^ F/'A m^ TOMO V. ff. fl^^ ESERCITAZIOIVI SCIENTIFICHE E LETTERARIE DELL' ATENEO VENETO VEXEZIV MDCCCXLVI, Dalla lipoijralìa di Giovanni Cecchini TIP. DELL ATENEO. COWimZIOl DEI RICORDI STORICI DELL'ATENEO VEIVETO SCRITTI DAL VICEPRESIDEKTE IVOB. CAV. E1IIL10 DE TIPALDO. lihiamato per obbligo del mio ministero a rendei' conto di ciò eh' è av- venuto nel nostro Ateneo dal 1840 in poi, comincierò col dire, che parecchie opportune novità proposte dalla Commissione eletta a rivedere lo Statuto ed approvate dalla Società, bastarono ad acquetare alcuni forse troppo vivi desi- deri!, e a ridestare lo spirilo di generosa emulazione. Però la nuova Presi- denza volendo corrispondere alle intenzioni di coloro che le aveano affidato così onorevole incarico, ha dovuto approfittare del movimento dato per vie- meglio provvedere con salutari innovazioni al decoro di questa sede della ve- neziana coltura. L'imperiale decisione del 2 luglio i 842, che l'Ateneo avrebbe continuato a godere delle stanze sin qui destinategli, e l'aggregazione di due principi della Casa regnante e di non pochi ragguardevoli personaggi, e' im- pongono sempre nuovi doveri, e ci aggiungono insieme speranza che i veneti ingegni, aiutati da quelli di altre provincie, non solamente s' adoprlno a con- servare e diffondere le utili verità, ma in tutte le maniere a meritare la grati- tudine della patria. E a dimostrare l'operosità del nostro Ateneo, abbiamo accelerato la slampa del quarto volume delle sue Esercitazioni, e dato in luce lo Statuto VI colle nuove aggiunte. Sarebbe slato desiderio della Presidenza dare ogni anno un volume degli Atti ; se non che per quanta solerzia siasi posta in opera, non si è potuto conseguire l' intento, essendo malagevole conciliare la sollecitudine colle regole dallo Statuto prescritte. Ciò non ostante mi gode l'animo di presen- tare questo nuovo volume delle nostre Esercitazioni, il quale spero, sarà non ignobile documento del come si coltivino presso di noi le scienze e le lettere. Appena ristorati i guasti nella Sala delle nostre pubbliche adunanze la- sciati dal fulmine, ecco che la sala stessa lasciò scorgere alcune screpolature che domandarono pronti provvedimenti. Le Autorità all'invito della Presiden- za accorsero sollecite, e, mercè la liberalità del Governo, fu messo riparo. Superati gli ostacoli frapposti al compiersi del monumento di Francesco Aglietti, uomo raro per sapere e più ancora per le doti dell' animo, abbiamo veduto l'erezione del suo busto, eh' è opera di Luigi Ferrari, onore di Venezia e dell' arte, il quale per la maestria dello scalpello e per la bontà del cuore era degno di conservarci cosi cara imagine. All'inaugurazione solenne il dottore Trois lesse un facondo e franco discorso. E perchè le adunanze pubbliche delle accademie sono testimonianza ai cittadini di quanto i socii fanno o desiderano a prò delle lettere e delle scien- ze, e possono destare la riconoscenza, 1' emulazione e l' amore del meglio ; però la Presidenza ha procurato, quant'era in lei, che tre volte in quattro anni i segretari facessero sentire le Relazioni delle cose operate. Per desiderio di veder frequentate le nostre consuete adunanze, la Presi- denza pregò che fosse nuovamente trattato del giorno e dell'ora in cui tenerle. ]Nè poteva passare inosservato il bisogno della nostra biblioteca che fosse rior- dinata, però più facile il consultarla utilmente, ora che racchiude cosi gran copia di pregevoli doni. Anche il gabinetto di lettura, sprovveduto per lo in- nanzi quasi affatto di giornali scientifici e letterarii, mercè la hberalità di alcuni fra'socii, è, quanto basta, fornito; e due fra' più reputati giornali, dive- nuli imperfetti, furono resi novellamente di comune utilità. Il Governo e le accademie, i letterali d'Italia e forestieri, continuarono a darci prove di benevolenza e di stima. Nella fondazione dell'Istituto Veneto fu, per primo, eletto a Presidente S. E. il conte Leonardo Manin -, e molti fra' nostri socii furono aggregati a quello. I socii del nostro Ateneo ebbero in- vito d'intervenire ai Congressi degli scenziati italiani, e noi non abbiamo ne- gletto, ogni volta che ci si offerse il destro, di farci debitamente ne' detti Congressi rappresentare. VII Un uffizio spiacevole, ma volulo dalla riconoscenza, mi è imposto, quello di licordare la perdita fatta di alcuni fra' nostri socii; perdita tanto più lamentabile, che la presente generazione non ci promette forse di riempierne cosi presto e pienamente il vuoto. L' anatomia ha perduto un abile insegnatore, il prof. Berres ; la medicina Paolo Zannini, Domenico Thiene, Giambattista Kohen, Giuseppe Vallenzaiisca, Guglielmo Lippich, che, qiial più qual meno, coi loro scritti e con l'esercizio dell'arte s' acquistarono fama; la chirurgia desidera il venerato dott. Tommaso Rima, e quell' insigne operatore che fu il prof. Barlolorameo Signoroni. Se la fisica dopo tanti stupendi pro- gressi non ricorda il nome di Monsignor Antonio Traversi, l'educazione della gioventù e ogni bell'opera di pietà rende cara la sua memoria. La storia natu- rale in queste provincie rammenta con gratitudine il co. Nicolò da Rio, il quale s'è inoltre reso benemerito della italiana letteratura avendo col fratelli) sostenuto per molti anni con decoro un onesto Giornale. Il co. Marco Corniani amò la scienza metallurgica e illustrò i mosaici di san Marco, e fu di autografi assiduo e accorto raccoglitore. L'amena letteratura, l'erudizione, la poesia, ebbero anch'esse coltivatori tra i nostri colleghi perduti, il marchese Antonio Amorini, ornamento della dotta Bologna ; il cav. Domenico Rossetti indefesso favoreggiatore della coltura triestina-, i consiglieri d'Appello Antonio Bottari e Francesco Beni facili verseggiatori •, Tommaso Gargallo uno de' più noti tra- duttori di Orazio; Paride Zajotti acuto scrittore; il prof. Antonio Meneghelli munifico amico degli artisti e pacifico amatore delle lettere ; Antonio Papadu- poli desideroso di giovare agli studiosi e coUa stampa di scritti inediti, e col favorire gl'ingegni, e coll'arricchire di scelti libri la sua biblioteca privata; il cav. Pietro Beltio, geloso del conservare i tesori della Marciana ; e finalmente Monsignor Suchias Somal a cui la letteratura armena e l'istituto di san Laz- zaro debbono grande riconoscenza. A consolare almeno in parte lo spirito di queste dolorose memorie ram- menterò che nel Congresso di Napoli fu scelta Venezia per l'adunanza del 1847. Se da un Iato mi torna dolcissima la scelta d'una città, sede antichissima di potente e più facilmente vituperata che emulata repubblica, dall'altro mi dà cagione a pensare agli obbhghi che stiam per assumere. Se non che 1' espe- rienza è grande maestra; e l'esperienza appunto, io spero, che a tutti sarà buo- na guida. Apparecchiatevi, o Veneziani, a mostrare al cospetto diell' Europa, che i tempi mutati non mutarono l'indole vostra; che siete degni de' vostri grandi avi. 1 difetti, forse non a torto rimproverati a' taluni de' precedenti vili Congressi, voi saprete evitare, e porgere 1' esempio di quella magnificenza ele- gante, di quella cordiale amorevolezza per cui lo spirito veneziano era salito in tanta onoranza. ^2i DISCORSO DI S. E. IL COME DANIELE REWflER PRESIDENTE LETTO NEL VENETO ATENEO IL GIORNO 28 MAGGIO 4843. Quando le nostre leggi, Altezza Imperiale (i),ornatissimi Signori, illustri Accademici, quando le nostre leggi statuirono che il Presidente inaugurasse la più solenne delle nostre tornate con nulla più che un breve discorso (a), sem- brava che prevedessero il caso in cui taluno, levato a questo onore piuttosto per benevolenza dei suoi concittadini che per propri meriti, poco idoneo si trovasse a tenere estesa orazione, degna di questo luogo e di Voi. Tale è cer- tamente, o Signori, la condizione in cui si trova chi ha l'onore di ragionarvi. Educato nel seno della nostra famosa Repubblica piuttosto a' pubblici affari che alle lettere ed alle scienze-, cresciuto in mezzo ai rivolgimenti politici fra cui non prosperano gli studii -, consacrato assiduamente a moltiplici cure della patria e dello Stato, poco potei gustare di quel prezioso sapere end' è in voi tanta copia. Quando al giovine petto non mancava la lena, la mia voce potè suonare per due volte non senza onore e con rette intenzioni nel patrio Senato; ma ora, svigorito dagli anni, l'animo ricercherebbe indarno una scin- tilla di quella nostra antica tradizionale facondia. Due pensieri però mi riconfortano: l'uno che sebbene inferiore a tutti nella scienza, non lo sono certamente ad alcuno nell' estimarla quale altissimo dono di Dio e nel venerarne i cultori come benemeriti della società ; l'altro che la (i) L'Adunanza fu onorata dalla presenza di S. A. I. R. l'Arciduca Federico. (i) Statuto del veneto Ateneo, Articolo HI, del Pbesidkstb : apre le adunanXfi pubbliche con breve discorso. \ — 2 — mia vila, benché lontana da questi stiidii, pur non trascorresse inonorata, nò forse inutile alla patria mia, cui furono sacri i primi afletti e Io saranno gli estremi. Tali, o Signori, sono i pensieri che tanto consolano la mia vecchiaia, che quasi neppur me ne dolgo ; tali sono i pensieri che della vostra benevolenza assicurano le poche disadorne parole che sto per dirigervi. Una accusa crudele fra altre infinite, si è lanciata contro la Nobiltà di Venezia: si disse aver ella trascurato il sapere. Siami lecito, o Signori, ribattere questa odiosa calunnia -, sia lecito ad un vecchio patrizio rivendicare a questo ordine, un dì onorato e temuto in tutta Europa, poi, come suole nella mutata fortuna, fitto segno d'ogni ria parola, una gloria preziosa, cui, pur troppo, in nulla gli fu dato di contribuire. E egli vero che i gentiluomini di Venezia abbiano spregiato il sapere, e che nessun passo movessero per loro le lettere ? Che i patrizii, unicamente occupati del commercio dapprima e più tardi della politica, non curassero quella preziosa coltura dello spirito che ingentilisce il costume, promuove la sociale carità, e tutto seconda il ben essere dell'umana famiglia ? Codesta accusa, o Signori, benché non sembri interessare che alcuni fra noi, pure tutti ci riguarda, perchè tutti siam veneziani, o per origine, o per amore, e la gloria di ogni cittadino è comune retaggio. La Nobiltà non fu sola, senza dubbio, a ben meritare delle lettere, gli altri cittadini non hanno forse minor parte a questa lode, che il genio non è proprietà di condizione, ma libero sorge e potente dovunque lo pone il volere di Dio. Ma poiché princi- palmente la Nobiltà è offesa con quella calunnia, si parli di lei. E ella vera la macchia che le si appone ? Rispondano i nostri annali. Noi li possiamo aprire con orgoglio; noi li possiamo paragonare senza tema a quelli delle più illustri città della terra. Veneriamo pure altamente quel paese che fu culla a Dante, a Boccaccio, a Galileo, a Macchiavello, a Guicciardini, a quasi tutta la moderna civiltà: l'Attica e la Toscana non hanno rivali e non ne avranno forse giammai: ma la nostra Venezia, ed anzi la sua Nobiltà, vanno elleno spoglie di ogni letterario decoro? Ciò non credea certamente quel gentil Cantore (i), cui la nostra (i) Petrarca donò alla Repubblica la sua Biblioteca. — 3 — favella \a debitrice di si gran parte di sua dolcezza, il quale trascelse Venezia a depositaria dei tesori ielterarii da lui raccolti : noi credea lo stesso po- polo fiorentino (i) quando alla sapienza ricorreva del nostro Senato, che non si chiedou consigli e giudizii, né si consultano le leggi di chi non si stima eccellente nell'arte di governare, né l' eccellenza in questa arte, che gli stessi nemici non hanno mai conteso a Venezia, può toccarsi giammai senza ingegno colto ed esercitato in profonde meditazioni. Non io posseggo, o Signori, la dottrina dei Foscarini (2), degli Agostini (3) e dei Moschini (4), illustri scrittori della Veneziana letteratura, né so quindi addurvi tutte le prove del mio tema : ma giovi lo scegliere alcuni nomi a saggio dei molti lasciati. E prima mi si presenta la nobilissima serie dei nostri storici, di questi dilìgenti custodi delle glorie degli avi, alla cui testa vedo brillare il nome di una famiglia che dai primi sino ai nostri giorni andò illustre per la doppia gloria delle lettere e delle armi, Andrea Dandolo (5), l'amico del Petrarca, il nobile ed ingenuo cronista, che rifiuta ogni ornamento, stimando che la storia di Venezia non ne abbisogni. — E tale consigho piacque pure a Bernardo Giustiniani (6), vero padre della veneta storia, cui diede ordine e disposizione sagace, quale ricercherebbesi indarno nelle opere di quella età. — Che se alla narrazione di Navagero (7) e di Bembo (S) può muoversi alcuna accusa, nessuno certo fia che lor neghi una meravigliosa eleganza del dire, ed una profonda conoscenza delle più riposte bellezze dell'idioma latino. (i) Il popolo di Firenze consulta II Senato di Venezia intorno a varie leggio e lo richiede de' suoi giudizii. (2) Marco Foscarini, nato nel iGgS, mori Doge nel i^Gj, compose della Letteratura Veneziana libri Vili, opera ricca di Leila notizie. (3) Padre Giovanni degli Agostini, contemporaneo a Foscarini, diede in luce Notir^ie storiche di scrittori Veneziani, ove di molle cose si confessa debitore al Foscarini. (4) Mons. Can. Moschini scrisse Della, letteratura veneziana del secolo XVIII. (Sy Andrea Dandolo Doge, del i 342-1 354, scrisse una cronaca (C/ironicon Andrene Danduli) pubblicata dal Muratori nella grande opera Scr'iptorcs rerum italicarum. (6) Bernardo Giustiniani, nato nel i4o8, morto nel 1489, procacciossi un merito immortale coll'aver raccolto e ordinato le memorie storiche di Venezia, nell'opera De origine urbis Venellarum- egli può dirsi veramente il padre della storia veneta. (7) Andrea Navagero coltissimo ed elegante dcriuore del 1489-1529. (8) Pietro Bembo, nato nel 1470, morto del 1647, scrisse sulle cose di Venezia libri XII in latino, indi da lui tradotti. — 4 — AI Beailio nel raccogliere i palrii annali succede il Parata, (i) ed è uo- mo di cui non solo Venezia, ma tutta Italia deve altamente gloriarsi. Egli è, che lasciando la malaugurata usanza di scrivere le patrie cose in una lingua che più non viveva, le narra nella lingua d'Italia : egli è che il primo interrompe quelle eterne dolorose pitture di guerre e rivoluzioni, con più gradite ed utili notizie civili ; egli è che al sincero amor della patria accoppia, con difficile alleanza, quello ancor più sacro della verità. Forse i Toscani vinceranno il Paruta nell'arte descrittiva e nell'eleganza del dire -, forse il Macchiavello ed il Guicciardini lo superano talora in sagacia; ma chi vinse il Paruta nell'eccel- lenza dei precetti che dà ai governi ed ai popoli ? Chi lo vinse nel condurre la sua narrazione così che non discontbrti degli uomini e della società, alla guisa di quei terribili narratori fiorentini? Chi meglio seppe accendere gli animi a ciò che più giova all'uomo di amare, la patria, la virtù, la religione? Che se la veneta Nobiltà non può forse vantare altro storico, che si alto sorga come il l'aruta, neppur sono ignobili nomi quelli di Gaspare Contarini (2), che trattò sapientemente del Governo di Venezia ; di Andrea Mocenigo (3), storico della funesta lega che tanto offese la nostra Repubblica ; di Pietro Giustiniani (4), la cui storia generale è tuttora utilissima ; di Giacomo Die- de (5). fedele espositore delle patrie sventure; di Vittore Sandi (6), che scioglie felicemente le maggiori difficoltà; di Carlo Marin (7), che segue i veneti legni per tutti i mari, e narra le prodigiose commerciali conquiste dei uoslri maggiori : dell'illustre Doge Foscarini, che raccoglieva sul cadere del secolo scorso in una opera preziosa quelle stesse glorie di Venezia di cui ragiono. Né l'onorevole serie è compiuta ; mancano parecchi nomi degni pur essi di (1) Paolo Parula, nato nel i54o, morto del iSgS, scrisse XII lihri della Storia vcne'inna, conducendola dal i5i5 al i555. (2) Gasparo Contarini scrisse un trattato Del Governo di P'enexia ricco di profondi pensieri. (3) Andrea Moi'.enigo dettò con verità ed eleganza la Storia della lega di Camhrai. (4) Pietro Giustiniani, nato del i4o8, ruorto nel 14S9, nella sua opera: De origine Ur- his yenetianim dall'anno della fondazione 4o8, indica giustamente le cause degli avvenimenti. (5) Giacomo Diodo, nato nel 16S4, è autore della Storia di T'enezia sino al 1747. con uno stile eccellente , e un andamento rapido e conciso , rende assai piacevole la lettura del suo lavoro. (6) Vettore Sandi scioglie le maggiori difficoltà della Storia Veneta e della sua cronologia con mollo acume. (7) Carlo Marin dettò la Storia del commercio de' f^eneziani con molta erudizione. — 5 — lode ; ma die io, stretto dalla prescritta brevità, tacerò per passare ad altra non meno ricca di beile rimembranze, quella dei Bibliotecarii di s. Marco. Lo storico Nani, Silvestro \alier, Francesco Cornaro, aprono questo nobile elenco, e lo continuano i nomi più illustri della Repubblica, che gl'intervalli concessi dalle grari cure della patria consacravano a raccogliere ed investigare i tesori dell' antichità. SII egli è giusto ripeterla questa lode, o Signori, questa bellissima lode che la Storia tributa a Venezia. — Mentre tutta Italia era miseramente lacerata da odii civili ; mentre Guellì e Ghibellini, Bianchi e Neri, Colonna ed Orsini, Firenze e Pisa, Genova e Milano, insanguinavano ogni zolla della nostra sventurata penisola; Venezia, per la saggezza del suo Governo, nel seno d'una pace profonda, potej raccogliere e custodire inviolali i tesori dell' arte antica e dell'antico sapere, poteva aprire un asilo ospitale e sacro agl'illustri esuli del secolo di Pericle e d'Augusto. Ad essi si aprirono non pure le pubbliche Sale, ma i privati palagi dei Coutarini, dei Nani, deiTiepolo, deiMolin, dei Pisani, dciQuerini, dei Cornaro, e dei Grimani. — Mentre gli orgogliosi feudatarii di quella età sfoggiavano il loro lusso in cacce, cavalli, banchetti e tornei, i nobili di Venezia andavano a gara nel procacciarsi i più bei frutti dello spirito umano. Né quei Codici preziosi giacquero inutili. — Appena comparve la stam- pa, che sola potea renderli di pubblica ragione, chi a questa arte meravigliosa offerse più splendido ricetto, e maggiore incitamento ? Non furono forse i nostri nobili che accordavano al Jenson (i), al Vindelino i lor privilegi! ; che alla famiglia dei Manuzj (di cui nessuna altra avvene per avventura dell'umana civiltà maggiormente benemerita) davano mezzi per raccogliere un numero prodigioso di Codici, e richiamare a novella vita i Classici antichi in quella se- rie di nitide e corrette edizioni, che formano tuttora la meraviglia dell'Europa? Non erano forse i nostri nobili, un Andrea Navagero, un Pietro Bembo, un Marin Sanudo, ed un altro Patrizio col quale ho comune il nome ed il casato, e pur troppo nuli' altro, che all'illustre Aldo faceano corona, che lo aiutavano a scernere le giuste dalle false lezioni, e nella sua accademia godeano trattare, quando delle classiche bellezze degli antichi, quando dei più elevati argomenti filosofici, precorrendo coli' acume della loro mente la comparsa di una miglio- re età? (i) Jenson, Vindelino da Spira e i Manuzii furono i piimi dinbnditori e perfezionatori dell' arte tipograHci in Venezia ej in Italia. — 6 — Ma io ben m'accorgo aver posto piede in un campo da cui non è così facile il ritrarlo. — Lascio adunque i cultori della più sublime di tutte le arti, che numerosi e felici ne ebbe la sempre poetica Venezia, da Bartolomeo Zorzi (i) fino ad Apostolo Zeno (2): lascio gli studi della geografia, del commercio, della navigazione, ai quali Venezia die origine ed incremento, spingendo le sue prore in remoli mari, indagando coli' ardimento del Polo e dei due Zeno, degni fratelli di Carlo, ignote contrade, e rivelandole all'attonita Europa, e compiendo carte geografiche, iuferiori senza dubbio alla scienza presente, ma di prodigioso giovamento a quella età. Altre discipline, quanto avare nel diletto, altrettanto liberali nell'utile, non poteano essere coltivate dai nobili, consacrati alle pubbliche cure. Ma la dotta Padova dalla patrizia munificenza largamente favorita non godeva essa del primo giardino botanico d' Europa e delle dottrine che vi dettavano i Fabrizii, i Fallopii, gli Acquapendenti, i Panciroli, e quel sommo onore d' Italia, anzi del genere umano, l' incomparabile Galileo ? Dove, dove lo sventurato filosofo trovava difesa contro l'invidia e i pregiudizi!, fuorché sotto le ali del nostro Leone? E mentre altrove Io si bandi- va un insensato per avere scoperto i satelliti di Giove, e un temerario perchè insegnava la vera armonia dei cieli, a Venezia il Doge e i principali patrizii onoravano di loro presenza i primi esperimenti del telescopio e del pendolo, ed il Senato con una medaglia e un decreto ne eternava la memoria. Se non che, una obbiezione mi si presenta. Tu parlasti, dirà taluno, di glo- rie passate, e le presenti ove sono? Giova egli ricorrere a ciò che fu, quando il presente è così diverso ? Questo presente che sì lieto si offre, ora che tutte le piìi meravigliose invenzioni dello spinto umano concorrono a felicitare ed abbellire Venezia, ora che un' opera meravigliosa, riparando il danno de'secoli, aprirà sicura via ai naviganti, ora che un altro portento stringeralla alla terra d'Italia, sarà egli tristo soltanto per l' onore della veneta Nobiltà ? — No, Signori ; Venezia non ha bisogno di mendicare memorie. S'ella è orgogliosa del propril annali, può senza arrossire parlar del presente, e dimostrare all'imparziale osservatore, che sebbene scaduta dal potere non iscadde per questo dal santo amore di ciò (i) Bartolomeo Zorzi o Giorgio compose nel tredicesimo secolo delle felici poesie. (2) Apostolo Zeno, d'origine patrizia, nato del 1668, morto del i 750, primo condusse la vera poesia sulle scene dell' opera, e apri la via al Melastasio. r — 7 — eh' è nobile e bello. _ Verde è la lueinoria di uq Tiepolo (i) che la sua onorevole carriera chiudeva coll'adempiere al più santo ufficio cittadino, quello di proteggere la sua patria contro le accuse della straniera malignità. Pochi mesi passarono sulla tomba del mio tenero amico Domenico Morosiui (2), poeta felice, maraviglioso indagatore d'incognite cifre ; e venerati e cari suonano ancora, e suoneranno in Venezia i nomi di due illustri donne, r autrice de'Ritralli, (3) e quella delle Feste Veneziane (/,) : quanta forza d'ingegno nella prima, quanta purezza e nobiltà di sentire nella seconda. Il rapido e forte tratteggiar dell' Albrizzi, che all'attico sale di Teofrasto unisce la verità di la Bruyère, avrà ben pochi rivali; ma chi vincerà mai la candida naturalezza della Renier Michiel, chi troverà quel vivo accento del patrio amore che non si espande in sonanti declamazioni, ma tranquillo e sofferente ad ogni linea si manifesta? Che se si vogliono glorie presenti, ebbene noi loro additiamo un geografo (5), che a questa scienza diede estensione e sistema; il nome del gentile scrittore (6) dei teneri fatti di Ceciha di Baone, pittore ledele dei passati costumi; quello del chiarissimo personaggio (7), che tenne prima di me questo onorifico seggio ed è della nostra storia e numismatica altamente benemerito, e quello di un sagace e diligente naturahsta (8), che più di un secreto penetrò di questa bellissima creazione. E queste Sale medesime, che ora possiamo dir nostre per la Munificenza (1) Domenico Tiepolo, il quale ne'suoi Discorsi suda storia /entV^ combatte vittoriosamen- te le false asserzioni dello storico francese Darù. (2) Domenico Morosini, autore di una felice tradazione delle Eroidi di Ovidio e di alcune Tragedie, e dotato di un maraviglioso talento a riconoscere il senso di cifre le più difficili , riuscì a scoprire il significato di quelle in cui erano scritti gli alti dell'Accademia de' Lincei. (3) Isabella Teoloclii .\lbrizzi, la quale appartiene per matrimonio alla veneta Nobiltà ; i suoi caratteri sono una prova immortale del suo potente ingegno. (4) Giustina Renier Michiel, donna impareggiabile ancbe per bontà di cuore : forse nessuna donna amò piìi di lei Venezia, e ne fu meritamente riamata. (5; Adriano Balbi, autore della Bilancia poliiica del globo , e di molte celebri opere geografiche. (6) Pietro Zorzi, autore dell' interessante romanzo Cecilia di Baone, di una confutazione vittoriosa delle menzogne del Bravo di Cooper, e di altri scritti. (7) Leonardo Manin Gran Dignitario del regno Lombardo Veneto, Presidente dell'Istituto, e prima dell'Ateneo, autore di una dottissima memoria sulle Oselle, e di altri scritti degni di somma lode. (8) Nicolò Contarini, ornitologo e naturalista distinto, membro dell' I. R. Istituto di scienze, lettere ed arti. — 8 — dell'Augusto Imperatore e Re (i), il quale, seguendo le gloriose orme paterne, vuole pure accontentarsi della sola buona volontà e largamente premiarla, come ne avete in me luminoso esempio, non risuonarono forse più volte anche della voce eloquente d'un nobile ingegno (2), che sa del pari innalzare gli animi ai più generosi pensieri e frenato il volo della potente fantasia tergere dalla ingiusta polvere dell' obblio Codici preziosi? E chi non rammenta le vive ed ispirate parole, con cui favella ai giovani artisti un uomo (3) di cui la nostra Accademia altamente si onora, e quelle non meno affettuose (4) da cui ven- ner mossi i nostri animi a favorire una delle più belle innovazioni dell'evan- gelica carità? Ma delle cose presenti meglio che la mia povera voce diravvi quella de- gl' illustri secretarli che mi siedono a lato (5). Cedo loro il campo, e rientro nel silenzio che a me ben più si compete, pregandovi di compatire ad un vecchio, se trattando delle glorie della sua patria, troppo forse abusò della vostra pazienza. ti) S. M. l'Augustissimo Imperatore e He mise a disposizione dell'Ateneo le Sale in cui s'aduna. (2) Agostino Sagredo, felice scrittore. (3) Antonio Diedo, secretario perpetuo benemeritissimo, e professore dell'Accademia di Belle Arti, autore di bellissime orazioni dette ai giovani artisti, e di molti altri scritti lodatissimi. (4) Nicolò Friuli, protettore e favoreggiatore benemerito della santa istituzione degli Asili d'infanzia. (5) Molti e molli illustri nomi d' uomini di recente trapassati nonché di viventi, e degni tutti di lode dovevano essere ricordati, se la prescritta brevità non avesse imposto di sceglierne al- cuni pochi soltanto. DEGLI STIJDII SCIENTIFICI BEll'ATElEO DI lEJEZIl DURANTE GLI ANNI ACCADEMICI -18o940 E 4840-1841 R E L A Z I 0 n]e DEL NOBILE GIOVANNI MINOTTO SEGRETARIO PER LE SCIENZE. Arduo quanto onorevole si è quel dovere, o Signori, che a favellare mi chiama dinanzi a voi, ai più distinti soggetti, cioè, per dignità ragguardevoli e per ingegno, onde la città nostra si vanti -, e se guardo al molto sapere di chi in questo incarico mi precedette e di quello che dee dopo me intrattenervi, certo sempre più riconosco la mia pochezza al confronto, e mi si accresce sgo- mento. A rincorarmi sorge il riflesso però non essere l'offizio mio in questo giorno da quello gran fatto dissimile che vediamo prestare alcuni stromenti nell'ottica, allorché sparsi raggi raccolgono in se concentrati, donde speranza in me sorge di avere ad essi pari la sorte, che, oscuri di per sé stessi, pur giungono ad ornarsi e brillare di luce non propria. Deggio in vero essere a voi semplice spositore di quanto operarono in questo Ateneo nobili ingegni a prò delle scienze, di quelle scienze, o Signori, le quali, fatte più grandi da che divenner più utili, gettato quel mistico velo onde altra volta piacevansi, parlano o"-"idl a tutti con le maraviclie dei loro effetti, sicché più alcuno non avvi che l'importanza grandissima ne disconosca e apertamente non vegga come, scru- tando le leggi della natura, ce ne vadano spiegando i fenomeni, c'insegnino ad evitarne i danni ed averne profitto, a dominarli, in una parola, anziché esser- ne dominati. — Di vostra sofferenza abuserò il meno che io possa; ma invoco che qfiesta non mi abbandoni, se il limite ordinario d'alcun poco eccedessi, dovendo, fuori dell'usato, nel mio discorso abbracciare due anni accademici invece di un solo. Ateseo. Tom. V. 2 — 10 — Fra i molti argomenti e svariati cui si riferiscono gli studii onde ho a ragionarvi, dai medici stimai dover cominciare, e perchè questi di cari e pre- ziosi interessi dell'uomo più direttamente degli altri si occupano, e per obbli- go altresì di gratitudine rispettosa, ricordando la prima vita avere questo Ate- neo ricevuto da medica società. Due pertanto trovo della Medicina le par- li : la prima, che col nome ài Igiène più particolarmente distinguesi, mi- ra ad evitar le cagioni che alterar possono la salute: la seconda a restituirla perduta, porgendo ajuto alle forze della natura che giovano, quelle combatten- do che Duocono, ed è questa che Medicina propriamente si appella. Universa- le desiderio e meta quindi dev'essere che il primo offizio ognora più sul se- condo prevalga, sicché in questo senso può dirsi essere della Medicina come della criminale giustizia, che l'apice della perfezione, cioè, cui hanno entram- be a mirare sta nel rendersi inutili. I. Difficile questo scopo, non però è sempre impossibile, e ne fa prova il vederlo raggiunto fra noi per la terribile malattia della peste orientale che tanta strage menava ne'tempi andati in Europa, mentre non osa in oggi varcare quei limiti che le sanitarie discipline le impongono, e sarebbe forse sradicala dal mondo senza il fatalismo ottomano. Se però l'esperienza mostrò fuor di ogni dubbio la validità dei mezzi impiegati, d'altra parte il danno e l'inceppamento che recano questi alle comunicazioni fra paese e paese e massimamente al commercio, fanno bramare di vederli ridotti a quel più stretto confine che dalla necessità si richiede ; che sia ben lungi dall'essere questo determinato con sicurezza lo mostra il vederlo di tanto variare presso le diverse potenze. A to- glimento di queste incertezze proponeva il Boullard che si radunasse un Con- gresso, acciò l'argomento di comune interesse venisse dai lumi comuni di tut- ta Europa discusso, e condotto a più generali ed uniformi principii. Chiesto di consiglio intorno a questo progetto il socio onorario Nobile Pietro Zorzi, notava come al Magistrato Veneto di Sanità, primo ad istituirsi fino dal 187 5 in Europa, anche di questa idea la priorità competesse, dappoiché il Vice- Preside di esso Signor Dente sino dal 1 8 1 4 emesso aveva il parere che l'oc- casione si cogliesse in cui il Congresso di Vienna univa i Rappresentanti delle più grandi Potenze per discutere e stabilire pratiche contumaciali ragionate, concordi. Lodava il nobile Zorzi del Boullard il pensiero, inihcava doversi specialmente indagare per quanto tempo il germe pestilenziale potesse* rima- nersene ascoso, nelle cose o nell'uomo, ed i mezzi di annichilarlo nelle prime e di accertarsi che fosse lo scopo raggiunto, senza alterare le qualità delle merci, — Id — né obbligare un uomo ad introdurvi il braccio snudato, esponendo una vita alla soluzione del dubbio, come ora col metodo del cimento si pratica. U. L' evidente vantaggio di questa vigilanza continua contro morbo sì fiero e facile ad essere trasmesso, ne mostra quanta riconoscenza dobbiamo ver- so quei medici che dell'esame si occupano di qualsiasi causa malefica. Cosi, in mezzo alla desolazione dalle irrompenti acque dei pensili nostri fiumi prodot- ta ; in mezzo ai pianti delle famiglie ricovrate sui tetti o sugli alberi, fatti quasi isole e scogli di una vasta laguna ; in fra i quadri di squallida miseria e spesso ancora di morte; mentre la carità offre a que' naufragati nella propria capanna, mezzi di salvezza, cibo e ricovero ; accorre la 3Iedicina ad indagare la influenza che l' invasione di tante acque e il ristagnare di esse in appresso e- sercitare sulla salute potesse degli abitanti, tendendo così i lodevoli sforzi di una scienza ad attenuare le conseguenze della imperfezione di un'altra. Ad esami siffatti il Dottor A^allenzasca, nostro socio ordinario, dava cura per le grosse comuni di Ariano e di Dolo, dietro incarico avutone dalla providenza governativa. Notava lo stato paludoso delle terre, la putrefazione e l'umidità costante dell'aria essere seguaci inseparabili di tali disastri, e feconde sorgenti pur troppo di varii morbi, di febbri epidemiche negli uomini e di epizoozie nei bestiami, il che veniva con autorità di esempi convalidando 5 e riferiva come dopo l'inondazione osservasse molte affezioni reumatiche e infiammazio- ni assai gravi negli organi della respirazione. Raccomandava le case non si abitassero umide, né in angusta dimora soverchia gente si accumulasse ; con so- lerzia maggiore dell'ordinario si sovvenissero i poveri di alimenti e di soccorso gli infermi, pegli animali che si riducessero asciutte le stalle e non si usassero fo- raggi umidi o guasti. Scendeva poscia a particolari circostanze esaminando al- tresì l'influenza dell'allagamento di salse acque nella prossima Chioggia, in- dicando presso a poco gli stessi disordini e suggerendo uguali ripari. III. In sino a che raggiunta non siasi però la perfezione desiderata, ed essere del tutto noi potrà forse mai dalla limitata mente dell'uomo, dal biso- gno di prevenire i morbi non va pur troppo disgiunto quel di sanarli , ed anche a questo secondo oiBzio della Medicina altissima importanza dee attribuirsi. A ragione lamentava adunque il socio ordinario dottor As- son sul discrepare delle dominanti teoriche, incerte riguardo alla sede pri- mitiva dei fenomeni della vita, la quale collocano taluni nei fluidi, altri nei solidi -, alle forze vitali, che alcuni vogliono ridurre a quelle stesse generali della natura, altri considerano come da quelle aUatto diverse anzi opposte — 42 — semplici talora si dicono, e tal altra moltiplici. Ai turbamenti organo-dina- mici, diceva, assegnarsi tre cause, eccesso, cioè, o difetto dei processi vitali assi- milativi, e turbazioni qualitative che irritazione si dicono: chi riguarda l'una, chi 1 altra di queste come predominante nei morbi ; chi, con Ippocrate ammette la formazione di una materia morbosa che con le forze organiche venga a conflitto. Né più concorde è l'avviso sull'effetto de'farmachi, le cui azioni elet- tive e secondarie si stimano, o primarie, od anche irritanti semplicemente. In tutte queste opinioni alcun che si trova di vero e di falso, e da tutte quindi togliendo ciò che v'ha di più dimostrato e più certo, vorrebbe l'Assou sor- gesse un'eclettica dottrina, che non ritenesse teorica non comprovata dai fatti o da sana critica sanzionata, limitando le generaUtà troppo estese e raffrenan- do le ardite pretensioni dei sistematici che la passione e lo spirito di parte nella ricerca del vero introducono, ed, involontariamente quasi, svisano le osserva- zioni ed i fatti, per piegarli alle massime che adottarono quasi infallibili assiomi. IV. e V. Concorrendo nelle mire che l'Asson esprimeva, nuovi fatti di me- diche osservazioni esponevano a questo Ateneo il cavaliere dottor Lorenzo Rossi socio ordinario, ed il dottor Luigi Scolo. Narrava il primo di un tetano reumatico, morbo fra noi assai raro e proprio dei climi equatoriali, che uccise in poche ore una signora, la quale uscita da luogo assai caldo, ad una corrente d'aria fredda esponevasi, e di una giovinetta trilustre, che per imprudenza con- simile, presa da reumatismo alla coscia, resa inutile ogni medica cura, dopo set- te giorni era tratta a morte, trovandosi il femore denudato dal suo periostio mutatosi in pus e penetrato nella cavità dell'articolazione, senza indizio alcuno che fosse stato dalle vene assorbito, malattia chiamata dal Rossi periostite del Jemore. Porse finalmente un esempio di apoplessia che stimò proveniente dalla rarefazione del sangue e dilatazione conseguente dei vasi cerebrali , tale da estinguere la contrattilità e produrre l'effetto dell'apoplessia essenzialmente ple- torica. Lo Scofo narrò di una febbre perniciosa apopletica : destò generale in- teresse col dipingere la titubanza di un medico giovine al letto d'individuo gravemente ammalato, incerto fra le varie opinioni egualmente autorevoli sul- le cause de'morbi e sugli effetti dei farmachi, e speciale attenzioue meritossi dai medici per essere il caso di cui parlava notevole per alcuni particolari feno- meni, per la straordinaria resistenza opposta dal morbo al rimedio che suole con magica rapidità debellarne anche gli assalti più minacciosi e letali, e pur la guarigione con l'uso di esso ottenuta, dopo cinque accessi apopletici e due di delirio. — 13 — VI e VII. Uguale ofBzio prestavano alla Chirurgia il dottor Gatto, socio ordinario ed il corrispondente dottor Medoro. Riferiva il primo come la estrazione di un polipo trovatosi nella vagina, impedisse la riproduzione di un ascite che affliggeva giovine donna e che obbligata per tre volte l'aveva di ricorrere alla paracentesi , e studiandosi di spiegare il fenomeno inclinava ad attribuire a simpatica irritazione la influenza del polipo suU' ascite. Il Medoro per sua parte raccontava la guarigione d'un' ernia cisto-vaginale operata con ampia incisione alla vagina, e leggera puntura della vescica orinaria, e riferiva gli scritti e le opinioni di parecchi autori intorno a questa malattia non mol- to comune. Vili. Una raccolta di simili fatti può dirsi la biografia di Astley Cooper che scriveva il nostro socio corrispondente dottor Giuseppe Coen; omaggio ben giusto , quelli che a tutte le nazioni ugualmente giovarono coi loro studii dovendo trovare in tutte una patria, verso tutte diritto avendo di gratitudine. Degli onori e delle ricchezze tacendo, provenienti più spesso da mene basse e vergognose che da merito vero, notò la vita d'uno scienziato starsi nelle sue opere, e quelle del Cooper essere in vero un giornale di lunga pratica esercitata la più parte in due grandi stabilimenti. Meriti principali dell' inglese chirurgo, notò le molte, e sovente nuove, maniere di cure di lussazioni per evitare delle amputazioni il bisogno; lo studio particolare delle ernie e della struttura di par- ti delicatissime e delle malattie che le affliggono ; l'allacciatura dell'arteria aorta addominale, tentativo di mirabile ardire, da guardarsi come estrema speranza nei casi ove ogni altra difetti; la dilatazione dell'uretra per dare uscita ai pic- coli calcoli; la perforazione del timpano per riparare ad una delle più frequen- ti cagioni di sordità, che è l'obliterazione della tromba eustachiana. iXegli scritti dei Cooper lodava prevalente la relazione de' fatti alla erudizione, e nel dirlo paragonabile per molti riguardi a Dupuytren, indicavalo a lui superiore per ciò che maggiore dovizia di cognizioni ne lasciò co' suoi scritti. IX. Per mostrare come possa all'eclettica medicina, oltre l'argomento dei fatti anche quello del raziocinio giovare, cercò il dottore Asson di dar qual- che lume all'ostetrico ridotto al bivio terribile di dovere scegliere fra due atro- ci operazioni l'embriotomia od il taglio cesareo. Avviene pur troppo talora che la vita dell'uomo minacciata si trova prima ch'ei giunger possa alla luce, e né le forze della natura, né la mano chirurgica, valgono a condurre il parto a buon termine. Due mezzi estremi rimangono, entrambi di esito incerto e funesto so- vente, lo smembramento del feto o l'incisione del ventre materno per aprirgli — 14 — una via: da uà lato dee il ferro uccidere uà essere pieno di vita, ma ignoto e senza affezioni: dall'altro fare un'ampia e pericolosa ferita in un ente legato al mondo da carissimi vincoli e dai più sacri doveri. Troppo spesso crede l'As- son preferirsi il primo partito al secondo, e fece riflettere non essere l'uno scevro per la madre di rischio piìi dell'altro gran fatto, ne questo tanto spesso fatale quanto esageratamente si crede, e le asserzioni avvalorò con esempii. Concluse aversi sempre la cefalotomia a preferire quando il feto sia idrocefa- lico 5 la embriotomia, vivo o morto che trovisi, ogni qualvolta praticarla si possa senza grave patimento e pericolo della madre ; al taglio cesareo doversi in o"ui altro caso attenere, evitando di renderne le conseguenze più gravi con l'attendere che da inutili sforzi sia la partoriente spossata. X. Mentre i fatti e le considerazioni precedenti concorrevano a togliere in qualche parte l'incertezza che deplorava l'Asson sulle cause dei morbi, e sul modo che meglio valga a curarli, altri cercava di conoscere il vero effetto dei farmachi, dei mezzi, cioè, che a quell'uopo dalla medicina s'impiegano. Il socio corrispondente dottor Desideiio pertanto ad indagare facevasi l'azione di uno di quelli d'uso più generale e frequente, il solfato di chinina, cioè, al quale, per istrana e tuttora indecisa quistione, si attribuiscono proprietà afiatto opposte. Faceva ai vantaggi riflettere dell' esperienza allorquando i fatti di que- sta sieno chiari e precisi. Tali essere quelli, per esempio, diceva, che tanto uno scrupolo di acido ciandrico quanto due libbre di alcole bastano separatamente ad uccidere un uomo, ma più non hanno questo effetto riuniti ; e naturai con- seguenza ne deduceva essere quelle sostanze di effetto contrario e vicen- devolmente attutarsi. Procedendo con pari semplicità pel solfato somministra- to ai conigli trovò per quelli venefico, nefla dose di 40 grani pei grandi e di 1 5 pei piccoli. Vide l'alcole e gli oppiati aumentarne i tristi effetti, l'acqua coobata di lauro ceraso, il salasso e la digitale mitigarli ed anche impedirli ; quindi stabili l'azione primitiva essenziale il solfato di chinina sui conigU risultare congenere a quella delle prime sostanze, opposta a quella delle se- conde -, essere adunque iperstenizzante ed agire in modo speciale sul sistema venoso. Rifletteva non potersi con uguale franchezza procedere in simili espe- rimenti nell'uomo, pel rischio che questi presentano, tuttavia fenomeni di flo'^osi aver risentito quelli che provarono l'uso del solfato, e l'accidente sommi- nistrato avere opportuna una prova nel caso che riferisce il Sormani di un av- velenamento prodotto da tre quarti di oncia di solfato di chinina, guaritosi con le mignatte, cogli oleosi, coi bagni, cogl' ipostenizzauti in una parola. Nar- — 15 — rava all'opposto casi pareccliii di persone dal solfalo sanate dopo morse da vipere, e talvolta anche ridotte a stato peggiore per T applicazione delle mi- gnatte, e di malati per eccessive emissioni di sangue ridotti ad assai mal par- tito. Finalmente osservava l'opinione dei medici più distinti di varii tempi e nazioni attribuire alla china ed a" suoi composti azione tonica e slimolante. Conchiudeva perciò la proprietà iperstenizzante del solfato di chinina sem- brargli provata dagli sperimenti sui bruti, da quelli sull'uomo sano e malato, e dalle autorità de'piìi riputati scrittori. XI. Il socio ordinario dottor Gio. Domenico Nardo, notando l'effetto utile che nelle infiammazioni della gola produce la pianta nota col nome di sempre-vivo dei tetti, diedesi ad indagare donde ì utile effetto ne provenisse, ed attribuì questo all'acido malico ed all'albumina vegetale. Desiderando ri- durre il farmaco alla piià semplice composizione, né trovandosi l'acido malico facilmente dai farmacisti, provò a sostituirvi gli acidi citrico, tartarico, acetico ed ossalico, e trovò quest' ultimo di particolare efficacia nelle infiammazioni della lingua, delle gengive, delle glandolo salivari, nonché nelle polmonie, nelle gastriti e nelle gastro-enteriti, producendo abbondante salivazione, e riuscendo ottimo sedativo, mesciuto con gomma arabica, con decolto di orzo, o con qualsiasi sciroppo. Lo mostrò preferibile all'acqua coobata di lauro ceraso, come valido contro-stimolante, specialmente locale, e tolse i timori sul- 1' uso di esso esposti da alcuni , notando le sue chimiche proprietà dalla reazione vitale, e dai succhi gastrici essere grandemente modificate. Aggiun- se potersi anche sostituire all'acetosa, che all'ossalato acido di potassa dee le sue proprietà, e narrò di forti infiammazioni delle labbra e della bocca prodotte dall'aro comune e guarite da altri con l'acetosa, da lui con l'acido ossalico. XII. Ad altro farmaco, vale a dire all'idroclorato di narcotina, proposto da Stewart all'Indie Orientali come febbrifugo, volgeva le sue indagini il socio ordinario Galvani, e mostrava come col metodo dallo Stewart suggerito per loppio di Calcutta egli non ottenesse da quelli di Egitto e di Smirne l' idro- clorato di narcotina, ma bensì un miscuglio di altre sostanze che avevano la morfina per base, la quale rifletteva che se non era forse veleno pegli Orientali abituali all'uso dell'oppio, tale riuscir doveva assolutamente per noi. Cercan- do con altri mezzi di procurarsi la narcotina combinala cogli acidi, riconobbe trovarsi dessa nella salificazione unita sempre alla meconina. e difficilmente potersi tener conto degli effetti di questa, la cui proporzione é sempre incerta — 46 — e variabile. In tal guisa i lumi della chimica mettevano in avvertenza i meno esperti contro al rischio di spegnere invece che salvare la vita. XIII. Poco soddisfacendo allo stesso sig. Galvani i metodi adoperati fi- nora per la preparazione del Santonino, diedesi con particolare cura a studia- re pur questi, e dopo avere dimostrato come nel santonico trovisi natural- mente combinato alla resina, riferì all'acido solforico diluito con alcole avere sostituito quello idroclorico allungato con acqua, aiutandolo con leggero calore, ottenendo cosi dal Santoniuro di calcio il Santonino precipitato scevro da sali calcarei, dalla clorofila e dalla resina. Indagò la teoria degli effetti della calce e dell'acido, mostrando come la prima faccia disciorre la resina nell'acqua e come questa posta in libertà dall'acido che salifica la base venga poi decom- posta da un eccesso di esso e dal calore. La quantità del Santonino dietro queste norme ottenuto risulta a dir vero minore alcun poco di quella ricavata da altri ; ma questa perdita da utili secondarli prodotti riceve un compenso. Ingenuamente poi confessava, come dopo compiuti i suoi studj gli pervenisse uno scritto di Guillemette nel quale esponevansi alcuni principii analoghi ai suoi ed un metodo su quelli fondato, circostanza, che se da un lato della compiacenza io privava della priorità di alcune sue osservazioni, la verità col- l'evidenza ne dimostrava dall'altro. XIV. Al semplice scopo della preparazione dei farmachi e dell'analisi di essi non si limitano però gli aiuti che alla medicina presta la Chimica, la quale, spignendo le sue ricerche sulle sostanze stesse onde i corpi organizzati com- pongonsi nello stato di vita o dopo che quella è cessata, cerca co'proprii stu- dii altresì di spiegare le funzioni dei varii organi e di spargere qualche luce sulla serie mirabile d' incessanti fenomeni onde la vita stessa componesi. Se non che fuvvi taluno il quale, trascendendo forse per eccessiva acutezza d'in- degno le negò sconoscente questi vantaggi, e rifiutò come inconveniente alla (Chimica l'attributo di organica^ perciò che il dominio di essa alle sostanze si limitava in cui la vitalità era cessata, e che, a suo dire, mutato avevano per questo natura, e vieppiù per la influenza dei chimici agenti, e perchè coi prin- cipii in esse dall'analisi riconosciuti non si poteva, mediante la sintesi, ricompor- le. L'affronto fatto alla scienza quasi personale considerò il dottor Bizio, no- stro socio onorario, e si fece con ragionamenti ed esperienze a combatterlo. Addusse doversi alla Chimica la conoscenza di molti fatti, del modo, ad esem- pio, come gli alimenti si sciolgano e mutin natura, e come l'aria che alla re- spirazione ha servito, decarbonizzando il sangue venoso, in acido carbonico — d7 — si converla. Prendendo poi specialmenle a considerare il sangue, combattè la ipotesi che, preso questo all'uscire immediato dal corpo, il suo colore dila- vato istantaneamente muti in quello vermiglio, ed acquisti composizione inte- ramente da quella di priaia diversa, ipotesi semplicemente congetturale, sen- za appoggio di fatti ne di analogie. A dimostrare la insussistenza della pretesa mutazione improvvisa delle organiche sostanze sottratte alla vita, osservò le frutta mangiate sull'albero non avere sapore diverso da quelle appena spiccale da esso, e per mostrare eziandio falsa la cessazione immediata della vitalità, notò il liquor seminale, benché uscito dal corpo e passato attraverso estraneo veicolo, serbare le fecondatrici sue proprietà. Gli olii essenziali di fragranza uguale a quella delle piante donde derivano portò ad esempio che l'analisi separa e non distrugge gli elementi dei corpi. Altre prove dedusse dal vedere alcune sostanze introdotte nel sangue ancor circolante od in quello uscito dal corpo produrvi gli effetti medesimi. Tacciò di pretesa riconosciuta vana ed irragionevole l'esigere la sintesi per comprovare l'analisi, iunuile essendo le circostanze in cui questa senza di quella pure dimostrata pienamente risulta. Considerando in appresso altri fenomeni relativi al sangue che la chimica ii- tilmente rischiara, spiegò come l'ematosina si formi in quello degli erbivori, e come alle sostanze stesse in esso esistenti sieno le formazioni dei varii organi da attribuirsi. Dal particolare poi al generale passando, a negare si fece l'asser- to che la forza della vitalità sia in opposizione con le leggi fisico-chimiche ge- nerali, donde vengano differenze grandissime fra i corpi inorganici e gli or- ganizzati, e che questi cadano sotto alle leggi dei primi solo al cessar della vita. Mostrò invece, con Berzelio, gli esseri viventi soggetti alle leggi comuni solo in qualche parte modificate, non soggiacere che a lente mutazioni dopo la mor- te, ed occorrere anche per queste il concorso di altre cause, senza le quali i cadaveri degli animali e le parti delle piante resistono inalterati al passaggio dei secoli. I vitali fenomeni indicò dovuti alle diverse combinazioni delle for- ze degli elementi inorganici, e specialmente a quelle attrattiva e ripulsiva, cospiranti o contrarie -, essere i prodotti della natura organica in generale il ri- sultamento di una forza primitiva, quelli della inorganica almeno di due, e do- versi principalmente indagare pertanto la maniera d'agire degli elementi dei secondi sui primi. Certo prova migliore dell'utile sommo che recano le discus- sioni negli argomenti scientifici non saprei trovar dello scritto del quale dare cercai breve conto. XV. A conferma quasi del potere della chimica nell' esame dei prodotti Ateheo. Tom. Y. 3 — 18 — organici, il Bizio stesso l'analisi ci riferiva da lui fatta fino dal iSSa dell'olio del cocco ed i proprii studii sulla coccina, sull'acido coccinico e sui coccinati, e moveva lagno che quello stesso Giornale di farmacia di Parigi, che, dan- do conto nel i833 di queste ricerche notava, farsi in esse per la prima volta menzione della coccina, sei anni dopo pubblicasse un lavoro di Brandes in cui se la accennava come da lui dieci anni prima osservata. Una quistione di priorità è questa decisa dal fatto : né a me sembra men sacro d'ogni altro di- ritto quello della proprietà delle idee, grande conforto ed eccitamento, unico troppo spesso, a perseverare negli studii, essendo la sicurezza di avere in qual- che parte al progresso di una scienza contribuito. L'olio di cocco ci descriveva il Bizio, fluido a 20° Reaumur, a i5 di consistenza burrosa, a più bassa temperatura della sodezza del sevo ; di grato sapore ; durevole in vasi chiusi •, mutabile al contatto dell' aria ; più d' ogni altro grasso solubile nell' alcole, in ogni proporzione nell'etere 5 composto per 9/10 circa di coccina cristallizzata, pel resto di oleina, con poca glicerina e glicina. Mostrava la coccina candida, aghiforme, più leggera dell'acqua, fusibile a 28° Reaumur, non molle alla tem- peratura atmosferica. Diceva molto calore assorbire quella nel fondersi, svolgerne molto nel rappigliarsi ; solubile essere nell'alcole, negli olii volatili, nell' etere, ed in quest'ultimo assai prontamente e con notevole diminuzione di calore; l'acido nitrico concentrato separarne un acido grasso analogo e quello stearico; ottenersene con l'acido solforico e l'acqua due grassi distinti, scolorito l'uno, l'al- tro d' una tinta castagna ; in alcuni mesi acquistare la coccina l'odore di pera moscatella che nell'olio di cocco si nota. XVI. Sussidiaria alla medicina ed alla igiène anche la storia naturale vie- ne sovente, e sotto questo aspetto l'utile dell'uomo riguardavano indirettamen- te quegli studii del socio ordinarlo co: Nicolò Contarini, coi quali i caratteri ci dipingeva e il costume di alcuni insetti, che di rapina vivendo, gli animali più deboli uccidono ed ai grandi recan disagii notevolissimi, né pur rispettano l'uomo, a questo preteso dominatore della natura insegnando a moderare l'orgo- glio. Parlò degli y4sili primieramente che prendono a volo altri insetti ferendoli col pungiglione, e succhiano il sangue de' grossi bestiami e dell'uomo, incomo- dissimi, specialmente notando quello calabrone che sta nei luoghi sabbiosi e sco- perti, e quello bigio che abbonda nei pascoli aridi: ne descrisse le larve che in forma di bianchi vermi vivon sotterra e di radici si pascono, e additò come si trasformino in ninfe, poscia nello stato d'insetti. Minutamente descrisse i caratte- ri degli Assilli od Estri, anche agli antichi notissimi, e specialmente studiati dal — id — Vallisnieri e Reaumur, altri Inselli ond'è a notarsi la brevità della vita allo sla- to perfetto, ed il non prendere durante quella alcun cibo ; ma che oltre un an- no rimangono alio stato di larve, e le uova depongono sulla pelle od in vane altre parli degli animali, in cavità praticatevi con particolare utensile foggiato a succhiello, producendo tumori che con astuto artifizio mantengono aperti alla cima acciò l'aria non venga loro a mancare, il danno pei buoi limitandosi ai guasti che nella pelle cagionano. Narrò infuriare i cavalli all' ascoltarne il ron- zìo, consapevoli quasi che possono lor cagionare malattia grave, epidemica ; le pecore cacciare il muso a terra per istinto al vederli, per impedire ch'entrino lor nelle nari e a depor vadano nei seni frontali le uova. Accennò di altre spe- cie di Estri che vivono pure sui cavalli, sui buoi, sui cervi, sulle renne e su altri animali non comuni fra noi. XVII. Invano però, coadiuvate dalle altre scienze, la igiène e la medicina vigilerebbero a mantenere illesa la vita, se questa dalla malvagità non si difen- desse, che troppo sovente fino dal primo spiro la insidia e minaccia. Scia- gurati bambini , guardali qual testimonio e rimprovero di una colpa , o quale insostenibile aggravio, incontrano 1' odio in luogo dell' affetto sul nascere, e tolta si veggono la esistenza dalla crudeltà di coloro dai quali la ricevettero. A togliere tali orrendi delitti, da sembrare impossibili ove meno fossero veri , sorsero , santissima inslituzione , le case di ricovero pegli esposti. Intorno a quella di Brescia , una delle più antiche , perchè al i447 anteriore, ne intratteneva il socio corrispondente D. Buflìni, attuale direttore di essa. Narrava a' quali rimedii si ricorresse per riparare al nu- mero eccessivo de' trovatelli , facendosi aggravare di scomunica i padri legittimi che esponessero i figli -, tenendo chiusa durante il giorno la ruo- ta; temporaria rendendo nella casa la dimora dei bimbi, caricandone po- scia altri instituti, o spargendoli nelle case dei villici. Riferiva essere le esposizioni annuali dal i537 al i632 cresciute, poi fino al 1775 scemate; in appresso essersi mantenute in aumento costante. In una seconda lettura ad indagare passava le cause più comuni delle esposizioni; indicava come dal- l'epoca della vita in cui entravano nell'ospizio stimasse poter distinguerei figli legittimi, e come la proporzione di essi, secondo quello ed altri simili dati, passasse un 3o per cento : osservava avervi mirabile relazione fra il rinca- rire del vitto e l'aumentar degli esposti, ed il maggior numero dei concepimenti illegittimi avvenire dal giugno all'ottobre. Indagando i provvedimenti proposti- si, combatteva quelli di chiudere le ruote, e -di non accettare i fanciulli che die- — 20 — Irò dichiarazione del nome materno, e di mutarli da una in altra famiglia so- vente, di ogni legame di affezione privandoli : suggeriva un ospizio pel solo allattamento dei figli legittimi e poveri, pegli altri la sostituzione alle ruote di uno stabilimento che gli accettasse chiedendo il nome del portatore soltanto, promettendo anche su ciò inviolabll secreto. Mostrò combinarsi in tal modo i vantaggi della pubblica economia, del miglioramento della morale e del soc- corso pei poveri, gì' inconvenienti evitando che nei metodi attuali si osservano. XVIII. Se però il conservar la salute, prolungare ed assicurar la esistenza formano certamente i primi desiderii dell' uomo, ben lungi sono dall'essere i soli, che, con la facoltà dal santo lume di ragione concessagli di legare e raffron- tare le idee, vuole altresì, per quanto al limitalo suo ingegno è concesso, cono- scere i fenomeni che gli stanno dintorno, indagarne le cause, imitarli o diversa- mente combinandoli ottenerne di nuovi, e dalle superate difficoltà, e dai belli e sorprendenti effetti ottenuti, soddisfazioni ricava che piacevole gli rendon la vi- ta. Tale si è di varie scienze lo scopo e non ultima dee annoverarsi fra queste fa matematica, la quale, se in apparenza di alcuna classe di fenomeni in partico- lare non si occupa, tutti in generale gli abbraccia, investigando relazioni astrat- tamente considerate. Per queste ragioni, e pel vantaggio altresì che reca nell'ar- te del ragionare 1' abitudine all' esatto linguaggio di quella scienza , entra sempre, in misure più o meno estese, nel piano della educazione primitiva. Il socio ordinario professore Gabelli, il pregiudizio combatteva pertanto che arido siane lo studio e difficoltà vi s'incontrino grandissime, e tali da non poter es- sere vinte senza speciale disposizione d'ingegno, pel che al menomo ostacolo atterriti indietreggiano i giovani. La matematica con altre scienze paragonando, la mostrò di quelle più facile, in quanto che da fatti certi, semplici ed ovvii, con piani sillogismi gradatamente procede, niuna scienza potendo avere prin- cipi! chiari più degli assiomi. Unica difficoltà notò quella del dovere sempre di cose astratte occuparsi, e potersi questa scemare nell'istruzione partendo dal- l'esame dei corpi, e deducendo, per esempio, dal solido la idea della super- ficie, della linea, del puntoj e le definizioni insegnando solo mano a mano che conoscere si fanno le cose, acciò l' idea di queste rimanga a quella delle parole associata. Doversi i giovani con la sorpresa allettare, mostrando loro come semplicissimi calcoli ed inattesi risultamenti conducano e faccian chiarissimi i più sorprendenti fenomeni, dandoci il modo di misurare le distanze e i dia- metri dei pianeti, e fissaudo i movimenti di quelli e delle comete, condurci a prevedere l' apparire di queste, e il succedere delle eclissi. Aversi ad approfit- — si- tare dello amor proprio dei giovani come eccitamento allo studio, procu- rando loro il piacere d' indovinare la soluzione di alcuni problemi, e di de- sumerne applicazioni, procurando clie così fatte ricerche si abbiano quasi a sollievo delle più gravi. XIX. Nella mira di agevolare i matematici studii, concorreva l'altro socio ordinario professore Pietro Magrini, riducendo a formule semplici e finite la quadratura dell' iperbola, e la rettificazione della parabola ; due curve entrambe per notabili proprietà importantissime. Imperfetti o difficili troppo erano 1 mezzi conosciuti dapprima per la soluzione di questi problemi. Cominciò dal riferire i metodi usati per valutare le superficie comprese fra la curva iperbolica ed un assintoto ; mostrò come il risultamento di quelli condurre potesse alla formula finita di quadratura per la misura delle aree iper- bolicbe, senza calcolo prolisso di serie, e senza passare per l'intermedio della iperbola equilatera. Diede poscia il teorema col quale ne deduceva la for- mula per la rettificazione di qualunque arco parabolico. XX. Più direttamente indagatrice dei naturali fenomeni procede la fisica, e volge in oggi precipuamente i suoi studii a quella forza misteriosa, che produce tanti e si svariati fenomeni , talora terribili , vaghi tal' altra , mi- rabilissimi sempre, la quale, più per necessità di assegnarle alcun nome, che per conoscenza della natura di essa, si chiamò fluido elettrico. L'a- bate professor Zantedeschl , nostro socio ordinarlo , alcuni effetti ne esa- minava relativi al trasporto della ponderabil materia, mostrando come le prime idee su tale argomento si dovessero a Gio. Francesco Plvati, che nel 1747 trarne voleva profitto per introdurre nel corpo umano medici- nali sostanze; come questa proprietà confermata venisse nel 1766 da Prie- stley nella elettricità per attrito, e nel 1800 da Brugnatelli, il padre, in quella voltaica, vedendo quest' ultimo eziandio trasportarsi e deporsl il rame e lo zinco sopra altri metalli, scoperte donde si trasse In oggi tanto profitto, e nelle quali tutti 1 fatti della galvano-plastica si contenevano, arte che sarebbe stata interamente italiana se dalle loro indagini speculative degnalo avessero 1 fisici nostri di abbassare alle utili applicazioni lo sguardo. Dal 1826 al i83i, osservava più eslesamente il sig. doti. Fuslnlerl gli effetti di trasporto nelle anzidetti: elettricità ed in quella eziandio della folgore. Notava lo Zantedeschi Giuseppe Cardini avere primo, nel 1788, osservato il colorito delle elettriche scintille variare secondo 1 corpi donde si partono ed 1 gas che attraversano, ed al Brugnatelli doversi la dottrina delle pile secondarle, e delle proprietà che — 22 — acquistano i fili metallici dopo che servirono alle chimiclie decomposizioni con la pila. Opera di buon italiano furono tali rivendicazioni per certo, e questa carità fraterna di patria bramerei mettesse salde radici fra noi, sicché si vedes- sero tolte una volta quelle discordie, che le quistioni scientifiche troppo spesso in odii personali mutando, gli avanzamenti delle scienze ritardano, ed in mezzo a tanto sapere, torto sì grande fanno all'Italia presso le altre nazioni. Lo Zantedeschi parecchi! fatti verificava sull'argomento di cui parliamo, e specialmente si dava ad esaminare se le polarità secondarie che nei fili condut- tori produconsi, alle parti immerse nel liquido si limitassero, il che da Becque- rel e Matteucci asserivasi e dal Delarive si negava ; ripeteva il nostro socio le esperienze dell'ultimo, modificate per togliere ogni sospetto di errore, e conve- niva nell'opinione di lui. Indagava dappoi se la materia ponderabile alla su- perficie aderisca dei fili o vi penetri nell' interno, e, contro al parere di Bec- querel e Matteucci, alla seconda ipotesi inclinava sostenuta dal Brugnatelli e dal Fusinieri. vedendo i lavacri alcalini od acidi scemare non togliere le polarità secondarie. Biferiva inoltre avere, fino dal i83a, notato come i fili congiuntivi si lascino più facilmente attraversare in quel senso in cui furono dalla scarica percorsi più volte, ed avere prima sulla rana, poi con la macchina raagneto-eleltrica, riconosciuto questo fatto che Peltier confermava in appresso, deducendone avvertenze nel modo di usare i reometri. Vide questo Ateneo in altra tornata Io Zantedeschi medesimo ripetere gli sperimenti suoi sulla disposizione delle forze magnetiche nel filo congiuntivo degli apparati voltaici, negli elementi della pila medesima e nelle spirali percorse dalle correnti eccitale da quella. Il professore Steer ebbe pure la compiacenza di mostrarci una pos- sente macchina magneto-elettrica, ed un saggio dei più notabili effetti di essa. XXI. Osava io pure chiedere a' miei dotti colleghi consiglio presentando loro un mio nuovo barometro. Notava come gli effetti del peso dell' aria, so- spettato dagli antichi, riconosciuto e provato con l'esperienza dal Galileo, venissero ad esatta misura assoggettati dal Torricelli con la invenzione del barometro, e come l'importanza di questo strumento crescesse dacché Pascal lo a.pplicava a scandagliare le altezze e dacché credevasi scorgere una rela- zione fra le sue variazioni e lo stato del tempo. Esponeva avere io avuto lo scopo di ridurlo più corto e con ciò più portatile, ed esservi pervenuto chiu- dendo col mercurio dell'aria, evitando che il volume di questa della influenza si risentisse della temperatura, con tale disposizione dello stromento che il calo- re dilatando il liquido di tanto crescesse l'altezza di una colonna di esso di — 23 — quanto aumentava la tensione del gas da quella rinchiusa, sicché avendovi compensazione, il volume di esso non per altra cagione fosse soggetto a can- giare che per le mutazioni del peso dell'atmosfera. XXII. Le sempiici teorie del livellarsi unifurraemente dei liquidi appli- cava il socio ordinario ingegnere Campilanzi a rischiarare un fenomeno sogget- to di molte quistioni pei dotti, le corrosioni, cioè, che osservansi a molta altezza dal suolo nei resti del tempio di Giove Serapide presso a Pozzuoli, le quali si veggono prodotte dall'opera di litofaghi o mitili e si vollero in varii modi spie- gare, credendole alcuni anteriori alla costruzione deIl'edifizio;attribuendole altri chi a successivi abbassamenti e sollevamenti del suolo, chi ad uno straordinario innalzamento del livello del mare. Questa ultima ipotesi si fece ad abbattere il Campilanzi, opponendovi che le acque del Mediterraneo, una sola massa co- stituendo, dovevano quelle variazioni del mare Tirreno all'Adriatico essere co- muni, fatale quindi ai varii punti delle coste di esso, ed a Venezia ugualmente, la quale era città fiorentissima in que' tempi in cui si vorrebbero le acque marine a tale altezza portatesi da sommergerla affatto insieme con le vicine campagne. Notò risultare da osservazioni fattesi in tempi mollo discosti il livello del mare andare progressivamente aumentando di altezza, nella propor- zione di circa 1 1 centimetri al secolo, ed a questo effetto aversi dovuto limitare i cangiamenti anche a Pozzuoli. Colse occasione di raccomandare che si tenesse esatto e perenne registro nei varii porti dell'altezza delle maree. XXIII. Da varie scienze accomunatesi insieme altra veramente nuova na- sceva, la Tecnologia, che le più gravi passo a passo vigilante seguendo os- serva di continuo a quale utile scopo si possano i risultamenti dei loro studii applicare, i frutti ne coglie ed a vantaggio della società li converte. N'è prin- cipio essenziale di fatto la applicazione delle Scienze alle Arti e ben mostrò quanto possa se in poco piìi di mezzo secolo tanti progressi già conta, che quasi tutte le industrie ne mutarono aspetto. Né a voi ho duopo addurne prove, o Signori, che vedete stabilirsi nuove manifatture fra noi e risorgere alcune di quelle scadute^ grandiosi progetti prometterci scaturiggini d'acque dal seno della terra o quelle del Sile condotte alle nostre contrade ; le tenebre sban- dite dal gas ; ed il vapore, veicolo di calore o possente forza motrice, parecchie industrie animare, da più anni aprirsi solchi sicuri nell'Adriatico, conducendoci, indipendente dai venti alla vicina Trieste od al remolo Oriente, od a noi trar- re dalla terra vicina genti a migliaia con rapidissima corsa e sbuflando arrestar- si sul ciglio della nostra laguna, impaziente quasi di calcare quel ponte che — 24 — attraverso di essa aprire gli deve una via. Intorno appunto a questi van- taggi che risultano dal fratellevole commercio delle scienze fra loro e con le utili arti ci tenne ragionamento il socio nostro ordinario professore Pietro Magrini, e mostrò come fossero per quello le ipotesi arbitrarie, e le sottigliezze sbandite, succedendovi rapidi ed incredibili quasi progres- si, e come quelle ricerche le quali piìi sembrano oziose ed aride in una scienza , fertili divengano di nuove ed utili conseguenze in un' altra : ad esempio citò la parabola, di tanto aiuto nella balistica, nell' acustica, nell'ot- tica, nell'astronomia, nell'idraulica; la cicloide nella cronometria ; nella cristal- lografia la teoria de' poliedri, la filosofia in tutte. Uguale additò, se non mag- giore, il giovamento reciproco delle scienze e delle arti, che le prime perfeziona- no i metodi delle seconde con lo spiegarne i principii e dettarne le norme, ricevendo in ricambio i lumi della pratica e gli aiuti di delicati stromenti, e ricordò quante grandi scoperte scientifiche per la sola imperfezione delle Arti siensi ritardate più secoli. Inculcò il lume della filosofia nelle umili officine doversi far penetrare, acciocché gli artigiani apprendano a rendersi di ciò che fanno ragione, acquistino cosi alla professione loro più amore, ed occu- pando le intellettuali facoltà insieme alle fisiche, imparino a meglio conoscere i loro veri interessi, ed a vieppiù rispettarsi, men facilmente trascinare lascian- dosi alle viziose abitudini. XXIV. Utilissimo a siffatto scopo riusciva il divisamento del socio ordina- rio professore Pietro Magrini di una fisica popolare, a saggio della quale i due capitoh ce ne leggeva dell'acustica e della musica. Passava ad esame nel primo il modo come il suono trasmettesi, e le ondulazioni che produce nell'aria pro- curava di render sensibili paragonandole a quelle cagionate dal vento nelle spiche di ben guernita campagna ; mostrava dalle vibrazioni nascere il suono, e la sua natura dalla durata di esse; segnava i limiti nei quali si possono dal- l'orecchio nostro distinguere da un ventiquattro millesimo di secondo a un ot- tavo, oltre ai quali riescono troppo rapide o troppo lente; la velocità del suono notava dipendere dalla densità varia dei mezzi; dall'ampiezza delle vibrazioni la intensità. Spiegava dai fenomeni del suono riflesso dipendere il prolungato muggire del tuono e l'eco, ed il singolare esempio adduceva della Chiesa mag- giore di Agrigento in Sicilia ove i confessionali segreti profferiti presso ad una parete dalla opposta svelavansi; come dalla interferenza delle onde sonore venga il suono distrutto; come la relazione de'suoni fra loro alla teorica della musica sia fondamento ; osservava la preferenza del genere enarmonico presso gli antichi — 25 — provare di quanto ci superassero in delicatezza di udito. Narrava i fattisi tentativi per ottenere meccanicamente della voce gli efFetti; il fatto di una linguella che fa- ceva udire le cinque vocali col naturale loro ordine o in senso opposto, allungan- dosi od accorciandosi mentre vibrava, ed accennava meccanismi immaginati da Krabzenstein e da Kempelcn che articolavano alcune frasi, riflettendo sulla im- portanza che avere potrebbero questi mezzi di fissare e trasmettere all'orecchio de' posteri la vera maniera di pronunziare le lingue. In tal guisa cercava di ren- dere a tutti interessante la scienza, esponendone i più strani fenomeni, le più utili applicazioni. Come temendo tuttavia che troppo grave riuscisse questo ca- pitolo, nel susseguente, lasciata quasi affatto a parte la scienza, parlava invece della musica pratica semplicemente, rimproverando il volersi in essa sostituire la filosofia all'entusiasmo, non che l'abuso delle dissonanze, la profusione delle note, l'abbandono della espressione, che aggiugne forza alle parole, per l'artifi- zio che poco di quelle si cura e tende solo ad allettare materialmente, quando pure con gridi e balzi non venga assordando. Col desiderio chiudeva che la innovazione dal Bellini con tanto buon successo tentata non si estinguesse con esso. XXV. Mentre così le teoriche ci si presentavano di quelle arti, e son molte, cui le proprietà del suono interessano, sulle pratiche di alcune altre si volgeva di taluni il discorso. Il socio ordinario ingegnere Campilanzi, sem- brandogli che l'Accademia di Francia, nel premiare i filtri del Sig. di Fonvielle menzionasse le cisterne della nostra Venezia senza rendere giustizia alla per- fezione di esse, ci venne descrivendo il modo di costruirle, formandole di ampio bacino di creta, con canna di muro nel mezzo pertugiata alla base, riempiendosi lo spazio ali intorno fino ad un metro dall'orlo con sabbia di mare, e lasciando al di sopra di queste varie capacità, dette volgarmente cas- soni, in cui l'acqua di pioggia dai sovrapposti selciati e dalle docce dei tetti viene a raccogliersi. Mostrò il Campilanzi come si abbia in tal guisa un'acqua purissima, sceverata con la filtrazione da ogni immondezza, non occorrendo nettare la parte superiore delle sabbie, che ogni 4 a 5 anni. Notò i varii di- sordini cui possono andar soggette queste cisterne ed i modi di evitarli o di ripararvi, suggerendo fra gli altri ripieghi quello di riempiere d'acqua la canna, sicché feltrando in senso opposto, seco traesse le sozzure che troppo innan- zi penetrate fossero nelle sabbie. Riflettè potere simili pozzi riuscire molto utili anche nelle altre città e nelle campagne e per le manilàtture e pegli usi domestici, ove le acque sieno di cattiva natura, torbide, scarse o soverchiamente Ateneo. Tom. V. 4 — 26 — lontane. Le confrontava poi coi feltri di Fonvielle, in cui deesi l'acqua innal- zare a notabile altezza, e la sabbia abbisogna di spurgo frequente e perfino giornaliero talora, per la facilità con cui, attesa la forte pressione, vi si uni- scono intimamente sedimenti e sozzure. Conchiuse dall'encomio alle nuove in- venzioni non doversi disgiungere il rispetto alle antiche, ne esagerare le pri- me e trascurar le seconde in que'casi ne' quali la superiorità a queste competasi. XXVI. Fra le avvertenze dal Campilanzi dettate per la costruzione delle cisterne notava molto influire sul compiuto raccoglimento delle a- cque e perchè la purezza non ne rimanga alterata, la qualità del selciato su cui quelle scorrono. A migliorare appunto i selciati applicava il socio ordinario Dott. Gio. Domenico Nardo un cemento composto di terra mi- sta a bituminosa sostanza, intorno al quale pubblicava esperimenti parecchii fatti col catrame vegetale fino dal i8a8. Questo trovato molti anni dopo, come nuova cosa, veniva posto in campo oltremonti con la pece minerale e l'asfalto principalmente, Iraendosene vantaggi notabilissimi, intorno ai quali ci tenne discorso il Sig. Pesseg nostro socio corrispondente. Fatto prima qualche cenno sulla formazione e natura dei bitumi che più alle arti sono utili, e sulla probabilità, dietro un passo di Erodoto, che del cemento di asfalto si valesser gli antichi, notò comporsi quello francese, che in commer- cio si trova di una parte di puro bitume con nove di pietra bituminosa che da un 12 a un 1 5 ne contiene per cento, le quali sostanze dalle cave si estrag- gono di Seyssel, e Lobsan. Riferì in varii luoghi trovarsi pietre anche più ricche di quelle, ma bitume puro in pochissimi, ed indicò varie sostituzioni a questo propostesi. Narrò le esperienze da lui fatte nel laboratorio ch'egli dirige di partigione ed affinamento di questa I. R. Zecca, con la pietra bituminosa di Dalmazia, impropriamente chiamata asfalto, che tiene fino a aa, di bitume per 100, ottenendo assai buon effetto con loo parti di quella polverizzata, otto a nove di catrame vegetale e 4 a 5 di pece, il tutto per quatlr'ore bollito insieme, poscia mesciuto a scaglie di pietra d'Istria e posto in opera a caldo. Ebbe effetto ancora migliore dal catrame di carbon fossile con la selce. Il pa- vimento fatto in tal guisa resistè a mille chilogrammi di peso ed ai colpi di forte martello, benché esposto al calore di un forno di arroventamento imme- diatamente vicino. Il bell'effetto di cosiffatto cemento può da tutti in oggi vedersi in un nuovo ponte cui venne in via di saggio appHcato. La spe- sa di questa maniera di selciatura espose il Pesseg risultare molto mag- giore di quella a macigni, od a terrazzo, ma tornare altresì più utile per la maggiore durata, e percliè il materiale non va unquanco perduto, po- tendosi sempre rifonderlo ed impiegarlo di nuovo. Fece conoscere altre ap- plicazioni di questo cemento per istuccare le doccie, impedire le infiltrazioni nelle Icuditure dei muri, e guarentirli dai danni della umidità. Giova sperare, che il prezzo di esso riducasi per noi alquanto minore dacché il catrame del carbon fossile che ci mancava forma ora un secondario prodotto nella fabbri- cazione del gas. XXVII. Intorno a parecchi! nuovi metodi di quest'ultimo ramo d'industria, verteva uno scritto che ai lumi io assoggettava de' miei dotti colleglli. Indi- cava in quello i varii mezzi impiegatisi per togliere all' acqua 1' ossigeno ed averne isolato l'idrogeno, e diceva come credessi potersi trarre partito a tal fine da metalli fusi ed attraversali allo stato rovente dall'acqueo vapore, poscia con mezzi facili ed economici ripristinati. Annoverava gli spedienti proposti per rendere luminosa la fiamma dell' idrogeno puro, ponendola a contatto con esili corpi refraltarii che potesse ridurre all' incandescenza, o mescendovi va- pori o gas assai carichi di carbonio. Descriveva il metodo di Selligue cercando spiegarne gli efletti ed esponendo di alcune modificazioni il parere. Esami- nando poi la proposta del Seguin di trarre il gas d'illuminazione dai cadaveri degli animali, notava la diflìcoltà del depuramento com^jlicare la operazione, e rendere meno sicuro 1' efi'etto. Quanto alla parte economica essere i calcoli dati dall'inventore erronei del tutto, perciocché nel fissare il prezzo delle materie prime non erasi tenuto conto delle altre applicazioni ond' erano suscettibili, computandosi, per esempio, a i 7 franchi il cadavere di un cavallo, mentre è provato potersene ottenere prodotti dell'importo di 64 a 1 14 franchi. Notava in oltre che in questa fabbricazione il gas non sarebbe stato che un secondario prodotto, essendo di franchi 20, 55 il prezzo ricavato da esso, e di franchi 56, 5o, invece quello del sale ammoniaco ottenuto: faceva quindi osservare che non avendo quest'ultimo usi estesi gran fatto, se ne cresceva la produzione, il prez- zo ne doveva scemare ed esserne difficultato lo smercio. XXVIII. Erta pertanto e diflìcile veramente nelle scienze e nelle arti è la via del progresso, né percorrerla è dato che a brevi passi, sulle orme altrui, nelle concatenazioni dei fatti e dei raziocinii cercando un aiuto, donde somma l'importanza che gli scienziati scambievolmente partecipinsi le proprie idee ed i risultamenti degli studii loro, e ad una sola mira gli sforzi comuni riu- niscano, la scoperta del vero. I vantaggi che a questo scopo, in circolo più o meno angusto, le Accademie recavano, grandemente estendeva la instituzione — 28 — degli annui Congressi scientifici, avvenimento faustissimo che l'anno i83y nuova era stabiliva ai fasti d'Italia. Non restava indifferente a quella prima solennità patria il nostro Ateneo, che vi concorrevano alcuni suoi membri, ed a far paga l' avida brama degli altri, il socio corrispondente D/ Luigi Nardo una relazione ce ne leggeva. Mostrava queste nazionali riunioni nel 1 8 1 5 sorte prima che altrove in Isvizzeraj nel 1822 nella Germania introdotte; fino dal 1825 desiderate in Italia, e nel marzo del 1889 partirsi dalla Toscana l'invito al primo congresso italiano, cui rispondeva unanime plauso dovunque, conce- dendosi a Pisa l'onore di accoglierlo, quasi fosse destino che quella città avesse ad essere d' ogni maggiore nostra gloria la culla. Volonterosi e festanti accorrevano i dotti della penisola ed assai distinti stranieri, e narravaci il Nardo quanto nelle scienze di medicina, della zoologia e della fisica si operava, non che le gentili accoglienze, e la commovente inaugurazione di un busto del grande Galileo, cosa forse che Pisa non aveva osato fare dapprima, scarso sti- mando a tanto uomo ogni altro omaggio che quello del concorso di tutta la sa- pienza italiana. Ne di quel sommo l'auspizio venne meno ai nostri congressi, o signori, che alacremente progredir li vedemmo 5 e se taluni, quasi beffeggiando, richieggono quali grandi scoperte derivate ne sieno, risponderò che grandi più non sarebbero se fossero frequenti e comuni; che non mancarono le comuni- cazioni importanti, le osservazioni nuove ed ardite; che finalmente nessuno scienziato il quale parlar voglia sincero, asserire per certo potrà di essere da un congresso partito senza l' acquisto di alcuna nuova ed utile cognizione, di qualche rispettabile amico ; senza giovamento aver dai confronti per meglio valutare se stesso, e per eccitarsi a procedere nei proprii studii più alacre- mente. Questi, nel biennio ond'io aveva a parlarvi, erano i lavori del nostro Ateneo relativi alle varie scienze ed alle arti, e per quanto abbia potuto loro nuocere l' inettezza mia nell' ordinarli ed esporveli, specialmente pei molti che estranei sono a' miei studii, spero non siavi sfuggito grande essere stata la copia e l'importanza degli argomenti, e l'amore delle dotte e severe disci- pline continuare a mantenersi perenne in questa nostra città. RELAZIONE DEGLI STUDI! lllE SCIENZE JlORllI, fflllE LETTERE E KEllE JRTI DELL'ATENEO DI VENEZIA DURARTE GLI ARRI ACCADEiaiCI d85940 E i840-^84i DEL PROFESSORE LUIGI CARRER SEGRETARIO PER LE CLASSI ANZIDETTE. Anche quanto a lettere gli anni 1840, i84i nel veneziano Ateneo qual- che cosa s'è fatto-, di che, come vuole l'obbligo mìo, vi terrò adesso discorso. Ma un dubbio innanzi tratto non so tacervi, dichiarando il quale mi avviso averne materia non inopportuna d' esordio alia mia relazione. Dissi, che quanto a lettere qualche cosa s'è fatto 5 or io temo non sembri impropria tal foggia di favellare, molti essendo coloro da cui odo tenersi le lettere non più che tra- stullo, e dell' attuai civiltà piuttosto ingombro che li-egio. Secondo il giudizio de' quali parrebbe cR€ a parlar giustamente si dovesse chiamar 1' opera delle lettere, meglio che un fare, un disfare ; almeno rispetto all' inutll uso del tem- po. Né punto vale a rassicurarmi la nobile e in altri tempi reputatissima com- pagnia che avete lor dato delle scienze morali, perchè della pochezza ed ozio- saggine loro né anche queste da' severissimi giudicanti anzidetti si stimano esenti ; onde che queste ancora abbisognano d'essere elleno stesse scusate, an- ziché scusar possano chi con esso lor s'accompagna. So bene che altramente s'è altra volta pensato, e non ch'esser le lettere parte di civiltà, s'è creduto non potervi avere civiltà alcuna senz'esse; so che anche ai di nostri i soli mezza- namente dotti e trafficanti la loro mezzana dottrina sentenziano di tal maniera, laddove non è sommo scienziato, come non fu e non sarà mai, che all' altezza dell' intelletto non congiunga la gentilezza dell' animo, e al culto del vero i' a- more del bello ; so in (ine che dove erronea ed ingiusta siffatta opinione in qualsivoglia terra abitabile ed abitata dall'uomo , non pur erronea ed ingiusta, — 30 — ma scouoscenle e sacrilega debbe aversi pronunziata da labbro italiano in terra italiana: so tutto questo, e voi al pari di me vel sapete, o Signori-, ma non è per tanto che il fatto non sia, e non siano tali sentenze, poniamo pure che stolte, e non siano, poniamo pur che stoltissimi, tali giudicatori. Ne io già mi penso levarmi apologista delle lettere, e delle scienze che astraendo dal sensi- bile fanno soggetto alle loro speculazioni l' intellettuale, apologia che sarebbe, più ancora che vana, impudente-, né già mi persuado che il più di voi d'altra guisa non senta, e caro e riverito non abbia il tesoro per lungo giro di secoli, al pari del nostro fecondi di grandi colpe e di grandi virtù, di grandi trovati e di grandi deliramenti, fino a noi pervenuto j ma che sconosciuto non fossenii il contrario parere, e che degli studii da me professati, come le glorie, non ignorassi i dispregi, ho stimato dover mostrarvi con questo mio dubbio, per cattivarmi parte di quell'attenzione, che dalla cortesia vostra mi aspetto per la più parie. Che s'egli è pure tra voi chi d'altra fatta ragioni, non abbia per istrano o avventato il mio considerare le lettere, l'arti belle e le scienze morali per cosa di qualche rilievo; sopporti che possa ancora slimarsi non ignobile esercizio d'ingegno siffatto genere di trattazioni ; conceda, in una parola, che la lite cui i tempi (chi sa?) forse decideranno in favore de' nemici d'ogni logica e d'ogni grammatica che non può fondersi o ponderare, si reputi tuttavia non decisa: con pieno arbitrio di rider, essi e i nepoli loro, di noi, poveri spasimanti dietro Omero e Platone, quando a tanto supremo grado di sapienza saran venuti gì' ingegni, da valutare ogni cosa in numero, peso e misura, cosi lo spirito come la creta, le forze fisiche al pari de' concetti intel- lettuali, la teorica delle quantità non meno che quella delle passioni. Giovandomi della chiestavi concessione e lasciando stare quelle scritture che furono tratte alla pubblica luce, o non si rinvennero negli Archivii, comin- cierò dal parlarvi delle Metamorfosi di Ovidio, di cui il professore abate Pasini studiò il motivo