mmmmmm GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ^of. 3 19, 3aO; 3a«. ra^^^S- ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1846 ^. llCjt^ GIORNALE D I SCIEI^ZE, LETTERE ED ARTI TOMO CVII APRILE, MAGGIO E GIUGNO 184G ROMA Tipografia delle Belle Arti 1846 3 UmMMWM Delle barche a vapore, e di alquante proposizioni per rendere più agevole e più sicura la navigazione del Tevere e della sua foce di Fiumicino. Ragio- namento del tenente colonnello della marina militare pontificia Alessandro Cialdi, comandante della ma- rina finanziera, direttore della navigazione a va- pore , commendatore delV ordine di san Silvestro, socio di più accademie ec. {Continuazione.) CAPITOLO III. DELLA FOCE DEL TEVERE IN FIUMICINO. JLiccomi al capitolo più interessante e più controver- so del mio assunto. Il problema, che ne forma il sub- bietto, è la porta principale di ogni commercio utile del nostro Tevere e della nostra capitale. Esso credo che non mi permetta di mendicar scusa su i mezzi neces- sari per risolverlo : perchè la mia arte, l'occasione ri- petuta di averla applicata in quel porto a canale, la h Scienze mia favorevole posizione d'officio da due anni a que- sta parte (*) e gli speciali studi della scienza che al medesimo si riferisce, mi somministrano mezzi a suf- ficienza per poterlo trattare con fatti certi e con chia- rezza, quindi non raggiungendo lo scopo , sarà solo difetto del mio ingegno. Ognuno sa che il Tevere, nell'avvicinarsi al ma- re, in due si divide nel punto che formando polesine o delta tiberina, detta Isola sagra^ prende il nome di Ca- po due rami, e che il ramo di sinistra, il quale passa- to Ostia si scarica nel mare, non è più navigabile: im- perocché quantunque ivi corra maggior copia di a- cqua, essa, a cagione della corrosione delle ripe e dei naturali interrimeati del fiume che ne hanno rialzato il letto, e per l'assoluta mancanza di lavori che lo ab- biano impedito, vi si dilata talmente, che la sua pro- fondità è tenuissima, e perciò non idonea a sostenere navigli anche di piccola portata; mentre l'altro ramo, sebbene meno copioso di acqua, correndo in una sezio- ne più ristretta, e con pendenza doppia nella superficie, perchè è per metà circa più breve del primo, co' la- vori di già eseguiti si è reso e con quelli che si pro- pongono si renderà sempre più atto alla navigazione sino a Fiumicino, ove mette foce nel mare. Ma l'entra- ta in questa foce, o come dicesi comunemente bocca, è pei bastimenti che giungono dal mare incerta, ma- lagevole, pericolosa e sovente funesta. Degli scanni e (') Si ricorda clic questo scritto fu compilalo sul fine del 1843. Foce del teyere in Fiumicino 5 banchi subacquei di sabbia formatisi in lungo e in lar- go nel mare, a maggiori e minori distanze dalla foce, lasciano appena, e quasi mai in continuazione della medesima, un canale o una fossa praticabile; la corren- te del fiume si oppone ai bastimenti, rigettandoli e con- trastando loro, per così dire, l'ingresso; di pochi venti si può profittare per tentare V entrata, e questi deb- bono pure spirare lenissimi: spesso, dopo avere atteso per lungo tempo un mare tranquillo e un vento ma- neggevole, i bastimenti giunti quasi alla foce sono poi obbligati ad appoggiare o sia a tornare indietro : in caso di tempesta la spiaggia non offre alcun asilo, né di notte può rimanervisi senza pericolo, mancando ai naviganti anche qualunque faro o indizio della via da tenersi, giacché quello esistente in Fiumicino non si vede se non da chi sia molto vicino al porto, ne ba- sta ad illuminare l'entrata tra i moli. Ne ciò solamen- te: che altro difetto vi esiste, di ben diverso genere è vero, ma tale da poter essere, siccome è stato ta- lora, cagione della perdita di bastimenti: cioè la man- canza di un magazzino di marina che sia provvisto di pompe da trar acqua, di gomene, di ancore e di altrettali ordigni, non che di un conveniente scalo da carena che serva a racconciare i bastimenti quando abbiano sofferto avarèa (1). In somma i fastidi , le grandi probabilità di danni, e più ancora la scienza de' frequenti naufragi che vi avvengono ad onta di ogni precauzione che si usi dai naviganti, tanto li spa- ventano, che tutti, meno quelli che da giovani si so- G Scienze no assuefatti a navigarvi ( e questi esigono con ra- gione un forte prezzo di noleggio), si ricusano di fare un viaggio per Fiumicino e per Roma. Basta apri- re i registri di quell' ufficio sanitario per vedere che non passa anno, in cui non accada qualche nau- fragio su quella spiaggia quanto praticata altrettanto pericolosa. Vi sono stati di fatto degli anni, in cui i naufragi hanno sorpassato il numero di dieci ! ! « Né intendo (mi scriveva il signor Gregorio Nocella da Fiumicino, dopo avermi trasmesso un estratto della lunga e lagrimevole storia di tali naufragi) né inten- do io già parlare qui di tutti i danni, gettiti ed ava- rèe che avvennero, essendo queste pressoché innume- revoli, e fatti che accadono quasi giornalmente : poi- ché trovandosi questo canale esposto a tutti i venti afi'ricani,e senza riparo alcuno, ne viene di conseguen- za che molti debbano essere i danni che ne proven- gono » (2). Due soli rimedi si sono apposti finora ad alcu- ni fra tanti mali; le palificate e 1' alaggio degli uo- mini; ma quanto e l'uno e 1' altro sieno stati deboli ed insufficienti basteranno poche parole a dimostrarlo. Le palificate hanno sin qui servito a dare un ri- stringimento ed una direzione alla corrente del fiume prima che entri nel mare. Ciò peraltro si é fatto, sic- come vedremo in appresso, senza un sufficiente stu- dio prestabilito, omettendo, a parer mio, di procurare uno de' più utili effetti che dalle medesime poteasi ritrarre; voglio dir quello d' impedire con esse, per Foce del teyere in Fiumicino 7 quanto la scienza e la esperienza lo permetta, il for- marsi de' continui interrimenti dinanzi alla foce , in ispecie di quelli assai prossimi alla medesima, i quali per lo più lasciano nel canale, al di fuori di essa ed anche in cattiva direzione, una profondità non mag- giore di metri uno e mezzo . Si è omesso poi di mantenerle coi necessari lavori di riparazione, di mo- do che non riempiute nel tratto che precede la foce, cioè alla distanza di circa 60 metri dai guardiani, o sia dalle punte delle palafitte medesime, mentre ren- dono incomodo e pericoloso lo sbarco degli uomini e delle merci dai bastimenti che vi approdano, e so- no cagione de'danni che soffre il canale considerato in se stesso, lasciano anche un varco alle acque, le quali internatesi dietro di esse, hanno fatto vasti corro- dimenti con nuovo danno della foce ; giacché per le acque così deviate si diminuisce al certo la rapidi- tà della corrente principale tra le suddette palafitte, e ritornandovi le acque stesse cariche delle arene corrose , concorrono ad aumentare l' interrimento. Quindi è che poco essenziale vantaggio si è avuto da questo lavoro, la cui esecuzione ha dimandato spe- se non lievi , e 1' interno del canale di Fiumici- no trovasi in peggiore condizione di quella de' no- stri porti a canali lungo le coste dell'Adriatico che sono benissimo conservati, e taluni anche muragliati da entrambi i lati , tuttoché quei porti siano lungi dalla capitale, e vi si eserciti un commercio di poca 8 Scienze entità , paragonandolo a quello che si fa in questo per Roma. L'alaggio degli uomini poi , mentre è cagione di spesa e di ritardo ai naviganti, non produce sem- pre favorevole effetto: perchè dato generalmente sol- tanto da un lato della foce, cioè dalla passonata o molo destro, in maniera che i bastimenti tirati obbli- quaraente non possono alle volte eseguire l'entrata nel porto, dopo aver fatto ogni sforzo per avvicinarvisi (à). Né facile si è l' ottenere 1' alaggio medesimo ; che spesso non trovasi chi voglia portarsi a dare aiuto; e talvolta a por fine alle questioni, che ne insorgono, è necessario l'intervento della forza armata; violenza resa necessaria dall'imminente pericolo di naufragio, in cui si vedono i bastimenti, e dalla sicura perdita che ne avverrebbe senza questo sucrurso, ma che pur non lascia di essere una violenza^ poiché costringe gli abitanti di Fiumicino, o chi vi si trovi a caso, ad (a) Le cagioni deiranmeiilo di resistenza e degli altri principali inconTenienti, che incontra questo sistema di alaggio colla forza de- gli uomini o con quella delle bestie, vengono notate come appresso dall'ingegnere Navier: 1. par l'obliquile du tiragc; 2. parce que celle obliquile oblige à piacer l axe du bateau dans une direction inclince à la direction du mouvement ou à employer un gouvernnil., 3. parce que le bateau, s'approchant de la rive sur la quelle le halnge s'opère , se trouve dans une condilion différeìite de celie où il se trouverait dans une canal dont la scclion sirail tres-grandc. {Résumé des Icfons données à fecole des ponts et cliaussées sur Capplication de la mécca- nique à Velablisseìnent des construriiom et des machine;. Paris 1839, S 230.) Foce del Tevere in Fiumicino 9 intermettere le proprie occupazioni, e ad arrischiare talvolta la vita. Questa breve e non esagerata esposizione dello stato, in cui la foce di Fiumicino ritrovasi attualmen- te, dimostra i pericoli e i danni che ne risente la na- vigazione, e persuade insieme , che la umanità do- manda in essa de' solleciti e validi provvedimeiiti, e che l'interesse di Roma li consiglia. Molto io mi sono studiato di conoscere i difetti di quella foce e del littorale adiacente nei miei ap- prodi di obbligo, ed in quelli di piacere come osser- vatore curioso ; non ho trascurato d' interpellare sul proposito e gl'ingegneri addetti ai lavori del Tevere, e gli esperti del luogo; ed assai volte mi vi sono re- cato a fare delle indagini e degli scandagli nelle di- verse stagioni e in diversi stati del fiume e del mare, rammentandomi sempre il precetto che : nelle scienze di fatto più gli occhi han veduto^ più vede la ragione. Nella speranza che il mio buon volere nel rende- re palesi e possibilmente utili ai naviganti ed allo Stato i risultamenti delle mie ricerche, non abbia in- vece ad essere interpetrato siccome smania di far pro- getti e presuntuoso desiderio che abbiano assoluta- mente a mandarsi ad effetto, io mi fo a proporre, colla sincerità e franchezza che distinguono un marinaio, que' provvedimenti che giudicherei opportuni a pro- curar di cangiare l' incerto e periglioso approdo di Fiumicino in un porto sicuro e sempre accessibile. E tali provvedimenti sarebbero i seguenti: 110 Scienze 1." Nuova direzione da assegnarsi alla foce di Fiumicino; disposizione o costituzione dell' armatura di detta foce già proposta dall'ispettore Brighenti e da taluni controversa; nuova larghezza allo sbocco della medesima. 2." Spurgo della foce dalle materie che la ingom- brano col mezzo di macchine e con quello di una chiusa di scarico. 3.° Barca a vapore di stazione a Fiumicino per rimurchiare i bastimenti che vi approdano. A.° Costruzione di un frange-onde, o molo gal- leggiante, incontro alla foce suddetta. 5.° Collocamento di un faro pur galleggiante ad una delle estremità del frange-onde. -€«"l«®^ Foce del tevere in Fiumicino 11 ARTICOLO I. KDOVA DIREZIONE DA ASSEGNARSI ALLA FOCE DI FIUMICINO ; DISPOSIZIONE O COSTITUZIONE DELl'ARMATDRA DI DETTA FOCE già' PROPOSTA DAL PROF. BRIGHENTl E DA TALUNI CONTROVERSA; NUOVA LARGHEZZA DELLO SBOCCO DELLA MEDESIMA. "^^^Sii E del maggiore interesse il determinare la direzione da darsi alla foce di wn fiume che si voglia naviga- bile , la facilità dell' ingresso o del regresso pe' ba- stimenti che vi abbiano a passare, e principalmente la conservazione del fondo necessario all' entrata. Ed in vero la mancanza di profondità è un gravissimo male permanente, il quale, pregiudicando in ogni tempo tutt'i naviganti , termina per annullare la prosperità del commercio in un porto e nelle coste limitrofe. Le difficoltà che s' incontrano nel trattare siffatto argo- mento sono gravi, come sono gravi le conseguenze che procederebbero dagli errori, ne'quali si cadesse nel risolverlo. Non avvi però di che sconfortarsi per la nostra foce di Fiumicino; mentre tali difficoltà sono in gran parte sormontabili, e può giungersi ad elimi- narle mercè dell'applicazione delle teoriche stabilite dai maestri d'idraulica e del profitto delle osservazioni sul- la costituzione della foce e della spiaggia adiacente. Farmi qui a proposito il citare intanto quel che pen- si il ben noto Zuliani su tali direzioni. 12 Sciènze *^^^^T « Chiunque imprenda (egli ci dice) a fissare la direzione da darsi allo sbocco di un fiume in mare, d'uopo è che abbia presenti tutte le molte diverse cause sì generali e sì particolari, le quali possono con- correre ad agevolare e rendere felice il medesimo sbocco, come anche le altre che vagliano a difficoltar- lo e danneggiarlo, e che ne faccia i confronti e ne rilevi e comprenda il valore come delle une così delle altre. Non si manca tuttavia di lumi per procedere convenientemente anche in questo; e la esperienza del buon esito di vari nuovi sbocchi, che l'arte ha pro- curato ai fiumi, ci assicura maggiormente che il pro- blema anche in questa parte è solubile » (a). Con tali principi! adunque conviene nel caso nostro ricorrere ad una lunga ed esatta serie di osservazioni fatte sino a questi giorni sulla foce di Fiumicino e sulla sua spiaggia, ed alle teoriche appli- cabili a quel luogo. Mancano in qualche parte le prime (6); ed a que- sta mancanza non presumo che possano compiuta- mente supplire le mie intraprese con regolarità solo (a) Zuliani, Dei principii per fissare la direzione degli sbocchi di un fiume in mare. Raccolta di autori italiani, che trattano del mo- to delle acque. Bologna 1821, tomo XII pag. 91. (b) Avendo consultato su tal proposito l'egregio sig. ingegnere Fabrizio cav. Giorgi, più volte citato, che ha particolare esperienza dal Tevere, e che risiede in Roma come ingegnere del fiume me- desimo, fra le altre cose rispondeva, che egli anni indietro fece rad- drizzare alcuni tratti nell'interno del canale di Fiumicino , ma che veruna istoria artistica uon eravi su queste direzioni. Foce del Tevere in Fiumicino 13 da poco tempo; ma riunendo queste e quelle, che io già possedeva, alle altre che mi sono da taluni pro- curato , credo averne abbastanza per la base del- le diverse proposizioni che andrò sviluppando. E perchè non abbia a temersi per l'avvenire la man- canza de' necessari dati al proseguimento de' lavo- ri , mi f o a proporre che si destini un ingegnere di marina di stazione a Fiumicino (né avvi scarsezza d'ingegneri abilissimi istituiti alle scuole degli uomi- ni sommi in quest' arte che ritrovansi nei pontificii dominii) il quale continuamente osservi le operazioni della natura in questa foce, poiché, come il Lorgna dice saggiamente: « Giova bene spesso cogliere la na- tura nel suo lavoro, essendo più agevole accorgersi de' suoi artifizi nell' atto stesso della operazione, che non ad operazione compiuta: » e sia così in istato di suggerire e dirigere i lavori che occorreranno, se non per vincerne, per renderne almeno innocui gli effet- ti (3). Esaminiamo ora i principali precetti dati relati- vamente alla foce de'fiumi navigabili da rinomati trat- tatisti di meccanica delle acque , ed alcuni esempi pratici. Il chiarissimo nostro professore Sereni dice che « l'ultimo sbocco de' fiumi dovrebbe farsi ad angolo retto colla spiaggia de'mari, perché l'ultimo limite di questi é una linea orizzontale, e perchè ec. Ma raro è, soggiunge egli, che i mari stessi non abbiano qual- che movimento continuo oltre l'alternativo del flusso HA Scienze e riflusso » (a). E difatto per effetto di questa partico- lare circostanza, e per quella cagionata dal moto tem- poraneo de' venti, vediamo che la natura obbliga i fiu- mi ad inclinare nella foce dalla precedente loro di- rezione, e volgersi a destra o a sinistra. Per quegli sbocchi, ove l'arte, a fine di renderli più atti alla navigazione, ha posto le mani, è stabili- ta ( da autori di molta celebrità ) la massima di se- guire la disposizione naturale dello sbocco, correggen- done il più possibile una viziosa inclinazione , ma conservandola sempre tale, da difendere lo sbocco stes- so dall'infesto vento di traversia e dalle altre cause che possono concorrere ad interrirlo (ò). (a) Sereni, Idrometria. Boma 1838, pag. 320, §. 613. (6) Guglielmini, Natura de' fiumi: Dello sbocco di un fiume in un altro 0 nel mare. Tomo I della citata raccolta. Scritture sopra vari progetti fatti per la diversione del Reno. Tom. II. Castelli, Intorno l'aprire la bocca di fiume morto in mare e chiu- derla in Serchio. Tom. Ili della detta raccolta. Frisi, Dei fiumi e dei torrenti. Gap. V. Dello sbocco de' fiumi in ma- re. Tom. VI rac. cit. Boscovich, Del porto di Jiimini. Tom. VII. Raccolta medesima. Ximenes, Informazione intorno alle riflessioni ed all'esame dei sig. Boscovich e Zannotti. T. VII come sopra. Zannotti, Ragionamento sopra la disposizione dell'alveo dei fiu- mi verso lo sbocco in mare. Risposta all'obbiezioni del sig. Brunelli in- torno al ragionamento citato. Risposta alla seconda memoria del padre Ximenes concernente le obiezioni da lui fatte allo stesso [ragionamen- to. Tom. VII. rac. cit. Zendrini e Manfredi, Relazione per la diversione de' fiumi Ronco e Montone. Capo IV. Tomo Vili rac. cit. Foce del teyere in Fiumicino 15 Il già lodato Zuliani aggiunge rispetto a tale di- fesa: « Che non soli i venti sono di pregiudizio ai fiumi, col mettere ostacolo allo scarico delle loro acque e col renderli maggiormente gonfi ed alti di pelo; ma più ancora collo spingere nelle tempeste le arene alle spiagge e avanti e dentro gli sbocchi che ne riman- gono gravemente danneggiati. Per evitare quanto è possibile simili dannosi effetti nel sistema del fiume, si deve cercare di dare al suo sbocco una direzione, per cui declini quanto più si può l'incontro e l'im- peto diretto di quei venti che con veemenza sogliono spirare sul mare dove il fiume va a scaricarsi » (a). Così con dimostrazioni esattamente applicabili al caso nostro i non meno chiari Zendrini e Manfredi richieggono per una delle principali condizioni di un porto della natura del nostro « che sia munita la boc- ca con opportune palificate o guardiani; stabilito che sia, che vagliono colla loro lunghezza a coprirlo dai venti nocevoli e lasciare luogo a'favorevoli di poter Lo stesso Zendrini nella Relazione che concerne il miglioramento dell'aria e la riforma del porto di Viareggio. T. X della Raccolta cit. Mengotti, Idraulica fisica esperimentale. T. XI della detta rac- colta. Zuliani, Dei principii per fissare la direzione degli sbocchi di un fiume in mare. T. XII della detta raccolta. Lorgna, Osservazioni e ricerche intorno al prolungarsi della li- nea de' fiumi in mare. Raccolta citata. T. XIL Mari, L'Idraulica pratica ragionata. Tom, li. Guastalla 1786. (a) Zuliani opera citata pag. 96. 1G Scienze coadiuvare allo spurgo delle materie lezzose che po- tessero esservi deposte » (a). E il Mari ci dice, che « la importanza di drizzare gli sbocchi de'canali, o sia la imboccatura de'porti co- stituiti da essi al vento più favorevole di quella spiag- gia, è tanto grande quanto si è quella di conservare libero l'egresso delle acque e l'accesso alle barche. » Stabilisce perciò che « l'ingegnere incaricato a dirigere lo sbocco per formare un porto prenderà notizie esat- te de' venti più gagliardi che investono la spiaggia, a cui mette il suo canale. Piegherà l'imboccatura ad altra, ove direttamente non agiscono. Si farà anzi uno studio di esporla a quel vento che meno nuoca o che giovi, se ve ne ha alcuno, ad espurgare la boc- ca del canale » (6). Il già citato Zuliani poi, parlando di una delle bocche dell'Adige, riporta, che « indarno si sforza di conseguire uno sforzo a dirittura del suo corso, per- chè riceve come di fronte il vento di traversia , o sia quello che più sconvolge il mare in quel lido, il quale la tiene ingombra a dispetto di tutta la forza del corso più diritto del fiume » (e). Trovandomi sott' occhio il grande atlante del (o) Zendrini e Manfredi. Opera sopra citata, capo IV. Jilcune no- tizie circa i porti di mare con il modo più sicuro di formarne uno alla bocca de^fiumi. Raccolta citata T. Vili, pag. 406. (b) Mari, opera citata. Tom. II, pag. 102 e 103. (e) Bei principii per fissare la direzione degli sbocchi di un fiu- me in mare. Tom. XII, pag. 102 rac. cit. Foce del tevere in Fiumicino 17 mare Adriatico ed il suo Portolano («) rilevo, che nella direzione de'nostri porti a canale è stato osservato il precetto di coprirle dalla traversia , che in quella costa è la cosi detta Levanlera^ e di tenere rettilineo e più o meno normale al lido lo sbocco de' fiumi che immettono nel mare. Infatti le foci de' medesimi ivi sono così dirette: quella di Senigallia diverge dal sud- detto vento per ben 93° gradi, ed è inclinata dalla nor- male del lido 40° : quella di Fano si scosta dalla linea di traversìa per 90° e sì piega alla costa 45°: quella di Pesaro si allontana dalla traversia 64°, restando pres- so che normale alla costa: quella finalmente di Rimino si cuopre dalla traversia di 74°, secondo le recenti osservazioni del chiarissimo nostro signor Brighenti che si è compiaciuto darmene comunicazione, ed è inclinata alla costa per 28.° Importando anche il determinare se sia preferi- bile di assegnare al canale la forma rettilinea, ovvero la curvilinea, vedo opportuno di citare le seguenti autorità. Il celebre P. Boscovich osserva che <* in ca- nale curvilineo la forza istessa d'inerzia, che richiede sempre la continuazione del moto rettilineo costringe il filone ad accostarsi alla parte cava e rasentarla con- tinuamente, mentre nel rettilineo ogni piccola disegua- (rt) Carta di cabottaggio del mare adriatico, disegnala ed incisa sotto la direzione dell'I. U. stato maggiore generale nell'I. R. istituto geografico railitare di Milano pubblicata negli anni 1822 e 1824. Portolano del mare adriatico, compilato dal capitano Giacomo Marini. Milano 1830-37. G.A T.CVII. 2 18 Scienze glianza di resistenza fa torcere il corpo ora verso una parte, ora verso l'altra; e così malgrado della maggiore brevità del canale rettilineo può in esso divenir la via delle acque più lunga che nel curvilineo benché più lungo. Nel medesimo caso l'acqua per la forza centri- fuga con cui spinge la sponda curvilinea , vi si alza e corrode anche il fondo e lo incava; onde può cre- scere alquanto la sua velocità attuale col peso, e scemare la resistenza nel fondo col farsi una specie di letto di quella che chiamasi acqua morta » (a). Il Zendrini pel porto di Viareggio, esposto si- milmente a quello di Fiumicino, così si espresse: «Nel- lo stato corrente di cotesta foce io non posso biasi- mare la positura de'moli segnati nella mappa n. Ili (nella detta mappa si vede che i moli descrivono una curva), specialmente di quello sopravvento ( cioè il sinistro); giacché, abbandonate le varie e meno pro- prie direzioni dategli in passato, credo essersi dispo- sto adesso non lontano dalla inclinazione della natu- ra, che fa piegare al sottovento il corso delle acque della foce. Serve esso molo ancora a coprire in qual- che modo, come si é esposto, la bocca dal libeccio, arrivando l'ultimo cassone collo sporgimento e dire- zione sua sino a gradi due circa di ponente. Non crederei però se non molto a proposito l'avanzarlo ancora nella medesima maniera e tendenza ; segui- tando cioè quella curvatura, con cui adesso finisce, almeno per un cassone o siano 25 braccia dirigen- (a) Del porto di Jlimìni. T. VII, pag. 370 rac. cil. Foce DEL Tevere in Fiumicino 10 dolo per maestro, come nella mappa resta espresso: valerebbe ancora tal prolungamento a maggiormente coprire l' ingresso del porto dal libeccio , e perchè la foce meno risentisse i colpi del mare » (a). Il medesimo partito \edesi adottato pei porti canali della natura di quello di Fiumicino dal no- stro chiar. prof. Cavalieri, il quale risolve anche se le palafitte debbano protrarsi ad eguale lunghezza, o se l'una e quale di esse debba superare l' altra, ricerca che pur ci era necessaria di fare nel caso no- stro. « Le dighe (egli dice) debbono essere avan- zate in mare finché si trovino in questo il fondo ne- cessario per tenere a galla i bastimenti, ai quali il porto è destinato. Giova poi il prolungare un poco più dell'altra quella che è dalla parte del vento più potente d' ogni altro a spingere le arene verso lo sbocco del canale. E utile di stabilire le dighe in linea curva, rivolgendone la convessità verso quella parte da cui sarebbero spinte le sabbie ad invadere la foce. Cotesta disposizione tende a riparare l'interno del porto dai venti di mare, e ad impedire che si formi un' alluvione o un dosso di sabbia presso la estremità interna della diga più sporgente pel rallen- tamento che ivi avverrebbe nel corso dell'acqua, se le dighe fossero stabilite in linea retta » (6). Sopra gli stessi principii e per le stesse cause (a) lielazionc che concerne il miglioramento delVaria e la riforma del porlo di Viareggio. Tom. X, pag. S2 rac cit. (6) Istituzioni di architettura statica e idraulica. V. li, §. 789. 20 Scienze il tenente colonnello Salvini, e quindi Sganzin e Prony, proponevano le dighe al porto di Malamocco in Ve- nezia (a). Il Mari, trattando di una foce che avea soprav- vento un fiume torbido come nel nostro caso, cosi si esprime « Se la palificata sinistra sarà più lunga della destra , e se avanzerà gli scanni prodotti in qualunque modo dal fiume torbido sopravvento , egli è chiarissimo che le torbide si ratterranno dal- l'obice della palizzata prima che inoltrino ad infestar lo sbocco del canale. Al contrario, se la palata sini- stra sia assai più breve della destra, le torbide non rattenute da niun guardiano, secondando il moto ra- dente, incontrano l'intoppo prodotto dalla destra pa- lata più protratta, e nel venir trattenute da questa con l'acqua che le porta, saran costrette ad arrestarsi avanti la bocca del porto e ad atturarla, senza che la residuale forza della corrente del fiume vaglia a sgombrarle dal mezzo della imboccatura » (b). Assicura il Brighenti che « la pratica di prolungare maggiormente il braccio dal lato ove vengono le ma- fa) Commission de Fenise, Passe de Malamocco, Veiiisc le 14 oc- tobre 1806 §. 163 a 170. Una copia di questo utile manoscritto io Ja debbo alla particolar gentilezza dell' egregio e chiarissimo signor Giovanni Casoni ingegnere nelll. R. arsenale di Venezia, del quale si parlerà altre volte in questo scritto. Egli mi favorì ancora il capi- tolato di appallo per la costruzione della più lunga delle suddette di- ghe, osia di quella di sopravvento , stampato in Venezia nel 183Dj )u virtù del quale la detta diga è oggi in piena costruzione. (&) Mari, Opera t tomo citati pag. 103. Foce del tevere in Fiumicino 21 terie ostruenti la foce de'fiumi , è osservata costan- temente ne' nostri canali dell'Adriatico, ne' quali il braccio è sempre sporgente in acqua da quella parte ove provengono le burrasche di levante dominatrici di quel mare » (a). Riassumendo queste teoriche e queste pratiche deve conchiudersi adunque, che la foce di un fiume, per uso di porto a canale, abbia ad essere diretta normalmente per quanto si può alla spiaggia marittima ove sbocca, purché con questa direzione non si affrontino i venti detti di traversìa e la corrente littorale, acciò non ri- manga esposta la foce alle cagioni principah d'interri- mento; che per raggiungere questo scopo debba mu- nirsi di moli, i quali, oltre a restringere lo sbocco, lo difendano dai venti infesti , e seguitino la tendenza naturale della corrente del fiume, conducendola a sca- ricarsi nel mare per un canale curvilineo o rettilineo, avente però sempre più lungo quel braccio che è esposto ai detti venti e correnti che possono nuocer- gli ; e che tutto ciò si combini con le condizioni ne- cessarie ai bastimenti per entrarvi ed uscirne colla maggior sicurezza e col minore incomodo possibile. Veniamo ora alla foce di Fiumicino, osservando che i raziocini che hanno indotto i più celebri idrau- lici a costituire le armature delle foci degli altri fiumi devono guidarci anche per questa, avvegnaché « l'in- dole di tutti i fiumi ( come osserva il chiaro Eusta- (a) lìapporto della visita falla al Tevere da Roma alla foce di Fiumicino lì 26 novembre 1842. (Questo dotto rapporto è inedito.) %^ ' Scienze cliio Zaiiotli) è la medesima , e concorrono ad ope- rare in essi le medesime cause, consistendo la diffe- renza nel più e nel rncno » (a). Tutti i fiumi torbidi e limacciosi come il Tevere o più tardi o [)iù presto, secondo il grado delle mel- me e delle arene che traggono seco, vanno sempre più protraendo le foci, creando degli scanni e de'ban- chi. Questi ammassi prodotti dalle materie che il fiu- me convoglia, che il mare respinge, compresse fra queste due contrarie forze , si estendono pressoché paralelli al lido. Essi formano le barre cotanto temute dai navigatori e sempre difficili a passarsi quando sì vuole entrare nel letto del fiume o se ne vuole uscire. Lo stesso accade al Tevere, ma in grado peggiore. La detta foce di Fiumicino, situata nella latitu- dine settentrionale di 41°. 46' e nella longitudine 00°. ì 5' a ponente del meridiano dell'osservatorio del col- legio romano (6), trovasi sottovento e prossima all'al- (a) Risposta alla seconda memoria del padre Ximenes Concernen- te le obbiezioni da lui fatte contro il ragionamento presentato alla t'isita sapra la disposizione dell'' alveo de' fiumi verso lo sbocco in mare. l^ac. cit. Tom. VII, pag. 92. (6) Questa longitudine corrisponde a |4 mae- stro per metri 40 più di quella ora esistente, e qua- si nella stessa linea innestare nella palafitta sinistra l'altro molo simile al primo , ma sporgente in ma- re pu\ di esso non meno di metri 40. In questa guisa con una sola protrazione si otterrebbe la ri- cercata direzione e disposizione della bocca; e pro- traendo poi le palafitte in ogni anno per quanto au- 40 Scienze menta il lido, cioè per due o tre metri, si conser- verebbe la foce e la fossa nel migliore stato possi- bile (a). La seconda via sarebbe quella di continuare le palafitte esistenti, intestando sopra i loro attuali o^uardiani, e progredendo innanzi con una dolce curva descritta in guisa che soltanto alla distanza di met. 300 la palafitta sinistra faccia corrispondere la bocca a po- nente ':4 maestro, lasciando sempre indietro di met. 40 almeno quella dèstra. Quando si adottasse questo secondo partito, non sarebbe già cosa prudente il fa- re ad un tratto 300 metri di nuove palafitte per giun- gere subito a coprire la foce dalle cagioni d' inter- rimento e rivolgerla al vento cui vorrebbesi esposta, perchè ciò potrebbe nuocere alla solidità del lavoro, oltre di che sarebbe soverchiamente dispendioso; ma dovrebbe limitarsi a met. 80 la prima protrazione sul lato sinistro, e a met. 40 sul destro (&). Da una pro- (a) Qualora ad un iìume o per la qualità delle sue acque assai limacciose, o per la esposizione della spiaggia agl'insulti del mare e de' venti, venga impedito o diflicoltato dagli scanni e dalle dune io sbocco, r aprirgli con un taglio un più libero varco può essere sag- gio ed utile espediente, come quello che ci viene indicato dalla na- tura: giacchi!* appunto il nostro sapere, l'arte nostra non è , come diceva un grande ingegno, che un dolce sprone alla natura, un op- portuno aiutOj un corregger soave, un'accorta imitazione. (Mengot- li. Opera e raccolta citate pag. 234. Tom. XI). (b) La lunghezza di met. 300 viene da me progettata prima che la bocca sia a ponente lj4 maestro , acciò la corrente sia condotta con dolcissima curva alla voluta direzione ; ma credo che i moli cosi inclinati non mancheranno di produrre i buoni effetti che se ne atten- dono, allorciiè siano giunti a soli cento metri di lunghezza. Foce del tevere in Fiumicino 41 trazione minore non credo possano ottenersi utili ef- fetti, essendo molto tempo che più non si protraggono le punte; la spiaggia di sinistra ora si trova quasi nel- la linea del guardiano, e la barriera o scanno da ter- ra si trova prossimamente a questa distanza di metri 80 (*). La curva del braccio sinistro potrebbe non opporre alle arene poste in movimento verso mae- stro tutta la efficacia di un ostacolo rettilineo, ma adottando al detto braccio curvilineo un contro-molo a similitudine di quello praticato pel porto di Ca- stiglione, e lodato moltissimo dal Ximenes, potreb- be ottenersi un effetto anche maggiore dell' ostacolo rettilineo. E di vero questo contro-molo, curvato leg- germente in senso opposto al braccio, chiuderebbe in qualche modo la sentina di spurgo da stabilirsi so- pravvento del ripetuto braccio, come dirò nell'articolo seguente. Lo stesso contro-molo o sperone servirà ezian- dio a consolidare il braccio sinistro interamente es- posto alla furia delle onde, quando non si adottassero i frangi-onda galleggianti, di cui si parlerà a suo luo- go. Cos'i riempirei lo spazio tra il guardiano del con- tro-molo e quello del braccio, di grossi scogli natu- rali o artificiali, posti per quanto si può verticali : il che oltre il consolidare sempre più i guardiani stessi, manterrebbe, per l'effetto della risacca, vive le acque, ed allontanerebbe i depositi di arene dalla foce. (Ve- (*) Nei nostri porti a canale dell'Adriatico si sono praticate del- le protrazioni di oltre a conto metri per molo in una sola volta; ed ojjgi in riucllo di Ravenna si farà una protrazione di 200 metri. 42 Scienze di la tavola IV presso la leti. N a sinistra ). Negli anni successivi poi il prolungamento dovrebbe farsi alquanto maggiore dell'aumento annuale della spiag- gia per giungere al più presto alla posizione prefissa, per quindi proseguire con una protrazione non mai maggiore dell'annuale aumento del lido e con moli rettilinei. Ma la suddetta maggior protrazione annua, oltre l'avanzamento del lido, deve considerarsi pregiudizie- vole, quindi condannabile; però debbo ritenere che dopo non molli anni si potrà abbandonare questo vi- zioso sistema, e si sarà conseguito l'utile effetto di di- minuire gli interrimenti dinanzi la foce di Fiumicino provenienti dai depositi e dalle torbe della fiumara di Ostia. Ed in vero oltre ai citati vantaggi di una più favorevole direzione e la conseguente maggior distanza dalla detta fiumara, ve ne scorgo un altro. Protratto in mare lo sbocco di Fiumicino più olire di quello della foce di Ostia relativamente alla linea di scirocco-maestro, per la quale corre il nostro lit- torale, i detti depositi e le torbide non potrebbero più giungere ad investire e spandersi dinanzi la foce di Fiumicino ( come ora accade per esser questa mal diretta , troppo prossima e meno inoltrata in mare di quella) perchè dai citati nocivi venti, che nor- malmente o ad angolo più o meno aperto su quella spiaggia agiscono , sarebbero obbligate le dette are- ne ad arrestarsi ne' primi anni nel piccolo seno che formano in oggi le due foci, ed in seguito verrebbero Foce del Tevere in Fiumicino 43 addossate fra lo sporto che formerà la foce di Fiu- micino su quella della fiumara grande. E mentre che da una parte si elideranno gli effetti dei venti nocivi, si darà ai benefìci un'azione molto maggiore; cioè il po- nente ed i prossimi venti a questo cardinale dalla par- te di maestro, respingeranno le arene verso la foce di Ostia, alleggerendone così la massa che si appog- gerà al molo sinistio del nostro porto (a). Ho detto che nel dare alla foce una esposizione che valga a mantenerla insieme al canale naturale al di fuori di essa possibilmente immune dalle cause d' interrimento, faceva di mestieri avere in vista anche le condizioni necessarie ai bastimenti per entrarvi e per uscirne colla maggiore sicurezza e col minore in- comodo possibile. Questa ricerca forma la terza condi- zione dell'armatura della foce, cioè la larghezza; del- la quale, come pure della direzione sua, ninno, a mia notizia, ha parlato. Pe' bastimenti che escono dal fiume non può essere di danno che il canale abbia una larghezza piuttostochè un'altra, quando essa non sia stranissi- ma; non è però così per quelli che entrano. Per que- (a) Col trasportare lo sbocco del braccio sinistro del Tevere a quello dello stagno di Ostia o di Maccarese, come ho detto a pie del- la pagina 29 , si otterrebbero subito i ragguardevoli e benefici ef- fetti deirallonlanamento di un sì potente nemico. Oltre alla bonifi- cazione di fjuei terreni e di quell'aria, sarebbe grandemente dimi- nuito il bisogno della protrazione, se non quasi anauUato, e si con- serverebbe con poco sussidio dell'arte il necessario fondo allo sboc- co del porto di Fiumicino. i\h Scienze sti si deve aver riguardo ad alcune condizioni vo- lute dalla natura del porto , e dalla qualità de'basti- luenti che lo frequentano. La larghezza allo sbocco dell'attuale canale è di metri 23; essa però a 130 metri indentro è di metri 18: ciò che ci prova, che una volta lo sbocco era 5 metri più stretto; e che ora è divergente relativa- mente al canale interno. E da tutti e teorici e pratici riconosciuto quanto sia dannosa, per l'effetto escavatore della corrente, que- sta forma di vebtaglio. Bossut vorrebbe anzi che i due bracci, che incassano il fiume, fossero un pò conver- genti verso il mare: ed il nostro Zuliani sviluppa e sostiene fortemente il suggerimento e le viste del be- nemerito francese (a). Non si ricorda il perchè in Fiu- micino siasi operato il contrario, ma può supporsi. I marini, ed io come gli altri, amano l'entrata de' porti tanto grande, se fosse possibile, quanto il mare stesso; quindi un qualche reclamo prodotto da un dan- no avvenuto nella entrata per difetto di esperienza o di attenzione di qualche pilota o capitano, si è at- tribuito alla ristretezza della entrata: e senza riflette- re al danno maggiore che potea risentirne la navi- gazione , si sono contentati il reclamante o i recla- manti con allty-gare lo sbocco. Una tanta larghezza però non avendo più con- (a) Bossvit, Hydrodinamique. Tom. 2 cap. 13, §. 830. Nouvelle edition. Paris 179S. Ziiliani, Opera citata. Raccolta citata , T. XII pag. 108 e seguenti. Foce del tevkre in Fiumicino 45 servata all'acqua corrente quella potenza necessaria per aprire e mantenere nel prano o scanno una fossa che potesse dare un congruo fondale , la entrata si è resa più malajjevole, più pericolosa, e più dannosa. Il fondo permanente e sufficiente è il principale ogget- to che deve ricercarsi alla entrata di ogni porto e specialmente in quello di Fiumicino. Presa quindi ad esame la larghezza del canale superiormente allo sbocco, e ciò che richiede la na- tura di questo porto, e la qualità de' bastimenti che frequentemente vi approdano, sono di parere che la larghezza di 1 8 metri, siccome per lo innanzi avea lo sbocco, sia quella che più convenga. Essa è più che sufficiente per la comoda entrata e uscita dei più gran- di piroscafi e bastimenti a vela, che il bisogno com- merciale possa richiedere per far entrare nel canale di Fiumicino, e convenientemente navigare nel nostro Tevere, potendo quelli di maggior portata profittare del bello e vicino porlo di Civitavecchia. Ne questo solo scopo milita per la proposta larghezza, ma ben anche la regola generale di fare le imboccature de' porti tanto larghe, che siano bastevoli a contenere di fronte tre bastimenti di quelli che sono soliti a frequentar- vi (a). (a) Quaiilunque da taluno si possa credere che per utilità del com- mercio della capitale dovrebbero entrare nel canale di Fiumicino de' bastimenti, e piroscafi di oltre 200 tonnellate, pure il maggior nu- mero di quelli a vela^ che frequenteranno il canale stesso pel movi- mento commerciale^ non supererà la portata di 60 tonnellate , e quel- li a vapore di 200, lutto compreso. La più grande larghezza de'basti- 46 Scienze Prolungata però, come ho proposto, la guida o palificata sinistra metri 40 dentro il mare più della destra, trovandosi questa sotto vento dell'altra, io con- sidero la entrata della bocca del porto non di metri 18, ma pressoché di 45, perchè tanto è distante il guardiano sinistro dal destro ( Vedi la tavola IV ). Ogni bastimento che sarà coperto dal braccio sini- stro potrà considerarsi in porto quantunqvie non sia ancora entrato fra i due bracci; perchè, come ho di- mostrato, si trova già a ridosso dal mare di traver- sia in quella bocca. Questo è un altro grande benefi- cio che si ottiene colla protrazione maggiore dalla par- te di levante. All'opposto col braccio più avanzato da ponente i bastimenti, quantunque già a paralello di questo, sono sempre in grave pericolo, perchè riman- gono tuttavia esposti alla furia delle onde fino a che non siano entrati per molti metri a ridosso di quello di levante. Quindi questa mia proposizione avrà un dop- pio utile risultato; 1 .° cioè l'aumento di velocità prodotto dal canale ristretto, la quale, come osserva il Borelli, rode e profonda maggiormente il suolo suo inferiore, gli fa acquistare maggior declività verso il mare, e non teme la forza del mare tempestoso (a) ; 2° un più utile e comodo ingresso , come mi assicura la mia pratica di navigazione. menti a vela di 60 tonnellate misurata fuori de' porta-sarte è di met. 6; quello delle barche a vapore di 200 tonnellate, presa fuori de' tam- buri delle ruote, è di met. 11,50; dunque la larghezza del canale di met. 18 sarà sufficiente. (a) Relazione sopra lo stagno di Pisa. Rac. cit. Tomo 111 pag. 328. Foce del Tevere in Fiumicino 47 Rimane ora ad esaminarsi se la foce così ridotta abbia le proprietà che si ricercano per 1' ingiresso de' bastimenti, cioè se il canale, pel quale vi si en- tra, sia accessibile col maggior numero possibile di venti, e particolarmente di quelli che sono pericolosi nel nostro littorale, e che nella stessa direzione con- tinui ad aversi in mare il fondo necessario. Invano si spererebbe trovare in questa direzione ed in qua- lunque altra volesse darsene alle palafitte, e per con- seguenza al canale, una bocca di porto sicura per l'approdo dei bastimenti con qualunque grado di tem- pesta; imperocché lo sbocco de' nostri fiumi non si presta ad una comoda e sicura entrata come un gran- dioso porto di mare : ed in tali circostanze il Tevere sino ad ora vi si presta anche meno degli altri della stessa specie, potendosi applicare ad esso alcuni versi di Rutilio che il Zendrini citava pel suo Viareggio: Mira loci facies pelago pulsatur aperto, Inque oimies ventos liltora nuda patente Non ullus igilur per brachia tuta recessus^ Aeolias possit qui prohibere minas (a). Sono di ben alti o genere i mezzi per procurare un facile e sicuro approdo in ogni circostanza : ed io mi fo a suggerirli ne' seguenti articoli e princi- palmente nel quarto, ove verrà dimostrato, che con (a) Relazione che concerne il miglioramento dell'aria e la riforma del porto di Viareggio (Raccolta citala, Tomo X, pag. 36). 48 Scienze una semplice ed antica legge idrostatica ed una re- centissima applicazione di essa si risolve il problema fino ad ora insolubile, di avere^ cioè, convenienti porti di fronte agli sbocchi di fiumi torbidi^ ed in ispiagge sottili^ benché esse avanzino annualmente in mare. Intanto la nuova esposizione dell' imboccatura del canale sarà migliore di quella attuale. Abbiamo veduto che la foce di Fiumicino es- posta a ponente •|'* libeccio è soggetta ai dannosi ef- fetti dei venti nocivi, e contraria ai precetti ed alla pratica; e che il canale navigabile al di fuori di essa diverge sempre (meno in tempo di qualche piena, durante la quale non è più obbliquo) sulla deslra, e tanto che la estremità ne rimane quasi sempre pros- sima a maestro. Questo fenomeno rende assai peri- coloso l'accesso di Fiumicino, perchè i bastimenti per entrarvi debbono stringere di troppo il vento di tra- versia, ed avere a riva grande superfìcie di vele spie- gate che li espone a gravi avarèe, e ricevono i col- pi di mare a traverso o sia normalmente alla loro di- rezione ; né il fenomeno medesimo può mancare di aver luogo, attesa la cattiva giacitura delle palafitte: imperocché « contro le buone regole, tenendo più lun- ga la destra palata che la sinistra, il corso delle acque e della vera bocca, qualunque ella sia, si mantiene al pie di quella » («): e quindi, come si è di già os- servato, i vasti prani, che dalla sinistra verso la de- (a) Mari, Opera e tomo citato pag. 87. Foce del Tevere in Fiumicino 49 stia si estendono , obblijjano la corrente a volgersi sempre più verso destra (*). E siccome l'ingresso da me proposto sarebbe a ponente '[4 maestro, così è evi- (*) Ad Olila di queste patenti verità vi è ancora chi opina ( a danno del governo e del commercio, ed a scorno dell'arte) e vorref» be sostenere che più utille sia il maggiore sporgimento del l)raccio destro. Sembrerà impossibile, che per le disposizioni dei moli nel porto o foce di Fiumicino siasi praticato il contrario di quello che sì pratica in tutti i porti della stessa sua costituzione, e che in sì strano modo vogliasi continuare. Questa diversa disposizione dell'armatura della foce ivi pel pas- sato eseguita, tanto contraria ai principii della scienza ed alla natura del luogo, non si può altrimenti ripetere che dalla troppa fiducia che gl'ingegneri hanno data alle parole di uua parte dei così detti pratici del luogo. Questa classe di persone deve essere consultata , ma se manca di ogni specie d'istruzione o almeno di confronti non si deve senza discernimento seguirne il parere : quindi credo dovere del mio assunto riportare come dai medesimi si pensi rapporto al suddetto lavoro. Il Brighenti, che alla sua estesissima cognizione della teorica della meccanica de' fluidi accoppia quella di una consumata esperienza del lavoro in questione, non esitò ad opporsi al parere de' pratici ed a quello di qualche ingegnere con prolungare maggiormente il brac- cio di levante e non quello di ponente. Questa innovazione fece sollevare iu massa una gran parte di detti pratici , e fattosi compi- lare un lungo richiamo, vi si firmarono e crocesegnarono in numero «li 24 persone : richiamo rimessomi il dì 24 di dicembre 1843, cioè tre mesi soltanto dopo la intera costruzione del prolungamento sul la punta sinistra : anzi fui assicurato, che siffatto richiamo era sta- to umiliato un solo mese dopo l'eseguito lavoro ! Quindi questo pro- cedere ci fa vedere la poca circospezione nell'esporre il loro parere, sia per il breve tempo da che era stata eseguita la protrazione , sia perchè essi non possono citare l'esperienza : mentre, per (pianto si ricorda in iscritto ed a memoria , mai non fu protratto in mare il braccio di levante tanto quanto si protraeva più di questo il braccio G.A T.CVII. 4 50 SCIENZE dente che invece di aumentare il piegamento per la pratica della navigazione, io Io diminuirei di tre rom- di ponente onde potere stabilire un confronto sopra gli effetti dell' uno e dell'altro sistema. Analizzando poi la ragione esposta in detta supplica contra il lavoro del Brighenti, si resterà sempre più convinti del difetto in cui trovasi la pratica senza un elemento di teorica, o senza aver co- gnizione di quanto praticasi altrove per istabilirne almeno un con- fronto. Con sana critica il benemerito ed illustre Guglielmini ci ri- pete che la pratica senza la teorica è cieca-, e Tesperienza pur trop- po ci prova, che il disprezzo della teorica non è che una pretensione eccessivamente orgogliosa, la quale conduce ad agire senza sapere ciò che si faccia, ed a parlare senza sapere che cosa si dica ! Si legge in detti fogli che la imboccatura del Tevere si è resa oltremodo rischiosa, perchf; si è cresciuta la guida o braccio di levan- te: mentre tale opera deve essere in senso inverso, cioè più lunga quella di ponente; « e ciò per la fisica ragione ( sono queste le loro precise parole ) che inclinando la corrente del fiume verso ponen- » te ivi deve accrescersi la forza di resistenza, o sia prolungarne » maggiormente da questo lato le palafitte. » Questo ragionamento prova evidentemente la non conoscenza dell'ovvia legge del moto dell'acqua, la quale tende sempre ad appog- giarsi all'ostacolo verticale: cosicché il rimedio da essi consigliato 6 precisamente quello che produce il difetto che da loro si vuole cor- reggere. Ed in vero col prolungare maggiormente il braccio di ponente lasciando più corto quello di levante, la corrente del fiume deve sempre appoggiarsi a ponente, e sormontato che abbia l'ostacolo del- la guida, per quanto lunga essa sia, è costretta volgersi subito a maestro: perchè non trattenute le arene provenienti dalla fiumara grande, si avanzano verso ponente e ne sbarrano la foce: su di che ( é da notarsi ) convengono pienamente gli stessi pratici riclamanti: quindi in forza di una seconda legge sulle acque cori-enti , queste, come ho detto altrove, sono obbligate di volgersi a maestro, perchè ivi trovano minore resistenza. Foce del tevbre in Fiumicino 51 bi o quarte; il che non può tornare che a comodità de' naviganti, i quali avrebbero così un accesso più agevole e costantemente difeso dalla traversìa della Ma i pratici tutti non solo ammettono la provenienza delle are- ne dalla parte della fiumara grande , ma asseriscono e confermano di pili, che quando il buon tempo si prolunga molti giorni, s'innal- za maggiormente lo scanno o prano presso la foce dalla parte sini- stra, e che in questo caso la fossa si approfonda, e quindi il canale di navigazione migliora, ma al primo sconvolgimeuto del mare, alla prima tempesta, il canale subito peggiora. Questo fatto, che io stesso ho più volte verificato, viene sempre più in appoggio del Brighenti, in conferma del mio assunto , ed a condannare la opinione dei pratici reclamanti. E dì vero l' innalza- mento dello scanno è l'effetto de'uuovi strati di arena ivi depositati dalla corrente generale del littorale, che da scirocco porta a mae- stro, come ho dimostrato, e come tutti convengono. L'anzidetta cor- rente, incontrando per via le sospese torbe della fiumara di Ostia, ha forza per trasportarle : ma non avendone abbastanza da fare oltre- passare lo scanno alle dette arene convogliate, per l' intoppo che la corrente di Fiumicino e lo scanno stesso loro presenta, è obbligata a depositarle in gran parte sullo scanno medesimo. Questo effetto ripetuto per più giorni innalza talmente lo scanno, che facendo que- sto l'ufficio di una diga sommersa^ sempre più ritiene le arene ed au- menta in altezza. Ora la corrente del fiume appoggiata , ristretta e difesa da quella parte, scava la fossa e migliora il canale di naviga- zione. Al sopraggiungere della tempesta si rompe la diga, si sconvol- ge il recente e poco resistente lavoro della natura, le arene invado- no la fossa , la corrente del fiume presa di fronte si sparpaglia , perde la sua forza escavatrice, ed il canale di navigazione peggiora. Ma di grazia quel rialzamento dello scanno , quella specie di diga, quell'ostacolo infine che fa migliorare la bocca, che cosa è? Non è desso un imperfetto prolungamento del molo sinistro ? Con ciò la natura ad evidenza ci mostra che cosa dobbiamo fare; essa stessa ci chiama in suo soccorso per difendere il suo fragile lavoro dalla fu- ria delle onde; è dessa che vuole che si prolunghi la punta o guar- 52 Scienze spiaggia sino dentro al porto , ed eviterebbero due gravi pericoli che ai bastimenti presenta la direzione diano da questa parte, acciò il canale navigabile non peggiori nuo- vamente al ritorno del nemico. Sopra queste infallibili leggi, sopra questi chiarissimi fatti, che confermano quanto nel testo ho diffusamente riportato, è dunque ba- sata la semplicissima questione, cioè se l'una o l'altra delle due pun- te debba essere più prolungata in mare. Ebbene, vi è bisognato nien- temeno che tutta l'autorità di un Brighenti per correggere questo sagrilegio di arte: ma non fu sufficiente però a quietare i così detti pratici , ed ancora vi sono de' contrari ad una verità tanto mani- festa. Si potrebbero citare altri fatti di simil tempra, in cui i pra- tici gridarono a loro danno contra opere lodevoli ; ma questo solo basta per provare agl'ingegneri non perfettamente forniti della ne- cessaria pratica del luogo ove il lavoro viene loro affidato, che deb- bono regolarsi con circospezione sul parere di una certa classe di pratici del luogo stesso. Essendo ora scorso oltre un anno dalla costruzione del detto prolungamento di levante , si cercheranno da taluno gli effetti che esso ha prodotto. Giustissima ne è la ricerca ; ma è d'uopo ricorda- re, che la protrazione totale non t" stata più di 30 metri; che il brac- cio di levante si trovava indietro 25 metri da quello di ponente : che il prolungamento maggiore di soli cinque metri si deve consi- derar nullo in proporzione dell'aumento annuo della spiaggia di le- vante, e della massa delle flottanti arene provenienti dalla fiumara grande : e che , pel cattivo andamento del canale interno presso la foce, il filone si appoggia ancora alla guida di ponente. Quindi que- ste diverse riflessioni doveano annullare ogni beneficio che dal nostro infallibile principio dee risultare- Non pertanto la media profondità della fossa o canale fuori la bocca, se non ha migliorato nello stato ordinario del fiume, non ha peggiorato : anzi si è avuto nelle piene un fondo maggiore di quello che queste producevano prima della protrazione in questione, e si è per più tempo conservato nella di- rezione dell'asse dello sbocco. Cosicché essendo ora i guardiani, o punte delle palafitte, presso Foce del tevere in Fiumicino 53 attuale della bocca, e massime quando la fossa si trova nella stessa linea dei guardiani, cioè quello del gran bec- cheggio, e quello di dover tenere le vele in fil-di-rota. Per effetto del primo gli viene di molto diminui- to il già scarso fondo per l'incontro ad angolo retto de'flutti del mare colla corrente del fiume, ove s'in- nalzano non meno di due metri nelle ordinarie tem- peste: e trovando verso la foce minor fondo, si fran- gono ed investono con gran massa e forza ogni osta- che del pari sporgenti in mare e nella stessa cattiva direzione e lar- ghezza che aveano per lo passato, la questione dell'esperienza de'due sistemi resta sempre insoluta; ma i partitanti della prolungazione mag- giore del braccio di levante hanno le loro fondamenta basate sopra principii di scienza che ovunque i' esperienza ha confermati ; mentre quelli del partito opposto si trovano in contraddizione colla scienza, colla esperienza, e con quanto si pratica altrove per ottenere cogli stessi mezzi gli stessissimi effetti che si desiderano alla bocca di Fiu- micino. Conchiuderò col ripetere, che i pratici si devono interpellare , perchè da essi si possono avere preziose nozioni: e la nostra marina non manca di possederne degli eccellenti. Anzi mi unirò al citato Carlo Dupin, il quale mentre parlava alla camera de'pari per l'ingran- dimento e per la direzione da darsi alla entrata del porto di Havre, diceva che i marini rappresentano l'interesse il piii generale, ed anco- ra il più importante per tali lavori; ma vi è una immensa differenza da pratici a pratici. (Vedi il Rapport fait a la chambre des Pairs par M. le baron Dupin au nom d'une commission speciale chargée de Ve- xamen du projet de loi relatif à Vamèlior alien des ports » inserito negli annali marittimi e coloniali, numero di agosto 1844, alla parte scienze ed arti pag. 368. Oltre alla massima di sopra riportata , si trova in questo interessantissimo articolo confermato e meglio dimo- strato quanto ho detto essere applicabile al nostro porto di Civita- vecchia), (Vedi la nota mim.lO.) 54 Scienze colo che incontrano (a). Questa specie di mascheretto produce de' tristissimi casi. Molti se ne potrebbero citare avvenuti presso la foce di Fiumicino: ma ba- sti l'accennarne otto dei più recenti , ne' quali que- sto fenomeno esercitò i suoi funesti effetti, che possono esser tanto più frequenti, quanto è minore la quan- tità di acqua sopra i prani. Il di 2 aprile 1821 il pinco sardo, la Madonna del Carmine, capitano Fran- cesco Lotterò, carico di fava. La notte del 7 dicem- bre 1826 il paranzello pontificio s. Gaetano, capita- no Cristoforo Dimacco , carico di sale. Il 21 mar- zo 1833 il lento toscano s. Antonio, padrone Gio. Damerini, carico di grano. Il 13 maggio 1835 la barca napoletana s. Antonio, padrone Pietro Scar- pellino, carico di agrumi. Il 5 settembre 1840 il pielago pontificio, padrone Tommaso di Ianni, cari- co di generi diversi. La notte del 17 ottobre 1840 il bigolino toscano la Clementina, padrone .Lorenzo Tarabella, carico di marmi ed altro. Da questi nau- fragi fortunatamente si salvarono gli equipaggi, ma i bastimenti e i loro rispettivi carichi furono in un istante interamente distrutti. Altri due però non eb- bero la stessa sorte. Il 28 maggio 1825 di sette per- (a) n se forme alors une espéce d'onde tres-elevée, qui ne se sou- tienl que peu dHnstants; mais son cffet rapide est tei que, si un navirc se trouve à son passage sans y ótre preparò, e' est fait et du bàliment et de l'equipage, tout est englouti sans esperanse de voir rien repa- raitre (Lamblardic, Des canaux naturcls ou dcs fleuves et des rivieres. Premier cahier du journal politecniquc p 18). Foce del Tevere in Fiumicino 55 sone che componevano l' equipaggio della lancia in- glese della fregata la Naiade, comandante Spemer, uno soltanto si salvò. E il 7 giugno 1827 delle otto persone che erano a bordo del paranzelle da pesca, padrone Lorenzo di Giovanni romano , sei vi perde- rono miseramente la vita ! Colla direzione da me proposta non potrà più avere effetto sì dannoso fenomeno: poiché i più grandi flutti s'incontrerebbero con la corrente non più quasi direttamente, ma ad angolo di 45 gradi circa, e quindi in pari circostanza siffatta elevazione di flutti sareb- be assai minore dell'attuale, e per conseguenza poco sensibile il beccheggio, e quindi poca la immersione maggiore che prende il bastimento nella sua caduta. Pel secondo pericolo è dimostrato in pratica, che un bastimento col vento in filo rulla e mal governa, e le vele latine od auliche, di cui sono forniti i bas- timenti che fanno traffico sulle nostre coste, sono pe- ricolosissime in quella direzione, perchè facilmente tommano (6). Così tanto nel primo, quanto nel secon- do stato della fossa o del canale esterno, le avarèe, le perdite de' bastimenti e della vita degli equipaggi ne sono le conseguenze (a). Colla nuova direzione però il bastimento ne'tem- pi di tempesta viene ad entrare con vento gran-largo, (o) Neir antecedente pagina ho posto sott'occhio alcuni fune- sti casi cagionati dal mascherello ; ma oltre a quanto si è ivi ripor- tato, si potrebbe qui continuare la lunga e dolorosa serie degli altri naufragi, accaduti alla bocca di Fiumicino e nelle spiaggie adiacenti. 5G Scienze ha bisogno di poche vele, ed inchnandosi leggiermen- te sul suo fianco a babordo evita i beccheggi, le rul- late, le tommate, e governa bene. Sarà qui utile pel mio assunto ch'io istituisca un più esteso paragone tra il modo con cui imboc- cano nella foce i bastimenti, ora che la medesima tra i guardiani è a ponente ',4 libeccio, e il canale fuori di essa è rivolto a maestro, e l'altro con cui vi entrerel> bero se fosse stabilita a ponente » 1 4 maestro, che pu- re a sola parità di condizioni sarebbe da preferirsi, perchè almeno salverebbe in gran parte dall'ostacolo degl'interrimenti; ma spero dimostrare, che anche per le manovre di navigazione questo modo è da antepor- si al precedente. È noto a tutti i pratici, non potere un bastimen- to che navighi alla vela giungere ad un determinato punto, se spiri il vento dal rombo o quarta in cui quel punto è posto, ovvero almeno dai cinque rombi o quarte tanto a destra quanto a sinistra di questo, per potere avanzarsi contro vento. Per esempio, chi volesse andare a levante, non potrebbe riuscirvi, se soffiassero i venti da quel punto sino a greco i|4 tramontana, o a scirocco 'l'i ostro; e il solo modo di superare que- sta difficoltà è quello del bordeggiare, che ovunque è di molto ritardo alla navigazione, ed in alcuni luo- ghi è ineseguibile per mancanza dello spazio neces- sario, siccome per l'appunto in Fiumicino, ove di que- sto mezzo non può farsi uso per l' enunciato difetto cagionato dai prani qua e là esistenti. Foce del tevere in Fiumicino 57 Ciò posto, esaminiamo quali venti ora siano d'im- pedimento all'ingresso de'bastimenti a vela in Fiumi- cino , e quali il sarebbero con la nuova direzione e forma del canale già proposte. Fa d'uopo riflettere che la bocca di Fiumicino, essendo esposta a ponente '|^ libeccio, ed il canale al di fuori di essa divergendo sino a maestro, i bastimenti che vogliono entrare bi- sogna che non siano contrariati né dai venti che sì oppongono all'ingresso del canale, né da quelli che impediscono di entrare nella foce: e siccome i venti che respingono dal canale a maestro sono da greco levante, ad ostro- libeccio, e i venti che non permetto- no l'ingresso della foce a ponente 'I4 libeccio, sono quelli da tramontana 'I4 greco, a scirocco 'I4 ostro; così ne segue che 1 bastimenti non possono effettuare la loro entrata a Fiumicino ogni qual volta il vento spiri da tramontana ' I4 greco sino ad ostro-libeccio , cioè 17 rombi o quarte. Secondo la mia proposizione dovendosi difende- re la foce colle palizzate sino a che siasi rivolta a po- nente ' i^ maestro , ed il canale al di fuori avendo la stessa direzione, i bastimenti potranno essere con- trariati dai soli venti che si oppongono all'ingresso del detto canale: giacché una volta entrativi, possono essi considerarsi come in porto, o sia nella foce. Perciò sarà negato l'ingresso nel canale esterno e nella foce dai venti che procedono da greco ' I4 tramontana si- no ad ostro 'Ì4 scirocco, e non potrà aversi accesso a Fiumicino con questi venti, cioè 12 rombi o quarte. 58 Scienze Dunque mentre ora, avuto riguardo all'indispen- sabile deriva, si può entrare in Fiumicino coi venti da tramontana a libeccio ' |^ ostro soltanto, potrà allora entrarvisi coi venti da greco-tramontana ad ostro , rendendo così favorevoli cinque rombi , che prima erano tutti e cinque contrari. Dunque il proposto cangiamento torna anche ad evidente utilità e como- do delle manovre di navigazione. »^3Hae5« Foce del Tevere in Fiumicino 50 ARTICOLO II. SPURGO DELLA FOCE DI FIUMICINO DALLE BIATEBIE CHE LA INGOMBRANO, COL MEZZO DI MACCHINE E CON QUELLO DI DNA CHIUSA DI SCARICO. »^fVS85« I I mezzo, che più ovvio si presenta per ispurgare la foce di Fiumicino dagl' interrimenti , è quello di e- strarne le arene colla macchina pirodraia, della qua- le si è parlato nell'articolo secondo del secondo capito- lo. Ma la esposizione di quella spiaggia, e più parti- colarmente di quella foce, in cui ad ogni piccolo sof- fio di vento foraneo o sia dall'ostro-scirocco a maestro subito il mare si agita, rende pochi giorni dell'anno, e poche ore de'giorni, praticabile lo spurgo con pi- rodraie o con puntoni e simili. Quando però si voglia adottare questo mezzo, deve avvertirsi che lo scarico delle arene estratte, come si è fatto di già, venga eseguito in mare ad una giusta distanza dal lido, e sottovento alla foce dal corso ra- dente, e dai venti regnanti, acciò il mare non abbia a recarveli di nuovo: il che avverrebbe se a non mol- ta distanza e sopravvento si scaricassero. Ma più pro- fìcuamente potrebbero con esse colmarsi i piccoli pa- duli prossimi a Fiumicino: il che gioverebbe d' assai alla salubrità di quell'aria. Né il lavoro vi si potreb- be eseguire con vero frutto senza l'opera della barca a vapore, dalla quale, trattando della pirodraia, ho progettato di far rimurchiare i porta-fango destinati 60 Scienze a caricarsi delle materie estratte con quella macchi- na. Ivi diviene necessità un tal mezzo di trasporto se vogliasi procurare in esso tutta la efficacia dei lavoro medesimo, e scaricare le arene in luogo in cui non possano di nuovo recar nocumento; dappoiché i por- ta-fango a vela sarebbero costretti ad allontanarsene contro vento , e recarsi colà d' onde esso spira per non averlo poi contrario nel ritornare: senza di che il ritorno sarebbe a loro impedito almeno per molte ore, che in questo caso dovrebbero impiegare a bor- deggiare. Non avrebbero quindi in loro potere l'an- dare ove volessero , ma dovrebbero dirigere il loro cammino, e per conseguenza il punto di scarico, a norma del vento ; e quando i venti soffiassero dalla sinistra della foce, ivi sarebbero costretti di andare a scaricarsi, cioè sopravvento alla foce medesima e al corso radente: il che sarebbe di molto danno, sicco- me ho di sopra accennato. Mediante la proposta bar- ca si toglierebbe siffatto inconveniente ; perchè allo- ra, come ognuno intende, potrebbe determinarsi sem- pre a piacere il luogo dello scarico de' porta-fango. Se non che nello stato attuale del lido, aperto a tutti i venti, come di sopra ho detto, e in un fondo va- rio secondo il variare della corrente del fiume e del movimento ondoso del mare, questa macchina piro- draia ( e molto meno i puntoni o macchine effosso- rie sin qui in uso (7)) non vi si potrebbe, senza incomo- do della navigazione e pericolo della stessa macchi- na , tenere in azione quanto sarebbe necessario per Foce del Tevere in Fiumicino 61 un completo e continuato spurgo. Credo quindi che miglior partito sia quello d'investigare se abbiavi mo- do d'impedire che vi si formino que' cumuli di ma- terie ostruenti, e di seguire in tale investigazione parti- tamente le diverse cause degl'interrimenti cui la foce è soggetta, e ch'io ho enumerate nel precedente ar- ticolo: che è quanto dire quelli formati dal mare, gli altri che derivano dalle dune adiacenti alla foce, e quelli finalmente che depone la corrente del fiume a misura che spandendosi verso il mare perde la velo- cità che nel suo corso aveva acquistata. Così dovrà pure investigarsi se siavi modo di effettuare lo stesso spurgo con altro mezzo, e con poco o niun soccorso di dette macchine. Spero di aver dimostrato che gì' interrimenti formati dal mare, sia pel flusso, sia per le tempeste o pel moto littorale, vengono alimentati principalmen- te dalla grande fiumara di Ostia. Contro di essi adun- que, oltre a quanto si è proposto nell'antecedente arti- colo, si vorrebbe accorrere con un ostacolo che si op- ponesse al loro progresso prima che giungessero a Fiumicino. Quindi mi persuado, che se altro impe- dimento si opponesse a qualche distanza dalla foce di Fiumicino verso la fiumara grande, ivi aumenterebbe la spiaggia per lo arrestarsi dell'arena, che così non scenderebbe più a danneggiare la foce stessa: e perciò propongo di piantare una cordonata, o sia un pennello o guardiano sopravvento al molo sinistro di questa fo- ce, in direzione normale al lido, o meglio ancora in 62 Scienze tale direzione che formi un angolo di 45 gradi con quel vento che più degli altri spinge verso la foce le acque del mare cariche di arena («), nella distan- za e della lunghezza che in seguito di attento studio sulla costituzione della spiaggia e sul giuoco del mo- to ondoso del mare e della corrente littorale si ri- putassero convenienti. Il Zendrini, già da me più volte citato, suggeriva tale espendiente pel porto di Viareggio (b) ; il Poleni , il Boscovich , il Mari ed altri lodano (forse anche di troppo) un tale rimedio per arrestare il corso di quelle materie che vengono ad ingombrare la bocca de'porti (e). Ed il già lodato (o) Lamblardie ingenieur des ponts et chausseés « Memoire sur Ics còtes de la haute Normandie ce au Jlavre 1789. § 69. pag, SO. (&) Il Zendrini opinava che la cordonata presso il porto di Via- reggio dovesse essere distante per metri 430 dai moli, e lunga me- tri 110. (Rao. cit. Tom. X. pag. S8.) (e) Boscovich , Del porto di Rimini. Raccolta ec. Tom. VII , pag. 398; e nelle, Riflessioni sulla relazione del sig. ab- Ximenes ap- partenente al progetto di un nuovo Ozzeri nello stato lucchese, fa un gran conto dei guardiani posti sopravvento ai porti. Il Mari ancora molto favorevolmente si estende su questo arti- colo nell'opera citata alla lezione 20. Per taluni però non sarà qui superfluo osservare col Tadini che « il movimento dc'sahbioni è come una corrente di acqua, se a questa viene sbarrato con chiusa il canale , s'interrompe per breve tempo il suo corso , finattantochè alzandosi essa superi la sommità della traversa: superata la quale, si continua il primitivo moto come se la chiusa non esistesse. In simil guisa la palizzata arresta il corso di una mano di sabbioni, (ìnchò questi ad essa addossandosi superi- no la sua estremità: dopo di che proseguono come prima da sinistra a destra il loro cammino, nulla pii\ giovando a trattenerli la supera- ta palafitta •> {Di varie cose alla idraulica scienza appartenenti. Ber- Foce del Tevere ìn Fiumicino G3 nostro ispettore Brighenti (cui proposi questo mio divisamento per Fiumicino ) nell' approvarlo mi ha pure suggerito di formare una sentina di spurgo col- la pirodraia tra l'anzidetta cordonata ed il molo sini- stro, collo scopo di mantenervi un profondo bacino, in cui le arene abbiano agio di depositarsi senza più nuocere alla foce: aggiungendomi di avere con buon successo sperimentata la efficacia di questa pratica di spurgo presso Rimini, ed essere stato adottato egual lavoro per Sinigallia (a). Il contro-molo da me pro- posto a pag. 41 favorirà moltissimo questo sistema di spurgo. Dai gagliardi venti che soffiano sul lido di Fiu- micino vien pure trasportata in quella foce molta co- pia delle mobilissime arene che formano le vaste du- ne o tumuleti circostanti alla foce medesima, e più sul sinistro che sul destro lato di essa: perchè ivi il vento di scirocco trova un gran tratto di spiaggia arenosa, che in ogni anno vi cresce di base e di al- tezza, A questo danno, che quantunque inferiore agli altri cui la foce è soggetta, non è però di lieve con- gamo 1830 pag. 238.) Il che ci mostra la necessità di una continua protrazione, la quale può essere solo ritardata con degli spurghi mec- canici, o meglio ancora coU'allontanamento dello sbocco del ramo di Ostia. (a) Sono già molti anni che il ricordato chiaro autore raccoman- dava questo « artificioso ritiro delle spiagfjie intorno alle fociw. [Sitile comunicazioni per acqua e per terra della provincia metaurense e del distretto di fìimini). Esercita/ioni agrarie citate. Pesaro 1829. An- no I, Sem. I, pag. 22. 64 Scienze to siccome potrebbe sembrare («), servirebbe di ri- paro una piantagione di tamarischi, di pini, di giun- chi marini e di più sorti di vepri, la quale mentre im- pedirebbe al vento di portar le arene nella foce, ren- derebbe più pura l'aria, e più aggradevole la vista ora desolante di quell'arido lido. Le arene in fine che depone il Tevere nella sua foce verranno diminuite dai lavori da eseguirsi nel fiume. Lo scopo de'medesimi dev'essere quello di ri- durre al minimo possibile i movimenti delle materie prodotti dalla forza delle acque. Il che si ottiene conser- vando, ciò che ora non si fa, le ripe nelle quali la cor- rente esercita vasti corrodimenti e ne porta via molta torba; tessendo e mantenendo le palafitte nel canale di Fiumicino (o meglio ancora formando i moli murati, come ho detto nel capitolo secondo dell'articolo primo, e come chiaramente ci consiglia il Boscovich (6) ) in gkiìsa. che l' acqua del fiume non possa entrarvi ed uscirne a suo arbitrio, come adesso accade, non sen- za detrimento del canale , perchè a poco a poco si formano delle cavità o corrosioni, d'onde l' acqua esce carica di materie che poi va a deporre nella foce ; e costringendo colla proposta direzione delle palafitte medesime la corrente a depositare lungi dal- la punta di esse le arene che seco reca, in luogo ove (a) BeWdor, Jrchitecture hydraulique, T^urteìl lib. 2 cap. 1 § 438. Sganzin, Cours de construction, enrichie par Heibcll, Tom. Ili, p. 238 eseguenti. Paris 1841. (6) Del porto di Rimini, Rac. cit. T. VII pag. 300. Foce del tevere in Fiumicino 65 non potranno essere di nocumento alla navigazione, cioè ove il fondo non è più scarso; perchè l'azione della corrente stessa, quando questa sia ben diretta, si manterrà efficace sino ad una sufficiente disianza dai guardiani. Non credo però che l'aumento di velocità, che può procurarsi alla corrente del fiume colla migliore forma e direzione de' moli lungo il canale interno, possa esser tale da far sì che la corrente medesima valga assolutamente e costantemente a sgombrare la foce; perchè non molto si accrescerebbe la velocità media del corpo totale del fiume ; e perchè , come osserva il padre Boscovich (6). (o) Boscovich, Del porto di lìimini. T. VII, pag. 360 della ci- tata raccolta. [b] Guglielmini, Scriltura XIF sopra vari progetti fatti per la diversione del Reno. Rac. cit. Tom. II, pag. 159. Zanetti, Ragiona- mento sopra la disposizione dell'alveo de' fiumi verso lo sbocco in ma- i-e. Rac. cit T. VII, pag. 33. Foce del Tevere in Fiumicino 67 Ed infatti generalmente nelle grandi piene del fiume vediamo che la maggior massa di acqua, unita alla velocità maggiore da cui allora è essa animata , produce un beneficio nel fondale della bocca, della durata invero non più lunga della piena stessa. Que- sta osservazione suggerì il partito di procurare una costante piena nel ramo di Fiumicino : quindi si pensò a proporre una traversa o tassatore nel ramo di Ostia presso Capo due rami, il quale per prima pro- va fosse alto non meno di met. 0, 50, sbarrando ob- bliquamente l'intera sezione del detto ramo, e por- tando alla metà della massa totale dell'acqua del fiu- me quella che dovrebbe divergersi per Fiumicino , mentre ora è un terzo. Io rispetto altamente questa proposizione, e per- chè fatta da grandi ingegni, e perchè credo che con un tal espediente si otterrebbe la incisione della fossa fuori la foce di Fiumicino. Considerandola però spe- cialmente sotto i rapporti della pratica della navigazio- ne, è mio avviso che meriti essere per lo meno assai modificata : e questo mi fo ad esporre, poco adden- trandomi a discuterla sotto gli altri rapporti, per esser esso un soggetto assai difficile a trattarsi , a detto anche del notissimo abate Ximenes, che in un caso simile scriveva: « Niun problema è così incerto ed oscuro come lo è il presente: giacché le soluzioni, che di esso abbiamo, si allontanano talmente dalla verità, che non può farsene uso veruno nell'arte idraulica ». Il qual difetto più recentemente è stato confermato 68 Scienze anche dall' autorità di Prony, il quale ci dice: « Que lorsque le systéme fluide eprouve des changemenis brus- ques, la rapidité des transictions rend ires-di/fteile la recherche mathematique de Vinfluence que''elles ont sur les ììiasses fluides » {a). Adottando così assolutamente il partito di que- sto tassatore , io temerei in primo luogo che la sen- sibile diminuzione di acqua, che ne seguirebbe nel ramo di Ostia, fosse per piodurvi un'aumento di de- posizioni. Poiché rialzato il letto di quel tratto princi- pale del fiume , il quale come tronco maestro è ne- cessario che goda sempre condizioni assai più vantag- giose al suo corso^ e tolta alle acque del medesimo una parte della forza che gli è necessaria per tenersi aperto un adito nel mare, esse sarebbero obbligate ad abbandonare il vecchio letto e volgersi tutte nel ra- mo secondario di Fiumicino, o spandersi nelle adia- centi campagne, ove ne sorgerebbero poi delle paludi nocive all'aria che già vi si respira infetta; nella quale idea mi confermano le relazioni che si hanno di fatti sìmiglianti (6). In secondo luogo credo che racco- (a) Ximenes, Intorno agli effetti che fanno nelle piene di un fiume i nuovi ostacoli collocati attraverso al suo fondo ce. Rac. cit. T. Vlf, pag. 493. Prony, Formules pour calculer ks hauteurs des remours oc- casionés soil par des rétrécissements, soil par des barrages eie. Jn- nalcs des ponts et chaussées, numero di marzo e aprile 1835. (b) Guglielmini, Natura de^fiumi. Raccolta citata T. I, cap. Vili, pag. 226. Lecchi, Storia dell'antico corso de'tre torrenti ec. Cap. III. Race cit. T. VI, pag. 368. Lorgna, Discorso intorno al riparare dalle inondazioni dell' Adice la città di f'crona. Race. cit. T. XII pag. 12. e seguenti. Foce del tevere in Fiumicino G9 (jliendo maggiore quantità di acqua nel ramo di Fiu- micino per diminuire gl'interrimenti alla foce, s'im- pedirebbe la navigazione che è il principale soggetto che si vorrebbe favorire. Coll'attuale direzione, lar- ghezza e disposizione dell'armatura della bocca, au- mentando di poco la massa di acqua che ora vi cor- re, non si potrebbe al certo ottenere l'efFetto della ri- cercata escavazione alla foce stessa; e portando que- sto aumento alla quantità sufficiente per far acqui- stare alla corrente tanta velocità o forza che bastasse alla desiderata escavazione, il canale dalla imboccatu- ra sino a Capo due rami^ non credo che sarebbe più navigabile a cagione della soverchia resistenza che già vi s'incontra, prodotta dalla molta pendenza che ha la superfìcie dell' acqua e per la ristrettezza del canale. E mentre che nel resto del fiume nei trat- ti di soverchia pendenza generalmente questa dimi- nuisce col crescere della piena, nel canale fra Capo due rami e Fiumicino aumenta moltissimo : quivi l' aumento della sezione si fa tutto in altezza, essendo ver- ticali le ripe. Ora, come è ben noto, la superficie della massima escrescenza deve spianarsi allo sbocco colla superficie del mare, a cui parimenti si unisce la su- perficie del pelo basso del fiume: così l'angolo d'in- clinazione sarà in quel tratto, di sole tre miglia, pro- porzionale all' aumento d'altezza dell'acqua all'adito di Capo due rami^ e la velocità dovrà regolarsi colla pen- denza della superficie , come stabilì pel primo l'im- raortal Galileo, dicendo che non è la pendenza del let- 70 Scienze to, o del fóndo del canale^ quella che regola il movi- mento delVacqua, ma quella della superfìcie (a). Enor- me poi sarebbe la spesa se si volesse allargare la se- zione acciò l'acqua si spandesse più e più verso gli orli delle ripe, ed allungare il canale onde evitare il citato grave inconveniente che ne risentirebbe la na- vigazione; tanto più che una gran parte del medesi- mo si trova avere le ripe di muro. Ma l'allargamento ed allungamento dello stesso canale, nel diminuire sensibilmente la velocità della corrente, diminuirebbe ancora la potenza escavatrice sul prano della bocca: quindi il sagrificio di una tanta spesa menomerebbe da questa parte l'effetto che si ricerca. Benché dunque si debba lasciare il canale pres- soché nel suo presente stato, perchè minima sia la spe- sa e massimo il beneficio alla foce, non pertanto per ottenere un congruo fondo di quattro metri nella en- trata della bocca di Fiumicino (6) sarebbe d'uopo di (a) Lettera a Raffaello Stacco! i , Sopra if/ìume Bisenzjo. Rac. cit. T. Ili pag. 122. (b) In oggi sono rarissime le circostanze, nelle quali possa entra- re nel porto un bastimento di cento tonnellate senza alleggerire fuori della bocca. I bisogni della capitale e l'utilità del commercio richieg- gono che in Fiumicino possano entrare, nei tempi di mare calmo, de bastimenti con pieno carico di duecento tonnellate. Ora un bastimen- to a vela di 200 tonnellate pesca 3 met. 80; una barca a vapore del medesimo tonnellaggio immerge metro 1,80; dunque mentre per la se- conda sarebbe sufficiente una profondità di due metri, pel primo è in- dispensabile averne una di 4 met. Questo fondale però nelle circostan- ze di mare agitato non è ivi più sufficiente per un bastimento di 100 tonnellate soltanto. Foce del tevere in Fiumicino 71 rilevantissimo aumento di velocità nell'acqua, mentre non basta, come osserva il Chiesa, che il fiume corra ricco^ ma è bensì necessario che cresca di molto la sua acqua per procurare a quella foce un fondo che supe- ri soltanto gli otto palmi (met. 1,78) (a)", e che sia così la esperienza giornaliera ce lo conferma. Non ho man- cato in questi due anni tener conto dell'altezza delle piene che sono accadute, e di essere informato del loro effetto alla foce. Il risultato di queste osservazioni si è, che non sempre migliora la bocca di Fiumicino a ca- gione delle piene, e che in alcuni casi neppur le più forti vi producono un beneficio, allargandosi soltanto la fossa o il canale fuori della foce, piuttostochè profon- darsi. Il citato sig. Nocella che ivi risiede, e che in mia assenza ho incaricato di tali ricerche, recentemen- te così mi scrivea: « Nonostante la gran pienara, che al ponte di barche ( cioè a met. 880 dalla foce ) ha aumentata l'altezza dell'acqua met. 1,15 (e all'idro- metro di Ripetta met. 13,85, cioè met. 8, 05 sopra la magra ordinaria ) ed il mare grosso che fece ieri, la bocca non ha ricevuto alcun beneficio : e questa mattina portatici a scandagliare abbiamo rinvenuto con acque piene sette palmi e mezzo napoletani (pari a metro 1, 97): il canale è nuovamente per la guida di ponente, e da levante si è riformato un prano, in cui sono cinque palmi scarsi. I prani sono fuori della punta 180 passi » (ciò che prova che la pienara gli ha soltanto allontanati dai guardiani ). (o) Opera citata sulle inondazioni del Tevere, pag. 26 e 27. 72 Scienze Questi falli trovandosi in opposizione con quelli che si verificano negli altri porti-canali, ove anche le piccole piene riescono giovevoli, e molto più anco- ra quando sono secondate dall'azione delle onde, le quali non possono a meno di produrre sul fondo un'azio- ne proporzionale alla loro altezza ed alla mobilità del- le materie che compongono il letto medesimo («), io ritengo che ciò provenga dall'essere la bocca di Fiu- micino diretta ai venti per essa nocivi; di non avere il braccio più lungo dalla parte onde soffiano que'ven- li, e di avere l'armatura della medesima a foggia di cono troncato a metri 130 dai guardiani colla base volta al mare, nel rapporto di 23 a 1 8, come ho dimo- strato neir antecedente articolo alla pag. 249. Assai grande dunque dovrebbe essere l'aumento di velo cità per ottenere il ricercato beneficio; ma un tanto aumento opporrebbe gravi difficoltà e pericoli allo ingresso de'bastimenli nel canale, ed in un gran nu- mero di casi lo renderebbe anche impraticabile, co- me avviene ora in circostanza di piene, sia per la gran forza della corrente che respinge i bastimenti , sia perchè questa, urtando direttamente con mollo impeto nelle onde del mare, le innalza notabilmente anche ne' tempi quasi tranquilli, e produce i danni che abbia- mo notati alle pagg. 52 e seguenti. Tale aumento di velocità sarebbe tanto più sen- sibile nel tratto vicino alla catena di porlo^ ove per la (a) A. E. Lambardie , Canal maritime de Paris au ìlavre. Observations sur une mémoire de M. Paltuz. Paris 1826 pajj. 13. 169. Foce del Tevere in Fiumicino 73 rimonta de'bastimenti nello stato presente abbisogna una forza che ecceda il doppio di quella necessaria nel rimanente del fiume, come ho accennato alla pa- gina 22, cosicché vi vorrebbero allora de' rimurchia- tori di una potenza tripla e anche maggiore, oltre quel- la che in oggi è sufficiente, o si vedrebbe « le curieux spectade de hateaux a vapeur trainés dans desrivie- res par des chevaux et quelquefois par des boeufs » (a) ch'io ho veduto sulla Senna e sul Rodano per difetto però naturale del fiume che l'arte si occupava di cor- reggere, ma non già di aumentare. Ricordasi poi che ad ogni leggiera piena vedevamo in tempo de'bufoli sospendere l' alaggio in quel tratto di fivime cioè da Fiumicino a Capo due rami^ mentre avrebbe potuto rimanere nel tronco da questo punto a Roma; e si noti che anche adesso nelle piene ordinarie si può con istento superare il tratto medesimo rimurchian- do un solo bastimento; mentre nelle stesse circostan- ze da Cajìo due rami a Roma, se ne possono rimur- chiare due o tre. ( Vedi la tavola prima.) Per la discesa poi i danni sarebbero anche peg- giori. La grande velocità che i bastimenti acquiste- rebbero in quell'angusto tratto di canale, velocità sensibilmente maggiore a quella della corrente pro- dotta dal principio fondamentale del moto uniforme, come ot^servano Du-buat e Tadini e come dai pratici (a) Pellet-Will , I>e la dcpcnsc et produit des canaux ec. Paris 1837, pag. 280. 74 Scienze è riconosciuto (a), comprometterebbe moltissimo la loro sicurezza, ed un naufragio che ivi accadesse in- tercetterebbe per gran tempo la intiera navigazione. Conservando peraltro al canale di Fiumicino la presente quantità di acqua che convoglia, l'arte (dirò con Zuliani) l'arte deve preparare al medesimo Io sbocco conveniente, e poscia dalle forze delle sue acque unite, sostenute e riparate, attenderne il man- tenimento. Quindi se delle piene artificiali e locali in mancanza delle naturali si credessero, come a me paiono, vin espediente opportuno da unirsi agli altri beneficii che l'arte suggerisce per migliorare la foce di Fiumicino, e che in questo scritto ho procurato di accennare, sarei di avviso, che presso la foce stessa, per esempio alla sanità^ o più vicino al mare che sia compatibile colle occorrenze della navigazione, si do- vesse costruire un sostegno o chiusa semplice di spur- go o scarico (ecluse de chasse) da aprirsi ad inter- valli nelle ore del riflusso, o sia della bassa marèa del nostro lido (quando però non fossero per approdare de' bastimenti nel porto ) per conseguire nella fossa dello scanno subacqueo presso la foce , mediante il (a) Du-buat, Principes di'hydrauUque et de pyrodynamique. Paris 1816, §. 220 e 221. Tadini, Di varie cose all' idraulica scienza ap- partenenti: Bergamo 1830 a pag. 92, cosi scrivea: « Quando una bar- ca discende per un fiume , le parti solide di essa e del suo carico non sono suscettive delle onde intestine come le parti fluide dell' acqua che la barca circondano; perciò l'acqua fa per le onde perdita di moto, non la barca ; quindi si vede sempre la barca correre più veloce dell'acqua che la porta. Fenomeno non mai da altri spiegato.» Foce del Tevere in Fiumicino 75 violento sbocco delle acque così rattenute, un bene- fìcio anche maggiore di quello che le naturali piene del fiume vi potessero procurare senza però sentire gl'inconvenienti delle piene medesime. <• Levandosi l'ostacolo alla foce, dice Guglielmini, l'acqua tratte- nuta in maggior altezza di quella che conviene alla sua quantità, acquista considerabile velocità; perciò tutta la materia deposta s'incorpora all'acqua, e viene portata al mare (a). » Difatto la grande e subitanea affluenza della piena artificiale, portando nello sbocco un monte d'acqua, deve esercitare col suo peso un' azione obbliqua e progressiva sul fondo che lo sov- verte, e scava come fa l'aratro: perchè le due forze, di cui è animata 1' acqua , l' una parallella e l' altra perpendicolare, si risolvono appunto nella diagonale inclinata sul fondo stesso. Il Mari fissa per principio dimostrato dall'esperienza, che i fiumi soggetti a pie- ne hanno il loro scarico in mare non già spianandosi sopra il pelo di esso, ma insinuando le loro acque sotto il pelo (&). Per mezzo di questo espediente nei porti canali dell'Oceano si ottiene mirabile effetto; che anzi l'ingegnere Lamblardie padre dimostra essere il miglior mezzo per conservare espurgati quei porti (e). Nel Mediterraneo però sì grand'eflfetto non può spe- rarsi, perchè la bassa marèa non lascia come colà il (a) Guglielmini, Natura de'fiumi. Rac. cit. T. I, cap. Vili pag. 227. [b] Opera citata T. I, pag. 37. (e) Opera citata pag. 33. 70 Scienze porto a secco, ove tutto l'impeto nascente dalla velo- cità della corrente, dovuta all'altezza dell'acqua con- servata, ha tutta la efiicacia di spurgare il canale : mentre nel caso nostro viene considerabilmente dimi- nuito dalla inerzia del nappo inferiore dell'acqua* Non pertanto non potrà mai mancare quell'effetto che il Castelli ricavava dal togliere 1' ostacolo che la furia del vento di libeccio opponeva alla bocca di fiume morlo^ cioè allargar la bocca con fondo notabile', così non potrà mancar di verificarsi (\\xe\V energico effetto che produce in un fiume in acque magre una piena subitanea, come nota il Mengotti. Ed il Poleni, dimo- strata la necessità di coadiuvare con arte gli sbocchi de'' fiumi.) si compiace riflettere che una cataratta (detta volgarmente porta ) o altro genere di artificiosi emis- sari., da aprirsi o chiudersi secondo il bisogno , non potrebbero mancar di queHali bencfìcii., che si aspet- tano dall'accresciuta velocità : cos'i pure il Zendrini propone pel porto di Viareggio un sostegno , il quale aperto sarà un non mediocre impellente per lo scavo della foce (a). Questo infallibile principio è quello in fine , che guida i nostri idraulici nel migliorare la bocca de 'porti a canale dell'Adriatico. Quindi, osserverò coll'ingegnere Mercadier: « Se (a) Castelli, Lettera al mollo rev. p. Francesco eli s. Giuseppe. Rac. cii. T. Ili, pag. 21S. Mengotti, Opera citata. Rac cit. T. XI, pag.90. Poleni, Del moto misto dell'acqua. Rac. cit. T. VI, pag. Io e 99. Zen- drini, Relazione che concerne il miglioramento delVaria e la riforma del porto di Viareggio. Rac. cit. T. X, pag. 50. Foce del Tevere in Fiumicino 77 la corrente avesse una gran velocità, come quella che si ottiene dalle chiuse di scarico, impedirebbe colla sua impetuosità che i banchi di sabbia venissero ad imbarazzare la sua via almeno sino ad una gran di- stanza dalla foce, e facilmente distruggerebbe la mag- gior parte degli ostacoli che vi potrebbe incontrare. Si sarebbe molto felici (egli conclude) se di tempo in tempo si potesse far agire una simile corrente per qualche ora alla bocca di un porto del Mediterraneo. Servirebbe con successo per aprire o disbarazzare il canale. L'alte marèe ne' porti dell'Oceano facilitano l'uso di questa sorta di chiuse, le quali non si po- trebbero caricare o riempire nella spiaggia del Me- diterraneo, che col soccorso di qualche vicino fiume bene incassato, o di qualche canale i cui bordi fos- sero molto elevati. Egli è un peccato che si trascu- ri di usarne , potendo , negli sbocchi de' fiumi che dalle sabbie vengono ostruiti. » Questo stesso mezzo molto prima del Mercadier veniva consigliato anche dal Tardif. Col buon regolamento dunque (conchiu- derò io colle parole del Zendrini ) col buon rego- lamento delle acque interne, con quello de'moli, nel modo che si è detto, si deve sperare di tener la fo- ce con una congrua profondità (a). (a) Mercadier, lìccherches sur Ics ensablemens dcsports de mer,ec. Monpellier 1788, §. 100, 101 e 263. Tardif, Nouvclle mcthode d' en- cassement dans les rivicrès, dans la mer, ec. Paris 1757. Texte de la jilaiiche 32. Zendrini, Opera e tomo citati sul porto di Viareggio , pag. 33. 78 Scienze A rendere sempre più efficace l'effetto della sud- detta chiusa stabile, e vincere per quanto si può col- l'arte la non favorevole natura del luogo , sarei di avviso che nelle epoche di minor profondità nella fossa fuori della foce, utilmente sarebbe applicata, in continuazione dell'armatura della foce stessa verso lo scanno, una seconda chiusa di spurgo ambulante, della quale ho parlato nell'articolo 2 del II capitolo, con delle modificazioni all'applicazione che ne fa il citato Borrel, volute dalla località, e da manovrarsi contem- poraneamente alla prima. Come ancora utilissimo sarebbe in simili casi l'arare il prano col mezzo del riccio proposto alla fine dell'articolo suddetto, onde facilitare sempre più alla corrente la escavazione del medesimo (a). Coll'artifizio della proposta chiusa di spurgo fissa, mentre non verrebbe diminuito il corso del ramo di (a) Borelli, 5opra la laguna di Venezia. Rac. cit. T. Ill^ cap. V, pag. 296. Zendrini, Opera e tomi qui sopra citati pag. 83 e S4. Une observalion importante, sur la quelle Von doit revenir, c'cst que Con aidera puissamment V action des chasses sur les alluvions , partieulièrement sur celles en graviers et sahle, en la faisant precè- der par des appareils qui en labourent les massifs en auamentant Ics surfaces apparentes et empéchent ainsi Ics caux de giisser dessus. Belidor recommande avec raison (pag. 387. Tom. Ili, De l'ar- chitecture hydraulique ) de subdiviser les pouliers et bancs par des li- gnes de clayonnage à faux [rais, et de diriger d' abord les chasses dans quelques-uns de leurs intervalles, pìiis sur les reliefs qui resteront intermediaires ( Sganzin, Opera citata, arricchita da Reibell. Parigi i841. Tom. Ili, pag. 28.) Vedi ancora quanto ho riportato alla nota num. 7. Foce del Tevere in Fiumicino 79 Ostia, e perciò non si esporrebbe questo ai danni di sopra accennati, si conseguirebbero invece pregevo- lissimi vantaggi. Sarebbe tolta a piacere la esistente soverchia velocità dell'acqua nel tratto da Capo due rami al detto sostegno e alla foce: la quale velocità è, come dicemmo, incomoda e pericolosa alla navi- gazione: il porto di Fiumicino acquisterebbe una delle principali buone qualità che si richieggono, cioè che non vi sieno correnti che ne rendano periglioso l'ac- cesso (a) ; poiché , ripeto, i bastimenti entrerebbero senza l'ostacolo della corrente, cioè quando il sostegno fosse chiuso; la necessità delle frequenti e grandi pro- trazioni delle punte verrebbe molto diminuita, per- chè quanto più la potenza dell'acqua avrà forza di agire sullo scanno, tanto meno sarà il bisogno del loro prolungamento : l'effetto di escavazione alla foce sa- rebbe il massimo che con tale sistema si potesse ot- tenere, per la prossimità della sortita dell'acqua dalla chiusa alla foce nell'epoche le più favorevoli, e pel sensibile aumento della sua massa che, come vedre- mo, può secondo che si voglia aversi maggiore o mi- nore. Si vedrà quindi anche in Fiumicino verifica- to il benefìcio espresso nel detto che corre in ogni bocca di marinaio, cioè <( gran laguna fa gran porto ». Vivo sicuro che senza anche il sussidio della chiusa ambulante, la velocità dell'acqua sopra il prossimo e più nocivo prano sarà sempre maggiore di un metro (a) Belidor, Opera citata, parte II, lib. 3, cap. 4, §. 689. 80 Scienze per secondo di tempo : il che, ci dice 1' ingegnere Friniot, è suificiente per la escavazione delle sabbie line, così nelle piccole, come nelle grandi profondi- la (a\ e tuttociò mediante una modica spesa, poiché ritengo che questa chiusa semplice non abbia a co- stare oltre a un terzo di quella del tassatore, che si stimava essere di scudi ventinovemila. Due obbiezioni è d' uopo notare, applicabili en- trambe tanto al sistema della chiusa di spurgo, quanto a qviello del tassatore: cioè i depositi che vi farebbero superiormente a quest'ostacolo le torbe del nostro Te- vere, e il disturbo che cagionerebbero le sue acque quando si dovesse costruire e poi riparare il manu- fatto. Per la prima obbiezione riferibile alla nostra chiusa amovibile, cioè che si apre e chiude, si fa osser- vare che l'alzamento del fondo prodotto dai suddetti depositi non sarebbe tanto grande, quanto sulle prime potrebbesi credere: anzi secondo il Guglielmini, veri- ficandosi nel caso nostro l'istesso effetto prodotto dal riflusso del mare alle foci de'fiumi • « perciò tutta la materia deposta di nuovo s'incorpora all'acqua, e viene portata al mare » (6). Oltre a ciò posso anche ricordare che le acque non si depurano così prestamente dalle arene : e ciò viene provato dagli esempi e dalle di- (a) Frimot, Memoìre sur l'etablissemcnt d\mc navigation a grand tirant d'eau, entre Paris et la mei par la voie fluviale. Paris 1827, pag. 57. (b) Della natura de'fiumi. Rac. cil. T. I, cap. Vili, pag. 227. Foce del Tevere in Fiumicino 81 mostrazioni che ha registrate l'ingegnere Minard (a); ma poi per quanto fosse grande l'alzamento medesimo, ottenuto che si fosse coll'effetto della chiusa di scarico e della sentina lo spurgo necessario alla foce di Fiu- micino, la pirodraia che sarebbe stata destinata a questo spurgo passerebbe a lavorare anche nel canale fra il sostegno e Capo due rami ove si manifestassero de' banchi di arena; e il prodotto del suo lavoro sarebbe molto maggiore di quello fuori della foce, perchè tran- quillamente vi lavorerebbe, e volendo anche di notte, come si fa nei luoghi di molto commercio per non incomodarlo; e la quantità di materie ivi deposte dal fiume e, come si è detto, colla pirodraia escavate, sa- rebbe una favorevole sottrazione a quelle che andreb- bero a depositarsi alla foce: quindi non solo si avrebbe un effetto maggiore di spurgo, ma anche una dimi- nuzione di materie ostruenti la foce stessa, e si forme- rebbe del tronco di Fiumicino un placido canale di diversione. Queste materie poi si potrebbero deporre negli adiacenti acquastrini con grande economia di spesa di trasporto, con molto miglioramento dell'aria e con guadagno de' proprietari de'terreni. Per la seconda obbiezione è da riflettere, che i lavori di costruzione e di manutenzione della chiusa sarebbero più facili di quelli che occorrerebbero pel tassatore, e che non mancano fra noi cognizioni ed esperienze per essere sicuri della buona riuscita de'la- vori medesimi. In Carletti, in Belidor, e più recente- (a) Cours de construcltvn ec. Paris 1841, pag. 104. G.A.T.CVII. 6 82 Scienze mente in Beaudemulin, ove sono notati i moderni pro- gressi che la teorica e la esperienza hanno apportato a tali sistemi di costruzione , troviamo un gran nu- mero di esempi di porti canali nell'Oceano, che si ser- vono delle acque de'fiumi per le loro chiuse di spur- go (a) : e ne deduco che non sia difficile di mante- nere questa specie di manufatti. Premesse queste idee generali, non lascio di no- tare alcune condizioni principali da aversi in vista per ottenere gli enunciati vantaggi da una chiusa di spur- go alla foce di Fiumicino. 1." Le dimensioni della chiusa dovranno dipen- dere dalla sua distanza al solito prano che sbarra l'en- trata nei guardiani, perchè quanto più lontano è il sostegno, tanto maggiore quantità di acqua è neces- saria; dalla larghezza del canale, dalla chiusa alla foce, perchè quanto è più stretto, tanto maggiore è l'effetto della corrente che vi passa; dalla quantità delle mate- rie che si conosca essere solito depositare il mare; dal- l'altezza dell'acqua che trovasi sul prano stesso; dalla profondità che si vuole mantenere nella fossa; e dalla grandezza in fine de'bastimenti che debbono risalire il fiume. 2." Dovrà esistere un rapporto fra le dimensioni dell'apertura per lo sbocco e quella della serra; men- (a) Carletli, Istituzioni di architettura idraulica. Napoli 1780. Tomo II, lib. Vi, cap. VII. Belidor, Opera citata. Beaudemoulin, lie- cherches théoriques et pratiques sur la fondation par immersion det ouvrages hydrauliques et particulièrement des écluses. Paris 1829. Foce del tevere in Fiumicino 83 tre la grandezza della serra dovrà dipendere dalla quantità di acqua che vorrà ritenersi; ed una grande uscita favorirà il pronto sbocco dell' acqua nei mo- menti della bassa marèa, ed afiievolirà di molto le con- trazioni della vena fluida. 3.