.T-"*^!*-.' ''ii 4 ^^^ lEDICO-FARMACElTICA 1» FLORA MEDICO -FARMACEUTICA COMPILATA DAL DOTTORE IN MEDICINA E CHIRURGIA ^5S«^J- TOMO SESTO '^^^— LIBRARY NEW YORK BOTAKJtAL TORINO TIPOGRAFIA DI GlUSErPE CASSONE . Cx9if I PEPE NERO U3RARV Piper rotoDJil'olium nigrum, Bauh. piii. lil*. 11, sect. 3. — Piper niger, Linn. Di:ii)drÌ3 trigìnìa. — Juss. , class. 15, ord. 3. .Oiticee. — Poiret, Fior, raed,, Ioni. 8, uh. 276. — Ridi., Bot. med. , toin. 1 , pag. 57. Il pepe nero che tulli conoscono , è il frutto di un arbusto sarmentoso che cresce nelle Indie orientali , e che si coltiva particolarmente nelle isole di Java, Sumatra, Bornco e Malacca, non che nelle isole di Francia e di Borbone , egualmente che nelle colonie francesi d'America, ove, introdotta la di lui coltura, prosperò assai bene. Quest'arboscello, conosciuto dalla più remota antichità, ha radici fibrose e nerastre. I suoi steli sono lisci, spongiosi, arti- colali, dicotami, sarmenlosi ed arrampicanti quando trovano un punto d'appoggio su di un altro vegetale. Le foglie sono alterne, ovali , accuminate, glabre, portate su corti pezioli. I fiori formano certi castoni esili e pendenti, lunghi da quattro a cinque pollici e sono privi di calice e di corolla. Ciascun fiore è munito alla base dell'ovario e di due slami : le antere sono opposte , quasi sessili : l'ovario è supero , lo stilo appena sen- sibile, sostiene tre stimmi setacei. 1 frutti sono globosi, piriformi, sessili, rossastri, un po' carnosi all'esterno, mo- nospermi ed indeisoenti. Come ricevesi nel commercio , questo frutto è sferico , della grossezza della veccia , ricoperto d'una corteccia bruna e nera molto sugosa , formata della parte carnosa già disseccatasi. Si () può levare questa corteccia facendo immergere il seme nel- l'acqiia: si ottiene allora un pepe bianco, o piuttosto d'una tin- tura giallastra pallida, che in questo stalo costituisce ciò che ss vende in commercio sotto il nome di pepe bianco. Il pepe bianco adunque non è una specie od almeno una varietà di pepe, ma solo lo stesso fruito gettalo nell'acqua bollente per distaccarne la parte carnosa od esterna ; tocche lo rende men forte e meno ardente del nero ; quindi lo si preferisce generalmente per gli usi della tavola. Il pepe nero si moltiplica per barbatelle nei terreni mobili, sostanziosi ed umidi. Per stabilire una piantagione si sceglie un luogo vicino ad una corrente d'acqua, si bruciano tutte le erbe che coprono il suolo, e si piantano le barbatelle a distanze con- venienti , avendo cura di dar loro per sostegno alcuni alberi o pertiche che preservino colla loro ombra i giovani pepi: questi debbono essere ben mondati dopo tre anni. Il pepe fiorisce ogni anno, e talora anche due volte. La ricolla dei frulli si fa due mesi circa dopo la fioritura: si espongono al sole per più giorni uflìne di avere la disseccazione. Il pepe chiamasi dai Francesi Pome; dagli SpagnuoU Pimicnta negra; dai Portoghesi Pimentcria, Pimenta; dai Te- deschi Pfeffer ; dagli Inglesi Pepper ; dagli Olandesi Peper; cosi pure dai Danesi; dagli Svezzesi Peppar; dai Polacchi Picprz; dai Russi Perez; dagli Arabi Babary; nel Malabar Malagocodi. Il pepe, perchè si pos'a dire di huonn qualità, dehli'esseie pesante , poco • iigoso, e il più odoroso che mai si possa. Nei tempi della fjuerra marillima in cui era il pepe giunto ad uu fnezzo elevato, falsificava^i frefiuentemente con una composizione di pasta di farina impregnala di una materia acre qualunque, ordi- nariamente di senapa, e si annerivano i grani formati di questa pasta, arruoto- landoli nella polve della corteccia di cacao o di altra sostanza bruna. Questi prani erano uniti al pepe nero in diverse proporzioni, secondo la maggiore o minore avidità dei mercatanti. Si pretende che questa frode abbia ancora lucgo a Marsiglia; ma e troppo grossolana, e d'un utile oggidì troppo t;;nue (ler essere f)raticata, E facile riconoscerla facendo immergere il pepe nell'acqua: quello che è faliifìcato, si stempra e cade in fondo dell'acqua. 7 li pepe è formato A\ una maleria come cornea alla circonferenza e farinosa al centro, d'un sapore bruciante, aromatico ed eccitante la saliva. Il celebra professore Oerslaedl ha annunciato {Jourri. de physic. 1821) una nuova base salificabile esistente nel pepe, ed alla quale diedesi il nome di Piperìna. Questa sostanza però non è collocata da Pellettier che ne intraprese altra analisi tra gli alcali vegetali, come creduto aveva il surricordato Oerslaedt. Ecco i risultati delPanalisi di Pellettier: 1. Una materia cristallina {piperìna)- 2. Un olio volatile balsamico- 3. Una sostanza gommosa colorata. 4. Un principio estrattivo. 5. Bassorina. 6. Acidi malico ed urico. 7. Legnoso. 8 Diversi sali terrosi. La presenza della zirconia inoltre fu notata da Paoli nel pepe, ma questo fatto straordinario ha d'uopo d'essere verificato. Contiene inoltre il pepe nero un olio volatile fluido, presso che senza colore, più leggero dell'acqua, d'un odore somigliante a quello del pepe in natura. Esso vi esiste nelle proporzione di 96 Il peperino o la peperiua è sotto forma di prismi privi di colore, quasi insipidi, poco solubili nell'acqua, solubili nell'alcool e nell'etere, specialmente mediante il calore. Gli usi del pepe, come specie aromatica, sono troppo conosciuti perchè sia necessario entrare in alcun particolare a questo riguardo. I popoli dell'Europa ne fauno un sì grauepe che si riscontra commendato presso moltj autori antichi greci , latini, arabi, persino a che si pervenne a discoprire nella lamosa corteccia peruviana un rimedio di maravighosa virtù febbrifuga, alla quale lianno poi tutti i pratici ricorso nel curativo governo delle febbri intermittenti. La scoperta della china-china fece obbliare o dimenticare tutti gli altri febbrifughi che rimasero ecclissati allo splendore di questo rimedio che. a malgrado ilelle opposizioni fattegli, tenne sempre e tiene tuttora, e forse terrà sempre il primato Ira i medicamenti contro le febl>ri periodiche. Il dottore Meli, esimio professore di ostetricia a Ravenna, è uscito fuori con un opuscolo sulla virtù accessifuga del pepe nero, del peperino e dell'olio acre (Milano, 1823). (La celebrità di questo scrittore che si è segnalalo con altre opere di medico e di chirurgico argomento assai pregiale , fa che si debbano grandemente valutare le sue cliniche osservazioni). Descrive iu quell'opera un nuovo modo d'ottenere il peperino ritrovato da lui dietro la traccia del chimico danese Oerstaedt e quelle del Pellettier e del Poutel. Soppesle (dic'egli) Ire libbre e due dramme di pepe nero si posero in una cucurbita di vetro con circa quattro libbre di alcool di .36 gradi , e fattolo bollire per poco tempo lasciossi poscia in quiete parecchie ore, indi si filtrò il liquido. Rinhiso dippoi altrettanto alcool nel residuo lasciato dalla feltratura, si fé' bollire nella medesima cucurbita finché potè credersi che si fosse scevrato di lulta la parte peperina. Filtralo questo secondo fluido ed unito al primo, venne il tutto posto a distillazione in una ritorta di vetro con l'azione di lento fuoco Distillato 9 per iJiie terti fu neutralizzata la parte rimasta nella ritorta con un po'd'aci«lo idroclorico, e versatovi acqua distillala iu eccesso, videsi precipitare la resina. Venne questa lasciala posare: in seguito Gllrato e concentralo il liquore vi si riunì della jiolassa in eccesso, allora videsi precipitare una materia polveririata, e posto in quiete di nuovo il liquore, fu Gllrato per raccogliere la sostanza che rimaneva sul Gllru e farla asciugare entro una stufa. Esaminato questo produltu si osservò essere una polvere di color bianco scuro, di sapor leggermente acre « che pesava quattro denari. Presa la resina la tornò a sciogliere nelPalcool; dopo alcuni giorni vide al fondo del liquido una sostanza rappresa in massa, nella quale scorgevansì de» piccioli cristalli della forma di quelli ricavali dal Pellellier medesimo. Questi cristalli lavati coli' alcool freddo si separavano da una materia grassa che gli incorporava, apparendo alquanto trasparenti. E per liberarli meglio dalla delta materia grassa tornò a lavarli più e più volte. Dalle residue tinture alcooliehe venne a depositarsi al fondo del vaso, dove si erano tulle riunite, una materia oleosa semi-concreta di color scuro. Avendo riciinosciuto che sifTatta materia si discioglieva nell'alcool, passò a far sva|M(rnre tali tinture, e con tal trwizo si ritrovò l'autore in possesso dell'olio acre del pepe. Esso si ridusse poi spontaneamente ad una consistenza bulirracea che si mantiene ancora tale entro il vasello in cui è rinchiusa. Da Ire libbre di pe[ie nero ottenne un' oncia , cinque dramme , e mezzo danaro di bei cristalli di peperino, e quattro oncie e mezzo circa d'nlio acre : queste ed altre cose relative al modo di preparare il pefjerino costituiscono la prima parte del suo libro. Nella seconda si comprendono le osservazioni pratiche sull'uso del peperino e dell'olio acre contro le febbri inlermiltenti. Premellesi l'istoria del pepe come articolo di materia medica, cominciando dai più antichi tempi ed autori sino ai nostri ; nel che egli ne dà prova dì una squisita erudizione. Pare che non siano giunte a notizia delTaulore le osservazioni cliniche del Briedniiller di Norimberga che ila venti anni amministrò il pepe nero nelle febbri periodiche col successo il più segnalalo in più di cinquecento ammalali !I! Alcune di quelle leniate per più mesi inutilmente colla china e coU'oppio cedevano a questo rìcnediol!! il peperino lo ha dato ridotto in pillole alla dose d'uno scrupolo; ordinari;<- rnenle questa dose bastava a troncare il parossismo. Sovente conveniva replicarla, sia per sospendere del lutto l'accesso febbrile , sia per impedirne la recidiva. il) generale si regolò intorno alla dose come ueirauiminislrazione del soUhIo di chinina o di cinconina. Dalle molle prove istituite sul peperino nello s[)edaledi lìavenna dall'autore e fla altri medici, >>i sono venute a fare le seguenti indagini : 1. Che la facoltà del dello rimedio quaulo è pronta, altrettanto è energica e sicura; 2. Che supera di lunga mano l'allività della corteccia peruviana, e molto più d'ogni altro cono- sciuto febbrifugo; 3. Che incoaparabilmente meno incomodo di questa e d' quella ne riesce l'tiso, perchè in piccolissimo volume racchiude molla attività; 4. Che dal canto eziandio degli eCTetli generali risvegiianti nell'economia animale il peperino deve spaventare ì più timidi meno assai che il pe[)e nero, imperocché 40 nulla più per esso osservasi di quella universale, breve e passeggera smania, di quel momenlaneo peso e calore di capo, di quel po' di bruciore allo stomaco ed alle fauci che soltanto la prima volta produce al raonnento in cui doveva suscitarsi la (ebbre quand'essa viene a dirittura troncata, mentre che se l'accesso non è pervenuto dalla prima dose del rimedio, simili effetti per lo più non si ma- nifestano; S. Finalmente ch'esso non altera, né rilarda, ne sopprime alcuna evacuaiione od escrezione , che anzi regolarissime stabilisce le alvine e le mantiene, ed attuose fa convenire quelle in ispecie degli organi orinarli. Per ultimo parla dell'olio acre egualmente insignito di facoltà febbrifuga. L'uso di questo può estendersi, secondo lui, avarie altre affeiioni, specialmente di stomaco, com«; dispepsie, anoressie, indigestioni ed altro. In quest'operetta l'autore sforza a dare una teoria sulle febbri intermittenti, la quale presenti maggiore probabilità di molte altre, ma non esce dai cancelli dell' ipotetico, e non pare a nessuna pratica utilità. In fondo è una materia vecchia rivestita alla moderna. I medici sono stati e sono tutti intenti a ritrovare sempre dei nuovi rimedii contro le febbri intermittenti. E di questi non ve n'ha alcuno di che non si vantino grandi e maravigliosi successi. Le preparazioni arsenicali furono un tempo celebratissime. Esse cedettero il posto alla compressione delle arterie, e questa alla colla ed al glutine. 11 dottore Follickoffer di Baltimore dettò un libro sulla virtù febbrifuga del prussiato
  • rolondo e letargico per essere rimasti alla lunga entro magatiini in «•.Ili stava locato molto luppolo; citansi molli esempi di morte avventila perla slessa causa. Tali falli annuncierebbsro al certo la potente azione del lup()olo .sul sistema nervoso In Inghilterra adopransi talvolta certi piccoli cuscini di frutti di luppolo che collocansi sotto la testa dei malati stanchi per lunga vigilia : e di raro siffatto mezzo non induce una calma ed un sonno riparatore. Ma cjuesla proprietà narcotica del luppolo noti si dà a sentire se non usando di tale medicamento in gran coftia, e quindi molte persone soffi ono, dopo aver bevuto parecchi bicchieri di birra, un'insuperabile voglia di dormire. Ma nel decollo o neir infusione che si prepara eoa una o due dramme di luppolo. Quest'azione .stupefacienle è quasi incalcolabile. Le foglie applicate esternamente sotto forma di cataplasmi furono vantati per risolvere gli ingorghi edematosi, i tumori aionici, e f>er calmare i dolori gottosi. La scoperta della luppolina fornisce alla medicina esterna un valevole rimedio |)er la guarigione omala composta con tre oncie di grasso eil una di luppolina. Si è |)re(>arala con questa sostanza anche una tintura alcoolica, la (piale di(;f',i fumila diviilù narcotica, e si è osservalo che somministrandola alla dose di 50 a 60 goccie <;ttncilia un placirlo sonno senza indurre turlie nervose , per lo che la tintura di luppolina può essere utilmente amministrata nei casi in cui per particolare «Circostanza sia temibile l'uso (leirop|>io. I Gori del luppolo si amministrano iti decollo, ovvero si prepara con essi un estratto, al «juale ;dcuni danno la (ue- fereuza. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Branco di luppulo. 2. Fiore fenitniiia della grandezza naturale. i. Sc3;jlia calcinata all'epoca della maturità del frultu. 4. Grappolo di fiori masi Ili. 5. Frutto della grossezza naturale. 6. Fiore mascliio in(;iossatu. 7. Stame distaccato ed ingrossato. caU^^'Ui^' 17 PARIETAR A Parielaria oftìcioaruin el Dioscorid. Bauli, pio- lil». 3, secl. 5. — Tourii. class. 13, secl. 2, gen. 9. — Parielaria ofQcinalis, Liiin. Poligaittia monoecia. Juss. class. 15, Old. 3. Orticee. ■— Poiret, Fior, med , toin. 5, lab. 263. — Ricb., Bot.|rned. , tom- 1 , pag. 198. — Bullar., Herb. de la Frauce, tona. 1 , pag. 199. Questa pianta vivace è mollo comune in tutta l'Europa; alligna particolarmente in luoghi umidi, nelle fissure dei muri, sulle rovine degli edifizi , sulle pareti dei pozzi , ed in generale Ih dove abbonda il nitrato di potassa. Essa non differisce dalle ortiche, avuto riguardo al carattere generico, che pe'suoi fiori ermafroditi, mescolati coi fiori femminei, riuniti in una specie d'involucro a più fogliole ; le foglie inoltre sono alterne, sprov- viste di peli glandolosi e piccanti, quali s'osservano sulle ortiche. La parietaria getta radici biancastre, da cui s'elevano alcuni fusti cilindrici, rossastri, leggermente vellutati, succosi, ramosi inferiormente, guerniti in tutta la lungezza loro di foglie alterne, peziolate, ovali, acuminate, un po' lucenti ai dissopra, vellutate, e segnate da nervature al dissolto. I suoi fiori sono piccoli, poco apparenti, riuniti per gruppi, quasi sessili nelle ascelle delle foglie lungo i fusti ed i rami. Essi sono poligami , cioè v' hanno fiori ermafroditi e fiori unissessuali. I filetti degli slami sono ripiegati nel perigono, e rapidamente si stendono quando si toc- cano, 0 piuttosto quando si apre il fiore con una spilla. Questo è dunque un semplice fenomeno d'elasticità e non d'irritabilità, come si crede d'ordinario. Diremo inoltre, che ciascun fiore si compone di un calice tubuloso, a quattro denti, di quattro slami Tom. YI. 2 ed un germo libero , sormontalo da uno stimma pcniciliiforme. Il frullo è una piccola achena contenula nell' interno del calice che riesce persistente. La parietaria, delta volgarmente Per [ora-muraglie, Spezza- pietra, chiamasi dai Francesi Parielaire ; dagli Spagnuoli Parie- laria , Yidriola ; dai Portoghesi Parwtaria ; dagli Inglesi TVall Pellitory, Wall-ivort; dai Tedeschi Glasrkaut; dagli Olandesi Glaskrvid; dai Danesi Mmrmt; dagli Svezzesi TVaegyvert; dai Polacchi Flonecznik. La Parietaria quando è fresca, ha sapore erbaceo, leggermente salino; contien molto nitrato di potassa e molta mucilaggine. Quindi venne considerata già sino dai tempi di Dioscoride come rinfrescante, diuretica e temperante, e sotto tale aspetto viene pure amministrata ai tempi nostri da alcuni pratici, ed è d'un uso generale e frequentissimo appo il volgo. Fassi lieve decotto mediante un pugno d'erba fresca in due libbre d'acqua: altre volte se ne spreme il sugo, cui si somministra nella quantità di una in due oncie. Si è vantato nelle soppressioni di orina e nella colica nefritica dopo che l' infiammazione è alquanto dimioaita. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA r. Parietaria ofTicinalc. 2. Involucro polifillo con quattro fiori ormafroditr ed uno femmina al centro. 3. Fiore ermafrodito. 4. Fiore femmina. 5. Lo stesso aperlo. 6, Fruito del fiore femmina. 7. Frutto del fiore ermafrodito. 19 CANAPE ~'\"j'Dìj\riA/^~ Canai-is snliv;i , Bauh. pin. lih. 8, sect. S. — Tonrn. clis'i. 13 apelali. — Cannabis saliva, Lino, class. 22. Dioecia peolaiulria. — Jiiss. class. 13, onl. 3. Oilicee. — Poiiet, Fior, nwó., lom. 2, pag. HO. — Ricb. , Bot. ojtd., lurn. 1, pag. 199. Benché le Indie oiicnlali siano considerale come la vera pallia della canape, tutlavolta questo ulile vegetale cresce in abbondanza e spontaneamente sui margini glaciali della Newa , del Borystene e del Wolga, e coltivasi, come lutti sanno, oggidì abbondevolmenle in tutte le contrade d'Europa, atteso i suoi usi economici. La sua radice è bianca , legnosa , fusiforme e guernita di fibrille 0 radichette. Il suo fusto è eretto, ordinariamente sem- plice, ottusamente quadrangolare, fistoloso, ruvido al tatto, velloso, più 0 meno alto, ed alle volle anche prodigiosamente alto giusta la natura del suolo e l'influenza del clima, mentre non s'eleva che a tre soli piedi nella Lituania: spesso non per- viene in Francia che all'altezza di un po' più di un metro, mentre nelle fertili pianure del nostro Piemonte acquista la gi- gantesca altezza di quindici a venti piedi. Le foglie sono opposte, peziolale, digitale, composte di cinque a sette fogliole, lanceolate, dentate a guisa di sega colle inferiori più piccole. I fiori sono dioici , vale a dire , gli organi sessuali , separati su due diversi individui (alcuni individui però sono monoici, e portano conse- guentemente i due sessi in fiori separati). I fiori maschi disposti a piccoli grappoli nelle ascelle delle foglie superiori ed alla sommità dello stelo presentano un calice di cinque foglie ob- lunghe, leggermente arcate e concave : cinque slami coi fila- menti cortissimi portano antere oblunghe e tetragone. I fiori 20 maschi, egualmente ascellari e quasi sessili , offrono un calice monofillo, conico, spaliforme, che s'apre da un lato in tutta la sua lunghezza: un ovario supero, sormontato da due stili lunghi e velosi. Il frutto consiste in una capsula crostacea, subglobosa, bruna o bigia, liscia, composta di due valve che rimangono unite, coperta dal calice e che racchiude un seme bianco ed oleoso. La gente volgare , molto prima della scoperta dei sessi nelle piante, chiamava maschi gli individui femmina e viceversa, perchè nelle idee comuni i maschi debbono essere più grossi e più forti delle femmine ; e siffatta erronea opinione esiste pure tuttodì in alcuni paesi appo le persone incolte. Si coltivano le femmine principalmente per ottenerne il seme, il quale som- ministra eziandio un olio impiegato nelle arti e per l'illumina- zione. La canape esige un terreno grasso e ben lavorato : alligna in quasi tutti i climi temperati e caldi, pervenendo a maggiore 0 minore altezza e grossezza giusta il clima ed il terreno. La Canape, detta anche Canapa, chiamasi dai Francesi Chanvre; dagli Spagnuoli Cannamo; dagli Inglesi Uemp; dai Te- deschi Hanf; dagli Olandesi Ilemip , Kennip; dagli Svedesi [lampa; dai Polacchi Konop. TuUe le parli di questa pianta esalano un odore penetrante spiacevole ed ine- briante. Si pretende eiiaudio che le emanazioni per essa esalate possano cagio- nare tristi accidenti a coloro che vi rimangono esposti per alcun tempo. Con le foglie preparano gli orientali certo liquore che li immerge in uno stato di estasi e di beatitudine analogo a quello che si procurano coU'uso dell'oppio. Dicesi che in varii paesi i Negri mescolano queste foglie con quello del tabacco , e che siffatto miscuglio, di cui servonsi per fumare, li rende maggiormente gaiosi e lieti, eccitandoli talvolta in modo, che scagliansi allora di mezzo ai combat- timenti in cui battonsi fieramente ed ostinatamente. Nel Nord dell'Europa la canape perde, secondo Bergio, la massima parte di sua energia , la quale dif- ferenza nelle sue proprietà puossi attribuire all' influenza del clima esercitato sulla natura dei vegetali , ma dipende forse da un'altra causa, quale è quella che gli Orientali, gli Indiani ed i Negri servonsi probabilmente d'una differente specie di canape indicala col nome di Cannabis indica-, che sembra infatti 21 possedere proprietà più energiche del canape ordinario, e che si coltiva quasi esclusivamente nelle Indie. 1 fruiti sono la sola parte della canape che adopransi come medicamento e si conoscono col nome di canapuccia. Entro un involucro crostaceo conten- gono certa mandorla bianca, carnosa, la quale è fornita di molta quantità di olio grasso: quest'olio viene usato nella pittura, e serve pur anche a comporre il sapon nero: coi frutti pesti del canape formasi certa emulsione che risulla ad un tempo raddolcente ed alquanto sedativa , cui Tode e Scbwedianer ri- guardano come un eccellente mezzo per calmare la viva irritazione nelle vie orinarie che accompagnano le blenorragie mollo infiammatorie, e di cui Swediaur ed altri medici ne commendano l'uso nelle inQammazioni acute dell'uretra, nella qual circostanza, al dire di Richard ed altri, risulta in vero pro6ltevole, ma però al pari di tutte le altre bevande raddolcenti. Gilibert che studiò su lui stesso l'azione delle foglie di canapa, così si esprime: infuse alla dose di un'oncia in mezza libbra d'acqua comunicano a questo liquido un odore ed un gusto nauseoso: quest'infusione solleva lo stomaco, produce la cefalgia ed aumenta lo scolo delle orine, determinando un sudore fetido: asserisce inoltre d'aver visto buoni efTetti di questa bevanda nel reumatismo cronico e negli erpeti : aggiunge inoltre, che le foglie fresche applicate sotto forma di cataplasmi rammoliscono i tumori freddi e li risolvono. La canape inoltre è di un'utilità somma nell'economia domestica : è noto come con le fibre dello stelo si prepari la stoppa , colla quale poi formansi tele e corde. Essa fornisce un alimento sano e sostanzioso ai volatili domestici, e ad alcuna specie di selvatici, come alla specie dei passeri. Gli abitanti del Nord, secondo riferisce Chaumeton , fanno friggere questi grani con alcuni aromi, che loro riesce squisito cibo: l'olio è ottimo per bruciare: entra nella preparazione di alcuni cerotti, di unguenti, e di un sapone verde, ecc. E opinione generale che i cardatori di caoape vadino soggetti a continua tosse, all'asma, ed alla tisi per le emanazioni deleterie della canape ; credono però Morgagni e Ramazziui non siano siffatte affezioni, a cui pur troppo vanno soggetti gli artefici che preparano la stoppa, già da attribuirsi alle emanazioni deleterie del vegetale in discorso, ma che siano cagionate da quella specie di atmosfera di polvere in cui vivono gl'individui dediti a tale lavoro. Si sa per ultimo che la canape macerandosi nell'acqua fa morire il pesce delle acque stagnanti, mentre esala eflluvii che nuocono anche alla salute umana. Gli uni vonno per una emanazione sui generis, gli altri pel solo effetto della putrefazione vegetale che succeder deve in un'acqua paludosa e stagnante. Vuoisi che questi effetti siano quasi un nulla nelle acque correnti. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Stelo di canape. 2. Fiore mascliio ingrossalo. ». Stame ingros^jlo. i,. Fiore femmina arconipagnato dalla sua brattea. 3< Lo stesso ingrossalo. 22 ORTICA MAGGIORE Urtica urens maxima, Bauh. pio. lib. 6, sect. 3. — Tourn. class. 13, sect. 6, peu. 4. — Urtica dioica, Lìld. Mouoecia tetraDfJria. — Juss. class. 18, old. 3. Orlicee. — Poirel, Fior, med., tom. 3, lab. 260. — Rich,, Dot. med., tom. 1, pag. 159. Tulli conoscono l'orlica , pianla eccessivamenle comune nei luoghi sterili di quasi lulta l'Europa. Essa diede il nome alia famiglia; è riconoscibile pe'suoi fiori unissessuali, generalmente monoici. Le specie di questo genere sono molto numerose, ora erbacee, ora frutticose. Le erbacee ben poco differiscono Ira loro, qualora si faccia astrazione della maggiore o minore altezza cui pervengono, giusta il terreno in cui crescono. Parleremo delle più comuni. I suoi fusti s'innalzano più o meno alti, ordinariamente due 0 Ire piedi, ritti, ramosi, quadrangolari, cospersi di peli, alla cui base trovasi un tubercolo glandoloso. Le foglie sono opposte, peziolate, d'un verde oscuro, ovali, cordiformi, acute, dentate sui loro margini , accompagnate da piccole slipule. I fiori sono disposti in grappoli lunghi, pendenti, alquanto ramosi, spesso gemelli in ciascuna ascella, d'un verde biancastro. I fiori maschi sono senza corolla. Il loro calice è a quattro divisioni: rac- chiudono quattro stami coi filamenti curvi prima della fioritura: un corpo glandoloso sostituisce il pistillo. I fiori femmine o sono disposti a grappoli, come i maschi , o stanno riuniti in teste sferiche. Il loro calice componesi di quattro fogliole ineguali : hanno un ovario supero, sormontato da uno stimma vellutato e sessile. Il frutto è un'achcna ricoperta del calice che persiste. J^S. 23 L'Ortica maggiore chiamasi dai Francesi Orlie, Grande ortie. Orile dioique; dagli Spagnuoli Ortiga mayor; dai Portoghesi Ortiga major; dai Tedeschi Grosse brennesscl ; dagli Inglesi Gommon nettle; dagli Olandesi Groote brandenelel ; dai Danesi Stor brmndenelde ; dai Polacchi Pokrzwa ; dai Russi Kropiwa schikowka: dai Tartari Ketscherkan. I fusti e le foglie di queste piante sono coperte di peli , la cui puotura è seguila immediatamente da un prurito iucomodissirao. A questa piima impres- sione succede una sorta di tumefaiiooe bianca all'intorno della puntura. Questi «fletti sono prodotti dall'introduzione nei vasi capillari della pelle, di un sugo irritantissimo contenuto nella gianduia, su cui riposa il pelo dell'ortica. Questo pelo avendo una punta acutissima penetra facilmente nei tessuti animali, vi si rompe e lascia scolare il fljido caustico mediante un canale da cui è incavalo, cbe è il prolungamento della cavità glandolare. Quando la pianta è disseccata non cagioiva alcun accidente: ciò cbe prova cbe il pelo non è vene6co per se stesso, e cbe agisce soltanto come un condotto escretorio. 11 dolore cagionato dalla puntura dell'ortica non è cbe passeggiero. Si dissipa ordinariamente senza che v'abbia bisogno di farvi alcuna applicazione, oppure basta aspergere la puntura con acqua fredda , o meglio con acqua cui siavi aggiunto un poco di ammoniaca, di aceto o d'acqua di Gologna. Le ortiche però dei paesi caldi, particolarmente quelle dell'India orientale , contengono un sugo talmente acre e caustico, cbe cagiona dolori atroci a chi ba la sciagura d'essere punto i la loro azione è paragonabile a quella del veleno de' serpenti. L'ortica fu sin dai tempi antichi considerala quale farmaco capace di condurre molte malattie a guarigione, sia che venghi amministrato internamente, sia che se ne faccia uso esternamente determinando V orticazione. Essa venne consi- derata quale diuretica, e come tale è pure in fama appo i contadini che fre- quentemente, in specie di primavera, ricorrono alla decozione d'ortica per ottenere la diuresi e depurarsi in tal modo il sangue, onde anche l^ proprietà depurativa cbe da ;,lcuni autori le si volle pure attribuire. Lusitano, Laiermo, Scopoli ed altri che al sugo della pianta in discorso diedero proprietà astringente, asseriscono d'averlo vantaggiosamente adoprato nell'emollisi, e Peyroux e Lange contro la meirorragia. Cullen, Peyrilhe, Alibeit e molti altri però negano ogni sorla d'azione a questa pianta nelle surricordate malattie , e la vollero escludere dal novero dei medicamenti. Checché ne sia, l'uso dell'ortica è abbandonato dai medici, e lutto al più è adoprala la pianta da alcuni pratici per produrre l'orticazione quando è indicata. Si diede il nome di orticazione ad una specie di flagellazione praticala sulla pelle con foglie di ortiche fresche nella mira di determinare certa gagliarda irritazione revulsiva. In seguito a tale flagellazione si svilup|)a certa eruzione particolare col nome di orticaria ■ 24 La sostaoia filamentosa die ricavasi dagli steli delTortica, prima sottomessa alla macerazione, fornisce nn filo che serve a diversi usi. I Baskir, i Ramchadali ed altri popoli del Nord da l-ungo tempo usano Tonica per fabbricare corde . tele e simili. Siffatto uso economico dell'ortica dovrebbe certamente essere più esleso di quello che trovasi. L'ortica giovane e tenera può benissimo essere adoprata per uso alimentare come le altre piante oleracee. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Ortica maggiore. 2. Foglia inferiore. 3. Fiore masctiio, 4. Fiore femmina. 5. Fiore maschio ingrossato. 6. Stame ingrossalo. 7. Fiore femmina ingrossalo. 8. Fruito immaturo accompagnato dai calice persistente. 9. Frutto privo del calice. ó/l^^^ ^^i^t^^^. 25 ORTICA MINORE Unica urens minor, C. B. p. 232. — Uilica minor annua, J. B. 3, 446. — Urtica urens minima, Dod. pag. 152. — Minor acrior Lei). — Unica minor Linn. Monoecia letrandria. — Juss. Orticee. — Mor. His. hot. pract- lab. 82. Icon. 4. Questa specie di ortica , che è pur annua, differisce non molto dalla suddescritta, ed infetta specialmeìite i giardini ed i luoghi coltivati per tutta l'estate. Il suo fusto s' innalza appena ad un piede : esso porta alcune foglie ovali , profondamente dentate, e d'un verde opaco. I suoi fiori sono piccoli, verdastri, monoici, e formano pure alcune specie di piccoli grappoli nelle ascelle delle foglie superioriì I fusti e le foglie di questa specie d'ortica sono pure coperte di peli, la cui puntura è anche seguita immediatamente da un prurito incomodissimo. A questa prima impressione succede una sorla di tumefazione bianca all'intorno della puntura: questi effetti, come abbiamo già detto, sono prodotti dall'introduzione nei vasi capillari della pelle di un sugo venefico contenuto nella gianduia , sulla quale riposa il pelo dell'ortica. Questo pelo avendo una punta acutis- sima, penetra facilmente nei tessuti animali, vi si rompe e lascia scolare il fluido caustico mediante un canale da cui è incavato, che è il prolungamento della cavità glandulare. La pianta disseccata non cagiona siffatto accidente , ciò che prova come il pelo non sia minimamente venefico per se stesso, e che agisce soltanto come un condotto escrettorio. Questa specie di ortica è dotata delle stesse proprietà che la sovra descritta specie, e conviene negli stessi casi. Il suo sugo è acre e caustico, sebbene il 26 dolore cagionato «lalla puntura non sia che passeg^iero. Dioscoride raccomamiù specialmente Torlica in discorso contro la moriscatura dei cani , facendone un impiastro di foglie e di sale. Nella disuria allamenle la commenda Ruland , e e da tutti gli antichi veniva considerata come diuretico possente. Oggidì però non è anche questa specie considerata come dotata delle virtù che le vollero attribuire gli antichi, e solo adopransi in primavera i suoi teneri germogli come .alimento. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA ». Orlici minore. S(^7 l ^7i^^^^;^^^^:. 27 ORTICA ROMANA Unica romana , sive masc. cuin globulis. J. B. 3, 443. — Urtica romaua Eyst. — Urtica urens pillulas ferens, Diosd. — Urlica urens piior, DoJ. pag. I3l, — Urtica pillulifera, tacie urticae vulgaris semine liui. M. H. 3, 433. Monoecia triandria Liun. — Orticee Juss. — Urtica romana, sive masc- cum globulis. Mor. Hist. pract. 3, 611. Icon. 6. Questa specie di ortica che è pure comune nelle nostre selve e nei boschi, lungo le siepi delle strade, soprattutto nei luoghi ombrosi, è parimenti annua. I suoi fusti s'elevano all'al- tezza d'un uòmo , specialmente nei buoni terreni : supera in altezza l'ortica maggiore. Le sue foglie opposte, larghe nel loro margine, terminano in una punta dura e pungente, e sono profondamente dentate ai loro margini, d'un verde oscuro, e tanto i fusti quanto le foglie sono pure coperte di peli , nella cui glandola racchiudesi un umore caustico quanto quello delle sovra descritte specie, e capace di determinare gli stessi effetti, cioè l'orticazione. I fiori piccoli , verdastri , monoici , formano alcuni piccoli grappoli nelle ascelle delle foglie superiori, can- giantisi in piccoli tubercoli , di cui ciascuno contiene un seme lucido e liscio quanto quello dei semi di lino. Questa specie adunque differisce dalla sopra descritta in quanto che s'eleva a maggiore altezza , ha più larghe , più acute e maggiormente dentate sui margini le foglie , e che i fiori producono piccoli tubercoli quasi piccole capsule che contengono un seme molto più grosso che non le altre descritte. Questa specie e quella che si approssima maggiormente alla canape , ed è capace, oppor- tunamente preparala, di somministrare filo che per nulla cede 28 al filo di questo e del lino. È molto piimiticcia ; nel mese di aprile o maggio al più tardi fiorisce per maturare il ^me in giugno. Contenendo questa specie il sugo caustico e veneGco come le specie sud- descritte , può servire agli stessi usi. I semi di quest'ortica si vantarono come purgativi e vermifughi. Uniti coll'aveua si credono eccitanti pei cavalli e vengono impiegati dai sensali per dare una certa vivacità alle loro bestie. Era pure opinione degli antichi, che facendone inghiottire alle galline facessero ova più spesso. Le foglie di questa specie di ortica disseccate sono un foraggio molt» usato nel Nord dell'Europa , principalmente in Isvezia : si pretende che le vacche che ne mangiano, producano un latte più abbondante io crema ed un butirro giallo molto più gradevole. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Slclo dell'ortica rutnaua. 29 FAMÌGLIA 57MA OviVmc \1^ BttawA. — V6'5 Ju%s, CONIFERE =5pg§^a^ Famiglia naturale di piante dicotiledoni apetali, il di cui ca- rattere ò di avere dei fiori monoici o dioici, i fiori maschi quasi sempre amentacei , muniti ciascuno d'una squama e soventi provveduti di un calice. Gli stami in numero determinato o indeterminato stanno inserti sopra il calice, ovvero soprale squame che ne fanno le veci. Questi hanno i loro filamenti distinti 0 riuniti in una specie di piccolo fusto semplice o ra- moso. I fiori femminei sono o solitari o disposti in un cono ri- coperto da numerose squame imbricate che separano i fiori. Il calice di questi fiori è di un sol pezzo , ovvero , come accade il più sovente, una piccola squama interna supplisce ad esso. L'ovario libero, unico, doppio o molteplice rare volte manca di siili, i quali ordinariamente sono dello stesso numero degl^ ovarii ; gli stimmi sono semplici : i pericarpi monospermi e di egual numero degli ovarii. L'embrione è cilindrico , posto nel centro di un perisperma carnoso ; sempre due cotiledoni, d'or- dinario intieri, di rado divisi o palmati. Le piante di questa famiglia si distinguono facilmente per il loro abito da tutti gli altri vegetali conosciuti. Furono chiamate conifere, perchè la maggior parte di esse, come il pino, Tabele , ecc. , produce un frutto d'una struttura particolare , a 30 cui i botanici hanno dalo il nome di cc^cr. 33 ancora in buona condizione quando ad Eugenio VI lalenlò di sostituirle di rame, erano appunto di cipresso, (ili Egizii per ultimo racchiudevano le loro mummie in casse di questo legno, e tutti sanno quanto sii esaltato nelle sacre pagine. Due varietà se ne distinguono; l'una, i cui rami eretti e ap- plicati contro il fusto danno ai cipressi la loro forma piramidale {Cnpressm pyramidalis) di alcuni autori, elevandosi ad un'altezza di quaranta in cinquanta piedi , e che presenta all' incirca il portamento del pioppo d'Italia; l'altra al contrario, che ha i suoi rami diffusi ed anche pendenti, soprattutto quando sono carichi di frutto : essa ebbe nome di Cupressus orizontalis. Il cipresso comune 0 piramidale, sempreverde, s'innalza, come già avvertimmo , dai quaranta ai cinquanta piedi su d'un tronco ritto, vestito d'una corteccia bruna, co' suoi rami serrati a guisa da formare una vera piramide, onde il suo nome pira- midale. Le sue foglie sono piccolissime, opposte, imbricate su quattro ordini, glabre, alquanto ottuse, d'un verde tetro, spe- cialmente d'inverno, verde però, che all'aprirsi della primavera rendesi più chiaro. Dei fiori gli uni sono maschi, gli altri fem- mine nello stesso piede e sono disposti a gattini verso l'estremità dei rami: quelli dei fiori maschi sono alquanto allungati, muniti di scaglie, membranose, imbricate, situate su quattro ordini, essendovi quattro antere sessili su ciascuna scaglia. I gattini dei fiori femmine, più piccoli, rotondi, sono composti di scaglie legnose, pedicellate, persistenti, formando colla loro riunione una specie di pericarpio; molti sono gli ovarii, ciascuno sor- montato da uno stimma, e tutti posti all'intorno del pedicello di ciascuna scaglia: questi ovarii divengono altrettante noci monosperme senza valve, ad una sol loggia. All'epoca della ma- turità le scaglie si disseccano, si separano per fessure disposte in poligoni e lasciano vedere il seme. Il Cipresso chiamasi dai Francesi Ci/pres; dagli Spagnuoli Tom. Vf. 3 34 Cipres; dagli Inglesi Cijress; dai Tedeschi Zipressenbaum; dagli Olandesi Cyresseboom ; dagli Svezzesi Cypress. Diverse parti del cipresso furono adoperate dagli antichi nella cura di molte malattie. Ippociate usava il legno nelle affezioni uterine; Galleno commendò i frutti nei flussi del ventre : questi ultimi conosciuti nelle Carraacie sotto la denomiuaiione di galbule o noci di cipresso godettero appo molti, anche in tempi meno antichi, di alta riputaiione contro le diarree, il flusso sieroso e le emorragie passive. Pel loro sapore astringente, amaro, li tenevano come feb- brifughe e ne proclamarono l'uso nelle febbri intermittenti; ami Lanzoni si compiacque di paragonarli alla china. Le loro virtù tonica, stomacica e vul- neraria lurono pure celebrale da diversi medici. Tutte queste virtù medicali però non sono appoggiate dai fatti precìsi , quindi non fa meraviglia che il cipresso non sia più adoperato in medicina- La verzura di quest'albero è perpetua : le sue foglie esalano un odore aro- matico, che al pari della sabina e di altre conifere allontana gli insetti dagli abiti e dalle biancherie tra quali si pongono. Lichtenslein negoziante
  • almente all'oggetto di rialzare le lorze digerenti dello stomaco, oguivolta che sitfatto organo abbisogni di essere stimolalo L'iiilusione, il vino e la tintura di bacche di ginepro producono certo fe- nomeno secondario, costante: vale a dire, stimolano l'apjiarato secretore del- l'orina e ne aumentano la secrezione. Si ebbe quindi l'opporlunilà di osservarne i telici efTelti contro alcune idropisie. L'istessa azione esercita sulla cute, aumen- tandone la Iraspiriizioue: venne perciò conmiendata in quei c;isi in cui occorre ristabilire sifTatte funzioni, o determinarne l'attività. Fa d uopo però astenersi da codesto meilicamento negl'individui, la cui vescica o reni risultano attaccati da cronica infiammazione. Si videro talvolta accadere certe enmiaturie per l'uso troppo prolungato di tale sostanza, o preso in soverchia dose. Geoffroy e Culleu 37 attestano rl'aver veduto, dietro ranimiuìstrazioDe dì questo larmaco in soggetti (oili o irritabili destarsi spesso torli dolori ai reni ed anche orine sanguinolenti. Nell'Olanda ed in generale in tutti i paesi, ne' quali l'atmosfera è spesso carica di umidità, l'uso delle infusioni a (orma di thè delle bacche di ginepro, costituisce un mewo «lielelico assai vantaggioso. Ripara efficacemente alla lassezza generale cui vanno sottoposti gl'individui che vivono immersi in simile atmosfera. Mediante la fermentazione, e la distillazione per ultimo, si ricava da tali frutti un alcool conosciuto col nome di ginìpretto, dotalo di sapore pene- trantissimo, e che in varie regioni del Nord europeo sostituiscono per intiero negli usi della vita l'alcool che si prepara col vino e coi grani cereali. Il legno del ginepro, leggiero, d'un bianco venato di rosso, esala un odore aromatico dovuto ad una sorta di terebentina che trasuda nei grandi calori di estate, e che per lungo tempo si è creduto essere la sandracca, la quale però oggidì, dopo le assicurazioni di Desfontaines, sappiamo prodotta dalia thuya arlìculafa , albero della stessa famiglia che cresce nel Nord dell' Africa. Questo legno era pure altre volte usato come diuretico e sudorifero sotto forma d'infusione. Oggidì però non s'adopra che nei lavori di tornio, essendo suscet- tibile di un bel pulimento. Si prepara colle bacche di ginepro un'infusione acquosa, una tintura, un vino, nn estratto o roob di ginepro in molti paesi usato assai, e che Vendesi anche da nomini girovaghi e commercianti in questo genere. Quest'ultimo, giusta Richard, va fatto colle bacche fresche e recenti , mediante la loro macerazione nell'acqua , che allora riesce meno resinoso, più zuccheroso e piacevole. L'infusione di bacche di ginepro si prepara con circa un'oncia di tali frutti che si lasciano infusi per un'ora a vaso chiuso in due libbre d'acqua bollente. L'estratto o roob si somministra nella quantità di una in due dramme come stomacico. La dose della tintura si usa da una a due cucchiaiate da caffè poste in una tazza di qualche infusione fatta alla mani^^ra di thè. A tutti infine è noto come adopransi i suffumigi di bacche di ginepro, quando trattasi di dare tonicità ai tessuti stali dibattuti o da infiammazioni passale , o distesi da acqua, come nell'edema e simili. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Stelo di ginepro comune. 2. Cono del fiore maschio. 3. Fruito inliero. 4. Frutto tagliato orizzontalmente. 5, Seme spoglio del suo osso. 38 TASSO BACCATO Taxils, Banh. pin., lib. t2 secl. 6.— Touin. class. 19, sect. 4, pen. 3. — Toxus baccalà, Linn. Dioecia monoilelB». — Jiiss. class. 13, oiitato dell'ossalato di calce. Il residuo, già trattato coll'acido idrociorico, è slato messo a bollire col dello carbonato di potassa , poi ho separalo il liquido e l'ho saturalo coll'acido idrociorico: quindi vi ho versalo dell'idrocloralo di barite, il quale ha formato un precipitato di sollato di barile. Sopra il rimanente non disciolto e rimasto sopra il filtro, ho versato dell'acido idrociorico: esso ha prodotto un'effervescenza. Ho esaminalo il liquido passato, ed ho trovalo contenere dell'idrocloralo di calce. Una piccola quantità di sostanza è rimasta sopra il fìltro: essa era composta di un poco dì carbone sfuggito alla combustione, e di un poco di silice. Conclusione. Dalle precedenti osservazioni fatte mi sembra che si possa concbiudere, che il tasso baccalo è composto delle seguenti sostanze, cioè: della cloroBlla, del con- cino, dell'acido gallico, del malato di calce, della resina, d'un olio essenziale, della mucilaggine, dello zucchero, dell'acido ellagico, di una sostanza colorante, gialla ed amara, che forse costituisce la parte attiva della pianta. Dalle ceneri poi si trasse dell'idrocloralo di potassa, del sotto-carbonato di potassa, del solfalo di calce, dell'ossido di ferro* del carbonaio di calce, della silice. Pietro Pebetti. Parti componenti le foglie del tasso bacca to, e modo di ottenere il loro estratto alcoolico- Dopo di aver avanzalo alcuni tentativi chimici sulle foglie del tasso baccato, fui condotto a concbiudere che le sue parli attive risiedono: lo in un olio acre e volatile: 2° in una materia resinosa verde. U primo è dolalo di un sapore acre, amaro. Questi due cor[ii si trovano nelle foglie del tasso b.uxalo inMeme congiunti 45 all'acido gallico, al couciuo ed all'albumina. Trattato da me II tasso haccato coi processi ordinariamente conosciuti per ottenere gli alcali organici, non mi diede traccia alcoloidea col criterio dei reagenti. Premesse, come mi conveniva, tali con'ìeguenze, ragion vuole che il mifjliore solvente dei principi! attivi del taxus baccalà sia l'alcool ; ecco adunque il modo con cui ottengo l'estratto alcoolico dalle foglie del tasso baccato. Si prendono sei oncie di toglie del tasso baccato che alligna nei siti montuosi, e non dì quello che si coltiva nei giardini come ornamento, poiché l'esperienza mi ha dimostrato essere quest'ultimo molto meno del primo efficace; si riducono in polvere sottile, la quale s'introduce in un recipiente di vetro della capacità di quattro boccali, e vi si soprafondono tre libbre d'alcnol puro a 36°. Si ottura bene con idoneo turacciolo il recipiente , e si scalda gradatamente a bagno-maria , agitando di tanto in tanto con forza ed in ogni verso il recipiente slesso per lo spazio di Tentiquattr'ore. Si cola poscia per decantazione il liquido limpido che sornuota alla polvere del lasso baccato dopo qualche tempo di rijioso, ed il residuo, messo in un pannolino di tela fitta, si preme allo strettoio, onde separarvi tutto il liquido, che feltrato si unisce a quello avuto per decantazione. Si versa in lambicco di rame bene stagnato l'alcoolaluro di tasso baccato, e si ritrae al bagno-maria l'alcool fino al lasciarne quattr'oncie circa nei lambicco stesso. Si riceve l'estratto alcoolico di consistenza liquida in apposita cassula e si la lie- vemente evaporare alla temperatura di 2.° termometro R. e non più, fino alla riduzione d'estratto di moltìforme consistenza. Proprietà fisico chimiche. L'odore dell'estratto del taxus baccalà è acre, e penetrante in guisa che si rende offensivo a chi ripetutamente lo fiuta: ma un tale odore diminuisce a misura che l'estratto invecchia , e vi subentra alcun che d' aromatico. Il suo colore è verde intenso, il suo sapore è amaro e piccante. L'estratto delle foglie del tasso baccato è solubile nell'alcool acre: ove però si separi colla volatilizzazione l'alcool medesimo, l'olio acre volatile e la regina verde si presentano quasi separati allo sguardo; e questo fenomeno partico- larmente si osserva dietro lo scaldamento dell'estratto, giacché ne sorge nel vaso medesimo in cui si scalda una sublimazione, per la quale li succitati due prodotti isolati si possono osservare. L'etere solforico, gli olii fissi e volatili, non che la soluzione dell'idrato di protossido di potassio sciolgono l'estratto alcoolico in discorso col soccorso del calore. L'acqua distillata non intorbida punto la solu- zione dell'estratto alcoolico del taxus baccalà, ma vi fa separare la materia resinosa verde. Il bravo mio amico dottor fisico Pariani, d'Oleggio, si compiacque istituire su qualche persona delle sperienze coU'estratto di tasso baccato da me preparato, ed essendomi stato cortese di dirigermi una lettera degli effetti da esso conseguili, reputo cosa vantaggiosissima di qui accennarla, risultando da essa come detto estratto di tasso baccato abbia certa facoltà emmenagoga. G. RlGIIIKI. 46 Sulle virtù e sugli usi medicinali del tasso boccata. Se nel cercare le virtù non ancora svelale o non abb.istania comprese «li alcune erbe o piante dalla medicina per lo addietro neglette , onde fissarne i corrispondenti benefici usi nelle malattie, avessero i medici sperimentatori sempre seguita la saggia regola di non attribuire loro alcuna virtù che non fosse com- provala, come diceva il Redi, da molte variale e reiterate sperienze esattamente conformi e islituile, come io aggiungerò, senza l'inopportuna mescolanza di alcun medicamento, non troverebbero tanto spesso i clinici, quanto eglino tro- vano, di certi nuovi rimedii esagerali o meno veri o falsi del tutto i favorevoli altrui giudizi. Né similmente io mi troverei costretto di ora riferire a questa doppia causa di poche sperienze e di equivoche osservazioni P incertezza o la vanità dì alquante virtù supposte non ha guari da scrittori stranieri , e testé dai nostri nelle foglie del tasso baccalo {taxus baccalà, Linn.), di cui penso parlare per impedire che da una sostanza data al maialo, quando poco o nulla efficace, quando infida e quando malefica , non sia di leggieri col decoro dell'arte com- promessa la sua salute e fino la vit^. Veramente dopo le sollecite cure ch'io ebbi di esplorare colle maggiori cautele negli infermi prima d'ogni altro in Italia se avesse Galerau ben meritato o no della medicina trasportando dai veleni ai medicamenti questa specie di tasso, volgarmente della albero della morie, qual fa nell'alpi ed anche ue'nostri monti; dopo i numerosi miei esperimenti a due diverse epoche eseguiti per determi- narne la sua convenienza, secondo alcuni autori, in certi generi di malattie e, secondo alcuni altri, in certi morbi afTalto diversi ; e dopo i salutari avvisi da me quindi recali in due Memorie lette io Pavia a'miei doltissimi colleghi e dilet- tissimi discepoli, la prima quattordici, la seconda quallr'anni sono, doveva supporre che non avrei mai dovuto intorno alle facoltà medicinali del lasso provar vero ciò che già verissimo aveva provato e riprovato. Dimostrai senza dubbio fin d'allora il poco conto in cui si dovevano tenere le opinioni sulla molta efficacia e sull'utile pratica delle sue foglie, usandole iu estratto, giusta il metodo dello speziale di Gottinga, Jordan, preparalo coll'acqua o in polvere, preferite per guarir mali stenici dai celebri medici tedeschi e svedesi Gateran, Harmand, Hufeland, Buchoz e Altof, e le sostenute in seguito da alcuni italiani, fautori di nuove teoriche sull'azione dei rimedii per curare al contrario morbi stenici od infiammatorii. Imperocché, oltre di mostrare le une e le altre dedotte da poche e non concludenti esperienze, le mostrai essere in manilesl.» contraddizione cogli esili delle moltissime analoghe mie prove, e colle consecutive sincere mie deduzioni. Ma io m'ingannava, il confesso, iu quella mia supposizione di aver fatto abbastanza per rendere istruiti e cauti i clinici nel vantato uso del tasso, e per credermi nell'avvenire dispensato dal riconfermare con nuovi motivi la ragio- nevolezza del dato consiglio di mai o quasi mai ammetterlo nella cura delle ma- lattie. Inaspettate lodi a questo supposto farmaco prodigate, e novelle idee sulla maniera sua di agire nel corpo umano spiegata in alcuni scritti recenlemeule stampali, mi obbligano a ritornare su questo argomento, e a ritrattarlo poi colla ssorla di esperienze ed osservazioni, di cui mi trovo munito, valevolissime a farci 47 coin|ircu(lere ila qual parte uella presente controversia debba inclinare col suo voto la metlicina pel bene degli infermi. Prima però di narrare brevemente le cose da me falle e notate nei malati die tentai di guarire col tasso, conviene ch'io dichiari le norme e le cautele adoprate per evitare, usandolo, le temute cagioni d'una fallace o pericolosa esperienza, e di un'erronea o fatale illusione. Prevenni l'incostanza de' suoi effetti avvertita iu esso come veleno dagli antichi, e riconosciuta dai moderni, che ora di assoluta inerzia ed ora di somma malizia lo accusarono, col preferire alle varie parti della pianta ordinariamente le foglie in cui l'attivo principio
  • urezia : le più grosse lagrime ofiiono appena una tinta rossa. Trovasi piuttosto abbondante in commercio. Quello che si consumava prima essendo pieno «l'impurità, se ne separavano le piìi belle lagrime che si vendevano sotto il nome (Vincenso maschio, e chia- mavansi incenso femmina le parti colorile e brune. L'incenso non si discioglie che in parte nell'alcool e nell'acqua, e si fonde difficilmente al calore: brucia con bella forma bianca e diffonde un fumo bian- castro abbondante , il cui odore generalmente piacevolissimo è penetrante e mollo diffusibile. Si pretende che l'uso antico di bruciarlo sugli altari venga da ciò che il suo odore mascherava le emanazioni disaggradevoli prodotte dalla condiuslione degli animali offerti in olo'iausto. Quest'uso si è perpetualo nei culti, di cui \a reli- gione giudaica è la sorgente; benché siasi tralascialo l'uso di arrostire gli animali, perciò si (a ancora un gran consumo d'incenso nei riti della Chiesa greca e romana. Giusti l'analisi pubblicatane da Braconnot di Nancy, questa sostanza si compone ppr ogni lOO paiti di Resina solubile nellalcool ...... Gomma stdubile iiell'acqua ...... Residuo insolubile neira(«|ua e nell'alcool, l'onteneole pro- babdmenle certa resina iii>uliibile in (juesTulliruo Olio volatile e [»erdila ....... 100 0 Qiicsta sostanza oggidì sotto l'aspello medico è pochissimo interessante : al pari ili tulle le altre gommo- resine riesce dessa sommamente slin)olante. Gli antichi 1 hanno decantala contro renioltisi. la dissenleiia, e simili. Geoffioy ne fa li più pomposi elogi e pretende, come Riverii), d'averla lelioemenie adoprali iif^lla pleurite. Ogguli [leiò i piatici ne abi)anilonarouo Pumi, l'ultavia loiiiia 56 0 30 8 5 2 8 0 55 |i«?i- anco |ia; le di ;ilciiiii prejiaiiili officinali , come la leiiaca . il balsamo di Fioravanti e molli altri empiaslri. L'uso pelò |)iù generale dell' incenso è quello dal ([iiale ritrae il proprio nome incendere, vale a dire di ardersi nei templi dorante le cerimonie religiose, come abbiamo rli so()ra notalo. Non taceremo per ultimo, che Dioscoride ed àvicenna opinarono che l'olibano preso ad elevata dose nel vino proilucesse affeiioni cerebrali, alienazione mentale, ed anche la morte; effelli però che voglionsi piuttosto attribuire al vino od al miscuglio preso in troppa quantità, amiche alle proprietà venefiche ilella sostanza» che in sé positivamente non ne racchiude. I suOTumiggi di que-la drt)<;a eiano praticati contro gli ingorghi indolenti, gli ulceri atonici e !i()rg :;^/ir^i :»^IHtl^s^ SIMEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Bianco ilulibdno. i. Oiltiiio nidictiio. 3. Frutto Ih^IwIo loiigiludinalinenle. 4- l'ciicarpio isolilo. 'Q''v^^Ca'av4'3 ^^0^ 36 PINO SELVAGGIO Pinus sylvestris, Baiib. pio. class. 12, sect. 6. — Touri). class. 19, secf.3, jjeu 2. — Pìqus sylvestris, Linn. Monoecia tnonodelfia. — Juss. class 13, ord. 5. Conifere. — Poirel , Fior, ined., toin. S, lab 272. — Ricb., Méin. sur les cooif , loin. 11. Questo genere delle conifere comprende moltissime specie, molto importanti non solo pel loro legno , i cui usi sono im- mensamente variati, ma anche per i prodotti resinosi che forniscono alle arti ed alla farmacia. Questi sono alberi gene- ralmente d'una statura colossale : il loro fusto è ordinariamente diritto, munito di rami verticillati di foglie tubulale, fascicolale due a due, tre a tre, cinque a cinque e persistenti. I loro fiori sono monoici, cioè unissessuali sullo stesso individuo. I maschi formano piccoli castoni ovoidi, e costituiscono un grappolo pi- ramidale e terminale: le femmine formano pure alcuni castoni ovoidi , composti strettamente di scaglie embricate. Succede a questi un cono di forma e grandezza variabile , composto di scaglie dure e legnose, grosse alla sommità, ove presentano talvolta forma d'una testa di chiodo. Ciascuna di queste scaglie è un fruito parziale , il cui pericarpio è indeiscente , talvolta duro ed osseo, e contenente un solo seme munito di un pe- risperma bianco e carnoso , talvolta si grande da essere com- meslibile, come per es. nei pinocchi dolci. I pini prosperano nei luoghi montuosi e nelle plaghe sabbiose: sono comunissimi nelle regioni del Nord, ove costituiscono vaste foreste. Non trat- teremo che delle specie più considerevoli per i loro prodotti e loro usi , e ci siamo limitali a fare solo designare il pino sel- vaggio il più comune. c>>-^ Il pino selvaggio è il più comune. Forma vaste foreste sulla lììaggior parte delle montagne d'Europa. Cresce nella Svizzera, neirAIemagna, nella Svezia, nella Norvegia, e persino nella Laponia. 11 suo portamento varia secondo la natura del suolo in cui trovasi. Nei cattivi terreni è tortuoso, ma nei terreni op- portuni, e sotto un clima favorevole alla di lui vegetazione, prende una bellissima forrua e s'eleva ad una considerevo- lissima altezza: quando è isolato, s'eleva di meno e manda nella parte inferiore del suo tronco numerosi rami; ma quando cresce frammezzo agli altri alben , allora s'innalza ritto ritto, e non conserva i suoi rami che alla sommità. I suoi rami sono verti- cellati : le sue foglie, riunite due a due nella stessa guaina, sono dure, strette, acute, alquanto curve, d'un verde gaio , ed un po'turchinastre, lunghe circa due pollici, munite alla base della loro guaina d'una piccola scaglia rossastra. 1 suoi fiori monoici, riuniti a gattini: i fiori maschi disposti in piccoli grappoli corti, compatii, terminali, compasti di scaglie imbricate a sjjira, dila- tate alla loro sommità, donde partono due antere sessili ad una sol loggia. I gattini femmina sono semplici, composti di scaglie imbricate, acute, colorate, che coprono due ovarii a stimmi glandolosi. Dopo la fioritura le scaglie interne s'ingrandiscono, rendonsi legnose, grosse alla sommità, ove presentano talvolta la forma d'una testa di chiodo, angolose: alia base di ciascuna scaglia sonvi due nocciuoli ossei, monospermi, coperti d'una membrana che si sviluppa a guisa d'aia. L'unione di questi semi e delle loro scaglie formano un cono grosso, conico, detto vol- garmente pomo di pino. 11 Pino selvaggio chiamasi dai Francesi Pin, Pin sauvage; dagli Spagnuoli Pino; dai Portoghesi Pinìwiro, Pinheiro bruco; dai Tedeschi Kieefer, Kiene^ Kienhaum; dagli Inglesi fJii\ pim-tree; dagli Olandesi Wilde pijnhoom; dai Danesi Fìjrre, Fijrrctre; dagli Svedesi Juru, Teli; dai Polacchi Sema borotra; dai ìlussi Sosna; dagli Ai'abi Soìiobar. 58 I! Pino mai'illinio [Pìnu^ iitarilinui, Lam.) è allra specie di pino, il cui tronco elevasi rillo all'altezza di ottanta a cento piedi. La sua corteccia è compatia, rugosa, d'un grigio rossastro; i suoi rami sono verticHlati, regolarmente separati: gli inferiori molto estesi, il che dà all'albero una forma piramidale. Le sue foglie sono geminate, lunghe da sei a dicci pollici, ruvide, pic- canti, d'un verde assai carico. I suoi coni sono ovoidi, allungati, di quattro a sei pollici : le scaglie di cui si compongono, olirono alla sommità una piramide più lunga trasversalmente, separata da una linea assai rilevata o munita al centro di un"aj)pendica in forma di punti o di uncini. 11 pino marittimo è quello che fornisce pii!i abbondantemente diverse sorla di materia resinosa, e particolarmente la terebentina di Bordeaux, la pece, la califonia, e va dicendo. Alligna nei terreni più ingrati non solo nelle fes- sure delle roccie, ma anche nellarida sabbia. Colla sua colti- vazione si sono rese fertili alcune immense contrade che un tempo erano spoglie di qualunque vegetazione. Così le lande della Guascogna e di altri siti molto eslesi della Francia occi- dentale sono presentemente coperte di foreste, i cui prodotti hanno un grande valore. Cosi pure la Savoia. Il pino marittimo ha altronde vantaggio sulle altre specie , perchè cirsce con molta rapidità : esso arriva alla sua maturità in cinquantanni, mentre i pini selvaggio e larice non arrivano che ai cento od ai centovenl'anni. De Lamarre scrisse sulle varie specie di pino un eccellente trattato da consultarsi da chi desidera acquistare ostose cognizioni sulla coltura del medesimo : esso è intitolato: I rullato pratico della coltura dei pini a grandi dimensioni. 11 pino mugo [Vinus mugho, Miller, Poiret) cresce nelle Alpi, nei Pirenei, nelle Volge: pel suo portamento rassomiglia al pino selvaggio, ma le sue foglie non sono glauche, i suoi fruiti sono piccolissimi e la testa della loro scaglia porta un piccolo uncinello. 11 pino d'Alcjìpo [Piius halepcmis , \Vil(l), ''onosciulu anche sotto il nome dì pino di Gerusalomme, ha nna l'orma piramidale: le sue foglie sono minutissime, talvolta ternate nella sua guaina^ d'un verde tenero e quasi glauco. I Irutti sono pendenti , ros- sastri, le loro scaglie terminano in una lesta liscia. Questa specie è particolare al bacino del Mediterraneo. Il pino pinocchio [Pinus pinea, Linn.), che si riconosce fa- cilmente dalTeleganza del suo portamento dillerenlissimo da quello degli altri pini. I suoi rami superiori formano una vasta cupola di verdura che ha talvolta più di cento piedi d'altezza. Il pino pinocchio è abbondante in Ispagna, e sovrattutto in Sicilia^ ove esso fornisce ai siti di questo bel paese un aspetto assai pit- toresco. Sono le mandorle dei frutti di quest'albero che nian- giansi sotto il nome di pinocchi dolci. Esse contengono un olio di un gusto terebintaceo, e che rancidisce assai facilmente. Il pino laricio o di Corsica (Pinus larica, Poiret), che cresce non solo in Corsica, ma eziandio nella Calabria, nell'Asia mi- nore , ed in varie altre contrade del Mediterraneo , forma una bella piramide che innalzasi a più di cento piedi. Le sue foglie sono di un verde carico , lunghe cinipie a selle pollici : i suoi coni talvolta riuniti due, tre, quattro assieme sono assai piccoli relativamente alla struttura gigantesca dell'albero. Somiglia a (juelli del |)ino selvaggio. Ma la loro punta è sempre curva. La coltivazione in grande di quest'albero venne assai incoraggiala al principio del regno di Luigi \Vl in Francia. È una delle più belle specie che crescono nei climi nostri, e delle più importanti perla facilità colla quale si può coltivarla in tutte le parti della Francia. Il pino cembro [Pinus cimber , Unii. ) alligna naturalmente nelle alpi del Tirolo, del Dellìnato e della Provenza. La sua statura è mediocre, e cresce con estrema lentezza. Le sue foglie sono dun verde chiaro, lunghe da due a tre pollici. Il legno di (jucsta specie è mollo leggiero e si taglia con grandi' facilità. Egli è con esso che i |)aesani del Tirolo scolpiscono div(Mse figure ed utensili che esportano per ogni diive. co j! pino slrobo, o pip.n di Vcysr.oul {Pi/nts drohus, Limi.), ò la specie più alta di tulli i pini. È originario deirAnierica setten- trionale, ove Michaux dice averne veduto alcuni die avevano circa ducente piedi d'altezza e di circonferenza. Le sue foglie sono considerabili per la loro finezza: esse hanno tre a quattro pollici di lunghezza, e sono d'un verde bianco. Il pino selvaogio, come pure le altre specie ili pitio. fuiiiiscotio proili.lli re>iii(isi elle servono tanto allearti, che alla medicina. La pece bianca {pijc hourgundica officinarum), il catrame, la pece nera, la pece resina o la resina gialla, non che levarle specie di terebentine sono lutti pr(.(Jotti delle varie specie di pini, e d'altre piante apparletienti alla famiglia rielle conifere. Prima peiò di fare parola di questi prodotti riferiremo l'analisi della corteccia del pino manllimo del signor Nardo. .analisi chimica della corteccia del pino marittimo. La prima operazione che inlrapi-esi onde ottenere lo scopo si fu l'infuiione per veutiquallr'ore, e quindi la decozione di un'oncia di peso metrico (ecol- togramma) della corteccia in finissima polvere in dodici oucie dello slesso peso d'acqua distillala. Passata poscia per un fitto pannolino la decozione, divisi il colato liquore in due parti d'acqua, una delle quali commisi alla evapora/ione in un vaso di vetro so()ra bagno d'arena, onde ridnria a consistenza di sciio[i[)(i; l'altra lio filtrata dì nuovo per carta onde viemmeglio cliiaiificarla. Suddi\isi i[) seguilo l'ottenuto liquore in due parti paiimeiiti eguali, ed una di queste lio conservato onde determinare la quantità del concino, l'altra ha servito agli esperimenti ed osservazioni seguenti. Tale decolto di un grato sapore astringente, di odore aromatico particolare, presentava ou colore rossastro-scuro. a ) La caria di laccamuffa in esso immersa appena appena arrossava. b ) L'acido solforico cagionò mollo intorbiddiuento cangiando il colore in arancio pallido. e ) Lo stesso acido diluito produsse un leggiero inlorbidamento , non che qualche precipitato fioccoso di color darancio pallido. d) CoU'acido nitrico non af)parve subito alcun inlorbidamento, anzi il colore si lece alcun poco più chiaro; in seguito però turbossi leggermente, e conseguitò un discreto precipitato di color d'arancio, simile al solfuro dorato d'antimonio. e) Gol cloro inlorbidamento color d'arancio; ab!)onddnte separazione molecolare fioccosa di color leonino pallido. f) Lia tintura di iodio noti diede apparente intoi bid.unenlo. g) GoU'acqua di calce il colore si lese nerjstro violaceo; in;s-.iu),i depo- siiioue. 01 h) Cui carbonato «rammoiiiaca assunse la tintura un coiur fo>co violaceo senza alcun intorbiJantenlo. i) Col carbonato di potassa egualmente che col carbonato d'ammoniaca. 7) La soluiioue acquosa di barile diede enfelto ad un aiiboiidante [ue- cipilalo l'osco violaceo, secondo la quantità d'acqua di barite, Quo a proilune un densissimo precipitato del colore del vino, aggiuntovi le fecole. Di un colore lievemente rosso auranziaco divenne il liquore colato simile a quello die avver- rebbe dall'intatta decozione diluita lungamente con acqua. Aggiuntovi dell'acido solforico onde impedire un eccesso di barite, si depose un [irecipitalo bianco ed il liquido apparve di color d'oro, cui non cambiò in verde col presollalo di ferro. A) Leggiero intorbidamento colla soluzione di solfato semplice d'allun.ina ; aggiuntevi però alcune goccie di potassa carbonata, surcedelle un precipitato copiosissimo di colore purpureo. Colata la miscella ottenni un liquido quasi incoloro, che divenne verde col [)ersolfato di ferro, e rimase sul filtro una ma- teria, colore della fecola del vino. l) Coll'acetato neulr(^ di piombo intorbidamento abbondante, e quindi un deposito di color carneo. Il liquido feltrò scolorato passando per la carta, ed assunse un colore verde col persolfato di (erro- m ) Col tartaro emelico di Bergniann, nessun percettibile cambiamento. n) Col persolfato di ferro, intorbidamento copioso, preudendo la tintura un color verde drago oscuro, la quale impediva il passaggio alla luce, abbencbè allungata con cinque parli d'acqua. o) Colla soluzione d'ittiocolla nasceva un abbondante precipitato auran- ziaco , che di leggieri rappigliavasi in una materia del colore della gomma elastica. Il liquore colato acquistò un color verde col persoUato di ferro, ma sommamente chiaro. p) Col carbonato di potassa in polvere la stessa ti ni ina , siccome nei numeri /ì, i, ma quasi nessun intorbidamento. q ) Col solfalo di rame si scolorò alquanto la tintura, tendendo allo scuro di castagna. r ) Colla soluzione del solf;ito di zinco, la tintura in certo modo facevasi chiara. s) Coir idroclorato di slagno, nessun cambiamento. t) CoH'ossalato d'ammoniaca, idem. Il ) Col muriato di barila, idem. i> ) Col nitrato d'argento, leggiero intorbidamento che svaniva coH'aggiunta dell'acido uiliico. Da questa reazione [lerlanto puossi conchiudere che la soluzione acquosa somministrata col mtzzo dell' infusione e decozione poscia della corteccia del pino marittimo, contiene alcuni pochi principi! immediati, ira i quali siuora campeggiano il concino, il principio colorante e l'acido libero. Non avvi vestigia d'alcun sale sollorico, né muriatico o calcareo, né alcuna ^ovtanza amidacea. L'acido libero sembra che sia una modificazione dell'acido gallico , seppure la causa della reazione non dipende (Lillo stesso concino nel Njo slato paiticolare in cui si rinviene nella nostra corteccia e nella sua de- cnziotie. <]on una egiinle qii.itililà d' arqna diitilliila e collo stesso iiietoilo iccatolo diligentemente, in iiagnu-maria egiia-^lio il [jeso di 2 grossi ( decagrarnma ) , 7 denari, 620. L'ac(|iia distillata tiuiiidi eslrasse dalla nostra corteccia sottomessa al calore dell'ebulliiioue grossi 7, 2,380 di principii solubili, fra i quali, come Ilo {jià notato di sopra, prevalgono il concino ed il principio colorante. I liquidi ottenuti da queste ilue decoiioni, ed insieme mescolati, gli ho divisi un'altra volta in due parti, l'una delle quali esposi all'evaporaiioue in un vaso di porcellana, Taltra suddivisi ancora iu due; ed una di queste, ossia la quarta parte di tutto il liquido, la ho concentrata 6no alla sua ottava parte, e quindi a quella l'aggiunsi che dalla prima decozione aveva destinata ad isco- prire il concino e gli altri principii immediati della slessa corteccia. Frattanto la metà del liquido ottenuto dalle due decozioni che aveva commesso all'evaporazione, dopo che ridotta a consistenza di siroppo , venne lasciata iti quiete per circa due giorni, diede a divedere alcuni cristalli di diverse gran- dezze, lutti però della medesima forma. Questi, presentanti la figura delie ta- volette di forma esaedra, avevano il centro quasi perforato pel quale traspirava il vaso di porcellana ed un circuito rossastro. Lavati con poca quantità d'acqua distillala sembravano perdere alcun poco della sostanza formante la [ìropria cir- conferenza, ma le lamelle apparvero della primiera forma; aderenti al vaso ed insolubili. Tolle queste con diligenza dal fondo de! vaso le ho osservate, ed avevano i caratteri dell'estrattivo ossigenato. Non fammi per altro possibile di inslituire su delle medesime più profonde ricerche, sia atteso la picciolissima loro quantità, come per la mancanza di tempo. La quarta parte delle Ire decozioni cui aveva serbata all'oggetto di determi- nare il concino e per la continuazione dell'analisi, riscaldata a circa 40 gr. R., la trattai con una soluzione satura e calda di ittiocolla. Apparve qualche intor- bidamento , non però la desiderata separazione , onde credetti necessario di letiderla più densa col mezzo dell'evaporazione fino a circa la sua metà. Du- rante pertanto l'evaporazione aggiungendo e mescolando la soluzione d'ittiocolla sino a che cessò l'intorbidamento, favoreggiai la separazione della gelatina con- ciuata sotto forma di fiocchi , i quali si rappigliarono in una massa elastica assaissimo estensiva a guisa di trasparente membrana. Rimanendo però torbido il liquido, lo sottoposi di nuovo alla concentrazione, e l'ho quindi filtrato per carta di peso conosciuto- Quest'ultimo processo fu alquanto lungo. Lavata poscia con acqua bollente )a sostanza rimasta sulla carta e ridottala con diligenza a secchezza insieme col filtro, diede il peso di denari 3, 200; la parte principale però della gelatina concinala, depositatasi nel vaso fleìTevaporazione, già lavala con acqua bollente e perfettamente essicata, eguagliò il peso di grossi 2, S, 167, ed aggiunto a questo il peso ottenuto dapprima , la gelatina concinala ottenuta dalla quarta parte di un'oncia meliica di corteccia, e che secondo le osservazioni del chia- rissimo Uavy contiene (juarantasei per cento di concino, fu sonimariamenle d' grossi 2, 8, 367. Siccome però da tutte le decozioni insieme unite di un'oncia metrica si sarebbe otteiiule oitcie 1, grossi 1, denaii '.