e l'intento, conchiudendo potersi ragionevolmente presumere che dalla opinione pitagorica del perpetuo trasmutamento di tutte le cose ne venisse al poeta il pensiero fondamentale. L'opera trovasi inoltre cor- rispondere ai tempi, e al desiderio del cortigiano di adulare la fermata po- tenza di Augusto dopo tanti civili sconvolgimenti. E di vero, quantunque altro per avventura il pensiero di Ovidio, non piccola somiglianza pare anche a me di vedere tra i primi uomini del mitico mondo, quale in sasso, quale in arbore, quale in bestia a un cenno cangiati del nume, e quelle forti nature repubblicane del vecchio tempo ; indossanti degenerate il vello pecorino, la — 31 — squamma del serpe, la corteccia vegetabile, la crosta petrosa; e non più insor- gere, tonare, combattare, ma strisciare, belare, qua e là piegarsi secondo il vento, o impassibili rimanersi ad ogni percossa. Che se mi attentassi di alludere a un' empia dottrina, non so se tutta dei nostri giorni, ma a' nostri giorni, come non fu per lo innanzi, scopertamente annunziata, agevole mi sarebbe passare dalle Metamorfosi ovidiane al sacro poema del Vida, specie, chi badasse a quell' empia dottrina, di metamorfosi cristiane. Ma cercatore non vo' mi diciate di tali ingegnosi passaggi. Mi farò adunque pianamente sulla Cristiade, di cui ci viene offerendo a mano a mano la traduzione un nostro socio, non ha guari levato a tal grado d'onore, che più sempre nel va raccostando anche nell'indole e dignità degli ufficii al poeta cui prese a volgarizzare, monsignore Giuseppe Lazzari. Non mai meno d'ora, mi sembra, maravigliare si debbono coloro che delle traduzioni si mostraa schivi, se fu chi si pose a questa versione. In tanto abuso d' idee e di frasi religiose, quando anche intese e applicate a dovere (che le più volte né intese sono a dovere dagl' infocati poetanti, né a dovere applicate) può tornar utile che si vegga come degli alti misteri e de' riti della religione nostra, tutti come in germe compendiati e gran parte dichiaratamente espressi nella vita mira- bile dell' Institutore divino, convenientemente si possa poetare, con qual fervore e con qual riserbo. Con ottimo avviso poi il traduttore temperò Io siile e l' armonia de' suoi versi, sebbene altro il metro, alla nobiltà e sostenu- tezza del Tasso, come propria a ridarci la piena ed ornata eloquenza dell'ori- ginale, a rilevare l' umili cose, a rammorbidire le scabre, arte difficile ma lodala, e dalla quale inavvedutamente si partono quelli che trascurati si vantano perchè impotenti a convenientemente abbellire. Dopo Ovidio ed il Vida passar- mi con un breve motto dei versi del Brovedani non crederò mi sia apposto a colpa, né anche dagli amici di quel dabbene Arciprete ; tanto più che oltre ai versi mi è data di lui a ricordare una prosa. Si aggira questa intorno la critica, campo assai vasto ad un'ora e battuto. Molto ne restrinse i couGni riferendosi alla sola critica letteraria, ma dentro a ristretti conGni molto rimaneva che fare all'ingegno, dacché ov' entra il gusto e quel sentimento del bello, che quanto evidente ne' suoi efl'etti, tanto è nelle sue fonti più arcano, la stessa dottrina e il tranquillo discernimento posson trarre in errore. Che poi concor- rano a formare il buon critico, oltre che l'ingegno e lo studio, altre qualità varie, che il Brovedani annovera tutte, non escluse quelle del fisico tempera- mento, non v'avrà chi ne dubiti. — 32 — E bisogna anche lodare che la critica si arresti tratto tratto paziente in- torno a piccioli soggetti ; che da tali picciole cose assai spesso se ne hanno effetti eccellenti, e molte tanto picciole cose non sono quali potrebbero sem- brare a prima giunta, fatto, se non altro, ragione dallo scarso numero di coloro che ad esse si danno, e intorno ad esse si adoprano con vero profitto. Tra questi ben vuol giustizia che dal nostro Ateneo si ricordi il nobile Neu-mayr il quale, messa la mano neh' incomposto Archivio, non altrimenti d'esperto giardiniere, che, studiati i generi e le abitudini delle piante, divisa giudiziosi e gradevoli compartimenti, studiata l'indole delle varie materie, recò ogni co- sa a quell'ordine che rende prontissimi all'occhio e maneggevoli i documenti. Senza ciò, a che tornerebbe l'ammassar carte? Ben chi di tali raccolte s'in- tende dee sapere come il pregio sia mezzo delle cose per loro stesse, mezzo dell' acconcia disposizione. Di raccolte continuando a parlare, sono ad alcuni soggetto di scherno que' che si affannano dietro agli autografi. Di vero questo amore può eccede- re, ed eccede talvolta in folle passione; pur domanda giustizia si guardi ancora a qual bene che da tal amore può ridondare e ridonda all' università degli studii. Chi ha pronta la beffa per tutto che oltrepassi la consueta e diciam pure conveniente misura, di leggeri impedisce che ne anche alla debita misura si arrivi. Confessava Bartolommeo Gamba, mancato onore del nostro Ateneo e delia italiana bibliografia, essergli piaciuto fino da giovanetto correr dietro a stampe e manoscritti per farne raccolte, di che il suo libro dei Testi di nostra lingua, e buon numero d' autografi ripetutamente adunati con assiduità e con accorgimento non ordinarli. Di tali autografi favellandoci, una lettera ci comu- nicò a Cosimo de' Medici primo Granduca, in cui tanta è l'arroganza delFAn- gulllara prosatore, quanta l' adulazione dell' Anguillara poeta in una canzone ad esso Duca preventivamente inviata. Stupisce il Gamba di quella sì nuova audacia di scrittorello pezzente verso tanto e sì temuto signore; ma di quanto è lontana dall'adulazione l'audacia? Quanto ogni vizio dal vizio opposto, che come l' uno e l' altro sono piiì estremi, più si toccan 1' un l' altro. Né men torna in vergogna de' poeti un' altra lettera del Guarino, con cui insta per la punizione del figlio, sospettato complice nella uccisione della sorella, operata dal marito di lei marchese Strozzi. Appena la salute pubbHca giustifica, con- fesso, a' miei occhi il primo de' Bruti ; e perdono invece assai di buon grado molte stravaganze al Cardano, se l'odo gemer profondo sul proprio figliuolo tratto al patibolo, e tramandar ai posteri con distici ineleganti, ma pieni di — 33 — paterna pietà, la memoria di una giovinezza si bella e si promellente, afl'ogala nel sangue. Se pur l' accusare e l' insistere per la condanna possa mai credersi dovere d'un padre, sono doveri da' quali è scusato chi ritira la mano, e la tiene su gli occhi per non vedere, o per asciugare le lagrime. Ma gli auto- grafi del Gamba, dopo averne amaramente ammaestrato, ne consolano, e il nostro amor proprio, concittadini miei veneziani, lusingano. Almeno s' è vero che ci debba tornar caro, e ci deve, quello schietto e socievole naturale che traspare dalla lettera del Zane, ambasciatore a Filippo IV re di Spagna a mezzo il seicento; naturale che ben potrà farne soggetto altrui di sarcasmi, ma che noi volontieri udiamo dalle storie essere stato nei padri nostri, volentieri vedremo perpetuarsi ne' nostri figli. Di questo naturale è ritratto ciò per cui meglio valsero nell' arte loro i veneziani pittori; quella splendidezza di tinte, quella copia fantastica, quella abbondanza tutto spontanea, lasciatemi dir, tutto nostra. Dov' è passala la mano del veneto artista voi ne vedete la traccia luminosa. Or pensate se giuste fossero le calde parole del socio corrispondente sig. Zanotto nel lodare un dipinto cominciato da Paolo, e terminato da qua' di sua casa; dipinto in cui la vedova de' Lusignani è mostrata spogliarsi della corona e farne dono alla cara patria. Ho altrove contraddetto a quegli storici, che avendo una sola orec- chia per udire e dieci bocche per ischiamazzare, pesarono con ineguale bilan- cia le ragioni di quel conquisto. Senza qui ricantar cose vecchie intorno al fatto, cui acconciamenle il Zanotto narrò nel suo discorso, noterò come fosse l'antica generosità della Cornaro, nel quadro significata, quasi un richiamo alla moderna del gentile posseditore, che il prezzo volle convertirne a prò degli Asili, con altra guisa di cittadina larghezza testé aperti, e da intellisenli cure e protezioni cospicue mantenuti all' infanzia. Quest' è il vero uffizio dell'arti, e risposta effettiva a chi volesse crederle oziose e dispeusalrici di solo diletto. Il valore del dono si fa sentire nella seconda parie del discorso, in cui si dichiarano le doti per le quali deve presumersi, più ancora che pel cenni lasciatici dagli storici della pittura e in ispezieltà dal Ridolfi , esser di Paolo V originario concetto di quella tela, forse la prima bozza, fors' anco le prime linee. Tali erano, o Veneziani, gli arredi de' vostri palagi, custodi delle do- mestiche glorie ; a voi sacre, quando anche non de' più stretti fra gli an- tenati: come da questo quadro si vede, allogato al pennello de' Caliiarl dai Cornaro di san Maurizio, che usciti del medesimo ceppo, pur non prove- Ateheo. Tom. V. 5 — 34 — Divano direttamente dalla regina. Né sole a fiorire tra noi erano l' arti liberali, ma sì ancora le meccaniche e manovali, di cui con la varia dottri- na, e con la diligenza instancabile data in più tempi e in più modi a co- noscere, intrattenne già le nostre adunanze il consigliere Giovanni Rossi. Era- dito e importante di per sé il suo commento a una parte de' veneziani co- stumi, importanza di gran lunga maggiore viene acquistando, chi consideri com'esso rannodisi ad altri consimili lavori della stessa mano, che insieme rac- colti, potrebbero a vicenda illustrarsi. Qui é discorso particolarmente dell'arte vetraria, arte, che, se non temessi trascorrere coli' immaginazione, vorrei chia- mar la più propria di un popolo sorto sul mare, e dal mare traente la propria gloria e dovizia. Quest'arte lungo il mare trovata, e giovata delle sue sabbie, ha tutta del mare la varia e leggiadra bellezza ; ed è, lasciatemi ancora un poco vagare coli' immagioazione, al pari d' esso ministra di apparenze fantastiche, d' effetti bizzarri , e di moltiplici inganni. Il vetro somministra alla lingua ed alla poesia il più di frasi e figure riferibili al mare : come 1' onda si gonfia negl'industriosi lavori, si rispiana com' essa ; s'attortiglia e rabbuffa, e quasi dissi spumeggia. Cangiante com' essa colore a ogni poco, lucido, tra- sparente, leggiero, ha bolle, e goccie, e getti, e zampilli. In qual modo quest' arte graziosa e già tutta nostra s' incoraggiasse e prosperasse fra noi, dove avesse il seggio più antico, dove coli' età il trasmutasse, e i migliori trovati, e i privilegi concessi a chi professavala, e i gastighi a chi avaro e sleale ad altre contrade si fosse avvisato di trasferire il geloso secreto, ogni cosa con accura- tissima diligenza esplora e ridice a noi il Rossi -, e dell' arte vetraria non solo, ma si pure di quella degli specchieri tanto ad essa confine. Per cui se prendo ardire di ringraziamelo in nome dell' Ateneo vi avrò spero concordi j e cosi pure nel voto che l'esempio suo sia incitamento ad altri di tenere la stessa via e non lasciar spazio al tempo di addensar nuove tenebre sulle patrie me- morie. A voi specialmente si rivolge il mio dire, o colleghi negli studii lette- rarii : nessun' altra fatta di esercitazioni più consentanea all'indole di questo Ateneo vi avverrà di trovare, dico quelli cui sia dato agio a ricerche di buoni e non ovvii documenti, sì che ciò che da taluno tra voi s' è fatto, e si continua di fare, si facesse di qui innanzi da presso che tutti. Quest'utile gara a sì nobile fine renderebbe ognuno per sé medesimo, e l'uno per rispetto dell'al- tro importanti i vostri lavori. Non vedete con quanta ansietà si frughi ne' nostri Archivii? Mentre politici da giornale o da romanzo, stando arcigni e sul mille, deridono la tardità, e poeti funerei la ferocia delle antiche — 35 — nostre inslituzioni , quanto 1 magistrati nostri e i nostri ambasciatori deli- berarono già o riferirono, si cerca, si pubblica, si traduce, attentissimamente si studia per ogni parte. D' elogi novelli non abbisognano reggimenti bastati quattordici secoli. Dal Casa in poi s' è lodato quanto e come occorreva ora- toriamente 5 voi interrogate pazienti e ricopiate fedeli la storia, liberandola dalle superstizioni e dai pregiudizii tradizionali, e avrete fatto il miglior elogio possibile e secondo i tempi. Come delle cose, così degli uomini. Ve ne dà esempio imitabile il pro- fessore Francesco Lazzari, consacrando i suoi studii alla memoria di Giuseppe Benonl architetto ingegnere della Repubblica nel secolo XVII, o come allora dicevasi, proto al magistrato dell'acque. Trentino di nascita, fu veneziano per l'abitudine di tutta la vita, e per l'amore alla città nostra, di cui ambiva chiamarsi figliuolo. Suggeriva espedienti per lo scavo della laguna; dettava una relazione sullo stato della linea contermine alla laguna stessa da Fusina a Mnlghera ; divisava un canale, che da Udine, il cui civico consiglio gliene avea fatto richiesta, mettesse nel mare ; ed altro eh' io potrei ripetere, ma non lo- dare con fiducia che valessero punto le mie parole quelle del dotto professore. Bensì l'occhio è bastante a giudicare del buon effetto che rende la fabbrica della Dogana di mare e de' magazzini contigui, opera del Benoni ; in cui gl'in- dizii del prevalente mal gusto del secolo son compensati, così almeno seutiva- ne il Selva, dal pittoresco del tutto. Né vi crediate che l' amore delle venete cose abbia a tenervi entro augusti confini. Ove pur vi sembrasse poter questo avvenire limitandovi a ciò che fu veneto più specialmente, potete a grande agio spaziare per quasi tutti direi i politici, civili, scientifici, religiosi, militari e mercantili provvedimenti de'se- coli di mezzo, o de' primi succeduti al medio evo, che tutti con alcun che di veneto si rannodano, o dalla storia nostra ricevono schiarimento. Vedetelo nel discorso del socio corrispondente dott. Petronio Canal intorno ai frati cavalieri Gaudenti. Ordine un po' singolare, fra militare ed ecclesiastico, sorto ia Francia nel 1200 a combattere gli Albigesi, da un fra Bartolommeo Bra- ganze vicentino trapiantato in Italia, ordine eh' ebbe varii nomi, insolite vesti e concessioni, e in Venezia pose non men che altrove, e più che in molti altri luoghi, profonde radici. Due grossi volumi ne scrisse già il Federici, assai dette che fare a' commentatori dell' AUighieri, il Perticari se ne mostrava sol- lecito nelle sue lettere, e il ben appurarne le vicende, come fa il nostro socio, è con frutto per la storia veneta ed italiana, e per la poesia. — 3G — Alla storia invece di tulfa Italia si volse il nostro socio che fu, nobile Perolari de'Malmignati, confrapponendosi col rappresentare quanto di gene- roso operarono gli uomini delia nostra nazione al mal vezzo di taluni che nes- suna maggior cura si danno che del pescare nella più sozza fanghiglia, e intri- dono di questa le carte-, avvisandosi con ciò, non pur ricopiare fedelmente la so- cietà, ma sì ancora giovamela, riconducendola, se traviata, su miglior cammino. Al qual proposito osserveremo non avere i moderni un Plutarco, com' ebbero per avventura un Senofonte e un Tucidide o chi ad essi si raccostasse, o che gli uomini siano di lineamenti men rilevati, o che non tanto essi sui tempi, quanto i tempi su d' essi signoreggiassero. Certo è tuttavia che fruttuoso per lo meno ugualmente dello studio delle vicende d' una nazione si è quello delle vi- cende d' un individuo, dacché più raccolta V attenzione, più prossime le appli- cazioni, più agevoli i documenti, men vasto il campo dischiuso alle contro- versie. D'un solo uomo assai famoso, non pur al suo secolo ma ne' successivi, discorse appunto il consigliere Antonio Quadri, con senno politico non meno che con istorica tranquillità ; d' un uomo che alla penna de' romanzieri e dei drammalurgi fu opportuno soggetto, come giuoco della doppia fortuna-, di Belisario. Sulle cui vittorie non è chi mova contrasto, e ne anco suU' ingrati- tudine con cui venne rimeritato dal suo signore ; bensì ne'Hmiti e negli aspetti co' quali questa ingratitudine si fece manifesta alle genti. Perchè vuoisi, e il nostro socio con buone ragioni ne afforza la dimostrazione, vuoisi dico che l'accatto e la cecità fosser giunta inventala da storici poco amorevoli a Giu- stiniano, in tempi più tardi, Pier Crinito e il Volateranno: quando Procopio, segretario del gran condottiero, e Cedreno cronista del secolo XI, parlando di lui tante cose, quest'una, non lieve a dir vero, ne tacciono. Venne ultimo il Marmontel a render popolare la pietosa novella con uno di que' Suoi indol- ciatl racconti. Cieco veramente si fu il Belisario nel poter credere rispettabile la sua virtù a quella fiacca e perfida corte, in cui erano già cominciati col codardo terrore i raggiri, e melteano sciagurati germogli di crudeltà e d' in- giustizia, rea messe venutasi di poi maturando fino ad esser mietuta dalla scimitarra ottomana. E il fatto di cui il nostro socio ben mostra l' insussisten- za non sarebbesi tanto agevolmente inventato, ne trovato avrebbe si agevole e lunga credenza, tolte le condizioni d'ima storia tanto intralciata e schifosa quanto si è quella degl'imperatori d'Oriente ; nella quale cercando, come a ri- mestar nella pece, non puossi trar cosa salvo che sucida ed impigliata. Pure — 37 — il monarca maccliiato di sì rea sconoscenza, mal riparala dal tardo risarcimen- to, è nome che ne conduce involontariamente a pensare (una delle solite con- traddizioni tra le quali sconfortato si perde lo studioso di questa umanità tanto eccelsa e tanto meschina) ne conduce, dir volli, a pensare alla suprema equità ed alle leggi ! Di nessun'altra guisa di sludii è per avventura più vicina e pivi manife- sta la corrispondenza colla felicità della vita socievole, non è quindi a stu- pire che ad essi si dessero ingegni d' ogni ordine, e per molli sentieri. Che soverchiamente nel passato si concedesse alle instituzioni romane non sarà chi contrasti; ma chi vorrà por mano non trepidante all'opera della distrazione? Non altri che il fatuo o il malvagio. Agevol cosa è discorrere dei tempi e degli usi mutati 5 ma quante mutazioni apparenti che lascia- rono la sostanza non tocca I Legislazione ferrea, se vuoisi, fu quella, come ferreo anche il popolo per cui fu ordinata 5 ma badiamo a ben prima co- noscere quanto di quel ferro si facesse oro propriamente, o non pivi che dorato nell' età successive. Né io già intendo ribattere epigrammi con epi- grammi, bensì condurmi a lodare in altro discorso del nobile Perolari de' Malmignali il riserbo con cui distinguonsi leggi da leggi, nel farraginoso reper- torio delle romane, e le proprie del tempo antico da quelle compossibili co' nostri costumi. L' intento era utile ; quant' ei 1' avrebbe raggiunto, tol- tagli di mano la penna da chi interrompe ogni nostro disegno, non è lecito, né importa s'indaghi. Mostrava volersi ajutar della storia, e già toccò nel suo discorso la famosa e troppo discussa quistione delle dodici tavole, venute o no ch'elle sieno di Grecia ; ma d'altro scrittore celebratissimo che nella storia appunto acuì il piìi deiringegno, e pose del saper suo copiosissimo, l'alemanno giureconsulto Fe- derico Savigny, m'invita a discorrervi il nostro socio Leone Fortis, in cui la giovenlìi, che parria non affarsi a tali speculazioni, è compensata dall'amor gran- de alle professate dottrine, dall'acume e dall'erudizione nel maneggiarle. Quel sommo giureconsulto è alla testa di quella delle due scuole legali, così della sto- rica, che si contrappone alla filosoGca; e dove questa stabilisce la scienza del diritto a priori, o che si dica conforme un tipo razionale preventivamente po- sto, essa procede inferendo a posteriori, con raccogliere cioè falli attuali per raffrontameli agli antecedenti e trarne quindi generali principj. Vede ognuno e vantaggi e pericoli d'ambe le scuole, e mentre possono l'una e l'altra giovare, non so se abbia a sembrarvi indiscreto il desiderio che i nomi e le dissomi- — 38 — glianti apparenze fin anco si tolgano, essendo molte volte sola cagione al com- battere l'opportunità d'una bandiera. Non che quindi sian men grandi e profi- cui i lavori del giureconsulto fattoci meglio conoscere dal Fortis, di cui è gran che poter dire che sieda fra i primi maestri della sua scienza in quell'Alema- gna, cui tanto deve ogni storia, e quella del diritto piìi forse d'ogni altra. Dalla relazione del Fortis intendiamo, ripetendoci egli perspicuamente le altrui sen- tenze, non esser durante il medio evo scomparso il diritto romano dall'Euro- pa, per uscirne, come la favolosa Arelusa, dopo rimasto sotterraneo più secoli, vivido e ben compreso nel solo duodecimo. Quand'anche non in tutto a taluno sembrar possa immaginario l'effetto delle ritrovate Pandette fra gl'incendi e le Amalfitane carnificine ; poco credibile, anzi impossibile, è l'essersi quindi soltanto diffusa la romana giurisprudenza con tanto rapido e supremo impero, quanto quello si fu delle armate legioni. Più belli poi e più utili ancora si fan- no gli studj del Savigny ove trattano il sistema dell'odierno diritto romano, opera conciliatrice le due opposte scuole, non prodotta oltre a' due primi tomi, ma di cui anche i pochi tratti datici italiani dal Fortis ci allettano potente- mente a desiderarne la continuazione. Un altro intanto de' nostri socj, erede d'una chiara fama col nome, e di quella chiara fama non pur erede ma degno, il dottor Giuseppe Calucci, risa- le alla filosofia di qualsivoglia diritto; condottovi dalla clubbietà sconsolata di cui poche altre scienze, die' egli, così posson lagnarsi, come ne'suoi principj fondamentali la giurisprudenza. E dal sintetico definire la scienza del diritto, qual e' la intende, per la scienza e sistematica cognizione delle leggi oppor- tune alle civili società^ avuto riguardo al perìodo del loro incivilimento, ed agli speciali elementi che le costituiscono ; venutone al dichiarare analitico, ben mostra non piacersi di aforismi enigmatici, o di ambigue frasi entro cui rinvolgono molti l'inetta o la nessuna dottrina. Tutto il discorso del Calucci mi piacerebbe ripetervi compendiato, dopo che ben parrebbevi eloquente il conchiudere, com'ei fa, in pochi periodi, chiedendo alla scienza un punto co- mune cui concorrano a conseguire gli elementi tutti dall'osservazione adunati e discussi dal raziocinio ; sì che in essa guardando vi si vegga reflessa la ci- viltà non pur nazionale, ma dell'umanità tutta, scienza per cui lavorarono, qual più, qual meno, uomini insigni, ma che, astraendo dalle ipotesi e non troppo accordando alle osservazioni particolari, è desiderabile che da qualche robusto ingegno, ed oh ! pronostichiamolo nel nostro socio, sia posta in atto compiutamente. — 39 — Ad essa verranno senza dubbio giovevolissime le discipline morali, che studiando l'uomo nelle sue tendenze, e regolandone i sentimenti e le azioni più interne, apparecchiano il buon terreno in cui faccian prova le leggi. Uno degli argomenti agli scrittori di morale più accetti si è quello preso a trattare dal nostro socio dottor Giannantonio Galvani, vale a dir l'amicizia. Argomento non nuovo né anche ai tempi di Cicerone, di cui tutti conoscono il Lelio, e che pure non oseremo chiamar antico al tempo nostro. Chi dirà vecchio il Sole ? E dell'amicizia appunto fu detto, tanto essere torla alla terra, quanto sconficcare il sovrano pianeta dal cielo. Ritrae il nostro socio le sembianze della vera ami- cizia, ne divisa i conforti, conchiude dover essa riuscire a farne migliori. E chi è tanto infelice che non vedesse, o aver veduto non creda alcun nobile e- semplare di questa consolante virtù, e tutto celeste? Fu per ultimo ch'io volli di questa parlarvi, non vi nascondo, timoroso che il tempo, ch'io dovea consecrare ai frutti dell'altrui ingegno, non fossi trascinato a riempire colle idee care e funeste che la parola amicizia in me viene eccitando. Ma ecco a ogni modo che l'obbligo mio di relatore è adempiuto. Che s'io, non qual era il desiderio mio vi ho parlato, ma qual voleva la condizione del turbato mio spirilo, mi scusi una recente sventura, di cui noa io solo, che il mio privato dolore non avrei osato qui addurre, ma la città tutta ha mostrato di risentirsi. Alla città tutta, non che a questo Ateneo, molto è mancato al mancare di Paolo Zannini : alla città tutta che con affannosa an- sietà nella sua malattia, e con profondo rammarico nella sua morte, ne diede tanto più nobile e certa, quanto men chiesta e prescritta dimostrazione j a questo Ateneo che, dopo averne in queste stesse sale, da questo mio stesso seggio udito le dotte ed eloquenti scritture; e de' suoi consigli giovato, per opera sua non poco accresciuto, lui ascritto fra gl'illustri nomi de' quali più specialmente si onora; giustamente di me si dorrebbe che lasciassi scorrere un giorno di tanto solenne frequenza, senza fare del suo, non men che pub- blico lutto, pubblica ricordanza. Ed è per questo che quantunque io mi sappia come girando gli occhi airintorno mi scontrerei in molli volli d'amici e disce- poli che dell'amico e maestro udirebbero volentieri particolare discorso, ricor- dandomi l'obbligo mlj in questo giorno e nella vostra presenza, e dirò pure l'esempio del Saggio uomo nulla mai operante fuor del dovuto, mi contenterò di brevi e generali parole. Brevi e generali, o Signori, che più non occorrono a provare l'importanza di tale, cui tolto, non è chi non guardi con dolorosa maraviglia al voto lasciato. Ripeterò cosa, che voi, voi stessi, tanto modesti — 40 — quanto valenti colleghi suoi nell'esercizio dell'arte, voi sì pietosi e concordi a circondarne la bara , mi avete voi suggerito, quando vi udiva lamentarvi di più non avere quel franco giudizio preponderante nella bilancia delle inevita- bili disparità. Stupenda lode, e sopra ogni altra desiderabile, che mentre la famiglia e gli amici inconsolabilmente deplorano il parente e Tamico, la città tutta e i meglio reputati nell'arte deplorino più particolarmente sé stessi. Che se un cosi chiaro esempio di postuma giustizia, non venula meno al merito vero, spronerà i giovani a nobile gara d'imitazione, crederò veramente super- stite, non pur la memoria, ma sì la benemerenza del dotto e probo uomo; crederò adempiuto il più antico, il più vivo de'suoi desiderj. Degno è sì ch'al- tri prenda ad esempio quell'ingenuo sapere, quell'animo schietto. La fiaccola eterna del vero, che, al par della vita, d'una in altra trasmettonsi l'età fuggi- tive, quella fiaccola eterna la impugnò fin da' prim' anni il Zannini \ con mano alfa e secura la tenne tutta sua vita; e non che mai nasconderla, uè anche volle auteporvi l'altra mano a rintuzzarne la luce, sì che ben poteasi chinar la fronte passandole innanzi per non esserne rischiarato, ma non fu possibile a chi cammina guardando il Cielo non vedersela viva e continua scintillare sugli occhi. Le quali parole, che danno termine alla mia relazione, saranno preludio ad altre per cui udrà l'Ateneo minutamente e dottamente narrati i meriti dell'onorevole socio perduto, e potrà cosi tributargli con pieno e ri- schiarato giudizio quella lode, che fin da quest'ora, sebbene non piìi che in confuso, come vuole la recente sventura, aver vorrei suscitata. ADDMIVZA PIBBLICA TEINUTA NEL QUINTO GIONRO DI GENNAIO DELL' ANNO MDCCCXLV. Ateneo. Tom V. DISCORSO DI S. E IL CONTE OAIVIELE RENTIER PRESIDENTE LETTO KEL VENETO ATENEO IL GIORNO B GENNAIO 4845. Jj uiBzio che la vostra benevolenza, Altezza Imperiale, illustri accademici, e carissimi concittadini, l'uffizio che la vostra benevolenza m' affidava or sono quasi due anni, vuole ch'io mi presenti di nuovo a questo arringo, or che si apre la nostra solenne tornata. Altro ben più eloquente oratore dovea far so- nare in quest'oggi la sua voce tra noi, se un malore, che pure, a nostra gran- de ventura, va dileguandosi, non lo travagliava-, altri ben degno faranne le veci; ed io, che avrei amato restarmi in silenzio, devo farvi udire il languido e disadorno linguaggio d'un uomo, in cui la grave età va logorando il sempre povero ingegno. Questa età, il cui peso ogni dì più s'aggrava, non vale però a togliermi od affievolire una sola cosa, l'amore alla Patria : a questa patria, che il mio cuore salutò col suo primo affetto e saluterà coll'estremo ; che mi creb- be alla benevolenza degli uomini e alla venerazione di Dio 5 che fu sempre e sarà anima de'miei pensieri, scopo delle mie cure, orgoglio della mia vita. Di essa pertanto vi parlerò brevemente, che d'altro non saprei favellarvi ; e come or volge un anno voi accoglievate benignamente que' cenni, con cui toccava de' meriti lelterarii di Venezia, così vorrete io spero, ascoltare con eguale bontà ciò che sto per dirvi d'altri meriti ben più preziosi, pei quali la nostra patria può andare superba; poiché se le lettere aumentano il ben esse- re della vita, ingentiliscono il costume, danno alle nazioni sjilendore e gran- dezza, lasciano perù, e i loro più caldi ammiratori il confessiTanno, molti vuoti a riempire, molti mali a estirpare, molto pianto a detergere. Questi difetti, inseparabili dall'umana condizione, sono sanali da cosa di- _ 44 — vino, la Beneficenza -, che noi, usando la celeste parola rivelataci dall'Evangelio, diciam Carità. É questa sola che edifica e ripara, che salva e consola, che ai ma- lori nioltiplici della vita porge assiduo e generoso conforto. Di questa carità i Veneti furono maestri -, sì, possiamo dirlo con orgoglio, furono maestri a tutte le c'enti per la copia delle istituzioni che quasi ad ogni sventura oft'erivano pro- prio asilo e rifugio ; lo furono per la sapienza de' modi, che miravano non al passeggero sollievo, ma allo stabile miglioramento del povero; e lo furono in una età, in cui la rozzezza de'costumi e l'ignoranza rendeano quanto necessa- rii, altrettanto infrequenti simili benefizi. Le prove di questa gloria di Venezia stanno a eterni caratteri scritte ne' nostri annali. Tutte qui noverarle passe- rebbe di molto i brevi confini tra i quali io stringo il mio dire -, solo di alcu- ne, e per quanto saprò delle principali, toccherò rapidamente. La più parte delle istituzioni benefiche onde Venezia gloriavasi, sale ad un'età che di poco cede a quella in cui nacque. Sorta tra le sventure d'Ita- lia e del mondo , sembrò portar seco nascendo la pietà verso gì' infelici. Ogni Isoletta avea la sua Chiesa, e ogni Chiesa, a guisa di sua fedele al- leata aveva alcuna pietosa istituzione, quale sotto il nome di confraternita, fra- terna o scuola, quale di ospitale o ricovero. Il povero, l'infermo, il pellegrino, la vedova, l'orfano, sentiano i loro mali alleviali dalle più tenere cure; il fan- ciullo , cui falliva la materna pietà, aveva pronta la carità cittadina -, e mentre l'innocenza venia difesa contro le attrattive del vizio, aprivasi al pentimento un asilo. E questo faceasi da tutte le classi de'cittadini, perchè siccome la sventura è comune retaggio, così giustamente credeasi comune dovere il sovvenirla. Pure non è orgoglio di casato, ma amor della verità, che mi conduce a nota- re come anche in ciò primeggiassero i Nobili. Così vediamo il santo Doge Orseolo raccogliere alcune povere femmine prive d'ogni umano soccorso, e là presso all'antica torre di s. Marco, in faccia alla Sua Sovrana dimora, quasi a continuo e salutare avvertimento, albergar- le. Ignoto è il nome di quel generoso che nel secolo undecimo fondava in Venezia a ss. Pietro e Paolo uno de' più antichi ospitali d'Italia, e lo apriva non solo ai cittadini, ma eziandio a coloro che il morbo colpiva lungi dalla patria. Ma ben noto è quello di Marco Bollani Abbate di s. Giorgio che fondava un ampio ricovero ed ospitale, sotto il nome così eloquente di Casa di Dio, perchè in esso trovassero tetto e nutrimento da prima i pellegrini, poi, cessa- to il pellegrinaggio, molte povere donne patrizie e cittadine, accomunate dalla sventura, fossero a parte della medesima sorte. Altro asilo creavano un Marco Ziani, un Francesco Avanzo, un Giovanni Contarini, un Marco Badoer, un Leonardo Loredan, un Nicolò Morosini, e tre illustri donne, Francesca Cornaro, Lucrezia Dolfin ed Elena Viani. Altri nomi generosi la storia, pur essa talora ingiusta, lasciò cader nell'obblio , ben- ché più lunga e cara rimembranza meritassero di alcuni abbietti ministri e rozzi capitani. Altii però vivono, e vivranno eterni ne' cuori de' Veneziani. Tale è quello di s. Pietro Accotanto di cui ogni pensiero era carità, ogni azione benefizio. Egli era che dopo aver dato alla patria le cure della giornata, scendea la notte nell'umile abituro del povero, e per non avere della sua pro- fusa pietà altro testimonio che Dio, stendeva egli stesso le nobili mani al remo, guidando la propria navicella, dove sapea maggiore il bisogno. E chi è tra noi che non si senta compreso d'ammirazione e di tenerezza al pensiero di un Lo- renzo Zustinianl ? Di Lui che a sé stesso negando ogni conforto vivea solo pel povero, ogni suo aver consacrato al di lui alleviamento. A chi è ignota la pro- digiosa carità di s. Girolamo Miani, padre degli orfani, maestro de' figli del popolo, angelo di consolazione degl'infelici. Di quante prove d'amore invitto e sublime furono teatro le mura dell'ospitale degl'incurabili, dove il Miani, succedendo all'esempio de'Loiola, de'Saverj, de' Thiene, versava sulle più crudeli tra le umane ferite il balsamo della carità e della fede. All'esempio de' nobili rispondea fedelmente quello de' cittadini. Venti e più ospitali e ricoveri collocati ne'varii sestieri, rimasero sin quasi a' nostri giorni insigni monumenti della vetusta munificenza. Primeggiarono tra essi quello di s. Lazzaro de' Mendicanti, opera generosa di Bartolameo Bontempi^ quello di s. Pietro fondato dai coniugi Careti; il ricovero delle Donzelle, detto le \ergini, cui dava origine la fervorosa eloquenza del gesuita Benedetto Palmi : e per tacere d'altre infinite, l'opera nobilissima della egregia e bella Veronica Franco, la quale, seguace di colui che nessun pentito respinse, stendea la ma- no alle infelici vittime a un tempo e fautrici dell'umana corruzione, per aiu- tarle ad uscire dal fango, e ridonarle al pentimento e alla pace. Questi esempi, che addussi a saggio piuttosto che a serie ordinata, questi esempi della privata carità ben mostrano quale e quanta esser dovesse la ca- rità del Governo. S'io dicessi che la pietà verso gl'infelici accompagnò la veneta repubblica ad ogni epoca della lunga sua vita ; che sempre vigile ella preve- niva e soccorreva le umane miserie con mille sapienti mezzi, e col massimo ed ottimo di tutti, il lavoro-, che alle private fondazioni dava continuo e ge- neroso incoraggiamento, e quando veniano meno accorreva splendida e lar- — 46 — ga, come era suo stile, non direi cosa che vera non fosse e a tutti notissi- ma. Basta volgere uno sguardo ai nostri annali, percorrere l'egregio lavoro del nostro Cornaro, per vedere quanta copia d'ospitali, ricoveri e asili si apris- sero in Venezia a tutte le miserie, l'età, i sessi per la generosità della Repub- blica, lavoro che pur contiene l'immensa copia di magnifici templi eretti dalla veneta religione, de'quali però non mi proposi parlarvi. Ma que' giorni di orrore che pure spuntarono sopra Venezia, que' giorni in cui la carestia, il contagio, o i disastri della guerra desolarono le nostre contrade, que' giorni furono e saranno eternamente gloriosi testimoni della veneta carità. Allora laccano le altre cure, un solo pensiere dominava le menti ed i cuori di tutti, porre argine al male, alleviarne il peso, soccorrere e salvar- ne le vittime; e quando ogoi umano provvedimento veniva meno, guidare i cittadini a pie degli altari, ad ergere a Dio alcuno di que' voti che poi da- vano vita ai nostri più illustri e sublimi monumenti. Tale fu sempre, o Si- gnori, l'indole della nostra patria, tale perseverò fino agli estremi, quando la violenta bufera uscita di Francia atterrò questo maestoso edifizio che avea trionfato di 1 4 secoli e di tante iusidie. L'ultimo de'suoi Dogi, quasi erede del suo spirito benefico lasciò il proprio nome consacrato all' eterna riconoscenza de'suoi concittadini, in un istituto che nel modo più sapiente vantaggia l'edu- cazione del popolo, fornisce alle arti più necessarie, alla vita utili ed industri operai, allontana l'ozio, e le conseguenti depravazione e miseria. O Venezia, altri esaltino pure i tuoi monumenti sublimi, le tue famose conquiste, la sapienza delle tue politiche istituzioni, il tuo coraggio saldissimo nella sorte nemica, la tua forza indomata contro ai prepotenti e radicati pre- giudizi!. Tutto questo ti rende gloriosa e grande agli occhi del mondo; ma l'ami- co dell'umanità, e la voce eterna della coscienza, eh' è quella di Dio, troveranno più bella questa lode : che tu fosti benefica. Ne il fosti soltanto, ma lo sei tuttora. Una santa istituzione fiorisce nel tuo mezzo protetta dal nostro pietosissimo Sovrano, e dall'eccelso Principe che ne sostiene le veci fra noi , sostenuta dai Magistrati, governata da e- letti cittadini, dietro l'esempio e la guida del nostro veneratissimo Pastore, istituzione che dispensa con mano larga ad un tempo e prudente il soccorso alla non mentita indigenza. Sì, è per Lei, che tolto dalle nostre contrade il luttuoso spettacolo della mendicità, si porge secreto e conveniente ristoro ai poverelli inetti veramente a procacciarsi il sostentamento, mentre lo si nega al- l'infingardo che si sottrae con la più turpe delle colpe, la volontaria inerzia, al — 47 — lavoro. Sì, è per Lei, e per la profusa vostra carità, ottimi concittadini, è per quella de' pietosi che dormono nel Signore, che d'anno in anno si aumenta il sacro patrimonio del povero, patrimonio che la generosa giustizia di Cesare arricchì di que'beni di cui un'altra mano ci aveva spogliati. Ed io pure in questa opera santa consacro le ultime forze della mia vita. Questa vita che sorse in seno alle più violenti e tremende rivoluzioni sociali, e tra esse fu sempre devota alla patria, questa vita onorata dalla fi- ducia e dall' amore de' miei concittadini, rimunerata a dovizia dai frequenti e luminosi contrassegni della Sovrana Clemenza, e da quest'ultimo singolarmente, in cui forse quell' Ottimo mirava piuttosto all' onore della patria che ai miei meriti 5 questa vita chiuderassi tranquilla nell'incessante esercizio di questa opera santa, non altro premio invocando che l'affetto de' miei concittadini e la benedizione di Dio. DEGLI STUDI SCIEWfTIFICI DELL'iTEMO DI lEMZIA DURANTE GLI ANM ACCADEMICI ^841-42 E '1842-1845 BELAZIONE DEL NOBILE GIOVANNI MINOTTO SEGRETARIO PER LE SCIENZE. 1 1 II ii| iKM^OCiiT lii^" ' ^' Dellissima veramente e più che mai onorevole è la condizione delle scienze esalte oggidì, se in tanto e si elevato grado salirono da dovere, come di colpa, scusarsi della soverchia loro grandezza, quasi che in questo secolo, cui si dà il nome di positivo, dominassero sole e tiranne. Dacché, in vero, queste scienze spogliaronsi del mistero onde si adombravano, nei templi dapprima, nelle scuole dappoi •, dacché la verità dei principii appoggiarono all' esperienza dei fatti-, dacché libera diffusero la vivissima loro luce, e permisero che a guida la si prendesse da quelle Arti che ci assicurano, confortano ed allegran la vita-, patenti apparvero la grandezza e santità dello scopo loro, né più si ardì calun- niarle di sterile curiosità indagatrice, ed amore e riverenza maggiori acquista- ronsi presso il comune delle genti. Di qui l'aumentarsi del numero dei cultori di esse j di qui l'aprirsi di nuove strade in cui spaziare all'umano intelletto: necessarie conseguenze, una maggiore cura del tempo, minore indulgenza per quelli che lo sprecavano, credendo con freddi coucettini e leziose frasi ben meritar nelle lettere, per coloro, che, contro all' Oraziano precetto medio- cri, aspiravano al titolo di poeti. Questa severità certamente non è a de- plorarsi gran fatto, ma sì piuttosto panni notabil vantaggio 5 imperocché danno allora sai-ebbe derivato soltanto quando, per 1' eccessivo amor delle scienze, scoraggiamento venisse a' vigorosi ingegni onde si onoran le lettere. Ma ciò giammai non fu né può essere, che di leggeri cosi non s' ammorza il prepo- Ateneo. Toh. V. 7 — 50 — tenie fuoco che gli anima, e fino a che di mente e cuore si compongano gli uo- mini, per quanto amore l'una metta alle scienze, non sarà che l'altro si chiuda a chi ne conosce il linguaggio. Altre prove non addurrò tranne i plausi ed onori a quei medesimi tributati che con eloquenti parole l'abbandono deplo- rano della letteratura, ed i molti lavori onde, con parole delle mie più forbite ed eleganti, vi darà conto il Vice-Preside nostro, e che vennero esposti in questo Ateneo, il quale i vincoli delie scienze con le lettere procura stringere sempre più, accogliendole entrambe in fratellevole colleganza. Se non avessi riguardo che alla moltitudine ed importanza degli argomenti scientifici sui quali s'interteune questo Ateneo nel biennio accademico ond è mio dovere darvi notizia, a troppo lungo discorso mi vedrei tratto; ma quanto più ho bisogno che d' indulgente bontà mi vogliate essere cortesi, altrettanto mi preme non abusarne. Malgrado però la brevità che imposto mi sono, e malgrado anche la insufficienza mia, resa maggiore dal trattarsi di soggetti estra- nei in gran parte a' miei studii, spero tuttavia che trasparirà abbastanza il gran- de interesse delle Memorie onde imprendo a parlarvi. I. Come nel precedente così anche in questo biennio fra i lavori scientifici del no.stro Ateneo più numerosi riuscirono quelli di medicina, né ciò può tornare che gratissimo a chiunque consideri quanto sia grande, e maggiore forse che per qualsiasi altra scienza, il bisogno di coadiuvare coi ragionamenti e con la osservazione dei fatti al progresso di questa, difficilissima, e di cui è santo scopo mitigare gli umani patimenti e difendere da insidiosi nemici la vita. La proposta che il dott. Cervetto di Verona faceva d'ordinare sotto forma biografica la storia della medicina italiana, trovò un eco fra noi nel socio ordina- rio dott. Asson,il quale si fece a mostrare l'importanza grandissima che avrebbe questo lavoro, e pel lume che di necessità ne verrebbe alla scienza stessa che ha nella esperienza il più saldo suo fondamento-, e per lo strettissimo vincolo che a tutte le altre la lega, confondendone spesso i confini; e perchè, finalmente, le biografie degli illustri e benemeriti additano le vie da seguirsi per rendersi tali, l'esempio dei trapassati riuscendo stimolo di emulazione ai presenti. Gra- tissima riuscì specialmente quella parte dello scritto dell' Asson in cui venne mostrando come nella biografia dei medici italiani contenere si debba di neces- sità compiuta della medicina la storia, imperocché non altrove che in Italia ebbero origine tutte le più grandi scoperte che a quella si riferiscono, e udimmo citarne a prova tal serie d'illustri nomi da renderne veramente orgogliosi vieppiù di questa patria, che in ogni tempo, così nelle liete come nelle tristi — 5d — venture, evidenlemeute moslrossi non meno benedetta dal cielo quanto a po- tenza d'ingegni che per feracità di suolo e benignità di clima noi sia. IL Dai generali al particolare scendendo, il veronese dott. Giuseppe Mon- tagna tenne discorso sul perfezionamento fattosi nel Veneto delia litotomia, uno di quegli estrerai rimedi!, cui, per salvare da grave minaccia la vita, tal- volta ricorre il chirurgo. Mostrò dovuta al padre suo ed al Pajola la idea del dilatare il taglio col dilo, combattendo però l'opinione esposta da alcuni che evitare si potesse in tal guisa di ledere la prostata, ed analizzò quando alla litotomia si avesse a ricorrere, e quando alla litotrisia, i vantaggi pesando e i discapiti di questa scoperta, fino dai XVI secolo suggerita da Giovanni Beui- vieni in Italia e dall'italiano Civiale tratta, non ha guari, dall'ingiusto obblio in cui era caduta. III. Perchè la medicina dalla antica grandezza soverchiamente non isca- desse, il socio dott. Farlo notò la dignità di quella parte di essa che cou tanto successo e cosi nobilmente coltiva di preferenza, sicché maggior forza riceve- vano le parole dall'esempio dei fatti del porgitore di esse. Mostrò 1' oculistica, abbandonata ad un materiale empirismo nei tempi andati, dalla metà del secolo decorso soltanto sorgere al grado di scienza, ed esaminò quanta estensione di cognizioni richieda e nella medicina e chirurgia universali del corpo umano, e nelle fìsiche leggi dell'ottica e nella fisiologia, e di quali patologiche indicazioni possa riuscire sorgente. Conchiuse, ai facili applausi che può la ciarlataneria procurare, dovere il medico onesto preferire quelli, meno clamorosi bensì, ma pili giusti, della propria coscienza. IV. Se i precedenti scritti valevano ad incutere rispetto alle mediche scienze e ad accrescere fiducia nei cultori di esse, perchè questa non divenisse eccessiva prese a ragionare il nostro socio ordinario dott. Coen sul principio vitale e sulla forza medicatrice della natura, la insufficienza notando delle fisiche leggi a spiegare i fenomeni della vita, cessando questi talora senza che alterazione veruna ne palesi la causa; espose l'imperfezione delle antiche teoriche e la propria opinione che da due forze, di attrazione l'una, l'altra di ripulsione, derivino tutte le vitali funzioni. Parlò dell'applicazione all'arte sa- natrice della elettricità, ed alcun che di vero e mirabile, da non doversi trascu- rar dalla scienza, disse avervi forse in mezzo alle fole del magnetismo animale, i cui vantati fenomeni verificherebbero quasi la sognata metempsicosi, l'anima del magnetizzatore trasmettendosi nel paziente. Limitò ad ogni modo della medicina r ofQzio a coadiuvare l'una di quelle forze quando l'altra prevale, — 52 — confrtssanJone troppo misteriosa tuttora lazione perchè si possa preleodere di partire dalle teoriche anziché dall' esperienza dei fatti nella cura dei morbi. V. In questa opinione concorreva pienamente l'altro socio dott. Namias, biasimando inoltre del pari e quaglino che troppo fidavano nella pratica, e quelli che soverchiamente presumevano dell' arte medica, alcune circostanze considerando nelle quali il medico rimanersene dee inoperoso, recandoci esempii d' infermi sanati od alleviati per l' abbandono d' ogni medica cura, eoa regola opportuna di vita, e rlQetlè di qui venirne forse soltanto della omeo- patia i tanto decantati prodigii. In alcuni casi per altro provò non potersi sperare guarigione senza i soccorsi dell'arte; ma convenne nella massima del Terrario, che non si abbiano, cioè, ad amministrare rimedii se prima la qualità del male non si conosca, nei casi d'incertezza attendendo piuttosto che la natura la palesi o risani. VI. A diradare questi dubbii per le paralisi una Memoria tendeva del Socio ordinario cav. dott. Rossi, nella quale mostrava poter questa succedere in qualun- que organo, viscere o sistema, esaminando donde la minor evidenza di quelle viscerali venisse, e come, dietro alcuni riflessi, parecchi morbi si possano ri- durre ad una medesima condizione patologica, più facili e giusti divenendone la diagnosi ed i metodi curativi. VII. Indagini analoghe faceva il dott. Cappellelli di Trieste rispetto ai tumori linfatici, riferendo le antiche e moderne dottrine in proposito, dicendo com' ei li consideri efifetti d'infiammazioni locali, e come gli abbia felicemente curati con metodo generale antiscrofoloso, coadiuvato con iniezioni di nitrato d'argento, introdotte mediante il cannello del ferro con cui si vuotano gli ascessi. Vili. Con queste provvide cure la medicina e la chirurgia accorrono a difesa delle vite che loro si affidano. Quasi che però tanta responsabilità grave non fosse abbastanza, e dovessero, per officio, far guareutia di quanto abbiamo di più caro e più sacro, sovente avviene eziandio che dell' altrui onore sieno chiamate a decidere, quando i tribunali le interrogano per averne lume a sco- prire d' un delitto gì' indizii. Sul modo di contenersi in questa delicata mis- sione alcune considerazioni presentò il nostro socio ordinario dott. Vallenzasca, enumerando di quali prudenti cautele debba farsi legge il chirurgo nel denun- ziare le ferite, sceverando quelle per se stesse mortali dalle altre che per estranee circostanze il divennero, accurato conto chiedendo e della fisica costi- tuzione e della precedente salute dell'individuo ferito, ed evitando ogni — 53 — pericolo (J'aiimentare la lesione all'alto di esaminarla, proscrivendo, possibil- mente, per ciò anche sui cadaveri l'uso dei ferri. IX. Nullo però torneiebbe il vantaggio di ogni medico studio se, cono- sciutasi la causa dei mali, la farmacia non porgesse l'aiuto di quanto occorre per debellarli : le sostanze a ciò più opportune essa traggo dai diversi regni della natura, ed o le impiega quali le trova, o variamente le prepara e combina. In alcuni brani d'un lavoro del dott. Iloffmann di Vienna la cui versione comunicata ci venne dal socio corrispondente dott. Desiderio, si as- serisce d'assai vantaggio riuscire la carubba di Giudea, la quale ritiensi essere una escrescenza generata sul terebinto dalle punture d'alcuni insetti, usandola alla maniera del tabacco da fumo per moderare gli accessi asmatici, e mitigare le irritazioni da alcune malattie di petto prodotte, e si suggerisce che ne venga tentato l'uso interno per la cura di que' morbi medesimi. X. Il socio cav. dott. Rossi varii sperimenti riferì intorno ad un recente pro- dotto delle chimiche analisi, della stricnina, cioè, i quali dimostrar sembrerebbe- ro agire quella sulla sostanza midollare dei nervi direttamente, ed avere effetto a- nalogo a quello dell'elettrico, per togliere dallo stato d'inerzia e di languore i ner- vi ed il cervello nelle paralisi, la primitiva sua azione facendosi sulla midolla spinale, donde si propaga all'intero sistema nervoso: ne prefisse le dosi, e la mostrò quanto utile in tutti gli affìevolimenti della nervosa sensibilità, altret- tanto dannosa nelle paralisi secondarie. XI. XII. Mentre pertanto a nuovi farmaci si ricorre, non sempre s'accor- dano i medici sugli effetti di quelli più accreditati ed il cui uso più è generale e frequente-, non lieve spavento incute frattanto agli indotti il vedersi porto un rimedio cui si attribuiscono proprietà all'alto opposte da due diversi partili. Già ognuno prevede come al solfato di chinina io qui intenda accennare. So- stenitore zelantissimo delle ipersteniche qualità di quel preparato, intorno a cui più volte cintraltenne negli anni decorsi, continuò a farlo anche in questo biennio il socio corrispondente doli. Desiderio , nuovi ragionamenti ed espe- rienze adducendo. Conibaltò quelle deduzioni con le quali il dott. Tiiberli, in appoggio dell'assunto opposto, adduceva i vantaggi di quel rimedio nelle feb- bri intermittenti, e ritenne aversi anzi in quei fatti novella prova in favore del proprio avviso. Contro un giudizio pronunziato da altri addusse esperienze fatte su parecchi conigli, nei quali il venefico effetto di forti dosi di chinina attenuato fu o vinto dai salassi e dall'acqua coobata di lauro ceraso, deducen- do quindi non dubbia la azione della prima opposta a quella degli agenti — 54 — generalmente riconosciuti per ipostenie], analoga all' altra deli' alcole, dell'op- pio, e di simili sostanze eccitanti. XIII. Qualunque però sia della medica scienza il progresso*, qualunque i sussidii che la farmacia le procura e gl'ingegnosi strumenti che le chirurgi- che operazioni fan più sicure ed agevoli j disuguale è la lotta che imprende coi morbi, e, quando pur giugne a sanarli, non l'è sempre dato impedire che si aggravino per modo da ridurre gl'infermi ad infelicissimo stato, incapaci di moto alcuno senza patimenti acutissimi, e dannati quindi a prolungata giacitura che crudelmente ne esacerba le pene e ne prostra il coraggio. Testi- monio di queste scene desolanti il socio nostro corrispondente dott. Luigi Nar- do, ed insufficienti a ripararvi scorgendo le varie specie di letti a tal fine pro- posti o perchè difettosi o perchè di costo e complicazione soverchii, uno ne suggerì tale da permettere ai malati anche nello stato più grave, il cangiamen- to dei panni e dei materassi, e l'esame o la cura di qualsiasi parte del corpo. Come appunto occorreva allo scopo mirato, è questo semplicissimo ed a co- mune portata, di due robuste spranghe e di alcune strisce di tela essendo unicamente composto. Il molto giovamento che vide trarsi da questo di lui trovato nel civico nostro spedale fu certo il massimo dei compensi per l'animo pietoso del nostro socio, e coloro i quali, per detrargli parte di merito, avan- zarono altro non essere il letto del Nardo che quello a fucili di Grafe, dovreb- bero, se ciò pur fosse, tacere, vergognando di non averlo prima applicato al vantaggio dell'umanità sofferente. XIV. In tal guisa i risultamenti d'una scienza allo scopo dell'altra coadiu- vano, ma non minori sono gli utili che scambievolmente si prestano le teoriche. Il socio corrispondente di Rovigo dott. Giuseppe Baruffi fece vedere quella meccanica stessa che il Nardo volse con tanto successo a prò degl'infermi, in- dicare quali leggi segua in tutte le azioni sue il corpo umano ; additò questo soggetto alle leggi della gravità, a piegare all'innanzi costretto nel salire, al- l'indietro nella discesa, sicché il centro suo di gravità a cader venga in quella base dove posano i piedi, e gli abitanti dell'Equatore accennò essere più agili e snelli per ciò che meno a quella resistenza soggetti. Avvertì come tornasse utilissima a combinare solidità e leggerezza la forma cava e cilindrica delle ossa, e quella in fasci di fibre paralelle dei legamenti e dei muscoli, donde il continuo pullulare di nuovi Alcidi 5 mostrò i principii della idrostatica rigo- rosamente seguili e mirabilmente applicati, non che il continuo succedersi nei nostri corpi degli effetti della capillarità e della endosmosi , ed i gas che vi si — 55 — altrovano, sempre soggetti alle generali loro leggi. Evidente apparve di conse- guenza quanto il conoscere le regole cui obbediscono i congegni di questa mac- china portentosa debba a lutti importare, ma precipuamente a quelli cui ne viene affidato il governo. XV. XVI. Quella parte tuttavia della fisica cui tendono precipuamente gli studii degli uomini di scienza oggidì e che più largo campo presenta a nuovi ed importanti risultamenti, è per certo l'elettrico; agente misterioso che dovunque s'incontra, che si manifesta co'suoi fenomeni ad ogni istante, al minimo attrito, alla più leggera chimica azione, ad ogni piccolo difetto di uniformità nella tem- peratura dei corpi ; che guizza e rumoreggia fra le nubi, le benefiche piogge mutando in rovinose gragnuole, o slanciandosi in masse di fuoco ; che nel seno della terra, con opera più lenta ma utile sempre, alcuni minerali compone altri ritorna allo stato di semplicità loro proprio; che, posto tra le mani dell'uomo da un Galvani e da un Volta, dal conlatto di sostanze apparentemente fredde ed inerti fa scaturire luce, forza, calore, ed i corpi uniti più tenacemente di- sgrega e separa ; che sembra, finalmente, sostituirsi per un momento eziandio a quello spiro divino, inapprensibile dal pensiero non che dai sensi, che co- stituisce la vita, di convulsivi movimenti animando i cadaveri. Tuttavia questo agente per tanti secoli si rimase ignoralo od inosservato per lo meno sotto gli sguardi dell'uomo che pur tanto di sua penetrazione presume, e che Signore s'intitola della natura, mentre, lungi dal dominarli, ne conosce appena i più evidenti fenomeni. Alcune leggi dell'elettrico appunto indagava il nostro socio ordinario ab. prof Zantedeschi scrutando la sede di quegli effetti mirabili che la torpedine ci presenta, e, con delicati sperimenti mostrava, contro l'altrui avviso, come avessero origine dalla midolla allungata donde i nervi si partono del quinto e dell'ottavo paio, di là poi nella continuazione estendendosi della midolla allungata medesima. Indagando quindi la influenza che avere potesse la cristallizzazione dei corpi sui fenomeni termo-elettrici che presentano, pro- blema già fallo soggetto di premio da una accademia scientifica senza tro- vare chi si attentasse concorrervi, il nostro socio giugneva a stabilire i metalli inugualmente riscaldati alle cime avere doppia polarità o semplice, secondo che la loro tessitura è cristallina od omogenea e compatta, legge molto importante, e dalla quale ricevono spiegazione le apparenti contraddizioni nei fenomeni termo-elettrici da varii sperimentatori osservati. XVII. Più ardita ancora della fisica, che limita le sue indagini allo stato naturale ed agli effetti dei corpi, procede la chimica, osando disfarli e ricom- — 5G — porli, l'intima natura scrulandone, e grandissimi aiuti porgendo alla medicina non solo ma alle arti tutte, sia con l'oltenerne nuove combinazioni, dotate dì proprietà nuove del pari, sia con l'isolarne gli utili principi! da quelli inefficaci o dannosi. I dettami di questa scienza il sig. Giovanni Bizio applicava al li- quido più comune bensì, ma più prezioso eziandio per la igiène e per le arti tutte, mostrando come per ripetuti congelamenti l'acqua venisse a rendersi pura, conformandosi in ciò a quanto in ogni cristallizzazione si vede accadere. Se ne convinse trattandola prima e dopo cogli opportuni reagenti, e dedusse potersi nel verno usare con vantaggio del ghiaccio fuso di quelle acque che nelle altre stagioni riescono crude, e malamente si prestano a molte operazio- ni della domestica economia e dell'industria. XVIII. Un altro fatto eccitava pure lo spirito di osservazione che nel gio- vine Bizio sembra trasfuso dal padre, e fu il rapprendersi in massa mucilag- ginosa d'alquanto siero di latte che disciolto tenea dello zucchero. Biprodu- cendo con quelle stesse sostanze e con altre il fenoraeno, osservò come venisse dalla presenza di materie azotate e valessero ad impedirlo l'azione del freddo, la mancanza dell'aria, la fermentazione tumultuosa, e la aggiunta di quelle so- stanze che alla fermentazione si oppongono. Ne fissò quale carattere principale Ja nessuna effervescenza o svolgimento di gas ed il non formarvisi ammoniaca ne acido acetico, e disse altro forse non essere la fermentazione viscosa che un effetto misto del fenomeno da lui osservato, e della alcolica fermentazione a- vendo sempre a prodursi in quest'ultima la mucllaggine allorché lo zucchero abbondi e scarseggino le materie azotate. Credè riconoscere in questi fatti la cagione di quella viscosità che contraggono alcuni vini serbati nelle bottiglie, e facili norme e sicure stimò poterne dedurre per ovviare a tale alterazione, tanto nociva alla qualità dei vini ed alla formazione dell'alcole, e contro la quale invano la industria reclamava dalla scienza un aiuto. XIX. Il vantaggio ritratto dallo studiare un fenomeno che poco interesse pareva presentare di per sé stesso, dimostra quanta sia la utilità della chimica, la quale, nulla a spregio tenendo, fra le più vili materie scopre talvolta ric- chezze. Vediamo cosi brillare nelle vie e concorrere al lusso dei più eleganti ritrovi la purissima luce di quel medesimo fumo che, per la fuligginosa sua densità e per l'acuto odore che tramanda, esclude l'uso del litantrace dalle no- stre cucine 5 così, non ha guari, proponeva il Seguin in Parigi di trarre luce ancora più bella dalle fetide carogne dei cavalli e dei cani. Non vi fu pertanto sostanza dalla quale rifuggissero gli alchimisti nei tempi andati per cercarvi — 57 — a tentoni quell'oro e quella pietra donde ogni bene allendevano, traendone invece altri non isperali vantaggi. Non più di quelli scbiCltosi, ma più avve- duti, i chimici dei nostri giorni procedono, dietro quei lumi che dalla analogia dei fatti e dai ragionamenti deducono. In quel liquido stesso nel quale Brandt, cercando un mezzo per cui l'argento in oro si tramutasse, scopriva la esistenza del fosforo, il nostro socio corrispondente Attilio dott. Cenedella di Brescia, rinveniva una sostanza, che altri volevano risiedesse soltanto nei calcoli, vale a dire la cislimeìa, ed osservava come questa assorbendo l'ossigeno si conver- tisse in ossido xanlico, sostanza la cui esistenza, scoperta da Marcel e contra- stata dapprima, venne poi confermata da varii chimici, e cui notò doversi quelle macchie rosse che si osservano negli angoli delle vie. XX. Né diligente si mostra meno della chimica ne' suoi studi! la storia naturale, nulla tenendo a vile di quanto esiste, e dedicando assidue ricerche ad esseri che per la piccolezza o per le loro condizioni in cui vivono appena rive- lano la loro esistenza all'universal delle genti. Così il nostro socio co: Nicolò Contarini ne descrisse i caratteri, e quasi dissi i costumi, di ima popolazione subacquea che abita il nostro mare, e perfino i canali che tanto numerosi in- tersecano in ogni parte questa singolare città. Ne mostrò le attinie, dette an- che da alcuni anemoni di mare perchè somiglianti a quel fiore quando dispie- gano i loro tentacoli, attaccarsi agli scogli, alle conchiglie, alle fondamenta degli edifizii, e cercarsi temperatura più mite nel verno a maggiore profondità, benché di resistere capaci al massimo freddo quanto al massimo caldo, come pure alla privazione del cibo ed anche dell'aria. Espose le proprietà loro di ampliare o scemare il volume del corpo; di aspirare l'acqua e spruzzarla a difesa ; e di emanare denso umore e bava viscosa, in chi le tocca inducendo prudore uguale a quel delle ortiche, pel che appunto sono dette anche talora or- tiche di mare. Descrisse minutamente la forma del loro corpo ; ì misteri della moltiplicazione di questi animaletti ermafroditi e vivipari ^ l'artifizio di que'ten- tacoli ch« tengono loro veci di mani; e la portentosa facoltà di riprodurre quelle parti del corpo che vengono loro amputate, ed accennò come si potesse- ro dedurre pronostici meteorologici dalia diversità dei lor movimenti. XXI. In altra tornala poi riferì come queste sue osservazioni avessero avuto in gran parte conferma da quelle del sig. De-Quafrefages, in due Memorie sulle .sinapte di Duvernoy e sulle edwardsie, sostenendo però il Contarini essere i tentacoli delle attinie forali alle cime, ciò che da quell'autore negavasi. A sostegno di sua opinione addusse il nostro socio falli ed esperienze, veduto Atesko. Tom. V. 8 — 58 — avendo in alcune zampillare l'acqua da questi tentacoli, in altre trovarvisi pic- cole attinie pronte ad uscirne, giunto essendo finalmente con lentezza e deli- catamente operando, ad introdurre un sottile filo di ferro in quell'apertura di cui si vuol negar l'esistenza. XXII. Una quislione di più diretta importanza agitava dinanzi a questo Ateneo il socio ordinario cav. Paleocapa. In una Memoria stampata nel IV. volume dei nostri Atti, narrò egli la storia delle bonificazioni praticatesi in Val-di-Chiana, ed espose alcune idee sul miglior metodo da adottarsi per la conservazione di essa. Prese ora ad esame una Memoria che sullo stesso sog- getto pubblicava il commendatore Manetli, direttore generale del dipartimento acque e strade della Toscana. Toccati appena i due primi capitoli di essa, in cui, tessendo la storia dei falli lavori, il Manetli usurpare cerca ogni merito al conte Fossombroni e ne censura gli scritti, accuse che trovò insolite tanto e di sì aperta ingiustìzia da non meritare di essere confutate, più si estese sul terzo capitolo in cui si avanzano idee affatto opposte a quelle dal nostro socio manifestate in addietro, per riguardo ai necessari provvedimenti per la stabile sistemazione di quella Valle. Notò le grandissime difficoltà che al pensiero op- ponevansi di fare camminar due torrenti sulle pendici dei colli attraversando le convalli presso allo sbocco, e nei quali gli altri tutti si raccogliessero •, mostrò ingenti le spese di costruzione e mantenimento di quelle opere, e riQetter fece al grande abbassamento che dar si dovrebbe all'alveo maestro di Chiana, per- chè avessero que' torrenti la conveniente pendenza. Sostenne ben migliore partito esser quello da lui proposto di fare sì che la Chiana chiusa fra gli ar- gini si procurasse con l'alluvionameuto da sé la necessaria pendenza, limitan- dosi l'arte ad aiutar la natura. L'alveo artifiziale che suggerisce il Manetli indi- cò aversi a condurre per lungo giro sulle alte pendici, ed esigere costosissime arginature che dal fondo sorgessero della valle j al pericolo riflettè d' incanala- re e contenere sopra letti elevatissimi e pensili per lunghi tratti impetuosi tor- renti, donde inevitabili rotte e queste fatahssime, distruggitriei affatto dell'al- veo, terribili per l'altezza dalla quale a precipizio cadrebbero, mentre invece lasciando scorrere queste acque per dove natura le Iragge, le rotte sarebbero di poco momento e con arginature opportune ridurre si potrebbero a limiti assai ristretti ed innocui. Vi sarete avveduti per certo, o Signori, come nel darvi conto di questo ultimo scritto, mi sia forse più a lungo disteso che non l'abbia fatto pegli al- tri, ed è che l'argomento di esso mi parve più da vicino d'ogni altro toccarci — 59 — al momento in cui vi favello, mentre ri suonano ancora fra noi i lamenti delle tante vittime di que' disordini stessi che il cav. Paleocapa raccomandava che si evitassero nella Valle di Chiana. Deh non si stanchino i distinti nostri inge- gneri di volgere a questo difficile oggetto studii e ricerche indefessi, e voglia il cielo possano essere un giorno condotti a risolvere l'importante problema che le acqae, ricchezza dei paesi in cui scorrono, non facciano così sovente scontare con tante e sì grandi sciagure i loro bencfizii, e che non si veda, qua- si unico riparo, sempre maggiormente gli argini levarsi su e su, scemando di forza quanto aumentan d'altezza, per gareggiare col rapido innalzarsi del letto dei nostri fiumi ; né le acque pendere minacciose sul piano delle adiacenti campagne, come un dì la spada sul capo all'atterrito Damocle. RELAZIONE DEI LAVORI BELL' ATENEO YEIVETO BEGLI ANSI -1841-42 E 1842-1845 PER LA CLASSE DELLE LETTERE DEL NOBILE CAV. EMILIO PROF. DE TIPALDO TICE-PRESIDENTE. ilei pensare, Altezza Imperiale, Magistrali cospicui, dotti Accademici, Uditori umanissimi, di dover nella solennità di questo giorno far le veci di chi nel passato anno ha così egregiamente sostenuto l'incarico di Relatore; nel pensare che quegli che a Voi favellò da questo luogo è uno de'più begl' in- gegni d'Italia; non posso non sentirmi compreso da grave trepidazione. ISè crediate, o Signori, che nelle mie parole s'asconda infinta modestia, consigliata dalia brama di cattivarsi sin dalle prime la vostra benevolenza. Veramente io non mi sarei mai accinto a tanto ardua impresa, se non mi fosse stata addos- sata, o per dir meglio comandata. La quale scusa se non varrà a render beilo il mio discorso, varrà, spero, ad acquistargli dalla vostra sapienza gentile per- dono. E questo confesso rendermisi tanto più necessario ; che ben conosco quanto sempre più sia difficile dir cose che valgano ad appagare l'aspettazione di scelto e numeroso uditorio, che, a seconda dell'ampliato sapere, vorrebbe eh' ogni dicitore trovasse nuove vie da dilettare, nuove arti da scuotere l' at- tenzione. Né in ciò solo è riposto il difficile ; restano altri ostacoli da supe- rare. Quanto non è egli malagevole farsi interpreti dei pensamenti dei propri Colleghi ? Attribuire a ciascuno quella porzione di lode che gli è dovuta senza o spingerla troppo innanzi, o sminuirla alcun poco ? Insomma non tirarsi ad- dosso il biasimo per una tinta più o men colorala, per una omissione, per uno sbaglio qualunque? Ma fidato nella vostra indulgenza, e nel mio deside- — 62 — rio del vero e del bene; dirò quel che l'animo sincero e disappassionalo mi detta. La Repubblica delle Lettere a somiglianza di tutte le cose umane va soggetta a strane vicende; perchè ciò che si esalta in un tempo, in un altro è negletto od eziandio vilipeso; e, come suole accadere, l'eccesso del favore è sovente nunzio di vicino discredito. E ciò appunto successe alla poesia; la quale accarezzata sul finir del passato e nei primi anni del secolo presente, scorge ora quasi deserto il suo tempio ; e se taluno vi si accosta ancora rive- rente, lo fa quasi pavido e melanconico. Qual differenza da' tempi quando il Gozzi scriveva: " Danno gli uomini di lettere, e principalmente coloro che si 51 chiamano poeti, tante lodi agh studii loro, e si stimano tanto, che quando :■> favellano d' ogni altra condizione di genti, par che le sputino. Appena si de- ;■> guano di credere che possa chiamarsi vivo un uomo che non faccia versi. « I tempi presenti al dir de' più, non consentono che l' ingegno spazi volando nel vasto regno della fantasia; vogliono che si cali nell'arida realtà. Quindi è, che mentre veggiamo arricchire ogni dì più le scienze di nuove conquiste, l' im- maginativa è costretta a cedere quotidianamente del campo. Non durerà lun- gamente speriamo la vittoria della prosa : ma l' arte de' versi approfittando della esperienza de' tempi e della intellettuale ricchezza, si farà più severa e più grande, più degna d' imperare sulle menti degli uomini. Intanto non deve re- car maraviglia, o Signori, se la nostra Accademia non ha offerto che rari in- censi all'altare negletto. Pure il defunto nostro socio corrispondente arciprete Brovedani osò trattare liricamente argomenti storici, ecclesiastici e letterari!. Peccato che all'importanza dei soggetti non corrisponda lo stile. Ma l'intendi- mento del Brovedani moveva da un animo ben fatto e gentile ; e la gentilezza e la bontà meritano esse pure una porzione di lode. Più piena lode Yoi ben sapete esser dovuta alla Cristiade di Girolamo Vida tradotta dal socio Monsignore Giuseppe Lazzari. Egli lesse negli anni antecedenti il primo e il secondo libro ; in questi, di cui tenghiamo ragiona- mento, ci fece gustare il terzo ed il quarto. Non domanderemo se giovino grandemente i volgarizzamenti, specialmente di scrittori del secolo XVI, che quasi tutti posero lo studio nell' imitare gli antichi, in guisa, che scrivendo bensì con rara eleganza, ma stretti fra' lacci della imitazione, non osarono se- condare liberamente l' ingegno e la propria fantasia. Uffizio nostro essendo di render conto del lavoro ilei nostro onorando Collega, diremo, che conoscitore delle bellezze poetiche delie due lingue, e innamoralo del nobile tema, potè — 63 — leggeudo, meritare le Iodi di giudici esperti. Né picciol vantaggio è allo scrit- tore il sentire in sé vivamente le cose che dice, sia come autore, sia come interprete: vantaggio che a'tempi nostri in certe parli del mondo collo si vien facendo più raro, perchè non sempre la penna obedisce ai moli schietti e generosi dell'animo. Adunque s' anche il lavoro del benemerito Pastore non fosse, com'è veramente, distinto di pregi suoi, la scelta stessa del tema io renderebbe degnissimo della lode che per altri titoli gli fu compartita. Se altrettanto applauso non consegui l'altro nostro socio ordinario ab, Pasini per averci letto alcuni brani del I e VI libro delle Metamorfosi, non ne stupirà lo stesso ab. Pasini, essendoché le menti nostre sono troppo preoccu- pate in favore di quell'Anguillara, il quale prendendo a voltare, o piìi presto a rifare il poema ovidiano, ha arricchito l'italiana lingua di un lavoro notabile per la copia e franchezza del dire. Ma forse al socio erudito parve che la so- verchia libertà del vecchio traduttore, lasciasse luogo a lavoro novello, e certo l'intenzione di lui nel comprenderlo fu non men modesta che buona. Il socio corrispondente esterno dott. Iacopo Facen di Feltre, tolse per contrario a volgarizzare un libro non mai finora tradotto in Italia, il Cinegetico di Nemesiano. Premessevi alcune brevi notizie intorno al poema, lo accom- pagnò anche di note acconciamente illustranti il suo autore con parole ed imagini d'altri verseggianli; il qual modo di comentare suol essere de' più proficui e de' più dilettevoli. — Nella Prefazione, ha stimato necessario di toccare la solita corda del come egli abbia condotto il suo volgarizzamento. E qui ci si permetta di dire, che vorremmo si cessasse una volta dal ripetere la troppo vieta cantilena dei precetti d'Orazio e di Cicerone sul modo di tra- durre, e che più spesso ogn' interprete si adoperasse in fatto a trovar la veste più acconcia ai pensieri dell'autore, e ad esporre i sensi di lui con quella spontancilù ch'userebbe esponendo i propri suoi. Né solo a tener viva la memoria dei latini scrittori s' adoperarono i nostri socii; ma fu taluno che volle anche usare del loro linguaggio. E a nes- sun meglio s'addiceva il farlo amare che al Consiglier di Governo Matteo Zamagna, il quale porta un cognome e appartiene ad una patria resa famosa per eletti ingegni, che mantennero sempre desto il culto delle latine eleganze. Se non che ci scusa dal parlare della sua Elegia indiritta a S, A. I. R. il Sere- nissimo Arciduca Federico ritornato da un viaggio marittimo, 1' averla egli fatta pubblica nella Gazzetta di questa Città. Piuttosto ci volgeremo, o Signori, a benedire questi nostri tempi, i qua- — 64 — li ci ortVono lo spettacolo di principi bramosi di recarsi presso straniere genti a contemplare co' proprii occhi i progressi delle scienze e delle arti, e trarne utili ammaestramenti al migliore stalo dei popoli 5 questi tempi, nei quali non di palle omicide, ma si fa cambio generoso d' idee e di scoperte ; ne'quali, di- leguandosi o scemando tanti odii, imparano le nazioni a vicendevolmente rispettarsi, e gareggiare nel bene. Il lieto pensiero delle intellettuali ricchezze che si vengono accomunando tra popolo e popolo, mi conduce con volonterosa riconoscenza a ricordare un discorso del nostro socio ordinario Adolfo Unger, di patria prussiano, ma ve- neziano per lunga dimora, il qual discorso ragiona Della Filosofia e de' suoi Detrattori. Codesti detrattori egli dice che sono « od eruditi fecondi solo ac- n costo agli scaffali delle biblioteche, od uomini, che con fiacche volontà, e 5' con morta ragione coltivano qualche ramo delle scienze esatte, naturali o " economiche; ma non si sono mai sollevati a nobilitare la propria intelligenza 1 collo svolgere armonicamente tutte le facoltà tutti i vigori dell'anima. « Reco queste nobili e belle parole che onorano e la scienza da lui difesa, e l' ingegno dell' egregio difensore. Ma della filosofia e dei filosofi altri potrebbe dire quello che della medicina e de' medici: che se la scienza in se stessa è degna di rive- renza ed amore, non tutti coloro che la coltivano pajon solleciti di conciliarle riverenza ed amore. L' onorevole socio commenda i filosofi della dotta Germa- nia con parole di figlio piissimo, e dalle teorie filosofiche attende uno splendi- do lume avvenire, l'armonia piiì benefica tra la fede e la scienza, tra l'onore e le azioni, tra la forza e le leggi. E noi sinceramente desideriamo che le no- bili speranze dello scrittore ottengano pieno adempimento, qualunque siano i mezzi che debba 1' umanità adoperare a tal fine. Possa l'Italia anch'essa valen- temente cooperarvi ; l' Italia, la quale siccome il nostro socio corrispondente esterno doti. Pietro Nodari in un suo ragionamento mostrò, dee non solo ri- putarsi ritrovatrice dell' antico sapere, ma si maestra e promovitrice di quelle verità onde si onora il presente incivilimento. L' essersi tenuto entro limiti di discrezione, gli concilia maggiore credenza ; giacche non sarebbe cosi facile di- mostrare, come pretese il Mazzoldi, che l'Italia fino dagli antichissimi tempi fu maestra primaria all'Africa e all'Asia, e che dall' Arno o dal Tevere venissero al Nilo ed al Gange, il sapere e le arti e la lingua. Il dottore Nodari ragiona di cose che possonsi più o meno comprovare con istorici documenti; ne ragio- na talvolta con quell' ampiezza che molti sogliono chiamare accademica, della quale il tema non abbisognava, né sono desiderabili, per dir vero, gli esempi. — G5 — E dubito cLc si possa sul serio sosleuere che il principio Cartesiano: io pen- so, dun(/ue sono, sia stalo preconcepilo da Plauto, che al servo d'Anfitrione fa dire : « Ma quando ci penso, io son pure di certo il medesinao che sempre fui -r.. Né credo che l'onorevole socio nostro Adolfo Unger vorrà concedere al dot- tore Nodari, che i metaGsici e logici principii del grande Leibnizio derivaroa tutti dal Bruno. Ma le testimonianze, che lo zelante collega reca de'dotti stra- nieri che confessano le glorie d'Italia, sono autorevoli tanto, da fare che que- sto ragionamento sia una accettevole appendice alla calda orazione del Monti e alle Lettere di Gianfrancesco Rambelli. Quell'amore di patria che mosse il Nodari a scorrere tutti i secoli e tutte le genti d'Europa per cercar lodi all'Italia; diede a S. E. il conte Leonardo Manin socio nostro onorario la diligenza necessaria a numerare in un erudito e savio suo scritto gli sbagli corsi nel volume V. delle Relazioni degli amba- sciatori P'eneziani, pubblicate dal Sig. Alberi in Firenze. L'argomento non poteva essere più acconcio a intrattenere utilmente l'Ateneo, ne poteva il no- stro Accademico valersi di ragioni più chiare a provare la verità dell'assunto, perchè egli le trasse dai pubblici Archivii, e dalla ricca sua privata Raccolta. Non vorremmo che al benemerito Socio la rara modestia vietasse dare in luce con questa parte del suo lavoro tutta intera la tela, che molto profitto ne ver- rebbe a meglio intendere gli ammaestramenti che la storia del veneto reggi- mento presenta. Se non che trattandosi di tema dove il uobil uomo è, come a dire, in sua casa, e riceve ospitalmente uno straniero venuto con riverente a- nimo a visitarlo, pare a noi che potrebbesi forse tralasciare ogni severa parola. Intanto a me gode l'animo vedendo ora penne veneziane render vila a'palrii monumenti co' quali non solo illustrano la storia della veneta grandezza e sa- pienza, ma la storia dell'europea civiltà. Ogni lode, ogni bene di questa Città unica, io tengo, e terrò, o Veneziani, bene, e lode mia propria. Alla patria vo- stra, o Veneziani, m'uniscono con calda e affettuosa riconoscenza le memorie più care e più acerbe della mia vita; gli onori che oltre al merito ricompen- sarono le mie tenui ma ben volonterose fatiche, e non cercali cercarono il no- me mio; la benevolenza cortese con che m'avete sempre riguardato, e la som- ma benignità con che generosi solete accogliere la mia voce. Lo studio de' tempi passati c'insegna e gratitudine verso le generazioni che ci precedettero nel lento faticoso cammino dell'incivilimento, e gratitudi- ne alla Providenza che nel negare a noi certi beni, ci volle altresì liberati da alcune tra le dolorose calamità che attristarono i nostri maggiori. Questa con- Atoeo. To.1i. \'. 9 — 66 — siderazione tra mesta e consolante si presenta al pensiero, principalmente nel rammentare le consuetudini e le leggi che dominarono il medio evo, le quali offersero al defunto nostro socio Pietro Parolari Malmignati argomento a eru- dita dissertazione, nella quale discorre gli ordinamenti civili, criminali , fami- liari, economici, feudali, ecciesiaslici, politici, militari, commerciali e scolastici (io novero i sommi capi del suo dire nell' ordine non abbastanza severo in cui li volle collocati 1' autore) , ed allega esempi e documenti attinti dall' undeci- mo sino al decimo quinto secolo, forse insufficienti all' ampiezza del tema. Il lavoro del Malmignati può dirsi in certa guisa continuato nei Cenni Storici sui progressi della civile legislazione , dettati dal socio Giuseppe Ca- lucci, il cui nome altre volte onorevolmente risuonò in questa Sala, per avere svolte con senno non comune cosi fatte materie. Nella storia della legislazione il giureconsulto ora legge quei principi! di universale giustizia cbe sanciti dal consenso dei secoli e delle genti son base alla scienza: ora vi scorge snaturate oppressioni portate dalla violenza, collegata alla frode : in essa il filosofo ritro- va dipinti senz' odio e senz' adulazione i costumi dei popoli e dei regnanti ; in essa l'uomo di Sfato vede le fila onde s' ordisce la gran tela sociale: in es- sa l' economista scopre le vie per le quali corrono abondevoli o inaridiscono le fonti della ricchezza, e i modi dell' equamente distribuirla ; in essa finalmen- te lo storico segue coli' andamento delle leggi quello pure del nazionale incivi- limento, e il perfezionarsi di tutta quanta la specie. E sebbene tutti gli storici pensatori abbiano riconosciuto la grande uti- lità della storia delle leggi, ed abbiano esponendo i fatti accennati gli ordina- menti che reggevano i popoli de' quali ci tramandarono gli avvenimenti, pure convien confessare, che il più del lungo sentiero è involto di tenebre, e rico- perto di spine. Le legislazioni moderne non trovarono ancora uno storico che accurata- mente le raccogliesse e le confrontasse tra loro. Che se un lavoro compiuto è impresa in certe parti d'Europa impossibile, non però chi desidera giovare agli studii che professa deve ristarsi dal portare anch' egli la sua pietra per 1' erezione di così grande edifizio. Nobile esempio certo, colle due parti della sua erudita Memoria, ci ha dato il nostro Socio ; tocca ora agli altri emularlo. Come varie sono degli uomini le fantasie, piacque al socio ordinario Consiglier emerito Giovanni Rossi far soggetto a piacevoli e lunghe considera- zioni non una legge portata da autorità d' uomo mortale, ma sibbene una leg- ge della provvidente natura, che non volle concedale al meschino nostro pia- — 67 — nela perpetue le rose e i canti del Maggio. Al festevele dicitore piacque para- gonare non la legislazione romana con la longobardica, ma la state col verno, e difendere il vecchio venerando dalle accuse del giovine scapiglialo. A taluno sembrerà, che il signor Consigliere Rossi a somiglianza degli antichi sofisti ab- bia voluto sostenere per semplice bizzarria un paradosso. Se non che sotto il velame de' concetti strani il nostro Socio ha stimato opportuno di porgere al- cune utili verità, provando con ciò che dalla trattazione di qualsiasi argomento si possono trarre sicure norme che e' insegnino a contentarci di quanto , più sapiente di noi, statuì in questo mondo una benefica previdenza. Dedurre appunto insegnamenti di bene da qualsiasi argomento, è sacro debito che spesso gli autori sedotti dalla vanità o dall' orgoglio, dimenticano: ma non è di costoro il nostro socio ordinario Giambattista Koen, il qual vol- le offrirci un saggio di epigrafi italiane da lui dettate ad onore non d' ignoti, o peggio che ignoti , ma a commemorazione e giudizio giusto di taluni tra i più insigni uomini della Grecia antica, Storici, Filosofi, Oratori, Guerrieri. E ben fece a collocare coloro che onorarono 1' umanità con la lingua e col senno, innanzi a coloro che la lacerarono con la spada. Suonano ancora i dolcissimi numeri della vostra imaginosa favella, o Erodoto, musa della storia ; o Plato- ne, cantore della filosofia ; o Demostene, folgore della parola : ma all' urlo del- le tue vittorie, o Alessandro, la pietà e la giustizia fuggono sbigottite; e i se- coli ti guardano attoniti, ma senz' amore. Oh Alessandro ! Sei vissuto a ba- stanza per insanguinare la terra, ma non se' vissuto a bastanza per imperare da Babilonia sul mondo. Piantasti l'edifizio del tuo impero sopra un monte di creta ; la creta ha ceduto, e il colosso cadde, e fu polvere. Se non che dovea giungere il giorno che anche questa polvere sarebbe stata interrogata e studiata ! E mentre sparve la grandezza e la dominazione di tanti imperii, rimasero alcu- ni preziosi avanzi che narrano i casi e i pensieri dei popoli. Appunto intorno un' antica medaglia greca, il nostro socio ordinario ab. Pasini aguzzò 1' ingegno e spese la sua diligenza. 