° L'effetto della chiusa per solcare il prano che il mare forma presso i guardiani dipenderà princi- palmente dalla giacitura de' moli della foce relativa- mente alla direzione della chiusa , ed il massimo ef- fetto dovrà essere basato sul principio che vm corpo forzato a descrivere un moto circolare tende sempre a sfuggire per la sua tangente: quindi la chiusa pro- durrà il più grande effetto possibile relativamente alla posizione de'moli , allorquando il piano seguirà gli elementi e le tangenti di una curva, la cui conves- sità sia volta dalla parte ove vengono le arene. Ciò è conforme a quanto ho riferito nell'articolo prece- dente sulla convenienza della curvatura da darsi all' armatura della foce. Mancando di esatta e lunga serie di dati idrome- trici presso la foce di Fiumicino e di altri fatti per istabilire sulla esperienza del passato l' altezza cui dee giungere la piena perchè si ottenga nella fossa la escavazione di metri quattro , non è possibile in oggi conoscere colla desiderabile precisione quanta massa ed altezza di acqua faccia d'uopo assegnare in aumento di quella naturale del canale di Fiumicino nelle ordinarie magie di questo faune : sicché mi li- miterò ad avvertire che calcolata la pendenza da Ca- 84 Scienze pò due rami fino airofficio di sanità in Fiumicino, coli' attuale sezione di quel tratto di canale , abbiamo al- la base un'altezza di met. 0, 40, ed un recipiente ca- pace di una massa di 30 mila metri cubici di acqua; la quale massa essendo di 288000 metri cubici, quella che nelle magre entra nel ramo di Fiumicino in un' ora, si livellerà col ramo di Ostia in 6', 15" (sei mi- nuti e 1 5 secondi (a) ) senza sormontare le naturali sponde di quel tratto di fiume , che dalla chiusa si prolunga sino a Capo due rami. Dopo che sarà stata stabilita convenientemente la direzione, disposizione e larghezza de' moli alla fo- ce, come ho progettato nell'articolo antecedente , la esperienza ci farà certi a quali intervalli si debba aprire la chiusa di scarico, e se la ritenuta massa di acqua soprindicata, sia sufficiente ad ottenere il ri- cercato effetto. Volendo, la quantità di acqua da rite- nersi si potrà aumentare a piacere, o con allargare la sezione del ramo di Fiumicino presso la chiusa, o mol- to meglio per guadagnare caduta (la quale fa aumen- (a) Questa proposizione di livellazione non deve ritenersi per ri' gorosa, molto più se si frappone un'altra chiusa nel ramo di Ostia , perchè §i cadrebbe nell'errore del sig. Bernard giustamente rimar- cato dal nostro Fossombroni, Memorie idrauliche storiche sopra la Fai di Chiana. Parte II. Nota 9, pag. 179 del tomo XIII della cit.rac. Vedi ancora intorno ai rigurgiti, Venturoli, Opera citata T.II, §.348, e seguenti. Nasetti , Note ed aggiunte agli elementi di meccanica e d idraulica del prof. Fenturoli. Bologna 1827, tom. IF, pag. 23S e se- guenti. Tadini , Di varie cose alla idraulica scienza appartenenti. Bergamo 1830, cap. 3, pag. 94 e segg. e cap. 6, pag. 151. Foce del Tevere in Fiumicino 85 tare la carica dell'acqua in ragione del quadralo della sua altezza (a) ) con richiamare da questa parte una porzione di quella del ramo di Ostia mediante un'altra chiusa o cateratta (6), e quando questa non si volesse usare, mediante il tassatore o parata di cui si è parla- to di sopra, il quale però si vorrebbe non avesse la stessa giacitura , né sbarrasse interamente la se- zione del fiume, ma sibbene lasciasse un periurj'io^ da aprirsi e chiudersi a piacere , d' onde potesse pas- sare una quantità di acqua sufficiente per la naviga- zione di quel ramo. Così si manterrebbe aperta tale navigazione, che coU'intero tassatore stabile verrebbe impedita. Né si creda invincibile la rapidità del corso che l'acqua passando per questo pertugio acquiste- rebbe; poiché in molti fiumi si entra e si esce, non senza difficoltà in vero, ma senza danno per simili sbocchi: di che ancor noi abbiamo fatta esperienza, co'nostri piroscafi, nei fiumi di Francia- Tale diversione nulla altererebbe allo sbocco in (a) La limite d'approfondissement d' un canal dépend principal- ment de la hauteur des chutes des chasses; et lorsquc le fond du canal aura atteint la forme qui lui convìendra pour qvte sa resistcnce soit en equilibre avec la force du courant, la plus grande durée des chas- ses n'ajoutera rien à la profondeur du canal. A. E. Lamblartlie, Ob- servations sur une memoire de M. Patta, ayant pour titre; Doveloppe- mens des bases d'un proièt de barrage d^cversoir marilime. Paris 1826, pag. 59. (6) Delle pescaie o cateratte, per le quali si derivano le acque dei fiumi, del marchese Giovanni Poleni Raccolta citata. Tom. VI. Isti- tuzioni di architettura idraulica, dell' ingegnere professore Nicolò- Carletti. Napoli, 1780 tom. Ili, lib. VI, cap. VII. 86 Scienze mare di questo ramo di Ostia , pcrehè alternativa- mente gli verrebbe restituita quella maggior quantità di acqua che avesse mandata pel ramo di Fiumicino, più quella che ora è propria di questo ramo, con te- ner chiusa la sua serra. Anzi con un tale espedien- te si verrà piuttosto a migliorare la pestifera aria nel circondario di Ostia; perchè questi scarichi approfon- dando il letto di quel tratto di fiume e la sua foce, le acque ne procederanno raccolte, né andranno di- sperse per le campagne, formandosi poi in paludi di esiziali esalazioni. Non sarà fuor di proposito il ci- tare un esempio che convalidi quanto dico. La val- lata di s. Auhin^ traversata dal Dun che ivi presso si scarica in mare, era facilmente inondata, perchè detto fiume essendo esposto ai venti del largo (precisamente come lo sbocco della nostra fiumara ) veniva dalle materie ostruito, e nella estate le acque, che non avea- no potuto avere scolo, corrompeano ed infettavano l'aria, che portava perciò il germe di malattie terri- bili : ma essendovisi costruita una chiusa di scarico, il fiume acquistò forza di conservare sempre libero il suo corso, e « da trent'anni, scriveva Lamblardie padre, che detta chiusa è stata eseguita, non vi sono più inondazioni, e le malattie putride che vi regna- vano sono totalmente sparite » (a). Del resto i particolari di questo progetto, e i mezzi relativi al suo eseguimento, sono estranei al (a) Lamblai-Jìc paiirn, Opera citala § d'i e 6S. Foce del Tevere in Fiumicino 87 principale scopo di questo scritto : e nel darne qui un cenno non ho avuta altra mira che quella di mo- strarne la possibilità e l'utile molto maggiore che po- trebbe ritrarsene per la navigazione, per la sistema- zione degli ultimi tronchi del Tevere, e per la bo- nificazione dell'aria, in confronto del solo tassatore o traversante presso Capo due rami. •^ryH8?« 88 Scienze ARTICOLO III. BARCA A VAl'ORE DI STAZIONE IN FIUMICINO PER RIMURCUIARE I BASTIMENTI. l_je diflicoltà che i bastimenti hanno a superare per rimontare la corrente del Tevere da Fiumicino a Ro- ma, per quanto sieno gravi, sono sempre d'assai in- feriori, per le conseguenze funeste che possono de- rivare, a quelle che s'incontrano per entrare a Fiu- micino, e che ho di già enumerate. E se per ovviare alle prime si è introdotto il sistema di rimurchio co' piroscafi, come potrà negarsi di vincere le seconde con altro di questi bastimenti, quando si sappia che così infatti si vincerebbero? Non costruendosi la chiu- sa di scarico da me proposta nell'articolo precedente; restando costantemente al canale di Fiumicino 1' at- tuale corrente : un piroscafo, che permanentemente stesse in quella foce, basterebbe ad agevolarne moltis- simo l'approdo, se si eccettuino però i casi di tem- pesta di mare, pe'quali sono necessari provvedimenti di altra specie che non ometterò di suggerire nel se- guente articolo; e tale approdo diverrebbe assoluta- mente sicuro e facile col sussidio di tale piroscafo, quando il canale, che dalla foce s'^inoltra al mare, fos- se reso navigabile co' lavori accennati negli articoli precedenti. Perchè un bastimento possa entrare senza altrui aiuto a Fiumicino, è d'uopo che abbia il vento fa- Foce del Tevere in Fiumicino 80 Torevole, ma non gagliardo, perchè con questo cor- rerebbe pericolo di perdersi a cagione del mare che subito yì s'ingrossa: e non troppo mite, perchè con questo non potrebbe far cammino e superare la forza della corrente che tende a respingerlo ; condizioni che è assai difficile di riunire, specialmente in alcune stagioni , e per aspettarle è necessario che il basti- mento si trattenga a lungo sulla spiaggia , e spesso se ne allontani o per infuriare di tempesta o per sopravvenire della notte, e poi vi ritorni anche più volte, sino a che tutto concorra a favorirne l'ingresso nel canale. Approssimatosi però al canale, incomincia per esso nuovo genere di pericoli e di travagli, e per la corrente che lo respinge sempre più che si avvici- na, e per la necessità di ricevere da terra o di portar- vi con la lancia una lunga corda, e più innanzi per lo alaggio degli uomini che abbiamo veduto quanto poca sicurezza offra, e quanto interesserebbe per l'u- manità e pel commercio che fosse tolto anche di colà. Un piroscafo stanziato a Fiumicino , che allo scorgere un segnale di bastimento chiedente il rimur- chio, si facesse a darglielo, lo libererebbe da ogni pericolo, da ogni difficoltà; e i naviganti non pure ne sono persuasi, ma hanno implorato precisamente questa provvidenza (a) (*). (a) Nella lettera gii riportata all' art. I, del I. capit. fu richie- sto (li stabilire in Fiumicino un battello a vapore per rimurchiare i Iwstimenti che vogliono entrare e uscire dalla foce. (*) Riconosciuta Futililà di questa istituzione, e trovala giù- 90 Scienze Il rimurchio dovrebbe farsi da un'adequata di- stanza fuori del canale fino airufììeio di sanità pe' bastimenti che arrivano, e viceversa per quelli che n'escono, ed ai quali in molti casi potrebbe essere utilissimo questo aiuto , che ora è reso comune in molti porti di Europa, sebbene non ne abbiano tanto bisogno quanto ne ha Fiumicino (a): ed un regola- mento si vorrebbe stabilire pei diversi segnali da usarsi tanto dai bastimenti che dovessero ricevere il sta la domanda dei naviganti, non si è mancato di disporre che un bastimento a vapore sia di stazione alla foce di Fiumicino. Il Pa- pin , che ora lavora nel tronco superiore del Tevere , verrà ivi surrogato fra due mesi circa da un'altra barca a vapore che ft pres- so al termine di costruzione nel nostro arsenale di Civitavecchia , ed esso passerà al servizio della bocca di Fiumicino e del tragitto delia dogana di quel porto sino a Capo due rami. Questo piroscafo essendo in ferro, più corto , ed immergendo di più di quello in co- struzione, è più adatto in un luogo pericoloso, ristretto e di maggior profondità di acqua. Di già molte volte, nel trovarmi in Fiumicino co'piroscatì, ho aderito alle calde dimande de'aaviganti, i cui basti- menti sono stati con piena loro soddisfazione tratti fuori del porto o introdotti nel medesimo. Vi ha però chi si oppone anche a questa utile istituzione : ma sarebbe facile il dimostrare , che per partico- lare interesse non vuole che si stabilisca. (a) In Marsiglia, ed in altri porti eziandìo, benché non vi sia la corrente dì un fiume che impedisca la entrata, né i bastimenti cor- rano il pericolo, a cui sono esposti quelli i quali debbono tratte- nersi sulla spiaggia di Fiumicino, pure vi sono battelli a vapore per rimurchiare i bastimenti che si presentano: ed i naviganti volentieri pagano la tassa di tale rimurchio, piuttostochè ritardare anche di una sola ora la entrata nel porto. Un uomo di mare conosce bene di quali conseguenze può essere, il minimo indugio nelle vicinanze di un porto. Foce del Tevere in Fiumicino 91 rimurchio, quanto dal piroscafo che avrebbe a som- ministrarlo (a). Con questo bastimento a vapore si dovrebbero rimurchiare da Fiumicino al mare i legni pronti alla partenza fino al punto in cui potessero valersi del vento che spirasse favorevole alla loro navigazione , ma che non lo fosse per 1' uscita da Fiumicino ; poiché accade (e non infrequentemente) che i basti- menti non possano uscir da Fiumicino, sebbene il vento sia favorevole pel viaggio che dovrebbero in- traprendere. Altro beneficio si otterrebbe col detto bastimen- to, e consisterebbe nel rimurchio che con esso po- trebbesi fare de' legni carichi, dal suindicato punto dell'ufficio di sanità sino a Capo due rami : nel qual tratto, e per la velocità della corrente, e per la ri- strettezza della sezione del canale, la resistenza è mag- giore del doppio del resto del fiume, quante volte non si facesse la chiusa proposta nel precedente artico- lo. Si terrebbe così in attività , quando non vi fos- sero bastimenti da rimurchiarsi alla bocca del porto: giacche con questo solo lavoro non potrebbe il detto piroscafo essere in azione continuata. La grande economia di tempo, che danno due sole barche a vapore, è già dimostrata. L'addizione di (rt) Assai adatto a Fiumicino sarebbe il regolamento di segnali per il rimurchio, in vigore alla foce dell'Adour per entrare a Baioua. ( Annales marittimes et coloniales , mese di novembre 1842 , pag. 1153, n. 104.) 92 Scienze un terzo rimurchiatore sino a Capo due rami au* menterebbe di molto la economia stessa, perchè po- trebbe più volte nel medesimo giorno eseguire il ri- murchio da Fiumicino sino a detto Capo^ e vicever- sa ( quando non ve ne fosse bisogno dal mare alla foce), giovando specialmente in caso di affluenza di bastimenti : e perchè le altre due barche a vapore potrebbero allora limitare la loro corsa dal ripetuto Capo a Roma, portando anche con loro un numero maggiore di bastimenti in confronto di quelli che ora rimurchiano, essendo che non avrebbero a risalire il punto più difficile, cioè quello da Fiumicino al Capo^ ove, come si è detto, incontrasi soverchia resistenza (a). Né basta ancora. Questa terza barca servirebbe altresì a surrogare una delle altre due ora esistenti, quando abbisognasse di quelle riparazioni che natu- ralmente in tutte le macchine si rendono necessarie, sebbene esse siano costruite nel miglior modo e colla maggiore solidità; necessità che non si mancò di pre- vedere e calcolare nel progetto di acquisto delle me- desime. Questo piroscafo, come ho detto, può essere uno di quelli esistenti nel Tevere, il quale dovrà sur- rogarsi da un altro da costruirsi. Per dare eserci- zio , guadagno ed incoraggiamento alla nostra mae- stranza, e per versare all'estero la minore quantità pos- sibile di danaro, si vorrebbe preferire di costruirlo (a) Vedi quanto è stato detto nel capit. I all'articolo 2, sull'au- mento di resistenza nei canali angusti, e la nota (5) di quel capitolo. Foce del teverè in Fiumicino 93 in legno-, e sebbene sia certo che sono d' anteporsi le barche in ferro, pure avrei fatto simile proposizione per quelli che ora sono in attività, se il letto del Tevere si fosse potuto preparare ad una regolare na- vigazione prima che esse fossero in ordine; ma nello stato attuale del Tevere quelle in ferro soltanto po- teano riuscire utili- Adesso però che si sono incomin- ciati alcuni lavori di miglioramento nel Tevere, e che si ha volontà di continuare e sviluppare in un piano generale, potrà con meno inconvenienza co- struirsi il nuovo scafo in legno , quindi contempo- raneamente fabbricare la macchina della nuova bar- ca in Inghilterra, e lo scafo di essa nel nostro arse- nale di Civitavecchia (*). (*) Per incoraggiare adunque la nostra maestranza di Civita- vecchia, e per far escire dal nostro stato minor quantità possibile di danaro (essendosi annuito alla richiesta di altri due piroscafi, cioè quello per la bocca di Fiumicino, e 1' altro pel servizio della piro- draia], si è preferito ordinare che la costruzione de' due scafi fosse in legno: ed ora uno di questi si trova in piena costruzione nell'ar- senale di quel porto. Affidatami dal governo l'onorevole direzione della costruzione de'suddetti piroscafi, mi posi di concerto cogl'ingegneri costruttori delle macchine in Londra sig. Seaward e Capei per le dimensioni principali, e per la distribuzione delle stesse macchine, poiché senza questa intelligenza non si poteva conseguire un sicuro risultato. La lunghezza di uno fra le perpendicolari è di met. 33,00; lar- ghezza massima met. 4,60; puntale met. 2,00; immersione met. 0,60; tonnellate 93; forza motrice 44 cavalli effettivi. L'altro , lunghezza delle perpendicolari met. 33,00 ; larghezza massima mei. 3,40; pun- tale met. 2,00; immersione met. 0,S0 ; tonnellate 67 e mezzo, forza motrice 28 cavalli utili. 94 Scienze L'esecuzione del lavoro è diretta dal capo costruttore di quel!' arsenale signor Bartolomeo Vignola, della cui abilità e zelo si han- no ripetute prove per essere assicurati della perfetta riuscita Questo hrav'uomo, poco conosciuto, ad un genio particolare per l'arte sua unisce un esemplare amore per lutto ciò che possa ridondare ad onore del nostro governo e del paese nostro. Il primo scafoj come ho detto, è destinato al rimurchio superior- mente a Roma, perchè il Papin passerà al servizio della bocca di Fiu- micino, come ivi più adatto, ed il secondo pel servizio della pirodra- ia. Per questo è a preferirsi di farlo costruire co» un timone ad ogni estremità, perchè, destinato generalmente a piccoli tragitti ed in luoghi ristretti, non abbia bisogno di girarsi per regolarmente agire: quindi sarà della specie degli Amfisdromi. Dovendosi passare alla costruzione di questa seconda barca a vapore, ho creduto obbligo del mio officio di estendere una memoria sulla costruzione pili conveniente alla medesima, perchè fosse presa in considerazione , e se ne sentisse il savio parere del consiglio d'arte: alle quali mie brame si è voluto corrispondere : di che avrò sempre gratitudine e riconoscenza. Fuor di proposito sarebbe qui il riportare quel mio lungo scritto, ma credo utile porre in appendice (lett.B.) il sapiente voto del suUodato consiglio d'arte, ove con quel- la chiarezza e sapere che distingue questo illustre corpo, si trova 1' analisi ed il parere della detta mia memoria , acciocché ognuno sia sempre più convinto del bisogno de'due timoni e della maggiore uti- lità della costruzione in ferro anziché in legno. Foce del teverb in fiomicino 95 ARTICOLO IV. DEL FRANGE-ONDE GALLEGGIANTE. u. n bastimento che sulla spiaggia di Fiumicino sia sorpreso dalla tempesta, e non riesca ad allontanar- sene subito, non può evitare le avarìe o il naufra- gio, mancandogli l'opportuno luogo di asilo; e l'al- lontanarsene, neppur sempre possibile ne immune da cosiffatti pericoli, è per lo meno cagione di perdita di tempo, e quindi di danno ai naviganti e al com- mercio. Ad impedire tali pericoli e ritardi alla naviga- zione non avvi miglior rimedio di un porto di ri- fugio, ove possano ricovrare i bastimenti in caso di tempesta, e d'onde possano essere tratti dentro il ca- nale per mezzo o del tonneggio o del rimurchio, col piroscafo che si progetta stazionario in Fiumicino, e che anche in quei casi potrebbe agire, pe rchè il por- to suddetto procurerebbe una sufficiente calma tra esso e la foce. Vi riparerebbero anche i bastimenti che giungessero in tempo di notte, e quelli che di- retti altrove non potessero per tempesta o per vento continuare il loro viaggio; quindi la umanità ed il commercio generale ne risentirebbero non lieve van- taggio. Il fondarvi un molo o antemurale sarebbe opera lunga, dispendiosa, dillìcile, inutile anche dopo pò- 96 Scienze chi anni per l'aumento di spiaggia comune a tutti i lidi marittimi prossimi alle foci dei fiumi e che ivi progredisce di molto. Quindi dovrebbe disperarsi di stabilirvi questo mezzo di salvezza : ma avventurosa- mente una recente applicazione di un'antica inven- zione ne pone in istato di formarvi in poco tempo, con modica spesa, con facilità e con sicurezza di fe- lice e permanente successo , il desiderato porto di rifugio. Era cosa naturalissima che la industria umana, tanto intesa in questo secolo a trovar modo che un bastimento potesse navigar contro-vento ed a ritroso de'fiumi, si occupasse eziandio dello stare di esso a dispetto , direi quasi , dell'irritato mare senza biso- gno di enormi spese e di difficoltosissime opere idrau- liche. A questo scopo, anch'esso utilissimo, più menti dirigevano i propri studi e le proprie esperienze : una più delle altre fortunata, voglio dir quella del ca- pitano Tayler, vi riusciva: e divulgatasi la fatta sco- perta, quasi in un baleno la si vedea onorata di ge- nerale consentimento, e in tutti i luoghi con effetto felice applicata. Il sistema o l'apparato da lui proposto consiste in una serie più o meno numerosa di travi, uguali o disuguali di figura e di dimensione, i quali , co- me verremo poi a dichiarare, sono ritenuti da cate- ne e da grosse ancore gittate al fondo , per modo che ciascuno di essi si tenga in una situazione de- terminata, e lutti insieme disposti e coordinati come Foce del Tevere in fiujWcino 97 uno scacchiere sopra due linee (Vedi le tavole IV e V), che possano servire di antemurale innanzi al seno di una spiaggia o ad una foce di fiume. Sif- fatto sistema, cui si è dato il nome di frange-onde galleggiante, può, come ognuno avrà di già conce- pito , tenere a sufficienza il luogo di quelle opere murarie che sin qui si sono fatte, e che nella mag- gior parte sono per noi soggetto di ammirazione come piene di ardire , e come prove permanenti della ricchezza e della potenza di nazioni illustri. E se con questi il nuovo ritrovato non gareggia per istabilità , non cede però ad essi in sicurezza , ed è anzi preferibile sotto i tanti altii rapporti di econo- mia nella spesa , di facilità con cui può dovunque collocarsi, e di mobilità : potendosi, ove si conosca espediente, portare più innanzi o più indietro, ed an- che da una spiaggia ad un'altra, con la stessa facilità con cui un bastimento si fa cangiare di luogo, A persuadersi del merito e dell'inventore e della inven- zione (8) giovi qui esporre una breve istoria e dell' uno e dell'altra. Il capitano Tayler è uno degli uomini più esper- ti dell'arte nautica, e de'più studiosi che l'Inghilter- ra può andar superba di avere tra gli ufficiali della sua marina. Naviga da 45 anni, occupa il grado di capitano di vascello , ed ha pubblicate varie cora- mendevoli opere all'arte sua relative. Egli stesso as- sicura di avere per molti anni dirette le proprie os- servazioni e gli studi alla scoperta ed alla costruzio- G.A.T.CV1I. 7 98 Scienze ne di un apparalo , che potesse sostituirsi con van- taggio agli antemurali o moli di pietra sin qui fab- bricati, che esigono enormi spese per la loro costru- zione, spesso rendono essi stessi difficile e pericoloso l'ingresso nei porti ; ed in alcuni luoghi , o non è possibile di fabbricarli, o fabbricati divengono inu- tili , pel ritirarsi delle acque dalle spiagge : di che abbiamo anche noi molti e vicinissimi esempi e in Ostia, e nel porto di Claudio ed in tanti altri, che qui sarebbe soverchio lo andar noverando. La pa- zienza perseverante del Tayler, aiutata dal concorso di circostanze fortunate, e ben si può dire anche dalla superna provvidenza, l'ha vinta sulle gravi difficoltà incontrate in questa ricerca, facendogli raggiungere lo scopo delle sue investigazioni e de'suoi lavori; e la efficacia del frange-onde galleggiante esaminata scientificamente, e sperimentata sopra una delle spiag- ge più percosse dai venti e dalle tempeste, è stata celebrata da' membri commendevolissimi dell' ammi- ragliato inglese, e da altri illustri personaggi di quella marina, che se ne sono pubblicamente dichia- rati protettori (9). Alcuni commissari nominati dal governo bri- tannico per visitare una parte della costa d' Inghil- terra, e per riferire i mezzi atti a migliorare i porti in essa esistenti, e come luoghi di sicurezza contro le tempeste, e come porti di rifugio pei bastimenti mercantili , che cercassero evitare que' nemici ar- mati in corso durante una guerra, e finalmente come Foce del tevere m Fiumicino 99 stazione de' vascelli armati per la protezione del com- mercio inglese nelle diverse parti della costa d' In- ghilterra, riferirono che sotto questo triplice punto di vista il partilo più conviente si era quello di au- torizzare la costruzione del nuovo frange-onde gal- leggiante ove occorresse (a). Né le più ricche e più commercianti città del- l'Inghilterra hanno tardato ad accogliere con favore il nuovo trovato : e adducendo l'esempio di una sola di esse, per non discendere a troppo lunghe enume- razioni, basti il sapere che nella industre e popolosa Liverpool riunironsi in assemblea generale nel dì 18 di gennaio 1 842 i più ragguardevoli tra'suoi commer- cianti, in numero di qualche migliaio, presieduti da sir Guglielmo Hillary ingeg. navale in presenza delle autorità pubbliche; e di comune accordo vi si deci- se che un frange-onde galleggiante sarebbe costruito per la sicurezza del porto Douglas Bay vicino a Li- verpool medesimo (6). Altra autorità, forse anche di maggior peso, può citarsi in favore del nuovo sistema, cioè la società del Lloyd , rigoroso e notissimo stabilimento di si- (a) Rapporto fatto al governo inglese dai commissari nominati ad ispezionare i porti del regno ( Piece n. S à l'appui de la notice sur le nouveau brise-lame (lottant inventè en Angletcrre par le capi- taine 1. N. Tayler, et imporle en France suiv mt brcvet d' imporla- Hon et de perfeclionncmenl par ordannance du roi du 7 novembre J841 sous le n. 68. Paris. Imprimerle de E. Brière rue sainte anne. oo.) (h) Vedi il giornale delle due Sicilie del 24 agosto 1842 n. 182. 100 Scienze ciirtà marittima, che dai suoi agenti officiali a Ply- mouth riceveva i rapporti delle felici esperienze fat- tevi sopra una sezione del frange-onde galleggian- te (a). Una compagnia nazionale s'instituiva quindi pure in Londra (mentre io mi vi trovava) per costruire i nuovi frange-onde , ed era composta d' officiali di- stinti di marina e di ricchi capitalisti (6) : e final- la) Rapporto fatto alla società del Lloyd nel mese di novembre 1841 dai suoi agenti olBciali sopra il frange-onde. Porto di Penzance. « Noi abbiamo in tutta questa settimana un mare talmente ter- ribile, che verun bastimento è potuto entrare in porto, né uscirne : e per verità se fosse possibile di uscirne , sarebbe pericoloso met- tersi in mare con una tempesta sì spaventosa. Mercoledì la risacca era così violenta, che una simile non l'abbiamo mai veduta, e con- tinua fino ad ora in tutto il suo furore : e con tutto ciò 1' acqua è calma nel bacino, e questa calma non è dovuta , se non ad una parte del frange-onde galleggiante che chiude la sua entrata. I bastimenti vi sono ancorati ed in sicuro senza nemmeno far forza sulle loro gomene. Se così piccola sezione del frange-onde può dare un simile riparo , non è questa la prova della utilità che risulterebbe dalPadottare que- sta invenzione? » Pièce n. 4 de la notice citata. Si veda ancora, Plans for Ihe formation of harbours of refuge ce By cap. Tayler. Plymouth 1840, p. 9. (6) Estratto dal Galignani's Messenger n. 8379, 17 gennaio 1842. Compagnia nazionale del frange-onde galleggiante per formarne de' porti ec Direttori. Cont. ammiraglio Nicola Tomlison. Giorgio Dacre. Sir Tommaso Grey F. R. S. Contr. ammir. Sir Samuele Pym. Capitano P. M. Quhae R. N. Cap. Guglielmo Holt. Montagne Gore, Esq, M. P. Capitale. L. S. 300,000 (uu milione 440 mila scudi) in 30, 000 azio- ni di L. S. 10 ognuna. Foce del Tevere m Fiumicino 101 mente nel parlamento in{jlese passava nel dì 1 5 mar- zo 1 842 la seconda lettura di un bill , che autoriz- zava la compagnia stessa alla costruzione del frange- onde galleggiante , mostrandone così solennemente la utilità (a). E per uscir d'Inghilterra, aggiungerò che la in- venzione di cui parlo è stata di recente introdotta anche in Francia, e ivi il governo ne ha rilasciato un brevetto d'importazione e di perfezionamento (b). Ha ivi pure ottenuta piena approvazione dall'ammi- raglio Lalande , da altri uomini di mare di primo ordine, e in particolare dall'ammiraglio Laìné, il qua- le, dopo averla accuratamente esaminata, ha ritirati i progetti ed i disegni che aveva mandati al mini- stro della marina a Parigi per la costruzione di un porto a Stora , proponendo invece di servirsi a tal uopo dei frange-onde del sig. Tayler, che gli sem- brano per tutti i riguardi preferibili ad ogni altra costruzione di questa specie; sulla quale proposta il ministero della marina ha fatto eseguire dell'esperien- ze, e incaricato poi il sig. Lakemann a recarsi nell' Algeria per indicare i luoghi più opportuni per Cassieri. Cristofano Pearse, Beniamino Williams. Banchieri. li banco d'Inghilterra sig. Cockburn e C. Whitehall. Uditori. Sigg. Gionata Ball e Giacomo Carlo Hardy. Segretario Giovanni Charretie, Esq. Sollecitatore. Ambrose Giare. (a) Galignani's. Messenger 7 aprile 1842, n. 8448. (6) Amiales maritimes, partie officielle 1841 pag. 1139, n. 68. 102 Scienze mettere in opera il sistema del sig. Tayler (a). Di più il barone conte cav. Escalon console generale pontifi- cio in Marsiglia, il quale è tra le persone da me pre- gate di annunciarmi i nuovi utili sistemi che nell'arte mia vedessero introdursi, mi ha favorito di un nuo- vo argomento della sua gentilezza e della sua costan- te bontà verso di me, avvertendomi che alla Ciotat (presso Marsiglia) si fabbricano delle muraglie gal- legianti, delle quali si riserbava spedirmi i disegni, tosto che il lavoro ne fosse abbastanza innoltrato (*). Accennate le garanzie che di questo ritrovato si hanno nel voto di persone esperte, autorevoli e nella opinione di governi, i quali sanno distinguere ed apprezzare le scoperte che possono essere utili al commercio ed alla pubblica comodità, mi fo a de- scrivere la forma del frange-onde galleggiante, o a meglio dire di una di quelle sue parti, la cui strut- tura ci consigliò a nominarle gabbioni , e dirò in pari tempo della maniera di collocarle. (a) Giornale del regno delle due Sicilie 24 agosto 1842, n. 182. (*) In una lettera il sullodato sig. console mi partecipava l'espe- rienze fatte nell'arsenale di Tolone della colla marina, della quale fra poco si parlerà. Di questa utilissima scoperta, che influirà molto sulla economia del legname per le armature, sulla conservazione del fondo de' bastimenti , sulla maggior solidità delle porte de' bacini e delle costruzioni navali, ne attendo una completa descrizione, ed una snfficiente quantità per farne delie esperienze nel nostro arse- nale di Roma. Intanto negli annali marittimi, numero di aprile 1844, alla parte scienze ed arti trovo un grand' elogio tradotto da un ar- ticolo dell' United service magazine, col titolo , Du progrès des artt maritimes en Angleterre au XIX siede. Foce del teverb in Fiumicino 103 La figura data dal capitano Tayler a ciascuna di esse parti o sezioni dell'intero frange-onde è quella di un prisma a base romboidale terminato alle due estremità da piramidi , e che guardato secondo la spontanea anzi necessaria giacitura che prendereb- be nello stato di demersione , diremo avere le di- mensioni di 25 piedi inglesi in larghezza, 27 in al- tezza e 70 in lunghezza, 60 de' quali appartengono al prisma e 10 alle due piramidi, essendo a ciascu- na di esse data l'altezza di 5 piedi. Quindi per avere una giusta idea della configurazione di detta base (comune, siccome abbiamo accennato, al prisma ed alle piramidi conterminanti il medesimo) si concepi- sca, che la sua figura sia un quadrilatero composto di due triangoli isosceli congiunti da un lato, il quale appunto sia quella dimensione di 25 piedi che ab- biamo detto larghezza del prisma, e che de'due tri- angoli l'uno sia alto 9 piedi e l'altro 18. Posto in ac- qua il detto prisma, il piano orizzontale che passa per la comune base de'due triangoli stabilisce quello di galleggiamento e di fluttuazione, di modo che si rimarrà immerso nell'acqua per due terzi dell'altez- za, e l'altro terzo al di fuori, come può vedersi nel- la tavola V. Le figure A, B, C rappresentano tre parti della sezione. La figura A ci dà il prospetto di una delle prore : l'altra B è una lunghezza totale da prora a prora, e la C lo spaccato della larghezza. L'intera lunghezza di piedi 60 è divisa fra gli 104 Scienze estremi in 12 spazi con 13 ritti (d), ai quali vanno impernate quattro coppie di traverse orizzontali (e), e nell'esterno vi sono affidate 24 costole (f-f-f-f-)-) ^^^ danno la forma al prisma in tutte le 4 facce : ed es- sendo esse grosse 6 pollici , ogni spazio sarà largo due piedi. I pezzi (g-g-Q-) formano la chiglia ed il paramezzale. Le prore (L.L.) sporgono cinque piedi; un occhio di cubia o foro, ed una lunga apertura vi sono pra- ticati per dar passaggio alle catene di ormeggio. Le traverse obblique (^.^.), i braccioli, i perni, le viti , le chiavarde, le spranghe di ferro concorrono a ren- dere tutto il sistema di tale vigore da resistere ad ogni urto del mare. Il modo poi di ancorare le sezioni, e di stabi- lire l'intero frange-onde, viene rappresentato dalla ta- vola suddetta n. V. Una grossa catena di ferro (MM) (che chiameremo catena di fondo per distinguerla dalle altre, che diremo di ormeggio ) distesa sul fondo del mare è quivi ritenuta per ciascuna estre- mità da due ancore : a questa grossa catena si at- taccano le due catene più piccole (ìi.n.) , che pen- dono tra la doppia chiglia. Due altre (o.o.) esco- no dagli occhi di cubia delle prore , e vanno an- che a congiungersi alla catena del fondo : le catene (p.p.) sono composte da tronconi di legno, come si mostra nella tavola suddetta. Alle comuni catene di ferro possono per tale ormeggio con vantaggio so- stituirsi quelle di legno , le quali mentre resistono Foce del tevere in Fiumicino 105 quanto quelle di ferro, pesano molto meno, e sono più economiche. A questo uso s'indicano adatti i le- gnami di abete, frassino e larice in pezzi lunghi 12 piedi ognuno. Il pezzo del centro (QQ) è di 9 pol- lici per 4 ^ , ed i due laterali (rr) ognuno di pol- lici 9 per 2 ' I4 , in tutto pollici 9 per 9 ; i quali tre pezzi sono ritenuti uniti da fasce forcate di fer- ro {ss). A ciascuna estremità del pezzo del centro (QQ) *^ praticano tre tagli di sega di lunghezza cir- ca due piedi , e nel taglio di mezzo si caccia un cuneo di quercia (t) che allarghi il legno per 4 pol- lici circa per formarne una coda di rondine. I perni ad occhio (11) sono un pollice grossi, e due piedi lunghi; l'occhio ha due pollici di diametro. Cotesto sistema di catene non solo serve a rite- nere congiunte le diverse sezioni, ma ben anche a mantenerle nella linea che si sarà stimata convenien- te alla situazione dell'intero frange-onde. In fine da due occhi {vv) della gran traversa longitudinale da prora a prora angolarmente pende un'altra catena che nel suo mezzo viene attaccata ad altra catena, di tronconi (^^), cui è raccomandata l'an- cora che direttamente deve resistere alla potenza delle onde di traversia. Questa struttura del frange-onde permette ai flutti di passare al di sopra e al di sotto ed a traverso di esso. Divisi COSI ed infranti si riducono allo stato di calma, o almeno non offensivo, a causa della tendenza dei fluidi allo stato di equilibrio. Basta poi per ot- 106 Scienze tenére tale effetto, che il frange-onde s'immerga, co- me si è detto, per 18 piedi inglesi, pari a metri 5,49, sotto la superficie del mare, perchè sin là giunge lo sconvolgimento principale delle tempeste, e più sotto regna costantemente una quasi calma anche nelle più violente burrasche, siccome si è provato con espe- rienze fatte mediante la campana da tuffattore men- tre infuriavano le più terribili procelle nella Manica e nella costa di Francia, ove 1' Oceano stranamente imperversa (a). Il sig. prof. Aimè ha però, da poco in qua, fatto dell'esperienze dirette sul movimento delle onde, dalle quali si deduce che esso è ancora sensibile alla profondità di 15 a 20 metri (b). Ma nella re- cente e citata edizione di Sganzin trovo a carte 181, che nel nuovo frange-onde di Celle nel Mediterraneo si è rimarcato che la massima azione delle onde è a met. 1, 50 al di sotto della bassa marea, e che essa decresce in seguito sino a met. 5 più basso. Si aggiunge che pei calcoli fatti dal capitano I. N. Tayler nella sua opera (10) e dal sig. Guglielmo Walker R. N. prefetto marittimo a Plymouth, in un suo rapporto officiale ai lordi dell' ammiragliato in Londra (1 1) è fuori di dubbio che il sistema soprin- dicato valga a resistere a qualunque urto del mare. (a) Vedi su ciò il De Fazio, Intorno al miglior sistema di co- struzione de'porti. Napoli 1828, pag. 67: e Belidor, Jrchitecture hy- draulique lib. Ili, cap. X. (6) Vedi Poirel, Memoire sur les travaux a la mer. Paris 1841, pag. 16. Foce del Tevere in Fiumicino 107 Ma quei calcoli furono istituiti sulle coste d'In- ghilterra ; e se ivi il frange-onde galleggiante della forma, delle dimensioni e della ormeggiatura soprin- dicate, basta a garantire i bastimenti dalle tempeste, vi riuscirà tanto meglio nelle nostre spiagge ove le burrasche sono assai meno violente, le marèe presso che insensibili, e specialmente a Fiumicino , ove la corrente del Tevere diminuirà la spinta che in sen- so opposto alla medesima le sezioni del frange-onde riceveranno dal mare e dal vento di traversia. Fatti sicuri della buona riuscita del frange-onde galleggiante sulla spiaggia di Fiumicino , passeremo a dimostrare i vantaggi che il medesimo presenta in confronto de'moli o antemurali di pietra. Essendo il nuovo frange-onde formato da una compage di legno, ed ormeggiato con forti catene ed ancore che costantemente lo mantengono in vma posizione regolare e insieme galleggiante, invece di opporre la dura ed immobile resistenza di un masso di pietre e di cementi soggetto a potersi sconnettere e ad ingombrare co' suoi rottami il sottoposto fon- do, cede e dà corso alla possa ed alla violenza del mare rendendone innocuo il furore col presentargli una resistenza flessibile, eguale e continua, e ripren- dendo sempre il suo equilibrio dopo il colpo di cia- scun cavallone. Quand'anche si potesse ( ed è già detto non po- tersi) costruire alla foce di Fiumicino un antemurale di pietra, questo sarebbe cagione d'immensi interri- 108 Scienze menti, perchè arresterebbe ai suoi lati le sabbie spia- tevi dal mare, e dinanzi a se quelle del fiume ; ma tutt' altra conseguenza può prevedersi dal galleggiante. La continua agitazione, in cui si troveranno le sezioni del medesimo per l' urto de'cavalloni e per la spinta ad essi data dalla corrente del fiume , de- ve produrre un effetto simile a quello delle ruote de'vapori nell'alveo dei fiumi (V. l'art. I del I cap.) , e così si aumenterà di molto l'altezza dell'acqua nelle vicinanze del frange-onde: beneficio sommamente pre- gevole per quella foce. Se per forza di vento o per inavvertenza de'na- viganti venga il galleggiante investito da qualche ba- stimento, sommergendosi con facilità, il bastimento vi passa sopra senza ricever danno, quando invece si spezzerebbe urtando in un molo di pietra, e pro- babilmente l'equipaggio vi perderebbe la vita. Se vogliasi distruggere il porto per guerra che si combatta , ed impedire così che le navi nemiche ne usino a proprio vantaggio, può in un giorno il galleggiante disormeggiarsi senza perdita alcuna di materiali. Il collocamento di questi frange-onde può farsi in qualunque parte delle coste marittime per formar- vi porti artificiali anche ne' siti più perigliosi ed e- sposti, ed ove si renda impossibile di valersi di al- tro mezzo; giacché in taluni luoghi per la qualità o quantità del fondo neppure si potrebbe costruire di pietra. Foce del Tevere in Fiumicino 109 Possono a piacere ed a seconda del bisogno va- riarsi, laddove sarebbe di mestieri distruggere e fab- bricare interamente di nuovo quelli di pietra, cioè, a modo di esempio, trarsi più innanzi entro il mare, ed anche in difesa di altro porto, se la spiaggia in cui fu collocato si accresca per successivi interri- menti: cangiarsi di direzione , se in confronto della primitiva una più confacente alla sicurezza della ra- da se ne scorga colla esperienza: aumentarsi facil- mente con l'addizione di qualche sezione, se vogliasi difendere un più lungo tratto della rada. Colla costruzione di questo porto si potrà pro- fittare del sensibile aumento di acqua che la natura del luogo fornisse nelle circostanze di maggior biso- gno. Quando il mare sente di fuori, come dicono i pratici, cioè quando è burrascoso o sente di dive- nirlo, la esperienza ci dimostra che nel nostro lido l'acqua s'innalza facilmente di due a tre palmi sopra il livello ordinario. Per esempio, se in tempo di mare calma alla foce di Fiumicino vi sono otto palmi di acqua, quando esso è burrascoso ve ne saranno dieci o undici, senza che il suolo del fondo abbia fatto ve- run movimento. Pertanto se nello stato tempestoso si avrà calma di mare nella imboccatura della foce, si potrà approfittare di questo gran beneficio che la stessa natura del luogo ci fornisce. Possono infine costruirsi , mantenersi , ripararsi con dispendio assai minore di quello che esigano gli attuali moli; e mentre il preparare ed il collocare i 110 Scienze galleggianti è l'opera di pochi mesi, i lavori prepa- ratoni e di esecuzione per gli altri richieggono in generale degli anni e rilevantissime spese (*). Se si ammetta, com'è incontrastabile, che un porto di rifugio alla foce di Fiumicino sia necessario per sicurezza de' naviganti e per interesse del commer- cio; che senza di esso sarà sempre pericolosissimo nelle tempeste l'approdo in quel luogo, per quanto si possano migliorare le condizioni della foce (a); che il fondarvi un molo sia impresa ardua, e, quel che è più, inefficace dopo l' andar di pochi anni ; che il frange-onde galleggiante possa agevolmente e con buon effetto collocarvisi e soddisfare al bisogno di co- siffatto porto: poiché se per la poca profondità del- l'acqua, che circonda la foce a quella distanza da me fissata, non potrà ricevere dei grandi bastimenti, (*) In Inghilterra , quantunque il legname costi molto, pure la spesa di un molo galleggiante, e quella media di altro simile fisso, si è valutata nel rapporto di 1 a 20. (a) 1 sig. ingegneri Yanse e Darcous, personnages très-entendus en la nature des mers, chiamati sul finir del secolo decimosettimo a dare il loro parere sulla formazione del porto di Cette ( Francia ) persìstèrent dans leur propositions, alfirmant que l'ouverture d'un ca- nal serait inutile, si, au mo\ien rf' une grande jetée (oggi avrebbero detto gran linea dei frange-onde galleggianti ), on n'en couvrait pas l'entrée, et si on ne mcttait tout d'abord à V abri les vaisseaux ar- rivant de la mer. Ils représentaient qu^ on devait faire moins atlention à la possibilité dcs ensablements, qu'à la necessitò de protéger l'embou- chure du canal et de metlrc en sùreté les navires qui se présenteraient pour y entrer. (Vedi Rafl'enau de Lile, Sur le projets d'améiioration et d'agrandissement du port de Cette. Paris 1841 pag. 9. Oppure ne- gli Annales des ponts et chaussées 1840.) Foce del Tevere in Fiumicino 1 1 1 daià certamente ricovero ai piccoli , e servirà per conseguenza di porto di rifugio alla classe di legni più numerosa ed avente minori risorse per resistere alle tempeste. Pe' grandi bastimenti il porto di Ci- vitavecchia o l'alto-mare sono luoghi di conveniente loro sicurezza. Quindi vi è tutto il fondamento di cre- dere che venga intrapresa e compiuta un' opera sì salutare. E quale ragione mai avvi per ricusare un porto in Fiumicino che infine è quello della capitale, e com- parativamente agli altri, pel numero di bastimenti ca- richi ivi diretti che in ogni anno vi approdano, deve dirsi il primo porto dello stato pontifìcio? Ninna cer- tamente; ed io confido di vedere mandato ad effet- to questo divisamento del pari consigliato e dalla umanità e dalla speculazione commerciale; come sono di opinione che presso la esperienza che del nuovo sistema si farà in Fiumicino, ne verrà diffusa l'ap- plicazione in altri porti ed in altre spiagge del no- stro stato (12). Io porto inoltre opinione che questo antemurale galleggiante manterrebbe dietro di se tanta calma da permettere in ogni circostanza ai bastimenti il tran- quillo e sicuro loro ingresso nel canale tra le pala- fitte (a). Ed in vero trovandomi in Edimburgo in un (a) Avendo pregato il ripetuto professor Brighenti del suo pa rere sopra i sudetti frange-onde, egli così mi concludeva in una sua lettera: « Le ripeto, gli spezza-mare galleggianti mi piacquero, e mi piacciono non solo per ammorzare il tumulto delle onde, ma forse an- 112 Scienze giorno di mare cattivo volli verificare quanto aveva letto sull'effetto prodotto dalle palizzate, benché rade, del nuovo scalo sospeso della Trinità a New-haven presso la suddetta città. Ed infatti rimarcai che la vio- lenza de' marosi era sì ben frenata dall' assieme di 60 pali formanti in mare un pilone di 1 8 metri qua- drati, che i bastimenti potevano accostarsi alle scale di detto pilone e sbarcare passeggieri e mercanzie : quindi non si può dubitare di ottenere coi detti gal- leggianti la surriferita tranquillità di mare. Da questo fatto potrà conseguirsi l'altro grande vantaggio di ridurre a 1 6 metri la larghezza dell'im- boccatura (da me già proposta di 18 metri, quante volte non si adottassero i frange-onde) senza incor- rere neir inconveniente di divenire troppo ristretta per le manovre de'bastimenti nei tempi di mare agi- tato : per la quale ragione solamente io devo sup- porre che sia stata condotta sino a 23 metri di lar- ghezza; larghezza però inutile in tempo burrascoso, come ho detto , perchè ninno può trarne profitto , proibendo il basso fondo, che questa larga foce man- tiene, ai bastimenti di accostarvisi; soverchia, quando il mare è in calma, per la facilità che in questo si ha nell'approdo (Vedi le pagg. 44 e 45.) che per isviare le nocive direzioni della traversia nel corso dei sabbioni. Penso ancora che il munirli in giro di ciuffi di salice , od altro soiEce rinvestimento , contribuirebbe a prevenire le percosse che ogni prisma, e tutti insieme sono esposti a sostenere. » L'appli- cazione di questa idea non può non riuscire utilissima. Foce DEL TEVERE IN FIUMICINO 113 Il prezioso Yantaggio, che si otterrebbe con tale restringimento della foce, sarebbe quello che la cor- rente acquisterebbe una forza molto maggiore per approfondare la fossa al di fuori della bocca; né l'au- mento di velocità prodotto dal ristringimento mede- simo sarebbe incomodo per la entrata, ove si prati- casse la chiusa di già proposta o almeno il richiesto piroscafo rimurchiatore. Farmi necessario 1' accennare la disposizione che crederei doversi dare al frange-onde per conseguire un buon effetto con mezzi economici nel porto di Fiumicino ( che vorrehhesì nominare gregoriano , a perpetuare il glorioso nome deW augusto pontefice che lo decretava)^ e nell'annessa pianta può vedersi tale disposizione (Tavole IV). Analogamante dunque a quel che ho già pro- posto sulla direzione da assegnarsi alla bocca del ca- nale, o sia alle palafitte, confermo che la linea ne- cessaria a coprirsi dal mare, per avere in ogni tem- po la desiderata calma alla bocca medesima, si è quella da ostro 'I4 libeccio sino a ponente 'i/, mae- stro, cioè un arco di 90 gradi. Se nella periferia di circa 200 metri dalla boc- ca di Fiumicino fosse stata una sufficiente quantità di acqua da permettere l'approdo ai bastimenti che fanno il nostro ordinario commercio, e se al di fuori di questo punto si fosse avuta una sempre crescente profondità di acqua, e non invece un costante scanno o basso fondo , allora la corda del dello iirco non G.A.T.GVII. 8 HA Scienze sarebbe stata necessaria che di metri 276 soltanto. Ma per uscire fuori del citato banco, e per trovare un fondo andante di 5 metri dal pelo basso del ma- re, il raggio di questo circolo non può essere minore di 350 metri, e per continuare la linea dei frange- onde su i detti 5 metri di acqua, la corda sarebbe da prolungarsi sino a metri 450. Per conservare la lunghezza di 20 metri, asse- gnata a ciascuna sezione dall'inventore del frange- onde, sarebbero necessarie nella estensione della sud* detta corda ben 27 sezioni. Ma si potranno ottenere, a mio credere, i medesimi effetti nella foce di Fiumi- cino con 1 6 sezioni soltanto, le quali al bisogno po- tranno sempre aumentarsi. Per risparmiare in parte la spesa che le sud- dette 27 sezioni cagionerebbero, io propongo di di- videre in due linee di argine galleggiante il riparo necessario per formare un porto nella foce di Fiumi- cino; l'una composta di cinque sezioni a 150 metri di distanza dal guardiano sinistro ; l' altra di 11 se- zioni a 240 metri. In questa guisa con 16 sezioni soltanto divise in due linee, come ho di sopra det- to, e come meglio vedesi nella pianta (Tav, IV) , si otterrebbero i necessari vantaggi che da una sola linea di 27 sezioni potrebbero conseguirsi. Circa però le dimensioni da assegnarsi al fran- ge-onde, che ognuno intende potersi a seconda del bisogno aumentare o diminuire, io sarei di opinione che avessero a conservarsi nella foce di Fiumicino, Foce del teyere in Fiumicino 1 1 5 la lunghezza e larghezza proposta dall'inventore, ma l'altezza dovesse adattarsi in proporzione della profon- dità dell'acqua che ivi si trova, e del movimento del- le onde su quel lido. Riflettendo alla bassezza dell'acqua nel punto in cui dovrebbe stabilirsi la proposta prima linea de* prismi, io pensava di scemare V altezza delle sezioni del frange-onde, rendendoli sufficientemente schiac- ciati per ottenerne una maggiore stabilità, e nel tem- po stesso un minimo compatibile pescare. Persuaso del buon effetto di questa modificazio- ne, ebbi anche a confermarmi in questo divisamen- to per aver poi saputo col mezzo del citato chia- rissimo ingegnere signor Giovanni Casoni ( egregio scienziato che primeggia nel favorirmi notizie utili all' arte mia), che nel porto di Sunderland ( Inghilterra) erano stati opposti de' grossi tavoloni a griglia con esito efficacissimo (a), e per aver quindi rilevato nel- (o) Debbo riputare a vera fortuna la conoscenza che feci del sul- lodato ingegnere nella occasione in cui dovetti nell'I. R. arsenale di Venezia imbarcare due obelischi di granito per trasportarli in Roma alla magnifica villa del principe D. Alessandro Torlonia : conoscenza che da quel tempo (1839) non ha mai cessalo di essermi assai pi-ofi- cua, perchè il lodato signore lia avuto ed ha tuttora la gentilezza di pormi a parte delle osservazioni e delle scoperte che si fanno nelle arti relative all'ingegnere di marina, delle quali (lo consenta la sua modestia) egli è fra i peritissimi. In una sua lettera si compiacque accludermi un estratto del giornale della fregata austriaca la Bellona testé ritornata dal suo viaggio scientifico d' Inghilterra. Parlandosi in (|U('Sto giornale del porto di Sunderland, si accenna che all'urto delle onde del mare so- H6 Scienze l'opera dell' ingegnere inglese sig. G. White che que- sti aveva fatto adottare per frange-onde galleggianti de' telai di legno, e che se ne erano ottenuti ottimi effetti (a). In conseguenza, riconoscendo che ne' luoghi di sufficiente fondale la forma di prisma assegnata ai frange-onde dal capitano Tayler è pienamente soddi- sfacente; e che all'incontro è preferibile quella a te- laio dell'ingegnere White ne' luoghi di acque basse; io propongo di adottare per la prima linea de' fran- ge-onde il sistema di White , perchè evvi scarsezza di fondo , e nella seconda linea quella del Tayler , sempre nell'altezza compatibile, perchè vi è una ba- stante profondità di acqua. Per la stessa causa della pochezza del fondo non dovrebbe applicarsi in Fiu- micino la ordinaria forma delle ancore per ormeg- giare i gabbioni e i telai, perchè una delle patte sa- rebbe inutile al servizio che si richiede, e di molto nocumento alla navigazione. Nel porto di Londra ho veduto che per ritenere i vascelli in disarmo è in uso un sistema di ancore a vite inventato di recen- te dal sig. Mitchell , e questo io preferirei pei corpi morti , mentre nulla lascia a desiderare ; esso con- siste neir introdurre nel fondo una trivella a larga no stati opposti dei grossi tavoloni fra loro collegati e disposti a foggia di graticcio, con esito efficacissimo. (a) An cssay on the formation of harbours of refuge ec. by the adoption uf moorcd (loaling conslructions a$ break-waters. Londra i840. Foce del tevere in Fiumicino 1 1 7 spirale , ove è attaccata la catena di ormeggio , e dalla quale si toglie l'asta quando sia entrata sotter- ra in quella profondità che si creda sufficiente, se- condo la natura del terreno, e secondo la forza che deve esercitare (a). Farà d' uopo osservare , che il fondo presso la foce di Fiumicino è mobile per es- sere di fina arena ed esposto all'azione de' marosi e della corrente del fiume: quindi è da veder se con- vengano meglio le ancore ad una sola patta , come si vedono marcate nella tavola V. In quanto al si- stema di ormeggio, quello del cap. Tayler conviene sotto ogni rapporto alla forma dei suoi prismi, ma non così quello dell'architetto White pei suoi telai , i quali verrebbero ad essere ritenuti in un sol pun- to. Per questi preferirei il sistema dell' ingegnere Guglielmo Enrico Smith (&), col quale si riterrebbe or- meggiato il telaio in due punti, e verrebbe nella metà circa della catena di ormeggio collocato un contrap- peso, che sospendendosi dal fondo gradatamente quan- do il telaio riceve la spinta dalle onde, farebbe sì che il telaio e le ancore non ricevessero l'urto clie dalla subitanea tensione della catena verrebbe prodotto . Questo sistema a parer mio corrisponde assai meglio (a) Vedi nella grande opera, Public JVorks of great britain ce. Londra 1838. ^ scicntiftc, historical, and commercial survey of the harbour and port of London ec. pag. 58: la descrizione, gli esperi- menti ec. delle dette ancore a vite, il cui disegno ò riportato nel- la nostra tavola I. (6) Improved ftoating Break-water: n. 33 Figroy, London. 118 Scienze alla loro forma, prestandosi bene al molto maggior impeto che , a confronto dell' onda intera , il mare frangente esercita sopra un corpo. Si ricordi che que- sti telai dovrebbero collocarsi nella linea de' frangenti. Il detto sistema di contrappeso farà le veci di una mol- la, la quale permetterà di evitare l'urto e la viva forza del mare, nel mentre che richiamerà quasi immediata- mente il frange-onde al sua prima posizione. Il citato autore invece delle catene comuni di ferro, ed in ve- ce di quelle di legno, le propone di tubi vuoti er- meticamente chiusi: in tal modo ottiene una gran du- rata e leggerezza, ed impedisce il grande attrito che fra loro ricevono le maglie nelle comuni catene. Ma pel poco fondo, ove saranno ormeggiati i nostri gab- bioni e telai, si dovrà adottare se non in tutto alme- no in parte le catene comuni. Terminerò questo articolo coll'accennare, che per la riunione de'legnami, che devono formare i prismi del frange-onde galleggiante, sarà molto utile servirsi della colla marina ( marine glue ) inventata dal sig. Alfredo leflfery di Limehouse (Londra), la cui im- permeabilità ed insolubilità nell'acqua la rende una preziosa scoperta per la marina. Il 15 aprile 1842 l'invenzione fu patentata in Inghilterra, e negli annali marittimi (numero di lu- glio 1843 pag. 166 e seguenti ) vengono pubbli- cate una descrizione e varie esperienze sulla sua na- tura immensamente aderente fatte nel cantiere di Woohvich e nel porto di Cherbourg. Conchiude la Foce del Tevere in Fiumicino 1 1 9 detta descrizione col riportare - « che di già, in forza di decisione del consiglio dei ponti ed argini, ap- provata dal ministro dei lavori pubblici, la colla ma- rina deve essere impiegata come mezzo di riunione e come intonaco preservatore velenoso alla costru- zione del frange-onde galleggiante che deve essere stabilito alla Giotat. » 120 Scienze ARTICOLO V. FARO GALLEGGIANTE. i^edici anni di navigazione mi hanno provato che una burrasca in alto mare non è che una occasio- ne, direi quasi piacevole, di spiegare il potere dell' arte che comanda al furibondo elemento, e ne vince il furore : ma presso una terra, all'imboccatura di un porto, quando regna una profonda oscurità, tutti gli affanni dell'incertezza e del pericolo assalgono il più intrepido e consumato navigatore; l'arte quasi lo ab- bandona, ed il solo caso diviene la sua guida prin- cipale. In questo desolante stato, l'aspetto solo di un fa- nale gli ridona interamente l'arte, e anche fra mille difficoltà egli conduce con sicura manovra l' equi- paggio ed il bastimento nel porto. Infatti ne' casi ove la forza del vento e del ma- re ha trasportato un bastimento presso una costa , oppure quando esso vuole salvarsi da nemici che lo mseguono, e si trovi obbligato di ricercare un por- to, e di entrarvi in tempo di notte , il solo faro è quello che gli fa conoscere il punto ove si trova, e gli dà la principal guida per la via che deve ese- guire onde effettuare con sicurezza l'entrata nel porto. Ben a ragione diceva il professore Aldini, che la Foce del Tevere in Fiumicino 121 prandezza e la importanza dell'argomento fanno che si raccomandi da per se medesimo, e si arroghi un diritto al pubblico favore (a). Nel rapporto del contro-ammiraglio Rossel so- pra il « Systéme general d'eclairage des cótes >> (6) adottato dalla commissione de' fari in Francia , bi- sogna studiare le considerazioni nautiche ed altre , che hanno determinato la distribuzione generale de' fuochi in oggi quasi portata al suo compimento ne' due mari della Francia. Il nostro paterno governo non può non pren- dere a proteggere questa marittima istituzione, per- suaso omai di una riforma voluta dallo stato attuale delle fisiche cognizioni, e comandata dalle sventure troppo frequenti che sopravvengono alla navigazio- ne ed al commercio. Ristringendomi ora a parlare del porto di Fiu- micino, dirò che fra i provvedimenti dichiarati ne- cessari a questa foce è quello di un faro galleg- giante innanzi alla medesima per indicarla di notte ai naviganti, in sostituzione del fanale esistente sulla Torre, che per la debolezza della sua luce, e per la sua gran distanza dalle punte della bocca, è presso che inutile. Un altro faro secondario, o fuoco di porto, è in- (a) Aldini, Saggio di osservazioni su i mezzi atti a migliorare la costruzione e la illuminazione dei fari ec. Milano 1823, paj. 4. (6) Annalcs maritimes et coloniales. Paris 1826, li parile Tom. 2, pag. 277 e seguenti. 122 Scienze dispensabile sulla testa del guardiano più sporgente in mare, per indicarne da vicino la difficilissima en- trata. Questo potrebbe esser posto sopra una piccola torricella di legno , come la descrive il citato pro- fessore Aldini, da trasportarsi coU'avanzar della pun- ta (a). Nei porti di una esatta pulizia e di fondo va- riabile nella imboccatura, com'è il nostro, tali fuo- chi vengono regolati in guisa da indicare ancora se nella bocca sia aumentata o diminuita la profondità determinata e conosciuta dai naviganti. Il gran faro galleggiante sarà situato alla estre- mità di ponente nella seconda linea del frange-onde (Vedi tavola V lettera F). L'uso di questi fari o fuochi galleggianti è por- tentosamente diffuso in Europa ed in America. Nel 1818 fu collocato un fuoco galleggiante su di un ba- stimento a due alberi alla entrata del Weser^ in luo- go della torre di legno che sino allora avea servito di guida ai naviganti. Nel 1826 fu stabilito un fuo- co galleggiante alla imboccatura deWElba^ e tra Mar- ie stown e la Chesopeak fu situato un faro galleggian- te pel capo Hatterus. Nel 1831 1' Irlanda contava quelli della punta S. D. Arkloabank^ della punta N. di Kisle-bank^ e del largo dello scoglio Coningherg. Nel 1832 erano attivati in Inghilterra quelli di Gullslream e di Goodwin ; e nel 1833 le isole bri- tanniche ne contavano 1 5, o sia sulla punta del fran- ge-onde di Plymouth^ nella costa di Sussex alla estre- (a) Aldini, Opera citata pag. 112. Foce del tevere in Fiumicino 123 mità del banco di Norc^ di Galloper^ e di Sanie, nel canale di Stanford al largo di Lowestoff^ e quelli di Newar, Harìstorough , Lynn-Vell , Dudgna , 5pwra , Liverpool , Coningheg , Salhis , Arkloiu e Kisk. Nel 1834 fu messo un nuovo fanale galleggiante nell' Humher. Nel 1835 quello di Kimburn alla entrata del Dnieper. Nel 1837 ne furono posti tre sulla co- sta orientale d'Inghilterra , o sia a s. Niccola Gatt^ a Shipwosh-Sandoa, e Swin-Middle-Sand. Nello stesso anno uno formato a Goletta nel canale di Drodgn. nel Sund; e un altro sopra una secca al porto lac- kson. Nel 1840 fu attivato quello di Kentish-Koreh ^ e nel 1841 un secondo fuoco galleggiante nel We- ser, vmo in Cornovaglia agli Seven-Homs ^ e un al- tro alla Florida. Nel 1842 fu stabilito un galleg- giante vicino ai frangenti di Kuohet alla entrata del Sund. Sarebbe lunghissimo poi render conto di tanti altri che giornalmente vengono posti nelle coste de' continenti e delle isole , come è impossibile di dar conto di tanti così detti gavitelli , minori di mole , ma per lo stesso effetto ancorati su i luoghi perico- losi. Gli annali marittimi di Francia , da cui si è fatto questo estratto, ne danno esteso e continuo av- viso. In altro non consistono questi fari galleggianti se non in un bastimento della forma che meglio pi ac- cia assegnargli , il quale porta sopra uno o più al- beri dei fanali, e da pertutto li ha moltiplicati la ne- 124 Scienze cessila d'indicare i luo(jhi pericolosi, ne'quali avven- ga di dover passare di notte. Il bastimento suole dipingersi con colori straor- dinari , e non comuni a quelli che si usano ne' ba- stimenti mercantili e da guerra. Ha nel suo bordo de' piloti pe' bisogni de'naviganti. Nel giorno inal- bera una bandiera che è comunemente di colore ros- so; nella notte accende parecchi fanali che splendo- no di luci diverse, come altresì in occasioni di neb- bie suona una campana a regolari intervalli (a). La esistenza di un numero grandissimo di fari galleggianti, che resistono alle tempeste ed ai più veementi uragani del nord-oceano, serva a tranquil- lare anche i più peritosi sul dubbio che il faro gal- leggiante da me proposto lateralmente al frange-on- de, e per conseguenza anche questo, possano resiste- re a qualunque burrasca sul lido di Fiumicino. Riassumendo le principali proposizioni di questo capitolo, il più interessante del mio assunto, non temo di concludere : Che avendo data all'armatura della foce la dire- zione , disposizione e larghezza che la scienza e la esperienza comandano (condizione sine qua non)^ on- de siano diminuiti i nocivi depositi provenienti dal mare, e la corrente del fiume possa conservare na- ia) Il sig. Hebert per ordine della compagnia Fanali avvisava il 25 gennaio 1832 che ne'fuochi galleggianti era stato sotituito alla so- lita campana il tam-tam, ossia gons cinese, per migliore effetto. {An- naUs marilimes et coloniales parties sciences et arts, 1832, pag.116.) Foce del tevere in Fiumicino 125 turalmente la maggior potenza escavatrice per inci- dere lo scanno nella direzione dell'asse all'alto mare rivolto (a)j Che avendo diminuite le cause degl'interrimenti provenienti dal fiume e dalle adiacenti aride spiag- ge o tumoleti , col difendere le ripe e rassodare il lido; Che avendo dalla parte sinistra della foce una sentina di spurgo in attività col mezzo della piro- draia, coadiuvata ancora in prossimità della spiaggia dall'opera de' forzati o altri braccianti , onde non permettere alle masse di arena, che radono il lido, di oltrepassare il guardiano o molo di sinistra ; Che avendo dalla destra della foce il naturale spurgo eseguito dai vortici che ivi le acque pel sof- fiare de' benefici venti producono , e che la espe- rienza conferma , e la cui efficacia sarà tanto mag- giore, quanto maggiore sarà la protrazione del brac- cio di levante su quello di ponente (*); [a) Credo tanto necessario che l'armatura della foce, oltre avere più protratto in mare il braccio sinistro su quello destro , debba eziandio essere diretta verso maestro, che non sembrami superfluo il ripeterlo, e dire col Mari: Vimporìanza di drizzare gli sbocchi de' canali, o sia l'imboccatura de'porti costituiti da essi al vento più fa- vorevole della spiaggia, è tanto grande, quanto si è quella di conser- vare libero l'egresso delle acque, e Vacccsso alle barche (Opera cit. T. II, pag. 102.) I*) L'effetto di questo naturale spurgo dalla parte di sottovento lo nota il Boscovich avvenuto nel porto di Fano quando il molo guardiano, costruito sopravvento, arrestava la breccia del Metauro. [Del porlo di fiimini. Raccolta cit. T. 7 , pag. 367. ) In Fiumicino 126 Scienze Che avendo nel mezzo del canale prossima allo sbocco una chiusa di spurgo, perchè colle sue ripe- tute e veementi scariche allontani dalla bocca quella parte di arene che dal moto radente e da quell'on- doso, e dalla non perfetta efficacia degli altri mezzi proposti, volessero depositarsi ed ingombrare il ca- nale di navigazione; Che avendo dopo un certo numero di anni colla nuova direzione allontanato lo sbocco di Fiumicino da quello di Ostia (se anzi tempo non convenga al- lontanar questo da quello, come ho notato), ed aven- do colle frequenti ed abbondanti protrazioni de'moli resa più sporgente in mare la foce del ramo di sot- tovento; Che avendo un piroscafo di stazione alla foce per rimurchiarvi dentro e fuori i bastimenti diretti nel porto, o pronti a sortirne senza che questi ab- biano a soffrire le avarie e i nocivi ritardi, a cui in oggi vanno soggetti; Che avendo de'frange-onde galleggianti d'innanzi dopo la costruzione dei 30 metri del molo di sopravvento, quantun- que questo non superi l'altro che di soli cinque metri, pure la spiag- gia di sottovento, detta da ponente, è sensibilmente diminuita presso la palafitta invece di aumentare. Essendo la sipaggia ed il paraggio di Fiumicino di sottilissima arena, ogni moto e velocità nelle acque del fiume e del mare possono produrre degli eft'etti che in lidi di ghiaia o di grossa arena sarebbero trascurabili o d'incerto servigio. Cessata la diminuzione del lido, o meglio ancora, stabilito che que- sta fosse artificialmente, si approlonderà il paraggio. Foce del Tevere in Fiumicino i 27 alla ripetuta foce, onde raffrenare l'impeto del mare spinto dai venti australi; Che avendo finalmente un faro galleggiante ad una delle estremità del suddetto frange-onde, ed un fuoco (li porto sopra il molo di sinistra ; non temo di concludere, ripeto, che con tali espedienti saran- no in gran parte elisi gli effetti dei venti nocivi che in oggi ricolmano con masse enormi di arena la foce di Fiumicino; sarà favorita grandemente 1' a- zione di quelli benefici , e la foce medesima po- trà costantemente avere non meno di quattro me- tri di fondo; 1' entrata e l'uscita di essa si farà dai bastimenti rimurchiati dal piroscafo senza pericoli e senza ritardi; in qualunque grado di tempesta si avrà ivi un conveniente porto di rifugio a ridosso de'frange-onde galleggianti ; chiara e sicura sarà la guida per rifugiarsi od approdare in qualunque ora della notte; ed in fine il dispendioso, non che nocivo bisogno delle protrazioni delle punte o moli, sarà in seguito moltissimo diminuito. Se però da un lato si può diminuire in gran parte la spesa delle protrazioni de'moli nella foce, dall'altro si dovrà far fronte a quella prodotta dai proposti ri- medi. Non può sperarsi mai, che alcun porto (toltine certi naturali profondissimi formati tra gli scogli) si mantenga senza continuata spesa. È certo che le pro- posizioni qui sopra riassunte, per essere realizzate, ri- chieggono una sensibile somma. Ma allorquando la vita e la prosperità de'cittadini sono gl'interessi po^ 128 Scienze sti a confronto, credo che non si possa né si debba permettere a considerazioni di danaro V impedire la realizzazione di risultati di una sì alta importanza. Ho detto di servirsi dell'opera de'braccianti li- beri o forzati per lo spurgo della sentina presso il braccio sinistro della foce. Né questo solo , ma an- che molti altri lavori sulla linea del Tevere potranno occupare con grande utilità le nocive classi d'uomi- ni di cui abbondiamo. La nostra capitale ha una classe numerosa di poveri e di accattoni, benché, come nota S. E. mon- signore Carlo Luigi Morichini, sia abbondantissima di ojjere 'pie (a) ; ed essa , come osserva Frégier , non essendo laboriosa e regolata, è la più inclinata di tutte le altre al vizio ed al delitto. Questa classe di oziosi rovina la società e con le sue lezioni e co' suoi attentati-, essa è unita con istretti e segreti le- gami alle case di dissolutezza; dà la mano alla parte corrotta degli operai, e si studia di guadagnare colle attrattive della indipendenza i figli di questi, igno- ranti e creduli; con tali mezzi si forma de'discepoli della sua depravazione, e col tempo de'complici ai suoi delitti. Volgendo l'attenzione alle diverse classi perigliose si ha occasione di convincersi che è questa la più nociva e la più numerosa. Dando ad essa del lavoro, proibendole con gran (o) Degli istituii di pubblica carila ed istruzione primaria ec Roma 1842, pag. XXVllI. Foce del Tevere ln Fiumicino 129 rigore di mendicare ,o vagaie per la città, si potreb- bero avere de'risultati utilissimi. Dai galeotti ancora si potrebbe ricavare uu buon profitto pe' lavori di Fiumicino e lungo il Tevere. Ad imitazione di quel che piaticasi altrove, proponp^o di costruire una o più barche , le quali contenendo più o meno forzati possano essere trasportate nei pun- ti ove il bisogno de'lavori lo richieda. Esse sarebbero chiamate bagni: vocabolo antico derivante da vecchi vascelli che ancorati servivano pei luoghi di reclu- sione, come ci dice Lauvergne. Sul Tamigi ho veduto più di uno di questi va- scelli, fra i quali ve ne ha chi contiene sino a 400 forzati , e si trovano stanziati nei punti , ove si è in corso di costruzione di qualche grande lavoro. Carlo Dupin ci dà la descrizione del famoso Belle- rophon^ che ridotto a bagno di forzati, si trovava al- lora ancorato sulla MedAvay pei lavori dell' arsenale della marina in Sheerness. Tra i galeotti che riempiono le galere del no- stro stato , il quale al nord abbonda di fiumi e di lavori idraulici, ve ne ha certamente un buon nu- mero precisamente adatto ai lavori del Tevere ; ed avendo la precauzione di fare questa scelta, la spesa del loro mantenimento sarebbe in proporzione de' servigi che renderebbero, come è quella delle braccia libere. Il sistema di continuare nel tempo della loro condanna la stessa professione che esercitavano in li- bertà, oltre ad essere utile pel governo, influisce sulla G.A T.GVII. 9 130 Scienze loro morale e fìsica costituzione , come saggiamente osserva Chassinat (a) (*) (a) Frégier, Des classes dangereuses de la population dans les grands villes et des moyens de les rendre meilleurs. Bruxelles 1840. Lauvergne, Des forpats ec. Paris 1841. Carlo Diipiii, Memoires sur la marine ec. Paris 1818. Chassinat, Ètudes sur la mortalité dans les bagnes ec. Paris 1844. (*) Ho già presentato pel nostro Tevere un progetto accompa- gnato dai necessari particolari, per la costruzione ed amministrazio- ne di uno di questi bagni. Esso conterrcLLe ottanta forzati. Foce del tbvere in Fiumicino 131 rV OT E DEL CAPITOLO III (1) Questo scalo dovrcLbe far parie di una specie di dock o di bacino, che il Cialdi ha proposto di scavare dirimpetto alla chiesa di s. IMarìa di porto salvo neWisola sagra, onde avere in quel punto uno spazio adallo e sufilcicule alla stazione de' legni carichi che entrano in Fiumicino. SitFatta opera mentre renderebbe più facile alla forza doganale l'invigilare gli anzidetti bastimenti, li farebbe pure ritirare dal canale, ove non possono più rimanere pel loro numero sempre crescente. Infine darebbe comodità alle manovre che devono eseguire i legni medesimi: poiché ora per la ristrettezza del canale quelli che hanno una lunghezza maggiore di 30 metri sono obbligati a risalire oltre gli 800 metri dai guardiani della foce, per potersi voltare in giro. Utilissima in Fiumicino, ed in ogni altro punto del Tevere, sa- rebbe una delle cosi dette caisse-dock per acconciare i bastimenti ed i legni del commercio interno. Se ne'porti di mare una tal macchi- na è di facile ed economico uso, lo è molto più lungo i fiumi. La sua costruzione è semplice , e può essere in legno o in ferro. Il porto di Fiumicino manca ancora di una lancia di salvamento insom- mergibile. La umanità ed il commercio risentirebbero grandissimo van- taggio da questa santa instituzione, della quale ogni porto dev'essere fornito (*). Dovrebbe pure in Fiumicino ed in Roma stabilirsi la più nobile e fìlanlropica istituzione, ciot- una socie fa' di umanità' per gli annegati. Quante vittime si potrebbero salvare dal Tevere ed al- tri fiumi o laghi, che per maucanza di essa ogni anno vi perdono mi- seramente la vita I I (*) Di quante il Cialdi conosce di dette lancie, o per averle ve- dute, o per averne letta la descrizione, quella in ferro costruita in Havre dal signor Lahure, ritiene preferibile ad ogni altra. Questa produce massimamente i seguenti effetti : 1.0 Rovesciata e posta nell'acqua con la chiglia in alto, in meno di un minuto riprende da per se la sua normale posizione. 2.0 11 serbatoio di aria, destinato a farle avere la suddetta prò- 132 Scienze (2) Non è diflìcile il dimostrare che nello stato attuale dell'im- boccatura di Fiumicino i danni sono quasi inevitabili pe' bastimenti. Vedesi dalla Tavola IV , che la bocca suddetta formata dalla estremità de' due guardiani è diretta a ponente '[i libeccio , e che il canale, o fossa, fuori de'medesimi non più larga di 40 metri, è diretto a maestro in distanza di metri 70 dal guardiano destro. Ora perchè un bastimento possa imboccare nella foce f; d'uopo che si di- riga da maestro a scirocco per circa met. 80, e quindi nel breve spa- zio di metri 20 si trovi subito colla prora volta a levante una quar- ta greco, o sia descriva un arco di 36.0 Kè la difiìcoltà maggiore consiste nel bisogno di eseguire una sollecita manovra attorno all' asse verticale passante pel centro di gravità del sistema del basti- mento, giacche, com è noto, l'azione del timone è proporzionale alla velocità del bastimento stesso, o alla forza con cui le molecole del- l'acqua urtano in esso; ma dipende piuttosto dalla cattiva disposizio- ne della foce. Imperocché quando il bastimento si avanza quasi ad angolo retto respettivamente alla bocca, ed è per effettuare la suc- cennata parte di evoluzione, la sua prora si scopre, e riceve la in- tera forza prodotta dallo sbocco delia corrente^ mentre la poppa tro- vasi tuttavia quasi interamente esente da detta forza , perchè resta prietà, è diviso in tre compartimenti ciascuno indipendente dall' al- tro in caso di accidente in qualunque parte della medesima. 3.0 La elevazione de' banchi, o sia il centro di gravità del peso degli uomini, è fissato a met. 0,23, onde conservare alla stessa lan- cia tutta la possibile stabilità. Queste sono le principali condizioni che deve avere una lan- cia per essere idonea al sutldelLo servizio; altrimenti non farà che aumentar vittime. Ecco in proposito il voto della commissione nominata a riferi- re sulla citata lancia costruita dal sig. Lahure. '< In riepilogo la commissione è di avviso che la delta lancia in ferro presenta tutte le condizioni di sicurezza che si possono desi- derare da un canotto destinato a navigare in un mare agitato. Essa decide adunque che questa lancia sia posta a disposizione de' pilo- ti, i quali vi troveranno una garanzia centra i numerosi pericoli , ai quali gli espone il giornaliero servizio che sono destinati ad adem- piere)) [Annales maritimcs, scicnces et arls. Numero di ottobre 184i, pag. 727.) Foce del Tevere in Fiumicino ^33 coperta dal guardiano di destra, che contro di ogni buona regola è più lungo del sinistro, e per conseguenza insensibile si rende l'azio- ne del timone. All'opposto la prora del bastimento, ricevendo la totale forza della corrente, prende la masca. e se non è ritenuto da prora-via col mezzo di qualche forte anzana (corda) ed alato da molte persone situate nel guardiano destro, deve infallibilmente andare ad investire la punta del guardiano sinistro , o a perdersi nella spiaggia. Si po- trebbe dire di più suU'iufelice stato della bocca di Fiumicino, ma la brevità di questo scritto, e quanto si t^ in esso accennato in propo- silo, dispensa dal parlarne di vantaggio. (3) Lorgna, Osservazioni e ricerche intorno al prolungarsi della linea de^fiumi in mare. Raccolta citata, tom. XII, pag. 28. Sarebbe necessario che la scelta dell'ingegnere cadesse sopra un idraulico di marina, cio(^ sopra uno di quelli specialmente applicati allo studio ed allespericnze sulla costituzione de' porti di mare e delle foci de' fiumi; altrimenti s'incorrerebbe anche tra noi nel difet- to che i pubblici lavori siano affidati a persone, che dirigendoli tutti non possono avere lo studio e la pratica occorrenti a ciascuno di essi in particolare, siano quanto vogliasi tali persone abilissime, dot- tissime; di che si duole un autore nel censurare alcuni lavori ese- guiti in Francia. On veut quun ingenieur sache tout. Cest le moyen que bientót use, fatiguè, découragé, il ne sache rien. Cest ainsi que je m'expli- que comment les jeunes ingenieurs, qui bien employés , seraint excel- lens, devienncnt médiocres, en prenant des années. Le méme homme passe, en cffet, de l'entretien des routes, à l'amèlioration d'une riviè- re, puis à un canal, puis à un poni, de là à un port ; quelquefois il faut qu'il (asse tout cela à la foisl Comment se lenir à la hauteur du progrés avec une mélhode aussi vicieuse ? Le remède à cet ètat de chose, s'est la specialité. [Complément d'études pratiques sur la navi- gation intèrieure ec. par F. Aulagnier. Paris 1842, p. 109). Ricordisi pur qui la opinione del Manfredi sulla necessaria pratica in chi de- ve far eseguire cosiffatti lavori (Annotazioni al Guglielmini, Della natura de'fiumi. Raccolta citata, tom. I, pag. Vili, 1821). (4) Geminiano Montanari nei suoi Pensieri sul mare Adriatico e sua corrente, a pag. 488 del tom. IV della citata raccolta, stabilisce l'effetto del corso radente per l'Adriatico fino a tre miglia dal lido. « Pure la esistenza della corrente littorale (dice l' esimio ingeg» Gio. 134 Scienze Casoni nella sua erudita memoria, Sopra una contro corrente marina che si osserva lungo una parie dei lidi veneti p. 12, inserita nel voi. I rielle Memorie tlelFimperiale regio istituto veneto di scienze, lettere ed arti ) « Pure la esistenza della corrente littorale, che chiamo an- che radente, venne posta in dubbio dal rinomato Iacopo Fiiiasi, che la dice niente certa e non provata. Ma invero se il Saladino, altra volta da me nominato, ne ha fatta parola nel secolo XV ; se dopo lui ne scrisse il Mantovani, e più esplicitamente il celebre Montana- ri, come ebbe a ricordare in una sua dissertazione il chiarissimo in- gegnere Emilio Campi Lanzi; se il cosmografo padre Vincenzo Coro- nelli ne lasciò cenno a pag. 81 e 82 parte 1 dell'opera Specchio del mare, pubblicata l'anno 1698, e prima ancora Isacco Vossio a p. 28 del libro De motu marium et ventorum, ed anche il digionese Ma risot nella voluminosa sua opera, Orbis maritimi ec. p. 650 e segg. se il rinomato Bernardino Zendrini la riconobbe; se ne favellarono il Bianchi e lo Stratico, ricordati dall'Olivi nella sua Zoologia adria- tica; ed appo questi se fu rammentata ancora dal nostro Dalia-Deci- ma, dal Liclitenthal de la Bèche, e da tanti altri dotti , ai quali mi piace mettere dopo un Vincenzo di Luccio, uomo di mare, che sulle correnti di questo golfo stesso nel 1798 pubblicava un trattato ed anche una gran carta in venti fogli; se il pratico marinaro ne trae profìtto viaggiando lungo la costa italiana, quando esce dal golfo, o tenendo all'opposta sponda liburnica allorché; vi rientra; se il moto circolare delle acque ne'mari è generalmente riconoscitito ed ammes- so dopo le recenti investigazioni del Wollaston, e del capitano Beau- fort anco nel vicino Mediterraneo, ed allo stretto di Gibilterra di cui tengo la esattissima carta 1808 del piloto Ignazio Reiner, nocchiero dello Scooner inglese il Pacifico , sulla quale con raaravigliosa ed esemplare esattezza le due opposte correnti veggonsi delineate a se- gni convenzionali, con tutte le anomalìe, i vortici , e gli scontri di acqua cagionati dalle stesse correnti superiore ed inferiore, e dalle altre circostanze particolari a quel classico varco ; se il fatto me ne convince; se presso noi ne conosciamo gli elFetti dal sorgere dei banchi, dall'andamento degli scanni, dalla inflessione delle foci dei porti; come potrei negarne la esistenza, la efficacia, e lasciarne inos- servate le successive conseguenze ? » Il chiarissimo ingegnere Bri- ghenti nella sua sapiente analisi all'opera del Tadini {Di varie cose alla idraulica scienza appartenenti ■■ Tadini idraulico italiano seri vera. Biblioteca ilaliana, tom. LXV. Anno 17.° gennaio, febbraio e marzo 1832. Milano) non esclude adatto la esistenza di detta corrente Foce del Tevere in Fiumicino 135 litlorale come il Filiasi,nia gli sembra soverchio il moto riconosciuto Jal Montanari ed altri, e non conviene ne' suoi effetti sopra le foci dolci o salse: « Questa corrente, ei dice, osservata dal Montanari è poi sì lenta e quasi insensibile, da non poter per certo escavare o mantenere sollevate e trasportare le sabbie ancorché tenuissime del fondo. Ognuno che abbia qualche pratica delle coste adriatiche si sa- rà cogli occhi propri assicurato di questo effetto, massime nelle bo- nacce estive , guardando alla visibil quiete di quel grande bacino di acque. Secondo il Montanari il moto radente sarebl)e di met. 0,05 per 1" prossimamente : e questa sebbene piccolissima velocità, non abile a tenere incorporate le torbe , ci sembra ancor soverchia , perchè nei tempi della calma vediamo i galleggianti più leggeri sen- sibilmente immobili, e quando si leva il moto ondoso il più mite se- guire la direzione del rombo, da cui muovono le onde. Però dubi- tiamo di ogni teoria che pigli le cagioni da quella corrente, saremo ritrosi ad ammettere le spiegazioni delle venete foci salse o dolci date dal Montanari e dal Tadini, inclinando a pensare che la direzio- ne del moto ondoso delle burrasche valga a guidarci con maggior si- curezza nelV intendere questa maniera di fenomeni e neW applicarvi i rimedi.» (3) Zuliani, Opera citata pag. 106. Oltre a ciò è riconosciuto dalla esperienza, che i due guardiani di un porto canale non devo- no essere di eguale prolungamento, altrimenti i bastimenti saranno esposti a grandi avarèe. On a remar qué un autre inconvenient bien grave, ci dice Andreossi parlando del porto a canale di Agde, a pro- longer la jetée de Vovest, autant que celle de test: les vaisseaux qui arrivent dans les temps orageux sont exposés a se briser contre la pri- miere jetée, camme V experience Va prove. Cette observation merite de n'etre point negligée; elle confirme d'ailleurs cette verité , qui en fait de pareil travaux, la meillure théorie doit étre soumise a V experien- ce, pour conduire à des resultats certains. {Histoire du canal du midi, Tom. I, pag. 181.) La osservazione dell' Andreossi sulla protrazione de' moli di Agde è applicabile a quella di Fiumicino. Fino a questi ultimi tempi si è praticato un prolungamento maggiore sul guardiano destro , detto da ponente, lasciando indietro per una venticinquina di me- tri quello sinistro; ma la ragione di questa strana e nociva pratica s'ignora. Soltanto nel novembre scorso spedito coli dalla prefettu- ra generale delle acque e strade il chiar. sig. ingegnere Brighenti 136 Scienze propose, che all'opposto di quello, che si era fatto pel passato, sì' dovesse prolungare maggionijente il braccio sinistro, e questa pro- trazione fosse per ora almeno di 30 metri. Dietro questa proposizione il lavoro fu ordinato, ed ora è in piena costruzione. Il Cialdi ebbe ad accompagnare il sullodato ingegnere Brigbenti in quella visita , e ad ammirarne la perizia nelle cose dell'arte e la vasta erudizione. Le ragioni che questi espose al medesimo in voce, e quindi alla prefettura in iscritto , persuadono pienamente che il prolungamento maggiore del guardiano sinistro, in vece di quello de- stro, sia il primo passo che dovea fivrsi per migliorar quella foce: perchè certamente il nemico maggiore, cui deve farsi fronte, è la fiumara frande: ed il Cialdi, gentilmente interpellato dall'encomiato ingegnere, ebbe a confermarlo nel suo ragionevolissimo parer&. Ora dunque si tratterebbe di sostenere e rendere sempre piàntile que- sta disposizione, proseguendo le protrazioni, portandole verso de- stra e ristringendo lo sbocco. (6) Il significato che nella nostra marina si dà al verbo tommare non si trova ne' dizionari ; con esso si vuole significare quell'effet- to che il vento produce nelle vele aulica e latina quando la sua di- rezione le prende nel filo, obbligandole a girarsi tutto ad un tratto dal lato opposto a quello che l'era stato destinato. Questo istantaneo cambiamento produce una scossa tale, che sempre cagioni al basti- mento una sensibile deviazione della direzione assegnatagli, quasi sem- pre la rottura della penna o picco, e non di rado quella dell'albero; e nel più favorevole caso è sempre funesta nella foce di Fiumicino. Né questo solo vocabolo manca al nostro dizionario di mari- na, ma molti e molti altri, ed in ispecie oggi che la meccanica ha fatto grandi progressi e la macchina a vapore ha variato di assai la costruzione, la manovra e la tattica de'bastimenti e della navigazio- ne. Il migliore e più recente dizionario che l'Italia possiede è quel- lo del chiarissimo professore Stratico : ma conta di già un mezzo secolo da che è scritto, ed il benemerito autore, mentre era un gran matematico, non era pratico marino. (7) L'inutilità de'lavori di spurgo alle bocche de'porti col mez- ze de'pontoni è stato ovunque riconosciuta, nel mentre che le pi- rodraie danno anche in quelle un conveniente prodotto. Ecco che cosa dice su di ciò il chiaro ispettor cav. Raffeneau de Lilc. Foce del Tevere in Fiumicino 137 Pour le ciirage , on emploie aujourd' huì sept ponions ci un nombre proportionné de Irébuchets destincs à reccvoir les déblais et à les transporlcr au lieu de dèpót. Mais ces macliines ne peuvcnt tra- vailler dans les passes que quand la mcr est très-calme; et cornine leur attirail est fori encombrant, on ne peut pas les groiiper sui' les poinis nècessaires, qui sont précisnnent le milieu des passes. Une bonne drague à vapeur ferait autant d'ouvrage que plusi- curs ponions. Elle le ferait à meilleur marche, et, ce qui est le plus important pour les passes, elle y mettrait beaucoup moins de lemps. Une autre amélioration complémentaire de celle-là, et non moins né- sessaire , consisterait dans Vacquisilion d' un baleau à vapeur qui remorqtierait les trèbuchets à mesure qu'ils seraient chargcs, et qui les conduirait assez loin dans Vouest du mont de Cette pour qu'on n^cut plus à craindre, comme aujourd'hui, de voir les sablcs ramcnès dans les passes par l'effet des tempHes. Lors.juc le temps mctlrait obslacle au travail de la machine à draguer, sans qìi'il fi'tt asses mauvais pour empècher le bnUau à va- peur de tenir la mer, ce bateau rendrait encore un trèsgrand servi- ce en trainant d'une passe à Vautre un hérisson roulant (a) pour fo- uiller le sable et le soumettre ainsi à l'action du courant de la mer; car il est démontré que ce courant seul n'est jamais capable d'enla- mcr la surface des bancs. Ce hérisson suppléerait à la diminution d'agitation qui occasionile le dépiìt du sable dans la rade mise à l'abri de la tourmente par le brise-lame. Opera citala pag. 43 e 44. (8) La invenzione del frange-onde galleggiante non è tutta del capitano Tayler; a lui nondimeno si dovr.\ sempre infinita lode per aver suggerito un sistema compiuto, che quindi la esperienza ha di- mostrato idoneo al suo scopo. La prima idea di questa scoperta ci fu data da Giulio Cesare in un lavorio da lui fatto nel porto di Brindisi allorché ivi raggiun- se Pompeo durante la guerra civile. Egli stesso ce lo descrisse ne' (a) En 1808 j'rti fait construire, et on a ensuite employé iusqii'en 1814 avec beaucoup de succès à Venlretien du dévasement et du dcsa- blemcnl de Carrière-port de Nieuport, un hérisson compose d'un cy- lindre arme à sa surface d'espèces de larges fers de pioche courbés en forme de développée du cercle géaérateur du cijlinirc. Ce seraìt tei te cns d'employer un instrument semblablc. 138 Scienze suoi commentari lib. I della guerra civile cap. 13. Vedi per questa invenzione anche l'opera di Mercadier più volte citata pag. 144. Altri passi verso la medesima scoperta furono fatti da antichi e moderni ingegneri idraulici italiani. I nostri padri preferirono i moli arenati a quelli continui, nello scopo di dare libero sfogo alle tor- be che spinte dai venti e dalle correnti vanno ad interrire i porti , e di conseguire economia di spesa, sicuri che i flutti in convulsio- ne non avessero potenza^ infranti contra la spessezza dei piloni, di menomare la sicurezza del porto, e che facile cosa sarebbe stata ap- porvi nel caso ini riparo. Quindi il de Fazio nell'anno 1813 {Intorno al miglior sistema di costruzione de'porti. Discorsi tre. Napoli 1828, pag. 6) propose pel porto di Pozzuoli costrutto a piloni un mezzo di ripiego per impedire la entrata al mare, che passando tra le luci de'piloni turbava non la sicurezza, ma la tranquillità del porto stesso. Tale mezzo consisteva in una panconata (compage di legno) in ciascun arcOj la quale, chiudendone il vuoto fino alle acque basse, ed anche un poco al di sotto, chiuderebbe assolutamente il porto all'ingresso delle acque agitate: ed elideva quelle obbiezioni, le quali erano di- rette a dimostrare difettoso un tal metodo di costruire i moli. Con tali cenni il Cìaldi spera di aver rivendicata alla nostra Ita- lia la prima idea del frange-onde in legno, copiata poscia e migliorata moltissimo dal capitan Tayler. (9) Estratto dal Galignani's Messenger 17 gennaio 1842 num. 8379. « Protettori del frange-onde galleggiante col sistema dato dal capitano I. N. Tayler R. N. C. B. Contrammiraglio I. Alien. Capitano C. I. Austen R.N.C.B. C. Barry Baldwin, Esq. M. P. Capitano Carlo Basden, R. N. Ammiraglio Lord A.I.Beauclerk. Capitan E. Boxer, R. N. C. B. Contrammiraglio Sir T. Briggs. Sir Guglielmo Buruett, K. C. H. Capitan Sir Brown, R. N. C. N. — Wim Carleton R. N. — I. Charretie, II. E. I. C. S. II. Chetfìeld architetto navale. Ammiraglio Sir Giorgio Cockburn. Capitano I. Cookesley, R. N. — G. A. Grofton, R. N. — Carlo Croie, R. N. Contrammiraglio R. Curry, C. B. Capitano I. Crouch, R. N. — W. B. Dashwood, R. N. — W. Dickson, Bt. R. N. — W. II. Dillon, R. N. Ammiraglio Sir Phil.C.C.H.Durham. Lord Eliot, M. P. Capitano T. Falcon, R. N. Foce del Tevere in Fiumicino 139 Capitano 1. Foote, R. N. — Sir And. P. Green, R. N. — Enrico Gosset, R. N. ~ F. W. Grey, R. N. — Lord lohn Ilay, R. N. I. F. Ila-wkes costruttore di navi. Capilano Giorgio Ilewson, R. N. Contrammiraglio Sir Hillyar. Capitano l Iline, H. E. I. C. S. -- Wm. Holt, R. N. — Ediiard Ilervey, R. N. — Carlo Ilotham, R. N. — W. Wilmott Ilenderson, R. N — R H. King, R. N. — W. Lapidge, R. N. Lord Lisle. Capilano las A. Lpg?rd, R. N. Lord Monnt Sandf'ord. Capitano Peter M'Quhae, R. N. — lames Morgan, R. N. — Toup Nicolas, R. N. Vice-ammiraglio Sir Sam. Pvm. I. Roberts costruttore marittimo. Capitano I. Robertson, R. N. — Peter Richards, R. N. — Giorgio Sayer. R. N. — Giovanni Shepherd, R. N. — Giorgio Smith, R. N. — E. Sparshott, R. N. — T. Sanders, R. N. — Sir C. Sullivas. — Daniel Tandy, R. N. Contrammiraglio Richard Thomas. Capitano Giorgio Tincombe, R. N. Alessandro Lumsdale costruttore. — larvis Tucker, R. N. Contrammiraglio Sir C. Malcolm. Valkir cap del porto di Plymouth. Capitano F. Marryat, R. N. — W. B. Mends, R. N. — Enrico Mcynell, R. N. — Lord Middleton, R. N. Conte di Monntca.shel. Conte de Mount Edgecumbe. Capitano Sir G. Westplial, R. N. — E. R. Villiams, R. N. — L Wilson, R. N. Contrammiraglio Fred Warren. Capitano Rich. A. Yates, R. N. — Samuele Hoskins, R. N. » (iO) Plans for the formation of harbours o[ refuge, improvement of rivers and sea ports ec. Plymouth in 4. 1840, pag. 7. Stabilito che la sezione galleggiante sia lunga 60 piedi, misura inglese, alta 27, lar- ga 2o, e la parte immersa sia 18 piedi, quella fuori di acqua sarà di 9 piedi, ed avremo 60X 9 == 340 la .superficie investita dalle on- de. Un'abbondante quantità di acqua è spinta a traverso degl'inter- stizi del frange-onde; quindi essendo 144 lib. la pressione laterale del mare per piede quadrato, dalla quale deducendone lib. 47 a cau- sa de' vuoti, sui quali non opera, restano 97 lib. per la forza elet- tiva, e perciò 540 X 97 - 32, 3S0 libbre di acqua: e questa egua- glia la maggior potenza impellente del mare. Preudausi ora per la forza del vento 18 libre per ciascun piede quadrato 340X18 lilj.^9,721 lib. sari la spinta del vento; finalmente essendo d'uopo accordare 3000 libre per la forza della marèa ,avre- 140 Scienze mo 52,380 -f- 9,721-1-3000=67,101 per tutta In l'orza agente sopra la faccia dell'apparecchio; ma essendo il frange-onde ancorato obli- quamente, in tal caso io sforzo sarà proporzionale al seno dell'an- golo d'incidenza della corrente, quindi molto minore. La parte immersa del frange-onde è di 18 piedi sino alla massi- ma sua larghezza che (-. di p. 23: di modo che questa parte immersa essendo doppia della superiore, che è 9, il mare dovrà frangere con- tro il galleggiatile con una forza doppia relativamente alla parte su- periore del piano di galleggiamento. Il mare avrebbe a sollevare le ancore che si stabiliscono di una tenuta maggiore del bisogno: perciò non vi può esser mai uno sfor- zo sopra i galleggianti che superi la loro foi'za: quindi non possono questi essere giammai spezzati, né disormeggiati; e quantunque di già abbiamo dato ne' nostri calcoli una gran parte per la forza del ven- to, si deve però ben tenere a memoria, che il vento non può agire con tutta la potenza sul frange-onde, mentre il mare vi si rompe al di sopra. Facendo quindi il paragone della forza del vento e del mare so- pra un legno scarico con quella che investe il frange-onde, avremo, che un legno 23 piedi largo, e 12 alto, esporrà una superficie di 300 piedi quadrati, ed assegnando la misura stessa per la carena, farà la somma di 600 p. q., che moltiplicata per 36 lib. pressione del vento per ogni p. q. dà 21,600 lib. per la forza del vento contro lo scafo. Concedendo che 144 lib., quanta è la pressione laterale del mare per per ogni piede quadrato, operi sul corpo del bastimento di 300 p. di superficie, avremo 144 X 300 = 43,200; al che aggiungendo lib. 21,600 per la pressione del vento, e la metà di quella forza 10,800 per la marèa, sarà di 73,600 lib. la intera forza impellente sullo sca- fo del bastimento; e però molto maggiore di quella, che fa impeto sul frange-onde che abbiamo veduto essere di 67,101. In questo calcolo di paragone non si è accordato neppure un quarto della forza del vento sul bastimento in una grave burrasca od in un uragano; e debbesi avvertire che sebbene vi si franga il mare, non però il legno sfugge dalla forza del vento, e che il mare è qua- si tranquillo alla profondità di piedi 18, ove giunge la immersione del frange-onde: dal che chiaramente apparisce, che se un legno non si distacca dalle sue ancore, di che si hanno ripetute esperienze (ve- di quanto è detto sopra i fari galleggianti a pag. 327 e seg.), molto meno potrà ciò avvenire al frange-onde medesimo. Foce del Tevere in Fiumicino 141 (II) Un frange-onde galleggiante costruito collo scopo di pro- teggere e coprire i bastimenti, essendo stato sottomesso al nostro esame, ci occorre dare una estimazione delle forze combinate de' venti, delle onde e delle marèe, alle quali un apparato di tal na- tura può resistere. Un calcolo di (al genere non può essere che uni' approssimazione della forza reale necessaria per tenere una sezione o parte del frange-onde nella sua propria posizione durante una tempesta. Comunque sia, noi diamo un calcolo con le basi sopra le quali esso è fondato. 1. Qual è la potenza del vento in una tempesta? In Inghilterra essa è stata sperimentata, e si è veduto per mezzo degli anemometri che la forza del vento in casi estremi è di 24 libre sopra ciascun pie- de di superficie. 2. Quanto alla forza necessaria per trattenere un corpo solido nella sua posizione, sotto la superficie di una corrente di acqua;, il sig- Dii Duat ha trovato che un prisma che rappresenti un'area di un piede quadrato, essendo immerso sotto la superficie di un corso di acqua che scorra in ragione di 3 piedi per secondo (quasi due nodi), incontrava una resistenza di 14 libre. Ora il frange-onde galleggiante è della forma di un prisma: e quando è ritenuto in una corrente pro- dotta dal flusso, la parte posta al disotto della linea di galleggiamento si troverebbe nella coudizione della esperienza l'alta dal sig. Du Baal, ogniqualvolta la celerità del Russo fesse di tre piedi per secondo. 3. Per ciò che riguarda la impulsione data dall' onda, questa parte del soggetto che noi trattiamo è attorniata da dilBcoltà,- per- chè i flutti diiieriscono nel loro volume, come anche nella loro ve- locità. Di fatto un'onda non rotta non è altro che una ondulazione, mentre che un frangente trasmette sempre una massa di fluido. Sono per conseguenza i frangenti capaci di esercitare una forza maggiore sopra 1 corpi solidi che a loro si oppongono; essi trasportano le get- tate, livellano gli scogli, mentre poi i corpi galleggianti resistono alla loro violenza. Ula noi siamo pienamente convinti, che una sezio- ne del frange-onde galleggiante essendo costruito a giorno, cioè se- parato da interstizi e da passaggi, avendo le sue parti interne piene di acqua, e perfettamente libere per cedere ad ogni impulso per istan- taneo che esso sia, non soffrirebbe mai un gran colpo dall'onda, che viene a rompersi sopra di lui- Quest'onda si dividerebbe in una infi- nità di direzioni, e le sue acque entranti nel frange-onde rimove- rebbero il fluido che vi si trovasse da prima, e che comparativamer- te al cavallone è un'acqua stagnante. Sotto l'impero ed il merito del» 142 Scienze le idee che precedono, noi troviamo per risultato che un peso di 23 !il)re per ciascuo piede di superficie della parte sotto acqua^ sa- rebbe sufficiente per resistere alla forza del cavallone sopra il fran- ge-onde allorquando è ancorato. In seguito di ciò, il nostro calcolo sopra una sezione di CO pie- di di lunghezza sarebbe come segue: Area delle porzioni sotto acqua 60 X 18 = 1080 piedi esposti ad una marèa di 3 piedi per secondo, esercitando una forza di quat- tordici libre sopra ciascun piede superficiale . . . lib. 13,120 Esposti ad un cavallone esercitante una forza di 25 libre sopra ciascun piede superficiale » 27,000 Area delle parti al di sopra dell' acqua 340 piedi esposti ad un vento di 24 libre per piede » 12,960 Totale delle forze del vento de'cavalloni e della marèa, lib. 33,080 Quantunque siamo stati correnti nello stabilire gli elementi di cal- colo per riunire la maggior potenza ammissibile sopra il frange-on- de; pure se la forza, a cui resiste un bastimento sull'ancora, si è rinvenuta di 73600 libre, si avrà perciò provata la stabilità di un frange-onde in una tempesta qualunque. Plymouth IS maggio 1842 Firm. Guglielmo Walker R. N. ( Piece num. 1 de la! notice ec già citata. Vedi la nota antecedente. Vedi ancora l'opera citata del cap. Tayler pag. 8 e 9. (12) Con molta facilità si potrebbe introdurre questo sistema di moli galleggianti nei nostri frequentissimi caricatori nel Mediterra- neo, come per esempio Corneto, Montalto. Cosi pure alla punta detta del Pecoraro presso Civitavecchia, nella quale si avrebbe un magnifi- co porto per la quarantena. Civitavecchia stessa e i porti e caricatori dell'Adriatico potrebbero riceverne maggior sicurezza: e porto d'An- zio, difeso da poche sezioni di frange-onde galleggiante , potrebbe divenire uno de' più sicuri porti. Avendo nominato il porto di Civitavecchia, non deve il Cialdi perdere l'occasione di accennare la urgenza in cui si è di aumentare la sua capacità per prestarsi a quell'ingrandimento di commercio ma- rittimo che la sua felice posizione geografica, e l'accrescimento d'in- dustria ne'suoi abitanti, non possono tardare di conseguire in grado mollo più esteso del presente. Foce DEL TEVERE IN FIUMICINO 143 « Il disegno dell'attuale porto edificalo da Traiano, dice l' illu- stre concittadino cav. Pietro Manzi , è tra quei di qualunque porto che ora esiste il più nobile ed elegantissimo « {Slato antico ed at- tuale del porto di Civitavecchia. Prato 1837): e la sicurezza ed il co- modo pe' naviganti corrisponde alla forma e superficie che occupa ; ma siccome questa superficie dev'essere proporzionale al movimen- to commerciale, perchè si conservino le due essenziali qualità sicu- rezza e comodo ; così è sotto un tale aspetto che s'invita a studiare questo interessantissimo argomento. 11 problema è grandemente ar- tistico, commerciale e politico: ed il Cialdi, dovendo confessare il suo scarso ingegno, sente difficile scegliere quella soluzione che torne- rebbe più utile. Il breve spazio compatibile in una nota permette solo osserva- re, che se nel 1837, come riferisce il suUodato Manzi « il commercio era povero, nulle le manifatture e poco numerosa la marina: m non pertanto lo stesso saggio ed avveduto scrittore riconosceva la neces- sità di approfittare di qualunque parte del porto: molto più oggi si deve desiderare ed insistere per lo ingrandimento, ma ben più esteso di quello che dal medesimo si proponeva, perchè il numero de'basti- menti della sola città di Civitavecchia è di già aumentato di quasi la metà da quello che era nel 1837 (*). Se all'epoca del benemerito Manzi si credeva utile far della dar- sena porto, ora si può dire che il porto dovrebbe servire di qua- si tranquillo dock per esercitarvi le operazioni commerciali , ridu- cendo più larghe, ed a giusto livello, le sue prode o calate, afllne di facilitare alle mercanzie il movimento commerciale per via di terra, e nello stesso tempo rendendole accessibili, e con altezza conveniente ai bastimenti , si otterrebbe anche un risultato di alta importanza, quello della economia e della rapidità delle operazioni del commercio di mare. La darsena poi sarebbe a destinarsi al servizio di magazzini e di bacino, e la sua grandezza e forma egregiamente si presterebbero per tali usi. Or dunque ci si appalesa manifesto, clie la città di Civitavec- chia manca di un porto di rifugio o di uno spazio per dar ricovero ai legni di rilascio, e per ricevere i giornalieri jjastiinenti a vapore. Questa specie di bastimenti, ovunque frequenti, ha fatto sentire la necessità d'ingrandire i porti. Il loro numero sempre crescente, (*) Il qui appresso prospetto chiarisce la verità del citato axi- 144 Scienze che aumenterà in un rapporto maggiore, le loro forme che occupano uno spazio orizzontale oltre il triplo degli altri della stessa portata mento. PROSPETTO dimostrante la esistenza dei bastimenti della marina di Civitavecchia al 31 dicembre 1837 e degli aumentati e diminuiti fino al 1 gennaio 1843 dcdotlG dai registri della capitama di quel porlo, di cui la gentilezza del sig. colon- nello cavalier Castagnola si è compiaciuto inviare l" estratto. DIMOSTRAZIONE DEGLI AUMENTI E DELLE DIMINUZIONI A-VENUTE Esistenti nel porto di Civitavecchia in attività Aumentati in 4 anni e mesi 7 . . . Totale Diminuiti , cioè Naufragati in mare N Demoliti per vecchiaia Venduti per l'estero Venduti per lo stato Rimanenza alla 2.^ epoca Aumentati fra la 2.^ e la 3/' epoca^ cioè in anni 2 e mesi 3 BASTIMENTI 29 16 43 Totale Diminuiti come sopra Naufragati in mare N. 6Ton.280 Demoliti per vecchiaia » 2 » 87 Venduti per l'estero » 1 » 31 Venduti per lo stato » 1 » 36 1226 941 2167 420 1747 Rimanenza alla i.^ epoca 11.^ epoca al 30 seti. 1842 introduzione de'vapori sul Tevere BASTIMENTI 37 13 32 10 42 S s 1747 813 2362 434 2128 42 III.