J ene 10, a “ è Na ini GENESI ORGANIZZAZIONE E METAMORFOSI DEGLI INFUSORI 9) GENESI ORGANIZZAZIONE E METAMORFOSI DEGLI INFUSORI OPERA POSTUMA DI EGISTO TORTORI ILLUSTRATA DA 60 TAVOLE CONTENENTI OLTRE 680 FIGURE TUTTE ORIGINALI FIRENZE TIPOGRAFIA DI SALVADORE LANDI Direttore dell'Arte della Stampa 1895 VALABII TOIDONCKOONEUR CANTATA: URANAAR VANE SANANO LAT APR 171896 del. Voi © MCZ LIBRARY _ HARVARD UNIVERSITY CAMBRIDGE. MA USA INDICE DEL TESTO E RRRAZIONE MESSE 00 II CIO III TN I E Pag. 5 INTRODUZIONE MEC SR AE SO I SID O TT I I 9 IL CICLO DELL’EUGLENA VIRIDIS, DELLA VAGINICOLA CRISTALLINA DELLA FLOSCULARIA PENICILLUM, DEL ROTIFERO E DELLA VORTICELLA CAPITOLO I... Euglena viridis — Sua organizzazione e suo ciclo . . . ...... 21 CaPITOLO II.. Vaginicola cristallina — Sua organizzazione e suo ciclo . . . . . . 27 CapiIToLO III. Floscularia penicillum — Sua organizzazione e suo ciclo . . . .. 35 GCapitoLo IV. Il Rotifero — Sua organizzazione e suo ciclo . .......... 4l STHORTAVLCLROSPELLIVAM a ret a RL II E I O O ne 57 CAPITOLO V.. La Vorticella — Sua organizzazione e suo ciclo . ......... 61 SLOLIAS LOLL'OSPELLIVan i < all TTT III i e 88 IL CICLO DALLE MONADI ALL’IDRA PARTE PRIMA. Delle Amebe, e loro organizzazione . . ............ 95 STOLIARECUROSPEL IVA I I E TI MR a 102 PARTE SECONDA. Dell’ Idra e della sua organizzazione . . ............. 107 MENUtEIMento delle sTAre ne ee Re ITS AE 155 ICRALtMOZPEORIZIONI IA CATALA A TESO 169 STORIAMLOVEOSPEU LIVA ME E I I a O I CITI 176 (GONCHISIO NE e RO RT a NE Ta a e I e lr se Tea Ce RE 193 lo HUolONatta ne eo Tav. QIBIOIONA RE. OO n » SVAPLIDICO AREA » AMVALIDICO LL ARRE » DAR IOSCUlacia Re » GRRIOSCUlArIa e e » (PRO VEELO TONO ce » EICROUTO LORI SA E » OMMROLIELO Ren rn ent » TOPRROGIOROSM A » JI RROteroni e » IRSROULETO SN » ISFERO MOLO RICE » 14 ROLO e IR ene » 1EEAROLSrO ee EA » NO SVOLICO lA » IMEVOrL i eee » ISSAVOTU GOA RE » I0RVOLU Cel RR » TE i e » 2lAVorueellazztà a he E D 2ZZNOLU CE AR RR D QI NIVOLTICEazt Ar See » QATSVOLIICOL Ar ene » PO-MVOLLce lago. » 26 REVOLUCO MA ER » PAFMVIOLIICO LANA NOI » 28: CVOLUCO LARA Re e » 2ON(AMEDE) MALA e » 30N(Amebne) Mara Ne e NA » INDICE DELLE TAVOLE eo N NES > IO OT SCI E I I I (Sii ISS] SALI cv 1 SD 31 (Amepe)}ldra cere ene Tav. SEA mebe) Sr » SIA ILA, REI » RAIUNO 0 » 09, AULA » VOSTICITART ta RE » STILARE » 98: dle e »d SOI Li » ADSIALA REA » AVI ARA E AVRIL » 42 Cda, Rea A De » AS TOTI IRA CRAL IRA DI DAL TOROR I RR LN » STO VIE ara e AI Oto sa » 464drta 3 ti e » 472 TANO RON RRTINII » ABMOLI FAI ORE » ADS TIRAIE A VOR » DOLSIARAR AO EI n » LS TATA I IO »d BESIULA RA RE » DI AIOLA. E OI » 5a; Ida: en ta O » DD. ITA dat O » To eli TA Ai » SIMO LIRE TR » DERILOLA RE E LOT » DO MIAnarn et ine D BOSTIFARAA O: i E » ll do tO 0 0 vw w (AS) oa La presente opera della quale sono stati stampati soli LV esemplari fu inviata in dono ai Signori : a 1. Agassiz Alexander, Professore di Zoologia - Università di. .......... Cambridge -S.U.A. 2. Brandt Karl, Professore di Zoologia - Università di .......... . + Kiel. 3. Biitschli Otto, Professore di Zoologia — Università di ............ Heidelberga. 4. Biblioteca Nazionale - Prefetto Chilovi D. | .............. . . Firenze. binBiblioteca Nazionale = Prefetto Gnoli D.. ion Roma. 6. Biblioteca del R. Istituto Tecnico - Preside Marchi P. SOCI Firenze. 7. Biblioteca Nazionale di Brera - Prefetto Martini EB. ............. Milano. 8. British Museum - Principal Librarian Edw. Maunde Thompson. . . .... Londra. 9. Canestrini Giovanni, Professore di Zoologia - Università di... ...... Padova. 10. Carus Victor, Professore di Zoologia - Università di ............. Lipsia. 11. Chun Karl, Professore di Zoologia - Università di .............. Breslavia. 12. Claus Karl, Professore di Zoologia - Università di .............. Vienna. 13. D’Oliveira Manuel Paulino, Professore di Zoologia - Università di... .. Coimbra. 14. Ehlers Ernst, Professore di Zoologia - Università di ............. Gottinga. 15. Eimer Theodor, Professore di Zoologia - Università di... .......... Tubinga. 16. Emery Carlo, Professore di Zoologia - Università di ........-.... Bologna. I WMigliuiogi Ag PEGI CREATORE de a ooo oro ad vio do doo ao Firenze. 18. Flower Sir W. H., Direttore del Museo di Storia Naturale. ......... Londra. 19. Gerstaecker Adolph, Professore di Zoologia - Università di... ...... Greifswald. 20. Giglioli H. Enrico, Professore di Zoologia - Istituto Superiore di .... Firenze. 21. Goette Alexander, Professore di Zoologia - Università di .......... Strasshurgo. 22. Haeckel Ernest, Professore di Zoologia - Università di... ......... Jena. 23. Hatschek Berthold, Professore di Zoologia - Università di ......... Praga. 24. Hertwig Richard, Professore di Zoologia - Università di... ......... Monaco (Baviera). 25. Hubrecht A. A. W., Professore di Zoologia - Università di ......... Utrecht. 26. Huxley T. H. Dir: del Royal College of Science. .............. Londra. 27. Hoffmann Christian Karl, Professore di Zoologia Università di... .... Leida, 28. Ivancov Nikolaj Alexandrovie, Professore di Zoologia - Università di . . . Mosca. 29. Lacaze-Duthier (De), Professore di Zoologia - Università di ........ Parigi. 30. Lankester E. Ray, Professore di Zoologia - Università di .......... Londra. 31. Leuckart Rudolph, Professore di Zoologia — Università di... ........ Lipsia. 32. Lutken C. F., Professore di Zoologia - Università di... .......... Copenaghen. 33. Mac Coy Frederick, Professore di Zoologia - Università di ......... Melbourne. 34. Machado y Nunes Antonio, Professore di Zoologia — Università di... .. Madrid. 35. Marchi Pietro, Professore di Zoologia - Istituto Superiore di... ..... Firenze. 36. Margò Tivadar, Professore di Zoologia - Università di... ......... Buda-Pest. 37. Martini Tito, Professore di Fisica - Scuola Superiore di Commercio di. . Venezia. 38. Melnikov Nikolaj Michajlovie, Professore di Zoologia — Università di... Kasan. 39. Milne-Edwars Alphonse, Professore di Zoologia - Muséum d’hist. natur. . Parigi. 40. Mitsukuri Kakichi, Professore di Zoologia - Università di... ....... Tokio. 41. Moebius Karl, Professore di Zoologia - Università di... .......... Berlino. 42. Moquin Tandon, Professore di Zoologia - Università di ........... Tolosa. 43. Pasteur L., Directeur è l’Ecole pratique des Hautes Etudes... ...... Parigi. 44. Pavesi Pietro, Professore di Zoologia - Università di ............ Pavia. 45. Perrier Edmond, Professore di Zoologia - Muséum d'’hist. natur. . . .... Parigi. 46. Ranvier, Professore d’Histologie - Collége de France. ............ Parigi. 47. Richiardi Sebastiano, Professore di Zoologia - Università di ........ Pisa. 48. Sars G. O., Professore di Zoologia - Università di .............. Christiania. 49. Società Reale di Londra - Presidente Lord Kelwin .............. Londra. 50. Studer Theophil, Professore di Zoologia - Università di ........... Berna. 51. Targioni-Tozzetti Adolfo, Professore di Zoologia - Istituto Superiore di . Firenze. 52. Trinchese Salvatore, Professore di Zoologia - Università di . ........ Napoli. 53. Tullberg Tycho, Professore di Zoologia - Università di ........... Upsala. 54. Van Beneden P. I., Professore di Zoologia - Università di ......... Louvain. 55. Weissmann August, Professore di Zoologia - Università di ......... Friburgo (Baden). PREFAZIONE Del modo mirabile col quale Egisto Tortori seppe modellare in cera le più svariate preparazioni anatomiche, emulando quei sommi maestri che furono Clemente Susini e Luigi Calamai sarà detto in altro luogo più diffusamente; imperocchè ci sembrerebbe colpevole lasciare nell'oblio un artista le cui opere fanno bella mostra nei più rinomati musei d’ Europa e col quale, pur troppo, si è troncata in Firenze la nobile arte che fu iniziata dal Cigoli. Ma nel dare alle stampe un’opera affatto diversa dalle altre per le quali il nostro autore si rese così chiaro, non possiamo esimerci dall’ac- compagnarla con qualche breve notizia intorno alla vita di lui. Egisto Tortori nacque in Firenze, da modestissimi genitori, l' 8 ottobre del 1829. Rimasto, ancor fanciullo, orfano del padre, dovette a mala pena compiere gli studi elementari e darsi d’attorno per cercare i mezzi di vivere e per aiutare la madre. A 15 anni entrò come apprendista nel laboratorio delle cere del R. Museo di Storia Naturale in Firenze, e sotto la direzione di Luigi Calamai apprese i rudimenti dell’arte. Nel 1851, morto il Calamai, il Tortori fu sottoposto ad un esame affine di ricono- scere la sua abilità nel modellare, e coll’anatomia del gatto, che figura anche oggi nelle collezioni del Museo, vinse a pieni voti il concorso e subentrò al Calamai. Da quel tempo il Tortori divenne infaticabile nel lavoro; sotto la direzione scientifica dei professori Giovan Battista Amici, ba a, ca 7 elet at ET E 0, % 6 PREFAZIONE Augusto Michelacci, Filippo Parlatore, Adolfo Targioni Tozzetti, Pietro Marchi, compiè una serie lunghissima di preparazioni tanto di anatomia animale quanto vegetale, molte delle quali rappresentano ingrandimenti di organismi veduti al microscopio. Non solo i Musei del R. Istituto di Studi Superiori, del R. Arcispedale e del R. Istituto Tecnico di Firenze, posseggono numerosi esemplari eseguiti dal Tortori, ma benanco nel Museo Agrario di Roma, nei Musei Universitari di Pavia, di Padova, di Parigi, di Vienna e di Berlino si ammirano le opere del nostro chiarissimo artefice alle quali tutte sì potrebbe estendere il giudizio che l'illustre e compianto Ferdinando Coletti lasciò scritto a proposito dei preparati eseguiti dal Tortori per l’ Università patavina. « La collezione dei funghi in cera si è iniziata cogli esemplari che vi presento, lavoro diligentissimo e veramente artistico di quel valente preparatore in cera che è Egisto Tortori da Firenze, vero confratello e concittadino del Cellini, che ha di lui la rapida intuizione, l’ elegante modellare ed il finito lavoro. » (Vedi Ricordi storici della Cattedra e del Gabinetto di materia medica nella Università di Padova. Padova, 1871, pag. 21). Il Tortori fu pure pittore abilissimo specialmente nel genere detto natura morta e molti e pregevolissimi quadri posseggono gli amici di lui. Di tale abilità seppe giovarsi il prof. Pietro Marchi col far dipingere al Tortori 66 tavole murali da servire all’ insegnamento della botanica, della zoologia e della paleontologia, dove sono riprodotti con scrupolosa esattezza, e con pennello di vero artista, quegli oggetti che, allo stato naturale, mal si dimostrerebbero, a numerosa scolaresca, nei loro partico- lari. Siffatte tavole furono ricordate con grandissimo encomio dal celebre chimico di Berlino W. Hoffmann in una lettera inserita nel giornale la Nazione del 4 aprile 1879. La perizia acquistata dal Tortori nell'osservare al microscopio e di affidare, con mano sicura, al disegno il risultamento delle osservazioni, lo invogliarono a studiare l’organizzazione e le metamorfosi degl’ infusori e di altri animali inferiori, e in tale studio, incominciato quasi per diletto, perseverò per ben sette anni raccogliendo copia grandissima di osservazioni che furono riunite in 60 tavole da lui disegnate con la consueta perizia. edi -c'otAimib' Mld PREFAZIONE “I Il Tortori sperava di veder stampata la sua opera ma pur troppo, forse a causa dell’indefesso lavoro, fu còlto nell'ottobre del 1893 da un attacco di paralisi cerebrale che lo spense il 22 di detto mese. Nella brevissima malattia non si perdette d’animo ma dispose sere- namente delle cose sue e volle che l’opera, intorno alla quale aveva speso tante fatiche, fosse ad ogni costo stampata. Noi, esecutori delle volontà del compianto e carissimo amico, nel dare alla luce l’opera di lui, nu- triamo speranza che i cultori della zoologia e della micrografia tributino una parola di lode alla memoria dell’uomo operoso e modesto, diligen- tissimo osservatore della struttura e della vita dei più minuti organismi. I UE @AZS INI EINT'RIODUOZIFONE I Studiando i microzoi che si sviluppano e vivono nelle acque dolci, mi ac- cadde, come a chiunque intraprenda qualsiasi studio, di consultare le opere dei predecessori, e trovai che molte volte i naturalisti che si sono occupati di tali animali, non solamente sono discordi nell’ affermare di aver veduto o no qualche piccolo particolare che a quelli si riferisce, ma ciò che è più imbaraz- zante, trovai che essi manifestano opinioni differentissime sulle proprietà fisio- logiche da attribuirsi ad una medesima cosa veduta ugualmente da tutti. EHRENBERG, per esempio, osservando qualche infusorio con delle vescicole verdi, crede che tali vescicole siano delle uova. PRIPCHARD invece le crede boli alimentari. PeRTY avvicinandosi alla opinione di Ehrenberg e modificandola un poco, pensa che tali vescicole, colorate o no, siano corpuscoli grassi ed anche degli ovuli. FRroMENTEL combatte l’idea che le vescicole verdi siano boli alimentari, ammette che siano corpuscoli di grasso, ma nega che siano delle uova, dicendo che quelle vescicole di grasso, racchiudono il più delle volte delle materie co- lorate che le fanno apparire brune, gialle o verdi. STEIN invece sostiene che le vescicole verdi non siano precisamente boli alimentari, ma un ammasso di materia di già elaborata, che deve servire alla nutrizione ed allo sviluppo degli organi esterni. CARTER confessando d’ignorare la funzione di tali vescicole negli infusori, suppone che potrebbero essere benissimo degli organi per la secrezione biliosa. Tutti avevano veduto le vescicole verdi; chi ha detto il vero? Finchè il mio spirito era egualmente padroneggiato da tutte queste, come da tante altre contrarissime opinioni altrui, io sentiva di non saper nulla. 2 10 INTRODUZIONE Desiderai conoscere per mia propria scienza chi avesse ragione; ecco il perchè e lo scopo delle mie ricerche. L'idea era un poco ardita. II Il metodo seguìto per le mie ricerche è molto semplice, ma non oso dire troppo breve. Sapevo d’incamminarmi verso l’ignoto e mi disposi a procedere con or- dine e con tutte le cautele possibili. Per avere dei microzoi raccolsi molte piante acquatiche e più particolar- mente delle conferve, traendole dai fossi, dai margini del fiume, dalle vasche, infine in qualunque luogo esse fossero. Ebbi cura non solamente di tener separate le piante di una località da quelle di un’altra, ma anche le piante appartenenti ad uno stesso luogo le te- nevo separate le une dalle altre, a seconda che si fossero sviluppate a fior d’acqua o a differente profondità. Per una tale sistemazione mi valsi di recipienti di porcellana più larghi che profondi, tenendoli coperti con una lastra di vetro munita delle necessa- rie indicazioni, sia per ricordare le località dove avevo preso le piante, la loro giacitura più o meno profonda e il giorno in eui furono raccolte. Con questo mezzo io vedevo tutti i miei recipienti ordinati in gruppi ben distinti, e potevo rimuoverli, trasportarli, e tornare a rimetterli in ordine senza perder tempo e senza tema di confusione. Ad ogni gruppo destinai una cartella contrassegnata per riunire in essa gli appunti e i disegni di ciò che avrei trovato in ciascuna località. Questi furono i preparativi per provvedere il materiale di studio. I preliminari del lavoro consistevano nel ricercare accuratamente quali amimali si trovavano fra le piante raccolte in ogni recipiente. Sollevando con la punta di un ago pochi filamenti di conferve, li tagliavo con le forbici, e trasportandoli sopra una lamina di vetro, dove era già una gocciolina d’acqua, li divaricava convenientemente, e chiudendo la prepara- zione, la sottoponeva all'esame microscopico. Trattandosi di studiare esseri minutissimi e dotati quasi sempre di una attività prodigiosa, molte sono le difficoltà che si presentano al microscopista. AlW’infuori di uma tenacità a tutta prova, nulla egli può fare per impedire che i microzoi salgano in alto, scendano in basso, si allunghino, si accorcino, 0 corrano in tutte le direzioni. Per mantenerli sempre in vista, occorre che egli si occupi contempora- neamente di più cose; spingere la preparazione in senso inverso alla corsa degli infusori e aggiustare continuamente la distanza focale: ma nonostante spesso INTRODUZIONE 11 essi sfuggono alla vista insinuandosi in tutta quella confusione di conferve 0 di frammenti di altre piante imputridite. Una volta spariti bisogna aspettare che il caso torni a favorire l’osserva- tore, ed è appunto in questa continua agitazione, in questa alternativa di cer- care e di tornare a vederli, che l’occhio sempre meglio s’ impressiona dell’ in- sieme dell’animale e delle sue diverse parti in movimento. * Se in tutte le ricerche microscopiche è utilissimo che il naturalista disegni egli medesimo ciò che osserva, nello studio dei microzoi io la eredo una ne- cessità assoluta. Per delineare gl’ infusori bisogna aspettare o profittare di quei brevi in- tervalli in cui essi si soffermano, e per lo più questo accade quando vanno a contatto con qualche frammento vegetale; ma per quanto una mano sia facile e sicura, quasi mai accade di poter terminare un disegno senza interruzione, poichè occorre necessariamente sospenderlo anche per cambiar oculare, sia allo seopo di avere un maggiore ingrandimento, o per valersi del micrometro, sia per aggiustare la proiezione della luce, onde definire la grandezza, la forma e la organizzazione di esseri tanto minimi e tanto irrequieti. Quante volte in un batter d’occhio, per una distrazione involontaria si perde una occasione cercata con tanta ansietà; quante volte nel frattempo che si cambia un oculare, l’animale con un repentino movimento si è spostato, ha ripreso la sua corsa e il disegno rimane interrotto! Anche allora bisogna seguitare a cercare sostenuti dal magro conforto di sapere che quel microzoo od altro a lui eguale tornerà visibile nella prepa- fazione. Ecco in quali condizioni si fanno gli studi e i disegni degli infusori, e da queste contrarietà tutte inevitabili è facile indovinare il tempo e 1’ attenzione che essi richiedono. Tuttavia ho ripetuto molte volte le medesime lumghissime ricerche sopra tutte le piante raccolte, scrivendo note, misurando e disegnando ogni specie d’infusori che mi era dato di scorgere. Arrivato a compiere queste ricerche in tutti i recipienti, si può ben com- prendere che il lavoro, quantunque al suo nascere, aveva preso già delle pro- porzioni discretamente rilevanti. La prima conclusione pratica che se ne poteva trarre era quella di sapere in quali recipienti e per conseguenza in quali località io aveva raccolto e po- teva ritrovare maggiore abbondanza di Rotiferi, di Brachionus, di Vorticelle e di una quantità di altri esseri di specie inferiori, tutti disegnati e misurati con la maggior diligenza possibile. 12 INTRODUZIONE La prima osservazione biologica che si presentava alla mente, era di pen- sare che se tanti animalini microscopici vivono frammisti ad aleune piante, vuol dire che là essi trovano le condizioni favorevoli per vivere. Ma queste condizioni si manterranno sempre le medesime in un piccolo recipiente che in confronto al fiume, ai fossi, alle vasche doveva presentare delle notevoli differenze rispetto alla profondità e per conseguenza al calore ed alla densità specifica dell’acqua? Un tal dubbio non si poteva risolvere che col tempo: intanto io tornai nuovamente a ripetere le mie ricerche sopra tutte le piante raccolte, sempre disegnando, sempre misurando, e per esser breve dirò che questa rotazione di esami durò parecchi mesi di un lavoro non interrotto di sei o sette ore per giorno. Queste ricerche ripetute tante volte non furon mai una monotona e ste- rile ripetizione di cose già vedute e disegnate antecedentemente; erano invece utilissime riprove le quali o riconfermavano le osservazioni già fatte, dando la gradita persuasione di aver veduto esattamente, o procuravano utilissime occasioni, per definire con maggior chiarezza qualche dettaglio rimasto ineom- pleto nei disegni precedenti. Devo a questo sistema l’esser pervenuto a conoscere esattamente la forma di tutti i microzoi che abitavano fra le piante dei miei recipienti. Ho detto pocanzi che queste indagini mi costarono parecchi mesi, e si fu appunto in virtù del lungo periodo trascorso che mi venne fatto di osservare come certi mierozoi di ordini superiori i quali in um dato recipiente erano da principio numerosissimi andavano poi gradatamente diminuendo di numero fino a sparire affatto; e ne trovavo invece moltissimi altri di specie inferiori che prima o non erano mai apparsi o vi si trovavan rarissimi. Mi accadde anche di osservare che in altri recipienti, dove certi mierozoi di forma e struttura molto semplice erano abbondantissimi, col tempo essi erano scomparsi ed avevano dato luogo ad altri di grandezza maggiore e di orga- nizzazione più complicata. Tutto questo mi accendeva il desiderio di spiegare il perchè, ma la mia mente non aveva che diverse supposizioni, fra le quali non avrei saputo di- stinguere la vera, qualora vi fosse. Raccolsi nuovamente e col medesimo sistema le solite piante acquatiche nelle stesse località, e mi proposi di verificare se i mierozoi vissuti nelle con- dizioni naturali, cioè nelle acque dei fiumi, dei fossi e delle vasche, corrispon- devano a quelli vissuti prigionieri. Corrispondevano perfettamente, e questa riprova fu per me assai vantag- giosa poichè ero arrivato ad eseguirla nei mesi del gran caldo, stagione non la sola, ma la più propizia allo sviluppo dei mierozoi. Raddoppiai la tenacità nelle mie ricerche e constatai che nella grande estate i mierozoi trovati antecedentemente con tanta fatica sparsi qua e là, INTRODUZIONE 15 ora si aveva facile occasione di raccoglierli tutti o quasi tutti insieme sui ri- masugli di piante acquatiche imputridite; e gli steli delle foglie delle Ninfee marciti in fondo alle vasche, me ne offrivano una abbondanza straordinaria. Chiunque abbia pratica di ricerche microscopiche, saprà quanto sia gio- vevole, l’avere sott'occhio riuniti in una medesima preparazione molti microzoi della stessa specie, o il poterne trovare dei simili con molta facilità. Nel fare tanti disegni avevo osservato che gl’ infusori, gradatamente, len- tissimamente pigliavano uno sviluppo di maggior grandezza, uma certa mo- dificazione di forma da far credere che da un tal fatto se ne potesse trarre una idea molto vantaggiosa per concludere qualche cosa di positivo, ma an- cora era impossibile farlo e bisognava osservare di più. Allora feci questo ragionamento: se una goccia d’acqua sta in rapporto ai microzoi che contiene, come l’acqua di uma vasca sta alla moltitudine dei suoi pesci, e se insieme alla goccia con gli infusori unisco parte delle sostanze fra cui trovano nutrimento, otterrò di mantenerli in vita per esser certo e si- euro che saranno sempre i medesimi che io potrò osservare giorno per giorno per più ore di seguito? Proviamo. Traccerò brevemente la storia di queste mie ricerche; e poichè non intendo raccontare le difficoltà superate, ma indicare la strada a chi volesse ripeterle tralascerò di enumerare tutti gli ostacoli incontrati nel provando e riprovando per raggiungere il mio scopo: dirò soltanto che quantunque i mezzi più sem- plici siano spesso i più efficaci, non son quasi mai i primi che si affacciano alla mente. Per seguire ed apprezzare le graduali variazioni che lentamente si mani- festavano negli infusori, bisognava, come ho detto, esser certi di osservare tutti i giorni i medesimi individui: per ottener ciò non vi era altro mezzo che pro- curare di conservarli vivi fra i due vetrini della preparazione, e condizione essenzialissima era quella di riparare alla continua evaporazione dell’ acqua. Finchè stiamo osservando al microscopio vi si rimedia facilmente aggiun- gendovi nuova acqua via via che ne vediamo la necessità, ma bisognava tro- rare il modo di mantenervela costantemente da un giorno all’altro, e per ot- tenere l'intento ricorsi al sistema seguente: Posavo la preparazione sopra gli orli di un piccolo bicchiere quasi pieno d’acqua, poi raddoppiando cinque o sei volte un filo di cotone da cucire piut- tosto grossetto e poco torto, ne formavo una specie di cordoncino lungo circa quindici centimetri, che precedentemente bagnato lo mettevo di traverso alla preparazione e a perfetto contatto con un lato del vetrino copri oggetti. In questo modo i fili che ricadevano in basso, immergendosi nel bicchiere facevano risalire per capillarità l’acqua nella preparazione in quella guisa che il lucignolo fa risalir olio per alimentare la fiaccola. Inutile dire che per evitare confusione e proceder sempre con ordine, sulle piccole lastre di ogni preparazione erano ingommati due cartellini indicanti il 14 INTRODUZIONE giorno in cui era stata fatta, il genere degli infusori che conteneva e il reci- piente da dove erano stati tolti. Devo alla buona riuscita di questo sistema i migliori resultati di tutte le mie ricerche: col mezzo indicato ho potuto conservare degli infusori vivi anche per più di due mesi, usando però aleumne precauzioni suggerite dalla esperienza. Prima di ogni altra cosa mi avvidi che bisognava fare uso dell’ acqua di- stillata, poichè quella comune, causa la continna evaporazione, deposita fra i due vetrini molti sali calcarei che dopo un certo tempo confondono ogni cosa; poi trovai necessario coprire le preparazioni con antichi vetri da orologio per salvarle dalla polvere. Per altro le precauzioni non sono mai troppe: se questo secondo periodo delle mie ricerche era il più coneludente era anche il più scabroso. Senza contare il continuo perditempo giornaliero, poichè talvolta bisogna consumare anche più di un'ora per ritrovare i soggetti sui quali già da più giorni sono avviate lunghe e pazienti indagini, la vera difficoltà sta nel ge- nere dell’esame che deve essere rigorosissimo nei più minuti dettagli, per di- segnare nuovamente gli animali ogni qual volta è da notare la più leggiera differenza che siasi fatta palese su di essi: allorquando però confrontando i disegni messi in ordine di tempo si vede un progredir manifesto, quando più si sente la bramosia di assistere ad una crisi che si avvicina, un bel giorno si arriva a vedere che i filamenti di conferve e i frantumi di altri vegetali non sono stati sufficiente ostacolo, o non hanno avuto sufficiente attrattiva per trattenere costantemente i mierozoi nella preparazione, e ne sono usciti, nuo- tando e disperdendosi nell’acqua che ha sopravanzato al di fuori sulla lastra porta oggetti. In questo caso, per quante premure si facciano, la preparazione è quasi sempre perduta e s'impara soltanto che il fascio dei fili essendo troppo grosso, l’acqua è affluita nella preparazione in troppa abbondanza; si rimedia per Vav- venire scemando qualche filo o tenendo meno acqua nel biechiere. Vi è ancora un’altra circostanza sfavorevole; i mierozoi, specialmente quelli più grandi e meglio organizzati, sono talmente irrequieti e intolleranti di prigionia, che quando meno ci si aspetta essi fuggono lungo il percorso dei fili e indubbiamente se ne vanno nel bicchiere poichè non si veggono più. Per rimediare a questo danno, per impedire la loro fuga pensai di assog- gettarli ad un carcere di rigore. Feci dei quadrettini di carta sottile, li vuotai nel centro ed in quel vuoto disposi la preparazione. Più tardi sostituii alla carta del tessuto di seta finissimo perchè la colla della carta unita alla gom- mosità delle piante in decomposizione, per la solita evaporazione dell’acqua si condensa ai margini del copri oggetti e in qualche modo impedisce il libero passaggio dell’acqua. Allora eredei utile di fare con le forbici a questi qua- drellini di carta o di seta che fossero, una apertura larga tre o quattro milli- INTRODUZIONE 15 metri per mettere in comunicazione diretta lo spazio circolare che racchiudeva la preparazione coi fili conduttori dell’acqua; e ciò mi fu giovevole. Malgrado .le accennate precauzioni vi sono aleuni inconvenienti chie si oppongono alla indefinita conservazione dei preparati, cioè lo sviluppo di ba- cilli o di crittogame che a lungo andare finiscono per invadere tutta la prepa- ‘azione: ma ciò accade così lentamente che c'è abbastanza tempo per studiare gl’ infusori, piccoli esseri la cui vitalità mi aveva ormai dimostrato di poter resistere a molti ostacoli. In qualunque modo avvenga la perdita di alcuni preparati, il compenso si trova sempre nel farne continuamente dei nuovi, e nell’averne diversi che ‘acchiudono le stesse specie di microzoi; poichè è appunto nel fare abbon- danza di preparazioni che accade d’imprigionare alcuni infusori giumti a tal grado di maturità da offrirci in brevissimo tempo quello che inutilmente ab- biamo cercato di scoprire per venti o trenta giorni di seguito sopra altri in- dividui simili; cioè di potere conoscere il modo col quale essi progrediscono per raggiungere l’ultimo fine, per obbedire alla eterna legge della propaga- zione della specie. i Basta avere ottenuto questa vittoria una volta soltanto, per poter definire molte questioni sospese, per accorgersi a un tratto che non si cammina più nell’ ignoto. Allora più si progredisce nelle ricerche più il lavoro si semplicizza, e gli aggruppamenti di un essere con l’altro, la divisione di una classe dal- l’altra vengono a palesarsi naturalmente. INDI I resultati ottenuti dal metodo sopra descritto, sarebbe stato impossibile conseguirli senza l’uso dei migliori ingrandimenti che permettono di apprez- zare il millesimo di millimetro. Vi sono alcuni che hanno una specie di avversione ai fortissimi ingran- dimenti, persuasi che sia inutile se non temerario andare incontro a difficoltà senza scopo, e si accontentano d’ingrandimenti più vicini ai medi che ai forti, attirati dalla maggior luce, da un campo più vasto da esplorare e dalla mag- gior facilità di vedere l’ insieme dei microzoi. Ma un insieme ridotto, poichè quando sembra di vedere dei contorni così netti e tanto bene definiti da non sapere desiderare di meglio, basta far la riprova con un forte ingrandimento, per convincersi che quello ehe pareva precisione e semplicità, non era che dispersione di dettagli. Perdendo le aspe- rità dei contorni (principal guida per concludere con apprezzamenti giusti) si perde l’occasione di farsi un’ idea esatta delle parti che concorrono a formarli, precisamente come avverrebbe studiando il disco della luna coi canoechiali da campagna. “IAN e 16 INTRODUZIONE È vero che l’uso dei più forti ingrandimenti non è cosa molto agevole, ma non è men vero che senza di essi sì terrebbero eternamente confinati nel- angusto cerchio delle monadi, dei milioni di esseri che dai tre ai cinque mil- lesimi di millimetro, cominciano già a far vedere che non sono più dei sem- plici punti oscillanti ma che hanno varietà di forma e che si muovono per VPagitare che fanno di cigli o di flagelli di cui son provvisti; e risalendo ai microzoi di ordini superiori, essi pure hanno delle minutissime parti di eni preme conoscere esattamente i dettagli, i quali non si potrebbero definire senza l’uso dei massimi ingrandimenti; escluso però gli obiettivi a immersione, uti- lissimi in tante altre occasioni, ma non per questo genere di ricerche. Il massimo ingrandimento del quale mi sono servito, è un obiettivo di Merz che ingrandisce 960 diametri, e che possiede tutti i pregi desiderabili, cioè larghezza di campo, molta distanza focale, molta penetrazione, ed uma chiarezza e definizione perfetta. Ma i buoni resultati che si attendono dai migliori obiettivi, possono per la maggior parte andar perduti, senza mettere un grande studio nel modo di illuminare gli oggetti. Chiunque abbia pratica nelle osservazioni più delicate avrà notato che le giornate più favorevoli per lavorare al microscopio, son quelle in eui sì rae- coglie la luce da un cielo nuvoloso, piuttosto che dai reflessi del sole e peg- gio ancora dal bleu intenso di un cielo purissimo che dà una luce aftatto sfa- vorevole. I corpi dei microzoi sono di una sostanza così trasparente che la luce li attraversa quasi con la stessa facilità che attraversa il vetro e acqua, per conseguenza l’effetto del chiaro-scuro è debolissimo, e con la troppa intensità di luce, si distrugge talmente il valore delle ombre che con lo sparire di esse sì perdono di vista molti dettagli. Tuttavia ancorchè si raccolgano sullo specchietto raggi di luce mode- rata, bisogna aver sempre in mente che essi si riverberano sull’oggetto in- vestendolo da troppe parti, mentre occorre ingegnarsi d’illuminarlo il più obli- quamente possibile, e dirò così con un sol raggio di Ince che lo investa da una parte sola. Allora soltanto si ottiene un effetto di chiaro-seuro ben determinato, e profittando della trasparenza dell’animale si può serutare fin nell’ interno di esso, per rendersi ragione delle diverse parti che lo compongono, e come ogni una di esse faccia seguito all'altra, senza lasciar nulla d’ indeciso, senza pre- tendere di completare con la mente, ciò che l'occhio solo deve risolvere con quella che io chiamerò Za logica del disegno. Per ottenere tutto questo io non saprei raccomandare abbastanza 1 uso del prisma AmMrcr il qual prisma sorretto da un congegno articolato che per- mette di spostarlo in tutte le direzioni, serve mirabilmente allo scopo. INTRODUZIONE a Ur IV Ho detto il perchè delle mie ricerche, il metodo seguìto e i mezzi ado- perati: ora prima di proseguire credo utile che il lettore sia prevenuto di certe massime fondamentali, che poi verranno ampiamente dimostrate, e che modifi- cheranno o cambieranno del tutto aleune teorie, che imperano sovrane perchè universalmente accettate. Queste teorie hanno una storia, una ragione di essere. I primi microscopi per quanto imperfetti si fossero, discoprirono agli an- tichi filosofi naturalisti, un mondo fino allora invisibile, e tutti si dettero con vera passione a ricercare e studiare le cose più minute della creazione. Fu col microscopio che la filosofia sperimentale, nella ardente lotta del nascimento spontaneo o no di esseri minimi, ereduti derivanti da materie or- ganiche in decomposizione, affermò in più maniere, la eterna immutabile teo- ria che nulla nasce senza un germe predestinato e fecondo. Gli animalini invisibili ad occhio nudo che vivono nelle acque, furono quelli che dettero campo alle più fiere battaglie. Il microscopio che a lunghi ‘intervalli si perfezionava, dette finalmente piena ragione alla filosofia speri- mentale, al nulla nasce senza l'uovo, e la metafisica che tutto definiva per ‘agionamento astratto, rimase vinta e per sempre. Oggi tutti ammettono che ogni essere organico per minimo che sia, deriva da altro suo simile; ma resta una piccola lacuna da colmare. Quei piccoli esseri in cui non si vedevano traccie sicure di organismo interno, si è detto che il loro corpo è tutta una massa gelatinosa, che si nutriscono per imbi- bizione, per assimilazione di sostanze che avvolgono col loro corpo e poi rilasciano; si è detto che per moltiplicarsi si dividono e si suddividono restando sempre esseri costantemente simili. Si capisce che intendo parlare degli infusori compresi dalle Monadi alle Vorticelle inclusive. Dalla accettazione dell’ annunziata teoria, è nota la natural conseguenza che per ogni piccolezza riscontrata sugli infusori, i microscopisti si sono ere- duti in dovere di farne un infinito numero di varietà contrastate, perdendosi in meschine contese per dettagli più o meno apparenti, ma trovandosi d’ac- cordo nel tener confinato questi esseri in una specie di penombra misteriosa e inesplorabile, e conservando loro il meschino nome che portano, per la ra- gione che i primi furono scoperti in una infusione di pepe. * Dopo la grande categoria dei semplici infusori, si passa agli altri orga- nismi di maggiori proporzioni, in cui è facile vedere un apparato digestivo. La separazione, la barreria che divide i più semplici infusori da tutti gli 3 18 INTRODUZIONE altri protozoi di ordini superiori, è assolutamente arbitraria, poichè gli uni appartengono agli altri. Tutta la grande importanza sta in questo, che moltissimi protozoi prov- veduti di organi digestivi, si moltiplicano per migliaia di germi, i quali sul nascere misurano da uno a due millesimi di millimetro, e per conseguenza si manifestano sotto la semplice forma di punti oscillanti. Tali germi cominciano dunque allo stato di Monadi, ed è nelle Monadi che si hanno gli embrioni di tutti i protozoi che non si moltiplicano per uovo. Gli embrioni crescendo si. modificano diversamente, secondo la specie cui appartengono, e attraversano delle metamorfosi come i Batraci. Se le dimensioni di questi vertebrati fossero microscopiche, e le loro me- tamorfosi sconosciute, quali diversità di origine, di famiglie, di classi, di ordini non si sarebbero stabilite, partendosi dal girino appena nato e risalendo fino alla classificazione della Rana? * Quantunque aleuni autori parzialmente sospettassero che certi infusori potessero esser larve di altri animali, il cielo che li riunisce alle Monadi era sconosciuto finora, e questo è ciò che andrò ampiamente dimostrando. * La mia opera non è lavoro di compilazione e molto meno una esposi- zione di teorie; è il resoconto d’ indagini nuove, e dalla illustrazione dei dise- gni resulterà l’insieme del libro. Se a riguardo dei Classificatori e Metodisti, parrà che io dica cose rivo- luzionarie ed anco radicali, ciò non mi dà alcun timore, poichè trattandosi di osservazioni che facilmente tutti possono ripetere, son convinto che l'autorità degli altri verrà a confermare le mie osservazioni. La cosa si riduce a poco, si tratta di rifare una strada più breve e più "azionale, una strada che, mi compiaccio di affermarlo fin d’ora, non è del tutto nuova, poichè molti naturalisti antichi e moderni vi hanno tracciato delle orme. * Alla fine di ogni capitolo, dopo la esposizione dei fatti, il lettore troverà citati aleuni autori che più particolarmente si sono oceupati di microzoi, e spesso vedrà che l’idea del vero aleggiava intorno a tante e disparate opi- nioni. BERE GIO DELL’EUGLENA VIRIDIS, DELLA VAGINICOLA CRISTALLINA DELLA FLOSCULARIA PENICILLUM DEL ROTIFERO E DELLA VORTICELLA CaprroLo I EUGLENA VIRIDIS SUA ORGANIZZAZIONE E SUO CICLO Questo animalino che si trova fra le conferve fu chiamato dagli antichi Cercaria viridis: EHRENBERG gli dette il nome che porta attualmente, e limi- tandosi alla esposizione dei semplici caratteri esterni, lo descrive nel modo seguente « Di color verde, ialino alle due estremità, corpo che si allunga a « forma di fuso, testa assottigliata e corta con apertura anteriore, coda corta, « conica, non fessa. » Ad eccezione di un flagello lungo e flessuoso che EHRENBERG pone co- stantemente alla estremità anteriore delle sue Euglene, come se tal flagello uscisse loro di bocca, e che io non ho trovato mai, in tutto il rimanente le poche figure rappresentate dall’ autore sono qualche volta perfettamente somiglianti ad alcune delle mie; e dico qualche volta, poichè 1 Euglena viridis, è così biz- zarramente variabile nelle sue movenze, che non si crederebbe mai di osser- vare lo stesso individuo se non lo si vedesse continuamente cambiare sotto ì propri occhi. Le diverse figure comprese nelle due tavole sottoposte all’esame del let- tore, danno una idea abbastanza completa delle variabilità cui va soggetto un animale che può allungarsi e contrarsi in più e differenti maniere. L’Euglena viridis ha una organizzazione apparentemente molto semplice ; il suo corpo si compone di una membrana o tunica esterna che si può chiamare la pelle dell’animale, e di un’ altra membrana interna un poco discosta dalla prima, come fossero due borse una dentro l’ altra, e riunite insieme soltanto alla estremità anteriore dove esiste la bocca. La membrana interna è la parete dello stomaco costituente tutta una cavità, un sacco che l’animale riempie di cibo e poi lo rigurgita per riman- darlo secondo il bisogno. Fra la pelle esterna e la parete dello stomaco, esistono tante celluline, . dentro ogni uma delle quali si sviluppa un embrione. 22 CAPITOLO I Alla Tav. 2, la fig. 9 rappresenta una piccola porzione dell’animale vista in sezione trasversa: 4, pelle o tunica esterna ; b, parete dello stomaco; €, cel- lule con embrioni interni. Questo concetto generale che precede la dimostrazione, meglio che una premessa, sarà una guida sicura per condurci a confermarlo con la riprova. Le Euglene nella prima età hanno intorno alla bocca un ciuffetto di cigli vibratili. Finchè sono piccoline, e per conseguenza giovanissime, i cigli sono molto corti e i movimenti del corpo assai deboli e limitati. Le figure 7 della Tav. 1 rappresentano uno stesso individuo la cui vita- lità si manifestava soltanto col potersi allungare e accorciare un poco: @, ani- male retratto; d, disteso, lungo 0,025 e largo 0,015. A misura che le Zuglene ingrandiscono, anche i cigli sì fanno un poco più lunghi e robusti: allora esse li agitano con molta prestezza, e con quel mezzo corrono da un luogo ad un altro. Correndo, il loro corpo prende imman- ‘abilmente la forma più o meno cilindrica o affusata, come le figure 10, 16 e 17, dimostrano. La fig. 10 misurava 0,080 di lunghezza e 0,020 di larghezza. Quando le Euglene non corrono, esse si contraggono in tutti i modi; mo- mentaneamente si piegano ad arco, assumono forme più o meno compresse € qualche volta quasi lamellari. Le figure 1, 2,3, 4 e 5 rappresentano uno stesso animale atteggiato in varie forme. La fig. 4 misurava 0,030 di lunghezza e 0,015 di larghezza massima. Osservando gli animali discretamente cresciuti, meglio che negli individui più giovani, si veggono poste immediatamente sotto la cuticola esterna le vesci- cole embrionali, le quali essendo molto elastiche, si presentano più o meno ellit- tiche e più o meno tondeggianti secondo che 1 Euglena sia distesa o retratta. Tutte le figure 6, 8 e dall’11 al 17 della Tav. 1, rappresentano animali veduti molto superficialmente, per dimostrare appunto queste vescicole embrionali, che essendo di un bel verde smeraldo, contribuiscono principalmente a far V_Eu- glene colorite in tal guisa. Tali vescicole non vanno confuse con la sostanza nutritiva che riempie la cavità dello stomaco, verde ancor essa, perchè composta di materie vegetali. L'attenzione dell’osservatore deve facilmente distinguere che per vedere ciò che vi è accumulato nello stomaco, deve prima metter fuori di fuoco lo strato degli embrioni che circondano tutto 1° animale. Le Euglene giunte ad una grandezza media, si accoppiano per la fecon- dazione. Per compiere un tale atto, combaciano insieme la loro apertura bucceale, arrotondano il corpo e stanno immobili. Così tenacemente riunite mi accadde trovarne molte ai primi di ottobre, e le figure 11 e 12 della Tav. 1 ne rappresentano due diverse coppie; la dimen- sione di ciascuno individuo variava di poco da 0,025 di Immghezza e 0,020 di larghezza. EUGLENA VIRIDIS 23 Avvenuta la fecondazione, le Eug/ene entrano nel secondo ed ultimo periodo della loro esistenza, aumentano assai di volume ed acquistano uma certa tur- gescenza; due qualità derivate dal maggiore sviluppo degli embrioni. ; Le figure 6, 8, 9 e 17 rappresentano uno stesso animale in diversi atteg- giamenti. Disteso come alla fig. 17 misurava 0,085 di lunghezza e 0,020 di larghezza. Oltre ai movimenti meno rapidi, gli animali dimostrano una naturale ten- denza a ripiegarsi su sè stessi, restando immobili come lo indicano le figure 13, 14, e 15. Questa ultima figura misurava 0,040 per 0,035. Un giorno trovai sette Eugene che stavano ferme e chiuse in sè stesse, come ora ho descritto: punzecchiai la preparazione con la punta di un ago e vidi che due di esse si svolsero ripigliando la forma affusata (fig. 16) ed il moto, però poco energico, di spingersi innanzi agitando i eigli della bocca. Col progredire della età i cigli spariscono affatto, e la bocca priva di tali organi, si modifica, allungando due labbri che si chiudono uno sull’ altro (Tav. 2, fig: 4a). Nè meno interessante cambiamento si opera alla estremità opposta, poichè la coda si converte in un vero peduncolo, la cui punta fattasi pianeggiante (Tav. 2, fig. 30) agisce a guisa di coppetta, e permette all’ animale di fissarsi agli oggetti estranei, stando eretto sul peduncolo, allungando e seorciando il corpo rigonfiandolo e assottigliandolo in più modi ma sempre a forme tubu- lari, e non compresse come nella prima età. Non avendo più cigli, quando le Zuglenre vogliono portarsi da un luogo ad um altro, prendono un andamento vermicolare; ma fisse sul peduneolo 0 raganti che siano, mercè la lentezza dei loro movimenti possono ora studiarsi con minori difficoltà. “Le figure 1, 2 e 3 della Tav. 2 rappresentano uno stesso individuo, che nel primo aspetto misurava 0,060 di lunghezza e 0,025 di massima larghezza. Parimente le due figure 4 e 7 sono una medesima Zuglena, accorciata e distesa: quella retratta è guardata molto superficialmente per vedere gli em- brioni; a quella allungata che misurava 0,105 per 0,015 è stato messo in fuoco la cavità stomacale e le materie ivi incluse. Ebbi la precauzione di mettere fuori di vista le parti periferiche delle figure 1, 2 e 3 per occuparmi della cavità centrale e del suo contenuto e vidi che i corpi ingeriti per la nutrizione sono di varia grandezza, di varia forma e di vario colore. Fra le sostanze verdi, di natura vegetale e di forme mal definite e incom- plete, come fossero corpi triturati, osservai ancora intatte delle spore di piante acquatiche, tonde o allungate che misuravano da 0,001 a 0,005, e dei corpi lamellari, bianchi traslucidi e molto ellittici. I più grossi misuravano in lum- ghezza da 0,008 a 0,012 e larghi ciascuno quasi la metà della propria lun- ghezza. Veduti per coltello lo spessore della lamella era in media 0,002. 24 CAPITOLO I La fig. 10 rappresenta un individuo trovato morto, il quale mi dette agio di fare tutte le indicate misurazioni. Quei corpi bianchi lamellari (fig. 15), qua- lunque cosa essi siano, hanno per altro l’aspetto di lamelle inorganiche, forse di sali calcarei, e se ne trovano anche sparse fra i tritumi delle piante acqua- tiche, marcite e decomposte, e specialmente fra le conferve. Sono convinto che tali corpi duri e inorganici, raccolti in numero piut- tosto rilevante dentro al sacco digerente delle Euglene, fossero ingeriti a bella posta (e gli esempi non mancano). Intendo alludere alle pietruzze silicee che gli uccelli accumulano nel loro stomaco per facilitare la triturazione dei semi di cui essi sì cibano, perchè potessero servire alla triturazione delle spore vegetali. Nelle contrazioni che fa l’animale, se restringe la sua capacità interna da uma parte, spinge tutte le sostanze ingerite verso la parte opposta che si rigonfia; alla fig. 2 si vede vuota la cavità presso la coda; alla fig. 3 la cavità presso la bocca. I corpi contenuti dentro lo stomaco delle Zuglene spinti continuamente ora in alto, ora in basso, ruzzolando e muovendosi in tutti i sensi, rendono esattamente palese la loro forma tonda, ovale o a lamella, e l'urto che si danno seambievolmente, non è che il resultato della volontà dell’ animale, il quale compie un lavoro che produce la triturazione delle sostanze che lo deb- bono alimentare. Quando 1 Zuglene hanno la prole matura, sono giunte all’ ultimo. periodo della vita: vuotano completamente lo stomaco di tutti i materiali che hanno servito a nutrirle; si acquattano, arrotondano più o meno il contorno del corpo e rimangono assolutamente immobili. Le figure 5, 6 e S della Tav. 2 indicano tre Euglene in quel modo ridotte. La grandezza di ciascuna era presso a poco eguale, e misuravano in media 0,040 di Immnghezza e 0,035 di larghezza. Salvo aleumi dei più piccoli corpi lamellari bianchi, rimasti qualehe volta nel vuoto dello stomaco, tutto ciò che si osserva nell’interno delle ZLuglene ora citate, sono i nascituri, lunghi in media 0,008 e larghi 0,005. L’amimale che li contiene ormai non è più che una ciste, una morta spoglia che presto si rompe e da quella si riversano al di fuori le giovani Zuglene (fig. S 0). L'Euglena è vivipara; i suoi piccoli vengono alla vita libera, essenzial- mente simili all’individuo che li ha procreati, coloriti di un bel verde sme- raldo e già provvisti di quel piccolo ocello rosso, che situato alla parte ante- riore, forma la caratteristica più singolare dell’ animalino che lo possiede. Detto ocello in aleuni è visibile anche quando sono tuttora dentro la ceiste ma- terna (fig. 8 Dd). L'Ocello di un bel rosso carminio, che tutte le Zug/ene posseggono, è um piccolo corpo solido, forse di sostanza chitinosa, rinchiuso fra la parete dello EUGLENA VIRIDIS 4 25 stomaco e la tunica esterna. Esso è mobilissimo e si sposta più in alto o più in basso secondo i movimenti dell’ animale. Fatto a lente molto convessa da uma parte e moltissimo concava dalla faccia opposta, è appunto per la diversa posizione che prende rispetto all’oc- chio dell’osservatore che qualche volta apparisce discoide, quantunque gene- ralmente per la sua natural posizione presenti la forma di mezza luna più 0 meno crescente. Le figure 12 rappresentano l’ocello veduto più o meno di profilo. Le figure 11 rappresentano un gruppo di tre piccole Luglene trovate allo stato libero, e di grandezza uguale a quelle non ancora uscite dalla madre divenuta ciste. Il loro unico movimento, quasi impercettibile, consisteva nell’ essere appena contrattili, e senza la presenza dell’ocello che le distingue, sarebbe stato im- possibile di non confonderle con delle spore vegetali. A misura che si trovano individui un poco più adulti (fig. 15), si riscontra che essi vanno gradatamente acquistando la facoltà di accorciare e distendere maggiormente il loro corpo, ma non quella di potere correre da un luogo ad un altro, poichè le ZugZene quando nascono, sono sprovviste dei cigli vibratili intorno alla bocca, e quantunque assai presto, non è che dopo un certo tempo che tali organi motori vanno sviluppandosi. In conclusione le Euglene nascono piccole e torpide; crescendo, acquistano facoltà di correre da um luogo a un altro; s'incontrano e si fecondano: ere- seono ancora, e morendo si moltiplicano. Se per la estrema sottigliezza non è possibile vedere l’ intima struttura delle diverse parti e i rapporti istologici che le collegano insieme, non è men vero che la esistenza di un organismo assai complesso, si manifesta chiaramente per gli effetti che ne derivano. Il corpo delle EugZene, per quel pochissimo che ci è dato distinguere, si potrebbe definire costituito da due sacchi, uno dentro l'altro: le pareti di quello interno formano la cavità stomacale, ed assorbono dalle sostanze vege- tali, i sughi necessari a sviluppare e nutrire una serie di embrioni, situati fra lo stomaco e il sacco esterno. Ma quante lacune in questa semplice definizione !! Del resto, per quello che riguarda il cielo delle Euglene, è facile vedere che esse nascono e muoiono sotto la medesima identica forma, e per convin- cersene basta confrontare le figure 5 e 8 con le figure 11 e 13 della Tav. 2. Tutte le forme intermedie non sono altro che apparenze momentaneo, dovute soltanto ai diversi movimenti dell’ animale. DA ® CaprroLo II VAGINICOLA CRISTALLINA SUA ORGANIZZAZIONE E SUO CICLO Questo animalino che vive dentro ad un guscio in forma di calice, fatto di sostanza chitinosa e trasparentissima, deve all’ involucro che lo protegge la sua elegante semplicità. Al solo vederlo giustifica completamente il nome che gli ha dato EHRENBERG, non meno che quello cui portava anticamente di Vorticella ampulla. Le Vaginicole sì trovano in tutte le stagioni dell’anno, e contempora- neamente di grandezze diverse, aderenti ai filamenti delle conferve. Le fig. dall’ 1 al 5 della Tav. 1 rappresentano uma serie di Vaginicole vedute a piccolo ingrandimento, solamente per dare una idea generale del come stanno riumite o distanti fra loro. Più sono di minime proporzioni e più è facile trovarle aggruppate insieme; sarà detto il perchè, e sarà anche di- mostrato che esse sono destinate a crescere. A schiarimento delle figure 1, 3 e 5, avverto che la lettera ec indica sem- pre delle Vaginicole, le quali si presentano come corpi sferici, perchè invece di essere vedute di profilo come le altre, sono vedute perpendicolarmente. Il corpo dell’ animale può allimgarsi e aecorciarsi; quando è tutto disteso è di forma cilindrica e conica (fig. 8 a). Sottile alla base, esso va leggermente ingrossando fino alla estremità an- teriore che termina quasi pianeggiante, per esservi un opercolo, che a volontà dell’animale, come una specie di labbro si alza da una parte soltanto, aprendo in tal guisa la bocca. Questa è circondata da pochi cigli tenuti in continuo movimento per pro- curare intorno a sè quel vortice d’acqua che deve portarvi il cibo. Non tutte le piccole particelle trascinate dalla corrente sono buone per il nutrimento della Vaginicola; essa le sceglie, e soltanto le utili colpisce coi suoi cigli in modo da farsele entrare in bocca. 28 CAPITOLO II Tutte le volte che l’animale ha ingerito qualche particella alimentare, come allorquando un agente esterno lo disturba nelle sue pacifiche funzioni, esso sì contrae con molta celerità, e fattosi ovale sta raccolto in fondo a quel calice che forma insieme la sua difesa e la sua dimora (fig. $ d). Resta in quella posa per breve tempo, poi torna ad allungarsi di nuovo. La parte viva e contrattile della Vaginicola non finisce internamente al fondo del calice chitinoso, poichè quello che sembra il sostegno del calice (fig. 11 @) è un peduncolo che obbedisce alla volontà dell’animale, e con quello, usandolo a modo di coppetta, può attaccarsi o distaccarsi dalle conferve, per emigrare da un luogo ad un altro, come ho veduto più volte. Quando le Vaginicole sono distaccate tengono il corpo nella massima di- stensione, e percorrono con una certa velocità dei Iunnghi tratti in linea retta, spingendosi in tutte le direzioni, mercè il rapido agitare dei cigli. Le figure 7, 10 e 11, Tav. 1, rappresentano tre diversi individui in atto di correre. Ma il trovarle in quel modo è una combinazione affatto precaria, poichè le Vagi- nicole non hanno l'abitudine di vivere erranti. Descritta la forma esterna del corpo molle ed elastieo dell'animale, e di- mostrato che il peduncolo è un prolungamento del medesimo, resta a dire ben poco su questo sostegno più o meno lungo, simile in tutto al piede che serve di base ai calici di vetro. TI piede delle Vaginicole talora è semplicissimo (Tav. 2, fig. 9 @) e qualche volta non manea di alcuni piccoli dettagli che lo rendono più leggiadro (fig. 7 « e fig. 12 a). La vaginula o riparo esterno, che pigliando nascimento al disopra del piede, si espande lateralmente per risalire in alto, deriva da una secrezione dello stesso animale, precisamente come hanno origine tutte le conchiglie dei molluschi, e con lo stesso fine di proteggere il proprio corpo delicato e molle. Questo riparo o guscio delle Vaginicole, costituito da una lamella sotti- lissima, aumenta proporzionalmente all’ accrescimento dell’animale che lo se- cerne, ed è di forme alquanto variabili. Talvolta è panciuto alla base e ri- stretto in alto (Tav. 1, fig. 10, 11 e 13); tal’ altra s' inalza perfettamente cilindrico (Tav. 2, fig. 2,3, 4,5 e 9); e non è raro trovarlo coi margini tagliati più o meno obliquamente (Tav. 1, fig. 11 e Tav. 2, fig. 7, 10 e 11). Descritte brevemente le parti esterne dell’animale, del resto tanto sem- plice che appena guardato se ne ha subito una idea esatta, resta a parlare del suo organismo interno. Trasparente come egli è, le difficoltà per studiarlo non sono troppe e l’unica precauzione è quella di aspettare che tenga il corpo disteso. Le Vaginicole hanno un apparato digerente ben distinto. Dopo la cavità buecale fa seguito immediato un’altra cavità, esofago o vestibulo che dir si voglia, poichè in amimali così piccoli, la nomenclatura delle loro parti riesce sempre abusiva. Dal vestibulo piglia origine e discende poco più ehe alla VAGINICOLA CRISTALLINA 29 metà del corpo, un intestino che si piega ad ansa per risalire ad aprirsi nuo- ramente nel medesimo vestibulo. L’ansa intestinale non è un tubo a pareti ugualmente distanti fra -loro, poichè a brevi intervalli essa subisce delle strozzature, e fra um ristringimento e l’altro, dei rigonfiamenti sferici, pigliando nell’ insieme l’ aspetto di un mo- nile coi suoi globettini infilati. Per la struttura che dimostra e per le funzioni che è destinato a com- piere, si potrebbe anche dire che l’apparato. digerente delle Vaginicole, è co- stituito da una serie di ventricoli, messi in comumicazione fra loro. tispetto agli organi digestivi, la fig. 9 della Tav. 2 e la fig. 12 della Tav. 1, sì completano a vicenda, con la differenza che la lettera d della fig. 9 indica la bocca veduta perfettamente di profilo, mentre la lettera « della fig. 12 in- dica soltanto il fondo della bocca, poichè l'apertura esterna di essa, rimane dalla parte opposta. Alla Tav. 1, la cavità è della fig. 12 torna il tubo intestinale: questa cavità si ristringe e si allarga a intervalli di x » il vestibulo da cui si parte e ri- tempo uguali simulando una specie di pulsazione. Da quel moto pulsante ne resultano due effetti diversi, e primieramente un atto di deglutizione, per spingere le materie nutritive nell’ intestino discendente. Il ventricolo c che essendo alla piegatura dell’ ansa rimane più basso di tutti, esso pure si allarga e si ristringe continuamente per far risalire le ma- terie nell’ intestino ascendente e riversarle nel vestibulo quando hanno già servito alla nutrizione; in questo caso il restringersi del vestibulo è um atto di defecazione, poichè rigetta le materie al di fuori. Salvo a spiegare le inesplicabili virtù motrici e assorbenti, il meccanismo per cui le Vaginicole compiono la nutrizione, è molto semplice, e su questo apparato non mi resta da fare che un’ ultima osservazione. Anche quando la Vaginicola tiene il corpo disteso, ansa intestinale resta sempre più o meno flessuosa, e potendo essere veduta di fianco o di profilo, difficilmente i suoi rigonfiamenti si presentano tutti disposti in perfetta sim- metria. } Qualche volta se ne vedono aleuni che sembrano o fuori di fila (Tav. 1, fig. 12 n), o addossati gli umi sugli altri, o eomprimersi a vicenda, secondo la raria contrazione dell’animale; ma sarà appunto per queste piccole e continue varianti che l’osservatore potrà rendersi sempre ragione di un’ansa continua, come è stata descritta, e soltanto disposta e veduta in differenti posizioni. Lo spessore di quella che io chiamerò la polpa dell'animale, è sottile finchè si limita a contenere il tubo digerente (Tav. 2, fig. 9 0); ma in tutta la parte posteriore c, fino al piede, il corpo della Vaginicola è composto di una massa tutta compatta. La nutrizione presiede all’ incremento di questa polpa che deve organiz- zarsi per produrre la nuova generazione. 