3Ia per quanto erudito egli siasi dimostrato in tale indagine, difficilmente sarà, chi voglia tenere con lui la medaglia di Assiotèa Fliasia per antico autentico monumento. Ad ogni modo la fatica del Socio può essere esempio a' giovani e stimo- lo, perchè gli studii d' erudizione sieno con più zelo presso di noi coltivati ; studii specialmente oggidì importantissimi, essendoché danno argomento e conferma alle indagini delle altre scienze, e portano tanta luce nella storia dei secoli. — 68 — Per questo è altresì da ringraziare 1' erudito nostro accademico Consi- glier Rossi che lesse la continuazione di un suo lavoro intorno a' Costumi Ve- neziani; e a soggetto del suo dire in due tornate prese i Musei e le Bibliote- cbe che adornavano questa città di tutti i beni doviziosamente superba. Il no- stro Socio acceso il petto di nobilissimi sentimenti, non potè sin dalle prime frenare il suo pensiero che non corresse al passato, a' tempi quando la laguna deserta si venne popolando d' uomini, di vascelli, d' armi, di ricchezze, di glo- ria, di cospicui monumenti. E queste moli sontuose dovevano contenere og- getti condegni ; ed ecco sorgere i Musei e le Biblioteche sì pubbliche come private. Ornarono da prima i Musei, armi, stendardi, trofei di guerra; in- di emblemi di famìglia e di patria, tra quali, die' egli, ebbero luogo ragguar- devole gli emblemi de' civici sacrificii, piìi belli delle stesse vittorie; perchè ia queste, ia sua gran parte ebbe sempre la fortuna ; ma ia quelli, la fortuna fu superata dalla virtù. Poi s'aggiunsero monumenti stranieri, lapidi, iscrizioni, medaglie. Poi magnifica suppellettile di bellezza e di scienza, la quale il dici- tore pietoso giustamente si duole vedere in gran parte in misero modo di- spersa, passare quasi spoglie e tributo l'Alpi e l'Atlantico. Che dirò delle scel- te Biblioteche, di libri qui primieramente stampati con tanto lusso di diligen- za e dottrina, dei preziosissimi manoscritti ! Qual cumulo di memorie, qual successione di tempi, quale intrecciamento di fatti! Da Francesco Petrarca a Marco Foscarini qual serie di nomi famosi ! Poi quante vicende, quante per- dite, quante dispersioni ! Deh conserviamo almeno quel tanto che resta. E non s'aggiunga alle miserie dei tempi, la negligenza di coloro che posseggono l'ine- stimabile eredità di memorie cosi venerande. Fecero opera e generosa ed accorta, provvidero all'onore della patria ed al proprio, que'benemeriti, che lasciarono a'pubblici istituti simili ricchezze del sapere e dell'arte acciocché non le dissipasse la cupidità o l'ignoranza. Così suona lodato il nome del marchese Manfredini che volle il Seminario di Vene- zia degno erede di preziosi dipinti : taluni de' quali il commendevole vostro socio e archivista nobile Antonio Neu-Mayr illustrò in un suo scritto assai dihgente. Da^li edifizil che contengono le memoria de' tempi andati si fa quasi ine- vitabile il passaggio all'argomento che scelse d'una forbita scrittura il socio ordinario cav : Antonio Diedo sulle Altezze dei Vasi applicate alle sale, starti ze e ad ambienti delle case. Egli con quel sapere, del qual diede già tante prove, dopo aver riferito le sentenze degli altri, assume le parli di autore espu- — 69 — nendo la propria, ma Io fa con assai modesto riserbo, per non sembrare agli occhi de' severi un pericoloso novatore. Al qual proposito con atlico accorgi- mento egli dice: « Mai si offenda la legge: ma ove la legge non pili all'uopo « risponda, si cangi la legge, e se ne surroghi una nuova, più giusta ed adatta ». E laddove il vostro chiarissimo concittadino insegna come accomodare lo spazio delle stanze all'uso al qual si destinano, al temperamento, alla condizione, agli abili, all'umore di chi deve abitarle, egli dice cose distinte d'arguto senno, e rare a sentirsi da coloro che sogliono ragionare inforno alla pratica delle arti gentili. Dall'espressione appunto traendo le norme, e volendo che le forme archi- tettoniche sieno acconce all' uso dell'edifizio, ragionò acutamente e sanamente il socio Emilio Campilanzi intorno l'Architettura Ecclesiastica, e dimostrò i templi gotici essere i più acconci a rappresentare l'austera maestà del Oi- stianesiino, e a desiare nell'animo nostro subHme terrore e forte umiltà. Ma che al ritorno dei Crociati della prima spedizione siasi introdotto tal genere d'architettura in Europa, non sappiamo se si possa ancor credere fermamente. Ingegnose per certo son le conformità dal Socio nostro notale fra il tempio d'architettura che mal dicesi gotica e le tende de'popoli d'Oriente: ma chec- che si pensi di questo, tutti confesseranno, che segnatamente nelle facciate di certi templi copiali da modelli greci e romani, l'imitazione è tanto inconve- niente e malaccorta, che non sapresti dire se quello che vedi sia un luogo d'o- razione, o una borsa di negozianti, o un teatro. Un tema architettonico trattò storicamente il Campilanzi, discorrendo ge- nerali principii. Altro tema architellonico trattò degnamente il socio ordinario prof. Francesco Lazzari, discendendo alle particolarità vive de' fatti. Disse la storia del Ponte di Rialto ; di una delle più stupende opere di questa seconda Roma, una delle rarità più cospicue d'Italia. Incomincia il valente accademico la sua narrazione dal i 1^3 o i i8o, e via via discendendo siuo al iSGg, in cui, superati tutti gli ostacoli, fu conchiiiso di costruirlo, come al presente, di pietra. Non è questo il luogo di seguire l'autore ne'particolari della sua narra- zione commendevolissima; non è questo il luogo; che troppi sono gli avveni- menti che racchiude la storia del vostro Ponte : arti, industria, commerci, pompe, fughe, vittorie, che scolpì su quel grand'arco a caratteri invisibili il Tempo; invisibili, ma l'immaginazione li legge esultando, il pensiero piangen- do li medita, il cuore li ripete esclamando : Onore agli avi del popolo che fu reputato degno di pascere quotidianamente lo sguardo di questi iinmorlali raaguiGci monumenti! — 70 — Delle cose che erudilamente scrissero ad illustrare l' arte veneta il chia- rissimo Francesco Zanotto e il cavaliere Filippo Scolari, mi sarebbe caro tene- re parola 5 se di questi e di altri lavori de' nostri socii non mi vietasse far men- zione il non esserne state consegnate le copie, o il poterli Voi leggere già stam- pati. Taluno si valse della lirica per isferzare ridendo; vi fu chi notò giudizio- samente gli errori d'insigne Storico moderno-, altri lodarono con verità senza superstizione Italiani benemeriti e illustri j uffizio non meno acconcio a destare la gratitudine inverso i trapassati, che a risvegliare l'emulazione nei contempo- ranei e nei posteri. Pietosamente adempì questo uffizio il valente nostro socio Neu-Mayr onorando la memoria di Bartolomeo Gamba, nome a me sempre di cara e dolorosa ricordanza, e del Malmignati, e del Brovedani, uomo d'indole soave, che, siccome ben disse il suo egregio lodatore, confortava i miseri, so- steneva gli uguali, esaltava i maggiori, sapeva dissimulare i difetti o li scusava, confondeva i nemici col benefizio. Il Fortis con eleganza di stile degna del lodato, con vivacità d'ingegno e sodezza di senno, tessè senz' avvedersene il proprio elogio lodando il Consiglier d'Appello Bottari, e con l'esempio di quell'uomo mostrando come il pubblico uffiziale debba conoscere le scienze dalle quali può trarre aiuto a bene ammi- nistrare il suo uffizio, e tener dietro a' progressi di quelle, non contento alle rette applicazioni della pratica manuale ; debba disdegnare di esporre i suoi pensamenti con la rusticità d'uomo straniero ad ogni cognizione di lettere; deb- ba acquistare il discernimento legale non tanto colla lettura de' libri, quanto colla esperienza de' casi occorrenti nella vita, e osservando ed ascoltando debba apprendere in qual forma il fatto sceverato dalle circostanze meno importanti riducasi al punto essenziale, e la questione purgata dalle tesi accessorie si con- verta ai generali principii. Costretto di tralasciare per le ragioni che ho dette uno scritto pregevolis- simo, l' Elogio del buono e venerato professore Bima, dettato da uno de' più studiosi e dotti chirurghi veneti, Michelangelo Asson, dirò da ultimo che il dottor Trois nell'inaugurazione del busto di Francesco Aglietti disse un fa- condo e franco discorso, dove, e con la copia della dottrina e con l'efficacia delle parole, emulò lo scalpello del Ferrari, che ha saputo così al vivo ritrarre le sembianze dell'illustre e a molli carissimo trapassato. Io non ridirò ciò che il degno lodatore e dice e dimostra : che l'Aglietti molti anni innanzi aveva pre- sentita quella scoperta immortale del Galvaui, da cui nacque la pila del Volta, e tanti prodigi della scienza e dell'arte; io non ridirò che l'Aglietti scese a com- — 7i — ballerc le dottrine del Browu innanzi che la scuola oonlraria sorgesse ; perchè, a me profano nella scienza, è necessità non virtù l'emulare la rara modestia del Trois che toglie sé stesso dal numero de'giudici della palestra, e s'annovera al volgo degli applaudenti. Nò rammenterò quel lavoro che l'Aglietti condusse in- torno al Bellini, quasi presago della nuova luce in cui dovevano essere posti il nome e le opere di quell'artista non inuguale alla veneziana grandezza. Ma non vi sia discaro, o Signori, sentirvi ripetere dal mio labbro, che sempre più grave e irreparabile si fa sentire la perdita del vostro Aglietti ; sempre più vivo de- stano desiderio i modi umani e gentili di lui", la dolcezza del favellare, l'inge- nua schiettezza dell'animo, la profusa carità verso il povero, i cui dolori egli nella sua generosa compassione agguagliava co' dolori al medico lucrosi del ric- co j la brama ardenlissima di sostenere gl'ingegni sorgenti, l'eleganza nella dot- trina, lo studio nell'esperienza, la modestia nella fama. Venezia lo ammirò, lo pianse, e lo desidera ancora. Questo nostro Ateneo da lui fondato, da lui caldamente favoreggiato, si dimostrerà riconoscente alla sua cara memoria coll'iraitarne gii esempi, coU'au- mentare il patrimonio del sapere avito, col cercare le prudenti e utili novità, coll'indirizzare la scienza a sollievo della umana famiglia, col fregiarla dei nobili ornamenti del Bello, col promovere gl'ingegni crescenti, coli' onorare i maturi, coir unire le forze e le volontà, col posporre ogni vantaggio e riguardo all'amo- re del vero. Ci sia stimolo quella Clemenza, della quale io direi più cose con meno riserbo se non ne avessi nell'Augusto Cugino la modesta imagine qui presente ; quella Clemenza, che concesse questo luogo alle nostre adunanze; che fondò due novelli Istituti, come per eccitare la nostra emulazione, e dimostrar- ci il potere dell'intellettuale concordia ; quella Clemenza, che già provvede al monumento del grande Vecellio, all'ampliazione dell'Accademia delle Arti, alla riparazione di quel Palazzo, unico nel mondo, ove un tempo sedeva il senno vivente della grande Repubblica, e adesso stanno raccolti i volumi di coloro che per lutti i secoli e per tutte le genti ingrandirono i regni dell' umano pensiero. )i ESERCITAZIOM SCIENTIFICHE. ATBifco. To». V. io ^iii^> DISCORSO LETTO 111' IMIGmZIOi Dil lIOilENTO DI IGllETTl ALL'ATEXEO VEKEZFAKO IL Di 5 DEf. EMBRE 1842 DAL CAV. DOTTOR TROIS. Ariste, ma santo ufficio qui ci raccoglie straordinariamente, Signori, iu questo giorno nel quale si apre l'arringo delle nostre esercitazioni, e in que- st' aula dove, ad altra lesta composta, si suole da noi con solenne pompa e- spor l' annua messe dei lavori nostri accademici : triste, ma santo ufficio, il quale se in questo giorno, e in questo luogo appunto era dovere che da noi si adempisse, in questo giorno e in questo luogo per altro desta in noi più viva e più acerba la rimembranza di quel che abbiamo perduto, un dei nostri so- zii più ragguardevoli per grave morte perdendo ; mentre serve d' altronde, ed anzi è a ciò destinato, a far manifesti quei sentimenti di grato animo e di ri- verenza che per questo sozio sono in noi anche tuttora, e saranno sempre cal- dissimi, e serve a farli manifesti per una ceremonia che la patria religione con- sacra, e che esigono da noi con eguale diritto come retribuzione le beneme- renze del trapassato, e come arra le speranze dell'avvenire. Ed è ben a ragione ciie sieno in noi questi sentimenti, e che da noi si vogliano manifestare; poiché se carità fratellevole qui l'uno all'altro ci collega, e interesse e amore reciproco ci stringe insieme in questa nostra ben augu- rata Società, onde di cadauno la presenza è carissima, amara la lontananza, ella è però giusta cosa e naturale che un sozio nostro il quale per benevolenza, e buono ed utile operare verso di noi, e per altezza d'ingegno e splendide di- — 76 — iiiosirazioni di sapere, s'è fra gli altri distinto, abbia anche da noi distinto gui- derdone, e tributo di onorificenze speciali. Né a dimostrare tale essere stato infatti l'Aglietti da così meritare ò io bisogno di tutti percorrere gli atti dei quali la vita di quell'illustre è compo- sta, che male anche io penso si addirebbe alla circostanza una minuta narra- zione biografica; e questa noi avemmo d'altronde da chi specialmente meglio che ogni altro poteva darla. E però, cred'io, da osservarsi come a questa gratitudine e riverenza no- stra abbia cominciato l'Aglietti a guadagnarsi fin dai primi anni della sua vita un titolo speciosissimo; poiché nato a Brescia e di là a Padova colla sua fa- miglia giovanetto venuto, e a Padova con solerzia nunzia non menzognera dei successivi suoi rapidi e luminosi avanzamenti, percorsi tutti gli stadii della sua educazione, e assunte le insegne della medica dignità, qui poi si è trasfe- rito ben presto, e qui restò d'allora sempre fra noi; nostro perciò divenuto e intieramente nostro, concittadino per sua libera scelta anziché per sorte, e a noi perciò con vincolo se non anche più sodo, più caro almeno congiunto; per la quale sua predilezione per noi, di tanto siamo a lui debitori, di quan- to si è perciò da noi guadagnato ; che non solamente la sua opera fu da quel momento e costantemente impiegata all'utile nostro e nelle pubbliche e nelle private bisogna, ma all'onore inoltre abbiamo noi partecipato di quell'altissi- ma rinomanza alla quale egli è ben presto salito, e lo splendor della quale su noi rifulse, che gloria della patria è la gloria d'un cittadino. E questa rinomanza voi ben sapete. Signori, com'egh fin dai primordli del suo medico esercizio abbia cominciato a ottenere; poiché é a ognun di noi conosciuto come non mezzo alcuno codardo, del quale quell'anima nobilissima era incapace, né avventuroso accidente veruno ve lo sospinse; ma fu una vit- toria di pratica medicina, fu una sanazion conseguita, per quanto era possibile a umana forza di conseguire, di gravissimo e già per tutti disperato morbo, la quale à segnata l'aurora di quel lucido giorno che fu dappoi la sua vita , bello iutraprendimento di quello stadio sul quale cominciava egli allora a stani- ])are l'orme sue giovanili, ed à poi con tanta gloria percorso, bello che da nessun potere che dal potere suo proprio era promosso e sorretto. Così entrava Aglietti nella sua carriera, nella quale né pompa di dignità, uè splendor di ricchezza, né solennità di avvenimenti alletta un che imprenda a caicaila ; nella quale chi mette il piede cessa di esister per sé, e intiero si consacra da quel momento e per sempre alla civica società, senza che gli sia _ 77 — più concesso di permettersi alcun sollievo, alcuna occupazione estranea all'ar- te di medicare, obbligato invece a sorpassar l'ingiustizie, i capriccii, le ingrati- tudini degli uomini, e fin anche a disprezzare la propria vita in quelle circo- stanze funeste, nelle quali un'aria pestiferata copre di morti la superficie della terra, e obbligato ad usare in tult'i tempi, in tutt'i luoghi, e in qualunque oc- casione un coraggio invincibile, una pazienza, una prudenza superiore a ogni durissima prova, un'intiera e solenne negazione di tutto se : carriera nella quale l'esercizio di tutte le virtù è imposto severamente, e tutte le virtù sono esercitale nel silenzioso recinto delle stanze dei malati, ed ivi i sacrifizii mag- giori si fanno tacitamente alle sponde del loro letto di dolore, e nella quale i più sublimi trionfi non anno spesso altri testimoni che la coscienza del trion- fatore, ne lasciano di se che talvolta una sfuggevole traccia, che la sconoscenza dei beneficali, e la malevolenza degli emuli si affrettano a gara di cancellare. In questa carriera Aglietti à pienamente soddisfatto alla missione, della quale la providenza io aveva qui incaricato, direi esuberantemente, se un medico non avesse 1' effettivo dovere di tutto far ciò che possa in qualunque modo contribuire all'utile dell'umana società o direttamente o indirettamente senza distinzione o eccezione veruna, e senza limite alcuno. Sì, Signori ; Aglietti nella sua missione di Medico à ben meritato di noi, e noi siamo perciò vera- mente a lui debitori di amore e di riverenza. Chi di noi non à conosciuti i modi umanissimi coi quali, anche innalzato che fu dappoi a quei posti più sublimi, dei quali può mai esser capace un medico pratico , e collocato in altissimo seggio, usava coi suoi colleghi qua- lunque fossero, e nelle consultazioni ove i suoi consigli erano incessantemente invocati nei casi più ardui e più pericolosi, e nella pratica giornaliera, onde non che un fatto, un atto solo, un' espressione non potrebbe addursi, di cui egli sia slato l'autore a verun discapito altrui, in circostanza veruna; e molti fatti si potrebbero addurre nei quali sempre le altrui opinioni rispettando, an- che quelle che dalle sue più distavano qualche volta, coi più delicati riguardi, e quasi con soggezione egli maestro parlasse, e l'altrui fama vacillante in gra- vissime emergenze sostenesse, e le ofl'ese proprie, che dall'invidia pur n'ebbe, vendicasse beneficando, con una generosità che per essere stata spinta qualche volta all' estremo non mai però si è smentita, e che lo trasse qualche volta ad incorrere nella bella taccia d' un'eccedente bontà? Chi non à conosciuto l'amore col quale prediligeva i giovani medici, e con quanta afl'ezionc porgeva ad essi la robusta sua mano per saslenerli, e con — 78 — quanta circospezione e con quanto zelo al letto dei loro infermi, nelle loro pri- me ardue prove li sorreggesse, istruendoli ove occorreva, e traviati ricondu- cendoli sul retto sentiero, e ciò senza che alcuno se ne avvedesse, e quasi non avveduto il traviato stesso, onde i nuovi suggerimenti da essi medesimi im- maginati e proposti anziché da lui comparissero ; e come ad ogni ora e in o- gn' incontro ad essi aprisse la sua casa, largo senza misura dei suoi consigli e dei suoi lumi, i proprii libri e fin il tavolo proprio facendo ad essi comune, padre piìi che maestro di quei medici che da lui istituiti sostengono adesso r onore della patria medicina? Chi di noi non à conosciuto come ai suoi infermi si prestasse senza distinzione a condizione veruna, nelle stanze dorate dell'opulento, e dentro a soglie reali, egualmente che nella modesta casa del cittadino, e nel sucido a- bituro del mendicante, senza riguardo di tempo e di ore, le notti intiere, ove abbisognava, al loro letto passando, dimenticato per essi di tutto, e si avrebbe detto fin anche di sé medesimo ? Nelle quali sue assidue, e veramente straordi- narie, e tutto sue proprie assistenze, o in qual altra circostanza, ove il suo atten- dimento non fosse slimolato abbastanza, se avveniva che cedesse pur qualche volta al languore che la sua robustissima costituzione doveva pur qualche vol- ta sentire per le protratte veglie dei suoi lunghi studii, e per l'operoso trava- glio della sua clinica, chi di noi non fu testimonio, e non à avuto occasion di sorprendersi dell'alacrità, colia quale da quel languore si scuoteva da sé ben presto ad un tratto, i più bei concetti, le idee più giuste, e perfino le più fa- conde e le più eleganti frasi appunto allora esponendo, come raggio di sole, che rotto il velo d'una nube che l'aveva per un istante offuscato ne balza fuori d'improvviso brillante d'un più vivo splendore? Dotato di queste qualità non è a stupire se Aglietti, a tutti carissimo, siasi anche rapidamente elevato al grado di distintissimo medico, grado ch'e- gli à raggiunto in difficili tempi, come giustamente à notato l'autore della sua biografia, perchè stavano allora fra noi altri, né pochi, ragguardevoli medici che l'onore del ben medicare si disputavano, e fra i quali ardua cosa era l'a- priisi un varco, e il distinguersi. Pure Aglietti questo varco si aperse, e si distinse fra tutti, e tutti vinse, sollevandosi in mezzo ad essi, primo senza contrasti divenuto, e salutato primo da ognuno. E bene a lui questa primazia era dovuta e al suo profondo e vasto sape- re, avvalorato da quella straordinaria e quasi incredibile facoltà ch'egli posse- deva di ritenere improntate nella sua memoria le cose, e di richiamarle al bi- — 79 — sogno, facoltà alla quale erano forse un giusto riposo le sue distrazioni ; il qual sapere egli manifestava neiresercizio del praticare, dov'era valentissimo nel cogliere a colpo d'occhio gli essenziali punti delle più astruse, e più recon- dite, e più complicate malattie, e nell'indicare i più efficaci artifizii a combat- terle, i quali egli traeva al momento dal fecondo suo genio, o dalla sua eru- dizione estesissima, alimentata da un'incessante lettura, e dal commercio epistolare che teneva coi dotti d'ogni nazione ; sapere che allora appunto egli spiegava polente quand'erano i casi più abbandonati di speranza, e soprattutto nelle croniche infermità, dove sono più esauriti i poteri dell'arte, e cadono le forze della natura medicatrice nella lunga lotta spossate ; sapere del quale fan- no inoltre irrefragabile prova l'opere ch'egli andava insieme pubblicando, e le 9ma»»t C0KS1DIR,IZI0M SUL SITOSINO LB QVMjI guidar POSSOAO ALLA SCELTA DI UN PROCESSO TEE LA PIÙ FACILE DI LUI SEPARAZIO,^E DAL SEMEiV COMRA MEMORIA DI ANTONIO GALVANI DI DOMENICO. MJo studio della Chimica organica, rispettabile Presidenza, riveriti Ac- cademici, è certamente una fonte inesauribile di compiacenze, il perchè offre subbietto a sempre nuove ricerche. Non potendo dimenticare il pensiero del sig. Kaspail, cioè, che ogni scienza la quale moltiplica il meccanismo delle leggi alle quali vuol natura ob- bedienti gli esseri tutti creati, ed accresce il numero dei di lei prodotti, è ben lungi dall' imitarla, e piuttosto che volere la natura sì dotta, e sapiente quan- to lo sono i tanti scritti scientiGci che di continuo si pubblicano, giova meglio voler la scienza semplice al par di lei, non poteva facilmente persuadermi : — I. Che tutto il Santonino separato dal Semen contro, o secondo il meto- do del sig. Trommsdorff, o secondo quello del sig. Meneghini, l'uno inseri- Io nel Yol. 4-5 l'altro nel 6. della Gazzetta Ecclellica di Verona, fosse real- mente un edotto. II. Che tale riconosciuto, non si potesse proporre una maniera per se- pararlo più semplice, e permettetemi che lo dica , più ragionata, ancorché in pari grado economica. E ben vero che immaginare un processo di chimica decomposizione di sostanze appartenenti al regno organizzalo vegetabile non è cosa di sì lieve momento, perchè nessuno può vantare di aver penetralo nel santuario di quella natura che libera nel suo modo di agire, e per cui non ne ha compre- Ateslo T(ia. >•. tó — 90 — se le occulte di lei operazioni, ma è vero altresì che quello il quale segna un primo passo la cui mercè coglie la meta desiata, quand' anco forse incorso in alcun anacronismo nell'applicato pensiero, non perciò è immeritevole di som- mo encomio: tale si è appunto il celeberrimo sig. Trommsdorff, cui la Chi- mica è debitrice e del riconoscimento delle di lui proprietà, e della notizia esser combinato naturalmente alla Resina, e doversi considerare come un a- cido grasso. Chi poi si fece a ripetere più volte processi da altri immaginati, colla scorta dei già noli caratteri , è obbligato a non lasciarsi guidare da una cieca esperienza, ma da principii scieuliCci, quindi o ad aggiungere condizio- ni favorevoli al proposilo , o ad emendare almeno in parte quelle macchie, eh' è ben di ragione non siano state riconosciute da chi aveva la mente occu- pata nella invenzione. Né sembravami fosse malagevole cosa riuscirne: conoscere infatti le ca- gioni che formavano ostacolo ad un sollecito operare ; proporre qualche sem- plice, e poco fruttuosa modificazione, se mal non mi avviso egli è non voler ricordare che ricca la Chimica ili sue conquiste non trova difficoltà nelle sue ricerche; che esatta ne'suoi principii è quasi sicura dei risultamenti ; che va- riata nelle sue operazioni, è piena di risorse, ed illimitata nelle applicazioni; che severa nei suoi ragionamenti è sorella alla Fisica, di cui anzi questa se- conda è di quella interprete fedelissima. Le osservazioni e le cognizioni possono essere di tutti, perchè a tutti è dato prevalersi dei mezzi che ci offre la scienza, e fortunato colui che primo si fa a pubblicarle. Sono poche settimane che per la prima volta mi diedi alla separazione del Santonine ; il perchè in addietro occupato in altri Chimico -Farmaceutici studii, (fra' quali pure il subbietto che nello scorso mese fu a Voi motivo di ascolto) non potei dedicarmivì eoa risoluta deliberazione di attendere a que- sto soltanto ; e perchè non trattavasi di ripetere uno o l'altro dei metodi nella Gazzetta Ecclettica pubblicati per non essere conformi ai miei pensamenti, studiar voleva di proporne alcun altro che a mio credere (e forse a torto) ri- sultasse migliore, od almeno ammettendo che insorger dovessero fenomeni, o circostanze meritevoli di alcun riflesso, siccome argomento su cui nulla , al- men che io sappia, fu scritto, era mio volere non negligerle appieno , ma es- porle quali fossero per risultare, in ordine ragionato comunicarvele, acciocché siano guida iu appresso alla scelta di un metodo per la facile di lui separa- zione. — 94 — E per non istancarvi con più lungo proemio, pensava che sebbene non potevasi credere pienamente essere il Saatonino in combinazione alla Resina del seme soltanto, il perchè dai processi pubblicali risulta che le reazioni de- componenti sono rivolte sopra soluzioni di Resina, e di tutto, o della mag- gior parte dell' Estrattivo, pure non avendo fatti in contrario, l'asserzione rispettabile ed assoluta del dotto diimiro signor TrommsdorfT era ragion sufficiente a non dubitare in proposito, e tenendo il Santonine qual sostanza elettro-negativa di natura oleosa, nessun altro principio fuorché i due soprad- detti poteva stabilire qual fondamento del nuovo processo da esperimentare, senza dimenticare peraltro la solubilità dell'edotto nell'alcoole, eia di lui insolubilità nell' acqua. Una scienza che lutto vuol positivo, che vuol piu'e determinale ed in- variabili le leggi delle combinazioni per le quali queste ultime non risultano da un informe assodamento di più elemeuli, che ci ammaestra esser tolto l'e- quilibrio delle naturali occulte attrazioni per la separazione di un solo dei prin- cipii immediati per lo che risulta più agevole l'isolamento degli altri ; che alla fine ci dice che un processo di decomposizione , od una teorica di reazioni deve avere ad appoggio alcuna delle proprietà di uno almeno degli elementi, non poteva persuadermi come non si potesse abbreviare il lungo trattamento di depurazione dell'edotto, onde separare del tutto le sostanze eterogenee, che per le forme dai sopraddetti suggerite, vi sono immischiale. II perchè fermo al principio esser l'edotto combinato alla Resina , pri- mo oggetto doveva esser quello di togliere questo naturale composto dal seme per farmi poscia alla di lui decomposizione, e come il calcolator matematico riduce più semplici le lunghe formole senza alterarne il loro valore, cosi io ri- teneva che separali tutti quegli altri principii, che non contengono Santonino, mi doveva riuscire ben più facile l' isolamento di lui, la dì lui depurazione. Ed infatti proscritto l'Alcoole perchè solvente la Resina, I' Estrattivo, e 1' Olio volatile, e dalla qual soluzione non saria stata facil cosa separare i due ultimi, scelgo l'acqua nella quale bollendo (in alambicco, e per distillazione) spogliar due libbre di Seme Santo di ciò che potevasi sciogliere, e per ben tre volte ho ripetuto la decozione sopra lo stesso residuo. Evaporo ad estratto denso i tre decotti riuniti, e siccome la Resina sebben sciolta nell'acqua e per azion del calorico, e per quella dell'Estrattivo stesso , pure non è a questi combinata in modo da non potersi facilmente da quello disgiungere, così ridi- Bciolsi l'Estralto ottenuto nell'acqua fredda, ed in tanta quantità che una por- — 92 — zione qualunque versata sopra la soluzione anzidetta non produceva alcun turbamento. Col riposo si è raccolta al fondo del vase la Resina, e decantate le acque trasparenti, posta quella sopra di un feltro la lasciai sgocciolare, la- vandola più volte con acqua pura. Così facendo ho tolta la combinazione naturale del Santouino dal Seme. Ora però devo sospendere la narrazione delie forme trascelte a decomporla, e confermare colia esperienza Tasserzione del sig. Trommsdorff, onde esporvi dapprima ciò che feci del residuo fibroso del seme, e darvi in tal modo una esatta notizia di quegli studii nell'ordine stesso col quale mi vi sono applicato. Sapendo che la coesione delle molecole affievolisce le chimiche reazioni dei decomponenti, anziché asciugare la Resina la ho teuuta nell' acqua on- de si mantenga in istato di disgregazione fino allora che mi fossi rivolto a de- comporla, avendo evaporato frattanto la soluzion dell' Estrattivo ad Estratto, potendo in qualche circostanza giovarsi di lui, e facendomi poi alle fibre del seme residuo delle tre decozioni acquose, perchè ho riconosciuto mantenersi il color verde, l'odor aromatico proprio, ed una certa tenacità qual si riscon- tra comunemente nell'oppio lavato più volte nell'acqua fredda , immaginai che possano ancora contener delia Resina, per la qual cosa ho ripetuto una quarta ebolizione nell'acqua con latte di calce, e così decomporre il Re- sinato di Santonino, che con tale espressione sembrami poterlo denominare: in tal modo doveva a tutta ragione sperare di raccorre puro l'edotto colla de- composizione del Santoniuro che si produceva perchè avuto da un seme affat- to spoglio di principio Estrattivo e di Olio volatile. ~ Scorsa oltre mezz' ora di ebollizione, passo per tela il decotto, e spremuto il residuo, feltro per car- ta il liquido raccolto : anziché decompòrlo, lo evaporo ad Estratto ; e sapendo essere il Santoniuro di calce solubile neh' alcoole, in questo lo faccio digerire. La Tintura risulla verde, carattere che infirma i miei riflessi, mentre doveva attendermela di color giallo rauciato — decantata in altro vase la porzion tras- parente, la acidulo con acido solforico diluito con alcoole ; evaporo un poco, e si separano dei cristalli già inquinati di molto Olio verde, o Clorofilla, che diligentemente raccolgo: questa Clorofilla macchiava la carta ad instar degli olii grassi : i Cristalli poi sciolti nell'alcoole, e trattata la soluzione con potassa caustica si tingeva di color rubini> permanente , e non momentaneo , che tale doveva essere giusta la osservazione del sig. Trommsdorff, se fosse stato San- tonino puro. La ragione per la quale decomposi il Santoniuro suddetto con acido solforico, anziché coli' Acetico fu : — 93 — I. Perchè bramava la separazion della Calce, né voleva lasciare nella so- luzion alcoolica un sale istraniero. II. Perchè insieme al Solfato Calcareo che sì separava, teneva per sicuro fissarsi in esso la maggior parte delia Clorofilla. E giacche aveva raccolto quesl' Olio verde, ho creduto opportuno rico- noscerlo nelle sue proprietà, e perchè sostanza da nessuno avvertila, e perchè da questo studio m' attendeva di scoprire pili facilmente uq mezzo che mi corrispondesse alla pronta depuraziun dell' edotto. Seppi infatti che bollilo colla calce neif aicoole dava alla Calce un color verde giallognolo, tale risul- tando quello delie Tinture: che feltrata questa soluzione, e versate alcune goc- cia di Acido Solforico scompariva la tendenza giallognola riproducendosi il verde primiero, cosicché puossi avere che 1' Olio saponizzasse la Calce, e che decompostala combinazione, l'Olio riacquistasse il naturai carattere fisico: quest' Olio nella potassa caustica era a freddo insolubile , ingialliva bensì al primo contatto, poi cangiava in color rancialo carico, indi in rosso, senza sa- ponizzarsi, anzi se sopra una soluzione di esso nel!' Aicoole si versavano alcu- ne goccie di quel reattivo, la mercè dell'agitazione 1' Olio si separava, ed ag- gregandosi in bollicine, cangiava nei sopraddetti colori : che se la azione fra Clorofilla ed Alcali veniva avvalorata dalla azion del Calorico al grado di ebol- lizione, si aveva una perfetta saponizzazione, manifestandosi il color rosso, che era permanente, combinazione che non era decomposta dall'acqua, bensì dal- l' Acido Idroclorico , e collo scorrer di qualche ora si separava una materia oleosa di color giallo sporco. Diceva poc'anzi che la Calce era tinta di color giallo verdognolo, bollen- • do nella soluziou di quest'Olio nell' aicoole ; che se per altro quest' Olio era sospeso neir acqua, e fosse agitato con poco latte di Calce, si sviluppava in- vece un color giallo ranciato. Daciò mi venne di sospettare che l'arrossamento effimero del Santonino per la potassa, tanto potesse esser effetto della Cloro- filla di che poteva essere inquinato, quanto della Resina del seme stesso (che aveva riconosciuto arrossare per quel reattivo) piuttostochè esser carattere, o proprietà sui generis, nolo essendo che gli edolti, in generalo mantengono ora in più, ora in meno in contatto ai reagenti, alcuna proprietà relativa alle so- stanze dalle quali derivano, o con cui sono unite. Da ciò pure mi fu di cono- scere che la ragione dalla quale procedeva il color giallo ranciato nel Santo- niuro di Calce che si ha col metodo del sig. Meneghini , risiede nella Cloro- filla che trovasi in ebollizion colla Cjlce, e che poi forma uno degli ostacoli al- la depurazion dell' edotto. — 94 — Quest' Olio verde era solubile nel!' Etere , e di questa solubilità me ne approfittai depurando il poco Santonino raccolto per decomposizione del San- toniuro alcoolico di Calce, onde averne in tal modo di affatto puro, e giudica- re in via di confronto a quello che dalla Resina doveva essermi dato. Il sig. Trommsdorff conobbe la presenza dell'acido acetico nel Seme ; lo ba confermato il sig. Meneghini; lo indicò pure il sig. Bertoncelli: io volli pa- rimenti ricercarlo, mosso dal riflesso che ciò essendo sarebbe in istato d'iso- lamento, il che forse avrebbe potuto farmi dubitare sulla natura elettronegativa del Santonino. Rispettando l'opinione dei sopraddetti io noi conobbi, bensì mi è forza di ammettere la presenza del Tannino, e fors' auco dell' Acido Galico alla cui separazione non mi sono dedicato, perchè cosa a me di poco interesse relativo. Le sole ricerche dirette furono sull' Acqua distillata , e sul!' Olio es- senziale, che non arrossavano il tornasole, sul decotto residuo della distilla- zione, e sull'Estratto alla cui concentrazione erano quelli ridotti che lo muta- vano in bruno, che annerivano una lamina di ferro lucido , che precipitavano in nero una soluzione di Persolfato di ferro, che coagulavano una soluzione di Gelatina animale al calor della ebolHzione. Questo riconoscimento non aveva per me altro oggetto se non quello di ricercare ancor più la composizione immediata del seme. Ma ora veniamo alla decomposizion della Resina, a quella cioè separata dall'Estratto per soluzione nell'acqua, già custodita nell'acqua stessa come poc'anzi ho annunziato. Bene sgocciolata per feltrazione, e posta fra carta la ho asciugata quanto poteva, indi già ridotta in massa omogenea con alcoole a 36, nell'alcoole stesso la ho digerita a B. M, ciò ripetendo tre volte finché da quello veniva attaccata. Queste Tinture avevano un color rosso bruno, per lo che sembrava- mi non contenessero traccia alcuna di Clorofilla verde ; esplorate col tornasole appena appena veniva arrossalo. — Ora riflettendo alla natura oleosa acida del Santonino, riconosciuta dal Sig. Trommsdorfl", non avendo indizio assoluto di reale acidità, niente altro poteva stabilire se non che questa acidità fosse neu- tralizzata da quel principio cui il Santonino è nel seme combinato (dalla Resi- na), il che si accorda come legge generale al parere del sig. Caventou. Queste Tinture però mutavano in color rosso rubino permanente colla po- tassa caustica, permanenza che ho stimato prodotta dalla Resina sciolta in esse. Alle sopraddette Tinture vi ho unita della calce caustica polverizzata, e ne ho fatta lunga digestione a caldo : allora questa si tinse in giallo rancialo — 95 — tendente al rosso, niente scorgendo di color verde, per cui sperava cbe il San- tonino non sarebbe stato inquinato da Clorofilla. E perchè sapeva che le teoriche quantunque abbiano sempre molto di. reale, e di vero, talvolta non si accordano rigorosamente coi fatti, niente altro essendo se non che o formole generali suscettibili ad applicazioni diverse, od espressioni di una legge la quale non può non essere modificata, così ad og- getto di avere, anco in modi diiTerenli operando, identici risullamenti, e ptoter perciò stabilire principj positivi in rapporto al mio subbietto per dedurne utili applicazioni, in tre forine differenti ho trattato questo santoniuro alcooli- co, dividendolo in tre eguali porzioni, cioè : Una parte la ho acidulata con acido solforico diluito con alcoole. Un'altra con acido solforico diluito con acqua. La terza con acido acetico a 1070, diluito con alcoole, ed in tal modo conoscere il vario loro modo di agire. Scaldali a B. M. questi tre assaggi, i due acid;i!i con acido solforico poco dopo il riscaldamento turbarono: li feltrai, e raccolsi Solfato di calce, con ciò per altro di differenza che quello ad acido adacquato diede la separazione verdognola, mentre nell'altro era bianca ; cosicché la presenza dell'acqua giovò alla fissazione della Clorofilla sul gesso-, dal terzo poi con acido acetico non ebbi turbamento alcuno, il perchè decomposto egualmente il Santoniuro, si era formato un sale calcareo solubile nell'alcoole. Rinnovo la evaporazione fino alla quasi total gazificazione dell' alcoole, e da lutti e tre mi s'ingenerarono dei cristalli con questo però, che (come ben- sì doveva ) la soluzione acetica mi separava allora la Clorofilla della quale era ravvolto il Santouino, mentre negli altri due, e particolarmente in quello dal quale si era precipitata col gesso, fu assai poca, mostrandosi un color bruno soltanto, che ritenni effetto della resina ad essi riunita. Rassicuratomi impertanto dalla esperienza essere il Santoniuo alla resina combinato, m'era duopo conoscere in qnal maniera agivano gli Acidi, e la Calce, se cioè esercitassero una azion chimica sopra la naturale di lui combi- nazione alla Resina, o sullEdotto soltanto. Erano già scorsi alcuni mesi che per solo oggetto di semplice investiga- zione dubitando che il Santonine fosse sostanza elettronegativa, in quanto che quasi tutti questi principj del regno vegetabile tali non sono, aveva messo a digerire nell'alcool acidulo per 1' acido solforico del Semesanto già per ripe- tute macerazioni a freddo nell'acqua spogliato prima della maggior parte del — 96 — principio Estraltivo, ed aveva abbandonato la materia ottenuta colla distilla- zione di alcune Tinture raccolte, perchè allora le mie occupazioni non mi per- mettevano dedicarmene; materia di color verde intenso, di odor aromatico proprio acutissimo, non coerente, untuosa al tatto, materia dalla quale ho cre- duto poter riconoscere se l'Acido Solforico che in eccesso vi si trovava avesse reagito sull'edotto così, da alterarlo, e stabilire in pari tempo se l'azion della calce in conlatlo al seme od alla resina fosse necessaria al togllmento del saa- tonino, non lasciando di por mente alla ricerca di un mezzo efficace, e pronto per separare la CloroGlla, che in modo non dubbio vi riconosceva. Visto per- tanto die il Sanloniuro di calce alcoolico, avuto per digestione nell'alcoole dell'estratto procedente dalla decozione^ delle fibre del seme con calce, non turbava con l'acqua, per cui era sicuro non contenervisi principio resinoso, e sapendo che la Clorofilla non è per se stessa solubile nell'acqua, ho ragiona- to così : La Calce fissa in sé una porzione dell'Olio verde, e lo saponizza ; si appropria il Santonino, e si vuole che lo salifichi; il Santouino è insolubile nell'acqua, dunque invece di decomporre una soluzione alcoolica del Santoniu- jo, deve meglio corrispondermi la decomposizione di una di lui soluzione ac- quosa, ed invece di adoperar un Acido che formi colla calce un sale insolubi- le, meglio sarà a corrispondermi un altro per cui ottenere un sale nell'acqua solubile, per lo che il Santonino si precipiterà non misto al sale calcareo, non impuro per Clorofilla, e per Resina. Ciò riflettuto, mi diedi alla pratica, e ad oggetto di riconoscere nuove pro- prietà, non trascurando i fenomeni che potessero insorgere, perchè su ciò nessuno fino allora se n'era di proposito occupato, ho decomposta quella so- stanza resinosa e nella esposta maniera, ed in altra pur differente. In quanto alla prima, ne ho rammollita una parte a B. M., e sopravversata dell'acqua bollente la ho colle mani disgregata, indi vi ho aggiunto un poco di latte di calce, oltre la quantità necessaria alla salificazione dell'acido libero, ed a fuoco nudo la ho fatta bollire per alquanti minuti. Feltrato il miscuglio, il liquido era di color rosso intenso, e la calce residua giallo ranciata. Sul pri- mo ho versato dell'Acido Idroclorico diluito, il quale all'istante ingenerò un copioso turbamento, che stava sospeso nel fluido, anco dopo il raffreddamen- to ; però ricordando che il Santonino è di natura oleosa, ho immaginato che lo stato di sospensione permanente di quella sostanza dipendesse dalla poco diversa gravità specifica e di essa e del liquido , non dimenticando la condi- zion oleosa dell' edotto, per cui ho slimalo opportuno ricorrere di nuovo alla — 97 — azion del calorico sì per avvalorare l'azion decomponente dell'acido, che per far alliva la aggregazione delle molcciile: cosi feci , e si portò alla superficie una materia di apparenza oleosa che col raffreddarsi (perchè lolla dal fuoco ) divenne fragile, e di forma scagliosa come 1' Acido Borico. Diceva allora : il sig. Trommsdorff stabilì il carattere oleoso del Santoni- no ; col suo processo tale non si riconosce ; io lo ebbi qual egli lo aveva proposto ; lo separo, lo esamino, e lo riconosco fornito della proprietà ad es- so dovuta. Evaporo le acque, e si separa alcun che dell' edotto •, ma fu questa una separazione di sostanza accompagnata da un fenomeno che or ora sarò ad in- dicare. Mi rivolgo dopo di ciò all'altra parte di Resina che ho detto voler in al- tra maniera scomporre : questa la sciolgo nell' Alcoole, e faccio reagir la Calce sulle Tinture ottenute : già il rosso in queste, in quella il giallo ranciato com- parirono tosto dopo il contalto. Feltro ed acidulo con Acido solforico il liqui- do: si precipita, e separo il solfato di Calce, evaporo un poco, e si libera dalla Clorofilla; rievaporo, dopo feltrato, ed ottengo cristalli non però bianchi. Da tali ricerche impertanto credo poter dedurre; I. che 1' Acido solforico in eccesso non decompone il Sanlonino. II. eh è confermata ancor più la di lui combinazione alla Resina. III. che la Clorofilla in un liquido acquoso è trasportata per la maggior parte dalla Calce, in uno Alcoolico resta per la maggior parte in soluzione. IV. che la Calce non ha azion necessaria e particolare alla separazione del Santonino dal seme. Per le quali considerazioni sebben io non intenda presentarvi un anaUsi esatta del seme santo si può stabilire che i di lui prin- cipii immediati sono uniti così che la Resina trattiene il Santonino, la Cloro- filla è unita alle fibre, all' Estrattivo è associato il Tanino. Ho detto che voleva riconoscere il modo di agir della Calce , ed avrò fatto pensare che io supponessi quella in niente altro aver parte se non a sol- vere la Resina; ciò è realmente, e lo ho dedotto dalla azione dell' Alcoole aci- do sul seme spogliato dall' Estrattivo. Ottenni adunque il Santonino mercè la diretta decomposizione del San- touiuro di Calce avuto per reazion di questa sulla Resina sciolta nell' acqua, ed in seguito per l'Acido idroclorico diluito ; ma questo modo di operare mi fu cagione di alcuni fenomeni che poco fa diceva indicarvi. 11 pensiero, che mi si è risvegliato da un permanente turbamento, e da Ateneo. Tomo V. 4S — 98 - iiltra circostanza, clie ora esporrò, nelle acque dopo aver già dalo un primo ])rodolto, fu quello che il Resinato di Santcnino , o resina propria del Seme insolubile per se sola nell'Acqua, sia costituito solubile in essa per azion del- ia Calce-, che la Calce non sia combinata perciò al solo edotto, ma a tutta la naturale combinazione, per la qual cosa l'azion dell' Acido decomponente non sia rivolta al Sanloniuro Calcareo , ma a salificar prima questa base terrosa alcalina, poscia a decomporre il Resinato medesimo, per lo che quella giovi a sostituire soltanto 1' acqua all' Alcoole -, rimane intrattenuto nelle Acque ma- dri quel principio, od apotema, se cosi piacesse definirlo, che era combinato al Santonino prima che questo per azion dell'acido si separasse , e per esser solubile nell'Acqua, e per effetto del prevalente eccesso di Acido. Se vi fu momento nel quale dovessi pregarvi di venia , e di ascolto be- nigno, questo lo è certamente , dotti Accademici. Un solo esperimento figlio di antecedenti osservazioni, consono alla Teorica, piiì volte per altro ripetuto in appresso, dileguò ogni dubbiezza. Compito il lavoro di esplorazione sopra le due libbre di Semesanto, compito pur quello sulla materia resinosa da alcuni mesi serbata , mi feri a trattare libbre venti di questo seme nella prima esposta maniera, separando dall' Estratto cui aveva per evaporazione ridotti i semplici decotti acquosi, la resina -, e perchè lavorava sopra non picciola quantità feci le decozioni in Alambicco, per cui ho raccolto dodici dramme di Olio volatile essenziale che al dir del sommo sig. Peletier, (Journ. de Pharmacie tom. 7. pag. 542.) niente altro aggiungendo in proposito, in dose di poche goccie è il vero prin- cipio antielmintico. Intanto che depurava la Resina con lavazioni dall' Estrat- tivo non ho ommesso di occuparmi delle fibre del seme , residuo delle di- stillazioni, e queste le ho falle bollire con Calce ad oggetto di meglio rassi- curarmi sul di lei modo di agire. Ristrette per evaporazione a libbre dieci, ritenuto contenervisi del Sanloniuro di Calce , le ho acidulate essendo ancor calde con Acido Solforico in grado ragionevole, ed essendo dapprima traspa- renti, tali mantenendosi durante una breve ebollizione, tolte poscia dal fuoco, col raffreddarsi si facevano torbide: il riscaldamento le rischiarava di nuovo, e per lo successivo raffreddamento scompariva la trasparenza primiera -, tras- parenza però che non più quelle riacquistavano sebbene si fosse separata al fondo del vase una materia resiniforme : questa materia non poteva creder- la Santonino perchè spoglia dei caratteri fisici ad esso dovuti. Ricordando pe- rò la natura oleosa di lui, rimetto al fuoco il vase; riacidulo un poco la solu- — 09 — zione, innalzo a temperatura al grado della ebollizione, tale la mantengo per pochi istanti finché viene galleggiando alla superficie una sostanza spumosa riproducendosi il turbamento, che da allora si mantenne costante, per lo che follo dui fuoco, e raffreddato, per felirazione la separai, riconoscendovi pure un sedimento di sostanza granulosa di color bruno. Doveva esaminare e T una e 1' altra separazione, ma doveva io pari tem- po non abbandonale le acque residue in quanto, sperava mi fossero fonti ad utili deduzioni. Questo turbamento impertanlo che producevasi nel liquido, ed a caldo, ed a freddo, ed il rischiaramento allora che versava 1' Acido Idroclorico per cui si portava in superficie la materia sopraindicata, era pur circostanza sulla quale por mente. In fatti se il Santonino è insolubile nell' acqua, e se questo in combinazione alla Calce avesse formato un Santoniuro solubile, era oppor- tuno lo stabilire che la quantità di esso che aveva a decomporsi per 1' Acido dovesse esseie relativa alla quantità dell'Acido versato, per lo che, fosse que- sto o poco, o molto, dovevasi poco o molto separare di Santonino. Non vedendo la mercè della esperienza confermato questo principio, per- chè dai caratteri fisici della materia raccolta nei due trattamenti non mi era dato stabilire di aver separato l'edotto , e nemmeno per i fenomeni indicati jioteva ammettere esser semplice la decomposizione, così era pur conveniente o non ammettere Santoniuro di Calce formalo e sciolto nell' Acqua , o non ammettere la decomponibilità di esso per l'Acido Idroclorico, intanto che era obbligato ad aver per sicura una chimica reazione fra lo scelto decomponen- te, e quello, qualunque si fosse, composto sciolto nell' acqua. Non ammettere la prima , non era conforme alla esperienza , ed alla ra- gione: non all' esperienza, perchè le parziali piccole esplorazioni su quel resi- duo mi aveano rassicuralo in addietro della presenza del ricercato principio; non alla ragione, perchè se il sig. Meneghini colle decozioni del seme con Cal- ce, propone la separazione del Santonino, doveva pur corrispondere a me l'ap- plicazione di quel mezzo ai residui fibrosi. Non la seconda, cioè non ammettere la decomponibilità del Santoniuro per i' Acido , perchè se come dissi dapprima , ottenni la decomposizione del Santoniuro di Calce risultante dalla ebollizion della Resina colla Calce stessa ed in appresso con 1' Acido Idroclorico, doveva in egual maniera quest' Acido agire nell' attuale circostanza. Dunque doveva a pien diritto ammettere un modo proprio di azione — ÌOQ — dell'Acido sul sale supposto, e per esser quest'ultimo dotato di proprietà nuove ed ignote, esser duopo riconoscerle, anco perchè 1' azion dell'Acido adoperato in quantità ragionevole potea esser modificata dalla presenza di grande quantità di Resina (che per tale aveva allora ritenuto fossero le indica- te due separazioni) non relativa alla poca quantità di Santoniuro in quelle ac- que contenuto. Fu perciò che evaporai queste acque ad Estratto onde ricono- scere in qual sostanza si fosse cangiata quella materia, che dava al residuo fi- broso dopo le due decozioni semplici l' indicalo grado di tenacità, che in ap- presso fu tolto intieramente per la decozione colla Calce. Questo Estratto lo ho fatto digerire nell'Alcoole, onde scioglier così quanto fosse possibile. Intan- to che compivasi questa evaporazione, ed Alcoolica digestione, mi sod ri- volto air esame delle due sostanze di apparenza resinosa, che più sopra ho in- dicato aver ottenuto per mezzo dell' Acido Idroclorìco reagito sulla soluzione di supposto Santoniuro Calcareo, e fu appunto in questo che il pensiero giovar la Calce a render la resina solubile nelF acqua ebbe un valido appoggio. — Tratto adunque separatamente con Alcoole queste due sostanze, feltro le so- luzioni, le evaporo, non si separano cristalli ; le rievaporo di bel nuovo, ma perchè il principio Alcoolico si era così facendo eliniinato, si separa la mate- ria nello stalo suo naturale : la ridisciolgo nell' Alcoole, e fermo al mio princi- pio che il Santonino devesi all'azion degli acidi decomponente la di lui com- binazione alla Resina, lo acidulo con Acido Solforico, e fu allora che isvilup- patosi un leggier odor Zuccherino , turbaronsi le soluzioni , le quali feltrate, per spontanea evaporazione mi porsero il Santonino cristallizzato. Dunque non errai ; l'azione dell'Acido è duplice, ma su questo argomento tornerò fra poco. Ciò riconosciuto mi rivolgo al liquor Alcoolico avuto dalla digestione dell'Estratto sopraddetto, di quello cioè cui furono ridotte le acque residue. Osservo dapprima che non tutto si sciolse nelf Alcoole. Aveva questo un odore di Melej la parte non sciolta non conteneva Santonino in varie ma- niere esamiuata -, era però solubile nell'acqua. La tintura poi acidulata alcun poco, collo scorrere di alquante ore separò pochissimo Santonino. Diceva poc'anzi che la parte non sciolta dell' Alcoole , era solubile nel- r acqua, proprietà, o carattere che non doveva attendermi in quanto che ri- cordava d'onde procedevano le decozioni decomposte, e così ridotte, cioè dal- le fibre spoglie affatto del principio Estrattivo, per cui era mestieri stabilire che la Calce e 1' Acido non avevano diretta azione sul Santonino , ma sulla Resina sola , da modificarla così che perdendo alcuno de' suoi caratteri prò- — -101 — prii, ne acquistava alcun altro diverso; e ricordando il modo di agire deirAci- do direttamente sulla materia resinifonne si fecero maggiori i miei dubbi sul- la necessità della Calce in questo lavoro, per lo che non era fuor di ragione il pensare che 1' Acido solo agendo liberamente sulla Resina dovesse jwrgere 1' edotto sotto forme di scaglie. Compilo così lo studio intrapreso sulle decozioni del residuo fibroso con Calce, mi diedi a decomporre la Resina delle libbre venti di seme, che tenea immersa nell'acqua. Feltrata, la asciugai un poco fra carte, e per mezzo dei due (identici nelle forme) trattamenti, ne ho separato il Sanlonino. Infatti, bene unita al latte di Calce la feci bollire per pochi istanti; feltrato il tutto, ho lavato il residuo con acqua calda; dopo ciò, e cosi ripetendo per ben due volte, lo ho assoggettato alla ebollizione con acqua, e con nuova porzione «li Calce. 1 Ire Santoniuri ottenuti li teneva separati, in ognuno decresceva T in- tensità del color rosso , avendo il residuo calcareo di ultimo trattamento un color terreo; perciò ho creduto poter a ragione ammettere non contenervisi CloroGlla, e poco esservi di quel principio resinoso che per osso era coloiila la Calce quando bolliva sul residuo fibroso del Seme. Fatte fredde, le trattava separatamente con Acido Idroclorico diluito, e mentre il Santoniuro di prima decozione turbava per questo senza dar indi- zio di separare alcuna sostanza, nel secondo si mostravano sospesi dei fiocchi bianchi in mezzo ad un liquido trasparente: nell'ultimo poi nessun'altra mu- tazione si produceva, se non un quasi totale scoloramento. Scorse alcune ore, il primo aveva separato materia resiniforme, e le acque si mantenevano opali- ne; il secondo era lievemente torbido, ma senza separazione alcuna; l'ultimo che sulle prime nessuna lusinga porgevami di abbandonar sostanza veruna es- sendo trasparente, avea lasciato deporre una quantità discreta di materia in apparenza resinosa. Queste diverse circostanze non ad altro credeva procedere se non dalla differente quantità di Santoniuro in ciascun contenuto , e per quanto poteva credere, al modo pure di agire dell'Acido sul principio immediato; ma il ca- rattere del permanente turbamento, fatto riflesso alla insolubilità del Santoni- no ed all'aspetto della materia raccolta dovevano indurmi a delle riflessioni con tanta maggior ragione in quanto che mano mano preparava i Santoniuri, esplorando su piccole quantità se il mezzo da me immaginato di decomporli mi era costante negli effetti, non solo otteneva la separazione del voluto prin- — -102 — cipio. ma anzi mi si presentava in minuti cristalli, lasciando le acque del tutto trasparenti. E ricordando che Resina non n'ebbi quando per la prima volta esperi- meulava questa maniera di operare, bensì una materia oleosa, che tal mante- nendosi sotto r azione di un mite calore, diventava poi per lo raffreddamento fragile, e vestiva la forma scagliosa, temeva che per aziou dell' Acido su d' un eccesso di calce sciolta nell'acqua, si precipitasse quel principio immediato in islato naturale, cioè non reagito dall'Acido Idroclorico decomponente con questo di più che quella materia solubile nell'Alcoole arrossava fortemente, e permanentemente per la potassa caustica: quindi ammesso che la calce avesse sciolto il Resinato di Santoniao, riconosceva la nessuna separazione di lui per non essere stata decomposta la naturale combinazione, o perchè la ebollizione fu di breve durata (applicando le Teoriche altrui), o perchè (applicando le mie) l'Acido adoprato avesse reagito soltanto salificando una porzion sola di calce solvente una parte del Resinato medesimo, senza però decomporlo perchè adoperato in troppo scarsa quantità. Ed in quanto alle soluzioni, ammesso che pur siavi il Santoniuro formato ma che 1' Acido non avesse potuto decomporlu. o perchè non avvalorato dal- l' azion del calorico, o perchè non relativa la usata quantità, esplorai una piccola parte con Acido solforico come più energico, e questo non fu ferace di alcun cangiamento, anzi nemmeno si è separato solfato di Calce, per lo che dubitan- do anche della presenza del Santoniuro di calce dovea riconoscere o non de- composto, o non isciolto il Resinato di Santonino, e quindi esso trovarsi anco- ra nel residuo miscuglio calcareo: ne esaminai infatti una piccola porzione facendola digerire nell'Alcoole, per cui ottenni un liquido verdognolo, che non turbando per acqua aggiunta non mi faceva riconoscere traccia alcuna di Re- sina, e non cristallizzando ed in istato naturale ed acidulato (solo separando poca calce tinta di Clorofilla) mi faceva sicuro non esservi Santonino. Ma escludendo qualunque altro riflesso, richiamando al pensiero che pari circostanze mi si manifestavano allora che trattava i decotti dei residui fibrosi del seme, per cui dovevano in egual modo essere teoricamente spiegali i fenomeni, cioè quali effetti della Resina sciolta per la calce nell' acqua, ed indecompouibilità del Resinato per poca quantità di Acido usato, riunisco le tre soluzioni, le porto ad ebollizione, le acidulo con eccesso di Acido Solforico, le mantengo bollenti per alcun tratto, e collo scorrere di uiezz' ora vedeva alternativamente ora comparire alla superficie una materia oleosa, ora dile- 103 guarsi, ora una materia resinifornie, ora disciorsi (che mi faceva credere i'osse effetto del vario grado di modificazione, che dall' Acido progressivamente ve- niva portalo al composto Resinoso) fintantoché si è coperta la superficie di scaglie simile a quelle dell' Acido Borico, al qual momento ho tolto dal fiioco il recipiente, e raffreddalo il liquido, per feltrazione ho separalo il Santonino di color bruno chiaro, scevero da Solfato di Calce, perchè in istato di bisale rimase sciolto nelle Acque madri. E che infalto per avere il Santonino dalla Resina più importi l'aziou ilell' Acido che della Calce, eccone nuova prova. Le tre sostanze di apparenza resinosa .separale, come diceva, dopo una moderata acidificazione dei tre supposti Santoniuri avuti già dalla Re.sina, fu- lono sciolte nelTAIcoole, furono acidulate, e spontaneamente lasciarono de- porre dei cristalli di Santonino. Dunque se nella prima reazione dell'Acido sui santoniuri acquosi non mi fu di raccorre l' edotto puro, non lo ebbi perchè l'Acido salificando la Cal- ce che teneva sciolta la resina, non poteva decomporre il naturale composto, il quale anzi fu obbligato a separarsi nello stato suo presso die naturale per- chè tolto al mezzo, ossia alla Calce, che lo manteneva sciolto nell'Acqua •, per le quali cose sembrami abbastanza provato esser vera la parziale azione della base terroso-alcalina, ma esser duopo per le addotte ragioni, un eccesso di Acido alla separazion dell'edotto. Conobbe il sig. Meneghini la necessità di adoperare un eccesso ili Aci- do, od Acetico, o Solforico, ma non perciò fa sapere 11 vero oggetto per cui ciò convenga. Evaporate le Acque madri ebbi poca materia resiuiforme, la quale colla soluzione nell'Alcoole acido mi diede del Santonino: acidulo ancora le acque residue, e fatte a lungo bollire, senza turbarsi, mi offrirono alcun che di ma- teria identica all'altra. Dalle quali considerazioni credo poter conchiudere: che la quantità della Resina sciolta nell'accjua sia in proporzione a quella della calce adoperata ; che la quantità del Santonino che si raccoglie è in rapporto all'eccesso dell'. Icido adoperato. Conosciuta impertanto l'azione degli Acidi sul seme, quella della cal- ce sui residui del seme stesso, e sulla Resina, era ben necessario che mi rivolgessi a sapere come si comportavano gli Acidi in diretto con- tatto alla Resina naturale , come che conseguenza legittima dei fenomeni H04 or ora esposlij delle Teoriche applicate , delie conosciute reazioni, sebbene potessi non dubitare del sicuro risultamento di questa esperienza. Aveva serbato poco Resinato di Santonine; lo sciolgo nell' Alcoole ; e la soluzio- ne feltrata che collo scorrere di molte ore niente mi separava di sostan- za cristallina, tosto dopo acidulula senza mercè del calore, mi diede un prodotto qual lo attendeva. Ciò prova adunque la necessaria azione degli Aci- di, e la combinazione dell'edotto alla Resina ; ma giacché nel Fascicolo del mese di Marzo prossimo passato, pervenutomi il giorno ao dello scorso Aprile (Journ. de Pharm. Paris) è pubblicata una nota del sig. Guillemette sulla preparazione del Santonino, che lo ottiene per spontanea e naturale cri- stallizzazione da semplici Tinture alcooliche del seme, già prima spogliato la mercé di ripetute macerazioni nell'acqua fredda del principio Estrattivo, sen- za uopo di alcuna sostanza che decomponga la preesistente combinazione di lui, mi conviene muover giusta sorpresa, il perchè come potrebbesi gratuita- mente ammettere che meccanicamente fosse unito alla Resina questo edotto, massime ricordando gli effetti delle svariate maniere di operare da me trascelte per separarlo or ora indicatevi ? Però non volendo contraddire a quanto ei vid- de, sebbene ripetuto da me il processo di lui non mi sia stato ferace di egua- li risultanze, credo debbasi riconoscere questa separazione comecché acciden- tale, nella stessa maniera che non sono molli mesi ora scorsi che da una so- luzione Alcoolica di pura resina di Oppio ebbi spontaneamente cristallizzata la Narcotina la quale giammai misi separava se prima o coli' Ammoniaca, e co- gli Acidi non distruggeva la Chimica attrazione tra quell'Alcaloide, e la Resi- na, che naturalmente sono combinate nell'oppio. Ma perchè la soluzione della Resina, ossia Resinato di Santonino nell'ac- qua la mercè della Calce, decomposta che siasi coll'Acido solforico, dà a pro- dotto il Santonino eh' è spesse volte imbrattato da poco Risolfato di Calce, e per cui viene meno la facilita e sollecitudine nel depurarlo così ho voluto an- cora riconoscere se meglio giovasse trattarla colla soluzione del Carbonato di soda, come quella la cui base in contatto all' Acido solforico decomponente forma un sale solubile. Non tornò vano l'esperimento ; per lo che sembrami po- ter conchiudere che applicando all'esperienza gli studi or ora comunicati, si possa far scelta di un metodo che riuscir debba piìi economico, più sollecito e meno incomodo di quelli fino adesso suggeriti. Il sig. Trommsdorff ed il sig. Meneghini perdono l'olio essenziale, 1' uno perché scelse il mezzo Alcoolico cui il Seme è digerito ; l' altro perchè associa la Calce nel tratlaniento; nella mia maniera lu si raccoglie inlieraiiieu- le, e dodici Dramme di questo me ne furono date da libbre venli di Seme. Se fosse riconfermata l'asserzione del sig. Pelelier si potrebbe sempre appro- fittare di lui. Aon intendo aver cua quanto finora vi esposi compito quegli studi, che voleva dirigere sul proposito ; rimane ancor molto a conoscere, e questo, quando me lo concedano le naturali mie occupazioni sarà subbietto a nuovi la- vori, ed argomento ad intrattenervi in altra circostanza. .Ateneo. Timo V. H SIILIS CISTIlIELl E SULL'OSSIDO XllICO RICERCFIE DEL DOTTOR A. J. C E N E D E L L A. Ma^$^e« Plurima elaboravìt chemia, nnllaque despexit. BoHEBAVt Jjriignatelli il padre son molti anni, o Cliiarissimi Colleghi, parlò di una sostanza organica da lui discoperta facente parte di alcune specie di calcoli orinarii, ch'egli esaminava, (i) Dopo di lui nessun chimico ch'io mi sappia parlava di questa, e quelli che posteriormente s'occuparono di consimili la- vori, ed anaUsi di calcoli orinarii non la indicavano, ma a quanto sembra la confusero coUe materie resinoidee, mucose facenti parte di essi. Nessuno poi, né Brugnatelli stesso, che denominava questa sostanza Cìstimela, l'accennava neir orina aiterata, giacché egli attribuiva ad una degenerazione dell'uria la sua formazione, né credeva che potesse rinvenirsi altro che in alcuni calcoli negh urici ed ossalici dei quali probabilmente formava il cemento. BerzeUus nelle interessanti sue ricerche sull' orina, Becquerel nell'xdtimo suo lavoro su 'li essa, e sulle alterazioni alle quaU soggiace questo liquore escrementizio da varii chimici osservate, non fa cenno di essa, né di materia consimile esistente neU' orina alterata, o che possa formarsi in essa durante un particolare processo chimico organico da speciali cause determinato. Attribuirei a più cagioni il silenzio dei chimici sulla Cislimela di Brugna- telli, e questo alle poche ricerche che dopo di esso si fecero dai nostri italiani sui calcoli orinarii nei quali esso la rinvenne alla rarità dell' opera ove trovasi descritta: opera pidìblicata dopo la morte dell'illustre Professore, che non es- sendo forse che tra le mani di pochi non é sufficientemente conosciuta: ma più di tutto alle solite vicende alle quali soggiacquero i nostri chimici lavori, (1) Litologia umana, Pavia 1819. Pag. 21 e 22. — 108 — ed aUa poca considerazione in cui questi si tengono dagli italiani, che se non sono cresimali da ricerche oltramontane, o se alcuno degli stranieri non vi appone un nome particolare, o non cangia quello dell' italiano scopritore, (come non ha guari Liebig impose un nuovo nome all' acido erittrico) le no- stre osservazioni e scoperte tornano nuUe, o giacciono sepolte ed obbliate,' anche da chi per patria ambizione dovrebbe stimarle ed apprezzarle. Sino dal 1826 nei primi anni ne' quali io mi occupava di alcun chimico lavoro, instituiva alcune ricerche sui calcoli orinarli, ed in queste io confer- mava le asserzioni del mio illustre precettore e rinveniva la Cistimela. (i) Ri- petendone poscia varie nel i835, e 18 3 9 sovra una quantità di calcoli io la rinveniva costantemente in quelli di acido urico, e di urati, ed in quelli di ossalato di calce, e confermava colle mie esperienze i caratteri da Brugnatelli ad essa assegnati. Dallo studio quindi dei calcoh passava a quello dell'orina di cui era mio oggetto l'estrazione dell'uria, lontano dal pensiero che duranti le mie ricerche potesse fonnarsi la cistimela, che soltanto per accidente rin- venni dopo che l'orina avea sofferto delle grandi alterazioni, come ora verrò accennando. Lo studio perciò di questa sostanza, che si forma per le altera- zioni chimiche dell'orina, e singolarmente dell'uria, la parte essenziale che la cistimela tiene nella formazione dell' ossido xantico, ed alcune considerazioni sulla spontanea formazione di esso dedotte dalla proprietà della cistimela sono il soggetto del lavoro che in oggi ho l'onore di leggere a voi Chiarissimi Colleghi. Non isdegnatevi adunque, se intrattenendovi sovra cliimico argomento io muovo l'attenzione vostra su di una ributtante materia. La chimica, la mercè de' suoi studii e delle sue sublimi indagini tutto rende utile ed abbellisce, e volge molte volte le più luride, e schifose sostanze in altrettanti oggetti di eleganza e di lusso. Voi quindi ora conoscerete, in queste mie ricerche come la scienza non isdegnando occuparsi su di una sostanza che prova gli ultiuìi periodi delle organico-chimiche reazioni, renda ragione della formazione dell'ossido xantico di Marut, la cui esistenza lungamente contrastata, venne pienamente confer- mata dalle ricerche di Stromeyer, Liebig e Wòheler, e dalle presenti mie os- servazioni riconosciuta la genesi della sua formazione per la decomposizione della cistimela, e successiva sua ossidazione. Ma per farvi conoscere l'origine di queste mie ricerche, io troverei conveniente il far precedere la istoria dei (1) Commentarii dell'Ateneo di Brescia, 1826, pag. 94. — 109 — lavori eh' io feci, e le mutazioni nell' orina osservala sino dai Luglio 1839 in cui incominciava il lavoro, e che completamente ultimava nell'Ottobre del 1842. Prefiggendomi allora di ottenere l'uria soltanto, evaporava a bagno malia una nolabilc quantità di orina resa alla mattina dopo il sonno; e da questo estratto seguendo il processo di Wòheler io mi avea l'uria: ma volendone preparare altre quantità, pensava scansare la nojosa concentrazione dell' orina a bagno maria 5 per cui ne feci evaporare altra quantità a bagno di arena, e la ridussi a consistenza di sciroppo, lasciando in essa i sali, e le materie solide che di mano in mano andavano depositandosi. Molte cose sopravvenutemi mi impedirono il proseguimento delle mie ricerche, giacché io mi avvisava che usando di questa brusca evaporazione 1' orina soffriva delle grandi alterazioni nella sua composizione, che mi facevano disperare di ottenere 1 uria. Abban- donai perciò quest'estratto orinoso liquido di color bruno scuro in una capsula di vetro coperta con semphce carta per difenderlo dalla polvere, e lo lasciava esposto all' azione dell' aria e della luce solare ad una finestra de) mio labora- torio per tre anni, e di quando in quando l'andava osservando; che mi pare- va che il suo colore s' aumentasse addivenendo più intenso, ed il suo odore si facesse sempre più ributtante non mai però ammoniacale. Nei primi giorni adunque dello scorso Agosto 1842 lo presi nuovamente ad esame, e lo trovai liquido di color bruno assai intenso quasi nero, di nn odore orinoso corrotto, ma non ammoniacale, con un denso sodimento gra- nuloso, che diligentemente io separava. Questo lo trovava composto di Fosfati, cioè ammonico, sodico e calcico, di cloruri, di molto acido urico e di materia umcosa assai alterata. Faceva evaporare tli bel nuovo l'estratto orinoso dal quale avea separate le mentovate sostanze, e quantunque usassi di un mitissi- mo calore, il suo odore facevasi più fetido, assai ributtante, non mai ammo- niacale. (Trovo necessario 1" insistere su questa proprietà di non sviluppare ammoniaca questo estratto per le ragioni che dirò in seguito). L' abbandonai .(ila (|uiele pL-i- molti giorni, onde separare i sali che si sarebbero deposti ma non ne raccolsi veruno. Quest' estratto arrossava il tornasole fortemente, e misto con poco carbonato potassico, svolgeva coli' acido carbonico anche del- l' ammoniaca che vieppiù facevasi sensibile collo riscaldamento. Lontano dal pensiero che in quest' estratto così alterato esistesse l' uria, io attribuiva lo sviluppo dell' annnoniaca alla decomposizione di alcuni sali ammoniacali tut- tora nell'estratto esistenti: ma il color nero di esso, la separazione di alcimi fiocchetti neri, che osservava avvenire, aggiungendo un acido al miscugho di — Ilo — questo col carbonato potassico, la sua reazione costantemente acida, il suo odore orinoso fetidissimo non mai ammoniacale, mi facevano supporre che l' uria, durante la troppo elevata temperatura dell'evaporazione dell'orina, e la lunga esposizione all'aria si fosse decomposta e ridotta in quella sostanza che Brugnatelli chiamava cistimela, e che egli avea soltanto rinvenuto nei cal- coli, ma che in quest'estratto si fosse formata a spese dell' uria eh' io giudicava in gran parte decomposta. Volli perciò ricercare in quest'estratto 1' uria, e con mia gran meravigha trovai che ne conteneva tutt' ora in grande quantità. L' acido nitrico puro di 1,2 a eh' io versava in esso, produceva una sì abbondante deposizione di cri- stalli di nitrato di uria che rendeva solido il tutto. Tale operazione io la ese- guiva nel ghiaccio, e mediante un imbuto spogliava il nitrato di uria da un li- quore bruno nero di un ingratissimo odore di orina corrotta. Il sale di uria raccolto e ridisciolto nell' acqua distillata abbandonato ad una spontanea eva- porazione fornì dei cristalli lamellosi fogliacei dai quaU ritirai l'uria col car- bonato piombico. Sciogliendo il nitrato d' uria coli' acqua per depurarlo rac- coglieva al fondo della soluzione una sostanza polverosa nera, che lavala era inodora, seccata era polverosa, lucente, insolubile nel!' alcoole, alquanto nell'e- tere, eh' io riteneva per la materia picea di Proust. L' acqua madre ìncristal- lizzabile nera di questi cristalli venne riunita alle prime, e siccome formava un liquore acidissimo, cosi la saturava colla potassa pura. Tale operazione io la trovava difficihssima, per cogliere il vero punto di saturazione dell'acido eccedente; giacché osservava che un heve eccesso di po- tassa svolgeva mercè il calore dell'ammoniaca, scomponendosi cosi a quanto io pensava la materia organica, di cui erano scopo le mie ricerche. L' aggiunta perciò della potassa per la saturazione di questo liquore veniva determinata dallo sviluppo leggerissimo di ammoniaca, che notava usando di un debolissi- mo calore, quantunque il liquido mostrasse una costante acida reazione. Con mitissimo calore concentrava la mescolanza, e siccome la riconosceva reagire come acido, ne trattava una porzione coli' acetato piombico e ne avea un precipitato giallo sporco, che dopo lavato sottoponeva ad una corrente di gas acido idrosolforico. 11 liquore derivante da questa reazione spoglio del solfuro piombico avea un color giallo ; evaporato lasciava un residuo viscido bruno assai deliquescente^ acidissimo, le cui proprietà acide ripetevansi dall' acido fosforico di alcuni fosfati rimasti incristalHzzabili nell' estratto di orina. Vedendo che col mezzo dell' acetato piombico io non avea quel risultato — m — soddisfacente come mi allendeva, stimai di ritirare direttamente la mentovata sostanza dal liquore che avea concenliato col calore, e dapprima già saturato di potassa. Lo feci perciò evaporare al calore di loo cenligr. sino a che for- mavasi su di esso una densa pellicola. Col raffreddamento cristallizzava il ni- trato potassico, e lasciava un liquore viscido, denso, bruno scuro sopra cui faceva agire l'alcoole di o,83o a freddo, mercè il quale faceva deporre il ri- munente nitrato potassico, e cosi scioglieva la sola materia bruna che dovea essere il soggetto delle mie ricerche. Evaporando poi l' alcoole a mite calore mi aveva un residuo che era viscido di color oscuro profondo. Avea questo un ingratissimo odore orinoso, che si avvivava oltremodo coU' aggiunta della potassa, ed un sapore piccantissimo assai ingrato. Fortemente arrossava il tornasole, e non decomponeva i carbonati potassico e sodico: scaldato in una capsula di porcellana oltre i loo centigr. si scomponeva risolvendosi in am- moniaca, e lasciando un residuo poco lucido scaglioso avente i caratteri della materia picea di Proust. Scaldato in un tubo ad elevato calore, spande dei \apori ammoniacali fetcntissimi lasciando un vohuninoso carbone. Questa so- stanza si manteneva costantemente secca in un'atmosfera asciutta, ma risentiva prontamente l' mnidilà, e spontaneamente si asciugava anche in un ambiente asciutto. Attentamente osservata nella capsula di porcellana non mostrava Iraccie di cristalhzzazione, ed era perfettamente amorfa -, sicché disseccata avea l'aspetto di scaglie lucide trasparenti. E poi solubilissima nell'acqua distillata, nell' alcoole concentrato, e nell'etere: la soluzione alcoolica ha i caratteri del- l' acquosa, e sì l'ima che l'altra non si scompongono dalla tintura di galla, né dal puro tannino. Tanto la soluzione acquosa che l' alcoolica sono senza azione sidle soluzioni metalliche, né 1' aggiunta della potassa precipita cogli ossidi >c)slaiiza veruna. Singolare é l' azione che gh acidi esei'citano su di essa. L'acido solforico assai concentrato la fa divenire rosso bruna ; la mescolanza assai si scalda, e si gonfia sviluppando un fetido e soffocante odore, ma non solforoso, annerisce lortemente, e versata nell' acqua fredda la tinge in rosso profondo. L' acido idroclorico assai concentrato scioglie pure con calore la mentovata sostanza : dapprima la imbrunisce, spargendo un odore non tanto ingrato, quindi l'anne- lisce, ed alquanto scaldato il miscugho, e versato nell'acqua fredda la fa tutta nera ripiena di scaglie nere come carbonizzate. Assai rimarcabile si è 1' azione che 1 acido nitrico esercita sovra di essa : il risultato di questa reazione è sin- golarissimo, e ci porta a conoscere la formazione dell' ossido xantico con que- — U2 — sto mezzo, e come esso si possa produrre in alcune circostanze, presentando così ai chimici una nuova prova come le sostanze organiche possano mercè al- cune reazioni passare dall'una nell'altra, mostrando così il mirabile rapporto che tutto dì si verifica tra molte di esse per 1' aggiunta o diminuzione di una sola proporzione dei loro componenti. Se quindi sopra la detta sostanza viscida si versa dell' acido nitrico allun- gato a 1,100 in quantità presso a poco eguale, ai primi istanti del contatto la ingiallisce fortemente e la solidifica; ma tutto ad un tratto si manifesta una tumultuosissima reazione, la miscella si scalda oltremodo, si gonfia, boUe spon- taneamente e diffondesi in copia il gas nitroso misto di acido carbonico, che si conosce raccogliendo il gas nell' acqua di calce, rimanendo una soluzione di un superbo colore giallo aureo, che conserva tuttora quando la si diluisce in larga quantità di acqua. Questa soluzione è acidissima; saturata di ammoniaca non perde il colore, né si fa più carico, e non precipita l'acqua di calce, il che esclude la formazione dell'acido ossahco, per l' azione dell' acido nitrico sulla sostanza in discorso. La mentovata soluzione nitrica evaporata con precauzione fornisce dei bei cristalli gialli romboidali assai voluminosi. Questi sono costantemente acidi, deflagrano sui carboni accesi e sono solubiUssimi nell'acqua, insolubili nell'alcoo- le, e nell' etere. Evaporata la soluzione di tpiesti cristalli sino al secco, lascia un residuo di un bel color giallo cedrino che vieppiù si fa carico nel calore, e spingendo ancor più il riscaldamento imbrunisce, e con uno scoppio si distrug- ge. Siccome io pensava che la materia gialla formatasi per 1' azione dell' acido nitrico potesse essere separabile cogU ossidi metallici, poiché la vedeva solubile neU ammoniaca e nella potassa, versai dell' acetato piombico nella soluzione di essa, e vi aggiunsi dell'ammoniaca appena sufficiente a precipitare l'ossido, ma non osservai che un bianco precipitato, ed il liquore rimase tinto in giallo. La soluzione nitrica gialla evaporata addiviene eh color più intenso e raffreddata quando la si fratti coli' etere purissimo lo tinge in giallo aureo. Mi valsi di questo mezzo per tentare d'isolarla, ed agitata la mescolanza in un cristallo separava il liquore etereo superiore e lo distillava ; ma il residuo della distilla- zione ridotto a secco era acido dehquescente, scomponevasi nella maniera eh sopra detta. Era invece solubilissimo nell' acqua che fingeva in giallo, e che perdeva per intero coU' acido idroclorico, né lo riacquistava che coli' aggiunta dell' ammoniaca. Tali proprietà mi mettevano in grande pensiero onde cercare i mezzi per isolare la materia gialla risuhante dall'azione dell'acido nitrico sull'estratto — 113 — urinoso sovraccennalo. A quanto io osservava, questa sostanza dovea essere assai interessante, e tutti i caratteri ch'io notava si avvicinavano all'ossido xantico di Marcet, che egh molti anni sono discopriva. 11 bel color giallo aureo della soluzione nitrica, la sua solubilità sì negli acidi che negh alcali, 1' imbru- nirsi dt'Ua soluzione nitrica col disseccamento, ed il conservarsi sempre acidi i cristaUi risultanti dall'azione dell'acido nitrico, erano tanti argomenti che mi facevano credere eh' io avessi artificialmente composto l'ossido xantico, od una nuova sostanza ad esso assai vicina. L' analisi elementare eh' io feci della so- stanza tolta all' estratto orinoso, la sua composizione, e la perdita eh' essa fa del carbonio sottoposta all' azione dell' acido nitrico, avvaloravano i miei so- spetti , giacché come farò vedere, d passaggio della nuova sostanza da me an- nunciata a quello di ossido xantico, o materia consimile, non dipende che da una lieve aggiunta di ossigene e da una perdita di carbonio da questa reazione determinata. Ai tentativi di sopra accennati onde isolarla aggiunsi anche le ricerche dell' azione che avrebbero determinato suUa soluzione nitrica, la magnesia, e la calce purissima, non che il carbonato piombico", ma 1' effetto di queste so- stanze fu nullo, e la materia gialla o distruggevasi o rimaneva con questa di- sciolta. Non trovava però mezzo di isolarla se non usando quello di Liebig, cioè trattando la soluzione nitrica gialla con un Ueve eccesso di potassa e sot- toponendola ad una corrente di acido carbonico tenendola sempre raffreddata. 1 flocchi bianchi che si precipitavano con questo mezzo scioglievansi con su- perbo color giallo nell'acido nitrico, ed offrivano i caratteri che di sopra io ac- cennava, confermandomi cosi nell'opinione, che il risultato dell'azione dell'aci- do nitrico potesse essere l'ossido xantico, od una sostanza ad esso assai vicina. Considerando ora i risultamenti di queste mie ricerche si riconosce pria di ogni altra cosa che ima profonda alterazione è nata nell' orina, od in alcuni suoi principi!, tanto per la brusca evaporazione a cui la sottoposi, quanto per la sua lunga esposizione all' aria, ed alla luce solare. Da che devesi ripetere il color bruno nero dall' orina acquistato, la sua reazione acida, lo sviluppo del- l' odore orinoso particolare vieppiù forte, quando separata 1' uria trattava il liquore residuale colla potassa, e poi cogU acidi ? Da che devesi ripetere lo sviluppo notabile di ammoniaca nel liquore spoglio di uria quando lo si scal- dava oltre i 100 centigr., e che cogh acidi addiveniva invece fetido orinoso? A ninna delle sostanze organiche esistenti nell' orina recente dai chimici indicata, ne ai sali ammoniacah dei quali è stata completamente spoghata, par- Atexeo. Tom. V. io — 114 — mi che nessuno dei mentovati fenomeni debbasi attribuire. Si richiami quanto noi abbiamo detto di sopra, che la materia nera separata dall'uria, quantunrpie saturala di potassa reagiva costantemente nella guisa degli acidi, ed ora conoscia- mo come molte materie organiche hanno la proprietà di arrossare il tornasole quantunque non abbiano le altre essenziali proprietà degli acidi. Il color bruno nero poi da me osservato per l'evaporazione dell' orina, e per la lunga sua espo- sizione all'aria, sembra che ragionevolmente si possa ripetere dalla perdita di una porzione dell'acqua di composizione dell' uria, e da una sopracaricazione di carbonio, per la perdita di un po' di anmioniaca del carbonato ammonico di com- posizione dell' uria, che così tutte insieme cangiò le proprietà dell' orina evaporata. Lo sviluppo poi dell' ammoniaca mercè il riscaldamento, ad altro non puossi attribuire che alla decomposizione di una sostanza assai vicina al- l' uria, il di cui azoto ed idrogene reagirebbero insieme per formarla. L' uria è quella sostanza la più facilmente risolvibile in ammoniaca, acido carbonico, ed acqua, sotto certe influenze. Nel presente caso non esisterebbe 1' uria nel- l'estratto d'orina, attesa la sua precipitazione coll'acido nitrico, e la sua scom- posizione operata nelle nostre ricerche. Né i caratteri della materia nera a niun ■altra sostanza si ponno attribuire che alla Ostimela, mentre queUi che Bru- gnateUi a questa assegna coincidono coi nostri, eccetto che in quella dei calcoh da lui studiata non v' ha che un eccesso di materia mucosa, che a primo aspetto la farebbe da questa diversa. Dopo che ho potuto studiare questa sostanza spoglia perfettamente dei sali ai quali tenacemente aderiva, e che la trovava solubilissima negli alcali, e precipitabile dagli acidi soltanto in parte, io rimarcai sempre svilupparsi il fe- tido odore di orina corrotta, odore per nulla ammoniacale, ma tutto particolare caratteristico, che sino ad ora molti chimici confusero nell' ammoniacale. Col- I' ossido di rame ottenuto coUa decomposizione del nitrato io feci 1' anahsi della cistimela. Calcolava la quantità del carbonio dall'acido carbonico prodot- tosi per la decomposizione operata dall' ossido -, l' ossigene e l' idrogeue allo stato di acqua-, 1' azoto prendendo il di più della somma dei tre componenti a compire il peso della materia anahzzata. La composizione adunque della Cistimela sarebbe di Ossigene IS.IliO Idrogeue 3.o3>ii Carbonio 44,8750 Azoto ■ 34,4729 ' ■'■ - t 100.0000 — il5 — e la composizione dell' uria essendo di Ossicene 26,6300 Idrogene 6,6500 Carbonio 19,9700 Azoto 46,7500 ^ooToooò osservasi il singolare rapporto che hav^i fra questa e la cistimela, nella quale LI carbonio predomina sopra tutti gli altri elementi, superando in proporzione notabile quello dell'uria, ove trovasi in maggior quantità l'ossigene, l'idrogene, l' azoto. Nella costituzione chimica della cistimela osserviamo una mirabile semplicità di composizione ; sicché 1' uria che può venire rappresentata dal carbonato ammonico e dall' acqua, la cistimela invece sarebbe costituita quasi dalle proporzioni del cianogene, e dell' acqua, e questi potrebbero essere ri- guardati come i primi suoi radicali composti che la formano", per cui posta a confronto la composizione della cistimela con una eguale quantità di cianogene e di acqua, varierebbero di pochissimo le elementari proporzioni, cioè Cistimela. Ossigene -18,1140 j .^_, _Ossigene. . . . 22,2250 Idrogene 2,5381^ *'^°^* " " " —Idrogene. . . . 2,7750 Carbonio 44,8750 5 p,.„„ ^ _Carbonio. . . . 40,6730 Azoto 34,4729 < ^•"•«gene. . — ^^^^^ 34,3270 TooToooo 100,0000 Sotto 1' azione poi di agenti ossidanti, come sarebbe l'acido nitrico, la ci- stimela passerebbe in ossido xantico, come di sopra ho provato, acquistando dell' ossigene, e perdendo invece del carbonio, rimanendo 1' azoto nella sua proporzione. Ma siccome i sigg. Liebig e Wòheler considerano l'ossido xantico arido urico meno ossigeno, cosi sarebbe probabile che sotto particolari influen- ze e chimiche reazioni l'uria passi in cistimela, questa in ossido xantico, e questo in acido urico. La composizione di queste sostanze proverebbe la probabilità di questa supposizione. I'ru Clstimela Ossnio xastico Acido iiuco Ossigene. . 