^ epoca al 1 gennaio 1843 BASTIMENTI 212 OSSEfJAZIONI Dalla presente dimostrazione risulta, che il numero e le tonnellate de' bastimenti è in aumentato, e questo aumento si scorge sensibile dalla 2.» alla 3." epoca, cioè dalla istallazione del rimurchio co' vapori nel Tevere , quantunque per gì' infortuni del mare le perdite sono state triplicate. In oggi si trovano in costruzione altri 3 bastimenti : ma è però sommamente disonorante e dannoso per Civitavecchia che questi e gli antecedenti si co- struiscano e siano stati quasi tutti costruiti all'estero. Foce del Tevere in Fiumicino 145 in mercanzìe, fanno sì che non possano pii\ contenersi nei porli an- tichi costruiti pe' soli bastimenti a \ela e per un limitato commercio. Molti porti in Inghilterra sono stali ingranditi per questo mo- tivo: la Francia è per far lo stesso, e particolarmente in Marsiglia, Bordò ed Havre. Difalti oggi vediamo che quando sono nel nostro porto tre o al più quattro degli ordinari bastimenti a vapore^ tutto il porlo è sbarrato: e se non dovessero suljito ripartire , sarebbe dannosissimo l'approdo di altri legni. Ora nessuno potrà negare che . numero de'pifoscafi vada di giorno in giorno aumentando, sia per r accrescimento del moto commerciale marittimo, che ovunque si manifesta, sia perchè trovandosi più dati di sicurezza e celerità nei sistema a vapore che in quello a vele, la nuova specie di naviga- zione terminerà per fare abbandonare quasi interamente Tantica. Se ci diamo la pena di osservare quanto è- accaduto fra Marsi- glia e Arles, fra Havre e Roiien, e in tante altre porti dell'Europa e dell'America, posti presso la foce de'fiumi che abbiano una città non molto lontana nell'interno, ci avvedremo che quel movimento di ca- botaggio, che si esercitava con piccoli bastimenti a vela, oggi è quasi interamente sostituito dai piroscafi. Or dunque presto o tardi la stes- sissima cosa deve accadere nella nostra marina di Civitavecchia che ha commercio con Roma: perchè se non sapremo da noi stessi ap- profittare de'sistemi più solleciti, comodi ed economici , che la in- dustria umana ci somministra, verranno gli esteri a farlo, come già fecero, e fanno ancora gran parte del nostro cabotaggio coi legni a vela. Quindi facciamoci alla mente che soltanto quel numero de'no- stri bastimenti, che ora eseguiscono il commercio con Roma, sia so- stituito da tanti piroscafi: di grazia, ove sarebbero essi ricoverati nell'attuale porto di Civitavecchia, ove potrebbero essi esercitare le necessarie manovre di sbarchi e imbarchi di mercanzia e passeggieri? Senza più dilungarci sembra potersi conchiudere, che sia ora una necessità assoluta quella d'ingrandire il porto di Civitavecchia o di rinunziare ad un aumento sensibile nel suo commercio. Esso è oggi giunto quasi al suo massimo: talché aumentandosi ancora, avverreb- bero tali danni che per necessità i concorrenti dovrebbero allonta- narsene. E al certo lodevole cosa lo studiare ed insistere per 1' ingran- dimento della città: ma se di pari passo non s'ingrandisce il porto, il primo aumento non sarà molto utile,- sperare, che delle nuove fa- G. A. T.C VII 10 146 Scienze miglie vengano a stabilirsi in Civitavecchia senza che il porlo pos sa somministrare ulteriori risorse col necessario ai»piento del com- mercio marittimo, dell'agricoltura e dell'industria, è un assurdo; quindi tutti i buoni cittadini debbono pensare ad ottenere tanto l'uno quanto l'altro. (Sarà continualo.) .Ar 4.ri .<„.,■,„,. ANTONIO TO(4Tl DAI. l'OMMK.NUV M.KS.S.i.VDUO CIAI.III INDICE I) I.; .'/',..,,/, /,'„ /y,„U„„,r ' ' ' (1 ly/WA /ini'ii' ,// r/ffllrl ,/,/ /rirril/r Il ' A/,,„ ,/., y,.;,.„/. I, 'Ù,,,, ./,/„■» '"/"■ //mrn/iir/ii,/,/ /if/i/ifi /inrn iM j'Muar—r'/ir/r %,l ■"'«Hf ''"'"•■"4,,,;^ U.i «< l»l»'*l "3. "./. ''''*'>IIJ»fp.»«^,p \.^»lp./jl^(jjjy,lf« y'r.,/,, ,/, :r^r./M,: '''''f^'tBlìp'v'''*.: i/7,.r„ „;//, f.,„./y,;, ,„/ rf,'„,„Z:~-7^7l ■)Sr«'iì)!^ /://• r 147 Sulla orìgine delle febbri periodiche in Roma e sua campagna. Memoria seconda di Giacomo Folcili me- dico collegiale., primario professore nella università ec. Roma., 1845. N ella prima memoria, pubblicata nel 1828 dal no- stro chiarissimo autore intorno a questo medesimo argomento , si occupò egli strenuamente in addur- re ragioni tendenti ad indebolire la credenza de- gli uomini sopra il miasma palustre qual cagione materiale delle enunciate periodiche. Torna ora il prelodato scrittore su di un tal particolare , richia- mando nuovamente in dubbio con nuovi argomen- ti e nuove dilucidazioni la già respinta tesi. Ben lon- tano egli è dal sostenere, che le palustri esalazioni non sieno pregìudiciali alla umana salute, e che len- tamente non inducano uno stato morboso in coloro che vi soggiornano dappresso; ma non consente in opinare che dalle acque raccolte in massa e pigre s'innalzi un materiale di suo genere, un principio maligno e venefico, in una parola un miasma., che propriamente ed unicamente dia presso di noi ori- gine alle febbri intermittenti. A favoreggiare il suo asserto prendendo il Fol- chi le mosse dalle ricerche del Boussignault, vi avver- te la poca sicurezza dei mezzi sperimentali adope- rati, la quantità tenuissima dell'idrogeno che dice- si rinvenuta, e la probabilità che questa o sola o 148 Scienze congiunta ad altro principio combustibile possa esi- stere in un'aria anco sanissima. Avverte che volen- dosi ancor concedere che nell'aria reputata malva- gia esista la materia organica del Moscati e del Bous- signault , rimarrebbe sempre a provare , che essa assorbita dal corpo degli abitanti è quella appunto che suscita la malattia endemica: mentre parrebbe più idonea a viziare gli umori alla guisa di un fer- mento, ovvero ingenerare una febbre di carattere tifoideo, anziché una intermittente periodica. Rimar- rebbe altresì a provare, che trasportata da luoghi lacustri in quelli, che, quantunque asciutti, pur so- no infetti alla umana salute in certo tempo dell'an- no, ritiene integra la sua facoltà generatrice della febbre. Ma siccome 1' idea di questo ignoto prin- cipio deleterio, che surto dalle acque stagnanti in- colpasi suscitar le febbri periodiche negli abitatori del Lazio, fé nascere e conserva il concetto che que- sta nostra bella penisola sia una pozzanghera; cos'i volendo il N. A. infirmarne e smentirne la credenza si occupa in vma breve enumerazione ma fedele dei laghi, stagni, e terre uliginose esistenti nel territorio romano. Or se la somma di quei luoghi palustri vo- glia porsi a confronto con la misura intera dell'agro romano ed unirsi alla estensione delle pertinenze delle Provincie della Comarca, di Civitavecchia, di Viterbo e di Velletri, trova il Folcili non esser quella somma che una piccola frazione relativamente alla totalità del territorio. Osserva altresì, non esser vero che le acque degli stagni e laghetti presso la nostra spiaggia del Tirreno sicno acque morte, putrescenti: essendovi in opposizione le fisiche qualità loro, la rin- novazione di esse per mezzo di vari inRuenli e ca- Febbri periodiche I/iO nali di comunicazione col mare. E concesso ancora che produttrici fossero le medesime di viziosi effluvi, noi sarebbero certamente al grado eguale di quelle che rimangono nel fondo dei canali di Venezia nella bassa marèa, o nei canali di Amsterdam, che Thouve- nel e P. Frank dissero che stagnando corromponsi , ricopronsi di peUicola verdognola, e mandano insop- portabile odore, senza esser però quelle due città infestate dalle febbri intermittenti nel tempo dei ca- lori estivi. La ragione delle distanze vi è pur presa a considerazione matura come un ostacolo a serba- re integra l'attività e la diffusione del supposto pa- ludoso miasma , non che la interposizione dei colli e corpi boschivi. Qui poi dà principio il prof. Folcili alla ricerca delle vere cagioni atte ad essere realmente sostitui- te all'impugnato miasma palustre per la genesi del- le periodiche. Abili sono le ineg:uaglianze del suo- lo a rattenere l'umidità, e ritardano lo scolo delle acque; al che se aggiungansi il sistema nostro di col- tivazione, pel quale di una vastissima tenuta si rom- pe in ciascun anno un quarto, la poca cura dei fos- sati, e molto più il frequente straripamento de'fìu- mi, e la bassura naturale della costa marittima, si avrà tanto da render conto dei fenomeni asmosferici, che presso noi accadono nella stagione estiva. E la sensibilissima discrepanza, che havvi fra la tempera- tura notturna e la diurna, non costituisce una du- plice condizione capace di recare alla macchina uma- na nocivi effetti della morbosa impressione del fred- do e della umidità ? E contro questa intemperie del cielo han cura, ripiglia il N. A., di guardarsi i col- tivatori delle nostre campagne? « Eglino in vece mal 150 Scienze » vestiti, mal nudriti, arsi dai ra{Tgi del sole, sudanti » sotto le fatiche del campo, nelle ore della refezione » vanno in cerca di un luogo fresco ed ombroso , » onde ristorarsi. Non di rado sorpresi dal terapo- » rale, e molli di pioggia, ripigliano il lavoro senza » la minima precauzione. Nella notte poi ricusano » dormire in luogo chiuso, e son soliti coricarsi sul )) terreno o a cielo aperto, o sotto tali tende, che non » impediscano la ventilazione, e l'ingannevole diletto » del fresco. » Facendo anzi il N. A. dopo di ciò un raziocinio per comprendere la diversa risultanza di eQetto, che presentano le compagnie de' marsi e piceni, che reduci ai loro focolari dopo aver soste- nuto dal maggio ai primi di luglio le operazioni della falciatura del fieno e della mietitura del grano non soggiacciono d'ordinario alle febbri; laddove sogliono affollarsi alle infermerie degli spedali i nostri cam- pagnoli che dal luglio alla metà di agosto travaglia- no sullo stesso campo al pari dei primi, vi tengono lo stesso genere di vita , ed il cibo stesso ricevono dai loro padroni. La cagion di tanta disparità di for- tuna si ripone dal N. A. nel perchè fatta in luglio ed agosto vieppiù energica la forza del sole, e cre- scente in proporzione il disquilibrio fra la tempera- tura diurna e la notturna, e l'umidità che l'accompa- gna, più ne risente la pelle umana e lo stato di sa- nità. Possiede anche la città di Roma in piccolo la medesima configurazione e le medesime condizioni atmosferiche nella stagione estiva del suo territorio, di cui è una picciola porzione. Abbonda singolar- mente di sorgenti di umidità; molte vi sono le pub- bliche fonti e private: i canali sotterranei, i pozzi, le cloache, le acque libere sotterranee, l'angustia e poca Febbri periodiche 151 nettezza dei cortili, i laghetti e piscine delle prossime ville, gli orti irrigati e dentro e presso le mura, ar- gomento si rendono della intemperie dell' atmosfera della città nelle notti della stale, variabile secondo le varie stagioni, ma esattamente simile a quella del suo territorio. E siccome simili circostanze danno simili risultamenti; così è a dirsi, che le regioni del globo similmente alla nostra costituite soggiacciono nei mesi estivi alla medesima inclemenza di cielo ed al genere istesso di febbri. Invita perciò il N. A. a volgere lo sguardo all'opera del Sachero suU' Intemperie della Sardegna^ per convincersi dell'esposto, ed assicurarsi ancora, che parlando il Sachero delle circostanze eh' esaltano l'attività del miasma ( da lui riconosciuto ) vi annovera in prima la forza possente del sole in quel clima che in campagne poco colte e sprovviste di alberi percotendo il corpo de'contadini , offende loro principalmente il capo ; pone quindi a calcolo l'umidità atmosferica, maggiore dopo le piogge esti- ve, alternata cogli ardori del giorno ; rilevando in terzo luogo il soffiare dei venti che molto influisce a cangiare lo stato igrometrico dell'aria. Si giova pur anco il Folchi del parere di Cruz lohim, che par- lando di varie sentenze altrui intorno certe epidemie d'intermittenti che ad intervalli ricorrono nel Brasile ed in altre regioni dell'America, si dichiara propenso a rintracciarne la causa, più che altrove, nei muta- menti atmosferici. Confortato pur egli è dal pensiero, che con esso lui la stessa opinione dividono vari scrit- tori dello stato pontificio; dal riflettere che il Davy esclude la esistenza del miasma; che il dottor Giaco- mo Clark assegna per ordinarie cagioni delle inter- 1 52 Scienze mittenti quelle stesse che il Folchi contempla e ri- conosce, cui si accosta altresì il giudizio del Borda. Guidato da tali osservazioni e relativi ragiona- menti il eh. nostro prof. Folchi si die indefessamente allo studio singolare delle vicende atmosferiche nei mesi di luglio agosto e settembre dal 1829 a tutto l'anno i 844, cioè per lo spazio di anni quindici. Ten- ne conto parimenti di tutte le meteore in quei mesi avvenute così aeree, come acque ed ignee, registran- do insieme giornalmente il numero degl'infermi en- trati usciti e rimasti nel grande arcispedale di s. Spi- rito ; di tutte le quali cose riferisce il N. A. un succinto compendio, desumendone poi singolarmente le seguenti risultanze: cioè 1; che una stagione uni- formemente fresca o calda è la più scarsa di febbri periodiche; 2, che una stagione variabile per meteore ricorrenti o aeree , o acquee, o ignee., è la più ab- bondante di febbri sì benigne e sì perniciose; 3, che a rendere 1' atmosfera dannosa alla salute umana e produttrice di febbri nella stagione estiva non è con- dizione essenziale la caduta delle piogge dentro la periferia occupata dalle febbri stesse, potendo a ciò valere il rinfrescamento arrecato da' venti, congiunto alla serenità : circostanza , soggiugne il N. A. , che non sembra conciliabile col svipposto del miasma pa- ludoso, al cui svolgimento si vuole che contribuisca grandemente l'intervento delle acque e la putrefa- zione delle materie organiche; 4, che quando si spie- ga la influenza delle febbri per le cagioni predette, essa non si limita alla sola capitale e suo circonda- rio, ma si estende alle città e castella situate in luo- ghi elevati, ne' quali strano sarebbe l'immaginare la presenza del miasma; 5, che l'avvicendare del caldo Febbri periodiche 153 e del freddo ed il nascere delle febbri sono tra loro COSI collegati e dipendenti, che se di poco momento è quello, siccome in alcuni anni osservossi, di picco! grado è ancor questo ; 6 « che i venti consecutivi » alle piogge sulle montagne o al temporale sul no- » stro paese, i quali in mezzo al calor naturale della » state adducono raftVeddamento nel)' atmosfera , e » nelle nostre sale aumento de' febbricitanti , sono » quasi sempre quelli provenienti dal nord , o da' » punti laterali » secondo gli esempi annotati nelle varie stagioni. Circostanza opportunissima (ripiglia il prof. Folcili) a comprovare il suo assunto. Poiché « quando pur si concedesse che l'aria trasportasse se- 1) co a grandi distanze le particelle miasmatiche nel- » la loro integrità, non sarebbono mai i venti del » nord o i laterali, sibbene quei del sud-ovest, che •> passando pe' luoghi umidi della maremma potreb- ') bero ammorbare la capitale e la campagna. » Alle preziose osservazioni, di cui abbiam fatto cenno, eseguite dal N. A. per lo spazio di quindici anni sull'influsso atmosferico nella generazione delle periodiche febbri, aggiugne il medesimo una serie ben estesa di moltissime sue private pratiche osser- vazioni estratte dalle sue schede diarie, non che quel- le a lui pervenute sul proposito da vari suoi cor- rispondenti ed amici, che qui per ragion di brevi- tà passeremo sotto silenzio. Emerge dalle medesime, che la più frequente fra le varie contemplate cagio- ni si è lo esporsi a corpo caldo e sudante alla cor- rente dell' aria fresca, o l'immergere il corpo nel- l'acqua ad una temperatura ben inferiore (qual sa- rebbe ed è stata talvolta p. e. quella del Tevere da essolui rinvenuta circa sei gradi al di sotto della tem- 154 Scienze peratura dell'aria nel termometro di R.), o l'introdur- re una bevanda fredda nello stomaco. Egli è per tal ragione che il N. A. richiama ad onoranza 1' antico ragionamento del Lapi diretto a mostrare la sicur- tà , con cui gli stranieri possono recarsi in Roma nell'estate , c|uante volte col metodo di vita da lui prescritto fuggano altresì l'impressione del fresco sul corpo umido di sudore. Né le vesti di lana esser po- tevano un mezzo di difesa contro la malsania del lo- ro cielo agli antichi abitatori del Lazio, se un prin- cipio maligno diftuso dalle acque palustri penetrasse nel corpo umano per la via della bocca e delle na- rici. Per lo che ne conchiude, che un esame dili- gente ed imparziale de' fatti porta a credere, che le febbri benigne e perniciose abbiano origine in Roma e suo territorio delle variazioni nello stato termome- trico ed igrometrico dell'atmosfera congiunte ad al- tre circostanze di luogo e di persona. E volendo poi internarsi a comprendere la ragione del modo di agi- re di quella gran causa, cioè delle impressioni atmo- sferiche, ritiene che queste debbano di necessità pro- durre nel corpo umano due effetti: un disordine cioè nella traspirazione cutanea, ed una detrazione di ca- lorico, o piuttosto di fluido termo-elettrico. Quantun- que bisogno non abbia di prove il primo effetto, pur ampia dimostrazione ei riceve del fatto , che dietro il raffrescamento ed umidità dell'aria nel corso della state raanifestansi miste alle intermittenti le diarree sierose, le dissenterie, le colere, e lo stesso reuma- tismo acuto, malattie tutte nate da traspiro disordi- nato; né mancano d'altronde le intermittenti mede- sime o vestirsi nel principio di vm carattere reuma- tico per ispiegare in progresso la intermittenza, o de- Febbui periodiche 155 correre associate a segni reumatici. Or notissime es- sendo le relazioni di continuità e di consenso tra la pelle e la mucosa intestinale , è agevole a compren- dersi che la condizione di questo interno velamento deve più o meno alterarsi , siccome con teoretico- pratico ragionamento il dimostra. Conferma neppur esigerebbe il secondo testé memorato effetto, la per- dita cioè del fluido termo-elettrico ; ma pur non ha omesso il nostro eh. prof, di esplorare il calore e l'elettricità nell' infermo negli stadi dell' accesso , il primo dei quali somiglia in tutto a quello , in cui l'atmosfera fa nel di lui corpo la nociva impressio- ne. Negativa a tal uopo rimarcossi ne' vari cimenti dell'illustre pratico l'elettricità nello stadio del fred- do, positiva in quello della incalescenza, ed in istato di equilibrio la si osservò nella declinazione: e con queste intorno lo stato elettrico si videro esser con- cordi le risultanze di esperimenti sullo stato termo- metrico. E noto in oggi per le diligenti indagini dei fi- sici, che il sistema nervoso , ed in particolare il si- stema dei gangh, come sede principale degl' impon- derabili animali, è quello che patisce e rimane offeso pei raffreddamenti della pelle ne' calori estivi. Ma se il Bellingeri riguarda i liquidi come motori della elet- tricità, ed i solidi come conduttori ; il N. A. all' in- contro propende a credere, che gli uni agiscano in concorso cogli altri, vale a dire il sistema dei nervi coll'intervento del sangue arterioso. E che la secre- zione degl'imponderabili abbia luogo nei centri ner- vosi, oltre Tessere indicato da molte osservazioni ed esperimenti, lo persuade la loro natura, disposizione, e r influsso eminente negli alti della vita. Che poi il 1 oG Scienze Rellingeri, arridendo alle altrùi dottrine in riporre la essenza delle intermittenti nel sistenia nervoso, creda doversi propriamente tribuire ai gangli addominali, ed il mutamento loro consistere in uno stato di av- vilimento e di concidenza se si guardi dal lato di- namico, e se dal lato organico in una tendenza alla soluzione della sostanza cinerea dai gangli suddetti, trova ben che opporvi il nostro prof. Folcili, dichia- rando non doversi sul proposito, di cui trattasi, esclu- dere i neivi cerebro-spinali per la ragione del lega- me e consenso loro coi nervi della vita organica. E qui molte maniere di argomentazioni usa il N. A. per rinfrancare i suoi pensamenti, ed in ispecie che il pervertimento nella sanguificazione, nell'assimilazio- ne, e nelle secrezioni è così esteso nelle intermittenti perniciose , e così rapido, che sembra avere la sua sorgente da tutto quanto egli è il sistema gangliare: che i vari vizi di sudore, di bile depravata, ed altri sembrano persuadere essere la sede delle intermit- tenti in tutto il nervo intercostale, anche per la ra- gione di continuità delle sue parti, e al più potersi dare ai gangli addominali una differenza di grado. Altre opposizioni viene poi il N. A. esternando per infirmare il pensamento del Bellingeri, che avvisò co- stituirsi propriamente la essenza delle intermittenti in una tendenza allo scioglimento nella sostanza cinerea dei gangli. E quantunque modestamente confessi, che questo articolo di patologia non uscirà forse mai dai confini delle congetture , pur tenta illustrare qviesto tenebroso argomento prendendo lume dallo studio della reazione febbrile espressa da Sydenham coi vo- caboli fermentano^ ebnlUtio. Esamina pertanto il corso di questa reazione nelle varie specie di febbri, pren- Febbri periodiche 157 dendo le mosse dalle intermittenli benigne, nelle quali è la più regolare, e che può benissimo assomigliarsi alla reazione che ha luogo nella macchina umana dopo la di lei immersione nell'acqua fredda. Si av- Ticina più delle altre alla intermittente benigna, in quanto all'aspetto di reazione, quella specie di per- niciose, che il N. A. appella congestive attive^ come alcune soporose, la frenetica, la pneumonica, la epa- tica, la splenica, dove se la reazione, oltre 1' esser violenta, si ripete più volte, può la congestione sa- lire al grado di flogosi. Laddove nelle congestive pas- sive^ nelle quali entra la stupida ed un gran numero delle soporose, può dirsi l'accesso febbrile un tenta- tivo alla reazione. Più debole egli è questo sforzo della natura in quella classe di perniciose, che ap- pellar vorrebbe il Folchi nervoso-spasmodiche^ quali sono la cardialgica, la colica, la emetica, la itterica, la colerica. Diversifica non per il grado, ma per il procedimento soltanto, la reazione che ha luogo nella terza classe di perniciose chiamate dal N. A. disso- lutive^ in quanto che il sintomo loro caratteristico è l'esito di un umore, o bianco o sanguigno pei va- sellini della pelle esterna, o della pelle ripiegata nelle vie della respirazione e della cozione, quali sono per esempio la diaforetica, la subcruenta, la cruenta, la emottrica, l'algida e la sincopale ancora, perchè sono queste due ultime d'ordinario accompagnate da su- dor fVedflo viscoso e profuso. Da siffatta ed assai accurata disamina conchiu- de il dotto prof, romano , che i parosismi nelle in- termittenti debbano aversi in conto di altrettante rea- zioni, o per meglio dire, di altrettanti atti vitali del ^sistema gangliare copia il cuore ed i grossi vasi me- 158 Scienze diante le sue relazioni coi plessi cardiaci, e sopra al- tri organi, visceri ed apparecchi del corpo col mezzo delle sue comunicazioni coi nervi della vita animale. Diretta essa è cotesta reazione ad animare la circo- lazione massimamente ed il calor vitale, e rimuovere il disquilibrio inerente all'inlfirvallo dell'apiressìa; di- squilibrio, di cui risentesi in singoiar modo l'ordi- tura de'nervi; disquilibrio che sta in un meno degli elementi della vita , i quali altro non ponno essere che gl'imponderabili. Che se non intende il N. A. disgiungere dal pre- fato squilibrio del fluido nerveo un certo mutamento nelle relazioni fisico-chimiche delle particelle com- ponenti i gangli e gli stami del sistema; non inten- de per altro spingere il mutamento al grado d'inci- piente risoluzione della sostanza cinerea, giusta l'opi- nar del Bellingeri non seguito dal Folchi; siccome intende altresì riguardare come condizione seconda- ria dipendente dall'influsso primario dei nervi la con- dizion patologica delle intermittenti attribuita dal Gia- comini al sistema sanguigno, dal Mendini a quelle della vena delle porte. Dopo i ragionamenti sulla essenza delle inter- mittenti prende di mira il N. A. con somma dottrina e sagacità vari altri argomenti, come quello della in- termittenza e varietà di tipo, la varia forma delle per- niciose, ed il modo di agire dello specifico nel cor- po umano, squittinando il merito delle altrui opinio- ni sul proposito. E sul conto di quest'ultimo tema, risultando dalle osservazioni che il farmaco peruviano dirige peculiarmente la sua azione sul sistema de'ner- vi, e sopra di esso spiega a dirittura la virtù sua an- tipiretica; ed avendo ilFolchi co'Borelli , Boerhaave Febbri periodiche 159 e Van-Swieten riposta la causa prossima delle inter- mittenti in un disquilibrio in meno degl'impoadera- bili propri del sistema nervoso; sarebbe guidato egli a conchiudere , che la virtù antipiretica della chi- na-china sta nel comunicare un più agl'imponderabi- li del medesimo sistema, ed in grazia della proprie- tà elettro-positiva dei suoi alcaloidi ristabilirvi colle dosi opportunamente ripetute l'equilibrio. Ma non vo- lendo in un affare di su a natura recondito sottilizza- re soverchiamente, si ristringe ad asserire che la vir- tù antipiretica della china consiste nel riattivare e riordinare la secrezione e distribuzione del fluido ner- veo, qualunque egli sia, in tutte le diramazioni del sistema, e sopra tutti gli organi soggetti al di lui impero, massime sopra quelli pertinenti alla vita ve- getativa. Bramando però noi per amor di brevità avvicinarci al fine del discorso, presentar ne piace originalmente le seguenti proposizioni, che il N. A., ri- capitolando la discussione tenuta, ne fa risultare, e le quali ( com'egli dice) « lungi dall'essere superiori a » dubbiezze e controversie, meritano invece ulte- » riore studio, ond'essere o confermate od escluse, » e sino ad ora non sono che un abbozzo teoretico » della patogenìa delle intermittenti, e della virtù spe- )) cifica della china-china. 1. Le vicende atmosferiche » nella stagione estiva cagionano uell'uman corpo » due effetti, cioè un grave disordine nella traspi- )) razione cutanea, ed una sottrazione del fluido » termo-elettrico. 2. In conseguenza del primo eftetto )» resta alterata la mucosa gastro-enterica nella sua ►> condizione e quella delle viscere connesse, e rat- «< tenuta la materia del traspiro disaffme alla fibra » organica; in conseguenza del secondo viene offeso 1G0 Scienze » il sistema de'nervi, in ispecie la sezione gangliare, » sede primaria degl'imponderabili. 3. La essenza » delle intermittenti risiede in tutto quanto il genere » nervoso gangliare , partecipandone anche quello » cerebro-spinale per le note comunicazioni. 4. Co- )) testa essenza sta nel turbato equilibrio degli ele- » menti della vita, e propriamente del fluido nerveo » degli antichi, degl'imponderabili de'moderni, che » la natura tenta riparare colla reazione febbrile. 5. )> La intermittenza nasce dal termine naturale della » reazione febbrile. Il tipo dal maggiore o minor » capitale delle forze vitali, essendo in relazione con » esso la durata dell'intervallo tra un' accessione e » l'altra e la prontezza della reazione. 6. Se le in- » termittenti di primavera si conservano benigne , » pel contrario delle autunnali, che trascurate facil- » mente tralignano in perniciose: ciò accade prin- » cipalmente per la differente impressione delle cause » esteriori nel corpo e il differente grado di vitalità » in quei tempi dell'anno. 7. La varia forma delle » perniciose può derivarsi dall'età del malato, abito » di corpo, mala disposizione o vizio rimasto in qual- » che viscere per malattie antecedenti, ove si tratti » di perniciose non comuni, sporadiche, particolar- » mente tra cittadini; ove poi si tratti di perniciose » comuni, epidemiche tra contadini, fa d'uopo ricor- )> rere alla costituzione atmosferica della stagione, per » rendersi conto della loro forma o sintomo caratteri- » stico. 8. La china-china dirige peculiarmente la » sua azione sul sistema dei nervi, e la sua virtù » antipiretica sta nel rinfrancare ed equilibrare la » secrezione e diffusione del fluido nerveo, qualun-» » que egli sia, in tutt' i rami del sistema, e su tutti Febbri periodiche 161 » pì'i organi soggetti al di lui impero, massime so- » pra quelli pertinenti alla vita organica. ? » Compiuto sarebbe per tal modo il sunto di que- sta dotta memoria del nostro chiar. prof. Folchi, il quale ad illustrazione delle dottrine in essa conte- nute vi aggiugne 45 storie non tutte ( a riserva di due recentissime ) corredate della inspezione ca- daverica, e che perciò non potevano far parte del'al- tro prezioso di lui lavoro Exercitaiio pathologica. A micidiali e gravissime perniciose appartengono sif- fatte istorie, e distribuite vengono nell'ordine e di- visione superiormente memorata, spettando alcune alle perniciose congestive attive,^ altre alle perniciose congestive passive^ altre alle perniciose nervoso-spa- smodiche, altre alle perniciose dissolutive., altre alle intermittenti larvate^ altre alle intermittenti associate e succedenti ad altri malori, altre finalmente alle sue- conlinue. Risplendono tutte le divisate istorie per la nitidezza e precisione; grande interesse presentano per la forma, sindrome dei morbosi fenomeni, aspet- to o manifesto o subdolo di loro malignità e gra- vezza. Ma il N.A., afiin di renderle più utili ed istrut- tive, s'impegna in aggiungervi molte pratiche rifles- sioni, alcune delle quali di sostegno valgono ai teo- retici ragionamenti nella memoria esposti. Ognun ravvisa dal finqui esposto di quanto in- teressamento rendasi per tutt'i cultori dell'arte salu- tare cotesto pregevolissimo lavoro del chiar. prof. Folchi, e come contenendo il medesimo dovizia di vedute pratiche sull'argomento delle perniciose di- stinguasi per vm merito largamente superiore a tan- te altre scritture che intorno questo tema aggiransi. Per lo che giudicar possiamo, che abbia egli un as- G.A.T.CVII. 1 1 162 Scienze soluto diritto alla publica riconoscenza ed alle con- gratulazioni dei dotti. Questi infatti vi troveranno be- nissimo sviluppata la teoria eziologica delle inter- mittenti riposta nelle morbose impressioni del freddo e della umidità, giudiziose oltremodo le teoretiche nozioni sulla essenza delle intermittenti, ed argute le teorico-pratiche investigazioni sugli altri articoli che le riguardano, come di forma, di tipo, ed in ispe- cie del modo di agire della peruviana corteccia e suoi alcaloidi. Ma sul conto della eziologia essendo un canone inconcusso, che possano varie incolparsi di una istessa malattia le cagioni ingeneranti, né sembrandoci infirmate le ragioni favoreggianti il miasma delle paludi, avremo l'ardimento di diver" gere dall'opinamento del dottissimo scrittore, e con- fessare di non trovarci persuasi ad escludere il pa- lustre miasma dal novero delle cause per alcune re-» gioni, nelle quali debbe considerarsi primariamente concorrere alla genesi stessa delle febbri intermittenti, appoggiandoci ( senza qui per brevità riandarle ) al- le riflessioni degli altri o precedenti o contempora- nei scrittori , che uniforme opinamento sostennero e validamente sostengono. G. TONELLI. 163 Cassa dì risparmio in Bagnaeavallo. Aiti della seduta generale degli azionisti del dì 26 di aprile 1845, e conto reso per la gestione del 1844. Bagna- eavallo, dai tipi Serantoni e Grandi 1845, in 4 di pag. 20. JLia carità è come il sole, che sparge i suoi raggi egualmente su tutto il creato; ma non è mai tanto efficace, che dove trova esseri disposti a riceverne i benefici influssi. Una bella invenzione della cari- tà si è la istituzione delle casse di risparmio: la cui luce però non si perde nel fango, ma si dirige più viva sul suolo ferace, e lo rende più colto e ope- roso. E vuol dire, che anima l'industria promovendo nelle classi minori l'amore al lavoro, onde i mag- giori guadagni; e procurando spessi risparmi, onde un preservativo nelle disgrazie ed un impedimento alla intemperanza ed al lusso d'ogni maniera. Sedici casse di risparmio già si contavano alla fine del 1843 nello stato pontificio, e con prospero successo, come è a vedere dal prospetto, che negli atti della cassa di risparmio di Bologna è stato of- ferto al pubblico con tanta accuratezza e sollecitu- dine. Ma un maggior numero né esiste a quest'ora; dacché la sapienza sovrana altre ne ha autorizzate, alcune dalle quali o sono già aperte o stanno per aprirsi con isperanza di tanto migliore esito, quanto è più premurosa ogni savia popolazione a valersi 1 64 Scienze del nuovo beneficio, e quanto e più grande la fidu- cia che inspira l'amministrazione rispettiva alla po- polazione stessa. Ma queste ed altre simili riflessioni lasceremo a chi vorrà instituire confronti sull'indicato prospetto delle 16 casse dello stato. Fra le prime in ordine di tempo vi ha quella di Bagnacavallo; i cui risul- tati sono tanto più consolanti, in quanto che la popo- lazione interna non sorpassa le 4 mila anime. Di ques- sta sola qui parleremo per dimostrare, che anche in piccola città tali casse possono prosperare. E già in stampa il conto-reso per la gestione del 1844, che fu approvato nell'ultima seduta degli azionisti: precede il discorso del presidente, ed il rapporto de'sindaci: poi viene il conto cassa, indi l'entrata ed uscita generale, in fine le restanze. Cosa utilissima a chi ama vedere ì progressi dello stabilimento, viene dopo un prospetto delle ope- razioni eseguite dalla cassa di Bagnacavallo, la quale fu approvata a' 23 di dicembre 1840 ed aperta il 27 giugno sussecutivo con 40 azioni formanti in- sieme se. 800. Tenuto conto degli annui incrementi, si ha un avanzo nitido a tutto il 1844 di se. 287: 14: 3. La somma poi delle esigenze per gli anni di eser- cizio a tutta la detta epoca è come segue : Azioni -7^ 800: — Libretti 926, Depositi 8314 sommano a >» 19777: 33 Estinzione di cambiali e frutti . » 33S20: 10 Totale entrata di cassa . » 54397: 43 Cassa di risp. in Bagnacavallo 165 E la somma dei pagamenti per tutti gli anni di esercizio è come appresso : Libretti estinti 310, Ritiri 856 per » 9869: 42: 7 Somme investite ...» 43498: 17: 1 Spese di amministrazione e provviste di mobili, compresi i premi distri- buiti ai piccoli depositanti . » 351: 06: - Totale sortita di cassa » 53718: 65: 8 Rimanenza in cassa al 31 die. 1844 » 688: 77: 2 Tornano i detti . » 54397: 43: - Alcuni dispacci onorevoli alla società sono ri- portati coir elenco de'soci in fine all'enunciato reso conto. Ben può lodarsi il nostro secolo di questa isti- tuzione delle casse di risparmio, che non poteva non trovare bella accoglienza nello stato della chie- sa, e fra le colte popolazioni, alle quali sta a cuore il bene anche morale delle classi minori, cui l'amore al lavoro e al risparmio sarà giovevole ancora per togliere alla dissipazione ed alla oziosità riprovevole. Con queste le fonti della vera prosperità inar idiscono; con quelli abbondano di acque fecondatrici ! D. Vaccolini. 166 Descrizione del coccodrillo esistente nel museo di sto- ria naturale deW archiginnasio della Sapienza. Me- moria del dottor Baldassarre Chimenz membro del- V accademia dei lincei. J.1 dotto, ed infaticabile professore di zoologia dell'ar- chiginnasio romano dott. Telemaco Metaxà ha avuto in dono dal supremo gerarca regnante Gregorio XVI un coccodrillo di smisurata grandezza, proveniente dall'al- to Egitto, acciò arricchisse il museo di storia naturale della detta università, e fosse collocato accanto a quel- lo parimenti donato dal pontefice Pio VII. Lo spettacolo di questo rettile , di un mostro così spaventevole che abita nelle calde contrade del- l'Affrica e dell'America, e che eccita la curiosità, ci è sembrato interessante per farne la descrizione zoolo- gica. Il nome di coccodrillo è stato imposto a questo animale a motivo del suo colore di un giallo di zaf- ferano. Questo che descriviamo ha due colori, la par- te superiore del corpo è di un bigio bruno verdic- cio , mescolato di un verde pallido : le quali tinte eguagliano il color di bronzo. La parte inferiore del corpo, dei piedi, e della coda, non meno che l'interno delle gambe, sono di un bianco un poco giallastro, le unghie hanno il medesimo colore, i denti bian- chi. Questo coccodrillo ha 12 palmi di lunghezza: la coda è lunga quanto tutto il rimanente del corpo, che nella sua maggior larghezza, cioè al sito del ven- tre, ha cinque pollici e mezzo. Le gambe anteriori Il coccodrillo 167 sei pollici, cominciando dal corpo fino alle estremità delle unghie, e le posteriori cinque pollici; la testa lunga due palmi; la lunghezza degli occhi, presa dal- l'un angolo all'altro, è di nove linee: la distanza tra gli occhi medesimi non giunge ad un pollice, essen- do situati in un piano sulla testa che è schiacciata. Tutto il corpo è ricoperto di scaglie fisse , ad ec- cezione della testa che ha la pelle immediatamente attaccata all'osso, essendo la carne dei muscoli cro- tafiti nascosta nei fori delle orecchie. Le scaglie so- no di tre sorte: quelle che cuoprono i fianchi e le gambe, e la maggior parte del collo sono di figura quasi rotonda, di varie grandezze, ed irregolarmente distribuite : le altre hanno tutte una figura ed una disposizione più regolare, e sono di due specie: quelle che cuoprono il dorso, il mezzo del collo, e la par- te superiore della coda non sono le une dalle altre separate come quelle di cui abbiamo parlato , ma formano alcune fasce che traversano il corpo dall'un fianco all' altro : e sopra tali fasce sono alcuni inta- gli, o solchi, talmente disposti che tutti i piccoli spa- zi intermedi rappresentano delle scaglie rotonde, co- me si osserva negli altri animali forniti di scaglie ; ma tutti gli spazi interposti sono in linea retta l'uno coir altro , di maniera che le scaglie formano delle file secondo la lunghezza del corpo per mezzo de- gl'intagli. Tale struttura non va d'accordo con quei che scrivono, che per ferir questo animale, o con ar- mi da fuoco, o con lance, convien colpirlo dal die- tro all'innanzi: il che sarebbe verisimile, se le sca- glie fossero disposte le une sopra le altre: ma certo si è che, essendo situate l'una accanto l'altra a guisa di mattoni, è necessario, pei- ferire il coccodrillo, col- 168 Scienze pirlo perpendicolarmente negli interstizi delle fasce ove non è che la sola cute , essendo tali fasce im- penetrabili. La sostanza di queste è come ossea, e di vma flessibilità che impedisce ad esse di potersi rom- pere come le cartilagini. Sul dorso in mezzo a cia- scuna scaglia evvi una cresta: questa è meno eleva- ta sopra le scaglie del dorso che sopra quelle situa- te verso i fianchi, perchè tal sito deve esser meglio armato come più esposto ai colpi che non è il dor- so. Ai lati della coda, che principia oltre i piedi po- steriori , sono due file molto elevate di queste cre- ste: le quali due file, a un piede di distanza dall'estre- mità della coda, si uniscono in maniera che dal det- to punto fino all' estremità della coda medesima ri- mane una fila di creste soltanto che si eleva al di sopra. In questo sito la coda è piatta nella parte su- periore non meno che nel resto , e lo è anche il dorso: ma nella parte inferiore è piatta soltanto ver- so r estremità, che è flessibilissima. Tal figura della coda dà la facilità all'animale di notare , essendo si- mile ad un remo. Le scaglie che guarniscono il ven- tre, la coda, il collo, la mascella inferiore, la parte interna delle gambe e dei piedi, sono di una terza specie, cioè flessibili senza creste^ disposte a guisa di mattoni come quelle del dorso, ma non formano più fasce: essendo separate le une dalle altre, si unisco- no per mezzo di forti ligamenti: la figura di esse è quadrata , e la sostanza non ha l' impenetrabilità di quella del dorso. Plinio scrive che il delfino fora il ventre del coccodrillo per mezzo di una cresta che ha sulla testa. Sull'estremità del muso, che termina in una punta, evvi un foro, rotondo, pieno di una car- ne floscia; tutto il rimanente del capo è sprovveduto Il coccodrillo 169 di carne ; sulla parte floscia-carnosa ha due aper- ture, che sono le narici del coccodrillo. Gli occhi son grandi, ed hanno l'angolo grande rivolto verso il mezzo, ed il piccolo verso l'alto della testa: le pal- pebre grandissime, la superiore è di 6 linee, l'inferio- re di 4, sono durissime, non si increspano, non hanno le ciglia, e sono dentellate negli orli. Dall' alto del- l' orbita scende una fila dentellata che gli serve di sopracciglio : la palpebra interna cuopre tutto l'oc- chio, e convien rialzarla sopra al grand'angolo della pupilla, sulla quale ricade da se medesima. Il manto uditorio è al di sopra degli occhi, nascosto, ricoper- to dalla pelle : il che ingannò Alberto dicendo che il coccodrillo è privo di orecchio. Erodoto, che de- scrive l'orecchio esterno del coccodrillo, afferma che questo ha le aperture assai grandi e visibili : e gli egizi rendono domestici i loro coccodrilli con appen- der loro alle orecchie degli anelli ed altri simboli. I denti sono 68, quindici per parte nella mascellla in- feriore , e 19 per parte nella superiore : sono essi di varia grandezza : i più lunghi sono quelli che Plinio chiama canini , e a cui attribuisce la virtù di guarire le febbri intermittenti. In realtà sono tut- ti aguzzi, né si possono chiamare canini, come non evvene uno che si può chiamar molare. Tutti i den- ti sono incurvati verso l'esofago, in ispecie quelli che sono diretti verso l'estremità del muso, e la disposi- zione è tale, che quando la gola è chiusa, gli uni passano sugli altri, e le punte dei denti della mascella superiore entrano nei fori incavati dalle gengive della mandibola inferiore: passa la parte rimanente dei me- desimi denti fra quelli dell'altra mascella, che sono gli uni cogli altri congiunti. La radice del dente è 170 Scienze grossa, ed è incavata in maniera che termina in una punta. Il coccodrillo ha, come tutti gli altri animah, solamente mobile la mascella inferiore , ed oltre il moto dall'alto al basso, ne ha ancora un altro da de- stra a sinistra per masticare e triturare gli alimen- ti. La lingua è lunga 3 pollici , e larga 6 linee nel mezzo , comprendendo la carne ed i muscoli della medesima , giacché la cute che la ricuopre è molto^ più grande , estendendosi sulla mascella inferiore , all'orlo della quale è attaccata. Alberto^ Hisl. animai. Uh. 24, dice che quest' animale non ha lingua : ed Aristotile., De croeodilo Aegyplì cap. 17, attribuisce la mancanza della lingua avendo inversa la situazione delle mascelle, e sostiene che prendendo l'alimento come i pesci, cioè inghiottendolo senza masticarlo , non ha bisogno di lingua, e questa è la ragione per cui la struttura sia imperfetta nei pesci. Plinio e Car- dano, pedissequi di Aristotile, sostengono lo stesso. Sca- ligero crede che la piccolezza della lingua del coc- codrillo abbia fatto credere che manchi interamen- te, appoggiando tale stravagante idea all'essere tutta attaccata intorno alle mascelle per mezzo della mem- brana che le ricuopre, né può allungarsi , né usci- re dalla bocca come la lingua degli altri animali. Gronovio co' due stravaganti francesi Deaubenton e Perrault sognano che il coccodrillo è privo di lin- gua, e che in luogo di essa agiscono i muscoli del- la mandibola inferiore colla glottide fra gli angoli delle mascelle , il cui meccanismo concede all' ani- male di aprire e chiudere la gola. La zoologia ci dà bastanti luna* onde torci dagli errori e dalle tenebre degli antichi scrittori, e reca maraviglia come i detti Il coccodrillo ili nauralisti Perrault e Daubenton siano caduti in co- sì grossolane asserzioni. Il coccodrillo dunque è dotato dell' organo linguale , facendone uso come tutti gli animali , e come lo abbiamo veduto ed eseminato sopra questo della Sapienza che si va descrivendo. I piedi an- teriori hanno 5 dita, i posteriori 4 , ma sono as- sai più grandi dei piedi anteriori. Sì gli uni e sì gli altri sono uniti per mezzo di membrane mol- to più grandi nei piedi posteriori , che negli ante- riori. Queste membrane sono ricoperte di piccole sca- glie: le dita ne hanno una fila di grandi sul mezzo, e da arabidue i lati un' altra fila di più piccole: le unghie sono nerastre, alquanto adunche, meno aguz- ze dei denti , al contrario di ciò che osservasi nel leone, nella tigre, e nella pantèra che hanno le un- ghie più aguzze dei denti. Adamon , Viaggio al Senegal^ distingue due specie di coccodrilli che ha osservato quando tragittava il Nero dall' imboc- catura di questo fiume fino a Podor : quelle due specie differivano fra di loro per il colore del cor- po che varia , ora giallo cupo , ed ora nericcio terreo. Il coccodrillo dell' Affrica chiamato l' Escale, aux maringorins passa per la grande imboccatura del Nero, andando dal nord al sud: in questo luogo si adunano a centinaia, ed il dotto non che ardito viag- giatore ne vide lunghi 15 e 18 piedi , e quando è al totale aumento del suo corpo giunge fino a 22 piedi. Riferisce l'autore che più di duecento galleg- giavano sulle acque, non potendo l'animale respirare che pochi minuti sotto l'elemento. Quando nuotano, non si vede che la sola testa ed il dorso. In tale si- tuazione di nuoto hanno libero l'uso degli occhi, ve- 172 Scienze dendo tutto ciò che accade sull'una e sull'altra riva del fiume: quando vedono un quadrupede , o altro animale che viene a bere, si tuflfano sotto l'acqua , io afferrano per le gambe, e lo strascinano in mezzo al fiume per divorarlo dopo averlo fatto annegare. Nel Gange agiscono in tal modo quegli smisurati coc- codriUi: guai agli uomini disarmati, quando secondo le leggi del paese sono obbligati a bagnarsi onde pu- rificarsi! Hanno inseguito l'uomo molte miglia, ed hanno tentato di far capovolgere le barche per di- vorar quelli che stavano al remo. Il coccodrillo del Gange chiamasi gavìal. In America, benché il mag- gior numero dei coccodrilli si trovi nella zona tor- rida, ciò non ostante ne sono molti anche nel con tinente fino a 10 gradi oltre questa zona mede- sima, in ispecie nella Carolina settentrionale verso il 33 di latitudine. Frequentano le acque salse dei fiumi vicino al mare, le correnti d'acqua dolce, ed i laghi di acqua salsa e dolce : stanno nascosti sulle rive, fralle canne per sorprendere il bestiame e gli altri animali: quando gli hanno afferrati, li tirano sot- to l'acqua per annegarli e divorarseli con comodo , ed alle volte, se la preda è priva di vita, la ripor- tano a terra. Quando il coccodrillo ha afferrato un pesce, sol- leva la testa fuori dell'acqua, ed in meno di un mi- nuto se lo inghiolte. L'uomo stesso, sebbene di gran coraggio, ed armato contro questo terribile nemico, è esposto a divenirne la vittima. Il colore e la for- ma nasconde l' indole artifiziosa dell'animale. Quan- do giace in terra sembra un legno sporco : quan- do galleggia sull'acqua assomiglia ad un tronco d'al- bero che abbia una posizione orizzontale, e che la Il coccodrillo 173 corrente d'acqua lo trasporti. Tale appaienza unita al silenzio di questo astutissimo animale inganna i pesci, gli uccelli, le tartarughe di mare , ed anche l'uomo. Malgrado però delle risorse che il coccodrillo mette a profitto per sorprendere la preda, la natu- ra ha limitato la voracità all'animale distruttore col negargli l'agilità di muoversi in qualunque altra di- rezione fuori della rettilinea, accadendo spesso che resti privo di alimento : e questa è la ragione per cui inghiotte pietre, ed altre sostanza, l'effetto delle quali è di stendere le intestina, ed impedire che non si contraggano quando sono vuote, e non già di aiu- tare la digestione. Catesby, che ha sezionato quest'ani- male , dice di avervi rinvenuti dei pezzi di legno resinoso, e di carbone di abete, alcuni dei quali pe- savano fino ad 8 libre di Francia : dice ancora che alla Carolina sono avidi di porci: che restano intor- piditi nelle caverne e sulle rive dei fiumi dal mese di ottobre fino al marzo: che quando escono in pri- mavera mandano spaventevoli muggiti ; a ciò ag- giunge, che gli indiani mangiano la parte posteriore del ventre di quest'animale, o la coda; conchiude fi- nalmente che la carne dei medesimi è bianca e de- licata, ma egli non potè mangiarla atteso l'odore di muschio che tramandava. Nel fiume delle amazzoni vi sono coccodrilli della lunghezza di 30 piedi: e La, Condamine scrive di aver veduto un numero grande di coccodrilli sul fiume di Guayaqiiil entro la mel- ma distesi al sole. La femmina coccodrillo fa 50 e 60 uova per volta, e le depone sulle sabbie e sulle rive dei fiumi e dei laghi : 1' uovo , che contiene l'embrione mo- struoso, è simile all'uovo di una gallina d'India. Al- 1 74 Scienze lorchè la femmina le ha ricopeiie coU'areaa, le ab- bandona, ed i raggi del sole lo fanno schiuderej nato il piccolo coccodrillo, corre subito all'acqua, e prov- vede da se stesso alla propria sussistenza. Alle volte divengono preda dei pesci voraci e dei grossi coc- codrilli, e pretendesi che il coito di quest'animale si faccia ventre con ventre. Il coccodrillo ha due formidabili nemici, l'uno è l'ippopotamo , l'altro è l' icneumone. Il primo \i^ ve in fondo al Nilo, va a pascere sui prati, sta sem- pre in agguato per distruggere il coccodrillo: l'altro entra nella gola del coccodrillo addormentato, gli ro- de le viscere, e lo fa perire fra i più atroci dolori: quindi se ne pasce con tutto il comodo, e divora an- cora le uova del medesimo. I negri e le scimmie vanno in cerca delle uova, le schiacciano , facendo così un beneficio agli abitanti dei luoghi vicini ai fìumi, che sarebbero divorati da questi crudelissimi mostri. Ma il maggior nemico del coccodrillo è l'uo- mo, il quale deve usare forza e precauzione. La co- razza del coccodrillo, in ispecie quella del dorso, è du- ra, impenetrabile alle lance, alle frecce, ed alle archi- bugiate. Gli egiziani, facendo guerra a quest'animale, osservano quando esso ha abbandonato il fiume e si è inoltrato nella terra: allora accorrono subito con delle viscere di altri animali, scavano una profonda fossa, seguono le tracce dell'animale che ha lasciate nel suo passaggio , occultano la fossa coi rami dell' al- bero, la ricuoprono di arena per nascondere l'insidia: l'egiziano fa indi un romore, e pone in fuga l'animale con un certo stromento da fiato: quello, secondo l'istin- to, ritorna al fiume per la medesima strada, e corre allo- ra nel fosso scavato. Incontanente i cacciatori l'uccidono IL COCCODRILLO 175 co' bastoni, l'inviluppano colle reti, e lo portano al Cairo ricevendo il premio promesso. Altri per pren- dere questo terribile mostro attaccano una forte e lunga corda per una delle estremità a qualche gros- so albero che si trova sulla riva, o ad un palo ivi pian- tato : all'estremità della corda è un uncino di fer- ro con un agnello, o montone, che vi si lega per farlo servire di esca al coccodrillo, il cjuale non man- ca di accorrere verso la riva medesima alle grida che manda il montone. L'uncino gli entra nella gola, e s' interna nella medesima al tempo che si sforza per divorar la preda: allora i pescatori, avvertiti dal romore, allentano la corda , e lo tirano fuori dell' acqua. Adanson, riferisce che uomini di sommo co- raggio hanno cacciato un lungo pugnale sotto il ven- tre di questo mostro, essendo la sola parte da po- tersi ferire. Ho letto nei viaggi del Senegal che i ne- gri uccidono il coccodrillo quando esso si è addor- mentato fra i cespugli, o sulle rive dei fiumi; l'etio- pe si accosta pian piano al mostro , e gì' immerge il pugnale nella parte laterale del collo, ove non sono vertebre , e lo trafigge da parte a parte. L'ani- male ferito mortalmente si ripiega in più modi sopra se stesso. Vide coi propri occhi l'illustre Adanson che quando il negro immerse al coccodrillo la punta del pugnale, questo sferzò le gambe dell'uccisore, e lo diste- se in terra. Il negro con indicibile ardire si rialzò in un baleno, e per non temere della grandissima e mici- diale bocca del mostro gliela involse colla fascia che gli cingeva il fianco, mentre due altri negri lo fer- mavano per la coda. Allora il primo tagliò la testa al coccodrillo, e la sera se ne mangiarono vari pez- zi. Adanson scrive che anch'esso volle gustare della n6 Scienze carne arrostita: ma avendo un sapore nauseante di mu- schio non la potè avvicinare al suo palato. Altre insidie v' ha per farne la preda, come p. e. le reti ben for- ti che si pongono nel fiume. Queste sono triplica- te e quadruplicate in varie distanze : l'animale s'in- viluppa fra esse, ed allora gli arabi ed i negri lo per- cuotono co' bastoni, e l'estraggono morto. Il coccodrillo è più pericoloso sull'acqua che sulla terra, perchè in quella muovesi facilmente, ma in questa con difficoltà e lentezza: ciò non ostante cammina con molta speditezza, in ispecie se il terreno è piano, e la strada è diritta. Nei fiumi, ove l'acqua è scarsa, ha mi- nor forza che sulla terra, e si può evitare quando inse- guisce, purché con celerità si facciano gli angoli delle strade. Neil' Europa solamente non trovansi i cocco- drilli: e rare volte è accaduto che un mostro così for- midabile sia andato fuori del suo paese nativo. La storia riferisce che nell' anno 58 prima di G. Cri- sto, Scarno nei giuochi che diede al popolo romano quando esso era edile, (giuochi nei quali la profusione e la magnificenza furono spinte all'ultimo eccesso) fe- ce scavare un canale che riempì d' acqua, ove com- parvero al popolo due ippopotami e cinque coc- codrilli. L' imperatore Augusto ordinò uno spetta- colo assai più grandioso e raro in Italia, qual fu una caccia di coccodrilli d'Egitto, in cui ne furono uc- cisi 36. Così scrive Dione lib. 3 cap. 49. Anche Ca- pitolino, in Antonin. cap. 10, espone: « Edita munera., in quibus elephantos ., et corocottas.^ et strepsiceroias^ crocodìlos etiam^ atque hyppotamos^ et omnia ex tato universo cum tirjridibus exhibuit , centum etiam leo- nes una missione edidit. Uomini esercitati dunque ciano destinati a combattere nel circo tìaminio con Il coccodrillo 177 questi tenibili mostri e belve feroci. Niuna maravi- glia che vi fossero i coccodrilli in Roma , se dal- le più remote contrade dell' Egitto giungevano in questa capitale i più smisurati obelischi e le più grosse colonne. Eliogabalo manteneva dei coccodrilli entro una terma vicino al serraglio dei leoni." e que- sto principe stravagante, anzi bestiale, li faceva man- tenere a fagiani e pappagalli. Philips scrive che a Sabi vicino al palazzo reale, sulle coste degli schiavi in Affrica , sono due stagni pieni di coccodrilli, il color dei quali è verdiccio: il re se ne compiace e gli alimenta con istraordinaria magnificenza. Questi coc- codrilli hanno la lunghezza di 16, 20, e 24 piedi di lunghezza. Il freddo è talmente contrario al coccodrillo, die in America e nell' alto Egitto vedesi quest' animale passare le notti di estate fuori dell'acqua che allora è assai più calda dell'aria. Il coccodrillo esala con- tinuamente un forte odor di muschio, per natura è timido e vigliacco , inseguisce quelli che fuggono, ed esso pur fugge quando vedesi inseguito. Plu- tarco dice che questo animale può divenir domesti- co, conosce la voce del padrone , si lascia toccare , ed aprendo la gola presenta i denti aflìnchè gli si asciu- ghino: che anzi si può giungere a renderlo domesti- co dandogli abbondantissimo cibo, la cui privazione è la guerra che dichiara all'uomo, che si sforza di opporsi alle generazione di un mostro antropogafo ed Granivoro. Il sapore delle uova del coccodrillo non è di- sgustoso, e nell'Affrica e nell'America le usano con piacere. Nel Canada le mangiano come cibo quare- simale: si mangiano ancora nel Brasile, in ispecie quel- G. A.T.C VII 12 178 Scienze le del piccolo coccodrillo. Nelle sagre pagine si fa menzione di questo mostro sotto il nome di levia- than^ di cui si parla nel libro di Giobbe cap. 4 e 41. Samuele Bochart ricava questo nome dal Talmuduel, trattato del sabato , ove dice che 1' ahith (cane ma- rino) è il terrore del leviathan. lault pretende che il leviathan è il dragom arino, e si fonda sopra il passo d'Isaia che dice: « Iddo visiterà colla sua spada po- tente^ gande., e forte. Il leviathan.^ questo serpente pro- digioso, questo serpente tortuoso., ucciderà il dragone che è nel mare. » La sinagoga degli ebrei dà il no- me di leviathan agli animali cetacei , come la ba- lena, il capidoglio, ed altri: né mancarono supersti- zioni per il tremendo mostro. Il coccodrillo è stato adorato, reso domestico, ed alimentato nella città di Arsinoe (città dei coccodrilli) vicino al lago Meride. Si costumava di legarli alle gambe anteriori: si met- tevano con alle orecchie delle pietre preziose o perle: si cibavano di carni consagrate fino al termine della lor vita : dopo si imbalsamavano , si bruciavano, e postene le ceneri entro un'urna, si situavano nelle tombe destinate per i grandi della città , e pei re. Fino a questo punto l'uomo è giunto a disonorare l'umanità ! Se ne sono fatte apoteosi , simboli , emblemi , senza eccettuare le cose più indecenti e vili. Gli egizi in tutto superstiziosi erigevano alta- ri al dio Stercuzio, alla dea Cloacina o Cenopodia, al dio Priapo; aveano ancora per il capriccio degli adoratori gli iddii colpevoli e corrotti, gli iddii in- giusti e violenti , avari, ladri , ubbriachi, crudeli , pederasti, e sanguinari; finalmente il nume Vagitano presiedeva ai vagiti dei bambini. Fuvvi però un tem- po, in cui gli egizi , la sublime immaginazione dei Il coccodrillo 179 quali cercava , allettando gli occhi, d'insegnare la morale e la filosofìa, mettevano delle figure ideali sulle porte dei templi per indicare che dovessero ama- re e temere gli dei con l'infinita serie d' inesplica- bili geroglifici. La sfinge , che non è ne femmina , né uomo, né leone, né uccello, era stata inventata per indicare quei mesi quando il Nilo straripa , e quando il sole entra nei segni del leone e della ver- gine. Questo mostro nell' Egitto chiamavasi Bakel. Davano ancora altra spiegazione alla figura simboli- ca. La figura umana indicava la rassomiglianza dell'uo- mo con l'Essere Supremo, le ali mostravano il suo sol- levarsi verso il cielo, e con la fiamma sulla testa della sfinge veniva considerato esser l'anima sempre attiva come il fuoco. A s. GenoefFa di Parigi vedesi una sfinge , r indoratura della quale é applicata sopra strati di gesso: ciò fa credere che la maniera di do- rare era nota fin da quei tempi. E gli dei fetisci? Il serpente chiamato imperatore é adorato al presen- te in quelle moschee come un profeta, un indovnio, un grande spirito, secondo che sempre hanno adorato gli scarabei, la cicogna, il bugno, la nottola, il gufo, la civetta, l'airone, la coccoveggia, e l'ibis che tiene nel becco un ramo di mandragora, che appo il popolo egizio stimavasi esser di una virtù esilarante, allonta- nando la stupidità dei sensi, e come antiafrodisiaca per la smodata lascivia. I musulmani masticano la mandragora unitamente all'oppio , non eccettuato il gran sultano che la fa distribuire a tutto V haiem. In Europa e in tutta l'Italia viene somministrata a larghe dosi, tanto in polvere quanto in decotto, a quei attaccati da idiotismo e da profonda tristezza. In Pioma, ove domina eminentemente lo scirocco, e che i mali 180 Scienze nervosi si conoscono più sviluppati, si ordina la ra- dice dell' atropo-mandragora ad alta dose dai 20 ai 50 grani per volta, e ne vediamo prodigiose gua- rigioni. Nelle donne la dose è più moderata: si pro- scrive però a quelle di carattere bilioso e sangui- gno. Negli obelischi di Roma, fra i simboli più distinti dell' Egitto evvi quello di un ramo di madragora che sta sul rostro dell'ibis , del bugno , e del ser-i^ serpente che è il coluber Aesculapii. «>^:^^S^> 184 Sulle quattro stelle ricordate da Dante Allighieri nel primo canto del Purgatorio: osservazioni di Lodo- vico Ciccolini commendatore del sacro ordine di Mal- ta ecc. Con alcune note di M. G. Ponta editore. '^imm> AL CH. BARONE DI ZACH Torino il 27 di luglio 1828. B. >en volentieri, signor barone, io le rimetto il bra- no dell' ultima parte della dissertazione che io lessi in Roma all' accademia dei Lincei fin dai 1 9 ago- sto 1818, e ch'ella (informata che in esso trattavasi di cose spettanti alla scienza dell' astronomia) si è compiaciuta dimandarmi per publicarlo nella sua Cor- rispondenza astronomica. Fui allora mosso a scrivere dalle sciocche idee del padre Pompeo Venturi, e so- stenni contro il sentimento di lui che Dante fu uno de' più belli ingegni del secolo in cui visse, e ver- satissimo nelle scienze. Egli all'opposto nel suo com- mento alla Divina Commedia in più luoghi ebbe la temerità di oltraggiarlo villanamente: ma in nessuno lo fece con maggior disprezzo come nella nota ai ver- si 101, e 102 del canto XIII del Paradiso, nella qua- le leggonsi perfino le seguenti parole: 182 Scienze (( Ma costui, (dice egli di Dante) fa in tutto que- » sto passo e altrove come quello spagnuolo che per » parere di avere i guanti, avendone vui sol dito, se » n' andava inferraiolato tenendo fuori dell'orlo af- » faccialo solo quel dito. Per parere astronomo, dia- )» lettico , geometra , teologo, ne mette fuori il suo » pezzettino, che talora di più è im po' sdrucito. » Per la qual cosa procurai di combattere appieno tale opinione stravagantissima per mezzo di più e più lunghi tratti della stessa Divina Commedia, co' quali chiaro mostrasi quanto mai grande fosse la dottri- na del divino poeta ; il che mi condusse altresì a scrivere l'articolo, che io or le invio, sopra due passi che leggonsi nel purgatorio: i quali pur troppo ven- gono da taluni interpretati in maniera, che la dottri- na di Dante , se così fosse come essi vogliono , ne soffrirebbe non poco ! Sulle quattro stelle ricordate da Dante Allighieri. Osservazioni di Lodovico Ciceolini^ colte quali si tenta di provare che il poeta abbia parlalo allegoricamente soltanto^ e non mai della costellazione della croce. In due luoghi della sua Divina Commedia par- lò il nostro poeta di tali stelle: la prima si fu poco prima dell'alba del dì 3 di aprile dell'anno 1800: quan- do disse: (Purg. Canto I. v. 22-24.) Io mi volsi a man destra, e posi mente All'altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai fuor eh' alla prima gente: Stelle ai Dante 183 e r altra nella sera dello stesso giorno , allorckè si fé' a dire: (Purg. C. Vili. v. 85-93) Gli occhi miei ghiotti audavan pine al cielo, Pur là, dove le stelle son più tarde. Sì come ruota più presso allo stelo. E '1 duca mio: Figliuol che lassù guarde ? Ed io a lui: A quelle tre facelle. Di che il polo di qua tutto quanto arde. Ed Egli a me: Le quattro chiare stelle, Che vedevi staman, son di là basse; E queste son salite ov'eran quelle. Il sole trovavasi allora nel 21 gradi, e 16 mi- nuti circa del segno di Ariete. Tali circostanze di tem- po, cioè a dire del giorno e dell'ora, dell'anno e del mese da noi assegnate, come pure della longitudine del sole, si cavano fuori facilmente da vari luoghi della stessa Divina Commedia, e su ciò concordano abbastanza i commentatori di lui. Per la qual cosa io reputo inutile di qui riferirne le prove; le quali notizie vengono soltanto da me qui riprodotte prin- cipalmente per questo, perchè meglio si comprenda quello che appresso sarò per dire, ed ognuno possa quindi più facilmente da per se stesso giudicare con imparzialità e definitivamente quale delle due opinio- ni sia la vera. Dico adunque, che dopo di avere io attentamen- te riflettuto sui due passi di Dante in questione, ho dovuto concludere, che tra gli autori, i quali di essi due luoghi fecero discorso , quelli che tennero per certo che le quattro stelle da Dante nominate altro non significassero che la costellazione della croce, in- 1 S-'i Scienze dussero se stessi in errore in più modi: perciocché alcuni di loro, amanti troppo del maraviglioso, si det- tero piuttosto a pensare cose del pari maravigliose, anzi che diligentemente esaminare ed accuratamente interpretare quelle terzine. Mossi per avventura dal desio di onorare sempre più la memoria dell'Alli- ghieri, giunsero perfino a lusingarsi , che , parlando egli di quelle stelle, avesse quasi profetato; persuasi essendo, quantunque senza ragione , che per osser- varle fosse necessario trasferirsi all'emisfero australe, dove, secondo che essi opinavano, i viaggiatori non si erano recati giammai. Il celebre Merian dell'acca- demia di Berlino, per esempio, si fu una di costo- ro: perciocché, parlando egli del primo de' due luo- ghi di Dante, esclama: « Mais voici une chose bien sin- guliére, une vraie divination poétique, ou du moins une renconlrc du hasard, dout assurément il y a peu d' exemples Mais qui lui a montré la carte du ciel antartique ? ... Or quelle merveille ! Ces quatre étoiles se trouvent en effet dans le lieu indiqué, Trois de la seconde, et deiix de la troisiéme grandeur: » (no- tisi il numero quattro fatto uguale a cinque.) Si credette già universalmente, che le dette quat- tro stelle fossero situate presso il polo: la qual cosa viene confermata ancora da Giuseppe de Acosta spa- gnuolo nella sua storia dell'Indie. « A'^erum est (dice egli) c|uod Cruzero ibi pul- » chri et admirabilis aspectusest. Cruzero autem ap- » pello quatuor notabiles stellas, quae invicem cru- )) cis formam habent, magna aequalitate et propor- » tione sic coUocatae. Ignari credutit qnod Cruzero sìt » polus meridiei , cum videant nautas elevationem » poli a Cruzero sumere ut versus borcam fìt. Ve- Stelle di Dante 185 » nini decipiuniitr. Ratro, ob qiiam naulae hoc facitint, » est quod illa in parie nulla fixa est, qnae sic mon- » stret polum ut stella septenlrionalis polaris. Unde » sumunt altitudinem poli a stella quae sit in pe- « de, sive i nfima parte Cruzero , quae distat a ve- » ro et fixo polo 30 gradus, sicut stella polaris bo- » reae a polo suo distat Ires gradus et paulo plus » etc. » Codesti autoii pertanto non solo ignorarono che da più di 2000 anni a questa parte conosconsi (siccome può osservarsi nella geografia di Tolomeo ) alcune isolette al di là della linea ; non solo non riflettono che Marco Polo fin dal 1295 (prima cioè che Dan- te componesse il suo poema) ritornò a Venezia sua patria da uno de' suoi viaggi, nel quale tra le molte regioni visitate da lui contasi pure l'isola di Mada- gascar, che si estende oltre il tropico di capricorno: ma non seppero nemmeno che le quattro stelle della croce sono registrate nel catalogo di Tolomeo, e che le medesime sono \ isibili alla latitudine boreale di 28 gradi circa, vale a dire a tutti coloro che abitano sotto il parallelo, che traversa le isole canarie, l'Egit- to, il mar rosso, il golfo persico, e dite voi, come può agevolmente dimostrarsi ancora per mezzo de' globi celesti e terrestri. Oia, poiché realmente dimo- strasi ciocché è detto, cioè : 1 Che il passaggio della linea fu già eseguito dagli antichi, e da' moderni an- teriori a Dante; 2, Che nota era da gran tempo la costellazione nel centauro, nella quale sono le quat- tro stelle delle quali parliamo; 3, Che queste posso- no essere vedute sotto il ventottesimo parallelo borea- le ; 4 Infine che quegli autori non ebbero affatto no- tizia di colali particolarità: mi sembra che essi non 186 Scienze saranno certamente mai da veruno riputati capaci di giudicare se le quattro stelle di Dante appartengano veramente alla costellazione del centauro, od abbiano ad essere piuttosto con un senso allegorico interpe- trate. Sarà alcuno, il quale ripiglierà, che furonvi tut- tavia taluni tra gl'illustratori di Dante, i quali co- nobbero assai bene qual era lo stato della geografia e dell'astronomia nel secolo XIII, e non caddero per- ciò in errori cotanto grossolani ; e ciò non ostante non solo esclusero ogni spiegazione allegorica rela- tiva ai due passi surriferiti, ma vollero di più, che questi potessero assai bene accordarsi co' moti della sfera celeste, e colle diverse posizioni che le quattro stelle della croce hanno nella stagione di primavera, e nelle ore della mattina e della sera, appunto come il poeta descrive. A tale istanza risponderemo, che quan- do realmente risultasse l'accordoda costoro vantato, noi ancora di buon grado ci uniremmo con essoloro , e rinunceremmo senza esitare al senso allegorico : poiché, avendo noi già dimostrato nella prima parte di questo discorso, che il nostro poeta fu assai va- lente e nella geometria, e nella meccanica , e nella fisica e nella geografìa e nelle altre scienze, e perciò non potendo noi in alcun modo astenerci dal pensa- re, che egli fosse parimente ben ammaestrato nella dottrina della sfera, ci troveremmo assai soddisfatti eh' egli della medesima avesse parlato giustamente. Non senza nostro rincrescimento per altro abbiamo rilevato che codesti espositori della Divina Comme- dia esaminarono troppo superficialmente i moti della sfera caleste: e perciò non è a maravigliare se essi errarono quando dissero corrispondere collo stato del Stelle di Dante 187 cielo la posizione di quelle stelle da Danio allora os- servata. Ed a persuadersi dell'equivoco da loro fatto compiutamente, caderà in acconcio di paragonare su ciò co' nostri risultati qtielli del chiarissimo professo- re Portirelli; il quale nell'edizione del poema di Dan- te tra i classici stampati in Milano, non è molto tem- po passato, dichiarò più diffusamente di chiunque i due luoghi suddetti: e cercò, conciliandoli insieme , di darne una chiara spiegazione in parte nviova, e più ampia di qviello si fosse da altri non mai fatto in addietro. Se noi riusciremo pertanto a provare che egli siasi su ciò ingannato, potremo senza alcun ritegno persuaderci che gli altri ancora prima e dopo di lui siansi ingannati del pari. Né l'autorità dell'aba- te De-Cesaris celebre astronomo della specola di Etera, della quale lo slesso Portirelli si vale a maggiormente difendere e confermare la detta sua spiegazione , ci trattiene punto dallo scrivere quanto intorno alla me- desima noi pensiamo: essendo troppo persuasi, o che il Portirelli abbia equivocalo nel pubblicare con la stampa le idee di tanto astronomo, o che questi sia stato dapprima mal informato dal Portirelli, o da al- tri, de' particolari della questione. Comunque però sia, egli è certo che il nome dell'abate De-Cesaris, già da tanti anni registrato con onore tra i seguaci di Ura- nia negli annali dell'astronomia, non sarà mai perciò nella menoma parte oscurato. Dice adunque il Por- tirelli ; « Verso il polo antartico quattro bellissime stel- » le, che formano vina croce, sono nella costellazio- » ne del centauro, alquanto lontana dal polo, e quat- » Irò sono al polo stesso vicinissime. Le prime si ve- » dono accostandosi alla linea equinoziale, e si tro- 188 Scienze » vano nel catalofjo di Tolomeo; le seconde si pos- >» sono vedere, se ci portiamo più oltre la detta li- » nea ...» Onde dicendo il poeta nel terzetto del can- to Vili, V. 91, 92, 93: le quattro chiare stelle, Che vedevi staman, son di là basse; E queste son salite ov'eran quelle: » che è tanto dire , che la quattro stelle vedu- » te alla mattina erano di là basse, cioè verso l'o- » rizzonte, e che al loro luogo ne vide tre altre Ir » sera, delle quali al principio del canto Vili fa una » novissima descrizione: è chiaro che ci non parla qui » delle vicinissime al polo, ma di quelle che sono dal » polo alquanto discoste, e che formano, come dicem- » mo, una croce nella costellazione del centauro. » Ci porge qui occasione il professore Portirelli di rilevare una cosa, la quale, quantunque sia in par- te estranea all'argomento nostro, nondimeno ci met- te (come adire) in via di esaminare più particolar- mente ancora le spiegazioni di lui sui riferiti terzetti di Dante. Facciamo osservare pertanto ai nostri let- tori, che quantunque ammettasi la conseguenza ora da lui cavata, che Dante cioè parli della costellazione della croce; non si potrà tuttavia mai con esso lui convenire circa quanto ei dice relativamente alle quat- tro stelle vicinissime al polo antartico, per essere ciò gratuitamente supposto, provato non mai : percioc- ché è noto , che le stelle di sesta grandezza non si veggon ad occhio nudo, che mediante una vista per- fettissima, e che per facilmente distinguere quelle di quinta grandezza richiedesi un cielo puro, ed una vi- Stelle di Dante 189 sta non mediocre. Ora dall'SO grado di declinazione meridionale al polo antartico trovansi registrate, nel catalogo delle stelle australi del celebre astronomo La-Caille , 28 stelle di sesta e cinque di quinta gran- dezza; di prima , seconda, terza e quarta grandezza nella detta parte di cielo non ve ne ha alcuna. Dun- que abbiamo diritto d'inferirne, che non esistano le quattro stelle vicinissime al polo dal Portirelli nomi- nate ; le quali essendo state in certo modo parago- nate da lui alle quattro stelle della croce, e di que- ste, contandosene, secondo lo stesso La-Caille , una di prima, una di seconda, e due di terza grandezza; e, secondo l'astronomo Bode, una di prima, due di seconda, ed una di terza; richiederebbesi che quelle fossero per lo meno di terza o quarta grandezza, quan- do noi sappiamo che di tali quivi non ve ne ha, co- me è detto. Infatti nessuno tra i viaggiatori, come Halley, Humboldt, ed altri, le ricorda; e la lettera di A- merigo Vespucci, dallo stesso Portirelli citata, le esclu- de. In essa leggesi quanto siegue: » E come desideroso d'essere autore, che segnas- » si la stella del firmamento dell'altro polo, perdei » molte volte il sonno la notte in contemplare il mo- » vimento delle stelle dell'altro polo, per segnar qua- » le di esse tenesse minor movimento; e non potetti » con quante male notti ebbi e con quanti stromen- » ti usai, che fu'l quadrante e l'astrolabio. Non se- » gnai stella, che tenesse men di dieci gradi di mo- » vimento intorno del firmamento; di modo die non »' restai soddisfatto in me medesimo di nominar nes- » suna. » E lo stesso confermasi dal passo soprallegato di Giuseppe de Acosta. E di vero che La-Caille osser- 190 Scienze yò accuratamente quella parte di cielo, ed alla testi- monianza di tanto astronomo non vi sarà certamente chi voglia contraddire senza incorrere la taccia di po- co versato nell'astronomia. Il professore Portirelli sostiene inoltre che « nella » stagione di primavera, in cui Dante finge di fare » questo viaggio, come appare dalla sua supposizione, » che il sole fosse in ariete, le stelle della croce real- )> mente veggo nsi in alto di buon mattino, e veggon- » si poi sotto il polo la sera. » A malgrado di tale asserzione noi possiamo as- sicurare, che avviene tutto il contrario ; perciocché nel principio di aprile v\no che trovisi agli antipodi di Gerusalemme (dove finge di essere il poeta ) ed osservi la sera quelle quattro stelle , quando dopo il tramonto, il sole trovasi sotto l'orizzonte 18 gra- di , egli stimerà indubitatamente che esse sono mol- to più alte di quello erano state da lui vedute la mat- tina, quando il sole era del pari 1 8 gradi sotto l'oriz- zonte. Della verità delle quali cose noi vogliamo con- vincere i nostri lettori adoperandovi il solo globo celeste di non più di un piede di diametro: ben in- teso tuttavia, che sia ben costruito, ed abbia il suo meridiano di metallo diviso esattamente in gradi, che girandolo possa agevolmente essere situato a qualsi- voglia latitudine terrestre; debba inoltre essere forni- to di un quadrantino di metallo, mobile, e diviso in novanta gradi , che serve per determinare le altezze degli astri sull'orizzonte; esso è prolungato di un ar- co di 18 gradi pei corrispondenti abbassamenti loro sotto l'orizonte , ed ha nell' estremità superiore una vite di piessione onde poterlo fissare nello zenit. Con Stelle di Dante 191 un globo celeste di tal fatta costruito a Londra da Cary, nel quale la posizione delle stelle corrisponde al 1800, ho potuto facilmente dedurre che l'altezza della costellazione della croce era molto minore la mattina, che la era. Riflettuto però che detta costellazione occupa nella sfera celeste uno spazio di oltre quindici jjradi quadrati di circolo massimo, e non può perciò mi- surarsi la sua altezza esattamente, ho preferito di de- determinare quella della mattina e della sera di un sol punto di lei, supposto sempre il sole 18 gradi sotto l'orizzonte; e mi sono sertito della stella di pri- ma grandezza {aljìha crucis) che gli appartiene. Per ottenere le altezze di delta stella tanto la mattina quan- to la sera operai come appresso (1). 1 Alzai il polo sud 31 gradi ed un quarto so- pra l'orizzonte, che è la latitudine di Gerusalemme. 2. Fissai il quadrantino allo zenit. 3. Abbassai il ventunesimo grado di ariete sotto l'orizzonte, quantità uguale alla longitudine del sole, all'epoca del viaggio del poeta. (I) Giovanni Bayero Ji O.sbiirgo, astronomo che fiorì verso la fi- ne del decimo sesto secolo, fu il primo che, pubblicando nel 1603 la sua Uranometria, distinse le stelle di ciascuna costellazione colle let- tere delfalfabeto greco, attribuendo sempre le prime lettere A (3^5 ec. per ordine secondo la grandezza loro: la qual cosa fu poi adottata universalmente dagli astronomi successori suoi. Si contano in vero in cielo circa centocinquanta stelle, che si distinguono coi nomi propri loro, che per essere arabi e stranieri non è facile il tenerli a memoria: così le lettere greche da Bayero im- piegate ce uè hanno in parte dispensato. Dico in parte , perchè ancora conserviamo il nome di alcune rinomate, come sono, Sirio, Procione, Aldeberan Wega, Argol , ecc. (Vedi Lalande Astronomie. Voi. 1 pa- rag. 5()1. Ediz. del 1792 in 4 volumi in 4). Le tavole di Berlino alla paj. 180 del voi. 1 hanno un catalogo di 102 stelle coi nomi propri!. it»2 Scienze 4. Infine trovai col quaclrantiao l'altezza di quel- la stella di 27 gradi e mezzo la mattina, e l'azzimut- to, ossia la distanza del verticale di lei dal polo sud contata sull'orizonte, di 31 grado. Fatte le stesse operazioni a ponente, ebbi l'altez- za della stella la sera di 43 gradi, coU'azzimutto di 32 gradi (1). E notisi che se alla longitudine della stella, da noi scelta, corrispondente al 1800 nel nostro globo, noi sustituiamo un asterisco, che rappresenti la lon- gitudine che aveva nel 1300, la quale per la pre- cessione degli equinozi di cinquecento anni doveva es- sere minore di sette gradi, noi troveremo risultamenti diversi bensì per le altezze, e gli azzimutti dell'asterisco da quelli precedentemente ottenuti della stella, ma tali però che aumentano ancora di più gradi l' altezza della sera, non alterando che poco quella della mat- tina senza molto alterare gli azzimutti loro. E non è punto difficile di notare sul globo l'asterisco di cui parliamo: poiché essendo già sul globo delineati di dieci in dieci gradi i paralelli all'eclittica, e di quin- dici, in quindici gradi i circoli ad essa perpendico- lari, potrà facilmente prendersi col compasso del pa- ralello vicino, e sottoposto alla nostra stella sette par- ti scarse (dico scarse, perchè il paralello della stella è un poco meno lontano dal polo ) delle quindici contenute dai due circoli limitrofi perpendicolari al- (1) Volendosi operare separatamente lo stesso colle tre altre stel- le p,y,8 che con a costituiscono la figura della croce, troverassi per le altezze loro sull'orizzonte (3 23 e mezzo la mattina, e 40 la sera: y 30 la mattina, 45 la sera.- 5 27 e mezzo la mattina, 42 e mezzo la sera: gli azzimutti loro della mattina non minori di 31 e non maggiori di 39; e quelli della sera non minori di 32 e non maggiori di 42. L'Autore. Stelle di Dante 193 Tecfittica; e fermata quindi una punta del compasso sulla stella, l'altro punto darà il luogo dell'asterisco. Si avverta però che nel segnarlo sul globo tanto es- so quanto la stella siano equidistanti al prossimo pa- ralello all' eclittica. Seguendo tale via ho marcato l'asterisco suddetto sul mio globo, ed ho trovato per esso col metodo da me precedentemente tenuto l'ai; tezza della mattina 27 gradi e tre quarti coU'azimut- to di 34 gradi , e l'altezza della sera 47 gradi col- l'azimutto di 35 gradi (1). Falso adunque, che Dante potesse vedere la co- stellazione della croce molto alta dall'orizzonte la mat- tina, e bassissima la sera; e falso ancora , che essa fosse sotto il polo la sera. Il che era da dimostrarsi. <« Finalmente, continua il Portirelli, in opposi- )> zione alle quattro stelle della croce trovansi le al- » tre tre, che propriamente, secondo ciò che il poe- » ta dice nel terzetto del canto Vili, alla sera do- » vevano essere in quel sito , in cui erano quelle )v alla mattina: delle quali tre una è l'alfa o Aehar- « nar della costellazione dell'Eridano, l'altra è l'alfa » o il Canopo della costellazione della nave, la terza rt è l'alfa della costellazione del pesce d'oro. » Ma noi faremo osservare, che di dette tre stel- le non parlò Dante certamente : essendo ch€ si rac- coglie dai versi di lui, che le tre facelle occupava- no presso a poco quella spazio di cielo, che le quat- tro stelle avevano occupato la mattina; senza di che (1) Nella prima edlzicHie dì questo scritto quivi il valejite au- tore (lette uua dimostrazione trigonometrica di questo problema; ma considerando io che ella sarebbe stata intesa da pochi , ho ottenuto dalla sua gentilezza di favorirmi in sostituzione la data qui sopra tanto più facile da comprendersi. G.A.T.CVII. 13 19U Scienze egli non avrebbe mai fatto dire a Virgilio : E que- ste son salite ov'eran quelle : ma le quattro stelle della croce prendono l'intervallo di 6 gr. dal sud al nord, e meno di A gr. di circolo massimo dall'est all'ovest; lad- dove le tre stelle dal Portirelli nominate distano in cir- ca tra loro quattro gradi dal sud al nord, e 37 gr. dal- j'est all'ovest, parimente di circolo massimo. Difficil- mente pertanto potrà comprendersi come uno spazio celeste di 37 gr. possa superimporsi ad un altro di quat- tro o sei gradi. Da quanto abbiamo fin qui esposto pertanto ne segue : 1. Che di quei commentatori di Dante, che tro- varono la costellazione della croce ne' versi di lui , alcuni fvn'ono troppo creduli ed ignoranti, ed altri non abbastanza attenti nel far uso della dottrina della sfera: e perciò non dee prestarsi fede alle loro spie- gazioni. 2. Che la posizione delle quattro stelle della croce nella sfera celeste agli antipodi di Gerusalemme (allor- ché il sole trovasi nel ventunesimo grado d'ariete nella mattina sia 1 ora, e 34 min., sia 0 ore, 35 min. avanti il nascer del sole, e la sera altrettanto tempo dopo il suo tramontare) essendo in contraddizione con quella de- scritta dal poeta, che era in quel secolo d'ogni scien- za maestro, debbe persuadere chicchessia, che egli al- legoricamente soltanto parlasse. (1) 3. Che non osservandosi nell' emisfero australe le tre facelle « Di che il polo di qua tutto quanto arde: » le quali, stando al racconto che ne fa Dante, avrebber ad essere situate alle stesse declinazioni in- (1) Vedi qui appresso a earle 194, noi. prima. Stelle di Dante 195 circa che hanao le stelle della croce , ed occuparvi uno spazio presso a poco uguale: non si compren- derà mai, perchè abbiano ad esservi le altre quattro stelle, ed abbiasi da intender per queste la costella- zione della croce. Aggiungasi h. Che volendosi prender per le quat- tro stelle suddette la costellazione della croce, ci sem- bra assai strano , che il poeta abbia omesso di far menzione di tale configurazione, la quale egli si com- piacque di fingere di osservare là dove certamente non era: perciocché al canto XIV del paradiso egli la con- templò perfino nel disco di Marte. A persuaderci sempre più che l'Allighieri non sottomise le sue descrizioni astronomiche ai moti ap- parenti del cielo, manifesteremo due contraddizioni ancora: l*una trovasi due terzetti dopo l'altro già ri- ferito: Io mx volsi a man destra ec, e l'altra nel ter- zetto che lo precede. Ma ecco per intero il luogo di Dante, del quale intendo parlare. (Purg. Canto I v. 19-30). Lo bel pianeta, eh' ad amar conforta, Faceva tutto rider l'oriente. Velando i pesci che erano in sua scorta. Io mi volsi a man destra, e posi mente All'altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai fuor ch'alia prima gente. Goder pareva il ciel di lor fiammelle. 0 settentrional vedovo sito. Poi che privato se' di mirar quelle ! Come io dal loro sguardo fui partito, Un poco me volgendo all'altro polo Là onde 'l carro già era sparito; Vidi ec. ec. 100 S e I E N ZE Notisi adunque: 1. Che per lo bel pianeta^ che leggesi nel pri- mo de' quattro precedenti terzetti , intendono quasi universalmente i commentatori della Divina Comme- dia il pianeta Venere. Dissi quasi , poiché il Volpi alla postilla della pagina 339 (tomo primo edizione cominiana) opina doversi interpretare per lo sole ; ma nell'un modo e nell'altro ci allontaniamo ugualmente dal racconto del poeta (1). Perciocché, se vogliasi Ve- nere, questa era allora più avanzata del sole in longi- tudine di 6 in 7 gradi, e perciò il nascer suo era preceduto da quello del sole; se vogliasi il sole., al- lora si rendeva impossibile di poter osservare le quat- tro stelle nel secondo terzetto ricordate (2). (1) Al Volpi si unì più tardi il Perticari con tale passione, che dove Dante parla della stella pola)'e egli volle intendere clie parli del sole (Conv. tr. 3. cap 5 in nota) Non i>erciò si rinforza tale opi- nione: l'I sole non fu mai detto stella assoUitamente né dai latini, né dai volgari: ma così nominarono le stelle in genere. Boezio (de con- solai, lib. 1 metr. 2. ) « Cern. bat rosei lumina solis, visebat gelidae sidera lunae, et quaecumque vagos stella recursus Exercet varios ....» (lib. 2. metr. 3.) Quum polo Phoebus reseis quadrigis Lucem spargere coeperit, Pallet albentes hebetata vultus Flammis stella praementibus ..» Guido Gninizzelli (canz. al cor gentil ripara) » Che dalla stella valor non discende Anzi che '1 sol la faccia gentil cosa. Poiché n'ha tratto fuore Per la sua forza il sol ciò li è vile, La stella i dà valore. » Dìkiìtep'ita nuova (canz. Donna pietosa) » Poi mi parve vedere a poco a poco Turbar lo sole, ed apparir la stella. « Lo stesso (conv. tr. 3. cap S) »... se la una pietra potesse cadere da questo nostro polo , ella cadrebbe .... in su quel dosso del mare dove se fosse un uomo, la stella gli sarebbe sempre sul mezzo del capo. « Non può nascer dubbio che nei detti passi intendasi di vere stelle e non mai del sole. (2) Qni ed attrove (Purg. e. 27. v. 9i, 93) Dante usò Venere, o Lucifero, come frase poetica quasi conduttrice dell'aMrora. Così fe- cero gli antichi poeti greci e latini. Omero (Odiss. lib. 13.)» Quan- do comparve quel si fulgid'astro, Che della rosea aurora è messag- gicro, La nostra nave ad Itaca approdava.» Stelle di Dante 197 2. Che, dicendo Dante nel quarto terzetto: « Là onde il carro già era sparito: » l'avverbio di tempo già mostra abbastanza, che il carro, ossia quella parte dell'orsa maggiore che ha forma di carro, nasca e tra- monti alla latitudine australe di 31 gr. J5 min.: il che è falso (1). Adunque noi teniamo per fermo cogli antichi il- lustratori del divino poema, che per le quattro chia- re stelle debban intendersi le quattro virtù cardinali, e per le tre facelle le tre virtù teologali: tanto più che abbiamo ancora altri luoghi della Divina Cora- media, che confermano tale allegoria; perciocché leg- giamo allo stesso canto primo del Purgatorio v. 37-39: Li raggi delle quattro luci sante Fregiavan sì la sua faccia i lume. Ch'io 'l vedea, come '1 sol fosse davante. Ed al canto XXXI del Purg. v. 106: Noi siam qui ninfe, e nel ciel semo stelle. (1) Qui già non è avverbio di tempo, ma di luogo, e spiega- si: mi trovai nell'emisfero australe tanto al di là dell'equatore, che il nostro polo più non poteasi vedere. Questa particella ha ugual si- gnificato nel Purg. 28, v. 61. « Tosto ch'io fui là dove l'erbe sono Bagnate già dall'onde del bel fiume. » In vero quesl'ei be essendo ba- gnate dalle onde in ogni tempo, il già deve esser avverbio di luogo e significare: tosto ch'io fui tanto avanti sulla riva, che i miei piedi toccavano l'erbe bagnate. » Non rado parlando di via dall'una all'al- tra città, usasi dire; giunti al punto colale già si vedono le torri, si ode il suono delle campane, e simili detti. Co^i spiegato il già nel ver- so presente, Dante parla colla più rigorosa precisione cosmografica. La Crusca, che non registra tal voce in (juesto significato, potrebbe darvi luogo cogli esempi addotti. 198 Scienze E quivi al V. 3: Le tre di là che miran più profondo. Nei qviali passi incontrasi manifestamente la stes- sa allegoria. Concludiamo pertanto, che l'Allighieri par- lò da poeta, cioè inventando (1). Non diminuisce già per questo la dottrina del « Signore dell'altissimo can- to. » anzi forse si accresce: poiché egli in tali poeti- che invenzioni seppe non oltrepassare i limiti del ve- risimile : la qual cosa non so quanto possa dirsi di altri poeti celebratissimi. In somma noi non potremo mai persuaderci, che r Allighieri dotto come egli era in ogni ramo del- l'umano sapere, secondo che raccolto abbiamo da più luoghi del suo divino poema, talché si può francamente chiamarlo poeta unico, e filosofo di gran lunga più scienziato, che le cognizioni del secolo poco men che barbaro, in cui scrisse, noi comportasse, sia ciò non ostante potuto cadere in errori così madornali sulla dottrina della sfera , come pur troppo il professore Portirelli , l'abate Lanci ed altri vengono ad accu- sarlo col voler difendere e sostenere, che egli ne' suc- citati terzetti abbia parlato della costellazione della croce, che sotto il Centauro trionfa (2). Estratto dalla « Corrispondence astronomique geo- » graphique ec. Du baron de Zach. Septieme volume. » A Génes. an 1822. Bonaudo. » (t| Ottimamente conchiuso, qnando si noti che il significato di qneste stelle sarebbe pure allegorico, sebbene all'altro polo esistes- sero le dette stelle come vollero alcuni, e come se le immaginò Te- sino poetico di Dante. Nelle scritture polisense la lettera sia verità, o sia l'avola, è sempre una corteccia che ricopre l'allegoria. (2) Frase usala dall'abate M. A. Lanci alla pag. 59 e 60 della sua dissertazione sui versi di Nembrotte e di Pluto della Divina Comme- dia, stampata in Roma da Liuo Conledini nel 1819 in-8. 199 Elogio storico di Lorenzo Marcucei uno dei XII del collegio farmaceutico di Ronia^ letto nalla. ven. chie- sa di s. Lorenzo in Miranda nel di dei funerali da Giovanni Corsi farmacista di collegio. 0, 'norare la memoria de' nostri colleghi, in ispecie di quelli che di noi si resero benemeriti e della scienza che professiamo, fu e sarà mai sempre lodo- yol cosa; e coloro, che sparsero i loro lumi a vantag- gio dell'umana generazione, hanno diritto alla nostra gratitudine e riconoscenza. Ahi misera condizione de' mortali ! Lorenzo Mar- cucci , che tanto onorava il collegio e la patria no- stra, non esiste più: poca cenere è divenuta già la sua misera salma : ma non così divennero le sue virtù e belle azioni, che appo noi resteranno in eter- na ricordanza. Nacque egli in Roma da Gio. Battista Marcuc- ci e da Angela Corsini correndo l'anno 1768. Ini- ziato di buon' ora da' suoi genitori al corso delle uma- ne lettere, lungi essi d'abbandonarlo a se stesso in un momento in cui la sensibilità de' giovani è grande e possente, cercarono di bene accostumarlo; e la pri- ma cosa che inspirarongli, come base d'ogni dovere, furono i sentimenti delle cristiane virtù , che tutte da' suoi genitori si possedevano. La istruzione, che dà l'esempio de' genitori, fa sul cuore e sullo spirito de' giovanetti la più viva e durevole impressione; poiché 200 Scie n z e se il buon esempio li conduce nella via della retti- Uidine e del bene , il malvagio li porta alla coiiu- zione o al perdimento. Una fatale esperienza c'insegna, che i vizi e i difetti della maggior parte de' giovani sono spesso una trista eredità de' loro padri: ma non così potè dirsi del collega nostro, che avendo con- tinuamente sotto gli occhi vm modello di virtù ne' suoi genitori, non poteva deviare dalla rettitudine e dalla scienza. Percorsi gli studi delle belle lettere e i filosofici con plauso de' suoi precettori , occupavasi assiduamente a quelli delle scienze, e tanto amore prese per es- si che divenne l'ammirazione de' suoi contemporanei. Un Gandolfi, un Morichini, un Barlocci, uomini tutti di chiarissimo no me in ogni genere di scienze, forma- vano la sua delizia. Ma lo stud o delle scienze non fece perdere al collega nostro quella nobile passione ch'egli fino dal- l'infanzia concepito aveva per la pittura : dimodoché il tempo, che restavagli all' ozio, occupavalo presso qualche sommo artista di quell'età. Laonde dopo po- co tempo dette saggio di sua perizia in un dipinto, ese- guendo magistralmente quanto gli venne commesso. Quindi la serafica famiglia del convento di s. Bar- tolomeo all'isola gli ordinò due quadri per quel vasto tempio. 11 Marcucci dipnise in uno la morte del loro serafico padre, e nell'altro le sagre stimmate. E qui tacendo degli encomi riportati dai migliori artisti del- la nostra città per la filosofica condotta de' suoi qua- dri, vi dirò ancora ch'egli possedeva per eccellenza le cognizione dello scolpire in legno, ossia intaglio con sublime maestria eseguito: il qual ornamento fu cono- Elogio di L. Marcucci 201 scinto dal massimo pontefice Leone XII, come in ap- presso si dirà. Appassionato come egli era per la coltura delle belle arti , dovette però abbandonarle , esigendolo il bisogno e l'età del genitore, pel quale sentiva un' affezione particolare , ed un rispetto degno di tutti gli encomi. Queste cause furono quelle, che lo di- strassero dalla luminosa carriera della pittura. Allora datosi con alacrità ed amore alla far- macia, ne ultimò gli studi sino ad ottenere coi co- muni suffragi l'approvazione, e l'onorevole diploma della matricola in questa facoltà. Il Marcuccio essendo per necessità chimico , trovò in questa scienza come appagare le sue idee, mettendola in pratica a vantaggio anche della pittu- ra con pubblicare un aureo trattato, appoggiato ai precetti della moderna chimica, risguardante i colori e le vernici per i pittori. Questo riscosse la generale approvazione, per cui il nostro collega fu costretto farne una ristam- pa. Dedicò la prnna edizione all'accademia pontifì- cia di s. Luca, che accolse poi l'autore fra' suoi so- ci onorari; la seconda, arricchita di maggiori scoperte, volle dedicarla all'amato suo genitore. In Milano qua- sta seconda edizione fu impressa dal tipografo Sil- vestri , e le auree note del cavalier Tambroni nel trattato della pittura di Cennino Genuini onorano ab- bastanza la memoria del nostro Lorenzo. Quest'uomo veramente insigne è appunto quel- lo di cui oggi acerbamente p iangiamo la perdita. Bgli tutto il suo sapere attribuiva al suo genitore, che per tempo nulla risparmiando , seppe educarlo nellle sante norme della virtù. 202 Scienze Con quale affetto egli non parlava di lui e della tenera sua madre! A dimostrargli tutta la sua aflfezio- ne volle, come di già vi diceva, dedicargli la secon- da ristampa della già menzionata sua opera: e tali so- no le espressioni della lettera di dedica, che abbastan- za mostrano quanto egli lo amasse. Il Supremo Facitore ne' suoi imprescrutabili di- segni gli tolse poi il genitore, quello stesso che for- mava la maggior delizia delle sue compiacenze, e l'og- getto più caro della sua vita ! Allora al nostro colle- ga fu mestieri di porsi al governo della famiglia : e con quanto ingegno egli la guidasse, lungo qui saria il ripeterlo. Congiuntosi poscia in matrimonio con onorata e civil donzella, ebbe da questa fecondissima prole, fra la quale il nostro ceto conta due farmacisti, ed uno di essi nostro degnissimo collega. La religiosa edu- cazione della famiglia forma il più bello elogio della sua memoria. Fra tante belle e non comuni doti , il nostro collega sentiva poi tutta la forza dell'ami- cizia. Nulla difatti è più piacevole e dolce che de- positare in seno di un amico i segreti del nostro cuore: ma nell'attuale depravazione de' costumi, l'ami- cizia è un fuoco fatuo, una larva. Non era tale però in Lorenzo. L'amicizia per esso era con vivo senti- mento basata sulla virtù e sul merito delle persone : e tutte egli ne possedeva le qualità , e tutte sapea praticarle. Il nostro collega, oltre la fama ch'egli godeva di abile farmacista, ebbe sempre quella di un valente ai- stita: talché il sommo gerarca Leone XII di santa ri- cordanza, protettore magnanimo delle arti e de' loro cultori, rinnovando il suo nobil treno ne adidò le cu- Elogio di L. Marcucci 203 re al collega nostro. I nobili intagli della carrozza, gli ornati tutti , e quanto di magnificenza e mae- stà in essa si scorge , lutto fu diretto dal nostro Lorenzo. Non v'è straniero artista che non ammiri con istupore una tale opera condotta colla maggior precisione dell'arte: ed il nostro collega in mezzo agli onori ed agli encomi mai del suo ingegno non invanì. Il suo carattere ilare ed ameno , abborriva il ridi- colo orgoglio di taluni, che più dalla fortuna che dal sapere trassero gli onori e le dovizie; e s'egli fu gran- de nei talenti, fu certamente più grande nella pro- bità e noila modestia , che seco condusse sino alla tomba. Le sue non comuni virtù ed una vera ri- putazione lo fecero prescegliere a membro del no- stro collegio: e con quanto zelo e fervore egli di- simpegnasse le sue attribuzioni, inutile saria il ripe- terlo a noi, che ne fummo testimoni. In fine la gravezza degli anni fece sentire al suo malconcio fisico il bisogno di ritirarsi da ogni cura: e fu allora che porse istanza al nostro collegio per- chè a suo coadiutore accettato fosse il primogenito de' suoi figli. Il collegio in vista de' suoi meriti, mo- strando tutta l'adesione alla sua dimanda, la umiliò alla s. congregazione degli studi. Malsano però e pieno d'incomodi il collega no- stro seppe tollerare tutte le privazioni che dal suo fisico stato provenivano , né perde mai quella sua naturale ilarità, che di molto ci lusingava di veder prolungati i suoi giorni . Pieno di rassegnazione e di religiosi sentimenti con calma e ferma rassegnazione vedeva in fine avvicinarsi gli ultimi momenti di sua vita, allorché il giorno 6 maggio 1845 esalò lo spi- rito al Creatore nell'età di circa anni 77. 204 Scienze Che rimembranza funesta ! il nostro amico e col- lega passò da questa misera alla celeste eternità ! Questa separazione da Lorenzo non sarà eterna per noi. Ai tuoi congiunti in duolo, ai tuoi più ca- ri e teneri amici , che oggi sono a compiere sulla tua tomba questo doloroso ufluio, viva e perenne sa- rà la tua memoria. ^^avi^ 9 205 t^m^sTmuMi^wmA Orazione di M- Tullio Cicerone in difesa di Aulo Licinio Archia poeta. all'illustrissimo e reverendissimo MOINSIGINOR PELLEGRINO FARINl rettore delV archiginnasio di Bologna GIUSEPPE IGNAZIO MONTANARI discepolo riconoscente \jusiX\ào io aveva le mani a liadurre la difesa del poeta Archia, ben vi confesso, chiarissimo monsigno- re, che il mio pensiero veniva sino a voi, e all'ani- mo mio mostrava più potentemente dell'usato i de- biti grandi che io vi ho e vi avrò finché viva, e la riconoscenza che manifestare vi dovrei pubblicamen- te, se pari all'obbligo fosse il potere in me di ricam- biarvi. E però volendo al presente che questo vol- garizzamento tenga dietro ai due che ho pubblicati, ho creduto che non potrei sfuggir biasimo , se ad altri che a voi lo intitolassi. Tutti sanno che io son vostra creatura, e cosa al tutto vostra; e però facil- mente le parole di calda gratitudine , che 1' orator 206 Letteratura romano volge ad Archia recando da lui a me, a voi rivolgeranno : che se pari non è al debito l'eloquen- za del grato, ben maggiore è la virtù e il saper vo- stro di quello di Archia. E se Tullio si dice a lui tenuto dell'avere appreso da lui la copia del favel- lare, io deb borni confessare a voi debitore di tutto quel pochissimo che è in me, o vogliate di sapere, o di amore al sapere: perchè quando io venni alla scuola vostra so e ricordo bene quale io era, e sento che ben altro da quello io ne sono uscito. Voi mi formaste la mente , voi il cuore , voi mi mettevate ad un tempo amore alla virtù e allo studio delle ve- re lettere, di quelle cioè che sovra la filosofìa come solido fondamento l'innalzano, e m'insegnavate a non curare quelle vanità che son degno pascolo de'frivoli ingegni. E se io ho appreso come ammaestrare gli altri, l'ebbi solo da voi, e a voi per sempre ne avrò debito. Anzi se alcun bene i miei discepoli si a- vranno da me, essi lo dovranno tutto, più che a me stesso, a voi; perchè se voi a me foste mancato, essi ora nulla avrebbero da me. E però non saprei si- gnificarvi a parole come l'animo mio goda di ram- mentare i primi tempi della mia giovinezza: e richia- mando le cure vostre paterne verso di me, abbrac- ciarvi sovente in ispirito, e come padre venerarvi ed amarvi. Voglia Iddio , dal quale solo dipende ogni bene nel mondo, che io possa porgermi in ogni tem- po degno vostro discepolo! Perchè pii'i che da ogni altra mia fatica, da questo alcuna lode mi attendo, che altri dica: " Il Montanari fu discepolo del Farini, mantenne e propagò le sue dottrine, e per lui cercò restituire la vera eloquenza al suo antico splendore.» Di Osimo 9 di agosto 1845. Orazione per Arciua 207 ESORDIO. 1. Se avvi in me qualche ingegno, o giudici, che ben sento quanto sia scarsa: o se qualche esercizio di favellare, nel quale non niego essermi mediocre- mente occupato : o se maniera alcuna da queste o dalla disciplina de'lodati studi e delle ottime arti de- rivata, dalla quale confesso non essermi in alcun tem- po della mia vita giammai dilungato: di queste tut- te, e innanzi ad ogni altro, quest'Auto Licinio quasi di sua ragione debbe da me ripetere il frutto. Im- perocché per quanto si può a lunga col pensier ri- guardare lo spazio del tempo passato, e l'ultima me- moria della puerizia richiamare , di quindi sino ad oggi risalendo , veggo costui essere stato il primo a pormi e scorgermi nel sentiero di questi studi. Che se questa voce, dai conforti e dai precetti di lui in- formata, qualche volta ad alcuno recò salvezza, a co- lui dal quale avemmo di che giovare e salvar gli altri, a colui stesso certamente, per quanto è da noi, dar mano e salvezza dobbiamo. E acciocché persona non maravigli per avven- tura che io di tal guisa favelli, perché in quest'uo- mo è altra facoltà d'ingegno, e non questo modo e quest'arte del dire; sappia che noi pure a questo stu- dio dediti in ogni tempo non fummo: conciossiachè tutte le arti, che l'umanità risguardano , hanno un certo comune vincolo , e quasi per affinità le une nelle altre son contenute. 