530 CAPITOLO II La Vaginicola si moltiplica in due modi: per gemma, e questa è uma via transitoria, e per germi, e questa è la regola generale. Ho trovato delle Vaginicole in via di moltiplicarsi per gemma, nei mesi dall’ aprile all’ agosto. : La gemma si sviluppa da un lato del corpo, ad una altezza variabile, ma (è bene notarlo) sempre al di sotto del limite in cui arriva Pansa inte- stinale. Le fig. 1, 2 e 3 della Tav. 2, rappresentano tre differenti individui, con gemma a diverso grado di sviluppo. Il progredire del nuovo individuo che nasce per gemma, si fa lentamente, e quello che è più notevole da osservare si è il modo tutto speciale col quale va sviluppandosi. Sul principio non è che una semplice escrescenza, che sporgendo in fuori si dirige in alto; figure citate « « a. Arrivata ad un certo sviluppo la gemma cessa di spingersi in alto. Allora fra madre e figlia comincia wma vera e pro- pria divisione longitudinale, vale a dire che la polpa compatta, la parte infe- riore del corpo della madre, si divide per metà fino al fondo del calice (Tav. 2, fio. 4 e D). Ma questa divisione longitudinale si opera tanto lentamente che nel frat- tempo, la vecchia Vaginicola che ha tutto il suo apparato digerente intatto, provvede con la nutrizione non solo all’acerescimento della figlia quanto a mantenere costante il calibro della sua parte inferiore, che si divide senza scemar di grossezza. Quando la Vaginicola nata per gemma non ha più nulla di comune con la madre, altro che il calice che le racchiude e il peduncolo che le sostiene, essa ha già sviluppati i suoi organi digestivi, i suoi cigli vibratili, e vive del muitrimento che può procurar da sè stessa. Gradatamente aumentando, anche la figlia arriva a poter sorpassare gli orli del calice (Tav. 2, fig. 6 0), ma resterà sempre dimostrato che tutte le volte che si trovano Vaginicole doppie, la più corta è quella nata per gemma. Esse vivono da buone vicine e si accorciano e si allungano insieme (Tav. 1, fig. Sec); ma non possono restare unite continuamente. Viene un tempo in cui la giovane Vaginicola deve sloggiare da una abitazione che non è la sua, poichè il fondo di ogni calice è capace di contenere un animale soltanto quando sia giunto allo stato di perfetta maturità. Talvolta ho veduto nelle preparazioni alcune Vaginicole abbandonare la madre e correre libere e prive di guscio (Tav. 1, fig. 9). Che ne avverrà di questi animalini messi per così dire a nudo? Potranno anch’ essi formarsi al di sopra del peduncolo un calice che li protegga, e per- venire ad eguagliare in tutto, le altre Vaginicole che lo ebbero fino dalla na- scita? Quando ciò avvenisse, la secrezione del guscio non potrebbe effettuarsi che gradatamente, ed io in tutte le mie ricerche non ho mai incontrato delle VAGINICOLA CRISTALLINA 51 Vaginicole che ne avessero uno rudimentale, o di sì piccole proporzioni, che autorizzi a erederlo. Molte apparenze invece fanno supporre, che nudi vadano a fissarsi. sulle conferve, e seguitino a vivere a modo di Epistylis, privi di ogni riparo. Il fatto più importante si -è quello di avere assistito a tutto lo svolgimento della Vaginicola che nasce per gemma. Come ho già detto, la moltiplicazione per gemma è un fatto transitorio, è uma eccezione che non infirma per nulla la regola generale che la natura impone a questi piccoli animalueci microscopici, i quali compiono il loro ciclo, dando vita, morendo, a centinaia di nuovi esseri. I primi caratteri che manifestano la vicina maturità della Vaginicola, sono i seguenti: in tutta la sostanza sottocutanea, quella che ho chiamato la polpa dell’ animale, l occhio dell’ osservatore vede organizzarsi delle sferuline distanti le une dall’ altre (Tav. 1, fig. 15). A misura che queste sferuline aumentano di volume, l’animale ingrossa, perde della sua elasticità e può allungarsi sempre meno: poi finisce per accor- ciarsi in forma più o meno ovale, occupando tutto il fondo del calice (Tav. 1, fig. 14), e così rimane senza allungarsi mai più. In quello stato di assoluta immobilità, è facile vedere in qual modo si compiuta la nuova organizzazione interna. Le sferuline diventate più grandi hanno preso l'aspetto di vere vescicole più o meno compresse fra loro, contenenti nel loro interno dei globettini sferici (Tav. 2, figure 7 e 8 e dal 10 al 15). I globettini dentro le vescicole sono gli Embrioni delle Vaginicole. Per tutto quello che si vede è facile concludere che V apparato digestivo si è atrofizzato, cedendo il posto alle vescicole embriogeniche derivate dalla tra- sformazione della sostanza molle che costituiva il corpo dell’ animale, e che la pellicola di esso, ora non è più che un sacco pieno di vescicole, contenenti ciascuna varie quantità di Embrioni. Nel frattempo che la nuova generazione resta chiusa dentro la vecchia pelle dell’ animale per maturarsi, onde uscire alla vita libera, il guscio della Vaginvicola, invecchiato anch’ esso, diventa facilmente friabile, e si rompe per l’urto dei corpi estranei; urti possibili ad accadere, specialmente nel fare le preparazioni. Alla Tav. 2, le figure 13 e 14 rappresentano due Vaginicole con gli orli del calice sbocconcellati, e per conseguenza a contorni irregolari. Alla fig. 15 manca ogni vestigio del guscio: piuttosto che averlo perduto, nulla sì oppone per crederla invece una delle Vaginicole nate per gemma, e convertita in ciste. Rottasi, si veggono cinque vescicole embriogeniche riversate al di fuori. Dove cadono, che cosa avviene di queste vescicole? Naturalmente an- ch’ esse devono rompersi per dare uscita agli Zmbrioni che contengono. Da 32 CAPITOLO II In qual modo gli Embrioni cominciano ad aver vita, è reso palese dalla fio. 16, Tav. 2. Per comprenderne tutto lo svolgimento, bisogna accuratamente osservare all’esterno i filamenti delle conferve, e si vede che essi sono coinvolti da una sostanza glutinosa trasparentissima. Questa materia è uma secrezione naturale della pianta medesima. Si è in tale viscosità che si veggono impigliati tanti corpi minutissimi, di varia natura e di varie forme che qui non occorre definire, ma sì bene importa constatare che anche le vescicole embriogeniche della Vaginicola, uscenti dal sacco, restano coinvolte e trattenute in quel glutine, ed ivi rom- pendosi alla loro volta vi disseminano gli embrioni, i quali appena nati si trovano circondati da uma sostanza che li nutrisce (fig. 16 citata). Allorehè hanno raggiunto la dimensione di 0,005 son già capaci di attae- ‘arsi alla conferva, disponendosi a gruppi, come si veggono alla Tav. 1, fig. 2,3.e 4. Salvo leggerissime differenze dovute alla prima età e che spariscono in brevissimo tempo, le Vaginicole nascono simili agli animali da eui proven- gono. Ogni una appena nata è contenuta dentro al proprio guscio che non si rompe, nè si disperde, ma le resta fisso, si prolunga in avanti come il collo di una bottiglia, poi si allarga alla estremità superiore (fig. 2, Tav. 1) e cresce insieme all’animalino che racchiude, servendogli di custodia per tutta la vita. Le Vaginicole col crescere, non si mantengono, nè lo potrebbero, aggrup- pate tutte in un piecolo spazio; ma via via che divengono più grandette si staccano e si allontanano dal gruppo della famiglia, per non danneggiarsi a vicenda, e vanno a fissarsi dove trovano condizioni migliori (Tav. 1, fig. 1). Per la detta ragione, più le Vaginicole sono grandi, e meno facilmente si trovano situate a breve distanza fra loro. Ho notato più sopra che i gusci delle Vaginicole possono avere delle forme variabili, 0 cilindriche o a collo più 0 meno stretto, o con l'apertura tagliata obliquamente. Le figure 17, 18 e 19, Tav. 2, dimostrano che fino dalla prima età son già predisposti a queste forme diverse. Nell’ esaminare i giovani individui vien fatto di osservare che il loro guscio cresce molto più presto dell’animale incluso il quale si mantiene per un certo tempo assai più corto del calice. Sul principio la forma della Vaginicola è sferica (fig. 17), poi ovale (fig. 18 e 1944) con pochissima facoltà di allungarsi; ma in seguito, fattasi adulta, | quando si allunga non resta mai più corta del sno calice: 0 lo uguaglia come alla fig. 13, Tav. 1, 0 più spesso ne sorpassa i margini anche di un, buon quarto, come si vede nella fig. 11, della Tav. 1. Per dire tutto quello che riguarda il calice, aggiungerò che non è difti- cile di trovarne alenmi rimasti attaccati alle conferve, affatto vuoti e perfet- tamente intatti (Tav. 1, fig. 6 4). Questo prova chiaramente che il peduncolo VAGINICOLA CRISTALLINA d5 di una Vaginicola con Vl invecchiare indurisce come il guscio e rimane dove l’animale prima di compiere il suo cielo glo aveva posto. Ignoro se e come avvenga la fecondazione fra le Vaginicole. Per la -loro conformazione, per la possibilità che hanno di emigrare da un luogo all’altro, nulla fa ostacolo per credere che esse cerchino d’ incontrarsi per V accoppia- mento, ponendosi a contatto con la parte anteriore ciliata. L’avere osservato altre specie d’infusori ciliati che si riuniscono in tal guisa, autorizza ad ammettere la fecondazione anche nelle Vaginicole. * Paragonando fra loro le Vaginicole (fig. 7, 8 e 9 della Tav. 2) non che la aria forma del respettivo guscio e peduncolo, come pure confrontando le Va- ginicole ridotte a ciste (figure 10, 11, 12 e 18) si osservano esistere fra luna e l’altra molte differenze che potrebbero incoraggiare a farne più che delle va- rietà, delle specie ben distinte: in ogni caso resta sempre dimostrato che esse hanno tutte un medesimo ciclo, e un identico modo di moltiplicarsi per Lm- brioni. Appena nati essi sono grandi cirea 0,002, e stante la loro piccolezza, non è possibile discernere che un semplice globettino di forma sferica: cresciuti del doppio si distingue il guscio e V animalino incluso. L’ accrescimento delle Vaginicole per arrivare al loro completo sviluppo, sì compie in proporzioni molto variabili, come le differenti grandezze fra l ani- male e il suo calice, non si mantengono mai esattamente costanti. Sul principio il guscio supera d’assai la lunghezza dell’animale, in seguito, come ho detto, l’ animale distendendosi arriva fino agli orli del calice, e più spesso li sopravanza anche di un bel tratto. Ma io eredo che di tutte queste rarianti non meriti farne gran conto: e s' egli è vero che allorquando negli animali superiori si hanno per guida, caratteri speciali visibili ad occhio nudo, si concede ad ogni individuo della medesima specie, una certa modalità, una qualche libertà nel crescere, senza farne alcun caso, parmi a rigore di termine, che dentro certi limiti tali concessioni debbano valere anche per gl’ infusori, dei quali (per la imperfezione dei nostri strumenti ottici) non sappiamo ap- prezzare che l’ aspetto più grossolano soltanto. * Per completare tutte le indicazioni riguardanti la storia delle Vaginicole, resta a notare le massime dimensioni cui possono arrivare prima di compiere il loro ciclo, e indicare di quali sostanze si nutriscono. Ho già detto che gli embrioni appena usciti alla vita libera, in media sono grandi circa 0,002. 5 CAPITOLO II Le maggiori proporzioni del corpo molle di una Vaginicole adulta, allorchè è tutto disteso, ho trovato essere lungo 0,060 e largo 0,010 alla estremità an- teriore. Il suo guscio era lungo 0,040 e largo 0,015. La più grande Vaginicola matura, ridotta a ciste, era lunga 0,025 e lar- ga 0,017: il suo guscio era lungo 0,050 e largo 0,025. Le vescicole embriogeniche esistenti dentro le Vaginicole ridotte a ciste (Tav. 2, figure 13, 14 e 15 € e €), sono in un medesimo individuo più grandi e più piccole, e quelle di media grandezza misurano 0,003. ‘facendo le debite proporzioni, dalle varie misure accennate si rileva che embrione, diventato animale adulto, può essere ammentato da 15 a 16 volte in diametro, e che poi ridotto allo stato di ciste, resta aumentato di 10 volte soltanto, per la ragione che il suo sistema digerente si è atrofizzato. Le Vaginicole generalmente si trovano ialine e trasparentissime; di che cosa sì compone il loro nutrimento? Molte possono essere le sostanze senza colore, vegetali o animali, di cui si cibano gl’ infusori. Tutti sanno che le spore delle piante acquatiche inte- riori, sono tante vescicole contenenti un fluido verde semi-gelatinoso, e in mezzo a quello, aleune sporuline bianche, che sono i germi delle piante fu- ture. Queste sporuline, disseminate a milioni nelle acque, sì mantengono per un certo tempo ialine, e tutti infine possono immaginare facilmente quante piante e quanti animali che muoiono nelle acque, decomponendosi si riducono a sostanze gelatinose, diftfluenti e incolore. Finchè gl’Infusori si cibano delle materie ora accennate, possono essere pieni di cibo e rimanere affatto ialini. Se poi avviene che 1 animale abbia spinto nel suo tubo digerente alcunchè di colorato, e specialmente delle intere spore verdi, esse si manifestan subito, attraverso ai tessuti trasparenti dell’ infusorio. To pure ho veduto qualche volta dei globuli verdi nell’ interno delle Va- ginicole, ma ora non è più il caso di sospettare come EHRENBERG, che quei globetti fossero le uova dell’ animale. E nemmeno si dovrà credere come DUTARDIN essere una specie ben di- stinta dalle altre, la sua Vaginicola ovata, con corpo ovoide lungo 0,026 in fondo ad un fodero urceolato, lungo 0,048. La figura che egli ne dà, non è la forma costante dell’ animale, ma corrisponde all’ ultima forma che prendono tutte le Vaginicole mature. 00090009SSISTSITIC0LTOCGT0CIII®CCCCHICC0COCOCC®CCITT®®CO®OOT}LLOSSC 0000000000000 00009 0000000000 00000c000e0000d CaprroLo III FLOSCULARIA PENICILLUM SUA ORGANIZZAZIONE E SUO CICLO Nelle opere degli antichi si trova raffigurata e riunita in gruppi, sopra foglie di piante acquatiche la Vorticella flosculosa descritta coi seguenti ca- ratteri: « Vorticella caudata, aggregata, oblungo-ovata, disco dilatato pellucido. » PRHRENBERG stabilisce la famiglia delle F/oscularie, dandone i seguenti ca- ratteri: « Animali rotatori, involti in una tumica, aventi un solo organo rotatorio a margine flessuo, lobato o diviso. » Come appartenenti alla detta famiglia distingue: «1° La Megalotrocha alba flavicans, giallastra sociale, raggiata bianca e libera nella giovine età, gialla- stra e attaccata più tardi. 2? La Tubicularia, sprovvista di occhi in tutte le età, avente l’organo rotatorio a quattro lobi, e l’involuero gelatinoso. » Nessuno ha descritto completamente un sistolide avente tutti i caratteri identici a quelli che distinguono l’animale di cui mi accingo a parlare: ma poichè nell’aspetto generale esso è somigliantissimo alle F/oseularie, ho inteso conservargli un tal nome, quantunque, dal novembre al marzo, lo abbia tro- vato sempre solitario sulle conferve. To considero questo isolamento una cosa affatto secondaria, che d'altronde non aggiunge nè toglie nessun carattere intrinseco ai detti animali, e si può dubitare che in date circostanze possano trovarsi riumiti come gli altri. Comunque avvenga, lo scopo delle mie ricerche è diretto più che altro a studiare in quali diverse maniere può compiersi la genesi dei microzoi che vi- vono nelle acque dolci, e questa F/oscularia mi offre umo di quei tipi che ve- ramente si moltiplicano per uovo, ed in modo affatto speciale, cioè tenendolo per alcun tempo attaccato all’esterno della coda, o sostegno come chiamare si voglia. Fra i pochi individui, forse una ventina, da. me veduti,i più non avevano ‘aggiunto che una media grandezza. Nel primo di marzo ne trovai due non solamente arrivati a completo sviluppo ma che avevano già deposto il loro 536 CAPITOLO III ultimo novo, tenendolo sospeso al terzo posteriore della coda (Tav. 1 e 2, fio. 1%). Dell’ uovo ne parlerò estesamente in seguito. Osservando l’animale allo stato di massima distinzione (Tav. 1, fig. 1), sì vede alla sua estremità anteriore una membrana traslucida @ che s'inalza a cono rovescio, costituente un ampio vestibolo o peristoma, con ingrossamento ai margini flessuosi e lobati. Sui margini e sui lobi stanno infisse delle setole lunghe, rigide e immobili, talehè non fanno ufficio di organi rotatori, e quando l’animale si contrae e chiude il peristoma (Tav. 1, fig. 2 e 4, e Tav. 2, fig. 1 e 9), le setole restano -al di fuori riunite tutte in um fascio, assumendo l’aspetto di un vero pennello. È per questa singolarità che mi è parso conveniente di chia- marlo Floseularia penicillum. Nel fondo del vestibulo (Tav. 1, fig. 1 @) si vede al centro di una superficie pianeggiante una apertura buecale d alla quale fa seguito un grosso tubo intestinale e un poco flessuoso e più o meno giallastro per le materie che lo riempiono. Al basso dell'intestino vi è una specie di cloaca dove negli individui adulti sta rinchiusa una materia più seura, che in parte ho veduto uscire (per volontà dell’animale stesso, da uno sfintere posto da un lato del corpo (Tav. 2, fig. 1c) e capace per la sua struttura di potersi dilatare moltissimo. L'apparato digerente e gli organi riproduttori sono rinchiusi dentro ad un involucro speciale che finisce a cul di sacco (Tav. 1 e 2, fig. 1 gg). All’ intorno di questo fondo di sacco, si dipartono e scendono in basso alenni filamenti ester- namente elastici e contrattili che nel loro percorso si uniscono e si saldano a due, a tre o quattro insieme per comporre poche fibre più grosse, le quali ter- minano sopra un dischetto finale (Tav. 1, fig. 1%, e Tav. 2, fig. 34). Inferiormente, ai margini del dischetto nascono dei prolungamenti sotti- lissimi, un poco tortuosi a guisa di barbule. Esclusi questi filamenti caudali che restano sempre liberi, dal dischetto fino alla origine del peristomo s'inalza una pellicola assai delicata che non solo fa da guaina alla armatura delle fibre elastiche, ma anche al corpo del- l’animale che esse sostengono. Questa guaina non ha movimento proprio, e si distende o si raggrinza in minutissime pieghe all’esterno dell’animale, obbedendo passiva ai diversi at- teegiamenti delle parti elastiche che essa riveste. Ciò lo dimostra la lett. ver in tutte le figure della Tav. 1. La potenza che hanno le fibre elastiche della coda, di aceorciarsi e allumn- garsi è tanto grande, che per convincersene basta guardare le fig. 1 e 2 della Tav. 1, esse rappresentano la medesima /loseularia allungata e retratta. Alla Tav. 2 la fig. 1 vv indica i contorni della guaina esterna tutta distesa. La prerogativa che possiede la Floseularia di tenersi l'uovo attaccato alla coda, mi dette agio di seguire tutto lo svolgimento del suo embrione. Come possa depositar 1 novo tanto in basso è facile immaginarlo, consi- cea | FLOSCULARIA PENICILLUM d derando che prima di espellerlo dall’ interno del sno corpo, essa contrae le fibre elastiche della coda, avvicinando alla apertura anche la parte bassa della loro guaina inerespata: dopo questo accorciamento, avviene che l’novo uscendo aderisce in un punto soltanto, sul rilievo della prima piega che incontra, e là resta solidamente attaccato, finehè embrione non ha raggiunto il suo primo sviluppo. Jo non so dire da quanto tempo, le due F/oscularie incontrate il primo marzo, tenessero il loro uovo all’esterno. Im quanto alle dimensioni, le due nova differivano di ben poco; quello alla Tav. 1, fig. 1 era lungo 0,045 e largo 0,030, l’altro (Tav. 2, fig. 1) era lungo 0,045 e largo 0,032. Avevano un colore di carnicino pallido, e al disotto del guscio si scorgeva già uma specie di reticolato, dovuto a cellule che sì comprimevano vicendevolmente. Il secondo giorno che le Floscularie vivevano nella preparazione, nelle cellule dell’uovo cominciavano a vedersi delle granu- lazioni, che poi aumentarono di numero saldandosi insieme, e il quarto giorno resero evidente che dentro al guscio andava organizzandosi un embrione (Tav. 2, fig. 3) con due piccole macchie rossastre in alto, ed altra un poco più grande, situata inferiormente e di fianco. Il sesto giorno, guardando embrione dentro all’ uovo (Tav. 2, fig. 2) dalla parte delle due macchie rossastre si vedeva un orifizio 2 che si apriva e sì chiudeva, e più in alto un piccolo flagello m che si piegava ora da un lato, ora dall’ altro, con un moto costante uniforme, e lento come un pendolo di un orologio. Il settimo giorno trovai l’ uovo di una Flosewlaria dischiuso, V animale uscito, e il guscio trasparente e pallidissimo (Tav. 2, fig. 4) sempre adeso alla coda della Floscularia che pareva morta. Ritrovai vagante nella preparazione il piccolo neonato: le fig. 5, 6, 7 e 8 lo rappresentano a diverso grado di contrazione: Tutto disteso come alla fig. 5, misurava 0,085 di lunghezza e 0,027 di larghezza. Quale sia la natura delle tre macchie rosse visibili nell’ embrione tuttor: dentro al guscio (fig. 3) ce ne rendiamo conto quando l’animale è uscito in libertà: le due più piccole anteriori sono gli occhi, la macchia inferiore più grande, pallida e con nucleo interno, è l’ovario futuro. È inutile avvertire che i tre corpi rossi ora accennati, in cansa delle differenti contrazioni dell’ animale, si allontanano e si avvicinano fra loro, come le figure citate lo dimostrano. Alla fig. 2 indicai uma specie di flagello interno m, oscillante come un pendolo: questo flagello si riscontra col medesimo movimento, anche nell’ ani- male appena uscito dal guscio (fig. 5 m): è situato in una cavità, attaccato ‘ad una specie di diaframma, e con la punta che guarda verso la coda. Non so dire quale sia l’uso e lo scopo di questo organo oscillante, che negli animali adulti non è più possibile distinguere. Atteso la grande trasparenza della F/osceularia nata da poche ore, e sem- 35 CAPITOLO III pre allo stato embrionale, oltre alle cose accennate, non potei definire, strut- tura nè i rapporti di altre parti interne. In quanto all’esterno, la estremità anteriore del corpo, che si potrebbe dire la testa, era rivestita di piccoli cigli che potevano acceorciarsi (fig. 8) e allungarsi (fig. 7) oscillando continuamente. Tenendo il corpo disteso (fig. 5 e 6) mercè il rapido movimento di cigli l’animale si spingeva in tutte le direzioni. Quando si arrestava, esso faceva uso della sua estremità inferiore, la quale terminando con un peduncolo pianeggiante (fig. 7 e $ di) sì fissava a coppetta. * Visto sotto quali apparenze esce dall’uovo la Floscularia (Tav. 2, fig. 5) e a quale forma pervenga nel suo massimo sviluppo (Tav. 1, fig. 1), resta a parlare delle forme intermedie. Se è breve il tempo che impiega 1’ embrione a organizzarsi nell’ uovo, bisogna convenire che anche in seguito esso compie il suo ciclo rapidamente. La fig. 9 della Tav. 2 rappresenta una giovine /oscularia lunga 0,075 e larga 0,040. Essa è appena qualche millesimo di millimetro più grande del- l'embrione, e già i suoi cigli allungati del doppio sono trasformati in setole rigide senza più movimento oscillante, il pedumeolo è sul quale sta eretta ac- cenna il contorno della coppetta un poco irregolare, e al punto e si osservano quattro piccole uova, corrispondenti alla macchia rossastra visibile fin dallo stato embrionale (fig. 6 e 7 dd). Nella F/oscularia il numero delle uova è variabile; ne ho contate da tre fino a sei, e generalmente non sono mai di eguale grandezza. Finchè le uova sono piccole, non essendo punto diafane, la luce non le attraversa, e perciò si presentano all’occhio sempre molto secure, piuttosto che carnicine, come real- mente sono. La fig. 8 della Tav. 1, rappresenta come una F/oseularia col peristoma « disteso e completo in tutta la sua forma: la lett. e indica cinque nova. Ai margini della coppetta caudale sono già nate le barbule. Tutto Vani- male misurava 0,120 di lamghezza e 0,052 di larghezza. E poichè un animale giunto a completo sviluppo (Tav. 1, fig. 1) senza contare le barbule della coda e le setole del peristoma, era lungo 0,250, vale a dire circa il doppio della fig. 3, si può concludere che la F/oscularia arri vata a metà di grandezza, non ha più da cambiare essenzialmente di forma, e la sua metamorfosi è completa. Le figure 4 e 5 sono un medesimo individuo, prima retratto e poi disteso; allungato misurava 0,100 di lunghezza e 0,050 di larghezza. Alla lett. dd le dette figure dimostrano che allorquando la estremità inferiore si è guarmita di barbule, sono esse che si attaccano ai corpi estranei, e la coppetta con la quale potevano fissarsi appena nate, fattesi um poco adulte non agisce più. FLOSCULARIA PENICILLUM 59 x La scarsa quantità degli animali trovati, mi ha impedito di studiare di quali materie si nutriscono, e molto meno di sapere se hanno un possibile ac- coppiamento, e a quali intervalli le uova vengono una dopo l’altra sospese alla coda. Oltre a questo, sarei anche per dire che per certe cose, più la Z/oscula- ria si fa adulta, e più nasconde i segreti della sua organizzazione interna. Dei tre corpi rossi visibili nell’embrione fino da quando è ancora incom- pleto dentro all’uovo, la vescicola rossastra (Tav. 2, fig. 6 e 7 d) si converte prestissimo in ovario (Tav. 1, fig. 3 e 5 ee) e le uova restano sempre visibili, ma gli occhi, appena che la Floscularia ha sviluppato il sno peristoma, non si veggono più. Non saprei decidere se spariscono all’ animale, come in generi consimili, aleuni autori asseriscono, o piuttosto se gli occhi delle /oscularie adulte, sfuggono alla vista dell'osservatore, per essere rimasti in fondo al ve- stibulo, destinati a vedere quando passa una preda da ghermire. Comunque sia, quello rende più singolare questa Floseularia si è che prima di avere acquistate le barbule per fissarsi alle piante, perde il benefizio dei cigli vibratili, i quali allungati, rigidi ed immobili, cessano di servire a quegli usi tanto necessari alla vita di tutti gli altri animalini ciliati. Attaccata ad un corpo estraneo, senza poter fare altro movimento che quello di allungare e accorciare il corpo, per procurarsi alimento non gli resta altro mezzo che di tenere spalancato il suo vasto peristoma, aspettare che vi ‘apiti dentro qualche cosa che sia utile alla sua nutrizione, e poi chiudere il vestibulo per obbligarla ad entrare nell’apparato digerente. Negli individui piccoli ho osservato internamente qualche spora verde; negli adulti il colore dell’ intestino partecipa di tutte le gradazioni del giallo grigiastro, indizio forse che il loro principale nutrimento consta di animali 0 di materie animali decomposte. Quando la Floscularia ha espulso il suo ultimo uovo, è vicina a morire. Uno dei primi sintomi è quello di muoversi assai lentamente, tenendo il pe- ristoma chiuso; poi le fibre contrattili della coda restano tutte distese, e non si muove più (Tav. 2, fig. 1). Simile a tutti gli altri mierozoi, esaurita la moltiplicazione, la FVoseularia termina la sua esistenza. Le dimensioni che offriva questa ultima figura, erano le seguenti: il corpo, dalla base delle setole fino al fondo chiuso a sacco g, era lungo 0,125 e largo 0,090. La lunghezza della coda 0,165. Quante cose restano nascoste in un animalino, il cui totale è circa tre de- cimi di millimetro! & (aprroLo IV IL (ROETRERO SUA ORGANIZZAZIONE E SUO CICLO Nel cielo dei Rotiferi gli embrioni sono soggetti a tre metamorfosi, prima di arrivare al completo sviluppo. Sul cominciare della prima età, la irrequietezza e la grande celerità dei movimenti loro, poichè nascono ciliati per tutto il corpo, fanno di questi ani- malini, gli infusori più ribelli alla osservazione. Tuttavia quando nella preparazione ce ne sono molti e osservatore ha acquistata una certa pratica, quantumque abbiano circa 0,004 di lunghezza, si riconoscono non tanto per la loro forma allungata, quanto per il carattere dei loro movimenti medesimi. Gli embrioni del 'otifero non oscillano, non tracciano delle curve, non ranno tortuosi, ma percorrono delle linee rette, traversando come dardi la preparazione in tutti i sensi, ed è perciò che nei primi periodi della vita è impossibile studiarne i dettagli e misurarli esattamente. Peraltro a misura che essi aumentano di volume rendono palesi alcune particolarità che prima era impossibile di apprezzare. Alla Tav. 1 le figure 1 e 2 rappresentano due embrioni della lunghezza di circa 0,040, cioè quando hanno raddoppiato dieci volte il loro diametro. Le altre figure dal 3 al 9 rappresentano gradatamente l’ ulteriore sviluppo della prima età del Rotifero. Basta un’ occhiata appena superficiale per vedere che tanto il collo che la testa (fig. 1a) quanto la furcula caudale d, si possono più o meno inva- ginare nella parte centrale del corpo che rileva come un manicotto €, e. L'apertura buccale è rinforzata da un cerchietto tondo (fig. 3 @) circon- data da cigli vibratili (fig. 6a) che sono i più corti e i più sottili che abbia l’animale. Gli altri cigli, specialmente quelli sulla parte ingrossata del corpo, si fanno assai lunghi e finiscono per diventare rigidi come setole (fig. 7 e 8). L'animale allora ha dei movimenti meno rapidi e spesso è quasi torpido. 6 49 CAPITOLO IV La fig. 9 rappresenta l'individuo più grosso da me trovato. Dalla estre- mità anteriore della testa @ alla base del collo d, il tutto finamente ciliato. misurava 0,050 di lunghezza. La parte più grossa del corpo, dalla base del collo è al principio della coda c era lunga 0,055, e larga 0,028. Mancava delle grandi setole, e le pie- cole erano abbattute sul corpo ed inattive. Le due appendici caudali lunghe 0,020 erano guarnite di aleune setole corte. * Vedremo in seguito a quali conclusioni potrebbero condurre le piecole differenze che fanno delle varianti sopra um tipo comune, e constato soltanto che la lunghezza massima dell'individuo rappresentato dalla fig. 9 essendo di 0,125, per giungere a questo sviluppo, 1 embrione aveva moltiplicato di circa trenta volte il suo diametro. Arrivato a tali dimensioni si può dire che la larva del Rotifero si avvi- cina a cambiare di forma. La torpidezza, poi la caduta delle setole più Innghe sono indizio sicuro che l’animale si avvicina alla prima metamorfosi. Sia che rimanga intricato fra le conferve o adeso ad un filo di esse, dap- prima l’animale resta immobile tutto disteso (fig. 10); poi gradatamente si accorcia, ingrossando un poco (fig. 11). Im questa ultima figura dalla parte :audale c si vede cominciato il distacco dalla pellicola esterna, rivestita ancora di alcune setole corte. Finalmente l’animale si rinchiude in uma vera ciste (fig. 12) che per alcun tempo resta dentro la vecchia spoglia più o meno aggrinzita, punteggiata da tante stigmate che indicano l’attacco delle setole cadute, e conservando um altro carattere che maggiormente serve a distinguerle, cioè il cerchietto del- antica apertura buecale a. La ciste misurava 0,055 per 0,030, la spoglia che la racchiudeva 0,080 per 0,055. Alla Tav. 2 la fig. 1 rappresenta un’ altra vecchia spoglia in cui è visi- bile antico cerchietto buccale 4a. La ciste interna misurava 0,052 per 0,050. L'animale incluso aveva cominciato anteriormente a staccarsi dalla ciste. La fig. 2 dimostra come rimangono spoglie e ciste rotte e aperte longi- tudinalmente per l'uscita dell’animale metamorfosato. Stante la grande delicatezza delle vecchie spoglie, avviene che nel fare le preparazioni esse si rinnuovano e con facilità si allontanano dalle eisti che racchiudevano, per cui il più delle volte queste si raccolgono senza l’invo- lucro antico. Ma ciò non toglie che animale abbia sufficiente riparo per com- pire la sua metamorfosi. Le figure 3, 4, 5 e 6 sono cisti isolate con Vanimale incluso, a diverso grado di trasformazione. IL ROTIFERO 43 Fig. 5. Animale veduto per addome, con parte inferiore del corpo e gli stili della coda ripiegati in alto, lungo 0,052 e largo 0,030. Fig. 4. Animale che si presenta di fianco, lungo 0,052 e largo 0,082 Fig. 5. Animale che si presenta per il dorso, lungo 0,060 e largo 0,050. Fig. 6. Animale che si presenta per l’addome, lungo 0,055 e largo 0,045. La sua parte anteriore allargata indica che Panimale si approssima ad uscire dalla ciste. * Quando si trovano larve di mierozoi incistate per compiere uma trasfor- mazione, esse sviluppano assai per tempo certi caratteri che fanno distinguere a colpo d’occhio, molto prima che abbiano compiuto la metamorfosi, a quale specie di animali appartengono. Nella larva del Rotifero durante la prima trasformazione, sono le mascelle quelle che appariscono a dare uno dei caratteri principali (fig. 3,5 e 6m mm). Le figure 9, 10 e 11 rappresentano altri Individui di varia grandezza e più o meno retratti. In quanto ai rapporti di somiglianza fra la larva embrionale (Tav. 1) e la seconda età del Rotifero (Tav. 2), dalle accennate figure si rileva che avve- nuta la prima metamorfosi, il Rotifero della seconda età conserva sempre qualche somiglianza col primitivo stato di larva embrionale. Ha perduto le setole lungo il corpo, ma gli rimane la corona ciliata intorno alla bocca, e Valtra caratteristica che non lo abbandonerà mai più per tutta la vita, cioè quel rigonfiamento della parte mediana, che antecedentemente ho paragonato ad un manicotto (Tav. 1, fig. 1 cc), e che ora si è convertito in un vero astuccio tubulare (Tav. 2, fig.9 44), molle, distensibile e contrattile anch’ esso, e dentro al quale può invaginare la testa e le appendici caudali. Perduti i cigli sul dorso e sui fianchi, il /'otifero alla seconda età non può correre che agitando quelli intorno alla bocca, per conseguenza ora i suoi movimenti sono meno celeri, e può studiarsi senza troppa difficoltà. E poichè non mancano mai quei segni precursori che annunziano a poco a poco altre parti che andranno a completarsi in seguito, fino da questo mo- mento, il /totifero accenna i primi rudimenti delle future rotelle, vale a dire quei dischi ciliati che hanno servito a dare il nome all’ animale perfetto. Nella Tav. 2 fig. 10 « rudimenti delle rotelle, d le mascelle, c il tubo in- testinale, 4 membrana che fa da sacco all’ apparato digestivo, e parete del- astuccio esterno. L'animale era lungo 0,100 e largo 0,025. La fig. 11 dimostra come si ripiega il tubo digerente quando 1 animale è rientrato nell’ astuccio. Dal principio della testa alla base della coda era lungo 0,090 e largo 0,040. 44 CAPITOLO IV * Tranne le cose accennate sopra, nel frattempo dalla prima alla seconda metamorfosi, i /totiferi non acquistano nulla di più notevole, salvo che um qualche aumento nel volume del corpo ed un completo sviluppo delle ma- seelle. La fig. 12 rappresenta un Rotifero disposto per la seconda metamorfosi. Ritirato dentro Vastuecio, non ha lasciato al di fuori che i due stili candali d. La lettera « indica le mascelle. Il solo corpo dell’animale era lungo 0,080 e largo 0,045. Il corpo dell'altro Rotifero fig. 13 completamente incistato era lungo 0,060 e largo 0,040. In esso le due mascelle sono rimaste al centro, e alla estremità inferiore db non vi è più la coda. I due stili candali, cioè la furcula degli embrioni (Tav. 1, fig. 1) che il Rotifero conserva durante tutto il periodo della seconda età, al principiare della nuova metamorfosi si disartieolano e cadono, per riprodursi più corti. Dalla seconda metamorfosi, il Rotifero esce con dei cambiamenti notevoli e non basterebbe a farlo riconoscere il solo astuccio dentro al quale s' inva- ginano la testa e la coda fattesi ormai assai differenti dalla forma che ave- vano antecedentemente. * Alla Tav. 3 le figure 1,2,3e4 rappresentano un solo individuo. Nel suo continuo agitarsi, si allungava, si piegava e si accorciava in tanti modi, che avevo appena il tempo di disegnare le fuggevoli impressioni, e non mi fu possibile di adoprare il micrometro. Chi avrebbe detto che questo era un Rotifero alla terza età, se non vedendo i due caratteri già annunziati nelle figure antecedenti, cioè i rudimenti delle future rotelle (Tav. 5, fig. 24) e le mascelle d, di una forma tanto speciale e propria dei Zotiferi soltanto ? Senza la scorta sieura di questi organi della triturazione, i quali comin- ciano a manifestarsi fino dalla seconda età, sarebbe impossibile di riconoscere il fotifero, per cui stimo opportuno il doverli descrivere estesamente ora. Le figure 5, 6,7 e $ rappresentano quattro paia di mascelle, aleune vedute più o meno di fianco, e accoppiate come naturalmente si vedono in fondo al lungo tubo che dall'apertura bueceale continua fino allo stomaco del Rotifero. La fig. 9 rappresenta una mascella isolata, lunga 0,025 e larga 0,008. Tutte le mascelle hanno al loro centro due o tre costole rilevate (fig. 9 4), le quali costole cominciando dal contorno arcuato esterno, percorrono tutta la faccia piana anteriore, e giunte allo spigolo dd, discendono per tutto il fianco interno € e. IL ROTIFERO 45 Quando l’animale mette in azione le mascelle, lo che può dirsi esser quasi continuamente, il movimento di questi due corpi duri consiste nel girarsi uno verso l’altro, come se ogni mascella fosse bilicata alle due estremità. - Da questo vicendevole avvicinarsi e allontanarsi delle mascelle, ne resulta un aprirsi e chiudersi dello spazio interposto fra di esse (fig. 7). Allorchè le mascelle si avvicinano, le costole di una entrano nello spazio fra le costole opposte e formano così una specie d’ingranaggio (fig. 6) atto a triturare 0 schiacciare le sostanze prima che passino nel tubo digerente. * Se il Rotifero è completamente allungato, le due mascelle stanno sempre perpendicolari al corpo dell'animale: possono rimanere in tal posizione anche quando il corpo è retratto, ma il più delle volte le mascelle stanno di tra- verso, come si vedono alle figure 2,10 e 11, ed anche in tale posizione, quasi sempre sono in movimento. * Detto per quali organi si può sempre verificare la esistenza di un Rotifero, parlerò delle parti essenzialmente nuove, sviluppatesi nella sua terza età. La sua parte anteriore, testa e collo, si è molto allungata assottigliandosi, formando un tubo con la estremità aperta e ciliata (fig. 4 @). Alla base del collo e dalla parte dell'addome si è sviluppato un corpo cilindrico p con piccoli cigli o setole alla estremità: questo corpo cilindrico fa ufficio di piede. Il Rotifero avendo cresciuto assai il volume del corpo, non potrebbe più trasportarsi da un luogo ad un altro col solo aiuto dei cigli vibratili intorno alla bocca, per conseguenza ora esso procede camminando a modo dei bruchi, piegando il corpo ad arco appoggiandosi sul piede anteriore e sulla coda. La fig. 4 rappresenta appunto il Z'otifero in atto di camminare: esso pro- grediva nel modo seguente: staccava la coda e la fissava presso il piede p, dopo staccava il piede e lo fissava lontano dalla coda. Osservando quanto apparisca diversa la posizione del piede nelle figure 1, 2,3 e4pp,a prima vista parrebbe che vi fosse una vera discordanza, ma quando sì consideri la molta facilità di allungarsi e aceorciarsi in diversa pro- porzione tanto della testa e del collo (fig. 2.4) e del piede p, come il sopra- vanzare dell’articolazione e e sulla biforcazione i, si comprende facilmente la cagione di queste dissimili apparenze. La fig. 12 rappresenta in maggiori proporzioni la parte anteriore del o- tifero, invaginata: a, apertura buccale ciliata; d, 1’ interno dell’ esofago pari- mente tutto guarnito di cigli vibratili; c, le due mascelle che gli fanno seguito immediato. 46 CAPITOLO IV * Passando a descrivere quanto siasi modificata la coda del Rotifero, sì potrà con molta ragionevolezza pensare che essa non meriti più questo semplice nome: comunque voglia chiamarsi, la parte inferiore del Rotifero, composta di articoli che s'invaginano come i tubi di un canocchiale, essa è destinata a compiere una parte importantissima. Alla estremità inferiore (Tav. 3, fig. 14) l’ultimo articolo d finisce con tre diramazioni « sulle quali si articolano tre piccoli cilindri che terminano a cop- petta e possono fissarsi solidamente agli oggetti. Questi prolungamenti a eoppetta, possono essere più o meno ritirati in dentro o sporgere molto in fuori e assai divaricati formando un vero tripode (fig. 13). Qualche volta si presentano più riavvicinati fra loro (fig. 11 @), ma sempre disposti a triangolo. L'articolo sul quale stanno impiantati i tre organi fissatori (fig. 140) ad una certa altezza è guarnito di due sproni e riuniti alla base e con la punta rivolta in fuori. Questi due sproni, stanno fissati dalla parte che corrisponde al dorso del- l’animale, e sono le uniche parti che in tutto il ciclo del Rotifero rimangono perpetuamente a rammentare l’antica fureula dell'embrione (Tav. 1, fig. 10). Dalla parte dell’addome, alla medesima altezza della base degli sproni, corrisponde il foro anale (Tav. 8, fig. 15 d). La fig. 15, quantunque rappresenti la coda di un Rotifero veduto supe- riormente, essendo molto disteso, e per conseguenza assai trasparente dimo- stra @ la parte estrema del tubo digerente, d um orifizio che si allargava e si chiudeva, e una specie d’intestino, d il foro anale. La fig. 16 dimostra l’apertura anale maggiormente ingrandita. Sono quattro linguelle con la parte curva rivolta verso un centro comune 4, il loro movi- mento era quello di avvicinarsi per chiudere apertura. Descritta la parte posteriore del Rotifero alla terza età, e veduto che non è tutta coda, poichè l’intestino si prolunga fino agli sproni; resta a dire che la esilissima estremità caudale con le sue tre coppette sia provvista di molta forza. A meno che l’animale non voglia camminare, esso sta fissato su quel suo mmico sostegno; che ne regge tutto il peso. Si accorcia, si allunga, si piega da tutte le parti, e agitando la sua piecola corona ciliare, spinge la bocca in quell’area che gli è possibile esplorare, andando in cerca di cibo. Quando invece di essere in una attività senza posa, si trova Vanimale che si trattiene con le sue parti invaginate nel tubo centrale, come lo dimo- strano le figure 10 e 11, è segno che il Rotifero si dispone alla sua terza ed ultima metamorfosi. IL ROTIFERO 47 Per compierla esso non separa una ciste nè lascia uma spoglia, quantunque lunga e laboriosa possa essere la modificazione di aleune sue parti. Certamente si può dire che la principale caratteristica che gli procurò il nome di Rotifero, è appunto quella che esso va acquistando nella sua ultima età, cioè lo sviluppo di due dischi anteriori guarniti ai margini di cigli robusti, i quali si agitano in tal maniera da sembrare raggi di due ruote in movi- mento. Il punto preciso dove sì sviluppano questi due dischi a rotella è dalla parte del dorso, ed alla base della prima articolazione (Tav. 3, fig. 4 €). La seconda articolazione 4 le rieuopre fino a che non siano allo stato di formazione perfetta. Allorquando le rotelle hanno raggiunto il completo sviluppo, il Ltotifero secondo il bisogno, o le spinge in fuori e le distende, mettendo in moto i loro cigli, o le ripiega invaginandole dentro alla seconda articolazione come ho detto sopra. * Alla Tav. 4 le fig. 1 e 2 rappresentano un medesimo individuo; il primo quando stava con tutte le articolazioni introflesse dentro al tubo centrale; così retratto era lungo 0,080 e largo 0,045. La fig. 2 rappresenta il medesimo Rotifero disteso: era lungo 0,220 e largo 0,032. Come ho detto altre volte sarebbe impossibile attribuire due forme così diverse ad uno stesso animale, se il passaggio da uno stato all’ altro, non fosse avvenuto sotto i propri occhi. Nella fig. 1 è rimasto al di fuori porzione del tubo con la bocca ciliata «. Nella fig. 2 abbiamo il medesimo Rotifero veduto per il dorso, ed il tubo con la bocca ciliata «, quantunque molto proteso in avanti, viene in parte nascosto dalle rotelle spiegate. La parte posteriore dell’ animale che seende al disotto del grosso astuccio centrale 6, non è completamente distesa, e fa vedere che all’interno delle segmentazioni cee, anche l'intestino che arriva fino agli sproni si accorcia invaginandosi a più riprese. Quantunque il Zotifero (Tav. 4, fig. 2) abbia compiuta la terza ed ultima metamorfosi, esso non è che al principio della sua quarta età, e per conseguenza assai giovine ancora rispetto all’ ultimo sviluppo della sua parte anteriore, poichè in essa devono seguire altre notevoli variazioni. Prima di tutto appena che le rotelle sono in grado di uscir fuori e agi- tare i loro cigli, è soltanto per lazione di esse che il otifero si trasporta facilmente da un luogo ad un altro, ed è piacevole vederlo tutto disteso e : rotelle spiegate, correre per la preparazione. In conseguenza della comparsa di questi due nuovi organi motori, il piede anteriore (Tav. 3, fig. 4p) tanto utile nella terza età del Rotifero, ora non serve 48 CAPITOLO IV più alla locomozione, e come parte ormai inutile, quantunque rimanga sem- pre visibile, si accorcia, si piega in basso e non serve più a nulla. Atrofizzato il piede, anche l’altro organo anteriore che alla Tav. 3, fig. 4 @ e alla Tav. 4, fig. 2a, ho chiamato tubo con bocca ciliata, perchè fino ad ora ha servito per provvedere il nutrimento, ed è stato 1’ umico tramite per il quale sono passati gli alimenti nel /totifero, a poco a poco, ma ben presto, è desti- nato non a rendersi inutile, ma invece utilissimo, cambiando affatto di natura. Questo tubo con apertura ciliata alla estremità diventa una custodia, un astuccio, dal fondo del quale si diparte la vera testa del /otifero, testa che si appalesa soltanto nella ultima età. La testa che può allungarsi fino ad uscir fuori dell’astuecio, termina con due prolungamenti arenati; quello di sotto rieurvo in alto, e quello di sopra assai più piccolo ricurvo verso il primo (Tav. 4, fig. 4@) pigliando 1’ aspetto di un becco aperto di pappagallo, veduto a rovescio. Al disotto di questa specie di rostro che non si apre nè si chiude mai, nè comunica con nessuna apertura, si veggono due ocelli rossi. Nata questa testa senza apertura di sorte, resta a dirsi come si nutrisce il Rotifero. Sono le rotelle che provvedono il nutrimento, è fra le due rotelle che si apre una nuova via per condurlo alle mascelle. Prima di proseguire nella descrizione dell’uso importante di questi due nuovi organi ciliati che insieme alla testa, appariscono in tutta la perfezione della loro forma, in tutta la potenza dei loro movimenti, soltanto quando il Rotifero è all'ultimo periodo della vita, credo utile rammentare ancora una volta che la loro comparsa è preparata da lungo tempo, che fino dalla seconda età (Tav. 2, fig. 10 @) se ne intravede la origine sulla parte anteriore del dorso. E poichè stabilire un confronto è cosa più sbrigativa e spesso più efficace; si può paragonare il Rotifero al baco da seta, che alla prima muta perde tutte le setole, e nelle altre palesa sempre più quella gibbosità grinzosa dove in ultimo avrà il corsaletto e le ali. Alla Tav. 4 le figure 3, 4 e 5 rappresentano uno stesso Rotifero più adulto, veduto in diverse posizioni. Le ragioni che lo rendono di un aspetto tanto diverso, più che dalla differente posizione, derivano dall’ avere allungata la testa e ritirato le rotelle come alle figure 3 e 4, 0 dall'avere spiegate le rotelle e ritirato la testa, come alla fig. 5. È una regola costante che il Rotifero non spiega le rotelle se prima non ha ritirato in dentro la testa. La figura 3 presenta l’animale veduto per il dorso: era lungo 0,225 e largo 0,025. Stante la sua posizione sono invisibili i due occhi rossi. Alle fivure 4 e 5 essendo la testa di profilo, sì vede un occhio soltanto, e alla let- tera p p, il piede anteriore atrofizzato e inservibile, IL ROTIFERO 49 In tutte le figure ora citate, i due sproni caudali s ss, che ora hanno aequi- stato maggior robustezza, stanno grandemente divaricati per servire di punto d’appoggio in aiuto alle tre coppette che fanno forza di adesione. * L'uso che fa il Rotifero della sua testa a rostro con due ocelli rossi, è curioso quanto interessante a vedersi. Come ho già detto, se la testa insieme al suo astuccio vengono prolun- gati molto in fuori (fig. 4 @), le rotelle immancabilmente si ripiegano in dentro facendo sul dorso i raggrinzamenti r. Alora il corpo del Rotifero, eretto sopra il suo tripode, si volge in tutte le direzioni, e sembra spiare dove scorgere una preda da ghermire: vistala, ritira subito la testa in dentro, spiega in fuori le rotelle (fig. 5) e col moto vorticoso impresso all’acqua Vattira a sè, la ingoia, la schiaccia e la manda nell’ intestino. L'apertura esistente fra le due rotelle mette in un esofago tutto ciliato fino alle mandibule (Tav. 4, fig. 3 mm). Margini delle rotelle ripiegate e vedute per trasparenza; e, esofago coi cigli in movimento, come erano in movimento gli organi trituratori è. Nel Rotifero (fig. 3, 4 e 5) si vedeva fissato sulla parete intestinale, un corpo ovoide 00, lungo 0,035 e largo 0,020. Quantunque animale facesse dei movi- menti continui, non cessò mai di rimanere aderente sempre nel medesimo posto. Parlerò in seguito della natura di questo corpo ovoide. Le figure 6 e 7 sono porzioni anteriori di altri due /totiferi veduti per il dorso. Simili in tutte le altre parti ai Rotiferi 2 e 5, differivano per la forma degli organi rotatori, quantunque il loro effetto fosse lo stesso. Alla fig. 6 invece di esservi due rotelle ciliate ben distinte e sollevate in alto, i cigli stanno impiantati sopra i margini di due anelli traversi, «a: l’esofago db scende fino alle mascelle c. Alla fig. 7 gli organi ciliati @@, quantunque veduti quasi per coltello, si seorge che si avvicinano molto alla forma di rotelle: Vesofago ciliato d è varia- mente allargato e ristretto. Attratte dal vortice procurato dai grossi cigli esterni, le materie alimen- tari entrano nell’ esofago. * \ Tutte le figure della Tav. 5 rappresentano le parti anteriori del otifero, sia per dimostrarle a diverso stato di estensione o contrazione, sia per accen- nare aleune varianti nei dettagli delle medesime. Fig. 1. Porzione ciliata anteriore con cigli in azione, veduta dalla parte dell'addome: «a, testa ritratta dentro al proprio astuccio d il quale ha i mar- gini della apertura nudi o sprovvisti dei piccoli cigli. 7 50) CAPITOLO IV Pig. 2. Altro /totifero con testa e rotelle ritirate dentro alla tunica cen- trale del proprio corpo. Vi si vede per trasparenza la testa a, le rotelle db molto retratte, e al di sotto le mascelle ce. Fig. 3. Profilo della parte anteriore del /totifero: p, grinze dove stanno ripiegate le rotelle; 9, piede atrofizzato; Vl astuecio contenente la testa, ha una articolazione d a metà circa della sua lunghezza, ed è guarnito di cigli alla apertura @. Fig. 4. Una testa veduta per di sopra e retratta dentro l’astuecio arti- colato a metà. L'apertura anteriore « è tagliata obliquamente e non è ciliata che nella porzione più alta. Le figure 5,6e 7 sono teste vedute di profilo: il loro astuecio non era articolato; aveva l'apertura «aa tagliata orizzontalmente e tutta guarnita di cigli. Le figure 8, 9 e 10 sono altre teste di /otifero contenute dentro ad un astuccio articolato. L'articolazione più bassa era ciliata ai suoi margini 44 @; l'articolazione più alta, oltre ad essere tagliata obliquamente, terminava con uma linguella o paletta ciliata dd bd. Fig. 11. Parte anteriore dell’astuccio a linguella ciliata, vista per di sopra. Fig. 12. Porzione anteriore di /totifero con'rotelle retratte a a, i cui cigli quantunque ripiegati sul disco, avevano un movimento oscillatorio, come oseil- lavano i cigli della linguella d, e quelli dell’ esofago e. Fig. 13. Rotifero veduto per il dorso, e molto superficialmente, con appa- rato ciliato anteriore corrispondente alla fig. 1. La lunghezza totale del Roti- fero era 0,240. Dopo avere descritto le parti esterne del Rotifero adulto, resta a dire in qual modo esso si propaga e come finisce. Come negli altri animali descritti finora, anche nel otifero, la morte presiede alla vita della nuova genera- zione. Il primo indizio che dà 1 animale della sua prossima fine, si è quella tendenza di ritirare tutte le sue parti anteriori e posteriori dentro al grande astuecio centrale, come alla Tav. 6, fig. 1, e di trattenersi, se non disturbato, in quella posizione. La grandezza del Rotifero così rinchiuso era 0,120 di lunghezza e 0,085 di massima larghezza. Mi fu assai giovevole trovare dei Rotiferi che arrivati all'ultimo periodo della vita, tutti non ebbero modo di rinchiudersi come generalmente fanno, ritirandosi dentro Vastuecio, che serve ugualmente da urna sepolerale per il Rotifero che muore, e nel medesimo tempo da culla, per conservare lunga- mente l'organo riproduttore della generazione futura. Quest’ organo riproduttore è una ciste embriogenica. La fig. 2 (Tav. 6) rappresenta um Rotifero morto lungo 0,165 e largo 0,050. Lo dicono um Rotifero li sproni caudali a, e inappellabilmente le mascelle d, IL ROTIFERO DI unici corpi solidi ehe anche in mezzo alla dissoluzione di tutto Panimale restano sempre a testimoniare la identità del medesimo. Poco più giù che alla metà del tubo digerente, nasce sulla parete esterna di esso, un peduncolo piuttosto grosso, e questo peduncolo sostiene una ciste embriogenica, lunga 0,055 e larga 0,020. La fig. 8 è la medesima ciste ingrandita; essa è piena di vescicole a con- torni ineguali. Il peduncolo « che la sostiene, è molto ingrossato alla base che s'immedesima con le pareti del tubo digerente, e direi quasi che ne fa parte integrante, poichè tanto l'intestino che il sostegno della ciste, sono costi- tuti dalle medesime cellule. La fig. 4 rappresenta un altro otifero morto con uma ciste embrioge- nica @ prodotta nel medesimo modo; detta ciste lunga 0,040 e larga 0,032, presenta internamente le vescicole eguali a quelle della fig. 3. L'animale era lungo 0,170 e largo 0,050. Come si feconda il Rotifero, e in quale età, io non posso dirlo. Ho già detto che animale vicino alla sua fine, si contrae come: alla fig. 1. Qualche volta o per volontà propria, o punzeechiando la preparazione, si ottiene di vederlo tornare ad allungarsi, ad aprire le sue rotelle e correre; ma quando avviene di vederlo restar chiuso in sè stesso, sì può bene argomentare, essere vicino alla sua fine. Il segno più manifesto di questa fine si rileva dal modo col quale s'in- crespa e si chiude il margine superiore dell’astuecio o tubo centrale. Finchè le pieghe o increspature sono piuttosto crasse, e tutte curvate ad arco, dirette a un centro comune (fig. 1a), allora si può dire che il Rotifero si è rinchiuso ma non è morto, e spingendo lo sguardo fino alle mascelle, si veg- gono conservare il loro singolare movimento. Ma quando le pieghe che determinano la chiusura, sono rivolte in alto, secche minute e strette fra loro (fig. 5 e 6 @ a), allora il Iotifero è morto. * Il 13 marzo avevo raccolto un otifero che ogni poco si chiudeva in sè stesso come la fig. 1. Punzecchiando con la punta di un ago la preparazione, animale tornava ad allungare tutte le sue parti, apriva le rotelle, ma ben presto tornava a richiudersi. Il giorno dopo aveva preso la forma come lo rappresenta la fig. 5: la spoglia era lunga 0,150 e larga 0,085: l'animale internamente distaccatosi dalla spoglia, era lungo 0,085 e largo 0,075. Verso la parte superiore aveva uma ciste embriogenica e, lunga 0,020 e larga 0,015. Questa ciste sì mantenne costantemente intatta, e il processo dissolutivo della massa interna dell’ animale, si compiva lentissimamente. 52 CAPITOLO IV La fig. 6 rappresenta lo stesso otifero (fig. 5) disegnato un poco più grande il 6 aprile. Dopo 23 giorni, quello che si presentava di più notevole era lo spostamento della ciste c calata più in basso, e um qualche disgrega- mento nelle membrane delle articolazioni inferiori .. L’abbassamento della ciste, avveniva per la minor densità della sostanza organica dell’ animale, diluita lentamente dall’ acqua che penetrava per la rot- tura delle membrane dei tubi inferiori. Potendo osservare la ciste attraverso strati meno densi, ne feci un disegno a parte (fig. 7), in proporzioni più am- pliate per render palesi i contorni ondulati delle vescicole interne. Le dimen- sioni di tutta la ciste erano invariate, 0,020 per 0,015. Alla Tav. 7 le figure 1 e 2 rappresentano sempre la medesima spoglia e la medesima ciste. Nella fig. 1 (disegnata il 2 maggio) si vede che 1 acqua aveva determinato un rammollimento ed una disgregazione anche nelle pieghe minute che chiudevano lorifizio anteriore «. Il 5 maggio, la spoglia del Rotifero (fig. 2) era quasi tutta vuota, con le pareti grinzose, e mancante di qualsiasi traccia delle articolazioni inferiori. Del distrutto Rotifero non restava altra testimonianza palese che le due mandibule « e la ciste embriogenica d che al contatto dell’acqua si era rotta. Dal rinchiudersi del Rotifero, alla rottura della sua ciste embriogenica erano corsì 52 giorni. totta la ciste, le vescicole contenute in essa, al contatto dell’acqua sì erano rigonfiate perdendo il contorno ondulato e facendosi sferiche e, poi rom- pendosi alla lor volta, davano uscita agli embrioni d. La fig. 3 rappresenta la medesima ciste disegnata a parte, in proporzioni maggiori; le vescicole non ancora rotte misuravano da 0,003 a 0,006. La grandezza degli embrioni appena usciti fuori dalle vescicole, si può salcolare approssimativamente 0,002. La fig. 4 rappresenta un gruppo di embrioni, quali si veggono dopo al- cuni giorni dalla nascita: essendo cresciuti più del doppio, si può apprezzare soltanto la loro forma allungata, e quei movimenti rapidi e caratteristici, come ho descritti al principio. Ma gli organi per i quali si muovono, cioè i cigli lungo il corpo, non sono visibili che allorquando gli embrioni hanno raggiunto proporzioni maggiori. * Il Rotifero tanto ammirato per il suo tornare in vita, se dopo il dissee- ‘amento viene a contatto dell’acqua, offre al Biologo ben altre prerogative assai più speciali della prima, poichè tutti i mierozoi (date certe condizioni), dopo il disseccamento tornano a vivere, ritornando nell’ acqua. Il Rotifero ha più e diverse maniere di dar vita alla nuova prole, non commi a tutti i microzoi, e a questo riguardo si può dire veramente che esso è l’animale delle sorprese. IL ROTIFERO 553 Si moltiplica producendo una ciste contenente centinaia di germi, i quali compiono tre metamorfosi per arrivare all’ ultimo sviluppo. Si moltiplica pro- ducendo una o due cisti ovariche, dentro le quali si sviluppa direttamente un Rotifero, e sì moltiplica producendo Rotiferi e cisti embriogeniche insieme. Non saprei dire quale di queste tre maniere sia la prevalente, perchè di tutte ne ho trovata abbondanza. Alla Tav. 7 la spoglia del Rotifero. (fig. 5), lunga 0,150 e larga 0,085, con- teneva un altro Rotifero vivo c: esso si allungava in tutti i versi, per quanto glie lo permetteva la vecchia spoglia, dentro la quale era nato e cresciuto. Questo, che io chiamerò figlinolo, posto di traverso e mezzo retratto, era lungo 0,100 e largo 0,080. Le sue mandibule erano bene sviluppate, e si apri- vano e chiudevano come fanno sempre. Insieme a questo primo figlimolo ve ne era un altro 4, vero fratello mi- nore, ancora imperfetto e chiuso dentro a un guscio lungo 0,040 e largo 0,020. Quest’ uovo era affatto isolato e andava ruzzolando in tutte le direzioni spinto dai movimenti dell’altro /totifero e. La fig. 6 è la spoglia di um altro /totifero disegnata in grandi propor- zioni, ma la sua grandezza reale, senza calcolare le appendici eaudali e, era inferiore alla spoglia (fig. 5), poichè misurava 0,115 di lunghezza e 0,080 di larghezza. Il Rotifero figlio d, che dopo tanti inutili sforzi allungandosi in tutti i sensi, si richiuse in sè stesso, era lungo 0,050 e largo 0,033. Le sue mandi- bule conservavano, al solito, un continuo movimento. Più in basso vi era uma piccola ciste embriogenica a, e attaccato sopra a quella, un corpo ovoide db un poco appuntato alla sua estremità libera. Questo corpo lungo 0,030 e largo 0,023 era un giovane uovo, poichè nella sua sostanza interna si vedevano sferuline minutissime ed altre di maggiore e varia grandezza, traslucide e colorate di una pallida tinta rosea. Non saprei dire quanto io fossi curioso di vedere l’ uscita dei Rotiferi, sviluppatisi per uovo dentro la vecchia spoglia materna. Constatai che essi spingevano l’ estremità anteriore ora di sotto, ora di sopra, ora di fianco, agi- tando i cigli della bocca contro le pareti che li rinserravano, senza che i loro sforzi riuscissero a liberarli, e mi convinsi che nel Rotifero madre, una uscita naturale per i suoi figli nati in quel modo, non esisteva, e pensai, visto il vuoto fattosi nel ventre materno, che i figli imprigionati si nutriscono del ‘adavere della propria madre, non potendo uscire in libertà che allorquando i tegumenti esterni della medesima siano fatti meno resistenti. * Nei primi di settembre ebbi la fortuna di trovare molti /totiferi tutti con figliolanza più o meno sviluppata. Questi /otiferi vivevano fra certe conferve D4 CAPITOLO IV corte e racemose, cresciute a fior d’acqua attorno al pilastro centrale di una - vasca ricca di molte piante acquatiche. Il sole saettava forte su quelle conferve e mi convinsi che il suo benefico raggio avesse gran parte, per rendere gradito quel caldo soggiorno a tanti animalini microscopici. Trovata 1 abbondanza, mi fu facile il rimanente. Alla Tav. 8, nel Zotifero rappresentato dalla fig. 1, vidi lo sviluppo degli organi generatori molto differente da quello dimostrato dalle figure 2, 3 e 4 della Tav. 6. In questo, invece di un peduneolo unico grosso e eorto, portante in cima una ciste piena di vescicole con embrioni, si veggono invece due corni ovi- geni a a i quali nascono dove l'intestino segna un ristringimento d e sosten- gono in cima due uova e e. Dette uova bianche e trasparentissime avevano fra le minute granula- zioni interne, delle sferule traslucide, di un roseo pallido, e all’ esterno erano rivestite da una pellicola elastica e delicata, la quale si mostrava un poco cedevole alle diverse compressioni cagionatele dai movimenti del Ltotifero. Le due nova, presso a poco di eguale grandezza, erano lunghe 0,040 e larghe 0,020. La fig. 2 rappresenta un altro £otifero lungo in quello stato di contra- zione 0,175 e largo 0,100. In esso i due corni ovigeni dimostrano che al di- sopra del loro punto d’attacco a, sono una suecessione di rigonfiamenti, dentro ogni uno dei quali vi è una sferula rosea traslucida. Le due grosse nova d d non avevano adesione alcuna, e secondo | allungarsi e 1 accorciarsi dell’ ani- male si rigiravano spostandosi in alto e in basso. Nell’ interno di queste uova sì vedeva un principio di organizzazione; il più grosso era lungo 0,055 e largo 0,085, il più piccolo lungo 0,045 e largo 0,025. Profittando del momento in cui l animale essendosi allungato, aveva por- tato in alto le due uova, disegnai la parte inferiore del medesimo (fig. 3). I due corni ovigeni « « che nella fig. 2 erano tortuosi e in parte nascosti per la soprapposizione delle uova, ora si veggono diritti e terminati a punta. In ogni corno vi sono cinque uova rudimentali. Un ligamento unisce i due comi alla base. Le dieci uova rudimentali, cinque per corno, avranno esse, coppia per coppia, il loro completo acerescimento fino ad eguagliare le altre due, che distaccatesi scorron libere nell’ interno dell’ animale, o rimarranno abortive ? E dopo quella specie d’ incubazione che le uova del Rotifero ricevono nel ventre della madre, se tutti si dischiudono nel suo interno, è naturale che i primi figlimoli nati debbano venir fuori per lasciar libero il posto ai nascituri. Ad aumentare il desiderio di conoscere come e per qual via potessero uscire, si aggiungeva il fatto che io trovavo dei otiferi tuttora vivi e ben portanti con figli viventi e bene sviluppati nel loro ventre. IL ROTIFERO 5I - Che i figlinoli nati fra le' pareti dell'addome e le pareti dell’ intestino possano essere nutriti per un certo tempo dalla madre vivente, mediante ma- teriali nutritizi che dal tubo digerente si riversino nello spazio in cui stanno rinchiusi i figlinoli, è una ipotesi che non ha nulla d’ inverosimile, ma la que- stione più importante era sempre quella di sapere come i figli viventi potes- sero uscire dal ventre della madre sempre vivente. A questo scopo messi in preparazione il Rotifero (Tav. 8, fig. 5). Esso si contraeva e si allungava dispiegando le due rotelle, malgrado che nel suo interno vi fossero due grossi figliuoli @ d essi pure pieni di vita e di movimento. Questo medesimo /totifero è ripetuto alla Tav. 9, fig. 1. Ripiegate le ro- telle e allungato il tubo anteriore e la coda, misurava 0,225 di lunghezza e 0,085 di larghezza. Il figlio @ era lungo 0,115 e largo 0,050; il figlio b lungo 0,100 e largo 0,045. Due giorni dopo che io tenevo questo /totifero in osservazione, lo trovai molto accorciato (fig. 2): la sua lunghezza era 0,115 e la larghezza 0,085. Nel suo interno eravi rimasto un figlio soltanto, il più piccolo, posto di traverso, esso pure rientrato in sè stesso, lungo 0,085 e largo 0,055. Nella parte superiore del grosso tubo centrale della madre, eravi una apertura traversa « lunga 0,040 e larga 0,020, di forma ellittica, con orliecio rugoso ai margini d, e degli aggrinzamenti e che dall’orliccio andavano a per- dersi sulle pareti del tubo; in fine vi erano tutti i caratteri che può presen- tare una membrana, elastica, che perforata si contrae ai margini. Non vi è dubbio che wmo dei figli era passato perforando le pareti materne. Sarà sempre per una apertura operata con violenza che i Rotiferìi figli potranno abbandonare la madre vivente ? Malgrado tale apertura, l’animale così ferito era sempre vivo, e si allun- gava e accorciava spesso, ma in proporzioni limitate. Nel eampo della preparazione trovai il /totifero figlio uscito tutto allun- gato e morto (fig. 3). La sua lunghezza totale, senza le codette, era 0,135, la sua larghezza massima 0,040. Considerandolo in tutte le sue parti, si rileva che il Rotifero nato per uovo dischiuso nel ventre della madre, non viene in libertà avvantaggiato di tutte le sue metamorfosi; esce senza avere sviluppato le coppette caudali, e le rotelle ciliate. Esce per prepararsi alla seconda metamorfosi, come lo di- mostra alla Tav. 2, la fig. 10. È forse in questa media età che essi si fecondano. La fig. 4 della Tav. 8 rappresenta un Rotifero il quale a rotelle spiegate somigliava la fig. 5, lo misurai in un breve momento di contrazione; era lungo 0,150 e largo 0,070. Le due uova distaccate secondo i movimenti del- l’animale si portavano avanti e indietro e si soprammettevano a vicenda; il più grosso 4 era lungo 0,045 e largo 0,035; ; nel suo interno, oltre un ammasso di sferuline minori, aveva cinque sferule di maggior grandezza; la più larga misurava 0,017. 