26.7300 48,1140 21,4200 26,3700 Idrogene. . 6,6500 2,5381 2,9500 2,1940 Carbonio. . 49,9700 44,8750 39,2800 40,3130 Azoto. . . 46,6500 34,4729 36.3500 34,4230 400,0000 400,0000 400,0000 400,0000 La supposizione che 1' uria passi in cistimela io la verificai facendo alcune — il6 — ricerche sulle concrezioni orinose nerastre che volgono alcune volte al rosso superiormente, che si scontrano sui muri degli angoli delle strade ove comu- nemente si piscia. Feci raccogliere di queste incrostazioni, le polverizzai, ed asciutte le trattava replicatamente coU' alcoole bollente di 0,8 3 o e ne ebbi un liquor bruno che fortemente arrossava U tornasole. Evaporava questo liquore a secco e lo trattava coli' etere purissimo, e così aveva la sostanza ricercata, che convertivasi in superbo color giallo trattata coli' acido nitrico puro nella maniera summentovata. E assai probabile che in questi luoghi per la lunga esposizione all' aria, e per la superficie clie 1' orina ad essa presenta, 1' uria si converta in cistimela, e questa passi poscia in ossido xantico pel successivo assorbimento dell' ossigene, e fonni quelle macchie di color rosso canella che quasi sempre si scontrano in tali situazioni. Da alcune ricerche che successi- vamente io feci parlili che si potrà giungere ad ottenere da queste incrostazioni anche l'ossido xantico. La bollitura di queste incrostazioni dopo il trattamento coU' alcoole eseguito coU' acqua di calce e con pochissimo acido nitrico dopo feltrato il liquore mi diede coli' evaporazione di esso, che era un pò appena acido una polvere rosso bruna, che addiveniva giallo ranciata trattata a caldo coli' acido nitrico concentrato sciogliendosi in esso e lasciando il residuo giallo colla successiva disseccazione. Per ispogliare questa polvere da ogni traccia di acido urico io la lasciai in digestione per molto tempo nell'acqua di calce assai allungata. Annuncio soltanto come principio di altre esperienze queste mie ricerche, che forse più studiate riceveranno un maggior sviluppo. Se, o Dottissimi Colleghi, queste mie poche ricerche ponno riuscire di qualche utilità per la chimica organica, io vi prego ad accoglierle come una nuova testlmonianaa di quella affezione che a voi tanto mi lega, e come una non indubbia prova, che frammezzo a tante e sì aspre cose che mi tengono di continuo oppresso, io non mi sto inoperoso, ma stommi sempre occupato in quella scienza, che sempre mai fu 1' unica cura de'miei pensieri, e che sempre sparse, e sparge di lieti ed innocenti conforti le incessanti angustie di mia vita. GONSIDERiZIOM SOPRI LIlBRMOHIil E IL TAGLIO CESAREO MEMORIA DEL DOTTOR M. ASSON. 5i presentano pur troppo al pratico o de' casi tristissimi nei quali, stante alcune alterazioni ed ostacoli congeniti o accidentali delle parli geni- tali molli o deUe ossee della donna, addiviene sì angusto il passaggio del feto dair utero al di fuori che, quando sia questo pervenuto al termine di sua ma- turità, e non abbia per avventura un difetto notabile nel suo sviluppo, torna impossibile ch'egli esca alla luce non solo per le semplici e naturali forze della donna, ma anche mediante le più bene acconce e appropriate operazioni chi- rurgiche con la mano, o cogli strumenti. In somiglianti casi non riman- gono a quest'ultimo che mezzi dolorosissimi e sanguinosi: ciò sono (per non dire della sinfisiotomia, eh' è operazione incerta negli effetti suoi, ed inu- tile ne" casi di somma angustia delia pelvi) lo smembramento del feto, e l' in- cisione del ventre materno affine di aprire a questo una via arfifiziale, dappoi- ché stante la sua sproporzione assoluta o relativa con le naturali, o gli impe- dimenti da queste oppostigli, non è potuto uscirne, od esserne con la forza estratto: mezzi, io diceva, ambedue dolorosissimi sanguinosi estremi, il cui efletto dubbio essendo pur troppo, e sovente funesto, corre con la vita dei due individui un grave rischio, la riputazione delfostetricante; al quale però, quan- do siasi governato secondo i più sani e ragionevoli precetti della sua arte ri- mane, in ogni evento, il conforto di una coscienza pura illuminata e tran- quilla. Senonchè. intorno alle mentovate due operazioni l'Embriotomia e il ta- glio Cesareo e la preferenza da darsi negli accennati casi all' una ovvero all'ai- — Ì18 — tra, una grave questione tenne divisi gli ostetricantl, e con vivi e caldi ragiu- namenti d'ambidue i lati si agitò nelle scuole. Dicevasi, da una parte che, essendo vivo il feto, non è giusto il distrug- gere un essere sensitivo che ha diritto alla vita, perchè fosse alia madre rispar- miata una grave e pericolosa sì, ma non assolutamente mortale operazione, quale è la gastro-isterofomia. Dall' altro lato, esagerandosi forse la gravezza di quest'ultima, tenuta per quasi assolutamente mortale, si allegava dovere anteporsi la morie d'un essere ignoto al mondo, privo di affetti, d' incerte speranze, vivente una vita può dirsi intieramente vegetativa, a quella di un altro pur sensitivo al dolore, atto a percepire l' idea del pericolo, soggetto al terrore, già noto al mondo, e le- gato a questo per sacri e soavissimi affetti ; in somma ad una tenera sposa, ad una madre: e dietro siffatte considerazioni si scorgevano alcuni chirurghi com- mossi alla pietà della donna, torcere crudelmente il ferro contro un feto vi- vente, e lacerarne le tenere membra. Una siffatta questione pure estendevasi al caso di parto impossibile per mostruosità o sviluppo eccessivo di un feto. Sostenevano alcuni, che ninna legge autorizza a spegnere di ferro un essere vivente, quantunque mostruoso e male conformato, del quale non è incerta la vita, nò manchevole la speranza d' un successivo incremento, essendo parecchi gli esempi, poni caso, di feti doppii, cresciuti benissimo fino all' adulta età. Altri ponevano in campo -, a qual prò eseguire, in siffatti casi sgraziatissimi, operazioni sanguinose sopra la madre? E perchè posporre la vita di donna adulta e bene conformata e svi- luppata, a quella più vegetativa che animale, più precaria che certa, più vacil- lante che ferma d'un mostro? Quale compenso a' gravi patimenti dalla mede- sima sostenuti alla vista di un essere ributtante che le farà sentire acerbissima la vergogna, e crudele il dolore dell'essere madre? In mezzo alle quali dispute sull' operazione da preferirsi allora quando si tratti di feto vivente, pochi erano i chirurghi che, nel caso di feto morto o mostruoso, non consigliassero di appigliarsi allo smembramento di esso, quasi che fosse questa un' operazione securamente innocua per la madre, o meno grave e nocevole del Taglio Cesareo. Intorno al quale argomento ciò che si debba realmente pensare mi sono proposto di venire colla maggior possibile brevità esaminando. E innanzi tutto, facendosi a considerare la cosa a priori non sapremmo bene dire donde avvenga il grave pericolo e la quasi assoluta mortalità che si — 119 — attribuisce da alcuni al taglio Cesareo. " La ferita (ilice Velpcau) che bisogna •1 eseguire sulle pareli addominali è per verità mollo lunga, ma le parti com^ » prese in essa sono di poca rilevanza. Non ci ha grosse arterie o vene da ri- " sparmiare. Si ferisce il peritoneo, ma facile torna lo evitare gli organi dige- " stivi: d'altro canto è noto che gli sventramenti più larghi e complicati, e le " ferite penetranti d' ogni spezie nel ventre, possano indurre legge'ri accidenti, n Ne' casi d' ernia si apre senza timore la sierosa membrana addominale, ri Oltreché 1' utero è dotalo di poca irrilabililà e tendenza ad iuGammare, es- n scudo invece dispostissimo alla cicatrizzazione: che la ferita in esso istituita, r> prima larghissima, riducesi a soli quattro quinti, o cinque sesti, cessando n afTalto r emorragia. Infine, con alcune agevoli precauzioni s' impedisce il n versamento dell'acqua dell'amnio e d'altri fluidi nella cavità addominale. -■> Aggiungi a tutto questo che le operazioni proposte ed eseguile a' nostri tempi sopra l'utero, l'asportazione del collo di questo e di porzione del corpo per vizio canceroso, e quella di tutto l'organo, stata praticata dal celebre Paletta in Italia avanti che alcuni stranieri la proponessero o mettessero ad esecuzione, dimostrano potersi con assai minor danno o timore istituire in esso una semplice e regolare incisione per liberarlo dal prodotto del concepi- mento, che altrimenti non possa esserne estratto. Chi poi volesse dimostrare a posteriori, cioè coi fatti registrati negli annali della scienza alla mano, la pos- sibilità che questa operazione riesca a buon termine, non la finirebbe più mai. L' aggiungere nuovi fatti a quelli che sono già conosciuti sarebbe, come dicesi, un voler portar vasi a Samo e gufi ad Atene. Ad Ambrogio Pareo, pe' tempi suoi, era lecito il divietare questa opera- zione per tema dell'emorragia derivante dall'essere 1' utero gravido zeppo di sangue, e pel timore che tale organo, nelle successive gravidanze, non si lasciasse «juanto bisogna distendere stante la cicatrice derivante dal taglio. ■-, •: • : ;.:-.' Si potevano, per somiglianti ragioni, menar buone al Marchant le severe opposizioni che mosse al celebre Rousset a questa operazione inchinevolissi- mo, e le satiriche poesie, di cui gli piacque ancora di farlo segno, attribuire ad un vivo zelo ed amore all' umanità ed alla scienza. Ed altre opposizioni ven- nero pur mosse all'operazione cesarea da Guillemeau, Moriceu, Peu, e Dionis, ma oggimai le molte operazioni cesaree siale eseguite in tutte le parli del mondo mostrarono quanto leggere dovessero reputarsi siffatte opposizioni; sicché quelle satire e quelle contumelie potrebbero oggidì tornare a danno dei Marchant e di quelli che ne difendessero ancora e sostenessero la sentenza. — i20 — Già perfino dalle ricerche (più storiche di quello che scientifiche o prati- che) del sig. Simon intorno Toperazione Cesarea stampate traile memorie del- 1 Accademia reale di chirurgia francese si rilevano manifestosissimi alcuni casi m cui tale operazione fu praticata più d'ima volta nella stessa femmina, senza che ne derivasse giammai la morte. E molti de' detti casi, se non tutti, sono autentici, perchè 1' accademia francese si prese la cura di voler confer- margli : che se pure in essi non vogliasi porre tutta la fiducia, si creda a quelli riferiti nelle opere de' Sigg. Micheli, Boudelocque, Louverjat, Darisse, Bacqua ecc. Egli è noto che di io6 casi di tale operazione riportati dallo Sprengel 60 riuscirono a buon fine-, di 98 riportati in una sua memoria dal Boudelocque, più di un terzo furono seguiti dalla guarigione. Quest' ultimo, nel suo trattato di ostetricia, riporta il caso di Fritz nel quale la lesione pro- dotta da una cornata sul ventre di donna gravida essendo stata aggrandita mediante un bistorino permise 1' estrazione del feto con successo felice. Un somigliante fatto venne indicato da Naudot -, e ci ha pur esempii di taglio cesareo felicemente eseguito per lacerazione dell' utero. Chi volesse rischiarimenti su tale soggetto non ha che a leggere 1' articolo riguardante l' operazione Cesarea nella celebrata Tocologia dell' erudito Vel- peau. Si troverebbero qui molli casi infelici contrapposti al fortunati. Ma quale grave operazione chirurgica non ne offre mai e degli uni e degli altri ? D'altro canto gl'infelici esiti, da cui fu seguita una siffatta operazione in In- ghilterra, dipende, a parere dei Signori Halt e Burns da ciò che non la si suole mai praticare fuori che nei casi più disperati, mentre nel continente con più sollecitudine e coraggio vi si ricorre. La quale opinione confermerebbe la sen- tenza del sopra lodato Velpeau, che la sezione Cesarea riesca si grave non tanto per sé medesima quanto per lo stato particolare in cui si trovano le donne allorché vengono sottoposte all' operazione. Se si passasse ad operare tosto che l' indicazione fosse ben manifesta non aspettando che la donna siasi sfinita in gravi sforzi, e 1' utero caduto nell'inerzia e prossimo ad infiammarsi, se non é pure di già infiammato, e la peritonitide, e 1' enteritide di già inco- minciata od insorta, e la vita già posta a grave pericolo, l' operazione Cesarea riuscirebbe di certo meno di frequente mortale, che non siasi finora osservata. E somigliante all' esposta è la sentenza del Capuron, il quale dice che r operazione cesarea, lunge dall' essere in ogni caso micidiale, offre al con- trario un mezzo sicuro onde salvare sempre il feto, e molte volte ancora la madre*, e forse anche, allorquando riuscì mortale a questa, ne fu cagione, — 421 — piuUosloclK' la lesione ilfllc parli sopra le quali s'isliluisce, la morbosa dispo- sizione delle medesime, o di lutto Tindividuo, come T erettismo e l'infiamma- zione deir utero, lo spossamento e la prostrazione che seguirono al penoso travaglio, in ispezie se prolungato. Resta adunque statuito che, nei casi in cui sia possibile il misurare i diametri del catino, se si ritrovino questi alP estremo grado di ristrettezza, ovvero l' inutilità delle altre operazioni colla mano e cogli stromenti la fac- ciano desumere, o abbiaci altro ostacolo insuperabile, né si presenti una chiara e bene decisa indicazione per la sezione del pube, debba l'ostetrico por mano al taglio cesareo colla maggior possibile prontezza, e preferirlo ancora, quantunque il feto sia morto, ali embriotomia ^ la quale operazione sono ben lunge dal riguardare siccome innocua alla madre, e men grave e pericolosa del taglio cesareo. Per dimostrare la qual cosa domanderò in primo luogo, se in tale angustia del canale per cui deve passare il feto onde uscire alla luce, con 1' utero sopra questo, dopo lo scolo delle acque, addossato e contratto, sia mai possibile r operare tutti i maneggi cogli strumenti taglienti, che necessitano ad ismem- brare il feto -, e non destare in quel viscere una grave irritazione e se non sempre lacerarlo e romperlo, per certo gravemente contunderlo ? Chi non pre- ierirebbe a priori na taglio regolare di 4 in 5 pollici sopra un organo vivente da compiersi in quanto lo si dica, a dei lunghi stentati e sovente di necessità ciechi maneggi che lo stirino lo ammacchino e vi rechino violenze incredibih, con rischio eziandio di ferirlo e tagliarlo cogli stromenti introdottivi a fine di operare sul feto? Sanno tutti come sia un sano ed ottimo precetto della chi- rurgia operativa il jireferire sempre le regolari incisioni sulle parti viventi alle ammaccature, alle distensioni, alle lacerazioni. E siamo poi sicuri di poter riu- scire nello intento di sminuzzare le parti d' un feto di guisa che se ne possa compiutamente liberare l'utero della madre? Questione ch'è lecito il proporre a chi conosce dei casi malaugurati d' alcune donne le quali vennero a morte con entro all' utero il feto, che non fu potuto estraiTe malgrado i lunghi ed inutili maneggi operativi cogli strumenti taglienti. Per a\Talorare le anzidette ragioni supponiamo che, in un caso di somma angustia del catino, debbasi eseguir 1' operazione dell' embriotomia presentan- dosi il feto traversalmente con un braccio fuor della vulva. Converrà prima disarticolare il braccio-, poscia aprire la cavità del torace e del ventre e svisce- rarlo: poi andare in cerca de' piedi, tirarli in vagina ed estrargli. Pongasi che, Atf.>f,o. Tom. V. 46 122 continuando i maneggi, siasi potuto estrarre tutto quanto i! torace, e siamo al capo. Questo si presenta allora per la base del cranio; la parte meno compres- sibile e riducibile di esso, che non scemerà perciò di larghezza e, ad ogni tira- tura sul tronco, resisterebbe, di forma che quello potrebbe slaccarsi ed essere estratto solo, rimanendo la testa staccata nell' utero. Ognuno s' av\ede in tal caso la somma difficoltà che ci avrebbe, in un catino angustissimo, di poterne liberare la donna, praticando la cefalotomia per vuotare, frangere e comprimere ed estrarre una testa di feto nella condizione indicata. Che, se il tronco non è staccato da essa, ognuno parimenti vede le molte difficoltà di poterlo estrarre. Quanto al forcipe, sarebbe inutile il ricorrervi, perciocché se suppongasi un caso in cui l'angustia della pelvi divieterebbe l'uso di tale stromento quand' anche il capo si presentasse pel vertice, tanto più sarebbe impossibile lo adoperarlo in tale circostanza in cui il tronco già uscito, e la presentazione della base del cranio incompressibile, aumenterebbero le difficoltà. Si dovrebbe adunque in- dursi ad applicare gli strumenti taglienti sul!' occipite o sulla fronte, e le cor- rispondenti suture, aprire il cranio, vuotarlo, schiacciarlo, e compiere come che sia 1' estrazione : cose tutte belle e facili a dirsi ; ma credere di eseguir- le senza danno gravissimo delia donna, non potrebbe sicuro chi ha fiore di senno. Egli è appunto ad evitare tah crudehssime operazioni sul capo che r Osborn porgeva il poco sano consiglio di aspettare per 3o ore, affinchè la putrefazione avesse il tempo di separare 1' uno dall' altro i pezzi ossei del cra- nio. Talché i pratici, aggiunge qui il sig. Capuron, dubitano se non giovasse megUo, in tali circostanze, eseguire il taglio cesareo o la sinfisiotomia per estrarre la testa e compiere il parto. Fui testimonio io medesimo, in uno sgra- ziato caso, della somma difficoltà che in somiglianti circostanze, presenta 1' e- strazione della testa. Trattavasi di donna assai deforme e gibbosa, con la pelvi ristretta nel mas- simo suo grado : la quale, essendo venuta al parto con la presentazione del feto per la testa, si voleva procedere al taglio cesareo da un giovane chirurgo, cosa che da un vecchio pauroso pratico che più non è, fu divietata. Intanto il cordone ombelicale essendosi fatto precidente né più pulsante, né avanzan- do la testa per la somma angustia accennata dal bacino, 1' ostetricante si diede prima ad applicare il forcipe ordinario, e poscia il cefalotribo del Boudelocque ; ma inutilmente. Trovandomi io presente al caso funesto aveva consigliato l'uso del cefalotomo e lo svuotamento del cranio. Ma si volle invece tentare il ravvolgimento : e nel vero, con molta destrezza, giunse l' operatore ad affer- — J23 — rare i piedi, portarli in vagina ed estrarli, e lo stesso fu dal tronco fino al capo. Ma questo fu impossibile estrarre, e le tirature sul tronco, a ciò rivol- te, ne lo slaccarono rimanendo la testa nell'utero. Per estrarre anche questa fu necessario il rivolgerla si che presentasse, anziché la base, il vertice : quindi applicatosi il cefalotomo, dopo averla fermata con una mano attraverso le pareti addominali, vuotarla, afferrarla e cavarla fuori : il tutto con tali difficoltà che non saprei dire le maggiori: né corsero molli minuti dall'operazione che r infelice, dopo l' estrazione della placenta, spirò. L' autossia del cadavere appalesò 1' utero sanissimo, e scevero da ogni lesione, e pare che la misera non resistesse a' lunghi e dolorosi maneggi pra- ticati per liberarla, e morisse come dicesi per esaurimento del principio d'in- nervazione e delle forze vitali. Del rimanente io credo che se si tenesse conto, e si pubblicassero di sif- fatti casi tristissimi, si vedrebbero chiari i pericoli e i danni che, in somiglianti circostanze, derivano alla madre dalle operazioni eseguite sul feto: e qui mi varrò dell'autorità d'un pratico nostro dottissimo, l'ottimo Professore Rima, il quale, essendo stato testimonio degli orribili strazii delle misere donne in un feto morto riesce quasi tanto nocevole per la madre quanto la gastro-iste- " rotomia. n II Duges nell' articolo riguardante il taglio cesareo del Dizionario di Medicina e Cliirurgia pratica parla della Cefalotomia ne'casi in cui si possa risparmiare il taglio cesareo; ma dell'embriotomia non fa pur cenno. Il Boudelocque, in proposito di feti mostruosi, e delle operazioni da ese- guirsi in tal caso, si esprime cosi. « Se conoscessimo la storia di tutte le don- « ne che sono state sottomesse all'operazione cesarea, e di quelle di cui sono y> stati smembrati i feti cogli uncini e altri stromenti di questa specie , forse r> vi noteremmo che la morte in un simil numero, ne ha meno risparmiate di » queste ultime (cioè delle operate colla embriotomia), che delle prime, n E il Capuron. « Questa operazione, cioè V Embriotomia^ una delle più n terribili che si conosca, non può paragonarsi alla perforazione e diminuzione « del cranio, gì' inconvenienti della quale sono quasi nulla per la donna. Si ri- « scontrarono (dicesi) bacini che avevano la sola larghezza di 1 5 in 1 8 linee, » ed altri solamente di un mezzo poUice, dall' innanzi all' indietro. Ora, come » concepire che siasi potuto, in siffatte circostanze, dismembrare il feto ed n estrarlo a brani, senza compromettere la vita della donna, e darle morte? ■.■: Gli annali dell' arte offrono parecchi esempi tli cpiesta orribile opera- li zione, in cui le donne soggiacquero immediatamente o poco dopo. AU aper- « tura del cadavere, si rinvenne la vagina in alcune, e la matrice in altre, gua- ri state e squarciate, e talora perfino le intestina protendevano fra le carni la- n cerate del feto. Ma qual altro risultamento si può sperare dai ferri taglienti , 5'. quando si ha la temerità d'introdurgli all'avventura nella matrice, in cui rie- ri sce impossibile penetrare colla mano per guidarli I Gjusideraado beoe ogni — 127 — n cosa, l' operazioao cesarea non sembrerebbe aduaquc meritare la prel'erenza -> siili' embriotomia ? » E il Velpeau. <■-■ L'embriotomia... era frequentemente posta in uso dagli antichi i (piali ■■1 non avevano altri mezzi da adoperare, oppure non confidavano abbastanza » nelle risorse dell'organismo-, ma ai nostri giorni il forcipe, la leva, il rivolgi- n mento, la sinfisiotomia, e la operazione cesarea, giustamente estimate nella n loro importanza rispettiva, rendono l'embriotomia quasi affatto inutile. Per « conseguenza essa non è praticata, al presente, di tratto in tratto , altro che ;) da alcuni mediconsoli di campagna , ignoranti così dell' ostetricia, che diso- n Dorano coUa loro disadattaggine, come delle più semplici nozioni degli altri 1 rami di medicina ». Ma per tornare al primo proposito. Dimostrato avendo io più sopra con le ragioni e colla autorità alla mano, non essere punto l'embriotomia un'operazione scevera di pericolo per la madre, anzi più grave assai e pericolosa, almeno nel maggior numero di casi, che la gastro-isterotomia, parrebbe vana cosa il discutere se, avendoci la sicurezza della morte del feto, non debbasi ne' casi di somma angustia al passaggio del feto preferire la prima alla seconda. Imperocché , morto essendo il feto, ogni chirurgico tentativo è diretto certamente alla salvezza, quando sia possibile, della madre. Ora se l'embrioto- mia è operazione tenuta da'migliori pratici da sbandirsi dalla pratica dell'ostetri- cia, eziandio per riguardo a' pericoli e alla quasi inevitabile morte cui espone la madre, ne deriva spontanea la conseguenza che (tranne i pochi ed eccezio- nali casi in cui si può avere ricorso alla sinfisiotomia) la gastro-isterotomia o taglio cesareo, presentò 1' unico mezzo di salvamento. Comprendo che questa proposizione farà rabbrividire molti in cui un insuperabile vincolo agli antichi pregiudizii, o una riprovevole ostinazione, ten- gano le veci di ragione e di convincimento. E per questi, non avendo gli argo- menti per quanto giusti ed energici, ninna forza, ho in pronto fatti e citazioni. Non è certamente opera recente , ma spetta fino allo scorso secolo , la Memoria del signor Smion, già sopra citato, intorno 1' operazione cesarea. Ed in tale Memoria si riportano parecchi fatti, più antichi ancora della Memoria , in cui si praticò la detta operazione, con felice successo, essendo morto il feto. Due di queste storie sono ricavate daU' opera del Rousset. NeU' una si tratta di donna, sopra la quale si praticò l'operazione cesarea l'aimo i5y6, — 428 — estraendone un feto morto e corrotto. Indi a qualche tempo la donna di bel nuovo ingravidò, e partorì un feto vivente per la via naturale. Nella seconda, che fu tratta da una lettera scritta dal Vertuniano allo stesso Rousset, si tiene parola di una donna il cui bambino arale da lungo tempo morto nell' utero. Non fu possibile estrarre il bambino né coli' uncino né con altri stromenti: onde i chirurghi ebbero ricorso al taglio cesareo. Ap- pena inciso l' utero, ne disgorgò molta materia fetida, e quantunque 1' estra- zione del feto riuscisse stentata e dolorosa per la troppo angusta incisione , tuttavolta indi a cinque settimane la femina risanò, e partorì felicemente dopo tale operazione cinque bambini. Il de la Motte riferisce la osservazione d' una donna che da tre giorni sosteneva le doglie del paito, ed il bambino presentava il braccio. La levatrice, nel volerlo levare, strappò il membro che procedeva. Ac- corso un chirurgo , e accortosi della difficoltà di compiere il parto, praticò il tagho cesareo, estraendone vm feto morto. Nella piaga, stata negletta , soprar- ri^ ò la cancrena, e tuttavolta la donna guarì. Lasciando un fatto rassomigUante agh esposti, in cui l'operazione cesarea lu eseguita dal sig. Nodier, con l'estrazione di un feto morto, è notabile 1' al- tro stato confermato con autentiche prove in cui il taglio cesareo venne prati- cato da una levatrice, sotto gh ordini di un medico nominato Micìdel, nel set- timo giorno dacché avea incominciato il travagho, essendo stata prima tentala l'applicazione degli uncini e la stessa embriotomia. La guarigione anche in tale caso fu compiutissima. E infine riferirò la storia stata comunicata all'accademia dal sig. Presseau, medico a Spa, intorno ad un parto nel quale il feto, riconosciuto per morto, presentava il di dietro, siccome trovasi espresso nella Memoria. Avendo il Chi- rurgo sig. De-Blierre tentato invano di rivolgere il feto con maneggi ch'ebbero la durata di i8 ore, propose l'operazione cesarea. In questa fu punta a bella posta la vescica orinarla perchè distesa e dilatata cuoprìva l'utero, e pare che sia stata offesa, sebbene leggermente, qualche porzione del tubo intestinale poscia- ché, dopo tre settimane, sgorgò dalla piaga non piccola quantità di materie fe- cali, allorquando il chirurgo si die' a togliere i punti della cucitura praticatavi. Inoltre l'operazione, come si può rilevare dall' esposte circostanze, fu eseguita da un male esperto chirurgo, e con un ferro poco affilato, dacché l'inferma di- ceva a quello durante l' incisione della cute e dei muscoli, che il suo coltello tagliava poco, e in fine, quando fu intrapresa l'operazione, la donna era in tale — 129 — condizione chejaceva temere per la sua vita. E tuttavolta essa risanò, e par- tori dopo due anni naturalmente. Che se alcuno non volesse accordare la maggior fiducia a' fatti sopra rife- riti, o non istimano di valutarli grave cosa, per questo che, colpa gh scarsi lu- mi d' allora nell' ostetrica scienza od arte, non si posero ad opera con ordine a regolare tutti li mezzi che questa somministra oggidì al pratico innanzi ri- correre a tale rilevantissima operazione, né furono esattamente le indicazioni determinate, pur converrà che qualunque abbia fiore di senno, e s' intenda un aiicohno di logica, ne arguisca che, essendo pur morto il feto, possa venire operato il taglio cesareo salvando la madre; alla quale conclusione dovevano per verità condurre agevolmente anche quei fatti, ne' quaU colla medesima si estrasse un feto vivo, restando pur viva la madre : conciossiachè, morto o vivo che sia il feto, l'operazione non muta natura, né cresce o scema in gravezza per riguardo alla madre. Ma sirc(jme non è facile il farla bene intendere a tutti i cervelli , citerò , oltre gh addotti fatti, I' autorità di alcuni tra più celebrati autori d' ostetricia dei nostri giorni, i quali nello statuire le indicazioni pel taglio cesareo, non si fanno grande scrupolo di praticarla quand' anche sappiasi morto il feto, e sono bene lontani perciò dal porre la morte di questa tra le contro indicazioni al- l' operazione di cui ci occupiamo, siccome conosco venir fatto da qualche rozzo ed ignorante istitutore; che Iddio preservi ogni partoriente dalle sue ma- ni, ed ogni galantuomo da' suoi giudizi!. Il Duges ammette che si possa eseguire l' operazione cesarea, a feto mor- to, quando lo stretto superiore abbia l'ampiezza minore di i 5 in i 8 linee, né il feto sia tanto anunollito dalla putrefazione che si possa assottigliare e divi- ilere lacilmente. Già indicammo, citando in proposito dell'embriotomia i pensamenti dei signori Boudelocque e Capuron, quale sia 1' opinione loro per riguardo al ta- glio cesareo, eziandio a feto morto. Ma il Velpeau (con molla ragione a nostro parere) va raClto più innanzi. Infatti egli pensa che, quando il minor diametro del bacino presenti una estensione minore di 1 2 a 1 5 Unee , che il feto viva ancora o sia morto , il taglio cesareo, sia il solo mezzo di salvezza che possa essere proposto alla ma- dre. Ma quando il detto diametro offra dalle i8 linee ai due pollici, si debba cerhifiienle eseguire la stessa operazione, se il bambino sia vivo. Egli però propone il dubhiu che in tal caso possa convenire il taglio cesareo, quand'anche il feto Ateneo. Tomo V. 47 — 130 — sia morto. « Si è eseguito (dic'egli) tante volte quasi' operazione non estraendo n che un feto morto, che lice fare pure tale questione. Merinann ne cita io casi n in 2.5, ed io uè trovo una dozzina di esempii da i 5 a 20 anni in poi. •■■> E va più innanzi ancora. « Finalmente (soggiunge) può darsi che faccia d' •■■> uopo ricorrere a quest'operazione, quand'anche v'abbia due pollici e mezzo, o » tre pollici meno un quarto al minore passaggio, se il forcipe, il rivolgimento o n la sezione del pube sono stati (notisi bene) ritenuti inutili o tentati indarno. « E qui vedesi come il celebre autore Francese, senza insistere sulle ri- sultanze della misurazione del catino (l'incertezza delle quali abbiamo indicato), lasci all'aibitrio, al criterio o alla coscienza del pratico il far ricorso a tale ope- razione; e consideri che questi sia bastevolmente autorizzato a praticarla dal- la vana riuscita di altre operazioni. Ma (continua egli) si può essere chiamati in circostanze molto piìi imba- I azzanti; e qui egli espone un fatto pratico del seguente tenore, che io riporto con le sue parole medesime. « Ad alcuni tentativi di rivolgimento e di applicazione del forcipe era « succeduta un' ampia rottura utero-vaginale. Il bacino era ristretto. Il banibi- n no presentava la faccia ed aveva cessato di vivere. La vulva, la vagina e tutte n le parti contenute nel bacino erano talmente in6ammate, gonfie, indurite, man- » cava tanto poco che la matrice si staccasse dalla vagina, e la donna era così r> indebolita che non la si avrebbe cangiata di posizione senza esporsi a vederla ;■> perire immediatamente. Si doveva rinunziare in tal caso a compiere il parto e •■1 si doveva lasciar perire la donna, oppure faceva mestieri operare malgrado uno 51 stato così disperato? Mi sono deciso a quest'ultimo partito contro il sentimento r> di parecchi colleghi, coli' approvazione di alcuni altri in presenza delli sigg. « Maygrier, Moulin, Halmagrand e Biutot. La donna soggiacque poco tempo » dopo, e tuttavia persisto a credere che la coscienza suggerisca di seguire r> tale condotta. » Ora grideremo noi la croce addosso a questo autore ed alla sua coscienza ? L'accuseremo noi di omicida perchè, in sì disperata situazione, senza misura- re la pelvi, ha eseguito il taglio cesareo a feto morto? Invece chi non iscorge- rebbe, dopo le cose discorse, la poca ragionevolezza e la nociva giustizia di una imputazione siffatta ? Suppongasi ora che, venuta una donna al parto dopo 36 ore di trava- glio, non abbia potuto sgravarsi: sopraggiunge uno di quegli accidenti che- jnuover deve il chirurgo ad accelerare il parto. La donna era primipara, in età — 131 — inatiiia e zoppicante. Si presenta la testa. Si applicano sopra questa da parecchi ostetricanti il forcipe ordinario, il cefalotribo, il cefalotomo, l'uncino acuto, ma nulla vale ad estrarla stante la ristrettezza o assoluta o relativa dei diametri del bacino. Si tenta il rivolgimento; ma la condizione indicata del catino impedisce alla mano il poter giungere ai piedi e si estrae invece un braccio fino alla spal- la. La donna cade in una tal sincope onde si tiene per quasi morta, e la si ab- bandona aspettando se mai se ne reintegrasse. E in fatto i polsi si rialzano; la vita par ritornare. Si fa ricorso allora ad altro chirurgo. Questi trova il braccio fuor della vagina fino alla spalla con le parti genitali molli, si gonfie e dolenti che non può inoltrare nemmeno le dita, non che la mano ed il braccio o gli stromenti. La donna non è spenta di forze, ma in istato gravissimo: che per- fino sarebbe stato pericoloso il porla in quella situazione eh' è necessaria per le operazioni rivolte ad estrarre il feto dalle vie naturali. A qual prò in tale stato di cose il darsi pazientemente alla misurazione dei diametri della pelvi ? D' nitro canto i vani tentativi degli altri ostetrici non dovevano essere valida prova della viziatura di questi? Più: qualunque operazione che non fosse stata sicu- ra, decisiva e celerissima avrebbe esposto l'ostetricante al pericolo di vedersi perire la donna durante i maneggi diretti all' estrazione del feto. Si doveva ten- tare la sinfisiotomia nell'incertezza circa lo stato della pelvi, nell'assoluta im- possibilità di misurarla, in donna primipara nella raaturezza degli anni, e quin- di colle sincondrosi indurite e resistenti al coltello : operazione alla quale si sarebbe poi ad ogni modo dovuto farne seguire un'altra per le vie genitali, eh' erano nello stato indicato già prima ? Che rimaneva dunque a fare, e a quale partito appigliarsi ? O lasciar sta- re la donna cosi esposta a sicura morte, che sarebbe certamente stata follia dr)po le cose avvenute, ed essendo il feto posto in situazione trasversale aspettare iiiun esito dal lato delle naturali forze : ovvero aprire al feto, quantunque mor- to, una via artifiziale colla incisione del ventre, praticando l'operazione cesa- rea. Sarebbe forse paruto pili conveniente ad alcuni il lasciar quietamente pe- rire la domia che sottoporla ad un'operazione sì grave. Ma, in nome del cielo! Non si hanno storie nei fasti dell'arte, e non ne abbiamo alcuna già riportata, di alcune donne che tormentate per lunghe ore con ogni specie d'operazione per compiere il parto, e ridotte già a gran pericolo della vita, hanno potuto pure es- sere scampate da morte? D'altro canto, qual operatore può vantarsi di possedere la bilancia della vita e della morte, a fine di ])esare e valutare l'attitudine, o non attitudinech'abbia un individuo a sostenere una grave operazione? Il gridare poi — i32 — air uccisore verso il chirurgo che, nel caso supposto, fosse stato indotto dalla propria coscienza a tentare quel solo mezzo che gli rimaneva a tentare, per questo solo che il feto era morto, sarebbe stato, dopo le cose già sopra discusse, un gridare non da uomo esperto dell'arte, ma da stolido e schernevole empiricuzzo. Questo chirurgo che, levandosi ogni maschera, si dichiara per lo scrivente, si trovò dopo compiuta 1' operazione assai di quanto aveva operato pago nella coscienza : la quale, a ripetere 1' espressione del francese tocologo, sarà sempre ne' somiglianti casi, per suggerirgli la stessa condotta. — E solo, quando sia riconosciuta alcuni mesi avanti il termine della gravidanza tale una deformità del catino che sia irragionevole ogni speranza che un feto compiutamente maturo lo attraversi, sarà preferibile il tentare il parto antecipato, mediante la metodica preparazione e la meccanica dilatazione del collo uterino, o la perforazione del sacco dell' amnio, o infine la forzata dilatazione della vagina , secondo che più opportuno si reputi: nella quale pratica oggimai quasi tutti gli ostetrici, malgrado l'opposta opinione, si accordano. Posto adunque che l'ostetricante sia chiamato in un caso di estrema angu- stia del catino, quando il parto sia già incominciato, e si possa a priori., e do- po alcuni vani tentativi, giudicare impraticabile ogni operazione diretta ad es- trarne il feto per le vie naturali, io conchiudo : essere conforme alla ragione, all' esperienza, all'opinione e alla pratica de' mighorl ostetrici, il preferire ne' più de' casi all'embriotomia il taglio cesareo. Doversi quella risguardare in generale più dannosa che questo alla madre 5 la prima dlstruggitrice e sicuramente mi- cidiale ad uno de' due individui, la seconda qualche volta di due vite efficace preservatrice: tanto più quando la si pratichi a tempo, cioè allorché il parto, sia da più giorni incominciato, e de'lunghi e rozzi maneggi non sieno già stati messi ad opera affine di compierlo e condurlo a termine. Questo ammesso, tacerà la garrula questione che ha per tanto tempo assordate le scuole, se debbasi, vi- vendo il feto, uccidere o porre a grave pericolo la madi'e col taglio cesareo per salvare questo ultimo, o lui coll'embriotomia uccidere per salvare la madi-e; alternativa che faceva gelare il sangue all'ostetricante e lo metteva in forse sopra ciò che doveva operare, col pericolo di perdere ambedue le vite, anzi che una. Questo ammesso, si ricorrerà più presto e più coraggiosamente, con risparmio di lunghi tormenti, ad un'operazione che in certi casi presenta l'unica àncora di salvezza, e si avrà ad ogni modo la sicurezza di avere operato quanto additavano la ragione, la scienza e l' umanità, e soprattutto obbedito alla propria coscienza. ESll DI (IM IIEIIORII DEL COimiTORE BUTTI SULLA SISTEMAZIONE STABILE DI VAL DI CHIANA DEL CAV. PIETRO PALEOCAPA. Jjira già intrapresa la pubblicazione del quarto volume degli atti di questo Ateneo di Venezia in cui fu inserita la Relazione eh' ebbi l'onore di leggervi nel i838 sulla colmata di Val di Chiana, quando mi venne sott'occhio una Memo- ria pubbhcata in Firenze nel 1840 dui chiarissimo sig. Commendatore Manetti Direttore Generale delle Acque e Strade di Toscana, sulla sistemazione stabile di detta valle. La bella fama dell'autore, il posto che egli occupa, il soggetto che vi è trat- tato mi fecero leggerla con molta attenzione ; e non poco mi sconfortò trovare che l'idee dell'autore medesimo si scostavano affatto dalle mie. E poiché la po- sizione in cui egli si trova lo rende tanto più atto ch'io non sono, a trattare la materia con perfetta cognizione di causa e con dati più certi, io inchinava a credere di aver mal veduto nel mio sollecito correre la Val di Chiana. Senon- chè quando entrai più addentro nello studio di quella Memoria mi parve scor- gere che r errore non fosse punto da parte mia. Ond' è che, se non più a giu- stificare i piincipii sui quali io fondava il parere che diedi su questo bell'argo- mento d'Idraulica pratica, mi pemietterò di presentare alcune considerazioni intorno alla Memoria medesima, quasi come appendice di quanto io esponeva nel i838 a questo Ateneo. La memoria del Commendatore Manetti si divide in tre Capitoli : nel pri- mo vi si tratta dello stato di T al di Chiana nel i 789, e del piano dei lai'ori pel suo bonificamento dappoi progettati ed eseguiti Jino al 1 8 1 6 ,• nel secondo Capitolo parlasi degli effetti dei lavori sino al giorno d'oggi, e delle condizioni attuali della Val di Chiana : nel terzo si propongono i provvedimenti che compariscono opportuni per la stabile sistemazione delle acque di Val di Chiana ; e questo è il Capitolo cardinale. — 134 — In questo terzo Capitolo infatti viene esposto quel divisainento da cui vuoisi far dipendere la stabile sistemazione di Val di Chiana annunciata nel titolo della Memoria. ' Nella mia relazione all'Ateneo di Venezia è già detto, mi sembra abba- stanza chiaramente, come condotta che sia pure a termine la bonificazione della Val di Chiana, converrà pensare alla sua conservazione ; e sonvi esposte le ca- gioni che senza ciò minaccierebbero quel territorio di riuipaludare. E nel sug- gerire il rimedio che a questo fine io reputava il più conveniente, ho dimostrato che tale rimedio non è in sostanza altra cosa che la continuazione del sistema Fossombroni, apphcato a quella zona centrale della pianura di Val di Chiana sulla quale la Chiana stessa arginata in ritiro stabilirà per interrimento il s>io letto a quella pendenza, che è necessaria a travolgere sino all'Arno le materie tributatele dai torrenti che v'influiscono. Alla quale opera principale, in cui l'arte non farà se non che sussidiar la natura, si coordinano i. altri lavori di serre o traverse nelle parti più elevate delle convalli e nei borri secondarii, onde ratlenere le frane ed i maggiori sfasciumi delle pendici; 2.° l'arginamento dei torrenti stessi su quelle linee di buona confluenza in Chiana sulle quali traverseranno la pianura bonificata ; e 3." finalmente un sistema di fossi indi- pendenti dalla Chiana per assicurare un buono scolo alle parti laterali della pianura medesima. Ai quali fossi è detto nella relazione che si sarebbe procu- rata la necessaria continuità di corso facendoli passare con botti opportune- niente disposte sotto agl'influenti di Chiana; e qui soggiungeremo che le cirro- stanze locali insegneranno se per più o meno lunghe hnee non convenisse forse farli correre uniti, guidando 1" uno o 1" altro col mezzo stesso delle botti, dalla propria all'opposta sponda di Chiana. Il Sig. Manetti propone invece per giugnere allo stesso scopo un altro si.stema, il quale è descritto in queste brevi parole : raccogliere frattanto in un solo ah'eo al dissotto del Gallone di Galliano i torbidi influenti sulla sinistra della Chiana fatti inutili alla cohnazione^ e condurli per così dire allacciati a shoccare neW ultimo tronco inferiore del Canal Maestro Oiositi eventuali fatti allo sbocco dell'imo o l'altro torrente, nei casi di qualche smoderata fiumana; deposili che andranno anch'essi scemando, e cesseranno forse del tutto, a misura che s'andranno via via estendendo le serre e le piantagioni nell'alte convalli e burri influenti. Il sistema dei signor (Commendatore Manelli invece non consente questa successione, uè questo attendere eh' operi la natura. Perchè quando si vorran- no tor via i primi influenti della Chiana, bisognerà p\i?-e aver loro apparecchiato compiutamente quell'alveo nuovo che, com'egli ci avverte, è destinato ad Ateneo. Tom. V. 18 — i38 — allacciarli tutti e convolarli a sboccare alP ultimo tronco del canale maestro. Ora si consideri quali grandi difficoltà s'abbiano a scontrare prima nella costruzione di questo alveo artificiale che dovrà o girare intorno alle pendici con linea lunghissima, o per abbreviarla attraversare il basso fondo delle convalli con un letto manufatto elevatissimo, e con argini ancora più elevati. Se il sig. Commendatore Manetti ci avesse segnate sopra una esatta mappa le positive traccie sulle quali intende condurre i torrenti allacciati 5 e se avesse offerte l' e- satte livellazioni del suolo, fatte su queste tracce e sulle linee traversali ; e vi avesse delineato il fondo e gli argini delie nuove inalveazioni, si sarebbero a primo aspetto fatte palesi le troppo gravi difficoltà dell'esecuzione. Che se l'opera primitiva di questi alvei offre tante difficoltà, ben di mag- giori ne presenta la loro manutenzione successiva. Non sappiamo comprendere come il signor Manetti speri di contenere gl'impetuosi torrenti che scendono tutto lungo la Valle, sopra un letto elevatissimo e pensile per lunghi tratti, e principalmente verso la sponda volta alla Chiana-, e non pensile già per suc- cessivi naturali interrimenti che a misura che lo creano, lo stabiliscono, ma fatto pensile tutto ad un tratto per opera d'arte. Ad ogni irruzione dei torrenti le rotte negli argini volti alla Chiana sarebbero inevitabili. E queste rotte ca- gionerebbero non solo il guasto, ma sì veramente la rovina degli alvei nuovi ; il cui letto e le arginature verrebbero trascinali giù nel fondo di Val di Chiana dal precipizio con cui le acque uscirebbero per le rotte medesime. Chi conosce ])er lunga esperienza che cosa sia governar fiumi arginati, sa che la condizione più essenziale ad adempiersi con una nuova inalveazione è di secondare per quanto è possibile col letto manufatto del fiume o torrente la giacitura ed il li- vello della campagna, quando non è dato iucassarvisi. E nel sistema Manetti {juesta relazione del letto col suolo ci sembra svantaggiosissima; tale anzi da non lasciar lusinga che gli alvei nuovi si stabiliscano, e che le rotte abbiano quan- do che sia a cessare o a diventare meno pericolose. Nel nostro divisamento invece di arginar altamente la Chiana in mezzo alla Valle, oltrecchè lo stabilimento dell'alveo succederebbe per progressivo e naturale interrimento, è evidente che arrivato che pur fosse il letto alla mag- giore elevatezza necessaria per procurare al fiume la conveniente pendenza, le rotte sarebbero di poco momento j perciocché invaderebbero il solo terreno più basso e non avrebbero chiamata più in là, dove il terreno s' alza natural- mente. Che anzi mediante argini traversali che partendo dall'argine maestro — d39 — andassei'u verso le pendici (procurali i debiti compensi per non interrompere la continuità delle fosse laterali di scolo) le espansioni delle rotte potrebbonsi ridurre ad un limite quanto piìi piaccia ristretto ed inocuo. Il signor Commendatore Manetti, al § 8^ e seguenti, vuole, indipendente- mente (lice egli da altre considerazioni, giustificare la sua proposizione con ciò, che siccome le convaJli s' aprono verso il Tevere cosi i torrenti che sboccano da quelle non possono essere condotti in Chiana, e quindi in Arno con appro- propriate confluenze. Ma quando si consideri che il nuovo alveo allacciatore proposto da lui, per poterlo condurre sui terreni alti delle pendici deve correre paralello alla Chiana, o anzi da quella divergere per lungo tratto, non si com- prende rome possa avvenire che que' torrenti che non trovavano buona confluen- za in Chiana, l'abbiano ad aver felice in quest'alveo nuovo che li raccoglie. Ci sembra anzi che sarà tutto in contrario •, cioè che piij bruscamente si dovrà far torcere la loro via naturale ai torrenti per introdurli nell'alveo nuovo, che non nella Chiana; o per dir meglio che riuscirà più facile il coordinare gli ultimi loro tronchi ad una buona confluenza cofla Chiana, prolungandoli attraverso la pianura, che non costringendoli appena uscili da monte, ad entrare in un alveo nuovo che come abbiam detto, sarà o paralello o divergente dalla Chiana mede- sima. Ella è questa una questione di geometria piana, alla cui soluzione positi- va ed evidente avrebbe pur sempre convenuto che il signor Manetti presentasse il tracciato preciso della regolazione da lui proposta, sopra mappe chiare ed esatte. Per queste considerazioni ci sembra che le idee esposte dal signor 3Ia- nelti nell'ultimo capitolo della sua Memoria non possano venir messe ad atto, se non forse impegnando lo Stato in opere d'enorme spesa, e non durature. Abbiamo preso ad esame il terzo capitolo della Memoria del signor Manet- ti, senza punto occuparci dei due capitoli antecedenti, perchè il capitolo terzo è l' essenziale, ed è il solo in cui s' espongono quelle nuove proposizioni che rispondono al titolo della scrittura. Gli altri due capitoli non sono che una cri- tica degli scritti del co: Fossombroni su Val di Chiana, intesa a provare che in Val di Chiana nulla si è fatto e proposto in base di buoni principii, se non quando il signor Commendatore Manetti vi prese ingerénza ; e che male s' ap- pone chi crede che agli studii di quel!' uomo illustre sia dovuta la redenzione a cui la Valle è condotta oggidì. Queste cose ci sono sembrate così insolite, e di- ciani pure così apertamente ingiuste ed inconvenienti, da non meritare una se- ria conlulazione. Noi ci riferiamo in questo projiosilo alla relazione letta sia al- — d40 — r Ateneo, e crediamo che le idee quali pur esse siensi, che abbiamo susjgerite per assicurare la permanente conservazione della Valle, valu;ano almeno a mo- strare ch'essa si conseguirà appunto, e non altrimenti, seguendo lo spirito di (juelle norme colle quali il Co: Fossombroni ne ha fondata e fatta procedere tanto innanzi la sistematica bonificazione. Sono cinquant'anni che quest'opinio- ne è radicata in Toscana, e che i Toscani sono penetrati d'amore e di riveren- za per quella nobiltà d'animo e per quella altezza d'ingegno, che convenendo nel Ministro di due magnanimi principi, fruttarono tanti beneficii alla patria, fra' quali la redenzione di Val di Chiana non è certo il minore. Né questi senti- menti potranno essere affievoliti da critiche, fondate su quel facile modo di andar ripescando qua e colà nelle pagine di un libro alcune frasi staccate, per dare ad intendere che le non sono d' accordo -, dimenticando o svisando le nor- me vaste e cardinali che formano il merito vero e l' essenza di quell'opera che si cerca invano di screditare. ANNOTAZIONE. Nell'autunno dell'anno passalo (1S44) nna straordinaria piena d'Arno recò a Firenze e nel contado danni gravissimi ; e sentiamo dire che sorgessero grida da molle parti che ne attribuivano la cagione alle operazioni fatte di recente in Val di Chiana, e precisamente agli ultimi sbassamenli procurati alla Chiusa de' Monaci, i quali dicevasi essere stati fatti in oppo- sizione alle norme della bonificazione stabilite da Fossombroni. Onde della toccata calamità s' incolpavano coloro che avevano ordinati i anovi lavori. Ma l'alta estimazione e la riverenza che e' inspirarono sempre le esimie doti di quell' uomo illustre non e' indurranno a secondare il maltalento di coloro, che spesso lodano i morti per fare onta ai vivi ; né altronde la fama di lui ha uopo per emergere di farsi sgabello del biasimo d' altri. Le cose che abbiamo dello nella prima relazione letta all' Ateneo ( Vedi il Tomo IV dell' Esercitazioni dell' Ateneo ) ci pare che smentiscano abbastanza l' asserto che coi ribassa- menti della Chiusa de' Monaci sieno state trasgredite le norme generali poste dal co. Fossom- broni per la bonificazione di Val di Chiana. Ma più apertamente ancora viene esso smentito dalla prefazione che 1' illustre idraulico poneva alla edizione fatta nel 1835 in Montepulciafio delle sue Memorie idraulic/ie sulla f^alle di Chiana. In essa dopo avere ricordato come e- gli sin dalla prima pubblicazione di quelle Memorie aresse osservato — che se allora non era possibile sbassare la Chiusa dei Monaci, avanzati i lavori della bonificazione ciò a- vrebbe potuto aver luogo, soggiunge, che il honificamento di Val di Chiana offre un fatto che illustra mirabilmente la famosa teoria di Gennelé sul rapporto fra la velocità e la massa dell' acque correnti. E ricordato = che la storia del fiume Amo rende con- to di 5i ijrossissime piene cievastatrici dal principio del secolo Xf sino al 1761 ; e che da queir epoca sino a' dì nostri ^ scriveva nel i8j5^ non se ne contava veruna, sebbene col nuovo influente acquistato, i' Arno non ne abbia alcuno perduto, conchiude sembrargli: che /' aumento della massa dell' acqua abbia avuto minore influenza per aliare il pelo, di quello che n' abbia avuto l' aumento di velocità per abbassarlo. Ora quantunque sia 01 mai dimostrala la fallacia della così detta teoria di Gennelè, che intorno alla mela del secolo scorso s' ebbe qualche voga in Italia presso i propugnatori del- l' immissione di Reno m Po, i quali lucautaincnte a difendere una buona causa mettevano in campo anche le cattive ragioni, è pur vero che Fossombroni ammettendola ci fece manifesto essere stala sua opinione che non solo inocuo, ma si ancora vantaggioso poteva essere all' .ir- ne il piìi pronto discarico delle acque di Clii;ina. Quanto a noi, diremo francamente, sembrarci che si scostino dal vero ed esagerino tanto coloro che veggono nelle pili rerenti straripazioni l' efletto dell'operazioni fatte io Val di Chiana, e vanno vaticinando sempre maggiori sventure a Firenze, quanto quelli che credono impossibile che il libero e precipitoso deflusso delle Chiane in Valdariio abbia a recare alcuna sensibile mutazione nel sistema idraulico del Fiume, od alcun cimento maggiore a Firenze. A moderare le quali opposte sentenze, e a discutere la quisliooe senza amore di sistema o di parte. — i42 — crediamo doversi più precisamente che non siasi fatto sin qui distinguere quelle maggiori gon- fiezze della piena die possono procedere dal rialzamento del letto, da quelle che ne sono indepen- denli, e che dipendono immediatamente dall' aumento della portata ; ragionandone nel modo se- guente. Quando un fiume che corre in ghiaia, per la introduzione di un nuovo inQuente o per la sop- pressione di un diversivo perenne scava il sno letto, egli porta più in giù le materie escavale^; ma non le porta più in giù illimitatamente. Siccome la pendenza del letto scema da monte a valle, le materie scavate nel tronco superiore, che aveva troppo declivio per la cresciuta portata, sono de- poste col primo succedere di un tronco che non ne abbia più abbastanza perchè le ghiaie possano essere spinte innanzi. Ed il fiume seguita quivi a deporre finché il letto rialzato acquisti tale pen- denza da tornare al fiume la facoltà di travolgere ancor più a valle le slesse ghiaie. Cosi possono le ghiaie andar scendendo di posto in posto; non ad un tratto ed in una sola piena per grande eh' essa sia, ma per effetto di una serie successiva di piene più o men lunghe, e più o men grosse. Ma se infrattanto il fiume superiormente si stabilisca per escavazione, se cioè perduta parte della sua pendenza non possa scavare di più, finirà anche la replezione che si andava producendo in- feriormenie ; ed il letto si troverà anche quivi stabilito prima d' esser giunto a quell'altezza che avrebbe bisognato perchè il fiume portasse le ghiaie ancora più in giù. Quello che dicesi del procedere delle materie scavate dal recipiente nel suo proprio alveo si può applicare eziandio a quelle introdottevi dal nuovo influente, finché stabilisca anch' egli il suo letto, o per escavazione che gli faccia perdere pendenza, o per altre opere artificiali che impedisca- no le ulteriori corrosioni e le frane nelle convalli da cui tragge alimento. Lo stabilimento del letto nelle linee inferiori si potrà dunque conseguire prima che in esse la forza escavatrice arrivi a pareggiare e vincere la resistenza del fondo, o per dir più giusto, prima che l'impulso con cui il fiume spinge in giù le ghiaie arrivi ad agguagliare o superare l'inerzia che desse vi oppongono. Sarebbe cioè il tronco inferiore suscettibile di ricevere nuove ghiaie senza consentire che vadano più abbasso ; e non è stabilito precocemente se non perchè, e finché non di- scendano materie novelle dai tronchi superiori. Sul più o meno pronto stabilirsi poi del letto in questi tronchi superiori, che mutano condi- zione per r immediato ingresso del nuovo influente, vuoisi avvertire che 1' approfondamento del letto seguiterà per una serie più o men lunga di piene, finché per la diminuita pendenza che ne con- segue il fiume abbia perduta la facoltà di scavare ulteriormente il letto, e di portarne via le mate- rie. Ma questa facoltà cresce col crescere della velocità dell' acqua, e scema crescendo la resistenza che oppongono le ghiaie ad essere travolte. Or siccome se maggiore è il pendio, maggiore è anche la forza acceleratrice e la velocità, e minore invece la resistenza delle ghiaie a discendervi, cos'i è chiaro che il pend'io stesso influisce in due modi al trasporto delle ghiaie. Ed é perciò che vediamo fiu- mi di caduta notevole ma di moderata velocità, perché spagliano sopra un letto troppo ampio, tra- sportare tuttavia materie più grosse e pesanti che non ne trasportino altri fiumi che hanno velocità maggiore, perchè contenuti in un alveo più stretto, ma che sono dotati di poca pendenza. Gli è sotto questo aspetto che deve intendersi ad applicarsi quel corollario che giustamente si trae dalle prop. V. Gap. V di Guglielmini, che cioè la cadente alla quale un fiume sì adatta ha un più immedialo rapporto colla mole delle ghiaie trasportate che non colla velocità ond'è dotato; il quale da altri ci sembra essere stato malamente applicato alla presente questione, traendone con- secuenze men vere. — 143 — Perciò se le cscavazìooi superiori prodotte in Arno dalla più pronta e quindi pili grossa con- fluenza della Cliiana cessino^ ed il fondo ivi si stabilisca per minorata pendenza prima che i tron- chi inferiori sino a Firenze, troppo poco pendenti, abbiano finito di stabilirsi per replezione, egli è certo die a Firenze non ne verrà alzamento alcuno di fondo. Ma se avvenga che a misura che Arno scava dalla confluenza di Chiana in giti, il tratto immediatamente superiore di Arno soli- tario, o la Chiana medesima, travolgano le materie nella fatta escavazione, e così vadasi da valle a monte estendendo l' approfondaniento dell' alveo, potrà questo approfondamento farsi sì esteso e rosi lungamente duraturo, che prima ch'esso si compia i tronchi di minore pendenza sino a Firenze siensi mano a mano rialzati tanto da rendere il fiume atto a travolgere più in giù le ghiaie che gli seguiteranno a venire dall' alto. Ed in tal caso potrà benissimo Firenze, col correr degli anni e del- le piene, veder rialzarsi il fondo d' Arno che la traversa. Questo rialzamento però non avrà un con- tinuo progresso ; ma cesserà quando cessino le escavaziooi procurate, o le materie trasportate dal- l' influenza della Chiana, e tutti gli altri tronchi del fiume, subite le conseguenti vicende, siensi andati da monte a valle successivamente stabilendo. Fin qui quanto alla mutazione del fondo. Ma quanto al pelo della piena non sappiamo in ve- ro come si possa attentarsi di sostenere che 1' aggiungere ad un fiume un influente ch'abbia un ter- zo, o mettiam pure anche la sola quarta parte della sua portata (il che ben facilmente può avvenire della piena di Chiana rispetto a quell'Arno veduta la proporzione dei bacini) come diciamo si pos- sa attentarsi di sostenere che una aggiunta sì grande di portata ad un fiume non lo farà punto, o lo farà di pochissimo alzare di pelo; e come si chiami ancora in aiuto l'autorità, e la così detta teoria di Gennetè, che tutti ormai sanno essere il parto di una fantasia troppo fervida, ed essere contraddetta non solamente da ogni buon principio d' idraulica e dalle artificiali esperienze, ma sì ancora dalle continue osservazioni dei fenomeni naturali. Gugllelmini che fu ben altro indagatore di questi fenomeni che non sia stato Gennetè, ammette in vero, benché in assai limitate e speciali condizioni, che un influente possa crescendo la portata far tuttavia che il recipiente s' abbassi di pelo per effetto dell' escavazione del fondo; ma supporre che ciò possa avvenire, come Gennetè supponeva, anche quando il fondo resta inalterato, è troppo assurdo concetto perchè meriti una se- ria confutazione. L'aumento di portata recato da un influente deve necessariamente indurre o aumento di se- zione, o aumento di velocità; o I' uno e l'altro insieme : e 1' aumento di velocità procede da quello della pendenza e quindi della forza acceleratrice, o dalla diminuzione della resistenza ossia della forza ritardatrice; o da amendue queste cagioni. Se il fondo del fiume è inalterabile, è evidente che a corso stabilito non può dal nuovo influente derivare altro mutamento che quello di una maggiore elevatezza dì pelo, la quale promove ad un tempo tutti i suddetti elementi di maggiore portata; cioè sezione maggiore (e s'intenda pure che 1' alveo conservi la primitiva larghezza); maggiore pen- denza; ed un maggiore rapporto fra la massa dell'acqua e le resistenze, cioè una minore forza ritar- datrice. Ed è appunto per la concomitanza di tutti questi elementi di maggiore portata che. quan- tunque il fondo non muti, l' alzamento di pelo riesce minore di quello che si potrebbe a primo as- petto temerne, vista la copia dell' influente. Se ora ammettiamo che il fondo non sia più inalterabile, e che l'aumentata velocità ne vinca 1.1 resislenza e lo escavi, il pelo si deprimerà ed il rigonfiamento del fiume rispetto alle sponde si laià minore. Ma invere l'altezza delf acqua rispetto al fondo, ossia l'altezza viva del fiume si farà maggiore : perciocché il fiume che stabilisce il letto per escavazione diminuisce di pendenza. _ iu — quindi di velocità ; onde bisogna che a compenso s' aumenti la sezione. La suddetta depressione dunque del pelo relativa alla sponda, ottenuta per lo escavo del letto, non sarà già eguale a questo escavo, ma solo alla differenza fra lo escavo medesimo, e quell' alzamento che ha dovuto succedere nell'altezza viva del Game. Perchè poi potesse arcadere che il pelo del Qume dopo la contluenza si trovasse assolutamente più basso di prima, ossia più depresso sotto le sponde, bisognerebbe che la detta differenza fosse maggiore di quel rigonfiamento di pelo che, come m principio dicevamo, doveva succedere inevitabilmente nella supposizione che il fondo fosse rimasto inalte- rato : ovvero bisognerebbe che l' escavo del fondo fosse non solo eguale al detto rigonfiamento del pelo, ma lo superasse in ragione della diminuita pendenza che dall' escavo stesso deriva. Or se applicheremo le regole d' idrometria le più consentanee alla pratica, cioè le meglio con- fermale dalle osservazioni naturali, troveremo che nelle ordinarie condizioni dei fiumi, e per confluenze significanti ciò non può verificarsi. Troveremo cioè che l'abbassamen'o asso hito del pelo ossia il suo deprimersi sotto le sponde che procede dall' escavazione del letto, non compensa mai affatto quel rigonfiamento che sarebbe sacceduto se il fondo non si fosse ribassato ; e che perciò la confluenza, generalmente parlando, fa rialzare il pelo del fiume. Bene è vero, ed in questo le formule dell'idrometria consentono pienamente colle osservazioni della pratica, che il rigonfiamento che ne rimarrà sarà in questo caso, ancor meglio che quando trattasi del fondo inalterato, molto minore di quello che la grossezza del confluente potrebbe fai sospettare ; ma un rigonfiamento avverrà pur quasi sempre. E la regola di Guglielmini rh' egli stesso riconosceva applicabile ad alcuni casi soltanto, non potrà verificarsi se non in alcune circostanze affatto speciali che non crediamo poter essere quelle che .«i presentano rispetto alla confluenza della Chiana coli' Arno. Da tutte le quali considerazioni consegue che questa influenza aumenterà indubbiamente l'al- tezza delle piene lunghesso tutto il corso del fiume reale. Ma nel tronco ove succede la confluenza medesima questo rigonfiamento sarà attenuato dall'escavazione del fondo ; più in giù sarà invece accresciuto da replezione del letto; finalmente più in giù ancora, il fondo e quindi la pendenza rùnanendo invariabili, avverrà che non si senta se non quel rigonfiamento che è dovuto alla cre- sciuta portata (*). Il quale rigonfiamento è ben vero, come osservò il sig. Lombardini (Politecnico, Voi. ^ II, pag. 117) che sarà attenuato a mano mano che si discende dalla confluenza nei tronchi inleriori, perchè una parte della piena dell' influente si sfoga nel riempiere 1' alveo del recipiente; ma tale cagione è quella stessa che agisce sulle piene proprie del recipiente mede- simo, qualunque sia la loro misura, e non può produrre altri effetti se non che quelli che si otte- nevano anche prima della nuova confluenza; di far cioè che le piene del fiume, sieno grandi o pic- cole, vadano da monte a valle mitigando l' intumescenza loro col rendere la massima portata nel- (*) L' ultimo tronco che rispetto ad Arno prendiamo qui a considerare è quello in cui il Fiume ne vi porta materia da dissopra, ne trova fondo da poterne escavare, a malgrado del- la cresciuta portata e velocità ; perchè crediamo che queste condizioni possano appunto verifi- carsi nel tronco di Firenze principale sor/getto della quìstiòne. Ma non dimentichiamo che dopo questo tronco, in cui il rigonfiamento della piena non è modificato né in più né in meno dalle variazioni del Jondo, succedono altri tronchi, più o meno ne' varii fiumi dalla foce di- scosti, in cui trovandosi il letto pili facile ad escavarsi, il ri gonfiamento prodotto dall'influente torna a scemare per il rihassamenlo che avviene del fondo; e questo effetto suol continuare sino al/a foce, rendendo la pendenza a valle piti mite, e face ni lo crescere quella a monte. — 445 — r unità di tempo del tronco inferiore, minore di quella del supcriore, ogni qualvolta il tempo che occorrerebbe a riempiere l'alveo sino a tale altezza a cui il detto tronco inferiore diventasse anch' esso capace di smaltire portala eguale a quella del tronco superiore, sia maggiore del tempo dorante il quale nel tronco superiore medesimo la piena insiste al massimo colmo. Ma siccome prima della confluenza di Chiana nessuno sarcbbesi avvisato di dire che per questa ragione a Firenze Arno non si gonfiasse di più per le piene proprie mollo più grosse, che per le piene grosse molto di meno. cos'i ne anche dopo la detta confluenza potrà argomentarsi eh' essa non abbia a rendere la piena d'Arno più alta di quello che sarebbe stala se non vi si fosse aggiunta la Chiana. Non veggiamo cioè con che ragioni possa mai sostenersi che le acque di Chiana non abbiano a far quello che fanno le acque stesse dell' Arno superiore, e nella proporzione medesima. E solo crediamo che in propor- zione di portata le Chiane abbiano minore azione a gonfiar la piena a Firenze che i confluenti più vicini, e specialmente il Sieve, 1' ampiezzii del cui bacino, la rapidità delle cui convalli, eia prossi- mità del cui sbocco alla Città, e' inducono a credere che le piene che sono a Firenze maggiormente funeste proccdjno dalla coincidenza d'una grossa piena d' Arno con una straordinaria del Sieve. Quelli che penetrali dall'immenso beneficio recalo dalla bonificazione di Val di Chiana, pro- curano che non si venga al malaugurato parlilo di abbandonare la grande e bell'opera, il desistere dal cui compimento trarrebbe seco la rovina di quanto fu fatto sin qui, veggendo che il principal fondamenlo della sua conservazione sarà pur sempre che le piene di Chiana possano sfogare libe- ramente nell'Arno verso cui, se non subito, ben presto bisognerà rivolgere anche quei tribularii della Chiana stessa che fossero ancora impiegati nella colmata, mal si avvisano, ci sembra, sforzandosi di provare che il letto d' Arno non ne soffrirà alcuna alterazione, e che le piene o non avranno o n'avranno solo un piccolissimo incremento. Ben più franco, più vero e più persuadente discorso sarebbe quello con cui si consentisse che la libera conlluetiza della Chiana in Arno farà gonfiare notevolmente il fiume anche a Firenze, e fin dal principio: che in seguito dopo lunga serie di anni e dopo il correre di molte piene assai grosse potrà forse farlo gonfiare alquanto di più per cagione del rialzamento del letto ; che quesl' ultimo efietto però, se pure avvenga che si manifesti sino a Firenze, non potrà avere che lenii e moderali progressi; e cesserà quando il letto abbia con- seguito un nuovo stabilimento coordinalo alla nuova condizione del fiume : e che tanto più dissen- nalo ed ingiusto sarebbe, per timore che questa vicenda rechi a lontanissime epoche qualche danno a Firenze, sagrificare la continua e cresccnic prosperila di una vasta provincia, e farla tornare nella miseria e nello squallore, quantochè bone è lungi che non si possa migliorare il deflusso dell' Arno attraverso la Cina, in guisa da rerare un largo compenso a quella più pericolosa condizione che le deriva dalla unione delle piene d' Arno e di Chiana : la disorbitanza d' una delle quali piene rende meno probabile la contemporanea disorbitanza dell'altra, e ù meno notevole l'incremento che questa le reca; di guisa che teniimo per fermo che se a' d'i nostri s'avessero a rinnovare non solamente le cagioni meteorologiche che produssero in Arno il diluvio del 1555, descrittoci dal Villani, ma quelle pur anche dell' enorme piena del 1557, Firenze non ne sarebbe sommersa ad altezza mag- giore perciò che la Chiana scende ora ncll' Arno, di quel che lo fosse a que'd'i. Crediamo in somma che la confluenza libera della Chiana varrà a crescere notevolmente le piene ordinarie, ma non le straordinarie; e tanto meno quanto più saranno disorbitanti. Di questo argomento ci siamo falli animo a discorrere con qualche franchezza perchè addottrinati non da giuocheielli di esperimenti fatti con canaletti artificiali, ma dalle vicende subite dagli alvei di due Fiumi reali, l'uno de' quali 1' Adige è il secondo fiume d'Italia, e l'altro la Brenta n' è uno Ate>eo. Tom. V. 49 — 146 — de' maggiori. Il sistema idraulico del Brenta è stato mutato nell'anno 1822, mutando quello di un ampio canale derivatone per uso di navigazione ed opiGcii, di cui si soppresse il corso interamente in tempo di piena, e lo si limilo all'acque ordinarie. AH' Adig;e si tolse del tntlo, intercludendolo stabilmente all' incile, un diversivo delle piene ancora piii grande, che erogava dal fiume per dieci bocche della complessiva larghezza di 54 metri ; che aveano la soglia profonda mezzo metro circa sotto il pelo della magra ordinaria, e m. 5.80 sotto il livello a cui giunta la piena s'apriva il so- stegno. E fu certamente una delle maggiori imprese che si eseguissero a' nostri di modificando il sistema di un fiume altamente arginato. Sulla prima di queste due operazioni, morto chi I' avea proposta e già condotta a buon termine, abbiamo lungamente discusso per sostenerla contro chi voleva restituire il sistema idraulico antecedente. La seconda è stata proposta e condotta a ter- mine da noi. Ed or sono sette anni che 1' Adige non ha più quella grande diramazione del Casta- gnaro, eh' ebbe già per quattro secoli, prima senza alcun freno, poi con diversi ordinamenti d'o- pere idrauliche all' incile; finché nel 1838 furono oslrutte con doppie mur.iglie le dieci bocche suddette. L'esito di queste due opere corrispose all'Intento; e la previsione degli effetti fu assai bene adempiuta rispetto al Brenta; e s'avvicinò molto al vero nell'Adige. Ma con queste previsioni non s'eravamo mai avvisati di dar ad intendere che i fiumi cui si sopprimeva un cos'i grande sfogo non n'avessero a subire un rigonfiamento in tempo di piena, piìi o men notevole lungo tutto il corso. Solo si dimostrava che questo rigonfiamento non sarebbe stato cosi grande, come da molli andavasi gridando, e si credeva comuuemente : che esso sarebbe stato massimo nel punto in cui succedeva 1' immediala soppressione del diversivo ; ma sarebbe andato scemando ne' tronchi inferiori sino a diventare insensibile, pure sempre dentro l'alveo altamente arginalo: che stabilendosi il letto ad un incassamento maggiore, il primo rigonfiamento sarebbe col progresso del tempo sensibil- mente diminuito, supposto pur sempre che le piene non avessero a discendere da dissopra piii repentine e pili grosse : che per lo contrario, durando il diversivo, il sollievo che recava alle piene sarebbe andato continuamente scemando, e crescendo invece l'interrimento dell'alveo principale: che a malgrado dell'immediato notevole incremento cagionato dalla chiusura del diversivo, la piena si sarebbe potuta contenere fra gli argini senza uopo di alcun nuovo alzamento per il Brenta, e con moderato alzamento nell'Adise; che in fine il beneficio che ne sarebbe indubbiamente e continuamente derivato ad un vasto e feracissimo territorio era cos'i grande, e tali gli inconvenienti e i pericoli che cessavano al cessare del diversivo (e ciò deve principalmente essere riferito alla chiusura del Castagnaro) che quando anche ne fosse cresciuto il cimento cui si esponeva l'alveo principale, non poteva restar dubbio sulla grande opportunità di questo partito. E qui noteremo che dopo dodici anni che Adige non avea subito che moderate piene, appena chiuso il sostegno Ji Castagnaro sopravenne un periodo di piene disorbitanti, e nell'Autunno del 1 839 ne corse una delle piìi grosse che sieno ricordate; bene inteso che in questa misura ci riferiamo alle altezze eh' ebbe Adige in quei tronchi superiori ove dell' apertura del sostegno non avevasi neppure indizio. Malgrado ciò questa piena che nel Novembre 1839 veniva due volte con brevissimo intervallo al suo massimo colmo, fu contenuta e non s'ebbe a deplorare disastro alcuno. Che se le piene successive del 1841, 1844 delle quali r ultima fu pure straordinaria, fecero rotta ed inondarono il paese, non è alcuno che adoperi logica e buona fede, il quale s'argomenti di accagionarne la chiusura del Castagnaro. Imperciocché le rotte non successero già per tracimazione degli argini, ma per vizii locali ; e successero quando la piena era già silTaltamente ribassata che svanito ogni timore s'era allentata la guardia. Né sarebbe piìi — 447 — giusto il dire che la chiusura di Castagnaro abliia potuto avervi qualche influenza perciò che senza (juesto sTogo la piena durasse più lungamcDle, e più lungamente prenicssc e tormentasse infiltran- dovisi r interna struttura degli argini; perciocché tanto la piena del 1841 come quella del 1 SAA, furono piene autunnali assai brevi rispetto a molte che corsero in primavera e prima e dopo la chiusura del Castagnaro, e che senza recar tristi eventi, insistendo lungamente ad un assai allo livello tormentarono gli argini assai di più, rammollendoli e facendoli sbrotare verso campagna, e promo- vendo filtrazioni cos'i copiose da vederne riempiuti e correnti i fossati vicini, e le cantine riempiute non solo, ma allagati i pianterreni di mollissime case accosto agli argini, dai pavimenti delle quali sorgevano polle copiose: come avvenne nella piena dell' ultima primavera decorsa, nella quale il fiume non sali già all' altezze maggiori, ma superò più o meno la guardia, e fino ad un livello mollo notevole, per un mese e mezzo. (■*) È nostra intenzione, ove ce ne sia concesso agio abbastanza, di pubblicare an esteso rag- guaglio della influenza che sul sistema idraulico d' Adige e sulla condizione idrografica ed agricola della provincia di Polesine e di una parte di quelle di Venezia e di Verona, ebbero, la diversione del Castagnaro, le svariate modificazioni eh' essa subì, e finalmente la sua soppressione totale ; e crediamo che se ne potrà trarre qualche utile ammaestramento. Ma abbiamo stimato non essere fuori di proposilo il farne qui intanto questi pochi cenni per confermare ciò che dicevamo dissopra ; considerando che la soppressione di un diversivo può equipararsi all' immissione di un nuovo in- fluente ; ed ha anzi sul fiume principale un' azione più sicura e costante, inquantochè la portata del diversivo è inevitabilmente proporzionata e contemporanea a quella della piena del fiume; nienlre invece l'influente può trovarsi in magra, od in piena non contemporanea a quella del re- cipiente. Oltrecchè vedute le condizioni dell' alveo d' Arno in confronto di quelle d' Adige si fa manifesto quanto meno fondato sia il timore di una nuova influenza nel primo, che quello della soppressione di un grande scaricatore delle piene del secondo fiume, che corre per sessanta e più miglia geografiche altamente arginalo in mezzo ad una campagna bassissima sulla quale s' alzano gli argini dai cinque ai sei, e dai sette agli otto, e per non brevi linee per nove, dieci metri, e più ; e dove gli argini stessi sono pur tutti di terra leggera e sabbiosa, talvolta nel loro interno di pretta (*) Mentre quesle paijine entno ancora sotto al torc/iio, Adiijc fece una nuova mcmo- nimla piena, che a Trento lambì la pietra su cui è scolpita la funesta memoria della piena storica del 1 757, e ne segna il livello. Nelle linee pittnigiane del fiume arginato essa soper- chiii da 25, sino a 60 centimetri te maggiori piene anteriori. Eppure essa fu contenuta fra gli argini. Se il Castagnaro fosse stato ancoia attivo, non esitiamo a dire che la rotta sareb- be indubbiamente successa ; perciocché la fiducia che malamente si riponeva in quello scari- catore, rallentando le cure e la operosità, ed in parte dislraendole per vegliare sull'emissario che si metteva aneli' esso in piena strabocchevole, avrebbe fatto perdere un tempo pre:^iuso, che si domanda per difendere gli argini del fiume principale con quella energia e potenxa di mexxi, coi quali solo in tanto cimento potcasi sperare di contenere il fiume nel suo letto. Dopo questa prova solenne dovrebbero cessare que' vaticinii funesti clic si facevano per la chiusura stabile del Castagnaro, e si dovrebbe riconoscere che il solo rimedio die garanti- sca la salvexxa e la tranquil/ità delle provincie, quello si è di correggere i principali vi-^ii dell' unico alveo; e di mettere gli argini in quelle condizioni di robusle^xa, da cui sono per lunghe linee ancor mollo lontani. — 148 — sabbia e solo incamiciati di terra, quasi sempre in froldo ; e l' incassamento del fiume è si poco, che quasi ovunque il pelo delle magre maggiori è più alto della campagna ; ed io alcune linee più alto parecchi piedi della campagna è il maggior fondo della sezione viva del fiume, onde le fil- trazioni continue alimentano perennemente la regolata irrigazione di non pi ccole estensioni di risaje. Per il complesso delle quali circostanze si vede quanto più facile che non difendere il Po- lesine ed il Padovano dalle rotte dell' Adige, sarà impedire che dall' Arno a malgrado dell' immis- sione della Chiana venga innondata Firenze. E quando si riflette che nella piena d' Arno del 1 SSg le ucqiie a Firenze non traboccarono dalle sponde, ed an\i si tennero jralle medesime al- quanto depresse. (Veggasi nel Politecnico del 1 8A4, Fase. 37 la Memoria dell' Ing. Guasti pag. 40) e si guardi alla cagione ivi accennata d' onde ha proceduto l' innondazione di una parte della Città, reca invero sorpresa come dopo una cos'i solenne trascuranza, cui si può ben facilmente rimediare, si andasse anche allora come dopo 1' innondazione del 1 8A4, indagando altre più remote cagioni del danno, e si volesse incolparne la confluenza della Chiana, e l'opere fatte per redimere la Valle. ESERCII AZIOM LETTERARIE. SELLE ILTEZZe DEI USI APPLICATE ALLE SALE, STANZE, ED ALTRI AMBIENTI DELLE CASE MEMORIA DEL NOB. SIG. CAV. ANTONIO DIEDO. tSon già alcuni anni che in questa adunanza lessi una breve Memoria in- torno ai Soffitti guardati come oggetto decorativo : e, se 1' amor proprio non m' illuse, parveuii venisse onorata di benigna accoglienza. Ora a più grave assunto mi accingo, e, se posso dirlo, accigliato e severo, che non ammette amenità di stile, e slancio d' immaginativa, ma tutto si fonda sulla ragione dell'arte; talché il voler dall'autore fiori rettorici, sarebbe poco diverso dal chiedere, che altri, ponendo in versi le regole della prosodia la- lina, od un teorema d' Euclide, portasse negli aridi precetti delle misure, o nello sterile campo delle quantità, le grazie e avvenenze del leggiadro Ti- bullo. Ma siccome la vostra sapienza più mira all' utilità che al diletto, e più alle spiche e alle frutta che alle rose ed ai fiori -, così non posso temere che siate per prendere tli malavoglia gli slbrzi del qualunque mio studio diretto ad avanzare alnien di un passo la scienza, nel che oggidì propriamente si fa consistere il vero scopo d'ogni utile disciplina. Vi ragionerò impertanto sulle altezze che 1' arte assegna ai vasi si delle stanze che delle sale dei pubblici e privati edifizj ; e sì curerò di farlo, da Comparirvi, se non adorno di leggiadra e splendida veste, nemmeno coperto di grosso e ruvido sajo. jNè vi tratterrò inutilmente su quei principj che, sebben fomiin la base e 1' essenza della dottrina, sono così familiari, che il recarveH innanzi sarebbe — i52 — far onta al vostro sapere, confondendo il mio scritto con una lezione di estetica, e che tanto o quanto sentisse 1' odor della scuola. Immorerò su alcuni punti solo che basti a rannodare le idee, e farmi strada per esse a qualche disamina, o, meglio, proposta, valevole a varcar quella linea, ove termina il relatore, e comincia 1' autore. Sono a Voi note le famigerate proporzioni che si comprendono sotto le voci di Aritmetica, Geometrica, Armonica, alle quali aggiunse il Temanza la Contrarmonica per fissar le altezze dei vasi ; o, a togliere ogni confusione nei termini, a stabilire la media tra la lunghezza e larghezza di una stanza, o di una sala qualunque. Il giudizioso architetto si vai dell'una o dell'altra secondo stima pili acconcio ed adatto al caso. Se non che le differenze tra loro non so- no così notevoli, che, ove il caso chiedesse un abbassamento maggiore, potesse questo ottenersi senza grave offesa e trasgression della regola. Il chiaro prof patavino Alessandro Barca di sempre gloriosa e per me lagri- mata memoria, avendo col profondo suo ingegno sottilmente versato sulle leggi armoniche applicate alle edificatorie, mi diceva un giorno occuparsi di questo argomento; e un fuggitivo suo cenno m'indusse a dedurre, che nell'altezza dei vasi volesse assai deferire alla lor larghezza, il che collima col pensiero ancora di altri. Come però egli non era tale da gire per la comune, e bat- tere servilmente le altrui vestigia-, così presumo che non si sarebbe ristretto alle viste ordinarie, ma avrebbe rivolta I' acutezza del suo intelletto a fissar nuovi casi e moltiplici combinazioni ; talché io mi querelo della ria sorte, che colla perdita di quell'illustre, si spense pur la facella che avrebbe diffuso mag- giore e più splendido lume. L'architetto Preti che nel suo trattato introdusse un nuovo sistema mercè le regole armoniche, non sol si dichiara fautore, ma si può dir spasimante per la media armonica nell' altezza dei vasi, allegando fra l'altre ragioni di preferirla, quella eh' è vera in fatto, che mai conduce al- l'assurdo nel caso di dimensioni assai prolungate, come quelle di un intermi- nabile corridoio o galleria. Il Calderari seguendo, non superfizialmente e alla lettera, ma penetrando da pensatore lo spirilo Vitruviano, adottò la ragione in- versa delle grandezze, cioè che quanto i vasi crescono in dimensione, altrettan- to in altezza diminuiscano. Mi spiego con un esempio. La proporzione aritme- tica risulta dalla metà del prodotto che dà la larghezza unita alla lunghezza. Sia la larghezza i a la lunghezza 16, 1' altezza sarà il\. E va ottimamente ognorsi si arresti a queste o a poco diverse misure. Ma diamo si salga a molto mag- — i53 — giori, come di 20 in larghezza, 3o in lunghezza, sarà proporzione accettevole la 25 in altezza? Egli perciò in simil caso l'ha nioileiaLa, parificandola alla lar- ghezza di piedi 20 ; e questa pure, per quanto mi permetterò di osservare, è soverchia. Per le sale quadrate, quando sieno a lacunare, lo stesso Autore as- segna costantemente 1' altezza dei lati, fino al comparto del ripetuto lacunare, con che risulta di un cubo. In questo sistema fa una essenzial dififerenza se la stanza presenti un sof- fitto piano, od a volta. La volta ognor si considera per un di più. Potrebbe quindi avvenire, caso che par singolare, ed è, che fatto confronto fra due vasi, uno maggiore dell' altro, il maggiore ad impalcatura, il minore a volta, il più piccolo sortisse un' altezza maggior del più grande. Abbia la stanza più grande a soffitto piedi i 6 pel lato corto, 24 pel lungo. Presa pei; altezza la dimensio- ne del corto, riceverà la misura dei 16. Abbia la stanza minore a volta per li- mite del lato corto piedi 12, del lungo 16. Otterrà colla volta a pieno certo piedi 18, che vantaggia l'altezza della stanza maggiore di piedi 2, ed ambe so- no in giustissima proporzione rispettivamente ai lor lati. Sin qui non feci che le parti di relatore •, passo ora a quella di autore. Mi espurgo in pria dalla taccia d' innovatore profano premettendo in certa guisa la mia professione di fede. Sono, se posso dirlo, anche troppo osservator delle regole, tenendo però fermamente, che le regole sieno date ad aiuto, non mai a dura catena e ad insormontabil barriera, mentre le teorie non dipendono dal- le regole, bensì queste sorgon da quelle. Amo però di trattare generosamente cogli osservatori delle regole. Si rispetti pure la regola, e si prenda per guida anche nell' erratile fervor dell' estro, e nei voli irrequieti di un' agile fantasia. E siccome eslimo che si abbia mai sempre ad osservare la legge j così del pari son fermo che si abbia a mantenere la regola ; che senza la legge 1' uomo cor- rerebbe quale sbrigliato puledro per ogni campo : senza la regola l'artista an- drebbe errato alla cieca per ogni calle fino al total precipizio. Ma siccome il saggio legislatore modifica o cambia la legge giusta l'influs- so dei tempi, il tenore delle vicissitudini, i mutati costumi, la supplice voce dei sorgenti bisogni ; così pur l'architetto modifica o cambia la regola secondo i casi moltiplici, il variar delle circostanze, e degU usi. In breve mai si offenda la legge, mai si trasgredisca la regola : ma, ove la legge non più all'uopo rispon- da, si cangi la legge, e se ne surroghi una nuova più giusta ed adatta: ove la regola non porga risultamento felice, se ne sostituisca una più propria, e più confacevole. Atbsieo. Tomo V. 20 — 154 — Torniamo al caso della stanza avente per lato minore la dimensione di piedi ao, pel maggior lato di 3o. Il Calderari assegnò pel signorile e bellissimo palazzo di Casa Losco in Alleanza ad una delle principali stanze r altezza pari alla misura del minor lato, quella di ao. Sembra che la più scrupolosa censura non possa aver che ridirne. E sia pur così. Ma se i più cal- di amatori delle proporzioni ne son mal paghi, se l' occhio del dilicato, e per diuturno esercizio di vedere e operare reso spertissimo, ne resta offeso, ed è invincibilmente costretto a condannarla di eccesso, se, torcendo il collo per coglierne la sommità, ne soffre disgusto, la ragione che siede suprema legislatrice, al cui tribunale si appella il buou gusto onde ottenere giustizia al leso diritto pel non conseguito diletto, do^rà cangiare la legge, il magistero dell' arte dovrà sottoporre a un temperamento la regola. Io non dirò che il Bergomense Quarenghi, onore della sua patria e d' Italia, che popolò la reggia e le ville principesche delia Russia di miri e magni edifizj, abbia sempre ragione, quando, come l' immortai Pesarese nel- le dotte sue dissonanze all' alto scopo dirette di dar piacere, diserta dalle re- gole comunemente stabilite, ed in ispecie allorché tiene le altezze di alcune sale soverchiamente depresse : ma si dico, che qualora un genio straordinario si emancipava dai severi dettati dell' uso, e dalle rigide foggie convenzionali, sentiva in sé stesso la forza di un Nume che lo ispirava. E di vero se mai pe- netrando nel gabinetto di un'Aspasia gentile, o in una delle stanze del Caf- fè Pedrocchiano, ove tutto spira eleganza ed impéra l'ammirazione, al vedere quelle pitture di egregia mano, vi cogliesse sospetto che quelle sale e quelle stanze non rispondessero al calcolo in senso di altezza; sareste per questo sedotti dall' illiberal tentazione, di prender le seste per misurarle, onde con- vincervi se scadessero di qualche oncia per farne rimprovero all' esimio Jap- pelli ? Simili a quegli, non so se dir debba cinico o stolto, che venuto a visi- tare l'unica nostra Vinegia, e di nulla contento, soffermatosi in fine appiedi della gran torre del Divo Marco, se ne dichiarò pago, egli è vero, ma poco poi riavutosi dal prestigio, della data approvazione quasi pentito, ben tosto sog- giunse : peccato non sia di quattro dita pia alta. Portiam 1' argomento ancora più innanzi. Se mai per la costruzion della casa che non consentisse maggior altezza, una serie di stanze interposte a due piani, o coronanti la fabbrica, alquanto scadente dalla misura canonica, invocò la mano dell' arte per la riparazion del difetto, e 1' arte rispose colle sue indu- strie cercando di accumular le bellezze sulle sacrificate, col farle oggetto di parr — 455 — ticolar eleganza per venustà di pitture, per dovizia di addobbi e di suppellet- tili, e per gentilezza di parti leggiadre squisitamente ricerche e aitate degli ori diramantisi fra i meandrini e i ricami dei lembi, a tal di parere 1' asilo di Venere, e I' abilazion delle Grazie ; fu mai chi mosse querela sulla parcità del- l' altezza, e desiderasse le camere altere delle loro geometriche e aritmetiche? Se non che io non intendo di trarre vantaggio dalla profusione e dal lus- so, e men di ricorrere ai uiinii e ai cosmetici per occultar i difetti delle mie belle ; e confesso sinceramente, che l'arte di coprire le mende fu sempre una presligiatrice e maliarda, che cresce a mille doppi il diritto agli omaggi del- la non fucata bellezza che sappia raccomandarsi e valere per pregi nativi e suoi proprii. Pur pure non posso rinunziare all' idea che saggiamente adoprafa la dot- trina delle altezze, non potesse ammettere qualche altro canone, che temperas- se più o meno, secondo i casi, la severità delle leggi prescritte dai venerandi maestri, e quindi far luogo ad un' altezza minore con più mite sentenza del- l'Areopago. Che siffatta ricerca non è già oziosa, ma di diretta utilità, mentre, tolta la nota di ripiego e di arbitrio, darebbe alla proporzione sospetta la mar- ca e il carattere di legittima. Il vostro voto, dirà taluno, è lodevole ; ma un voto astratto e inconcreto, come può trovare accoglienza a petto d' una dottrina già stabilita e sanziona- ta dal tempo, e dalla autorità dei canuti ? Fate per lo meno conoscere la vostra inente, e proponete altra regola che raccomandi e giustifichi la riforma. Che r innovare non è un nonnulla da potersi inconsideratamente ricevere sopra un' aerea asserzione od uno sterile desiderio. Se una proposta basata sull' ipse dir xit non sarebbe accolla senza una chiara dimostrazione, quand' anche venisse da un consesso di dotti-, meno può esserlo quella che parte da un solo non altro avente ad iscorta che il buon volere e zelo per 1' arte. Non io mi ricuso alla intima, che questa legge di escludere le assertive che non hanno a compagna la prova, la feci prima a me stesso. Serviamoci di un esempio. Sia 1' altezza canonica, e la minore, di 20. Si tratta di surrogare una nuova rego- la con che impunemente e senza censura diminiurla e restringerla. In pri- mo luogo vorrei, che, a non cresimar la licenza, si prefiggesse un confine da non passarsi in niim caso e per prelesto di sorte. Poniamo che fosse il 1 5. Ebbene, entro tali esfremi di 20 e i5, s'istituisca una serie decrescente di gradi, che fossero alla distanza fra loro di una unità. Vorrei non meno che, qualunque di questi gradi consigliato e cerco venisse, ognor procedesse per — -156 — parti fra lor mensurabili e senza frazioni. Vorrei che l' espressione ed impron- ta di carattere a cui cliiamasse i' uso della stanza, desse, a così dire, il tuono, e divenisse la regola da osservarsi. Rimanesse il 20 alla stanza che sita a pla- ga felice, più fosse giovata dal benefizio del sole e della libera ventilazione. Un grado minore, il 19, a quella che pei notturni congressi delle veglie pro- lungate talvolta alla bianca aurora, per le agili danze delle vezzose Tersicori, e degli instancabili Adoni, pel numero delle faci e dei multiplicati doppieri, tale volesse una variabii corrente da equilibrare il calore della frequenza, la forza dei profumi, e le sempre nocive esalazioni degli aliti. Indi quelle dei con- viti, dei congressi diurni, delle non pacate assemblee sulle amiche discordie in quistioni d' Igiene, di teatrali spettacoli, di strade ferrate ; poi le sacrate ai dolci sonni, bandite le alcove insalubri pel concentramento degli aliti stessi, e pel bisogno di rinnovar meglio l'aria viziata da qualche malore, che tenesse chi 1' abita a forza rinchiuso fra le pareti domestiche ; poi infine le gravi asse- gnate agli studj, ed alla severa meditazione sulle carte socratiche, e così di mano in mano giusta gli usi, le affezioni, e lo stesso umore ispirato da non lie- te abitudini, e da una, se posso dirlo, consonanza alle avversità della vita non sempre evitabili in questo terrestre pellegrinaggio. Io non accenno che alcune delle circostanze multiplici, che influiscono sid nostro temperamento più o meno disposto alle cause e agli effetti della gioia o della tristezza, acciò le di- mensioni non dessero una mentita o all' egritudini della melanconia, o alle fe- stive effusioni della giocondità, che il gaio od il fosco è in diritto di attendersi dalle conscie mura della stanza confidente. Sta all' artista che spesso è l' inter- prete, e come il curante morale dell' albergatore, applicare all' uopo le regole qui solo accennate, e che non posson disgiungersi da certa shnpatica ed uffiziosa filosofia che concilia il sensibile col mentale. Io non sentenzio, propongo. Sta in voi, o Signori, dotati di penetrazione e di acuto intelletto, il dare quel peso che merita la proposta ; proposta det- tata dal buon volere, e dall' ardentissimo desiderio di servire, almeno in qual- che parte, ai progressi della dottrina. iiiiiiimillllim» 9<^t) tillllHimini.ru..