/ E uscito m tutta nana il numero 20 a centesimi £3 5 CENT. - ILLUSTRATO - CENT. 5 È indubitato che oggi la parte maggiormente coltivata d’ogni lette¬ ratura è quella che riveste la forma del romanzo. Ogni mese volumi e volumi si pubblicano di autori noti e di autori novellini, che vengono a portare la loro pietra all’ innalzamento di questo grande monumento della letteratura contemporanea : il romanzo. Noi, nel novo periodico illustrato, pubblicheremo una serie di romanzi buoni e belli e, senza badare a scuole e a partiti, cureremo che siano sopratutto divertenti e adatti a dilettare ogni genere di lettori. Con questo concetto prestabilito, ci siamo già procurati la proprietà per la esclusiva pubblicazione in Italia di molti fra i migliori romanzi stranieri non mai ancora voltati nella nostra lingua e perciò sconosciuti alla massa del nostro pubblico; e abbiamo anche impegnato valenti scrittori del genere, ita¬ liani, a darci i loro lavori che pubblicheremo uno appresso all’ altro senza nessuna interruzione. Fra i molti romanzi, che già abbiamo in pronto, annunciamo il capolavoro di Chevalier, una lunga serie di meravigliose e importanti avventure fra i popoli sehaggi deH’America, dove l’intreccio intricatis¬ simo dei fatti mantiene sempre il lettore nella sospensione della curiosità fino all’ ultima pagina, intitolato : Piedi Meri: e Pelli: Resse Contemporaneamente pubblicheremo uno dei più bellf e più acclamati romanzi, per interesse e vivacità di narrazione, scritto dal forte ingegno di Giorgio Sand : TEVERINO E due dei romanzi di E. Montazio, scelti fra gli ottanta da lui dati all’Italia e tradotti poi in tutte le lingue, ricevendo dovunque lodi e ac¬ clamazioni che li facevano vendere edizioni sopra edizioni. Questi due romanzi sono, il primo IL COH AGGIO D' UN VIGLIACCO il secondo, dove è toccata anche bellamente la parte umoristica, intitolato : I 1,000 VERGINI Il ROMANZIERE PER TUTTI pubblicherà in seguito altri ro¬ manzi di Emilio Zola, F. Du Boisgobey, X. Di Montépin, Vittorio Ber- sezio, A. Daudet, H. De Balzac, C. Dickens, W. Collins, ecc. ecc. Si pubblicherà un numero ogni settimana, illustrato da splendide incisioni, in 8 pagine del formato della ILLUSTRAZIONE PER TUTTI a centesimi 5. — E i romanzi vi saranno pubblicati in modo da poter fare di ognuno un volume a sè. fi ABBONAMENTO ANNUO = Per l’Italia L. 3,00 — Per l’Estero L. 4,00 [j Dirigere Commissioni e Vaglia all’ editore Edoardo Per ino - Roma. m LA GENERAZIONE DEGLI INSETTI BIBLIOTECA SCIENTIFICA DIRETTA DAI PROFESSORI MARIO LESSONA E LORENZO CAMERANO ESPERIENZE DI FRANCESCO REDI * <« ROMA EDOARDO PERINO, TIPOGRAFO-EDITORE Piasi setta e Vicolo Sfi ai' fa* ©2 1885. \ ESPERIENZE INTORNO ALLA GEIERAZIOKE DEGLI INSETTI DI FRANCESCO REDI * 9 ♦ Mio signoee. E’ non ha dubbio alcuno che nell’ intendimento delle cose naturali dati sono dal supremo architetto 1 sensi alla ragione, come tante finestre o porte, per le quali, o ella si affacci a mirarle, o elleno entrino a farsi cono¬ scere. Anzi, per meglio dire, sono i sensi tante vedette o spiatori, che mirano a scoprire la natura delle cose, e ’1 tutto riportano dentro alla ragione: la quale da essi ragsruagliata, forma di ciascuna cosa il giudizio altret¬ tanto chiaro e certo, quando essi sono più sani e ga¬ gliardi e liberi da ogni ostacolo ed impedimento. Onde acciocché restino sincerati, molto spesso ci avviciniamo o ci discostiamo, mutando lume e posto a quelle cose che da noi si riguardano, e molte altre azioni facciamo, non solamente per soddisfare la stessa vista, ma e l’odo¬ rato e ’l gusto e l’udito e ’l tatto, in guisa tale ch’e’ non è uomo alcuno, il quale abbia fior d’ingegno, che ricer- ' & 6 Bibli oteca Scientifica chi dalla ragione il giudizio delle cose sensibili per al¬ tra via, che per quella più facile e più sicura da’ propri sensi aperta e spianata. Per lo che ottimamente, a mio credere, disse colui, che se alla nostra natura si desse l’elezione, ovvero qualche mente superiore ricercasse da essa, se sia contenta de’ suoi sensi incorrotti ed interi, o se pure cosa miglior desideri, ei non vedeva eh’ ella potesse domandar di vantaggio. Di così proporzionati strumenti guernito l'uomo, chi non vede quanto travie¬ rebbe, se. la verità della storia naturale ansiosamente ricercando, ponesse da banda il chiarir bene i sensi; e sovra una superficiale e lieve apprensione de’ propri, o non sincera ed appassionata relazione degli altrui, fa¬ cesse fare alla ragione l’uffizio suo; la quale, ingannata da’ sensi male informanti, pronunziar potrebbe una pre¬ cipitosa e fallace sentenza. Quindi avviene che niuno è in oggi nelle filosofiche scuole sì giovane, che non porti un così fatto parere, instiliato dalla natura stessa e det¬ tato da quegli antichi savissimi uomini che nelle cose della filosofia sentirono molto avanti; tra' quali quql grandissimo ingegno che tutto seppe e di tutto maravi¬ gliosamente seppe scrivere, nel secondo del Paradiso ebbe a dire : Ella sorrise alquanto, e poi : s’egli erra L’opinion, mi disse, de’ mortali, Dove chiave di senso non disserra; Certo non ti dovrien punger li strali H*» D’ammirazione ornai; poi dietro a’ sensi Vedi, che la ragione ha corte l’ ali. Ha corte l’ali la ragione andando dietro a’ sensi, pei' chè, più oltre di quello ch’eglino apprendono, ella in co- tale in hiesta non può comprendere. E s’ ella stessa è così debole, anche quando è fatta forte da’ sensi, per penetrare nel segreto delle mondane cose ; quanto sarà di peggior condizione, priva del necessario aiuto di quegli? Se i sensi, dunque, non battono bene la strada, se non iscuoprono bene il paese, se non s’informano bene di tutto quello che passa nella natura, e s’alla ragione non por¬ gono la mano; che maraviglia poi, se o per balze stra¬ bocchevoli ed oscure ella s’ incammini, o se ne’ lacci 7 é La Generazione degli Insetti 7 delle fallacie e negli agguati degli errori si trovi colta ed inviluppata ? Laonde ancorché io con più fervore di animo che con altezza d’ingegno seguitati abbia gli studi della filosofia, nientedimeno ho posta sempie ogni pos¬ sibile pena ed ogni sollecitudine in far sì, che gli occhi miei corporali in paiticulare si soddisfacciano bene, prima per mezzo di accurate e continue esperienze, e poi som¬ ministrino all’estimazione della mente materia di filoso¬ fare. Per questa via, quantunque per avventura ai per¬ fetto conoscimento di niuna cosa io sia arrivato, con tutto ciò son pervenuto tant’oltre, che m’avveggio e so che di molte cose, le quali io mi dava ad intendere di sapere, ne sono del tutto ignorante: e se talvolta scuo- pro evidentemente qualche menzogna, o dagli antichi scritta o da’ moderni creduta, ne sto così dubbioso ed irresoluto, ch’appena m’ardisco farne motto senza l’ami¬ chevole consiglio di saggi e prudenti amici. Che perciò, avendo ora di fresco fatte molte esperienze e molte in¬ torno al nascimento di que’ viventi che infino al dì d’oggi da tutte le scuole sono stati creduti nascere a caso e per propria loro virtude, senza paterno seme ; non fidan¬ domi di me medesimo © volendo pur ad altrui conferirle, m’è venuto in mente di ricorrere a voi, o signor Carlo, che per vostra mercè m’avete dato luogo tra’ vo¬ stri più cari amici ; a voi dico, in cui tutti gli uomini dotti veggon rispìendere un sovrano sapere dalla filo¬ sofia fatto robusto e da varia erudizione così nobilmente adornato, che pregiandosene la nostra Toscana, non in¬ vidia i Vammi al Lazio, ed i Plutarchi alla Grecia. Io vi prego dunque a prendervi la fatica di leggere nell’ore meno occupate questa mia lettera, ma di leggerla con animo di dirmene il vostro sincerissimo parere, e con esso di darmi quegli ch’io vi chieggio, amorevoli ed al vostro solito dottissimi consigli, coll’aiuto de’ quali riu¬ scendomi di tòr via il troppo ed il vano, ed aggiugnendo ciò che sarebbe di mestiere, Forse che ancor con più solerti studi Poi ridurrò questo lavor perfetto. Crederono molti che questa bella parte dell’ universo che noi comunemente chiamiamo terra, tosto che dalla 8 Biblioteca Scientifica mano dell’eterno maestro uscì stabilita, o in qualsisia altro modo, col quale follemente farneticassero che ciò potesse essere avvenuto, crederono, dico, che ella in quello stesso momento cominciasse a vestirsi da se me- desima d’una certa verde lanugine somigliantissima a quella vana peluria ed a quel primo pelame, di cui, su¬ bito che nati sono, si veggon ricoperti gli uccelli ed i quadrupedi ; e che poi a poco a poco quella verde la¬ nugine, dalla luce del sole e dall’alimento materno fatta più vigorosa e più robusta, si cangiasse e crescesse in erbe ed in alberi fruttiferi, abili a somministrare il nu¬ trimento a tutti gli animali che la terra avrebbe poscia prodotti; e dicono che ella cominciasse dalle viscere sue a produrne di tutte quante le spezie, cioè dall’ele¬ fante intino alle più minute e quasi invisibili bestiuole: ma che non contenta della generazione degli animali ir¬ ragionevoli volesse ancor la gloria, che gli uomini stessi in quei primi tempi la riconoscessero per madre. Onde affermano gli stoici, come racconta Lattanzio, che In tutte le montagne, in tutte le colline e pianure si vedeano spuntar fuora gli uomini, come veggiamo nascere i fun¬ ghi Vero è che non fu di tutti opinione, che e’ nasces¬ sero da per tutto, ma in una sola e determinata parte o provincia : quindi gli Egizi, gli Etiopi ed i Frigi dona¬ vano questo vanto al lor proprio paese, ed al loro an¬ cora gli Arcadi, 1 Fenici e gli abitatori dell' Attica; tra i quali gli Ateniesi, per dare un contrassegno che in Grecia i primi padri delFuman genere fossero nati da se medesimi, in quella maniera che dalla terra si crede che ancor oggi nascano le cicale, portavano, com’è noto, su’ capelli alcuni fermagli d’oro in forma di cicale effi¬ giati ; e Platone nel Menexeno , e Diogene Laerzio nel proemio delle Vite de’ tìlosolì concedono anch’ essi al paese de’ Greci quest’onore delFavervi la terra partoriti i primi uomini. Ma in qualsisia paese che potessero es¬ ser nati, fu dottrina d’ Archelao scolare d’ Anassagora, che non ogni terrenello magro ed arenoso, non ogni morto sabbione fosse il caso; ma che ci volea una ma¬ niera di terreno caldo ed allegro e di sua natura pode¬ roso a germinare, producente una certa poltiglia simile al latte, e che in vece di latte potesse alle bestie ed a gli uomini somministrare il primo alimento. La Generazione degli Insetti 9 Questi viventi, per testimonianza d'Empedocle e d’Epi- curo, ne* primi giorni del mondo alla rinfusa nascevano senz’ordine e senza regola dagli uteri della terra, madre non ancor ben esperta di questo mestiere. Nè furono soli que’due gran savi ad aver così strana opinione; impe¬ rocché fu tenuta anticamente da multi, ed in particu- lare dal Rodio Apollonio nel quarto dell’ argonautiche imprese. Non le belve voraci all’altre belve, Nè l’uomo all’uomo era simil; scambiati Confusamente l'un l’altro le membra Andavan, come dalle stalle in frotta Sbucan le gregge al pasco: in questa guisa La terra stessa germinò dal fango Con miste membra i primi abitatori. Sicché talvolta vedevansi animali senza bocca e senza braccia, altri senz’occhi e senza gambe ; alcuni con istrano innesto di mani e di piedi brancolavano, privi di ventre e di testa; molti nascevano col capo d’uomo e coll’altre membra di fiera; alcuni aveano l’anteriori parti di fiera e le diretane d’uomo: e certi altri erano forse fatti, come descritti furono da’ poeti il minotauro di Creta, la sfinge, la chimera , le sirene e l’alato cavallo di Perseo; o pure come quel favoloso Atlante di Carena, di cui 1’ Ariosto Non è finto il destrier, ma naturale, Ch’una giumenta generò d’un grifo; Simile al padre avea la piuma e l’ale, Li piedi anteriori, il capo e ’l grifo; In tutte l’altre membra parea quale Era la madre, e chiamasi Ippogrifo. Ma questa gran madre accorgendosi che sì fatti ab¬ bozzi di generazioni mostruose non erano nè buoni nè durevoli, ed essendosi già con essi a bastanza dirozzata, e fattasi, per così dire, maestra più pratica, produceva poscia gli uomini e gli altri animali tutti nella loro ipezie perfetti : e gli uomini, secondo che recita Demo¬ crito, nascevano quasi tanti piccioli vermi, che a poco a poco ed insensibilmente 1’ umana figura prendevano ; 10 Biblioteca Scientifica ovvero, come diceva Anassimandro, scappavano dal seno materno rinchiusi dentro a certe ruvide cortecce spinose, non molto forse dissimili da quei ricci, co’ quali dal ca¬ stagno vestiti sono i propri suoi frutti. Dottrina da que¬ sta diversa fu predicata da Epicuro e da’ seguaci suoi, i quali vollero che dentro agli uteri della terra se ne stes¬ sero gii uomini e gli altri animali tutti rinvolti in certe membrane, dalle quali rotte e lacerate nel tempo della maturità del parto uscivano ignudi, ed ignudi ancora e non offesi da caldo o da gelo andavano or qua ed or là suggendo i primi alimenti della madre; la quale avendo per qualche tempo durato ad essere di così maravigliose generazioni feconda, in breve, quasi fatta vecchia e sfrut¬ tata, diventò sterile ; e non avendo più forza da poter generare gli uomini e gli altri grandi animali perfetti, le rimase però tanto di vigore da poter produrre (oltre le piante che spontaneamente senza seme si presuppone che nascano) certi altri piccioli animaletti ancora; cioè a dire le mosche, le vespe, le cicale, i ragni, le formiche, gli scorpioni e gli altri tutti bacherozzoli terrestri ed aerei, che da’ Greci sv.Toua £<3a, e da’ Latini insecta ani- malia furono chiamati. Ed in questo convengono tutte quante le scuole o degli antichi o de’ moderni filosofi, e costantissimamente insegnano, che infino al giorno d’oggi eli’ abbia continuato a produrne, e sia per continuare quanto durerà ella medesima. Non son però d’accordo nel determinare il modo, come questi insetti vengano generati, o da qual parte piovano l’anime in essi : im¬ perocché dicono, che non è sola la terra a possedere questa nascosta virtude, ma che la posseggono ancora tutti gli animali e vivi e morti e tutte le cose dalla terra prodotte, e finalmente tutte quelle che sono in pro¬ cinto, putrefacendosi, di riconvertirsi in terra; e per possente cagione adducono alcuni la putredine stessa, ed altri la naturale cozione; e molti a queste cagioni, secondo la diversità delle loro sètte e de’ loro pensieri ne congiungono molt’altre che attive ed efficienti appel¬ lano ; come sarebbe a dire l’anima universale del mondo, l’anima degli elementi, l’idee, l'intelligenza donatrice delle forme, il calore de’ corpi putrefatti, il calore dell’ am¬ biente e del cielo, e del medesimo cielo il moto, la luce e le superiori mrìuenze ; non essendovi mancato chi ab- La Generazione degli Insetti 11 bia detto la generazione di -utti gli entomati es er fatta dalla virtù generatrice dell’anima sensitiva e vegetabile, della quale alcuni piccoli avanzi per qualche tempo dopo la morte rimangono ed abitano ne’ cadaveri degli ani¬ mali e delle piante; e mentre quivi da un calor debolis¬ simo rattenute se ne stanno come in vaso oziose e quasi addormentate, sopravvenendo il calore ambiente e di¬ sponendo la materia, si risentono quegli estremi residui d’anime e si risvegliano a dar novella vita a quella cor¬ rotta materia e organizzarla in foggia di proprio stru¬ mento. Egli c’è ancora un’ altra maniera di savie genti, le quali tennero e tengono per vero, che tal generazione derivi da certi minimi gruppetti ed aggregamenti di atomi, i quali aggregamenti sieno i semi di tutte quante le cose, e di essi semi le cose tutte sien piene. E che ne sieno piene lo confessano ancora molti altri, dicendo che si fatte semenze nel principio del mondo furono create da Dio, e da lui per tutto disseminate e sparse, per render gli elementi fecondi, non già d’una fecondità momentanea e mancante, ma bensì durevole al pari degli elementi stessi, ed in questa maniera dicono, potersi in¬ tendere quello che ne’ sacri libri si legge, avere Iddio create tutte le cose insieme. Ma quel grandissimo filo¬ sofo de’ nostri tempi, l’immortale Guglielmo Arveo, an¬ cor egli ebbe per fermo, che fosse a tutti quanti i vi¬ venti cosa comune il nascere dal seme, come da un uovo, o che venga questo seme dagli animali della medesima spezie, o che d’altronde a caso derivi e proceda. Quippe omnibus viventibus id commune est (dice egli), ut ex semine, ceu ovo, originem ducant , sire semen illud ex aliis ejusdem speciei proceda! , sive casu aliunde adve - niat. Quod enim in artes aliquando usu venit , id idem quoque in natura contingit : nempe, ut eadem casu sive fortuito eveniant quce alias ab arte effciuntur : cujus rei ( apud Arist.) exemplum est sanitas. Similiterque se habet generalo ( quatenus ex semine » quorumlibet ani- malium ; sive semen eorum casu adsit, sice ab agente univoco ejusdemque generis proveniat. Quippe etiarn in semine fortuito inest principium generationis motivum , quod ex se et per se ipsum procreet ; idemque , quod in animalium congenerum semine reperitur ; potens sciììcet animai efformare. E prima avea detto, quegli invisibili 12 Biblioteca Scientifica semi, quasi atomi per 1’ aria volanti, esser da’ venti or qua ed or là disseminati e sparsi, ancorché mai non si dichiari donde e da chi abbiano la loro origine; sola¬ mente pare che si raccolga dalle suddette citate parole, che egli creda che quei semi fortuiti volanti per 1’ aria trasportati da’ venti procedano e nascano da un agente non già univoco , per parlar con le squole, ma bensì equivoco : ed in miglior maniera forse e con più soda e stabil chiarezza letto avrebbe la sua opinione, se tra i tumulti delle guerre civili non gli fossero andate male, con deplorabile pregiudicio di tutta la repubblica filoso¬ fica, quelle molte osservazioni che intorno a questa ma¬ teria egli avea raccolto e notate. Se bene a molti sem • brerà cosa dura e malagevole a credere, che 1’ Arveo potesse dare nel segno , imperciocché ostinatamente af¬ fermano, che la cagione efficiente procreatrice degli in¬ setti naturalmente additar non si possa : onde il più sot¬ tile di tutti i filo-oli de’ secoli trapassati, dopo averla nel mondo nostro indarno cercata, ebbe a dire, la cagione immediata premorente la generazione degl’insetti, e pro- ducente mila mater a disposta le loro anime, non essere altra, che la mano onnipotente di colui, il saper del quale tutto trascende, c'oè a dire, Iddio ottimo e gran¬ dissimo ; dal quale parimente essere infuse Tanime in tutti gli animali volanti, fu opinione di Ennio, se cre¬ diamo a Varrone, che nel quarto libro della lingua la¬ tina scrisse : Ova pavide solet geni/,’ penneis condecoratum ; Non animas, ut ait Ennius ; et post : Inde vend diviniti i' pulìeis Insinuans se ipsa anima . Quindi alcuni altri soggiungono, maraviglia non essere, se Galeno modestamente ne’ suoi libri confessasse di non aver mai saputo ritrovarla, e che perciò porgesse pre¬ ghiere a turiti i filosofi, se mai vi s’imbattessero, di volere a lui darne la notizia ; egli però contro l’opinione dei platonici confessa di non poter indursi a credere, che quella possanza e quella sapienza, che fa produrre gli animali perfetti, sia quella stessa, la quale si abbassi a La Generazione dagli. Insetti 13 formare gli scorpioni. Se mosche, i vermi, i lombrichi ed altri somiglianti, che imperfetti dagli scolastici sono ap¬ pellati. Qual sia la vera tra tante opinioni, o qual, per lo meno, più dell’altre alla verità si sia avvicinata, io per me non saprei indurmi a dirlo ; e con è ora di mia possanza nè di mia intenzione il deciderlo ; e se vengo a palesarvi la credenza ch’io ne tengo, lo fo con animo peritoso e con temenza grandissima, parendomi sempre di sentirmi intonare agli orecchi ciò che già dal nostro divino poeta fu cantato : Sempre a quel ver, c’ha faccia di menzogna, Dee Tuoni chiuder le labbra quanto ei puote ; Però che senza colpa fa vergogna. Pure contentandomi sempre in questa ed in ciascuna altra cosa da ciascuno più savio, là dove io difettosa¬ mente parlassi, esser corretto, non tacerò, che per molte osservazioni molte volte da me fatte mi sento inclinato a credere, che la terra, da quelle prime piante e da quei primi animali in poi, che ella nei primi giorni del mondo produsse per comandamento del sovrano ed onnipotente fattore, non abbia mai più prodotto da se medesima nè erba nè albero nè animale alcuno, perfetto o imperfetto che ei si fosse ; e che tutto quello che ne’ tempi trapas¬ sati è nato, e che ora nascere in lei o da lei veggi amo, venga dalla semenza reale e vera delle piante e degli animali stessi, i quali col mezzo del proprio seme la loro spezie conservano. E se bene tutto giorno scorghiamo da’ cadaveri degli animali, e da tutte quante le maniere delTerbe e de’ fiori e dei frutti, imputriditi e corrotti, nascere vermi infiniti ; Nonne vides , quaecunque mora , fluidoque calore Corpora tabescunt. in parva ammalia ver ti? io mi sento, dico, inclinato a credere, che tutti quei vermi si generino dai seme paterno; e che le carni e l’erbe e l’altre cose tutte putrefatte o putrefattibili non facciano altra parte nè abbiano altro ufizio nella generazione degli insetti, se non d’apprestare un luogo o un nido propor¬ zionato, in cui dagli animali nel tempo della figliatura 14 Biblioteca Scientifica sieno portati e partoriti i vermi o l’uova o l’altre se¬ menze dei vermi ; i quali tosto che nati sono trovano in esso nido un sufficiente alimento abilissimo per nutri¬ carsi : e se in quello non son portate dalle madri queste suddette semenze, niente mai e replicatamente niente vi s’ingeneri e nasca. Ed acciocché, o signor Carlo, ben pos¬ siate vedere, che quello è vero ch’io vi dico, vi favellerò ora minutamente d’ alcuni pochi di questi insetti, che, come più volgari, a gli occhi nostri son noti. ^Secondo adunque ch’io vi dissi, e che gli antichi ed i novelli scrittori e la comune opinione del volgo voglion dire, ogni fracidume di cadavero corrotto ed ogni sozzura di qualsisia altra cosa putrefatta ingenera i vermini e gli produce; sicché volendo io rintracciarne la verità, fin nel