2. Ma perchè ad alcuno di voi strano non sem- bri che in una questione di legge , ed in un pub- blico giudizio , trattandosi la causa innanzi ad un 208 Letteratura pretore del popolo romano, personaggio sceltissimo, innanzi a severissimi giudici, e in sì grande concorso e frequenza di gente , usi di questo favellare , che non solo dalla consuetudine dei giudizi si diparte , ma ben anche dal forense linguaggio: io vi chieggo, che in questa causa una grazia degna di tal cliente, a voi come spero non molesta, mi concediate, affin- chè parlando alla difesa d'un sommo poeta e gran- dissimo letterato in questo consesso d'uomini erudi- tissimi, innanzi all'umanità vostra, presiedendo infine al giudizio questo pretore, comportiate che degli uma- ni studi e delle lettere alquanto liberamente io ragio- ni : e difendendo siffatta persona, che per la riposata sua vita e per gli studi mai de'giudizi e de' pericoli del foro non si conobbe , mi valga di un nuovo e quasi inusitato genere di favellare. Che se io sentirò che ciò da voi mi sia dato e concesso , farò cer- tamente che quest'Aulo Licinio, non solo non doversi segregare dal novero de 'cittadini, essendo cittadino, riputiate; ma ben anche, se non fosse, dovervisi ascri- vere. NARRAZIONE. 3. Infatti come dapprima Archia usci di fanciul- lo, e da quelle arti, colle quali l'età puerile si suole a gentilezza comporre, allo studio dello scrivere si diede : primamente in Antiochia ( che egli era nato di nobil prosapia in quella città, popolosa in antico e ricca e fiorentissima d'uomini assai eruditi e libe- rali ) gli avvenne prestamente di entrare innanzi a tutti per lode d'ingegno. Appresso nelle altre parti del- l'Asia e di tulta la Grecia di tal guisa il suo arrivo era celebrato, che la fama dell'ingegno dall'aspetta- Orazione per Archia 209 zione della persona, l'aspettazione dal suo arrivo e dalla iTiara\i{jlia, era superata. Andava a que' giorni ritalia piena delle arti e delle greche discipline, e que- sti studi anche nel Lazio più di forza si coltivavano, che ora nelle città medesime: e qui in Roma , per lo stato tranquillo della repubblica, non erano poste in non cale. Pertanto e i tarentini e i reggini e i napoletani lui di cittadinanza e di altri premi dona- rono; e tutti quelli, che a giudicare alcun poco degli ingegni bastavano, ch'egti fosse degno di amicizia e di ospitalità riputarono. In questa sì grande celebrità di fama conosciuto ornai dai lontani, venne a Roma sotto il consolato di Mario e di Catulo. Trovò in prima tali consoli, l'uno dei quali grandissime imprese da scrivere, l'altro e gesta operate ed anche studio ed orecchie a lui potea porgere. Subitamente i Luculli, essendo Archia ancora in pretesta, in casa loro lo raccolsero. Ed egli non solo ebbe tanto d'ingegno e di lettere , ma si virtuosa indole da natura, che quella casa che prima giovinetto lo ebbe, anche in vecchiezza gli fosse fa- migliarissima. Era in que'tempi la delizia di Quinto Metello il Numidico, e del Pio suo figliuolo: Marco Emilio lo ascoltava; aveva vita a comune con Quinto Catulo padre; era onorato da Lucio Crasso;^ ed es- sendo in istretta amicizia coi Luculli, e con Druse, e cogli Ottavi, e con Catone, e con tutta casa Orten- sia, era da tutti riverito: sicché non solo lo tenevano in pregio quelli, che desideravano d'imparare o d' intendere qualche cosa, ma qvxelli ben anche che vo- lean darne le viste. 4. In frattanto buon tempo dopo essendosi con Lucullo in Sicilia condottto, e con LucuUo di quella G.A.T.CVII. 14 2 I 0 Letteratura provincia partendosi, giunse in Eraclea ; della quale città, perchè con giustissime leggi ed alleanza si reg- geva, desiderò d'essere cittadino: e perchè degno n' era giudicato per se stesso, e per l'autorità ed il fa- vor di LucuUo, dagli eracleesi l'ottenne. ARGOMENTAZIONE. PARTE I. Si diede la cittadinanza per la legge di Silvano e di Carbone : A chiunque fosse ascritto alle confederate città : se quando la legge promulgavasi avesse avuto domicilio in Italia: e se nel far di sessanta giorni^ in- nanzi al pretore^ n'avesse fatta dichiarazione. Questi, avendo già da molt'anni domicilio in Roma , diede il nome a Q. Metello pretore che gli era amicissimo. Se null'altro che della cittadinanza e della legge dee dirsi, non vo più innanzi , e la causa è finita. Qual cosa infatti di queste puoi tu ribattere, o Grac- co ? Dirai tu che non fosse cittadin d'Eraclea. Eccoti un personaggio di somma autorità e religione e fe- de, Marco LucuUo, il quale non dice di credere, ma di sapere: non di avere udito, ma veduto; non di es- sere stato presente, ma di avere adoperato. Eccoti i legati d'Eraclea, uomini nobilissimi, i quali a cagione di questo giudizio con mandati e con pubbliche te- stimonianze qua vennero : essi affermano che Archia è cittadin d'Eraclea. Qui tu vorresti i registri pubblici d' Eraclea , i quali nella guerra italica, quando andò in fiamme l'archivio, noi tutti sappiamo che al tutto perirono. E veramente ridicolezza non porre mente a quelle co- se che abbiamo : quelle che aver non possiamo, ri- cercare: trapassar in silenzio la memoria defili uo- Orazione per Archia 2H mini; la memoria delle lettere domandare : e avendo la testimonianza di un ragguardevolissimo personag- gio, il giuramento e la fede di un integerrimo mu- nicipio, quelle cose che in alcun modo non possono viziarsi, rigettare; quelle che tu stesso dici soler es- sere viziate, desiderare. Ma non ebbe domicilio in Roma colui che tanti anni, prima della data cittadinanza, la sede di tutte sue cose e fortune aveva in Roma collocato? Ma non fece dichiarazione alcuna. Anzi la fece in que'registri, che soli da quel censimento e dal collegio de'pretori ottengono autenticità di pubblici registri, 5. In fatti i registri di Appio si dicevano con negligenza tenuti : que'di Gabinio , fìnch' egli fu in fiore per la sua leggerezza, dopo la condanna per la sua disgrazia, avevano perduto ogni fede : Metello, l'uomo più incolpabile e più modesto di tutti, tan- ta diligenza vi pose, che innanzi a Lentulo pretore ed ai giudici essendo venuto, si disse angustiato dal- l'avervi veduto cancellato un sol nome. In questi re- gistri adunque non vedete cancellatura alcuna nel nome d'Aulo Licinio. Le quali cose essendo così, a che della cittadi- nanza di lui dubitate più innanzi, principalmente es- sendo egli anche ad altre città ascritto ? Infatti men- tre a molti mediocri, e o d'ogni arte sforniti, o solo in qualche umile arte valenti, gratuitamente i greci concedevano la cittadinanza, credo che i reggini, o ì locresi, o i napoletani, o i tarentini, ciò stesso, che agli attori di scena largheggiar solevano, a costui fregiato di somma lode d' ingegno non avrebber negato. E che ? quando altri non solo dopo data la cittadinan- za, ma ben anche dopo la legge papia, in qualche 212 Letteratura modo neVegistri di que'municipii si sono insinuati : costui che di quelli punto non si vale, perchè sem- pre eracleese esser volle, sarà rigettato ? Ma tu cerchi i nostri catasti: conciossiachè non si sa chiaramente , che sotto gli ultimi censori Archia col chiarissimo generale Lucio Lucullo era presso l' esercito; sotto gli antecedenti col medesimo qviestore era nell'Asia • e prima sotto Giulio e Crasso alcuna parte del popolo romano non era stata censuata. Ma giacché il censo non conferma il diritto di cittadi- nanza, ma soltanto indica, che colui che è scritto nel censo si è condotto sino allora a modo di cittadino: in que'tempi, in cui tu incolpi Archia di non avere neppure a suo giudizio riputato di goder i diritti de' cittadini romani , egli fece soventi volte testamento se- condo le nostre leggi, prese eredità di cittadini ro- mani, e da Lucio Lucullo pretore e console all'era- rio come benemerito venne recato. Cerca altri argo- menti, se puoi : che questi ne per suo, né per giudi^ zio degli amici, non sarà convinto giammai, ARGOMEi^TAZIONE. PARTE IL 6. Ne domanderai tu, o Gracco, perchè cotanto di quest'uomo ci compiaciamo ? Perchè ci porge di che ristorar l'animo da questo strepito del foro, e le orecchie stancate dai clamori riposare. Credi tu forse che, parlando in sì gran varietà di cose, ogni giorno tanta dovizia di dire aver noi potessimo, se gli ani- mi colla dottrina non coltivassimo ? Credi tu che la mente a tante fatiche bastar potesse , se colla stessa dottrina non fosse da noi rinfrancata? Ed io mi con- fesso che a questi studi son dedito : n'abbiano gli al- Orazione per Archia 213 tri vergfogna, se taluni tanto si sprofondarono nelle lettere, che non possono alcun frutto in prò comune recare, ne cosa alcuna mostrare e mettere in luce. E di che dovrò io prender vergogna, se da tanti anni vivo per modo, che in alcun tempo né gli agi , né il riposo mi hanno distratto, né i piaceri distolto, né il sonno in fine mi ha ritardato ? Perlocché chi final- mente mi riprenderà, o vorrà meco a ragione sde- gnarsi, se quel tanto di tempo che gli altri nel pro- curare le domestiche bisogne , o nel festeggiare i giorni degli spettacoli : quel tanto di tempo che ad altri piaceri, al riposo dell'animo e della persona si concede : quel tanto che altri spendono nei prolun- gati conviti, nei giuochi della fortuna o della pale- stra^ quel tanto io a coltivar questi studi avrò posto? E questo a me maggiormente consentire si debbe : conciossiaché per tali studi la facoltà del favellare si accresca, la quale, qualunque in me sia, ai pericoli degli amici non venne meno giammai. Il che se a taluno "Sembra di leggier momento ; le più alte cose ben mi so da quale fonte io le attinga. In fatti se fin da fanciullo e per gli ammaestramenti di molti, e per molte lettere, non avessi fermato nell'animo , niuna cosa al mondo doversi meglio cercare che la lode o l'onore; e per conseguirli tutti i patimenti del corpo, tutti i pericoli della morte e dell' esilio do- versi tenere in non cale: io non mi sarei giammai per la vostra salvezza a tante e sì gravi contese, né a questi continui assalti d'uomini perdutissimi espo- sto. Ma sono pieni tutti i libri, piene le parole dei sapienti, piena di esempli l'antichità : le quali cose tutte nelle tenebre si giacerebbero, se il lume delle lettere non le rischiarasse. Oh quante e quante im- 214 Letteratura magini d'uomini fortissimi , non solo perchè noi le ammirassimo, ma ancora perchè ci facessimo ad imi- tarle, gli scrittori greci e latini ci lasciarono al vivo ritratte ! le quali io sempre nel reggimento della re- pubblica innanzi agli occhi ponendomi, allo specchio di que'magnanimi la mia mente e il mio cuor com- poneva. 7. Dimanderà forse qualcuno, se que' grandi uo- mini, le virtù de'quali furono tramandate a noi dalle lettere , siano stati forniti di questa dottrina, che io pongo a cielo con lodi. È difficile affermarlo di tut- ti : ma certo è ben anche ciò che sono per rispon- dere. Io confesso che molti uomini sono stati d'ani- mo eccellente e di virti^i grande; e non per dottrina, ma per una naturale indole quasi divina, di per se stessi e moderati e gravi si porsero. E aggiungo an- cora, che più di sovente alla lode e alla virtù senza dottrina giovò la natura , che la dottrina non aiu- tata dalla natura. Ma questo stesso io sostengo, che se ad una indole eccellente ed illustre dian forma la studio e la dottrina, allor soglia mostrarsi cosa, di cui non so più singoiar né più bella. Di questo nu- mero fu quell'Affricano, uomo divino, che i nostri pa- dri ammirarono : di questo Calo Lelio, Lucio Furio, personaggi modestissimi e frugalissimi : di questo quel Marco Catone vecchio, che fu il più forte e il più dotto uomo del suo tempo: i quali tutti al certo se non avessero giudicato, che le lettere al consegui- mento e alla coltivazione della virtù giovassero, mai allo studio di quelle non si sarebbon recati. Che se frutto si grande non si mostrasse, e da questi studi solo si domandasse il diletto; nondime- no, come penso, voi terreste cotesto essere il più gcn- Orazione per Archia 215 tile e il più nobile ricreamento dell' animo, imper- ciocché gli altri non sono né di tutti i tempi, né di tutte l'età, né di tutti i luoghi. Questi studi nutrono l'adolescenza, confortano la vecchiezza, abbellano la buona fortuna, ed allievauo la rea : dilettano in pa- tria, non impacciano fuori, vegliano, viaggiano, vil- leggiano con noi. Che se noi stessi né attingerle, né coi nostri sensi gustar le potessimo : pure, anche in altri veggendo'.e, ad ammirarle condotti saremmo. 8. Chi di noi fu di animo tanto rude e scabro, che non si sentisse , non ha guari , commosso alla morte di Roscio ? il quale , quantunque vecchio uscisse di vita, nondimeno per l'eccellenza e la gra- zia dell'arte pareva che al tutto giammai non avesse dovuto morire. Egli adunque, coli' atteggiare della persona, tanto amore da noi tutti si era acquistato; e noi gì' incredibili atteggiamenti degli animi e la prontezza degl'ingegni dispregeremo ? Quante volte ho veduto io stesso questo Archia, o giudici (che mi vai ero della bontà vostra , giacché a questo nuovo genere di favellare con tanta diligenza porgete orec- chio), quante volte ho veduto io questo Archia, sen- za pure avere scritto parola, recitare improvviso lun- ga tratta di bellissimi versi intorno le cose presenti? Quante volte invitato a dire di nuovo sullo stesso ar- gomento, lo faceva egli cangiando parole e concet- ti ? Quelle cose poi, che con diligenza e appensata- mente scriveva, così io le vidi lodate, da uguagliare la gloria degh antichi. Ed io non lo amerò ? non l'ammirerò ? noi crederò degno d' essere da me in ogni maniera difeso ? Ma noi abbiamo ricevuto da sommi ed eruditissimi personaggi, che gli studi delle altre scienze, e di dottrina, e di precetti, e d'arte si 2 1 6 Letteratura com|Don{>:ono : e che il poeta per la sola natura è va- lente, quasi sTCgliato dalle forze del proprio intel- letto, e quasi animato da ispirazione divina. Laonde poteva a ragione il nostro Ennio nominar santi i poe- ti, perchè quasi per dono e grazia degli dei sembra che a noi siano dati. Sia adunque, o giudici, santo appo voi, uomini gentilissimi, questo nome di poeta, cui i barbari stessi giammai non violarono. I sassi e le solitudini alla voce loro rispondono: le bestie feroci sovente al canto si piegano e si arrestano : e noi educati a gentilezza dalla voce dei poeti non saremo commossi ? Quei di Colofone dicono che Omero è lor cittadino, que' di Chio lo voglion suo, que'di Salamina glie lo conten- dono, que'di Smirne poi giurano che è lor proprio. Pertanto gli dedicarono anche un tempio dentro la città. Molti e molti altri inoltre pugnan fra loro e contrastano. 9. Quelli adunque uno straniero, perchè fu poe- ta, anche dopo morte desiderano : noi questo che vi- ve, che è nostro per volere e per legge, ripudiere- mo ? Spezialmente avendo Archia sempre posto ogni studio ed ogni ingegno a celebrare la gloria e le lo- di del popol romano ? Infatti e ancor giovinetto le cimbriche imprese descrisse, e a c{uello stesso Caio Mario fu caro, il quale a cjuesti studi alquanto sel- vaggio mostra vasi. Che non vi ha persona tanto alle muse nemica, alla quale ingrato riesca, che l'elogio delle sue geste ne' versi de'poeti sia all'eternità rac- comandato. Temistocle, quel sommo ateniese, inter- rogato quale discorso o quale canto più volentieri udirebbe, dicono che rispondesse : Quello che meglio il suo valore esaltasse. E quel Maiio pose egualmente Orazione per Archià 217 molto amore a Lucio Plozio, dall'ingegno del quale pensava che le sue imprese esser potessero celebrate. La guerra mitridatica poi , grande e diflicile e per tanti casi in terra ed in mare svariata , fu per intero descritta da Archia : uè i suoi libri soltanto illustrano Lucullo fortissimo e chiarissimo personag- gio, ma ben anche il nome del popol romano. Che il popol romano, sotto il comando di Lucullo, aper- se il Ponto dalle forze del re e dalla stessa natura di quella ragione una volta racchiuso : l'esercito del popol romano, sotto il medesimo capitano, con non molte genti disfece innumerabili schiere di armeni : è lode del popol romano, se per consiglio di lui l' amicissima città di Cizico da ogni assalto del re , e dalle fauci e dagli artigli della guerra , fu tolta e scampata : nostra sarà sempre la gloria ed il vanto di quella giornata, nella quale combattendo Lucio Lu- cullo, uccisi i capitani nemici, tutta l' armata andò a fondo ; nostra la gloria di quella incredibile bat- taglia navale presso Tenedo : nostri sono i trofei , nostri i monumenti, nostri i trionfi. E quelli che co!- l'ingegno loro questi fatti celebrano, celebrano insie- me la gloria del popol romano. Caro fu al maggiore AfFricano il nostro Ennio, e si crede ancora che nel sepolcro degli Scipioni una statua in marmo a lui fos- se posta. Ma le lodi di lui, non solo adornan coloro cui toccano, ma ben anche il nome del popol romano. Si leva a cielo Catone, bisavolo di questo; e grande lustro alla gloria del popol romano si aggiunge. Tutti in fine que' Massimi, que' Marcelli, que' Fulvi , non senza una lode a noi tutti comune, sono di lode fre- giati. Colui adunque che queste cose avea fatto, ben- ché di Rudia, dai nostri maggiori fu ricevuto nella 218 Letteratura cittadinanza : noi, questo che è cittadin d'Eraclea, da molte città richiesto, e nostro per le(jge, della citta- dinanza nostra priveremo ? 10. Che se alcun pensa minor frutto di gloria dai versi greci raccogliersi che dai latini, erra a par- tito: perchè i greci quasi da tutte le genti sono letti, i latini ne'suoi confini, in vero ristretti , si stanno. Laonde se le nostre geste sino ai confini del mondo si stesero, cercar dobbiamo che là dove giunsero le armi delle nostre mani, penetri pure la gloria e la fama : conciossiachè queste cose come onorano que' popoli, delle imprese de'quali si scrive: cosi ancora a coloro, i quali pongono la vita per desiderio di gloria, a sostenere pericoli e fatiche sono in vero un grandissimo eccitamento. Quanti e quanti scrittori delle sue imprese aveva egli seco quell'Alessandro magno, se vera è la fama? Ed egli fermatosi sul Sigeo alla tomba d'Achille scla- mò : « Giovane avventurato, che avesti Omero a can- tore della tua prodezza ! » E disse vero. Imperocché se non fosse l'Iliade, lo stesso sepolcro che il corpo di lui aveva racchiuso , anche il nome sepolto ne avrebbe. Che più? Questo nostro Magno, che col va- lore adeguò la fortuna, non donò egli alla presenza di tutto l'esercito la cittadinanza a Teofane da Mi- tilene, scrittore delle sue imprese ? E que'nostri forti uomini, ma rozzi e soldati, presi da una segreta dol- cezza di gloria , quasi entrassero a parte della lode medesima, con grandi acclamazioni non applaudirono? Per la qual cosa io son di credere, che se Ar- chia per legge non fosse cittadino romano , non sa- rebbe potuto avvenire che da qualche nostro impe- ratore la cittadinanza non avesse ottenuta. E avrebbe Orazione per Archia 219 mai Siila, mentre agli spagnuoli ed ai galli donava la cittadinanza, ripudiato costui che la dimandava? Quel Siila che noi abbiamo veduto in faccia all' esercito comandare che alcun premio di que'beni, che allor si vendevano, fosse dato ad un poetastro vol- gare, il quale con una supplica mostravagli aver com- posto a sua lode un epigramma in versi esametri e pentametri: postagli però condiziono die non iscrivesse più versi. Colui adunque che degna di qualche premio riputava la diligenza d'un cattivo poeta, l'ingegno , il valore , la facondia di costui avrebbe forse spre- giato ? E che ? non avrebbe egli potuto Archia, né di per sé, né per mezzo de'Luculii, ottenere la cit- tadinanza da Quinto Metello Pio suo amicissimo, che a molti la diede? Il quale principalmente desiderava tanto che di lui si scrivesse, che anche a'poeti na- tivi di Cordova, i quali del gonfio e dello strano te- nevano, nulladimeno le orecchie porgeva. 11. Che non é da dissimulare ciò che nascon- dere non si può : anzi apertamente si deve mostra- re : tutti, quanti noi siamo, dal desiderio di lode sia- mo tirati; e quanto più l'uomo è buono, tanto più dalla gloria si lascia guidare. Quegli stessi filosofi, anche ne'libri che dettano sul disprezzo della gloria, appongono il loro nome : e in quella che disprezzano la celebrità e la fama , vogliono essere celebrati e nominati. Quel grand'uomo e capitano che fu Deci- mo Bruto, co'versi d' Accio suo amicissimo adornò gli atri de'templi e de'suoi monumenti. E quel Ful- vio, che avendo Ennio a compagno combattè cogli etoli , le spoglie dì Marte non dubitò consacrare alle muse. Laonde in quella città, nella quale i capitani quasi armati onorarono il nome de' poeti e i delubri 220 Letteratura delle muse, in quella stessa i giudici togati 1' onor delle muse e la salvezza de'poeti aborrire non denno. E acciocché questo più di buon grado facciate, o giudici , io mi vi scoprirò : e di un cotale mio amore della gloria, forse troppo ardente, ma onesto, mi confesserò nel vostro cospetto. Sappiatevi adun- que che quelle cose, le quali insieme con voi, net nostro consolato, per la salvezza di questa città e di questo impero, per la vita de' cittadini e pel bene di tutta quanta la repubblica operammo, questo Ar- chia incominciò a porre in versi; ed avendoli io udi- ti, e parendomi cosa molto bella, l' ho confortato a compirla. Che la virtù non domanda altra mercede delle fatiche e dei pericoli, fuor questa della lode e della gloria : la quale tolta che sia, o giudici, a che più in tanti travagli, in questo affannoso e breve corso^ di vita, ci triboliamo ? Certo se l'animo nostro non istendesse nell'avve-" nire lo sguardo, e fra quegli stessi confini, da cui la vita è ristretta, tutti i suoi pensieri dovesse raC" chiudere : non si lascerebbe rompere da tante fati- che, né angustiare da tante sollecitudini e vigilie, né tante volte pericolar della vita. Ma è radicata nel cuo- re di ciascun ottimo una potenza, che notte e giorno lo sprona alla gloria, e lo avvisa che la durata del nostro nome col tempo della vita non dee misurarsi, ma la più tarda posterità dee raggiungere. 12. E mostreremo noi forse d'essere di cuor si picc(^lo^ noi che nella repubblica in mezzo i pericoli della vita e le fatiche ci versiamo, che mentre fino all'ultimo respiro un' ora sola riposata e tranquilla non meniamo, pensiamo poi che tutte le cose insie- me con noi periscano ? Crediam forse , che mentre Orazione per Archia 221 uomini sommi a bello studio statue ed immagini ci lasciarono, le quali non le sembianze degli animi, ma de 'corpi ritraggono, non dobbiamo noi desiderar di lasciare l'effigie dei nostri pensieri e delle nostre vir- tù, da sommi ingegni ritratta e scolpita ? Io in vero in tutte le cose che operava, già fin da quando in operarle mi stava, credeva di spargere e seminare per l'universo eternamente la mia memoria. 0 sia che queste cose dopo morte siano per essere da me di- sgiunte: sia, come alcuni uomini sapientissimi pensa- rono, che in qualche modo all'animo mio si faranno sentire : ora certamente in questo pensiero e in que- sta speranza assai mi compiaccio, PERORAZIONE Laonde, o giudici, conservate un uomo pe'suoi costumi caro, come vedete, ad amici e per dignità e per gentilezza ragguardevoli : di tanto ingegno poi , quanto giudicar si debbe veggendolo da sommi e sa- pientissimi personaggi desiderato: la causa del quale e dal beneficio della legge, e dall'autorità del munici- pio, e dalla testimonianza di Lucullo, e dai registri di Metello, vien comprovata. Le quali cose essendo così, noi vi preghiamo, o giudici (se in sì gravi bisogne non deve solamente 1' umana, ma la divina racco- mandazione concorrere) a ricevere nella vostra gra- zia costui, che voi, che i vostri capitani, che le ge- ste del popol romano mai sempre celebrò; e ancora questi novelli nostri pericoli, questi domestici vostri danni, protesta con eterne lodi alla posterità traman- dare : costui che è del numero di quegli nomini , i quali sempre appo tutte le genti ebbero riguardo e 222 Letteratura nome di cosa santa, acciocché egli sembri piuttosto dalla vostra cortesia favoreggiato, che dalla vostra se- verità. Quelle cose che intorno la causa, secondo mio costume, breve e semplicemente ho detto, confido, o giudici, che da voi tutte siano state approvate: quel- le che fuor della consuetudine del foro e de'giudizi ho parlato dell'ingegno di quest' uomo , e in gene- rale de'suoi studi, spero, o giudici, che da voi siano in buon grado ricevute : so che lo sono da chi al giudizio presiede. 223 Sulla grotta di Collepardo e suoi dintorni. Lettere dcWabate Domenico Santucci. (Continuazione.) LETTERA II. l'eremita francese in collepardo NEGLI ANNI 1838, 1839 E 1840. \J\n da Collepardo vuol recarsi alla Certosa di Tri- sulli, può tenere diverse vie : ma le guide che accom- pagnano i forestieri a cavallo, se non sono avvertite in tempo, non si dipartono mai dall'antica strada che gira sul dorso dell'apennino, resa meno difficile a camminarsi per le cure di quei reverendi padri certo- sini. Il viaggiatore vada per essa, che troverà scene di monti e di profondi valloni al tutto pittoriche; ma non lasci di passare ancora per l'altra via, che segue la direzione del fiume, la quale compenserà il disagio del cammino col porgere al suo sguardo prospettive non meno importanti della prima. Entrato ch'ei sia per questo sentiero alpestro, il quale passa in mezzo a due serie di scoscese balze, vedrà fianchi di monti spaccati, dorsi dove al tutto nudi e dove rivestiti di rigogliose piante, rupi altre perpendicolari ed altre inclinate all'orizzonte in tutte le direzioni: rovine di smisurati massi: e fra questa doppia scena di rocce, 224 Letteratura poste le une incontro le altre in piccola distanza, scor- rere assai rapido un tìumicello di limpidissime ae- que, il quale spumeggia rompendosi fra la ghiaia e le pietre cadute nell'alveo. Su per questi alpestri gioghi vanno le caprette brucando i cespugli, e vi aderbano ancora le pecorelle che scendono poi a dis- setarsi nelle onde della chiara corrente. I pastori , guidando per sì fatti luoghi la greggia, avean sem- pre veduto da lungi, quasi sull'apice del monte Avi- cenna, scavata nel vivo masso una grotticella , la quale avrebbe potuto assai volte servir loro d' asilo, massimamente nel tempestare del verno, se da qual- che parte fosse stata accessibile. Or avvenne nel set- tembre dell' anno 1 838 che comparve in questa con- trada un incognito, che poi fece chiamarsi Stefano Gautier, con gran cappello a falde dilatate ed in abito eremitico: il quale inosservalo, e per nuovi sen- tieri che andava ritrovando da se , girò forse tutte le rocce che s' innalzano da questa parte dell'apen- nino, finche trovò un antro, dove volea fern;iare il suo albergo ; ma rinvenutolo per la sua posizione eccessivamente freddo, di tratto abbandonollo. In- tanto continuando a spiar per que' monti, bramoso sempre di trovare un asilo, non tardò molto ad ac- corgersi della spelonca nota a'pastori : e non sì tosto r ebbe veduta, che gli surse all' animo il desiderio di mettervi il piede e di fissarvi la stanza. Per fermo tropp' ardua impresa sarebbe stata 1' affrontare diret- tamente quella discoscesa balza; quindi ci trapassata tutta la lunghezza delle rocce che si schierano dal- l'una parte del fiume, e prendendo il cammino dal lato opposto sul dorso posteriore del monte, salendo di greppo in greppo riuscì finalmente in poca di- Grotta di Collepardo 225 stanza dall' ingresso della spelonca ; e di là incomin- ciando a salire inerpicandosi su pe' repenti massi dall' erta, dopo breve tratto venne a poggiare sul piano della bramata grotticella. Piacquegli l' ermo soggiorno, tutto acconcio a menarvi vita eremitica; ma ben presto gli corse all' animo il pensiero del pericolo, in cui sarebbesi trovato nel verno, quando fioccata la neve, e venuta la gelata, sarebbe riuscito per poco impossibile, o almeno di gra n rischio , il voler tentare la discesa di que'passi. Quindi rivolse subitamente l' ingegno a formarsi una strada men ardua, scavando ne'punti più difficili del monte qui e colà tanti scaglioni, quanti facevano bisogno a supera- re le parti più forti di esso. Né molto andò che appar- ve da un lato della spelonca, alquanti passi fuori del suo ingresso, inalberata la croce, che dominava il torrente e le vicine vette: e in picciol giro di mesi per sua industria verdeggiarono dintorno varie pian- ticelle d' olivi e di frutti, ed aromatich' erbe si vi- dero spuntare tra i massi più vicini alla petrosa tana. Al destro lato dell' apertura, ma un poco fuori di essa, formando la roccia un piccolo seno, quivi pose il suo rustico focolare: ed affinchè il vento, che fra que' dirupi soffia assai gagliardo, non venisse a disperdere il fuoco o a suscitare troppe faville , vi fé costruire due muri perpendicolari che distan tra loro sol quanto basta a ricevere una persona non mol- to pingue : e là egli talvolta riscaldavasi un poco in piedi, postosi tra i due muri per modo che ben po- teva esser veduto anche da'luoghi circostanti. Né gli sfuggì che senza udire né orologio di torre, né cam- pana, avrebbe potuto ne 'giorni sereni conoscere il mezzodì giovandosi delle ombre; quindi formò la sua G.A.T.CVII. 15 226 Letteratura meridiana situandola in lai luogo, da poter vedere , col solo aflfacciarsi un poco fuori della cella, il movi- mento dell'ombra gittata dallo stilo, e così sapere le varie ore del giorno, e soprattutto quando il sole tocca la metà del suo cammino diurno. Se mai foste vago di sapere qual ordine di vita egli tenesse, io non saprei ridirvi per minuto ogni co- $a, né come egli impiegasse tutte le ore del dì e della notte. Ben posso assicurarvi, che per tutto il tempo che vi soggiornò, ei mantenne costantemente una vita incol- pabile. Vistava ad ora ad ora i superiori della vicina Certosa di Trisulti, ed anche i vescovi delle propinque città: da'quali se venivagli offerta alcuna provvisione di, cibo, ed ei 1' accettava con sentimenti di gratitudine, facendone poi copia ad altri poverelli: da che non ne abbisognava, siccome quegli che talvolta fu veduto trar di tasca di belle monete d' oro. Ai dì festivi si, recava nella chiesa di Collepardo o in quella di Vico., ove assisteva tutto in se raccolto a' divini uffici e partecipava ancora alla mensa eucaristica. In ogn' al^ tro tempo sarebbe stato ben raro l'incontrarlo, massi- mamente in luoghi frequentati. Nella sua cella mo- stravasi affabile ed accoglieva sempre con modestOi contegno chi vi si fosse lecato a visitarla. Ma colà dentro non si udivano che parole edificanti, e conve- niva sottoporsi a discrete interrogazioni intorno le* cose fondamentali della religione : dal qual cristiano esercizio nan venivano dispensati neppure i più vec- chi contadini. Se eian poi giovanetti cupidi d' istru- zione, ed' egli insegnava loro a leggere, ed apniva altresì le carte geografiche, facendone, il meglio che poteva, una spiegazione adattata all' intendimento de' suoi discepoli. Ne mancava la scuolia di lingua fran- Grotta di Collepardo 227 ceso per chi avesse avuto vaghezza di apprenderla. Fu talvolta che per ordine superiore ei ricevesse vi- site improvvise di tali che andavano in vista di pren- der diletto alla santa conversazione; ma più veramente con animo di esplorare quel ch'ei si facesse. Le rela- zioni per altro tutte concordano nel riferire, che quasi sempre fu egli trovato nell'esercizio della preghiera o cantando salmi in francese, e che la conversazione ne tornava ad ogn' ora edificante. La fama di questo solitario già incominciava a dilatarsi per forma , che ragguardevoli personaggi venuti alla grotta di Collepardo o alla Certosa di Tiisulti ebbero vaghezza, non ostante la difficoltà del- le vie , di visitare questo luogo ben degno di os- servazione sia per gii errori deila Jiatura, sia per le solerti industrie e la vita singolare del suo abitatore. Il governo però non restava di sorvegliarlo segreta- mente : di che sembra non aver l' eremita preso alcun sospetto, avendo continuato tranquillamente il suo tenor di vivere, finché su i primi di aprile del 1840 furono inviati vari agenti di polizia travestiti ad arrestarlo. Egli a quell' intimo protestò di voler piuttosto esser lasciato ivi morto, che dipartirsi dalla cara solitudine: si gittò a pie della croce e ad essa si tenne strettamente avvinto ; ma come videsi pres- sato da una forza superiore a lasciarla, se ne divelse piangendo, e la volle raccomandata ad un suo amico di Collepardo: dicendogli che ne avesse custodia, poi- ché sperava, quando che sia, di farvi ritorno. Fu egli consegnato dal nostro al governo francese, e di lui non si ebbe più certa novella da una sola lettera in fuori ch'egli scrisse, poco dopo la partenza, al suo con- fessore don Luigi Tolomei di Collepardo, lagnandosi 228 Letteratura ili essa del suo airesto e della sua espulsione dal sacro eremo, dove sospirava il momento di ritornare. Tut- tavia una mala voce si sparse, che diceva esser costui del numero di coloro che già ebbero attentato alla vita di Luigi Filippo re de'francesi: e che fallitogli il colpo e pentito del suo traviamento, si fosse allontanato dalle sue contrade e ricovrato in quest'angolo riposto del Lazio ad espiare colla penitenza il suo misfatto. Qua- lunque motivo l'inducesse ad abbandonare la patria, certo è che a sottoporsi ad una vita così dura e di tante privazioni bisogna un animo assai forte: e che difficilmente un giovane di qualche cultura, non privo affatto del bisognevole, ed ornato di temperati co- stumi, può lungamente durare, persola ipocrisia, con tanti occhi addosso, sì che presto o tardi non traspa- risca alcun che delle interne malvage disposizioni. Quindi pognamo pure eh' egli abbia commesso qual- che gran reato ; si è reso non per tanto degno della più alta ammirazione, non che della sovrana clemenza. se spontaneamente dalle obblique vie del delirio si è messo nel sentiero della rettitudine, e in esso pro- cede si dirittamente da togliere oggimai qualunque dubbio intorno alla sincerità del suo pentimento, e forse ogni speranza di emularlo nella sua penitenza. Si tien per certo ch'egli, rimaso libero, ponesse la sua dimora in uno scoglietto isolato nella parte del mar tirreno, che bagna le coste di Marsiglia. 0 sag- gia mente di colui, che si piace di contemplare le bellezze della natura per adorare in esse gli attri- buti di Dio ! Come dalla grotliccUa di Collepardo cotesto giovane dovea tutto riempirsi della maestà di Dio, o quando soletto tra quegli orrori udiva di notte passar tra le balze mugghiando orribilmente Grotta di Collepàrdo 220 V irato aquilone , o quando volgendosi intorno in- torno dal limitare del suo tugurio vedeva bian- cheggiar di contro le foreste e le circostanti vette per la fioccata neve; così la bella riviera di Marsi- glia aprirà oggi al suo sguardo novella scena di og- getti da poter vie meglio salire alla cognizione, di Dio, facendosi scala delle opere create per conoscerne il sovrano artefice. Una bella notte vagheggiata da romita isoletta è un incanto che si sente, ma che dif- ficilmente si esprime, e da cui possono muovere pen- sieri nobilissimi. Trovandosi egli così solo, circondato dalle immense solitutidini dell'oceano, sotto un bel sereno sparso d' innumerevoli astri, tra' quali viaggia placidamente la luna che ad ora gode specchiarsi nelle onde : al veder verso l'alba, intanto che spen- gonsi qui e colà su pel cielo le stelle, farsi tutto ro- sato r oriente, che prima era adorno d'un bel ce- ruleo: e mentre il sole irraggia, il tremolar lontano della ridente marina : a tal vista egli dirà per av- ventura : La vaga notte stellata e il mare m dolcis- sima calma rendono immagine dell'uomo che serba il dono d'una mente serena e d'una coscienza tran- quilla. Che se talora surgono tra loro a furiosa lotta i venti, come in brev' ora tutto si cambia ! Il cielo turbina di sopra, tuona, folgoreggia ; il mare dall' imo fondo sconvolto sollevasi e ripiomba ne'suoi abis- si. Allora i mostri marini fanno sentire l'accento del dolore ed uniscono i loro gemiti spaventosi al fra- gore della tempesta. Il mare in tempesta (egli dirà) è il simbolo più espressivo dell'uomo in preda d'in- domate passioni. 0 Stefano Ganti er ( se tale vera- mente è il tuo nome ), allorché in mezzo a questo battagliar degli elementi scorgerai per avventura al- 230 Letteratura cuna nave, che volea gittar 1' ancora nella spiaggia di Marsiglia, essere in pericolo di naufragare quasi a vista del porto, invoca dal tuo scoglietto a pro'de- gli affannati naviganti la stella del mare, il cui bel raggio ti scorse e campò ( se ben ti rimembra ) cia tremendi perigli. Ma è da tornare alla grotticella da esso abitata in CoUepardo, nella quale ancor io ebbi la curiosità di entrare , e per poco non ne riportai , come ben sapete, rotta la persona per la precipitosa caduta che vi feci rovinando con tutta la cavalcatura giù da un greppo. Pervenutovi a molta fatica, poiché la strada è tornata ora malagevole poco meno di prima, ho veduto il piano semicircolare con sopravi 1' ampia volta formata dalla natura e con intorno alcuni sca- bri sedili di pietra. Al fondo scorgesi una buca, dove si conviene entrare carpone : quivi ancora m'internai seguendo la mia guida, che mi precedeva col lume. Trapassato questo strettissimo cunicolo, si può stare in piedi per entro il nuovo ambulacro, tuttoché ir- regolorissimo sì nel piano e sì nelle pareti, che vanno a terminare in un angolo molto acuto. La guida , giovine di diciannove anni, stato più volte nell'abitu- ro quando v'era V eremita , mi additava le disposi- zioni che v'avea osservato in quel tempo , dicendo- mi: pi- nione (che dopo le autentiche citazioni mal si pofeb- be): ciò non obbligava il chiarissimo autore a tcere affatto di quel paese , mentre poi il suo genio illu- stratore lo trasportò oltre i confini della Veralia a parlare di Massa, Carrara, Fosdinovo ec. Tanto mi sembrava doversi notare per amore del vero, e perchè in così esteso lavoro storico, com'è quello del sig. auditore Barbacciani Fedeli, non do- veva rimanere dimenticata nel 1844 una paté, della quale lo stesso Beverini nel suo libro VIII, circa due secoli or sono, considerandola nella Versila , parlò a lungo e con molta lode; tuttoché la condizione di quel castello, seguendo quella dei tempi, si trovasse allora di gran lunga inferiore alla presente setto qua- lunque aspetto si vogha riguardare. D. NiCOLAO CEJtu' 238 Prosegue la risposta critica del P. D. Marco Giovan- ni Polita al prof. Giuseppe Picei., intorno i nuovi studi della Divina Commedia. CAPITOLO XVI. Si esamina se la selva ^ossa essere immagine deW esilio di Dante. l>la « Andiam, che la via lunga ne sospinge. » Se, coEie per lo addietro, noi volessimo continuare così pas» passo coll'autore dei Luoghi più, oscuri per met- tere in aperto in ogni cosa l'erroneità de'suoi canoni; non u basterebbero dei ponderosi volumi a tutte re- gistrale le mende del suo lavoro. Meglio sarà dunque pei n«stri lettori, e più agevole per noi, l' abbando- nare L prolisse sue dimostrazioni, e contentarci di se- guire incora in alcuni punti principali il suo rie- pilogo del capitolo secondo : il quale quasi lucido specchiato rappresenta in breve le più notevoli con- clusioni dei 29 paragrafi onde consta quel lunghis- simo capitolo. Veniamo senza pai parole alla nostra occupazione : e premettiamo le formali parole dell' autore, cerne giacciono a carte 122: « Ma conchiudiamo oramai : La selva., e pel pro- prio ufficio del prologo e pel valor letterale dei vo- caboli, 5 per le necessarie verità del loro senso al- legorico, e per l'uso che in più altri luoghi della di- vina Commedia n'è fatto con analoghi significati, e Risposta del Ponta al Picei 239 per le qualità ad essa attribuite, indubitabilmente sim- boleggia i miserevoli errori dell'esilio di Dante : né a questo senso contraddice la determinazione del tem- po, in che egli finge esservisi ritrovato ; essendosi di- mostro come Dante stesso abbialo inteso in senso più lato che gli spositori non fauno , ed essendosi sco- verto com'egli unificò, della stessa guisa che il senso duplice della selva^ il tempo e il luogo fittizio col tempo e luogo vero. » Noi abbiam potuto felicemente dimostrare al ca- pitolo XIV, che se il canlo primo del poema tiene veramente l' ufficio di prologo, egli è tale soltanto rispettivamente in ordine alle tre cantiche di tutta la Commedia, ed è prologo tale che in se racchiude il principio ed il germe di tutta l'azione comica; e tale che necessariamente accenna ad un tempo immedia- raente anteriore a quella. Il valore letterale del vocabolo selva^ e l'uso che letteralmente ne possa aver fallo il poeta lungo tutto il suo trattato, non ha nulla di comune col senso alle- gorico. Imperciocché può benissimo occorrere che un vocabolo racchiuda allegoricamente un significato al tutto dal letterale diveiso : come avveniva di quelle casse in forma di Sileno, di che si disse nel cap. XIII, le quali contenevano senza distinzione così una Giu- none, come una Pallade, così una Venere, come un Giove; le- quali aggraziate divinità nulla avevano di comune colla rustica figura della: cassa che le rac- chiudeva. E per tenerci ai vocaboli anche negli esem- pi; noi al capitolo ora citalo abbiam toccato un poco di certi vocaboli del Convito, che nell'allegoria pre- sentano significato in niun modo rispondente al let- terale : tale fu amore^ che significa studio: angeli mO' 240 Letteratura tori del lerzo cielo,che significano Cicerone^ Boezio ec.^ donna^ che significa filosofia. Le qualità finalmente attribuite alla selva sono oscura, selvaggia, aspra, forte, spaventevole e simili. Mal saprebbesi qui indovinare da qual forte ragione venisse costretto il chiarissimo bresciano a dire, che per le c{ualità ad essa attribuite la selva indubita- bilmente simboleggia gli errori delV esilio: mentre a noi, anche dopo le molte sue parole, e dopo lunga disamina delle stesse, ci dovettero sembrare aggiunti così generici e vaghi, che al tutto non gli abbiam sa- puti riconoscere più propri di questa, che di quella, o di quell'altra cosa rincresciosa o spaventevole, che una calda fantasia si può agevolmente figurare. Però quin- di ancor non sappiamo arguire sanamente, come si vorrebbe che di vero la selva del canto primo sia immagine dell'esilio del poeta. Noi perciò, trascurato questo preamboletto, vogliamo ristringerci a conside- rare più di proposito il rimanente brano del riepi- ligo allegato. « La selva indubitabilmente simboleggia i mise- revoli errori dell'esilio di Dante : » con quello che segue. Tutta questa esposizione ha per base due prin- cipii falsissimi. Il primo è, che nella D. C. debbasi cercare la storica verità, come falsamente prescrivono i canoni di ermeneutica stanziati dal sig. Picei, e da noi riferiti ed esaminati ai capitoli V e VL I/altro, che Dante abbia in due modi assegnato il mezzo del cammino di nostra vita, cioè al 35 ed al 37 anno, più nove mese : e noi al cap. X.III lo abbiamo ri- conosciuto immaginario, come quello che si fonda unicamente sopra una mala intelligenza dell'interprete medesimo intorno a due tratti del Convito. Dunque Risposta del Ponta al picei 241 non è attendibile. Per verità, nulla toccato dal vero storico, della cui vanità fu già detto più che a suf- ficienza; non puossi non trovare peggio che vana quella seconda sentenza : che « Dante così unificò il luogo fittizio col vero, come col vero unificò il tem- po fittizio. « Imperciocché per l'avversario dei chio- satori morali il tempo fittizio sarebbe il 300, a cui risponde il 35 anno di Dante, la quale età è l'uno mezzo del cammino di nostra vita : ed il tempo vero sarebbe il 302 quando per sentenza fu esiliato, alla quale epoca egli era nei suoi 37 anni e mesi nove corrispondenti all'altro mezzo del cammino di nostra vita. Per simile ragionare il luogo finto, dove si ri- trovò nei suoi 35 anni, è la selva poetica: ma il luogo veramente figurato è l'esilio, dove si ritrovò ne'suoi 37 anni e 9 mesi. Ma siccome fu riconosciuto che per Dante un solo è il mezzo del cammino di nostra vita, e che questo uno è il 35 anno , il quale per esso poeta cadeva appunto nel 1300 : cosi e chi non vede che il luogo fittizio e'I vero., nel senso voluto dal Picei, non è che un parto della sua fantasia ? il quale non fa che meglio svelare l'erroneità della selva per l'esilio del poeta. Che se tale conseguenza non ba- stasse a ribattere le lunghe erudite e pompose dice- rie su questo argomento registrate nel cap. II dei Luo- ghi più oscuri: si compiaccia, chi dubita, di richiamare alla mente ciò che per noi fu osservato nel capito- lo XV, articolo 2, sopra il mi ritrovai : nel quale fu ragionevolmente conchiuso, che se la selva è im- magine dell'esilio, Dante per sua confessione vi sa- rebbe caduto non nel 1302, ma sino dall'anno 1292: e poi ne dica di grazia e come e quanto bene la storica verità dell'esilio si presti alla sana interpre- G.A.T.CVII. 16 242 Letteratura tazione dei sentimenti che l'autore ha aascoso sotto l'invoUicro della lettera del suo poema. Ma si vuole udire nuova stranezza ? Eccola a car- te 123, ove si contiene il riepilogo di tutte le inter- pretazioni date nel capitolo II: « Il riprendere^ che egli fa poi, la via per la piaggia deserta., vale il ri- pigliare, ch'ei veramente far dovette, le sue misere- voli peregrinazioni, vale la condanna dell'esilio rin- novatagli nel settembre del 1311 ec. » Il fuggito poeta giunse là dove terminava la val- le nel 1300; e, riposato alquanto il corpo lasso, ri- prese via per la diserta piaggia. Se questo ripren- dere via non altro vale, in rigorosa verità, che il ri- pigliare le sue miserevoli peregrinazioni dell'esilio per la condanna rinnovata nel 1311; sarà gioco forza ar- gomentare che ivi medesimo si tenne in agiato ri- poso non meno di undici anni: dopo di cui, secon- do il nuovo interprete, l'allegorico viatore si avviò col maestro a prendere sensibilmente esperienza piena della valle dolorosa. Or bene, vediamo un tratto co- me a questa si raffrontino le date che il poeta volle a quando a quando registrate nel suo trattato. Al maestro ser Brunetto fé' sapere che solo ier mattina volse le spalle alla selva e misesi in via per l'infer- no : a Dante nota Virgilio che ier notte fu tonda quella luna che non gli nocque nella sel*a fonda. All'amico Forese narra il nostro pellegrino che l'al- tro ieri, quando tonda mostrossi la sorella del sole, Virgilio lo volse dalla vita in cui si trovava. Questi dati, e più altri omessi per brevità, richia- mano tutti all'attenzione del lettore un medesimo ple- nilunio, il quale avveniva sul cominciare dell'azione della commedia: chi volesse far luogo ad alcuna lieve ì Risposta del Ponta al Picei 243 dubilazioue converrebbe che rinunziasse al buon crite- rio.Ma se quivi abbiara l'età della luna, in cui si diede principio al mistico viaggio, nei tratti seguenti noi troveremo e l'anno e il mese che questa pratica suc- cedeva. Dante, standosi con la fiera compagnia di Ma- lacoda, intese che dalla morte del Redentore a quel giorno in cui si parlavano erano già compiuti 1266 anni: questa somma aggiunta ai 34 anni, che visse il Redentore sulla terra, compie né più ne meno i 1300 anni dalla sua incarnazione. Casella, incontratosi coli' amico poeta, gli dice che quello era l'anno del giubi- leo, di cui già n'erano corsi tre mesi: dunque ciò av- veniva nell'aprile del 1300. Dante si compiace di poter finalmente disbramare nel volto di Beatrice la sua de- cenne sete : e questa essendo morta nel 1290 i dieci anni compievansi nel medesimo 300. Cacciaguida com- menda il futuro valore di Cane Scaligero , che in quell'istante non compieva che i suoi nove anni : e le cronache assegnano la nascita di questo guerriero non dopo del 1291 : dunque non è pur certo, ma certissimo, che Cacciaguida profetizzava appunto nel tante volte nominato 1300. Oltre queste prove incon- cusse gli antichi interpreti ricavarono l'epoca medesi- ma e dalla profezia di Ciacco nell'inf. e. VI,v. 164 ec, da quell'altra di Farinata al canto X dell' inferno ; e dall'altro di Corrado Malaspina all'VIII del purga- torio; le quali tutte, accennata espressamente la fuga del poeta dalla selva, e la sua partenza dalla piag- gia diserta, o per lo meno supposta di uno o due giorni preceduta, hanno per fondamento la solennis- sima epoca del 1300. Imperocché siccome gli alle- gati documenti furono dal poeta ricevuti o prodotti lungo il suo viaggio alla volta di quella Roma, onde 244 LetterìlTura Cristo è romano; e questo fu intrapreso all'unico fine di scansare la selva, e susseguì immediato al ripresi via per la piaggia diserta : cosi argomenteremo, che se il viaggio ai tre regni mistici fu compito nel 300, il riprendere la via di che trattiamo non poteva né addivenire storicamente, né poeticamente fingersi ad- divenuta nel 1311, come altri ha voluto; ma dovette propriamente essere accaduto nell'eqviinozio vernale del 1300: il quale è il principio onde, come da fon- te fivime, tutte prendono origine l'azione e le epoche del sagrato poema : ed é quasi un sole che così in- forma di viva luce tutte l'epoche e le profezie della commedia: < Come fa il nostro le viste superne. » Ponderi di grazia l'autore dei Luoghi più oscuri tali nostri sentimenti, ed alla mente rivochi quanto fu esposto nel cap. XIII per dimostrare l'anteriorità dell'azione del canto primo a quelle che vengono de- scritte nei susseguenti, e forse che ne concederà di poterli dire come Beatrice al suo amico: « Certo ve- drai sommerso Nel falso il creder tuo? » che la selva sia immagine dei miserevoli errori dell'esilio di Dante. CAPITOLO XVII. La piaggia diserta è cosa distinta dalla selva del canto primo^ ed è fuori di essa. Se la selva oscura, dove si ritrovò Dante, é im- magine del suo esilio; e se riposato il corpo lasso il poeta riprese via per l'esilio stesso; è manifesta cosa che la piaggia diserta e la selva oscura sono miti dello stesso soggetto : ed è manifesto ed indubitato che la selva e la piaggia son nomi diversi bensì nel suo- Risposta del Ponta al Picgi 245 no , ma che presentano la stessa idea. Questa con- clusione noi la raccogliamo dalle sentenze del cl|. sig. Picei sul ripresi via per la piaggia diserta^ da noi allegate nel capitolo immediatamente preceduto a quello che mo' ne corre per mano. Ma se v' ha proposizione in tutte le 227 facciate dei Luoghi più oscuri che più venga contraddetta dalla Commedia, è questa sopra tutte. Il nostro mistico viatore ha denominato con di- verse voci il luogo dove si è ritrovato: lo disse ora selva oscura^ ora valk'^ tal volta il passo che non la" sciò mai persona viva', tal altra, la fiumana onde il mar non ha vanto. Il simile fece del luogo dove ri- posò il corpo lasso dopo la fuga da quel primo. Pri- ma è detto la piaggia diserta, poi il gran diserto, quan- di erta, e quando colle. Premesse queste cose, noi ragioniamo così. Dante ne'suoi 35 anni si accorse di essere smar- rito in una selva oscura: e spaventato da tanto or- rore, si adoperò talmente a fuggirne che giunse « ap- piè di un colle, là ove terminava quella valle, che gli avea di paura il cor compunto ». Queste parole là ove terminava la valle, che accennano direttamen- te alla selva, fanno avvertito il lettore che il poeta già stava con l'uno e l'altro piede tutto fuori della stessa. Che se premise di essere giunto appiè di un colle, in ciò volle fare scorto chi legge, che questo medesimo sorgeva certo fuori della selva, ma così che la sua falda estrema era nell'immediato contatto di quella. Perciò ben a ragione non sì tosto videsi appiè del colle, nel luogo stesso ove terminava la val- le che gli aveva di paura il cor compunto; che, qua- si per rassicurarsi di esserne scampato, si volse ad- 246 Letteratura dietro a mirare di quanto fosse lungi dal suo mag- gior pericolo : ed a metter sott'occhio al lettore co» quanto orrore ciò facesse, si paragona a quel naufrago, che viscito fuori del pelago , come prima i suoi pie- di toccarono la salda riva, si rivolge addietro a guar- dare l'onda perigliosa onde è teste fuggito. E sicco- me chi sta sulla riva è fuori del mare, così Dante giunto appiedi del colle stava fuori della selva. Che più? siccome il naufrago « Uscito fuor del pelago alla riva Si volge all'onda perigliosa, e guata »: così il nostro fuggito giunto appiè d'vm colle, là ove ter- minava quella valle, si volse in dietro a rimirar « lo passo che non lasciò giammai persona viva. » Chi non maravigliasi qui della mirabile rassomiglianza di queste due azioni ? il naufrago, fermati i pie sulla riva fuori del pelago, per guatare l'onda perigliosa si volge addietro: e Dante fuggitivo, giunto là ove terminava la selva, per vederla si volse addietro a ri- mirar lo passo. Dunque come al naufrago uscito del mare l'acqua sta alle spalle: così a Dante fuggito dal- la selva questa gli stava a tergo. Di vero chi fugge da un luogo volge a questo il dosso ; e se dopo al- quanta fuga voglia rivederlo, non può ciò fare se non rivolgesi addietro. Dall'essersi dunque Dante rivolto addietro per rimirare lo passo che non lasciò giam- mai persona viva, noi dobbiamo raccogliere due co- se. Prima, che egli era veramente fuori della sel- va, come pochi versi prima aveva detto: conciossia- chè se egli non ne fosse stato fuori , per vedere la selva non doveva voltarsi indietro; bastava solo che si guardasse attorno: come avviene a chi sta nel ma- re, che ovunque si volga, ovunque si guati, vede lo elemento che lo circonda. Seconda cosa da notare è, Risposta ml Ponta al Picei 247 che Dante appena giunto là ove terminava la selva, teneva certo le spalle rivolte a questa: e se volgesi indietro, certo drizza l'aspetto alla selva onde è fug- gito. Ma se egli dice che allora si volse addietro a rimirar lo passo; non dovremo noi accorgerei che questo passo è una nuova denominazione della selva ? in tanto che e selva e passo significano V oggetto medesimo ? Sia dunque la selva accennata col nome proprio, lo sia coi figurati di valle^ o di passo^ noi diremo col testo, che Dante giunto appiè del col- le, là ove terminava quella valle, era con tutta la persona fuori della selva. E poiché riposato il corpo lasso riprese via per la diserta piaggia; noi argomen- teremo quindi che la piaggia diserta era tutta fuori della valle, e che Dante ha continuato la via nella direzione medesima che avea tenuta nel fuggire dal- la selva: o in altri termini diremo, che egli continua- va ad allontanarsi dalla valle. Dunque la piaggia di- serta si estendeva tutta in luogo disposto fuori del- la selva. Concordano colla nostra sentenza non pochi passi del poema, che hanno relazione alla medesima cir- costanza del poeta. Virgilio apparso a Dante, mentre, volte le spalle al colle, discendeva da capo nella val- le, gli disse: « Perchè ritorni a tanta noia ? » chi ri- torna alla noia non è in essa: perchè chi è in essa non vi ritorna, ma vi è ritornato. Dunque se Dante ritornava alla selva cagione di noia, era tuttavia fuori di quella. Lucia, andata al luogo dove stavasi Beatrice col- l'antica Rachele, volle spingerla a soccorrere l'amico dicendoli : « Non vedi tu la morte che 'l combatte Sulla fiumana onde il mar non ha vanto ? » Questa 248 Letteratura fiumana è una cosa col passo poco sopra considcia- Jo, che è riconosciuto una medesima co^a colla sel- va. Ora noi diciamo: l'amico di Bice insidiato dalle tre fiere C|uasi al cominciar dell'erta del monte, al cui piede terminava la selva, è detto che era com- battuto* dalla morte sulla fiumana: chi è combattuto sulla fiumana sarà detto fuori o dentro di essa? Fuo- ri certamente, risponderanno tutti quelli» che intendo- no il valor delle parole. Ora l'identità della fiumana, e del passo, e della valle, e della selva non può ri- Tocarsi in dubbio : dunque l'amico di Bice era com- battuto dalla morte, non dentro, ma fuori della sel- va. Ma Dante era tuttavia nella deserta piaggia; dun- que è nuovamente provato che questa si allargava tutta fuori della selva. Or qui, dove ne piaccia scorrere la confessione che il discepolo fece al maestro Brunet- to, non faremo che raccogliere da capo quell'una con- seguenza che sinora abbiam costantemente avuto. Com- preso Dante il desiderio di ser Brunetto di sapere il perchè di così nuova sua peregrinazione, tosto lo soddisfece in questa forma: « Là su di sopra in la vita serena mi smarri' in una valle Innanzi che 1' età mia fosse piena: Pur ier mattina le volsi le spalle : Questi m'apparve ritornand'io in quella, E riducemi a ca per questo calle. » Le recitate parole, chi an- che lievemente le scorra, offrono le stesse notizie che i passi testé esaminati. Primieramente dice il poeta: « Là su di sopra mi smarrii in una valle Innanzi che l'età mia fosse piena: » e nel canto primo avea detto « Nel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per una selva oscura. » Eccoci la stessa notizia; poi- ché là dice essersi smarrito avanti che l'età sua fos- se piena ; e qui dice di essersi accorto dello smarri- Risposta del Ponta al Picei 240 mento quando era già piena la sua età : 1' un passo accenna al tempo dello smarrimento nella \alle-, l'al- tro al suo ritrovamento m quella. Chi vi si è tro- vato, deve esservisi prima smarrito. In secondo luo- go fa sapere come « Pur ier mattina le volse le spalle. » Il volger le spalle ad una cosa è lo stesso che fuggire da quella ; còsi delle armate nemiche è sinonimo il dire che l'una volse le spalle all'altra, e dire che da quella è fuggita. Pertanto qui abbia- mo « le volsi le spalle, » e nel canto primo abbia- mo, « mi ritrovai per una selva oscura . . . ma poi eh' io fui giunto là ove terminava quella valle : » dunque nell'un punto e nell'altro si raccoglie che il poeta fuggi dalla selva. Se al poeta incorava speranza Vora del tempo e la dolce stagione testé descritte, tutto è spiegato l'arcano del sole : il quale ivi non giuoca se non come pianeta che col suo corso ne misura il tempo e le stagioni. Proprietà che a dir tutto in una parola non si confà, ma è in di- retta opposizione con quella che si trova nella sa- pienza immobile ed eterna, la quale, essendo Dio, è quel punto che a tutti i tempi è presente. Ove pertanto sia fatta la medesima avvertenza, quante volte pre- sentasi il sole ad indicare le ore o le stagioni, sarà lieve cosa il persuadersi che ivi ninna allegoria fu dall'autore allogata. Ninna pertanto ne cercheremo in questi versi del purgatorio: « Già era il sole all' orrizzonte giunto ec. « Sì come quando i primi raggi vibra: » e cento altri che si trovano per la seconda e per la terza canzone del poema sacrato. Nondimeno è vero altresì che il sole allegorico per le sue qualità di luce e calore, avendo rispetto all'intelletto e volontà umana, può racchiudere talo- 2G8 Letteratura ra un senso allegorico anche negli eftetti che hanno la luce ed il calore per causa : voglio dire, che rac- chiuda allegoria così il giorno che indica la presenza del sole, come la notte che ne segna 1' assenza. In tal modo il principio del secondo canto dell' inferno sotto la descrizione del cominciamento della notte, che acceca gli occhi sensibili, contiene l'ascosa verità della notte della ignoranza e del vizio, che acceca gli oc- chi della mente dei viziosi e degli ignoranti. Per la qual cosa siccome la filosofia è maestra delle virtù, così il vizio che si apprende senza maestro ( come disse Dante in alcun luogo ) non ha luce di sapien- za, e giace nel buio della noti e eterna: ed il poeta, che si avvia colla mente a contemplare i miseri gua- dagni tocchi ai viziosi, viaggia per tutta quella via tra le tenebre del vizio. Questo viaggio però non si allunga che sino al centro terrestre, onde i poeti ria- scendono verso il cielo ; ed il poeta accorto, giunto di fronte a Lucifero sempre in mezzo alle tenebre , disse, che la notte risorge: di guisa che, non ancora finita l'una, già comincia l'altra notte per continuarvi una oscurità eterna. Ma, di là fuggendo, giunti i poeti alla opposita parte del centro terrestre, e già comin- ciata la salita per tornare a riveder le stelle, Virgi- lio conforta il discepolo a seguirlo, perchè Già il sole a mezza terza riede. In questi tratti, ed in altri so- miglianti, convien esser ciechi della mente per non ravvisare la presenza della filosofia sinché dura il giorno e la sua assenza in tutto il tempo che il mare il dì tien chiuso ? Ma sebbene nell'inferno mancava il raggiante per ogni parte lume di filosofia, non ne era perciò privo Dante: che (andando con Viigilio) egli moveva sotto la scorta saputa e fida di quel savio Risposta del Pontà al Picei 269 gentil che tutto seppe, il quale speranza gli clava e facea lume. L'opposto di ciò che successe nell'inferno addi- venne su pel monte che salendo altrui dismala. Ivi per la pratica delle morali virtù si va all' acqui- sto della felicità civile: il che non può avvenire che mercè del benefico influsso dell'etica, uno delle mem- bra di filosofia. Chi dunque spera ascendere senza questa maestra di virtù, si affatica invano: perchè la natura di quel monte è tale, che solo una riga non varchereste dopo il sol partito, come enfaticamente disse a Virgilio Sordello. Quale e quanta sarà poi la maraviglia di chi legge, ove ponga mente all' uso che Dante seppe fare dell' ombra del svio corpo fa- cente parete al sole ? Essa è immagine di quella gloria verace, la quale di necessità, senza che altri la cerchi, accompagna chiunque generosamente batte il virtuoso sentiero. Questa osservazione viene oppor- tuna ad aprirci la preziosa ragione che aveva il poeta di far parola di questa fida campagna del corpo umano in più luoghi del purgatorio. Chi è virtuoso ha gloria (1). Si vuole di più? Il purgatorio e im- (1) Noi diamo qui i sentimenti che sulla vera gloria correvano anticamente. E questo un biano tolto dall'opera JJc contemptu mundi del Petrarca : dialogo terzo verso il fine. « Tu sai bene che la glo- ria è quasi una certa ombra di virtù : perla qiial cosa, come appresso di noi è impossibile che il corpo percosso da sole non renda om- bra : così la virtù radiante, ove tu vai, non può fare che non par- turisca la gloria. Qualunque adunque toUe vera gloria, è necessario che abbia tolta essa virtù, la quale levata via, si lassa la vita degli uomini ignuda, e simile alli animali bruti ; e dà opera a seguitare l'appetito, il quale è solo amore delle bestie. Tu hai dunque a osser- vare questa legge.- ama la virtù e dispregia la gloria. E niente di meno in questo mezzo^ come si legge di M. Catone, quanto meno la domanderai , più conseguirai quella. Non mi posso temperare 270 Letteratura magine della pratica delle morali virtù, le quali nel proprio esercizio formano la felicità di quella vita, che è un correre alla morte. Ora siccome la vita u- niana è raffigurata alla durata di un giorno , così che l'adolescenza e la gioventù rispondono alle ore di terza e di sesta, e la vecchiaia col senio vengono significate per nona e vespero : da questa rassomi- glianza, veduta universalmente da tutti i sapienti an- tichi. Dante immaginò e determinò tutto il suo corso per l'erta di quel monte in cotal modo, che comin- cia alle falde drittamente al levare del sole negli equi- nozi, per terminare precisamente alla vetta verso colà dove il sole nell'equinozio tramonta ; il che appare manifesto dal luogo onde cominciò Dante la sua asce- sa, come si rileva aperto dal I e II canto, e da quello onde sì partì per ascendere la settima scaletta: come si vede al canto XXVII. Non meno di questi debbono essere considerati in ordina agli effetti propizi della filosofia suU' in- telletto limano questi versi dell'inferno: « Mi ripinge- va là dove il sol tace: » Or discendiam quaggiù nel cieco mondo: » questo cieco carcere; « Cadde con essa a par degli altri ciechi » (1): i quali tutti vo- gliono indicare la dimora dei malvagi uomini, o siano costretti dentro 1' inferno, o siano tuttavia immischiati ch'io non usi teco li tuoi testimoni : « Illa vel invitum , fugias li- cet, illa seqnetur. » Riconoscilo, questo è il tuo verso. Insano cer- tamente pare colui, il quale nel mezzo del di discorre con grande fatica, e per lo ardore del sole, per vedere l'ombra, e quella ad altri mostrare: ma non è niente più savio colui, che infra gli affanni della vita con grande fatica fa portare il suo nome per molti; acciò che si sparga la sua gloria per ogni lato. » Traduzione di France- sco Orlandino sanese. Venezia 1520 per Niccolò Zopiao. (1) Inf e. I, V. 60; e. IV, v. 13; e VI, v. 93; e XXVII, v. 25, Risposta del Pontà al Picei 271 ai buoni in questa carriera mortale. Imperciocché dove è notte, ivi è cecità, la quale al tutto non è che mancanza del lume solare, che abbiamo riconosciuto mito costante della filosofia in tutta la Commedia polisensa. Ma se mirabile si mostra il nostro poeta per la sua maestria e fedeltà in quel mito del sole, fatto direttamente immagine della filosofìa; non lo è meno dove lo costituisce tale anche indirettamente. La fi- losofia nel portentoso poema è rafiìgurata nel sole sensibile: oia siccome dalla luce di questo sono ac- cese, quasi altrettanti piccoli soli, le migliaia di stelle che brillano in cielo nella notte : cosi la filosofia , vero sole intelligibile, cioè sole dell'intelletto, riversa la sua luce ne' trattati delle scienze che la com- pongono, e per questi si rifrange nella mente dei sa- pienti: i quali alla loro volta, fatti lucidi e raggianti quasi soli, coi propri ragionamenti lo raggiano ne- gli occhi della mente dei loro discenti. Di qui Vir- gilio, che è maestro di Dante nelle prime cantiche, e Beatrice che è tale nell' ultima, ebbero dalla gra- titudine del nobile discente 1' alta prerogativa di es- sere denominati soli per antonomasia: « 0 sol che sani ogni vista turbata » disse al maestro: e della maestra ripeteva: « Così mi disse il sol degli occhi miei. » Né dee arrecare meraviglia al volto dei nostri let- tori udendo come l' amica fosse all' amante maestra in sacra teologia; poiché riguardando in quello spec- chio eterno, dove é legato in un volume tutto ciò che per 1' universo si squaderna, nulla scienza pote- vale esser ignota : e però bene a ragione altrove l'ha denominata per frase : « Quella il cui beli' occhio 272 Leiteratura tutto vede: » (1) siccome colui che dissetava le brame dei suoi occhi intellettuali , nel veder di colui che tutto vede. (2). E se il sole è lume tra {jli oggetti cor- porali, e l'occhio che questi riguarda : Beatrice coi raggi delle sue dolci ragioni era per Dante: « Lume tra il vero e l'intelletto » (3). Come di queste , così può agevolmente venir fatto di tutte quelle altre espressioni del poema di simile concetto, le quali nella lettera presentano così forte esagerazione, che dai lettori vengono dette inop- portune : ma a chi vada investigando sotto la benda oscura della lettera la nascosa verità, non le trova che espressioni al tutto conformi all'officio, che quei personaggi, quai solenni maestri in filosofìa, esercitano sulla mente del mistico pellegrino. Dunque noi con- chiuderemo col chiarissimo Balbo, esser vero, veris- simo che » noi trovere- mo nuova e luminosa conferma al nostro detto. Le tenebre della selva certo sono allegoriche, ed allego- rico il giovamento che la luna alcuna volta prestò al devoto pellegrino. Di più il giovamento non po- teva essere apprestato se non coi raggi della misti- ca luna; ma questo pianeta non raggia se non è il- lustrato dal sole: dunque la luna giovò a Dante nel- la selva oscura coi raggi del mistico sole, il quale è veduto per indubitate ragioni essere la filosofia. Ma chi sa che la filosofia è un raggiare del vero , che poi è Dio stesso, fonte della luce che da se è vera; chi sa che que- sto è il bene dell'intelletto, che questo è tutto oggetto di ragione; potrà lasciarsi tenzonare nella testa e sì e no che nella luna sia figurala la umana ragione ? Io non credo. Pertanto senza più parole dagli argomen- ti sin qui tessuti raccolgo, che il poeta conseguente a sé medesimo, posto prima il sole qual tipo della fi- losofia, ha poi dovuto assegnare alla luna il mito della umana ragione. E qui risorge 1' avvertenza , che del sole ab- biamo fatto, che soltanto sia figura della filosofia colà dove presentasi unicamente qual fonte di luce e di calore; e non mai dove è posto come distinguente (2) Inf. e. 20, in fine. Risposta del Pontà al Picei 279 l'ora del tempo, o la stagione: così la luna colà è mito della ragione, dove si presenta quale illumina- trice delle tenebre: ma dove non compare che per accennare le ore della notte, o del giorno, invano vi si cercherebbe l'allegorica sua significazione. CAPITOLO XXII. Le stelle. Anche le stelle hanno da essere considerate in ordine al sole ed alla luna per tutto il tratto della Commedia. Accorto di questo 1' A. dei Nuovi studi non lasciò di occuparsi delle stelle immediatatnente dopo il paragrafo che riguarda l'allegoria del mini- stro maggior della natura. Ma scorto e coartato dalla guida e dalla forza della prestabilitasi ermeneutica, dovette vedere lo splendore delle armi e delle coro- ne colà medesimo dove la poetica fantasia, ardente sì e brillante, ma fedele e conseguente alla sana cri- tica, non aveva posto che stelle e sole. Ecco il ter- zetto da esso lui interpretato: (t L'ora era dal principio del mattino, E '1 sol montava in su con quelle stelle Ch'eran con lui quando VAmor divino Mosse da pri- ma quelle cose belle. » Il sole è Arrigo VII: le stelle., eh'' eran con lui., non altro posson simboleggiare che i suoi militi^ o quegli stessi ghibellini forusciti che a Losanna ossequiandolo, la sua venuta sollecitarono: « e le cose belle mosse dal divino amore non altro es- ser possono che l'imperatore stesso e le sue forze. » Cotesta è la formale interpretazione del eh. brescia- no; ma a noi pare (e sia detto con sua buona pace) non una sana interpretazione, ma la più impudente 280 Letteratura profanazione della cristiana sentenza del testo. Dun- que Dante, poeta teologo, devoto e conseguente, avrà inteso che il divino Amore^ il quale mosse da prima le stelle^ non altro significhi , non altro suoni aila mente de' suoi lettori, che le micidiali picche di Ar- rigo mosse a conquistare l'italia ? e che le cose belle del cielo siano mito di lurida soldatesca intesa a de- vastare le vite ed i tesori del paese nativo ? So che in Dio v'ha giustizia, bontà e misericordia; so che i teologie i sacri interpreti attribuiscono aWAìnore di- vino^ allo Spirito Santo , i benefici effetti di questi ultimi due attributi, come lo avverte Dante nel Con- vito (1) : per la qual cosa allo Spirilo Santo vie- ne specialmente attribuita la creazione: ma non mi riuscì di leggere che il simile addivenga di quei giusti ugualmente che tremendi castighi mandati a quando a quando sulla terra. E comecché non trovi inconse- guente l'universale voce, che denominò Attila ftagel- lum Dei^ l'animo mio rifuggirebbe dal dire, che que^ sto mostro guerriero fosse mosso dalVAmor divino con quelle cose belle che erano con lui. Ma noi teste, col provare che l'imperatore Arrigo non poteva ragio- nevolmente venire adombrato nel vocabolo sole, ab- biamo anticipatamente anche escluso che nelle stelle fossero adombrale le sue squadre; però facciamo fi- ne alla presente quistione, che per la sua stranezza ed irreligione troppo ne conturba e rattrista. Ora instaranno forse non pochi dei più avve- duti lettori: se la data allegoria è falsa, qual credi tu che esser possa la vera, che il verace ed ingegnoso artista volle racchiudere nel mito degli astri ? Dalla (I)Conv. trall. II, cap. 6, e trall. LV, cap. 2t: Risposta del Ponta al Ficci 281 lunga ed attenta lettura delle opere dell'Allighieri io dovetti accorgermi che cosi la Comnnedia come il Con- vito hanno per mira di > Oh sventurati e malnati, che innanzi volete partirvi d'està vita sotto il titolo di Ortensio, che di Catone ! nel nome di cui è bello terminare ciò che delli segni della nobiltà ragionare si convegna, perocché in lui essa nobiltà tutti li dimostra per tutte etadi. » (1) Il perchè Catone uomo nobilissimo, posto sotto la piena influenza dei raggi della virtù, come poteva non risplendere nel suo volto siccome se <• il sole fosse davante ? » Chi ne chiedesse quale sia la relazione che di tanto lega nella filosofìa il significato di virtù, quanto l'altra letterale di stelle lega queste a quella del so- le; risponderemmo: la filosofia, o sapienza eterna, per sentenza di Aristotele ripetuta da Boezio, ed abbrac- ciata dal nostro poeta, è la maestra, è la nutrice, è la donna o signora di tutte le virtù morali, in- tellettuali e teologali: per lei queste sono conosciute (1) Conv. tralt. IV, cap 5, e 2S. 284 Letteratura nel vero splendore: anzi per solo i raggi della filo- sofia risplendono allettanti e belle agli occhi dei sa- pienti. Dunque nella guisa che le stelle per opinio- ne aristotelica brillano accese dell'unica luce del sole; così le virtù si accendono della unica luce della filo- sofia: da cui sono imbiancale agli occhi del nostro intelletto per innamorarne 1' anima a fare acquisto di sì preziosa merce, onde procede la verace bea- titudine temporale ed eterna. Aggiungasi che per Dante nobiltà è un misto di virtù e di passione: ma la nobiltà è amica di filosofia, tanto che questa non asconde mai il suo viso a quella, come si conchiu- de il Convito: dunque con molta assai di ragione Dante vide cotanta relazione tra filosofia e virtù ; quanta ogni uomo ne può vedere tra le stelle ed il sole. Così provata la relazione che è tra virtù e fi- losofia come tra stelle e sole, non esiteremo a dire che queste hanno il significato di virtù morali nell'ultimo delle ultime cantiche: « Puro e disposto a salire alle stelle: L'amor che muove il sole e le altre stelle: » anzi in questi ultimi si può vedere anche l'immagi- ne dei virtuosi e dei santi uomini. Non diversa figura ci danno questi altri passi del- l'inferno: « l'aer senza stelle: se ritorni a riveder le stel- le: » e simili; poiché se la triste conca, che tutto il mal dell'universo insacca, non è che una continua im- magine della privazione del bene morale; che altro mai possono essere le stelle che non brillano colà, se non significano così l'assenza di ogni virtù, come quella di chi è di quelle seguace ? Ben è vero, che anche le stelle, come il sole e la luna, possono introdursi ad accennare le ore Risposta del Pontà al Picei 285 della giornata, o la stagione dell'anno. Però colà me- desimo, quasi vote sempre dell'allegorica, non pre- sentano che la sola significazione letterale. Tali so- no questi versi : « Già ogni stella cade che saliva. - I pesci guizzan su per l'orizzonta. - Le stelle ne ap- parivan da più Iati: » ed alltri di sirailiante natura. Ma non è così di questi versi del XXVII del purgatorio: « Poco potea parer lì del di fuori; Ma per quel poco vedev'io le stelle. Di lor solere e pili chiare e maggiori. » A qual prò siamo qui dal poe- ta avvertiti del suo veder le stelle più ciliare e mag- giori F a mio parere ciò fu perchè argomentiamo nel- la lettera , Ivii essere di tanto asceso su pel monte, che le stelle mostravansi e più splendenti e più vo- luminose che non si mostrano a chi sta in pianò: e nell'allegoria, lui aver di tanto progredito nella per- fezione, che meglio di tutto il mondo errante egli si letiziava nella contemplazione delle virtù apparsegli immensamente più belle e più gioconde , non che più estese. Ma qui sia fine al ragionamento sullo spiritua- le significato degli astri; di cui, comecché per la no- stra questione in questi ultimi cinque capitoli sia detto quanto basta , nondimeno chi voglia debita- mente chiarire l'argomento, troppe più sono le cose che rimangono a dire : ma questo che dir mi piac- que, seguendo reverente e devoto le sentenze che il poeta ne lasciò nelle auree sue opere, potrebbe essere quella poca favilla cui gran fiamma seconda in quegli alti ingegni, che , seguendo l'additato calle, vogliano €on gagliarde penne tener dietro all'alta fantasia del sommo cantor di Bice : 286 Letteratura » Or li riman, lettor sovra il tuo banco Dietro pensando a ciò che si preliba, S'esser vuoi lieto assai prima che stanco: » Messo t'ho innanzi, ornai per te ti ciba. « ( Saranno continuate.) Sulla rivista archeologica di Parigi. Jua rivista archeologica, che si pubblica mensilmente a Parigi da meno che due anni per diligenza e va- lore singolare di non pochi dotti che la compilano, primeggia fra simili opere periodiche in modo che stimo bene darne contezza speciale in Italia. E in ciò Parigi deve essere di guida e di conforto, Pari- gi città importantissima per ordinamenti egregi, per manifestazione fruttuosa di vita intellettuale e artisti- ca, quanto la natura umana il comporta. Quanto al giornale, del quale imprendo a parlare, più d'uno si maraviglierà che così bella varietà e profondità di studi ne venga da pochi dotti, i quali d'altronde gra- vati di pubbliche cattedre o impieghi letterari atten- dono per sopra più ciascuno a' lavori e pubblicazio- ni più gravi. Nel numero delle rispettabili persone che travagliano a questo giornale senza dubbio pri- meggiano egualmente i signori Letronne, De Saulcy, Le Normant, Lebas, De Longperier, Maury. Non par- lerò della nitidezza tipografica, e avverto solo che di- ligenti incisioni accompagnano il testo ove fa d'uopo. Rivista archeologica 287 In questo primo articolo esporrò le dodici prime distribuzioni mensili che cominciarono ili 5 aprile del passato anno. Fascicolo 1 . Le Normant ragiona sulla moltiplicità, estensione e legami delle varie classi d'an- tichità cos! orientale, come occidentale: ed è così or- dinato, chiaro e ricco d'idee, che non si può meglio. Scoraggisce però: perchè ciascuno degli archeologi che lo intenda dovrà convenire, che non istà attorno e non approfonda che piccola parte di questo gran tut- to, che solo si può veramente dire archeologia. Du- chalet tratta delle mine delle terme a Parigi ridotte col prossimo palazzo Clunyamuseo di monumenti del medio evo, e fatto pubblico sono due anni. Non di- scorre però ancora della collezione che vi si ammira, e che viene tuttodì crescendo ben anche per doni di privati. Lebas scrive di Grecia al ministro i risultati del suo dotto viaggio: e del medesimo sono ne' se- guenti fascicoli ben più di sei lunghe lettere, tut- te ingemmate d' assai iscrizioni greche inedite , non però delle più interessanti e lunghe eh' egli abbia scoperte o copiate. Piace quasi vederlo per- correre il Peloponneso e l'Attica, passare d'un isola all'altra, svelto, dotto, fortunato, anelante a sorprende- re epigrafi e ruine, accompagnato talora d'alcun abi- le architetto francese che lo seconda. In seguilo di tutto ciò, a parte l'esposto del viaggio e le discus- sioni che è in caso di risolvere per le sue scoperte, Lebas è pronto a donare al pubblico in breve più di mille epigrafi greche inedite: ed egli ne fa sape- re che nella sola Atene nei quattro depositi di an- tichità sono 3600 articoli, e le iscrizioni vi entrano per 1420; alle quali se si aggiungano 548 che egli ha rinvenuto nel territorio attico; si avrà circa due mila 288 Letteratura monumenti scritti, de'quali 594 sono stati resi pubblici in un giornale ateniese. Se inoltre si tenga pur conto d' altre date alle stampe dal prof. Ross, resta sempre che le inedite, che egli in breve pubblicherà, sono più di mille come si diceva: aggiungo che sono visibili al magazzino del Louvre buon numero di marmi scritti ellenici, che egli è stato fortunato di poter rimettere al detto museo. Mi permetto con modestia una sola osservazione sulla sua esposizione delle fortificazioni di Messene, ove egli crede, in seguito di diligentissi- rao esame locale, che la parte della città munita da natura mancasse del tutto di mura: io però ricorde- rò che gli antichi italici almeno amarono meglio in cotesto abondare che far difetto; così a Tarquini, cit- tà etrusca, tutto il lungo lato di mezzodì è munito naturalmente: e pure le mura giravano pur quivi , che anzi con buono accorgimento le piantarono assai addentro, onde, avendosi col tempo a dirocciare il ci- glio del monte, quelle avessero sempre e piede e fon- damenta salde. Del pari lo scavo fatto dal sig, Lebas a Messene, e la scoperta del piccolissimo tempio, li portan lode, ma la nomenclatura che egli vi appo- ne mi sembra non abbia nulla di probabile. Si legge quindi uno scritto del sig. Letronne che mostra impossibile avere, come si diceva per istampa, trovato a Meroe, territorio etiope, un duplicato della iscrizio- ne di Rosetta • e di fatto Lepsius ha poi scritto che la rinvenne a Philes . Si scrive quindi di trovati ricchi a Volaterrai, fra i quali una colomba di me- tallo che ha in tre linee una iscrizione etrusca ove si leggono le voci jqfVQ, ed flVl^/lt^J ^ ve- dendovi io chiarissimi gli equivalenti di Soterion ed Atanathos sopra oggetto probabilmente votivo, dico Rivista archeologica 289 che così spiegando le due voci , e le altre per la stessa via, si giungerà al senso dell'intero scritto. So bene che il sistema di Lanzi non è il vero; ma dall'e- scluderlo come sistema, non però ne segue che mai ra- dice greca non si debba trovare in iscrizione etrusca, e che gli etrusci non abbiano mai grecizzato, specialmen- te in epigrafe sacra. Nel nostro giornale si fa quin- di parola di un busto in bronzo trovato in Algeri: e si dice ancora della scoperta fatta a Milo dai sigg. Ra- oul Rochette e Ross di una catacomba. Abbiamo spe- ranza che il primo abbia avuto agio di percorrerne alcuna parte, onde poterne far paralello colle cata- combe italiche. Nel secondo fascicolo il sig. Le Normant ragio- na sulle pitture de' vasi: agita e definisce la quìstione del luogo, ove si è eseguito tanto numero di capo- lavori rin venuti principalmente di recente nella Tir- renia: tiene conto delle prove e delle obiezioni, e con- clude con assai verità, che i trovati di Vulci son pro- dotti di un' epoca prima o lidia, della seconda cioè corintia, e della terza od attica. Lo stesso ha luogo, salve alcune modificazioni d'origine, perle varie cit- tà campane, appule e sicule, che sono ricche pur oggi di tai monumenti. Le Normant, oltre al merito di profondamente dotto in assai rami, è pure felicis- simo scrittore in ciò che è stile, e strascina il letto- re più che condurlo. Longperier, primo impiegato al gabinetto delle medaglie, ragiona quindi sulle modi- ficazioni successive, varie, e uniformi in ciascun po- polo che ebbero i tipi tanto singolari delle monete antiche: e s'adopra, e riesce in parte, perchè questo tema venga portato ad unità di criterio. Questa me- moria è tutta bella di trovati e ravvicinamenti fe- G.A.T.CVn 19 290 Letteratura licissimi: né poteva essere altrimenti, perchè se Long- perier, fornito di singolare memoria, domestico a in- numerabili monumenti antichi, dotto delle lingue gre- ca ed araba, conoscitore della nuova letteratura egizia, e modesto, è giovane ancora, non v'ha dubbio che sia per venire a nome singolare. Egger fa un rapporto sul progetto colossale di pubblicare in Parigi un Corpus iiitegrum inseriptionum latinarum. Sembra che Le- bas abbia pur egli anteriormente proposto e speci- ficato l'ordine a tenere in così diflìcile e copiosa mo- le di stampa; ciò che monta, ed è ansiosamente de- siderato, si è che vi si ponga mano, e si conduca be- ne. Ne seguirà doppio vantaggio: l'uno, di poter con- sultare geograficamente ordinato e più corretto tut- to ciò che si conosce d'epigrafi: l'altro, che non può fallire, si è che all'occasione di far rettificare la lezione di tanti monumenti per assai contrade, specialmente d'Italia e d'Affrica, se ne scoprirà insieme un numero straordinario d'altre inedite. Segue Grotefend, il qua- le deduce benissimo il nome Horatins nel poeta ce- lebre da ciò che il suo avo fu manomesso non da altri che dalla stessa colonia Venusia, la quale figu- rava nella tribù orazia: e si propone un ottimo cri- terio di giudicare in materie simili. Vedi poi un bel rapporto dell'architetto Pelet sul- le scoperte fatte di recente nell' arena dell'anfiteatro di Nimes: ed è sua opinione che due lunghi e grandi corridoi a croce sotto il piano della arena e nella linea dei due assi abbian servito a scolo delle acque in causa di naumachia, che ammette per ciò stesso aver avuto luogo in quell'anfiteatro. Tvilto è bene nel rapporto del sig. Pelet; ma si potrebbe credere che detti corridoi analoghi del tutto a quelli che vidi , Rivista archeologica 291 e si conoscono per istampa, ed esistono all'anfiteatro in Roma , abbiano ancora a Nimes degli altri vani simili allato, e che l'uso di quelli e di questi fosse non altro che di gittar fuori nell' arena le fiere: il che si deduce pur dalle scoperte uniformi degli an- fiteatri capuano e puteolano. Segue quindi il prof. Hase, dotto, diligente e infaticabile scrittore, il quale pubblica alcune iscrizioni affricane. Dal medesimo ab- biamo nel giornale Des savants 1835 e seguenti tre lunghe dissertazioni, nelle quali riporta buon nume- ro d'iscrizioni inedite della stessa regione, e le espo- ne più che le illustri. In molte di dette epigrafi s'm- contra un'era, che sembra esser annus provinciai: pe- rò è da notare che in 150 iscrizioni venute di Af- frica, ed esistenti ne' magazzini del Louvre, tutte da me diligentemente lette, due sole presentano un'era. la quale è indicata AP CLXXVII, ed APV CCCIIl ne? PATRICI titoli di Giulia Honorata e di Licinio Saturnino. In- nanzi di veder chiaro in tale nuova dottrina conver- rà che persona dotta copi e dia i manoscritti che sono ancora a Tlemcen. Egli è probabile ed opi- no la provincia Affrica avesse APV l'era punica, e la prossima provincia annum provinciai. - Si legge inol- tre una notizia di scavi presso Arles, che dettero gran copia di casse in pietra cristiane senza epigra- fe colla sola croce; messe ricca d'idee, e povera, an- zi nulla, per prodotti d'arte Tra esse si rinvenne so- lo e si descrive un sarcofago, che dall'estensore si spiega, e si crede cristiano con manifesto errore, co- me vado a dire. E in vero i due cavalieri a piedi, nudi per intero, meno la clamide gittata dietro le spal- le, e l'ara fra i due coniugi, sono significazioni d'ar- 292 Letteratura te profana , le quali ne invitano a spiegare tutto il resto e l'assieme delle sculture coi soli classici: e vi si perviene senza sforzo: e questo io propongo. I due cavalieri sono i Castori: tipo di benevolenza singolare (alterna morte rederait, itque reditque) e di tranquillità dopo i sinistri; così ai naviganti, di fausto annunzio; così sempre ai romani, quai difensori della pudicizia per la sorella Elena; stan dunque benissimo auspici ad un matrimonio. La scena che segue ci dà gli amori vaghi primi dello sposo, i quali cessano al seguire del matrimonio che viene appresso e si solennizza con sa- crifizio. Intervengono i putti, costume conosciutissimo romano, el bene auspieantnr: e l'artista gli ha dispo- sti in alto. Sui lati i due cestelli tenuti da due mi- nistri contengono il mundus muliebrìs e i parafernali: e la persona di mezzo è il suocero che dota: il corri- spondente bassorilievo presenta lo sposo che si cou" geda dal padre autorevolmente assiso. Seguono nel fascicolo notizie di libri sceltissimi per gli amatori di questi studi, come in questo così alla fine delle altre distribuzioni. Delle qiiali la terza ne fornisce un articolo di Guignaut sulla mitologia: e benché il tema sia della massima difficoltà a portarvi lucidezza d'idee e di ri- sultati, pure il lavoro è da leggere con piacere e con frutto. Lebas segue a dare notizie ubertose de' suoi viaggi e scoperte. Dal lavoro della commissione pa- rigina pei monumenti storici dovremmo noi italia- ni prendere norma e stimolo a fare altrettanto nel paese nostro. Merimèe riporta dodici titolctti latini inediti, trovati assieme in un sepolcro presso Montilla in Ispagna. L'autore non ha voluto adoprare tutti i suoi talenti nella breve illustrazione di ohe gli accom- FiIVISTA AIlCHEOLOCtlCA 293 papna: poiché i rapporti di parentela fra' molti d'es-' si non sono diligentemente dedotti, né è già manife- sto, anzi è probabilmente falso, che tutti i sepolti sia-» no stati, come egli crede, ingenui: perciocché è ben credibile che titoletti con un solo nome barbaro sen- za prenome ed agnome abbiano appartenuto a' servi: tanto più che si vede VEL AVNIS.^ così soltanto indi- cato nell'iscrizione h d'un suo figlio servo, divenire nella iscrizione 9 d'altro figlio libertino, divenire, di- co, Q. POMPEIVS VELA VNIS. Il prof. Letronne pub- blica due colonne milliarie inedite d'Affrica, che il- lustra di poi, come diremo a suo luogo. Nel 4 fasciolo Longperier è assai preciso sul- le scoperte raaravigliose del nostro Botta console francese a Moussoul. Botta ha scoperto la vera Ni- nive a Corsabad. L'autore a parte a parte e artistica- mente descrive, appoggiato a lettere e a disegni che riproduce in parte, tutte le rappresentazioni ed archi- tetture in modo che e per la quantità e per l'interes- se de' trovati e per la forbitezza del dire di Longpe- rier si rimane stupefatti. Sappiamo da lui che a Cor- sabad si vede dunque una sesta varietà di alfabeto cuneiforme: e fin qui se ne conoscevano solo a Perse- poli 3 sistemi, uno a Babilonia, ed uno a Vanen in Armenia. Ciò che fa maraviglia si è lo scriversi da Botta che i monumenti sculti si degradan forte all'aria in se- guito degli scavi: talché alcuno potrà opinare che sian tutti lavori in gesso o scaiola. Attendiamo più specifica- ti ragguagli. Quivi appare il primo articolo di Alfre- do Maury seguito da altri molti, tutti sulla psicosta- sia, tema apparentemente facile se si fosse scritto la centesima parte di ciò che l'autore ne porge: ma tan- to non è facile indagare, percorrere i migliori scrit- 294 Letteratura tori d'assai età e d'assai popoli, atfinjyere ai mano- scritti non poco, scrivere sopra un tema lubrico con- venientemente, mai non torcere dalla sua via, non mai ripetersi, e giungere con pienissimo risultato alla fine del suo classico lavoro: ciò è prova di giave autore, e d'ottimo frutto. Egli è impossibile darne un estratto conciso, perchè lo stile di Maury di già per se stes- so è lungi dall'essere verboso 5 e chi vorrà avere una grande prova, che le idee religiose del genero umano si producono con o senza legame nel tempo e nello spazio largameiìte, e quasi necessariamente, si procuri la lettura di questo importante scritto del dotto Maury. Seguono notizie sui restauri di chiese del medio evo , che col massimo calore si vengo- no conducendo da più anni per Francia: e quivi si ragiona di s. Germano d'Auxerrc, chiesa presso il Lou- vre, e di s. Ouen a Roano. Egli è vero che non sem- pre, siccome è per altro di tutte le cose umane, ne sono incaricali ottimi architetti , o che ottimamente lavorino. Cosi io stesso vidi di recente a Chàlons il restauro dell'interno della cattedrale certo mal con- dotto, poiché il piccolo portico verso l'ingresso è d'altro stile e d'altro livello che le ale contigue, mentre degli antichi avanzi esigevano tutt' altro. Merimée fa quindi bella mostra de' suoi studi nella illustrazione d'un basso- rilievo di Strasburgo, ove è rappresentato IjEHEREN- N VS, Mars Gallicus. Fin qui tale sinonimia si era limi- tata alle contrade verso i pirenei: cosi in 4 marmi a To- losa: ora per la prima volta si mostra in. parte assai più a tramontana, dove fin qui lo stesso Marte prendeva nome di CAMVLVS: così a Reims, così a Clermont. in seguito del dono fetto dal duca di Luynes al ga- binetto delle medaglie di x\n desco in argento, smal- Rivista archeologica 295 tato in parte, fijjurato, di siile persiano arcaico, il dotto Longperier ragiona di questo, e di altri due simili mo- numenti che da molto tempo possiede lo stesso gabinet- to, e di un quarto desco in vetro del medesimo stile e tempo. Ritrova da'confronti di monete persiche, che dan- no individuali e non alterati ritratti de'sovrani del luo- go, a quali d'essi i lodati monumenti si riferiscano, e prova essere stati operati cinque secoli innanzi l'era nostra. In fine si riporta una iscrizione trovata a Poz- zuoli che termina in questa formola : QVISQVE MA- NES INQVIETABERIT HÀBERIT (habebit) ILLAS IRATAS. Nell'esposizione che accompagna l'iscrizio- ne si dice, che ILLAS sono gli stessi dii manes: ma la cosa non pare sia così. Dapprima i dii manes^ cioè honi^ furono poco atti a punire, essendo essi le stesse anime oneste e pie de' trapassati, e dii manes ebbero esclusivamente e sempre espressione mascolina : illas qui son le furie-, voce sinistra che gli attici, anziché nominare, preferirono darle ad intendere coll'opposta voce d'eumenidi. Nel caso nostro il latino, che non ave- va la voce benigna analoga , e che non vuol male ominari^ le fa intendere col solo pronome, e di gene- re femminino. Si fa ricordo finalmente d'un elmo tro- vato a Brindisi, sul quale sono le tre note A. N. L. la lezione delle quali io propongo così: « Amittere non licet. » Nella quinta distribuzione De Witte, diligente scrit- tore, espertissimo d'antichità figurata , compagno di viaggi e di pubblicazioni col valente prof. Le Normant, dà un breve rapporto del museo etrusco gregoriano che esaminò egli stesso sono tre anni. La ricchezza della collezione romana è a livello dell'esperienza e del sapere del commentatore. Luigi Grifi di Roma, inde- 296 Letteratura fesso sui classici, e diligente nelle sue pubblicazioni^ è felicissimo quivi, cioè nel trovato del soggetto di un vaso dipinto sabino scoperto da me al Poggetto nelle terre piacentine. Giunone accompagna Eleno che ir- ritato fugge i suoi , e segue Ulisse, onde poi rico- vrarsi presso i greci. Lebas prosegue le sue lettere di Grecia, ne si stanca, né arresta : dà molie brevi inedite iscrizioni accompagnate da un primo suo lavo- ro sulle medesime, come e non di più si può attendere da chi scrive, per così dire, stans pede in uno. Maury .segue anch' egli a trattare e arricchire la sua psi- costasia. Carlo Texier descrive un sarcofago che ser- ve di fontana a Ninfì neh' Asia minore : d' epoca cristiana, e dopo la conquista di Costantinopoli dai latini, vi si legge vma doppia riga in g^reco: NTN KO- imOl HAT2 iXHMyV 101 0E1ON MEFA-NTN OYN BAAIZE nP02 0EON 2TEa>Ha)OP02, Texier vi trova un senso mistico, e mostra di non ravvisarvi idea pre- cisa, perchè traduce non bene: « Ora un ornamento de- lizioso ti dà un' attitudine (una forma) divina; va dun- que ora a Dio portando una corona. » Io osservo dap- prima che abbiamo qui un cattivo esametro e pen- tametro. L' idea è nettamente detta , poetica quanto mai, e di non difficile spiegazione. Traduco pertanto: (i Nunc tibi(erit) mundussuavis, (scilicet) manifestati© divina magna, Nunc igitur gradere ad Deum corona- tus (vel melius, coronam ferensipsi.) » Si parla dappoi nel nostro giornale dell'obelisco d'Azoum in Abissi- nia, che qui si dà in rame del tutto esatto come non si trova ne' viaggi editi di Salt e Bruce. Questo ce- lebre monumento è sculto nel solo piano verticale a mezzogiorno: non è però illustrato, e lo merita bene. Rappresenta in basso una porta chiusa, poi l'uno sul- Rivista archeologica 297 V altro sette piani ornali di finestre doppie in alto ne' cinque piani di mezzo. A me sembra monumen- to sacro , innanzi al quale si porse culto , come a tipo cosmologico; e ad esaminare il sottoposto plinto si vede, oltre l'unico grado innanzi la detta porta, che vi sono cavati fori regolari come se abbian dovuto aver sopra tripodi od are. Se il monumento è certa- mente monolito, indizio di vetustà, la domiis a sette piani è la domus divum. Ma io non debbo in questo scritto dar corso alle mie idee : e noterò solo che nel bassorilievo le bugne tonde rilevate, costanti in ogni piano, sono le testate delle trabeazioni. Nel 6° fascicolo il dottissimo De Saulcy combalte amenamente e ordinatamente l'opinione di Dejardins già defonto, che tentò togliere in un suo scritto gra- ve di discorso, e dell'autorità dello scrivente, ogni fi- ducia alla scoperta e a' progressi noti di Champollion. De Saulcy è cauto scrittore, acuto, ordinato, fornito di piena conoscenza del cofto e dell'arabo, profondo conoscitore della nuova letteratura egizia, non per di- re d'altrui e per leggeri tentativi, ma per singolari e vasti risultati: e a non dir d'altro, solo che si leg- ga e tenga dietro al modo algebrico con che viene a capo in altro fascicolo d' intendere, e con certez- za spiegare più proskymemata demottici, si rimarrà con- vinti e del valore della scoperta di Champollion, e del- la bravura di De Saulcy. Aggiungo che Dejardins, ve- duti meglio in Egitto e studiati i monumenti, aveva già mostrato di non tenere più a quella sua idea d'op- posizione. Apertosi il concorso annuale per la migliore opera sulle antichità di Francia, e avendosi a pubbli- camente premiare Ercole Geraud che scriveva sopra Tregeburga di Danimarca prima moglie di Filippo 208 Letteratura Augusto, Le Norraant fece parola innanzi 1' istituto d'iscrizioni e belle lettere non pure di lui, ma de- gli altri molti che concorsero, e delle opere che avean presentato : e questo fece con gravità e benevo- lenza insieme, ricco di stile, di concetti sani, e di belle figure , come è usato: si distende sul buono di ciascun lavoro, ma ne tocca pur anco i difetti. Il prof. Letronne viene a stabilire anche meglio, che il zodia- co di Benderà è da assegnarsi all'epoca di Traiano, e stabilisce che una delle cartucce , o ellissi ono- mastiche presso la bella figura muliebre media, è sul monumento originariamente senza scrittura alcuna. Una seconda memoria dello stesso dotto uomo con- futa la obiezione del suo contraddittore nella quistio- ne se il cuore chiuso in cassetta di stagno senza epi- grafe, trovata nell'abside della santa cappella qui a Parigi, debba credersi reliquia di s. Luigi re. L'acca- demia interpellata venne nella opinione di Letron- ne , l'arcivescovo piegò all' autorità dell'accademia, e dotti e clero opinano che quel cimelio non appar- tenga al santo. Si accenna quindi la classica scoper- ta fatta di recente a Magliano, nelle maremme tosca- ne, d'un recinto di mura di città che gira sei mi- glia. Se ciò è così, come ne sembra, or che ristiamo a non veder chiaro in tale importantissima indagine ? Termina quindi con belle notizie degli scavi che si con- ducono a Autun, ove sono già conosciute nobili mine, e di recente si è messo in luce un musaico che rap- presenta un mito di Bellerofonte. Lebas colla sua grata e dotta corrispondenza arricchisce la metà del fascicolo 7 ; ed è quivi che si trovano le sue faticose indagini a Messene. Segiie uno scritto di Longperier sopra due vasi d'alabastro Rivista archeologica 29*J conformi di materia, destinazione, e sistema epigrafi- co. L'uno già di Caylus, oggi del gabinetto, presenta superiormente due linee di caratteri cuneiformi, cia- scuna riga d'alfabeto differente, ambidue contestuali al- la cartuccia verticale sottoposta scritta in egizio. Cham- pollion leggeva quivi il nome di Serse. L'altro va- .so nel tesoro di s. Marco in Venezia è del tutto si- mile: ma v'è di più una terza riga cuneiforme in un ter- zo alfabeto. Il dettato delle epigrafi ripetuto in ciascu- no è differente poi ne' due vasi. L'autore s'adopra a scomporre i gruppi delle scritture cuneiformi, a be- ne intendere le lettere egizie , e trova nell'uno Ser- se, come si disse , nell' altro Artaserse. Quindi pub- blicatosi in un de' seguenti fascicoli uno scritto di Letronne , che prova esser questi necessariamente il Longimano , Longperier aderisce, e piacesi del buon accoglimento del suo lavoro. Abbiamo appresso pure di Longperier la illustrazione di una statuina in bronzo del museo del sig. lessaint, figurina d'uomo seduta, nuda dal pube in su, testa evidentemente di ritratto, la persona macilente quanto dirsi possa, scrit- to sul pallio in greco Eucamidas Perdiccou. Letronne segue e conferma, con un brano d'epigrafe pubbli- ta da Lebas, l'opinione da se emessa all'occasione di più grave disputa, che gli antichi consacrarono talora statue di divinità ad altra divinità: opinione per vero che mi sembra strano ch'abbia incontrato oppositori. Il De Saulcy nell' 8 fascicolo pubblica un cippo onorario consolare inedito trovato non ha guari a Marsal, città che fino a ieri si è creduta non antica, perchè il più vetusto monuménto che la ricordasse non è anteriore al 709 di Cristo. Oggi è dunque ma- nifesto, che esisteva già col nome vicinissimo di Ma- 300 Letteratura rosalla al tempo del primo impero. Incomincia : Ti. Claudio. Brusi, f. eaes. aug. .. vicani marosallenses ... e termina così: Amio C. Passieni. Crispill. T. Statilio. Tau- ro. Co. L'autore l'illustra così pienamente , che non lascia gran fatto a desiderare, è memoria che debbono aver avuta carissima i due fulmina belli nella epi- grafìa latina, Borghesi e Sarti. Succede il commento di Longperier sulla ricca cassetta d'argento deposi- tata in oggi al Louvre: risulta non esser più da du- bitare che abbia contenuto un braccio di Carlo Ma- gno; si stabilisce chi ne sia l'autore, cioè Federico Barbarossa il famoso; inoltre si discorre chi rappre- sentino individualmente i 4 busti, che sempre sul da- vanti fanno ala al Cristo accompagnato dai due apo- stoli , e alla Vergine sottoposta adorata da due ar- cangeli. Piace veder l'autore ottimo critico così nelle antichità sacre, come nelle orientali e classiche. Un angelo grande, statua di piombo, ornava la torre del- l'episcopio di Laon; di là fu alzata sulla punta del campanile della cattedrale, recentemente un fulmine la precipitò e pigiò a terra: di poi si è scoperto che nel capo vi fu anticamente collocata una cassetta di piombo con ossa strette in un nastro. Tanto si riferisce: né si aggiunge ciò che è evidentissimo, che le dette ossa così collocate sono reliquie a tutela della fab- brica ; e pe' cattolici il vescovo di Laon avrebbe dovuto prenderne singoiar cura. Si accenna appres- so la scoperta di un vasto musaico conservatissimo fabbricandosi in Algeri la chiesa di s. Filippo. Questo monumento è oggi ai magazzini del Louvre, tutto an- cora nelle casse, meno una tavola che si vede, e dalla quale appare che vi è ritratto il mare tutto lieto d'as- sai pesci molto vari, e barche montate da individui Rivista archeologica 301 lo percorrono. Il lavoro è del tempo, come noi di- remmo a Roma, dopo gii Antonini. Lo stesso De Long- perier inoltre classicamente spiega un calice di bronzo figurato, e scritto in arabo, comprato a Fano da Lenor- mant per la biblioteca, ove il monumento singolare è attorniato da monumenti tutti rari pur essi. Conclu- de e prova l'autore, che probabilmente fu lavorato in Sicilia nel XIII secolo all'epoca e forse per ordine di Federico II: che fu destinato ed appartenne ad Elma- lek El Aschraf arabo, poi divenuto amico di quel mo- narca. Le iscrizioni numerosissime sono tutte svolte e spiegate; il bassorilievo è unico, perchè ci fa intendere e ci conferma l'uso ricordato parcamente dagli scritto- ri, che in quel torno di tempo si domesticarono non so- lo, ma si drizzarono alla caccia in compagnia del cava- liere i leopardi portati dal cavallo in groppa, e lan- ciati all'uopo dal cacciatore. Come negli scritti, cosi sul monumento. 