56 CAPITOLO IV L'uovo sottoposto db era lungo 0,035 e largo 0,050. Alla Tav. 9 la fig. 4 rappresenta la spoglia di un otifero lunga 0,130 e larga 0,085. Nel suo interno vi è un Rotifero vivo e retratto « lungo 0,090 e largo 0,050, ed una ciste embriogenica d lunga 0,055 e larga 0,050. La fig. 5 rappresenta un’altra spoglia di /totifero contenente parimente uma ciste ovarica d ed un Rotifero figlio « pulsante coi cigli anteriori contro le pareti della spoglia. Se avessi voluto presentare al lettore tutti i otiferi che esaminai e di- segnai nel settembre, non sarebbe bastato il doppio delle tavole; tuttavia ne citerò due che varranno sempre più a confermare quel poco che mi resta a dire. Il 53 del detto mese messi in osservazione un £otifero che ne aveva due nel ventre; malgrado ripetuti sforzi essi non poterono uscire in libertà. Dopo nove giorni il Ztotifero madre era retratto e morto e i due figli restarono di- stesi, s'intende in parte soprammessi uno sull’ altro senza potersi muovere. La spoglia era lunga 0,235 e larga 0,115. I due Rotiferi interni avevano presso a poco uguale grandezza cioè lunghi 0,125 e larghi 0,070. Evidente- mente dovevano aspettare che la spoglia della madre offrisse loro minore re- sistenza. Il 27 settembre trovai un Rotifero assai bene sviluppato, il quale oltre : contenere una ciste con vescicole piene di embrioni, aveva anche due Rotiferi viventi, ed è stato in uno di questi figli che ho veduto per la prima volta delle mascelle che oltre ad avere le tre costole 0 prominenze centrali, ave- rano anche tutto il rimanente minutamente striato (Tav. 3, fig. 5). Xx Dopo avere veduto in quanti modi il Rotifero propaga la sua prole, si conclude che lui vivente non depone naturalmente la ciste embriogenica, non depone le grosse uova, poichè gli si schiudono dentro, non depone i figli che nascono da quelle, La ciste non può uscire dal Rotifero che molto tempo dopo la di mi morte, e i figli, viva o morta che sia la madre, ne escon fuori perforandole il ventre. Sonvi diverse specie di Rotiferi, v'è forse sopra una sola specie che gra- datamente abbiamo, prima il solo sistema embriogenico, poi quello misto di embrioni e d’uova, per diventare infine animali esclusivamente vivipari? Sono convinto di non avere osservato tutto quello che si riferisce alla genesi di questi animali. È forse dai Rotiferi nati per viviparismo, che via via si potranno avere modificazioni di organismi più perfetti, da fare un graduale passaggio a specie affini, ma di un ordine superiore ? Certo anche dai Rotiferi può derivare nn raggio che porti nce alla splen- dida teoria della evoluzione degli esseri, I IL ROTIFERO 5 STORIA RETROSPETTIVA 5 LEUWENHOCK, che nel 1676 fu il primo a scuoprire gl’ infusori, poco dopo fu anche il primo a scuoprire il Rotifero, e la sua proprietà di tornare in vita dopo 1’ essiccazione. Ne descrisse gli organi ciliati anteriori. dicendoli fatti come una vera ruota. Credette che quel piccolo corpo interno che sì apre e sì chiude continua- mente (le mandibule) fosse il cuore, e affermò che il Rotifero era viviparo. Più che la forma bizzarra esteriore e la organizzazione interna, aveva maravigliato la sua facoltà di tornare in vita; e sia per la discreta grandezza dell’animale, come per la grandissima facilità di trovarlo dovunque, il Rotifero divenne soggetto di studio per tutti i naturalisti del tempo di Leuwenhock, come di quelli che vennero appresso. BAKER, un mezzo secolo dopo la scoperta del Rotifero, confermò tutto quello che aveva detto Leuwenhock, specificando anche più chiaramente che avendolo studiato con un microscopio di CuFF, vale a dire con uno strumento più perfetto degli antichi, aveva ben veduto che le ruote del Rotifero sono fatte come quelle fabbricate dagli artefici. Aggiunge di aver veduto anche una cosa nuova, cioè un novo nel corpo del /otifero, ma non averlo mai veduto nascere da simile uovo. L’abate RoFFREDI, nel giornale pubblicato da GrovANNI Roster, dice: « Leuwenhock si è ingannato, quando egli ha creduto che il Rotifero fosse viviparo, e quando egli prende per degli escrementi informi nelle sue inte- stina, ciò che è realmente un uovo, che io gli ho veduto deporre, e che ho osservato un numero prodigioso di volte fino a che io lho veduto dischiu- dersi. » SPALLANZANI, verso il 1774, vale a dire contemporaneamente ai due ul- timi autori citati, conferma quanto prima di tutti aveva scoperto NEEDHAM, cioè che non è soltanto il Zotifero che dopo l’ essiccazione ritorna in vita, e poi parlandone più diffusamente, d'accordo con l opinione di TREMBLEY e Bonner erede che sull’organo anteriore del Rotifero vi siano delle piccole punte che nei loro movimenti rassomigliano a due ruote, ma non fatte come quelle degli artefici. Egli dice di averle studiate non solo col microscopio di CUFF, ma ancora con altri migliori, e non sapendo contradire ai due grandi osservatori, crede che il /totifero studiato da LEUWENHOCK e da BAKER sia un’altra specie da quella studiata da Ii. Confessa di aver veduto, come BAKER, un uovo nel corpo del Rotifero senza averlo mai veduto nascere, e aggiunge che ammesso per vero quanto afferma ROFFREDI,. ciò vorrebbe dire che il Rotifero non passa per nessuna metamorfosi. 8 CAPITOLO IV Finalmente SPALLANZANI chiude, come sempre, le sue osservazioni ac- compagnate da una esattezza sorprendente, e conclude: « Ho parlato di un piccolo cerchio 0 particola tonda, situata verso la sommità del Rotifero, che parrebbe resultare da due l che si toccano per la loro testa; questa particola è in continuo movimento di contrazioni e dilatazioni alternative, quando il Rotifero ta il suo vortice, e questo movimento dura mentre che 1° animale tiene le sue fibrille fuori e che producono il vortice. « Questa particola è stata veduta da LEUWENHOEK e da BAKER ed hanno creduto che fosse il cuore dell’ animale, io devo dirla come la vedo (esclama SPALLANZANI), è più naturale pensare che questo organo serva per gli ali menti, di maniera che esso si contrae e si dilata per ricevere il nutrimento e farlo passare nello stomaco. » * Nel 1858 EHRENBERG descrive il genere Philodinaca, animali rotatori senza guaina e provvisti di due organi rotatori semplici, in forma di due ruote. Da questi passa al genere Callidina chiamandoli animali della famiglia delle fillodinee, senza occhi e provvisti di una tromba e di cormetti al piede. Assegna alla Callidina elegante un corpo affusato, cristallino e avente due piccole ruote. Dopo passa al genere Rotifero, animale della famiglia delle filodinee, avente due occhi sotto la tromba della fronte, e il piede guarnito di uncinetti, e provvisto di due diti in forma di forca. L'autore ne fa 4 specie, cioè: Rotifer vulgaris, corpo affusato e poco a poco ristretto verso il piede, occhi tondi. — otifer citrinum, pel colore gial- lino. — Rotifer macrurus, per il suo corpo allargato. — Rotifer tardus, per i suoi movimenti lenti. Invece dalla Filodina all ultimo Potifero non vi è altra differenza che il lento progredire di un solo animale nella ultima età. * DUJARDIN, nel 1841, descrivendo i earatteri del otifero lo pone fra i Sistolidi dicendoli simmetrici, costantemente rivestiti di un tegumento resi- stente e flessibile, almeno in parte. Essi sono suscettibili di ritivarsi contraen- dosi sotto la parte media di questo tegumento, che offre qualche volta Vap- parenza di uma corazza solida, ed è da questa facoltà di contrazione che vien loro dato il nome di Sistolidi. Pssi hanno un canale digestivo, ordinariamente diritto, con due orifizi opposti, e sono il più delle volte provvisti di mandibule infisse in un bulbo faringeo muscolare. v er IL ROTIFERO 59 La bocca è ordinariamente circondata da un apparecchio carnoso rivestito di cigli vibratili, i quali in certi casi per la rapidità dei loro movimenti, pre- sentano precisamente l apparenza di ruote dentate giranti con rapidità. Per questi caratteri, si sono chiamati Lotiferi alcuni di essi, e rotatori la classe intera, quantunque un gran numero di generi non abbiano per niente quella apparenza di ruote. Infine essi sono tutti ermafroditi, e si producono unicamente per mezzo di uova poco numerose, e di un volume relativamente considerevolissimo. Queste uova si schiudono qualche volta avanti di essere deposte, e allora i Sistolidi sembrano di essere vivipari. Presso alcuni Sistolidi come i Rotiferi, le uova si schiudono prima di es- sere deposte, tuttavia questi animali, come tutti gli altri Sistolidi, non sono punto realmente vivipari, perchè nel medesimo tempo che gli embrioni sono già dischiusi e mobili, si vedono nel loro ovario delle uova a diverso grado di ‘sviluppo, interamente simili a quelle delle specie vicine. Fin qui, le idee di DuyAarpIn. La mancanza di tavole dispensa da un minuto esame di tante cose dette un poco alla rinfusa. Il fatto sta che da questo sguardo retrospettivo sulla storia del £otifero, dalla sua scoperta fino a noi, si capisce subito che esso è stato considerato soltanto nel suo ultimo stadio, credendo che quella fosse stata sempre la sua forma unica e costante. Ammettendo che il otifero si riproduce per mezzo di uovo, e per di più, di um volume spesso considerevole, ne resulta che questo uovo, 0 ehe si schiuda dentro il ventre dell’animale, come ammettono alcuni, o dopo es- sere stato espulso, come vogliono altri, da tutti è stata accettata l’idea che il Rotifero esce dall’ uovo, completo e subito, simile all’ animale che lo ha generato. Da questa teoria, che esclude ogni idea di metamorfosi, ne è derivata la conseguenza che tutte le altre forme intermedie del fotifero nato per embrione, siano state considerate dai diversi naturalisti, come forme appartenenti ad ani- mali differentissimi ed affatto indipendenti fra loro, basando qualche volta i nomi sopra piccolissime e passeggiere varianti. Le larve del Rotifero nella prima età (vedi la mia Tav. 1), sono state quelle più soggette al capriccio di un nome. Piccolissime ancora tanto da non poterne vedere i peli, EHRENBERG le pone nella famiglia degli Zerthydium, deserivendoli animali senza occhi e senza peli, aventi il falso piede dalla parte posteriore fesso a forca, e ne dà uma figura simile alla mia fig. 1 della Tav. 1, meno i peli. Dagli antichi fu chiamata Cercaria podura, raffigurandola nello stesso modo di EHRENBERG e descrivendola coi seguenti caratteri « ristretta in addietro e a coda fessa. » Arrivata la larva alla sua grandezza media, quando i peli lungo il corpo 60 CAPITOLO IV sono più facilmente visibili, come nelle mie figure 3, 4 e 5, Tav. 1, l animale ha ricevuto i seguenti nomi : Trichoda anas da MUELLER . ; ( ; ! Trichoda larus da SCHRANK ....... Brackionus pilosus da Boryr .......... Dicerotella larus da EHRENBERG ..... COhaetonotus larus Allorchè 1 animale ha raggiunto la sua massima grandezza, come le fig. 6, 7,8 e 9 della mia Tav. 1, lo stesso EHRENBERG lo chiama: Chaetonotus maximus Chaetonotus squammatus. È notevolissima la osservazione fatta da questo ultimo autore, attribuendo al Chaetonotus larus, come al Chaetonotus maximus, un novo lungo quanto un terzo del loro corpo. Certamente, senza presupporlo, EHRENBERG aveva sor- preso l’animale disposto alla sua prima metamorfosi, chiuso nella propria ciste, rimasta tuttora dentro la vecchia e primitiva spoglia. In quanto all’ uovo del Chaetonotus, DUJARDIN se ne rimette alle osser- vazioni di EHRENBERG, e si limita soltanto a specificar meglio i caratteri del Chaetonotus squammatus dicendolo « rivestito di peli corti, allargati a modo di scaglie appuntate, e regolarmente imbricate. » Ora io penso che a tutti i diversi nomi citati sopra, sarà meglio sosti- tuirne uno solo, chiamandole prime larve del £otifero a diverso grado di sviluppo. Le forme successive dopo la prima metamorfosi si confondono fra i Si stolidi ciliati di DUJARDIN, e quelle dopo la seconda, fra i Sistolidi di DUJARDIN e le Callidine di EHRENBERG; ma d'ora innanzi, in omaggio al vero, potreb- bero esser meglio specificati, chiamandoli Rotiferi alla seconda età, poi alla terza, e finalmente Rotiferi all’ ultima età quelli arrivati al loro completo e finale sviluppo. CaprroLo V LA VORTICELLA SUA ORGANIZZAZIONE E SUO CICLO Gli antichi dettero il nome di Vorticelle a tutti quei microzoi, aventi la parte anteriore del loro corpo guarnita di cigli vibratili, il emi movimento produce appunto un vortice d’acqua intorno ad essi. Oggi il nome speciale di Vorticelle è conservato soltanto a quegli ani- malini a corpo contrattile, che stanno fissati alle piante sostenute da un pe- duncolo lungo e sottile, diritto o leggermente flessuoso, e capace di contrarsi attorcigliandosi a spirale (Tav. 1, fig. 4). Ma non sempre le VorticeZle hanno un peduneolo lungo e vivono separate una dall’altra; se ne trovano di quelle a peduncolo assai corto e che stanno in più o meno numero riunite a mazzetto, sopra uno stelo comune (figure 7 e 10). Anche gli antichi tennero conto di questa particolare riunione, speci- ficandole e dandone interpretazioni diverse. Dai moderni, senza risolver troppo la questione, vengono chiamate Car- chesium. Non volendo che la mia opinione preceda le dimostrazioni, mi limiterò a dire che tanto le une che le altre hanno formato il soggetto delle mie ricerche. Le Vorticelle sono abbondantissime nelle acque dolci e le figure della Tav. 1 danno un’idea abbastanza completa del come si possono trovare naturalmente in gruppi più o meno numerose o isolate. Le figure 1 e 2 rappresentano riunioni di VorticeZle ingrandite circa un terzo più del vero. Quando s’ incontrano in sì gran numero, avendo la pre- cauzione di mettere i frammenti delle piante sulle quali aderiscono, dentro un tubo di vetro con dell’acqua, ponendolo contro luce, fa gradevole impres- sione vedere ad occhio nudo, tanti globettini bianchi lattiginosi posti alla estremità di filamenti sottilissimi, î quali si contraggono e si allungano inces- santemente. 62 CAPITOLO V Allorchè può osservarsi tutto questo, senza | aiuto di una lente, siamo sieuri di aver sott’ occhio le più grosse Vorticelle che si possino incontrare; ma anche l'osservatore il più miope non saprebbe distinguere in esse verun det- taglio, senza l’uso del microscopio, come nessuno avrebbe idea della esistenza di un infinito numero di tante altre Vorticelle immensamente piccole senza l’aiuto di fortissimi ingrandimenti. Tralasciando per ora di render conto di aleune varianti circa la forma esterna e di altri piccoli dettagli tutti superficiali, dirò che la organizzazione generale interna è uguale in tutte le Worticelle. La fig. 1 della Tav. 2 ne rappresenta una veduta di profilo, rispetto alla posizione della sua apertura buccale «. Quando la bocca, come in questo caso sta tutta aperta, i pochi cigli vi- bratili che guarniscono le labbra sono in continuo movimento ed il corpo dell’ animale d, non che il suo peduncolo c, di cui se ne vede una piccola porzione soltanto, restano tutti distesi. Per quello che presentano le figure si vede che il corpo della Vorticella quando è tutto esteso, è fatto simile alla coppa di un calice, con gli orli in- grossati, sporgenti in fuori, e chiusi da una membrana che lascia uma piccola apertura da un lato soltanto. Quando l’animale si contrae, ritira in dentro la membrana che chiude il ‘alice superiormente, e mette a contatto fra loro i margini (fig. 1 dd). Allora il eorpo della Vorticella si fa globulare (fig. 2) e contemporanea- mente il peduncolo attorcigliandosi a spirale, lo trascina in basso. La completa dimostrazione di questi due movimenti simultanei si vede alla Tav. 1, fig. 4a. Il contrarsi di una Vorticella e del suo peduncolo è uno scatto che si compie con la massima celerità; ma l'osservatore che la vede sparire dal campo, può aspettare ben poco, sicuro che l’animale allungandosi ritorna immancabilmente al suo posto. Il movimento di risalire in alto si compie assai lentamente e si ha tempo di vedere che il peduneolo svolgendo la sua spirale (Tav. 1, fig. 4 d) fa girare il corpo della Vorticella che si solleva col movimento di un’ elica. È soltanto dopo che il peduncolo ha finito di svolgersi, che il corpo del- l’animale si dischiude, apre la bocca e torna ad agitare i suoi cigli vibratili, come lo indicano le altre Vorticelle della figura citata. Guardando molto superficialmente il corpo delle Vorticelle, qualche volta accade di vedere che più esse slargano la loro faccia anteriore (Tav. 2, fig. 1) e più tengono retratto il rimanente del corpo, dimostrando di essere rivestite da una pellicola e finamente striata per traverso. Queste strie fasciano il corpo come tanti anelli che si succedono fino al peduncolo. Ogni anello non è un rilievo uniforme e continuo, ma è il resultato di tanti piccolissimi bottoncini serrati uno accanto all’altro e disposti in giro. Quando la Vorticella sta chiusa, avendo ritirato dentro di sè quella parte LA VORTICELLA 605 che formava la sua faccia anteriore, obbliga la cuticola che la contiene a stare in maggior tensione di prima, e allora ogni apparenza di strie di anelli, di rilievi a bottoncino spariscono. Il contorno del corpo si è fatto tutto liscio (Tav. 2, fig. 2), e sì vede che lo spessore della cuticola è formato da tante celluline e, che stando con le pareti più stirate non presentano nessun rilievo esterno. La cuticola esterna è visibile in tutte le VorticelZe, ma non sempre appa- risce striata, o dimostra le celluline di cui è composta, poichè a misura che il corpo dell’animale aumenta di volume e si fa panciuto, la pellicola che lo riveste, obbligata a star più distesa, apparisce come una semplice tumica, fatta di una membranella omogenea e sottile (Tav. 2, fig. 7 e 8 co). Sotto la cuticola esiste la polpa dell’ animale (Tav. 2, fig. 3 @), la qual polpa non riempie tutto il corpo della Vorticella, ma si limita a mantenere anche internamente la forma scavata di calice, con la sola differenza che essa ha il massimo spessore in basso db, e va gradatamente assottigliandosi a misura ehe s'inalza all’orlo del calice e. Nelle giovani Vorticelle questa polpa che costituisce la vera parte carnosa dell’animale non è che un ammasso di minutissime granulazioni. Nell’ interno del corpo fatto a calice sta rinchiusa un’ ansa intestinale D lunga, flessuosa, fatta a rigonfiamenti o nodi. Im aleumi punti, fra un nodo e l’altro l'intestino ha dei ristringimenti più prolungati ee. Le due estremità di questo intestino fanno capo con due distinte aperture al fondo di un ve- stibolo © fatto a imbuto. Una delle dette aperture è guarnita da un piccolo ciuffo di cigli vibratili g. Nulla di più grazioso che il vedere una Vorticella intenta a procurarsi il cibo. I cigli discretamente robusti posti intorno alle labbra 2? agitandosi for- temente promuovono un vortice d’acqua che scorre dentro la bocca spalan- sata della Vorticella. Allorchè la corrente trascina seco qualche particella nel vestibulo © i cigli del ciuffetto q che sta in fondo ad esso, se ne impossessano, la trattengono sbattendosela fra loro e poi o vien da essi respinta al di fuori o spinta nell’ intestino, secondo che la Vorticella giudichi cosa dannosa o adat- tata alla sua nutrizione. A questo riguardo si può dire che i cigli del ciuffetto posto in fondo al vestibulo, fanno lufticio di veri organi di tatto. Il rigonfiamento dell’ intestino che segue immediatamente sotto al ciuf- fetto si apre e si chiude continuamente per spingere in basso gli alimenti, ma questa pulsazione non sarebbe sufficiente per farli circolare in tutta la lunghezza dell’ansa, per conseguenza ogni tre o quattro nodi, vi sono altri rigonfiamenti ehe pulsano come il primo. Il percorso delle freccie indica il giro che fa il cibo per risalire fino alla apertura anale. 64 CAPITOLO V Se l’ansa intestinale, che per maggiore intelligenza della sua struttura e delle sue funzioni, è stata abusivamente posta fuori del corpo della Vorticella, si considera invece raccolta come realmente sta nell’ interno di essa (Tav. 2, fig. 4 D), è naturale che per cagione della sua lunghezza vi stia ripiegata in diverse maniere, e che i rigonfiamenti che si aprono e si serrano per fare scorrere il cibo, si veggano apparire alternativamente in punti diversi, senza aver nessuna regola nè per la loro disposizione nè per il numero, attesochè tutto varia secondo la posizione in eui si presentano le Vorticelle. Nei tre individui rappresentati dalla fig. 6 le vescicole pulsanti o altri- menti i nodi dell’ intestino che si aprono e si chiudono alternativamente sono in numero e in disposizione differenti per le ragioni accennate. Senza l’ ipotesi che nell’ intestino seorra un liquido o linfa ehe refranga in modo particolare la luce, non si potrebbe spiegare quel color roseo pallido col quale si manifestano indistintamente tutti questi rigonfiamenti che si aprono e si chiudono. Qualunque Vorticella, per poco che sia guardata, dimostra sempre nel- l’interno i nodi del suo apparato digestivo (Tav. 2, fig. 1 e 2). I rigonfiamenti che non pulsano, non sempre sono ineolori e vuoti; ta- lora in essi si vedono raccolte delle spore verdi o delle sporule bianche, di forma e di grandezza differenti (fig. 5). A misura che la Vorticella si fa più adulta, guardandola molto superficial- mente si vede che la polpa al disotto della cuticola va sviluppando maggior- mente le sue granulazioni (fig. 7). In seguito esse si fanno ancora più grosse e pigliano la figura ben decisa di cellule (fig. 8), granulazioni e cellule che si sviluppano in tutte le pareti più sottili anteriori dell’ animale. Dimostrerò ampiamente a che cosa conduce questa lenta organizzazione sottocutanea che si opera indistintamente nella polpa di tutte le Vorticelle. * È indubitabile che vi sono più varietà di Vorticelle, ma per distinguerle non bisogna fidarsi troppo nè sulla grandezza, perchè sono destinate a ere- scere, nè sulla forma generale esterna, perehè un medesimo individuo può pre- sentarsi sotto diversi aspetti, secondo lo stato di contrazione o di allunga- mento del corpo, 0 di maturità dell’ animale. È migliore partito starsene ai caratteri provenienti dalla apertura buecale, e dai cigli rotatori quantumque in alcuni casi non vi sia da stabilire uma di- stinzione con sicurezza assoluta. La Tav. 3 rappresenta alcune Vorticelle che più si discostano dalla forma comune. Esse vivevano tutte solitarie sopra un lungo peduneolo che aveva LA VORTICELLA 65 facoltà di avvolgersi a spirale, caratteristica la più spiccata per non dubitare menomamente della famiglia a cui appartengono. Le figure 1, 2 e 3 sono una medesima Vorticella veduta in diverso stato di contrazione; i suoi cigli sono pochi. La fig. 8 arieggia molto della mede- sima forma, è veduta di profilo, e il suo labbro superiore spinge due prolun- gamenti in avanti con quattro cigli soltanto. L'apertura buccale, perfetta- mente tonda, è situata lateralmente e guarda in alto. La Vorticella (fig. 4) ha il margine della sua faccia anteriore circondato da una corona di cigli vibratili. Questi cigli, discretamente distanti fra loro, non sono cilindrici, ma compressi a lamella, appuntati in alto e larghi alla base. Una simile Vorticella non 1’ ho trovata che una volta sola nel gennaio; il suo corpo era lungo 0,035 e largo 0,020. Le figure 5, 6 e 7 rappresentano una sola Vorticella, che alla fig. 5 sta chiusa; alla fig. 6 molto espansa sollevando anteriormente una membranella sottilissima « con frangioline oscillanti; e alla fig. 7 vagamente ristretta a metà del corpo e che al disotto della sua faccia anteriore, forma una specie di collaretto. L'apertura buccale non è situata di fianco come nel più gran numero di Vorticelle, ma corrisponde al centro del disco superiore. È notevole che in questo stato di contrazione aveva ritirato la membranella frangiata, e spinto in fuori una corona di cigli discosti uno dall’altro. Il corpo era lungo 0,030 e nella massima larghezza 0,020. Una membranella frangiata si riscontra anche nella Vorticella (fig. 14 d). Oltre a questa, l’animale mostra un ristringimento al terzo posteriore del corpo, circondato da una corona di cigli vibratili 9. Parlerò in seguito di queste due particolarità, che appariscono e spariscono per volontà delle Vorticelle me- desime, in certe epoche della loro esistenza. La Vorticella (fig. 9) presenta la superfice del corpo striata per le ragioni dette antecedentemente ed è rimarchevole per la sua forma cilindrica allun- gata e per uma completa corona di cigli ai margini superiori. La Vorticella (tig. 10) è opposto della precedente; più larga che alta, ha pochissimi cigli ai margini superiori, e per la sua posizione favorevole si ve- deva il ciuffetto dei cigli situati in fondo al vestibulo, o come altri lo chiama, al peristoma. Le due figure 18 rappresentano una sola Vorticella, @ veduta dalla parte della bocca, b dalla parte opposta. Questa forma è la più comune con la par- ticolarità di avere la corona dei cigli completa. Le Vorticelle (fig. 15 e 17) sono due differenti individui; il primo era lungo 0,045 e il secondo 0,040. I cigli al margine superiore qa erano molto robusti e arcuati, ma il ca- rattere più rimarchevole era quello di avere il terzo inferiore del corpo tutto 9 66 CAPITOLO V guarnito di prolungamenti cilindrici bb corti, ottusi alla estremità e senza al- cun movimento. La Vorticella (fig. 16) rappresenta un altro individuo simile ai precedenti; chiuso pigliava la forma sferica e misurava 0,030. Essa aveva tutto il corpo guarnito di prolungamenti ora descritti. Queste Vorticelle dimostrano di avere allungato molto in fuori ed in uno stato permanente le celluline della tunica esterna descritte alla Tav 2, fig. 2 e. Le ho trovate una volta sola nell'agosto. Dando uno sguardo superficiale alle figure della Tav. 3 e raffrontando la forma che esse prendono quando stanno chiuse, si può stabilire una prima divisione fra le Vorticelle. Quelle che si chiudono restando con un prolunga- mento dalla parte anteriore (figure 5, 11, 12 e 18 i è è), hanno l'apertura bue- cale situata nel centro. Le altre Vorticelle invece che chiudendosi arrotondano la parte anteriore (fig. 16 e Tav. 2, fig. 2) hanno la bocca situata di fianco, e queste le ho trovate in maggior numero. * Anche le Vorticelle possono moltiplicarsi per gemma. La polpa del loro corpo (Tav. 2, fig. 3 4) produce uma sporgenza in fuori (Tav. 4, figure dall’ 1 al6aa) Questa sporgenza globulare e piccola in principio, si accresce len- tamente. Il processo deseritto nella Vaginicola è identico a quello che si svolge nella Vorticella; il sistema digerente della madre resta intatto, e con questo oltre ad alimentare sè stessa, provvede ai materiali necessari per 1’ aceresci- mento della figlia. A misura che la figlia aumenta di volume sì divide dalla madre e svi luppa internamente i propri organi per la nutrizione. Quando è arrivata ad eguagliare in grandezza la madre, i due corpi sono già completamente divisi fra loro, e la giovine Vorticella perfetta in tutto organismo, spiega la corona dei suoi eigli vibratili e cerca nutrimento per conto proprio. Tutto questo accade in un periodo discretamente lungo. Alla fig. 11, A rappresenta la Vorticella madre, B la Vorticella nata per gemma, trattenuta soltanto alla parte inferiore per un filamento corto e sot- tile 0 che può dirsi l’ultimo residuo della pellicola della ‘madre non ancora completamente distaccato. Il peduncolo D che sostiene la vecchia Vorticella, resta sempre comple- tamente a lei; esso è indivisibile, e dimostrerò in seguito il perchè. Trattenuta da quel piccolo lacerto la figlia vive per un certo tempo in- sieme alla madre e soffre la soggezione di dovere essere portata in basso (fig. 1) o in alto (fig. 1 4) secondo che piaccia alla vecchia Vorticella di av- volgere a spîrale o di allungare il suo peduncolo. LA VORTICELLA 67 E poichè una coppia di Vorticelle sorrette da uno stesso peduncolo, a mo- tivo della varia posizione loro, possono, rispetto all’ occhio dell’ osservatore, essere vedute più 0 meno soprammesse una sull'altra (fig. 1, db e d) e poi di- raricarsi e restare due corpi ben distinti (fig. 1 c) è stato creduto che le Vor- ticelle si moltiplicassero per divisione spontanea longitudinalmente nel mezzo del corpo, e nel brevissimo tempo che impiegano per divaricarsi e separarsi come alla fig. 1 e ho indicato. Per combattere questo gravissimo errore, che del resto è venuto a noi fin dagli antichi basta che l’osservatore, trovata una coppia di Vorticelle so- pra un solo peduncolo contrattile, si trattenga un poco per veder loro ripe- tere più volte quel movimento di andare in basso e poi tornare in alto; egli avrà la sodisfazione di vederle più volte ora soprammesse, ora tornar divise, e questo basta senz'altro ragionamento. To non so quanto tempo la giovine resti unita alla vecchia Vorticella, ma fatto sta che la figlia ad un certo momento si mostra impaziente di rompere il sottil filamento (fig. 11 c) che la trattiene. Allora essa mette fuori uma co- rona di cigli e alla parte inferiore del corpo; li allunga a vista d’occhio e più li allunga più li agita con celerità. Mi è accaduto più volte, mentre stavo osservando questi cigli, vederli sensibilmente accorciare, sparire affatto, e dopo poco tornare nuovamente in fuori. Questo dimostra che i cigli possono essere ritirati o allungati a volontà dell’animale; quando ciò accade, l’osservatore può rischiare di star fermo al microscopio per qualche ora senza vedere la desiderata separazione; ma al- lorquando i cigli della corona posteriore si mantengono lunghi, e sbattono l’acqua con moltissima celerità, siamo certi di essere testimoni degli ultimi sforzi che fa la giovine Vorticella, e ad un tratto la vediamo staccarsi (fig. 12) e correre in tutti i sensi in un moto vorticoso, mossa dalla doppia azione dei cigli anteriori e posteriori. Bisogna averne osservate molte per azzecearne qualcuna, che almeno per brevissimo tempo non ci sfugga di vista, e allora, oltre al correre, si vede che si accorciano e si allungano in mille guise. Le Vorticelle nate per gemma potranno esse pure prodursi il loro pedun- colo? Trovando delle Vorticelle munite di questo e della corona ciliare bassa (Tav. 3, fig. 14) siamo autorizzati a crederlo, come si potrebbe supporre che per i cigli posteriori dovessero sempre riconoscersi quelle nate per gemma. Ma saranno esse soltanto che godranno il privilegio di questi cigli, 0 tutte le Vorticelle in generale quando sia giunto il momento opportuno, po- tranno produrli a volontà per distaccarsi dal lungo peduncolo che le sostiene? Comunque avvenga, ogni Vorticella per seguire il suo cielo deve neces- sariamente abbandonare il peduncolo, come in seguito dimostrerò. La fig. 9 della Tav. 4 rappresenta la medesima coppia (fig. 11). Allo stato 6S CAPITOLO V di contrazione erano presso a poco uguali e ogni Vorzicella misurava 0,040 per 0,055. Le altre figure 8, 10 e 18, sia che rappresentino anomalie, 0 diverso modo di produrre la gemma dovuto ad altrettante varietà di VorticeZle, mi parve utile disegnarle in maggiori proporzioni, per rendere più visibili le dif- ferenze che le distinguono. Le trovai nell’agosto. Alla fig. 8 ogni una misu- ava 0,055 per 0,050. La Vorticella madre (fig. 10) misurava 0,065 per 0,045. La sua gemma era larga 0,055. La fig. 13 aveva 0,060 di lunghezza e 0,050 di maggior larghezza: la sua gemma misurava 0,050 per 0,025. * Il peduncolo delle VorticeZle, che ha tanta importanza nella prima età di questi animali è composto di due sostanze di diversa densità e struttura, e ne derivano due parti ben distinte saldate fra loro. L'animale lo secerne alla sua estremità inferiore. Una linea ben definita indica la fine del corpo e il principio del pedun- colo (Tav. 5, fig. 3,4,D e 6Gaaa). Esso consiste in un bastoncello liscio eilin- drico, composto di una sostanza trasparentissima omogenea, compatta, quasi. cornea o semi-gelatinosa, poco 0 punto elastica, ma pieghevole in tutti i sensi, e deve ogni suo movimento ad un filamento bianco opaco, che gli si avvolge intorno a spirale largo (Tav. 5, fig. 6 dd). Per dare un qualche nome a questo filamento, lo chiamerò fibra motrice. Essa nasce dalla sostanza o polpa dell'animale, pigliando origine da poche fibrille (fig. 50), le quali si saldano insieme prima di uscire ad avvolgersi sopra il cilindro trasparente, ma non esattamente alla superfice, poichè la fibra mo- trice è ricoperta da un sottilissimo strato della medesima materia omogenea, della quale è composto il bastoncello su cui percorre. In conclusione, tal fibra fino dal suo naseere s’insinua sotto un primo strato del cilindro trasparente. Le figure 11 e 12 rappresentano due sezioni trasversali del peduneolo di una Vorticella; aa la fibra, nastriforme e poco ingrossata e ricolma al di fuori, bb la sostanza trasparente del peduncolo. Il diametro di esso (fig. 12) misu- rava 0,015. Qualche volta il peduncolo delle VorticeZle, piuttosto che cilindrico si riscon- tra più o meno compresso, talchè la sua sezione sarebbe ellittica, come pure il filamento fibroso piuttosto che nastriforme spessissimo è quasi cilindrico e rileva molto sul bastoncello che avvolge, come viene dimostrato da tutte le fieure della Tav. 6 e segnatamente le figure 1 e 12 aa. Ma ancorchè così LA VORTICELLA 69 rilevata non cessa mai di essere ricoperta da un sottile strato della sostanza omogenea rammentata più volte. Nelle Vorticelle che vivono solitarie, qualunque sia la lunghezza del loro peduncolo, la fibra motrice lo percorre fino in fondo, e se è di molto rilievo come alla fig. 12, alla estremità finale fibra e cilindro formano ciascuno una specie di bocciolo o coppetta bb per aderire ai corpi estranei. Se la fibra è nastriforme, il peduncolo della Vorticella dimostra alla estremità um piccolo bocciolo soltanto (Tav. 2, fig. 6 p). Questo bocciolo o coppetta non rimane costantemente fissata sopra il me- desimo oggetto o pianta su cui posa. La coppetta si stacca e obbedisce alla volontà delle VorticeZle che emigrano da un luogo ad un altro. Ne ho incontrate più volte natanti nella preparazione, trascinandosi dietro il loro peduncolo tutto disteso. La lunghezza del sostegno delle VorticeZle è variabile assai, e generalmente le più adulte lo hanno più corto per una ragione che or ora dirò. Mmtanto giova constatare che il sostegno quantunque di uma apparenza così delicata, è la parte più solida dell’animale, poichè lungo e sottile qual’è, sostiene un volume ed un peso per lui assai ragguardevole, spiegando una forza che non avrebbe se fosse un filamento flaccido e di debole consistenza. Ho già detto che il bastoncello è di materia quasi cornea: con linvec- chiare, la sua parte inferiore finisce realmente per divenire solida, chitinosa, rigida, non più obbediente alla fibra motrice. Allora le Vorticelle, parlo sempre di quelle solitarie, qualunque sia la ragione che le obbliga ad emigrare, abbandonano quella parte di sostegno che non obbedisce più alla loro volontà; e questo accade tanto spesso, che molte volte sì trovano attaccati alle conferve, gruppi di frammenti di peduncoli rimasti più o meno avvolti a spirale. Pressando con un ago la preparazione, essi oscil- lano, ma non si svolgono nè si decompongono, mostrando di essersi fatti solidi. * Tutto quello che ho detto sulla natura e sulle funzioni del lungo pedun- colo delle Vorticelle solitarie, vale per le altre Vorticelle a peduncolo cortissimo e aderenti ad un sostegno comune (Tav. 5, fig. 1 e 2). Quello che vi è di più interessante da notare in queste due figure si è che la Vorticella situata più in alto «@ prolunga la sua fibra motrice per tutta la lunghezza del sostegno comune db, mentre le altre Vorticelle cc che si annestano all’intorno e contri- buiscono via via ad ingrossare la sostanza trasparente del sostegno comune che loro sta sotto, non prolungano mai la respettiva fibra motrice #v da met- terla a contatto con quello di altra Vorticella. La fig. 8 della Tav. 5 rappresenta maggiormente ingrandita, porzione di un sostegno comune a più Vorticelle: «e indicano le estremità di due fibre 70) CAPITOLO V motrici che si arrestano al punto della biforcazione, poichè ciascuna Vorticella che vive in società, mantiene indipendente il proprio movimento individuale, ed allunga od accorcia soltanto quel tratto di peduncolo che appartiene esclu- sivamente a lei. Alla Tav. 6 la fig. 15, in © rappresenta dove si arresta la fibra motrice di una Vorticella secondaria. L'importanza di questo fatto sarà messa in maggior rilievo quando sarà detto il perchè si trovino delle VorticeZle riunite in tal modo. Considerando il peduncolo della Vorticella più alta (Tav. 5, fig. 1,240) si vede che prolungandosi forma poi lo stipite del sostegno comune, ma la sua grossezza non raddoppia allorchè si unisce una seconda Vorticella, nè si fa tripla quando se ne aggiunge una terza, e così via dicendo. Ciò dimostra che ogni Vorticella separa per sè sola la fibra motrice e il bastoncello su cui posa, e contribuisce in minima dose a secernere la materia semichitinosa pel sostegno di tutte. Misurato alla base il sostegno di un gruppo di Vorticelle del tipo (Tav. 5, fig. 1) misurava 0,015 di larghezza. Il corto peduncolo di ogni singola Vorti- cella del gruppo era largo in media 0,004. Nelle Vorticelle che vivono a gruppi non ho mai trovato un sostegno di forma cilindrica. Esso è compresso e direi quasi lamellare alla base, dove se il colore è bruno, la sostanza si è fatta decisamente chitinosa. Alla Tav. 1 le fig. 6, 7 e 10 mostrano gruppi di Vorticelle riunite a mazzetto, sostenute da uno stelo più o meno tortuoso, indurito, bruno in tutta la sua lunghezza, e con largo bocciolo alla estremità attaccata alle piante. L’indurimento dei sostegni comincia sempre nella parte più lontana dagli animali, cioè alla estremità inferiore che resta tenacemente attaccata ai corpi estranei. Il sottilissimo strato di sostanza ormai chitinosa che riveste le fibre mo- trici, si fende minutamente con screpolature trasversali (Tav. 5, fig. 8@@). In seguito anche la fibra motrice sottostante, oltre a non esser più parte viva si disorganizza in diversi modi. Fig. 9e 10 4« porzioni di sostegno indurito, 0 d fibra motrice parimente indurita e disgregata in più modi. Quantunque la fibra motrice della Vorticella più alta (Tav. 5, fig. 2 @) per- corra tutta la lunghezza del sostegno comune d, io non ho veduto che questo sostegno possa aecorciarsi e allungarsi mai. Sembra che il ringrosso che vi arrecano le altre Vorticelle che si saldano attorno, lo rendano tanto resistente da sfuggire a qualunque azione della fibra che gli sta in mezzo; talehè la Vorticella più alta, non può influire altro che su quel piccolo tratto di pedun- colo semplice, che resta al di sopra della biforcazione e. Ni potrebbe supporre che la fibra motrice che percorre tutto il sostegno comune, non compia altro uflicio che di farlo aderire ai corpi estranei. LA VORTICELLA ol * Ho detto in principio che due parti differenti e di varia sostanza ‘com- ponevano il peduncolo delle Vorticelle, e che il cilindro o bastoncello traspa- rente e flessibile, obbediva passivamente ai movimenti del filamento bianco ed opaco che gli si avvolge intorno. Qualunque atteggiamento presenti il peduncolo per lazione della fibra motrice; i contorni del cilindro trasparente si descrivono quasi sempre con linee dolci come di superfice nmita (Tav. 6, fig. 6, 7, 8,9 e 10 bd). Raramente questi contorni sì veggono ondulati (Tav. 5, fig. 7 db). La fibra motrice è composta di tante celluline saldate insieme e disposte una dopo l’altra. Lateralmente ogni cellulina possiede due piccoli prolunga- menti, uno per parte, che a guisa di barbule abbracciano il cilindro su cui sì distende tutta la fibra (Tav. 6, fig. 2, 3, 4 e 5). Che le barbuline siano ai due lati di ogni cellula fibrosa, si vede per la aria posizione della fibra (fig. 2 4 a). La fig. 3 rappresenta porzione di peduncolo molto disteso, e le cellule della fibra sono più sottili e più allungate. La fig. 4 rappresentandone una porzione meno allungata, le cellule sono più corte e più larghe. Alla fig. 5 le cellule sono nella massima contrazione e per conseguenza assai più larghe che alte. Il cilindro che obbedisce ai movimenti delle cellule motrici, ammenta di diametro tutte le volte che esse lo obbligano a farsi più corto. Quando il peduncolo fa delle piegature molto prolungate, ivi la fibra mo- trice si fa ondulata (Tav. 6, fig. 7,8,9 e 10440). La fig. 11 rappresenta porzione della fibra motrice disposta a spirale. Credo di aver dimostrato abbastanza che il peduncolo non è un tubo vuoto con un filamento contrattile interno. Nelle Vorticelle solitarie adulte, la grossezza media del cilindro misura 0,008, la fibra motrice che lo avvolge 0,002. Quando le Vorticele sono arrivate ad un certo periodo della loro esistenza, sieno esse solitarie o riumite in famiglie sopra uno stelo comune, tutte indi- stintamente si dispongono ad abbandonare il loro peduncolo. Il distacco avviene gradatamente e cominciano col restringere la parte inferiore del loro corpo in modo che il cilindro viene a poco a poco ad essere separato da esse, restando umite per la fibra soltanto (Tav. 6, fig. 13, 14.00). In seguito anche la fibra si atrofizza, e le Vorticelle corrono libere senza aver più bisogno di nessum sostegno. Prima che ciò avvenga, è necessario che la interna organizzazione loro, abbia raggiunto un grado di sviluppo che antecedentemente non aveva. I caratteri che si riscontrano in una Vorticella che sia disposta a lasciare =] Lis CAPITOLO V il peduncolo sono i seguenti: in quanto all’esterno i contorni del corpo sono più arrotondati e i movimenti di contrazione più deboli. Internamente, al disotto della cuticola, le cellule della polpa, già indicate alla Tav. 2, fig. 8, oltre a far distinguere delle granulazioni che racchiudono, essendosi fatte più grandi e pressandosi le une contro le altre, non manten- gono più i loro contorni sferici, ma vengono a formare col contatto dei loro fianchi compressi, un reticolato apparente. Mettendo fuori di fuoco questo reticolato, e spingendo l'osservazione nel- l'interno della Vorticella, per essere le parti più consistenti e dando un giuoco di ombre più decise, si vede la naturale distribuzione dell’ ansa intestinale (Tav. 7, fig. 4). In detta Vorticella, quantunque con movimenti meno celeri, di quando sono più giovani, si vedevano allargarsi e ristringersi i rigonfiamenti dell’intestino e si assisteva al percorso della sostanza nutritiva. Mm quanto alla fig. 5 credo opportuno trascrivere la nota che accompagnai al disegno fatto il 17 agosto. La Vorticella era in via di abbandonare il pedun- colo. La lettera « indica il primo vacuo che fa seguito immediato al vestibulo o peristoma. Esso si allarga e si stringe ad intervalli ritmici, e ciò lo ha fatto considerare da molti come un moto pulsatorio del euore, mentrechè non è altro che un atto di deglutizione. Il tubo digerente è composto di tanti vacui rotondi, posti uno di seguito all’altro e ciaseuno con una comunicazione reciproca. Ognuno dei rigonfiamenti del tubo digerente, fa passare la materia ali- mentare in quello che gli è immediatamente accosto, e per ottener questo effetto, ogni tanto vi è un nodo dell’intestino che si ristringe, per darne la spinta. È così che le sostanze nutritive fin dal primo vacuo « cominciano a discendere come indica la freccia per poi risalire fino all’apertura anale. Nel presente individuo si vede che in un certo punto dell’ ansa intestinale fra due nodi vi è un canalino d stretto e più lungo che fra gli altri nodi. Tutte le volte che un bolo (nel caso presente era di sostanza gelatinosa) attraversava questo canalino, prima si allargava per riceverlo, e poi via via gli si stringeva dietro, obbligandolo a scorrere per entrare nel vacuo e. Questo vacuo ogni tanto si chiudeva per spingere la materia in alto, come indica la freccia. La lettera d indica lo spessore delle pareti intestinali. Prima di andare oltre devo richiamare alla mente del lettore le fig. 3 e 4 della Tav. 2. Alla fig. 3 io dicevo di avere abusivamente disegnato fuori di posto l’ansa intestinale della Vorticella per rendere più palese la sua strut- tura. Valendomi del medesimo abuso, alla fig. 4 rimisi semplicemente | ansa intestinale dentro al corpo della Vorticella, come se internamente fosse tutta ma cavità. Ora invece bisogna considerare che fra la polpa ridotta a cellule e tutto apparato intestinale vi sono degli intimi rapporti per i quali stanno in una immediata comunicazione fra loro. LÀ VORTICELLA Tò ” Le fig. 6 e 7 della Tav. 7 sono due frammenti della Vorticella (fig. 5) dise- gnati in maggiori proporzioni appunto per indicarne la trama interna. Nella fig. 6a è la cuticola esterna: dopo di quella ci sono cellule di varia grandezza che per mezzo di tanti canalini sono tutte reciprocamente in comu- nicazione fra loro. Le cellule più interne che stanno vicinissime alle pareti intestinali, hanno i canalini di comunicazione ss che vanno dentro ai rigonfiamenti intestinali d d, che altra volta ho chiamato ventricoli. In una parola, come sono in comunicazione fra loro i ventricoli della figura 5 @ed per fare scorrere nel loro interno le sostanze che devono dige- rire, così i sughi nutritivi che ne resultano passano per mezzo di canalini assai più piccoli, dai ventricoli nelle cellule che stanno loro attorno, e da queste (sempre traversando tanti canalini che collegano insieme tutte le cel- lule componenti l’animale) si spingono fin dentro le cellule più lontane, poste a contatto con la pellicola esterna. Visto in qual modo la linfa elaborata nelle cavità intestinali passi in tutta la massa delle cellule che costituiscono il corpo dell'animale, resta a dire che tali cellule non sono semplici cavità. Nelle più grandi è possibile scorgere qualehe organizzazione interna. La fig. 7 (frammento assai più ingrandito della fig. 5); alla lettera « « indica due delle più grosse cellule, le quali nel loro interno si veggono simmetri- ‘amente organizzate. La grossezza della loro parete esterna si vede composta di minutissime cellule serrate insieme. Tutti questi dettagli che danno idea di una organizzazione così finamente delicata, certamente devono preesistere rudimentali fino dalla prima età delle Vorticelle, ma sarebbe inutile cercarli prima che queste abbiano raggiunto una certa maturità. Le figure 8 e 9 della Tav. 7 rappresentano due Vorticelle morte in una preparazione nella quale eransi conservate vive tre giorni. Per uma fortuita combinazione, essendosi allontanati i fili che dovevano mantenerle in un conveniente strato d’acqua, accadde che per la continua evaporazione di essa, il vetrino che le cuopriva abbassandosi gradatamente era venuto a comprimerle col suo peso, obbligandole a restare distese. I dettagli più delicati, or ora descritti, non reggendo alla trazione pro- curata dall’ essiccamento, sono scomparsi; in ogni modo questa preparazione dovuta al caso, offre un mezzo assai sbrigativo per avere un’idea generale della trama interna delle Vorticelle. L'animale rappresentato dalla fig. 8 misurava 0,042 di larghezza per 0,050 di lunghezza: alla lettera @ si vede Vapertura buccale. La Vorticella (fig. 9) tanto larga che alta misura 0,050. Dimostrato molto incompletamente la progressiva e delicata organizza- zione interna delle Vorticelle, resta a fare uma semplice considerazione ed è 10 T4 CAPITOLO V questa, che la natura non finisce di agire dove noi terminiamo di vedere. Per conseguenza lasciando d’ora innanzi che ogni cellula compia nascosta- mente quel compito che le è destinato, resta a dire soltanto di quelle azioni visibili, manifestate dalle Vorticelle durante il loro ciclo, delle quali il più im- portante è l’atto della fecondazione, poichè il moltiplicarsi per gemma è uma eccezione alla regola che le governa. La fecondazione può accadere fra due Vorticelle solitarie tuttora fissate al peduncolo quando possono incontrarsi portandosi una contro l'altra; può avvenire fra una Vorticella fissata sul peduncolo e un’altra che lo abbia abban- donato: e può accadere fra due Vorticelle egualmente staccate dal peduncolo. Io le ho osservate in tutti e tre i modi e dirò anche che le Vorticelle che vivono in famiglia sopra un sostegno comune, sono quelle che più sentono la necessità di staccarsi dal corto peduneolo per potersi fecondare. Non avendo incontrato mai una Vorticella che si accoppi con un’altra, senza che tutte e due non avessero sulla parte anteriore quella membranella frangiata (Tav. 7, fig. 1 e 2 aa), rappresentata anche alla Tav. 2, fig. 5@ e alla Tav. 3, fig. 6e 1444, e visto che questa membranella formante un anello, si solleva e si abbassa, e può sparire e riapparire in molte Vorticelle la cui forma esteriore è ben diversa fra loro, è ragionevole coneludere che in essa debbasi riconoscere il preannunzio della fecondazione. Era il 12 agosto quando disegnai le due Vorticelle (Tav. 7, fig. 3). La Vor- ticella a priva di peduncolo, stava al di sopra della Vorticella b sempre prov- vista del proprio. Tutte due agitavano fortemente i respettivi cigli toccandoseli, intanto che la membranella frangiata di ciascuna, con tremolio celerissimo delle pic- cole frangioline, si allungava; indi ponendole a contatto le avvicinavano tanto da confonderle insieme. Ogni tanto la Vorticella col peduncolo si allontanava a scatto, e allora la Vorticella libera girava rapidissima sopra sè stessa finchè l’altra non fosse risalita al suo posto. Allora esse rinnuovavano insieme il contatto dei cigli e poi quello della membranella frangiata. Quando la fecondazione avveniva fra due Vorticelle fissate sul proprio peduncolo, era sempre una sola che si allontanava, mentre l'altra aspettava, sempre agitando i cigli, il ritorno della compagna. La dimensione della Vorticella (fig. 3@) era 0,055 di lunghezza e 0,040 di larghezza massima. Confesso che mi fece una grande impressione il poter sor- prendere un ventesimo di millimetro di materia viva, agitata dai fremiti del più grande atto fisiologico. Dopo la fecondazione le Vorticelle si preparano ad una completa meta- morfosi, e il segnale più manifesto lo annunzia il tubo digerente. Contemporaneamente al misterioso lavorìo delle cellule interne, | ansa LA VORTICELLA Cal (DI ( intestinale comincia ad allargare le strozzature poste fra un rigonfiamento e l’altro (Tav. 7, fig. 10 e 11): la fig. 11 era ancora sul peduncolo; la fig. 10 ne era staccata; si moveva con poca celerità e misurava 0,065 per 0,075. Seguitando sempre ad allargare le proprie strozzature, l’ansa intestinale finisce per pigliare aspetto di un tubo cilindrico variamente avvolto (Tav. 8, fig. 1, 2,4 e D). È ben facile comprendere che stante la maggiore densità acquistata dai tessuti delle VorticeZle, non è possibile seguitare con l'occhio tutte le evolu- zioni che fa il tubo dell’ansa intestinale. Di esso se ne vede soltanto la voluta più superficiale, e sempre disposta in modo variabile, causa la diversa posizione nella quale si presentano le VorticeZZe, e credo anco secondo le differenti specie. All’infuori di vedere semplicizzata la struttura dell’ansa intestinale, che resta un tubo uniforme e vuoto, la rimanente trama interna è fatta talmente opaca che invano tenterebbe penetrarvi lo sguardo. * Ho detto che vicine alla fecondazione, molte Vorticelle abbandonano il peduncolo, e che tanto possono accoppiarsi due che s'incontrano libere e natanti, quanto una libera e l’altra no; e finalmente due, egualmente fissate sul respettivo sostegno. È chiaro che le Vorticelle fecondate sopra al peduncolo, possono rimanervi aderenti per compiere la loro metamorfosi, e la fig. 1 della Tav. 8 ne offre un esempio molto prezioso, poichè conserva intatta la sua principale caratte- ristica, cioè il peduncolo avvolto a spirale. Il corpo era lungo 0,055 e largo 0,050. La maggior parte delle Vorticelle, che poco prima 0 poco dopo la fecon- dazione si sono fatte libere, salvo alcune che si trovano sciolte e intricate fra i fili delle conferve (Tav. $, fig. 2, larga e lunga 0,030) tutte le altre si tro- vano veramente adese ai filamenti delle medesime. Per aderirvi, le Vorticelle li abbracciano per così dire coi propri cigli. La fig. 6 rappresenta una delle tante Vorticelle da me osservate, che sta agitando lentamente ed a intervalli di tempo, i cigli e la membranella fran- giata, tenendoli continuamente a contatto della conferva sulla quale vuol fissarsi. Le Vorticelle (fig. 4 e 5) sono già fissate alla pianta. La prima era lunga 0,045 e larga 0,40; la seconda era lunga 0,050 e larga 0,035. Dalle fig. 1, 2, 4 e 5 si rileva che tutte le Vorticelle durante la metamor- fosìi tendono ad arrotondarsi. * Tl 81 luglio avevo messo in osservazione tre VorticeZle mature, e ancora aderenti sul proprio peduncolo che si avvolgeva a spirale. CAPITOLO V Alla Tav. 8 la fig.7 ne rappresenta una lunga 0,080 e larga 0,065. Il 4 agosto erano tutte tre distaccate dal sostegno e andate a collocarsi, senza aderirvi, presso a poche conferve che erano nella preparazione. La fig. 8 ne rappresenta un’altra lunga 0,050 e larga 0,045. Evidentemente esse si disponevano alla metamorfosi. Durante il tempo della lenta trasformazione, le Vorticelle non restano del tutto immobili ed è in seguito a ripetuti sforzi di contrazioni interne che l'animale tende, come ho detto innanzi, a pigliare un contorno più o meno ovale. Le figure 9,10 e 11 (Tav. 8) rappresentano una medesima Vorticella delle tre sopra citate. Sul principio della osservazione era come Io indica la fig. 9 (larga 0,047 e lunga 0,050) ad un tratto essa si contrasse pigliando la forma della fig. 10 e si trattenne in quel modo per un certo tempo; poi ad un tratto riprese forma più regolare, come alla fig. 11. Il resultato di tale prolungata contrazione fu questo: l’animale si era distaccato dalla pellicola esterna a, e rimasto adeso a quella, soltanto ai punti è dè, vecchi margini anteriori dove prima era la corona ciliata della Vorticella. La fig. 8 indica un’altra Vorticella pervenuta al medesimo resultato. Il 8 settembre l’animale (fig. 11) era completamente staccato dalla pelli- cola esterna (fig. 12) il suo corpo era lungo 0,040 e largo 0,030. Oltre alla cambiata forma esterna, aveva subìto altre modificazioni poichè e indica un principio di coda. L’antica pellicola @ non è più che una ciste isolata, debole guscio esterno, dentro al quale l’animale compie la sua metamorfosi. Nel frattempo esso tende a farsi più compatto e scema di volume, mentre la ciste riempita dall’acqua, si mantiene del medesimo volume. Era lunga 0,048 e larga 0,040. Il 7 settembre, l’animale era sempre delle medesime dimensioni, ma oltre alla coda rudimentale (fig. 13 e), alla parte opposta 4 si vedeva un giro di cel- lule molto più allungate. La Vorticella aveva impiegato 39 giorni per cambiare in tal guisa. * Trovandomi sulla buona via, nel frattempo che esaminavo giornalmente le tre Verticelle non ristetti da fare altre preparazioni. Il 14 agosto avevo messo in osservazione una quantità di Vorticelle ma- ture, tutte con cigli vibratili e con peduncolo contrattile. Sei giorni dopo la maggior parte di esse si erano staccate dal sostegno e disposte a incistarsi. Alenne però, per adattarsi al piccolo ambiente in eni erano obbligate a vivere senza essere pronte a staccarsi dal peduncolo, ne avevano lasciato un bel tratto, e stavano aderenti alle conferve per uma piccola porzione di esso. Questo piccolo piede fimiva con um ingrossamento molto irregolare ma che = Co | LA VORTICELLA stava tenacemente attaccato, e vidi in qual modo agiscono le Vorticelle quando vogliono liberarsene. A forza di agitare i cigli anteriori, una di esse cominciò a girare sul: pro- prio asse e con tale torsione, lasciò il piede e si allontanò. Il giorno dopo tutte le VorticeZle della preparazione erano disposte a me- tamorfosi. * Le Vorticelle diventano Brachionus. Alla Tav. 9 le figure 1, 2, 3, 4,5 e 6 ‘appresentano diverse Vorticelle più o meno metamorfosate e vedute in diffe- renti posizioni, dentro all’antica pellicola, la quale conserva sempre dal lato che aderisce alle conferve le traccie più o meno frastagliate (fig. 1 e 5 44) come alla Tav. 8 la fig. Dada. Quando il Brackionus è completamente conformato ha talmente rimpic- colito il suo volume che la ciste in cui sta chiuso sembra grandissima. Sembra assai rigonfiata, mentre ha conservato la grandezza che aveva, allorchè ela- stica rivestiva le Vorticelle. Alla Tav. 9 la fig. 4 mostra una ciste lunga 0,070 e larga 0,055. La ciste della fig. 5 era lunga 0,065 e larga 0,047 e queste cifre non son niente esagerate nelle Vorticelle. È facile immaginarsi la estrema delicatezza della ciste per non far caso se alcune si trovano alquanto piegazzate. La fig. 6 della Tav. 9 rappresenta un Brackhionus completamente svilup- pato. La ciste che lo racchiudeva misurava 0,070 per 0,045: Panimale, visto di