principio del mese di giugno feci ammazzare tre di quelle serpi, che angui d'Esculapio s’appellano ; e tosto che morte furono, le misi in una scatola aperta, accioc¬ ché quivi infracidassero ; nè molto andò di tempo, che le vidi tutte ricoperte di vermi che avean figura di cono, e senza gamba veruna, per quanto all’occhio appariva, i quali vermi attendendo a divorar quelle carni, andavano a momenti crescendo di grandezza; e da un giorno al¬ l’altro, secondo che potei osservare, crebbero ancora di numero : onde, ancorché fossero tutti della stessa figura d'un cono, non erano però della stessa grandezza, essendo nati in più e diversi giorni. Ma i minori d’accordo coi più grandi, dopo d’aver consumata la carne, e lasciate intatte le sole e nude ossa, per un piccolo foro della scatola che io avea serrata se ne scapparon via tutti quanti, senza che potessi ritrovar giammai il luogo dove nascosti si fossero: per lo che fatto più curioso di ve¬ dere qual fine si potessero aver avuto, di nuovo il di un¬ dici di giugno misi in opra tre altre delie medesime serpi ; su le quali, passati che furono tre giorni, vidi ver- micciuoli, che d’ora in ora andarono crescendo di numero e di grandezza, ma però tutti della stessa figura, ancorché non tutti dello stesso colore, il quale ne’ maggiori per di fuora era bianco, e ne’ minori pendeva al carnicino. Finito che ebbero di mangiar quelle carni, cercarono an¬ siosamente ogni strada per potersene fuggire ; ma avendo io benissimo serrate tutte le fessure, osservai che il giorno diciannove dello stesso mese alcuni de’ grandi e de’ pie- La Generazione degli Insetti 15 coli cominciarono, quasi addormentatisi, a farsi immobili; quindi raggrinzandosi in se medesimi, insensibilmente pigliarono una figura simile all’uovo, ed il giorno ventuno si erano trasformati tutti in quella figura d’uovo di color bianco da principio, poscia dorato, che a poco a poco diventò rossigno, e tale si conservò in alcune uova ; ma in altre andando sempre oscurandosi, alla fine diventò nero : e l’uuva tanto nere quanto rosse, arrivate a questo segno, di molli e tenere che erano, diventarono di guscio duro e frangibile; onde si potrebbe dire, che abbiano qualche somiglianza con quelle crisalidi o aurelie o ninfe che se le chiamino, nelle quali per qualche tempo si tra¬ sformano i bruchi, i bachi da seta ed altri simili insetti. Per io che, fattomi più curioso osservatore, vidi, che tra quell’uova rosse e queste nere v’era qualche diffe¬ renza di figura, imperciocché, se ben pareva che tutte ndifferentemente composte fossero quasi di tanti anelletti, congiunti insieme, nulla di meno questi anelli erano più scolpiti e più apparenti nelle nere che nelle rosse, le quali a prima vista parevano quasi lisce, ed in una delle estremità non avevano, come le nere, una certa piccola concavità, non molto dissimile a quella de’ limoni o di altri frutti, quando sono staccati dal gambo. Riposi que- st’uova separate e distinte in alcuni vasi di vetro ben serrati con carta, ed in capo agli otto giorni da ogni uovo di color rossigno. rompendo il guscio, scappava fuora una mosca di color cenerognolo, torbida, sbalordita e, per cosi dire, abbozzata e non ben finita di farsi, con l’ale non ancora spiegate, che poi nello spazio dnn mezzo quarto d’ora cominciando a spiegarsi, si dilatavano alla giusta proporzione di quel corpicello, che anch’esso in quel tempo s’era ridotto alla conveniente e naturale simmetria delle parti ;' e quasi tutto raffazzonatosi, avendo lasciato quello smorto colore di cenere, si era vestito d’un verde vivissimo e maravigliosamente brillante; ed il corpo tutto erasi così dilatato e cresciuto, che impossibile parea il poter credere, come in quel piccolo guscio fosse mai po¬ tuto capire. Ma se nacquero queste verdi mosche dopo gli otto giorni da quell’uova rossigne, da quell’altre uova poi di color nero penarono quattordici giornate a na¬ scere certi grossi e neri mosconi listati di bianco, e col ventre peloso e rosso nel fondo, di quella razza istessa, 16 Bili ioteca Scientifica la quale vediamo giornalmente ronzare ne’ macelli e per le case intorno alle carni morte ; ed allora che nacquero erano mal fatti e pigrissimi di moto, e coll’ali non Spie¬ gate, come avvenuto era a quelle prime verdi, che di sopra ho mentovate. Non però tutte quell’uova nere na¬ cquero dopo quattordici giorni ; anzi che una buona parte indugiarono a nascere tino al vigesimoprimo ; nel qual tempo ne scapparono fuora certe bizzarre mosche in tutto dalle due prime generazioni differenti e nella grandezza e nella figura, e da niuno Storico giammai, che io sappia, descritte : imperocché elle son molto minori di quelle mosche ordinarie, che le nostre mense frequentano ed infestano ; volano con due ali quasi d’argento, che la grandezza non eccedono del loro corpo, che è tutto nero, di color ferrigno brunito e lustro nel ventre inferiore, il quale rassembra nella figura a quello delle formiche alate, con qualche rado peluzzo mostrato dal microscopio. Due lunghe corna o antenne (così ie chiamano gli scrittori dell’istoria naturale) su la testa s’mnalzano : le prime quattro gambe non escono dall’ordinario dell’altre mo¬ sche ; ma le due diretane sono molto più lunghe e più grosse di quello che a sì piccolo corpicciuoio parrebbe convenirsi ; e son fatte per appunto di materia crostosa simile a quella delle gambe dell i locusta marina ; hanno lo stesso colore, anzi più vivo, e così rosso, che porte¬ rebbe scorno al cinabro ; e tutte punteggiate di bianco, paiono un lavoro di finissimo smalto. Queste così differenti generazioni di mosche uscite da un solo cadavere non m’appagarono l’iQtelletto, anzi sti¬ molo mi furono a far nuove esperienze : ed a questo fine apparecchiate sei scatole senza coperchio, nella prima riposi due delle suddette serpi, nella seconda un piccion grosso, nella terza due libbre di vitella, nella quarta un gran pezzo di carne di cavallo, nella quinta un cappone, nella sesta un cuore di casrrato ; e tutte in poco più di ventiquattrore inverminarono : e i verno, passati che fu¬ rono cinque o sei giorni dal loro nascimento, si trasfor¬ marono al solito in uova ; e da quelle delle serpi, che tutte furono rosse e senza cavità, nacquero in capo a dodici giorni alcuni mosconi turchini, ed alcuni altri violati. Da quelle del piccion grosso, delle quali alcune erano rosse ed altre nere, nacquero dalle rosse in capo La Generazione degli Insetti 17 agli otto giorni mosche verdi, e dalle nere nel decimo- quarto giorno, avendo rotto il guscio in quella punta dove non è la concavità, scapparon f'uora altrettanti mosconi neri listati di bianco ; e simili mosconi listati di bianco si videro usciti nell’istesso tempo da tutte quell’altr’uova delle carni della vitella, del cavallo, del cappone e del cuore di castrato; con questa differenza però, che dal cuor di castrato, oltre i mosconi neri listati di bianco, ne nacquero ancora alcuni di que’ turchini e di quei violati. In questo mentre riposi in un vaso di vetro certi ra¬ nocchi di fiume scorticati , e lasciato aperto il vaso e riconosciutolo il seguente giorno, trovai alcuni pochi vermi che attendevano a divorargli, e alcuni altri nuo¬ tavano nel fondo del vaso in cert’acqua scolata dalla carne de’ suddetti ranocchi. Il giorno appresso erano i bachi tutti di statura cresciuti ; e n’erano nati infiniti altri, che pur nuotavano sotto ed a galla di quell’acqua, dalla quale talvolta uscendo andavano a cibarsi sopra l’ultime reli¬ quie di quei ranocchi ; e nello spazio di due giorni aven¬ dole consumare, se ne stavano poscia tutti nuotando e scherzando in quel fetido liquore; e talvolta sollevan¬ dosene tutti molli ed imbrattati, ancorché non avessero gambe, salivano serpeggiando a lor voglia, scendevano e s’aggiravano intorno al vetro, e ritornavano al nuoto, infin a tanto che non essendomene accorto in tempo, vidi il susseguente giorno, che superata l’altezza del vetro tutti quanti se n’erano fuggiti. In quello stesso tempo furono riserrati da me alcuni di quei pesci d’Arno, che barbi s’appellano, in una scatola tutta traforata, e chiusa con coperchio traforato esso ancora; e quando passato il corso di quattr’ore l’apersi, trovai sopra i pesci una innumerabile moltitudine di vermi sottilissimi, e nelle congiunture della scatola, per di dentro ed all’intorno di tutti i buchi, vidi appiccate ed ammucchiate molte pic¬ colissime uova ; delle quali, essendo altre bianche ed altre gialle, schiacciate da me fra l’unghia, sgretolandosi il guscio, gettavano un certo liquore bianchiccio più sot¬ tile e men viscoso di quella chiara che si trova nell’uova de’ volatili. Raccomodata la scatola come in prima ella si stava, ed il dì vegnente riapertala, mirai che da tutte quell’uova erano nati altrettanti vermi, e che i gusci voti 2 — Insetti. 18 Biblioteca Scientifica stavano per ancora attaccati là. dove furono partoriti ; e quei primi bachi veduti il giorno avanti eran cresciuti di grandezza al doppio. Ma quello che più mi sembrò pieno di maraviglia, si fu, che il seguente giorno arri¬ varono a tal grandezza, che ciascuno di loro pesava in¬ torno a sette grani ; e pure il giorno avanti ne sareb- bono andati venticinque e trenta al grano : ma gli altri usciti deli’ uova èrano piccolissimi ; e tutti insieme, quasi in un batter d’occhio, flniron di divorare tutta quanta la carne de’ pesci, avendo lasciate le lische e Tossa cosi bianche e pulite, che parevano tanti scheletri usciti dalla mano «lei più diligente notomista d'Europa. E quei bachi posti in luoghi di dove non potessero fuggire, an¬ corché sollecitamente se n’ingegnassero, dopo che furon passati cinque o sei giorni dalla loro nascita, diventarono al solito altrettante uova, altre rosse, altre nere, e tanto quelle quanto queste, di differente grandezza ; dalle quali poi ne’ giorni determinati uscirono fuori mosche verdi, mosconi turchini ed altri neri listati di bianco; ed altre mosche ancora, di quelle che, simili in qualche parte alle locuste marine ed alle formiche alate, di sopra ho de¬ scritte. Oltre queste quattro ra:.ze, vidi ancora otto o dieci di quelle mosche ordinarie, che intorno alle nostre mense ronzano e s’aggirano : e perchè, passato il ventu¬ nesimo g:orno, m’accorsi che tra l’uova nere più grosse ve n’erano alcune che por ancora non eran nate, le se¬ parai dall’altre in differente vaso, e due giorni appresso cominciarono da quelle ai uscir fuora certi piccolissimi e neri moseherini, il numero de’ quali in due altri giorni essendo divenuto di gran lunga maggiore di quello del- l’uova, apersi il vaso, e rotte cinque o sei di queii’uova istesse, le trovai piene zeppe dei suddetti moseherini a tal segno, che ogni guscio n’avea per lo meno venticinque o trenta ed al più quaranta. E continuando a far simili esperienze molte e molt’altre volte, or colie carni e crude e cotte del toro, del cervio, dell’asino, del bufalo, del leone, del tigre, del cane, del capretto, dell’agnello, del daino, della lepre, del coniglio, del topo, or con quelle del.a gallina, del gallo d’india, dell’oca, dell’anitra, della cotornice, della starna, del rigogolo, della passera, della rondine e del rondone, e lìnalmente con varie maniere di pesci, come tonno, ombrina, pesce spada, pesce lamia^ La Generazione degli Insetti 19 sogliola, muggine, luccio, tinca, anguilla, gamberi di mare e di fiume, granchi ed arsele sgusciate, sempre indiffe¬ rentemente ne nacque ora l’una ora l’altra delle suddette spezie di mosche, e talvolta da un solo animale tutte quante le mentovate razze ins’eme ; ed oltre ad esse molte altre generazioni di moscherim neri al colore, alcuni dei quali erano così minuti, che a pena dagli occhi poteano esser seguiti per la piccioiezza loro; e quasi sempre io vidi su quelle carni e su quei pesci, ed intorno ai forami delie scatole dove stavan riposti, non solo i vermi, ma ancora l’uova, dalle quali, come ho detto di sopra, na¬ scono i vermi. Le quali uova mi fecero sovvenire di que- cacchioni, che dalle mosche son fatti o sul pesce o sulla carne, che divengon poi vermi ; il che fu già benissimo osservato da' compilatori del vocabolario della nostra Accademia, e si osserva parimente da’ cacciatori nelle fiere da loro negli estivi giorni ammazzate, e da’ ma¬ cellai e dalle donnicciuole, che, per salvar la state le carni da quest’immondizm, le ripongono nelle moscaiuole, e con panni bianchi le ricoprono. Laonde con molta ra¬ gione il grande Omero nel libro diciannovesimo dell’Iliade fece temere ad Achille, che le mosche non imbrattassero co’ vermi le ferite del morto Patroclo, in quel tempo che egli s’accingeva a farne contro d’Ettore la vendetta. Dice egli parlando con Tetide, Ma timor mi grava, Che nelle piaghe di Patroclo intanto Vile insetto non entri, che di vermi Generato**, la salma (ahi ! senza vita) Ne guasti sì. che tutta imputridisca. (Traci, di Vincenzo Monti.) E perciò la pietosa madre gli promesse, che colla sua di¬ vina possanza avrebbe tenute lontane da quel cadavere l’im- pronte schiere delle mosche ; e contro l’ordine della natura l’avrebbe conservato incorrotto ed intiero anco per lo spazio d’un anno: Pensier di questo non ti prenda, o figlio, Gli rispose la Dea: l’infesto sciame Divoratore de’ guerrieri uccisi 20 Biblioteca Scientifica Io ne terrò lontano. Ov’ anco ei giaccia Intero un anno, farò sì che il corpo Incorrotto ne resti e ancor più bello. (1) Di qui io cominciai a dubitare, se per fortuna tutti i bachi delle carni dal seme delle sole mosche derivassero, e non dalle carni stesse imputridite; e tanto più mi con¬ fermava nel mio dubbio, quanto che in tutte le genera¬ zioni da me fatte nascere sempre avea io veduto sulle carni, avanti che inverminassero, posarsi mosche ciella stessa spezie di quelle che poscia ne nacquero: ma vano sarebbe stato il dubbio, se l’esperienza confermato non l’avesse. Imperciocché a mezzo il mese di luglio in quattro fiaschi di bocca larga misi una serpe, alcuni pesci di fiume, quattro anguillette d’Arno ed un taglio di vitella di latte; e poscia, serrate ben.ssimo le bocche con carta e spago e benissimo sigillate, in altrettanti fiaschi posi altrettante delle suddette cose, e lasciai le bocche aperte: nè molto passò di tempo, che i pesci e le carni di questi secondi vasi diventarono verminose, ed in essi vasi ve¬ de van si entrare ed uscir le mosche a lor voglia. Ma nei fiaschi serrati non ho mai veduto nascere un baco, an¬ corché sieno scorsi molti mesi dai giorno che in essi quei cadaveri furono serrati: si trovava però qualcne volta per di fuora sul foglio qualche cacchione o vermic- ciuolo, che con ogni sforzo e sollecitudine s’ingegnava di tro var qualche gretola da poter entrare per nutricarsi in quei fiaschi, dentro a’ quali di già tutte le cose mes¬ sevi erano puzzolenti, infracidate e corrotte, ed i pesci di fiume, eccettuate le lische, sbrano tutti convertiti in un’acqua grossa e torbida, che a poco a poco dando ia fondo divenne chiara e limpida, con qualche stilla di grasso liquefatto notante nella superficie : dalla serpe ancora scolò molt’ acqua, ma il cadavere di lei non si disfece, anzi si conserva ancora sano quasi ed intiero con gli istessi colori, come se ieri là dentro fosse stato rinchiuso: pel contrario l’anguille fecero pochissim’acqua; ma rigonfiando e ribollendo ed a poco a poco perdendo la figura, diventarono com’una massa di colla o di pania tenace assai e viscosa ; ma la vitella, dopo molte e molte (1) Iliade , XIX, 29 e seg. La Generazione degli Insetti 21 settimane, rimase arida e secca. Non fai però contento di queste esperienze sole, anzi che infinite altre ne feci in diversi tempi e in diversi vasi ; e per non tralasciar cosa alcuna intentata infìn sotto terra ordinai più d’una volta che fossero messi alcuni pezzi di carne, che benis¬ simo colla stessa terra ricoperti, ancorché molte set¬ timane stessero sepolti, non generarono mai vermi, come gli produssero tutte l’altre maniere di carni, sulle quali s’erano posate le mosche: e di non lieve considerazione si è, che del mese di giugno avendo messo in una boccia di vetro di collo assai lungo ed aperto l’interiora di tre capponi, colà dentro bacarono; e non patendo tutti quei bachi per la soverchia altezza del collo scapparne fuora, ricadevano nel fondo della boccia, e quivi morendo ser¬ vivano di pastura e di nido alle mosche, le quali conti¬ nuarono a farvi bachi non solo tutta la state, ma ancora lino agli ultimi giorni del mese d’ ottobre. Feci ancora un giorno ammazzare una buona quantità di bachi nati nella carne di buf< lo, e riposti parte in vaso chiuso e parte in vaso aperto, in quei primi non si generò mai cosa alcuna, ma ne' secondi nacquero i vermi, che tra¬ smutatisi in uova diventarono in fine mosche ordinarie: e lo stesso per appunto avvenne (J’un gran numero delle suddette mosche ordinarie, ammazzate e riposte in simili vasi aperti e serrati: imperciocché nulla nascer mai si vide nel vaso serrato ; ma nell’aperto vi nacquero i bachi, da’ quali dopo esser diventati uova, nacquero mosche della stessa spezie di quelle sulle quali erano nati i bachi. Pi qui potrei forse eonghietturaie, che il dottissimo padre. Atanasio Chircher, uomo degno di qualsivoglia lode più grande, prendesse, non so come, un equivoco nel libro duodecimo del Mondo sotterraneo, dove propone respe¬ rimento di far nascere le mosche dai loro cadaveri. S’ir¬ rorino, dice questo buon virtuoso, i cadaveri delle mosche, e s’inzuppino con acqua melata; quindi sopra una piastra di rame s’espongano al tiepido calore delle ceneri, e si vedranno insensibilmente nascere da essi alcuni minutis¬ simi e per mezzo del solo microscopio visibili vermic- ciuoh, che a poco a poco spuntando l’ ali dal dorso, pigliano la figura di piccolissime mosche; le quali pure a poco a poco crescendo, diventano mosche grandi e di perfetta statura. Ma io per me mi fo a credere, che 22 Biblioteca Scientifica quell’ acqua melata non serva ad altro, che ad invitar più facilmente le viventi mosche a pascersi di quei ca¬ daveri, ed a lasciare in quegli le loro semenze; e poco, anzi nulla, tengo che importi il farne la sperienza in vaso di rame ed al tiepido calor delle ceneri ; imperoc¬ ché sempre ed in ogni luogo da que’ cadaveri nasceranno i vermi’ e da’ vermi le mosche, purché su quegli dalle stesse mosche sieno stati partoriti i vermi o i semi dei vermi. Io non intendo già, come que’ sottilissimi vermi descritti dal Chircher si trasformino in picciole mosche, senza prima, per lo spazio d’ alcuni giorni, essere stati convertiti m uova; e non intendo ancora, ingenuamente confessando la mia ignoranza, come quelle mosche pos¬ sano nascere così piccole, e poi vadano crescendo; im¬ perocché le mosche tutte, i moscherini, le zanzare e le farfalle, per quanto mille volte ho veduto, scappano fuora dal loro uovo di quella stessa grandezza, la quale conservano tutto il tempo di loro vita. Ma. oh quanto, a questa sola esperienza non ben considerata delle mosche rinate da’ cadaveri delle mosche, si sarebbono rallegrati e, per così dire, ringalluzzati coloro che dolcemente si diedero ad intendere di poter far rinascere gli uomini dalla carne dell’uomo, per mezzo della fermentazione o d’altro somigliante o più strano lavoro. Io son di parere, che vi avrebbon fatto sopra un fondamento grandissimo, e con vanagloriosa burbanza raccontandola, avrebbon poscia esclamato ; Così per li gran savi si confessa, Che la fenice muore e poi rinasce. Quindi si sarebbon forse messi a quell’incredibil cimento tentato fin ad ora da più d’uno, siccome io già bugiar¬ damente ascoltai ragionare. Ma non merita il conto l’af¬ faticarsi, per confutare le ridicolose ciance di costoro : imperocché, come disse Marziale, Turpe est diffìciles habere nugas, Et stultus labor est ineptiarum E tanto più che il celebratissimo padre Atanasio Chir¬ cher nel libro undecimo del Mondo sotterraneo ha nobib La Generazione degli Insetti 23 mente confutata e con sodezza di ragioni la follìa del parabolano Paracelso, il quale empiamente volle darci ad intendere una ridicolosa maniera di generare gli omi- ciatti nelle bocce degli alchimisti. Rimango bene molto più seandalezzato di alcuni altri, che sopra somiglianti menzogne gettano i fondamenti e le conghietture di quello altissimo misteri o della fede cristiana, della resurrezione de’ corpi fino alla fine del mondo. Il greco Giorgio Pis’da si fu uno di costoro, esortando a crederla coll’ esempio della fenice, ed il famosissimo e celebratissimo signor De’ Digbi, col rinascimento de’ granchi dal proprio lor sale, con manifattura chimica preparato e condotto. Ah che i santi e profondi m steri di nostra fede non pos¬ sono dall’ umano intendimento essere compresi, e non camminano di pari con le naturali cose; ma sono spe¬ ciale e mirabil fattura della mano di Dio, il quale men¬ tre che venga creduto onnipotente, l’altre cose tutte fa- cilissamente e a chius’occhi creder si possono e si deb¬ bono : e credute a chius’ occhi più s’intendono; onde quel gentilissimo italiano poeta cantò: 1 secreti del Ciel sol colui vede, Che serra gli occhi, e crede. Ma tralasciata questa lunga digressione, per tornare al primo filo fa di mestiere ch’io vi dica, che quantunque a bastanza mi paresse d’ aver toccato con mano che dalle carni degli animali morti non s’ingenerino i vermi, se in quelle da altri animali viventi non ne sieno por¬ tate le semenze, nientedimeno, per tor via ogni dubbio ed ogni opposizione che potesse esser fatta per cagione delle prove tentate ne’ vasi serrati, ne’ quali l’ambiente aria non può entrare e uscire nè liberamente in quegli rinnovarsi, volli ancora tentar nuove esperienze col met¬ ter le carni ed i pesci in un vaso molto grande e, ac¬ ciocché l’aria potesse penetrarvi, serrato con sottilissimo velo di Napoli, e rinchiuso in una cassetta a guisa di moscaiuola, fasciata pure con lo stesso velo ; e non fu mai possibile che su quelle carni e su quei pesci si ve¬ desse nè meno un bsco. Se ne vedevano però non di rado molti aggirarsi per di fuora sopra il velo della moscaiuola, che tirati dall’odor delle