9 Fascicolo. Nella Mauritania Cesarèa presso Orano sono i tumuli di Diebes el Achdar, tre di nu- mero, vasti presso a poco come il sepolcro di Cecilia Metella, disadorni, sufficientemente conservati: e l'au- tore conviene che siano lavoro romano. Uno d'essi è una piramide a gradi , e l'ultimo grado forma un elevatissimo basamento di misura 50 metri per ogni la- to; l'altezza dell'intero mon. è di 30. Il secondo sepol- cro è del tutto simile, ma minore di modulo. Il ter- zo si può così brevemente descrivere. Un paralle- logrammo di due quadrati ha quattro torri pur qua- drate agli angoli, e gli angoli rispettivamente si com- baciano. In mezzo è un quadrato della misura del la- to minore del parallelogrammo. Sovr' esso sorge un minore quadrato, e su questo un cilindro inscritto. 302 Letteratura Pochi particolari o nulla si danno sulle camere interne, che forse l'autore della lettera non ebbe agio o luogo di poter esaminare e descrivere. Si descrive quindi come a Saintes, città di Francia, il fiume avendo cangiato letto si scostò già dall'arco trionfale antico e venerando. In oggi l'arco è stato scomposto, e sopra nuove fonda- menta ricomposto ancora presso il fiume. Suppongo che di tale strana operazione sia stata puranche altra maggiore causa, come sarebbe lo strapiombo d'alcu- na parte del monumento o cosa simile. Lepsius, in un sua dotta corrispondenza con Letronne, ragiona a lungo di scoperte nell'Egitto, e di trovate lezioni d'epi- grafi ieratiche ; quindi dà esalta la conosciutissima iscrizione posta da un Tacito al suo giungere colà. L'iscrizione è questa : Bona fortuna dominai reginai in multos annos feliciter venit e urbe mense apr. die XVIII Tacitus. Letronne vide benissimo che ivi si par- la o di una regina della contrada , o di una impe- ratrice romana: e intende bona fortuna posta invece di prò bona fortuna. Io aggiungo che se ivi si vo- glia un' augusta, detta impropriamente regina, si può credere che sia Giulia Domna detta ivi Domina; mi sembra che bo7ia fortuna sia ivi come ai greci a^axvj Tv^yJ : propongo inoltre in tanta oscurità e barbarie che bona fortuna dominai reginai sia come fausto mi- mine dominai Isidis: e la frase seguente si riporti al- lora a Tacito. Assai ragioni, che tralascio, ci assicurano che il Tacito è di più secoli posteriore all' istorico. Lepsius descrive in seguito, ma troppo velocemente, una statua a Nuga nell'Etiopia, né ci dice di che tem- po e stile gli sembra ; la statua è seduta , cornata, radiata, e s'appoggia della destra a un bastone come s. Gio. Battista. Così Lepsius. Sporge e ripiega ad an- Rivista archeologica 303 golo retto la sinistra, levando della mano solo l'in- dice e il medio ; e non si dice meglio o più oltre. A me sembra sia quivi rappresentato Elios: e conver- rà vedere quale sia l'atto dell'intera sinistra, onde rac- cogliere il numero che indica: né ciò solo, ma forse pure esaminare con simile veduta la destra: quindi, conosciuta l'epoca e il popolo per cui fu fatta, la sta- tua tentarsi con buona e concludente spiegazione. Nel 10 fascicolo Maury e Lebas seguono cia- scuno nelle indagini prese a trattare in questo gior- nale con singolare frutto pei lettori. De Witte in un breve scritto crede che Maury adduca troppo di legame e di simiglianza d' idee nelle psicostasie de' vari popoli , e propone d' averne a rescindere la psicostasia omerica. Letronne quindi opina che gli egizi non solo, ma ben anco i greci all'epoca della prima fabbricazione del tempio d'Efeso, ancora usa- rono a difetto di meglio l' ingegno d' un piano in- clinato, solido, mobile, onde portare alto i massi più gravi: e s'appoggia ad un testo di Plinio, e non ad al- tro. Io credo che il detto testo del naturalista debba avere un' altra spiegazione; ma diffido de' miei scar- si lumi, e ne farò materia di una obbiezione che pre- senterò al dotto e gentile autore: e rapporto al basso- rilievo egizio citato vi sono puranco riflessioni che, affacciate come obbiezione, l'autore si compiacerà di sciogliere. Si legge inoltre che nel porto antico di Cherchell han trovato un battello romano antico in- tero, il quale all'aria vien meno. Misura undici metri per quattro, e cinquanta centesimi: non ha ferro, ed è tutto commesso con ispessi cavicchi di quercia. Io avverto che la mancanza di ferro in un legno di ma- rina non è cosa romana, almeno di fabbricazione ita- 304 Letteratura lica. Cosi in Livio nel catalogo delle città, che fornirono a Roma il necessario per l'allestimento d'una flotta, Ve- tulonia dava il ferro sino dal IV secolo. L'assenza di pa- rapetto è del pari indizio piuttosto di barbarie che di costruzione romana, che non ne mancava, come si vede nel bassorilievo vaticano presso il Meleagro e nelle colonne traiana e antonina. Un disegno del monumento ci porrebbe meglio in grado di giudi- carne- Gilberto Charleuf ha rinvenuto in una esca- vazione a Autun quattro divinità, alte un metro, ri- strette dorso a dorso, né sulla maniera credo io dell' Ecate latina : e nello stesso luogo trovò una epigrafe che si riporta, e comincia lignos contextos^ e seguono quattro voci. Io credo che nel marmo sia o debba leggersi signos : e spiego proponendo che l'uomo non latino fece errore nel genere, e minutò o grafi signos contextos in luogo di signa coniexla. Le quattro voci sono i nomi della quadrivia gallica lecarann, Valonna, Cucane, Cosedlon. 1 1 Fascicolo. Il sig. Frisse d' Avesnes scrive a Champollion Figeac sopra le sue scoperte e viaggi per l'Egitto copiosamente. De Saulcy riferisce a Letron- ne, e dimostra a parte a parte, la sua bella scoperta del significato di otto proscinemi scritti in solo de- mottico: e colla sua scienza di cofto, a forza di ordi- nato e necessario raziocinio, viene a capo del bello assunto. Letronne commenta di poi un proscinema greco, arduo per l'apparente falso dato storico, poi- ché é ivi la oblazione ad Arideo figlio di Arsì- noe: e prova e conclude, che questo re divinizzato è il figlio naturale di Filippo di Macedonia, il quale dagl' invidi e nemici fu detto figlio di una cattivel- la Filina, e dai suoi e in Egitto fu avuto per parto Rivista archeologica 305 d'Arsinoe, di regia stirpe pur essa. Tutto è nella me- moria detto e ravvicinato più che felicemente. Si fa quindi parola della splendida e utilissima opera di Lenormant e di Witte, che progrediscono nella pub- blicazione dei più singolari, dei meglio disegnati, dei più copiosi dipinti sopra vasi antichi. Si termina coi meritato elogio del dotto e instancabile Burnouf, a cui massimamente gli studiosi di lingue e dottrine orien- tali debbono in ispiecial modo la loro riconoscenza. Il 12 fascicolo, che chiude il primo de' molti anni, presenta uno scritto di Meriraée, nel quale si dà contezza di una testa in marmo pario acquistata sagacemente in Venezia, e posseduta in Parigi da La- borde. Pare indubitato che sia la testa della Vittoria di Fidia, divinità che figurava nel posteriore dei due frontoni del Partenone. Il lobo degli orecchi è forato, due trecce di capelli dalla nuca s'annodano sul da- vanti del capo formando diadema. In un secondo scrit- to sui mattoni verniciati si dice, che gli antichi roma- ni non conobbero vernice vitrea sopra terre cotte: e qui v'è errore, poiché negli scavi etruschi le tombe tar- quiniesi, che danno oggetti non così vetusti, e che apertamente sono d'epoca romana, forniscono vasi a insignificanti bassirilievi a stampa, tutti esternamente indotti di vernice vitrea: e certo se ne debbono trova- re in più raccolte etrusche. Segue un bel lavoro di Letronne, il quale riproduce e commenta due colon- ne miniarle trovate presso Tunisi, le ravvicina ad altre cinque rinvenute più a ponente verso la Numidia, esamina le località, tien conto delle distanze, ha ri- corso agli itinerari, si fa appoggio della storia, e sco- pre da quale imperatore sia stata dapprima munita la via consolare da Cartagine a Te veste verso il coii- C.A.T.CVII. 20 306 Letteratura fine nuraidico, e da' quali ristorala. Dal vedere i nomi di Massimino e di Massimo prima rasi, quindi rescritti, argomenta che ciò seguì alla rivolta di Gordiano l'avo, e alla sua disfatta da Capelliano. Trovo solo in tale fe- lice spiegazione ben difficile il fatto che due colonne milliarie, che segnano le miglia 70 e 85, rimosse dai loro luoghi abbian fatto viaggio l'una di 67 e l'al- tra di 82 miglia. Questa ed altre considerazioni sot- tometterò al dotto professore in un modesto scritto. Pelissier, console francese a Soussa, scrive al prof. Hase sulle antichità presso Tunisi. Il diligente e istruito corrispondente lascia alcun poco desiderare descrizio- ni più artistiche. L' anfiteatro d' Adrumeto ha l'asse maggiore lungo 137 metri: quindi l'altezza in costru- zione sembra non possa essere 29 metri. I cunei si presentano nudi oggi , e a piano inclinato : sta be- ne, perchè i sedili erano triangolari, non però di le- gno, ma sibbene di pietra per assai ragioni. Ma il rapporto del sig. Pelissier sulla dovizia di quella con- trada in ruine di fabbriche e in antichità sparse, ri- scalda talmente l'animo, che si soffre a non potere co- sì agevolmente percorrere quelle provincie. Conclu- do che nel bel volume formato dalle 1 2 distribuzio- ni enunciate s'incontrano trovati egregi, varietà molta di dottrine, buona fede, e buon frutto a percorrer- lo. Il giornale prosegue con pari diligenza , valore, e lode. Le persone, che principalmente lo compilono, sono de' primi in questa città che è fra le prime d'Europa. Parigi il 1 di dicembre 1845. A. Melchiade Fossati. 307 Elogio di Francesco Antonio Turriozzi recitato dalVar- ciprete don Giulio Dilorenzo nella solenne premia- zione dei giovani studiosi del seminario di Tosca- nella il dì 9 di agosto 1842. JCatria, qual nome tu sei nelle menti degli uomini! Quelle calde anime della Grecia e di Roma tutto ardirono per la terra dei loro padri, e dolce e bella cosa estimarono morire per lei. Generoso sentimento che proviene da natura, al dire di Aristotile, e che COSI teneramente esprimeva Marco Tullio allorché dal fondo del suo esilio, dove spinto l'aveva l'ira di Clodìo, veniva riportato dalle braccia di tutta Italia in seno ai suoi diletti quiriti. Ma 1' amor di patria non vuoisi fondare, o signori, nelle fredde e artifi- ciose parole, con cui un cittadino di ogni ben s\ ral- legri che succeda alla sua terra natale, o di ogni in- comodo si sconforti che a lei sovrasti. In questo , a guardar drittamente, la principale obbligazione si sta di ognuno, eh' ci bisogna servire alla patria fedel- mente, difenderla, onorarla, costumarla. Questo debbe essere l'estremo e precipuo dovere di un cittadino: a questo tender debbono i di lui pensieri, le cure, gli studi, le sollecitudini. Conciossiachè se tu non difendi o promuovi lo splendore del natio luogo, ignobile rimarrassi e negletto: se a puri costumi non lo av- vezzi, come da lenta carie corroso sarà in breve sfa- sciato e consunto. Or tra quei personaggi, che tutte adempirono le parti di questo nobilissimo ufiìzio,niuno 308 Letteratura di voi, come io estimo, potrà dubitare, o signori, che ragguardevole e primario luogo non si abbia Fran^ Cesco Antonio Turriozzi nostro prestantissimo e gra- vissimo cittadino, la cui benevolenza in verso questa patria , nella quale di lungo spazio avvanzò ciascun altro, il fé riputar nato al solo bene di lei, ed a pro- cacciarle per ispecial modo ogni genere di utilità. Il qual giudicare, perchè s'intenda quanto secondo verità sia, mei tolgo oggi ad argomento del dire. Ed è a buona ragione che in questo cospicuo ed amplis- simo luogo, in questa celebrità letteraria, la di lui memoria si rinnovelli, e le lodi sue siano nel mag-^ gior grado ad esempio dei posteri collocate. Ussita in quel di Visso fu la patria dei Turriozzi, d' onde emigrarono in Toscanella allettati dall' am-^ piezza del territorio aperto ad ogni industria cam- pestre. Saliti al grado di maggior fortuna, lungi dall' imitare que'savoiardi , di cui parlando il signor di Mercier nel suo Tableau de Paris diceva che vive- vano in sulla Senna una vita di stento, perchè ricon- dottisi alle loro rupi e lavatisi il muso dalla tìliggi- ne potessero godersi con occhio avaro l' ammassato argento: essi vi fissarono stabilmente il domicilio e ri- conobbero in questa una nuova lor patria. Chiari per la integrità della vita, per la rara fede, e per ogni altra buona dote dell'animo, furono descritti neir albo dei patrizi toscanesi: e tra tante illustri fa^ miglie, di che si piacea la patria a quel tempo, an- cor questa tra le primarie si vide risplendere mira- bilmente. Intanto qua era chiamato il giovinetto Fran- cesco Antonio , che alunno nel seminario di Visso sortito aveva dalla natura un facile ingegno ed una indole estremamente docile e pieghevole al buono. Elogio del Turriozzi 300 I severi principii tli una morigerata educazione fu- rono accolti da questo novello cittadino con altret- tanta prontezza, con quanta vengono ripudiati dai fan- ciulli di più ritroso ingegno; e dalla sua giovinezza potè facilmente congettarsi quale sarebbe riuscito alla matura età. Allevato ai buoni studi in Viterbo presso i gesuiti, i quali avevano allora come sempre n'eb- bero professori d' assai e giusta rinomanza , destò di se altissima ammirazione , e gustò ivi il primo sapore della letteraria lode. Di uno spirito siccome egli era mirabilmente plastico per ogni officio, ap- plicò con profitto il suo animo alle dilettevoli non meno che alle severe discipline. Quindi le filosofi- che facoltà, i gravi studi della ragione civile e ca- nonica, gli arcani recessi della sacra teologia, furo- no da lui percorsi, come altri farebbe il campo dei più lievi studi : e ne ritrasse quel ricco fondo di sapere^ che render lo dovea tra poco la benefica stella di questo cielo. Ma Roma, la nutrice dei veri sapienti, Roma prima l'attendeva, e gli presentava dinanzi più ampia materia di profitto e di lode. In- defesso, del tempo avarissimo custode, d' ogni lette- raria occupazione insaziabile divoratore, usando coi più dotti, tra i quali vuoisi qui ricordare a motivo d'onore un altro nostro cittadino Paolo Sarnani, insi- gne giureconsulto di quei tempi e che levò di se tant'alto grido, prosegue il giovine allievo a dar opera ai diletti suoi studi: finché in essi tanto addentro egli seppe, che divenne in breve l'oggetto della pubblica estimazione. Ma non fu egli uomo di lettere e di scienze, che non fosse ad un tempo di un animo composto alla pietà ed alla religione , che fu in essolui sempre 310 Letteratura {jrandissima finché si morì. La ingenuità, la modestia, la piacevolezza , una rigorosa prudenza nei fatti e nelle paiole, un intemerato costume raro d' assai nella fervida adolescenza ed in mezzo al fumo ed allo strèpito della gran Roma, erano divenuti veramente la propria ed intima veste di lui ; e fu allora che Dio ottimo massimo parlogli al cuore, e lo chiamò al suo sacerdozio. Sentì egli sommessamente V im- pero di questa voce divina che lo costituiva mini- stro dell' Altissimo, apprese vivamente ed in tutta la estensione i sacri doveri di quella sublime dignità, e volse le cure dell' animo a soddisfarli interamente con ogni guisa di virtù, con una ragion di vivere all'ecclesiastica disciplina dicevolissima. Così venuto appo tutti in fama di persona saggia, di esemplare ecclesiastico, d'uomo scientifico e letterario, piacque incredibilmente a quell' anima grande di Gio. An- gelo Braschi, che fu poi papa Pio VL S'ebbe ad amici personaggi per virtù e per meriti gravissimi i Zelada, i G arampi, i Vincenti, i Morozzo cardinali di s. chiesa; diede il nome alla cospicua accademia degli Aborigeni di Roma, ove ottenne per tutti i dì di sua vita 1' orrevol carico di censore forense; fu membro della georgica tarquiniese, intesa a perfezio- nare l'agricoltura e le arti utili nel nostro clima; e si tenne in relazione strettissima co' letterati di migliore ingegno. Tanto alto poggia una natura diretta dalla virtù, cresciuta all'ombra delle lettere divine ! Conciossiachè dicesse M. Tullio, che laddove ad un'indole eccellente aggiungasi la ragione e l'ag- giustatezza della dottrina, ne proviene quell' esimio e singolare che da noi si ammira in un uomo. « At- que idem ego contendo, quum ad naturam eximiam Elogio del Turriozzi 311 alquc illustrem accesserit ratio quaedam conforma- lioque doctrinae, tum illud nescio quid praeclarum ac singulare solere existere. » Tutto splendeva d'in- torno a questo ragguardevole personaggio: non dalla tacita opinione degli animi, ma dalla voce universale gli erano oflFerti i più cospicui onori, quando a Roma il tolse la carità della patria, la quale sì fattamente lo strinse, ch'ei portò il sentimento del divmo Pla- tone: L'uomo non esser nato a se solamente, ma agli amici, ai parenti, alla patria: e a questi doversi coii- sagrare i lumi dell'ingegno, le forze, la salute, la vita. E per fermo egli adempì ad ogni officio di ottimo cittadino. Considerando io sovente e colla memoria ripetendo le vecchie cose non posso deplorare abba- stanza l'acerbo destino di questa patria, la quale aven- do in ogni tempo dato alla repubblica personaggi di sommo merito e di eminente fortuna, costoro dimen- ticato per nera ingratitudine questo soggiorno dei loro titoli, questa terra ove erano nati ed allevati e dove SI avevano ogni più cara e sacra cosa e preziosa, lungi dal procurarne per alcuna maniera i vantaggi, si dis- piacquero perfino di appartenerle : quando né Gio- vanni Boccaccio, splendore della italiana favella, ebbe vergogna del suo Certaldo : né M. Tullio, che da queir atroce animo di Catone vien appellato padre di Roma, arrossì di appartenere al municipio di Ar- pino che egli teneramente amò. Che se costoro per siffatto modo ingrati al paese « Ove nudriti fur sì dolcemente, si fossero incontrati a vivere in quei giorni crudeli, nei quali l'Italia lacerata era da intestine gare che 3 1 2 LEtTERATlfRA profonde ferite spalancarono nel cuore di lei, io facil"- mente il condonerei alla ferrea condizione di quei tempi tristissimi ed a quelle malattie del medio evo. Ma che questa città, quietate l'ire funeste dei secoli d' ignoranza , rasserenata Italia e restituita la natia soavità de 'suoi costumi, non abbia ritratto alcun che di vantaggio dai suoi figli, che molti se n'ebbe e gra- vissimi fino ai tempi a noi più vicini, non posso per modo alcuno comportarlo in pace. Sebbene non è ciò solo che mi strazia l' animo atrocemente. Illu- strar la patria cogli scritti è il primo dovere, quando che il possa, di ogni ben costumato cittadino. Ep- pure se tu togli qualche manoscritto del Giannotti o del Barbacci , nobili toscanesi cui a tutta equità dobbiamo saper buon grado di averci trasmesso come che sia lo splendore degli avi, ninno de' nostri, che molti ne furono della letteraria repubblica beneme- ritissimi , aveva dato opera di comprendere in dotte carte le cose della patria per tramandarle alle suc- cedenti età. Ma già si affretta dalle rive del Tevere , pie- no di sapere e di gloria , il nume tutelare di que- sta terra a diradar la notte che ampio velo aveva disteso sulle istoriche cose di lei fino a darne al- trui r antico nome ed i gloriosi fatti. E come potrei con brevi parole conseguire quanto egli adoperasse ad ottenere questo nobilissimo scopo , le diuturne vigilie, gl'infiniti pensieri, le lunghe sollecitudini, onde tutto si pose a gittar con magnanimo ardire la mente per entro al buio dei secoli, e come dalle perga- mene rose dal tempo o sfuggite alla mano dei bar- bari, che qua spesse fiate menarono l'esterminio colla spada e cogl' incedi, dalle etrusche iscrizioni che di- Elogio del Turriozzi 31^ spersc dalla incuria o dalla ijjnoranza de' nostri primo égli raccolse e pubblicò, dalle romane lapidi di cui era non mezzanamente fornito , dai titoli mortuali che sì di frequente e ad ogni passo del territorio ti disotterra la marra o l'aratro dell' agricoltore , ri- salisse all'epoca fortunata della grandezza avita , ri- cordandone un Sesto Scanzio, un Caio Cepione, un Lucio IVumnio, Olmemfi e molti altri decurioni de- curiali e quatuorviri tuscaniensi, sublime e suprema magistratura, la quale non si conveniva di quei tempi che ai grandi municipii e che si equiparava all'au- torità ed onoranza dei senatori di Roma ! Dove io lascio quei pubblici e solenni documenti, con cui egli ti addita le sparse borgate del territorio che folte sti- pavansi attorno alla città tuscania per farle e corona e difesa, e che non so per quale avversa fortima sem- pre cospirata ai nostri danni furon poi arse e distrutte? Chi die, se non egli, la serie dei vescovi tuscaniensi cosi celebri per la istituzione apostolica, per l'ampiez- za della giurisdizione, pe'loro privilegi, che quasi si eguagliavano alla stessa dignità cardinalizia ? Toltisi a collaboratori nel grand'uopo il cardinale Giuseppe Garampi, uomo di preclara erudizione ecclesiastica, e Pier Luigi Galletti vescovo di Cirene, buono archeo- logo di quei tempi per quanto il permettevano i non ampi confini di si nobile facoltà, quasi rivocati dalle loro tombe si conobbero allora quei santissimi vescovi che qui annunziarono per la prima volta il nome di Gesù, e da cui inostri maggiori furono pro- dotti e nudriti ad eterna vita. Taccio le dotte ed accurate scritture su questa mensa vescovile, quelle sopra le due chiese di s. Maria Maggiore e del bea- tissimo Pietro, insigni monumenti di cristiana anti- 314 Letteratura chità; passo sotto silenzio la erudita operetta sulla nobiltà toscanese, con altre d'assai che non sono an- cora fatte dì pubblico diritto: scritture nelle quali se tu non senti il vero sapore della italiana favella ( del che ei si protesta ) piena vi scontri una mente di sana critica, di profonda erudizione,vi scorgi un cuore infiammato della carità della patria, di cui egli die- de e tante e gravissime testimonianze. Avuto in pre- gio da quei vescovi che in vario tempo si succede- vano al governo della nostra chiesa, ne sostenne per ventiqu£ri;tro anni le veci; nel qual ministero dirò che egli amministrò la giustizia con somma interezza e dirittura d'animo, e i grandi affari e difficili colla sa- gacità della mente, coi lumi del dritto canonico e ci- vile, di che tanto ei si conobbe, sciolse, recò a fine. Sarei infinito se tutto ridir volessi che egli fece in quel nobilissimo impiego, nel quale di lunga mano eserci- tato, fu a tutto per lui soddisfatto per maniera incre- dibile e singolare. Ma al certo tacer non voglio che le occupazioni di quell' officio, le quali molte sono e gravissime, non valsero a minuir di un punto il suo immenso amore della patria , oggetto da esso unicamente mirato e avuto caro: patria che, come co- gli scritti già per me enunciati, cosi coll'opera giovò o ristorandone i danni o amplificandone lo splendore per ogni modo. Né sono queste parole, ma fatti che si hanno a testimonio gli occhi di tutti. Per lui all' integro stato ed al primiero ornamento fu restituito il tempio di s. Pietro, questa superba mole che una cosi luminosa immagine ti presenta di nostra antica grandezza; mole che abbandonata ai danni del tempo e della pubblica sventura, pareva ormai giunta al suo fato. Qua chiamata una commissione di belle arti. Elogio del Turriozzi 3t5 fu per munificenza del principe riparata 1' ampia ruina, e 1' antica cattedra toscaniense fu nuovamente aperta all' esercizio del culto. E fu esso che a pro- prie spese presso la nuova e dentro l' antica cerchia della città discoperse i ruderi di grandiose terme, ris- pettabilissime vuoi per la estensione del fabbricato, vuoi pe' marmi e musaici che vi osservi, opera dei migliori tempi di Roma. Né mi stenderò in molte parole a narrare quanta opera egli facesse per rac- corre dall' archivio farfense, da quello del vaticano e da quant' altri mai, le notizie della patria onde ar- ricchirne i nostri archivi, già resi uno scheletro dalle fatali vicende cui andammo soggetti ; fatto commen- devolissimo e che solo bastar potrebbe ad accattar- gli la comune gratitudine. Né tacerò la paterna cu- ra onde proseguì questo monistero di san Paolo, o tu consideri quel momento nel quale quelle profu- ghe colombe, dopo un fatai decreto che tutti avea atterrato i cenobi monastici, cupide ripigliavano il volo air antica solitudine, o tu consideri lo studio istancabile con cui ci ne raddrizzò gì' interessi già lesi abbastanza in quel fero trambusto d' Europa ; interessi che egli aumentava colla propria pecunia in vita, e con un lascito pietoso alla sua morte. Ed aggiungi pure la special benevolenza sua inverso que- sta chiesa cattedrale, di cui accrebbe le rendite, ri- storò e ridusse a miglior forma l' edifìzio, difese i diritti con opere d' ogni maniera. Tenero nell' amore dei poveri fanciulli orbi degli autori della loro vita, immaginò di aprire loro un albergo di provvidenza nel convento di s. Francesco a conservar quel ce- nobio che abbandonato minacciava omai 1' ultima ruina; ma più perché si stesse quel tempio, che sti- 3 1 6 Letteratura mabile per molte cose, lo è d'assai più per la gran- diosa cappella della famiglia Ragazzi nobili toscanesi^ opera del secolo XV. Che se pure andò fallito in questo suo pensiero, come in quello di raccogliere quanto vi ha di an- tichi monumenti nel nostro paese e farne un museo di pubblica ragione, non si rimase al certo vuoto di effetto un altro felicemente condotto a fine : la fondazione io dico di un seminario. Con questa opera coronava egli a prò della patria l' ultima sua vec- chiezza: è qui dove hanno avuto più fecondo campo e più caro i suoi travagli, qui veramente sono le lodi sue, qui la sua memoria piiì chiara, più espressa, più commendata che possa ottenere la più faconda eloquenza. Conosceva il pio uomo che ad aver ot- timi cittadini è mestieri informarli alla pietà ed alle lettere: che queste sono l'anima d'una repubblica, la quale star non può dove immoralità od ignoranza r offenda. Fiaccata dal dito onnipotente in mezzo ai ghiacci del settentrione la possa di quel superbo guer- riero, che doma 1' Europa aveva riempito il mondo della fama delle sue vittorie; cessata quell' orrenda bufera, che tutta aveva perturbata e dispersa la ge- rarchia ecclesiastica ; restituita a Pio la diletta sua Roma; ornato com' era di non ordinaria solerzia si affrettava di manifestare questo suo disegno a mon- signor Severoli, vescovo di questa città e nunzio apo- stolico presso la imperiai corte di Vienna. Il buon vecchio grattò dolcemente dov' ei si dolca quell' animo gentile, che proposto erasi a modello lo zelo episcopale del card. Borromeo; e grazie a Dio ottimo massimo, grazie all' immortai Pio VII, grazie a que- sto cittadino ottimo ed amantissimo, grazie a quei Elogio del Turriozzi 317 buoni che tanto si adoperarono in così lodevole offi- cio di patria carità, fu finalmente aperto il semina- rio toscanese l'anno 1816. È questa l'epoca in cui ti conobbi, o anima grande; tu sorridesti a me gio- vinetto nella carriera degli studi, e le tue parole un forte sprone mi furono a toccarne 1' ardua meta. Se punto apparai delle buone lettere, se punto conobbi delle filosofiche e teologiche discipline, il debbo a te. Tu me ne desti i mezzi, tu me n'apristi un calle. Rimarrammi indelebile la memoria di te quanto du- rerà il beneficio che io ne raccolsi. Ne v' ha che io creda alcuno de'miei concittadini, il quale porti dif- formi da questi i sentimenti dell'animo suo: percioc- ché sommi sono i vantaggi che alla civil società ed alla chiesa scaturiscono dai seminari. La istituzione di questi sacri domicili è di tanto momento , che quel grande onor del sacro collegio il card. Pallavi- cino ebbe a dire, la tridentina sinodo dalla sola san- zione dei seminari aver raccolto amplissimo frutto di quei tanti travagli, che per le politiche vicende del se- colo dovette soffrire quella veneranda assemblea. Vero è che i figli della patria potevano accattarsi altrove siffatti vantaggi ed istituirsi ai buoni studi: né al certo si tenne questo municipio dall' erogar dal pubblico erario grandi somme ad aver istrutti e ben ammae- strati i figliuoli; ma pochi e i più cospicui per isplen- dor di natali o per autorità venivano prescelti a tanta ventura; quando altri se il vuoi d'ignobil lignaggio, ma ricchi d' ingegno e formati dalla natura alle let- tere, dovevan giacersi incolti per mancanza di quei mezzi, che ad erudirsi loro erano dinegati dall' ini- mica fortuna. Ed era questo il motivo, onde Vincenzo Campanari in quel fausto avvenimento dell' apertura 318 Letteratura del seminario cantò, com'ei solca soavemente, gra- tulandosi colla sua patria: Or non più due né tre di ceppi illustri Lieti germogli l' avvenir nutrica; Ma tutti ed i gentili ed i palustri, E i nati fra le rose e fra 1' ortica. Più d' uopo non sarà per anni e lustri Di trapiantarli in altra piaggia aprica; Che quivi avran sulla materna ciocca La man che i pota, e che gl'innaffia ed occa. Molti e grandi furono certamente i beneficii onde Francesco Antonio Turriozzi abbracciò la sua patria: quello del seminario, potissimo: ed a lui debbono per noi riferirsi lodi e grazie immortali. Ma la morte, che risparmia talora la esistenza de'tristi per furare i buoni, ne invidiò la sua vita preziosa : e noi lo perdemmo colpito di appoplesia nell'ottobre dell'an- no 1 822, non compiuti gli ottant'anni della sua età. Una lagrima pietosa spuntò sugli occhi di tutti: perfino i malvagi lo piansero, che videro in lui estinto un uo- mo virtuoso e dabbene, la delizia de'suoi amici, il più grande amatore della sua patria. Fu egli di robu- sta natura, di vivace colorito, alta ebbe e spaziosa la fronte, sereno il ciglio che ti appalesava la candidezza dell'animo suo, di soavi maniere, generoso, erudito, eloquente. Nemico degli onori che sempre ricusò , cccupossi finché visse nel zelare i civici negozi; per- seguitò il vizio, onorò l'amicizia; si fece un idolo della virtù. Due lapidi, la prima nel portico di que- sto seminario, l'altra posta per grato animo da un gravissimo cittadino in questa chiesa cattedrale, rcn- Elogio del Turriozzi 319 deranno la di lui memoria oggetto di perpetua be- nedizione. E qui tacer mi dovrei : ma per amor che por- to grandissimo al seminario, essendo che qui io mi ebbi una seconda vita , dirò che da ogni buon cit- tadino abbracciar si debbe con ogni studio questo luogo rispettabilissimo. Al che per mio avviso un divisamente oltre ogni altro è richiesto, la concordia degli animi virtuosamente cospiranti a favorirlo ed avvantaggiarlo per ogni maniera. Nulla per noi si tra- lascia, perchè questi alunni alle nostre cure ailidati crescano dolcemente alla speranza della patria: ed oggi in questa solenne letteraria frequenza, dinanzi al vostro cospetto, col più possente stimolo li accen- diamo al ben fare, con quello stimolo che Esiodo disse da Giove essere stato compartito agli uomini, la emulazione. Innocente ed onorato affetto dell'animo, che sempre fecondo di gloriosi fatti spinse altra volta Temistocle ad oscurar la gloria del vincitor di Mara- tona, ed Americo Vespucci a rapire all' ardito Co- lombo il nome del nuovo discoperto emisfero. Se- condate voi, che tanto gentili siete, colla vostra gra- zia questo nostro avvenimento, dal quale gloriosi e felici risulteranno gli effetti ; la patria avrà egregi cittadini: nel che si sta la grandezza di un munici- pio qualunque: e saranno pienamente appagati i voti di queir ottimo personaggio che questo seminario istituì, ornò, perfezionò. 320 V America un tempo spagnuola riguardata sotto Va- spetto religioso daW epoca del suo di seojjri mento sino al 1843. Di monsignore Gaetano Balujft. Tomo secon- do. 8. Ancona per Gustavo Sartori Cherubini 1845 ( Sono pag. 335 con tre tavole di prospetti.) Di 'i quest'opera importantissima si è abbastanza par- lato nel volume di agosto del passato anno, quando ne venne da noi annunciato il primo tomo. Ciò che allora dicemmo, il ripetiamo qui con lode meritatis- sima : perciocché l'opera procede sempre con dili- genza, con libertà, con chiarezza di storica narrazio- ne: e ci porge uno de'più magnifici triontì della cat- tolica religione, e insieme della morale, sapienza, vima- nità, civiltà che sempre hanno regnato negli augu- sti gerarchi del vaticano. I capitoli, de'quali si compone questo secondo tomo, sono dal XII al XXII : ed eccone il sunto. Gap. XII. Diversità del nascere della chiesa in Europa dal suo propagarsi in America. Ancor qui furon vittime sagrificate in odio alla fede. Si dichiara in che variasse il martirio dell'antico mondo da quello del nuovo. Vittime della Florida: altre in altri paesi: un ecclesiastico ucciso a causa di bene amministrare il sagramento della penitenza. Opere portentose : se ne parla in generale; si descrive un miracolo di san Lodovico Beltran, un altro di san Francesco Solano, non che il subbissamento d'Anco-Anco. Vescovi : gli America spagnuola 321 apostoli e la santa sede eressero tutti i vescovati del vecchio mondo : egualmente la santa sede gli eresse nel nuovo. Prime fondazioni : difficoltà che in sorsero intorno alle medesime. Patronato ecclesiastico. Giu- lio II soppresse le prime fondazioni e formò nuove diocesi : destinò al mantenimento del culto e dei ministri le primizie e le decime. Queste colà erano l'universal patrimonio della chiesa. Arcivescovati. E- logio d' Italia e di Roma. Gap. XIII. Avanti di partire d' Europa i primi tre vescovi fecero il piano d' organizzazione delle loro americane chiese. Egual disegno fu ancor poscia ese- guito dai primi vescovi delle altre chiese. Siccome precipuo comando del papa fu che convertissero in- digeni, COSI a questo essi precipuamente intesero. Dei sinodi americani in generale : concilio provinciale di Lima : sunto delle cose che vi si trattarono. I vescovi nelle loro diocesi non furon meno zelanti che in si- nodo riuniti. Monsignor Marroquin : si accennano le peculiari qualità d'alcuni dei primi vescovi. Disappro- vazione delle opere del primo vescovo di Coro: di- fesa del primo vescovo dell'Assunzione: uccisione del secondo vescovo di Nicaragua. Il primo vescovo di Chiapa Bartolomeo de Las Casas viene in Ispagna a risiedere presso la corte, come patrocinatore degl'in- diani : nobile disimpegno di tale clientela. Compa- razione tra Las Casas ed O'Connel. Cap. XIV. Capitoli. Parrocchie : i frati le ammi- nistrano con indipendenza dai vescovi. Un vescovo di Guatemela vuol togliere ai frati le loro parroc- chie : gran romore che ne succede : gli viene proi- bito. Nuove determinazioni di san Pio V, esimendo della giurisdizione vescovile le dottrine de' regolari. G.A.T.CVIL 21 322 Letteratura Deroga che si fa più tardi di queste determinazioni; apostoliche facoltà per togliersi ai religiosi le parroc- chie, ai quali però se ne conservano molte. Accuse contro i parrochi generalmente : esagerazione delle medesime. Speciali accuse contro i parrochi regolari e contro l'intero ceto de'frati. Si mostra quanto sia di vero e quanto di falso in tali accuse. La pubbli- ca istruzione letteraria e scientifica è dovuta al clero: principi! della medesima : studio delle lingue degl' indigeni. L'America meridionale ritardò il suo addot- trinamento fino al venire de'gesuiti. Principali scuole, d'onde la scienza si diffuse in più parti : anche gli altri ordini regolari cooperano molto al dirozzamento degl'ingegni. L'America settentrionale incominciò pri- ma ad erudirsi : pure anche là i gesuiti migliorarono ed estesero l'insegnamento. La massima parte delle antiche notizie della storia naturale e civile del nuovo mondo si dee ai regolari , e singolarmente ai ge- suiti. Si accennano alcuni di questi dotti lavori: non r interesse li moveva a scrivere. L'erezione degli o- spedali anch'essa è dovuta ai religiosi ospitalieri di san Giovanni di Dio. Anche l'America ebbe propri istituti addetti all'assistenza degl' infermi. Istituto di sant' Ippolito : ordine betlemitico : l' eremita Baldas- sare. Monasteri di donne. Gap. XV. Cooperazione del clero per dar for- ma europea al civile governo. Si erigono i regni del Messico e del Perù : si forma il regno della nuova Granata: si dà ordinamento ad altri stati. De' viceré e de'capitani generali, e loro incombenze : anche vari vescovi furono viceré : si loda monsignor Henriquez de Ribera. De' governatori e degl' intendenti e loro incarichi. Viceré, capitani generali, governatori, in- America spagnuola 323 tendenti, terminato l'uffizio, dovevano render conto di loro gestione. Visitatori generali : si rese famoso in tal carica il venerabile Palafox. Delle udienze, loro autorità ed importanza. Ricorsi di forza : mostruo- sità e danno di questi ricorsi. Sventure di monsignor Agostino di Corunna. Foro particolare si aveva dal clero, dalle finanze, dal commercio, dalla milizia. Il tribunale dell'inquisizione fu tribunal secolare, non ecclesiastico. Primi inquisitori : pene che infliggeva- no: un giudizio dell'inquisizione di Lima. Delle leggi, in forza delle quali si amministrava la giustizia. Spe- ciale sistema di governo per gl'indiani, qual si volle dal clero : loro segregazione dagli spagnuoli : alcune leggi proprie per quelli : tasse che pagavano. Della mila : osservazioni sulla medesima. Gap. XVI. Il dominio di Spagna in America si presentava sì fermo da non poter essere più rove- sciato. Era tempo di estenderne i confini con nuove conquiste. Il clero si oppone alle conquiste armate, e richiede divenire egli pacifico conquistatore colle missioni: ad ottenerlo espone le antecedenti sue opere nell'acquisto di Yucatan , di Vera-pace e del paese dei chichimecas. Il monarca concede la richiesta gra- zia, vietando le militari conquiste : il clero impren- de l'opera : difficoltà che incontra nella ricerca dei selvaggi, nella caparbietà di alcune tribù, nell'indole dell' universalità. Azioni eroiche de' missionari per istabilire e governare un villaggio di convertiti. Op- posizione armata che loro fecero le infedeli tribù. Per contenere i caribi edificarono i gesuiti una fortezza suir Orinoco : vinsero altri inimici colla parola , e ciò si domostra con quanto accadde in Tame. Op- posizione che a tali ecclesiastici acquisti fecero gli 324 Letteratura spagnuoli per avere indigeni in servitù. Questa fu la causa del poco progresso delle missioni del Chile. Gap. XVII. A rendere la fatica delle religiose conquiste meno ardua, gli ecclesiastici si servivano degl'indiani convertiti come loro ambasciatori e coa- diutori : usavano di alcuni donativi : di somma con- tinenza : di adottare la favella delle nuove popola- zioni. Riflessioni sulle lingue americane ed uso che i gesuiti ne fecero. La musica fu altro mezzo per facilitare l'impresa. Successo dell'indiano Calaini. Al- tro mezzo furono le missioni mobili : vantaggi di que- sta specie di missioni : necessità delle medesime in alcuni casi. Fu altro mezzo il conducimento di al- cuni indiani alla città capitale. Con tali modi, e più colla predicazione e colla divina assistenza, il clero dilatò la chiesa e la monarchia. Che cosa dicesse a questo proposito un moderno ministro di Spagna. Tanto piacque quell'amorevole maniera di conqui- stare , che molte tribù si presentavano spontanea- mente. L'avarizia spagnuola proseguì fino a recente epoca ad impedire tali trionfi- A non esser preda della medesima talune tribù patteggiarono co'missio- nari : si riporta uno di siffatti trattati. A sottramele si stabilirono i governi monastici. Gap. XVIII. Si pongono a rassegna alcuni degli acquisti fatti dal clero, ed alcuni dei monastici go- verni, incominciando dalla California. Regno di Na- yarit. Missioni del Casanare, del Meta, e dell'Orinoco nella Nuova Granata. Missioni di Guayana , di Cu- manà e di Barcellona in Venezuela : descrizione di quella del Caroni: la forma de'suoi villaggi: il suo civile governo. [Missione del Marannon. Altre nel pae- se de Los Moios, de Los Chiguitos, e di Apolobam- America spagnuola 325 ba. Lasciandone altre si passa al Paraguay. Origine di questa missione e suo progresso : famoso reggi- mento della medesima : diritto di proprietà : distri- buzione dei prodotti e dei lavori : pubbliche scuole: casa di rifugio : esclusione della moneta : i gesuiti dirigevano ancora l'esteriore commercio, e difesa in questo della loro integiità : egualità perfetta delle condizioni : feste secolari : chiese e sacra ufficiatura: sistema militare : accusa che se ne fece contro i ge- suiti, e loro difesa. I paraguayesi non solo guerreg- giavano nel loro territorio, ma anco fuori del me- desimo in prò del monarca : sommo valore di essi : militavano sempre a proprie spese. Gap. XIX. Le ecclesiastiche operazioni sopra narrate ebbero movimento da Roma. Questa spedì i banditori evangelici : immaginò ed autorizzò i go- verni monastici: comandò sotto grave pena si con- servassero indenni le persone e le cose indiane : ne confermò più tardi il comandamento e la pena : die- de le norme da tenersi per la conversione dei nuovi popoli : emanò per essi benigne leggi intorno ai ma- trimoni, ai digiuni, al numero delle feste , alle as- soluzioni dai riservati, all'acquisto delle indulgenze: essa finalmente li volle sollevati ai gradi della società e della chiesa. V'ebbe infatti gran numero di eccle- siastici di origine indiana : Robertson s' ingannò in negarlo, come anche in esagerare la loro idiotaggi- ne. Felice stato dell'America spagnuola. Roma non ebbe colpa nel danno che le sopravvenne col discac- ciamento de'gesuiti : tale discacciamento forma colà una distinta epoca. Per esso s'inferocì la guerra arau- cana, deperì la maggior parte delle missioni e dei governi monastici. N'ebbero pur detrimento gì' indi- 326 Letteratdra geni delle città e delle dollrine. I mali di quell'espul- sione si estesero ancora ai creoli : questi vi perde- rono nelle scienze, nell'ammaestramento de'fanciuUi, nell'istruzione del popolo : grave testimonianza di un americano. Essendosi introdotti libri giansenistici, e massime di liberalismo, e non più essendovi i gesui- ti, mancò chi sottraesse i primi agli studiosi, e chi sag- giamente dirigesse le nuove tendenze. Gap. XX. Esaminandosi gli ultimi quarant'anni dell'epoca spagnuola si stabilisce che gl'indiani erano generalmente aumentati di numero. Da quest'epoca le missioni del Chile si restaurarono , e nuove mis- sioni si fondarono altrove. Somma la pietà degl' in- diani. Di alcune opere, a cui attendevano gl'indiani delle dottrine. Come quei di Novità per cura del proprio parroco apersero la comunicazione tra l'At- lantico ed il Pacifico. Benché le commende cessas- sero, i parrochi dovevano proseguire in difenderli : reclami al re del vescovo e capitolo di Mechoacan. Si dà il giusto peso ad un' obiezione contro il regi- me monastico degl'indiani, e contro le dottrine. Toc- cava al governo a prendere di lontano saggi tempe- ramenti per fare un amalgama delle diverse nazioni e caste. Stato degli altri indigeni considerati negli atti di religione, negli ospedali, nei monasteri di mona- che, nella generalità de'crcdenti, nella generalità de- gl'infedeli. La condizione dei negri migliorata : peg- giorata quella degli uomini di colore : in favore di questi reclamano gli ecclesiastici, singolarmente il ve- scovo e il capitolo di Mechoacan. Succede frattanto la rivoluzione dell'isola d'Hayti, di cui si porge un' idea : questo fatto produce grande impressione nei negri e mulatti dell'ispanico continente. Seguono gli avvisi del vescovo e capitolo di Mechoacan. .America spàgnuolà 327 Gap. XXI. Nell'esaminare lo stato de' creoli si mostra che alla prosperità del paese non si oppose la decima ecclesiastica : non si opposero gli altri pos- sedimenti del clero, di cui si accennano alcune be- neficenze : non si oppose il numero de'frati. Ciò che fece, e ciò che non fece il governo per la riforma degli studi. Gli ecclesiastici supplirono in parte a quanto mancava nell'insegnamento voluto dalla leg- ge. Si fa speciale ricordo del sapere degli ecclesia- stici di Guatemela e di Venezuela. Anche fra gli avvocati furono uomini dotti. Ecclesiastici ed avvo- cati aumentarono le loro cognizioni con libri spesso non sani di massima , introdotti per contrabbando : quindi, se non certo la fede, decaddero la morale e l'ossequio al sovrano. Questo decadimento di rispetto al governo si aumentava dall'odio de'creoli contro i castigliani, dalla predilezione del governo nel dare la massima parte degl'impieghi ecclesiastici e civili agli spagnuoli, dall'amarezza che ingenti somme d'argen- to americano passassero in Ispagna , dal dispiacere di alcune proibizioni. Fu grande l'agitazione fra'creoli pel regio decreto del 5 di settembre 1799. Furono altissime le querele de' medesimi pel real decreto del 28 di dicembre 1804 Gap. XXII. A fronte delle dette cose le relazio- ni unitrici dell'America alla Spagna erano forti. Se dopo consolidata la monarchia insorsero qua e là va- rie rivoluzioni, esse non tendevano all'indipendenza delle colonie : dichiaravano però il mutabile carat- tere del popolo. La politica del gabinetto spagnuolo fu causa d'essersi cercata l'indipendenza : per quella politica gl'inglesi tentarono di rivoluzionarle. Alcuni libri, l'esempio di Francia e degli Stati-Uniti , sco- 328 Letteratura levano l'anima tle'giovani. Taluni di questi, passa' i in Europa, progettando di liberare la loro patria , chiedevano soccorso ad Inghilterra e a Francia. Ne'ten- tativi fatti da Miranda e dagl'inglesi sopra alcune lit- torali terre si dovette ammirare la fedeltà de'creoli e degl' indiani. Ma anche in mezzo a tali prove di fedeltà, questa andava ad indebolirsi: nondimeno il tradimento di Napoleone riaccesse l'amore degli ame- ricani pel loro re, e ne diedero decisi documenfci. La giunta di Siviglia e la reggenza di Cadice porsero nuovi motivi ai creoli per disunirsi dalla madre pa- tria. Incertezze del loro spirito : antiveggenza del- l'arcivescovo Moscoso : sintomi d'imminente rivolu- zione. Seguono tre prospetti. Il primo è delle annue decime che si pagavano dalle provincie di Nuova Granata, di Venezuela e dell'Equatore poco innanzi alla rivoluzione. Quelle della Nuova Granata som- mano a scudi 433,000: di Venezuela a se. 414,000; della Nuova Granata a scudi 313,000. Il secondo prospetto è de'vescovati, delle catte- drali, delle dignità e canonici e de'conventi dell'A- merica spagnuola. Sei erano gli arcivescovati , 33 i vescovati, 37 le cattedrali, 308 i canonici, 588 i con- venti. Il terzo prospetto è del prodotto annuo in ar- gento ed oro dei dominii spagnuoli negli ultimi anni precedenti alla rivoluzione. Esso dà la somma di scu- di 30,063,272. Quello poi generale di tutta l'Ame- rica dall'anno 1492 fino all'indipendenza delle colo- nie ascende a scudi 5, 350, 000, 000. Da questa in- gente quantità, avverte il eh. autore, manca il bot- tino de'conquistatori, che si fa ascendere a 25 mi- Lettere inedite 329 lioni : e da essa si debbon togliere almeno 180 mi- lioni restati in America, non che 148 milioni passati pel commercio d'America in Asia. Lettere inedite intorno antichità, e belle arti pubblicate con annotazioni dal doti. Enrico Castreca Brunetti. (Continuazione.) A Domenico Diodati. Napoli. 15. xiicevei ne'giorni passati la lettera , e due li- bretti che V. S. Illma ha voluto per sua gentilezza mandarmi , non meritando io affatto tanti e tanto segnalati favori. Dell' una e degli altri per ora ne le rendo quelle grazie, che sono dovute a tanta bontà verso me : non lasciando di metterle a conto d'al- tre moltissime obbligazioni che le tengo, alle quali spero che il Signore sia per concedermi una volta agio e occasioni da soddisfare. V. S. Illma vuol sapere il mio sentimento sopra l'esercitazioni miscellanee. Chi son io che posso far- lo ? E farlo ad uno che tanto sa e vede ? Pure per ubbidirla dirò, che mi son parse bellissime, e degne dell'erudizione di un D'Orville , di un Salmasio, di un Giuseppe Scaligero , non che di un giovane di tre lustri. Ma è veramente tale costui qual lo mo- strano le sue composizioni ? Dico se queste son ve- ramente sue, o d'altra mano ? Io appunto alcun mese fa mi applicai un poco sul fatto di Lanuvio e di 330 Letteratura Lavinio coU'occasione che lessi non so che nel II to- mo delle iscrizioni del Muratori. Costui ci ha col- pito bene, e mi ha tolta qualche dubbiezza, in che ancora mi trovava. Ne ho mandato qualche copia al p. Berthier, principale giornalista di Trevoux. Lo potrei servir io se volesse. V. S. Illma se ne rallegri da mia parte, e l'incoraggisca a seguire. Quanto alla dissertazione di Martorelli, io ne avea alcune altre suU'istesso argomento , e ho avuto pia- cere di leggere ancor questa. Veramente la cosa non meritava tanto fracasso. V. S. Illma quando ci darà il suo bel libro sull'ellenismo ? Questo sì che lo leg- gerò avidls oculis^ e me lo metterò prima in testa , come i turchi fanno del loro Alcorano. Si risolva fi- nalmente a darlo fuora: Et tandem aliquando manum de tabula. Oh quante cose vorrei dirle ! Ma non ho per ora questo tempo e molto meno testa: che per i cattivi tempi, che corrono, appena me la sento. V. S. Illma me ne compatisca. Porti i miei saluti riverenti al sig. ToUy , il quale dove pensa di andare partendo da Napoli ? Di più al sig. D. Alessio, che par dimentico affatto degli antichi amici. Aquila 19 gennaio (manca Vanno). Vito Maria Giovinazzi. Al medesimo. 16. A due sue gentilissime non ho prima ri- sposto: mentre sembrerà ch'è stata in parte dapocag- gine, in parte ancora è stata necessità, trovandomi molto imbarazzato in questi dì, soprattutto per mo- Lettere inedite 331 tivi tli mutar casa , ed essendo morta quella donna che mi faceva tutto. V. S. ne faccia una parola con D. Cristofaro Forte, acciocché la raccomandi al Si- gnore. Forse due mesi fa ci trovammo in conversazio- ne con uomini di garbo, e si parlava di letteratura napoletana. Quando eccoti un fiorentino cominciò a perorare sul suo libro. Or di tutti (questo fu il proe- mio che ancor mi ricordo ) i libri f/e' napoletani il solo che mi è piaeiìito infinitamente è stato « De Chri- sto hellenista.» Non ci sono napolilanate^ o sia cari- cature : è ordinatissimo , senza discussioìii ec. Lodò anche lo stile adattatissimo a quella sorta di mate- ria ec. Questo fiorentino, se vuole, non sa molto, ma è di una perspicacia singolare. Non mi diffondo più, perchè sto imbarazzatissi- mo. Alias ulterius. Ma intanto V. S. mi prevenga con cento sue notizie. Le auguro felicissimo il vicino na- tale, come fo a D. Cristofaro, e al figlioccio , che pur verrà d'una voce affogala e d' occhi cerulei, e studierà Marziale di prima edizione. Roma 15 dicembre {ìnanca Vanno). Vito Maria Giovinazzi. Al medesimo. 17. Ieri sera mi fu portata la vostra gentilissi- ma, e da ieri sera in qua sono stato occupatissimo. Onde mi compatirà se la cosa non sia per esser di suo pieno gusto. La notifica che mi dà della czara, la lessi nella gazzetta di Firenze: e fin d'allora me 332 Letteratura ne rallegrai ("). S'incoraggisca da ciò a qualche altra bell'opera. Possibile che non ricevè mia risposta alle due sue ? Mi fa così stolido e scostumato che volessi commettere un tanto peccato? Le scrissi, e dirizzai la lettera al sig. Carlo Brusellini: e mi credo, che facen- (*) Ecco la lettera colla quale inviò il libro De Christo graece lo- quente all'autocratrice di Russia Caterina II : « Miraberis, opinor, sacra caesaria maiestas, me ab estrema Ita- lia ad Russiam iisque intuentem opellam liane meam De Christo grae- ce loqucntc tuo numini consecrare. At ne credas tuarum virtutum famam unius imperii lui finibus, etsi latissimi illi quidem patcant , contincri. Notum est enim non modo Italiae, sed universo orbi, ne sexum in te quidem obstare quo minus Petri magni gloriam supera- veris. Quippe quae literis omnibus incredibili pene studio, ac ma- gnanimitate faves: quae omnes pacis artes cum belli laudibus misces: quae subditos tuos cunctis gcntibus invidendos facis : cui denique parem in omnibus historiis frustra adhuc querimus, ita in te exor- nanda virtutes omnes ac fortuna conspirarunt. Quid mirum ergo si alienigena ipse cum sim, lamque magno terrarum intervallo dissitus, tuae taraen gloriae maximus admirator libellum hunc libi meum of- feram ? Mirandum illud potius l'oret, quod tara exile munus dicare tara augustae dominac ausim. •"' « At cum opus hoc doceat Christum dominum ad apostolo» grae- -/éa lingua locutos fuisse, qua lingua rìtus apud vos sacrorum omnes, / ipsaque adeo liturgia peragitur, quod quidem quum multum gloriae ' russorum ritibus ac religioni afferat , tum id ipsum tibi, quae ru- thenos undique decorare cupis, gratissimum ac iucundissimum acci- dere debere putavi. Dolco dumtaxat, quod serius quam volebam li- ber hic meus ad te venit ; quod nimiae longinquitati quaeso tribuas. Nullnm enim, per quem mitlerem, habui hucusque. Accipe igitur, im- peratrix augustissima, qua soles benignitate hoc qualecumque a me sludii atque obsequii mei pignus. Interim Deum optimum maximum toto pectore pr'?cor ut vitam et valetudinem tuam quam diutissime servet. Quod cum facio, russicae felicitatis ac literarum omnium ne- gotium gero. » « Neapoli nonis septembris MDCCLXVII. » « Dominicus Diodalus. » Questa grande imperatrice inviò al Diodati un medaglione d' oro, m e lo accompagnò cou lettera latina assai splendida e affettuosa. Lettere inedite 333 do diligenza alla posta le troverà. Mi ricordo in par- ticolare che le domandava di D. Cristofaro e del suo figlioccio. Mi rallegro del nuovo matrimonio. Mi poteva scrivere con chi. Mi dia notizie letterarie. Roma 16 gennaio 1777. Vito Maria Giovinazzi. Al medesimo. 18. Che avrà detto V. S. non vedendo risposta per cosi lungo tempo ad una sua stimatissima? Ma il fatto è che sono stato veramente degno non solo di scusa , ma quasi anche di compassione. Ho do- vuto ne'maggiori caldi mutar casa di pianta, che per lo passato non avea fatto mai: e poi ho dovuto com- battere con certe febbricciuole, che mi tenevano a letto, e mi inabilitavano ad ogni atto di vita. Ma, co- munque sia, io resto obbligato a V. S. sì delle bel- lissime notizie, che mi comunicò, e sì anche per V elogio martorelliano, che lessi con grandissimo mio piacere. So che ci doveva essere una dissertazione so- pra i lupi greci ed ebrei, come sentii dire una volta: e questo V. S. non l'ha ricordato. Forse è compreso ti'a le dissertazioni filologiche , che accenna nel pe- nultimo luogo. Il sig. D. Cristofaro che fa? Studia le sue edi- zioni del 400 ? Perchè non salta fuori, come grillo, ad occupare il vuoto lasciato per la morte di Mar- torelli ? E che, non è forse figura da occupare qua- lunque vano ? E non parlo di cattcdie e di scranne pedantesche, ma di paoli di Merido , che potrebbe rapire in un tratto in ammirazione della sua scienza enciclopedica. Se V. S. gli leggerà questo mio tratto 334 Letteratura di lettera, io non dubito che a sentirlo gli si muo- verà dalla coratella sulle labbra un placido e riposato riso, e quel suo sereno e maestoso volto raddoppie- rà la sua serenità e maestà, che sembrerà un Giove Olimpico. Faccia quel che vuole, e rida, e gongoli a sua posta: soltanto però, che non sia più un ava- raccio, né tenga più sepolti i tesori della sua greca erudizione a danno della tapinella repubblica lette- raria. V. S. mi dia l'onore de'suoi comandi, e l'istes- so la prego che faccia col detto D. Cristofaro. Vito Maria Giovinazzi. Al medesimo. 1 9. La favoritissima di V. S. Illma del primo corrente mi continua il piacere della sua grata cor- rispondenza, e si esprime con termini di tal genti- lezza, per i quali io vengo a porgerle l'espressioni del più vivo ringraziamento. La notizia della seguita morte del celebre Bur- manno mi ha veramente trafitto; gran perdita han fatto le lettere! Io conservavo per questo degno uo- mo rispetto e venerazione. La Sicilia tutta era a lui molto obbligata per l'opera di D'Orville, che ci die alla luce. Io gli era particolarmente obbligato per una continua corrispondenza di più anni , e per la scelta di molti libri, di cui più d'una volta mi prov- vide. Ho pena sentire che ne'suoi figli non vi sia de- gno successore a lui. L'epigramma sepolcrale nella chiesa di s. Agnel- lo è bellissimo: se se ne rintracciasse il tempo, facil- mente potrebbe farsi argomento di chi ne sia stato Lettere inedite 335 l'aiilore. Io vi riconosco lo spirito del Pontano: ma dal solo spirito non può formarsi giudizio. Palermo 21 agosto 1778. G. L. Principe di Torreniuzza (*). Al medesimo. 20. Accuso il ricevimento della gentilissima de' 18 dello scorso mese, in risposta della quale devo dirle, che tutto lo scorso mese di marzo mi è passato in af- flizioni, tanto che né anche potei trovar tempo di pi- gliare la penna e scrivere agli amici: perchè ho avuto mia madre gravata dal male, che minacciava la vi- ta, benché in oggi sia molto migliorata. Ho sofferto anche non poche fatiche, perchè sbrigata l'edizione della mia opera, e pubblicatone qui alcuni esempla- ri, a tal' altri mandati in cotesta città, mi accorsi di qualche scorrezione di stampa, non avvertita da'cor- rettori: e quantunque di alcune poche cose, delle qua- li io mi era accorto nel corso dell' edizione , ne avea fatto un errata corrige., restai molto dispiacente di vederne altre da me non notate. Qui stiamo as- sai male in stamperie, e so io quello che mi costa l'aver voluto fare una stampa di qualche proprietà. Allo stesso autore non è possibile l'incaricarsi della correzione della stampa, poiché essendo la di lui men- (*) (jahriele Lancillotto Castello principe eli Torremuzza, chiaro numismatico, nacque in Palermo il 21 gennaio 1727, ove morì a 27 ■felibraio tlel 1792- Il Fabbroni, iieirelogio che ne inserì nel 16 volu- me delle ntae italorum pag. 181, erroneamente il dice morto nel 1790. Vi ha un elogio stampato a Palermo nel 1794, in 4., e le Me- morie della vita letteraria del princii>c di Torremuzza scritte di lui stesso. Palermo, 1804, iu 8- 336 Letteratura te troppo ingombra della materia dello scritto, facil- mente nel correggere passa sopra a certi piccoli sbagli dello stampatore: onde i correttori bisogna che siano gente estranea. Per questa classe di correttori qui stiamo ancora assai male. Io mi prevalsi di due de' migliori, ma mi avvidi alla fine che non fui ben ser- vito. Onde mi è convenuto rileggere da capo a fondo con attenzione tutta l'opera, e farne un errata cor- rige più completo, per surrogarlo all'altro, che spedii a cotesto sig. D. Domenico Salomone con tre altri, uno per lui , 1' altro per il sig. cav. Vargas , ed il terzo per V. S. Illma, Manderò anche una copia per darla in mio nome al sig. avvocato Mattei. Andiamo un poco al di lei quesito di ciò che significhi il more graeeorum che si suole qui espri- mere ordinariamente nelle tavole nuziali, e che co- munemente qui dicesi alla greca^ grecania. Per dirle il vero io mai mi sono interessato negli studi di giu- risprudenza di foro , onde non si aspetti da me un giudizio sicuro su di ciò : soltanto posso dirle ciò che su tal particolare qualche volta ho inteso da' nostri giureconsulti. Lo stile comune di Sicilia nel contrarre i matrimoni era quello, che del patrimonio del ma- rito, e della dote della moglie facevasi un unico pa- trimonio, e, come suol dirsi, una confusione di effetti: e di tutto tal complesso di beni in caso di dissolu- zione del matrimonio per morte e per altra ragione si facevan tre parti, una restava di ragione al mari- to, altra alla moglie , e la terza per mantenimento de'figli. Questa costumanza recava molto incomodo alle famiglie, dovendo assai stentare a maritarsi uno che avea ricco patrimonio, e pigliar dovea una te- nue dote. Nel tempo stesso in Sicilia eranvi le colo- Lettere inedite 337 nie greche (parlo delle colonie venute dall'Albania, dall'Illirico ne'tempi e secoli posteriori, quali tutta- via esistono in varie parti del regno ) queste ritene- vano, come tuttavia ritengono, le proprie costumanze: e fra le altre eravi quella , che ne' contratti dotali non faceasi quella confusione di beni all'uso sicilia- no, ma il marito restava padrone del proprio patri- monio, usufruttuario di quello della moglie, durando il matrimonio , ed in caso di dissoluzione rientrava ognuno ne' primieri suoi diritti, il marito padrone della dote apportata, ed i figli nel diritto di avere la sola legittima sopra i patrimoni paterni e materni. Tal costumanza sembrò più agevole alle famiglie, e levava molte difficoltà, che il costume sicili ano recava ne'ma- trimoni: onde cominciarono su questo punto ad ab- bracciare il costume de' greci e a rimmziare il comu- ne siculo. E poiché dipende il tutto dalla forza della convenzione, con la quale ne'matrimoni si contrae re- spettivamente tra lo sposo e la sposa, da ciò viene che espressamente nelle tavole nuziali, quando così si conviene, si esprime il more graecorum volgarmente alla greca grecania. E se questo non si esprime, al- lora si crede il matrimonio more patrio siculo , e soggetti i matrimoni, in caso di dissoluzione, alla de- scritta confusione e ripartizione. Questo è quello che io so su tal particolare. Dubito esservi qualche cosa di più, non essendo sta- ti tali studi il mio forte. Del resto sentirò la cosa un pò meglio da qualche avvocato di rango, e se avrò cosa da soggiungere gliel' avviserò. In cotesta città vi è il consiglier Pensabene, uomo molto inteso e consumato negli studi forensi di Sicilia, e questi potrà dare altri e maggiori lumi. G.A.TCVII. 22 338 Letteratura Ho ricevuto il secondo tomo delle Origini italì- che di monsig. Guarnacci. Oh che gran roba si dice! In somma tutti, o vogliamo o non vogliamo, dobbia- mo riconoscerci di origine etrusca. Mi ha scritto che mi applicassi un poco a ricercare se in Sicilia si so- no ritrovati monumenti etrusci , poiché egli scom- mette che ve ne devono essere. Gli ho risposto che qui non se ne sono mai trovati: ma egli per soste- nere il suo impegno vuole in questo secondo tomo, che medaglie di Palermo quelle, che sono coloniatj romane colla leggenda NASO, nome antichi ssimfo, e anteriore alla venuta de'greci , e che appartengono alla città di Nasso. Cosi anche le medaglie di Assoro con lo scritto ASSORV. Oh che baie! Sono ec. Palermo 1 aprile 17G9. G. L. principe di Torremuzza. A Francesco Daniele regio istoriografo ed ufficiale della re al segreteria di stato. Napoli. 2Ì. Da più mesi mi manca il piacere di rive- dere i suoi gratissimi caratteri, e uguale lagnanza sen- to fare a tutti gli amici. La prego dunque a ricor- darsi di tanto in tanto de' suoi buoni ed alFenzionati servitori. — Già qui si è dato principio alla stampa del tanto famigerato codice saraceno, del quale vari varia: il nostro monsig. Airoldi sta tutto sopra esso. Aspettiamone quando esca alla luce il giudizio del pubblico. Fin da giugno passato io feci rappresentan- za a questo »ig. viceré per urla provvidenza necessaris- sima alla letteratura. Il re colla somma sua providen- za ha fatto assegnazione per la ristorazione e man- Lettere inedite 339 lenimento delle antiche fabbriche. Qui abbiamo due musei di antichità , che potrebbero di molto accre- scersi; un altro rispettabiUssimo ve ne è in Catania, lasciato dal principe di Biscari; si son poste qui tan- te cattedre in tutti i vari rami di scienze, ma alle antichità greche e romane non ci si è affatto pensa- to, ed in oggi si curano qui questi studi, come si cu- rerebbero nella Nuova Zelanda. Proposi io adunque in tale rappresentanza, che, senza darsi nuovo aggra- vio al regio erario, dalle onse 600 all'anno per le an- tichità se ne scemassero cento, e queste si assegnas- sero cioè 60 per il soldo di una cattedra di antichi- tà greche e romane in questa reale accademia de' pubblici studi, e 40 per consimile nell'università di Catania. Fu tal mia rappresentanza rimessa dal sig. viceré fin dai primi del passato luglio. Mi fu avvi- sato, che l'idea piacque al sig. march Caracciolo, ma finora niuna risulta è venuta. Però io la prego a dar moto a questo aflFare, onde possa ottenersi una solle- cita e favorevole risulta. Noi abbiamo qui ricuperato il degnissimo p. d. Salvatore di Blasi, che utilmente potrebbe essere impiegato in tale cattedra e non la- sciare inoperosi i suoi talenti. Io termino la presente con raccomandarle vivamente un tal affare. Palermo 13 dicembre 1787. G. L. principe di Torremuzza. Al medesimo. 22. Finalmente i giorni scorsi mi giunse, con altre cose speditemi dal nostro imraortal Martorelli, il dotto libro di V. S. illustrissima intorno al linguag- 340 Lettera.tur.4. gio usato da Gesù Cristo. Io ne intrapresi la lettura con vma prevenzione così contraria , che non mi parca che ci potesse essere ragione veruna che mi convin- cesse in contrario al lignaggio siriaco. Ma ben pre- sto ella mi persuase in contrario ; e non solamente vi trovai le risposte ai motivi che rai facevano osta- colo , ma di più a moltissimi altri, che non mi era- no sovvenuti: ond'è che io ora credo provato ad evi- denza che G. C. parlasse il linguaggio greco, o al più al più ritenesse qualche idiotismo popolare ri- masto del siriaco , siccome noi spesso nella nostra volgar favella per meglio esprimerci usiamo qualche parola latina passata in formola, siccome spesso di- ciamo in jìvimis et ante oninia^ e cose simili. Io me ne congratulo con V. S. illustrissima, che nella più fresca età ha prodotto un' opera che sarebbe stata ba- stante per formare il nome di un consumatissimo let- terato colla perizia delle più recondite lingue, ognuna delle quali da per se forma un uomo dotto. Io le ne rendo le più distinte grazie, e conservo il di lei libro tra le mie cose più care, e le auguro un felice progresso in cose di questo merito; e con rassegnar- le la mia devota servitù mi offro Ferrara 2 luglio 17G8. G. Battista Passeri. A D. Giacomo Martorelli. Napoli. 23. Nella prima vostra carissima scrittami nel di 6 giugno alla quale non risposi che nel dì 20 di ago- sto perchè non la ricevei che pochi giorni prima, mi dicevate di aver consegnati certi libri per me al sig. cav. D. Francesco Vargas , acciocché me li facesse Lettere inedite 341 avere per la via di Roma: e mercoledì della scorsa settimana il sig. Amaduzzi, che sta in Roma, mi fe- ce avere per mezzo di un vetturale i seguenti libri: Saverio Matteì i libri 'poetici della Bibbia tradotti^ toni. I in 4 grande. Napoli 1766; ed un altro in quarto piccolo con questo titolo: Xaveri Matthaei per saturam exercitationes'j^eap. 1759. In questo libro si trova un difetto di A pagine, o sia di due carte dalla pag. 28 fino alla 33, che bisognerebbe che in qualche modo mi fa- cesse avere acciò io abbia perfetta l'operetta. Il terzo libro mandatomi è l'orazione vostra, che ha questa epi- grafe: Oratio ab lacobo Martorellio graecarum litte- rarum professore habita non. nov. ann. MDCCXLIL Neap. 1 760. Questa è stata pubblicata secondo il pre- cetto di Orazio, che dice che gli autori pubblichino le loro opere dopo di averle tenute soppresse per no- ve anni nonumquc prematur in annum^ onde questa vostra orazione sarà una cosa limatissima. Fuori di questi tre libri, il sig. Amaduzzi da monsig. Garam- pi di Roma , segretario della cifra e canonico di s. Pietro, altro mio paesano e altro mio discepolo, non ha ricevuto altro. Vi dico questo, perchè in quella vo- stra lettera de' 14 di giugno pare che mi faceste spe- rare anche il libro De Christo hellenista^ il quale se ci fosse stato, mi sarebbe stato molto grato, percioc- ché è stata sempre mia opinione che Cristo parlasse il più greco. Non pertanto vi ringrazio di questi tre libri che mi avete mandati, che io leggerò quando avrò più tempo, che ora non ho, avendo ora de' ma- lati, e qualche altra cosa da fare. Non so se di pro- posito leggerò mai il libro del sig. Mattei, cioè i Li- bri poetici della Bibbia ^ perchè io non sono poeta on- de mi compiaccio poco di leggere Ubri, che meritino 342 Letteratura dell'arte poetica, credendo che mi basti l'aver letta quaranta e più anni sono la poetica di Aristotile in greco, e l'epistola De arte poetica ad Pisones in la- tino di Orazio. Ora che son vecchio non voglio stu- diare la poesia degli ebrei , non essendomi troppo compiaciuto di quella loro lingua: giacché le radici ebraiche , come dice il dottor Swifft, non allignano che ne' terreni sterili , vale a dire nella lingua de' Ghetti: non ci è quella dottrina che si trova nella lingua greca e latina. Non ci sono altri che i libri del vecchio testamento, e questi anche non tutti, per- chè alcuni si sono perduti, e altri furono scritti in greco, come sapete. E per fine reverendo vi sono. Vi priego de' miei complimenti al signor Vargas. Rimini 24 settembre 1767. Giovanni Bianchi (\). (1) Gio. Bianchi, che spesso nelle sue opere si chiama Jano Plance, nacque in Rimini nel 1693 il tre di gennaio. Solea gloriarsi d'esser nato in tal giorno, perchè anche Cicerone nacque in tal dì. Fu chia- ro medico , ed infaticabile scrittore, che spesso attaccava brighe. Restituì l'accademia de' lincei che si spense con lui, tornando a ri- vivere per l'opera del cav- Scarpellini, e di nuovo sparire per la sua morte. Morì il 3 dicembre 1773 in Rimini. Egli stesso si compose l'iscrizione sepolcrale, che è la segtiente: CBEDO • QVIA • REDEMPXOR ' MEVS • VIVIT ET ■ IN ■ IVOVISStMO • DIE ' 8VSCITAKIT • «TE HEIC • REQVIESCIT • IN ' PACE JOHANNES • PAVLLVS ■ SIMO ' BIANCHIVS DOMO • ARIMINO QVI ■ APPELLARI ■ LATINE " MALVII lANVS • PLANCVS NASCITVR • INFELIX ' VIXIT " INFEMfflOR ' OBIIT " tWP»UCI§SIME SEO ■ ADIVA'ANTE ■ DEO ANIMO • SEMPEH ' BILARI QVOB • -SrBI • ET • RATIONE • ET • ASSIDVO • BON.ABVHI PENE • 0.\INIVM • HTTERA3BVM ' STVBIO ' COMPARAVEHAX VIXIT • ANNOS • LXXXII. MENSES ' XI OBHI • ANNO • SAtVTIS ' CI3IDC0LXXV VALE . Lettere inedite 343 A. G. B. Visconti. Roma. 24. Dai scavamenti fatti per comando di S. E. Rma monsig. tesoriere in queste terme taurine si è compreso con istupore quanto fosse nobile, vasto e di preziosi materiali costruito quell'edificio; e come già prima de' nostri tempi siavi stato ricercato per tirarne le sepolte reliquie. Io non mi persuado però, non ostante i vari e spessi tasti fattivi ne' passati giorni , che non sia per esservi qualche angolo in tanta estensione non ancor visitato. Intanto stimo d'aver fatto ieri appunto un'acqui- sto per mia istruzione nella leggenda della marca impressa su de' ben larghi lastroni di creta, de' quali è tutta formata la sotterranea scopertavi fabbrica del- le stufe, che per lungo tratto si estendono. Nella mia dissertazioncella delle terme taurine, parlando di que- sto sì vasto e sì nobile edificio, lasciai incerta l'epo- ca ed incerto l'autore di esse terme. Dissi che pote- vasene stimar fondatore Traiano; giacché è noto, che questo imperatore si deliziava in Centocelle e vi fab- bricò il porto. Ma proposi ancora, che al dubbio dai^ si poteva luogo, ch'esser potessero di più antica ori- gine. Girolamo Mercuriale pronunciando il suo sen- timento circa il luogo delle termali, delle quali par- lò Scribonio Largo, medico celebre di Tiberio, do- po avere visitato le nostre terme coU'amplissimo card. Uti lungo commentario latino intorno alla sua vita si legge nel tora. 1 (lei Memorabìlia italorum eruditione praestantium del dottor Gio. Lami. Il catalogo delle sue opere si legge nelle Novelle lettera- rie Horentine dell'anno 17S8. 3-'iA Letteratura Alessandro Fainese^ abbracciò l'opinione d'esser que- ste stesse le acque vescicarie termali di Scribonio. Or quest'autore asseriva essere i bagni dalle acque Tescicarie di certo Milone Gracco pretore. Forse esi- stevan gi.à anche prima dell'era volgare auesti bagni: ma la marca del mattone, oggi scoperta da me, sem- bra decidere del tempo, in cui furono a tanta ma- gnificenza fabbricate le terme taurine. La marca è in forma semilunare, ma quasi terminante un cerchio. La leggenda è disposta in due giri concentrici. Nel- l'esterno v'è l'artefice, nel giro interiore sonovi espresr si i consoli. Eccola Esterno ^=^ Opus doliare Oppi Iusti Literno = Paetino et Apkoniano Centro ~ Cos. Io leggo: Opus doliare Oppi Tu.sti^ Paetino et Apro- niano eonsuUhus. Quinto Arrio Petino e Lucio Ve- nuleio Aproniano, o come altri vogliono Gaio Ven- tidio Aproniano, erano consoli nell'anno VII dell'im- pero di Adriano, che corrisponde all'anno 123 dell'era volgare, ossia di Cristo. Nell'impero dunque di Adria- no sembra che debba fissarsi l'edificazione delle no- stre terme. In fatti è congruentissimo, che a tempo di Traiano non esistesse ancora questa grandiosa fab- brica : giacché il panegirista di questo imperatore nelle sue epistole parla della deliziosa villa di lui, e del porto magnifico, che allora si fabbricava, ma nul- la dice delle terme. Lascio poi di riflettere, che dub- bia è assai l'asserzione dell' autore soprannominato, cioè di Scribonio: benché, siccome ho detto, potevano precedentemente esistere i bagni celebri per il vaio- Lettere inedite 345 ro delle acque, ma non per l'edificio: e di poi la ce- lebrità delle acque invitasse a innalzarvi il grande edi- ficio o Adriano o altri a' tempi suoi . Supplico quanto posso V. S. Illustrissima, a cor- reggere quest'epoca, se io mai ne andassi errato in fissarla così; e rettificata che sia, sarebbemi assai gia- lo se V- S. Illma partecipasse quest' articolo della mia lettera ai signori efFemeridisti romani , afiinchè l'inserissero nelle loro Effemeridi, o nell'Antologia^ giacché mi piacerebbe far palese alla repubblica let- teraria l'epoca giusta delle nostre terme taurine, che io non seppi fissare, per mancanza allora di monu- menti, nella mia dissertazione sulle terme medesime. Del resto sonosi lasciati aperti gli scavi alle ter- me, affinchè possa osservarli S. E. monsig. tesoriere, e V. S. Illma se con esso verrà , e pronunciare se abbiansi a proseguire o abbandonare. La notizia delle tre colonne di granito deve es- serle già pervenuta, e se ne attendono parimenti le determinazioni di monsig. tesoriere. Sonosi poi fin da lunedì prossimo passato cominciati i tasti alla Chia- ruccia, ossia alla Saracinesca. Gl'indizi, secondo l'istes- so sig. Giovanni ispettore, sembrano ottimi. Esso sti- ma che esser possa in gran parte vergine da altri scavi quel terreno ; e se ne spera profitto. ler sera aprì una stanza, siccome mi ha riferito il sig. Cle- mente Pucitta, non essendovi io andato. E stimasi aver traveduto un bel musaico di fogliami, uccelli ec, ma non ben si distinsero. Oggi, se non prosegue la piog- gia, potrà meglio scoprirsi. E già molto tempo da che io riguardo la de- gnissima persona di V. S. Illma, penetralo dalla sti- ma del ben raro suo valore, ed ho incontrato assai 346 LETTERAtURA volentieri l'opportunità di protestarmi , siccome fac- cio con monsig. deg^nissimo suo figlio, pieno di sin- cerissima venerazione. Civitavecchia li 18 dicembre 1776. Gaetano Torraea (1). Al card. Guglielmo Pallotta. Roma. 25. Riferitore di un nobilissimo acquisto io mi presento nuovamente all'È. V. Esso fu fatto nelle escava- zioni di Castronovo, e già accennato a V. E. dal dili- gentissimo sig. Clemente Pucitta. Cento ventidue medaglie d'oro (2), tutte prege- volissime perchè conservatesi quali sortirono dalla zec- ca romana, da Nerone fino ad Adriano inclusivamen- te. Non è certamente questa una serie d'imperatori e d'imperatrici di quel tratto di tempo, senza lacu- ne : ve ne sono però delle assai rare, siccome potrà agevolmente da se stesso riconoscere V. E., e deliziar- visi un momento il genio sublime di N. S. Sono- (1) Questo illustre medico ed antiquario, che esercitava con lo- de l'arte sua in Civitavecchia, scrisse delle antiche terme taurine esi- stenti nel territorio di Civitavecchia. Roma, 1761 in 4, ed intorno la costituzione epidemica del 1767. Roma , Zempel , 1768 in 4. Due brani dì lettere a monsig. Stefano Borgia si leggono nel tom. 3 p. 257, e tom. 4^ p. 343, àeW Antologia romana. La prima riguarda alcune antichità scoperte nelle terme taurine: la seconda il rinveni- mento delle 122 medaglie d'oro. (2) La più scelta parte di queste medaglie fu collocata nella col- lezione numismatica unita alla biblioteca del Vaticano; ma venne quin- di tolta nelle note vicende della fine del decorso secolo, e restò mi- seramente dispersa , insieme colle altre monete di quella insigne raccolta. Lettere inedite 347 vi molti Neroni non vari certamente, ma con rove- sci distinti, e qualcuno pregevole. Alcuni Sergi Gal- ba, che non sono comuni. Un ben raro A. Vitellio col consenso dell' esercito nel rovescio. Molti Vespa- siani e Titi e Domiziani, e fra questi un prineeps iu- ventutis. Una rarissima Giulia Augusta figlia di Ti- to, coniata forse nell'apoteosi del padre. Alcuni Nerva: moltissimi Traiani, i quali tuttoché comuni, ve ne so- no alcuni ragguardevoli per i rovesci loro variatissi- mi. Diverse, né al certo comuni. Piotine. Una molto rai^a Marciana coU'aquila, e la consecratio nel rove- scio: ed una Matidia Marcianae F. ben rara ancora. Il maggior numero si é degli Adriani, de'quali simil- mente i rovesci sono variatissimi e belli. Io non isti- mo dovermi diffondere nell'accennare le varietà e i pregi dei rovesci medesimi e trascriverne le leggende del campo, o dell'esergo; perchè debbono esser con- siderate dai maestri della numismatica, li sig. Viscon- ti. Bastami il contento di partecipar la notizia all'È. V. e soggiungere , che furono ritrovate tutte insie- me in ristrettissimo sito ammassate fra poche glebe indurate di terra: ne die un indizio piccola serratura, e alcune spranghette (degli angoli) di metallo di una eassettina di legno, nella quale erano forse racchiuse, e la quale, putrida e convertitasi in terra, alla terra tutte le consegnò. Devesi alla diligenza del giovane ispettore, po- stovi dal sollecito ed instancabile sig. Pucitta, un si- mile acquisto , il quale per facile negligenza potea «fuggire. Io bacio umilmente la sacra porpora di V. E, « con profondissimo ossequio mi protesto ec. Civitavecchia li 15 aprile 1778. Gaetano Torraca. 348 Letteratura Al lì. Pietro Rossi chierico regolare somasco. Camerino. 26. In altra mia le feci sapere, quale sia stato il motivo di mia tardanza in rimandarle il capitolo da lei fattomi giungere per mezzo di mio fratello Giuliano. Ora bollo io questa medesima sera conse- gnato alla signora Dorotea Lazzarini, la quale mi ha promesso di trasmettergliele colla prima sicura occa- sione che se le presenterà per coteste contrade. Io di nuovo la ringrazio di tal cortesia meco usata, e se in alcuna cosa le parrò buono a servirla sia certa, che non sarò per mancare al dover mio. Ho ricevuto ne'gfiorni addietro, insieme con una sua lettera, l'iscrizione tanto aspettata da monsignor mio zio (*), a cui subito la indirizzai. Egli mi rispo- se, che le rendessi le debite grazie, e che le parte- cipassi il suo parere, il quale si è questo. E un bel sogno il credere che la detta iscri- zione appartenga ad alcun vescovo di Camerino, dac- ché ella fu posta ad un vescovo Guidone di Rum- pefort, di nazione francese, e prescelto a reggere una di quelle chiese , forse Condomo nella provincia di Guienna, come par che accenni l'abbreviatura Conen. che potrebbe leggersi Condomensis , ma non è mai di sicuro Camerinensis. Era egli questo valentuomo compagno, o come noi diciamo camerata., di un'al- ro prelato francese, fornito della dignità cardinale- sca, siccome dimostrano le parole : « Rcverendiss.Q^e Dm. Io. tit. Sch. Laurentii in Lucina card, contuber- (*) Pompeo. Nacque egli in Macerata il dì 11 marzo del 1693, fu fatto vescovo di Osimo da Benedetto XIV, ove morì nel 1774 il dì 25 luglio. Fu dottissimo prelato e scrisse varie opere. Di lui si ha un cenno nel voi. 3 della biblioteca picena. Lettere inedite 349 7iults » il qual cardinale gli aveva per avvenlura ri- nunziato il vescovato predetto. Di esso Giovanni fa ricordanza il Ciacconio, dicendo, che egli ebbe il car- dinalato da papa Eugenio IV nel concilio fiorenti- no, e che resse varie chiese (secondo 1' uso di quel tempo scarmigliato ) e tra le altre la Cosoronense , la quale non si sa che sia, se già non dee leggersi Condomensis : il che sembra probabile , e conforme la conghiettura sopra arrecata. Come poi il vescovo Rumpefort andasse a morire in Camerino , o come quivi se gli facesse l'epitaffio, non è lieve cosa l'in- dovinarlo senza la scorta di vari eccellenti scrittori, i quali de'vescovi delle chiese francesche, dietio l'e- sempio dell'italiano Ughelli , hanno diffusamente e giudiciosamente trattato. Ma questi non sono mica da ricercarsi nelle nostre contrade troppo scarse di qualunque maniera di buoni libri oltramontani. Po- irebbe solamente farsi ragione, che Guidone tornan- do da Roma in Francia fosse sopravvenuto dalla mor- te o in Camerino, o in quelle vicinanze; e che quivi dopo lungo tempo ritrovata la lapida per lui fatta, fosse dal card, vescovo Fransoni riposta nel suo ca- smo, affine di non farla andare di nuovo nel buio. Questo è quanto ho da dirle sopra tal suggetto, ne altro mi rimane se non se di salutarla da parte del sig. Antonio Lazzarini e di dichiararmi di cuore qual tìono ec. Macerata a 26 marzo del 1772. Giuseppe Antonio Compagnoni. {*) (*) Nacque in Macerata il 9 dicembre «lei 1731, ove mori il 17 J. dello mese nell'anno 1779. Si die agli sLndi letterari , e singo- Jarmente a disaminare la vita e gli scritti di letterati celebri. Di lui *< legge «n breve cenno biografico nel tomo 3 della biblioteca picena 350 Letteratura Ad incerto. 27. Mi giungono qui in Padova le grazie pre- giate di V. S. Illma coll'esempio di un rame già ri- dotto alla misura desiderata, mediante il risecamento delle cornici. Il tutto sta bene, ed io le rendo divo- tissime grazie per la benigna attenzione, con cui si compiace di riguardare questo affare, e particolar- mente perchè abbia fatte mutare le lettere poste ai piedi del rame stesso PATAVli ec, che non essendo fatte dal più eccellente intagliatore che ha incise le altre sancii GAUDENTII ec. venivano a rendere troppa deformità, e quasi, dirò così, a guastare la perfezione del rimanente (1). Di ciò non mi prendo pensiero alcuno, vedendo che V. S. Illma ha sollecitamente ri- mediato al disordine: onde altro non mi resta, se non di pregarla a fare che la tiratura sia fatta con tutta la maggiore diligenza e delicatezza, che ben lo me- rita la perfezione di un così raro intaglio : ed oltre le 600 copie, farne tirare altre 25 o 30 per qualche copia del libro, che oltre alle 600 già divisate po- tesse stamparsi (2). Terminato poi che sia il tutto, avrà (1) Pubblicò il Gagliardi le opere de'ss. Filiastro e Gaudenzio vescovi di Brescia nel IV secolo ( Brescia, 1738, in 4. ). Sono esse precedute dalle vite di que'dae vescovi. Avea in pria pubblicato altri opuscoli di que'santi con sue dotte annotazioni. (2) Quest'intaglio che non ha il nome dell'incisore, sebbene si possa attribuire a F. M. Francia, di cui sono le due vignette al prin- cipio della dedica, si vede prima del frontispizio delie opere di san Gaudenzio che ha il seguente tìtolo: « Sancii Gaudentii Brixiae epi- scopi sermones qui extant nunc primum ad fìdem mss. codd. reco- gniti et emendati. Accesserunt Ramperti et Adelmanni venerabilium Brixiae episcoporum opuscula. Rccensuit ac notis illustravit Paulus Galeardus canonicus brixianus. Patavii, 1720 , excudebat losephus Cominus, in 4. » L'opera è dedicata a Gian Francesco Barbadico vc- .scoYO di Brescia. L' edizione è molto bella. L Lettere mEDiTE 351 la bontà V. S. Illma d'intendersi per la spedizione col p. maestro Zuanelli della biblioteca casanatense, e -vedere s'egli abbia incontro opportuno di spedire a Venezia fagotto alcuno al sig. Gio. Manfrè libraio; ed il tutto ben involto, o incassato, consegnare al me- desimo perchè sia di qua trasmesso. Quando poi il suddetto padre non avesse per ora pronta apertura di fare spedizione alcuna , come è solito , e che la cosa dovesse tardare oltre un mese o più, V. S. Illma è pregata, quando bene non trovi migliore incontro, a fare che il medesimo spedisca il nostro involto an- che senz'altra roba seco unita al suddetto sig. Man- frè libraio in Venezia, che da noi avrà ordine di ri- ceverlo e farcelo capitare. Resterà V. S. Illma pre- gata da mio fratello a volermi fare ascrivere alla so- cietà del 2." tomo dell'Anastasio, che deve stamparsi da cotesto Salvioni, nel mentre che supplicandola ec. Padova 14 giugno 1720. Paolo Gagliardi. (*) All' ab. Melchiorre Missirini. Roma. 28. Obbligato, come io me le andava , per le tante compitezze da lei, sig. segretario, e dall'egregio di lei fratello compartitemi in Forlì, volgeranno ora più che dodici anni, duplice compiacenza provai al- l'annunzio da lei venutomi d'esser cotanto onorato quanto il sono per l'aggregazione all'illustre accade- mia di 8. Luca. Vorrei che a sì bel titolo tenesse (*) Questo dotto ecclesiastico nacque in Brescia nel 1693, e mo- rì nel 1742. Scrisse varie operette ed in l'specie intorno allo antico slato de'cenomani (Venezia, 171S, in 12, e Brescia, 1730 in foglio } 352 Lettera-Idra dietro non tanto impare il valor mio, ma temo do- vronne mai sempre sentir desiderio, più che speranze. Se il destino avesse fissate le mie sorti presso il ni- do delle arti, forse l'incessante contemplazione d'in- numerevoli capi d'opera , lo stare in accademia coi dotti, l'operare qualche volta e più spesso mirare ar- tisti di vaglia ad operare, dicea, forse poteva esser- mi di salda scorta sulla diritta carriera della buonis- sima fra le arti buone : ma la mia situazione non comporta tampoco l' immagine di sì felice colloca- mento. Altro dunque non posso ripromettermi fra le spe- ranze di remoto avveiarsi, se non se quella di rive- derla, e fra le lusinghe di più probabile adempirsi il vero piacere di poterle qualche volta comprovare il mio rispetto, la mia riconoscenza; e se la probabilità di questa consolazione potessi calcolarla dalla veemen- za e cordialità con cui me l'auguro, son certo che in questo medesimo istante, ella mi porgerebbe l'am- bita occasione ec. Parma 15 dicembre 1824. Paolo Gazala. Al medesimo. 29. Allorché lessi nell' anno 1 8 1 T i versi sui marmi di Canova, da lei fatti pubblicare co'veneti ti- pi, dovetti confessare che il più scusabile errore del- l'antica gentilità quello si era di credere che il poeta fosse ispirato da celesti invisibili potenze: tanta parte di divino e di subblime mi parve che contenessero que'suoi carmi e quelle sue ode: ed allorché ho letto i quattro libri da lei dettati sulla vita di quell' ini- Lettere inedite 353 mortale scultore pubblicati nel 1824 coi tipi praten- si, mi sono convinto che lo stesso ingegno potesse be- nissimo aggiugnere le mela della perfezione nella poe- sia e nella prosa: benché in generale l'esperienza di- mostri il contrario, e che quelle sole produzioni del- l'umano intelletto che vengono riscaldate dal cuore sono destinate a sopravvivergli. Tutto ciò tornando in sommo onore e lode dell'Italia nostra, io avrei vo- luto congratularmi con lei della patria comune : se non che mancando al mio desiderio il conforto del- l'esempio, ammirai e mi tacqui, aspettando la prima propizia occasione che mi si fosse oiFerta per soddi- sfarlo. Ed ho creduto che fosse giunta quando pub- blicai il Saggio sopra la vita e i dipinti di fra Seba- stiano Luciani^ sopracchiamato del piombo: parendo- mi che mi corresse il debito di offrirlo in omaggio all'illustre segretario di cotesta famigerata accademia di pittura. Quanto nel compilare si fatto opuscolo io mi sia giovato delle altrui fatiche: è facile di rico- noscerlo : di cattivo non vi sarà probabilmente , se non quanto v'annestai di mio. Qualunque egli si fosse, io lo sottometto di buona voglia all'infallibile suo giu- dizio. Se l'Italia non può ora sovrastare alle altre na- zioni con le armi e le leggi, se scemò per essa la for- za dell' opinione o vogliam dire della religione di cui si servì come di leva per muovere il mondo, se non le resta da oltre cinque secoli se non il mite e gentile impero delle buone discipline e delle arti in- genue, nel quale gli altri popoli le sono tributari, tutti i figli ch'essa produce devono a gara concor- rere per conservarglielo in fiore. Que'forti uomini, che recavano enormi massi di pietra per innalzare le piramidi, non sono a mio credere meno beneme- G.A.T.CVII. 23 354 Letteratura riti elei deboli che vi recarono qualche grano d'are- na. Il presentatore di questa mia lettera e dell'opu- scolo è il conte Pagan, fu segretario del veneto se- nato, che brama conoscerla. Ella mi perdoni l'ardire e mi consideri invariabilmente ec. Venezia 4 del 1828. Pietro Biagi. Al medesimo. 30. Ho ricevuto le molte e care vostre lettere, e quello è stato giorno festivo assai per me. Di tutto farò dovizia, e lo vedrete nella prefazione della se- conda edizione, e a molte possibili emende del te- sto. Ho abbracciato Canova, che sono volato a ve- dere nella sua terra nativa. Abbiamo parlato del mo- numentino, e tutto andrà a misura del vostro e suo divisamente. Sarà fatta la trabeazione e zoccolo, vale a dire meglio la cimasa e zoccolo a Venezia; e in- tanto voi dovete pregare il mio Rinaldi a segnare esattamente in un fogliolino il tutto colla scala scru- polosa in piedi veneti, e mandarmelo acciò non si manchi qui nelle proporzioni: e limitiamoci al solo bassorilievo m marmo di seconda qualità, che si vor- rebbe subitamente sapere incominciato. In primo in- gresso avrete cento scudi. Nel corrente del 1823 ne avrete cinquecento. Cosicché non v'è da dubitare che non si possa progredire. Quanto al fissare poi, pren- dete gli opportuni concerti con d'Este, e conducia- mo la cosa per le più brevi possibili, senza di che quest'ottima donna non ha pace. Ecco dunque ciò che vorrei. Che venisse determinato un ristretto prez- z<» coan:)lessivo del marmo ed esecuzione sino alla I Lettere inedite 355 spedizione totale del basso-rilievo , e che spediscasi il disegno: che ogni altra cosa farò io qui eseguire. In tal modo mi dice Canova che tutto deve costar- mi meno, e andrà anche più presto. Ma se d' Este € Missirini non sono ben bene impegnati, non si farà che lentamente. Voi che avete l'ali al nobilissimo in- gegno, d'Este che sa dar moto a tutte le risorse dell' arte, farete progredire la cosa bene. Io mi vi racco- mando per le viscere di Tasso, e di Petrarca, e di Laura, e di Raffaello e di tutto ciò che sta nel pan- teon del vostro cuore, compresovi il sig. Callimaco , che abbraccerete per me, e che deputo mio solleci- tatore. Ringraziate d'Este di avermi mandata quell' iscrizione al busto del mio buon Cancellieri. Quanto ai due ritrattini di Laura, intagliati in quella scem- piaggmo di Padova, sappiate che li hanno fatti a bella posta tra loro somiglianti; ma noi sono, ne il deb- bono essere. Il disegnatore spontaneo me lo confes- so, che non aveva io in capo neppur di cercarMie- ne ragione. Ho lusinga che una mia lettera sul Cennini, la quale finisce col ritratto di Laura, possa piacervi- e la vedrete sull'Antologia presto, che è cosa la quale ho molto studiata, e sono bramosissimo di averne la vostra approvazione. Ma dal Tambroni non verrà aggradita: poco importa. -, Ora sono tutto alla re- visione del primo volume della storia, e ad ogni luo- go, ove credo sostener ciò che ho detto, lo fo senza mai dire che intendo di rispondere alle censure • e dove credo di emendare, lo fo egualmente con fran- chezza e libertà. Ciò riguarda alcune opinioni intor- no a greci ed a'francesi, i due articoli che dettaro- no al sig. Emeric David le sue osservazioni sulla 35G Letteratura Revue enciclopedique, contro 1' opinione di Qiiatre- niere, di Ginguenè e di tutti gli altri estensori ita- liani. — Amatemi , caro Missirini: e quando avete qualche bella cosa da comunicarmi, trascrivetemela, che cos'i mi terrete rinfrescata 1' anima di voi che tanto amo e stimo. Vicenza 19 settembre 1822. Icopoldo Cicognara (1). (1) Questo illustre storico della scultura italiana nacque in Fer- rara il 26 di novembre 1767, morì a Venezia il 5 di marzo 1834. Ol- tre la storia della scultura, che gli procacciò una gran fama, scris- se molte opere intorno le belle arti, per le quali avea grande amore e gusto squisito. Molti scrissero intorno la sua vita: ricorderò i se- guenti. 1. Nelle Vite e ritratti di 30 illustri ferraresi. Bologna, Ut. Zannoli, 1833, in fol. gr. si legge a p. 20S la sua vita preceduta dal ritratto e fac-simile di una lettera. Quest' opera fu scritta dall' av. Giuseppe Petrucci. 2. Elogio del conte Leopoldo Cicognara scritto da Ferdinando Malvica e recitato nell'accademia di scienze e belle lettere di Palermo la sera dei 13 di aprile 1834. Palermo, dalla r. stamperia, 1834, in 8. di pag. 32. Si trova ancora inserito nelle Ef- femeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia fase. 26. 3. Discorso funebre letto nella sala delle riduzioni il giorno undici marzo, VII dalla di lui morte, da Antonio Biedo. Venezia, Picotti^ 1834, in 8 con ritr. di pag. 7. 4. Il marchese Gian Carlo Di Negro pubblicò in Ge- nova, tip. ardi., una canzone in morte del e. Leopoldo Cicognara. 5. Cenni puramente biografici di Alessandro Zanetti. Venezia, Lam- pato, 1834, in 8. gr. di facce 22, con ritr. Furono estratti dal voi. 2 del giornale di belle arti. 6. Nel giornale arcadico tom. 64, p. 233, si legge la biografia scritta da se medesimo e diretta al eh. monsig. C. E. Muzz9relli.7. Finalmente in occasione de'suoi l'uncrali si pub- Idicò un libretto col seguente titolo: « In morte dc-l conte Leopol- do Cicognara collezione di prose e poesie. Ferrara, tip. Pomalelli, 1834, in 8 con tre tavole, di facce 96 ». Lettere inedite 357 Al medesimo. 31. Mi mancarono le forze e le parole nella se- ra dei 12 per scrivervi lo stato del mio cuore cliivi- so dal dolore, né scostarmi d'un solo istante dal let- to dell'amico languente, che nella mattina dei 13 alle ore sette e tre quarti esalò l'ultimo respiro fra i soccorsi dell'amicizia, dell'arte e della religione. La parte, che tu devi prendere in così immensa disgra- zia, mi fa prendere la penna, perchè non da altra ma- no né per altro mezzo tu conosca cosa ha perduto il mondo. Giunse egli malato da Roma, e non ebbe mai più bene per quanti consulti si facessero, e per quanto regime egli usasse per riaversi. Domattina fra il lutto pubblico della città verranno a lui resi gli onori che meglio comporterà. L' accademia, che io presiedo, non si coprirà d'infamia per certo; ed io possederò nel suo seno il cuore del nostro maestro, ed io farò domani una pubblica funzione, e recite- rò r orazione funerale, e aprirò una sottoscrizione europea perchè gli sia eretto un monumento qui do- ve chiuse l'ultimo de'suoi respiri. Non ho più occhi pel pianto, né voce pel dolore, né tempo a dirti di più, oppresso dalle cure che mi piombano per que- ste disposizioni. Pensa ad ess ere il suo biografo. Ad- dio, coU'anima lacerata (*). Venezia 45 ottobre 1822. Leopoldo Cicognara. (') Il personaggio, di cui si annunzia la morte, è il cel. Antonio Canova. 358 Letteratura 1/ medesimo. 32. Riprendo la penna dopo lo sbalordimenJo, acciò pur facciasi eia noi quanto si può servendo ai relijjioso dovere di onorare la memoria di chi ono- ra l'età nostra. Primamente ti dirò d'avere scritto a tulli quanti più so e conosco principi e re e si- gnori mandando e il decreto accademico e l'orazion funerale , che le firme, spero, saranno sì copiose da fare una cosa grandissima, onoratissima. Ti mando alcune module di sottoscrizioni acciò gli stranieri, e in ispecie gl'inglesi, sappiano tutti , che è largo il campo ad onorare il nostro insigne amico. Prendi cura, che cjuesto è il momento, e bisogna far subi- to. Ho scritto all'Aubercorne e alla Devonshire; non so ove siano tante altre, che amarono Canova. Esse daranno gl'impulsi e faranno sortir di terra il dana- ro. Tu sei in Roma: qui non ne mancan mai: onde pensa a valerti della tiia posizione, e fa che da Tor- lonia siano riconosciute le firme, e manda a me la partita che risulterà da queste per poter fare i cal- coli necessaii. Scrivo anche al segretario di stato. — Ciò fatto, occorre, mio caro, assicurarsi che le cose sue siano per dare lauti prefitti, e onorevolmente corrispon- dere alla disposizione da lui data di finire il tempio ad ogni costo. Per tal ragione io ho concertato coU'aba- te (*), che tu devi far la sua vita, e farla bene: e ne farà egli a sue spese due edizioiii, una in 8 per tutti, l'altra in foglio da porre in fronte all'opera delle sue stampe, alle quali io feci già un piccolo testo, che egli (*) É il fratello (lell'insigne scultore, ora vescovo. Lettere inedite 359 vide ed aggradì. Dunque tu che eri l'amico, che hai ■vissuto con lui, che hai avute le sue confidenze, le sue massime, i suoi annedoti , tu devi scrivere da pari tuo la sua vita; e siccome bisogna impedire che al- tri faccia pasticci, così bisogna presto annunciarla, e fare un tratto da brav' uomo, una cosa degna di te con caldo, con verità, con cuore; e farai così esci- re dal velo della storia dell'accademia di s. Luca i suoi canoni dell'arte. L'abate è così persuaso di que- sto, che te ne prega in mio nome: ed io ne sono pienissimo, poiché nessun'altro può meglio di te far- lo , caro mio , anzi nessuno può farlo che non sia Missirini. Ti accludo anche un esemplare della mia orazione estemporanea, che lessi con voce inspirata, e combattuto dal timore di non poter finirla, e re- sestare a metà. Finite le essequie e consegnato il ca- davere imbalsamato al parroco di Possagno dal cor- po capitolare di s. Marco, io me ne impossessai su- bito, e lo fermai facendolo salire nelle scale dell'ac- cademia, ove io lessi l' orazione : e tutto non partì verso la terra nativa, ma restò il cuore in deposito, che vi rimarrà onorato con particolar monumento a nostre sole spese. — Anche la sua destra fu stacca- ta, e tengo in deposito per cederla all'accademia di s. Luca, se la gradirà, se l'abate erede consentirà di darla, se sarà ricevuta ed onorata come conviensi. Altrimenti qui dove nacque e tiensi il cuor suo, ri- marrà anche l'operatrice dei sommi prodigi dell'ar- te. Tutte queste cose devi sapere, e di queste valerti all' opportunità per non proicere idee buone senza che fruttino onore e riconoscenza. Le sue opere saranno o imperfette o avanzate secondo la convenienza dei casi, o la volontà dei com- 360 Letteratura mittenti. Il mio busto deve essere così avanzato, che non voglio neppur dire che non sia fìnito , giacché pochissimo mancava, e il modello era con tal'arte fi- nito , che trattandosi di cosa colossale , spero , non farà torto all'autore. Ciò mi sta a cuore. Il disegna si farà subito , acciò faccia parte delle altre opere nel gran volume. Cosa che egualmente mi tocca l'a- nimo sensibilmente; ogni altra gloria mi par fecciosa a fronte di questa. Tutte queste cose io poi affido al- l'amicizia vostra. Quanto al monumentino poi che tocca l'animo deirotlima mia moglie, già sapete i con- certi presi, e da voi, che dovete anche riscontrar l'ul- tima mia, vorrei sentire che vi sia messa mano. E già il fratello, tornato a Roma, avrà a quest'ora di mio un cento scudi coi quali progredire , o per dir meglio incominciare, contando che in quest'anno ne avrete 500, voglio dire nel 1823. Ma è necessaria l'attività dell' amicizia vostra, senza cui le buone opere divi- sate tutte soffrirebbero rallentamento. Da voi attendo che mi esprimiate le sensazioni di Roma, e cosa si può fare, e le speranze che avete di mandarmi lau- tezza di mezzi per operare in onor suo. Mandate al mio buon vecchio amico Cancellieri un esemplare del- l'orazione, e uno della circolare: la seconda però iste- rilirà, poiché egli non ha modi grandi , ma cono- scerà cosa si è fatto. Avrei io voluto aver forze pro- porzionate : ma poiché non pochi interni dispendi avrò a subire, non ho potuto dare per il momento che trenta voci. Spero che nel banco Torlonia da questi signori raccoglieremo qualche onorevole sot- toscrizione. Dite se è tornata in Roma lady Compton: e in caso, siatele voi cortese delle carte che vi rimet- to. — Io ho vita nell'agitazione fervidissima di pen- Lettere inedite 3G1 sare all'amico. Questo mi conforta: se sono inattivo, mi sento languir di dolore. Vi abbraccio col cuore, e mi ripeto ec. Venezia li 19 ottobre 1822. Leopoldo Cieognara. A Pietro Paoletti pittore. Roma. 33. Io non ho avuto né il disegno di Caniuc- eini, né mai più lettere di Rinaldi. Anzi io vi scon- giuro di vederlo, e dirgli come sta la faccenda , e quanta sia la mia impazienza. Io lo pregai e gli aprii le tracce a poter farmi sollecita la spedizione , ma non ho mai avuto nulla. Spero dunque che fra non molto avrete compiti i due disegni di commissione, e mi piace il trionfo della castità. Cosicché, piena- mente approvati i due soggetti , non vi resta che a portarli a compimento, vista la brevità della vita, e il pericolo delle vicende umane, e tenuta a calcolo anche la mia impazienza: onde io mi raccomando a voi caldamente , e vi prego di non dimenticarvi di me, che possibilmente io voglio cercare di ottenervi buone relazioni. A proposito di che vi accludo una riga per una dama di merito immenso , e di gran distinzione, che è in Roma: e voi troverete la manie- ra di presentarvi a lei, conoscerla e riverirla per me. Quello schizzo di Podesti mandatelo pure anche di- rettamente a me in un rotolino ben condizionato, e consegnato cautamente unito a qualunque cosa vo- stra, se già Rinaldi avesse fatta la spedizione prima, di cui è incaricato. E v' informerete anche da lui se sa nulla di Wicar, di Vernet, di Minardi, di Wo- 362 Letteratura gt, di Eassi, di Agricola e di altri cui scrissi, e al- cuni mi promisero mandarmi qualche ricordo. — La mia salute è sempre quella di un \aletudinario: non sono molto male, ma neppur bene. Il giorno però che mi trovo meglio è sempre quello, in cui ricevo lettere, disegni, antiche stampe, o ricordi degli ami- ci, che mi sono i più cari. Quanto alle stampe antiche, già a Roma non si trova nulla: nondimeno se mai l'azzardo vi facesse conoscere qualche acquistabile carta, ben fresca, di Marc' Antonio o della sua scuola, ovvero degl' inta- gliatori che il precedettero, avvisatemene: che se vi sarà convenienza, e io non l'abbia, l'acquisterò. Ad- dio, mio caro Paoletti. Scrivo al buon Ricci che amo tanto, e mi ripeto sempre ec. Venezia li 'l6 febbraio 1833. Leopoldo Cicognara. (Saranno continuate.) 