= Sl'll'ilRCUITETTIlEi ECCLESllSTICi MEMORIA DEL SIG. EMILIO CAMPI-LANZL x»» se stata cosi strettamente congiunta di sangue con le signorie vostre, spere- ri rei che solo per amor mio, che le son servidore, e per conservar l' onore n della mia casa, volentieri si adoprerebbero a favor suo. Tanto più lo devo r, sperare, trattandosi di conservare la fama di una che fu di vostre signorie « prima cugina contra un malvagio e diabolico fratello che Iha uccisa, e trama » di uccidere l'onore di casa sua. E però, signori, io vi prego e scongiuro per " quanto v' è caro l' onor mio e la molta osservanza che io porto e porterò I sempre alla vostra illustrissima casa, che non mi vogliano mancare della loro ■n protezione, con la quale sola io spero di portare il negozio al fine desidera- f, to. IVon dirò più parole poiché mi parrebbe di far torto alla virtù vostra, mo- r. strando con preghiere più affettate di dubitarne. Io so che elle mi amano, — 180 — r ed io non ho confidenza in persona del mondo più che nella loro protezio- « ne. Spero anche nella loro bontà che saranno prontissime al mio soccorso. E « col fine bacio loro le mani, e prego ogni desideralo contento. Di Firenze 3 Dicembre i699 Di VV. SS. IH. Affel. Serv. e Zio B. G UARinr. Non ha la fama né di im Anguillara, né di un Guarini il letterato ferra- rese Ottavio Magnanini del Guarini contemporaneo, e del quale rimangono alle stampe gli Intermezzi all' Alceo delt Ongaro ed alquante Lezioni accade- miche sopra gli occhi delle donne; lezioni da me trascorse non senza qual- che noia, sì per una lor forma di trattazione aristotelica, sì per uno stile so- praccarico di que' rancidumi usati, solca dire il Testi, quando gli uomini por- tavano la berretta a tagliere e le calze alla martingalla. Ma a questo gen- tiluomo (se si avesse a giudicare dalle sue lettere famigliari, alcune delle quali ho potuto jìossedere autografe) dovrebbesi tenere per fermo che non venisse meno niuna di quelle doli che costituiscono e per dirittura di mente, e per lealtà di carattere, e per tratto signorile un cavaliere qualificato. Mi contenterò di farvi lettura d'una sola delle sue lettere, con la quale risponde ad un suo nipote che viveva in Parigi presso il celebre cardinale Benlivoglio allora Nun- zio Apostolico, il quale nipote cercava d' andare salvo da' rimproveri del suo troppo lungo silenzio con lettera allo zio infardeUala di frivole scuse. A Sante Magnanini amatiss. nipote, a Parigi. <■■• Quando a Dio piacque ebbi la vostra lettera delli 9 di gennaio, e sto per » dire, che se lo scrivermi vi dovea mettere in necessità di fare si lunga e pun- 51 gente invettiva contro la dea fortuna perché tardi m'abbiate mandato la no- » ta di cotesti autori di maggior grido, e mandata, perchè si sia più volte smar- y> rita nel viaggio, non vorrei piuttosto che mi aveste scritto. Non già perchè ■n non mi sieno cari i caratteri vostri, e da me non si senta piacere nel \a- y> gheggiare i tratti della vostra penna e i concetti della vostra vivacità, essen- « do verissimo, che quanto più è lontano il cielo che ci divide, tanto più è y> desiderato questo muto parlare che ci ricongiunge; ma dico, che piuttosto 51 non vorrei che aveste vergati quel fogli per la tema, che sentendosi la For- ■jì luna eh' è dea molto bizzarra e sdegnosa, per sì lieve cagione caricata da un — 181 — » giovinetto di tante villanie e maldicenze, non venisse in ira con esso voi, ed » a ciò che aveste onde fondare sì amare doglianze, sentire non vi facesse al- » cune delle sue pesanti mazzate; e sapete, e' sono ben altro che lancia d'Achil- y le o clava d'Alcide! Racchetatevi dunque, e per vita vostra, ch'ella ne an- » che vi oda squittire. Ad ogni modo non siamo noi quei dessi ? forse quanto » siamo lontani con le persone, altrettanto ancora siam divenuti stranieri di « consanguineità e di amore, che per giustificare un semplice peccatuccio ed » una debolissima ommissione, s'abbia a mettere mano a tanti giri e rigiri? » Per ciò che non è e non puote esser vero, non ci serviamo di certe maniere » come fosse vero, e però io che sono stato due mesi a rispondervi, non vo' » già spendere molte parole a rendervene conto, e volentieri, scusando voi del- » lo indugio di due e più anni, mi prometto che il vostro affetto condonerà n anche a me la tardanza di poche settimane. " Venendo ora al catalogo degli autori in codesto mondo di piìi rinomea, « io sono veramente rimaso poco men che stordito dal vedere che in profes- » sioni così nobili, cliente sono le filosofiche, le morali, le politiche e le poe- tiche, sì pochi abbiano acquistato grido in uno studio di Parigi, eh' essere » soleva l'Accademia del mondo. Se non fosse temerità il pretendere che pre- « sentar si possa occasione di far venire da Parigi a Ferrara a salvamento i due « volumi del Crassot, li due altri del Raunis, e quello del Balfour, direi che ;' mi si mandassero, ma se la condotta avesse a costare piìi che le opere stesse » io ne rimango piuttosto col desiderio. Ma ditemi, per vostra fé, sono sbandi- » te da si bel regno le lettere umane e le deliziosissime materie di erudizione? n oppure non vi è sovvenuto di porne alcuna in lista? Vi è pur noto quanto « io ne sia vago, e quanto diletto ne prenda! Autori di erudizione e di lettere " umane intendo un Turneto, uno Scahgero, un Moretto, un Lipsio e altri tali r, senza novero, e però delle loro opere, e di altri sì fatti nobili lavori io avrei « desiderato di avere contezza distinta, e '1 costo insieme. Torno a pregarvi a « soddisfarmi anche in questo, ma con più prestezza. Non usate scarsezza an- « che nell' informarmi delle cose più notabili che costì succedono alla giornata. « Delle nozze reali, nec verhum; della partita della regina-madre farete lo stes- « so? no di grazia, e lo riceverò per particolare piacere. Riverite per me mon- » signore illustrissimo, e voi di tutto cuore abbraccio. -> « Dì Ferrara addi 24 di maggio 1(V19. » « Prostro cordialiss. zio, e come padre Ottavio MAorìiMim. » — iS2 — Domenico Zane veneziano patrizio, eletto dalla repubblica ambasciadore a Filippo IV re di Spagna, tróvavasi nell'anno 1667 a Madrid. Intorno a'pub- blici negozi, che si agitavano al suo tempo, egli non dissimile dagli altri suoi concittadini destinati alle pubbliche ambascierie fu uno degli scrittori accorti di quelle relazioni le quali sono oggidì divenute oggetto di universale curiosità, e che con assidue cure si indagano, si raccolgono, si mettono a stampa. Io lascian- do di parlare di esse, e degli onori che il Zane sì acquistò, creato siccome fu dal re spagnuolo cavaliere della corona di Castiglia, mi confino a farvi lettura di una famigliare sua lettera nella più intima confidenza scritta airamico suo di Venezia Lodovico Contarini. Il brano di questa lettera che concerne le costumanze delle matrone spagnuole di allora, esposte con narrazione se non eulta, assai ingenua, sembrami tale da non riescirvi discaro, e tale da compiere con questo il nostro odierno trattenimento senza che abbiate a tacciarmi d'indiscrezione. « ///.""' Sig. Sig. Oss.'"°/ « Non più querele, non più col Zane di Spagna perchè non scrive. E mio « cuore sdegna che la penna si usurpi le parti sue, quasi che il mio caro sig. » Lodovico Contarini non sappia ch'io l'amo sempre ad un segno, quando col n debolissimo testimonio d'una carta egli non ne rimanga accertato. Che dice V. 51 S. di questa bella difesa, dettala da un sincerissimo affetto con cui io la onoro r e parlando e tacendo ? Ma vuol Ella eh' io le adduca un'altra ragione non meno » vera della prima? Io non iscrivo a V. S., ed è perchè mi vergogno da questa « famosissima corte non avere che scrivere. Le nuove del mondo qui in que- » sto remotissimo paese noi le sappiamo due o tre mesi dopo degli altri. Del- » la pace non posso dir altro, solo che spagnuoli la desiderano, ma francesi « non la vogliono*, che i primi la bramino, non è difficile di persuaderlo. Ven- r> tiquattr'anni di guerra quasi contro tutto il mondo, e quello eh' è peggio, » contra la fortuna, farla desiderare la pace alla stessa discordia. La nostra re- n giua è gravida, e per li computi di quelli che sono del mestiere, viene a par- n torire nel dicembre venturo. Se nascerà un maschio egli sarà il re di Spagna, » cioè a dire un bel soggetto sopra questa scena del mondo, ma se nascesse :•> una femmina, sarebbe la terza, e bisognerebbe allora pensar daddovero ad 55 accasare l' Infanta, che succederebbe alla corona. La giovane è la più bella cosa w ch'io mai abbia veduto. Di diciasett'anni, spiritosa, allegra, in somma io dico, « che se fossi un re non vorrei certo altra moglie che questa. V. S. vedrà il suo — 183 — " ritratto in casa di mio fratello, al quale l' ho inviato la passata settimana so- » pra fi' un vascello amburghese, con allri ([uadri curiosissiuii di questo paese. » Del resto, io me la passo qui in un ozio fastidiosissimo, pratico poco con n questi signori, mentre con essi non si può giocar che a perdere, e vogliono » star sempre sopra il compagno. Di femmine, o sia ch'io non me n' intenda, o n ch'io tenga corrotto il senso dalla esquisita bellezza delle nostre, tutte que- n ste mi rassembrano orchi incarnati, sfingi umane ; ma la loro vivacità, il bril- » lo, la prontezza e l'acutezza de' moti, delle risposte, dei discorsi certo eh' è » meravigliosa e che alletta molto ; ma poi sono interessate tanto, anzi cosi n sfacciate ch'è cosa incredibile ; lutto dimandano, tutto fa per loro, ogni cosa » o vogliono o rubano o rapiscono, che in verità non si può viver con loro. Io » tengo la mia casa ne' sobborghi di Madrid, in un sito, come alla Madonna n dell'Orto in Venezia. Qui è spaziosissimo e nobilissimo giardino con fontane, » e certamente eh' è il più bello, comodo e delizioso palazzo che sia fra quelli r> degli Ambasciatori. Volle il re compensare con la qualità singolare del ■n luogo la lontananza in che questo si ritrova dalle piazze, ovvero Filippo se- r, condo, ch'era innamorato nelle ammirabili qualità del grande Leonardo » Donalo allora ambasciatore a questa corte, volle privilegiarlo con questa abi- « tazione cospicua e perfetta. Ora, con la occasione del giardino, io vengo » spessissimo visitalo da compagnie di dame, le quali praticano anche in que- « sto paese con libertà francese, con la differenza però, che questa è licenza di » latto. Qua dunque conviensi stare sempre sul corteggio e sul regalo. Nell'e- ri state particolarmente sempre colezioni. Due gran cassoni di cristalli che ho 11 portati da Venezia, li ho distribuiti tutti l'hanno passalo, e mi convenne far- n mene mandare due altre casse •, zuccheri poi di Genova, canditi ed altre cose :5 simih, se ne consuma una infinità. Vennero la passala settimana due cocchi " ripieni di dame al mio giardino alle sette ore del giorno, che sarebbero alle » ventitré delle nostre. Vi era tra queste la moglie del marchese di Linchiè fi- « glio di don Luigi d'Aro, che viene riputata la più bella signora della Spagna, !•> U}a che a me niente piace. Vi era la figliuola dell'Alnu'rante di Castiglia, mo- 51 glie del duca di Ossuna, la moglie del duca di Monte Rey, ed altre molte. ;5 Ricercarono, se era a casa 1 Ambasciatore, e risposto che no, ritorneremo, » soggiunsero, e passarono innanzi. Vennero la sera seguente alla stessa ora, e n senza dimandar altro, entrarono nel giardino. Io fui subito avvisato dell' arri- » vo di queste dame. Slavo in sottabito, e presto presto mi feci dar da vesti- n re. ma ciò non fu in tempo, poiché entrale baldanzosamente le dame nella — 484 — 5' stessa mia stanza, eh' è posta nel quarto basso sopra il giardino, mi ritrovaro- !■> no, si può dire, in camicia. Crede V. S. ch'esse si ritirassero? o questo nò; " che anzi mi sgridarono perchè io voleva così mezzo nudo, ritii-armi. Io arros- « siva della loro sfacciataggine ; ed esse ridevano della mia modestia, chiamata n da loro coglioneria. Finalmente feci animo aneli' io, e calzatomi alla meglio 5) che poteasi un pajo di braghesse di zendado, entrai a eomplire con loro al- !' 1 improvviso, scusandomi di non accoglierle come meritavano, mentre m'era- r, no sopravenute. Non tante ceremonie, signor Ambasciatore, mi disse la gio- n vane contessa di Lernia, che senza complimenti, noi vogliamo mangiare r, prima, e poi essere da voi regalate di galanterie di Venezia. Io resi umil- )5 mente grazie alle eccellenze loro di tanto favore, e poi presto presto si appa- » recchiò nel giardino, vicino ad una fontana, una gran mensa, dove furono ■n portati quattro bacili di confetture, due di fruiti agghiacciati, acque gelate, V. né altro vi era in tal improvvisata. Divorarono ogni cosa in un attimo, e poi ■>•> dissero che avrebbero mangiato volentieri cjuaiche cosa di sodo. Presto pre- !•, sto fu portata la mia povera cena, che consisteva in un pajo di pollastri (per- 51 che sono solo, oltre il segretario), e due bragiuole di vitello, e qualch' altra r bagatella. Tulio c[uesto pure venne trangugiato in un momento. Io rimaneva « una statua a tanta voracità, e queste femmine ridevano delle mie estatiche « meraviglie, e mi domandavano se in Venezia così si usava ; al che io rispon- 55 devo che si, però in altra maniera, ed andavo descrivendo quelle cenine in 55 peofa con musica, ovvero in gondola con quella macchina comodissima del 55 nostro adorato Querini per formare una mensa stabile sulle instabilità delle 55 acque. Morivano di voglia d'esservi queste dame, dietro al mio racconto, e 55 dopo di avermi ricercato di altre usanze della nostra città, al che niente man- 55 cava per loro accrescere il desiderio, si levarono, e dissero, che volevano ve- 55 dere la casa e farvi perquisizione se avessi qualche dama nascosta. E così 59 vollero andar da per lutto, anche nelle camere de'gentiluomini, dei paggi, e 55 sino in cucina. Nella mia prima camera una di esse mi levo una scopetta col 55 manico d'argento, ed uno stucchielto bellissimo che stava sopra la petteniera, 55 il quale portai di Francia, comperato da me a Lione per due doble. Nella 55 camera di udienza mi tolsero otto cedri di cera assai belli che tenevo in una 55 fruttiera. Nel tinello mi carpirono due bellissimi ferali di cristallo che stavano 55 sopra una tavola-, e per rendermi maggiormente favorito, disse la marchesa 55 di Linchiè, che voleva donarli al signor don Luigi d' Aro suo suocero per 55 mia parte. Entrate poi nel mio studio, che mi fecero aprire per forza, mi — 485 — « tolsero la mia campanella d'argento, e alcuni libri spagnuoli di commedie, » di poco prezzo però ; ma quello che più mi dispiacque fu una crocetta d' ar- " gento di reliquie che mi donò mia madre, anzi ch'ella stessa mi pose al col- » lo al momento della mia partenza da Venezia. Finalmente entrarono nella n stanza dei vetri, e quanti ne presero lo sa Dio, anzi io stesso lo so, perchè « pochissimi me ne lasciarono, avendone caricato tutte le loro serve, e i loro » paggi, e la cassetta dei cocchii, e che so io. Dopo avermi cosi ben bene sva- n ligiato si misero a darmi la burla, con dire, che volevano in ogni maniera n ch'io loro insegnassi a parlar veneziano, e che sarebbero venute frequente- n mente a trovarmi. Non potei contenermi dal rispondere anch'io sorridendo, n che come avevano a pagarmi di quella nionela sarebbe stato meglio che non " s' incomodassero, ma che piuttosto io sarei andato alle case di ognuna di r> loro a servirle. Bene sta, disse la duchessa di Lerme, ma perchè la Eccellenza T) Prostra non riceva tanto incomodo di venire in un giorno alla casa di tutte n noi, resti contenta di darci lezione una settimana per ognuna, che la atlen- n deremo alle nostre case, già ch'ella così vuole. Io mostrai prontezza di ob- n bedirla -, e così tra esse concertarono, che il di seguente io dovessi essere alla » casa della duchessa d'Aitona, che per essere la più vicina alla mia abitazione n si stimò dover esser prima. Cosi restò concertato. Passando io poi in altri « discorsi curiosi, e che uscivano quasi dai limili della conversazione cavalie- ri resca, e ne'quali, a dispetto della mia naturai modestia, convenni far anch'io r> quella parte che per non riuscire insensato, e per giocar, per cosi dire, del n loro gioco, mi trovai obbligato di fare, restai anch' io molto ben soddisfatto di « me stesso nella soddisfazione che mi accorsi d'avere apportata a tutte quelle n signore. Terminò la visita in somma dopo quattro lunghissime ore di tempo, n ma la mia mala sorte mi volle diferire lo sperato anzi concertato passatempo, » poiché la mattina seguente mi mandò a dire la Duchessa, che essendole n morta in quella stessa notte la suocera, il che era vero, di 84 anni per im- « provviso accidente di apoplesia, ella non si trovava in istato di ricevere le n lezioni del maestro italiano, atteso li nove giorni di honta (cosi si chiama in " Spagna un termine di tempo nel quale i parenti più congiunti del morto « non escono di casa, anzi neppure di certe stanze oscure ), e mi fece soggiu- " gnere, che non dovessi neppure in questo tempo principiare le mie lezioni " dalle altre, mentr'ella non voleva in niuna maniera perdere per questo acci- n dente il suo privilegio d' esser la prima -, ma che passato detto termine mi » avrebbe ricevuto, sinz" altro ordine nuovo. Così terminò questo bel succes- Ate>eo. Tom. V. 24 — i86 — » so, ed io in questo momento sto attendendo il giorno di recarmi alia concer- « tata ricreazione, che dev'essere Martedì venturo, nel quale mi preparo al n certo a belle cose. 55 Che dirà mò V. S. ch'io non le scrivo? Ho riempiuto cinque interi fo- j> gli di questo lunghissimo racconto quale però non sia letto ad altri che al ri nostro dolcissimo compare Querini inter privatos parietes, esclusi tutti tutti » gli altri. Non so finire scrivendo a V. E. perchè mi pare, adesso che scrivo, j> discorrere seco nei raezzadi in Ca Querini, dove se Dio vorrà, ci rivedremo n e godremo ancora, mentre in tutti i tempi voglio essere n » Da Madrid 1 Luglio 1657 Di Y. E. » Ohhl. servitore ed off. amico n Domenico Zane, n Le quattro vecchie Lettere delle quali vi ho fatto lettura, Socj onorevo- lissimi, avrebbero forse corso U finale destino di andar distrutte ravvoglien- do cacio od acciughe nelle botteghe de' pizzicagnoli senza quell'amore di cercare, di raccogliere, di conservare eh e in me, e che in me rimarrà finché mi duri lo strascico ultimo della vita. E qui dando fine alla narrazione vo lie- to di poter riflettere, che da me non dissimili siano eziandio alcuni de' colle- ghi nostri, i quali e di lettere autografe e di altri oggetti, anche di maggiore importanza, vanno facendosi collettori e custodi. Io li eccito a metterri anche essi a parte di loro lautezze. Cosi ha già fatto il rispettabile nostro Presidente, che rese di pubblico diritto una sua singolare raccolta di veneziane monete. Così fatto avesse il nostro socio profess. Giuseppe Innocenti, che non ha molto compiè sua giornata lasciando quasi sconosciuta una serie di preziosi oggetti che meritar possono l'ammirazione e lo studio de' naturalisti. Così fare dovreb- bero d' ora innanzi quelli fra noi che hanno ormai a porre in bella mostra rac- colte indigene di farfalle, d' insetti, di rettili, di pesci, di uccelli, e d'ogni cu- riosa produzione naturale de' nostri lidij e quelli ancora, che si mostrano sol- leciti a radunare i venerandi resti della sapienza de' nostri padri, o le opere de' nostri artisti, o altre di vario genere, ma sempre atte a far rispettare dagli stranieri la civiltà veneziana. — 187 — Letteha di Gio. Ahdrea dell' Ahgi'illara a Cosimo De Medici Grardl'ca di Toscaka. Illii\lri.si,imo et KccelleiUi.tsiino Sif^. Duca. r> Sodo sei mesi passali ch'io diedi una mia Canzone, indirizzata all'Ec- cellenza Vostra, al suo Segretario in Venezia, a fine eh' egli gheia facesse capi- fare nelle mani, come mi promise di fare, e come il dovere vorrebbe che aves- se fatto. iVoii ho avuto fino al giorno d'oggi alcuna risposta, né da Lei in iscritto, né dal suo Segretario, né in alcun altro modo, la quale cosa mi fa co- minciar a credere, ch'ella non l'abbia avuta, perchè io so quanto ella sia dili- gente e cortese nel rispondere. Mi pare impossibile, se l'avesse avuta, che non mi avesse almeno renduto Canzon per Canzone, come pare che da un tempo in qua si sia cominciato ad usare, e come da più d'uno, da poi ch'io cominciai a canzonare, in' è stato risposto. Ma avendo poi veduto il Cardinal di Lorena e 'I Duca di Ferrara fare il medesimo ( all' uno de' quali presentai, all' altro feci presentare una Canzone fatta da me in morte del valorosissimo Duca dì Guisa, che dell'uno era fi-atello, e dell'altro cognato ) e non avendo da alcuno di loro ritratto né Canzon per Canzone al solilo, né alcun' altra sorte di ri- sposta io aveva cominciato a credere ad un altro modo ; ed è, che voi altri principi moderni avete annullata quella usanza di rendere parole per parole, e fatto una legge nuova. E questa sarebbe, che per l'avvenire tutte le Canzoni che vi fossero scritte s' intendessero bandite non solo dalle vostre presenze, e dai vostri dominj, ma dal mondo come ribelli e mentitrici di quanto dicono in favor vostro, come quelle che insidiano per vie indirette alle vostre borse, anzi a' vostri erarj, e come quelle che cercano di offendervi con le loro stra- vaganti invenzioni sì nella persona che nell'onore ; insomma come che fossero nemiche a spada tratta di vostra quiete. Per questa credenza io m'era mezzo risoluto, imilanclo in questo i miei maggiori, di bandirle anch'io dal mio stu- dio e dalla mia fantasìa, e di non voler più loro pratica, per non essere uno ch'è bandito per conto loro non solo dal mondo vecchio, ma dal nuovo, e non solo da quello che si è trovato, ma da quello che si va cercando ; ma il Sig. Ambasciatore di Ferrara, ch'è poeta, e filosofo, ed il Sig. Pigna, ch'è filosofo, e poeta, e legge 1' Etica alle Scuole di Feri-ara, con alcune risposte che hanno fatte intomo a q\ieslo ad un onorato cavaliere degno di fede, mi hanno aperto — i88 — gli occhi, mi hanno essi fatto toccar con mano, che il non rispondermi, e il non ringraziarmi del Duca di Ferrara era proceduto dalla nuova legge ch'ai credeva già che i Principi moderni avessero introdotta. Per quello ch'essi af- fermano (che'l possono sapere) la legge non è stata ancora né stabilita, né pubblicata, ma ciò è proceduto da un altro rispetto, eh' è questo : che non a- vendo la Canzone fatta da me in morte del Duca di Guisa preso di mira in punto ed in bianco alla persona del Duca di Ferrara, e non parlato di lui, egU non era tenuto né a rispondermi, né a ringraziarmi, attesoché io gli ave- va presentato una cosa che non apparteneva a Sua Eccellenza. Questa risposta mi chiuse la bocca, e mi trafisse in un medesimo tempo, perchè non solo mi escluse dalla risposta del loro padrone, ma da quella ancora del Cardinal di Lorena, non avendo la mia Canzone investito per diritto filo la persona di Sua Signoria Illustrissima, e non parlando di lei. Pure in tanta disgrazia, mi pare d'aver avuto una gran ventura, ed ho da ringraziarne Dio che la risposta di que'sottilissimi filosofi non sia stata tale che m'abbia escluso parimenti dal- la risposta che aspettata ho, e che aspetto dall' Eccellenza Vostra. La Canzone ch'io le mandai viene ad investire la sua persona, non per Uuea traversale ma per linea retta : essendo dunque vero che le ragioni de'prehbati filosofi Ferra- resi non mi escludono dalla risposta ch'io aspetto dalDuca diFiorenza, essendo egli vivo, e parlando la Canzone a lui e di lui, mi parrebbe ragionevole che il detto Duca mi rispondesse, o che almeno trovasse xm altro paio di filosofi in Fi- renze, od in Siena, come ha fatto il Duca di Ferrara, che con alcun'altra nuova e stravagante ragione mi facesser non meno ammuffire e strabiliare di quello che hanno fatto gli acutissimi filosofi Ferraresi. Questo s'intenda quando l'Ec- cellenza vostra abbia avuto la Canzone, e non le paja di rispondermi ; ma quando non l'abbia avuta, come comincio a credere di nuovo, e come si dee credere, la prego che faccia che Don Silvano monaco dell'ordine di Camaldoli gliela presti, e la legga, che non dubito di avere quella cortese risposta che si conviene alla sua grandezza. Che Don Silvano n' abbia copia ne sono sicuro, perchè non solo mi rispose d'averla avuta, e me ne ringraziò con parole, ma in ricompensa mi mandò un presente di lavori in tele sottiHssime, non da fra- ti ma da papi, di tal valore che se i Principi a'quali ho scritto mi avessero presentalo a proporzione a quel modo, io mi troverei avere più tele e più la- vori nelle casse, che versi in istampa. E fu gran ventura la mia, che il reve- rendo Don Silvano non si consigHasse col Cardinal di Lorena allora, o co'fiio- sofi di Ferrara, o col loro padrone, che non essendo la Canzone ch'io mandai — 189 — al frate scritta al frate, né parlando del irate, arrebbono consiglialo il liale a stare ne' termini del frale, ed a tenersi que'bei lavori per sé, od almeno a ilo- narli piuttosto a qualche povero fraticello, dal quale alle volte avesse potuto spe- rare alcun servizio ne' suoi bisogni. Questa è però una gran cosa, che i frati che altre volte solevano aver dell'asino, abbiano oggi del Duca e del Cardinale, e chi altre volte soleva avere dell'Augusto abbia oggi del frate per non dire dell'asino, ed ascolti i versi de'Poeti con le orecchie di Mida. Oh! Apollo, tu mettesti giù un paio d'orecchie d'asino al Re Mida per far conoscere al mon- do che Sua Maestà avea giudizio da asino nel giudicare che il Canio di Marsia fosse migliore del tuo che se '1 Mastro ed il Piffero delle Muse, e le mettesti al Re di Lidia solo perchè in quel tempo non si trovò altro che Mida di quel giudizio*, ma se tu oggi avessi da metter le orecchie d'asino a tutti coloro che nel giudicare i canti dei poeti hanno il giudizio di Mida, ti bisognerebbero tante orecchie d'asino che faresti restar senza orecchie tutti gli asini di Ro- magna e di Toscana! Ora se la Eccellenza Vostra mi dirà, che in questo io ho delPasino, scrivendo a chi scrivo, e facendo tante volte menzione dell'asino senz' una reverenza al mondo, io non risponderò già che ha avuto anch' ella dell'asino a slare sei mesi senza rispondermi ( che io voglio parlare con quel rispetto che debbo), ma dirò bene audacissimamente, che il disprezzo che ha usalo verso la persona mia non ha avuto del Duca, che non credo che de' pari miei ne trovi le migliaja per le siepi della Toscana, come delle more selvatiche, e poi quando in questo io avessi avuto alquanto dell' asino, non sarebbe maraviglia, perchè io sono stalo tanto in Corte, e ho praticate tan- te Corti e con tanti asini, eh' è uno stupore ch'io non sia un asino istesso. Non dico io già che i Principi a' quali ho scritto, e che ho serviti e praticati, siano stati gli asini, ma non posso negare che non sieno stati capi principi, re, e imperatori degli asini, perchè ho trovalo i loro ministri ( salvando sempre i gentiluomini e gli uomini da bene) per la maggior parte asini di ventiquat- tro caratti, e dei quali altri va sellalo alla ginetla, altri bardalo di velluto, e in altre mille forme rivestiti, e sono appunto il rovescio della medaglia dell'asino di Apulejo, che dove quell'asino di Apulejo aveva le effigie di asino e la mente di uomo, questi che dico io, e che ho praticato io, hanno effigie di uomo, e mente di asino. Ma per non avere dell'asino aO'allo anch'io, voglio lasciare tutte le asini- tà da bauda, e per conservarmi suo servitore voglio credere che la mia Canzo- ne non sia couiparsa innanzi la sua presenza, anzi ch'abbia preso altro viag- gio, non già per colpa del suo Segretario, ma del procaccia o della mia mala — 190 — sorte; abbenchè da poi ch'io gravai il suo Segretario di questo, non mi pare che sia proceduto meco con quella piena ed allegra faccia che solca per avanti; anzi mi pare che si sia ritirato da me, e che sia andato meco a mezz'aria, e mi abbia da quel tempo in qua guardato con un occhio buono ed uno tristo, e non avendo io indovinatone il perchè, ho pensato che ciò sia proceduto piut- tosto per suo difetto che per mia colpa. Basta, che per ogni rispetto voglio credere, come ho detto, che per mia mera mala sorte, e non per altrui colpa, la mia Canzone non le sia stata presentata-, e vo' credere così perchè ogni volta ch'io credessi altramente non potrei fare buon giudizio ne del suo giudizio, né della sua cortesia senza fare cattivo giudizio né del mio giudizio, né della mia poesia-, che s'io giudicassi ch'Ella avesse avuto buon giudizio a giudicare la naia Canzone indegna di risposta, verrei a dannare il mio giudizio eh' ella ha giudicalo, e giudica non solo degno di risposta, ma di ricognizione-, sicché per non dannare il suo giudizio e salvare il mio, voglio credere, come aveva co- minciato a credere fin da principio, che non l'abbia avuta; e se ne posso uscir con onore questa volta con la Eccellenza Vostra, non mi voglio mai più im- pacciare con Principi, perchè non m'intervenga con gli altri quello che m' è intervenuto col duca di Ferrara, che per avergli presentata una Canzone fatta da me a lui e per lui nella superba entrata eh' egli fece in Venezia, non mi Tuoi più né vedere, né parlare, come s'io l'avessi ingiuriato a lodarlo. Questo fu per mera mia fortuna contraria, che Sua Eccellenza, come cortese, ordinò che tutti i servitori che in Venezia lo avevano co' loro versi onorato fossero riconosciuti, e lutti furono premiati, da me in fuori che lo aveva onorato a paro degli altri, e gli era servitore più antico degli altri ; ma già il Sig. Amba- sciatore, e il Sig. Pigna lo salvarono al solito, dicendo che il Duca non rico- nobbe me in Venezia perchè mi aveva riconosciuto in Ferrara innanzi ch'io canzonassi. Io non so in quale libro s'abbiano studiate queste fdosofie il Sig. Ambasciatore, ed il Sig. Pigna, che se uno fa una Canzone in lode di un morto, debba quel morto in persona ringraziare, e riconoscere il Canzonatore, e non il hatello o il cognato del morto ; e se la fa in lode di un vivo, che quel vivo lo debba e possa riconoscere col benefizio passato. L' Etica eh' io leggo da me medesimo, ed alla mia servente, mi pare che dica cosi ( non so come si dica quella che legge il Sig. Pigna a sé stesso, e al suo servitore ) : Che il liberale che fatto ha benefizio non se ne debbe ricordar più, e che sta al bene- ficato il ricordarsene, come faccio io, che ricordandomi della liberalità usatami, ed approssimandosi la occasione, canzonai il Duca, e non mi dolsi mai che la — 191 — mia gratitudine non fosse riconosciuta ( che avrei forse erralo ), ma mi ram- maricai bene che mi fosse fatto ingiuria, che fu un gran disfavore a me ed alle opere mie che in una ricognizione generale fossi dimenticato, io che avevo operato al paro degli altri, ed era servitore più antico degli altri. Pure avrò imparato questo dalla Filosofia loro, di non dire mai più bene né di morti, né di vivi, e spezialmente di quei vivi che mi hanno fatto del bene. Ella si meraviglierà eh' io le abbia contate cjueste cose fuor di proposito, ma si avrebbe piuttosto a meravigliare che in quest'occasione io non sia entrato nel trotto degli asini un'altra volta, ch'Ella sa bene eh' è privilegio degli offesi di potersi querelare fuor di proposito con ognuno, e la mia ragione avrei po- tuto mostrare scrivendo anche una satira in versi, dov' é lecito saltare di palo in frasca, ma io ho voluto scrivere in prosa, perché mi ricordo che un Fioren- tino mi disse una volta in Francia ad un certo proposito, che se le lettere di cambio fossero in versi non se ne pagherebbe inai niuna -, ed io desidero che mi sia pagata la presente almeno d'una risposta, siasi quale si voglia. Ho vo- luto scrivere nella forma eh' ella vede querelandomi in prima, e pregandola poi che mi voglia avere in quel luogo che dice la mia Canzone, alla quale mi ri- metto. Parli un poco con Don Silvano che mi conosce, e al modo suo di pro- cedere mostra avere giudizio, e conoscere il buono ; e mi perdoni se per ri- sentirmi contro il disprezzo che mi pareva patire a torto, sono uscito alquanto dei termini, che non resta per questo ch'io non le sia quel divotissimo servi- tore che dicono i miei versi, ai quali riportandomi farò fine, pregando a lei ogni felicità, ed aspettando a me una risposta da Duca e non da sofista. Di Venezia il di xxii di Maggio del lxiii. Dell' Ecc. V. Umilissimo devoliss. servitore Gio. Andbea Dell' Angdillaba. CEKNl STORICI SUI PROGRESSI DELLA. CIVILE LEGISLAZIOiNE DEL DOTT. AYV. GIUSEPPE CALUCI Parte I. lu un secolo meraviglioso pelle sue invenzioui,pel divulgamento dei lumi, pella storia politica delle nazioni : in un secolo in cui 1' uomo piegando alle sue voglie la voracità delle fìaiuoie, ora le costringe a trasportarlo colla rapidità dei venti sopra la terra e sopra i mari, ora le piega a sollevarlo dalla fatica del lavoro, e trasmuta la loro forza distruggitrice in una forza operante, produtti- va di uaille oggetti che saziano i di lui bisogni, la di lui voluttà : in un secolo in cui l' impercettibile magnetismo diveniito pur esso potente ministro del nostro volere, ora si presta alle ammirabili decomposizioni della chimica, ora si sforza colle sue correnti a porgere regolare movimento alle masse, ora perfino si fa confidente e trasporta i segreti dell'intimo pensiero: (i) in un secolo in cui la carità stende le materne sue braccia a sorreggere i primi passi della misera infanzia, e soccorre la sventura sebbene bruttata dal de- litto cercando di alleviare la durezza delle pene, e parlare alla ragione anzi- ché ai sensi: in un secolo che vide sorgere e crollare la vastità degli imperi ab- bracciando rapidamente in breve spazio di anni la lenta azione dei tempi : che mirò il Sarmale farsi gigante e pesar potentemente sulla bilancia europea-, e l'americano dettar precetti di libertà di civilizzazione; ed il Greco sciogliersi dai ceppi ed affrancar quella terra entro cui calpestate dal despota ottomano fremevano le ceneri onorate dei Temistocli, degli Epaminonda ; in tal secolo, o Signori, il progresso delle leggi, le quali si atteggiano mai sempre ai bisogni ed ai lumi delle nazioni, il progresso delle leggi diceva, deve indubbiamente (i) lolendo di parlare soltanto dei tclegralì. Atemeo. Tomo V. 25 — 194 — avere camminato di pari passo, ed il seguirne le orme, lo scoprirne gl'impulsi, il determinarne gli efletli, sarà ognora utile, sarà profonda ricerca della filosoBa del diritto della politica economia. Io non mi accingo a tanto, che male si converrebbe alla povertà delle mie forze ed ai limiti d' una accademica lezione, nullameno non vi dispiaccia che storicamente vediamo come i vari popoli si sieno mano mano prestati alla ri- forma delle loro civili legislazioni, e nel tempo medesimo tocchiamo di volo alcuno tra i principali caratteri che le distinguono. Già la Romana grandezza posavasi unicamente nella storia e nei monu- menti: già cicatrizzate erano le piaghe che il ferro dei barbari avea portato: già da un ordine novello di cose da una novella civiltà, erano riorganizzate le nazioni, e nullameno rimanevano nelle leggi stranamente confusi i retaggi della sapienza latina, e quelli che discendevano da tempi piti sciagurati. Fu questa una causa per avventura di quei tanti lagni contro la giurisprudenza, ed i le- gulei i quali nell'eterna discrepanza delle leggi, dei chiosatori, e dei giudicati ritrovavano ognora una messe amplissima di cavillazioni. La brama di dettare un codice semplice e generale destavasi è vero di quando in quando nei re- gnanti, ma l'effetto non si otteneva che rispettavasi troppo l'autorità delle leg- gi, ammassando una raccolta di dottrine anziché una serie connessa di disposi- zioni e l'unico risultamento riducevasi il piìi delle volte nell'avere aggiunto una nuova ordinanza alle mille già preesistenti. Nella Germania ove più tardi vedremo sorgere i primi conati della rifoi'- ma legislativa, il diritto Romano associavasi alle ordinanze di Lubecca di Cnl- ma, allo specchio Sassone compilato nel 121 5 da Eicke di Repgow, ed allo specchio Svevico sorto nella seconda metà del secolo XIII. La Boemia al diritto Sassone ed al Romano univa tutte le costituzioni municipali. L'Ungheria alle leggi dei Barbari avea mescolato alcune disposizioni del diritto Canonico e del Romano. La Polonia aveva pur essa il diritto Sassone, ma vi univa le patrie leggi di Casimiro il grande, di Ladislao Jagello, di Sigismondo L ih Sigismondo V. e nel silenzio di queste ricorreva alle massime del jus cumune (i). La Danimarca altenevasi alle leggi di Valdimiro. (i) La Gazzella Universale sollo la cfala di Pictroliurgo 8 aprile di questo anno (i8-45) an- nunzia che una giunta presieduta dal consigliere Bludow sta compilando un Codice pella Polonia. — 195 — Nel Portogallo alle molte lagune del diritto Regio suppliva quello Roma- no, e davasi autorità alle glosse di Acursio, di Bartolo, e di Azzone. INon vi tengo parola dell' Italia, che sebbene Milano avesse lo statuto e le leggi di Carlo V.. e statuto avessero non dico le principali città, ma per fino ogni popoloso terreno, pure come altra volta cercai di provarvi (i) generale erasi V autorità del diritto Romano, e bene spesso i principj della dottrina di- struggevano la disposizione delle leggi positive parecchie delle quali nate iu mezzo a costumi di feroce rozzezza, giacevano dimenticate per tacita abroga- zione. Forse fra gli Italiani statuti quello soltanto di Venezia nessuna autorità concedeva al diritto Romano, ed anzi nel primo prologo del 6 settembre 1242 solennemente prescriveva che mancando la legge e la consuetudine avesse il giudice a pronunciare secondo l'intimo suo convincimento; ma cpiesta ecce- zione alla generale costumanza se per avventura può a prima giunta recare me- ravigha, avuto riguardo specialmente alla stretta relazione dei Veneziani coli' Oliente, questa eccezione diceva, partivasi dalla stessa loro politica condizione, e col progresso dei tempi fu di nessuna forza nelle sue conseguenze. Condotti infatti da quella generale sciagura a rifuggiarsi in un asilo di pace (ed erano al certo le genti migliori quelle che quivi si rifuggiavano, mentre i facinorosi non si partono da ove puossi predare e saziare ogni sfrenala voglia) condotti in un asilo di pace quando ancora la romana giurisprudenza non era stala riordinata da Giustiniano, non sentivano in sulle prime il bisogno di un sistema legi- slativo, ed in quella semplicità ed eguaglianza di rapporti se pure qualche liti- gio destavasi bastava a comporlo la confidente autorità dei sacerdoti che soli per grado e sapere a tutti gli altri soprastavano. Ma la semplicità dei civili rap- porti poco si mantenne: presto sorse il bisogno di una regolare organizzazio- ne, e ciò tanto più che lo stato federativo delle staccate isolette richiedeva una assemblea di nazionale rappresentanza nella quale, il comune interesse discu- tere si potesse. Da ciò ebbe vita I' Autorità tribunizia, primo passo a quel con- centramenlo cui tende mai sempre ogni potere finché più o meno riducasi al- l'unità. Ai tribuni di ciascuna isola passò in allora la giurisdizione civi- le, né al certo possiamo supporre che senza nessuna legge scritta si regolas- sero, e ciò tanto più che 1' annuale durata di quell' Ufficio avrebbe altri- menti recato un'eterna oscillazione di principii eh' è il peggiore fra i mali in cui l'amministrazione della giustizia possa cadere. Quali poi fossero queste (i) Vedi la mia incraoria T'edute fondanientaU sulla storia della legisla'^ione per determi- nare V iitjluen\a del diritto Romano ai (/iorni nostri, stampala negli Alti dell' Àteoeo Veneto. — d96 — leggi la storia noi dice o raccoglie delle favolose tradizioni (i), ma se più che la storia vogliamo consultare la ragione ci è d' uopo concludere che antica- mente il jus comune qui non avesse forza di legge. Yi dissi infatti che ai tem- pi delle prime emigrazioni su questi lidi, la romana giurisprudenza non era ancora riordinata: con essi adunque quei fuggiaschi potevano recare bensì del- le costumanze, ma non un corpo di leggi. Quando fu istituito il tribunato era- no scorsi appena quindici anni dacché Teodosio avea sancito il suo codice ne è da concedersi che i veneziani tosto conoscessero ed abbracciassero una legis- lazione la cui moltiplicità nelle disposizioni sarebbe riuscita dannosa, perchè inutile ai loro bisogni. Quando infine Giustiniano pubblicò le Pandette la nuo- va repubblica contava già 112 anni di vita, avea cominciato ad avere delle leg- gi proprie atteggiale ai bisogni della sua civile posizione e sarebbe assai strano il supporre ch'essa le volesse da un punto all'altro bandire ed accordasse cittadi- nanza a delle straniere dettate in istraniero linguaggio, e la cui immensa mole avrebbe bastato da se sola a renderne quasi impossibile la conoscenza. Alla me- tà del secolo XIII cominciò la riforma della Veneta legislazione: nel i232 ap- parve la promissione del maleficio : dieci anni dopo sortirono i primi cinque libri degli statuti civili, e nel 12.55 dal Doge Rainiero Zeno fu riformato il Capitulare naticum che organizzava la polizia marittima, mentre in quanto alla giurisprudenza commerciale vuoisi che i veneziani seguissero il celebre Conso- lato del mare (2). Che a questo punto il diritto Giustinianeo fosse conosciuto, (i) Tale si è quella che i Padovani maodassero Egidio Fontana a compilare uno Statuto. Su tale proposilo vedi la Storia Civile del Sandi e quella del Tentori. (2) Che prima del i255 i Veneziani avessero uno Statuto nautico lo dimostrò evidentemente il Chiar. Presidente del nostro Ateneo Conte Leonardo Manin, in uua prolusione sopra un antico Corfice (/( 3/«nn« Iella nella pubblica adunanza del 2 I maggio 1837, e stampala nel Voi. Ili, delle Esercitazioni dell' Ateneo Veoeto. Fra i varii codici min. ss. da nie posseduti (egli dice) una copia trascritta nel Secolo Xf^I conservo dello Statuto nautico che Ju pubblicato nell'an- no 1229 sotto il Doge Jacopo Tiepolo circa 30 anni prima dello Zeno, e sembra che allora formasse parte del Fenelo Statuto, giacché chi lo trascrisse, che fu ^4lessandro Ingenerio nel- V anno i545/a nolo che queste leggi si ritrovarono in un antico m.s. in membrana sotto il titolo di L. FI. In quanto alla giurisprudenza commerciale il Sandi vorrebbe che i Veneziani nel I2i5 giuras- sero a Costantinopoli nel Tempio di S. Sofia l' osservanza del Consolalo del mare, che secondo siffatto autore è una raccolta delle usan\e e consuetudini delle genti di marina del regno di Falenxa compilale e ridotte in iscritto d' intorno al X secolo per ordine del re di Arragona. (Sandi St. Civ. ec. P. I, Voi. 11, L. IV, Gap. VII). L'opinione del Sandi circa il consolato del mare è pure quella sostenuta dal Targa e dal Casareggio, e con qualche diversità dal Grozio e dal — i97 — studiato, ed in gran parte trasfuso nei novelli statuti, io non ho d'uopo di di- mostrarvelo : essa è una verità che sorte dal più superficiale confronto ; ma la conoscenza di siffatto diritto ora pei reddatori dei nostri statuti una semplice guida, mentre da esso potevano bensì attingere dei principii, ma non potevano al medesimo riportarsi come legge di supplemento, perchè come legge anterioi^ mente non era mai stato riconosciuto. E" questo appunto il fatto che segnò una linea di forte demarcazione fra il Veneto statuto e quello degli altri paesi d'Ita- lia. In tutto il rimanente della penisola, il diritto Romano venne infatti più volte e sotto varie forme solennemente ricevuto : prima lo diede ad essa Valen- tiniano IH nella raccolta Teodosiana : poi Giustiniano sotto gli esarchi, indi lo pubblicarono i Longobardi, infine gli imperatori Romani-Germanici, e perciò nella parte civile le leggi statutarie e municipali, altro non erano che ordinanze suppletorie, le quali modificavano bensì, ma giammai abrogavano totalmente il jus comune. Venezia all'incontro,libera dettava liberamente a se stessa le pro- prie leggi, e se nel secolo XIII non possiamo rinvenire un codice regolare e per- fetto ne vediamo almeno indubbiamente Tabozzo ed è mestieri confessare che Io statuto Veneziano piii d'ogni altro abbracciò un sistema di diritto civile. Se la scienza da quell'epoca in poi non si fosse tutta rivolta allo studio del diritto Romano, se fosse stata si adulta da non farsi strettamente schiava dell' antica dottrina, la posizione dei veneziani era tale ch'essi per avventura avrebbono po- tuto darci l'esempio di un codice nuovo sistematicamente trattato. Ma la scienza non era giunta a tal punto, essa per così dire era simile agli scultori, che pria di creare devono per lunga pezza di tempo copiare i monumenti che dalla an- tichità ci pervennero-, e quindi a quei primi statuti succedettero correzioni, ag- giunte, derogazioni, un cumulo insomma di sconnessi materiali atti a costituire un codice, senza per altro costituirlo da se soli. Nel secolo XVIII in quell'epo- ca che gli storici stranieri obbliando la santa impai;zialità della loro missione, di- pingono la nostra repubblica come ignara e dimentica d'ogni saggia amministra- zione, e solo sorretta nella sua debolezza da una irrequieta polizia che tiranni- Marijuarclo ma al giorno d' oggi dopo quanto scrisse 1' .iizuni nel suo Dirillo maritlìmo dell'Eu- rujia nessuno può dubitare eli' esso sia opera tutta italiana coiBpilata dai Pisani verso il 1000. Non posso dunque convenire col sullodato conte Manin alloraquando nella succitata prolusione dice, clie i f'ene\iani in Costantinopoli uccetturuno le /<:y sentato da questo comitato e darne la loro opinione su quest'opera nel iSan. - Queste varie corti avendo esposto le loro operazioni al Governo, Carlo XIV n ne ordinò la pubblicazione, e decise che sarebbero assoggettate insieme col M progetto ai pubblici fuuzionarii, eil anche a tutti i cittadini coli' invilo di » dare il loro progetto su lutto . . . Dopo un esame che aveva duralo sei anni « intieri il codice civile ricomparve nel i833 colle osservazioni di ogni sorta 51 ed il Trib. Supremo dopo mature deliberazioni assoggettò al re la di lui opi- » nione sopra un atto di tanta importanza. — Durante lo stesso anno il comi- » tato di legislazione fu incaricato di collazionare il progetto di un nuovo co- « dice criminale, e V anno seguente lo si assoggettò ad un modo di esame di- » verso da quello messo in uso pel codice civile. Nessuno dei due codici è r> ancora pubblicato, ma tutto fa sperare che allorquando saranno in vigore « corrisponderanno pienamente alla generale aspettativa. « Qui come vedete Le Bas non dice per quali motivi il codice civile dal i833 a questa parte non sia ancora sancito e posto in attività, ma S.t Joseph che nel 1842 pubblicò a Brusselles la sua Concordanza accenna che per una risoluzione presa dagli stati nel '1834 ^' ordinò la compilazione di una tavola dimostrante la differenza fra il codice del 1734 e tutte le posteriori ordinanze j lavoro al certo utilissimo ma di lunga fatica, L' Oriente, ov'ebbe culla la grande sistemazione della giurisprudenza, l'Oriente che dopo avere ricevute le nostre leggi in un confuso ammasso di mole esorbitante ce le restituì ordinate e depurate in poco volume affinchè do- vessimo preservarle dalla rovina che sopra di esso minacciava, fOriente, dice- va, in tutta quella parte che è sottoposta al dominio Turchesco ha per leg^e principale il Korano. Questo codice per così dire teocratico racchiude in molte parti una morale severissima, ed è certo che se quanto è prescritto lo si mante- nesse, nessun popolo vivrebbe con maggiore giustizia 5 ma le massime della morale religiosa non bastano per un ordine di legislazione civile j voglionsi dei principii generah, voghonsl delle conseguenze sistematicamente dedotte e relative al complesso dei casi che più di frequente succedono, voglionsi magi- strature organizzate e vincolate dalla legge, ed a tutto qviesto non supplisce il Korano; quindi gli arbitrj, la incertezza, la corruzione, le vessazioni, la man- — 226 — canza di ogni sistema che meritarono la taccia di barbari agli Ottomani. Tutto ciò per altro non devesi attribuire alla legge ch'esiste, ma alla legge che man- ca, e senza farmi panegirista del Korano mi è d' uopo confessare che le poche leggi di materia civile in esso racchiuse si fondano sopra la più rigorosa giu- stizia. Eccone alcuni esempi tratti dal Cap. IV ch'io presento seguendo la tra- duzione Francese che due anni fa ce ne offerse Kasimirski e che sembra più esalta di quella di Savary e delia Latina di Maracci. « O uomini rispettate le viscere che vi portarono, n ri Restituite agli orfani i loro beni né cangiate ciò che loro spettava di ?i buono con altro di peggior qualità. Non dilapidate il retaggio di essi con- " fondendolo col vostro. « n Se temete di essere ingiusti verso gli orfani non isposate fra le donne n che vi piacciono che due, tre o quattro. Se ancora temete di essere ingiusti « sposatene una sola od una schiava. Tale condotta vi terrà facilmente sulla » via della giustizia. — Assegnate alle vostre mogli la loro dote, e se ad esse » piace rimeltervene una parte, godetela a vostro piacere. — Non consegnate " i beni a quelli che sono incapaci e che Dio ha confidato alle vostre cure co- !' me un terreno, ma amministrateli voi stessi, fornite ad essi il nutrimento e « le vesti ed usate seco loro parole dolci ed oneste. — Esperimentate le facoltà " intellettuali degli orfani fino a che sieno giunti all' età del matrimonio e"d in n allora se ritrovate in essi un giusto criterio restituite i loro beni. Guardate- " vi dal consumarli per prodigalità e di affidarli ad essi. Se aumentano, il tu- » tore ricco non deve toccarli: quello che è povero può usarne con discrezione. " Al punto della restituzione fatevi assistere da due testimonii. Dio terrà conto " delle vostre azioni e ciò deve bastarvi, n it Gli uomini devono avere una porzione dei beni lasciati dai loro padri, w dalle loro madri, dai loro congiunti : le femine devono egualmente avere una ;' porzione di ciò che i loro padri, le loro madri, i loro congiunti lasciarono. ■■' Che la eredità sia di grande o di tenue valore esse devono averne una parte » determinata. — Allorquando i parenti, gli orfani, i poveri sono presenti al '•, partaggio, date loro qualche cosa e rivoghete ad essi mai sempre dolce ed " onesto linguaggio. — Chi teme di lasciare dopo se dei figli nella debolezza n degli anni non abusi della condizione degli orfani, tema Dio ed abbia una >•> retta parola. — Coloro che iniquamente divorano il retaggio degli orfani " introducono il fuoco nelle loro viscere e saranno un giorno consumati dalle - 227 — •1 fiamme anlenli. — Nella divisione dei beni fra i %^osfri figli Dio vi comanda " di assegnare ai figli la porzione di due figlie : se non vi saranno che figlie " ma più di due esse avranno i due terzi della successione: se una, riceverà « la metà. — Il padre e la madre di un defimto che lasciò un figlio percepi- •' ranno la sesta parte della successione. Se egli non lascierà discendenti e suc- » cederanno gli ascendenti, la madre avrà un terzo : se egli lascierà dei fratelli, « la madre avrà un sesto dopo che si saranno soddisfatti i legati ed i debiti " del defunto. — Voi non sapete chi dei vostri congiunti e dei vostri figli vi n sia pili utile. — Tale è la legge di Dio. Egli è sapiente e saggio «. n La metà dei beni d' una donna morta senza discendenti appartiene al " marito, ed un quarto soltanto se ha lasciati dei figli, prelevato l'importo dei ^ legati e dei debiti. — Le donne avranno un quarto nella successione dei « loro mariti morti senza figliuoli ed un ottavo soltanto se ve ne esistono pre- ■n levati i debili ed i legati. — Se un uomo eredita da un parente lontano ed ••> abbia un fratello od una sorella, egli deve a ciascuno di essi una sesta parte " della successione : se sono più, concorreranno al terzo della successione pre- n levati i debiti ed i legati. Tali sono i comandamenti di Dio. — Quelli che « ascolteranno Dio ed il suo apostolo saranno introdotti nei giardini irrigati » da ruscelli ed eternamente saranno in una ineffabile felicità. Colui che disob- « bedirà Dio e l' apostolo, facendosi trasgressore della legge Divina sarà preci- r> pitato nel fuoco ove resterà eternamente abbandonato ad un ignominioso ca- » sligo. — Se le vostre mogU commetteranno adulterio cliiamate quattro te- " stimonii, e se le loro testimonianze si accordino contro di esse, racchiudetele • nella casa finché la morte verrà a visitarle o Dio procuri loro un mezzo di •' salvezza «. " O credenti non vi è lecito costituirvi eredi delle vostre donne loro mal- « grado, né impedire che si maritino quando le avete ripudiate affine di riavere n una parte dei vostri doni a menochè non sieno colpevoli di manifesto de- * litto. — Onestamente conducetevi con esse Se fi-a le vostre donne ve ne ■* ha taluna che non amate, può essere colei di cui Dio La voluto farvi un ric- » co presente. n Se volete ripudiare una donna a cui avete costituita la dote di mille n monete per prenderne un' altra, lasciate ad essa la intiera dote. Vorreste » voi privamela per una ingiustizia, per una iniquità manifesta? Vorreste « privamela dappoiché aljitaste secolei, e ricevette la vostra fede? r, " Non isposale le donne che furono mogli dei vostri padii,questa è una — 208 — n tui'pitudine, è un' abbomiiiazione, è un malvagio costume: tuttavia lasciate « sussistere ciò che al giorno d'oggi è compiuto ". « Vi è proibito di sposare le vostre madri, le vostre figliuole, le vostre « sorelle, le vostre zie paterne e raaterne,le vostre nipoti figlie di fiatello o di »i sorella, le vostre nutrici, le vostre sorelle di latte, le madri delle vostre rao- 55 gli, le fanciulle affidate alla vostra tutela e nate dalle donne con cui avele 5! coabitato. Ma se voi non avete seco loro coabitato non è colpa lo sposarle. 55 Non isposate le figlie dei figli che avete generati né due sorelle. Che se al 55 giorno d'oggi il fatto è compiuto, Dio sarà indulgente e misericordioso. 55 Vi è proibito di sposare quelle donne maritate che cadranno schiave in 55 vostro potere. Tale è la legge di Dio. 55 Vi sarà permesso di procurarvi coli' argento delle spose che voi man- 5" terrete nei buoni costumi evitando il libertinaggio. — Date la dote promes- '> sa a colei colla quale avete abitato : ciò è di dovere. — Non è delitto il fare 55 delle convenzioni su ciò che la legge prescrive. — Dio è saggio e sapiente. 55 Colui che non sarà abbastanza ricco per ammogliarsi a delle oneste e cre- 55 denti fanciulle prenda delle schiave credenti. — Dio conosce la vostra fede. 55 Tutti discendete da Adamo il padre comune. — Non isposate le schiave 55 senza licenza del loro padrone. Dotatele equamente : Che esse sieno caste, 55 aliene dal libertinaggio, e senza amanti. — Se commetteranno adulterio sia 55 loro inflitta la metà della pena minacciata alle donne libere. — Questa legge 55 è dettata per coloro che essendo celibi temono di peccare, ma se voi vi 55 asterrete ciò sarà meritorio. Dio è indulgente e misericordioso. 55 O credenti non consumate le vostre sostanze nella vanità. — Che il 55 commercio avvenga dietro un mutuo consenso. — Non vi uccidete 1 un 55 l' altro. Dio pure è misericordioso con voi. " GU uomini sono superiori alle donne pelle qualità mercè cui Dio li ha 55 collocati al di sopra di essi, e perchè gli uomini impiegano i loro beni a do- 55 tarle. — Le donne virtuose hanno obbedienza e sommessione : esse conser- 55 vano accuratamente durante la lontananza dei loro mariti ciò che Dio vuole 5' che si conservi. — Voi reprimerete quelle che non saranno subordinate: le 55 porrete iu un letto separate : le batterete; che ritorneranno obbedienti, non 55 alzate più querela. — Dio è grande, è sommo. 55 Se temete una scissura fra due sposi chiamate un arbitro dalla fami- 55 glia del marito; ed uno da quella della moglie. Se i due sposi desiderano la 55 riconciliazione Dio farà che vivano in buon accordo poiché egU è onnisciente. — 209 — » Se una donna teme la violenza e l'avversione di suo marito non sarà r colpevole se si allontana an)iclievo!)nenle : la pace è un gran bene. ,, Eccovi, o Signori, in quesli brani dell'Alcorano i principali fondamenti della legislazione civile presso i Musulmani : la semplicità dei precetti sulle tu- tele, sulle nozze, sulle successioni,- ed il potere primitivo accordato ai padri di famiglia vi ricordano il genio del legislatore e la semplice rozzezza del popolo a cui quelle norme vcni\ano dettate. L'Alcorano è tulio pei Maomettani come tutto furono pei Romani le leggi decemvirali ; ma a queste non era alligato il principio religioso di una rivelazione, e quindi si aumentarono le norme col-i l'accrescersi dei bisogni senza temere la vendetta del Cielo. Chi all'opposto stendea la mano sull'Alcorano era empio al cospetto dell'intera nazione, e ciò costituì mai sempre un grande ostacolo ai di lei progressi. Quello per altro che a stento tentavano talvolta i despoti Ottomani, quei despoti a cui è lecito ogni giorno mozzare quattordici teste senza renderne ragione, lo fecero facil- mente i sacerdoti depositarli ed interpreti della legge Divina 5 ed i Muftì coi loro Fetfa (decisioni) (i) e cogli Hadis (leggi orali) aumentarono di molto la giurisprudenza dei Turchi. Nel 1470 sotto Maometto II Molah-Kosra fece una raccolta di tutte coleste leggi, ma Solimano I dello il legislatore vedendo che la cosa era incompleta diede commissione allo Seik Giorahim-IIalibi di siste- mare in un sol corpo non solo tutti i precetti del Korano e quelli dell'Hadis o Suunak ma pur anco i Carni (leggi del principe) e gli C// (leggi arbitrarie, con- suetudini) dal che ebbe vita l'opera gigantesca detta il Multelka (confluente dei mari) che costituisce il corpus jurìs dei Musulmani. Senonchè l'impulso del generale progresso giunse nel serraglio dei Sultani: si desiarono: reagirono contro lo spirito nazionale: Selim III perdelte il trono indi la vita: Mahmud II soffocò la rivolta nel sangue dei giauizzeri, ma il popolo cominciò a piegare e fra le molte innovazioni l'attuale sultano Abdul-3Iegir pensò pure alla riforma legislativa. 7/ iiosCro consiglio (egli disse nel hatt-scerif pubblicalo nel 3 novem- bre 1889 e di cui ce ne diedero una traduzione i Sigg. Juannin e Van Gaver iiella loro Storia della Turchia) il nostro consiglio di giustizia aumentato di nuovi membri per quanto sarà necessario^ a cui si uniranno, in certi giorni che determineremo, i nostri ministri e le persone ragguardevoli dell impe- ro, si radunerà onde stabilire leggi regolamentarle sui punti della sicurezza (1) 1 fetta di cui io pure in pratici dovetti recentemente vederne un esempio, sono conci- ai quanto un oracolo. Sopra una sclieJa proponesi al Mufi'i il caso in questione, ed egli appiedi \i scrive si può, oppure non si può chiudendo colla formula Iddio sa il meglio. Ateneo. Tom. V. 27 — 210 — della vita e delle sostanze ed assegnare le imposte. Ciascuno in queste as- semblee esporrà liberamente le sue idee e darà le sue opinioni. Tal è il grande proponimento del Sultano: noi forse lo vedremo compiuto, ina l'età future soltanto potranno valutarne gli effetti. Sarebbe studio profondo per un uomo di stato il ponderare quali leggi maggiormente converrebbono agli Ottomani on- de condurli mano mano sul sentiero della civilizzazione senza cozzare colle loro idee religiose ; ma questo non è il soggetto che ci siamo prefìssi : a noi spetta esaminare ciò che fin ora fu fatto e non ciò che fare si deve, e nell'esame di ciò che fu fatto ci avremo a convincere che in nessun tempo quanto in quello abbracciato dalla metà del secolo XVIII fino ai giorni nostri vi fu una mag- giore energia, una maggiore operosità nella sistemazione delle leggi civili che sono precipuo fondamento di ogni bene sociale. Parte II. In quell'ammasso di Leggi da cui ogni slato ritrova vasi oppresso mille cause spingevano alla riforma. Nel testo del diritto Romano, oltre alla mela delle sue disposizioni si potevano ritenere come inutili attesa la cangianza di costumi, delle classi, delle magistrature : nuovi rapporti, nuovi bisogni per lo innanzi sconosciuti richiedevano dei novelli provvedimenli, ed a questi male supplivano gli statuii. Se ricorrevasi ai commentatori, la mente si smarriva in una folla di discrepanti opinioni: se abbracciavasi la nuda legge si rendeva necessaria una profonda erudizione sui costumi della antichità, onde conoscer- ne lo spirito e la giusta applicazione, e di più doveasi por mente, che dal di- ritto canonico, dagli statuti, dall'infinito numero delle ordinanze e dalla pratica giurisprudenza non si fosse portato un qualche cangiamento. In tanta fluttua- zione, se quasi tutti i giureconsidti nutrivano un religioso rispetto verso quel- 1 irrugginito colosso, pure non mancavano alcuni di essi, e più di tutto non mancavano gli uomini di stalo a dimostrare i mali di una posizione si ano- mala, e la necessità di un radicale rimedio. La Baviera in quanto al diritto civile fu la prima che raggiungesse la mela, e dopo che nel 1751 avea già pubblicalo il Codice Criminale, e nel 1753 il Regolamento Giudiziario, sancì nel 1756 il Codice Civile reddato dal Barone di Kreiltmayer. Questo primo di lei passo per altro non apparve sciolto dagli antichi legami, ed anzi col nuovo sistema, le Leggi anteriori non vennero abrogate come scorgete dai §§9, io, 11 e 12, ove si stabilisce che le Leggi — 211 — Romane, e le feudali della Lombardia sarebbono applicate sussidiariamente, e che quelle del Santo Impero riceverebbono la loro esecuzione in quanto non fossero contrarie alle norme del paese, ed inlìoe che le consuetudini e gli sta- tuti potrebbono venire aboliti soltanto mediante una disposizione posteriore: ed espressa. Ciò tutto esclude l' idea d' un codice unico e generale. Dicendovi che la Baviera fu la prima a raggiungere la meta, non intesi " per altro dirvi che essa fosse la prima a conoscere il bisogno della riforma. Federico II di Prussia filosofò quanto guerriero lo avea sentito pur esso e fino dal i^5i comparve in Ilala la prima parte di un progetto, mercè cui, come enunciasi nello stesso frontispicio il Re avea disposto il diritto Romano secondo l'ordine naturale, spogliandolo da tutte le leggi straniere e ne avea tolto le sottigliezze, e rischiarate le dubbiezze e difficoltà, che dal medesimo, e dai suoi commentatori si erano introdotte nella procedura. Siffatto progetto apparve in lingua Tedesca, ma ben presto fu tradotto in Francese. In esso proponevasi la compilazione di im diritto generale, che compren- desse tutte le Leggi della società civile, facendo precedere in ciascuna materia dei generali principii tolti dal jus comune, e deducendone le più naturali con- seguenze in modo da costituire nn sistema universale applicabile a tutti gli Stati. Per togliere qualsiasi fonte di novella corruzione proibivasi ai professori di diritto ogni commento, riservando esclusivamente ai Tribunali, ed agli Avvo- cati l'interpretazione per analogia, e prescrivendo, che ogni qualvolta il giudi- ce ritrovasse dubbia la ragione della legge per conoscere la parità del caso, si dovesse rivogliere al dipartimento della Giustizia, onde questo, interpellata la commissione Iiegislativa, avesse a promuovere la propria decisione. Ciascun anno poi la raccolta di tali decisioni dovea essere pubblicata quale norma co- mune, e voleasi che nei processi civili non fosse giammai citata l' autorità de- gli antichi dottori, ma unicamente la legge, lochè a dir vero ci sembra miglior consiglio di ([uello del Codice Bavarese, il quale dettando nel § g che vi ha tre specie d'interpretazione, cioè l'opinione dei giureconsulti, la giurispruden- za, ed una legge dichiarativa, e soggiungendo che quest'ultima specie non può aver luogo che in mancanza dell'altre due, gettò in ogni processo il seme fu- nesto d'infinita dubbiezza pella infinita discrepanza che nelle opinioni degli scrittori si rinviene in ciascuna materia. Di questo progetto, come vi dissi, non apparve in allora, che la prima parte, la quale racchiudeva i principii generali sulle Leggi, e sullo slato delle persone, i rapporti matrimoniali, la patria pote- stà e le tutele. Il punto di vista era grandioso, ma la morte successa nel 1755 — 212 — del Cancelliere Cocejo, a cui il lavoro era specialmente affidato, ne sospese il proseguimento, e maggiore sospensione ne venne dipoi dalla guerra dei Sette anni, che fino al febbraio del 1^63 tenne tutte rivolte le cure di Federico. Soltanto nel 1780 dopo che il trattalo di Teschen dissipò gli apparecchi di nuove battaglie che pareano dover porre a soqquadro l'intera Germania, soltan- to, diceva, nel 1780 si ripigliarono le fila della riforma legislativa appoggiala in allora a Carmer, a Volmar, ed altri valenti giureconsulti 5 ma il progetto del Codice Civile non fu compiuto che nel 1786 pochi mesi cioè dopo la morte di Federico. Sulle basi di questo progetto fu sancito nel primo giugno 1794 r attuale Codice Prussiano a cui qualche aggiunta venne portata nell' edizione del i8o3. Il Codice Prussiano non è perfetto, ha d' uopo anzi di grandi cor- rezioni, e già una Commissione Legislativa si occupa tuttavia intorno ad una noveUa reddazione; ma il Codice Prussiano (per usar la parola del Sig. di S. Joseph) ebbe un immenso rìsultamento e da esso presero le mosse tutti i saggi di legislazione che furono tentati in appresso. Si videro per la prima volta tutte le materie del diritto riunite sotto un solo punto di vista. Se questo' Codice ha dei gravi difetti., se egli spesse fiate manca della connessione ne- cessaria in uri! opera di legislazione ^ s' egli dà troppo sviluppamento alle dottrine, ed entra in alcuni dettagli imbarazzanti alle magistrature., non devesi dimenticare cKegli apparve in un epoca in cui la scienza del diritto era poco avanzata nella Germania, ed in cui regnavano in tutta T Europa delle idee di esagerata centralizzazione (Vedi S. Joseph Concordance enlre le Codes Civiles etrangers et le Codex francois, Bruxelles 184^). L'esempio della Prussia fu ben tosto seguito dall'Austria, la quale era costretla a ricercare le proprie Leggi nelle voluminose raccolte del de Guarienl, dell' llerrenleben, del Poek e del Kropalscliek. L'imperatrice Maria Teresa, come è noto, ne diede nel 17 53 l'incarico all' Azzoni, il quale più profonda nella erudizione, che esperto negli affari, presentò un progetto in otto volumi iu foglio, il quale dalla saggia Lnperatrice fu tosto affidalo all'Horteu, onde ne facesse un compendio. Quantunque ciò succedesse nel 1767, e l'Imperatrice morisse nel 1780 pure essa non vide il frullo delle sue ordinazioni. Il genio del di lei successore era troppo grande onde abbandonasse l'in- cominciato cammino ed a Giuseppe II è dovuta la promulgazione della prima parie del Codice Civile; ma una morte immatura lo tolse all'amore dei suoi sudditi, senza per altro cancellare quelle orme che profondamente aveva mar- cate nella via del progresso. La vastità della sua mente puossi misurare dalla — 213 — moltiplicità e saggezza delle leggi emanate in si breve spazio di tempo ; e pochi principi rivolsero ai proprii ^sudditi mi linguaggio si franco, quale h rivolse Giuseppe II nella lettera circolare del 1783. " Sono ormai " tre anni (egli diceva) dacché ho assunto il Governo della Monarchia, ed in n questo frattempo, non senza grave fatica, ho esposto i miei principii e le y> mie intenzioni. Non mi limitai a comandare agli altri, mi sono occupato io n stesso per iscoprire, e togliere, i pregiudizii derivati da inveterate abitudi- » ni, e cercar d'inslillare negli altri l'amore ch'io nutro pello stalo... Io donai » la mia conGdeoza ai capi . . . porsi con piacere l'orecchio alle loro rappre- » sentanze ed a quelle di chicchessia perchè la verità mi fu sempre cara •• Giorno e notte ognuno ebbe libero l'accesso alla mia persona . . . nidla di n meno trovo di mio dovere per quel vero affetto che fece consacrare tutte « le mie operazioni al bene dei miei sudditi, di promuovere 1' esecuzione di » quei principii che pur troppo veggo ancora negletti, n E qui l' imperatore profondamente spiegava a tutte le varie specie di magistrature lo scopo ed i precipui doveri del loro ufficio chiudendo con queste solenni parole. « Chi » penserà come io penso, e come pensasi da chiunque serve fedelmente allo » Stato, si consacrerà onninamente al servizio dello stesso rinunziando ad ogni » privato riguardo, ed allora comprenderà facilmente ove tendano questi miei » principii, e non vi troverà come io non vi trovo alcuna difficoltà nell' ese- « guirli. Quegli poi che altro non vede fuori del proprio vantaggio, o 1' ambi- » zione della carica che copre, e stima cosa accessoria il servizio dello Stato fia r> meglio che alla prima apertamente lo dica, fia meglio che rinuuzii ad un uf- » ficio che non è fatto per esso, e che indegnamente tiene, imperocché il ser- » vizio dello Stato richiede anima fervida, e totale abdicazione alle agiatezze » della vita, ed a se stesso. » Io riportai testualmente alcuni brani di quella circolare perchè è grande jnonumento di gloria al sovrano che 1' ha dettata, e da essa pienamente comprendesi quanta fosse la solerzia dell'imperatore onde giungere allo scopo d' una compiuta riforma. Ne attendendo alla reddazione del Codice Civile tralasciava pertanto con parziali disposizioni di provvedere ai pili pressanti bisogni dei civili rapporti. Ai Decreti del io febbrajo, e 24 marzo 1783 deve la Boemia il totale scioglimento dei servigli rurali che con danno gravissimo toglievano le braccia dell' agricoltore al proprio campo onde gratuitamente affaticarle sui vasti terreni di un feudatario superbo. Al Decre- to del 19 febbrajo 1783 essa deve l'abolizione della schiavitù della gleba e da quel punto fu dato ai vassalli l'ammogliarsi senza dipendere dal capriccio del — 214 — loro Signore, e poterono abbandonare la loro terra senza bisogno di ottenere le lettere di ìibcrazione. Il Decreto del 2 5 maggio 1781 cominciò a sciogliere i vincoli dei perenni fedecommessi. I due del primo maggio dello stesso anno pubblicando il Regolamento Giudiziario, ed il Concursuale abolirono le com- plicate mosse dell' antica procedura. Quello del 38 agosto i6eo. Tom. V. 28 — 218 — gioraschi; ma rispetto a quelli dei semplici cavalieri, la successione è invece determinata dagli statuti e dai patti famigliari. Nel regno di Napoli parimenti le Leggi Francesi eransi introdotte al tem- po della occupazione. Ritornata sul trono l'antica dinastia, ben tosto una Regia Ordinanza del 1 8 i 5 stabiliva la revisione dei cinque Codici, la quale venne eseguita, e furono posti in attività col primo .settembre 1819. Nella parte del diritto civile i principii della legislazione francese venne- ro presso che per intiero mantenuti. Poche mutazioni noi ritroviamo di cui le pili importanti si riducono per avventura al non essere ammesso il divorzio e neir avere compreso invece l'istituzione dei maggiorascbi, locchè in Francia regola%'asi con apposite Leggi, vogliam dire col decreto 3o marzo 1806, col Senatoconsulto io agosto dello stesso anno, coi decreti i marzo e •xl\ giugno 1808, 4 niaggio 1809, 3 marzo 18 io, e a/) agosto, \l\ ottobre, 12 decem- bre 18 13, 5 decembre i8i4 aboliti tutti dalla legge del 3 maggio i835 che proibì ogni futura introduzione di maggiorascbi, e limitò gli esistenti a due gradì soltanto. Fra i Codici basati sui principii di quello Francese però con qualche mo- dificazione, devo pure annoverare il Sardo pubblicato con lettera patente del 20 giugno 1837 onde avere attività col primo gennaio i838. L'esperienza di circa trentaquattro anni pose il legislatore della Sardegna nella possibilità di recare non pochi miglioramenti. Ommettendo di parlare sulla diversa distribuzione in alcune materie, le principali cangianze si potrebbono ridurre alle seguenti : — Il divorzio venne abolito pei cattolici. — Il matrimonio, anche risguardato come contratto, vuoisi celebrato dinanzi al parroco competente. — I Registri dello slato civile a so- miglianza delle Leggi Austriache sono affidati ai parrochi, locchè venne stabi- lito con apposito regolamento del ao giugno 1837. — Un maggiore sviluppa- menlo venne dato in alcuni punti delle servitù specialmente su quanto risguar- da ìa presa delle acque. — Le disposizioni circa la morte civile furono abro- gate. I testamenti olografi in via privata rimasero sconosciuti. — Nella parte ipotecaria vennero abolite le ipoteche tacite di maniera che sebbene la moglie, i figli di famiglia, i pupilli, le Comuni, ed il fisco abbiano una ipoteca legale, nullameno corre ad essi l' obbligo della iscrizione verificabile nei tre mesi suc- cessivi all' origine dell' alto, o rapporto, che diede luogo all' ipoteca, e se trat- tasi di beni acquistati posteriormente dal debitore entro i tre mesi tlall' epoca dell'acquisto. Tali disposizioni sono tulle saggiamente introdotte. Ciò che per — 2d9 — avventura potrebbe esser soggetto di grave coutroversia fra i giuristi, e gli eco- nomisti si è la disuguaglianza nei diritti di successione fra i figli, e le figlie. Secondo il Gap. II, Titolo III, Libro III. nella successione del padre, o di altro ascendente paterno maschio la porzione che spetterebbe alla femmina o ai di lei discendenti è devoluta a titolo di subingresso e secondo le regole di suc- cessione ai suoi fratelli germani o loro discendenti maschi da maschi, ed in difetto di fratelli germani e loro discendenti, ai fratelli consanguinei, e loro di- scendenti maschi da maschi. Tale subingresso (soggiimge la Legge) non avrà però luogo che in favore di quei fratelli e discendenti da essi, i quali saranno in grado di conservare la famiglia, e pella circostanza del proprio stato propa- garla, dal che vedete se colla donna concorresse alla paterna successione sol- tanto un fratello sacerdote la divisione succederebbe per eguali porzioni. Lo stesso ha luogo per la successione ad un fratello germano, o consanguineo sem- precchè la sorella chiamata a succedere abbia fratelli, germani o consanguinei, o discendenti maschi da maschi dei medesimi. Trattandosi della eredità materna ha pur luogo la stessa disposizione riguardo alle figlie, ma solo in favore dei fratelli, germani e loro discendenti maschi da maschi. Quelli poi ai quali se- condo le succitate disposizioni è devoluta la parte cui era chiamata la donna, sono tenuti a corrispondere alla medesima o suoi discendenti una porzione equivalente alla legittima depurata se si traila della successione paterna o ma- terna, o di quella di qualche ascendente dei genitori, ed al terzo della virile ove si tratti di successione ai fratelli deducendo però in tutti i casi quanto fosse stato conseguito dal patrimonio del defunto come doteo peraltro titolo collazio- uabile. Finalmente sebbene coli' articolo 879 venisse proibita qualsiasi sostitu- zione fidecommissaria, pure con lettera patente del 14 ottobre iSS^ venne pubblicato un apposito regolamento sui maggioraschi ; ed in esso per quanto comportava la natura della cosa si cercò di provvedere che al caso di più figli non si avesse a vedere l'esempio d'un primogenito, il quale assorbendo l'in- tiera sostanza lasciasse nell' indigenza i fratelli cadetti. E qui poiché vi feci cenno di due legislazioni italiane, gioverà pure spendere qualche parola sulle Leggi che hanno vigore nello Stato Pontificio. Il jus comune, le decretali, gli statuti, le decisioni costituivano il fondamento del diritto civile nel Regno Pa- pale. Pio VII reduce alla sede di S. Pietro riformò la procedura, e dettò pa- recchie Leggi sulla capacità delle persone, sulle successioni, sugli atti di ulti- ma volontà, sui fidecommessi, sui contratti, e sulle ipoteche, ed altre pure ne aggiunse Leone XII. L'attuale Pontefice Gregorio XVI non appena salito al — 220 — trono stabili coi regolamenti del 5 e 3i ottobre i83i che tutto il sistema pro- cessuale venisse riordinato, al quale oggetto volle che i Tribunali dello Stato proijonessero quelle riforme e regolamenti, che riputassero utili e necessarie. Cotesto lavoro per altro non poteva raggiungere il proprio scopo se contempo- raneamente non si ponevano in armonia coUe novelle istituzioni, parecchie Leggi di diritto, e da ciò ebbe vita il regolamento legislativo, e giudiziario pe- gli affari civili pubblicalo con molo proprio del io novembre i834 e posto in attività col I. gennaio i835. I primi due paragrafi vi fanno tosto sentire la mancanza della unità legislativa : le leggi del diritto comune (dicono essi) mO' derate secondo il diritto canonico e le costituzioni Apostoliche continueranno ad essere la norma dei giudizii civili in tuttociò che non viene altrimenti di- sposto in questo regolamento . . . Continueranno pure ad essere osservati gli statuti locali in quelle parti che contengono provvedimenti relativi alla coltura delle terre, al corso delle acque, ai pascoli, ai danni dati nei terreni od altri simili oggetti