invadere le altre terre della Chiesa, nel 772 incominciò a mandar ad effetto il suo prepo- tente divisamento, sulla città di Faenza , e generale fu la strage e la devastazione; ma Adriano I ri- corse alle armi di Carlo Magno , e questi pose fine nell'anno 773 al regno longobardico, facendo prigio- ne T indegno Desiderio, contro il quale pugnarono alcune città della Chiesa, in un ai faentini . Questi aiu- tarono pures. Leone III, quando con Carlo Magno nell' 800 conquise i di lui nemici , rinnovando allora quel Papa nel principe francese l'im- pero occidentale, eh' erasi spento dal re Odoacre.

Correndo l'anno 935, Manasio, colle sue ricchezze, s'impadronì della signoria di Faenza, ma la sua audacia fu punita colla morte. Verso l'anno 967, essendosi mos- so l'imperatore Ottone I contro di Berengario, che travagliava il Pontefice Giovanni XII, i faentini seguirono le parti del primo, per cui poscia assegnò loro dominii e privilegi , riformandone il civile reggimento coli' istituzione de' ma- gistrati appellati conti, che ivi du- rarono sino al 1069. Nel io45 Faenza fu in gran parte consunta

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da incendio, e trenta anni dopo incominciarono inimicizie e odii mu- nicipali tra Ravenna e Faenza , ch'ebbero funestissime conseguen- ze. Vantando la prima gloriose ricordanze vedeva di mal occhio che Faenza gareggiasse in Roma- gna colle primarie città, in poten- za e valore, quindi zuffe e dan- neggiamenti si alternarono per mol- ti secoli da ambo le parti, e mol- to sangue si versò in diverse in- fauste epoche, che lungo sarebbe descrivere, di cui sono piene le pagine delle patrie storie. Nel i io3 insorsero gravi discordie tra la plebe e i nobili, i quali in gran numero furono cacciati dalla città, quindi arse e smantellate le loro case, fra' quali Alberico di Guido di Manfredo. fatti bandi per le gare tra popolani e nobili, disgra- ziatamente di frequente per lunga pezza di tempo rinnovaronsi, dan- neggiando talvolta i fuorusciti il territorio faentino, e ad armata mano rivolgendosi o co* ravennati o con altri popoli a danno della patria. Fu nel ii32, che veden- dosi Imola assaltata dai bolognesi e dai ravennati, preferì invocar la protezione de' faentini, e ne rag- giunse l'intento. Così pur lungo sarebbe il riportare gli assalti e le distruzioni di diversi castelli e ville, ciò narrandosi distesamen- te negli encomiati Annali del Ri- ghi. Nel 1 1 87 i faentini a media- zione dell'imperatore Lottano II patteggiarono co' bolognesi sul do- minio d'Imola, la quale dovette annualmente tributare due pallii a Faenza, che a Bologna. Indi nel 1141 i bolognesi aiutati dai faentini fecero guerra ai modenesi, mentre i cesenati ottennero soc- corso da Faenza, la quale poscia

FAE aiutò pure il conte Guido di Mo- digliana contro ai fiorentini, at- teso i molti obblighi che aveva la città con essolui, che poi aiutò i faentini a danno d' Imola, in qua- lità di capitano delle milizie, però il di lui figlio chiamato pur Gui- do, s'inimicò con Faenza, onde ebbe atterrata la rocca di Celia- la no.

Per le dissensioni insorte tra il Papa Adriano IV, e Federico I imperatore, i popoli presero un partito : chi seguì il primo, più tardi si disse guelfo; chi parteggiò pel secondo nomossi ghibellino; e Faenza anch' essa fu divisa da ta- li tremende fazioni. Nel ii6t>, in passando Federico I coli' impera- trice Beatrice per Faenza, fu al- loggialo da Guido ed Enrico fra- telli Manfredi : il popolo festeggiò con pubblici segni di gioia, con giostre e tornei cotali ospiti, che si dimostrarono oltremodo soddisfat- ti de' faentini, anzi pacificandosi 1* imperatore con Rimini, e pro- mettendo difenderla da qualunque nemico, ne volle eccettuata Faenza. Quindi nelle case de' Manfredi se- guì la riconciliazione deJ faentini col giovine conte Guido di Modi- gliana suddetto: i faentini altresì si amicarono in quell'anno e col- legarono co' ferraresi. Dopo vari fatti d'armi coi forlivesi, nel 1 170 seguì fìerissima battaglia^ in cui riportarono vittoria i faentini. Nel- l'anno seguente seguì il quarto incendio di Faenza, che aiutò il conte Guido contro il conte di Ga- strocaro. Nell'anno 1 174 un turbine roviuoso afflisse la città, che non era entrata colle altre di Roma- gna nella confederazione lombarda, in difesa del legittimo Pontefice Alessandro III, e per combattere la

J f A E crescente possanza di Federico I. Non entrarono i faentini nella le- ga, perchè a comando dell'impera- tore, dice il Righi, l'arcivescovo di Magonza avea rilegato l'antipapa Pasquale nella loro città, guardata da numeroso presidio, per assicu- rarsi a un tempo dell' antipapa e de' faentini. Qui noteremo che per opera di Federico I fu eletto l'antipapa Pasquale III, il quale morì in Roma nel i 167, succe- dendogli nell' antipapato Calisto III nel 1168. Non solo nel 1174 era morto Pasquale III, ma di fatta rilegazione in Faenza, ne di lui, del successore niuna men- zione ne fa l'accuratissimo Lodo- vico Agnello Anastasio, nell' Isto- ria degli antipapi, tomo II. Seb- bene nel 11 77 in Venezia fosse conchiusa la pace fra Alessandro III e Federico I, per cui l'Italia riposò alquanto dalle militari fa- zioni e civili discordie, pure le città della lega lombarda veden- do l'arcivescovo di Magonza inca- ricato del reggimento militare e civile delle regioni italiane, repu- tarono opportuno tenersi armate e stringersi in alleanze, e i faenti- ni prontamente vi aderirono, mas- sime con Bologna.

Dopo aver i faentini co' bolo- gnesi assediato Imola, fu convenu- la la pace, e rinnovato il tributo cui dessa erasi sottratta, come suc- cesse la concordia col conte Guer- ra; indi nel 1181 i faentini uni- ti ai ravennati sottomisero Bagna- cavallo con severi patti. Nel 11 83 la plebe insorse a tumulto, non per sospetto che il clero brigasse cambiamento di reggimento, o ne volesse far parte, ma piuttosto mossa dalla fame, per cui saccheg- giò i granari e le cantine della

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cattedrale, e quelle degli spedali e monisteri : in tal modo le cose giunsero agli estremi, e il vesco- vo Giovanni solennemente fulmiuò V interdetto per frenar il furore della moltitudine. Nel 11 83 Fe- derico I in Costanza stabilì la pa- ce colla Chiesa romana, e co' po- poli di Lombardia, Romagna ec, secondo le convenzioni conchiuse dai commissari d'ognuna a Pia- cenza, dichiarando l' imperatore di concedere alle città, compresavi Faenza, ciò che non gli era più. dato d'impedire, libertà di regger- si a proprie leggi e col mezzo di cittadini magistrati, e che doves- sero riconoscere simil privilegio da lui e successori; ma nel ri- partimento del tributo imposto dal- l' imperatore, si ribellarono i mon- tanari, T antico magistrato de' con- soli fu deposto, e surrogato un podestà, ne ciò potè impedire al- tri dissidi tra la plebe e i nobili. Dappoi, nel 1187, il vescovo Gio- vanni, cedendo alle esortazioni di Papa Clemente III, con quattro- cento faentini e ravennati, e que- sti col loro arcivescovo, partirono per la Soria; ma sotto Tolemaide valorosamente la maggior parte perirono co' loro pastori. Rimar- chevole fu l'alleanza che i faen- tini fecero nel 1194 co' ravennati e riminesi, sempre nemici per lo avanti. Intanto neh' anno seguente soggiornò l'imperatore Enrico VI alcuni giorni in Faenza, abitando il pubblico palazzo, lietamente fe- steggiato perchè ivi era nato, quan- do il padre Federico I era con la moglie in Italia, ciò che il princi- pe recava a vanto. Dopo la mor- te di quel principe, Marcualdo oc- cupò il ducato di Ravenna e il mar- chesato di Ancona; ma divenuto nel

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1198 Pontefice Innocenzo III, vol- le ricuperare i domimi della Chiesa, e per quelli di Romagna inviò un Cardinal legato colle milizie papa- li, invitando i vescovi a prestargli aiuto, ciò che fecero i bolognesi e i faentini, massime contro i for- livesi, co' quali poscia ricomincia- rono le guerre, sopite nel i2o3 per accordi di pace. Indi Faenza soccorse i reggiani contro Manto- va; incontrò l'imperatore Ottone IV che recavasi a Roma a pren- dere la corona imperiale, nella qual circostanza i bagnacavallesi ot- tennero di riedificare la loro terra; e nel febbraio 12 io l'imperatore reduce da Roma con que' faentini che l'avevano accompagnato e di- feso, ripassò festeggiato per Faenza. In quel tempo era podestà di Faenza con autorità di pretore Al- berico Manfredo, il primo de'nobi- li faentini che in patria conseguis- se tanta autorità, che servì a pre- parare la futura potenza di sua famiglia. Dopo varie guerresche a- zioni, alleanze ed accordi, nel 1218 assaltarono Lugo, e il rovinarono. Nel 1220 i municipali si recarono ad incontrar l'imperatore Federico II, gli presentarono i5oo marche d'argento, e prezzo il ponte di s. Proculo gì' imbandirono lauta men- sa, facendone pur godere alle sue legioni, il perchè quel principe con- fermò a' faentini i loro dominii. Però non andò guari che contro la promessa protezione fece sman- tellare il castello di Cosina ; delle quali cose venuto in cognizione Onorio III, al dir del Tolosano, non volle colle sue mani coronare Federico II, facendone le veci per suo ordine il Cardinal d' Ostia. Altri affermano che Onorio III l'unse e coronò a' 22 novembre

FAE 1220. Imola fu di nuovo presa dai faentini , che poscia mutarono luo- go all'antico canale di città, ed in appresso rappacificaronsi co'forlive- si. Ai flagelli del terremoto e del- la peste, successe la rinnovazione della lega lombarda, a garanzia delle mire di Federico II, cui non riuscì staccarne Faenza, che nelle sue mura accoglieva Giovanni di Brenna re di Gerusalemme, suo- cero dell' imperatore, ed assaliva le milizie imperiali, quando tentarono passare per la città. In questo tem- po il Pontefice Gregorio IX, co- noscendo le frodi di Federico II a danno della Chiesa, lo scomuni- cò nel 1227, ed allora le fazioni guelfa e ghibellina si misero in ru- more; per cui il Papa parti da Roma creando conte della Marca e Romagna il detto re di Gerusa- lemme nemico del genero. Nell'an- no seguente notabilmente, non sen- za danni di Faenza, strariparono il Lamone ed il Senio; e per le vicende de' tempi i faentini aiuta- rono con armi i bolognesi , e il vescovo di Forlimpopoli contro i forlivesi, e n' ebbero il perpetuo titolo e privilegio di cittadini di For- limpopoli. Nel 1234 i faentini soc- corsero i cesenati, distrussero Raf- fanara, e s' impadronirono di Cer- via, per riporre nella sede il ve- scovo Orsarola. Dopo parecchi van- taggi riportati dai faentini su di- versi luoghi, in città vi furono uc- cisioni tra nobili di contraria fa- zione, guelfi e ghibellini, avendo i primi a capi i Manfredi, e i se- condi Zambrasio e gli Accarisii.