ì, 4(58 di gelatina con- 63 cin.'ita, perciò dal calcolo di sopra riferito in un'oncia metrica della nostra cor- leccia esistono grossi 3, 2, lOo di concino, quantità cioè del doppio maggiore crizioiie di tolte te operazioni messe in campo onde ottenere quest'estratto spoglio ilei tutto di concino e di estrattivo ossigenabile, riferendo soltanto che quando si ottiene il primo Gue, la soluzione dello stesso estratto non più acquista il color verde col persolfato di ferro, e, pervenendo al secondo, l'estrattivo che rimane nella soluzione si scioglie tanto iiell'acqtia quanto nell'alcool, ed evaporalo a siccità si ridiscioglie nuovamente nell'acqua senza dejiosito. Fino a che però rimane nel medesimo anche la più piccola quantità di concino, la sua assoluzione assume un colore più o meno verde col persolfato di terrò egualmente che fin quando contiene il principio ossigenabile, lascia colle replicate evaporazioni della soluzione acquosa dei se- dimenti di estrattivo ossigenalo. Dalle quali osservazioni credo potere a buon diritto stabilire che quell'estratto, computalo in totalità denari 9, 180, sia costituito da una quaria parte d'estrat- tivo ossig,enabile, con tre d'estrattivo saponaceo ed alcune vestigia ili concino. Mi occorse pine di osservare conteneisi nello slesso esl ratio una piccolissimn qiiaiitilà di sale calcareo (acciaio forse). gì Ultimate fiiialmeDle tutte le o[ierarioiii che - parlengouo a diverse lamiglie. Esse s'inconlraiio più li'eqiienlenienle in alcuiirf fauiiglitì, nelle quali T abbondanza del succo resinoso odoroso forma uno dfi caratteri i più distinti. Tali sono le coiiilere e parlicolarnieute le speeie dei generi pino ^ abete e larice. Uicorderenio le sorla principali col nome die portano in commercio. Terebentina d' America. Questo nome s'applica alle terebentine che scolano da molte specie originarie dell'America settentrionale, se uè distinguono due sorta principali : 1° Terebentina di Boston prodotta dal Pinus australis e girobus. Ha un odore soave, un'amarezza mediocre, e contiene presso a poco 17 per cento d'olio volatile; 2° Terebentina del Canada, che si trae dal Pinits baìsamea, poco colorita, trasparente, tenace, d'un odore forte e aggradevole, d un sapore amaro e un po' acre. Terebentina di Bordeaux la più sparsa in commercio, e che deriva da diverse specie di pini, particolarmente dal Pinus maritimus e Pinus syl- vestris. E ordinariamente biancastra, torbida, consistente, separautesi col riposo in due parti, l'una chiara o trasparente, l'altra d'apparenza di mele. Il suo odore è forte, poco piacevole, il suo sapore amarissimo. Essa fornisce il 20 per cento d'olio volatile. Terebentina di Strasbourg, 'proAoW a i]^^^ Abies pectinata, perfettamente chiara, meno consistente di quella di Bordeaux^ d'un odore più forte, più ricca in olio volatile, e d'un sapore acre amarissimo. La Terebentina di Chio, di Dammara, di Bombeia, di Fraxlejon , di (yilead, di P^enezia, sono altrettante terebentine, i cui usi sono più o meno gli stessi, come medesime sono le preparazioni farmaceutiche. Assoggettando la terebentina alla distillazione, se ne ricava Volio o Vessema di terebentina , il quale è un liquido limpido, afTatlo privo di colore, di odore e sapore analoghi a quelli della terebentina stessa, ma ancora più sviluppali. Le diverse specie di terebentine, di cui abbiamo parlato, sono tulli medica- camenti eccitanti, il cui modo d'agire riesce all'iucirca lo stesso che quello dei balsami, del coppaibe in specie, su sui abbiamo tenuto lungo discorso. Questi medicamenti formano parte di molli preparali farmaceutici, come i balsami, gli empiastri, unguenti e simili. In quanto all'essenza di terebentina , essa opera con maggior energia e prontezza delle terebentine propriamente dette, e quindi molli pratici impie- garonla con felice esito contro la tenia; ma perchè operi efficacemente, è d'uopo darla a grandissima dose, come sarebbe di due a Ire oncie, ed allora si comporta essa in due maniere, uccidendo il verme coll'azione sua irritante ed agevolandone l'espulsiime coli' irritazione ch'essa determina nel tubo alimentare. Kendeny pub- blicò molle osservazioni, le quali alleslano l'efficacia dell'essenza di terebentina come vermifugo; sifFatlo medicamento non venendo decomposto dallo stomaco, passa con tutte le sue pro[>rietà nel tubo digerente e la perire i vermi che vi si trovano annidati. 7of«. T7. 5 66 Giova coadiuvare l'azione dell'essenza di lereltentina coirammioistrailone di qualche purgante, come il mercurio dolce, la resina, la scialappa , o l'olio di crotoulilli. Si vantarono anche i felici effetti dell'essenia di terebentina nella dose di una a due dramme contro l'epilessia. Egli è in Inghilterra che usossi singolarmente di tal metodo curativo ; sono però pochissimi i casi , nei quali puossi ripromettere buon successo da siffatto rimedio contro la crudele malattia della tenia. Finalmente adoprasi pure con buon sLiccesso l'essenza di terebentina a fugare la neuralgia sciatica. Si amministra tale medicamento in pillole, o sospeso in qualche veicolo amaro e zuccheroso: sia però quale si voglia il modo di darlo, costituisce sempre un rimedio spiacevolissimo: sicché molti noi possono tollerare : fa d'uopo allora cìmenlarlo in clistere, modo d'amministrazione che spesso riuscì bene. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Pino selvaggio. ». Frullo. J/J. 67 SABINA S.ihiiK) iolio (:u|.re-.si, B.iuli. piti lib. 1"2, secl. 5 — Juiii(.eiiis siihinn Limi , Dioecia iDOiio'Iflfia. — Juss. cla*s. 15, ord 5. Couitere. — Poiit'l, Fior, iiieil., tum. 6, lab. 303. — Rich., Boi. med., lora. 1, pag. 144. Questa specie di ginepro è un arbusto che cresce assai abbon- dantemente nelle contrade meridionali d'Europa. Costituisce un bellissimo arboscello sempre verde, d'un odore forte e pene- trante. Nelle montagne dei dipartimenti meridionali di Francia, delle Alpi nostre, del Levante e d'Italia prospera assai bene, anzi vi cresce naturalmente. Se ne distinguono due varietà, dette per l'addielro impropriamente una maschio, l'altra femmina. La prima s'innalza all'altezza di otto a dieci piedi su di un tronco ritto, diviso in rami flessibili, ascendenti, e molto ramosi, coperti d'una corteccia ruvida, cinerea, alquanto rossastra. I ra- moscelli sono sottili, numerosissimi, coperti di foglie piccolis- sime, opposte, serrate contro i rami, corte, ovali, acute : le su- periori alquanto più distanti. I castoni dei fiori sono portati sopra piccoli peduncoli rincavali e sagliosi. I frutti hanno la forma di piccoli piselli un poco ovoidi ; sono carnosi , d'un azzurro ne- rastro, e contengono uno o due nocciuoli. La seconda varietà conosciuta sotto il nome di Sabina femmina^ Sabina sterile o Sabina comune, s'eleva molto meno : i suoi steli sono più deboli, più distanti gli uni dagli altri i suoi rami : le foglie alquanto più lunghe, lanceolate, acute, specialmente le superiori. Porta ne' nostri climi rade volte il frutto. Se ne coltiva una sotto varietà, il cui fogliame piacevole a vedersi è verde screzialo di bianco. 68 La Sabina chiamasi dai Francesi Sabine, Savmicr; dagli Spagnuoli e dai Portoghesi Sabina; dai Tedeschi Smkbaum, Sevenbaum; dagli Inglesi Savin; dagli Olandesi Sevenboom, Savelboom; dai Danesi Savetree; dagli Svezzesi Saefvenlraed. Le foglie ed i teneri rami della Sabina, cbe sono le parli adoprale in me- dicina, hanno sapore acre, terebintaceo, amaro, ed odore penetrante, aromatico. Opera perciò tale medicamento come uno stimolante assai energico, qualora lo si somministri anche in piccola dose: ma se la dose è maggiore, provoca allora tutti gli accidenti e tutti i fenomeni dei medicamenti irritanti. Adoprasi talvolta contro i vermi, altre volte adoprasi maggiormente come esercitante un'azione speciale, stimolante suH'ulero, poiché costituisce un potentissimo emmenagogo. Oggidì però i medici s'astengono affatto di prescriverla pei tristi accidenti di cui è suscettibile. Ecco come a riguardo della medesima la discorre i! chia- rissimo professore Bruschi : " Le sommità della sabina non hanno presso i moderni chimici formato oggetto di apposita analisi; quindi non conosciamo in proposito se non quanto ci hanno lasciato scritto gli antichi, di contenersi cioè nella sabina una quantità d'olio volatile, separabile dalle sue foglie, mediante la distillaiione operata coll'acqua, dotato di molta acrimonia, e fornito di odore penetrantissimo; uu principio estrattivo solubile nell'acqua, ed un materiale resinoso che si scioglie nell'alcool: forse tutto il potere medicinale delle sommità della sabina è dovuto alPolio volatile che in essa esiste. " La maggior parte dei clinici si trova di unanime opinione nell'ammeltere che la sabina sia un possente rimedio emmenagogo ; ed in verità molti fatti concorrono a stabilire questa massima terapeutica. Intanto se si debbano fissare i modi generali di agire della sabina nell'animale economia, giusta i nostri principii, non dubitiamo di asserire che questa pianta manifesta evidentemente un'azione di contatto molto irritante ; che sviluppa un'azione difRjsiva slimo- lante, soprattutto nell'apparato ciicolatorio e seceinenle ; e che spiega un'azione elettiva sull'utero, azione tendente ad aumentare in queMo viscere il vitale ecci- tamento, ed a rendere pprciò le sue luiiziuni più attive ed energiche; onde la sabina debbe senza dubbio annoverarsi nella classe dei rimedii emmeuagoghi stimolanti. La qualità irritante della sabina chiaramente apparisce allorquando si presti attenzione ai sintorni cbe si sviluppano in seguito del di lui contatto col vivo organismo: la deglutizione delle foglie di sabina, ridotta in Glia polvere, è seguita da un senso di accaloramento allo stomaco, da nausea, non che da altri turbamenti gastrici; ed allorquando la quantità presane sia alquanto co- piosa, insorge il vomito e la diarrea congiunta ai dolori intestinali. Né la qualità irritante, cbe la sabina possiede, si manifesta nel solo caso in cui essa sia in- trodotta nel ventricolo, ma si rende eziandio palese nella circostanza in cui la polvere delle sue foglie venga applicata sulle parti estranee del corpo, spogliate dall'epidermide, ove svilujipa un'azione analoga a quella delle sostanze che si 09 dicono escarotiche e corrosive. Nou può egualmente aversi dubbieiza alcuna intorno alla proprietà stimolante della sabina; imperciocché gli effetti di ge- nerale slimolaiioue da questo vegetabile prodotti , sono evidentissimi nell'ac- cresoiulo moviiiieulo del cuore e delle arterie, Dell'aumentato calore animale e nella promossa diaforesi e diuresi. Da ultimo, non è equivoca la virtù che possiede la sabina, di eccitare cioè elettivamente le proprietà vitali dell'utero; dopo che si conosce da quasi tutti i medici che la sostanza medicinale in discorso aumenta sensibilmente la contrallililà organica della matrice, accresce in modo rimarcabile T energia secretoria dell' utero , e suscita talvolta anche una attiva emorragia uterina. " Poco o nulla si sono approfittati i medici nell'esercizio dell'arte loro della qualità irritante, e della proprietà slimolante posseduta dalla sabina ; ma quasi hanno tratto unicamente partito dall'azione elettiva di questa pianta» appli- candola soltanto alla cura di alcuni stati morbosi dell'utero. Si è infatti impiegala talvolta da qualche clinico la sabina per rendere più attive le contrazioni uterine nei casi di parto laborioso e difficile, e non senza ottenere in qualche caso l'esito bramato. I pochi fatti che si conoscono io proposito hanno forse con- tribuito ad avvalorare l'opinione del volgo, il quale considera la sabina siccome valevolissima a favorire l'aborto, e se ne serve talvolta con unica mira criminosa, ma spesso infruttosamente ; imperciocché la natura mal si presta a distruggere una delle migliori sue opere ; onde quelle vituperevoli madri che pensasseio sgravarsi di un'illecita prole, col prendere la polvere di sabina, o di propria volontà, o per altrui malvagio consiglio, sappiano che in siffatta circostanza mettono esse io pericolo la loi o salute, e forse anche la loro vita, senza ottenere quel reo risultamento che desiderano ; imperciocché non si hanno in materia medica veri rimedii abortivi, e tutti i vegetabili che il popolo ritiene per tali, sono piante acri e deleterie, la cui deglutizione nello slato di salute è som- mamente pericolosa, in modo che queste piante invece di promovere un' imma- tuia espulsione del feto , possono gravemente alterare il fisico stato della scon- sigliata madre; e dal numero di siffatte piante non è certamente da escludersi quella di cui ci occupiamo. Quei pratici i quali valutano nella sabina la pro- prietà di rendere attive le secrezioni uterine, più di quello che essi facciano conto dell'altra proprietà di accrescere le contrazioni dell'utero, preferiscono di amministrare la sabina nei casi di mestruazione difficile o soppressa, anziché nella circostanza di parto stentalo e laborioso. Le osservazioni cliniche, dimostranti l'elGcace attività della sabina, amministrala come rimedio emmenagogo, sono di già tanto numerose, che non può per avventura esservi un pialico, il quale non sia in grado di dubitare non essere la pianta in discorso fornita realmente della virtù di favorire la secrezione ed escrezione dei mestrui ; e le storie mediche relative ad amenorree, vinte coU'uso della sabina, si leggono in tulle le opere di medicina. Ciò non pertanto è d'uopo che il medico faccia qualche riflessione prima di prescrivere il rimedio in discorso nel trattamento curativo dell'ame- norrea; imperciocché non tutte le donne amenoroiche sono indistintamente suscettibili di essere curale colla sabina. Questa pianta, perché dotata di qualità irritante, non potrà amministrarsi in quei casi, nei quali l'amenorrea si osserva essere associata ad un morboso stato d'irritazione dell'apparato digerente, 70 ovvero ad una decisa gastro entente cronica: del pari ramministrazioDe dell» sabina sarà controiadicata per quelle donne amenorriche di eccitabile e san- guigno temperamento, e di robusta e pletorica coslitutione fornite, nelle quali forse il morboso eretismo dell'utero costituisce Tunica causa occasionale del- l'amenorrea : in tali incontri, la proprietà stimolante che possiede la sabina rende l'uso di questa pianta più nocevole che vantagigioso; e la miglior pratica da seguirsi in siffatta circostanza sarà quelladi abbattere il sopraeccìtamento vitale dell'utero mediante le opportune evacuazioni sanguigne, e mercè Tapplicaiiune di altri mezzi terapeutici all'uopo opportuni. Piace inQue ad alcuni medici di non valutare nella sabina uè la pioprietà di accrescere le contrazioni dell'utero, né quella tampoco di aumentare I' attività secernente di questo viscere; ma traggono essi invece partito dalla facoltà che la sabina possiede di promuovere nello sfato sano l'emorragia uterina, e quindi se ne giovano contro la uie- trorragia. E chiaro che f|uesti medici tengono a calcolo e pongono in pratica il dogma Hannemanniano Similia similibus, curando cioè la metrorragia con no rimedio omìopatico, non amministrato però che a dose iuGnitesima. Rade e Wedekind ci hanno già fatto conoscere alcune guarigioni di emorragie uterine, ottenute coll'uso interno della sabina, ed anche Sauter ha impiegato il rimedio sles!.o contro ogni specie di metrorragia, non escluse quelle minaccianti l'aborto, ed asserisce di averne in molti casi osservato la decisa utilità. «.Le applicazioni mediche però della sabina non sono state ristrette alla sola cura dei diversi stali morbosi dell'utero; ma alcuni clinici del passato secolo, perchè hanno creduto di ravvisare in questo vegetabile diverse generali pro- prietà medicamentose, ne hanno usato nel trattamento curativo di altre malattie. £ piaciuto ad alcuni giovarsi della sabina contro la litiasi, erroneamente attri- buendo a questa pianta la qualità litoutrìtica, qualità che forse non esiste in alcun vegetabile. Alla stessa sabina è stala pure accordata la virtù diuretica, e conseguentemente si è prescritta ad oggetto di risolvere le varie specie d'idropisie. Si è inoltre asserito che la pianta in discorso sia un efficace medicamento da amministrarsi agi' individui aSetti da itterizia; ma una tale prescrizione non ha certamente alcun che di razionale. u La virtù antelmintica si è anche valutato nella sabina, e si hanno alcune poche osservazioni, dalle quali apparisce che questa pianta sia stala utile \a qualche caso di verminazione ; ciò che non deve recar meraviglia, se si rifletta che tulli i vegetabili acri ed irritanti possono essere impiegati come medica- menti vermifughi. Finalmente si è voluto da alcuni medici tenere in conto la qualità antispasmodica della sabina, e se ne è commendata l'amministrazione contro l'asma nervoso, contro l'isterismo, e contro le convulsioni cloniche , nelle quali malattie può la pianta in discorso aver recato qualche vantaggio a motivo appunto della sua proprietà irritante; imperciocché è nolo a tutti i pratici quanto sia di giovamento nella cura delle malattie spasmodiche l'indurre un qualche grado d' irritazione nell'apparato digerente. « In ragione delia qualità acre ed irritante che la sabina possiede, si è pen- sato da non pochi chirurghi di approfittarsi delle foglie di questa pianta come rimedio d'esterna afiplicazione, e non senza ottenerne qualche buon risultamento. Infatti si osserva che la polvere eklle foglie di sabina , posta sopra le ferite 74 produlte dal morso di auìoaali velenosi conlrìbuisce ad impedisce la dlQusioDe del veleno; forse perchè induce una specie di cauterizzazione nella ferita stessa. Gli effetti escarotici delle foglie di sabina si rendono anche più manifesti allora quando s'applica la polvere loro sui condilomi, sulle verruche ed altre escrescenze morbose: o se ne asperga la superficie delle ulceri sordide e fungose. La carie delle ossa trova pure nell'applicazione delle foglie di sabina un mezzo opportuno ail essere limitata ne' suoi progressi, non che ond'essere talvolta condotta a gua- rigione eziandio. Si ha inoltre qualche latto dimostrante, che l'esterna appli- cazione della sabina è giovevole per diminuire la dolorosa sensazione che provano gl'individui attaccali da odontalgia, ed anche per togliere affatto questa penosa infermità. Non sempre però i chirurghi si valgono , contro i sopraenunciati morbi, delle foglie di sabina ridotte in polvere; ma sovente impiegano all'uopo l'infusione, il decolto ed il cataplasma preparato colle foglie stesse. In fine anche Vunguento di sabina, che si prepara con quattro parti di grasso ed una parte di cera gialla e foglie secche di sabina sottilmente polverizzale, si vede essere utile per condurre a guarigione la scabbia, per mondare il capo dalla tigna, e per dissipare altre analoghe morbosità della cute. « Per impiegare la sabina quale interno rimedio, i pratici si servono ora delle foglie di questa pianta polverizzate, ora del suo olio, ora dell'estratto di essa, ora dell'infusione della medesima, e qualche rara volta anche dell'acqua distillata sopra le foglie fresche di sabina. La polvere delle foglie di sabina si prescrive cella quantità di sei a diciotto grani per due o tre volle al giorno, mescolata a discreta quantità di zucchero, o di polvere di gomma arabica. " I/olio volatile di sabina, che si separa colle sue foglie, sottoponendole a convenevole distillazione, si amministra nella quantità di tre a dodici gocciein opportuno veicolo zuccherino o mucilaginoso. « L'estratto di sabina, che si prepara nel modo stesso degli altri estratti medicinali , si amministra alla dose di dieci a trenta grani, «nilo alla polvere delle foglie della stessa sabina sotto forma pillolare, e siffatta amministrazione può ripetersi due ed anche tre volle nel corso delle ventiquattr'ore. L'infusione delle foglie di sabina è un preparato poco usilato, ma volendosene approfittare iu pratica, si prepara questa colle foglie di sabina, delle quali se ne impiega due denari fino a due ottave per due libbre d'acqua bollente, e questa quantità d'iuluso si fa prendere epicratamente nel corso di on giorno». SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Branco di sabina, i. Castone maschio. 3. Scaglia anterifera staccata dal casloQ*. 4. Frutto di cui ai levò metà la parte carnosa. 5. Osso isolalo. 7:2 FAMIGLIA 58wA TIMELEE ( Dafnoidi) Costituiscono le Timelee o Dafnoidi una famiglia naturale dì piante dicotiledoni apetali ed ipoginee, aventi per tipo le diverse specie del genere dafne, cui gli antichi botanici indicavano col nome di Timelee. Sono le Timelee piante erbacee, vivaci, o più spesso arbusti ed arboscelli portanti foglie semplici ed alterne : i loro fiori sono in generale riuniti a spiche terminali , talvolta ascellari : il loro calice colorato e petaloide risulta monosepalo a quattro 0 cinque divisioni poco profonde : talvolta il calice è persistente ed accompagna il frutto sino alla sua maturità. Gli stami da otto a dieci stanno inserti nella parte interna del calice, e sono brevissimi ed inclusi. Il germe è libero, uniloculare, contenente un solo ovicino diritto. Lo stilo termina con uno stimma sem- plice, ed il frutto consiste in una piccola bacca carnosa e mo- nosperma , od in un piccolo achene secco e non apribile. È il genere dafne l'unico di tale famiglia che presenti inte- resse dal lato della materia medica ; la corteccia del maggior numero della specie riesce di grandissima acrezza, la quale ap- plicata sulla pelle ne determina la rubefazione e l'esulcerazione, sì che si adopera come epispastico. Questa stessa proprietà si lo rinviene in molli altri generi della slessa famiglia, le cui specie lulle debbono in generale considerarsi come più o meno sospetle. Venlenat comprende in questa famiglia, che è la ii della VI classe del suo Tableau du régne vegetai, nove generi , cioè Dirca, Lagetta, Daphne, Passerina, Stellerà, Struttiola, Lacntm, Dais, Gnidin (Nouv. Dici. d'Hist. Nat., lem. vi, pag. 137). 74 T I M E L E A Tliyraelea loliis lini, Biiuli. piri. lib 12, sect. 1. — Tourn. class. 20. Alberi inon(i[)elali. — Daphne pnidiiim . Linn. class. 8. Ollandria uionoginia. — Juss. class. 6, Old. 2. Timelee. • — Poirel, Fior. med. , lom. 4, lab. 078. Fra le varie specie del genere dafne della famiglia delle Timelee havvi il Dafìie gnidio, la cui corteccia trovasi nelle fiìrmacie sotto la denominazione di Cortex gnidii o di Legno santo, arboscello d'un aspetto piacevolissimo, che cresce nei sili aridi e montuosi di molte provincie meridionali d'Europa, nel Levante e sulle coste della Barbarla. Trovasi abbondan- temente nelle provincie meridionali d'Italia, di Francia, di Spagna, o viene coltivato in molti giardini sotto il nomadi Timelea. L'uso della corteccia di questa pianta fu introdotto nella tera- peutica soltanto verso la meth dello scorso secolo, e nel 1 767 il dottore Leroy pubblicò una dissertazione interessante, che richiamò l'attenzione dei pratici sopra di tale medicamento. Adoperato fin d'allora unicamente dagli abitanti di alcune con- trade meridionali, acquistò presto il dafne gnidio grandissima riputazione, in ispecie come vescicatorio. Il dafne gnidio ha steli ritti, alti due o tre piedi, divisi alla loro base in ramoscelli flessibili, d'un bruno cinereo, portanti foglie lineari, strette, intiere, e molto ravvicinate le une alle altre. I suoi fiori sono piccoli, odorosi, bianchi ed alquanto rossi , peduncolati e disposti in piccoli fascetti all'ascella delle foglie superiori. Essi hanno un calice tubuloso, colorato, che àH X^^/^Z^i^ 75 alcuni bolanici lo considerano quale corolla , diviso in quallio lobi al suo lembo : olio slami non saglienli coi filamenli cor- tissimi : uno siilo corlo ed un solo stimma. Ai fiori succedono alcune piccole bacche globose, poco succolenli , da principio verdi, poi nerastre. Il Dafne gnidio, dello volgarmente Timelea, Biondella, chiamasi dai Francesi Garau, Sain bois; dagli Spagnnoli Tor- visco, Timelca; dagli Inglesi Ilaxleaved daphne, Thymelca, Spur- grflan; dai Tedeschi Seidclbast; dagli Olandesi Thìjmelea. Tulle le pMili (li questo vegetale sono, al pari di quelle delle altre piante appai'teueuti alla stessa famiglia, fornite di somma acreiza- Le sue foglie, ed in ispecialità la iiua corteccia, masticate per qualche istante inducono nella bocci e nella laringe una sensazione d'ardore bruciante cbe dura per gran tempo. Applicate sulla pelle ne determinano la rubefaiioue, il sollevamento dell'epi- dermide e la formaiioiie di amjwUe di diverso volume. La corteccia del dafne gnidio, quale si rinviene nelle farmacie, è in liste minute, difGcili a rompersi, di colore grigio più o meno carico, strisciate trasversalmente, coperte di pleuria satacea; l'inlerno è giallo. Riconobbe Vauquelin provenire Tacreiza delle timilee in generale da certo principio particolare, che sembra di natura alcalina e da una materia resinosa verdastra, a cui diede il nome di Dafnina- Ei^li è dalla dafne alpina, che il succitato autore ne ricavò maggior quantità. Ne parleremo trattando della medesima. Una piccola piastra di questa corteccia macerata per alcune ore nell'aceto, a[)plicata sulla pelle, ricofierta con foglia d'edera e mantenuta insito peima- nente mediante alcuni giri di fnscia , presto l'arrossa e l'infiamma Se questo apparato si rinnovi per alcuni giorni, ottiensi un essutorio all' incirca della slessa larghezza della Ibglia di edera, con la quale si coperse la piastra di cor- teccia di dafne gnidio. Siffatto mezzo opera lentamente; locchè può riuscire talvolta pioGllevole. In alcune circostanze va preterito all'uso delle cantaridi, cioè quando temesi la loro anione irritante sugli organi genito-oriuarii. Neppure sifFallo medicamento però è scevro d'alcuni inconvenienti: ed invero siccome lenta risulla la sua azione, e va applicato psT gran tempo, così cagiona spesso pruriti insoffi ibili, ai quali non possono i malati resistere, ed induce di frequente lo sviluppo di bottoni e di pustole dei dintorni della parte, sulla quale venne applicato. Si rimedia a tale accidente levando la piastra di corteccia, e lavando la parte con acqua di malva o soltanto con acqua tiepida. Di presente è il dafne gnidio usato meno spesso: gli si preferisce in generale il taCfetà o lacelo radicale, ed il sapone ammoniacale. Tutlavolla colla corteccia di cotesto dafne componesi una pomata epispatica, adoperala frequentemente [)er mantenere la suppurazione nei varii essulorii. Si prepara essa londendo insieme dodici parli di sugna con una di cera, e facendo 70 Ixjllire per alcun tempo quitli') [nuli ili corlencia di daliie gnjili,, \,eììe iirrif Itala; si filila e si lascia deporre : e quando il miscu-iiio è raOieddalo, si raschia la pomata e la si tritura, acciocché non contenga grumi. Questa pomata risulta meno attira di quella che si prepara colle cantaridi; tuttavia la si preferisce seioprechc temesi irritare gli organi genitali e orinarli, non che per le donne ed i fanciulli. Il dalne gnidio fu pure adoprato internamente. Russel, Andrce, Sechwediawer, \V righi amministrarono questa corteccia corrosiva, sia sola, sia associata a diverse sostanze, contro alcune malattie della pelle, contro la scrofole, contro i dolori orteocopi , gli esostosi venerei, ed altri effetti delle sifilide inveterata. Nessun latto però s'adduce in confermi^di siffatta virtù, ed il suo uso non può cer- tamente andar scevro di tristi inconvenienti. Non fa perciò meraviglia, che oggidì il suo uso internamente sia del tutto abbandonalo. I semi del dafne gnidio, conosciuti nelle farmacie sotto la denominaiione di Coccum, Cnidil semina, Qranuni chnidium, vuoisi velenoso più ancora della corteccia. Riferisce Linneo, che dodici di questi semi valsero a dar la morte ai! una figlia, e secondo Bergio molti individui furono vittima di questo farmaco imprudentemente loro somministrato da cerrettatii ^^^ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Branco di dafne ctiìnio. 2. Fiore iotiero. 3. Pistillo e calice aperto. 4. Fruito della grossezza naturale. 5. Frutto tagliato circolarmente. ^vs. {,\ • ,^ ^/^^a^y t..^^^^/^^^^^^■^a. 77 TIMELEA FEMMINA Lniiieola folio deciduo, flore purpureo, officinalis. Laureola faeniina, BhiIi. pio. lih. 12, sect 1. Tymilea sive laureola faemiiia. — Tourn. clais. 20; spcl. 1, geu. 2. — Daplme meiereuni Fjinii. Otlandria iiionoginia. — Juss. class. 6, urd. 2. Tiinelee. — Poiret, Fior, nied., Ioni. 3, lab. 236. ; Egli è quasi frammezzo alle nevi , sulle montagne selvose clEuropa, che florisce verso la fine di febbraio questo elegante arbusto. I suoi fiori, precursori della primavera, d'un bel rosso, d'un odore soave , offrono per carattere essenziale : una corolla 0 piuttosto un calice colorato, lubuloso, a quattro lobi : otto stami corti rinchiusi in un tubo: uno stilo cortissimo: una bacca su- periore, globosa, che racchiude un nocciuolo ad una sol loggia monosperma. I suoi steli sono ritti, ramosi, alti due o tre piedi, vestiti duna corteccia bruna o grigiastra. Le sue foglie che non sbuc- ciano se non dopo i fiori, sono alterne, sessili, ovali, lanceolate, d'un verde pallido o giallastro, alquanto glauco nella superficie inferiore, intiere, rinversate alla base, glabre, lunghe circa due pollici, alcune quasi spatollate. I suoi fiori sono sessili, laterali, riuniti tre assieme in piccoli fascetti sparsi lungo i ramicelli di un rosso piacevole, alcune volte bianchi : sono privi di corolla. Molti botanici però descrivono per corolla il calice, che tutta ne ha l'apparenza sia per la forma, che pel colore. Il suo tubo è cilindrico, più lungo del lembo, cortissimo, e diviso in quattro lobi ovali alquanto acuti : gli stami sono corti, inserti sul tubo del calice: l'ovario ovale, oblungo, sormontato da uno stilo cortissimo e da uno stimma capitato. I frutti sono bacche glo- bose della grossezza di un grano di ribes, d'un rosso vivo, quando sono alla perfetta rnalurità: sono giallastro quando i fiori sono bianchi. 78 La Ti 111 e Ica femmina, della anche Laureola femmina, Carne lìea. Biondella, chiamasi dai Francesi Mezereon, Laureole femmelle , tìois gentil, 3Ialherbe, Garou; dagli Spagnuoli Laureola, Hemhra, Torhisco; dai Portoghesi Laureola f'emea; dai Tedeschi Keller- halls; dagli Inglesi Common spurge olive; dagli Olandesi Peper- boompje; dai Danesi Kielderhals \ dagli Svezzesi Kioellerltah ; dai Polacchi FFylcze, Lyko; in Siberia Dikoi, Perez. La radice, la corteccia, ed i frutti di questo arboscello sono le parli adoprale in medicina. Tutte queste parti sono inodore: il loro sapore è acre e bru- ciante: quando si masticano producono un senso di calore iutuUerabile in tuila l'eslensione della bocca e della laringe. E questo calore acre e bruciante, die determina le varie parti delle pianta in discorso, occasiona nell'interno delia bocca e della gola un senso di torpore ed una specie d'insensibilità leggiera della lingua, come attesta Murray, il quale asserisce d'averla comprovala su lui slesso. L'analisi di questa pianta venne eseguita da molti chimici. Celinsky tro^ò oel Docciuolo : Olio grasso acre ....... 55 Materia estrattiva ....... 0 5 Mucilagine . .3 Àmido ......... 1 5 Pericarpio , . i, . . . » . .1 Glutine 33 Allumina 15 Perdita 4 5 Totale 100 0 Villert riconobbe che il pericarpio esterno è formato d'una materia colo- rante rossa che ottiensì dalla distillazione coli' acqua, d'una resina, d'una ma- teria estrattiva, di tannino, di mucilagine e di Gbra legnosa ; Che la sostanza della corteccia contiene una materia estrattiva acidula, poco amara Una secrezione granulosa Una secrezione Goccosa Mucilagine Fecola rossastra Resto dell'inviluppo ■ Acqua Principio acre 4 2 0 2 0 2 1 5 0 6 lo 9 82 4 0 0 Tf.l.nlp 100 00 79 Ginelìng di Tubinga e Boer trovarono nella corlecci.i cero, una resina acre, (lafnina, una materia colorante rossa, lucdiero incrislallittabile e fermente- scibile, una gomma aiotata , una 6bra legnosa, una materia colorante bruna, acido malico, malato di calce, di magnesia e di potassa. I prodotti dell ince- neraiione erano formati di fosfato di calce, di alumina, di silice e di ossido di ferro. Da tempi immemorabili gli abitanti di alcuni paesi meridionali impiegavano la corteccia di mezereoo come epispatico. Solamente verso la metà dell'ultimo secolo venne messo in uso dai medici e introdotto nella terapeutica. Una piccola piastra di questa corteccia macerala per alcune ore , applicata sulla pelle e ricoperta duna foglia d'ellera , non larda a renderla rossa ed infiammata ; se si rinnova quest'apparecchio per alcuni giorni, si ottiene una vescica della lar- gheiia air incirca d'una foglia d'ellera e tale quale ottiensi dalla corteccia del suddescritto dafne. In breve l'aiione della timelea maieron non differisce per nulla dalla suddescrilta, e formausi colla medesima gli stessi preparati. I paesani del nord della Russia adoperano le bacche di questa specie di Timelea come vomitivo. Secondo Pallas abbisognano trenta di queste bacche I)er purgare uu uomo robusto. Le donne del volgo si strofinano con esse le guancie per renderle rosse. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Raruoicello di incicreon in Qore. i. Ramoscello in fruito. 3. Fiore iutiero. 4. Pistillo. 5. Corolla aperta. 6. Frullo a cui si tolse la parte carnosa. 7. Nocciuolo isolato. 80 TIMILEA ALPINA -■ Daphne alpina Liiin. OHaiicIiia monogiuia. — Juns. Tiinil«e. — Sl-Hilaiie, Plani, de Is Frauce, loiu. 2. Quest'arbusto assai comune ne' luoghi pietrosi delle nostre montagne, in ispecie ne' dintorni di Fenestrelle e sul colle di Tenda, cresce pure abbondantemente nella Provenza, nel Delfi- nato, sulle montagne della Svizzera e simili. I suoi steli alti circa tre piedi sono ramosi e coperti d'una corteccia cinerea. Le sue foglie sono alterne , ovali-oblunghe, d' un verde pallido, pube- scenti nella superficie inferiore quando sono giovani, ed a maz- zetto all'estremità dei rami. I fiori sono biancastri, disposti nelle ascelle delle foglie, piccoli e poco notevoli. Il loro calice è tu- buloso, a quattro lobi, verde e pubescente all' esterno, bianca- stro internamente; gli slami in numero di otto, sono disposti su due ordini , sessili nel tubo del calice. L' ovario è libero , sor- montalo da uno stilo corto. Il frutto è una bacca ad una sol log- gia e ad un seme. Questa pianta tuttoché rustica coltivasi anche nei giardini quale pianta d'ornamento. Fiorisce nei mesi di maggio e di giu- gno : chiamasi dai Francesi Daphne des alpes. Tutte le parti ili questa specie contengono un principio acre, e sono composte presso a poco deoli elementi slessi delle ali re specie; ma il principio acre e persistente che ehhe il nome di dafnina, trovasi in mafjfiior quantità in quella specie. La dafnina si cristaliiia in prismi l'iiinili in tascelli senia colore, trasparenti' brillauli, solubilissimi nell'acqua calda : la soluiione acquosa falla a caldo lascia S/àT 81 'Jepone ilei ci istalli col iiiflVeiiilarnento: essa è solubiiiìsima nell'alcool e nel- Tetere: si colora in giallo d'oro con un poco di potassa, di carbonato di potassa, .l'acqua di barite o di calce; l'acetato di piombo non v'induce alcun precipitato. Coll'acido nitrico la dafnina si converte in acido ossalico. Secondo Boer e Gmelin si ottiene nel modo seguente : si tratta la corteccia del dafne alpina coiralcuol, e ^i fa evaporare l'alcoolato, ràccogliemlo l'alcool che si evapora. Si tratta il residuo della distillazione con acqua, si precipita la dissoluiione acquosa feltrata col proto acetato neutro di piombo: si lava il preci- |)itato, si diluisce nell'acqua e lo si decompone coli" idrogeno solforalo, si leltra e si fa evaporare il liquore a seccbeizii: si discioglie il residuo nell'alcool assoluto a freddo, si feltra la soluzione e si lascia il liquido evaporarsi spontaneamente. La dafnina cristalitza ; la si lava di poi con dell'alcool assoluto freddo, e la si lidiscioglie per farla cristallizzare. Essa non è d'uso medico. SPLEGAZIONE DELLA TAVOLA Iluni) (t. limile^ .ilpini i. Fiore iiiliiTO. 3. Calirc dpeclo. ^. Semi e pistilli. Tom. VI. 82 TIMILEA LAUREOLA D^ime laureola Limi., spec. 5l0. — DC FI. Fiiin. 2l92. — Lapeyr. , Hi>l. plani Pyr. 1, 211. — Deiv. FI. Aiy. 120. - B;.lb. Fior. Lyon. 1. 625.— Roq. |)hyl()gr. tal). 26, pag. 251 — Oilan(Jria mono^iinia, Linn.— Tiriiilee, Jij<,». Questa specie di Timilea, che alcuni autori le diedero la de- nominazione di Laureola maschia per distinguerla dalla timilea femmina, è eminentemente velenosa in tulle le sue parli. Sem- bra che il principio acre, di cui sono dotale tulle le piante di questa famiglia, in ispecie del genere dafne o timilea, in questa specie sia più energico. Quest'arboscello, sempre verde, allo tre piedi all'incirca, rin- viensi comune nelle selve montagnose della Svizzera, del Pie- monte, del Delfinalo, d'Anvergna, non che dei Pirenei e simili. I suoi rami di un colore oscuro alquanto grigiastri, sono muniti alla loro sommità di un gran numero di foglie lanceolate, ses- sil^, serrate, persistenti, d'un verde fosco ed atro, e quasi tutte ravvolte verso terra. I fiori di un giallo verdastro e leggermente odorosi, sono disposti in grappoli corti nelle ascelle delle foglie. Questi partecipano dei caratteri delle altre specie suddescritle ; I frutti sono specie di bacche ovoide, nere alla loro perfetta ma- turità ; strofinate fra le dita lasciano emergere un olio grasso , in sulle prime dolce, poscia d'un gusto acrissimo da irritare ed infiammare la gola a segno da minacciare la soffocazione. Questa specie, che coltivasi anche quale pianta d' ornamento in molti giardini d'Europa, chiamasi dai Francesi Daphne lau- reole. Laureole male. Le sue bacclie, come già dissimo, sono dotate d'un olio grasso, che poco o h di lui estrazioue reudeiì lauto acre da delermiuare innaaJiuaiioBe »i furie uella ^^^7t^/éa\ ^i^^l€/^\ 83 pola dj minacciare persino la soffocaiione. Bulliard dice d'aver veduto un uomo robustissimo ia un lamenlerole stalo per aver ingoialo alcuni di questi frulli. Le pozioni oleose, diluenti non poterono calmare i vomiti e le convulsioni che orribilmente lo tormentavano. La corteccia serve agli slessi usi medici che quella del mezereum; ami in alcune proviocie di Francia la preferiscono a questa. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Ramo di timìlea laureola, a Corolla aperta, i. Sem». TIMILEA ODOROSA D.iphne Ciieorurn Lino., spei;. 311. — DC FI. Fr. 211)5 — Luficyr. , Ili.t. (.Ii.nl. Pyr. 1, 2tl. — Ilo(|. phyU.jj., l;.l.. 2T, pg. 2o2. — Oltrtnace «li piudurre gli stessi acciileiili ; le f.ij;lie lo sono iu ispecie, imperocché sembra che la loro ucreiia abbia raf;giunl(. reslreuio : applicate sulla pelle producono l'escoriaiione in brevissimo linìjio. Serve percw questa specie agli usi slessi che le altre sudJescrille. SPIEGAZIOiNE DELLA TAVOLA i. Branco di liiiiilia odorosa. «0 TIMELEA INDICA Da()liiie oiloia Tlitiiih FI- J.ip. 150. — Daphne sineDsis L;tm. Dici eric , 3, [iij;. 438.— Daphne indica Liiin., loin. S, pag. 5tl. Otiaudiia aionogiuia — JuSv Tiinelee. — De Launay, Heib. de l'Ani., toni. 2, pag. l03. Si credette per lungo tempo che questa specie di dafne, ori- ginaria dell' India , fosse la stessa specie detta dafne indica di Linneo. Alcuni botanici però oggidì mettono la cosa in dubbio, 0 vogliono sii altra specie ; in considerazione soprattutto che questa non ha le foglie opposte come quella indicata da Linneo. Checche ne sia, è cerio che la specie di cui ci occupiamo è originaria della China e del Giappone, e che venne introdotta nel 1771 nei giardini d'Inghilterra, da dove si diffuse poscia nelle vario parli d' Europa , specialmente nella Provenza e nel mezzodì della Francia e d'Italia, ove può vivere in piena terra. Questa specie di dafne è un arboscello, il cui stelo s'innalza nei nostri giardini tre o quattro piedi , dividendosi nella parte superiore in più rami sparsi, nudi nella maggior parte di loro lunghezza. Le sue foglie sono sparse, sessili, oblunghe, lan- ceolate, coriacee, persistenti, glabre, lucenti, di un verde alquanto carico, ravvicinate nella parte superiore dei rami. 1 suoi fiori sono bianchi in una varietà, leggermente porpore! in un'altra. Hanno un odore piacevolissimo e formano in numero di dicci a quindici una testa sessile alla sommità di ciascun ramo, munita alla base di più brattee lanceolate, concave, più corte dei fiori. Ciascun fiore è composto di un calice monofillo, tubuloso, colorato, diviso in quattro lobi ovali-lanceolati : di otto Ly/^9?i^/e^ ó^^6/€ay^ia 87 slami ineguali, di cui quattro della lunghe?./.^ del tubo del alicce, e quattro più corti: di un ovario supero, sormontato <]auno stimma a capolino e quasi sessile. Il frutto è una piccola drupa monosperma. La Timelea indica chiamasi dai Francesi Laureole de linde; ao ilall'olio votalile e clall' aciilo l)enZ()ico die vi sonu contenuti ; spesso quest'ultima sostanza (orma alcune cfiloresceuie cristalline alla superficie del frullo. La parte polposa è quella che è doinla di principi! aroma- tici: il pericarpio è pochissimo odoroso- Si distinguono in commercio più sorta di vaniglia, che, secondo l'opinion^ comunemente adottala dai farmacologisti, sono dovute ad alcune varietà della medesima specie coltivata e selvaggia ; uulladimeno i gusci di alcune vanillf-. hanno una forma lalmente particolare, e d altronde le specie d'orchidee delle contrade intertropicali sono talmente numerose, che alcune specie distinte ap- partenenti al genere vanilla sono suscettive di fornire frulli odorosi presso a [)oco somiglian,ti o confusi nel commercio della drogheria. La prima e la più stimata ricevette il nome di vanìglia Ley. è lunga circa sei pollici, larga da tre a quattro linee, tagliata alle due estremità e ricurvata alla sua base. Essa è un poco molle, vischiosa, d'un colore rossastro intenso, e di un odore estremamente soave, analogo a quello del balsamo del Perù. La si dà il nome di vaniglia cristallina quando è ricoperta d'efflorescenza d'acido benzoico, dopo d'essere stata conservata iu un luogo secco ed in vasi che non sono ermeticamente chiusi. La seconda sorta, nominata vaniglia simarona o bastarda, è un poco più piccola dell'antecedente, d'un bruno meno intenso, più secca, meno aro- matica, non suscettibile di coprirsi di eflloresceiize. Del resto somiglia in tutti i punti alla vaniglia Ley-, e dietro l'opinione di Guibourt pare sia prodotta dalla pianta selvaggia; la si trae ria san Domingo. Una terza sorla e il vaniglione o grossa vaniglia, del commercio francese Vanille, Poniprona o Bova degli Spagnuuli. La sua lunghezza è di sei a selle pollici: la sua larghezza di sei a nove linee. E brunissima, molle, viscosa, quasi sempre aperta, dotala d'odor forte, ma meno soave che la vaniglia Ley, e in conseguenza meno stimata e sovente un poco alterala da un |)rincipio di lermenlazione. S'invia dal Brasile confetta, per cosi dire, in un liquido zuc- cherino e rinchiusa in scatole di fi:'rro bianco che contengono venti a sessanta gusci. Fee nel suo Corso di storia naturale farmaceutica esprime l'opinione che questa vaniglia appartenga ad una specie vegetale differente della vanilla aromatica, e la riferisce dubbiosamente ad una vaniglia del Perù citata dal ìuiiz e Paon. Questi botanici la riguardano come una varietà selvatica della va- niglia aromatica, e dicono che se ne fa il commercio dai carrettieri che vanno da Antiochia a Popayan. Aubelt, autore della Descrizione delle piante della Guaina, attribuisce alla stessa specie vegetabile {Epidendrum vanilla, Linn.) le tre sorta di va- niglia conosciute a Cajenna sotto i nomi di grossa vaniglia, piccola vaniglia e vaniglia lunga. Egli pretende che il loro odore soave sia il risultato d'una preparazione analoga a quella che si pratica a Tours e Brignoles , ed in altri luoghi per conservare le prugne. Secondo questo autore, quando si sono rammucchiali dodici gusci di va- niglia, si attaccano e si inGlano a guisa di corona colla parte inferiore il più vicino che sia possibile al loro peduncolo: si espongono un istante nell'acqua bollente per imbianchirle: si sospendono iu seguilo all'aria hbera ed ai raggi 05 del sole per alcune ore. Il «iimnni si Jliaige l;i vaniglia rubbondaii- lemenle il liquore vischioso, e si facilita questo scolo premendo a più riprese le goccie colle maui oleose. Quando la vaniglia ba perduto la sua viscosità , si dil'orraa, diviene bruna, striata, molle e diminuisce più di tre quarti di grossezza. • u questo stato s'imbeve una seconda volta d'olio; ma con precauiioae, perchè in eccesso toglie l'odore soave che ne fa la qualità esseuiiale. Allora si mette in commercio. Siccome la vaniglia è di un prezzo mollo elevato, accade frequentemente che i mercatanti vemlono alcuni gusci, che restali sulle piante dopo la maturità si sono aperti e lasciarono sfuggire i principii aromatici; s'immergono nel balsamo del Perù per ilar loro buon odore. Un esame diligente della siliqua manifesta la frode. La vaniglia è uno degli aromi i più ricercati, specialmente dai cioccolatai , confettieri, profamatori ecc. E diflicile ridurla in (larli assai tenui; si perviene però a dividerla sufHcienteraente per diversi usi a cui s'adopera, tagliandola estremamente minuta e mescendola con zucchero. Altre volte era lodata come assai vantaggiosa per le sue proprietà eccitanti, alVodiache ed antispasmodiche. L'impressione viva e forte che determina sul sistema nervoso, non che sullo stomaco il suo aroma, si trasmette rapidamente a lutti gli organi altivamlone più o meno le loro funzioni. Per tal guisa l'usavano idcuui pratici antichi, quando l'animale economia credevano trovarsi in uno stato d'atonia e di rilassamento onde facilitare la digestione, attivare la nutrizione, aumentare le traspirazione cutanea o la secrezione dell'orina, sollecitare lo scolo mestruo, eccitare anche i piaceri venerei, provocare pure le contrazioni uterine, e determinare diversi altri efifetlì secondarli, risultanti dalla sua azione tonica. Quindi sotto questi diversi rapporti venne la vaniglia raccomandala contro la dispes«>Ì3 atonica, nella melanconia, celi' ipocondriasi, nella clorosi ecc. Si usò pure nei catarri cronici inveterali e negli scoli mucosi ribelli, non che contro ramenorrea atonica secondo ro[)inione di quegli autori. Oggidì però i medici non ne usano più se non qual aromalo. Riferiremo ciò non pertanto alcuni esperimenti fatti dal proiessore Bassiano Carmìuati su diversi ammalali: la vaniglia venne da esso lui ado|)rala in polvere congiunta con lo zucchero , e la prima dose fu di quattro grani Ire volte al giorno in ventiquattro ammalati che davano i più chiari indizi di affezione aste- nica. Dei quali ammalali diecisetle furono pienamente guariti in capo a quattro settimane, e sette non ebbero alcun giovamento ed ottennero poi la salute mercè altri riroedii. In appresso per due o tre anni ancora continuati gli esperimenti ne cavava proDtto or nulla, or anche danno; couciossiachè in alcuni la vaniglia moveva vertigini. Data inoltre a militari feriti, la vaniglia alla dose di dieci grani due o Ire volte al giorno,, in due eresse evidentemente le forze, animò la suppurazione e migliorò l' indole della puriforme materia ; laddove in altri giovò sì poco da dover tosto usare la china, In sei altri soldati usata la vaniglia f^uolidianamenle 94 dai sellici ai trenta grani coU'idea di liberarli dalla cachessia, edernazia , leu- coflenimasia, derivate da mal curate febbri iutermrltenti, bene rispose in quattro, rimastine due affatto ad essa insensibili. Dall'anno 1808 al 1809 s'adoprò il professore Carminati a studiare le diverse |)reparazioni di vaniglia ed i diversi modi di amministrarla , aiutato dal pro- fessore di chimica farmaceutica, Marabelli. E cosi oltre la polvere, le pillole con niucilaggine di gomma arabica e l'emulsione, vi ebbe anco la tintura alcoolica, il sciroppo e l'eslralto. E qui ricordansi mali nervosi pur nati e mantenuti da irri- tabilità e sensibilità deficienti, massime in attinenza ai sensi esterni felicemente ridotti a sanità. SPIEGAZIOiNE DELLA TAVOLA I. trancu di raatglii. i. Fruito intiero. 3. Fruito tagliato trasrerialniote. J'z/ ^ • ■>>' A y72a^ 95 ORCHIDE MASCHIO Orchis moiio inasc. follis inaculalis, Banh. [liii. lib 2, secl. 6. — Touiii. cla>s. 15, sect. 3, pen. — Orcbis masciila, Lino. Ginnaudria diaodiia. — Jius. class. 4, ord. 3. Orchidee. — Poiret, Fior. med. , toin. 5, lab. 236. Le Oi'chidi si distinguono dalle altre per le loro parti della fruttificazione. Sono principalmente notevoli per l'eleganza dei loro fiori, i quali tuttoché irregolarissirai offrono non pertanto in questa stessa sua regolarità le forme più belle a vedersi, le più variate , e che non hanno rapporto con alcuna delle altre piante. Sono per lo più di mediocre grandezza , mirabili per la loro riunione od in mazzolini d'una elegante composizione, od in magnifiche panocchie, od in lunghe spiche, od in grappoli bellissimi per varietà e miscuglio de' suoi colori. Sono privi di calice, e la loro corolla situata all'estremità superiore dell'ovario si divide in sei petali, tre esterni assai simili, due interni spesso riuniti a volta, il sesto a labbro pendente, le cui singolarissime divisioni danno unitamente ai petali superiori a questi fiori un aspetto ora di un'ape, ora d'un pecchione, alle volte d'un ragno, altre volte ancora di un piccolo quadrudepe sospeso, alcune fiate gonfio a guisa di borsa, altre prolungato a mo' di sperone alla sua base: queste differenze servirono di carattere per sta- bilirne i generi. Egli è alle loro radici, formale per lo più di due grossi tu- bercoli, che devono il loro nome le orchidi, da orc/iis (testicolo), e questa conformazione notevolissima diede origine alle favole di cui queste piante ne furono l'oggetto fra gli antichi che le 96 risguardarono come aventi la proprielli di stimolale e di dare sempre un nuovo vigore agli organi genitali. E si spinse tanto siffatta credenza sino a supporre nei loro tubercoli qualità op- poste. Il magico Tessaglio faceva prendere tubercoli nuovi, che sono sempre duri e rotondi, per accendere fuoco d'amore, e pretendeva al contrario d'estinguerlo amministrandone dei vecchi appassiti e disseccati (Diosc. , lib. in, cap. 124). Si credette ancora che i tubercoli nuovi , mangiati da un uomo, facessero generare maschi : mangiati dalla donna, faces- sero generare femmine. I tubercoli delle orchidi furono inoltre per lunghissimo tempo considerati come affrodisiaci , sì i:i Oriente che appo noi. Possono darsi uniti agli aromi come sole- vano, ma non già per virtù propria, ma per questo che sono di natura eccitante. Del resto, come avremo occasione di dimostrare, i bulbi in discorso non servono che a formare il salep che ci viene dal- rOriente, e come dimostra Geoffroy; potrebbesi fare anche appo noi, conlenendo anche i bulbi della nostra specie di orchidi gli stessi principii nutritivi. Il genere delle orchidi si distingue per una corolla che ha quasi la forma d'una bocca, coi petali superiori riuniti a volta, col labbro o petalo inferiore prolungato alla base quasi come uno sperone. In genere il fiore ha molta analogia col fiore del- l'aconito pannicolato e con molle piante del genere delfinio ; l'ovario inferiore è torto: frammezzo al fiore s'eleva una colonna che si riguarda quale stilo e che porla nello slesso tempo gli organi maschi e femmine ; lo stimma è convesso, situato innanzi lo stilo; il polline è distribuito in due mazzetti oblunghi; il frutto è una capsula allungala ad una sol loggia, a tre valve, che s'apre per mezzo di tre fessure longitudinali, la quale con- tiene molli semi piccolissimi. L'orchide maschio che cresce anche nei prati e nei boschi di molte parli d'Europa, trovasi in gran copia nell'Asia minore 07 e nella Persia, da dove perviene il salep, ha radice composta di due grossi tubercoli intieri, ovali, rotondi , con più libbre sem- plici allungate , ed alquanto carnosi. Da questa s' elevano steli ritti, semplici, glabri, cilindrici, carnosi, lunghi un piede circa, muniti alla loro metà inferiore di alcune foglie alterne , piane , oblunghe, lanceolate, acute e per lo più screziate di macchie nere irregolari. I fiori sono grandi, porporini, disposti in una bella spica terminale alquanto rada , lunga tre o quattro pollici ; il petalo inferiore è largo, solcato e diviso in quattro lobi, coi due di mezzo più lunghi dei laterali; gli altri pelali alquanto acuti, rovesciati ; lo sperone ottuso, quasi ritto. Sonvi molte specie bellissime di orchidi che crescono pure negli stessi luoghi. Discorreremo delle principali che servono alluso medico. L'Orchide maschio, detto anche Orchide, Satinone , chhm-àsi dai Francesi Orchis, Orcìiis male, Testicule de prélre; dagli Spa- gnuoli Salir io-macho \ dagli Inglesi Male fool-stones, 3fale or- cìiis; dai Tedeschi Maennliches , Knahenkvaul \ dagli Olandesi Manneties-Harlehjn. I bulbi dell' orcbide si raccolgono ■a\\i\ fine fieli' autunno : dofio il'aveili mondali e sottomessi per alcuni minuti all' aiioue dell'acqua bollente, si sospendono ad un filo e s'espongono al sole ardente, oppure in uti torno per disseccarli. Egli è in tal guisa che si prepara il salep o satap di Persia , che trovasi in commercio. Esso è in piccoli pezzi ovali, d'un colore giallo biancastro, talvolta meno trasparenti , cornei , durissimi, inodorosi, e dolali d'un debole odore, d'un gusto somigliante a quello della gomma adagrante. Essi sono composti pressoché intieramente di materia lecolenta , e conseguentemente assai propria a fare alcune pappe che sono in grandissima riputazione, principalmente presso gli Orientali come analettici, vale a dire capaci di ristaurare le forze spossate. GeofFroy e Retzius ed altri autori di farmacologia raccolsero i bulbi d'orchide che cuoprono le nostre praterie e le nostre montagne, e diedero la maniera di preparare questi bulbi e renderli perfettamente identici al salep degli Orientali. Perciò si trascelgono i più grossi bulbi, si nettano, si lasciano qualche tempo nell'acqua calila, poi si portano sino all'ebollizione, si infilzano in fiscelle e si fanno seccare esponendoli ad un'aria calda e secca. Cosi seccalo il salep può essere ridotto in polvere, che disciolta nell'acqua bollente forma una gelatina che si rende f)iù gradevole coHa^jgiuMla dello zucchero e di diversi aromi. Tom. 17. 7 98 Dieiro la grossolana analogia che credellero esservi Ira questi bulbi ed 5 testicoli , li (Jeciiufarono come affroilisiaci , e come tale vuoisi sieno tenuti in Oriente. Ma siccome questi popoli sogliono mescolare al salep varii aromi, egli è piuttosto a questi che devesi attribuire la facoltà di eccitare gli organi genitali auliche al salep, il quale, composto di fecola amilacea e di mucilaggine, non può certamente esercitare una siffatta aiione. Furono questi bulbi raccomandati nella gotta, nelTepilessia, nelle palpitazioni di cuore, nella cura delle febbri eliche, nelle febbri nervose, uelle affeiioni dei reni, della vescica, e simili. Nessuo fatto positivo però ad.lucesi in prova di tutte queste virtù, le quali, avuto riguardo ai componenti del salep, debbonsi tenere come immaginarie ed assurde. L'unica proprietà che puossi attribuire al salep, la è quella di servire di alimento, come se ne servono gli Oi ieutali, i Persiani, ed i Turchi in specie. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Orcliicte maschio, ». Parte superiore dello stelo fiorito. 3. Fiore inlierpv 4. Stame e labbro. 5. Antera e mazzoHni di polline. 99 ORCUIDE MILITARE Orcbis mìlìtaris, Linn. GìDnanJria diantlria. — Jusn. Oicliidee. — Si Hi {)laut. de la Frane, toin. 3. Questa specie d'Orchide cresce pure nei campi e nei boschi di molte parli d'Europa: è una delle più belle specie del ge- nere. Trasportata nei giardini abbellisce di molto i suoi fiori. L'orchide militare s'innalza da dieci a quindici pollici. La sua radice è formata da due tubi ovali-oblunghi , coronati da alcune fibre grosse e cilindriche: essa dà origine a più foglie oblunghe, intiere, grandi e larghissime: dal centro delle foglie s'eleva un lembo cilindrico, terminalo da una spiga serrata , d'un colore porporeo carico ed elegante : ciascun fiore è munito alla sua base d'una scaglia che non è più lunga d'un terzo della lunghezza dell'ovario, d'un colore porporeo carico , o di un violetto bruno. Le sue divisioni superiori sono in numero di tre, acute e conniventi ; la divisione inferiore è munita di due lobi superiori, stretti, acuti, e di due laterali stretti ed ottusi, e di un inferiore grande, largo, lobato con una piccola punta fra i suoi due lobi : essa è segnata da tinte porporee. L' antera è a due loggie, situata alla sommità dello stilo. Lo stimma è convesso e posto avanti lo stilo. L'ovario è aderente e torto : egli can- giasi in una capsula che s'apre per tre fessure longitudinali. I grani sono numerosi e piccolissimi. Fiorisce nei mesi di maggio e giugno. L'orchide militare, che tale denominazione ebbe per la divisione supcriore del suo fiore che sembra ad un casco , 100 chiamasi dai Francesi Orchis militaire; dagli Inglesi Militanj orchis ; dai Tedeschi Die helmatige orchis, Grosses knabenkraut ; dai Danesi Ilundenosser. I bulbi di questa specie di orcbiiJe disseccali nel modo che abbiamo indicalo, discorrenilo dell'altra specie, servono pure a formare il salep indigeno, che è analogo al salep che viene dairOrieule. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Pan* inferiore dcHorchide mililare. i. Gambo fiorito. 3. Fiore iiiliero jperU ij. Fior» osservato ila lato. iOi ORCIIIDR BRUCIATA Orcm Qstulata Lion. GiDqandiia diandria. — Juss. Orcbidfe — Sl-Hilaire, ^lanl (!e la France, lom 3. Questa specie d'Orchide che trovasi abbondanlemente in al- cune praterie d'Italia e di Francia, è assai comune nei dintorni di Parigi ed a Fontaineblau. I suoi bulbi, sotterrati profonda- mente, sono grossi e carnosi ; da questi, che ne costituiscono la radice, sbuccia una specie di stelo o scapo alto circa un piede, liscio e munito di quattro o cinque foglie strette, lanceolate ed acute. I suoi fiori formano una spiga serrata, lunga un pollice circa d'un porpora carico alla sua sommila, macchiato di rosso e di bianco inferiormente. Le divisioni superiori del calice , in numero di tre , sono a volta e alquanto ravvicinate alla loro sommità ; la divisione inferiore è pendente , bianca e segnata da punti rossi ; essa dividesi in tre lobi , di cui il mediano è piij largo, è orlato alla sommità ; lo sperone, che termina il calice, è ottuso e pili corto della metà dell'ovario. L' antera è a due loggie, situata alla sommità dello stelo, che è munito d'uno stimma convesso. L'ovario è aderente, munito alla sua base di una brattea eguale in lunghezza. Il fruito è una capsula ad una sol loggia , a tre valve , a sei nervi longitudinali , di cui tre ri- mangono persistenti all' epoca della maturità , e gli altri tre si distruggono colle valve e lasciano fuggire i semi che sono pic- colissimi e numerosi. Fiorisce nei mesi di maggio e giugno. LOrchide bruciata chiamasi dai Francesi Orchis brulé; dagli 10.2 Inglesi The Divars orchis; dai Tedeschi Die yetupfelte oder branda fleckige, Kleine stendelwurz ; dagli Olandesi Puhhdhj standel- kuind. Auclie le radici di quesla specie disseccale ponuo servire a fare del salep. Imperocché è comprovato che il salep, che ci deriva dall'Oriente , non solo risulta dalle radici dell'orchide maschio disseccato, ma da radici di diverse specie d'orchidi, le quali contengono presso a poco gli stessi componenti. SPIEGAZIOiNE DELLA TAVOLA !, OrcLiJe bruciala, i. Fiore intiero visto da lato. 3. Frullo intiero visto di frotUe- S2j^ T vV>y/^^ ^^2'7zaif'iyiaàh^^ ,^ 103 ORCniDE ROBERTIANA Orchis roLerfiana Lois. Fior. gal. 606, tal). 21 — Ordii*, longi-hraclea hivoiia Bernardi Sicul. Pi. l05, pag. 57, loro. 4- — Ginnaudria diandria. Line. — Juss. Orchidee. — DeUun. Herh. de TAm , lom. 5. lab. 354. Oue.sta specie, che è ima delle varielà d'orchide, ebbe tale nome da Robert direttore del giardino della marina aToulon, zelanle botanico, che arricchì la Flora di Francia di molte spe- cie d'orchidi scoperte da esso lui nella Provenza. La radice di questa specie è pure composta di due tubercoli rotondi, di cui uno cresce a mano che quello dell'anno prece- dente si dissecca e perisce dopo d'avere nodrilo lo stelo, il quale s'alza da otto pollici ad un piede ritto, cilindrico, munito nella sua parte inferiore di tre a quattro foglie alterne, ovali od ovali- oblunghe, glabre, ristrette alla loro base in un picciuolo abbrac- ciafuslo. I fiori in numero di dieci o quindici, ed alle volte anche in maggior numero, sono disposti in una spica terminale ed accompagnato ciascheduno da una brattea stretta lanceolata, la metà più lunga dell'ovario. Il calice è formato di tre fogliole ovali oblunghe, conniventi colla mediana più particolarmente foggiata a volta; tutte tre altronde disposte nella parte superiore del fiore. La corolla è composta di tre pelali , i di cui due su- periori sono verdastri come le foglie salicinali , la cui inferiore è molto più grande , non che prolungata alla sua base in uno sperone almeno la mela più eorto dell" ovario, col suo lembo piano largo, d'un porpora chiaro, orlalo di bruno, screziato di 104 rosso e diviso in tre lobi lunghi coi mediano mollo più largo e bifido. L' ovario è infero, triangolare, torlo, non che sormontato da uno siilo carnoso, convesso nella superficie superiore, con- cavo e come incavato a navicella nella sua parte interna, por- tando nel margine superiore di sua cavita un piccolo corpo bianco, glanduloso che ne è lo stimma. La parte superiore dello siilo porta, secondo alcuni autori moderni, una sola antera a due loggie separate ed adnate sui lati della sommila, dello stilo. Linneo riguardò ciascuna di queste logge come un'antera di- stinta. 11 fruito è simile alle specie suddescritte, cioè una capsula che s'apre per mezzo di tre fessure longitudinali, la quale con- tiene moltissimi grani piccolissimi e nerastri. Fiorisce anche nei mesi di maggio e di giugno. Infinite altre varietà esistono di orchidi, delle quali alcune indigene ed altre esotiche che si coltivano in molti giardini di Europa quale pianta d' ornamento. Tulle però hanno massima analogia tra di loro e le varietà che s'ottennero mediante la col- tura, diversificano solo alquanto nelle foglie e nella varietà di colore dei fiori. Imperocché a tutti è nolo quanto la coltura valghi a deter- minare varietà di una data specie, le quali differiscono bensì a prima vista, ma ben considerate serbano nella principalità il loro vero tipo. Prima di por fine alle specie d'orchide diremo alcun che della loro coltura. Tutte le specie d'orchidi sono assai ribelli alla coltura. Richiedono cure particolari. Fa duopo smoverle più ra- damente possibile, piantarle in una terra leggiera ad una. espo- sizione alquanto ombrosa e destinarle un sito che mai si vanghi, sebbene sia necessario di tenerle monde dalle cattive erbe. Quelle che vengono dal mezzodì , come le specie sovra descritte , e {juesle devono essere piantate in una esposizione calda in un vaso e tenerle riparale dal freddo, nella serra durante Tinverno. Nei nostri paesi ò difiìcilc oltenore i semi alia malurila; quindi si 405 moìiiplicano tra pian tondo i loro bulbi. Ordinariamente si vanno cercare nei luoghi selvaggi e si trapiantano nei giardini , ove prosperano assai bene dietro le opportune cure, e rallegrano co' loro belli ed eleganti fiori la vista di chi le ammira. Questa specie chiamasi dai Francesi Orchis de Robert. I lìulbi di questa specie, disseccali nel modo die dissimo delle altre specie, servono pure a formare il salep. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Parte inferiore dell' orchide robertiana. 2. Pjrle superiore dello stelo fiorito. 3. Siilo. /,. Massa di polline. J^. 106 ELLEBORINA LANCEOLATA Sempias lancifnlia , Marr. — Lion. Giniiamlria diarnliia. — Juss. Orchidee. — Srfiiit-Hil., Plant. (le la Fraoce , toni. 2. Cresce l'Elleborina in molle parli dEuropa; secondo Saint- Hilaire è comunissima nei dintorni di Parigi, non che in diverse parli della Francia. La radice di quesla orcbide non è bulbosa come quelle suddescrille, ma è composta di fibre carnose, cilin- driche e semplici. Da questa s'eleva uno stelo che perviene al- laltezza di un piede circa : esso è ritto e munito di coste. Le sue foglie sono alterne, guainanti, ovali-lanceolate, acute, intiere. I fiori sono bianchi screziati di raggi gialli, ritti e situati lungo una bella spica alla sommità dello stelo : essi hanno alla loro base una brattea lunga inferiormente, la quale va accorciandosi insensibilmente verso la sommila della spica. Ciascun fiore è composto di un calice da alcuni considerato quale corolla, diviso in sei sepali irregolari, colle cinque divisioni superiori grandi, ritte, coH'inferiore dotata di sperone e concava : l'ovario è ade- rente e sormontato da uno stimma obliquo e laterale. L'antera è a due logge aderenti al margine posteriore dello stilo. Il frutto h una capsula ad una sol loggia, a tre valve: essa è marcala sulla esterna superficie da nervi disposti quasi lungitudinal- mente. I semi rinchiusi nelle logge sono numerosissimi , ma mollo piccoli. Vuoisi che quesla pianta anticamente adoperala in medicina ed oggidì abbandonata , abbia derivato la di lei denominazione da Serapis, una delle della degli antichi Egiziani. Onde il nome di Serapiiis ancora datale da Linneo. i^^X ^07 L Elleborina lanceoiata chiamasi dai Francesi Hellehorme lanceolée ; dagli Inglesi The helleborine ; dai Tedeschi Die sera- pie, Niesblall. Questa pianta tuttoché rustica viene pure coltivata nei giar- dini quale pianta d'ornamento: la di lei coltura è assai difficile, sebbene non delicata a riguardo del terreno , purché fresco ed ombroso. La si moltiplica trapiantando le sue radici. Fiorisce sul finire di aprile sino verso la fine di maggio. L'elleboiinn, In quale, come abbiamo notato «li sopra, era dagli antichi Egiiii adoperala come pianta medicinale , ed era in fama di tante virtù a segno da meritarsi il nome delia divinità Serapis ; oggidì è del tutto obbliata, e non figura più nelle recenti materie mediche. La sua radice sembra dotata degli stessi prii)ci[iii che riscontrausi in quelle delle altre orchidee. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I, Elleborina lanceolata. 2. Radice. 0. Fiore intiero sperlo. 4 Labbro inferiore. 5. Pistillo e stame. 6. Frnllo. >108 FAMIGLIA (;Oma IRIDEE Famiglia naturale di piante monocotiledonee che hanno una corolla (calice di Juss.) tubulosa nella suahase, col lembo diviso in sei parli eguali ed anche ineguali : tre stami inserti nel tubo della corolla ed opposti alle divisioni alterne del suo lemb Questi stami hanno i loro filamenti distinti, ovvero rare volte connati in un tubo attraversato dallo stilo; lovario è inferiore, munito di un solo stilo e di tre stimmi. Il pericarpio consiste in una casella triloculare, Irivalve o polisperma. I semi sono spesso rotondi, disposti per lo più in ciascuna loggia sopra due ordini ed attaccali al margine centrale dei trammezzi. Constano essi dun perisperma carnoso o cartilaginoso, e il loro embrione è ritto. Le piante appartenenti a questa famiglia hanno le radici tu- berose 0 bulbose. Mancano rade volte di fusto, il quale sempre è erbaceo, compresso od appianato nei lati: sostiene delle foglie alterne, guainanti, spesso spadiformi. I loro fiori o sono solitarii aireslremità dei fusti, ovvero la loro disposizione è a spiga o a corimbo terminale , e sortono da spate membranose , spesso bivalvi , alcune volte essi vengono accompagnati da scaglie spatacee. Di tutte le iridee il solo genere croco ha stimmi odorosi e forniti di proprietà eccitanti evidentissime come quelle dello 109 zafferano ; la radice poi di tulle quesle piante presenta una me- ravigliosa analogia sotto Taspelto delle sue virtù , essendo essa sempre carnosa e contenendo, oltre della fecola che ne forma la maggior parte, un principio acre irritante. In generale questa famiglia non contiene vegetali venefici : quelle che interessano la medicina sono poche e consistono in alcune specie di iridi e nel zafferano coltivato. Ventenat associa a questa famiglia, che è la viii della iii classe del suo Tableau du règne vegetai eie. , otto generi che divide in due sezioni. 1 ° Le iridee che hanno gli stami connati SisyrincMiim, Tri- gridia , Ferraja. 2° Le irid«e cogli slami a filamenti distinti, Iris, Monca, Jjcia, Gladiolus, Crocus [Nouveau Diclionn. d'Uist. Nat. iom. xii, pag. i 47). MO IRIDE GIALLA Acorus aduUerious, Baub. pio., lib. 1, secl. 6. — Iris paluslris lutea, Tourn. class. 9, secf. 3, pen. 3. — Iris pseudoacaius, Linn. Triandria mouoginia. — Jiiss. Iiidee. — Poirel, Fior, raed., tona. 4, lab. 202. — Rich. , Boi. med., toin. 1, pag. 103. Questo gruppo brillanle di belli fiori, a cui si diede il nome di iride od arco in ciclo, cosi variato nella forma de' suoi fiori, ricchi nei loro colori, è assai numeroso nelle sue specie, di cui alcune servono molto alla medicina. Tulle si distinguono per una corolla (o calice, secondo alcuni botanici) a sei divisioni pro- fonde , di cui Ire esterne più grandi e tre interne ritte e più piccole: sono privi di calice; hanno tre stami liberi; uno stilo con stimmi grandissimi a mo' di petali curvi sugli stami : una capsula lunga a tre logge o tre valve : semi numerosi , quasi rotondi , assai grossi. Discorreremo delle principali specie inco- minciando dalla gialla od iride delle maree. Cresce questa specie nei luoghi sterili , nelle macerie , nei vecchi muri di molte parti d'Europa. Coltivata da tempi imme- morabili nei giardini abbellì i suoi fiori, i quali si resero pure assai grandi. Le sue radici offrono un co{){)o carnoso, tuberoso, orizzontale, guernito di grosse fibre cilindriche, d onde s'innalza uno stelo o gambo quasi cilindrico, alquanto a zig zag verso la sua sommila, glabro ed alto da due a tre piedi. Le sue foglie sono verdi, piane, sessiformì, striate, perfettamente glabre, spesso più lunghe degli steli, acute alla sommila. I fiori in numero di ^r^s: 1M tre 0 quattro e più sono situali verso la sommità degli steli por- lati su peduncoli alterni. La corolla è lunga circa due pollici, colle sue tre divisioni più grandi ovali-spatalate , intierissime e non barbute e colle tre inferiori piccolissime. Gli stimmi sono gialli ottusi, alquanto incavati o dentati, più grandi delle divi- sioni interne ; il tubo della corolla è corto. Noteremo ancora che il caudice sotterraneo di questa pianta non si considera volgarmiente come la radice. Esso è bianco in- ternamente, di odore viroso e di sapore acre. L' Iride gialla, delta anche Iride delle maree, Acaro bastardo , chiamasi dai Francesi Iris de marais, Glaijeut des marais ; dagli Spagnuoli Acero bastardo, Lirio espadanaj: dai Portoghesi Lirio amarelho dos charcos; dai Tedeschi PFasserschwertel \ dagli In- glesi Yallow iris ; dagli Olandesi Geel Uscii ; dai Danesi Swcerd- lilie; dagli Svezzesi Svardslilia; dai Polacchi 3Iieczijk zolty; dai Russi Kasantnik ; dagli Ungheresi Sarga vizi liliom. Questa pianta che contribuisce all'ornamento di molti giar- dini d'Europa, d'Italia in ispecie, è vivace: alligna in ogni sorta di terreno e la si moltiplica facilmente separando le sue radici. Fiorisce nei mesi di giugno e di luglio. La coltura abbellisce i suoi fiori di molto. La radice rii q\ie>>ta pianta, o piultusto il suo caudice sotteiraueo, quaiiilo è fresca, contiene un succo acre e caustico clie eccita fortemente il canale ali- inentare, e comunica a questa radice un'azione drastica ed emetica violentissima, perciò gli aulicbi medici ne raccomandano l'uso nell'idropisia ed altre malattie. Questa radice disseccala ha un debole odore di viola che comunica alla bian- cheria quando si mette nei liscivi!. La radice di quest'iride venne intrapresa da Chevallier, che vi riconobbe della fecola amilacea, delle tracce di un sale a base d'ammoniaca, un olio vo- latile solido, un olio fisso d'un eccessiva acredine, infine del carbonato, del solfato, dell'idroclorato di potassa, del sotlocarbonato, del solfalo a base di calce, dell'ossido di ferro e delia silice- Dissimo che i medici antichi si servivano di questa radice quale drastico purgante; valga il vero che Rauisaj asserisce d'averla trovala utile contro Tidropisia, e l'iater contro Pascile e lanasarca. Elmuller vide in alcuni casi l'espulsione di più ascaridi lorubrici, ecc. in seguilo all' amminislraiione di ri 2 questa radice. Al Jiie di Murray, Blair medico inglese atliibuiva al di lui succo buoni efleUi contro le scrofole. La gente di campagna inoltre se ne serve anche oggidì per purgarsi. I medici però l' hanno di presente abbandonata , possedendo una folla di purganti più miti, più opportuni, e senza tema di tristi inconvenienti quali ponno derivare dall' amministraiione di questa caustica sostanza, la quale il più delle volte può aumentare ami che diminuire la con- dizione morbosa. E vaglia il vero che le persone irritabili od afìette da irri- laiione gastrica, anche lenta, quale trovasi quasi sempre nelle idropisie, si avrebbero il peggio. Bollita nell'acqua colla limatura di ferro, questa radice produce un buon inchiostro. Adoprasi pure per fare la tintura nera. -s^.tJSS^gO»- SPIEfiAZlONE DELLA TAVOLA I. SIl-Io li'iriJtf gialla, i. Pistillo r slami. 