rurali. — E permesso per altro ai consigli commiinitativi legal- mente convocati di prendere ad esame tutte le disposizioni statutarie rimaste in osservanza, e di proporre quelle modijicazioni e quei miglioramenti, che saranno più utili agli interessi civili. Egualmente ci è duopo confessare, che eccettuata la parte ipotecaria, in cui si seguirono per intiero i principii della Legislazione Francese, modifican- dola saggiamente coli' abolizione delle ipoteche tacite, tutte le rimanenti di- sposizioni concernenti la materia civile non si confanno punto all'attuale pro- gresso della scienza legislativa, e non solo il sistema agnatizio tiranneggia nelle successioni, ma pure è lasciata una infinita libertà alla istituzione di ogni sorta di fidecommessi, i cui danni alla pubblica economia sono troppo conosciuti onde farne parola. Giova sperare che il saggio Pontefice, il quale seppe togliere i mali di una avvilupala procedura vorrà stendere la mano alla completa riforma della legislazione civile la cui ruggine male si addice ad uno stato italiano, e ad una città veneranda pelle sue memorie, veneranda pella attuale sua posizione. Fra i burroni dell' •■Vlpi, sulle rive di amenissimi laghi, fra le nevi eterne di altissime vette, la Svizzera accoglie una gente incorrotta, che fiera della sua libertà, religiosa alla semplicità de' suoi costumi pare serbata dalla natura, quale modello della primiera purezza e come fonte a cui attingere possano i poeti le beate illusioni dell'età di Saturno (i). (1) Dopo le lulliiosc scene da cui quest'anno ( i845) venne rattristala la Svizzera, forse — 22i — Ma la Svizzera né tale fu sempre, né tale sempre mantiensi. Se i suoi pastori al giorno d'oggi seduti presso alle rovine di un antico castello, cantano le romanze delle passate avventure, quelle stesse rovine additano che altra volta la feroce violenza del feudalismo avea d'uopo di racchiudersi sospettosa ; quelle stesse romanze ricordano o donzelle rapite, o brutali vendette, o rivi di sangue sparso fra guerreschi combattimenti. — Ora regolata dall'autorità dei Conti, e dei Vescovi in lunga lotta fra loro, ora sottoposta all'impero, ora libe- ra, ora associata alla Francia, la Svizzera nei varii tempi, e nelle varie sue parti variò pure nei principil legislativi. — Allorquando dimentica come Pa- rigi immolasse tutti i di lei concittadini nella luttuosa giornata del i o agosto I ^92, porse orecchio alle grida della rivoluzione echeggianti pelle vette del Jura, e nelle pianure del Ruth gettò le basi di una novella costituzione, adottavasi pure il principio di una legislazione generale, di modochè nel ti- tolo IV del progetto 26 maggio 1802 si cominciò dallo svincolo delle proprietà dichiarando che alcun fondo non potrebbe essere aggravato da livelli perpetui, o reso inalienabile, e che ogni livello in allora esistente, e specialmente le de- cime ed i censi sarebbono riscattabili. Ma i fatti non erano ancora compiuti e gli avvenimenti del 181 4, i8i5 indi quelli del i83o e i83i doveano dar nuovo aspello alla abbracciata costituzione. I cantoni che fino ad ora rivolsero lo studio alla compilazione di un Co- dice Civile furono quelli di Vaud, di Argovia, di Berna, e di Friburgo. Quello di Vaud apparve nell'undici giugno del 18 19, onde avere attività col primo luglio 1821. In Berna sino dal 181 8 erasi istituita una commissione per com- pilare il progetto d'una legge civile, e mentre attendevasi a siffatto lavoro, fu pubblicato nel 18 19 un Regolamento Giudiziario. Successivamente nell'aprile del 1S25 venne posta io attivila la prima parte del Codice: nell'aprile dei 1828 la seconda, e nell'aprile del i83i la terza, Friburgo non ha fino ad ora che le due prime parti attivate nel i834 e i835, ed Argovia ne ha una sola, la quale apparve nel 1826 onde essere operativa col 1828. In coleste leggi veggonsi i primi passi alla soppressione del feudalismo, di modo che sebbene nella costituzione io marzo i83i di Argovia, ed in quella 24 gennaio i832 di Friburgo venga dichiarato che i diritti feudali sa- rebbono garantiti, nullameno la succitata legge di Argovia soggiunse, che non se taluno non Iroverà clie gli Svijjtri uiciillno colcsla lode; ma ove sorga la discordia religiosa, od jtmcno i facÌDOrosi dieoo tale aspello ad una qiieslione, ijual popolo non rompe ocoi freno? — 222 — ne possano acquistare di nuovi, ed il Codice di Friburgo all'arlicolo 698 sta- bilisce che ove sono stali aboliti non dovranno rivivere, ne alcun terreno li- bero vi potrà essere assoggettato. Invano poi cerchereste in quei Codici quelle impronte di originalità che per avventura si potrebbono supporre in una nazione di costumanze sì diver- se dalle comuni. Il Codice di Vand è nella massima parte compilato sopra il Francese: quello di Berna sopra i generali principi! di ragione: quello di Fri- burgo in parie sulle Leggi Francesi, in parte su quelle di Berna-, e finalmente quello di Argovia è tratto pressoché intieramente dall' Austriaco. Vi accennerò nullameno alcuni punti caratteristici che si discostano dalle altre legislazioni. Le donne in Friburgo sono riguardate come legittime amministratrici dei loro mariti in modo, che se questi volessero togliere ad esse siffatte facoltà sarebbe d'uopo il pubblicare un'apposita revocazfone. Nel Vodese all'incontro non possono fare alcun contratto, od alcun atto civile senza l'approvazione del marito, o del giudice di Pace; ed in Berna a guisa degli interdetti non è loro lecito di testare senza 1' assistenza d' un apposito curatore. Il divorzio è ammesso in Argovia ed in Friburgo pei soli protestanti: in Berna pei protestanti e pei cattolici, ma rispetto a questi ultimi soltanto per ciò che concerne gli effetti civili ; e nel Vodese è lecito a tutti. Fra le cause, che vi danno luogo, tanto i Bernesi, quanto i Vadesi ammisero la pazzia con questo prò che i primi vollero che per i 8 mesi il coniuge che chiede il divor- zio abbia fatto assistere lo sventurato suo compagno da due medici patentati, ed i secondi esigono che l'ammalato abbia meno di sessanta anni, che ne sia affetto da oltre cinque anni, e che la di lui malattia sia dichiarata insanabile. A questo punto non posso fare a meno di citarvi la legge di Berna che accorda al coniuge il divorzio, ogni qual volta l'altro coniuge abbia rinunziato al diritto di cittadino, legge invero eminentemente repubblicana. Fra gli Svizzeri trovasi una grande solerzia nell'indagine della paternità, circa i figli naturali, locchè per avventura dipende dall'essere altrimenti i me- desimi mantenuti a spese della Comune. Vi riporterò succintamente le leggi di Berna a cui con lievi diversità si accordano quelle di Friburgo. Per esse la donna deve denunziare la gravidanza entro duecento giorni al curato, e questo ne fa immediata partecipazione al consiglio parocchiale. II Consiglio, assunta la deposizione .della incinta, destina due persone le quali debbano quali testi- monii assistere al parto. Sgravata che sia si cita colui che la femmina nominò essere il padre, e viene istituita una specie d' inquisizione nella quale il giù- — 223 — dice ha facoUù di diflerire all' una od all'altra delle parli il giuramento. Se per altro l'accusato dimostra clie raccusatrice è donna di perversi costumi, oppu- re se costei passò i 24 anni, mentre l'inquisito non toccò ancora i sedici si sup- pone essere dessa la seduttrice, né si fa luogo all' accusa. Nel cantone di Vaud poi i figli naturali procreati dopo la promessa di matrimonio, si considerano come legittimi, sebbene il matrimonio non sia seguito, a menochè la celebra- zione non abbia avuto impedimento per colpa delle parti. In quanto ai diritti di successione nessuna differenza fu posta fra gli agnati ed i cognati, bensì il Codice Bernese enumerò i coujugi fra gli eredi necessarj, e con un lodevole esempio di severità dichiarò degno della diseredazione quel figlio, il quale osasse maledire il proprio padre. Merita finalmente osservazione nel Codice di Friburgo l'abolizione delle ipoteche legali in favore delle mogli, e dei pupilli. Secondo quel Codice non vi ha ipoteca legale che per quelli che restituiscono un fondo in forza di un diritto di ricupera, per quelli che ven- dono un immobile in vista della pubblica utilità, pei comproprietarj di uno stabile o di un muro relativamente alle spese di riattazione e pelle autorità politiche che intrapresero dei dispendj por riparare un qualche stabile in vista della pubblica sicurezza e coleste ipoteche legali godono d'un privilegio di anzianità sopra tutte le altre. Il cantone di S. Gallo organizzò pur esso colla Legge 5 marzo 18 18 il proprio sistema ipotecario, ma la cosa fu costituita in un modo lutto suo proprio. Colui il quale vuole offerire un im- mobile ad ipoteca deve rivogliersi al mair onde ne sia fatta la stima, locchè si eseguisce pubblicamente. Il Consiglio comunale di poi fa citare il debitore affin- chè palesi i carichi di cui è aggravato mentre è massima che nessun immo- bile possa essere ipotecato oltre il di lui valore, e successivamente chiamati al suo cospetto tanto il debitore che il creditore, richiedesi che il primo giuri es- sere il fondo di sua proprietà, ed il secondo consegni la somma che dà a mutuo. Il Consiglio in allora spedisce le così dette lettere ipotecarie, che vengono in- scritte in un registro tenuto dal consiglio medesimo, il quale si fa responsabile per quattro anni del valore attribuito colla stima agli immobili ipotecati. In queste disposizioni voi ammirerete la massima garanzia che ottengono i credi- tori, ma sarebbono esse applicabili ad uno stato più ^asto? Non conosco che la legge ipotecaria i5 aprile 1825 del regno di Wurtembei'g, la quale ammetta la stima giudiziale dei fondi che voglionsi ipotecare. Ginevra, la città più civi- lizzata della Svizzera, sebbene non abbia ancora un Codice Generale conobbe nullameno il bisogno di attivare un regimo ipotecario, e fino dal 1824 elesse — 224 — una commissione composta dal celebre professore Rossi e dal sig. Bellot onde presentasse un progetto. Il lavoro della commissione fu compiuto fino dal 1827, ed è quale poteasi attendere da quei valentissimi reddatori. Con questo proporrebbesi non un semplice sistema ipotecario, ma un vero sistema d' intavolaziene per tutti i diritti reali : esso fu discusso dal 1827 al 1829, ma le difficoltà insorte pella esecuzione fecero si che ancora non sia posto in vigore. Voi lo potete vedere stampato nella Concordance del Sig. di S. Joseph. Gli ultimi Codici civili apparsi nell'Europa furono quelli delfOlanda, e delle isole Jonie, il primo, di cui i materiali si cominciarono a promulgare fino dal I 822, venne completato da una apposita commissione costituita nel i83i, e fu dichiarato esecutivo col i. ottobre i838. Noi lo possiamo riguar- dare come un' accurata compilazione dei tre Codici, Prussiano, Francese ed Austriaco, dal qual ultimo appunto tol.se il sistema della intavolaziene. Le isole Jonie dopo la caduta della Veneta Repubblica ora sottoposte ai Francesi, ora ai Russi, ora agli Inglesi avevano mantenuto mai sempre le leggi Venete surrogate dal jus Comune, ma il bisogno di una riforma facevasi sen- tire da lungo tempo. Dopo molli lavori preparatorii nel io marzo 1841 il VII Parlamento nella II Sezione promulgò la legge organica giudiziaria, il Codice Civile, il Codice di Commercio, quello Penale e le procedure relative. Su quasi tutta la materia Civile puossi dire copiato il Codice Francese, tolte alcune ec- cezioni, di cui le principali si riducono alle seguenti. Il divorzio è ammesso soltanto per cause canoniche il di cui riconoscimento è devoluto alle corti ec- clesiastiche. Nelle successioni del padre e dell'avo paterno, le figlie e loro discendenti se esistono figli non possono pretendere che una congrua dotazio- ne. Nella linea retta ascendentale la madre, se esiste il padre od un ascen- dente maschio paterno, ha l'usufrutto di una porzione eguale agli altri coeredi, e se concorre con parenti più lontani ha una eguale porzione di proprietà. Nella linea trasversale i fratelli escludono le sorelle, e successivamente gli agnati in parità di grado escludono i cognati, e se sono più remoti concorrono con essi. Fra più agnati i maschi escludono le femmine, ed in grado più lon- tano succedono seco loro. Le ipoteche tacite legali vennero mantenute, ma se il matrimonio si scioglie corre obbligo alla moglie, od ai di lei eredi di far eseguire entro un anno l'inscrizione. L'esperienza poi fa di giorno in giorno conoscere il bisogno di altre modificazioni, e già parecchie ne furono portate dai decreti del Senato 9 novembre e i4 decembre 1842. — 225 — Il nuovo slato della Grecia affaticasi per esso a completare la propria legislazio- ne, ma nella materia Civile non appari fino ad ora che la Legge ipotecaria 2.3 aij;osto i836, nella quale è abbracciato il sistema francese sopprimendo per altro ogni ipoteca tacita e togliendo dalla Germania quanto concerne le prenotazioni. Per compiere questi miei rapidi cenni, devo o Signori, tenervi qualche parola su due Codici dettati negli ultimi tempi fra le antiche foreste del nuovo mondo, voglio dire quello di Haiti, e quello della Luigiana. Dappoiché nel i665 la colonia di Haiti riconobbe una dipendenza dalla Francia, lo statuto di Parigi, ed alcune locali disposizioni costituirono il corpo della di lei legisla- zione. Durante la rivoluzione Francese vennero promulgate le Leggi dell' anno II e dell'anno Vili circa le successioni, e vogliono taluni che Dessaliae assu- mendo le redini del Governo, pubblicasse il Codice di Napoleone: si è per altro più comune opinione che soltanto sotto la presidenza di Pethion ottenesse forza di Legge conservandosi fino a che il Presidente Boyer negli anni iSaS, 1826 lo rifuse nel nuovo Codice Haitiano. Nessuna meraviglia adunque che in siffatto Codice si ritrovino quasi testualmente seguite le disposizioni di quello di Napoleone. Iie differenze ch'io rinvenni risentono pressoché tutte della severità repubblicana. Così a cagione di esempio chi abbandona la pati'ia in un momento di comune pericolo, perde la cittadinanza per sempre, ed incorre in tutti gli effetti della morte civile. Qualunque cittadino dell'età dai i5 ai 60 unni il quale non sia soldato o rivestito di pubbHco magistero, o padre di sette figli legittimi, é tenuto ad arruolarsi nella guardia nazionale altrimenti perde i diritti politici per tanti anni quanti ha defraudalo la patria del proprio servi- gio. — - Il dovere di arruolamento nella guardia nazionale è come vedete, più prolungato che in Francia, ove tanto pel Senatoconsulto 1 3 marzo 1812 quanto pella nviova Legge pubblicata dopo la rivoluzione del i83o, l'obbligo non si estende che pei cittadini dal 20 ai 60 anni, e nessuna disposizione porla la pena minacciata dal Codice di Haiti. Gli stranieri, sono esclusi dal diritto d'acquistare alcun immobile nel territorio della Repulìblica. Fiuahncnle alcune differenze si veggono circa la successione dei figli illegitlimi, e circa le donazioni, le (juali non sono mai riducibili, e possono estendersi anche ai beni futuri. La prima Legge Civile pubblicata nella Luigiana. fu nel 1808 il progetto del Codice Francese, quale era stato presentato al Tribunato, e ad esso ven- nero aggiunte alcune ordinanze Spagnuole. Su queste basi Derbigny, Mero- Atekeo. Tom. V. 29 — 226 — liste, ed Eduardo Livigston compilarono nel i laS il Codice nazionale attual- mente in vigore, e che meriterebbe non essere mai apparso nel secolo IX, e molto meno in uno Stato repubblicano. — Alcune disposizioni, non posso negarlo, sono lodevoli. Così a cagione di esempio stabilisce l'Articolo a3i che se taluno ritrova un fanciullo abbandonato, e spinto da pietà lo raccoglie, non possano i genitori ripeterlo amenochè non provino che lo smarrimento sia av- venuto per accidente, mentre dall'altro lato possono invece ripeterlo i pa- renti più lontani ogni qualvolta rimborsino il ritrovalore delle spese sostenute. Questa Legge che punisce la snaturata trascuratezza, o malvagità dei genitori privandoli di quei diritti che la natura stessa loro concede, questa legge di- ceva, merita lode-, ma possiamo dire altrettanto della differenza posta fra gli uomini di diverso colore, e della abbominevole sanzione data alla schiavili!? Circa alla differenza del colore vi citerò un esempio. L'articolo 1126 dis- pone che i figli illegittimi possano ricercare il loro padre se sono liberi e bian- chi; ma se sono di colore non è loro lecito rinvenirlo che fra gli uomini di colore. Un bianco adunque può rivendicare i diritti di natura tanto verso un bianco, quanto verso un uomo di colore, ma un bianco non può temere di essere giammai forzato da un uomo di colore ad adempiere i doveri di padre. Più saggia è la Legge relativamente alla maternità. Il figlio illegittimo, qualun- que sia il suo colore, può ricercare la madre, ma non gli è lecito rinvenirla in una donna maritata,- locchè se da un lato è soffocare le voci della natura alla domestica tranquillità, se per fino potrebbe sembrare troppo favorevole alle mogli scostumate, pure io reputo essersi saggiamente stabilito, pensando non poter essere accollo dai Tribunali colui, il quale nel mentre che ricerca la propria madre comincia dal gettare sulla medesima l' infamia dell' adiJterio, e pone se stesso nella più abbietta condizione sociale. Det'li schiavi è miseranda la sorte. Secondo l'articolo 35 gli uomini si distinguono in liberi, ed affrancati, che sono appunto i liberti dei Roma- ni. « Lo schiavo (lah sono le testuah parole della Legge) è colui il quale ritro- •,•> vasi sotto il potere di un padrone a cui appartiene, in modo, che il di esso M padrone può venderlo e disporre della sua persona, della sua industria, delle 51 sue fatiche senza che alcuna cosa possa fare, avere ed acquistare che non n sia del padrone. » Gli affrancati si distinguono in affrancati assolutamente, ed in statuliberi, che .sono quelli cui spetta il diritto di libertà dopo un deter- minato tempo, od all'avverarsi di una condizione. G/« ^cAjaw (dice r articolo 461)5 quantunque sieno cose mobili di loro — 227 — natura, pure sono immobili per disposizione di Legge; ed ecco in sifTatta guisa reso l'uomo pertinenza di un fondo a somiglianza dei bovi. I figli degli jcAi'aw (prosegue l'articolo 49 2) ed i parti degli animali appartengono al proprietario della madre per diritti di accessione, e quindi per l' articolo 689 i figli degli schiavi soggetti ad usufrutto spettano al pro- prietario, ma sono pur essi sottoposti all' usufrutto medesimo. Chi leggendo queste Leggi immaginerebbe essere racchiuse in un Codice repubblicano? Nel Korano, nei codice del dispotismo più assolutolo lessi invece: tutti siamo figli di Adamo, il padre comune. La Russia, è vero, ci dà pur essa 1' esempio di una nazione ora mai civilizzata le cui Leggi permettono la schiavitù, ma gli schiavi Russi sono a migliore condizione di quelli della Luigiana, essi possono arruolarsi nella milizia ed ottenere in tal guisa la libertà, e più di tutto sono capaci di acquisti, e se raccolgono qualche peculio, riscattano se medesimi, e la loro famiglia. La storia nullameno non se ne deve meravigliare, e sembra anzi che i popoli quanto più apprezzano la libertà, tanto maggiormente pesino sullo stato servile ; Sparla e Roma ce ne diedero per lo passato due tristissi- mi esempi. Ecco o Signori, quali furono i progressi della Civile Legislazione dal pun- to in cui le nazioni conobbero che le leggi doveano uniformarsi agli speciali bisogni e che se non si potevano obbliare le profonde ricerche dei giurecon- sulti Romani era d'uopo almeno atteggiarle alla differente posizione sociale. L'esperienza fa conoscere che a poco a poco ci avviciniamo ad una legislazione universale, ma ciò lunge dall' essere come per lo passato una violenza fatta ai bisogni, è l'opera dell'incivilimento, il quale pone le nazioni allo stesso livello, e toglie od attenua le differenze che dalle cause naturali ne derivavano. DIÌLLJ CRISTIIDE DI MARCO GIROLAMO VIDA LIBRO ni. TRADOTTO liN VERSI ITALIANI DA GllSEPPE CAX. LAZZARI, lie propinque città Fama in suo volo Avea ripiene ornai, colto narrando De' suoi medesmi per le insidie e frodi Il divo Eroe; ma ne vagava oscuro Di dubbie voci il suono, e della Madre Penetrato agli orecchi ancor non era; Quantunque a Lei, non mai sicura, in tulio Presentasse timor l'alma presaga, E chiari assai le fossero de' Vati I tremendi preludii, onde vedea, iO Per salvezza de"Pii, vittima il tiglio Cader volente d'una morte acerba. Ma il buon veglio Giuseppe, a cui fidala Avean l'alma parente ordini eterni, Presente appena il caso rio, che, date Le spalle a Nazzaret, tosto alla volta Di Solima s'avvia; né spinto al tutto V'ha fra le mura il pie, ch'ivi ogni loco Di gran popolo fervere accalcarsi Fra '1 notturno barlume ei vede, e tutta 20 — 230 — Per gran tumulto la città sommossa. Quand'ecco che alle man sottratto e all'armi Della coorte, e di tristezza pinto Nel pallido sembiante, a lui s'affaccia Giovanni il fido: ma del Duce in cuore Tanto gli è fitto il duro caso, e tanto Al senno è tolto, che l' amico a stento, Trepidando, ravvisa; a cui, deh! sosta, Grida il Vecchio, ove corri? e qual de'nostri Dimmi è la sorte? Or, senza Te, la Prole 30 Del Padre Iddio dov'è? dove il tuo Duce? Donde tanto rumor?. . . Ahimè! veraci Della pavida Madre or troppo io temo I funesti presagii — Ei parla, e intanto II giovine fedele in forti amplessi Lo costringendo, solo a pianti, e solo Gli risponde a sospiri; infin che sciolto Ai labbri il freno, in brevi accenti : ah ! disse, Ogni nostra speranza. Amico, è spenta. Più salvezza non è ; preso vilmente, -40 Tiensi il Duce prigione; invidi i Primi Contro lui congiurar, né fian satolli Che nel sangue di lui ; n' ha i fidi tutti Sperperati il terrore ... Oh dio! la Madre, La Madre sua dov'è? Saria pur giunta Alla misera, ahimè ! la ria novella ? Oh! fosse teco almeno ! ... A quel materno Gemito, a quelle lagrime potrebbe Forse Ponzio resistere, e pleiade Spontaneo non sentir del caso indegno ? SO Ma che vale indugiar? — Si vada, e a Lui Pace, grazia si chieda, a Lui la infame Del popolar livor, dell' odio crudo Trama si svolga; e si dicendo il passo Del Sirio Reggitore al solio affretta. Ha compagno Giuseppe, ed ambi al paro Muovono tristi e lagrimosi, come Povero agricoltor, poiché perduti Abbiasi i buoi, cui l'inimico onusto D'ogni frutto del suol dipopolato 60 — 234 — Cacciava innanzi a si', perch'Ei ben tosto, Seco traendo il maggior figlio, in traccia Ne va per lunghe vie. Calcano entrambi Non usati sentieri, e mentre in giro Volgono gli occhi qua e là, se a caso Parisi al guardo lor qual gli assomigli S'arrestano piangenti, e i vóti campi Empiendo van di querimonie e lai. Tal Giovanni e Giuseppe; e già la soglia Premon della magione ai Re di Giuda 70 Vetustissima un di sede famosa, Finché nel regno incolume l'impero Stava della Giudea; ma seggio adesso Di superbo Roman cui del paese Dava Roma il governo. — Un gran subbuglio Un gran fremito è là ; folti alle porte Discordanti fra lor premer cacciarsi Mirano i Padri, e minacciosi avversi Incontro al Duce, l'un dell'altro appresso Torsi dall'aula 1 Sacerdoti. Un qualche 80 Dolce tal vista la lor doglia amara Sembra temprar, che gli animi ne incuora Pur di salute ad aspettar conforto. Onde Giovanni : di speranza un raggio Veggo, amico, brillar; caccia dall'alma Ogni temenza, al Preside favella Per lo tuo figlio; non gli dir che prole Ei sia divina, e dal paterno affetto La giusta del pregar causa proceda. Ciò detto, entrambi nelle regie stanze 90 Entrano a paro, e son di Ponzio in faccia. Stavasi il Duce allor l'ardua sentenza Meditando sospeso, e intorno accolti I Proceri s'avca, retto da loro Invocando consiglio. Ed ecco il Veglio Che supplice prosteso, e a sé strignendo Le ginocchia di lui, oh ! de'Romani Ottimo, esclama, cui '1 Motor degli astri Queste di Giuda regi'on superbe Con equo a moderar freno trascelse, 100 — 232 — Pietà de" giusti ornai; doma degli empii L'inumano iuror, che quinci al tutto É sbandita ragion, forza prevale. Eccoti il padre in me di Lui, che tulli Or congiurali d'està gente i primi Vonno atterir con finte colpe, e tratto L' hanno dinanzi a Te, perchè qual uno In scelleranze sovra ogni altro immane Col sangue espii le non dovute pene. La virtù sola, e le benelich' opre, I IO Ond' egli il mondo ha pien, di tanti mali L'han nel vortice absorto; ai rari vanti Cosi invidia di lui, che sorge altero La cruda gente, ed ogni onor ne abborre. Tal Ei pregava, e per le guancie intanto Gli discorrea di lagrime una pioggia. Placido in volto le preghiere e i pianti Ne accogUe Ponzio, e con amici detti L'uno e l'altro incuorando, al vecchio Ei stesso Porge le man mentre vacilla, e in molle liiO Sedil lo adagia. Indi, oh! in qual, dice, istante Desiati venite, e si che forse D'esser venuti non v'incresca io spero. Or tu padre di lui, con brevi accenti, Scevro d'ogni timor, le mie domande Candidamente a satisfar t'appresta. T' affida alla mia fé ; pel cielo io giuro, E del cielo pei vaghi astri lucenti. Che ora de' miei pensier massima cura É il tuo Figliuolo, che a salvarlo è intenta •" 150 Ogni mia brama ; si dell' empie turbe L'ira e il furor, quant'era in me, repressi. ISarrami or Tu (poiché di lui la sorte. La casa e il sangue non è nuovo a tale Che agh orecchi di me pur or sia giunto) Chi sei? chi la tua Sposa? Ah! s'io non erro ]Non è sua stirpe umil. E qual più gra^e Portamento del suo? qual fra gli umani Del corpo suo, del suo sembiante avanza La beltà peregrina? o chi degli occhi 140 — 233 — Il volgere soave, e il maestoso De' suoi passi mutar? L'udiva io slesso, E mi parca più che mortai l' accento, Sì che nel petto vi conobbi un Dio. 0 certo è Nume, ovver di Numi è prole. Mei dite voi, che le più umane inchieste D'una risposta Egli fa degne appena, E me non pur, ma la sua vita Ei sprezza. A questi detti peritoso alquanto Stettesi il Veglio, se dovea più avanti -150 Celarsi a Ponzio, o del Garzon celeste Candido la progenie, e il padre vero Far manifesto, quando a Lui Giovanni Strettosi appresso : o rcal Germe, e degno Del sovrumano virginal connubio. Che più tardi? gU dice, o qual t'arresta Temenza or più? Squarcia ogni nube e tosto Gli alti arcani rivela : ornai d' intorno N'arride sicurtà. Tacquesi, e l'altro Rinfrancato favella: Ecco ch'io tutto 160 A Te, Duce, dirò; de' gran misteri Non l'occultando un solo; e poi che tanto La nostra schiatta hai di saper desio, Questa in pria narrerò, né te sospeso Andrò traendo in tortuose ambagi. Benché d' angusta povertà la sorte In fabbrili a sudar opre m'astringa, Pur da stirpe reale il mio procede Chiaro legnaggio, onde degli avi il grido Sino agli asti'i poggiava altero e conto. 170 Di genti innumerevoli Abraanio Padre e massimo Autor, di cui non credo Agli orecchi di Te sfuggito il nome, Le leggi a noi primo detlava, e i sacri Riti del cullo. Egli ad Isacco, e Isacco Die la vita a Giacobbe, onde ne venne Di dodici figliuoi progenie illustre. Che in dodici tribù le nostre genti Tutte partiva. Delle (|uali in mezzo Come fu per pietà Giuda più grande, ^80 Ate>eo. Tom. V. 30 — 234 — Si per l'egregia prole all'altre tutte Di lunga sowastè. Quindi Giudea Questa ancora da lui terra si noma. Poi successe Davidde, (a questo io veguo Sebben d'avi lunghissima fra mezzo Corra una serie) di gran Re Davidde Padre onde il sangue che da' miei trasfuso Pej' quattordici Regi entro le vene A me trascorre. Ma ben altra assai É la prosapia del Garzon, ch'io deggio IV)() Far chiara a Te. Benché mortai la culla S'abbia avuto fra noi, né di mortali Parenti ei sdegni d'ubbidire ai cenni, Pur vien da cielo, ed è suo Padre un Dio; L' alto Motor di cui la terra e gli astri E il velivo mar serve al comando. Lui dell' aer purissimo alla luce Mettea donzella un dì, cui nullo unquanco Viril contatto maculò, serbando Vergine ognor nel fecondato chiostro 200 Il suo giglio natio; qual de' Veggenti I fatidici avean carmi predetto. Poiché dall'alto in Lei l'Onnipossente Celesti'al spirando aura d' amore Del suo Verbo divin l' intatto grembo Ne feo ricetto, ond' è che il padre a torto In me di lui la vulgar gente estima. Ben egli è ver, che al mio tenero affetto L' alma fidando Genitrice i duri Meco volle partir affanni e stenti. 210 E della fama del pudor di neve Troppo temendo, a me spontanea i dritti Concessi avea di conjuge verace, D'un tanto onor, di un tanto nome indegno. Era Costei (se dall' origin prima Ogni cosa ho a narrar) fra le Giudee BeUissima fanciulla, unica prole D'annosi genitor, di cento Proci Vivo desio, da Nazzarette avea Tratto ! natali, e l'appellar Maria. 220 — 235 — Del virgineo candore eterno in pcllo Ardeale amor così, che fino al nome Di talamo abliorrciulo all' are sante Tutta si consecrò. iMa pur l'antica Anna dell'avvenir piena la mente, Degli oracoli conscia avea previsto Tal dalla figlia un di germe venturo, Che Re per sangue, e per grand opre egregio Ampio dovea su d'ampie genti alfine Stender domino: così il Ciel prescritto, 230 Così avevano i pii Voti cantato. E oh! quante volte a Lei scesa per l'aure Voce in sonno dicea, che insieme accolti I più stretti di sangue a questo o a quello La già nubile ornai, già ad uom matura Figlia accoppiasse; eppure all'alto impero Non s'era l'uno, e l'altro suo parente Piegato ancor. Quando di nuovo in mezzo Alla luce del di, per le sublimi Volte del Cielo la mcdesnia s" ode 240 Voce intimar : che più si tarda ? aggiunta Vada ad un uom Maria ; non è da lunge II genero a cercar ; se fra' congiunti Lo vuol scelto la legge, or via si scelga. Per la breve Città rapido corre Tal grido appena, che desio di Sposa Bella cosi nella niagion ben tosto Di giovani proiiinqui un coro adima. Fra tanti io pure, al gcnitor di Lei Per sangue avvinto, m" inoltrai quantunque 250 Grave degli anni, dal piacer condotto D'aprire a Lui per le imminenti nozze Il giubilo dell'alma — I molti e vaghi Garzon pari di età stavano intanto Ivi aspettando impazienti incerti A cui di loro il prezioso dono Largo destini il Cielo, e a sé benigna Chiedea la sorte ognun. Ma mentre ambigua La speme è ancor, mentre alla turba occulto Sta l'avvenir, della magione eccelsa 260 — 236 — Tutti poggiamo alla più interna stanza, Ove Gioachimo della Vergin padre Placare, orando, il Re dei Re solea. Vedeasi là, da' nostri Padri eretta Vetustissima un'Ara, a cui per anni Da ben trecento reverenda e sacra Davano culto gli avi. A" più di questa Supplici tutti ci prostriam, chiedendo Pace dal Nume, e che de" Numi il padre Dell'alte sfere qual fra' noi destini 270 Placido additi. Della turba in mezzo La Vergine bellissima dolente Stavasi intanto con le bionde chiome Sparse sul collo, con a terra inchiue Le modeste pupille onde di pianto Larghi rivi scendean, mentre le gole Scorrendole il pudor, mescer parca Candidi gigli ad incarnate rose. Come luna recente, ov' abbia astersi Neil' onda i casti rai, sorge di stelle 280 Di lontan coronata, e pegli azzurri Campi del ciel con sottil corno incede. Tal la Vergin pareva a cui fea cerchio Dei Garzoni lo stuol, mentr' Ella a Dio E agli alati di Dio Messi attestava, Che a quell'incarco s'arrendea ritrosa. Ma ad incuorar la trepidante il Padre Svela i cenni del Nume, il molle ciglio Le vien tergendo, e ne la bacia intanto. Quand' ecco Anna, che pronuba nel mezzo 290 Stava di noi, da subito furore Invasa, e colma del divino afflato, (Venerando spettacolo !) fremente Gorre tutta la stanza, ululo immenso Sospinge all'aure, e solo in me fissando GU occhi infiammati, sol ver si slancia; E me nulla di ciò nel cor volgente. Me di ciò nulla suspicante afferra D'ambe le mani, e Tu sol uno, esclama Sei lo richiesto, e Te sol uno eletto 500 — 237 — Ila do' Celesti a lai connubio il Rege. Stupiron tutti, e non un sol di tanti Fu che al più veglio invidiasse allora Il destinalo onore. Invnn per questo Di sottrarmi tentai, duolsimi invano D'esser vecchio qua! era ivi sorgiunto; Che i fidi cnioli miei l'animo schivo Confortando venieno, e in blandi accenti M'aggiungevano ardir. Io cedo adunque, Poi finalmente alla restia donzella 310 Ligio consorte m'avvicino, e a casa Lei lagrimosa lagrimando adduco. Già il fulgido di stelle immenso ammanto Stendea la notte, e i nereggianti vanni N'avean fra l'ombre il mondo avvolto, quando Ambo del par nel talamo secreto Portiamo il pie. Piagne la Sposa, e molle Fa del suo pianto il suol; come talora, Dove soverchio in primavera abbondi Negli alberi l' umor, se a lenta vite 320 Improvvido colono, anzi che il tralcio Precida, imprime con la falce adunca Entro il materno stel non giusta piaga. 10 le stava d'ap[)resso, e poi che nullo Nonché desìo, ma nò pensicr tampoco Del suo virgineo fior s'era in me desto. Con dolcissimi detti il suo dolore M'adoprava a lenir; quando prolòndi Dall'imo petto traendo i sospiri : Vana non è relig'ion, diss'Ella, 550 Che ad ahborrirc i talami, e perenne 11 vergine a serbar giglio m'indusse. Virtù dall'alto è dentro me; nò giova Che contrarli responsi, e di Veggenti Alle minaccic la mia madre antiqua Pieghino ad altro, che a me pure aperti Fur gli oracoli opposti, onde di labe Nulla a macchiar le intemerate membra, Nullo di sposo abbia a notrir desìo. Ma pria torca il Giordan suo corso al fonte 340 — 238 — E arrestino le stelle i vaghi errori, « Santa onestà, che le lue leggi offenda. •• Così diceva, e turgide frattanto Le spuntavano intorno alle palpebre Oneste gemme, che dagli occhi a stille Scendean la guancia ad irrigar. — Al suono Di questi accenti rapido mi cerca Fin l'intime midolle, e la persona Tutta mi scuote alto terror: vacilla Egro il ginocchio ; alle pupille intorno 350 Folta notte s'avvolge; un qualche suono Tre volte il labbro a sprigionar s'attenta, E per tre volte sulla lingua muore. Quando una voce: al talamo, mi grida, Non t'accostar; quel che però ti lece Diritto conjugal serba costante. Destaimi allora, e poi che gli occhi alquanto La veneranda Vergine mi tenne Ver sé rivolti e fisi, in tai parole Finalmente proruppi : E chi me volle 360 Teco, in onta del Ciel, Donzella aggiunto? Chi me, di queste sponsalizie unquanco Vagheggiator, fra tanti a torto involse Orribili portenti. Ah! tali un tempo Ludibrii a me non predicea fanciullo Il Vate Genitor, che Vate e insieme Era del Tempio Sacerdote. Il vecchio Ben mi dicea, che o maritai catena Me non avria nel talamo congiunto, 0 che per essa sonerebbe intorno 570 Chiaro il mio nome un di. Ma tu il consiglio Odi che sorge in me : da poi che '1 cielo Mi congiunse con teco, e il cielo istesso Con tanti mostri or mi distorna, e tanti, Serba, che lice, e serberai perpetuo Nel corpo intatto il virginal candore. Non io però, dove comando espresso Noi m'ingiunga, oserei franger la sacra Catena maritai ; sola una casa Entrambi n' accorrla; Tu a me ([ual figlia, 380 — 239 — Qual padre i' a Te sarò. Da questo istante Tutte di me iìaii tue vicende, a tutte ria di me il sovvenir, tanto dimanda Tuo sacro voto, e mia canuta ctade. Annuì la donzella, e in altra parte Giacque della magion. Taccio quai sogni, Ouai portenti stranissimi per tutta iMi turbar quella notte al sonno in mezzo. Già, fugate le tenebre, spuntava Rubicondo il mattino, e l'ombre negre 390 Con la rosea del sol l'acc spergea; Quand'io m'alzo di fretta, e la consorte Ritorno a visitar. Del bipateute Talamo avca sui cardini le imposte Sospinto appena, che di luce uu nembo Ratto agli occhi mi piove; arder le vòlte Arder le travi al gran fulgore, e tutta Panni avvampar la stanza, a cui nel centro Simigliante ed attonita sedendo L'aurea Vergine sta, nò me pregante 400 Molto, e molti ver Lei delti volgente D'un guardo sol, di un sol motto fa degno. Ma al par lucendo di vermiglia aurora, 0 d" astro mattutino, al ciel soltanto Tien volti gli occhi, al ciel le man supine. Quanto oh! cangiata dall'usato aspetto! Quanto decoro in que'suoi sguardi! e quanta In quel suo volto maestà ! Tal poi Ch'abbia d'acero o d'orno induslre fabbro Reciso un tronco a effigiarne eletto AIO Siniolacro divin, che dalla selva In sacrata locar sede convegna, E a cui dinanzi supplicante umile Si |)rostri ognun; come le forme alfine N' ha condotte a molt'arte e liscie e belle, A maggior lustro poi d'oro lo veste. , Lucida nube che del sole ai rai Fiammeggia e splende a Lei tutt'anco immota D'ogn"intorno s'avvolve; ardenti stelle, Sovrastandole al capo i bei crin d'oro 420 — 240 — Ne sembrano lambir, e deli^iugusta Donna di sotto a' pie' manda fulgori L' argentea luna, lo ne tremava, e quasi Assorto in tanta di stupendi mostri Nuova apparizioni Onnipossente Padre, sclamai, di tai portenti alfine Cessa da me F avvicendar, che certo Non avvien senza Voi; troppo, o Celesti, L'opre vostre conosco, e i chiari segni. Voi m'aspirate placidi, e l'incerta 450 Alma reggendo, la drizzate al segno Supernamente colassù prescritto. Io si pregava ancor, quando in sé stessa, Quasi da sonno alla virtù de' sensi La bellissima Vergine ridesta Rompe in sospiri, e il sen di pianto asperge. Me le l'accio di costa, e pel recente Nostro conJHgio, e per lo amor da Lei Perennemente a castità giurato, Per quell'amor che intemerata ognora 440 Nel suo niveo pudor per Lei si cole Supplice imploro, che me pure a parte Delle sue cure ammetta, a me dischiuda, Scevra d' ogni timor, l' eccelso arcano. Che tutto fidi a me — Ella chinando E volto ed occhi al suolo, al par di rosa Che al mattutino rugiadoso umore Si curva in sullo stel, pende restia Poi favella cosi : Tutto vo' farli Palese, o Padre, né del gaudio mio 430 Nulla fia oscuro a Te. Ma come, o donde Comincierò ? Chi le stupende, e grandi Crederà meravighe ? Or io per queste Che il gran giubilo a me lacrime esprime Scongiuro Te, che dentro il petto asconda Quant" io racconterò, perché nel vano Vulgo non prima a serpeggiar cominci, Che per altri noi voglia il Re Celeste Segni far conto. Già ridesto all'opre Ogni mortale, avea le stelle in fuga 460 — 241 — Spinte r Aurora, e di sua face ardenlc Alle pallide terre il Sol (ulgea. Quaud' io svolgendo con attenta destra De' prischi Vati i nionumenli, all'alma Ne richiamava ogni presagio, e quello Precipuamente allor fra' tutti il guardo Intento e fiso mi tenea (né credo Fu senz'opra di ciel, che là fermossi) Quello onde tutto de' Veggenti il coro Cantato avea, ch'una real Donzella 470 Da consorzio viril sciolta abborrenle Alla luce del dì (mirando a dirsi !) Dato degli astri avrebbe il Re, per cui Subitamente in giubilo conversa Fora ogni cosa di quaggiuso, ed auree Sorgerebber le genti all'orbe in seno. E già dentro da me tacitamente Lei beala dicea, cui d'onor tanto L'Onnipossente avea ricolma, e in Lei Già col pensiero la ventura Madre 480 Venerando di Dio, al Dìo Fanciullo, Se a caso in questi dì, se in questa a caso Foss' Egli nato avventurosa piaggia Preparava i miei doni. Or mentre ignara Queste grate in me stessa idee careggio; Ecco insolita luce agli occhi miei Repente balenar. Sollevo il guardo, E vo' dell' aure i liquidi sentieri Senza alcun velo spaziando (oh ! fatto Mara\ìglioso a raccontar!) dal mezzo 490 Scender veggo del ciel le alate schiere, Gli abitatori del felice Olimpo Per lo vano menar danze e carole, Al Monarca de' Superi inneggiando. Che iuvan le chiuse porte, invan la stanza Da marmoreo parete intorno cinta Mi contende il mirar. Le ignite stelle, I globi ardenti, le dorale sedi De' beali discerno, onde veloce Sul remigar dìrradìanli penne 500 Ate>eo. Tom. V. 3d — 242 — Ver me discende, e mi si para innante « De'Serafin Colui, che più s'india » E a me porgendo in dolce alto cortese Con la candida man candido giglio, Questi mi volge lieti accenti; 0 l'ima Accettissima al Ciel di tutte Madri, Di tutte Donne, o Tu, Tuna felice . Se più d'ogni altra di sue grazie degna Ti feo degli astri il Regnator sovrano. Queste appena di lui brevi parole 310 Udite i' avea, che attonita mi sento Per subito tremor tutte le membra Stringersi e irrigidir. Ma quei ben tosto Con divo pegno, a rinfrancarmi in petto L' alma turbata, ad ogni tema or, disse, Vergine, dà pur bando, o Tu che sola Tanto suir altre al Re del Ciel piacesti Che di etereo ti vuol germe feconda. E già grave n'andrai di tale un Figlio, Che sarà grande, e cui diran progenie 520 Del sommo Sir tutte V etadi. E poi Che molti un giorno dagli eterni guai Verrà che tragga, e iìa salute a'Pii, Dillo Gesù con patrio nome; nome Al cui suono fin d'ora ulula e geme L'infernale magion. Non pur su tutti Gli umani lo vedrai, ma su gli stessi Cittadini del Ciel levarsi altero Per fama insigne, e per prestanti imprese; Che a Lui degli avi il prisco scettro in mano 530 L'Onnipotente riporrà; di regi Premerà il soglio, né al suo regno unquanco pia che segni confin tempo o paese. Ma eterno avrà sull'universo impero. - — Cora' ebbe detto ciò, e a poco a poco Me lasciava il timore, or per che modo Soggiungo a lui, quel che Tu di potrebbe Avverarsi giammai, se fìssa immota E mente in me di preservare intatto Il giglio virginal, se fin mi tenni 540 — 243 — Dal conversar coli" noni lungc Iutiera? Tal io con brevi delti — Ei proseguendo; De' Superi l'Autore aure celesti Spirerà sopra Te, per cui feconda Senza opia alcuna di merlale, empiuto Ch'abbia la luna il nono disco, a luce Dal tuo chiostro darai maturo il frutto Cui scbben tiglio Tuo, pur figlio Iddio Di Lui s'avrà, che a tutto l'orbe impera Eterno Gcnitor. E perchè vote 550 Le mie promesse ad estimar non aggia, Tu sai ben come Elisabetta aggiunta Teco di sangue un solo tìglio indarno Desiasse finor; sai come a Lei Da troppo lunga età vecchiezza doma Ogni di prole e di futuro parto Più cara spene precidesse; eppure Ella Ila madre, e da che pregno ha'l grembo Già della luna il sesto orbe è compiuto. Sì tutto può chi dall' eteree sfere a 60 A Te m'invia, dello stellato Olimpo Fabbricatore e Reggitor sovrano. Qui tacque, e al Ciel sull'adeguate penne Velocemente si levò; col guardo Io lo seguendo e cogli accenti, 0, dissi, Qual che Tu sia bellissimo degli astri Ahgero garzone, a pieni voti Dell'Eterno il volere adoro e bramo. Ma giù scender frattanto insino a terra Veggo aurea nube variopinta, e tutta 570 Me veggio pur nel crocco nembo avvolta. Splendon raggi da dentro, e quasi squamme Corruscanti di foco in ordin vago Scintillano d'intorno, e S(piamme, e raggi Metton d'oro fulgor, simile appunto A' bei colori, che di contro al sole Mentre di pioggie in larga copia il seno Delle luibi si stempra Iride pinge Di screziata fascia il cielo ornando. Questa appena dall'alto avea dnn soffio 580 — 244 — L'onnipossente Genitor difl'usa Lucida nube, che dei fulgidi astri Per le liquide vie rapida scende Aura possente, e per dovunque passa Scoppian lunge da lei, raggi vibrando, Auree scintille. Un turbine repente Tutta m'avvolge, e di quell'aura tosto Ogni membro mi penetra mi scorre L'efficace virtute, e dentro al corpo Un superno vigor si mesce, ond'io 590 D'amore soavissimo nel petto Mi sento quasi liquefarsi il core. Tal di natura per segreto pegno L'alma terra concepe, e occultamente Di vario feto impregna, allor che molle Della madre sciogliendosi nel grembo Aer molto discende, e su lei spira Di primavera il fertile tepore. In questa per lo chiaro etra sonanti S'udivano plaudir gli alati cori, GOO Al mormorar del luon tremarne l'ardue Vòlte d' Olimpo, e federne le vie Qua e là spessi irrompendo igniti lampi. Così venia la Vergine narrando, , E per la gioja lagrimando, il volto Irrigava di pianto. Al Cielo innalzo Ambo le mani allor; dall'alma incerta Mando assai voti, che la mente mia (Tanto usciva del senno) a si mirandi Fatti non presta fé. Troppo i' sapea fi 10 D'impudenti garzon l'usato vezzo Onde soglion frequente inganni e frodi Alle incaute tramar donzelle, ahi! troppo Facili a dare ai molU detti ascolto. Quindi folle! io pensai (consiglio iniquo!) Dipartirmi da Lei ; quando nel sonno Eccomi innanzi la medesma immago, L' istesso viso, il portamento istesso Di quel celeste che pur ora udito La fida sposa a sé parlante avea. 620 — 245 — Dall'una all'altra delle rosee spalle Tuli' ignudo apparia, se non in quanlo Giù dalla manca ne pendea fluenle Clamide d'oro, cui di sollo al fianco Con triplice raordea dente pur d'oro Liscia fibbia chiudendo; e rubea fascia Stretta da bei fermagli i lombi intorno IN'avea precinti. Molli piume al tergo Gli crescean dolcemente, e a poco a poco Dagli omeri sorgeano in due grand' ale. 630 Di gemmati coturni il pie costretto, Ciò che reslava delle nivec membra Era nudo a veder. L'alto decoro Di queir aspetto, e di quel corpo il dolce Movimento mi fea non dubbia fede Che da stirpe ben altra il bel garzone Dall' umana venia, che in lui del Cielo Un figlio eletto, e dell'eteree squadre Sorrideami davanti un chiaro alunno. Kè nien stupenda per mirabil arte 6A0 Era la veste, a cui lucide pei-le Le prime fìmbrie distingueano, e d'oro Un doppio giro n' era intesto al lembo. Ammirando favor! Ago celeste I tre giovani avea quivi trapunti Lieti incedenti per le innocue vampe, E che inneggiando al par, conversi agli astri, Ne laudavano il Re. Parca vederli Quali già un di nella fornace ardente Quando l' acri del fuoco aride punte 650 Ne lambiano le membra, e ossequiose Ne tcncan funge fé voraci fiamme. Io mirava tacendo, allor che il vago Garzon di\ino a rinfrancarmi il core Cosi comincia in sua favella: E donde, O progenie di Re, ti corse all'alma Cotant' empio consiglio? e tanti segni Non ti dicono ancor, che son d'un Nume Sì strani eventi indubitabil opra ? Non vacillar; son vere le parole (jgo — 246 — Che la Vergin santissima li parla. Ella senza che a uman contatto unquanco Le caste membra soggettasse, è grave Divinamente di superno afflato, Ed ha concetto ornai; che onnipossente Soffio spirò dalle sideree rocche L'eterno Padre, e di colà scendendo Il Verbo eterno neU' intatto chiostro Di Lei s'acchiuse, e l'ha di sé ricolmo. Cessa ogni tema, intemerata fede 67(( Da noi si cole. E forsechè venturi Non cantarono a Voi si gran portenti, Benché d" oscuri sensi in velo oscuro Avvolgendoli un tempo, i vostri Vali? De' penetrali altissimi celesti E costei la gran Porta, eternamente Ad ogni pie mortale impervia e chiusa. Solo per essa il Regnalor sovrano Passa e ripassa, né gU immoti clauslri Vi disuggella mai. Costei dell'orbe 68U L'alto Motore t'accomanda, in saldo Maritai nodo a te l'unendo. A Lei Non t'accostar però; ma teco ognora Qual tua Sposa Ella tragga i dì sccuri, Benché un Dio sia di lor preside e scudo. Tacque, e del ciel pei liquidi sentieri Scosse rapido i vanni, e in un momento Fra le tenui volando aure disparve; E a me lasciava del più blando amore Tutto da dentro addolcialo il petto. 690 Anzi come rallentasi del (erro L'aspro rigore all'ignee vampe in seno, Tal da repente allor molo soave Sentii ammonirsi il cor. Mi desto, e chieggo. Volto agU astri, mercé. Folle m'accuso; E poi che il senno al lampeggiar di tanta Luce ritorna in me, di giorno in giorno Più chiari sempre di mia mente al guardo Gli alti si fan celest'iaU arcani. Che, il ver celando in mistiche figure, 700 — 247 — Ai vetusti inoslrar sacri Veggenti Piacquesi il Nume \\n di. Questa Donzella Era il bel Rovo cui Mosè sull' erta Vedca d'un giogo crcpilare ardente Tutto nel foco; e pur la llamma innocua Lambirlo sì, che d'ogni ramo illese Verdeggiavan le foglie. EH' era il niveo Vello di lana ancor a pioggie a nembi Impenetrabil si, che mentre nuota Tutta fra l'acque a lui la terra intorno 710 Arido in mezzo vi si stende e serba; Se bugiardi non fur de' Vati antichi I prudenti presagii. Io li richiamo Tosto al pensiero; e poi che fé non dubbia A prodigii cotanti il fatto imparte. D'ogni nebbia di error l'alma si sgombra. Di Galilea per le contrade intanto Fama propaga, che sugli ardui monti Tal veduta teste s' era una donna, A cui quantunque sterile infeconda 720 Fosse trascorsa la ridente etade; Pur d'esti-ema vecchiezza al pondo incurva, Già nel grembo chiudea (strano portento!) Speme non dubbia d'imminente prole. Quando la Sposa mia: Quesfè, mi dice, Qucst'è di certo la congiunta Elisa In sen chiudente da sei lune un pegno, Che il Messaggier dalle celesti piagge Me Io predisse, e lo rammento ancora. Ne aggiunse più; ma subito alla volta 730 Drizziamo entrambi di quegli alti lochi II sollecito pie', come ne punge Vivo desio di visitar l'annosa Cara parente. E già dell' ardua casa Del Vate Zaccaria le soglie appena Avevam tocche, che (oh! mirando a dirsi!) La tremebonda Vecchia a noi davante Accorre tosto, e in amorosi amplessi Stringe la Sposa mia; la stringe, ed ecco Un restarsi di Dio subito invasa, 740 — 248 — Un sentirsi discorrere repente Insolito calor per entro l' ossa, Si che Lei venerando, oh! d' infra tutte L'unica Madre mille volte e mille Avventura, esclama, oh! benedetta Tu, e del tuo ventre benedetto il pondo! Santissima Donzella; or donde tanta Indulgenza di cielo a me si dona? Donde la luce, che si chiara splende Alla mia tarda età? Dunque mi è dato 750 Veder di Dio la Madre, udir gli accenti Dell'eletta fra mille al tetto mio Addottasi spontanea, e questo albergo Di sua presenza di onestar degnata? Ah ! come prima il limitar fu presso Dalle tue piante, mi si scosse un tratto Da dentro il seno, e mi die' pronto il segno Nell'utero balzandomi l'infante. Diva Madre felice ! al Re superno Gratissima di tutte, oh ! vero speglio 760 D'intemerata fé, che ai veri detti. De' gaudii tuoi non ben presaga ancora, Intrepida credesti. Eccoti certo Del Nunzio alato le promesse: or dunque, 0 Reina del Ciel dell'orbe ai casi Volgi lo sguardo, e degli umani stenti Pietà ti punga . . . Ella dicea, ma, quale Di tenero pudor rosa dipinta. L'aurea Vergine umile in tanta gloria Lieta scioglieva al sommo Rege il canto. 770 Perchè si buon dallo stellato Empirò A lei tapina, abbietta, e dell'eccelso Favor non degna mai, tanto da presso Si fosse pur di rimirar degnato. E a sé medesma giubilante in core Vaticinando vien quei, che a' Vetusti Avoli, e agnati suoi promessi foro Fin dalla prisca etade onori, e vanti. Ma da allor quanti, insino al di, che l'aure D'està vita mortai ber si dovea 780 — 249 — L'onnisciente bambolo, deh ! <|uanli L'immenso orbe agilAr segni e poiienti ! Lungo fora il narrare. I Gaspii regni A' responsi tremavano dc'Vati; Tutto Egitto tremar; il ISilo e tulle Dell'Oriente le città sommosse. E se fama non mente i Vostri ancora D'Ausonia avean per le contrade udito Esser di questo Giel già già propinquo Le dolci aure a spirar tal Rege invitto, 790 Glie del patrio valor fatto possente Avrìa dall'uno all'altro mar l'intero Mondo regnato, e i cari suoi con seco D'olimpo i seggi ad occupar tradotti. A tanti segni rincuorato e tanti La sposa mia d' augusta Diva al paro Io venerava supplice, ed a Lei Già del frutto divin feconda il seno Riverente servìa. Ma quante volte 10 vedea al balenar d'eterea luce 800 Farsi la via nel talamo, e alla stessa Garzon pennuto or divo cibo, ed ora Dive bevande ministrare, e intanto In me più calda ognora, ognor più accensa Ciescea la brama, che maturo il tempo Fosse al parto divin. Ma indugio amaro Mi deludea la spene ; ond' è che spesso rsel cupido pensier meco volgendo Questi voti ne già: Deh! fosse almeno. Poiché il fausto avvenir, che a Lei s'aspetta 810 La Vergine bellissima con labbro Mi svolgeva sincero, almeno oh ! fosse Datomi di vedere, anzi che morte Lo mio stame precida, il caro Infante. Purpurei (lor cogliete, e a piene mani ' Bianchi gigli recate, al Dio che viene Questa hice n bi-ar de' vostri doni Preparate l'omaggio; e in lui fanciullo 11 vostro Re per Voi s inchini, e adori. Ed oh! quella, che a me rimane estrema 820 Ateneo. Tom. V. 32 — 250 — Parte di vecchia età, potessi ancora Produr sì a lungo, che le tue grand'opre, Pargolo santo, di veder concesso Fosse a questi occhi miei, quando, repulso Ogni timore, e ornai pacato il mondo, Regnerai Dio nel patrio OUmpo. Allora Alma Pace, Pietade, e Fe'soggiorno Avranno in terra; sorgerà di nuovo Religi'on, che or sì vacilla, e l'orbe Fatto miglior sorger con elle al paro 830 Vedrà Giustizia in ogni parte. Allora, Volto in falci ricurve il crudo ferro, Fia che un aureo dì secoli inconiiiLci A succedersi in terra ordm novello. Cosi spesso fra me dei lunghi indugi L'asperità blandiva, e ognor più ardente Bli ricrescca nell'animo la speme. Augusto intanto, che il supremo impugna Scettro dell'orbe, ogni vassallo à fermo, Noverando, saper; ond'io volgea 840 All'antica Betleni mia patria culla Ubbidiente i passi, al lìn che a quello Degli altri Cittadini il nome mio, E de' miei Padri fosse aggiunto il nome. Meco, lasciata IS'azzaret, venia Seguendomi la sposa. E già Ira i muri, Là 've più l'ari dalle case i fuochi Appajano fumar, entrati appena Eràmo entrambi, che del cielo il lume Con l'ombre soporifere allo sguardo 830 Ne involava la notte. — Aspro, deserto Dell'umile Città proprio all'ingresso Parasi avanti un casolar contesto L'orrido colmo e i mal commessi fianchi Di carici palustri ; assai gradita Agli agricoli stanza, ove la notte Gli sorvenga colà, troppo lontani Dall' abituro rustican : cotanto È da ogni albergo cittadin remoto. Laddentro stanchi ripariamo ; o fosse 860 — 25i — Vcnlura, o avesse del celesle polo Tanto in sua niente statuilo il Kumc, Che il suo IVnto non pure infra gli estremi Stenti a tradurre i di, non pure avvolto Fra'più indegni volea casi dolenti, Ma volle ancor, che a lui nascente il letto Sotto povere canne umil presepe Prestar dovesse, a Lui misero ignudo Di qual non manca ai più meschin sussidio. . E primamente a quel presepio annodo 870 L'impasto somarel, che nel viaggio Ci fu aiuto al caramin, levarne al pondo; A cui da presso l'inclita Consorte Sulle paglie s'adagia; a tal iiull'altro Miglior ricetto il ruvido soggiorno Non le sapeva offrir. Soffiava a manca Dall'ampia bocca tepido vapore Un lento bue, cui lungo il di sul campo Condotto a prezzo, un povero colono Già faticando sotto il curvo aratro, 890 Finché gli avesse di quel suolo i poclii Jugeri infranti; nò di là ritorno Che a tarda notte al rustico tugurio Faceva il tapine!, solo ai diurni Suoi duri stenti d'affidar costretto De"cari figli, e di se stesso i giorni. Già mezzo aveano del cammin trascorso L"orc notturne; ed io posalo a un sasso Tenea chiuse le luci; allorché il sonno Onde non era si altamente avvinto, 900 Si dilegua da me. Grande iimsato Fulgor gli occhi m'invade; entro risplende Ampiamente la grotta, e il rozzo strame Orribile a mirar, d'oro ti scndira. Sorgo di botto e del presepe accanto Ignudo io scorgo, ma di rai corrusco Tenero infante, che su dure paglie La poverella Vergine deposto Senza alcun stento, senza duolo alcuno Avea pur or. Di lui taciti allato gjg — 252 — Stavano quinci il corpulento bue, Quindi il pigro asine!, che il pasto usato Dimentichi del par, alte ed immote Ergeau le teste. Lampeggiava in volto D'eterie fiamme, all'un ginocchio, e all'altro Reggentesi la Madre, e i vaghi lumi Donde improvviso discorreale il pianto Chini teneva a vagheggiare ahi ! nudo Il divo pargoletto, a cui tra il molto Circonfuso splendor le giunte mani 910 Protendeva la Pia. Quale degli astri Al dileguarsi di piovoso nembo La faccia appar, poiché aquilon gelato Sopra gli aridi vanni impetiioso Per i campi dell' aere insegue, e caccia Le cave nubi, tal ridea più bello Alla Vergine il viso, e più sereno. Che dovea far? sotto d'entrambi io stendo Parte del manto mio, stendo una pelle Di grave olente pecorella in cambio 920 Di screziata culla e d' ostro d' oro, Che la mia povertà, l'orrida notte Il dì più mi contende... AU'orbe fosco Non ben chiaro per anco il dì lucèa. Che un folto di pastor veggo adunarsi Stuolo alla grotta, e di fioriti serti Farne corona al limitar, mandando Da'le canne moltifore d'intorno Melodiosi rustici concenti. Entrali appena umilemente il guardo 930 Drizza ognuno al presepe, ognun s'atterra, E adora il Nume, lo mi stupia frattanto Come sì ratta del portento il suono Fama diffuso per quei campi avea, E lor contezza ne chiedendo, <€ in noi, Un di lor mi rispose, in noi Tu vedi Qua poveri pastori a pascer usi Nelle vicine selve i proprj armenti. Or mentre il gregge entro 1" ovile acchiuso Si guardava da noi, che per costume 940 — 253 — Passiam gran parte della notle insonni, Della scorsa testé proprio nel mezzo Un immenso splendore ecco balena Sul capo a ciascheduno; e mentre colti Treniiam d'alta paura un suon per l'aure Tal odesi eccheggiar: Lungi dall'alma Ogni temenza, di novello e magno Gaudio i'vi sono apportator. Quel Dio Da'pii Veggenti tante volte e tante Promesso un tempo, in queste piaggie, in cpiesto 950 Giorno è omai nato; quell'Iddio per cui Dalle tenebre inferne al ciel supremo Degli umani verrà la stirpe addutta ; Ed or fia dato a voi nella propinqua Città vederlo entro d'urail presèpe Dalle paglie soffolto. — A questi cenni Subitamente curioso il guardo Pieghiamo tutti vèr colà; quand'ecco Un esercito volucre per tutto L'aiir n'appare di garzon celesti, 960 Che a' pinti vanni si reggendo, il seno Delle nubi sorvolano, cavalcano 1 liquidi sentieri, e in foggia nuova Par che il celere stuolo al voi si provi. Ma come tutti in triplicato coro Tre volte il ciel trascorsero, tre volte In giojose il trascorsero carole, S'alzan cantando al polo. Ai loro canti Risponde olimpo di lontano, e tutto Di lieti plausi l'etere risuona. 970 Questi narrando a me venia portenti La turba dei Pastor, né v' era un solo Che del corrusco bambolo l' aspetto Di vagheggiar si saziasse appieno, Ma ognuno a lui tenea gli sguardi, ognuno A iui sol fisi, ed inerenti i cuori. Dal caro viso, dal sereno ciglio. Da tutto il corpicciuol sparge l'infante Tale un fulgore, onde ogni loco è ]iieno. ■ Qual l'incarnata rosa allor che ai ijrimi 980 — 254 — Rai del mattino il vago sen dischiude, 0 quale è il volto, che col nuovo sole Da" rosei balzi d'oriente a noi Mostra lucido il dì che ci rimena La tepida stagion de" fiori amica. Ma benché nel fanciul sappiamo entrambi Indubitabil Nume, un Dio di nullo Sossidio egente, pure a Lui che quasi D'uman seme concetto, al sen materno Il vital fonte d'ogni umano a modo -1000 Succhiando viene, d'ahmenti e cure Non siamo avari, ma le belle membra Che tenere vacillano reggendo, Nutricando ne andiam, poiché gli piacque Da mortai madre le rilrar niortaU. Poscia seguendo de" proavi il rito Della stirpe natia stampiamo il segno Nel molle corpicciuolo, e là d' intorno Ove il rito chiedea di pelle un frusto La legai pietra gli recide e toglie. 40-10 Il nome ancora vi aggiugnemmo, e come W avea del del l' alato Nunzio edotti Lo chiamiamo Gesù. Ma poi che puro Da regia in lui sacerdotal sorgente Il sangue discorrea, con greco eloquio Concordi lo appellar Cristo le genti. La Madre poi, quantunque labe alcuna Di contatto jugal lei non adombri. Pur tuttavia di sua magion fra i muri Tiensi racchiusa, insin che miri il sole d020 Dal balzo orientai quaranta volte L'aurea faccia mostrar. La sacra allora Di Solima città col divo infante Ambo ne accoglie, ove per Lei la legge Della prescritta espiazion s'adempia; E dove all'ara le torcjuate offriamo Consuete colombe. 11 Sacerdote D'un velo candidissimo precinto A' lombi intorno, e di bicorne ornato Tiara il capo, sul medesmo altare iOoO — 255 — Slava Tostic immolando, e nei segreti l'enelrali serbando accesa e pura Del santo foco la perpetua fiamma. Un' intonsa corona a Lui tèa cerchio Di eletti figli, che degli aurei nappi Giano d'un toro riversando il sangue Da! padre lor poc'anzi al Nume Eterno Vittima otTcrto ad espiar le colpe Del popolo infedele. E mentre invoca Per lui mercè, degli abbruciali aromi ^040 Supplice in atto i soliti profumi Dilfondc dall' aitar. Al sacro rito Circonfusi assistevano le tempie Del bendato giovenco con le destre I proceri toccando; ed Ei libato Lievemente col dito il sangue sparso, Tre e quattro volte la saera ara, il foco Sovr'essa imposto, e i sette lumi ardenti, E gli ampli ne aspergea lini serbati De'sacrifizii a ricuoprir gli arcani. 1030 Era tutto compiuto, e omai già lasso Le opime a consumar esche co' suoi Ministri s'apprestava il Sacerdote. Allor che il figlio nella manca, e avente Nella destra i colombi, a passo umile Verso l'ara la Vergine s'avvia. Dovrò forse ridir quai diede il Padre Dal sommo Cielo ad attestar la vera Progenie sua stupendi segui? quanto Tremò in vederla il Sacerdote, e quale ^060 Miro splendor di non usato foco Al tempio intorno balenò ? Tre volte Venerabondo sui carboni ardenti Gettò r incenso, e per tre volte immensa Insino al colmo la sopposta fiamma Subitamente fulgida levossi. Egli però come alle due colombe Contorse il collo, le immolò, serbando L'aulico rito, ne diffuse il sangue. Ne spezzò l'ale, e dall'occaso all' orto 1070 — 256 — Girando il guardo, gorgozzule e penne Arse in istante, e i visceri le' pasto Del sacro fuoco. In odoroso nembo Sorge all'aure la vampa, e l'ara inlorno Fragranza esala di panchei profumi. Ecco turbarsi all'improvviso evento L'alma in petto a ciascun — Viveasi allora Uom d" anni carco, che dall' aVo il nome Trace di Sinieon, di cui più giusto Altri tra' figli d'Israel non era. 4070 A lui maestro in disvelar gli arcani Del più tardo avvenir, alma virtute Onnipossente di superno spiro Avea promesso un dì, che d' està luce Non chiuderebbe allo splendore i lumi Anzi che il Dio cui di salvezza autore L'orbe aspettava dis'ioso, a lui Dato non fosse di veder. E ornai Egro per vecchia età di vita sazio I duri stenti di finir chiedea; -1080 Non si però che nella cupid'alma Quella speranza non serbasse ognora Profondamente infitta. Or com'Ei pieno Tutto del nume l'aspettato Iddio Già presenti, quasi levrier che, l' orme Seguendo del padron, fiuti da lunge Della preda l' odor, tosto gli orecchi Drizza e protende, e per le aperte nari Avido r aere attrae ; rompe di botto L'intrapreso cammino e incerto errando 4090 Da questa a quella via, le dubbie peste Segue cogli occhi della lepre, ed ora Corre sull'una ora sull'altra corre Da' suoi latrati riempiendo i campi ; Tal del veglio esultante era nel tempio L'immagine a mirar: quando alla madre Tolto il bambin, fra le tremanti braccia L'accoglie, e stringe fortemente al petto; Poi lagrimando, Almo Fanciullo, esclama, Vero germe di Dio fabbro del mondo, dlOO — 257 — Sorgi alle glorie a lue virtù dovute, Tu elle (li noi, che de' vetusti padri, Onde farne spedilo agli astri il calle, Spontaneamente del tuo sangue or vieni Con un ampio a lavar fiume le colpe. Quanto bramato ti presenti ! Or veggo Le tue grandi promesse, eterno Padre, Compiute appieno, e sol morte mi attende. « Me dunque adesso dai diuturni affanni, » Me dai corporei alfin lacci disciolto ÌHO ' » Manda alla requie ornai, poiché veduto » Hanno questi occhi miei Lui che dell'orbe » A salute mandasti, al fin che luce » Fosse alle genti in mezzo al bujo, e fosse » Gloria ai figliuoli d' Israel novella. » Coni' ebbe detto il volto e la parola Alla Madre volgendo, o a cui Ti posso. Donna, soggiunse, nel leggiadro aspetto Assimilar? cui pareggiarti mai Con le mie laudi? o qual di grazie degno •1-120 Porger tributo a te saprò, che sola Dal felice tuo grembo hai di salvezza Schiusa all'egro mortai l'unica fonte? ... Ma ohimè ! che questo desiato parto Fia ru'ina di molti, ed io pur troppo Deggio il tempo predir, funesto tempo Quando il tuo core, ahi misera ! già fatto Gelido per orror fia che trapassi Spietatamente acuta s|)ada, e grande Te di sciagure acerba dote attenda. HoO Mutato di color torbida 1" onda Il Giordan volgerà; tardo, ferale Spunterà il giorno allora, e a sua gran pena Pallido al mondo, e in fosco velo avvolto L'aureo sembiante mostrerà; la stessa Mole del globo bramerà disciolta Gir dal grave suo pondo, e, infranto l'asse, Pegli spazii vagar del vólo immenso. Sì disse; e tosto qual da sonno vinto Chinò le luci, e colà stesso in seno H40 Ateheo. Tom. V. 33 — 258 — Placidamente riposò di morte. Meravigliarsi gli altri, e in noi s'accrebbe n terrore via più, cui troppo conte Eran tutte vicende, ond'è ch'entrambi Che voglian dir le profetate spade, 0 a cui tanto sarà di esizio un giorno Il divo infante n'andavam fra noi Solleciti indagando. Ed ahi! che lunga Stagion non volse, e l'uno e l'altra edotti Quanto avvenne poi fé, l'alme dubbiose H50 Dall'ambage sciogliendo; ove più crude Non ci attendan ferite, e duri casi D'altri più duri ancor fonte non siéno. Dell'Oriente dalle piagge estreme Tre Re potenti a questa volta il piede Tratto avean dì que' dì, d' egregiì doni Copia seco recando, onde il celeste Fanciullo presentar: incenso ed oro Ed unguento dì mirra. A Lor mostrato Avea degli astri, e del rotante olimpo H60 La possente virtude esser fra noi Gran Rege apparso, a cui degli ampli cieli E della terra si dovea Io scettro. Or questo d'ammirar figlio superno Caldo desìo qui li adduceva, e scorta Agl'incerti lor pie l'accesa lampa Dì una stella si fea, le vie segnando Col suo largo fulgor; siccome appunto Tempo già fu che per sentìer deserti A' Padri nostri dall'egìzie arene H^O Reduci in patria alfin la precorrente In fra i notturni orrori ignea colonna Vivo dall'alto eìel lume spargendo Additava il cammin. Già dentro accolti Dalla Città, son del Monarca Erode Tosto in cospetto, e a lui che quivi impera Figlia estimando la novella prole A lui pur fanno del viaggio aperta L' una cagion. Stupor, terrore a un tratto L'alma invade al tìran, che tostamente USO ^ 259 — Nello straniero pargolo ricerco Del soglio avito un succcssor temendo, Tutto de' Vati entro le regie stanze Il coro aduna, e dell' infante cliiede Qual sia il tempo predetto, il luogo, e quale Il legnaggio, e la patria. A Lui Betlemme, Rispondon quei, gli oracoli vetusti Segnano a culla, e fia di là che grande Per fama, e grande per magnanime opre Alteramente fino al ciel s'aderga. 1 190 A questi detti d' affannose cure Vie più ondeggia in un mar, vie più di vano Spavento l'alma all'empio re si turba. Che i sapienti Eoi, cosi dicendo, f- Commiata alfin; l'una e medesma io veggo' È la cagion, che a queste nostre or Voi |j| Piaggie ha condotto, e Noi sospesi incerti Tien fra speme e desio, sin che l' infante Promesso già da tanti voti e tanti Dato ci venga di veder. Non lunge d200 Di qua sul dorso di vetusta rupe Sorge Betlem, città de' nostri: il Rege Quivi nato cercale, e lui trovato. Di colà tosto, io vel comando, un nunzio A noi spedite; e si de' nostri omaggi Gli fia aggiunto l'onor; disse, ed infinge Un nuovo gaudio nel bugiardo aspetto. Ma ben tuli' altro nel nemico seno Cova ei diseguo, s' avvisando (ah folle !) Che il Re del cielo a cui si chinan gli astri, 1210 Regni mortali in sulla terra affetti. Dunque lieti al mirar l'eterea face Tornano i Magi in sul cammino; e omai, Dietro traendo gran caterva, accanto Son della mela, allor che di repente L'astro ingente si ferma, e sovra il tetto Raggi vibrando d'ampia luce indora La soggetta capanna; a tal distende Pel cielo irato minacciosi i crini, Purché lugubre non rosseggi e cruda -1220 • ^ 260 — Cometa, ove di guerre aspro tumulto Od accenni di Re l'estremo fato. Io que'tre Regi dell'angusto albergo Entro il povero asil povero accolsi, E lor vid' io, quantunque d' ostro, e d' oro Splendidi e adorni, del Fanciullo ai piedi Prostrarsi umili, e della Madre pia Alle ginocchia si piegar davante. E mentre l' un, come lor die la sorte, Suoi doni in offerir succede all'altro, 1230 Sta della grotta ad aspettarli al varco D barbarico traino, e l' aureo freno I bardati di porpora corsieri Vanno co' denti logorando intanto. Escono dessi al fine, e lietamente Mirando all'astro che d'un lungo solco Segna l'aeree vie, per altro calle. Come lor s'additò, drizzan le piante; E del Sire Idumèo, perchè la soglia Più non abbiano a entrar, assai da lunge 1240 Lasciano a manca la real cittade. Se non che appena in sua speranza illuso Se il reo conobbe, dalle furie invaso Mille armati di ferro alla sospetta Betelem tosto invia, che di soppiatto Col favor della notte, entro le mura Spingansi, e quanti più teneri figli Lor si parin dinanzi aUe materne Poppe strappino a forza, e senza pietà Scannino pur anche alle madri in seno; 1230 Finché di tanti nella strage avvolto Il regio erede cada spento ancora. Ma voce a me di mezzo al sonno intima Che di là fuga rapido; e su, presto Sorgi mi grida, non s'indugi, e teco Prendi il nato e la madre, e l' uno e l' altra Fa di tradur colà, dove da sette Bocche il Nilo si spande, e sia tua stanza Il suol vicino, né ritrarne il piede S'io non t'appelli in pria; che furibondo Ì2G0 — 261 — Del divo infante la spietata morte Va preparando il Re. Mi scuoto, e pieno Dell'acerbo comando il tutto aperto Faccio alla madre pia. Deh! qual veduta L' avresti allor d' un subito di morte Pallore irrigidir; trepida ansante Aggirarsi qua e là, del bujo istesso Fidarsi appena, e fin d'allora, ahi misera! Da ferro acuto trapassata il petto Venirle manco pel gran duolo il core. 1270 Partiamo alfine, e della notte all'ombra La mal fida Città cheli lasciando, Di boschi inaccessibili fra' durai Affrettiamo il cammino. E già varcati Del pahnifero Idume i gioghi alpestri, L'antica Elusa, e il suolo ove d'ulivi Mapsa ferace tutta l' Asia parte Dal Libico confine, eccoci accolti Neil' ignaro di piove Egizio regno, A cui primiero le virtù celesti i280 Della luna del sol degli astri i moti Fur manifesti. Nuovi monti, e nuovi Fiumi saluto in mio viaggio, e passo Città turrite, e di Larissa premo Le sponde papirifere; d'ogni aura Pavido al sibilar, pavida al paro È la sposa di me, che al paro entrambi Per lo capo tremiam del caro infante. Ma al caro infante in mormorio soave Van plaudendo i laureti, incurvi i rami J290 L'inchinan delle chiome, ed óra amica Dolce sussurra fra le frondi, e il bacia. Che più? Le rupi mfino, e i monti islessi Lievemente dai vertici commossi Scmbranlo festeggiar; e a lui d'intorno Dar di letizia non incerti segni Scuotendosi loquaci e stagni e laghi. Udito avresti in vaghi crror le afli-ante Acque romir placidamente, e molli Fra sasso e sasso, ch'umido verdeggia ioOO — 262 — Per Io nitido musco s' avvolgendo Sonar cadenti. Con soavi note In novo metro poi l' aer molccndo Gian le schiere pennute all' alveo, e ai greti De" fiumi avvezze, e fean volando applauso Co l'agitar delle sonanti penne. Dall' onnifero grembo ofTriasi lieta All'aspetto del Dio la terra intorno, Odorose fragranze il verde smalto Olezzava dell'erbe, ed ombra amica -1310 L'amaraco tessea. Non dubbi segni 11 latebroso dall'incerta fonte Nilo pur die' d'insolita letizia; Corse esultando, sollevò spumoso Del Nume all' appressar le rapid'onde, E dagli arcani suoi stagni profondi Tratti gli umori, dal suo letto apparve. Lucido nello scudo, e più nel brando, Lungo ogni bivio, o tortuoso varco Crepitando per l'aria a noi veloce 1520 Sorvolava bellissimo di cielo Aligero garzon, che per sentieri Ben noti a sé, ma divertenti, il calle Ne già mostrando, onde nemico assalto Non ci cogliesse in sulla dritta via. Rosseggiava negli omeri d' azzurre Note cosparsi, a quel molto simile Che a me dubbioso, e già di sciorre in atto Il nodo maritai ogni di mente Nebbia, sgridando, dissipò. Sul capo 1330 Ci stavan altri per l' aeree vie Ondeggianti sull'ali, e dalle labbra Lungi tenean del pargolo supino Il lento umore della notte, e ombrello Delle piume gli fean. Di quel viaggio Tra i labirinti io me ne già calcando I fidi campi dei sonori sìstri Debaccanti al fragor, e di qua lunge Era il fanciul d' ogni disastro immune. Pur tutta volta ne' più interni lochi 1340 — 263 — Dell" Egitto m'avvio, poicliè secura Nessuna parrai regì'on, nessuna Panni abbastanza del Tiranno iniquo Dallo scettro divisa : a tal paventa Procelle il cor fin della calma in seno. Nò Tebe istessa da le porte cento, Né Ermopoli cred'io dal gran periglio Troppo lontane, ond' è che alfin ricetto La sì chiara dei Re pegli ardui avelli Menfi ne aperse, ove d' un vecchio amico 4350 « Sotto ai poveri tetti ornai tranquilli Ne riparammo. Ma già fama a un tratto Corre narrando per l'Egizie arene Che l'empio Erode la città di Giuda Orbat'avea de' più teneri figli. Cui de'sicarii al ferro inane scudo Era stata innocenza, e della vita Fra inconditi vagiti il dolce lume Ebber grami a lasciar. Tremò, si feo Pallida in volto, e all'esecrando scempio -1360 Sentendo in petto irrigidirsi il core La Vergine si strinse il figlio al seno. Or chi i pianti ridir, chi gli ululati Potria narrar onde le madri avranno L'attonita Città, correndo, piena? Lago di sangue il suolo, era nel sangue Ogni cosa natante; e tanti forse Impetuosa grandine sul prato Belanti agnelli alle lor madi'i insieme Non batte e uccide, se per entro al chiuso iolO D'un nembo al sovrastar non gli abbia accolti L'improvvido pastor, quante ogni via Quante ogni piazza di fanciulli estinti Ingombravan qua e là salme proietto. Cosi di molti, qual Simon predisse, Il divo Figlio fu ruina, ed orbe Piangon le Madri i cari pegni ancora. Ma del misfatto suo lunga non trasse Gioja il Tiranno, che di morbo immondo Colto le membra tabide, vomìa 4580 — 264 — Non guari appresso inonorata l' alma. Quando di nuovo d' una notte in mezzo Voce divina di lasciar m'astringe « Il sette volte geminato Nilo, » Ond'io alla patria fo ritorno e meco, Le vie già presse memore calcando, La Genitrice e l'almo Nato adduco. Forse qui fia, che di saper t' alletti Quali i consigli, quai le cure, e quali Fossero del Garzon sovra degli anni i 390 Le mature virtù, le non puerili In puerile età gesle famose. Ma se tutte, che in lui dal primo fiore Della virente adolescenza io stetti Noverando a mirar, a Te del pari Enumerare ora dovessi, il suono Mi verria manco della voce, e notte Spegnerla, chiuso olimpo, i rai del giorno. Oh! quante volte tenereUo ancora Ei ne alterna con non mortali accenti ! , -1400 Oh! quante volte paventammo i santi Fuochi, e i globi di fiamme, e i folgoranti Orribili splendori, onde sovvente Mentre d'almo fulgea celeste lume Ne si affacciava lucido di vampe Nell'auree chiome. Non dirò quant' altre Da solo a solo con arcane note Parlar l'udimmo al Genitor sovrano. Più e più fiate, mentre già scorrendo Con pettine sottil le tenui fila, 1410 Sotto umane sembianze Angeli a stuolo Vedea l' alma Parente esterrefatta Pel tetto penetrar, al caro infante Blandir soavi, sui dipinti vanni Scherzargl' intorno, e or di viole ed ora Sparger su lui freschi di rose i nembi. Ne men frattanto a' suoi fidi custodi Egli ubbidiva umile, ai cenni miei Ai cenni pronto della madre, e pago Fea del verace Genitor l'amore. 1420 — 265 — Tal Ei, finché dentro alle molli membra Crebbe vigore, e lena alfin s'infuse. Ma poi che tocco il dodicesim' anno Si tolse all'ombre della vita oscura, Tutte allor primamente il vivo raggio Di sua viriate le giudee contrade Corse illustrando, e balenò patente. E appunto a questa gran città già sorto Era ira' sacri il sacro dì, che ogni anno A festeggiar dentro sue mura invita ' 4430 Ed accoglie ciascuno; ond'io pur anco Meco guidando la real donzella Mi ci aveva condotto, e a Lei seguace L'aureo Fanciul s'avviticchiava istretto Alle materne man. Compiuto il santo Rito legale al patrio letto insieme Fcasi ritorno, e del cammin già stanchi Rapida al primo dì con l' ombre opache Succedendo n' avea la notte incolli. Qui più il fanciullo non apparve, agli occhi 1440 Della Madre involato e agli occhi mici. Tre e quattro volte allor le vie già corse Calco e ricalco, e poi che invan di lui Chieggo ai parenti ed agli amici invano. Rompo in sos])iri e d'alte grida intorno Fò l'aure risonar. Piagnea sé sola La bellissima Vergine ineusando. Sparsa le trecce per l'eburneo collo, E di quel viso, di quel colio degne Son le lacrime amare, e il crin disciolto. 4450 Tal poi che dentro il suo candido vase A piogge a venti fu bersaglio il molle Amaraco turbalo, al suolo inchina Tosto la chioma ; poi di nuovo al cielo Risorgendo si leva, e il prisco onore Va meditando ancor. ì\Ienlr'io ritorno Sidle battute vie, l'egra dolente Sposa, malgrado mio, miei passi adegua. Tre giorni il sol per la cittade indarno Ne vide erranti, né del cerco figlio -Ì460 Ateneo. Tom. V. 34 — 266 — Lieti ne feo che il quarto di, da poi Che di trovarlo ogni speranza morta, Surse in ambo il pensier di fare al tempio Novamente ritorno, e a' pie dell'ara Effonder preci. Ne avèm tocco appena Il limitar, che lui veggiamo in mezzo Di sacerdoti (erudiraenti primi Di futura virtù segni primieri) Starsi svolgendo e richiamando a mente Gli alti de' vati monumenti, e ai primi 1470 Tra' Seniori chiederne, e a vicenda Gli oscuri sensi interpretar. Lui tutti Meravigliando ascoltano parlante, Da m'una quantunque umana edotto Arte o virtù sublimi sensi elati Sovr'ogni di mortai mente e consiglio, Si maturo di senno, e pur degli anni Si verde ancor. Né men giocondo al guardo Di chi lo mira è il nobile sembiante ; Onde avvien, che o ne Asino il soave d^SO Volto divino, e di serena luce GU occhi splendenti, o lo scorrcvol oro Del crine, e il fiore dell' età incipiente, Sazii non son di vagheggiarlo appieno. Poiché dovunque l'onestà del capo Ei volga in giro, un improvviso lume Vedi spuntar più lucido che stella, Serenarsi ogni cosa, e a lui di contro Sorridendo esultar: si dolce amore Da tutto il corpo suo difl'onde e spira. 1 490 Tal fra l'erbette di un inculto campo Ride narciso, che purpureo il capo Trae dalle foglie, e dall' aperta boccia Inverso al cielo lo dispiega; e tale Chiuso d'oro in sottil cerchio, o d'argento Fulge il color di nitido smeraldo. Questa fu d'ogni mal prima scintilla, Questa eh' odio e hvor negli aspri accese Cuori de' Padri, a cui si feo temuta . Del divo Figlio la virtude, ond'arse i500 — 267 — Da fomite si reo fiamma vorace. Quinci insania e furor di giorno in giorno Crescendo venne si, ch'io fallo accorto E del futuro paventoso a Lui D'ogni periglio intrepido, volgea Supplice il prego : non volesse ahi ! troppo Prodigo di sua vita al brando ostile Offrirla, e gir spontaneamente a morte. Ma pria occulta starà rocca sorgente Sur alto monte, e pria nascosta al guardo 4540 Notturna fiamma in alta torre accesa. Che giaccia a lungo in fra tenebre avvolta Senza nome d" onor virtù verace. Né men nell'alme esacerbate il fuoco Ei deslava dell'ira allor che, volli Da ben sei lustri, e la virile etade Raggiunta alfine, in puro yiu del fonte Mutò i liquidi argenti. Egli era a caso Meco di Cana alla città venuto E la sua madre un dì, che al grato invito -1520 Di vecchio amico assecondando, il nodo Fra' proceri s'avea dietro il costume A festeggiar, onde l'inlalla figlia Ad eletto garzone iva congiunta. Già tulli intorno all' imbandita mensa Erani seduli, e alle vivande ognuno Davasi lieto, e lieto ai vin, né tolte S' eran le dapi ancor, quando repente Un bisbiglio si desta, e in un momento Tutta discorre la magion: che luna 1530 Fonte di quella gioja il vino eletto Entro r idric vicn manco, onde ogni cosa Si mesce e turba. Deiraiflilla sposa Tocca al rossor la di\ a Madre un motto Drizza al figlio sommessa, al fin che pronto Soccorra all'uopo. Corrugarsi il fronte Vid'io di Lui la prima volta allora, Pur della cara sua Parente al fine S'arrendendo pregar, cortese adempie Dell'ospite al difetto, e tostamente -1540 — 268 — Che sei quant'eran là urne capaci Colminsi d'acqua impone, e sulla mensa Si pongano di nuovo. All'occhio appena Sono tratte del Dio, che d' un baleno In negreggiante umor la Umpid' acqua Scorge mutata ognuno, ognun stupendo Di quella in cambio un puro vin si bee. Del Figlio, 0 Duce, e stirpe e culla udisti, E le primizie d'una diva prole, E perchè altri di Lui fatti non chiegga 1 SaO Si chiari fur che a somma gloria eretta Han tutta questa region. Se poi Bramosìa di saperli il cor ti punge, Questi ten fia di lunga man più dotto Raccontator (e sì parlando accenna Al buon Giovanni, che gli siede accanto ), Siccome quei che l'errabonde ognora Orme segui del suo Maestro, e tutto Vide cogli occhi suoi; dov'io frattanto La casta a tutelar vergine sposa 1 560 Fui della casa in fra le mure astretto. Disse; e già stanco, dal più dir s'astenne. Ma il Romano Signore, or Tu, rivolto A Giovanni parlò, di questo parto Tu, proseguendo dell' origin prima. La cagion mi disvela, e a me palese Fa la religion, onde, se il vero Fama non mente, le Giudee contrade Solo un eterno Iddio da non mortale Germe prodotto adorano, e dall'are 1370 Tutti cacciaro i natii Numi in bando. Poi mano a man le gloriose e conte Opre tutte di lui che appien conosci Fa di narrarmi, dacché vengon meno Nel buon Veglio le forze, e te in aita Invoca successor. Sì Ponzio, e tutti Stan desiosi d'ascoltarle intanto. 