Sebbene Faenza si fosse ricusata di porgere aiuto ad Enrico figlio di Federico II, che, se dobbiamo credere ad alcuni, a lui erasi ri- bellato, pure l' imperatore nutren-

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do male umore contro la citta, nel settembre 1240 rivolse contro di essa le sue genti. I faentini come- chè inferiori di forze, ne aiutati in quel frangente dalle città lom- barde , animosamente le affronta- rono. Allora Faenza co' suoi borghi era protetta da forti mura, e con- tava quarantamila abitanti ; e il podestà Michele Morosini veneto, col cittadino Farolfo Severoli, con- citarono il popolo a valida difesa, contro sessantamila imperiali , tra i quali molti ghibellini italiani . Quindi Federico li strinse di ri- goroso assedio la città, per lo che il Cardinal legato, i colle- gati poterono aiutarla. Dopo otto mesi di assidui travagli per l'una e l'altra parte, ed in cui per man- canza di denaro, l'imperatore do- vette servirsi di monete di cuoio, penuriando Faenza di viveri, a'r4 aprile 1241 deliberò di arrendersi salve le vite e le robe. Ma appe- na Federico II entrò nella città, dimentico della convenzione, fece atterrar le mura, demolir i sob- borghi, uccidere ed esiliare quelli che aveano consigliato resistergli; ed a sostenimento de' suoi disegni, presso la chiesa di s. Agostino fe- ce erigere una munita cittadella, e la diede in guardia a forte pre- sidio. Poscia affidò il reggimento di sua conquista ai forlivesi Orde- Jaffi ed Orgogliosi, guiderdonando i ghibellini che lo avevano aiuta- to, ciocché servi ad imbaldanzire in Romagna simili partigiani, ed abbattere i guelfi, che solo ripre- sero animo nell'assunzione al pon- tificato d'Innocenzo IV; il quale molti esuli benignamente accolse, e il faentino Napoleone Butrigari meritamente s'ebbe da lui il grado di nobile e cavaliere.

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Intanto Innocenzo IV sentenziò decaduto dall' impero Federico II, nel concilio di Lione , laon- de fu eletto in sua vece , ai 17 maggio dell'anno 1246, En- rico landgravio d'Assia e Turin- gia, il quale subito ordinò che i fuorusciti di Romagna liberamen- te potessero ripa tri a re, e reinte- grati fossero nelle facoltà. In- tanto il Cardinal Ubai di no alla testa di un esercito , per Inno- cenzo IV ricuperò Imola, ed al- tre città di Romagna. Poi accam- patosi presso Faenza , gì' inlimò sottomettersi alla Chiesa , ciocche ebbe luogo passati quindici giorni, cadendo così in Romagna la breve potenza de' ghibellini ; e siccome Bologna era la prima città guelfa e la più forte, gli furono conce- duti molti privilegi, come di dare ad ogni città guelfa un suo con- cittadino per podestà.

Seguita la morte di Federico II, i magistrati di Faenza convennero in Cesena ad un congresso a dan- no delle città ghibelline; fecero pace co' ravennati ; e Bagnacavallo loro si sottopose, mentre i Man- fredi discacciarono gli Accarisii . Questi coli' uccisione di Calzaro Manfredi riuscirono a cacciar dalla patria tal famiglia, che non molto tempo dopo soffrì una seconda cac- ciata, essendo innumerevoli i di- versi politici avvenimenti, che si succedettero a cagione delle fazio- ni de' guelfi e ghibellini. Nel 1275 riuscirono i ghibellini d'impadronir- si di Cervia e di Cesena, e rice- vettero un legato di Ridolfo im- peratore, che loro manifestò la bra- ma di coronarsi re d'Italia; ma a mezzo di Tibaldello Zambrasi prevalsero in Faenza i guelfi nel 1280. A provvedere tanti disordi-

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ni Papa Martino IV, colla qualifi- ca di conte di Romagna, in questa provincia spedì Giovanni d' Apia per difendere i diritti della Chiesa, e collegarsi con diverse città per proteggere Faenza dalle frequenti scorrerie de' ghibellini. I Manfredi sollersero ancora una momentanea espulsione ; in Romagna si ridestò l'amore di libertà contro il civile governamento della Chiesa; e frate Alberico Manfredi cavaliere gau- dente, fece uccidere a tradimento Manfredo Manfredi suo consangui- neo, per vendicarsi d' una ceffata che avea da lui ricevuto; quindi unito ad altri nei 1286 discacciò da Faenza i ministri pontifìcii. Ma il nuovo conte di Romagna Pie^ tro, esiliò e i Manfredi e gli Ac- carisii, e solo dappoi li richiamò per tema di popolari tumulti ; e più tardi tornarono a prevalere i ghibellini, che dopo alcuni vitto- riosi successi, favorirono il papale reggimento. Indi a ridurre tutte le città alla divozione della Chiesa, Bonifacio Vili mandò in Romagna legato il Cardinal d' Acquasparta, tacendo poi altrettanto Benedetto XI nella persona di Tebaldo Bru- cati di Brescia, mentre i bianchi e i neri travagliavano la Toscana; e i faentini riconobbero per go- vernante chi fu loro offerto dal senato di Bologna, accrescendosi le guerre civili, per aver Clemente V stabilito nel 1 3o5 la pontificia re- sidenza iu Avignone.

I vicari del re di Napoli che pel Papa governavano la Romagna, furono di diversa tempra; e la se- verità di Giberto Santillo fu caldo sprone ai Manfredi, e loro ade- renti di alzare la testa, ed inco- minciare a signoreggiare Faenza. Laonde fu Francesco Manfredi, uo-

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mo di senno e di valore, che nel novembre i3i3, armata mano si fece tiranno ossia arbitro della pa- tria, edificò la rocca di Granatolo, e fornì soldatesche a Giovanni XXII per assoggettare le Marche alla Sede apostolica. Nel 1 32 1 i molti dotti faentini, od almeno i poeti probabilmente, piansero ama- ramente la morte di Dante Ali- ghieri , avvenuta in Ravenna. A Francesco per riprovevole tradi- mento successe nella signoria il di lui figlio Alberghettino Manfredi, che allontanò da' pubblici uffici i ministri scelti dal genitore. Indi Riccardo suo fratello capitano d'I- mola, fu costretto in questa per occulte pratiche ghibelline a rin- tuzzare colla forza i ribelli. Intan- to il Cardinal legato Bertrando, che per Giovanni XXII vendicava le ragioni della Chiesa, fece cedere ad Alberghettino figlio di Fran- cesco l'usurpata dominazione, e ri- legatolo a Bologna, ivi poi fu de- capitato. Riccardo ricevè dal lega- to la suprema magistratura di Faenza, e mancando di prole ma- schile, adottò due figli naturali , Giovanni e Guglielmo, eh' erangli nati dall' imolese Zefirina Norciili, e ciò con approvazione de'congi un- ti, e di Francesco Manfredi suo genitore. Nel 1 34o morì Riccardo, cedendo le signorie d' Imola e di Faenza a' detti due figli. Fu com- pianto dai faentini, che affida rono la reggenza del governo a Fran- cesco ; indi il mentovato Giovanni fu eletto capitano del popolo. Morì Francesco lasciando eredi i due nipoti adottivi, ne' quali fu conso- lidata la discendenza de' Manfredi, che ressero lo stato sino al 1 5oo, non quella di Giovanni d' Alber- ghettino, come taluno scrisse. Nel

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1 347 Astorgio Duraforte fu da Clemente VI mandato rettore in Romagna, e come aveano fatto al- cuno de'suoi predecessori, stabilì in Faenza la sua dimora. Questi fiac- cò il potere de' Manfredi, cagionò malcontento pe' suoi duri modi, e giunse a negare il passaggio per Faenza a Lodovico 1 re d' Unghe- ria che portavasi a Napoli per ven- dicar l'uccisione del fratello Andrea. La pestilenza afflisse la città, che nei i349 Vi<^e ^Stabilita l'autorità di Giovanni Manfredi, il quale colle armi ne slo^iò il luogotenente del Duraforte, che rifuggiossi in Imola, mentre il Duraforte allora viveva nella corte papale in Avignone. Divenuto Pontefice Innocenzo VI, come quello che divisò togliere dagl' invasori le terre della Chiesa, vedendo che le censure ed inter- detti fulminati dal predecessore Clemente VI, pur contro Giovan- ni e Guglielmo Manfredi, niun effetto avevano prodotto , spedì legato in Romagna il celebre Cardinal Albornoz, mentre Gio- vanni d'Alberghettino inutilmente cospirò in Faenza a danno de' cu- gini-

Nel i356 il Cardinal Albornoz strinse d'assedio Faenza , che durò quattro mesi per la bravura e il coraggio degli assediati. Se non che interpostisi i legati del mentovato re d' Ungheria, si conchiuse la pa- ce con alcune condizioni , essendo le principali che il legato avrebbe il reggimento della città, e il Man- fredi in compenso de' dominii che gli si lasciarono, pagherebbe annui fiorini d' oro cinquanta. Indi An- droiuo, nuovo pontificio legato, pas- sò a dimorare in Faenza, assol- vendo dall'interdetto i fratelli Man- fredi, i quali avendo poscia cospi-

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rato contro il ministro del Papa, n'ebbero atterrato il palazzo che a- vevano presso la cattedrale, ov' è ora il monte di pietà, e vennero di nuovo allacciati dalla scomunica. Al Cardinal Androino successe nel- la legazione il Cardinal Grimoaldi fratello d' Urbano V, ben accolto dai romagnoli e dai Manfredi. In- tanto nel 1369 nella terra di Co- tignola , allora distretto faentino, nacque Giacomuccio o Muzio Al- tendolo, che poi fu cognominato lo Sforza quando divenne celebras- simo capitano, raro ornamento di Cotignola e di Faenza, e capo di una sovrana e potente famiglia dal- la quale uscirono uomini sommi e gloriosi per ogni maniera, su cui si può vedere il Ratti, della fami- glia Sforza; il Zazzera, della /zo- biltà d'Italia, il Villelmo, de fa- mìlia Sforna, extat in Histor. gc- nealog. Italiae, p. 219, ed il San- so vi 00^ delle famiglie illustri di I- talia. Di Cotignola poi, ora terra illustre della provincia di Ferrara, collocata quasi nel centro della Ro- magna, ce ne permetteremo qui, co- me de'principali sforzeschi un bre- ve cenno storico.