3. Frulli di cui uno è dpeilo. 4. Suine isolato. '>. Seme Idi^liato oriiioutalniente. (>. Sema taglialo virticaliiiantc. c0^(^y:^//a^/'/'r^ IRIDE GERMANICA Iris viilgaris gfimanica, sive sylvestiis, TìaAì. piti. lib. 1, sect. G. — Toiirn. class. 9, sect. 2, gen. 3. — Iiis germniiica , Lìdu. Tiiatidria monoginia. — Jiiss. cla55. 3, Old. 8. Iridee. — Poiref, Fior, med , Iona. 4, lab. 203. — Ridi-, Bot. ined , tom. 1 pag. lOO. Facendo nascere questa beila specie d' iride nei luoghi in- colli, sui vecchi muri e persino sui tetti delle capanne, sembra che la natura abbia cercato di mascherare per mezzo d'una delle sue brillanti produzioni i segni esterni dellindigenza ed abbia voluto coprire di fiori l'abitazione del povero ed offrirci uno di quei quadri commoventi che larte invano cerca d'imitare ne' suoi boschetti deliziosi. Passando questo vegetale nei giardini dell'opu- lenza, più non è che un bel fiore che serve d'ornamento onde ricreare la vista degli amatori. Le sue radici formando un bel ceppo , sono oblique, nodose, grosse, carnose, munite di fibrille; i suoi steli quasi semplici sono ritti, glabri, cilindrici, alti da un piede ad un piede e mezzo, ed anche due, nudi nella loro parte superiore. Le sue foglie sono piane, glabre, ensiformi, succolenti, alquanto grosse, più corte degli steli e vaginali alla base. I fiori sono alterni , pe- duncolati, terminali, numerosi, d'un porpora violetto o bleuastro; le superiori quasi sessili ; le spate membranose ai loro margini rossastre, con macchie di violetto ; il tubo della corolla è un po' più lungo dell'ovario ; le tre grandi divisioni del suo lembo ovali- rotonde, munite verso la loro unghia d'una linea di peli bian- chi 0 giallastri : le tre divisioni interne quasi grandi quanto le esterne : gli stimmi d'un violetto screziati di bianco, dentati ed acutissimi. Il frutto consiste in una capsula oblunga a tre loggie, a tre valve che contengono numerosi semi , quasi rotondi assai grossi. Tom. Vf. 8 414 Questa pianta , come dissimo, è comunissima nei luoghi in- colti. Coltivasi ciò non pertanto nei giardini quale pianta d' or- namento : è vivace, la si moltiplica facilmente separando le sue radici. Non richiede alcuna diligenza nel coltivarla, alligna in qualsiasi esposizione e natura di terreno. Fiorisce nei mesi di giugno e luglio. Il suo odore è cagionevole alle persone nervose e dalicate, mr-ssime se in sito chiuso. Llride ger^nanica, detta anche Iride selvatica, Iride domestica, Ghiaggiuolo , Giglio pavonazzo, Giglio celeste o azzurro, chiamasi dai Francesi Iris germanique flambé ; dagli Spagnuoli Lirio de alemana; dai Portoghesi Lirio des montes; dagli Inglesi Blue flo- wer de Ime ; dai Tedeschi Deutsche iris ; dagli Olandesi DuUsche iris; dai Danesi Blaa lilie; dagli Svezzesi Blalilja. La railice dell'iride germanica esala, quando è fresca , un odore forte e spiacevole, che cangiasi [)er meno della disseccaiione in iin odore piacevole, •nnalogo a quello della viola. Il suo sapore è acre, amaro, nauseoso e legger- mente slilico. I suoi componenti, giusta l'analisi praticata da Chevallier. sono gli slessi che quelli della radice dell'iride gialla e le virtù scialagogbe, purgative, cordiali ecc., che gli antichi attribuirono a questa radice, derivano dall'azione eccitante che esercita sull'anininle economia pel principio acre di cui è dotata. Tullavolta è specialmente riputala pe'suoi elletti purgativi. Le osservazioni di Plaler , Riviero , RafiPus , Lister ed altri , attestano che il suo sugo venne alcune vid!e vantaggiosamente adoperalo nflTascite, nell'anasarca , ed in altre idropisie sia primitive, sia consecutive. Murray però assennalaraente osserva, «lielro Ouarin. che la railice dell'iride germanica agisce alcuna volta con vio- lenza tale da risultare un calore bruciante nella faringe, nell'esofago e vivi dolori nello stomaco e negli intestini; loccbè comprova che è dolala d'un'azione irritanlissima, quindi da astenersi da un lai rimedio ogniqualvolta si ha dubbio di un'irritazione gastro-enterica. Il suo uso è oggidì giustamente abbandonato. Come purgativo s'adopera il suo sugo espresso alla dose di una o due oncie. In sostanza si fa dissolvere alla dose di una a due diainme. Fa parte di molli Miedicamenli, specialmente d'una folla di denlriQci, sternulori ed altri mandali a giusta ragione all'oblilio. La radice di quest'iride, come quella dell'iride Gorenlina , di cui parleremo tosto , è frequentemente adoperala dai profumalori di polveri e di pomate destinate alla tavoletta ed altri cosmetici. Il sugo espresso dilla corolla di questo flore mescolalo con alume produce un color venie che può servire per scrivere. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Iride "cnnanica. 2. Radice. .Jl^^' 'J^^-^ruà' fy^lé^77/^^^^l^^ Il IRIDE FIORENTINA Iri» alba flurenliiia, Baub. pio. lib. 1, sect. 6. -~ Tour, class. 9 , sect. 2, f!en. 3. — Iris florenliua , Linn. Triandria moDugìnia. — Juss. Iridee. — Poiiet, Fior, med , toni. 4, tab. 204. — Rich., Boi. med., lom. 1, pag 106. Questa specie d'Iride cresce nelle contrade meridionali d'Eu- ropa, specialmente in Italia, nei dintorni di Firenze, onde il nome di Iride fiorentina. Rassomiglia molto all'iride germanica ; ma i suoi fiorì sono costantemente bianchi e sessili^ il tubo del perigonio più corto e il fusto sotterraneo o radice più odoroso. Essa è fra le specie che viene maggiormente coltivata; poiché non solo è una pianta d'ornamento nei giardini , ma la sua ra- dice disseccata viene trasportata in Francia, ove fabbricansi pallottoline dette piselli d'iride , che servono per mantenere at- tivi i caulerii. La sua coltivazione è facile, si moltiplica sepa- rando le sue radici o seminandone i semi. Alligna facilmente in tutti i terreni. Le radici di questa specie d'iride costituiscono un ceppo grosso, nodoso, biancastro, mollo odoroso; olezza odore di viola specialmente quando è disseccato. Da questa s'innalza uno stelo ritto, glabro, cilindrico, alto uno o due piedi, munito nella sua lunghezza di quattro a cinque foglie ritte ensiformi , glabre , d" un verde glauco, più corte dello stelo. I fiori in nu- mero di uno 0 due situati all'estremila degli steli, sono grandi, ritti, d'un bianco uniforme, e spandono un odore dolcigno al- quanto piacevole, il quale però è suscettibile di cagionare emi- cranie alle persone delicate, alle donne in ispecie dotate di uu 1 1 (•) temperamento nervoso e d'una sensibilità esquisita. Le divisioni estorne della corolla sono grandi, ovali, ottuse, segnate verso la loro unghia da una linea vellutata ; le divisioni interne alquanto più corte, più strette, quasi spatolate ; il tubo della corolla è ap- pena della lunghezza dell'ovario. Gli stami sono liberi ed in numero di tre : uno , lo stilo a tre stimmi a mo' di petali che coprono gli starai. Il frutto consiste in una capsula lunga a tre logge a tre valve racchiudente semi numerosi, assai grossi e quasi rotondi. L'Iride fiorentina chiamasi dai Francesi Iris de Florence; dagli Spagnuoli Lirio di Florencia ; dai Portoghesi Iris de Flo- renga; dagli Inglesi Fiorentine iris; dai Tedeschi Florentinische iris; dagli Olandesi Florentynse iris; dagli Svezzesi Fiolrat. Il sapore amaro, acre e persistente che presenta la radice di questa specie d'iride nello slato fresco si disperde sotto la disseccatione, ed allora esala un odore piacevole ed analogo a quello della viola mammola ; ma perchè tiilte possegga le sue qualità, questa radice non deve essere raccolta prima dei tre anni» cioè «lopo che ella venne spogliata dalla pellicola brunastra che la ricopre. E necessario inoltre farla disseccare al sole con molta diligenza : ed una volta dissec- ( ata , se bassi Taltenzione di chiuderla in vasi ben otturati ed .lniim, Limi. Tiiii'ulria luouoj^iuia. — Juss. Iiiilea. — Saiut Hil. I'l>ml. de la France, lotu. 2- Questa specie d' [ride è originaria del Porlo^allo, ma oggidì trovasi coltivata in molti giardini d'Europa, i:i Inghilterra, in Francia, in Italia. I suoi fiori graduati di violetto, di giallo e di bleu nelle numerose varietà ottenute dalla coltura producono un bellissimo effetto. La radice di quest'Iride consiste in una tuberosità, la cui prin- cipale, grossa quanto il pollice, compressa, dà origine a molte altre informi , tuberose , bianche e munite di alcune radichette più lunghe ed anche biancastre coperte da alcune scaglie mem- branose , di cui le esterne sono più corte. Fra queste scaglie sbucciano tre o quattro foglie cannaliculate, striale, simili a quelle di alcuni giunchi e guainanti. Dal mezzo delle foglie poi s'in- nalza ancora lo stelo che porta uno o due fiori più bizzarri che belli. Le divisioni calcinali sono in numero di sei, le tre esterne ritte e le tre interne nude e munite alla loro base di uno stame ; l'ovario è aderente non che sormontato da uno stilo corto a tre stimmi grandi incavati e petaloidi che coprono gli stami, e che sono segnati nel loro mezzo da una costa longitudinale. Il frutto è una capsula a tre logge, a tre valve, che racchiude più semi. L'Iride bulbosa, detta anche Iride tuberosa, chVàmdiSÌ dai Fiancesi Iris bulbeuse e volgarmente Iris dAwjlekrre ; dai Poi- toghesi Espamda; dai Tedeschi Die zwiebelartige iris, Oder schwertellilie. Questa pianta coltivata nei giardini si moltiplica seminando 121 i suoi grani, o separandone le radici in autunno ed in febbraio; può rimanere in silo per due o tre anni, poi fa d'uopo trapian- tarla : ogni terreno le conviene. Fiorisce nei mesi di giugno e di luglio. La railìce di questa piaula contiene pure un [)rinci[jio atre , che sotto la disieccazione disperdasi alquanto. Allora la radice acquista un l'odore eli»*, sebbene più debole, è analogo a quello delle altre specie. Essa può servire agli stessi Usi- £ piuttosto pianta di ornamento. SPÌEG.4/Ì0NE DELLA TAVOLA I. ulbo, scaglie e foglie dell'iride bulbosa, i. Parie superiore dello stelo fiorii©. 3. Divisione inlerua del fiore cogli stami. <22 IRIDE PERSIANA Iris persica, Linn. Tiiaudiia monoginia. — Juss. Iridee. — Saint- Ilil. Plani, de la France, tool. 2. Questa specie vuoisi originaria della Persia, onde il suo nome d'Iride persiana o di Persia; nel 1629 però era già col- tivata in Inghilterra ed in altri giardini d'Europa. La sua radice o bulbo h ordinariamente della grossezza d'un pollice e dà origine ad uno stelo alto circa un mezzo piede. Le sue foglie in numero di quattro o cinque circondano il fiore e non s'elevano mai alla di lui altezza durante questo : dopo poi s innalzano di molto; sono strette, acute e d'un verde leggermente glauco. Il fiore è sempre solitario, radicale e quasi sessile : il suo colore in genere è d'un bianco latteo con una tinta bleuastra: la parte di mezzo è di un giallo d'arancio e l'estremità delle divi- sioni calcinali o, secondo alcuni, della corolla, è segnata da una grande macchia violetta a guisa di un ferro da cavallo. Le tre divisioni interne sono biancastre e piccolissime. Gli stami in numero di tre sono opposti alle divisioni esterne del fiore e la metà più corti. L'ovario è aderente, sormontato da uno stilo cortissimo , terminato da tre stimmi grandi e ritti. Il frutto % una capsula a tre logge, a tre valve contenenti piìi grani. L'Iride di Persia chiamasi dai Francesi Iris de Perse. Si moltiplica per mezzo de' suoi bulbi separandoli verso la fine di settembre o sul principio di ottobre, ama una terra leggiera ed una esposizione a mezzogiorno. Ogni due o tre anni bisogna Jl?^ Vc/{' ^^ y4i^/t//a 123 imuovere i bulbi di silo. Fiorisce nel mese di febbraio e di marzo. Queste specie d'iride serve piuttosto ad ornare i giardini, che alla medicioa. Coulieue nel suo bulbo un principio acre, che pure disperdesi sotto la dissec- cazione; allora ha anche qualche analogia coH'odore di viola come la surricordata specie. Può nel caso essere prescritta in quelle circostanze in cui sono rac- comandate le altre specie ; ma avvertiremo che per la folla di purganti più omogenei che oggidì possiede la medicina, tutte le iridee vennero giustamente mandate all'obblio vuoi per essere nocevoli, se amministrale da mano imprudente, vuoi perchè di dubbiosissime proprietà. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Iridt di Persia col tuo bulbo, i. Divisione esterna della ••rolla. 124 IRIDE SPATOLATA IriJe spathulata, Lamarck. — Triatiiliia mouogiuia, Liuri. — Juss. IriJe - Sainl-Uil., Plaut. de la Plance, tom. 2. Questa specie alligna abbonclanlemenle nelle contrade meii- dionali della Francia e d'Italia, non che d'altre parti d'Europa. 1 suoi steli sono alti da uno a due piedi semplici, compressi infe- riormente e guernili di foglie ritte, ensiformi, acute, alte quanto gli steli, che danno un cattivissimo odore quando si strofinano colle dita, un odore che rassomiglia molto all'iride fetida, da cui però differisce si nelle foglie che nel fiore. I fiori sono d'un turchino biancastro : le tre più grandi divisioni del calice sono aperte orizzontalmente, e ciascuna ha un'unghia lunga più di un pollice, larga verso la metà, ristretta alle estremità e terminata da una lamina incavala, che la diresti quasi un'appendice par- ticolare ; locchè dà alle sue divisioni l'aspetto d'una spatola : queste lamine sono venate di giallo ; le Ire divisioni ritte sono oblunghe, lanceolate, ristrette verso la loro base e di un violetto carico uniforme. Gli stimmi sono incavati o bifidi e d'un violetto più pallido. L'ovario è esagono, aderente, a sei coste longitu- dinali. Il frutto è una capsula a tre logge , a tre valve , che contiene più semi. L'Iride spatolata chiamasi dai Francesi Iris spatuléc: è pianta selvaggia, ma atteso i suoi bei fiori coltivasi anche nei giardini colla massima facilità. Si moltiplica separando i suoi bulbi di primavera o d autunno. Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto. 125 Molle altre specie vi sono ancora di iridi ; ma siccome , a meno dell'iride fiorentina, così poco interessano la medicina, tralasciamo perciò di discorrerne. La radice ili quella specie contiene gli slessi piincipii che le ;illie sinMeicrille. Serre piuttosto d'uinanienlo ai giardini che alla medicina. W^^^ SPIEGAZIONE DELLA TAYOLA [. Iride spatolati. %. Stame tS6 ZAFFRANO Crocas salivi)», Bauh. pin. lib. 2, sect. 2. — Tourn. class. 9, secl. 2, pen. i. Grocus sativus, Liuti. Triandria moDogiDia. — Juss. class. 3, orrl. 8. Iride*» . — Poiret, Fior, med., loco. 6, lab. 306. — Rich., Boi. ined., lom. 1, pag.107. Per lungo tempo la contrada (?ve cresce naturalmente il Zaffrano fu ignota. Si diceva vagamente che era originario di Oriente; da Smith però {Prodrom. Flor.graec.) fu indicato come spontaneo nelle basse montagna dell'Attica, e Bertoloni dice di averlo scoperto nei dintorni di Ascoli nella Marca d'Ancona : checche ne sia, è però certo che la specie, di cui discorriamo, è originaria d'Oriente, e la si cita come naturale nella Sicilia ed altre contrade d'Italia, ed Allioni ci assicura d'averla trovata a Saint-Martin de Maurienne. Molte però sono le specie di zaffrano che crescono nelle Alpi, nei Pirenei, nella Spagna, nell'Italia e nella Francia. Tournefort prendendo nei fiori del genere zaffrano le gradazioni di colori per una differenza caratteristica, riguardò le numerose varietà che da lungo tempo si coltivano ne'giardini come altrettante specie ; nelle sue Inslùutiones rei herbarum ne menziona quarantasette, alle quali ancora sette altre ne aggiunge nel suo CoroUarium. Linneo però all'opposto credendo che le leggiere differenze che si potevano osservare fra tutte queste piante non erano dovute che alla coltura, non ne riconobbe che una specie sola in cui distinse due varietà principali. Dopo qualche anno poi i zaffrani furono con maggior attenzione esaminati da molli altri botanici, i quali senza moltiplicarne le specie che Tournefort aveva fatte, credettero doverne notare molte come distinte. Redoutó nelle i27 Epigliacee ne ripose olio ben caiallerizzale , e nell'ultima edi- zione deir Hortiis Revensis avvene nove , di cui due o tre non sembrano le stesse di cui fece menzione nelle gigliacee; di modo che si può riguardare il genere del zalTrano come composto almeno di sei specie. Noteremo poi che se havvi un genere di piante più oscuro ai giorni nostri pei botanici, è fuor di dubbio quello dei zaffer^mi. Non taceremo però che un esimio botanico, il signor Gay, si è posto già da pili anni a raccorre dalle varie regioni esemplari secchi e bulbi vegetanti di zafferani ; ed attesa la sua grande perizia nella scienza, lo zelo instancabile che lo distingue ed i mezzi estesi che sono a sua disposizione, non è a dubitare che la di lui monografia abbia a riuscire delle più forbite, coadiu- vato in ciò specialmente dal professore Bertoloni che per sod- disfare a' suoi desiderii gli ha indirizzata la completa descrizione dei zafferani d'Italia. Questo autore ne annovera nove specie. Il carattere dei zafferani consiste in una spala membranosa di un sol pezzo lenendo luogo del calice : una corolla regolare lungamente tubulosa divisa al suo lembo in sei profonde divisioni eguali : tre stami inserti nel tubo della corolla ; un ovario infero sormontato da uno stilo filiforme terminato da tre stimmi grossi, colorati, ruotolati a mo' di corno, spesso dentati e frastagliati a guisa di eresia : una capsula ovale trigona a tre valve ed a tre logge polisperme. La specie di cui ora tralliamo, sembra, come dissimo, origi- naria d'Oriente, ma si coltiva abbondantemente in molti paesi e specialmente in molti dipartimenti della Francia, particolar- mente nei dintorni d'Avignone e Montargis, nell'antica provincia delGalinese, d'onde ancora oggidì si trae lozaffrano di Francia. Ma è nella Spagna che oltiensi il migliore che si trova in com- mercio maggiormente stimato. Nel zaffrano coltivato la radice è composta di un bulbo rotondalo, depresso, carnoso, bianco neir interno, ricoperto 1^28 eslernamente di tuniche secche e bruno, dolla grossezza d'una nocciuola , da cui escono piii fibre allungate e profondamente piantate nella terra. Le foglie nascono in settembre ed ottobre un poco dopo l'apparizione dei fiori ; queste avviluppate da una guaina membranosa alla loro parte inferiore, sono erette, lineari, senza nervature, ripiegate e leggiermente cigliale sugli orli, lunghe due pollici circa ed acute. Dal centro delle foglie sbuccia il gambo cortissimo che sosUene un grande fiore simile a quello del colchico, d'un porpora chiaro, munito d'un tubo lungo, sot- tilissimo che s'allarga a mo' d'una campana, a sei divisioni ovali alquanto ottuse, un po' piìi corte del tubo. Questo da alcuni è considerato quale calice, da altri quale corolla ; gli slami sono in numero di tre inserii sulla corolla L'ovario è infero e sormontalo da uno stilo che è diviso supe- riormente in tre stimmi lunghissimi un poco rotolati, e solcali alla sommità di un bel color giallo intenso. Il frutto è una capsula ovale, trigona, a tre valve ed a tre logge polisperme. Dissimo che lo zafferano coltivasi in molte parti d'Europa, in Ispagna , in Italia, in particolar modo nellAbruzzo, non che in Francia, ecc. Per istabilire una zaffranaia si sceglie un terreno leggiero, un poco sabbioso e nerastro. Lo si coltiva convenien- temente e si lavora con tre arature fatte successivamente nel- l'inverno. Verso la fine di maggio si piantano i bulbi del zafferano a tre pollici di distanza gli uni dagli altri ed a sei pollici di pro- fondilci. Di sei settimane in sei settimane si rincalza e si sar- chia la zaffranaia per mondarla da erbe cattive. Esse però sono sovente manomesse da un flagello che pel zaffrano è quello che è le p33te per gli animali : piccoli funghi parassiti {Rhizo-cobnia croconm D. C.) s'attaccano ai loro bulbi e li fanno perire, e per arrestare questo contagio non v' ha altro mezzo che praticare certe fosse intorno ai punti infetti e gettar lungi la terra dalla parte dei zaffrani ammalati: un sol pugno di terra infetta ba- sterebbe a promulgare i germi del contagio. <29 L' ultimo sai'chianienlo si fa poco tempo avanti lapparizione (lei fiori ; è vantaggioso che cadano pioggie a queste epoche e faccia caldo e secco durante lelHorescenza, siccome i fiori suc- cedonsi per tre settimane od un mese, si vanno a cogliere tulli i giorni, si riportano a casa, dove donne e fanciulli ne separano gli stimmi che si mettono a seccare sopra slacci di crini sospesi sopra fuoco dolce, avendo cura di mescerli sino a perfetta disseccazione; si mette lo zafferano in sacchi di carta che si racchiudono in iscaltole e si vendono. Lo Zaffrano, dello anche Zafferano o Croco, derivante dalla voce greca Croche, che vuol dire filo o flamenlo , chiamasi dai Francesi Safran: dagli Spagnuoli Azafran; dai Poi'toghesi Àca- frao; dagli Inglesi Saffron; dai Tedeschi Safran; d;igli Olandesi So/fran, cosi pure dagli Svizzeri; dai Polacchi Szafran ; dai Russi Scafran ; dagli Arabi Zahafaran. Si presenta lo zafferano sotto forma di piccoli filetti. Deve sciegliersi quello in filamenti lunghi, arrendevoli, elastici, di bel coloie rosso ranciato, di odore penetrante sensibilissimo che gli è particolare: quando è ben secco risolta leggie- rissimo e lin{;e la saliva di color giallo chiaro. Spesso si soIKstica coi fiori di car~ ihamiis tìnctorius; ma questa so[)erchieria è facile a riconoscersi mettendo ad infondere lo zaffrano sospetto. 1 fiori di cartamo Inbemso, regolali, gonfiati alla sommità ed offrenti un lembo a cinque segmenti eguali, dislinguonsi age- volmente dagli slami osto pochissima forza medicamentosa altri. Ciò non pertanto dietro le espe- rienze fatte da Alexandre, e gli esperimenti instituiti da OrGla, si può dedurre che la droga in discorso non è da riguardarsi del tutto sprovvista di un potere medicamentoso, che essa gode realmente della virtù eccitante nervina, sebbene di forza alquanto debole, e che l'azione eccitante della medesima sta riposta nel suo principio aromatico volatile. " Non potendo rivocare in dubbio, che lo zafferano determini l'azione sua sul, sistema nervoso, non recherà maraviglia ravvisando che quasi tutte le prin- cipali applicazioni mediche del croco sieno state dirette alla cura delle malattie dei nervi. Si hanno quindi non poche osservazioni, le quali dimostrano che il croco ha giovato a vincere le tossi convulsive, le neuralgie dolorose, le con- vulsioni isteriche, le coliche uterine ed altri morbi, a vincere i quali si rendono vantaggiosi quei rimedii conosciuti dagli antichi col nome di antispasmodici. Noi slessi abbiamo soventi amministralo il croco in alcuni dei surriferiti casi morbosi, ed abbiamo talvolta osservato che questo rimedio ha soddisfatto le nostre mire arrecando non lieve vantaggio agli infermi qualora questi ne ab- biano presa una buona dose, e ne abbiano continuato l'uso per lungo tempo. In alcuni casi di cardialgia è stalo pure amministrato il croco con utilità , e specialmente allorquando l'accennata malattia è accompagnata da vomito fie- quenle, ovvero da qualche altro particolare turbamento nervoso. <■•■ Abbiamo già avvertito che quasi lutti i medici sono concordi nel concedere allo zafferano un'azione elettiva sul sistema uterino, ed allribuire quindi al medesimo la virtù emenagoga. Alcuni falli si hanno in vero i quali provano che il croco possiede realmente la proprietà di vincere le ammenoiee e di pro- muovere abbondantemente la mestruazione Si ha egualmante qualche osser- vazione comprovante, che il croco ha felicemente promosso il flusso lochiale nei casi in cui sia stato quello repentinamente soppresso. Anche in varii incontri abbiamo prescritto questo medicamento a di\erse donne mancanti da poco tempo dei loro catamenii ed in uno stato d'incipiente clorosi; volendo però noi essere ingenui, ci piace il riferire che in un solo individuo la tintura di croco sod- disfece la nostra indicazione curativa, e ristabili il corso dei mestrui da qualche mese cessato: si ha perciò ragione di couchiudere, che il rimedio in que^tione uon è dotato della proprietà emmenagoga primaria e speciGca , e che al pari degli altri numerosi medicamenti emenagoghi, può solo in certe determinate circostanze essere il croco un idoneo mezzo onde vincere l'ammenorrea : ed allorquando ciò si osserva, devesi ron tulla ragionevolezza suppone rlie il croro ^32 faccia rifluire i flussi tneslrui solo percbè apporti nel sistema nervojo un qualche convenevole grado d'eccitamento. '< Lo zafTerano serve eziandio al Iratlaraento di varie malattie esterne: si leda l'uso di esso nella cura dell'oftalmia, al quale oggetto osi fanno agli occhi delle bagnature coli' infusione acquea di croco, ovvero si pone questa sostanza entro piccoli sacchetti di pannolino, i quali riscaldati al fuoco, ovvero esposti al vapore dell'acqua si applicalo quindi sopra gli occhi infiammali: alcuni chirurghi as- sicurano che pratica siffatta riesce utilissima tanto per calmare il dolore che accompagna l'oftalmia , quanto per risolvere l'iufiaramaiione dell'occhio. E similmente generalizzala ed ovvia la pratica in chirurgia di associare lo zafferano ai comuni cataplasmi emollienti di pane e di latte che si applicano sui tumori infiaramatorii ad oggetto di minorarne non solo il dolore, ma di promuoverne eziandio una sollecita suppurazione. «Quantunque l'uso medico del croco non sia tanto generalmente esleso; pure si è proposto di fare con questa sostanza medicamentosa varii preparati farmaceutici. Si prepara collo zafferano la tintura di croco facendo digerire la liroga nell'alcool in maggiore o minore porzione a seconda che si voglia una tintura più o meno attiva; lo spirito di zafferano che si ottiene distillando lo zafferano con dosi eguali all'alcool ed acqua; l'estratto acqueo, lo sciroppo che si forma con l'ordinario processo farmaceutico, usalo per la preparazione degli estratti ; i giulebbi di droghe aromatiche e volatili ; entra pure il croco a formare [larle di qualche preparato farmaceutico. Il laudano liquido del Sindenhani in cui lo zafferano unitamente all'oppio ed a qualche droga si fa digerire nel vino per vari giorni, e quindi si filtra per Va'iodeW'elixir proprietatisdì Paracelso, il quale si olliene associando il croco all'aloe ed alla mirra, facendone digestione nell'alcool L'elexir bianco d'Helmont, che si prepara colle tre droghe anzidette e coir alcool per via di distillazione il cerotto di ossincroco, di gabbano crocafo, ecc. " Non volendosi approfittare di veruno dei suaccennati preparati farmaceutici dello zafferano, si può questa droga ammini-.lrare in pohere, nella dose però eonvenitfnte della medesima. Una media dose può Gssarsi da mezzo danaro a due dinari. Se si voglia poi amministrare la tintura di croco, questa si prescrive alla dose di venti a sessanta goccie: la dose dell'estratto acqueo può essere regolato da undici ai trenta grani". Gli antichi adopravano lo zafferano come profumo nei templi, al teatro enei festini: oggidì è di grande uso economico per cerle contrade. In Italia, io Ispagna e nel mezzodì della Francia si mette nelle zuppe, nel riso e nei ma- nicaretti. Collo zafferano coloransi dai confettieri alcune specie di paste, dai liquoristi alcuni liquori. 1 tintori compongono pure con questa droga colori di liuone tinte, ed i [litlori se ne valgono pure per diverse vernici. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Punta rii iaBVrano sativo. 2. Calice aperto e pistillo. 3. rruH«>. ,. Frutto tai;Uato oriuzonlalmeiite. '>. S»nie. sy^: /-Tè^ y:^^ ^ 133 ZAFFERANO AUREO Crocus maesiacus, Ker. — Cuit. Boi. May. n. et l.ib. 1111. — Gawl. Ann. boi , 1, pag. 222. — Crocus luteus, liam. Illusi. 1, pag. 106, n. 443. — Crocus aureus fl grec. 1, pag. 25, lab. 23. — Crocus vernus latif. Tourn. iust. 332. — Bauh. pin. 66. — Crocus bileus , Poiret , Dici. enc. 6, pag. 383. — Red. liii. lab. 199. — DelauD., Herb. de l'Am., Iona. 2, lab. lOl. La radice dello Zafferano aureo od a fiori gialli, dello volgar- mente Drappo cVoro, è un bulbo solido, rotondo, depresso alla sua base ed alla sommità vestilo di due o tre inviluppi fibrosi, ros- sastri che sembrano formati da pezzetti di guaine membranose di cui i giovani tubercoli e la base delle foglie sono circondati. Ouesto bulbo quando si schianta dalla pianta al momento della fioritura è immediatamente sormontato da uno o due altri piccoli bulbi che non hanno se non il quarto di grossezza del primo, ma che prendono tosto accrescimento rapido allavvicinarsi della frut- tificazione: questa terminata, essi fanno le veci del primo bulbo che si è avvizzito per formare e compiere il periodo dell'annua vegetazione. Le foglie in numero di cinque o sei sono lineari , appena lanceolate , d'un verde carico , perfettamente glabre e traversale in tutta la lunghezza della loro superficie superiore da una linea bianca, profonda, che forma un nervo sagliente sulla faccia posteriore: esse sono abbracciale alla loro base da tre 0 quattro guaine monofille, membranose, biancastre, ine- guali, aperte lateralmente nella loro parte superiore. Frammezzo alle foglie nascono ordinariamente due gambi quadrangolari, al- quanto compressi, rade volte un solo, che s'elevano all'altezza 134 della superficie del suolo. Ciascun gambo porta alla sua som- mità un solo fiore avviluppalo prima del suo aprimenlo in una spala monofilla membranosa, lunga quanto il tubo del fiore aprentesi lateralmente nella sua parte superiore per dar passag- gio al fiore. Questo è composto d'una corolla monopetala, a tubo sottile, pressoché eguale in lunghezza al lembo, il quale è grande e diviso in sei parti ovali-oblunghe d'un bel giallo d'oro, sembrando formato di sei petali e di tre stami coi loro filamenti aderenti nella parte superiore del tubo, portando alla loro som- mità antere a forma di fleccia, costituite di due logge longitudi- nali che s'aprono lateralmente: queste antere sono del giallo stesso che ne è il lembo della corolla e lunghe quasi quanto lo sono i filamenti che le sostengono ; d'un ovario inferiore ovale, oblungo, sormontato da uno stilo filiforme, terminato da tre stimmi dello stesso giallo che il rimanente del fiore, larghi e piegali a mo' di corno, ne mai raggiungono l'altezza degli starai. Il frutto è una capsula a tre logge polisperme. Lo zafferano aureo trovasi in Ungheria ed in molte montagne della Svizzera: è in alcuni giardini coltivalo quale pianta d'or- namento atteso i suoi bei fiori , che hanno propriamente un giallo d'oro, un giallo analogo a quello de' ranuncoli. Esso chia- masi dai Francesi Safìwi de 3Jèsie; dagli Inglesi Common yellow crocus ; dai Tedeschi Goldfarbene safran. Lo Zafferano napolitano, Crocus ncapolitanus, Delau., è lo stesso che lo Zafferano salivo di cui abbiamo parlato precedentemente. Lo Zafferano bliforo od a due fiori {Cracus hiftorus Ait) è altra specie di zafferano che differisce dal salivo di Linneo (col quale però ha molla analogia), pel tubo della sua corolla che è total- mente privo di peli alla sua entrata e pegli stimmi che s'innal- zano più delle antere. Le divisioni del lembo della corolla sono bianche e segnate esternarnente in tutta la loro lunghezza da tre a cinque linee di colore violetto. Esso è originario delle mon- t'igne della parie tcmpei-ata d' Europa . e trovasi anche nelle 13o Alpi e nei Pirenei. Chiamasi dai Francesi Safran à deux fìeurs , dagli Inglesi Ycllow-hoUon dwhile crocus ; dai Tedeschi Zwey- farbige safran. Lo zafferano aureo è più pianta d'ornamento che fi' uso economico: non coltivasi come lo zafferano olCciuale. Tolrebbe forse questo sostituirlo negli usi ddoiestici e meilicioali. MM^^ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Pianta di lafferano aureo. ». Corolla tagliata longiludinalmeolp. 5. Parte inferiore della corolla. 4. Ovario, stilo, stimmi. 5. Capsula tagliata, b. Se i36 FAMIGLIA 61 M^ AMO M I Gli Auiomi 0 Amoinee Dnjmyrrhizoe veni costituiscono una fa- miglia naturale di piante monocotiledonee che hanno un calice colorato diviso in tre parti per lo più ineguali ed irregolari, ov- vero che ne mancano. La loro corolla è di tre pezzi più grandi; il resto simile al calice. Portano un solo slame col filamento in- serito alla base dello stilo, spesse volle piano, petaloideo e la di cui anlera è lineare, ora semplice, ora a due coppie in lulta la sua lunghezza annessa al filamento. Il loro ovario è infero, a siilo semplice, sovente filiforme, a stimma semplice e diviso. Il pericarpio è una corolla Iriloculare, ordinariamente trivalve e polisperma. I semi hanno T embrione posto nella cavità di un perisperma farinoso o corneo, qualche volta avviluppato dal vi- tellus. Le piante di questa famiglia hanno per lo più una radice tuberosa , strisciante ed odorosa , ed il fusto erbaceo coperto dalla guaina dei picciuoli. Le foglie sono semplici, alterne, ri- piegate sopra loro stesse quando si sviluppano, ora mollinervose ed ora di un sol nervo. I fiori circondali da unghie spatacee, e qualche volta vivamente colorali , nascono più di soventi sopra uno spadice caulinare o radicale. Tutte le piante della famiglia degli amomi sono dotale di ©dorè aromatico penetrante , di sapore caldo pungente , spesso 137 assai forte, e quindi tulli i medicamenti da tal famiglia sommi- nistrati vanno riposti tra gli stimolanti attivissimi ; la quale pro- prietà stimolante si rinviene in molti organi di codeste piante. Per tal guisa esiste essa nella radice del Zenzero, del Zerum- betto, della Curcuma, della Zeodaria, e simili. Nei frutti e nei semi del Cardamomo, dell'Amomo in grappoli, della Grana pa- radisiaca, e simili. Tale famiglia non contiene vegetali velenosi, Venlenat unisce a questa famiglia, che è la ii della iv classe del suo Tableau du règne végét.^ quallro generi: Canna, Amonmm, Costus, KaempJieria. 38 Z E N Z E R 0 Ziii«iber, Baiih. [)lu. llb. G, sect. 2. — Amomum liiigiber, Linn. class. 1. Monandria rnnnogiiiia. — Juss. class. 14, onl. 2. Amnmi. — Poiret, Fior, med., Ioni. 1, lab. 20. — Ziogiber officinalis, Rich., Boi. raed. lom. 1, pag. Ii2. Questa pianta è originaria delle Indie orientali, della China, delle Filippine, d'onde si trasportò alla Cajenna ed alle Anlille : la sua coltura prospera presentemente in queste contrade. La sua radice tubercolosa, irregolarmente codata, coriacea e bianca airinterno , dà origine a tre o quattro fusti sterili , semplici , cilindrici, fogliacei, alti due o tre piedi. Le foglie sono alterne, ensiformi, lunghe da sei a sette pollici, larghe un pollice e mezzo, collaloro superficie posteriore divisalongitudinalmente per mezzo di un nervo mediano sagliente e d'altri laterali fini ed obliqui. Allato di queste foglie nascono immediatamente alcuni gambi scagliosi che acquistano un piede d'altezza, i quali portano alla loro sommità una spiga ovale che ha la forma di una massa imbricata di scaglie membranose, concave, in sulle prime ver- dastre colla loro punta, d'un bianco giallastro e poscia d'un bel rosso. Queste spighe sono di una grande bellezza, e racchiu- dono più fiori giallastri che s'aprono successivamente ed appas- siscono nel breve spazio di un giorno. Essi sono composti di una corolla monopetala col suo lembo diviso in quattro parli ineguali, di cui una lunghissima, ritta e alquanto concava a guisa di un caschetto e del petalo superiore delle labiate : due laterali, piccole, strette ed aperte; una inferiore un po' più corta, larga, bifida, orlata di rosso e screziata di punti neri. 11 fruito e una capsula ovaio, triangolare, divisa in tre logge nel suo interno, e racchiude più semi, irregolari, neraslri, d'un sa- pore aromatico, amaro e d'un odore piacevole. SSJ^ 139 Sembra che lo zenzero sia coiminissimo nelle montagne del paese di Gingi, airovcsl di Pondichieri ; questo nome, d'origine araba, trovasi più o meno alterato in altre lingue. Molti natura- listi pensano che lo zenzero che cresce oggidì spontaneo nel- l'America sia stato trasportalo d'Oriente. Nella nuova Spagna vuoisi sia certo Francesco di Mendoza che l'abbia introdotto. Lo Zenzero, detto anche Zemevero, Zensovero, Gemjiow, chia- masi dai Francesi Amome gingember, Gingember, Amonw dcs In- dcs ; dagli Spagnuoli Gengibre; dagli Inglesi Ginger ; dai Tedeschi Ingwer\ Ingber, Lnber; dagli Olandesi Gember; dai Polacchi Imbier. Le specie di zenzero che sono degne dell' attenzione dal lato medico sono il zenzero selvatico {Amonium zerumbel Liftn.) , la cui radice ha un gusto meno bruciante, meno aromatico, ed un odore meno forte che lo zenzero comune. Il Cardamome [Amomum cardamomum Linn.) che si distingue pel suo frutto , che ha una capsula trivalve , striata , divisa internamente in tre logge, di cui ciascuna racchiude più semi angolosi, rossastri o bruni; ha un sapore aromatico acre, leg- germente amaro, ed anche un po' canforato, ciò non pertanto piacevole. Gli Indiani lo mescolano al betel onde facilitare la digestione. Il grano del paradiso [Amomum granum paradisi) risguardato da Larnark come una semplice varietà di cardamomo, dal quale, secondo lui, non differisce che per avere le foglie più ampie. Gli Inglesi, alcuni anni sono, trasportarono pure dalla Gia- maica una sorla di zenzero, le cui qualità esterne differiscono un poco da quelle del zenzero officinale , ma vuoisi provenga dalla stessa pianta, cioè dal Zinziber o/ficinaUs Rich. In com- mercio chiamasi Zenzero bianco. L;i r:ic!ice ili zen /.ero , qii.ile s' incoiilr;) ii) couiiiiercio, è grossa come mi ilili), ;(|i|ii;ii(it;( , qu^si hi tii;olalii , coperta ili uii'eiiidernii'le nijios;» e (Jisliiila (1,1 iiiielli poco ;i|)|>:irenli. L'interno è {jeneraliiiente t)i;itico, grigio o giallastro, ed olire molte liuie lonyilutliiiiili. Lu leiiiLTo bu un oliale jiiccjnle ed uu sinioie 1 36 3 60 0 65 10 5 12 5 19 7o 26 0 8 0 11 9 11 9 1 io ai'diii.'ilicu « Iiiuciaule, die Li si s. 1 Monandri;! muiuitiiiiia. — Jii>'i cbis h, or. 2. Amoini — l^oiret, Fior, iiied , toni. 3, lai). 136 Il nome di Coslo era stalo dato dagli antichi autori greci, latini ed arabi ad alcune sostanze vegetali, intorno alle quali è difficile avere un'opinione sicura. Essi distinguono tre sorta di costo, Costus arabicus, Costus indicus, Costus siriacus; ma queste so- stanze, ad eccezione della prima, off^^rivano dei caratteri così in- significanti , che non si sa abbastanza quello che essi volessero indicare. Il costo arabico era bianco, leggero, d'odore soave e di sapore bruciante, le quali proprietà si applicano a molte sostanze ve- getali, e tra le altre allo zenzero; perciò Lamark pensò che fosse zenzero la radice che gli antichi chiamavano costo arabico. Com- melin e Linneo hanno credulo di riconoscervi la radice bianca, rampante, nodosa, tenera e fibrosissima d'una pianta della fa- miglia delle Scitaminee , monandria monoginia , cui essi conser- varono il nome di costus arabicus. Essa è figurata neWUortus Malabaricus di Reed, voi. xi, tav. 8, sotto il nome di Teajana- Kua ed ha per la patria le isole dell'Arcipelago indiano, e non l'Arabia , il che fece cangiare il nome specifico in quello di Spe- ciones adottato dai botanici moderni. Checche ne sia, il costo arabico, che noi descriviamo, vuoisi sia la pianta produttiva della radice di costo arabico che trovasi in commercio. Questa è propriamente originaria dell'Arabia, tuttoché cresca anche nelle contrade meridionali d'America, Turpin la rinvenne a S Domingo, e trovasi anche a Surinara. Le radici di questa pianta sono grosse, nodose, carnose: esse producono più steli ritti, glabri, ciliiulrici, alti due piedi circa. '? & a~ Lc foglie sono grandi , alterne, oblunghe, lanceolate, acute bre alle loro due faccie, abbracciando gli steli per mezzo d'una guaina cilindrica, membranosa e rossastra ai margini ove le foglie si ristringono in una specie di picciuolo cortissimo. I fiori sono terminali, circondati dalle foglie superiori: sono riuniti in una testa ovale, ciulTata, grossissima, assai simile ad un cono di pino, frammisto di scaglie a guisa di spate parziali ovali, al- quanto concave ed acute. Il calice è aderente all'ovario che lo circonda insieme al frutto per mezzo d'un lembo a tre divisioni ritte, lanceolate, acute, persistenti. La corolla è bianca, frasta- gliala ai margini: l'ovario è ovale, inferiore; lo stilo ritto, fili- forme, sormontato da uno stimma capitato, a due logge. Il frutto è una capsula ovale , a Ire logge, a tre valve , che racchiudono moltissimi semi piccoli, glabri, ovali, quasi triangolari. Il Costo arabico chiamasi dai Francesi Costiis, Coslus arabi- que\ Coslus d' Arabie \&àQ\i Spagnuoli Costo arabico; dagli In- glesi Costus; dai Tedeschi Kostusp flanze Ambischer Kostus ; dagli Olandesi Kostus. Il costo arabico è in lionctii irregolari , grossi un pollice, esternamente grigi, (li colore bianco smiicio nflT interno. La sua sostanza rinviensi spugnosa, piena di certa materia rossastra die sembra essere resinosa : il suo odore si mostra piacevole, analogo a quello dell'iride fiorentina: lia sajiore amaro al- quanto acre. Questo 'nedicamento che è ad nn tempo Ionico e stimolante , era dagli an- ticlu mollo usalo nella debolezza dello stomaco, nei catarri cronici, nelle tebbri adinamicbe ed altre malattie credule di debolezza- L'hanno commendata nelle coliche ventose, nell'apoplessia, nella paralisi e nelle febbri maligne. Oggidì però è aflallo fuori d'uso, e solo fa parte delle mostruose preparazioni farma- ceutiche degli antichi. Entra nella teriaca, nel mitridale di Democrale ed in altre simili pre[)arazioui. Gli antichi bruciavano il costo sogli altari degli Dei e se ne servivano nei giorni solenni onde profumare i templi nelle cerimonie religiose. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA «, Parie superiore di uno stelo di costo arabico. 2. Ovario. .?. Fruito. •,. Frutto tagliato orizzoiitalnieiUe. Uo CURCUMA Curcuma, cyperì geiius ex Imlia, Bauh. più. lib. 1 , secf. 6. — Cannacorus fadice crocea, sive curcuma olficiuaium. Touiii. class. 9. Gigliacee. — Cur- cuma lunga, Limi. Mocandria moDoginia. — Juss. class. 4, ord. 2. Araomi. Poiret, Fior. med. , tom. 3, lab. 143. — Rich. , Bot. med. , tom. 1. Sebbene sia probabile che la radice di questa pianta sia in- trodotta in Europa dal commercio delle Indie orientali , suo luogo natio, essa è descritta in modo così confuso dagli antichi botanici, che non si può positivamente pronunciare sull'identità della loro descrizione colla pianta di cui si tratta. Bauhin la descrisse e la disegnò con molta esattezza ; ma la pianta a cui appartiene è solo stala discoperta verso il sesto secolo da Reed e Rumphius che abitavano le Indie orientali. Quasi nello stesso tempo venne poi coltivata in alcuni giardini d'Europa, special- mente in quello di Leyde che la figurò nel suo Bortus Lugd. Balav., tab. 207. Questa radice è grossa, nodosa, allungata, della grossezza di un dito, d'un colore giallo pallido, all'infuori più carico e ten- dente alla porpora esternamente: manca di siilo. Le foglie tutte radicali, sono glabre, molto liscie, lanceolate, acute, nervose, in- tierissime, lunghe circa un piede, sostenute da lunghi picciuoli guainanti alla loro base. Dal centro delle foglie sbuccia una grossa spica quasi sessile, munita di spatole doppie, imbricate : l'esterna a due valve, di cui una incavata, l'altra intiera; l'in- terna simile ad un calice, tubulosa, trasparente, a tre divisioni. La corolla è di un bianco giallastro, tubulosa, irregolare, col suo Tom. VI. \0 146 lembo largo ed a quattro divisioni, di cui una interna più grande Irilobala : una sola antera bifida sostenuta da un filamento in forma di petalo, inserta all'esterno del lembo, munita alla estre- mità , in ciascun lato , d'un piccolo corno : uno stilo filiforme della lunghezza della corolla a stimma capitato. Il fruito è una capsula a tre logge, aprentesi in tre valve e racchiudente più semi. Questa pianta, od almeno la sua radice, posta in commerci© col nome di Safferano cV India o di Terra merita^ e dai Francesi chiamasi Curcuma, Curcuma large, Terre mèrite, Souchet des In- des, Safran des Indes; dagli Spagnuoli Curcuma, Curcuma larga; dagli Inglesi Turmeric ; dai Tedeschi Kurkume ; dagli Olandesi Kurkume ; Indaanschc saffraan. La radice di curcuma , come trovasi iu commercio, è in peiii un poco meno grossi, e meno lunghi del dito, più o meuo contorti, ricoperti d''uDa corteccia minuta, grigia, segoata di anelli poco apparenti, interiormente compatti , d'un giallo arancio intenso colla loro spezzatura di cera. Questa specie in com- mercio distin-iuesi col nome di curcuma lunga per differeuiiarlj da altra specie che chiamasi curcuma rotonda , che risulta tuberosa , rotonda. Questa però è meno slimala e più rara. La radice di curcuma ha sapore alquanto acre, aromatico ed amaro; e sebbene più debole, ricorda tutla\ia quello del leniero. Masticandola tinge la saliva io giallo dorato. Analizzata da Vogel e Pellelier, vi rinvennero: Una materia legnosa; Fecola amilacea; Unaroateria colorante brunn ; Gomma; Olio volatile acre; Idroclorato di soda • John invece ebbe i seguenti risultati: Olio volatile giallo ..... 1 Giallo di curcuma resinoso Giallo di curcaroa estrattivo Gomma grigia Fibra legdosa Acqua e perdila . lo 11 14 37 7 Totale . . 100 La materia colorante gialladella curcuma, delta curc/tm/Hfl, è fusibile al fuoco; risulta dapprima insipida al palato, e poi vi si sviluppa un sapore acre di pepe. i47 È la carcuma uno stimolante energico, il quale anticamente veniva considerato come valevole in molte malattie. Bontius e molti altri autori la predicarono possente rimedio contro l'itterizia, ed era pure vantata come incisiva, aperitiva, eme- nagoga , non che commendala nell'amenorrea, contro l'idropisia, le febbri in- termittenti, la scabie, le cachessie, lo scorbuto, le ostruzioni, e persino onde facilitare il parto; ma tutte queste illogiche virtù riposano su fatti vaghi non solo, ma degni di poca fede. Oggidì hou è considerala la curcuma che quale ec- citante, e non è usata che di rado come medicamento, ma invece adoprasi molto il suo principio colorante ; se ne valgono invero i farmacisti per colorire parecchi preparati officinali , come le pomate , gli unguenti. Le tintorie ne ritraggono un color giallo bellissimo, ma poco durevole. La materia colorante^ di questa droga , quando sia purissima , risulta sensibilissima all' azione degl' acidi concentrati che le compartiscono subilo un bel colore cremisino, il quale sparisce coll'aggiunta dell'acqua; e quindi i chimici si prevalgono della curcuma come uno dei reattivi principali, valevole ad appalesare la presenza di un acido in qualunque liquido. Gli Indiani ne fanno grande uso come condimento, l'associano al riso ed a molti altri alimenti. I confettieri infondono questa radice in vari! liquori, ed i profumatori l'ubi- scono alle pomate ed altri cosmetici. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA t. Pianta intiera di curcuma. 48 G A L A N G A Gal;ing3, Bauli, pin. , lib. 1, sect. 6. — Maranta galaiiga , Limi, class, t. IVliin:m(lria monogiuia. — Juss. class. 4, old. 2. Amomi. — Poiiel. Fliir. nied. , Ioni. 4, lai). 174. -- Ricb., Boi. tai'A., lom ti, pag. 473. Si dà il nome di Galamja alle radici di due piante che i bo- lanici riportano a due dilTerenli generi: l'una di queste piante è stata dichiarata sotto il nome di Keempferia Galanga ; l'altra specie è stata nominata Moraniha Galanga dallo stesso Linneo. Wildenow eRoscoe Thanno descritta sotto quella di Alpinia Ga- langa. Noi descriveremo quest'ultima che trovasi disegnata nella tavola 539. Questa specie cresce nelle Indie orientali, nella China, e simili. Le suo radici sono grosse, nodose, ineguali , articolale, d'un bruno rossastro esternamente, più pallido nell'interno, d'un odore aromatico, della grossezza di un pollice e mezzo a due pollici, ramose, circondate da bende circolari come per le articolazioni, munite esternamente da lunghe fibre piantate perpendicolarmente nella terra. Da questa s' elevano steli ritti , semplicissimi, alti circa sei piedi, muniti alla loro mct'a supe- riore di foglie strette, alterne, lanceolate, acute, lunghe un piede e mezzo su tre o quattro pollici di larghezza. I suoi fiori sono biancastri, peduncolati, disposti in un grappolo terminale, slrello, panicolato; il loro calice è piccolo, d'un sol pezzo, a tre divi- sioni ; la corolla monopetala, tubulosa , ha tre frastagliature esterne ravvolte, una quarta più grande dell'interna, concava? spatolata ; un filnmento lineare, petaliforme sostiene un'antera ; JJ^. iz^t^^i^' 1 49 uno siilo filiforme collo slimma capitalo. Il frullo è una piccola capsula in forma di bacca, rossa nella sua maturità, che rac- chiade più semi duri cordiformi. La Galanga chiamasi dai Francesi Galancfù , così pure dagli Spagnuoli; dagli Inglesi Ga/a/i^'a/; dai Tedeschi Galyand; dagli Olandesi Galange. La Galanga kemferia cresce pure nelle Indie orientali , e fu trasportala alle Antille ed all'America meridionale: la sua radice è fd)rosa, sormontata da un bulbo rotondo, solido, bianco, rico- perto di squamme che sono i residui delle foglie degli anni pre- cedenti. Le foglie in numero di due o tre , sono stese , rotonde , acute alla sommità, ondulate agli orli, striate, verdi, talvolta porporine ed un poco pubescenti al di sotto. I fiori nascono dal collo della radice in mezzo alle foglie, segnati da due macchie violette. Due sorta di Galanga esistono nel commercio, l'una detta Galanga gravile , l'altra chiamala Galanga piccola. La prima trovasi sotto fortria di una radice in pelli di due o tre pollici e di sei linee a due pollici di diametro, cilindrica , so- venti biforcala, di un bruno rossastro esternamente, marcalo di linee Iranfiiale, cir- colari, bianche. 11 suo aspetto esterno ha qualche rassomiglianza colle radici del- V Acorus calamus; perciò alcuni droghisti danno loro a torto il nome di acaro. Internamente è di un color fulvo rossastro, d'una tessitura Bbrosa, poco compatta. Il suo odore è forte, analogo a quello del cardamomo, e il suo sapore piccante e molto acre. La piccola galanga non difTerisce per i suoi caratteri esterni dall'altra che per essere più piccola in tutte le sue parli: non ha che due a quattro linee di dia- metro; il suo colore è più bruno e il suo odore molto più forte. Si crede che sia la stessa radice raccolta in un'età differente della pianta. Trovasi in commercio una falsa galanga, le cui qualità fisiche differiscono mollo da quelle della vera galanga, per cui si può presumere r.ou ragione, che essa pro- venga da una pianta lontanissima dalla vera galanga. Questa radice è media Ira la grande e la piccola galanga in grossezza: essa è parimenti marcala di anelli cir- colari biancastri; ma la sua scorza è lucida e giallastra. La sua tessitura interna è molto più floscia; il suo odore debole e quasi nullo. Il suo peso specifico è appena la metà di quello della vera galanga. Analiiiala da Morin la galanga diede una materia resinosa, un olio volatile balsamico, dell'osmasome, dell'amido, dello zollo, una materia colorante bruna, del legnoso, dell'ossolato di calce e dell'acetato acido di potassa. Questa pianta non era ignota ai Greci, come osservano Spielman e Murray. 150 Tullavolta sembra non sia stata introdotta nella mate4Ìa medica se non dai medici arabi. Essa costituisce un medicamento stimolante energico, da ^prescriversi solo in quei casi in cui convengono gli altri farmaci dolati di siffatta proprietà. La di lui prescriiione nei casi d'isteria , d'idropisia ed altre simili affezioni , come l'usa- vano gli antichi, sarebbe oggidì poco raiionale. Essa è più tosto un condimento, tuttoché faccia parte di alcune antiquale preparaiioui, come l'elettuario benedette» di Nicola, dello spirilo carminativo di Silvio, dell'essenza carminativa di Wedel, dell'elesir di vilriolo di Wynsichl, e simili. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Pianta ialiera di galanga. i. Fiore intiero. 3. Frutto della grotsena naturale. 4. Frutto tagliato oriiiontalmente. 5. Seme isolato. j:^é^. j^YP/Yy^r yyryy 15 ZEDO ARI A Zedoaria rotunda, Bauh. pia. lib. 1 , secl. 6. — Kaempfeiia rotunda , Lion Monandra monogiuia. — Jiiss. clas». 4, ord. 2 Ainomi. — Poiret , Fior. med. lom. 6, lab. 349. Il nome di Zedoaria è dato alle radici di differenli piante di questa famiglia. Noi descriveremo la specie designata da Linneo col nome di Kcempferia rotunda. Essa è una bellissima pianta che cresce nelle Indie orientali, come pure nell'isola di Zara. Le sue radici rivestite d'una corteccia cinerea sono composte di bulbi ovali, rotondi, liscii, fibrosi , alcune volte riuniti due a due. Esse producono foglie tutte radicali, glabre, d'un verde gaio, lanceolate, acute, lunghe da sette ad otto pollici, imbri- cate le une con le altre per mezzo della loro base ristretta in un picciuolo vaginale. I fiori sono quasi sessili , e sbucciano im- mediatamente dalle radici tenuti da una spala a due fogliole ovali, lanceolate, acute. La corolla è azzurrognola,alcune volle scre- ziata di porpora , di rosso e di bianco , d' un odore piacevolis- simo che s'avvicina a quello del violetto ; il suo tubo è sottile , cilindrico; il suo lembo è diviso sino alla base in tre frastaglia- ture esterne molto strette, allungate, lineari, acute, e le tre in- terne larghe, ovali mucronate; l'intermedia bifida; un'antera sessile, situata nella più stretta divisione del lembo interno; un ovario inferiore rotondo ; uno stilo terminato da uno stimma ottuso a due lamine. Il frutto è una capsula trigona , alquanto rotonda, a tre loggie ed a tre valve polisperme. La Zedoaria chiamasi dai Francesi Zédoaire,Zédoairebulveuse; dagli Spagnuoli e dai Portoghesi Z^t/oam; dagli Inglesi Z^f/oary; dai Tedeschi Zittwer; dagli Olandesi Ronde zedoar. 152 Due soriM (li zedoaria vi sono pure iu commercio, la zedoarìa rotonda e la zedoaria lunga. La prima , trovasi tagliata in due o quattro parti , rap- presentando metà o quarti di piccoli ovi di polii, per conseguenza offerente una faccia piana od una faccia convessa. Su questa si osservano angoli o punti spinosi che sono i rimasugli delle radichette tagliate: è segnata d'anelli circolari somigliaoli a quelli del cipero e d'una cicatrice rotonda di 4 a 3 linee di diametro che proviene dalla sessione d'un prolungamento cilindrico, che unisce due tuber- coli fra loro. La ferma generale di ciascun pezzo è un piccolo cuore in cui l' uno dei germi è largo, poco o molto incavato, e l'altro Gnisce in punta. AH' esterno la zedoaria rotonda è d'un bianco grigiastro, all'interno è assai compalla e gri- gia. Il suo sapore è amaro, fortemente canforato. Il suo odore è analogo a quello dello zenzero e del cardamo, che diviene più intenso quando si polve- rizza. Se si distilla questa radice coll'intermedio dell'acqua, si ottiene un olio volatile spesso che si concreta e prende l'aspetto della canfora. La seconda o zedoaria lunga è tagliata in piccjli pezzi meno lunghi e meno piccoli del mignolo; ordinariamente sono ottusi alle due estremità, ricoperti di una corteccia striata d'un grigio biancastro; nel resto simile alla precedente. Gui- bourt opinò che provengano da due difFerenli piante. Sì l'una che l'altra di queste radici sono medicamenti stimolanti, e s' inipiegaiio nelle medesime cir- costanze ed alla medesima dose che lo zenzero, la galanga ed altre radici di questa famiglia. Entra parlicolarmente nell'elesir di lunga vita e nel balsamo di Fioravanti. La zedoaria gialla (Radices zedoariae lutea of/idnalis) che porta anche il nome di radice di Bengala, proviene, secondo Fee, dal zinziber o curcwna- zanthorhizon di Reaburg. Guibourt gli dà inoltre per sinonimo il cassu- inuniar ricordalo nella materia medica di GeofFroy. Questa radice si trova me- scolala in piccola quantità colla zedoaria rotonda , alla quale assomiglia per la forma, ma differisce pel colore che è quello della curcuma, pel sapore e per l'odore che sono meno piacevoli. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Zedoaria. x. Fiore iutiero. 3. lUslillu o slamo. 453 FAMIGLIA G2ma OwVvwc 'IS Ju%s. — \4i DtcawiV. G I (i L I A C E E Formano le Gigliacee una famiglia naturale di piante mono- cotiledonie che presenta per caratteri una corolla (calice di Juss.) di sei petali, ovvero divisa in sei parti eguali e regolari ; sei stami inserii alla base o nel mezzo della corolla : un ovario supero semplice, munito di un solo stilo, che qualche volta manca, collo stimma ora semplice, ora trifido o trilobato. Il pe- ricarpio consiste in una casella triloculare, trivalve, polisperma. I semi piani o angolosi sono inserti nel margine centrale delle tramezze e quasi sempre disposti sopra due ordini. Hanno essi il perisperma carnoso o cartilaginoso, e Tembrione ora diritto, ora curvo. Le piante appartenenti a questa famiglia hanno una radice tuberosa, bulbosa o fibrosa, rade volte fascicolata, flettono degli steli ora nudi scapiformi e colle foglie semplicemente radicali e quasi sempre guainanti , ora provvedute di foglie generalmente sugose, fistolose o piane, d'ordinario spicciuolate o cedenti , di rado guainanti, ma sovente alterne, e qualche volta verticil- late. I fiori sono nudi o a spata, sempre ermafroditi e diversa- mente disposti sopra la pianta. Venlenat comprende in questa famiglia; che è la vi della in 154 classe del suo Tableau du règne vegetai venliquallro generi , che divide in Ire sezioni; 1° Gli asfodali aventi le foglie guainanti, quasi tulle radicali, la corolla (calice di Juss.) divisa in sei parli, alla cui base stanno inserti gli slami , in mezzo ai quali trovasi un solo stilo semplice : Antherimm , Phalangium , Asphodelus, Basilea , Pfior- mium, Gyanella, Albuca, Scilla, Omithogalum, Allium. 2° Le superbe (gloriosa) che hanno le foglie cauline sedenti e le radicali rare volte guainanti, la corolla (calice di Juss.) di- visa in sei parti, alla cui base stanno inserti gli stami, in mezzo ai quali havvi uno stilo più lungo di essi e munito di un triplo stimma : Tulipa Erilhronium, Melhonica, Uvularia, Fritillaria Im- perialis, Liliim, Yucca. 3° Le alojde a foglie guainanti , per lo più tulle radicali , colla corolla divisa in sei parti ; un solo stilo munito di uno stilo semplice ovvero trifido :Jloe, Àlatris, Hgmnt/ms, Bulboco- dium, Hemerocallis, Agapanthm. I61 « Ln Scilla e nnche siiscellihlle di essere applicata come esterno rimedio, poiché si lianno numerosi fatti comprovanti che il farmaco di cui ci occu- piamo sviluppa tutta la sua attivila diuretica, allorché si usa in trilione. Chiarenti, Brera ed altri medici hanno osservalo, che preparando una specie di unguento col sugo gastrico e colla polvere di Scilla, e facendo con questo miscuglio delle frizioni nella parte interna delle cosce e al dissopra dell'addo- mine, si giunge ad aumentare la secrezione dell'orina, quasi tanto etEcace- raente quanto se si usasse la scilla come rimedio interno, e specialmente nella cura delle idropi. Noi nel trattamento di queste malattie ci siamo spesso ser- vili di una pomata mercuriale scillilica, e non rare volle ne abbiamo ottenuto dei vantaggi. Alcuni medici hanno avuto lungo di osservare, che la scilla non manca di esercitare il suo potere medicamentoso, nel caso eziandio in cui questo rimedio s'introduca per clistere i il quale mezzo può essere posto in opera in tutti quei casi morbosi per la cura dei quali sia conveniente T interna ammi- nistrazione della Scilla. I clisteri scillitici sono stati lodali da Schmuker come molto proGcui per condurre a guarigione gl'individui sottoposti a congestione cerebrale linfatica. Finalmente, fra le topiche applicazioni della scilla è pure da annoverarsi quella fattane da Vogel, il quale taceva bollire l'olio, ovvero una qualche resina sopra la radice di scilla fiesca,e formava così una specie di unguento, del quale si serviva per distruggere le verruche ed altre escre- scenze cutanee. " Molto vario è il modo di amministrare la scilla, perchè assai numerosi sono i preparati farmaceutici che si fanno colla raidce di questa pianta. Non pochi pratici preferiscono però di somministrare la radice di scilla in polvere, e per soddisfare a questo modo d' amministrazione prescrivono ai farmacisti di prosciugare le squamme del bulbo della scilla lentamente ed a moderato calore entro vasi coperti , sino a tanto che le squamme stesse sieuo dissec- cate in guisa tale da rendersi suscettibili di poKerizzazioue: di questa polvere si fa prendere la dose di due a sei grani per tre o quattro volte al giorno. Noq è a nostra notizia che siasi ancora usalo lo scillitino, il quale potrebbe per avventura, amministrato a piccola dose, soddisfare a tutte quelle indicazioni curative cui la radice di scilla soddisfa. I pivi ragguardevoli preparali scillilici sono: 1 L'estratto di scilla^ fallo col sugo del bulbo, concentrato a mode- rato calore: questo preparalo è di uso frequente, ed alcuni pratici l'antepon- gono ad ogni altro. 2. La tintura dì scilla-, la quale si ottiene facendo digerire l'alcool sopra la scilla tagliala in piccoli pezzi , o contusa : questa tin- tura è di uso limitatissimo nella pratica. 3. Il vino scillitico, nel preparalo del quale s'impiegano due libbre di vino e mezz'oncia di scilla, e dopo al- cuni giorni d'infusione si Gltra il liquore con espressione, e si serba all'uso: questa tintura vinosa è commendata da molti medici nella cura delle idropi atoniche, e si amministra alla dose di mezz'oncia due o Ire volte al giorno. 4. L'aceto scillitico, a prepaiare il quale si siegue il metodo stesso testé in- dicato per la lormazione del vino scillitico: quest'aceto è usitatissimo per l'e- sterno, e costituisce una parte interessantissima della pasta da senapismi. Qualche medico si è pure servito dell'aceto scillitico anche come interno rimedio, am- rainistrandons la dose di 30 o 40 goccie in conveniente veicolo, e per più Tom. VI. 1 1 162 volle nel corso delle 24 ore. S. L'ossimele scìllitlco, che si forma col mele e coll'aceto sciliilico, unendo queste due sostanze mediante l'ebolliiione: questo preparato è frequentemente prescritto in particolar modo nelle malattie polmo- nari, mescolandolo a varie decoiioni espettoranti, nella dose di un'oncia per ogni libbra di liquido; e del quale miscuglio se ne somministra tre o quattr'once ogni due o tre ore. 6. Lo sciroppo scillitico, il quale si ottiene coU'ordi- nario metodo di preparare gli sciroppi medicinali , ovvero colla tintura alcoo- lica di Scilla mescolala collo sciroppo comune : i medici raramente prescrivono Io sciroppo di Scilla, ma antepongono a questo Tossimele scillitico. 7. L'es- sema di scilla , antico preparato, ad ottenere il quale si scioglieva una quantità di sai di tartaro nell'aceto scillitico, si evaporava il liquore a consi- stenza di estratto, e questo si scioglieva esaltamente nell'alcool: questo pre- parato è al dì d'oggi affatto dimenticato ; quantunque riguardato efficacissimo da alcuni clinici del passato secolo. 8. Finalmente le pillole scillitiche, delle quali varie formole se ne trovano registrate nei diversi ricettarli. Presso di noi sono usitate quelle preparate secondo la farmacopea di Edimburgo, nella com- posizione delle quali s'impiegano 4 parli di sapone medicinale, e roezia parie di Scilla, di gomma ammoniaca e di nitro. ^'r*^*/5i?^af«S^ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Scilla marittima. 2. Calice aperto e stami. 3. Pistillo. ',. Frutto. 5. Frullo taglialo orizzontalmente. 6. Seme. J^^^ \ ^^^a-ua^a^'^ 163 SCILLA ITALICA Scilla italica, Linn., spec 442. — Wild , spec 2, pag. 126 — Poiret, Dict. euc 6, pag. 736. — Hyacinlilus stellaris, Bauh. più. 46. — Moris, Hist. 2, pag. 474, sect. 4, lab. 15, Gg. 16. — Oriiitogalum spicalum cinereuin, Tourn. lusl. 380. — Delaun. , Herb. de TAm., toni. 2, lab. 103. La Scilla d' Italia cresce naturalmente nei luoghi ombrosi di questa bella parte d'Europa, d'onde il nome suo specifico. Col- tivasi anche nei giardini in piena terra quale pianta d'orna- mento. Un bulbo rotondo, composto di tuniche bianche, concentriche, dà origine ad un fascio di sei a dieci foglie lineari, canaliculale, perfettamente glabre , lunghe da sei ad otto pollici. Dal mezzo delle foglie s' innalza un gambo cilindrico, glabro, della lun- ghezza presso a poco delle foglie , intieramente nudo per tre quarti di sua lunghezza , munito nella sua parte superiore di venti 0 trenta fiori d'un turchino chiaro, disposti in un grappolo 0 spica serrata, alquanto piramidale. Alla base di ciascun pedun- colo trovasi una brattea membranosa , divisa sino alla base in sei parti lineari, triangolari, la più lunga della grandezza del pe- duncolo. Ciascun fiore è composto d'una corolla divisa sino alla base in sei lacinie ovali lanceolate, aperte a mo' di stella, di sei stami a filamenti leseniformi, inserti alla base delle lacinie della corolla, portando alla loro sommila antere oblunghe d'un turchino carico fissate trasversalmente nel loro mezzo , span- dendo un polline d'un giallo verdastro : d'un ovario supero, ro- tondo, a sei coste poco sporgenti, sormontalo da uno stilo 164 cilindrico, quasi della lunghezza degli stami, terminato da uno stimma semplice. La capsula o frutto ò a tre valve, a tre loggie, di cui ciascuna contiene più semi: La Scilla italica, detta unche Squilla cTIlalia, Giacinto stellalo, chiamasi dai Francesi Scille d'Italie ; dagli Inglesi Italian squill ', dai Tedeschi Meerziviebel. 1 bulbi della scilla d'Italia sembrano dolati dei piincipii stessi di cvii sono com- posti quelli della squilla marittima, essendo pressoché analogo il modo d'agire quale medicamento, sebbene ne sia evidentemente più debole l'aiioce Sono molto mucilafoiuosi, e quando sono freschi possedono uu principio acre che sperdesi lacilmenle sotto TeboUizione e la disseccazione . SPIEGAZIOÌNE DELLA TAVOLA I. rianla di Scilla ilalica. 2. Corolla. 3. Ovario. 4. Capsula. 5. La slessa ta£;liata trasversalmente. y^y 165 CIPOLLA Cepa vulgaris, Bauh. pio. Iib.2, sect. 4. — Touro. class. 9, sect. 4, geo. 11. — Alìum cepa,LÌQn., EsauJria moaoginia. — Juss. class. 3, ord. 6. Gigliacee. — Poiret, Fior, raed., tom. S, tab.2o2. — Rich., Bot. uied., Iona. 1. Questa pianta, di cui s'ignora la patria primitiva, è abbon- dantemente coltivata negli orti di quasi tutte le parti del mondo, come a tutti è noto. Il suo bulbo varia molto di forma e di grossezza. Esso è ovoide, globuloso, depresso, ricoperto esterna- mente di tuniche o membrane minute, floscie, secche, scagliose, d'un vario colore , ora d'un giallo aureo, verdastro, o bianco, secondo le varietà , e munito alla sua base d'un ciuffo di fibre semplici biancastre, quasi filiformi ; le tuniche interne sono ora bianche, ora rosee, più grosse e carnose. Le foglie sono glabre, cilindriche, cave, acutissime e tutte radicali ; dal loro centro si innalza uno scapo o gambo nudo, lungo due o tre piedi , cilin- drico, fistoloso, panciuto e gonfio alla sua parte inferiore, termi- nato da un'ombrella di fiori semplice, rotonda od ovale. Ciascun fiore è composto d'una corolla d'un colore verde biancastro od alquanto rosso, con sei divisioni ritte, quasi riunite alla sua estremila, specialmente le tre interne; di sei stami con filamenti alati, alcune volte alternativamente semplici, ed a tre punte, d'un solo stilo. Il frutto è una capsula triangolare a tre valve, a tre logge che racchiudono più semi rotondi. La Cipolla chiamasi dai Francesi Ognon, Ciboule ; dagli Spa- gnmVi Cebolla ; dai Tedeschi Zwiehcl, ZiboUen; dagli Inglesi Onion ; dagli Olandesi Uycn ; dai Danesi Loajcn ; dagli Svizzeri 167 AGLIO AUium salivum, Bauh. pin. lib. 2, sect. 4. — Tourn. class. 9, Gigliacee. — AUium salivum, Linn. Esandria monoginia. — Juss. Gigliacee. — Poiiel , Fior, med., tom. 1 , lab. lO. — Rich-, Dot. meJ. , tom. 1 , pag. 89. — Roq. Pbylogr., pag. 173, lav. 14. L'Aglio è una pianta bulbosa che cresce naturalmente nel- l'Egitto, nella Grecia, in tulle le parti d'Italia, del mezzodì della Francia, della Spagna , ecc., e , come tutti sanno , si coltiva da immemorabili tempi abbondantemente nelle regioni meridionali d'Europa. Il suo bulbo è del volume di una grossa noce e ricoperto di tonache sottilissime e scagliose; le esterne secche e biancastre, liscie le interne, e si compone di molti altri piccoli bulbi, vol- garmente distinti sotto il nome di gusci di aglio o spicchi di aglio, teste di aglio, le cui tonache sono rossastre, uniti assieme, oblunghi ed acuti. Questi avviluppati da tonache esterne co- muni , poggiano su di un disco carnoso che getta dalla sua parte inferiore molti filamenti capillari, i quali, per propriamente dirla, sono le sole radici. Girard, nelle sue erborizzazioni rin- venne specie di agli che non avevano se non un bulbo. Lo stelo o scapo alto un piede e mezzo circa, cilindrico, liscio, vuoto, è munito nella sua parte inferiore di foglie lineari, piane e non fistolose come quelle della cipolla. Alla sommità dello scapo osservansi i fiori riuniti in massa entro una spala membranosa ed in modo da formare una specie di ombrella bulbifera capi- tata. Essi sono bianchi e constano: d'una corolla, che alcuni la considerano come calice di un sol pezzo, disposti a mo' di stella ; '168 di sei slami alternativamente larghi ed in Ire punti. Il frutto è una capsula corta, trigona, divisa internamente in tre logge che contengono più semi subrotondi. Fiorisce nei mesi di giugno e di luglio. L'Aglio chiamasi dai Francesi AH; dagli Spagnuoli Ajo; dagli Inglesi Garlic ; dai Tedeschi Knohkwch ; dagli Olandesi Loch ; Knoflooh, Knoplook; dai Polacchi Czosnek. Tulli conoscono l'odore acre, forle e piccante, 1" odore sui generis, detto odore agliaceo, non che il suo sapore ocre e caldo, dovuto all'olio volatile che contiene in grande quantità. I suoi bulbi dietro l'analisi di Bouillon-La- grange contengono un olio volatile estremamente acre e penetrante di colore giallo, dell'albumina, dello zolfo, una materia zuccherosa e un poco di fecola. La sua naturale analogia colla Scilla dovette servire d' induzione ai pratici per adoprarla come diuretico: venne perciò raccomandato nei casi d'idropisia ed in tutte quelle malattie cui fa d'uopo eccitare la diuresi. Fu perciò assai più spesso adoprato come vermifugo. Lo si dà internamente e lo si applica aire- sterno. Nel primo caso Io si mescola cogli alimenti dopo d'averlo cotto, op- pure lo si fa bollire nel latte, operaiioue che scema d'assai la sua attività, dacché svolge lutto il suo olio volatile; altre volle si prescrivevano alcune gocce dal suo succo sopra un pezzo di zucchero. Nel secondo caso si prepara con qualche spicchio di aglio infuso nell'olio, certo linimento col quale si fre- gano l'addomine o le altre parli su cui vuoisi applicarlo. L'aglio, che in generale risulta disguslosissimo alle persone che non vi sono abituale, specialmente quando è crudo, viene cercato quale vivanda delicatis- sima dagli abitanti di molle provincie meridionali d'Europa, difiatti pochi sono i cibi nei quali esso non entri come condimento. Si addice in generale a quelli che hanno lo stomaco robusto; ma Io si deve severamente proibire alle per- sone nervose, asciutte, di stomaco debole e delicato. L'aglio per ultimo è consideralo quale antiscettico. Lind lo raccomanda caldamente contro lo scorbuto. Si può adoprare ancora l'aglio esternamente per determinare la rubiGcaiione, e spesso anche il sollevamento dell'epidermide : si può usare per formare ve- scicatorii e cataplasmi rubificanti. Entra in molle preparazioni officinali , nell'aceto de' quattro ladri e simili. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA i> PiauU d'aglio col suo bulbo e radici, a. Parie superiore dello scapo Curilo 3. Fiore iutiero. 4. Calice aperto. 5. Uao stame. 