profilo, era lungo 0,065 e largo 0,025. Esso agitava fortemente i cigli anteriori, con evidente intenzione di rom- pere il suo carcere provvisorio. In capo a qualche ora era già libero (fig. 7) e prolungando la sua testa ciliata @, percorreva in tutti i sensi la preparazione. Lascio per ora di parlare della interna organizzazione del Brackionus, per rilevare alcune particolarità esteriori. La Vorticella metamorfosata esce, rivestita da un guscio solido chitinoso che le fa da astuccio, per proteggerne le parti molli. L’astucecio, che visto di profilo ha l’aspetto di ghianda, estremità e dalla apertura anteriore, che è la più larga, esce la testa ciliata x è aperto alle due con facoltà di potersi ritirare dentro al guscio. La coda quantunque un poco contrattile, nata e cresciuta fuori del guscio, resta sempre all’esterno, e quando l’animale non vuol farne uso, la ripiega sull’addome, rimettendola in quella posizione in cui si era sviluppata. La coda appartenente alla specie di Brackionus rappresentato dalla fig. 2 fi) CAPITOLO V alla fig. 10 (Tav. 9) è composta di due tubi; il primo fig. 7% è di calibro più grande, il secondo c è di calibro più piccolo e può rientrare nel primo. In cima al tubo più piccolo si articolano due stili che finiseono molto appuntati : essi possono divaricarsi ma essendo di sostanza chitinosa, non hanno nessuna possibilità di fissarsi agli oggetti; talchè la coda dei Brachionus è destinata soltanto a far l'ufficio di timoniera per dirigere il moto. Il guscio protettore del Brachkionus, o come altri lo chiamano, la corazza, vista dal dorso (fig. 8), è liscia, consistente e tutta di um pezzo; ma allorchè venga fatto di veder animale dalla parte dell’addome (fig. 11), allora si scorge che la corazza è divisa longitudinalmente e coi margini 0 d discosti fra loro. Più l’animale si nutrisee e ingrossa, più la corazza si apre e allontana i suoi margini; i quali in origine, quando il Brackionus non era ancora uscito in libertà, dovevano essere riumiti da una sutura. La esistenza della sutura che si è aperta, lo dimostra più evidentemente la fig. 12 con le sinuosità dei suoi margini dd. Seghettati o ondulati che sieno, sì scorge sempre che le sporgenze di un lembo, corrispondono agli ineavi dell’ altro. Il 5 agosto potei osservare un giovane Brachionus appena uscito dalla vecchia pellicola che lo aveva protetto nella sua metamorfosi. Lo vedevo dalla parte dell’addome, e stante i suoi movimenti ancora assai deboli, ebbi oeca- sione di scrivere accanto al disegno la seguente nota: Cominciando dalla testa, la corazza si fende longitudinalmente sull’addome fino alla base della coda; venendo sensibilmente ad allargare la forma esterna dell'animale. Quanto ho detto sulla corazza, ha valore per tutti i Brachionus in gene- rale, ma vi sono delle particolarità che distinguono una specie dall’altra. Il Brackionus descritto e rappresentato in diversi modi dalla fig. 7 alla fig. 10 possiede una caratteristica che lo distingue fra tutti. La sua testa non ha l’apertura buecale, o peristoma, sul centro della corona ciliata, ma direi quasi nel collo dalla parte dell’addome (fig. 90). Quando l’animale è veduto per di sotto, questa apertura coi margini ingros- sati, costantemente spalancata, si presenta più lunga che larga come la fig. 13. E poichè questa prerogativa lho trovata in una specie soltanto, chiamerei l’animale che la possiede Brachionus fenestratus. È da questa finestra che l’animale spinge in fuori un bulbo faringeo mu- scolare, in cima al quale stanno le mandibule in continuo movimento, e mentre il Brachionus cammina lungo le conferve (fig. 9 e 10), attacca direttamente col suo organo roditore, le sostanze di cui esso vuol nutrirsi. I suoi cigli non servono che per la locomozione soltanto. In tutte le altre specie di Brachionus da me trovati, le mandibule stanno al fondo di un peristoma che si apre in alto, al centro della corona ciliata (Tav. 10, figgle4aa); talchè i cigli oltre a procurare il movimento dell’ani- male, sono anche gli apportatori del cibo in fondo al vestibulo. LA VORTICELLA 19 * Ad ogni specie di Vorticelle deve corrispondere una data specie di Bra- chionus, ma non è facile saperle distinguere. Alla Pay. 10) le figure 3, 4,5, Se.9, e alla Tav. 11, le figure 7, dl e 12 ‘appresentano dei Brachionus assai differenti fra loro, ed è possibile ricono- seerne la diversità confrontandone il guscio e la coda, poichè queste parti chitinose non sono nè contrattili, nè variabili. Tuttavia essendo parti nuove che nelle Vorticelle non esistevano, non servono per accertare la provenienza dei Brachionus. Come punto di partenza non rimane che paragonare la parte anteriore ciliata, la quale essendo rimasta molle, come lo era nelle Vorticelle, indica di essersi modificata meno delle altre parti, ed offre di stabilire qualche lusin- ghiera rassomiglianza. . Posso dire con sicurezza, perchè accertata da osservazione diretta, che la specie Brachionus indicato alla Tav. 9 dalle figure 9 e 10, proviene dalla Vor- ticella che in origine ha la sua corona ciliare completa (Tav. 3, fig. 18); corona che si è mantenuta identica nell’animale metamorfosato. È evidente che per una certa somiglianza dell’organo ciliato anteriore, si potrebbero stabilire altre provenienze. * Ho detto che tutti i Brachionus sono protetti da un guscio che si fende longitudinalmente dalla parte dell’addome. Alla Tav. 10 la fig. 7 rappresenta un giovine animale appena metamorfosato, coi margini del suo guscio molto ‘avvicinati fra loro. La fig. 6 rappresenta un altro individuo coi margini del guscio più divaricati. A misura che le parti molli dell'animale aumentano di volume, il guscio che non aumentà in proporzione, ma tende piuttosto a indurire, si allarga, come ho detto altra volta, sempre più. Le fig. 4 e 9 della Tav. 10, oltre a far vedere nei margini seghettati le anfrattuosità dell’antica sutura db, ser- vono anche a dimostrare con precisione, di quanto sia allargato 1 animale. Sopra tutta la superficie dell’addome non protetta dal guscio si vede stesa una membranella sottile trasparente e liscia che lo ricuopre. Quando i Brachionus vivono in acque ricche di sostanze animali e vege- tali in decomposizione, essi godono di un benessere che presto ne fa aumen- tare il loro volume, tanto che non possono più restare dentro gli ormai angusti confini del primo guscio, quantunque il più possibilmente slargato. Allora animale si contrae, adatta i margini della corazza sopra um filo di conferva, e là ritirandosi e staccandosi dal vecchio guscio s’ incista finchè non gli se ne formi uno nuovo. so CAPITOLO V Alla Tav. 11 la fig. 15 rappresenta un Brackionus in muta, la lettera « indica l'antica corazza lunga 0,155 e alta 0,070; dla pellicola della ciste prov- visoria lunga 0,110 e alta 0,065, dove l’animale sta rinchiuso elaborando la secrezione di una nuova corazza 0 guscio. Non escludo, anzi ammetto che in questo periodo d’ineistamento, 1° or- ganismo interno debba perfezionarsi sempre più nello sviluppo delle parti de- stinate alla propagazione della specie. È facilissimo trovare dei Brachionus allo stato di muta, anche due o tre accanto sopra uno stesso filo di conferva; ne trovai moltissimi alla fine di febbraio. Ignoro per quanto tempo il Brackionus resti così imprigionato. Quando è giunto il momento opportuno di tornare alla vita libera, comincia ad agi- tare i suoi cigli, da prima debolmente, il giorno dopo con più energia, ed ogni tanto rimuove tutta la sua massa, come se facesse degli sforzi per uscir fuori. Qualche volta ho veduto i Brachionus capovolgersi dentro la ciste per tentare ogni via di romperla, pulsando energicamente i propri cigli contro le pareti di essa. To ebbi la costanza di stare a guardare e nello stesso tempo ebbi la fortunata combinazione di vedere un Brackionus abbandonare la vecchia spoglia. L'antica corazza e la ciste rimangono come alla Tav. 11 lo dimostra la fig. 14: @ la corazza, D la pellicola della ciste dove il Brachionus ha compiuto . la muta; essa misurava 0,110 per 0,065. Di queste spoglie se ne trovano intricate fra i filamenti di conferve; qualche volta la corazza si stacca prima che l’animale sia uscito dalla ciste, e questa sola resta attaccata per proteggerlo. Ma in un modo o nell’altro, tutti hanno creduto fin’ ora che tali cisti, chiuse o no dentro un secondo guscio fossero veramente delle uova di Bra- chionus, e non hanno saputo difendersi da una certa maraviglia, nel trovare delle uova così grosse da eguagliare quasi lamimale che avrebbe dovuto produrle. Tl Brachionus che ha compito la muta, esce dalla ciste con la nuova co- razza tutta grinzosa e molle, la quale distendendosi diventa poi più grande della prima, e dura come quella. Precisamente come vediamo accadere nei granchi ed in altri crostacei. A giudicare dalle molto varie grandezze in cui possono trovarsi Brackhionus della medesima specie, potrebbe credersi che la muta del guscio dovesse ac- sadere più di una volta. To questo non so. Qualora accadesse, 1’ abbondanza del cibo dovrebbe influire a farli crescere prosperamente da risentimne la ne- cessità, come è ben vero che nella deficienza di nutrimento devono vivere meschinamente e con poco sviluppo. Queste considerazioni sono tanto elementari che ognuno le sa, ma la cosa LA VORTICELLA S1 singolare e che merita di esser notata, si è quella di vedere che i Braclionus in date circostanze s’ incistano per diventare più piccoli. Il 21 agosto aveva fatto una delle solite preparazioni, chiudendo fra i due vetrini, con pochi fili di conferva, un Brackionus il quale non aveva altra particolarità che quella di avere un guscio ancora giovine e poco consistente. Nei giorni successivi i movimenti dell’ animale andavano a farsi sempre più deboli. Il 50 agosto esso era ridotto come lo dimostra la fig. 1 alla Tav. 11. La spoglia semi-chitinosa era rimasta aggrinzita, e tutta la sostanza molle dell’animale, si era ristretta in um ovale @ il cui esterno misurava 0,050 di lunghezza e 0,035 di larghezza. Le dimensioni della spoglia dalla punta estrema della coda d fino alla estremità anteriore c misurava 0,085 ed in larghezza massima 0,040. Il corpo ovale a guardato alla superficie si vedeva composto. di cellule poligone ben serrate fra loro; abbassando convenientemente l’obiettivo, si apprezzava lo spessore o profondità di dette cellule che presso a poco era di 5,000. Il contenuto dentro a questo guscio piuttosto singolare, sul principio ap- pariva finamente granuloso. Il 5 settembre fra le granulazioni si notava qualche cosa di più organiz- zato (fig. 2). Questa volta disegnai la massa ovoide fuori della spoglia per non ripetere un lavoro inutile, come separatamente disegnai la fig. 3 che rap- presenta il guscio trovato rotto e vuoto, la mattina del 6 settembre. In vicinanza eravi il piccolo Brackionus uscito (fig. 4), ma così debole e moribondo, che in breve rimase senza più muoversi. La sua lunghezza dalla base dei cigli al principio della coda era di 0,045 e la larghezza 0,025. La fig. 5 è lo stesso animale che, punzecchiando la preparazione, si era voltato sul dorso. La parte ciliata è retratta. * To credo che la mancanza di cibo e ambiente caldo (una goccia d’acqua nel mese di agosto) abbiano determinato la crise del Brachionus (fig. 1). Questo non sarebbe altro che uno dei mille casi coi quali viene dimostrato la grande resistenza che oppongono tutti i microzoi in generale, incistandosi quando si trovano in condizioni in cui non potrebbero vivere. Allo stato d’incistamento, come già è stato ampiamente dimostrato, i mi- crozoi tollerano anche l’essiccazione, per tornare a rivivere, quando siano nuovamente circondati dall'acqua. Il Brachkionus di cui è parola, non essendone mai rimasto privo, dopo sei giorni d’incistamento era tornato a rivivere, ma da questa riduzione forzata doveva uscirne stremato di forze più che non gli avvenga per la muta della corazza, alla qual muta gradatamente si prepara. Nel caso attuale era impe- 11 S2 CAPITOLO V riosa la necessità di rafforzarsi immediatamente col nutrimento. Questo man- ‘ava, e il piccolo Brachionus dovè presto morire. Oltre alle considerazioni biologiche che ciascuno può dedurre, ho voluto registrare questo fatto per dimostrare che anche negli animali microscopici, la sola grandezza non è appoggio valevole per stabilire specie o varietà dif- ferenti. * L'insieme della organizzazione interna dei Brachionus è molto semplice. La fig. 1 della Tav. 10 ne rappresenta uno appena uscito dalla muta della vecchia corazza. Io lo aveva trovato il primo aprile, chiuso ancora nella sua ciste prov- visoria. Era simile alla fig. 15 della Tav. 11, ed in quel modo lo misi in pre- parazione. l Il 4 aprile era molto pronunziato il movimento dei cigli che battevano contro la ciste. Due giorni più tardi era uscito fuori trasparentissimo, col gu- scio tuttora poco consistente e delicato, e i movimenti del corpo tanto deboli, da non fare ostacolo ad una accurata osservazione. L'animale si vedeva per l’ addome: la sola corazza era lunga 0,105 e larga 0,100. La testa, al centro della corona ciliata a, dà origine ad un vesti- bulo o peristoma dentro al quale sta un insieme di mascelle, riunite in gruppo d. Alla base di queste mascelle esiste un esofago corto c, e al di sotto dell’ eso- fago sì dipartono delle appendici cieche dd, che io chiamerei cavità multiple di stomaco. AI di sotto delle cavità stomacali si diparte un largo intestino cilindrico e, il quale termina dilatandosi con dei piccoli rigonfiamenti f, specie di cloaca che per mezzo di uno stretto canalino s immette nel foro anale g situato alla base dei due stili caudali. Questo è tutto l'apparato digerente ancora vuoto di ogni cibo. Attaccato al tubo intestinale e più in basso che in alto e dalla parte del dorso, si vede un corpo 7, quasi ovale, grosso 0,020, composto di cellule ovali con nucleo rossiccio pallido. Ogni cellula misurava eirca 0,005. Questa massa di cellule nucleate che pigliano origine e incremento dalla parete del tubo digerente, sono i prodromi della futura generazione. La fig. 2, Tav. 10, rappresenta in maggiori proporzioni le appendici cieche dello stomaco. La fig. 13, Tav. 11, rappresenta, molto ingrandito, tutto l'apparato man- dibolare di un altro individuo più adulto, ma della medesima specie di Bra- chionus ora descritto. Questo apparato trituratore è composto di sette denti, tre da un lato e tre dall'altro, e curvati in modo da opporre ciascuno la propria punta contro quella del dente che gli sta in faccia. LA VORTICELLA too) Il settimo dente, posto anteriormente, spinge la propria punta fra quelle del primo paio. T sette denti di forma lanceolata, seghettati ai margini, hanno un colore giallo rossiccio, e sono articolati sopra un sostegno, composto di varie parti aa aa saldate e componenti un sostegno solo. La dimensione di tutta la massa, denti e mascelle insieme, era 0,030 di larghezza e 0,035 di altezza. Il Brachionus a cui apparteneva questo appa- "ato, aveva una corazza che misurava 0,120 per 0,100. * Visto che le Vorticelle prima si fecondano e dopo s'incistano per com- piere una metamorfosi, si può veramente dire, come lo è difatto, che tutta la vita che Vanimale trascorre dopo Vl’ avvenuta trasformazione, è consacrata esclusivamente allo sviluppo di quella massa di cellule nueleate (Tav. 10, fig. 12) che deve convertirsi in migliaia di embrioni. Questa massa embriogenica, anche negli individui della medesima specie, cresce variamente per volume e per forma. Alla Tav. 11 la fig. 6 e alla Tav. 12 le figure 1 e 4, rappresentano tre spoglie di Brackionus fenestratus. La corazza di quello (fig. 6) misurava 0,070 per 0,160, e la massa embrio- genica 2 di forma ovale molto allungata, era lunga 0,045 e larga 0,050. Il Brachionus (Tav. 12, fig. 1) la cui corazza, vista di profilo, misurava 0,090 per 0,035, aveva la massa embriogenica x lunga 0,022 e larga 0,020. L'altro Brachionus (fig. 4) la cui corazza misurava 0,065 per 0,055, con la massa embriogenica biloba x 7, aveva il lobo superiore lungo 0,040 e largo 0,025, e il lobo inferiore lungo 0,055 e largo 0,022. Quest’ ultimo Brackionus fenestratus, in proporzione della sua grandezza, ha prodotto una massa embriogenica enorme. Confrontando in altre specie il volume della massa embriogenica in rap- porto con la grandezza dell’animale che 1 ha prodotta, si hanno, in meno, delle sproporzioni anco maggiori. Il Brachionus (Tav. 11, fig. 7) aveva la sola corazza che era lunga 0,190 e larga 0,125, malgrado queste dimensioni che sono delle più cospicue fra i Brackionus da me osservati, la sua massa embriogenica x era rappresentata da un corpo ovale che misurava 0,025 per 0,015. Io credo sempre che l'abbondanza o la deficienza di nutrimento siano la causa principale di tanta sproporzione nello sviluppo degli organi riproduttori. Del resto nessuna regola fissa vi presiede, avendo trovato moltissime spoglie di Brachionus fenestratus con tre, quattro, cinque cisti embriogeniche, ovali 0 tonde e di varie grandezze. Prima di andare più oltre, renderò ragione del come si svolge la massa S4 CAPITOLO V embriogenica. Ho già detto che adesa all’ intestino, è da quello che piglia ori- gine e incremento. La pellicola che riveste questo organo della riproduzione si distende in ragione dell’acerescimento delle parti interne, e a misura che queste vanno maturandosi, l’animale si avvicina alla sua fine. La ciste embriogenica maturata, si stacca dalla parete dell’ intestino, e se l’animale vive ancora, secondo i di lui movimenti, la vediamo spostata in- nanzi e indietro, sicchè spesso viene spinta molto più in alto dal luogo in eui era nata (Tav. 11, fig. 7 2). Ma in qualunque direzione vada questa ciste embriogenica, chiusa come è fra le pareti chitinose del dorso, e la membrana dell’addome, che al Bra- chionus invecchiato diventa chitinosa essa pure, non ha modo di uscire, e resta dentro la vecchia spoglia, resistente anche dopo che l'animale è morto. Non e è che la parte anteriore contrattile e ciliata, la quale rimasta sem- pre molle, morto il Brachionus, si disorganizza e sparisce facilmente, lasciando uma apertura assai larga. Per quella apertura esce poco a poco la materia disorganizzata dell’ ani- male, tuttavia la ciste o le cisti embriogeniche restano ancora dentro la spo- glia per molto tempo, ma non inattive, poichè esse vivono di una certa vita propria, e le loro parti interne acquistano lentamente un compimento di organizzazione. Il 23 marzo trovai il Brachionus rappresentato dalla fig. 7, Tav. 11. Lo posi in osservazione e non tardò molto a morire. Le parti interne si convertirono poco a poco in uma poltiglia gialliccia, senza più veruna traccia di organismo; la ciste embriogeniea aveva un color giallo più scuro, e dimostrava appena al disotto della propria pellicola, una leggiera ed incerta segmentazione. Il 20 aprile, cioè 22 giorni dopo, la ciste manifestava di esser piena di tante vescicole a contorno ondulato e con granulazioni interne. La disegnai a parte in maggiori proporzioni (fig. 8). La fig. 9 rappresenta in maggiori proporzioni una vescicola a contorno ondulato, e la fig. 10 la medesima vescicola diventa a contorno regolare e sferico. Dirò in seguito per quali ragioni ciò avvenga. * Quantunque la ciste embriogenica appartenente alla fig. 7, Tav. 11, sia la più piccola da me trovata, i caratteri delle parti contenute nel suo interno sono identici per tutte le cisti embriogeniche di qualsiasi grandezza e a qua- lunque specie di Brachionus appartengono. Una sola legge le governa, tutte sono piene di vescicole a contorno più o meno ondulato, come lo dimostrano alla Tav. 11 le figure 6 e 12, e alla Tav. 12 le figure 1, 2e 42. LA VORTICELLA ke}9) Quanto tempo la ciste embriogenica rimanga intatta senza rompersi, non so, ma certo lunghissimo, poichè la fig. 3 della Tav. 12 rappresenta una spo- glia messa in osservazione il 20 marzo, ed il 20 aprile successivo era come il disegno lo dimostra; soltanto si erano rigonfiate le due cisti, e la maggior parte delle vescicole incluse avevano perduto il contorno ondulato. Quando la ciste si rompe, le vescicole si riversano al di fuori di essa e riempiono tutto lo spazio vuoto della vecchia spoglia del Brackionus (Tav. 12, figure 5 e 6). Le due spoglie appartengono a specie differenti. La fig. 7 rappresenta la spoglia di un’altra specie. In essa si vede che rottasi la grossa ciste, sono uscite al di fuori altre cisti minori, contenenti tutte un certo numero di vescicole con embrioni interni. Paragonando le vescicole ancora rinchiuse nelle ciste (figure 1, 2 e 4 2, Tav. 12) con le vescicole uscite a contatto immediato con V acqua (figure 5, 6 e 7) si vede a colpo d’occhio come esse si rigonfiano e si arrotondano. Accade questo rigonfiamento perchè in ogni ciste secondaria, come in tutte le vescicole contenenti gli embrioni esiste una apertura (Tav. 11, fig. 9 @) per la quale entrandovi Vaequa, le fa rigonfiare, pigliando un contorno per- fettamente sferico. Per spiegare l’esistenza di una tale apertura, senza fare un ragionamento troppo lungo, mi varrò di una premessa e di un esempio. Non è possibile immaginare che um corpo si sviluppi dentro un altro e derivi da questo, senza che esista fra loro un rapporto continuo ed immediato. Le vescicole con i respettivi embrioni, crescono e stanno pigiate nella ci- ste, come stanno pigiati fra loro i semi di un melagrano. Per quanto siano numerosissimi e riempiano tutto il frutto, ogni uno di essi, con la respettiva teca che lo avvolge, ha um punto d’attacco, visibile staccando il seme. Così ad ogni vescicola che si stacca dall'interno della ciste, restano visi- bili i margini dell’attaccatura e nel centro un foro. Dopo due o tre giorni che gli embrioni contenuti nelle vescicole sono a contatto dell’acqua, elemento in cui devono vivere, aumentano quasi del dop- pio, cioè poco più di un millesimo di millimetro ed acquistano tutte le pre- rogative della vita individuale. Cominciano ad oscillare senza abbandonare la vescicola che occupano, e sembra che un. qualche cosa li trattenga attaccati. Dico sembra perchè è impossibile vedere quale sia questo impedimento, ma se ne ha la sicurezza giudicandone dall’effetto, poichè alla oscillazione de- gli embrioni, anche la vescicola si muove per tutti i versi, e qualche volta in senso rotatorio discretamente celere. Quando gli embrioni arrivano a staccarsi dalla vescicola che ha servito loro di matrice, escono alla vita libera, nè più nè meno come un feto che ab- bandona l'utero materno; e per seguitare il paragone, il peduncolo o filamento che per essi sarebbe come un fumicolo ombelicale, resta loro attaccato e di- 86 CAPITOLO V venta il flagello o la piccola coda, col muover della quale si trasportano da un luogo ad un altro, godendo di una indipendenza assoluta. Questo paragone che parrebbe una iperbole è perfettamente nel vero, e corrisponde perfettamente all’ atto col quale escono alla vita libera, questi es- seri tanto minimi. * La fig. 1 della Tav. 13 rappresenta più ingrandita, la medesima spoglia (fig. 6, Tav. 12). Osservata tre giorni dopo, vidi delle vescicole a, d, le quali per il movimento degli embrioni interni, erano uscite dalla apertura superiore della spoglia. Nell’interno di questa, vidi pure una ciste secondaria c con cinque vesci- cole incluse di varia grandezza. Un tal fatto dimostra che in tutte le specie dei Brachionus, la grossa ciste embriogenica può racchiudere altre cisti minori, dentro le quali stanno le ve- scicole con gli embrioni, e nulla si discosta da quanto rudimentalmente si vede alla Tav. 10 nella fig. 1 2. Tornando alla fig, 1 della Tav. 13, la ciste secondaria c era lunga 0,020; la vescicola « era larga 0,005; quella d era larga circa 0,007. Gli embrioni inclusi 0,002 scarsi. La fig. 2 (Tav. 13) è la medesima spoglia (fig. 1) veduta altri due giorni dopo. Ormai nel suo interno non rimangono che poche vescicole e la maggior parte vuote. Anche all’esterno se ne osservano delle vuote o quasi. Solamente le due vescicoline @ larghe 0,005 conservano ancora la maggior parte degli embrioni interni. * La fig. 3, Tav. 13, rappresenta più ingrandita la medesima spoglia (fig. 7, Tav. 12) osservata due giorni dopo. La massima parte delle sue cisti sono ri- maste vuote. In alcune vi è ancora qualche vescicola con embrioni 4. In altre cisti d sono rimaste tutte le vescicoline ma vuote affatto. È notevole vedere come siasi ingrandita l'apertura di alcune cisti; per quella grande apertura le vescicole sono potute uscir fuori intere. Alla lettera m due cisti ancora intatte; alla lettera » una ciste al disopra della quale stanno tre embrioni oscillanti. Alla lettera g una vescicolina vuota trasparentissima, con tre embrioni oscillanti in vicinanza. La fig. 4 rappresenta più ingrandita la porzione anteriore della fig. 3 veduta un giorno dopo: p una quantità di embrioni che oscillando vengono fuori dalla spoglia del Brachionus: la loro lunghezza misurava 0,002. LA VORTICELLA 87 Fig. 5. Due vescicole una delle quali torna a rammentare come in origine avessero tutte il contorno ondulato. Fig. 6. Vescicola con la membranella rotta. Fig. 7. Quattro embrioni oscillanti che misuravano quasi 0,003. * Queste osservazioni furono fatte nella seconda metà d’aprile. Che cosa avviene degli embrioni dei Brackionus ? Nella preparazione in cui avevo da cinque giorni la spoglia del Brachio- nus (fig. 1 e 2 della Tav. 13) trovai fissate sopra un meschino filo di conferva le prime piccolissime Vorticelle (fig. 8). Il loro corpo misurava 0,004: avevano già la piccola corona di cigli vibratili ed un gambetto lungo circa 0,008 ma senza facoltà ancora di accorciarsi a spirale. Resta un’ultima osservazione da fare. Nella preparazione in cui conser- vavo la spoglia del Brachionus (fig. 3 e 4) vidi um gruppo di embrioni (fig. 9), ogni uno misurava circa 0,003. Vanno aleumi ad aderire col proprio gambetto su quello di un altro embrione già fissato alla conferva, ed altri ancora sul gambetto di quelli già fissati al primo, e così vivere in famiglia? Certamente questa non è questione da potersi risolvere direttamente dalla esperienza: sta il fatto che nelle migliaia delle mie osservazioni, mi è capitato di trovare dei gruppi di vorticelle a due, a tre, a quattro, a cinque, ece., riu- nite insieme, fissate sopra um peduncolo comune; e di grandezza minima presso a poco come quelle accennate alla fig. 8. La incostante quantità del numero delle Vorticelle che concorrono a for- mare tali gruppi, mi fa credere che la mia supposizione non sia tanto strana: del resto è cosa ormai accertata che dalle Vorticelle, siano solitarie o vivano a gruppi sopra un sostegno comune, derivano sempre dei Brackionus. =) x Nello sviluppo dei microzoi finora descritti, questo è il secondo cielo nel quale avvenga una completa metamorfosi dall’embrione all’animale perfetto, animale di cui la Vorticella è la larva. Confrontando lo sviluppo che nelle diverse fasi raggiunge l'embrione, si hanno le seguenti cifre: Grandezza media dell'embrione . . . . .. . lungo 0,003 e largo 0,002 Grandezza massima di una Vorticella vicina alla sua metamorfosi . ..........lunga 0,140 e larga 0,105 Grandezza massima della sola corazza di un PENAGI O VUE RR RI: . lunga 0,210 e larga 0,110 bat) CAPITOLO V Nelle dimensioni minime si hanno le proporzioni seguenti: Grandezza media dell'embrione . . . . ... lungo 0,003 e largo 0,002 Grandezza minima di una Vorticella vicina alla sua metamorfosi . . . . . . + +. +» » lunga 0;035 e larga 0,035 Grandezza minima della corazza di un Bra- chionus maturo... ...* «+ «+ + + « «è » lunga. 0,060 e larga 0,040 Nelle massime grandezze, l’embrione ha aumentato 49 volte il suo dia- metro per divenire Vorticella pronta a metamorfosarsi, e 64 volte il diametro per divenire animale perfetto. STORIA RETROSPETTIVA SPALLANZANI, verso il 1760 fu dei primi a studiare e descrivere le Vor- ticelle, e le chiamò animali a filo, a bulbo come le cipolle. Descrisse, come meglio non si potrebbe, il modo col quale prendono il cibo, l’accorciarsi del filo a spirale contemporaneamente al chiudersi dei cigli an- teriori, ed annunziò una idea eminentemente rivoluzionaria, per quei tempi, dicendo non senza molta riserva, che eragli parso vedere le Vorticelle accop- . piate per la fecondazione. ELLIS ed il fisico BECCARIA in seguito a proprie ricerche lo credettero essi pure. A stabilire nei microzoi una maniera di moltiplicazione, molto differente da quella sospettata dai rammentati autori, contribuirono grandemente le seo- perte divulgate da TREMBLEY sulla moltiplicazione dei Polipi a braccia (Po- lipi d’acqua dolce, cioè le Idre, le quali, egli ed altri videro potersi moltipli- ‘are per divisione spontanea). Da questo fatto BoNNET credette di potere argomentare che le Vorticelle viventi riunite sopra uno stelo comune, non erano altro che il prodotto di un solo individuo, il quale si era moltiplicato, per una ripetuta divisione longi- tudinale, rompendosi e dividendosi con una estrema facilità; ma imperfetta- mente, poichè ad un certo punto la divisione del peduncolo cessa, ed ogni produzione rimane a far parte di un insieme a cui BonNET dette il nome di Polipo a mazzetto. Richiestone il parere a DE SAUSSURP questi rispondeva a BONNET nel 1769, le seguenti parole: « Quello che voi proponete come un dubbio, sono convinto essere la verità, e come i Polipi possono moltiplicarsi per divisione e suddivi- sione continue, altri infusori che hanno forma tonda o ovale, senza umeini an- teriori, si dividono trasversalmente. » ‘ LA VORTICELLA S9 Essendogli poi venute sott'occhio le osservazioni di SPALLANZANI, serisse a quest’ ultimo per avvertirlo che il preteso accoppiamento di due infu- sori, non era invece che un solo individuo in via di moltiplicarsi dividendosi in due. L’autorità di De SAUSSURE che aveva riempito il mondo di ammirazione per le sue scoperte sulla organografia e fisiologia delle piante, e che aveva detto cosa vera relativamente alla moltiplicazione per divisione trasversale in alcuni infusori, ebbe un gran peso sulla opinione di tutti. L'idea fu genera- lizzata ad ogni specie d’infusori, e SPALLANZANI stesso confessò che si era ingannato. Accettata la teoria della divisione spontanea come tipo della moltiplica- zione degli infusori, ELLIS pensò che tale divisione avvenisse, per gli urti che si davano reciprocamente. SPALLANZANI per accertare se un tal fatto fosse vero, isolò con un modo semplice e ingegnoso degli infusori, uno lontano dall’ altro e li vide dividersi egualmente senza essere urtati. i Ne descrisse quattordici specie che si moltiplicavano per divisione trasversa, e vide che anche l’animalino a filo, a bulbo come le cipolle, si divideva per moltiplicarsi, ma non di traverso come tutti gli altri, bensì longitudinalmente, come avveniva nel polipo a mazzetto di BoNNET. SPALLANZANI descrive minutamente come la Vorticella si divide dall’ alto al basso, e dice che il nuovo animale si separa dal compagno, senza filo, che corre per il liquido, che ben presto gli si vede crescere quel filo che gli man- cava, e con esso si attacca ai corpi estranei. NEEDHAM afferrando la teoria della divisione e suddivisione degli infusori, conelude che con questo mezzo si arriva ad ottenere quei minutissimi esseri delle infusioni, i quali esaminati coi più forti ingrandimenti, non sembrano altro che dei punti che si muovano. DE SAUSSURE protestò che non aveva detto tanto, e SPALLANZANI con- tradisse la nuova teoria di NEEDHAWM, annunziando um altro concetto, un’altra verità ormai indiscutibile, cioè che gli infusori che si moltiplicano per divi- sione, possono anco moltiplicarsi per lo sviluppo di piccolissime uova, seminuli o corpuscoli preorganizzati, i quali, egli dice di voler chiamare Germi. «Tutto procede secondo il solito, egli conclude, i piccoli si fanno grandi. » x . Era ben naturale che in quei tempi, per la imperfezione dei mezzi ottici, in confronto ai moderni; il concetto dovesse precedere la dimostrazione diretta, e fra tanto battagliare di opinioni diverse, Linneo ebbe a dire che gl’ Infu- sori erano il Caos della natura. 12 90 CAPITOLO V * Nel passare in rassegna le idee degli autori più vicini a noi, tralascio di enumerare tutte le discussioni che hanno un valore di poca o punta im- portanza, relative ai caratteri esterni, e mi limito a riassumere brevemente quanto si è detto circa la interna organizzazione e la riproduzione delle Vorticelle. PEHRENBERG nella sua grande opera sugli infusori pubblicata nel 1838, ammette come gli antichi, la divisione longitudinale spontanea della Vorti- cella, e per conseguenza stabilisce che il Polipo a mazzetto di BonNnET non è altro che un insieme di Vorticelle derivate le une dalle altre, ma non se- paratesi completamente nel peduncolo. Definito in tal guisa il perchè della esistenza di più Vorticelle sopra un peduncolo comune, chiama Vorticella ramosa o Carchesium, quelle il cui soste- gno comune è flessibile a spirale, e chiama Epistylis le altre che stanno sopra un peduncolo comune, rigido e senza muscolo interno. Nessuno ha mai contradetto questa teoria della riproduzione, ma quando EHRENBERG affermò che le Vorticelle, solitarie o sociali erano animali poliga- strici con un canale alimentare distinto, i più lo combatterono, e si può dire che mai una verità ebbe avversari più ostinati. DUJARDIN nel 1841 fu uno degli oppositori più autorevoli. Egli negò tutti gli organi digestivi di EHRENBERG e ridusse la organizzazione interna delle Vorticelle ad un misterioso Sarcode che apre spontaneamente dei vacuoli, senza ordine e senza legge, per dar passaggio alle materie alimentari attraverso una sostanza gelatinosa, senza nessuna organizzazione apparente. Questa definizione vinse e vive ancora. Malgrado ciò, DUJARDIN vide che le Vorticelle hanno un tegumento re- ticolato e che si moltiplicano anche per gemma. DE: CLAPARÈDE e LACHMANN nel 1859 hanno descritto e figurato delle Vor- ticelle che si riunivano fra loro, e dopo le hanno vedute lasciare il peduncolo per andare a nuotare liberamente nel liquido ambiente. Ma i detti autori confessano d’ignorare la causa di questa unione dei mi- erozoi, e dicono che non hanno mai potuto seguire le possibili trasformazioni di questi animalucci coniugati. FROMENTEL nel 1874 nega il tegumento reticolato, e dubita della moltipli- cazione per gemma asserita da DUJARDIN. LA VORTICELLA 91 La cosa più singolare si è che dopo aver detto che le Vorticelle non sono poi tanto semplici quanto alcuni lo credono, citando le osservazioni di CLA- PARÈDE e LACHMANN aggiunge le seguenti parole: « Una volta abbiamo ve- duto anche noi l'accoppiamento di due Vorticelle: presso questi animali 1’ umione si fa col ravvicinamento delle due sommità e il contatto dei due dischi vibra- tili; è possibile tuttavia che quello che i micrografi chiamano la coniugazione dei mierozoari non sia in realtà che un accoppiamento laterale. » Detto questo, FROMENTEL torna ad affermare quanto aveva detto SPAL- LANZANI 114 anni prima, ripetendone parola per parola, cioè che la moltipli- cazione delle Vorticelle si opera per divisione spontanea longitudinale. Teoria fatale, così facile a smentire, ma che per tanto tempo ha tenuto le Vorticelle confinate in un ciclo assai meschino, ed ora si può aggiungere, per la loro organizzazione interna, impossibile. FRECGECLO DALLE MONADI ALL’'IDRA ParTE PRIMA DELLE AMEBE, E LORO ORGANIZZAZIONE Tutte le figure della Tav. 1 rappresentano altrettante Amebe. Quantunque esse sieno variabilissime nella forma esterna, per cagione di un diverso atteg- giamento e di una maggiore o minore capacità ad espandersi, tuttavia la loro organizzazione interna è semplicissima ed eguale per tutte. Il corpo delle Amebe è costituito da una parete elastica a forma di sacco o borsa vuota (fig. 4a). L'apertura di questo sacco (fig. 40) è la bocca che l’animale apre e chiude continuamente. L'acqua che per la bocca entra nel corpo, serve naturalmente a tenerlo rigonfiato. Adese alla parete interna del sacco vi sono delle mezze vescicole ec, le quali rilevano come tante eupolette vuote. Il cibo di cui l’animale va in cerca si accumula nel sacco, il quale non è altro che un grande serbatoio di materiali per la nutrizione. Le particelle più piccole, come sarebbero granellini di fecola o sporule vegetali, oppure sostanze di altri corpi animali già ridotte in dissoluzione, entrano a riempire le cupolette interne, talchè esse non sono altro che piccoli stomachi, dentro ai quali vengono elaborati i cibi, e quindi i materiali nutritizi che ne derivano assorbiti per dare incremento allo spessore di quella parete formante il sacco, che è tutto quanto serve a costituire il vero corpo principale dell’Ameba. Tutto ciò che lo riempie sono materie estranee, le quali vengono riget- tate dalla bocca allorchè hanno servito alla nutrizione. Poichè la organizzazione dell’Ameba è il punto di partenza che deve gui- darci in una notevole serie di future osservazioni, per non allontanarmi dalla cosa ora più interessante, sorvolo sopra tanti minuti dettagli dei quali mi 96 PARTE PRIMA occuperò estesamente in seguito, e dirò intanto che al di fuori, sulla parete esterna del sacco, le Amebe arrivate a maturità, sviluppano tanti globettini, i quali sono destinati alla nuova generazione. * Il sacco coi suoi stomachi interni e i suoi globettini embriogenici esterni, in fine tutto il corpo delle Amebde è custodito e rinchiuso dentro una pellicola esterna (fig. 4 dd), sottile, trasparentissima ed elastica in modo superlativo. In aleune Amebde questa pellicola è saldata soltanto ai margini dell’aper- tura buccale, è in tutto il rimanente è una tumica affatto staccata dal corpo che rinchiude. Tutti i movimenti di traslazione delle Amebe dipendono dall’ atteggiamento della loro pellicola esterna. Tali movimenti sono eseguiti tanto lentamente, che l'osservatore ha sempre buona occasione per distinguerli e seguirli in tutte le loro manifestazioni. Ecco il modo col quale i movimenti si producono: 1 Ameba spinge uma parte del liquido che riempie il suo corpo, dentro la pellicola che lo riveste: la pellicola, elasticissima come è, cedendo alla pressione del liquido che la spinge in fuori, si allontana dal corpo formando delle anse ben rotonde (fig. 4 ee). Fatto questo il corpo dell’Ameba si spinge lentamente dentro ansa della pellicola allungata in fuori, e seguitando in questo modo, cammina per qua- lunque direzione. Spesso si vede che la pellicola dopo essersi allontanata in diverse dire- zioni torna insensibilmente a riavvicinarsi al corpo dell’ Ameba, senza che Vani- male siasi mosso, quasi che per le impressioni trasmessegli dalla pellicola, cercasse di scandagliare in qual direzione gli convenga inoltrarsi; e in questo ‘aso i prolungamenti servono da veri tentacoli di esplorazione e di tatto. Un altro modo di comportarsi della pellicola è quello di prolungarsi non più ad anse larghe ma piuttosto in forma di tanti ditali, con estremità arro tondate (fig. 8, 10 e 11), e non è difficile vedere che nel medesimo tempo che alcuni ditali si prolungano, altri si accorciano e vanno a sparire completa- mente. Questo caso indicherebbe che la pellicola esterna in aleune Amebe ha delle briglie che la fanno aderire al corpo, e che per lazione del liquido che la spinge, essa si solleva e si allontana in quei dati punti soltanto nei quali non ha nessun freno che la tenga riunita al corpo. I prolungamenti a ditale talvolta si prolungano molto, terminando a punta acuta (fig. 1 e 2) e acutissima (fig. 3-5 e Tav. 3, fig. 3). In aleune Amebe i prolungamenti sono corti e appuntati come spine (Tav. 4, fig. 9 e 10). DELLE AMEBE, E LORO ORGANIZZAZIONE 9 I prolungamenti lunghi e sottili servono mirabilmente all’uso di tenta- coli, che l’animale piega e rivolge in tutti i sensi, e quando vuol servirsene per organi di locomozione, ne appoggia le punte una dopo l'altra, contro i corpi estranei e cammina lentamente, sorretto da quei raggi provvisori, che fanno capovolgere il suo corpo, come gira il mozzo di una ruota. Alla Tav. 2 la fig. 4 rappresenta una Ameba la quale per camminare ese- guisce i movimenti descritti sopra: il solo corpo era lungo 0,020 e largo 0,015 senza valutare i raggi che disposti intorno ad esso, le danno Vaspetto di uma stella. I prolungamenti terminati a punta indicano di essere arrivati alla mas- sima distensione; gli altri con estremità ottusa o arrotondata «« possono pro- lungarsi ancora. La fig. 5 (Tav. 2) rappresenta un’ altra Ameba stellata, menochè in questo animale il maggior numero dei raggi sono in via di accorciamento più o meno avanzato: « raggio mezzo retratto, db molto, € quasi sparito del tutto. La fig. 6 rappresenta 1 estremità di un raggio appuntato, cioè nel mo- mento della massima distensione; la fig. 7 quando il raggio è in via di accor- ciarsi. Esso comincia immancabilmente sempre dalla punta a pieghettare la pellicola, respingendo in tal guisa il liquido che la iniettava, e obbligandolo a ritornare nella cavità del corpo. La fig. 8 mostra il progressivo increspamento della pellicola di tutto il raggio; nella fig. 9 si vede quando il raggio è completamente sparito e la pellicola è vicina a ritornare al suo stato normale, cioè distesa e quasi al contatto del corpo dell’ Ameba. È assai notevole la prerogativa di questa pellicola, poichè nell’ accorciare i raggi da lei formati, spiega un’ azione sua propria e s’inerespa per deter- minare l uscita del liquido che la inietta, mentre per rigonfiarsi, subisce pas- sivamente la spinta del liquido e si allunga cedendo a poco a poco, mante- nendosi sempre con un contorno liscio e uniforme, come si vede nei due raggi nascenti della fig. 4 a a. i I variatissimi atteggiamenti della pellicola sottilissima, elastica, traspa- rentissima, che obbedisce a tutte le volontà dell’ animale, sono indizio sicuro che in essa debba esservi l’organizzazione di una compagine assai complicata, ma della quale non avremo mai idea, quantunque sia fuori di ogni dubbio, che la vita, il moto e la volontà, debbano avere i loro organi per manife- starsi. Nelle Amebe molto piccole e a tentacoli lunghi e sottili, si dà il caso di vederle coi loro raggi rigidi ed immobili, non avendo altro movimento che quello di aprire e chiudere la bocca. Rimuovendo artificialmente per mezzo di piccole pressioni, il liquido della preparazione, si veggono tali Amebe ruzzolare nella corrente come corpi inerti. Le Amebe di cui intendo parlare sono quelle alla Tav. 1, gruppo 9 e indi- cate dalla lettera a ad. 13 Me le Sdi — sr i itad_ Al — PUPA, EI TE TL TO 98 PARTE PRIMA Alla base di aleuni raggi (fig. 9000) vi sono dei rigonfiamenti: quando sono così modificati si staccano dall’animale che li ha prodotti e diventano altrettante piccole Amebe (fig. 9 ce). Un tale fatto accaduto sotto i miei occhi, mi confermò ehe date certe condizioni anche nelle Amebe @ è una moltiplicazione per divisione. Il solo corpo dell’Ameba dd (fig. 9) misurava 0,011, e le due Amebe ce de- rivate dai suoi raggi distaccati misuravano le seguenti lunghezze: la più pic- cola quasi 0,008, la più grande circa 0,007. x Visto quale sia l’importanza e l'ufficio della pellicola, e come per il vario atteggiarsi della medesima, le Amebe appariscano di forme tanto differenti, rammento ancora una volta che la struttura del vero corpo delle Amebe, grandi o piccole che siano, è sempre uguale per tutte, cioè un sacco coi suoi stomachi interni. Non c'è che una maggiore o minore elasticità nelle pareti del medesimo per insinuarsi o no dentro le anse a ditale o a raggio che fa la pellicola esterna. Per esempio alla Tav. 2 le due figure 4 e 5 non spingevano porzione del loro corpo dentro la base dei loro raggi, mentre alla Tav. 3 PV Ameba rappre- sentata dalla fig. 5 ne spingeva una buona parte in tutti i suoi prolungamenti, - e poi lo ritirava arrotondandosi, come lo dimostra la fig. 6 che rappresenta la medesima Ameba in diversa contrazione. La bocca delle Amebe, cominciando dalle più piccole (Tav. 1, fig. 9 ce) è sempre visibile, poichè restando anche dalla parte inferiore, non potendo esserci nel corpo di sì piccole Amebe cibi solidi che la nascondano, essa si fa sempre scorgere egualmente bene, per la trasparenza dell’animale, e si annunzia chia- 'amente pel suo moto continuo di aprirsi e chiudersi. Talumi autori più recenti, hanno creduto la bocca delle Amebe una vesci- cola pulsante e per conseguenza il cuore. Nelle Amebe più grandi potendo le cavità del sacco e dei suoi stomachi, essere ripiene di materiali per la nutrizione, la bocca si vede meglio quando resta dalla parte superiore; del rimanente ci vuol poco ad aspettare che Vani- male si metta in posizione favorevole. Quando la bocca è dilatata, la sua apertura è perfettamente tonda: nella Tav. 2 alla fig. 10 @ apparisce ovale perchè è vista di profilo. Per chiudersi comincia a inerespare i suoi margini (fig. 11 2) finchè le erespe si toccano a guisa di sfintere, per poi tornare a riaprirsi: è un moto volontario, incessante come il boccheggiare di un pesce. In presenza di corpi voluminosi che sodisfino all’ appetito dell’ Amebda, essa dilata la sua bocca moltissimo, pur di attirare nel sacco un animale da dige- "pi Di ii ie a r li PIE SIE AAT ; N° LI DELLE AMEBE, E LORO ORGANIZZAZIONE 99 rire. Il sacco è una prigione dove la preda muore e si disfà; gli stomachi ne ritraggono 1 alimento. - Alla Tav. 3 l'Ameba rappresentata dalla fig. 4 misurava 0,060 di maggior larghezza e 0,100 di lunghezza: il Brachionus che aveva nel suo sacco era largo 0,025 e lungo 0,055. Lo trovai fra gli steli di Ninfee putride ai primi di settembre. Come ho detto altra volta le figure 5 e 6 rappresentano una stessa Amebda in vario stato di contrazione. Nel suo interno aveva una ciste con larva, forse di Brackionus, lunga 0,050 e larga 0,035. Questa Ameba la trovai fra le conferve raccolte nel fiume parimente nel settembre. La fig.7 rappresenta una terza Ameba che nella minore larghezza misu- rava 0,025 e nella maggiore lunghezza 0,075. Essa aveva nel suo interno uma Navicula lunga 0,045 e larga 0,015, la quale si spostava da un lato all’ altro pei continui movimenti del sacco che la conteneva. Scelsi il momento di disegnare VAmeba quando era ben visibile l'apertura buccale « e le interne vescicole stomacali, disposte con molta simmetria intorno ad essa. S'intende che tanto in questa figura come nelle altre figure 4, 5 e 6 non sono state disegnate tutte le vescicole per lasciare con più chiarezza gli animali inclusi. Come ho indicato altre volte, le Amebe sono lentissime nei loro movimenti, e se in questa prerogativa l'osservatore trova molta facilità per poterle osser- vare senza pericolo che gli sfuggano, non può tuttavia dispensarsi di adope- ‘are tutti i mezzi indicati da una lunga esperienza, nell’ uso degli ingrandi- menti più forti. Bisogna saper distinguere strato per strato la relativa sovrapposizione delle diverse cose, ed apprezzare i movimenti volontari di quelle che fanno parte integrante dell’animale, e la giacitura come lo spostamento casuale delle altre che gli sono estranee. Alla superfice delle Amebe abbiamo la pellicola, sotto di essa gli embrioni, quando siano sviluppati, dopo gli embrioni la parete del corpo, al di dentro di questa parete la base delle vescicole (stomachi) le quali si allungano, si allargano, si pressano insieme, secondo i diversi movimenti della parete sulla quale sono adese simulando una specie di reticolato solamente apparente. Vi sono infine tutti i materiali della nutrizione; quelli più piccoli passati dentro alle vescicole, e gli altri sparsi più o meno abbondantemente nella grande cavità centrale; materiali che hanno degli spostamenti, subordinati e dipendenti dalle diverse contrazioni dell’ animale che li contiene. Alla Tav. 3 la fig. 1 rappresenta un’Ameba che fu disegnata tenendo fuori di fuoco le parti superficiali di essa, per vedere i corpi contenuti nella sua grande cavità. Tali corpi sono di natura vegetale e conservano ancora la loro disposizione a coroncina. La fig. 2 della medesima Tavola rappresenta un’altra Amebda, con la sua 100 PARTE PRIMA cavità ed i suoi stomachi talmente vuoti di cibo, che fuocheggiando, dopo le vescicole o cupolette più superficiali «, si vedono le sottostanti d che sono adese alla parete inferiore. La lettera c indica due corpi traslucidi, probabilmente granellini di fecola penetrati dentro alle vescicole; alla lettera 4 abbiamo dei corpi minuti e mi- nutissimi, i quali scorrono nel liquido che dal corpo dell’Ameba viene spinto contro la pellicola esterna che si prolunga. Dalla presenza di questi piccoli corpi ineguali di forma e di grandezza, che non hanno movimenti propri, ma ruzzolano nella corrente liquida che li trasporta, si viene a dimostrare chiaramente, che il liquido deve passare per dei fori, trascinando seco una parte delle più piccole particelle, dovute ai tanti detritus, che le Amebe trovano commisti alle sostanze nutritive, specialmente se raccolte nei bassi fondi delle acque putride. Quando gli stomachi delle Amebe sono vuoti, come io li vedeva in questa fig. 2, essi si stringono e si allargano, indizio sicuro che hanno possibilità di attirare dentro di loro le sostanze da digerire, come di espellerle dopo che hanno servito alla nutrizione, riversandole nel gran sacco, dal quale vengono poi rigettate al di fuori, operando una vera defecazione. Tutto questo scambio di materiali dentro agli stomachi, indica necessa- riamente la preesistenza di aperture nei medesimi. La fig. 1 in tutti i suoi prolungamenti a estremità ottusa, e la fig. 3 nei suoi prolungamenti « terminati a punta, dimostrano esse pure la presenza di piccolissimi corpi estranei nel recinto della pellicola esterna e confermano quanto è stato detto alla fig. 2 d. (= * Accennato quanto sia necessario rendersi ragione esatta di tutto quello che può incontrarsi nelle Amebe, senza che faccia parte del loro organismo, torno a rammentare come esso sia semplicissimo. La fig. 12 della Tav. 4 rappresenta una piccola parte di sezione schema- tica di una Ameba: a porzione della parete formante il sacco, o corpo prineci- pale; bb i diversi stomachi visti in sezione, situati internamente su tutta la parete del corpo; ce gli embrioni che si sviluppano sulla parete esteriore del corpo; dd la pellicola che riveste tutto l’animale. La fig. 11 rappresenta la figura schematica di un’ Ameba sezionata par- zialmente; in essa si vede la pellicola esterna atteggiata secondo i suoi di- versi prolungamenti; dentro la pellicola sta il corpo con gli embrioni svilup- pati all’esterno; la lettera « indica il contorno degli stomachi veduti per profilo, d contorno basilare degli stomachi inferiori veduti perpendicolarmente, c contorno basilare degli stomachi situati al di sotto della parete superiore dell’Ameba, d la bocca della medesima. T I° DELLE AMEBE, E LORO ORGANIZZAZIONE 101 * Quando le Amebe hanno bene sviluppati i loro embrioni, possono dirsi mature. Le figure 3 e 5 indicano una sola Ameba in diversi atteggiamenti, da me studiata il 27 aprile e trovata fra le conferve conservate in una tazza fino dal 15 dicembre. L'animale oltre a prolungarsi in diverse guise, faceva anche del tragitto : il solo suo corpo quando si faceva sferico misurava 0,025. La pellicola esterna non era adesa che ai margini della bocca e qualche volta veniva spinta in fuori da dei prolungamenti che faceva il corpo medesimo, come lo dimostra lalnoniota. L'Ameba rappresentata dalla fig. 1 quantunque matura, si muoveva spin- gendo porzione del suo corpo in tutte le sinuosità della pellicola esterna, anzi i loro movimenti erano contemporanei. Le figure 6 e 7 rappresentano una sola Ameba in vario atteggiamento ; la trovai nella solita tazza citata sopra; le dimensioni del solo corpo erano di 0,025 per 0,080. Come si vede l’animale riversava molto liquido dentro la sua pellicola esterna sempre elasticissima, ed in quel liquido una grande quantità di embrioni già distaccati oscillavano in tutti i sensi. La fig. $ rappresenta un’altra Ameba nelle stesse condizioni di quella ora descritta, quantunque il contorno del suo corpo, non si mantenesse troppo regolare: esso era lungo 0,060 e largo 0,025. Ammetto molta importanza nel fare osservare come da un animale così pigro, quale è I’ Ameba, derivino embrioni oscillanti ; il perchè di questo fatto lo dirò in seguito. Gli embrioni maturi e distaccati dal corpo che li ha prodotti, per uscire in libertà, hanno bisogno che la pellicola che li imprigiona si rompa, e così avviene. I filamenti di conferve fra i quali trovai queste ultime Amebe mature, erano talmente sottilissimi e delicati, che ad occhio nudo non parevano piante, ma globettini irregolari o fiocchi di gelatina di un verde cupo, quasi turchino. Chiunque ha conservato per lungo tempo delle conferve avrà notato certa- mente che esse si moltiplicano e che le loro spore si sviluppano riunite a gruppi, nel modo ora indicato. Prendendo con la punta di um ago quei piccoli ammassi di conferve gio- ranissime, ebbi modo di fare con esse delle preparazioni dove le Amebe si mantenevano nelle stesse condizioni in cui le aveva raccolte. Il giorno dopo trovai che alcune avevano perduta la pellicola esterna (fig. 2 e 4); tuttavia quantunque avessero cominciato a disgregarsi non erano ancora morte; esse sì contraevano e cambiavano .un poco di figura, allun- gando e accorciando non solamente quel tanto di compagine che ancora ri- 102 PARTE PRIMA maneva intatta, ma anco i moncherini « sui quali si vedevano sempre aleuni embrioni che non eransi distaccati. Gli embrioni misurano poco più di 0,001. La loro maniera di svilupparsi sul corpo dell’ Ameba, non è alla rinfusa; essi crescono disposti regolarmente uno accanto all’altro su quegli spazi in- terposti fra uno stomaco e l’altro, cosicchè esternamente vengono a formare delle aureole che circondano la base di ogni stomaco sottostante. Tale distribuzione degli embrioni la dimostrano egualmente alla Tav. 4 le fisure 2, 3, 4 e 5 e alla Tav. 2 la fig. 14 a. Dirò altrove il perchè della apparente contradizione che le Amebe con embrioni maturi non siano quelle arrivate alla massima grandezza. STORIA RETROSPETTIVA Citerò per il primo SPALLANZANI il quale riassumendo le idee degli au- tori che lo precedettero e di quelli del suo tempo, così scrive: «I naturalisti, per quanto io ne sappia, non conoscono ehe una sola specie che si moltiplica secondo l’idea di ELLIS (1) ed è il famoso Volrox seo- perto per il primo da LEEUWENHOEK, che senza dubbio si è chiamato in tal modo perchè esso si rivolge su sè stesso per camminare. « Aleumni osservatori hanno già scoperto nel seno di questo animalino dei figli, dei nepoti, dei bisnipoti, e fino alla quinta generazione. « Questi animalini sono in principio piccolissimi, in seguito ingrossano al punto da essere visibili ad occhio nudo; essi sono di um color verde tendente al giallastro, la loro figura è globulosa, la loro sostanza è membranacea e tra- sparente; nel mezzo a questa sostanza essi rinchiudono diversi globettini pie- colissimi. « I piccoli globuli che rinchiudono, osservati con una lente più forte, sembrano altrettanti Volzor molto più piccoli, che hanno ciaseuno la loro membrana diafana e che rinchiudono altri Volrox più piccoli. Io sono venuto a distinguere la terza generazione, ma non ho mai saputo distinguere le altre due, quantunque abbia impiegato le lenti più forti. « Certamente dei piccoli globuli fanno altrettante generazioni incassate le une nelle altre, poichè le mie Volrorx essendo divenute più grandi, i Vol=ox più piccoli cominciarono a muoversi nella membrana; essi si distaccarono dal loro padre, e uscirono e nuotarono nella infusione, ruzzolandosi e ravvolgendosi sul loro asse, per passare da un luogo ad un altro, secondo la maniera di questi animalini. (1) ELLIS diceva, come ho citato altra volta, che la moltiplicazione degli infusori avvenisse per l’urto che si danno reciprocamente. DELLE AMEBE, E LORO ORGANIZZAZIONE 105 « Quando questi animalini ebbero lasciato il seno materno, la membrana comune che li conteneva s’ increspò, cominciò a disciogliersi, e dopo aver per- duto ogni movimento, essa pure fu perduta di vista. « Tuttavia i Volvox digià nati ingrandivano con i piccoli globuli che essi contenevano; questi ultimi si muovevano come i primi, essi si sbarazzavano come i primi della loro membrana comune che si disfaceva alla sua volta, e nuotavano come quelli che ho già descritto. «To ebbi voglia d’isolare nei cristalli queste generazioni successive di Volvox a misura che essi uscivano dal seno materno, e son pervenuto a ve- dere la terza generazione. » * Dalle parole di SPALLANZANI si deduce che per i mezzi ottici posseduti dagli antichi essi non videro che le Amebe di grandi dimensioni, e che le con- fusero fra i loro Volvorx insieme ad altri infusori a forma costantemente ro- tonda. Questo fatto lo dimostrano le figure dateci da SPALLANZANI stesso, che rappresenta alla sua Tav. 11, fig. 11, tre corpi di differenti grandezze ma tutti egualmente sferici, con granulazioni interne. Anche le Amebe assumono forme rotonde, ma sono talmente momentanee, che nessuno penserebbe a di- segnarle costantemente sferiche, trascurando d’ indicare i vari prolungamenti che fa la pellicola esterna, loro principale caratteristica. MULLER si occupò di meglio definire con nomi speciali alcune delle varie forme e chiamò Volrorx l’animale semplicissimo trasparente sferico ; Proteus l’animale semplicissimo, trasparente e di forma variabile, facendone due spe- cie, cioè Proteus defluens quello che si dispone a guisa di rami, e Proteus tenax quello che si mantiene con prolungamenti costanti. * PHRENBERG, senza dissipare le nebbie della teoria antica con la terza e la quinta generazione nei Vo/vor, li chiamò Amoebaea e ne fece quattro specie distinte. 1° Amoebaea major, grande giallastra, grossa circa 0,330, provvista di appendici variabili, numerose, cilindriche, compatte e arrotondate in cima. 2° Amoebaca verrucosa, compressa, piccola, non sorpassante la dimensione di 0,100, jalina, pigra, avente delle appendici variabili, ottuse e piccolissime, in forma di verruche. 3° Amoebaea diffluens, ramosa, sorpassante raramente le dimensioni di 0,083, di color d’acqua, e avente le appendici variabili, assai lunghe, ro- buste e quasi acute. ni. i PR Ò IT. IP, RO È 2 E TI 104 PARTE PRIMA 4" Amoebaea radiosa, raggiante, piccola, eguagliante presso a poco le dimensioni di 0,100, avente delle appendici variabili, numerose, lunghe, deboli e sottili, in forma di raggi acuminati, di colore jalino. Spetta ad EHRENBERG tutto il merito di avere definito per il primo, assai chiaramente la struttura interna delle Amebe; esso le chiama « amimali poli- gastrici, senza canale alimentare, con una sola apertura del corpo. » Gli Autori che vennero dopo, non ammisero nulla di questa organiz- zazione. HAECKEL definisce le Amebe una cellula a nucleo, un protista che non è altro che il resultato di una modificazione in materia vivente, di materia inanimata. CARTER, generalizzando, ammette negli infusori minori un muceco addo- minale. LACHMANN, il Chimo. GEGEMBAUR, il Protoplasma. DUJARDIN, il Sarcode, specificandolo materia gelatinosa, diafana, omoge- nea, elastica e contrattile, suscettibile di scavarsi spontaneamente delle cavità sferiche, e dice che gli animali più semplici come Monadi e Amebe si compon- gono unicamente, «/meno in apparenza, di questa gelatina vivente. * FroMmENTEL ammette il parenchima nelle Amebe e le chiama esseri dub- biosi, che stabiliscono la transazione fra i microzoi propriamente detti e i Rizopodi, e diffondendosi maggiormente, serive : « Le Amebe hanno una vescicola contrattile sviluppatissima, e tuttavia non si trovano alla loro superficie, nè i cigli vibratili degli infusori a movi- mento vorticoso, nè i filamenti degli infusori flagellati. « In realtà le Amebe hanno un tegumento proprio, visibile, racchiudente un parenchima mobilissimo, come quello della più parte degli infusori. Gli or- gani della digestione, è vero, non sono constatati, benchè questi esseri sì assi- milino le sostanze di corpi voluminosi, come sarebbero delle Navieule, dei Brachkionus, ecc., ma la vescicola contrattile, larga, attivissima che esse pos- seggono, indica un apparato circolatorio e respiratorio bene sviluppato. Il tegumento esterno è visibile generalmente assai spesso, e si distingue dal parenchima interno granulato, da una linea bianca trasparente che involge il corpo da ogni parte. Fino al presente non si conosce la bocca delle Amebe, ma tutto fa sup- porre che esista alla parte ventrale, poichè è sempre da quella parte del corpo che si veggono penetrare i materiali della nutrizione. I cigli di cui il tegumento può essere ricoperto in parte, non hanno DELLE AMBBE, E LORO ORGANIZZAZIONE 105 alcuna azione propria; essi non sono visibili e non servono in nulla alla pro- gressione. 