Cotignola trovasi alla sinistra del fiume Senio, in distanza circa ot- to miglia al nord di Faenza. Dap- prima si chiamava Mazzafrena, ed anche Mala furia; ma nel 1 1 77 già chiamavasi colf odierno nome, forse dalla copiosa quantità di fra- grantissimi cotogni che abbondano nel suo esteso e fertilissimo suolo. La sua origine risale alla remota antichità, probabilmente avanti l'e- ra volgare, ed appartenente alla romana famiglia patrizia di Dione. Vuoisi che nell'anno 4°7> g'à f°sse dominio d'Azzolino Caveglia, men- tre nel 701 Romualdo Caveglia

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la restaurò e fortificò ; laonde i di- scendenti sembrano averla possedu- ta sino al 1217, in cui il Tolo- sano ammette i faentini al suo go- verno sino al 1243, in cui cadde nelle mani di Federico II. Questi, nel 1248, m compenso di militari servigi, la cede al conte Malabcc- ca signore di Bagnacavallo, al qua- le poco dopo fu tolta dal Cardi- nal Ubaldini legato pontificio, per darla ai bolognesi in compenso de- gli aiuti militari a lui dati. Nel 1276 Guido conte di Montefeltro, e caldo capo de'ghibellini, avendo trionfato de'bolognesi, pose al pre- sidio di Cotignola soldati forlivesi e faentini, costruendovi un castello. In seguito i faentini ne ripresero il governo, e la restaurarono nelle mura e negli edifìzi rovinati dal terremoto. Nel 13^8 fu governata dal Cardinal legato di Bologna, che per timore dei Polentani di Ra- venna, nel i32g la cedette ai me- desimi ; ma Benedetto XII nel 1 34 1 1' accordò in feudo ai Mai- nardi di Bertinoro. Ritornata po- scia al pieno dominio della santa Sede, Gregorio XI l'accordò all'in- glese Giovanni Aucut suo capita- no e gonfaloniere, insieme cogli al- tri paesi della Romagnola, in pre- mio di militari imprese, il quale dappoi in un alle altre terre la vendè per ventimila fiorini ai mar- chesi estensi di Ferrara. Allora Manfredi, signore di Faenza, subito l'occupò, e la tenne sino al i38i, in cui fu espulso dagli estensi che la governarono a tutto il 1 4oo, nel- la qual epoca se ne impossessaro- no i conti di Cunio e di Barbia- no. Nel i4°9 tornò in potere de- gli estensi, dai quali nel i4'i fa ceduta in compenso di guerreschi servigi al lodato cotignolese Giaco-

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111 uccio o Muzio Attendolo detto Io Sforza, capitano di gran nome, contestabile di Napoli e gonfalo- niere di s. Chiesa, con approva- zione di Giovanni XXIII, che inol- tre lo dichiarò conte della mede- sima. Francesco Sforza suo figlio, insigne per ventidue vittorie, nel- l'anno i44° ottenne il tanto sospi- rato dominio di Milano. Cos'i la famiglia Sforza umilmente sorta da Cotignola, nobilitata singolarmente da due suoi individui, Sforza pa- dre, e Francesco figliuolo, colle più eminenti virtù , sole fonti della vera nobiltà, potè salire in brevis- simo periodo ad uno de' più rag- guardevoli principati. Il medesimo Francesco Sforza, ottenne da Pio II accrescimento all'antico territorio di Cotignola, con aggiungervi quelli de'distrutti castelli di Cunio e di Barbiano, rinomati nell'istoria, con frazione di Zagonara. I duchi Sfor- za-Visconti governarono la loro pa- tria per anni novantuno, sino al i5o2, onorandola col titolo di loro città diplomatica, di molti privilegi, e statuti particolari. In detto anno Cotignola ritornò agli estensi, nel i5io di nuovo alla Chiesa, nel 1 5i 3 venne rivendicata dagli esten- si; ma nel i5g8 essendo mancata la linea legittima degli estensi, Cle- mente Vili insieme al ducato di Ferrara la sottopose all'intero do- minio della santa Sede, seguendo quindi i destini di Ferrara. Il go- vernatore lo nominava la s. con- sulta. Sono in essa molti benefìci istituti, e tra le chiese primeggia quella di s. Stefano, già decorata di ricco capitolo, il cui superstite arciprete gode Y uso della cappa maglia. Cotignola divenne pur ce- lebre pegli uomini illustri che ci ha dato. Alberico il grande , che

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iiberb V Italia dai barbari, fu suo signore; come preclarissimo fu Sfor- za il grande. A Francesco suo fi- glio, cinque discendenti successero nel ducato di Milano, e Bianca pronipote sposò Massimiliano impe- ratore. Molti poi furono gli Sfor- za vice re, come i Cardinali i qua- li hanno biografie nel Dizionario. Caterina figlia del duca Galeazzo sposò Riario nipote di Sisto IV, conte di Forlì e d'Imola, indi spo- sò un Medici di Firenze; e lungo sarebbe parlare della sforzesca fa- miglia. Inoltre Cotignola ebbe di- versi grandi uomini, come Gra- ziani arcivescovo di Raglisi, sepolto nella collegiata; la b. Cecilia fran- cescana ; il b. Alberto Marchesi francescano, tumulato in patria; d. Gaspare Bolis, istitutore in pa- tria del collegio de' gesuiti, delle Clarisse, e del conservatorio delle orfane; i Zarabbini, uno celebre nelle armi, due nell' eloquenza, ed Onofrio autore di varie opere, sen- za nominar altri che fiorirono nel- le scienze e nelle arti. V. Giro- lamo Bonoli , Storia di Cotignola terra della Romagna inferiore^ Ra- venna 1734 per il Landi; ed il p. Flaminio da Parma , del con- vento di s. Francesco de' minori osservanti, nel tom. I delle sue Me- morie isteriche.

Ritornando alla nostra Faenza, ed all'epoca del pontificato di Ur- bano V , i Manfredi divennero causa , per le prepotenze ed ava- nie che commettevano , che molte famiglie faentine spontaneamente abbandonassero la patria. Giovan- ni Manfredi morì in Bologna , la- sciando due figliuoli, Astorgio e Francesco, senza l' avito dominio, meno le poche possessioni lasciate- gli dal Papa ; e Gregorio XI fece

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costruire la rocca presso porta Imo- lese. Frattanto in Faenza penetrò la pestilenza, i fiorentini fecero ri- bellare Astorgio Manfredi per ricu- perare la signoria ; ma Aucut ca- pitano pontifìcio, e signore di Co- tignola, portatosi colle sue milizie in Faenza, 1' abbandonò al saccheg- gio ed alle violenze, non rispar- miandosi le sagre vergini. Le que- rele de' faentini giunsero in Avi- gnone a Gregorio XI, il quale nel ristabilire in Roma la residenza pontificia, seppe che l' Aucut con- segnava Faenza venalmente al mar- chese Nicolò d'Este. Allora Astor- gio si pose in cuore di togliergliela, e coli' aiuto di altri nel 1379 po- tè averla , a patto di pagare in quattro anni ventiquattro mila fio- rini , conseguendo da Urbano VI il titolo e l'autorità di vicario del- la Chiesa per tutto il dominio di Faenza. Superò quindi Astorgio una congiura ordita in favore del fratello Francesco ; prese Russi, su- però i forlivesi , e riedificò il pa- lazzo pubblico in Faenza. Ebbe inoltre la gloria di aver vinto e fatto prigione Azzone d'Este, e da- ta in moglie al figlio Gio. Galeaz- zo, la bella Gentile, sorella di Car- lo Malatesta signore di Rimini, dopo essere stato in Roma con cento cinquanta cavalli per esser confermato nel vicariato dal nuo- vo Papa Bonifacio IX, che il re- galò con cose di valore, cui A- stoigio passò in dono alla cattedrale. Incominciò il secolo XV colla guerra de' bolognesi, e con ostilità col duca di Milano; ma quel che fu peggio per Astorgio, venne bra- ma a Bonifacio IX di ricuperare alla Chiesa Bologna e Faenza, com- mettendone l'impresa al Cardinal Cossa, che fu poi Giovanni XXI 11^

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come legato di Romagna, cui die per compagno e capitan generale dell'esercito il conte di Cunio Al- berico, gran contestabile del regno di Napoli. Occupata agevolmente Bologna, si avanzò a Faenza ove n* era assente Astorgio, e la ebbe dal figlio Galeazzo, cbe la cedette per dieci anni, coli' annuo compen- so alla sua famiglia di due mila quattrocento fiorini; quindi accusa- to Astorgio di segrete intelligenze, il Cardinale gli fece mozzare il ca- po. Alcune famiglie faentine abban- donarono la patria, e mentre nello scisma die funestava la Chiesa si elesse Giovanni XXIII, contro Gre- gorio XII, questi restituì il vica- riato di Faenza a Gio. Galeazzo, conferendogli il titolo e privilegio di conte su tutte le castella di Val di Lamone; laonde a' 28 giugno i4»o il Manfredi s'impadronì del- la città, venendo congratulato dai signori del territorio, da Alberico di Cunio, e da Sforza di Cotigno- la. Gio. Galeazzo fu il primo di sua illustre prosapi a ad essere in- signito del titolo di conte di Val di Lamone, come il primo a con- ferire il nome di visconte a chi inviò al governo de'castelli di sua signoria, separando la contea dal rimanente del territorio faentino, e soggettandola a speciali statuti, che poi approvò qual pontifìcio vi- cario. In detto anno i/fio la città fu liberala dalla Beata Vergine delle Grazie da fierissima pesti- lenza.