6, Pistillo. ^. ^z^n^^urrc^-^ c/^a^^ó^ 169 ORNITOGALO AUREO Ornilhogalam aureum Wilds, spec 2, pag. 124. — Curi. Bot. magax. nat., lom. 190, Red., lil. voi. 8, et tom. 439. — Oruithogalum flavissiinum Jacq. Icon. rar. 2, tav. 436. — Esandiia monoginia Lina. Gigliacee Juss . — De- laun. Her. de rAm., tom. 3, tab. l9l. Si diede il nome di Ornitogali a molte piante bulbose rin- chiuse da Linneo nel suo Sistema sessuale nelle cinquanta e più specie sotto il nome di Scilla. Tutte queste specie però sono na- turali del nostro continente. La specie di cui trattiamo è ori- ginaria dell'Africa, portata in Francia verso la fine dello scorso secolo. La sua radice è un bulbo rotondo, della grossezza d'una pic- cola noce, alquanto depresso. Essa dà origine a sei o sette foglie lanceolate, glabre, lunghe da cinque a sei pollici, di un verde gaio. Dal mezzo di queste foglie s' innalza uno scapo ci- lindrico, della grossezza d'una penna da scrivere, alto un piede circa, terminalo da un bel grappolo composto di venti e più fiori ravvicinati gli unì agli altri al momento di loro fioritura, formando quasi un corimbo ; sono il più delle volte d'un colore giallo dorato. Questi fiori sono muniti alla base d'una brattea lanceolata, più corta del peduncolo che sostiene ciascun fiore , il quale è ordinariamente della lunghezza di due pollici circa. Ciascun fiore poi consta di una corolla a sei divisioni profon- dissime, ovali-oblunghe, eguali ; di sei stami più corti della co- rolla inserti alla base delle sue divisioni o filamenti alternativa- mente larghi nella loro parte ioferiorc da una membrana e ter- minali da antere oblunghe a due logge ; d' un ovario supero, 170 ovale a tre lati rotondi , che sostiene alla sua sommità uno stimma a tre lobi, d'un giallo d'oro. Il frutto è una capsula a tre logge che contiene più semi rotondi. VOrnitofjalo aureo chiamasi dai Francesi Ornitogale dorè. Vuoisi che sia una delle specie che Dioscoride descrisse e commendò nelle idropisie, come la squilla. Il suo bulbo è dotato di un principio acre come la cipolla e Taglio. Può servire agli stessi usi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA t. Pianta d'ornilogalo, i. Parte superiore dello scapo. 3. Ovario. 4. Starne. 5. Pistillo. 6. Capsula tagliata orizzotitalmeutu. 7. Capsula superiore. -*-»fe. 171 GIGLIO BIANCO -vvuwjiaivv- Lilium album flore ereclo volgare, Bauh, pin., lib. 2, secl. 5. — Toujd. class. 9, sect. 4, gen. 3. — Lilium candidum Lino., Esandria raonoginia. — Juss. class. 3, ord. 4. Gigliacee. — Poiret, Fior, med., tom. 4, lab. 221. — Rich. boi. med., tom. 1, pag. 88. Capo della brillante famiglia , a cui essa dk il nome , costi- tuisce il giglio uno de' più belli ornamenti del regno vegetale. Respirando il soave olezzo di cui l'aria vanne carica , sembra odorare i soavi profumi di cui tanto ricche sono alcune con- trade d'Oriente, d'onde è originaria la pianta in discorso. Vuoisi ciò non pertanto che cresca parimenti spontanea in alcune parti d'Europa. Haller la scoperse nella Svizzera, Decandolle sul monte Tura ed in altri luoghi selvaggi ben distanti da ogni abi- tazione, da non poter aver dubbio che un tempo sia stalo colti- vato; essendoché, come a tutti è noto, da tempi immemorabili coltivansi più specie di giglio in molti giardini d'Europa quale pianta d'ornamento, atteso lo splendore e la soavità de' suoi fiori. Il suo bulbo, grosso quanto un pugno, è composto di squamme bianche , carnose , embricate , di cui le più esterne terminano superiormente in una foglia radicale e sono munite di piccole fibrille inferiormente che ne costituiscono le radici. Dal centro di tali squamme s' innalza uno stelo cilindrico alto un metro circa, semplice, guernito di foglie sessili, sparse, molto ravvici- nale, lanceolate, acute e di un verde chiaro. I fiori grandi for- mano una spica elegantissima alla sommità del fusto , e la loro 172 bianchezza risplcndenlc fu e manlicnsi luti' ora l'emblema della purità verginale, e spandono un odore tanto aggradevole quanto forte, per cui rinchiusi in un appartamento quest'odore può ca- gionare dei mali di capo e di denti alle persone nervose. Cia- scun fiore in particolare poi contenuto da un largo peduncolo consta di un' ampia corolla campanulata composta di sei petali 0 profonde divisioni distinte , e ciascuna incavata da un solco longitudinale più apparente verso la base , coi margini dentati ; essi sono privi dì calice ; di sei stami con antere oblunghe e versatili; d'un ovario supero, oblungo, a sei solchi, sormontato da uno stilo cilindrico che contiene uno stimma grosso trilo- bato. Il frutto è una capsula trigona, a sei solchi, oblunga, ot- tusa, a tre valve polisperme. Sono molte le specie di giglio, di cui alcune varietà sono prodotte dalla coltura; parleremo delle principali. Il Giglio bianco, detto volgarmente Giglio di sanf Antonio, chìdi- masi dai Francesi Lis Mane; dagli Spagnuoli Lirio; dai Porto- ghesi Leiro; dai Tedeschi TVeisse lilien; dagli Inglesi fFhile com- mon lihj ; dagli Olandesi Lelìe ; dai Danesi Lilie ; dai Polacchi Lilia. Il Giglio biaDco godeva anticamente di alta riputazione in medicina , ma daccLè s' incomÌDCiò ad osservare meglio l'azione dei medicamenti , il suo uso venne totalmente alibandoualo. Le grosse squamme dei bulbi sono formale da raucilaggine, da umido e da poca quantità di olio volatile acre. Questo si dis- sipa facilmente colla coltura sia nell'acqua, sia sotto le ceneri. I fiori sporgono, come notammo, odore soavissimo e penetrantissimo, e quindi tale odore potrebbe cagionare tristi accidenti laddove si conservassero nella camera in cui si dorme, od in altro sito abitato in cui Paria non possa liberamente circolare. Per l'addietro ritraevasi da questi fiori un'acqua distil- lata odorosa, riputala antispasmodica; ma siffatta preparazione e oggidì pure inusitata: la stessa sorte corse l'olio in cui facevansi macerare le capsule del gl'elio, che lo sì riputava calmante e se ne facevano linimenti , embrocazioni sulle abbruciature, sulle screpolature della pelle e sopra le parti dolorose. L'unica parte per anco adoprata nella medicina popolare sono i bulbi o le cipolle. Colle sotto la cenere si preparano cataplasmi che applicansi sui tumori 173 succutanei all' oggetto di accelerare la suppurazione; forma però questa d'al- tronde una proprietà della quale risultano eziandio dotati i bulbi della mag- gior parte delle altre piante appartenenti alla famiglia delle gigliacee, le qtiali|, come dissimo, possedouo presso a poco tutte le medesime proprietà in mag- giore 0 minore grado; tutte sono dotate d'un principio mucilagiuoso. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Parie superiore dello stelo del giglio. 2. Parte iufcriore. 3. Pistillo e stami. i74 GIGLIO DEL GIAPPONE Lilium j,iponicum, Tlianb. 6., FI. Jap. 133. — Will., spec. 2, pag. 85. — Poir. , Dici, enc, suppl. 3, pag. 4o6. — But. mag. et lab. l39l. Esantliia monoginia Linn. — Juss., Gigliacee. — Delaua. Herb de rAin. lotn. 6, lab. 375. Questa bella specie di Giglio, il cui nooìe specifico indica il paese suo nativo, non fu conosciuto in Europa che verso il 1804, essendo stato solo in quest'anno trasportato in Inghilterra, quindi in Francia dopo alcuni anni. Oggidì coltivasi in molti giardini d'Europa quale pianta d'ornamento. Come in tutte le altre specie di questo genere, la radice del giglio del Giappone è un bulbo scaglioso, rotondo, della gros- sezza di un uovo, munito di radichette finissime. Esso produce uno stilo liscio della grossezza del dito mignolo, alto circa un metro e munito in tutta la sua lunghezza di foglie sessili , lan- ceolate, lineari, glabre, dun bel verde. Il fiore negli individui che fioriscono in Europa è solitario, terminale, ma mollo più grande di qualunque altre specie che si conoscono nel nostro continente ; esso ha da cinque a sei pollici di larghezza, e quando è aperto presenta poco appresso la stessa larghezza. La corolla è lubulosa , quasi triangolare alla base , poscia aperta a mo' di campana , composta di sei petali lanceolati d'un bianco sporco internamente, rossastro all'esterno, e rivolti all'infuori nella loro parte superiore; questi pelali sono inserti sul ricettacolo in due ordini; i tre interni sono incavati da un solco longitudinale, e trovansi alquanto più larghi dei tre esterni. Gli stami in nu- mero di sei, hanno i loro filamenti leseniformi , più corti della corolla e terminali da antere ovali-rotonde d'un giallo carico, S^7 / 175 quasi bruno. L' ovario è supero, ovale-oblungo, sormontalo da uno siilo quasi triangolare , solcalo da tre incavature , appena più largo degli slami, gonfio nella sua parte inferiore, e termi- nalo da uno stimma di un verde chiaro, a tre lobi. Il frutto non si conosce ancora, poiché lo si moltiplica fin ora separando le sue radici. I Bori Ji questa specie di giglio olezzano un odore [soave e forte quanto quello della sopradescritta specie. Sembra dover contener gli stessi princìj.ii; imperocché un'analisi su questa specie non venne ancora eseguila. Pare che la sua radice contenga il principio mucilagginoso in abbondanza : può perciò servire agli slessi usi. ^^*M&1C*4^ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Stelo di giglio del Giappone. 47G GIGLIO SUPERBO Liliiim seii Mailagon Canadense flore luleo piinclalo Galene!. Carol. 2, p. 56, tab. Sj. — Lilium superbum, Lino., Esandria moiiogiiiia. — WillJ, spec. 2J, pag. 88. Lana., Dict. enc. 3. pag. ,536. — Rei! , lib. 4, et tab. 103. — Bot. magar. N. et lab. 936. — Delaun , Herb. de VAva. toni. 6, tab. 421. Il Giglio superbo venne Irasporlato dairAmcrica settentrio- nale in Europa verso il 1 727, e coltivato per la prima volta in Inghilterra nel giardino di Collincon Pietro membro della so- cietà reale di Londra. La sua radice è pure un bulbo scaglioso, piccolo comparati- vamente all'altezza a cui perviene lo stelo, il quale alcune volte s'innalza a piìi di un metro. Le sue foglie sono lanceolate, liscie, d'un verde carico, verticellate nella base dello stelo otto o dieci assieme e sparse nel rimanente di loro lunghezza. I suoi fiori sono grandi, pendenti, giallastri nel fondo con punti nerastri e d'un bel colore rosso-arancio nel loro lembo, sostenuti da lunghi peduncoli e disposti in vario numero da quattro a cinque sino a quaranta e più. Questi fiori per l'eleganza della loro forma e per la splendidezza de' loro colori producono sempre un bellis- simo effetto ; e quando sono molto numerosi , lo che avviene alcune volte, formano allora un panicelo piramidale d'un aspetto magnifico. La corolla è composta di sei petali oblunghi , molto aperti, colla loro parte superiore rovesciata all'infuori: gli stami, in numero di sei, hanno i loro filamenti pendenti, più corti della corolla, terminati da antere allungate vacillanti : l'ovario e su- pero, ovale-oblungo, sormontato da uno stilo cilindrico, curvo in alto e terminato da uno stimma grosso, a Ire lobi. Difficil- mente porta il frullo, il quale ha il carattere del genere. s^u -/ ■fy/Uf^-. c//6/7c^. # i77 Questa pianta, coltivata nei giardini quale pianta d'ornamento, si moltiplica separando le sue radici o bulbi. Ciascuna scaglia separata colla debita precauzione dal bulbo o madre, tosto pian- tata e tenuta mediocremente umida ed all'ombra , ha la facoltà di formare novelli bulbi. Puossi benissimo mantenerla per tre 0 quattro giorni senza smuoverla dal sito : oltre questo tempo è necessario di trapiantarla e separare i nuovi bulbi che ha pro- dotto. Il Giglio superbo chiamasi dai Francesi Lis superbe. Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto. l bulbi (lì questa specie di giglio sono della natura stessa che (|aelli delle specie suddesciille ; potrebbero nel caso servire agli stessi usi ; ma la è più pianta d'ornamento che medicinale , come lo sono in genere tutte le gigliacee. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA t . Stelo di giglio superbo, i. Ovario, siilo e stimma. Tom. Vr 12 178 GIGLIO TIGRINO Lilium ligrinam, Curt. Boi. mag. N. et lab. 1237. — Ait. Horl. Kew. ecT. 9, voi. 2, pag. 241. — Red. lil. voi. 7, N., et lab. 393. — Lilium specio- sum, Andrew, Boi. Repos. N., et lab. 586. — Delaun. Herb. de l'Ara., Iona. 2, tab. 91. — Esandria moDOginia Lino. — Juss. Gigliacee. Il Giglio ligrino, o Giglio della China, è indigeno della China, della Conchinchina e del Giappone. Venne introdotto in Inghil- terra nel \SO'i, poscia in Francia: ora coltivasi in molti giardini d'Europa. La radice è un bulbo scaglioso che dk origine ad uno stelo alto da tre a cinque piedi , d'un bruno violastro munito di al- cuni peli biancastri : questo stelo è munito in tutta la sua lun- ghezza di foglie sparse, intiere, glabre, d'un verde carico e lucente ; quelle della parte inferiore e della parte mezzana sono lineari-lanceolate; ma le superiori divengono più corte a mano che s' avvicinano alla sommità dello stelo , ove terminano per farsi ovali-lanceolate. Le une e le altre portano nelle loro ascelle uno 0 due bulbilli di un violetto nerastro lucente che cadono all'epoca della fioritura. I fiori disposti alla sommità dello stelo sono grandissimi d'un bel rosso di vermiglio tendente all'aran-^ ciò, muniti internamente di più macchie o papille d'un porpora nerastro: esse variano altronde secondo la forza e l'età del bulbo. I giovani individui non ne producono che uno o due, gli adulti dodici ed anche quindici. Questi fiori formano allora una specie di panicolo d'un bellissimo aspetto che perdura quindici o venti giorni, non isviluppandosi tutte le corolle contemporaneamente, ma solo tre o quattro assieme, re- J4^. 179 stando aperta ciascuna d'esse per tre o quattro ^orni, special- mente se la pianta è serbata in luogo ombroso. I peduncoli sono divergenti, curvi alla loro sommità, di modo che i fiori sono pendenti ; ma i loro sei petali si alzano e si rovesciano allin- fuori: i filamenti degli stami sono filiformi, d'un rosso pallido, pendenti, divergenti e carichi alla loro sommità d'antere vacil- lanti , d' un porpora bruno molto carico : lo stilo è un po' più lungo degli stami, leggermente triangolare, alquanto acuto, ter- minato da uno stimma triangolare , d' un colore porpora molto più carico delle antere. Il Giglio tigrino, detto anche Giglio della China, della Co- chinchma, chiamasi dai Francesi LisTygre; dagli Inglesi Tiger- spotted Chinese lily : dai Tedeschi Gatieyerte lilie. Quanto ahbiarao detto dei bulbi delle altre specie di gigli ponno riferirsi anche ai bulbi del giglio tigrino, Il quale a vero dii-e è più pianta d'orna- lueuto che medicamentosa. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA t. Giglio tigrino. 180 GIGLIO FILADELFICO -'»AAArj\A/vv~ Liliutn philadelphicom Lino., spec. 43S. — Wild. sp. 2, pag. 90. — Lam. Dici. enc. 3, pag. 533. — Curi., Bot. mag. N., et lab. 5l9. — Red. HI. 2 N. el lab. 104. — Alt. Horr. Kew. ed. 2, voi. 2, pag. 243. — Delaun. , Herbier de l'Am., tom. 3, lab. 92. — Juss. Gigliacee. Meno elevata , meno grande, in tulle le sue proporzioni, del Giglio tigrino, questa specie merita pure per la forma elegante di sua corolla e per la splendidezza de' suoi fiori d' attrarre il nostro sguardo. È il Giglio filadelfico originario deirAmerica settentrionale, e particolarmente della Carolina meridionale : trasportalo da circa cent'anni in Europa , prosperò assai bene e sopporta anche il freddo dei nostri inverni in piena terra; ma in un terreno troppo umido patisce. La radice di questa pianta è un bulbo scaglioso della grossezza d'una noce ordinaria: da questa s'innalza uno stelo semplice, cilindrico, alto un piede circa, glabro, come è tutta la pianta, d'un verde pallido ed alcune volte rossastro, non che coperto d'una polvere leggera e glauca. Le foglie sono di- sposte a verticilli, quattro od otto unite assieme : lo stilo porta alla sommità uno o due fiori ritti, aperti, di cui ciascuno com- ponesi di sei petali lanceolati, ristretti alla base in un'unghia apparentissima ; i due terzi del loro lembo sono di un bel rosso quasi scarlatto, essendo il resto d'un giallo verdastro e screziato da macchie rotonde nerastre. Gli stami un po' più corti dei pe- tali hanno i filamenti ritti, rossastri , sormontali da antere ne- rastre vacillanti. Lo stilo è grosso, (riangolare, alquanto più lungo //r/r//^^r 181 degli slami , sormontalo da uno stimma capitato , a tre angoli rotondi. Il frutto è simile a quello di tutte le altre specie. Il Giglio filadelfico chiamasi dai Francesi Z?5 de Philadelphie ; dagli Inglesi Philadelphia fe;dai Tedeschi Philadelphinsche lilie. Fiorisce nel mese di luglio, o sul principio di agosto. Il bulbo del giglio filadelfico è della natura e gode delle proprietà di cui .dotati SODO i bulbi delle altre piante appartenenti a questa famiglia. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA i. stelo di giglio filadelfico. i. Radice e parte iaferiore dello stelo. 3. Slame. 182 GIGLIO CALCEDONICO Lìliutn calcedoDÌum , Liuu. Esandria mooogiuia. — Juss. Liliaceae. — Saiiil-< Hìl. plani de la Fiauce, tom. 3. Il Giglio calcedoiiico, originarlo del Levante e della Persia, è da tempo antichissimo coltivato in molti giardini d'Europa quale pianta d'ornamento. Il suo bulbo scaglioso, della grossezza d'un ovo, munito, come tutti i bulbi delle gigliacee, nella parte inferiore di piccole fibrille o radichette. Il suo stelo s' innalza un metro circa; è semplice, dì un colore porporeo, inferior- mente verdastro nel rimanente di sua estensione è munito di foglie per tutta la di lui lunghezza. Queste sono sparse, numerose , quasi imbricate le une sulle altre , oblunghe , lan- ceolate e quasi orlate di bianco ; le inferiori , che sono le più lunghe , hanno molta rassomiglianza con quelle del giglio bianco. I fiori sono di un rosso scarlatto splendido, curvi o pen- denti. 11 calice è a sei divisioni colorate ( corolla di Linneo ) , grosse, quasi carnose, coriacee, riunite alla loro base e mu- nite per tutta la loro lunghezza di un solco. Gli stami in nu- mero di sei sono più corti dello stilo : l'ovario è unico, libero, sormontato da uno stilo e terminato da uno stimma fesso in tre. Il frutto è una capsula oblunga a tre angoli che racchiude grani compressi. Questa pianta si moltiplica separando i suoi bulbi , cui fa duopo separare ogni tre anni. È bene trapiantarli subito che sono estratti di terra ; ama un buon terreno ed una esposizione calda ; imperocché posta in sito fresco ed ombroso, non solo fio- 183 risce poco , ma i suoi fiori risultano anche meno belli. Fiorisce nei mesi di giugno e di luglio. Il Giglio calcedonico, dello anche Gìglio scarlatto, chiamasi dai Francesi Lis de Calcédonie , Martagon écarlate, Lis écarlate ; dagli Inglesi Scarlet martagon lily ; dai Tedeschi Chalcedonische lille ; dagli Olandesi Noode Krul-lelie. I bulbi del giglio calcedonico sono della natura stessa dei bulbi di 'tutta questa famiglia : acri nello stato naturale, mucilaginosi se cotti : ponno perciò servire agli stessi usi. Ma, ripetiamo, la maggior parte sono piuttosto piaote d'oroameoto, che medicinali. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA i. Giglio calcedooico. a. Stami , ovario, pistillo. 3. Capsula tagliata trasversalmente. 4. Seme diitaccato. 1S4 GIGLIO MARTAGONO Liliana tnartagon, Lino., Esandria moDogiaia. — Juss. Gigliacee. ■*- Saint" Hil. Plaot. de la Frauce, tom. 3- Fra tulle le specie delle gigliacee indigene non havvi dubbio che quesla è la più nolevole, vuoi per l'allezza de'suoi sleli, vuoi per l'eleganza de' suoi fiori. Il suo bulbo, grosso quanto un me- diocre ovo, è pure scaglioso e munito di radichetle alla base. Da questo s' eleva uno siilo semplice che nella parte superiore porla una specie di spica a fiori pendenti , e nella inferiore è coperto di foglie ovali-lanceolate, acute ; nervose nella superfi- cie inferiore, disposte a verticilli nella parie inferiore dello stelo, alterne verso la metà del medesimo. I fiori sono rossastri , al- cune volle bianchi e screziali di macchie porporine o nerastre. Essi sono ordinariamente vellutati all' infuori, specialmente prima del loro aprimento; ma per mezzo della coltura essi di- vengono quasi glabri; il loro peduncolo è munito alla sua base di due bratlee acute ed intiere; la corolla è a sei divisioni rove- sciate con un solco longitudinale a margini saglienli ; gli slami in numero di sei sono sormontali da antere rossastre prima che abbiano disperso il polline: l'ovario è libero, sormontato da uno stilo e da uno stimma Irifido. Il frullo è una capsula a tre logge, a tre valve, che contengono molti semi. Questa sorta di giglio che cresce spontaneo nell'Alsazia, nella Borgogna , nella Provenza ed in molte altre parti del mezzodì d'Europa, coltivasi nei giardini quale pianta d'ornamento. La sua coltura è facile, alligna in ogni terreno, si moltiplica sepa- 'Jo2. '^ ^m//ea(7/??u à^ T 185 rando i suoi bulbi che con molta facilità si riproducono. Me- diante la coltura se ne ottennero di già molte varietti. Sonvene a doppi fiori bianchi , screziali di rosso ed anche di un giallo brillante. Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto. Il Giglio martagono chiamasi dai Francesi Z?5 »2ar%on ; dagli Inglesi The purple martagon lily ; dai Tedeschi die martagon lilie, Ber turkishe bund; dagli Olandesi Krul-lelie \ dagli Svezzesi Krull-lilja; dagli Ungheresi Erdeilib'om; dai Tartari Saranna, Sary chep. Quanto abbiamo deUo dei bulbi delle altre specie di gigliacee puossi pure a questa riferire. Non sono ia medicina più adoprali, e solo è oggidì una pianta d'ornamento. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (• Giglio martagoDO. i. Slami , ovario, pisliilo. 486 CORONA IMPERIALE Friliilaria imperialis Linn. spec 435. — Lam. Dict. enc 2, pag. tfi9. — Lilium seu Corona imperialis Bauh. pin. 79. — Moris. Hisl. 2, pag. 466. — Lilium persicum, class. Hisl. 127, 128. — Delaun. Herb. de l'Am. lom. 3, lab. 459, Esandria monoginia Liun. — Gigliacee Juss. Questa pianta , originaria secondo alcuni della Persia , se- condo altri della Tracia , venne trasportala da Costantinopoli a Yienna, ove vuoisi sia stato Clusiol il primo a coltivarla nel 1580. D'allora in poi per la bellezza de' suoi fiorì venne sparsa in quasi tutti i giardini d'Europa, ove per mezzo de' suoi semi si ottennero molte varietà. La radice di questa pianta è un tubercolo rotondo assai grosso, dalla cui parte inferiore escono molte fibrille o radi- chette, dalla parte superiore sbuccia uno stelo o scapo, che si innalza da un piede a tre, ritto, cilindrico, munito nella sua parte inferiore ed alla sua sommità di foglie lanceolatc-lineari, glabre, lucenti , d' un bel verde , e nudo in tutto il resto di sua estensione; le foglie inferiori sono verticillate sullo stelo, ove formano prolungandosi angoli saglienti : le foglie della sommità sono pure imperfettamente verticillate su più ordini, ma ravvi- cinate SI, da formare un bellissimo ciuffo. I fiori grandi, bellis- simi, per lo più d'un colore rosso, alcune volte gialli e d'altri colori, giusta le varietà, sono disposti nelle ascelle delle foglie inferiori del ciuffo , al dissolto del medesimo per mezzo di pe- duncoli curvi ed inclinati in giù in numero di sei o più. Alcune volte il ciuffo delle foglie è più allungalo e disposto in più ordini , lì II l 'iH^ma^ ^y^^yt^ 187 distinti, ed allora souvi due ranghi o corone di fiori. La corolla è composta di sei petali ovali, oblunghi , regolari, muniti alla loro base interna d'una fossetta nettarifera rotonda. Gli stami in nu- mero di sei coi loro filamenti sottilissimi sono inserti airinterno della base deirovario, della lunghezza dei petali e terminati da antere lunghe a due logge. L'ovario è supero, oblungo, sormon- tato da uno stilo semplice, più lungo degli stami e terminato da tre stimmi alquanto grossi. Dopo la fioritura i peduncoli si rad- drizzano e sostengono tre grosse capsule ritte , a sei angoli sa- glienti, a tre valve ed a tre logge, di cui ciascuna contiene molti grani quasi orbicolari, compressi e disposti su due ordini. La Corona imperiale chiamasi dai Francesi Couronne impe- riale, Fritillaire imperiale. Fiorisce di primavera, quando sia trapiantata nel mese di luglio, ossia dopo la disseccazione del suo scapo. La Corona imperiale è piuUosto pianta d'ornamento che medicinale. Tul- lavolla le sue radici sono della natura stessa delle gigliacee. Può perciò servire Sgli stessi usi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Corona imperiale, a. Petalo. 188 FRITILLARIA QUADRELLATA Frilill.iria meleagris, Linn., Esandria monogioia. — Willd. 2, 91. — Melea- gris Reneal, spec 147, lab. 146. — Delaan.Herb.de l'Am. tota. I, lab. 62.— Juss. Gigliacee. Questa specie di giglio è originaria dei nostri paesi ed assai comune in Francia, soprattutto nei dintorni di Abbeville. Il suo nome deriva dal latino Fritillus, specie di giuoco, da noi detto Daììie, per la forma dei fiori e le specie di quadrati di cui è adorna; ma il soprannome dì 3Ieleagris , che è il nome dell'uc- cello Pein tade, dà migliore idea se non del colore , almeno della posizione e della grandezza delle macchie che la rendono singolare. La Fritillaria quadrellata ha una radice composta di due bulbi avviluppati da squamme, dalla cui parte inferiore escono molte fibrille o radichette , mentre dalla superiore sbuccia uno stelo che ha molta somiglianza con quello dell'aglio, munito di rade foglie alterne, lunghissime, strette ed acutissime. Alla som- mità dello stelo havvi il fiore terminale che sembra una tu- lipa capovolta. Questo è sempre composto di sei petali ovali, concavi , muniti alla loro base interna di una fossetta , e di- sposti in modo da sembrare un vaso capovolto od una cam- pana, il cui mezzo sia occupato da un ovario trigono-rotondo, sormontato da uno stilo filiforme verso la sua sommità. Gli stami circondano l'ovario e portano antere gialle alquanto curve. Si vede radamente piìi di un fiore sullo stesso stelo. Questa pianta è selvaggia; coltivasi ciò non pertanto ne'giar- dini quale pianta d'ornamento. Per averla, non occorre che ^u^àua'a^' ,.^i^ua^ i89^ trapiantare i bulbi nel giardino in un buon terreno tosto schian- tali e mantenerli per qualche tempo all'ombra ; si ponno an- che seminare i grani. Fiorisce nel mese di aprile. La Fritillaria quadrata, delta anche Toaletta, FriliUaria Toa- letta, chiamasi dai Francesi Fritillaire-Damier; dagli Inglesi Chequer Daffodil or fritillary, Snache s head ; dai Tedeschi Ge- mein schachblume. Quanto abbiamo detto della Corona imperiale, altrettanto devesi intendere di questa specie di gigliacee, che a vero dire è piuttosto una pianta d'ornamento che medicinale. I suoi bulbi crudi contengono un principio acre, cotti moslraua molta mucilaggine SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Stelo della Frilillaria quadrellata. 2. Badice e parte inferiore dello etel*/ 3. Stami, pistillo, ovario. 4. Ovario, pi«tillo. 90 ASFODALO FISTOLOSO Àsphoclelus minor, Clas. Hist. 197. — Àsphorlelus folìis Gslulosis Baub. pin. 29. — Aspbodelas Gslulosus Liun., spec. 444, Esandria moDogioia. — Willcl., sppc. 2, pag. 133. — Canav. Icon. 3, pag. 1, tab. 202. — Re- tloulé, Lil.IN. et tab. l78. — Delaua. Heib. de TAoi., loin. 7, lav. 494. — Juss. Gigliacèe. L' Asfodalo fistoloso cresce naturalmente nel mezzodì di Eu- ropa, cioè in Italia, nel mezzodì della Francia, nella Spagna. Alligna pure nel Levante , nella Barbarla , ecc. Nei paesi del Nord non rinviensi ; anzi nei giardini ove coltivasi, fa duopo te- nerlo riparato dal freddo durante l'inverno. La radice di questa pianta è vivace , formata di fibre fasci- colate : essa produce più foglie ritte, lesiniforme, convesse da un lato, piane e leggermente striate dall'altro, canaliculate in- ternamente, lunghe da sei a dieci pollici. Dal mezzo delle foglie nascono uno o due scapi cilindrici, nudi, ramosi, assai sottili, alti da quindici a venti pollici. I fiori sono bianchi, screziati di rosso, disposti lungo i rami e nella parte superiore a grappoli rilassati ed allungati. Ciascuno d'essi è portato su d'un pedun- colo assai corto, articolato nel suo mezzo e munito alla sua base da una piccola brattea lanceolata , membranosa. La co- rolla è monopetala, divisa profondamente in sei divisioni ovali, bianche , traversato da un nervo longitudinale di colore rossa- stro. Gli stami , in numero di sei , sono alternativamente più grandi e più piccoli, inserti alla base della corolla, al davanti di ciascuna delle sue divisioni. I loro filamenti sono leseniformi , a meno della loro base, che si spande in una larga scaglia che '^^yy^/^^w^ 191 copre r ovario. Questo è supero, globoso, sormontato da uno stilo filiforme diviso alla sommità in tre stimmi vellutati e curvi. Il frutto ò una piccola capsula globosa, arricciala a tre valve, a tre loggie, di cui ciascuna contiene due semi. L'Asfodalo fistoloso coltivasi anche nei giardini quale pianta d'ornamento; si moltiplica separando le sue radici e seminando i suoi grani ; ama una esposizione calda ; fa duopo tenerlo ri- parato dal freddo. Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto. Chia- masi dai Francesi Asphodèle fistuleux. Le radici di questa pianta erano da Dioscoride considerate come diuretiche e capaci di neutralizzare il veleno dei serpenti, Amminislravasi la decozione, fatta nel vino coli' aggiunta di mirra, di miele ed altre sostanze aromatiche. Oggidì è mandata giustamente all'obblio. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA ». Stelo di Asfodalo Bstoloso. ». Foglie. 192 ALBUCA GIALLA Àlbuca lutea Lana., Dict.Enc. 1, pag. 76. — Omilhogaluffl africanum Herm* Paracl. Boi. 209, tab. 209. — Albuca minor Lino., spec. 438, Esandiia monoginia. — Willd., spec. 2, pag. iOO. — Thiinb. Prod. 63. — Red. Lil. 1 . 6. et tav. 21. — Boi. mag. tav. 720. — Delaan. Herb. de rAm. tom. 7, 4^ 504. — Juss. Gisliacee. Le Albuche sono tutte piante esotiche; oggidì se ne conoscono diecisette specie. Esse hanno mollo rapporto cogli Ornitogali , dalle quali però si distinguono per le tre divisioni interne dei loro fiori, curvate internamente verso la loro sommità, e per gli stami che corrispondono a queste divisioni^ che sono sterili. La specie in discorso è originaria del Capo di Buona Speranza, sebbene la si coltivi nei giardini d'Europa da cento e più anni. La sua radice è un bulbo rotondo, grosso, alquanto compresso, munito alla base di fibrille o radichette. Essa produce due o tre foglie, spesso distese sul terreno, lunghe due e più piedi, con- cave nella loro superficie interna della base in ispecie, a segno d'abbracciarsi vicendevolmente, cilindriche un po' più in alto e lesiniformi alla sommità, d'un verde un po' pallido e glabro. Dal mezzo di queste foglie s'innalza un gambo ritto, cilindrico , alto quindici o venti pollici, terminalo da dodici a quindici fiori pendenti, alquanto distanti gli uni dagli altri, disposti in un semplice grappolo e sostenuti su d'un peduncolo parziale, oriz- zontale, munito alla sua base da una brattea lanceolata. La co- rolla è monopetala, divisa profondamente insci lacinie ovali- oblunghe, d'un giallo verdastro, colle tre esterne ovali , ottuse , aperte , e le tre interne eguali in lunghezza alle prime , ma ^i^^:^^ Tkr^^^ "^ 193 rìlle, ravvicinale, concave, colla loro estremità volta un pò" al- l'interno, segnate da due macchie sui loro margini superiori. I filamenti degli stami sono in numero di sei, bianchi, acuti ; tre situati al davanti delle divisioni esterne della corolla colle an- tere ovali, gialle, e tre altri sterili. L'ovario è supero, oblungo, a tre faccie, a tre angoli, sormontato da un grosso stilo, trian- golare , terminato da uno stimma corto, acuto, screzialo di pa- pille giallastre. Il frutto è una capsula a tre valve ed a tre logge polisperme. L'Albuca gialla , che non è se non una varietà della specie , fiorisce di primavera, e si moltiplica separando i suoi bulbi dopo là fioritura. Chiamasi dai Francesi Albuca jaundlre. L'Albuca gialla non merita l'attentione del medico, sebbene il suo bulbo sia Heila iialnra dei bulbi di tutte le pigliacee: è piattosto pianta d'ornamento. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. PìU» supcriore dello stelo, x. Bulbo e foglie. 3. Una delle divisieni «Iella cerolU. jf. Una divisioue esterna con udo stimma. 5. Duo ttamt. Tom. Yl 15 194 TILIPA SELVAGGIA Tulipa silveilris, L'tin. spec 438, esaiidria monoginia. — WillJ. spec. 2 pajt. 96. — Poiret, Dict. enc 8, |. 133. — Redolite, li!, n-, et I 16."5. — Tulipa italica; Bauh , piti. 63. — DelauD , Herb. He l'Am , I 2, lab. 140. -- Jiiss.,Gigliacee. La Tulipa selvaggia è assai comune nelle diverse contrade d'Europa: la si trova in Alemagna, nella Svezia, in Italia, in In- ;%'hiUerra ed in alcune parli della Francia, specialmente nei dintorni di Parigi. La radice di questa tulipa è un bulbo ovale, acuto, della grossezza dun nocciuolo ; bianco internamente, coperto d'una Ionica glabra, d'un rosso bruno, munito alla sua base di piccole radichelle. Esso dh origine ad uno stelo cilindrico, ritto, glabro, jS^iernilo inferiormente di tre o quattro foglie lanceolale-lineari, alterne, semi-abbracciacauli, corte, glabre, d'un verde glauco. Lo stelo spesso è semplice , allora non porta che un fiore ; alcune volte però si divide in due o tre rami, di cui ciascuno termina con un tìore. Questo è composto d'una corolla a sei pelali ovali- oblunghi, aperti a mo' di campana, inserti su due ordini, d'un bel colore giallo alquanto pallido ; di sei slami dello slesso co- lore della corolla a lilamenti spesso leseniformi , lanuginosi alla loro base con antere ovali-oblunghe alla sommità, a due logge; d'un ovario supero, allungato, a tre angoli ottusi, sorm.ontato da tre stimmi sessili alquanto vellosi, poco a presso della grossezza degli slami. Il frullo è una capsula ovale-oblunga, a tre angoli, a tre valve, a tre logge, che contengono grani piani, semi- orbicolari e disposti su due ordini. sjr ^ss. t:Mi^^'^^'€^^^^ ^^A^€l- 193 La Tiilipa selvaggia chiamasi dai Francesi /«///j*? sauvarie', dagli Inglesi /Jilld tulip; dai Tedeschi Ulllde tuìpr. Questa specie selvaggia coltivata nei giardini raddoppia e cen- tuplica i suoi fiori, dando origine cosi alla tulipa cciitifoglia di Tournefort [Tulipa lutea ccntifoUa, Turn. inst. 176, e che noi abbiamo fatto disegnare nella tavola 558). Anche le sue foglie, come osservasi nella succitata tavola , prendono maggiore svi- luppo da rassomigliare a quelle della tulipa gesneriana, di cui avremo occasione di discorrere. I bulbi dellii tulipa selvag-^i;) non differiscono dai bulbi delie altre piante appartenenli alia famiolia delie gigliacee. Cotti manifestano evidentemente un {iriiicijilo mucilaginoso: quindi dagli antichi erano considerati come emollitivi, e li conimendaTano nei casi o^e convengono questi limedi. St^IEGAZIONE DE{.LA 1 AVOLA Tulipa selvaggi.! 2 Bulini Ovario, pi'.';ll(), slami, 4 . Ovario. 96 Tl'LIPA OCCHIO DI SOLK -^vAAA]\R1-"-'^ Tulipa ntuliu «oli»*, Saint-Amans. Ree. soc. agr. rPAgen.., 1, (>. 33. — De- taix!., FI. liane. :^, n. 1936. — Red. lil. 4 n. et I, 219. — Tnlipa fl„ie iiibio (iarid. Aix 473. — Delaiin. Heib de l'Ani, l. t, lab. 8'». — Esandiia mo- M'iginia Lino. — Jins. Gijtliace«. La Tulipa occhio di sole cresce senza coltura nella campa- gna SI bella quanto ponno essere molte varietà coltivale nei giardini. Linneo la nomò tulipa di Gesner per la somiglianza che serba con questa nel suo portamento, non variando sensi- bilmente che nei colori della corolla, come vedremo. Questa specie di tulipa trovasi spontanea nelle campagne del mezzodì della Francia, nella Provenza, in alcune parti d'Italia e probabilmente in altre parti d'Europa. La sua radice ò anche un bulbo carnoso, coperto di scaglie d'un colore, parte bigio-secco, parte porpora-oscuro, parte tendente al giallo, mu- nito alla base di piccole radichette. Da questo s'innalza uno scapo alto un piede e più, munito alla sua base e nella sua parte inferiore di tre o quattro foglie lanceolate, d"un verde gaio, .spesso più lungo dello scapo o stelo stesso. Questo porta alla sua sommità un sol fiore ritto, grande, largo da cinque a sei pollici quando è totalmente aperto, composto di sei petali d'un colore rosso vivo, segnato alla sua base interna d' una grande macchia oblunga d'un violetto nerastro, circondato da una linea apparenlissima a guisa di zona d'un colore giallastro: i tre pe- lali esterni sono sensibilmente più lunghi degli interni ed acu- tissimi. Gli slami hanno i loro filamenti lesiniformi, dello slesso colore della macchia violetta che hanno alla loro base i pelali , 197 e portano antere ritte e quadrilatere, gialle e mollo più lunghe dei filamenti. L' ovario è supero, oblungo, triangolare, sormon- tato da uno stilo sessile. 11 frutto è una capsula triangolare, u tre valvole, a tre logge che contengono moltissimi semi. La coltura di questa specie di tulipa è facile : qualunque terreno le conviene: produsse molte varietà. La si moltiplica separando i suoi bulbi o seminando i suoi grani. Fiorisce sotto un clima caldo sul principio di primavera. La Tulipa occhio di soie chiamasi dai Francesi Tulipe oeil de soleil; dagli Inglesi Swìs^ Suns Eye tulip. Quanto abbiamo detto della tulipa selvatica può lifcriisi a questa specie , e>!>endu i suoi bulbi dotati degli stessi priocipii. E piuttosto piatila di orna- uiuuto. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Tullia occhio di sole. 2. Bulbo. 98 TUIJPA GESNEKIAN.\ •*è5^^!jJc'^^*> Tiilipa iiircatiiin, Gesuer ir; Valer. Cord, llist. 213 icoD. — Tulipa (.reeojj. et rubra Baiih. piti. 37. — Touin. iiist. 373- — Tulipa gesneriana Lini)., e,a!i- -Iria monooinia— WillJ. spec. 2, p. 97. — Poir., Dici, enc 8, pag.l33. — LaiJi., illusi. I. 24.Ì. — Delatin., Heib. de TAm. , t. 3, tab. 177, — Jiiss. GisHacee. Questa pianta cicsce naturalmente nel Levante, nell'Asia mi- nore e nella Russia. La si trovò eziandio in alcune parli meri- dionali d'Europa, nella Provenza e nei dintorni di Nizza. Nello stalo naturale i suoi fiori sono ordinariamente di un sol colore, ma coltivata produce fiori di diversi colori. Daremo a conoscere le principali varietà. La tulipa gesneriana ha per radice un bulbo alquanto co- nico, della grossezza d'una noce, bianco internamente e vestilo esternamente d"una tonica quasi membranosa , d'un bruno ros- sastro, munito alla sua base di piccole radichette. Il suo stelo è cilindrico, alto un piede e più, glabro; porta tre o quattro, foglie lanceolate, assai grosse, solcate d'un verde glauco, sessili, iiìtorne. Il fiore solitario alla sommità dello stelo, ritto s'i prima che durante il tempo della fioritura: è composto d'una corolla a sei petali ovali, ottusi, eguali ed aperti a mo' di campana, disposti su due ordini ; di sei stami a filamenti conij)ressi alla loro base, portando alla loro sommità antere ovali-oblunghe, ritte , a due logge ; dun ovario supero, oblungo, triangolare , sormontalo da uno stimma .sessile, a tre lobi solcali nel loro mezzo. La capsula è triangolare , a tre valve cigliale ai loro margini, a tre logge che contengono moltissimi semi piani, ro- tondi, disposti gli uni su gli altri in due onliiii. ^M 199 Questa specie di luiipa ebbe il nome dell'autore che pel primo la conobbe, Gesner, uno degli uomini più dotti del suo secolo. Fu Linneo che volle dare questa denominazione per me- moria del suo antecessore. Egli è nel mese di aprile 1559 che (jiesner osservò il primo la luiipa In discorso nel giardino di Giovanni Henri Ilerwart a Augsbourg, ove inviata dalla Cappa- docia, fiori per la prima volta. Negano alcuni botanici che questa sia una varietà della luiipa selvaggia. La Tulipa gesneriana, detta anche Tulipa dei fioristi, chia- masi dai Francesi Tulipe de Gesner, Tulipe des fleurisles. I bulbi di questa luiipa uello stalo selvaggio furono raccomandali conte am- mollienti, e commendati in tutti quei casi in cui convit-ne questa sorta di ri- medi. Doerrhavio li considerò come uutritivi ed afrodisiaci. Oggidì però sono abbandonati e le varie specie di luiipa non servono più che ad ornare i giardini. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Tulip.< gcsiieiiaiid. z. Slame. j. Fiullu iiiUeio. |. l'iuUo tiglulo. b. Seme. fal^^^^^^^S^ 200 uiACiNTo orientala; Hvaciiiihus orienlalis Biiub. più ii. — Dod pfn)|il. 2l6. — Flyacinllm* orieutalis Liiin., Esamlria naouoginra. — Delaun-, Heib. de TAtu., t. 6, lab. 366. — Juss, Gigliacee. Il Giacili:^ è una pianta che tanto venne celebrala negli an- tichissimi tempi, che solo per questo è degna d'essere descritta, I mitologi e l'immaginazione dei poeti abbellirono la di lei ori- gine dei più meravigliosi racconti. Era il giovane Giacinto, ee- condo la favola, teneramente amato da Apolline che seco lui piacevasi intrattenersi a giuoco. Un giorno che giuocavano alle piastrelle, questi colpi disgraziatamente il capo del suo giovane amato, che stramazzò e spirò fra le di lui braccia, mentre voleva soccorrerlo. Disperato Apolline di siffatta morte, cangiò il sangue, dalla ferita sgorgato, in un fiore, a cui diede il nome di gia- cinto. Di questa favola ne fa menzione Nicandro, uno del poeti più antichi di Grecia, ed Ovidio traccionne i seguenti versi : Ecce cnior, qui fnsus humi signaveral licrban, Desinit esse cruor, Tijrioque nilentior ostro Flos oritur, formamque capii, quam lilia; si non Purpureus color huic, argenteus essel in illis. Non satis hoc Pkebo est, his enim fuit auctus honoris Ipse suos fjemitus foliis inscribit: et ai ai Flos habel imcriptnm; fimestaque litlera ducta est. Mktamorph. lib, XII. vcrs. 210 et seq. ss/. Ct^ C^^€^yàl 201 A questo riguardo riferisce ancora Ovidio un" altra favola , giusta la quale Aiace, uno de' più vecchi guerrieri di Grecia, essendosi ucciso di disperazione per non avere potuto ottenere le armi di Achille cui disputava con Ulisse, fu cangialo in gia- cinto, come appare dal seguente passo: Ilubefactaque sanguine tellus Purpureum viridi genuit de cespite florem , Qui prim OEhalio fuerat de mdnere natns. Ijtlcra commimis mediis pueroque viroque Inscripta est foliis : hcec nominis, illa quereke. Metamorph. lib. XIII, vers. 394 et seq. E Virgilio forse volle alludere al giacinto, quando nella sua terza egloga , facendo dire a Menelao che disputò a Dametas il merito del canto, cosi si esprime ; Die quibus in lerris inscnpti nomina regum Nascantur jìores el Phyllida solus habeto. VlRG. 106. Plinio nota che il Giacinto già era in venerazione nei tempi della guerra Troiana , diffatti Omero ne parla come di un bel fiore, raccontando l'abboccamento di Giove con Giunone sul monte Ida, quando la Dea si propose d'addormentare fra le sue braccia l'immortale di lei sposo, onde dare in questo frattempo la vittoria ai Greci, cui ella favoriva. Il figlio di Saturno, dice il poeta , prendendo il suo sposo tra le sue braccia , la terra fece nascere d'intorno a loro fiori di loto, di giacinto, di zafferano. Quanto Teofrasto ci dice del giacinto riducesi a poco ; ne novera due specie, una selvaggia, coltivala l'altra. Dioscoride lo 202 descrisse iiicomplelamenle. IMinio non ne fa la descrizione, e solo si limita a dire che esso era adoprato nella linlura per tingere la porpora. Altri botanici antichissimi parlarono pure del giacinto, ma havvi dubbio se realmente sia della specie dei nostri; tanto confuse sono le descrizioni che ci lasciarono. Ciò non pertanto, molti botanici del medio evo, come Matioli, Ges- {ler, Clusius, Dodonceus, Caprerarius, Cesalpino, ecc. non fecero ditììcolta di riconoscerlo nel nostro giacinto orientale, e Linneo consacrò il nome di giacinto per un genere di pianta di cui fa parte la specie che descriveremo. Checche ne sia, il giacinto orientale è una pianta erbacea la cui radice è un bulbo rotondo, formato di più tonache scagliose che s'avviluppano esaltamente le une colle altre. Da questo si innalzano (piatirò o sei foglie lineari-lanceolate, tubulose, glabre, (Fun verde assai carico e lucenti. Dal mezzo di queste s innalza uno scapo cilindrico alto da sei ad otto pollici, munito nella sua parte superiore di sei a dieci fiori disposti in un grappolo sem- plice e muniti ciascuno alla base del loro peduncolo d'una brattea corta, membranosa. La corolla è monopetala, tubulosa, gonfia nella sua parte inferiore, divisa nella sua superiore in sei divi- sioni oblunghe aperte e rivolte all' infuori. Gli stami in numero di sei sono inserti nel mezzo del tubo e più corti di questo. L'ovario è supero, sormontato da uno stilo cilindrico, corto, ter- minato da uno stimma a tre lobi poco apparenti. Il frutto è una capsula a tre valve, a tre logge, di cui ciascuna contiene più grani rotondi e neri. Alligna naturalmente questa pianta nel Levante, nell'Asia, e vuoisi da alcuni recenti botanici che cresca pure naturalmente nei dintorni di Nizza , in alcuni dipartimenti meridionali di Francia ed in altre parli d"Euroj)a. Coltivata nei giardini pro- dusse varietà iiiimense che tutte hanno il loro nome speciale o (ii'.ello che ò singolare di divinità, di eroi, di re, di principi ed .li fri uomini o donne. Tali sono le variclìi dette Pollurr^ Ercoh', 203 Alessandro, Cartolano, Carlomiujno, lìegina Anna, Aspasia, ecc., .Monarca del mondo, meraviglia di Flora, principe dei fiori, bel- lezza inesprimibile. Il colore inoltre fu pure il soggetto di speciali nomi, come W g iacinto grande bianco , il porporeo,V indago, il hleu celeste, il roseo, e va dicendo. 11 Giacinto ai nostri dì non è the una pianta d'ornamenlo. sebbene il suo bulbo sia «Iella natura dei bulbi di tutte le altre gigliacee, e perciò possa ser- vire agli stessi usi. Gli antichi però gli attribuivano diverse proprietà favo- lose. Così secondo Dioscoride valevano a mantenere la pubertà: opinione che fu pure emessa da Plinio. Galeno lo considera alto a guarire il morbo veggio, e lo dà quale antidoto contro la morsicatura dei serpenti e degli scorpioni. Esso la parte della teriaca e d'altri preparati. SPIEGAZIO.NR DELLA TAVOLA I. Gambo iltl gi^iuilo oiiciitali: semiilicc ni lioie. i. RjiÌkc c Icglir. 204 ALOE PERIOGLIATO Aloe viilgaiis BauL,, pili. lib. 7, sect. S. — Tourii. class. 9. — Aloe pet:- fiiliala bumilis Liiiu., spec. 438. — Juss. class. 3, oid. 6. Gigliacee. — Poiiet, Fior, ined., t. 1, tab. 18 — Delaun. Herb. de l'Am., t. 1, tab. 70. L'Aloe è Oggidì in grande uso nella medicina e presta im- mensi vantaggi nelle arti e nelTeconomia domestica. Godeva di già anticamente di alla riputazione ed anche una specie di culto appo i maomettani , e specialmente appo gli egiziani , di cui si .servono per le cerimonie religiose come fa deir incenso il culto cattolico. Molte sono le specie d'aloe, fra le quali alcune che s'elevano ad altezze meravigliose, e portano foglie amplissime , alle volte imbibile di un sugo dolce, ma che con esse si ponno fabbricare tessuti diversi, soprattutto cordaggi forti e quasi incorruttibili , puossi anche ottenere un liquore fermentabile più o meno pro- prio per servire di bevanda. Secondo alcuni viaggiatori forniscono questi enormi aloe ad alcuni popoli, e particolarmente ai mes- sicani, si può dire, quanto occorre pel loro vivere: legna, travi, tegole, pinoli, siepi impenetrabili, brande, vesti, corde d'arco, legni per pescare, carta, vino, aceto, miele ecc. Noteremo però, che questi enormi vegetali, che tanta utililà arrecano al genere umano si riferiscono da alcuni botanici al genere aijodo che tanto s avvicina all'aloe, e con cui venne per lungo tempo con- fuso. Parleremo delle principali, di quelle in ispecie che servono maggiormente alla medicina, incominciando dall'aloe perfoglialo. Questa specie originaria dell Africa , in ispecie del Capo di S(^^ 2o;> Buona Speranza, ove cresce naturalmente in piena teri'a, venno trasportata nell'Asia, nell'America, nella Spagna. In Italia, so- prattutto in Sicilia, paesi tutti ove naturalizzossi facilmente, ed ove coltivasi in abbondanza per ottenere i suoi prodotti tanto utili alla medicina ed alle arti. Essa non ha stelo od almeno questo è costituito da un ceppo nascosto fra le foglie. La sua radice è vivace, carnosa, biancastra e tramanda qua e là numerose radichelle. Le sue foglie le une addossate alle altre, più 0 meno ritte , tutte disposte a mo' dei petali d'una rosa, sono piane nella superficie inferiore, convesse nella superiore, alquanto glabre, alcune volte un po' rossastre alla loro sommità, lunghe da tre a sette pollici, larghe da sette ad otto linee, do- tate su d'ogni lato, e specialmente ai loro margini, di spine er- bacee, molli , biancastre o di porri biancastri che sembrano essere spine abortite. Dal mezzo delle foglie s'innalzali pedun- colo 0 specie d'uno scapo che deve poi portare i fiori : esso e cilindrico, ritto, semplice, rossastro, coperto d'una polvere bi- gia, lunga da dieci a dodici pollici, guernito per tutta la di lui estensione e di distanza in distanza di brattee sparse, oblunghe, terminate in punta, striate, membranose, di cui le più inferiori hanno pressoché la forma e Ja consistenza delle foglie. 1 fiori sono situati alla sommità del peduncolo in un grappolo semplice a cui si frammischiano delle brattee quasi imbricate; ciascuno sostenuto da un peduncolo parziale della lunghezza di due o tre pollici. I fiori sono ritti prima della loro apertura e fioritura, inclinati dal lato della luce durante la fecondazione e di nuovo ritti, compita questa importante funzione. Ciascun fiore è com- posto di una corolla monopetala, cilindrica, d'un bel rosso nella . maggior parte di sua lunghezza, alquanto verdastra alla som- mità e quivi divisa in sei lacinie oblunghe, leggermente curve all'indentro verso la loro sommità; di sei stami coi loro filamenti bianchi, ineguali, più corti della corolla, portando alla loro som- mità antere ovali, ritte, che s'aprono per mezzo di due fessure longitiulinali per ispandere il polline, di un giallo-arancio : d'un ovario supero, quasi cilindrico, leggermente triangolare e segnato da sei solchi, non che sormontato da uno stilo filiforme della lunghezza degli stami , d'un bianco-verdastro e terminato da uno stimma ottuso. Il frutto è una capsula a tre faccie ot- tuse, a tre valve, a tre logge, di cui ciascuna contiene più semi rotondi, disposti leggermente su due ordini. L' aloe perfoliato nei paesi caldi cresce spontaneamente nei terreni argillosi, ma dove coltivasi quale pianta d ornamento nei paesi temperati o freddi è necessario coltivarlo in vasi per poterlo riparare dal freddo, essendo a questo sensibilissimo. Quando si può ottenere dei semi alla perfetta maturità, si molti- plica seminando questi in vasi di primavera ; ma il mezzo più pronto onde propagarlo egli è di profittarne de' numerosi getti che sbucciano all'intorno delle sue radici. Alcuni credono che il nome di Aloe sia stato dato a questa sostanza in ragione della sua amarezza , derivandolo dalla voce greca Alo Alos, significante sale. È però più probabile che tale nome sii d'origine araba, perchè furono gli arabi i primi ad introdurlo in medicina. L'Aloe perfogliato chiamasi dai francesi Aloe min, Aloe per- foìllée; dagli Spagnuoli Aloe, Zahilla; dagli Inglesi D'warf aloes; dai Tedeschi Zwery, Aloa; dagli Olandesi Aloe. S'iudica col nome di Aloe cerio esirallo resinoso solido, che si ricava da molle specie di piante del genere aloe di Linneo, e specialaieule dall'aloe perfo- gliato dissopra descritto. Questo sugo estrattivo naturale trasuda dalle foglie nel luogo ove si praticano incisioni , e si rende concreto sulle medesime. Esso si presenta in piccole lagrime granulale, trasparenti, di color rosso, bruno-scuro, ed a questo stato esso porla il nome di aloe lucido. Quest'aloe è però raris- simo nel commercio, e non s'incontra, diremo quasi, che nei gabinetti di storia naturale. Si distinguono nel commercio tre surla di aloe, e sono Valoe soc- cotriiio, Vepatico e il cabaìlino : 1. L'aloe soccolrino è la specie più pura e maggiormente slimala; pare clie debba il proprio nome a quello (lell'isula di Socotora nel golfo dell'Arabia, ove alile volte lo si preparava: di presente lo si apporta in maggior quantità dal C:ipo di Buona Speratila e dalla Giamaica, 207 Questa specie di aloe è iulerameiile solul.ile neiriiciiua l.ollenle, lascia de- pone col raffredda mento la materia resinosa che è uno de' suoi principii co- ^lilueuli. Si discioplie egualmente nell'alcool senza lasciar alcun residuo. Le parti solubili nell'acqua contengono più principio amaro che quelle solubili nell'alcool. Parli 100 di aloe soccolrino, secondo Richard , sono composte di un principio saponoso amaro solubile uell'actpia e uell' alcool e insolubde nel- Telere "^^ Resina 25 Traccia di acido gallico ....•• * Totale 100 Altri chimici di>.linti, fra cui citeremo Bouillon-Lagrange e Vogel, si sono parimenti occupati dell'analisi dell'aloe in discorso, ed ebbero su 100 parti i seguenti [)rincipii nelle indicate pro[)oriioni : Estrattivo 6^ Resina ...■■•■•■ ^'^ 100 Secondo Braconille perù, tanto l'aloe soccolrino che le altre specie non sono una gomma resina, come fu dello da alcuni, ma un pi\nà\no sui generis; che <\ accosta tuttavia più alle gomme che alle resine, e [)er il quale egli [ìropose il nome di resino amaro. Esso ha fondalo la saa opinione sopra ciò, che l'aloe è interamente solubile nell'acqua come nell'alcool, e in conseguenza non si |)uò in esso separare perfettamente la gomma dalla resina. Non taceremo per altro che Tromsdorf avvicinossi all'opinione dei succi- tali Bouillon-Lagrange e Vogel, e pro^ò, che l'aloe conteneva realmente due materie; T una estrattiva e saponosa, l'altra [luramente resinosa: poiché si di>cioglieva perfettamente nell'alcool, e che esso ne stava abbastanza lungo tempo sema alterazione nell'acqua; ma dopo alcun tempo questa sostanza re- sii:o^a comunica all'acqua una tinta ed un leggero sapore, il che deve essere attribuito piuttosto ad un principio di decomposizione che ad una vera disso- luzione. Lnperocchè risulla dall'analisi paragonata fatta da Bouillon Lagiaiige e Vegel, come paossi vedere dalle analisi : 1. Che l'aloe soccolrino contiene 68 di estrattivo o principio saponoso e 32 di resina, mentre l'aloe epatico contiene 52 di estrattivo e 6 di niateri.-j insolubile, distinta da Tromsdorf sotto il nome di albumina vegetale coagidala. 2. Che l'aloe soccolrino si resinifica col cloro, e che esso dona un olio volatile aggradevole colla distillazione, mentre l'aloe epatico non ne fornisce: quest'ultimo carattere, secondo Chevalier, non sembra senza importanza, poi- ché si sa che l'aloe che entra nella preparazione dell'elesir di Garns viene soppresso come inutile da alcuni pratici, e frattanto l'olio volatile dell'aloe soc- colrino imprime a questo liquore un gusto particolare piacevole che può con- tribuire alla sua jiiopiielà stomacica. 3. L'aloe epatico è desso meno puro, meno valutalo del surricordato; trae 208 il proprio nome dal suo «:olore rosso- bruuiccio, nel quale si rintenne qualche analogia con quello del fegato. Lo si ricava dagli stossi vegetali del prece- dente, dopo però d'averlo assoggettato ad una forte pressione, sotto la quale trascinando col succo varie sostanze ne altera la pureita. Esso è in masse di color rosso-bruuiccio: la sua spezzatura risulta appan- nato, opaco, la sua polvere di color giallo- rossastro: ha odore forte spiacevo- lissimo, il sapore amaro. Secondo Bouillon-Lagrange e Vogel lOO parti di aloe e|)atico sono fornite di Estrattivo ..... ... 32 Resina , ... 42 Materia insolubile che sembra albumina ... 6 Totale 100 Questa specie inoltre differisce dalla precedente per la mancanza dell'olio volatile otioroso, e per la presenza dell'albumina, di maniera che non è punto solubile per intiero né nell'acqua bollente, né nell alcool. 4. L'aloe caballino, varietà im[)urissima, che contiene maggior copia di so- stanze estranee di ogni altra, sicché la si adopera soltanto nella medicina ve- terinaria, d'onde il nome di aloe caballino E quasi nero, opaco, di spezzatura ineguale a motivo delle sostanze estranee che racchiude; il suo odore ha qual- che analogia con quello della mirra; stemprato nell'acqua lascia depositare della sabbia e molta materia estranea. Sono alcuni anni che si sparse nel commercio un'altra varietà di aloe sotto il nome di aloe del capo od aloe lucido, che non sembra differire essenzial- mente dallo soccolrino. E desso di colore giallo più Irasjiarenle e quasi vitreo. Lo si prepara evaporando lentamente al solo calorico del sole il succo che fluisce natiH'almenle dalle foglie tagliate delle varie specie appartenenti al ge- nere aloe, ed in particolare, secondo alcuni autori, aW'aloe spicata. Le tre surricordate specie di aloe, cioè soccotrino, epatico e caballino, sono i prodotti d'una sola operazione. Si riuniscono le foglie di tutte le specie di aloe e si pestano: vi si aggiunge dell'acqua per estrarne il succo: si fa bollire il residuo espresso in nuova acqua per estrarne tutti i principii estrattivi. Si cola la decozione, si lascia deporre e si decauta, si unisce col succo espresso preliminarmente. Allora si fa riscaldare ogni cosa; il calore opera la separazione del paren- chima del succo di queste piante: si cola di nuovo e si fa evaporare in grandi caldaie sino a consistenza di estratto: si cola questo estratto ancor caldo in un gran recipiente e si lascia raffreddare lentamente: tutte le «alerie inler- [losle vanno a disporsì in fondo del vaso secondo il loro proprio peso speci - Geo. 1 primi strati, come più leggieri, offrono l'aloe più trasparente e li- tengono il nome di aloe soccolrino coi caratteri suddescritti. Gli strati medii o secondarli sono uu (ìoco più opachi, il colore ne è più oscuro; si distin- guono sollo il nome di aloe epatico o giallo: il suo odore è lorle, poco ag- gradevole: il suo sapore è egualmente amaro, la sua polvere d'un giallo rovr- sastro. Gli strati inferiori sono carichi di lutti i corpi stranieri che non eram* 209 f !;btf sospesi nello bliiito niicor ciiKIo. Quesfaloe è più comp;itto, e presenta i surrifeiili caralleii. Contieoe, oltre restrallivo e la resina, della sabbia e molte altre sostanze straniere. L'aloe è uno dei catartici i più usali, e la materia medica possiede in questo sugo una soslauia medicamentosa veramente pregievole. IVuu si adoprano però che le varietà più pure, il soccotrino ed il lucido. Esercita un'azione speciale sugli orgaui iligerenti; preso in piccola quantità, come quella di due in tre grani, slimola leggermente lo stomaco e favorisce la digestione; ove si aumenti questa dose a sei od otto grani, la sua azione si estende allora agl'intestini e si esercita in particolare sulla parte inft-riore del tubo alimentare; vi determina certo eccitamento, vi sollecita il concorso del sangue, la secrezione mucosa, producendo la espulsione delle fecce accumulale nell'intestino crasso. Aumen- tando la dose e continuandone l'uso j)er vario tempo, diventa maggiormente sensibile la irritatione cagionata sull'intestino crasso, cbe produce parecchie co- liche, e l'intestino retto diventa la sede di una vera flussione. 1 vasi emor- roidali si gonGano e la membrana mucosa si fa rossa, seuMbile; sotto ogni egestione vi m patisce un senso di gravezza e di titdarione. Soffrono in par- ticolare queMi effetti gl'individui sottof>osti alle affezioni emorroidali; i loro tu- mori si gonfiano, diventano dolorosi e producono di frequente un copioso scolo di sangue. L'aloe adunque va annoverato tra i medicamenti purgativi, dra- stici e tonici. Opina Vvedekin che l'aloe non agisca come tutte le altre sostanze purgative, cioè irritando, ma sì bene egli crede, che la facoltà purgativa dell'aloe sia se- condaria e ud» primaria; che questa sostanza sviluppi l'azione sua dopo di e^sere stata assorbita e trasportala nel torrente della circolazione; che me- scolala al sangue agisca effettivameule nel fegato : e che in fine l'accresciuto or- gasmo di questo viscere determini una maggiore secrezione di bile, e conse- guentemente un aumento nelle alvine evacuazioni. In seguilo a tal modo di vedere sull'azione dell'aloe, e dietro molle e reiterate osservazioni, stabilisce : i. Che l'uso dell'aloe è commendabile nel diietto di secrezione della bile. 2. Che del pari si rende utile nei casi di atonie dngli intestini colon e retto. 3. Che egualmente gioverà l'aloe nel Irattamenlo di quella specie d'itte- rizia dipendente dal difetto di energia vitale nel ,si>>leriia epatico. 4. Che in fine si prescriverà vantnggiosamente Taloe coniro gli ascaridi, appunto perchè questa specie di vermi soggiorna unicamente nell'intestino retto. All'opposto l'aloe sarà contro indicalo: L Nell'itterizia procedente da uno stalo flogistico di legalo. 2. Nei casi di calcoli biliari. 3. Nelle ostruzioni del fegato accompagnale da idropisie. 4. Finalmente sarà da riputarsi nocevoie l'uso dell'aloe [)er quegl' indi- vidui soggetti a pletora addominale ed affetti ad emorroidi. Seppero i pratici approfittare dell'azione speciale che l'aloe esercita sopra l'intestino retto e della flussione che vi determina, e lo sommiuislrarono eoa profitto agl'individui soggetti alle emicranie, alle stitichezze resistenti, che spesso ne sono la causa ; valse spesso a menomare certa congestione sanguinea della testa, apportando unj prcfittevole derivazione sull'inlestino retto. Siffatto Tom. VI. n 210 ineiliciimenfo fu triulle usalo nella pratica meilica iu ispecialilà quale mezzo ir; certa jjuisa profilatico o preservativo; in piccola tlose lo si prescrive con van- taggio ai vecchi tanto per accrescere le forze digerenti , come per tenere lu- brico il ventre, non che alToggetto di mantenere neirinteslino retto cei la lieve Irritazione, la quale diventa un mezzo derivativo delle congestioni cerebrali, di cui sono si frequente minacciale le persone attempate. L'amarezza inoltre di cui gode l'aloe ha condotto i medici ad impiegare questo rimedio nella cura delle ostruzioni di fegato, e molti sono i vantaggi che se ne ottengono. La stitichezza che sembra accompagnare i cronici inel colore trasparente, solubile nell'acqua e suscettibile di essere applicato senza appa- recchio alla tintura della seta. Guillaume Poerner ottenne un bel colore bruno colla sera[)lice immersione d'una stoffa di lana in una ilecozione d'aloe. Si j)repara ancora una vernice aloetica, che garantisce i mobili, i letti e le col- lezioni di storia naturale dal tarlo. 11 sugo d'aloe per ultimo, ispessito conve- nientemente, offre alla pittura in miniatura un bel colore trasparente. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA i. Foglie d'aloe perfogtiato. 2. Parte superiore dello scapo. J Stami, i Pislillo. ^1 2 ^ .. ALOE SOCGOTRINO Aloe soccolriiia Laiu., Euciclop.l, 83. — Decimi., Fl.gr., t. 85- — Roq. l>liy!ogr. raeJ., t. 1, pag. 142, tah. lO. — Linn., Esandiia niouogiiiia. — Jnss. Gigliacee. Questa specie di Aloe, che da alcuni botanici non viene con- siderata che quale varietà dell'Aloe perfogliato [Aloe per [oliata vera Limi.), e che trovasi in qualche autore sotto la stessa denomina- zione, non essendo dalla vera distinta che pel vocabolo rem, cresce abbondantemente nelle Indie, e soprattutto nell'isola Socolra, onde il suo nome ; e pretendesi che il sugo che da questa spe- cie e varietà ricavasi sia il migliore ed il più puro. Noi cre- diamo però che l'aloe soccotrino del commercio derivi da vario specie 0 varietà d'aloe, e che venga solo sotto tale denomina- zione, perchè più puro e di prima qualità. Checché ne sia, la specie che ora descriviamo, concorre pure a somministrare l'aloe di cui tanto si fa uso in medicina. Le foglie di questa specie sono lunghissime, strette, succo- lenli, alquanto macchiate, ensiformi, dotate di molte spine lungo tutta l'estensione del loro margine, d'un verde per lo più scuro. Dal mezzo di queste foglie s' innalza lo stelo quasi cilindrico, terminato da una bella spica di fiori. Essi sono alquanto di- stanti gli uni dagli altri , pendenti e composti di una corolla (calice di Juss.) tubulosa, a sei divisioni profonde , ritte e volle all'infuori verso la loro sommità ; di sei stami inserti alla base del calice e a stimmi leggermente trilobati. Il frutto e pure una 213 capsula a tre logge che racchiude semi-circolari, angolosi e li. L'Aloe soccotrino chiamasi dai Francesi Aloe soccotrin. Questa specie di aloe abbonda molto di succo, che estraesi nel modo iudi- cato, parlando della suddescritta specie, sollo la quale abbiamo pensalo di rife- rire tutto quanto ci parve necessario, sia riguardo all'uso medico, che agli usi suoi nell'economia domestica e nelle arti, del sugo che in commercio viene sotto il nome di aloe, e che è il prodotto di varie specie di piante dello stesso genere. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA j. Stilo o gambo dell'aloe soccotrino, i. Foglie. 3. Slami « pislilio. 214 ALOE LINGUA t^^tt^%^^f^ Aloe lingiin Tourn , Diss. n. 11. — WillJ., spec 2, p. 189- — Ait., Hort. kew , etl. 2, voi. 2, p«g. 297. — Lam., Dict. enc 1, p- 90. — Decanti. Pi. grass. , p. et t. 68 — Aloe dislicha Limi , sp. 4o9, Esandria monogi- uia — Deliiiiri. Ilerl). de l'Ani., I. 3, l;d). 130 — Jiiss. Gigliacee. L'Aloe linguiforme fu trasportato dal Capo di Buona Speranza da cento e più anni, e venne fra poco sparso per ogni dove di Europa quale pianta d'ornamento. Il suo stelo è corto, munito per tutta la di lui estensione di foglie alterne, distiche, abbraccia- cauli alla loro base, oblunghe, ottuse, grosse, carnose e cartila- ginose e dentate ai margini, glabre, d'un verde-chiaro alquanto glauco, coperte di macchie bianche e di verruche alquanto pro- minenti. Dalle ascelle delle foglie superiori s'innalza un pedun- colo lungo un piede circa , nudo nel suo terzo inferiore, carico nel resto di sua estensione di moltissimi fiori pedicellati , d'un rosso dì corallo per la metà di sua lunghezza e d'un bianco- verdastro nell'altra metà, formando per la loro disposizione un grappolo oblungo. Ciascun fiore particolare poi è composto di una corolla cilindrica, gonfia verso la sua base, alquanto curva e divisa in sei parti o lacinie saldate insieme e solamente libere al loro margine; di sei stami più corti della corolla ed inserti nel ricettacolo ; d'un ovario supero, ovale-oblungo, sormontato da uno stilo un po' più lungo degli stami e terminato da uno stimma ottuso. Il frullo è una capsula a tre valve, a tre logge che con- tengono semi trigoni , neri , membranosi ai margini e disposti su due ordini. Questa varietà si coltiva come tutte le altre ; è delicata pel wtyaa ZÌO freddo , fa perciò d'uopo coltivarla in vasi per poterla mettere , durante la fredda stagione, in una serra temperata. La si mol- tiplica il piij delle volte per baibatella. Fiorisce di primavera. L'Aloe lingua, detto volgarmente Aloe lingua di bue, Aloe lingua di gatto, cliiamasi dai VnmcQsì Aloes linguiforme, Alocs langue de ba'uf Aloes langue de chat; dagli Inglesi Tongue aloe; dai Te- deschi Zungenblatfrige Aloe. Questa specie nei nostri paesi non produce che piccolissima quantità di su^o, ma nel paese ove è originario vuoisi che concorra pure a produrre l'aloe ilei commercio. Non occorre discoirere su (|uesto prodotto, avendone diflusamenle parlato trattando dell'aloe jiertogliato. SPlEGAZIOiNE DELLA TAVOLA 3. Aloe tiugua. 2. Parte superiore del peduncolo. 3. Siami. 4. Ovario. 216 ALOE VARIEGATO -'^AJinf'JlfLri/^ Aloe afiicnn.i huniilis Till , horl. pis. 7. lab. 7. — Aloe paniila Zeylauica ser[teiilaria Bieyii., [norl. 2, |.ag. 12. — Aloe variegata Liiin., sp. 459, Esaii- (Iria nioiiogiiiia. — Will. sp. 2, pag 190. — Lam., Dici. ''ne. 1, pag. 89.— Decauil . pi. j;r. n. et lab. 21. — A't. Hort. kew., e(]. 2. pag. 296. — De- laun.., Heib. «le l'Am. t. 2, tab. 90 — Jiiss Gigliacee. Quesla specie venne introdolta in Europa Tanno 1700 da semi inviali dal Capo di Buona Speranza e coUivati in un giar- dino di Amsterdam : d'allora in poi si sparse in quasi tutti gli orti botanici e nei giardini d'ornamonto. Il suo stelo è quasi nullo, munito in gran parte da foglie oblunghe, carnose, a tre faccie , d'un verde-oscuro, screziate di macchie bianche, a tre margini coriacei, dentate e terminate da una punta dura. Queste foglie sono sessili, serrate, imbricate su tre ordini. Frammezzo s'innalza un peduncolo cilindrico, sem- plice, d'un verde glauco-scuro, alquanto rossastro, lungo da do- dici a quindici pollici, nudo nella sua parte inferiore, guernito nella sua metà superiore di dodici a venti fiori dotati d'una pic- cola brattea alla loro base, ritti prima della fioritura, pendenti nel tempo della fecondazione, sostenuti da corti peduncoli e disposti in una spica terminale. La loro corolla è composta di sei petali d'un rosso vivo, allungati, uniti e saldati insieme in un tubo solamente diviso alla sommità in sei denti. Gli stami in numero di sei hanno i loro filamenti quasi della lunghezza della corolla, d'un rosso chiaro, avendo alla loro sommila antere ob- lunghe, gialle, che s'aprono per due fessure longitudinali. L'ova- rio è ovale, oblungo, quasi cilindrico, sormontato da uno stilo filiforme dello slesso colore e della stessa lunghezza degli slami 217 li iVullu clic succede ai liori è una capsula quasi cilindrica , a Ire valve, a tre logge divise da un Iramezzo impeirello, di cui ciascuna contiene luinierosi semi disposti su diversi ordini. La sua coltura è analoga a quella della precedente specie. Fiorisce per una gran parte d'inverno, qualora sia tenuto in una serra a conveniente temperatura. L'Aloe variegato, così detto per le belle macchie che presen- tano le sue foglie, chiamasi dai Francesi Aloe panoche, Aloe perrogué; dagli Inglesi Palridf/e - hreast aloe; dai Tedeschi ScJmckifje. Il sujjo elle fluisce da (|iiesla specie ili aloe uel paese nativo è analogo a (]uello delle altre specie, e la parte dell'aloe del coinmeicio. Serve agli stessi usi. ^i^^m^és^^^ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Foglie, 2 Peduncolo fiorito. 3. Suini, j. Pislillo. 218 ALOE VERRUCCM) '+3^eH Aloe alìicaHa bumilis Weim, Pbyt. io. 58 —- Aloe acuminala Laiu., Dici, euc. 1, p. 90. — Aloe verrucosa Ait, Ilorl. kew., ed. 1, voi. 1, pag. 468. — Willd-, spec. 2, p. 139. — Aloe caiinala eusiloruiis Decaod., Plaut. giass. u. et l. 63. — Esaudria mouogiuia Linn. — Gigliacee (asfodali) Juss. — Delauu., Herb. de rAm., l. 3, lab. ìli. L'Aloe verrucoso è coltivalo nei giardini d'Europa da mezzo secolo circa. Esso trovasi descritto e disegnato per la prima \olta neWIJortus Amstelodamensis di Commellin pubblicato nel 1701. È originario dal Capo di Buona Speranza, ove crescono molte altre specie. La sua radice è vivace , composta di fibre cilindriche al- quanto ramose. Essa dà origine ad uno scapo corto, avvolto ed abbracciato da foglie allungate, lesenil'orrai, disposte su due ordini opposti, a tre l'accie, colla supcriore piana, coperte per ogni dove da verruche bianche e come cornute, onde la denomi- nazione di aloe verrucoso. I suoi fiori sono pendenti sul proprio peduncolo e disposti in un lungo grappolo semplice , lungo da dodici a venti pollici , rosso nella sua parte superiore e munito nella parte inferiore di alcune brattee membranose. Ciascun fiore è composto d'una corolla monopetala, cilindrica, curva, d'un vivo rosso nella sua metà inferiore , verdastra e divisa in sei lacinie alquanto profonde, al suo margine libero; di sei stami più corti della corolla a filamenti bianchi, alquanto ineguali, con antere gialle , ovali-oblunghe ; un ovario supero, ovale- oblungo, sormontato da uno stilo un pò" più lungo degli stami. 11 frutto è una ca[)sula a tre logge, a tre valve, che contiene più grani membranosi ai loro margini. J^^ 219 L'Aloe verrucoso chiamasi dai Francesi Àlucs à verrues. Questa specie è mollo sensibile al freiklo: quindi duranle la invernale stagione fa d'uopo tenerla in serra: quando la pianta trovasi in buona condizione fiorisce per la maggior parte del- l'anno, producendo alcune volte successivamente nuovi grappoli. Si moltiplica seminandone i grani , che assai bene pervengono alla maturità sotto il nostro clima, oppure trapiantando le bar- batelle che nascono a lato del piede principale. Il sugo cbe si ricava di questa pianta serve pure a forinare l'aloe del com- niprcio. Imperocché, come già ripetutameute abhiaaio avvertito, l'aloe quale Vendesi iu commercio nou è il prodotto d'una sola specie , m.i bensì il sugo concreto di molle il più delle \olle mescolato assieme. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Aloe verrucoso. 2. Parte superiore del peduncolo. 3. Ovario, siilo, slimmi. /(. Ovaho e pistillo. 5. Capsula. 