1577 I IIIEI STDDI NIGLI IRHIIIflI DISCORSO I) E L L' A B A T E GIUSEPPE C A D 0 R 1 N. Li amore che porlo alla verità, ed il pregio in cui tengo le cose dei Ve- neziani, dei quali io fui in ogni tempo affezionatissimo, m'indussero, Accademici egregi, in questo luogo cospicuo a scegliere a preferenza di ogni altro subbiet- to da ragionare quello a cui piacemi dare il titolo " De' miei studi negli n Archivi!. r> E poiché la trattazione dell' argomento è in se di ardua natura, temo assai di riescire a piacevolmente intertenervi, sondo che è difficile sceve- rare l'ottimo, dove il materiale è soverchio, e disporlo in modo che per via facile e dilettevole conduca all' utile fine, che mi sono proposto. Ad accrescer- mi questo timore si aggiugne, che siccome spesse volte addiviene, che mala- mente giudichiamo delle cose belle e buone in sé slesse, se non si appresentano di ricco corredo gueruite, in simile guisa mostriamo di non avere in gran con- to quegli scritti, che quantunque pieni di sana ragione e di scientifici concetti, si vestono di uno stile inelegante e trasandato. Se non che a scioghermi l' animo da tanta angustia fummi di non lieve confoito il considerare, che gli uomini dotti le cose alle parole, le frutta ai fio- ri di gran lunga preferiscono. E a dire il vero non dai giardini ailiGciosi, ma dal naturale terreno semplicemente coltivato si raccolgono i prodotti che ali- mentano la vita. Che importa, diceva Demostene agli ateniesi, che nel discorre- re ragionando mi serva di questo o di quel termine, quando trattasi della tlifesa della Patria? A me però sommamente gioverebbe ornare del conveniente colorito il subbielto di cui parlo, e cougiungere cosi l'utile al dolce ; ma poiché conosco la povertà de' miei doni naturali, e la tenuità de' miei studi, sento il bisogno di ripetere col grande oratore, non essere della più alta importanza r ornato dello stile, quando si tratta di manifestare idee e sentimenti della re- pubblica veneziana che dell'ateniese non fu meno feconda, né di cliiar'inge- — 270 — gni, né d' imprese gloriose, né di magnanimi fatti. E queste idee e questi sentimenti sono quelli su' quali poggiano i diletti miei studi, studi che cono- sciuti dalle più civili ed illuminate nazioni profittevoli ai progressi delle scien- ze e delle lettere, con amorevole affetto li abbracciano e li coltivano. L' In- ghilterra, la Germania, la Francia, l'Italia, slanche ed annoiale delle fredde dicerìe accademiche, e delle immorali avventure sparse nelle novelle, e nei ro- manzi, vera peste della sana letteratura, già volsero al sodo il pensiero, e vo- gliono storie, che sieno maestre di vita, luce di verità e non corrotte, né gua- ste da brutte idee, o da falsi colori imbrattate, o travolte da una immaginazio- ne iuordinata, che pone fuomo fuori dell'ordine naturale, e lo fa sognare pia- ceri vani per trarlo ignorante od incauto nell'inganno. Se questa mia dottrina, è dottrina ancor vostra. Accademici gentili, del che non dubito, anzi ne ho prove solenni, spero che nel dimostrarvi e con ragioni e con fatti l'utilità di questi miei studi, mi userete indulgenza cortese, di cui se non è degno il di- citore inesperto, la domanda l' importanza dell' argomento. Le passioni dell'uomo non tenute a freno dalla ragione e dall' uso retto de' sensi le paragono agli effetti funesti di qua' terribili incendi, che ogni cosa, sia sacra o profana ardono e consumano. Fatte forti le passioni dall interesse e dalla colleganza dei viziosi corrompono il cuore ed acciecano l' intelletto in guisa che più non scerne, né il giusto delle idee, né la verità dei giudizi!. Fare schermo alla ribalderia, quando prepotente è la forza, oltre che pericoloso è assai, sarebbe lo stesso che il volere tornare in senno i mentecatti mentre s'a- gitano ed infuriano. Ecco il perchè in mezzo ai noti disordini, cadendo il dominio di Venezia dalla forza oppresso e da ree calunnie vituperato, fu be- ne iJ non contendere con braverìa intempestiva, e meglio tollerare paziente- mente che fossero meno dense, se non in fuga cacciate, le tenebre di notte sì procellosa. Quindi è che fatto senno i nemici dell'estinta regina dell'adriatico, anzi che tacciare il suo governo da infingardo, ingiusto, ostile alla libertà dei popoli, ed ai lumi dello spirito del secolo, fu, a giudizio del Darò, uella sua Storia della Repubblica, quello « che tenne la bilancia politica dell'Italia, do- minò su i mari, ridusse le nazioni a se tributarie, rese impotenti gli sforzi del- l'Europa contro di essa " e seppe per quattordici secoli nel mondo risplendere colla sua politica e colla sua sapienza. Ma in mezzo a sì crudeli disavventure ed ingiustizie, Venezia provò almeno il conforto, che fu premio a sua innocen- za, nel vedere farsi difensori della sua gloria quei colpevoli stessi che la vollero sacrificata. Se i monumenti dell'antica storia Italiana mostrano come i barba- — 274 — rij ed Unni, e Goti, e Vandali le provincie nostre devastarono, le città distrus- sero, i cittadini menarono in ischiavitù, ed ogni ornamento di civile cultura, ed i nomi stessi delle cose, o deturparono, o niularono, Venezia sola in quei secoli imperturbabile rimase incorrotta, sendo che il ruggito terribile dell' in- domito Leone, inspirando nel petto di quelle belve feroci e rapaci riverenza e timore, la rese inviolabile. Ma quando piacque a Dio, che nel corso dell' uma- ne vicissitudini lo spirito dell'eroismo veneziano venisse meno, il vecchio Leo- ne, accovacciatosi, dormi, e dormendo fu tratto in inganno. Se però la Senna potente e gloriosa volle fra i trofei delle sue vittorie tutto ciò che di più pre- zioso aveano in sé e templi, e musei, e gallerie, e biblioteche dell'incompara- bile valore veneziano e dell'Italia tutta, alzossi a nostra difesa un Padre amo- revole. Augusto, ch'ora in Dio felice eternamente riposa, che sulla base delia giustizia fondando l'impero, comandò che i rapiti tesori tornassero alla nazio- ne, e riempissero l'antico seggio dall'offese dei secoli rispettato. Ma se per questa veramente carità sovrana le opere di tant' ingegni ec- cellentissimi dopo molte e si varie vessazioni si contejnplano di nuovo, si am- mirano, si studiano in questa Città, dov'è poi quello spirito dell'ex repubblica, che era fonte di tanta ricchezza e sapienza, che dava impulso e molo a tante imprese, che generava gli eroi della Patria? Dove?. ..Nei codici, o signori, che si custodiscono da chi ha cura di noi e delle cose nostre, nelle sale dei pubblici archivii. Penetrando in qvieste sale in mezzo al più profondo silenzio, ci correrà un brivido per le vene, immaginandosi che in questo luogo, fra que' chiostri, fra que' atrii, in quelle stanze non è ancora tutta morta la regina dell' adriati- co, ma dorme a fianco del suo Leone, che nel quieto sonno sembra che an- cora palpiti, ancora respiri. In quell' ammassamento di pergamene e di carte il suo spirito trovò asilo e pose in salvo come in isola fortificata il suo onore e la sua riputazione. Da questo luogo Ella diffonde i raggi della sua vii-tù. Qui le antiche e moderne vicende, e le sventure ed i trionfi quasi in lu- cido specchio appariscono. Qui le grand' anime dei Dandolo, dei Ziani, dei Michiel, dei Zeni, dei Pisani, dei Morosini, e di cent'e cent'altri ch'operarono prodigi di valore in questa terra facitrice di somme cose, come un tempo chiamare solca Epaminonda la diletta sua terra, ti si affacciano venerande. Di questa scena spettatore, l'animo tutto mi sentii commosso, e preso da altissimo affetto, quasi che veduto e toccato avessi alcun che di dolce, di compassione- vole, di amore. Fino da quel dì ebbero principio i miei studi, e fino da quel dì lutto volea vedere, tutto abbracciare e conoscere, e come i Padri davano — 272 — molo al commercio nelle più lontane regioni dell'universo, e come di merci peregrine preziosissime arricchivano i porti e le piazze principali dell'Asia, dell'Africa, dell'Europa, e con quale politica facessero tremare i potenti, e come i figliuoli fossero educati a saper vivere e morire da valorosi, e conservare la patria libertà, ed in fine, ciò che più a me importava, come dessero eccitamen- to ai progressi delle scienze, delle lettere, dell'industria, delle arti. Ma essendo che i desiderii, che sono maggiori delle forze abbisognano di essere dalla temperanza raffrenati mi fii d' uopo limitarli, e fra i vari argo- menti non fare scella se non di quelli a' quali sentivami più inclinato, ed era- no pello spirito del tempo meno pericolosi, ed agli uomini amanti di pace più aggraditi. E siccome è proprio di savio e prudente architetto nell' erigere un editizio, mettersi prima in pensiero di raccogliere i materiali dell'ideato lavoro poscia darsi alla costruzione ed agh ornamenti, in simile guisa innanzi al com- porre alcuna cosa riputai utile fornirmi di que' documenti, che sono le basi sulle quali s' appoggiano le storie delle passate generazioni. Scrittori cliiarissi- mi persuasi della verità di questi principii anzi che dilettarsi di componimenti leggieri ma vivaci, amano meglio componimenti gravi e fondati sulla ragione del fatto, e svilla critica severa per iscernere il vero dal falso, il vizio dalla virtù. Quel fuoco, che per più lustri arse nel petto degli uomini dell'età nostra per trovare frale armi la gloria, ora in mezzo alla lunga pace arde per trovarla nelle azioni illustri de'I*adri. Per lo che a giungere al lodevole scopo sudano a scoprire notizie nell'accademie, nei musei, nelle biblioteche, e negli archivii pubblici, e privati. Ed ecco i Marsand, che ci danno cataloghi di codici italiani, che fanno ricche le regie biblioteche parigine, ed ecco i Gaje ed i Gualandi che s'affaticano a raccozzare con saggio avvedimento carteggi di artisti, ed ecco i Morbio che ri- chiamano alla vita le glorie dei municipii itahani, ed i Molini che danno in lu- ce gl'importanti documenti illustrati dal suo dotto concittadino Dino Cappo- ni, e gli Alberi che pubblicano le relazioni degli ambasciatori veneti al senato, e delle quali già qui iidissi critici e dotti ragionamenti da Sua Eccellenza si- gnor Conte Leonardo Manin Presidente degnissimo di codesto Ateneo, per ta- cere di altri molli, de' quali lungo sarebbe il discorrere, che pongono in piena luce scritture sepolte e dimenticate fra la polvere degli archivii. Che più? Li Governi or vanno a gara nel pubblicare gli atti antichi di legislazione, di com- mercio, di politica, di diplomazia, fra' quali atti tiene luogo distinto la rac- colta che pubblicasi in Torino per volontà del proteggitore delle arti e delle scienze, Carlo Alberto re di Sardegna. Dirò in somma, che non v" è provin- — 273 — eia, né città, né castello, che spinti dal patrio amore non si adoperino a scopri- re e cose e nomi degni ili essere da' posteri ammirati ed emulati. ISè a mantenere viva la gloria dei veneziani ci mancano opere di dotti uomini, e nostri ed oltremontani. Se dei nazionali già retti encomi vennero pronunciati anche in quest'Ateneo, dei forestieri non tulti si riputarono de- gni di laude meritala. E ciò avvenne non perchè mancassero di adoperare in- gegno sommo nell'opere, ma perchè non sempre attinsero documenti da pure fonti, o perchè, tenendo inceppato lo spirilo da passioni stemperate o venali, osservarono le cose sotto quell'aspetto che più era convenevole all'interesse del- lo scrittore, di quello che a chiarire l'idea del soggetto. Sostituirono al razio- cinio il sofisma, agli scritti autentici gli apocrifi, ai fatti le supposizioni, e co- prirono con abbagliante elocuzione i difetti delle false idee. Se il signor Ranke, uomo doltissinio, non avesse con documenti veri estratti dai nostri e da altri archivi! provalo quant' afferma nella sua storia critica degli Ossuna contro Ve- nezia nel 1618, non rimarrebbero forse ancora nella mente stessa degh eruditi le ipotesi ingegnose di Saint-Rea!, di Chambrier, del Darù e di altri? Ma quan- tunque siasi già dimostrato, che il suddetto Darù nella sua storia veneziana nou ha potuto esaminare le pergamene del nostro archivio, né allorquando era segretario di im padrone, che di se solo volea che tutto il mondo parlasse, es- sendo che uiancavagli il tempo, né allorquando dopo la caduta dell'altissimo guerriero vennero le carte al proprio luogo restituite, ciò non ostante sugli ani- mi degl'indotti o di coloro, che alla cieca meglio amano credere senza affatica- re, che afl'aticando conoscere il vero e combattere la menzogna, non poca in- fluenza ebbero le sue opinioni e le sue libere sentenze. Per lo che sorse il be- nemerito conte Domenico Tiepolo, che Dio or tiene in sua gloria, a difesa dei veneziani, e con buone ragioni e con fatti sostenne e provò che il solo inge- gno nou basta a supplire alla verità, eh' è 1' anima della storia, ma che oc- corrono documeuli originali, incontrastabili. Ma se alcuno opinasse essere di poco conto che nel lavoro del Darù non .siano tutte quelle doti che in uno scrittore iuiparziale si ricercano, mentre noi abbondiamo di celebri uomini che in chiaro posero le gesta de' venezia- ni in modo, ohe nulla più nò di aggiungere, né di desiderare ci resta, questo critico certauieule mostrerebbe, né di conoscere l'uomo, né l'imperfezioni del- la sua natura e delle sue opere, né di sapere quanto sieno vaste, inesauribili le fonti di questi sludi. Ma nell'ipotesi, che i documenti altri irutti non aves- sero a partorire se non quelli di correggere errori di date, epoche, anacroni- .4te\eo. Tom. V. 35 — 274 — siili, di troncare questioni nate dall' ignoranza, di scemare la pedanteria, per cui l'uno dall'altro si copia coli' accrescere tant' inutili volumi a tanti altri che più non si leggono, non saranno anco per questo solo scopo alla scienza ed alla letteratura utilissimi? Se poi i documenti scoprono i passati difetti, emendano gli errori dell'opere, danno credito alla critica, lume alla storia, chi vorrà esse- re sì nemico di considerarli studi di mediocri ingegni e di anime volgari ? Saranno è vero talvolta in se considerati di lieve importanza, ma applicati che sieno al soggetto convenevolmente, riescono importantissimi, anzi necessarii. Imperocché siccome dagli elementi delle cose si compongono i corpi, e dall'idee particolari si formano le universali, in simile modo i documenti le parti forni- scono delle storie in cui le azioni descrivonsi delle città, dei paesi, dei regni, o trattasi di politica, di milizia, in una parola di tutto ciò che allo spirito dei governi appartiene. Ma dagli studi di sì fatte cose, che sono di altri omeri so- ma, che da'miei, tenni in ogni tempo lungi dalla mente il pensiero, e mi do a credere, per le ragioni che sono per dire, di potermi in ciò giustificare. In un mare sì vasto, sì profondo da me non conosciuto poteva la mia povera navi- cella urtare in qualche scoglio, e correre a rischio di affogare, e fu senno, se non erro, di cauto nocchiero tenere strette le vele, scandagliare la profondità dell'acqua, e non correre sull'onde altro spazio di quello, in cui era il navigare sicuro, od agevole e non arduo il ricovrarsi in porto. A questo fine mi fu propi- zio l'eccelso illuminato Governo, aprendomi la via nei regii archivi!, dov'ebbi ed assistenza, e consiglio dal cortesissimo Direttore, ed Impiegati gentili, che cooperarono zelantemente alla satisfazione delle mie brame. Nel dare a' miei studi principio era mio unico scopo di apportare qualche nuovo lume alla vita ed alle opere del mio più grande concittadino, Tiziano. Ma siccome coloro che hanno il cuore alle ricchezze dedicato, sebbene opulentissimi, sono avidi sempre più di accrescerle, similemente a me avvenne da tanti tesori letterarii, e scientifici circondato, che non pago della prima idea, s'aumentarono sempre più di giorno in giorno i desiderii insaziabili di conoscere tutti qua' manoscrit- ti, che alle belle arti veneziane e letterarie si riferiscono. E vero, che noi con- tiamo anche a questo proposito lavori di uomini insigni, ma è vero altresì per le manifeste ragioni, che non lutti dissero ogni cosa, che ogni cosa non tutti potevano sapere, sendo che, o diligentemente a questi studi non si dedicarono, o non ebbero il tempo, o la pazienza, o la permissione di trovare negli archi- vii i necessarii documenti. Per lo che il celebratissimo Foscarini nelF opera sua della letteratura veneziana " esortava altri più abbondevoli d' ozio a sup- — 276 — plire alle mancanze di essa, e le parti tulle del vario soggetto a disaminare con maggior diligenza e dottrina 11. Ora se questi sludi danno il potere, ed aprono la strada a venire in co- gnizione dell'indole, del carattere, delle costumanze, della cultura, dello spirito dei popoli, se destano nei posteri emulazione di virtù, se sono i fondamenti delle storie, e gli errori trascorsi correggono, e le verità favoriscono, e le cose ignote discoprono, chi non comprende quanto sia utile onorarli, amarli, colti- varli ? Ma a vie maggiormente scoprire questo vantaggio gioverà assai, a mio credere, alla teorica unire la pratica, alle parole i fatti, e quindi, o signori, no- terovvi alcuni pochi documeuti, e perchè da questi possiate inferirne i fruiti dei molti, e perchè non mi è lecito narrarvi i molti per non esservi di fastidio, e per non trascorrere i termini a breve discorso segnali. Il Senato veneziano sul finire del secolo XV formò il nobilissimo progetto di dare compimento alla gran mole del suo Palazzo, e farlo maestoso in modo, che alla grandezza ed al- l'ojìuleuza della Repubblica fosse convenevole. Fra le molte opere di arti beile devonsi a buon dritto annoverare le pitture, che si ammiravano nella gran sala del maggiore Consiglio. Sulle pareti dirimpetto all' isoletta di san Gior- gio, ed alla corte interna del Palazzo si vedevano nel i365 ventidae quadri coloriti dal Pisanello, dal Guariento, e da altri maestri rappresentanti le a- zioni piene di notabili accenti tra papa Alessandro III e l'imperatore Federi- co I Barbarossa, e nelle quali ebbero i Veneziani gran parte. Ma, e gli umani capricci, e le offese del tempo, e l'amore alle cose nuove che le passate di- struggono, aveano quelle dipinture in tanta miseria ridotte, che difficilmente si potevano riparare, anzi tenevansi quasi affatto perdute. Sommo però era l'af- fetto, che i nostri maggiori portavano a que' fatti, imperocché nell'onorare il Papa mostravano riverire la religione di Cristo, per cui in ogni tempo fecero prodigi di valore proprio d' un popolo libero, che combatte il dispotismo e lo spirito della tirannìa. Quindi il Consiglio nel i474 decretò, che le sullodate imprese fossero accomodate, o ridipinte dai più \alorosi maestri nell'arte. A gara si distinsero, e Giovanni Bellini, eh' era il più eccellente pittore del Dominio (i), e suo fratello Gentile, ed Alvise Vivarini, e Cristoforo da Parma e Lattanzio da Rimini, e Vincenzo da Treviso, e Marco 3Iarciano, e France- (1) (Jucl pillorc, rlip d.il Senato avea l'incarico di piugerc l'ioiaginc del Doge novello ve- niva cluamaio - /'/cto- noUri Domimi (Not. della signoria 20 febliraro in. v. 1482. e. 11) e la scelta cadeva sopra il piii eccellente. Tal' era Gio. Bellini, poi Tiziano ecc. — 276 — SCO Bissuolo, seguiti poi da Giorgione, da Tiziano, da Tintoretto, e da altri (i), ma fu destino fatale, che quest'opere bellissime fossero preda di quell'incen- dio, che nel 15^7 consumò buona parte del Palazzo (2). Mollo innanzi a que- sti maestri, Gentile da Fabrian o colorito avea il conflitto navale dei Veneziani contro Ottone terzogenito del Barbarossa avvenuto in Istria presso Salvore, e fa opera si meravigliosa che n'ebbe dal Senato premio per quei tempi generosis- simo (3) . Né il Senato onorò meno un altro ingegno italiano, che pell'eccellen- (1) Consiglio dei X. a5 dicembre i495 p. 198. 199. I quadri furon.o descrltli da France- sco Sansovino nella sua T'enelia i58i a p. iis e seg. (2) Nei Pareri di XV arcliiletli ecc., da me dati in luce. Venezia i838 a pag. g, è la descri- zione dell'incendio. (5) Francesco Sansovino nella sua P'enelia iel i5Si a p. 124» 'asciò scritto ^ che nel i474 e 1479 parve ai Padri, die si rinfrescassero le pitture dell'istoria di Federico Im()cralorc e clie furono rifalli molti quadri vecchi dai Vivarini, dai Bellini, e da diversi altri pittori di nome, ed aggiugne che il quadro del conjlitlo navale fu ricoperto da Gentile da Fabriano. I^eggo poi nel- l'opera di Bartolomeo Facio-rfe viris sui nevi illiistribus- sctìlta da lui nel i456, un anno pri- ma della sua morte quanto segue del Fabriano:" Pinxil et P'cnetiis in palatio terrestre praelium cantra Friderici imperatorisjìliwn a Fenetis prò siimnio Ponlifice susceptum, gestwnque, quod tamen parielis vilio poene totunt excidit. Ejusdein est opus Piomae in Joannis Luterani tempio Joannis ipsius /ustoria, ac supra earn ìiisloriam Prop/ietae quinqiie ila expiessi, ut nonpicti, sed e marmare f adi esse videanlur: quo in opere, quasi mortempraesagiret, seipsum superasse putalum est. Quaedam etinni in eo tempore adwnhrata modo, atque imperfecta morie praeven- tus reliquit. Ejusdein est etiam altera tabula, in qua Marlinus PonliJ'ex maximus, et Cardi- nales deceni ila expressi, ut naturam ipsam aequare, et nulla re dissimiles videantur. » Essendomi negli archivii rieseita inutile la più scrupolosa diligenza nello scoprire notizie del Fabriano, mi è d'uopo far uso di critica per conoscere dove sia nei citati scrillori la verità, e dove l'errore. 11 Facio scrittore autorevole, e contemporaneo a Gentile, e testimonio di veduta, dire dovea, a mio giudizio, le cose più esaltamente del Sansovino, il quale scrivendo dopo i5o anni era facile che corresse in fallo, e quindi più che a questi dobbiamo al precedente dare credenza. Se dunque il Facio nel i456 dettò, che nel palazzo di Venezia Fabriano pinse una battaglia terrestre ( terrestre praelium ) come sotto la penna del Sansovino si mutò in un conjlitlo navale? Poteva, noi nego, il pittore essere stato più volte in Venezia, ed avere colorito in epoche diverse l'uno e r altro combattimento , ma non mai in concorrenza di Luigi Vivarini nel i 474. essendo ch'il Fabriano non era più in vita dopo l'anno anzidetto l456. Ma nell'ipotesi, benché falsa, ch'an- cora nel 1749 vivesse, non è credibile che gli fosse dato il carico di pingerc il conflitto na- vale contro Ottone figlio di Barbarossa ncll' Istria presso Salvore, mcntr' era afiidato a Gio- vanni Bellini, e più volte poteva averlo veduto il Sansovino. — Ora non volendo al Sansovi- no concedere un errore s'i madornale, per cui il Fabriano avrebbe dipinto in quella sala lun- "0 tempo dopo la sua morie il quadro slesso del Bellini, sono piuttosto d' avviso, che Gentile abbia dipinto quella gloriosa b.ittaglia pei Veneziani, avanti la metà del secolo XV, e che male an- data sul finire del secolo stesso, come saggiamente lo affermò il Facio, che tal' era a' tempi suoi, — 277 — za de' suoi lavori sparsi nelle Spas;ne, in Francia, in Toscana, nell'Italia tutta era in pregio sommo tenuto, e ad alta riputazione salito. E questi Pietro Pe- rugino il maestro del divino Rafaello, a cui il principe Agostino Barbarigo af- fidò l'incarico di pingere ima battaglia, che fra quante invenzioni in quella sa- la si contavano, era fra le più difficili giudicata. Il contratto, che nelle note in- serisco (i), se pare in se considerato di poco conto, ed oscuro, dalla critica il- fosse ridipinb come asserisce il RidolG, ila Giovanni Bellini. Non leggendo poi negli scritti ve- neziani, che alcuna pugna terrestre sia avvenuta contro Ottone, e non altra battaglia navale eccetto che r accennata, devo supporre che il Facio ahhia dettato erroneamente terrestre, anziché navate. Ora sarehbc da desiderarsi 1' epoca esatta in cui il Fahriaoo venne in Venezia, ma privo, co- me dissi, di documenti, non posso che formare congetture, ma ragionevoli. Osservo col Lanzi ap- poggiato all' autorità del Vasari, del Ridolfi, e di altri scrittori, ( St. pili. Tom. 2. p. i5. Ediz. 1809 presso ReDiondini ;, che se Jacopo Bellini era discepolo del Fabriano, se in segno di gra- titudine verso il maestro pose il nome di Gentile al proprio figliuolo nato nel 1421, se dopo la partenza da Venezia il Fabriano passò a servire il Papa Martino V in Roma, come consta dal Fa- cio citato, dal Platina nelle vite dei Pontefici, e dal marchese cav. Ricci che raccolse in uno le no- tizie sparse del Fabriano (operette di belle arti. Bologna presso Curti iS3i ); se il Papa eletto nel i4'7 mori nel 14^', se in fine all' afTermare del Facio, il Fabriano a questa epoca lasciò alcune opere adombrate, ed imperfette, è lecito arguire che la venula del pittore in Venezia fosse prima, o contemporanea alla nascita di Gentile Bellini. Imperocché nel i423 il Fabriano andò a dipin- gere nel Duomo di Orvieto, e poscia passo a Roma al servigio del Pontefice, dove logoro dalle fa- tiche mori ottuagenario, e forse poco prima, o non molto dopo la morte di Martino V, come si racco- glie dallo scritto del Facio. Il Ricci (p. 19.. 5 1) affermò, che il Fabriano era nato presso il termine del secolo XI\ , mentre peli' esposte ragioni è chiaro che dovca essere nato molto prima. ^' egli poi fosse morto a I più lardi nel 1 4 Jo, come per il correre di tanti anni non avrebbe compite quel- r opere che lasciò imperfette sotto il reggimento del detto Pontefice? In ogni caso, supponendolo trapassalo anche nel i45o ottuagenario, dovremo sempre dire che sia nato nel 1J70, e non pres- so il termine di questo secolo. - (i) Notatone del Magistrato del Sale, i 494 '^'^ '4 augusti. » I magnifici signori M. Faiitin Marcello et compagni dignissimi Provedadori al Sai de coman- dainenlo dil Serenissimo principe llano fato marchado, et sono rimasti dacordo cum m." piero peroxioi dcpcntor ci qual ha tolto a depcnzer nela sala del gran Conscio uno campo tra una fene- slra et l'altra invcr san Zorzi tra el qual campo et el campo de la historia dila charilade, e uno altro campo over quadro il qual campo ha tolto a depenzer zioè da una fenestra al altra, et sono ire volti compidi et mezo, nel qual die depenzer i tanti doxi quanti achadcra, et quella historia, quando il papa scampa da Roma, et la bataia seguida, di solo havendo a compir quella lossa acliadora in curia di le fcnestrc oltre la mitade . Item el ditto m. piero sarà obligado far tuor iodesegno l'opera è al presente, et quella darà ai prefali Magnifici Signori provedadori, essendo obligado far essa historia piuitoslo miorar che altramente. Dell' altri lavori facli in ditta Sala, s'i come si conviene a quello degno luogo . dovendo far ditta opera più ricba della prima a tute soe spexe de oro, arzento, azuro ci colori, et de tulle quelle cosse apertien a larte del dcpcntor . et li Magnifici S.ri p.ori li — 278 — luminalo, non può die riuscire importante, ed alla verità storica utilissimo. La battaglia ila rinnovarsi, o da acconciarsi era quella nell' Umbria presso Spe- lati, già dal Guariento figurata. Ma poiché è proprio degli uomini poc' onesti mancar di fede, e avere in niuu pregio le più sacre promesse, il Perugino non servi i Veneziani. Era il pittore, se dice il Vasari la verità ( i ), poco religioso, e quindi facile a mancare di parola. Ogni speranza poneva nei beni della fortuna, e per denari avrebbe fatto ogni malo contratto. Tenne a bada per nove anni i so- prastanti alla fabbrica del duomo di Orvieto, e poi si scusò per non poterli ser- vire. La vile avarizia si fé anco signora dell'animo di lui presso i veneziani, es- sendoché pretendere doppio prezzo di cpiello che da un generoso governo venivagli offerto, è un azione che non lo onora. Né crediate, o signori, che que- sto racconto, io lo tragga, o da cronache favolose, o da scrittori sospetti di fal- sità, come nel secolo nostro spesse fiate addiviene. Io lo raccolgo dagli archivi!, e propriamente dalla penna stessa del nostro Tiziano. Nel I 5 1 5 ai 1 3 di maggio stimolato dall' amore alla gloria, e dal deside- rio ardente di fare alcuna opera che fosse degna di Venezia, da suddito fe- delissimo eh' egli era, supplicò il principe a permettere eh' egli facesse quella battaglia che far dovea il Perugino, e ch'era ardua, in modo, che non fuvvi fra veneziani maestro, eh' assumere si volesse la difficile impresa, e di pin- gerla pella metà del prezzo dal Perugino domandato (a). La signoria di Ve- faiano far il tellcr de legnami et de Ielle da depenzer suxo, et i soleri, et altri inzegni, azo depeo- zer possi. Haia ditto maistro per suo pagamento del dillo lavor cum li muodi dicliiaridi di sopra ducati quatrocento doro, zoe ducati 4oo facendo da cima fino a basso sopra el bancho tuli quelli lavori meio parerà star bene, né menor fatura de quelle e al presente. Il qual pagamento suo bara dallo olT.o dil Sai a tempo in tempo, si come sarà necessario, et che esso maistro lavorerà. » L' incarico dato al Perugino fu quello di dipingere nei volli della sala 1' imagini dei Dogi, poi I' istoria, ossia la fuga da Roma di papa Alessandro III perseguitalo dall' Imp. Barbarossa, e in fine la seguita battaglia, che dovea essere colorita al di sotto dell' antecedenle, cioè la battaglia di Spoleli nell'Umbria ( corae si osserverà nella noia scg. ) (o.) già dipinta dal Guariento nel i365. Dal disegno che di questa volevano i Proveditori, si viene a conoscere il desiderio di cotiservarc l'antica invenzione, al fine di confrontare il lavoro moderno coU'anlico. ;i) \ ila di Pietro Perugino. Tom. 4 ediz. di Siena 1791 a pag. 297. Il Vermiglloli nelle Memorie del Pinluricchio, e gli Autori delle note al Sarjijin di Leonardo da Finci di E. De- Iccluze si adoprano a purgare il Perugino dalle macchie morali che il Vasarr gli atliibuisce. (2) In Collegio iói5 diei5 Maij Havendo inleso S.mo Prencipe io Tilian scrv. de la Sere- nità V. quella hauer deliberato dar sopra di se a depenzre quelli tellari sono di gran conscio, et io che desidero che si veda de mano mia un tellaro de la sorte et artifilio, el questo che za anni do ho principialo, et non e el più difficile la torno in lulla quella sala. Da mn me obligo de compirlo — 279 — nezia accolse 1' ofiferta (i), ed il VecoUio colorì questa opera ch'era degna del- l' universale ammirazione. Stupenda era la scena non tanto per lo sito dei colli, dei monti, delle valli, e pello spettacolo di orribile conflitto di cavalieri, e di fanti, peli' orrore di una procella mescolata a pioggia, a lampi, a saet- te, peli' incendio di città, di castella di capanne, da cui s'innalzano in aria fra le dense nubi globi di fumo, e di fiamme, ma molto più pei differenti river- beri della luce nelle nuvole, nel fumo, nell' acqua, nelle armi dei soldati. Un ponte con fiume sottoposto divide i nemici. Da un lato tu vedi nei barbari imperiali seminudi la paura, lo sbigottimento , I' ansietà , presagio funesto di rotta vicina. Ed ecco che alcuni uccisi giaciono al suolo, altri storditi dai colpi ostili miseramente boccheggiano , altri sugli estinti destrieri accaval- ciati mandano 1' ultimo respiro. Chi precipita dal ponte e nel fiume s' affoga, come se die a' tutte mie spese, ne voglio altro pagamento auaiiti paclo, salvo ducati die'ce de co- lori solamente et once tre de quel azuro se attroiia esser ncU'oft'.o del Sai, et clie di mio conto si pagi un de quelli joveni mi servirà, che son ducati quatro ogni mese solamente, clie mi me ob- Jigo pagar di mia borsa un altro, et fare ogni altra spesa intiera di più in Is pictura . facendoroe la Ser.là V. prometter al officio del Sai, che finita ditta opera liabbia per mio pagamento la meta di quello altre volte (o promesso al Perusin cbe dovea depenrer el dello leller, rhe sono duo. qua- trocento.cbe lui non volse farla con ducali octocenlo, et cbe al tempo liabia la mia spcctativa del- la sansaria in fontego di Tb odescbi come fu deliberato nell' Ill.mo conscio a d'i 28 Novembrio 1 5 I 4. (1) i5l5. 28 jannarij (m. v) in Collegio. Che per exccution de la deliberalion facta ultimameute nel conscio de prcgadi sia acceptado el partilo et obligation sopra in omnibus salvo cbe dove dice ducati qualrocenlo, dica ducali trecen- to de pagamcnlo, et che di conto suo sia pagato due. Ire al mese ad un suo Garson, come el do- manda, et non habi più di duo. diexe de colori, et le onze tre de azuro non preiudicando el pre- fato per questo .nlla cxpcclaliva della Sansaria a lui concessa per ci conscio nostro de X in caso cbe lioc interim le venisse a vacare com'è juslo ci conveniente. -t- ^o Ant.us Mogarotas Ducalis Nol.us _ 4 o Il documento e copiato dal Mag." al Sale N.° 2 — 1491 — 1 S^g, e mostra chiaramente che Tiziano fino dal 1 5 1 5 avea dato principio a colorire la battaglia che dovea essere fatta dal Perugino, e cbe viene dcscrilla si da Fr. Sansovino amico di Tiziano, che dal RidoKl.ll Vasari la prese per la ballaglia di Chiaradadda, ma oltre cbe questo scrittore nelle ootizie dei maestri veneti fu spesse volle poco esatto, non merita anco fede per le ragioni, che nel corso del discorso manifesto. Inoltre il Sansovino icslimonio oculare, ed intelligente dtl fatto è degno in questo caso di essere al Vasari preferito, essendo che quest'ultimo poteva non averlo veduto, ma essere stalo solamente informato da qualche ignorante. — 280 — chi inconsiderato volge le spalle per darsi in fuga e trova la morte, chi in mezzo a quello scompiglio fa dei nemici carnificina — Dall'altro canto del ponte stret- tamente unite ed ordinate pugnano le vittoriose truppe de'Veneziani armate e vestite di elmi, di loriche, di corazze. All' aria spiegano i gloriosi vessilli di s. Marco, e 1' oste affrontano, percuotono, incalzano, disperdono. Ne meno stupendi sono gli episodi. Chi potrà non sentire nell' anima la compassione nel vedere quella giovinetta sveuturatissima, che spinta nel fiume dalla fortuna del suo diletto semiviva s'aggruppa agli sterpi di quella sponda, senza che alcu- no ascolti gli ultimi gemiti di quella infelice? E di te che dirò, misero giovinetto, che caduto neil' onde, e dall' impeto della fiumana sollevato, ignudo t' arram- pichi con ambe le mani ai sassi di quelle ripe, né vi è più per le una mano pietosa che a salvamento ti riconduca! — Ma se tutte descrivere volessi le co- se, che in quella storia si contemplano, non darei al mio discorrere più fine. Bastavi solo il considerare essere stata questa una delle composizioni le più vaste, e le più perfette che mai facesse Tiziano, in cui tutte le parti e- rano al proprio luogo collocate, e rappresautate e colorite con quella naturale proprietà, che alle cose convengono. Quindi il Sansovino (i) contemporaneo, ed amico del pittore scrive nella sua Venetia, che l'azione della giornata di Spoleti nell'Umbria venne " con incredibile industria ed arte rappresentata, do- ve oltre alle cose nobili che vi apparivano, si mostrava agli occhi de' riguar- danti un capitano, eh' essendo desto al romore di una zuffa si faceva armare da un ragazzo, nel petto della cui corazza risplendevano con incredibile magi- stero i lustri, i chiari delle armi de'panni de'quali era vestilo il ragazzo. V'era parimenti un cavallo d' estrema bellezza, ed una giovane che uscendo da una fossa mostrava nel volto una gran paura. r> Ma di questa grand' opera, fatta preda come dissi dell' incendio, non altri ci rimane che una fredda imagine nella stampa rarissima di Giulio Fontana. Il Ridolfi però che la descrisse, non (a) vidde nella zuffa di Spoleti se non (0 11 Sansovino nella sua J'eneila la nota nel quinto qu.uji-o a pag. 126 retro. — Nel qua- dro decimo sellirao annovera un altro dipinto di Tiziano rappreseiilanle Alessandro III condotto con r Imperatore nella Chiesa di S. Marco, ove fecero la pace, ed .iggiugne. che fu il primo quadro che Tiziano facesse, ma quest'asserzione si oppone ai citali dncumonti (V. nota (1) a pag. 9.77 e no- ta (1) pag. •j'^Sjmenlre non ignorasi che Tiziano cominciò a dipingere solamente per ordine puh- blico nel 1 5 I 5, e l'opera che dovea il Perugino colorire non venne dal Sansovino citata. (2) Parte I a p. i4S. Tiiiano avendo introdotto nella pugna di Spoleti per anacroni- smo un carro con scura uu cannone, fu questa forse una delle cause principali per cui il Ridolfi fu tratto nell'errore di crederla la battaglia di Cadore. — 281 — il fatto d' armi, cl»e avvenne in Cadore nel i5o8 fra Massimiliano imperato- re ed i Veneziani. Se a me riesce carissimo 1' ammirare alcune parti del pae- se natio dipinte ai tempi nostri, e dal Diisi, e dal Nerly, e dal Rollio, e dal Guerra, e da altri ancora (i) molto piìi mi sarebbe stato piacevole V os- servarle colorite dal suo più grande concittadino. Confidente com' era della natura, non è dubbio, eh' egli avrebbe questa piccola Svizzera delle nostre Provincie rappresentata colle sue foreste, coi suoi prati, colle sue valli, coi suoi monti inaccessibili da cui scaturiscono, e ruscelli, e torrenti e fiumi, ma r amore alla verità è nel mio cuore maggiore dell'affetto di Patria, e menti- re a'juiei sentimenti è mentire al mio carattere. Dirò quindi, che il Ridolfi er- rò, e nel fatto, e nelle circostanze del fatto. Se attentamente veduto avesse 1' intaglio del Fontana, e lo stampalo di Pietro Giustiniani, o almeno infor- mato si fosse, da chi poteva avere e cognizione ed interesse, del sito e del clima cadorino, sarebbe fors' egli incorso in fallo sì madornale ? Come darsi a crede- re che l'armatura, ed il vestito di que' soldati, ch'era proprio del medio evo fosse in uso ancora nel principio del secolo XVI ? Come supporre, che i sol- dati imperiali quasi all'atto ignudi potessero fra i ghiacci affrontare il rigido clima del tirolese, e del cadorino? Se la zuffa costì avvenne ai a di marzo, tempo in cui il terreno era di tanta neve coperto, che il Laviano generale dei veneti nel suo passaggio per Zoldo fu costretto dalla soldatesca di farla sgom- berare, sarà poi probabile, che in quel giorno succedesse estivo temporale di lampi, e di folgori, come nel detto intaglio si rappresenta? Ma come incene- rirono città, se non vi sono che poveri villaggi, ed il castello di Pieve ? E Tiziano, che sì eccellentemente sapeva imitare la natura, l' avrà abbandonata in sì bella occasione per dipingere capricciosamente il suo amato paese, in (0 Cosroe Dusl, ch'ora in Pietroburgo dipinge ed onora la pittura veneziana disegnò sopra il luogo nel Cadore alcune tcJuic, clie farono litografale, e pubblicate dall'egregio pittore .Sig. Gio. Ballista Crcrbini. Il Nerly prussiano dipinse un paesaggio bellissimo preso in gran parte dal vero, in cui rap- presentò Tiziauo che nell'età di io anni abbandona la Patria per venire in Venezia. Il Castello di Pieve col monte Ricco, la valle per cui corre il Piave, i monti ec, mi sembrarono naturali. Il quadro fu venduto a Lord Ashbnrg di Londra. Di M. Rollin francese la Nob. Famiglia del Conte Benedetto V'almarana amica gentile delle arti, delli artisti, e dei letterati possiede varie vedute del fclirino, e del cadorino colorite con mollo amore, grazia, e verità. Il Guerra dipinse il villaggio di Calalzo presso Pieve, che mi vien detto essere bello, e preso da un punto che produce buonissimo effetto. Io non 1' ho veduto. Ate.\eo. To.1i. V. 36 — 282 — quei monti, in quel ponte, in quei fiumi? Ed ai ruvidi larici, ai verdi abeti, ai resinosi pini, ai faggi silvestri avrà sostituito piante e macchie che non al- lignano in quelle fredde regioni? Ma il contratto con Pietro Perugino tronca fino nella radice la questio- ne. La battaglia, come abbiamo osservato, dovea essere dipinta nella sala del Maggior Consiglio nel 1494? *^'o^ '4 ^°°' prima che succedesse quella di Ca- dore. Tiziano nella sua supplicazione non altra battaglia domandò di pingere se non quella del Perugino, e non essendo questa se non la battaglia di Spo- leti, con logico raziocinio d' uopo è inferire eh' essere non poteva il combatti- mento in Cadore. Queste ragioni medesime valgono altresì a provare, quanto il Vasari ed il Ticozzi (i) si allontanassero dalla verità, supponendo in questo quadro fi- gurata la battaglia di Ghiaradadda (a), anzi quest' ultimo scrittore per do- narci un parto della sua immaginazione felice, di una sola pugna ne fece due, e quella di Cadore da quella di Ghiaradadda distinse senza fare parola di quella di Spoleti. Ma sarebbe stata davvero, parla qui il Majer (3), per me una nuova e strana politica quella di adoperare il pennello di Tiziano a por- re sotto gli ocelli de' posteri 1' imagine di così lagrimevole sciagura, quale fu la celebre battaglia di Ghiaradadda. Sarebbe stata questa la prima volta, che un governo saggio, ed accorto avesse scelto il luogo il più cospicuo della sua residenza per farsi rappresentare le sconfitte più memorabili dei suoi eserciti ed uno di que' terribili rovesci di fortuna che gettarono lo stato sull' orlo del precipizio, e ne prostrarono le forze per tutti i secoli avvenire, n Se questo ragionamento ha in se tutta la verisimiglianza, non offre tuttavia quel caratte- re di verità incontra.stabile, che si raccolse dallo studio negli archivii. Tanto giova ad emendare più difetti nella storia delle arti belle un semplice docu- mento ! Ed io vero un semplice documento non bastò, o signori, perch' io già provassi, che piuttosto a Pietro Baseggio, che a Filippo Calendario debbasi attribuire 1' innalzamento della gran mole del Palazzo Ducale ? Un semplice documento non distrusse la volgare idea, che Palladio fosse di avviso di atter- rare questo edifizio dopo l' incendio del 1077 ? Un documento non fece co- noscere autore della facciata esterna verso il canale, e di parte dell' interna, (i) Vasari — Vila di Tiziano. (V. sopra la noia n. (i) pag. 280.) (•ì) Del Ticozzi. Vite de Vecelli lib. I cap. VI pag. 1 14- (5) Dell'imitazione pittorica ec. Ven. 1818 presso Alvisopoli in 8.ro Lib III pag. 324. — 283 — non che della Scala, ora dei Giganti, dello stesso Palazzo, Antonio Riccio e non Antonio Bregno se non vogliamo credere che il Riccio avesse il sopra cognome di Bregno ? Un documento non divise per sempre ì due architeUi Bartolomeo Buono, l'uno autore della porta della Carta, l'altro direttore della facciata delle vecchie procuratie, mentre il Tassi nelle vite degli architetti Bergamaschi ne li avea confusi? Sulla base di questi studi si vendicò la so- lenne ingiuria fatta a Tiziano, che rotto in costumi, non desse, che frutti illegittimi del suo amore, mentre era legato, non a Cornelia, come il Ridolfì opinò, ma a Cecilia coi dolci nodi dalla religione santificati. Con questi stu- di non si ebbe la forza di far crollare il monumento innalzato a Tiziano da un benemerito nostro concittadino nella via di Gallipoli presso la chiesa dei Frari dove riputavasi il domicilio del Vecellio, e stabilire invece in Biri a s. Canciauo la casa del Pittore ? E l' illustre Municipio che si caldo di affetto pel bene e decoro di questa città non eternò la memoria del fatto, mutando il no- me di campo rotto, in campo di Tiziano ? Che più? Que'libri, che scrissi in- torno ai pareri di XV architetti, ed al Palazzo Ducale, sebbene sforniti di quel lucido ordine, che avrei desiderato, non sono forse pieni di questi miei sludi, che pongono in qualche luce la storia di quel famoso palazzo ? Ma del Palazzo Ducale più non parlo, lasciando al pronto ingegno dell'e- rudito Zanotto descriverlo in modo di unire alla chiarezza, ed alla grazia d'una colta favella lo spirito della verità. Io intanto a persuadervi, o Signori, viep- più dell' utilità del mio argomento, piacciavi addrizzare per poco i pensieri alla basilica di s. Marco. Di questo tempio singolare nel mondo, del suo teso- ro, de' suoi marmi, de' suoi mosaici molti libri contiamo di uomini dotti ben- sì, ma che non avendo potuto vedere gli archivii, o vedutili non bene esami- narli, spogharono i veri autori di un'opera, per vestirne altri che non ebbero parte ; e nella confusione dei giudizii, e dell' ordine dei tempi, i progressi stessi delle arti belle confusero. Quell' altare preziosissimo per marmi, e per rilievi in bronzo, collocato dietro l'altare maggiore in s. Marco detto l'altare della Croce,si riputò lavoro bellissimo dello scultore Sansovino ma veramente di que- sto altro non è se non la porteUa di bronzo (i) mentre il restante è lavoro pregiato di Lorenzo Bregno, che viveva ed operava nel cominciamento del secolo XVI (2). E questa una prova, che ci convince a qual grado di perfezione (i) Proc. di Sopra^ Processo N. 49 . anno i566 a p. 22. (1) Proc. di Sopra; Lib. .iffitlanzc an. i5i8 3 Marzo. — 284 — era giunta fra noi 1' arte della scultura dopo le opere celebrale dei Bartolomei Buono, dei Rizzi, dei Lombardi, e di altri valentuomini, che ci lasciarono mo- numenti riputatissimi. Quella porta, oggetto di meraviglia, per cui dal coro si va nella Sagrestia, e che per barbara ignoranza, o gusto depravatissimo cor- se a pericolo di essere vénduta, o distrutta nell' epoca democratica il Sanso- vino la inventò, ma non l'eseguì. Imperocché fu in cera modellata da Tomma- so scultore, e furono fuse le figure, le teste, i quadri, i putti da Agostino Zotto padovano, ed i fregi dall'incisore Douienico, e gli ornamenti da Pietro Campa- naro intagliati, ed ogni altra cosa fatta dal Fabbri, e da Stefano Tagliapietra (i). Nella Chiesa, quel paradiso a mosaico, che si vuole opera di Gaetano, che o- perava nel 1689, non è che lavoro di Bartolomeo Bozza sopra disegno di Ja- copo Tintoretto del iS'j'j (2). Ma perchè dagli scrittori di Guide non distin- guere Alvise Gaetano il seniore, da Girolamo suo figlio, mentre questo solo viveva ai tempi del Pilotti (3) ? Non sarebbe in tal guisa avvenuto di giudica- re il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo lavoro di un Gaetano, che già da molti anni era nel numero de' trapassati. Quella imagine veneranda di no- stro Signore fra i sette candelabri ardenti, quelle figure stupendissime che rap- presentano le visioni dell' Evangelista san Giovanni vengono malamente giudi- cate fatture di Francesco Zuccato del i5y6, e iSgo (4). Questo celebre mo- saicista era nell'altra vita fino dal 1572, e colà io ben credo che non fosse in caso di servire i Procuratori di Sopra in san Marco, e molto meno di servire d' interlocutore al racconto storico, che ci regalò nella strenna del 1840 Non fi scordar di me il eh. Giuseppe Sacchi (5). (i) Proc. di Sopra. Processo N. 49 — i545 9 Febb. m. v. (2) Proc. di Sopra. Lib. Ad. an. i5()4 ^5 Ottobre Alvise Gaetano compi la Storia del Paradiso. Lib. Ad. an. 1608, 28 Ottobre, ed anno 1612, 24 Ottobre. Del Tintoretto V Lib. Cassier. Chiesa i577, i5 Marzo. (5) Girolamo Gaetano mori nel 1622 ed il Padre di lui ha compilo i suoi lavori V. Lib. Ad. 1620 1 429. (4) Guida di Ven. del Crescini i835. V. la nota scg. (5) Il Zuccato mori in Ottobre, oppure Nov. del 1672, e fu a lui sostituito nel governo della Sagrestia di S. Marco Simeone da Udine q. Domenico ( V. Lib. Cassier an. iS-ji, 22 Ago- sto e 14 Nov. ). Il Signor Sacchi Giuseppe che scrisse un romanzo .storico, e non un racconto storico nella Strenna del 1 840 Non ti scordar di me fa Tiziano nemico del Zuccato, tnentr'era amicissimo, e compare e protettore. Vuole che 1' incendio del Palazzo Ducale avvenisse nel 1572 e non negl'anni 1674 e 1677 ; pretende chea quest'epoca vivesse l'Aretino mentre con- Savasi fra i morti nel i556. Scrive a nostra istruzione che il Tintoretto ha dipinto il Paradiso — 285 — Ma per non iinnoiarvi, o Accademici, più a lungo, sia ilne al mio discor- so, e tanlu più volciilieri finisco, conoscendo che il eh. Cavaliere Canonico Mo- schini delle patrie cose intelligentissimo nella novella sua Guida di questa Cit- tà corregge ei'i-ori, che nìostrano sempre più la necessità di sottoporre le spal- le all'improba fatica degli archivii. Or noi, che di questi studi conosciamo, e l'importanza, e lo scopo, trattandosi di vendicare l'offesa gloria de' Padri no- stri, d' emendare con critica ragionevole falli di antichi e moderni scrittori intorno agli ornamenti della nostra cillà impareggiabile, useremo silenzio per non darsi il coraggio, e la pazienza di svolgere centinaia di volumi? E muti, o ciechi abbandonaremo l' impresa a penne venali, straniere, perchè vestine le azioni dell'ex regina dell'Adriatico con brutti colori, e con carattere odioso, e ridicolo, e sia da mimici schernita, ed i suoi più augusti personaggi derisi nel- le tragiche, o comiche rappresentazioni? O preferiremo agli studi della patria, che sono studi italiani, e sacri a si bel paese, con servile imitazione gli studi degli oltramontani scrittori, perdi' eglino ridano della semplicità, della viltà, della debolezza dell'ingegno italiano? O uno studio lambiccalo di una sillaba, di una parola, di una fredda dicerìa, di una inezia avrà in noi più forza di un tema, che ci offre sì splendidi argomenti da trattare, e fatti sì illustri da de- scrivere i* Si rompa il sonno neghittoso di molti, che dormono nell' ozio, e nel- l'ignoranza, perch'è sonno di morte, e sonno contagioso, che si propaga quasi fosse pestilenza, ed ammorza il fuoco dell' amore alle scienze, ed alle arti, che arde in petto degli animi i più svegliati. Amiamo il valore. E chiaro che il va- lore cresce in mezzo alle gare, ed ai cimenti, e si là pigro se teme, o non ha chi lo segua, o lo avanzi. L' emulazione desta chi dorme, stimola chi è restio, ed è sprone al pusillanime, che acquista volo per innalzarsi da terra, e rende- re nobile lo spirito. Nelle arti, e nelle scienze non fiori mai un maestro distin- to, che non sorgessero ad un tempo altri molti. I secoli di Pericle, di Augusto, di LeonX, di Luigi XIV sono chiarissimi esempli. Se nei tempi nostri ai pochi siaggiugnerannoin copiai coltivatori dei sludi patrii, anco le scienze, le lettere, ie arti giugneranno presso noi a quel grado di avanzamento e di estimazione a cui sali gloriosa in ogni tempo Venezia per la storia della sua dottrina, della sua politica, del suo commercio, dei suoi ammirabili monumenti. prima del suddetlo incendio ce. ec. Al romanziere tutto si perdona, allo storico errori si fatti ooo fanno onore. DI BIKTOLOIIIEO mU MEMORIA DEL SIG. ANTONIO NEU-MAYR. Affidatami dalla vostra gentilezza, Dotti Accademici, la custodia di tanti preziosi autografi che racchiudono i fasti letterarii di uomini insignì che vi appartennero e vi appartengono quai benemeriti colleghi, ho creduto mio dovere intrattenervi alcuni istanti su quanto mi venne fatto di rinvenire nei documenti di questo Archivio intorno gli studii del chiarissimo Gamba. Il presente scritto non ha per iscopo di ripetere ciò che i Dotti stampa- rono in lode di lui col titolo di Elogi, Biografie, Necrologie, né di parlare della sua vita privata e pubblica. Mi circoscriverò soltanto a ragguagliarvi dei meriti di lui qual Membro dell'Ateneo, comprovati dagli avanzi rimasti dopo la di- spersione generale delle carte avvenuta negli anni trascorsi, e che mi riusci di raccogliere e salvare. Per altro mi sia concesso di dire, usando delle parole di uno dei più va- lenti nostri colleghi, Mons. Can. Professor Bellomo, che il Gamba fu la coro- na di tutte le virtù moraU e sociali ; amoroso padre, amico leale e benefico, cittadino laborioso, dihgente, modesto •, che gli studii suoi rivolse ad illumi- nare la mente de'proprii concittadini collo spargere un tesoro di utili cogni- zioni, ed insieme a conformare il cuore soprattutto de' giovani, procurando, ad essi copia di saporite ed istruttive letture. E il nostro Ateneo molto gli deve, perchè gloriandosi di appartenervi, ne procurò sempre il lustro col fervore e colla saggezza de' suoi cousigli e colla copia delle dotte e moltiplici sue letture. E cominciando dal i 8 1 4 il Gamba dipinse con si vivi colori la vita poli- tica e letteraria del severo e risoluto aristocratico Ascanio Molin, che all'udi- torio parve di vederlo quasi redivivo (i). (i) Sessione (Mibblica del giorno 57 noTembrc iSiJ. Du-Prc Francese*. — 288 — Nel 1 8 1 7 si compiacque d' intrattenere aggradevolmente V Ateneo colla importante Memoria della vita d'uno de' tre padri della letteratura italiana cioè dell' immortale Boccaccio. Egli tessè la storia dei varii lavori di lui e delle sue operose vicende. Lo additò vivamente infiammato per la poesia, e lo dipinse assai bene fino all'estremo de' suoi giorni, in cui pieno di meriti pei servigi tributati alla patria, alle lettere, e al nome Italiano, fra le lagrime di tutti i buo- ni, placidamente spirava. * . • » In uno scritto così leggiadro trakice la gentilezza, il sapore e la venustà. Tocca con opportuni giudizii delle pregevoli produzioni di lui, enumerando in oltre le principali Biografie che si dettarono dell' illustre Italiano (a). Nel 1823 si occupò a leggere la Biografia di dodici delle donne più illu- stri nelle lettere e nelle belle arti delle Venete Provincie; ma nell'Archivio di tale erudito lavoro altro non v' ha che la semplice indicazione della lettura se- guita adi I 5 Maggio detto anno. Il valente Bibliografo presentò nell'anno susseguente due importanti ope- re uscite da' torchi, e mercè le sagaci sue cure a buona lezione ridotte. Queste furono i Beali di Francia, e la Bettorica del Padre Guidotto ambidue testi di lingua, e degne fonti di molte gemme di locuzioni. E ciò che le rende ancora più pregevoli è una elegante e dotta prefazione. I Beali di Francia toccano costumi e fatti notabili, non indegni dello stesso Allighieri. Il Gamba è d'avviso che l'ignoto autore di questo libro vi- vesse sul finire del secolo XIV o al cominciare del XV. Ci dà notizia delle cu- riose storie de' Cavalieri erranti nelle avventure di Carlo Magno e de' suoi do- dici Palatini, non senza provare altresì aver servito tale libro a mansuefare e ingentilire gli uomini, e far tenere in pregio la cortesia, il valore, e la ma- gnanimità. Parlando del testo di Bettorica di Guidotto ovvero Galeotto Frate Gau- dente del 12,57 ripeterò con Tiraboschi, Zeno e Perticari, che da Bologna usci questa opera fra le più belle sì per autenticità che per bellezza ed eleganza. II Gamba si meritò in tale occasione grandi encomii per la saggezza ed utilità de' tipografici suoi imprendimenti, pel leggiadro stile, e pei fiori di lin- sua di cui vanno adorni i suoi scritti. Illustrò 1' edizione con erudito proemio tendente a migliorarla, confrontando codici a penna, ed esaminando le più ra- re e preziose copie. Da infinite mepde la ripurgò aggiungendo dotte ricerche (2) Sessione pubblica del 27 novembre 1817. Diedo. — 289 — sul tempo in cui visse il Guiilotlo, sul vero suo nome, casato e condizione, e sul merito intrinseco dell'opera, che si può riguardare come imitazione anzi- ché volgarizzamento del trattalo di Cicerone (3). Nel di 17 marzo dell'anno medesimo intrattenne con la lettura di una epistola intorno la vita di Dante scritta da Giovanni Boccaccio. Piacque molto agli uditori, e in ispecie agli amatori della storia letteraria d'Italia (4)- Nel susseguente 1 6 dicembre presentò alla biblioteca dell' Ateneo le sue notizie sulle edizioni delle opere di Gaspare Gozzi (5), Nel 1826 donò alla stessa biblioteca un esemplare a stampa dell'opera intitolata: Ritratti di Donne illustri delle Provincie Veneziane^ argomento che gli servì di lettura nel \%iZ come si è detto più sopra (6). L'esemplare per altro manca nella Raccolta. Nel 22 agosto di quell'anno giusta domanda del Presidente manifestò il proprio parere sulla dissertazione di Francesco Negri la Inge Magica de- gli antichi, osservando ch'essa offre una critica esposizione si de' luoghi nei quah trovasi ricordato presso i vetusti Greci e Latini tale amatorio incantesi- mo, come pure delle varie opinioni intorno al medesimo dedotte dagli antichi e moderni eruditi. Alcune fi'a queste furono escluse dal Negri appoggiato a buone ragioni, altre ne adottò confermate da una illuminata critica. E questo scritto, continua il Gamba, un traltatello brioso intorno a tali forze di strego- neria, degno di occupare una penna erudita. Né pel suo tenue argomento ab- biasi in picciol conto, mentre le dotte indagini sulle costumanze anche frivole delle antiche nazioni, forse meglio che altrove giovano a raccogliere la vera sto- ria dei progressi dello spirito umano. Ora parmi, diceva il Gamba, che questa fatica del Negri degnissima sia di venir pubblicata, siccome quella che con eru- dizione e con grazia elegante tende a mettere in chiaro lume tal punto curioso di cui con diversità di modi, non cessa tuttavia di rimaner tracce fra noi. Non so se il Negri giudicasse a proposito di accennare che la sua Inge solca anche avere nell'aspetto alcun che che la rassomigliava eziandio ad un serpente, del- (5) Esercitazioni scientifiche Icllcrarie dell'Ateneo di Venezia, voi. i, iSa^. (4) Supplica umiliata a S. A, I. R. il Serenissimo Arciduca Vice Re 12 dicembre 182 5, registrata al n. 24- - 2 novembre i839. (5) Processo Verbale della Seduta ordinaria 16 dicembre 1824, registrato al n. 42. - 25 ottobre 1809, Biaggi. (6) Simile dell'Adunanza ordinaria 26 gcnnajo 1826, registrato al d. 5. - 6 noTembrc i839. - Bellomo. Ateneo. Tom. V. 37 — 290 — la qual cosa instruisce un Dizionario delle Favole, citando Senofonte che dal- l' Autore non si trova mai rammentato. Si badi però che simile dottrina si puntella a un Dizionario delle Favole tradotto dal Francese. Chiuderò la im- postami relazione, proseguiva il Gamba, col notare, che tra le greche testimo- nianze delle quali il chiaro autore dà la traduzione sembrami leggiadrissima quella, che ci offre co' suoi versi di un epigramma greco d' autore ignoto. Farmi che vadano in essa unite la fedeltà e la eleganza in modo da gareggiare in grazia e sapore col greco originale. La Memoria del Negri intitolata Inge è inserita nel I Volume delle Esercitazioni Scientifiche e Letterarie dell' Ateneo di Venezia. La lettera autografa del Gamba è unita al Processo Verbale 3 1 agosto 1826 registrato sub N. 53, 11 novembre 1839, fase. IIL Invitato dalla Presidenza nell'anno 1827 a manifestare il suo parere sul saggio di traduzione delle Lettere di Plinio dettato dal cav. prof Paravia, so- stenne in unione all' ab. cav. Bettio : meritar lode la critica giudiziosa colla quale il traduttore ammette o rigetta la varietà delle lezioni riportate dai fi- lologi, la fedeltà ed eleganza del volgarizzamento, e l'uso delle annotazioni sparsevi per rendere più facile la intelligenza dell'autore, e quindi essere tale il lavoro da far onore all'Ateneo al quale appartiene, se tra le Memorie desti- nate alla pubblicazione dovesse aver luogo eziandio questo saggio, che infatti è inserito nel I Volume delle Esercitazioni Scientifiche e Letterarie. La lettera surriferita è autografa del chiariss. sig. cav. Bettio (7), Colle grazie della lingua che gli erano così proprie, nel 1829 fece noto ai di lui Colleghi lo scopo e la natura del suo lavoro sopra una pistola, tratta da un Codice della Marciana non anteriore al secolo XVI, di Giovanni Boc- caccio a Francesco priore di santo Appostolo, ch'era un certo Francesco Nelli al servigio in qualità di maestro di casa presso Nicola Acciajuoli gran sini- scalco del regno di Napoli nel i 367, con che ridusse il testo a buona lezione. Gli scritti del Boccaccio, riverito qual padre dell' Italiana letteratura, ab- bisognano tuttavia de' lumi della critica per restituirli alia prima loro purità e schiettezza, locchè fece il nostro filologo col rischiarare 1' argomento e le cir- costanze della lettera con erudite ed amene illustrazioni, e si può dire col me- desimo Autore: che la sua opera è appunto come una tavola di maestro pen- nello, che ripolita torni a folgoreggiare tutta splendente di sua prima avvenen- (7) Proc. Verbale del 3i maggio 1827, registralo al n. 29. - 19 nov. iSSg. - Bellomo. — 291 — za. La Memoria di questa pistola esiste autografa registrata sub N. 3i — io aprile i8/|0, fase. IX, ed in essa si può ammirare la mente sagace, che trae i diamanti preziosi nascosti, nonché l'esperta mano che da ogni eterogeneo ele- mento depurandoli, fa che nella natia loro luce risplendano (8). II Gamba abbellì la nostra collezione di libri coli' offerta della surriferita pistola pubblicala colle stampe (9). Nell'anno i83o fece lettura di una sua Occhiata alla Biografia Universa- le nella parte spettante agli uomini illustri delle Proyincie Venete, fioriti nel secolo XVIII, mostrando che furono ommessi molti scrittori di opere eccellen- ti. Parlato con grande aggiustatezza di critica dei pregi e dei difetti della tra- duzione, si fece poscia a dire con finezza di gusto, e con attiche grazie dei no- stri scrittori che fiorirono tra l'Adige e l' Isonzo, notando come di alcuni fosse con ingiusta secchezza ricordata la vita e con madornali errori citate le opere, e come altri sieno stati del tutto dimenticati (io, 11). L'autografo di questa Occhiata si trova nell'Archivio al N. 28 — a maggio 1840, fase. IX. Nel 3 dicembre dell' anno stesso arricchì la bibUolcca di un esemplare a stampa della suddetta memoria (12, i3). Intrattenne hetamente l'Ateneo nell'aprile i83i con la lettura di una relazione sulla bizzarra Accademia dei Granelleschi che fioriva in Venezia alla metà del secolo XVIII e trasse le correnti notizie dai Codici dell'insigne Mar- ciana; mercè i quali provò che nel 174? una congrega di cerveUi allegri vo- gliosi di sollazzarsi scelsero per loro impresa un Gufo ed un Arcigranellone per principe, finché Gasparo Gozzi li consigliò a leggere e comporre cose uti- H alla lingua e all' Italiana letteratura. Il Gamba espose tale fatto con le grazie dello stile che gli erano così proprie, dando inoltre a divedere come i Granel- leschi cominciando dal fai' risorgere i frizzi e le vivezze del Pulci e del Berni, s' innalzassero a produrre opere degne dell' Italiana letteratura. La difesa di (8) Proc. Verbale del 4 giug"" '^ig, registralo al n. 3o. - io aprile 1840. - Bellomo. (y) Simile \ aprile i83o, registrato al n. i4- - s maggio i84o. - Bcllorao. (io) Simile 27 maggio i85o, registralo al n. -ì-ì. - 1 maggio 1840. - lìcllomo. (Il) Ragguaglio delle operazioni della Presidenza del Veneziano Ateneo nelle vacanze del- l'anno 1834, registrato al n. 43- - ^3 aprile 1840. - Ruggieri. (11) Processo verbale della seduta ordinaria 2 dicembre i83o, registrato al n. f)6. - 9. maggio 1840. - Bellomo. (i3) Ragguaglio delle cose fatte dalla Presidenza dell' Ateneo nelle vacanze dell'anno i83o. Autografo al n. 17. - 2 dicembre 1840. - Ruggieri. — 292 — Dante, e l'Osservatore di Gasparo Gozzi, i Sermoni del De Luca, e la Marfisa bizzarra del conte Carlo Gozzi furono le armi che valsero a combattere il filo- sofismo e il neologismo straniero, da cui era miseramente infestata l' Italia ( 1 4). Prima del termine dell'anno fece dono alia nostra Bibfioteca del bellissimo libro per sua cura dato in luce, i Fatti di Enea, estratti dalla Eneide di Virgilio e ridotti in volgare dal frate Guido di Pisa Carmelitano del secolo XIV (i5). Questa edizione fu ristampata perchè nella prima erano corsi non pochi abbagli. Il discorso sulla letteratura vernacola Veneziana fu l'argomento di cui intrattenne nel susseguente anno il Consesso Accademico nel giorno ^/^ mag- gio manifestando in tale congiuntura in una specie di proemio il genere di stu- di ai quali peculiarmente si dedicava, cioè la patria letteratura. Fu allora che giudicò a proposito di rivolgere alcune sue osservazioni ad altro proemio del dott. Zannini, che precede la Memoria sulla vita e sugli scritti di Giustina Renier Michiel, e che ricorda la nomina a socia della celebre Taddei (i6). Trattando solo per incidenza e quasi di volo quanto si riferiva alla famosa improvvisatrice, passò indi a provare che della Italiana letteratura è parte la vernacola Veneziana, assumendo 1' ufficio d' istorico e incominciando dal XII secolo. L' erudito filologo provò in questo suo scritto l'amore che nutriva per il patrio Ateneo promovendo con modi leggiadri ed eloquenti la concordia delle opinioni. Discorse in appresso del parere del Torelli, che non dalla Latina ma dal- la Celtica vuol derivata la lingua Italiana, e giunse colla isterica narrazione fino ai nostri tempi ricordando l'estemporanea eloquenza del Veneto Foro por- lata all'apice dalle arringhe di un COnlarini, d'uno Stefani, d'un Cordellina, d'un Gallino e di altri, e la poesia, iu cui occupano i jirimi seggi un France- sco Gritti, un Antonio Lamberti e un Pietro Buratti. Il Gamba chiuse 1' eru- dito ed elegante suo discorso colla lode del Boerio, il quale donò al dialetto Veneziano un proprio Vocabolario che meritò l'ammirazione dei forestieri e l'eterna riconoscenza degli studiosi del patrio vernacolo (17). (lij) Processo verbale delia Seduta ordinaria del giorno 7 aprile 1 85 1, registralo al n. 20. - :5 maggio 1840. - Bellomo. (i5) Ragguaglio delle operazioni fatte dalla Presidenza nelle vacanze dell'anno i83i. Auto- grafo al D. 55. - 5i maggio 1840. - Ruggieri. (16) Proc. verbale (Iella seduta 5 1 maggio iSóa.regist. al n. 9,9.-9 S'"?"" 1 8 ijo.- Bellomo. {17) Simile della seduta ordinaria del i4 maggio 1 832, registrato al n. 28. - 9 giugno 1840. - Bellomo. — 293 — Quanto grande fosse la rara modestia del Gamba apparisce dall' aver a tutta forza rifiutato l'onorevole incarico che se gli voleva affidare di Vice-Pre- sidente in luogo del defunto Ruggieri (i8). Il discorso sopra un Gazofilacio di prose Italiane del buon secolo chiamò nel giorno 6 maggio i833 numeroso concorso di uditori, i quali ebbero a con- vincersi, che conosciutasi la necessità di una buona lingua per uno scrittore, era lodevolissima l' idea del Gamba di un nuovo Gazofilacio, ossia raccolta di vecchi scritti dell'aureo secolo della lingua Italiana, ch'egli diceva di assai dil- ficile esecuzione, ma che proposta ad un intrepido tipografo poteva divenire di facile adempimento. Divise le scritture più autorevoli in cinque classi, cioè in cronache e sto- rie, in opere morali ed ascetiche, in erudite e scientifiche, in novelle e ro- manzi, e per ultimo in volgarizzamenti. Questo discorso è ricco di molta eru- dizione e come al solito pieno di leggiadria, per cui si mostrò a doppio titolo benemerito dell'Italiana letteratura, e coi suggerimenti dati e cogU esempi del terso suo stile (19). Le iscrizioni occulte servirono, come storielle, di tema al nostro Gamba per rallegrare nel 3o giugno i834 l'accademica Adunanza, e si può dire che egli a guisa degli antichi filosofi della Grecia sacrificasse in quel giorno alle Grazie, temperando la gravità degli studii colla dolcezza e col brio della sposi- zione. Con tale utile storiella intendeva correggere l'intemperanza di tanti an- tiquarii e Paleografi, e i costumi importuni e indiscreti di tanti Cagliostri (20). L'autogralà Memoria è depositata nell'Archivio al n. 23 ~ i5 agosto 1840, fascicolo IX. Il Consesso accademico del giorno 11 gennaio i836 ebbe la compia- cenza di gustale la biografia dell'illustre tipografo Bodoni, nella quale il Gam- ba diede novella prova del suo zelo per le lettere italiane, dettando il lavoro con quella accortezza ed eleganza che spiccano sempre in tutto le sue scritture. La Memoria fu poscia inserita nella Biografia degl' Italiani Illustri del Seco- lo XVIII del benemerito prof cav. Emilio de Tipaldo, e prova chiaramente fiS) Processo vcrliale della seduta i5 agosto \8ó-ì, rcgistialo al n. 46.- i3 giugno 1840. - Bellomo. {19) Simile della seduta ordinaria, fi maggio i833, registrato al n. io. - 1 i luglio 1840. - Rellomo. (20) Sitnile della seduta ordinaria, 5o giugno i854 al n. 21. - i5 agosto 1840. - Rellomo. — 294 ~ che nessuno può contendere al Bodoni il merito di essere stato il vero restau- ratore dell' arte tipografica in Italia (21). L" autografo si conserva al n. 4, a3 Novembre 1840, fase. IX j e vi è unito l'articolo a stampa della Biografia del Tipaldo. Per accrescere l' elenco de' Membri del Veneziano Ateneo co' nomi dei più valenti letterati sì nazionali che stranieri, fu nel dì 14 agosto i836 eletta un apposita Commissione, di cui fece parte il Gamba unitamente agli egregii signori Bizio e Namias, la quale presentasse il prospetto dei nomi che si do- vevano scegliere (aa); e nello stesso giorno fu pure la Commissione incaricata della proposta di un Tipo di stemma da adottarsi pei Diplomi di aggregazio- ne (aS). E l'una e l'altra di tali incumbenze disimpegnò il Gamba con pie- nissima soddisfazione della Presidenza. L'essere stato aggregato al Consiglio Accademico per la classe delle let- tere nel 1837 fu di grande utilità ; essendoché colla sua efficace cooperazione e co' suoi giudiziosi pareri contribuì non poco al decoro di quel ragguardevo- le Consesso (a4). Intrattenne nel i5 giugno i838 una numerosa e colta Adimanza col sottoporre, per così esprimermi, a sindicato l'età presente che aspira alla maggioranza sopra la passata; e restringendo il suo dire entro i confini della sola letteratura, ricercò, se l'Italia di oggidì abbia diritto di gridarsi Maestra di ogni sapere, messa a confronto coli' Italia del secolo precedente. Dalla sua Memoria ne viene, che negli studii dell'età in cui viviamo si trova da una parte difetto, dall' altra eccesso. Il primo lo fa conoscere osser- vando, che mentre si pone tanta cura nel leggere, commentai-e e pubblicare il divino Dante, si lascian poi marcire nella polvere dimenticati infiniti autori contemporanei, maestri anch'essi del bel dire e tesori di utili cognizioni. Con questo lavoro che intitolò : Chiacchieramento senile, e si trova au- tografo nell'Archivio al n. 11 — dicembre 1840, fase. IX, si propone in ispe- (21) Proc. verbale dell'i i gennajo 18S6, regist. al n. 3. - 25 settembre 1840. - Bellomo. (22) Minuta di iellera Circolare che instituisce la Commissione per compilare un prospetto di nomi da contemplarsi nell'Elenco dei Membri., li Agosto 1807 , registrata al n. i lO. - 5. Novembre 1840. (2 5) Minuta di Circolare che instituisce la Commissione pel Tipo dello stemma del Venezia- no Ateneo, 14 agosto 1857, registrata al n. iii, 5 novembre 1840. (24) Relazione dell'ultima seduta dell'anno Accademico i856 - 07 tenutasi il giorno 28 agosto 18J7, registrata al n. 116 - 5 novembre 1840. - Namias. — 295 — zialità di togliere gli abusi, di procacciare i veri progressi del sapere, e la glo- ria maggiore dell' Italiana letteratura. Espone le proprie osservazioni con leg- giadria di stile e motti frizzanti, serbandosi per altro sempre lodatore della patria (aS). Rimasto vacante il posto di un Membro del (Jonsiglio Accademico, fu nel 1889 rieletto, e continuò a tenervi seggio fino all'infausto giorno in cui man- cò a' vivi (26). La narrazione ccl titolo: I miei autografi fu scella dal valente Autore nel dì 17 Febbrajo 1840 per far conoscere con ingenuo candore e colla leg- giadria dello stile com'egli fin da' piìi teneri anni appassionato si dimostrasse per le Raccolte di cose manuscritle o stampate. Frutti di cosi ardente passione sono la Serie dei Novellatori: una Raccolta di opere Italiane di amena lettera- tura d'ogni età antica e moderna, e una Collezione di lettere autografe Italiane. Quattro di queste egli lesse, cioè: quella scritta dal famigerato Gio. Andrea Anguillara che spiega a dovizia la strana tempra del medesimo ; l'altra del ce- lebre cav. Guarini, che tratta di una sua grande famigliare sventura 5 la terza di Ottavio Magnanini Ferrarese, contenente una semplice e bella scrittura, ma piena di dolci e autorevoli rimproveri; la quarta finalmente del veneto patri- zio Zane, ambasciatore a Madrid, la quale tratta di domestiche costumanze. Avendo giocondamente intrattenuto 1' uditorio, conchiuse con la fervida esortazione, ch'ognuno de' suoi colleghi volesse applicarsi a cosi utile genere di collezioni. L' autografo si conserva nell' Archivio al N. 91 — 17 Febbraio 1840 fase. IX, (27). Nel terzo volume delle Esercitazioni Scientifiche e Letterarie del veneziano Ateneo furono inserite alcune Varianti del Pastor Fido a cura del Gamba, tolte dall'unico autografo esistente nell' Imp. Regia Riblioteca Marciana, che dovea leggere in una delle sedute del 1840, la quale non si effettuò per la chiusura dell'anno accademico. Il valente sig. abate prof. Pasini in un suo grazioso foglio autografo custo- dito nell'archivio al n. 271 — -iZ Novembre 1841, Fase. IX, prova che le Varianti sopracceimate valgono ad affinare il criterio dei lettori, qualora vo- gliano fare il confronto tra dizione e dizione, tra sentimento 0 sentimento, tra (a5) Processo verbale della seduta ordinaria, i5 gennajo i858 registrato al n. 5. - 1 dicem- bre I 840. - Bcllomo. (26) Simile de! 1 dicembre i839, registrato al n, 12. - 7 dicembre iSóg. - Bellorao. (27) Simile del 17 febbrajo 1840, al n. 19. - 25 febbrajo i84o. • Bellomo. — 296 — pensiero e pensiero. Quale somma utilità non si ritrarrebbe, esclama lo stesso professore, se si avessero sott' occhio i codici autografi dei medesimi autori •, quei codici che meritarono l'immortalità della fama! Io non vo' dire di Vir- gilio, che di cento e più versi, che gli scorreano dallo stile, ad assai pochi si riduceva il lavoro della lima ;^on parlo degli altri antichi classici ; non dico parola dei sudori, che al Metastasio costavano i suoi drammi nel correggerli, variando versi e pensieri, benché sembrino veramente spontanei. Dirò del Codice del Guarini che fa comprendere quanto di lavoro ad esso abbia costato. Dicesi che oltre vent'anni vi attendesse; la quale asserzione ci fa conoscere che solo il molto tempo, le molte cancellature, e la molta lima possono sole ridurre a perfezione un'opera; e per conseguenza dovrebbero tenersi lontani dal credere degne di stampa quelle meschine cosucce che schiccherano alcuni scioli e letteratucci alla moda. Il Gamba merita quindi lode anche per questo lavoro, di cui procurò la pubblicazione perchè capitando per avventura sotto gli occhi di cotestoro, avrebbe potuto forse servir di rimprovero alla loro sfacciata arroganza. Con tali pensieri chiude la sua lettera il prof. Pasini. Il Gamba quasi vaticinasse la sua morte, nel dì i4 novembre 1840, ri- scontrò l' invito per la produzione di una sua Memoria con le seguenti espres- sioni : Egregio Sig. T'ice-Presidente ! n Se piacerà a Dio di lasciarmi vivo e sano adempirò ai doveri di socio n dell'illustre Ateneo nel mese di maggio dell'anno prossimo e venturo con n una qualche lettura. « L'autografo si conserva nell'archivio al n. 84 — ^4 §i"S°o '^4'; fase. VI. Nel 3 maggio del 1841, giorno memorabile per lutto generale in questo sacro recinto, e nella nostra Venezia, leggeva il Gamba alcuni cenni sulla vita del Cenedese Lorenzo Da Ponte allorché alle ore r ip pom. sincope mortale il colse. Invano il nob. sig. Giacomo Vincenzo Foscarini, e gli egregi dottori Namias, Benvenuti, Nardo e Farlo accorsero ansiosi per prestare i soccorsi più energici al loro amato collega-, il valente filologo non era più, avendo dovuto soccombere all'insistenza d'un vizio cardiaco. (28) (a 8) Proc. verbale con inventario degli effetti che indossava il defunto Bartolommeo Gamba — 297 — Esponeva in quell'Adunanza colla insinuante dolcezza di stile a lui pro- prid i primi passi dell'ingegno del Da Ponte-, toccava la strana vicenda del suo maritaggio con donna seguace delle dottrine di Lutero, e rammaricavasi fortemente in pensando alla gravila dell'errore; quando, com'egli espiimevasi sarebbed trattato di agghiHare le partite col Domeneddio passando di que- sta vita alla resa di conti Pronunziate appena tali memorande parole con fiocca e moribonda voce rendeva l'anima al Signore, cui sino agli ultimi istanti e colla penna e cogli esempi avea sempre esaltato, vivendo nei dettami della cattolica Chiesa. Ben a ragione il segretario Mons. Canonico prof. Bellomo nella sua com- movente relazione accademica (29) esclamava: Oh quanto sono imperscrutabili i pudizu di Dio! e ricordava con profondo cordoglio colui che in quel mede- smio punto fra la sorpresa e la costernazione di tutti gli astanti compiva il corso della sua carriera mortale, e chiamato veniva alla stessa terribile resa di conti innanzi il Divino Tribunale. Ognuno deplorò la perdita di tant' uomo, lume e decoro del patrio Isti- tuto. Ciascuno avea il ciglio bagnato di lagrime, e la fredda salma di Bartolom- meo Gamba fu accompagnata alla tomba coi contrassegni del più vivo e sincero dolore. Per secondare il desiderio manifestato dalla famiglia dell' illustre trapas- sato la Presidenza nel dì 7 dello sfesso mese deliberò di consegnarle la copia della Memoria letta soltanto in parte, serbato per altro l'Autografo; se non che così memorabile scritto manca nell' archivio, non essendo stato finora debita- mente restituito (3o). Ecco adempiuto, o signori, per quant' era da me al doveroso incarico di 9|fisacrare alcune parole alla memoria di un uomo, il cui nome rimarrà scol- pilo in caratteri indelebili negli animi di tutti coloro che sanno degnamente ap- prezzare le doli dell' ingegno, e quelle più rare del cuore. Il 3 maggio 1841, esteso dal l)cnemerito Mons. Canon, prof. Bellomo Segretario per le Lellere, registralo al n. 4^. - 8 maggio 1841. (09) Relazione Accademica della seduta ordinaria, 5 maggio 1841, registrata al n. 4 4. - 11 maggio 1841. - Bellomo. (3o) Processo verbale della seduta tenuta dalla Presidenza li 7 maggio i84i, registrato al 11. 