Seguendo Gio. Galeazzo le parti del benefico Gregorio XII, si col- legò alle milizie eh' erano in di lui favore, che per altro furono debel- lale presso Faenza. Essendo egli morto nel i4i7> il Pontefice Mar- tino V investì del vicariato i figli

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Carlo, Guido Antonio, Astorgio,. e Gio. Galeazzo , dandone la tutela alla vedova Gentile, e il reggimen- to. Indi i Manfredi acquistarono facoltà di eleggere i podestà per Faenza, che assediata dal duca di Milano, dopo la sua ritirata ivi si concliiuse la generale concordia. Nel l4*9 i bolognesi ribellaronsi a Martino V, che inviò i signori di Romagna a soggiogarli, concor- rendovi Gio. Galeazzo , 1' ultimo de' fratelli Manfredi. Vari avveni- menti si successero: il valoroso Gui- do Antonio condusse i fiorentini contro Lucca, ma poscia alleossi col duca di Milano nemico di Eu- genio IV; Astorgio II fatto pri- gione si vendicò poi con Gamba- corta di Pisa ; ed alla morte di Guido, Astorgio li gli successe nel principato, mentre Taddeo figlio del defunto s'ebbe la signoria d'I- mola , ciò che produsse momen- tanei dissapori tra zio e nipote. In questo tempo ancora molti illustri guerrieri faentini onorarono la pa- tria, e Taddeo caduto prigione in un fatto d' armi tra le milizie na- poletane e i fiorentini, questi ge- nerosamente il posero in libertà, e largheggiarono secolui con pri- vilegi, dichiarando loro capitano generale lo zio Astorgio II, pel va- lore ond' era chiaro, e ne die pro- ve ai fiorentini nelle conquiste di lombardia. Indi questo signore ri- fece le mura e le fortificazioni a Faenza, a Russi, a Brisighella, edi- ficando la sua rocca, nel pontifi- cato di Nicolò V zelatore della pa- ce. Nella vita di questo Papa si legge, che ai 2 3 febbraio i453 minacciò con gravi pene Taddeo Manfredi, per aver usurpato la cit- tà di Faenza, disprezzando l'imperio della santa Sede, da cui l' aveva

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con Imola in governo. Quando Pio li recossi nel 1 4^9 al congresso di Mantova, Gio. Galeazzo lo accom- pagnò a Bologna, e riuscì al Papa di pacificar Taddeo con Astorgio II, ciò che ebbe corta durata, per- chè il primo armata mano tentò occupar Faenza, ed impadronirsi dello zio. TuttavoltaPioII colla sua autorità riconciliò ambedue stabil- mente, ed allora Astorgio li pre- stò utili servigi al Papa. Per mor- te di Astorgio II, nel 1468, gli successe il figlio Carlo, il quale su- bito ottenne il principato di Faen- za, con generale esultanza de'citta- dini, mentre il fratello Federico divenne vescovo della diocesi , ed in Imola Taddeo era in aspra dis- sensione col suo figlio Guidacelo Manfredi, ed il primo fu dal duca di Milano spogliato della signoria d' Imola, compensandolo con altri domimi.

Il principe Carlo intento ad ab- bellire Faenza, demolì i portici che la ingombravano, quietando il ma- le umore con compensi ai danneg- giali. Più tardi, nel i4?75 i faen- tini insorsero contro di lui ; e seb- bene Federico avesse ottenuto da Sisto IV la successione al principato ad Ottaviano primogenito, Galeotto fratello de' due primi fu salutato signore, ond'essi uscirono dalla cit- tà, subito mutando Galeotto i ca- stellani delle rocche , e ricevendo Tinvestitura da Sisto IV. Indi Ga- leotto si strinse in amicizia con Gi- rolamo Riario conte d'Imola, e do- po vari politici avvenimenti, sposò Francesca Benlivoglio figlia del si- gnore di Bologna. Tentò poscia impadronirsi di Forlimpopoli, e do- po la morte di Carlo, e del vesco- vo Federico suo fratello, avvenuta in Riurini, gli nacque con gran tri-

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pudio de' faentini il primogenito Astorgio. Stanca la moglie Fran- cesca della disonesta tresca che Ga- leotto menava colla ferrarese Cas- sandra, prima fuggì presso il pa- dre , e poi covando tremenda ven- detta, rappacificatasi in apparenza col marito, lo fece trucidare in sua presenza, immergendogli per ultimo ella stessa un pugnale nel petto, ed immediatamente col figlio si rifugiò nella rocca. Il padre suo, eh' era venuto in Faenza co' suoi per proteggerla, fu fatto prigione dal popolo inviperito per ì' atroce misfatto, e solo a mediazione dei fiorentini fu lasciato ritornar con Francesca illeso a Bologna. Astor- gio III proclamato principe ebbe a superare una congiura ordita da Ottaviano suo cugino, e i fiorenti- ni ne curarono gl'interessi. In tan- ti trambusti i cotignolesi rinnova- rono le antiche pretensioni di am- pliar i loro confini in detrimento di Faenza, non però vi riuscirono. Riconciliati i partiti cittadini, esaspe- rati pel barbaro avvenimento, pero- pera del magistrato, e pel credito del canonico Rondinini, contemporanea- mente in Italia nacquero nuovi dis- turbi, mentre diveniva Pontefice A- lessandro VI Borgia; e siccome il cen- so annuo di 2016 ducati che il signor di Faenza pagava alla camera apo- stolica, per due anni non era stato soddisfatto, il Cardinal Riario ne as- solvette Astorgio III. Giovandosi Ottaviano Manfredi della venuta di Carlo VIII re di Francia in Italia per la conquista del regno di Napoli , e delle altre vicende che ne furono conseguenza , nuo- vamente aspirò a signoreggiare Faenza ; ma non ebbe riuscita, an- zi fu imposta la taglia a suo estre- mo danno, e mentre nel i49& i

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fiorentini lo movevano contro Astor- gio HI, restò ucciso allo alpi ili s. Benedetto, con indignazione dell'e- mulo, e de' faentini

Frattanto Alessandro VI non la- sciava mezzo per ingrandire la po- tenza di suo figlio Cesare Borgia, già Cardinale, indi duca del Valen- ti nois per concessione del re di Francia Luigi XII, e formargli un principesco stato in Romagna. Tre- pidando la repubblica di Venezia della calata in Italia che meditava il re di Francia per congiungere le sue armi coli' audace ed agguer- rito Cesare Borgia, rinunziò alla prolezione che sino allora aveva usata allo stato di Faenza, richia- mando il suo procuratore che ivi ri- siedeva. Al soprastante pericolo pro- curò di riparare Astorgio III, collo sborso de* censi scaduti e non pagati, interponendo gli uffici dell'oratore veneto in Roma, e quelli di alcu- ni Cardinali. Luigi XII invase il ducato di Milano, e dati a Cesare Borgia alcuni squadroni perchè fa- cesse l' impresa d' Imola, tornosse- ne in Francia, ciò che vide volen- tieri il duca Valentino: Imola, For- lì e Cesena caddero in suo potere, e Caterina Sforza vedova Riario, da Forlì fu mandata in Roma nel- la prigione di Castel s. Angelo, donde poi fu tratta da Ivo d' Al- lègre capitano degli ausiliari fran- cesi. Il duca si condusse trionfan- te in Roma, con somma compia- cenza del Papa. Ripigliata la guer- ra di Romagna, Pesaro e Ri mi ni gli aprirono le porte, sola Faenza gli oppose generosa resistenza. Ma il tradimento fece cedere le rocche , e quella della città fu affidata ad altri, perchè eravi penetrato egual maneggio ; laonde al primo assalto che il duca operò nell' assedio di

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Faenza nel novembre i5oo, fu va- lorosamente respinto, e costretto a ritirarsi coli' esercito a' quartieri d' inverna Nel gennaio del seguen- te anno il Borgia tornò a stringe- re Faenza, e nel terzo assalto, ai 21 detto, non senza segrete intel- ligenze di dentro , fu nuovamente respinto. Rivolse egli allora le sue forze contro Russi ed altri castelli che occupò. A'2 r aprile fece ritor- no su Faenza, ed a'24 ordinò un generale assalto, che fu fiero, e du- rò sei ore, perchè ogni ordine di cittadini , senza riguardo d' età e di grado, pugnarono in difesa del- la patria, per cui grande fu la perdita de'nemici. Tuttavolta con- siderando i faentini che ad altro assalto non trovavansi in grado di fare resistenza, a' 26 aprile inco- minciarono trattative di dedizione salvo l'onore, la vita e gli averi de' faentini , o abitanti de' luoghi soggetti alla signoria, e che Astor- gio III fosse lasciato pacifico pos- sessore del paterno retaggio.

Acconsentì a tali patti il duca Valentino, ma non sembrandogli essere sicuro nel dominio, finché fosse libero e vivo un Manfredi , avvezzo ai tradimenti e allo sper- giuro , fece prendere Astorgio , e Gio. Evangelista suo fratello na- turale, e diede loro in Roma la morte, gettandone i corpi nel fiu- me Tevere. Così terminò la nobi- lissima e possente famiglia de'Man- fredi, che per lunga età tenne il principato di Faenza, e di altre signorie. Il Borgia conlento di a- versi assicurato il dominio faenti- no, vi pose un luogotenente, men- tre il Cardinal legato a' 29 aprile rimetteva lettere patenti alle città romagnuole, colle quali Alessandro VI dichiarò Cesare Borgia duca di

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Romagna. Il Papa maritò quindi Lucrezia Borgia, sorella del Valen- tino, a d. Alfonso primogenito del duca d' Esle Ercole I, ricevendo dal fratello per giunta di dote , Russi ed altre castella del dominio faentino. Indi il Valentino atterrò le mura di Castel Bolognese, e ob- bligò Faenza a far leva di solda- ti. Frattanto morì a' 18 agosto i5o3 Alessandro VI, e la potenza del Valentino fu al tramonto : i deposti signori tornarono a' loro dominii, e Faenza salutò principe Francesco, figlio naturale di Ga- leotto Manfredi, e gì' impose il no- me di Astorgio IV. Insorsero però de* rivali, ed occultamente fu in- trodotto nella rocca Cristoforo Mo- ro con trecento soldati, inalberan- do la veneta bandiera, e rivolgen- do le artiglierie contro la città , tutta sorpresa di stupore per inattesa invasione. Allora i faenti- ni ricorsero a Giulio II, il quale accogliendo benignamente Y inchie- sta spedì prontamente a Venezia il vescovo di Tivoli, per rimuovere il senato da quell' impresa. Ma questi francamente rispose che Faen- za era stata ceduta in pieno con- cistoro con altre città di Romagna al duca Valentino, che la repub- blica non voleva discutere su i di- ritti della santa Sede, e che i faen- tini, avvezzi al dominio de' natu- rali signori, non desideravano l'ec- clesiastico. Giulio II ciò fece sape- re a' faentini, che si disposero a cessar l' opposizione alle milizie ve- nete, con diverse condizioni, do- vendo passare i superstiti Manfredi a Venezia; laonde a' 19 novembre i5o3 l'esercito veneto co' provve- ditori presero possesso della città. Dappoi Giulio II s' inimicò co' ve- neti , procurò il ricuperamento di

VOL. XXII.