3 « Le Amebe possono emettere dei prolungamenti raggiati, più o meno al- lungati, che danno al corpo una forma stellata. Il parenchima granuloso con- tenuto dall’ involucro comune, si presta a tutte le posizioni del corpo, e si accorcia e si allunga nei prolungamenti, secondo la forma che essi presentano. « Non abbiamo potuto scoprire dove è posto lano nè la forma dell’ inte- stino, ma è possibile che quest’ultimo sia una fenditura unica, e che lano si trovi situato sulla faccia dove si trova la bocca. « È a torto che la più parte degli Autori abbia considerato le Amebe come degli esseri senza organizzazione, viventi per una sorte d’imbibizione di tutta la superficie, e che non presentino nessun organo che possa avvici- narli ad altri animali. « Si contentano la maggior parte di annunziare che il corpo delle Amebe, come quello dei /izopodi, sia costituito da un protoplasma che è una massa omogenea vivente, senza traccia di organizzazione. » Fra tanta abbondanza di supposizioni formulate da FROMENTEL e mal- grado queste sue ultime considerazioni, nelle Amebe si ammette tuttora il sarcode di DUJARDIN deserivendole nè più nè meno di una massa gelatinosa, la quale allungandosi per tutti i versi e quindi contraendosi, si ravvolge su sè stessa invischiando nella sua massa i corpi granulosi che riscontra nel suo sammino. Tutti i trattatisti citano lAmedba come la prima e la più imperfetta mani- festazione della vita animale, un essere mal definito dalla Natura medesima, ed in fatti il non ammettere veruno organismo in un animale che si muove, che si nutrisce per volontà propria è un'idea molto semplice, solamente troppo semplice per esser compresa. Ma fortunatamente non è nelle Amebe che la natura nasconda tutti i suoi segreti; esse hanno tma bocca per mezzo della quale accumulano il cibo dentro al corpo fatto a sacco, sulla parete interna di esso, hanno delle vescicole che funzionano da stomachi, sulla parete esterna del corpo lo sviluppo degli em- brioni, e finalmente hanno una pellicola che oltre a ravvolgere tutto l’animale, essa si prolunga in varie guise, formando in pari tempo degli organi di tatto e di locomozione. Anche tutto questo è ben semplice e si comprende assai meglio, salvo il renderci conto delle misteriose trame componenti i suoi tessuti, che per noi . Saranno sempre un’incognita. 14 PARTE SECONDA DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE Dopo tutto quello che è stato svolto nel capitolo antecedente, dirò subito che 1’ Idra non è altro che una colonia di Amebe. Tale verità che senza prove dirette sembrerebbe una eresia scientifica, fortunatamente per mezzo di osservazioni semplici si fa strada sicura per ab- battere moltissime prevenzioni, vincendo la consuetudine di pensare o di ere- dere, secondo certi dommi da lunghissimo tempo divulgati. Quando io dico osservazioni semplici intendo significare senza l’uso di artifizi per disgregare o indurire gli animali o alcune parti di essi, prima di sottoporli all’ esame. Trattandosi di esseri così delicati e molli, ogni operazione violenta fatta sul loro organismo, servirebbe ad occultare piuttostochè a rivelare quei minu- tissimi dettagli, o quei rapporti di una parte con VPaltra, che sono la guida quasi unica o almeno la più sicura, dovendo percorrere una strada nuova, dove ad ogni passo ci sarebbe pericolo di deviare. Sarebbe impossibile, per ora almeno, dover parlare della forma esterna e delle diverse attitudini delle /dre, senza considerarle come apparentemente lo sembrano, un insieme di parti riunite per costituire un individuo solo. Le Idre guardate con l’aiuto di una semplice lente, qualunque sia il loro colore, verdi o brune, rappresentano una forma di tipo umico. La Tav. 5 rap- presenta le diverse /dre come si trovano distribuite sulle varie piante acqua- tiche; la fig. 1 ne indica due gruppi riuniti sopra una ciocchetta di Chara foetida, le figure 3 e 4 sulle barbule della Lemma, e le figure 2, 5, 7, 15 e 14 sopra differenti filamenti di conferve. Le /dre godendo di una grande contrattilità possono allungarsi e accor- ciarsì tanto da aumentare o scemare di circa 20 volte la loro lunghezza totale. È facile dedurre che secondo il loro stato di contrazione o di distensione, deb- bano apparire sotto forme differenti. Coi i ia ia i 108 PARTE SECONDA La lettera a della fig. 1 indica due /dre molto retratte ; la fig. 2 0 un Idra accorciata, c la medesima Idra allungatissima. Per conseguenza del vario stato dinamico dell'animale, si ha che nella massima contrazione il corpo dell’ Idra piglia la forma di uma pera, nella mas- sima distensione, quella di un filamento lungo e sottile. Vi sono poi tutte le altre forme intermedie, quando cioè le Jd4re non sono nè troppo accorciate nè troppo allungate e tale stato è il più normale; allora il corpo di esse apparisce cilindrico leggermente conico, o leggermente af- fusato. Alla estremità anteriore del corpo delle Idre vi è uma apertura che fum- ziona da bocca (fig. 11 @) e intorno ad essa stanno riuniti dei prolungamenti filiformi, di numero assai variabile. Questi prolungamenti, per l’uso che fanno, possono chiamarsi egualmente tentacoli o braccia: se il corpo dell’/dra si contrae bruscamente, nel medesimo tempo tutte le braccia si contraggono, se il corpo è disteso, le braccia pure sono allungate e possono essere rivolte in tutte le direzioni. Confrontando la massima grandezza che possono raggiungere le Idre verdi, con la massima grandezza delle Idre brune, si trova che nello stato medio, cioè naturalmente distese, le brune possono avere il loro corpo lungo dai 4 ai 5 mil- limetri, mentre quello delle Jdre verdi raramente sorpassa i 3 millimetri. Devo avvertire che tali misure sono inerenti soltanto agli animali che ho trovato io, e da ciò ne concludo che V/dra b della fig. 1 è circa cinque volte ingrandita, mentre la fig. 5 « sarebbe ingrandita sei volte circa. Tutte le altre Jdre della Tav. 5 furono ingrandite in proporzioni diverse, perchè meglio corrispondessero a dimostrare le cose che dovrò descrivere in seguito. Le Idre verdi e le Idre brune si trovano in tutte le stagioni dell’anno vi- vendo esse ugualmente bene tanto nelle acque stagnanti rese tiepide dai ca- lori del luglio, tanto in quelle fredde ricoperte nel dicembre da uno strato di ghiaccio. L'unica osservazione che si può fare è questa, se in una località esi- stono molte /dre brune si può continuare per qualche mese a raccoglierne solamente di quel colore; però dopo un certo tempo accade di trovare insieme alle /dre brune una 0 due Idre verdi piccolissime. Seguitando a brevi intervalli a cercar le /dre sempre nel medesimo luogo, si arriva insensibilmente a raccoglierne più delle verdi che delle brune, tanto che di queste ultime (facendosi sempre più rare) è difficile trovarne qualcuna. Poi col tempo si torna ad avere la prevalenza delle brune sulle verdi, e tale alternativa è continua. Darò in seguito la spiegazione di questo fatto. Finchè le /dre stanno attaccate alle piante 0 a qualunque altro corpo estraneo, esse si veggono egualmente rivolte in alto, in basso o di traverso; ma allorchè si staccano per emigrare da un luogo ad un altro, esse tengono invariabilmente la estremità interiore del corpo rivolta in alto e le braccia al- DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 109 l’ingiù. Restano ugualmente in tale posizione, specialmente nella estate, quando preferiscono di restare per qualche tempo sospese a fior d’acqua; in questo ‘aso tengono alla superficie di essa la parte estrema con la quale si attaccano ai diversi oggetti, e con tutto il corpo allungato verso il fondo, si trasportano lentamente, movendo i tentacoli che fanno ufficio di remi. * Tutte le /dre, quando non sono piccolissime, possono sviluppare sulla su- perficie del loro corpo una 0 più protuberanze che da prima sono di poco ri- lievo (fig. 14 @). Tali piccole eserescenze a misura che aumentano di lunghezza vanno assottigliandosi alla base (fig. 13 4); in pochi giorni, alla sommità ton- deggiante di queste protuberanze, spuntano dei prolungamenti sottili, i quali allungandosi sempre più, servono a completare una piccola Idra. Le /dre che derivano da un’altra più grande, non variano per nulla da tutte le qualità della madre; da un’/dra verde nascono tutte Idre verdi, da un’/dra bruna tutte Idre brune, senza nessunissima differenza o gradazione nella intensità del colore. Nelle /dre sviluppatesi in tal guisa ultima a comparire è la bocca: otte- nuta questa importante apertura e potendo provvedere da sè stesse al proprio nutrimento, assottigliano sempre più il loro punto d’ attacco, talechè in pochi giorni finiscono per staccarsi affatto dal corpo della madre, e vanno a fissarsi sopra le piante, per vivere indipendenti. Tutte le /dre allungandosi diventano più pallide, essendo meno addensata la sostanza che le colora: le braccia sono sempre di un colore più sbiadito di quello del corpo; esse lo uguagliano nel colore, quando sono molto con- tratte, ma allorchè si fanno allungatissime, vanno gradatamente ad impalli- dire tanto da sembrare quasi incolori. La bocca dell’/dra (Tav. 6, fig. 1 @) è una semplicissima apertura circo- lare che l’animale tiene per lungo tempo aperta ed immobile, e la chiude soltanto quando si accorcia bruscamente. Da tutto quanto può vedersi ad occhio nudo o con l’aiuto di una sem- plice lente, si può constatare facilmente che le /dre si moltiplicano anche per gemma, ma chiunque abbia raccolto delle /dre e le abbia conservate per lungo tempo nell'acqua pura, condannandole ad un assoluto digiuno, deve avere osservato indubbiamente, um altro fatto, nuovo, strano, e credo unico nelle Idre soltanto. Le Idre non muoiono lasciando un cadavere come avviene a qualunque altro animale; le /dre rimpiccoliscono a vista d’occhio, le Zdre spa- riscono. Come avvenga questa sparizione non si può dirlo senza l’aiuto del miero- scopio che spiega un fatto della massima importanza. TR pe PR 4 PE DI RR, ne VETO 110 PARTE SECONDA Per poco che le /dre siano sottoposte ai più deboli ingrandimenti, vi si scorgono subito altri caratteri esterni, uno dei quali riguarda la struttura della estremità inferiore del loro corpo. Tale estremità è perfettamente chiusa e agisce come una coppetta per aderire ai corpi estranei, quando posa sopra dei fila- menti di conferva sottilissimi, la coppetta caudale dell’/dra li abbranca come un organo di presa (Tav. 6, fig. 2 0). Coi piccoli ingrandimenti del microscopio, si vien pure a constatare che nella vita delle dre, vi sono certi periodi nei quali esse non conservano più quella figura svelta e semplice come la si vede in quasi tutte le /dre rappre- sentate dalla Tav. 5, ma se ne trovano invece di quelle che hanno le braccia mozzate, corte e poco distendibili (Tav. 6, fig. 5). Altri animali con aleune braccia bizzarramente ramificate (fig. 4 e 5), e finalmente delle /4re che oltre ad avere le braccia aumentate di numero e goffamente addossate e saldate alla base fra loro (fig. 8 e 9), hanno il rimanente del corpo e delle loro gemme di un contorno molto irregolare e tutto l'insieme di un aspetto crasso e pesante. Infatti i movimenti di contrazione e distensione sono limitatissimi nelle Idre modificate in tal modo, e quando accade di vedere nelle loro braccia dei nodi e degli strozzamenti (fig. 6 4), ciò è indizio sicuro che nel punto dello strozzamento seguirà poi un completo distacco, come sono destinate a stace- ‘arsi tutte le altre escrescenze irregolari delle figure 4, 5, 8 e 9. Quello che avviene nelle Idre verdi avviene nelle brune: nella Tav. 7 alla A ee fig. 8 si rappresenta un’ /dra a contorni frastagliati, simile a quelle rappre- . sentate dalle fig. 8 e 9 della Tavola antecedente: nelle fig. 3 e 7 si vedono braccia 444 già divenute corte per essersene distaccata una parte, ed altre braccia d bd in via di dividersi. Nelle fig. 2 e 6 si veggono due /dre le cui braccia sono ridotte in uno stato assai misero. Le Jdre rappresentate dalle fig. 1, 5 e 9 hanno avuto la riduzione delle braccia, poichè esse sono state disegnate nella massima distensione, e come si vede, non si sono fatte nè lunghissime nè appuntate, ma in compenso le dette Idre si mantenevano ancora in uno stato assai florido. Da tutto questo è necessario concludere che se le /dre si moltiplicano per gemma, possono anco separarsi in frammenti più o meno voluminosi. Ho assistito più volte al distacco di una qualche porzione delle braccia dell’Idra; fin da quando le parti in via di dividersi restano riunite insieme per un breve filamento (fig. 3, 4 e 7 bb) tanto quella destinata a stacearsi, quanto l’altra che rimane all’animale, fanno dei piccoli movimenti di contra- zione indipendenti e contrari fra loro, poichè mentre una parte si allunga, l’altra può star ferma o accorciarsi; dopo un certo tempo di questa alterna- tiva di tira, tira, il filamento che le riuniva si strappa e il moncherino segue per proprio conto un lentissimo movimento vermicolare, mercè il quale percorre la preparazione e se trova qualche filamento di conferva, vi si accosta e rimane. Quale sarà la vita destinata a queste parti informi, più o meno volumi- DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE nose, che si distaccano dall’/4ra? Prima di rispondere è necessario definire quale sia la intima struttura dell’ Idra. Anatomicamente parlando, il corpo dell’/dra è un sacco la cui parete interna è costituita da un semplice strato di cellule disposte una accanto al- l’altra. AI di fuori del sacco vi è un altro strato di cellule circa un terzo più piccole di quelle interne. Dove le cellule dei due strati si combaciano insieme, ne deriva una linea di demarcazione ben definita, la qual linea non è altro che il resultato di due pareti di cellule che si toccano. Le braccia dell’ /dra non sono altro che prolungamenti dei due ordini di cellule interne ed esterne, riumite insieme, per formare dei cilindri chiusi alla estremità e vuoti nell'interno. Tutte le figure della Tav. 8 rappresentano schematicamente la disposizione delle cellule esterne ed interne dell’/dra: le figure 1 e 5 sezione longitudinale del corpo e delle braccia, la fig. 2 sezione trasversa che serve ugualmente a dimostrare come stanno circolarmente riunite le cellule dei due strati, tanto nel corpo che nelle braccia dell’ animale. La cavità delle braccia (fig. 1) essendo in comunicazione diretta con la cavità del sacco d, come lo indica la freccia, può dirsi che V/dra qualunque sia la sua forma esterna, crea una cavità sola foggiata variamente per la varia disposizione di due strati di cellule, addossati uno sull’ altro. Le pareti delle cellule esterne e delle cellule interne (fig. 1 ee) si manten- gono costantemente pianeggianti soltanto in quella parte con la quale com- baciano insieme. Considerando che il lato pianeggiante sia, come lo è di fatto, la base di ciascuna cellula, si può dire che le cellule esterne appoggiano la loro base, sulla base delle cellule interne. Le cellule di ogni singolo strato sono saldate lateralmente fra loro, sol- tanto ai margini della propria base: in tutto il rimanente la loro parete resta affatto libera e indipendente da quelle che le stanno attorno, talehè se nei diversi movimenti di contrazione dell’/dra le cellule possono vicendevolmente comprimersi ai fianchi, quando le /dre si allumgano, le cellule di ogni strato si allontanano l’una dall’altra, separandosi affatto fimo alla base. Le figure 5, 4 e 8 rappresentano il differente stato dinamico delle cellule dell’/Idra. Fig. 3 cellula interna; dd cellule esterne, tutte allo stato normale o di riposo. Fig. 4@a cellule interne, dd cellule esterne tutte allo stato di massima contrazione della loro base. Fig. $ aa cellule interne, bbd cellule esterne, tutte allo stato di massima distensione alla loro base. Ogni cellula esterna è invaginata in una pellicola che la protegge (fig. 3, 4, 6,7 e 8mmm); le cellule interne non hanno uma tale pellicola. 112 PARTE SECONDA La fig. 6 rappresenta un gruppo di cellule esterne vedute di fianco; le due cellule laterali © d dimostrano che la membrana che le invagina discende isolata fino alla base di esse «a, dove si salda. i Finchè le cellule sono guardate di profilo, se ne apprezza il rilievo sol- tanto; se invece si esaminano le cellule esterne di una giovine /dra, guar- dandole perpendicolarmente, si arriva con facilità a mettere in vista i contorni della loro base saldati reciprocamente insieme. Considerati astrattamente, tali contorni sembrano le maglie di un retico- lato, formati da tanti meati intereellulari. È dalla struttura di questo reticolo apparente che si viene a conoscere come le cellule sieno disposte simmetrica- mente e alternanti, in modo da avere ogni una la propria base collegata con quella di altre 6 cellule che le stanno attorno. Conseguenza di una tale dispo- sizione, sì è che tutte le cellule hanno la respettiva base di forma esagona : fig. 9a cellula allo stato di riposo, eee porzione di altre sei cellule che stanno attorno. S’ intende che tali esagoni variano visibilmente secondo il diverso stato di contrazione delle cellule; quando esse sono in riposo, tutti i lati della base sono eguali fra loro. A rigore di termine, per uscire dallo stato di riposo le cellule non pos- sono eseguire che un movimento solo, cioè quello di allungarsi; ma possono allungarsi in due direzioni opposte, o longitudinalmente (fig. 10), o trasversal- mente (fig. 11). Per la ragione ripetuta più volte, che alla base sono tutte collegate e saldate insieme, ne deriva che una cellula sola non può allungarsi, senza il concorso di movimenti simili in quelle che le stanno ai fianchi; e siccome ogni cellula che si allunga, deve necessariamente diminuire di larghezza, ne deriva che in qualunque parte dell’/dra una certa quantità di cellule si disten- dano in direzione parallela all’andamento dei bracci o del corpo dell’animale (fig. 5 bb), ivi VIdra si assottiglia divenendo più lunga, e dove le cellule si distendano trasversalmente (fig. 5 e), ivi i bracci o il corpo diventano più corti, allargando di diametro. In conclusione, ogni singola cellula dell’/dra è centro di un movimento suo proprio, e i diversi atteggiamenti dell’animale, sono il resultato del mo- vimento di più cellule allungatesi in una medesima direzione. Resta a farsi un’ ultima osservazione: le cellule che si distendono traver- salmente (fig. 13) spingono in fuori due angoli i è che possono farsi molto acuti senza trovare ostacolo, poichè incastrano nel vano di altri angoli simili, e così la figura esagona della base apparisce assai ben manifesta, qualunque sia lo stato della sua tensione. Ma allorchè le cellule si allungano per il verso dell’ animale, allora esse spingono in fuori due faccie piane (fig. 12 é è), le quali stando a riscontro con faccie piane di altre cellule, parrebbe che dovessero trovare ostacolo per allungarsi maggiormente; ma ciò non accade poichè esse IM I DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 115 spostano in senso obliquo, la direzione orizzontale dei due lati minori (fig. 14 è è) e per tale spostamento che si propaga anche ai fianchi le cellule pigliano la forma affusata. Un tal fatto accade vederlo facilmente nelle braccia dell’/dra, che si allungano assai più del corpo. La fig. 7 rappresenta porzione di un braccio alla massima distensione: le cellule a destra sono quelle laterali e si presentano di profilo; le altre sono vedute per di sopra. Quando le due cellule A e B tornano ad accorciarsi la cellula A ritira verso il proprio centro la sua punta p e la cellula B ritira verso il respettivo centro, cioè in basso, la sua punta g: ciò che avviene da uma estremità della cellula accade anche alla estremità opposta, e da questi movimenti ne deriva che il piccolo tratto interposto fra p e g, da linea obliqua ritorna limea oriz- zontale, come si vede nei due lati minori 00 della cellula Z, e ciò basta perchè ritorni palese anche la forma esagona della base, che momentaneamente si era fatta affusata. Allo stato di riposo, ogni cellula, per quanto se ne ricava dai contorni della respettiva base, ha la propria parete di spessore eguale; allo stato di contra- zione in alcuni lati è più sottile, in altri più grossa, poichè essa esprime con- temporaneamente due forze opposte, una di distensione e Valtra di contrazione. Se le cellule si allungano verso la lunghezza dell’ /dra (fig. 12), esse hanno i quattro lati ai fianchi di parete più sottile, perchè esprimono forza di disten- sione, e i due lati alle estremità è, di parete più grossa, perchè sono in stato di contrazione. Se invece le cellule si allungano traversalmente (fig. 13) esse dimostrano il contrario, cioè due lati più sottili, perchè esprimono forza di di- stensione, e i quattro lati ai fianchi ii di parete più grossa, per essere in forza di contrazione. La distribuzione delle cellule interne è simile a quella delle cellule esterne, e quando 1’ /dra che è soggetto di studio, sia giovine nè troppo piena di cibo, si veggono benissimo i due reticoli sovrapposti, il primo a maglie esagone più piccole, formato dalla base delle cellule esterne, e il sottostante a maglie esa- gone più grandi, formato dalla base delle cellule interne. Data la figura schematica di tutte le forme tipiche che pigliano le cellule dell’Idra, nei loro diversi movimenti, resta a dire della forza di coesione che le tiene unite fra loro. Il legame esistente fra le grosse cellule interne (fig. 1 4), è molto più resistente di quello che tiene collegate insieme le piccole cellule esterne bd; e i rapporti intimi che esistono fra strato e strato, cioè fra la base delle cellule esterne con quella delle cellule interne, sono talmente deboli, che qualche volta, specialmente nei bracci, si veggono naturalmente staccarsi quelle superficiali, lasciando a nudo uma parte dello strato sottoposto. Ma volendo os- servare il completo distacco di tutte le cellule esterne dell’ Idra, basta ag- giungere alla preparazione una piccola quantità di glicerina, e effetto è im- mediato. 15 PARTE SECONDA S’ intende che l’animale muore come fulminato, e le cellule esterne che prima sì distaccano a grandi masse (fig. 1 9) finiscono poi per dissociarsi affatto, restando intatta la forma dell’Idra, composta soltanto delle cellule interne. * Detto della disposizione naturale delle cellule, del meccanismo di contra- zione resultante dai singoli movimenti delle medesime, resta a parlare della interna struttura di ciascuna cellula, struttura che è indistintamente uguale per tutte. Le cellule dell’Idra non signifieano punto quegli elementi primordiali, cioè protoplasma, enchilema, plasma, nucleo ecc. ece., che sono la espressione più semplice data a quelle parti che concorrono a formare l’ insieme di un tessuto nei vari organismi; invece ogni cellula dell’/dra è un aggregato di tali ele- menti, poichè ogni singola cellula è di per sè sola un animale completo, che se vive riunito a migliaia di esseri suoi simili, può vivere anco in società molto più ristrette, e la maggior parte di essi, cioè le cellule esterne dell’/dra, possono vivere solitarie e separate affatto una dall’ altra. Ognuno di questi animali a forma di cellula, estrinseca la propria esistenza per mezzo di organi semplici sì, ma adattati al moto, alla nutrizione ed alla riproduzione di sè stessi. Nessuno potrà mai definire quanto minime debbano essere le particelle elementari atte a comporre i diversi organi compresi nella unica parete di questi animalini. Per la Natura nello spessore di un millesimo di millimetro vi sarà sempre una divisibilità infinita, e all'idea di dover considerare quante mole- cole vi possono concorrere, ci sentiamo forzati a rientrare nei limiti del possi- bilmente comprensibile; in questo caso la semplicità sta soltanto nella nostra intelligenza, e per conseguenza userò le parole assai modeste di membrane, fila- menti, sferule, ecc. per indicare delle parti visibilmente assai semplici e proba- bilmente assai complicate. Prendendo ad esame speciale una delle cellule interne (Tav. 9, fig. 2) si scorge che la membrana pianeggiante « « dello spessore di circa 0,001, s' inalza ai lati a forma tubulare per chiudersi superiormente a volta. Inferiormente presso al margine della base esistono molte aperture ineguali bb db e assai rav- vicinate fra loro, talehè la membrana così perforata, è ridotta fra un’apertura e l’altra a dei semplici cordoni o filamenti e e, dai quali viene sostenuto il ri- manente della cellula, che $’ inalza, vuota all’ interno, pigliando nell’ insieme aspetto di una cupola appoggiata su dei pilastri. Data una simile costruzione, per procedere gradatamente, giova intanto constatare il fatto, che tutte le sostanze nutritive e di piccola mole, introdotte nella grande cavità dell’/4ra, insinuandosi tra cellula e cellula, vanno costan- DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 115 temente ad accumularsi tutte fra i pilastri cc e di là spingendosi per le aper- ture dentro la cellula, penetrano in certe aree ben distinte dd, larghe in me- dia da 0,005 a 0,008. Queste aree non sono altro che la base di tante mezze ve- scicole adese alla superficie interna e che attraggono a sè il cibo e funzionano da stomachi, destinati a nutrire 1’ animale cellula, come vedremo in seguito. La fig. 1 A rappresenta la medesima cellula ora descritta; B indica tre cellule esterne la cui base Db combacia con la base a @ della grossa cellula opposta. Una linea di demarcazione fra le due pareti « e d indica che esse si accostano senza fondersi insieme. Per l’ostacolo frapposto da queste due pareti, resulta che le materie estranee che somministrano il nutrimento, non possono entrare nelle cellule esterne 5. Trasportando l'insieme di questo meccanismo rappresentato dalla fig. 1 in tutte le cellule componenti le due figure 1 e 5 della Tav. 8, si viene facil- mente a spiegare come avvenga che le Zdre abbiano sempre tutte le cellule dello strato esterno bianche e trasparentissime, e tutte quelle dello strato in- terno, non colorate per sè stesse, ma per la qualità del cibo che contengono. Se l’Idra è verde lo è soltanto perchè ripiena di spore vegetali, se è bruna, lo è per avere ingerito sostanze di quel colore; ma del nutrimento dell’/dra e del perchè essa resulti composta come si vede, sarà parlato in seguito. Ritornando a considerare le cellule interne come animali ben distinti l’ uno dall’altro, oltre ad avere osservato il modo col quale ognuno piglia il proprio nutrimento, se ne acquista la più completa convinzione osservando la maniera con la quale si riproducono e bisogna concludere che essi sono di una proli- ficità maravigliosa. In alto, all’esterno della parete curva (fig. 1 e 2) si sviluppano altre cel- lule secondarie e e, le quali hanno parimente nel loro interno delle aree 0 ve- scicole contenenti le medesime particelle coloranti, cioè i medesimi materiali nutritivi di cui è piena la grossa cellula sottostante, lo che prova avere esse una struttura medesima ed una apertura che le mette in comunicazione fra loro. Sulle cellule ee se ne sviluppano poi delle più piccole ff, che indicano in tutto le stesse qualità delle prime. La fig. 3 rappresenta con ingrandimento maggiore, un’altra grossa cellula interna, allungata trasversalmente: alla sua estremità curva si veggono svi luppate in maggior volume ed in maggior quantità le cellule secondarie ora descritte, se non che al di sopra di esse stanno altre produzioni di natura ben diversa. Queste sono perfettamente sferiche e non contengono nessuna parti- cella colorata; le più piccole «aa hanno in sè delle minutissime granulazioni, e quelle arrivate al massimo sviluppo 505 contengono invece delle sferuline piene di granulazioni interne. Tutte queste produzioni secondarie che nell’ insieme pigliano l’aspetto di um grappolo, sono destinate a staccarsi ed uscire per la bocca dell’ /dra, come lo dimostrano le figure 5 e 9 della Tav. 7. 116 PARTE SECONDA La stagione nulla influisce sulla incessante e straordinaria quantità di tali produzioni, poichè delle due Idre ora citate, la prima fu esaminata nel gennaio, e l'altra nel luglio. Nulla di più facile per assistere alla uscita di tutte le produzioni derivate dalle cellule interne; basta mettere unita ad una goccia d’ acqua distillata un’ /dra verde o bruna che sia, sopra una piccola lastra di vetro, situare ai due lati di essa due sottili striscioline di carta, perchè il vetrino che la deve coprire non la comprima troppo, e quindi sottoporla all’ esame microscopico. L’Idra movendosi um po’ a disagio ma senza soffrirne affatto, emetterà conti- nuamente le cellule secondarie (Tav. 9, fig. 1 e 2 ef), le quali saranno facil- mente riconoscibili per quelle poche o molte particelle colorate che conterranno in sè, e le altre sfere incolori (fig. 3 « @ dd), riconoseibili per tutte quelle par- ticolarità che ho citato sopra. Ma poichè insieme a tali produzioni naturali derivate dalle cellule interne dell’Idra, possono uscire, come spesso avviene, molte delle sostanze estranee che hanno servito alla nutrizione, si potrebbe da taluno supporre che tutto quanto rigetta 1’/dra siano cose ingerite prima, e voler qualche garanzia per credere che tutto quanto ho esposto sia vero. Avvezzo a dubitar molto io stesso, è ben naturale che altri possano dubi- tare delle asserzioni mie; ma siccome qui non si tratta di sostenere delle opi- nioni, ma di esaminare dei fatti che si svolgono naturalmente sotto gli oechi di chiunque voglia darsi la pena di osservarli, dirò che la intera costruzione delle Idre e la particolare organizzazione e produzione di ogni singola cellula delle medesime /dre, si vede osservandole pazientemente anche per qualche giorno di seguito, tenute fra due vetrini costantemente bagnati con acqua di- stillata; e varrà meglio ancora e con effetto più pronto, se l'/dra presa ad esaminare sia di quelle che tendono a dividersi spontaneamente, come la rap- presenta alla Tav. 7 la fig. 8. Essendo in esse già iniziato naturalmente il di- stacco tra cellula e cellula, là dove si dividono si possono vedere senza strazio, senza lacerazioni di sorta, tutte le diverse parti che la compongono. Rassicurati da questo modo semplice e punto violento che tutto quanto si presenta ai nostri occhi è completo, se ne acquista un’idea altrettanto esatta quanto sicura; e dopo potranno pure rompere o disgregare artificialmente le braccia o il corpo dell’/dra, che sapremo ben distinguere ciò che è rimasto intatto, da ciò che ha subìto alterazione. Finalmente allorquando al di sopra delle cellule interne, si veggono attae- cate tutte le loro produzioni a grappolo come lo dimostra alla Tav. 9 la fig. 3, non si ha più difficoltà per riconoscerle quando si veggono uscite dalla bocca dell’ Idra. Le cellule esterne (fig. 1.B) ad accezione di essere più piecole, hanno una struttura essenzialmente simile a quelle interne e producono le stesse cose, ma per cagione della membrana che le invagina, queste cellule non possono Lai DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE lg espandere liberamente a grappolo le produzioni che fanno, talechè queste re- stano costipate e compresse fra loro, e osservatore non può distinguere chia- ramente che le ultime produzioni ce, che restano più superficiali, e corrispon- denti alle sfere incolori (fig. 3 a @, dd). La cosa più essenziale per ora è quella di definire la vera natura di queste ultime produzioni incolori, le quali giunte a maturità si distaccano e se deri- rano dalle cellule interne si veggono uscire dalla bocca dell’Idra (Tav. 2, fig. 94), se prodotte dalle cellule esterne, si veggono uscire dai fianchi delle braccia o del corpo dell’/Idra (Tav. 6, fig. Gee e Tav. 7, fig. 5 0). Esaminandole attentamente, l’ osservatore vedrà che se appena venute a contatto dell’acqua sono sferiche (Tav. 9, fig. 5), poco dopo, ora da un lato ora dall'altro esse vanno facendosi un poco gibbose (fig. 4 e 6), acquistando con questo spostamento di contorno un lentissimo moto di traslazione. Osser- Verà pure come esse abbiano una apertura (fig. 4 @), la quale si allarga e si ristringe sempre lentissimamente. Tale apertura indica il punto d’ attacco e nel medesimo tempo la comunicazione che avevano con la cellula dell’ dra che le ha prodotte. Per l'apertura che nel continuo moto di dilatarsi e ristringersi, si allarg: sempre più di quello che non si richiuda, o per la rottura della membrana (fig. 7 b), escono al di fuori le sferuline (fig. 8), le quali rompendosi alla loro volta, mettono in libertà quei piccolissimi globettini oscillanti che racchiude- vano (fig. 9). Tn seguito sarà studiato lo sviluppo completo di questi punti oscillanti ; non si perda intanto di mira, e ciò è interessantissimo, che tali Monadi (fig. 9) grandi sul principio poco più di 0,001 destinati a riprodurre anche 1’ Idra, sono Embrioni generati da una colonia di animali identici gli uni agli altri, aventi ognuno i propri organi digerenti e la propria maniera di moltiplicarsi, maniera che può riassumersi con questa formola: Tutti gli Esseri interni ed esterni, riuniti per formare quello strano, bizzarro e volubile insieme che si chiama Idra, dopo avere direttamente sviluppato per gemma uno o più ordini di Psseri simili a sè stessi (Tav. 9, fig. 1 e 2 eee, fff), sviluppano poi sopra questi le vere cellule proligene (fig. 5 aa db e fig. 1 Bcc). * Indicherò alcune precauzioni da me usate onde eliminare tutti i dubbi possibili, trattandosi di osservazioni così delicate e importanti. Il 26 luglio pescai un’ /dra bruna con figlia tuttora attaccata: il solo corpo di questa ultima era lungo circa mezzo millimetro: le conservai in acqua di fonte senza alcun vegetale, e dopo cinque giorni le trasportai sopra un vetrino; fu allora che l’/dra nata per gemma si distaccò, mi valsi di questa ultima 118 PARTE SECONDA soltanto e la tenni per mezz'ora nell’acqua distillata prima di sottoporla al- esame. Rinchiusa fra i due vetrini essa pure rigettava per la bocca le cellule proligene. Altra Idra bruna, con le braccia già ridotte corte e tozze per l'avvenuta divisione spontanea, trattata nel medesimo modo indicato sopra, continuava sempre a distaceare dalle braccia cellule embriogenieche con vescicole interne simili alla fig. 7, Tav. 9. Le cellule embriogeniche erano larghe 0,015, le vescicole incluse larghe 0,005. * Per evitare confusione di nomi d’ ora innanzi chiamerò Amebe le migliaia di esseri a forma di cellula componenti 7 /dra, anticipando di poco un nome che loro appartiene, come sarà dimostrato con prove irrefutabili, procurate con mezzi facilissimi a tutti di poter ripetere per verificarle. La necessità di dimostrare con molta chiarezza la genesi degli Embrioni, mi fa scegliere le Amebe appartenenti allo strato esterno della colonia, poichè esse si presentano allo scoperto, e mi obbliga a tracciare le loro cellule em- briogeniche in proporzioni molto maggiori di quelle usate fin’ ora. Ma per fare queste amplificazioni senza isolarle dall’ animale che le produce, perchè con esso hanno dei rapporti che parimenti devono essere bene studiati, sarebbe occorso di occupare l’intera tavola con una figura sola, cosa altrettanto inco- moda quanto inutile. Per ovviare a tale inconveniente ho ereduto miglior partito, senza ledere la chiarezza della dimostrazione, rappresentare nella Tav. 10 alle fig. 1, 2, 3 e 4 le cellule embriogeniche in proporzione molto maggiore di quella data all’animale che le produce, indicandovi per conseguenza molte meno parti di quelle che effettivamente esso contiene; ma dopo tutto ciò che è stato detto antecedentemente, non ci vorrà un grande sforzo d’immaginazione per sup- plire alla loro manchevolezza. Quando le Amebe esterne son fatte turgide per l’ abbondanza di cellule proligene (fig. 3 e 4a), esse non possono distendersi più con la solita facilità, nè per un verso nè per l’altro, e la loro base bd resta sempre di minore lar- ghezza del corpo ce assai ingrossato. Non tutte le Amebe della colonia sono allo stesso grado di maturità, ma quelle che lo sono di più, a cagione del loro ingrossamento, oltre a sopravan- zare di un poco sulle altre, danno e ricevono da quelle che le stanno attorno, una tal pressione nei fianchi che serve maggiormente a determinare il distaeco delle cellule proligene (fig. 5 40). Se il numero delle Amebe mature è prelevante su quelle che non lo sono, stato assai precario, l’Idra sì fa più torpida nei movimenti del corpo e delle DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 119 braccia, e la sua superficie si fa ineguale per sporgenze più o meno rilevate e strettamente serrate fra loro: quando nella colonia prevale il numero delle Amebe non mature, allora il corpo e le braccia dell’ [dra possono allungarsi moltissimo. Guidato da queste apparenze l'osservatore sa come scegliere i soggetti meglio adottati alle speciali osservazioni che intende fare; ma torniamo alle cellule proligene. Alla Tav. 10 la fig. 1B rappresenta la sezione schematica di un’ Ameba esterna isolata dalla colonia. Il lettore sa ormai che è molto semplicizzata nel numero delle parti che dovrebbe contenere in sè: la lettera a a @ indica la mem- branella esterna, molto allontanata dal corpo dell’ Ameba B per lo sviluppo delle cellule proligene ee larghe 0,015. F rappresenta la sezione di uma cellula proli- gena il cui apparato interno consiste in una sferula vuota g larga 0,007, e al disopra di questa, tante sfernline vuote hA/ larghe 0,005. Tutte le sferuline % per mezzo di una apertura mettono in comunicazione la propria cavità con quella della sferula centrale g la quale a sua volta co- munica con una apertura 2 con la grande cavità del corpo della Ameba. Le due freccie alla fig. 2 (che nell’insieme ripete la fig. 1) indicano il per- corso che fanno i materiali nutritivi in tutte le sferuline #4 rinchiuse nella cellula proligena 7 alla fig. 1, le quali sferuline sono poi quelle che svilup- pano adesi alla loro parete interna gli Embrioni ii grossi poco più di 0,001. Le sferuline h% per questa loro produzione saranno chiamate in seguito sfe- ruline embriogeniche. Alla cellula proligena (fig. 1m) veduta in sezione, le sferuline embrioge- niche che non lo sono, mostrano per trasparenza gli Embrioni distribuiti su tutta la parete interna. Le altre due cellule proligene (fig. 1 e e), sono vedute superficialmente, e sì presentano complete in tutta la loro apparenza esterna, quali si veggono quando sono uscite in libertà (fig. 6), con ingrandimento assai minore. Ho detto più sopra che le Amebe esterne dell’/dra producono le stesse cose di quelle interne, per conseguenza nascono sopra di esse altre Amebe mi- nori per gemma, e sopra di queste le cellule proligene descritte finora. Ho detto anche che tutte queste produzioni crescono al disotto di una pellicola, la quale naturalmente viene spinta in alto finchè non si determini la maturità e l'uscita dei corpi sottostanti. Anche questa pellicola sarà soggetto di studio. Intanto alla fig. 5 mm indica porzione della membranella che invagina le Amebe della colonia esterna, accostata molto alla parte anteriore di due Amebe bb cresciute per gemma: un tale avvicinamento è dovuto alla uscita di tutte le cellule proligene «a. Alla fig. 7 mm è la membranella esterna molto discosta ancora dal corpo della Ameba nata per gemma d perchè ancora le cellule proligene «@ non si sono staccate e allontanate tutte. 120 PARTE SECONDA Osservando le sporgenze più prominenti all’ estremo margine di un’ Idra vivente, spesso non si vede più di quello che offrano le due figure ora ricor- date, stante la continua sovrapposizione con la quale si presentano le Amebe esterne della colonia, ma indicherò altri mezzi che permetteranno di vedere assai più. i Ora è necessario parlare di certi Corpi bianchi, traslucidi, visibilissimi, dei quali non vi è Idra che ne sia priva, e talvolta si trovano delle Idre che ne sono così piene, da parere che ogni loro cellula sia espressamente destinata per quelli. Tali corpi sono di tre grandezze come di tre forme ben distinte fra loro, e stanno nell’ interno delle sferuline embriogeniche (Tav. 10, fig. 2 p0v). Re- lativamente grossi, ed apparentemente consistenti, qualche volta la loro pre- senza dentro alle sferuline sembra non produrre iu esse nessuna alterazione vi- sibile, ma qualche volta invece esercitano molta pressione contro le pareti elastiche delle sferuline embriogeniche di cui occupano la cavità; e poichè le sferuline stanno nella cellula proligena chiuse e strette fra loro, ne risulta che non possono cedere alla pressione del corpo interno, altro che prolungandosi dalla sola parte dove incontrano meno resistenza, cioè contro la parete della cellula proligena che le racchiude. Questi prolungamenti, a misura che si fanno più pronunziati, perforano anche la membranella che invagina V Ameba della colonia esterna (fig. 2 44); ma in tale stato sono ancora troppo piccoli per vederli con facilità, se non si cercano sull’ estremo margine dell’ Amebe vedute di profilo. Per altro a misura che allungano finiscono per farsi estremamente appuntati (fig. 2 dd), e allora queste punte sopravanzano di tanto, che appariscono innumerevoli, e torna facilissimo vederle senza darsi la pena di cercarle, dando all’/dra l’aspetto di un animale tutto spinoso. La fig. S rappresenta le tre differenti specie dei corpi traslucidi, maggior- mente ingranditi, e ciascuno dentro ad una sferulina embriogeniea allungatasi con punta all’ esterno. Lo spazio interposto fra la parete della sferula appuntata e il corpo in- cluso, sta ad indicare il posto oceupato dagli embrioni, che nel presente dise- gno non sono stati raffigurati, per rendere più semplice e più chiara la dimo- strazione. La forma di uno dei corpi più piccoli 0 è leggermente ovale, un poco eom- pressa e alquanto ristretta superiormente; si potrebbe paragonare ad una fia- schetta da mumizione; nell’ interno ha un bastoncello piegato ad ansa circa alla metà della sua lunghezza. L'altro corpo © è cilindrico, molto affusato, più stretto da una estremità che dall’altra, e porta nell’ interno un bastoncello avvolto a spirale. La forma esterna dei corpi più grossi p è quella di un fiasco mancante del collo, sferici in basso, conici in' alto. A DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 121 Anche limitandosi ad osservazioni molto grossolane e superficiali, si pos- sono constatare più cose; i corpi v e p che nel presente disegno sono veduti di profilo o meglio per la loro lunghezza, quando siano veduti perpendicolar- mente al loro asse annunziano un contorno perfettamente tondo, e se ne ha un esempio nella fig. 2 al centro della cellula proligena po, mentre i corpi più piccoli 0, fatti a fiaschetta, per essere, come ho detto, di forma ovale compressa veduti perpendicolarmente presentano sempre un contorno un poco ellittico. Questi corpi avendo tutti una forma più o meno allungata ed una estre- mità più assottigliata dell’altra, mentre stanno dentro alle sferuline embrio- geniche, tengono costantemente la parte più sottile rivolta verso l'esterno; ed infine si osserva che i corpi p si comportano in più modi diversi: 1° re- stando sempre dentro la sferulina, spingono al difuori soltanto una specie di collo lungo e trasparente e in cima a questo un picciolo con un prolungamento filiforme sottilissimo (fig. 86); 2° 0 escono al di fuori della sferulina embrio- genica, conservando intatta la semplice forma primitiva (fig. 9). Im fine il 3° modo è quello di uscire in libertà e poi modificarsi istantaneamente, met- tendo fuori il collo, il picciòlo e sopra questo il filamento sottile e lunghissimo (fig. 10). Gli altri corpi (fig. 8 #0) possono restare od uscire in libertà senza operare nessun cambiamento istantaneo. Che cosa sono tutti questi corpi traslucidi? Sono corpi estranei all’ dra, sono parassiti vegetali, sono nè più nè meno che tre specie diverse di piccole Diatomee. È indubitabile che la loro presenza debba seemare il numero degli em- brioni che potrebbero essere prodotti da una colonia di. Amebe, ma tuttavia esse ne producono sempre tante e tante migliaia, da non temere che per tale parassitismo le /dre cessino mai di esistere, e i fatti lo provano. Quantunque le Amebe di una colonia si liberino da tali parassiti, rigettan- doli continuamente al di fuori insieme alle cellule proligene che li contengono, tuttavia un’/dra che ne sia affatto priva non la troviamo mai, poichè vivendo nel medesimo ambiente dove vegetano e si riproducono anche i parassiti che la infestano, ne avviene che essi anderanno sempre ad insinuarsi nelle nuove sferuline embriogeniche ehe di continuo le /dre vanno riproducendo. La maggiore o minore abbondanza delle cellule proligene, sarà dunque collegata con la maggiore o minore quantità dei parassiti nell’ Idra, i quali con- feriscono all’animale due requisiti ben distinti e visibili, cioè quello di acqui- stare una straordinaria ampiezza e rigidità nelle sue parti, e l’altro di essere per un certo tempo ricoperto di spicule, le quali sappiamo ormai provenire per allungamento forzato delle sferuline embriogeniche sofferenti. Alla Tav. 11, le fig. 5, 6e 7 rappresentano porzione di bracci appartenenti a Idre brune raccolte nel marzo e tenute in acqua di pioggia filtrata, durante otto giorni. 16 abile re /—. il cuce 122 PARTE SECONDA Sul principio alcune di esse erano così piene di parassiti vegetali, che spe- cialmente nelle braccia presentavano dei grossi rilievi molto serrati fra loro, tanto che esse potevano muoversi appena. Dopo gli otto giorni ripresi ad'esa- minare le /dre. La fig. 6 è piecola porzione di un braccio molto esteso disegnato assai vicino alla sua estremità; le grosse Amebe esterne «a sono ancora turgide, contengono dei grossi corpi parassitari e sono rivestite di spicule; le Amebe bd avendo espulso molta parte delle cose contenute, sono assai più piccole e non hanno più spicule; le Amebe ce quasi vuote affatto e vedute di profilo hanno pochissimo rilievo in quanto che sono molto allungate in senso verticale. Le due linee rette e parallele dd tornano a indicare il contatto dei due strati. * Dopo avere assistito alla espulsione di tante parti distaccatesi dalle braccia e dal corpo dell’/dra quale idea sarebbe in apparenza più ragionevole di quella che facesse credere che vi potessero rimanere delle aperture nello strato delle Amebe esterne? Qua e là si presentano all’osservatore degli ovuli, il cui contorno esterno chiaramente ben definito, sembra infatti che circoseriva una lamina (fig. 6 £), ma l'illusione svanisce presto, quando profittando del movimento che le dre viventi dànno ai propri bracci, girandoli un poco sul loro asse, si vede che le supposte aperture messe di profilo sono invece delle anse formate da una pellicola intatta a contorno continuo piegato ad arco (fig. 7 LE). Tali pellicole a forma di ansa si veggono anche meglio quando lIdra le presenta molto allungate trasversalmente (fig. 14 e 15 A 4); nè queste anse sono vuote come apparentemente sembrano, egli è che allorquando nel loro interno non vi è rimasto o non vi è tornato nessuno di quei corpi estranei grandi o piccoli che sieno, come si veggono alla fig. 14 d, i quali per essere di un’altra natura refrangono la luce in modo da essere distinti con facilità, sembra che maneandovi quei corpi non debba esservi altro e che le anse (fig. 7 EE e fig. 14 e 15 A A) siano vuote; ma una osservazione accurata, per quanto lo permettono i continui movimenti dell’Idra, fa momentanea mente intravedere ogni tanto, che nell’ interno e al disotto della pellicola che apparentemente sembra vuota, vi è la trama semplice e trasparentissima delle Amebe (fig. 14 7°). Tutto questo sarà meglio dimostrato in altra tavola; per altro resta inteso fin d’ora che la struttura delle Amebe esterne della colonia rimane intatta, come rimane intatta la pellicola che le racchiude. La fig. 5 è porzione del braccio di un’/4ra; le due sporgenze «@ indi- cano che in quel punto dove sono uscite le masse embriogeniche e dei paras- siti vegetali insieme, le Amebe si sono parzialmente allungate in fuori, nel- atto della espulsione dei corpi sopra indicati; ma una volta liberatesene, DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 125 tornano poco a poco ad abbassarsi. Ciò è molto facile e frequente a vedersi, quando si guardino le Amebe esterne che stanno di profilo, e chiunque può constatare una volta di più che esse restano sempre con un contorno non in- terrotto. * To credo che nessuno avrà potuto fare a meno di domandarsi come av- venga la riparazione, il risarcimento continuo in una pellicola così frequente- mente perforata e attraversata da tanti corpi uscenti. È soltanto nel periodo in cui le Zdre sono sbarazzate dalla maggior quan- tità di cellule proligene e di parassiti vegetali, che si può studiare la intima struttura della membrana che coinvolge ogni singola Ameba della colonia esterna. Niente turgide, ridotte alla minima grandezza, le Amebe non eserci- tano pressione di sorta contro la pellicola in questione, la quale allo stato di riposo dà a sè stessa un aspetto del tutto nuovo. La fig. 1 della Tav. 11 rap- presenta ciò che si vede ai fianchi di un’/dra quando sia nel periodo indicato sopra. Guardando molto superficialmente e fuocheggiando con la massima deli- catezza, ai margini di ogni ansa si osservano in profilo dei rilievi come picco- lissime papille V; a misura che per la loro posizione esse vengono a mettersi perpendicolarmente all’ occhio dell’ osservatore, la loro altezza, il loro rilievo sparisce, e si scorge invece la sezione o base di ognuna, che serrandosi recipro- ‘amente insieme formano il piccolo reticolo f. Questo è aspetto generale. La fig. 2 dimostra parzialmente un dettaglio più ingrandito; « il profilo delle cellule che compongono la pellicola allo stato di riposo; è le medesime ve- dute perpendicolarmente; nell’interno di ogni cellula esiste un nucleo. La fig. 3 « indica le cellule di profilo quando la pellicola è più distesa; d le medesime vedute per di sopra. La fig. 4 dimostra quando la pellicola è nella massima distensione e non presenta più nessuma traccia delle celluline che la compongono. Quando la pellicola è in riposo, la grandezza delle sue celluline è di circa 0,002, quando invece è nella massima distensione il suo spessore è in- calcolabile. Quanta arcana virtù in queste celluline che si risaldano incessantemente! * Fra le tante cellule proligene che si staccano continuamente dalle /dre, non tutte hanno la totalità delle loro sferuline embriogeniche oceupate dai pa- ‘assiti vegetali, e quando ne abbiano una o due soltanto, quantunque venute a contatto dell’acqua, possono per un certo tempo mantenersi intatte. CS DO a FE ri ce, 7 TRI Tsi 124 PARTE SECONDA La fig. 16 « rappresenta una cellula proligena; la sua grandezza è di 0,020 ed ha due sole sferuline e contenenti un corpo parassitario della specie più piccola. Quando i corpi parassitari prevalgono, sia per il numero che per la loro grossezza, le cellule proligene si rompono facilmente, mettendo fuori le sferuline embriogeniche, che al contatto dell’acqua esse pure si rompono, ma non tutte immediatamente, e queste si comportano in più modi. Regola generale: si rigonfiano assai, anche più del doppio; conservano per un certo tempo la spi- cula (figure 8, 9, 10 e 11) e nel loro interno, oltre al corpo parassita, tratten- gono i piccoli embrioni che spesso si veggono muovere. Le figure 15, 160 e 17 sono altre sferuline embriogeniche con parassita in- cluso ; esse mancano della spicula. Nelle tante osservazioni fatte ho sorpreso aleune spicule nel momento che si distaccavano dalle sferuline. Le spicule ca- dute restano inerti come produzioni morte (fig. 12); dalla base alla punta erano lunghe 0,010. Tutte le sferuline embriogeniche, per un tempo relativamente breve, si veggono muovere lentamente spostando i loro contorni (fig. 17) come fanno le Amebe, ma prima 0 poi sono destinate a rompersi, lasciando in libertà gli embrioni i quali si disperdono per la preparazione agitandosi, mentre il corpo parassitario che contenevano, resta immobile al fondo della preparazione. Incontrando delle sferuline i cui embrioni interni sieno in grande movi- mento, è un indizio sicuro che non si attenderà molto per vederli uscire. * Per tener dietro allo sviluppo dei parassiti vegetali, bisogna sacrificare Idra scelta a tale scopo, e come è ben naturale, corrispondono meglio quelle Idre che ne hanno moltissimi. Non è male tener per qualche giorno animale nell’aequa di fonte filtrata perchè sia il più possibilmente vuoto di cibo, poi si prepara come al solito e si osserva fin che si vuole, per tornare ad esaminare giorno per giorno i paras- siti in questione. In capo a due o tre giorni non è difficile trovarne di quelli appartenenti alla medesima specie riuniti in gruppi. Senza che sia strettamente necessario, torna utile pigliar di mira questi gruppi per esser sicuri di portar Vattenzione sempre sui medesimi, e il restante vien da sè. Il completo sviluppo delle tre specie di Diatomee in questione si fa tanto lentamente, che esse non lo compiono mai durante il tempo che stanno rin- chiuse dentro le cellule proligene dell’ Idra. Ho detto referendomi alla Tav. 10, fig. $ che le tre differenti specie dei corpi parassitari, tengono costantemente la loro parte più ristretta rivolta verso : DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 125 l’esterno dell’/dra; aggiungo ora che è appunto da quella estremità che le Diatomee cominciano a germogliare, ed ecco intanto stabilito che nemmeno esse sfuggono alla legge generale che domina su tutti i vegetali, poichè an- che queste Diatomee subiscono 1 influenza della luce, rivolgendo ad essa la parte in germinazione. * La Tav. 12 rappresenta lo sviluppo completo delle Diatomee della specie più piccola, che sono anche le più numerose nell’ /4ra. Le figure 1, 2 e 3 sono tre cellule proligene staccatesi dall’animale un giorno dopo la preparazione: misurando dai 0,025 ai 0,030 di larghezza, ciò spiega che al contatto dell’ acqua esse sono rigonfiate di circa il doppio, poichè sappiamo già che al momento di essere espulse dall’ /dra, generalmente misurano in media 0,015. Nell’interno della fig. 1 sì veggono due sferule embriogeniche esse pure molto rigonfiate e con una diatomea inelusa: gli embrioni sono sparsi anche nella cellula proligena. Ciò che si vede in questa figura esiste anche nella fig. 3, meno che ora le diatomee sono fuori delle sferule embriogeniche. Nella fig. 2 si veggono embrioni e diatomee in maggior numero e tutti sparsi nella cellula proligena, essendosi rotte le sferuline. Nel gruppo delle fig. 4 sono comprese diverse sferule embriogeniche libere, molto rigonfiate, e ciascuna con i propri embrioni ed una diatomea nell’ in- terno. La sferula d lunga 0,010 e larga 0,008 è rigonfiata del doppio, poichè sappiamo che le sferule appena uscite dalla cellula proligena, in media mi- surano 0,005: la sua spicula è lunga quasi 0,010. La diatomea inclusa è lunga 0,007 e larga 0,005. Qualche rara volta si trovano diatomee di questa medesima specie che hanno raggiunto la lunghezza di 0,015, di 0,020 ed anche di 0,025, ma queste dimensioni sono eccezione alla regola, poichè l’immensa maggioranza di esse dai 0,005 ai 0,010 di grandezza arrivano a compiere la loro ultima evoluzione. Alla fig. 5 vi sono due diatomee lunghe poco più di 0,005; rammentando che la loro capsula o guscio non è di forma sferica ma alquanto compressa, si consideri sempre che vedendole più larghe « vuol dire che si presentano dalla faccia pianeggiante, e vedendole meno larghe d è indizio che si presen- tano un poco di fianco. Nel loro interno esiste um bastoncello cilindrico che fa un’ ansa in basso, e si spinge in alto fino a contatto della estremità appuntata «7 della capsula. È di lì che il bastoncello entrato in vegetazione comincia a spingersi in fuori (fig. 6@@). Da principio si prolunga diritto, poi comincia a piegarsi ad elica db e più tardi nel cilindro ad elica si sviluppano dei globettini distanti luno dall'altro (fig. 79). A misura che essi aumentano di volume, intorno ad ognuno si manifesta un rigonfiamento sul cilindro che li racchiude (fig. 7 4). 126 PARTE SECONDA Spesso il cilindro di queste diatomee, piuttosto che piegarsi ad elica si divide in due volute, uma più lunga ed uma più corta, variamente tortuose (fig. 7te fig. 111). Dovendo descrivere uma tal produzione vegetale, si ha che il guscio 0 ‘apsula della diatomea forma la base della pianta; da questo guscio sì diparte uno stelo corto, in cima allo stelo un cilindro variamente piegato vuoto come un baccello, dentro al baccello i frutti. Per la piccolezza della pianta non è possibile di veder le cose meno semplici di così. I frutti giunti a maturità escono dal baccello (fig. 7, 8; 10 e 11 kKk%); essi sono di forma ovale, lunghi poco più di 0,001 e larghi quasi la metà. Ingran- discono lentamente e in tal modo la diatomea è moltiplicata. È inutile dire che i frutti non hanno nessun movimento proprio e si possono vedere per più giorni, riuniti intorno alla pianta che li ha prodotti. Non so dire in quanto tempo possono arrivare alla grandezza necessaria per moltiplicare nuovamente la loro specie; ho veduto però che arrivati alla grandezza di poco più di 0,002, essi hanno di già sviluppato il bastoncello interno piegato ad ansa, e questa è la caratteristica per la quale vengono facil- mente riconosciuti. La fig. 9 rappresenta un gruppo di veechi gusci delle Diatomee esaurite per la fruttificazione; col tempo possono perdere anco lo stelo, ma la capsula vuota, che dimostra avere le pareti molto grosse ed essere di natura silieea, persiste a mantenersi qual’ è per un tempo indefinito. Le Diatomee non possono penetrare nell’interno delle sferuline embrio- geniche dell’/dra che allorquando sono seminuli della minima grandezza: pre- sto ne indicherò la via che percorrono; ora importa sapere che se vi arrivano piccolissime, ivi le diatomee aumentano assai di volume, e non possono uscire finechè non si rompe la prigione in cui sono entrate. E poichè le cellule pro- ligene nascono, si maturano e vengono espulse dall’ /dra in un tempo minore di quello che è necessario ai parassiti per raggiungere il loro completo svi- luppo, così vediamo compiere l’ultima evoluzione delle Diatomee allorquando sono tornate libere nell’ acqua. Ma il tempo occorrente a ciò non è possibile precisare perchè non si può dire da quanto tempo siano state ospiti dell’ Idra. Pigliando ad esempio le Diatomee allo stato semplice, appena uscite in libertà, come alla fig. 5, in uma preparazione impiegarono 7 giorni per arrivare a quel grado di sviluppo come le rappresenta il gruppo della fig. 6. Ciò accadde nel marzo; i gusci erano in media lunghi 0,005. Per raggiungere uno stato di vegetazione come al gruppo (fig. 7) impiegarono 11 giorni nel febbraio: i soli gusci erano lunghi 0,007 e lar- ghi 0,005. Per diventare come al gruppo (fig. 8) impiegarono 4 giorni nell’agosto, le capsule o gusci erano lunghe circa 0,010. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 127 _ Quelle del gruppo (fig. 10) impiegarono 7 giorni nel luglio: le capsule erano lunghe 0,005. Finalmente le Diatomee del gruppo (fig. 11) impiegarono 4 giorni del mese sopra detto: le capsule erano lunghe 0,005. Per le cose esposte, dai 4 agli 11 giorni si può dunque vedere la frutti- ficazione della specie più piccola delle Diatomee rappresentate dalla Tav. 12. Osservando minutamente nei diversi gruppi si trovano delle varianti tanto nella forma del baccello, quanto nella maniera di produrre i frutti, riumiti a gruppetti (fig. 822). Sono essi caratteri propri a differenti specie o semplici varietà accidentali? Non potendo formulare altro che meschine congetture, stimo miglior cosa non parlarne affatto, pago di averli indicati. L'importante era di ben definire la natura di questi corpi parassitari, ed ora non vi è più nessun dubbio. * La Tav. 13 rappresenta le Diatomee della seconda specie e sono le più rare nell’/dra. Di forma cilindrica affusata, con uma estremità tondeggiante, e l’altra acuminata, hanno all’interno della estremità più larga un globetto (fig. 19), dal quale piglia origine un bastoncello db che piegato a spirale si inalza fino alla estremità opposta. Questo piccolo organismo interno appoggia da un lato della capsula, e il vederlo situato più nel centro (fig. 1 « @) dipende soltanto dalla varia posi- zione della Diatomea. La fig. 1 e sta a dimostrare che stante la forma allungata del parassita, anche la sferula embriogenica che la racchiude, si mantiene costantemente ellittica. Allorehè le Diatomee in questione sono poste a contatto dell’ acqua che bagna la preparazione, non tutte si comportano egualmente, non tutte per- corrono la stessa via, non tutte raggiungono lo stesso scopo, ed è troppo ne- cessario di accennare le cause che determinano le varianti a cui vanno so0g- gette. Tutte le Diatomee, stante il loro guscio duro e pesante stanno sul fondo dei terreni limacciosi e per conseguenza nello strato più basso e più denso delle acque stagnanti; più denso perchè più saturo di sostanze disciolte. Ivi sono le condizioni favorevoli alla vegetazione delle Diatomee. Entrate parassitarie nell'organismo dell’/dra, stante la presenza della linfa e del fluido nutritizio dell’ animale, esse sono sempre a contatto di un liquido, molto più denso dell’ acqua pura, e vi prosperano assai bene. È indubitato che se le Diatomee hanno il guscio duro e resistente, deb- bano, avere alla estremità più assottigliata, in quel punto dove cominciano a # ha) beati... hd "dei WST/Og A bidet ii De ia 128 PARTE SECONDA germogliare, un pertugio o micropilo, forse otturato da una membrana permea- bilissima, da cedere alla pressione e rompersi per dar l'uscita al bastoncello che deve crescere in fuori. Ora accade questo, se le Diatomee vengono poste a contatto di acqua meno densa o quasi pura, quando il loro organismo si è già fatto consistente e ma- turo per seguire l’ultima evoluzione dentro o fuori del guscio, tale fenomeno si compie ugualmente; ma se la sostanza organizzabile interna è ancora molle e semigelatinosa, per l’acqua che vi penetra dentro, essa vien cacciata al di fuori, e poichè è insolubile, passa pel mieropilo della capsula e si prolunga in un filamento sottile e sterile. Tale operazione segue in brevissimo tempo e si vede facilmente durante l'osservazione. Non saprei citare un paragone più adattato di quello che offre il polline delle piante. Se i granellini del polline si mettono in acqua pura il loro invo- lucro si rompe, e la sostanza interna defluisce nel liquido: se si esamina il pol- line messo in una soluzione di zucchero, presso a poco densa come la viscosità che trasuda il pistillo, i granellini si mantengono intatti. Se finalmente pren- diamo il polline allorquando percorre il tessuto conduttore dello stilo, e che ha già sviluppato il budello pollinico, allora anche messo nell’aequa pura, si può studiare senza vederlo rompere. Quando le Diatomee della seconda specie escono dalle cellule proligene dell’/dra, sono tutte invariabilmente eguali fra loro come lo indicano le fig. 1. e2aaa: le capsule in media sono lunghe 0,010 e larghe 0,005. Una volta che sono messe al contatto dell’acqua meno densa o quasi pura, per i motivi accennati sopra pigliano forme di sviluppo assai diverse, a seconda del loro diverso grado di maturità. Allorchè sono poco mature, l’acqua che le compenetra spinge al di fuori del mieropilo il bastoncello ancora poco consistente, il quale si allunga molto e termina filiforme. Ciò può accadere anche dopo due o tre giorni che le Dia- tomee sono in preparazione, come ho osservato più volte, e come ho detto l’ope- razione segue in un istante, con la velocità di uma lancetta che segna i minuti secondi. In questo caso le Diatomee rimangono come al gruppo (fig. 2 bbbb). Tanto più i filamenti si allungano e quanto più siamo sicuri che rimarranno produzioni morte: le capsule in media misuravano sempre 0,010 per 0,0005: uno dei filamenti era lungo 0,070. Se la maturità della Diatomea è un poco più avanzata, allora il getto del bastoncello, quantunque appuntato, resta più corto e sulla parte inferiore, col tempo può svilupparsi la fruttificazione ; gruppo fig. 2 e. Le Diatomee che nel loro spirale interno hanno raggiunto l'ultimo grado di maturità, gruppo fig. 3, cominciano a germogliare senza inconvenienti e spingono in fuori poco per giorno il bastoncello che si mantiene sempre cilin- drico e quasi diritto; gruppo fig. 3 dd, e allungato che sia comincia a svilup- DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 129 pare i suoi frutti (fig. 3 d). Le capsule misurano sempre 0,010 per 0,005; il ba- stoncello o stelo con frutti misurava la lunghezza di 0,025. Il tempo occorso per arrivare a tale sviluppo fu di 21 giorno nel giugno. Non mi dilungherò troppo sui gruppi delle figure 4, 5, 6 e 7, poichè sono manifestazioni differenti di un medesimo tipo. Al gruppo fig. 7 « @, lo stelo piut- tosto che distendersi, si è mantenuto a spirale: alla fig. 7 B il bastoneello ha prodotto i suoi frutti restando dentro alla capsula. Il germogliamento rappresentato dalle Diatomee, del gruppo fig. 7, si è com- piuto in 8 giorni nel luglio. Visto che il bastoncello può sviluppare i suoi frutti restando nell’ interno del guscio, è naturale che allorquando se ne esca al difuori, non potendo per i frutti che sono nati su di esso, passare dal micropilo insieme alle fruttificazioni, queste si staccano rieadendo nell’ interno’ della capsula (fig. 4 m m). Il baston- cello uscito nudo, tortuoso e ricurvo alla estremità era largo quasi 0,002 e lungo 0,040. Più tardi, per l apertura lasciata libera dallo stelo maceratosi alla base, sono usciti al di fuori i frutti o piccole Diatomee, gruppo fig. 6, X. Tutto questo accadde in 28 giorni nell’ agosto. La struttura interna delle Diatomee gruppo fig. d n n n, si presenta alquanto varia dalle altre: sono esse anomalie o specie diverse? eccoci alla solita que- stione che io non posso risolvere; la importanza maggiore sta nell’ avere stabi- lito la natura vegetale anche in questa seconda specie dei corpi parassiti del- I Idra i quali producono i loro frutti in un modo assai diverso dalla prima specie: qui non si tratta più di un baccello che li contiene, ma di uno stelo sulla costola del quale stanno in fila, sporgenti con tutto il loro rilievo, fig. 6 A. Tutte le Diatomee rappresentate nella Tav. 13 hanno la capsula di una dimen- sione quasi uguale, misurando il più delle volte 0,010 di lunghezza 0,005 di lar- ghezza: quando sono più giovani e più piccole della metà, hanno già visibile il bastoncello a spirale. Aleune possono arrivare fino alla grandezza di 0,030 per 0,015, ma queste dimensioni sono veramente eccezionali e non mi hanno presentato nessun ca- rattere speciale. * Finora abbiamo visto che le Diatomee della prima specie (Tav. 12) offrono molta resistenza rispetto alla più o meno densità del liquido che le circonda, e che queste della seconda specie (Tav. 13) non possono impunemente essere ri- versate nell’ acqua della preparazione senza che vi sia un certo equilibrio tra la densità del liquido e la maturità delle Diatomee. Un tale equilibrio è tanto più necessario nelle Diatomee della terza specie (Tav. 14) che sono le più grosse e quelle che più facilmente si lasciano compe- netrare dall’ acqua. 17 150 PARTE SECONDA Per comprendere quanto allo stato di poca maturità esse siano sensibilis- sime e si guastino appena esista un minimo grado di minor densità nel liquido che le circonda, basterà il dire che ne risentono danno anche nell’ interno del- l Idra, se questa è posta in acqua più pura di quella in cui fu pescata. E la ragione è semplicissima quando si consideri che 1’ acqua penetrando in tutte le cavità dell’animale, immischiandosi alle sostanze nutritive, va anche a modificare la densità del fluido nutritizio che penetra fin dentro le sferuline embriogeniche (Tav. 10, fig. 2) dove stanno i corpi parassitari. Mettendo dunque 1’ Idra in un bicchiere d’acqua di fonte, o in una goccia d’acqua distillata per sottoporla all’ esame, essa è già posta, rispetto alla den- sità del liquido, in condizioni molto differenti da quelle in cui viveva natural- mente; e se possiede molte diatomee della terza specie ancor poco mature, queste si rigonfiano tanto istantaneamente, che le sferule embriogeniche sfian- candosi, le fanno uscire al di fuori. Ho assistito innumerevoli volte a questa uscita forzata delle grosse Dia- tomee. Istantaneamente appena venute a contatto di un liquido meno denso di loro esse scattano dal loro interno, una specie di collo cilindrico, Tav. 14, fig. 5 €, la cima del quale termina come il calice di un fiore con tre sepali, 4, e dalla cui punta e si vede dopo un istante, uscire e allungarsi tremolando, un fila- mento sottilissimo il quale scorre in fuori, con la velocità di una lancetta da secondi, ora percorrendo una linea retta, ora piegandosi ad arco, e se la sua punta estrema incontra un corpo qualunque su quello aderisce. La fig. 3 rappresenta quattro Diatomee fissate sopra un filamento di con- ferva. Ridotte a questo stato le Diatomee sono esaurite. Il più delle volte avviene che 1’ [dra provocando coi suoi movimenti dei vortici nell’ acqua che la circonda, attira verso di sè i filamenti delle Diatomee che uscite da lei, sopra lei col loro filamento si fissano. La fig. 1 rappresenta la estremità di un braccio dell’ Idra, e non vi è cosa che a vedersi sia più graziosa e fantastica, quanto un’ Idra tutta guarnita di così delicate produzioni. Il disegno fu eseguito il 20 maggio. La fig. 4 rappresenta la estremità di un altro braccio disegnato il 12 ot- tobre; alla lettera « @ è indicato il modo assai frequente di comportarsi delle grosse Diatomee poco mature; esse rimangono con la capsula dentro la sostanza dell’ /dra, sprigionando al di fuori soltanto il collo, il calice e il filamento. Alla lettera b si ha parte dell’ Idra trascinata fuori; in casi consimili, per- sistendo ad osservare, si vede che la capsula della Diatomea finalmente si allon- tana svincolata, e la parte dell’ Ameba esterna si contrae come ho detto alla Tav. 11, fig. Dada. Qualche volta insieme alla Diatomea si distacca dall’ Idra tutta la cellula proli- gena, Tav. 14, fig. 5. Il disegno fu eseguito nei primi di giugno; la larghezza della cellula era 0,015, le sferuline embriogeniche interne da 0,004 a 0,005, e la Diatomea dalla estremità e alla estremità opposta era lunga 0,027 e di largh. massima 0,010. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 1a) X* a La forza di adesione e la resistenza dei filamenti delle Diatomee così modi- ficate è molta, specialmente considerando la loro estrema sottigliezza. Osser- vando un’ Idra che ne abbia fissati all’esterno del suo corpo e delle sue braccia, come alla fig. 1, per qualunque movimento che faccia l’animale, i filamenti si piegano ma non si rompono nè si staccano, restando adesi e flessibili, almeno per un certo tempo. Nè staccati che siano da un corpo, i filamenti hanno facoltà di attaccarsi altrove, e se non incontrano dove aderire appena prodotti dalle Diatomee, essi induriscono e non si attaccano mai più, restando isolati nella preparazione; fig. 9 i (Tav. 14). Ho trovato qualche rara volta adese ai tubi delle conferve, aleune Diatomee con filamento assai corto, e uscito direttamente dal punto germinativo della capsula, fig. 2; dirò poi che cosa si può argomentare da un fatto simile. Intanto è necessario ripetere e confermare che i parassiti vegetali di questa terza specie allorquando hanno espulso dal loro interno, il collo, il calice e il fila- mento (nomi abusivi) come si veggono alle figure 1, 3, 4 e 5, sono Diatomee già sterilizzate e morte. Per tutte-le ragioni fin qui accennate, è indubbiamente vero che attese le condizioni in cui mettiamo 1’ Idra, la maggior parte di queste Diatomee vanno guastate, e volendone studiare il completo sviluppo e la maniera di riprodursi, non e è da fare che una cosa sola e semplicissima, cioè sacrificare come al so- lito un’ Idra. Quelle Diatomee che dopo 24 ore restano intatte nella preparazione, assicu- rano l’osservatore che non perderà invano il suo tempo, esaminandole gior- nalmente. La fig. 9 rappresenta un gruppo di Diatomee, resistenti al contatto del- l’acqua, e come si trovano aggruppate nella preparazione dove è stata messa un’ Idra. La varia grandezza dei corpi parassitari rimasti chiusi, indica che pos- sono essere al medesimo grado di maturità, senza avere dimensioni uguali. Isolate nel liquido, queste Diatomee che sono sferiche e leggermente pro- lungate a cono tronco in alto, a cagione della loro forma esse sbilanciano in modo da non presentarsi altro che distese e di profilo. Anche rinchiuse dentro le sferuline embriogeniche natanti e distaccate dall’ Idra, figure 7 e 8, si veggono sempre di profilo, e volendone studiare la parte pianeggiante anteriore pp, non vi è cosa più sbrigativa che osservarle mentre sono tuttora insite nell’ Zdra vivente, dove per i continui movimenti del- l’animale, si osservano le medesime Diatomee ora che si presentano di profilo, ora perpendicolarmente al loro asse, fig. 1 A, e dove allora il micropilo è im- mancabilmente visibile. 1532 PARTE SECONDA Alla Tav. 14, la fig. 6 d rappresenta una cellula proligena molto rigonfiata larga 0,035. La sferulina embriogenica e parimente assai rigonfiata, larga 0,020, ha nel suo interno una Diatomea a veduta perpendicolarmente, la cui cireonte- renza misurava 0,015. Al centro della estremità pianeggiante anteriore d sì mo- stra un orifizio di forma affusata lungo 0,005: tale orifizio ha I’ aspetto di un occhiello, o meglio di una boccuecia a labbra chiuse. Quando il liquido in cui sta immersa la Diatomea è per sua natura tanto sottile e penetrante da vincere la debole resistenza della boccuccia, relativa- mente assai lunga, perchè attraversa tutta la faccia pianeggiante della capsula, l’acqua che l’ attraversa la fa spalancare affatto, e spingendosi nell’ interno, ar- rovescia in fuori la membranella cilindrica fig. 5 c, costantemente con una fen- ditura longitudinale è e quell’ organo fatto a calice con tre sepali d. Se virtualmente si respingesse dentro la capsula quanto è stato rovesciato fuori, si avrebbero le parti ritornate al loro.posto, ma non si spiegherebbé mai da che cosa derivi il lunghissimo filamento che nell’ interno delle Diatomee non esiste. Per rendersi ragione di un tal fatto bisogna sorprendere le Diatomee poco mature e non ancora guastate per l’ azione dell’ acqua; per ottener ciò vi è tm mezzo solo, tener 1° Idra in una debole soluzione di gomma arabica, dopo pre- merla fra due vetrini e studiare le Diatomee che escono al di fuori. La fig. 10 rappresenta appunto una Diatomea non matura e con tutte le sue parti interne. Dalla bocenecia di essa s' inalza internamente fino al centro della capsula una membrana che forma le pareti di un tubo di vario calibro x. Alla estremità superiore di questo tubo vuoto, le pareti di esso si saldano intorno alla strozza- tura del corpo fatto a calice, cosicchè questo calice resta sorretto e nel mede- simo tempo rinchiuso nella cavità del tubo e con la punta inferiore rivolta verso la boccuccia esterna della Diatomea. AI di fuori del tubo, nello spazio libero dentro la capsula stanno i tre pro- lungamenti d abusivamente chiamati sepali, e al di sopra di questi sepali um corpo sferico traslucido #. Aggiungendo dell’ acqua distillata alla preparazione, essa penetra, come lo indica la direzione della freccia, per la boccuccia della Diatomea nel tubo interno, ne sfianca la parete aprendolo longitudinalmente e invadendo la capsula, arro- vescia al di fuori tutto quello che vi esisteva. È così che la fig. 10 diventa come la fig. 11; in questa il globettino traslu- cido © indicato dalla freccia, si abbassa gradatamente e poi sparisce, a misura che per l’azione dell’ acqua esercitata sulle sue pareti, viene spinto al di fuori il di Ini umore interno, di natura viscosa. Questo umore passando come per filiera dal mieropilo del calice, si coagula appena a contatto dell’ acqua e scorre come un sottilissimo filo. Il filamento dunque non è uma produzione normale, ma la trasformazione DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 153 forzata di quella sostanza, che rimasta custodita dentro la sferulina v nell’in- terno della capsula, sarebbe stata destinata a tutte le manifestazioni di um com- pleto sviluppo. i Credo ormai tempo di dare un nome più adattato alle diverse parti costi- tuenti il vero e proprio organo riproduttore che allo stato normale è tenuto so- speso nella parte più rigonfiata della capsula. Questo organo, come si vede a nudo nella fig. 11, è formato da un Bulbo « che produce una vescichetta germinativa v e alla base di essa tre prolunga- menti db i quali possono essere chiamati steli. Se la vescichetta germinativa e le altre parti, sono discretamente sviluppate e per conseguenza alquanto consistenti, il guasto arrecato dall’ acqua meno densa diventa minimo e non esce per la boccuecia della capsula che un fila- mento assai corto fig. 2: in questo caso vedremo che le Diatomee possono ancora prosperare e compire il loro sviluppo. Il tempo necessario per veder compiere la fruttificazione a questa terza specie di Diatomee, può essere breve o lungo, secondo lo stato di maturità in cui sono al momento che si cominciano ad esaminare. Dalle note delle mie osservazioni resulta una minima di tre, e una massima di venticinque giorni. Sempre per quel poco che ne possiamo veder noi, il modo col quale pro- cedono per riprodursi è molto semplice. La Vescichetta germinativa si converte in tanti globettini disposti a cerchi concentrici e ben serrati fra loro; i tre steli si allungano ricurvandosi in basso, e sull’arco della costola sviluppano essi pure due file di globettini, i quali giunti a maturità si staccano e sono le nuove Diatomee. Tutte le figure della Tav. 15 appartengono a preparazioni fatte ad epo- che diverse dal marzo al settembre. Per farsi ragione di certe apparenze non sì dimentichi, dando un’oechiata a queste Diatomee in fruttificazione, che se nell’interno vi sono tre steli (fig. 2 A), qualche volta per la diversa posizione della capsula, se ne possono vedere due soltanto (fig. 2 B), che il tubo interno essendo in basso saldato alle labbra della boccuccia chiusa, visto di profilo mostra avvicinate le sue pareti opposte, come fa una borsa a cerniera chiusa; in una parola il tubo non è di forma sferica a sezione circolare, ma ellittie: e per la varia posizione, rispetto all’occhio dell’osservatore, può presentarsi a pareti molto avvicinate (fig. 2 4), o più allontanate (fig. 2 B). Finalmente i tre steli portanti i frutti possono allungarsi più o meno e spesso arrivano a toc- care la parte inferiore della capsula fig. 2 D. La fig. 5 E, è una Diatomea veduta perpendicolarmente dalla estremità più larga e curva: essa dimostra al massimo sviluppo tutte le produzioni de- rivate dalla vescichetta germinativa. Tutte le Diatomee comprese dalle figure 2 e 5 sono chiuse, e dallo stato della loro fruttificazione molto avanzata, si può concludere che questo atto fisiologico lo compiono naturalmente dentro la capsula; ma le figure comprese 154 PARTE SECONDA dai numeri 6, 7 e 8 dimostrano del pari che per dare uscita alle nuove pro- duzioni, si arrovesciano al di fuori gli organi che le hanno prodotte. Le figure 9 e 10 sono in via di disseminare le giovani Diatomee. La fig. 1 è uma Diatomea in fruttificazione; il suo filamento attaccato conferma quanto è stato detto alla: Tav. 14, fig. 2. La trovai sopra uma bar- bula di ZLemna messa in osservazione insieme ad una Idra esaminata durante diciassette giorni. Le figure 3 e 4 (Tav. 15) fanno riscontro alle fig. 6 e 8.44 per un gambo, discretamente grossetto e robusto. Ì Le figure 25% hanno una fruttificazione in via di sviluppo, che per forma e distribuzione differisce dalle altre. Anche i vecchi gusci di tutte queste Diatomee che hanno fruttificato, sono molto resistenti all’ azione dell’acqua, e paragonando quelli alla fig. 7 che sono i più semplici ei più comuni, con molti altri della Tav. 15, specialmente con quelli (fig. 6 e 8) che sono i meno comuni, non si può disconoscere uma dif- ferenza di parti assai notevole. Alle dette figure 6 e 8, oltre a vedersi in più il gambetto corto e grosso (44) vi è un piccolo opereulo o linguella artieo- lata (00) che sembra destinata a dovere rialzarsi quando la diatomea è vicina a sprigionare le parti che hanno prodotto le sue fruttificazioni. Sono anomalie anche queste, o sono specie diverse? qui veramente inelino a credere che siano specie diverse, ma lascio intatta la questione ad uno spe- cialista botanico. Varia è la grandezza a cui arrivano le capsule di questa terza specie, per compiere la loro fruttificazione: ne ho misurate di quelle lunghe 0,010 e larghe 0,007, ma le più oscillano fra i 0,015 di lunghezza e i 0,012 di larghezza. Ne ho trovate di quelle la cui sola capsula misurava 0,040 per 0,030 e 0,050 per 0,040, ma sono rarissime. I frutti maturi e staccati li ho sempre trovati grossi 0,001 o quasi. Definita la natura vegetale dei tre corpi parassitari, ritorno all’ Idra. * Alla Tav. 16 la fig. 20 rappresenta un gruppo di cinque grosse Amebe della colonia interna, vuote da ogni cibo e addossate fra loro come stanno naturalmente, quando l Idra è retratta. La sola Ameba A che sovrasta a tutte le altre, è veduta in sezione per mostrare in profilo le vescicole 0 stomacki S aderenti alla sua parete interna. Parimente la fig. 19 A rappresenta la sezione di un’altra grossa Ameba interna, allungata per la distensione dell’ /dra. N la base, ce gli stipiti che ne sorreggono la volta, dd le aperture per le quali (come ho già dimostrato alla nici: ATEI DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 155 Tav. 9, fig. 1, 2 e 3) introduce il cibo nella grande cavità dell’ Ameba, S gli stomachi adesi alla sua parete interna. : Basta una semplice occhiata per vedere che tali stomachi, più in piccolo, hanno la medesima conformazione dell'animale che li contiene. Infatti essi sono tante vescicole o cupolette rivolte in dentro e parimente sorrette da dei piccoli pilastri e, e parimente perforate ai fianchi con aperture ff interposte fra i pilastri. c Per questa loro conformazione il cibo che è entrato nella cavità della grossa Ameba A entra poi nella cavità dei suoi stomachi S. Quando al disopra delle grosse Amebe se ne producono altre (fig. 19 e 20 B B) e sopra queste altre ancora ce, esse hanno tutte la loro parete interna guarnita di stomachi eguali a quelli ora descritti; e la unica differenza esi- stente fra l’Ameba principale e le altre nate per gemma sta in ciò, che V Ameba stipite A termina a base larga e perforata ai fianchi, mentre le Amebe secon- darie BC terminano sferiche e chiuse fino al punto d’attaceo, dove sono in comunicazione con l’animale sottostante, per mezzo di una apertura sferica a a, abbastanza larga perchè le materie nutritive che son quelle che danno il co- lore all’ Idra, passino da un’Ameba all’altra e ne riempino gli stomachi di cia- scuna. Richiamo tutta l’attenzione del lettore sulla particolare struttura degli stomachi ora descritti, i quali formano la unica organizzazione speciale a mol- tissimi infusori che necessariamente dovranno essere incontrati in seguito. * Allorchè sulle Amebe della colonia si producono cellule proligene PP que- ste non contengono mai nessun frammento colorato, stante la strettezza del piccolo pertugio per il quale stanno in comunicazione con l’Ameba da cui de- rivano. Ma se non vi entrano i materiali solidi e coloranti della nutrizione che arrivano fino all’orifizio delle cellule proligene e non passano, vi penetrano però i sughi nutritizi e insieme a quelli i seminuli delle Diatomee parassitarie in quantità spesso assai rilevante. Che ciò avvenga in tutte le produzioni della colonia interna dell’/dra non sorprende punto, perchè non soltanto i seminuli ma anche le Diatomee grosse e mature, percorrono in tutte le cavità che si riempion di cibo. Ho detto altrove che tutto ciò che si produce e si stacca dallo strato esterno dell’ Idra, si produce e si stacca dallo strato interno. Per convincersi di questo basta osservare quello che viene rigettato dalla bocca dell’ /dra come ho accennato alla Tav. 7, fig. De 9. Ma 1’/dra pescata di recente non solamente riversa al di fuori le sue pro- duzioni naturali, ma ben anco i materiali inutili delle sostanze che hanno ser- 156 PARTE SECONDA vito alla nutrizione; e poichè, come ho detto altra volta, animale voracissimo qual’è, potrebbe far supporre che tutto quello che rigetta siano cose che me- nomamente non gli appartengano, indicherò una via facile che dispensa dal- l’incomodo di sapere sceverare le une cose dalle altre. Consiglio di valersi per queste ricerche di Idre pallide o digiune, ciò che vuol dire lo stesso. Raccogliendo in un bicchier d’acqua di fonte una quantità d’Idre brune, esse in capo a pochi giorni vanno sempre a schiarirsi, tanto che alcune diven- tano pallide, poi pallidissime e finiscono per diventare affatto incolori. Questo fenomeno si deve al continuo rigetto delle sostanze estranee, dalle quali erano colorate; e quando abbiamo un’ Idra pallida perchè fattasi vuota di ogni cibo, essa serve mirabilmente allo scopo prefisso di studiare ciò che Y/Idra in quello stato di digiuno rigetta dalla bocca, senza aver più sospetto alenno che quelle parti che riversa al difuori non siano produzioni che le appartengono. Ciò che vediamo uscirle di bocca sono le sue produzioni naturali (Tav. 16 IBIGIE)S Cominciando dalle cellule proligene, molte di esse sono più o meno piene di parassiti vegetali (fig. 15 e 16 larghe 0,015 e fig. 17 larga 0,020). Fra tante cellule proligene ne escono anche di quelle che non hanno nes- sum parassita (fig. 13) e allorchè sono come lo indicano le presenti figure allo stato di perfetta maturità, gli embrioni usciti in parte dalle sferuline embrio- geniche si veggono oscillanti nell’ interno della cellula. La fig. 11 rappresenta un’altra cellula proligena larga 0,015, dalla quale cominciano ad uscir fuori le sferuline embriogeniche (fig. 12 larga 0,005). La rottura delle cellule proligene qualche volta avviene sotto i nostri occhi, e qualche volta accade nell'interno dell’Idra e allora dalla bocca di essa si veg- gono uscir fuori le sferuline embriogeniche sciolte (fig. 14). Se gli embrioni non oscillano, le sferuline che contengono allargano e ri- stringono la loro apertura 4 « e si allungano e si muovono come corpo vivo, per seguitare a nutrire gli esseri sviluppati nella loro parete interna; se gli embrioni oscillano dentro la sferulina, essa allora si rompe o si vuota perchè gli embrioni maturi si riversano al di fuori (fig. 14 d). La fig. 18 è una cellula proligena disegnata in più piccole proporzioni delle altre: la sua grandezza esterna era 0,015, la grossa Diatomea che aveva inter- namente, era lunga 0,010. Anco le figure 1, 2, 3,4 e 5 appartengono alle produzioni naturali dell’/dra ; sono i corpi (fig. 19, 20 Bc) nati per gemma e distaccati dalle grosse Amebe della colonia interna. Questi corpi appena usciti dalla bocca dell’/4ra cominciano in più e variati modi a spingere in fuori la pellicola che li riveste e pigliano decisamente la forma e le abitudini delle Amebde solitarie. È comunissimo vedere nei loro stomachi esistere ancora dei piccolissimi DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 19% frammenti di quelle sostanze estranee che le coloravano, quando facevano parte dell’ Idra (fig. 3 è). L’apertura che prima di staccarsi, le metteva in comunicazione con ]ani- male ehe le ha prodotte per gemma, diventa ora la bocca che si apre e si chiude (fig. le 2a). Le figure 6, 7, 8,9 e 10 sono altre Amedbe derivate dall’ Idra e disegnate in proporzioni diverse. La grandezza del solo corpo, senza calcolare espansione della pellicola, varia da 0,010 a 0,015. Molte Amebe nate per gemma escono dalla bocca dell’ Idra con la pellicola già posta in movimento. Visto che le Amebe che si distaccano sono organizzate come quelle da cui derivano, è pur naturale chiamare Amebe anche i grossi corpi (fig. 19 e 20 A A) i quali riuniti insieme formano lo strato interno dell’ Idra: e possono veramente chiamarsi le Amebe fondamentali della colonia, tanto più che oltre ad essere (come dissi alla Tav. $, fig. 1) le più grosse e quelle con la maggior coesione fra loro, sono le uniche che abbiano immediato rapporto con le sostanze nutritive, che si riempiono di cibo per somministrarlo alle altre che nascon per gemma sopra di loro, e che elaborano i liquidi nutritizi non solo per alimentare sè stesse, ma anche tutte le Amebe della colonia esterna. * Dissi che le Amebe formanti lo strato superficiale dell’/dra, al pari delle grosse Amebe fondamentali interne, esse pure producono per gemma altre Amebe secondarie e cellule proligene: parlai della pochissima coesione che hanno fra loro e con lo strato sottoposto, ed accennai, alla Tav. 6, fig. 6, un fatto che av- viene spessissimo e naturalmente nella vita delle /dre, cioè la grande facilità con la quale, le Amede esterne si staccano dalla colonia, per continuare a vivere solitarie e indipendenti. Il perchè di tutte queste cose si collega con un’altra questione, ed è quella di sapere come si nutriscono mentre stanno riunite in colonia, le Amebe dello strato esterno, costantemente trasparenti e incolori perchè in esse non possono penetrare le materie non elaborate della nutrizione, e di più con debolissima adesione con le Amebe fondamentali, le uniche che siano costantemente ri- piene di cibo. E qui una volta per sempre apro una piccola digressione: tanto il cibo quanto i seminuli delle Diatomee che vengono attirati nel gran sacco dell’ Idra non hanno un movimento di elezione per spingersi in tutte le cavità grosse e pic- cole della medesima. È invece ogni singola parte dell’Idra, che potendo vivere come corpo indipendente e libero, è dotata di un moto volontario individuale, capace per attirare in sè le sostanze che la devono nutrire. Insieme a queste so- 18 i ele i na dn Da PARTE SECONDA stanze vengono trascinati i corpi solidi che a seconda della loro mole, si arre- stano o passano dal pertugio comunicante con le diverse cavità che fanno uf- ficio di pompa aspirante. Detto questo, torno a parlare del modo di nutrirsi delle Amebe esterne. La cosa avviene nel modo il più semplice, cioè per mezzo di tanti canalini i quali traversando da parte a parte la base delle Amebde interne ed esterne, le mettono in diretta comunicazione fra loro. Questi canalini, stante la piccolezza del loro calibro non permettono il pas- saggio dei materiali solidi della nutrizione, ma dei sughi nutritivi già elaborati nelle cavità interne dell’ /dra, e insieme a questi, per la esiguità e per la forma liscia e facilmente insinuante, vi penetrano anche i seminuli dei parassiti ve- getali descritti. Per vedere i canalini di comunicazione che chiamerò i dutti gastrici, non e’ è che un mezzo, cioè osservare le Amebe che si distaccano dall’ esterno dell’/dra. La Tav. 17 rappresenta tutte figure appartenenti ad un’ Idra verde esami- nata per due giorni consecutivi nel mese di luglio. Fig. 10, alcune Amebe esterne appartenenti alla estremità di un braccio, e parzialmente addossate le une sulle altre; « « due cellule proligene non ancora espulse dall’ animale. Di questo piccolo gruppo sono messi in vista i soli con- torni delle Amebe nate per gemma bd d e due grossi parassiti e c inclusi in quelle. Fig. 11, porzione molto ingrandita di due Amede esterne, già liberate di tutte leloro produzioni; mm membrana che le invagina, p parete del corpo dell’ Ameba, s aree indicanti gli stomachi veduti per di sopra; gi medesimi veduti di profilo e molto compressi perchè vuoti. Fig. 2, cinque Amebe superficiali; A la sola che manteneva ancora la forma pianeggiante della sua base. Grandezza media delle cinque Amebde 0,025. Figure 6, 7, 8 e 9, altre Amebe dello strato esterno già isolate, arrotondate e con leggiero movimento di translazione; la più piccola lunga 0,015 e larga 0,010, la più grande sferica e larga 0,030. Trattandosi di render conto con queste Amebe isolate, di una osservazione che è fra le più importanti e nello stesso tempo delle più delicate, nè volendo portar confusione con lettere di richiamo, sopra dettagli minutissimi che più in- teressa studiare, ho creduto utile di lasciarle intatte quali furono disegnate dal vero, e ripeterle per la descrizione, in proporzioni maggiori con le figure 3, 4 e d. La fig. 1 rappresenta tre Amede esterne nella posizione naturale, come quando fanno ancora parte dell’ Idra ; i due BB indicano la base pianeggiante. Appena che un’ Ameba si è staccata dalla colonia il suo corpo si arrotonda, fig. 3, e dalla parte che formava la base si vede una specie di eribro B B costi- tuito da tanti forellini, disposti simmetricamente a cerchi concentrici. Dopo poco i meati interposti fra i forellini cominciarono a rompersi, for- mando in tal guisa una apertura più grande, figure 4 e 5 ce. Questa apertura che poi si dilata fin che ci sono forellini, diventa la bocca che Vl Ameba solitaria EA VE e PE | LS . A DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 159 apre e chiude a volontà, potendo ingerire per suo nutrimento, corpi assai vo- luminosi. } La massima parte dei parassiti vegetali che allo stato di seminuli entrano per i dutti gastrici nelle Amebe esterne, vengono attirati dentro le sferuline em- briogeniche, ivi erescono e-insieme a queste vengono poi espulsi al di fuori; ma non tutti entrano sempre nelle sferuline delle cellule embriogeniche poichè qual- cuno può rimanere nella cavità dell’Ameba, ivi aumenta di volume, si avvicina alla maturità e non ha modo di uscire finchè le Amebe non si staccano dalla co- lonia e non rompono il eribro. Questo fatto, se avviene, favorisce l’ osservatore che nel disfacimento di un’ Idra in preparazione, può trovare dei parassiti già maturi, come lo indicano mmalla fig. 2. * Accertato quale sia la costruzione dell’ Idra, per l'esame fatto di ogni sua parte e visto come essa resulti dalla riunione d’ innumerevoli umità biologiche, formanti ciascuna un essere a sè, che si moltiplica per gemma e per embrioni, e che queste Unità possono vivere isolate le une dalle altre, resta a sapere come esse nascano riunite insieme, e questo lo vedremo studiando lo sviluppo degli Embrioni. Ma prima di parlare della stupenda semplicità con la quale si forma un £s- sere singolo e multiplo nello stesso tempo, credo opportuno di svolgere ampia- mente ora, tutte le ragioni di altri fatti che si riferiscono alla vita dell’ Idra e che antecedentemente sono stati appena accennati. Trovando delle Amebe isolate da tempo, si può dal numero degli stomachi conoscere se siano di quelle nate per gemma tanto all’esterno o all’interno della colonia, o se invece siano di quelle che già formavano lo strato esterno del- V Idra. Queste ultime hanno stomachi più numerosi e più piccoli. X* Tl movimento dell’ Idra come ho già detto alla Tav. 8, non è che il resul- tato dei movimenti delle Amebe che vivono in colonia; per la continuità di un contatto immediato fra loro, avviene che la sensibilità e la conseguente volontà di un’ Ameba si trasmette simultaneamente e diventa sensibilità e volontà di tutte, e allorchè per esempio si tocca con la punta di un ago una qualche Ameba della colonia, tutta V’/dra si contrae rapidamente; se invece una Planaria, un Brachionus, un Vermiciattolo, ecc. passa e sfiora appena qualche Ameba di un braccio, subito 1 Jdra le muove tutte per farne preda, avvolgendolo e spin- gendolo verso l'apertura buccale che lo attira e lo ingoia. “a iù. «i n dt, nni it did Pe dine 140 PARTE SECONDA Ma invano si cercherebbero, come qualcuno ha preteso, fibrille muscolari e nervose, quali organi necessari ai movimenti dell’ Idra; essa come singolo animale non ha nulla di tali organi, o meglio li ha ripetuti tante volte quante sono le Amebe che lo compongono; ma sarebbe inutile pretendere di vederli. Parimente la bocca dell’ Jdra non è un’ apertura organizzata in modo spe- ciale, ma resulta invece da tante Amebe disposte in guisa di anello, le quali avvicinandosi verso un centro comune, chiudono il varco, e allontanandosi spa- lancano un abisso dentro al quale vengono spinti animali di ordini superiori, molto voluminosi. La creduta cavità stomacale dell’ Idra è il carcere dove vanno a morire tante vittime, le quali con la rapida decomposizione del loro corpo, rendono nutrimento gradito a migliaia di animalueci microscopici, che isolati gli uni dagli altri sarebbero impotenti ad impadronirsene e ad ueciderle. Mai fu più vera la sentenza, che I’ umione fa la forza. * Quando all’ Idra si distaccano naturalmente le braccia tutte intere 0 a frammenti (Tav. 7, figure 3 e 4, ecc.) ogni frammento rappresenta sempre una piccola colonia di Amebe. Se il bragcio si stacca intero, la sua estremità chiusa diventa il piede di una nuova Idra e dalla parte opposta ed aperta, ehe diventa la bocca, si pro- - ducono nuove Amebe per gemma, che invece di staccarsi si dispongono in modo da formare le braccia. Se invece di un braccio intero, se ne distacca una porzione soltanto, che nell’ insieme mantenga sempre la disposizione tubulare, da uma parte le Amebde si avvicinano e chiudono la cavità a cul di sacco, attorno all’ altra che resta aperta per far 1’ ufficio di bocca, si producono, come ho detto sopra, altre Amebe per formar le braccia della nuova Idra. * Allorquando le Zdre sono condannate al digiuno, le Amebe di eui sono composte si distaccano alla spicciolata cominciando dalle braccia e giù giù per tutto il corpo, finchè la colonia si dissolve, andando ogni Ameba a eerear nutrimento per proprio conto. Se le /Zdre sono vecchie ed hanno esaurito molta parte della loro produt- tività, il disfacimento della colonia si fa più rapido; ma in un modo o nel- l’altro viene sempre spiegata la ragione del perchè non abbiamo mai il ca- davere di un’ /dra completa e morta naturalmente, e perchè a vista d’oechio le Jdre rimpiccoliscono sempre e poi spariscono. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 141 * . Ci vuole molta accortezza per vedere al microscopio che cosa rimane di un’ /dra condannata a morire di digiuno dopo qualche mese della sua pri- gionia, tenuta insieme a poche conferve in un recipiente con acqua di fonte. A questo scopo giova mettere delle /dre brune in un piattino di porcel- lana a fondo nero. Quando ad occhio nudo delle /dre non ve ne sia più traccia, si cerca con la lente e con molta precauzione si trasporta sopra un vetrino qualcuno di quei piccolissimi glomeruli informi restati in fondo del piattino; e al microscopio non troviamo altro che le vecchie Amebde fondamentali dello strato interno, esaurite e senza più vita. Fra le conferve del piattino siamo sicuri di trovar sempre moltissime Amebe. Quale sia la vita delle Amebe che abbandonano naturalmente o forzata- mente la colonia, lo abbiamo già veduto. Condannate ad un genere di nutri- mento meno sostanzioso e più scarso, esse vivono finchè non abbiano svilup- pato, non più la ricca produzione di cellule embriogeniche, ma um ultima serie di embrioni nati sulla superficie del loro corpo (Tav. 4). Maturati gli embrioni, abbiamo veduto che le Amebe solitarie si rompono e muoiono. * Per seguire lo svolgimento degli embrioni delle Amebe isolate 0 in colonia che siano, è necessario averne sott’ occhio una certa quantità, e per conse- guenza bisogna osservar quelli che si sviluppano direttamente dall’ Idra. Le sue cellule proligene ho già detto altre volte, appena uscite a contatto dell’acqua, quando non si rompono immediatamente, si comportano in più modi. O rigonfiano insieme alle sferuline interne, Tav. 17, figure 12 e 15, o la cellula si allarga assai più delle sferuline interne (fig. 15), e tanto nel primo che nel secondo caso sì mantengono sferiche. Qualche volta invece la cellula proligena si allunga percorrendo lenta- mente nella preparazione come fa-la pellicola di un’ Ameba, fig. 14. Il volume delle quattro cellule proligene ora indicate, mistrava dai 0,022 ai 0,025; la loro apertura 4 « @ antico punto d’ attacco misurava 0,002 scarsi. L’ osservazione fu fatta nel marzo. Accade finalmente che alcune cellule proligene al contatto dell’ acqua si mantengono nelle dimensioni ordinarie come le figure 16, 17 e 18, che misu- ravano ognuna 0,015. Le osservai nel giugno. Un'altra particolarità che non deve essere dimenticata, si è quella che non tutte le cellule proligene contengono la medesima quantità di sferule em- ted» dì dida dog “ae - | a ©. | 142 PARTE SECONDA briogeniche. La fig. 17 ne contiene poche e per conseguenza più grandi; la fig. 16 ne ha maggior numero e per conseguenza più piccole. Anche gli embrioni usano diverso modo per uscire in libertà: o si distac- sano e si agitano dentro le sferuline e vanno in parte dentro la cellula pro- ligena prima che le pareti che li rinchindono siano tutte rotte, figure 12, 18, 14 e 15, 0 si distaccano dopo che la cellula proligena e le sferule interne si sono rotte (fig. 18). In questo caso si veggono i piccoli embrioni oscillare a brevi intervalli, finchè si staccano con tutto il loro peduncolo. La fig. 19 rappresenta più in grande un lacerto con tre embrioni oscil- lanti e ancora adesi: la grandezza del loro eorpo era minore di 0,002. La fig. 20 rappresenta aleuni embrioni liberi e oscillanti nella preparazione già da due giorni. La loro grandezza era di circa 0,003; per conseguenza in due giorni erano aumentati un terzo del loro volume. L’Idra rinchiusa fra due vetrini, poco o assai comincia subito a disgre- gare la sua compagine, e dopo aleumi giorni, ogni sua parte dissociata o no, muore per mancanza di nutrimento: ma non muoiono i di lei embrioni, i quali nella dissoluzione dell’ /dra morta trovano i materiali per il loro alimento, ed aggiungerò che hanno tanta resistenza per mantenersi in vita, che in una pre-. parazione dove il 17 agosto avevo messo un’ /dra bruna, il 28 settembre, cioè 52 giorni dopo gli embrioni erano sempre viventi. In altra preparazione fatta il 14 giugno messi un’ dra pallida; dopo due giorni trovai sviluppata una quantità sorprendente di embrioni vivacissimi; il quarto giorno mmii alla preparazione pochi frammenti delle conferve più sot- tili, esaminati antecedentemente a microscopio, per assicurarmi che nulla eravi sopra di essi. Il 30 luglio, dopo 46 giorni, le conferve erano divenute assai pal- lide stantechè i loro tubi mancavano per lunghi tratti delle granulazioni verdi che si producono nel loro interno, ma questa parziale macerazione aveva gio- vato agli embrioni dell’/dra che si mantenevano in buone condizioni, avendo raggiunto la lunghezza di 0,010 e la larghezza di 0,005. All ultimo di agosto, dopo 76 giorni gli embrioni erano sempre vivi e ben portanti, ma le loro dimensioni erano rimaste invariate. Queste ed altre preparazioni consimili, mi dettero agio di studiare ampia- mente gli embrioni dell’/4ra nel primo periodo della loro vita; ma non po- teva illudermi che negli angusti limiti di due vetrini avessi potuto seguirne lo svolgimento completo. Tuttavia la costanza mi fu giovevole. Nelle innumerevoli Zare sacrificate a questo scopo avevo osservato che non sempre gli embrioni che uscivano dalle sferule erano della medesima grandezza. Alcune volte essi erano grossetti e sit ad RL Te DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 145 leggiermente modificati, come quelli che avevano raggiunto um tal grado dopo essere stati per molti giorni natanti nelle mie preparazioni, e mi accorsi an- cora che le cellule proligene le quali contengono minor numero di sferuline embriogeniche e minor quantità di embrioni interni, Tav. 17, fig. 17 A, li por- tavano a maggior grado di sviluppo, tanto che presi di mira, e continuando ad osservarli sempre, dopo due o tre giorni che sono in libertà, si veggono pro- gredire di volume ed avviarsi ad una prima metamorfosi. ?arlerò diffusamente in seguito e darò le respettive figure di queste cel- lule proligene che contengono poche sferule, e questi pochi embrioni ma più grossi. Tali cellule proligene sono di una grande importanza e di grande aiuto per l’osservatore; per ora basti avvertire che ve ne sono di quelle che dentro ogni loro sferulina sviluppano un embrione solo, e che tali embrioni escono così vicini a compiere la prima metamorfosi, che dopo un giorno, ed anche dopo poche ore, manifestano tutti quei caratteri speciali, da farci sicuri che gli embrioni dell’ Idra potranno esser riconosciuti anche cercandoli svolti e cresciuti naturalmente, insieme alla grande massa di tanti infusori diversi, che vivono nell’intricato laberinto delle conferve. * La Tav. 18 rappresenta gli embrioni dell’/dra che dalla forma più sem- plice ed elementare, sono arrivati grado a grado fino al compimento della prima metamorfosi. Sul principio, come si vede dalla fig. 1 alla fig. 6 inclusive, non hamno um contorno molto uniforme, poichè oltre ad avere il corpo contrattile, pre- sentano quasi sempre delle piccole gibbosità g gg e poche apparenti granula- zioni di varia grandezza che sono gli stomachi adesi alla parete interna, i quali sono distribuiti irregolarmente. Finchè gli embrioni misurano, senza calcolare il flagello 0,005 di Innghezza e 0,002 di larghezza (fig. 1) non è possibile vedere altre particolarità, ma a mi- sura che aumentano di volume si scuoprono nuovi dettagli che andrò enume- rando. Al gruppo (fig. 2) che in media misurano 0,007 per 0,004 si vede che il fla- gello ff non sempre si diparte dalla estremità inferiore del corpo, ma invece piglia origine quasi dal centro di esso. Questa differente posizione del flagello basterà di averla accennata una volta per non essere obbligato ad avvertirla in seguito. Dalle figure comprese nel gruppo (fig. 3) fino a tutte quelle comprese nel gruppo (fig. 6) si ha un proporzionale ammento nel corpo degli embrioni, i. quali dalla grandezza di 0,008 per 0,005, arrivano fino a 0,010 per 0,005. Secondo 1 144 PARTE SECONDA varia posizione, in tutti si distingue assai sviluppata I’ apertura buccale (fig. 3 e 4 BB) e i pochi cigli che la circondano (fig. 5 € €). Il flagello di cui sono provvisti gli embrioni fino dalla nascita, e che au- menta di lunghezza a misura che il loro corpo aumenta di volume, parrebbe che dovesse essere l unico organo per l’azione del quale essi si muovono; e di fatti quando gli embrioni dell’/dra sono piccolissimi alla dimensione di 0,002, oscil- lano semplicemente, ma dopo un giorno 0 due essi acquistano un movimento così speciale, che serve a farli riconoscere a colpo d’ occhio. Dalla parte della bocca, piegano il corpo ad arco (fig. 4%) e poi distendendolo a un tratto, scattano. Ogni scatto è un piccolo salto che li porta in diversa direzione, descrivendo tante parabole, come corpi che rimbalzino continuamente. Di rado si servono del solo flagello, e allora si muovono più lentamente percorrendo dei piccoli tragitti in linea retta. Qualche volta con la punta del flagello si fissano per brevissimo tempo sulle corferze, abbassandosi e sollevan- dosi su quello, ma si staccano presto per tornare al loro movimento caratteri- stico di saltare da un posto all’ altro. Giunti alla grandezza di 0,015 per 0,010, o quasi (fig. 7), gli embrioni per- dono tutte le gibbosità dei contorni, e assumono una figura più regolare: gli embrioni «db sono veduti per la parte della bocca, e dal dorso, d di profilo. Dal vario aspetto che dimostrano, in causa della diversa posizione, si desume che il loro corpo rimane arcuato, con la parte inferiore più arrotondata della supe- riore, e compresso ai lati. In quanto al movimento, gli embrioni arrivati a questa dimensione, non sono più contrattili e per conseguenza non saltano più: il flagello che non ha seguitato a crescere in proporzione del corpo, resta corto, poco o punto flessi- bile, come un filamento indurito, e i movimenti degli embrioni si operano sol- tanto con lagitare dei cigli della bocca, fatti più robusti. In aiuto a questi cigli, presto se ne sviluppano altri dalla parte superiore alla bocca (fig. 8 e 9 cc); il flagello si tronca e ne resta una piccola porzione soltanto (fig. 9 e 10 ff). Poco dopo il corpo dell’animale si fa tutto ciliato (fig. 10). A questo grado di sviluppo ha raggiunto la grandezza di 0,020 per 0,012, restandogli aneora visibile una porzione del flagello (fig. 10 7), che in seguito cade e sparisce affatto (fig. 11). Nell’aumentar di volume, gli animali si fanno poi ovali più o meno allun- gati, conservando la tendenza di dare un maggior sviluppo alla parte inferiore. La fig. 12 misurava 0,052 per 0,022. La fig. 15 misurava 0,055 per 0,020. La fig. 15 misurava 0,040 per 0,025. È nella media di queste tre grandezze che embrione dell’/4ra, dopo avere perfettamente compiuta la sua prima metamorfosi, può moltiplicarsi per divi- sione trasversa (fig. 14). Ed in fatti, una grande cavità chiusa come un sacco aperto di fianco, e sulla cui parete interna stanno adesi tanti stomachi, può DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 145 ristringersi a metà e poi dividersi in due esseri, i quali saranno organicamente simili fra loro, quantunque resti sempre inesplicabile la virtù incognita che promuove questa divisione, e provveda di nuova bocca la parte inferiore che si distacca. I due corpi non ancora completamente separati misuravano ciascuno 0,025 per 0,015. * Tutto quanto presenta la Tav. 18 si ha direttamente dalle Zdre brune © verdi, preparate fra due vetrini. Ottenere di più in condizioni simili è affatto impossibile, ma il naturalista sa ormai che per arrivare alle nuove /dre, biso- ena cercare e studiare le Bursarie. La cosa più essenziale per 1’ osservatore è quella di averne molte a sua disposizione, ma l'andare a cercarle per le vasche o per i fossi, e raecoglierle in grande quantità, resta assai difficile per non dire impossibile. Dotate della grande mobilità propria a tutti gl’infusori ciliati, e non stando mai fissate a nessuna pianta, le Bursarie sfuggono fra le conferce, dove stanno di pre- ferenza, appena che queste vengono remosse, e il più delle volte avviene che dopo tante ricerche, se ne incontrano appena una o due rimaste per caso impigliate nelle piante che si raccolgono. A tale difficoltà si rimedia ponendo in un piattino con acqua di vasca 0 di pioggia, una discreta quantità di conferve, e delle Idre il più che se ne può: il numero maggiore è preferibile, poichè una cosa compensa l'altra. In questa guisa si ottiene un allevamento artificiale di Bursarie, che po- tranno crescere in condizioni se non del tutto normali, favorevoli certo per lo scopo cui devono servire. Fra i tanti recipienti che ingombravano i banchi del mio studio, aveva un piattino in cui erano state messe ai primi di gennaio una quarantina di Idre brune: nel 17 aprile successivo, cioè più di tre mesi dopo, trovai una straordinaria quantità di Bursarie assai sviluppate. Incoraggiato da questo resultato, a dir vero non preveduto, il 7 agosto posi in un altro piattino 56 [dre verdi, e nel settembre avevo nuove Bursarie di- sponibili. Per questi due allevamenti artificiali potei studiarle durante sei mesi con- secutivi, ed anche senza troppa difficoltà, perchè il caso mi aveva favorito il modo di averne dieci o dodici alla volta in una sola preparazione, ed ecco come: i gas sviluppatisi al disotto degli intricati filamenti delle conferce, rial- zavano lo strato più superficiale di queste pianticelle, formando dei rilievi a guisa di cupolette. La opportunità di avere le conferve così distese e umite, mi procurò la più gradita sorpresa. In fatti sollevando con un ago e poi tagliando una parte 19 PELATI ET 7 1 " Vr ente LA e Pon Dad 146 PARTE SECONDA di queste cupolette vegetali, trovai un gran numero di Bursarie in quelle reti naturali, la qual cosa favorì le osservazioni più interessanti che saranno svolte nelle Tavole successive. * Quantunque basate sopra un tipo costante, la bizzarra variabilità che si riscontra nelle /4re comincia a manifestarsi anche delle Bursarie, a misura che in- grandiscono e sì avvicinano alla loro ultima metamorfosi. Dalla dimensione di 0,040 per 0,025 (Tav. 18, fig. 15) massima grandezza a cui può arrivare una Bursaria ottenuta direttamente dall’ Idra preparata fra due vetrini; se vissuta libera fra le conferve, alla fine di tre o quattro mesi può aumentare tre ed anche quattro volte di diametro. Ed infatti cominciai a ritrovarle grandi dai 0,040 per 0,080 e fino ai 0,060 per 0,020 e tutte, in principio colorate di un bel verde, perchè piene di spore appartenenti alle piante fra cui vivevano. Appena messe in preparazione, le Bursarie fuggono incessantemente in tutte le direzioni: s'incontrano, si evitano, si scavalcano, vanno avanti o in- dietro con la medesima facilità, e sembrano bramose di fuggire da un ambiente che non sia loro troppo gradito. In questo va e vieni non è possibile distinguere che le più grandi dalle più piccole, e nella forma sembrano tutte eguali; ma dopo aleune ore, e me-. glio il giorno dopo, stanche per gli inutili sforzi di fuggire, le Bursarie pigliano delle abitudini meno incomode per chi le osserva, e si possono misurare e studiare in tutti i loro più minuti dettagli. In quanto ai movimenti, o esse scorrono lentamente, lambendo coi cigli le conferve, o si fermano isolate, agitando lentamente tutti i cigli e poi fug- gono a un tratto, o si addossano a un filo di conferva, e tenendo inoperosi tutti i cigli del corpo, agitano con celerità soltanto quelli della bocca, che tengono aperta e rivolta in alto. T cigli intorno alla bocca, che chiamerò Zabiali, oltre a promuovere un vortice d’acqua per attirare nella cavità della Bursaria le spore vegetali, sono anche organi di tatto, e respingono prontamente ogni altro corpo estraneo che non sia utile alla nutrizione, come spingono fuori della corrente quelle spore che l’animale rigetta (1). (1) Le conferve oltre ad essere fra lo più infime piante acquatiche, sono anche fra le più facili a nascere e a moltiplicarsi nelle acque dolci. Viste ad occhio nudo si presentano come filamenti verdi, lunghi e sottilissimi. Osser- vati a microscopio, i filamenti si veggono composti da una serie unica di tanti cannellini o tubi cilindrici, più lunghi che larghi, e saldati uno in continuazione dell’ altro, come si riscontrano nel fusto di una canna. » 7. adi ALZI N ei Lei Di sei DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 147 Quanto alle differenti forme in cui possono presentarsi le Bwrsarie, la Tav. 19 offre quegli esemplari che più differiscono fra loro. - Fig. 1, Bursaria col corpo un poco ricurvo e molto rilevato. Fig. 2, corpo più compresso. Fig. 3, con la estremità anteriore molto depressa e quasi foliacea. Fig. 4, depressa soltanto nella bocca, e nel resto del corpo rilevata come a ciambella. Nelle conferve ogni cannellino è una cellula che proviene da quella sottostante; ogni nodo è la saldatura di due cellule, o nello stesso tempo un diafragma che separa la cavità di una cellula dall'altra. Per l'accrescimento (come pianta) la primitiva cellula delle giovanissime conferve produce alle sue estremità altre due cellule; queste poi ne producono un’altra sulla loro estremità libera, e così seguitando, con questo sistema il filamento si allunga moltissimo. Quando avviene che sulla estremità libera di una cellula se ne riproducono due insieme, una di esse seguita dritta il corso del filamento, l’altra devia obliquamente, e da questo fatto derivano le conferve racemose. La membrana che forma la parete delle cellule è incolora, trasparente e sempre nuda e levigata alla superficie esterna; ma sulla superficie interna essa produce tanti globettini verdi che le stanno adesi, ora molto serrati fra loro, ora simmetricamente disposti a spirale. I globettini verdi prodotti dalla parete interna della cellula, crescono, maturano e si staccano: allora la cellula che li ha prodotti è già vecchia, si rompe, e i globuli verdi si riversano liberamente nell’acqua. Tali globuli sono la fruttificazione della pianta, sono le spore delle conferve. Esse constano di una vescicola trasparente e incolora, piena di un umore verde albuminoide, nel mezzo del quale stanno tre o quattro sporuline bianche traslucide. Col tempo la spora si rompe, riversa al di fuori le sporuline che contiene, e queste dapprima incolore, pren- dono poco a poco un color verde marino, si allungano, ed ognuna di esse diventa grada- tamente un nuovo filamento di conferva, atto poi a produrre i seminuli di nuove gene- razioni. I globuli verdi, ossia le spore delle conferve, formano l'esclusivo nutrimento delle Bursarie che si avviano a diventare /dre. * A questa nota mi piace di richiamare alla memoria del lettore la Euglena viridis: essa pure vive fra le conferve e si nutre di globuli verdi coi quali riempie la sua cavità stomacale, procurando di romperli, confricandoli continuamente contro quelle lamelle di natura calcarea che raccoglie nel suo stomaco. Rotte le spore, quell’umore albuminoide verde che esse contengono, sarebbe se non l’unica, la principale sostanza che nutrisce l’Euglena ; la qual sostanza assorbita e traman- data fin dentro la cavità delle piccole Euglene nasciture, servirebbe a colorirle di quel bel verde che hanno anche prima di nascere. Certamente questa è un’ ipotesi, ma non esce dai limiti del possibile, e riconduce alla prerogativa di tutti i microzoì di ordini inferiori, cioè che essi non appariscono colorati che in virtù delle sostanze che ingeriscono per nutrirsi. 148 PARTE SECONDA Fig. 9, con depressione alla bocca, nel rimanente rilevata a ciambella e riconfiata alla estremità superiore. Fig. 8, ristringimento del corpo presso alla bocca, e prolungamento in avanti dell’ apparato buccale. Fig. 6 e 7, con leggero ristringimento del corpo; apparato buccale appena sollevato, e piccoli rigonfiamenti sul dorso. Fig. 10, ovoide quasi globulare, e più rilevato dal lato della bocca. Fig. 11, corpo tubulare e ovale molto allungato. In tutte queste figure, per la diversa posizione della bocca, resta facile conoscere quando le Burserie sono vedute di terza o di profilo. La cosa più singolare è questa: se nella preparazione si hanno otto o dieci Bursarie come le fig. 1 e 2, il giorno dopo possono trovarsi quasi tutte mo- dificate come le fig. 4, 6, 7, 8 e 9, e parimente capitando in preparazione Bur- sarie molto depresse alla bocca, e con ristringimenti del corpo più o meno pronunziati, il giorno dopo si possono vedere convertite tutte o quasi, in Bur- sarie ovali allungate come la fig. 11. La fig. 5 indica una Bursaria vicina a compiere la sua moltiplicazione per divisione trasversa, il corpo superiore misurava 0,085 per 0,045 e quello infe- riore 0,090 per 0,040. i Nella presente Tav. 19 la Bwrsaria più piccola era quella rappresentata dalla fig. 4 e misurava 0,075 per 0,040, la più grossa è rappresentata dalla fig. 11 che misurava 0,200 per 0,060. * Alla Tav. 20 seguita il naturale svolgimento della Bursaria. Poichè rin- chiuse fra due vetrini esse non vivono che pochi giorni soltanto, mi trovai nella necessità di studiarle a intervalli, riprendendole dai piattini ogni quin- dici o venti giorni, e l’esito mi fu assai favorevole. Nel maggio, giugno e agosto avevo incontrato delle Bursarie le quali du- ‘ante tutta la loro vita di prigionia, persistevano a tenere allungato in avanti l'apparato buecale (fig. 1, 2 e 3) e non sapeva che cosa si potesse argomen- tare da un fatto simile. Verso la fine di settembre ebbi la fortuna d’ incontrare in um sol giorno e rinmite in una sola preparazione sette coppie in atto di fecondazione (fig. 4): i due individui disegnati misuravano ciascuno 0,125 per 0,055: la grandezza delle altre coppie per quanto ne potei giudicare ad occhio, differiva di poco. Le Bursarie così riunite si muovevano liberamente nella preparazione, senza staccarsi mai dall’amplesso nuziale, e vi consumai tutta la mattinata per aspettare che una coppia mi si presentasse in modo da render visibile come una tal congiunzione avvenisse. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 149 Per il presente disegno chiaramente si vede che la Bwrsaria, il cui appa- "ato buecale si è prolungato in avanti, se ne serve come di un infundibulo che introduce nella cavità di un’altra Bwrsaria, la cui bocca sia rimasta più o meno depressa come allo stato primitivo. Da questo fatto sorgono necessariamente molte congetture, ma prima di svolgerle, val meglio far precedere ancora altri fatti. * Dopo la fecondazione, avvenimento più notevole nelle Bursarie è quello di trovarle con dei prolungamenti o bottoni globulosi sviluppati nella parte anteriore o in prossimità della bocca, e mai nella parte inferiore del corpo. Questi rigonfiamenti avvengono dove gli stomachi delle Bursarie pigliando uno sviluppo maggiore, spingono in fuori la parete dove stanno adesi. Finchè i rigonfiamenti sono piccoli (fig. 7 e 960) o alquanto estesi ma di poco rilievo (fig. $ 2), i cigli vibratili persistono a rivestirli, ma allorchè i bot- toni hanno raggiunto un maggior rilievo (fig. 2,6 e 8.44) sopra di essi i cigli vibratili spariscono per sempre. Nè per questi parziali cambiamenti le Bursarie cessavano ancora di essere vivacissime come la fig. 5, che è tutta ciliata; ma col progredire della età era ormai accertato che esse si facevano sempre più delicate, tanto che alcune non tolleravano che poche ore di prigionia, e sempre io le vedevo morire per uno sfacelo che si compiva in un modo assai strano e che attirava tutta la mia attenzione. Sia che le Bursarie fossero ovali e ben ricolme, o con qualche eserescenza globulare già sviluppata, in un attimo gli stomachi interni si dilatavano, e so- spinti dagli altri che dilatandosi alla lor volta, incalzavano i primi, avveniva che la parete della Bursaria si disponeva capricciosamente, ma sempre abboz- zando, e spesso con molta precisione, la forma di un’ Idra con tre 0 quattro braccia. Le spore vegetali restavano nell’ interno, distribuite molto irregolarmente, e i cigli vibratili erano spariti affatto. Ma dopo poco tutto si dissolveva, e della Bursaria e della sua metamorfosi, non rimaneva che un momentaneo e lusinghiero miraggio. Essendomi occorso più di una volta di vedere accader tutto quanto ora ho descritto, dopo che io aveva aggiunto una goccia d’acqua distillata nella pre- parazione, onde riparare alla evaporazione di quella fra i due vetrini, pensai di non valermi più altrimenti che dell’acqua satura del piattino dove le Bur- sarie vivevano, e di mandare nella preparazione soltanto di quella, anche nel- l'intervallo da un giorno all’altro, e la precauzione mi fu giovevole. Con questo mezzo ottenni che uma di sette Bursarie ciliate messe in pre- 150 PARTE SECONDA parazione, si mantenne viva per diciassette giorni, e in questo lasso di tempo la vidi lentissimamente trasformarsi come alla Tav. 21 della fig. 2: essa era lunga 0,070 e larga 0,045; i cigli erano spariti affatto, e I’ umico indizio di vi- talità consisteva nell’ allungarsi e accorciarsi in tutto il corpo. Rassicurato da questo fatto ormai indiscutibile, mi convinsi che lo spet- tacolo di un cambiamento subitaneo sopra descritto, era da ritenersi avvenuto per uno sviluppo più che precoce, forzato da essere di poca consistenza quanto di corta durata, causa l’ambiente male adatto, e che gli animali sanno sfug- gire quando sono in libertà. Per le cose vedute si conclude che allorquando le Bursarie sono arrivate ad un certo cambiamento nella loro forma esteriore, perdono tutti i eigli, e diventano esseri torpidi, capaci di deboli movimenti soltanto. In questo stato esse sono assai più difficili a trovarsi, e fui obbligato a cercarle non più negli strati superficiali delle conferve del piattino, dove non incontravo più nulla, ma scadangliando in tutta la massa delle piante suddette: operazione assai lunga e paziente, tanto più che avendo sacrificato moltissime Bursarie, le rimanenti dovevano scarseggiare. Le figure 1 e 3 rappresentano due Bwursarie modificate raccolte diretta- mente dal piattino: esse pure si contraevano e si allungavano; ce indicano lo strato degli stomachi interni aumentati di numero e di volume, veduti di profilo. La fig. 1 è veduta dal dorso e misurava 0,180 per 0,045. La fig. 8 misurava 0,135 per 0,055: animale apriva e chiudeva lentamente: la bocca, sprovvista affatto di cigli; alla estremità S la trama era già disposta a diventare il sostegno. Finalmente fu pure raccolta fra le conferve del piattino la Bursaria (fig. 4), già rappresentante un’ Idra primitiva: la lunghezza totale era 0,140 e la mas- sima larghezza 0,060. Nè le Bursarie che possono compiere la loro metamorfosi allo stato di li- bertà assoluta nelle vasche o nei fossi, percorrono altra via o cominciano più perfette. Il 2 gennaio ritirando dal fondo di una vasca poche conferve e qualche ciocchetta di Chara, e pazientemente cercando con la lente, trovai un’ Idra verde piccolissima di forma stellata, con cinque braccia appena eontrattili, e senza prolungamento del corpo: le fig. 5 e 6 la rappresentano in diverso in- grandimento. Dalla estremità del braccio « fino a quella del braccio d misu- rava 0,400: nelle cellule bianche dello strato esterno, aveva già qualche raro parassita vegetale della specie più grossa, lungo appena 0,003. La bocca e era situata lateralmente e rigettava delle spore vegetali. Le figure 7 e 8 rappresentano in diversa grandezza un’altra Idra verde trovata contemporaneamente alla prima. Questa aveva due braccia soltanto; la fig. 7 la dimostra nella massima contrazione, la fig. 8 nella massima disten- sione: in tale stato, il solo corpo misurava 0,500. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 151 La fig. 9 è la parte anteriore della medesima /dra, notevolmente ingran- dita dove si vede che la bocca B rimane ancora di fianco. - Nelle cellule bianche dello strato esterno si vedevano dei parassiti vege- tali della specie più grossa, aleumi dei quali misuravano in lunghezza 0,007. Dalle prime figure della Tav. 21 si vede che le Bursarie in via di meta- morfosi, perdono i cigli, organi del movimento celere del loro corpo, assai prima di avere acquistato sufficiente sviluppo di braccia, e attitudine per tenersi fis- sate alle piante; si vede che prima di arrivare alla forma di un’ /dra ancora imperfetta, corre un lungo periodo che è il più critico e durante il quale, V Es- sere che non è più Bursaria, si alimenta in virtù delle due sole facoltà che gli restano, cioè allungarsi e accorciarsi. Si allunga e attrae nel suo interno le spore vegetali che lo nutriscono, si accorcia e le rigetta. Piccolo, debole, isolato e con la sua cavità sempre piena di cibo, bisogna che esso’ viva frammisto alle piante da cui trae l'alimento. Di qui nascono tutte le difficoltà di trovare tali esseri informi, e trovatili non sarebbe possi- bile di riconoscerli, se prima non si fosse seguìto il progressivo sviluppo degli embrioni dell’ /dra. Le giovanissime /dre derivate da Bursarie, si fissano alle piante assai prima di avere emesse tutte le braccia, le quali nascendo intorno alla bocca, sono esse che la spostano dalla sua posizione di fianco e la fanno risalire fino al centro della estremità anteriore, regola fissa in tutte le /dre adulte ed in quelle nate per gemma. x Anatomicamente considerata, la struttura della Bursaria è uguale a quella dell’ Idra, nell’istesso modo che Pembrione dell’/dra non è altro che una Bwur- suria in piccolo. Alla Tav. 22 la fig. 7 rappresenta la sezione di un embrione prima di perdere il flagello e di essere ciliato in tutta la superficie del corpo. Non dimentichiamo che la semplicità delle cose è relativa alla nostra im- possibilità di vederle composte quali realmente sono. Se DE NAUSSURE insegnò che nella sezione di un bulbo di giacinto si pos- sono vedere i germi dei fiori che sarebbero nati quattro anni più tardi, se ne deduce che negli esseri organizzati, moltissime cose sono predisposte assai prima che sia possibile a noi di vederle, e questo basterà, io spero, per convincere che tutto l'organismo della futura Bursaria sta compreso nello spessore della parete (fig. 7) @, che in ragione della sua estrema piccolezza ora apparisce una semplice membrana; la lett. d indica la bocca dell’ infusorio; la lett. s gli sto- machi del medesimo. I più grossi sono quelli sviluppati prima, i più piccoli sono i più giovani in via di formazione. 152 PARTE SECONDA La fig. 6 ripete il medesimo embrione visto superficialmente; le aree più larghe e più strette sono i contorni degli stomachi adesi alla parete interna. Col tempo non solo gli stomachi ingrandiscono ma ereseono anche di numero, poichè la membrana (fig. 7 @) che forma il corpo dell’ animale, fra stomaco e sto- maco ne produce sempre dei nuovi e per conseguenza si dilata continnamente. È così che l’infusorio fig. 6 mantenendo per molto tempo la sua forma ovale, aumenta gradatamente di volume, sviluppando poco a poco sulla su- perficie esterna, tante celluline cilindriche e chiuse alla estremità: queste cel- luline esterne sono molto vicine fra loro, ma non saldate insieme, e portano tutte un ciglio vibratile in cima. Quando il corpo è completamente rivestito di celluline ciliate, la meta- morfosi è compiuta, la Bursaria è perfetta. Mercè l’ attività dei suoi cigli, essa si trasporta dove più l’ istinto la guida, e mercè il vortice procurato dai cigli posti intorno alla bocca, attira nella sua grande cavità moltissimi granuli verdi di piante acquatiche, ed apparisce co- lorata di un bellissimo verde. I granellini vegetali passando per uma bocca assai larga, entrano di varia grandezza, e nell’ interno delle Bursarie ne ho misurati grossi da 0,002 a 0,007. La fig. 1 rappresenta una Bwursaria veduta in sezione: i globuli verdi en- trati nel suo corpo, non rimangono fermi, nè sono agitati da movimenti di- sordinati, essi invece circolano come lo indicano le freccie, trascinati lenta- mente da una corrente d’acqua, la qual corrente sempre in direzione uguale e continua li trasporta alla periferia dove sono gli stomachi s. Quantunque piccoli, gli stomachi della Bursaria hanno già le medesime aperture ai fianchi come gli ha perforati quando è diventata Idra, e lo indi- cano indubbiamente i granellini verdi che vi entrano dentro (fig. 1 P). Sul principio gli stomachi non possono contenere che un granellino sol- tanto e dei più piccoli; poi dei più grossi, ed in seguito due, tre, ecc. secondo l’ampiezza per riceverli. Guardando una Bursaria molto superficialmente, 1’ osservatore può con- vineersi di questo fatto, e constatare che i primi globuli verdi che appariscono in vista stanno tutti fermi; sono quelli trattenuti dentro gli stomachi; poi ab- bassando convenientemente 1’ obiettivo, vedrà i globuli verdi tutti in moto; sono quelli che circolano nella grande cavità dell’ animale. La fig. 2 rappresenta la bocca della Bursaria veduta per di sopra, insieme alle cellule ciliate che le stanno intorno: le altre sono state soppresse per ve- dere (le”aree degli stomachi interni s, distribuiti molto regolarmente in giro, circondando la bocca. In alcune Bwrsarie ho trovato che gli stomachi più larghi misuravano la larghezza di”0,015. Qualche volta si veggono allargarsi e ristringersi, e senza dubbio tali contrazioni sono atti necessari per attirare come per espellere le sostanze alimentari. “o DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 155 La fig. 8 rappresenta un gruppo di cellule ciliate esterne, notevolmente ingrandite. Quando la Bursaria è giovane, queste cellule sono strette alla, base e si prolungano a clava: esse sono lunghe 0,005, ed alla estremità guarnita di ciglio vibratile, sono larghe poco più di 0,001. Alcune Bursarie, dalla parte inferiore (s’ intenda quella più lontana dalla bocca), presentano delle celluline ciliate un poco più robuste, e internamente suddivise in due o tre scompartimenti traversi (fig. 4 €). Alla fig. 8 si rappresentano tre stomachi s, veduti di fianco e posti in modo da presentare in sfuggita la loro base pianeggiante dd: la lettera e indica il gruppo di celluline ciliate che all’ esterno della Bursaria $' inalzano al disopre della base di ogni stomaco. La fig. 9 dimostra come le celluline ciliate si presentino soprammesse le une sulle altre, guardando il margine o contorno di una Bursaria: la lettera rr il reticolo apparente derivato dalla base in sfuggita degli stomachi sottoposti, vicini e alternanti fra loro. A misura che dal profilo della Bursaria si risale con l’ obiettivo, per met- tere in fuoco la superficie più centrale del suo corpo, le seguenti celluline ci- liate vedendole sempre più di scorcio, appariscono via via sempre più corte, e poi piccoli bulbi tondi stante la loro posizione verticale. Lo stesso effetto accade agli stomachi sottoposti; e la loro base che in iscorcio apparisce molto ellittica, veduta verticalmente apparisce larga e tonda (fig. 2) poichè tutto viene veduto in sezione trasversa. La fig. 5 rappresenta in proporzioni più piccole delle figure antecedenti, quattro stomachi e le corrispondenti cellule ciliate esterne di una Bursaria molto adulta, e vicina a cominciare la metamorfosi per trasformarsi in Idra, dimostrando che tanto le celluline ciliate, quanto gli stomachi, per il continuo distendersi della parete su cui poggiano, più che aumentare in altezza aumen- tano in larghezza, sicchè arrivano ad essere alte quanto larghe. La fig. 12 è porzione (in profilo) del corpo di una Bursaria, già in via di metamorfosi, dove-si pronunzia uno di quei rigonfiamenti o bottoni, che sono l’ origine delle braccia dell’ Idra futura. Quando un gruppo di stomachi per la necessità di espandersi, spingono la loro base in fuori, formano un’ ansa A che modifica il primitivo contorno della Bursaria; a misura che l’ ansa si fa più grande, le celluline esterne c di- stendendosi gradatamente, diventano più larghe che alte, e allora perdono il ciglio che avevano. . Contemporaneamente e proporzionalmente allo sviluppo delle diverse anse, aumenta e si dilata la grande cavità interna della Bursaria, e le sostanze nu- tritive che la riempiono, si spingono in tutte le sinuosità della medesima. Questi sono i primi passi, quindi per la virtù germinativa della membrana primordiale (fig. 7 «) che opera continuamente, sviluppandosi sempre fra gli interstizi delle cellule esterne, nuove cellule, e fra gl’interstizi degli stomachi, 20 154 PARTE SECONDA nuovi stomachi, sì ottiene infine il graduale aumento di volume e di numero di ogni singola parte, resultandone il corpo voluminoso dell’ /dra, e le sue lunghe braccia. Nè altrimenti da un’ Idra già completa si sviluppano quelle per gemma; il principio è sempre lo stesso e immutabile. Nella parete interna degli stomachi della Bursaria in via di metamorfosi (fig. 12 s) si veggono dei piccoli rigonfiamenti ii: per tutte le cose dette e de- scritte diffusamente innanzi, si capirà bene che lentamente risaliremo fino alla Tav. 16, fig. 19 A. * Le Idre che derivano dagli embrioni sono indistintamente tutte verdi, e tali si mantengono per lungo tempo; ma poichè le Idre verdi cominciano assai presto a riprodurne altre per gemma, e piccolissime, sarebbe questo un caso che potrebbe far dubitare a qualcuno, di tutta la verità della genesi dell’/dra, tanto faticosamente discoperta. Ma io sono grande amico degli inereduli, perchè tutto il mio lavoro ebbe origine dall’ incredulità mia; e dirò che vi è il modo di riconoscere a colpo d’ occhio le Idre derivate da embrione da quelle derivate per gemma, qua- lunque sia il colore, la grandezza e 1’ età delle medesime. Tutte le Idre possono attaccarsi alle piante con la estremità inferiore del corpo, anzi questa è la loro abitudine. Altra volta chiamai tale estremità piede o sostegno dell’ /dra: se il piede a misura che arriva al suo termine, si fa più largo, e le cellule dello strato esterno da cui viene formato, sono strette e ben saldate fra loro, resultandone un contorno unito, e pianeggiante o legger- mente concavo al disotto (fig. 10, Tav. 22), ciò dimostra che l Idra è derivata dall’ embrione, e questo carattere del piede dall’ aspetto resistente e compatto, non l’abbandona mai più. Ivi le cellule sono sterili. Se l Idra è invece derivata per gemma, quantunque possa attaccarsi alle piante, non ha il piede espressamente formato, e non lo acquisterà mai. Le cellule che chiudono la sua estremità inferiore, simili a tutte le altre del corpo, non sono saldate lateralmente fra loro, e formano sempre un contorno ine- guale e ondulato. Ivi le cellule sono produttive. Nelle /dre nate per gemma, spessissimo, per non dir sempre, fra le eel- lule bianche dello strato esterno, che stanno accostate per chiudere il fondo del corpo, restano aleuni frammenti colorati, verdi o bruni, secondo che sono nell’ interno dell’ animale (fig. 11), ed è ciò che ha fatto credere erroneamente che le /dre avessero 1 ano. E: ; DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 155 * La descrizione della genesi dell’ Idra è compita. Arrivati al termine di questa lunga ed erta via, egli è come guardare le cose dall’ alto, da dove ogni confusione sparisce. Recapitolando si conclude: 1 Idra è composta di tante unità che possono vivere da per sè isolatamente; 1’ umità dell’ Idra è VP Amedba. Le Idre, divise e suddivise fanno sempre degli embrioni, i quali crescono Bursarie per convertirsi in nuove Ldre. Trovata una Ameba, si è trovata una particella dell’ Jdra, trovata un’Idra, si è trovata una colouia di Amebe. Tutto ciò è maravigliosamente molto semplice! IL NUTRIMENTO DELLE IDRE Le Idre che derivano da Bursarie, sono come queste tutte verdi, perchè per un certo tempo conservano ancora l’ antica abitudine di nutrirsi di eloro- filla o di spore delle piante: ma se le dre cominciano erbivore, finiscono senza eccezione per farsi tutte carnivore, voracissime ed aggressive. E poichè tali prerogative vanno acquistandole lentamente, lentamente passano dal color verde al color bruno. Che la varietà del cibo faccia variare il colore dell’Idra, è cosa indiseu- tibile; che 1’ Idra verde si cibi come le /dre brune, di vorticelle, piccoli ero- stacei, planarie, ece., è del pari accertato perchè tali animalini gli si trovano nel ventre; che restino verdi per assai lungo tempo dopo che sono divenute carnivore, lo prova il fatto medesimo. La ragione della lentezza a mutar colore deriva da questo : Idra fattasi più adulta e capace di aggredire animalini per cibarsene, rigurgita i globuli verdi contenuti nella sua grande cavità, ma non quelli penetrati nei suoi sto- machi. Da ciò ne resulta che le Idre verdi non hanno tutte la medesima in- tensità di colore; quelle tanto cupe che sembrano turchine sono le più gio- vani e si mantengono ancora tutte piene di sostanze vegetali; le /dre di un verde più chiaro, contengono meno granuli verdi, sono più adulte delle prime ed hanno già cominciato a cibarsi di piccoli infusori; in fine quelle /dre co- lorate di un verde pallido, tendente al giallo brunastro, sono carnivore da molto tempo, ed hanno quel colore incerto, perchè i granellini verdi rimasti dentro ai loro stomachi, hanno cominciato ad alterarsi, avviandosi al color bruno, proprio di tutti i vegetali morti che si macerano. 156 PARTE SECONDA La difficoltà o meglio la impossibilità di conservare lungamente in vita le Jdre verdi, quantunque tenute insieme a quelle medesime piante che hanno loro somministrato per lungo tempo il cibo, è insita nella natura dell’ Idra stessa, la quale arrivata ad una certa età non trova più che le sostanze ve- getali siano alimento adatto per lei, e maneandole quegli animalini di cui ha estremo bisogno per vivere, si dissolve. A più forte ragione un’/dra già diventata bruna non può ritornare er- bivora; resiste più lungamente al digiuno, perchè più robusta, ma poi si dis- solve egualmente. Se le Jdre verdi sono mite a discreta quantità di conferve, fra le quali siavi sufficiente numero d’infusori per alimentarle, allora esse possono vivere per lungo tempo in schiavitù. , Nelle condizioni accennate ora, messi in un piattino delle /dre verdi rae- colte il 2 gennaio: ne trovai qualcuna vivente il 15 giugno successivo. Una di esse nel solo corpo misurava 0,470 per 0,230, ed aveva otto braccia. Il suo piede indicava che era derivata da Bursaria: i globuli verdi dentro ai suoi stomachi, dove erano più, dov'erano meno e dove mancavano affatto, special mente nelle braccia. I corpi vegetali misuravano da 0,002 a 0,007; gli stoma- chi misuravano circa 0,030. AI’ Idra ancora verde, più che mancare la volontà di cibarsi di preda rossa, mancano le forze per impadronirsene: eonstatai questo mettendo il 27 luglio cinque /dre verdi pallide in un piattino con sola acqua di pioggia; - dopo mi procurai dei più piccoli vermiciattoli rossi (1), cibo tanto prediletto alle Idre, e li messi insieme con esse. Parve che aggressori e vittime vivessero in un rispetto reciproco; nè gli uni nè le altre si avvicinavano mai: il giorno dopo nulla era variato, ma i bacolini toccandoli, si attorcigliavano e si asserpolavano con minore vivacità, e tutte le volte che io li spingeva con la punta di un ago verso la bocca delle Idre, obbligandoli a toecarle, seguiva questo, che il verme si allontanava sem- pre, mentre le Idre non si accorciavano come quando vengono toccate da un corpo estraneo qualunque; ma invece portando indietro le braccia e la bocca, arrovesciavano porzione della loro parte anteriore (Tav. 24, fig. 1 e 2). Quantunque io ripetessi la manovra, il bacolino fuggiva sempre, e Idra ad ogni nuovo contatto di esso agitava un poco le braccia, rimanendo con la parte anteriore arrovesciata. Allora io presi uno dei più grossi bacolini rossi, lo lacerai a pezzetti, e a quattro Idre ne detti uma porzione, che parve ace- cettata con molto appetito (fig. 3), operando una deglutizione lenta e labo- riosa, come la deglutizione di un serpente. Le Idre che mi servirono in questo esperimento misuravano nel corpo sol- tanto, la lunghezza di un millimetro e mezzo a due millimetri. (1) Anellidi di acqua dolce. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE Tltr( A misura che porzione della vivanda era assorbita dalla cavità dell’/dra, le braccia e la bocca ritornavano in alto. : Dopo un'ora, 1’ Idra che ne ebbe la porzione più piccola, V aveva tutta ingerita; si serrò strettamente sotto e sopra, e rimase immobile ritta sul suo peduncolo (fig. 4). AlP/dra (fig. 5) avvicinai um vermiciattolo morto, lo ghermì, o meglio lo abboecò come il disegno dimostra, e mi stancai prima io a guardarla che essa a lasciarlo: incapace a ingoiarlo, doveva cibarsene per succiamento. Il fatto della parte anteriore che si arrovescia, ha un valore rilevante per la forza di assorbimento dispiegata dall’ dra: le sue braccie sono tubi vuoti, chiusi alla estremità e con l'apertura alla base che comunica internamente al di sotto della bocca; ora arrovesciandosi e mettendo al di fuori le aper- ture (fig. 144) per poi applicarle sulla preda, ne avviene che le braccia agi- seono come coppette o pompe aspiranti, servendo a trattenere solidamente la preda, aiutando la cavità del corpo che agisce nel medesimo modo per atti- rarla dentro di sè. Le fig. 6 rappresentano tre diverse /Idre vecchie molto ingrandite; le tro- rai adese ad una foglia di quercia, macerata nell’acqua di una vasca: i rigon- fiamenti del loro corpo indicano la cattura di uma grossa preda. Secondo quello che ho potuto osservare io, la voracità delle Idre sta in apporto con la pronta digestione che esse fanno degli animali inghiottiti, e tutte le volte che ho voluto rimettere al domani I accertamento della specie degli animali che tenevano nella cavità del loro corpo; mi è accaduto sempre di ritrovare le /dre vuote di detta preda. Se è curioso sapere quante grosse e diverse specie di animali acquatici possono servire al nutrimento delle vecchie Idre, è ancora più interessante veder quelli che nutriscono le /dre giovani e sempre verdi: dentro alla loro cavità si trovano dei crostacei piccolissimi dalla forma strana e bizzarra, al- cuni dei quali non ho memoria di avere veduti rappresentati mai; ma questa è una questione affatto secondaria che accenno appena, e concludo che tutto quanto contiene la cavità dell /dra (uova, sferule di grasso bianche o gialle, ecc.) è cosa estranea all’ /dra medesima, e si conosce a chi apparteneva, dandosi la cura di esaminare a parte quei diversi animali che servono di pasto al- V Idra. * Tutti sanno quante migliaia di animalini vivono parassiti nei prodotti delle piante terrestri: le più grosse specie delle Diatomee parassitarie dell’/dra hanno alla lor volta un animalino parassita che penetra nel loro guscio e le rode, erescendovi dentro per uscire a completo sviluppo. Sacrificando tante /dre per attendere allo svolgimento delle Diatomee sud- dette, più di una volta mi è accaduto di trovarne sparse per la preparazione 158 PARTE SECONDA di quelle che non si modificavano come alla Tav. 14, fig. 11. nè fruttificavano come lo dimostrano le figure alla Tav. 15, ma se esternamente rimanevano chiuse e invariabili quali le presenta il gruppo (fig. 9 alla Tav. 14), esaminate nell’ interno, in luogo della organizzazione vegetale distrutta, si vedeva un ani- malino che sta ripiegato a metà del corpo tenendo generalmente la testa e la coda rivolta in alto. Alla Tav. 24 il gruppo delle fig. 7 rappresenta le Diatomee attaccate dal parassita: la loro grandezza reale non è tanto varia, quanto le figure che le rappresentano, poichè sono disegnate in proporzioni diverse. Misurate al mi- crometro le più piccole erano lunghe 0,012 e larghe 0,010 e le più grandi lun- ghe 0,015 e larghe 0,012. L’animalino parassita è di un colore leggermente roseo: il suo corpo, di forma semplicissima, fa dei piecoli movimenti di contrazione che rendono i suoi contorni un poco ondulati, e qualche volta lo si vede cambiar posizione, mettendo la testa e la coda di fianco al guscio della Diatomea (fig. 7 a a). Quando sì muove in tal modo, siamo sicuri che esso fa degli sforzi per uscire in libertà, e pazientando qualche ora si vede abbandonare il guscio della Diatomea passando sempre dalla parte superiore che è la meno resistente. La fig. $ è un guscio dentro al quale l’animalino sta in atto di uscire: l’operculo è alzato indica che la capsula appartiene al genere delle Diatomee rappresentate alla Tav. 15 dalle figure 6 e 8 db. Tutti gli altri gusci (Tav. 24, fig. 7) senza operculo, indicano di appartenere all’ altro genere di Diatomee più comuni, rappresentate alla Tav. 15, fig. 7. L'animale uscito in libertà (Tav. 24, fig. 9) convesso sul dorso e pianeg- giante nell’addome, percorre lentamente sul piano della preparazione, o su qualche filo di conferva che siavi dentro, camminando nel modo di una mi- croscopica lumachella, bene inteso senza vedervi gli organi che caratterizzano quella specie di molluschi. Così disteso misurava 0,035 di lunghezza e 0,007 di altezza. Ho voluto citare questo fatto che in sè stesso è di mediocre importanza, per avvertire chi volesse ripetere le mie ricerche. * Non saprei dire quanto sia lunga l’esistenza dell’ Idra, cominciando dal periodo embrionale e risalendo traverso la sua metamorfosi di Bursaria, poi di Idra perfetta, e su, su fino al completo esaurimento di tutte le sue forze pro- duttive, e per conseguenza fino al suo naturale dissolvimento. Posso assicurare soltanto che andando a cercare le dre in una stessa lo- salità dove siano abbondanti, dal tempo in cui si trovano tutte verdi, e però più giovani, a quello in cui si trovano tutte brune, cioè vecchie, ci corrono molti mesi. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 159 Un'altra cosa accertata dalla esperienza, è che le dre vecchie producono più abbondantemente delle giovani e che il colmo della loro produzione è nei mesi caldi; forse perchè allora trovano più abbondanti gli animali che servono alla loro nutrizione. Jarnivore per eccellenza, credo che sarebbe difficile precisare di quante specie di animali esse si nutriscono. Io penso che mangino tutti quelli di cui esse hanno la forza d’impadronirsi: se cominciano dalle piccole e molli Vor- ticelle, seguitano coi Brackionus, coi crostacei, coi bivalvi, colle planarie adulte dai tegumenti resistenti e coi vermiciattoli rossi, 7ubifex rivulorum, che sono provvisti di mascelle formidabili e di uncimi acutissimi. Tutti ghermisce, tutti uccide, tutti digerisce, rigettando al difuori le armature chitinose delle sue vittime. Come avviene che 1’ /dra tanto vorace lasci impunemente passeggiare s0- pra il suo corpo, una quantità spesso rilevante di certi animalini speciali che Trembley chiamò i pidocchi dell’ Idra, e credendoli causa di fiera malattia, an- dava sbarazzandoli con un pennellino ? Tutte le volte che ho incontrato un’ Idra con tali animalini che facevano seorreria sulle braccia e sul corpo della medesima, mi sono dato premura di osservare lungamente, mettendo 1’ /dra in un piccolo scodellino scavato nel centro di una lastra di vetro, perchè fosse sempre nel liquido, libera di muo- Versi e senza essere compressa. Gli animalini, malgrado che 1° dra si muovesse in più modi, non eessa- rano mai di starle sopra: essi andavano avanti e indietro e camminavano si- curi anche sopra i margini della bocca, traversandola, senza che la voragine tanto pericolosa per gli altri, si spalaneasse mai per loro. L’ Idra li rispetta, essi camminano sicuri come se fossero in casa propria. Che cosa sono questi pidocchi, per quale privilegio godono 1 impunità di quel soggiorno ? Per saper questo è necessario esporre più cose. L’Idra è un animale che ormai ci ha abituati a delle sorprese: tutte le parti che si distaccano da lei, hanno vita propria, ma non tutte seguono la medesima via, non tutte arrivano alla medesima meta. Alla Tav. 16, fig. 19, ho dimostrato che i corpi ce cresciuti per gemma, una volta distaccatisi e rigurgitati dalla bocca dell’ Idra, seguitano a vivere solitari e diventano Amebe. Ora avviene che non sempre questi corpi si staccano immaturi per con- durre la vita solitaria delle Amebe, ma restano per maggior tempo attaccati all’ Idra carnivora che li ha prodotti e che seguita ad alimentarli con sostanze più nutritive di quelle che potrebbero procurarsi da soli. Restando attaccati alla madre allontanano la membranella che li riveste, e sviluppano sulla parete del loro corpo, non più una semplice serie di em- brioni uno accanto all’altro (Tav. 4, fig. 12 cc) ma sviluppano invece una serie 160 PARTE SECONDA di sferuline piene di embrioni uguagliando in tutto la costruzione delle cel- lule proligene (Tav. 10, fig. I /). Tali Amebe, che derivate per gemme dallo strato interno dell’ Idra, vi ri- mangono adese fino al compimento di una produzione di sferuline embrioge- niche sul loro corpo, sono rappresentate alla Tav. 23 dalle fig. 1, 2, 3, 4 e 6). Le ebbi da una vecchia Idra il giorno dopo la preparazione, che fu il 20 ottobre. Dei quattro corpi di queste Amebe maggiormente prolifiche (fig. 1, 2, 3 e4adaaa) il più piccolo era largo 0,007 e il più grande 0,012; di natura più consistente, al contatto dell’acqua essi non si erano rigonfiati punto, ma la membranella esterna 000 si era rigonfiata moltissimo; la più piccola era larga 0,020 e la più grande 0,050. Un tale rigonfiamento lo avevano subìto anche le sferuline embriogeni- che interne, i cui embrioni erano usciti e sparsi nella preparazione. Fig. 1 sferuline embriogeniche vuote staccatesi dal corpo « dell’ Ameba e restate ancora dentro la membrana bd. S’'intende che le Amedbe ridotte a tali condizioni sono esaurite e morte, e che presto tutto si dissolve. Fig. 2,3 e 4. Anche con la membrana esterna rotta e parte delle sferu- line uscite. Fig. 6 sferuline embriogeniche sorprese nell'atto di uscire per la rottura della membrana esterna d con pochi embrioni rimasti aneora visibili: le sfe-. ruline, non ancora sfiancate, erano larghe 0,007. Tutto quello che ora è stato esposto rientra nella legge che presiede alla produzione degli embrioni, fatta in modo più abbondante dalle Amebe nate per gemma, se trattenute più a lungo adese allo strato interno dell’/dra da eui derivano. * Con la fig. 5 si ritorna alla solita cellula proligena di forma tipica già descritta alla Tav. 10, fig. 5 «; alla Tav. 16, fig. 13, e alla Tav. 17, figure dal 12 al 16. Dissi altrove che le cellule proligene dell’ Idra, quantunque siano di gran- dezza quasi eguale, non contengono sempre il medesimo numero di sferuline embriogeniche. Più le sferule sono piccole e maggiore è il numero degli embrioni che ognuna di esse produce, e per conseguenza assai piccoli, misurando in media da 0,001 a 0,002. Più invece le celluline embriogeniche sono grandi, e minore è la quan- tità degli embrioni che ognuna di esse produce, ma in compenso essi sono portati a maggiore sviluppo e nascono più grossi. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 161 Alla Tav. 23 le fig. 5, 7, $, 9 e 10 sono tutte cellule proligene che di- mostrano queste diverse proporzionalità: le più piccole erano larghe 0,020 e le più grandi 0,025. Le ebbi da una vecchia /dra, cinque giorni dopo la pre- parazione, che fu fatta il 13 ottobre. Tutti gli embrioni contenuti nelle cellule proligene ora citate, erano vi- vacissimi ed in grande movimento. di La cellula (fig. 5) conteneva il maggior numero di sferuline e gli embrioni più piccoli: la maggior parte di essi erano già usciti in libertà, essendo sut- ficienti al loro passaggio le aperture naturali che mettono in comunicazione le sferuline con la grossa cellula che le contiene, di cui l'apertura @ indie: l’antico punto d’attacco, ed ora l’ultima porta dalla quale passano i piccoli embrioni per vivere in libertà. Nelle altre cellule proligene (fig. 7, 8 e 9) dove gli embrioni erano in minor numero ma più grossi, essi non potevano uscire dalla apertura sopra indicata, assai più piccola del loro corpo, e per conseguenza dopo aver rotto le sferu- line che li contenevano, erano rimasti tutti dentro la cellula proligena, che gli embrioni impazienti di uscire, facevano oscillare coi loro continui movi- menti. Per uscire in libertà hanno bisogno che la cellula si rompa. Gli embrioni nella cellula (fig. 7) erano lunghi 0,005 e larghi, 0,003, ma ve ne sono alcuni più piccoli, e questo dimostra che a rigor di termine non tutti gli embrioni di una medesima cellula hanno le dimensioni esattamente uguali. Alla fig. 8 gli embrioni erano lunghi 0,005 e larghi 0,002. Alla fig. 9 erano lunghi quasi 0,008 e larghi 0,005. Nella cellula (fig. 10) si vedono ancora intatti i compartimenti delle sfe- rule interne grandi cirea 0,015 per 0,010: gli embrioni contenuti dentro di esse misuravano 0,008 per 0,005. Questa cellula proligena si ruppe durante l'osservazione e le sferule che ne uscirono erano in numero di cinque. Tre di esse si ruppero quasi subito, le altre due (fig. 11), rimasero intere, arrotondandosi un poco, e oscillanti per il movimento degli embrioni interni. La figura 12 è un’altra sferulina trovata isolata nella preparazione: era larga 0,015 e conteneva embrioni di varia grandezza: uno dei più grossi uscito al di fuori, e oscillante sul peduncolo ancora rimasto adeso alla membrana della sferula era largo circa 0,002 e lungo 0,006, compreso il peduneolo o fla- gello. * Le figure dal 13 al 17 appartengono ad altra Idra vecchia, preparata il medesimo giorno 13 ottobre. Nella cellula proligena (fig. 18), grande 0,025 eravi rimasto un solo em- brione lungo 0,010 e largo 0,007, il quale si agitava sul peduncolo @ ancora adeso. 21 PARTE SECONDA Fig. 14 embrione isolato, della grandezza ora indicata. La cellula (fig. 15) larga 0,020, conteneva ancora quattro embrioni lunghi circa 0,007 e larghi 0,005, tutti mobili sul peduncolo « ancora adeso. Egli è un fatto che in queste cellule proligene (fig. 13 e 15), la sferula embriogenica interna era unica ed allargata quanto la cellula esterna, e lo di- mostrano chiaramente gli embrioni pel modo come stanno adesi col peduncolo alla parete. Questi embrioni che ancora non hanno il corpo disteso del tutto, corri- spondono a quelli che invece di avere il flagello in prossimità della bocca, lo hanno alla estremità inferiore del corpo (Tav. 18, fig. 6). Tornando alla Tav. 23, anche la cellula embriogeniea (fig. 16) larga 0,022, apparisce essere una di quelle con unica sferula embriogenica, larga quanto le sue proprie pareti. Essa conteneva pochissimi e grossi embrioni (forse quat- tro o cinque) lunghi 0,015 e larghi 0,010: erano affatto staccati e si argomen- tava dal vicendevole passarsi uno sull’altro, volgendosi in tutte le direzioni. Fig. 17, i medesimi embrioni usciti in libertà: per la grandezza e per la loro forma essi uguagliano le fig. 7 e S della Tav. 18, vicinissimi a diventare tutti ciliati; e tale sviluppo lo hanno raggiunto stando rinchiusi nella cellula proligena dell’ Idra. Con questo fatto si spiega perchè ponendo con tutte le debite cautele, delle /dre in preparazione, due o tre giorni dopo si hanno delle piccole Bur- sarie, che il giorno innanzi non esistevano, e si può concludere che più 1 Idra invecchia, più fa degli embrioni pronti alla prima metamorfosi, nutrendoli per maggior tempo e con maggiore abbondanza, col prodotto dei suoi stessi ali- menti. bas Ho detto poc'anzi che tutte le parti che naturalmente si staccano dal- I Idra, possono aver vita indipendente, ma che non tutte percorrono la me- desima via. Alla Tav. 16, fig. 1, 2,5,4 e 5 dimostrai che i corpi nati per gemma nello strato interno dell’ Idra, distaccandosi diventano Amebe. Parimente dimostrai alla Tav. 17, fig. 6, 7,8 e 9 che anche le cellule dello strato esterno dell’ /dra, distaccandosi, rompono il eribro, e di tanti forellini facendo una grande apertura sola, esse pure diventano Amebe. Ma nè le prime, nè le seconde, se derivano specialmente da vecchie /4re, diventano sempre Amebe: spesso deviano e risentono più o meno dei caratteri dell’animale tipico da cui provengono le /4re, intendo dire delle Bwrsarie, che sono la forma necessaria, indispensabile per cui devono passare gli embrioni per diventare /dre. Quantunque queste Bwrsarie derivate da Amebe siano piccole, vi è sempre modo di distineuerle non solo dalle Bursarie che sono venute direttamente DELL’'IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 165 dall’embrione, ma ancora riconoscere se derivano dallo strato interno dell’ dra, o dallo strato esterno della medesima. : In quelle derivate dallo strato esterno, rimangono sempre visibili i molti forellini del cribro che non si è rotto (Tav. 23, fig. 20 e): detta Bursaria era lunga 0,022 e larga 0,015: il eribro era largo 0,006 arditi. Nelle altre derivate dallo strato interno, rimane sempre visibile la distri- buzione circolare degli stomachi primitivi (fig. 19 e 22 ss), che facevano con- torno alla bocca. La Bursaria (fig. 19) era lunga 0,040 e larga 0,020: l'altra Bursaria (fig. 22) era lunga 0,035 e larga 0,025, e l’area occupata dagli stomachi s, disposti a cerchio misurava 0,012. Raramente ho trovato delle Bwrsarie derivate in tal modo che avessero in tutti i lati il corpo e i suoi stomachi, completamente a contatto con la membrana ciliata esterna, come alla fig. 20. Delle Amebe così completamente trasformate in Bwrsaria, una volta ne ho trovate due in accoppiamento (fig. 21); ogni una di esse era lunga 0,030 e larga 0,015. Ma, come sarà dimostrato più diffusamente alla Tav. 25, la massima parte delle Amebe convertite in Bursaria, finiscono per avere maggiore espansione nella pellicola ciliata, che resta discosta da tutto il contorno del corpo (Tav. 23, MOHR19)! Il gruppo delle cinque Bursarie indicate dalle fig. 18 e 23 rappresenta tre vedute dalla parte della bocca e due vedute dalla parte del dorso. Im quat- tro di esse non essendo visibile nè il eribro ec della fig. 20, nè la disposizione circolare degli stomachi (fig. 19 s), resta accertato che le dette Bursarie sono derivate dagli embrioni dell’ Idra. La più grande misurava 0,045 per 0,025 e la più piccola 0,082 per 0,015. Malgrado la loro provenienza, in esse pure si vede che la pellicola ciliata si fa più espansa del corpo e specialmente dalla parte anteriore. Fig. 18 @@a contorno del corpo d (e d, fig. 25) margine della pellicola ci- liata. Questo carattere è indizio sicuro che le Bursarie quantunque derivate da embrioni, deviano e non seguono più l ordinario sviluppo di tutte le altre; esse hanno una sorte comune alla massima parte delle Amebe convertite in Bursarie. Le conseguenze che derivano dalla pellicola ciliata che sopravanza il corpo, sono queste: più essa si espande e più si fa compressa acquattandosi su sè medesima, tanto che le Bursarie cambiano di carattere: si fanno piane dalla parte dell'addome, restano convesse dalla parte del dorso soltanto, ed hanno i margini assottigliati a lamella. Le Bursarie modificate in tal guisa, si veggono alla Tav. 25. Prima di deseriverle partitamente, bisogna avvertire che i forellini del eribro persistenti 164 PARTE SECONDA intatti nelle Bursarie derivate dalle Amebe dello strato esterno dell’ Idra, e la bocca di quelle nate per gemma dallo strato interno conservano 1 ufficio di assorbire il nutrimento necessario alle Amebe convertite in Bursaria imper- fetta, finchè non si sviluppa una vera bocca ciliata dalla parte ventrale. Fat- tasi questa nuova apertura, tanto i forellini del cribro delle prime, quanto la bocca circolare e a margini nudi della seconda, si ristringono e non ser- vono più. La fig. 8 « dimostra benissimo alla parte inferiore gli stomachi primitivi disposti in giro alla antica bocca: le fig. 1, 5 e 6, hanno alla parte inferiore i forellini del eribro. Le due figure 1, la cui grandezza totale misurava 0,020 per 0,012, non hanno ancora sviluppato la bocca ciliata, ma per anomalia a similitudine degli embrioni, si è loro sviluppato un flagello nei pressi della futura bocca, e par- zialmente pochi cigli ai margini della pellicola esterna, e lungo la linea che demarca uno dei lati del corpo interno. Le figure 2 rappresentano i medesimi animali veduti di profilo e di terza. Fig. 5, altro individuo più grande, a cui in prossimità del flagello sì è sviluppato la bocca; una corona di cigli alla estremità superiore e sulla linea corrispondente a un solo margine del corpo. Fig. 6, individuo la cui grandezza totale era 0,035 per 0,017: cigli robu- sti alla bocca, e corona di cigli lunghi e rudi, infissi per la maggior parte sopra una linea speciale situata un poco al di sotto del margine della mem-. brana esterna. Fig. 3a, animale la cui forma partecipa di quella dell’embrione in età avanzata; pochi cigli soltanto da un lato della parte anteriore: il suo corpo misurava 0,025 per 0,015. Fig. 35, animale tutto rivestito di cigli corti e fitti: misurava 0,030 per 0,015. Fig. 4, il medesimo, veduto di profilo e di terza. Fig. 83 e, altro animale veduto per il dorso, lungo 0,032 e largo 0,020. Fig. 7, corpo parimente tutto ciliato, lungo 0,045 e largo 0,025. Fig. 8, profilo del medesimo. * Tanto nella Tav. 23 quanto nella Tav. 25, ho riunito quegli animali che maggiormente differivano fra loro, per far vedere che a similitudine dell’ Idra, da cui provengono, ne seguono il medesimo capriccioso andamento, presen- tandosi variamente nella forma e nei dettagli secondari esterni: ma nella strut- tura interna del loro corpo, essi si mantengono rigorosamente sempre eguali fra loro, vuoti come mn sacco, coi soliti stomachi adesi alla parete. Ridotti alle forme ora descritte, questi animali più che nuotare nel li- quido, amano strisciare col proprio addome, servendosi dei cigli che sono ai margini e movendoli a guisa di zampe. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 165 A cominciare dal momento che l’animale ha modificato la sua forma esterna, facendosi convesso al di sopra e piano al di sotto, si può dire che l’Ameba ha rasentato provvisoriamente la forma della Bursaria, per deviare ancora una volta; strada facendo la massima parte dei cigli spariscono, spe- cialmente sul dorso, e quelli che rimangono si fanno più robusti e si allun- gano, specialmente alle due estremità. Finchè il tegumento che lo riveste è sempre molle ed elastico, l’animale può moltiplicarsi per divisione trasversa (fig. 10), e quantunque possano ere- scere, distendendo le pareti del corpo, gli stomachi si allargano, ma il loro numero non aumenta più. Col tempo alcuni dei pochi cigli rimasti, ingrossano e induriscono, muo- vendosi articolati alla base, e la membrana esterna, anticamente ciliata e molle, fattasi più estesa e indurita, lo protegge come una corazza chitinosa. Gli animali poco a poco così ridotti, hanno subìto una vera metamorfosi : sono erbivori e carnivori, adattandosi secondo lalimento che trovano, ma non si moltiplicano in nessuna mamiera, e im tale stato percorrono 1 ultimo periodo della loro esistenza. * Siamo ai Paramecium. I più giovani sono quelli che hanno i cigli più sot- tili e flessibili. Figura 9, lo stesso Paramecium veduto per il dorso e per l'addome; era lungo 0,150 e largo 0,070. Fig. 11, altro animale veduto per il dorso; le sei setole posteriori, sono dalla parte dell'addome e si veggono per trasparenza. Fig. 12, lo stesso veduto di profilo. Fig. 13, Paramecium veduto per addome; lungo 0,070 e largo 0,056. È notevole la sua bocca molto prolungata e provvista di una sola grossa setola articolata alla base. Fig. 14, il profilo dello stesso Paramecium. Alla Tav. 23, con le figure 18 e 23 ho dimostrato che quattro Bursarie derivate da embrioni deviano per diventar poi Paramecium e dissi che la mag- gior grandezza di una di esse era di 0,045 per 0,025. Ora avviene che anche le Bursarie fatte molto più adulte di queste, cioè arrivate a misurare 0,100 per 0,045 ed anche più, possono disporsi a diventar Paramecium, senza cominciare dall’espander più in fuori del corpo la pellicola ciliata come è stato veduto nelle tavole antecedenti. E siccome certi caratteri che nelle grosse Bursarie annumziano un tal cambiamento, possono manifestarsi da um giorno all’altro, non vi è nessuna difficoltà per accertarsene. Ponendo in osservazione delle Bursarie tutte verdi, il giorno dopo se ne 166 PARTE SECONDA possono trovare alcune che hanno rigettato una gran parte o tutti i granuli verdi che contenevano. Le Bursarie che rimangono costantemente piene di spore vegetali, sap- piamo ormai a qual destino si avviano, ed essendo nella medesima prepara- zione, possono servire di confronto con le altre che il giorno innanzi erano verdi come le prime, e il giorno dopo si trovano invece trasparenti e incolori. La Bursaria che non è più tutta verde, è erbivora e carnivora nello stesso tempo, ma quando lo trova, preferisce 1 ultimo nutrimento. Questo è quanto riguarda le nuove abitudini del suo vivere; in quanto poi ai caratteri che la fanno distinguere dalle altre, eccoli: la Bursaria destinata a diventare la nuova Idra, oltre a cibarsi di sole sostanze vegetali, tende continuamente a dare una forma tubulare al suo corpo, e mantiene sempre di una uguale lunghezza tutti i cigli che la ricuoprono, finchè non li perde affatto, compresi quelli della bocca. Invece la Bursaria che si converte in Paramecium (Tav. 26) allunga molto alcuni dei suoi cigli corrispondenti alle estremità superiore e inferiore del corpo (fig. 1). Col tempo questi cigli allungati vanno facendosi più robusti e un poco armati; ciò succede anche a quelli della bocca (fig. 2 e 3). Oltre a questo, l’animale comincia a farsi pianeggiante dalla parte del- l'addome (fig. 4), (profilo della fig. 3) e in seguito gli spariscono tutti i eigli del dorso (fig. 6) (profilo di un Paramecium simile alla fig. 5). Dalla fig. 1 alla fig. 6 si vede chiaramente che le Bursarie, quantunque modificate non hanno perduto del tutto i caratteri della forma primitiva: il loro corpo è ancora molle, e in quello stato possono moltiplicarsi per divisione trasversa come lo indica la fig. 7. Anche queste Bursarie che hanno deviato più tardi delle altre, invec- chiando perdono gradatamente ogni vestigio della forma primitiva, e invece di conservare un profilo crasso come le fig. 4 e 6, finiscono per averlo assai più depresso, quale le fig. $ e 9 dimostrano. Gli animali rappresentati dalle fig. 1, 2, 8, 4 e 7, vivevano insieme alle Bursarie verdi: la grandezza di quella fig. 2 misurava 0,100 per 0,045. L'animale fig. 5 veduto per l’ addome, misurava 0,125 per 0,060. L'animale fig. 8 veduto per profilo, misurava 0,100 per 0,030. Questi due Paramecium non che quelli (fig. 6 e 9) insieme a moltissimi altri simili a loro, scorrevano liberamente lungo il corpo di una vecchia /drda, pescata il 21 settembre. I Paramecium sono i pidocchi dell’ Idra, secondo l'opinione di TREMBLEY. * Derivati dall’ /4ra, perchè vanno sulla medesima, qual'è il loro compito, di che cosa si cibano là sopra? Negli stomachi del Paramecium (fig. 5) eravi oltre a qualche spora vege- = e E i e tale, e poca sostanza amorfa giallo-verdastra, una diatomea della seconda spe- cie (Tav. 13), ancora intatta, e due della terza specie (Tav. 14) già snucleate. Da questo fatto si poteva riconoscere che mangiassero anco i rifiuti dell’ /dra, ma poi? Fortunatamente posso rispondere a questa domanda: essi aggrediscono e divorano i nemici dell’ dra, in quanto che vi è un infusorio che mangia gli embrioni della medesima. Per dare schiarimento del come potei verificare questo fatto assai impor- tante, rammenterò che io possedevo dei recipienti, dove insieme a delle con- ferve, avevo messo in più volte, molte /dre vecchie. Im quei piccoli caos, con- servati senza altra cura che di mantenervi l'acqua necessaria, sapevo che si succedevano molte generazioni d’infusori; fu cercando là dentro che il 21 Ago- sto, insieme a un pizzico di conferve prese in fondo al piattino, e messe in preparazione, mi trovai contemporaneamente sotto gli occhi, tre vecchie ceo- noscenze, cioè due Paramecium (Tav. 27, fig. 1 e 2) presso a poco della mede- sima grandezza, lunghi 0,120 e larghi 0,055: degli embrioni dell’ Idra (fig. 5) grandi da 0,005 a 0,006 e finalmente altri infusori ciliati (fig. 3) da me veduti e designati altre volte, ma fino ad ora lasciati in disparte, come ne tralascio altri molti che non hanno rapporto col presente lavoro. La forma del nuovo rappresentato è ovale molto allungata: aleuni misu- ravano 0,010 per 0,025, altri 0,050 per 0,015. Il gruppo (fig. 4) sono i medesimi individui disegnati in proporzioni mag- giori, per comodo delle indicazioni che andrò facendo. Fig. a, animale veduto di terza; la parte ventrale è piana e senza cigli ; il dorso è convesso e guarnito fino ai margini di peli lunghi e radi. Fig. b, animale veduto per il dorso, con due o tre linee rilevate a costola: ogni costola è solcata nel centro, e nel solco stanno infissi e allineati i peli. Fig. ec, animale veduto per la parte dell’addome: al di sotto della estre- mità più ristretta, che è quella che movendosi P amimale spinge in avanti, vi è la bocca, orifizio sferico che ogni tanto si apre e si chiude. Internamente, a cominciar dalla bocca, scende fino alla parte inferiore del corpo, un intestino fatto a rigonfiamenti o nodi, che piegandosi risale fino alla bocca, facendo una semplice ansa. Il rigonfiamento dell’ intestino che ri- mane in fondo all’ansa, si ristringe e si dilata costantemente, per servire al- l’uso spiegato altre volte. Questi animalini (fig. 5 e 4) carnivori per eccellenza, non si agitano di continuo; spesso stanno immobili tenendo tutti i peli stesi e rigidi: si muo- vono a un tratto, scagliandosi a guisa di razzo sopra gli embrioni dell’ /dra, che subito abboccano e spingono nell’ intestino. Ed era bello spettacolo vedere i due Paramecium girare per la prepara- zione, rispettare gli embrioni dell’/dra e far guerra spietata ai nemici di quelli. Invano gli animalini ciliati si dibattevano; presi fra i robusti cigli della 168 PARTE SECONDA bocca del Paramecium, in un momento venivano spinti nella grande cavità del medesimo, e là si agitavano ancora per poco, poichè ogni stomaco ne at- tirava uno dentro di sè per digerirlo. Le fig. 1 e 2 dimostrano tutte le cose ora dette. Perchè tante Bursarie adulte e derivate da embrioni dell’ /dra, si conver- tono in Paramecium, assumendo una forma tanto diversa da quella in cui si convertono le altre sue compagne ? Fra due Bursarie riunite in accoppiamento ve n’ è forse uno maschio e una femmina? Che i primi dopo la fecondazione, raggiungano lo stato perfetto di Pa- ramecium, mentre le altre destinate alla progenie, passino alla forma intermedia di uma colonia di Amebe? A queste domande io non so che cosa rispondere; il fatto certo è che i Paramecium e VIdra come hanno comune Vorigine, hanno eguale l'istinto: PIdra rispetta i Paramecium, questi rispettano e proteggono gli embrioni del- VIdra. * La vita del Paramecium deve essere discretamente lunga, avuto riguardo al lento indurimento del suo involuero esterno. Se da principio tutti i Paramecium sono quasi eguali fra loro, a misura che si avvicinano alla fine, nessuna legge li governa; più invecchiano più di- ventano variabili nella forma della corazza, nella apertura della bocca, che tende sempre a dilatarsi, e nel numero e disposizione dei peli fatti cormnicoli duri, molto conici e articolati alla base. Se avessi raccolto in queste Tavole tutti i Paramecium disegnati, avrei raddoppiato il volume per la magra soddisfazione di rappresentare tante pie- cole gradazioni che insensibilmente conducono a vedere dal primo all’ ultimo una differenza enorme. Ciò che è sempre uguale in essi è organismo interno, la tendenza a in- durire il tegumento che li avvolge, e quella di atrofizzare via via una parte dei loro stomachi, talchè i Paramecium più vecchi sono ridotti ad averne tre o quattro soltanto. Il Paramecium (fig. 7) lo trovai fra le conferve di una vasca; misurava 0,150 per 0,085. Quello alla fig. 6 misurava 0,125 per 0,055; lo trovai fra le conferve del fiume. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 169 LE ULTIME PRODUZIONI DELL’IDRA Quantunque l/dra in tutta la sua vita non abbia fatto che adempire alla legge di una straordinaria prolificità, arriva un tempo in cui essa manifesta dei segni particolari, che la dichiarano giunta al colmo della massima produ- zione: allora in una volta sola essa può dare migliaia e migliaia di embrioni, più che non abbia fatto mai in altra epoca antecedente, e questo accade al- l’ultimo periodo della sua esistenza. i i Alla Tav. 28 la fig. 1 rappresenta un’ Idra bruna trovata il 5 giugno sopr: la Lemna: dalla forma del piede, si conosceva che era derivata da embrione; contratta in quel modo, dal piede alla base delle braccia misurava circa 4 mil- limetri. Da un lato aveva una gemma a incipiente e contratta; dal lato op- posto e un poco più in basso della gemma eravi un rilievo d circolare e un poco concavo nel centro: inferiormente eranvi due corpi gialli ce opposti fra loro, wrîo più alto, altro più basso, e fissati ciascuno sopra un piccolo rilievo simile a quello d. / La novità di questi corpi gialli larghi 0,500 mi fece usare tutte le pre- sauzioni possibili; misi Idra in uma goccia d’acqua sopra una lastrina di vetro e la esaminai a medio ingradimento, senza coprirla. La fig. 6 rende molto ingrandito uno dei corpi gialli, di forma rotonda, composto esternamente da uno strato di cellule e, ineguali e ben saldate fra loro. Una piccola porzione di questo corpo giallo, veniva sopravanzata dalle cellule esterne ii dell’/dra che si sollevavano intorno, a guisa di un cercine. Finchè I’ /dra si limitò a dei piccoli movimenti, più delle braccia che del corpo, tutto rimase invariato, ma allorquando allungò molto il suo corpo (fig. 2) nell’assottigliarsi fece venir fuori un terzo corpo giallo e, corrispondente al centro del piccolo rilievo d della fig. 1. In seguito ad altri movimenti, i primi due corpi gialli che già preesiste- vano, si staccarono dall’Idra (fig. 3), restandovi sul di lui corpo i due rilievi a cercine bb che loro servivano di base. La figura $ dimostra un cercine ingrandito; nel centro ad esso vi è un vuoto rr che prima era occupato da porzione del corpo giallo (fig. 7), ora al- lontanato da esso. Poco dopo che i due corpi gialli (fig. 8) si furono staccati, venne fuori dai medesimi un piccolo cilindro, un poco flessuoso, di varia lunghezza (fig. 3 @@) che a medio ingrandimento non potevo giudicare che cosa fosse. Non volli sacrificare 1’ Idra che dava uno spettacolo tanto nuovo, e la messi in um piattino dove fissandosi si accorciò (fig. 4), e rimase ferma, sem- pre col suo terzo corpo giallo aderente. 