6. Due semi. 220 FAMIGLIA G5"A OvAvut 141 Dtwiwà. — "il iuss. COLCHIG ACEE Jussieu nel suo Genera plantarum vi pose Ira i giunchi i generi colchico e veratro che insieme con alcuni altri costitui- scono questa nuova famiglia di DecandoUe. Lo stesso praticò Venlenat , come vedesi in seguito. Siffatta separazione , giusta a quanto asserisce Richard « è giustificata non solo dalla con- siderabile differenza esistente nei caratteri botanici tra le vere giunchee e le colchicacee, ma inoltre da quella delle loro mediche proprietà. La prima famiglia pel fatto , si compone di vegetali inetti ed insipidi, mentre che le piante formanti la seconda rendonsi considerabili atteso T azione potente, però deleteria, che esse esercitano suireconomia animale ; per tal guisa i bulbi del colchico autunnale, le radici dei veratri ed ellebori , le capsule della sabadiglia sono fornite di somma acrezza dipendente, come provarono le analisi di Pellctier e Caventou, da un principio particolare che sembra di natura al- calina e che dissero vemlrina. Siffatta acrezza deve rendere so- spetto l'uso delle piante spettanti alla famiglia delle colchicacee. Dislinguesi questa famiglia inoltre pel suo calice lungo, tu- buloso, il cui lembo e allargato od a sei divisioni eguali ; pei suoi sei stami distinti ; e pel suo genere trilobato; ogni lobo del 221 quale porla alla propria sommità uno siilo lunghissimo. La capsula è ovale, a Ire facelle a tre lobi. Ventenat unisce in questa famiglia, che h la iv del suo Ta- bleau du regne vegetai eie, sette generi divisi in tre sezioni : L Le Giuncoidi aventi il calice glumaceo ed i semi at- taccali confusamonte nellangolo interno delle cellette Ophyllan- tìies, Jimcus ; 2. Le Giuncoidi munite di calice serai-petaloideo e coi semi inseriti alle pareli delle valvole Cbmm^/ma e Tradescantia ; 3. Le Giuncoidi che portano un calice petaloideo e che hanno i semi insorili alle pareli delle valvole Narlhecmm , Ve- ratriim, Colchicum. Dici. hist. nat., t. xii, p. 318. 222 VERATRO BIANCO Hellebonis all)ijs flore siiliviridi B.iiili., p'm. , lih. o, seul. 4. — Toiiiu. class. 6, Rosacee — Veratniii album Lino., class. 73, Poligamia moiioecia. — Jass., class, 3, onl. 3, Colcliicacee (giuncacee f^ent.). — Roy , Pliylogr. l. 5. Alcuni autori credellero riscontrare in questa pianlal'^'/Moro Manco diTeofrasto e degli antichi; ma quanto questi asserirono egli è più che insufllcienle per dare una tale quale probabilità alla loro opinione. Siffatta pianta altronde per nulla somiglia all'elleboro, sia per forma, che per carattere de' suoi fiori, e non ha rap- porto se non nella sua proprietà, di cui alcune hanno molta ana- logia coU'elleboro bianco ed elleboro nero, farmaci di cui fassi uso frequente nella medicina d'oggidì. La pianta che ora descriviamo sotto il suo vero nome di ve- ratro bianco, cresce in molte parti d'Europa, specialmente nei dipartimenti meridionali del Delfmato, della Savoia e sulle montagne del Piemonte. Le sue radici sono grosse, alquanto car- nose, composte di moltissime radichette bianche, riunite in un ciuffo. Da queste s'elevano gli steli ritti, cilindrici, alti da tre a quattro piedi, guerniti di foglie alterne, grandi, ovali-lanceolate, glabre, munite di molti nervi paralleli, ristrette alla loro base amo' di guaina che abbraccia lo stelo. I fiori sono disposti in un ampio peduncolo terminale, accompagnati da brattee membranose, lan- ceolate,e d'altre più piccole, alquanto concave alla base di ciascun pedicello. Ciascun fiore poi è composto d'una corolla d'un bianco verdastro, a sei frastagliature profonde-ovali, mediocre- mente dilatate (calice di alcuni autori): di sei stami, di tre ovarii distinti che abortiscono in molti fiori, terminali da stili cor- S(^ ^fy^li^4^ ^^{!^a^.^c^ ■^ /*^ t# lissiiìii. Il frullo consiste in Ire capsule ritto, alluniialo,akiuanlo acute, leggermente compresse , che s' aprono nel loro margine interno quasi in due valve , di cui ciascuna contiene moltissimi semi quasi imbricati, membranosi , aderenti per mezzo di un pedicello lungo la sutura interna. Il Veratro bianco, detto anche Veratro sahadilla , SahatUìa , Sabadiglia, Elleboro bianco, chiamasi dai Francesi Yaraire, Hel- lebore Mane; dagli Spagnuoli Vedegambre bianco, Elebore bianco; dagli Inglesi White fleltebore ; ihi Tedeschi Pf^eisse niesivurz; dagli Olandesi fpll nieskniid. Le sole radici di questa pianta formano oggetto di materia medica, e sono nel- Topporluna stagione raccolte dagli erbaiuoli per essere conservate nelle farmacie. Quale viene pcjrlala dalle montagne, o\e laccolgonsi per la massima parte e rii migliore qualità trovasi in |ieiii simili a coni troncati, lunghi due o tre pol- lici, di circa un pollice di diametro; sono neri e sugosi esternamente, muniti di radichette numerose, della grossezza d'una penna e giallastre alla parte esterna. Questa radice lia un sapore primieramente dolciastro, poi amaro, acre e cor- rosivo. Questo sapore la distingue facilmente dalla radice di asparago, il quale d'altronde è sempre munito di radicbette più floscie, che di rado si disseccano. Aggiungi, che la radice di asparago non è mai conica né compatta come quella dell'elleboro bianco. Dietro Tanalisi della radice di veratro pubblicata da Pelletier e Caveuton essa contiene : Una materia grassa composta di elaina , di stearina e d'un acido volatile, Del gallato acido di verafrlna , Una materia colorante gialla ; Dell'amido ; Del legnoso ; Della gomma. La veralrina scoperta nel I8l9 da Pelletier e Caveutou (Dir. ined. 833), ed alTincirca nella stessa epoca da Meissuer, è corajiosla come segue : Carbonio 66.7S Azoto 3,04 Idrogeno . , . . ' 8,34 0-.sigeuo 19 67 100,00; la si rin?iene nei semi del vera' rum sahadiìla, nelle radici dell'elleboro bianco e dei colchici. Proprietà fisiche e chimiche. Essa è solida, hianca, polverosa, priva Ji odore, di sapor sommanienle acre, seuza miscuglio di amarezza; applicala auclie ÌD piccola dose sulla membrana pituitaria, ioduce starnuti violenti, il qual ca- rattere, insieme col suo safiore, bastano per distinguere la veratrina dalle altre basi saliGcabili. Si fonda essa al 50° del termometro centigrado, e presenta l'aspetto della cera , ciocché non (anno né la stricnina, né la cinconina; col freddamento essa rappigliasi in una massa pellucida di colore ambraico: l'acqua bollente non ne .stempra che 1|1000 del suo peso, ed acquista sensibile acrezza. L'etere e specialmente l'alcool la disciolgono facilmente, mentre la emeliua pura non riesce sensibilmente solubile nell'etere. Rimette l'azzurro della carta di tor- nasole arrossata con un acido, e satura gli acidi coi quali essa forma sali non cristallizzabili e sempre acidi; è noto airopposlo che molli sali di chinina, cin- conina, brucina e stricnina sono cristallizzabili. L'acido nitrico non l'arrossa mi- nimamente, e la decompone di leggieri, ove sia concentralo ed in gran copia; la brucina e la morOna all'opposto vengono arrossate dall'acido nitrico. Il per- idroclorato di ferro non l'azzurra mica, mentre comunica esso sifFatto colore alla morfina. Gli alcali non islemprano la veratrina, ed a questa lelleboro bianco, il colchico e la sabadilla devono le loro proprietà venefiche. Propose Magendie sostituire la veratrina all'elleboro, al colchico, alla sabadilla in tutti quei casi nei quali sono indicali siffatti medicamenti; dice, averne ri- tratto ottimi eflelli in alcuni vecchi, i cui crassi intestini contenevano una con- siderevole quantità di miiterie fecali durissime; pro(>ose amministrarla in pil- lole, sciolta nell'alcool, allo sialo di solfato e di [lon.ata. Questa ultima prepa- razione va specialmente adopr.tla nel caso di reumatismi cronici, auassarca e golia. La dose della veratrina nell'interno è di IjS ad 1|4 di grano per prin- cipiare; (inora i pratici non parvero disposti ad usare sifTalto medicamento. Preparazione. Si tratta la sabatilla coll'elere, che di>cioglie ceila materia grassa, un acido odoroso, una materia colorante; si traila il residuo coli' alcool bol- let\fe a molle riprese; secondo che le soluzioni alcooliche si freddano , precipitasi cera; si filtra e si evapora fin a consistenza di estratto cui rappigliasi mediante l'acqua fredda; si evapora la soluzione acquosa, ed osservasi che si (le|)one una materia gialla ranciala a norma che succede la evaporazione. Allorquando il li(]iiore è bastantemente concentrato, lo si precipita coll'acelato di piombo; si filtra ed oliiensi cerio liquido quasi privo di colore; vi si fa passare una cor- rente di gas acido idrosoUorico per iscomporre l'acetato di piombo in eccesso. Si filtra, si concentra il liquore coHevaporazione; lo si tratta colla magnesia, lo si filtra di nuovo, ed il [uecipilato magnesiaco contiene la veratrina ; lo si traila coll'alcool che scioglie la veratrina ; basta evaporare la soluzione per otteneie questa base, cui si purifica, sciogliendola di nuovo nell'alcool. Come tulle le altre colchicacee, le diverse parli di veratro sono dotate di pro- prietà medicinali energiche Esse sono pure velenose per la maggior parie degli animili. I semi ucciduiio i polli ed altri uccelli donaestici. Le sue foglie sono possente veleno per le oche. I suoi giovani germogli sono capaci di lar perire le pecore, e purgano violentemente i cavalli ; e la radice è talmente virolenta da uccidere in brevissimo tein[)Ocani, gatti, lapini, solo la si applichi su alcune piaghe che questi abbiano I^Ialioli riferisce che la maggior parte degli 225 aaìroali muoiano qiiaiiilo sulo tengano feriti con arma immersa nel s'icco del ve- ratro: e [treleudesi cLe gli anticLi spaguuuli se ne servissero appunto del sugo di questa pianta onde avvelenare le freccie per la caccia degli animali selva* liei. Molli autori antichi inoltre, fra questi Conrad Gesnner, Bergius, El- muller, Benivenius ecc. atleslano, in appoggio anche ai falli, la velenosità della radice di elleboro bianco sull'uomo. Vomiti, veiligini, deliqui!, tremori, af- foiiia , dispnea, soppressione di respirazione, disloriione degli occhi, convul- sione, una specie di strangolamento, sono i fenomeni più comuni die s'osser- vano ueiraweleDamenlo cagionato da questa radice: ed in molti casi ancora la morie, lasciando traccie d'inBammazioue, ed anche punti gangrenati sullo stomaco e sugli intestini, non che i polmoni ingorgati d'una grande quantità di sangue nero. L'acrimonia di questa radice è talmente velenosa, che alcune goccie in un'infusione acquosa può determinare tristi effetti. « L'elleboro bianco, dice il professore Bruschi, è più da riguardarsi come una pianta venefica e sospetta di quello che sia come una pianta medicinale. Basta leggere ciò che riferisce il Murray e consultare i varii traltatidi tossico- Icia per persuadersi che l'elleboro bianco agisce e nell'uomo e negli animali come uu possente veleno ". Anche le esperienze fatte da Magendie confer- mano la veueficità di questo vegetale. Lo stesso attesta Orfila appoggiato a numerosi esperimenti da lui istituiti. Non ostante la sua aiione comprovantissima di velenosità, venne l'elleboro bianco adoprato come medicamento anche dai medici antichi , a cui attri- i)uivatio un' aiione purgativa energica, e l'usavano frequentemente in molte affezioni del sistema nervoso. Elmuller, Mayerne, Ileuruius, Lorry lo ado- praroDO nella denomania, nella melancolia e nella mania. Lo prescrissero al- cuni autori antichi nelle idropisie ; ma, come saggiamente osservano Murray e Gmelin la violenta della di lui aiione, procurò più frequentemente la morte che la guarigione. In Russia è mollo in uso contro le affeiioni verminose, non esclusa la tenia. Il succitato Conrad Gesnner spreca i più grandi elogi alla di lui aiione alterante ed aperitiva, ed a questo farmaco attribuisce pure la proprietà di facilitare l'esercizio di tulle le funzioni e d'attivare sino le ope- rauoni dello spirito, ma a piccolissime dosi. Lo vantò pure contro la sifi- lide costituzionale. Li America si servono del sugo di questo vegetale nella cura della scabbie. Secondo il surricordato Bruschi la primitiva azione di questo vegetale, os- sia quella che esso chiama d'impressione, e appunto quella d'irritare somma- mente lo stomaco e d'indurre una emesi più o meno violenta giusta la dose -. Già abbiamo fallo cenno del conto in cui tenevano gli antichi medici VA- Tom. VI. ir. 220, leboro bianco, agj;iiiiij!ei'Pmo ancora, che da essi veniva preconiziato coulro il tenibile morbo deiriibolobia; e mollo celebrala veniva la di lui aiioue, che la credevano quasi speciOca nel debellare e distruggere le inveterate cuta- nee, malattie sordide, come la vitiligine , la lebbra, l'elefantiasi e simili. Di più molti medici di questo secolo, alHdati airautoritè degli antichi, hanno pur voluto tentare nuovi esperimenti sull'efficacia di questo farmaco nel trattamento delle anzidette malattie. 1 risullamenli da essi ottenuti alcuni sono favorevoli, mentre altri sono tali da non inspirare gran Gducia ad un medico avveduto circa la pre- scrizione dell'elleboro bianco. Al di d'oggi però e quasi da ritenersi come un me- dicamento proscritto, ed il cui uso è più riserbalo alla medicazione di certe esterne malattie di quello che sia per le interne; sebbene alcuni autori pre- tendano che la di lui aiioue sia analoga a quella dell'elleboro nero, di cui abbiamo trattalo nel primo volume di quest'opera. Per l'esterno il vegetale in discorso, siccome irritantissimo, è stato applicato qual forte errino e steruuturio, e se ne sono perciò introdotte piccole quantità nell'interno delle narici di alcuni individui attaccati da apoplessia, come pure afFetti da colosi,e si assicura avere con tal mezzo ottenuto dei vantaggi. Fu pure adopiato per uccidere i pedocebi della testa. La decozione delle radici, e la loro inlusione fatta nell'aceto vengono riputate utilissime per lavande ad oggetto di distruggere prontamente le malattie cutanee, ed in ispecial modo la psora. Presso il volgo di alcuni paesi le lavande di elleboro costituiscono un famigeratissimo rimedio antipsorico. Volendosi inoltre dai medici azzardare in qualche modo l'uso interno della radice di elleboro bianco, questa può prescriversi in polvere alla dose di due a quindici grani. Varii preparali si possono inoltre fare coU'elleboro bianco- L'e- stratto acqueo che si amministra alla dose di due a sei grani. La tintura acqueu- vinosa ed alcoolica preparata con una libbra di questi fluidi digerita sopra un denaro o lutto al più sopra una dramma di radice contusa: queste tinture si pre- scrivono a piccoli cucchiai ed a lunghi intervalli. Il mele elleborato che si pre- para colla decoiione della radice di elleboro bianco mescolata col mele. L'un- guento di elleboro ecc. Swediaw nella sua Materia Medica propone il cafìTè come antidoto dell'elleboro bianco e suoi preparati. Il veratro per ultimo co- stituisce la base della tintura elleborata della Farmacopea di Londra, ed entra nella composizione delle pillole policresle di Starckey e dell'unguento autil- triaco. Riguardo alla veratrina riferiremo alcun che delle belle osservazioni di Turnbull : " La veratrina del commercio è quasi bianca e sotto forma di una polvere solide; non ha odore, ma quando viene a caso, ovvero altrimenti posta in con- tatto della membrana mucosa del naso, induce degli starnuti veementi ed anco pericolosi : quando si applica alla congiuntiva produce grande irritazione ac- compagnala da copioso flusso di lagrime, la quale non cessa per alcune ore. Ha un sapore acre, non amaro, ed agisce fortemenle sulla membrana mucosa dello stomaco e degl'intestini: se venga introdotta in questi organi, si ha tosto la prova dell'alta sua virtù eirietica e purgativa, poiché, anche ne' vecchi , un quarto di grano agisce possentemente su di loro ; ed in alcune sperienze gli 227 eflelti riuscirono si nolevoli da mosliare che la morte ne sarebbe seguila tl;ilb amoiioislraiìoue di pochi graui. In preiiarando la veraliina qualche volta suc- cede che veugano inspirale delle particelle sospese nell'aria ; in tal caso gli ef- fetti ne sono generalmente purganti. Andrai, il giovine, tro\ò che quando era applicata immediatamente sopra i tessuti, ne se{;ui\a tosto infiammazione gravis- sima; che quando ne era introdotta una piccola quantità nelle vene, inifires- sionava l'intestino crasso; e che quando veniva spinta a gran dose o nelle vene. o nell'intestino medesimo, succedeva il tetano. Muovendo da queste circostanze può dirsi che la veratrina a ragione (u considerata .un rimedio {bruito di mas- sima attività, sembra che da poco tempo siiisi creduta utile e salutare la in- troduzione sua nella pratica medica; che, sebbene alcuni l'adopeiarono anche più addietro, non cousta che se ne tacesse un uso alquanto esteso. " La veratrina è stata prescritta internamente ed esternamente. Si dà inter- namente, sotto forma di pillola, o sciolta, nell'idrofìe, nella go!l;i, nel reuma- tismo, e simili; ed esternamente si applica o sciolta, o meglio aucor.i sotto forma di linimento fitto colla grascia di porco; ma siccome quest'ultiiua maniera di usarla è quella a cui riguardano più specialmente le nostre osseivaiioni , ci limiteremo ad essa. Il linimento può fusi con 10 a 20 o più grani di vera- Irina per ogni oncia di grascia, e con un pezzetto di esso, grosso come una nocciuola, si frega mattina e sera per 5, )0 o lo minuti la cute più vicino che sia possibile alla sede del male. La fregagione ripetevi sino a tanto che ne siegue la diminuzione dei sintomi più molesti , usate anco le necessarie cautele, onde la pelle, che devesi fregare col linimento, sia intatta, altrimenti cagionerebbe grave irritazione della parte; e per le ragioni già addotte, la persona che lo adopera si guardi bene dall' introdurne ani he un.i piccolissima quantità sotto le palpebre. " La prima circostanza di che si meraviglia ognuno il quale prescrive all'e- sterno questa medicina, è la grande differenza cui trova esservi tra i suoi elFetti sull'organismo quando gli è così applicata, e quelli che derivano dall'uso interno della medesima. Abbiamo detto che quando se ne applica anche una piccolissima quantità alle membrane mucose, produce ivi gravissima irritazione ; e che allor quando viene introdotta nello stomaco, agisce alla maniera degli emetici e dei catartici ; ma quando si stropiccia la superficie del corpo con sei od otto grani di essa al giorno, (ler [liù settimane od anche per alcuni mesi , non ha luogo nessuna di taU conseguenze: poiché, sebbene l'organismo sia stato assoggettalo alla influenza della veratrina per lutto il tempo che occorreva, onde ne fosse sentita l'azione, si è osservato che essa invece calma la irritazione, sopisce il dolore e ravviva grandemente l'animo. L'abito di corpo e la sanila migliorano; l'appetito non manca, ed anche sovente cresce; il malato non soffre la minima nauseate gl'intestini, piuttosto che essere impressionati nella maniera che l'uso interno del medicamento ci indurrebbe a predire, o naturalmente adempiono le loro funzioni, o sono costipali alquanto, onde abbisogna di un lassativo per rimetterli nel loro slato ordinario. '■'■ Quando la veratrina è usata esternamente nelle idropi, gli effetti emelico- catartici, prodotti dall'uso suo interno, si cangiano in una operazione diuretica tanto singolore e vantaggiosa da efrelluare la escrezione dell'umoie effuso in 228 tempo mollo più brevp, rlip non impie^an.ln al meiU^simo fine qualunque alti» «•onoscinto limfilio; e (pifstu è avvenuto in parecclii casi, quando gli altri meni erano già stati sperimenluti sema utilità; ma nelle malattie non aceompagate da effusione di siero, nessun effello sopra i reni venne mai osservato. u La pelle, che è stata Irepata col linimento, anche se la fregagione non siasi mai interrotta per un tempo piuttosto lungo, non mostra nessuna traccia d'irrilaiione: e sebbene in certi casi un leggier rossore tosto invada la super- ficie iVegala, nondimeno svanisce entro un'ora o due, e la pelle riacquista il suo color naturale Quando s& ne adopera una quantità che ecceda i pochi grani, i maiali generalmente si lagnano di torte calore e pulsazione nella parte, e sino a tanto chf questi fenomeni abbiano luogo, gli effetti della medicina or- dinariamente non si afipalesano; tale circoslania merita adunque ogni attentione. e può considerarsi come un criterio, per regolare il limite a cui la Iregagione può essere estesa senza che arrechi pregiudizio, ed anche per giudicare della fuirezza della veratrina adoperata; poiché quando è impura, come alcune volte fu (-onosciuta tale, sifFalle molestie non si producono, e l'azione sua non riesce si certa ed efficace, come allorquando è libera da ogni mescuglio. Quest'ultima osservazione fa d'uopo onde il pratico non si latini di mancanza d'effetti del me- dicamento, ove impura fosse la veratrina soutministratagli. " Dopo che si è fatto uso del linimento per uno spazio di tempo bastevole, altinchè tutto l'organismo trovisi posto sotto la si^a influenza, il senso di calore e di pulsazione stendesi dal luogo dove la fregagione venne eseguita, su tutta la «.uperficie del corpo, e talvolta si eccitano dei moti convulsivi involonlarii nei muscoli della bocca e delle palpebre; ma questi sinto'ui spariscono tosto che l:i fregagione venga interrotta per uno o «lue giorni, e nessuna spiacevole con- sfgiieiiza ne riesce al malato. La seusibdità rielle parli che vennero stropicciate .s'accresce a segno da renderle impressionabili da certi slimoli , particolarmente dall'elettriiiià o galvanismo. Questi agenti sono stali alcuna volta adoperati in- sieme col linimento di veratrina, ma diedero origine a molestie tanto acute, che insopportabile ne divenne l'ulteriore loro uso, e ciò senza la minima per- cettibile alterazione della pelle. D'allionde non pare necessario che la Irega- gione sia falla precisamente sopra la sede della malattia : imperocché mi occor- sero poco fa due casi, in cui gli individui sono siali stropicciali quanto rendevasi d'uopo per curarli di malattie dolorose, in parti del corpo molto distanti da quelle che già da lungo tempo erano atielte ». Basti ciò in riguardo alla nozione generale di questo rimedio dataci dall'au- tore. Ora c'innollriamo ad esaminare i decantali successi nelle malattie del cuore, nel tic doloroso, e in altre forme di neuralgia , nel reumatismo, nella paralisi, nella idrope, nella gotta, nell'amaurosi, e simili: 1. Malattie del more "La prima classe di malattie, in cui l'uso della veratrina si trovò assolutaineute vanlaggio^a, abbraccia molle di quelle anomale affezioni del cuore e dei sistemi della circolazione, dove i sintomi, quantunque abbastanza molesti da eccitar timore nel maialo o ne' suoi amici, pure mancano fli certi segui la cui t>resenia è necessaria perchè sicno giudicale organiche. Non ho disegno ora di avvertire che alcun utile costante è riuscito dall'uso del medicameiilo in casi dove era già avvenuta un'alterazione di tal sorta , ma 229 ii successo «ii uua |iralÌ€a estesiìbsiina iu tali aiTezìuuì , lu'ìuduce a sperale che le muleslìe iJegti ammalali passano essere alleggerite sino a quel limite dentro il (jiiale iiuu solo meno penosa sia loro la vita, ma aucbe seutansi capaci tli ^ilem|)iei'e alle ordinarie loro laccende. >•<■ Queste malattie sono f;eneralnieute caratleri/iale da dillicollà di respiro, con tosse e speltoraiione, da impossibilità di slare coricato lungamente, da sonno inter- rotto, da gonfiezza e freddo delle estremità, da palpitazione, da polso frequente, piccolo, irregolare, da ansietà e da un senso di dolore, o piuttosto di siringi - mento nella regione del cuore : da ricorrenti lipolimie e da senso di soQbcazione. Il rimedio fu utile anche in casi più gravi ; imperocché un individuo affetto di angina pectorìs ebbe notevole sollievo e permanente vantaggio da poche frega- l'ioui col linimento. Durante l'azione della veraiiina,il polso ilivieue più forte e regolare, le estremità riacquistano il calor naturale, e la gonflezza, se ve ne ha alcuna, prestamente svanisce : le labbia pure ritornano al loro colore ordina- no, e la laiiità generale, non che la fìsonomia del malato olirono uu grande miglioramento ; quasi a un tempo cessano l'angoscia e Tansielà che prima op- primevano, ed il sonno si fa regolare, relocillanle, non più è interrotto j la tusio e la spetlorazione scemano di giorno in giorno, le lipotimie e il senso di suf- tocazione più non ricorrono, ed il malato in uno spazio di tempo quasi iucte- «libile riacquista la sanità. Quantunque sia questo l'andamento ordinario del- l'azione ilella veraliina in queste malattie, pure induce talvolta degli efletii «li altra soita, almeno durante il tempo che e u^ala. Avvenne che dietro una sola applicazione i sintomi, e particolarmente la palpitazione, si accrebbero a segno tale che Iu impossibile di persuadere il malato ad una seconda ; ma la irrilj- ziuDe, ciò che è veramente un fenomeno singolare, cessò iu uno o due giorni, e insieme ad essa scomparve anche ogni traccia del morbo, onde il soggetto eia preso. Per lutto il tempo che Torganismo è tenuto sotto Tintluenza del rimedio, le funzioni si mostrano poco alterate, eccetto la secrezioi.e dell'orina, la quale si accresce oltre il limile ordinario ; e quest'ultima circostanza probabilmeuie nasce da ciò che vi ha effusione di siero iu alcuna parte del corpo; comlizione che sembra necessaria onde la veratrina produca uu effetto diuretico ". 2. Dell'uso della veratrina nelle nettralgie. « In «piesto capitolo sono descritti tiedicì casi e provare gli effetti della veratrina contro le più im- purlauli forme di ueuralgia, aventi sede nelle varie parli del corpo. Abbiamo sette casi di tic doloroso uei quali tutti avevano sotlerto i malati per alcuni anni i più cruccianti dolori , che ben poco venivano per alcun tempo mitigali da qualsivoglia meloilo di cura a loro opposto. Tulli siffatti casi furono alleggeriti a capo di mezz'ora dopo la Iregagìoue col linimento di veratrina. In altri casi I parossismi ritornarono, ma sempre ad intervalli più lunghi , e costautenieute erano troncali con una nuova applicazione del rimedio- Dove mauilestavasi lesa la digestione, si ricorreva ai mezzi ordiuarii per ristabilirla. Degli altri sei casi uno concerneva un'emicrauia, in quattro Iraltavasi di neiiralgia del dorso,- ed in un altro di dolore atroce alla regione del cocige. In tutti questi si oUeu- nero dalla veratrina gli stessi buoni risultameuli. Rileriamo le riflessioui del doUor TurubuU sull uso della medesima in questo genere di mali : ^230 <' Neil usare ia veraliina coniro il tic doloroso devesi priucipaìrneiite far at- leuiiune alla parte della taccia ed alla estensione della superficie in cLe il dolore Ila sede, ed alla lunghezza del tempo da che la [)ersona cominciò ad esserne affetta. In riguardo alla prima di queste circostanze è stato osservalo che nei casi dove l'afiezione non è circoscritta ad iin punto particolare, ma si estende lungo i rami del nervo, nel quale ha sede, i sintomi possono assopirsi mollo più presto, ed a mezzo del linimento composto di una minore quantità di veratrina, che nel caso contrario; e questo probabilmente deriva da ciò, che io simili casi i sintomi sono meno intensi , ed essendo la superBcie dell'affezione più estesa che allorquando occu[)a un punto solo, havvi Popportunilà di adoperare il ri- medio sopra un maggior numero di punti affetti a un tempo medesimo. Nei casi poi di malattia lunga si ottiene una cura compiuta più diftìcilmente che quando ebbe origine da poco tempo; ma non sembra che questo derivi da una minore efficacia del linimento ad assopire il parossismo ne'casi di tal fatta piut- tosto che negli altri ; imperocché quasi sempre ajiporta esso un subito sollievo, ma bensì dall'abitudine che la malattia ha assunto nel lungo suo corso, di ricom- parire a determinati intervalli : nondimeno anche questa può togliersi colla do- vuta perseveranza, ed ottenersi la guarigtone, se non presto del pari, almeno certo egualmente come ne'casi meno pertinaci. 3. Velia veratriììa rei reumatismo. L'autore riferisce nove casi di que- sta malattia, dove fu adoperata la veratrina. Alcuni di essi erano nello stadio acuto, gli altri nel cronico. Il linimento nei primi casi fu stropicciato diret- tamente sopra la superGcie infiammala, e invece di aggravare la irritazione, la flogosi e la gonfiezza, cessarono prestamente e svanì tosto il dolore. " Può nascere il dubbio se l'uso del linimento di veratrina riuscirebbe utile nel grado più allo dello stadio infiammatorio, poiché nei casi già riferiti non venne esso adoperato se non dopo gli usuali rimedi antiflogistici, e da certi risul- lamenli ottenuti durante la sua operazione, apparirebbe che la malattia deve av^r (esistito per qualche tempo avanti che la veratrina possa sviluppare sudi ^ssa alcun effetto; ma ulteriori sperienze su questo punto decideranno presto la quistione ■>■>. Dove la malattia è acuta la proporzione della veratrina dovrebbesi diminuire, atteso la larghezza della superficie su cui bisogna stropicciarla , e la quantità impiegatane, « poiché tanto in questa, come nelle altre affezioni, la forza del linimento sempre do\rebbe essere relativa allo «[lazio cui viene applicata ". 4. Delia veratrina nella paralisi. « I buoni eflfetli della veratrina contro il tic doloroso e la paralisi parziale che sovente lo accompagna , indussero a lame prova nelle affezioni paralitiche di altre parti del corpo ". Nei casi ad- dotti dal doltor Turnbull «^ esisteva la malattia a diversi gradi d'intensità; iu due 0 tre gli ammalati avevano quasi intieramente perduto la facoltà del moto in un lato del corpo, ma la ricuperarono stropicciando col linimento le estre- mità affette, e massime lunghesso i nervi. La maggior parte però soOrivauo lievi paralisi di certi muscoli, o sole o congiunte ad altre affezioni, e special- mente col tic doloroso. *.t Nei primi casi, essendo più estesa la natura del morbo, fu d'uopo un trat- lamento curativo alquanto più lungo, ma nell'ultimo una o due fregagioni h;islarono per restituire i muscoli allo slato di sanità. 231 " Io ogni caso, tio()o eseguile le liegugioui, si eccil.i un i;ia(lo «li calore e di pulsazione uelle parli, da princii)io leggiero, nta poco a fioco più manifesto «lit'lro ciascuna delle successive a[i[>lic;izioni, Gno a lanlo che i nervi delle parli alfetle sieno stimolali bastevolmeiile, onde riassumano le loro funzioni ". 3. Della veratrina nellidrope. « Le idropisie trattale colla veralrina sono Tidrotorace, l'ascile, l'anassarca e quella delle ovaie: in tutte essa riuscì di uti- lità, ma principalmente nelle Ire jirime, diversi casi delle quali furono curati in una o due settimane, aucbe allonpjaudo i sintomi erano tanto minacciosi , che sembrava esservi pericolo della vita dentro alcune ore. Ma nellidrope sac- cata ossia cistico, il vantaggio che si ollieue non e si grande, nò si appalesa tanto preslamenle come nelle forme suddette; però in alcuni casi si è ottenuta la guarigione perfetta insistendo nel Irallamenlo curativo, e in diversi altri il tumore venne materialmente diminuito ". « Avanli di usare la veratrina bisogna esaminare lo stato di lutti gli organi, dall'alterata struttura o lese i'uniioni dei quali trae origine la raccolta acquosa ; altrimenti il rimedio non produrrà i soli suoi efifelli ». « Rileva altresì di porre attenzione allo stalo dell'individuo, e di osservare la regola già menzionata concernente il ra[)porlo che deve esservi tra la forza ilei linimento e l'estensione della superGcie che con esso fa d'uopo stropicciare; poiché, ommesse simili avvertenze, può succedere che la cura non sorla il de- siderato successo. Quantunque -le fregagioni ci dovrebbero fare, se pure è pos- sibile, su lutla la superficie che copre la raccolta acquosa ; e quantunque di- versifichi questa, secondo il sito e l'estensione che occupa; pure nessuna pre- scrizione applicabile ai singoli casi può farsi, eccellocbè la quantità del lini- mento da stropicciare ogni volta contenga per gli adulti non meno di 2, né più di 4 o 3 grani di veratrina; e la fregagione duvrebbesi continuare circa 20 minuti e ripetere una o due volle al giorno, secondo l'impressione fatta; questa generalmente comincia a manifestarsi dopo poche . 3. Materia grassa comj)0!>ta di elaiua e Ji stearina. 4. Cera. o. Materia Colorante gialla. () Gomma. 7. Legnoso. La sabaililla va pure riguardata quale medicamento [lericoloso; è dessa dit- lalti dotata di somma acrezza dovuta principalmente alla veratriua che con- tiene. INondimeno alcuni autori suggerirono di somministrarla internamente per combattere la tenia. Schumker ne spinge la dose sino a mezza dramma , cui somministra in fiolvere. Oggidì però si usa di rado, e solo la si applica eslerna- mente per distruggere i pedocchi, sebbene non sempre scevra d'iuconveuieuti. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Vcralro nero. 2. Foglia. 236 COLCHICO AUTLIiNNAI.E Colchicum coramiiiie Bauh. |)in. lib. 2, secl. 3. — Touru. class. 9, Gigliacpe. — Colcbicum aiitumuale Linn., Esaiulria trigìnìa- — Jnss. class. 3, or. 3,Colcbi- cacee. — Poiiel, Flor.nieil , toiu 3, tab 127 — Ricb. Dot. med-, t. 1. Questo nuovo genere di pianta l'orma, come gih abbiamo ac- cennato, il tipo della nuova famiglia delle colchicacee, e sembra che il suo nome sia derivato da Colcbide, ove è comunissimo, e paese in cui abbondano le piante velenose. Secondo il pro- fessore Bruschi sarebbe u presumibile che il nome di col- chico dato dai Greci alla pianta in discorso e conservato anche posteriormente, sia stalo desunto da Coleo, o perchè il colchico vegeta abbondantemente in quel paese , ovvero, perchè la ra- dice di colchico formasse una parte dei celebri veleni che si componevano in Coleo ». Checché ne sia, a tutti è noto come verso la fine d'estate brillino a mille a mille nelle nostre pra- terie umide fiori assai simili a quelli dello zafferano. Precursori dell'autunno, il loro apparire rattrista per l'avanzarsi della brutta stagione. L' epoca di sua fioritura ci oifre un fenomeno notevolis- simo. I suoi fiori s'innalzano immediatamente dal colletto della radice, muniti alla loro base da una spala cilindrica, fessa da un lato e quasi totalmente interrata ; questi fiori in quest'epoca sembrano soli , senza foglie e senza steli. L'ovario, situato nel fondo del tubo della corolla , è sempre profondamente sotto terra: fecondalo dagli stami rimane in questo slato lutto l'in- verno sollo la neve ed il ghiaccio quasi senza vegetazione ; alla S'(f^ €c^x^ f^^t^^/1!:^y^'7^^t 237 primav(M-a poi sbucciano i iViilli con un ciuffo di foglie grandi e lunghe. Descriveremo ripartilamente ciascuna parie. Le radici del colchico sono composte di molle fibrille disposte in un ciuffo al dissolto di un bulbo rotondo, carnoso, simile a quello dell'aglio, biancastro internamente ed avviluppalo da al- cune toniche brune , quasi secche. Le foglie sbucciano imme- dialamentc dalla radice e sono grandi, piane, d'un verde assai bello, glabre, lanceolate, acute, intiere, lunghe da sei a dieci pol- lici e più, larghe almeno un pollice, guainate alla loro base e unite tre o quattro assieme. I fiori ora bianchi, ora rosei, ora d'un rosso pallido, altre volte violacei ecc., delti appo noi frei- dolìne, perchè precursori del freddo, sono composti d'un lungo tubo cilindrico che esce immediatamente dal bulbo, terminato da un lembo campanulato, diviso in sei profonde parti, lanceo- late, ottuse, lunghe un pollice e più ; di sei filamenti aderenti all'origine del tubo che sostengono antere oblunghe e vacillanti. L'ovario è situato nel fondo del tubo, sul bulbo delle radici, sormontalo da Ire lunghi stili filiformi , terminati da altrellanli stimmi curvi a mo' d'uncino. I frutti sessilii consistono in una capsula a tre logge, a tre lobi ritti, alquanto acuii e riuniti nella loro parte inferiore. Esse s'aprono lungitudinalmenle nella loro faccia interna e racchiudono moltissimi semi piccoli e rotondi. Due epoche adunque di vegetazione devesi considerare dal colchico: 1. la fioritura sul principio dell'autunnale slagione: 2. la fogliazione e fruttificazione nella primavera. Essendo il colchico comunissimo appo noi, non si coltiva nei giardini se non quale pianta ad uso della scuola botanica nelle collezioni che servono a tale fine. Pretendesi che il suo bulbo, che è la parte più adoprata in medicina, possegga diverse pro- prietà secondo l'epoca in cui è raccolto. È bene schiantarlo prima della fioritura. Il Colchico, detto anche Giglio mallo, Strozza- cane, Freido- liiia, Porracea, chiamasi dai Francesi Coìcìtique, Tue-rìiien: dagli 238 Spagnuoli Colc/iico (juilaìncììendas;di\^\'ì Inglesi Meadow-Saffvon, Tiiberot; ùaìTcdeschì Zeillose, Lichlhlnme \ dagli Svezzesi Nokna jungfrur; dai Polacchi CimowU. Sono i bulbi solidi del colchico le uniche parti di questa pianta che abbiano fissata l'allenzione dei medici. Come si smercia comunemente esso ha una loitna ovoide, della grossezza di uu marrone convesso da un lato e incavato lon^ltu- diualraente ilall'altro, d"un grigio giallastro esternamente, marcalo di strie uni- tormi , prodotte dalla disseccazione, bianco e farinoso inlernamenle ; hanno sapore acre, ardente, nauseoso al pari del loro odore che riesce sf)iacevolissimo. Forma l'amido da se solo quasi tutta la massa di questi bulbi. Ecco i priu- cipii che rinvennero Pelleticr e Cavenlou, che ne istituirono l'analisi: 1. Una materia crassa formata di elaina , stearina e d'un acido volatile particolare, 2. Della veratrina , 3. Una materia colorante gialla , 4. Gomma , 5 Amido, 6- Inulina in abbondanza, 7. Legnoso. Dai più antichi scrittori di piante si è lai la menzione del colchico, valulamlo in questo vegetale non taulo le proprietà medicinali, quanto le sue proprietà venefiche; proprietà cui anche i moderni investigatori ammettono in alto grado. Galeno e Dioscoride lo riguardano come un violento veleno. Ludovici attesta d'aver veduto un conladino morire di violenta purgazione dopo d'averne preso una «lata quantità. 1 turchi si procurano un'ubbriachezza estatica ed una specie di stupidezza per mezzo della macerazione vinosa di questa pianta Van Swieten, Garidel, Pej'er ed altri osservarono di\ersi av\elenamenti prodotti da questo vegetale. Stacher dopo d'avere trangugiato una piccola quantità di sugo di bulbo di colchico, pro\ò angoscie, lipotimie, vivi dolori ed altri sintomi imponenti si, da minacciargli la vita: ebbe calma dei sintomi mediante una buona dose di acelo. Né mancano moderni investigatori che attestino la grande velenosità del colchico. Fra' quali citeremo Orfila che lo ripone fra i veleni acri. Giova però notare che i bulbi del colchico non hanno sempre la slessa energia in tutte le epoche del loro sviluppo, e che risultano »eramente dotati della pienezza delle loro facoltà solo allorquando la pianta percorse lutti i periodi del suo accre- scimento. Tuttavolta, non ostante la velenosità rli questo vegetale, i medici, si antichi che d'oggidì , si valsero e si valgono del colchico e suoi preparali in molle ma- lattie. Egli e specialmente nelle idropisie che Galeno e Ippocrate l'avevano in conto, nell'asma umido, nella leucofleinraasia,neU idrotorace e simili. Zach.KrapI, Plenck, IMarge, Plouchon, Dumonceau, Elherman, Junckerel e altri meno an- tichi. Sloerik ricouf.'bbe the aumenta singolarmente la secrezione delle orine, 231) ed è sotto lille fine ilie vi si ricorreva Irequenlemeule, e vuoisi sia stato il primo a ridonare alla materia medica questo farmaco per qualche tempo ne- gligeiìtato. Dopo questi, non hanno mancato i medici ed i tossilogi d'instituire alili es()eriinenli onde calcolare Paiioue del colchico sugli animali, dai quali esperimenti è permesso deduire, giusta il Bruschi « che questo vegetale sviluppa sul vivo oiganismo un'azione analoga a quella dell'elleboro bianco. Brandie e Villis, quantunque non escludano dal colchico un'azione irritante e flogosante sulle parli cui viene a contatto, ammettono però che il principio attivo di questa pianta, «lopo che è stato assorbito ed introdotto nel torrente sanguigno, pser- cita una decisa azione deprimente sulla potenza nervosa, e consecutivamente af- fievolisce d molo del cuore e delle arterie. Ecco il parere del Carminali : Sopra nuovi usi medici del colchico autunnale- Poiché mollo da noi s'im- para, al dire del Magalotti, disimparando alcune cose che si erano imparate, non saranno i medici per maravigliarsi dellinaspetlato vantaggio che da ciò, pochi anni sono, io ebbi quando col trascurare le da me imparale intorno agli usi ed ai principi! del colchico autunnale {colchicum auiumnale L:nn.),(\nki\\*i che ora mi faccio ad esporre fortunatamente imparai. Pare in vero che mentre per le cancellate precedenti idee la mente si trova più disposta a concepirne e ritenerne altre novelle, debba di leggieri avvenire che alle prime, per isveu- tura (alse o |)oco precise, altre in essa succedano vere ed esalte. Per lo che non credo d'ingannarmi se all'avere disimparate o neglette alcune dottrine comunemente ammesse all'azione e sull'uso dell'ossimele latto coUaceto avente in- funa la radice ilei colchico (colla qui in Milano ed in Pavia, ove abbonda al fin di primavera), e col miele in doppio peso, ascrivo l'acquisto di alcune me- diche cognizioni , le quali sono per indicare, supponendole ai progressi della teriipeutica, che l'uomo infermo cura e guarisce, utili e necessarie Pare al certo ch'io non avrei l'ossimele colchico prescritto in quei tre primi casi da cui poscia imparai le sue innanzi non comprese facolt.i più sincere e |p|fscrizioui più convenevoli, ove non avessi neglette o dimenticate idcune av- vertenze da classici aulori giada me imparale. Onesti insegnano essere la radice del Colchico succedanea fd emola per ogni rispetto a quella della Scilla o squilla marina {scilla maritima Ijinn-); afìprestare il suo ossimele un rinicdio dnue- lico poco meno dello scillilico acre, stimolante e risolvente, ed e^seie perciò m ogni uiaLitlia e complicazione o reliquia morbosa veracemente infiammatoria il suo uso improprio, sospetto e anzi nocivo. E pure medicando io a Pavia osai, dieci anni sono, proporre l'ossimele C(d- 4;hicy, e adoperarlo nel modo più sollecito e coraggioso a fine di salvare suc- cessivamemle Ire femmine, delia cui guarigione ormai dai dotti ed esfierli medici curami si disperava. Erano elleno nel corso stesso di gravissima infiammazione acuta e vera ai priucifiali visceri divenule idropiche, ed erano in mezzo al per- severante apparato infiammatorio, sebbene molto scemato, minacciate da mortale soffocamento, e quindi a quel misero punto ridotte in cui dirò con Celso, sa- /ius est. anreps aux.ìUuni expenri qitam nullum. La prima , una delle più distinte matrone della città , per violenta [)olraonea unita a manilesti segni fli acquoso tumore del corpo e a non equivoci indizi di pari arresto di linfe nellì cavità del ^eutre^ e l\..r3e del petto, si lece ovunque gocfia e in guisa da tiou per- 240 mettere al chirurgo Jopo la quarta emissone di sangue (trovato sempre privo di siero e coperto di alta e forte cotenna) di altro trarne coi salassi alle braccia, alle mani ed ai piedi. La seconda era pure una gentildonna di anni quarantasei , io cui pronte e larghe cacciate di sanjiue avevano bensì giovalo a trarla dal prossimo pericolo di tosto perire sotto TinGammazioDe, e per lo più funesta, dA cuore, ma non impedito cbe alle reliquie del male si accoppiasse idropisia del petto e acuta, con successivo universale edema. La terza era moglie di un ricco Gttainolo vicina ai trenta anni attaccata da enorme ascite o idropisia del ventre interiore .sopravvenuta all'epatitide o inGammazione del fegato, trascurata a principio e in parte ancora superstite. Fu in questi casi che primamente spiegossi la sovrana, e non pertanto iu- uocente, elticacia del colchico ossimele. Dato esso ad uno, a due e Gn a quattro scrupoli ogni tre ore , e in seguito a due dramme Gno a consumarne due o tre oncie al dì giunse a rinviare le orine soppresse, a copiosamente accrescerle ed a chiarirle; potè alleggiare, movendo lo sputo, il respiro e gli altri fastidiosi accidenti , e seppe, dissipando colla idropisia ogni tristo residuo inGammatorio, condurre le inferme in pochi dì ad una convalescenza cbe passò presto in sanità. Dopo questi felici sperimenti non sarà dunque alcun medicante sorpreso, ch'io avvezzo a valermi per lo passalo e tra' primi in Italia di quest'ossimele, quale succedaneo soltanto dello scìtlitìco, lo adoperassi in seguito qiial rimedio di azione dissìmile per guarir molti e multi le cui storie sono registrale ne' miei Ricurdi medicinali. In essi, di età, di sesso e di temperamento diversi, quali presi da idropisia ora parziale al petto o al ventre ed ora universale, prodotta da causa, complicazione o esito, di male inGammatorio in qualche viscere, ovvero indotto dallo scarlaltino esantema di egual indole male giudicalo o negletto, e quali sogi>licandone poca quantità fresca si patisce dujio qualche istante in tutte le parti della bocca certo senso di acrexia, di pungimento, di arsura che si prolunga per qualche ora, e che non viene tolto se non colTuso delle so- stante oleose. Pestata e posta sulla pelle in particolare sopra di una parte abi- tualmente coperta di vestiti vi produce certa irrilaiione, per cui la pelle diventa rossa, dolente e si copre di larga flittena Quest'acrimonia però si dissipa sotto ressiccamenlo o la torrefaiione. La radice di aro è quasi interamente composta di fecola amilacea e d'un principio acre e purgatilo. L'analisi di questa radice diede i seguenti risultati: 1. Dell'acqua ; 2 Della gomma ; 3. Dell'albumina ; 4. Un principio acre solubde nell'acqua; b Un acido vegetale ; fi. Una materia zuccherosa non cristallizzabile ; 7. Del legnoso ; 8. Della fecola. E opinione di alcuni autori che la fecola dell'aro, quantunque accompagnala da molte sostanze, potrebbe essere isolala dal principio acre che Pacconipa- fiua, per servirsene come alimento e con altretlanla sicurezza come si usa la fecola dei cereali e delle patate. L'aro nei tempi antichi era molto più adopralo dai medici, che non è og- gidì. Vantò Dioscoride i suoi effetti curativi nelle infiammazioni croniche del petto, nell'asma e simili. Horst, Mueller, Gesner citano molli individui ma- lati per lisi confermata che guarirono con l'uso di questa radice. Bergius e Giliberl asseriscono d'avere vinte febbri intermittenti e cefalee gastriche restie a tutti gli altri rimedi: e Birkmann afferma che esso rianima le forze dige- renti dello stomaco, e crede poter essere collocato fra i medicamenti essenzial- mente stomacichi : altri considerano siffatta radice quale potente antiscorbutico, e somministrano come tale il vino entro cui la si fece (liberile, La medicina mo- 247 derua jierò ne abbandonò Tuso. A parer nostro le sua aiione non deve dif- terire da quella del ranuncotu acre, sia per uso interno che per uso esterno. Checché ne sia , la radice dell'aro forma parte di molli preparali farma- ceutici, quali sono la polvere di aro composta, la polvere cacbetica di Dus- chesne la polvere stomacica di Birkmaun. Per la quantità di fecola che contiene, una volta privala del suo principio acre per meno della disseccazione, potrebbe servire in lemjii di carestia quale ulimeulo, come comprovò Gosse in un suo commendevole scritto. •*^»^feìi3Ìièit4s*§€. SPlEGAZIOiNE DELLA TAVOLA j. Gjmbo dell'aro macchiato, i. Foglia radicale. 3. Spala e spadice. 4. Frutto maturo. 6. Spadice ridotto. 6. Fiore intiero. 1. Fiore tagliato verticalmeote. 8. Seme ingrossalo. 9. Seme tagliato loDgiludinalmeate. 248 ARO POLUILLO Dacoiiliuiu ji(ily|)billuui Liiin. , spec. 1322. — Wili'l., spec. 2, p. 288. — Thiiub , FI. J^i|>. 234. — Lam., Dict. enc. 2, p. 321, Aruni polypbilluui Herm. Pareli p et t. 93 — Arum polypliilluin suiiiiiaiiense Bluk., alai. 32, t. 149, f . 1 L'Aro polifillo cresce naturalmente a Suriinau e nei paesi caldi dell'Asia. Nell'India e nel Giappone è conosciuto sotto la denominazione di Konjaku, Kmako e Konjahfdam. La sua radice è tubercolosa , rotonda , alquanto depressa , e produce foglie portate su d'un picciuolo di un piede e mezzo d'altezza, cilin- drico, screziato di bianco, di verde, di porpora, coU'epidermide screpolalo e come scaglioso. Queste foglie il più delle volte si dividono nella sua parte superiore in tre parli, e queste in due 0 tre altre secondarie divisioni. Le fogliole risulanti sono lan- ceolate, pinnatifide. I fiori , che non compariscono che dopo le foglie e sono disposti in gran numero assieme su d'una spica cilindrica, sormontata da uno scapo cortissimo, avviluppato alla base da una spala monofilla-coriacea, aventi quasi la forma di un cappuccio, d'un colore violaceo e terminala alla sua som- mità da una punta acuta. Questi fiori hanno un odore fetido (juasi cadaveroso. Ciascuno d'essi è composto d'un calice di cinque foglie quasi eguali, del colore slesso della spala; da sette a nove filamenti più lunghi delle fogliole del calice, ca- riche d'antere quadrangolari; d'un ovario supero, ovoideo, sor- montato da uno stilo cilindrico della lunghezza degli stami, ter- minalo da uno stimma trigono. Quest'ovario diventa una bacca rotonda che contiene qiialirn o cinipir griuii 240 L'Aro polifillo, cicllo anche Draconzio poli/ilio, chiamasi dai Francesi Draconle polyphille. Da più di cento anni coltivasi nei giardini d'Europa , e lo si tiene per lo più entro serra calda, ove fiorisce di primavera. La radice di questa specie di aro coutieue pure un (iriucipio acre l'orse ana- logo a quello delia suddescrilfa specie. Nei paesi nativi è melto in uso come purgante ed emagogo SIMEGAZIOJ^E DELLA TAVOLA Tubercolo. 2. Spala. 3. Foglia. 4. Fiore prima del suo sviluppo. 5. Fiore aperto. 250 ARO BICOLORE Calaaium bicolor Veul.,Horl. Cels. u. el t 30- — WilU-, S|>ec. 4, pag.488.— Poir., Dici. euc. 5, pag. 142. — Anim bicolor Jacq., Hoil. Scbierbr. 2, p. 30, t. 186. — Delaun., Herb. de rAm., t. 7, tab. 492. Questa specie di Aro si rinvenne presso Rio-Janero nel Bra- sile da Commerson che la introdusse in Francia nel 1785 nel giardino di Cels padre. D'allora in poi la si coltiva in molle serre calde e fiorisce nei mesi di giugno e luglio. La sua radice è una specie di tubercolo rotondo, munito di fibre carnose, d'un sapore acre e bruciante. Produce molte foglie radicali, peziolate, astale, lunghe da dieci o dodici pollici, larghe da cinque a sei, d'un bel rosso cremisino nelle foglie e d'un verde carico nei margini. Dal mezzo di queste foglie s'eleva un gambo ritto, cilin- drico , spianato alla sua base , alquanto più lungo e più grosso del picciuolo delle foglie. Questo gambo è spesso solitario, alcune volte però se ne sviluppano due o tre. Esso porla alla sua estre- mità una spala monofilla, ritta, coriacea, verdastra, panciuta in- feriormente, rinserrata e ristretta nel mezzo, ovale, lunga, acuta e divisa nella sua parte superiore , la quale è membranosa e bianca. Questa spala inviluppa un gattino più corto che essa, ritta, cilindrica, d'un rosso vivo nella sua parte inferiore, bian- castra con una leggiera tinta di rosa nella sua parte superiore che è carica di fiori maschi , mentre le femmine sono disposti alla base. I fiori maschi sono composti da antere prismatiche , sessili, disposte a spira coprendo totalmente la metà superiore del gallino, solcale nel loro margine da dodici solchi che sono szz /y?-^ /a/'^j^/Vt^^ ^ry6< ..^ 251 logge, le quali conlengono un polline biancastro : i fiori femmine sono ovari! numerosi, orbicolari, d'un violello cinereo, prima de- pressi , poscia concavi, serrali gli uni contro gli altri , coprendo la parte inferiore del gattino e sormontato ciascuno d' essi da uno stimma semplice , sessile , ombellicato e pieno d'un umore viscoso. Lo spazio tra i fiori maschi e le femmine è occupato da stami sterili aventi la forma d'un ghiande. Non si conosce in Europa il frutto, non producendone. La radice di questa specie d: aro è composta degli stessi piiucipii che le altre suddescrille specie: può perciò servire agli stessi usi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Aro bicolore. ^52 FAMIGLIA 6SMA PALMIZI Sono essi rimarcabili per T altezza a cui s'innalzano, per le foglie sempre verdi, di cui viene abbellita la loro cima, e per l'abbondanza de' loro fruiti. Il tronco di questi vegetabili è sem- plice, legnoso ed enode. Viene ricoperto da una corteccia for- mata da tante foglie. La sua cima è coronata da foglie vivaci , vaginanti alla loro base e disposte circolarmente, le quali sor- tono da una grossa gemma che termina il tronco. Il fusto de' palmizi spunta dalla terra grosso come deve es- sere e non s'accresce, come avviene agli altri alberi dicotiledoni, per r addizione successiva di nuovi strati che annualmente si formano. Questo fenomeno viene spiegalo dal quanto celebre , altrettanto investigatore della natura, il signor Daubenton , il quale prendendo in esempio il dattero, così si esprime : « Cia- « scuna foglia di questo viene formala dal prolungamento de'lili « legnosi legati assieme da una sostanza cellulare esistente nel « tronco dellalbero stesso. Essi si osservano con facilità nel pic- « duolo, e specialmente in quella parte in cui questo si unisce « col (ronco, ed il suo accrescimento viene necessariamente « dovuto allo foglie che da esso sorlono ogni anno. E siccome 253 « i fili legnosi e la sostanza cellulare , che sono un prolunga- « menlo delle nuove foglie, partono sempre dal centro ed ob- « bligano le foglie precedenti a sortir fuori, così viene di con- « seguenza , che la sostanza del tronco è tanto piò compatta , « quanto più ritrovasi in vicinanza della circonferenza, e che a « un certo punto di densità essa non può cedere aireffetlo delle «parti interne del tronco e portarsi al di fuori; quindi l'albero « giunto a questo non può necessariamente ingrossarsi d'av- « vantaggio » . Ma l'illustre signor professore Desfontaines in una sua me- moria sull'organizzazione delle piante Monocotiledonie, inserita nel voi. I delle Memorie deWImtUuto, osserva, che il fusto delle palme non è però sempre della medesima grossezza, e tale ir- regolarità accade tutte le volte che la pianta riceve maggiore o minor nutrimento. Diffatto, se un giovine palmifero cresciuto sopra un suolo arido e magro viene trapiantato in uno fertile e sostanzioso, le fibre della nuova di lui cacciata diverranno di un volume molto maggiore di quello che avevano le vecchie sue fibre, ed il fusto aumenterà in questa parte il suo diametro ed inferiormente manterrà esattamente la medesima grossezza di prima. Per lo contrario, se il giovine palmizio verrà trapiantato da un suolo fertile in un magro, la forza della sua vegetazione andrà a rallentarsi , e conseguentemente i nuovi getti saranno più sottili degli antichi. Soggiugne inoltre il testò citato illustre professore , che l'inviluppo esterno delle palme differisce nota- bilmente da quello degli alberi dicotiledoni. Infatti nelle palme esso non è che un'espansione delle fibre componenti la base dei picciuoli che portandosi da dritta a sinistra formano tante reti , le di cui maglie sono più o meno larghe e diversamente con- figurale in ciascuna specie di palma. Queste reti sono sovrap- poste le une contro le altre e non aderiscono insieme, onde si si possono con facilità separare. Ognuna di esse viene composta di tre piani di fibre tra loro molto distinti i due più esterni 254 sono trasversali e paralleli , e il lorzo più interno taglia i tUu- precedenti obbliquaniente (lall'alto al basso. Le fibre non sono intralciate tra loro , ma soltanto nnitc da filamenti .capillari , i quali vanno ad attaccarsi luna coll'altra. Finalmente l'inviluppo delle palme siccome col tempo va a distruggersi , così non de- vesi ritenere per una vera corteccia. Le palme portano due sorta di foglie, le une rassomigliano ad un ventaglio, e le altre sono composte di piìi foglielte che stanno attaccate sopra un picciuolo comune. Il loro numero è sempre eguale in ciascun indivìduo. Imperocché a misura che le vecchie si disseccano e cadono, immantinente ne compari- scono delle nuove. Le fogliette sono per tutta la loro lunghezza piegate in due ed appoggiano sul picciuolo, il quale è diritto , ed i loro nervi sono nel centro longitudinali o paralleli. Queste foglie, siccome spuntano sempre dal centro dell'al- bero, così la loro disposizione sul tronco deve essere differente da quella degli alberi dicotiledoni ; anzi nelle palme è quasi la stessa di quella delle felci, colle quali hanno molti rapporti. Quindi si può pronunziare, che le palme mancano assoluta- mente di veri fusti, e che ciò che in esse appellasi fusto altro non sia che un prolungamento del collo delle radici , e conse- guentemente che le foglie non sono che vere foglie radicali. Ciò sembra verificarsi, giacche il preteso fusto delle palme non si divide mai in rami, diviene rare volte biforcuto, e muore al- lorché ad esso si taglia il ciuffo di foglie che lo termina, I fiori de' palmizi sono piccolissimi, giallastri o verdastri e poco 0 niente vistosi. Non vengono mai portali da'peduncoli parziali, ma bensì stanno riuniti in numero sopra peduncoli co- muni, semplici , nudi alla loro base e più o meno ramificati o pannocchiuli superiormente. Questi peduncoli portano il nome di spadicc. Nascono essi nelle ascelle delle foglie, e prima della fioritura stanno rinchiusi entro spate membranose , coriacee , spesso molto fitte, monofille , ma però suscetlibili di aprirsi in 255 due 0 più pC7.zi. Olire poi a qiiesla spala , la quale in diversi generi manca, se ne trovano sovente altre più piccole poste sotto a ciascuna di queste divisioni che esse inviluppano sepa- ratamente. Pochissimi palmizi sono ermafroditi, ma nella massima parlo monoici o dioici. In questi ullimi l'uno e l'altro sesso trovasi nello stesso spadice , ovvero sopra spadici diversi. In ciascun sesso però si osservano i rudimenti del sesso che manca, il che dk motivo di credere che queste piante siano generalmente mo- noiche 0 dioiche per cagione di aborto. Dall'analisi instituìta sul polline delle palme da Fourcroy si ricava che esso contiene una grande quantità di acido malico , di fosfato di calce e di magnesia, di una materia animale che viene precipitata in forma di gelatina dall'infuso di galla, e di una sostanza polverosa insolubile nell'acqua e suscetlibile di som- ministrare dell'ammoniaca, di convertirsi colla putrefazione e mediante gli alcali fissi in un sapone ammoniacale , e che per le di lei proprietà sembra essere analoga alla gelatina ed al- l'albumina secca. I caratteri generali poi della fruttificazione dei palmizi pos- sono essere i seguenti : un calice diviso in tre parti consistenti ; una corolla monopetala pure divisa in tre parti poco diversa da quelle del calice , e che Jussieu riguarda per calice interno. Questa corolla rinchiude ordinariamente sei stami inseriti alla base della sua divisione e coi loro filamenti spesso riuniti alla loro base. Le antere portano un polline formato da tanti gra- nelli ovoidi, di color giallastro e trasparenti. L'ovario è libero, per lo più semplice, rare volle molteplice , di una o tre logge , due delle quali soventi volte abortiscono. Porta uno o tre stili muniti di stimma semplice o anche trifido. Il fruito è per lo più una drupa secca che varia nella figura ed in singoìar modo nella grossezza. Il suo esterno invoglio è formato da numerose fibre e rinchiude da uno a tre noccioli ossei che hanno un pie- 250 eolissimo embrione collocalo in unii piccola cavila , ovvero sul dorso od altre parli, oppure alla base da un perisperma da prima molle, poi liquido e buono da mangiare , ma che in seguilo a poco a poco s'indura prendendo in fine una consislenza simile al corno. Il signor Yenlenat ha formato colle piante di questa fami- glia, che è la i della iii classe del suo Tableau du règne vegetai etc, ventitre generi sotto quattro divisioni desunte dal sesso dei loro fiori, ma che però si potrebbero anche dividere giusta la forma delle loro foglie. Ma siccome parecchi generi non sono ancora perfettamente conosciuti , così in questa nomenclatura non possono entrare che sotto il titolo di Appendice; 1 . I Palmizi a fiori ermafroditi : Calamus, Licuala, Corypha. 2. I Palmizi a fiori poligami : Chomcerops, Rapliis. 3. I Palmizi a fiori monoici : Areca, Elater, Cocos, Caryola, Nipa, Sagus, Bactris, Arenga, Euterpe, Hyplmne. 4. I Palmizi a fiori dioici : Phmiix, Elais, Borassus, Lontamis. I Palmizi T^oco o niente conosciuti: Uyophorbe, Maiiritia, Manicaria, Caranda. {Nov. Bici. hist. nal, l xvii, pag. 124). u^ Ó^CA Cit^rcc^.^:^ 257 ARO EGIZIANO Aitiiii maximum aegypiiacuffi , qnod vulgo Colocasia , C B , p. 103. — Aium aegypliacum Cui. 2, 1. — Lotus aegypliaca Bell. — Pampiua paiinlisi Siculorum Caes., — Colocasia, J. B. 2, 790.— MoraDti., llist. boi. prac-, tabula M, 6g. 6. Questa specie di Aro cresce nei laghi, nelle paludi dell E- gillo e specialmente nei dintorni di Alessandria. La sua radice è grossa, carnosa, quasi analoga a quella dell'aro macchiato. Da questa s' innalza uno scapo circondalo da alcune foglie radicali che lo abbracciano nella sua parte inferiore: esse sono grandi , rotonde , nervose nella parte inferiore , grosse e molto succose. Il gambo è coperto di quando in quando da foglie che hanno la stessa forma e che colla loro guaina l'abbracciano. I fiori sono pure disposti in un gattino o spica allungata , e presentano gli stessi caratteri che quelli dell'aro macchiato. I frutti pervenuti alla loro perfetta maturazione volgono ad un rosso nero. Secondo Lamark questa specie la si coltiva nelle Indie orien- tali. In America ed in alcune parti d'Europa , come nel Porto- gallo. La sua radice acquista sotto la cozione un sapore dolce, e fornisce un alimento piacevole, sano ed abbondante. Il gusto di questa radice cotta è presso a poco simile a quello della casta- gna. I suoi fiori fanno parte della corona di Iride e d'Osiride. Essi Irovansi pure sul capo di Ippocrate, nei monumenti antichi. L'Aro chiappa mosche;, Arimi muscivorimi, esala da' suoi fiorì un odore cadaverico che attira le mosche. Queste si precipitano nel fondo della spala , separando i peli che ne formano l'orificio ; Tom. VI, ^7 258 ma quesli peli si ravvicinano subito ed oppongono cosi una bar- riera insormontabile all'insetto, che vi perisce per ciò. L'Aro d'Italia, Armi italicum, vuoisi non sia che una varietà dell'Aro macchiato. Osservò Lamark che lo spadice di questa specie d'aro nel momento della fecondazione si riscalda talmente da divenir quasi bruciante per più ore. La radice tleiraro egitiano conlienc molla fecola amilacea , ed il piiucipio acre trovasi in minore quaulilà : sperdesi facilmeute soUo la cozione a guisa che la si può impunemente mangiare, ed ba un sapore dolcigno come la ca- stagna La radice cruda gode le stesse proprietà mediche dell'aro macchiato. SPIEGA/IONE DELLA TAVOLA I. Aro €gÌ2Ìaao. 2. Fru Ili. <;^€i^a^ 2;)0 A N A iN ASSO CaiJus biasilianus foliis aeUies Bauh. , pio. lib )0, secl. 6. — Aikiikc Tourn , Appendice. — Bromelias ananas Linn., class. 6, Esandria mouoginia. — Juss. class, o, uid. 5, Jnanas— Poiret, Fior. med. t. 1, lab. 33. Questa bella pianta vivace è originaria dell'America : i natu- rali del Brasile le danno il nome di Nana dioce, da cui prima i portoghesi, poscia gli altri popoli fecero Ananas. Questa pianta è oggidì comunissima nelle Indie , ove spontaneamente cresce nei luoghi umidi e sabbiosi. La radice è composta di molle grosse fibre brune. Da questa sbucciano molle foglie disposte in un fascicolo aperto , lunghe due 0 tre piedi su due o tre pollici di larghezza, solcale e mu- nite ai margini di spine corte, membranose ed acute. Queste sono d'un verde chiaro, ed hanno molta somiglianza con quelle dell'aloe, meno spesse però e meno succolenti. Dal loro centro s' innalza uno scapo corto, cilindrico, grosso, foglioso, portando nella sua parte superiore una spica glomerulata, densa, scagliosa, conica : questa spica poi è sormontata da una corona di foglie persistenti sul frutto, che per nulla differiscono dalle altre foglie se non per essere alquanto più piccole. I fiori sono turchinastri. sessili, piccoli^ sparsi sulla superficie della spica, la quale però altro non è che un ricettacolo comune , grosso, carnoso, e su cui nascono per ogni dove ovarii semi-incassati nella sua .so- stanza. Ciascun fiore presenta un calice persistente superiore ed a tre divisioni: una corolla profondamente divisa in tre parti, lanceolate, più lunghe del calice; sei slami più corU '260 della corolla con anleic rillo e saellale; un ovario supero, sor- raonlato da uno siilo fdiforme, terminato questo da uno stimma irifido. Cadono ben presto questi fiori, e vedesi tosto il ricetta- colo carnoso che li sostiene, crescere, colorarsi e mutarsi in un frutto succoso, formato dalla riunione simmetrica delle bacche numerose, della forma quasi di un pino e munito da tutti i lati di piccole scaglie triangolari che racchiudono molti semi piccoli , ovoidei. La carne , o parenchima di questo frutto, è bianca o giallastra secondo le varietà, screziata di fibre delica- tissime che dal centro divergono alla circonferenza a mo'di raggi, e che nelle trachee orizzontali raffigurano una rosa stellata. Consalus Ifernandez di Oviedo fu il primo che fece parola di questo frutto, il quale maturò per la prima volta in Francia nel 1734 a Versailles. L'ananasso coronato offre molle varietà; si distinguono le seguenti ; 1 . V Ananas giallo, che è quello suddescritto e designato nella tavola 574 : 2. VAnanasso bianco, il cui fruito ovale spande un soavis- simo odore, ed è molto inferiore al suddetto per gusto; allega i denti e fa leggermente aftlulre sangue dalle gengive; lo che è comune pressoché a tulle le specie di ananas ; meno nel giallo però che in tutte le altre specie : 3. VAnanasso panni di zucchero, cosi detto per la forma piramidale del suo frutto; allega i denti e fa pure affluire san- gue dalle gengive come il bianco, tuttoché d'un sapore più grato: 4. VAnanasso piccolo, ananas verde o ananas senza spine i privo di foglie che coronino il di lui frutto; ne mai le foglie caulinari sono munite di denti spinosi. Il frutto è ovale, tuber- coloso, giallo alla maturazione e di mediocre qualità. L'Ananasso, detto anche Ananasse, Ananas, chiamasi dai Fran- cesi Ananas, Ananas à couronne ; dagli Spagnuoli Ananas, Pina; 20 i dagli Inglesi Ananas, Pine-appk; dai Tedeschi Ananas; dagli Olandesi Ananas pìjnappel. Molli sono gli autori che scrissero sulla coltura dell'ananasso, specialmente per climatarlo in Europa. Fra i tanti Michele Federico Lochner, Giovanni Enrico Tliiemeroth, Giovanni Giles, Adamo Tayler, Francesco Brochieri, Guglielmo Speechly ecc. sono però Filippo Miller e Delaunay, ed altri agronomi che die- dero precetti utili sui mezzi d'acclimatarlo in Europa. Tulta- volta anche con tutte le diligenze possibili e costanti d'una col- tura ben diretta questa pianta languisce fuori del di lei suolo nativo od imprigionato nelle serre : vegetando ad un calore ar- tificiale porta necessariamente l' impronto della degenerazione. I suoi frutti, tuttoché eccellenti ancora, non olezzano però che un debolissimo grado del suo deliziosissimo profumo naturale, e non sanno che in piccola parte di quel gusto squisito dell'ananasso d'America, che riunisce, si dice, l'aroma, non che il sapore delle pesche le più succose, delle fragole migliori e dei melloni i più delicati. Sembra, da quanto attestano tutti i viaggiatori,che l'ananas ben maturo e cotto nel suo paese nativo sia il più squisito di tutti i frutti. La sua carne è succosa e profumala, come dissimo dissopra ; ma in Europa, ove non si può ottenere l'ananas che a forza di calore, esso non ha che una vegetazione artificiale, è generalmente perciò un frutto di qualità mediocre, che non viene ricercato che per la sua rarità e per il suo alto prezzo. Diremo per ultimo che questo fruito è tanto succoso nel suolo nativo, che sottomesso alla fermenlazione produce un li- quore spiritoso molto aggradevole. Le proprietà alimentari e medicamenlose dell'ananas, notale da RoiKsin di MoDtbaury, furono principalmente celel)rale da Filippo Baldini, cbe riguardò (juesto frullo come un eccellentissimo rimedio per la debolezza dello stomaco, pelle nialattie delle vie oriuarie, per l'isterismo e l'idropisia. Wriglb considerò d sugo di questa pianta come il migliore dei gargarismi detersivi. Nessun fatto adducono però che valga a comprovare l'azione sua reale nelle succitate affezioni II profumo però di cui è dotato non può a meno di eser- .202 citare uu'aiioue ecciJaute sulla membrana mucosa (5el ventricolo e rialzarDg perciò le forze quamlo trattasi d'una reale «leboleiza di questo viscere , che i princìpi! poi di cui è dotato abbiano benefica azione sugli organi orinarli da aumentare la secrezione dell'orina, per cui Dell'idropisia ne possa essere van- iaggiosa , è quanto appunto limane a comprovarsi, non possedendo che una analisi imperfetta. Per quel che mi sappia, solo Adet nel l79l esaminò {ili ananas dell'isola di Bahama : ne ritrasse un sugo gommoso ed acido; l'esame di questo sugo gli provò che conteneva dell'acido citrico, malico e della gomnva. Il suo alto prezzo altronde non permetterebbe di estenderne l'uso. Chevalier adoprò spesso con successo la limonata di ananas per comballere le affezioni infiammatorie, biliose e putride. Come alimento l'ananasso si mangia a fette, ora così, ora polverate di zuc- caro o bagnate nel buon vino; se ne fa de' confetti, delle conserve, dei gelati. 11 suo sugo serve a fare un'eccellente limonata; questo fermentato dà un ec- ci-'Ueulissimo vino. Nelle Indie orientali si prepara colle foglie di ananasso un buon filo, dopo d'averle fatte macerare. i^^— SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Parie superiore dello stelo d'un ananasso. 2. Fiore intiero della grossezza nalnraSf, 3. Calice e pistillo. /,. Fiore tagliato verticalmente. S. Antera ingrossala. 6. Ovario tagliato orizzonlalmente. ^ec c<^c/^^r^/^ ^'^ ir^'i '/ i? ^ ^ ^ 263 A R E C A Pjlma cuìiis iViictus sexilis faufel dicilur, Bauli., più. lib 12, secl. 6 — Areca liiillieca Linn., Palmieri. — Jiiss., class. 3, onl. 1, Palmieri. — Poir., FI meil , t. 1, tal). 33. Questo genere della famiglia delle Palme presenta varie specie originarie dell'India e dell'America, che sono assai inte- ressanti. Per tal guisa il catechu [Areca calecha Linn.) è così no- minata , perchè Linneo era d'opinione che questa bellissima palma, la quale cresce naturalmente nelle Indie, producesse il calecu; ma come abbiam veduto, parlando di questa pianta, il catecù è tutt'altro prodotto. Discorreremo delle principali specie di Areca, e specialmente dell'Arac propriamente detto, come quella che produce in maggior parte i fruiti che in commercio vengono sotto siffatta denominazione. L'Areca è una delle più belle e delle più alte palme che ador- nano le foreste dell'India, delle isole Molusche e delle contrade meridionali della China, ecc. Il tronco che s'eleva all'altezza di trenta a quaranta piedi , non ha che otto o nove pollici di dia- metro. È ritto, nudo, segnato per tutta la di lui lunghezza da anelli circolari, che sono le cicatrici lasciate dalle antiche fo- glie. La cima, dice Lamark, è coronata da sei ad otto foglie lunghe un piede circa, aperta in diversi sensi in una direzione obliqua, formando una vasta lesta. Ciascuna di queste foglie è una volta alala , composta di due ordini di fogliole strette- lanceolate, per lo più opposte, piegate, liscie, verdi e situate assai vicine le une alle altre lungo una cosla grossa ed ango- 264 Iosa. Queste foglie hanno più ili Ire piedi di lunghezza su tre 0 quattro pollici di larghezza, e la costa od il picciuolo comune che le sostiene abbraccia il tronco alla sua base per mezzo di una guaina cilindrica e coriacea. Al dissotto della cima foglia- cea havvi una specie di bottone coloniforme , liscio, d' un bel verde , composto dall'unione delle guaine peziolate. Al centro di questo bottone si trovano foglie che devono poi svilup- parsi; la più lunga detta /leccia. Questo bottone, alle volle enorme, porta il nome di cavolo di palma. V areca non comincia a fiorire che verso il suo quinto o sesto anno; e sebbene i fiori nascano dall'ascella delle foglie esterne, egli non è se non dopo la loro caduta che si vedono le spate che li contengono, lo che fa che i fiori sembrano sempre situati un po' più al dissotto delle foglie. Ciascuna spala è una specie di guaina o d'utricolo coriaceo, ovale-lanceolato, piano in ambo le superficie, lungo un piede e mezzo, largo da quattro a cinque pollici, liscio, d'un verde biancastro o giallastro che s'apre per mezzo d'una fessura longitudinale. Esce quindi un panicolo ra- mosissimo carico di fiori piccoli, sessili, biancastri, sparsi lungo le ramificazioni che il compongono. Spesso si trovano due o tre di questi panicoli sullo slesso individuo, ed in questi casi il più inferiore matura pel primo ; questo è alquanto al dissolto e quindi successivamente, di modo che il panicolo superiore è al- cune volte solamente in fiore, mentre l'inferiore ha di gihi suoi frutti maturi; questo panicolo porta comunemente il nome di regime. 