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Faenza, che prudentemente tenne fede ai dominanti ; indi il Papa s' impadronì di Perugia e di Bo- logna, e tornando in Roma passò per Faenza, nel febbraio i5oy per non dar mostra di risentimento verso i veneziani. Disgustato tuttavolta con essi per la conquista fatta delle cit- tà romagnole, si collegò in Cam- bray col re di Francia a loro dan- no, I veneti vollero farne la re- stituzione, ma il Papa non volle accettare, pose in campagna forte esercito, ed i veneti furono vinti ad Agnadello , ed allacciati dalle censure.

Il Cardinal Alidosi , legato di Bologna e di Romagna, fu inca- ricato del ricuperamento di Faen- za. Brisighella provò la ferocia del- l'esercito di Francesco Maria della Rovere, capitano generale della Chiesa ; ed anche Russi soggiacque al suo dominio. A mezzo del ca- nonico Rondinini, Faenza si diede al pontifìcio legato, dopo diverse trattative e concessioni per parte del Cardinale e di Giulio II , ve- nendo reintegrato il comune di al- cune antiche possessioni spettanti ai Manfredi. Fatto legato di Roma- gna il Cardinal de' Medici, si portò a Faenza, poi fu prigione de' fran- cesi, che occuparono le città di Romagna, Russi, ed altri castelli , preferendo i faentini alla dedizio- ne un tributo di buona copia d'o- ro. Fu in questa occasione che Faen- za si tolse a protettori i ss. Savi- no vescovo e martire , Emiliano vescovo, Pier Damiano vescovo di Ostia e Cardinale, e Terenzio con- fessore. Nel i5i3, a Giulio II suc- cesse il Cardinal de' Medici, col no- me di Leone X, che subito con- fermò al comune le concessioni del predecessore ; ma gli svizzeri che a- 20

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vca preso al suo soldo, alloggiando parte di essi in Faenza, furono ca- gione di grave e memorando tram- busto. Il magistrato nel i52 2 prov- vide alla pubblica quiete. Adria- no VI fu a Faenza largo di pri- vilegi, come gli fu benefico Cle- mente VII già legato di Roma- gna. Intanto Carlo duca di Bor- bone chiese di entrare in Faenza col suo esercito, e venendogli ri- cusato, per le montagne del faen- tino si portò a Roma che fu or- rendamente saccheggiata. Rappaci- ficatosi Clemente VII con Carlo V, dopo di averlo coronato in Bo- logna, al 3i marzo i53o onorò Faenza di sua presenza , dimorò nel palazzo comunale, festeggiato ossequiosamente dal magistrato e dal popolo, che in seguito ottenne soccorsi per rifare le mura della città. Nel pontificato di Paolo III la città si procurò in protettore il Cardinal Cesi diacono di s. Eusta- chio ; e Faenza due volte ebbe ad ospite quel gran Pontefice: la pri- ma quando nel i54* portossi in Lucca per abboccarsi con Carlo V, alloggiando nel palazzo comunale li 18 e 19 ottobre, da tutti fe- steggiato oltre ogni dire; la secon- da nel i543 in occasione che si recò a Brussetto dall' istesso impe- ratore, ed in marzo giunse in Faen- za ove dimorò la notte , e il se- guente giorno. Nel pontificato poi di Paolo IV, per la guerra tra questi e il re di Spagna, ricusò di ricevere entro le sue mura l'eser- cito francese sebbene collegato al Papa.

Pio IV confermò a Faenza gli antichi privilegi, e gliene concesse di nuovi, esentandola da alcune im- poste affinchè restaurasse le sue mu- ra, Dal successore s. Pio V, i faen-

FAE tini ottennero la revoca d' un de- creto, che sottraeva al loro domi- nio il castello di Russi. Indi furo- no spaventali dal terremoto. Ri- cevettero con ogni sorla di distin- zione i Cardinali legati Sforza, od Alessandrino ossia Bonelli , e po- scia ebbero a governatore il Cardi- nal di Vercelli, che ne ottenne da Gregorio XIII il governo a vita , ciò che confermò Sisto V. Questi fece sentire il suo giusto rigore? anco contro i banditi di Romagna, ed eguale sollecitudine ebbe Gre- gorio XIV. AH' esaltazione di Cle- mente VIII, nel 1592, Faenza ben a ragione tripudiò, non solo per- chè nel cardinalato n'era stato pro- tettore, ma eziandio per esservi stato educato nella sua prima gio- vinezza, quando vi si rifugiò il di lui genitore famoso giurisconsulto Silvestro Aldobrandino dopo il ban- do inflittogli da Firenze sua pa- tria. Vacando la protettoria della città, l'accettò il Cardinal Sforza legato. Nel recarsi poi Clemente Vili a prender possesso del duca- to di Ferrara ( al quale artico- lo si descrive la convenzione se- guita in Faenza per la ricupera di quel ducato), il magistrato inviò tre ambasciatori per ossequiarlo a Rimini, supplicandolo della resti- tuzione degli antichi privilegi e giu- risdizioni concessi da Giulio II, poscia diminuiti e tolti. Indi per Bagnacavallo , Cotignola e Lugo Clemente Vili giunse a Ferrara li 8 maggio 1^98, e ne partì ai 26 novembre. Giunto alle porte di Faenza a' 2 dicembre, e smontato di carrozza, o come altri dicono dalla lettiga, cavalcò una bianchis- sima chinea, e sopra essa entrò in città tra le più magnifiche, pom- pose e riverenti accoglienze di tutti.

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Tra i molti segni di singoiar ono- ranza, venticinque giovani delle più nobili famiglie, vestiti di ricchi e vaghi panni uniformi nel colore e nella foggia, presentarono al Pon- tefice sopra altrettanti bacili squi- siti confetti e canditure di Geno- va e Venezia. La via Emilia dal- l'una all'altra porta fu tutta ad- dobbata a festa, e vari archi trion- fali ed altre divote dimostrazioni si tributarono al comun padre e sovrano. Dopo alcune ore di ripo- so Clemente Vili riprese il cam- mino alla volta di Roma, fra le più vive acclamazioni.

Nel pontificato di Urbano Vili, pei bisogni dello stato, la comune fece un'offerta in denaro, e poscia il territorio pati una straordinaria innondazione ; ed in quello di Ales- sandro VII ricevette con solenni onorificenze la regina Cristina di Svezia, accompagnata dal dottissi- mo Olstenio; indi la città provò i tristi effetti della pestilenza e delle civili discordie , mentre nel pontificato di Clemente X fu af- flitta con Romagna tutta dal ter- remoto, gastigo che rinnovossi in un modo spaventevole per Faen- za sotto Innocenzo XII. In questo frattempo alloggiò nel palazzo del conte Dionigio Naldi, Maria Casi- mira, vedova di Giovanni III re di Polonia, accompagnata dal vec- chio suo genitore, il Cardinale d' Archien. Poco dopo, e nel pa- lazzo del marchese Muzio Spa- da, albergarono Teresa Gonegon- da vedova dell'elettore di Bavie- ra , e Violante moglie del pri- mogenito di Cosimo III; e nel 1717 Giacomo III re d' Inghilterra fu trattato ospitalmente dal conte Ga- spare Ferniani. Ma il soggiorno che fece Pio VI nel 1782 a Faen-

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za, nel viaggio che intraprese per Vienna, rallegrò tutti i faentini, per più riflessi. Vi giunse a' 7 mar- zo, smontò nel palazzo del suo cu- gino conte Scipione Zanelli, ove in ampia sala ammise al bacio del piede il capitolo preceduto dal ve- scovo, il clero secolare e regolare, il magistrato , la nobiltà, e parec- chie dame; indi sotto ricco baldac- chino Pio VI si condusse a piedi alla cattedrale, ed ivi solennemen- te benedi il popolo, e tornato al det- to palazzo, dopo breve riposo con- tinuò il suo viaggio per Imola. Ritornando il Pontefice da Vienna rallegrò di nuovo colla sua presen- za i faentini a' 29 maggio, e nel palazzo Zanelli ricevè 1' omaggio del vescovo , del governatore, del magistrato, della nobiltà, e di al- tri. La porta della città era sovra- stata d' analoga iscrizione, la via Emilia fu decorosamente ornata , mentre da un balcone del mento- vato palazzo compartì l'apostolica benedizione , fra le più divote e clamorose acclamazioni. Dipoi a- scese il Papa in carrozza, s'incam- minò verso il canale naviglio in costruzione a spese del medesimo conte, come dicemmo di sopra, benedicendo nel tragitto le mo- nache di s. Cecilia e le suore di s. Chiara schierate appositamente sulla corte. Pervenuto col corteg- gio all' arco trionfale , discese Pio VI dalla, carrozza, e in compa- gnia di monsignor vescovo si a- vanzò verso il detto canale, ove parecchi gondolieri vestiti a gial- lo tenevano preparati due pali- schermi da lanciare in acqua ad un convenuto segnale. Ciò fatto, comparvero le due barche piene di suonatori, che con piacevoli ar- monie fecero più lieta quella so-

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lennità. Indi fu presentato al Pa- pa il disegno della porta che vo- levasi erigere rimpetto al canale, ed egli ciò approvando, volle che fosse chiamata Pia dal suo vene- rato nome. Risalito in carrozza, passò al loggiato del palazzo co- comunale magnificamente ornato, e quivi il Pontefice tornò a bene- dire il foltissimo popolo, avviando- si poscia per Forlì, uscendo dal- l'altra parte della città sulla quale si leggeva altra corrispondente iscri- zione.

Nel 1 789 incominciarono i me- morabili sconvolgimenti di Francia., che commossero tutta l'Europa, ed oscillarono grandemente sullo stato pontificio, risentendone anche Faen- za le triste conseguenze. Al pas- saggio delle diverse truppe, succes- se per opera de' repubblicani fran- cesi l'invasione di Romagna. Na- poleone Bonaparte, supremo coman- dante dell'esercito d'Italia, occupò Bologna a' 19 giugno 1796; ed ai 2 4 delio stesso mese il genera- le Augereau entrò co' suoi in Faen- za, obbligando i cittadini alla con- segna d'ogni sorta di armi, ed im- ponendo gravose contribuzioni, ol- tre lo spoglio del monte di pietà. Lugo e Cotignola avendo opposta resistenza, furono severamente pu- nite, e saccheggiate. Allora il Pa- pa inviò molte milizie a Faenza capitanate dal colonnello Ancaiani, dappoiché Pio VI, sebbene avesse convenuto nell'armistizio di Bolo- gna, firmato colà a' 23 giugno 1796, diverse umilianti condizioni, e la cessione delle legazioni di Bo- logna e di Ferrara, e della città di Faenza, pure avendo bene com- preso le mire de' francesi, secondo l'obbligo di principe sovrano, in difesa de* sudditi , volle opporre

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forza alla forza. A'2 febbraio 1797 il general Victor, coi generali Sau- ghet, Rusca, e Sgambelli, per Imo- la si diressero contro 1' esercito pon- tificio, e sulle sponde e presso il ponte del Senio ebbe luogo l'infelice pugna. Al primo assalto degli ag- guerriti francesi, il guado sulle pri- me fu impedito con molto valore; ma la furia degli ardenti italiani di lombardia, ausiliari dei francesi, cagionò un istantaneo sbigottimen- to, e tradite le milizie papali da alcuni ufììziali guadagnati dal ne- mico, perderono subito il posto ed il coraggio, e si abbandonarono al- la fuga con disordine e confusio- ne. In potere de' francesi restarono alcune centinaia di prigionieri , quattordici pezzi di cannone, e otto bandiere: mentre i francesi vi per- dettero un qualche centinaio di uomini, tra morti e feriti. Osser- va il Pistoiesi, nella Vita di Pio VII, tom. I, p. 35, che da mol- ti si pose in ridicolo cotal combat- timento; ma ufììziali di rango si francesi che cisalpini lo trovarono ben differente, e diedero la meri- tata lode a que' valorosi soldati, che sebbene di nuova leva, e non avvezzi al fuoco, mostrarono ciò non pertanto un coraggio poco comune, e ben si avvide il nemi- co in quel primo militare cimento che l'antico valore nei nostri non era spento.