363 'W M>WLimTM.' Dodici lettere d'illustri rovigini con annotazioni. Rovigo, l. R. sta bilimento nazionale privilegiato di A- Minelli 184S, in 4, di fac- ce 63, con tavola. ■Ja fiorente accademia de'concordi di Rovigo dedica queste lettere al podestà Domenico Angeli, uomo nobilissimo, amantissimo delle patrie glorie, generoso sostenitore della pia casa di ricovero , ed ampliatore della città, avendo fatto sorgere un'intera contrada abbel- lita da nuove fabbriche, ove dianzi rattristavano miseri e diroccati abituri. Dodici sono le lettere, cioè di Lodovico Celio Richiero, di Marino Silvestri, di Antonio Riccobonì, di Gio. Tommaso Minadois, di Michele Richiero , di Barnal>a Riccobonì , di Girolamo Frachetta (due), di Carlo Avanzi, di Girolamo Brusoni, di Vincenzo Bonifacio, e di Giacomo Angeli , alla quale segue la risposta di Camillo Silve- stri. Sì degli scrittori delle lettere^ e sì delle persone alle quali sono dirette o che in esse vengono nominate, si dà un cenno biografico, ed insieme importantissime e peregrine notizie bibliografiche e sto- riche intorno alla gentile città di Rovigo. Il libretto è stampato assai elegantemente, e nulla per certo gli manca per renderlo prezioso. Di questo dobbiamo saper grado agli accademici concordi, ed all'esimio loro presidente sìg. Francesco An- tonio Venezze. Così le accademie possono essere veramente utili. Enrico Castreca Brunetti. 364 Varietà' Lettere inedite di Vincenzo Monti, d'Ippolito Pindemonte , di Luigi Biondi, di Paolo Costa, di Urbano Lampredi, di Tommaso Gar- gano, di Giangherando de Rossi e di altri. 8. Roma tipografia Gi- smondi 1846. (Un voi. di pag. 250.) Hi opera clie abbastanza si raccomanda da se , senza clie noi vi spendiamo intorno molte parole. Solo non vogliamo tacer la lode che meritamente vuol darsi alle eruditissime cure dell' egregio si- gnor dott. Enrico Castreca Brunetti, che n'è l'editore. Quanto mai piace il conversare in queste lettere familiarmente con tanti uomi- ni preclarissimi ! Quanto il saper gì' inlimi loro pensieri, i segreti dell'amicizia, e spesso anche i privati e pubblici affanni ! Quanto il vedere in alcune eoa eleganza sì candida esposte cotante cose della vita civile, le quali ora direbbonsì dai novelli barbari co'più stoma- cosi insieme ed inutili neologismi I Ecco l'intero catalogo degli scrittori, de'quali in questo volu- me abbiamo le lettere : Bandettiui Teresa, Biondi Luigi, Bonaccorsi Alessandro Maria, Borromeo card, san Carlo, Bozzi Tommaso, Ciam- pini Giovanni, Colombo Michele, Configliachi Pietro, Costa Paolo , De Rossi Giangherardo, Fiorentini Vaccari Gioia Giuseppe, Gargallo Tommaso, Grassi Giuseppe, Lampredi Urbano^ Marini Gaetano , Ma- scheroni Lorenzo, Montalto cardinale (poi Sisto V) , Monti Vincen- zo, Monti Perticari Costanza, Nanina Lucia (con due sonetti ) , On- dedei Ignazio, Orsi Gian Gioseffo, Pindemonte Ippolito, Raffaelli An- tinori Anna, Salvini Anton Maria, Savioli Lodovico Vittorio, Schias- si Filippo, Tambroni Giuseppe, Valperga di Caluso Tommaso, Ver- ri Alessandro, Zeno Apostolo. apologia del commendatore Annibal Caro contra Lodovico Castel- vetro. Prima edizione napoletana con annotazioni di Basili» Puoti. 8. Napoli, tipografia e libreria simoniana 1845. (UnvoL di pag. 287.) B ellìssimo lavoro del Puoti , pieno al solito di magistrali e sottili avvertimenti di lingua italiana, e perciò da ben considerarsi soprat- tutto da'giovani che amano di essa lingua conoscei-e le più fine gra- zie ed urbanità. Varietà' 365 L'arte dello scrivere in prosa per esempi e per teoriche, di Basilio Puoti accademico della crusca. Parte prima, del genere narrativo, f'olume terzo. Napoli, tipografia airinsegna di Diogene 1845. (So- no pag. 374.) Abbiamo parlato altra volta di quest'opera insigne, di quest'ope- ra veramente degnissima di un gran retore e di un gran filosofo. Eccone il terzo volume , dove trattasi del genere narrativo, cioò del comporre le vite, della storia, delle cose didascaliche e dei dialoghi. Tutto ragione altissima, tutto fior d'eleganza. Certo la letteratura non ha mai avuto in questa condizione di studi un'opera che possa paragonarsele. Noi la raccomandiamo di nuovo caldissimamente a quanti amano d' imparare a scrivere prima di porsi a scrivere ; a quanti voglion conoscere a fondo la ragione delle lettere, ed il per- chè sapientissimo ( chi non vuol delirare o cianciare ) sono e saran- no sempre grandi ed incomparabili esempi gli scritti della scuola classica. Bellissimo è anche ciò che discorre il Puoti a confutare quella plebe di prosuntuosi, i quali per certe loro baie trascendentali pretendono che né pur la storia debba pili comporsi al modo di Tu- cidide, di Senofonte, di Livio, del Machiavelli, del Guicciardini: ma sì (appena possiamo tenere il riso) pongono in esemplo il Vico nella Scienza 7ìUova, anzi il Montesquieu nella Scienza della legislazione. Queste, queste, secondo la cacala carta de' novelli Yolusi , sono le vere storie che oggi vuole il progresso! Né s'avveggono che anche la scempiaggine, la temerit.'i, la pazzia sono oggi grandemente in pro- gresso ! Bellissimo del pari è ciò che nel trattare del dialogo va l'autore dottissimo qua e là considerando contra certi selvaggi delle lettere ( tal è il vero nome loro ) di uguale burbanza, i quali a no- me pure del progresso gridano che lingua e stile sono cose da non doversi più attendere in una gentile scrittura. Vecchiumi infatti , vecchiumi di quella inetta Grecia, di quella inettissima Roma, anzi di tutta l'universa letteratura de'popoli civili, fino alla beata epoca delle presenti zucche dc'riformatori romantici I 366 Varietà' Saggio di un nuovo commento della commedia di Dante Allighieri , fatto dal P. Giambattista Giuliani C. R- somasco. 8. Genova,dalla tipografia dei fratelli Pagano 1846. (Sono pag. 54.) J.1 P. Giuliani ha preso qui ad interpretar Dante con Dante mede- simo, giovandosi soprattutto delle cose discorse dal poeta altissimo nella Fita nuova e nel Convito. Il che ci è sembrato buon senno del dotto ed egregio somasco, degno confratello ed amico del chiaris- simo P. Ponta : sazi come siamo (e come omai dev'essere Italia) delle tante stranissime vanità che d' ogni parte da cervelli balzani si scri- vono sul poema sacro, che per poco non vuol ridursi a un tessuto di sciarade e di logogrifi. Follia non delle minori di questo secolo : la quale è bene a sperarsi che passi presto, non altrimenti che tante altre che ci hanno fatto ridere. Tliomae Vallauri ad Amadeum Ronchinium parmensem epistola de ara lapidea Saviliani in subalpinis reperta. 8. Augustae taurinorum ex of^cina frattum Favalium 1843 (Sono pag. 7) E eco riscrizione NVMINI . DIA NAE . AVGustae VALERIA . EPI THVSA . MAGna Assai dotta è l'illustrazione che ne fa V esimio prolessor torinese , massimamente pel titolo di Epithusa magna , che la prima volta ap- parisce nellepigrafìa. Caeterum, egli dice , sive marmoris formam spectes, sive anaglyha quae supra memoravi , aram agnosces quam Dianae sacravit Falesia eius antistita, quae epithusa magna graeca- nica voce nominatur a verbo siriSusiv thus adolere. Itaque latine di- ceres: Faleria praeses sacrorum. Numquam antea dearum sacerdotes magnae epithusae titulo decoralas in veterum inscriptionibus memi- ni me legere : ncque hoc verbo èttiSu'™ utuntur gracci primae notae scriptores. Exstat apud Diodorum siculum [Bibl ìiist. Ub. XII, cap. XI) ubi sermo est de discordia inter sibaritas et thurios exorta .... ràf yuvarxaj sffiSu'siv roìc, Ssoì? . . ■ Ad qucm locum monct TFesse- lingius to' ÈffiSùsiv de illis proprie usurpari, qui thus digitis primori- bus ex acerra depromtum in aram iniiciunt. Varietà' 367 Le vite degli eccellenti capitani di Cornelio Nepote volgarizzate da Ferdinando Vercillo. 8. Napoli tipografia della Sibilla 1846. ( Un voi. di pag. 176.) J.1 Vercillo, giovane studiosissimo, proviene dalla grande scuola di Basilio Puoti, e quindi non è a dire con quant' oro di eleganza ita- liana abbia contraccambiato l'oro delle eleganze latine. Il cJie vuoisi stimare il maggiore e più nobile ufficio di un traduttore : sembran- doci ben poca cosa, e propria d'ogni volgar grammatico, il rendere comunque sia il nudo senso delle parole. Per la solenne apertura degli studi nella I e lì. università di Pisa il giorno XI di novembre deWanno 1845, orazione di Giovanni Rosi- ni. 8. Pisa presso i fratelli Nistri 1845 (Sono pag. 18.) <^uale debba essere lo scopo delle accademie letterarie in un secolo di civiltà, ragionamento del dottor G. Ignazio Montanari patrizio lucchese ce. 8. Loreto dalla tipografia dei fratelli Rossi 1846. (Sono pag. 19.) Oe alcuno ci chiedesse quali son oggi i più benemeriti della di- gnità delle lettere italiane, coloro cioè che più virilmente le difen- dono dalla guerra di tanti saltambanchi impudenti del cosi detto progresso: noi risponderemo, che sono il Puoti, il Giordani , lo Strocchi, il Farini, il Parenti, il Gioberti, il Fornaciari, l'Azzocchi ; e meritamente nella eletta schiera porremo gl'illustri professori Ro- sini e Montanari. Perciocché veramente tutti i loro scritti sono a salute delle pericolanti sorti della nostra letteratura: combattono lo spirito di straniero servaggio che intende vituperarle : e gridano centra tante bestemmie che o la temerità, o l'ignoranza, o anche l'an- sia e la cupidità di chi vuole per ogni modo rendersi singolare, non cessa di pronunciare ex cathedra ad abbassamento de'più grandi in- gegni della nazione. E questa orazione e questo ragionamento , che annunziamo, non ismentiscono le altre opere loro, mostrando negli autori i maestri non pur dell'aita ragione, ma dell' unico bello che può degnamente vagheggiarsi da un italiano. Oh 1' Italia è sempre loro non meno sulle labbra che nella mente, la vera, la gentile , la casta Italia, l'eccelsa donna della pudica bellezza , non l'oscena e la meretrice, dietro la quale tanti dissoluti loUcggiano .' 368 Varietà' fila di Giuseppe Felasques palermitano, egregio dipintore, scritta da Agostino Gallo suo amico. 8. Palermo , stamperia D. Baroellona 184S (Sono pag. SI.) VI iuseppe Ungo di Velasco, che poi fece chiamarsi Velasques, na- cque in Palermo il 10 di dicembre 1750, e vi morì il 7 di febbraio 1827. Lavorò molto, specialmente nella Sicilia, dove, secondo il sig. Gallo, fu il primo ad abbattere il cattivo gusto e i vizi del manieri- smo, e ad introdurre quel buono stile che fece poi un bel nome sì a lui, e sì a' suoi scolari Riolo , Patania, La Farina e Patricola. Dili- gente assai è questa vita e quanto alle azioni del Velasques e quanto alle opere sue. Fra le altre cose vi abbiamo a carte 49 notato que- sto passo : « Morto già il Camuccìni in Roma e il Benvenuti in )) Firenze , sommi nell' eleganza de' contorni , i quali esercitavano » un giusto predominio, ben si presagisce che la pittura andrà de- » cadendo. E basta solo riferire il fatto di essere stato esposto alla i> gioventù, in una delle primarie accademie italiane del nudo , a » modello un gobbo, reputandosi da oggi innanzi non più il bello » come scopo dell'imitazione delle arti figurative , ma il vero sol- M tanto, quand'anche abbia parti deformi. E quindi da oggi innanzi )) vedrassi per avventura che saranno fondate accademie di disegno V negli ospedali e ne'gabinetti patologici delle umane mostruosità : M affinchè ogni artista si giovi di queste gemme preziose per le ope- » re sue, che più che i dipinti di Raffaello cominciano a formar 1' )) ammirazione di questo secolo, avido d'ogni specie di novità, ed » arciromantico fino alla follia. » Si rassicuri però il chiarissimo autore: che non essendo molti, grazie al cielo, siffatti pazzi , la pit- tura non andrà per questo a decadere in Italia, dove fioriscono tanti professori di nobilissimo ingegno, i quali , fermi alle grandi teori- che de'supremi maestri del cinquecento, si ridono ugualmente e de' romantici e de'puristi con tutte le ignoranze, le audacie e le reboan- ti e vote parole euganee. Alcuni cenni intorno alla vita di Maddalena Boncompagni principes- sa di Piombino. 8. Roma tipografia delle belle arti 1846. (Sono pag. 11.) Ìli il figliuolo che qui narra la vita e la morte ugualmente sante della madre amatissima. Egregio figliuolo , e degno di tutte le be- Varietà' 369 nedizioni del cielo ! Noi ci rallegriamo dì cuore col signor D. Bai dassare de' principi Boncompagni non solo della sua sì bella pietà e religione, ma anche della sua elegantissima arte di scrivere, la quale ha fatto sì che quest'aureo libretto non possa leggersi se non con molta tenerezza ed ammirazione. De comitio romano, curiis, laniquc tempio, scripsit Th. Mommscn iurisconsultus. S.fiomne 1845. (Sono pag.33con una tavola in rame.) Importantissimo é questo scritto per l'antica topografia romana : e vuol darsi lode all' egregio sig. dottor Mommsen tedesco di tante critiche e diligenti ricerche. Ci è piaciuto il vedere, che anch' egli difenda essere stato il comizio una pubblica piazza, anziché un edi- ficio : perciocché tal fu sempre la nostra opinione fin da quando leg- gevamo in Plinio ( Ep. XI lib. IV ) questo passo che non troviamo nello scritto del signor Mommsen : Praetcrea Celer eques romanus, cui Cornelia obiicebatur, quum in comitio virgis caederetur, in hac voce perstiterat: Quid feci ? Nihil feci. S. B. Sopra una tavola di allegretto Nucci da Fabriano, e $u di allro di- pinto a muro d'innominato autore esistente in Apiro , lettera del conte Severino Servanzi Collio al eh. sig. march. Amico Ricci. San- severino, Ercolano, 1843, in 8 di fac. 12. Xl eh. A con questa lettera descrive un bel trittico trovato nella sagrestia della chiesa de'pp- minori conventuali di Apiro, nel quale è dipinta la Madonna col Bambino e vari santi. Questa tavola venne eseguita da Allegretto l'anno 1366 per commissione di un tal fra Ofl'reduccio di Gualteruccio, secondo che l'artista scrisse in caratte- re nero semigotico nella predella del trono, ove siede la Vergine: Hoc opus fecit fieri frater Ofredutius Gualterutii sub anno domini MCCCLXVI : e nella fa.scia della predella stessa notò il suo nome : Allegrit .... de Fabriano me pinx .... L'altro dipinto, che appartiene (secondo che opina l'A.) a qual- che pittore fabrianese incerto, che fiori tra il XIV e XV secolo, rap- presenta la Madonna della misericordia, che colle braccia distese, te- G.A.T.CVII. 24 370 Varietà' nentlo aperto il suo gran manto, \i accoglie 19 persone di sesso ma- schile a destra, e 22 di sesso femmineo a sinistra. Ne Vestiari e digni- tà sì degli uni e sì delle altre è grandissima varietà. Questo pre- zioso antico dipinto fu deturpato dalle vandaliche mani d' ignoran- tissimi ristoratori. Sia lode all'egregio sig. conte che con questa im- portante lettera ha illustrato due antichi dipinti d' autori piceni , che erano sfuggiti alle indagini del valente scrittore delle memorie sulle arti e sugli artisti piceni, sig. march. Amico Ricci. Enrico Castreca Brunetti Sulle condizioni dell^ agricoltura ravennate, memoria letta alla prima adunanza della società agraria provinciale di Ravenna da Pietro Santucci, segretario della medesima. Ravenna, tipografia del ven. seminario arciv. 1846, in 8, di fac. 23. Lia presente memoria è assai importante per le notizie statistiche e preziose che vi sono: e stimo cosa utile il qui ripeterle, perchè tali studi, sommamente giovevoli al progredimento della civiltà, sia- no diffusi il più che si può. - La superficie del suolo ravennate è di 6J,o52.2.79 ettari. Il primo di gennaio dell'anno 1844 era divisa in 1710 intestazioni così : 1 oltrepassa la cifra di scudi cento mila. 5 quella di SO mila 47 quella di 10 mily 467 quella di mi He Cosicché 520 hanno una cifra non minore di mille scudi 685 poi giungendo alla predetta, Superano quella di 200 scudi 218 inferiori ai 200 scudi, superano i 100 287 infine sono al di sotto di 100 scudi. Queste cifre indicano, che le proprietà sono molto divise. Di tutta la superficie più della metà, cioè 33 mila ettari, appartiene alle due classi censuarie arativo vitato ed arativo nudo , cioè poco più di 23 mila ettari al primo, e poco meno di JO mila al .secondo. La restante è cosi divisa : Varietà' 371 univa ettari — 148. 2. 98 Prato naturale » 3,874. 7. 74 Valle ...» 7,199. 8. 01 Pascolo . . » 11,927. 3. 81 Bosco . .. 4,283. 3. 92 Sterile . . » — 884. 6. 19 28,320. 2. 65 In ogni anno si seminano 43 mila stai di grano (Ij, 33 mila di granturco, e 16 mila di fave, fagiuoli, canape, lini ec. Il lavoro di queste coltivazioni è fatto da 3,100 famiglie di coloni mezzadri, com- poste di 23 mila individui, coll'aiuto di 20 mila buoi. Gli altri 9 mi- la abitanti della campagna ravennate , che non appartengono alla classe de'coloni, servono a coltivare il restante terreno, prati, valli, orti ec., ai lavori delle pubbliche strade, alle arti di prima necessi- tà, ed alcuni eziandio alle risaie. Di tutte queste persone un terzo circa è applicato all'agricoltura, il resto essendo donne , fanciulli, vecchi e malati; cosicché ognuno ha da coltivare 14tornature, e cu- stodire e nutrire circa tre capi di buoi. Questi principali elementi cambiano da un luogo all'altro. Esposte le quali cose, passa a parlare de'foraggi. Soltanto 8 mi- la tornature sono impiegate a produrli: e posto che ogni tornatura ne dia 4 mila libre verde, e 2 mila secco ( ritenendo che una metà verde sia consunta nell'estate), si ha un totale di 16 milioni di libre. Ripartite per i 20 mila buoi, si ha per mesi sei d'inverno libre 800 per capo, ossia lib. 4 il giorno. Che se vogliasi ancora ammettere che il prato grosso o valletta ( mentre il prodotto del prato serve a' cavalli ) dia altre due libre per capo , non sarà mai sufficiente alla nutrizione de'buoi.Da ciò le richieste anche a caro prezzo degli strami, a'quali nell'inverno non bastan le paglie e le stoppie del grano, co- me nell'estate le foglie del formentone, della fava e degli olmi. - 11 fieno prodotto dai prati ascende a 16 milioni di libre , di cui 14,600,000 occorrono, in ragione di libre 25 per capo, pei 1S30 ca valli, non compresi i militari e gli avventizi, che probabilmente con sumano il resto. Non fa quindi maraviglia che i buoi con sì scarso nutrimento sieno magri. Quanto al letame, posto che ogni capo ne dia tre carri, ed ok- (1) Lo staio di Ravenna è = 0,575 dall'ettolitro. 372 Varietà' ooi-rentlo per la discreta concimazione di una tornatura ogni 4 an- ni almeno sei carri, i 60 mila basteranno appena per concimare 10 mila tornature, e le restanti 24,600 rimarranno senza, mentre quel- lo prodotto dai cavalli si adopera per siepi, per piantamenti e simili. La pochezza delle braccia ( non eguale in tutte le ville del territorio ravegnano ) , o meglio la troppa superficie da esse coltivate, non permette la mondezza dei terreni dalle male erbe : il che importa maggior forza nell'uso dell'aratro, e pii\ bisogno di concime. Que- sta mancanza di concimi non è antica, ma ha per origine la coltiva- zione del formentone: mentre il suolo era prima meno depauperato pel breve periodo della vegetazione del guado, della robbia, dell'ani- ce, e del coriandolo ( ora del tutto perduto) : ed era con più esten- sione coltivata la fava, il fagiuolo, il Ben greco ec, ed una parte del terreno lasciavasi in riposo, e più numerose eran le mandre de'buoi e de'cavalli. (Vedi Marco Bussato, Giardino d' agricoltura. Ravenna , 1S73.) L'autore giustamente si scaglia contro il pascolo vago, misera- bile avanzo dell'irruzione de'barbari: e con brevi, sensatissime e cal- de parole ne mostra i gravi danni. Parla quindi della mezzandrìa, e conclude, che se non è il più bel modo di coltivazione, certo nello attuali comuni circostanze è il più economico. Mostra infine co'calcoli, che il colono, non avendo cibo sufficiente, ruba al padrone: sebbene molti furti abbiano per isciaguratissime cagioni il lusso ed il giuoco. Enrico Castrkca Brunetti. Antologia filosofica compilala da Gaetano Gibelli con discorso ed an- notazioni del medesimo. Bologna pei tipi Marsigli in 16 di fac. 298. A monsignor Pellegrino Fari ni , lume di Romagna e rettore dell' università di Bologna, è dedicata dall'editore Filippo Pizzoli questa antologia tra raccolta e dettata dal professor Gibelli. Il quale con quella sua mente avvezza a rischiarare gì' intelletti de'giovani nelle cose di filosofia, ha posto innanzi un suo discorso assai giudizioso ed elegante sopra le leggi psicologiche, dove nota singolarmente che circa l'origine delle idee è forza incominciare dal vero, che egli spone: e fa conoscere che trascorsero al di là i cartesiani, e di qua si tennero i lochiani. Varietà' 373 Eli Ila preso dal Segneri , dal Bartoli , dal Pallavicino , e dal Varchi nella traduzione di Boezio: classici autori, che per lo stile e per la lingua ancora si raccomandono. Ma più si raccomandano per le cose : la partizione delle quali è come segue : I. Teologia naturale, dell'esistenza di Dio, dell'eternità di Dio , dalla divina provvidenza. II. Psicologia, della spiritualità ed immortalità dell'anima umana. III. Della facoltà di conoscere. Quest'ultima parte è la più breve , perchè il saggio autore si propone di scriverne altra volta più distesamente. E senza dubbio una mano di filosofi conta l'Italia prima e dopo delle rinnovate let- tere, i quali meritano essere consultati; alcuni di essi poi ponno es- sere maestri a moltissimi : agli stranieri altresì, che tolgono il buono dai nostri, e ci regalano il peggio loro, con detrimento della ragio- ne e d ella morale. A farne gustare il fiore di alcuni pensatori italia- ni è rivolta la fatica del prof. Gibelli, il quale però ha saputo con note filosofiche ornare tutto il libro di qualità, che i giovani pos- sano avere una idea dello stato della filosofia a' giorni nostri , anche oltremonte : con che ha imitato colui che fatto il giro del globo ti porge innanzi una carta, dove nota il meglio di ciò che bisogna a far conoscere la terra per ogni verso. Noi non possiamo che raccoman- dare ai novelli lo studio di questa antologia , che è veramente una raccolta di fiori si per ciò che è di scienza , come per ciò che è di elocuzione. D. Vaccohni. 0^14885* 375 IIXDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CVII, VOLUMI 519, 320, 521 DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Cialdi, Delle barche a vapore e della navigazione del Tevere ee. {Contin. con 3 tavole in rame). 3 Folchi., Origine delle febbri periodiche in Roma e sua campagna. . . . . » 1 47 Cassa di risparmio in Bagnacavallo . » 163 Chimenz, Descrizione del coccodrillo del ìnuseo di storia naturale in Roma , , » '1 66 Ciccolini., Sulle quattro stelle ricordate da Dante nel primo canto del Purgatorio . . » 181 Corsia Elogio di Lorenzo Mar cucci farmacista.» 199 LETTERATURA Montanari, Volgarizzamento dell'orazione di Ci- cerone per Archia . . . . » 205 Santucci, Sulla grotta di Collepardo e suoi con- torni. Lettera II . .... » 270 Barbacciani Fedeli., Saggio istorico sulla Versi- lia antica e moderna . , . . » 232 Ponta, Su i nuovi studi del prof. Picei intorno la Divina Commedia (Continuazione.) . » 196 Fossati., Sulla rivista archeologica di Parigi. » 286 376 Dilorenzo, Elogio di Francesco Antonio Turriozzi. » 307 Baluffi^ V America un tempo spaymiola ec. To- mo IL ,, 320 Castreca Brunetti, Lettere inedite intorno ad an- tichità e belle arti .... ,» 329 Varietà. IMPRIMATUR Fr. D. Biittaoni 0. P. S. P. A. M. IMPRIMATUR Joseph Canali Patriarcha Constantin. Vicesg. Il tomo antecedente è stato indicato per errore col numero CVJI^ dovendo essere con quello di CVI. X ^s? GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Vof. Sila, 3i5, Zìi. GIORNALE DI SCIEINZE, LETTERE ED ARTI TOMO CVIII LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE 1846 ROMA Tipografìa delle Belle Arti 184G ;€l^M^^ '-"^r Delle barche a vapore, e di alquante proposizioni per rendere più agevole e più sicura la navigazione del Tevere e della sua foce di Fiumicino. Ragio- namento del tenente colonnello della marina militare pontificia Alessandro Cialdi, comandante della ma- rina finanziera , direttore della navigazione a va- pore , commendatore delV ordine di san Silvestro, socio di più accademie ec. (Continuazione e fine.) CAPITOLO IV. DEL DUPLICE SISTEMA DI ESECUZIONE DE' LAVORI NEL TEVERE, E DELLE PROPOSIZIONI DI TASSE CHE POTREBBERO STABILIRSI PER COMPENSARE LE SPESE DEGLI STESSI LAVORI. Melius est duo, quam unum; habent enim emolumentum sncictatis suac Eccles. 1V,9. iV vendo ne' capitoli antecedenti parlato de' diversi lavori occorrenti per migliorare la navigazione del Tevere, stimo pregio dell'opera l'accennare in que- st'ultimo il modo e i mezzi con cui dovrebbero ese- 4 Scienze guirsi i lavori medesimi. Due sono i modi di ese- cuzione de'pubblici lavori: l'opera cioè del governo, o quella delle società. La teorica e la pratica da me osservata altrove si accordano nel dar la preferenza al secondo. E dagli scritti di valenti uomini si rileva, che da lungo tempo non conviene più ai governi d' immi- schiarsi nei lavori pubblici, perchè difficilmente po- trebbero riuscirvi con generale vantaggio, ond'è che l'industria privata sola può caricarsene con successo. Quanto ai mezzi, tutti comprendono che i lavori proposti non potrebbero effettuarsi senza una spesa. Quindi per rinfrancare la spesa medesima sarà neces- sario lo stabilire delle tasse proporzionali. Poiché co- me le vie di comunicazione ravvicinano i prodotti e il consumatore, le materie prime e chi le lavora, così non vi è intrapresa possibile per l'industria senza tasse rimuneratrici. Esse però dovranno stare a ca- rico di quanti ne profittano. E nel nostro Tevere , proporzionandole alle spese di primo impianto e di manutenzione, sarebbero lievi a fronte de'grandi van- taggi che produrrebbero. Perciocché la nuova via di comunicazione ( quantunque sommessa a tariffe) essendo perfezionata , sarebbe pel commercio sotto ogni rapporto la più utile e la più economica. La celerità e la sicurezza è una sorgente di utilità e di economia più copiosa al certo del risparmio di una lai iffa a lungo tempo e a più generazioni , propor- zionale alle spese incontrate pe' lavori. Il tempo è Tasse su' lavori del Tevere 5 danaro , dice il proverbio inglese : lime is money. Dell' utilità non può dubitarsene, perchè il mag- gior commercio derivante dalla navigazione miglio- rata accresce in ogni dove la pubblica e la privata ricchezza. L'economia è pure evidente, perchè le spese del pedaggio e del trasporto sarebbero molto minori di quella che oggi s'incontra nella navigazione del Te- vere. Ed in vero la lentezza, colla quale oggi si com- pie un viaggio dai legni che praticano Fiumicino e il Tevere, passerà un giorno per incredibile o favo- losa. Chi potrà credere infatti che spesso la durata di un viaggio da Civitavecchia a Roma e viceversa (tol- to il tempo necessario alla ricerca del carico di ri- torno ) sia eguale, ed anche maggiore di quella da Civitavecchia al Brasile ? Così la tassa che dovrebbe imporsi ai frontisti sarebbe per essi un reale beneficio , perchè garan- tirebbe loro l'integro possesso de' loro fondi e ne au- menterebbe il valore. Difatti 1' esperienze di tutti i tempi e di tutti i paesi ci attestano che i lavori pro- dottivi^ o sia utili, fanno salire il prezzo delle terre li- mitrofe ai fiumi ad una somma maggiore di quella spesa per gli stessi lavori (a). Quindi è che i proposti lavori produrrebbero de'beni reali al commercio ed all'industria manifat- (o) Mémoires sur les trovaux publics. Par M. 1. Cordier, député du Jura, inspecteur divisionnaire des ponts et chaussées e te. Paris 1841. Quatrième mémoire, pag. 211. 6 Scienze iLuieia ed agjicola, non solo dopo il loro compimen- to, ma anche durante la loro esecuzione. Senza dubbio essi aumenterebbero la consuma- zione risultante dall'agiatezza che la sola mano d'o- pera spandeiebbe subito nella classe degli operai. Questa darebbe una migliore educazione ai suoi fi- gli, sarebbe meglio \estita, meglio alloggiata e me- glio nutrita. Compiuto il lavoro, non potrebbe man- care l'aumento di prosperità in tutte le classi della società, per l'uso di questa nuova opera di utilità pub- blica. Da essa nascerebbe l'incremento di valore delle proprietà fondiarie; la diminuzione delle spese di ma- nutenzione delle strade corriere o provinciali; in una parola un gran numero di economie oggi impossi- bili , ed un aumento di contribuzioni a favore del governo estranee all'esazioni attuali. È incontrastabile in fatti che i lavori produttivi siano la principale cau- sa dell'agiatezza delle famiglie, della prosperità, della grandezza e forza de'governi, e che fra i lavori stessi quelli da me proposti, cioè per le vie di acque na- turali, rendendole in buono stato da offrire alle bar- che un fondo sufficiente, la vincono sotto il rapporto del buon mercato su tutte le altre pel trasporto dei viaggiatori, e l'eguagliano colle più economiche per quello delle merci, quante volte vi domini la navi- gazione a vapore. Questa declupa l'utilità de'fiumi , fornendo il mezzo di farli servire con gian vantag- gio in discesa come in limonta : per essa si verifica Tasse su' lavori del Tevere 7 che i fiumi sono strade che camminano^ le quali por- tano ove sì vuole andare (a). Qui si aprirebbe un largo campo per dimostrare ampiamente queste verità; ma lascio agli economisti cotesta vasta ed interessante materia, limitandomi ad accennarla nei seguenti articoli: 1 ." Sul duplice sistema di esecuzione de' lavori del Tevere. 2." Sul diritto di stabilire delle tasse pe' lavori proposti. 3." Sulla differenza che dovrebbe essere nelle dette tasse per incoraggiare la bandiera nazionale. (a) Cours d'economie politique. Par M. Michel Chevalier. Paris ao. 1842-1843. Premier legon. Scienze ARTICOLO I. SUL DCPtICE SISTEMA DI ESECUZIONE DEI LAVORI NEL TEVERE. I n due modi potrebbero eseguirsi i lavori ed esi- jjersi le tasse, di cui si è parlato ; cioè o per mez- zo de' ministri del governo, o per mezzo di quelli di una società di azionisti. Dietro gli esempi da me osservati in altri Stati in tutto ciò che concerne i grandi lavori di pubblica utilità, sembra da preferirsi quest'ultimo, perchè esime lo stato da qualunque re- missione nelle spese de'lavori proposti, e perchè è il più idoneo a promuovere, a perfezionare ed a mante- nere i lavori stessi. Facile ne è la dimostrazione, come si scorgerà dalle seguenti riflessioni. In que' paesi da me or or visitati, lo spirito di associazione è in- valso in ogni uomo, ed il felice successo delle intra- prese eseguite con questo mezzo dai tempi di Enri- co IV, Luigi XIII e Luigi XIV sino ad oggi, con- ferma la loro prevenzione. Essi ritengono che le as- sociazioni valgano a conciliare i loro interessi e dia- no lor forza di portare ad utile termine qualunque intrapresa; che favoriscano eminentemente l'industria, la intelligenza individuale per la necessità di essere confidate al sapere, ai talenti di quegli uomini che soli possono renderle prospere; che col loro mezzo si stabilisce fra le intraprese rivali una emulazione che incessantemente eccita il bisogno di perfezionamento, Tasse su' lavori del Tevere 9 e pone in azione tutte le industrie; e che infine ten- dano a regolare i costumi pubblici e le virtù indi- spensabili ad ognuno. L'interesse delle compagnie è quindi in perfetta armonia con quello del pubblico. Dai trattatisti di grandi opere pubbliche si rile- va, che im vasto e potente governo eseguisce lenta- mente, con lusso e con molte spese; che esso non può né finire né mantenere né scegliere a proposito le disposizioni generali e particolari de'progetti. Quindi le intraprese utili ed anche indispensabili divengo- no nelle sue mani rovinose ed infauste (a). Per l'espe- (rt) Ecco come si esprime su qiiest'oggcUo il benemerito baro- ne Carlo Dupin. Le simple bon sens nous muntile qu'en intéressant un grand nombre de fortunes et d'existences, à l'exécution des travaux d'utilité publique, les efforts réunis d'une foìde de particvUers doivent produire des résultats supérieurs à Vaciion isolée de Vadministration la plus puissante et la plus riche. Un gouvernement a des besoins si nombreux et si dit^ers; il a tant de pertes à réparer durant la paix , tant de sacrifices à (aire en tout autre temps ; il est si vivement sol- licité d''accroUre les dépenses qui se rapportcnt à des intéréts persoti- nels, que toujours il inrline à relrancher sur les justes dépenses con- sacrées aux intércts matcriels, qui ne sauraieìit se défendre par eux- mèmes. De telles causcs ont étc plus puissantes en France qu'en toute auire contrée. De là ce grand nombre de travaux publics , commen- cés sous un règne, abandonnés sous le suivant; cntrepris par un mini- stère, et détruits par le ministère élevé sur les ruines de Vadministra- tion précédente. Mais, quand des ciloyens trouvent leur avantage in- dividuel, à créer, à soigner, à perpétuer des travaux qui rapportent d\mtant plus qu'il soni d\ne utilité plus étcndue et plus constante, le bien general a pour garantie la plus durable des passions humaines, f amour de soi; et ce bien general est servi dans tous les temps, dans louies les cìrcostanccs, en guerre comme en paix, et dans la penurie aussi bien que dans Caisancc du trésor national. Op. cit. T. V. p. 76. 10 Scienze rienze de'secoli non si può dunque sperare alcun'av- venire di prosperità in un paese ove le associazioni non hanno esclusivamente le intraprese de'grandi la- vori (a). Per questi vm governo è condotto a domandare all'intero suo regno più delle spese ordinarie ed esige- re il pagamento di tutto il capitale impiegatovi an- nualmente. Esso è dunque obbligato di aumentare le imposte, i mezzi di rigore, il numero degli esattori, il numero de'soldati per sostenerli e per tenere in ri- spetto i malcontenti. Per questa progressione sempre crescente di pesi, di soldati e di malcontenti, un go- verno troverà miglior partito in fare eseguire i detti lavori dalle società. Oltre che le opere eseguite dalle compagnie han- no fatto un'eccellente riuscita. Difatti un fiume, un canale, non saprebbesi meglio amministrare che dai proprietari interessati a non mai interrompere la na- vigazione, sempre pronti , pel loro interesse e pel credito loro, a riparare sull'istante gl'imprevisti ac- cidenti senza essere soggetti a praticare veruna for- malità; laddove un' amministrazione governativa dì sua natura variabile, non sempre composta di esper- te persone, deve cagionare de' ritardi e delle negli- genze nell'ordinare le riparazioni urgenti, e può fa- cilmente causare de' danni, e sovente l' interruzione dell'uso utile del fiume o del canale. (a) CorJier, opera citata. Troisième mémoire, pag. 171. Tasse su' lavori del Tevere 1 1 Questi fatti hanno indotto il ripetuto ingegnere e deputato Cordier a concludere che « Quaranta se- coli attestano che le spese di grandi opere intraprese dai governi, prelevate in totalità sopra la presente ge- nerazione, hanno causato sovente la rovina de'popoli, la loro servitù, delle invasioni o delle rivoluzioni, ed hanno strascinata la caduta delle dinastie e degli im- peri. Al contrario i lavori pubblici confidati esclu- sivamente alle associazioni nazionali contribuiscono e rendono i popoli ricchi , i governi immutabili, ed i sovrani gloriosi. » Le seguenti tre tavole ci presentano una rapida ma sufficiente storia delle principali opere eseguite dai governi e dalle compagnie e confermano i prin- clpii accennati, (a) («) Corjier, opera citata. Quatrième mémoire, pag. 177 e 181. TAVOLA I DURATA DELLE DINASTIE K DELLA SORTE DE'POPOLI IN Q«E6LI STATI OYB 1 SOYR^ TAVOLA I. ^^^^^;^^^l ^^^^^,^^ DB'GRANDl CANAL. E De'MONCMENT. DI ARCHITETTURA. . DATE a M < SS" a g 3 o a « K s IISDICAZIOISE DE' SOVRANI E DE' GRANDI LAVORI ESEGUITL Avvenire degf imperi e de' popoli /L'imperatore Cliihoam-ti, il 4.o dei sei irape- ratori della dinastia de grandi Tsin, lece co- struire la grande muraglia della Cina. Egli fece ardere tutti i libri degli storici Cina {L'imperatore Yang-ti, della 5.» dinastia, ese- \ i guì e riparò 600 leghe di canale ; fu chia- > 1 malo Sardanapalo pel suo lusso ; ^L'imperatore Cohila-can fece eseguire il gran- de canale imperiale , ISardanapalo fece delle grandi spese in mo- ^ [Assiria J j^^^^g^ti j; lusso in Babilonia: egli fu scac- , ciato, assediato, e si bruciò sopra un rogo |e Bari LONIA ÌNabuccodonosor il grande eseguì il canale rea le e i monumenti di Babilonia I Necos intraprende il canale de're; centoven- bciTTOj^ timila operai vi perirono Gbecia RouA \ Pericle costruisce i monumenti di Atene , dà ) occasione alla guerra del Peloponneso, ed j alla ruina della città. Egli viene condanna- [ to all'ammenda e suo figlio a morte Nerone brucia Roma, e la riedifica in palazzi di marmi: egli è costretto ad uccidersi F,„„««Ì Cosimo 11 de' Medici costruisce i palazzi di ) IbiRBNZE pjj,gjj^p^ e ruina lo stato ) r Luigi XIV costruisce Versaglia, gl'invalidi, le ) ^g^j | ^^^^ fortezze nel Belgio ec ) iLuipi XVI ordina i lavori di Scerborgo , santa Genoeffa , i canali di Borgogna, di Piccardia, i ponti di lusso, ed aumenta le imposte [Napoleone continua il Louvre , i lavori di Scerborgo , i canali: intraprende molti mo- numenti; si aliena le popolazioni per le im- j poste Belgio i Gurlielmo spende 30 milioni di scudi in la- J ^g^g jggo i vori di fortificazioni, e 11 miliom incanali. ) 13 IVVOLA IL RICAPITOLAZIONE E STATO ATTUALE DE'GRANDI LAVORI INTRAPRESI DA CONQUISTATORI,© DA GRANDI SOVRANI: Cina Assiria Egitto iNoMI degl' IPERl O DEGLI STATI INDICAZIONE DEI GRANDI LAVORI INDICAZIONE DE'SOVRANI CHE HANNO INTRAPRESO I LAVORI STATO ATTUALE DB* LAVORI Grande canale imperiale. Fiume reale. Il canale imperiale ristaurato all' innalzamento di un gran prin- cipe, trascurato nel tempo del- le turbolenze, è f Aperto da Nabuccodonosor, sca- ] vato di nuovo da Alessandro , imperfetto e male conservato colmato Grecia Traiano, Severo, Giuliano, è. Canale de' re 1 Intrapreso da Sesostri , Necos , ) ,^.^ ] Traiano, Omar, è j colmato r Cominciato da Traiano, intrapre- \ I so da Anastasio, Alessio, Cora- > colmato ( neno, Baiazet è j Canale del monte Athos j Intrapreso da Serse il grande è... } colmato . Canale dell' istmo del monte ) Cominciato da Alessandro il pran- ) . Mimas > (le è ( colmato Canale di Corinto. r Ordinato da Periandro, intrapre- \ non terminato ' so da Demetrio, Nerone, Ero- ' de, Attico, è Cominciato da Carlo Magno è ì °°° terminato " ' e colmato abbozzato ) colmato ■hsMAGNA Canale dal Reno al Danubio, j Cominciato da Carlo Magno è { /Canale imperiale di Navarra I Cominciato da Carlo V è I "PPAGNA « » e colmato Canale reale di Murcia { Cominciato da Carlo III è { non terminato Canali di Borgogna , Picar- ) Cominciati da Luigi XV , conti- / . . I dia , del Nivernese, di [ nuati da Luigi XVI e da Na- "^° terminati Bretagna ec ; uoleone ) ""<* ^' 1822 BANCIAS V (1) i e Cominciati da Luigi XFV , con- \ ^1 porti dì Cette e Scerborgo. tinuati da Luigi XV, da Luigi non terminati ^— { XVI e da Napoleone. .„™^*^ ^'""T'' "•"" ^''"'^ ''^'' ° """ saranno terminati che coli' intervenzione delle pS? perch^Tr'' "" ""' ""'^""°" '' ^P^^^ ^' --"tenzione e di primo Im- pianto, perche . lavori si sono eseguiti in pietre da taglio, e con un lusso ruinoso. 14 TAVOLA III. SITUAZIONE de' primi canali intrapresi DALLE COMPAGNIE E DALLE CITTA' PROPRIETARIE. DATE DELLE CON-| CESSIONI i638 INDICAZIONI DE'CANALI E DK' CONCESSIONARI indicazione de' CANALI 1666 1679 Canale cliBriare. I primi concessionari, sempiici appaltatori, si sono impa- rentati in seguito colle prime fami- glie della Francia Canale di Linguadoca. Riquet è il cep- po della famiglia de'Caraman con- te, duca e principe Il bisavolo del re de' Canale d'Orleans, francesi 1758 Canale de Givors. Zaccaria orologiaro ) concessionario e i suoi associati l'^fiO I hanno incassato per anno una ren- ^ dita eguale al capitale impiegato. ( Canale di Bridgewater. Il duca ha fatto I molti canali di diramazione . Canali d'Inghilterra. Cento canali ap- olli ^789 i partengono a compagnie e sono al 1841 I sempre perfezionati e resi mol- ^ lo produttivi ' Canali delle Fiandre e dell'Olanda. Ap- partengono alle città e sono sem- pre in uno stato perfetto dal 1480 al 1841 Perfettamente mantenuto Perfettamente mantenuto Perfettamente mantenuto Perfettamente mantenuto Perfettamente mantenuti Mantenuti in grado di perfezionamento Manutenzione esemplare dal al Migliorazione annuale Canali degli Stati-Uniti. Appartengono tutti a degli Stati o a delle compa- 1800 ) ie^ eseguite con un lusso di e- 1840 ^ conomia, sono perfezionati di an- no in anno. NOTA. La popolazione e i capitali fondiari e •"ol^'^'";;/*;?;! le rive dTquesti^canali hanno raddoppiato in un periodo d. ven ti anni. Tasse su' lavori del Tevere 15 Secondo lo spirito de' trattatisti di economìa do- vrebbe in ogni opera pubblica diretta alla comune uti- lità, eseguita da un sovrano, ripetersi il rimprovero che r imperatore Giustiniano fece alla sua moglie Teodora, interessata in una speculazione commercia- le; egli fece bruciare la barca che portava le mer- canzie, e le disse: « Io sono imperatore , e voi mi fate pavone di galera. Se voi commerciate, come il popolo potrà vivere e pagare le tasse ? » È altrettanto vero però che il governo deve ave- re parte in queste intraprese (a) ; oltre che esso deve incoraggiarle, proteggerle e onorarle, allorché presentano tutte le garanzìe desiderabili (6). Un' in- trapresa quantunque utile e produttiva non può man- care di ferire degl'interessi privati e potenti: anzi più sono numerosi i vantaggi, più sono forti le opposi- zioni; quindi un' alleanza perfetta fra il governo e r industria è indispensabile e non può mancare di avere i risultati più soddisfacenti pel paese. L'interes- se delle compagnie è dunque strettamente legato all'interesse del governo e del popolo. Esso promuo- ve in tempo di pace la ricchezza e la tranquillità (a) Cours d'economie politique fait au collège de France, par M. Michel Chevalier. De 1842-1843. Deuxième le(on. (ft) In aprile del 1839 Timperatore d'Austria ha innalzato alla dignità di conte dell'impero il sig. baron Sina banchiere di Vienna^ il quale ha tanto meritato dall' industria nazionale pe' grandi stabi- limenti di manifatture , e vie di comunicazioni di cui esso è il fon- datore. Bartholony, appendice a l' écrit du mcilleur sy stèrne a ado- pter pour l'exccution des travaux publics eie. Paris 1839, pag. XII. 16 Scienze delle Provincie ; quindi una diminuzione di esercito pel governo : in tempo di guerra crea un esercito di benaffetti cittadini, pronti a qualunque sforzo per sostenere il governo e difendere le loro proprietà. Ecco come si procede nelle opere pubbliche in Inghilterra. Allorché un'intrapresa di utilità pubbli- ca, per esempio la canalizzazione di un fiume, la co- struzione di un canale, di una strada ferrata, trapassa più poderi, i proprietari e capitalisti, che ne hanno concepito il piano, fanno conoscere al pubblico per mezzo de' giornali lo scopo della loro intrapresa, e lo prevengono che una tale sottoscrizione sarà aperta in tal giorno, in tal albergo, oppure da tale banchie- re. La lista si riempie in poco tempo, qualunque ne sia il capitale domandato, quando il lavoro è giu- dicato vantaggioso. D'allora i soscrittori sono consi- derati come proprietari dell'intrapresa progettata. Gli azionisti depositano tutto o parte dell' am- montare della loro sottoscrizione, nominano un inge- gnere per distendere i progetti , e de' comitati per rappresentare la società e sostenere la dimanda di concessione dal parlamento. L'ingegnere traccia la linea, redige la carta, in- dica sul piano di esecuzione i nomi de'proprietari, e gli fa sottoscrivere sopra degli stati la loro annuenza o i loro rifiuti. I proprietari così avvertiti fanno la loro rappresentanza al parlamento quando credono che l'intrapresa non sia nociva. Il parlamento, avendo ricevuto le domande e i Tasse su' lavori del Tevere i 7 progetti, nomina un comitato incaricato di prendere cognizione de'particolari de'Iavori e di tutti i docu- menti dati. Questo comitato fa venire i testimoni , mette in confronto gli autori e difensori de'progetti, i contrari a questi e i loro avvocati ; la discussio- ne stabilita si prolunga fintantoché non sia decifrata. Intanto le parti avversarie compilano delle me- morie che distribuiscono, chiamano degli uomini più celebri per la loro esperienza e capacità, e cercano a convincere il maggior numero de'membri, intorno al- la bontà della loro causa. Allorché il comitato ha dato il suo consenso al- l'intrapresa, dopo che il progetto legalizzato ha subi- to tutte le modificazioni giudicate necessarie, un mem- bro del parlamento fa ad intervalli le tre letture del bill che viene discusso in comitato generale. Il bill adottato viene inviato alla sezione della camera de'pari ed al re : approvato da essi l'atto del parlamento diviene legge dello stato. Nel termine di tre mesi tutte le formalità sono esaurite e i lavori sono incominciati. Le lunghe ed esaminate discussioni, che hanno luogo nel comitato o delegazione ove gli uo- mini speciali i più abili d'Inghilterra sono chiamati a prendere parte; quelle che si stabiliscono nel par- lamento; obbligano i membri a studiare o dentro o fuori del regno i lavori e le questioni che devono giudicare, e formano col tempo uomini di stato di una gran capacità. Quest'impegno importante de'membri occupa una G. A T.C Vili. 2 18 Scienze grande parte della seduta. Non essendo le assemblee de'comitati pubbliche, e non facendone parola i gior- nali, si suppone a torto che il parlamento d'Inghil- terra non si riunisca che per la forma. Nelle assem- blee generali il parlamento . ben informato departi- colari, non esamina più gli articoli compilati con di- ligenza nelle delegazioni , ma decide prò o contra l'approrazione del bill presentato. Il parlamento inglese senza dubbio amministra; ma esso solo può amministrai-e con tanto lume e in- dipendenza. Il sovrano non ha egli più soddisfazione di assicurare la prosperità del paese con Tintervento del parlamento , che di riservare V amministrazione ad agenti nmnerosi. indifferenti del successo, spesso dominati da passioni o da interessi di specialità. Questo intervento del parlamento è una neces- sità del governo rappresentativo. In quanto alle tarifie esso ha per principio di la>ciaie una gran latitudine. Egli è convinto che la mighor taiiiìa è quella che chiama più trasporti: quin- cU è nellinteresse della società il ricercarla- (a) (a) Per più estese notizie, e pe'confronti di quanto praticasi in altri regni , vedi 1" opera citata del barone Carlo Dupin sulla Gran Bretagna. T. I. foies publiques. Quella dellispettor de'porti ed argini Cordier, De fa nécesfité d'eneourager Ics asson'atiom et de Ics appcler à l'e^émiìon de traraux pMbìirf et. Parigi 1830. Quella di Bartholony, Du meUimr fyftèate à adopter povr l'e,T(cution dtì tra- ravx publics. Parigi 1838, e l'appendice a questo scritto pubblicato nel 1839. Quella di M. Clievalier, già citata e Taltra dello stesse au- tore, Dfs ih'èrtt* mattrieh em FYance. Travanx publics. Paris 1838. Tasse su' lavori del Tevere 19 ARTICOLO II. SIL DIRITTO DI STABILIRE DELLE TASSE PEI LATORI PROPOSTI. -Ci massima {generale che le spese dei pubblici lavori devono pajjarsi da coloro che ne fruiscono, giusta la regola di diritto la*quale insegna. Essere conforme alV equità naturale che quegli, il quale ha i vantaggi di qualche cosa, ne porti anche gli svantaggi (a). Il celebre economista Adamo Smith conferma la massima accennata nel!' applicarla al diritto di tassa relativa alle pubbliche strade, fiumi navigabili, ponti, canali ed altre opere simili, e così si esprime: « Far pagare le strade, i ponti, i fiumi, i canali ec. col com- mercio stesso che si esercita in essi, è il mezzo piii giusto per giungere alla costruzione ed al manteni- mento di siffatte opere : poiché il pedaggio non au- menta tanto il prezzo delle merci, quanto il buon mer- cato del trasporto le fa abbassare ; la persona infine che paga questa tassa guadagna adunque, nell'applica- zione che se ne fa, piti di quello che la medesima non perde nel pagarla » (6). (o) Leg. 10 Digesto delle regole di diritto. (b) liecherches sur la nature et les causes de la richesse des m- tions. Traduzione del conte Germano Garnier , riveduta e corretta dal sig.Blanqui,coi commentari di Buchanan,G. Garnier, Mac Culioch, Malthus, I. Mill, Ricardo, Sismondi, accresciuta di note inedite di G. B. Say. Parigi 1843. T. II, pag. S77. 20 Scienze Onde ne segue che lo stato, o chi per esso, elee rinfrancarsi del costo de'lavori da eseguirsi nel Te- vere collo stabilire delle tasse a carico di tutti quelli che ne traggono vantaggio, proporzionandole all'uti- le rispettivo. Quindi è chiaro che a siffatte tasse proporzionali devono sottoporsi tutti quelli che approdano nel porto di rifugio, nella foce del Tevere, o sia a Fiumicino, o navigano il detto fiume, o vi fanno commercio, o ritengono le terre adiacenti alle sue ripe, in ragione delle sicurezze e comodità garantite a ciascuno di loro dai nuovi lavori. Nel sistema presente vi sono de'possidenti delle terre limitrofe al Tevere, che fanno de'lavori lungo le ripe, e degli altri che lasciano al fiume tutta quel- la libertà che l'indole sua si prende. Tanto dell'una quanto dell' altra pratica è facile scorgere i difetti , oltre che entrambe sono di danno agli interessi de' proprietari stessi. La prima non può mancar di essere viziosa, per- chè non parte da un principio generale di sistema- zione^ e perchè tende a difendere le proprie terre, non curando di conservare quelle degli altri, e molto meno il più conveniente varco alla navigazione, come ho accennato nel 2." capitolo articolo III. L' espe- rienza giornaliera nel Tevere ci fa sicuri dell'espo- ste e dannose conseguenze. La seconda non è meno difettosa delia prima, per- chè è basata sull'abbandono, e tende così alla distra- Tasse su' lavori del Tevere 21 «ione generale. Più, osserverò col già lodato Chiesa: « Essersi alcerto allungato il corso del Tevere per conto delle corrosioni alle ripe, per difendere le quali trascurano i possidenti que'ripari, che sogliono usarsi per impedire questi disordini (a): » e di quanto pre- giudizio sia l'allungamento del nostro sbocco in ma- re, credo di averlo dimostrato abbastanza in diversi punti del capitolo terzo. Dunque il sistema presente è sotto ogni rapporto il più dispendioso o dannoso pe'proprietari , il più nocivo alla navigazione ed al- l'indole del fiume. Il proposto temperamento a me sembra pertanto preferibile per tutti all'attuale sistema. «Il principio economico, dice Cordier (6), di far pagare i lavori da quelli che ne profittano, è stato stabilito e consagrato dagli editti di Enrico IV e de' suoi successori durante il XVII secolo. Egli è ora ammesso come una massima e una legge generale in tutti gli stati ben diretti. Il merito, o per meglio di- re la gloria legislativa della invenzione di questo si- stema, appartiene ad Enrico IV ed a Sully ». La equità di questo principio è infatti ora ri- conosciuta da tutti i governi, ed anche dal nostro. Non è però vero altrimenti che sia stato inventato dai francesi: ma senza ricercarlo nell'antichità, la glo- ria ne è tutta italiana. Diciotto anni innanzi che re- gnasse Enrico IV il nostro filosofo Andrea Bacci pro- clamava questa massima in una sua opera che tratta (a) Opera citata pag. 26: edizione di Roma 1746. (6) Mémoires sur les travaux publies. Paris 1841 pag. 79 e 80. 22 Scienze Del Tevere^ stampata in A'^enezia per Aldo nel 1 576 alla pag. 271 lib. Ili, ed altri scrittori italiani con- tinuarono a promuoverla, come può vedersi nel Bo- nini, Il Tevere incatenato , edizione di Roma 1 663 , lib. VI, cap. V, pag. 399; nelle memorie di S. Non- noso abate di Soratte, pubblicale da Antonio degli Effetti in Roma 1675, parte II, pag. 236, e nel Tevere navigato e navigabile di Leone Pascoli pag. 70 della edizione romana del 1740, nell'anno cioè in cui Smith, nato nel 1723, entrava nel collegio di Oxford (a). L'esempio costante adunque di tutte le nazioni illustra la massima anzidetta, e ne dimostra la uti- lità. Difatti ne' miei diversi viaggi ho avuto occa- sione di rimarcare che ne'paesi , ove si è praticato il citato sistema di contributo, ne è risultato il gran vantaggio di avere sempre proporzionati i lavori ai [a] Perlo sviluppo di questo giusto principio vedi ancora, ol- tre alle nostre opere italiane, Grangez, Traile de la perccption des droit de navigation et de péage sur les fleuves , rivicres et canaux navigables ou (lottables en trains ec Paris 1840. Adamo Smith, Opera citata. Pillet Will, De la dèpcnse et du produit des canaux ec. Paris, 1837. Dutens, Ilistoire de la navigation interieure de la France. Paris 1829. Pablo De Pebrer, Histoire financierc et statistique generale de Vempire britannique traduit par lacobi. Paris 1839. Bartliolony, Du meilleur systéme a adopter pour Véxéculion des travaux publics ec. Paris 1839. Audiffret, Systéme finaiìcier de la France. Paris 1840. Le diverse memorie di Cordier di giìi citate, e l'altra sua opera Jli- stoire de la navigation interieure ec. Paris 1829, e massime T intro- duzione a quest'opera. Tasse su' lavori del Tevere 23 bisogni, e le spese effettive alle presunte rendite. Per migliore tariffa è stata prescelta quella che richia- mava maggiori trasporti. Si è bandito il lusso e la superfluità. La utilità pubblica soltanto è divenuta la regola de'progetti, e la progressiva loro grandezza ha oltrepassato ogni speranza. Nell'Inghilterra e nella Scozia i magnifici lavo- ri marittimi e fluviali per prode o calate, scogliere, canalizzazioni, bacini e doccili di Londra, di Liver- pool, di Hull, di Leith, di Dublino, di Glascow ec. so- no stati pagati dalla marina mercantile di quei porti, e dai frontisti di quei territorii, col mezzo di una tassa proporzionale stabilita sopra i bastimenti e sopra le terre adiacenti. In Francia nei porti di Havre, Bou- logne. Bordeaux, e a la Rochelle si pratica lo stesso. E tanto in quei regni, quanto in Francia, si è ri- levato che aumentando i diritti di navigazione sopra i fiumi per pagare i lavori di perfezionamento, si di- minuisce il prezzo del nolo in ragione della più breve durata , e delle più tenui spese di navigazione. In molti luoghi il nolo è disceso al terzo, e la durata del viaggio al sesto. Ecco il motivo per cui le spese di trasporto sono minori nel Tamigi che ne'fiumi della Francia, benché le tasse di navigazi one sieno sei volte maggiori in quello che in questi. La più celere e re- golare circolazione è bastevole a produrre cotesto ef- fetto. Lo stesso accade nelle strade : si paga, ma si giunge rapidamente, senza pericoli e senza fatica (a). (a) Cordier, Troisieme mémoire sur les projets pour la jonction de la Marne à la Scine. Paris 1829, pag. 37 e 171. 24 Scienze Ed in proposito delle strade mi sia permesso l'osservare, che nell'agro romano e nelle limitrofe pro- vincie si sono aumentate le cure per le medesime, ma si sono diminuite assaissimo quelle non meno neces- sarie e più utili della navigazione interna. Le strade corriere, quelle provinciali e comunali sono stale in questi ultimi anni molto migliorate; ma l'aumentata circolazione delle vetture e de'carri anche più gra- vemente caricati, il maggior numero de' viaggiatori, che il genio ed il bisogno del secolo tiene in mo- vimento, rendono necessario un maggior numero di vie di comunicazione e molto più agiate delle pre- senti, quindi una spesa di manutenzione che supe- rerà il prodotto della tassa strade (a). La sola navi- gazione, dirò coi chiari ingegneri Cordier e Brisson , rendendo i trasporti più economici, permette di ri- scuotere de 'pedaggi, i cui prodotti coprono le spese di manutenzione e rimborsano in tutto o in parte quelle di prima costruzione (6). Ed in verun paese si possiede un clima più proprio del nostro, perchè la navigazione interna possa essere praticabile , lu- (o) Qualunque grado di perfezione si dia alle strade aujourd'hui, gràce au bateau à vapeur , les rivières défient toutes les routes de terre, macadamisées ou pavées, et c'est à peine si elles baissent pa- villon devant le chemins de fer eux-mémes. M. Chevalier , Intéréts matériels cit. pag. 185. (b) Cordier, Troisième mémoire sur les projets présentés pour la jonction de la Marne a la Scine ce. Paris 1829, pag. 108. Brisson, Essai sur le système general de la navigation intérieure de la Fran- ce pagina 3, Paris 1829. Tasse sl' lavori del Tevere 25 erosa ili ogni stagione ed un modello perfetto in arte ed in amministrazione. Quindi con una tal naviga- zione il pubblico ed il governo guadagnerebbero, e le strade sarebbero meno danneggiate dalle ruote, le quali profittano del dispregio in cui imperitamente si ha la detta navigazione (a). Ritornando alle tasse del Tevere, deve ritenersi per fermissimo che esse rechino vantaggio a chi le paga. Ed in vero quante volte mercè de'citati lavori si rendesse regolare il corso del fiume, procurando per esempio nel tronco inferiore di esso non meno di due metri di fondo nelle magre ordinarie, ed un metro e mezzo nel superiore, come si è detto nell' articolo 2 del secondo capitolo, e si rendesse comoda e sicura l'entrata nella foce di Fiumicino con man- tenervi costantemente i quattro metri di profondità proposti nel capitolo 3, i bastimenti che ora navi- gano in detto tratto sarebbero sempre esenti dall'al- leggerirsi per rimontare dalla foce a Roma e vice- versa; il che produrrebbe ai medesimi annualmente un risparmio di ben 7000 scudi di spese, cui ora sog- giacciono per questo solo titolo , come dalla tavola dimostrativa alla nota num. 1. (6) (a) Nourais et Bérres, L'association de douanes allemanncs, son passe, son avvenir ec. pag. 177, Paris, 1841. (b) Le stabilite profondità di acque produrrebbero un altro vantaggio ben molto maggiore: esso, oltre a favorire l'interesse del commercio e de' naviganti, conserverebbe la vita di questi col per- mettere di costruire bastimenti adatti alla uavigazioue marittima e fluviale. 26 Scienze Così quelle barche che navigano il tronco su- periore, le quali nella maggior parte dell'anno per la mancanza di acqua e per le difficoltà che ivi incon- trano non possono caricarsi interamente, potrebbero allora dare un prodotto molto maggiore e più si- curo. Altrettanto dee dirsi de'frontisti , le cui proprie- tà riceveranno dai lavori del Tevere una esistenza sicura e gli altri benefìcii di sopra accennati. Siccome poi il prezzo de'trasporti per acqua deve in generale essere proporzionale alla distanza percor- sa, al peso delle mercanzie , al loro valore relativo ed allo spazio che esse occupano a bordo de' legni, così gli slessi elementi devono servire di norma nel fissare il diritto di tariffa. E per li frontisti dovrà aversi riguardo alla linea adiacente al fiume. Quin- di bisogna: La ricerca che ha per scopo di dare ai bastimenti, che fanno il traffico nel mare e nel Tevere, le forme e le dimensioni più favore- voli, onde renderli atti a questa mista navigazione con evitare ogni alleggerimento tanto nella bocca di Fiumicino , quanto da quella bocca a Roma, sarebbe un lavoro di grandissima utilità; ma questa ricerca non è possibile che dentro i limiti dei citati fondali alla fo- ce e per fiume. Sino ad oggi è stala subordinata alla località, per la quale si sono sagrificate le forme e le dimensioni de' bastimenti, senza evitare il dispendioso ed incomodo mezzo di alleggerire; men- tre è possibile, ed anche essenziale alla sicurezza dei naviganti e alla prosperità del commercio, di assoggettare la località della foce e del fiume ai bisogni della navigazione. La grande economia che risulta dai trasporti per acqua, quantunque ben conosciuta, non ha richia- mata ancora tutta l'attenzione. Tasse su' lavori del Tevere 27 h" Far pagare la tassa in ragione della distanza percorsa lungo il fiume; 2." Stabilire la tassa sopra il peso delle mer- canzie, o sopra il loro volume, secondo la loro specie; 3.° Far servire il tonnellaggio delle barche, quan- do altro più giusto mezzo non vi sia , come mezzo di verifica del carico (aj; 4." Fissare la tassa pel nuovo porto, in ragione dell'acqua che pescano i bastimenti, cioè un tanto a decimetro. 5.° Non tassare i bastimenti vuoti quando ven- gano a prender carico, se sono nazionali; 6." Non tassare uniformemente tutte le mercan- zie, ma bensì secondo il loro valore e la necessità del loro consumo; (a) CoU'altuale nostro sistema di stazzatura risulta molto lon- tano dal vero il tonnellaggio di misura. Abbiamo veduto nella nota num. 9 leti. A del primo capitolo, che nella massa porta una dif- ferenza in meno del ìi,^0 per cento. Perchè veruno ne resti gra- vato, sarà duopo correggere il difetto della stazzatura, o sottoporre al peso ogni specie di carico, quando non sia nella classe di quelli di volume. Per i legni del commercio interno si pratica lo stesso si- stema di stazzatura che per quelli di mare. La differenza per essi non può non essere molto maggiore a questi : quando saranno co- struiti colle forme regolari o sia geometriche per quanto h possibi- le (Vedi quello che ho detto su ciò nel secondo articolo del pri- mo capitolo ) si potrà applicare il sistema in uso altrove, cioè quello di fissare presso la prora e la poppa , da destra e da sinistra , due lamine di ottone graduate, le quali indicando zero quando il bur- chio è scarico, indicheranno quanto peso esso abbia, ad ogni centi- metro d'immersione quando è carico tutto, o in parte. (Vedi Grangez, Opera citata pagg. 63 e 73.) 28 Scienze 7." Stabilire una differenza di tasse fra i due tronchi e fra i legni del commercio interno e quelli di mare. 8." Fissare pei frontisti una tassa a metro corrente. Finalmente doyrà riflettersi, che se in ogni altro provvedimento si deve avere in mira l'interesse del proprio paese , nello stabilire le dette tasse è som- mamente necessario l'incoraggiare la navigazione na- zionale, e massime quella interna, come dirò nel se- guente articolo. Tasse su' lavori del Tevere 29 ARTICOLO UI. Sl'LLA DIFFERENZA CHE DOVREBBE STABILIRSI NELLE DETTE TASSE PER INCORAGGIARE LA BANDIERA NAZIONALE. \^uesto articolo mi somministrerebbe ampia materia per provare il gran danno che la nostra marina sof- fre per essere ad essa in alcune cose eguali, ed in al- tre quasi eguali, i pesi che pagano i bastimenti di qualunque bandiera, e per non esservi alcuna diffe- renza su i dazi delle mercanzie trasportate ne' porti pontifici dagli esteri e dai nostri navigatori , mentre questi non godono della stessa eguaglianza negli al- tri stati: ma per non essere troppo prolisso la toc- cherò di volo. L'ignoranza, che regna fra noi in tutto ciò che ha relazione colla marina, è la causa principale, a pa- rer mio, che fa rendere fra noi più passivo che attivo quest'utilissimo ramo d'industria, il più atto ad ar- ricchire un popolo ed a renderlo glorioso. E ciò che merita grave peso si è, che da una parte vediamo au- mentare il nostro commercio marittimo, e dall' altra languire la nostra marina: laddove dovrebbe avere un incremento dal commercio sempre crescente. E qualche anno che io medito sul lagrimevole stato della nostra marina mercantile, ed ho avuto oc- casione di conoscerne bene tutti i mali, essendone sta- to membro , ed avendone potuto farne il confronto colle altie. 30 Scienze n nostro paterno governo ha procurato di sta- bilire colle altre potenze de'trattati di navigazione sul- le base di reciprocanza. Oltrecchè esso paga ai nostri capitani il più delle spese di ancoraggio, che devono subire in quei porti in cui non si è accettata la re- ciprocanza da lui proposta. Quest'ultima misura co- tanto benefica, io credo che sia unica in tutti gli sta- ti; ma pel languore in cui giace la nostra marina, i menzionati provvedimenti non sono sufficienti a farla risorgere. La storia ci mostra che la reciprocanza termi- na sempre col favorire il popolo che si trova più at- tivo e che incontra minori spese nel primo impian- to, nella manutenzione e nell'andanlento dell'intrapre- sa: e ne abbiamo sott'occhio l'esempio. I nostri negozianti hanno gran parte al male del- la nostra marina, perchè sagrifìcano ad interessi im- maginari la sorgente delle loro ricchezze. Ogni gior- no vediamo in fatti che essi preferiscono noleggiare ì bastimenti esteri per pochi baiocchi di meno a ton- nellata, mentre i nostri legni marciscono ne' porti. Ma perchè, mi si dirà da taluno, i nostri capitani ri- chieggono un maggior nolo? Tre sono i motivi prin- cipali : il primo, il costo maggiore della costruzione de'legni e della loro manutenzione; il secondo, la spe- sa maggiore de'loro equipaggi: il terzo, la mancanza dell'intera reciprocanza, o sia di quella reciprocanza voluta in tutta l' estensione del termine. E pure in quanto al primo mi si soggiungerà, che noi possedia- Tasse su'lavori del Tevere 31 mo tutto ciò che abbisogna a qualunque specie di bastimento, e ne possediamo, nella maggior parte, in tanta abbondanza da fornirne lo straniero come tutto giorno si pratica. E vero; ma non pertanto vediamo che quasi tutti i nostri legni, per non oltrepassar di molto il costo di quelli esteri, sono costruiti fuori di stato, quantunque sieno assoggettati alla tassa per essere na- zionalizzati ; e nell'estero ancora sono generalmente raddobbati. In quanto al secondo mi si farà osser- vare, che noi siamo bagnati da due mari, e che il nostro littorale è ben esteso per fornirci a dovizia braccia di marinari. È anche questo un fatto; ma il poco e verun lavoro de'nostii bastimenti obbliga i na- zionali marini a procurarsi un'altra industria o a vi- vere infingardi per le piazze, sentendo anche essi la velenosa influenza dell'ozio e della miseria. Quindi al riarmamento di un nostro bastimento sì trova dif- ficoltà di equipaggiarlo, se la vista di un sensibile lu- cro non li risveglia, e non li fa abbandonare il nuovo metodo di vita da essi adottato. Pel terzo finalmen- te, la reciprocanza tanto nelle spese di porto, quanto nei dazi delle merci trasportate, non si verifica : e quand'anche ciò sussistesse, abbiamo veduto che tanti altri elementi di maggiore spesa ec. non permettono alla nostra marina di far fronte alla concorrenza di quelle estere. Queste fatali conseguenze si spiegano adunque colle dimostrazioni più chiare. Ed in vero i popoli delle altre contrade non hanno già un segreto a noi 32 Scienze impenetrabile per poter costruire e navigare più eco- nomicamente di noi ; e noi non manchiamo né di menti, ne di volontà, né di braccia, né di mezzi per far quanto altri fanno , e più ancora, come sempre più di altri si fece quando si potè fare. Ma non è questo il luogo di trattare un sì vasto ed interessan- te argomento, e la mia penna non sarebbe da tanto. Convengo che il silenzio è pure una causa de' mali della nostra marina : essa fu abbandonata da tut- ti: essa non ebbe protettori: non ebbe una voce elo- quente per esporre al nostro giusto e provvido gover- no tutti i suoi mali ed additare i suoi rimedi : essa vegetò e marcì nel tempo stesso: essa, avvezza a patire nella vita del mare, taciturna e subordinata soffrì pa- zientemente le transazioni che la ridussero alla mise- ria (a). E pure essa forma quella parte di popolazio- ne la più utile in ogni stato. Scorrendo la storia , ognuno ne é convinto. Essa è la più fedele, la più pronta ad esporre la propria vita per sostenere la fe- de data al proprio sovrano (6). È un assioma che di tutti gli uomini , i marini sono quelli che meno te- mono di perdere la vita : così è pure dimostrato che (a) Nell'opera dell'illustre mio concittadino cav. Pietro Manzi, Stato antico ed attuale del porto, città e provincia di Civitavecchia, Prato 1837, si trovano delle utili notizie sulla nostra marina del Me- diterraneo: così nella citata laboriosissima opera del cavaliere Ange- lo Galli, Cenni economico-statistici sullo stato pontificio, Roma 1841, nel cap. VII §. Ili, si rinviene quanto occorre per la statistica di tut- ta la nostra marina mercantile, e delle utili viste per incoraggiarla. (6) Manzi, Opera citata pag. 4S. Tasse su'lavori del Tevere 33 la decadenza della marina ha sempre condotta seco la rovina dello stato, ed il risorgimento di quella ha reso questo ricco e potente. Il male che i legni stranieri fanno ai nazionali ed al nostro commercio d'importazione e di estrazio- ne è grande assai : e questo danno alle nostre risorse commerciali dipende principalmente da noi, che non sappiamo profittare della nostra marina nazionale. Il nostro stato è una terra promessa per le marine stra- niere ; esse vi trovano tutti a caricare con una faci- lità che non esiste in verun paese , e neppure in quelli che mancano interamente di marina. Nel solo porto di Ripagrande vediamo in fatto, che de' basti- menti che ivi praticano, quasi la metà è estero, ed il commercio pii'i ricco è quasi interamente esercitato da questi. Il nostro commercio marittimo crede supplire al difetto della nostra marina con trattati di com- mercio o di navigazione, ma con ciò non fa che pre- giudicare a se stesso. Ad eccezione della maggior parte de'nostri negozianti, tutti quelli esteri procurano per quanto è possibile di avere per capitani de'con- cittadini, degli amici, degli uomini ai quali siano si- curi di rivolgere un giorno o un ringraziamento o un rimprovero. Né ciò basta; l'indifferenza del detto maggior numero de'nostri negozianti per la nostra marina nazionale è talmente fatale, che questa anche nei porti esteri è tenuta in discredito , facendosi a credere che i nostri marini abbiano somministrati de- G.A.T.GVni. 3 34 Scienze gli esempi di riprovevole condotta. Ma qual male essi hanno fatto, quale rimprovero si può ad essi ri- volgere ? Non hanno essi reso in ogni tempo e in ogni luogo esatto conto della loro condotta? Non han- no essi provata la loro idoneità in qualunque intra- presa? Io ho provato col fatto, e più volte, la bra- vura ed intelligenza de'nostri marinari: e tanti altri capitani hanno fatte eguali prove, dimostrando di più in ogni incontro la loro perizia e valentìa. L'America, in una parola, l'Oceano, il Baltico , il Mar-nero ec. hanno più volte veduto la nostra bandiera; e se non l'hanno veduta sventolare su grandi e magnifiche na- vi, ma anzi sopra piccoli bastimenti e miseramente armati, ciò ci proverà sempre più il coraggio e l'i- doneità de'nostri capitani e marinari. Ora, come tutti i corpi che hanno una specialità , la marina ha bi- sogno di essere circondata dalla stima e dalla con- siderazione pubblica, per conservarsi nel distinto gra- do della sua missione : quindi la poca stima e fidu- cia, che i nostri negozianti fanno di essa, è una delle principali cause del suo avvilimento. Lo stesso no- stro commercio marittimo però come potrà con fon- damento sperare di essere sempre bene accolto fuori di stato, se privo del generoso intervento de' nostri capitani, si troverà senz'appoggio, e per dir così sen- za forza morale, a fronte di compratori e venditori poco delicati ? Un giorno adunque tale commercio imparerà a sue spese che si corre gran rischio ser- vendosi de'marini stranieri. Senza che non si lasciano Tasse su'l avori del Tevere 35 al certo impunemente perire di miseria i marinari ed i capitani che non domandano altro che il puro ne- cessario, quante volte tutto l'anno lavorino. Sotto qua- lunque punto si osservi dunque la marina mercan- tile, è essa indispensabile per un avvenire industriale e commerciale di qualsivoglia popolo. Una marina straniera, degli stranieri negozianti, non possono che tirare l'acqua al loro molino: ecco quanto dee con- siderarsi : ecco quanto dee animare ogni cittadino. Si osserverà peraltro da taluno che mentre io vado tracciando un breve si , ma lagrimevolissimo stato della nostra marina mercantile, in questo mio stesso scritto presento (T. 107,p. 144) un aumento sen- sibile di bastimenti nazionali nel solo porto di Civi- tavecchia ed in soli due anni. Cotesto fatto altro non è che una prova della facilità, colla quale essa può risorgere a qualunque annunzio o indizio di miglio- ramento. Al certo la istituzione de' vapori come ri- murchiatori sul Tevere ha fatto concepire delle idee favorevoli ai nostri legni , che 1' esperienza ha per questa parte confermate; ma questo solo non potea certamente bastare. Speravasi inoltre, e giustamente speravasi, che nella tassa di rimurchio si stabilisse una differenza fra la nostra marina e la straniera, e che si migliorasse la condizione del porto di Fiumi- cino, quella del Tevere e di altri rami della marina stessa. Credeasi dai nostri nazionali, che stando io per parte del governo alla direzione di questa naviga- zione ( ed appartenendo alla marina militare era per- 36 Scienze ciò interamente disinteressato nella questione) la mia voce sarebbe stata intesa da quelli che poteano poire un rimedio ai mali della nostra marina mercantile. Quindi in mezzo a queste belle speranze essi hanno costruito de'legni : e perchè fossero più economici e più utili, gli hanno fatti di dimensioni maggiori di quelli esistenti. Ma tutte queste viste, quantunque li- mitatissime, non sono state seguite dall'effetto brama- to. La tassa di rimurchio è comune; la bocca di Fiu- micino senza eflicacl lavori non ha col tempo che peggiorato; in me non hanno potuto avere che un uomo di buona volontà. Onde si è , che i sagrifici fatti per aumentare i legni non ridondano che a loro danno : e questo danno è tanto più sensibile, in quan- to che i legni di maggior portata di quelli che esi- stevano ( da essi costruiti colla scorta di giusti prin- cipii e colla speranza del miglioramento della bocca di Fiumicino e del Tevere ) ora non sono né adatti a questo piccolo cabottaggio perchè troppo grandi, né al lungo corso perchè troppo piccoli; e così resta- no sempre più dolenti di avervi impiegate le loro sostanze, senza poterne trar frutto. Ma senza av vedermene mi trovo strascinato, per dir così, molto fuori del soggetto del presente artico- lo: perciò terminerò questa digressione coli' accen- nare i soli mezzi che a me sembrano necessari al risorgimento della nostra marina, che si otterrà col porre ordine ne' nostri porti e col tenerne lonta- na, per quanto è possibile, quella specie di pirati, che Tasse su' lavori bel Tevere 37 in nome delle leggi antinazionali vengono a togliere alla nostra bandiera delle mercanzie , per porle all' ombra della loro insegna, senza punto proteggerle. Nello stato presente di avvilimento in cui tro- vasi la nostra marina, e nella necessità in cui è di soffrire maggiori spese delle altre , è certo che coi contratti di reciprocanza o co' sagrifici che ora fa il nostro governo per lei, in una parola coli' attua le sistema, essa non può risorgere ; anzi per quanti sforzi faccia per rialzare il capo, non può che cade- re in un più profondo abbisso . Dunque è di as- soluta necessità l'arrestare i progressi del male, e la ricerca di validi rimedi pel risorgimento della me- desima. Ecco quanto io credo di proporre : I nostri bastimenti nulla toglieranno a quelli del- le altre nazioni: essi saranno contenti del nostro solo commercio marittimo. Secondo il bilancio di com- mercio fatto dal eh. economista sig. cav. Angelo Galli «( emerge un traffico di circa un milione pel prezzo di trasporto per la via di mare. Di questi non molto partecipiamo sull'Adriatico, ove pure esistono de'ba- stimenti di bandiera nazionale; e molto meno sul Me- diterraneo, quantunque la nostra esposizione commer- ciale è principalmente quella di questo mare, da cui provengono i coloniali e i salumi ec, e per cui si estraggono i cereali nella massima parte. Tutto il ri- manente si effettua dagli esteri. Lo stesso dicasi della pesca, che viene in gran parte eseguita da esteri con 38 Scienze esteri legni. Né si creda indifferente quest' altro ra- mo d' industria , perchè il prodotto è ben oltre un milione di scudi (a). » Io son sicuro che i voti della nostra marina sa- ranno soddisfatti, se potrà convenientemente disporre di tutto ciò che il nostro suolo e le nostre spiag- ge forniscono d'industria e di soprabbondante al con- sumo di questo stato, per trasportarlo a chi ne vuo- le, e ricondurre in cambio tutto quello che forma la nostra importazione. Mi sembra che questo mio desiderio sia equo, e non leda affatto i diritti di al- cuno. È certo che ninno può pretendere di togliere alla nostra marina l'alimento quotidiano che le som- ministra il proprio paese , molto più che essa non può fare altrettanto alle altre. Sarà giusto che la marina lavori e guadagni il pane col sudore della sua fronte, ma non già che lo mendichi! È certo che <( eccitando la popolazione e rimovendo gli ostacoli , la marina mercantile deve trovare il suo grande interesse ; gli arsenali di Ancona e di Civitavecchia acquistare la loro attività; gli alberi di alto fusto e le canape otte- nere nell'interno grande smercio e le maestranze mol- to lavoro » (b) : le quali cose renderanno le nostre costruzioni non meno economiche di quelle degli al- tri paesi. I mezzi a ciò conducenti , e che io credo ne- cessari al suo risorgi mento , e più conciliabili collo (a) Galli, Opera citata pag. 334 e 335. (t») Galli, Opera citata pag. 335. Tasse sd' lavori del Tevere 39 slato nostro politico-commerciale, a fronte delle altre potenze, sono due. Il primo si è un notevole diritto differenziale in materia di navigazione; questo ha il gran vantaggio di essere un diritto esclusivamente marittimo, fìsso e invariabile, e perciò totalmente in- dipendente dai reclami del commercio, dell' industria e dell'agricoltura. L'altro consiste nel fare una modi- ficazione nelle nostre tariffe per l'importazione dei ge- neri esteri destinati a consumarsi nel nostro stato e per l'esportazione di quelli prodotti dal nostro suolo ed industria i quali vengano trasportati colla nostra bandiera. Questo sistema non dovrà durar sempre ; risorta la nostra marina, e resa atta a sostenere la con- correnza delle altre, potrà togliersi ogni differenza. Dovrebbe poi proibirsi e con gran rigore im- pedirsi che qualsivoglia estero bastimento esercitasse il commercio da un porto all'altro del nostro stato. E perchè possa ben comprendersi questa mia proposi- zione, mi sia permesso addurne un esempio. Oggi vediamo che un bastimento straniero, il quale stia ozioso ne' propri porti, o si trovi a pas- sare nelle acque di uno de'nostri, può impunemente approdarvi e caricare per un altro porto dello stato pontificio, togliendo così il pane dalla bocca de'no- stri marinari. Così fatto sistema sottrae a questi ciò che è puramente indispensabile alla loro vita , e lo volge a soddisfare gì' insaziabili appetiti delle ma- rine estere. Questo sistema è il più velenoso che possa darsi: perchè impossibili sagrifici si richiederebbero 40 Scienze dai nostri bastimenti, onde gareggiare cogli stranie- ri; ed esso è da tutte le nazioni abolito. Mi ricorderò sempre che trovandomi in Rio-Janeiro al comando della nave Roma., noleggiai, per ricevere il carico in Santos ( provincia di s. Paolo nello stesso Brasile ) e trasportarlo alle isole Azores e Lisbona. Il noleggia- tore volle porre a mio carico il trasporto da Rio-Ja- neiro a Santos di alcuni barili e botti vote, che do- vevano essere riempite di zucchero. Fidandomi sul piccolo numero di detti fusti e sul tenuissimo valo- re de'medesimi per essere stati usati, credei poterli imbarcare nella mia vota e grande nave, e portarli con me in Santos. Ma per quanto facessi , ad onta che vi frapponessi l'impegno del nostro incaricato di affari S. E. monsignor Fabbrini, e quantunque io già fossi stato presentato al ministro degli affari esteri di quell'impero e ad altri potenti membri di quella corte, dai quali aveva avuto l'onore di ricevere una visita a bordo il giorno dell'incoronazione del nostro augusto e felicemente regnante Pontefice : ad onta che questi personaggi mostrassero il più vivo desi- derio di stabilire degli utili trattati di commercio e di navigazione fra le due corti (a), pure nulla otten- ni ; fui costretto noleggiare un legno del paese, e farmi condurre i detti fusti voti a Santos. E qui bisogna dire che il gran coraggio di al- cuni de'nostri negozianti , e la parca vita de 'nostri (o) Rio de Janeiro, Diario commerciale, sabbato 8 de fevereiro de 1834, n, 31. Tasse su' lavori del Tevere Ai navicanti, ha solo potuto conservarci lo scheletro di marina che tuttora esiste, la quale altrimenti sarebbe interamente distrutta. Dal fin qui detto si rende evidente, che il siste- ma di contributo proposto nel precedente aiticelo sarà sempre più vantaggioso col temperamento pre- detto. E se è utile e giusto presso gli stranieri , lo sarà pure presso noi, per le stesse ragioni di econo- mìa e di equità che presso quelli lo fecero introdur- re. Perciò esso potrà adottarsi per le spese del Te- vere e del porto di Fiumicino non solo, ma anche per altri lavori simili. Fra questi ( mi sia lecito il dirlo) si potrebbero noverare quelli del porto di Ci- vitavecchia, ai quali dovrebbero contribuire il com- mercio , la marina, e la città stessa, onde ottenere quanto ho dimostrato necessario per lo stesso porto alla nota 10 dell'antecedente capitolo; come fece Ter- racina pel porto magnifico che vede ora risorgere sotto la direzione del chiarissimo nostro professore ed ispettore cav. Gaspare Salvi ; come fece Ancona pel nuovo ed eccellente arsenale , e pel nuovo braccio di molo che ivi pure si vuol costruire; come fece il porto Corsini, e tanti altri del nostro paese, sebbene la geografica posizione di taluno di essi non sia tanto utile alla umanità ed allo stato quanto il porto di Civitavecchia (*). (') Si può (lire pel porto di Civitavecchia quanto diceva alla camera de' pari Carlo Dupin in nome di una commissione speciale incaricata ad esaminare il progetto di legge relativo al migliora- A2 Scienze Qui si vorrebbe por fine a quest'ultimo capito- lo; ma non sapendo tacermi senza aggiungere alcune osservazioni sopra un progetto da altri fatto, e di cui io non aveva impreso a trattare, spero che si vorrà avermi per iscusato se mi fo a parlare brevemente di un'opera che offrirebbe un altro mezzo valevole a mi- gliorare sempre più la navigazione interna , ad ac- crescere il commercio del Tevere, a produrre per conseguenza un maggior introito delle tasse neces- sarie per indennizzare le spese de' lavori dello stesso fiume, a dare allo stato pontificio, per dir cosi, nuo- va vita, e a farne un emporio commerciale. Que- st'opera tende a porre in comunicazione i due mari Mediterraneo ed Adriatico, o sia Civitavecchia ed An- cona. Questa linea di unione diverrebbe il veicolo del commercio d'Inghilterra, di Francia, di Spagna ec. col nostro stato e cogli altri che trafficano nell'Adria- tico : opera che ha pure molta connessione co'lavori da me proposti ; poiché questi non sono che una parte di quelli che occorrerebbero per mandare ad effetto il progetto di cui si parla. Il mezzo a ciò conducente, e che più convenga mento de'porti, parlando sulle tasse da stabilirsi in quello di Marsi- glia, onde far fronte alle spese di tale miglioramento. « U titolo di porto franco non può significare un porto esente dallobbligo di rim- borsare delle spese le più produttive, e le più necessarie alla esi- stenza, allo sviluppo, alla prosperità del porto e della citta maritti- ma ». (Vedi questo interessantissimo articolo inserito negli annali marittimi e coloniali, nella parte scienze ed arti, numero di agosto 1844 pag. 38f> . Tasse su'lavori del Tevere 43 nelle viste di economia di tempo e di denaro (cioè il più utile al trasporto delle merci e de'viandanti) sarebbe quello di stabilire una regolare comunica- zione da Civitavecchia, Fiumicino, Roma, Perugia ed Ancona per via di acqua. L' ingegnere Ferrari preferisce generalmente i canali laterali alla navigazione nell'alveo de'fiumi per la comunicazione de' mari Mediterraneo ed Adriati- co (a). Ho già detto però che i più moderni ingegneri sono partitanti de'fiumi, e si serviranno de'canali solo per un' ultima risorsa, un' ultima ratio nel caso di- speralo di corsi d'acqua naturale (6). Tanto meno sarei poi per convenire nel progetto del Ferrari in ciò che riguarda la comunicazione de'due mari, ser- vendosi del porto di Livorno nel Mediterraneo. Ogni suddito dello stato pontificio, se occorresse, deve fare ogni sforzo di mente e di danaro per so- stenere il nostro porto di Civitavecchia. La linea del Ferrari produrrebbe la morte di questo porto, e dirò di Roma stessa , senza essere più utile al commercio europeo. Pel commercio del nostro stato e dell' estero , il porto di Civitavecchia si presta assai meglio di quello di Livorno: la costituzione di questo porto è certamente ben peggiore di quella del nostro. E se (a) Dell'apertura di un canale navigabile che dall' Adrialica a traverso dell'Italia sbocchi per due parti nel Mediterraneo. homa i82S. (b) M. Chevalier, Des intéréts materiels enFrance, già cit. pog. i86. 44 Scienze Livorno ha di più una spaziosa rada e de' comodi magazzini, Civitavecchia con faciUtà può averh. La punta del Pecoraro^ non più lungi dal nostro porto della detta rada, ( che imperitamente in verun con- to da noi si tiene) può facilmente divenir ben su- periore alla rada di Livorno, e somministrare regio comodo, sicurezza e tranquillità alle navi, alle merci ed ai quarantenari. Quindi se lo spirito di attività e di commercio che esiste in Livorno si risvegliasse in noi, il porto di Civitavecchia potreblje presto su- perare il movimento dell' altro : in questo caso es- sendo la posizione idrografica e geografica del nostro molto più felice di quello; sarà anche più adatto a sviluppare un commercio più utile per tutti. Tornata adunque a rendersi navigabile la prin- cipale arteria del nostro slato, cioè il Tevere, dal mare fin presso Perugia, la navigazione a vapore (la quale non potrebbe agire in un canale laterale ) vi riva- lizzerebbe per l'economia del tempo colle strade fer- rate, e molto più di queste minorerebbe la spesa de' trasporti e renderebbe aggradevole il tragitto (a). In quanto all'altro tratto da Perugia ad Ancona resterà a scegliersi quella direzione che più convenga sotto il rapporto dell'economia della spesa e dell'utilità del commercio d'onde deve passare; profittando de' fiu- mi che esistono lungo la suddetta linea, e di canali o di altri metodi che fossero per riconoscersi oppor- (a) Chcvalier, Opera ora citali» pag. 187. Tasse su'làvori del Tevere /i5 tuni e vantaggiosi in que'tratti, ove i fiumi medesimi non siano riducibili per navigazione. Il sistema di navigazione artificiale, combinato col- la navigazione de'corsi d'acqua naturali, ha possente- mente contribuito alla prosperità della Gran-Bretagna, e gli economisti francesi non cessano di predicarlo vmanimemente onde sia generalizzato in Francia. Se gli ostacoli che oppone la natura alla esecu- zione di questo progetto possono superarsi, come si ha ragione di persuadersi, per poco che si volga il pensiero alle grandi imprese di simil genere com- piute anche da piccoli stati e nell'antichità e nel no- stro secolo, nuU'altro che la volontà in mandarli ad effetto potrebbe mancarvi*, dappoiché deve convenirsi che lo stato ecclesiastico non ha difetto né di menti per dirigere la esecuzione medesima, né di braccia da impiegarvi, attivando in ispecie una parte di quelle molte che inerti stanno nei luoghi di detenzione e va- gabonde nelle città; né finalmente ha difetto di ma- teriali occorrenti, né di danaro, di cui avvi soprabbon- dante quantità che attende occasione d'impiego. Quest' opera gioverebbe a tutti e per sempre : essa è di quelle pochissime , la cui evidente utilità non può da alcuno impugnarsi; di quelle che vera perenne gloria procacciano a chi le ordina. 46 Scienze rVOTE DEL CAPITOLO IV -3&t"iiifl^e» (i) Media de' bastimenti di mare soggetti ad alleggerire, che in un triennio sono giunti da Fiumicino a Roma, desunta dal prospetto annesso ai Riflessi esistenti presso la segreteria del tesorierato generale N. 810 Media de' navicelli di alleggio presa come sopra .... N. 72 Spesa che sostengono i capitani che sono obbligati di alleggeri- re, cioè Per nolo di navicello baj. 15 il migliaio. 33 Per quota di rimurchio bai. 03 ~--- ■ lui) Più se. 1 per ogni navicello a titolo di Pignatta- Lai portata de'navicelli è varia, come il carico che vi si fa, per- chè tante volte non vi è maniera di compirlo. Per istabilire pertanto un ragionato ragguaglio che si accosti più al ve- ro, si prende per base che la portata del navicello sìa di 300 migliaia, e gli si dà il pieno carico per ciascheduno. 300 „ Dunque 72 navicelli di 1 uno portano un cora- ^ m plesso di mercanzie di . • l'b. 21, 600, 000 Pel trasporto di ogni migliaio in rimonta occorre co- me sopra l.o Nolo del navicello bai. 15 2.0 Rimurchio » 03,33 18,33 3.0 Imporlo delle lib. 21,600,000 a 18,33 se. 39S9.28 Spesa così detta di pignatta alla ragione di se. 1 per ogni navicello . • ■ • " '^'^- Totale della spesa annuale per gli alleggi in rimonta. » -Ì031.28 Tasse sd'lavori del Tevere 4? Riporto se. 4031.28 A cui si aggiungono quelle di discesa. Per lib. 21,600,000 di mercanzie, alla ragio- ne di baj. 10 per ogni mille libbre se. 2160.00 Pe' 72 navicelli in 720 tonnellate di ri murchio a bai. 5 la tonnellata sono « 360. — Spesa a titolo pignatta pe' suddetti 72 na- Ticelli alla ragione di so. 1 sono » 72. — Totale della spesa per la discesa 2392.00 ToiALB generalb della spesa che annualmente sostiene il commercio per gli alleggi. . . .se. 6623.28 Questa spesa ripartita sulla totalità de'bastimenti dì mare nel quanti- tativo di N. 510, della portata media di 40 tonnellate per ciaschedu- no , ha per risultato, che ogni tonnellata del bastimento ha pa- 46 ' gato bai. 32-^^ per alleggio. N. B. E da osservarsi, che vi sono poi altre spese impreviste , che è impossibile descrivere, perchè soggette all' eventualità, come p. e. il pagamento per alleggerire alla bocca di Fiumicino, e per pote- re entrare nel canale; quella per l'aiuto necessario al debordamento delle mercanzie, quante volte gli uomini dell' equipaggio non siano sufficienti, oppure indisponibili. Questi due casi soltanto, i quali so- no frequenti ad accadere, danno un margine oltre il bisogno per bi- lanciare qualche differenza che potesse esservi nella massa delle mercanzie alleggerite provenienti dall' avere assegnata per media la portata di 300 migliaia a ciascheduno dei navicelli. 48 Scienze JC er le cose sin qui discorse si fa palese, essersi già con evidenza di vantaggioso risultamento sostituito il rimurchio co'piroscafi all'alaggio de'bufali in un tratto non breve del Tevere; essersi fatta assai buona prova della efficacia ed economia della pirodraìa per lo spur- go del suo fondo, e rimanere ora a correggersi i di- fetti che presentano le ripe del fiume medesimo per agevolarne la navigazione e difendere le proprietà dei frontisti , non che a prowe'dersi alla sicurezza ed alla comoditfi de' bastimenti che debbono entra- re nella foce di Fiumicino coli' assegnare una nuo- va direzione, disposizione e larghezza ai guai^diani o punte, coir introdurre un nuovo sistema di spurgo per la medesima , col costruire al di fuori di essa foce un molo galleggiante fornito di faro, e col col- locare in Fiumicino un piroscafo che serva a rimur- chiarvi gli stessi bastimenti. E pur dichiarato che Roma, avendo con tali mezzi sul mare un porto si- curo e conveniente al suo commercio marittimo, ve- drebbe finalmente tra le sue mura de'bastimenti eser- citarvi un traffico abbondante, economico non interrot- to, e scevro da infinite difficoltà ed avarèe. Resta an- che dimostrato, che per la esecuzione de'detti lavori è preferibile il sistema di associazione, e che la spesa necessaria per essi sarebbe tenue, ponendola a rincon- Tasse su' lavori del Tevere ^0 tro de'vantaggi che potrebbero ripi omettersene. Della quale spesa, ad imitazione di quel che praticasi negli altri stati, può a buon diritto rinfrancarsi con lo sta- bilire delle tasse a carico di chi approdi nel porto di Fiumicino, o navighi il Tevere, o vi faccia commercio, o possieda le terre adiacenti alle sue ripe, proporzio- nandole ai vantaggi che i naviganti , i negozianti e i proprietari ritraggono dalle sicurezze e dalle como- dità loro garantite dai nuovi sistemi. Queste tasse però per equità e giustizia devono esser minori pe'basti- menti e sudditi pontificii, dovendo essi godere di una distinzione a fronte degli esteri, secondo la citala pratica osservata negli altri stati. Possa questo essere nuovo impulso verso la grande prosperità del commercio e della industria nello stato pontificio, sia argomento di lode e di os- sequiosa riconoscenza al munificentissimo sovrano Gregorio XVI, e si tragga una volta profitto dalla vantaggiosa invidiata situazione di questa bellissima parte della bella Italia! Questa penisola cui bagnan due mari, cui mol- tissimi fiumi irrigano, pare destinata dalla natura a mantenere copiosa ed attiva navigazione. Conobbero questo suo privilegio gli antichi romani: e però l'ar- ricchirono de'frequenti e grandiosi porti donde usci- vano armate formidabili , e ne' fiumi di essa resero navigabili anche i tronchi di rapido corso, secon- do che ce ne fanno autorevole testimonianza e Dio- nigi d'Alicarnasso, e Tito Livio, e i Plinii, e Strabo- G.A.T.CVIII 4 50 Scienze ne, e Tacito. Lo conobbe Venezia , il cui nome sonerà sempre gradevole agli uomini di mare , e mostrò sino a qual segno di gloria e di opulenza possa giungere uno stato, avvegnaché assai piccolo, per mezzo della navigazione e del commercio. Co- nobberlo e Genova e Pisa e Gaeta ed Amalfi e Brin- disi ec, che per le stesse cagioni acquistarono non peritura celebrità. E se la scoperta di un nuovo mon- do e le diverse vie percorse da navigli di grandi na- zioni hanno data altra direzione al commercio e nociuto alla prosperità della navigazione italiana, non perciò anche ai dì nostri le altre regioni d'Italia, vuò dire il regno veneto, la Liguria, la Toscana, le due Sicilie hanno cessato di appartenere, siccome pur troppo non ci apparteniamo più noi, alle nazioni marittime. Eppure lo stato pontificio può avvantaggiarsi di due mari; privilegio che ha comune col solo regno di Napoli, il quale però ha il disvantaggio di essere i non al centro ma ad una delle estremità della pe- nisola. Eppure ha porti eccellenti o che possono ritornar tali; ha due cantieri in Ancona ed in Civita- vecchia atti alla costruzione di navi mercantili di qualunqiie specie; ha legnami e canapi che fornisco ad altri, e di cui potrebbe far uso per la propria marina! Ne manca di marinali che potrebbe trarre in ispecie dal lido adriatico e da Roma, e togliere così all'ozio un buon numero di que'tanti che, di- cendo mancar di lavoro, vivono in essa a carico delleli Tasse su' lavori bel Tevere 5 1 pubbliche casse o degli stabilimenti di beneficenza , e tanta ognor crescente gioventù che non sa ove impiegarsi, e che per questo stesso diviene pericolosa. Cosiffatti elementi di prosperità hanno sempre esi- stito ed esistono; ed attendono soltanto, per ispiegare tutta la loro produttiva efficacia, un saggio impulso che li diriga; né vi ha dubbio che potrebbero ri- sultarne i più segnalati beneticii. A che infatti lasciare in abbandono questo Tevere, il quale traversa le più fertili e rinomate regioni che l'Italia possegga, e che bagna la più gloriosa ed eterna città che l'Europa possa vantare ? Esso può essere di nuovo reso pra- ticabile in tutte le stagioni per le barche di un conveniente pescare. A che in fatti sopportare il mo- nopolio che altri esercitano con noi, per fornirci de' generi di cui manchiamo ? Perchè non mandare noi stessi e in Levante e in America e dappertuto le no- stre navi a stabilirvi un commercio diretto, rispar- miando negli acquisti, cedendo in parte di prezzo gli oggetti di arte che Roma fornisce e i generi di cui sovrabbonda il nostro suolo , ed impiegando utilmente l'opera di molti cittadini ? A che non va- lerci di una nostra marina, per cui mezzo la san- ta Sede possa senza intermediari corrispondere con tutto il mondo cattolico ? Testimoni noi fummo della favorevole impressione che la vista della pon- tificia bandiera fece e nell' America , e nell' Porto- gallo,^ e nella Spagna, e nell'Egitto e nella Francia ec. Quanta ragione non vi ha quindi per isperare 52 Scienze che ovunque sia del pari bene accolta e rispet- tata? CoU'incoraggiare la costruzione di nuove navi ne' nostri cantieri, coll'accordare ad esse franchigie spe- ciali ad imitazione di ciò che vien praticato da ogni nazione, e col canalizzare il corso del Tevere, e riu- nire così i due mari, si giungerebbe in pochi anni agli accennati desiderabilissimi risultamenti. APPENDICE LETT. A. RELATIVA ALLO SPERIMENTO DELLA PIRODRAIA ESEGUITO NEL PORTO DI ANZIO^ DI CUI SI È PARLATO NEL CAPITOLO II ALL' ART. 2. 54 Scienze PROSPETTO delle materie da esitarsi dal porto d' Anzio 1 50 ncirinterno del porto, ed un egual ranfjio alla imbocca occorrente per eseguire ciiiesto lavoro colla pirodi Ouantità delle materie esistenti i.eir inleri.o del porto, cioè dalla " lanterna tino sotto il fortino, per una lat.tìvJuie d. melr. cubi ISO desunta dagli scandagli esposti nella pianta appositamente rilevata il 26 luglio 1843 ' • • Simile esistente alla imboccatura del porto interno alla lanterna, per un raggio di metri 150 come sopra . . • » Simile che ricaderebbero nel luogo delle precedenti, e che dovreb_ bero pure estrarsi per avere una scarpata d. met. 10 alttorno a. suddetti t'ondali . ' ' Per l'esperienze latte dal corpo di acque e strade conoscendosi che r interrimento prodotto annualmente ni detto porto, per effetto della traversia e della legge generale del corso radente, e d. cr- oi M G 13000, se ne deduce che durante .1 lavoro sopr.nd.ca- t; da eseguirsi in giorni 437, compresi quelli di ^.poso, entre- ranno nel porto, e dovranno perciò estrarsi, impiegandovi altn giorni 91 metri cubi Somma delle materie da estrarsi in giorni 548, compresi quem di riposo .■■•■'' 3959 319S 55! 193 116,( N. B. Per questo lavoro di totale spurgo del porto d'Anzio non s'istituisce alcun confronto di spesa tra la pirodraia e le bette, per la ragione che queste non potrebbero mai ese- guirlo sino alla indicata profondità, non potendo giunge- , re, come si è detto, che a quella di metri due. Tasse su' lavori del Tevere 5& [.ervi una profondità di metri A in una latitudina di metri ^so intorno alla lanterna , colla indicazione della spesa 0 cavalli di forza^ e con sei portafango a vela. SP£SA OCCORRENTE PER I.A ESTRAZIONE SB ANNUALI 208.73,48 409.77,80 1028.31,07 1546.33.20 1043.77,41 Spesa giornaliera! Importo iu ragione di scudi 9.70,173 al giorno Mercedi o 4236.94,96 20 40 100 ISO 101 411 Qnantitìi delle materie da eslrarsi 194.03,30 388.07 970.17,30 14SS.26,23 979.87,67 3987.41,92 130 200 230 300 330 comples- siva 3000 8000 25000 45000 35626 116626 Importo in ragione di scudi 0. 01,413 per ogn M.C. 42.43 113.20 333.75 636.75 504.10 1650.23 TOTALE 443.23,98 911.04,79 2352.23,37 3638.34,45 2527.75.08 9874.61,88 » 14,814 I « ll,388j « 09, 408 )) 08, 085 » 07, 095 » 08, 467 OSSERVAZIONI La quantità della materia da estrarsi è al minimo nei primi giorni a causa della irregolarità del fondo, e crescendo proporzionalmente nei successi- I vi giunge al massimo negli ultimi giorni del lavoro. E la differenza di ; 137 giornate tra quelle di presenza e quelle di lavoro effettivo, è calcola- ta per le feste e pel tempo cattivo. Posso garantire Tesaltezza di questi calcoli e di quelli di ben maggior pa- zienza delle tavole del capitolo I: essi sono stati tutti veduti e riveduti dal f. f. di contabile nella direzione de'piroscafi, signor Camillo Casoni, uomo infaticabile e di genio particolare per queste materie. 56 ^ Scienze PROSPETTO iMìa spesa occorrente per l'annua mamttenzione di spurgo del porlo d"" Anzio medianle la ph'cdrma , e sei porlafangld a vela. L' interrimento annuale , come è indicato nei prospetto preceden- te, ammonta a met. cubi 13000, e per estrarsi è necessario de- stinarvi la pirodraia con sei portafanghiper 37 giorni in cia- scun anno , 43 dei quali siano di lavoro eflettivo . Le spese annuali o fìsse per 57 giorni importano, in ragione di se. 7.73,'£66 al giorno, come al riassunto nella retro dimostra- zione Le spese giornaliere nei 43 gior- ni di lavoro^ alla ragione di scu- di 9.70,175 al giorno, come alla dimostrazione suddetta . . Le mercedi o soprassoldi per M. C. 13000 di materia da estrarsi costano scudi 0.01,413 a M. C. dimostrazione medesima . . . Totale della spesa occorrente per la estrazione colla pirodraia an- nualmente di M. C. 13000 se. cioè se. 0.08 '41,000 il M. C. AUMONIARE DELLA SPESA 440 41t 183 70 17 93 1041 462 325 82 987 OSSERVAZIONI Essendosi compiaciuto i chiarissimo signor professo Venturoli assicurarmi che 1 massa annua delle arene eh entra nel porto innocenzij no in Anzo può ritenersi circa lo mila metri cubici, se a questa massa si vuo aggiungere quella che Tal mento de' fondali farà pi facilmente rimanere nel pò to, si dovrà far cadere il cs colo sopra sedici mila M. ' in luogo di tredici mila;qui di la spesa annua per la co servazione si avvicinerà se. 1300. Ad onta di tut ciò risulta una grandissin economia sopra quello ci si spende colle bette: perei con queste l'annua spesa d dotta da un sessennio è sts di se. 3333.92, senza che porto abbia potuto essi mai convenientemente spv gato. Oggi, che si possiede pirodraia, è un vero trai mento proporre qualunq> altra macchina effossoria j; il detto spurgo. APPENDICE LETT. B. RELATIVA AGLI SCAFI IN FERRO DI CUI SI È PARLATO NEL CAP. I ART. I E NOTA N. 3, E CAP. Ili ART. 3. 