1 frutti hanno pressoché la grossezza e la forma d'un uovo di pollo. La loro sommità è terminata da un piccolo ombellico, e la loro base è munita da sei scaglie aderentissime situate su due ordini. La corteccia sottilissima, liscia, prima d'un verde pallido, poscia giallo, copre una carne succosa, bianca e fibrosa, al cui centro è un nocciuolo piano alla sua base, d'una sostanza dura e venosa come la noce moscata. Questo nocciuolo, prima 2G5 tenero, cavo nel suo mezzo e pieno d'un liquido limpido, s'inspessisce insensibilmente, e la cavità sparisce; il suo paren- chima allora prende consistenza, e non è che dopo sei mesi di sviluppo elle acquista una consistenza dura e quasi cornea. Il Cavolo dì palma, sebbene bianco e tenero, ha un sapore talmente aspro ed amaro, che non può usarsi come alimento alla maniera de' cavoli di molte altre specie di palma. V.' Areca d'America (Areca oleracea Linn.) è la più bella e la più grande delle palme che adornano le foreste dell'America me- ridionale. Il suo stelo ritto e nudo s'innalza da quaranta a cin- quanta piedi. 11 suo legno, scrive Lamark, è buono, più duro dell'ebano, ma solo per lo spessore di un pollice e mezzo circa di tutta la circonferenza, avendo l'interno fibroso, spongioso e molle. Il cavolo di questa palma ha un gusto delicato, analogo a quello del carcioCfo, e si appresta in diversi modi come questo. Indipendentemente poi da queste due specie, le sole indi- cate da Linneo, Lamark ne segnalò tre altre, fra cui X Areca glandì'forme, il cui frutto si può mangiare. Questa palma cresce pure sulle spiaggie e sulle montagne delle isole Molusche. Il suo legno è duro. Gli indigeni colle giovani foglie si procurano filo per fare sacchi. L'Areca, detta anche Aree, chiamasi dai Francesi Aree, Are- que , Aree de /'/«f/«?; dagli Spagnuoli Arequiero; dagli Inglesi Areca, Fanfel-nut-trce,Drunken-dafc-tree, Fiisebmt; dai Tedeschi Areka palme ; dagli Olandesi Areka-palboom. Gli IndiaDi mangiano il pericarpio fresco dell'aree. E carnoso e succoso, ma sotto la disseccazione cangiasi in una specie di borra Glamenlosa, molle, rossa- stra, senza sugo, che serve a nessun uso. E alla noce che gli Indiani attaccano un gran preizo, e ne sono ghiottissimi ; ami se ne servono per fare un pre- zioso dono. L'usano intiero od a felle; nel primo caso è per lo più avvilup- palo nelle foglie di betel, asperse di calce, che vonno ne diminuisca la stiticilà. Gli abitanti della costa del Coromandel hanno un modo particolare di pre- parare l'aree vecchio e troppo secco, che chiamano Ao^oZ, e farne una delicata vivanda. Lo tagliano in pezzi che li fanno macerare nell'acqua di rosa assieme a del minuto coccia , quindi li disseccano al sole per servirsene a loro piaci- 266 mento. Questi peni si conservano per lunghissimo tcmpd r.enza corrompersi: e si portano per ogni dove. Hanno fama di rafforzare le gengive e di pro- curare un alito [)iacevole. Il cavolo di questa specie di palma, sebbene bianco e tenero, è talmente aspro, che non è possibile adoprarlo come alimento. SIMEGAZIOiNE DELLA TAVOLA 375 Pianta di aree. 2. Foglia centrale della (leccia 3. Cavolo. 4. Sputa non aperta 5. Spaia aptrta. 6. Fratti. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 576 I. Frutto di areca maschio abortito. 2. Lo stesso aperto. 3. Frutto feinniina abortito. 4. Frutto della grossezza naturale. 5. Frutto tagliato verticalmente. 6. Noce tagliata orizzontalmente. 7. Noce tagliala verticalmente. 8. Embrione isolato. a6^?7r^ -r. ^le alìmeoto piacevole e sano, che come uu medicamento utile. I datteri per ul- 271 iiuiii SI lacevaiio eiilraie in varie fjieparaiioni farmaceiiliche : essi diedero il loro uome AVelettuario Diapltraenix. Gli abilauli dei paesi ove i dalleri crescono, ne fanno quasi il loro aliinenlo Iiriucipale: essi ne preparano ancora col nieizo di una forte pressione uno sciroppo deuso ed una sorta di miele, nel quale conservano i datteri mede- simi, come pure altri frutti indigeni. Ne fanno delle piacevoli gelatine. Colla lermeutazione, mediante la giunta di una certa quantità d'acqua, i dalleri pro- ducono un buon liquore spiritoso che si può sostituire all'acquavite di vino. Se ne fa anche un aceto, il solo che si usi iiell'Egillo superiore. Il vino di flaltero, che si usa uei paesi caldi, si prepara col succo dell'albero, che cola abbondantemente quando vi si fanno delle incisioni. Si scelgono a tale oggetto le vecchie piante divenute infeconde. Al centro del fascio delie palme che ter- minano la cima dell'albero, si trova un bottone conico formato dalle giovani toglie, il cui sapore è analogo a quello della castagna cruda: tuttavia non si mangia che di rado, perchè togliendolo si farebbe perire l'albero. Le diverse parti di quest'albero hanno degli usi economici. Le Gbre della base delle foglie servono a fare delle corde, dei tessuti grossolani, delle ceste ecc. Il legno è impiegato nelle costruiioni , ma non si può tagliarlo in tavole per la strullora dei vegetabili monocotiledoni : le sue Gbre longitudinali sono inter- poste di un tessuto cellulare più abbondante al centro che alla circonferenza; m guisa che all'opposto degli alberi dei nostri climi la parte più dura non trovasi al centro. Finalmente le palme e le foglie dei datteri non sono del tutto inutili. Esse ♦ormano un articolo di commercio importante per certi paesi e per i riti della religione romana. Queste palme erano nell'antichità il simbolo della vittoria e la ricompensa dei trionfatori: esse figuravano in tutte le processioni e nelle leste del giudaismo. Nei nostri climi settentrionali si sostituiscono i rami degli alberi indigeni: ma in Ispagna ed in molti paesi d'Italia, ancora molto ai- tali alla purezza dei costumi antichi, coltivano il dattero unicamente per for- nire le processioni di palme nelle grandi cerimonie. SPIEGA/IONE DELLA TAVOLA 577 I. Pianta di palma. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 578 «.Regime di Irulti mollo più apparenti che nella pianla di palma suddisegnala . accompagnato dalla spala. 2.. Una r^rlc du.i ramoscello carico di 6ori maschi. 3. Un'altra portante fiori ftraraint 4- Fiore maschio. 5. Stame isolalo. 6. Fiore femmina. -.Tre pistilli. 8 Frutto ialitro. 9, Lo Messo taglialo verticalmente. 272 S A G li Cicas ciitiii;ilis Linu. , Mouoecia es;iiidria. — Jiiss^ tla»s. 1, onl 5. I*;il- mÌ!.li (Cicadee). Sagus raphia Lain., illusi,, tav. 771- Rapliia couileia Paliss., FI. (lEvv;.,-, t. Wt. Viene in commercio sollo il nome di Sagù una materia ami- iacea che ottiensi da molte specie di palma, parlicolarmenle da un piccolo numero di specie^lel genere sagù, che crescono nelle contrade tropicali dell'Asia e dell'Africa, e che trasportale nelle colonie d'America presero un rapido accrescimento e si propa- garono facilmente coi semi. Discorreremo della principale. La cica circinale che fornisce gran copia di sagù, cresce nelle Indie orientali ed in Africa sulle rive dei fiumi ; per lo più di mezzana altezza. Il tronco è semplice, ritto, cilindrico, coperto di avanzi disseccali delle antiche foglie, guernito alla sua parte superiore di foglie grandi, numerose, pendenti, alate, cariche, come i corti picciuoli^ di piccole spine numerosissime e molto acute. I lìori sono divisi : i maschi trovansi riuniti in un gat- tino terminale, alquanto conico, ovale, composto di scaglie car- nose, imbricate, ovali-spatolate, terminate da una punta molle, cariche di moltissime antere ad una sol loggia che s'apre in due valve. Alcune volte questi gattini sono grossi e prendono l'aspetto di un frutto d'ananas. I lìori femmine nascono tra le foglie su specie di correggie o peduncoli piani, cotonosi, lesini- formi, larghi ed acuti alla loro sommità, muniti di alcuni solchi nella loro parte mezzana. Tra ciascuno di questi solchi trovasi un ovario sessile, sormontato da uno stilo corto o stimma sem- plice. Il frutto è una noce ovoidea della grossezza di un piccolo ty tJ^t<^-i^- ,^*^^t5^ '/p 273 arancio, di un colore giallo, rossastro quando raggiunse la per- fetla maturità, racchiudendo sotto d'un malo carnoso un cocco sottile legnoso ad una sol loggia , alquanto compresso, conte- nente un seme duro, rotondo, munito alla sua base d' un solco apparentissimo. Il Sagù, detto anche Sago, chiamasi dai Francesi 5a^o?*; dagli Spagnuoli Sagù; dai Portoghesi Saguerio; dai Tedeschi Sagù, Saguboum, Sagupalmb; dagli Inglesi Sago-lree; dagli Olandesi Sagueboom; dai Danesi Sagutrwe; dagli Svezzesi Sagutrad; nel Malabar Todda-pama ; dai Malesi Coelat sagù; dai Conchinchi- nesi Ckiy san tue. Il sagù , come vedremo in seguito, ottiensi anche da molle altre specie di palmisli , non che d'altri generi ecc. Citeremo due altre specie di palmisli, da cui vuoisi s'ottenga nella quan- tità che ricavasi dalla suddescritta specie, e sono : 1. Il Rapina pedunculata. Palisot., Beauvois, FI. d'Ewan, tav. 44, fig. 2. - Sagus Ruffin. Wid. , specie tanto vicina alla precedente, che la più parte degli autori la considerano come una semplice varietà ; ne è distinta da una leggera ditVerenza di forma nei frutti e da' suoi fiori maschi pediculati ; ma tali caratteri non sono costanti. Cresce questo palmiere al Mada- gascar d'onde fu trasportato in principio alle isole di Francia e di Borbone , indi a Caienna. Dietro gl'indizi raccolti da Poiteau in quest'ultima colonia, esso non fiorisce che al quinto anno, e vi vogliono circa dieci anni per {sviluppare il suo panicolo intiero. 2. Il Sagus rumphia Willd., stato descritto e figuralo da Rumphius (Ilerb. Amboin 1, p. 72, tav. 17, 18). Questo pal- miere è un albero poco elevato, che cresce alle Molusche e fornisce la varietà di sagou la più bianca e più slimata. La sosluDiii (Iella Sagù altro uoii e che la parie midollare cbe forma [ues socbè la lolalilà flel trouco dei sagù , e la quale si eslrae nel mudo segueule ° Si fende l'albero nella sua lupgbeiza, si pe^la la fiarle iulerua, cbe e teuerii- Tonu VI. 18 274 sima , sinigiKisa , presso a poco ilelia cousisleuia polposa di un pomo o di nii.ì scopa. Si riunisce questa polpa in ispecie di coni o d'imbuti lalli di coileccic di alberi i cui iuteiìttìzi sono slielti al j)aii di. quelli d'uno staccio di crini; lo »: allunga in seguito coll'acqua che trascina la parie più fina e più bianca della mi- dolla. Questa si depone poco a poco; la si separa colla decantaiioue dall'acfim che surnuota o la si passa a traverso di alcune lastre perforale, nella slessa guisa che si fabbricano in Europa i vermicelli o altre paste fecolacee. 11 sagù prende allora la forma di piccoli grani rossastri, sotto la quale ci si porta dalle Indie. Tale è il modo d'estraiioue descritto da' viaggiatori : ma Poileau che provò di preparare il sagù alla Caienna, spiega in un'altra maniera la forma granel- losa che questa sostanza effelta ; secondo tale naturalista, le parti in sos|)eu- sione nell'acqua si precipitano lentamente o anche non si precipitano del tulio. E dunque necessario passare a traverso un lino ed esporre al sole il residuo per farlo seccare. Col solo effetto della disseccazione questa sostanza si riunisce in grani grigiastri, grossi da principio come una lesta di spilla, poi tre o quattro volle più grossi e irregolari. Lesson che vide preparare il sagù in molte con- trade delle Inilie e della Polinesia, ci ha confermato Tesaltezza delle osserva- zioni di Poileau. Il sagù è una materia amilacea che si rammollisce, diviene trasparente e finisce col disciogliersi nell'acqua. Se ne formano col lai le o brodo alcune zujipe leggiere che si raccomandano nelle affezioni di petto. Per farlo disciorre e cuoceie proulamente se ne mette in un padellino in circa una cucchiaiata che si .dbinga poco a poco con una data misura di latte, di brodo, o semplicemente d'acqua calda; si colloca questo padellino sopra un fuoco dolce e si rimesce incessanlemenle Buche il sagù sia disciolto ; vi si aggiunge allora alquanto zuc- chero e degli aromi. Nelle Wolucche e nelle Fili(tpine si fanno col sagù pani morbidelti di oji mezzo [)iede (|uadralo : esso serve anche a preparare alcuni manicarelli con succo di limoni, succo spremuto di pesci ed altre vivande di lanlasia. 11 sagù serve di alimento a molti popoli dell'Asia e dell'Oceano indiano. Anche appo noi era una volta in grande uso, e se ne faceva perciò grande consumo nelle convalescenze in ispecie. Teneva un distintissimo rango nella dieta delle malattie croniche. Come anapielico lo si prescriveva nelle malattie di consunzioni , come nelle tisi, nelle infiammazioni croniche delle membrane mucose , dei visceri ed in alcune affezioni nervose ribelli , nella debolezza di ventricolo, e simili. Oggidi se ne abbandonò pressoché il di lui u-.o, avendo altre sostanze indigene che lo ponno vantaggiosamente sostituire. Il succo dei sagù colla fermentazione dà un liquore vinoso fortissimo, cono- sciuto ad Owore sollo il nome di bourdon , che è preferito agli altri vini di palma. Lo si ottiene tagliando o dividendo alla sommità dell'albero il nuovo germoglio del centro, e si riceve in alcune zucche il succo «he termenla facilmente per la grande quantità di princìpìi zuccherini e niutilaginosi che esso couliene. Gli abilauli di Owore fanno anche fermentare le amandole del frullo col succo allungato d'acqua ; essi ottengono cosi il vino più cobirilo, più spiritoso e carico d'acido carbonico, il quale spuma come il champagne , e poca quantità basta per inebbiiare uu uomo uou abitualo a ipiesla bd)iia. 275 il cespo dei fiori
  • gnoso è semplicemente scipito e amidaceo; quello della parte corticale è sovente di una amarezza assai manifesta. La parte corticale sembra essere più attiva; ha sapore mucilaginoso variamente amaro. Salsaparilla caraca- Questa è una varietà poco distinta dalla prece- dente, non differisce che per essere meno terrosa, di un grigio pallido, un poco ross.'.stro all'esterno, m.ircata di strie e canalature meno apparenti. Essa si fende con molla faciliti, e la sua parte legnosa è d'un colore bianco che contraslu col rosa della p^rte corticale Dietro tali qualità esterne, questa sorta tarplibe prefeiihile alla precedente; lullavia ne è meno attiva, e il suo vsloie rommercinle e minore È dessa quasi insipida, e quindi meno attiva. Salsaparilla rossa detta della Giammaica Questa sorta è moltissimo rassomigliante per la sua forma generale alla salsapariglia di Honduras. Essa è egualmente guernila di ceppi , lunga di 6 a 7 piedi , rugosa e compressa per la disseccazione, ma più sottile e interamente privata di terra. L' epidermide è di un rosso-arancio o d'un grigio-rossastro; la parte corticale, meno spessa che quella di Honduras, è d'ordinario più umida e flessibile, perchè essa contiene una maggiore quantità di sale marino. Il sapore di questa sorta di salsaparilla è più amaro e aromatico. Riguardasi come superiore di qualità alla salsaparilla di Honduras, ma è assai rara nel commercio europeo. Salsaparilla del Brasile delta del Portogallo. Essa ci arriva in iscat- tole cilindriche di vario peso. La sua epidermide è rossastra, marcata di leg- giere solcature longitudinali. Tutta la parte interna è bianca , e pare formata pressoché intieramente di amido. Il suo sapore è un poco amaro. Tutte queste sorta di salsaparilla soggiacciono ad una operaiione semplicis- sima prima d'essere impiegale in medicina ; si fendono cioè longitudinalmente e si tagliane in piccoli frammenti lunghi circa un pollice. Le proprietà attive di queste radici risiedono nella parte corticale, come Pope ha enunciato, e non nel roeditullio, che non rinchiude che amido e legnoso. Un'analisi venne instituita da G. B. Canobio farmacista in Genova, il quale potè conchiudere che contiene i seguenti materiali: 1. Materia gommosa; 2. " estrattiva; *{. " resinosa ; 4. Fecola. Analiizate poi quattro dramme dal surricordato autore, di salsaparilla di Li'^bona , se ne ebbero 1. Materia legnosa e fibrosa vegetale dram, i gr. 8 2. " fecolosa ed amilacea « ii " 12 3. » estralli vo-gouimosa » » » 16 4. » resinosa » « » 8 Dram, iii gr. 44 Perdita nelle infusioni acquose « « » 19 Nelle infusioni alcooliche » d ì) 9 Totale dramme iv gr. — Folchi inoltre ha pubblicato a Roma le sue ricerche chimiche sulla salsapa- rilla, ove ei pretese che il principio attivo, da lui riguardalo come un nuova 281 alcali TPgeliile (smilacìna), fosse contennJi) nella parte raedulliire. Eccone i risultati : 1. Fecola amilacea ; 2. Materia estrattiva amara e coluraute ; 3. Albumina ; 4. Gomma ; b. Materia grassa ; 6. Sostanza alcalina (smilaceà)- Il solo alcali, dice questo autore, che a me pare meriti d'essere ben nove- rato e riconosciuto nelle sue proprietà caratteristiche. Un altro medico italiano, Galileo PalloUa, scoperse quasi contemporaneamente del Folchi un principio che chiamò Pariglina, principio che non differisce da quello del Folchi , giusta l'opinione di Richard e Guibort. La pariglina pura è d'un sapore amaro, austero, leggermente astringente e nauseante; il suo odore ò particolare. E insolubile nell'acqua fredda, poco so- lubile nella calda, poco solubile nell'alcool bollente. Quando è impura essa è insolubile nell'acqua fredda, ma solubile nell'alcool concentrato alla tempera- tura ordinaria e ad una temperatura più elevata. Questo prodotto è legger- mente alcalino Sottomesso all'azione degli acidi offre i fenomeni seguenti : l'acido solforico concentrato lo dec.ompone, lo stesso acido allungato vi si com- bina e dà origine ad un solfalo; gli altri acidi si combinano alla pariglina; si fonde e diviene nera, sì decompone io parte conservandosi ancora amara. Ad una temperatura più elevata si decompone interamente, e nello stesso modo che fauno le sostanze non azotate. Pietro diversi sperimenti del succitato Pai- lotta la pariglina è un debilitante che agisce affievolendo l'attività vitale. Per ottenere la pariglina, giusta il processo del Pallotla, si taglia la sal- saparilla,si pesta e si aggiunge a sei parli d'acqua bollente; si chiude il vaso per mantenere la temperatura. Dopo otto ore d'infusione si passa il liquido attra- verso una tela; si versa sul residuo la slessa quantità di prima d'acqua bollente e si fa una seconda infusione pel tempo medesimo, si riuniscono le due infusioni the sono d'un colore di ambra carico e che hanno un gusto amaro e nau- seante. Vi si versa il lalle di calce in quantità sufficiente acciò che il liquido divenga leggermente alcalino: il liquore si fa bruno, si precipita una sostanza di color bigio. Si raccoglie questo precipitalo sopra una tela Gita , si unisce quando è ancor umido con acqua saturata di acido carbonico, poi si fa dis- seccare al sole: si riduce in seguito in polvere 6na e si tratta in un matrac- cio con alcool a 40°: si fa bollire per due ore, sì feltra la soluzione alcoolica , si tratta di nuovo il residuo con alcool, si ripete una seconda volta l'operazione. Si riuniscono le soluzioni alcoolicbe, s'introducono in istoria di vetro, si procede alla distillazione che si continua Bnchèsi scorga che il liquido s'intorbidi insensi- bilmente, quindi si arresta l'operazione; si smonta l'apparecchio, si serra il resi- duo in una capsula e si abbandona a se stesso ; poco tempo dopo si ritrova una sostanza bianca che si precipita e si attacca alle pareli della capsula. Si separa il liquido sorvolante, si pone il vaso in una stufa riscaldata a 25" R. Quando 282 la massa è Icislanlemenle ilisseccala, laccoglfPsi il pro^lulto secco e sì couserva Questa è la pariyliìia impura, a tale stato essa è solida, compatta, legger- mente deliquescenle. Può esssere puriGcala mediante il calore. Fra le sostanze che si mantennero in qualche credito come valevoli medi- camenti nel trattamento curativo della sifilide, dacché il mercurio venne in- trodotto per la cura di quesl'aflFexione , vuoisi per cerio annoverare la salsa- narilla ed i suoi preparati: e clinici valentissimi in tutti i tempi si fecero ad esaminare la possanza antivenerea di questa droga ; ed ancora oggidì ne usano vantaggiosamente nella cura della sifilide. Riferiremo quanto ne scrive il chiarissimo professore Bruschi : « Non è però nostro intendimento di quivi discutere la questione intorno al modo di agire della salsapariglia nelPanìmale economia: basta solo al no- stro scopo lo stabilire che questa droga sviluppa realmente nel vivo orga- nismo una forza medicinale notabilmente attiva ; e che male avvisano quei • medici i quali considerano la salsapariglia come un farmaco dì nessun valore, e lutl'al pni la ri{.'uardano come una sostanza nutritiva a cagione della fecola che abbondantemente contiene. Tanto le recenti chimiche analisi fatte sulla sal- sapariglia, quanto le esatte osservazioni sugli effetti dalla medesima prodotti sul corpo umano, dimostrano bastantemente essere questa droga ben fornita di un potere medicamentoso, e quindi agevolmente applicabile al trattamento curativo di varie infermità E noi più di ogni altro medico dobbiamo tenere in estima- zione la vnlù sunatnie della salsapariglia e commendarne l'uso ; in quanto che abbiamo avuto lucigo di es|ierimetilarne sopra noi stessi salutarissimi effetti, in «nodo che quel prospero slato di sanità cui presentemente godiamo, tuttociò ci è forza ripeterlo dalla facoltà sanatrice della salsapariglia. « Posto fuori di ogni dubbio che la salsapariglia possiede una forza medi- cinale, resta a determinarsi se questa sia tale da poterla profittevolmente dirigere alla cura della sifilide ; se il farmaco in questione sia o no degno di essere an- noverato fra i rimedii antisifilitici-, e se la sola amministrazione di questo medi- camento possa o no apportare una compiuta guarigione a quegl'individui male avventurosamente affetti da lue venerea. Fra i clinici che ci precedettero si vede esservi in proposilo non poca discrepanza di opinione. Brumfield, Won- tano,Guargnanl,Tohren,Cullen ed altri negarono la proprietà antisifilitica della salsapariglia; mentre all'opposto l'ammisero altri medici ragguardevoli, fra' quali un Fallijpio, un Hunter, un Quarin, uno Slorck, le osservazioni dei quali sem- brano essere di un grandissimo valore, e pare che escludano qualunque dub- biezza su questo soggetto di terapeutica. La proprietà antisifililica della salsa- pariglia si è soprattutto generalmente ammessa e sostenuta dai medici inglesi. Fordyce, oltre che riferisce molte pratiche osservazioni relative ad individui affetti da lue cotifermata e che stabilmenle guarirono mercè l'uso della salsa- pariglia, asserisce che questo pregevole farmaco è stalo utilissimo anche nei casi in cui la sifilide si era rendala ribelle al trattamento mercuriale, ed aveva ri- dotto gl'infermi airultimo grado di emaciazione, e prossimi ad esser vittima di una tisichezza polmonare. Harris tanto confidò nell'attività della salsapariglia, qual rimedio autisifilitico, che non dubitò di somministrare agl'iufanti la fecola <]i questa droga associata ngli alimenti, onde distruggere il i'ints venereo ere- 283 tlitai'io , allorquando Harris poteva sospettarne l'esistenza. In Ingliilterra sonovi anche al presente clinici rispett;ibilissimi, i quali intieramente ailiJano la gua- rigione delle malattie sìtìliliche all'uso generoso e prolungato della salsapariglia; alcuni di questi medici considerano la virtù della saUapariglia superiore a quella del mercurio; altri opinano che possa più agevolmente distruggersi la sifilide <:tiato al tomo 1, paj;. 263 della uoslra Farmacologia. Su questa parie di morbo esercita senza dubbio la salsapariglia la piopria etlicacia , e togliendo questa, viene molle volte dissi|ialo aucbe l'elemeulo specifico per le ragioni cbe altrove si diranno. « Quale sarà poi il j:rado d'aiioue della salsapariglia ? Ver (luanlo alcuni si mostrino caldi estimatori di questo farmaco, noi crediamu cbe almeno tra uor essa sìa di un grado assai mite. Non cousiglieremo quindi a trattare le iiiGam- inazioui di qualche gravezza colla sola salsaparij^lia, la quale non avrebbe suf- ficiente attività. Vorranno premettersi le evacuazioni sanguigne. Se talvolta tu vinta Tarlritide, il reumatismo, la ^otla con essa sola, non è da ubbtiarsi die la cura è stata assai lunga ed incerta. Lunghissima è pure la cura della sifilide coli.» sola salsapariglia, ed inoltre non sempre sicura e radicale onde facilmente il morbo ripullula. Ciò notasi da Fearson e da molti altri autori. Per la qual cosa pochi si fidano solamente alla salsapariglia e si danno ai rimedii di più sicura elUcacia, oppure la maritano con essi. Egli è poi verificato dalla espe- rienza che i migliori effetti nella lue si ulteugono dalla salsapariglia, quando la lue non è, come suol dirsi, vergine, vale a dire fu precedeuleinente trattata col mercurio, avvegnaché senza Imito. Sia aduucjue che essa cnmpia la cura già incamminala col mercurio, o sia che per essa i vantaggi di questo si sviluppino meglio, il fatto non è però lueu vero. » Se diciamo assai mite l'azione della salsai^ariglia, non ci melliam però nel numero di quegli avversari! suoi che le negano qualunque medica attività. Essi vennero probabilmente io questa sentenza per non averla usala a dovere. « Quanto alla pariglina è forse da tenere un altro linguaggio, imperciocché i s.iggi che diede Pallolla promettono in essa un'azione mollo poderosa. « .4zion€ meccanica La sola pariglina o il principio estrattivo deve sempre avere un lieve grado
  • arago, dalla carice are- naria, dalla dulcamara ed altre, si prendono le radici e si cuutondouu colla salsapariglia. Perciò il farmacista dovrà acquistare la radice intera per non essere ingannato. <( Io secondo luogo è pericolo che la radice medesima sia cresciuta in clima od in suolo non conveniente o sia colta in istagioiie inop|iortuna. « In terzo luogo e da guardarsi cbe la radice non sia troppo vecchia e tar- lala, sicché collo spezzarsi dia molla (lolvere. « In quarto luogo [lorgendosi essa orfliuariamenle in decotto, tacciasi in modo da non perder nulla deiratlività, Sul qual modo però discordano gli 288 auturi, voleutlo itlcuui,comeFoitiyce, una lunpLissiniH toUura, ;il(ii, come Paris, premettendovi la macerazione nell'acqua: altri invece, tome Tomson, vietando la luu^a cottura per non inGevolir l'aiione, e macerando semplicf-mente la ra- dice iielfacqua calda; altri ancora, (alto il decolto, vi aj;giiiiioono una certa quiiulità di radice in polvere. In code^la incertezza ecco qiial sia il parlilo più ^icuro : La radice lajjliala e contusa s'infonda per dodici o venti(|iiattro ore uelTacqua calda, e questa si beva dal malato la mattina a blomaco digiuno. Del capo morto di ()oi tacciasi una decoiioue in modo che Tacqua impiegata resti la metà, e la colatura prendasi lun^jo la giornata. «i In quinto luogo è d'assai grande rilievo la dose. Gettano molti la sfiesa, il tempo e le cure invano per la insuHicienia delle dosi che adoperano Tutti quelli che hanno latto molto uso ed ottenuto buoni ed incontrastabili effetti dalla salsapariglia, raccomamlauo caldamente di slare alle dosi generose. Foidyce non ne dava meno di tre oncie al giorno. Falcinelli ne prescrive due oucie nei casi lievi, e giunge spesso alle quattro oncie. Noi non ci scosteremo dal loro esempio. u In sesto luogo influisce anche la durata della cura, e questa deve passare di qualche poco la cessazione di tulli i lenomeni. Perdono molli il frullo dei loro tentativi [ter im[)azienza e soverchia economia. ti In settimo luogo non si trascurino le altre avvertenze dietetiche, soprat- tutto circa al vitto e alla temperatura atmosferica Pel primo si eviteranno le sostanze slimolanti, si proibirà il vino, i cibi aromatizzali, flatulenti , e via di- cendo- Per la seconda sarà da regolarsi secondo la stagione ed il clima. « Colui che nell'uso della salsapariglia non ha atteso a tutte queste cautele, sarà deluso nella sua aspettativa quanf35SSGI- i\spar;i<:us saliva Bauh ; pin. lib. 12, sect. o. — Touru. class. 6, Rosacee. — Asparagiis olGcioalis Lino, class- 6, Esandria mouogÌDÌa. — Juss. class. 3, Old. 2, A'.parigiue. — Poiret, Fior. rued. t. 1 , lab. 43. — RicL. Bui. nied. J. 1, p. 83. Sebbene l'Asparago preferisca i paesi meridionali ; tullavolta cresce spontaneamente in quasi lutti i climi. Giliberl lo rinvenne ne' terreni sabbiosi ed incolti della Polonia, od altri viaggiatori lo raccolsero nelle spiaggie del Volga e persino nella Siberia, Ma è nei paesi caldi ove prospera meglio ed ove coltivasi più ab- bondantemente e per uso economico e per uso medicinale. L'Asparago è una pianta vivace, la cui radice forma un ri- zoma orizzontale, scaglioso, lunghissimo, ramoso, da cui escono in gran numero fibre cilindriche, carnose, della grossezza di una penna da scrivere. Da questa radice nascono in primavera dei giovani getti, che sono la parte della pianta che si mangia. È rimarcabile che questi getti cilindrici, biancastri inferiormente e verdastri nella parte superiore, sono scagliosi e terminali da una specie di bottone conico-aculo, formato da scaglie ravvicinate ed imbricate che coprono i rudimenti dei rami, i quali si svol- gono tosto numerosissimi , mentre la pianta s'innalza alla sua altezza ordinaria che la è di tre piedi all'incirca. Portano questi rami foglie lineari, setacee, molli, verdi, della lunghezza di un pollice circa, riunite in fascetti di tre a tre, di quattro a quattro od anche di cinque a cinque. I fiori, d'un verde giallastro, sbuc- ciano dall'ascella dei rami, ora solitarii, ora due a due, raris- sime volte a tre a tre, sostenuto ciascuno da un peduncolo, mu- 29 2 nito verso la sua metti d'un' articolazione. Ogni fiore presenta poi un calice tubuloso , campanulato , diviso profondamente in sei parli, di cui tre inferiori, curve all'infuori verso la loro base: sei stami inserti alla base del calice e meno lunghi di questo : un ovario supero, ovale, sormontalo da uno stilo corto, termi- nalo da uno stimma trigono. Il frutto è una bacca globosa, prima verde ed alla maturazione d'un vivo rosso, la quale offre tre logge, ciascuna delle quali contiene due grani angolosi neri, duri e glabri. Fu opinione di alcuni botanici che gli organi maschi e fem- mine non esistessero nello slesso piede , e per conseguenza ri- guardarono l'asparago come una pianta dioica. Se si osserva frattanto che l'asparago selvaggio racchiude generalmente i due sessi nello slesso fiore , e che i piedi maschi dell'asparago dei giardini o coltivalo, hanno per lo più se non un pistillo com- pleto, almeno un ovario, come fece osservare Lamark, è forza di non osservare altro che un aborto prodotto dalla coltura, e considerare conseguentemente con Linneo l'asparago quale pianta ermafrodita. Tutti sanno che gli asparagi imbanditi sulle nostre tavole sono i giovani germogli o getli scagliosi che sbucciano e s' in- nalzano con sorprendente celerità, e che si raccolgono poco tempo dopo che spuntarono dalla terra. Le radici che li produ- cono sono tenere e delicate e naturalmente trisannee; ma se ne sviluppano al dissotto un nuov' ordine destinato a perdurare lo stesso tempo, e che a sua volta danno origine ad un nuovo strato od ordine di radici superiori, sino a che il colletto avendo raggiunto il livello del suolo, quelle che vorrebbero ancora formarsi in avvenire, non trovano più ne sito, ne nutritura. Sif- fatta disposizione ben conosciuta dagli agricoltori , loro suggerì l'idea di piantarli in fosse profonde, aggiungendovi ogni anno alcune dita di terra, ed in ragione dell'innalzamento che fassi ciascun anno, perdura più o meno la pianta. 293 Non è nostro intendimento dare dettagliali ragguagli a ri- guardo della coltura di quest'utilissima pianta. Basterà il dire che l'asparago abbandonato a se nelle regioni caldissime è le- gnoso, sottile, insipido, mentre coltivalo da un abile giardiniere acquista, specialmente nei paesi freddi ed umidi, come nella Fiandra, nell'Olanda, nell'Inghilterra e simili, un sapore squisi- tissimo ed un volume considerevole, volume, che alle volte rendesi eccessivo per l'unione inlima od agglomerazione di piij getti in un solo. Chi desidera i dettagli d'una buona coltura della pianta in discorso, non ha che a consultare Rozier, Miller, e specialmente Fillassier, Seidel eWolhmann. L'Asparago, detto anche Sparagio, Spaghcro, chiamasi dai Francesi Asperge; dagli Spagnuoli Asparrago, Esparragiiera; dagli Inglesi Asparagus, Sparagus, Sparroiv-gross , Sperage; dai Tedeschi Spargel; dagli Olandesi Spargie; dai Polacchi Szparag. E la radice di questa pianta che in medicina esclusivamente adoprasi come aperitiva e diuretica, ed è una delle cinque radici aperitive maggiori degli antichi, sebbene, a vero dire, debba essere ritenuta, in onta anche dell'aiione diretta e sollecita che esercita sugli oroani se|)aratori dell'orina, per medica- mento debolissimo, il quale, come dice Peyrillbe, si adopera piuttosto per abi- tudine, che persuasi de' suoi buoni effetti. 1 seguaci però delle teorie antiche ne fanno oggidì ancora abbondante uso a danno più della borsa deuli ammalali che per l'utile che ne ottengono ; impe- rocché Tasparigina da alcuni medici frequentemente adoprala, e per lo più senza risultato di sorla, è d'un altissimo prezzo. L'odore fetido e speciale che olezzano le orine di chi mangiò degli aspa- ragi fu forse la causa per cui gli antichi lo raccomandarono nelle malattie del- l'apparato uro-poielico, perciò nelle idroj)isie d'ogni genere che sempre er- roneamente le credevano determinate da qualche sconcerto dei visceri di questo apparato. Dioscoride e Galeno furono i primi a segnalarne l'azione sugli or- gani uro-poietici, come Aveena, Psellio e Simeoni Seto ad avvertire anche la fetidilà dell'orina sotto la digestione degli asparagi , alla quale proposero an- darvi incontro col versare nel fluido secreto un po' d'aceto ferie o dell'acido muriatico. Egli è vero infatti, e tulli lo conoscono, che gli asparagi con grande ra- pidità comunicano alle orine certo odore spiacevole e quasi lelido, lo che, è iunegitbile, indica la pronta azione da essa esercitala sugli organi orinarli: sii- 291 i;ill:i azione si rinvienp pure nella rndice, la quale è carnosn, mncibgrnosa eJ ;iIqiiaiito amara. Vauqueliu e Rolìiquet die analiziaiono la radice in discorso, vi rinveonero: Uua fecola verde ; Uua cera vegetale ; Dell'albumina ; Diversi fosfati ; Diversi acelati ; Una materia zuccherosa analoga alla manna; Un principio cristallino (aspariglna). L'asparigina pura si presenta in forma di cristalli duri, lamellati, traspa- renti; la loro figura, determinata da Havy, deriva dal prisma romboidale, nel mag{;ior numero di questi cristalli il grande angolo della base del prisma è di 130 gradi. I lati di questa base e gli angoli situati all'estremità della grande diagonale ven«;ono sostituiti da faccette. E l'asparigina formata d'ossigeno, d'idrogeno e di carbonio in proporzioni non ancora determinale. Forse è da riportarsi l'azoto negli elementi che la compongono, giusta l'opinione di Pelletier; imperocché come osserva questo autore, esposta l'asparigina all'azione del fuoco, dopo avere esalato vapori pun- genti, ne tramanda di sensibilmente ammoniacali. L'asparigina va considerala quale sostanza neutra, in quanto che non è né acida né alcalina: risulta poco .«olubile nell' acqua fredda; l'acqua calda ne stempra maggiore quantità : le soluzioni non precipitano né cogli acidi né cogli alcali; la infusione della noce di galla non vi determina verun deposito. Lo stesso e a dirsi dell'acetato di piombo. L'acido nitrico opera sull'asparigina con molla energia ; il risultato di quest'azione somministra fra gli altri pro- dotti del nitrato di ammoniaca. Questa sostanza si ottiene nel modo seguente: Si pestano gli asparagi e si Spremono afGne di estrarne il succo. Si espone questo liquido all' azione del fuoco per separare le materie che sono sospese e quelle che si congelano eoi calore ; si felira il liquido, si fa concentrare il liquore feltrato e si abban- dona il prodotto ad una evaporazione spontanea. Dopo venti o trenta giorni si trovano nel liquore due sorta di cristalli; gli uni in prismi romboidali duri e Iragili, che sono deWasparigina alterata di sostanze straniere; gli altri che sono poco consistenti ed hanno dell'analogia colla manite: si separano i cristalli dell'asparigina da questi ultimi, si lavano con un poco di acqua e si fanno ridisciogliere e cristallizzare. L' asparigina esiste anche nella radice , non che nella patata. L' azione dell'asparigina nell'economia animale vuoisi sia la slessa che quella dell'asparago, ma molto più attiva : lutlavolta non è ancora ben determinata , •'ssendo questo prodotto raro e carissimo a cagione della piccola quantità che !ie contengono gli asparagi. Gli asparagi, ossia le veluccie, teneri germogli, si mangiano dopo d'averli ^alii cuocere nell'acqua ed apprestali in molli modi. I Greci ed i Romani, che 295 De erano molto ghiolli , li facevano cnocere pochissimo , come appare dal seguente passo : Felochis qiiam asparigi coquitntur, diceva spesso Augusto, secondo riferisce Suelonio: costituiscono un alimento sano, di facile digestione e conveniente ai convalescenti. Le parti inferiori delle vetuccie, essendo molto flbrose, servono a fabbri- care carta. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Parie superiore dell'asparago sviluppato. 2. Radice. 3. Gernaoglio. l^. Due fiorì. 5. Pistillo: 6. Calice aperto. 8. Fruito taglialo orizzonlalmenle. 8. Seme isolalo. 206 FAMIGLIA G8>/^ G II A M 1 G N A G E E (*j Le Gramignacee costituiscono una delle famiglie naIuraK più interessanti del regno vegetabile, ed una di quelle i cui ca- ratteri sono maggiormente precisi : ad essa infatto appartengona quelle folle di vegetali che coprono le nostre campagne, ove esse formano l' oggetto principale della nostra agricoltura. Tali risultano le biade, la segala, l'orzo, l'avena , il mais, il riso, il panico ed altri. Eccone i caratteri in un colle dotte osservazioni del signor Bertani a riguardo della medesima famiglia : C) Osservazione XLI. Gramignacee , pag. 93, Un. 44 , si legge : « / « caratteri delle Gramignacee sono: radice fibrosa, repente, stolonifera: « fusto fistoloso: foglie allungate, che formano una guaina intorno al « fusto; calice scaglioso; infiorescenza a spiga od a pannocchia: fiori « apetali: stami tre comunemente: antere lineari, versatili: seme nudo 1 caratteri delle piante Gramignacee ammessi dal Dizionario sono a mio credere poco esatti, ed alla istruzione dei giovani poco soddis- facenti. Imperocché non tutte le radici di tali piante sono repenti e stolonifere e come si asserisce nel Dizionario. Diffatti quelle del Fru- mento, del Grano Turco, degli Olchi, dei Panici e di tant'altre non sono stolonifere. Se ne trovano però diverse, come p. e. la Gramigna (Tri- licum repens), la Canna (Arando Donax) ecc. , le quali hanno te loro va" dici repenti e stolonifere, ma ciò non pertanto io credo che tale carat- tere non si possa generalmente applicare alla intiera famiglia delle Gramignacee. Io osservo del pari non essere troppo rigoroso quanto nel suddetto Dizionario prosieguesi a dire , che le Gramignacee cioè aver debbano il loro fusto fistoloso. Osservo infatti che il Frumenlo del 297 Le gramignacoe, secondo Vent., formano una famiglia naturale di piante monocoliledonie , i di cui fiori sono ordinariamenle muniti di due invogli, l'esterno dei quali chiamasi calice o gluma calicina, ovvero soltanto gluma, e l'interno dicesi corolla o glu- ma fiorale. Ambedue questi invogli sono per lo più divisi in due parli che diconsi valvole. Queste sono ora scodate, ora portano una 0 più reste (aristic) inserite alla sommith o sul dorso delle medesime. La gluma calicina porta uno, due o più fiori e la corolla attornia gli organi della fruttificazione. Gli stami ven- gono inseriti sotto l'ovario quasi sempre in numero di tre, la massima parte irritabili prima del perfetto sviluppo del fiore» Hanno dei filamenti capillari, i quali portano delle antere bis- lunghe, girabili , forcellute alle due estremità. L'ovario è sem- plice, supero, contornato alla base da due scaglie, le quali non sono sempre visibili. Esso è sormontato da due stili, ognuno dei quali porta uno stimma piumoso. Il frutto consta di un solo seme, il cui embrione è piccolissimo e adnato inferiormente al lato di un perisperma farinoso e molto più grande. Le piante gramignacee sono generalmente erbe, ed hanno delle radici fibrose e capillari, dal collo delle quali s'innalzano degli steli cilindrici ora fistolosi, ora spugnosi, quasi sempre articolati o guerniti di nodi , ai quali si dh il nome di culmi o canne (culmi). Le loro foglie sono sempre alterne , solitarie , semplici, coi loro margini intieri, abbenchè di sovente siano rozze ed aspre al latto. Queste foglie sono lineari e lanceo- late, quasi spadiformi. Alla superficie di queste si osservano miracolo {Trìtìcum compositum), i Frameuloiìi, ^Zi Olcbi, i Panici e fante altre di sitnil natura hanno invece i loro culmi ripieni di una midolla o sostanza spugnosa , onde mi pare che queste tolgano troppo patente- mente la generalità dei caratteri dal Dizwnario a tali piante asse- gnati. Per questi riflessi quindi io credo di potere con maggior pre- cisione far conoscere quanto su questo particolare saggiamente dice il signor Base nel Nouveau Diclionnaire d'Histoire Nalurelle appliquée aux art& eie. Tom. X, pag. 75, F. retro all'articolo Granaigoacee Piante. 298 delle nervature longiludinali e paralelle. La loro base è simile ad una guaina più o meno lunga ed aperta nella sua lunghezza dalla parte opposta alle foglie , la quale abbraccia il culmo. Questa guaina e qualche volta i di lei margini sono guernitì di peli. V infiorescenza varia in queste specie di piante. I loro fiori, che sortono dalla guaina della foglia superiore, sono disposti sopra le piante o in forma di capolino o di spiga , oppure di pannocchia. Sono piccoli, di colore erbaceo e quasi sempre er- mafroditi^ quantunque alcune volte se ne trovino di diclini, il che devesi attribuire all'aborto di uno degli organi sessuali. Dal signor Venlenat vengono compresi in questa famiglia , che è la V della ii classe del suo Tableau du règne vegetai, etc.^ 39 generi sotto undici divisioni, cioè: 4 . Quelli che hanno due stili e due slami : Anthoxantlmm. 2. Quelli a due stili , a tre slami ed a gluma calicina uniflora, ed a fiori ermafroditi : Crypsis, Alopecurus, Plemi, Pha- laris, Paspalum, digitaria, Panicnm, Miliim, Agrostis, Stipa, La- gwm, Saccharum. 3. A due stili, a tre stami, a gluma calicina uniflora, ed a fiori poligami : Holcus, Andropogon. 4. A due stili , a tre stami ed a gluma calicina conte- nente due 0 tre fiori poligami : Tripsacum, Cenchrm, Regilops, Rottboella. 5. A due stili, a tre stami ed a gluma calicina di due o tre fiori ermafroditi : Aira, Melica. 6. A due stili, tre slami, a glume calicine multiflore glo- merate : Dactylis. 7. A due stili , tre slami , glume multiflore disposte in ispiga ristretta (coarctata), per lo più semplice : Cynosuriis, Lo- lium, Elynms, Hordeum, Triticum, Secale. 8. A due stili, tre stami, glume calicine multiflore sparse 0 in pannocchie : Bromm, Festuca, Poa, Briza, Avena, Armdo. 299 9. A due stili ed a sei stami: Oriza^ Zkama. 1 0. A siilo unico, a stimma semplice ed a tre stami ' Nardiis, Zea. 1 1 . A stilo unico, a stimma diviso ed a tre stami : Coix. Kocler nella sua opera pubblicata sulle Gramignacee di Eu- ropa propone sei nuovi generi, cioè: Fibichia, Blumenbacìm , MoJima, Yentenatia, Cuvicra, Lamarchia. Merita poi di essere sul proposito accennato il sistema di classificazione delle piante gramignacee recentemente messo in uso nella Flora Piemontese avente per titolo Phillographie Pié- montaise. Questa eccellente opera tra gli altri suoi pregi accop- pia ancora la iiovilk di una sistematica distribuzione, in modo che rende l'esimio di lei autore meritevole dei più grandi elogi. In essa i gramignacei vengono ordinatamente sistemali in una maniera del tulio nuova , formando un dipartimento separato, cioè Tultima parte del in e ultimo volume. I caratteri cbe per la loro classificazione sistematica vengono adoprali , sono traili non dalle foglie, come venne usato per le altre piante, ma bensì da quelli che presenta il loro modo di fiorire, cioè dalfinflore- scenza. Imperocché le gramigne non offrono che foglie semplici, lanceolate, intiere, nervose, guainanti, conseguentemente non presentano tutte le particolarità che somministrano quelle delle altre piante. Conveniva adunque che si escludessero nella si- stemazione di esse tutti i caratteri che offrono le foglie. Così è slato eseguito nella Fillografia Piemontese, e l'illustre suo autore si attenne per queste a quanto presenta di rimarchevole la loro infiorescenza. Diffalli le piante gramignacee offrono dei fiori , i quali sono o sessili disposti in ispiga , ovvero ordinali ad om- brella , 0 sono pedicellali. I pedicellati rappresentano o una pannocchia semplice, ovvero una pannocchia ramosa. Quindi vanno essi a formare quattro divisioni. Le spighette poi che stabiliscono la spiga generale o sono ses- sili , ovvero distribuite ad ombrella, o sono pedicellate. Le 300 disposte in ispiga hanno i fiori corollali, ovvero mancano di co- rolla. Le disposte ad ombrella non presentano alcuna suddivi- sione. Le pedicellate finalmente presentano due divisioni, perchè 0 sono in pannocchia semplice od in pannocchia ramosa. Le pedicellate in pannocchia semplice ofl'rono , a differenza di quelle a pannocchia ramosa, due suddivisioni, giacché i loro fiori 0 hanno corolla, ovvero ne mancano. Dietro queste considerazioni pertanto la famiglia delle piante gramignacee viene sistematicamente ordinata nelle seguenti sei sezioni: I. Comprende questa que' gramignacei, i di cui fiori sono sessili, disposti in ispiga. Di questi ce ne somministrano degli esempi il Giunco {Scirpus palmtris), la Coda di volpe [Alopecu- riis pnUensis), ecc. IL Entrano in questa quelli che hanno i fiori disposti in ombrella o in corimbo. Il Giunco de' contadini [Jimcus effusus). III. Abbraccia gli altri che portano fiori pedicellali dispo- sti in pannocchia . In questi per altro la pannocchia o è sem- plice 0 è ramosa. Quindi olirono due suddivisioni. Prima suddivisione. Riunisce questa que'gramignacei, i di cui fiori pedicellati presentano delle pannocchie semplici. Il Falcino [Anthoxanthum odoratimi). Seconda suddivisione. Comprende questa quegli altri a fiori pedicellati in pannocchia ramosa. L'Agrostide dei campi [Agroslis spica venti), il Fleo de' prati o Codolina {Fleum pra- tense)^ ecc. IV. Vengono in questa raggruppati quei gramignacei , la di cui infiorescenza consiste in ispighelte sessili disposte in ispiga, ed esibisce parimenti due suddivisioni. Prima suddivisione. Rinchiude quelli , le di cui spighette sessili portano dei fiori senza corolla. Il Carice pannocchiuto {Carex panicidata). Seconda suddivisione. Abbraccia gli altri a spighette sessili 301 che portano fiori muniti di corolla. La Gramigna [Trilicmi rc- pens), il Loglio {Lolium temidentum), ecc. V. Si riuniscono in questa quelli, le di cui spighette sono disposte in ombrella o in corimbo. 11 Giunco da stuoie [Scirpus lacustris), il Cipero lungo {Cyperus longus), ecc. YL Costituiscono questa finalmente que' gramignacei che portano delle spighette pedicellate. Egli è poi da avvertire che, siccome le piante di questa sezione offrono delle spighette ora disposte in pannocchia semplice ed ora in pannocchia ramosa, cosi esse somministrano necessariamente due suddivisioni. Prima suddwisione. Appartengono a questa quelle piante gramignacee a spighette pedicellate disposte in pannocchia sem- plice, e suddividesi in altri due subalterni rami. Nel primo en- trano quelle a fiori privi di corolla : la Panicastrella acquatica {Carex distans), e nel secondo vengono comprese quelle altre che hanno i fiori guarniti di corolla. La Ventolana de' prati o Vena maggiore {Avena elatior), il Forasacco dei campi (Bromus arvensis), ecc. Seconda suddivisione. Compiono finalmente questa seconda suddivisione quelle gramigne a spighette pedicellate distribuite in pannocchia ramosa. Suddividesi poi , come l'antecedente, in altri due subalterni rami. Nel primo vengono comprese quelle a spighette pedicellate portanti due o tre fiori. La Canna (Ariindo donax) , la Canna di palude (Arundo phragmites) , la Vena selvatica {Avena fatua) , ecc. Entrano nella seconda quelle a spighette parimenti pedicellate , ma che mettono da quattro a dodici fiori. La Fienarola acquatica {Poa aquatica), il Paleo altissimo {festuca elatior), ecc. Ecco come l' illustre autore della Fillografia Piemontese ha sistematicamente distribuite le piante della numerosa famiglia delle gramignacee. Sebbene i vegetali componenti la famiglia delle gramignacee siano piante deboli e pel maggior numero erbacee, pure l'uomo 302 rinviene in esse, in quasi tulle le conlrade incivililc del globi», la base del suo alìmenlo. Nell'Europa, nell'Africa seUcnlrionale, nell'Asia minore il frumento serve in ispecialilà al nutrimento dell'uomo, mentre che nelle Indie , in una parte dell'Africa e dell'America il suo uso è sostituito da quello del riso e del formentone. Ned il pane è l'unico prodotto interessante che l'uomo ricava da questa famiglia. Lo zuccaro , l' alcool in gran parte sono il prodotto di piante ad essa appartenenti. E se poco interessante essa riesce , ove la si consideri sotto l'aspetto delle sue proprietà medicinali, tuttavia molti suoi fruiti privati del loro involucro servono a farne bevande, le quali pei principii che contengono risultano raddolcenti. Tali sono le tisane d'orzo perlaio, del tritello, del riso e va parlando. La radice di alcuni tritici che crescono nei luoghi incolti, presso veccchic muraglie, adopransi col nome di denle canino, come diuretica, per una certa quantità di nitro che contiene. La radice della canna di Provenza la si reputa diaforetica ecc. Ed ove si prescinda dal loglio, i cui frutti hanno una virtù deleteria , tutte le gramignacee rendonsi osservabili per la loro utilità tanto adoprata quale nutrimento dell'uomo e di un gran numero di animali , quanto nelle arti e nell'economia rurale e domestica. V,. '&a^^^^^n€ì^ L^M^7n/a^^^^^^ 303 CANNA MONTANA ~'«\AArJWvv>- Arundo donax Lino., TrianJrìa tliginia. — Juss. Graminacee. — Canna montana Rich., Boi. med., toro. 1, pag. 67. Gli antichi botanici davano il nome di canna a diverse gra- mignacee, ed anche ad altre piante monocotiledoni rimarcabili per il loro fusto diritto, elevato, proprio a fare delle canne o delle scope, terminato da un pennacchio elegante di fiori glu- macei. Questa denominazione è stata conservala comunemente; ma i botanici moderni Thanno ristretta ad un genere della fa- miglia delle gramignacee, di cui le principali sono le seguenti : Canna montana ; bella gramignacea, la quale è indigena del mezzodì d'Europa e di tutto il bacino del Mediterraneo. Si col- tiva nella Francia meridionale, nell'Italia, specialmente nel Mon- ferrato, ove se ne fanno per lo più i lembi dei campi e dei vi- gneti. La sua radice è grossa, nodosa, carnosa. I suoi fusti s'in- nalzano all'altezza di otto o dieci piedi. Essi sono ritti, legnosi, cavi internamante e separati tratto tratto da nodi. Le foglie sono larghe circa due pollici , lunghe due piedi ed un poco ruvide al tatto. I fiori formano un panicolo grandissimo termi- nale ed un poco denso. Presentano i veri caratteri delle gra- minacee. Canna di scope; comune nei luoghi acquatici d'Europa. Dalle sue radici lunghe e serpeggianti s' innalzano dei culmi dritti , alti uno 0 due metri, gucrnili di foglie a cordelle, taglienti e denticolate agli orli. Il panicolo e ampio, follo, dun colore ne- rastro, leggermente Unto di rosso. Si adopra per fare delle scope. 304 Canna indica; rimarcabile per le sue larghe foglie che ser- vono ad inviluppare diverse sostanze estrattive e resinose nei paesi ove alligna. I suoi fiori sono di un bel rosso , e si colli- vano per ornamento de' giardini. La radice della canna montana è la sola parte usata in medicina. Viene per lo più secca dal mezzodì delia Francia, e soprattutto dalla Provenza. Essa è tagliala in fette di diverse dimensioni, di un bianco giallastro internamente, spugnosa e tuttavia abbastanza dura, esternamente ricoperta di un'epidermide pialla, lucente, coriacea, segnata longitudinalmente e marcata trasversalmente da un grandissimo nomerò di anelli. In questo stato essa è senza odore. Analizzata da Cbevallier, ne ottenne i seguenti princìpii : Estratto gommoso, leggermente amaro. Materia resinosa aromatica ricordante quella della vaniglia, Acido malico, Materia azotata , Zucchero, Sali di potassa , » calce, » silice. Questo autore si è servito della sostanza resinosa aromatica per dare a delle pastiglie un odore molto gradevole. La radice di canna montana era altre volte nsata frequentemente come dia- foretica e diuretica ; oggidì è un rimedio antilatteo popolare. Si beve la de- cozione fatta con due o quattro dramme di radice entro ad un boccale di acqua sino alla riduzione di un terzo. Le radici della canna di scope sono pure dolci ed analoghe nelle proprietà a quelle della gramigna. Si asserì gratuitamente questa sostanza valevole contro la sifilide. Fauno la base del roob di LafFecleur. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Canna montana. a-?^?za .^'i^Yi^i /t^^ 305 CANNA DA ZUCCHERO -»DS!^PìS??i Arando saccbarifera Bauh , pio. lib. 1, secl. 3. — Saccbaiifera ofGcinarnm Lino., Triandria diginia. — Juss. class. 2, ord. 4, Graminacee. — Poiret Fior. med. t. 6, lab. 333 bis. — Ricb. Bot. med. , t. pag. 338. Sotto il nome di Zucchero deve intendersi un principio im- mediato di molli vegetali , caratterizzato dal suo dolce e piace- vole sapore generalmente conosciuto ; ma è specialmente dalla Canna di zucchero o Cannamele officinale che ricavasi. Non sì parlerà adunque qui che dello zucchero cristallizzato ottenuto dalla Canna. Probabilmente soltanto dopo le conquiste d'Alessandro, lo zucchero fu conosciuto dai Greci , perchè l'India e le contrade più orientali dell'Asia sono la vera patria originale della Canna, ed i popoli di queste regioni furono naturalmente i primi che ritrassero dello zucchero. Dietro le descrizioni di Dioscoride e di Plinio, il loro saccharon o saccharum era un prodotto un poco differente dal nostro zucchero, forse a ragione della sua imper- fetta purificazione. Pretesero alcuni che lo zucchero degli anti- chi fosse distinto sotto il nome di Tabaxis o Tabasheer; ma questo fu dato a due sostanze di natura estremamente dilTe- renti, l'una melosa o scilopposa, l'altra sotto forma di concre- zione siliciosa, tutte e due ottenute dalle canne del bambou. Feé altronde si è posto a dimostrare con ricerche negli autori e nei poeti che lo zucchero degli antichi era quel della canna e non del bambou od altri vegetali. All'epoca delle crociate, i Veneziani trasportarono d'Oriente questa sostanza che non s'impiegò allora che come medicamento Tom. VI. 20 306 il commercio lucroso che essi ne fecero passò subito fra le mani dei Portohesi, quando la scoperta del Capo di Buona Spe- ranza apri a questi ultimi la via marittima delle Indie orientali. La coltura della canna si sparse poco a poco in Arabia, nel- l'Egitto, nella Sicilia, in Ispagna, nelle Canarie; passò in fine nell'America, ove prosperò in guisa, che questa parte del globo ne fornisce all'Europa una quantità considerevole e forse più che non si trae dall'Asia. Solo dopo la coltura della canna nelle colonie del nuovo mondo lo zucchero divenne una sostanza di prima necessita per i popoli civili, attesi i numerosi usi ai quali l'hanno sottomesso. La canna di zucchero è d'un aspetto piacevolissimo, massi- mamente quando è in fiore. La sua radice è genicolata, fibrosa, piena di succo .-da questa s'innalzano molti fusti alti otto o do- dici piedi, articolati, lucenti, aventi un diametro d'un pollice a un pollice e mezzo, riempiti d'una midolla succosa e biancastra a nodi separali gli uni dagli altri intorno tre pollici. Le sue foglie sono inguainanti alla base, lunghe da tre a quattro piedi, larghe d'un pollice all' incirca, appuntite all'estremità, striate longitudinalmente, munite d'una nervatura media, bianca e lon- gitudinale, glabre, rudi sui margini e d'un color verde un poco giallastro. Il trutte non fiorisce costantemente, e questa efilore- scenza non si efi"ettua che quando la pianta ha circa un anno ; allora produce un getto liscio, senza nodi, lunghissimo, distinto nelle colonie francesi col nome di Fleccia (Fiòche). Esso sostiene un bel panicelo argenteo, ramificatissirao, composto di un gran numero di fiori setosi e biancastri. Ciascun fiore poi è composto di due valve calicinali munite esternamente ed alla loro base d'una lanuggine lunga e setosa: essi non contengono che un sol fiore composto di due valve corollari, di tre stami e due stili. Una varietà della canna da zucchero, che è originaria del- l' Isola di Talli , fu introdotta nelle Antille prima dal viaggia- tore Bougainvillc e i^iù tardi dairingiese Bligh. Essa dislinguesi 307 dalla canna di zucchero officinale per la sua portatura mollo più grande, per le distanze dei nodi più lunghe, per i peli che attorniano la spica, che sono pure più lunghi, e per altri caratteri del fiore. Offre inoltre gli altri vantaggi sulla specie comune quello di fornire maggior quantità di zucchero, d'essere molto più robusta e non essere sensibile al freddo. La Canna da zucchero violetta {Saccharum motmeum Tussac, Fior. Antill. 1, p. 160, t. 23) è coltivata nelle Indie orientali sotto il nome di Canna di Bcikwia. Oltre il suo colore, differisce dal Saccharum olficinale per i suoi nodi più ravviicnali , le spi- chette più piccole, le valve delle sue glume o calici più cigliati, i suoi peli più lunghi ecc. Fornisce minore quantità di zucchero, e non si coltiva che per ottenere il Rum colla fermentazione del succo. La coltura ottenne inoltre molte varietà di questa pianta, che si trovano descritte in molti lavori d'agricoltura , e che molti autori le hanno descritte come specie. Lo Zucchero ossia Canna da zucchero chiamasi dai Francesi Sucre; dagli Spagnuoli Azucar; dai Portoghesi Assucar; dai Te- deschi Zucker; dagli Inglesi Sugar; dagli Olandesi Suiker; dai Danesi Sukker; dai Polacchi Ciikier. Diremo brevemente della coltura. Per istabilire una pianta- gione di canne da zucchero si sceglie un terreno sostanziale^ nel quale si praticano piccole fosse di diciolto pollici di lunghezza sovra sei pollici di profondità: si colloca in ciascuna di que- ste fosse un pezzetto di canna, che radica con facilità a ca- gione della nodosità onde è provveduto, e dalla quale spuntano le radici e i fusti. Nei climi caldissimi ed i più convenienti alla pianta , come in certe contrade delle Indie orientali , ed anche in Egitto, si propaga la canna co' suoi grani che vi germogliano facilmente. Si favorisce lo sviluppo dei fusti con frequenti irro- razioni e strappando con cura l'erbe cattive. Dopo un anno ed anche di più, secondo la bontà del suolo e delle circostanze at- 308 raosferiche, si fa la raccolta dei fusti, la maturiti dei quali mani- festasi al loro ingiallimento ed alla caduta delle loro foglie infe- riori: si tagliano il più basso possibile e si divide la parte supe- riore, eh' è tanto meno zuccherina che essa vicinasi alla sommiti. D'altronde osservasi qui come nella più parte delle piante, che la efflorescenza fa sparire in gran parte i succhi zuccherosi dal fusto e che gl'individui fruttificanti di rado, come ha luogo nelle Colonie americane, sono più convenienti per l'estrazione dello zucchero. Dal collo della radice spuntano nuovi fusti che i coloni chiamano Camii-gatti, e che sono buoni a tagliarsi di lì ad un anno. Se ne fanno quattro o cinque raccolte ; dopo si deve rinnovare la piantagione Prima di discorrere dello zocctiero ossia del principio immedialo zucclierioo che conliene la canna suddescrilta, diremo alcun che sul modo che in grande si eslrae. Giunte le canne alla loro pei fella maturazione, si lagliano e si raccolgono a fasci Le canne, disposte in mucchi, ppf essere sottomesse alla espressione, hanno da 9 a 12 piedi di lunghezza ed oCProuo 30 a 40 nodi. Si frappongono tra ci- lindri di legno durissimo o di ferro innalzato verlicalmenle sovra un piano orizzontale, che è circondato d'una solcatura ; si fanno rivolgere questi cilindri in senso contrario col mezzo d'una forza motrice qualunque; il succo scola per la solcatura o rivolo del piano orizzontale, e cade nei recipienti. Le canne spogliate di succhi e alle quali si dà il nome di bagasse, sono impiegale come combustibile. Il succo nominato i>esou è io principio opaco, grigiastro, viscoso, di sapor dolce e d'odore leggiero balsamico; contiene fecola, muci- laggine e rimasugli dei vegetali che li depositano in parte col riposo. Ma per- chè non fermenti , non si attende ch'esso sia depurato con questo mezzo, e si porla il più preslamenle possibile nelle caldaie collocale le une al seguilo delle altre sopra un fornello allungato. Le caldaie hanno difTerenli capacità: la più grande è collocala a una estremità, la più piccola al fuoco: questa conseguen- temente riceve il più gran calore. Si riempie di succo la grande caldaia, vi si versa un terzo od una quantità conveniente di latte di calce, che si unisce all'albumina; forma con questa un composto più coagulabile che l'albumina sola, per conseguenza dà alle schiume più consiitenza e contribuisce a lacili- lare la loro separazione (1). Il liquido non è portalo interamente all'ebolli- ti) La giunta di frappa calce none senza incom>eniente nel tratta- mento della canna. i\e resta taholfa ne' zuccheri oidinarii, ed alla pre- senza di questa sostanza devesi attribuire la loro alterazione spontanea; perchè una parte convertesi col tempo, probabilmente in materia muci- lu'jginosa- 309 Tujne in questa caldai.) ; perclic la prima operatione non è destinata che alla leparaiìone della fecola e delle altre materie straniere; per ciò appunto si no- mina prima caldaia per lavare la feccia- Dopo aver tolta la schiuma ram- muccbiata alla superficie del liquore, si fa passare questa in una grande cal- daia chiamala la propria, ove si fa bollire lentamente per compiere la cbiarifi- caiione, che si opera aggiungendo ancora latte di calce. Questa manipolazione è talvolta ripetuta in una terza caldaia , avanti di procedere de6nitivamente all'evaporazione ed alla cocitura, che ebbero luogo da principio in una quarta caldaia, fino a che il liquido sia condono alla consistenza conveniente. Il punto di saturazione è quello in cui 5 parti d'acqua hanno disciolto 5 parti di zuc- chero , ciocché il lavoratore riconosce preudendo una goccia tra il pollice e l'indice, dalla quale risulla un filetto. Lo sviluppo si versa allora nei rinfre- scatoi, specie di casse doppie di piombo laminato, e il cui fondo è composto di due piani inclinali. Si lascia lo sciloppo circa 24 ore nelle casse: lo zuc- chero si cristallizza in parte; si agita per dargli un grano più fino e più uni- fornae, e dopo alcune ore si aprono i fori praticali sotto le caldaie, affine di far uscire una sorta di acqua-madre, vale a dire, uno sciloppo nero che non potè cristallizzare, e che si dice la melassa. Spesso dopo aver lasciato alcun tempo lo sciloppo nel rinlVescatoio, che allora non si compone che d'una cal- daia ordinaria, si distribuisce in forme coniche di terra cotta, nelle quali la cristallizzazione si opera, come abbiamo detto. Lo zucchero così ottenute porla il nome di zucchero greggio, cassonada o mascabà. Dopo una esposizione di alcuni giorni all'aria per farlo sufficientemente seccare, si colloca in barili» ed in questo stato arriva ordinariamente dalle colonie. Si fa soggiacere questo zucchero ad una operazione, la quale consiste a ri- coprire di terra od argilla stemperata la superficie dei coni nei quali si è col- locato lo zucchero. Quest'argilla cede poco a poco la sua acqua allo zucchero, e trasporta le porzioni di melassa aderenti ai cristalli. Quest'operazione si ese- guisce più d'ordinario dopo il raffinamento, di cui esporremo i diversi melodi. Si usava, non è ancor molto tempo, una grande caldaia nominata caldaia da chiarificare; vi sì faceva disciorre lo zucchero in una certa quantità di acqua di calce chiara; si riscaldava lentamente, e quando la schiuma era for- mata si aggiungeva al liquore sangue di bue allungato coU'acqua. Portavasi al- lora il liquido all'ebollizione; sì toglieva la schiuma e si continuava a far bol- lire lo sciloppo fino a perfetta chiarificazione. Questo cosi chiarificato, bene schiumato e feltralo, si versava in una caldaia più piccola sovra un altro for- nello; si schiumava di nuovo e si continuava a cuocerlo. Infine la sua coci- tura terminava completamente in una terza caldaia collocata sul medesimo for- nello. Questo metodo era vizioso sotto più rapporti; da principio le caldaie erano in generale costrutte dietro principii contrarii ai risultamenti proposti : erano d'una profondità e capacità considerabilissime, attalcbè lo sciloppo re- slava esposto troppo tempo all'azione dei fuoco e dell'aria, ciocché alterava singolarmente la qualità dello zucchero, e produceva sovente 25 a 28 per 100 di melassa. Si sono dunque a queste vaste e profonde caldaie sostituite altre caldaie molto piatte, che si possono esporre impunemente a gran fuoco, e sono rese mobili, acciocché si possa vuotarle prontamente senza spegnere il fuoco. 310 Noi) vi si melle cbe una quantità poco considerabile di sciloppo alla volia, e il calore che agisce uniforrnemente su lutto il fondo della caldaia, porta tosto il liquido al punto di concentrazione conveniente. Filippo Taylor irnaginò un metodo di cocitura più perfetto. Si fa arrivare nel fondo delle caldaie una serie di tubi , d'intorno ad un metro e mezzo di dia- metro, pieni di vapore compresso a 4 o 5 atmosfere. La grande quantità di calore svolta dal vapore a questo stato di pressione , distribuendosi sovra su- perfìcie estremamente moltiplicate, lo sciloppo viene rapidamente portalo alla ebollizione, e si cuoce rapidamente come se la caldaia l'osse collocata sopra un fuoco dei più ardenti, sebbene la temperatura dei tubi non sia così elevata. Howard impiegò un apparato che non oflTre l'inconveniente rimproverato ai due precedenti , vale a dire di lasciare lo sciloppo esposto all' accesso dell'aria atmosferica, a un calore troppo elevato, circostanza che sembra esercitare un'in- fluenza funesta nella bianchezza dei prodotti. La sua caldaia di cocitura è coperta d'una specie di capitello, nell'interno del quale esso fa, fino a un certo punto il vuoto, col mezzo delle pompe aspiranti adoprate con una macchina a vapore. Si comprende che la pressione essendo così diminuita, lo scilofipo può bollire a temperature bassissime, per esempio, da 65 a 70 centigradi. L'aspirazione delle pom[)e accelera l'evaporazione facendone sparire il vapore a misura cbe si produce, e la cocitura si opera a lai modo come sotto le condizioni più fa- vorevoli. Il metodo di Howard fu adottato da molte raffinerie di Inghdterra e di Francia , ed offrì risultamenti assai vantaggiosi per la bellezza dei pro- dotti e sotto il rapporto dell'economia. Infine nun dobbiamo ommettere il semplice ed ingegnoso apparato di De- rosne, un modello del quale afiparve nell'esposizione del Louvre del 1827. e cbe noi vedemmo in attivila per lo zucchero d'amido nella fabbrica di J. B. Mollerai a PoylIy-sur-Saóue, dipartimento della Costa d'Oro. Questo appa- rato evaporatorio consiite in uno o più piani inclinati, presentanti numerosi rivoli trasversali, ()er li quali il liquido zuccherino è obbligato circolare onde rendersi in un recipiente situalo alla base dell'apparalo. Questi piani inclinali sono riscaldati moderatamente dal vapore, e l'evafìorazione è tale, che lo sci- loppo arriva al basso in un grado di concentrazione assai elevato ; se (]uesto non credesi conveniente per la cristallizzazione dello zucchero, si può ottenerlo con nuove circolazioni dello sciloppo. Il jtrincipio di questo apparato è lo stesso che quello degli apparati delle saline dell'est della Francia. Si sa che iu questi grandi stabilimenti l'acqua arriva caricata d'una piccola quantità di sale, e che la moltiplicilà delle superficie gli (a acquistare prontamente il grado di concentrazione conveniente. Si può lare all'apparecchio di Derosne lo slesso rimprovero che a quello delle caldaie piatte, di lasciare per uno spazio di tempo, Irofipo considerabile, lo sciloppo esposto all'azione dell'aria atmosferica. Qualunque sistema evaporatore s'impieghi per la cocitura dello sciloppo , questo si versa in un grande rinfrescatolo, e lo si rimesce, e, per servirsi del- l'espressione dei ralììontori, si mesce fino che sia a SO gradi dell'areometro, lermine al quale rappigliasi, col raffreddamento, in piccoli cristalli granellosi. Se ne riempiono forme coniche, [lertugiate alla |)unta d'un foro che si tiene ot- lurato con caviglia, e di tempo in tempo si muove lo sciloppo, iu maniera da 311 produrre una crislallizzaiione in grani finissimi. Infine si apre il foro, e la porzione liquida è ricavala in vasi destinati a questo effetto. Allora , per dare allo tuccbero un bel bianco, si segue il metodo che abbiamo indicato più sopra. E necessario talvolta rionovellare Toperazioue fino a quattro volte: il che esige circa un mese prima di essere completamente terminato ; perchè non si leva Io strato d'argilla eh' è al dissopra dei pani che dopo otto giorni, e si sosti- tuisce con nuove argille dilungate, e con nuovo strato di zucchero bianco pol- verizzato. Thenard propose un metodo molto più facile. Basterebbe, secondo questo celebre chimico, versare sovra lo zucchero alquanto sciloppo di zuc- chero bianco fatto a freddo, il cui effetto sarebbe lo stesso, poiché nel me- todo ordinario lacqua abbandonando l'arfjilla discioglie lo zucchero bianco che si collocò sovra i pani e che forma un vero sciloppo. Per facilitare lo scolo del liquido scilopposo. Thenard consigliò pure di farne il vuoto sotto la punta delle forme coniche. Alcuni saggi tentati in diverse fabbriche confermarono pienamente le giuste sue osservazioni. Quando il zucchero in pani è bene sgocciolato, si ritrae dalle forme e si col- loca in una stufa o in luoghi bene secchi ed ariosi , ove si compisce la sua perfetta disseccazione. La durezza dunque dei pani di zucchero pare dipendere dalla solidificazione dello zucchero contenuto nella parte scilopposa aderente ai cristalli: quesl'è come un cemento che li lega fra loro e rende le masse omogenee. Si sa che alcune raffinerie sono rinomale per la durezza e la densità dei loro zuccheri ; altre per la leggerezza. 