Allora il generale Victor continuò la sua marcia sopra Faenza, apren- dosi la porta fatta chiudere dal- l' Ancaiani, a colpi di cannone; ed i cavalleggieri inseguirono verso Forlì i fuggitivi. Il general Bona- parte alloggiò nel palazzo Mazzo- lane e il cavaliere Annibale di questa famiglia venne dichiarato capo della municipalità. Il se-

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guente nella pubblica piazza fu eretto l'albero dell'effimera liber- tà, ossia una lunga pertica avente in cima un berretto rosso, e pen- dente, raccomandata a tre nastri tricoloràti, una ghirlanda d'alloro frammischiata a diversi fiori, oltre i molti eguaglianza, giustizia, liber- tà, ec, quindi ebbero luogo tutte quelle cose contro il pontificio re- gime a tutti note, e nel 1798, il passaggio di quelle truppe, che prepotentemente strapparono da Roma Pio VI. Frutto del nuovo ordine di cose furono forzose con- tribuzioni, demolizione de' stemmi, discacciamento de' religiosi e delle monache dai loro chiostri, la co- scrizione, ostilità d'ogni genere, vessazioni ec. Posero momentaneo termine a fatti avvenimenti la prevalenza degli austro-russi, che entrarono in Faenza a' 1 4 maggio 1799, finche ai 12 luglio 1800 rientrarono nuovamente i francesi nella città per la vittoria ottenuta a Marengo. Di nuovo nei seguen- te novembre gli austriaci ricupe- rarono Faenza ; ma ritornativi i francesi, sino al 1 8 14 ne restarono possessori, facendo dapprima la cit- tà parte della repubblica cisalpina, poscia del regno italico, e nel 1 8 1 5 venne ridonata al pacifico dominio della santa Sede nel glorioso pon- tificato di Pio VII. Non devesi qui tacere, che ritornando questo Pa- pa ne' suoi stati dopo lunga catti- vità, passò per Faenza a' i5 aprile i8i4j visitò la cattedrale, ed in sagrestia ammise al bacio del pie- de il canonico Andrea Strocchi, allora vicario generale, e tutti gli individui componenti il capitolo , che a memoria di tanto onore, e del fausto trionfo di Pio VII, so- pra la porta della sagrestia eres-

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sero il di lui busto, con relativa iscrizione. Grandissima fu altresì la letizia de' faentini, di essere be- nedetti da santo Pontefice.

Sulla storia di Faenza, e sue pertinenze, oltre i succitati scritto- ri abbiamo le seguenti opere. Dal dotto e sunnominato camaldolese p. Mittarelli, che come abbate ge- nerale de' camaldolesi risiedette nel rnonistero di Faenza, abbiamo: Ad scriptores rerum italicarum Mura- tori accensiones historicae Faven- tiae, quarum elenchus ad calcem legitur. Il Mittarelli però ebbe a compagno in questa collezione l'al- tro celebre camaldolese p. d. An- selmo Costadoni, ambedue i quali con note e prefazioni illustrarono le seguenti opere : I. Chronìcon To- losani nunc primum editum; II. Pe- tti Cantine Ili Chronicon Faventi- num; III. Chronica brevioria, alia- que monumenta Faventina a Ber- nardino Azzurinio collecta ; IV. Appendix monumenlorum Faven- tinorum: Statutum Faventinwn cir- ca offtciales custodiae anni 1^0,1-, Vilae ss. Terentii, Sabini, etc. ali- dore Jo. Ant. Flaminio^ ejusdem Flaminii epistola, et altera Zacha- riae Ferrerii de Laudibus urbis Faventiaej Epistola Hieronymi Fer- ri de Tabulano Azzuriniano , et alia Petri Nicolai Castellani ad Clementem VII, Venetiis 1771. Julius Caesar Tondutius, Faven- tiae historiae breviarium: accessit in fine epistola responsoria ad al- ter ani Sertorii Ursati, quae im- pressa legitur libro cui titulus : i Marmi eruditi, fol. 1 17, Faventiae typ. Josephi Zarafagli 1670. Di più del medesimo si hanno 1' Hi- storie di Faenza pubblicate dopo la di lui morte da Girolamo Mi- nacci, in Faenza per Gioselfo Za-

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1 alagli i6y5t con figure. Vent'anni impiegò il Tonduszt nel comporre questa storia della sua patria, che arriva sino al 1600. Essendo mor- to l'autore mentre la stampa era inoltrata fino al i44°> u Cavina si occupò della correzione del pro- seguimento, ed aggiunse l'indice generale e i particolari. Gregorio Zuccoli ci ha dato la Cronica par- ticolare delle cose falle nella città di Faenza cominciando dal 700 in circa sino al 1 i34, Bologna \5j5. Questa cronica è un ristret- to di quella del Tolosano. Il me- desimo Zuccoli lasciò ms. una sto- ria compiuta della città, che recen- temente, cioè nel i836, senza no- me d'autore e non intera, è stata pubblicata in Milano, fra le storie de' municipii italiani di Carlo Mor- bio, nella stessa lingua italiana co- me la scrisse il Zuccoli. Finalmen- te trattarono di Faenza l'Amade- sio, l'Azzurini, il Blavio, il Canti- nello, il Riceputi , il Torsano, il Marchesi, ed altri nelle istorie d'I- talia, di Ravenna, di Forlì, e del- l' Umbria ec, non che quelli notati dal benemerito annalista Bartolom- meo Righi sullodato. Il Monti nelle Notizie sloriche sulV origine delle fiere nello slato ecclesiastico t a pag. 38 tratta della fiera di Faenza, e dice che questa celebre città gode- va il privilegio della fiera sino dal i5oo, cioè di un solo giorno nella festa degli apostoli ss. Pietro e Pao- lo, ed era franca da ogni dazio anche per le merci estete. Dice an- cora che nel 1786 cessò la cele- brazione della fiera franca pei più regolari sistemi di finanza intro- dotti da Pio VI, e che nel 18 16 gli fu in vece accordata l'annua fie- ra di otto giorni da incominciarsi nel di della nominata festa.

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I primordii della chiesa illustre faentina, sono congiunti a queliti metropolitana di Ravenna, come si esprime il benemerito delle noti- zie ecclesiastiche di Faenza, il sul- lodato canonico Andrea Strocchi, nel suo opuscolo nitidamente stam- pato dalla tipografia Montanari e Marabini nel i83g, ed intitolato: / primordii della chiesa faentina. Abbiamo pertanto da lui , che la nazione faentina è debitrice dello stabilimento della fede allo zelo di s. Apollinare, discepolo del princi- pe degli apostoli e primo Pontefi- ce s. Pietro. Questi lo consagrò vescovo di Ravenna, e lo spedi nell'Emilia l'anno 46 della nostra era, a predicare il vangelo nelle diverse città di quella florida pro- vincia; ed all'anno 60 si attribui- sce la fortunata epoca della con- versione al cristianesimo di Faen- za, per opera del medesimo vesco- vo di Ravenna, non pubblicamen- te a cagione delle persecuzioni, ma privatamente; onde que' primitivi cristiani, come in Roma ed altro- ve, radunavansi in luoghi segreti. Quindi i faentini, come gì' imolesi elessero s. Apollinare in protetto- re, e gli eressero chiese ed altari in città che nella diocesi; e da ultimo il regnante Gregorio XVI, nel i832, accordò alla provincia di Emilia, cioè in tutto V arcive- scovato di Ravenna di celebrarne la festa con rito doppio di seconda classe. Il primo vescovo poi della chiesa faentina è il martire s. Sa- vino, che fiorì oltre la metà del terzo secolo. Di esso, come di tutti gli altri che la governarono, il me- desimo canonico Strocchi ha arric- chito la storia ecclesiastica d'Italia, col pubblicare nella sua patria Faenza, l'anno 1841 , eoa nobile

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edizione , e pegli encomiati tipi Montanari e Marabini , la Serie cronologica storico-critica de ve- scovi faentini, corrispondendo cosi a quel desiderio che 1' immortale Minatori dichiarò su fatti im- portantissimi argomenti al canoni- co Manzoni per l'istoria de' vesco- vi d'Imola, dappoiché gli diceva avere il sommo Ughelli in tanti luoghi camminato alla buona. Lun- gi pertanto di tesserne la serie , solo ci permetteremo indicare i ve- ' scovi venerati dalla Chiesa per san- ti, quelli che in numero di dieci furono decorati della dignità car- dinalizia, tra' quali primeggia In- nocenzo XII, e pochi altri degui di speciale menzione.

San Savino nativo di Sulmona, in età giovanile, e verso l'anno 260 di nostra era, si portò a con- durre vita solitaria nella selva Li- ba, presso il luogo ove fu poi fab- bricato il castello di Fusignano, già territorio, ora diocesi di Faen- za. Ivi visse santamente, e rallen- tate le persecuzioni della Chiesa, compì l' opera che due secoli pri- ma avea incominciato s. Apollina- re, illuminando il residuo degli abitanti della vicina Faenza, che per tal beneficio lo acclamò suo vescovo, forse verso l'anno 280; altri lo riguardano anche vescovo di Spoleto, Assisi, Chiusi ec. Patì il martirio nel 3o3 a Spoleto, ed il suo sagro corpo fu trasportato nella selva Liba l'anno 3 11, ove fu eretta una chiesa, e sotto Astor- gio II, nel i438, venne trasferito nella cattedrale. Gli successe Costan- tino o Costanzo I, che alcuni dissero primo vescovo di Faenza : interven- ne al concilio che Papa s. Melchia- de celebrò in Roma l'anno 3x3. A quello poi che nel 649 ivi pur

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tenne il santo Pontefice Martino I, vi si portò il vescovo s. Leonzio per la condanna dei monoteliti, e riprovazione dell' editto Tipo , il perchè vuoisi soffrisse il martirio. Il vescovo Paolo, nell'anno 920, istituì il cospicuo capitolo di trenta canonici, e perciò, afferma lo Stroc- chi, fu il primo che istituì capito- lo di canonici nello stato pontifi- cio. Inoltre eresse in vicinanza del- la cattedrale quella grandiosa abi- tazione, che dal loro nome si chia- mò canonica ; visse in comunità col suo clero, per meglio attendere al diurno e notturno salmeggia- mento, e celebrazione de' divini uf- fizi nella cattedrale. Gli si attri- buisce ancora l' istituzione del col- legio de' parrochi di Faenza, co- me generose assegnazioni pel detto capitolo, cui i successivi vescovi ag- giunsero ulteriori beneficenze, ed anche giurisdizione sopra molti ca- stelli, cioè Pedrignano nel forlive- se } Fontanamoneta , Fornaciauo, e Guillarino in quel di Faenza, ed altri.