carni, talvolta den- 24 Biblioteca Scientifica tro di quella penetravano per i sottilissimi fori del fitto velo; e, chi non fosse stato lesto a cavargli fuora, sa- rebbon forse ancora arrivati ad entrar nel vaso, con tanto studio ed industria facevano ogni loro sforzo per arrivarvi; ed una volta osservai che due bachi, avendo felicemente penetrato il primo velo, ed essendo caduti sopra il secondo che serrava la bocca del vaso, anco su questo sv erano tanto aggirati, che già con la metà del corpo l’avevano superato, e poco mancava che non fos¬ sero su quelle carni andati a crescere. E curiosa cosa era in questo mentre il veder ronzare intorno intorno i mosconi che. di quando in quando posandosi sul primo velo, vi partorivano i bachi; e posi mente che taluno ve ne lasciava sei o sette per volta, e taluno gli figliava per aria, avanti che al velo s’accostasse; e questi forse erano di quella razza stessa, della quale racconta lo Scaligero, essersi per fortuna imbattuto, che un moscone da lui preso gli partorisse nella mano alquanti di quei piccoli vermi; e da tale avvenimento suppose egli che tutte le mosche generalmente figliassero bachi viventi e non uova: ma quanto quel dottissimo uomo s’ingannasse, a bastanza si può conoscere per quello che di sopra ho scritto. Ed in vero alcune razze di mosche partoriscono vermi vivi, ed alcune altre partoriscono uova, e me ne son certificato con l’esperienza e su ’l fatto; nè mi con¬ vince punto nè poco l’autorevolissima testimonianza del sapientissimo padre Onorato Fabri della venerabile Com¬ pagnia di Gesù, il quale, al contrario di quel che tenne lo Scaligero, ha creduto nel libro della generazione deeli animali, che le mosche figlino sempre l’uova e non mai i vermi. E può ben essere che le stesse razze delle mo¬ sche (io non affermo e non nego) alle volte facciano l’uova ed alle volte i vermi vivi; e che di ìor natura farebbon forse sempre l’uova, se '1 caldo maturativo della stagione non gliele facesse nascere in corpo, e per con¬ seguenza elle partorissero poi i vermi vivi e semoventi, come mille volte effettivamente ho veduto. S’ingannò altresì 1’ accuratissimo Giovanni Sperlingio. avendo scritto nella Zoologia , che que’ bachi d^lle mosche non son partoriti da esse mosche, ma bensì che e’ nascono dallo sterco delle medesime ; e per renderne la ragione con falso presupposto soggiunse: Ratio huius rei animis La Generazione degli Insetti 25 candidis obscura esse nequit; muscoe enim omnia Ugu - riunì , vermiumque materiam una cum cibo assumunt, assumptamque per alvum reddunt. Non osservò lo Sper- lingio quel ch’ognuno può giornalmente osservare, ed è che le mosche hanno la loro ovaia divisa in due celle separate, le quali contengono 1’ uova o cacchioni, e gli tramandano ad un solo e comune canaletto, giù per lo quale son tramandate fuor del corpo ed in quantità così grande che par cosa incredibile, essendoché certe mosche verdi son tanto feconde, che ognuna di esse avrà nella ovaia fino a dugento cacchioni: s’ingannò dunque lo Sperlingio, credendo che i vermi delle mosche nascessero dallo sterco di esse mosche ; e con lo Sperlingio s’ in¬ gannò forse ancora il dottissimo padre Atanasio Chircher, che ebbe una non molto dissimile opinione. Ma non meno di questi due famosi scrittori andò lontano dal vero un grandissimo virtuoso e mio carissimo amico, il quale avendo veduto che un moscone incappato nella rete, ogni volta che dal ragno era morso gettava qualche verme, venne in opinione che le morsure del ragno vir- tude avessero e possanza di fare inverminare i corpi delle mosche. Non invermina adunque, per quanto ho riferito, animale alcuno che morso sia. Or come potrà esser vero ciò che dagli sciittori vien riferito e creduto delle pecchie, che elle nascono dalle carni de’ tori imputritide, e che perciò, come racconta Varrone, i Greci le chiamassero Pou-yóvas ? Questa è una di quelle menzogne che, anticamente a caso da qualcuno favolosamente inventate, da altri, come se fossero mere veritadi, furono poi raffermate e di nuovo scritte, e sem¬ pre con qualche giunta: imperciocché non tutti gli au¬ tori raccontano ad un modo la maniera di questa mara- vigliosa generazione, e non sono tra di loro d’ accordo. Columella si dichiarò, che non voleva perderci il tempo, aderendo all’opinione di Celso, il quale non credette che si potesse del tutto spegnere la razza delle pecchie : onde superfluo sarebbe stato il cercarle tra le viscere de’ tori. Magone però, citato da Columella, insegna, i soli ventri del toro essere a quest’ opra sufficienti ; e Plinio aggiugne esser necessario che ricoperti sieno di letame. Antigono Caristio, in quella sua raccolta delle maravigliose narrazioni, vuole che un intero giovenco si 26 Biblioteca Scienti fi ca seppellisca sotto terra, ma che però rimangano scoperte le corna; dalle quali tagliate a suo tempo con la sega, ne volano fuora (come egli dice) le api. Ad Antigono aderisce in gran parte Ovidio nel primo libro d q’ Fasti: Qua , dixit , repares arte , requiris, apes ? Obme mactati corpus tellure juvenci. Quod petis a nobis , obrotus ille dabit. Jussa facit pastor , fercent examina putrì De bove : mille animas una necata dedit. Yarrone, nel libro secondo e nel terzo degli affari della villa, non si dichiara, se neces ario sia il seppellirlo, o se pure sia bene il lasciarlo imputridir sopra terra. Lo- lumella anch’egli di questa particolarità non paria; e non ne parla ancora Eliano nel secondo libro della storia degli animali; e Galeno io tace nel capitolo quinto di quei libro che egli scrisse: Se animale sia ciò che 7iel- Vutero si contiene. Virgilio però, nel line del quarto della Georgica, pare che tenesse opinione cbe non fosse neces¬ sario il sotterrarlo; mà che bastasse lasciarlo nel bosco all’aria libera ed aperta: Quatuor eximios prcestanti corpore tauros , Qui tibi nunc viridis depascunt surnma Lyccei , Delige, et intacta totidem cervice juvencas. Quatuor his aras alta ad delubra Deorum Constitue , et sacrum jugulis demitte cruorem , Corporaque ipsa boum frondoso desere luco. E appresso : Post.' ubi nona suos aurora induxerat ortus , Inferias Orphei mdtit, lucumque i evisit. Hic vero subitum ac dictu mirabile monstrum Adspiciunt : liquefacta boum per viscera toto Stridere apes utero , et ruptis effervere costis, Immensasque ir ahi nubes : jamque arbore summa Confluere , et lentis uvam demittere ramis. E pure non molti versi avanti detto avea, che neces¬ sario era eleggere un luogo murato e coper> il cadavere d’un serpente, che da me trovato alla cam- » pagna, era tutto pieno e circondato di vermi, alcuni » de’ quali eran minutissimi, altri più grandi, e altri in » fine aveano evidentiss mamente pigliata la figura di » serpente. E quel che più si rendeva maraviglioso si è, » che tra que’ serpentelli v’ eran tramischiate certe razze » di mosche, le quali io sarei di parere non d’ altronde » esser nate , che dalle semenze rinchiuse in quell’ ali- » mento, di cui si nutriscono le serpi. » Fin qui il Chir¬ cher ; ed io, mosso dall’autorevole testimonianza di que¬ sto dottissimo scrittore, n'ho fatta più volte la prova, e non ho mai potuto /edere la generazione di questi be¬ nedetti serpentelli fatti a mano. E se il Padre Chircher vide alla campagna il cadavere di quella serpe circon- 52 Biblioteca Scientifica dato da’ vermi, que’ vermi vi erano stati partoriti dalle mosche ; e se erano di diverse grandezze, quest’avveniva perchè non erano stati figliati tutti nello stesso tempo ; e se tra quei vermi vi ronzavano delle mosche, elle lo facevano o per cibai si di quel cadavero putrefatto, ov¬ vero eli’ eran mosche, le quali allora allora potevano esser nate da quegli stessi bachi : ma che vi si vedes¬ sero de' piccoli serpentelli nati su quella corrotta fracidezza oh questo non mi sento da crederlo. Plinio forse di buona voglia l’avrebbe creduto; imperocché nei libro decimo della Storia naturale affermò, che le serpi nascon so¬ vente dalla spinai midolla de’ cadaveri umani ; e tale opin one di Plinio fu secondata da Eliano, con aggiunta, che era necessario che que’ cadaveri fossero d’ uomini facinorosi, scellerati ed empi: se bene avendo Eliano considerato poi meglio il fatto suo ed a più sano intel¬ letto, pare che lo mettesse in dubbio, e temesse che po¬ tesse essere un trovato favoloso: ma questo trovato, prima di Plinio e d'Eliano fu da Ovidio messo in bocca di Pittagora nel decimoquinto libro delle Trasforma - zioni : Sunt qui , curn claaso putrefacta est spina sepulcro , Mutaci credant humanas angue medullas. Fortunio Liceto lo tiene per vero, e dopo di lui lo con¬ fessò per verissimo il savio Marc’ Aurelio Severino nel capitolo decimo nella Vipera Pitia , dove espressamente fa ima galante ed ingegnosa digressione a tale effetto, e mostra essere naturalissima questa cosi fatta generazione, con ar^umenti però fondati per lo più su presupposti non veri. Ond’io volentierissimo porto credenza, che non solo da’ cadaveri umani non nascano mai serpenti nè anguille, come vuole Fortume Liceto; ma che nè anche s’ ingenerino in essi spontaneamente vermi di spezie al¬ cuna Di soverchio ardita parrà quest’ ultima proposizione, avveDgachè ne’ sacri libri, per rintuzzar l’orgoglio del¬ l’umana superbia, ci venga spesso rammemorato, che la nostra carne esser dee alla fine pastura de’ vermi; onde neil’Ecclesiastico al capitolo diciannovesimo: Quisijun- git fcrnicanis, erit nequam : putredo et vermes heredi- La Generazione degli Insetti 53 tabunt illum. E in Isaia, capitolo decimo-piarto : Detratta est ad inferos superbia tua , concìdit cadaver tuum : su¬ bter te sternetur tinea, et operimentum tuum erunt vermes. Ed in Giob al capitolo decimosettimo : Putredini dixi : pa¬ ter meus es ; maier mea et soror mea vermibus. Tutto è vero ma però il sacro testo parla generalmente, e non si ristringe a dire, se quei vermi nasceranno spontanea¬ mente e senza paterno seme dalle nostre carni, o se pure d’altronde correranno a divorarle, o nasceranno in esse per cagione della semenza portatavi sopra da altri ani¬ mali ; il che è più probabile, anzi verissimo : e chi pur creder volesse in contrario, bisognerebbe che credesse ancora, che non solo i vermi spontaneamente nascessero dagli umani cadaveri, ma vi si generassero ancora le tignole, i serpenti e tutte l’altre maniere di bestie, leg¬ gendosi nell’Ecclesiastico al capitolo decimo : Cum enim morietur homo , hereditabit serpentes et bestias et vermes : ma questa minaccia di Sirachide si dee intendere come que d’altra di Geremia ai capitolo decimo sesto, numero quarto: Erit cadaver eorum in escam volatilibus coeli et bestiis terree Ed altrove : Erit morticinum eorum in escam volatilibus coeli et bestiis terree. Ed oltre di queste bestie sarà pastura ancora de’ vermi , partoritivi sopra da varie generazioni di mosche ; e che ciò sia il vero, evidentemente si raccoglie considerando, che tutti quei bachi non son altro che uòva semoventi, dalle quali a suo tempo nascono le mosche ; ed in tal maniera si ve¬ rifica ciò, che neìYEncomio della mosca fu testimoniato da Luciano, che ella nasca d^gli umani cadaveri. Non è già da credersi che si verifichi quanlo fu da Kira- nide scritto delle carni dei tonno che , gettate dal mare sovra il lido di Libia, imputridiscano e poscia in¬ vernammo, ed i vermi si cangino prima in mosche, quia di in cavallette, e finalmente in quaglie si trasformino. Niuno oggi si troverà di sì poco ingegno nè di sì grosso, il quale non prenda a riso queste baie; e pure io che, come voi sapete, son tenuto nelle cose naturali il più incredulo uomo del mondo, volli più volte vedere ocula¬ tamente ciò che su le carni de’ tonni s’ ingenerava , e sempre ne rinvenni il solo nascimento di vermi, i quali secondo la loro spezie si trasformarono poi in mosconi ed in altre razze di mosche. E mi ricordo che volendo 54 Biblioteca Scientifica far prova, se l’olio, che è tanto nemico degl’ insetti, am¬ mazzava quei bachi, se altri liquori ancora gli ammaz¬ zassero, ne riscelsi molti de’ più grossi tra quegli che erano nati nel tonno, ed alcuni ne bagnai e tuffai nel greco, altri nell’aceto; altri nel sugo di limone e nell’a¬ gresto.. e molti ancora ne serrai in vasi pieni di zuc¬ chero, di sale e di salnitro, e nessuno ne vidi mai mo¬ rire ; anzi tutti al dovuto lor tempo si trasformarono in uova nere con la concavità in uno degli estremi, e da esse, passato che fu lo spazio di quattordici giorni, nac¬ quero altrettanti di quei mosconi, de’ quali altre volte ho favellato : con questa differenza però, che tutti continua¬ rono a vivere, eccetto che quegli i di cui bachi furono unti celi’ olio ; imperocché i mosconi di questi appena, furono usciti del guscio c che incontanente si morirono anzi alcuni morirono prima che dal guscio fossero finiti d’ uscire. Di qui argomentai esser veridico il detto di Galeno, di Luciano, di Alessandro Afrodiseo, di Uiisse Aldovrando e di Giovanni Sperlingio, affermanti, che le mosche, se gustano dell’ olio o se con quello sono unte, si muoiono. Ed in vero, che fattane da me l’esperienza, ogni qualvolta che io faceva che da una sola gocciola di olio fosse tocca ed inzuppata una mosca, in quello stesso momento ella cadeva fuor d’ogni credere morta. E per¬ chè Ulisse Aldovrando e lo Sperlingio soggiungono, che le mosche in così fatta maniera estinte ritornano in vita, se al sole si espongano o di ceneri calde si aspergano, non mi piacque di starmene al loro detto, ma ebbi cu¬ riosità di vederne la prova co’ propri occhi ; e non ebbi fortuna mai di poterne vedere nè pur una ritornare m vita, ancorché ostinatamente facessi infinite volte repli¬ carne l’esperienza. Laonde avendo ancor letto in Eliano, in Plinio , in Isidoro ed in molti moderni , che questi stessi animaletti affogati nell' acqua o in altro liquore, a’ raggi del sole ed ai tiepido calor delle ceneri si rav¬ vivano e da morte a vita ritornano, per certificarmene, in un vaso di vetro ammezzato di acqua fatta freddis¬ sima col ghiaccio feci mettere otto mosche dell’ordinarie. In capo ad un’ora e mezza trovai, che una di quelle era andata sott’acqua nel fondo del vaso, ed una delle gal¬ leggianti si movea qualche poco e dava segno per an¬ cora di esser viva, l'altre sette parevano tutte morte ; La Generazione degli Insetti 55 le cavai dell’acqua e le posi al sole, ed appena fu pas¬ sato mezzo minuto, che due cominciarono a muoversi, ed indi a un momento se ne volarono via ; delì’altre sei quella che era andata al fondo dell’ acqua, insieme con tre altre delle galleggianti, in capo a tre minuti, o poco meno, cominciarono a dar segni di vita, movendo le gambe e cavando fuora la lor proboscide, ed anco rivol¬ tolandosi, quasi volessero volare: ma poco dopo si fer¬ marono morte da vero , e più non si mossero , siccome non si mossero mai punto nè risuscitarono mai le altre due, che compivano il numero dell’otto. Alcuni giorni dopo ne feci far molti e molt’ altri esperimenti, tenendo le mosche e più breve e più lungo spazio di tempo nel¬ l’acqua, ora ghiacciata, or col suo freddo naturale ed or tiepida, or lasciandole galleggiare, or per forza tenendole sott’acqua ; onde in fine appresi, che quando elle son affogate da vero, a nulla è lor profittevole la forza eia potenza del sole Per lo che non so come creder si possa a Coiumella , il quale riferisce , che le pecchie ritro¬ vate morte sotto i favi e conservate così morte tutto l’inverno in luogo asciutto , ritornano in vita, se allora quando coll’equmozio comincia a tornar la temperie del¬ l’aria, si espongano al sole impolverate colla cenere di legni di fico. Io non l’ho esperimentato, ma parmi cosa lontana da ogni credere. Torno alle mosche nate dal tonno ; queste siccome * tutte 1’ altre , subito che scappano fuori del guscio, co¬ minciano a sgravarsi delle naturali immondizie del ven¬ tre, cagionate credo dal cibo che presero, quando erano in forma di vermi ; e tanto più , perche in quel tempo nel quale son vermi non ho mai veduto che gettino escrementi di sorta alcuna. Campano dopo il nascimento, chiuse nei medesimi vasi ne’ quali son nate, quattro o cinque giorni al più, senza mangiare ; il che non è fuora dell’ordinarie regole della natura. Cosa più stravagante mi pare , che i ragni nati, nei vasi chiusi, dall’uova de’ ragni possano vivere tanti mesi senza apparente cibo. Io avea il dì 5 luglio fatto rin¬ chiudere un ragno femmina in un vaso di vetro serrato con carta : osservai, che il giorno dodici dello stesso mese avea sul foglio che copriva il vaso, dalla parte di sotto, fabbricato un certo lavorio di sua tela in foggia 56 Biblioteca Scientifica di mezzo guscio di noceiuola rotonda, attaccato intorno intorno nel mezzo del foglio ; e dentro alla cavità di questo lavoro, chiamato da Aristotele seno orbiculato, si vedeano trasparire moltissime uova bianche , perfetta¬ mente rotonde e grosse non più de’ granelli del panico: da queste uova il giorno ultimo di agosto cominciarono a nascere altrettanti piccolissimi e bianchi ragni, che subito nati dieron principio a gettare qualche filuzzo di tela ; il che fu osservato ancora da Aristotile, che disse : « E di subito baiza fuori (dell’uovo,) ed emette il filo della tela. » Ne’ due giorni seguenti fìniron di nasceretutte l’uova che erano cinquanta; e volendo pur vedere quanto i piccoli ragni sapevan campare senza cibo, non poci nel vaso cosa alcuna da poter nutricarsi; onde il giorno otto di settem¬ bre ne cominciò qualcuno a morire, e la prima setti¬ mana di ottobre erano quasi tutti morti, eccetto che tre soli rimasti vivi in compagnia della madre , la quale morì poi il dì trenta di dicembre ; ed i tre piccoli, che manifestissimamente si conosceva essere qualche poco ingrossati e cresciuti, vissero lino agli otto di febbraio. Se voi mi dimandaste, per qual cagione quei tre qual¬ che poco crescessero ed ingrossassero ; io ne darei forse la colpa ad aver succiato qualche poco di alimento va’ cadaveri de’ morti fratelli e della madre ; che se questo non fosse, l'estensione forse de’ loro corpi potea far pa¬ rere che fossero cresciuti : ma io mi attengo più al primo pensiero che a questo fecondo, e non mi dà fasti¬ dio che il volgo creda, e molti amori io abbiano scritto, che verun animale mangia gl’individui della propria spe¬ zie; imperciocché per molti esper menti fatti io trovo che nessuna favola fa mai più favolosa di questa , e niuna bugia fu mai udita più bugiarda. Mi sovviene di aver fatto mangiare al leone della carne d’uoa leonessa; e pure non è cred bile che la mangiasse sollecitato dalla fame: conciossiecosachè quello stesso giorno erasi pa¬ sciuto con molte e con molte libbre di carne di castrato, Ogni più trivial cacciatore sa per prova, che, se muore qualche cinghiale ne’ boschi, vien divorato dagli altri cinglnali viventi. Gli orsi mangiano la carne degli orsi e le tigri quella delle tigri; e posso dirvi, che questo stesso anno, avendo Meemet Bei o generale delle milizie del regno di Tunisi mandato a donare al serenissimo Gran- La Generazione degli Insetti 57 duca mio signore molti strani e curiosi animali d’ Affrica, fra’ quali in una gran gabbia era una tigre femmina con un suo piccolo figliuolo partorito di pochi mesi, la buona tigre, avvicinandosi da Livorno a Firenze, non so se per rabbia o per ischerzo , l’azzannò così gentilmente, che gli spiccò di netto una zampa e quasi tutta la spalla, che a quella era congiunta, e la tranghiottì ingordissi- mamente, ancorché nella gabbia avesse altra carne morta da potersi sfamare. I gatti quando son castrati si trangugiano i lor propri testicoli, e le loro femmine so¬ gliono talvolta divorarsi i figliuoli appena nati; ed il simile fanno le cagne. Il luccio, che è pesce fierissimo di rapina, non la perdona agli altri lucci ; anzi così go¬ losamente questi così fatti pesci si perseguitano l’ un l’altro, che non di rado avviene che un luccio di sette o d’otto libbre ne predi uno di tre o di quattro : e cu¬ riosissima cosa è a vedere, quando il luccio maggiore ha afferrato il minore , che per la lunghezza sua non gli può entrar tutto nello stomaco, cosa curiosa, dico, è a vedere il luccio vittorioso nuotar per l’acqua con l’altro luccio, che gli avanza fuor della gola uno o due palmi, e così tenerlo molt’ e molt’ ore, infino a tanto che il capo del luccio, ingoiato ed introdotto nello stomaco voto, acciocché insensibilmente possa sdrucciolarvi quel residuo di busto e di coda, che prima non avea potuto capirvi. I gavonchi altresì, che sono una razza d’anguille che vivono di preda, ingoiano gli altri gavonchi minori, l’anguille gentili e quell’altre che son dette musini : ed io più e più volte n’ ho trovate ne’ loro lunghissimi sto¬ machi . Altri ragnateìi ancora e maschi e femmine feci rin¬ chiudere ne’ vasi di vetro ; ma non trovai altro da os¬ servare che la lunghezza della lor vita senz’ alimento, essendo che alcuni presi a’ quindici di luglio camparono sino alla fine di gennaio. Osservai parimente, che uno di quegli, dopo essere stato rinchiuso un mese, gettò la spoglia sana ed intera, la quale un altro ragno pareva; ed un altro indugiò a spogliarsene dopo i cinquanta giorni. Questo spogliarsi de’ ragnateìi fu prima di me considerato dal dottissimo Tommaso Moufeto inglese nel suo celebre Teatro degl' insetti , dove afferma , che non una sola volta l’anno mutano la spoglia, ma bensì ogni Biblioteca Scientifica 58 mese ; ed io non ardirei negarlo nè meno affermarlo, pon l’avendo veduto. Vidi bene le diverse figure e fogge di quelle bolge, sacchetti e bozzoli, ne’ quali le femmine, come in un nido, ripongono e covano l’uova, e gli strani e diversi fortissimi attaccamenti delle fila anco ne’ vetri più lisci ; del che non vi parlerò di vantaggio, siccome nè anco dell’industria e del maraviglioso artifizio geo¬ metrico usato nella fabbrica delle tele, avendone fatta gentilmente menzione Tommaso Moufeto ed il padre Chircher, e prima di loro Plinio, Plutarco. Eliano, e tra gli Arabi il dottore Kemal Eddin Muhammed Ben Musa Ben Isa Eddemiri, volgarmente chiamato Damir, e ’1 dot¬ tore Zaccaria Ben Muhammed Ibn Mahmud, che per es¬ sere delia città di Casbin in Persia è citato sotto nome d’Alcazuino : e voi stesso dottamente n’avete scritto in una delle vostre eruditissime Teglie toscane , intitolata La natura geometra ■ Osservai il gran numero d’uova che ripongono in quei nidi. Afferma il Moufeto che arrivano sovente fino a trecento, ed io ne ho contate fino a) numero di censes- santa fatte da un solo di quegli animaletti, il quale di tutte unite insieme e strettamente rin volte in un lavoro della sua tela ne avea formata una piccola pallottola, ed intorno a quella pallottola avea poscia fabbricato un grande e bianco bozzolo, nel di cui mezzo l’avea situata pendente. Mentre che e* tesseva quel bozzolo, ebbi occa¬ sione di vedere che non si cavava lo stame fuor della bocca, ma bensì fuor del fondo del ventre; ed in ciò trovai veris¬ sima l’osservazione fatta da Eliano e dal Moufeto. Plinio scrisse, che nell’utero o matrice si conserva la materia di quello stame: Orditur telas , tantique operis materiae ute- rus ipsius sufficit. Ma il Moufeto addottrinato dal Bruero, avendo considerato che i maschi, che pur non ànno ma¬ trice, fanno le tele al pari delle femmine, non approva il parere di Plinio e T accusa d’ errore , a torto però e senza ragione : imperocché la voce uterus , della quale quel grandissimo scrittore in quest'occasione si serve, è usata dagli autori latini non solamente in significato di matrice . ma ancora di ventre , per testimonianza d’ Isi¬ doro II, I, che disse : Uterum solae mulieres habent.etc ; auctores tamen uterum prò utriusque seocus ventre po- nunt ; e molti esempli se ne trovano in Virgilio, ma par- La Generazione degli Insetti 59 ticolarmente nei settimo deli’Eneide, dove parlando d’un cervio maschio, che fa ferito da Ascanio : Ascanius curvo dir exit spicula cornu, Nec dextrae erranti Deus abfuit, actaque multo Perque ute/um sonitu, perque ilia venit arando E il gran Tertulliano, cap, 1 0, Della fuga nelle perse¬ cuzioni , favellando di Giona: Sed illum , non dico in mari et in terra, verum in utero etiam bestiae invento. Apuleio ancora nel lib. 5 delia Metamorf. adoperò que¬ sta voce nella stessa significazione; porlochè son degne di vedersi sopra questo luogo Y eruditissime note di Gio¬ vanni Priceo famosissimo letterato inglese e nostro co¬ mune amico. Non errò dunque Plinio quando scrisse, che il ragnatelo orditur telas, tantique operis materiae ute- rus ipsius sufficit. Errò bene Aristotile, quando nel libro nono della Storia degli animali , contraddicendo al sa¬ pientissimo Democrito, fu di opinione che i ragnateli non si cavino il filato dalle parti interne del ventre, ma dall’esterne di tutto quanto il loro corpo ; quasi che la materia di quel filo fosse una certa lanugine o peluria, che gli vestisse per di fuora cerne una scorza : ma Tom¬ maso Moufeto si avvide dell’ errore di Aristotile : e se n’accorse parimente, facend ne l’esperienza, il celebre e dottissimo padre Giuseppe Biancano della venerabil Compagnia di Gesù ne’ suoi stimatissimi Commentari sopra le cose matematiche scritte da Aristotile. Lo stesso Aristotile errò eziandio, allor che volle insegnarci, che i ragni partoriscono ì vermi vivi e non le uova : impe¬ rocché per qualsiasi diligenza non mi son mai potuto abbattere a vederne figliar nè pur uno ; ma sempre ho veduto, che i ragni fanno l’uova, e da quelle uova, come ho detto di sopra, nascono ì lor piccoli figliuoli. E se certuni scrivono, che da’ semi aerei e volanti per l’aria e dall’immondizie putrefatte si generino i ragni, io non posso indurmi a crederlo, se altra ragione non m’è ad¬ dotta che quella, la quale volgarmente suole addursi; che nelle case fabbricate di nuovo si veggono i ragni e le lor tele anco in quegli stessi giorni che sono intona¬ cate, e che è stato dato loro di bianco : imperciocché non potendosi fabbricar le case ed i palazzi in un bat- 60 Biblioteca Scientifica ter d’occhio, come già ne’ tempi antichi le fabbricavano Alcina ed Atlante, non è da farsi le maraviglie , se trai calcinacci, tra la polvere e tra l' immondizie i ragni ab¬ biano fatto i lor nidi e i lor covili, da’ quali uscendo possano in un momento rampicarsi sopra qualsi\oglia più alto muro, ed in un momento ancora ordirvi e tes¬ servi le lor tele. Un’altra favolosa generazione di ragni fu mentovata dagli autori e dataci ad intendere per vera; e tra essi Pietro Andrea Mattiuoii, secondato da Castor Durante, da Giovanni Bauino, da Enrico Cherlero, dai Padre Ata¬ nasio Chircher e dal Padre Onorato Fabri, afferma che le gallozzole delle querce non solamente producono vermi e mosche, ma ragni ancora ; e soggiugne aver ve¬ duto assaissime volte per isperienza. che tutte quante le gallozzole non pertugiate si trovano pregne di uno di questi tre animaletti, dalla differente natura de’ quali ei ne cava un certo suo spaventevole pronostico, dicen¬ do, che se nelle gallozzole nasceranno le mosche, in quell’anno si ha da far guerra ; se vi si alleveranno i ver mi, la ricolta sarà magra ; e se vi si troveranno i ragnatela l’annuale sarà pestilente e contagioso. Si ride però il dottissimo Padre Fabri di questo pronostico ; ed io alle molt ssime esperienze fatte dal Mattiuolo fallis¬ si mamnte risponderò con altrettanti esperimenti fatti in contrario, e fiancheggiato dalla mera e pura verità ardirò di dire francamente , che nello spazio di tre o quattro anni credo di aver aperto più di ventimila gal¬ lozzole, e non ho mai potuto trovare in esse un sol ra¬ gno ; ma sempre mosche e varie generazioni di mosche- rini e di vermi , secondo la diversità di quei mesi nei quali io le apriva , e pure in Italia e ne’ paesi fuor d’I¬ talia è vagata la peste, ed in Toscana non si è mai fatta sentire nè la guerra nè la carestia, anzi tutti que¬ gli anni furono molto ubertosi. Egli è però vero , che ade volte in qualche gallozzola, ma però sempre per¬ tugiata. io vi ho trovato alcun ragnateluccio, il quale nato ed allevato fuor di quella si è per avventura inta¬ nato nel suo foro per ripararsi dalle ingiurie della sta¬ gione ; in quella guisa appunto che giornalmente veg- giamo negli screpoli degli alberi e ne’ buchi delle mu¬ raglie quasi tutti gli altri ragni ricoverarsi. Bastevol- La Generazione degli Insetti 61 mente adunque sia per ora risposto alle sperienze del Mattiuolo con replicate esperienze: e quanto alle mosche, a’ moscherini, ed a’ vermi che nascono e si trovano nelle gallozzole, riserbo a favellarcene poco appresso. Alquanto più malagevole è il rispondere ad alcuni, che bramerebbono di sapere come faccia il ragno a ti¬ rare da un albero all’altro i capi della sua tela, non avendo l’ali da poter volare. Il Moufeto porta credenza, che i ragni saltar o e che si lancino da un luogo all’ al¬ tro ; e tal sua opin one ha del credibile , parlandosi di qualche picciolo salto : e mi ricordo che una volta mi fu raccontato da un signore grande , che mentre egli viaggiava, un ragno distese i fili della sua tela da un lato all’altro d’uno sportel o della carrozza, la quale es¬ sendosi fermata, quel ragno improvvisamente si lanciò sul cappello d’ un cavaliere, che venendo da un altro cammino a quella carrozza si avvicinava. Può esser dunque che saltino, e può esser parimente che volendo tendere il filo da un albero all’altro, l’attacchino prima ad un ramo, e poscia giù p-^r quel filo si calino in pia¬ na terra, e per terra si conducano a trovare il pedale del più vicino albero, e inerp dandovi sopra, raggomi¬ tolino il lor filo e lo t:rino disteso alla giusta e neces¬ saria proporzione ed altezza. Mi vien detto da un amico, che egli vide un giorno due ragni, che attaccati al lor filato penzolavano da’ rami di due alberi non molto lon¬ tani ; ed osservò che si lanciarono 1’ un centra 1’ altro, ed essendosi aggravignati per aria, annodarono insieme i lor fili e amenduni d’accordo si misero a tessere una gran tela. Si potrebbe anco dire, che quando un ragno fa la sua tela tra’ ram. di due alberi lontani sia caso fortuito, cioè che prima ciondolando da un albero esso attaccato al suo filo sia stato traportato dal vento nel¬ l’albero più vicino, e non essendosi strappato lo stame, abbia potuto in quella distanza ordire il suo lavoro. 11 Padre fiancano nel libro sopraccitato afferma per pro¬ vata da lui e più volte riprovata esperienza, che il filo del ragno non è un semplice filo e pulito, ma ramoso e sfiiaccicato, o, per meglio dire, ch’egli è un filo, dal quale ànno origine molti altri sottilissimi fili , che per la loro innata leggerezza quasi galleggianti nell’aria per ogni verso si stendono : e se avviene che il capo di un 62 Biblioteca Scientifica di quei fili trasversali si intrighi tra’ rami di qualche albero vicino, incontanente per quel filo s’incamm.na il ragno, e di quello si serve per primo filo dell’ orsoio della futura sua tela : quindi soggiugne il Blancano, che alle voite il filo del ragno non è un filo solo, ma che ei son dua, ad uno de’ quali il ragno sta sospeso, e l’altro filo vagante or qua or là svolazza per 1’ aria, fin tanto che incontri qualche cosa da potervisi appiccar sopra. Che ciò possa esser vero, à molto del ragionevole e del verisimile , e parti corlamente se il ragno si penzoli da un albero altissimo : io però non n’ò avuto il tempo di farne l’osservazione, come voi enti eri ssi mo avrei voluto; ò bene molte e molte volte osservato, che i ragni tirano i lor fili da una banda all’altra delle strade maestre, e che raccomandano i capi di fili alle cime de’ pali che reggon le viti ; perlochè se que’ pali non si alzano da terra più che tre o quattro braccia , e se la larghezza delle strade sia per lo meno otto o dieci, non so rin¬ venire come que' ragni penzolandosi da così basso luogo abbiano avuto veleggio di dare al filo maestro tanta lunghezza , onde i fili laterali di esso abbiano potuto arrivare all’altra parte della strada. Sia dunque come esser si voglia . e creda pure ogn' uno ciò che più gli aggrada , che io per poter rattaccare il primiero mio ragionamento vi dirò, che avendo fatto mettere insieme una buona quantità di ragni ed avendogli fatti ammaz¬ zare, gli lasciai in un vaso aperto , dove correvan bal¬ danzosamente le mosche a pasturarsi ed a farvi sopra, quasi per vendetta . i lor cacchioni : per la qual cosa que’ cadaveri in breve tempo inverminarono, ed i vermi induriti poi in uova o crisalidi, dalle crisalidi nacquero altrettante mosche, di quelle che per le nostre case s’ag¬ girano. Lasciando stare adesso di più ragionare de’ ragni pa¬ rendomi aver a bastanza mostrato che le carni non in- verminano , e che tutti i soprannominati insetti dalla sostanza di quelle non nascono , giudico che sia tempo ormai di far passaggio ad alcune altre cose , le quali comunemente e dal volgo e da uomini famosi e reve¬ rendi sono tenute che bachino, t tra esse più di tutte il formaggio, sul quale i ghiotti si vantano di saper il modo di far nascere i vermi, per allettamento della gola; \ La Generazione degli Insetti 63 e la cagione efficiente di tal generazione la riducono ad una di quelle che nel principio di questa lettera vi no¬ verai. Ma il sapientissimo Pietro Gassendo accenna, che forse le mosche ed altri animali volanti , avendo im¬ presse e disseminate le loro semenze sopra le foglie delPerbe e degli alberi, queste pasciute poi dalie vacche, dalle capre e dalle pecore, possano introdu Tcj nel latte e nel formaggio quei semi abili in progresso di tempo a produrre i vermi ; e certo, tale opinione a molti non ispiace, nè io vo’ negare ora co; ì poter essere : ma tut¬ tavia non so, colla dovuta riverenza che a questo gran¬ dissimo ed ammirabile filosofo io porto , non so , dico , in qual maniera que’ semi tritati e masticati da’ denti degli animali, e nel loro stomaco ritratti e cotti e spre¬ muti, quindi alterati forse di nuovo e dirotti e snervati nell’intestino duodeno per quel r bollimento che vi fanno il sugo acido del pancreas e 1’ umore bilioso, e di nuoco rialterati nel passar per quelle strade che dallo stomaco e dagl’ intestini vanno alle mammelle , abbiano potuto conservar sana e salva ed intera la loro virtude. Che se ciò fosse potuto avvenire , si potrebbe sperare che, fatto una volta il formaggio di latte di donna , fosse per produrle, in vece di vermi , altrettanti muggini o lucci, se quella donna ne avesse mangiate 1’ uova, ov¬ vero altrettanti galletti e pollastre, per cagione deli’uova di gallina bevute ; che sebbene potè berle allora che eran cotte, nulla di meno vi sono di quelle femmine che le pigliano crude, e subito cavate dal nido intere se l’in- ghiottiscono : oitre che la cottura , secondo la dottrina del Gassendo, non pare che porti pregiudizio alla virtù generativa che posseggono i semi , conciossiecosacchè ogn’ uno sa ed ogn’ uno vede, che sulla ricotta e sulle torte di latte nascono i bachi , e pure la ricotta altro non è che il fiore del siero rappreso al fuoco, e le torte di latte son cotte e rosolate ne’ forni. Perlochè sarei forse di parere, che l’inverminamento del latte, del for¬ maggio e della ricotta abbia quella stessa cagione da me soprammentovata nelle carni e ne’ pesci, cioè a dire, che le mosche ed i moscherini vi partoriscano sopra le loro uova , dalle quali nascano i vermi, e da’ vermi le mosche ; e ciò manifesto appare a ciascuno, che voglia guardarlo con occhio ragionevole ; imperocché nè il latte 64 Biblioteca Scientifica nè il formaggio nè la ricotta nè questi altri tutti lat¬ ticini mai non inverminano , se tenuti siero in luogo in cui le mosche ed i moscherini entrar non possano ; del che mi pare esser molto certo per le fatte esperienze : e pel contrario, se questi animaletti giungono a posarsi sopra quei cibi, in breve tempo ne segue lo invermina- mento. E perchè alla memoria mi tornano alcune cose da me osservate, intendo al presente darvi ragguaglio non già di tutte, perchè troppo lungo sarei e rincresce- vole, ma bensì di certe poche intorno a quei vermi che son nati. Aveva io in un grande alberello di vetro , il quale dopo lasciai colla bocca scoperta, fatto mettere un mezzo marzolino de’ più freschi e de’ migliori, che nel fine del mese di giugno si trovino: passati che furono alcuni giorn’, vi si videro sopra alcuni vermi, che ben consi¬ derati si conosceva essere di due razze ; i maggiori erano per appunto come tutti gli altri vermi che nascono nelle carni ; d i minori erano pure della stessa figura, ma aveano questo di notevole, che più bizzarri e più lesti degli altri con maggiore agilità su pel vetro, cammina¬ vano, e accostando il muso alla coda, e facendo di sè medesimi un cerchio, spiccavano in qua ed in là vari salti, onde talvolta veniva lor fatto di lanciarsi fuora dei vaso nel quale erano nati. Tre o quattro giorni dopo il loro nascimento questi e quegli si fermarono al solito, e s> raggrinzarono in uova solamente diverse nella gran¬ dezza , che da me riscelte e separatamente riposte in vasi differenti, in capo agli otto giorni dalle p ù grandi scapparono fuora altrettante mosche ordinarie, e dalle più piccole dopo dodici giorni nacquero certi neri mo¬ scherini simili alle formiche alate, i quali appena che furon nati, con grandissima e incredibile vispezza e ve¬ locità saltellando e volando, pareano, per così dire il moto pe petuo; quindi accoppiandosi poi ogni maschio alla sua femmina, esercitavano quegli atti, da’ quali na¬ turalmente sperar se ne potea la loro propagazione : ma non avendo di che nutrirsi, in breve tempo morirono. Mentre che io faceva questa osservazione, trovai per fortuna un marzolino che ave a cominciato a inverminare, e fatte da me separare le parti verminose dalle sane, fune e l'altre serrai in vasi differenti : ma dalle parti La Generazione degli Insetti 65 sane non furono generati mai più bachi, e da quei ba¬ chi, che di già eran nati nelle parti verminose, nacquero poi molti di que’ neri mosclierini soprammentovati, senza vedersi nè pure una mosca ordinaria: ed il contrario mi accadde ir- una r cotta, la quale essendo bacata, i bachi trasformati in uova produssero solamente mosche ordinarie ; e da un raveggiuolo inverminato nei mese di settembre nacquero e mosche ordinarie ed alcuni pochi moscioni, di quegli stessi che intorno al vino ed all’a¬ ceto s’aggirano Io so che dura cosa parrà a credere, che tutti questi latticini spontaneamente non bachino, vedendosi che, aperti i nostri delie. diissimi marzolini di Lucardo, molto sovente si trovano bacati nella più interna midolla. Po¬ trei lispondere, che le semenze di que’bachi furono par¬ torite dalle mosche nel latte in quel tempo che si mu- gneva, ed in quel tempo che da’ pastori, acciocché si rappigli, si lascia ne’ vasi intorno a’ quali corrono a stuoli innumerabilissimi le mosche : onde quel greco poeta, Che le Muse lattar più ch’altro mai, nei sedicesimo libro dell’Iliade, verso 641, paragona i Greci ed i Troiani che combattevano e s’aggiravano in¬ torno al cadavero di Sarpedone, gli paragona, dico, alle mosche ronzanti intorno alle secchie piene di latte munto nel tempo della primavera: E quale è il ronzo, Con che soglion le mosche a primavera Assalir susarrando entro il presepe I vasi pastorali, allor che pieni Sgorgar di latte ; di costor tal era La giravolta intorno a quell’estinto. Traduzione di Vincenzo Monti Questa risposta, ancorché potesse aver qualche valore, nulla di meno interamente non si appaga; ed avendo diligentemente osservato che i marzolini, prima che ba¬ chino, in molti luoghi screpolano e si fendono, dico che su quegli screpoli e su quelle aperture dalle mosche e 5 — insetti. 66 Biblioteca Scientifica da’moscherini son partorite l’uova ed i bachi, i quali, cercando sempre nutriménto più tenero e più delicato, s’internano nella più riposta midolla del marzolino, e là entro attendono a nutricarsi fino ai ior tempo deter¬ minato, e poscia scappano fuora, e van cercando luogo da potersi rimpiattare per que'pochi giorni che stanno convertiti in uova; e da queii’aova nascono diverse gene¬ razioni d'animali volanti, secondo la diversità di quei padri che prima avevano generati, i bachi. Parendomi ora a bastanza aver di ciò favellato, e torse con soverchia prolissità e fastidio, passerò a dirvi di quei vermi, i quali dal volgo avvezzo a grandissimi er¬ rori son creduti nascere spontaneamente nelle erbe, nei frutti imputriditi e ne’ legni e negl; alberi stessi: ed in primo luogo scriverò de’bachi generati nell’erbe, nelle foglie degli alberi é ne'pomi, dopo qualche tempo che dadoro alberi e dalie loro piante furono staccati e con quello staccamento furono, per così dire, privi di vita; e quindi mi metterò a discorrere di quegli che nascono nelle foglie e ne’ frutti, quando per ancora agli alberi stanno attaccati e la loro maturazione attendono. lappiate adunque che sì come è il vero, che sulle carni, su’ pesci e su’ latticini conservati in luogo serrato non nascono mai vermi, cosi ancora è verissimo, che i frutti e herbe crude e cotte, nella stessa maniera tenute, non inverminano; e pel contrario lasciate in luogo aperto producono varie maniere dònse ti, or d'una spezie or d’un’altra, secondo la diversità degli animali che sopra vi porgano i loro semi; ho però notato, che alcuni più volent eri prendon per nido una maniera d’erbe o di frutti che un’altra e talvolta in una sola erba ho veduto nascere nello stesso tempo sette o vero otto razze di animaletti. Su ’l popone, su ’l quale molti moscioni avea veduto posarsi, nacquero piccoli vermi, che dopo lo spazio di quattro giorni diventarono uova, dalle quali uova dopo quattro altri giorni nacquero altrettanti moscioni. Da altri pezzi di pop ne tritato, in cui avean pasturato mo¬ scioni. mosche ordinarie ed un’altra razza di moscherini piccolissimi e neri con lunghe antenne in testa, nacquero molti bachi di diverse grandezze, che al loro determinato tempo in uova pur di differenti grandezze si trasformarono. La Generazione degli Insetti 67 Dall’uova maggiori dopo gli otto giorni scapparono fuora mosche ordinarie; da alcune delle minori dopo quattro giorni nacquero moscioni, e da altre dopo quattordici giorni uscirono alcuni moscherini ; e dall’uova mezzane dopo una settimana e mezza nacquero alcuni altri mo¬ scioni molto più grandi e più grossi deprimi; ed il simile m’mtervenne nel cocomero, nelle fragole, nelle pere, nelle mele, nelle susine, nell’agresto, nel limone, ne’tichi e nelie pèsche. Ma perchè le pèsche erano riposte in un vaso di vetro, dal quale non potea gemere o scolar quel liquore, che nello infradiciarsi usciva da esse pè¬ sche, perciò ebbi da osservare che in esso liquore nuo¬ tavano molti picciolissimi vermi, che appena coll’occhio si potevano scorgere. Da questi nati sulle pèsche e nel liquore scolato pure da esse,- nel consueto tempo ebbero il nascimento i moscioni, che vissero molti giorni, avendo io somministrata loro materia da potersi nutricare; quindi essendosi congiunte le femmine co’maschi, gene¬ rarono degli altri bachi, che al solito diventarono mo¬ scioni: e credo che così fatta generazione fosse quasi andata in infinito, se più diligenza e più accuratezza io vi avessi posta. Dalla zucca tanto cotta che cruda non ho mai veduto nascere altro, che mosche ordinarie: mi par solamente da non trascurare il dirvi, che tutti i bachi nati su certa zucca cotta mescolata con uova ed infradiciata, quando furono vicini a fermarsi ed a convertirsi nelle seconde uova, andavano voltolandosi in quella poltiglia, che appoco appoco attaccandosi loro addosso gli ricopriva tutti, fino a tanto che pareano tante piccole zolle di tmra, dalle quali zolle nascevano poi le mosche ; onde chi non avesse saputo che dentro a ciascuna di esse era nascosto un uovo, avrebbe ragionevolmente potuto credere, che quelle mosche dalla terra di quelle zolle fossero nate. Da qualche apparenza, non molto da questa dissimi- gliante, credo che potesse aver origine l’equivoco di Pli¬ nio , che nel libro undecimo della Storia naturale , scrisse, nascere molti insetti voganti dalla polvere umida delle caverne ; e per questa stessa apparenza parimente s’ingannano per avventura tutti coloro, i quali raccon¬ tano che dalla terra, dal. fango e