1 confetturieri ed i farmacisti che im- piegano lo zucchero a preparazioni tanto svariai», preferiscono i primi; mentre quelli che vendono il zucchero naturale, e bramano che i pezzi di zucchero paiano voluminosissimi, ricercano i zuccheri della seconda qualità. Un lavo- ratore ritrasse grandi vantaggi uniformandosi al gusto dei venditori al mi- nulo, e lo si crede possessore di un secreto. Noi pensiamo che sarebbe facile indovinarlo colle cognizioni acquistale intorno le cause che determinano la den- sità o la leggerezza dello zucchero iu pani. Il problema si riduce a trovare un mezzo facile ad impedire la formazione del cemento che lega le molecole cristalline ; e questo si otterrebbe accelerando la feltrazione del liquido scilop- posa facendo un vuoto di sotto ai pani, come Thenard ha raccomandato. Non abbiamo parlalo fin qui che dei metodi di cocitura, metodi senza dub- bio molto importanti, e dai quali dipendono in gran parte le qualità del bello zucchero ; importa al presente di gettare uno sguardo ai miglioramenti che si portano alla chiarificazione. Di tulli i corpi dolati della proprietà scolorante il carbone animale è quello che fu applicato più utilmente al raffinamento dello zucchero. Da qualche anno il consumo n'è immenso, e sì cercò profillare nuovamente di quello che ha già servilo alla chiarificazione (1) ; ma sembrava che le operazioni necessarie a tal fine non fossero economiche. (1) Pajren fece alcune ricerche sull'azione scolorante dei carboni mine- rali (ligniti^ ampeliti, schisti hiluminosij raffrontata con quella del car- bone ài legno e del cai bene animale; ma tali carboni non possono essere 312 Sebbene paia iuconlraslabile che il carbone abbia per se medesimo la mag- gior forza scoloralrice, pure osservasi che i corpi insolubili e in uno stato di divisione estrema, come, per esempio, il fosfato e il carbonato di calce conte- nuti nel nero di osso, si caricavano di molla materia colorante, se ne incro- stavano in qualche maniera e concorrevano allo sbianchimento dello zucchero. L'allumina io gelatina è una specie di lacca che assorbe benissimo questa ma- teria colorante, e il suo uso congiunto a quello del carbone è assai vantaggioso. Noi conosciamo un abile confetturiere, esercitalissimo parimente nell'arte del raffinatore, il quale usa abitualmente questa terra, e ottiene i più begli sci- loppi, scolorando i zuccheri inferiori con un miscuglio di nero animale e di allumina in gelatina, e 4 a 6 libbre di nero per lOO libbre di zucchero, se- condo la sua qualità. Perchè l'azione del miscuglio del nero animale e dell'allumiraa abbia un ef- fetto più certo, non è necessario introdurre queste materie nello sciloppo prima della sua ebollizione , o se lo si fa, bisogna agitare incessantemente fino che il liquido incominci a bollire. In caso diverso le molecole di materia scolorante si riuniscono Ira loro, salgono alla superficie del liquido e formano dense schiume che non hanno più azione sul principii coloranti. Il sotto-celato di piombo, in ragione della sua proprietà di precipitare la gomma e le altre sostanze immediale dei vegetali , toltone lo zucchero, fu proposto colla purificazione dei zuccheri, ma questo sale forma collo zucchero una combina- zione, ed è difficile separarlo compiutamente; si assicura che alcuni manifattori riusciroiivi , e che questo metodo cagionerà una grande rivoluzione nell'arte della raffineria. Lo zucchero allo stalo di purezza è solido, bianco, d'un sapore dolcissimo, foslorescente colla percussione, d'un peso specifico di 1.606 libbre. Cristallizza facilmente in prismi a sei faccie, due ordinariamente più larghe e terminale da sommità diedre e talvolta triedre. La forma 'primitiva è il prisma tetraedro avente per base un rombo. Questi cristalli, ai quali volgarmente si dà il nome di zucchero candito, contengono presso a poco un 5 per lOO d'acqua di cri- stallizzazione. Gli elementi dello zucchero sono nelle proporzioni seguenti : Jn pesi In volume In atomi Gay-Lussac, Tliéuard e Berzelius, Carbonio 42,47 44,200 Ossigeno 50,63 49,014 Idrogeno 6,90 6,785 Sottomesso all'azione del fuoco, lo zucchero si rigonfia, annerisce e spande un odore aggradevolissinio, che si conosce sotto i| nome d'odore di caramelle. assomigliati a quest'ultimo., devono essere anticipatamente sbarazzati dal proto-solfuro di ferro col mezzo dell' idro-dorico e della calcinazione; altramente il proto-solfuro di ferro aumenta l'intensità del colore dello zucchero ordinario. Berzelius, Thomson. 22 6 lo 5 21 11 313 Esposto a un calore ancora più forte, brucia cou fiamma, o s'è rinchiuso io vasi, fornisce tulli i prodotti che danno le materie vegetabili non azotate. E inalte- rabile all'aria secca. Disciogliesi con facilità nella metà del suo peso d'acqua fredda, e forma uno sciloppo che conservasi bene alla temperatura ordinaria. E solubile in mafigior proporzione nell'acqua bollente, e cristallizza col raffredda- mento. L'alcool puro non ne discioglie che una debolissima quantità; ma quando è mescolato coU'acqua diviene atto a disciorne una maggior quantità, come si os- serva nella preparazione dei liquori da tavola. Questa proprietà d'essere solubile nell'alcool allungato d'acqua fornisce il mezzo di riconoscere i mascabà falsifi- cati collo zucchero di latte, essendo questo insolubile nell'alcool o nell'acquavite. Gli olii fissi e volatili non hanno azione sovra lo zucchero; rende gli olii volatili congiuugibili all'acqua, producendo un composto conosciuto in farmacia sotto il nome di oleo saccaro. Lo zucchero perde alcune delle sue proprietà coirazìone dei corpi differenti. La sua esposizione prolungata al fuoco, quella della sua soluzione allungata d'ac- qua all'aria atmosferica, gli acidi e gli alcali gli tolgono la facoltà di cristallizzare, e dicesi allora che lo zucchero si ingrassa. Quando si neutralizzano questi agent' chimici, lo zucchero riprende le sue proprietà. Se il miscuglio si è fatto da lungo tempo, quando, per esempio, si abbandona più mesi una soluzione di zucchero colla calce, lo zucchero si altera al punto ch'esso trasformasi in una gelatina mu- cilagginosa consistente come la colla d'amido. Molti ossidi, e particolarmente il protossido di piombo, s'uniscono anche allo zucchero. Si può ottenere questa combinazione facendo bollire direltamenle lo zucchero disciollo nell'acqua col protossido di piombo; il liquore lascia precipitare dopo qualche tempo una pol- vere bianca e insolubile, che, secondo Berzelius, coroponesi di lOO parti di zuc- chero e 138,6 d'ossido di piombo. Questa combinazione è decomponibile dagli acidi i più deboli. L' acido solforico concentrato annera lo zucchero, senza niente produrre di acido solforoso. L'acido nitrico lo trasforma negli acidi ossalico e malico; ma non produce acido mucico, ciocché lo distingue dalla gomma e dallo zucchero di latte. Col calore e coll'intromissione dell'acqua lo zucchero ripristina molti sali, come l'idroclorato d'oro, i nitrati di mercurio, d'argento, il fosfato di rame, e ri- conduce al minor grado d'ossigenazione gli ossidi di molti altri sali. Secondo Vogel, il fosforo attacca prontissimamente lo zucchero senza il contatto dell'aria, e ne risulla alquanto acido solforoso, ed una massa nera e glutinosa. Infine sì sa che le soluzioni zuccherose unite al lievito di birra e poste in circostanze conve- nienti, vale a dire a una certa temperatura ed al contatto dell'aria atmosferica, pas- sano prontamente alla fermentazione e producono alcool ed acido carbonico. Li zuccheri yre^^i sono distinti coi nomi del paese d'onde si traggono; di- cesi zucchero Avana, zucchero Borbone, zucchero Martinica. Questi zuc- cheri, che ci arrivano in casse di diversi pesi e dimensioni, si riconoscono al loro colore più o meno cristallino o scilopposo, e alle altre qualità fisiche che non possiamo indicare qui con precisione. Si trovano in commercio alcuni zuc- cheri i quali provengono dagli sciloppi delle nostre raffinerie, e si distinguono sotto nomi particolari Indicheremo i prodolli che oltengonsi ordinariamente nelle raffinerie. 314 1 Alcuni suiloppi pioveiiieDti dalle acque madri dello zucchero crislallii- lato 0 liquori che colano nel tempo del raffinamento colla terra. 2 Gli sciliippi verdi rimangono nelle acque madri dopo la prima coci- tura dello zucchero greggio, e serNOuo a preparare lo zucchero di color carico e di sapore disafigradevole. 3. Altri sciloppi sono colorili, ma ricchi di zucchero crislalliziabile e di buon saf^ore. 4. Finalmente gli sciloppi ottenuti dalle ultime depurazioni possono entrare nella preparazione degli zuccheri raffinati, e si chiamano sciloppi fini. La quantità d'acqua contenuta nelle diverse sorla di zucchero del commer- cio fu valutala da Chevallier (1),il quale nello stesso tempo fece conoscere la quantità di sciloppo che si può olleuerne, non che le qualità fisiche di questo sciloppo. Risulta dalle sue ricerche che lOO parli di niccherò {:>ucchero delle quattro casse) non contengono che una parte d'acqua, e lOO libbre forniscono 145 libbre 5 oncie d'uno sciloppo bianco aggradevole; che la stessa quantità di zucchero dell' India ritiene S 1)2 d'acqua, e che se ne ottengono 139 lib- bre 1 oncia di sciloppo un po' colorilo, di sapor poco gradevole ; che lo zuc- chero Avana contiene 3 parli d'acqua, e produce 140 libbre lO oncie di sciloppo bianco e aggradevole; che lo zucchero lumps eftivé non ritiene che due parti d'acqua, e dà 143 libbre 11 oncie di sciloppo aggradevole; che lo zucchero raffinato contiene 3 parli d'acqua e si converte in 142 libbre 2 oncie di sci- loppo bianco e aggradevole; che lo zucchero del Brasile fornisce la stessa quantità di sciloppo; che il luinps etuvé, sebbene contenga una parte d'acqua di più che lo zucchero Cochinchina, contenendo 3l2 d'acqua fornisce 132 libbre 13 oncie di sciloppo un po' colorilo ; che lo zucchero Borbone con- tiene 3 parli d'acqua e dà 137 libbre 8 oncie di sciloppo colorito e disaggra- devole; che lo zucchero ordinario Martinico contiene fino a 6 parti di acqua e dà 132 libbre 13 oncie di sciloppo colorilo e disaggradevolissimo I risulla- menti ottenuti dal nostro collaboratore possono illuminare i comperalori sul valore ohe devono attribuire ai zuccheri del commercio, lenendone conto non solamente della quantità dello sciloppo che essi producono, ma anche della sua qualità. Gli usi dello zucchero come sostanza alimentare e come condimento, sono sì numerosi, che non possiamo qui notarli che generalmente. Delle sue qualità nutritive non ci può essere dubbio, perchè si sa che i neri impiegati nelle zucchererie s'ingrassano e godono d'una buona salute, quando si danno loro a mangiare molte materie zuccherine, e soprattutto quando non vengono maltrattati e gravati di ceppi. Però, non pare cosi ben convenire come alimento ai popoli dell'Europa , e non potrebb'essere impiegato che per qualche lempo. Il sapore aggradevole dello zucchero lo fa ricercare per la pre- parazione di moltissimi cibi. Il consumo che se ne fa nell'arie del cotileltu- riere e nella cucina è immenso. I farmacisti preparano collo zucchero i loro sciloppi, le conserve, le pastiglie, le paste e gli elettuarii, medicamenti nei quali il zucchero è impiegato a due fini: non solamente maschera o raddolcisce il (1) Jcur. de Chini. Med- l. iv, p. iTl. 315 sapore libultanle di qucill medicameuli, ma agisce ancora come mezzo di con- seryaiione. Lo zucchero fu lodato come antidoto dei sali di rame. Quesf as- serzione non fu pienamente confermata dalle sperieuie di OiGla. La presenza dello zucchero era stata conosciuta da lungo tempo in un gran numero di vegetali sì indigeni che esotici. Tuttavia , solo al principiare del secolo presente, quando la guerra marittima impediva ai popoli del couiinenle europeo di comunicare facilmente colle colonie, l'attenzione dei chimici si di- resse verso questo punto importante d'industria roanifaltrice. Achard di Berlino fu il primo a dimostrare che lo zucchero poteva essere ottenuto in grande dalla barbabietola, ed i chimici, incoraggiati sovrattulto dal governo francese sotto il regime imperiale, portarono ben tosto l'arte di fabbricarlo al più alto grado di perfezione. Si cercò inoltre ottenere lo zucchero dalle sostanze vegetabili abbondanti e d'una facile coltura. Si è cercato di estrarlo in grande dalle ca- stagne, dalle carole e da molti frutti e radici (1); ma nessuna di queste so- stanze vegetabili non potendo uguagliare la barbabietola riguardo l'economia , uon parleremo che della fabbricazione dello zucchero con quest'ultima radice. Si cominciano a mondare le barbabietole di quanto è straniero al corpo della radice; si lavano e si riducono in polpa, col mezzo d'un molino da ra- schiare, poi se ne spreme il succo, la cui composizione somiglia mollo a quella del succo delle canne zuccherine, colla diflerenza d"una proporzione multo mi- nore di materia zuccherina. Vi sono inoltre alcuni sali particolari, molta ma- teria colorante, acido malico o acetico, allumina e principio fermeotescibile. La presenza di queste ultime sostanze dispone estremamente il succo ad una fer- mentazione e ad una subita alterazione col conlatto dell'aria almoslerica. Si diminuisce quest'efiPetlo diinnoso aggiungendo al succo mano a mano che esce dal torchio, 1|400 circa d"acido sollorico. Quando si ha certa quantità di succo, si porta in una caldaia, alla quale sono adattati due rubinelli , l'uno collocato al fondo, l'altro ad alcuni pollici sopra. Riscaldasi il succo, e quando è al punto di bollire si aggiunge parecchia calce allungata, la cui quantità de\e essere più considerevole di quella necessaria alla neutralizzazione degli acidi liberi; perchè si ha pure per oggetto di levare la schiuma pel buco, facendo operare una combinazione della calce coU'allumina, e conseguentemente deter- minando l'inspessimento delle schiume. Questa quantità di calce è ordinaria- mente 250 parti di calce viva per lOOO di succo; ma deve variare secondo la quantità delle barbabietole. 11 liquore essendo portalo a l90° centigr. si im- pedisce la sua ebollizione levando subitamente dal fuoco i carboni ardenti, o gettandovi dell'acqua. Le spume ebbero tempo di rammaccbiarsi alla superficie; (1) Il succo proprio di diversi aceri (Acer saccharinum et montanum ) , i fusti del mentone e del sorgo forniscono molla materia zuccherosa. Payen scuoprì lo zucchero allo stato cristallino nel succo dei poponi. I fiori di Rhododendron ^nnXKMm, trasudano, secondo Jaeges , grani di zuc- chero puro, in quantità considerabile ( 2To centigrammi per MO fiori) Lodibert annunziò pure alV Accademia di Medicina che i fiori degli aloe formavano come quelli del Cadus specicsissiHiUS uno sdloppo che si con- verte in zucchero cristallizzato- 316 un deposito più o meno considerevole si forma, ed il succo intermedio diviene nello spazio di un'ora di riposo perfettamente chiaro, e prende una piccola tinta gialla. Si tolgono le spume e si trae al chiaro il liquore col mezzo dei due rubinetti. Il residuo torbido è riunito alle spume, che si gettano sopra uu feltro per lasciar sgocciolare. Il succo è allora messo ad evaporare in una se- conda caldaia fino a che segni 15 a 16°; a questo stato di concentrazione vi sì aggiunge un 2 per lOO di carbone animale, che lo scolora e gli toglie il gusto di orina che gli comunica il latte di calce. Dopo averlo cbiariQcato con sangue di bue, e spinta la concentrazione Gno a 27 o 28°, si tolgono le spume e si feltra attraverso uu panno. Lo sciloppo, abbandonato al riposo, lascia de- porre dall'oggi al dimani grande quantità di solfalo di calce, che è d'uopo se[)arare accuratamente avanti di procedere alla cocitura definitiva. Quest'ul- tima operazione si opera nella stessa maniera che per lo zucchero delle canne. La cristallizzazione e il raiHuamento non differiscono da quanto abbiamo de- scritto per Io zucchero delle canne. Si usò in alcune grandi fabbriche il me- todo onde Richard si serviva altre volle per operare la cristallizzazione degli sciloppi, che consisteva nella loro evaporazione alla stufa. Pare che si ritragga con questo mezzo una quantità di zucchero maggiore che cuocendo a un grau fuoco, e che alcuni sciloppi , considerali generalmente come melassa, n'abbiano ancora prodotto: di maniera che la quantità totale dello zucchero ottenuto di 100 parti di barbabietole sìa di 4 a 4 1|2. Payen {Journ. de CJiiin. JÌJed- t. ii, p. 24) indicò un metodo per cono- scere l'esalta quantità di zucchero cristallizzabile contenuto nella barbabietola. Questo consiste a trattare il succo di barbabietola coli' acido solforico, colla calce e col nero animale, come si è detto più sopra ; a dilungare il residuo scilopposo in circa tre volte il suo volume d'alcool a 36"; a decantare il fluido dal magma formatosi; a trattarlo di nuovo col nero animale; farlo evaporare e cristallizzare prendendo le precauzioni convenienti. Si valuta in seguito la quantità di zucchero puro contenuto nelle acque madri. E ben noto che lo zucchero di barbabietole non differisce dallo zucchero delle canne di colonie minimamente. Il pregiudizio contro il noslro zuc- chero indigeno è sì ben vinto al di d' oggi, che ce ne serviamo lutlogiorno come dì vero zucchero dì canne. Il grande uso dì questa sostanza permette che bastano le piccole ricompense, e, malgrado il basso prezzo a cui sono gli zuc- cheri, vi hanno ancora molli vantaggi nella fabbricazione di quello delle bar- babietole, specialmente allorché l'operazione è diretta con abilità ed econo- mia; quando, per esempio, questa fabbricazione è combinata con grandi sta- bilimenti agricoli. Ss nelle circostanze le più sfavorevoli giungemmo a cuo- prire le spese del lavoro e ad ottenerne profitti, quali immensi vantaggi non sì potrebbero sperare nel caso d'una guerra marittima? G. N. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Canna da zucchero. ^t^:^/iei raffermò questo fatto. Trovò inoltre che esso si compone di materia zuccherina ed aui- malizzata di materia mucilaginosa, di albumina e di fecola. Il sig. Bizio, seguendo poco a presso le traccie dei signori Prou>t e Graham, trovò contenere il grano turco o formentone le sostanze che seguono ed all'in- circa nelle qualità qui segnate: 310 Amido Zeìna Mucilaogine M:Ueria estrattiva IVlaleria cuiorante fjial Ziriiunia Zucchero incrislalliuabile Olio grasso Ordeiua . Perdita 80 00 6 50 2 30 00 7o 00 25 2 70 00 80 1 2o 6 00 00 20 La Zeaina purissima è bianca perfettamente in fioccbi leggerissimi e senza odore né sapore alcuno. Non arrossa le carte azzurre, né inverdisce la tintura di viole mammole. Approssimala alla Gamma d'una lucerna arde con facilità esalando fetido odore. La sua gravità è m.igpiore di quella dell'acqua. L'acido solforico ne scioglie in una quantità notevole: è pochissimo solubile nell'acqua e nell'etere. La zeina si contiene in quella parte del grano turco che dai botanici è delta perisperma. E dessa che gli partecipa quella durezza e mezza traspa- renza che gli è propria recata che sia in menomi frammenti. L'officio della zeina nella mentovata parte del seme, giusta l'opinione del succitato Bizio, sembra essere quello di legare insieme le particelle amilacee, come fa la cel- lulare nelle fibre muscolari. Olio grasso. L'olio grasso del grano turco ha colore giallo dorato, bel- lissimo steso che sia sopra una carta o veduto per raggi rifratli sopra un cri- stallo. La massa poi è d'un bellissimo colore arancio che volge alquanto al rosso. L'odore che esala sente un poco di quello della vauilla in ispecialità se le particelle odorose giungono alle narici in piccola quantità. La sensazione che porta al palato ricorda un cotal dolce balsamico che resta lunga pezza ; non si fonde che a diciotlo o venti gradi del termomeiro reamuriano ; al dissotto di questa temperatura ha sempre una consistenza buttiracea. Pretende l'autore che il colore giallo del grano turco apparteughi a quest'olio od alla materia grassa. Ordeìna. L'ordeina nel fromentone somiglia intieramente a quella rinve- nuta da Proust nell'orzo. La zeina analizzata dal chiarissimo professore CoiiGgliachi e dal surricor- dato Bizio, diede i seguenti risultati : Olio scuro fetidissimo e pregno di sotto-carbonato ammoniacale 260 00 Liquido acquoso, gialliccio e pregno egualmente di sotto- carbonato ammoniacale ...... IQO 00 Sotto carbonato ammoniacale cristallizzalo e bianco , . 17 00 Residuo carbonoso . 73 00 Acido carbonico , Idrogeno carbonato /i8 00 Perdita ) Totale oOO 00 320 Dietro altri esperimenti insliluiti conchiuse Biiio che i prodoUi della de- composizione della zeioa operata dal fuoco, souo i seguenti : Olio fetido 249 00 Sotto-carbonato d'ummuniaca 57 62 Acqua S8 00 Idrocianato \ Acetato \ d'ammoniaca 70 00 IdrosoKitlo * Residuo carboDoso 75 00 Acido carbonoso Idrogeno carbonaio ( 51 38 Perdita E che il risultato ultimo ed esalto della zeina decomposta per opera del fuoco è il seguente : Olio fetido .... Sotto-carbonato d'ammoniaca . Acqua Idrocianato | Acetato > d'ammoniaca Idrosolfato ' Carbonio Soda Calce Ossido di ferro Silice Acido carbonico ì Idrogeno carbonato v Perdita \ 249 00 57 62 58 00 9 00 70 00 2 00 1 25 1 50 0 25 5t 38 L'analisi del frumentone, stata eseguita da Marcadieu e Lespes, diede i se- guenti risultati: Acqua 12 00 Materia zuccherosa leggermente azotata avente il gusto del cacao . . . . • 4 50 « mucilaginosa analoga alla gomma ed allo zucchero 2 50 Albumina 0 30 Crusca ........ 3 23 Fecola 75 35 Perdita 2 lO Totale 100 00 321 Vi sono poche piaole di maggior importaota per reconomia domestica che il framentone. La farina che si ritrae da' suoi semi è, come tulli sanno, di un giallo più o meno carico e di odore aggradevole. L'assenta assoluta del glu- tine fa che non si possa impiegarlo a far buon pane, e che riesce però pesante e compatto in quanto che non lievita. Tuttavia gli abitanti di alcune parti d'Italia e d'alcuni dipartimenli di Francia ne usano moltissimo. Mescolando un quarto o metà farina di frumento con quella del grano turco si può ottenere un pane perfettamente fermentato, che ha pressoché lott'i vantaggi del pane di fru- mento; risulta più leggiero e di facile digestione. Più comunemente però se ne compone una pappa di variabile consistenza stemprando la sua farina nel- l'acqua ed aggiungendovi un poco di sale. Questa preparazione porla in Pie- monte e nella maggior parte d'Italia la denominazione di polenta. Preparansi eziandio colla pasta del zeamais certe gaiette di variabile sotti- gliezza, non che diversi confetti detti appo noi paste di meliga. Secondo Parmentier puossi preparare, col formentone semolato, vermicelli ed anche pa- sticcierie, che per gusto e per la leggerezza non hanno di che invidiare quelli del frumento. Entra eziandio il mais nella preparazione di molle vivande: per tal guisa facendo fermentare i suoi grani suppesti e leggermente bollili, se ne compone una bevanda spiritosa ed inebbriante, cui gli Americani indicano col nome di atole. Secondo il succitato Parmentier questo cereale potrebbe sostituire l'orzo nella fabbricazione della birra, ed i suoi grani torrefatti somministrano un liquore analogo al caffè. In varie contrade si mangiano i semi del frumentone prima della loro maturità, quand'essi contengono un principio lattiginoso assai zuc- cherino, al quale oggetto si fanno leggermente arrostire le spiche. In Europa ciò non si fa che per fantasia ; al contrario in Africa si consuma a questa ma- niera una grande quantità di frumentone. Gli steli del grano turco contengono una quantità assai considerabile di materia zuccherina. De Humboldt dice che i Messicani ne ritraono dello zuc- chero con vantaggio. Pictet di Ginevra pubblicò nel l8ll il risultalo di cimenti in proposito. Ottenne egli dai teneri steli di mais raccolti al momento in cui il grano cominciava a formarsi uno sciroppo di piacevolissimo sapore, atto a sostituire lo zucchero cristallizzato pel the , caffè ed altre preparazioni econo- miche e caulinari. Il frumentone è un eccellente alimento, e s'osservò generalmene che le per- sone che usano abitualmente del mais sono forti e vigorose. Lespez osservò che a misura dell'inlrodursi la coltivazione del mais in qualche cantone del dipartimento delle Lande, gli abitanti perdevano il colorito bianchiccio per riassumere il sembiante della sanità. Secondo alcuni altri osservatori i villici che si nutrono di questo cereale non vanno soggetti al calcolo, ned alla ranella. Essendo la pappa di farina di mais di facilissima digestione, molti pratici ne raccomandano l'uso ai convalescenti , alle persone esauste da lunghe ma- lattie, come per esempio i tisici. La si vede riescire perfettamente in certi individui maltrattati da malattie croniche dello stomaco e del tubo dige- Tom. VL 21 322 rente, io cui le funziooi assimilatrici si eSettaaTano incompiatamente e eoo difficoltà. La farina del mais applicala sotto forma di cataplasma nelle aflFeiioni della cute riesce assai meglio che la farina di semi di lino, la quale per Io più ran- cida per rdio che contiene, il quale facilmente irrancidisce, irrita la parte con cui è a conlatto. Noi l'abbiamo più volte osservala vantaggiosa nelle eresipole e nella sicosi specialmente, non che nelle affezioni erpetiche. — =^®^=— SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Pianta di zeamaU. 2. Frutto. 3. Semi 323 AVENA Aveua vulgnris Baiih., più. lib. 1, sect. 4. — TourD. class. 15, Fiori ape- tali.— Avena saliva Limi-, class.3, Triandria Jiginia. — Juss. class. 2 , ord. 4 , Graminacee. — Poiret, Fior, ined., t. 1, lab. 49. — Ricb. Boi. nied., l. 1, pag. 65. Questa utile Graminacea vuoisi sìa originaria dell' Asia. Coltivasi però da innumerabili tempi in quasi tutte le parti del mondo, e preferisce i climi caldi e secchi. Essa è una pianta annua : la sua radice, composta di nume- rosissime radichette, dà origine ad uno stelo ritto, cavo, artico- lato, che s'innalza due o tre piedi , e che porta foglie strette e lunghissime, analoghe a quelle del frumento. I suoi fiori, scrive Lamark, costituiscono un panicelo terminale lungo da sei a sette pollici. Le spighette inclinate sul peduncolo sono formate di due valve verdastre, liscie, striate, acutissime ed un po' più lunghe dei fiori che avviluppano. Questi fiori in numero di due in ciascuna spighetta, e di cui l'una o l'altra porta una lunga barba attortigliata, cui la coltura spesso fa sparire , hanno tre slami muniti di lunghe antere; un ovario supero munito di due stili piumosi. Il frutto è un grano allungato, acuto alle estre- mità e solcato in tutta la sua lunghezza , bianco, giallognolo o nero, secondo la varietà. Le varietà principali sono Y Avena nuda {Avena nuda Linn.), V Avena alla o frwmentale {Avena elatior Linn.), Avena folle {Avena futua Linn. ). L'Avena chiamasi dai Francesi Avoine; dagli Inglesi Oat-Oats; dai Tedeschi Ilaber; dagli Olandesi Ilaver; dai Polacchi Owies, 324 La farina di Avena è stata analizzala da Davy e Vogel, i quali non sono d'accordo nella sua composiiione. Secondo il primo essa contiene un 9 per 100 di glutine, e giusta Voegel non \'ì esiste punto. Essa racchiude della fecola, dello zucchero, della mucilaggine, un olio grasso ed un principio amaro. L'avena è il cibo prediletto dei cavalli e degli animali dei cortili. Si può anche farne del pane in tempo di carestia. Si toglie la corteccia di questo grano con delle mole preparate espressamente e se ne fa farina. Gli antichi Germani ne facevano la principale nutritura , come di essa ancora oggidì si alimentano i poveri abitanti della Norvegia, della Svezia e d'alcune provincie d'Alemagna , non che della ricchisbima Inghilterra. Ipocrate prescriveva la tisana d'avena come uno dei più efficaci antiflogi- stici: ed alcuni Inglesi e Tedeschi esaltarono la virtù della sua decozione, eia si dovrebbe credere una vera panacea , se dovessimo tenere per vendici gli elogi che alla surricordata decozione compartiscono Lower, Franet, Norden - heim , Hofman, Prinqnel, Macquart, Gilibert ed altri, j quali pretendono che sii vantaggiosa nelle affezioni scrofolose e scorbutiche. L'avena in genere è considerata come detersivo ed emolliente. Se ne fanno dei cataplasmi con acqua ed aceto, e decozioni, gargarismi e clisteri. m^- SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Pianta d'aveaa. 2. Radice. 3. Spica. 4. Pistillo. 5. Spighette. 6. Frutto. 325 0 II Z 0 Hordeum polysticum Baub., pìn. lib, 1, sect. 4. — Tour, class. 14, secl. 3, peti. 2. — Hordeum vulgare Lino ,Tiiandria diginia. — Juss. Grainiuacee. — Rich. Boi. med., t. 1, pag. 64. È opinione di alcuni botanici che l'Orzo sia stato il primo de' cereali coltivato anticamente, ma, come abbiamo notato par- lando del frumento, siffatta opinione non è giustificata, come pure non si sa con certezza quale sia la sua patria originaria. È certo solo che coltivasi da tempo antichissimo in tutta l'Eu- ropa, e che è conosciuto da tutto il mondo. Le specie di orzo differiscono da quella dei frumenti in quanto che in questi non vi ha che una sola spighetta molti- flora a ciascun dente dell'asse della spica , mentre negli orzi al contrario vi sono costantemente tre spiche uniflore a ciascun dente dell'asse. L'orzo è principalmente coltivato nei paesi di montagna e del nord ; in genere ove il frumento non può maturare a ca- gione della brevità della state , e riesce nei più cattivi terreni. La varielh più estesa nel nord, perchè è la più prematura, è quella che chiamasi orzo nudo ed orzo celeste. L'orzo comune si eleva due o tre piedi , con uno stelo ritto, glabro, articolato, che porta foglie lunghe , d' un verde chiaro, rudi al tatto e glabre sulla loro guaina , e che termina per una spica alquanto compressa , quasi a quattro facce e lunga circa tre pollici , composta di molte spighette riunite tre per tre su ciascun dente dell' asse comune. Ciascuna spighetta poi è composta di sei fogliole disposte per paia , lineari , subolate , di ?i^6 una specie di corolla bivaìva, di tre stami, d'uno siilo bifido a due slimmi vellutati. Il grano o seme dell'orzo, come tutti conoscono, è ovoide , giallastro, come troncato alla sua estremila, distinto d'un solco longitudinale e rinchiuso nelle valve della corolla. L'Orzo chiamasi dai Francesi Orge; dagli Spagnuoli Oecbada; dai Portoghesi Cevada; dai Tedeschi Gorste; dagli Inglesi Bar- kì/; dai Russi Fétochmen; dagli Armeni Aan; dai Tartari Arpak; dai Lapponesi Karl L'orzo era conosciulissirao dagli antichi, i quali al pari di noi lo adoj^ra- vano come medicamento e come alimento. Secondo Proust Torio si compone di llesina gialla . . . • Estratto gommoso-resinoso . . Glutine . . . . . Amido. ..... Ordeina ..... 1 9 3 S3 Totale 100 U Ordeina, che forma la maggior parte dell'orzo, ha per suoi caratteri esleriii dell'analogia coll'araido, ma è ruvida al tatto, rassomiglia io certa guisa alla segatura del legno, e dietro le nuove scoperte di Raspail non è altro che crusca od i residui delle parti glumacee che circondano l'orzo, divise colla ma- cerazione ; essa rende il pane d'orzo grossolano. Per la piccola quantità di farina contenuta nell'orzo, questo cereale è assai proprio all'estrazione dell'amido. Eisclioff riconobbe che il sesie prima di sua maturità conteneva : Principio amaro insoluliile . . . ... 363 00 Zucchero incristallizzabile 6 S3 Amido 14 58 Fibra legnosa • 0 62 Glutine 1 77 Albumina con fo>.falo di calce ..... 0 43 Un invilupfìo verde con amido colorante e materia estrattiva ìli 97 Acqua .... ni 09 Perdita fi 34 327 Lo stesso autore trovò nel seme maturo delPorzo ì seguenti componenti: Farina 70 05 In\ilup()o . 18 73 Acqua , It 20 Totale 100 00 La farina, secondo il succitato autore, è formata di Zucchero non cristallizzabile 5 21 Gomma 4 62 Amido 22 18 Amido, glutine e fibre riunite 7 29 Glutine , . 3 83 Albumina 4 13 Fosfato di calce con albumina 0 24 Acqua 9 37 Fourcroj e Yauquelin hanno riconosciuto che la farina d'orzo contiene, oltre i principii citati, un olio spesso, bruno -verdastro avente l'odore del flegma e che si cstrae coll'alcool e di più un poco d'acido acetico. Eìnouff si è assicurato che V orzo torrefatto non presenta amido, ma una materia simile al carbone, una materia animale ed alcune tracce d'acido sol- forico. L'orzo non è tanto adoperato per fabbricare pane, stante che rimane alquanto più grossolano per la minore quantità di glutine che contiene. In Alemagiia si fa grande uso di orzo privato del suo involucro in vece del riso e del semoletto per minestre. Ma ove se ne fa un grande consumo egli è nella fabbricazione della birra ; prima però gli si fa comportare questa preparazione particolare ; devesi macerarlo nell'acqua, farlo germogliare e poscia seccarlo in istufa. In questo stato si dice Mail e Dreca quando è macinato. Il luppolo nella birra serve solo a compartire l'amarezza. Già dai tempi d'ippocrate l'orzo adoperasi in medicina e lo troviamo da questo stesso autore raccomandato in molle affezioni , facendogli comportare prepara- zioni preliminari. Ora si mondava del suo involucro e dieevasi orzo mondato, ora lo si riduceva in grani sferici col mezzo d' un molino e cbiamavasi orzo periato, e sì l'uno che l'altro l'adopravano per una decozione a cui davano il nome di tisana ritenuto anche ai tempi nostri. Il decotto di orzo mondato periato è pure in uso oggidì, e costituisce una tisana temperante di frequentissimo uso, massime nella pratica degli spedali. Alle volte vi si aggiunge il succo di limone, altre lo si addolciva con uno sciroppo. Alcuni autori inglesi, come Percival, Macbride, Forster, Lind, Rusch ed altri raccomandano la decozione del Malt quale rimedio utilissimo contro le scrofole e lo scorbuto. Egli è però innegabile che la decoiione dell'orlo, la quale è iu 328 uso appo i nostri villici , mentre è dolcificante serve anche a nutrire alquanto. È molto opportuna nelle affezioni lievi gastro- enteriche ed ai convalescenti. Il pane preparato colia sua farina è più nero, più pesante e meno nutritivo cbe quello di Tormento e di segala. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 11, Pianta d'orzo. ^. Tre Fiori ermafrodili. B. Due divisioni della gluma. C. Fiore intiero aperto. D. Valva interna. E. Tronco d'una foglia ingrossata. F. Seme maturo avviluppata dalle sue glume. G, Seme spoglio de' suoi involucri florali. I » MI 329 FRUMENTO Triticiim saliviira Lìdd., Triandria digiuia. — Juss. Graminacee. — Ricb., Boi. nieil , fura. 1, p. 59. Fra lutti i vegetali che rOnnipotente si compiacque creare e destinare per alimento al genere umano, quello fra i tanti di cui Tuomo si fece il più necessario, fuori d'ogni dubbio è il grano. Questo cereale, che ai giorni nostri è di un uso tanto esteso, sembra non si conoscesse dai primi nostri antenati. Perciò la santa scrittura ci ricorda che i primi uomini si accontentavano delle erbe e delle frutta. Platone riferisce lo stesso delle età più remote di cui giunta gli era notizia. Strabene racconta che gli antichi Lusitani vivevano la metà dell'anno di ghiande. Essi le seccavano, le macinavano e ne faceano del pane che conserva- vasi a lungo. Così gli antichi Arcadi, come ne fa fede Eliano. Gli Ateniesi si nutrivano di fichi e d'altre frutta ; di miele i Tirintii ; di frutta selvatiche gli antichi Germani. Ma , 0 sia l'aumento di popolazione , come sembra doversi credere, o soprattutto la deficienza o scarsezza delle frutta dei boschi soggetti all'inclemenza e irregolarità delle stagioni, hanno sforzato l'uomo a cercare nelle piante cereali una nutritura più sicura di quelle che aveano trovate e nelle ghiande e nelle frutta. Ma a quale epoca? e da chi è stato ritrovato l'uso dei ce- reali? Questo è quanto non ci ha tramandato l'antica storia. Miravano gli Egizi qual dio Osire, perchè loro insegnò l'agri- coltura, e probabilmente il modo di coltivare il grano ; tuttoché 330 i Greci V attribuiscano a Triptoleme , e specialmente a Cerere. Così Virgilio , Ger. i , voi. 7 ; Alma Ceres, veslro si munere tellus Chaoniam pingui ylandem mutami Artista. E più sotto : Prima Ceres ferro mortales vertere terram Instituit^ cum jam glande atque arbuta sacra Deficierunt sikae et victim Dodona negaret. Plinio però fu il primo che fece menzione dei cereali , e se a lui dobbiamo prestar fede, il primo ad essere usato fu l'orzo, ma a' suoi tempi anche Fuso del grano già era disteso, perchè desso ne fa menzione , e loda specialmente quello d'Italia nel libro XVIII : Tritici genera phra quce facere gentes. Italico nuUum equidem comparaverim , candore acpondere quo maxime decerni- tur: così Sofocle poeta et fortunatam Italiam frumento canere candido. Checche ne sia, i primi storici ed i più antichi scrittori ne fanno menzione ed elogi ; ciò che comprova che da più secoli ò esteso a molti popoli l'uso del grano. Quest'annuo vegetale può a buon diritto al giorno d'oggi te- nersi pel più prezioso di tutti, servendo per così dire di nutri- mento a pressoché tutti gli abitanti del globo. Eccettuati alcuni popoli selvaggi o non inciviliti , ed altri che vivono in clima sì straordinariamente dalla natura favoriti, nei quali regnano con- tinuamente primavera ed estate, che fanno produrre frutta senza interruzione , tutti gli altri popoli ne fanno più o meno esteso uso di questo cereale. Così l'albero del Cocco in certe parti delle Indie basta ai bisogni per un gran numero d'uomini di di quelle contrade. I naturali delle isole del mare del Sud, se- condo Larak, si nutrono daWJrtocarpus incisa. Gli abitanti delle Molusche, oltre all'albero del pane, si nutrono del Sagus farini- fera. Alcuni popoli dell'Africa vivono ancora al giorno d'oggi 331 delle frulla di Ziziplus lotus, come pure gli antichi lotofagi, di cui gih parla Omero. I dattili ed i fichi sono ancora una conside- revole nutrilura per i Persiani e gli Egiziani, e gli abitanti della Morea e deirArcipelago greco e della Barbarla. Ma il grano è coltivato in tutti questi paesi per servire d'alimento principale; e se in qualche parte del Settentrione, dell'Africa ed in qualche provincia meridionale della Spagna e del Portogallo mangiano ancora le ghiande dolci della Querciis ballota Desf., questo nu- trimento, come altro di certe parti montagnose della Francia e degli Appenini d'Italia, è unicamente per la povera gente. Del resto il grano ha dunque rimpiazzato nella più gran parte del mondo l'uso delle frutta degli alberi. Desso infatti copre gran parte dell'Europa. Si trova tanto in Oriente che in Occidente, e coltivato indistintamente in tutte le provincie della China , ec- cettuate quelle del Nord e le montagnose. È coltivato nella Na- tòlia, Siria, Persia, ecc., non manca nelle parti settentrionali dell'Africa. E bene ha riuscito nel Capo di Buona Speranza, negli Stali Uniti ed in altri paesi d'America. Quale fu l'origine e lo stato primitivo del grano, e quale la sua patria? Divisi sono a questo riguardo i pareri dei varii naturalisti sì antichi che recenti. Gli autori della storia naturale antica ci as- sicurano su Plinio che non esisteva che una specie di grano, il quale fu variato, modificato e fu suscettibile al perfezionamento per mezzo della coltura , del sole, del clima ed altri agenti (la quale specie sembra fosse l'orzo, stante che Plinio fu il primo a far menzione di questo cereale ) , opinione la quale fu con- validata da Erodete e Dioride, i quali vogliono che nell'Oriente ed in Babilonia a guisa delle gramigne naturalmente crescesse quale noi l'abbiamo al presente ; e da altri i quali sostengono che spontaneamente nascesse nelle fertili isole della Sicilia, e da Tournefort, il quale opina potere bensì l'agricoltura ed altri agenti modificare la specie, ma non mutarla totalmente, come 332 vuole Buffon , il quale sostiene che il grano in natura non fosse che una sterile pianta graminacea, e che l'agricoltura l'abbia perfezionato quale è al giorno d'oggi. A consolidare quest'opinione concorrono altri i quali preten- dono che le frequenti pioggie, che occorrono in maggio, tempo dell'efflorescenza del grano, possano trasformare il grano in loglio, e che il loglio seminato in una terra leggiera e sabbiosa si converta coll'andar del tempo in grano. L'opinione di questi ultimi però, non puossi facilmente am- mettere ; gli sperimenti di Tournefort e di altri naturalisti , che riguardano tutte queste mutazioni come favolose ed impossibili, e che sostengono che questa pianta abbia un seme proprio e determinato, e che il seme del grano è diverso da quello della segale e del loglio, dimostrano quanto sii erronea. Si sa che la maggior parte del frumento della Campagna è barbuto, ma se vicino a questo si semina del grano della Pi- cardia, non tarda anche questo di divenire egualmente barbuto, perchè la polve seminale (polline) o per mezzo del vento si porta sul frumento straniero e gli comunica il carattere natu- rale del nostro paese. Ma se il grano di Picardia viene seminato isolatamente sì che nelle sue vicinanze non vi esista piantagione di grano del nostro paese, non avverrà mai che si cangi , come dimostrò l'esperienza di trent'anni. La vera patria adunque del frumento s' ignora. La maggior parte dei botanici moderni sostengono che sia originario della grande pianura della Tarlarla. Non taceremo per ultimo essere opinione di Latupie, professore di Bordeaux, che la pianta in discorso sia siala trasformata e degenerata per effetto di coltiva- zione. Egli pretendeva di essersi osservalo con molte esperienze che dei semi ùeWAgilops ovata, pianta comunissiraa nel mezzo- giorno d'Europa, producono delle graminacee in tutto simili al frumento ordinario. Checche ne sia, è positivo che la coltivazione del grano da 333 tempi immensurabili era pressoché universale ; tuttavia non può sostenere i rigori di un clima troppo freddo. In Europa non oltrepassa all'ovest la latitudine di Amburgo, ma è coltivato ad una latitudine più settentrionale a misura che si progredisce verso l'est. Il frumento offre molte specie e varietà tanto sotto il rap- porto del colore e della grossezza , che sotto quello della sua superficie liscia e vellutata. Le spiche inoltre variano anche molto ed hanno le loro scaglie ora spuntate, ora fornite di una lunga barba. Il triticum cBstivum ed il triticim hibernium sono due varietà considerate da Linneo come due differenti specie. Tutti conoscono quest'annua pianta. Essa s' innalza con un fusto vuoto, alto 3 0 4 piedi, interrotto di quando in quando da nodi, guernito da quattro o cinque foglie lineari, lanceolate, lun- ghissime, sostenute da un picciuolo inguainante e terminato da una spica lunga tre o quattro pollici circa, grossa e composta da quindici a ventiquattro spighette sessili , panciute, imbricate, glabre o velose, secondo la varie specie. Ciascuna spighetta componesi inferiormente di due fogliole rudimentali laterali {gluma calicina) , cui alcuni botanici considerano quale calice; di altre due fogliole rudimentali dal cui seno partono piccoli ramoscelli uniflori e terminati da lunghissime setole o reste considerate da alcuni botanici quale corolla o gluma fiorale , e sì le une che le altre sono poi divise in due parti che diconsi valve ; di tre stami inserti sotto l'ovario con filamenti capillari ed antere bislunghe, forcellute alle due estremità; d'un ovario semplice, supero, sormontato da due stili, ognuno de' quali porta uno stimma piumoso. Il frutto o seme è piccolo, subro- tondo, lungo, d'un colore più o meno rossigno e segnato su di una superficie da un solco longitudinale. Il Frumento chiamasi dai Francesi Froment cultive. 334 È noto come colla farina di frumeDlo si prepari il miglior pane e il più facile a digerirsi in grazia della grande quantità di glutine che contiene, quan- tità molto magfjiore che negli altri cereali. Il glutine, secondo Davy, abbonda tanto più nel frumento, che esso è cresciuto in un paese più meridionale. Proust ne ritrasse un 12 per lOO dalla farina da lui analizzata, e Yogel sino a 24 per lOO; ma osserva Richard che questa non era disseccata. Il frumento inoltre, secondo questo autore, contiene 68 a 74 per lOO di amido e lO a 12 di estratto gommoso zuccherino- Ecco l'analisi di Proust : Amido 74 03 Glutine 12 03 Estratto mucoso zuccherino 12 00 Resina 1 00 Totale 100 00 Il signor Bizio, che praticò pure colla massima esattezza e ragionevolezza un'analisi della farina di frumento, conchiuse essere la sua composizione : Amido 75 00 Zimomo 9 50 Mucilagine .... 9 00 Triticino (gloiodina del Taddei) 1 25 Materia grassa 00 75 Zucchero incristallizzabile 00 75 Gomma 00 50 Materia colorante gialla . 00 25 Materia insolubile . . 1 23 Fosfato di potassa , potassa combinata con acido ignoto , cule, ferro e perdila 1 73 Totale 100 00 11 tritino è solido, fragile, leggiero, leggermente colorito in giallo, senza odore, insipido e mezzo diafano, più pesante dell'acqua, arde con molla pre- stezza, e insolubile nell'acqua fredda, ma solubile nella calda e nell'alcool» insolubile affatto negli olii essenziali e nell'etere. Giusta il suddetto autore, per opera del fuoco si risolve in Olio fetido scuro; Acqua ; Sotto carbonato Idrocianato Idrosolfato > d'ammoniaca; Acetato Carbonio ; 335 Gaz acido carbonico; Gaz idrogeno carbonato ; Soda; Calce ; Silice ; Ossido di ferro. Il glutine, che per la prima volta venne scoperto dal nostro Beccaria, si presenta sotto l'aspetto di materia bianco -grigiastra , molle, assai elastica, che può stendersi collo stiramento in membrane pellucide. Esso è insolubile nel- l'acqua, uelTalcool , negli olii, nell'etere. Il signor Taddei di Firenze dimostrò che il glutine non poteva essere ri- guardato qual principio immediato dei vegetali , e comporsi esso medesimo di due materie , l'una da lui nomata gloiodina e l'altra zimoma. Egli è al glu- tine che la pasta deve la proprietà di levare quando si mesce col lievito. Tutti sanno come il frumento sia il primo dei cereali che serva d'alimento all'uomo. Il pane che con esso si fabbrica è certamente un alimento dei più salubri e che serve alla nutrizione della più parte dei popoli d'Europa e di alcuni anche del nuovo mondo. Non istaremo qui a descrivere i vari processi adoperati per la fabbricazione del pane, che sono diversi in quasi tutti i paesi. Ogni città, ogni paese, diremo, ha un particolare modo di fabbricarlo. Lo che diviene da molte circostanze. La riuscita di una specie anzi che d'un altra di- pende dalla diversità di grano ed alcuni pretendono anche dalla qualità del- l'acque. In genere si prepara mescolando insieme la farina , dell' acqua ed il lievato nelle proporzioni per lo più di 150 parti di farina , di lOO d'acqua, con 0 senza sale quando la massa è ben preparata si abbandona a se stessa in modo che essa soggiaccia ad un certo grado di fermentazione; s' impasta beu bene, si riduce la pasta a pezzi di diversa forma, si porta al forno per cuocerlo. Nell'opera filantropica del Parmeulier, a coi inviamo il lettore che intende istruirsi a tale riguardo, si rinvengono tutti gli immensi ed interessanti parti- colari richiesti da quest'utile preparazione. Vi si scorge dapprima la scelta dei grani, i processi valevoli a renderli fecondi e di bella qualità. L'enumerazione delle cautele da usarsi per preservarlo dai vermi e dagli insetti che lo di vorono quando sia seminato; quella da pigliarsi onde garantirlo dalle malattie che l'as- sediano, dalla rubigine, dallo sprone e simili; il modo di raccoglierlo, di met- terlo in cataste , di batterlo , di conservarlo , vi si trova descritto il come si debba macinare , ritrarne la miglior farina ed in maggior copia ; il modo di premunirsi contro la frode e la cupidigia dei mercanti, dei commissari, dei mu- gnai. Siffatti ragguagli indispensabili in un' opera ex professo sarebbero so- prabbondanti in questo nostro lavoro e più converrebbero ad un trattato di igiene e di medicina legale per le sofisticazioni in specie che da avidi speca- latori pur troppo soglionsi praticare. E il pane di buona qualità uno dei migliori alimenti di cui puossi osare, come l'esperienza continua di quasi tutte le nazioni lo dimostra. Mantiene da se solo la vita e la sanità, riparando a tutte le perdite, come evidentemente di- mostrò l'immortale Liebig. Pochi sono i casi in cui esso non convenga. 336 Il pane tenero preso in troppa quantità cagiona indigestioni talvolta mortali. Imperocché si trangugia per lo più a grossi bocconi sema che questi siano stati imbibiti della saliva destinata della natura per disciogliere la fecola amilacea. La fecola non può essere intaccata dal succo gastrico come dimostrarono i più recenti esprimenti di fisiologia; quindi le funeste indigestioni. Colla farina del grano inoltre si fabbricano eccellentissime paste di svarlatis- sime forme per le minestre ; sembra che quelle fabbricate in Genova portino vanto su tutte le altre. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I . Pianta di frumeDlo. 337 SEGALA -'vvVlJ'JUVvw Secale cereale Linn., Triandria diginia. — Juss. Gramìoacee. — Rich. Bot. ined., t. 1, pag- 62. Vuoisi che questa graminacea sia originaria dell'Asia mi- nore, ma è da tempo quasi immemorabile abbondevolmente col- tivata nelle diverse contrade dell'Europa, atteso che prospera nei peggiori terreni. È cosa osservabilissima come in onta di si lunga coltiva- zione, appena abbia sofferto essa, come fa osservare Richard, qualche lieve modificazione , mentre si conoscono oggidì in- finite varietà di frumento ottenute mediante la coltura. Siffatta graminacea è annua, le sue spiche si distinguono da quelle del frumento coltivato in quanto che le spigoline compongonsi soltanto di due fiori, mentre nel frumento se ne annoverano per lo meno tre. La valva esterna di ogni fiore viene terminata da una resta lunghissima, alquanto piana ed asprissima al tatto: siffatta valva è inoltre coperta sopra il suo angolo esterno di peli corti e ruvidi. Il fruito risulta più sottile ed allungato che quello del frumento. Ma se questa specie di cereale interessa l'economia domestica considerata quale alimento, interessa del pari la medicina per certi suoi semi convertiti in escrescenze nerastre e violacee al- l'interno, allungate, più lunghe per lo più delle scaglie floreali, ricurvate a guisa di uncinetto ed in modo da imitare lo sprone di un gallo, dette dai Latini Clavus secalimm , Secale luxurians, Fecula cornuta, Calcar secalimm, Feculis mater wtilago, Pulvts Tom. VI. 22 338 parturiens ; Puhis partum accelerans , e Cimo segalino o Segala cornuta, Denti di segala, Segala allogliata. Grano sperone, Grano ghiottone, Segala spronata. La causa di siffatta escrescenza che anticamente fu con- siderata come effetto di una malattia che cangia natura alla sostanza interna del seme della segala (opinione che pur si accorda coi fatti sinora osservati , non ostante abbiano altri opinato al contrario, e la sostengono chi quale prodotto di una vegetazione parassita, fra' quali Decandolle, chi da piccoli anima- letti), ci risulta ancora oggidì ignota. In generale si attribuisce il morbo, di cui si ragiona , all'umidita del suolo e dell'atmo- sfera, non che ad altre circostanze diffìcili a valutarsi. 11 davo segalino pel fatto, si mostra particolarmente negli anni somma- mente piovosi , nei terreni magri ed inondati. Per la concor- renza di questa circostanza nel 1816 il davo segalino fu copiosissimo, al dire di Richard, nei dintorni di Parigi, ed in particolare nella Sologna , e copiosissimo fu pure nella Savoia , anni sono, per le stesse cause. Il pane che si fa colla farina di segala è alquanto compaHo, grasso, di cn- !ore brunastro, di sapore dolce e piacevole: si mostra assai nutriente, perù in minor grado di quello della farina di frumento. Da alcuni prelendesi che questo pane sia rinfrescante. La segala poi insieme col frumento dà un pane più so- stanziale, aggradevole alquanto e conservasi fresco per più di tempo. Colla farina di segala si preparano eziandio cataplasmi raddolcenti, da alcuni riputati alquanto risolventi. Einhof ha pubblicato un'analisi di questa farina , ottenendone i seguenti risultati : Albumina Glutine non disseccato Mucilaggine Amido Materia luccheriua . Residuo legnoso Perdila . 3 27 9 48 7 09 66 09 2 27 6 38 5 42 Totale 100 00 339 Segala speronata Melerai Gu dal 1096 aveva parlalo di uu'epidemia ca- gionata probahilmeute d:illa segala cornuta : questa sostanza però non si co- nobbe per ogni dove che in epoca molto posteriore ; sembra che anticamente non fosse nota, poiché non troviamo autori di medicina che prima della sur- ricordata epoca ne facciano meniioue. 11 primo a nomarla è certo Comerario nel 1688, egli narra come venisse adoprato dalle levatrici in varie contrade della Germania per agevolarne il parto, uso che sembra anche antichissimo nella contea di Wasington, di Warchiennes e delle vallale svizzere ecc. Anche Ralhalw, ostetrico olandese, verso la metà dello slesso secolo ne faceva molto uso e la teneva come un secreto. Chi poi occupossi di questa sostanza e ne fece questione di materia medica è Stearne della Nuova -Yorch, che nel I8l4 inslituì tentativi, rendendone a tutto il mondo ostensivi i risultati. 11 sapore della segala cornuta è alquanto acre. L'odore non percettibile, se non quando siane in molta quantità, ed allora e sui generis nauseante, non dissimile da quello di molti agarici velenosi , e più sensibile quando è in polvere- Vauquelin diede della segale in discorso la seguente analisi: 1. Una materia colorante giallo-fulva solubile nell'alcool; 2. Una materia colorante violetta della stessa natura; 3. Una materia oleosa dolcinastra abbondantissima ; 4. Un acido fìsso indeterminato ; 5. Ammoniaca libera ; 6. Una sostanza vegeto-animale abbondante e putrescibile. Dopo il succitato autore, Wiggers nel 1832 sottopose ad analisi chimica la stessa sostanza in lOO parti , della quale trovò Olio grasso particolare Materia grassa bianca . Cerina ..... Sostanza fungosa .... Segalina Osmazoma vegetale Zucchero Materia estrattiva • gommosa , azotata, combinata con un principio colorante rosso Albumina vegetale Fosfato acido di potassa . Traccie di ferro .... Silice ...... 35 0006 2 04S6 0 7578 46 1862 1 1266 7 7645 1 5530 2 3250 1 4600 4 4221 0 2922 0 1594 Da tutti questi prodotti Tosraazoma vegetale, il fosfato di calce e la materia estrattiva- gommosa sono i soli che si sciolgono nell'acqua. Secondo quest'au- tore la parte medicamentosa di questa segala è costituita dall'osmazoma vegetale. Prima di discorrere degli effetti medicamentosi di questa sostanza nelle di- verse affezioni in cui è commendata, riferiremo gli effetti osservali sui bruti 340 «elle esperienie fatte da alcuni autori. ReaJ nulli per 15 poini un porco colla fariua di segala cornuta mescolata a farina di frumento. Il {jiorno 13 dagli orecclii e dagli occhi ne usciva un umore sieroso molto acre: il giorno 18* l'oreccLia sinistra cangren;tla si staccò dal capo: il giorno dopo mori in mezzo alle convulsioni. Sezionato il cadavere, i visceri addominali sì mostrarono gonfi, distesi, e sul fegato apparve una macchia cangreuosa. I volatili che mangiano di questa sostanza, al dire di Tessier, perdono il becco per cangreua ;ai qua- drupedi che ne vengono nutriti cailono cangrenali i piedi , la coda , le orec- chie, in lutti sì riscontrano traccìe dì cangrena agli organi interni. L'apparalo dei sìntomi da cui sono straziate le persone che hanno mangiato della segala cornuta in molla quantità, come succede in caso dì epidemia per questo veleno si manifesta sotto un duplice aspetto, e secondo che fu accom- pagualo da convulsioni o da cangreua, fu detto clavismo convulsivo o can- grenoso, ignorandosi però per quali motivi s'appalesano piuttosto le con- vulsioni che le cangrene, e viceversa. Il clavismo convulsivo osservossi in diverse epoche nella Sologna , nella Slesia, nella Russia, nella Sassonia, nell'Assia, nell'Alsazia e nella Boemia, uella Sa\oia ecc.. Svine descrive in tal modo gli afTetti da questa malattia: Gli infermi provano da principio un sense di tilillazione e di formicolo ai piedi ed alle mani, le quali vengono prese da violenti contrazioni; dolori atro- cissimi pari a quelli che si proverebbero se le membra fossero strappate dal tronco; mandano gridi acutissimi e sudori abbondanti grondano: nausee, vo- miti, vertigini, sincopi : qualche volta diventano ciechi, perdono la memoria, vaneggiano : camminando vacillano come ubbriachì e cadono spesso in pro- fondo sopore. La lingua si gonfia, sporge dalle labbra e viene lacerata per movimenti convulsivi delle mascelle , intercetta la voce , abbondante la saliva > giallastra e sanguinolenta: i polsi insignificanti. Alcuni presentano delle mac- chie ai piedi ed alla faccia simili alle petecchie, che durano per più settimane, e qualche volta sono attaccati da buboui maligni al collo che mandano una carie giallastra, e cagionano dolori atroci e cocenti I pochi che sopravvivono conservano per lungo tempo le membra intorpidite e difficili al movimento, sinemorìati e stupidi. Clavismo cangrenoso. Gii infermi cominciano ad essere molestati da nausea, vomito, vertigini e spossamento straordinario, polsi spesso impercettibili. Pro- vano un intormentimento ed una pesantezza insolila ai piedi , i quali impalli- discono, sì increspano, e qualche volta sono inservibili, altre vengono tormen- tati da dolori interni acutissimi che si estendono alle gambe, alle coscie, alle mani, alle braccia: ìndi compare la cangrena: questa è preceduta da un freddo marmoreo: la pelle sì fa violetta e liviida, si copre di luride flittene, le carui diventano gialle, si esulcerano e mandano una specie di sanie. Intanto gì in- ferrai dimagrano estremamente, hanno il ventre gonfio, duro, teso, e sono cru- ciati da una fame insaziabile e da coliche violenti con diarrea. Finalmente questo membro e fin anche tutte le estremità si staccano dal tronco slacellate senza perdita di sangue: e cosi orrendamente mutilali non di rado protruggouo ancora la loro miserabile esistmia per venti giorni. Simile epidemia lu veduta da Lan^;io in >arii paesi della Sviizer.i; da Dodurd, 341 Tesster, Noel, Falerne, Diihamel, Jarson in molte proviiicie della Francia, non che (lai nostro professore Gallo unitamente ad una commissione, di cui faceva parte nella Savoia, anni sono. E particolare che la segala cornuta sembra più funesta agli nomini che alle donne, più ai fanciulli ed ai vecchi che agli adulti. E quando è antica pro- duce minori danni che quando è recentemente raccolta. Negl'individui morti da clavinismo riscoutransi: alcune effusioni di sangue nel tubo gastro-enterico, nel parenchima polmouale, il cuore pallido, flacidu e quasi vuoto, le vene gonfie di sangue giallognolo come frammisto a bile, il fe- gato e la milza coperti di macchie livide e cangrenose- Il cervello, il midollo spinale e l'utero non sembra siano slati finora diligentemente esaminati, o non segnarono lesioni. I cadaveri passano facilmente in putrefazione. Per molto tempo la segala cornuta fu adoprata quasi unicamente collo scopo di suscitare le contrazioni uterine. Oggiilì si usa in diverse malattie. Prenolt americano la usò vantaggiosamente nelle metrorragie consecutive al [>arto. Guil- lemont racconta d'averla trovala ottimo preservativo delle metrorragie. March all'- Hall asserisce d'avere risanata una donna soggetta ad abbondantissima me- trorragia e leucorrea per cui lasciava poche speranze di salute. Bazzoni la preferisce nella leucorrea, nelle isteriasi Leuiciere; nelle diarree mucose ribelli Stout , e persino nelle febbri intermittenti asseriscono d'averla vantaggiosamente somministrata Mehlhausen e Fotler. Nelle metrorragie, nell'ematuria, nella epi- stassi, nella eraatemesi, nell'emoftisi l'adofirarono sempre utilmente Spairani, Cubini , Trolli , Pignocea. Ed è certo che da più anni la segala cornuta è molto in uso nelle surriferite forme morbose, e bene hanno da lodarsi i pratici che la prescrivono, e gli annali di medicina sono zeppi di vantaggi che si hanno dalla sua amministrazione. Ma onde fu generalmente comprovato di incontrastabile efficacia egli è per provocare le contrazioni uterine, quando durante il travaglio del parto vengono per qualche causa sospese. Anzi sì pronta e sì costante* manifestasi in queste circostanze la sua azione, che ebbe dagli specificisti il nome di specifico nel promovere il parto ed anche l'aborto. Cordier sperimentò sopra se stesso la segala cornuta alla dose di due dram- me, e dice che sentì varii incomotli, come mal essere, spossamento, nausea, vo- mito e simili, che si dissiparono dopo un pasto, non essendogli rimasto che sa- pore disgustoso dello stesso medicamento. Mal essere, pallore del volto, lentezza e debolezza di circolazione, vertigini, nausea, vomiti, sincope, freddo, prostra- zione somma di forze sono i sintomi che provarono coloro che ingerirono grande dose di grano sperone. Ed è poi singolare che tutii ebbero a provare una specie di fame divorante. Da questi sintomi perciò e dall'utilità che reca nelle aflfezioni di stimolo sono indotti i pratici a considerarla di un'azione dinamica confroslimolante, e per l'azione sua manifesta sull'utero d' un'elezione elettiva sul medesimo viscere, come chiaramente lo dimostrò il dottor Maspero in una elaborata dissertazione, che per mancanza di spazio ci rincresce non poter ri- ferire. Eccone le sue conclusioni a riguardo della sua azione : 1. La segala cornuta altra azione non manifesta che quella di coolroslimolo ; 2. Che que- st'azione di conlrostimolo nel modo stesso che prontamente si a[»pale5a , è [)roDta 342 del pari a scomparire. Discorrendo poscia della sua ailone elettiva sull'utero, così la raoiona : <■<■ L'utero oppresso da congestione o da spasmo o da irrita- zione 0 da malattia qualunque di stimolo, come avviene ordinariamente in oc- casione di parto, non può più eseguire liberamente le sue funiìoni: esse sono interrotte, impedite per così dire da uu eccesso di vita. La segala cornuta, data in dose conveniente, induce una depressione, un avvilimento, uno slato di contro- eccitamento nell'organismo universo, e nell'utero principalmente, sul quale di preferenza dirige la sua potenza coutrostimolaole, per cui l'utero stesso a quel grado di vita è ridotto che a sanità si compete o poco da essa si discosta. Li- beralo in tal maniera quell'organo dall'eccesso di forze che l'opprimevano, mediante regolari e valide contrazioni, si serra sul corpo del telo, lo fa pro- gredire e lo espelle finalmente dalla sua cavità ». Non taceremo i>er ultimo che alcuni medici negarono ogni azione dalla se- gala cornuta; anzi l'avrebbero voluto vedere proscritta, e questi sono Chap- mann, Chaussier, Chalard, Lochepelle, Legouais ed altri. L'esperienza quoti- diana sta però contro di loro: e se è innegabile che la segala cornuta sia stala al- cuna volta prescrilla inulilmente, non è pure couseguiiuza necessaria dichiararla inutile. Imperocché sovente non si ebbe alcun vantaggio, perchè alterandosi essa facilmente per essere da troppo lungo tempo o in stagione inopportuna raccolta, o per essere mal conservata, o tutta o in parie perde la sua efBcacia. Alcune volte inoltre non venne amministrala in conveniente dose od in circostanze non op- portune. Perchè felice possa riuscire l'uso della segala cornuta a suscitare le contrazioni uterine, alcune condizioni sono necessarie, senza le quali il più delle volle sarà causa di funesti accidenti. Queste condizioni , giusta il surricordato Maspero, sono le seguenti: « 1. Cue il travaglio del parlo sia già incomincialo; 2. Che uno scirro, un cancro od altro vizio organico non osti alla dilatazione dell'o- rifizio uterino ; 3. Che la pelvi non sia soverchiamente ristretta ; 4. Che il feto si trovi in favorevole situazione ; 5. Che la sua lesta o il suo tronco non siano eccessivamente voluminosi. La segala cornuta poi è dal succitato Maspero comandata in quasi tutte le malattie di stimolo, in quelle dell'utero in ispecie e nella febbre puerperale. La raccomanda quindi nella meuingole, cefalile, noleo-mielile, ottalmite, nelle infiammazioni di tulli gli organi del petto e dell'addome, nelle risipole, nello scirro, nel cancro, nelle idalili, nei polipi uterini e simili. La segala cornuta si può amministrare in polvere sino a mezza dramma, da ripetersi occorrendone il caso; ed in infusione o sollo forma di sciloppo. Que- sto, proposto da Loberl, si compone con nove oncie di vino di Borgogna, Ire ODcie di segala ed una libbra di zucchero bianco, per cui un'oncia di questo sciroppo contiene una dramma di segala. Il suo estrallo è di più facile am- minislraiione. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Piaula di scsala. i Sl'iiiì. 3. Sodala cornuti 343 tì U A M I G N A ~>'Vu\r.fiafw- Gramen caninum arvense, sive Gramen Dioscoridis Bauh. , pio. lib. 1, sect. 1. — Gtaruen loliaceum , radice repente, sive Gianien officiuarum Tourn., class. 15, Apetali. — Tritioum repens Lino., class. 3, Triandria di- ginia. — Juss. class. 2, oid. 4, Gramiuacee. — Poirel, Fior. raed. , t. 3 lab. 118. Questa Graminacea, disperazione dei coltivatori, anticamente godeva d* una riputazione altissima , che oggidì però venne di gran lunga scemata e ridotta al di lei giusto valore. Essa ri- scontrasi per ogni dove ed alligna in ogni sorta di terreni. La sua radice ò alquanto grossa, munita di radichette prodotte dai suoi nodi, lunghissima, rampante, articolata, biancastra , profon- damente interrata. Da questa s' innalzano steli ritti , cilindrici, lunghi due e più piedi, portanti foglie molli, allungate, larghe due 0 tre linee, leggermente vellutate sulla loro superficie superiore. 1 fiori sono disposti in una spica ritta, sottile più che quella del frumento, terminale e lunga tre o quattro pollici. Le spighette sono sessili, distinte; racchiudono quattro o cinque fiori a valve acute , ordinariamente sprovviste di resta ; hanno tre stami e due stimmi velosi. I semi sono solitarii , stretti , allungati , con un solco longitudinale su d'una delle loro facce. La Gramigna, detta anche Caprinella, Dente canino, chiamasi dai Francesi Chiendent , Froment rampant ; dagli Spagnuoli Grama, Grama de la boticas; dagli Inglesi Dogs-grass, Couch- wheot; dai Tedeschi Queckgras, Quechn, Himdsgras; dagli Olan- desi Hondsgras, Kweek, Ktveek-fjras ; dagli Svezzesi Quich-hwete; dai Polacchi Perz, 344 La radice è la parte che s'adopera in medicina : essa ha un sapore dolcigno e leggermente stitico. Essa era molto dagli antichi adoprata , ed ancora oggidì agli occhi del volgo, di alcune nazioni, la è considerata come una specie di pa- nacea, ed è comunemente prescritta dalle levatrici e dai medicastri : per buona sorte che il di lei uso è scevro d'ogni inconveniente; anxi la sua decozione in molte circostanze è utile , come mucilagiuosa e zuccerina: conviene specialmente nelle tossi. Boerbave la considerava come un mezzo infallibile nel trattamento delle febbri intermittenti ribelli, e la raccomandava nelle cachessie, nelle idropisie, nella clorosi, nelle ostruzioni ed altre croniche malattie. Schenk le dà un'ef- ficacia somma nelle malattie del fegato e dello stomaco. Alibert non la con- sidera che alquanto rinfrescane. Oggidì si prescrive di rado e solo come mu- cilaginosa, e secondo l'opinione di alcuni quale rifrescante e depurativa: si prescrive per lo più in decozione. Il suo estratto, raccomandalo da Cadet e Gassicourt, è pochissimo in uso. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Gramigna. A. Spiga. 5. Fiore intiero iugrossalo. C. Stelo sollerraneo o radice. I '^ ?-' _ li ^^,^:e^^?7^^^y^^^ 345 RISO Oryza Bauh., pio. lib. 1, sect. 4. — Toarn. class. 15, sect. 3, gen. 4. — Oryia saliva Linu., Esandria diginia. — Juss. class. 2, ord. 4. Graminacee. — Ricb. Dot. med., t. 1, pag. 69. I più antichi botanici fanno menzione del riso. Questa gra- minacea è originaria delle Indie , ma oggidì copiosamente coltivata in Africa, America, nelle regioni meridionali dell'Eu- ropa, particolarmente nel Piemonte, nella Lomellina e nella Lombardia. Questo utile cereale è una pianta annua che si compiace dei terreni bassi e innondati e che si possano facilmente innaifiare mediante le irrigazioni. Le sue radici sono ciuffute, fibrose e capillari : il suo stelo si innalza a due o tre piedi, talvolta di più: è liscio e presenta tre 0 quattro nodi ed altrettante foglie lineari , lanceolate , acute , liscie, ma ruvidissime sui margini. I loro fiori formano un pan- nicolo terminale variamente dischiuso, composto di spighette uniflore aventi la lepicena piccolissima a due valve lineari : la gluma di due pagliette compresse, strisciate, l'inferiore più grande, convessa e carenata, terminata nella sua sommità da una setola: sei stami: due stili a stimmi piumosi. I semi sono bianchi, ottusi alla loro estremità, segnate da due strisele su cia- scuna superficie, d'una consistenza cornea. Distinguonsi nel riso coltivato moltissime varietà; le une senza barbe , le altre di esse provvedute ; le une colio loro scaglie brune , le altre semplicemente giallastre : ve n' ha che differiscono pel tempo che mettono a maturare, il quale varia 346 da 3 ad 8 mesi. Alcune variclh distinte sotto il nome di Riso secco riescono egualmente nei terreni di frumento. Non occorre trattare della coltura e delle malattie a cui va questa pianta soggetta, che un volume non basterebbe. Altronde di già molteplici scritti v'esistono su questa pianta che tanto interessa l'agricoltura e l'economia domestica. Aspetta pure al- l'igiene pubblica la coltura di questo cereale, e diremo solo che è di somma importanza per la salute pubblica che la coltura del riso a irrigazioni artificiali sia per ogni dove allontanata dalle abitazioni. Il Riso chiamasi dai Francesi Riz ; dagli Spagnuoli Arriz, così pure dai Portoghesi ; dai Tedeschi Reiss ; dagli Inglesi Rise; dagli Olandesi Rysl; dai Danesi Riis; dagli Svezzesi Ris; dai Polacchi Ryz; dai Russi PtscJieno; dagli Ungheresi Riskasa; dai Tartari Dngu; dagli Armeni Priusch ; dagli Arabi Arz; dai Giapponesi Kome; dai Chinesi Mcmllo\ dai Malesi Pady ^ daj Conchinesi Lua. Tutti sanno che a(]opransi i frulli del riso spogliato del loro involucro. In questo stalo è il riso duro, bianco, semitrasparente. Costituisce un cibo sanis- simo e molto nutritivo, ed alimenta tanti popoli quanto il frumento, lu tulle le Indie ed una gran parie delTAfrica e molle contrade del nuovo continente usasi il riso ad esclusione di tulli gli altri cereali. Due varietà principali di riso offre il commercio conosciuto sotto il nome di Riso della Carolina e Riso del Piemonte. Vogliono i Francesi che il primo meriti maggiore stima e che sia più bianco, più trasparente e d'un sa- pore maggiormente farinoso; ed il secondo giallastro, meno allungato, roton- dato, opaco, d'un leggiero odore particolare e d'un sapore un po' acre. Noi non possiamo concedere siflatte dilTerenie, a meno di ammettere che chi scrisse questi attributi non abbia veduto che le qualità inferiori del riso del Piemonte e della Lomellina: sarà il nostro riso meno duro e meno trasparente, ma non sa certamente di acrezia. L' analisi del riso eseguita da Vogel aveva fornito i seguenti risultali : Amido ..... 96 Zucchero .... 1 Olio grasso .... 1,3 Allumina .... 0,2 Sali, quantità indeterminate. 347 Vaiiquetìn !ia trovalo, come Vogel , alcune traccie pressoché impercellibili di glutine, ma niente di materia zuccherina. InBue Brasennot La pubblicato l'analisi delle due varietà di riso del commercio, e diede i seguenti risultati : Riso della Carolina Acqua .... Àmido .... Parenchima Materia auimalizzata . Zucchero incristalliiiabile . Materia gommosa Olio Fosfato di calce . Fosfato e muriato di potassa, acido acetico, sale vegetabile, calcareo, sale vegetale a base di potassa, zollo 3 00 85 07 4 80 3 60 0 29 1 71 0 13 0 40 traccie R 'so del Piemonte 70 00 83 80 4 80 3 60 0 03 0 lo 0 23 0 40 traccie. L'assenza del glutine nel riso è un ostacolo alla di lui paniGcazione, ed impedisce che questo cereale sia adoprato cosi vantaggiosamente come il fru- mento. In Persia, in China ed in alcune contrade dell'India se ne formano paste o locacele che si nominano pilau, forom ecc., le quali sino ad un certo punto possono sostituire il pane, e si condiscono con il latte di cocco, il succo di granato, lo zucchero, i banani, vivande diverse, sostanze aromatiche e molte altre produzioni naturali. Appo noi lo si mangia per solito bollito nell'acqua o nel brodo in mine- stra. S'impiega in medicina il decotto di riso semplice come raddolcente, a motivo della grande quantità di fecola che contiene : lo si somministra spe- cialmente contro la diarrea, la dissenteria e simili. Preparansi inoltre colla fa- rina di riso cotto nell'acqua o nel latte inzuccherato ed aromatizzato certe creme leggiere, delle quali si permette l'uso ai convalescenti. Il riso è anche usato nell'India per fare la birra: se ne ottiene anche un liquore alcoolico somigliante all'arrak, specie d'acquavite ottenuta dalla fer- mentazione del succo di cocco, come d'altre materie zuccherine. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Spica di liso. 2. Fiore ingrossalo. ì. Seme. 348 CRITTOGAME ■^-'Vinjvfirv'^'^ Linneo diede questo nome, che significa nozze occulte, ad una classe di piante, i cui organi sessuali diversificano talmente da quelli degli altri vegetali , che non si possono determinare con certezza quali siano le funzioni cui questi organi soddisfano. Nel metodo naturale di Jussieu le Crittogame corrispondono pressoché intieramente alle acotiledoni o imembrioìiate. In questi vegetali si distinguono le seguenti parti, cioè la radice, il cormo 0 tronco, le foglie, la fronda, il tallo, i sostegni o amminicoli e la fruttificazione. Si distinguono le crittogame in varii ordini; 1. Le Alghe, ora suddivise in piccole famiglie, sotto i nomi di conserve, fuchi, ulve; % i Funghi; 3. gli Ipessili; 4. i Licheni; 5. le Epatiche; 6. i Muschii; 7. le Felci; 8. i Licopodiacei ; 9. le Marsiliacee; 40. gli Equisoti. Varii piccoli gruppi inoltre si trassero da queste diverse famiglie (1). (i) Poche essendo le crittogame che servono alla medicina e costretti a mantenersi nel limite delVopcra , discorreremo solo delle principali, senza distinzione di famiglia. i^^^/'^:*^^,^^^/^^^^^ '^^^^^?^'^:è^/<^^^é;^^ II ^^^:^^^5^--^è%^^^^ 340 MUSCO SQUAMOSO Miisciis squamosus vul«,'aiis, l. 333. — Muscns lerrestris C. D. P. — Lyco- ()oJiuiu, lab. le 8l4. Il Musco squamoso o terrestre cresce in molli luoghi mon- tuosi ed umidi , Ira le graminacee , dividesi in molli rami che serpeggiano per terra , i quali sono lutti vestiti di foglie acute , imbricate e simili a quelle del ginepro. La loro fruttificazione è ancora oscura. Il 3Iusco ramoso poi rinviensi in diversi luoghi umidi e mon- tuosi ; è molto simile al suddescritto, ma più ramoso, s'innalza da terra e termina per tanti piccoli bottoni che hanno l'aspello di piccole clave. 3lusco quercùìo. Questo criltogamo ebbe il nome di quercino, perchè è sulle querele ossia sui giovani rami della medesima che nasce di primavera, è di un principio quasi legnoso e cinereo-verdiccio. Queste Ire specie di musco erano dagli aDticbi adoprate io decoiione nelle diarree, nelle ntTeiioni calcolose e nelle rileuiioni d'orina, uell'istero e simili. Le credevano anche capaci di procurare l'aborto. Oggidì non sono più in usti. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 390 - 301 590. Musco squjraoso. 5yi. I. Musco rafiioso. 591. II. Musco quercino. 350 LINGUA DI CERVO •i«g*^MSC*«S^ Lingua cervina officinarum Baiih. , pin. lib. lO, sect. 1. — Tourn. class, xvi, secl. 1, geo. y. — Asplenium scolopendriuin Liun., Felci. — Juss. class. 1, geu 9. Cresce questa pianta sui vecchi muri, sui pozzi, sui margini de' ruscelli ecc. Le sue radici sono brune e fibrose : queste danno origine a foglie lunghe quasi un piede , larghe due pol- lici, coriacee, verdi, liscie, oblunghe-acute, cordiformi alla loro base, intiere e sostenute ai loro margini da pezioli vellosi. La loro fruttificazione è situala sul dosso delle foglie , a lato della costa principale, a piccoli pacchetti composti di piccolis- sime capsule ad una sol loggia, munite d'un anello elastico d'onde ne nasce una finissima polve considerata quale seme. Altra specie di Asplenio [Asplenium Dod., Cetrac Bauh.) cresce pure sui vecchi muri, sulle rupi e nei luoghi sassosi. E sempre verde. Le sue radici sono nerastre, tuberose, grosse, articolate e munite di molte radichette. Le foglie lunghe quanto quelle della sovradescritta specie, ma profondamente sinuose. La frut- tificazione ne è pure analoga (vedi T. 592. ii). V Asplenio politrico {Asplenium tricomanes Linn.) cresce negli stessi siti, in folti cespugli, composti di foglie a pinnule sessili, rotonde , irregolarmente dentate e portate da un debole peziolo di colore bruno-oscuro. Nello stesso modo esercitasi la fruttifi- cazione (vedi T. 592. i). Altra specie per ultimo di Asplenii è VAsplenia o Ruta muraria {Asplenium, Ruta muraria Linn.), è vivace come le altre specie, I -.-^^^^^fZa^a/^'^^^^é'^^^ II c.^^^^^^:^ '^^^^^^^^:^^;^ 351 e come queste cresce in cespugli folti, fra le fessure delle roccia e de' muri, non che sulle sponde dei ruscelli. I suoi pezioli su- periormente ramosi, portano delle piccole fogliole irregolar- mente rotondale , un poco carnose. La sua fruttificazione mostrasi da principio sotto forma lineare e poi s' inviluppa in maniera da ricoprire quasi intieramenie il dissotto delle foglie (vediT. 593). La Lingua di cervo, detta Scolopendria , chiamasi dai Fran- cesi Scolopendre , Langue de cerve, Dorndille ; dai Tedeschi Ilirs chunge ; dagli Inglesi ffarls , Tongue ; dagli Olandesi Ilerstomj ; dai Polacchi Zeleni, Szezaiv. Gli antichi facevano molto uso di questa specie. Galeno fra gli altri ne vantò assai i suoi buoni effetti contro la diarrea e la dissenteria, negli scoli mucosi, contro le emorragie, nella tosse, nel catarro polmonare e nell'emottisi: ma ove godeva una vera celebrità egli è contro la ostruzioni di milza, onde i suoi nomi di asplenii. Oggidì s'associa solo da alcuni alle erbe dette capillari per promovere la traspirazione, aumentare le secrezioni delle orine , seppure loro si può concedere tanta proprietà. Somministrasi per lo più in infusione teiforrae. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA J . Lingua di cervo. 2. Semi, 352 POLIPODIO VOLGARE PnlypoJium vulgare Bauli. , piti. lib. lO, secf. 2. ^- Tourn. class. IG — PulyjioJiiim vulgate Liiin., Felci. — Juss. class. 1, sect. 1, Felci. Questa pianta è abbondante sui vecchi muri e sui tronchi degli alberi. Il suo caudice orizzontale, volgarmente nominato radice, è spesso, carnoso, bruno, tubercoloso e scaglioso all'e- sterno, biancastro internamente , della grossezza d' una penna d'oca. Le sue foglie sono lunghe da otto a dodici pollici, pezio- late, ovali, lanceolate, profondamente pinnalifide: gli intagli sono intieri , lanceolati , paralleli e diminuenti di lunghezza e lar- ghezza avvicinandosi alla sommità. Gli organi della fruttifica- zione sono disposti in gruppi rotondati, posti longitudinalmente sulle due parli della nervatura che presenta ciascuna divisione. Altra specie è il Polipodio combrico [Polypodium combricum Linn.), le cui foglie sono più grandi, più profondamente lobate sui lobi dentati. Difficilmente rinviensi sotto questa specie la fruttificazione. Il Polipodio quercino non è che il Polipodio volgare , che nasce sulle querele. Alcuni lo vollero dotato di maggiori pro- prietà. Quest'asserzione però sembra gratuita. il Polipodio chiamasi dai Francesi Polypodie; dai Tedeschi Ingelsuers, Steinivurzei; dagli Inglesi Commini polypody; dagli Olandesi Boomvaren ; dai Polacchi Poprotha. La radice del polipodio non ha pressoché alcun odore; il suo sapore è un poco luccherino avvicinautesi a quello della regolixia, per lo che in alcuni paesi porla il uouie di liquirizia di montagna- Secondo PlafiF la radice couliene I ^J^/^//é^^^^ II ^JA/^^^'^^C^ ^C^-^^: -fZC y/Tlf^Ì€'- 353 Sfia le^iua di colore giallo, alquanto lauoioo moJiGcalo, uua materia dolce, alt^-^ j^;^^^g^.i(g4m^^<^^ II 361 b<9/i<^^^^^^ /^^^^^/^_ II i0^a^^ 367 Scrive ìnollre il succitato autore che essendo Leezio Licinio pretore di Spagna in Cartagine, si guastò li denti incisivi man- giando un tartufo in cui eravi una moneta romana. Accidente sicuramente meraviglioso in quei tempi in cui i fenomeni della vegetazione non erano appunto conosciuti ; ma che appo di noi perde di sua meraviglia, perchè si osserva spesso, che i funghi durante la loro crescenza inviluppano dei corpi stranieri, come delle pietre, foglie, fusti, piante, ecc. Galeno ne parla nel libro ii delle facoltà degli elementi. Teo- frasto dice che li tartufi della Grecia erano insipidi, e li di- distingue da quelli della Libia, che li stimavano specialmente per il loro odore ; tartufi che li Greci chiamavano Mysi Gyre- naiqiie. Avviccna mette a rango de' migliori quelli che sono biancastri dentro, che esso dice del colore dell'arena, alludendo ad una specie di arena che era in quel tempo in uso, e dice che i tartufi cagionano gli umori attrabiliari, e vuole che fuso con- tinuato valga a produrre l'apoplessia, la paralisi, ecc. Ne parla Dioscoride ; li canta Virgilio nel libro delle Geòrgie; ne fa allu- sione Marziale nel descrivere come i migliori tartufi facevano screpolare la superficie 'della terra , e li pospone ai funghi , quando dice : Rumpimiis altricem tenero de coriice terram Tuberà, buletis poma secunda sumus. Ed è certo che i Romani ricevevano qualche volta dei tartufi bianchi dell'Africa, e li slimavano specialmente per il loro odore; e tuttoché attribuissero a questi la facoltà di occasionare l'apoplessia e la paralisi, nulladimeno erano gli antichi quanto mai ghiotti e da essi molto ricercati, e quei di Spagna sovrat- tulto godevano d'una data celebrità. Erano infalto talmente i tartufi ricercati dagli antichi, che gli Ateniesi accordavano il dritto di cittadinanza ai fanciulli di Cherips, perchè il lofo padre avca inventato un nuovo metodo 368 di apprestarli. Si trova in Apicio un modo di preparare il tar- tufo non in uso ai nostri giorni. Dopo d'averli fatti cuocere nel- l'acqua, li perforava con una piccola bacchettina e li sospen- deva per breve tempo alla bragia : univali quindi olio, un poco di carne, sicera, vino, pepe, miele in convenienti proporzioni, ed a questo intingolo bollente aggiungeva un poco di farina, quindi li serviva in tavola. Platino, autore antico, insegna di ben pu- lire i tartufi nel vino e di farli cuocere sotto cenere calda spol- verizzati di pepe e sale. Li mangiavano inoltre gli antichi cotti, crudi , preparali in diverse maniere, e già sin d'allora come al giorno d'oggi riconoscevasi che il loro frequente e inopportuno uso poteva essere nocevole alla salute. 11 tartufo è corapi'eso naWhydmm o hijdnum dei Greci, che significa pioggia-tumore. Pioggia, perchè era specialmente nel tempo delle pioggie che t'accasi il raccolto dei tartufi; tumore, perchè la loro forma è tuberosa. Vengono questi funghi caratterizzati per la loro forma ro- tonda, tubercolosa o lobata, per la loro superficie ora liscia, ora increspata, mammillare, profondamente solcala e coperta di asprezze piramidali ; per la loro sostanza , che è di un tessuto omogeneo osservato ad occhio nudo, ma che forma delle rami- ficazioni, ed una specie di gambo o rami sui quali vi sono delle vescichette [Cellules, kùsiiìs.- Peridium,Uì\]i) pressoché globose, contenenti da due a quattro globi (spore seminali ), tramezzati da alcuni grani verrucosi che sembrano essere globi non disvi- luppatisi od abortiti. Micheli fu il primo che fece osservazione sull'organizzazione dei tartufi ed ha fatte rimarcare le vescicole, i globi , non che la presenza dei grani verrucosi (1). Questo primo lavoro servì poscia ad Adanson per caratterizzare il genere dei tartufi ; ma queslo naturalista non ebbe ancora piena conoscenza della (1) Mitb, gai plani. 103- 3 co Tera slrullura. Link e Fries 1 hanno meglio dcfinila, ed a Turpin dobbiamo finalmente la giusta conoscenza della loro struttura. Quest'osservatore ha riconosciuto che i tartufi noia sono che un tessuto di vescichette, dalle quali vengono a svolgersi dei piccoli tartufi, e che queste vescichette fertili si trovano fram- mezzate ad altre che sono od abortite o rudimentarie aventi varia forma, le quali costituiscono il parenchima ossia la so- stanza dei tartufi. I tartufi nella loro maturità perfetta non si riducono in pol- vere come i licoperdi, coi quali Linneo li ha uniti, proprietà che a loro sarebbe inutile ^ perchè crescenti sotto terra, ma si convertono in una specie di gelatina o di pappa. Paragonato agli altri funghi, poco numeroso è il tartufo nelle specie ; la loro grossezza varia comunemente da uno a quattro e più pollici di diametro ; il loro peso arriva sino ad una libbra , ed Halles asserisce d'averne veduto del peso di i 4 libre. Si trovano principalmente nelle regioni temperate del globo: vivono lungo tempo, e, come abbiamo detto di sopra, si moltiplicano decomponendosi : godono di un ottimo profumo, e l'odore profumato che esalano li ha fatti ricercare da tutti i tempi e da tutti i popoli , ed è desso uno dei mezzi che serve a renderci avvertiti del luogo ove esistono.. Si riscontrano i tartufi: in Europa, specialmente nelle regioni temperate ed australi , in Africa , nell'America settentrionale, in alcune contrade dell' Italia , come nel nostro Piemonte , nel Monferrato, nella Provenza, nell'Astigiano ecc., nella Francia, come nel Peridok Borgogn , ove se ne trovano in abbondanza straordinaria: crescono generalmente nei terreni incolti, argillosi, sabbiosi, leggieri, umidi e qualche volta anche nei sotterranei. Vegetano a tre o quattro pollici sotto la super- ficie della terra , e specialmente ai piedi od all'ombra degli alberi. Il loro albero favorito è la quercia. Vegetano anche ToitL VL 24 370 in mezzo alle radici , alle pietre e qualche volta in pien terreno. Si osserva che 11 terreno ove essi abbondano offre certe fis- sure, ed allorquando si batte rende un fremito sordo ; la sua su- perficie presenta una elevazione dovuta all'accrescimento dei tartufi ; ed è rimarchevole che più i tartufi sono numerosi in una tartuferia, più sono grossi. L' odore che spandono è appena sensibile fuori di terra , tanto più se sono un poco profonde. In molli paesi si servono dei porci onde iscoprirli. Questi animali però che in eminente grado possedono la facoltà del- Todorato in riguardo specialmente al tartufo, ne sono sì ghiotti, che difficilmente scoprono il tartufo senza che lo divorino. Ma le varie specie di cani dei quali in quasi tutti i paesi si servono per la caccia dei tartufi, mentre possono vantaggiosamente supplire i porci, sono meno voraci e più facili ad ammaestrarsi, e tenue è la mercede che si aspettano, perchè, come ognuno sa, suolsi dare loro un briciolo di pane tosto indicano il luogo ove si nasconde qualche tartufo. L'abitudine può anche far co- noscere il luogo dove crescono ; e di questi uomini ne conobbe Pisanelli in Puglia, ne conobbero altri, ed io stesso ho cono- sciuto un uomo il quale per la conoscenza che aveva dei siti , opportuni allo svolgersi dei tartufi, ne faceva pressoché ogni giorno buona raccolta senza l'aiuto di alcun cane. Batteva questi con un piccolo bastone il terreno , e dal rimbombo giu- dicava se vi esisteva o no il tartufo, ed era ben difficile che si ingannasse. E siccome i tartufi sono preda di diverse larve ed insetti svolazzanti, abbiamo anche in questi un altro mezzo per discoprirli. Ogni qual volta adunque si scorge alla superficie della terra a svolazzare questi insetti , si può giudicare esistervi qualche tartufo. Uno di questi insetti è in Francia , nella Bor- gogna e nel Perigord una specie di tipola piccolissima. L'altro che osservò Bork in Piemonte, una specie di mosca ad occhi rossi. Si rimarca ancora che quandi' i tartufi prendono il loro 37ì svoìginienlo sollevano la terra ; circostanza che può essere d'in- dizio per discoprirli quando sono in famiglia. Allorché i tartufi hanno acquistata la loro maturità, si scre- polano, si fendono, si decompongono e si convertono in una specie di pappa,, e dai loro avanzi nascono nuovi tartufi. Molti agricoltori ed alcuni botanici hanno cercato di molti- plicare i tartufi trapiantandoli e seminandoli, per cosi dire, in tartuferie artificiali preparale in appositi luoghi. Ma se i loro sforzi non furono vani , non poterono per altra parte ottenere lina soddisfacente moltiplicazione. Cosi Bulliard nella sua Storia (lei funghi, hcboik neW Istoria dei tartufi di Piemonte propon- gono di fare queste tartuferie artificiali trasportando in fosse profonde dentro un giardino la terra d'una tartuferia naturale ; e sì l'uno che l'altro hanno sino ad un certo punto ottenuto il loro inlento, ma non continuarono le loro esperienze, esperienze che sarebbe bene venissero rinnovate ; poiché non havvi motivo perchè i tartufi debbano crescere piuttosto in un bosco od altro silo, che in un luogo circondato da muro; allorché la terra e la posizione della tartuferia artificiale non siano di troppo differenti. Nel trattare dell'origine dei funghi in genere havvi que- stione se i semi del tartufo siano grani, come vuole Bul- liard, oppure spore o gemme, come vogliono Getner ed altri. L'opinione degli ultimi però sembra prevalere. Osservò il suc- citato Getner che nel loro parenchima esistonvi dei piccoli tar- tufi tutti formali , i quali sono provvisti di filetti o di ombellici, pei quali si nutrono a dispendio del tartufo madre, ed in seguito quando la madre é distrutta s'impiantano nella terra. Ed è ri- marchevole, che i giovani tartufi pervenuti alla grossezza di un pisello conservano ancora visibilmente questi filetti. Bulliard islesso osserva questa verità in ispecie particolari di funghi (1). (i) Si pretende, come riferiscono Chef (Dici. Jes alim.) e la Mcry Fr. (Jes alim ), che i tartufi, vengono abbondantemente dopo le pioggle 372 Presenta il tartufo, come già abbiamo detto, un certo nu- mero di varietà, e gli autori diversi variamente li distinguono; ma un'esatta e buona monografìa del genere dei tartufi resta ancora a desiderarsi : e sarà sempre di ostacolo la facilità che essi hanno a putrefarsi, per cui non si potrà mai avere una buona raccolta di tartufi dei varii paesi , onde esattamente caratterizzarli. Noi seguiremo il genere dei tartufi che hanno stabilito Persoon e Fries, e che contiene la specie intiera- mente priva di radici. Hanno questi autori divise le specie in due sezioni, secondo che hanno la loro superficie scabra o piena di tuberosità, di punti ecc.;, oppure liscia. Nella prima è collocato ì\ twiiifo com- mestibile ossia tartufo nero [Tuber nigrum, Cumin ; tuber cibarium; tuber gulosorum, Wigg; tuber brumale^ Micheli; tartufo nero di Poulct ; tubcl, Plin. ; ìijcoperdon tuber, Linn, ; hydnum, Teosfr., Dio- scorid.), ed in lingua italiana e volgare tartufo alimentario, tar- tufo nostrale , tartufo nero di Norcia , tartufole , trifole , tuberà o mysi, il quale è sessile, senza radice, più o meno grande, sferico, di colore dal nero al bigio ; la di lui superficie presenta berno- coli pressoché prismatici , qualche volta eminenze arrotondate ed alcune altre piramidali. La sua polpa d'un colore bianco-gri- giastro e nero, variegata da vene seminifere. Questa specie, che in Francia specialmente è molto ricercata pel di lei sapore agreabile e che fa la delizia de' ghiotti, ed è il condimento più slimato dei gastronomi e che fu sempre in ogni modo celebrata, cresce in Italia, come ogni altro tartufo, nelle selve e pascoli parlicolarriiente arenosi , fra i querceti , carpineti e castagneti. Vendesi in estate, autunno ed inverno. Questa specie è rinoma- tissima in Toscana , Romagna ed in alcune provinole venete. d'autunno, e che i grandi tuoni valgono ad eccitare una fermentazione nei semi de' tartufi, che li ammollisce, loro apre i pori, rendendoli anche viep- più disposti a ricevere i succhi dalla terra: fatto questo ammesso dal Pisanelli e conosciuto dagli antichi. Onde Giovenale disse: Et jaciel laiitas optata toniliua coeaas. 373 Essa viene generalmente del peso di 7 ad 8 oncie , ma ve no sono alcune che pesano una libbra e più. Ma è probabile che più specie siano confuse sotto la deno- minazione del tartufo commestibile. Le varietà principali sono le seguenti , secondo Buliiard : 1 . Il tartufo nero, eie è nero di fuori , nerastro dentro con delle linee rosse disposte a guisa di vasi ; 2. Il bigio, che in prima è biancastro, quindi prende un bruno cinereo ; 3. Il violetto, il di cui colore è di un nero violetto tanto dentro che al di fuori. 4. Il cinericcio od il tartufo all'aglio, che crede Buliiard essere lo stesso del Piemonte , che Bork il descrive con un in- viluppo membranoso bianco, guernito di una lanuggine finis- sima che il rende come vellutato, e cita il suddetto autore questo tartufo come una varieth del tartufo commestibile, ma che esso non pare realmente distinto. Esso è pressoché cinereo e spande forte odore d'aglio. Crede però Jussieu possibile che queste varietà siano prodotte dalle varie età del tartufo, come Paulet tende a far credere. Secondo questo naturalista il tartufo richiede un anno intiero per pervenire alla sua perfetta formazione , e presenta tre stati principali che oiTrono il tartufo in aspetti diversi. Nel 1°, cioè alla fine dell'inverno od alla primavera questi tartufi non sono che dei tubercoli rossastri o violacei , della grossezza di un pi- sello. Questo pisello ingrossando a poco a poco diviene pres- soché della grossezza di una noce, mantenendo alla sua super- ficie un colore porporino, ed il suo tessuto bianchissimo sino al mese di giugno. Nel 2° stato, cioè nell'estate, la superficie del tartufo è già nera ed alquanto aspra, ma la sua polpa in- terna è ancora di colore bianchiccio, ed appena le sue linee, che a guisa di vene la varieggiano, sono ad occhio nudo notate. Questo tartufo è quello che, secondo Jussieu, in Italia chiamasi 374 tartufo diesiate ed in Francia tartufo bianco. In questo tempo è tale specie di tartufo indigesto e dotato di poco profumo. Nel 3° periodo, cioè verso l'autunno ed al principio deirinverne, il tartufo è maturo. Allora la di lui superficie è nera ed aspersa delle proprie eminenze e piramidi , la sua sostanza marmoreg- giata e segnata da linee d'un bigio carico: il di lui profumo è sviluppatissimo, e riesce ottimo cibo ; questo è chiamalo tartufo nero, tartufo ^inverno, tartufo ordinario. Questo stato poi di maturità è ben tosto seguito da una specie di dissoluzione della sostanza interna della pianta che si putrefa, ed è allora che getta i suoi rami , i quali producono ben tosto quei grani tubercolosi , grossi come un pisello, di cui si è par- lato. È opinione di Parraentier che i tartufi non prendano tutto il loro accrescimento che in estate, e che la loro differenza nel colore, nel gusto e nell'aroma venga unicamente dall'azione del freddo e del calorico. I tartufi a superficie liscia, compresi nella 2' sezione, secondo i succitati autori Persoon e Fries, sono : 1. Il tartufo moscaio [tuhcr »2t(5c«^?/w2 Bull., Pers., Sin., Decandoll., Fries, ecc.), pressoché rotondo e un poco allungato;, d'un bruno nerastro tanto al di fuori che nell'interno, d'una su- perficie totalmente liscia quando il tartufo è fresco , ma incre- spata e ruda quando è alquanto secco. Bulliard , a cui si deve la conoscenza di questa specie, rimarcò che il suo tessuto di- viene presto molle, e che spande un forte odore di musco, ed aggiunge che cresce parimenti sotto terra e che si trova nelle stesse contrade della Francia, dove nasce il tartufo commestibile^ e che serve anche di alimento. Dilferisce poi dal commestibile in quanto che il moscato ha la superfìcie liscia ed il paren- chima molle. % Il tartufo bigio ( tuher fjnjseum Persin , Decandoll., Bork : album tuber, Birol.), Tartufano grigio o bianchiccio, tartufo del Monferrato, trifola grigia o bianchiccia del Piemonte^ che è ir- 37 r» regolarmente e bizzarramente rotondo, leggiero, solido, arizo, di una superficie liscia, unita, bigio-rossaslra o giallastra, d'una so- stanza omogenea, d'un colore bigiastro, della consistenza del sa- pone, d'un odore fragrantissimo d'aglio e di sapore squisitissimo. Perviene questo persino alla grossezza da 4 a 5 pollici di dia- metro e del peso di una libbra e più. Si trova nel Monferrato, Astigiano e Piemonte, Insubria, ove è celebre, ed il pregio a che i gastronomi lo valutano sovrasta a quello di ogni altra specie della stessa famiglia e di ogni altro fungo alimentario , secondo Villadini ; e Paulet ci fa osservare che questo tartufo ha la carne fina e delicata , e che si trova anche in qualche parte della Francia, ma che il Piemonte è il paese più proprio a produrlo. Pervenuto alla perfetta maturazione, che occorre alla fine del- l'autunno, è meno indigesto delle altre specie. Cresce nei boschi dei colli arenosi ; Decandoll dice che il tartufo bigio si di- stingue da tutti gli altri per il suo odore d'aglio, e che esso è specialmente desiderato a servire di condimento alle mar- terie vegetali. 3. Il tartufo bianco di Permantier {tuber rufum Pillin) , hianchelta, tartufo rossiccio degli l[?L\'mù , rossetta. Esso, se- condo Vitladini , è sessile, a peridio arizo , sferico, della gros- sezza quasi di una noce, a lievi bernocoli , e talvolta liscio, compatto, di colore rossiccio e leonino: la sostanza interna prima di un bianco lordo; poi rossiccia, fregiata di vene bian- che, di sapore e di odore gratissimo; si conserva lungo tempo. 4. Tartufo bianco di neve [tuber niveum Desf., Fries; ter fez africanum Leon, DaCfris), truf-blanc della terfex o fecola di terra, è globoso 0 piriforme a superficie liscia , totalmente bianca si dentro che fuori. Questo tartufo, la cui grossezza varia da quella di una noce ad un arancio, cresce pure sotto terra, ed in abbondanza lungo la cresta della Barbarla , nei sabbioni dei deserti , e nei luoghi più caldi della Numidia, nei circonvicini della citlh di Sela ed all'indico leone d'Africa che gli danno il nome di tamha, e quello di terfex, die si fa arrivare dal latino lerrae [ex, fecola di terra. Questo è molto ricercato in Africa e si mangia colto nell'acqua o nel latte, e risulla, come si dice, deli- zioso cibo e di gran lusso. Si jjrepara con prune ed altri ingre- dienti una vivanda delle più delicate. Paulet ci assicura essere quest'istessa pianta indigena all'America; ma è a credere sii piut- tosto una specie ditìerenle. Questo tartufo sembra essere quello indicato da Avvicena sotto il nome arabo di tnmer e di kema, Dalechamp lo rapporta ai micon d'Atene o myson di Plinio, che Irovflvasi nella Cyrenaique. E vi sono autori che sostengono es- sere il tartufo di cui gli antichi Greci erano sì ghiotti. 5. Il tartufo rosso [tiiber rufum VoW., Fries), globoso, pres- soché liscio, internamente di un bianco di sale subito spezzato e poi rossastro con delle vene bianche. Questa specie cresce nelle vigne e nei boschi montuosi presso Verona , e si raccoglie in autunno. Il suo odore ed il suo sapore sono de' più soavi ed h ricercatissimo. La loro grossezza non sorpassa quella di una noce. Non si è qui descritto chtì li principali e li più ricercati del genere dei tartufi. Ve ne sarebbero molle altre specie, tuttoché straniere, che avrebbero meritato di essere segnalate se bota- nicamente fossero meglio conosciute. Tali sono il tarttt/b delFA- rabia deserta citato da Oliveri (tartufo questo che è molto ricer- calo perchè ha un gusto differentissimo degli altri: la sua su- perficie è ineguale e grigiastra , la sua carne bianchiccia) ed altri tartufi che si citano delle specie proprie dell'America. Ma siccome una monografia esatta dei tartufi, come dissopra di- cemmo, resta ancora a desiderarsi, quindi è che noi ci limi- leremo a citarli sul fine di questo articolo. Vemieio i tartufi da molli nulori sottomessi all'analisi chimica. Bouillon- Lagrange «topo d'averli sottomessi a diversi agenti e d'averli trattali con varii processi, olleune i seguenti risultati: 1. Che l'odore ed il sapore dei larluG souo volalilisabilissiaii. 377 2. Che uon si può eslrarre una fecola come tljgii altri vegetali , perchè la materia ottenuta coi processi usati, non si condensa coll'acqua, né si discioglie che in piccola (juantità, che gli alcali caustici non la cangiano ili natura, e che l'acido nitrico la converte in una gelatina rossastra. 3. Che i tartufi parimenti nello stalo secco, lasciano svolgere dell'ammoniaca per meno della potassa caustica , e che se ne olliene in più t;rande quantità quando incominciano a putrefarsi. 4. Che distillati soli essi danno un liquore acìilo, un olio nero, del carbonaio d'ammoniaca, del «az acido carbonico e del gaz idrogeno carbonato. Il carbone del tartufo contiene del solfato di calce, del ferro e della selce. 5. Che si può separare dall'albumina lasciando macerarli nell'acqua a trenta gradi di calore. 6. Che coU'acido nitrico si ottiene del gaz nitroso, dell'acido ossalico, malico, idrocianico, una materia grassa, e finalmente Tamaro di Walte. 7. Che messi in fermentazione collaggiunta di zucchero, danno del gaz acido carbonico, e dell'alcool; dimodoché dietro ai caratteri chimici i tartufi dovreb- bero essere distinti da altri, vegetali e formare una classe sotto il titolo di ve- getali animali. Osservò Parraenlier che molti di questi caratteri possono essere comuni a tutta la classe dei funghi; perchè si sono fiarimenli ottenuti dei pro- dotti animali dei Botoc, delle Tremelle e di molle altre specie degli agarici, e boleti. Robert ripetè l' analisi e conferma gli effetti enunciali dal suscitalo BouiUon-Lagrange, e concbiude egualmente dietro i propri esperimenti, che i tartufi hanno molla analogia colle sostanze animali. Antoine farmacista a Val de Grace trovò simili fatti , e riconobbe che l' acqua nella quale si avevano latti bollile i tartuG, filtrala ed evaporizzata in parie, ha presenlalo un preci- pitato mollo abbondante per mezzo del principio lanino ; ciò che dimostra la esistenza dell'albumina in questi tuberosi. Tulli i tartufi che furono analizzai erano della specie dei neri : ma è molto probabile che gli altri contengano pressoché i medesimi principii. Il raccolto dei tartufi è abbondante nell'autunno e scarso o mancante nelle altre stagioni ; e siccome in lutto il decorso dell'anno sono questi in ogni lauto convito sempre alimento ricevuto e di lusso, quindi è, che fu duopo pensare alla loro conservazione, e mettere in pratica varii processi, dei quali noi de- scriveremo i principali. Un mezzo preferibile per ben conservarli è di prendere quelle raccolte ro settembre e di cercare nel numero quelle che non sono ancora perfettamente mature, o che s'avvicraano alla loro maturità, e di ben osservare se siano sane \ poiché un piccolo guasto è capace d'alterare non solo quello che lo porta, ma anche tulle le altre con cui si trova. La loro conservazione dipende inoltre da pia circostanze particolari. Si pretende che i tartufi che sono stati raccolti in un bel tempo, oppure spirante un vento cV est, si possono più facilmente con- servare pendente un certo tempo: al contrario se al momento che si sono eslralle dalla terra vi esisteva un vento del sud ed il tempo era unido, appena si conser- vano otto giorni senza alterarsi. Si conservano generalmente i tartufi quindici, venti e più giorni, secondo la stagione e la condizione del luogo, ed il processo che Vwh. Bisogna sopra lutto ben ben guardarli che non siano esposti al gelo, perchè 378 allora subito si allerereUbero : alterali Josi incominciano farsi molli, cariosi, per- dere del loro odore, e cangiare di colore, e sviluppano tosto un odore fetido simile a quello delle materie animali putrefatte. 1 tartuG prematuri che in Italia si chiamano agostinghe, si possono conservare 8,9, lO giorni, lenendoli solo al fresco; ma per accertarsi che non si alterano, si toccano di quando in quando, e tosto che si sentono alquanto molli fa duopo usarli Un meno però indispensabile [lerchè i tartufi si conservino bene è di la- sciar eloro attorno la terra da cui sono inviluppali quando si estiaono , e di tenerli in luoghi riparati dall'umidità : si usa generalmente di metterli nella sabbia ben secca alla profondità di 4 o 5 pollici , disponendoli in modo, che l'uno non sii a diretto contatto con l'altro Si possono anche conservare in una cassa chiusa ermeticamente, suggellandone gli orli di cera per impedire Tinpiesso all'aria. Ed è appunto in questo modo che da noi s'inviano in Francia ed al- trove i tartufi: e due mesi sono il termine di loro conservaiione io sostanza e senza alcun altro intermezzo. Alcuni in vece della sabbia , usano la crusca ; ma questa materia sembra piuttosto propria ad accelerare la loro deteriorazione a causa della sua propen- sione ad alterarsi e riscaldarsi per poco che sii umido , o faccia caldo ; e le ceneri che da alcuni si usano, hanno azioni sui loro tessuti, e sono perciò cat- tivo intermezzo. Molti tengono i tartufi entro un vaso di vetro che tengono nel- l'acqua, la quale hanno attenzione di sovente rinnovarla. Questi sono i mezzi che si adoprano per conservarli per breve tempo : ma allorché si tratta di conservarli oltre i due o tre mesi, è necessario ben bene nettarli , quindi tagliarli a fette e fare evaporare la loro umidità ad un dolce calore: si infilano quindi i pezzi e sì espongono all'aria secca o ad un dolce calore, in una stufa od in un tamburo alto per far riscaldare l'aria ; così sec- cale si conservano a piacimento, sono specialmente le bianche, quelle cioè che si raccolgono alla fine di agosto, che soglionsi in tal modo conservare, allora che hanno poco di profumo, ed in altro modo non si potrebbero lungo tempo conservare. Nella disseccazione il tartufo si abbrunisce, perde i tre quarti del suo peso ed una gran parte del profumo. Questi si usano particolarmente negli in- tingoli. Qualche volta i tartufi nel suddetto modo seccati si riilucono in pol- vere, si mescolano con canella, garofani, e si conservano in una bottiglia bene otturata: questo metodo è molto usitato in Italia. Nei luoghi ove poi si raccolgono oline praticano il seguente metodo. Pu- liscono ben bene i tartufi, li fanno bollire un momento circa, li gettano quindi nell'olio , e chiudono il vaso al più possibile per togliere ogni comunicazione coll'aria: con questo mezzo si conservano lungo tempo ; ma quando l'olio in- comincia far bolle e la di lui superficie si copre di una specie di spuma, bi- sogna usarle. Durante il tempo che i tartufi sono slati immersi nell'olio, hanno bensì perduto del profumo; loro ma l'olio è di questo imbibito e penetrato, di modo che si può mettere nella insalata, negli intingoli che si impregnano del- l'odore dei tartuG come se realmente vi esistessero. Si usa anche di conservarli inviluppati in stoppie dopo d'averli fallo cuocere sotto la cenere o di cuocerli falli bollire nell'acqua con olio, sale ed altre piante aromatiche. Li conservono altri uell'aceto a guisa dei cocomeri, ma contraggono 379 !in pasto (lisagreabile ; e h salamoia proposta pf r la loro i;onservazione non ha prodotto risultati soddisfacenti. — Usano finalmente alcuni di fare liquefare della cera e di profundarli quando questa è al punto di congelarsi. Bisogna però convenire che in tutti questi meiii di conservaiione avvi sem- pre più o meno perdita di una parte di profumo. Non è nel proposito nostro descrivere i varii processi con cui apprestare si sogliono i tartufi; ma credo non sarà discaro si lettore che qui alcuni ne ac- cenni. — Secondo i più raffinati ghiotti, il miglior modo di mangiarli più sa- poriti e profumati è di farli cuocere sotto le ceneri, e di mangiarli senza alcun altro meixo. Si mangiano generalmente in Piemonte erodi in insalata, o sulla polenta, o nel riso, sulle beccaccie, in intingolo ecc., ma l'uso più frequente dei tartufi è di servire di condimento. Appo i francesi poi sono di grand'uso nel mestiere di pizzicagnolo ; li fanno entrare nella composizione di molle paste slimate. Si mangiano ancora colle col vino di Champagne, in minestra, in intingolo grasso e magro; se ne fa delle creme, delle torte, ecc. — si con- sidera però in generale , che gli oleosi e i corpi grassi rendono i tartufi non solamente più buoni a mangiarsi ; ma di più facile digestione. Dopo l'olio, il vino è l'ingrediente che più loro conviene ; e quando queste due sostanze sono assieme mescolate, secondo Paulet, il condimento è perfetto. Si componeva altre volle ano sciroppo di tartufo composto di tartufi, di me- lissa, di carduu benedetto, bollito nell'acqua con dello zucchero; alla decozione si aggiungeva un poco di miele e mezzo'oncia di spirito di vino per ciascuna libbra di liquore, si aromatizzava il lutto con un poco di acqua di rose e di moscio, si am- ministrava questo sciroppo caldo nelle debolezze di stomaco alla dose di dueoncìe. E ancora un segreto, che pochi liquoristi possedono, la maniera di preparare nn liquore che ha l'odore naturale dei tartufi : quello però che generalmente si trova, non è di troppo agreabile, ed è facile a corrompersi. Il miglior mezzo che Gislerr ci propone di procurare questo odore in un liquore , consiste nel ricevere il profumo alla temperatura mediocre, e non di troppo fredda. Questo aroma si presenta allo slato aeriforme quando si sviluppa dal tartufo: mettendo adunque in una grande boccia dei tartufi recenti tagliali, e mollo sminuzzati ed adattandole un grosso tubo curvo in modo che l'eslremilà opposta di questo tubo, venga a tuffarsi in un' allra boccia piena d' acqua , ed attorniata da ghiaccio pesto si vede in meno di tre ore svilupparsi un aroma aeriforme di tartufo che viene a combinarsi nell'acqua della seconda boccia. Lo svolgimento di questo aroma può operarsi pendente venti giorni di seguito; ma per conservare la delicatezza del profumo del tartufo non va protraila 1' operazione olire Ire giorni. In vece dell'acqua si può mettere dell'alcool nella boccia; ma perchè Todore si combini bene bisogna avere 1' attenzione di tenerlo ad una bassa temperatura, ma è necessario convenire che l'alcool non conserva tutta la de- licatezza del profumo come lo mantiene l'acqua. Consigliano altri di non protrarre l' operazione più lungi di tre giorni con gli stessi tartufi, perchè dopo quest'epoca il loro odore non è più così agrea- bile. Il liquido poi impregnalo del profumo fa d' uopo tenerlo in luoghi fre- schi, perchè il menomo calore è capace di alterarlo, ed al caldo deteriora lai- mente che uoa è più a paragonarsi con quello che è naturale al tartufo. 380 L'uso ilei tarluG è sparso pressoché su tulio il glolìo ; ma essendo che co- muDemenle sono a caro prezzo, delle persone agiate in fuori non sonvi quasi che ne mangiano. Comunque , il loro uso è quasi sempre innocente , né mai ha recato i sinistri inconvenienti che si hanno dai funghi , e non vi sono esempi che nel numero di loro specie o varietà siansi trovali di quelli susce- lihili a produrre gli efFelli velenosi dei funghi nnluralinenle di indole cattiva o deletrice , tuttoché non siano scevri della facoltà di nuocere quando sono alterati; per altra parte se sonvi casi , in cui i tartufi sono stati ad alcuni dannosi , resta allora a sapersi se gli inconvenienti reali che hanno cagionati siano dipendenti dai mezzi con cui si sono i tartufi mangiati (essendoché dit- ficilmenle si mangiano soli , che anzi servono quasi sempre di condimento), o dall'abuso che se ne é fallo, poiché non havvi dubbio che l'eccesso dei tartufi non sii nocevole, ma non ad un più alto grado che tutti gli alimenti di natura fungosa mangiati in abbondanza : del resto tutte le spezie di tartufi in qual- siasi stagione e di qualsiasi grossezza, sono sempre buone, le migliori però di ogni genere sono quelle di una mediocre grossezza, molto dure, recenti, d'un odore e di un gusto agreabile, e che non sono in nessuna parie né cariosi, uè toccati da putredine. Era degli antichi opinione che i tartufi fossero di natura deprimenti, o, come si esprimono, di natura freddi, slanleché generati dalla terra, per conseguenza partecipanti della sua freddezza. Così Galeno nel secondo libro degli alimenti cap. 68 Tuberà corpori prestarli alimerJiim suhfrigidum, il che conferma Avvicena nel libro secondo, Tratt. secondo, Gap. 69fi, quando dice che sono di sostanza terrena ed acquea , avendo queste qualità della terra, dalla quale na- scono. Onde Linneo Urticam mare procreai terra vero tuberà. Ma al giorno d'oggi non havvi più dubbio alcuno sulla loro azione eccitante; essendo comprovato che contengono un olio volatile ed altri principi! di natura ecci- tanti , e che gli eCFetti che valgono cagionare sul nostro corpo sono proprii delle sostanze stimolanti, come osserveremo. I tartufi tengono a giusta ragione il primo rango fra i funghi, e secondo Parmentier non ve ne ha altro che possegga in sì alto grado la proprietà nu- tritiva , e quando sono sani non producono mai inconvenienti: ma si é detto e sì ripete che i tartufi fermentati o cariosi sarebbero di un uso iiocevolis- simo e sascettibili a cagionare vomiti, vertigini, diarree , convulsioni, e coliche atroci ; ma non mai produrre gli eflfetli fatali di certe specie di funghi ; per altra parte quando sono arrivati a questo slato di deteriorazione essi devono ripugnare; ed è difticile persuadersi che allora si possono sopportare il gusto e l'odore; né quando sono sani, e raoderatameole usali sono più indigesti degli alimenti. Avvi adunque molto di esagerazione Dell'incolpare i tartufi di cattiva digestione, alla quale incolpazione concorre l'opinione di Avvicena, volendo che i tartufi generino degli umori grassi più che ogni altra nulritura, e che siano di difficile digestione , pesanti nello stomaco , e che l'uso continuato valga a produrre la paralisi, e l'apoplesia. Senza dubbio bisogna convenire che vi esiste nei tartufi una facoltà ecci- tante, perché profumatissime, la quale è suscettibile di riscaldare, come possono tulle quelle sostanze che portano i caralleri di condimento : e ponno venire 381 hidigesli alIorqiianJo le persone che hanno uno stomaco debole ne mangiano, e sì nell'uno che nell'altro caso essere il seguito di funesti effetti, possono cioè eccitare e perturbare gli organi digestivi , opprimere lo stomaco , cagionare acidità , ecc. Ma questi effetti li possono produrre tutte le altre sostanze ali- mentari, che godono d'uua facollà eccitante, o mangiate in troppa quantità da persone io ispecie che stentatamente digeriscono. Fa duopo inoltre notare che i tartufi si mangiano generalmente apprestati con sostanze eccitantissime, come sono l'aglio, il pepe, i garofani ( ciò che erroneamente faceva vedere al Pisanelli che erano di natura freddi, ecc ): che molto contribuiscano a renderli antisti- molo , che solo vuoisi ai tartufi attribuire- Conchiudiamo adunque che i tar- tufi per se soli puonsi avere per ottimo alimento , osati moderatamente , ma che ponno anche produrre effetti cattivi, come gli altri alimenti, ogni qual volta se ne faccia abuso, o si mangiano con altre sostanze nocevoli. L'uso moderalo del tartufo procura allegrezza, facilita la digestione e fortifica lo stomaco, ed ha sovra tutte le altre sostanze profumate una facollà afro- disiaca riraarcatissima , per conseguenza le persone che devono o bramano di vivere caste, e quelle che sono malmenate da lenti infiammazioni negli organi dell'apparato uro-genitale debbono diligentemente astenersi da tale cibo, il quale ha un'elettiva facollà su tali organi, e già dal Pisanelli nolata, dicendo che fanno venir difficoltà di orinare. Convengono, secondo Lemery, nell'inverno ai vecchi , ai flegmatici , ed a coloro il cui stomaco essendo debole , digeriscono con istento, ben inleso che ne usino moderatamente , ma sono perniciosi ai giovani e a quelli di un temperamento caldo, ai malinconici, ed agli atrabiliari. E secondo Bulliere le persone che hanno buon stomaco e che fanno molto esercizio ne ponno fare frequentemente uso senza essere incomodali. Bisogna ancora notare che il profumo di cui sono dotati i tartufi ha un particolare modo d'agire nel sistema nervoso, che pare mollo eccitarlo, per conseguenza le persone che sono dotate di temperamento nervoso, e di sensi- bilità somma, e soggette alle contrazioni di qualsiasi specie , fanno bene aste- nersi, le donne in specie isteriche. Una cosa debbesi ancora rimarcare , ed è che i tartufi crudi sono più in- digesti che cotti, e più eccitanti, perchè cuocendo parie del protumo si esala; convengono per conseguenza più cotti, oltre essere più agreabili e più odorosi, perchè nello slato caldo il profumo che contengono è tutto in esalazione , e poi gli alimenti in generale amministrati in un cerio slato di calore, producono degli effetti diversi da quelli che si prendono nello stato freddo. Le altre specie di tartufi, clie noi qui ci limiteremo a citare, sono le seguenti: Il Tartufo parassito, di cui Duttamel fu il primo darne la descrizione, il tar- tufo irregolare tubercoloso è di un giallo rossastro, ed ha veritabili radici colle quali esso si appropria il sugo degli altri vegetali. Si | trova sopra radici di più specie di piante , ma specialmente sopra il bulbo dello zafferano, che lo fa prontamente perire, e cagiona dei grandi danni ai coltivatori, ed è molto co- nosciuto questo tartufo ove si coltiva lo zafferano, esso si moltiplica non sola- mente pe' suoi grani , come gli altri tartufi, ma ancora per le sue radici che si prolungano e divergono e s'attaccano inviluppandosi ai loro bulbi da pene- trar persino nel loro iiUerno, per vivere a dispendio loro. 382 Il Tartufo bianco ( Tiiher allumi Bull. ) ed il Tiiber virens All»erl(* Cbweinliz, che sono divenuti il tipo dei generi di Rhiiopogan, Fiiei. Il Tartufo di cenere di Paulet non è un tartufo, ma una specie di scleio- dermache Persoon io chiama hypogeitm Il Tartufo di Brandebourg; licoperdon subterraneum di Paulet, chiamato da Weutzel Tuberà nebterranea, 7 644 562 mò 564 563 566 Bromelia Ananas Areca Cathecu Arum Maculalnm Dacent'xum Poli più II uni Arimi Hicolor Jacq. Arum jEgyptiaciim Asphodelus Phisfulosus Asparagus Offìcinalis Aspleniimi Tricomanes Avena l^idgaris Cannabis Satina Canna Indica Arando Donax Saccharifera Officiiiurwn Adianthus CapiUus- Fcneris Allium Caepa Citpressus Sempervivus Colchicum Autumnaìe — Coralluni liubrum — Corallum IVii;rum — Corallum Album (i) Quiiido non è indicato l'auloic della denumiuasioue Ialina, s" intende sempre Linneo. >. 354 « 36'* V. 364 " 167 " 192 « 20 i .. 212 1) 2U 1' 216 ^^ 218 « 136 5> 239 574 r, 263 373-76 1. 242 » 243 " 248 » 230 1) 237 '• loO " 589 V 291 » 350 » 523 ' 19 - 141 » 303 « 305 11 354 i> 1 63 >' 32 1' 220 ' 236 V 29 V 384 " 384 1) 384 370 571 372 573 535 582 592 586 50* 536 683 584 594 543 508 569 599 600 600 380 IVoiBìi iialiaiii IVomi latini Curallìua Corona Imperiale (vosto Arabico CRITTOGAME Curcuma Dattero Elleborioa Lanceolata Felce Maschio Fritillaria Quadrellata Fmmeulo Coltivalo GalaDga Giaciuto Orientale GIGLIACEE . Giglio Bianco Giglio del Giappoue Giulio Superbo Git^lio Tigrino Giglio Filailelfico Giglio Calcedouico Giglio Martagono Ginepro GRAMINACEE Gramigna Inoeuso IRIDEE . Iride Gialla Irule Germanica Iride Fiorentina Iride Fetida Iride Bulbosa Iride Persiana Iride Spatolata Lichene Arboreo Lechene Epatico Licoperdon Lingua ili Cervo Lupolo Musco Squamoso Musco Quercino Musco Rannoso ORCHIDEE . Orchide Maschio Orchide Biuciata Orcbide Militare Orchide Robertiana Ornilog.'do Aureo Ortica M.iggiore Orfica Minore Ortica Romana Orio Osmouda PALMIZII Corallina Fritillaria Meleagris Costus Arabicus Curcuma longa Phoenix Dactilifera •Serapias Lancifolia Polipodiuin Filix Mas Fritillaria Meleagris Triticuni Sativiun Maranla Cralanga Uyacinthus Orientalis lAlium Carididum Liliiirn Japonicwn Thalb. Lilinm Superhiwi Lilinin Tigrinnin Liliitm Philadelpìiicam lAlium Calcedoniiun L/iliwn iUartagonuin JuniperiiS Coniinuiiis Triticitm Repcns Juniperus Lycia Iris Pseudo /icarus Iris Germanica Iris Fiorentina Iris Faetidissima Iris Xiphium Iris l*ersica Iris Spatidata Lam. Lìchen Arbiìreus Lichen Epaiicus Licoperdon f^ulgare Thay. yJspleniuin Scrdopendrium Liipuìus Foemina Bauh. àJusciis Squainosus Musciis Quercìnus Musciis Hainosus Orchis Mascida Orchi s Listata Orchis M Hit ari s Orchis liohertiana Ornithogalum .4ureuni\^ihì. Urtica Dioica Unica Minor Lrtica Homaiia EyiìST. Ilnrdeiim l iilgare Osmiuida Kegalis Pjg. TdV. ^> 33'» 600 » 18(5 333 •' 14:5 537 « 348 « 145 538 « 26'; 57 7 78 " 106 525 >. 336 393 » 188 534 >• 329 587 " 148 339 » 200 561 « 133 " 171 54 6 « 174 S)8 » 176 548 » 178 549 « 180 530 ^> 182 531 '^ 184 552 •>■> 35 509 » 796 ). 343 588 » 52 511 « 108 « Ilo 326 » 113 527 .> 113 528 » 118 529 ^> 120 530 « 122 531 .> 124 532 '. 361 597 ^^ 360 397 5) 377 598 » 330 591 « 12 502 « 349 589 » 349 589 ^> 349 590 ^> 88 « 95 520 " 101 523 « 99 522 » 103 524 u i> 269 545 » 22 505 » 23 506 « 27 507 ^> 323 586 V 338 595 bollii Ustliiiiii x^'oiiii Ialini i81 P.ÌG. Tav. Paiielaiia Pepe ISeio Pino Selvaggio Polipodio Volgare Riso Coltivalo Ruta dei Muri Sabina Sagù Salsa parilia Scilla Italica Segala SIVIILACEE Squilla Mantli'ii.i T;" liuto Tasso Baccato TIMI LEE . Timelea Timelea Feiuuiiua Timelea Alpioa Timelea Aureola Timelea Odorosa Timelea Indica Tulipa Selvaggia Tulipa Ceoiit'oglie Tulipa Occhio di Sole Tulipa Gesneriana Vanilla Veratro Bianco Veratro Nero Zafferano Coltivato Zafferano Aureo Zeamais Zedoaria Zenzero Parli' 'aria Offìcinaìis Piper /Viger Pimis Silveslris Polipodiwn f^ulgare Orysa Saliva Ruta Muraria Juniperus Sabina Cicas Circinalis Sniìlax Salsaparilla Scilla Italica Secala Cereale Scilla Marilima Tuber Ciburiuin Bmkl- Taxus Baccalà Daphne Gnidium Daphne Me%eremn Daphne alpina Daphne Laureola Daphne Cnenrwn Daphne Indica Tulipa Silvestris Tulipa Cenlifolia Tovr. Tulipa Oculus Solts Tulipa Gesneriana Epidendron f^ anilla Veratrum Album Veralnn ISigrum Crocus Salivus Crocus Aureus Zeamais Keinpheria Rotwula Amoniwn Zingibcr >. 17 S03 " 5 301 » 5(> 512 i> 392 31) 1 « 343 58S " 330 393 ^. 17 313 .. 272 37 ■9-80 >> 278 581 ^' 163 54 il 337 587 » 276 " loo 541 '' 366 i!8 1' 38 310 a 72 .. 74 314 " 77 513 » 80 516 " 82 317 " 84 318 '' 86 319 '> 194 337 ■» 193 538 « 196 539 •' 198 560 " 90 321 » 222 367 « 234 568 '' 126 533 ^. 130 534 • 317 583 - 131 540 » 138 533 38; DELLE MATERIE CONTENUTE NEI SEI VOLUMI l^oììit italiani Nomi latim AbreUno Acacia emiliana Acacia fdrncsiaua Acacia falcata Acacia vcrticclhta ACAWTACEE Acanto molle Acanto spinoso Acanto salivo Aconito napello Aconito canimaro Aconito anfora Aconilo giallo Aconito panicolalu Actca spigata Adianto nero Adonide annuale Adonide d'inverno Agarico del larice Agarico ({uercico Aglio salivo Agrifoglio Agrifoglio di Madera Agrimonia Albero della cera Albero della resiua Albuca gialla Alcanna Alcea Alchemilla Alcbechengi Alliaria Aloe perfogliato Aloe soccolrino Aloe lingua Aloe variegato Aloe verrucoso Altea oflicinale AMARANTACEE . AMENTACEE AMOMI Artemisia abrotanum Linn, (Tj Mimosa nilotica Mimosa famesiana Mimosa obliqua Vacnd. Mimosa verticillata AU. Acanlhns niollis Acanlbus spinosus - Acanthus sativus AcoDÌtiim napclluni Aconitum caniarum Aconitum floribus plaulagini^ - Aconitum lycotonum - Aconitum paniculatutu ■ Actca spitata • Adìautum nigrum - Adouis annua - Adonis hicmalls - Agaricus laricis - Agaricus ignarius ■ Allium sativuiii ' Hilcx agrifulium Hilex maderiensìs Agrimonia eupatoria Mirica cerifera Jatropa elastica • Albuca minor ■ Lawsonia ioermis - Alcea rosea - Alchemilla vulgaris - Alktkengi pliysalis ' Arysmuiii alliaria ' Aloe peifoliala huniilis - Aloe scccolrina Lant. - Aloe dìstica - Aloe variegata ■ Aloe acuminala Lam. Allbaea offìcinalis roi. Pag. Tav. IV 6i 3a> II i6i Ì41 II l68 142 li •7» 143 li 170 • 44 IV 355 IV ■i(,^ 393 IV 36o 394 IV 362 3y5 I 'io 12 1 5i i3 I 5^ «4 1 56 i5 1 59 16 I 107 46 VI 354 S94 I 94 3o 1 96 3i VI 364 97 VI 364 97 VI 167 44 V 289 465 V 253 462 II 182 145 V 365 49* V 277 475 VI 19» ■ 556 II 35i 188 I 3i5 85 II i85 146 IV 348 319 1 235 55 VI 204 562 VI 212 563 VI 214 564 VI 216 565 VI 218 566 I 322 84 V '47 V 322 V! i3ò (1) Quando non à indicalo l'autore della denominatone Ialina, s'inlende icntpre Liaueo. 383 Nomi ilalìani Nomi latini roi. p„g. Tai: Aoacardo — Anacardiuin occidentale a /,S loi; Anagride — Aiiagaris f.-etida Bank. 11 102 124 Ananasso ~ Bromclia ananas VI 25.; 574 Andrumeda europea — Andromeda polifolia 111 JoS 275 AnemoDe pulsatilla — Anemone pulsatilla > IO z AoeniODe de' prali — Anemone pratensis 1 li i Anemone epatica — Aneiucue epatica 1 i5 4 Aneto — Anethum gravculens 111 5 2l!> Angelica — Angelica archangflica 111 6a 218 Angestura — Heuplandia trifoliata 1 ii6 34 Anguria — Anguria citriUus O. B, li 337 . i83S4 Anice — Pimpinella anisum HI r.y 217 Anserisia sagittata — Bonus enricus V .75 4.16 Appio — Appium graveolens III 53 21, APOCINEE, III 220 Aquilegia volgare — Aquilegia vulgaris I 37 a; ARAItACFF. m .87 Aralia del Canada — Panas. cjuinquefolium III 2 40 Arachide — Arachis hypogea II 125 12^ Arancio — Malus aurantia major Bauli. II 38» i6y Arbusto — Arbuslus unedo IM 307 2-2 Areca — Areca catheca VI z64 i 575-76 Argella — Cynamum argel 111 232 253 Arislolochia lunga — Aristolochia looga V 257 470 Aristolochia cleniatite — Arsistolocbia clematitis V 260 47 « Aristolocbia serpcutaria — Aristolochia serpentaria V 2(.2 ■'1'^ Arislolochia rotonda — Aristolochia rotunda V ZU<, 473 Arnica — Arnica montana VI "7 34« aROIDI . . . - VI 2'|ì Aro macchiato — Aruni niaculatum VI 245 57 1 Aro poliGUo — Dracontium puliphillum VI 2^S 572 Aro bicoloie — Arum bicolor Jacq. VI 2ÌO 573 Aro egiziano — Arum ajgyptiacuni VI 237 '•74 Artemisia — Artemisia vulgaris IV /,3 3 1 "1 ASAROIDI . ,...••»•• V 232 Acaro — Acarum europeum V 2r>3 /,(,<) Asfodalo Gsloloso — Asphodalus Gstulosus VI igo 555 ASPARIGINE VI 28y Asparago — Asparagus ofticinalis VI 29' 582 Asperella — Asperula rynancbica III ,)« 229 Aspleoio politrico — Asplcnium tricomanes VI 3 io 592 Assa fetida — Ferula, assa foelida III 9 201 Assenzio maggiore — Artemisia absinthium IV ■'.3 3.5 Assenzio minore — Absintbium ponlicum IV 47 3i* Astragalo — Aslragalus glyciphillus li 80 116 Astragalo spigato — Astragalus onobrychis II 84 " 1 Atropa bella donna — Atropa bella donna IV 272 38» AURANZIACHE . il 38i Avena — Avena vulgaris VI 323 586 Azederac — -Azcdarac 1 343 IB Badiano anice stellato — lUicium anisatum I lOI 3» Badiano rosso — lUicium floridanum i 104 33 Balsamo della Mecca — Amyris opobalsamum II 4V Ila Balsamo peru»iano — Myroiiluui peruif^rum II 118 11- Blltatltita odorosa — Balsamita odorosa Mor. IV <»5 3ac 384 Nomi iinìiani Biubab Barbabietola rossa Barbabietola a radice di rapa Barbabietola bianca Bardana maggiore Bardana minore Basilico Ben BERBERIDEE Be tanica Betula Bistorta Bocca di leone BOFFtAGINEE . Borragine officinale Borragine orientale Bosso Botri Brionia Buglosa oSlciuale Bugola Buplero Cacao Caflè Calendola Camelea Camedrio Camedrio lucpute CAMPANULACEE Campanula media Can)peggio Camomilla romana <^iniomilla volgare Camomilla saliva Camomilla de' tintori Canapa Canfora Canforata Canna d'India Canna montana Canna da zucchero Cannella Capelvenere CAPPARRIDEE Capparo Cappuccina CAPRIFOGLIACEE Caprifoglio madre-selva Caprifoglio de' giardini Cardo maria Cardo benedetto Garciofi'o CARIOFILLE Cariofillata Cariofillata dei ruccelli Nomi Ialini • Adansonìa digitatsi Beta rubra vulgaris Beta rubra romana Beta alba Arcthium lappa Bardana minor Ocymum basilicuni Guilandina muringa Betonica oHìcinalis Betula alba Poligonum bisloit.j Authirìmuni majus ■ Borago oQìcìnalls ' Borago orientdiis - Buxus sempervirens - Chenopodium botris - Bryonia alba Anchusa oQicinalis • Ajuga reptans Bupleurum rotundifoliutn • Teobroma cacao ■ Caffea arabica - Calendula officioalis - Cneoum tricoccum - Teucrium camedris Teucrium lucidum Campanula rapunculoides Hematoxiluin campecbium Anlhemis nobilis Anthemis vulgaris Anthemis arveusis Anthemis tinctoria Cannabis sativa Laurus camphora Camphorosma monspellìca Canna indica Arundo donax Saccharifera officinarum Laurus cinnamomum Adiautus capillusvcneris Capparus spinosus Teopaeolum m^jus LoDÌccra peryclimenum Lonlcera caprifolium Cardus manaous Cardus bencdiclus Cynanca scolinius Geurn urbanum Geum rivale yoi. Pa^ Tai', 1 33.S »y V '77 45» V i86 459 V iSS 4'"' 7 IV i3 3o4 IV '7 3oì V 9 401 II I 122 .39 128 V 47 4i3 V 33 7 4ii8 ? 2-6 *6 Ili 3éi 289 IV 202 IV 20.^ 364 IV 208 365 V 273 iVt V i5g 45 1 II 3vi 187 IV 2 IO 36h V 5i 414 HI 21 205 I 329 87-80 III 172 239 IV .39 344 li 3i 106 V 56 4.6 V 60 4'7 III 2l3 III 2 l'i >'.7 li .36 i33 IV 89 33o IV Vi 335 IV 96 33» IV 98 33J VI '9 504 V 207 4^2 V !56 4 -io VI .41 536 VI 3o3 583 VI .So5 584 V 198 461 VI 354 594 I 252 I 352 61 I 358 99 II 2 53 II 355 189 II 357 190 IV '9 3o6 IV 21 307 IV 23 3o8 II 3o6 II •97 i5i II 201 i5i 381 Nomi lUdiani Nomi Ialini Voi. Carlina acaule — Carlina acauli: IV Carlina acaule gommifera — Carlina acaulit gummifera Mor. IV Carlina volgare o caulifera — Carlina caulifera Mor. IV Cartamo — Cartamus tinctorium IV Cascarilla — Croton cascarilla V Cassia fistola — Cassia 6slula 11 Castagno — Fagus castaoea V Catechu — Mimosa catecbu II Cavolo — Brassica uleracea I Csdro — Cylrus medica II Cedro peretta — Cylrus linionium peretta Poxi. II Cedro lumia piriforme — Cjtrus lumia pyriformis Poh. II Cedro medico romano — Cytrus medica romana Poit. II Celidonia maggiore — Cbelydonium majus I Celidonia glauca — Cbelydonium glaucum 1 Ceiosia — Ceiosia purpurea V Centaura maggiore — Centauria cenlaurium IV Caotinodia — Polygonum auriculare I Cerfoglio — Scandii xurefolium IH Cerinto aspro — Ccrinthe major Var. IV CHENOPOIDEE V Chenopodio — Chenopodium rubrum V Chenopodio fetido — Chenopodium vulvaria V China condaminea — Cincona ofiìcinalis IH Cliìna a foglie oblunghe — Cincona oblungifolia Mut. Ili China lanceolata — Cincona laucifolia Mul. HI China pubescente — Cincona pubescens III China piton — Cincona flrribuuda yhal. III Ciano — Centaura cyanus IV CICORIACEE Ili Cicoria officinale — Cycoreuin inlybus IH Cicoria selvaggia — Cycoreum silvestre Baith. Ili Cicoria domestica — Cycoreum donieslicum Mai. Ili Cicuta maggiora — Couium maculatum IH Cicuta aci{uatica — Cicuta virosa IH Ciliegio — Prunijs ceresus 11 Cinaoco — Cynancum monspeliacum 111 CI^OROCEFA^K IV Cinoglossa cfficiajle — Cynoglossum officinale IV Cinoglossa di primavera — Cynoglossum omfalodes IV Cipolla — Allium caepa VI Cipresso — Cupressus sempervivus VI ClSTOIDl I Clandestina d Europa — Lathea clandestina IV CLASS! TELLE PIANTE 1 Clematite — Clematitis Vitalba I Cocleaiia — Coclfearia ofiìcinalis I Cocomero — Cucuiiiis (alivus II COLCHICaCEE VI Colchico autunnale — Colcbicnm autumnale Vi Colocintide — Cucumis colocynlbis II Colutea media — Colutea media TVilld. II Colutea galegifoglia — Colutea galegifolia pel. H Comino — Cumiuum cyminuin IH CONIFERE VI flg. Ta^-. 7 JUi 9 302 II 3o3 ifì 359 aSi ^■^ 67 ii3 3^. ^89 404 i;3 40Ò «7i 40S I T J 3o< 44 20J 4"; 149 44y 26 3o9 289 7" 7» 223 127 11» i53 "'7 4'i4 169 455 i3i 2i4 i63 233 166 236 16S 237 170 23S 36 3i4 365 367 291 375 293 3/7 296 23 2^6 33 207 246 i63 1.^0 2r>a 5 21J 3b7 2.6 36S i65 543 3z 5oS 191 iy3 362 7 1 1 219 tiO 33i 1 79.80 220 236 569 325 177 89 119 92 I2U 4« aio ^9 386 Nomi itahnni Nami lafinì roi. Consolida — Symphitum oflìcin.ilf IV Conlraierva — Dorslenia conlrayerva V CONVOLVACEE IV Convolvolo macoacaii — Convolvulus macoacaii IV Copaive — Copoifera oflTicinalis II Corallo rosso — Corallum rubruni VI Corallo nero — Corallum nigriini VI Corallo bianco — Corallum albnm . VI Corallina — Corallina VI Corbezzolo a lungbe foglie — Arbuslus longifolia IH Coriandolo — Coriandrium sativum III CORIMBIFERE IV Corona imperiale — Fritillaria meleagris VI Coslo arabico — Coslus arabicus VI Cotogno — Pyrus cidonia II CRASSULE in Cratego — Crategus aria il Crescione dei prati — Nasturlium pratense 1 Crescione acquaticip — Sysymbriuin nasturlium I Crespino — Berberis vulgaris I Cresta di gallo — Rhinanthus crisla galli IV CRITTOGAME VI Crocetta — Valanlia cruciata III CROCIFERE ; ... I CUCURBITACEE II Civllilawan — Laurus cuUilavan V Curcuma — Curcuma longa VI Cuscuta — Cuscuta europea IV Dattero — Phcenis daclilifera VI Datura stramonio — Datura stramonium IV Datura metel — Datura metel /?£ig. IV Datura fastosa — Datura fastosa IV Delfinio — Delphinium giandiflorum I Digitale porporea — Digitalis purpurea 111 Digitale a piccoli Qori — Digitalis parviflora III Digitale linguetta — Digitalis linguettata AH. Ili Digitale ambigua — Digitalis ambigua III Digitale acantoide — Digitalis canariensis III DISSACEE Ili Dittamo — Origanum dictamum V Doronico maggiore — Doronicum pardolianches IV Dragencello — Artemisia dracunculus IV Ebulo — Sambucus ebulus II Edera — Hedera helii 11 Eyopodio — .ì^yopodium podagr^ria 111 Elaterio — Momordica elateriuni li Eliantemo variato — Meliantbemum mutabile I Elleboro nero — Helleborus niger 1 Elleboro iemale — Helleborus biemalis i Elleboro fetido — Helleborus foetìdus I Elleboro verde — Helleborus viridis I Elleborina lanceolata — Serapias lancifolia VI EUera terrestre — Glecoma ederacea V Endivia volgare — Endivia vulgaris Mrr. IH Endivia ricciuta — Endivia crispa Ger. iti Pfl». Tav. 2l8 3f,9 397 VjS 'i7 .6/, 3Ki lOI Ilo 384 598 384 598 334 599 3i4 S99 309 S73 36 ao3 ■^9 i8f. 553 .43 537 25a «63 1S8 '47 2jS 52 23o 53 iSi 38 200 363 217 322 21" 463 -45 538 114 354 262 ^■ 77-7» 3o5 .■<86 3i3 387 3i5 388 85 26 334 281 341 28» 348 283 355 284 352 i85 190 21 405 127 3.i3 63 330 367 193 353 191 83 225 328 ':» 3o5 l'i i5 8 33 ') 3f) lU 38 1 ■ 106 52'. 109 436 370 29; 3-2 2Q' 387 Nomi itniinm Nomi ìaliìii Enula cnmpana ERICINEE . Emaria Ettfrasia Euforbio ciparisso Eufoibio catapuzza Euforbio elioscopio Euforbio dellt? paludi Euforbio dei boschi Euforbio ofnciiiale Euforbio degli antichi Euforbie niauritanica Euforbio indico Eupatorio d'Avviccna Fabagella comune Faggio Fagiuolo rosso Fagiuolo caracola Fava di sant'Ignazio Fellandrio acquatico Felce nnaschio Fìcaria comune Fico Fieno greco Finocchio Fragola Frascinella Frassino Fritillaria quadrellata Frumento coltivalo Fumaria Fumaria gialla Fumaria bulbosa Galanga Galbano Galega ofBciuale Galega rosea Galla di levante Garofano superbo Gattaria GELSOMINEE . Gelsomino comune Gelsomino d'Italia GENZIANEE Genziana maggiore Gcu/iana centaura Genziana crociala Genziana autunnale Genziana vernale Genziana acaule GERANII Geranio Giacinto orientale Gialappa GIGI.IACEE — Inula belenium Ernaria glabra Euphrasia officinalis Euphorhia ciparissa ' Eupborbia catapuzza - Eupborbia elioicopia ' Eupborbia paluslris Eupborbia sylvalica Eupborbia officinarum - Eupborbia anliquoruiu ■ Euphorbìum Dot. - Gutla gamba ' Eupaterium cannabìnum Zygopbyllum fjbago - Fagus sylvalica Phaseolus mulliflorus • Phaseolus indicus T/iotir. - Iguatìa amara - Pbelandiiuiii aquilicuiii - Poirpodiiim filix mas - Ramiiunculus tìcaria - Ficus carica ■ TiigoDella fceiium gr^ccum - Anetbum fceuiculuiu - Fragaria vesca - Dictamus albus - Fraiinus eicelsior Fritillaria meleagris Trilicum salivum Fumaria of6cinalis ' Fumaria lutea Fumarla bulbosa Haranta galanga Bubon galbaiium ' Galega ofticinalis Galega rosea Latti. ■ Menispermum cocculus Dianthus superbus - Nepeta cataria Jasminum officinale Jasminnm humile Genliana lutea - Gcntiana cenlaurium Geutiana cruciala ■ Genliana auluninalis ' Genliana vernalis - Gentiana acaulis ' Geranìum Roberliannm Hyacintbus orientalis Convolvulus jalappa Fol. Pag. Taf. IV 223 3/, 2 III 297 V i5i 448 IV '94 362 V 285 477 V 292 478 V 3 00 479 V 302 /,8o V 3o/, 481 V 3oò 482 V 309 48^ V 3i ■ 484 V 3i3 48J IV .3', 345 )! 22 io3 V 36S 493 11 i53 i3S li i35 139 III 23, 21.5 III '|3 211 VI 356 59-, I 'Ji 29 V /,00 490 II 145 i3f. ili 38 209 II 217 i5S li 20 104 DI 280 265 VI iSS 554 VI 3 29 587 1 2 ri 9 47 I 212 48 I 21/, 49 VI ■ ,8 539 III 70 220 II 94 121 II 97 122 I 119 36 I 3i5 8a V 5-, 4i5 ni 278 III 293 267 III 29ÌÌ 268 III 2,19 HI i6i 258 III 266 259 111 268 260 111 270 261 111 222 2('2 III I 274 35 1 ItìJ 1 352 97 VI 200 56 1 IV 149 349 VI IÒ3 ;}8S Nomi italiani Giglio bianco Giglio del Giappone Giglio superbo Giglio tigrino Giglio filadelfico Giglio calcedouico Giglio martaguDO Ginepro Giroiella Giuggiolo Giusquiamo nero Giusquiamo biaoco Giusquiamo dorato Giusquiamo dì scopoli Globiilaria Gomma anime Gomma gutta GRAMINACEE . Gramigna Graziola of&ciaale Guaiaco offìciDale GUTTIFERE Ibisco Imperatoria Incenso Ipecacuana IPERICOIDI . Iperico perforalo Iperico velloso Iperico androsace Iparìco a grandi fiori miDEE Iride gialla Iride germanica Iride fiorentina Iride fetida Iride bulbosa Iride persiana Iride sp.itula Isopo Jacea nera LABIATE Ladanifero ondolato Ladano comune Lampone Lampsana Laltuca virosa Lattuca coltivata LAURINEE . Lauro nobile Lauro ceraso Lavatera Lavanda a larghe foglie Lavanda a foglie strette I.p»nii del Brasile Nomi latini • Lilium candidum ■ Lilium japouicum Traub. - Lilium superbum - Lilium tigrinum Lilium pbiladclphitum - Lilium calccdoiiium ■ Lilium martagoQum - Juniperus communis - Dodecbateon media - Ramnus ziziphus - Ilyosciamut niger Hyosciamus albus Hyoseiamus aureus ■ Hyosciamus scopolia Globularia alipum Hymeuea courbail Cambogia gutta - Triticum rcpcns ■ Graliola officinalìs - Guajacum officinale ■ Hybiscus syriacus ' imperatoria oalrulliiiim Juniperus lycia - Ipecacuana annulata Hipericum perforalum Hipeiicum hìrsulum Hypericnm andrusciiiuin Ilypericum calciiiirum Iris pseudo acanis Iris gernianicj - Iris fiorentina • Iris foetidissinia - Iris xipbium Iris persica Iris spatula Larn. - Hyssopus ofGi'iiialis - Jacea nigra praleiisis Ulor. - Cìstus tadaniferuiii - Galeopsis ladanus - Rubus idcus - Lampsauj domeslua Dod. - Lactuca virosa - Lactuca sativa — Laurus nobitis — Prunus laurus cerasus — Lavatera — Lavandula spiga — Lavandula vera Decand, — C:esalpina echinata Fol. Pag. Tav. VI 171 .S46 VI '74 5*7 VI .76 348 VI .78 549 V! 180 55o VI i8i S5i VI «84 55» VI 35 509 V li; 44" V 245 467 IV 289 382 " IV 299 383 IV 3oi J84 IV 3o3 385 V .18 43« 11 104 125 III 3i3 »;4 VI 796 VI 343 588 III 354 28Ó II i3 «02 III 3ii I 339 90 III 67 219 VI Si 5ii III 1 112 345 233 I 346 93 1 348 94 I 346 95 I 35o 9Ò VI 108 VI 1 IO 5 16 VI ii3 527 VI iiS 528 VI 118 529 VI 120 53o VI 122 53 1 VI 124 532 V 3i 408 IV 34 3i3 V 5 I 3oi 7^ V 45 412 II 2i3 ■ 59 III 370 2y4 III 378 »97 III 382 29S V 190 V .93 460 II 226 160 I 327 86 V 34 409 V 38 43o 11 134 i3> 38-9 Nomi italiani Nomi latini LEGUMINOSE , Liclienc arboreo Lichene epatico Liciiide brillante Licnide corouata LicoperdoD Ligustico Limone peretta Liniaria volgare Lii)iarÌ3 ciniballaria Lingua di cervo Liquirizia Lisimachia cuniume Lisimachia nummularia Lobelia aotisifìlitica Lumia cedro Lupino bianco Lupino vivace Lupulo MAGNOLUCEE . MALVACEE . . . . Mdl\a selvatica Mandorlo Mandragora Margberìtino gentile Margheritino giallo de'campi Marglieritino autunnale Marglieritiuo giallo de' giard. Margheritiuo trutticosu Marrubio Malricaria ofOcinale IMatricaria indica Mt'lagranata MclaraDclo bigaradia MELIACEE . . . . Mt^lissa officinale Melissa a grandi fiori Mellone Meniante ninfoidea Meniante trifogliata Menta crespa Menta piperita Menta verde Menta acquatica Menta pul'-ggio MENISPERMIDEE . Mercuriale Miagrio Millefoglio viscoso Millefoglio comune Millefoglio ptarinico - Mirobulano Mirtillo Monarda splendida Munarda vellutata - — Lichen arboreus — Lichen epalicus — Lycnis fulgens — Lycnis coronala — Lycoperdou volgare Trng. — Legusticnm levitìcuin — Citrus linioniuiii peretta Ris. — Anlbirriiiium vulgare — Authirrinuni cimballaria — Asplenium scolopcndrium — Glyciryza glabra — Lysimachia vulgaris — Lysimachia nummularis — Lobflia anthysifililica — Lumia pyriformis Pelan. — Lupinus albus — Lupinus percnnis — Lupulus foemiua Bau. — Malva silveslris — Amygdalus conimunis — Atropa niandr;ruci3t3 Orchide militare Orchide roberziana Origano volgare Ornitogalo aureo ORTICEE Ortica marta Ortica bianca Ortica maggiore Ortica minore Ortica romana Orzo Osmonda Ossalide PALMIZII . Panacea chiroiiia Pan porcino PAPAVERACEE Papavero domestico Papavero selvatico Pariera brava Parietaria Pelargonio a grandi fiori Peonia ofticiuale Peonia vellutata Peonia trnuifoglia Pepe betel Prpe cubeba Pepe nero Periploca greca Persicaria Persico Pervinca maggiore Pervincz minore Nomi latini Muscus squamosus - Muscus quercinus - Muscus raniosus - Brassica napus - Mespilus germanica - Nigella damascena — Nimphea alba — Nymphaea lutea — Nymphaea cerulea — Juglans regia — Strychnos nui vomica — Myristica ofGcinalis — Anlhirrinum orontium — Leonorus cardiaca — Olea europea Ononis arvensis Oronis rotundifolia Orchis mascula • Orchis astata Orcbis mililaris Orchis roberlian^i Origanum vulgare Ornitogalum aureun) ì'illit. Stachis paluslris Lamnium album Urtica dioica Unica minor Urtica romana ^fj llordcum vulgate Osmnnda rcgalis Oxalis acetosella Cistus bcliantheiiiuiii Cyclamcn europeuni — Papaver soranifermii — Papaver rheas — Ciscampelos pjrieiia — Parietaria ofticiiialis — Pelargonium — Peonia officinalis — Peonia birsula — Peonia tenuifolia — Pipcr betel — Piper cubeba — Piper niger — Periploca graeca — Polygonum hidropiper — Amygdalus persica — Pervinca major — Vinca minor Voi. Pag. Ta%: VI 349 589 VI 349 589 VI 349 590 I 24S 58 II »6o i63 I I 61 134 '7 1 i36 39 1 141 40 I «4S 41 li 5y 1 II 111 141 258 III 25 1 257 II! %Wi 290 V 107 435 III 2S6 266 111 5 11 129 i3o II l32 i3i VI 88 VI 9> 520 VI 99 521 VI 101 522 VI io3 323 V '7 404 VI 269 5 ',5 V 387 V 99 431 V 101 432 VI 22 5o5 VI 25 5o6 VI ^7 507 VI 3i5 586 VI 35S 595 1 354 98 VI 252 1 404 76 V 114 .45 437 1 i53 43 I ••'.7 42 1 • 22 37 VI •7 5o3 1 36o ■ 00 1 ('4 18 1 68 •9 1 70 20 V 1.4 437 V 39. 496 V 5 5oi 111 228 231 1 284 7' II i63 166 111 2l3 249 111 22S aio 391 Nomi italiani Nomi Ialini Petroseliao — Àppiutii pcUoselinum 111 Petrosclino marino — OEnanthe fistulosa 111 Peucedaoo — Peucedanum officioalc HI PIANTE DICOTILEDONIE I PIANTE VASCOLARI • . . . 1 PIANTAGGINEE IV Piantaggioe maggiore — PUutago major IV PiaolaggìDe media — Plantago media iV Piantaggiue minore — Plantago minor IV Piantaggine cornuta — Plantago cornuta IV Piede d'allodola — Delpliinium ajacis I Piede d'allodula vivace — Delphinium elatum I Pimpinella grande — Pimpinella magna 111 Pino selvatico — Pinus silvestlis VI Pioppo nero — Populus nigra V Piretro — Antbemis pyretrum IV Pistacchio — Pistacchia vera 11 POLIGALEE I Poligal.i amara — Poligala amara Juss. I Poligala speciosa — Poligala speciosa Bart. I Poligano auQbio — Polygonum amphibiuiii I Polipodio volgare — Polipodium vulgarc VI Polmonaria officinale — Pulnionarià officinaliE IV Polmonaria angustifoglia — Polmonaria angustifolia IV Pomo — Pirus malus II Porcellana — Portulacea olcracea 11 Polentina argentina — Potentina anserina 11 Potentina media — Potentina intermedia II Polentina serpeggiante — Potentina rcptans IJ PORTULACEE || Primavera umile — Primula vcris humilis V Primavera oflìcinale — Primula veris officinalis V Primavera cbinese — Primula cinensis V Primavera grande — Primula elatior V Primavera auricula — Primula auricula V PRIMULACEE VI Pruno — Prunus domesiicus 11 Quercia — Qoercus robor V Rabarbaro — Rbeum palmatum I Rafano — Raphaous sativus I RAMNOIDEE V RANUNCOLACEE | Ranuncolo acre — Rauunculus acris I Ranuncolo bulboso — Ranunculus bulbosus ( Ranuncolo scellerato — Ranunculus scelcralus I Rapnntico — Rbeum rapunticum I Rapuntìco capitato ~ Ccntaurura majus Mor. IV Rapunlico augustifoglia — Rapunticum angustifolium M. IV Reseda gialla — Reseda lutea I Ricino — Ricinus communis V RINANTOIDI IV Riso coltivato — Oryia saliva VI ROBIACEE Ili Robij — Robia tiuctorum 111 Romice — Rumcx patieulid I ras- Tav. 47 212 5o 2l3 8i 22^ 3 2 36/, 366 396 37' 397 373 39S 375 399 80 24 83 25 57 216 56 5l2 37. ♦91 84 329 43 108 253 i8o 6« 283 69 179 67 352 59, 222 370 225 371 255 164 375 .95 190 148 .93 "49 195 i5o 373 i33 4 '.4 i35 443 139 445 141 446 144 447- 112 368 .67 346 49' z6i 63 247 5y 236 4 20 6 23 7 «7 5 270 «4 28 3.0 29 3ii 257 62 029 486 .78 345 588 21 102 1J2 27.^ 65 192 Nomi italiani Nomi latini ro/. Pag. T 2l3 23 I 3i5 ì\i 3i6 2^8 3i7 261 3iS 264 219 398 299 398 296 389 3oo 221 276 98 230 i65 451 2 ',9 4'.8 11.» 341 -u 23 3.7 3x9 Si,!, 590 378 1,6 ■' "4 65 3^1 3 96 5(.8 o.'x 392 38 Sio 3io 176 i9 io5 li 5i4 77 5|-. 80 5i6 fi2 517 84 5i8 86 Sly 2J 406 89 228 7i 22 62 21 '9i 557 191 558 196 559 .g« 56o .39 346 142 347 144 34S 302 270 ,93 200 244 209 l'//i 21 1 246 90 521 222 567 394 I^omi ilalkini Nomi latini Veratro nero Veronica officinale Veronica beccalwinga Veronica anagallide \erouica spigata Veronica canieiira Veronica selvaggia Vescicaria Vilucchio de' campi Vilucchio delle siepi Vincetossico Viola de' giardini Viola mammola Viola d'autunno Viola Iricolorata Viperina officinale Vischio Zafferano coltivato Zafferano aureo Zcamais Zedoaria Zenzero Zucca Vcralnim nigrum Veronica officiualis Veronica beccabunga ' Veronica anagallis ' Veronica spicata - Veronica camxdris • Veronica agrestis Colutea arborescens Convolvulus arvensis ■ Convolvulus saepiuni Asclepias vinceto.xicuni - Cherianlhus cheiri - Viola odorati - Viola hispida - Viola tricolor - Caelìum vulgate - Viscum album ■ Crocus salivus - Crocus Dureus - Zeamais Kempheria rolunda - Amomum zingiber - Cucurbita pepo Ko/. Pa-. Tinr. VI a54 565 IV i8o 3.Ì5 IV ■ 83 350 IV i86 357 IV 188 358 IV 190 359 IV 19Ì 36o II 87 ■ ■8 IV .67 352 IV 170 353 II 234 25', 1 25o 60 1 295 7* i 298 73 1 299 74 IV «9 370 11 363 192 VI 126 533 VI ■ 3o 534 VI 3,7 585 VI i5i r.40 VI i38 535 11 334 181 New York Botanical Garden Library QK 99 .C294 v.6 Qen Cassone, Felice/Flora medico-farmaceutic 3 5185 00057 1024 ^