58 Scienze PARERE dell'eccelso CONSIGLIO d'aRTE SULLE BARCHE IN FERRO. Dalla erudita relazione del si{>. tenente colon- nello di marina commend. Alessandro Cialdi siamo venuti a conoscere, che venne in addietro decretata la costruzione di due scafi destinati a ricevere due macchine a vapore, l'una della forza di 30, e l'altra di 20 cavalli effettivi. E sebbene non s'ifjnorassero i prevalenti vantaggi dell' uso del ferro sopra quello del legname in siffatte costruzioni, e che perciò ap- punto si era fatto uso del ferro nella costruzione dei quattro scafi rimurchiatori già da più anni addetti alla navigazione del Tevere, tuttavia col lodevole intendimento d' incoraggiare i costruttori statisti e .spendere nello stato, piuttostochè all'estero, si preferì di ordinare che i due nuovi scafi si costruissero di legno nell'arsenale di Civitavecchia. E di fatti il piroscafo di maggior forza destinato all'unico ed assoluto servizio di rimurchiatore nel Te- vere è già stato compito, ed altro non manca che di applicarvi la macchina già costrutta in Inghilterra e non ha guari pervenuta a Civitavecchia, unitamente all'altra da collocarsi nel piroscafo minore. Ninna opera si è fin qui intrapresa per questo secondo piroscafo, salvo il taglio di una parte di le- gname, cui mancherebbero ancora più mesi di tempo per divenire stagionato. Tasse su'l avori del Tevere 59 In quésto stato di cose il sig. tenente colonnello Cialdi avendo fatti nuovi sludi sul confronto dei due sistemi di costruzione, e consultate le opere re- centemente pubblicate su questa materia , e fatto speciale riflesso all'uso cui vuoisi destinato il picco- lo piroscafo clie rimane a costruirsi , ha presentato molte savie osservazioni, invocando il {giudizio sul metodo da tenersi nella divisata costruzione. I tre punti di questione da risolversi, secondo la proposta del sig. Cialdi, sono. 1. Le forme più convenienti al nuovo piro- scafo. 2. Se convenga o no di munirlo di due timoni in entrambe l' estremità, ed in qual punto dello scafo convenga di fissare l'asse delle ruote. 3. Se più giovi costruirlo di ferro, ovvero di legname. Per ciò che risguarda le forme, si presentano due disegni. Il primo rappresenta il nuovo piroscafo, tal quale fu approvato dalla tesoreria generale, uni- temente al maggiore di già compito. Il secondo di- jpostra le variazioni che il sig. colonnello stima utile di adottare. Entrambi però non variano nelle princi- cipali dimensioni, essendo lunghi egualmente da prora a poppa metri 33. 20, e larghi nel massimo, o sia baglio maestro metri 3. 40. Questa forma, in cui la lunghezza è poco meno che declupa della larghezza, è di somma utilità per ottenere la minima immer- sione, e in egual tempo la minor possibile lunghezza 60 Scienze dell'asse delle ruote: condizioni entrambe essenziali per sopperire alla scarsezza e ristrettezza de 'fondali nel Tevere. Ed osserva il sig. commendatore Cialdi che il nuovo piroscafo, essendo principalmente destinato al rimurchio de' porta-fango in servizio della piro-draia, interessa sommamente di ridurre la immersione al minimo termine, onde possa in ogni tempo agevol- mente navigare. Interessa egualmante pel sollecito e libero accesso e recesso del piroscafo dalla piro- draia al luogo dello scarico e viceversa, di trovare un partito che tolga la difficoltà di voltare a ritroso che è gravissima nelle barche a vapore, ed esige mollo spazio e perdita di tempo assai rilevante, quando specialmente si tratta di corti viaggi. Finalmente essendosi divisato di far uso del nuovo piroscafo anche ne' porti di mare pel rimur- chio dei porta-fango, ne segue che dovrà talvolta lottare colla maretta, e per questo riguardo interessa che riesca più solido dell'altro destinato a rimur- chiare nel Tevere. Si vuol dunque nel nuovo piro- scafo solidità e leggerezza, condizioni difficili a com- binarsi. Tuttavia il sig. colonnello Cialdi dimostra, che uno scafo costrutto in legno colle necessarie legature e fasciature di ferro e rame che ne assicurano la solidità, pesa sensibilmente più di uno scafo iu ferro di egual forma e tonnellaggio. Ciò deriva princi- palmente dalla resistenza del ferro, che è superiore a quello del legno in un rapporto assai maggiore Tasse su' lavori del Tevere 6 1 di quello delle gravità specifiche rispettive : consi- derato peraltro l' assieme del legno , del ferro e del rame che compongono lo scafo in legname. Oltre di che il COSI detto ossame^ o sia la principale ordi- tm^a dello scafo in legno, forma una massa considere- vole di grosse e pesanti travature, mentre nello scafo di ferro il peso dell' ossame non è che una frazione ben piccola del peso totale dello scafo. Questo risultamento del minor peso, e quindi della minore immersione degli scafi di ferro, è con- fermato dalla esperienza, la quale ne dimostra altresì la maggior solidità, la più lunga durata, la poca o niuna spesa di manutenzione, la inalterabilità della primitiva immersione ( che va crescendo col tempo nelle barche di legno ) e per ultimo della velocità risultante dall'attrito del ferro coll'acqua, che è tanto minore di quello del legno. Tutti questi vantaggi vengono comprovati non solo da molti fatti e da molte ragioni, ma benan- che dall' autorità delle più recenti opere pubblicate in Francia e in Inghilterra sulla navigazione a va- pore. Quindi il sig. Cialdi conchiude opinando, che il nuovo piroscafo, della forza di 20 cavalli, debba costruirsi piuttosto di ferro che di legno. Per poi provvedere alla facile retrocessione del detto piroscafo che servir deve al rimurchio dei porta-fango, propone egli di costruirlo di forma sim- metrica nelle due estremità, guarnendole entrambe di limoni, sicché ognuno alla sua volta possa ser- 62 Scienze yìre da poppa e da prora. Il disegno di questo le- gno, che appartiene alla classe degli amfìsdromi, offre il vantaggio di poter ripartire nella stessa direzione in cui è giunto, senza ayer bisogno di uno spazio per effettuare la sua evoluzione che richiederebbe un raggio di oltre metri 200, ed un tempo medio di sei minuti. Recentemente negli annali marittimi di Francia è stato pubblicato un utilissimo miglioramento in- trodotto nella costruzione di que' legni , mercè del quale ciascuno de'due timoni, quando servir debba di prora, si converte con tutta facilità in solido e pro- porzionato taglia-acqua. Non dubitando il sig. colonnello Cialdi che que- sta forma del nuovo scafo non sia la più opportuna per l'uso del rimurchio dei porta-fango, cui deve servire , si limita a parlare del punto ove meglio convenga di situare l'asse delle ruote. Osserva egli coir appoggio di molte autorità, che nella maggior parte dei piroscafi europei delle forme ordinarie, cioè aventi prora e poppa, l'asse delle ruote suol collocarsi alquanto piiì presso la prora che la poppa, mentre negli stati uniti di America o si accosta al- quanto più verso la poppa, o si trova alia precisa metà della lunghezza dello scafo. Questi fatti sono riferiti da molti scrittori; ma non si conosce finora che ninno abbia sin qui determinato e dimostrato qual sia veramente la posizione più vantaggiosa del- l'asse delle ruote in rapporto alla lunghezza della Tasse su' lavori del Tevere G3 barca. Siccome peiò lo scafo che propone a doppio timone è perfettamente simmetrico in ambe le estre- mità, opina che l'asse delle ruote debba fissarsi nel centro di figura, o sia alla precisa metà di lughezza cui deve altresì corrispondere il centro di gravità. Conveniamo anche noi in questo medesimo pa- rere, perocché il centro di gravità di un sistema è senza dubbio il punto più utile per l'applicazione della forza motrice. E combina con questo principio il sistema generale europeo di fissare l'asse delle ruote alquanto più verso prora, ove appunto deve essere il centro di gravità attesa la forma più allargata e quindi più pesante della barca in questa estremità. Ma nello scafo a due timoni il centro di figura si confonde con cjuello di gravità: e perciò siamo an- che noi di avviso che nel centro medesimo debba fissarsi l'asse delle ruote, affinchè colla medesima fa- cilità il nuovo piroscafo possa accedere dalla piro- draia al luogo dello scarico del fango, e così retro- cedere senza bisogno di alcun movimento rotatorio intorno al proprio asse, che in molte località del Te- vere sarebbe ineseguibile. Uniamo quindi il nostro voto a quello del sig. Cialdi tanto per la forma da assegnarsi al nuovo piroscafo, quanto per la collo- cazione dell'asse delle ruote. Né possiamo opinare di- versamente intorno alla materia di cui meglio con- venga costruirlo, essendo avvalorata da troppi fatti, da solide ragioni e da gravissime autorità la preva- lenza dell'uso del ferro che è reso ormai generale. g4 Scienze Noi troviamo molto giuste tutte queste osserva- zioni del sig. tenente colonnello, e crediamo che pos- sano meritare la superiore sanzione, perchè dirette a conseguire il miglior possibile vantaggio dalla co- struzione del nuovo piroscafo, soprattutto nello spe- ciale rapporto dell'uso di rimurchiatore de' porta- fanghi cui dev'essere destinato. Firmati - Giuseppe VenturoU - Gaspare Salvi - Cle- mente Folcili - Giuseppe Bartolini - Saverio Natali. o^aa^g^ 65 Sopra la vita e le opere del P. Andrea Caraffa della C. di G. Discorso di Salvatore Proja \Trande sventura ella è per una nazione il vedersi sparire innanzi tempo , e pria di compiere l'orbita loro, astri splendidissimi di scienza sorti ad illumi- narla colla luce del sapere, luce che non abbaglia. E tale sventura colpisce da più anni l'Italia, che di molti e preclari ingegni lamenta l'immatura vedo- vanza. Non appena ha cessato dal piangere sulla tomba del Caturegli, del Nobili, del Rosellini, del Pieri, del Chimenti , e già è fatta orba assai precocemente di un altro illustre suo figlio. E questi Andrea Caraffa, mate- matico di alta lena, oratore di pura e colta favella, ornamento nobilissimo della compagnia di Gesù, scom- parso non ha guari dal nostro orizzonte come lumi- nosa meteora di breve durata, o stella filante. Mor- bo crudele, insanabile, che i periti dell'arte chiaman disuria^ rallentò in prima il corso della sua mortale carriera: e cangiatosi poscia in diabete^ il sottrasse per sempre ai nostri occhi avidi ahi ! troppo di più vagheggiarlo. Apparve al mondo in Torri, umile ca- stello della Sabina, il dì 8 di giugno 1789; dispar- ve nel superbo Tivoli il giorno 7 di dicembre del de- corso anno. Vivo, l'onorai e riverii di persona; mor- to, vo' rendergli pubblico testimonio di pietà com- mendandone la vita a coloro, a' quali non fu ;^ani- festa: e questo piccol tributo deh ! gratifichi a quella G.A.T.CVIII. 5 6G Scienze bell'anima, che mi fu generosa di amicizia e di be- nivoglienza. Corta anziché no fu la vita del Caraffa, ma ope- rosa e ricca di fatti egregi onde la illustrò. Di che si debbe gran lode a' suoi genitori Giuseppe ed Eufrasia Bernocchi, non orgogliosi per avita nobiltà, ma di ci- vili ed onesti natali; non lussureggianti per soverchie ricchezze, ma mezzanamente agiati; i quali scorgen^ do nel loro fìgliolino Andrea indizi di buona mente e di cuor generoso, nulla cura pretermisero perchè fosse nutricato fin dalla più tenera infanzia del santo alimento della virtù e del sapere, pria fra le dome^ stiche mura , e poi nel seminario di Fabriano pa- tria illustre dell' immortale linceo Francesco Stellu^ ti. E in vero, valico appena il dodicesimo anno, era sì ben instrutto nelle umane lettere, e nei modi del vivere cristiano e civile, che, spento il padre, e chia- mato indi a poco da un suo zio nella nobilissima Fermo , trasse sopra di sé la maraviglia , non che l'amore dell'universale, come per la perspicacità della sua mente, così per la facilità del dire nell'idioma latino, per la svariata suppellettile delle erudizioni, e per la vivacità del portamento congiunta a singo- iar compostezza. Nel liceo dapprima, e poi nel se- minario vescovile di detta città attese alle superio- ri discipline, massime a quelle che lo intelletto as- sottigliano nei veri della matematica e della razio- nale filosofia, i quali lungi dall'andare disgiunti co- me parve a taluno, si rannodano e stanziano nelle robuste jmenti, siccome nel Cartesio e nel Lebnizio. Se non che, piucchè alla mediocrità dei precettori, dovette il Caraffa alla vasta sua comprensiva, ed allo studio indefesso sopra i grandi e veri maestri, il sa- Notizie del P. Caraffa 67 lire che indi ei fece alle alture a pochi accessibili di così ardue e nobih scienze. Il perchè a ninno fa- rà maraviglia dove io aggiunga, che apparò la fìsi- ca, la zoologia , e grande altra parte della filosofìa naturale, senza maestri di sorla: che meglio è il non averne alcuno, che averne di quelli che tarpano le ali all'ingegno, o lo mettono fuori di via, e le ver- gini menti guastano, corrom pono , imbastardiscono. La qual mala ventura toccò a non pochi dei nostii sommi, come al Calandrelli (1) ed al Mastrofìni (-2), che usciti appena di scuola , dovettero disimparare l'imparato, e ricostruire di per sé il mal composto edificio delle acquistate conoscenze, o piuttosto costru- irne un nuovo. Non io dirò già che i maestri infon- dano il genio: questa sovrana delle intellettuali poten- ze è dono del cielo, e vien concesso, dopo lunghi in- tervalli di paesi e di tempi, a pochi spiriti privile- giati, ne' quali l'immagine della sapienza archetipa e creatrice meglio transpare e si riflette ; dirò bensì che dove questa divina scintilla non sia nelle scuole desta e avvivata, più tarda a risplendere con grave discapito della società e delle lettere; peggio ancora, che disvia o trasmoda quando il suo fuoco non sia opportunamente diretto e regolato. Non mancano esempi da ciò; ma per non uscire dal mio proposi- to citerò a preferenza il genio matematico del Ca- raffa, il quale se in Fermo avesse avuto a maestri le pleiadi della scuola politecnica, sotto il cui ma- gisteri© studiò il Poisson, saria forse apparso fin dalla (1) V. Elogio del prof. Giuseppe Calandrelli scrìtto dal principe D. Pietro Odescalchi, Roma 1829. (2 V. Prosa di inonsig. Carlo Gazola all'onorata memoria di d. Marco Mastrofìni, Roma 1846. 68 Scienze giovinezza quello che poi lo abbiamo ammirato nella matura yirilità: né in quella inesperta età avria de- clinare dal sentiero de' gravi suoi studi per secon- dare chi il volle scrittore di una gazzetta dimparli- inentale. Ma buon per lui, che, ricomposta la cosa pubblica, e ritornate le Marche sotto il legittimo do- minio della s. Sede, tostochè il magnanimo Pio ebbe risuscitata la compagnia di Gesù, concepì il salutare pensiero di affratellarsi ai figli del Loiola, e lo man- dò ad effetto il dì 8 di giugno 1815, essendo già insignito del sacro ordine del diaconato. Ognuno che conosca quali sperti maestri essi sieno i gesuiti nell'arte difficile di guidare gli -spiriti ardenti per la via della sapienza e della pietà, potrà di leggieri congetturare in qual modo governassero e ben dirigessero per l'erto calle lo spirto ardentis- simo del Caraffa. Come oro perfetto dal fuoco, così uscì egli dal noviziato di s. Andrea mondo da quella scoria, che pur troppo inviluppa e degrada l'oro più puro in mezzo al secolo! E poi che ebbe meglio ap- profondito gli alti studi in divinità, fatto sacerdote di Cristo , sublime dignità che gli angeli adorano e gli uomini non rispettano abbastanza, si die con tanto fervore alle opere di pietà, ed all'esercizio del santo ministerio, che parve avesse quasi perduto la natu- rale tendenza alle sue predilette matematiche. Ma Iddio, che concesso gli avea questa naturale incli- nazione, e ingegno potente a soddisfarla , non per- mise che venisse nel meglio soffocata e repressa, ma sì volle piuttosto fosse secondata e quasi direi dile- ticata. Il qual volere egli scorse nel sapiente coman- damento dei supremi reggitori della compagnia, al- Notizie del P. Caraffa 60 lorquando antiveggendo in lui il degno sostenitore della fama dei Clavio, dei Boscovich, e dei Cabrai , il destinarono ad insegnare queste nobili discipline per la prima Yolta a Novara ; talché ricondotto da questa nuova forza, a cui, memore della professata obbedienza, non avrebbe osato contrapporre la mi- nima reazione , al polo primitivo de' suoi studi, ri- prese con pii\ gagliardìa a coltivarli: e non pago di aver delibato i più bei fiori sbucciati nel giardino della scienza, la ricercò tra i bronchi e le spine de' più ascosi recessi, e nella solitudine della sua cella preparò i primi germi di que' frutti, che pria olez- zarono di soave fragranza nei collegi di Urbino e di Modena, e nel collegio e università di Ferrara, e poi si mostrarono in piena maturità nel collegio romano. Qua qua ne venite , o voi che per manifesta ingiustizia tolta vorreste alle persone di chiesa, mas- sime ai loiolesi, il santo uffizio della letteraria edu- cazione: venite a vedere come il Caraffa sotto l'om- bra del santuario educhi per venti e più anni la stu- diosa gioventù all' onore della scienza e al decoro della patria; come ne fecondi ed ispiri le native for- ze, ne guidi gl'incerti passi: venite, e poi mi ridite quanti ve ne ha tra i tronfi e venali cattedranti dei vostri ginnasi, che ne agguaglino o sopravvanzino, non dico l'amore, la premura, l'adoperarsi continuo neir ammaestrarla, anche malsano nel laringe , an- che in mezzo ai dolori della crudele malattia che cel tolse per sempre; ma la perizia, l'arte d'insinuarsi a seconda dell' intendimento , l'acume nella scelta delle dottrine, la sagacia e la chiarezza nello spiegarle. E dove ciò non vi vada a garbo, consultate i suoi scritti 70 Scienze litog^rafici, i saggi pubblicati al finire (TI ogni annor scolastico, le molteplici edizioni delle sue opere (1). Tre corsi di matematiche pure ei pubblicò per le stampe ad uso della sua scuola, in generale delle scuole d'Italia: dei quali se il secondo è il più este- so e completo, non cessa il primo di essere prege- volissimo: né al terzo manca tal che di novità, e quel- la maggior perfezione in alcune sue parti , e sotto certi rapporti, che d'ordinario accompagna le sempre perfettibili opere delle create menti. In tutti ei di- scorse la scienza nella sua vastità , e seppe insieme restringerla tra giusti confini, la rivestì della moder- na eleganza, ne assottigliò i concetti, ne accrebbe e generalizzò i principii, che sono il vero fine e l'og- getto principalissimo di chi prende non che a divul- garla, ma ad avvantaggiarla, come bene sentenziò il Laplace. In tutti accoppiò gli antichi trovati colle novelle invenzioni, il rigore colla semplicità, la bre- vità colla chiarezza più comportabile co' difficolto- si argomenti. In tutti si ravvisa fecondità di teo- riche, non vana pompa di erudizione, o farraggine di applicazioni, che snerva le opere di polso, e falsa il giudizio; ammirabile ordine e collegamento d'idee, non batteria di proposizioni; finezza nella scelta dei metodi , non servile tenacità a questa o quell' altra scuola; concisione, proprietà di vocaboli, eleganza di stile nell'idioma de' padri nostri, e non superfluità di perifrasi, parole di equivoco, bassa e corrotta dici- tura, che deturpano ed inviliscono gran parte di così fatti hbri, sebbene scritti in parlate lingue. Come i dotti accogliessero questo triforme la- (1) Chi desidera più lungo e particolarizzato ragguaglio di que- ste operCj vegga la mia lettera Sopra lo slato , in che al praente si trovano in Roma le matematiche. Gior. Are. 'f. 95. Notizie del P. Caraffa 71 voro dell'illustre ignaziano, ben può vedersi in que- sto giornale (1), ed in quello dell'I. R. istituto lom- bardo di scienze, lettere, ed arti (2): l'accolsero, vo' dire, come il desiderato da tutta Italia, come il più perfetto di quanti per lo innanzi ne fossero tra noi comparsi , come assai atto per istituire compiuta- mente chicchessia nelle matematiche pure, eccellen- te poi se debba dirigersi ad allievi di non medio- cre capacità. Che se taluno innestò alla lode la taccia di oscurità, tal sia di lui, che uso a contentar- si delle superficiali instituzioni non ebbe forse ne le- na, né comprensiva bastevole a bene intenderlo. Gli elementi iiwlto leggieri^ il dirò anche una volta col- l'illustre Paoli, compariscono chiari^ perchè inesatti^ e non trattano in ciascun ramo della scienza^ che di qualche caso particolare : di qui la funesta cagione della mediocriti't, in cui si rimane la più parte di co- loro, che attendono alle matematiche. Tali non sono quelli del Caraffa, che mirano sempre all'esattezza e alla generalità, nume assai ingrato agli spiriti deboli, ma delizia ed amore dei potenti intelletti, felice ca- gione della eccellenza , a cui sono pervenuti molti che nel romano collegio attesero di proposito a stu- diameli. Il perchè coloro ai quali cotesti elementi riescono soverchiamente oscuri, o piuttosto di diffi- cile intelligenza, tengano per certo non essere eglino chiamati alle sublimi speculazioni dell' analisi, agli alti studi della matematica, che sono il faro di lun- gi vagheggiato dall'autore; ma si dovere ad altri ri- volgere i loro sforzi, o tenersi contenti della prima iniziazione , che suol darsene ne' comuni elementi , (1) Tom. 73. (2) Fase. 8p della nuova serie. 72 Scienze senza osare d'inoltrarsi negl'intimi penetrali deH'ee- celsa diva. Donde gran vantaggio ad essi derive- rà: di non avere cioè perduto invano il tempo , e più ne ridonderà alla società intollerante oramai del gran numero dei matematici, ma che di matematici non hanno che il nome e le pretese. Le quali cose da più dotte penne, e da più autorevoli voci che non è la mia, già scritte e declamate, non istarei qui a rammentare, se non avessero stretta relazione col mia assunto, che è di j)rovare avere avuto il Caraffa non solo intellettiva potente a concepire, ma alltresì sa- gacia ed accorgimento nello sporre i felici parti della sua mente. Tra questi debbe anche annoverarsi il corso di matematiche applicale, o come altri dicono di fisico- matematica , in cui con eguale ordine e concisione addita agli studiosi la magica potenza del calcolo nel- la scienza della natura, e loro disvela le arcane leg- gi dei movimenti celesti. Chi conosce i profondi stu- di fatti da un secolo in qua su queste materie da uomini, che puri spiriti direste, anziché incarnati, perchè i fenomeni della natura corporea dai corpo- rei impacci distrigarono, e li compendiarono in sem- plicissime formole , e compendiandoli li moltiplica- rono, avrà di che compiacersi in veder riprodotte e quasi miniate nella fisica del Caraffa le loro sottili teoriche su vari punti di meccanica, idraulica, otti- ca ed astronomia. So bene che non tutte queste teo- riche sono di una utilità popolare , e suscettive di applicazione al benessere della civil comunanza; ma so altresì che la nobiltà di una scienza non dee da ciò misurarsi: che così essendo, l'inventore della notazio- ne numerica sarebbe il più gran calcolatore, e a Sai- Notizie del P. Caraffa 73 Tino degli Armati niuno tra gli ottici potria stare dinanzi. Il vero intellettivo porta con sé i titoli, che lo raccomandano; ha in sé stesso il pregio, l'impor- tanza, che gli conviene: e (ed è la maggiore) l'addot- trinamento. Ombre onorate degli Euleri, dei Lagran- gia , dei d'Alembert , dei Cassini, dei Laplace, dei Poisson , deh ! non vi turbate al sapere che anche a' giorni nostri, giorni di tanta gloria per le astrono- miche e fìsiche scienze , havvi chi insulta alle vo- stre immortali fatiche sopra la figura della terra^ la mutazione deWasse^ la precessione degli equinozi^ il flusso e riflusso de mare^ le orbite planetarie e delle comete^ dichiarandole inutili , e alla umana felicità troppo poco spedienti 1 Godetevi piuttosto le lodi, che vi tributano i veri sapienti , e la gratitudine che vi professa la colta società, che va ripetendo con Se- neca: Digna res est ut sciamus, in quo rerum statu simus ; pigerrimam sortiti an velocissimam sedem , circa nos Deus omnia an nos agat (1). Alle quali lodi e gratitudine partecipano tutti coloro, che si tra- vagliano sopra le dottrine della fisico-matematica o rafforzandole, o ripurgandole da qualche menda, o dichiarandole e distrigandole da calcoli troppo lun- ghi e laboriosi. E questi meriti niuno al certo può negare al Caraffa, specialmente nel bellissimo tratta- to di ottica , nell'acustica , e nel grave argomento delle perturbazioni planetarie: al quale se tutta fos- se conforme la sua astronomia, non avremmo tanto a desiderare la nuova edizione, che quell'operoso e squisito ingegno già meditava di farne. Del resto troppo huigi andrebbe questa paite (1) Quaesi. iia(. lil). 7. cap. 2. lU Scienze dell'orazion mia , se discorrer volessi tutti gli altri lavori matematici o meditati , o scritti , o messi a stampa da Andrea Caraffa. Rammemorerò come ul- timi, e tali veramente sono anche nell'ordine crono- logico, i preziosi articoli, che dettò per la periodica Raccolta scientìfica del Palomba , nuovo ornamento venuto alle romane scienze or volge il secondo anno. Anzi non ultima, ma postuma, e per metà, fu la no- ta sul Principio delle velocità virtuali^ a compiere la quale attese felicemente il reverendo p. De Vico in- signe astronomo e degno collega dell'illustre defonto. E siccome questa nota reggesi tutta sulle orme di una dimostrazione che del principio stesso il sig. Am- père avea inviata manoscritta al Caraffa , così può ben dirsi esser ella tre volte pregevole pei tre il- lustri scrittori, che vi posero mano. Ma vacando il Caraffa con tanta sollecitudine e felice riuscita al magistero dei calcoli e dei feno- meni, niuno creda ne scapitasse la sua pietà, o ri- mettesse per questo dalle sue apostoliche fatiche, e dal ministerio del sacerdozio. La sua vita era divisa come in due parti; l'una allo studio, ed all'insegna- mento delle verità filosofiche; l'altra alla scrupolosa osservanza delle regole del suo istituto, all'esercizio ed alla predicazione delle verità morali dell'evange- lio. La qual vita dove sempre si riscontrasse ne' dotti, meglio che le apologie e le giuste loro querele, fa- rebbe tacere que' petulanti, che, come fu detto as- sai bene, maledicono al sole perchè i suoi raggi ri- splendono talvolta nel fango. Che si la vita del Ca- raffa era come iuduata. Con eguale alacrità ei pas- sava dalla cattedra al pergamo ; dal circolo al tri- bunale di penitenza ; dalla lettura del Lagrangia e Notizie del P. Caraffa 7.1 del Cauchy a quella del Segneri e del Da Kempis; dalla contemplazione delle proprietà geometriche alla considerazione delle divine, quasi fosse quella un pre- ludio ed un preparamento a questa, come veramente e giustamente pensava il filosofo Alcinoo. Con egua- le ardore infiammava le giovani menti all' acquista del sapere , ed infervorava i buoni alla pratica del meglio o i tristi ritraeva dal mal fare. Predicò ai nobili senza blandirli, ai detenuti nelle prigioni sen- za inasprirli, ai giovinetti senza annoiarli, a frequen- tissime udienze d'ogni ceto, d'ogni età, senza dispia- cere ad alcuno, non per l'arditezza del dire, o ro- moreggiare della voce, o battere di piedi, ma in quel- la vece a tutti piacendo per la robustezza del razio- cinio, per la compostezza del porgere, e per la pu- rezza della favella fatta più nobile dalle frasi della scienza; talché potè stare al confronto dell'Odescal- clìi (a que' tempi card, di S. R. C.) e del Finetti, in quel solenne triduo, che i campati dal morbo asia- tico offerirono a Dio in onore di s. Ignazio. Se non che a gagliarda impressione , che in tal congiuntu- ra più che in ogni altro tempo ei fece sull'animo de' suoi uditori, da ben altra sorgente credo io che mo- vesse ; cioè dall' averlo questi veduto neh' anno in- nanzi disprezzator generoso del temuto contagio , e dei pericoli della vita, per farsi molto co' poverelli sorpresi nei loro tuguri dal morbo micidiale, o gia^ centi sul letto di morte negli ospedali: ai quali non solo soccorse coi conforti della religione, ma ezian- dio con quelli, che la genesosa carità dei ricchi per lui animata metteva nelle sue mani. Onde avvenne che anche ai superstiti orfani ed alle vedove scon- solate, tristi avanzi di morte, fu consolatore e sovve- nitore desideratissimo. 76 Scienze E qui dir dovrei delle virtù interiori del nostro Andrea, della imperturbabilità de'suoi affetti, della pu- rezza de' suoi costumi, della pacatezza della sua vita; ma pregi son questi , che comunque ammirevoli , raro è che tu non rinvenga negli uomini di studio, massime se astronomi o matematici. Credibile est il- los pariter vitìisque iocisqiie « Altius humanis exeruis- se caput. » Non venus , aiit vinum sublimia pectora fregit - Offieiumque fori.^ militiaeque labor: - Non le- vis ambitio , perfusaqne gloria fuco - Magnarumque fames sollicitavit opum » (4). Questo si che fu pro- prio di lui, e non posso passarmene, l'integrità del pensare come quella del dire: tanto che si guardò in tutta la vita da ogni pensiero, o parola, che potes- ser convergere, non dico per le linee rette, ma tampo- co per le distorte vie delle false interpretazioni a dan- no dell'altrui fama, fosse pure nelle discipline alie- ne da quelle, in cui egli si travagliava. Altro mal vezzo che spesso alligna nella classe dei dotti egli è quello di tener dietro alle lodi, e quasi pavoneggiar- sene: il Caraffa le cessò al possibile, mentre facile le rendeva ad altrui, massime alla virtù infelice ed alla sapienza negletta. E so ben io, che non contento di sterili encomi più volte si fece a patrocinarla presso i grandi ed i potenti , comunque non sempre tro- vasse in questi un volere siccome il suo, ne unifor- me il pensare. Generoso ! e perchè anzi non facevi rimostranze e lamenti del non essere la tua virtù e' 1 tuo non ordinario sapere abbastanza rimeritato né anco degli onori, a cui conduce la scienza, e che non di rado sono accordati alla stessa mediocrità ? Di ;i) Ovidio, Fasi. 1. Notizie del P. Caraffa 7T fermo, chi vi ha oggi, che si diletti soltanto di let- tere o scienze, che non ahhia gradi accademici, e pub- blica rappresentanza nei dotti consessi ? Il Caraffa non ebbe un solo diploma delle tante accademie , che oggi levan fama di se in Italia e fuori (1): ma- nifesto contrassegno, che il fumo dell'ambizione non ascese alla sua beli' anima , come non ascendon le nubi alla cima delle alte montagne ; per cui non chiese mai di appartenere a queste scientifiche con- greghe, contento di rimanersene umile nella sua glo- ria. Donde io prendo occasione di lodare quegli scien- tifici istituti, che invitano gli eccellenti, e non aspet- tano da essi il rossore della dimanda. Del rimanen- te il Caraffa senza diplomi accademici , e toga di giudice nei tribunali scientifici, mentre visse fu te- nulo in conto di gran matematico dall'Ampère , dal Cauchy, dal lacobi, dal Libri, dallo Steiner, e da quella gloria italica, che egli è, Adriano Balbi, per non di- re dei nostrali , che il salutarono principale orna- mento e sostegno della facoltà matematica a questi giorni in Roma; e poi che fu morto, accreditati gior- nali (2), quasi eco della voce del pubblico, lamen- tarono il tristo caso come calamità per la pubblica istruzione e pel romano collegio. Ma viva Iddio ! che i suoi dettati ci sono rimasi, e'I suo spirito lu- cido, penetrativo, vigoroso quasi trasfuse, dirò cosi, a' suoi preclari allievi p. Luca Boccabianca asceso alla sua cattedra, e p. Benedetto Sestini a questo suc- ceduto nella cattedra degli elementi, e già venuto in (1) Dico delle accademie, che oggi levan fama di se ; avvegna- cliè l'accademia dei lincei, che seppe onorarsene ascrivendolo tra i suoi membri, oggi non è più. (2) Raccolta scientifica, an. I, ii. 24. Album, aii. Xll, ii. 31. 78 Scienze fama di valososo nella fìsica celeste pel suo pregiato lavoro sopra i colori delle stelle, nell'osservare i quali ebbe ad aiuto l'egregio giovine Ignazio Cuguoni, quan- to verde degli anni, tanto maturo di senno. Andrea Caraffa fu di alta statura , e ben for- mato della persona; ebbe fronte spaziosa, ed occhi vivaci rivelatori dell'acuto vedere di quello spirito, che gli animava; unì alla gravità del suo grado modi cortesi ed affabili, onde a tutti si rese carissimo. Ah perchè uno scarpello, una matita, un pennello, non ne ritrassero le nobili forme ! E tu almeno, o illu- stre Della Rovere, perchè col tuo magico dagherro- tipo non corresti a ricopiare il benché esanime sem- biante di quel tuo caro confratello là in Tivoli, ove ratta lo soppraggiunse la morte , quando vi si era condotto per trovarvi salute ! Il suo nome passerà ai posteri nei non perituri suoi scritti : ma il suo volto lo rivedranno soltanto nel cielo, irradiato, co- inè è a sperare, dalla luce del divin sole, quei for- tunati che ne imiteranno qui in terra l'operosità della mente e le virtù dell'animo. t- 70 Dei telegrafi elettrici. N< on \'ha uomo, per rozzo eh' ei sia, il quale in qualche modo non comprenda l'utilità delle scienze coltivate da illustri ingegni per procacciare alla uma- na società quei servigi che fanno più agiata la vita ed arricchiscono gl'intelletti di maggior copia di co- gnizioni. In questo secolo, nel quale dalle scienze in apparenza più sterili si trassero tante pratiche ed espe- rienze al comun bene dirette ed al comune miglio- ramento, la fìsica che mira direttamente a tale sco- po, quanto per una parte ha riempiuto le menti di maraviglia, altrettanto per l'altra di benefici perfe- zionamenti ha abbellito la società. Sarebbe lungo l'an- noverare così le scoperte che erudiscon le menti, co- me i ritrovamenti che si applicano agli usi ed ai commodi dell'umanità. E restringendoci a questi, sarà più che bastevole considerare come nel secolo pre- sente per la prima volta, dato quasi il bando alle vele ed ai remi, abbiano gli uomini tratta dal vapore forza che li conduca a traverso l'oceano, senza trop- po temere che la furia dei venti contrari impedir possa o ritardare il loro corso. Per la prima volta si è conosciuto la stessa potenza essere valevole a tra- sportare i carri con velocità e facilità da non para- gonarsi alla forza delle bestie, le quali dalla origine prima della umana società servivano entro terra a quest'uso. La stessa forza e stala sostituita alle brac- 80 Scienze eia degli uomini alle bestie ed all'acqua per dar mo- to agli opifici più grandi, quali sarebbero quelli dei mulini, delle trombe d'ogni misura e dei purgapor- ti. Fin dal secolo XVI fu ammirata la camera oscu- ra, bella invenzione del Della Porta; ma niuno potè fino a noi vedere fermata e perpetuata 1' immagine che in essa vi appariva : e questo è il problema che con tanta lode pocanzi fu risoluto dall'ingegnoso Da- guerre. Queste produzioni dell' umano ingegno, per tacere le mille altre, rapiscono le lodi e destano l'am- mirazione sia di quelli che si contentano di racco- glierne il frutto, sia di coloro che oltre l'utilità ne comprendono la bellezza al lume della scienza e collo studio della teorica. Ma l'ammirazione di que'primi è quella del rozzo agricoltore sui pianeti che ador- nano il cielo. Egli ammira, ma senza la soddisfazione di che gode il dotto astronomo, il quale sa calco- larne i moti, e ne conosce le masse. Ma per mala ventura il numero dei primi è molto grande, e di- "viene anche maggiore per chi consideri che non nei soli ignoranti , ma nell' universale degli uomini è sì limitato l'ingegno, che chi ben si conosce d'una cosa non può egualmente comprenderne infinite al- tre. Questa comune debolezza delle nostre menti sem- bra che dovrebbe muovere tutti ad una reciproca co- iriunicazione di scientifiche cognizioni, adattandole all' intelligenza se non di tutti, che è impossibile, almeno di chi si consacra ad altri studi più di proposito che non a questi. La qual pratica se tra noi prendesse piede, gli arcani della scienza non rimarrebbero tra i seguaci di essa quasi esclusivamente. So anche io quanto ardua cosa ella sia il render piani i princi- pi! e le teoriche d'una scienza a chi non ne fa studio Telegrafi elettrici 81 particolare: ma perchè almeno non pubblicare con chiarezza e precisione quei risultati di essa che per r applicazione diretta al comun bene divengono di pubblico diritto ? Per qual altra ragione delle recenti scoperte la maggior parte degli uomini non cono- sce il processo, se non perchè mancano del tutto spie- gazioni che giustamente dicansi popolari, mentre ab- bondano quelle che concepite nei termini stretti del- la scienza non possono essere intese se non dai co- noscitori di quella ? E il numero di costoro si va facendo tanto minore, quanto più cresce di giorno in giorno il numero delle cognizioni o rinnovansi per esse le teoriche, e quanto l'uomo più oltre proce- de nello scoprire i segreti di natura per le disastro- se vie dell'investigazione. Queste riflessioni ho voluto premettere al di- scorso della telegrafia elettrica che stimo un de'più be' trovati del nostro secolo, e del quale molti par- lano senza comprenderne gian fatto il metodo, che indarno cercano o n,elle descrizioni scientifiche non adattate alla loro intelligenza, o nei giornali pei quali è gran cosa l'averne dato un leggero annunzio. Co- tal desiderio di vedere molti nostri concittadini pren- dere un interesse vivo pel bellissimo ritrovamento che è la telegrafia ne ha fatti per poco dimentichi della tenuità di nostre forze, e ne ha persuasi a ren- derli istrutti almeno in parte delle cagioni di sì stu- pendi effetti. La velocità del fluido elettrico nel destare l'am- mirazione dell'uomo ne ha eccitato il desiderio dell' applicazione agli usi della vita : e sarebbesi , credo io , volentieri studiato di farsi trasportare ad esio come il lampo, se non ne avesse temuta la potenza. G.A.T.CVIII. 6 82 Scienze Ma non andò a lungo che poco sodisfatto del mez- zo stimato già rapidissimo di trasmettere le notizie per gli ordinari telegrafi ottici, nei quali i segnali sono delle figure geometriche formate da travi mo- bili, volse l'animo a sostituirvi l'elettricità, allettato dalla speranza di vedersi innanzi agli occhi i segnali quasi neir istante medesimo in cui si davano (1). Per servirsi dell' elettricità, onde comunicare de' se- gnali ad una qualche distanza, fu dapprima pensato ad impiegare la scarica elettrica o la scintilla. Que- sto fatto fondamentale fu conosciuto in Inghilterra nel 1747, quando si vide una scarica elettrica tra- versare istantaneamente una distanza di due miglia inglesi. Ma perchè la maggior parte delle utili sco- perte nascono bambine e non ottengono il loro per- fezionamento se non dal progresso del tempo, così è difficile r accertare chi pel primo abbia concepita l'idea di questa telegrafia, come accade di tanti altri vantaggi procacciati alla vita dell'uomo. Tanto più che l'idea astratta dell' applicazione è ben facile in confronto dell' applicazione concreta ed efficace all' intento desiderato. Alcuni ascrivono quest' idea a Franklin, ed asseriscono che nel 1774 ne venisse in Ginevra pubblicato un metodo per opera di Lesage. Riferisce Burguieres che nei viaggi di Arturo Young parlasi di tal foggia di telegrafo come d'una (1) Cade qui in acconcio il ricordare, che la velociti dell'elet- trico è di gran lunga maggiore di quella della luce, mentre dalle esperienze di Wheatstone si è provato che la scintilla si trasmette per un filo metallico con una rapidità non minore di 288,000 mi- glia inglesi per secondo: talché un dispaccio correrebbe in tal gui- sa intorno alla terra in un dodicesimo di secondo. Si ?• altresì cal- colato che la velocità deirelettricilà volliaiia è maggiore di 1,260^000 piedi ogni secondo, e giusta l'opinione di lacobi di piedi 35,000,000. Telegrafi elettrici 83 invenzione del sig. Lomond; e benché non ci sia noto il tempo preciso, sappiamo tuttavia che i viag- gi del Yovmg vennero alla luce nel 1787. Altri at- tribuisce come a primo quest'idea al sig. De Hum- boldt, per averla esso proposta nel 1797 e per aver creato un telegrafo traAranjuez e Madrid, col quale trasmetteva i segni per mezzo della scintilla elettri- ca (1). In seguito nel 1807 Sommering s' occupò con prosperità di successo nell' investigazione dello stesso soggetto. Egli stabiliva il suo artifizio sui gas prodotti dall'acqua elettrizzata (2). Finalmente fu im- maginato nel 181G d'impiegare a cjuest' effetto la corrente galvanica, e ciò si dee a Coxe di Filadel- fia (3). Ma queste idee non erano che imperfette: e se taluna fu messa in opera, ella sembrò anzi lode- vole come nuova, di quel che facile ad una appli- cazione universale, a fronte degli ostacoli che non si erano ancora potuti superare. Più plausibile fu il pensiero d' applicare alla trasmissione de' segnali la deviazione dell' ago magnetico per la corrente gal- vanica. Oersted nel 1819 scoprì che una corrente galvanica, la quale passi sopra un ago da bussola per un filo metallico parallelo alla posizione dell'ago stes- so, lo fa deviare o dall'una parte o dall'altra a secon- da della direzione della corrente. Fechner (4) pel primo vide in questa scoperta un mezzo idoneo all' effetto della trasmissione de'segni. In seguito Ampe- re concepì l'idea d'un telegrafo, che Ritchie esegui (1) Resultate aus den Beobachtungen des magnetischen Vereins im lahre 1837; Gottiiigen 1838 Gauss. (2) Miinchiier Denkischr 1809-1810. (3) Thoaisoii 's Auiials VII 1 serie 1G2. (4) Lehrbuch des Galvaiiisiiius 1829. 84 Scienze in modello, e Schilling tentò di perfezionare (I). Questo telegrafo era concepito in modo che ciascun segno o lettera dovesse essere indicata da uu appa- recchio, quale ora s'è descritto, cioè d'un filo metal- lico che passi da un' estremità all'altra (che chiame- remo stazioni) della linea sulla quale voglionsi tra- smettere i segnah. Questo girando attorno ad un ago calamitato o da bussola, lo fa deviare quante volte per quello si faccia correre l'elettricità comunicata anche ad una gran lontananza. Come il moto dell' ago descritto è il segnale convenuto per uno così moltiplicando questi apparecchi si avranno tutti i segni che si richieggono. Tale processo, che per la complicazione sembra non applicabile, fu però allora un gran perfeziona- mento: né dee disprezzarsi neppure ora che ne ab- biamo veduti nascere di migliori, come niun v'ha che rida leggendo che i nostri antichi intagliassero con una punta in cera ciò che ora noi colla penna scriviamo in carta. Fu nel 1833 che si stabilì in Gtittingen un te- legrafo fra la specola ed il gabinetto dell'università per le lodevoli sperienze de'sigg. Gauss e Weber (2), e la notizia che Faraday comunicò sull' induzione elettro-magnetica fu per essi un lampo, alla luce del quale perfezionarono (1835) il loro ritrovamento, co- me risulta dalla memoria dallo stesso Gauss letta all'accademia delle scienze di Gòttingen il 19 di set- tembre 1837. Negli Annales de chimie et de physique trovaci una traduzione succinta di una descrizione di un te;- (1) Allgemeine Baiizeltunf;, 1837. (2) Sch' -her's laltrbuck iiir 1836. Telegrafi elettrici 85 lejjrafo eleltro-mag^iietico pubblicata dal sig. Morse in Nuova York nel 1837, della quale parleremo in appresso. Ivi stesso si legge (t. 71, pag, 347) che con un metodo più perfezionato il sig. Steinheil avea in Monaco stabilito un telegrafo che dalla sua casa si estendeva per un circuito di quasi due leghe. Ma fino a questo tempo nessuno avea pensato ad adattare alla telegrafia il suono de'campanelli (che facilmente può ottenersi coll'elettricità), e ciò era ri- serbato al sig. Stratingh, che ne pubblicò la descri- zione in un giornale olandese (1). E qui si potreb- be parlare anche di altre fogge di telegrafi , come quello ad aria e dell'altro idraulico, se la prolissità, in cui andrei a perdermi , non mi consigliasse ad ometterli come ho dovuto fare di molte lodevoli fa- tiche di Lomond , Devy, Le Monnier e d'altri (2). Il sig. Wheatstone, a cui siara debitori del telegrafo del quale ora in molti luoghi si fa uso come quello che è de'più perfezionati, fin dal 1837 avea stabili- to un telegrafo sulla strada di ferro di Birmingham. Egli fece allora uso del metodo di sopra indicato, della direzione cioè che prendono gli aghi sottopo- sti ai fili conduttori della corrente galvanica: e con gra)ide studio era giunto a potere indicare tutte le lettere dell'alfabeto con cinque degli apparecchi de- scritti. Ma oltremodo ingegnoso è il processo che egli in seguito ha adottato per trasmettere con un solo filo tutti i segni necessari: poiché oltre la sem- plicità che esso presenta ( almeno in relazione di (t) lets over eenen Elektroraagnetisclien Klokken-Felegraaf. (2) Chi bramasse maggiori notizie può cercarle nell' opuscolo che ha per titolo: Theorie de la telegraphie electrique etc. Deven- ter, 1839, 8G Scienze quelli che abbiamo di sopra accennato ) unisco la facilità di comunicare e ricevere i se(;ha'i, che va- le quanto scrivere e leggere le notizie. Di questo te- legrafo, che distinguesi col nome di telegrafo a qua- drante, fu eseguilo mi modello qui in Roma che fu anche a maggiore semplicità ridotto dall'industria d'alcuni padri della compagnia di Gesù , i quali lo presentarono all' osservazione dei dotti nello scorso settembre nella forma che ora si conserva nel gabi- netto fisico del collegio romano. La semplicità che esso presenta nella sua costruzione che si è avuta principalmente di mira, perchè ognuno potesse facil- mente comprenderne il processo (sebbene in sostan- za non diiferisca da quello di Wheatstone ) non è senza un onore della patria. Perciò spero che il let- tore gradisca il leggerne la descrizione, come gra- dita cosa è slata per me il farla. E tale è appunto a mio credere il principal fine delle figure delle de- scrizioni e dei modelli, di provvedeie cioè all'intel- ligenza comune colla chiarezza ed evidenza dell'espo- sizione:^ pregio che il più delle volte si desidera per- i.a da coloro, nei quali l'occhio illuminato dalla scien- za non può tacciarsi di cecità. Il telegrafo, di cui si tratta, è composto di tre parti principali, l'apparecchio d'elettricità o pila vol- tiana fig. Ili, e questo è il motore del telegrafo; un primo quadrante, su cui sono segnate le lettere , i numeri o altre cifre e con cui si comunicano le no- tizie o, se voglia dirsi, si scrive e che chiamasi per- ciò comunicatore fìg. Il: ed un secondo quadrante di simile apparenza, al quale perchè indica i segni trasmessi si è dato nome cVindicaiore fig. I. Mostrerei di non apprezzare quanto si mori! a k Telegrafi elettrici 8T l'intelligenza de'miei lettori, se mi fermassi a descri- Yere l'apparato volliano, cosa ornai tanto nota quan- to n'è dift'usa l'applicazione. Ma poiché nel telegrafo si fa uso di una pila- di quelle che diconsi a forza costante, debbo pur dire di essa poche parole. Lo stesso nome che essa porta ne spiega il pregio e la virtù, la quale consiste nello svolgere una quantità d'elettrico con quella costanza che non è degli ap- parati comuni, ne'quali va scemando in ragione dell' ossidazione de'metalli. E fra le varie forme di que- ste pile si è scelta quella di Danieli, che viene com- posta, come vedesi dallo spaccato fìg. Ili, da una cassetta di rame quadrilunga r r r r. Questa contiene una certa misura di soluzione saturata di solfato di rame, e in essa è posto un diaframma d d di terra porosa o da pippe della stessa forma della cassetta: al qual diaframma può comodamente sostituirsi e con vantaggio un sacchetto di tela da vele o di vescica. Il sacchetto o vescica contiene una soluzione di clo- ruro di sodio o sai marino od anche di acido sol- forico molto allungato. Questa soluzione può formar- si di 9 parti di acqua e d'una di acido solforico: e in essa vi pesca una lastra di zinco z amalgamata, onde più lenta ne sia l'ossidazione. Sono queste le parti diverse che costituiscono ciò che dicesi una copjìia della pila. Ora dalla cas- setta di rame parte una lista l dello stesso metallo, che per mezzo di saldature si congiunge allo zinco della coppia seguente, e cosi di mano in mano per quante sono le coppie, delle quali si compone l'ap- parato- Onde rimane chiaro, che dei due fili condut- tori l'uno va a congiungersi colla prima lastra di zin- co z^ e l'altro coir ulti ma cassetta di rame; questi due 88 Scienze punti diconsi poli. Il numero poi di questi elementi o coppie della pila dev' essere proporzionatamente maggiore secondo la maggiore distanza delle due stazioni. Tale apparecchio d'elettricità è collocato nella stazione dello scrivente , e i fili conduttori di esso percorrono tutta la linea telegrafica, e quindi ritor- nano là dond'erano partiti. Prescindendo da un nuo- vo metodo, di cui diremo più avanti, conviene che le due estremità o poli dell' apparecchio sieno con- giunti da un filo metallico , il quale in un con la pila forma ciò che chiamasi circuito elettrico. Questo è chiuso quando i fili sono in contatto coll'apparec- chio, e dicesi aperto quando i fili si disgiungono da quello o solo un d'essi: e per tal separazione cessa la corrente elettrica. Due quadranti, e ome veggonsi nella fìg. I e II che portano segnate le lettere dell'alfabeto ed i nu- meri, e sui quali potrebbonsi anche inserire altri se- gni di convenzione, sono posti 1' uno ad una estre- mità o stazione della linea telegrafica, e l'altro all'op- posta. Come si vede in questi quadranti si sono la- sciate le lettere di minor uso: che anzi potrebbonsi senza danno omettere eziandio l'H Q V, come quelle che vengono da altre facilmente rappresentate. Che se si volesse tener segreto questo linguaggio , alle lettere si potrebbero facilmente sostituire de'segni di convenzione. Il segno poi -r può servire ad un av- viso convenuto, come sarebbe a indicare sospensione, riposo od allro. Il quadrante II comunicatore è destinato a scri- vere, come s'è detto: l'altro indicatore a leggere i se- gni trasmessi. Ciascuno di essi ha negli stessi luoghi k Telegrafi elettrici 8^^ segnate le lettere che vengono indicate da un'indice;^ che nella fig. II si fa girare per mezzo della mano e si trasporta sulla lettera che si desidera. E qui, co- me ognun vede, l'unica dilBcoltà riducesi al comu- nicare gli stessi movimenti all'indice del quadrante I, affinchè l'osservatore che trovasi all'altra stazione possa all' istante vedere indicate quelle lettere che r altro vuole comunicargli- Ed ecco come ciò si è ottenuto. Si esamini da prima il quadrante indica- tore, perchè così vuole l'ordine della teorica e quella parte di essa sulla quale è fondato un tale apparec- chio. Come è fatto costante che una corrente galva- nica, la quale circoli intorno ad un ago da bussola, lo fa deviare, così è bene il conoscere un'altra pro- prietà di questa corrente, quella cioè di rendere ca- lamitato un ferro dolce intorno a cui sia avvolto in elice un filo metallico. Per questo filo s'avvia la cor- rente: e la calamitazione, «he comunica al ferro, dura tanto tempo quanto la corrente seguita ad agire, os- sia finché non è interrotta. Ciò posto, si rende chia- ra l'applicazione di questa teorica al moto dell'indice nell'indicatore fig. I coU'analizzarne le parti. Nel centro di questo quadrante è una ruota a «, alla quale è annesso 1' indice che è forzata a girare dal peso P, perchè la corda, dalla quale esso pende, è avvolta alla suddetta ruota: ond'essa gire- rebbe finché vi fosse corda che per 1' attrito ve la spingesse: senonchè viene trattenuta dall'ancora b 1) h" che ha centro in e e ingrana colle sue branche h h" nei denti della ruota centrale e ne trattiene il moto. Se però quest'ancora girando sul perno e si muova dalla posizione verticale, nella quale è tenuta per mezzo del peso ]), come si vede nella fìguraj lascerà 90 Scienze scappare un dente della ruota ritirandosi la branca b'\ e coU'altra b tratterrà un secondo dente, affinchè la ruota non si muova che d'un sol dente finché non ritorni alla prima situazione. E cosi di se^juito quan- te volte r ancora oscillando lascerà libera la ruota, questa tratta dal peso si moverà, ma d'un sol dente alla volta, e l'indice annesso ad ogni mossa indicherà una lettera sul quadrante. Il meccanismo fni qui descritto è in tutto si- mile a quello degli orologi; ma qual è il rae^zo col quale dar moto all'ancora, ad una distanza conside- revole? È l'elettricità. L'elettro magnete C è di ferro dolce, è un cilindro di ferro ripiegato a forma di U, come lo mostra la figura, rivestito di un filo di ra- me ricoperto di seta che intorno allo stesso cilindro è ravvolto ad elice o a spira. Per questo filo passa l'elettricità che, come s'è detto, magnetizza il ferro, il quale in forza della calamitazione temporaria at^ trae una sbarra parimente di ferro che aderisce all' ancora. Ora se pel detto filo si faccia circolare l'e- lettricità, il ferro dolce diventando calamita attirerà l'ancora b b" b'\ questa nel suo muoversi lascerà sfug- gire un dente della ruota e l'indice progredirà d'una lettera. Così supponendo che l'indice nell'uno e l'al- tro quadrante trovisi sulla lettera 0 quando facciasi passare 1' elettricità pel filo conduttore e quindi si tolga l'indice passerà al P: e se ciò si ripeta quat- tro o cinque volte, passerà indicando altrettante let- tere successive (i). (1) Nel telegralo di Wlieatstone non v'ha ne il moto di orolo- geria uè l'indice; ma il moto prodotto dal ferro calamitato fa {jirare tutto il quadrante su cui sono sejjnate le lettore, e queste compari- scono sotto un'apertura o foro fatto sopra un iliaco die copre tut- Telegrafi elettrici 91 Ciò che fin qui si è detto riguarda il modo di leggere nel telegrafo, o più veramente il modo onde vengono segnate le lettere dall'indice; conviene ora esaminare il modo di scrivere quale mi è paruto più utile posporre per dar meglio a vedere lo scopo a cui è diretto questo secondo quadrante; quantunque lo scrivere dovrebbe andare innanzi in ragione di causa e di origine. Ci rimane dunque a conoscere come quegli che scrive nel telegrafo possa chiudere il circuito elettrico , quante volte sia ciò necessario onde far giungere l'indice alla lettera che vuol tra- smettere. Dopo aver mostrato che chiudere il circui- to non è se non mettere in comunicazione i due poli o estremità della pila, ossia ottenere che quel filo metallico conduttore, dopo esser partito dall' ultima lastra di zinco della pila e dopo aver percorso la li- nea telegrafica, venga nel ritorno a toccare la lastra di rame nll'estreraità opposta della pila medesima ; rimane chiarissimo che lo scrittore, chiudendo il det- to circuito tante volte quante fa di mestiere, otterrà la indicazione della lettera all'altra stazione. A modo d'esempio, se l'indice sta fermo in 0 ed egli chiuda tre volte il circuito, verrà indicata la R; se poi lo chiuda altre 29 volte, verrà indicata l'O; poi se al- tre 30 , la M, finalmente con chiudere 22 volte il circuito indicherà l'A ed avrà scritto ROMA. I nu- meri ora indicati sono la somma delle lettere e nu- meri che formano la distanza fra le lettere da indi- carsi e che deve percorrere l'indice prima di giun- gere a cjuella destinata. Se non che in questo modo to il quadrante, o la lettera che si vede fermarsi in tale apertura e ijuclla che si vuole indicare. ^2 Scienze sarebbe diiricile il computo e tarda ne diverrebbe l'esecuzione. Un altro quadrante fu per ciò destinato N. II ad indicare insieme le lettere che si scrivono, e chiudere la corrente ad ogni lettera, innanzi a cui passi l'indice col solo muoversi di questo a dito. Sul quadrante formato d'una materia che per essere isolan- te non dia passaggio all'elettricità, come di legno o meglio di avorio, sono segnate le lettere collo stesso ordine che nell'altro, e intorno a queste havvi un circolo di metallo che nella figura vedesi segnato in nero e che è incassato nello stesso quadrante in mo- do clie forma con esso un solo piano. Da questo anello metallico partono allrettante linguette dello stesso metallo, quante sono le lettere cui tagliano a metà, come ben comprendesi guardando nella figu- ra (1). Coll'anello di cui parliamo comunica un de' fili conduttori : 1' altro poi è in contatto coli' indice che dee parimente essere di metallo, e che coU'estre- mità o punta girando dee toccare le linguette che intersecano le lettere. Onde rendere più sicuro il con- tatto dell'indice colle strisce suddette può aggiunger- si all'estremità di esso una ruota, che girando si ten- ga a contatto col quadrante, ovvero una molla pie- gata a spirale. Ogni ulteriore diceria sarebbe vana* ognuno ha già compreso che quando l'indice starà sul quadrante (1) Altra volta si è posto il circolo o anello di metallo sotto al piano del quadrante, sopra questo erano situate delle punte di metallo una sotto orjni lettera, e queste punte aveano comunicazio- ne coll'anello sottoposto; ma ho creduto meglio disporre le comuni- cazioni nel modo descritto (col quale s'ottiene lo stesso efl'etto ) af- nnchè non avesse il lettore ad immaginare da se cosa alcuna che non fosse espressa nella figura. Telegrafi elettrici 93 che non riceve l'elettricilà, la corrente non si met- terà in azione perchè impedita dal difetto di comu- nicazione, ossia perchè non v'c contatto tra i fìU con- duttori; ma che quando per opposto col dito si farà passare sulle lettere, toccherà le linjjuette metalliche, e da questo contatto ne nascerà la comunicazione de' fili, e quindi la calamitazione del ferro dolce e tutto altro che si è di sopra mostrato. Se dunque muovasi col dito l'indice che si tro- va in 0, e si faccia passare sulla P, vi sarà il con- tatto fra i metalli; talché l'altro della stazione oppo- sta sef^nerà parimenti la lettera P per la corrente che destandosi calamita il ferro, e pel moto che l'ancora concepisce in forza di questa calamitazione. Si av- verta però, che l'indice del quadrante comunicatore non deve lasciarsi fermo sulle liste metalliche delle lettere quando si tiene in riposo, ma sul legno del quadrante; perchè altrimenti pel contatto delle lin- guette coir indice resterebbe chiuso inutilmente il circuito. Ma ad alcuno forse recherà noia il solo pensare all'immobilità, colla «{uale deve l'osservatore del qua- drante num. I tener su di esso fissi gli occhi per vedere i segni che gli vengono comunicati con que- sto muto linguaggio. E sarebbe ella una cosa ben fastidiosa, se non si fosse provveduto a chiamar l'os- servatore al suo officio per mezzo d'un campanello, mentre esso attende ad altre occupazioni nello stesso luogo. Un terzo filo fu a ciò destinato, ed un altro ferro dolce che collo stesso processo indicato fa sca- ricare una molla, e questa dà molo e suono ad un campanello. Ma anche non valendosi di quest' espe- diente, fu immaginato un modo molto più semplice 94 Scienze nel modello del telegrafo, di cui parliamo, come scor- sesi nella figura num. 1. Qui il campanello è fermo sul quadrante, e \iene percosso da un martello fisso ad una leva m o l. Questa leva è ferma in o sopra un perno, intorno al quale gira; e siccome 1' estre- mità di essa m^ è trattenuta dall'ancora b b b'\ così movendosi l'ancora, si muove anch'essa, ed il mar- tello percolerà la campana: in modo che ad ogni lettera che verrà indicata si avrà il suono del cam- panello. Ma perchè questo segnale si richiede al prin- cipio dell'operazione per chiamare l'attenzione dello stazionario, è chiaro che un solo tocco di campana sarebbe poco al principio, come inutilmente verreb- be ripetuto ad ogni lettera. Al primo difetto si ri- para con far tutto il giro dei 32 segni, ossia di tutto il quadrante , od anche più giri per ottenere mag- gior numero di suoni; al secondo fermando il mar- tello. Con questo mezzo semplicissimo si ottiene il risparmio di un altro filo conduttore, che non è pic- col vantaggio rispetto alla lunghezza di questo e alla difficoltà di ben conservarlo, e forse (dobbiam con- fessarlo ) se v' è alcuna cosa a desiderare nel pro- cesso della telegrafia, è appunto ciò che riguarda 1 fili. Essi sono di metallo, è vero; ma come difenderli dall'ossidazione e dal logoro, tanto se si facciano pas- sare sotterra, quanto se nell'aria ? e, ciò che più im- porta,dalla perdita dell'elettricità che facilmente si dif- fonde alle materie umide nell'uno e l'altro mezzo ? (1) (I) Se il filo condiitlore anche in un sol punto è a contatto col terreno ; l'elettricità in luogo di proseguire il cammino , da quel punto si comunica alla terra, e per essa ritorna al principio e |com- pie ìi circuito, ovvero si disperde in quell'immenso recettacolo d'e- lettricit.^, ch'è il globo tarraqueo. Telegrafi elettrici 95 S'è proposto di vestirli dì mastice , di chiuderli in tubi di cristallo, come ha usato lacobi , ovvero di ferro fuso, secondo il metodo di ^"Mieatstone: ma 1' esito non ha corrisposto. Potrebbe forse ottenersi tale scopo rivestendoli di silicato di potassa ? Né posso- no altresì questi fdi (guarentirsi facilmente dalla ma- lifjnità di taluno, che per effettuare a suo mal talento l'interruzione de' medes mi non trova in ciò alcun ostacolo. Il nasconderli sotterra, o metterli lungo le vie di ferro sotto la guardia delle sentinelle, può in qualche modo difenderli. Quando questi conduttori si fanno passare per l'aria , veggonsi percorrere tutta la linea sorretti di quando in quando da pali confìtti in terra , i quali se sono di metallo, come è il più delle volte, non devono avere contatto col filo medesimo, ma esserne separati per mezzo di una materia isolante, come ve- tro, bitume o porcellana. Qui cade in acconcio osser- vare, come in progresso di tempo si è coll'esperienza piovato che un solo filo basta all'effetto richiesto, e che all'altro, che dovrebbe ricondurre l'elettricità, si può sostituire la terra. A tal fine basta immergere le due estremità di questo filo soppresso in un foro ri- empilo d'acqua, ovvero in un pozzo. A queste estre- mità del filo Vanna congiunte due grandi lastre di rame, per mezzo delle quali meglio si communica l'elettricità alla terra. Finalmente conviene avvertire che non è solo acconcio questo filo a dar le notizie, ma anche a ri^ ceverle : talché in ciascuna delle due stazioni si può e leggere e scrivere adattando lo stesso filo al qua- drante, del quale si vuole far uso, poiché in ciascuna Stazione v'é necessità dei due quadranti comunicatore 96 Scienze e indicatore. In tal modo dee la pila trovarsi sempre in azione, sia per trasmettere i segnali, sia per aspet- tarli , ove pure non vogliansi adoprare due pile : ciò che non tornerebbe all'economia che si ricerca. Nel primo caso, cioè quando si fa uso d'una sola pi- la, dopo che si è fatto agire in ciascuna stazione il comunicatore si dee lasciar chiuso il circuito ( e ciò ottiensi col lasciare l'indice a contatto delle liste me- talliche ) onde per questo mezzo si possano ricevere le comunicazioni dall'altra stazione : e perchè non si conosce il tempo in cui verranno queste trasmesse, dee sempre lasciarsi in azione la pila. Nel secondo basta che sia chiuso il circuito, perchè ciascuno de' stazionari, che vorrà trasmettere segnali, a sua volontà metterà in opera la pila, che trovasi presso di lui. Vedremo tuttavia in seguito un modo, onde ottenere lo stesso effetto coU'uso di una sola batteria elettrica. Questo telegrafo, come abbiamo di sopra accen- nato, richiede l'assidua presenza di un osservatore. La sua assenza porterebbe la perdita delle notizie tra- smesse. Si è provato di por rimedio a tanto incon- veniente con un perfezionamento, che è forse più bel- lo nello scopo che facile nel processo. Si è studiato di stampare le lettere che vogliono indicarsi. Ciò si fa col sostituire alle lettere dipinte delle lettere rilevate di metallo, come quelle de'tipografi: e qui in luogo dell'indice si fa girare tutto il qviadran- te, questo girando passa sotto un cilindro di legno, intorno al quale è avvolta una carta bianca a con- latto di una annerita. Quando la lettera, che si vuole indicare, è giunta sotto al cilindro, si fa cadere un martello, che comprime il cilindro e la carta contro la lettera, della quale resta l'impressione. Se poi quel A B ]>^ 0 / /ir/^^ r^/^r/y^r/y A B ( D E a H I K I. M ]>J^ 0 F Q R S T UT V X Y y 2 3/^56 7 S 9 W c2/ey^rA'Y'r /^/y//'/" wr/^ I Telegrafi elettrici ' 97 cilindro si faccia girare da un motore come negli orologi, è chiaro che si stamperanno successivamente ìe lettere senza alcuna assistenza dell'osservatore. Un tale effetto però ottiensi in modo di gran lunga migliore nel telegrafo americano , di cui ve- niamo ora a parlare più di proposito , e del quale fu data una succinta descrizione nel 1837, che più estesamente venne pubblicata in Washington nel 1845 dal sig. A. Vail assistente con soprintendenza del telegrafo stesso. Esso è d'invenzione di Morse , pro- fessore all'università di Nuova York, che ne diede il primo avviso nel 1837. Per non ripetere le cose dette di sopra, parten- do dall'elettro magnete C di ferro dolce, che viene ■calamitato dalla corrente , rechi il lettore il suo oc- chio sulla figura IV. E destinato qui l'elettro-magne- te quando è investito dall'elettricità non ad attrarre l'ancora a dar moto ad un indice, ma semplicemente j a dar moto alla leva l e che ha il suo fulcro in e, ' e che all'estremità e porta annessa una sbarra di ferro, ond'essere attratta dalla calamita C; all'altra estremità I / havvi una punta verticale d'acciaio, che quando la leva si abbassa in a per l'attrazione magnetica, l'e- stremità opposta l s'innalza e la punta va a percuo- tere una lista di carta s.s.s.s^ che è tenuta in quella direzione da un cilindro f, sul quale è corrisponden- temente alla punta formato un solco. T è un gran cilindro o tamburo, sul quale è avvolta la carta. 0 0 sono due altri cilindri, che girando a contatto l'un dell'altro tirano la caria che passa fra mezzo di essi, e per l'attrito la svolgono dal tamburo T. A quest' effetto uno di essi riceve il moto uniforme intorno al suo asse da un meccanismo simile a quello di un G.A.T.GVIII. 7 98 Scienze orologio, tanto facile a immaginarsi, che torna me- glio l'ometterlo nella figura. Se dunque si faccia passare l'elettricità pei fili col chiudere il circuito, verrà attratta la leva, e la punta l sollevata formerà un foro nella carta; se il circuito si chiuda per un'istante, la carta riporterà un sol forellino; se duri un qualche tempo a circolare l'elettricità, formerassi una linea; né fa mestieri ag- giungere che ciò accade perchè la carta nell' essere tirata dai cilindri 0 0 passa sulla punta ferma con- tro di essa , e si lascia quindi tagliare in una linea tanto più lunga, quanto maggiore è il tempo in che la punta si tien fissa contro di essa (I). Ed ecco come si possono ottenere incise , non pure scritte sulla carta, delle linee più o meno lun- ghe, e de'punti, dal numero e dalla diversa combi- nazione dei quali può facilmente ottenersi un alfabeto che mi sono provato di esporre il più semplicemente possibile coU'adoprare meno segni in più combina- zioni, senza tener conto della distanza fra essi, come si è fatto altra volta: per lo che avveniva facilmente si confondessero le distanze. Detto alfabeto è come si vede qui incontro riportato. Il meccanismo de'due cilindri 0 0' comprimendo la carta, la svolge dal tamburo T, come si è detto, e questo durerebbe tanto quanto la carica dell' oro- logio che dà moto ai suddetti cilindri 0 0', e con ciò si svolgerebbe inutilmente la carta quando il tele- grafo non agisce. Per evitar ciò si è fatto in modo (1) Per ottener questi segni lacoLi ha fatto uso, in liiofjo della punta descrilla, di una matita che lascia de'segni sopra iia vetro »nierir;lialo. Telegrafi elettrici 90 che il moto d'orologeria non agisca se non contem- poraneamente al telegrafo. Una sbarra verticale an- nessa alla leva / e va a battere contro i denti di una delle ruote dell'orologio , e ne impedisce il movi- mento quando il telegrafo non agisce; e quando que- sto sia messo in azione, nel sollevarsi che fa la leva all'estremità / trae seco la sbarra che impediva il gi- ro della ruota : e questa, rimasta libera, riprende il suo moto e fa che progredisca la carta. Il modo poi di trasmettere i segnali alla stazione dello scrivente consiste, come quello detto di sopra, nel chiudere cioè ed aprire il circuito : se non che sarebbe in questo inutile il quadrante, perchè non si fa uso di lettere. La chiave (che così chiamasi que- sto semplice meccanismo del chiudere il circuito ) è come osservasi nella figura V, e consiste in un bot- tone, o dado di metallo D, ed in una molla M 0 L fìssa in L 5 all' estremità M della quale è innestato un altro bottone parimente di metallo a foggia di martelletto, che in forza della molla stessa resta so- speso e distaccato dall'altro D. Un de'fili di comu- nicazione si unisce a D, l'altro all' estremità L della molla , ed è chiaro che v'è o non v' è fra essi in- teriuzione di circuito a misura che il bottone M è tenuto dalla molla distante da D , o rimane libero dalla molla stessa e l'un l'altro si toccano. Facendo battere M contro D per un solo istante, la corrente agirà parimente per un istante, e la punta formerà ( all'altra stazione ) un solo foro nella carta , come formerà una linea se 1' elettricità agisca più lunga- mente : il che si ottiene tenendo per qualche tempo i due bottoni MD a contatto. Non si è parlato fin qui dell'elettro-magnete di 100 Scienze cui si fa uso in questo telegrafo, che nella citata fi- gura non può vedersi se non per iscorcio. Ora è necessario dirne alcuna cosa, perchè anch' esso alla novità unisce una forma ben ragionata. Due cilindri di ferro dolce CC , come vedonsi nella figura VI, ripiegati alla sommità sono fermati ad una striscia dello stesso metallo S per mezzo di due viti V v'. Le altre estremità di detti cilindri e' e ' per la piegatura vengono ravvicinate fra loro, ed in-; nanzi ad esse trovasi l'ancora e, che nella figura IV risponde alla sbarra e posta all'estremità della leva. Il filo, che deve condurre l'elettricità, non è avvolto immediatamente sui cilindri, ma sopra due rocchetti di legno, come vedesi lett. R : nel inezzo di questi rocchetti è aperto un foro, nel quale s' introduce il cilindro togliendo la lastra S che, come si è detto , è fermata a vite. Su questi rocchetti si possono au- mentare i giri dei fili più che in altro modo, e così render più efficace la forza della calamita. È provato dall'esperienza che i fili agiscono con maggior forza se sono a contatto del ferro dolce. Ol- tre a ciò non si vede altro comodo nei rocchetti, tranne quello di poter avvolgere più volte il filo inr torno ad essi coU'aiuto dei bordi degli stessi rocchetti che trattengono il filo. Per riunire questi due van- taggi ( l'uno o l'altro de 'quali manca pei metodi fi- nora indicati) io proporrei di escludere il rocchetto, e di formare i bordi o di legno o di ferro sul ci- lindro stesso , onde ottenere che il filo conduttore stia a contatto del ferro, ed insieme che facilmente si possano formare più giri di filo di rame intorno pd esso. L'elettro motore, che si adopera in questo telct Telegrafi elettrici JOI jjrafo, è di quelli a forza costante, secondo il metodo di Grove. Si può facilmente concepire im maginando un bicchiere di vetro alto circa pollici 3 5 con den- tro dell'acido solforico allungato, nel quale pesca una lastra di zinco ripiegata a forma di cilindro che con- tiene un altro bicchiere o diaframma di terra porosa ripieno di acido nitrico, nel quale trovasi una lamina di platino che fa le veci del rame usato nelle pile ordinarie (1). Un altro perfezionamento deve notarsi in que- sto telegrafo, che si è quello della distribuzione de' fili conduttori. Si è già accennato come un sol filo, sostituendo al secondo la terra, possa esser bastevole ad avviare e mantenere il circuito, e come un solo elettro-motore basti a ricevere e trasmettere i segna- li. Se non che in questo metodo convien tenere in azione continua l'apparecchio di Volta, tanto se vo- gliansi mandare le notizie, quanto se si aspettino. Ora con due soli fili, che nella figura VII ven- gono segnati colle lettere r r. s s., si è ottenuto di poter lasciar aperto il circuito quante volte il tele- grafo non agisca. Alla lettera R, che indica una sta- zione, supponiamo che trovisi Roma, alla C Civita- vecchia, e che l'elettro-motore sia collocato alla sta- zione R con r apparato descritto del comunicatore. A e B sono i pozzi, nei quali vanno a terminare i fili, che per mezzo di grandi lastre di rame comu- nicano l'elettricità alla terra: ed I I' sono i due in- dicatori, N e N' sono le chiavi già descritte per chiu- (1) Secondo il metodo di Bunzen al platino si sostituisce un cilindro di carbone, che formasi della fusione di carbon fossile, na- turale, e cotto in parti eguali: tali cilindri acquistano una maggior consistenza se s'immergano in una soluzione di zucchero. '102 Scienze dere il circuito. Se queste fossero sempre chiuse per aspettare i segnali trasmessi, ne verrebbe un inutile e continuo consumo del medesimo apparecchio. In questa disposizione di fili pertanto possono lascirasi le chiavi sempre aperte, toltone gì' intervalli in cui si vogliano trasmettere delle notizie ; talché non cir- colando l'elettricità se non ne'momenti del bisogno non siavi un improvido consumo nell'apparato. Quan- do però voglia darsi un segnale, supponiamo da Ro- ma R, si deve chiudere la chiave N, ed allora l'elet- tricità corre pel filo ss, e ritorna per la terra tt^ e segue la direzione che indicano le frecce nella figu- ra: cioè parte dalla pila P verso N, poi verso T, poi in B, che è uno dei pozzi nel quale va ad immer- gersi una lastra annessa al filo conduttore , la qual comunica l'eletlricità alla terra, per cui mezzo si com- pie (almeno virtualmente^ il circuito: e l'elettricità traversando ( o sembrando traversare) la terra f/, ri- torna di nuovo alla pila P rientrando per l'altro poz- zo A. Questo circuito elettrico ha il suo effetto cjuan- te volte sia chiusa la chiave N, e per esso si ottiene il movimento nell' indicatore I'. Nello stesso modo supponendo che vogliasi dare un segnale da Civita- vecchia, ciò si otterrà senza mettere quivi in opera un altro apparecchio elettrico, bastando all'uopo quel- lo dell'altra stazione. Che se si chiuda la chiave N, l'elettricità avrà libero corso sul filo r r, e partendo dalla pila verso I r r N B ritornerà per la terra alla pila medesima, ed avrà compiuto il circuito che dee porre in azione l'indicatore I. Per la disposizione di questi fili conduttori, non so se più utile o ingegnosa, chiamansi essi i due ciV' culti indipendenti^ indicando cosi col nome lo scopo Telegrafi elettrici 103 che s'è per essi ottenuto. Essa produce molti van- taggi, e principalmente quello del risparmio di una pila e l'altro dell'interrompimento dell'azione in que- st'una, e quindi della economia in tutto il tempo che i telegrafi non operano : se pure non voglia dirsi che sia maggior economia, risparmiando una pila, impie- gare un secondo filo conduttore, o escludendo que- sto fare uso di due pile. In ogni modo però il si- stema de'due circuiti indipendenti rimane sempre am- mirevole in se stesso ed utile. Questo metodo fu pro- posto dal sig, Vail nel 1844. Il telegrafo fin qui descritto ha dei vantaggi so- pra l'altro, di cui abbiamo prima parlato, come quello di non obbligare ad una continua assistenza l'osser- vatore, e di non indicare ma imprimere con un in- taglio i segni sulla carta. Oltre a ciò i segni in que- sto si succedono immediatamente : né accade, come in qviello di Wheatstone, di dover passare coU'indi- ce sopra più segni e talora su tutto il quadrante pri- ma d' indicare una lettera. Se non che sembrami vedere un mezzo, onde por rimedio almen in parte a siffatta perdita di tempo, coU'aggiungere al telegrafo uno di quegli aghi di bussola, de'quali si è parlato di sopra, e che prendono diversa direzione a secon- da della corrente. Per tal modo potrebbonsi dimi- nuire della metà i segni , perchè ciascuno avrebbe due significati nelle due direzioni della corrente. Tal mezzo saria utile ad altro: cioè affinchè possa avve- dersi lo scrivente a colpo d'occhio se l'apparecchio sia tutto in ordine, e la corrente elettrica abbia li- bero corso; per non credere già trasmesse quelle no- tizie che egli comunica , ma che da imprevveduto guasto vengono intercettate. 104 Scienze È altresì il telegrafo in ultimo luogo descritto più di quello complicato, e richiede grandi avverten- ze in ehi dirige la v^hiave: perchè trattandosi di soli punti o linee che devono rappresentare tutte le let- tere e numeri, non si confonda la loro combinazio- ne, e perchè abbia riguardo alle pause, alle quali ri- spondono le distanze dall'una lettera all'altra. Oltre a ciò in c|uesto v'è bisogno di un movimento d' oro- logeria che attira la carta, mentre nell'altro il movi- mento è prodotto dalla stessa elettrica corrente. Con ambedue però si sono ottenuti risultati vantaggiosi, e Io stesso ricercarsi qual de'due sia da preferirsi, è solenne prova del quanto siasi perfezionata oggidì la telegrafìa elettrica. Con questa si è ottenuta la mag- gior velocità che si potesse, non già sperare, ma im- maginare nella trasmissione delle notizie, come si è veduto che nel telegrafo Wheatstone si possono in- dicare circa cinquanta lettere per ogni minuto, e da questo ciascuno può dedurre quanto si possa ac- celerare la trasmissione, quando questo metodo non sarà più nuovo, quando cioè ne sarà aumentato l'uso ed estesa l'applicazione. Una capitale ben fornita di tali telegrafi può conoscere le vicende dei confini più remoti nello stesso tempo che accadono senza cercare le alture de'monti, senza indicare i segnali con delle travi, senza il bisogno di molti osservatori ed altri a ciò addetti, e dell'incerta loro vigilanza. Né è la sola metropoli, alla quale sono dirette le notizie, ma tutte le città, per le c|uali passa il filo conduttore, che pos- sono ricevere per lo stesso mezzo i segnali. Onde chia- ro apparisce che se anche il nemico avesse furtiva- mente messo il piede in una provincia, prima ch'es- so s'avanzasse d'im sol passo, la sua presenza sarebbe Telegrafi ELETTRICI iM5Ii '^'^' nota per lutto il regno, che potrebbe prepararsi alla difesa. Che se anche esso s'impadronisse delle strade di ferro per trovarsi più prontamente alla meta della sua intrapresa, confiderebbe invano nella rapidità del vapore, perchè un più veloce agente ( 1' elettricità ) avrebbe palesato il suo disegno. Né al solo interesse del comune , ma anche a quel de'privati, può rivolgersi questo bel ritrovato; e per provarlo non addurrò già l'idea bizzarra nata in un clima più settentrionale del nostro, l'idea cioè di dettar un giornale telegrafico, onde la manìa di conoscere le notizie recenti fosse soddisfatta dalla ra- pidità dell'elettrico; ma bensì clie per tal mezzo l'iu- nendo la metropoli alle città che la circondano possa così formarsi una via di corrispondenza la più sol- lecita , la più economica ; né mostrerò quanto utile ciò riuscirebbe non solo ai cittadini di quelle per l' immediata corrispondenza col centro del commercio; ma ancoia per quei della capitale che debbonsi tra- sferire lungi da essa per negozi, o che vogliano al- lontanarsene per diporto, e che il più delle volte se ne astengono, onde il ritardo di qualche notizia che interessa ai loro traffici non debba riuscire ad essi daiuioso. Un solo telegrafo diretto a questo fine po- trebbe servire all'uso di molti, in quelle occorrenze specialmente nelle quali si desidera un mezzo più spe- dito anche del corso de'cavalli; e per esso fuori della vista si troverebbe ciascuno quanto alle notizie, come ninna distanza lo separasse dai luoghi di commercio o d'affari dai suoi fondachi, dalla sua casa, e lo di- videsse dal seno della propria famiglia. Può insomma questo bel ritrovato, nella vilililà che presenta come mezzo di trasmissione, paragonarsi 106 Scienze a quello delle strade ferrate. Anzi una stessa via ac- coglie talora questi due portentosi agenti l'elettricità e il vapore, quando cioè a maggior sicurezza de'fìli conduttori, come notavamo di sopra, vengono que- sti collocati lungo le strade di ferro. Ed a tal pro- posito giustamente avvisava De la Rive , che sulla medesima strada e nella stessa direzione , mentre il vapore trasporta velocemente i corpi, dall'elettricità trasmettonsi quasi istantaneamente i pensieri: ed in questa mirabile combinazione di mezzi di trasmissione diviene essa, per così dire, l'anima di questo nuovo corpo. Luigi Arnoldi. Poche parole sulla rabbia canina^ relative ad un ar- ticolo inserito negli annali medico-chirurgici (*). K el dì 13 maggio 1810 imbattutomi nel momento che uccidevasi un cane rabbioso , raccolsi la sali- va , aflìne di mescerla con altri contagiosi princi- pii, per osservare se per siffatta miscela si distrug- gesse la nociva loro azione, siccome alcuni opinava- no , inoculandola tantosto in due domestici animali. La rabbia però si svolse in entrambi. Praticai, colla (*) 11 S'IO tilolo è il seguente: « Sopra la più recente opinione, che la rabbia canina dipenda dall'estro venereo violentemente ecci- tato e deluso. Osservazioni del dottor Carlo Brugnolo , professore ordinario della polizia veterinaria, scienza delle epizoozie, e anato- mia comparata nell'imperiale regia università dì Padova ec. Roma 1846, fascicolo di aprile, pag. 191-21J. Rabbia canina 107 saliva (li questi, allri innesti, col proposito di vede- re se all'apparire i prodomi del morbo, riuscivano cflicaci taluni decantati rimedi. Ma non essendo com- parsa malattia di sorta, portai avviso che ciò avve- nisse per la mancante suscettività individuale di ri- sentire la contagiosa azione. Circa 3 anni dopo ebbi campo di ripetere gli stessi esperimenti, e ne ven- nero identici risultamenti , che per oltre due lustri furono confermati da molte attente osservazioni (of- ficialmente sanzionate fino al coirente anno 1846). Ciò nulla ostante mi espressi (1823) ch'era d'uopo con- tinuarle con paziente ed assennato medico accorgi- mento : ripetendo presso a poco lo stesso nel 1827- 30 (1). Il perchè in un famigerato dizionario medi- co , nel riputarsi importantissimo il mio lavoro , si aggiungeva: Semprechè, come il Cappello modestamente desidera, venga confermato da ulteriori spregiudicate osservazioni (2). Ragionevolmente quind'io discorreva non somi- glievole affatto al corso ed indole de'contagi l' ele- mento della rabbia capina: onde lo collocavo nel no- vero de'veleni propriamente detti. Dappresso volgeva il mio pensiero, se potesse rintracciarsi la essenziale cagione di sì formidabile malattia. Dopo 1' esame più accurato, non defunto da ciarle, ma da positivi esperimenti, pe'quali non si sviluppò mai labbia nei cani: come per esempio, per la totale mancanza di cibo e di bevanda, per carni fradicie, e per altre ca- gioni dagli autori riportate: derivai la sua principale (1) Opuscoli scelti di Agostino Cappello pag. 113, editi in Ro- ma pe'lipi del Salvioni 1830. (2) Dizionario classico di medicina pei tipi dell' Antonelli iu A eiiezia, tomo 37, pag ICO. 108 Scienze sorgente dal coito represso negli animali carnivori. Alla quale ipotesi fui condotto dall' osservare , che nella città, ove istituivo le mie esperienze, rare erano le cagne , e difficili nel loro riscaldo a coprirsi da cani vaganti e di brutta presenza, siccome quelli sui quali per indubbie e diligenti informazioni mi assi- curai dello spontaneo rabbioso svolgimento, e dai quali avevo raccolto l'avvelenata saliva. In sostegno di co- testo divisamento non estimai tanto la grave autorità, cjuanto la gravissima considerazione sul sessuale or- ganismo degli animali carnivori, sui rapporti di que- sto coU'organo vocale e deglutorio , sul patologico apparato della rabbia ne'suddetti orguii, sopra il nes- suno o rarissimo caso di rabbia in paesi che furon culla, e sono tuttora sede, dei pii'i desolanti contagi; e nei cjuali i cani sono dotati di pacifica indole, né dediti a lussuria. Laonde io ripetevo nel 1827-30: « Nel buio della cosa, finché non siavi un sicuro y » o almeno più filosofico linguaggio , mi sarà con- ') ceduto di ripetere lo sviluppamento dell'idrofobia » spontanea dalla generazione del fluido fecondatore n per un processo chimico animale organico, da ef- » fettuarsi soltanto sotto straordinarie, ma conseguenti » cagioni. Perciocché nella classe de'carnivori sprov- » visti di ricettacoli seminali, ed in ispecie nei ca- » ni, pel desiato, vicino e non conseguito accoppia- )T mento, pel raffinato loro istinto , e per la squisi- » tezza olfattoria, sono assai esaltate le istintive fun- » zioni che reagiscono fortemente nell'organo gene- » ratore. Affollatosi perciò in quest'istanti nei loro « arricciati vasi spermatici il copioso latice vitale , » avviene che non puossi secernere il prezioso umore » per le indicate ragioni. D'altronde natura, prima Rabbia canina 100 ♦) medicatrice de'mali, non è sempre pronla ad aprire » straordinarie vie, onde ricondurre il normale equi- » librio : sicché convertirassi un lanto umore in ve- )) leno, i cui malefici eftetti, nell'indurre una pertur- » bazione universale, risentonsi elettivamente negli » organi degkitorio e vocale, per la gran simpatia » di questi coll'organo sessuale. Lo stesso morbo si » riproduce per la specifica potenza venefica in chi » per innesto o per morso serbi una stilla qualun- » que di fluido salivare. Per il mirabile ordine di » natura circoscrivesi poi il male : il che parvemi ») plausibile derivare dal simultaneo disordine degli » organi cerebrale e riproduttore, poiché, per giu- ♦) sta deduzione, questo disordine non viene prece- » duto negli animali, che contrassero il morbo per » morsicatura o per innesto (1). » E come nel 1823 tornava a ripetere nel 1839 .... « Dalle esposte » circostanze, se fondate fossero e quindi bene av- » verate, ne risulterebbe un sicuro indiretto metodo » curativo, o per dir meglio igienico. Né questo vor- » rebbe essere apprestato dalla medica mano , ma » bensì da quella di un paterno governo, il miglior » medico in simili disavventure. L'energica mano de' » governi adunque, senza alterare l'erario pubblico, » laddove non é rara la ricorrenza di questo disa- » stroso morbo, potrà obbligare i proprietari de'ca- ■i ni a tenere parità di maschi e di femmine, o pren- » dere altrettali misure , mercè delle quali possano » i cani soddisfare all'uopo il venereo appetito. Due » o tre lustri di esatte osservazioni, o metteranno in )> chiara luce, come io spero, la mia opinione, o|>- (I) Oimscoli citati pay. 86-7. 110 Scienze » pure la ricondurranno nel nulla. Nel qual caso vor- » rà perdonarsi il mio ardimento per 1' animo che » ho avuto di giovare all'afflitta umanità (1). » Quindi se convengami il titolo di antesignano della nuova teorica sulla genesi della rabbia datomi dal signor Brugnolo (2), tuttavia per le narrate cose quest'antesignano non istabilisce qual canone incon- cusso la sua tesi; ma per essa, come si dirà in ap- presso, avverrà sempre alcun vantaggio, quando an- cora fosse posta in un totale dileguo. Che se vi fu- rono e vi sono dotti e non dotti, i quali non arri- sero ai laboriosi e pericolosi miei travagli intorno a questo morbo, e che furono e sono d'immenso con- forto a persone offese per morso di rabbia seconda- ria, dottissimi uomini italiani e stranieri, illustri cor- pi accademici , veterinari istituti ne fecero plauso e grandi elogi per pubbliche e private dimostrazioni. Molta lode meritava e merita il TofFoli di Bas- sano ( noto già per altri pubblicati argomenti alla medica scienza affini ), quando per durate fatiche e pazienti osservazioni batteva la via più lustri innanzi da me apertagli. Ed io, anziché gridare al plagio , come sembrava e come da qualcuno fu rampognato il TofFoli, lo lodai non poco , e lo confortai a cal- carla con tutta alacrità. Non mancai per altro avver- tirlo degli errori e manifeste contraddizioni sparse spe- cialmente nelle sue prime scritture, derivanti appun- to da vaghe storielle, da tetaniche convulsioni scam- biate colla rabbia essenziale, e più di sovente con- fusa questa malattia colla rabbia da altri morbi o da morali perturbazioni cagionata. (1) Giorn. arcadico toni. 80, pag. 16S. (2) Annali citati paj. 198. Rabbia canina HI Ora se saranno mai sempre lodevoli le animad- \ersioni de'sapienti in qualunque medico argomento, affine di rischiarare le tenebre nelle quali spesso è involta la medica scienza, non addicesi ai veri scien- ziati un basso linguaggio: e contumelioso si è quello scagliato specialmente contro ilTofFoli ed altri che par- teggiarono per la contrastata teorica. Né per certo, come sembrami rilevare dal suo articolo, il sig, Bru- gnolo ha letto e meditato quanto fu per me speri- mentato e scritto intorno la rabbia. Impeiocchè a- vrebbe osservato , che io , siccome in tutti gli altri miei pubblicati ed inediti lavori, non solo mirai che sorretti fossero da chiariti fatti, ma che seppure per essi ne fosse illusa la mia mente, alcun utile tutta- via ne trarrebbe sempre la bersagliata umanità , e non mai danno di sorta: avendo costantemente abor- rito, ed aborrendo tuttociò che riuscir potrebbe al pubblico del più lieve nocumento, osservandosi spes- so il contrario nell'arte salutare. Colla teorica in discorso rischiarata e caldamente sostenuta dal Toft'oli, ne deriva forse alcun male alla società? Gli errori che vi rinviene l'avversario sono dimostrati tali, pe'quali la medesima ne soffra, e glie ne debba buon grado .* A me sembra diametralmen- te l'opposto : mentre dalle contrarie osservazioni nes- sun vantaggio trae la medica scienza. E vero però che in fine dell'articolo si promette in nota miglior luce avvenire col riordinare le sparse idee de' pato- logi su tale materia. Un professore però di veterinaria non dee limitarsi a raccorrò le altrui idee, ma spe- rimentare, ed attentamente, e per lunga pezza osser- vare , onde distruggere gli errori che egli ravvisa nella novella teorica. Allora sì tutti, non escluse le 112 Scienze persone prive di senso comune, foran plauso alle fi- lantropiche sue fatiche. Le quali, più di quelle pra- ticate per anni, dal Toffoli per l'ardentissimo suo amo- re alla caccia ed ai cani, stante la dottrina e la po- sizione del Brugnolo in celebratissima università, riu- sciranno al pubblico assai proficue : ed ecco pure che gli errori del TofFoli non saranno stati inutili, ma di sprone per rischiarare la verità in sì mortale malattia. Ma senza continuati e sperimentati confron- ti, per ogni accorto ed onesto lettore non saranno mai bastevoli né le diligenti canine monografie tolte dal Brugnolo da gravi autori, ne la diversità delle loro razze in Oriente, ove per contrario sarà ferma la pacifica loro indole, il non ardente venereo appe- tito, soprattutto la mancante idrofobia canina. Ne par- mi bastevole lo spigolare qua e là le contraddizioni in cui cadde il TofFoli , e dalle quali si ritrasse a misura che ebbe campo di osservare incessantemente colla massima pazienza ed attività. Mentre poi il sig. Brugnolo dice occulta per anni la rabbia nelle gran- di città ( il che fatalmente non accade nelle capitali), mette in avanti esempi del suo entozoico genio. Il quale sebbene non osti alla contrariata teorica, tutta- via studiando di proposito l' andamento di coteste morbosità, si rileverà una rabbia sintomatica diversa dall'essenziale. Al quale concetto io fui portato dopo maturissime ed attente considerazioni, per le quali vuoisi ripetere: <( Da quanto si è accennato si rac- » coglie, che ora più, ora meno, e più in una che » in altr'epoca, concorrendo le preternaturali con- » dizioni per lo sviluppo del male , se ne osserva » talor la facile, ma più frequentemente la rara ri- Rabbia, canina 113 » correnza (1). Né io voglio discredere i racconli » che ben di rado sono registrati nella storia me- » dica, dai quali rilevasi avere la idrofobia talvolta » assunto il carattere epidemico. Sebbene un atten- » to esame mi ha fatto dubitare dello scambiamento » dell'idrofobia sintomatica coU'essenziale o sponta- » nea: cosa valutabilissima , perchè i morsi di ani- » mali provenienti da questa, uccidono : non arre- » cano morte quelli della prima, eccettochè se nella » lesione del continuo vi fosse alteramento organico )) da condurre a morte. . . . (2) » e tornavo non ha guari a discutere quest'argomento nel Bollettino delle scienze mediche di Bologna e nel Raccoglitore me- dico di Fano. Neppur bastevoli sono le osservazioni dell' av- versario relative ai cani castrati, nei quali se fu da me negata la spontaneità della rabbia, ciò era in con- seguenza de' miei fondati ragionamenti, e dell'altrui autorità. Ne alcuno ha osato mai d'innalzare il cane al livello dell'umana intelligenza, essendo stata sempre usata la parola istinto^ diverso certamente dall'intel- letto dell'uomo. Niuno però potrà negare che il ca- ne per le eminenti qualità delle sue istintive funzio- ni, e pel peculiare organo sessuale, soffra più di ogni altro animale pel vicino e non conseguito accoppia- mento colla cagna in riscaldo. E non è forse per le suddette istintive qualità, che taluni cani specialmen- te somministrano incessanti esempli di affetto cocen- tissimo verso il padrone, e di vendetta e di odio con- tro i di lui nemici ? Né per coteste ed altre sorpren- di) U che non si riferisce alle jjrandi capitali. (2) Opuscoli citati pag. 87. GA.T.CVm. 8 114 Scienze denti prerogative de' cani si pretese che potesse ingenerarsi la rabbia , e molto meno un contagio , non cadendo punto in acconcio la sentenza di un illustre autore riportata dal sig. Brugnolo: mentre è indubitato che i più violenti patemi di animo potran- no tutt'altro morbo produrre, eccetto un contagio. Vuoisi ripetere ancora una volta che i novelli etiolo- gisti, oltre l'esaltamento delle istintive funzioni , ri- pongono l'essenziale cagione della rabbia nel perver- timento del fluido fecondante; e d'altronde la rabbia non segue certamente l'andamento de' contagi pro- priamente detti , ragione per la quale fu per me collocata nel novero de' veleni. Intanto se nelle altre specie dello stesso genere eanis e nel genere felis si osserva la rabbia, è dessa rarissima , mentre è fre- quente nel cane per le accennate sue prerogative, che eminentemente lo distinguono da quegli altri car- nivori (1), Quanto il signor Brugnolo discorre dell' aizza- mento di un cane verso una cagna in riscaldo con impedirgli l'accoppiamento, fu per me ancora sugge- rito glToffoli. Ma.se talora per gli agenti i più nocivi non si svolgono malattie, il provocato artificio potrà eguagliarsi sempre airirresistibile slancio di natura ? Del resto se il signor Brugnolo quanto è impe- gnato nell'abbattere la recente teorica, come esso chia- ma, sulla genesi della rabbia canina, altrettanto è non curante aflfatto di coloro che la sostengono, riguardo a me nutro al contrario desiderio vivissimo di ve- dere i suoi felici risultamenti. Ma siccome nessuno (1) Efl il più celebrato odierno osservatore (Ilertwig) non iscrive clie al certo la cagione più influente alla rabbia canina è 1' estro venereo non soddisfatto ? Dizionario cit. ih. pag. 122. Rabbia canina 115 darebbe ascolto a polemiche discettazi»ni , così ho speranza che il promesso lavoro non poggerà sopra le sparse idee de' patologi, ma sibbene sopra i positivi e reiterati suoi esperimenti. Nel dar fine a queste poche parole debbo ripetere, che per la novella teorica da me ragionata e discus- sa, e caldamente raccomraandata ai governi per ve- derne qualsivogliano risultanze; e dal TofFoli per sot- tili e pratiche osservazioni modificata; niun danno proverebbe la società, ma alcun vantaggio, nel caso eziandio che non si raggiugnessero i nostri voti. Im- perocché non si pretende che non venga praticato qualunque tentativo per debellare un tanto morbo, contro il quale se non vi è punto una sicura terapia, tuttavolta non si tralascia dagli autori della nuova teo- rica di inculcare la pronta ustione delle ferite rabbiose la più commendata dagli esperti. Colla distruzione inol- tre de'cani vaganti senza museruola, di qualunque raz- za essi sieno, dai novelli etiologisti e da me espressamen- te prescritta, ne conseguirebbe quel poco che meglio si rinviene additato nei regolamenti di polizia medica vigenti in molti inciviliti paesi. Ma se all'opposto, oltre l'accennata distruzione, si tenessero per le ve- dute della novella teorica ben rinchiuse le cagne al- meno in una provincia, quando dan sentore di ri- scaldo, e non più si osservassero casi di rabbia so- liti a mostrarsi, ne verrebbe grandissima utilità alla società ed infinita lode agli aj-itori , ed a tutti que' sapienti che promulgarono la novella dottrina (1). (1) E meglio si conseguirebbe ciò che io già notavo: «Ottimo » sarebbe che, per quanto fosse possibile, venisse eseguito (i'accoppia- » mento) in luoghi rinchiusi. Quante volte nei piccoli paesi servono 116 Scienze Medici quindi e non medici, se onesti siano i loro divisamenti, debbono vivamente desiderare, che non soffrano ulteriore ritardo gl'inculcati precetti desunti da profondissime considerazioni ed esperienze : e per nulla nocevoli alla tribolata umanità. » i cani di trastullo, per non dir di scandalo, nei loro accoppiameu- » ti ? « Memoria suiVidrofobia di Agostino Cappello letta all' acca- demia de' Lincei il di 31 luglio 1823, e pubblicata pei tipi del Sal- viucci neU'iitesso anno, pag. 63-4. Agostino Cappello. 117 ^^^^m Mmmmmmt Archeologia navale. Sulle liburne rotate. Lettera di Camillo Ravioli tenente del genio^ ex-segreta- rio della spedizione pontificia in Egitto del 1840- 41 , e della missione pontificia in Francia ed in Inghilterra., diretta all'adozione delle pirodraie e de^ piroscafi di rimorchio sul Tevere ecc. A SUA ECCELLENZA REVERENDISSIMA MONSIGNORE ^to j;le DJ.- C0I\TI MUZZARELLI UDITORE NELLA S. R. ROTA EC. EC. EC. Eccellenza Reverendissima. lion poteva la fortuna favorirmi più ch'ora, con- cedendomi di poter manifestare in una la venerazio- ne e la gratitudine, che nutro verso l'È. V. Rma, e chiarire un punto archeologico di meccanica navale, che sottometto al suo squisito giudizio. So in quanto giusta estimazione ella tiene quel valentuomo di Gian Francesco Rambelli, che rivendicò le glorie nostre con le sue Lettere intorno invenzioni e scoperte italia- ne (1), delle quali le molte edizioni, anche a titolo di gratitudine, son belle del chiaro nome di lei, cui quelle dedicava. Ed ella del pari sa com'io, per ma- laugurato talento d'impacciarmi di studi più che di ozio, impresi la malagevole via delle ricerche sulla 118 Scienze origine dell'applicazione del vapor-acqueo; dei mezzi meccanici di spinta ai bastimenti ; delle costruzio- ni navali in ferro, e infine delle draie o purgaporti. Erano queste tesi di archeologia non conosciute ap- pieno, e di molta utilità per noi, cui è dato di vi- vere in questo secolo fraraezzo alle più stupende ap- plicazioni del vapore: perchè io queste prescelsi ad illustrare più ch'altro, seguendo l'impulso che da- varai il chiarissimo ed eccellentissimo monsignor Rosani, zelante com'egli è della gloria italiana e del bene di Roma, dopoché per commissione del pon- tificio governo e per causa analoga viaggiai la Fran- cia e l'Inghilterra accompagnando il eh. tenente co- lonnello di marina signor commendator Cialdi, il qua- le peculiarmente mi fornì i mezzi perchè riuscissi nel proposto, e che per nuova prova del suo affetto per me nelle sue preziose memorie accenna l'opera, di cui io sotto i suoi auspici intendeva ad accozzare il ma- teriale (2). A tutto ciò si aggiunge la bontà dell'E. V. che mai non cessò di aggiungere materia al mio intra- preso lavoro, coll'arricchirmi di notizie, che d'altra parte non avrei ottenuto: imperocché la vasta eru- dizione, la sceltezza dei libri, e l'immenso amore dei nostri titoli di gloria, sono i pregi che in grado su- premo l'adornano, ed ora le procacciano ammirazio- ne ed onore dai contemporanei, siccome un giorno avrà anche perciò famek^ presso i posteri immortale. Quindi è che se ora mi volgo all'È. V. come già il Rambeili, ambedue non facciamo che rendere alcun poco del molto che le dobbiamo: e tanto più a diritto , in quanto che il Rambeili mi dà l'occa- sione di farlo. Egli, benemerito e tenero ricoglitore Ijburne rotate 119 delle opere nostre più ch'altri mai, ultimamente pub- blicava una lettera sulle NAVI rotate (3); delle quali un recente articolo del signor Felice Isnardi lui pro- vocava a parlare (4). I commentali di Godescalco Stewecchio al ca- po 3 dell' opera De re militari di Flavio Vegezio mossero questi a manifestare, che un genere di ba- stimenti liburni col soccorso di ruote si movevano nel fluido, avendo per forza motrice i buoi. Gode- scalco chiaramente confessa, aver egli accattato e la figura di queste navi e il fatto da incerto autore. Huius figuram db incerto auctore de rebus bellicis mutuati sumus\ né di ciò egli contento, finanche le parole riporta di questo anonimo. Siccome però la fantasia stupendamente crea nelle tenebre immagini che non sono ; così tanto dall' Isnardi , quanto dal Rambelli questo incerto autore, del quale intende di parlare Godescalco , e che riporta il fatto, è pre- so per l'inventore della cosa. Difatto ecco le parole deU'Isnardi: « E chi sarà quest'autore incerto ; ed in qual » terra avrà egli veduto il primo raggio di sole ? - )» Alla prima domanda ci duole di non poter rispon- » dere così su due piedi; ma abbiam fiducia di po- » terlo fare fra non guari di tempo. Alla seconda » risponde per noi il citato Vegezio. » Le parole del Rambelli chiariscono più breve- mente questa seconda parte, e l'abbaglio ivi preso; perciò qui fedelmente le riporto: « Si fé' risnardi a ricercare qual fosse l'incerto » autore e di qual nazione, e comechè non potesse » sì tosto rinvenirne il nome, da un passo del lib. IV »> cap. 35. di Vegezio si avvisò di poter stabilire che 120 Scienze » il piiuio litiovalore di simil maniera di navi ro>- » tate fu uno schiavone , che è guanto dive un ve- » neziano. » Come se, stabilito che le liburne prende- van nome dalla regione, donde traevano origine, e che questa regione si dovea inchiudere nella Italia; l'au- tore De rebus belUcis , o meglio l'autore delle Li- burne rotate (ciò che è cosa ben diversa) doveva con- seguentemente essere schiavone, veneziano, da ulti- mo italiano. Credo che sillogismo peggiore non potè mai formarsi. Ora io, conosciuto l'errore in che è caduto l'Isnar- di per troppo amore all'Italia , e per la ignoranza di questo incerto autore di che parla Godescalco ; e veduto che il Rambelli non aggiunge lume al giu- dizio di lui, ma è un eco fedele e cauto delle sue parole, mi propongo di dimostrare: 1 Che l'uso poetico, pittoresco e meccanico delle ruote ai carri marini e alle navi è antichissimo e d'ogni tempo. - 2 Che le navi liburne erano a remi e a vele soltanto, o accidentalmente rotate (per non con- traddire alla prima, gratuita e sola testimonianza del- ì incerto autore). - 3 Che il nome di questo incerto au- tore sempre sarà incognito; ma esiste il suo libro De rebus bellicis^ ove si rinvengono le parole, che Go- descalco fedelmente trasciive. - 4 Che è nulla l'autorità di quest' autore incerto De rebus hellicis. - 5 In qual modo si può aver credenza al fatto registrato dall'm- ecrto autore.