dalla belletta de’fiumi e delle paludi s’ingenerino infinite maniere di animali ; 68 Biblioteca Scientifica onde Pomponio Mela facendo menzione del Nilo scrisse: « Non pererrat autem tantum eam, sed gestivo sidere « exundans etiam irrigat, adeo efficacibus aquis ad gene- « randum alendumque, ut prseterid quod scatet piscibus, « quod hipnopotamos, crocodilosque vastas belluas gi- « gnit; glebis etiam infundat ammas, ex ipsaque bumo « vitalia eiììngat. Hoc eo manifestum est, quod ubi seda- « Vit diluvia, ac se sibi ìvddido, per humeDtes campos « quaedam nondum perfecta animai a, sed tum primum « accipientia spiritum, et ex parte j am formata, ex parte « adhuc terrea visuntur. » Ed OvidjC nel primo delle T/ 'as forni az ioni : Sic ubi deseruit madidos septenifluus agros Ndus, et antiquo sua flumina reddiclit alveo , JEdierioque recens exarsit sidere limus: Plurima cultores versis ammalia glebis Inveniunt. et in his quaedam modo coepta sub ipsum N ascendi spatium : quaedam imperfecta . suisque Trunca viclent. numens : et eodem in coipore saepe Altera pars viviti rudis est pars altera tellus. Quippe ubi t.emperiem sumpsere humorque ca’o que ; Concipiunt , et ab his oriuntur cunei a duobus Cumque sit ignis aquae pugnax : vapor humidus orane s Res creat , et discors concordia foetibus apta est . Questa opinione fu secondata da Plutarco nelle Quistioni convivali ; da Macrobio, che la copiò da Plutarco, ne’Sa- tumali;dsi Plinio, da Eliano. e finalmente da una innu- mei abile schiera di antichi, i quali, Siccome nuoce al gregge semplicetto La scorta sua, quand’ella esce di strada, Che tutta errando poi convien che vada, furono seguitati senza pensar più oltre da infiniti scrit¬ tori moderni. Di qui è, che talvolta meco medesimo mi stupisco, considerando come da questi autori fosse sti¬ mata la natura così poco avveduta nella generazione di quegli animali e nella tessitura de’loro membri, altri già condotti d’ossa e di carne, ed altri nello stesso tempo modellati di pura terra : e pur Eliano fa fede d’averne La Generazione degli Insetti 69 vedati de’ così fatti con gli occhi suoi propri in un viag¬ gio ch’ei fece da Napoli a Pozzuolo; e Ovidio non con¬ tento nel luogo sopraccitato d’averci fitto, vedersi spesso nel fango degli animali senza gambe e senza giunture, ce lo ribadisce un’altra volta nel libro decimoquinto: Semina limus habet virides generantia ranas : Et generai truncas pedi bus; mox apta notando Crura dat , utque eadem sint longis saltibus apta. Ma quel che più galante mi pare si è, che queste stesse rane nate di fango, dopo sei soli mesi di vita, per testi¬ monio di Plinio, in polvere ed in fango improvvisamente ritornano, e poscia all’apparir della vegnente primavera a novella vita risorgono. Questo pensiero di Plinio è stato approvato da molti gravi filosofi del nostro secolo, ed in particolare dal dot¬ tissimo padre Onorato Fabri gran maestro in divinità, e uomo di profonda iitteratura e di sommo credito in tutte le filosofiche speculazioni, ma sopra ’l tutto maraviglio¬ samente felice m lfinventiva degli ardui problemi della più nobile e più sublime geometria. Ha egli dunque te¬ nuta questa opinione nel suo degnamente celebratissimo libro Bella generazione degli animali , alla proposizione settantesimaquinta e settantesimasesta, dove ammette, che dal corpo corrotto de’ ranocchi e convertito in terra si generino nuovi ranocchi. Io per ora non mi sento in¬ clinato a crederlo, non avendo per esperienza veduto cosa che mi appaghi pienamente ì’intelletto ; son però sempre prontissimo a mutare opinione, e tanto più, se quelle rane mentovate da Plinio fossero state azzannate e morse da quaich’ idro, ovvero da qualeh’altro loro inimico serpen¬ tello della razza velenosa di quegli che dal nostro divino Poeta nella settima bolgia dell’Inferno furono ripositi : Ed ecco ad un, ch’era da nostra proda. S’avventò un serpente, che ’i trafisse Là dove ’l collo alle spalle s’annoda. Nè 0 sì tosto mai nè I si scrisse, Com’ei s’accese ed arse; e cener tutto Convenne che cascando divenisse. 70 Bibli oteca Sci en tifica E poi che fu a terra sì distrutto, La cener si raccolse, e per se stessa In quel medesmo ritornò di butto. Ma queste e quelle son mere favole : e gli animali che sembravano aver qualche membro impastato di sola terra se meglio fossero stati ravvisati, assai manifesto sarebbe apparso che solamente erano terrosi ed imbrattati di fango ; e se nel terreno, nel fango e nella belletta dei campi e delle paludi nasce qualche vivente, e questo av- viene perchè in quei luoghi vi sono state partorite prima l’uova e l’altre semenze abili a produrne il nascimento, conforme che Aristotile e Plinio raccontano delle locuste o cavallette; delle quali favellando il dottore Zaccaria Ben Muahammed Ibne Mahmud della città di Casbin in Persia citato sotto nome d'Alcazuino, lasciò scritto nel libro arabico Belle maraviglie delle creature'. « Quando « le locuste pasturano di primavera, cercano un terreno « grasso e umido, sopra di cui si gettano, e colle code « scavano certe fossette, nelle quali ciascheduna di esse « partorisce cent’uova. » Le testuggini terrestri anch'esse fanno le lor uova e le rimpiattano sotto la terra: quelle similmente che abitano tra Tacque dolci e nel mare scendono su ’1 lido a parto¬ rirle e colla rena le cuoprono, e là sotto nascono fomen¬ tate dal calor del sole: onde chi pratico non ne fosse potrebbe forse credere, che dalla terra nascessero quelle piccole testuggini che dalle viscere di essa si veggono sovente uscire. In così fatto modo potrebbe forse esser vera una curiosa esperienza provata dal padre Atanasio Chirch^r, letterato dottissimo e di nobile e d’ingegnosa speculativa nelle operazioni della natura: « Quando le < rane, dice egli, al principio di marzo buttano copiosa- « mente il seme ne’ fossi dove abitano, accade che ri- « manendo poi : sdutti, la mota o limo si converta in « polvere insieme colle rane di già nate. Se tu vorrai « dunque manipolare una nuova generazione di rane, « opererai così. Piglia la polvere della melma di quelle « paludi e di que’ fossi dove le rane avranno fatti i « nidi; impastala con aqua piovana, e nelle mattine di « state mettila ad un tiepido calore di sole in vaso di « terra, ed acciocché non si secchi innaffiala di quando La Generazione degli Insetti 71 « in quando colla suddetta acqua piovana; e ci vedrai pri- « mieramente gonfiarvi certe bolle, dalle quali esce un « gran numero di ranuzze bianche, le quali anno solamente « i due soli piedi anteriori; ma dividendosi poscia in due « parti, se ne formano i due piedi posteriori, e quegli « animaletti diventano rane perfettamente figurate. » Quest’esperienza pare che probabilissimamente dovesse riuscire; ma io non ne ho mai avuto l’onore, ancorché, l’abbia reiteratamente provata e ne. do forse la colpa alla mia poca diligenza; o a qualche da me non conosciuto impedimento, il quale, come poi ho considerato, potrebbe per avventura, essere, che io feci sempre l’esperienza per appunto come l’insegna il padre Atanasio, e per farla mi servii della polvere di que’ fossi che son rimasi rasciutti; ma questi non rimanendo per lo più se non di state, nel qual tempo son di già nate tutie l’uova o semenze delle rane, non è meraviglia, se non essendo uova tra quella polvere, non sieno da essa nate le rane. Io ho però os¬ servato che quando le rane o bòtte nascono ne’ fossi o ne’ paduli. elle nascono in figura di pesce, non co’ soli piedi anteriori, ma senza verun piede, con lunga coda, piatta e per così dire tagliente; ed in così fatta figura per molti giorni van nuotando, cibandosi e crescendo : quindi cavan fuora le due gambe anteriori, e dopo al¬ cuni altri giorni, di sotto una pelle che veste tutto il lor corpo, cavan fuora le due altre gambe diretane, e pas¬ sato certo tempo si spogliano della coda; la quale non si divide in due parti per formar le gambe, come Plinio, il Rondelezio e tanti altri scrittori ànno creduto: e di questa verità potrà ogn’uno certificarsi, che voglia col coltello anatomico esaminare alcuna di quelle ranuzze nate di pochi giorm, e vedrà che le gambe di dietro e la coda son membri tra di loro distintissimi; e se ne rinchiuderà in qualche vivaio, potrà osservare che per molti giorni van nuotando guernite delle quattro gambe, non meno che della coda. Ma che vi dirò io di quell’altre ranuzzze o botticine, le quali il volgo crede che di state piovano dalle nuvole, ovvero che s’ingenerino fra la polvere in virtù delle gocciole dell’acqua piovana in quel momento ch’ella cade dall’aria? Io ne favellai abbastanza nell 'Osservazioni in¬ torno alle vipere, osservando che quelle ranuzze, le quali 72 Biblioteca Scientifica si veggono quando viene qualche spruzzagli a di pioggia Anno avuto il lor natale molti giorni avanti, e si trat¬ tengono nell’asciutto e s’acquattano o tra’ cespugli del- l’erbe o tra sassi o nelle bucherattole delia terra ; e per¬ chè son del colore di essa terra, non è così facile, quan- d’elle stan ferme e rannicchiate, che rocchio tra la pol¬ vere le possa distinguere ; e quei vedere ch’ell’ànno lo stomaco pieno di cibo e le budella piene di molti escre¬ menti, in quello stesso momento nel quale si credon esser nate, parmi che sia un evidente contrassegno di quella verità; della quale non son io il trovatore, coneiossieco- sachè in fln deli’Oìimpiade cenquattordicesima o poco dopo, ne’ tempi del primo Tolomeo re d’Eghto, ella fu recitata nella scuola peripatetica da Teofrasto Eresio successor d’Aristotile ; come si può chiaramente vedere della Libreria di Fozio, dove trovasi stampato un fram¬ mento di quel libro che ’l suddetto Teofrasto scrisse: Degli animai che repentinamente appariscono. Perlochè volen¬ tieri mi dispenso ora di parlarne più a lungo, per poter co¬ minciare a dirvi, che se di sopra ho affermato che mi si rende malagevole, anzi ’mpossibiìe, il dar fede che nella belletta lasciata ne’ campi dalle feconde inondazioni del Nilo si trovino animali co’ membri parte animati, parte di puratena composti, così ora non mi risulvo a credere che gli alberi, i frutici e l’erbe possano produrre animaletti di tal naiura, che sovente si trovino mezzi vivi e mezzi di legno e per ancora in tutto il corpo non finiti d’ani¬ marsi. E quantunque il suddetto padre Atanas o Chircher nel secondo tomo del Mondo sotterraneo . scriva d’ averne veduti de’ così fatti e di averne mostrati ad altre per¬ sone su’ ramuscelli del viburno o brionia e su’ fusti di quell’erba che in Toscana dicesi codacavallina, dubito che vi possa essere stata qualche illusione abile a poter far travedere l’occhio; e mi fo lecito scrivere liberamente il mio dubbio, perchè so molto b*me. quanto il padre Atanasio sia sincero amatore della verità, e che per rin¬ tracciarla egli non ha perdonato a tante sue gloriose fa¬ tiche non meno dell’ingegno che del corpo : ed io per lo medesimo fine con maniera libera vo scrivente il mio parere, perchè: . . . s’io al vere son timido amico Temo di perder vita tra coloro Che questo tempo chiameranno antico La Generazione degli Insetti 73 E questo stesso timore, accompagnato (la un ardentissimo amore della verità, è cagione che sinceramente vi con¬ fessi, che ancor jo ne’ tempi addietro abbacinato dall’ine¬ sperienza ho talvolta creduto di quelle cose, delle quali soventemente ricordandomi. Di me medesmo meco mi vergogno. Ed in vero bisogna che io avessi le traveggole, allora quando ne le mie Osservazioni intorno alle vipere scrissi che :1 cuore dt questi serpentelli ha due auricole e due cavità o ventricoli; imperocché il cuor viperino non ha che una sola auricola ed una sola cavità Egli è ben vero che quella sola auricola gonfiata si dirama come in due tronchi, ed internamente ha una sottilissima membrana che quasi la divide in due celle ; e per queste due divi¬ sioni entrando e cercando con lo stile o tenta, mi riuscì pigliar l’errore de’ due ventricoli, uno de’ quali vera¬ mente vi è, ma l’altro mi veniva disavvedutamente fatto con la tenta. Io m’era cosi invogliato ed invaghito d’ imbattermi pure in alcuno di quegli animalucci. parte semoventi e parte di legno (tanto vale appresso di me 1’ autorità di un uomo così dotto com’ è il padre Chircher), che non è diligenza e sollecitudine eh’ io non abbia usato e che non abbia fatto usare, per trovarne pur qualcuno. Laonde il dì 30 di maggio essendomi stati por cali certi ramu- scelli d’ ossiacanta o spinbianco, i quali sulia propria pianta s’ erano incatorzoliti, stravolti, rigonfiati, intene¬ riti e divenuti scabrosi e quasi lanuginosi, ed avean preso un color gialliccio punteggiato di rosso e di bigio, spe¬ rai di poter veder da quegli la desiderata nasc ta e tra¬ sformazione; e tanto più crebbe la speranza, quanto che vidi cert’ altri ramoscelli simili suda fìdirea seconda del Clusio, ed altri pur simili su’ tralci di quella clematide, che in Toscana si chiama viralba. Per la qual cosa rad¬ doppiate le diligenze, riposi di que’ ramoscelli e di quei tralci in alcune scatole; e di più ancora ogni giorno os¬ servava e faceva osservare tutte tre quelle suddette piante, sulle quali e ran rimasti molti di quegl’ meatorzo limenti stravolti; ma infin m’accorsi che erano un vizio naturale di esse piante, sulle quali ogni anno per io più 74 B iòti otecci Scie) i ti fi ca si trovava, e che non generava mai insetto di sorta veruna. Ma perchè tra questi animaluzzi, che il padre Chircher asserisce che nascono da’ ramuscelli putrefatti del vi¬ burno e della codacavallina, egli ne porta la figura di un’ altra terza spezie, che crede generarsi e dalle paglie e da’ giunchi imputriditi, non vi sia noioso ch’io vi rac¬ conti quel che m’ è avvenuto quest’ anno ad Artimino, dove ne’ boschi tra le scope ho veduti infinitissimi bache¬ rozzoli di questa terza spezie, i quali da’ contadini di quei contorni son chiamati cavallucci. Mentre dunque io mi trat¬ teneva colla corte nel mese di settembre alle cacce di quel paese, me ne furono portati moltissimi, e vidi che erano di due maniere ; gli uni aveano il colore tutto verde con due linee bianche parallele, distese da’ lati per tutta la lunghezza del corpo loro, e gli altri erano di colore tutto rugginoso o. per dir meglio, dello stesso color del fuscello della scopa. Tanto gli uni quanto gli altri anno due cor¬ netti in testa, composti di molti e molti nodi o articoli: i cornetti de’ verdi son di color rossigno ; ma gli altri della seconda razza son dello stesso colore, che è tutto ’i restante del corpo: il lor capo è piccolissimo, minore d’ un granello di grano, gli occhi son duri e rilevati e più piccoli d’ un seme di papavero, e ne’ verdi son di color rosso : la bocca è fatta come quella delle caval¬ lette. Camminano con un passo grave e lento, ed anno sei gambe, ed ogni gamba ha tre piegature, e le due prime gambe nascono appunto sotto quella congiuntura dove sta attaccata la testa. Tutto quello spazio che è dalle due ultime gambe fino all’ estremità della coda è composto e segnato di dieci anelli o incisure o nodi ; e da 1’ ultimo nudo spuntano due sottilissimi pungiglioni. Tutto il corpo insieme non è più luDgo di cinque dita a traverso, e per lo più dal capo alla coda è grosso ugual¬ mente ; e se bene alcuni nel ventre inferiore son più tronfi e di figura romboidale, questo avviene perchè son femmine ; ed anno il ventre più o men grosso e rilevato secondo che è maggiore o minore il numero dell’ uova che in quello si trovano. Tanto i maschi quanto le fem¬ mine gettano la spoglia tutta intera in quella guisa che fan le serpi, i ragni ed altri insetti, e la loro spoglia non è altro che una bianca e sottilissima tunica della stessa figura del lor corpo. La Generazione derjli Insetti 75 Quando mi furon portati questi animaletti, era meco per fortuna il signor Niccolò Stenone di Danimarca, fa¬ mosissimo, come voi sapete, anatomico de’ nostri tempi e letterato di ragguardevoli e gentilissime maniere, trat¬ tenuto in questa corte dalla reale generosità del sere¬ nissimo Granduca : ci venne ad ambedue in pensiero di osservarle viscere e l’interna fabbrica di quelle bestiuole, per quanto comportasse la lor minutezza, e vedemmo cbe dalla bocca si parte un canaletto, il quale, cammi¬ nando per tutta la lunghezza del corpo sino ad un fo¬ rame vicino all’ultimo nodo della coda, fa 1’ ufìzio d’eso¬ fago, di stomaco e di budella, ed intorno a questo cana¬ letto trovammo un confuso ammassamento di vari e di- - versi filuzzi che son forse vene ed arterie. Da mezzo il corpo fino all’ estremità della coda osservammo esservi un gran numero d’ uova, legate insieme o vestite da un filo o canale che per la sottigliezza non si poteva discer¬ nere. Non erano quest’ uova più grosse de’ granelli di miglio, e certe erano molli e tenere, e certe più durò ; le molli e tenere apparivano gialliccie e quasi traspa¬ renti, ma le dure, ancorché internamente fossero gialle, avevano il guscio nero; ed in tutte fra le nere e gialle in un solo animale ne contammo fino a settanta; e ad un altro che tenemmo rinchiuso il una scatola quattro giorni senza mangiare, oltre venticinque che n’avea fatte in quella scatola, ne trovammo in corpo infino il nu¬ mero di quarantotto. Mentre così passavamo il tempo, osservammo che, non ostante che a certi di quegli ani- maluzzi avessimo strappato fuor del corpo tutte quante le viscere, osservammo, dico, che continuavano a vivere o a muoversi, in quella guisa appunto che fanno le vi¬ pere sventrate ed altri molti insetti : per lo che ad al¬ cun’ altri tagliammo il capo, ed il capo senza ’1 busto per qualche breve tempo vivea; ma il busto senza ’l capo vi vacissimamente per lungo tempo brancolava, come se avesse tutti quanti gli altri suoimembri.Ondeper ischerzoe per un giucco da villa ci risolvemmo a rinnestare il capo su ’l busto, e ci riuscì con quella stessa facilità colla qua^ riusciva di rinnestarsi le membra aH’incantatore Orrilo, di cui il grand’epico di Ferrara : Più volte l’han smembrato e non mai morto ; Nè per smembrarlo uccider si potea, 76 Biblioteca Scientifica Cbè se tagliato o mano o gamba gli era, La rappiccava, che parea di cera. Or fin a’ denti il capo gli divide Grifone, or Àquilante fin al petto. Egli de’ colpi lor sempre si ride; S’adiran essi, chè non anno effetto. Chi mai d’alto cader l’argento vide, Che gli alchimisti anno mercurio detto, E sparger o raccor tutti i suoi membri, Sentendo di costui, se ne rimembri. Se gli spiccano il capo, Orrilo scende, Nè cessa brancolar sin che lo trovi, Ed or pel crine ed or pel naso il prende, Lo salda al coìlo, e non so con che chiovi. Pigliai talor Grifone, e ’1 braccio stende, Nel fiume il getta, e non par ch’anco giovi ; Chè nota Orrilo al fondo eom’un pesce, E col suo capo salvo alla riva esce. Così i nostri animaletti eoi capo annestato non solo con¬ tinuarono a vivere tutto quel giorno , ma eziandio per cinqu’altri giorni continui, con molta maraviglia di chi non ne sapeva il segreto; e tanto più che in quello stato non solo si sgravavano de’ soliti naturali escrementi del ventre . ma facevano ancora dell’uova : onde chi fosse stato corrivo a scrivere questo saidamento di teste, avrebbe potuto avere una grande quantità di testimoni di vista, ma avrebbe scritta una bella favola : conciossie- cosachè quelle teste si rappiccavano a’ lor busti, per¬ chè da’ busti gocciolava un certo liquor verde , viscoso e tenace, che seccandosi era cagione d’ un saldo ricon¬ giungimento ; ma le teste, ancorché ’l busto vivesse, non facean moto di sort’ alcuna nè mostravan segni di vita; ed i busti senza ’l nutrimento delle teste continuavano a vivere que’ cinque o sei giorni, come se le avessero riu¬ nite. D’ un parlare nell'altro son ito , senz’ avvedermene, troppo lungi da quel discorso ch’io faceva poc’anzi, sul quale ora rimettendomi, fa di mestiere ch’io ritorni a fa¬ vellarvi di quegl’ insetti che si veggono avere il nasci- La Generazione degli Insetti 77 mento sull’erbe infracidate, e ch’io vi dica che su tutte quante le spezie ho veduto indifferentemente nascere i vermi : onde non è un miracolo ciò che Dioocoride e Plinio anno scritto per cosa considerabile e singolare, che su ’l bassilicò masticato ed esposto al sole avvenga un simile nascimento di bachi ; imperocché tale acci¬ dente è comune a mtte quell’erbe, su le quali sono mor¬ tati dagli animasi i semi de’ vermi. Da questi vermi pro¬ dotti su l’erbe infracidate ho veduto talvolta nascer mo¬ sche ordinarie e talvolta qualche moscione, ma per lo più e non di rado, da una pianta sola moltissime gene¬ razioni di animaietti volanti e cosi minuti, che con molta ragione alcuni di essi furono da Tertulliano chiamati unius puncti ammalia : e mi si ravviva alla memoria che su ’1 solo isopo, su ’1 solo spigo e suT solo iperico, ol¬ tre alle mosche ordinarie e ad alcuni altri pochi moscioni, nacquero otto o nove altre diverse razze di moscherini tra loro differentissimi di figura. Su ’I prezzemolo trovai parimente alcuni bachi similissimi a quegli che si tra¬ sformano in mosche; erano però tutti pelosi, e facendo cerchio di se medesimi spiccavano sovente in qua ed in là vari salti : ma non mi fu favorevole la fortuna nel farmi vedere ciò che ne sarebbe nato ; imperocché mo¬ rirono tutti, avanti che in uova come gli altri si con¬ ducessero e si fermassero, forse pei freddo della sta¬ gione che si era avanzata verso ’1 fine del mese di no¬ vembre. Sentite ora quel che scrive Plinio nel libro ventune¬ simo della Storia naturale : « Un’ altra maravigla, dice » egli, avviene del mèle nell’isola di Candia ; quivi è il » monte di Carina, il quale ha nove miglia di circuito ; » dentro a questo spazio non si trovano mosche , ed il » mèle colà fabbricato esse mosche mai non assaggiano; » ed essendo questo singolare per l’uso de’ medicamenti, » con tale esperienza si elegge. » La stessa maraviglia racconta Zeze del mèle attico, e soggiunge, che questo avviene per essere l’Attica abbondantissima di timo , il di cui acuto odore è dalle mosche grandemente abbor- rito : lo riferisce altresì Michele Glica ne’ suoi greci an¬ nali, e n’adduce la medesima ragione di