22 vili fi ict RA “ i hr pr se RR I TITO Le UP TTT RR RE 170 PARTE SECONDA Dopo due giorni, cioè il 7 giugno, aveva perduto tutte le braccia e la gemma; però il terzo corpo giallo ultimo comparso, rimaneva sempre al suo posto (fig. 5). Ma non precediamo i fatti. Messa in serbo 1’ /dra che mi era tanto pre- ziosa, mi occupai dei corpi gialli che si erano staccati da essa. Coperti con un vetrino li esaminai a forte ingrandimento (Tav. 29, fig. 1 e 2) e vidi che i cilindri 4@ erano di una sostanza gelatinosa, dentro la quale stavano fittamente agglomerate innumerevoli cellule proligene di varia gran- dezza e contenenti sferule tutte piene di embrioni. Veduto questo, non potei resistere alla tentazione di pressare il vetrino; i cilindri si disfecero e i corpi (fig. 1 e 2) si squarciarono. La fig. 8 rappresenta uno di essi: le cellule componenti la parete di questi gusci gialli si disgregarono, rimanendo unite alla base e rotte e allontanate dalla parte esterna, dimostrando con le loro cime variamente biforeate eee, essere di una sostanza semichitinosa indurita e friabile. Quanto usciva dall'interno dei gusei non erano altro che cellule proligene, ma questa volta con un’altra particolarità non mai incontrata finora.” Fra un'infinità di embrioni già oscillanti e liberi nell’aequa, e di molte cellule proligene isolate e ancora intatte, ve ne erano molte che stavano riu- nite e chiuse dentro a cisti speciali (fig. 3 «@@) grandi da 0,020 a 0,050. Le cellule proligene, tanto chiuse nelle cisti che libere, misuravano da 0,010 a 0,015; le sferuline embriogeniche contenute in esse 0,005 e gli embrioni erano. grandi da 0,002 a 0,003. Molte delle cisti « a e molte cellule proligene isolate, che riempivano tutta la preparazione (il disegno non ne rappresenta che una minima quan- tità) manifestavano dei piccoli movimenti nel contorno della pellicola esterna. Il giorno dopo, le cisti e le cellule proligene che non si erano rotte disse- minando gli embrioni oscillanti, avevano preso decisamente il mevimento spe- ciale delle Amebe (fig. 3 b bb). Alcune misuravano 0,020 per 0,010, altre 0,025 per 0,010: erano variabilissime nella forma ed affatto simili alle figure della Tav. 4. La fig. 5 rappresenta una ciste che lentamente si allungava o si arroton- dava: allungata come la presenta il disegno, misurava 0,050. Le cellule pro- ligene chiuse in essa, in media erano grandi 0,015. Il disegno fu fatto lo stesso giorno 5 giugno. La fig. 6 rappresenta una delle tante cellule proligene, appartenente alla medesima preparazione, ma disegnata quattro giorni dopo, cioè il 9 giugno. Sì fatte cellule a forma di Ameba credo che fossero disposte a vivere di vita propria, fino alla maturità degli embrioni che contenevano, troppo piccoli ed immaturi ancora. Il dì 11 giugno misurai gli embrioni sparsi nella preparazione e li trovai lunghi 0,007 e larghi 0,005, simili alla fig. 2, Tav. 18. In sei giorni avevano DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 1/01 aumentato di tre o quattro volte il diametro: bisogna ammettere che la so- stanza gelatinosa uscita dai corpi gialli, fosse stata il loro nutrimento. _ La fig. 4 è una sferulina embriogeniea rigonfiata dall’aequa e rottasi du- ‘ante l’osservazione: era larga 0,010; gli embrioni uscenti misuravano circa 0,002. Alla Tav. 28 ho già detto che l’Idra (fig. 4) dopo due giorni si ridusse senza braccia come la fig. 5. Il dì 8 giugno presi accuratamente dal fondo del piattino ciò che rima- neva di essa, ed esaminando a microscopio, trovai che erano sparite anche tutte le cellule dello strato esterno, come lo indica alla Tav. 29 la fig. 7, re- stando tuttavia il corpo giallo « intatto e riunito per mezzo di alcuni fila- menti alle vecchie cellule interne dd, ultimi avanzi dell’ Zdra. La figura $ rappresenta il medesimo corpo giallo più ingrandito: i liga- menti ii che lo trattengono ai resti dell’ /dra, ne dimostrano chiaramente gli intimi rapporti e l'origine; bisogna che sia una delle cellule fondamentali (Tav. 9, fig. 8) cresciuta espressamente per trasformarsi in vero e proprio or- gano, riproduttore di una quantità straordinaria di cellule proligene. To non so se debba considerarsi una regola costante quella di vedere uscire dai fianchi dell’/4dra, tutti i corpi gialli cui essa è capace di produrre; ma la preesistenza del cercine incavato e depresso nel centro (Tav. 28, fig. 1 0) prima che l’ultimo globettino giallo apparisse nella cavità del medesimo, mi fa sup- porre che alcuni corpi gialli che si sviluppano nello strato interno dell’ Idra, debbano a maturità staccarsi ed uscire per la bocca della medesima, e che il loro apparire sui fianchi avvenga casualmente, quando cioè V animale nell’atto di allungarsi e assottigliarsi, venendo a pressarli contro le proprie pareti, spinge in fuori quelli soltanto sviluppati in prossimità delle cicatrici lasciate sui di lei fianchi, dal distacco delle Idre nate per gemma. }redo che ciò sia dimostrato ampiamente dalla Tav. 30. Le figure 1 e 3 rappresentano a grandezza naturale due differenti Idre vecchie pescate ai primi di giugno. La fig. 2 corrisponde alla fig. 1: ha il piede che la dichiara derivata da Bursaria, e due cercini assai rilevati, opposti fra loro. La fig. 4 corrisponde alla fig. 3: non ha piede, per conseguenza è nata per gemma: ha un cercine solo. I cercini delle vecchie /dre potrebbero anche dirsi i labbri di una grande apertura circolare. Le cellule che costituiscono questi orlicci rilevati sono ben serrate fra loro, e di aspetto più consistente di quello che non siano tutte le altre cellule esterne. Per spiegare in qual modo, all’ ultimo periodo della vita, la vecchia Idra riapra le antiche cicatrici lungo il suo corpo, occorre ricordarsi che cosa av- viene al momento che cominciano a svilupparsi le gemme e per conseguenza quanto fu detto in proposito alla Tav. 22, fig. 11 e 12. Finchè l’/dra figlia non è completamente sviluppata, riceve il nutrimento 172 PARTE SECONDA che viene ingerito dalla bocca della madre, e a questo scopo esiste una apertura abbastanza larga in quel punto dove stanno in comunicazione fra loro. Allor- quando anche la figlia si trova provvista di una boeca propria, e per conseguenza può nutrirsi direttamente da sè stessa, non si distacca subito, ma comincia gradatamente a ristringersi al punto d’attacco, facendo convergere ad un cen- tro comune, quelle cellule che debbono chiudere la sua estremità inferiore. Le altre cellule circostanti alle prime, esse pure si avvicinano fra loro, per riparare sul fianco della madre al vuoto che lascerebbero quelle che si distac- cano per seguire il nuovo essere; si allungano, convergono ad un centro co- mune, eombaciano insieme ma non si saldano: per conseguenza quando tutta la compagine dell’ Idra, giunta alla straordinaria produzione di cellule proli- gene, inturgidisce in ogni sua parte, anche le cellule destinate a formare la cicatrice, si rialzano; e più si sollevano facendo il cercine, più si allarga |’ aper- tura che prima chiudevano. Anche da queste aperture, che restano passivamente spalancate, esce di con- tinuo tutto quello che si è visto uscire dai corpi gialli, cioè cellule proligene isolate, o rinchiuse dentro a cisti speciali, di varia grandezza (figure 2 e 4 4.4.0). Dette cisti misuravano da 0,040 a 0,075: le cellule proligene contenute in esse, erano larghe da 0,010 a 0,020; le sferuline embriogeniche 0,005; gli em- brioni interni grandi da 0,002 a 0,003. Tutto quello che si vede uscire dai cercini, esce ancora dalla bocca del- l’Idra, ed anche dai fianchi dove non esiste un cercine; ivi allora sono le cel-. lule del primo strato che si dilatano momentaneamente: per far passare delle cisti, qualche volta grandi 0,095 e sempre piene di cellule proligene. Alcune cisti si rompono subito, altre si muovono come fanno le Amebe, ma presto seguono il destino delle altre, mettendo in libertà le cellule proli- gene, e queste gli embrioni oscillanti. Nello stesso modo che i corpi gialli dell’/dra sono produzioni dovute alla modificazione delle sue grosse cellule interne, così queste grosse cisti incolore, credo che siano la modificazione delle cellule dello strato esterno (Tav. 17, fig. 1) allo scopo di produrre insieme, migliaia e migliaia di embrioni desti- nati a propagare la specie. In fatto di prolificità, l’ultimo spettacolo offerto dall’/d4ra è veramente stu- pendo. I Paramecium, piccolo esercito della colonia, passeggiavano sulle braccia e sul corpo dell’/dra (fig. 4). ULTIME CONSIDERAZIONI Per cause qualche volta palesi, ma più spesso ignote, tutti i corpi orga- nizzati non prosperano ugualmente bene: disequilibrio di calore, deficiente qualità o quantità di nutrimento, e molti altri agenti chimico-fisici, possono DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 173 alterare l’ambiente che meglio si adatterebbe alla speciale natura dei diversi esseri viventi. Nemmeno gli embrioni dell’Zdra, e le cellule secondarie che si staccano da essa per farsi Ameba, sfuggono all’azione di queste forze occulte che le ob- bligano a erescere sotto forma incompleta o arbitraria. Le Tav. 31 e 32 ne rappresentano tutte le varietà: non si dimentichi mai che quantunque differenti di aspetto, pure esse hanno indistintamente una uguale organizzazione, come hanno una sola origine. Il corpo è formato dal solito sacco vuoto, con stomachi adesi alla parete interna, e l’unica differenza fra loro, consiste solamente nel vario atteggiamento della pellicola esteriore, per procurarsi il moto, del quale ho parlato alle prime tavole. Ma allora io non potevo parlare degli embrioni dell’/dra, perchè non erano messi in vista: ora che si conoscono, e si sa quale è la via che percorrono, quando nessuno ostacolo si frappone al loro normale svolgimento (Tav. 18), sì può dire che molti embrioni dell’ Idra, fino dalle piccole proporzioni di 0,005, perdono il flagello, e degenerando, essi pure si fanno Amebe e diffuenti (Tav. 1, fig. 4), o stellate (fig. 1 e 9) o per maggiore influenza di atavismo (1), simu- lando le Bursarie, si fanno ciliate (Tav. 13, fig. 1) o raggiate (fig. 2, 4, 5 e 18), o raggiate e ciliate nel medesimo tempo (Tav. 32, fig. 3). Per trovare le varietà delle più piccole Amebe, bisogna cercarle nelle pre- parazioni, dove da più giorni si studiano gli embrioni dell’ /dra; per trovare le medesime varietà più ingrandite, bisogna eercarle fra le conferve che sono state qualche mese con molte /dre. Detto questo non mi resta che dare una breve descrizione delle diverse Amebe disegnate, avvertendo che i cigli, i raggi e le braccia di esse non en- trano nelle dimensioni che io do, avendone misurato il corpo soltanto. * Amebe rappresentate alla Tav. 31. Fig. 1, grandezza da 0,005 a 0,007: i cigli si agitavano debolmente. Fig. 5, grande 0,007, fig. 2, grande 0,012. I lunghi e fitti raggi di quelle due Amebe si agitavano alternativamente a guisa di flagello. Fig. 4, grande 0,015: i cigli si agitavano tutti insieme dando all’ animale un movimento celere, rotatorio e traslatorio. Fig. 3, grande 0,030, i raggi di lunghezza ineguale e a base conica: il loro movimento alternante consisteva nel prolungarsi lentamente, o nello ac- corciarsi fino a sparire. (1) Vedi ragioni addotte precedentemente, pag. 162, paragrafo 29. 174 PARTE SECONDA Fig. 7 e 8. Uno stesso individuo grande 0,020; il numero dei suoi raggi appuntati e conici alla base, variava continuamente, col solito procedere de- seritto alla fig. 3. Fig. 10 e 12, due differenti individui, con la pellicola esterna sporgente a forma di ditali: grandezza del corpo 0,012, compreso i ditali 0,020; essi pure aumentavano e scemavano di numero. Fig. 9, grande 0,015; la pellicola esterna prolungata a ditali e in cima ad essi un filamento a guisa di tentacolo. Fig. 11, dettagli dei ditali e dei tentacoli appartenenti alla fig. 9. Fig. 15, differenti atteggiamenti di una medesima Ameba grande 0,010. Fig. 14, due differenti Amebe stellate, quasi della eguale grandezza di 0,008, le braccia erano agitate lentamente come flagelli. Fig. 18, due differenti Amebe raggiate; la maggiore grande 0,020 per 0,025, la minore 0,015 per 0,020: tutte e due allungavano o arrotondavano il corpo; i loro raggi avevano poco movimento. Fig. 15, grande 0,025 per 0,045. Fig. 16, grande 0,025 per 0,085. Fig. 17, grande 0,020 per 0,025. Fig. 20-21, grandi 0,025. Fig. 19, grande 0,027; con uno dei raggi più allungati stava fissa a un filamento di conferva. Fig. 22, grande 0,032: era piena di granuli verdi e teneva la bocca « chiusa. Amebe rappresentate alla Tav. 82. Fig. 1, grande 0,050 per 0,055; aleuni dei suoi raggi attaccati alle conferve. Fig. 2, grande 0,050. Fig. 5, lunga 0,055. Fig. 6, grande 0,020; apertura buccale larga 0,010. Fig. 4-5. Uno stesso animale in attitudine diversa, quello a forma ovale lunga 0,040, apertura della bocca 0,010: l’altro a forma rotonda largo 0,030, apertura della bocca 0,015. Fig. 7, Ameba grande 0,075 per 0,080, l'apertura buecale larga 0.040. Fig. 10, rappresenta la medesima Ameba (fig. 7), disegnata in proporzioni maggiori, il giorno dopo che era messa in preparazione: in essa è visibile il contorno ondulato della bocca. Fig. 8, 9 e 11, tre diverse Amebe del medesimo tipo; la più piccola misu- rava 0,015 per 0,025, la più grande 0,025 per 0,030. Fig. 12, dettaglio degli stomachi dell’ Ameba (fig. 11). (11 | DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 1094 X* . L’ esposizione della intima struttura dell’/dra, non poteva riuscire che molto complessa, poichè non solo bisognava descrivere l’animale uno e mul- tiplo nello stesso tempo, ma considerandolo in un modo o nell’altro, bisognava seguirlo tanto nell’ insieme quanto nelle sue singole parti e dimostrare le loro manifestazioni biologiche e fisiologiche, tanto semplici e costanti ora che sono conosciute, quanto oseure ed incerte, standosene ai vari concetti di tanti autori che sull’/dra hanno pubblicato memorie infinite, più 0 meno ipotetiche, più o meno erronee, e tutte incomplete. Io credo che per il naturalista non siavi maggiore difficoltà da superare, quanto quella di sapersi liberare da un’ idea preconcetta, derivata dalla opinione proclamata da molti e creduta da tutti. Finchè nell’/dra si ammettevano i famosi corpi urticanti, tanto efficaci per la sua difesa e tanto terribili per le vittime di cui cerca impadronirsi per cibarsene, finchè per la differente lunghezza delle braccia e del corpo, 0 per il vario colore, se ne facevano specie diverse, finchè si ammetteva che la loro moltiplicazione avvenisse soltanto per divisione spontanea, per gemma 0 per uova dalle quali uscivano piccole Zdre complete, era impossibile avere un’ idea chiara, esatta, indiscutibile dell’/4ra, tanto che ci sono dei naturalisti che hanno voluto trovarci le fibre muscolari, altri le cellule nervose, discordi ancora in qual gruppo fra i Celenterali collocarla. L’avere scoperto e dimostrato che i ereduti corpi urticanti non sono altro che parassiti vegetali invadenti le cavità dell’ animale, è tal novità che sem- plicizza d’ assai le ulteriori ricerche sull’/dra, sbarazzando la via per procedere più liberi e più spediti. Recapitolando quello che tanto diffusamente è stato già detto e dimo- strato, l’/dra è una colonia di Amebe: ogni Ameba, sia che viva associata o solitaria, produce sempre il medesimo tipo di embrioni, che sul nascere sono tanto piccoli, da non poterli definire che tanti punti oscillanti (Monadi) (1). Queste Monadi poco a poco crescono e diventano Bwrsarie: le Bursarie si accoppiano fra loro e dopo la fecondazione, gradatamente si modificano e diventano nuove /dre. Questo è il percorso naturale di germi, componenti il ciclo dalle Monadi all’ Idra. Però vi sono alcuni embrioni dell’Idra che via facendo restano abortivi e sì convertono semplicemente in Ameba. Le Amebe non potranno mai diven- tare /dre, ma possono produrre embrioni che lo diventino in seguito, purchè (1) Ehrenberg ha veduti questi minimi corpi oscillanti e li ha creduti gli spermatozoi dell’/dra. 176 PARTE SECONDA si trasformino in Bursaria: ma nemmeno tutte le Bursarie diventano Idre, perchè molte di esse deviano dalla ordinaria evoluzione, trasformandosi in Paramecium ; animali sterili di cui si conosce già l'indole e l'istinto. STORIA RETROSPETTIVA Moltissimi sono i naturalisti che hanno parlato del Polipo d’ acqua dolce e primo di tutti fu LEEUWENHOEK che fino dal 1703 scuoprì in esso la natural maniera di riprodursi per gemma: ma io non intendo di dare un elenco com- pleto di tutti gli autori che si sono occupati di un tale animale, limitandomi soltanto a citare per ordine cronologico quei micrografi che prima hanno affer- mato o discusso i fatti principali che all’/dra si riferiscono, riepilogando per così dire lo svolgimento storico della IDEA che partendosi da uno viene in seguito accettata, modificata ed anche trasformata dagli altri. Avverto ancora che tutto quanto ha rapporto ad operazioni artificiali di tagli trasversi e longitudinali, di arrovesciamenti dell’/dra e conseguenze deri vanti da tali operazioni, io non posso darne un giudizio personale, perchè stante la piccolezza degli esemplari che hanno servito ai miei studi, non ho potuto fare nessun tentativo per ripeterli. Nel 1744 TREMBLEY maravigliò il mondo scientifico con la pubblicazione delle sue ricerche sulle Idre che egli chiama polipo d’acqua dolce. Lo studiò per tre anni e mezzo, ne serisse quattro memorie e nella sua prefazione confessa che sul principio non avrebbe mai ereduto che tali animali potessero oecu- parlo per sì lungo tempo. Le prime /dre le trovò nella estate del 1740 ed erano come egli dice, pic- cole e di un assai bel verde. Tanto era lungi da erederle animali, che per il colore e per i movimenti che facevano, le credette piante sensitive. Notò che tenute in un vaso di vetro, si portavano sempre dalla parte che era investita dalla luce. Per accertarsi della loro natura ne tagliò una metà, e dopo pochi giorni vide nascere le braccia sul tronco reciso; oltre alla proprietà di mol- tiplicarsi per divisione, vide ancora che sul corpo di un’/dra se ne produceva naturalmente altra più piccola e ne inviò aleuni esemplari a REAUMUR richie- dendolo del di lui parere. Nel marzo del 1741 ReAUMUR rassieurò l’autore che tali polipi verdi non erano piante ma effettivamente animali, e da questo punto di vista TREMBLEY seguitò a studiarli con attenzione ed assiduità durante sei mesi consecutivi. Sospettò che l'apertura che si faceva vedere alla estremità anteriore fosse la bocca, ma per quante cure egli si desse non potè scoprire come le /dre verdi si nutrissero, poichè, come egli dice, « tutti i polipi che io aveva, sono morti prima che abbia potuto spingere più oltre le mie ricerche. » Premuroso di ritrovare altri polipi verdi, raccolse diverse piante acqua- tiche, ma invece dei primi vi trovò nuovi polipi rossastri e molto più grandi, " DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 177 i quali gli permisero di fare delle esperienze che egli avrebbe appena osato intraprendere sopra i primi, a causa della loro piccolezza. In seguito tutti i suoi studi furono eseguiti sopra le [dre brune. TREMBLEY distinse le /dre in tre specie diverse : Prima specie, 1’ /dra verde più piccola delle altre; Seconda specie, Idra bruna, di grandezza mezzana; Terza specie, Idra più grande di tutte, di color bruno-pallido e con braecia lunghissime. Ne dà una figura a grandezza naturale, il cui solo corpo è lungo 25 millimetri. Malgrado tali dimensioni, restano sempre di una estrema delicatezza le molte interessanti operazioni fatte da TREMBLEY coll’uso di forbici e ad oc- chio nudo. Tagliava 1 Zdra trasversalmente ed ogni pezzo diventava una nuova Idra, riavvieinava i tronchi separati e questi si riannestavano formandone un solo : apriva longitudinalmente, e l’animale riunendo i margini tagliati seguitava a vivere; tagliava 1’ Idra in tre o quattro sezioni longitudinali ed ogni strisciola dell’Idra ritornava animale perfetto. Introduceva un polipo dentro a un altro, poi traversava parte parte il corpo di entrambi con una setoia di porco per impedire che si separassero, e i due animali si prestavano alle più strane bizzarrie. Con un modo semplice e inge- gnoso arrovesciava il corpo dell’ Idra, che sempre seguitava a vivere e prospe- ‘are.... In fine, chi non ha letto TREMBLEY? Se per i mezzi ottici posseduti un secolo e mezzo fa, non era possibile ap- purare moltissime cose, come può farsi attualmente, tuttavia TREMBLEY portò nello studio dell’Idra uno spirito di osservazione finissimo e coscienzioso, tanto che per moltissime osservazioni di fatto, la di lui opera non è punto invec- chiata, e se aleuni dei suoi giudizi sono manchevoli, non bisogna dimenticare che l’autore stesso confessa francamente che può essersi ingannato. Per rammentare con brevissimo cenno le argomentazioni svolte dall’autore sopra i fatti principali da esso osservati, userò il più possibilmente delle sue stesse parole, lasciandone al lettore (ora e quando citerò altri autori in seguito) l'apprezzamento e i commenti, in armonia con quanto viene rappresentato nelle mie Tavole. MOLTIPLICAZIONE DELL’IDRA PER TAGLI TRASVERSI E LONGITUDINALI Copio TREMBLEY : « Ogni polipo che deriva dalla porzione di un altro polipo tagliato in due o più parti e in qualunque maniera che sia tagliato, ha sempre come quelli che non sono stati mai divisi, un canale che regna dal principio alla fine dalla parte anteriore alla posteriore, vale a dire esso ha sempre uno stomaco. 123 SN VARE EPPOI PO LA PA OI GI PO, SIR I RESTI STE CI n TON ITA si dt “i "n »’ cda 7 178 PARTE SECONDA «I pezzetti del polipo tagliato per traverso, quantunque piccoli, sono sem- pre una specie di tubo e si capisce benissimo che basti si allunghino per diven- tare polipi perfetti, ma era imbarazzante sapere come avviene la formazione di un nuovo polipo dalle striscioline strettissime e pianeggianti di un polipo tagliato in tre o quattro sezioni longitudinali, porzioni di semplice pelle che con una faccia concorrevano a formare la superficie esterna del polipo e con l’altra lo stomaco. » Dopo molte esperienze TREMBLEY potè convincersi che le strisce longitn- dinali non si piegano a doccia per riavvicinare e riunire i margini onde for- mare un tubo, ma invece rigonfiano e pigliano un aspetto cilindrico perchè gli si scava internamente un vuoto che regna da una estremità all’ altra. Que- sto fatto lo ha veduto accadere anehe nel brevissimo tempo di quattro ore e mezzo; il 1° novembre 1743. In seguito il nuovo polipo emette le braccia e diventa perfetto. DELL’ARROVESCIAMENTO DELL’IDRA « Da principio il polipo rovesciato chiude la bocca e riunisce le braccia in un fascio ; in seguito le labbra si disarrovesciano al di fuori come se volesse rimettersi allo stato primitivo, ed infatti è ciò che esso tenta e che spesso gli riesce. Dei polipi si disarrovesciano completamente in meno di un'ora, altri . non vi riescono che ventiquattr’ ore dopo. Era già una cosa ben singolare, dice l’ autore, che um animale stato rove- sciato potesse disarrovesciarsi senza morire e senza parerne ineomodato. In seguito TREMBLEY fece in maniera che il polipo non potesse più ritornare allo stato primitivo e dice: « Ho veduto un polipo rovesciato che ha mangiato un piccolo verme due giorni dopo l'operazione: gli altri non hanno mangiato così presto; sono stati quattro, cinque ed anche più giorni senza voler man- giare. In seguito hanno tutti mangiato come gli altri polipi non rovesciati. IL COLORE DELLE IDRE E DOVE RISIEDE TREMBLEY fa derivare il colore del polipo dal nutrimento, eeeo le sue parole: « Dopo aver nutrito per lungo tempo dei polipi ebbi Inogo di per- snadermi che la loro varietà di colore deriva non solamente dalla poca o molta quantità di nutrimento, ma anche dalla diversità del colore stesso degli ali- menti che prendono. » Parrebbe dunque che il colore dei polipi dipenda da quello dei suechi nutritivi che essi traggono dagli animali che mangiano. I polipi più mangiano e più diventano seuri e coloriti, più digiunano e più diventano pallidi e chiari, DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 179 I polipi possono perdere il loro colore e divenir bianchi e poi possono ripren- derlo. ” Il colore del polipo, l’autore riconosce che non è punto alla superficie, ma al disotto di un involucro trasparente che riveste tali animali: ecco le sue parole: « Io devo frattanto avvertire che dell’ involucro trasparente dei polipi nessuno deve farsene un’ idea come fosse formato di una pelle distinta e sepa- ‘ata da ciò che vi è al disotto... « Mi è parso che quello che io ho chiamato la superficie trasparente del polipo, l’involuero della parte colorata era fortemente unito al resto e gli ras- somigliava moltissimo. » I GRANULI DELL’IDRA È principalmente, anzi si può dire esclusivamente per la presenza di questi corpi bianchi disseminati in tutta la massa dell’/dra, che l’autore fa consistere la grande somiglianza fra la superficie esterna incolora del polipo e la superficie colorata interna, dicendo: « Questi piccoli granuli che si osservano alla super- ficie esterna del polipo e la rendono scabrosa, sono stato curioso di sapere se si trovavano anche nella superficie interna dello stomaco. Tagliato longitudinal- mente un polipo dalla bocca alla coda e messolo tutto disteso e aperto per osservarlo a microscopio, ho veduto una grande quantità di quei granuli che ho osservato sulla superficie esterna.... ma la superficie interna mi è parsa ancora più scabrosa della esterna, molto meno unita, e invece di essere trasparente come l’altra, ha una tinta del colore del polipo.... « Ho cercato con tutta la cura possibile per vedere se i granuli erano contenuti dentro a dei vasi, ma non ho scoperto nulla... prendendo porzione di polipo, o tutto intero e strofinandolo contro la lamina di vetro, ho veduto che i granuli si staccavano disperdendosi nell'acqua. » Ne concluse che essi non sono molto attaccati gli uni agli altri e che sono trattenuti insieme da una materia viscosa. L’autore ha osservato che i granuli all’esterno dei bracci sono più nume- rosi che in qualunque altra parte del corpo, e che si deve alla riunione di pa- recchi granuli insieme, la formazione di quei rigonfiamenti o bottoni che si osservano specialmente sopra le braccia allungate del polipo. È stato su questi rigonfiamenti delle braccia che TREMBLEY ha veduto anche dei peli. In quanto alla natura e all’uso dei granuli dichiara: « È certo che il corpo del polipo è scabroso e ben guarnito di piccoli granuli, ma io non potrei ga- rantire che il loro compito fosse quello di fornire al polipo della materia vi- scosa 0 dell’acqua, secondo che esso voglia attaccarsi o staccarsi, o che voglia afferrare quello che i suoi bracci incontrano o lasciarlo quando lo tengono. » 180 PARTE SECONDA DELLA ORGANIZZAZIONE DELL’ IDRA TREMBLEY ammette una gran forza alle braccia del polipo, riconosce che sono vuote come il resto del corpo e che comunicano con quel vuoto. Dice che il polipo è bucato da una parte all'altra quantunque non si ab- biano frequenti occasioni di vedere aprirsi l’apertura posteriore, come spesso avviene di quella anteriore. Ha notato ancora che alcuni polipi avevano tutta la superficie del corpo guarnita di pieghe disposte in forma di anse (courcaillets) tanto che simili pie- ghe potrebbero esser prese per anella se non si osservassero i polipi che in quelle circostanze. Gli apprezzamenti di TREMBLEY sopra la intima struttura dell’ /dra, s'in- tende bene che non possono riferirsi a quelle piccole parti che oggi soltanto è possibile definire con l’aiuto di forti ingrandimenti. Nella compagine del- l’Idra egli non ha veduto che una sostanza glutinosa cosparsa di granuli, ma il suo pensiero va più là di quanto egli vedeva: dichiara che il canale interno esistente dalla bocca del polipo fino alla estremità opposta è il canale degli alimenti e che nella pelle che forma questo stomaco DEVONO ESSERCI DELLE PARTI che ricevono in seguito il succo nutritivo; che vi devono essere tutti gli organi necessari per operare la nutrizione e l'accrescimento dei polipi, non che tutto quello che è necessario per produrre i loro movimenti; ma la na- tura e la disposizione di queste parti (seguita a dire) devono essere ben dif- ficili a scuoprirsi in un animale così piccolo e così flaccido come è il polipo. Si potrebbe per analogia supporre nella pelle del polipo tali e tali altre parti; ma io ho pena a credere che supposizioni fondate sopra la semplice analogia, potessero essere molto sodisfacienti. x Quando si rifletta agli ingrandimenti di cui poteva disporre TREMBLEY è facile convincersi che le minime cose dovevano sfuggirgli e che le altre mag- giori non poteva distinguerle in modo apprezzabile, da poterne accertare la diversa natura e la varia forma. Cellule esterne, cellule interne e i piecoli gra- nuli che ne facevano la scabrosità, egli vide tutto in una massa, e non assegnò forma certa che ai soli granellini, cosiechè quando l’autore parla di granellini che alla parte esterna del polipo sono più numerosi che all’interno, implica in- sieme ad essi le cellule esterne che li contengono; quando conferma che il co- lore dei polipi deriva dal colore dei granellini, che sembrano chiari e traspa- renti quando sono isolati, ma che non lo sono più quando sono ammonticchiati, dobbiamo restar convinti che implica insieme ai granellini, le cellule colorate interne dell’Idra; e che ciò sia vero egli stesso lo conferma più esplicitamente quando dice: « Il succo nutritivo passa immediatamente dallo stomaco, nei gra- DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 1S1 nuli dei quali è guarnita la pelle; ma come colorisce questi granuli ?... » e qui divinando magnificamente la vera struttura interna dell’/dra risponde: « È ap- parentissimo che i granuli sono tante glandule 0 vescicole nelle quali è intro- dotto forse per una specie di succiatoio. Queste vescicole sono piene perchè sono imbevute di un sueco colorato. » Poi confessa che non sa spiegare come il sueco entrato nei granuli, si espanda nelle altre parti per servire alla nutrizione. DELLE MALATTIE DELL’IDRA TREMBLEY dice: «Se si espone un polipo intero al microscopio, senza aver- gli fatto nessuna ferita, ordinariamente si vede in qualche luogo alla superficie dei granuli che si distaccano. » E qui attribuendo ad una medesima eausa la espulsione dei granuli e la dissoluzione dell’/dra, conclude: « Quando questi granellini si distaccano in grande quantità, ciò è sintomo di una grave malattia; la superficie del polipo diventa irregolare, il corpo e le braccia si contraggono, si gonfiano, pigliano un aspetto biancastro; in fine il polipo perde ogni sua forma, e al posto dove era non sì trova più che un ammasso di granuli. » Spiega un tal fatto con le seguenti parole: « La materia glutinosa che riu- niva quei granuli, ha perduto la sua tenacità, e fin d’allora essi si sono separati. » Neppure a TREMBLEY sfuggirono quelle escrescenze particolari che io ho chiamato cercinì ; le credette cose anormali e dannose, ed ecco come egli stesso si esprime: « Nell'autunno e al cominciare dell’ inverno si diseuoprono sopra i polipi delle eserescenze differentissime da quelle che poi producono le gemme. Ve ne sono di quelle che finiscono presso a poco a punta, ed altre che al diso- pra sono compresse e arrotondate. Invece di essere attaccate con un peduncolo come le gemme, sono attaccate per la parte più larga; esse formano presso a poco come una piramide la di cui base è immediatamente applicata contro al polipo. Tali escrescenze sono talvolta così numerose sopra uno stesso polipo, che si toecano quasi fra loro; esse occupano la parte mediana del corpo fra le braccia e la coda. Tutte queste eserescenze sono bianche e si scorgono facil- mente per il colore. Si sarebbe portati a considerarle come malattie dei polipi, o almeno come gli effetti di uma malattia. È certo che i polipi non sono più tanto attivi quando il loro corpo è coperto da tali bottoni, hanno poco appe- tito, dimagrano in breve tempo e perdono il colore. » I PIDOCCHI DELL’IDRA TREMBLEY arricchisce la sua seconda memoria con due figure che rap- presentano le /dre attaccate dai pidocchi e le accompagna con la seguente descrizione: « La fig. 10 rappresenta un polipo ingrandito e visto al microscopio. Gli 182° PARTE SECONDA si vedono sul corpo e sulle braecia, ma sopratutto in vicinanza della parte anteriore, diversi piccoli pidocchi bianehi che vanno e vengono, che lo sueciano e possono farlo morire. 2° « La fig. 11 è quella di un polipo al quale i pidocchi hanno di già man- giato le braccia e la testa. >» DELLE UOVA DELL’IDRA Jopio dalla terza memoria dell’autore: « Ho anche cercato se questi ani- mali fossero ovipari: Io non ho mai visto nulla che si possa prendere per delle uova, altro che quel che io vado a descrivere. « Ho notato sopra il corpo di diversi polipi delle piccole eserescenze sferiche che erano attaccate da un peduncolo molto corto. Ve ne erano delle bianche e delle gialle. Non ne ho mai vedute più di tre o quattro sopra il medesimo polipo. Dopo essere restate attaccate per qualche tempo al polipo esse si sono separate e cadute in fondo al vaso. « Ne ho osservate a diverse riprese avanti e dopo la separazione, alla fine esse si son tutte risolute in nulla eccettuata una sola che forse è divenuta un polipo. Io dico forse perchè non sono ben sicuro del fatto. Nel tempo che avrei dovuto osservare queste eserescenze con maggiore assiduità, stetti due giorni senza considerarle. Quando tornai ad esaminarle trovai al posto in cui le aveva lasciate, um polipo informe ehe pareva realmente venire da un corpo sferico che si allungava dalla parte che toccava il fondo del bicchiere. « La parte opposta era ancora arrotondata, e vi si scorgevano le punte di tre braccia che cominciavano a uscire. Poco a poco questo polipo si allungò e prese la forma di detti animali. In una parola sarei rassicurato che questo polipo è venuto da uno di quei piccoli corpi sferici che sì erano staccati dal polipo, se io non fossi stato due giorni senza osservarli, e se non vi fosse stato qualche piccolo polipo nel medesimo biechiere. « La stessa cosa è presso a poco accaduta al signor ALLAMAND che ha egli pure osservato di questi piccoli corpi: gli è parso che uno di essi fosse divenuto un polipo, ma egli non l’osa tuttavia asserire positivamente, perchè neppur lui ha fatto l’esperienza con una grande esattezza perchè possa so- disfare. » Conviene dunque ripetere queste osservazioni, per giudicare più precisa- mente di ciò che avviene dei piccoli corpi sferici di cui si tratta. Ma supposto che essi divengano dei polipi, io non so se si potrebbero riguardare come delle uova, o come dei polipi che pigliano accidentalmente, in sul nascere una forma sferica e che in seguito periscano o pervengano allo stato di polipi perfetti. Il signor REAUMUR mi ha fatto sapere per una lettera che mi ha fatto l’onore d’inviarmi il 17 dicembre 1748, che il signor BERNARDO DE JUSSIBU aveva durante le vacanze trovato a quantità di polipi a braccia una piccola vescica aderente al corpo. : DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 185 Mi sembra assai verosimile che questa piccola vescicola sia la medesima cosa che io ho chiamato un corpo sferico. È parso al signor pe JussIED che essa fosse piena di uova; ma essendo obbligato a seguire la sua strada non ha potuto assicurarsi abbastanza di ciò che davano quelle uova. Se infatti erano delle uova del polipo a braccia in forma di carmi, quegli animali sarebbero ovipari e vivipari. Ciò non è ancora che una congettura, ma essendo stata formata da un naturalista quale è il signor DE JUSSTEU, è degna della più grande attenzione. * TREMBLEY che se non fu lo scopritore dell’/dra certamente fu il primo a metterne in evidenza le straordinarie proprietà, termina il suo lavoro con queste belle parole: « Noi non abbiamo creduto di dovere intraprendere, di spiegare in tutto nè in parte i fatti singolari di cui abbiamo riferito: è troppo dannoso in fatto di storia naturale, abbandonare l’esperienza per lasciarsi condurre dal- immaginazione. Seguitando tale strada si rischia di arrivare a delle ipotesi poco sieure, e che possono divenire nuocevoli al progresso di questa scienza, se si ha la disgrazia di prevenirsi per esse. Invece di rischiarare i fatti con delle nuove esperienze, sì è ricorso ad una ipotesi, ad un pregiudizio che dispensa dalla pena di osservare, ma che non serve sovente che a moltiplicare i nostri errori. » To credo che non si possa con miglior garbo chieder venia e dare un con- siglio. * BAKER incaricato dalla R. Società di Londra di un rendiconto sulla memo- ria che TreMBLEY le inviò dall’ Aja, unitamente ad alemmej/dre, pubblicò nello stesso anno 1744 un proprio saggio sopra la storia naturale del polipo. Egli conferma l’esperienze di TREMBLEY e fa del polipo a braccia quattro specie differenti. Prima specie l’/dra bruna più grossa, seconda specie quella rossiccia e di grandezza mezzana, terza ‘specie V Idra verde. A proposito di questa specie, BAKER dichiara che non solamente differisce dalle altre per il colore, ma ancora per le zampe che sono molto più corte in proporzione del corpo, che si allungano poco e che sono più strette alla loro origine che alla loro estremità, ciò che è contrario a quanto si osserva nelle zampe degli altri polipi. Delle /dre inviate a Londra da TREMBLEY, BAKER ne fa la quarta specie, dicendoli polipi a lunghe zampe e quasi intieramente bianchi quando sono af- famati e distesi. BAKER vide che anche le /Idre verdi mangiavano dei piccolissimi vermi, 184 PARTE SECONDA e a questo proposito egli si esprime in tal guisa: « Io eredei da principio che il colore verde di questi polipi derivasse da qualche animale particolare o da qualche pianta, e che essi lo perderebbero nutrendosi di vermi; ma io mi era ingannato in questa congettura, perchè essi conservarono il loro color verde anche dopo qualche mese, e non lo hanno perduto dopo, quantunque siano arrivati ad un giusto grado di sviluppo, potendo qualche volta allungare il corpo tre quarti di pollice. » BAKER dice aver veduto al polipo una apertura anale dalla quale usciva fuori una feccia in forma di croste, quantunque la massima parte del cibo di- gerito, l’animale lo rigetti per la bocca. Ma egli crede ancora più che mai alla utilità di questa specie di Ano che fa capo alla estremità della coda, perchè da quello vi possa passare la materia viseosa che gli serve per attaccarsi. Questa materia viscosa, seguita a dire l’autore, esce ancora da più parti dell’ animale, e allora consiglio di lavarlo o metterlo in nuova aequa per gua- rirlo di tale malattia. Essa ordinariamente cagiona una dissoluzione aumen- tando di giorno in giorno, diventa incurabile e produce la morte. Qualche volta la miglior cosa è quella di tagliare la parte malata, e pochi giorni dopo l’ani- male tornerà perfetto. In fine BAKER dice: « Apparisce che il polipo abbia nelle braccia più e nel corpo meno, come degli uncini invisibili, che trattengano la preda una volta avvicinata alle zampe, prima che queste l’abbiano ghermita. * BoxxET verso il 1760 nelle sue Contemplazioni sulla natura parla del po- lipo a braccia nei termini seguenti: « La di lui struttura pare semplicissima : immaginatevi il dito di un guanto; questo dito è chiuso affatto.ad una estre- mità e questa estremità vi rappresenta la coda del polipo che gli serve ad attaccarsi, e però è sprovvista di podice, e rigetta gli eserementi per la bocca. L’estremità aperta del dito, rappresenta la bocca, gli orli della apertura sono le labbra. Mettete attorno alla apertura otto 0 dieci cordoncini fatti della stessa pelle del dito, che possono accorciarsi e allungarsi come le corna di una lu- maca, e queste saranno le braccia del polipo che fanno pure l’uftizio di piedi. Supponete che il dito abbia una duttilità, una pieghevolezza proporzio- nata a quella dei cordoncini, e che tutta la sua sostanza sia gelatinosa: im- maginate finalmente che sia tutta seminata si al di dentro che al di fuori di un prodigioso numero di granella tra loro simili, e avrete un ritratto assai somigliante del polipo a braccia. Voi già capite che lo stomaco propriamente non è che la parte interna del dito del guanto, giacchè il polipo è tutto stomaco e chiamarlo possiamo un budello cieco, un piccolo sacco membranoso che inghiottisee insetti vivi. Si tinge del colore delle prede di che si nutrisce e questo colore passa DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 185 nei grani di che è seminata la sua sostanza; nè tampoco lascia di colorare 1’ in- teriore delle sue braccia. Queste sono pure vuote al di dentro, e formate.come il corpo a foggia d’intestino. Il polipo a braccia si moltiplica producendo i suoi figli quasi come un al- bero i suoi rami. Un bottoncino si manifesta sul fianco dei polipi. Non pen- sate già che il bottoncino rinserri un polipo come il bottone vegetale rac- chiude un ramo; egli stesso è il polipo nascente; ingrossa, allungasi e staccasi in fine dalla madre. * Tale è la maniera naturale onde il polipo a braccia moltiplicasi, sebbene può anche moltiplicarsi per talli. Come si vede BoxnxnET non aggiunge nulla d’ interessante per quel che ri- guarda l’anatomia dell’ Idra, egli l'accetta e la riduce anche più semplice di di quello che TREMBLEY stesso si figurava che dovesse essere; ma dove Box- NET riconcentra tutta la sua ammirazione è sopra le proprietà maravigliose del polipo, e merita di esser citato come un eco di quell’entusiasmo che desta- rono le scoperte di TREMBLEY. « Non serve il dire che quando tagliasi in pezzi, ciascun pezzo diventa in breve un polipo perfetto; sarà meglio il dire tutto in uma volta che il po- lipo messo in tritoli, rinasce dai suoi frammenti, e che le minime sue particelle producono altrettanti polipi. « Tagliato per lungo o per traverso, questo strano animale si riproduce per egual modo, e le sorgenti di vita in lui sono inesauste. » Parrebbe quasi che BoNnNnET trasvolasse sull’ ali della fantasia quando esclama: « La favola con la sua famosa Idra di Lerna, rimasta era troppo al di sotto della verità. Le teste di quell’ /dra separate dal tronco non riproducevano altrettante /dre, nè queste altrettante Zdre eziandio. Ercole non ne sarebbe mai venuto a capo; un polipo fesso in sei o sette porzioni diventa un’/dra a sei, o sette teste. Fendete di nuovo ogni testa, tosto avrete un’/dra a quattordici teste che si nutriscono con quattordici bocche. Atterrate tutte le teste e in loro vece ne nasceranno altre, e le teste atterrate produrranno altrettanti polipi, da cui formerete se vi piace altrettante /dre novelle. « Ma ecco ciò che la favola stessa non avrebbe mai osato inventare. Rav- vicinate al loro tronco le teste atterrate, vi si riuniranno e restituiranno al po- lipo la sua testa. Potete non meno, se vi salta il capriccio, regalargli la testa di un altro polipo e se ne servirà come della sua propria. I tronconi dello stesso polipo o di polipi differenti, messi punta a punta si riuniscono ancora e non formano che un polipo solo. 24 186 PARTE SECONDA «Che dirò di più? non vi ha prodigio che non si faccia col Polipo, ma le maraviglie, a forza di moltiplicarle non sono quasi più maraviglie. Si può introdurre con la sua coda un polipo in un altro polipo. Si uniscono i due individui, le loro teste s’ innestano, e cotal polipo che era doppio diventa un sol polipo che mangia cresce e moltiplica. « Qui il vero non è tampoco verosimile, devo ancora descrivere un pro- digio, dovrei dire narrarlo, poichè dubitar potrebbesi se compendio una storia. Ho paragonato il polipo al dito di un guanto; il dito può essere rovesciato, il polipo lo può essere medesimamente e il polipo rovesciato pesca, inghiot- tisce e moltiplica per polloni e per tallo. « Non si penerà a credere che il polipo non ami molto di rimanere ro- vesciato. Effettivamente fa degli sforzi per ritornare allo stato di prima e spesso gli riesce. » * Per quello che riguarda i tagli longitudinali, gli arrovesciamenti, e i fe- nomeni che ne derivano, io credo che il microscopio debba dire ancora mol- tissime cose: per me hanno un grande valore le parole di TREMBLEY e di BoNNET quando asseriscono che 1’ /dra rovesciata fa tutti i suoi sforzi (e spesso riesce) per ritornare allo stato primitivo. La organizzazione dell’/dra è là per spiegare la naturale ripugnanza che essa prova a rimanere rovesciata. * L'idea molto dubbiamente accennata da TREMBLEY sulla possibile esi- stenza delle uova nell’Idra, venne avvalorata da RoEsEL nel 1755 ed affer- mata da PALLAS nel 1766 e da WAGLER nel 1777. * EHRENBERG nel 1836 aggiunse qualche osservazione di più, in appoggio a questa terza maniera di moltiplicazione dell’Z4ra, e dice che le sue uova sono sferiche, aventi un guscio corneo guarnito di spine, che si biforeano alla estremità. EHRENBERG non fa scendere lo stomaco dell’/dra fino alla estremità in- feriore del corpo; egli assegna all’ animale un piede assai prolungato ed esprime le seguenti idee: « Le uova spinose si sviluppano là dove cessa la cavità sto- macale nel parenchima del corpo, in un luogo biancastro glandulare (l’ovario periodico): « Le dette nuova sono portate cinque o sei giorni in un involuero membranoso della pelle dell’utero: il sottile inviluppo si rompe, i globuli ca- DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 187 dono, e l’animale muore poco dopo, quantunque sia stato molto vivace durante il tempo della gestazione. » * Oltre alle uova, Vautore che disponeva di mezzi ottici molto superiori agli antichi, fu il primo a vedere nell’ /dra esistenza di corpuscoli anologhi agli sper- matozoi (1). Vide ancora e raffigurò per il primo dei lunghi e sottilissimi filamenti, che partendosi dal corpo dell’ Idra, e più abbondantemente dalle braccia, termina- rano tutti con uma vescicola ovoide, provvista alla sua base di una spicula tricuspide. EHRENBERG dà a questi organi il nome di Ami e dice che Idra lancian- doli, se ne serve per acchiappare la preda. * Corna pubblicò le sue osservazioni sulle Zdre nel 1837: anch'egli afferma che tali animali sono provvisti di un foro anale, mentre altri autori lo negano. Il lettore sa ormai a quale causa debba attribuirsi questa differente opi- nione dei naturalisti; controversia che in sè stessa è di poca importanza, poi- chè tutti si accordano nell’ ammettere che 1’ Idra rigetta i materiali digeriti per la bocca. La cosa più interessante e curiosa, credo sia quella di dare la storia delle diverse opinioni sopra i così detti corpi urticanti dell’ Idra, sui quali CORDA si diffonde, segnalando particolarmente i più grossi di tutti, quelli a cui EHREN- BERG dette il nome di Ami. Prima di tutto comincia a dire come egli vegga costituiti i bracci del- lIdra, cioè formati da un lungo tubo pellucido membranoso, nel quale ha se- gnalato delle fibre muscolari: « Questi tubi contengono una sostanza albumi- nosa quasi fluida, la quale si rigonfia in certi punti determinati, formando tanti noduli più densi, disposti a spirale e di aspetto verrucoso. Insinuati in questi noduli stanno gli organi tattili e preensili dell’/dra, e consistono in tanti corpi delicati fatti a sacco, contenenti nel loro interno altri piccoli corpi vuoti, a parete più consistente. Nel punto in cui la piccola borsetta interna toeca la parete del sacco che la racchiude, cioè anteriormente, è inserito un ciglio o pelo acuto e mobile. » È L'autore non ha veduto questo ciglio nè rientrare in dentro nè uscire in fuori, e si domanda se la piccola sacchetta che sormonta, raechiuda un liquido. (1) Il lettore sa che questi corpuscoli sono gli embrioni. 188 PARTE SECONDA Eccoci agli Ami di EHRENBERG: CorDA dice: è nel mezzo dei rigonfia- menti verrucosi e circondati dai detti cigli acuti, che si trovano uno o rara- mente diversi organi di preensione che egli chiama hasta. Questa lancia inse- rita nel centro della verruca, o sostanza densa del tentacolo, consiste in un sacco ovoide, che presenta in cima una piccola apertura, e porta nel suo in- terno uma parte patelliforme, sopra la faccia larga della quale è fissato un corpo solido ovulare, sormontato esso pure da un lungo eorpuscolo ealeare, Sagitta. Questa saetta s'inalza fino all’apertura dell’orifizio, e può essere spinta in fuori, o ritirata nel sacco suddetto. Infatti, dice lantore, quando il corpo pa- telliforme si allunga, il corpo ovulare hastifer S'inalza, e la saetta vien portata al di fuori, nel caso contrario rientra nell’ interno. Quando l’Idra ha afferrato qualche animale col suo tentacolo, le saette escono subito fuori, non solo per rendere maggiormente scabrosa la superficie del tentacolo, onde trattenere con più facilità la preda, ma ancora per avve- lenare la vittima, poichè, dice CORDA a conforto della sua opinione, è sufficiente ritirare i piccoli animalini dai tentacoli dell’ Idra, per vederli presto cessare di vivere. * LAURENT scrisse una monografia dell’/dra nel 1844. Ripetendo le osservazioni di TREMBLEY, assicura di aver veduto più di una volta riprodursi spontaneamente il fenomeno del rovesciamento delle /dre. Nega le hasta di CORDA e non sa spiegarsi per quali illusioni esso abbia veduto e descritto in tal modo, gli organi tattili e preensili dell’ animale. In quanto agli Ami di EHRENBERG, LAURENT dice di essersi assicurato in modo positivo, che quei lunghi fili non sono altro che degli stiramenti di un succo gelatinoso, rigonfiato necessariamente alla estremità che si è distaccata dal punto di contatto, e niente affatto degli organi propri all'animale. Relativamente alle uova dell’Idra volgare o grigia, dice che sono compo- ste di una sostanza liquida e globulosa inviluppata in un vero guscio muccoso corneo, prodotto dall’ indurimento delle parti esterne della materia ovarica, da principio interamente molle; così quest’ uovo è liscio e non spinoso, come ROESEL ed EHRENBERG lo hanno supposto. In seguito a nuove osservazioni LAURENT ammette che un’ Idra possi fare delle nova che siano spinose ed altre che non lo siano, e conclude: « È um uovo perchè è rigettato dal corpo della madre, sotto forma ben de- terminata, e dopo un tempo più o meno lungo il giovine animale ne esce tutto formato, e lasciando un involuero che esso ha rotto: ma esso parrebbe univesci- colare e fecondo senza avere avuto bisogno di subire antecedentemente nessuna impregnazione spermatica. DELL’IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 159 Le idee sono dunque sotto questo rapporto paragonabili agli animali par- tenogenetici. * DoyÈRE, pochi giorni dopo l’autore sopra citato, occupandosi degli organi urticanti dell’/dra, combatte le negazioni di LAURENT e riafferma presso a poco quanto ha detto CoRDA, descrivendo non uno soltanto, ma tre sorta di corpi che egli vide specialmente nei grossi rigonfiamenti che circondano a spirale o terminano i tentacoli delle /dre. Queste tre specie di corpi sembrano a DoyÈRE essere tanti mezzi di attacco e di difese messi dalla natura a dispo- sizione dei polipi. Ecco le parole dell’autore. 1° specie: « I corpi fatti a sacco con orifizio esterno chiamato hasta da CorpA e ami da EHRENBERG. « Infatti se si mette sotto il microscopio fra due lamine del compressore, il braccio di un’/dra, esso si vede contrarsi e cacciar fuori suecessivamente le parti costituenti 1’ amo meno il rigonfiamento globuloso terminale che non è altra cosa che il preteso sacco hastifer stesso, nel quale, avanti la singolare evoluzione di cui si tratta, erano inguainate, e potevano anche essere rico- nosciute. « Quello che il signor CORDA rappresenta nell’interno del sacco hastifer, la hasta, cioè la lancia o spicula, non è altra cosa che la specie di calice a tre punte che il signor EHRENBERG mette alla base delle vescicole dei suoi Ami e il lungo filamento sottile che porta alle figure di quest’ ultime, le ve- scicole e il loro calice o spicula tricuspide non è niente altro che la specie di cuscino osservato dal signor CORDA. « È per errore, seguita a dire DovÈRE, che EHRENBERG ha rappresentato i suoi Ami liberi e natanti con la loro porzione rigonfiata e attaccati ai bracci dell’/dra, coi loro lunghi filamenti. » 2* specie: « I corpi ovoidi più piccoli dei precedenti e sopra tutto più stretti, a parete spessa, contenenti nel loro interno un filo avvolto a spirale, che esce come il filamento degli Ami inguainandosi al di dentro del corpo ovoide medesimo. « Questo filo è più setiforme e più corto di quello degli Ami. I corpi ovoidi si distaccano dall’ Idra come quelli fatti ad Amo. 3° specie: « Un gran numero di corpi fatti a sacchetta, differenti soltanto dai primi, in quanto che non si trasformano in Ami. « Essi sono secondo ogni probabilità i primi, non ancora completamente sviluppati. « Oltre a queste tre sorta di organi, i rigonfiamenti delle braccia sono guarniti di punte rigide, che si distaccano con grande facilità, tanto è vero che non se ne osservano più, poco dopo che un braccio dell’Idra è stato sotto al compressore. 190 PARTE SECONDA DoyÈRE crede che queste punte rigide siano silicee e impiantate nell’ ori- fizio degli organi sopra descritti, particolarmente in quelli della terza specie. Dice ancora che queste spicule sono ben distinte dal filamento avvolto a spi- rale nell’interno dei corpi vescicolosi. Essi sono organi di urticazione come quelli che diversi autori hanno constatato in altri polipi, ed in particolare nelle medusarie. In appoggio all’ uso che V/dra fa degli organi sopra descritti, 1 autore cita il seguente fatto : Un’/dra si era impossessata di uma larva assai grande in rapporto alla grandezza dell’/dra medesima: quando io l’osservava la larva era già morta ed intera, e portava um gran numero dei pretesi Ami il di cui filamento erasi insinuato nel suo corpo fino alla spicula. La ferita è senza dubbio fatta dalla spicula stessa uscente dal suo sacco hastifer, e il filamento si sviluppa in seguito nei tessuti, ciò che rende facile la sua estrema finezza ed il suo modo di evoluzione, per l’invaginamento nel suo interno stesso. 1 Una larva affatto simile alla precedente e di già contenuta nello stomaco dell’Idra che fu soggetto delle mie osservazioni, non lascia più dubbio, sulla natura e sullo scopo dell’ attacco di cui la larva ghermita è stata vittima. * JAEGER scrivendo sulle Idre nel 1863 dice: « In certe circostanze il corpo di questi animali si disgrega. Gli elementi che costituiscono.il tessuto dell’Zdra, dopo di essersi separati spontaneamente possono vivere dei mesi interi nell’ acqua, ed eseguirvi dei movimenti analoghi a quelli del Sarcode; qualche volta aneh’ essi s' inviluppano in una ciste. » JAEGER considera questo fenomeno come un modo particolare di ripro- duzione. * Presentemente i Naturalisti ammettono Idre di otto specie diverse : 1. Hydra viridis. 2. Hydra grisea o communis. 5. Hydra fusca. 4. Hydra pallens. 5. Hydra gelatinosa. 6. Hydra lutea. 7. Hydra carynaria? Alba. S. Hydra verrucosa. ATLETA FIRE CONE Ono, PC) " R gr. DELL’ IDRA E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 191 X* . Le idee generali che la scienza moderna professa sulle /Idre sono le se- guenti : Per la loro estrema semplicità, sarebbero gli ultimi animali, se non ci fossero gli infusori. Esse hanno un tubo digestivo senza pareti proprie, ed un orifizio posteriore che possono aprire e chiudere a volontà. I bracci che con- tornano la bocca dell’ /dra portano dei corpi urticanti. Ogni parte che si distacca artificialmente da essa, riproduce un animale completo L’Idra rovesciata vive e prospera ugualmente bene. Oltre alla moltiplicazione naturale per divisione e per gemma, il polipo si moltiplica per uova e per spermatozoi come gli altri animali, quantunque sprovvisto di organi speciali per la generazione, poichè questo fenomeno ha luogo nelle pareti del corpo. Le uova e le capsule spermatiche nascono generalmente sopra il mede- simo individuo e determinano la formazione di tumori che aprendosi al di fuori lasciano sfuggire il loro contenuto. Le uova del polipo sono ricoperte di un guscio solido guarnito di uncini coi quali si attaccano alle conferve e alle altre piante acquatiche. Dalle uova, che dopo un certo tempo si rompono, ne esce fuori una pie- cola Idra già completa. PARAMECIUM BURSARIA Cokxx ha veduto nel Paramecium bursaria delle molecole fare il circuito interno in un minuto e mezzo o due minuti. GERVAIS dice che i Paramecium bursaria dopo essersi moltiplicati per scis- sione spontanea durante diverse generazioni, si accoppiano due a due con le bocche applicate l uma sull’altra, e restando unite cinque o sei giorni ed anche di più, si fecondano reciprocamente. ll, I e ATEI bn i Lit Pere n Pg AE CONCLUSTONE Il Sarcode ha fatto il suo tempo. Per quanto minime sieno le proporzioni degli esseri microscopici che vivono nelle acque, nessuno di essi è una massa gelatinosa senza organizzazione prestabilita, nessuno di essi è fuori delle leggi generali che governano l’esistenza di tutti gli animali. Ogni infusorio fino dal suo nascere è provvisto di organi destinati alla nutrizione, e tutti sviluppano in seguito quelli destinati alla propagazione della specie. Senza uscire dal ristretto numero degli animali che hanno servito alle pre- senti ricerche, si può vedere che la Natura, infinitamente varia nelle sue mani- festazioni, prende diverse vie, ma con tutte raggiunge uno scopo unico e su- premo, cioè la moltiplicazione degli esseri per mezzo di germi. Una tal regola è costante e non esclude nemmeno quei microzoi che si dividono spontaneamente, o si riproducono per gemma, poichè essi pure giunti all’ ultimo periodo della vita, si moltiplicano produeendo degli embrioni. La sola distinzione sta in ciò, che allorquando nel ventre della madre si sviluppano dei germi isolati ed in piccol numero, restandovi più abbondante- mente alimentati da lei, vi crescono più grossi; e poi sia che vengano espulsi alla spicciolata, chiusi dentro un guscio che ancora deve proteggerli, o che rompano il tegumento che li involge prima di abbandonare il corpo materno, nei due casì essì percorrono invisibili, una buona parte della loro graduale tra- sformazione. È per questo che, specialmente nei vivipari, qualche volta i pochi figli na- scono, se non affatto uguali, poco dissimili dall’animale da cui provengono: ma allorchè i mierozoi producono delle centinaia di germi tutti in una volta, questi, che allora sono piccolissimi, vengono abbandonati alla vita libera nello stato il più elementare, e tutte le loro progressive metamorfosi devono per così dire compirle allo scoperto, incominciando dalle minime proporzioni di uno o due mil- lesimi di millimetro. 25 ° VI O daino n MEI RR a ite nr 1» De 194 CONCLUSIONE * Se è facile persuadersi che per lazione del vento che passa e prosciuga, possono gli animalini microscopici che vivono nelle acque, essere disseccati, tra- sportati momentaneamente in alto, e poi ricadere disseminati per tutto, a più forte ragione bisogna anche convincersi, che stante la estrema piccolezza con la quale cominciano la loro vita, i Rotiferi, i Brachionus, le Idre, ece., allo stato embrionale, essi embrioni possono essere sollevati nell’aria, anche dalla semplice e continua evaporazione dell’ acqua medesima. In questa guisa, milioni e milioni di mierozoi non solo vengono condan- nati ad una eterna emigrazione involontaria, ma scemati più volte di volume e di peso, in causa dell’ essiccazione, allo stato embrionale possono per lungo tempo rimanere sospesi nell’atmosfera, come i seminuli di tutte le muffe e i microbi di tutte le infezioni. SPALLANZANI ha detto che l’aria è una grande infusione, e con questa frase ha detto tutto. Nel pulviscolo aereo, in quel turbinìo di molecole che si veggono illuminate da un raggio di sole che attraversa la penombra di una stanza, fra miriadi di detriti di tante materie organiche e inorganiche decomposte e frantumate, quanti organismi infinitamente più piecoli, e completamente intatti vi si tro- vano, aspettando di essere trasportati in luoghi favorevoli, per potere conti- nuare il cielo della loro esistenza. Quanti germi di piante e di animali inferiori cadono insieme alla polvere, sui nostri abiti, sui mobili, sulle sostanze che ci nutriscono e nei liquidi che ci dissetano, quanti insieme ai detriti di ogni genere ne aspiriamo, e restano trat- tenuti dalle muccose della bocca, della trachea e delle narici ! Se negli escreati nostri si riscontrano le barbule distaccatesi dalle piume agitate, i peli, le fibre di sostanze tessili, il nero fumo emanato dalle fiaccole, la polvere del carbone o dei mattoni, ece.: egli è perchè tali corpi erano so- spesi nella grande infusione in cui viviamo; come erano innanzi sospese nell’aria le spore che ci hanno fatto sentire l’ ingrato odore di muffa, e che poi sì ri- scontrano nel mucco nasale. Il Mughetto che invade la boccuccia del bambino lattante, i miceti trovati negli escereati :avernosi del tisico, le tigne, infine tutte le invasioni di parassi- tismo vegetale cui andiamo soggetti, quando non avvenga per contatto, ci sono trasmesse dall’ aria che non alimenta le spore, ma le conserva. E così conserva anche gli embrioni degli infusori. Per avere una prova diretta di quel poco che ho detto, basta tenere espo- sto all’ aria aperta, un bicchiere con dell’acqua distillata; quando in fondo al recipiente vi si veggono sviluppate delle spore verdi di conferva, basta esami- narle a microscopio, per esser certi di trovarle sempre umite a degli infusori. A rigor di termine, non vi è acqua potabile, per limpida che sia, che non CONCLUSIONE 195 contenga infusori, perchè 1’ aria ve li trasporta. La questione si riduce a questo, che più l’acqua è pura e meno vi prosperano, non progrediscono nel loro svi- luppo, non si moltiplicano. Fisiologicamente si potrebbe quasi dire che ad eccezione del movimento volontario, gl’ infusori si conservano nell’ acqua pura, senza progredire, come si conservano nell’aria. Perchè essi possano compiere il loro ciclo, hanno bisogno di nutrimento, e questo non lo traggono che dalle sostanze organiche vegetali o animali che vanno a decomporsi nelle acque. Basta che nelle cisterne nel miglior modo disposte e mantenute, vi ca- dano foglie di piante arboree o di ortaglie, o corpi di piccoli animalini della fauna terrestre, perchè intorno a quelle spoglie morte che si macerano, sì rac- colgano tutti gl’infusori esistenti nel recipiente, attirati dal bisogno della nu- trizione, come si veggono tutti i pesci di una vasca riuniti intorno alla mol- lica di pane che appetiscono. Raccogliendo di quelle sostanze ed esaminandole, è il miglior modo di persuadersene. Ma gli infusori a qualunque grado di sviluppo siano, e qualunque sia stata la causa che li ha trascinati fuori del loro elemento, non si mantengono allo stato di essiccazione soltanto quando sono erranti nei vortici aerei, poichè si trovano in tale stato, fortemente adesi e nascosti nei più minuti ripostigli delle piante erbacee disseccate: e più specialmente fra le glumelle delle gra- minacee, anche se cresciute nei terreni più aridi, o nate stentatamente in alto, nei crepacci delle muraglie. C'è ancora di più; gli infusori non solamente vivono e continuano il loro sviluppo nelle acque dove sono organismi vegetali o animali in decomposi- zione, poichè si trovano viventi e a diverso grado di sviluppo anche sulle giovani piante erbacee in vegetazione, raccolti in quell’ umore trattenuto fra le spighette dell’avena e della segale, e dove le foglie con la loro guaina abbraecian lo stelo. (1). (1) Per avere sott'occhio, senza perdere molto tempo e senza nessuna difficoltà, un buon numero di mierozoi aderenti alle piante per causa della essiccazione, non saprei in- dicare migliore espediente di quello che prendere un poco di fieno, scegliervi alcuni steli dove sianvi le spighette dell’avena e delle gramigne, e queste tagliare con le forbici più minutamente che si può, ponendole in fondo a un bicchiere. Su questi tritumi si mette del fieno tagliato più grossolanamente, vi si versano tre o quattro dita d’acqua distillata, e si pressa il fieno perchè sia tutto sommerso. Fatto questo si copre il bicchiere con velo a più doppi, legato all’ intorno, e si lascia che l’acqua naturalmente evapori tutta. A misura che il liquido scema, i microzoi che vivono nella infusione si abbassano, fino a ridursi a secco in fondo al bicchiere, agglomerati e adesi a quei piccolissimi fram- menti di glumelle e di peli, che stante.il loro poco volume non fanno ostacolo per osser- varli a forti ingrandimenti. Allora è facile vedere i microzoi che vi stanno adesi, ed osservare come al contatto dell’acqua, dopo un’ora o più, molti di essi rigonfiano, s1 sval- gono, si allungano e tornano in vita. CONCLUSIONE Chi trasporta gli infusori sulle piante? Se il vento, se l’acqua che eva- pora sollevano gli infusori in alto, ogni goccia di pioggio che cade li riprende, trascinandoli seco e trattenendoli sopra qualunque Inogo sl posa. A. giudicare dal buon numero di Anguillule, Rotiferi, Vorticelle, Bursa- rie, ecc., che si trovano ridotte a forma globulare adese alle piante erbacee secche, bisogna concludere, che ogni gocciolina di pioggia che era rimasta sospesa sopra di esse piante, oltre a portarvi gli infusori, ha disciolto una certa quantità della sostanza organica delle piante medesime, e che quella sostanza è bastata a nutrirli. Se è facile prevedere quante mai volte sono soggetti a sospendere e riprendere il corso della loro vita, i microzoi che vivono in quei piccoli mondi, è più facile concludere che l'immenso infinito numero degli infusori che si acenmulano sulle erbe delle pasture e sui fieni e ven- gono mangiati dagli erbivori, sono tanti milioni di microscopiche masse gela- tinose, che forse portano utili elementi di nutrizione nello stomaco dei nostri animali domestici. Così dalle conferve all’ infusorio, dall’ infusorio all'uomo, tutta la creazione organica si collega in un eterno lavorìo di assimilazione reciproca.