Descrivendo lo Strocchi le me- morie del vescovo Roberto , dice che in questo tempo fatalmente Faenza seguiva le parti dell' anti- papa Clemente III, ossia Guiberto arcivescovo di Ravenna, fatto eleg- gere contro s. Gregorio VII dal- l'imperatore Enrico IV, e quindi passa a parlare di un concilio con- vocato in Faenza, di cui sinora rimase incerta 1' epoca, nel qua- le venne abrogata la facoltà con- cessa ad alcuni monaci di affidare nelle loro possessioni la cura d' a- nime ai preti secolari senza con- sentimento de' vescovi. Narra poi. che siccome il Pontefice Urbano II, a' 3o aprile 1099, nel concilio Romano confermò la sentenza di

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scomunica emanata da' suoi prede- cessori contra Y eresiarca Giliberto pseudo-papa, e gli altri di lui com- plici, e dichiarò nulle le ordina- zioni fatte dal medesimo posterior- mente all'inflitto anatema, sembra quindi che il relativo canone do- vesse essere intimato, o in qualche modo reso noto al capo dello sci- sma, e a' di lui fautori e seguaci, non meno che agli ecclesiastici da lui ordinati. Ciò non potevasi me- glio effettuare che mediante un concilio provinciale da tenersi in prossimità ai luoghi ove si aggi- ravano e avevano stanza i suddet- ti scismatici coli' antipapa, che po- co prima erasi ridotto nel castello di Argenta. Si reputa perciò che immediatamente dopo il concilio Romano del 1099, d'ordine dello stesso Pontefice Urbano II fosse convocato il concilio apud Faven- tiani , del quale dovettero proba- bilmente far parte i suffraganei del- l'arci vescovato di Ravenna , che. si conservarono fedeli alla santa Sede, come lo era certamente il nomi- nato vescovo Roberto di Faenza, che allora teneva questa cattedra vescovile suffraganea sino dalla isti- tuzione della metropolitana di Ra- venna. Da quanto dottamente scris- se de' precedenti concili il citato storico faentino, sembra che nel concilio di Faenza, oltre la confer- ma della scomunica al sedicente Clemente III e suoi complici, siasi anche trattato della riforma essen- ziale della disciplina ecclesiastica, ripetendo i canoni analoghi degli ultimi concili di Clermont, e di JNimes. Ne certamente si ommise il canone riguardante il diritto epi- scopale d' insti tuire i parrochi per le chiese situate ne' possedimenti de'monasteri, colla prescrizione che

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detti parrochi dipendessero nello spirituale direttamente da' vescovi, e soltanto fossero tenuti a rendere ragione agli abbati dell'amministra- zione delle cose temporali appar- tenenti ai monasteri. La quale di- sposizione era maggiormente neces- saria all'Emilia, perchè in questa provincia abbondavano gli stabili- menti monastici pio. ricchi che al- trove. Finalmente in conferma che il concilio apud Faventiam con- vocò sul declinare del secolo XI, dopo il concilio Romano III del 1099, è a sapersi che l'arcivesco- vo di Ravenna ebbe il dominio temporale di diverse città, terre, castelli, ed anche di esso venne più volte investito dagl' imperatori, come de' contadi di Bologna, Imo- la, Faenza, e Cervia, nonché confer- mato dai Pontefici. Tra questi domi- ni i era vi Oriolo, oppidum Aureoli, città o castello nella diocesi di Faen- za, e quattro miglia da essa distante, il quale appunto vuoisi essere stato destinato alla radunanza de'padri, per la celebrazione del concilio, sicco- me luogo idoneo al grave atto, sicu- ro da ogni spirito di parte, e protet- to contro le insidie de' nemici del sommo Pontefice; luogo in cui poste- riormente si tennero altri congres- si diplomatici. Adunque con criti- ca e molteplice erudizione, prova Io Strocchi, che nell' istoria patria, e nella collezione de' concili, si possa aggiugnere questa annotazione: Con- cìLium apud Faventiam in oppido Aureoli, anno MXCIX Pontificato Urbani II anno XII.

Successe a Roberto nel vescova- to, Cono, sotto il quale passò per Faenza nel 11 06 il Papa Pasqua- le II, recandosi in Germania a ce- lebrare il concilio di Augusta per la riforma delle cose ecclesiastiche;

FAEL ed i faentini tributarono a lui gli onori dovuti al capo della Chiesa. Pasquale II a' 28 ottobre del me- desimo anno tenne un concilio nu- meroso in Guastalla, dove tra le altre cose decretò che i vescovati dell' Emilia non sarebbero più sot- toposti al metropolitano di Raven- na ; ma l'immediato suo successo- re Gelasio II, con ampio diploma de' 7 agosto 1 1 19, restituì all'ar- civescovo Gualtiero la giurisdizione metropolitica sulle sedi già suffra- ganee a Ravenna, e fra queste quel- la di Faenza. A Cono, nel 1 1 1 6, fu dato per successore il faentino Pietro II di Bembo, che donò al- cuni beni al capitolo.

Dopo che Giovanni II interven- ne al concilio generale lateranen- se tenuto da Alessandro III, il suc- cessore di questi Lucio HI, recan- dosi nel 1184 a Verona, giunse in Faenza nella vigilia della festa di s. Pietro, per cui nel di se- guente celebrò solennemente la mes- sa nella cattedrale, concedendo in- dulgenza per ciascun anno in det- ta ricorrenza. A Giovanni li, nel 1 1 92 , fu eletto successore s. Ber- nardo Balbi di Pavia, che a mol- ta dottrina accoppiò quella pietà e virtù eroiche che l'innalzarono al- l'onore degli altari; però dopo a- vere per sei anni governato con universale applauso la diocesi di Faenza, fu da'suoi concittadini chia- mato a reggere la sede di Pavia. Ugolino faentino divenne vescovo di sua patria l'anno i3ir, e ben- ché semplicemente eletto interven- ne al concilio provinciale di Ra- venna, tenuto dall'arcivescovo Rai- naldo. Nel i3i2 nella sala dell'e- piscopio adunò un sinodo ; indi scomunicò Francesco Manfredi, e sottopose la città all'interdetto, per

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comando dell'arcivescovo di Raven- na suddetto, in punizione della lesa giurisdizione del castello di O- riolo: altro sinodo pieno di santis- sime leggi Ugolino celebrò nel i32i. Il primo vescovo di Faenza che fu promosso al cardinalato, non pe- rò mentre ne governava la diocesi, è Francesco Uguccioni o Aguzzoni Brandi da Urbino, che fatto ve- scovo nel i38o, fu trasferito alla sede di Benevento nel 1 384 » P0' a quella di Bordeaux, creandolo Cardinale nel i4o5 Innocenzo VII. Nella bolla di promozione al ve- scovato del suo successore Angelo da Ricasoli, fatta nel 1 383 da Ur- bano VI, viene chiamata la sede di Faenza immediatamente sogget- ta alla santa Sede; altrettanto si legge nella bolla che il medesimo Papa diresse al capitolo, parteci- pandogli tale promozione. Rodolfo Pio de'signori di Carpi nel i528 fu fatto vescovo di Faenza, nel i533 promulgò le costituzioni si- nodali della chiesa faentina , che fece poi stampare; indi nel i536 fu creato da Paolo III Cardinale, lasciando la sede di Faenza nel i544> rinunciando a favore di Teo- doro suo fratello naturale. A que- sti nel 1^62 Pio IV die in suc- cessore Gio. Battista Sighicelli, già vicario generale della diocesi, e me- ritamente, perchè fu uno di quei prelati che per ingegno, dottrina e zelo si distinsero in questa cat- tedra episcopale, onde venne am- mirato al concilio di Trento, se- condo i decreti del quale compi- lò le regole per lo stabilimento del seminario ecclesiastico, e tenne un sinodo diocesano, che pubblicò col- le stampe. Dopo il Cardinal Pio, il secondo vescovo di Faenza che fu decorato di sublime dignità

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è Giovanni Francesco di ». Gior- gio, de'conli di lilantlrala, anzi e- gli il primo Cardinale fatto ve- scovo, giacche Clemente Vili nel 1 5»t)6 lo annoverò al sagro colle- gio, e nel i6o3 gli conferì questa chiese: esso venne sepolto nella cat- tedrale da lui beneficata. Erminio Valenti, fatto da Clemente Vili nel i()o4 Cardinale, e nel i6o5 vescovo, gli successe; promulgò due sinodi, fu benemerito in più ma- niere, e venne sepolto in s. Maria delle Grazie. Marc' Antonio Gozza- dini, dal cugino Gregorio XV fu creato Cardinale, e per petizione della città di Faenza Urbano Vili nel 1623 lo fece suo vescovo; ma egli morì prima del possesso; ed Urbano Vili nominò in sua vece il Cardinal Francesco Cennini dei Salamandra Passando questi al ve- scovato di Sabina, il detto Papa a'4 marzo 1643 nominò vescovo di Faenza, e a' 1 3 luglio Cardinale Culo Rossetti; questi celebrò sinodi che diramò colle stampe, zelò il suo ministero, beneficò la diocesi, e per l'amore che gli portava, l'ot- tenne in amministrazione, quando Innocenzo X lo promosse alla sub- urbicaria di Frascati , e quando Innocenzo XI il trasferì all'altra di Porto : dopo trentaolto anni di vescovato , epoca cui non era giunto alcun vescovo di Faenza, morì nel 1681, e fu sepolto nella cattedrale nella tomba de' vescovi. Venne destinato da Innocenzo XI a rimpiazzarlo il Cardinal Anto- nio Pignattelli, con grande allegrez- za della città, perpetuata con a- naloga iscrizione , collocala nella loggia del pubblico palazzo; ma il medesimo Papa nel 1687 lo tras- latò alla chiesa arcivescovile di Napoli , da dove meritò che nel

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1691 foste sollevato alla cattedra di s. Pietro, col nome d'Innocen- zo XII.