Zeze. E pure io ho vedute le mosche partorir le loro uova ed i loro vermi nel timo, e da que’ vermi nascerne le mosche, e 78 Biblioteca Scientifica quelle mosche golosamente mangiarsi non solamente il mèle allungato con la decozione del timo, ma eziandio trangugiarsi un lattuario composto col suddetto mèle e con foglie di timo. Forse ne’ tempi di Plinio e nel monte Carina era una vendica storia, ma in Toscana crederei cne oggi noverar si potesse tra le favole. Laonde, per terminar più presto che mi sarà possibile questa ormai troppo lunga lettera e troppo tediosa, ripiglio a dirvi che siccome tutte le carni morte e tutti i pesci, tutte le erbe e tutti i frutti sono un nido proporzionatissimo per le mosche e per gli altri animaletti volanti, così lo sono ancora tutte le generazioni di funghi , come ho potuto vedere nelle vesce, ne’ porcini, negli uovoli, ne’ grumati nelle ditoia ed in altri simiglianti. Io parlo però di quei funghi, i quali di già sono stati colti, e per così dire son morti e putrefatti ; imperocché quegli che stanno radi¬ cati in terra o su gli alberi e che vivono, sogliono ge¬ nerare cert’ altre maniere di bachi, alcune dei le quali sono differentissime nella figura in tutto e per tutto da’ vermi delle mosche ; conciossiecosachè questi de’ funghi non vanno strascinando il loro corpo per terra, nè vanno serpeggiando come quegli, ma camminano co’ loro piedi come 1 bachi da seta ; e se quelli delle mosche, de’ mo- schenni e de’ moscioni anno il muso lungo ed aguzzo, questi lo anno corto e schiacciato con una fascia nera sopra di esso. Questi stessi dunque , finiti eh’ e’ son di crescere, si fuggono studiosa mente da quel fungo nel quale son nati e rilevati, ed in vece di trasmutarsi in uova, si fabbricano intorno un piccolissimo bozzoletco di seta, in cui ciascheduno di essi sta rinchiuso alcuni giorni determinati; dopo lo spazio de’ quali da ogni bozzolo esce fuora un animaletto volante, che talvolta è una zan¬ zara, talvolta una moschetta nera con quattr’ ale, e tal¬ volta un’ altra moschetta parimenti nera e eon quattro ale, col ventre inferiore allungato a foggia di coda si¬ mile a quella delle serpi. Or qual sia la cagione efficiente prossima che generi questi bachi ne’ funghi viventi; io per me credo che sia quella stessa che gli genera nelle vive piarne e ne’ loro frutti altresi viventi; intorno alla quale varie sono l’opi- nioni de’ filosofi e di coloro che la virtù delle piante o vero la loro natura investigarono. Fortunio Liceto nei La Generazione degli Insetti 79 libri del nascimento spontaneo de’ viventi, supponendo per vero verissimo che dall’anima vegetativa più igno¬ bile di tutte l’altre non possa mai prodursi l’anima sen¬ sitiva, crede che quelle generazioni di bachi si faccia per cagione del nutrimento che le piante prendono dalla terra, in cui egli dice che sono molte particelle d’anima sensitiva, esalate o dagli escrementi o da’ corpi morti o viventi degli animali ; soggiugne ancora, che da’ me¬ desimi corpi o viventi o molti svaporano molti atomi o corpiceili pregni d’anima sensitiva, i quali, volando per Teoria ed attaccandosi alle scorze delie piante, alle foglie ed a’ frutti rugiadosi, cagionano U nascimento de’ bachi. Pietro Gassendo è di parere che nella polpa de’ frutti nascano i vermi, perchè le mosche, Papi, le zanzare ed altri simili insetti posandosi sopra i fiori vi lascino i loro semi, i quali semi, rinchiusi e imprigionati poi den¬ tro a’ frutti, coll’aiuto del calore della maturazione di¬ vengano vermi. Potrei molte e molt’ altre opinioni ad¬ durvi ; ma perchè quasi tutte si riducono a quelle, delle quali nel bel principio di questa lettera vi favellai, per¬ ciò stimo opportuno il tralasciarle: e se dovessi pale¬ sarvi il mio sentimento, crederei che i frutti, i legumi, gii alberi e le foglie in due maniere inverminassero. Una, perchè, venendo i bachi per di fuora e cercando 1’ ali¬ mento , col rodere si aprono la strada ed arrivano alla più interna midolla de’ frutti e de* legni : 1’ altra maniera si è, che io per me stimerei che non fosse gran fatto dis dicevole il credere , che quell’ anima o quella virtù, la quale genera i fiori ed i frutti nelle piante vi¬ venti, sia quella stessa che generi ancora i bachi di esse piante. E chi sa forse cne molti frutti degli alberi non sieno prodotti, non per un fine primario e principale, ma bensì per un ufizio secondario e servile, destinato alla generazione di que’ vermi, servendo a loro in vece di matrice, in cui dimorino un prefisso e determinato tempo ; il quale arrivato, escan fuora a godere ii sole. Io m’immagino che questo mio pensiero non vi parrà totalmente un paradosso ; mentre farete riflessione a quelle tante sorte di galle, di gallozzole, di coccole, di ricci, di calici, di cornetti e di lappole che son prodotte dalle querce, dalle farnie, da’ cerri, da’ sugheri, da’ lecci e da altri simili alberi da ghianda; imperciocché in quelle 80 Bìl) li oteca Sdentiti ca gallozzole, e particolarmente Delle più grosse che si chia¬ mano coronate, ne’ ricci capelluti che ciuffoli da’ nostri contadini son detti, nè ricci legnosi del eerro, ne’ ricci stellati della quercia, nelle galluzze della foglia del lec¬ cio si vede e videntissi inamente, che la prima e princi- pa’e intenzione della natura è formare dentro di quelle un animale volante; vedendosi nel centro della galloz¬ zola un uovo che col crescere e col maturarsi di essa gal¬ lozzola va crescendo e maturando anch’egli, e cresce al¬ tre.- ì a suo tempo quel verme che nell’uovo si racchiude; il qual verme, quando la gallozzola è finita di maturare, e che è venuto il termine destinato al suo nascimento, diventa, di verme che era, una mosca; la quale, rom¬ pendo l’uovo e cominciando a roder la gallozzola, fa dal centro alla circonferenza una piccola e sempre ritonda strada, al fine della quale pervenuta, abbandonando la nativa prigione, per l’aria baldanzosamente sen vola a cercarsi l’alimento. Io vi confesso ingenuamente che prima d’aver fatte queste mie esperienze intorno alla generazione degl’in¬ setti, mi dava a credere, o per dir meglio sospettava, che forse la gallozzola nascesse, perchè arrivando la mosca nel tempo della primavera e facendo una picco¬ lissima fessura ne' rami più teneri dalla quercia, in quella fessura nascondesse uno de’ suoi semi, il quale fosse ca¬ gione che sbocciasse fuora la gallozzola; e che mai non si vedessero galle o gallozzole o ricci o cornetti o calici o coccole, se non in que’ rami, ne’ quali le mosche aves¬ sero depositate le loro semenze; e mi dava ad intendere che le gallozzole fossero una malattia cagionata nelle querce dalle punture delle mosche, in quella guisa stessa che dalle punture d’altri animaletti simigl evoli veggiamo crescere de’ tumori ne’ corpi degli animali. Io dubitava ancora, se per fortuna potess’essere che quando spuntano le gallozzole ed i ricci, sopraggiugnendo le mosche, spargessero sopra di essi qualche fecondo li¬ quore di seme che pregno di spiriti vivacissimi potes-e penetrar nella parte più interna, ed ingravidandola, pro¬ ducesse quivi quel verme. Ma avendo poi meglio consi¬ derato, che vi son molti frutti e legumi che nascono co¬ perti e difesi da’ loro invogli o baccelletti, e che pur bacano ed intonchiano ; avend’osservafo che tutte le gal- La Generazione degli Insetti 81 lozzole nascon sempre costantemente in una determinata parte de’ rami e sempre ne’ rami novelli ; e che quelle gallozzoline che nascono nehe foglie della quercia, della tarma e del cerro, anch’esse costantemente nascon tutte su le fibre o 1 nervi di esse foglie, e che nè pur una gal- lozzolina si vede nata sul piano della foglia tra un nervo e l’altro; che tutte infallibilmente spuntano da quella parte della foglia che sta rivolta verso la terra, e mima da quella parte più liscia che riguarda il cielo ; e per lo contrario tutte le gallozzoline che si trovano nelle fo¬ ghe dei faggio e d’alcuni altri alberi non gliiandiferi stanno tutte dalla parte più liscia di esse foglie ; avendo ancora posto mente che molte foglie d’altri alberi, su le quali nascono o vesciche o borse o increspature o gon- fietti pieni di vermi, quando quelle foglie spuntano, elle spuntano con quelle stesse vesciche o borse, le quali molto bene si veggiono, ancorché minutissime sieno le foglie, e vanno crescendo al crescere di esse foglie (e di ciò manifestamente ognuno potrà certificarsi coll’osser- var diligentemente quel che nasce nelle foglie dell’olmo, del leccio, dell’alberello, del susino selvatico e del len¬ ti sco); in oltre il cerro fa alcuni grappoletti di fiori, da que' fiori son prodotte altrettante coccole rosse e pao¬ nazze, ciascheduna delle quali ingenera ire o quattro bachi rinchiusi ne’ loro caseilini distinti ; il medesimo cerro fa un altro grappoletto di fiori, e da quei fiori spuntano alcuni calicetti verdeggialii, legnosi nella base e teneri nell’orlo, e tutfi questi calici fanno i lor bachi, ed i bachi cscon fuora in forma d’animali volanti ; perciò mutandomi d’opinione, mi pare di poter più probabil¬ mente credere che la generazione degli animali nati da gli alberi non sia una generazione a caso uè fatta da semi depositati daile sopravvegnenti gravide mosche : e tanto più, perchè non vi è pur una sola gallozzola che non abbia il suo baco, ed in ogni sorta di gallozzole vi son sempre le proprie e determinate razze di bachi, di mosche e di moscherini, le quali mai non variano. In oltre maravigliosa è la maestria usata dalla natura nel formare quell’uovo, e preparargli il luogo dentro la gal¬ lozzola, e corredarlo di tante fibre e fili che da essa gal¬ lozzola vanno all’uovo, quasi altrettante vene ed arterie che conducono l’opportuno sussidio per la formazione 6 — Insetti, 82 Biblioteca Scientifica dell’uovo e del baco e per lo nutrimento che a loro fa di mestiere. E perchè vi ha certe particolari spezie di gallozzole, nelle quali non un solo, ma più vermi s’ingene¬ rano, perciò essa natura seppe accuratissimamente di¬ stinguere i luoghi, come lo sa fare in quegli animali che di numerosa prole in un sol pàrto sono fecondi. Si vede altresì che il verme delle gallozzole ha un certo neces¬ sario fomento vitale da tutta quanta la quercia : imper¬ ciocché se sia colta una galla coronata, subito che spunti dall’albero, e che dentro di essa rocchio non possa scor¬ gere principio di uovo, questa galla mai non baca e non tarla e mai non produce la mosca ; se si colga un poco meno acerba ed un poco più grossetta della prima, e che vi si veggia l’uovo che comincia a farsi, o che di poco sia fatto e sia per ancora molto acerbo e piccolino, ei va male e non conduce il verme alla maturazione : ma se ’l verme vien a bene, egli ha il determinato e prelisso termine di trasformarsi in mosca e di uscire dalla gal¬ lozzola, il qual termine mai non falla. Egli è ben vero che, secondo le diverse razze delle gallozzole, diverso è parimenti il lor termine; imperocché da alcune razze scappan fuora gli animaletti di primavera, da altre di state, da altre d'autunno e da altre sul principio dal verno : ma gli animaluzzi di certune aspettano l’altra futura primavera, quegli di cert’altre la state, ed alcuni amano di stagionarsi per entro la gallozzola lo spano intero di due anni, e oltre. Egli è superilo che di ciò io vi favelli ora più lunga¬ mente. essendovi questa storia in qualche parte non ignota, per quello che ne fu osservato ad Artimino, quando la corte fanno passato vi si tratteneva, godendo le deli¬ ziose caccie di quelle boscaglie: anzi a be'la prova mi tacerò, rimettendomi a quello che sarò per dirne, quando darò in luce questa particolare e curiosissima Storia dei vari e diversi frutti ed animali che dalle querce e da altri alberi son generaci. E credo fermamente che presto potrò soddisfare alia curiosità degli investigatori delle cose natur: li, essendomi stata favorevole la generosa e reai munificenza del serenissimo Granduca mio signore, mediante la quale ne ho fatto miniare fino a ora molte e molte figure dal delicato pennello del signor Filizio Pizzichi. La Generazione degli Insetti 83 Non voglio già passare in silenzio, per tornare al mio primo proposito, che stimo non esser gran peccato in filosofia il credere, che i vermi de’ frutti sieno generati da quella stessa anima e da quella stessa naturai vir- tude che fa nascere i frutti stessi nelle piante; e se bene in alcune scuole si tien pei certo che una cosa men no¬ bile non possa generarne una più nobile della generante, io me ne fo beffe, ed il solo esempio delle mosche e de’ moscerini che nascono nelie gallozzole dello querce parmi che tolga via ogni dubbio : oltreché questi nomi di più nobile e di men nobile son termini incogniti alla natura ed inventati per adattargli al bisogno delle opinioni or di questa or di quella setta, secondo che ie fa di me¬ stiere. Ma quando pure per le strepitose strida degli sco¬ lastici dovesse in ogni modo esser vero, che dall’igno- bili cose non si potessero produrre le più nobili, io non so per me vedere qual gran vergogna o quale strava¬ gante paradosso mai sarebbe il dire che le piante, oltre alla vita vegetativa, godessero ancora la sensibile, la quale le condizionasse e le facesse abili alla generazione degli animali che da esse piante son pi'odotti .Democrito che, per testimonianza di Petronio Arbitro, omnium her barum succos expressit , et, ne lapidum virgultorumque vis lateret , cetatem inter experimenta consumpsit, non sdegnò di concedere il senso alle piante. Pittagora e Pla¬ tone ebbero questo stesso parere ; e l’ebbero similmente Anassagora ed Empedocle, se dar vogliamo fede ad Ari¬ stotile, che nel primo libro Delle piante lo riferisce. Ma i ricreduti Manichei empiamente passarono più avanti, come racconta sant’ Agostino, e tennero che le piante avessero anima ragionevole, e che però fosse mi¬ sfatto d’omicidio il coglierne frutti o fiori, lo strapparne violentemente foglie e rami, e sradicarle totalmente dal suolo. Plotino però fu molto più moderato, scrivendo che elle anno sentimento sì, ma intormentito e stupido della stessa maniera che lo anno rostri che, le spugne e gli altri simili animali che piant’animali nelle scuole sono chiamati: a Plotino ed agli altri suddetti filosofi gentili si accostarono Giovanni Veslingio e Tommaso Campa¬ nella con molti altri moderni tra’ quali l’eruditissimo nostro Imperfetto, dico il signor priore Orazio Ricasoli Rucellai ne’ suoi maravigliosi Dialoghi dell’anima fa par- 84 Bill ioteca Scientìfica lare altamente Vincenzio Mannucci e con ragioni laude- voli a favore di questa opinione. Per prova della quale non vi addurrò qui, secondo il detto di Plinio, che alcuni follemente si facessero a credere che Pittagora coman¬ dasse l’astenersi dalle fave, perchè in quelle si ricove¬ rassero i’anime de’ morti; nè meno vi dirò di questo le¬ gume la favolosa virtude scritta ne’ libri filosofici manu- scritti che van sotto nome d’ Origene, dove s’afferma che Zareta, filosofò di nazione Caldeo e maestro di Pittagora dicesse che le fave macerate al sole rendevano un non so quale odore, simile a quello dell’umana semenza; e che quando elì’erano fiorite, se si rinchiudevano in un vaso sepolto sotto la terra, dopo non moiti giorni si sa- rebbono trovate avere la vergognosa effigie di quella parte femminile che per nativa modestia dalle donne più d’ogn’altra si cela; o che poscia avrebbero acquistata la figura del capo di un fanciullo ; io non vi scrivo qui le precise greche parole di Origene o di Epifanio che si sia l’autore di que’ libri, perchè, se ne avrete curiosità le potrete vedere neli’erudite osservazioni fatte sopra Laer¬ zio Diogene da quel grandissimo e gentilissimo letterato e nostro comune amico e accademmo Egidio Menagio Per prova parimente della suddetta sensibilità delle piante, non ha che vi rammenti 1 virgulti di Tracia ani¬ mati delio spinto del morto Poiidoro, nè meno i giardini di Alcina mentovati dali’Ariosto, nè le boscaglie inven¬ tate dal Boiardo e dal Beimi ; nè vi ridurrò alla mente nel secondo girone delflnlerno quell’orribil selva, delia quale il nostro sovrano Poeta : Però disse ’l maestro : Se tu trinchi Qualche fraschetta n v’ accorgete voi, che noi siam vermi Nati a formar V angelica farfalla? E perchè mi giova molto a mostrarvi eh’ è il vero quanto di sopra v’ho detto, piacemi di portarvi qui tutte quelle poche esperienze che per fortuna mi son rimase delle molte che intorno a’ bruchi ed alle farfalle ho fatte. Il giorno cinque di giugno, andando aila villa del Pog¬ gio imperiale, vidi che ne’ lecci dello stradone passeg¬ giavano moltissimi bruchi, alcuni de’ quali si vedevan talvolta calar dagli alberi fino in terra giù per certi fili di seta, e dalla terra velocemente rimontar negli alberi su per gli stessi fili. Ne feci pigliare una gran quantità e posi mente che erano tutti vestiti d’ un pelo lungo due buone dita a traverso, parte di color nero e parte di color di ruggine, e sulla groppa erano tutti punteggiati di quat¬ tordici punti in foggia di margheritine rosse. Gli misi in certe cassette, dove per alcuni giorni si nutrirono di 92 Biblioteca Scientifica foglie di leccio, e poscia spogliandosi di quella veste pe¬ losa, parve che ognun di loro volesse cominciare un boz¬ zolo, tessendosi all’intorno alcuni fili di seta; ma. o che mancasse loro la materia, o che sien soliti così fare, come credo, non compirono il bozzolo, ma tra quell’in¬ graticolato di fila si cangiarono in crisalidi prima ros- signe e poi nericcie, aventi la figura d’un cono su la di cui base rimasero alcuni pochi peluzzi. Il dì venzei di giugno ne nacquero certe farfalle, della stessa figura di quelle che nascono da’ bozzoli della seta : ma se quelle de’ bozzoli della seta son bianche, queste erano di color capellino sbiadato, tutto rabescato di nero, con due lar¬ ghi spennacohietti neri in testa, e nell’ ultima estremità del ventre con una nappetta di seta nera : ma il giorno ventotto nacquero da alcun’altre delle suddette crisalidi ceri’ altre farfallette minori tutte bianche, due delle quali si attaccarono insieme; onde la femmina fece poi molte e molt’uova piccolissime e gialle, dalle quali nel mese di maggio nacquero altrettanti piccolissimi bruchi che in due giorni si morirono. Il pi imo giorno di luglio mi fu portato un bruco verde' assai grosso, trovato in un viale del giardino di Boboli : se gli vedevano sedici gambe, com’ anno per lo più la maggior parte de’ bruchi, cioè otto sotto la gola, sei a mezzo ’l ventre e due nell’estremità della coda; aveva quattordici incisore o anelli, ed ogni anello avea due macchiette di eoior rancio o dorè, e sei perle dello stesso colore, coperte di peli castagni, corti e radi. A dì cinque di liigl o, senz’aver in questi quattro giorni mangiato, fece il suo bozzolo tutto di seta bianca, con molta sbavatura di seta all’ intorno del bozzolo, il quale dalla parte più acuta era aperto, e da quest’apertura scappò fuora una fartalla al fine del mese di maggio a\ venire. A dì cinque di luglio trovai soora una pianta di solano un grossissimo bruco: tosto che l’ebbi ijinchiuso, cominciò a rodere delle foglie di quell’ erba, ed il giorno settimo de lo stesso mese gettò la spoglia e rimase crisalide rossa, che d’ ora in ora andava oscurandosi finché quasi diventò nericcia ; e da essa il secondo giorno di agosto nacque un grandissimo farfallone, che stuzzicato ed ir¬ ritato strideva come se fosse un pipistrello. Era di color dorè e nero, nell’ ali, nel dorso, nel ventre, col capo La Gerì era iti onr degli Insetti 93 tutto nero, sul quale s’alzavano due pennacchini ne¬ ricci; gli occhi apparivano capellini, e la proboscide nera cartilaginosa, e arrotolata avanti alla bocca con molti anelli, conforme soglie n tener tutte 1’ altre farfalle; le sei gambe, nel primo fucile, o stinco attaccato al petto, eran tutte pelose di color dorè sudicio, e negli a tri fu¬ cili di paonazzo ; sul line d’ ogni gamba si vedeva un unghia, anzi per tutti i fucili e per tutti gli articoli di esse gambe spuntavano le medesime ungine o uncini o lancigli che sieno. Campò solamente sei giorni. A di dodici di luglio mi fu portato un ramo di quer¬ cia, in due foglie del quale erano distesi con bell’ordine più di trenta bruchi, coperti di pelo bianco e corto, e per tutto ’l corpo picchiettati di vari colon, giallo, dorè, bigio, bianco e nero ; il capo aveva un certo color ca¬ stagno, lustro e tramezzato da un Y di color giallo. Tutti questi bruchi stavano immobili e riposatamente dormi¬ vano; onde, avendogli messi in una grande scatola, in capo a due giorni gettarono la spoglia, si svegliarono e subito cominciarono a mangiar foglie di quercia e di farnia, ma più volentieri le prime che le seconde, e con¬ tinuarono a cibarsene fino al dì ventiduesimo dello stesso mese, ed allora essendosi rincantucciati per ordine in un angolo della scatola, s’ addormentarono di nuovo e dormirono due giorni interi. Quindi essendosi di nuovo spogliati e desti ed essendo divenuti più grandi e col pelo molto più lungo, mangiavano con gran furia e vo racità; e durarono fino al primo d’agosto, nel qual giorno avendo improvvisamente abbandonato quasi affatto il mangiare, si fecero come sbalorditi, mogi, deboli, più pic¬ coli di corpo; e si erano tutti pelati e appena si mo- veano, ancorché fosseno punti o tocchi ; parevano in¬ somma intristiti infermi, ovvero somigliavano a quei vermi da seta che, ammalandosi e quasi marcendo prima di condursi a fare il bozzolo, son chiamati volgarmente vacche ; ed in questa forma si trattennero fin alla notte del quarto giorno d’agosto, nella quale sei di questi bru¬ chi, avendo per la terza voita gettata la spoglia, si can¬ giarono in aurelie o crisalidi di color nericcio che pare¬ vano tanti bambini fasciati, senz’avere nè pure un sol filo di seta col quale avessero potuto appiccarsi al co¬ perchio o a’ lati della scatola. Il che osservando io la 94 Biblioteca Scientifica mattina seguente, ebbi occasione di veder la maniera con la quale questi bruchi si trasformano in crisalidi ; impe¬ rocché s’apre e si fende l’esterna spoglia sopra la groppa