5i. - i5 maggia 1841. - Bellomo. Ate>eo. Tom. V. PELLI TIH E DEGLI STllDll DI ANTONIO BOTTALI DISCORSO DELL' AYV. DOTT. LEONE FORTIS. Seguendo la pia roslumanza qui mantenuta di ricordare eoo breve discorso i fatti principali della vita di chi ci appartenne, vengo, o Signori, quest'oggi a parlarvi d'un benemerito nostro socio, che immatura morte rapi alla famiglia, della quale era capo e sostegno : alla eccelsa magistratura, a cui aggiugneva decoro : a questo spettabile collegio, che si ascriveva ad ono- re di annoverarlo fra' suoi : agli amici, a' conoscenti, alla città tutta quanta, che di schietto, riverente amore lo amava. Parlo di Antosio Bottari, consi- gliere del Veneto Tribunale di Appello e membro onorario del nostro Ate- neo 5 di quel Bottari, che sì di frequente confortava della sua presenza que- ste sale e tanta parte prendeva agli accademici nostri esercizii. — Ah ! se il dolore e 1' aifetto potessero tener vece di eloquenza e d' ingegno, ben io sa- prei rendere alla sua memoria convenevole omaggio, ed alla grave perdita cousecrare degno compianto. Ma, che dico io? Una vita trascorsa nell'uso di ogni più nobile disciplina e nella pratica d' ogni più rara virtù, ha ella bi- sogno di prestigi oratorii per ottenere 1' approvazione delie menti illuminate e delle anime oneste ? Od erano si poco fra noi conosciute I' egregie doti di quello eletto spirito, che pur si richiegga facondia di maestro labbro per esaltarle ? Sieno gli studiati discorsi ed i pomposi elogi serbati a coloro che pic- ciolo retaggio di virtù lasciarono nella memoria degli uomini. Ad essi è me- stieri di accattata luce, per rompere un istante le tenebre della obblivione, che da ogni lato gì' invade ; ma per chi segnò di chiare traccie il cammino mortale e un vivo monumento nel cuore de' superstiti a sé medesimo eres- — 300 — se, inutili sono gli artificiì del dire. Per lui vale sopra ogni lode la narra- zione de' falli: per lui bastano i semplici colori della verità: a lui nessuno o lievissimo danno può fare la imperizia di volgar dicitore. In Feltre, amenissima terra del Bellunese, nacque a' dì 1 6 luglio del 1787 Antonio Bottari di Biagio e Caterina d' Antona. Fu detto essere i natali un capriccio della fortuna. E giustamente : che, se ragione vi prese- desse, vedremmo non pochi di coloro che tengono i sommi gradi della sca- la sociale, scenderne al basso, e molli di quelli che sembrano condannati a trarre i giorni nell'oscurità, salire ad alto e di maravigliosa luce risplende- re. Ma poiché da questo capriccio della fortuna talora dipendono i destini di tutta la vita, non è senza importanza avvertire se altri di povera o ricca, di civile od ignobile, di eulta o rozza stirpe sia nato. Dirò adunque che i genitori di Antonio Bottari non ricchi, ma ristrettamente agiati", non cospi- cui per nobiltà, ma per antica cittadinanza distinti 5 non letterati ma nep- pure alle lettere avversi, tenevano il mezzo fra le principali e le secondarie famiglie del loro paese. Un altro figlio allegrava il loro bene assortito con- nubio. Ma scoperta fino da' primordii in Antonio una non comune pron- tezza d' intelletto ed una certa inclinazione allo istruirsi, questo pensa- rono d' indirizzare agli sludii. Ignoro quali fossero i suoi primi maestri, e dove precisamente suggesse il primo latte della sapienza. Per quanto pos- so dedurre dai documenti eh' ebbi soli' occhio, sembra che ricevesse la educazione letteraria e scientifica nel vescovile seminario di Feltre. Certo è che non ancora pervenuto al diciannovesimo anno di età, aveva fornito il corso ordinario degli sludii, e già a molli soprastava nello scrivere in verso ed in prosa. Sentendo però fin d' allora in sé medesimo quelle felici disposizioni che in processo gli valsero tanta lode di ottimo giudice e preclaro giureconsul- to, era deliberato di recarsi alla università di Padova per apprendervi le scienze legali e farsi licenziare in diritto. Quando la improvvisa morte del padre, disconciando la familiare economia, ruppe a mezzo il suo proposito ed obbligollo a cercare tostamente un impiego. Compiuta dunque appena l'età di vent'anni, vale a dire nell'ottobre tlell'anno 1808^ veniva il Bottari assunto al carico di vicesegretario del regio procuratore della Corte di Belluno, e, facendosi in brev' ora instrutto delle varie incnmbenze pertinenti al suo ufficio, sapeva sdebitarsene con tanta intelligenza e abilità, da meritare in capo ad un anno, cioè nel novembre — 301 — i8og, la promozione al posto di commesso di seconda classe della medesima Lorte, equivalente presso a poco a quello de' nostri attuari. Sostenute per due anni e mezzo le mansioni di commesso, era nell'undici aprile 1812 innalzato alla carica di vicecancelliere del tribunale di Feltro. E questo ulficio, al pari degli altri, esercitava con pienissima lode, procac- ciandosi la stima, non che de' suoi superiori, dello stesso gran giudice mi- nistro della giustizia. Non era per altro Antonio Boltari del numero di coloro, i quali, poiché pervenuti sono a collocarsi in un pubblico impiego e veggousi aperta la via delle dignità e degli onori, credono di potersi congedare per sempre da- gli studii consumando nell' ozio od in vani trattenimenti il tempo che loro avanza dalle cure del ministero. Onde avviene che, perduta poco a poco quella suppellettile d' istituzioni letterarie o scientifiche, di che si trovavano provveduti nell' uscir delle scuole, rimangano alla fine cosi poveri di dottrina e di lettere, da essere gli scritti loro citati a singolare esempio di vacuità e scor- rezione. La qual cosa non saprei dire se più nuoca agli studii od alla esti- mazione di chi li trascura. Certo a quelli è cagione di grande ritardo: perchè la moltitudine suole ordinariamente seguire gli esempi delle persone che vede iu dignità ed onorate. Ma anche la forza morale del magistrato ne scapita, poiché rimangono pur sempre confronti da fare, e menti che sappiano farli. Né con queste parole intendo io già di sostenere che gli uomini preposti a' pubblici affari debbano impiegare la massima e miglior parte del loro tempo nello studio de' libri e negli esercizii dello scrivere: che le scienze e le lettere non -vogliono essere per professione coltivate se non da chi abbia sortito le qua- lità necessarie a riuscire in esse eccellente, e possa tranquillo consecrarvi tutta intera la vita. Dico soltanto che il pubblico ulTìciaie debba raffermar- si nei principii delle scienze, dalle quali può trarre aiuto a bene e ret- tamente amministrare il suo ufficio: che con diuturna osservazione debba mettersi in islato di tenerne dietro ai progressi: che, non contento alle grette applicazioni di una pratica manuale, sappia pigliare a guida la dottrina e pro- fittarsene ; che, disdegnando di manifestare i suoi pensamenti con la rusticità della gente idiota e straniera ad oirni cognizione di lettore, voglia essere sol- lecito d' una certa cultura ili linguaggio e di stile. Compreso il Bottari di ardente amore per gli studii e fatta giusta ragione delle jiarli che si richieggono a trattare degnamente l'officio di giudi- ce, pose 1' animo ad ammaestrarsi nelle scienze legali, in quelle ore che le — 302 — brighe dellinipiego gli lasciavano libere. Toltagli, come vedemmo, la speranza di potersi trasferire ad una od altra delle università del Regno, frequentò la scuoia d' istituzioni civili del patrio Liceo ed ottenne le prescritte licenze. Cosi iniziato negli elementi della giurisprudenza, potè proseguirne da per sé stesso lo studio. E con saggio intendimento lo proseguì. Comparando infatti le leggi de' moderni codici alle regole del diritto comune, vide in breve quelle non essere, salvo rare eccezioni, che una formola compendiata di queste *, e però, fatto tesoro delle dottrine dei giureconsulti romani, procurò d' edu- care ad esse Y intelletto, e, mercè il costante uso, rendersele, per cosi dire, domestiche. Col quale preparamento tornato allo studio delle nuove leggi, non durò gran fatica ad afferrarne il valore e lo spirito. E siccome fra i molli doni che gli adornavano la mente, era non ultimo quello di una pronta e te- nace reminiscenza, non andò guari eh' egli s' ebbe recalo nella memoria tutti i codici e regolamenti che, in quell' epoca di continue riforme , andavano Uscendo con alacrità prodigiosa. Persuaso poi che le teorie scompagnate dalla pratica giovano a far 1' uo- mo dotto ma non sapiente, e che il discernimento legale non tanto s' acquista colla lettura de' buoni libri, quanto colla sperienza de' casi occorrenti nella vita reale, frequentò per due anni lo studio d' uno de' più accreditati avvocati della provincia. E quivi, ora paziente ascoltatore, ora valido aiutatore, apparò, come il fatto litigioso sceverato dalle circostanze non concludenti riducasi al punto essenziale, come la quistione purgata dalle tesi accessorie si converta ai generali principii, come frammezzo alla lotta de' conlrarii argomenti si sco- pra e tragga in luce la vera ragion del decidere : come, in una parola, si ado- peri il difficile magistero di applicare ai casi la legge. Né poco a lui, futuro giudice, valse l'essere instrutlo del modo che usano gli avvocati nel fondare le pretensioni e formar le difese : poiché consapevole de^ loro intendimenti, potè più facilmente discernerli, ed anche dagli artificii loro potè più di leggeri guar- darsi. Ma non cosi si lasciava preoccupare dalle cose del foro, che rinimziasse al- le lettere, le quali aveva con amore coltivate fino da'primi anni della sua adole- scenza. Acceso della sacra fiamma dell' estro, diletlavasi esprimere in verso i caldi affetti e le soavi fantasie dell'età giovanile. E certo, s' egli avesse potuto con acconci studii fecondare il ricco germe di poesia, ond' eragli stata hberale natura, è da credere che non oscuro seggio sarebbegli stato conceduto fra'ver- seggiatorl di questi ultimi tempi. Ma, coltivando egli la poesia piuttosto a sol- — 303 — lievo di fatiche piìi gravi, che all'uopo di acquistarne rinomanza, e non dedi- candovi se non i rimasugli d' un tempo usurpato da infìiiite cure, era impos- sibile che salisse a quel grado di perfezione, il quale non si raggiunge che a prezzo di lunghe veglie e di esercitazione continua. Imperciocché, sebbene sia verità incontrastabile quell' antico detto che 1 poeti escono dalle mani della natura, anziché dagl' insegnamenti dell'uomo; è però altrettanto vero che lun- ghissimi ed eletti sludii richieggonsi a bene educare l' ingegno poetico, e che questo ingegno per sé solo non bastò mai a produrre opera degna di perpe- tua lode. Non contento il Botlari alla cognizione della giurisprudenza e delle lettere, volle anche apprendere le lingue forestiere, e della francese in breve spazio di tempo s'impratichì per modo da poterla facilmente scrivere e ad altrui pub- blicamente insegnare. Era naturale che un giovane, nel quale il senno e la dottrina di tanto avanzavano l'età, ricevesse da 'concittadini documenti di singolare estimazione e dal governo attestati di particolare fiducia. Non vi farà dunque meraviglia, o Signori, che fin dal i8o8 V Accademia degli Erranti in Feltre, e quella di Declamazione forense in Belluno lo aggre- gassero fra'loro membri ordinarli. Né vi farà meraviglia, che, uscito appena dal reale Liceo di Belluno come discepolo, fosse chiamato a sedervi maestro, e per due anni tenessevi in qualità di supplente le cattedre d'istituzioni civili, di storia e belle lettere. Né tampoco vi parrà strano che, appena varcato l'anno ventesimo secondo di età, confidato venissegh l'officio iìì ispettore alla stampa e libreria d'un intero dipartimento cioè di quel della Piave. Ufficio, quanto ge- loso altrettanto onorevole , siccome quello il quale , mentre da un lato mo- strava come il governo mettesse una illimitata fiducia nella sua lealtà e divo- zione, palesava dall' altro con indubitabile prova presumersi in lui quella pienezza di lumi, che negli altri uomini suol essere il frutto d'una matura spe- rienza e di un lungo uso del mondo. In que' tempi medesimi il gran giudice Luosi avea comandato s' intro- ducesse in tutti i dipartimenti del Regno lo studio della Stenografia^ e, trasmettendo ai Procuratori delle Corti, un esemplare dell' opera che allora serviva di testo per rinsegnamento di tale arie, incaricavali d'invitare alcuno degT impiegati più intelligenti ad occuparsene, per istruire primieramente sé stesso e farsi poi abile di comunicarne la cognizione agli altri. Il quale provvedimento delfitahano ministro era, non che opportuno, indispensabile; -- 304 - perocché, senza 1' aiulo di un' arte che desse modo di affidare le parole allo scritto, con la stessa rapidità con cui il dicitore le pronunziava, stalo sareb- be impossibile tenere memoria dei discorsi che nelle pubbliche discussioni quasi sempre improvvisi scambiavansi fra gli avvocati delle parti ne' giudizii civili, o fra il pubblico accusatore e il difensore ne' criminali. Ora, dovendo il procuratore della Corte di Belluno, quello fra' suoi ufficiali ti-ascegliere che più atto fosse ad imparare da se medesimo un' arte nuovissima e sì di cor- to e così pienamente da poter farsene maestro ad altrui, non ebbe lunga- mente ad esitare intorno la scelta. Commise il penoso incarico al Bottari : e questi, che già di proprio moto s' era addestrato ne' principii della novel- la arte, 1' apprese con si gagliarda volontà e intelligenza sì pronta, che po- tè in pochi giorni sostenere le parti di stenografo presso la Corte ed oflfe- rirsi parato a fondarne una scuola. — Narro questo avvenimento non tanto per magnificare la intrinseca importanza dell'incarico nel quale egli era sì bene riuscito, quanto per dimostrare come quel versatile ingegno sapesse con me- ravigliosa solerzia applicarsi ad ogni maniera di discipline, ed in ciascuna fare cospicui progressi. Imperciocché, sebbene per la limitala potenza degli umani intelletti sia grandemente desiderabile che le facoltà dell'ingegno non vengano divise e, quasi direi, sparpagliate nella coltura di scienze od arti troppo fra loro diverse, sarebbe tuttavia grave ingiustizia negare un tributo di ammirazione a quegli uomini, che, dedicata la mente a molteplici studii, e in alcuni accostatisi alla perfezione, in altri superato il confine della mediocrità, comprovarono non es- sere arte o scienza, nella quale con più sano consiglio, o meno avversa fortu- na, non avessero potuto divenire eccellenti. Ne a caso parlo della fortuna: poiché spesso da lei dipende che altri debba mal suo grado disperdere le forze dell' ingegno in infinite specie di applicazioni, seppure non anche consumarlo interamente in oscure fatiche, sacrificandolo alle indomabili necessità della vita. La quale malvagità del destino di quante egregie opere abbia privato il civile consorzio, e quanto ritardo frapposto ai progressi dell' umano spirito, s' è la- grimevole a dire, non inutile sarebbe a meditare. Non si può adunque senz' ammirazione considerare come il Bottari tra- passasse con assidua vicenda dal tribimale alla cattedra, e dalla cattedra al tribunale : dalla lettura dei codici e dei libri di giurisprudenza allo studio de' poeti e de' prosatori : dall' insegnamento della stenografia a quello delle lingue e della storia : dalle aride formole d' una sentenza e dai protocolli di — 305 — un costituto alle fanlastiche inspirazioni d'un poemetto od agli arguti concetti d'un epigramma : conseguendo ad un tempo fama di abile giurisperito, di zelante magistrato, di sollecito maestro, di caldo verseggiatore, di scrittore erudito. Era stato fin dal i8 12, come vedemmo, tramutalo al posto di \icecancel- liere presso il Tribunale di Feltro. Ma non era egli tal uomo da dover rima- nere per lungo spazio di tempo ne' gradi inferiori. E didatti pochi mesi dipoi, cioè nel novembre 181 3, veniva nominato giudice di pace nella sua stessa terra natale. In questo intervallo potè dedicarsi con più agio alia giui-isprudenza e alle lettere. S' esercitò nella improvvisa eloquenza, arte allora indispensabile per soprastare nel foro e salire a' primi ordini della gerarchia giudiziaria. Ed anzi pare che sulla fine del 1812 fondasse un'accademia di declamazione fo- rense, ad esempio di quelle che s' andavano institueudo nelle città principali del Regno. Certo ne aveva fermato il proposito, e trovo scritto che con gran- dissimo ardore si adoperasse a metterlo in esecuzione. Ma forse il suo nobile intendimento avrà, come spesso avviene, incontrato moleste difficoltà nella indififerente scioperatezza, o nella gelosa invidia, che suole attraversare ogni lodevole impresa. Se non che, l'uso dell' eloquenza slava per essere sbandito dal foro. Disciollo infatti, circa a quel tempo, il Regno d' Italia, Tornavano per ventura queste provincie sottu il governo dell' Austria, e in brev' ora nuove istituzioni, nuove leggi, novelle magistrature succedeano alle antiche. Fu allora il Bollari non solo lasciato nel posto che occupava, ma poco stante promosso all' uffizio di giudice presso il Tribunale di Feltre : dove, •spiegando tostamente le qualità che lo adornavano, ebbe la trattazione de' più' ardui ed importanti processi. Kel gennaio del i8i8, stabiliti fermamente gli ordini delle nuove podestà giudiziarie, fu nominalo pretore in Valdobbiadene. Del quale ufficio con quan- to zelo e quanta perizia si liberasse, se non lo attestassero i molti decreti di lode, conferitigli dal supremo Dicastero della giustizia, ne farebbe indubitabile prova r essere egli stato in capo a due anni, vale a dire nell'aprile del 1820, innalzato alla carica di consigliere presso il regio Tribunale di Treviso. E qui, per non mancare alle parti di fedele storico, dovrei. Signori, dil- fusamenle narrarvi le varie mansioni ch'ei sostenne nel nuovo posto, e la mol- titudine degli affari che gli vennero commessi, e le prove dì rara prudenza, d'integerrima giustizia, di possente alacrità che diede continuamente nello spe- Ate\eo. Tom. V. 00 — 306 — dirli. Ma poiché di queste minute particolarità non è mestieri a valutare degna- mente il suo merito, dirò, riducendo le molte in poche parole, non esservi stato incarico di speciale importanza o fiducia, che a lui non venisse addos- sato, e da lui non fosse commendevolmente adempiuto. Fu giudice civile, ed attenendosi a quelle sicure dottrine, alle quali aveva nella prima gioventù nodrita la mente, non trovò mai difficoltà nel cavare di mez- zo alle contestazioni de' litiganti la suprema ragione del decidere. Poca fatica eragli bastala a intrinsecarsi nella cognizione de' nuovi codici, sì perchè lo sve- gliatissirao intelletto e la tenace memoria dispensavanlo da un lungo studio, sì perchè in essi codici non riscontrava che poche modificazioni del diritto ante- riore, richieste da' diversi costumi de'paesi, e dalla mutata condizione dei lem- pi. La quale unità dei cardinali principii ed immutabilità delle fondamentali dottrine molto bene ci spiega come potesse avvenire che coloro i quali avevano primeggiato nel foro o nei tribunali fin dal cadere della veneziana Repubblica, si mantenessero nella stessa rinomanza di abili giurisperiti sotto l'impero delle succedutesi legislazioni italiana ed austriaca -, e dessero sicuri responsi, e pro- ferissero sapienti giudizii intorno a leggi di fresco uscite, che sembravano do- ver loro essere del tutto straniere. Perchè la giurisprudenza non consiste nel- la materiale cognizione delle leggi, ma nell'uso delle universali dottrine. Laon- de non potrà mai aspirare al nome di vero giureconsulto quegli, che, scarso di siffatte dottrine, riserbasi di andare spigolando nelle staccate lezioni dei chiosatori, o, da queste pure prescindendo, abbandonasi agli avventizii spedienti di un pronto e facile ingegno. E questa cosa dico, e su questa ritorno, perchè mi pare che abbia bisogno d' essere continuamente ripetuta, fino a che venga debitamente da ognuno compresa. Fu il Bottari ancora esaminatore degli antichi avvocali della provincia che nel 1821 dovevano dar saggio d' essersi impratichiti nella nuova legislazione. Ebbe inoltre la soprantendenza degli ufficii interni del Tribunale ed ebbe- la fino da' primi giorni in cui fu assunto alla carica di consigliere. La qual circostanza ricordo a cagione d' onore : perocché sogliono queste mansioni as- segnarsi ai più provetti, e sempre a coloro ne'quali il presidente del Tribunale ripone la maggiore fiducia. Fu finalmente giudice e inquisitore criminale, e nel penoso arringo con- seguì una lode, quanto ardua, tanto sovra tutte desiderabile. Dico la lode di cercare con eguale sollecitudine l' innocenza e la colpa : di non riguardare la condanna dell' inquisito per un trionfo e l'assoluzione per una sconfitta : d'in- — 307 — clinare piuttosto all' umanità clic al rigore, e tuttavia alla compassione nou mai sagrificare la giustizia, né la necessaria severità alla bramata mitezza : di pesare nella medesima bilancia gli argomenti della incolpazione e quelli della discolpa, e gli uni e gli altri al giudicante consesso con eguale amore rappre- sentare ; di attemperarsi in somma a' tre diversi uffici di accusatore, di giu- dice, di difensore, senza che l'accusa pregiudichi alla difesa, né questa a quella, od entrambe al giudizio. La qual lode ho detto essere ardua, perchè non agevole impresa é il purgare l' intelletto da ogni maniera di prevenzione e sì inleramenle da potere contrarii interessi propugnare, senza che 1' animo parteggi per 1' uno o per 1' altro. Sci anni sedette il Bottari consigliere j)resso il Tribunale di Treviso, alternando alle gravi occupazioni del ministero- e alle dolci cure della famiglia il gradito esercizio delle lettere. Sposala fino dal 1 8 j 6 una donna di rara avve- nenza, e avutone poco dopo un fighuolo ( quell' unico che rimase erede del suo nome, e mostra voler pure redarne gli esempi) impiegava gran parte dei brevi suoi ozi a formargli la mente ed il cuore : pensando, com'ei diceva so- vente, non dover i genitori ad altrui affidare la prima educazione de' figli, quando sappiano e possano attendervi di per sé stessi. Ed era bello vedere quell'uomo di altissima intelligenza tornarsi dagli avviluppali processi del Tri- bunale e dalle dotte lucubrazioui del gabinetto agli umili studii delia età fan- ciullesca, e senza noia né impazienza assistere il figlio suo in quelle prove infantili. Sono frutto di questi anni la jnaggior parte de' lavori poetici che diede alla luce. Parlando de' quali, debbo andare brevissimo e perchè un minuto ragguaglio esigerebbe troppo più tempo di quello conceduto dalla vostra corte- sia al mio discorso, e perchè, alle lettere quasi profano, male potrei de' suoi versi ragionare con sicuro giudizio. Dirò dunque avere il Bottari trattali molti generi di poesia ; e sebbene l' indole sua festosa il traesse di preferenza alla urbana satira, al lepido madri- gale, all'arguto epigramma, al giocoso capitolo, volle nullameno tentare il carme didattico, l'elegiaco, il lirico o perfino l'eroico. Che se in questi esperimenti non toccò l'eccellenza, non può dirsi neppure che della mediocrità rimanesse al di sotto. Furono tra' suoi versi specialmente lodate per semplicità d' immagini, leggiadria di pensieri, e purezza di stile alcune anacreontiche sui fiori, le quali sentono del fare VittoreUiano, e veramente spirano la greca fragranza del Bassanese. Piacquero anche th'verse stanze, nelle quali il poeta, facendosi suggerire da un nume, narra i fasti e ricorda i personaggi più illustri del ter- — 308 — rilorio di Trevisu. E qualche lode ebbero pure in queste sale dal facondo lab- bro del nostro socio onorario, professoi-e Bellomo, alcuni suoi versi biblici, come altresì la sua traduzione in ottava rima del libro Vili delle Eneidi, che egli dettava associalo a' più chiari membri dell'Ateneo di Treviso, tra' quali è bello nominare Sua Eminenza il signor Cardinale Jacopo Monico, volgarizza- tore del IV e Francesco Negri del VI. A questi versi, reputati i migliori, vogliono aggiungersi quattro sonetti in morte dell'abate Giuseppe Monico; una traduzione in ottava rima del Jf^er- wert di Gresset ; un poemetto Sulla educazione, un Inno a Canova •, per ta- cere delle minori poesie, che a quando a quando gli avveniva di dettare per occasione o per compiacenza. Ne' quali tutti componimenti se alcun difetto si potrà notare dal lato dello stile e della frase (inevitabile conseguenza dello avvolgersi continuamente fra le locuzioni del linguaggio curiale ), e se a taluno sarà forse per dispiacere ima invenzione troppo spesso attinta alle favole del paganesimo ed ai sogni d' un mondo ideale ( ultima eredità della scuola nella quale era stato alleva- to ) ; certo è che in essi, come poco sopra diceva, non manca ne potenza di fantasia, ne copia d'immagini, né facilità di rime, nò armonia di verso, in- dubbio segno di larga vena poetica. E vero dono di poesia aveva il Boltari, se bastavagli 1' animo di scrivere o recitare versi improvvisi intorno qualunque tema da lui si eleggesse o da al- tri gli fosse proposto. Di che possono fare amplissima testimonianza coloro che gli sedettero compagni ai lieti convivi! ed ai festevoli crocchi, allegrati sem- pre dalla facile e spontanea sua musa. Io medesimo, veduti i suoi piimi sboz- zi, posso certificare che le intere stanze e molte volte i carmi interi gli usci- vano della penna senz' alcun pentimento, come altri farebbe copiando. Nel 1826 si trasferì a Venezia, delegato dal supremo Tribunale di Giu- stizia ad assistere il Veneto Appello nella spedizione de' processi che per lo straordinario accumulamento degli affari, derivante forse dalla nuova ordina- zione delle ipoteche, restavano da gran tempo sospesi. Questa onorevole mis- sione, che per taluni è non di rado pietra d' inciampo, piuttosto che via di progresso, siccome quella, che dà luogo a discernere più davvicino di che sorta sia il merito del giudice e quanto valga al paragone di ardue e gravissi- me cause, fu pel Bottari avventurosa opportunità di mettere in mostra T inge- gno di eh' era adorno, e la dottrina della quale lo aveva arricchito. Ben presto quelli che gli erano superiori per dignità, gli divennero per estimazione e per . — 309 — affetto colleglli. Ond'è che trascorsi i sedici mesi bastatigli a compiere il mal- agevol lavoro, fu in lutti un sincero lauuiiarico della sua partenza, uno schiet- to desiderio di riaverlo in istabile sede fra loro. E voi pure con somigliante rammarico e desiderio lo accompagnaste : i quali, giusta ragione facendo dell' amor suo per le lettere, l'avevate fin d' al- lora aggregalo al numero de' vostri socii corrispondenti. Kè il volo universale rimase mollo a lungo non esaudilo -, che la Maestà di Francesco nell' anno 1882 ce lo resi lini va per sempre, nominandolo con- sigliere effettivo d'Appello. Qui il Bottari si trovò veramente collocalo al suo posto. Libero dalle noiose e manuali brighe che spesso usurpano 1' intera giornata del giudice di Prima Istanza, qui aveva largo campo all' esercizio delle più nobili facoltà dell' ingegno. Qui le grandi questioni di diritto civile e criminale j le idee di legge da sottoporre alla sapienza sovrana j V esame de' candidati aspiranti al- l'ufGcio di giudice o di avvocato •, la scelta deliberativa o consultiva delle per- sone più meritevoli di tenere i vari gradi della magistratura o del foroj la su- periore inspezione de' subalterni dicasteri, ed altre tali materie di alta rile- vanza, formavano oggimai il subbici lo ordinario delle sue occupazioni. E queste gli furono anche tema continuo di studii severi. Perocché, quanto più eccelso era il grado a cui si trovava levalo, tanto più stretto re- putava dover essere 1' obbligo di cercare la perfezione: avvisando che la im- portanza delle magistrature non consista solamente nel potere loro attribuito dalle istituzioni politiche, ma sì ancora e molto più nel valore personale e nella pubblica estimazione di chi le amministra. Sebbene per altro questa coscienziosa applicazione gl'involasse gran parte del tempo che soleva anteriormente dedicare alle lettere, non volle tuttavia interamente dagli studii letterari alienarsi. Soltanto gli mancò il tempo di dare l' ultima forma a qualche altro lavoro che pur destinava di mandare alle stampe : onde 1' ultimo, reso di pubblica ragione, fu quello da lui composto nel i83i, voglio dire la splendida orazione in morte del consigliere aulico Cristoforo Agostini, che, recitala prima nella Cattedrale di Feltre, in questo luo- go medesimo a voi rileggeva più lardi. Nella quale orazione mostrò che, se il naturale talento lo aveva condotto alla trattazione degli sludii poetici, non per- ciò avvenuto era che trascurasse di alzare la mente allr sublimi speculazioni della filosofia, di raccogliere ammaestramenti dalla storia, di educarsi sugli •esemplari della vera eloquenza. Fu questa orazione per altezza di pensieri, pei' — 310 — njpia di erudizione, per abbondanza d" afl'ello grandemente lodata. E di essa ragionando quel severo e franco giudice, eli' è Giuseppe Bianchetti, non du- bitò di scrivere eh' ella sola per gì' intrinseci pregi sarebbe bastata a fare do- cumento del buon eflelto onde Antonio Bottari coltivava le lettere, quando pure di lui nessuna altra prosa e nessun verso fosse uscito alla pubblica luco. Questi studii delle lettere furono sempre per lui la più dolce delle occu- pazioni, il più caro di tutti i conforti. E, non che il distogliessero dai doveri della magistratura, aiutavanlo anzi mirabilmente a compierli con maggiore de- coro •, perchè prestavano a' suoi pensamenti quella perspicuità, quella elegan- za, queir ordine che nelle scritture degli uomini abbandonati alla rudità delle cose forensi vanamente si cerca. Ma io vi parlai fin qui del giudice e del letterato ; dell' uomo poco o nulla vi dissi , e dell' uomo più assai debbo dirvi *, perchè la sua vita fu un continuo adoperamento di quelle virtù, che annobilitano 1' umana natura, e veramente conformano ch'ella sia formata ad immagiu di Dio. Cresciuto in mezzo a' rivolgimenti politici, che trabalzarono queste nostre Provincie dall'aristocrazia alla repubblica, e dal popolare governo al monarchico, abborri egualmente la licenza de' faziosi e la servitù dei cortigiani. Né credette che la lealtà avesse a consistere in rabbiose invettive contro la signoria scaduta, o in idolatri blandimenti al potere trionfante. E però, mutato dominio, non ebbe bisogno di -scendere a codarde ritrattazioni o ad ipocrisie più ancora codarde. Amò la patria di quell' amore che intende a promoverne gì' interessi, non a fantasticare sopra inutili desiderii, o vane speranze. Amò anche il luogo natale, perchè non ha animo cortese chi non nutre affezione pel cielo elle gli diede le prime aure di vita, per le mura che lo accolsero fanciullo, per la ter- ra che copre le ossa de' suoi più cari. Ma, pure amando il natio luogo, non disamò gli altri paesi, dove le sorli del pubblico servigio il condussero : ed anzi al loro meglio contribuì con provvido zelo e carità cittadina. Quale era negli ultimi gradi, tale si mantenne nei primi. E chi lo co- nobbe commesso alla Corte di Belluno o vicecancelliere al Tribunale di Fel- tre, non lo trovò punto mutato quando il rivide consigliere d' Appello. Im- perciocché della dignità sua tanto solamente ricordavasi, quanto era di mestieri per decorarla con 1' opera. E parevangli degni non saprei se di compassione o di riso coloro i quali, pervenuti a grande stato od insigniti d' alcun titolo o distintivo, assumono diverso costume e hnguaggio, repudiando quasi sé stessi, e certamente mostrando di essere uomini nuovi. » — 311 — Apprezzò gli onori, ma, più che di conseguirli, amò meritarli. Né mai di basse arti si contaminò per salire. Conciossiachè l'ambizione, questo veleno che uccide la coscienza e inebbria l' intelletto converlendo in vizio i germi delle più pregevoli virtù, non gli penetrò mai nell'animo. E però riguardava senza invidia l' avanzamento e senza gelosia la superiorità di quelli che gli erano ugnali. Compreso della santità del suo ministero, reputava delitto cedere per de- ferenza alle opinioni altrui od insistere per presunzione nelle proprie. Sponta- neo quindi si dimise dal fermato proposito, ogni volta che un altro gli parve più conforme a ragione o giustizia. Ma con altrettanta gagliardia resisteva a quelle risoluzioni che repugnato avessero al suo interno convincimento : ancor- ché la resistenza fosse stala per essere ad altri spiacevole od alla verità infruttuosa. Inchinò alla mitezza, e, quando potè, feccia sempre dominar ne' consigli. Erano per lui nefasti quei giorni, ne'quali l'inesorabile necessità della giustizia strappava dalla sua bocca un suffragio di morte o di grave pena. Rabbellivasi al contrario d' inusata lietezza se venivagli fatto di trovare un argomento di mitigazione od una via di salute^ Perchè odiando il delitto, nessun odio portava a' malfattori, e delle umane colpe molta parte alla umana fragilità rife- riva. Ond'é che non sapeva rendersi capace come uomini vi fossero di sì malvagio sentimento che della reità con dilettazione andassero in cerca, e, ri- trovatala, o credutisi di ritrovarla, compiacere se ne potesssero, quasi di pro- prio e personale profitto. Nelle amicizie fu costante. Ed agli amici, che molti ebbe, grandemente giovò: antivenendone con sollecito amore i desiderii e non di rado ai loro postergando i propri! interessi. Né agli amici soltanto cercava di far giovamento, ma, quale ne fosse il grado o la fortuna, a tutti coloro che di aiuto o patrocinio lo richiedevano : senza che delle continue improntitudini sentisse noia o mostrasse fastidio. La quale sua proclività agli uffici di benevolenza era sì grande, che, negando al corpo i necessari riposi, antccipava spesse volte il mattino, acciocché libeia gli rimanesse qualche parte del giorno da consecrare all'adempimento di quegli offici. Pareva che a fare il bene lo stringesse una necessità irresistibile, e cer- tamente non sapeva rifiutare cosa che onesta fosse e dal suo volere o dalle sue sollecitazioni avesse potuto dipendere. Alla fède de' suoi maggiori prestò culto sincero; ed in quella piamente — 312 — vissuto, conGcleiUemeiile morì. E gli uomini tulli considerando fratelli, non aperse mai 1' animo alle ire della intolleranza, ne alla stoltezza dei pregiudizii. Fu nelle opere di carità generoso, più che non comportassero le forze del patrimonio. Ma le molte e larghe limosine niuno vedeva, perchè gelosamente uè custodiva il segi'<;lo. E non furono sapute se non dopo la morte, allorquan- do ogni suo risparmio si trovò consistere nelle sovvenzioni, che per quei giorni medesimi aveva preparato a' suoi poverelli. E neppure allora si sareb- bono forse sapute, se, meno improvvisa, la morte gli avesse lasciato tempo di cancellarne le traccie. Carità degna di esempio ; ed oh! quanto diversa da quella avara beneficenza, che nel romore e negl'incensi della moltitudine cerca il prezzo de' suoi forzali olocausti! A queste virtù rispondeva con beli' armonia l'esteriore contegno. Era il Botlari di portamento nobile e dignitoso: negli alti affabili: nelle parole cortese. Dal volto sempre sereno traspariva la soavità dell' animo e la interna tranquillila di una pura coscienza. Inclinato allo scherzo, ornava talvolta il discorso di detti arguti e spontanee facezie, ma la lepidezza era innocente e l'epigramma non mordeva che a fiore di pelle. Di lettere favellava parcamente e come persona ad esse straniera. Di sé, de'suoi studi raro o non mai. (i) ■ Tale era Antonio Botlari. — Addi i6 marzo, non ancora pervenuto al quinquagesimo sesto anno di età, questo modello d'ogni virtù domestica e civile, lasciava per sempre la terra. La perdita di lui, riguardata come pubblica disavventura, fu pianta con pubblico lutto. L' Eccelso Tribunale d' Appello gli decretò solenni funerali, ai quali intervennero tulli i corpi giudiziari della città, i magistrali più cospicui, i cittadini più ragguardevoli. E un'illustre suo collega (2) con parole calde d'af- fetto lodandone la vita e il costume, deponeva il primo fiore sulla sua tomba. Così nella memoria dell' uomo virtuoso èra la virtù stessa onorata. Ma l'omag- gio d' ogni onorificenza più confortevole furono le lagrime non per anco rasciulle e il dolore dei superstiti: questo omaggio, che non si compra, ne si comanda e che la umanità riserba gelosa a coloro solamente che bene di lei mei'itarouo. (3) (i) Dell' anno i845. (2) Il sig. Consigliere d'Appello Doti. Ignazio Ncumann-E-izzi, Membro onorario dell'Ateneo. (3) Questo discorso fu letto nell'Adunanza del giorno 8 giugno i8 45. ELEI\CO DE SOCI ATTUALI DELL' ATEIVEO VENETO. PRESIDENZA I Sisnori Manin S. E. co. Leonardo, presidente. Tipaldo (de) nob. prof. Emilio, vice-pre- sidente. MiKOTTo nob. Giovanni , segretario per Career prof. Luigi, segretario per le Iel- le scienze. tere. COINSIGLIO ACr, VDEMICO. Classe soienlifirn. Classe lelleraria. Campilanzi Emilio. Casoni ingegnere Giovassi. Fario noi), dott. L. Paolo. Namias dott. Giacinto. Casarini Lligi. DrEDO nob. prof. Antonio. Lazzari nions. Giuseppe. Priuli co. Nicolò. Pasini ab. prof. Pietro, Bibliotecario. Keu-Mayr nob. dott. Antonio, Archivista. Rossi dott. Lorenzo, Cassiere. SOCI ONORARII. S. A. I. R. L'ARCIDUCA FRANCESCO CARLO GIUSEPPE. S. A. I. R. L'ARCIDUCA RANIERI GIUSEPPE GIOVANNI. S. A. I. R. L'ARCIDUCA FEDERIGO FERDINANDO LEOPOLDO. S. A. l. R. L'ARCIDUCA STEFANO VITTORE. S. A. 1. R. L'ARCIDUCA LEOPOLDO LODOVICO. Ate>eo. Tom. V. 40 — 314 — SOCI ONORARII DIMORANTI IN VENEZIA. i. Jvesani Barone Guido, consigliere. 2. Battaggia Michele. 3. Belloino Mons. Giovanni. 4. Beltrame dòtt. Francesco, consigliere. 5. Biagi dott. Pietro. 6. Bi::io prof. Bartolommeo. 7. Cali di Rosemburg cav. Luigi. 8. Cattaneo (de) Momo barone Carlo. 9. Correr conte Giovanni. IO. Dandolo S. E. conte Silvestro. W. Dercirìch nob. Giuseppe, consigliere. •12. Driuzzo ab. prof. Francesco. io. E rizzo S. E. co. Guido. -14. Foscarini dott. Giorgio. -iS. Galvagna S. E. bar. Francesco. ■16. Giovanelli conte Andrea. 17. Giovanelli conte Pietro. 18. Gregorelti dott. Francesco, consigliere. 19. JaUonowskij S. E. principe Lodovico. 20. Legai ab. Bartolommeo, consigliere. 21. Manin S. E. conte Leonardo. 22. Mocenigo conte Alvise Francesco. 23. Monico S. Emin. Jacopo. 24. Mulazsani bar. Antonio, consigliere. 25. Neumann-Rizzi dott. Ignazio, consig. 26. Palffij S. E. conte Luigi. 27. Piantoli mons. Pietro. 28. Plancich mons. Giorgio, consigliere. 29. Renier S. E. co. Daniele. 30. Roner Carlo, consigliere. 31. Salvioli S. E. Lodovico. 32. Sebregondi co. Giuseppe. 33. Terzaghi dott. Luigi, consigliere. 54. Thum S. E. co. Giambattista. 33. Tommaseo dott. Nicolò. 30. Carola dott. Nicolò, consigliere. 37. Feniìiri dott. Francesco, consigliere. — 315 — 38. Zàmagna nob. Matteo Luigi, consig. 39. Zorsi nob. Pietro. SOCI ORDINARII DIMORANTI IN VENEZIA. Classe delle Scienze. i. Àrrigoni dolt. Renalo. 2. Jsson dolt. Michelangelo. 5. Benvenuti dolt. Adolfo. 4. Campana dolt. Andrea. 5. Campilanzi Emilio. 6. Casoni Giovanni, ingeg. 7. Coen dolt. Giuseppe. 8. Conlarini conte Nicolò. 9. Furio nob. doti. L. Paolo. 40. Foscolo nob. prof. Giorgio. 4-1. Gabelli prof. Pasquale. 42. Galvani Antonio di Domenico. 43. Gatto dolt. Lorenzo. 44. Magrini prof. Pietro. 45. Minich dott. Angelo. 46. Minntto nob. Giovanni. 4 7. IS'amias dolt. Giacinto. 48. Aardo dott. Gio. Domenico. 49. Paleocapa cav. Pietro. 20. Pasini Lodovico. 21. Quadri Antonio, consigliere. 22. Rossi doti. Lorenzo. 23. Sanlello dolt. Lorenzo. 24. Trois doti. Francesco. 25. Ziliotlo dolt. Pietro. Classe delle lietlere. 1. //yesani bar. Gio. Francesco. 2. Cadoriìi ab. Giuseppe. 3. Caluci doti. Giuseppe. 4. Canal ab. prof. Pietro. 5. Carrer prof. Luigi 6. Casarini Luigi. 7. Cicogna Emmanuele. — 316 — 8. Concina ab. prof. Natale. 9. Diedo nob. prof. Antonio. 10. Fortis dott. Leone. i[. Garo/b/i dott. Lodovico. Ì2. Lazzari prof. Francesco. 15. Lazzari mons. Giuseppe, d'i. Locatelli dott. Tommaso. -15. Neu-IHayr nob. dott. Antonio. 16. Noij dott. Cesare Maria. -17. Parravicini nob. Luigi Alessandro. 18. Pasini ab. prof. Pietro. -19. Priiili co. Nicolò. 20. Rossi Giovanni, consigliere. 2 1 . Sagredo nob. co. Agostino. 22. Tipaldo (de) nob. prof. Emilio. 23. Unger prof. Adolfo. 24. Feludo Giovanni. 23. Zanotto Francesco. SOCI CORRISPONDENTI DIMORANTI IN VENEZIA. -1 . Jlbrizzi nob. conte Giuseppe. 2. Bianchi ab. Bernardo. 3. Bizio Giovanni. A. Brown Rawdon. 3. Can«Ji. Petronio Maria. 0. Capparozzo ab. prof. Giuseppe. 7. Casalini Alessandro. 8. Ciotti Antonio. 9. De Giorgi dott. Alessandro. 10. Desiderio dott. Achille' 1 1 . Daodo dott. Giovanni. 12. rassetta dott. Valentino. 15. Pava prof. Gio. Battista. 14. Fontana nob. Giaii-Giacopo. 15. Crassi prof. Lorenzo. l(i. Lantana dott. Giambattista. 1 7. Lebzcltern barone Guglielmo. 18. Levi dott. Moisè. U). Liberi Paradis Leonardo. 20. Magnana ab. Antonio. 21. .V«ÌHar((t dott. Sofoleone. — 317 — 22. Manin doli. Daniele. 23. Marinovich cav. Giovanni. 24. Martelli Gio. Ballisla. 25. Nardo doti. Luigi. 26. Oliva Dal Turco dott. Pietro. 27. Pesseg Giuseppe. 28. Querini Stampalia conte Giovanni. 29. Rossi ab. prof. Antonio. 50. Scarsellini Vincenzo. 31. Secondi dott. Giuseppe. 32. Tommasoni dott. Giovanni. 33. Treves de Bonfil cav. Jacopo. 34. Fiolin doti. Giacomo. 35. //ullersdorf (de) prof. Bernardo. 36. Zanetti Alessandro. 37. Zescevich prof. Giovanni. SOCI ONORARI ESTERNI. 1 . Acerbi cavaliere Giuseppe, in Milano. 2. Àmberg (de) Giuseppe, in Vienna. 3. Balbi noli. Adriano, in Milano. 4. Bianchetti dott. Giuseppe, in Treviso. 5. Bonaparte Carlo Luciano, principe di Canino, in Roma. 6. Bìifalini prof. Maurizio, in Cesena. 7. Carits doli. Gio. Carlo, in Dresda. 8. Ceccopiiri S. E. conte Bernardo, in Blilano. 9. Cialdi conim. Alessandro, in Roma. 10. Cilladella f i(jodar:cre S. E. co. Andrea, in Padova. i I. Crivelli S. E. Ferdinando, in Milano. 12. Dalla Vecchia ab. Luigi, in Verona. 13. Dietrichsluiit S. E. co. Maurizio, in Vienna. I 4. Faraday ]\Iichele, in Londra. 15. Folsrh nnb. cnns. Giuseppe, in Vienna. 16. Furlanettn ab. Giuseppe, in Padova. 1 7. Gene prof. Giuseppe, in Torino. 18. Cwiacomini prof. Giacomnndrea. in Padova. 19. Giordani Pietro, in Parma. 20. Goess S. E. co. Pietro, in Vienna. 21. Gotz padre Edmondo, in A'ienna. 22. Grimm cav. Vincenzo, in .Milano. 23. Gunlner dott. Francesco, in Vienna. 24. Hammer (de) cav. Giuseppe, in Vienna. — 318 — 25. Heintl (de) cav. Carlo, in Vienna. 'JC. Herscliel Giovanni F. G., in Londra. L'7. Humboldt (de) barone Alessandro, in Berlino. 2S. Inziaghi S. E. conte Carlo, in A'ienna. L'9. l'ùstel cav. Giuseppe Luigi, in Vienna. 30. Kloijber (de) cavaliere Leopoldo, in Vienna. 51. Kuhech barone Luigi, in Vienna. 52. Knols doli. Giovanni, in Vienna. 55. Ldhit.i rav. Giovanni, in Milano. 54. ilIaìfdUi dolt. Giuseppe, in Vienna. 55. Manzoni Alessandro, in Milano. 50. Murianini prof. Stefano, in Modena. 57. 3hnììuqo conte Pietro, in Udine. 58. yVedici prof. Michele, in Bologna. 39. 3hnin ab. prof. Lodovico, in Padova. 40. Mtzzofanii Sua Eminenza Giuseppe, in Roma. h\. Oenledt Giovanni, in Copenaghen. 42. Orefici (degli) S. E. Francesco, in Verona. 45. Panizza profcs. Bartolommeo, in Pavia. 44. Plana prof. Giovanni, in Torino. 45. Plappart cav. Antonio, in Vienna. 4fi. Pardo march. Lorenzo, in Genova. 47. Prelà mons. Tommaso, in Roma. 48. PijrcUr S. E. Giovanni Ladislao, in Erlau. 49. Raimann (de) doti. Gio. Nepomuceno, in Vienna. 30. lievieshi] S. E. Adamo, in Venezia. 51. San Pietro doti. Giambattista consigliere, in Milano. 52. Saleri dolt. Giuseppe, in Brescia. 55. Santini prof. Giovanni, in Padova. 54. Slirheiiskij S. E. barone Filippo, in Linz. 55. Spaur S. E. co. Giambattista, in Milano. 56. Spinola marchese Massimiliano, in Genova. 57. Scìwnaich dott. Francesco, in Vienna. 58. Stanìlope conte, in Londra. 59. Thiersch dott. Federico, in Monaco. 60. fiirkheim barone Luigi, in Vienna. 61. f'»(/ie Carlo, in Breslavia. 62. Zendrini ab. prof. Angelo, in Mestre. SOCI ORDINARII ESTERNL 1 . Barbieri ab. prof. Giuseppe, in Padova. 2. Cortese prof. Francesco, in Padova. — 319 — 3. Fupanni dolt. Agostino, in Treviso. A. Jlagrini prof. Luigi, in Milano. 5. Paravia cav. prof. Pieralessandro,in Torino. 6. l'arolinì nob. Alberto, in Bassano. 7. Parolari ab. Giulio Cesare, in Godego. 8. Poli prof. Baldassare, in Padova. 9. Rosa nob. dott. Giovanni, in Milano. -10. Tommasini cav. Jacopo, in Parma, li. Fitaliani cav. Benedetto, in Olniiitz. 12. Zananìiìti dott. Giovanni, in Padova. 15. Zambelli nob. prof. Andrea, in Pavia. SOCI CORRISPONDENTI ESTERNI. 1. Agostini dott. Antonio, in Treviso. 2. Amhrosoli prof. Francesco, in Pavia. 5. Jngelelli march. Massimiliano, in Bologna. A. Àìwrli ab. Ferrante, in Cremona. 5. Argenti dott. Francesco, in Padova. C. Balbi nob. Cesare Francesco, in Padova. 7. Balardini doti. Lodovico, in Brescia. 8. Baruffi doti. Giuseppe, in Rovigo. 9. Baseggio nob. Gianibattisla, in Bassano. io. Basso dott. Luigi, in Padova. 11. Bazzini prof. Carlo, in Padova. 12. Bellani can. Angelo, in Milano. io. Bcllotli nob. Felice, in Blilano. ÌA. Beer dott. Giacomo, in Vienna. •15. Bellarilis prof. Giusto, in Padova. IG. Bellini dott. Giambattista, in Firenze. 17. Benvenisli dott. Moisè, in Padova. 18. Berlesc ab. Lorenzo, in Parigi. •19. Bernardi ab. prof. Jacopo, in Cenuda. 20. Berlini dolt. Bernardino, in Torino. 21. Biasokllo dott. Bartolommeo, in Trieste. 22. Boll nob. Francesco Augusto, in Milano. 25. Buffini dolt. Andrea, in Brescia. 2A. Culderini doti. Ampcllio Carlo, in Milano. 2o. Candiani doti. Jacopo, in Padova. 2G. Cappellelli dolt. Giovanni, in Trieste. 27. Capsoni dolt. Giovanni, in Bergamo. 28. Cananeo dott. Carlo, in Milano. 29. Catlurani doti. Gio. Batista, in Trento. 50. Cattillo prof. Tommaso, in Padova. — 320 — 51. Celsi doU. Lorenzo, in Verona. 32. Cevedella doti. Attilio, in Lonato. oó. Ccriiasdi Giuseppe, in Udine. 54. Cibrario cav. Luigi, in Torino. 35. agalla conte dott. Giuseppe, in Santorino. 5G. Cittadella co. Giovanni, in Padova. 57. Ciampnìini prof. Luigi, in Firenze. 58. Conptjliucchi prof. Luigi, in Padova. 39. Consolo dott. Giuseppe, in Verona. 40. Conti prof. Carlo, in Padova. A\ . Corinaldi dott. Jacob, in Pisa. 42. Cresciìti Jacopo, in Padova. ■ 43. Cuccelli Luigi, in Treviso. 44. Cumano dott. Gio. Carlo, in Trieste. 43. Czermack dott. Giuseppe, in Vienna. 46. Da Cambi dott. Francesco, in Trieste. 47. Dandolo eonte Girolamo, in Treviso. 48. Dandolo conte Tullio, in Milano. 49. DaU'Onguro ab. Francesco, in Trieste. 50. Dalmas::o prof. Claudio, in Torino. 51. Da ria march. Luigi, in Bologna. 52. De Castro prof. Vincenzo, in Padova. 53. De la Casa prof. Vittorio, in Padova. 34. Del Chiappa prof. Giuseppe, in Pavia. 35. De Liirjnani prof. Giuseppe, in Trieste. 56. De 3Iori dott. Alfonso, in san Dona di Piave. 57. De Renzi cav. Salvatore, in Napoli. 58. De risiani prof Roberto, in Padova. 59. De Zigno nob. Acbille, in Padova. 60. F«cc)i dott. Jacopo, in Lanion presso Feltra. 61. Fanlonelti dott. Gio. Battista, in Milano. 62. Ferrari Girolamo, in Vigevano. 63. Fesller dott. Francesco Saverio, in Vienna. 64. Fischer dott. Giuseppe, in Vienna. 65. Formiggini dott. S., in Trieste. 66. Fnipporli dott. Fiuseppe, in Padova. (i7. Freschi co. Gherardo, in san Vito. 68. Fusinieri dott. Ambrogio, in Vicenza. 69. Gallo prof. Vincenzo, in Trieste. 70. Galvani dott. Gio. Antonio, in Padova. 71. Gera dott. Francesco, in Conegliano. 72. Ginll prof Guglielmo, in Gratz. 75. Gio(o Vincenzo, in Milano. — 32i — 74. Giovanelli co. Bencdello, in Trento. 75. Grapputo doU. Toniraaso, in san Vito. 76. Guastalla dolt. Angusto, in Trieste. 77. Ivaiicich commend. Gabriele, in Cattaro. 78. Kapp Pier Antonio, in Parigi. 79. Kirckoff (de) G. R. L.^ in Anversa. 80. Koch prof. Giorgio Aenotheus, in Lipsia. 81. Ara/j/' Francesco Filippo, in Inspruch. 82. Lenguazza nob. doli. Leonello, in Padova. 83. Liberali dott. Sebastiano, in Treviso. 84. Leoni conte Carlo, in Padova. 85. Mafl'ei cav. Andrea, in Milano. 86. Mantovani dott. Jacopo, in Bertiolo. 87. jVarzuttini ab. prof. Onorio, in Padova. 88. Marzuitini dott. Giambattista, in Spiliinbergo. 89. Marianini dott. Pietro, in Mortara. 90. Magliari dott. Pietro, in Napoli. 91. Medoro dott. Samuele, in Padova. 92. Meneghini prof. Giuseppe, in Padova. 93. Migliazzi Eugenio, in Ferrara. 94. 31ilani ing. Giovanni, in Verona. 95. Minich prof. Serafino Raffaele, in Padova. 96. Muschietti mons. Giovanni, in Concordia 97. Mustoxidi cav. Andrea, in Corfìi. 98. Muzzan conte Antonio, in Slilano. 99. Naccari Fortunato Luigi, in Padova. 400. Nannula prof. Antonio, in Napoli. 401. Nardi ab. prof. Francesco, in Padova. 402. Negri prof. Cristoforo, in Padova. ■103. Nicolini dott. Giovanni Battista, in Brescia. 404. Nodari dott. Pietro, in Verona. 405. Nevati doti. Girolamo, in Bergamo. 406. Ostermann ab. Francesco, in Codroipo. 407. Paoli co. Domenico, in Pesaro. 408. Peìiolazzi dott. Ignazio, in Monlagnana. 409. Pezzana cav. Angelo, in Parma. 410. Podrecca doti. Giuseppe, in Padova. 444. Poggi dolt. Giuseppe, in Udine. 412. Poucìiet dott. F. A., in Rouen. 443. Pollo dotf. Secondo, in Torino. 444. Rambelli prof. Gian Frane, in s. Pietro di Persicelo. 415. Ramello mons. Luigi, in Ro\igo. 1 IC. Renier arciprete cav. Giovanni, in Mestre. Ateneo. Tom. V. *4 — 322 — 117. Remnont cav. Alfredo, in Berlino. 1 18. liUjìnui doti. Giovanni, in Olcggio. •1 19. lìigoni Sleni doli. Domenico, in Asiago. 120. Ri::olali ab. Gio. Battista, in Spilimbcrgo. •121. Roheiii conte Giambattista, in Bassano. •122. Rondulini dolt. Lorenzo, in Trieste. 125. Rosas nob. prof. Antonio, in Vienna. •123. Sacchi dott. Giuseppe, in Milano. 126. Sartorio prof. Slichele, in Milano. 127. Schiszi co. Fulchino, in Milano. •128. Schmidt dott. Alfonso, in Vienna. 429. Schuller dott. Antonio, in Vienna. ■130. Scortegagna dott. Francesco Orazio, in Vicenza. 131. Selaiìe doti. Enrico, in Brusselles. 152. Selvatico Estense nob. Pietro, in Padova. 433. Sorniani dott. Napoleone Massimiliano, in Milano. iói. Speranza prof. Carlo, in Pavia. i 55. Taglialegni Osvaldo, in Udine. 4 56. Taramelli dott. Carlo, in Milano. 457. Tetani (de) cav. Giuseppe, in Rovereto. 458. Tenore prof. Michele, in Napoli. 439. Toffoli Luigi, in Bassano. 440. Tonello prof. Gaspare, in Trieste. 441. Trevisan co. Vittorej in Padova. 442. Trivellato ab. Giuseppe, in Padova. 443. Turazza prof. Domenico, in Padova. 444. Taussig dott. Gabriele, in Firenze. 445. Vallauri prof. Tommaso, in Torino. 446. Falsecchi prof. Antonio, in Padova. 447. Vedova Giuseppe, in Padova. 448. Venanzio dott. Girolamo, in Portogruaro. 449. Vermìglioli prof. Giambattista, in Perugia. 450. Vcrson prof. Francesco, in Padova. 451. Vivenot dott. Rodolfo, in Vienna. 452. ffeiglein dott. Cristiano, in Gratz. 453. Zamboni ab. prof. Giuseppe, in Verona. 454. ZaJiicr dott. Giambattista, in Portogruaro. 4 55. Zannini dott. Giambattista, in Belluno. 436. Zanon Bartolorameo, in Belluno. ELEIVCO DELLE MEMORIE LETTE NEGLI ANNI ACCADEMICI Ì839-40, 4840-4Ì, 5o » « IJ Elogio del doti. Tommaso RimOj 10 marzo i843. Relazione prof. Tipaldo » 70 Baruffi doli. Gius. Memoria. La fisica generale considerata nel corpo uma- no, 9 gemiajo i843. Relazione Minollo . . . » 54 Bellomo Mods. G. Elogio del defunto socio ordinario e membro del consi- glio accademico Bartolommeo Gamba, 1 o mag- gio 1841. « » Cenni sui progressi deK incivilimento sociale, 1 1 apri- le 1842. 3> « Un saggio lirico del defunto socio Brovedani, r) mag- gio 1842. Relazione prof. Tipaldo » 63 Bizio doti. Bartol. Memoria sulla Caccino e F acido Coccinico, 16 di- cembre i83g. Relazione Minollo « in (*) Le Memorie qui accennale e delle quali non si fa parola nelle Relazioni, 0 erano già slam- pale, o mancavano ncirArcliiNÌo dcll'.^leneo quando lessero esse Relazioni i Sigg. prof, de Tipaldo e prof. Correr. — 324 — Bizio dott. Bart. Rivisla crìlica alla risposta del sig. Giacoviini: Sulla nulura, sulla l'ila e sulle malullie del sangue, e r esame alle sue idee circa la i'ilalilù, i marzo 1 84 f • Relazione Minollo. ....... Pag. 16 5> 3) La Coutiuuazlone della Riiisla Critica alla risposta del sig. prof. Giacomini, alle osservazioni intorno la memoria: Sulla natura, sulla t'ita e sulle malattie del sangue, e dell' esame delle sue idee circa la l'ilalilà, 26 aprile iS4i. Relazione Minollo . . » 1^ 3> )) Fine della Rivista Critica alla risposta del prof. Gia- comini^ alle osservazioni intorno alla memoria : Sulla natura, sulla vita e sulle malattie del san- gue, li maggio it<4'- Relazione Minollo . . « ivi 35 3) Esame delle idee del prof. Giacomini circa la vitalità, 28 giugno 1 84 1. Relazione Minollo .... » ivi Bizio Gio. figlio Trasformazione dello zucchero, i-j agosto i84i- Re- lazione Minollo » 56 lì 3) Memoria. Osservazioni sopra il coagulamento dell'acqua, ed esperienze sopra la conseguente sua depurazio- ne, 18 aprile 1842. Relazione Minollo. ... 3» 55 Brovedaki arc.G.B. i?/5co/-^o 5«//a Critica letteraria, g marzo 1840. Re- lazione prof. Carrer j' 3 1 BuccELLENi dott. Sua Versione in versi sciolti del libro VI dell' Enei- de, ammessa alcuna parte, con alcuni cenni suW in- tento della versione, 29 marzo 1841. Buffimi dolt. And. Ragionamento intorno alle case de' Trovatelli in Bre- scia, IO febbrajo 1840. Relazione Minollo . . i> 19 3» 3» Seguilo del suo Ragionamento intorno alle case de' Tro- vatelli in Brescia, 3 agosto 1840. Relazione Mi- nollo » ivi Caluci dott. Gius. Alcuni Cenni sulla filosofia del diritto, 1^ maggio 1 84 i • Relazione prof. Carrer » 38 31 35 La prima parte de' suoi Cenni storici sui progressi della civile legislazione, 3 agosto i843. Relazione prof. Tipaldo 3, 66 33 33 La seconda parte de' suoi Cenni storici sui progressi della civile legislazione, io agosto i843. Relazione prof. Tipaldo " 'vi — 325 — Campilanzi Emil. Memoria. Sulla corrispondenza de cangiamenll di l'uello del mare osservati negli avanzi del tempio di Sera- pide, con quelli avvenuti a Venezia, 20 gonnajo 1840. Relazione Minollo Pag. uj » " Memoria. Intorno alle cisterne di yenezia ed agli appa- recchi di attrazione di recente ideati dal sig. di Foni'ielte, 1 6 agosto iS/j). Relazione JMinotlo . :■> l!;") » « Memoria. SuU' architettura ecclesiastica, 02 agosto 1842. Relazione prof. Tipaldo ;>j Galvani d.'G.ANT Gamiìa Bartol. Gatto d." Lor. HOFFMANN d."^ — 326 — Giudizio sulle deduzioni del doti. Friberti intorno al chinino, i-j gennajo 1842. Relazione MìdoUo. . Pag. Sulla Carubia di Giudea contro l' Asma di Uoff- maustìialj 3o maggio 1842. Relazione Minollo >■> Esame di un giudizio dato sopra i miei sperimenti in- torno al chinino e nuovi sperimenti sullo stesso, 2 gennajo i843. Relazione MinoUo. Sull' altezza de' vasi, 3o gennajo i843. Relazione prof. Tipaldo " // Cinegetico di M. A. C. Nemesiano, da lui per la prima volta tradotto, 18 maggio i843. Relazione prof. Tipaldo 3» Della dignità dell' oculistica, 27 g'i'gno 1842. Rela- zione Minotto !> Memoria. Sopra Federico Savìgny, e sulla sua opera intitolala: Sistema dell' odierno diritto romano, 1 5 fcbbrajo i84i- Relazione prof. Carrer . ... 35 Della vita e degli studii di Antonio Bottari consigliere di Appello, 8 giugno i843. Relazione prof. Tipaldo 33 Memoria. Del metodo per ridurre l' insegnamento delle matematiche facile, piacevole, interessante, 2 2 mar- zo 1841. Relazione Minotto 33 Illustrazioni analitiche e tossicologiche sopra il muriato di Narcotina, nuovo febbrifugo del doli. Stewart, 24 febbrajo i84o. Relazione Minotto .... 33 Considerazioni chimiche sopra alcuni principii immediati del Semen- Contro, dalle cui proprietà ne derivo un processo ragionalo per la separazione e depurazione del Santonino, 4 maggio 1840. Relazione Minotto . » Sopra i conforti della vera amicizia, 21 giugno i84i. Relazione prof. Carrer 3> Memoria intitolata. I miei autografi, l'j febbrajo 1840. Relazione prof. Carrer 3> La f^ifa di Lorenzo Da Ponte, 3 maggio i84i. Storia d' un caso singolare d' idropisia, 2y luglio 1840. Relazione Minotto 31 Alcuni cenni intorno all' uso delle silique contro /' asma, 2 3 maggio 1843. 53 IVI 68 63 .5i 20 i5 39 32 KoHENd.' G. B. !1 » Lazzari professor Francesco. IjAzzari monsignor Gll'SEPPE. » « 3) 3» )> )> « » Magrini professor Pietro. j> » Manin S. E. conte Leonardo. Medoro doUore Samuele. — 327 — Considerazioni sul principio vitale e sulla forza mcdi- calrice della natura, 3i gciinajo 1842. Relazione Minollo Pag. Galleria epigrafica di alcuni uomini illustri, 20 marzo 1843. Relazione prof. Tipaldo » Notizie di Giuseppe B enoni architetto ^ 1 3 gcniiajo 1840. Relazione prof. Carrcr » Cenni storici sul ponte di Rialto. Parie prima, 6 luglio 1843. Relazione prof. Tipaldo « 11 seguilo della versione in esametri della Cristiade del Vida, 3 febbraio 1840. Relazione prof. Carrer . « Il seguito della sua versione, libro secondo, parte I, 18 gennajo 1841. Relazione prof. Carrer . . . . " Il seguilo del libro secondo, parte II, aS gennajo i84i. Relazione prof. Carrer " Il seguito della sua versione, libro terzo, parte I, 1 3 dicem- bre 1841. Relazione prof. Tipaldo » Il seguito del libro terzo, parte II, 27 dicembre i84i- Relazione prof. Tipaldo » Il seguilo della sua versione, libro 4- Parie I, i 3 feb- brajo 1843. Relazione prof. Tipaldo . ... « Il seguilo del libro 4- Parte II, 20 febbrajo i843. Relazione prof. Tipaldo » Memoria. Sulla quadratura dell' Iperbole, e rettificazio- ne della Parabola, 6 luglio i84o. Relazione Mi- nollo » Memoria. Sui valori che acquistano le cognizioni del- l'attuale commercio delle scienze matematiche e le naturali colle arti meccaniche, 5 luglio 1840. Relazione Minollo « I nuovi studii sulle relazioni finali degli ambasciatori veneziani, 27 aprile 1 840. Relazione prof. Tipaldo. « L' esame del quinto volume delle Relazioni de' f^enezia- ni ambasciatori. Firenze, 1842, iG gennajo 1 843. Relazione prof. Tipaldo » Storia d' un ernia cisto vaginale e della corrispondente pratica operativa, 25 maggio 1840. Relazione Mi- nollo » 3 1 34 3i IVI 21 65 65 i3 — 328 — MiNOTTO nob. Gio. Memoria. Sopra un suo nuovo Barometro, 3o marzo i84o. Relazione M inolio Pag. 22 » « Sopra alcuni recenti metodi d' illuminazione a gas, i 2 luglio i84i- Relazione Minotlo » 27 Montagna d.'^Gius. Cenni storici sul perfezionamento della litotomia nel Ve- neto, 6 fcbbrajo 1 843. Relazione MinoUo ...» 5 1 Namias dottor Già- Studio di alcune circostanze nelle quali il medico dev'es- CINTO. sere poco o nulla operoso, 3 aprile i843. Rela- zione Minolto » 52 Nardo d.' Dome- Memoria. SuW uso dell' acido ossalico nelle inpamma- Nico. zioni della gola del tubo intestinale, ec. 1 febbrajo 1841. Relazione Minotlo ...,...« i5 Nardo d.' Luigi. Relazione dell' operatosi in Pisa nella prima riunione degli scienziati italiani, 23 dicembre i83g. Rela- zione Minollo » 27 » ìì Fine della Relazione sulla Riunione de' Naturalisti in Pi- sa, 3o dicembre iSSg. Relazione Minotto . . » ivi « » Cenni critici sui letti meccanici finora proposti a vantag- gio degf infermi, e sostituzione ad essi di un nuo- vo mezzo pili utile più semplice e più. economico, I agosto 1 842. Relazione Minotlo « 54 NEU-MAYRnob.ANT. Relazione sullo Staio attuale deW archivio da lui siste- mato, chiudendo con un breve Elogio, del suo ante- cessore nob. Conte Giuseppe Bonfadini, ^ giugno 1841. Relazione prof. Carrcr ;> 32 « 5) Tributo accademico alla memoria di Barlolommeo Gamba, 20 dicembre 1841. Relazione prof. Ti- paldo » 70 ), j. Intorno al defunto socio ordinario Pietro Perolari Mal- 772/g7za//'j 4 lug'io '842. Relazione prof. Tipaldo . » ivi j, « Alla memoria dell' arciprete Brovedani , 29 agosto 1842. Relazione prof. Tipaldo » ivi » « Ragionamento artistico sopra alcuni dipìnti di Paolo Tintoretto e Mieris, i3 marzo i843. Relazione prof. Tipaldo " 68 Neumann Rizzi co. Memoria, ^o/^ra/ '///ore Pwaw negli anni 1679 e i58o, Ignazio. ii maggio 1840. NoD ARI d.'' Pietro. Sull'influenza eh' esercitarono gì' Italiani sui progressi n » » — 329 — M/o spirito umano, i3 luglio 1843. Relazione prof. Tipaldo p g^ Paleocapa cavalier Esame d una memoria del Commendatore Manetti Pietro. sulla stabile sistemazione di Fai di Chiana, 27 aprile 1843. Relazione Minollo « 58 Pasini ab. professor Memoria. Sul motivo e sullo scopo delle Metamòrfosi Pietro. d" OMio, con un saggio di sua traduzione in versi sciolli, 19 luglio 1841. Relazione professor Carrer. ... o io La sua Versione del 1. libro delle Metamorfosi d" O- vìdio, 3 gennajo 1842. Relazione prof. Tipaldo . « 63 Illustrazione d^ antica moneta greca di Assiotea Flia- sia, 25 luglio 1842. Relazione prof Tipaldo. . « 67 La Traduzione in versi sciolti del libro VI delle Meta- morfosi d' Ovidio, 4 maggio 1823. Relazione prof p ^ '^'P^''^" „ 63 Perocco Cesare. Saggio di Ginecognosia, 28 febbrajo 1842. Perolar. Malmi- Memoria sulle virtuose azioni degli Italiani, 2. gennaio GNATinob. Pietro. 1840. Relazione prof Carrer . . /. . . „ 35 La prima parte d' una memoria intomo alle leggi ro- mane più utili, 21 dicembre 1840. Relazione prof Carrer. ... o » 07 Seguito della sua Memoria : Sopra le più utili leggi ro- mane, 28 dicembre 1840. Relazione prof Carrer . „ hi Intorno alle leggi edalle forme legali del medio e,o, i o gennajo 1842. Relazione prof Tipaldo ...» 65 La seconda parte della Dissertazione circa le leggi e formole legali del medio evo, 14 marzo 1842. Re- lazione prof Tipaldo. Pesseg Giuseppe. ^^^^ox\:,. Sopra alcuni suoi sperimenti fatti' coW as- falto di Dalmazia, ed i risultamenti che ne o/- /OTW, 2 agosto 184 1. Relazione Miiiolto . . . » 26 Quadri cons.ANT. Prima parte di una Memoria confutativa la tradizione delYacciecamento ed esilio di Belisario, 1 6 marzo 1840. Relazione professor Carrer ,, 35 ^^ ^f^onài ^ix^t M\i Memoria confutativa f accieca- mento ed esilio di Belisario, 23 marzo 1840. Relazione prof. Carrer » ivi Atekeo. Tom. V. ' 1' « « — 330 — Rossi cous. Gio. Memoria. Sulf arte vetraria de' Veneziani, conlinuazio- ne della sua opera sui lor costumi, i o maggio i84i- Relazione prof. Carrer Pag. 34 » « M^monA. De' musei veneziani, i8 luglio 1842. Rela- zione prof. Tipaldo " 68 » n Memoria. Sul verno, 8 agosto 1 842. Relazione prof. Tipaldo " &6 « M La Continuazione della sua memoria sui veneziani mu- sei, 2.-J luglio 1843. Relazione prof. Tipaldo. . » 68 Rossi d.'' Lorenzo. Tre mediche storie l' una di tetano reumatico, V altra di peristite del femore, e la terza di apoplessia, 1 3 luglio 1840. Relazione Minollo « 12 » jj Memoria. Inlomo alla sempre pili manifesta azione, e precisa indicazione della Stricnina, 2. maggio 1842. Relazione Minollo « 53 « n Intorno all' esistenza e diversa gravità delle paralisi viscerali, 24 agosto i843. Relazione Minotto . »> 52 ScoFFO d."^ Luigi. Storia d' una febbre perniciosa apopletica, 8 febbrajo 1840. Relazione Minollo » 12 Scolari d."^ Filippo. I suoi Prolegomeni alla traduzione di Girolamo Fraca- stoio illuslrala e tradolla in allretlanli versi ilaliani. « » La seconda parie della Conlinuazione del Commentario sulla vita e le opere di Andrea Palladio e Vin- cenzo Scamozzi, 20 giugno 1842. » » Memoria. Intorno agli studj di C- A. I. Sismondi dei Sismondi sulle cosliluzioni de' popoli liberi, i giu- gno 1843. Relazione prof Tipaldo » 70 Tipaldo (de) profess. Z>f/ confe Giammaria Mazzuchdli e di Giambattista Emilio. Piranesi, 20 marzo 1 843. Relazione professor Ti- paldo " ivi Trois d."" Enrico. Discorso per l' inaugurazione del busto del dott. Fran- cesco Aglietti, 5 dicembre 1842. Relazione prof. Tipaldo " ivi Unger professor Della filosofia e de' suoi detrattori, 22 giugno i843. Adolfo. Relazione prof. Tipaldo « 64 Vallenzasca doli. Memoria. Sopra inondazioni avvenute neW anno decorso Giovanni. e sopra le febbri intermittenti, \l\ dicembre 1840. Relazione Minollo " 11 — 331 — Vallenzasca doli. La seconda parie delle Memorie. Sul modo di denunzia- Giovanni. re le ferite ai Tribunali, 23 gennajo i843. Re- lazione Minollo Pag. 5 a Zanotto Franc. La Descrizione del dipinto de' Cagliari donalo agli asili d" infanzia, esprimente Catterina Cornaro che ce- de la corona di Cipro al doge Agostino Barba- rigo, 6 aprile 1840. Relazione prof. Carrer . . « 33 » » Descrizione dell' ingresso diEmico III in J^enezia, 26 luglio i84i. « )> Sopra un dipinto dì Tintoretto rappresentante l'assedio di Zara, 1 1 maggio 1 843. Relazione prof. Ti- paldo » yo r> » Memoria storico-critica ed artistica sulla scala de' Gi- ganti, 20 luglio 1843. Zantedeschi abate Memoria. Sul trasporto della materia ,ponderabile delle prof. Francesco. correnti elettriche, 11 giugno i84i- Relazione Minollo » 2 1 " » Comunicazione. De' conduttori unipolari e bipolari ter- mo-elettrici II aprile 1842. Relazione Minollo . »> 22 » )» Comunicazione. SuW offizio elettrico della midolla allun- gata nella torpedine, 18 maggio 1842. Relazione Minollo » 55 ZoRZi nob. Pietro. Osservazioni sul proposto congresso sanitario Euro- /7fOj 6 luglio 1840. Relazione Minollo. ...» io ELEIVCO DELLE OPERE, MEMORIE, ecc. ricevute in dono dall' ateneo negli anni 4839-40, 1840-41, 1841-42 e 1842-43 Accademia Medico- t^,,, ri -w ■ ■ ,f \. li.slraUo (Il alcuDC ivlrmorie scicnliliche. chir. di Ferrara. Accad. delle Scienze ,, , a,- j > • a..- 11 tomo X de suoi Atti. di Siena. Accad. di Scienze e L'Albo offerto agli Sposi eccelsi Francesco d'Austria d'Esle, e Adel- letl. diModena. gonda Augusta di Baviera. Amorini march. Ani. Le Vile di Lodovico, Annibale, Agostino^ ed altri dei Carracci. » » Discorsi letti nella Pontificia Accademia di Belle Arti, e Vite dei pittori ed artisti bolognesi. » » Memoria della vita e delle opere di Francesco Rosaspina incisor Bo- lognese. Angeloni doU.Dom. (Ved. Centazzo e Dolfin Pietro). Argenti doti. Frane. Nuovi sludii sulla causa immediata della mestruazione, e modificazio- ne alla teoria della fecondazione. Arrigoni doli. Ben. Intorno all' origine ed al progresso de' Teatri. Asson doli. Michel. La continuazione delle sue Annotazioni anatomico - patologiche e pratiche intorno le chirurgiche malattie. Aleneo di Brescia I suoi Commentarli dell'anno 1840. » » La memoria premiala sulla torba della Provincia Bresciana, dei sigg. doli. Lodovico Balardini e Stefano Grondoni. Balardini doli. Lod. Delle acque Salino-termali del Mosino in Valtellina. 11 » Casi di legatura di grandi arterie del corpo umano. n n Storia di gravidanza. » » Otto tagli di litotomia col taglio mediano. » » Sulle fonti minerali della Valtellina. — 334 — Baruffi dott. Gius. Orazione laudaloria in onore di Luigi Giro. >i >■> Il Passaggio del Mar Rosso, Parafrasi. Bassich mcns.Ant. Sulla vita e gli scritti di Ire illustri Pcroslini, e Dissertazione sulla eccellenza della vera religione. Beermann Gio. Sig. Nouvelle description de Vienne. !■> n Les Eaux minerale.s de Soidschilz. " » Catalogne délaillé d^Eslampes, Cabinets et livres. Beliamo mons. Gio. 11 Capitolare della veneta letteraria accademia. )■> 5! Lezioni di Storia Universale, il primo e secondo volume. Bellinidot. Gio. Bat. Nuovo metodo per far le amputazioni mediante nuovo strumento. Beni cons. Frane. Le sue poesie varie. Bennati Gio^'anni. Le due parti del suo Compendio alfabetico della legge penale di Fi- nanza. Benvenuti dot. Adolf. Brano di Notomia patologica del sistema nervoso. Bem'enutìdot.Moise.S)3^^\o di notomia fisiologica e patologica delle vene. « » Saggio di umana Pneumatologia. « « La sua dissertazione inaugurale: Gangliorum Anatomia. Beretta Giuseppe. Della coltivazione delle vili e dell' arte di fare il vino. Berle se ab. Lorenzo. Monographie du genre Camellia et Iraité compiei sur sa culture, sa description et sa classification. Berti Gio. Battista. Lamenti sulla tomba di Vittorio Madurelli Berti. Bertini dott. Bernar.WA%^\o medico in Germania nella siale del 1887. n n Statistica nosologica del 1821 al i833 e rendiconto medico per il 1834. « n Seconda statistica nosologica dal i833 al i83g. » » Congresso scientifico di Lione, e materie trattate nella sezione di medicina. Betti prof. Sabotare. L' Illustre Italia, Dialoghi. Bianchetti dot. Gius. \^ffx di un'opera intorno alla scienza. )» dott. Vinc. Cinque memorie di Chimica pratica. Biasoletta dott. Bart.y\ì^^\iò di S. M. Federico Augusto re di Sassonia per l'Istria, Dal- mazia e Montenegro. » j> Un articolo sul modo di conservare gli asparagi ed un Catalogo di sementi offerto in cambio dall'orto botanico dalla Società dei Farmacisti di Trieste. Bizio dott, Bartol. Lettera di Pietro Bussolin esponente l'analisi chimica del metallo di cui sono composti i quattro cavalli esistenti sul Pronao dell' I. R. Basilica di s. Marco. — 335 — Biiio dollor Bariul.\.t di lui riterilic iiilomo all' azione della talee "sopra i taiLoiiali potassico e sodico. » " Osservazioni sulla natura, sulla vita, e sulle ni.ilallic del sangue del prof. Giacomiui. » » La porpora del Capello rivocata eulro i suoi confini. Bizio Gio. figlio. Osservazioni sopra il congelanienlo dell'acqua ed esperienze sopra la conseguente sua depurazione. Boiiarì cons. Ani. I suoi fiori anacreontici. Brizi Oreste. Quadro storico statistico della Serenissima Repubblica di s. Marino. » " Osservazioni sulla Milizia. Brovedaniab. G. B. I suoi augnrii poetici. Buccellali Gius. Saggio di nuove teorie sul carattere, limile e fine dell' arte di educare. Buchinger Gio. M. Cenni intorno all'orto botanico dell' I. R. Liceo Con\itto di Ve- nezia. Bussolin Pietro. Traduzione in prosa veneziana di alcuni brani di Tacito. Cadorìnab. Gius. (V. Dolfin Pietro). Lettere di Giammaria Ortes veneziano e Fran- cesco Algarolti. » » Cenni storici sulle nove Congregazioni del clero veneto. » " La Vita di Vendramino Zoldano arcidiacono del Cadore. Camera dìcomm. in r^,. ..■ i .• • n j. , •■ . , . ■• v i • r in, Oli alti relativi alla distribuzione dei preraii d industria latta nei 1 042. Udine. >' » Istruzione pratica sulla coltivazione dei gelsi nel Friuli. Canili Ignazio. Sull'influenza dcgl' Imperatori della Casa d'Austria nelle vicende d'Italia. Cappellelti doti. Gio. Lettere cbirurgiche al doti. Calderini. Copsonidotl. Gio. Sul clima della Lassa Lombardia, ricerche politico-mcdiche-statistiche. >■> >■> Sulla missione del medico-pratico. Pensieri. Carbonai doti. Ferd. La descrizione dell'istituto ortopedico in Toscana da lui creato e diretto. Carrara Francesco. D' un piombo unico inedito. Casoni ingegn. Gio. Memoria sopra una contro-corrente marina che si osserva lungo una parte dei lidi veneti. Castagna doti. Gio. Storia filosofica della medicina, traduzione dal tedesco. Castagnoli doli. Ach. Il Solerle, Giornale letterario. " « Alcuni componimenti poetici. Castelli doti. Giac. Sopra la risoluzione degli azionisti della strada ferrata da Venezia a Milano nel Congresso del 3o luglio 1840. Cenedclla dott.Giac. Le ricerche storico-sperimentali sul fuoco greco, ec. >i 11 Saggio storico sul Cianogeno e sulle sue diverse combinazioni. — 336 — Cenlazzodoit.Ant.e La fesla delle Marie descritta in un poemetto elegiaco Ialino da Pace Jng. doli. Barbimi. del Friuli. Cenlomoelutl.Ans. Considerazioui tendenti ad allontanare i medici dall'abuso de' salassi. Cen'elto doti. Gius. Cenni per una nuova storia delle scienze mediche. « )) Appendice ai cenni per una nuova storia delle scienze mediche. « « Di alcuni illustri anatomici italiani del deciraoquinlo secolo. Cesarini Emidio. Principii della giurisprudenza commerciale. Ciampolini prof. j ^^,^^^; j^ jj^ j^jl^ ^^^ ^^^^^ ^ p^^^j^^ Luigi. Cicogna Emanuele^ Della città di Venezia, lettera inedita di Gabriele Selvago genovese a messer Camillo Paleollo. „ » Viaggio fallo da Andrea Morosini e Benedetto Zorzi palrizii veneti del secolo XVI. ,, „ Sui personaggi illustri della tirolese famiglia de' conti di Spaur. „ „ Narrazione della famiglia Marcello patrizia veneta. „ „ Una lettera intorno alla patrizia famiglia Foscolo. „ » . Prose e poesie pubblicate per le nozze Galvagna-Albrizzi. „ « 11 Fascicolo 16. e 17. delle Iscrizioni veneziane. Cittadini prof . Luigi. Nuovi progressi operatori, con sei tavole, e riflessioni isteriche sulla cir- colazione del sangue. Clock doti. Léonard. Brevi notizie intorno la persona e le opere di (iiambattisla Borsieri da Kunefield. CodazzaproJ. Gio. Sopra un metodo di prospettiva pel disegno di macchine, nota di geo- metria descrittiva. Coen dott. Gius. I primi quattro fascicoli della sua Enciclopedia chirurgica. Congregazione dei ^^ gloria di Mosè Coronese, versione italiana. monaci mechitaristi. Corner Camillo. La scuola d'Ostetricia del Collegio medico-cbir. di Venezia. Disserlaz. Correr conte Gio. Alcune poesie in lode di Venezia, tratte da rarissima slampa. Cortese prof. Frane. Sulla Genesi e sulla struttura del fungo maligno. „ „ Degli organi costituenti Y apparato delle sensazioni. Parti tre. „ „ Osservazioni anatomiche sopra alcuni casi di anomalie di sviluppo. Costi dott. Michele. Progetto di processura criminale, e dei mezzi di estirpare il duello. „ „ 11 Codice di commercio di terra e di mare, commentalo ed illustralo. Crescini Jacopo. Il volume i . di sue Poesie. „ n Eudossia, racconto storico in dieci canti. Dal Persico doti. g^^^^ ^^ ^^^^ ^ ^jj^jj^ ^j ^^^^^ ^^^ ^^mc^t osservazione. Lodovico. — 337 — Dal vecchio ^ ■ .- .• Cenni artistico-pralici. Bonajuto. » » Suir Eclisse dell' 8 Luglio 1842. Lellera al professore Zantcdeschi. De Castro doti. La guida allo studio della lelleralura classica Ialina di Francesco Vincenzo. Ficker, versione italiana. " » Traduzione delle gemme dell' antico testamento, di Mons. Pyrcker. De Domini abate. Uno studio intorno all' origine dell' idee dell' abate Antonio Rosmini Serbali. De Giorgi doli. Ales. Cenni sulla vita di G. D. Romagnosi. » » Saggio Glosofico sull' algebra elementare. De la Casa prof. ^ ... , , ..._.,.. ■^ Usservazioni intorno al metodo primitivo Leibniziano. Vittorio. Dehinottinob. Nicc. Odissea d' Omero tradotta (I primi quattro libri). Desiderio dott. Ach. Intorno al solfato di chinino speriraeulato sugli animali. » » Appendice agli esperimenti sugli animali intorno al solfalo di chinino. » » Il suo Giudizio sulle deduzioni del doli. Triberli intorno al solfato di chinino. » " Ancora sul solfato di chinino, quesiti essenziali al prof. Giacomini. Diedo cav. Antonio. Atti dell' I. R. Accademia delle Belle Arti in Venezia per 1' anno 1889, e 42. Dolfinnob. Paolo. Una lettera critica sulle opinioni dei medici veneti sulla peste nel i63o. Dotfm D.G.Pietro.) Angeloni dot. Barò.) Notizie di Salona antica città della Dalmazia. Cadorin Giuseppe. ^ Dragomanni Gh. F. La Biografia del prof. Antonio Mezzanotte. ■•' » La Caduta di Missolungi, Ode. Driuzzo prof.Fran. Collezione di 100 monete antiche. » » La sua traduzione del Carme i' Eresia di Giammaria Verdizoti. Duodo dott. Gio. Prima versione del Corso generale di Patologia e Terapeutica del prof. Broussais. Ercoliani dott. Lor. Igiene delle Spose. Facen dott. Jac. Osservazioni pratiche sul sangue estratto nelle febbri intermittenti. « » Alcuni brani poetici. Faccio Domenico. Memoria sulla invenzione delle lettere, e della scrittura primitiva. Farina Giuseppe. Messina ed i suoi monumenti. Farlo dot. L. Paolo. Una storia di Paralisi di senso nella cute, e di muscoli del basso ven- tre senza paralisi di moto. Ateneo. Tom. V. 48 — 338 — Farlo dot. L. Paolo. Sulle esperienze elellro fisiologiche falle da lui e dal prof. Zantede- scbi negli animali a sangue caldo. » « Opuscoli medico-chirurgici, fase. 3. Fassella doti. V^al. La pesle Anloniana, versione dall' originale tedesco del doli. He- . cker, con note del doli. Val. Fassella. « » Versione dell'opera intitolata: Il sudore Anglicano con note sto- rico-critiche del doti. Federico Carlo Hecker. Ferrazzi doli. Jac. Alcune anacreontiche. Festaridolt. Girol. Epistola in versi sciolti. Feslìer doti. Frane. Ricerche analitiche sul vero e non vero nel vitalismo e mistionis- mo in medicina. Finazzi ab. prof. Già. DeWì importanza di conservare e di crescere le storie patrie. Formìggini doli. S. Epigrafi in morte del Barone Domenico Rosselli. Forlìs doli. Leone. Giornale di Giurisprudenza austriaca. ' P J' I principii del calcolo sublime esposti coli' Algebra pura. Geor. (F". Zescevich). Frapparli Giuseppe. Della storia del medio-Evo. Volumi tre. Freschi co. Gher. Il Giornale intitolalo: L'Amico del Contadino. j) » Guida per allevare i bachi da seta. " j> Guida per migliorare la razza vaccina. Fusinìeri doti. Amb. Esame de' fondamenti della teoria matematica di elettro-magnetismo. »> » Risposta ad un Opuscolo del doli. Barlolommeo Bizio, intitolalo : La Porpora del Capello rivocata entro i suoi con6ni. ji n Difesa de' suoi principii di meccanica molecolare. !) j) Seconda difesa de' principii di meccanica ecc. » » Terza difesa de' principii ecc. » » Circa la forza di espansione della materia attenuata. « » Del calorico nativo dei corpi come causa dei fenomeni di calore e luce che accompagnano le azioni chimiche. « « Memoria sopra il trasporto di materia ponderabile nelle scariche elettriche. Gallo prof. Fine. L'Almanacco Nautico per l'anno i843, e quello del i84i. Gahanido/l.G. Ani. Della felicità nello stalo conjugale e dei conforti che vengono dalla vera amicizia. Gandolfi doli. Gio. Ricerche fondamentali sulla dottrina medica razionale empirica. Voi. i . Gera Ani. Luigi. Saggio epigrafico per le nozze Insom Olivieri. !> » Iscrizioni italiane e latine. Ghelaldi(de)Biagio.\l dono di alcune sue Poesie latine e tedesche. Giacchelli ab.Falenl.'Dillt accoglienze usate da' veneziani a' principi esterni. — 339 — Giacchetti ab. Valerti. Relazione del N. U. Erizzo riìornalo dall' ambasciala di Spagna. » " Libretto di poesie di diversi autori per le nozze de' marchesi Aroldi- Trecchi. Giacomini profess. Appendice al trattato sul sangue; e l'appendice quarta al suo Trat- Giacomo Andrea. lato filosofico-sperimcnlale de' soccorsi terapeutici. » " Effetto del solfato di] chinina sugli animali, ed avvelenamento pel solfato di chinina nell' nomo sano. Gioìodott.Kinc. Osservazioni sullo stato patologico delle articolazioni scapolo-omerali. Giovanellico.Bened. Sopra scoperte di antichità nel Tirolo negli anni iSSy-SS. Girardi Giuseppe. La di lui storia fisica del Friuli in tre volumi. Girelli dott. Frane. Prospetto medico statistico degli spedali dei pazzie pazze in Brescia. /, jR. Governo delle Varie copie degli atti della distribuzione dei premii d' industria del- Provìncie Venete. l'anno 1842. » » L'Almanacco per gli anni 1840-41-42. Grigolalo Gaetano. 11 primo fascicolo della sua Flora medica del Polesine. Grimaud de Caux G. Essai sur Ics eaux publiques. Guastalla dott. Aug. Sludii medici sull'acqua di mare. Guerin dott. Giulio. Recherches sur les luxations, sur la Pression almospherique et essai sur la methode souscutanée. Voi. 5. Helm dott. Teodoro, Traité sur les maladies puerperales. Helmann Gio. Lettera sulla coltura morale dell'uomo, fase. 2. in tedesco. Hofmann dott. Genius morbor. Epidem. voi. i. Iona dott. Gio. Sulla proprietà letteraria. Istituto di Bologna. Nuovi Commentarii accademici scientifici. Tomo 4- Kohen doti. Gio. B. Le Storie di Polibio volgarizzate. KiJstl Frane. Osservazioni ed esperienze su alcuni rimedii usati nell'Istituto di Cli- nica in Padova. Krapf. cons. Fran. Il Compendio delle leggi doganali dello Stato, in lingua tedesca. Voi. 3. Lamb raschini ab. R. Guida dell' Educatore. LangdonB.JVilliam Catalogo razionale della raccolta cinese in Londra. Lanzadolt. Relazione NosograGca-Statistica sulla Epidemia colerosa che invase la Dalmazia. Lazzari prof. Frane. Notizie di Giuseppe Benoni architetto ed ingegnere della Veneta Re- pubblica. Lazzari mons. Gius. Il suo Discorso della ordinata Beneficenza. Leoni conte Carlo. Cento iscrizioni italiane. » » I Carraresi. Liberandoli. Sebasl. Sulla condizione flogistica della pellagra. — 340 — Liberali dott. Sebasl.Qaz&xù relativi alla migliara. ), » Considerazioni sulla vaccina e relalivanienle al programma pubblicato dall'Accademia delle Scienze di Francia nel j838. Lippich prof. Gugl Descrizione di un apparalo di calore a vapore. ì, !■> Osservazioni comprovanti li danni che risultano dall' abuso delle bi- . . bile spiritose. » « Topografia fisico-medica di Lubiana. Lugnani prof. Gius. Serale di Minerva. Discorsi sette. » » Orazione panegirica in morie di S. M. Francesco I. Imperator d'Au- stria. j, j> Studii sopra la storia universale, Volumi sei. « » Degli scienziati del Litorale Austro-illirico alla riunione di Padova nella seconda metà del settembre 1842. Magrini prof. Pietro. Il suo discorso recitalo in Belluno alla solenne distribuzione dei premii. 3> 3! La teoria sul contatto dei circoli fra loro e colle rette linee. Manfre prof. Pasq. Manuale di Notomia chirurgica e lopografica di Alf A. L. M. Vel- peau, tradotto con note. Manus Prisler. Tabulae niemoriales praclico-medicae sccundum theoriam celeb. prof. Giacomini cum appendice praeparalorum coniposilorum. Marini Giuseppe. Cenni idraulici apologico-islruttivi e memoria delle strabocchevoli piene del Brenta i823-i825-i83g. Marzutlini ab. prof. Omelie ed Orazioni de' Padri greci e latini da lui fatte italiane. Gioranni. Voi. 3. Masarachi doti. Vite degli uomini illustri dell'isola di Cefalonia, tradotte dal greco Antìlì. moderno dal doti. Nicolò Tommaseo. Mazzetti Bar. Ant. La sua Vita di Gio. Battista Garzetti. Medoro dott. Sam. Osservazioni chirurgiche. Meneghelti prof. Ani. L' Elogio funebre del prof ab. Cromer. « « Poche linee intorno alla vita e alle opere di Mons. Gian-Giu- seppe Paulovich Lucich. « n Due parole sulle mie stanze. « » L'Opuscolo intitolato un Viaggclto nelle mie stanze. Mezzani G. Ant. Il Cronista Monzese, Anno ferzo, 1S39. Miglioranza Giov. Relazione intorno agli scavi intrapresi per illustrazione dell' antico teatro di Berga in Vicenza. Minottonob. Gio. Un articolo da lui stampalo nel Dizionario tecnologico. Mulinelli cai'. Fab, Annali urbani di Venezia. — 341 — Mulmelli cav. Fab. La Guida del forestiero per Venezia aulica. Namias doli. Giac. Il suo Giornale per servire ai progressi della patologia e della terapeutica. » " Osservazioni intorno all' utilità dell' acetato di piombo, e di altri astringenti nelle emalemcsi, ed alla natura de' casi che ne do- mandano r uso. jSardi prof. Frane. La verità della Religione naturale e cristiana cattolica dimostrata sistematicamente. Nardo doti. Dom. Annotazioni medico-pratiche sull' utilità dell' acido ossalico in varie malattie. » » Riflessioni medico-pratiche sulla segala cornuta, sopra l' isterismo e sul buon uso di quel rimedio nella cura di alcune specie ' di questa malattia. j> » Prospetto analitico rischiarante l' Etiologia e la Diagnostica dei mali nervosi specialmente isterici ed ipocondriaci. ■ ' »■ » Le sue notizie medico-statistiche sulle acque minerali delle Provincie Venete. " « Sopra un nuovo genere di spongioli cilicei. » » Osservazioni sul sistema cutaneo. n " Nuovo metodo di rendere maggiormente utili i bagni del mare. 5) » Annotazioni medico-pratiche sulle malattie erroneamente credute ver- minose, sui falsi verrai e sul modo di conoscerli. Nardo doU. Luigi. Discorso in morte del dott. Zannini. » » Cenni critici sui letti meccanici finora proposti a sollievo degli infer- mi, e sostituzione ad essi. Negri prof. Cristo/. Del vario grado d'importanza degli slati odierni. " » Quadro politico d'antica storia. « " Sulle vicende dell' interno diritto pubblico di Roma antica. Neu-Mayr nob. Un Commentario medico dell' Incubo, opera del dottore Caslel- doìt. Anlonio. lano. Nodari doli. Pietro. De vita et studiis Autonii Nodari Commenlarius. Ottaviani proj . f^inc. Alcune proposizioni intorno alla flogosi od alla febbre. » » Alcune parole di risposta ad una lettera inserita nel Raccoglitore medico. Pagani Francesco. Nuovo processo chimico per la preparazione dell' idroclorato di chi- nina. Paleocapa cav. Piet. Sulla stabile sistemazione delle acque di Val di Chiana. Memoria del Comra. Alessandro Manetti. Palffy S. E. conte Luigi. Papadopoli nob. Ant. » » Papadopulo Vretò cav. Andrea. « j> n « Paroma prof. Pier Alessandro. ?) 3) n ?) Pellegrini d.r Rinal. Penolazzi doti. Ign. Perocco Cesare. Perolari Malmignali nob. Pietro. Pezza-Rosa prof. Piave Maria Frane. — 342 — I volumi 3. 4- 5. 6. della continuazione dell' opera in francese sullo slato dell' agricoltura dell' Irlanda e Bretagna. II volgarizzamento della vita di Filopemenedi Plutarco, testo di lin- gua inedito. Le cose incredibili di Palefalo tradotte ed illustrate da Gio. Veludo. Sopra alcuni costumi degli antichi greci tuttora esistenti nell'isola di Leucade. Compendio della storia di Giorgio Castriotto soprannominato Scan- derberg. Sul progresso e sullo stato attuale della pubblica istruzione in Grecia. Orazione pel giorno onomastico di S. M. il re Carlo Alberto. Orazione pel riaprimento degli sludii nella R. Università di Torino per r anno i SSg. Orazione pel giorno onomastico di S. M. il Re Carlo Alberto recitata nella R. Università di Torino ai 4 novembre 1842. Orazione pel riaprimento degli sludii nella R. città di Torino. Osservazioni sopra un caso d' Idrofobia. Aggiunte ed osservazioni critiche al Dizionario classico di medicina e chirurgia. Saggio dell' uomo destro e sinistro. Di Concgliano e del Coneglianese. I suoi Carmi latini. Lo spirito della filosofia italiana. Compendio della Storia del Cristianesimo dell' ab. di Berault-Ber- castel. Pietrucci Napoleone, l Versi Erotici. j> « Le Meditazioni. » » Delle illustri donne Padovane. Cenni biografici. Dodici lettere inedile di uomini illustri. Frammenti per l' Istoria della medicina italiana. La traduzione dell' Elogio dell' architetto Ottone Calderari. Sulla vita e sugli studii del prof. Gaspare Federigo. Alcune regole d' Igiene. Lettera al doti. Paolo Fario sulle annotazioni pratiche circa Y uso dell' indaco solo e combinato al castoreo e all' assa-felida Del- l' Epilessia. Piloni Antonio. Pignana dolt. Ant. Piovene nob. Luigi. Podreccadott. Gius. -- 3i3 — Podrecca doti. Gius. Intorno aJ un gravissimo avvelenamento. Podrecca GramelU La forma del perfetto uomo cristiano, descritta da san Gregorio ab. Giorgio. vescovo Niseno ad Olimpio monaco, e falla volgare da m'^ons. Luigi Lippomano, ec. Podrecca doli. La Memoria del dott. Menegazzi suU' eccellenza de' bagni di san- Leonida. t' Elena, ed alcune lettere inedile di Clemente Sibilialo. Poli prof. Baìdass. Discorso inaugurale letto all'apertura degli studii nell'L R. Uni- versità di Padova. " " Saggi di scienza politico-legale. Parlai prof. Placid. Osservazioni sull'ernie. Poucìiel F. J. Traité elémentaire de zoologie ou Hisloire naturelle du rJgne animai. " " Inlroduction a la Zoologie antédiluvienne. Ecolc d' agricolture et d'economie rurale du departement de la Scine inférieure. " " Du IÌD, sou hisloire et son emploi dans Ics arls. " " Lcs Nympbéas, fragment d' une le^on. " Formation d' un nouveau genre dans la famille des solanées. Priuli conte JNicoIò. Sugli Asili infantili e sui loro vantaggi. Quadri cons. Ani. Serto dei Dogi Mocenigo per le nozze Mocenigo-Spaur. Il suo Giornale intitolalo; Annali di medicina. Raimann cai>. Gio. Nepomuceno. " " Ebdomadario di medicina austriaca. Ratvdon Bromi. Lettere diplomatiche inedile per le nozze Mocenigo-Spaur. RiJaudChev. 1. 1. Tableau de I' Egypie, de la Nubie, et des lieux circonvoisins. " " Rapporls faits parlesdiverses Acadcmies et societés savantes sur les onvrages et colleclions des desseins rapportes de l'Egypte. " " Notizia sull'opera, Voyage en Egypte, et en Nubie, du chev. Rifaud. Rigoni Stem doti. Segni storico-slatislici sul vajuolo che fu nella provini la di Ve- Domenico. rona. » » Sulla cura piìi sollecita della scabbia. " » Reso conto di alcune rivaccinazioni. Rivascav.N. La descrizione dell'acque termo-rainerali d'Ischia. Rizzi Domenico. 11 suo Agricoltore padovano, Almanacco per Panno i84o. " » Dissertazione sul gelso delle Filippine. Rizzolatti ab. Gio. ^ . „ • i t^ . . 1 suoi sermoni ed Epistole. Battista. ^ Rosanob. dott. Gio, Quattro fascicoli de' suoi Annali di medicina. Rossi mons. La terza edizione dei versi morali di Marcellino Serpieri romano. — 344 — ò'ugirdo co. ^■/gos/. 11 suo discorso: Sul nuovo Alveo del Breiila. « » Memoria sopra l'applauso. 3> " Due Documenti inediti di Storia-Veneta. Sondi doli. Aless. Considerazioni intorno ai metodi di riduzione a solidità lapidea dei corpi animali dei signori Angelo Comi e Bartolommeo Zanon. Santini prof . Già. Catalogo di stelle fisse per l'anno 1840. S car sellini doti. V in. La sua Ode per la guerra di Siria. Scoffo doli. Luigi. Il suo Dialogo critico suU' infiammazione. Scolari cac. Filippo. La Sifilide di Girolamo Fracastoro recata in altrettanti versi italia- ni con note. ° ° ' Intorno a un Illiolilo, nuovi schiarimenti. F. O. » 3! Considerazioni intorno a una specie di Falena. » « Le sue Considerazioni sopra una specie di dragourello. Sigmund do/f. Carlo. Gleichenberg e le due fonti minerali. Silva Domenico. La Descrizione e spiegazione del nuovo suo trebbiatoio. Soc. Agraria di Tor. Il secondo Volume de' suoi Annali. Spaur S. E. co. Un esemplare dell' opera sullo stato dell' Agricoltura nella Gran Bre- Gio. Ballista. lagna ed Irlanda. Spessa doli. A. Due storie di resecazione d' ossa, e due di estrazione di corpi stra- nieri dalla vescica. j> » Ipotiposi d' un mostro straordinario. Spinola marchese Considerazioni sopra i costumi degli imenotteri del G. Sirex Fab. e so- Massimiliano. pra il miglior posto dei Sireciti nel metodo razionale. » n Dei Pironiti e dei Coleotteri ad essi piìi affini. Osservazioni. Slancoi'ich can. Piel. Lo Spolpoliva e Macinocciolo. Steer prof. Martino. La peste di Odessa nell'anno 1 837-38, brevi cenni dietro l'originale russo del dott. Andrejewsky. Stefani Slef. ab. proj. L'Eneide di Virgilio tradotta in altrettanti sciolti. Tassinari doli. Ales. Raccolta delle cose pubblicate alla memoria dell'I. R. Consig. Brera. Tenore cav. Mieli. Memoria sulle diverse specie e varietà di cotone coltivate nel regno di Napoli. ;! ;> Essai sur la Géographie Physique du Royaume de Naples. Tipaldo(de)nob. „, . .. t-, „. . „. , '^ ' ^ Llogio di rra Giovanni Giocondo. prof Emilio. L'Eccidio di Troja, poema di Trifiodoro Egiziano, traduzione inedita di Francesco Negri. Epigrammi tradotti dal greco da Francesco Negri veneziano. — 345 — Tipaldo (de) nob. Lettere due Apologetiche suU' Ermesianatle e Prolegomeni ad Esio- prof. Emilio. do, di Francesco Negri. ToJJòli Luigi. Tre Opuscoli intorno alla rabbia canina. » « Lettera sulle cause che da poco tempo intorbidano il Brenta. Vocabo- lario delle odierne nomenclature chimico-filosofiche. Tollemy pr. Slanisl. Saggio critico fondamentale scientifico intorno alla medicina. Voi. 4- Torre (dalla) Gius. Intorno alla fermentazione alcoolica. Torri do//. Àless. Giulietta e Romeo, novella storica di Luigi da Porto. « » Opere varie in verso e in prosa di Giuseppe Torelli. Voi. 2. Tonicelli con/. F. L' intenzione di Dante. « " Il magistero della divina Commedia osservalo ed esposto. Trevisan cent. Vi//. Prospetto della Flora Euganea. « » Sunti di tre memorie Algologiche. Traili Carlo. Aganadeca, Dramma storico per le nozze Mocenigo-Spaur. Valhusa mons.prof. ^ _,. .,, 1 i- . i ,• t\- ■ 1 '^ -^ La dignità degli studenti. Discorso inaugurale. > I CD D Angelo. j.ji Indicazione sopra Gastein e suoi stabilimenti. V allenzasca do//. Giuseppe. » » Sopra un digiuno cinquemensile. » » Delle malattie a cui per il loro uffizio vanno soggette le II. RR. Guardie di Finanza e conGne. f^ascoi/iab. Bar/. Codice pel regno de' bachi da seta. P eludo Giovanni. Saggio di traduzione delle favole di Fedro. Veludo Spiridione. Sei lettere d' Aristeneto tratte dal volgarizzamento inedito di Fran- cesco Negri. Venanzio do//. Gir. Elogio di Francesco Amalléo. » » Osservazioni sul fondamento del sistema dell'ab. Rosmini sull'origine delle idee. Ven/uri Antonio. Studi Micologici. V. B. Dell' Archivio antico dello studio di Padova. Informazione. Ven/ura Lorenzo. Distribuzione de' prcmii d' industria. Villa Ani. e Giamo. Note su alcuni insetti osservati nel periodo dell' Eclisse dell' 8 luglio 1842. Vivenotdoi/.Rodol. Cenni sopra Gastein, ed i suoi bagni. Jì ciglein do// Crisi. Frammenti di dietetica per i medici e non medici. TVìner cav. Frane. Un suo Discorso. Zacro nob. Teod. Sul merito dcgl' italiani che il vapore alle macchine primi applica- rono. Ateneo. Tou. V. 44 — 3iG — Zamagnacons. Mal. Idyllium in auspicalissimas nunptias Moscenici-Spaur. j; » Carmen elegiacum Fridericnni Arcliiduci Aiislrige. Zambelli doli. Giac. Sulle infermerie infaDlili da istituirsi presso gli Asili di Carità. n » Allocuzione alle educatrici dell'asilo di Carità per l'infanzia di Udine. 3j « Lettera sui nuovi isliluti di beneGcenza eretti in Udine ed in Trice- simo. Zamboni prof. Gius. Sull' Elettromotore perpetuo, istruzione teorico-pratica. Zanardini doli. Già. Saggio di Classificazione naturale delle Ficee. Zannier pr. Gio. M. Prose edite ed inedile del fu arciprete Antonio Baschiera. Zannini doli. Paolo. B'ìo^rsiiìs di Giuseppe Monlcsanlo. Zanon Bari. Memoria della solidificazione dei corpi animali. T> « Intorno iin punto della nuova dottrina di Pelletier relativamente al- l'influenza elettrochimica delle varie terre sulla vegetazione. « « Analisi dell' acqua minerale idrosolforosa di Valgrande, nel Comelico Superiore, provincia di Bellimo. Zanledesclii ab. prof.Memoùa sulle leggi fondamentali che governano 1' Elettro-magne- Francesco. tismo. » » Di alcune modificazioni fatte alla macchina magneto-elettrica di New- mann e degli speciali esperimenti eseguiti con essa. » M Relazione de' principali fenomeni osservati in Venezia nell'Eclisse solare dell' 8 luglio 1842. » 3; Osservazioni ed esperienze sulle condizioni e sulle leggi dei fenomeni elettro-termici dell'apparato Voltiano, e sulle cause che sono loro assegnale dai fisici. » 3) Tre articoli: Sull'elettro magnetismo, sul trasporto della materia pon- derabile e suir induzione fel-luro-clellrica. » « Dell'origine e progresso del magneto-elettricisrao, in risposta ad un ar- ticolo del prof, di Fisica Majocchi. » 3! Memorie sulla elettrotipia. 31 33 Dei nodi termo-elettrici dell'apparato voltiano. j> 53 Sopra alcuni fenomeni che presentano i poli di un elettro-motore vol- tiano. » 3» Sull'induzione dinamica a traverso involucri a diaframmi di ferro. » 3> Reclamo suH' indicaziononietro dinamico differenziale. 33 3> Sui conduttori bipolari e unipolari termo-elettrici. 33 38 Esperienze suH' origine dell' elettricità volliana. 33 3> Dell'azione reciproca di due correnti elettriche in un medesimo filo e in (ìli isolati vicinissimi. — 347 — Zan/edesc^i ab. prof. E\caco delle principali opere sticiilificbe dello stesso prof. Zante- Francesco. deschi. » « Trattalo di fisica elementare. Voi. i. Zeccliinelli doli. Racconto di Giuseppe Montesanto mantovano, e di ciò che egli Già. Maria. operò. » " Il Volume a. dell'Opera intitolala: Sull'angina del petto, e sulle morti repentine. ' ' Raccolta di Letture scientifiche ed amene risguardanti la Marina. n.pr. Gior. Foscolo Zigno (de) nob.Ach. Cenni sopra alcnni corpi organici che si osservano nelle infusioni. " " Memoria sulla giacitura dei terreni di sedimento del trivigiano. Ziliollo doti. Pietro. Sull' influenza della Polizia medica nella prosperità degli slati, e sulla dignità ed importanza della Farmacia. Zorutti Pietro. Poesie di Pieri Zorulli. Voi. i. Zorzi nob. Pietro. Poche favole dalla tedesca nell' italiana lingua recate. liXDICE DELLE MATERIE. Jsson doli. Michelangelo. Cadorin ab. Giuseppe. Calaci dott. Giuseppe. Canipilanzi Emilio. Carrer prof. Luigi. Diedo nob. cav. Antonio Fortis dott. Leone. Galvani Antonio di Domenico. Gamba Bartolommeo. Lazzari monsignor Giuseppe. Manin S. E. conte Leonardo. JUinotto nob. Giovanni. Considerazioni sopra l' embriotomia e il taglio cesareo. Memoria. . . Pag. 117 I miei studii negli Archivi. Discorso . » 20!) Cenni storici sui progressi della Civile Legislazione » 193 Sul!" Architettura ecclesiastica. Memo- ria » 437 Relazione degli Studii nelle Scienze Mo- rali, nelle Lettere e nelle Arti du- rante gli anni accademici 1859-40 e -1840-41 » 29 Sulle Altezze dei Vasi applicate alle Sa- ie, Stanze ed altri ambienti delle Case. Memoria » 131 Elogio del consigliere d'Appello Bot- tari » 299 Considerazioni sul Santoniuo, le quali guidar possono alla scelta d'un pro- cesso per la più facile di lui separa- zione dal Semen-Contra. Memoria » 89 I miei Autografi. Narrazione. ... » i73 Della Cristiade di Marco Girolamo Vi- da. Libro ni tradotto in versi ita- liani » 229 Esame del volume V delle Relazioni degli Ambasciatori Veneziani. Me- moria » 163 Relazione degli Studii Scientifici du- rante gli anni accademici 1859-40 e 1840-41 9 Relazione degli Studii Scientifici duran- te gli anni accademici 1841-42 e 1842-43 49 — 350 — I\'eu-IUaijr noi), doti. Antonio. Di Bartolommeo Gamba. Memoria . Pag. Paleocapa cav. Pietro. Esame di una Memoria del Commenda- tore Manelli sulla sistemazione stabile di Val di Chiana, ...» Renicr S. E. conte Daniele. Discorso sopra la Coltura in ogni tem- po dei Gentiluomini Veneziani , compresi i contemporanei e i vi- venti » » » Discorso intorno la Beneficenza Veneta. » Tipaldo (de) nob. cav. Emilio. Continuazione de' Ricordi Storici del- l'Ateneo di Venezia » » » Relazione dei lavori per la Classe del- le Lettere negli anni d 84 1-42 e 4842-43 » Trois dott. Enrico. Discorso per l' inaugurazione del Mo- numento di Aglietti » Elenco dei Socii ■ » Delle memorie lette negli anni accade- mici 4839-40, 4840-41, -1844-42 e 4842-43 » » » Delle Opere, memorie, ecc. ricevute in dono negli anni accademici 4839- 40, 4 840-41 , 4 844-42 e 4 842-43. » 287 433 4 43 m 64 75 343 323 333 4 li 'U/:'/ 9 Y ? ^.