Innocenzo XI al Cardinal Pi- gna! lelli diede in degno successore il benefico Cardinal Gio. France- sco Negroni, per lo zelo cui fun- se il suo ministero, e per le ge- nerose dimostrazioni latte alla dio cesi. Innocenzo XII all'antica sua chiesa fece dono del Cardinal Mar- cello Durazzo nell'anno 1697, dap- poiché tra i vescovi faentini che si distinsero in compartire benefizi a' diocesani, ninno superò la di lui munificenza, siccome descrive lo Strocchi nella succitata serie de' ve- scovi faentini. Nel 1710 i diocesa- ni ne piansero amaramente la per- dita, e tuttora ne ripetono il no- me jcon benedizione, conservandone le spoglie mortali nella cattedrale. Ristorò Clemente XI tanta perdila col nominar vescovo Giulio Piazza, che nel 1 7 1 2 fece Cardi naie, con gran tripudio de' faentini; questi ampliò ed abbellì l'episcopio, celebrò il si- nodo, ingrandì il seminario, e fu largo di altre beneficenze; e mo- rendo nel 1726 fu tumulato coi suoi predecessori. Passati duecento e quattordici anni, nuovamente eb- be Faenza nel 17^1 da Benedetto XIV un suo concittadino per ve- scovo nella persona di Antonio Can- toni : umile, zelante, caritatevole, meritò che Clemente XIII nel 1767 lo promovesse alla sede arcivescovile di Ravenna, che ancora ne conserva grata memoria. E per non dire di altri ottimi pastori, il regnante Pon- tefice ( Gregorio XVI, nel concisto- ro de' 2 luglio i832, consolò Faen- za col dichiarare per ottantesimo suo vescovo monsignor Giovanni Benedetto de'conti Folicaldi di Ba- gnacavallo, città della diocesi, il

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quale essendosi onoratamente eser- citato colla sua anteriore carriera prelatizia, bene apprese l'arte diffi- cile di governare, e potè guadagnar- si i cuori de' suoi diocesani che fanno voti per la sua diuturna con- servazione. Ciò luminosamente si confermò quando il medesimo Pa- pa che regna deterrainossi cede- re alle istanze del zelante vescovo, coll'accettare la di lui rinunzia al- la chiesa faentina, ad onta dell'a- more che leale e forte il prelato al gregge portava. Fu allora che ogni ordine di persone, spontanea- mente, e a gara rivolse fervorose suppliche al pontifìcio trono, acciò non venisse privato dei dato da Dio, dell' amato pastore. Alla bene- vola interposizione dell'augusto ca- po della Chiesa, monsignor Folical- di sclamò: Dei voluntatem venere- unir cernili, e cedette con genera- le edificazione ; sagrifìcando la pro- pria volontà, al tenero affetto che sempre nutrì pe'suoi diocesani, tri* pudianti oltre ogni dire per non vedersi privi di cotanto vescovo e padre, che i faentini pur conside- rano come loro concittadino, per averlo aggregato all'ordine de' pa- trizi. Quindi l'egregio prelato a'3 aprile i843 diresse al gregge ana- loga e tenerissima lettera, che non senza commozione si legge nel num. i 1 8 dell' applaudito Imparziale di Faenza.

La bella cattedrale di Faenza, eretta, come dicemmo, di nuovo nel i474> e solennemente consagrata a' i5 ottobre i58i dal vescovo Annibale Grassi, è dedicata a Dio sotto l'invocazione del principe de- gli apostoli s. Pietro. Ivi si vene- rano le ossa de' quattro santi pro- lettori della città, cioè s. Savino vescovo e martire, & Emiliano ve-

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scovo e confessore, s. Terenzio dia- cono, s. Pier Damiano vescovo, Cardinale, e dottore di s. Chiesa, non che del b. Nevolone camaldo- lese faentino, oltre altre reliquie; conservandosi nella sagrestia il pre- zioso reliquiario di s. Savino, ch'è un antico ostensorio in forma di torre., pregevole per la sua an- tichità e decorazioni. Nella catte- drale evvi il battisterio, e la cura delle anime, la quale è annessa alla cattedrale, non è affidata al parroco, ma ad un cappellano amo- vibile, il quale non fa però parte del collegio de'parrochi, che sono sedici: l'episcopio e il seminario sono contigui alla cattedrale. Il capitolo si compone di diciasette canonici, inclusevi la prepositura, ch'è la prima delle tre dignità, l' arcidiaconato, juspatronato della famiglia Severoli, e l'arcipretura canonicale istituita dalla famiglia Majoli di Ravenna : tra gli altri canonici vi sono le prebende del teologo e del penitenziere. Vi sono inoltre tredici mansionari, sei dei qua- li eleggonsi a vita, e sono deno- minati Durazzi dal loro benefatto- re Cardinal Durazzo sum mentova- to; gli altri sette appellati capito- lari sono amovibili. Inoltre sonovi altri preti e chierici addetti all'uf- fiziatura. Dell'arcidiacono della chie- sa faentina, se ne trova menzione all'anno 883 ; riuniti i due titoli di arcidiacono e di preposto nel i o45, venne dichiarata in quest'ul- timo la prima dignità del capito- lo. Ripristinato dipoi l'arcidiacono come seconda dignità, ne ottenne il juspatronato la nobile famiglia Severoli nel 1 5 1 7, mediante bolla di Leone X. L' arcipretura nella sua origine era dipendente dall'ar- cidiacono, ed esisteva nel gii: do-

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la metà del secolo XII cessò tal dignità, ripristinata poscia nel 1647 dal nobile faentino Giuseppe Majoli, e da Innocenzo X dichia- rata terza dignità. Un tempo vi fu pure la dignità del custode o cimiliarca, cui era all'alata la custo- dia de' vasi sagri e de' tesori della chiesa, come delle ohblazioni, li- inosine, e decime da dividersi tra il clero. Il decanato poi è soltan- to un titolo che si accorda a quel- lo che tra i canonici è il più an- ziano.

I canonici della cattedrale sono posti sotto la tutela e protezione di s. Pietro, mediante bolla di Ni- colò II, confermata da Onorio II, Innocenzo lì, e Lucio II. Nel 1667 Clemente IX gli concesse l'uso della cappa grande paonazza cogli armellini ; ed il regnante Gregorio XVI, ad istanza dell' o- dierno vescovo per il decoro della sua chiesa e capitolo, nel i835 concesse al preposto, come prima dignità, di poter vestire il rocchet- to, la mantelletta, e la veste tala- re paonazza, non che il collare e fiocco al cappello del medesimo co- lore, da usarsi tanto in coro che fuori ec. in perpetuo; agli altri canonici poi Gregorio XVI accor- dò l'uso della veste, del collare, e del fiocco nel cappello di color paonazzo, da usarsi tanto in coro che fuori, e nelle altre funzioni ec. Nella sagrestia, sotto al ritrat- to del Pontefice, una iscrizione ri- corda tali beneficenze. Delle digni- tà e privilegi del capitolo ne trat- ta il can. Strocchi nelle sue Me» morie isteriche part. I, cap. IV; nella parte II, cap. I e II, discor- re de' personaggi illustri del capi- tolo faentino, e principalmente di s. Fulco primo preposto, poi elet-

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to vescovo di Piacenza , e consa- grato di Pavia. 11 medesimo scrit- tore, nel i835, pei tipi del Conti, pubblicò in Faenza un opuscolo su s. Fulco. Diversi arcidiaconi, pre- posti , arcipreti e canonici della cattedrale divennero vescovi di Faenza. Il Cardinal Giuliano della Rovere nel i49^ fu da Alessandro VI fatto canonico, prebenda che riten- ne sino al i5o3 in cui fu assunto al pontificato col nome di Giulio II. Agostino Oreggi fu canonico teologo , poi Cardinal arcivescovo di Benevento . Antonio Gabriele Severoli di Faenza fu arcidiacono, indi vescovo di Fano, di Viterbo, e Toscanella, non che Cardinale. Carlo Cesare Scaletta nel 1726 pubblicò per l'Archi : Notizia della chiesa e diocesi di Faenza. Su di che può consultarsi l'Ughellio, nell'Italia sacra tono. II, pag. 492, nov. edizione, colle note di Nicola Coleti. Nella città, oltre la mentovata parrocchia, ve ne sono altre sedici , comprese quelle dei borghi ; quattro sono i conventi e monasteri di religiosi, cioè de' do- menicani , de' minori conventuali, de'minori riformati, e de'cappucci- ni; due i monisteri di monache, le camaldolesi, e le vallombrosa- ne ; non che parecchie confrater- nite, e pii istituti. Vi è pure un monastero di Clarisse , che diri- gono un rinomalo e fiorente edu- candato di fanciulle nobili e citta- dine ; e quello delle suore della Carità. Evvi ancora la congrega- zione di beneficenza, l'orfanatrofio de' maschi, quello delle femmine, e il conservatorio Ghidieri eretto dal parroco Ghidieri, ove vivono ritirate un buon numero di donne che attendono ai lavori, e di spec- chiata condotta. Nel cosi detto

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ospilaletto si riceverono in luoghi separati i fanciulli abbandonati di ambo i sessi. Finalmente avvi la casa ossia collegio de' Gesuiti, ri- pristinati in Faenza nell' ottobre 1 84o con generale tripudio. L'an- nessa chiesa di s. Maria dell'An- gelo è di buona architettura, e dove la principesca famiglia Spada ha il patronato della cappella mag- giore , e la nobile e rispettabile famiglia Mazzolani faentina ha il patronato della cappella dedicata a Dio in onore di s. Francesco Saverio, ov' è una lampada gran- dissima d'argento, di finissimo la- voro del cav. Filippo Borgognoni romano, come di bel disegno, fat- ta a spese di detta famiglia. Il locale del collegio fu di molto am-

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pliato, e le spese furono sostenute dall'eredità lasciata dal benemerito conte Cesare Naldi faentino alla compagnia di Gesù. La mensa ad ogni nuovo vescovo è tassata nei libri della cancelleria apostolica in fiorini quattrocento, perchè rende annui scudi settemila, ed è per aumentarsi pei bonifici fatti negli ultimi anni. La diocesi è estesa, conta 162 parrocchie e centomila anime, ventimila delle quali appar- tengono alla città compresi i sob- borghi. Quarant'otto di dette par- rocchie sono nello stato toscano, essendovi in Modigìiana i padri delle scuole pie, i cappuccini, e le monache agostiniane , mentre in Marradi sono le religiose domeni- cane.

FINE DEL VOLUME V1GES1MOSECONDO. ^

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BX 841 .M67 1840

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fioroni , Gaetano,

1802-1883.

Dizionario di erud

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AFK-9455 (awsk)