vicin al capo, e la spoglia parimenti del capo medesimo si divide, e si squarcia in due partq e da quello squar¬ cio comincia la crisalide ad uscir fuora, sempre dime¬ nandosi ed agitandosi ; e tanto s’ agita e si scontorce, tìnchè abbia tramandata tutta la spoglia fin all’estremità della coda. Ed in questo tempo si vede che il capo no¬ tabilmente ingrossa, e la coda s’ assottiglia a tal segno che quando il bruco s’ è finito di convertire in crisalide, la crisalide ha pigliata la figura d’un cono, e rimane di un color verdissimo, tenera e cedente al tatto : ma il color verde, cominciando dall’ estremità della coda, ap¬ poco appoco si cangia evidentemente per tutto ’l corpo in dorè, quindi in rosso, e col mutar di colore sempre più indurisce la pelle; la gola è l’ultima parte, nella quale il verde si cangia in dorè: ma quando il dorè della gola è diventato rosso, di già tutto ’l restante della cri¬ salide s’ è fatto nero o per lo meno vicin al nero, e s’è tutto indurito; e questa funzione si comincia e si finisce in poco più tempo di mezz'ora: perloehè ho a^uto campo facilissimo di certificarmene più e più volte. Quando tutti i bruchi si furon convertiti in crisafidi, il che avvenne la sera del sesto giorno d’ agosto, mantennero questa figura fino alla vegnente primavera; ed allora verso ’l fine d’ aprile nacquero le farfalle e tutte della stessa razza ma non tutte nello stesso giorno, s.ccome i lor bruchi in diversi giorni s’eran tramutati in crisa’idi. Molte di queste farfalle, appena che furon nate, fecero le lor uova al numero per lo più dalle 35 alle 40, di color mavì smon¬ tato, con una sottil punta nera ne1 mezzo: ma perchè elle non erano state fecondate da’ maschi, perciò non vidi mai nascerne cosa veruna. Il dì venzei di luglio fu trovato a pascere sopra un susmo un bruco di color rancio, così grosso e stermi¬ nato che pesava tre quarti d'oncia ; era composto di tre¬ dici anelli, nel mezzo di ciascuno de'quali campeggiavano certe margheritine azzurre e pelose; nel primo anello ch’è il capo ell’eran sei, nel secondo erano otto ed otto altresì nel terzo e nel quarto : ma nel quinto mutando ordine non eran più che sette, e dal quinto fino all’un- La Generazione degli Insetti 95 decimo anello eran sei ; nel duodecimo se ne vedeva quattro solamente; ma nel l’ultimo nessuna Oltre queste margheritine pelose, ogni anello aveva due macchie bianche circondate d’una linea nera Lo stesso giorno de'venzei fece il bozzolo, il quale fu grossissimo, di color di muschio, e pareva tessuto più tosto di setole ispes¬ sirne che della solita materia degli altri; ed era attac¬ cato alla scatola così pertinacemente che senza violenza grandissima non potè strapparsi: ei non aveva però esternamente quella sbavatura di seta, come ’1 bozzolo bianco tessuto dal bruco verde poc’avanti descritto. Egli è ben vero che dalla parte più acuta era aperto come quello, e ne nacque un grandissimo farfallone intorno agli ultimi giorni d’aprile. Il dì sette d’agosto serrai in un alberello di vetro un bruco trovato in un mazzetto di ruta; era verde e spruz¬ zolato per tutto di macchiette gialle, rosse e turchine. Lo stesso giorno divenne immobile, essendosi nella parte di sotto attaccato al foglio che copriva l’alberello, e cavò fuora da’fianchi due fili di seta, e dalla coda certa poca di lanugine; stava disteso nel foglio, toccandolo da tutte le parti, non avendo perduto colore nè mutata figura. Il giorno seguente svanirono il color rosso ed il turchino, essendo solamente rimasi il verde e ’l giallo, ma un poco scoloriti; ed il bruco essendosi indurito, senz’aver gettata la spoglia, aveva alzato il capo dal foglio, ed il capo era diventato come cornuto; e sulle spalle eran comparse due palette, come si scorgono negli uomini magri; e la coda si era ristretta ed appuntata, reggen¬ dosi sovra di essa tutto ’l restante del corpo. In capo a quattordici giorni ne nacque una farfalla di color g;allo, tutta listata e galantemente rabescata di nero, tanto nel tronco del corpo quanto nell’ali; le due minori di esse ali aveano nell’estremità due macchie rotonde e rosse, ed alcune altre turchine circondate da un color paonazzo vellutato, e dall’ultimo lembo s’allungavano due appendicette, quasi fossero due code dell’ale Dalla testa sorgeano non già due pennacchini, ma bensì due lunghissime e mobili antenne di color nericcio, e più grosse nella punta che nella base. Morì dopo quattro giorni di vita. Nel mese di settembre, trovandomi al Poggio impe- 96 Bi h ìioteca Scien tifica riale. feci raccorre una gran quantità di bruchi di color verdegiallo con qualche macchia nera e bianca; questi stavano rodendo certi cesti di cavolo; gli misi nelle sca¬ tole, dando loro a mangiare dello stesso cavolo, e dopo quattro giorni salirono quasi tutti ne’coperchi delle sca¬ tole e quivi s’attaccarono senza muoversi; ed alcuni in questo tempo fecero certe minute uova, rinvolto in seta gialla. Dopo essere stati tre giorni senza muoversi, si spogliarono non di tutta la pelle, ma di quella parte solamente che lor vestiva il capo; quindi adagio adagio cominciarono a mutarsi di figura, e s’mdurì loro la scorza; e la figura fu perappunto come quella della cri¬ salide delia ruta, stando tenacemente appiccati alie sca¬ tole. perchè dall’ultima estremità della coda avean cavato fuora un filo di seta che s’attaccava alla scatola, e con due altri fili alla medesima scatola aveano raccoman¬ date le spalle, ed un altro filo usciva loro di sotto la gola ; ma questo quarto filo non tutti l’avevano. In tal modo mutati di figura si conservarono tutto ’l verno; ma verso ’l mese di marzo molti si seccarono e perde- rooo quel moto e dimenamento che, quando eran toc¬ cati. facevano: molti però non lo penderono e rimasero vivi e semoventi; e questi ch’eran rimasi vivi, lasciando al princip o di maggio attaccato il guscio al coperchio delle scatole, ne scappano n fuora in forma di farfalle di color verdegiallo sbiadato, con due macchie nere e tonde dell’ali superiori, e con due cornetti gialli in testa, come quegli della farfalla nata dal bruco trovato nella ruta. Ma aprendo io per curiosità alcune di quelle crisalidi che nel mese di marzo s’inaridirono e cessarono di muo¬ versi, osservai che tutto il lor guscio era voto, eccetto che nella parte corrispondente al petto, dove trovai un uovo di color fra ’l paonazzo e ’l rosso, pieno d’una ma¬ teria simile ai latte o alla chiara d’uovo: agli undici di maggio da tutte quest’uova nacquero altrettante mosche, della razza di quelle che comunemente ronzano per le nostre case, e nacquero moge e sbalordite e malfatte, come quelle che nel principio di questa lettera vi scrissi aver avut’origine da’bachi Dati nelle carni: in questo stesso tempo da quelle piccolissime uova fatte da’bruchi nel mese di settembre usciron fuora altrettanti piccolis¬ simi moscherini nericci, con due nere e lunghissime an tenne in testa. La Generazione degli Insetti 97 Molt’altre esperienze ed osservazioni io aveva fatte, ma per la mia poca diligenza m’è succeduto di smarrir alcuni fogli dove l’avea notate : onde non volendo fidarmi della memoria, farò passaggio a divisarvi che può essere «•.he vi sia qualch’albero che generi de’ bruchi, e che quei bruchi si trasformino poi in crisalidi, e che dalle crisa- 1 • di rinascano le farfalle; ma io non l’affermo e non lo nego. Ed acciocché ciascuno possa credere quel che più gli aggrada, vi riferirò che questo stesso anno al prin¬ cipio di maggio osservai che sulle foglie del a vetrice dalla parte più ruvida e rivolta verso la terra nascono alcune coccole o pallottole verdi, e grosse più d’un noc¬ ciolo di ciriegia, le quali verso la fin di maggio diventan rosse brizzolate di bianco, e stanno attaccate alla foglia con una piccolissima appiccatura : queste pallottole nella parte interna son gialliccie ed anno una gran cavità, in cui si trova sempre un sol bruco sottilissimo e bianco, col capo di color castagno e quasi dorato, il quale at¬ tende a nutricarsi in quella cavità ed a scaricarsi degli escrementi del ventre. Dal principio di giugno fin al principio d’ottobre continuai ad investigare, se veramente que’ bruchi uscivano di quelle pallottole e se si trasfor¬ mavano in farfalle, e non ebbi mai fortuna di trovarne una sola che fosse bucata: e avendone serrate molte in certi vasi, nè meno da queste potei accertarmene j impe¬ rocché sempre dopo dieci o dodici giorni io trovai i bru¬ chi morti nelle cavità delle pallottole. E’ v’è un’altra razza di vetrice che non germoglia nelle foglie queste coccole rosse, ma in cambio loro fa su pei rami certi bitorzoli o calli, entro i quali si generano bru¬ chi bianchi simili a’ soprammentovati ; e di questi ancora non m’è venuto fatto di rinvenire ’l fine e la trasforma¬ zione. Il dì 29 di maggio mi furon portati de’ rami di salcio, nelle foglie de’ quali eran nate certe tuberosità o gon- fietti di color verde che cominciava a rosseggiare : eran questi lunghi e lisci come fagioli : non erano già situati come le pallottoline rosse della vetrice, le quali nascono nella banda della foglia che riguarda la terra e facil¬ mente da essa foglia si spiccano; ma queste del salcio son situate in modo che ànno la loro elevazione dal- l’una e dall’altra banda della foglia, la quale fa loro in- 7 — Insetti. 98 Bill ioteca Sci e ì i ti fica torno un lembo ; e tutte son situate accanto al nervo più grosso del mezzo, e se ne trova una, due e talvolta tre per foglia. Volli aprirne alcune e m’avvidi ch’aveano una cavità, nella quale dimorava un bruco bianco come quello che si trova nelle due maniere delle vetrici; ed osservai di vantaggio che molte di quelle tuberosità eran forate, e dentro alle loro cavità non era rimasto altro elle le cacature del bruco, il quale di già se n’era fug¬ gito ; onde presi speranza di vederne la trasformazione, ma in vano : conciossiachè quantunque io custodissi di¬ ligentemente molte foglie in alcune scatole, i bruchi non vollero mai uscirne e sempre dopo qualche giorno ve gli trovai morti. Non ho cognizione d’altri bruchi che sieno generati da¬ gli alberi : il virtuosissimo padre Atanasio Cbircher re- plicatamente scrive per cosa vera nel duodecimo libro del Mondo sotterraneo, che l’albero del moro genera i bachi da seta, impregnato dalla semenza di qualsivoglia animaletto penetrata nella sustanza e tra’ sughi interni di quell’albero : a questo fine ho usata e fatt’usare par¬ ticolarissima diligenza, non solo ne’ mori che sono in¬ torno a Firenze, ma ancora in quegli di molt’altre città di Toscana, e non ho mai potuto vedere un baco da seta natovi sopra nè contrassegno veruno, dal quale si po¬ tesse sperare che vi fosse per nascere. Aristotele vuole che dal cavolo si generino giornalmente i bruchi ; ma nè anche questa così fatta generazione ho veduta; ho ben osservato soventemente nelle foglie e ne’ gambi del cavolo e nell’erbe circonvicine moltissime uova parto¬ ritevi dalle farfalle dalle quali uova nascon poscia i bruchi, e da' bruchi convertiti in crisalidi anno il nasci¬ mento le farfalle. Chi pon mente sopra herbe e sopra gli alberi e negli screpoli de’ loro tronchi, vi troverà spesso di simili uova; ed io mi ricordo che ’ntorno al principio di maggio tro¬ vai nelle foglie del sambuco molti e molti uo vicini pic¬ colissimi, ma gialli. Ebbi piacere d’osservar quel che ne fosse per nascere, ed in pochi giorni vidi uscirne altret¬ tanti minutissimi verminetti, a’ quali subito somministrai delle foglie del sambuco che da essi furono golosamente divorate. Andarono crescendo e divennero di color giallo con molte macchie rossicce; la coda loro terminava come La Generazione degli Insetti 99 una mezza luna, il capo era piccolissimo ed aguzzo, e al¬ lora quando camminavano, cavavan fuora di sotto ’l ven¬ tre certe pallottoline, come se fossero gambe. La maggior parte di questi vermi il dì venzei di maggio diventò im¬ mobile, abbandonando affatto il mangiare, senza mutarsi di colore o di figura; ma il dì primo di giugno sei dei suddetti bachi si raggrinzarono in se medesimi e si rap- pallottolarono, e divennero come tant’uova appuntate e gobbe di color di ruggine. D’uno di quest’uovi il di do¬ dici di giugno scappò fuori una mosca poco più grande delle mosche ordinarie, con due ali cartilaginose e bian¬ che e più lunghe del corpo, con sei gambe gialle , con due cortissimi cornetti che le spuntavano dal capo; il quale per di sopra era di color rugginoso, col dorso fello stesso colore, ma più chiaro, a cui succedeva una gran macchia di color quasi giallo ; tutto ’l restante del ventre era tinto d’un giallo vivo, tramezzato da strisele nere tra¬ sversali. Subito che questa mosca fu nata, cominciò a gettar certo sterco bianco, e campò due soli giorni. L’altre cinqu’uova nacquero sette giorni dopo ’l primo, e n’uscirono fuora altrettante mosche molto differenti da quella che dal prim’uovo era uscita, ancorché fossero delio stesso colore; imperocché queste cinque eran lun¬ ghe e sottili, con l’ali molto più corte del ior corpo, le quali nonrerano due, ma quattro; aveano sei gambe, due delle quali eran moltissimo più lunghe dell’altre quattro. Dalla testa spuntavano due lunghissime antennette aguzze, composte di molti e molti nodi. Queste mosche, siccome la prima, subito nate fecero quello sterco bianco e cam¬ parono quattro giorni : osservai però che quando questi vermi trovati sul sambuco si trasformano e si raggrin¬ zano in uovo, l’uovo diventa più piccolo del verme; e quando dall’uovo esce la mosca, ell’è molto più grande dell’uovo, a segno che pare impossibile ch’eil’abbia po¬ tuto capirvi : onde si può credere che vi stesse molto rannicchiata e ristretta. E perchè poca abilità mi presta l’ingegno mio nel descrivere esattamente questi anima- letti, ve li manderò delineati e nella lor propria e naturai grandezza, ed aggranditi ancora da un ordinario microscopico di quegli d’un sol vetro. Ma se non ho potuto scorgere, come poco dianzi scrissi che dall’albero del moro sieno generati i bachi da seta. 100 Biblioteca Scientifica tanto meno spero di vedergli nascere dalle carni putre¬ fatte d’un giovenco pasciuto per venti giorni con foglie, di moro. Girolamo Vida poeta nobilissimo cantò gentil¬ mente questa favola ad imitazione di Virgilio: Quod si spes generis defecerit omnis ubique, Seminaque aruerint Jovis implacabili s ira , Sicut apes tenzri repara dur crede juvenci. Eie super accedit tantum lab or : ante juvencus Bisdenosque dies , bisdenasque ordine noctes Graminis arcenclus pasta. prohibendus ab undis : Interea in stabulis tantum illi piuguia mori Sufficiunt folla , et lactenti cortice ramus Yiscera ubi coesi fuerint liquefacta , videbis Bombycem fractis condensum erurnpere costis , Atque globos loto tincarum effervere tergo. Et valuti putres passim concrescere fungos. 11 che fu sentito per vero da due grandi e giustamente celebrati filosofi del nostro secolo, cioè da Pietro Gassendo e dal padre Onorato Fabri, e prima di loro da Ulisse Aldovrando. Io n^n so che dirmi ; l’esperienza non l’ho fatta nè mi sento voglia di farla ; so bene che dalle carni di un capretto, pasciuto venti giorni di sole foglie di moro, non nacquero altro ebe vermi, i quali si trasfor¬ marono in mosconi; e dall 3 carni dello stesso capretto tenute in vaso serrato non nacque mai cosa veruna Io so parimente che sulle more riscaldate e putrefatte na¬ scono vermi che diventano a suo tempo moscioni e mo¬ sche ordinarie: e che sulle foglie del moro infracidate si veggono nascere altresì mosche ordinarie e quattro o cinque altre sorta di moscherini minuti, i quali nascono ancora su tutte quante l’altre erbe, purché vi siano state portate le semenze e 1’ uova delle mosche e de’ mosche¬ rini ; e se queste semenze non vi saranno realmente por¬ tate, niente, come altre volte ho detto, si vedrà mai na¬ scere nè dall’erbe nè dalle carni putrefatte nè da qual¬ siasi altra cosa che in quel tempo attualmente non viva. Per lo contrario, se viverà e se veramente sarà animata, potrà produrre dentro di sè qualche bachérozzolo, in quella maniera che nelle ciriege, nelle pere e nelle susine, nelle gallozzole e ne’ ricci delle quercie, delle farnie, de’ cerri, La Generazione degli Insetti 101 de’ lecci e de’ faggi hanno il lor nascimento que’ bachi, i quali si trasformano in farfalle, in mosche ed in altri simili animaluzzi volanti. In questa stessa maniera potrebbe per avventura esser vero, e mi sento disposto a crederlo, che negli intestini ed in altre parti degli uomini nascano i lombrichi ed i pedicelli ; nel fiele e ne’ vasi del fegato de’ montoni o castrati soventemente abbian vita que’ vermi che bisciuole da’ macellai si chiamano ; e nelle teste de’ cervi e dei montoni quegli altri fastidiosissimi bacherozzoli che quasi sempre vi si trovano. E perchè ad alcuni potrebbe forse giugner nuovo che i fegati de’ montoni e dei cervi altresì abbian dei vermi nella testa, perciò imprendo volentieri a dirvi brevemente quello che io n’abbia osservato. Le bisciuole del fegato de’ montoni o castrati, hanno la figura quasi di un seme di zucca, o per dir meglio di una piccola e sottil foglia di mortella con un poco di gambo ; son di color bianco lattato, e traspariscono in esse molte sottilissime ramificazioni di vasi o canaletti verdognoli ; la lor bocca o altro forame che si sia è ri¬ tonda e posta nel piano del ventre, poco distante da quella parte che si assomiglia al gambo della foglia. Spesse volte si trovano le bisciuole nella borsetta del fiele ; e non solo abitano e nuotano in esso fiele, ma ancora in tutti quanti i vasi del fegato, eccettuatone l’arterie, nelle quali non ne ho mai vedute. Io stimo però che elle nascano in quella borsetta, e che col rodere si facciano la strada e passino da’ canali della bile a quegli del sangue; quindi se talora moltiplicano di soverchio, rodono eziandio la sostanza interna del fegato e vi fanno deile cavernette, in cui sgorgando il sangue mescolato colla bile, vi s’im¬ paluda e tassi di un color di ruggine misto col verde, molto brutto e schifo alla vista e molto amaro a giu¬ dizio del sapore : perlochè a chiunque ponesse mente a questa faccenda si renderebbe molto malagevole il cibarsi, come giornalmente si costuma, di quegli abominevoli fe¬ gati, i quali però, avanti che da macellai sieno esposti afa vendita, son molto ben ripuliti e netti da quell'im¬ mondizia. De’ vermi della testa de’ cervi ne fece aperta menzione il grande e sapientissimo Aristotile nel cap. 15 del se¬ condo libro della Storia degli animali ; e son quest’esse 102 Biblioteca Scientifica le sue parole: « Tutti quanti i cervi anno de’ vermi vivi » nel capo, nascendo loro sotto la lingua in una certa » cavità vicina a quella vertebra , colla quale il cap< . » s’attacca al collo. Son di grandezza uguali a que’ più » grandi che da ogni sorte di carne putrefatta si pro- » ducono ; ed arrivano per lo più al numero di venti in » circa. » Io ho avuto curiosità molte e molte volte di cercarne tanto ne’ cervi più vecchi , quanto in que’ più giovani che fusoni da cacciatori son detti , e quasi in tutti n’ho trovati ; dico quasi in tutti, perchè in vero più d’una fiata mi sono imbattuto in qualche testa che non ne ha mostrato nè pure un solo , conforme mi avvenne il dì veDzette di febbraio, che di dieci teste di cervo che feci aprire, nove erano verminose ed una sola osservai libera da quel fastidio, e pochi giorni dopo, di sei capi di fusoni quattro solamente contenevano i vermi. Aristo¬ tile gli assomiglia nella grandezza a quegli che nelle carni imputridite si veggono : E perchè gli è Aristotile bisogna Credergli, ancorché dica la menzogna Ma a me panebbono questi de’ cervi senza niun para¬ gone moltissimo più grandi, e nella figura mi rassembre- rebbono differentissimi da quegli ; conciossiecosachè questi de’ cervi son fatti com’ un mezzo cilindro , piatti nella parte inferiore che tocca la terra e rilevati per di sopra e bianchi, ma distinti da molte strisce di mezzi anelletti Deiosi, i di cui peli son di color di ruggine. Hanno due bianchi piccolissimi cornetti in testa che gli scortano e gli allungano e gli rimpiattano a lor voglia, come fanno le chiocciole. Sotto questi corni scanno due uncinetti o rampini neri, duri e con gran solletico e noia pungen¬ tissimi ; di tali rampini pare che se ne servano a cam¬ minare, imperocché si attaccano prima con essi e poscia si avanzano col corpo al cammino, e serpeggiano senza gambe. Quell'estremità, per la quale sogliono scaricarsi degli escrementi del ventre, è scanalata per traverso, e la scanalatura è marcata di due macchie nere a foggia di mezze lune. Non è determinato il lor numero; e quan¬ tunque Aristotile lo ristringa al venti in circa, nulla di meno io ho contato in una sola testa fino a trentanove di così fatte bestiuole, e non mai meno di venti. La Generazione degli Insetti 103 Similissimi a questi vermi nella figura appariscon que¬ gli che dentro alle teste de’ castroni si trovano ; e’ son però minori e men fieri, men pelosi e solamente listati di strisce trasversali nerissime che molto campeggiano su ’i bianco di tutto il corpo ; non son però listati tutti di nero, ma soìamen e i maggiori e finiti di crescere; essendo che i minori e nati forse di poco sono affatto bianchi. Quelle due macchie nere in foggia di mezza luna che si veggono nella scanalatura di una dell’estremità di quegli de’ cervi, in questi bachi de’ castroni son nere sì, ma di figura perfettamente circolare. Abitano in alcune cavità degli ossi della fronte, ai quali si appoggiano le corna ; n’ho trovati ne’ canali del naso e dentro a quella cavità che è nelle radici delle corna stesse ; onde fu ve¬ ridico il Caporali , quando nella Vita di Mecenate , vo¬ lendo accennare la natura d’Amore, piacevolmente scrisse Voglion molti che Amor, dio degli amori Siasi mezzo fanciullo e mezzo augello, E si pasca di cuor come gli astori Altri che un verme sia, simile a quello Che nasce nelle corna de’ castroni, E gli raggira e cava di cervello. E dicono i pastori che quando i castroni in certi tempi danno nelle smanie e pare che abbiano l’assillo, ne son cagione questi bacherozzoli che imperversano più aspra¬ mente dei solito nella lor testa. Non son così numerosi come que’ de’ cervi, e rare volte arrivano ad esser dodici o quindici al più. E qui piacciavi di ricordarvi ch’io mi ristringo sempre a quel che ho veduto con gli occhi miei propri, e che fuor di questo non nego mai e non affermo che che sia. Da quella stessa vita che sa produrre dentro alle te¬ ste de’ cervi e de’ montoni quegli animaletti de’ quali vi ho favellato, può essere che sien fatti nascere, ed io non saprei .disdirlo, quegli altri abominevoli e odiosissimi, dai Greci chiamati cpsatps?, che l’esterne parti degli uomini, de’ quadrupedi e de’ volatili infestano: ma se ho da ri¬ ferire liberamente il min pensiero, mi sento più inclinato a credere col dottissimo Giovanni Sperlingio che abbiano il lor natale dali’uova latte dalle loro madri, fecondate 104 Biblioteca Scientifica mediante il coito. E se Aristotile seguitato da’ moderni si dette ad intendere che da quell’uova o lendini che si chiamino non nasca mai animai di sorta veruna, ei si ingannò al certo, perchè ne multiplicano in infinito ; e mi parrebbe indarno l’affaticarmi nel provarlo, trovan¬ dosi ben soventemente e i peli de’ quadrupedi e le penne degli uccelli gremite di quei lendini, i quali quantunque alle volte sien così minuti che ci voglia buon occhio a scorgerli, nulla di meno coll’aiuto del microscopio si può benissimo considerare il lor figuramento, e distinguer quegli che per ancora son pieni e quegli da* quali è uscito l’animale. E chi troppo garoso temesse di qualche immaginaria illusione de’ micioscopi, potrebbe certificarsi di questo veio in quell’uova che si trovano attaccate alle penne deiraquiia reale, del gheppio e del vaccaio che pur anch’esso è un uccel di rapina, le quali son grosse molto più de’ granelli di panico : onde l’occhio da per se medesimo e senz’aiuto può soddisfarsi e vedervi den¬ tro i pollini bell’e fatti, come a me più d’ una volta è accaduto d’osservare, e quindi apprendere quanto debole sia il fondamento d’Aristotile e con quanto poco sforzo si lasci gittare a terra. Si potrebbe affermare, e per avventura senza far torto al vero, che tutte le generazioni di viventi sottoposi e sieno a questa noiosa bruttura: e Plinio che volle esen- zionarne gli asini e le pecore, Se ’l vero appunto non scrisse, io lo scuso, Perchè si stette all’altrui relazione, cioè a quella d’Aristotile, recitata ne’ libri della Storia degli animali e confermata molti secoli dopo da Tom¬ maso Moufeto nel suo lodevolissimo Teatro degli insetti; dove al cap. 23 del II libro, non volendo tacciare d’inav¬ vertenza quel profondissimo filosofo, voi' e più tosto, lam¬ biccandosi il cervello, scrivere che l’asino non imp'doc- chisce per cagione della naturai pigrizia al moto, me¬ diante la quale di rado suda; poscia, parendogli forse questa ragi. ne frivola molto e per avventura di niun peso, ricorre all’universale ed in tutte le cose calzante e non mai manchevo’e rifugio dell’antipatìa. Ma ciò non ostante impidocchisce l’asino. E che le pecore vi sien La Generazione degli Insetti 105 sottoposte anch’esse, lo sa ogni più goffo pastore, e ne fa¬ vellò chiaramente il greco Didimo nel lib. XVIII degli Affari della villa, e dopo di lui Jacub A firuzabadi in quel gran vocabolario arabico che da esso con voce egi¬ zia fu intitolato Alcamus , cioè a dire Oceano Il soprammentovato Moufeto riferisce che in fin gli sca¬ rafaggi son tormentati da così fatti animaluzzi ; ed io quantunque non abbia avuta la congiuntura d’esperimen- tarlo, me lo persuado per vero con grandissima facilità; imperocché posso con molt’altri far test monianza di ve¬ duta che le formiche stesse non ne son esenti, e che ogni spez e di formiche ne ha la sua propria e singular ge¬ nerazione : ma e’ bisogna bene aguzzar gli occhi e ar¬ margli bene d’un microscopio squisitissimo, per potergli squisitamente ravvisare, tanto son minuti e quasi quasi invisibili; onde penso che ne manchi poco a potergli no¬ verare tra gli atomi. Quegli delle formiche alate son della stessa figura d’una zecca della gallina e quegli delle formiche senz’ale si rassomigliano in gran parte a quella della tortora. Gli autori della storia naturale riferiscono, e tutti i pescatori lo raffermarono, che i pesci ancora son mo¬ lestati da varie maniere d' insetti ; e son a loro nomi notissimi, la pulce, il pidocchio e le cimice di mare. Aristotile lo scrisse de’ delfini e dei tonni : altri lo ànno affermato del salmone e del pesce spada : Plinio ne parlò in generale dicendo : « Nulla cosa è che « non nasca in mare. Vi sono infin quegli animaluzzi « estivi dell’ osterie che fastidiosi velocemente saltel- « lano, e quegli che tra capelli s’ ascondono. Tirandosi « T esca fuor dell’ acqua, vi si trovano spesso aggo- « mitolati intorno ; e questi si dice che la notte rom- « pano il sonno a’ pesci in mare ; ed alcuni nascono in « alcuni pesci, tra’ quali si novera il calcide. » Accioc¬ ché possiate più facilmente aderire all’autorevole senti¬ mento di questi approvati scrittori, non voglio tralasciar di narrarvi che nel mese di marzo intorno allo scoglio della Meloria facendo cercar delle stelle marine e dei ricci, per rintracciarne le diverse maniere e l’ interna fàbb ica delle loro viscere, vidi alcuni animaluzzi attac¬ cati fra le spine di molti di que’ ricci ; i quali anima¬ luzzi aveano lo stésso colorito de’ gamberi, e di figura- 106 Biblioteca Sci en tifi ca mento e di grandezza eran simili a’ porcellini o aselli terrestri, ancorché non avessero corna in testa, ma so¬ lamente due piccolissimi occhi neri e sessanta sottilis¬ sime gambe situate intorno al lembo della loro scorza: e tengo che di questi così fatti intendesse Aristotile nel cap. 31 del V libro della sua utilissima Storia degli ani¬ mali. Pochi giorni dopo, tra’ congiugnimenti dell’arma- dura d’una locusta di mare trovai appiattato un altro insetto che scorpion marino dicesi dal volgo de’ pescatori. Se ciò fosse caso fortuito o avvenimento consueto, non ardirei farne parola ; inclinerei nulla di meno a soscri- vermi alia sentenza d’ Aristotile, affermante che gl’insetti aquatici non nascono dall’esterne parti de’ pesci, ma son generali nel limo, che a mio credere è il nido in cui si depositano e si covano i semi degl’insetti. Dalla rea! ge¬ nerosità del serenissimo Granduca mio signore mi fu con¬ ceduta. quest'inverno passato, una foca o vecchio marino che se la chiamino. Campò fuor dell’acqua senza cibo quattro settimane intere ; e molto più avrebbe campato se per servizio del teatro anatomico di Pisa non si fosse fatta svenare. In tutto quel corso di tempo che appresso di me la ritenni, procurai molte volte che fosse posto mente, se tra quei folto e morvido pelo, da cui è tutta coperta la foca, s’annidassero animaletti di veruna sorta, ma non se ne trovò mai nè meno un solo. Per lo con¬ trario i merghi che volgarmente son .chiamati maran¬ goni, i tuffoli che sono 1 colimbi de’ 3reci, e tutti gli altri uccelli che si tuffano e predano sott’acqua e usano le paludi e gli stagni anno gran quantità di pollini che d' ogni stagione dimorano tra le loro piume. Già che ho fatto nuova menzion dei pollini, e’ non sarà fuor di proposito divisar con più particolarità quel che intorno a ciò per molti esperimenti abbia compreso. In tutti quanti gli uccelli di qual si sia generazione si tro¬ vano i pollini, ed ogni specie di uccello ne ha la sua propria o, per dir meglio, le sue proprie e determinate razze totalmente differenti tra di loro. Di tre diverse fogge ne trovai nell’astore e nella gallina di Guinea volgar¬ mente detta gallina di Faraone ; di quattro nella mari- giana; di due nel cigno, nell’oca selvatica reale, nel gheppio e nel piviere. Egli è però vero che vi son certi uccelli che ne hanno La Generazione degli Insetti 107 alcuni similissimi, anzi gli stessi ; imperocché l’aquila reale ed il vaccaio ne hanno di que’ grandi che si tro¬ vano nel gheppio, ed oltre a questi, nel vaccaio se ne trovano cert’altri simili di figura ma non di colore, a quegli del corvo e nell’aquila reale alcuni altri similis¬ simi agli ovati dell’astore. C'erti pollini dell’ottarda e della gallina prataiola rassomigliano in gran parte a lunghi dell’astore. Nel picchio e nel filuiguello ne ho ve¬ duti de’ simili a quello dello storno, e nel germano reale quasi degli stessi che si trovano nell’oca reale. Tra le penne della gru s’annidano pollini bianchi tutti e rabe¬ scati quasi di caratteri o cifre nere. Gli stessi a capello si trovano in certi uccelli nutriti nel giardino di Boboli portati ultimamente d’ Africa, dove da Mori son chiamati in lor linguaggio Bukottaia , quali reputo che sieno una altra spezie di gru; conciossiecosachè di color di penne e di figura sono somigliantissimi alla gru ordinaria, an-, corchè sieno un poco minori e più scarsi di corpo ed abbiano due ciuffevti bianchi e lunghi in testa, mediante i quali di buona voglia affermerei che fossero la gru balearica. Ho fatt’ osservare tutte le maniere di uccelli stranieri che n°l suddetto giardino si nutricano ; ma negli struz- zofi non si son mai trovati pollini in veruna stagione. Una cicogna parimente non ne avea, ed in essa può es¬ sere stato caso fortuito, non essendovi se non quella sola; ma gli struzzoli furono dodici, tra’ quali certuni eran venuti di pochi giorni di Barberia. Del resto la gran¬ dezza de’ pollini non corrisponde alla grandezza o pic¬ colezza degli uccelli; essendo che negli uccelli di gran corpo si trovano razze di pollini grandi e razze di pic¬ coli, e negli uccelli minori se ne ravvisano de’ grandi: quindi mi sovviene di averne veduti certi nelle merle che di grandezza non cedevano a quegli del cigno. Se i pollini si guardano per di sopra, non si vede loro la bocca : ma se si osservano volti allo ’nsù, ella si scorge benissimo, situata in quel lato del muso che volta verso la terra, ed è fatta a foggia d’un -aio di tanagliette non molto dissimili a quelle della bocca de’ tarli. Quanto al colore, ritengon molto ed han grandissima simiglianza con quello delle penne de’ loro uccelli:: vero si è ch’io porto ferma opinione dettatami dall’esperienza 108 Bibli oteca Sci e? i tifi c-a che quando i pollini escono fuora da’ lendini, e’ nascono tutti bianchi, ma che poscia, col crescere, appoco appoco ed insensibilmente si coloriscano, mantenendosi però dia¬ fani in modo che mirati col microscopio e da quello ingranditi, si scorga molto bene il moto delle viscere e l’ondeggiamento dei liquori in esse contenuti. E perchè possiate conghie turare le proporzioni delle grandezze di queste bestiolucce, quando l’ho fatte disegnare, mi son servito sempre d’un stesso microscopio di tre vetri, la¬ vorato in Roma da Eustachio Divini con lodevole e deli¬ cata squisitezza. Coìl’aiuto di questo solo microscopio son rappresentate tre differenti razze di formiche non alate che si trovano in Toscana, punteruolo del grano, il bacherozzolo che rode i canditi e le droghe, quello che va pellegrinando tra’ capelli e nel dosso degli uomini, quelTaltro che si appiatta fra’ peli dell’anguinaia, il pidocchio dell’asino, del cammello e di un certo montone africano venuto di Tripoli di Barberia, il quale di figura e di grandezza è simile a’ castroni del Fisan, e come quegli ha l’orecchie larghe pendenti e la coda sottile e lunga fino in terra ; ma essendo armato di due gran corna, e avendo il pelo più lungo delle capre, più grosso e più ispido, si rico¬ nosce essere di una razza differente di quella del Fisan. Nello stesso modo è disegnata la zecca del capriuolo e della tigre. La zecca del leone ha per appunto la stessa figura di quella della tigre: so^mente differente nel co¬ lore e nella grandezza, essendo molto maggiore quella del leone : la quale è tutta di color lionato chiaro, ec¬ cetto in una parte del dòrso, in cui si vede un gobbo di color tanè oscuro ; e di questo stesso tanè è tutta colo¬ rita e tinta la zecca della tigre. Ho fatto ricercare, seie tigri sieno infestate ancora da pidocchi, ma non se ne son mai ravvisati : ed il simile dico di tutti quanti i leoni, pardi, or~i, icneumoni, gatti di zibetto e gatti selvaggi africani che con antico e reai costume son mantenuti nei serragli del serenissimo Granduca Non nego con tutto ciò che non ne possano avere : ma solamente affermo che questi animali che di presente vi si trovano non ne hanno, o per trovargli non si è usata quella puntual di¬ ligenza che conveniva ; imperocché lo scherzar intorno alle tigri ed a’ leoni è un certo mestiere che non si trova così facilmente chi voglia imprenderlo. La Generazione degli Insetti 109 Quando presi la penna, ebbi in mente di scrivervi una lettera convenevole : ma trapassandone di gran lunga, non so come, i contini, m’è venuto scritto presso più che un libro e con istile talvolta tutto secco e digiuno d’ogni leggiadria; perlocchè ne potrò esser con molta ra¬ gione da molti biasimato, ed io non saprei contraddirlo. Non vorrei già che qualcuno si biasimasse di me, per aver io detto forse troppo francamente il mio parere in¬ torno ad alcuni sentimenti de’ più rinomati maestri del nostro e de’ passati secoli ; imperocché ad ognuno è li¬ bero tener quell’opinione che gli è più in piacere ; e non credo che ciò disconvenga o che pregiudichi a quella stima e a quella riverenza eh’ io porto loro : anzi chi non ha baldanza di tirannia , non dovrebbe intorno alle naturali speculazioni sdegnarsi di questa libertà di pro¬ cedere nella repubblica filosofica, che ha la mira al solo rintracciamento della verità; la quale, come diceva Se¬ neca, omnibus patet, nondum est occupata : qui ante nos fuerunt, non domini, sed duces sunt ; multum ex illa etiam futuris relictum est. To m’ingegno di raccoglier qualche particella di questi gran rimasugli, e solamente meco medesimo mi rammarico di non poter corrispon¬ dere colle mie deboli forze a quelle grandissime comodità che mi presta la sovrana beneficenza del serenissimo Granduca unico mio signore : ma facilmente avverrà, o almeno lo spero, che dirozzatomi un giorno e rinvigori¬ tomi io vaglia a presentare a sì gran protettore cosa non affatto indegna di sua reale grandezza. Intanto ac¬ certatevi che questa lettera o libro eh’ e’ si sia se n’ è venuto a voi, non per vaghezza dì laude, ma per desi¬ derio d’esser emendato e corretto, siccome caldamente ve ne prego consapevole a bastanza. Che ’i nome mio ancor molto non snona. ^orqa ■ Grande Stabilimento Tipografico E. PESINO - ^orqa Sono usciti i primi 36 numeri L’ILLUSTRAZIONE PER TUTTI GIORNALE SETTIMANALE ILLUSTRATO “ — : - Ogni numero S Centesimi 9 L’Illustrazione per Tutti non è venuta a ricol¬ mare nessun vuoto, nè a far nessuna propaganda. Il suo tìtolo ne dice chiaramente lo scopo: noi non abbiamo altre pretese fuori che quella di poter entrare ogni Domenica tanto nel palazzo del ricco quanto nella casuccia del povero, a rallegrare e a di¬ vertire, ad insegnare e ad istruire. Sono pagine le nostre che, secondo il vecchio detto d’ Orazio, mandano sempre unito V utile al dolce, l'istruttivo al divertente. Vite di uomini illustri, articoli di scienza sodale, di arte, di letteratura, consigli di morale e d'igiene, pagine staccate dalle opere più famose dei più ehiari scrittori d'ogni tempo e d'ogni paese, osservazioni di storia naturale e di fisica , rela¬ zioni di viaggi, poesie, storia, romanzi e novelle, attu lità.... ecc... e ce.... tutto, corredato da splendide e accuratissime illustrazioni, troverà posto nelle colonne del nostro giornale che, pubblicando lavori dei più illustri scrittori italiani e stra¬ nieri, sarà anche, d'altra parte , un campo aperto a tutti i giovani ingegni che mostreranno attitudine a saper fare. ABBONAMENTO ANNUALE Per l’Italia L. 2,50 Per l’Estero L. 3,50 Chi invia per l’Italia 3 ~ Per l’Estero L. 4 - all’Editore EDOARDO PERINO, ROMA, oltre il Giornale riceverà in dono cinque Volumi di oltre pagine 100 ciascuno, tacenti parte della BIBLIOTECA NOVA. E uscito in tutta nana il numero 20 a centesimi E> 5 ©ENT. - ILLUSTRATO - CENT. 5 È indubitato che oggi la parte maggiormente coltivata d’ogni lette¬ ratura è quella che riveste la forma del romanzo. Ogni mese volumi e volumi si pubblicano di autori noti e di autori novellini, che vengono a portare la loro pietra all’ innalzamento di questo grande monumento della letteratura contemporanea : il romanzo. Noi, nel novo periodico illustrato, pubblicheremo una serie di romanzi buoni e belli e, senza badare a scuole e a partiti, cureremo che siano sopratutto divertenti e adatti a dilettare ogni genere di lettori. Con questo concetto prestabilito, ci siamo già procurati la proprietà per la esclusiva pubblicazione in Italia di molti fra i migliori romanzi stranieri non mai ancora voltati nella nostra lingua e perciò sconosciuti alla massa del nostro pubblico; e abbiamo anche impegnato valenti scrittori del genere, ita¬ liani, a darci i loro lavori che pubblicheremo uno appresso all’ altro senza nessuna interruzione. Fra i molti romanzi, che già abbiamo in pronto, annunciamo il capolavoro di Chevalier, una lunga serie di meravigliose e importanti avventure fra i popoli selvaggi dell’America, dove l’intreccio intricatis¬ simo dei fatti mantiene sempre il lettore nella sospensione della curiosità lino all’ultima pagina, intitolato: Contemporaneamente pubblicheremo uno dei più belli e più acclamati romanzi, per interesse e vivacità di narrazione, scritto dal forte ingegno di Giorgio Sand : TE VE RINO E due dei romanzi di E. Montazio, scelti fra gli ottanta da lui dati all’Italia e tradotti poi in tutte le lingue, ricevendo dovunque lodi e ac¬ clamazioni che li facevano vendere edizioni sopra edizioni. Questi due romanzi sono, il primo IL OOHAQGIO ÌS'UN ¥ìGL5AGGO il secondo, dove è toccata anche bellamente la parte umoristica, intitolato : H.OOO VERGI N I Il ROMANZIERE PER TUTTI pubblicherà in seguito altri ro¬ manzi di Emilio Zola, F. Du Boisgobey, X. Di Montépin, Vittorio Ber- sezio, A. Daudet, H. De Balzac, C. Dickens, W. Collins, ecc. tee. Si pubblicherà un numero ogni settimana, illustrato da splendide incisioni, in 8 pagine del formato della ILLUSTRAZIONE PER TUTTI a centesimi 5. — E i romanzi vi saranno pubblicati in modo da poter fare di ognuno un volume a sè. ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia L. 3,00 — Per l’Estero L. 4,00 3 Dirigere Commissioni e Vaglia alVeditore Edoardo Ferino - Roma I^oi^a - Grande Stabilimento Tipografico E. PERINO - I^oi^a Sono usciti i primi 36 numeri L’ILLUSTRAZIONE PER TUTTI GIORNALE SETTIMANALE ILLUSTRATO 1 «—• : :• - Ogni numero 5 Centesimi — ^ L’Illustrazione per Tutti non è venuta a ricol¬ mare nessun vuoto , nè a far nessuna propaganda. Il suo titolo ne dice chiaramente lo scopo: noi non abbiamo altre pretese fuori che quella di poter entrare ogni Domenica lauto nel palazzo del ricco quanto nella casuccia del povero, a rallegrare e a di¬ vertire, ad insegnare e ad istruire . Sono pagine le nostre che, secondo il vecchio detto d’Orazio, mandano sempre unito futile al dolce, l'istruttivo al divertente. Vite di uomini illustri, articoli di scienza sociale , di arte, di letteratura, consigli di morale e d' igiene, pagine staccate dalle opere più famose dei più ehiari scrittori d'o ini tempo e d'ogni paese, osservazioni di storia naturale e di fisica , rela¬ zioni di viaggi, poesie, storia, romanzi e novelle , attu lità.... ecc.. ecc.... tutto, corredato da splendide e accuratissime illustrazioni, troverà posto nelle colonne del nostro giornale che, pubblicando lavori dei più illustri scrittori italiani e stra¬ nieri, sarà anche, d'altra parte . un campo aperto a tutti i giovani ingegni che mostreranno attitudine a saper fare. Per l’Italia L. 2,50 Per l’Estero L. 3,50 Chi invia per l’Italia L. 3 - Per l’Estero I*. 4 ~ all’Editore EDOARDO FERINO, ROMA, oltre il Giornale riceverà in dono cinque Volumi di oltre pagine 100 ciascuno, tacenti parte della BIBLIOTECA NOVA. Ironia ^ EDOARDO PERINO, Tipografo-Editore Ironia Biblioteca Scientifica DIRETTA DAI PROFESSORI Mario LESSONA e Lorenzo CAMERANO njl Ly-,-.Vfrtrtf>rvryF~ L« 5 LA SERIE 5] | 0q iti ‘'VcCmmio- 20 VOLUMI r: g OENTES irai as L. 5 LA SERIE di 20 volumi I grandi cultori dello scienze scrivono con chiarezza e con evidenza e sanno farsi comprend re da tutti: essi sono popolari nel vero signi¬ ficato della parola. Ma le opere di questi grandi scrittori non vanno per le mani del popolo. Ciò è tantn più daa oso ora che la istruzione si è grandemente diffusa e le persone app nto che hanno minor tempo e minor danaro, sono le più desiderose di leggere e di istruirsi. Per soddisfare questo nobilissimo desiderio viene fuori ora questa BIBLIOTECA, nella quale a mano a mano si verranno pubblicando quei più brevi capolavori scientìfici popolari, per cui splende l’ingegno umano in ogni tempo e in ogni nazione, e di cui è tanto r;cca la nostra patria. II prezzo e la mole dei volumetti rendon questi accessibili a tutti, e il popolo itaPano vorrà accogliere questa pubblicazione con benevo¬ lenza pari alla bontà del sentimento che le ha dato origine. Di questa BIBLIOTECA SCIENTIFICA uscirà ogni 15 giorni un Volume di oltre 100 pagine. VOLUMI PUBBLICATI 1. - E. DARWIN: L’ istinto, con Prefazione del prof. GL RASORI. 2. - BUFFON: Discorso incorno alla natura degli Animali, tv*- dazione della signora A oELE LESSONA. 3. - F. REDI: Osservazioni intorno alle Vipere, coliavita dell’autore scritta da SALVINO SALVINI. 4. GIOVAMBATTISTA BROCCHI: Del Perdimento della specie e dello studio della conchiologia fossile italiana, con cenni "biografici. 5. - G02TH3: Filosofìa zoologica e Anatomia campa rata, prima traduzione italiana di MICHELE LE33 5NA. 6. - L. SPALLANZANI: Stufi sul Monte Etna, colla ^ita dell’Autore. 7. - A. VALLISNIÈRI : Dell'Estro dei Poeti e dell’Estro degli Ar¬ menti. S. - F. CETTI : I Quadrupedi della Sardegna. 9. - A BO : La Peste e la pubblica preservazione. 10. - Studi sul Vesuvio e al re località nel contor no di Napoli. 11. - F CETTI: La generazione degli Insetti. Dirigere Commissioni e Vaglia all’editore E. PERINO - Roma