^ indipendentemente dalla sua autorità. I. E per cominciare dalla poesia, veggansi Ome- ro e Virgilio (5), tacendo degli altri. Scendendo al- la storia ed alla parte meccanica, sappiamo che i ci- nesi da gran tempo usavano le ruote alle loro navi, come risulta dalle memorie de' gesuiti missionari a Liburne rotate 121 Pf -Kiii (6) ; ove si vede perfino la figura di esse , l'uso delle quali pourrait donner lieu à quelque in- vention utile pour faire avancer nos vaisseaux en temps de calme (*). Un manoscritto della biblioteca del re di Fran- cia dà contezza, che in una delle guerre puniche si traghettasse un esercito romano in Sicilia sopra na- vi, spinte da ruote, mosse da' buoi (7). Vitruvio adatta la ruota idraulica alla naviga- zione per misurare il cammino delle navi per mez- zo d'incastri di ruote e d'un indicatore, che è un calcolo che avvisa col suono , cadendo in un vaso di rame (8). Questo nell'antichità: passiamo ai tempi del bas- so impero e del risorgimento. Un libro adespoto di autore incerto, sincrono, come si crede, a Teodosio imperatore, impresso la prima volta nel 1552, dà no- tizia di una liburna mossa da due buoi , tacendo l'epoca in che si usò, l'autore della invenzione, o l'au- tore da cui trasse questa notizia (9). Valturio da Rimini offre la figura di due bar- che pel transito de' fiumi ; in una sono cinque assi che la traversano, ciascuno con un manubrio ingi- nocchiato nel mezzo, e cinque ruote ad ogni lato, che immergono nel fluido: nell'altra uno è l'asse e due le ruote laterali. La figura delle ruote è informe; ma sembrano avere quattro palette ognuna (10). GÌ' inglesi dettero un tempo l'onore di questa applicazione a Raffaello Sanzio , perchè pinse Aci {*) Vi è chi afferma che una simile applicazione si vegga in Egitto nelle pitture graffite delle tombe de' re nella vallala di Tebe. Siccome pero io non l'ho vista colà; non mi allido ciecamente, e per ora l'escludo. 122 ' Scienze I imorchlante Galatea assisa in una conca marina , munita di tali ruote (11); ma prima che Raffaello facesse questo dipinto esisteva uno schizzo di trionfo sui mari con un carro a ruote, dinotante la scoper- ta del nuovo mondo, il quale si crede disegno au- tofjrafo di Colombo. Esso si conserva nel palazzo du- cale di Genova fra i manoscritti del grande italiano, e fu pubblicato dallo Jal (12). Blasco da Garay fece esperimento nel 1 542 del vapor acqueo applicato alla navigazione, sopra una barca mossa da due ruote a palette (13). Il principe Ruperto nel 1682, esperimentò un battello a ruote innanzi a Papin, a Savary e fors'an- ch'e a Worcester (14). Quindi seguono gli sperimenti di Duquet fra il 1687 al 1693 (15). Le idee di Papin nel 1695 — quelle di Savary nel 1 698 (*) — del dottor Allan e del conte di Sassonia nel 1732, — di HuUnel 1736, — di David Bernoulli nel 1752 (**) — diGautiernel 1755, — di Genevois nel 1759, — del conte d' Auxiron nel 1774, — del dottor Franklin nel 1775, — di Perrier nel 1775. — di Bushnell nel 1777, — del marchese di JoulFroy nel 1778, — • dell'abate Arnal (*) Esiste a Pesaro ristrumento autentico della sperienza fattavi nel 160 ... ria Guido Torelli clie faceva andare una barca senza biso- gno di remi e di vele, e credesi per una forza consimile al vapore. (In- torno invenzioni e scoperte italiane, lettere di Gianfrancesco Ram- belli. Modena 1844. Lettera XIX, pag. 101). (*') Dopo la seconda metà del secolo scorso il p. Santini dei rr. pp. ministri degli infermi offriva alla vista de' romaai entro alla grande tazza di fontana di Trevi una barchetta semovente con inge- gni, cbe non sono rimasti nella memoria de' vecchi onde poterne fare la descrizione. Il fatto però esiste , ed h autentico, risultando dagli archivi di que' rr. pp. e perchè se ne può sempre interrogare il r. p. \'olpato; e più il sig. Finucci nonagenario, e testimone oculare. Liburne rotate 123 nel 1781, — di Serafino Serrati nel 1787, — di Rum- sey e Fitch dal 1785, o 86, al 1790, — di Miller de Dalwinston , Clarice, Symington e Taylor , Stan- hope, Bunter e Dickinson dal 1785, fino al 1801, — di Morey dal 1790, al 1797, — di Desblancs o De- blane verso il 1797, e di Clarkec verso quest'epo- ca istessa: e finalmente di Fulton, il quale cominciò le prove nel 1798, i primi esperimenti nel 1803, in compagnia di Livingston \ ed ebbe i felici risultati a Nuova Yorck nell'agosto 1807, varando il fortu- nato Clermont^ con macchina di Watt e Boulton della forza di 20 cavalli (*). Questi sono i nomi degli spe- rimentatori e l'epoca in che nobilmente s'affaticaro- no per noi che corriamo i mari a dispetto del venta, dei flutti , e della marea : cosa eh' essi non videro nella pienezza della potenza, siccome noi. Non è adun- que uso antichissimo e d' ogni tempo lo adattare le ruote alle navi^ sia qualunque il loro motore ? IL I liburni (oggi schiavoni, croati) inventaro- no certe navi , che dal loro nome liburne appel- laronsi. La loro forma si discostava dalle triremi; ma erano armate di rostro, e forti e veliere e leggere; perchè servirono dapprima per iscorrere le isole del mar ionio; e in guerra per la pirateria. Per tali qua- lità nautiche dai romani chiamaronsi liburniche quelle sorte di navi, che avanzavano le altre in velocità e leg;- gerezza. I romani n'ebbero molte. Nel quint'anno della guerra punica Duilio le usò per lapriraa volta, arman- (*) Per brevità si omettono i documenti officiali, appartetrenti a ciascuno esperimentatore. E a notarsi, che ira tali dotti meccanici non sono inclusi coloro, che in vece delle ruote a palette feceiij uso della vite d'Archimede o di altro genere di propellmte nelle loro espe- rienze, quasi tutti posteriori a Fulton. 124 Scienze dole centra il cartaginese.La flotta d'Augusto ne avea gran numero alla battaglia di Azio, e n'ebbe utilità grande: quindi quelle navi costrutte sopra i principii de' liburni tennero il primo luogo nelle flotte de' romani, usurpandone finanche il nome. Si vuole che fossero tur- rite. Caligola v'introdusse ricchezza nelle poppe; ador- nò a più colori le vele; e vi adattò terme, portici, tri- clini e verzieri di pomi. Il legname di cedro v'era adoperato; ma Turnebo (lib. 22, e. 31) si avvisò che fosse viziata la lezione, e che il de cedris di Sve- tonio si avesse a leggere deeeres ossia decimeres , a dieci uomini per remo. Quantunque sembri assai for- te un tal numero; pure vi è certezza che nelle va- rie loro grandezze le liburne avessero da uno a cin- que uomini per remo; usando cordami di cuoio; più che p-li sparti o libàni, che ebbero i greci dalle Spa- gne; o i canapi, che sempre anteposero e i greci e gli altri popoli (16). Però signora quale sorta di ba- stimento fossero le liburne: si sa solamente che an- davano a vele ed a remi^ e ch'erano bastimenti leg- gieri (17) (*). La prima parte della seconda proposizione mi {*) Per Jare una idea, che si legasse alle nostre, piacque a talu- no (li trovare nel brigantino una corrispondenza colle liburne. - Per esaurire le investigazioni su questa parola da Giovenale sappiamo che Liburnus era quel messo che d'ordine del magistrato andava a chiamare dalla campagna i cittadini; e dallo stesso satirico conoscia- mo che Liburnum era una sorta di lettiga: onde Salmuth (loco cit. nota n. 16). ad Liburnae navis similitudinem vehiculum quoque Li- burnum (uit constructum, quo principes romani vehi solebant. Hinc Juvenalis Satyra IlL turba cedente vehetur Dives, et ingenti curret super ora liburno. Liburne rotate 125 sembra bastantemente provata ed autenticata ; pas- siamo alla seconda parte della stessa proposizione : ossia che le liburne saranno state rotate, ma acciden- talmente, per non contraddire alla prima, gratuita e sola testimonianza dell' incerto autore. Sarebbe pri- mamente stoltezza il negare un possibile senza pro- ve solenni da opporre, che distruggessero questa pos- sibilità ; quindi l'adattamento delle ruote alle libur- ne dei romani io non l'escludo; e quinci onoro in qualche modo l'autorità deìVincerto autore. Ch'essa sia prima, gratuita e sola, agevolmente si prova per il sunto storico che ho dato nella prima parte, ove non figura alcun nome di autore : né monumento esiste che ricordi una tale specie fra le liburne stes- se e gli altri generi di navi , noverate dagli auto- ri (18). Contuttociò il manoscritto della biblioteca del re di Francia può contestargli la prima e la terza di queste qualità. Ma lo Stuart non ci avver- tendo ch'esso sia impresso, che sia più di questi che di quegli, ed altrettali cose, ci pone nell' obbligo di farvi , analizzandolo, qualche conghiettura. E dico eh' esso pure è un libro adespoto ; e perciò, e per parlare dello stesso fatto, in simil guisa poter essere una copia del libro in quistione De rebus bellìcis d'in- certo autore: la giunta poi dell'epoca e del perchè fosse adoperata tal nave a ruote mossa da buoi, po- ter essere di qualche nota o intertesto di amanuen- se , che così credè di fare : il tacere che fosse li- burna o altra specie di nave poter esser colpa dello Stuart, o di chicchessia, da cui egli può aver pre- zzine est quod navis etiam currus quibusdam dlcatur. Sic enim na- vim vel concham, qua Neptunus vehebalur, currum AppoUonius ap- pellat lib. 4. ecc. • 126 Scienze so cognizione dell'avvenimento. Siccome però i pO' ter essere sono molti , io m'avviso che sia meglio tacere del manoscritto, e ridurre la quistione a que- sto punto : che non mai potremo far conto di un manoscritto, di cui ignoriamo le particolarità e l'au- tenticità, ove si tratti di confrontarlo con libro edi- to: e quindi autentico per sé, se non per le cose che acchiude. Da tutto ciò mi sembra di poter sempre aiFermare che sia prima, gratuita, e sola, la testimo- nianza dell'incerto autore: prima e sola, per quanto or ora abbiamo esposto : gratuita per tutto quello che si dirà nella terza parte, nella quale ora entriamo. III. Fin qui, come addiviene delle umane tra- dizioni , ristesso fatto emanato da una e sola fonte vediamo riprodotto nelle opere di parecchi in diver- si tempi. Per tacere delle opere e degli autori nomina- ti nella nota citata n. 15, Godescalco Stewecchio (19) è il primo che non dubbiamente riporta la liburna rotata e le parole medesime dcll'mcer^o autore ; lo segue Guido Pancirolo (20), il quale è quegli che ristampò il libro istesso De rebus helUcis del medesi- mo incerto autore (*) ; quindi ambedue senza dub- bio di errore è provato che attingessero alla stessa sor- gente. Finalmente l' Isnardi si poggia sulla autorità di Godescalco , e su quella dell' Isnardi il Rambel- li (**). Tutti questi, e specialmente i due primi, non (*) Vedi la nota n. 9 in fine. (**) È difficile e frustaneo il rintracciare tutti coloro, che attin- sero la notizia delle liburne rotate dal libro De rebus bellicis. Però ho voluto riportare alla nota n. 29 una citazione di questo fatto per far giudicare quanta sia la diligenza e la verità, con la quale da taluni si riportano le notizie degli avvenimenti. Fama .... crescit eundo. Liburne rotate 127 avendo potuto conghietturare il nome deìV incerto au- tore^ vedo disperato, se non vuoisi inutile, il rovi- stare fra il buio delle vecchie cose qualunque siasi argomento, per trarre un nome che si confaccia alla natura e al tempo di colui che scrisse il libro De rebus hellieis. Quanto fu dato saperne è merito di Si- gismondo Gelen; il quale sendo valente traduttore nel XYI secolo, e correttore di stampe di Giovanni Fro- ben, nel dare alla luce la Notiiiaulraque ciim orientis ium occidentis (*) cui antepose una prefazione in- titolata Clarìss. viro D. Andreae Vesalio invictiss. Caroli Aug. medico^ credè opportuno di avvisare nel frontispizio generale che alla NoTiTiA subiungitur no- titiis vetiistus liber De rebus bellicis ad Theodosium Aug. et filios eius Arcadium atque Honorium., ut vi^ detur., scriptus^ incerto autore. Conseguentemente l'epo^ ca, in che fu scritto, sembra potersi fissare, non mai il nome. E siccome è assunto mio di provare in que- sta mia terza proposizione, oltre l'inutile ricerca del nome àeW incerto autore ., anche l'esistenza del suo libro ; così dirò, che appunto il libro controverso è questo edito in foglio , di diciotto pagine comprese due di prefazione , da Frobenio , sotto le cure di Gelenio, e che porta il titolo suespresso (**). In pro- va di ciò , giova riportare que' brani the si rife- riscono alla liburna rotata , esattamente copiati. In primo luogo apparisce nella prefazione quanto se-i (*) Vedi la nota cit. n. 9. (**) Io avrei ignorato la esistenza di tale edizione del 1552 (che reputo prima: vedi la notan. 30) se per wna di quelle avventure, che favoriscono l'uomo senza ch'egli vi abbia cooperato, il sig. Petrucci, eruditissimo libraio al Corso incontro al palazzo Riispoli, non mi aves^ se a caso offerto a vedere un tale raro libro^ di cui V Angelica soj- tanto possiede una copia, per quel ch'io mi sappia. 128 Scienze glie Ex quibus fastidii levandi gratta^ panca ma- ehinarum inventa referemus. Docebimus igitur^ velo- cissimum liburnae genus decem navibus ingenii ma- gisterio praevalerc^ ita ut hae per eam sine auxilio cuiusquam turbae obruantur. Quindi si va alla pa- rola liburna^ dove è sottoposta la incisione siccome Godescalco , il Pancirolo (*) , e poi 1' Isnardi e il Rambelli in iscala più piccola riportarono; e il naotto expositio liburnae. Indi segue il testo : Liburnam navalibus idoneam bellis, quam prò ma- gnitudine sui virorum exerceri manibus quodammodo imbecillitas humana prohibebat , quocumque utilitas vocet ad facultatcm cursus., ingenii ope subnixa ani- malium virtus impeUit. In cuius alveo vel capacita- te bini boves machinis adiuncti , adhaerenteis roias navis lateribus volvunt^ quarum supra ambitimi., vel rotunditatem extantes radii currentibus hisdem rotis in modum remorum aquam conatibus elidentes miro quodam artis effectu opcrantur , impetu parturiente diseursum. Haec eadem tamen liburna prò mole sui, proque machinis in semet operantibus tanto virium fremitu pugnam capessit^ ut omnes adversarias liburnas comminus venientes facili attritu comminuat. Questo è il testo con qualche variante riportato da Gode- scalco e dagli altri : ma che nulla altera 1' essenza della cosa. L' edizione però del Pancirolo (**) sosti- tuendo al bini boves, bini duces., offusca il testo; né saprei quale interpretazione convenga ai due duci, che sono causa motrice della macchina. Resta a dirsi alcuna cosa sulla figura; la quale o è antica quanto (*) Vedi la nota cit. n. 9. in fine e la Tav. n. IL (**) Vedi la nota cit. n. 9, in fine. ^ lAV. ■■ Fac-i Tay. II. EXPOSITIO LIBURNA Fai-similf (lolla Incisione che sta nella edizione prima del libro De rebus bellicis ( A^ud Frobenhim 1 552 ) s Liburne rotate 129 il manoscritto, o quanto il libro edito dal Frobenio. Quantunque sembri frivola a prima giunta una tale ricerca; pure perchè non mai mancheranno di quei che prender possano tale figura come tradotta dall'an- tichità, sarà bene avvertire che anch'essa per aver sei buoi e sei ruote d'impulsione , mentre il testo dice hini boves macchirds adiuncti^ e indefinitamente rotas navis lateribus volvunt^ ne venendo richiamata; men- ti"e poi tutto il libro abbonda di figure, la incisione deve esser messa ad illustrare e decorare la edizio- ne, per cura di Frobenio, colla giunta di due altri maneggi e altre quattro ruote. Che se pure è stata trovata nel manoscritto, debbe aversi per posteriore e non autografa; perchè non consenziente col testo. Quello che vi ha di singolare si è, che in una delle più grandi incisioni del libro, nella parte che riguar- da la Notitia utraque ec, vi è una cifra composta di una S. e una G., la quale dimostra che come que- sta, così le altre dovrebbero riputarsi opera (almeno dal lato della incisione) di Sigismondo Gelenio , il quale si fu il correttore di stampe, come di questo libro, così degli altri che diede in luce il Frobenio siccome risulta dalla storia (21). Povero Sigismondo l Malgrado ch'ei si fosse un buon traduttore, scrupoloso correttore e fors'anche non infimo incisore, malgra- do ancora che ne avesse stima ed amore il buon Gio- vanni; pur tuttavia lottò sempre con la miseria ! Re- taggio è questo comune agli uomini di merito, e sto- ria di tutte epoche e di tutti luoghi. Ora che ho mostrato il titolo del libro De rebus bellicis e il primo che lo ha dato alle stampe; che ho riportato il testo secondo quella prima edizione, che ho favellato sulla figura o incisione che l'ador- G.A.T.GVIII. 9 130 Scienze na; sfido la immaginazione dell'Isnardi a dirmi che l'autore del libro De rebus bellicis o anche (se più vuole) l'autore delle liburne rotate sia italo, o greco, o barbaro qualunque, più che schiavone e croato ! Egli potrà ridurre ogni suo dire ad assicurarci, che il libro De rebus bellicis d'incerto autore esiste, ed è stampato fin dal 1552. Che Godescalco da es- so tolse ad imprestito e figura e testo ; come altri riportarono soltanto il fatto senza riprodurre né la figura ne il testo, ove si eccettui la edizione fattane dal Pancirolo, che non è sola dopo quella del Gele- nio ('); che finalmente, ammessa l'esistenza delle libur- ne rotate, è sempre incerta l'epoca in che furono ado- perate presso di noi, salvo se allegando il mano- scritto della biblioteca del re di Francia (che fuor di lizza abbiam posto) non si volesse stabilire che 200 anni avanti Cristo i romani usarono nella seconda guerra punica in genere navi rotate , ma non mai liburne. IV. Rinvenuto l'autore De rebus bellicis^ rimane a vedersi l'autorità ch'esso può avere. E qui la dir squisizione avrà due parti : l'una sarà 1' analisi del Ubro; l'altra l'analisi della cosa. E primamente, stabilita l'epoca di Teodosio I tra il 379 e il 395 dell' era volgare , epoca che toglie assai la confidenza negli scrittori sincroni per la ge- nerale ignoranza, pure un primo grado di fede per le cose contenute starebbe nella certezza che all'im- peratore il libro in quistione fosse stato dedicato : ma quel videtur^ apposto da Gelenio nel frontispizio, gliel toglie. L' essere adespoto certo che in pregio (') Vodi la noia cit. ii. 30. Liburne rotate 131 noi leva: poiché chi sa mai che rozzo uomo di mec- canica e di gfuerra ha trattato di cose che erano enor- me peso alle sue spalle ! Che sia cosi nel nostro caso, vado a dimostrarlo. Nulla io dico del merito del li- bro in genere; poiché lascio a chi ha fior di senno il giudicare se delle cose di guerra (o antiche o mo- derne) si può trattare, come conviensi, nella ristret- tezza di sedici pagine in foglio. Perciò torno al mio assunto. Dalle parole di Go descalco , del Pancirolo e più da quelle citate dell'anonimo, apparisce che le liburne rotate avevan ferito la costui immaginazio- ne: quindi egli primo ne parla quasi portentum. Se non erano contemporanee a lui, avrebbe dato certo sentore , ch'egli per tradizione le conosceva , e non avrebbe taciuto un ut aiunt: se sapeva qual popolo l'ebbe usate, o tuttavia le usava, lo avrebbe additato: se era notizia tolta dagli scrittori, doveva appuntellarsi con una costóro autorità. Nulla di tutto ciò ; egli ingenuamente parla come di cosa comunissima, che sembra mille volte aver veduto manovrare e scor- rere per la liquide vie: e ignorante qual deve essere stato chi sa mai in che madornale errore sia cadu- to. È un fatto ; altri fuor che lui, o più antico di lui, meno l'anonimo autore del MS. della bibliote- del re di Francia, non ne parla; ed era cosa di gra- ve momento da non passare inosservata, trattandosi di un genere di navi tremende e superiori a tvitt'al- ire pei" la manovra loro , per le evoluzioni in una flotta, per la loro corsa, per lo scontro ed arrembaggio in una giornata navale, secondo che egli stesso ci dice: tal che guari non sarebbe andato, che messo il ro- vescio alle costruzioni e alla tattica navale , dovea abbattere la potenza del remo e delle vele. Haec ea- 432 Scienze dem tamen liburna prò mole sui^ proque machinis in semai operantUms tanto virium fremitu pugnam ca- pcssit^ ut omnes adversarias liburnas comminus venien- tes facili atlritu comminuat. Appunto qui sta il tarlo che rode il nostro m- certo autore^ ove questo periodo si confronti col re- sto. Se questo ometteva, jjfli si saiia prestata intera fe- de dai posteri; poiché non può trovarsi ostacolo ad ammettere una nave a ruote , che non ripugna ai tempi e ai luoghi: sono le circostanze del racconto, che il fanno cadere in assurdo; ed ogni fede, che gli si dovrebbe, distruggono. Ecco l'analisi del testo. Imbecillitas humana prohibebat exerceri manibus. È certa cosa che la forza dell'uomo è njinore a quella di un animale da tiro: ma qixeW imbecillitas ha ope^ rato prodigi co' sussidi dell'arte; né si rista mai dal- l'operarli. E nel caso nostro l'uomo ha mosso dalla più remota antichità fino agli ultimi del secolo scorso il re- mo sopra le navi; l'uomo sopra il Lucsor nel 1 832 (22) fece mediante i tonneggi coll'àncora e senz'argano 90 miglia a ritroso della corrente del Nilo; la Fedeltà nel 1840 e 184 1 (23) navigò coU'alzaia e co' tonneggi con àncora ed argano 165 miglia sullo stesso fiume. Ne' canali della Francia tuttora l'uomo tira l'alzaia, ed è capace di strascinare una barca del peso di cento migliaia di libre (24). In ciiius alveo vel capacitate bini boves (scilicet duo). Si contrappone un paio di buoi alla forza inde- finita dell'uomo, che si può applicare alla stessa ma- novra? Ognuno sa che in un'erta un paio di buoi agevolano i cocchi a francarla , e acconciamente e meglio de' cavalli o dell'uomo : lo stesso dicasi per le macine o ingegni meccanici; poiché il tornaconto, Liburne rotate 133 che in tutte le operazioni {juicla i figli di Adamo ^ fa SI che il cavallo si lasci per usi più nobili; né l'uomo vi si sottopone, poiché sarebbe un abbrutirlo; ciò che alla religione e alla civiltà ripugna. Ma pur tuttavia nelle navi da guerra e mercantili l'uomo é costretto a virar l'argano ; il quale avendo fino a otto raggi o aspi al cappello, ed ognuno potendo contenere quat- tro uomini; si vede facilmente che trentadue uomini varranno la forza di molti buoi : tacendo che agli argani di un vascello possono applicarsi anche più di cento uomini. D'altra parte l'argano é macchina antica; né saria strano l'asserire che le antiche navi ne fossero munite. E forse quest'istesso maneggio di buoi dell'mcer^o autore non forma una specie d'ar- gano ? Dunque invece di attaccare due buoi a questa specie di argano^ di cui é ora quistione; si poteva ad esso attaccare un certo e breve numero di uomi- ni; così si sarebbe eguagliata la potenza di quelli : e distrutto quel motto imbecillitas humana vinta dal bini boves. Machinis adiuncti. Qua! genere d'ingegni saran* no stati cotesti ? E fama che Archimede solo con la forzai della sua mano varasse l'enorme nave di Ce- rone: per indovinarne i mezzi, vi fu chi disse che il piano inclinato fosse stata la principal causa della fa- cilità dell'operazione , e quivi aver consistito ogni ingegno (25). Nel nostro caso poco o nulla v'é a con- ghio^tturare. Due buoi sono causa motrice; un numero indefinito di ruote a palette immergenti nel mare sono la causa del cammino; un meccanismo interno è la causa della evoluzione delle ruote. S'immagini pure la macchina più semplice; e sia l'argano girato dai due buoi, terminante all'estremità inferiore dei 134 Scienze suo albero verticale colla vile eterna d'Archimede, che dia moto ad una ruota che v' incastri vertical- mente; e alla quale nel centro sia fisso il jOrand'alb(*- ro, che traversando e forando i fianchi della liburna, porti le due ruote a pale notanti nel fluido; o per mezzo di rocchetti e ingranaggi si componga una macchina, che moltiplichi quanto si voglia la forza, a spese però della celerità: la forza motrice sempre equivarrà a 78 chilogrammi (*) e sarà rappresentata dai due buoi, o da 13 uomini (**). Ma se mi si opponesse che la figura addita sei buoi e sei ruote, e che di essa più che del testo si debba far conto ; quantunque le ragioni di sopra addotte potrebbero uscire in campo: pure io voglio ammettere l'indicazione della figura , per la quale avremo tre alberi di argano messi in movimento da una forza motrice di 234 chilogrammi, rappresentata da sei buoi, o trentanove uomini. (') Un chilogramma equivale a libre romane 2, once 11, den. 9. grani 9, 06. (*') Dal Prontuario di meccanica pratica di Morin con note ad ag- giunte dell'ingegnere Gio. Arrivabene (Mantova 18'i3) si rileva che un nomo girando una manovella, con uno sforzo medio di 8 chilog. (peso inalzato ad 1 metro di altezza in 1 minuto primo) e percorrendo in un secondo uno spazio di m. Q, 75, in un secondo fari una quan- tità di lavoro eguale a chilogram » 6. — Un cavallo attaccato ad una barra, che fa girare un al- bero verticale al passo, con isforzo medio di 45 chilog. come sopra, e percorrendo uno spazio di m. 0, 90, farà in un se- condo » 40, 50. Un bue allo stesso lavoro al passo, con isforzo medio di 65 chilog. come sopra, percorrendo uno spazio dì m. 0, 60, farà in un secondo » 39. — Quindi risulta, che la forza dell'uomo nel caso presente sta a quella del cavallo e del bue come 1 sta a 6 e mezzo, ossia 6 uonvini e mezzo eguagliano un cavallo od un bue. Liburne rotate 135 Ora, fatto il calcolo delle velocità trasmesse alle ruote d'impulsione con ambo le forze suespresse (ipo- teticamente immaginando il meccanismo, i diametri delle ruote e dei rocchetti, il loro numero; e piw an- cora il diametro delle ruote a palette, il loro nume- ro e la loro costruzione); sottratta la dispersione di parte delle potenze delle due suddette forze motrici, sì per gli attriti, sì per la reazione del fluido, sì in- fine per le qualità nautiche della liburna: domando quale e quanta sarà la potenza residuale di 78 o di 234 chilogrammi, che forma il momento statico, e da ultimo la corsa o velocità della nave in un se- condo di tempo; la quale velocità è l'ultimo risul- tato di quell'istesso momento statico ? Non ho creduto di gittar tempo e industria in formare e svolgere formole algebraiche con dati così ipotetici, e nelle ristrette pagine di una lettera: ma ogni uomo mezzanamente istrutto di meccanica e di calcolo ben può conoscere, che assai debole debba riputarsi un tal momento, e assai breve lo spazio per- corso (''). Avvegnaché i principii di meccanica sono (*) M'accingo pur tuttavia a darne un saggio, formando la ipo- tesi dei due buoi e dei sei sopra un battello a vapore di un'egual forza di due e sei cavalli (come vedemmo, il lavoro di un bue nel nostro caso eguaglia quello di un cavallo), supponendo una liburna di mediocre grandezza, un meccanismo perfetto come lo è quello di una macchina a vapore, e due le ruote d'impulsione, e non sei, che darebbero maggiore svantaggio alla nostra nave ; e tutto questo in un fluido indefinito e stagnante. M'avviso che, operando sopra tali dati, tutto il vantaggio ricadrà sul risultato della velocità incognita: né vi può essere chi possa contraddirmi. É norma che per trovare la velocità di un piroscalo in metri per secondo sia d'uopo di prendere due volte la radice cuba del quozien- te della forza motrice in cavalli (deve intendersi forza nominale, ossia non hberata dagli attriti della macchina, dalla reazione dell'acqua sulle 136 Scienze sempre stati gli stessi ; quindi in qualunque modo s'abbiano la forma, le dimensioni, le qualità nautiche della liburna; il genere del suo meccanismo e delle ruote a palette e dalla resistenza nel ftuido del corpo del bastimen- to), divisa dal prodotto della larghezza e quantità immersa dello scafo (Essai sur Tcs bateaux à vapeur appliqués à la navig. intcrieiire et ina- ritimc ec. per Tourasse et F. N. Mellet ingen. Paris 1837, cap 2, pag. 41, et suiv..); ossia la velocità è ^ l X Ora supposta la liburna avere una larghezza di metri 6, immer- gente metri i, 70 con una forza motrice di 2 cavalli; per la Cormoi'a la velocità sarà rappresentata da ^\/-. 6 X 1, 70. la (|nale ridotta, dà m. 1, 169 velocità in un secondo di tempo. In un'ora adunque la nave scorrerà m. 4208, 4; i quali valutati al mì- glio marino (cl»e corrisponde a m. 1852 , 29) il cammino della nave in un'ora sarà di miglia 2 e un terzo. Con le stesse dimensioni, ma con una forza motrice di 6 cavalli, la velocità si rappresenterà da (/ 6X1, 70. la quale formola egualmente ridotta dà m. 1, 680, in un secondo di tempo, e in un'ora m. 6048; i quali portati al miglio marino, risul- terà il cammino della nave in un'ora essere di miglia 3 e un terzo. Gli attriti ecc si valutano sopra il terzo della velocità prodotta dalla forza motrice (Tredgold, The steam engine ecc. London 1838); per lo che dedotto il terzo dal risultato della prima formola ch'è m. 4208, 4, in un'ora: residuerà l'effettiva velocità a m. 2805, 6, ov- vero a m.glia 1 e mezza circa in un'ora. Similmente dedotto il terzo dal risultato della seconda formola ch'è m. 6048, in un'ora; avremo Liburne rotate 137 ruote d'impulso; e, quel che più monta, la potenza della forza molrice. — Sempre il più semplice inge- gno vincerà la resistenza con maggiori forze motri- ci. — Quanto si guadagnerà in forza per mezzo di ruote, altrettanto si perderà in celerità. — La celerità si acquisterà in proporzione che s'aumenterà la forza motrice per vincere la resistenza sopravvenuta nella composizione di un sistema accelerativo. — Né po- trà supplirsi mai alla debolezza della forza motrice che col diminuire la celerità e col prolungare la durata del tempo. — Dopo questo particolare e non corto esame del testo, e in seguito della ipotesi che di giunta ho vo- luto svolgere in nota , con qual diritto il nostro incerto autore potrà aversi fede e conciliarsi autorità in quel suo tanto virmm fremitu pugnam capessit, ut omnes adversarias liburnas comminus venientes facili attritu comminuat ? V. Quantunque io abbia adempiuto rigorosamente a quanto proposi di dimostrare , pure mi accorgo di essere stato troppo austero ; e sebbene sia mio costume il meditare sopra ogni proposizione che veg- go enunciarsi sui libri ; né v'ha autorità in materia di scienze che m'imponga e mi strascini per magi- la velocità efl'ettiva residuante a m. 4032, ossia a mijjlia 2 e un quin- to e poco più in un'ora. Domando io, se tali risultati emergono sopra un'ipotesi fondata sulle costruzioni moderne; per le quali ogni bastimento mezzanamen- te veliero corre da 8 a 9. miglia: e il massimo a che può giungere è miglia 11 ^[loj e a vapore di poco sorpassa quest'ultimo termine: quale risultato dovrebbe aspettarsi, se sulle costruzioni e macchine antiche si l'osse potuta basare l'ipotesi ; costruzioni e macchine che certamente erano a quelle inferiori ? Per lo meno la liburna non- si sarebbe mossa uè punto, nò poco. 138 Scienze strale eloquenza, ove ripugni al mio scarso modo di vedere: nulladimeno sento prò fondamente che si debbe rispettare tutto ciò che eie {jiunto dalle antiche socie- tà, e che è retaggio in certo modo de'nostri maggiori; donde molte utilità iabbiamo noi tratto. E questo in gene- rale; mentre in ispecie non potrò mai persuadermi che le liburne, concesso che a ruote vi fossero, solcassero i mari mediante i buoi per forza motrice: poiché al- tre ragioni, da aggiungnere alle pi ecedenti, s'oppon- no. Esaminiamo adunque queste ragioni ; e quindi passiamo a valutar la credenza che si debbe avere nel fatto registrato dall' incerto autore^ indipenden- temente dalla autorità sua. Ove si tolgano la nave di Sesostri, di Cerone, di Perseo ; quelle de' Tolomei e di Cleopatra e poche altre che superbamente adobbate, e sopra immensa scala costrutte per tra- stullo del fasto sovrano, ingombravano i porti e non potevano uscirne a causa della istabilità prodotta dalla massa, dal peso e dalla forma; il resto delle navi anti- che da commercio e da guerra, sieno onerarie, sieno actuarie, biremi, triremi, quinqueremi, pentecontori, liburne e simili, erano di piccola capacità, ove loro si contrappongano non dico i vascelli e le fregate, ma le corvette de' tempi presenti. Monumento di loro pic- ciolezza è il numero grande e la facilità colla qna- le quasi per incanto si varavano in mare immense flotte ; delle quali facilmente si operava all' occor- renza il trasporto terrestre (*). Or dico che in se- (*) E a noi di sommo interesse , e bel monumento Ji meccanica navale la storia di que'navigli e flotte strascinate per terra da un pun- to ad un altro; comunque si concepisca la loro grandezza , i mezzi usali e lo scopo di loro traslazione. Eccone un sunto. <»li argonauti rimontarono fino alle sorgenti del Tana); quindi L IRURNE ROTATE 139 jjuito di tale verità il ponte loro e la stiva mal po- trasporlarono la loro celeln-e nave p^i* terra lino aJ altro (iiime che sboccava nell'oceano. I greci, senz'esser visti dagli ateniesi, strascinaro- no la loro flotta di 60 vele sopra l'istmo di Leucade da Corciraa Pilo nelje guerre civili di Atene e di Sparta. Archimede con la forza della sua mano {Plutarcus in vita Marcelli) strascinò per terra una grossa nave. I larentini per consiglio di Annibale traghettarono so- pra specie di carra la flotta dal porto al mare a traverso una lingua di terra, sottraendosi così di soccorrere ai romani. Ottavio (chi ?... quan- do ?.. .) strascinò i suoi navigli per l'istmo di Nicopoli nel golfo d'Am- bracia. Augusto la sua flotta per l'istmo di Corinto. Olep nel 904 attraversò l'istmo del Bosforo, e col soccorso delle vele, nella secon- da spedizione de' russi contro Costantinopoli. Nello slesso secolo Niceta, generale di Basilio, al suo naviglio fò sorpassare l'istmo di Corinto. Sondolo, industre ingegnere, propose nel 143D al .senato ve- neto di portar soccorso a Brescia, il quale effettuò sotto la condotta di Bartolommeo Colleoni, con le navi rimontando l'Adige, trasportan- dole per terra sopra il monte presso Torboli, calando infine nel lago di Garda. Maometto 11, nell'assedio di Costantinopoli nel secolo XV, tragittò col mezzo di un candiotto, che fu presente al trasporto delle navi venete a Brescia, una squadra di 70 o 80 galee per l'istmo del Bosforo nel canale del mar nero sino al porto. Dragut, corsale al servizio del sultano nel loo.3, sfuggì ad Andrea Boria traversando con le sue navi un istmo presso l'isola di Dgerbi nella costa di Barberia. Si vuole che gì' inglesi nella guerra dell' indipendenza d'America (1776) trasportassero lo navi ne' laghi del Canada. Olivie- ro Evans in questi ultimi tempi lece camminare per le vie di Filadelfia una nave del peso di 400 migliaia per mezzo di una macchina a vapo- re. 11 comm. Cialdi, tenente colonnello di marina, e ilcav. Provinciali maggior comandante il genio, strascinarono il 26 dicembre 1839 il tra- baccolo il Fortunato, del peso di 95,000 chilog. carico degli obelischi del principe Torlonia, dal ponte fomentano fino alla villa di questo presso Roma percorrendo uno spazio di due miglia e mezzo (chilome- tri 3 e 700, metri). Il re di Napoli sotto la direzione del comend. De Luca direttore del genio marittimo, il 10 maggio 1843, fece tirare a terra per un tratto di oltre 130 metri il vascello il Capri di 74 can- noni armato di tutto punto , pesando coli' imbasatnra più di 2000 tonnellate. Osservazioni. In seguito di queste operazioni si potrebbe conci- liare a' dì nostri un modo di trasporto per mettere stabilmente t bastimenti mercantili dall'un mare all'altro a traverso gì' istmi ; e 140 Scienze teano reggere 1' ingombro dei buoi (*). Non potea aversi a calcolo la forza de' buoi a mare agitato ; poiché le scosse di rullìo e di beccheggio vietano ai marinai più provetti la speditezza delle manovre, e il reggersi ne' piedi camminando; infiacchisce le for- ze nelle gambe, e genera nella più parte degli uo- mini e negli animali il così detto mal di mare, i cui effetti si risentono anche dopo il mare calmato per molte ore. La maggior prova finalmente che imbe- cille si è sempre avuta la forza degli animali per dare sopra i mari movimento alle navi , sta nella' esposizione che feci della prima proposizione , ove mostrai i nomi degli uomini benemeriti della scienza, che inventarono e fecero uso di ogni propellente e for- za motrice, all'infuori del remo e della vela. Ognun d'essi chi sperimentò in adatto meccanismo la pol- vere da cannone , la reazione dell' acqua , la forza dell'uomo, il vapor-acqueo finalmente ; ma nessuno adoperò buoi o animale di sorta; persuasi senza dub- bio delle ragioni che addussi, le quali indarno avreb- bero loro fatto esperimentare una tal forza. specialmente a Suez , a Panama , a Corinto. Da vent' anni a questa parte già s' usa in Iscozia di tirare a secco le navi sopra il piano inclinato d'una strada di ferro (CA: Dupiìi - Gcom. et Mécan. appi, aux arts et mét. tom. 2, pag. 234); e sono note le particolarità, che costituiscono la costruzione di essa, detta dal nome dei suo inven- tore Morton's Slip [Revue gén. de l'arehit. et des travaux publics , anneé 1840, p. 170.) (') In un lavoro della durata di ventiquattro ore la forza ani- male motrice disponibile deve essere tripla per la muta, ondesiren- da non scemo il lavoro, o logora la forza degli animali. Quindi se ammettiamo i due buoi deìVincerto autore, o i sei della figura; noi dovremo immaginare che sci o dieciotto esser dovevano. Vi sono anche nei nostri mari calme che durano settimane intere; per tal previdenza dovevano gii antichi guarentirsi da esse, come se per mol- te 24 ore dovessero servirsi d^'buoi pitiche delle vele. Liburne rotate 141 Pur tuttavia considerando quanto sia dura al marino la ealma dei venti, cui suole anteporre una tempesta, ogni mezzo adoperando per avanzare an- che d'un passo in quelle noiosissime ore (*) ; con- siderando che l'industria di qualcuno si potesse vol- gere benissimo a cercare un mezzo nelle navi a ve- la, che risparmiasse i remi ed i rematori; e conside- rando infine, che i romani dati interamente alla po- litica e alla guerra, e rimanendo a loro perciò poca (*) Per (ornire un esempio, di cui fui teslimonio nel lempo deUa spedizione pontificia in Egitto, sotto gli ordini del tenente colon- nello di marina commendator Cialdi, il mistico la Fedeltà nelle lun- ghe calme che soHVi fece uso dei remi. Siccome però non ne ave» che quattro; e perchè il ponte era ingombro degli oggetti preziosi di arte; due rimasero fuor di servizio, e agii altri due, di cui si pò tea far uso, si applicavano fino a tre marinai per ciascuno. Con tale debole for^a il mistico pochissimo cammino faceva, è vero: però questa debole industria non trascuravasi di adoperare. E quando si trovò sul Nilo navigando a ritroso, tutte volte cln; per mancanza di vento, o per vento contrario non potea far uso della vela, e il canale d'acqua era nel mezzo del fiume, per il che non potea adoperare l'alzaia; si stendeano i tonneggi ad àncora fìssa virando a picco dal ponte sino al punto d'ormeggio. Con tale ordinario artificio per più giorni mes- so in opera non si giugnea a far che un miglio circa da mattino a sera, Pure i marinai e i nubiani si sottometleano allegramente al comando di questa fatica, piuttosto che starsi inoperosi attendendo il vento. Né posso tacere l'industria dello stesso eh. comandante, allorché navigando a seconda senza vento o con vento contrario , sembrandogli poco il cammino che faceva far la sola corrente, cam- mino talora distrutto dai venti conlrari, egli adattava una vela sot- t'acqua, la quale ricevendo l'urlo di tutta la corrente, e comunican- dolo al naviglio, faceva si che «juesto camminasse a seconda con una velocità quasi pari a quella della corrente in circostanze sfavorevoli. (Relazioni del viaggio della spedizione pontifìcia in Egitto inseriti ncU'Album romano, anno 8, e 9 18il-'«2. Vedi noia n- 23. Relation dp dcux voyages e.recuics par la marine militaìre des ctats romains dans les annce 18Ì0-41 42 , inscrée dans les Jnnales marilimcs ci culonialcs de Francc. Avril 18'43. Parti.) 1 42 Scienze attitudine alle matematiche e alla meccanica, come ci addimostra la storia; può essere che alcuno roz- zamente proponendo di esperimentare la forza de' buoi in apposito meccanismo, e col soccorso di ruote aderenti ai fianchi di una nave, essi abbracciassero la proposta ; e si dessero a provarla. Conseguente- mente può concedersi che la nave di prova fosse quella che trasportò in Sicilia l'esercito romano al tempo della seconda guerra punica, siccome dice il manoscritto delia biblioteca del re di Francia, e che tale prova si ripetesse ad intervalli, fino all'epoca di Teodosio, secondo la testimonianza dell'mcer^o «w/of e De rebus bellìcis (e forse dopo ancora). Queste pro- ve però, dovendo essere state più di soccorso alle vele che di sostituzione , non poteano effettuarsi se non in calma di vento, e bonaccia di mare; mentre il maroso seguita quando l'aura è cessata, siccome effetto de' venti anteriori. Quindi con poco equipag- gio e senza remiganti; ma col carico di una parte d'esercito, che ingombrava il ponte (*); ove anche (*) Mi giova ora di afferrare quest'occasione per mostrare il modo, che tiene la Francia pel trasporto dei soldati malati dall'Al- geria in Europa. Esso può servire di termine di paragone dei tra- sporti di truppe dei nostri antichi, i quali certo erano in peggiore condizione della nostra. « Tre navigli a vapore (il Grcgcois, il Mé- » Icore ed il Gerbère) sono stati fissati per offrire un riparo ai loro » passeggeri; e si sono alzati, dando loro un ponte di più. Del resto » si resta persuasi che la costruzione di questo riparo non ha mi- » gliorato le loro qualità, e che nello stesso tempo esso può essere » in certe circostanze una causa di pericolo, compromettendo la si- » curezza della nave troppo gravata. Ma a questo prezzo i malati so- » no riparali, mentre che sopra gli altri navigli, io (luesto cammino » continuo tra le due rive del mediterraneo, tra Algeri e gli altri " punti di occupazione, i nostri soldati serenano sopra il ponte, esta- » te e inverno, bagnati dalle piogge e dal mare; e ciò dura da quat- Liburne rotate 143 uà miglio all'ora si fosse potuto effettuare, era tutto guadagnilo. E tanto più acconciamente il bue s'im- piegava in tale circostanza a tale manovra; in quanto che tra via forse s'uccideva per vitto de' militi, che freschi e robusti dovevano giugnere, più che a guer- nire le piazze, a combattere, appena ponevano a ter- ra il piede. E forse senz'altro questa doppia utilità fece anteporre il bue a tutt'altro animale e alle ciur- me stesse da remo, che moltiplicavano con danno il numero de' naviganti e i consumatori di vettovaglie. Questo mezzo per consuetudine, e per non saper fa- re altro di meglio , mentre un utile in qualunque modo pur producea, tradotto forse fino ed oltre l'epo- ca di Teodosio, ed applicato alle navi da trasporto {aavcs onerariae)^ fece sì che anche il nostro incerto autore vedesse in porto una tale specie di navi, che liburne a diritto o a rovescio egli chiama- Credo di essere a riva; ora lascio a chi vuole il carico di giudicare che pasta d'uomo si fosse il no- stro autore incerto De rebus bellicis^ e se rettamente o no ragionasse con enfasi magistrale, velocissimum liburnae (jenus decem navibus imjenii magisterio prae- valcre , ita ut Ime per eam sine auxilio cuiusquani turbae obruantur. Certo io non saprei biasimare il Pancirolo, che d'altronde non gode presso i dotti una generale estimazione pel suo libro delle cose memo- rabili (2GJ , se viziando la lezione convertì il bini boves in bini duces (quasi due macchinisti, bini du- » tordici anni: quest'i; lo stato normale ! Vi; miseria che possa toc- « carci più (li questa, e che più sia degna d'eeci(are l'interesse e la >> cura nazionale ? » Note sur l'état dcs forccs navalcs de la Francc, appendice insvrée dans le journ. dcs scienccs militaircs par J- Correard u. 53, 5.'» J'aris i'àili, pag. 290.) iUU Scienze clores machinarum): imperocché neppur lui convinse tale (jenere e tale potenza di forza motrice (*) ; e quando gli si diede il destro di farne menzione, si tenne, più che al testo, alla figura noverando i sei buoi e le sei ruote (27). Ma sento rinfacciarmi: Tu dunque in ultima ana- lisi osi distruggere l'autorità del manoscritto, che si conserva in regia biblioteca , e l'autorità del libro De rebus bellieis^ analizzando fatto e parole; ardisci frodare all'Italia un uso antichissimo, che i moderni apprezzano cotanto : e costretto infine a non poter negare e distruggere interamente le autorità, il fatto, e queste esperienze avvenute nell'Italia antica, tacci i nostri avi di mal destri in talune parti delle meccaniche discipline ? E duro il dover confessare che questa è la mia conclusione; finche non sorgano autentiche pro- ve a smentirmi , le quali amor di cittadino fa che ardentemente io desideri che escano in campo. Del resto però l' Italia romana , feudale e repubblicana e moderna, è stata ed è così eminentemente fertile in invenzioni, in industria, in sapienza, la Dio mer- cè, che non ha bisogno dei sillogismi (quantunque fatti di buona fede) dell' Isnardi per mendicare un capo di gloria. Io non ho fraudato nulla; ma ho ridotto la qui- stione all'ultimo termine coU'analisi e co' documenti. Io non ho negato nulla ; ma ho pesato e calcolato. Se male mi espressi ragionando, or qui brevemente ripeto l'ammontare del peso, il quoziente del calcolo, il succo della storia. Le navi a ruote sono uso an- tichissimo e modernissimo , nostrano e straniero. Le (*) Vedi la nota cit n. 9, in (ino. Liburne rotate 145 navi a ruote^ e le liburne a ruote mosse da buoi sono prodotte e lodate da due senza nome: monumenti e autori tacciono di loro. Il criterio e il calcolo ci ob- bligano a smentire la utilità e la potenza delle libur- ne rotate ; non mai a negare le esperienze che si possono esser fatte. Esaurito nel modo che le mie forze potevano l'assunto preso, non mi rimane che far voti accioc- ché coloro, i quali, sia per qualunque causa, si tro- vano nell'intricato laberinto delle ricerche, non con- fidino nei referti., o nei ricoglitori di avvenimenti; quando apparisce ch'essi mal sapeano di quelli va- lutare la forma, la forza, l'importanza: ma pongano entro il frullone autore e fatto per istacciare ambe- due e dividere il fior dalla crusca. Talmente ope- rando si farà benefizio ai presenti e a' futuri, che po- trebbero veder le cose alla più semplice verità ri- dotte , senza il prestigio che il passato si concilia nella nostra immaginazione. Anzi saria desiderevole, io m'avviso, che in fatto di scienze fisiche si desse un consesso d'uomini pru- denti quanto sapienti ed artisti , il quale pesando , ove si possa , l'antichità in ogni sua particella , ri- ducesse al vero valore ogni sentenza o fatto che fosse di meccanica, di statica, di costruzione murale e navale, e via discorrendo: acciocché dopo aver proffe- rito un giudizio, novell o areopago, si avesse per giusto e inappellabile. Per tal modo, or che si abusa tanto dello stupendo dono della stampa , tolti di mezzo tante varianti e tanti vari opinatori, tanti comenti e tanti cementatori che si possono dare, e che molti- plicano senza frutto; ogni intelletto potrebbe volgersi G. A.T.C Vili 10 1 4 G Scienze a saper imitare e saper creare, più che ad essere va- namente laudator temporis acti. Ma io protesto, che non sono arrogante così, che vogha far credere che questo saggio che ho dato sulle liburne rotate sia giusto , siccome pur vor- rei che fosse. Purtroppo anch' io sarò venuto in errore ! E prego l' altrui benevolenza a perdonare a quelle mende che si troveranno , le quali però non sono della mia volontà. E basterammi, se il retto io dissi, che la cosa di per sé stessa persuada, e non il giro delle parole; conciossiacché gli argomenti o buoni o con apparenza di verità seducono talora e sempre. Nihil est tam incredibile , quód non dicendo fiat probabile ('i8). Spero infine, che l'Eccellenza V. I\ma sorga me- diatrice fra il chiarissimo autore delle lettere Intorno invenzioni e scoperte italiane e me , ignoto e rozzo zelatore di tutto quanto è gloria reale e grande deh- l'italico valore di tutti i tempi ; perchè egli non si aht>ia a male se all'Isnardi debbo contraddire in que- sto punto d'afcjlieologia navale, abbattendo quel che dice Vincerlo autore De rebus bellicis o male espri- mendo , o immaginando oltre la verità. Siccome pregola ad accettare questo scritto in tenue testimo- nianza dell'amore che porta al vero, e della venera- zione che ha sompna dell'E, V. lima, chi si pregia di sottoscriversi Di Lei, monsig, riveritissimo Di Roma a' di 21 di aprile 1846, Umilissimo^ Devotissimo servitore Camillo Ravioll Liburne rotate 147 NOTE. (1) Modena 1844. Ediz. ult. (2) Delle barche a vapore, e di alquante proposizioni per ren- dere più sicura e più agevole la navigazione del Tevere ecc. Ragio- namento del commend. Aless. Cialdi ecc. Roma tipog. delle belle arti 1845. Nota 1. al cap. 1. (3) Album. Anno XIII. Roma 28 marzo 1846, n. b. (4) Museo scientifico, lett. ed artist. Anno 4, pag. 17. Tori- ne 1842, n. 13. (5) Monta il carro (Nettuno), e leggier vola su Tonda: Dagl'imi gorghi uscite a lui d'intorno, Conoscendo il re lor, l'ampie balene Esultano , e per gioia il mar si spiana. Così rapide volano le rote Che dell'asse né pur si bagna il bronzo; E gli agili cavalli a tutto corso Verso le navi achee portano il dio. Iliade. Trad. del Monti libro XIII, verso 3S. Mque rotissummas levibus (^Neptunus) perlabitur undas. Aeneìdos, Ijb. I, vers. 147. (6) Mém. coneernant l'hist. les scìences, les arts des chinois, pag. 343, fìg. 94. Barques à roues. (7) Stuart Robert, Mach- à vap. Voi in 8. Paris 1827. (8) Lib. X, cap. X in fine. (9) Notitia utraque cum orientis tum occidentis, ultra Arcadii jHonoriique caesarum tempora , illustre vctustatis monumentum in- comparabilis [cui accedit) liber de rebus bellicis - liburna - expositio Hburnae. Basileae 1352. Questo libro unito ad altri fu riprodotto sotto questo titolo: Notitia dignitatum utriusquae imperii, orientis scilicet et occidentis ecc. Lugduni 1623. {cui accedit) De magistrati- bus municipalibus et corporibua artificum libellus, eodem praestantis- simo iureconsulto Guido Pancirolo auctore. [ubi invenitur ad calcem) LIBER DE REBUS BELLICIS - LIBURNA - Expositio Hbumae ad pog.37, oum variante ubi prò bini boves, bini duces scriptum est. {Fide etiam notam cum nwm. 30). 148 Scienze (10) De re milit. Lutetiae 1332, it6. XI eap- XII pag. 314, é( edit. anteriores ad cap. XI. (11) Janvier -Manuel compiei des mach, àvap. (ManuelsUoret). (12) France maritime par Amedée Gréhan tom. 2, Paris, paq. 253. Recherches Artisiiques par A. Jal- Lo schizzo del Colombo pubblicato dallo Jal è qui riprodotto (vedi la tav. I). Più ragioni soddisfacenti ce lo fanno apprezzare sic- come autografo. Esso è il testamento del grand'uomo, col quale in concambio di un mondo trovato, d'immensi beni operati e di mille ingiurie sofferte, chiedea alla patria, a Genova, una sola parete dove dipingere il grande avvenimento, il suo trionfo. Quest'ultima volon- tà fu mai adempiuta ? Oh vergogna d' Italia ! non solo fu negletta; ma poco men che schernita. Nel concorso tenuto all'accademia di belle arti a Milano, la quale fece la scelta di un monumento di pietra da erigersi al Colombo , vi fu il sig. Angelo Del Vecchio, genovese, architetto di belle speranze, che offrì un modello in plastica, ispirandosi sopra lo schizzo pittoresco, aggraziatamente in genere traducendo nella scultura le idee del gran- de ammiraglio dell'oceano. Sopra allo piedistallo spicca fra un mare fortunoso una conca a ruote. Colombo ritto stavvi entro, quasi in atto di ringraziare I ddio; una fama s'alza sonando sul davanti della conca; quattro cavalli tirano questo carro marino, e più tritoni fe- steggiano do ogni lato il gran trionfo. Con tutto che avesse questo pip- dello molto merito nel concetto , esso fu ripudiato e posposto alle solite figure allegoriche , che una mal intesa convenzione si sforza di alzare, avvisando per mezzo di zimbelli che cosa esse sieno e che cosa intendono di rappresentare: nello stesso tempo che le vedi cor- teggiare sfacciatamente il mausoleo del re, del sacerdote, del ricco, del poeta, dell' onesto e del disonesto plaudendo al vero del pari che al falso. 0 ingegni d| Grecia, o pensieri di Michelangelo ove sie- te ? Eppure non siam noi tuttavia sul suolo d'Italia gli avventurosi nepoli degli ispirati nostri padri ? Questo fatto mi ricorda, se dispa- rato caso può suscitare una stessa idea, quello che avvenne al mio dol- cissimo amico e collega tenente Mariano Volpato; e qui lo accenno per dimostrare che Roma pur tuttavia possiede il buon senso a preferenza d'altrove. La più insigne delle accademie artistiche plaudì, non è guari, e gridò primo fra molti, un bel progetto di teatro che quell'artista de- lineò per concorso: ed una mano d'uomini di una piccola ed oscura città delle nostre adiacenze pospose il primo ad altro, secondo infila «li merito; ma inferiore senza pari al primo pel voto dell'accademia me- XlBURNE ROTATE 149 desima. Evviva i giudici delle opere, delle quali sono incapaci ed inde- gni non solo di formare un abbozzo, ma anche di aharvi lo sguardo ! Che dir poi di coloro (se pur vi sono) che ignorando le idee di Colombo in certo modo le condannano? Che tarpano le ali ad un concetto d'in- gegno, e vagheggiano invéce le idee prodotte e riprodotte de' monu- menti del seicento ? Monumenti, che mutato nomine hanno il pre- gio di adattarsi ad ogni persona ? Sia mercè a Roma, e alla munifi- cenza de' papi. Nella sala del Vaticano, che dai musei conduce alla gal- leria de' quadri , soao dipinte sulle pareti le varie regioni d'Italia. Ov'è delineata la Liguria vedesi l'ultima volontà dì Colombo (non so se a caso o a talento) pienamente soddisfatta a seconda dello schizzo di sopra citato. - Vedi Colombo fra i fiotti del ligure mare assiso in un carro di trionfo, che termina con una conchiglia, dove ritto si sta Nettuno, che incita col tridente una quadriga di cavalli marini. 11 gran- de ammiraglio ha il compasso alla sinistra mano e alla destra un fo- glio sciorinato; nell'aria uri putto alato sorregge un globo fasciato dalla croce, ch'è il nuovo mondo. Un tritone con la tromba marina alle labbra assorda limare^ festosamente sonando; e regge una banderuola ove sta scritto - Christophorus Colombus Lig. novi orbis repertor. (13) Questa notizia poggia sulla fede de' documenti manoscritti, rinvenuti negli archivi reali di Simancas, pubblicati da Navarrete nel 1826. (14) Renwick. Mach, à vap. trad. de Vangl. par Dunval. Pa- ris 1842. (15) Hist. de Cacad. roy. de$ sciences de Paris, année 1693, et Recueil des inventions approuvées par cette academie, tom. i, pag. 173, et iuiv. Per gli autori ed inventori anteriori a quest' epoca (1693) si possono consultare le seguenti opere: Inventions or Devises ecc. by ÌV. Bourne n. 19 , 20, 21 , Lon- don 1378. — Le artificiose macchine del cap. A. Ramelli pag. 245. Pa- rigi 1588. — P. Harsdorfferi Deliciae mathematicae, tom. 1, quaest. 9. — G. Schotti, Tecnica curioia, lib 8, cap. 8, pag. 392. Herbipoli 1664. Con tutto questo, dì recente il luogotenente Bourton ha fatto cammi- nare la fregata V.^ctivè con ruote a palette, messe in movimento col soccorso dell'argano, e glie sene attribuì l'invenzione. (Che vuol dire l'ignoranza della storia ! . . . ) {Nouvelle de Portsmouth , inserée dans . le Journal des Débats, le 8. Juin 1819.) (16) Juli Geliti, Noct. att. lib.XFII, cap. 3. = Appianus = Sve- tonius in vit. Calig. cap. 37. — Fegetius lib. IF, cap. 35. — Eutropius -150 Scienze lib. Il, cap. XX. — Prudentius — Suida — Turnebm lib. 22, eap. 31. — Salmuth, Comment, in lib. rerum metnorab. sive deperd. Guidonis Panciroli Francofurti 1646, pag. 128, 129. Fide etiam In Thesauro graec. antiq. lacobi Gronoviivol. XI Lugduni Batuv. 1701. Disser- tationes variorum de re navali e pag. 571, ad 790. — et In Utriusque Thesauri antiq. roman . graecarumque nova supplementa , congesta a Johan. Polena voi. y. Fenetiis 1737, ubi inven. Johan. Schelferi de militia nav. vet. Lib. IF, pag. 846 et seg. ec. =■ Lo Jal nella preziosa opera Archeologie navale (Paris 1840) parlando delle liburne e' istrui- see, cbe un glossario lati no ed anglo sassone del XII secolo fa cor- rispondere la Liburna aìVHulc , nave settentrionale unireme di quel tempo (Appendice ou Mém. n. 2. De nave et yartibus eius. Tom. 1 pag. 159.) che Winesalf al cap. XXXIV [Richardi regis iter) dice ehe alle Liburne degli antichi corrispondevano le galee. (Mém. cit. n. 4, pag. 237) Finalmente che un tal Etico [Ethicus tamen Mister, qui in lalinum sermonom ab Hieronymc conversus creditur. Lilio Gregorio Gyraldi de Ferrare, de Re nautica llbellus; Bàie, 1540): asserisce che Liburne negnciatorum naves apte veloces veluti dromones inter undas maris et procellas admodum necessarie. Nonnulle enim tn tibia in veniuntur ubi reperte fuerunt. (MS. della biblioteca del re di Francia n. 8, 501.) {Mém. cit. a. 8 tpm. 2 pag. 453, et 470.) Qual fede pos- sono meritare queste citazioni, e questi autori de' tempi bassi ?. .. (17) Dizion. ital. scient. milit. di Giuseppe Ballerini. Art. Libur- na. Napoli 1824. (18) Diplomi imperiali e privilegi accordati ai militari race, e fomentati da Clemente Cardinali. - Velletri 1835. pag. 13 liburne. (19) Comment. in lib. IV, cap. 3. De re militari FI. Fegetii. An- tuerpiae i^Sy pag. 35 7. (20) Rerum memorab. iam olini deperdit. et cantra recens atque ingeniose inventarum ec. Ambergae typis Forsterianis 1590. — De navibus quadriremibus et quinquerem. pag. 241, 242, 243. (21) De Thou , Hist. lib. i3. - Teissier, eloges des savans tom. 1, pag. 200, edit. de Hollaiide 1715. — Bayle, Dict. Crit. 2 edit. — Moreri, Le grand dielion. histor. Paris 11^^. Art. Gliélenn, ou Geslen. (22) Fei^tinac S. Maur, voyage du Luxor enEgypte Paris 1835. (23) Relazioni del viaggio d«lla spedizione ponliKcia in Egitto, iflseriti nell'Album romano, anno Vili, e IX, 1841. n. 2, 18 e 25. 1842. n. 2 e 3. (24) Perronet, Ocuvres tom. 2. (25) Inilovinaniento de' mezzi di cui avrà potuto avvalersi Ar- chimedi' per l'are aiid.irt' per terra con la sola forza della sua mano Liburne rotate 151 una grandìssirtia nave carica di un peso enorme. Dlssert. di M. A. Co- sta, inserita nell'Antologia militare Anno TX voi. XVIII. Seconda se- rie, 2 semes., compii, da A. UUoa ec. Napoli 1844, pag. 103 e seg. (26) Goguet, Delle orig. delle leggi ec. tom. 1, pag. 10. Prefaz. Venezia 1833Ì trad. (27) Fidi etiam effigiem navium quarumdam, quas Liburnas di- cunt: quae ab utroque latere extrinsecus tres habebant rotas, aquam attinqentes: quarum quaclibet odo constabat radiis,manus palmo e ro- ta prominentibus ■■ intrinsecus vero sex boves machinam quandam eircumagendo, rotas ìllas incitabanU et radii aquam retrorsum pel- lentes, Liburnam tanto impetu ad cursum propellebantj ut nulla trire- mis ei posset resistere. Rerum memorabilium ec op. cit. (V. nota n. 20). Ambergae 1590. pag. 242. (28) Cicero, Praefat. Paradox. (29) Di questa sorta di legni, alcuni velocissimi eran detti Li- burna (*), dal nome de' loro inventori, che furono i popoli dell'il- lirico; allor detti liburni , e presentemente croati. Floro scrive, che i vascelli liburnìci di Cesare (a) nella battaglia azziaca avevano da tre sino in sei ordini di remi. L'autore della descrizione delle Di- gnità de' due Imperi (b), che per congettura del Pancirolo (e) scrive quest'opera sul fine del regno di Teodosio il giovane (d), e prima dell'anno di nostra salute 450 (e), parla in un trattato a parte (f) (') Liburne, error tipografico- (a) Aggiungi Ottaviano Augusto. Ognuno sa quando per antono- masia il nome di Cesare e di Augusto si dava agli imperatori romani. Quell'uso però non autenticò mai di chiamare col solo nome di Cesare la persona di Augusto, come fa il nostro autore. (6) La Notitia utraque ec. (Vedi la nota n. 9.) di cui qui si par- la, è libro adespoto; quindi al lettore non devesi dare una idea falsa coll'usare la parola autore; poiché si dice l'autore della Divina Commedia, della Gerusalemme ec. intendendo Dante, Tasso ec per metonimia e in istile elevato; ma quando non si conosce il nome di un autore di cosa, ad esso si dà il titolo di anonimo. (e) Dovea dir Gelenio. (Vedi il testo alla pag. 127.) (d) La Notitia utraque ec. si vuole scritta oltre il tempo di Onorio e di Arcadio. (Vedi la nota cit. n. 9.) (e) Poteva dir prima del 1846, dell'era nostra, che avrebbe dato meglio nel segno. Secondo i migliori cronisti Teodosio I morì nel 395; Arcadio nel 408, Onorio nel 423, o 424. {fi Questo trattato appunto è il Liber de rebus bellicis, ohe nou 152 Scienze di certi vascelli libiirnici, ch'eraii per verità troppo grandi a pro- porzione de' remi, che ordinariamente s'usavano (g); ma che ciò non ostante avanzavasi con un impeto, e prestezza incredibile, coU'aiuto di certe ruote, che loro stavano a' fianchi. Avevano queste disposte ai Iati degli assi di maggiore circonferenza, alcune palette; in modo, che girando quelle col mezzo d'una macchina fatte lavorare da' buoi, che erano nel vascello, queste prendevano l'acqua a guisa di remi, ma con tal violenza, che se una simil nave investendo un'altra l'urtava, infallibilmente la scommetteva, e spezzavala (/i). (introduzione alla SCIENZA DELLE ANTICHITÀ' ROMANE, estrutta in parte da un'operetta di Cristofaro Cellario, ed in parte dagli ottimi autori antichi e moderni, da Luigi Vaslet. Opera tradotta dal francese ed accresciuta di al- cune annotazioni (Napoli 1778. cap. II, § X delle forze navali pa^ gine 46, 47.) Iw di comune colla Nolitia utraque che l'essere stato stampato per la prima volta nel 1332 , insieme ad essa coi tipi di Giovanni Fro- ben. (Vedi la nota cit. n. 9.) (g) Il nostro incerto autore De rebus belUcis, come risulla dall' esame da noi fatto, non ha mai parlato della grandezza delle liburne rotate: quindi è un sogno qualunque supposizione. E poi, chi inse- gna a costui di misurare la grandezza delle navi antiche dai remi; come se il più gran remo stesse in qualche museo, o se ne fosse data misura a tanto di lettere da qualche antico autore ? 0 vi fosse tra il remo e la capacità una corrispondenza proporzionale ? Ecco tutto ciò che ci dice Snellio della celebre galera di Filopatore Remi longiores ad puppim inserti: horum maximi eubitorum triginta odo, tractu et remigio in uso faciles ob plumbum ad manubrium additum. - E che perciò ? Non basta; sia la nostra liburna grande come un mo- derno vascello a tre ponti e mezzo; che han che fare con lei i re- mi per rermine di paragone , se li ripudia , sostituendo ad essi le ruote ? (ft) Ha dato fastidio al sig. Vaslet di fel. me. la grandezza di que- sta specie di liburna, e non il mezzo di cui valevasi per cammina- re ? Ecco però il velo caduto. Ripugnava anche a costui, comunque ei si fosse, i bini bov<^ del testo o i s€Ì della figura (sia ch'egli leg- gesse il testo, o si affidasse ad altri, come par meglio, eper giudicarlo men severamente ); quindi non ci dice il numero definitivo dei bovi, e persuaso che molti ve ne volevano (p. e. 20X3, che potevano egua- gliare la forza di nn cent'uomini in un argano da vascello) il po- vpr'uomo non poteva vedere che immensa la capacità del ponte per Liburne rotate 153 (30) Dissi che io credo siasi per la prima volta pubblicalo per le stampe il Liber de rebus beUic'is nel 1552 da Frobenio per le cure di Gelenio: imperocché il Marzucchelli e la biblioteca modenese non sembrano contraddirmi- Mi duole di non aver avuto tempo di mag- giormente dedicarmi a ricerca di tal fatta, che d'altronde poi poco o nulla toglie o aggiunge di pregio al mio proposto. Siccome però non è disutile la conoscenza di quanto ci ammaestrano e il Mazzuc- chelli e la succitata biblioteca intorno alla Notitia utraque tura orien- tis cum occidentis ec. con la quale uscì in luce per la prima volta il sii- detto libro De rebus beUicis, così qui riporterò a distesa le loro paroie. li. De magistratibus, civilibusque et militarlbus vfficiis liber, a car. 493. Da una sua lettera si apprende (di Andrea Alciati) ch'egli scrisse quest'opera nel 1328, coH'aggiunta della Notitia dignitalwit utrimque imperii. Opera d'antico scrittore, cui l' Alciati, avvegnaché non intera, fu il primo a pubblicare (Scaligeraua, pag 13). Uscì di poi col libro De quinque pedum praescriptione, Lugduni apud Seba- stianum Gryphium 1330, in 8; e poi di nuovo colla detta Notitia di- gnitatum ec. Basileae apud Frobenium 1352, in fog. (Gli scrittori d Italia, cioè notizie storiche e critiche intoriio alle vite e agli scritti dei letterati italiani, del conte G-iammaria Maz- zucchelli bresciano, voi, 1, parte 1. Brescia 1733, pag. 364, 363.) II, Notitia dignitatum utviusque imperii cum commentarits. Fe- netiis. 1393, in fol. Ib. 1602, in fol. e di nuovo Lugduni. 1608, in la manovra di tale mandra di buoi; e quindi immensa la nave, ove aveva innalzato il trono suo L'imperatore dei cornuto armento . Conclusione. Quest'analisi abbia per iscopo di far vedere quanta sia stata straziata la notizia delle liburne rotate. Il cielo aWjia concesso miglior fortuna al resto del libro del sig. Vaslet: e sopra a tutto serva quest' analisi a far considerare in quanti errori può cadere l'uomo che non sa, del quale pur si leggono di buona fede le opere; e dal quale di buona fede si tolgono talora ad imprestito citazioni e periodi, che facciano all'uopo. In simili incontri (e il cielo ce ne guardi) si non casti, sallcm cauti. Poiché sarei per dire, in buona pace del gran Metastasio, che sempre al pari della meraviglia .... La diffidenza Della prudenza è figlia E madre del saper. 154 Scienze fol., e Genevae 1623 in fol. (Qui è a collocarsi l'ediz. Lugduniì623, ve- di la nota cit. n. 9.) e nel tom. VII del tesoro delle antichità romane del Grevio, e inserito ancora nell'opera del p. Banduri intitolata: Imperium orientale. L'opuscolo comentato dal Panciroli, e che ere- desi scritto nel quinto secolo, era già stato in parte dato alla luce da Andrea Alciati, e poscia aveanlo pubblicato intero il Renano , il Shonhovio, e il Gelenio. Ma ninno avealo illustrato, come parea necessario. Carlo Emmanuelio duca di Savoia, di cui non v'ebbe forse mai principe che più amasse di fomentare gli studi della soda erudizione, eccitò il Panciroli ascrivere sopra esso un ampio comen- to. Ed egli trovatine due antichi codici, e corretto con essi e mi- gliorato il testo, lo rischiarò spiegandolo diffusamente, e con molta erudizione illustrando le cose in esso accennate. Antonio Querenghi, in una sua lettera a Paolo Gualdo scritta nel 1616 , parlò di quest' opera con molto disprezzo , dicendolo il Libro utricsqub noxiciae oscurato dalle lucubrazioni del magniloquentissimo Panciroli (Lett. d' uom. ili. Ven. 1744, pag. 483). Ma diverso è il giudizio che ne danno comunemente gli eruditi: e le stesse ripetute edizioni, che ne sono state fatte, son prova dell'applauso, con cui essa fu ricevuta, e dell'utilità ch'essa porta allo studio dell'antichità e della storia ro- mana. III. De magistratibus municipalibus, et de Corporibus artificum. Va aggiunto alla prima edizione, ed alle altre rammentate poc'anzi dell'opera già riferita, e insiem con essa è probabile, che fossero fin d'allora stampate le altre operette De quatordecim regionibus urbis Romae, earumdemque aedificiis tara publicis, quam privatis, e quella parimenti De rebus bellicis, che pur veggonsi aggiunte alle seguenti «dizioni , giacché non avendo io avuto sott'occhio la prima , non posso accertare quali opere essa contenga. Esse furono ancora in- serite nel tomo III delle antichità romane del Grevio. Tutte queste opere ci fan conoscere la molta erudizione del Panciroli nell'antichi- tà, e lo stndio ch'ei fatto avea su' classici autori greci e latini , alla testimonianza de* quali egli appoggia comunemente le sue opinioni. (Biblioteca modenese, o notizie della vita e delle opere degli scrit- teri natii ec. tom. IV. Modena 1783, pag. 13, e 14). N. B. Sono in dovere di dimostrarmi pubblicamente grato alla gentile amicizia dei bravi artisti professori Moretti e Simelli, il pri- mo de' quali si prese la cura noiosa di riprodurre il fac simile dello schizzo del Colombo, il secondo della liburna rotata. 155 Considerazioni in prò deW incolumità pubblica. I popoli più inciviliti del mondo (d'Europa) , giàf bersaglio di non poche politiche commozioni, sono alla vigilia di essere travagliali da pestilente flagel- lo, che per sola dottrina italiana è stato per secoli rinchiuso fra quegli abitatori, a'quali un cieco fatali- smo ed ignoranza medica lasciava in retaggio la mu- sulmana superstizione. Che se nelle loro contrade pe- netrarono a' di nostri i lumi di pubblica e di pri- vata igiene, sono assai languidi per dileguarne le te- nebre, onde raggiugnere uno scopo veramente salu- tare- Consigliere nei supremo sanitario magistrato, da oltre due lustri coordinato con gravissimo senno , ben io so quali e quante furono , e quali sieno le rinnovate e giuste lamentanze degli altri italiani magi- strati di sanità a salvaguardia della minacciata inco- lumità pubblica. Memore ancor sempre, e dolente oltremodo di quanto specialmente avvenne in questa capitale per altra esotica pestilenza ( cholèra indiano), sono ora stupefatto, siccome Io sarà ogni savio medico , per un officiale rapporto indritlo al ministro del conv- mercio di Francia. E parto questo di una commis- sione presa dal seno di un corpo accademico da me chiamato la più illustre società medica dell'uni- verso ed alla quale, non è guari, mi riputavo ono- rato d'appartenere come socio corrispondente. 156 Scienze Riandando quindi il pensiero su quanto fu per me scritto, e soprattutto operato per l'incolumità pub- blica ( sebbene officiali documenti di moltissima sa- nitaria importanza sieno tuttora dal pubblico igno- rati ) nutro sicura fiducia che si ricorderà di aver io, se non con dottrina^ con fermezza battuta quella via fondata sopia basi d' inconcusse verità e di irre- fragabili fatti , sanzionati da una fatale esperienza. Israentirei dunque il mio carattere , se nel leggere r accennato rapporto non dessi salutevoli ammoni- menti, che da altri ancora saranno meglio avvertiti. Perciò mi è duopo riferir quello tradotto dal suo originale linguaggio per discorrer poscia le propo- ste considerazioni. « Rapporto dei medici Prus^ Ferrus^ Begin^ Dubois^ Lacede^ Meleire^ Pariset , Royer Collard , Adelon , Dupuis, aWacademia di medicina di Parigi, e diretto nel dì 25 marzo al signor ministro del commercio. » 1 . Si è visto la peste bubonica nascere sponta- neamente non solo in Egitto, in Siria ed in Turchia, ma eziandio in moltissime altre contrade dell'Asia , dell'Africa è di Europa. » 2. In tutti i paesi dove si è osservata la peste .spontanea, il suo sviluppo ha potuto essere ragione- volmente attribuito a determinate cagioni, agenti so- pra una gran parte della popolazione. Queste cagioni sono principalmente, l'abitazione in terreni d'alluvio- ne o paludosi, vicino al mare mediterraneo, o pres- so alcuni fiumi, il Nilo , l'Eufrate , il Danubio , in case basse, non ariose, ingombre : sono cagioni pu- re r aria calda umida, 1' azione delle materie ani- Incolumità' pubblica 15T mali e vegetali in putrefazione, gli alimenti insalu- bri ed insufficienti, infine una grande miseria fìsica e morale. » 3. Tutte queste condizioni trovandosi riunite in ogni anno nel basso Egitto, la peste è endemica in questa regione, ove si vede tutti gli anni sotto la for- ma sporadica, e circa ogni dieci anni sotto l' epide- mica forma. » 4. L'assenza nell'antico Egitto di qualunque epi- demia pestilenziale per grande spazio di tempo, in cui un'illuminata e vigile amministrazione ed una buona sanitaria polizia hanno lottato vittoriosamente contro le produttive cagioni della peste, giustifica la speran- za, che l'adempimento degli stessi mezzi sarebbe se- guito da'medesimi risultamenti. » 5. Lo stato della Siria, della Turchia, delle reg- genze di Tripoli e di Tunisi e dell'impero di Marroc- co trovandosi presso a poco glie stesse epoche in cui le pestilenze si mostrarono spontaneamente, può du- bitarsi che similmente tornassero a svilupparsi. )> 6. La peste spontanea sembra poco a temersi per l'Algeria, perchè da vm canto gli arabi ed i ca- bailli vivendo gli uni sotto la tenda, gli altri in di- more collocate alla cima, o ai lati delle rupi , non possono ingenerare la malattia. L'asciugamento inol- tre di varie parti paludose, ed i miglioramenti rimar- chevoli già arrecati nella costruzione e nella polizia delle poche città, sembrano una garanzia sufficiente contro lo sviluppo spontaneo della peste. » 7. I progressi dell'incivilimento, ed un'applica- zione generale e costante delle leggi d'igiene, posso- no somministrarci i soli mezzi di prevenire lo svi-» luppo della peste spontanea. 158 Scienze » 8. Quando la peste ha violentemente flagellalo l'Affrica, l'Asia e l'Europa, si è mostrata coi princi- pali caratteri delle malattie epidemiche. )) 9. La peste sporadica differisce dalla peste epi- demica non solo pel piccolo numero degl' individui attaccati dal morbo , ma soprattutto ancora perchè non presenta i caratteri pertinenti agli epidemici morbi. » ^0. La peste propagasi alla maniera della mag- gior parte delle malattie epidemiche, per mezzo cioè dell'aria, indipendentemente dall'influenza che posso- no esercitare gli appestati. » 11. L'inoculazione del sangue tratto dalla vena di un appestato, e l'inoculazione della marcia di nn bubone pestilenziale hanno somministrati equivoci ri- sultati : così l'inoculazione del siero preso dalle pu- stole carbonose non ha mai data la peste: onde non è provato che possa trasmettersi per inoculazione. » 12. Un attento esame e severo dei fatti racchiusi nella scienza stabilisce per un canto, che nei focolari epidemici l'immediato tocco di migliaia di appestati è restato sempre senza pericolo per coloro che lo han praticato all'aria libera, o in luoghi ben venti- lati : e dall'altro canto nessuna osservazione rigorosa mostra la comunicazione della peste pel solo contatto dei malati. » 13. Numerosissimi fatti provano che le masse- rizie e le vesti indossate dagli appestati non hanno co- municata la peste alle persone che le hanno usate senza alcuna purificazione, ed in un paese attualmen- te o recentemente appestato. » 14. Neppure è provata la trasmissibilità della peste nelle regioni, dove essa è endemica o epidemica. » 15. La peste è trasmissibile dai focolari epide- Incolumità' pubblica 159 mici per mezzo de' miasmi che esalano gli appe- stati. » 16. E incontrastabile che la peste è trasmissibile fuori dei focolari epidemici, sia nei bastimenti, sia ne 'lazzaretti di Europa. » 17. Non si prova che la peste sia comvmicabile fuori dei focolari epidemici per l'immediato contatto degli appestati. » 18. Neppure è provato che la peste sia trasmis- sibile fuori dei focolari epidemici colle masserizie e vestimenta servite agli appestati. » 19. Non è affatto stabilito che le mercanzie pos- sano trasportare la peste fuori dei focolari epidemici. » 20. Lo studio dei mezzi mercè del quale cer- casi distruggere il principio pestilenziale, che si sup- pone racchiuso nelle dette masserizie, vesti, o mer- canzie, è e sarà compiutamente senza oggetto, finché non si sarà mostrata la presenza di cotal principio pestilenziale. » 21. La peste può trasmettersi fuori dei foco- lari epidemici per miasmatica infezione , cioè per mezzo dell'aria carica di pestilenziali miasmi. » 22. La peste è più o meno trasmissibile secondo l'intensità dell'epidemia, ed in ragione che questa sia nel primo, nel secondo o terzo periodo, finalmente secondo le organiche disposizioni degl'individui sot- toposti all'azione dei pestilenziali miasmi. » 23. Gli appestati nell'inquinare l'aria delle loca- lità nelle quali sono rinchiusi, possono essere focolari d'infezione pestilente che trasmettono la malattia. » 24. I focolari d'infezione possono persistere do- po la reraozione degli appestati, » 25. I focolari d'infezione formati una volta in 1 60 Scienze un ba$tijTiei)tio pev la presenza di uno, o di più ap- pestati, possono essere trasportati anche a grandi di- stanze. Assai spesso si è veduta la peste prendere un intenso e formidabile carattere in bastimenti carichi .di truppa o di pellegrini. » 2fi. I focolari mobili non ponno divenir la ca- gione di focolari secondari , ed in conseguenza di una grande propagazione della peste, salvo se si rincon- trino in paesi, ove sono trasportati, le condizioni necessarie al pestilenziale sviluppo. » 27. Il tempo ordinario dell'incubazione della pe- ste è dai 3 ai cinque giorni : la durata di cotesta in- cubazione non sembra aver mai passato i giorni otto. » Vuoisi ora esaminare questo rapporto articolo per articolo con ponderate considerazioni desunte dal- l'esperienza de'secoli (1). 1. Autori gravi rigettano l'erroneità de'contagi spontanei , da me ancora chiaramente dimostrata in un officiale lavoro sorretto da manifestissimi esem- pli. A cotesta erroneità ripetuta sovente dalla pari- gina commissione, ed apertamente contraddetta nel 3 articolo del rapporto, dee ogni sagace ed umano let- tore rabbrividire pel denegato contagio della peste bubonica,per la quale si riproduce una strana teorica combattuta dai fatti, siccome in seguito sarà chiarito. 2. Se spontaneamente si svolgesse la peste per le cagioni in quest'articolo riferite, riunendosi esse in alcune regioni d'Italia ed altrove, immuni da secoli da questo flagello, ivi ancora si vedrebbe il sognalo spontaneo svolgimento. Laonde ovunque le medesime (1) Un esemplare ins. del rapporto suddetto fu in questi di offi- cialmente rimesso dal console pontificio in Marsiglia alla Congrega- zione speciale di sanità. Incolumità' pubblica IGl si rinvengano, potranno bensì facilitare la propaga- zione del morbo, qualora vi esista, o tì fu impor- tato il suo seme. Nel qual caso, eccetto le rare volte in cui non appiccasi il contagio, i più salubri luoghi della terra, come insegna una dolentissima storia, non furono e non sarebbero indenni dal male, se si tra- scurarono o si trascurassero le essenziali cautele sa- nitarie, in ispecie d'isolamento. Con quest'unico mez- zo andarono e vanno scevre da peste le stesse loca- lità, nelle quali concorrino le ausiliari nocive cagio- ni in detto articolo riportate come determinative del morbo pestilenziale. 3. A me pare che a nessuno verrebbe il destro di chiamare spontanea la peste , come si rileva nel 1 articolo , si ripete nel secondo ed in altri , se in questo 3 articolo si dice endemico l'egiziano morbo con alcvm annual caso sporadico, riprendendo ogni 10 anni circa l'epidemico genio. Come dunque di- rassi quivi spontanea la peste, se endemicamente vi esiste ? Se indigena divenne fra'musulmani? Per con- seguenza siffatto raziocinio manifesta un'aperta con- traddizione. Ognuno poi sa che sotto alcune esteriori nocive influenze ogni morbo, precipuamente di en- demica sorgente , da sporadico assume l' epidemica forma : ma del pari sa ognuno la distanza notabilis- sima che passa fra le febbrili malattie, ancorché di epidemica indole, da quelle che racchiudono un ger- me contagioso. Gli epidemici morbi febbrili senza contagio si limitano a date stagioni, ed in circoscritte regioni, senza potersi punto arrestare coli' isolamento. Taluni inoltre ricorrono sovente in ogni anno, attaccan- do replicate volte, e spesso in ogni ricorrenza l'istesso individuo. Zero puossi dire il funesto loro risultamento G.A.T.C Vili. 1 1 1 62 Scienze a houle di quello cagionato dalle malattie contagiose, essendo gli esclusivi morbi epidemici ben distinti pe' loro fenomenici caratteri, soprattutto pel metodo di cura. In evidente appoggio di quest'asserto, senza di- re l'epidemie reumatiche, gastriche ec, si richiami il lettore alla mente il fatto parlante delle febbri inter- mittenti. Endemiche, per esempio, nel cielo romano, ri- prendono l'epidemico genio nelle estive ed autunnali stagioni, tornano simili in ogni anno, fatta astrazione, in cui per una fresca e costante temperatura, e senza eccedente umidità, non prese l'epidemico genio il no- civo elemento delle febbri intermittenti.il quale fu da pochissimi negato, e da medici dottissimi e di somma esperienza è distinto col nome di miasma. Fossero pur numerosi gl'individui attaccati da queste febbri, e del più maligno carattere, e che si portassero in luoghi salubri : tornasse anzi in essi una recidiva febbrile della più perniciosa indole; tuttavia non mai più si propagherebbero , siccome il contrario avviene pe' contagi. Né in esse febbri si osserva alcun distintivo apparecchio nel dermico sistema. Che se ciò avvenisse, sarebbe raro e del tutto accidentale, osservandosi al- trettanto nell'epidemie reumatiche e simili, nelle quali SI ottiene generalmente un felice successo mercè di un ragionato metodo di cura : e sono maggiormente debellate le febbri intermittenti con ispecifici terapeu- tici mezzi. Facciasi ora la comparazione coi conta- giosi morbi, specialmente colla peste. Se la peste di tempo in tempo ricorre epidemi- ca , ciò non accade tanto per le nocive cagioni ri- cordate dalla commissione, talora perennemente esi- stenti, per cui dovrebbe regnar sempre epidemica ., quanto per la presenza del suo positivo elemento Incolumità' pubblica 163 (contagio), non subito ancora dagl'individui che per organica disposizione non vi soggiacquero nelle pre- cedenti epidemie, e da quelli posteriormente venuti a luce. E se numerose volte veggonsi attaccate le persone da epidemici mali non contagiosi, non è si frequente un secondo attacco pel tifo bubonico, sic- come avviene per ogni altro contagioso morbo feb- brile, malgrado che si dimorasse in luoghi palustri, ed intensamente dal contagio flagellati. Per contrario quante volte si è colpiti da esclusivi epidemici morbi, soprattutto dalle febbri d'accesso nelle suddette autun- nali ed estive stagioni ? Pe'contagi, come per la pe- ste, generalmente non vi ha stagione che possa raf- frenarli senza le sanitarie cautele, in ispecie , come si è sopra accennato, senza l'isolamento. Oggidì an- cora quando si è in tempo accortamente praticato ^ i ministri e consoli europei residenti nelle asiatiche ed affricane città ottengono il salutevole intento nel più infierire del morbo. Il che non potrebbe affatto conseguirsi, se l'aria fosse carica di miasmi pestilenzia- li, come afferma la commissione (art. 21). All'opposto nulla vale l'isolamento pe'febbrili morbi senza conta- gio , siccome ammaestra la giornaliera esperienza : perchè appunto quell'aria libera che distrugge i con' tagi, inversamente agisce pei non contagiosi morbi, dominanti o no con epidemico genio. Perlochè nei luoghi ove regnano le febbri di periodo , il volgo stesso le chiama febbri di mal aria : e mentre, come si disse, vi è un ragionevole, e talora specifico mezzo per debellare i morbi epidemici non contagiosi, per le malattie febbrili racchiudenti contagio non vi ha sicura terapia , eccetto la sintomatica , non di rado inutilmente praticata : il che precipuamente si esser- 1 64 Sciente ya nei tifi petecchiale, itteroide, cholèrico, sopraiuodo nel bubonico, di cui si discorre. 4. Con qual fondamento si asserisce immune da peste l'antico Egitto, se Strabone rammenta il car- bone arabo, se innumerevoli documenti istorici con- fermano il difFondimento qua e là di asiatiche pesti- lenze ? talché la vetusta sapienza le ripeteva dallo sde- gno de'numi. E dunque una gratuita asserzione l'in- columità da ogni epidemia dell'antico Egitto : sicco- me è un vero errore che bastevole sarebbe la remo- zione delle suddette esterne cagioni per distruggere il bubonico tifo. Potrebbe ciò raggiugnersi (cosa dif- ficilissima per non dire impossibile fra' musulmani) quando all' apparire ogni caso di peste, venisse tosto e dappertutto rigidamente isolato e distrutto, e colla massima attenzione fossero purificati non meno gli am- bienti che qualsivoglia altro passivo conduttore, inca- pace di ritenere contagio secondo l'inconsiderato av- viso della commissione parigina. 5. Essa che spera felici successi in Egitto , li vede lontani in Siria, Turchia, Tripoli, Tunisi, Mar- rocco. Dal che discende quanta debbe essere la sa- nitaria sorveglianza de'popoli inciviliti. 6. Le circostanze messe in avanti dalla commis- sione in quest' articolo reputate bastevoli contro lo sviluppo della peste nell'Algeria, sono destituite di ogni fondamento. Imperocché né la maniera di vivere de- gli arabi e de'cabailli, né i miglioramenti di cui si parla, ponno mettere al coperto l'Algeria dalla pe- ste, che vi si annida, o serpeggia, o può esservi im- portata dai circonvicini paesi. 7. L' incivilimento e le costanti leggi di pubblici igiene saranno sempre utilissime: ma lo scopo, di cui Incolamita' pubblica 165 si ragiona, non si raggiungerà mai senza que'rigidi sanitari dettati da me ricordati in fine del k artico- lo, e non intesi nel rapporto parigino. Essi soltanto dopo luttuose stragi durate per secoli liberarono T incivilita Europa, nella quale, innanzi ancora di es- sere immune dalla peste, era cotanto avanzato l'in- civilimento, quanto per lustri non pochi sarà lontano dal conseguirsi fra' musulmani. 8. L'asserto di quest'articolo è comune a tutti i contagiosi morbi pestilenziali. 9. Se appunto si distingue col nome di spora- dico un male che attacca uno o pochi individui, al contrario di quanto domina epidemicamente: se con quel carattere può ricorrere in benigni modi, ancor- ché di forma pestilenziale : tuttavia frequentemente si osserva l'opposto. Quante volte un sol caso di vaino- lo, di tifo petecchiale ammazza con violenza : altret- tanto avviene nel tifo bubonico, itteroide^ cholèrico. La differenza dunque non istà nella qualità del mor- bo sporadico od epidemico, ma solamente nel nu- mero. Inoltre tutte le malattie epidemiche^ inclusive le pestilenziali, incominciano a modo sporadico , e più presto o più tardi per le esteriori condizioni as- sumono l'epidemico genio. Verità sì è questa mani- festamente ammessa dalla commissione nell' articolo 25 , in contraddizione col presente. Infine qualsivo- glia sintomo accompagnasse un solo caso apertamen- te chiaro di vainolo, di tifo, di cholèra indiano, di peste, ec, nessuno potrebbe assicurare , che cotesti morbi non si appiccassero e diffondessero : perciò non si debbono mai trascurare le sanitarie cautele. 10. Quest'articolo della commissione, in contrad- dizione col duodecimo, sembra doversi intendere nel 166 Scienze senso da essa esposto nell'articolo 23. Come mai l)a- sar per canone l'aria propagalrice della peste, quan- do è per suo mezzo che non si appicca accosto a migliaia di appestati, siccome si discorre nell'artico- lo 1 2 ? quando per antichi e giornalieri fatti si resero incolumi regni, paesi, ed anche individui, mercè del- l'isolamento, come si è sopra accennato: e nullo di- verrebbe se potesse infettarsi l'aere ? Quale è la mag- gior parte delle malattie che si propaga come la pe- ste ? Esse certamente non possono essere , se non quelle che racchiudono un contagio. Imperocché si è chiarito (articolo 3) V immensa distanza che pas- sa fra i contagi, e gli esclusivi morbi epidemici, seb- bene venissero da endemica sorgente. Chiunque poi fassi a leggere con maturo senno l'istoria de' conta- giosi morbi, chiunque per lustri esercitò l'arte sa- lutare , ammetterà bensì che puossi indipendente- mente dalla presenza dell'ammorbato contrarsi il ma- le, ma si sovverrà in pari tempo avvenir ciò anche coU'immediato tocco, e con quello de' passivi con- duttori, che per diretta ed indiretta comunicazione posson racchiudere la contagiosa semente: circostan- za assai grave per l'incolumità pubblica, ma solen- nemente negata dalla commissione parigina, siccome meglio si dirà in appresso. 11. Il ninno effetto che qui si asserisce per la inoculazione del sangue di un appestato , si avvera sovente per altri contagi ancora. Il contrario avviene per l'innesto di marcia raccolta da un bubone pe- stilenziale, secondo indubbie testimonianze; di modo che la stessa commissione, che non ammette la trasmis- sione della peste per l'inoculazione, non tace la pa- rola di risultati equivoci per l'innesto del i)us. Che Incolumità' pubblica. 167 se colle sostanze in discorso non si riproduce talora la peste , la commissione medesima ha indicato fra le cause determinative della peste l'organica dispo- sizione (art. 22) : il che accade per ogni sorta di male , specialmente contagioso. Dimanderei poi in grazia alla commissione. L'innesto di coteste materie si praticò con sicurezza in persone che non avevan subito la peste ? mentre in tal caso vuoisi ripetere la non frequente recidiva del morbo. Imperocché con tutta ragione può dubitarsi della nullità dell'innesto in in- dividui di un paese, ove la peste divenne indigena, per essere stati con ogni probabilità attaccati nella tenera età , o in tali benigni modi, pe' quali inos- servata percorse agli occhi volgari. Siffatti esempli si osservano da qvialvmque accorto cultore dell'arte salutare per gli altri pestilenziali morbi eziandio. Che se ciò non avvenisse , da lunga pezza spenta sareb- be la razza umana. 12. Mentre un savio osservatore negherà la con- chiusione di quest'articolo, che la peste (previa l'or- ganica disposizione) non si contragga col contatto degli appestati, ammetterà bensì la benefica azione del- l'aria libera, e di luoghi ventilati , come si accenna in principio dalla commissione medesima. 13. Lo stesso ragionamento dell' articolo 11 sembrami bastevole per confutare ciò che qui si as- serisce dalla commissione , essendovi incontrastabili prove diametralmente contrarie alle sue asserzioni. Ne mi riescon nuove cosiffatte imprudenze : impe- rocché nell'epoca del choléra parigino masserizie e vestimenta appiccarono evidentemente il male da me e da altri osservato , e non poche volte officialmente 168 Scienze contestato , ma baldanzosamente colà negalo da ta- luni medici fregiati ancora di accademici onori. ]A. Quest'articolo confutasi per se stesso, im- perciocché se nei paesi, di cui si parla, endemica od epidemica è la peste, certo che non può dimostrarsi, che per le mercanzie venute da altri luoghi appe- stati possa contrarsi il morbo, perchè già vi si tro- va. Le persone quindi che non Io avevan sofferto , e che vi sieno disposte, lo prenderanno piuttosto per r endemia ed epidemia locale, che per le importale mercanzie. Non sarebbe dunque maraviglia che non si ravvisasse sviluppo di peste per coteste importazio- ni; il contrario potrebbe «avvenire, ed avviene, nei luo- ghi immuni da quel flagello. l5. In quest' articolo s' incomincia a parlare della trasmissione della peste nei focolari epidemi- ci, mentre anzi da questi sembrerebbe doversi altrove trasmettere , come si dice nell' articolo appresso. Comunque sia, la commissione per non pronunziare la parola contagio, da essa non ammesso , rinnova r adoprata parola di miasma. Sarebbe poco male, se l'avesse intesa nel modo, con cui l'intendono al- cuni autori anche italiani , perchè nel miasma v' inchiudono il contagioso germe. Con maggior sen- no e distinzione filosofica pnò convenirsi quel nome ad un nocivo elemento che può infettar l'aria talo- ra manifestamente, tal' altra riconoscibile per le mor- bose risultanze. Indubbia infezione recano nell'aere atmosferico le non poche nocive gazose esalazioni. Autori classici, come sopra accennossi, ripongono nel- l'aria il nocivo elemento delle febbri di accesso di- stinto col nome di miasma. Ma le une si limitano del tutto ad una località: il miasma delle intermit- Incolumità' pubblica 169 tenti febbri si limita in circoscritte rejjioni , scevre affatto di contagioso carattere, e per conseguenza non diffusibili nell'universale: proprietà sola esclusiva de' contagiosi naorbi, se direttamente od indirettamente vi si e no importati. 16. La peste finalmente vedesi in quest'articolo trasmissibile a grandi distanze, poiché si parla di na- vi e di europei lazzaretti. La qual cosa, come trop- po notoria, non si è potuta negare, ma stranamente spiegare, come si dirà. 17. Quest'articolo non avrebbe bisogno di con- futazione per chiunque dotato di buon senso. Imper- ciocché se una decisiva esperienza ci ammaestra del- l'indispensabile immediato e talora mediato tocco per prendere gli antipiretici contagiosi morbi, come a modo d'esempio la rogna, assai di rado proveniente da epidemico genio, maggiormente lo sarà pei feb- brili , se vi sia l'organica disposizione (1). L'azione del miasma pestilenziale ammesso dalla commissione diverrà più nociva in ragione della vicinanza e tocco dell'infermo da cui esala il miasma , tanto più che questo potrebbe divenir nullo per l'azione dell'aria; in senso ancora della commissione parigina (art. 12), e meglio per le irrefragabili prove accennato nel- r articolo 3 e nel 10. Laonde per chi abbia dispo- sizione, e non sofferse altra volta un contagio feb- (1) Appunto per la stravaganza delle teoriche straniere in questi giorni si ripeteva dai medici locali la rogna epidemicamente ditl'nsa fra gli abitanti di Vitorchiano dall'aria inietta per le esalazioni della canape. Pervenuti i richiami a questo supremo magistrato per parte della commissione pi-ovìneiale sanitaria di A'iterbo, si ordinarono le opportune separazioni, \a nettezza, oltre to specifico farmaco, pel qua- le forlunatamcnte si debella quest'antipiretico contagio. 170 Scienze brile, questo si appiccherà tanto più facilmente, quan- to più si avvicinerà e toccherà l'ammorbato. 18. Ogni accorto osservatore rimane stupito per l'inconsideratissima opinione di non esser trasmissi- bile la peste per mezzo di masserizie ec. La quale opinione non già da tutti, ma da taluni, siccome ora dalla commissione, fu professata a Parigi pel cholè- rico contagio, per ostinata prevenzione, malgrado di chiariti fatti da me superiormente ricordati (art. 13). Quest'i mprudentissimo avviso tornasi a stabilire anco- la nell'articolo seguente. 19. Se una masserizia qualunque, se le vesti non ono per la commissione parigina bastevoli di traspor- tare la peste, ne discende che molto meno lo sono per essa le mercanzie, conforme si assevera in quest' articolo. Ma svolgasi di grazia la storia delle pestilenze, e si troveranno funesti esempli diametralmente opposti, e le mille volte ripetuti. Vogliono qui rammentarsi solamente le buboniche pestilenze a' dì nostri, per così dire, avvenute. La peste di Messina (1743) svilnppossi appena messe in commercio imballate mercanzie pro- venienti dall'appcstato Missolungi; ed in quella città importate per falsa patente, nella quale dicevasi pro- venienti da Brindisi. La peste di Noia (1815) si svol- se per un carico di cuoii introdottovi per contraban- do : e la peste di Odessa per una pelliccia. Della quale e di altri luminosi recenti esempi si parla in vm'assennato ragionamento, che mi cade sott'occhio mentre scrivo, di un illustre e filantropo italiano fra' musulmani dimorante. L'articolo è riportato nel fasci- colo del prossimo-passato febbraio degli annali univer- sali di medicina pubblicati a Milano. Nel mostrare Incolumità' pubblica 171 con irrefragabili prove la straniera ignoranza nell'opi- nare della peste, si conchiude dal compilatore , che la dottrina de' contagi è totalmente italiana. 20. L'asserto di questo articolo, in cui si nega- no i mezzi per distruggere la peste nei passivi con- duttori, scaturisce dall'assurdità dei precedenti ar- ticoli (18-19). 21. Se l'esperienza e l'osservazione giornaliera ci ammaestra, che le materie dell'insensibile tiaspiro e della espirazione di un ammalato per febbrile con- tagio racchiudono questo nocivo elemento che può contrarsi, da chi sia disposto, in vicinanza dell'infer- mo: l'esperienza del pari ci ammaestra, che in pic- cola distanza il contagio riman distrutto dall'aria. Se per la stessa accademicacommissione nullo diventa l'ac- carezzato pestilenziale miasma immediatamente ed ac- costo a migliaia di appestati nell'aria libera e nei luoghi ventilati (art. 12); non puossi intendere, come l'aria si carichi di miasmatica infezione trasmissibile eziandio a grandi distanze: poiché i pestilenziali miasmi non possono per la commissione racchiudersi nei passivi conduttori: inutili quindi per essa le sanitarie pre- cauzioni. 22. Eccettuata la parola miasma intesa nel sen- so della commissione parigina, il resto di quest'arti- colo generalmente si concilia coli' esperienza e col- l'osservazione. 23. Se niun uomo di buon senso converrà su quanto si disse dalla commissione nell'art. 21, con- verrà in questo (23) pienamente. Imperocché , sic- come accennossi, la giornaliera sperienza e' insegna, che in un luogo non ventilato, soprattutto ingombro da ammorbati di contagio qualunque, in ispoci;' di 172 Scienze peste^ l'aere è viziato dalle incessanti materie espi- rate e traspirale, che racchiudono il contagioso ele- mento, rendendo ancora l'aere caldo-umido: per conse- guenza ottimo e mediato conduttore locale del con- tagio. Il quale contratto da un individuo, senza toc- car l'infermo, può trasmettersi in luogo sano, sebbe- ne non gli si manifestasse il preso contagio. Questi inoltre si annida nelle muraglie, come in tanti altri passivi conduttori, che si trovano in tutte le località, ove son rinchiusi gli appestati. Il perchè è sacro- santa legge sanitaria l'adoprare colla massima atten- zione e diligenza le opportune purificazioni. 24. E precisamente per 1' espresse circostanze che persiste il contagioso elemento nei luoghi appe- stati, benché non vi sieno infermi: e non mai, come intende la commissione in quest'articolo, per l'esclu- siva miasmatica infezione. Che se la peste si trasmettesse pel solo mezzo dell'aere carico di miasmi esalati dagli appestati, for- manti epidemici focolari, come asserisce la commis- sione, e che si distruggessero mercè dell'aria libera o ventilata a senso della medesima: ognun vede che per siffatto esclusivo mezzo, facilissimo a praticarsi, si conseguirebbero portentosi risultamenti. Impercioc- ché col mantenere una corrente d'aria libera e ven- tilata nel luogo o luoghi ove sono gli appestati, non solo il male potrebbe distruggersi nel suo nascere , ma eziandio nel suo aumento. Ma se il possente igienico mezzo dell'aria libera fu praticato, e si pra- ticherà mai sempre per annientare i contagi nei pas- sivi conduttori, per la peste e per non pochi altri morbi febbrili, soprattutto pestilenziali, non è desso affatto bastevole per raggiunger sempre il salute- Incolumità' pubblica 173 Yole intento. La sperienza giornaliera fatalmente c'in- segna, che non è il solo atmosfera circostante l'infer- mo per cui si appicca il contagio (miasma della com- missione) , ma si appicca per diretti e per molti indiretti e notissimi modi, i quali per la negligenza delle cautele sanitarie moltiplicandosi progressiva- mente, propagano per le favorevoli condizioni este- riori i pestilenziali morbi con infinita strage, e con in- descrivibili calamità. 25. Se si sviluppa in una nave il pestilenziale malore che la commissione stessa dice in quest' articolo trasportabile a grandi distanze, non potreb- be comprendersi cotesto sviluppo nel senso della commissione che per essersi l'individuo, in cui ap- pare il primo caso, trovato in un focolaio d'infezio- ne, vale a dire in un luogo d'aria carica di miasmi, senza che ivi potesse liberamente la medesima cir- colare: giacché parrebbe, secondo il di lei più vol- te ripetuto avviso (art. 12). che sarebbero distrutti i pestilenziali miasmi. E sebbene possa avvenire, che fra gl'innumerevoli casi di peste primamente svolti in una nave, abbiano la sorgente dalla diretta comu- nicazione cogli ammorbati in dominante epidemia, o in luoghi ove erano essi rinchiusi, tuttavia se la com- missione in buona coscienza avesse istituito un ac- curato esame, avrebbe manifestamente rilevato, che la maggiorità di questi casi derivò da comunicazio- ne indiretta: e spessissimo per mezzo degl'infiniti e non purificati conduttori passivi. Si domanderebbe poi come per un solo caso potesse formarsi un foco- laio d'infezione: mentre è il minimo del genio spo- radico di una malattia qualunque, avendo la com- missione emesso, che la peste sporadica differisce dal- 174 Scienze r epidemica (art, 9). Forse si potrebbe rispondere che la sorgente del solo caso è derivata da un epi- demico focolaio. Ma nell'esame del suddetto articolo nono si mostrò , che tutti i mali di epidemica na- tura, contagiosi o no, principiano sempre a modo spo- radico per prendere più presto o più tardi il genio epidemico. E vuoisi ripetere ancora che la peste, co- me qualunque altro pestilenziale contagio, può mo- strarsi violenta e mortale negli sporadici casi eziandio. Temerario quindi sarebbe l'avviso di chi osasse as- sicurare che per un solo caso non potesse divenire epidemico il morbo. 26. Ma se le masserizie, le vesti, le mercanzie non racchiudono, secondo la commissione (articoli 18, e 1 9), il contagio della peste, chiamato da essa mia- sma, io confesso ingenuamente non intendere punto i focolai mobili (saranno forse i bastimenti) dei quali si parla in quest'articolo capaci di cagionare focolari secondari d'infezione nei luoghi, dove sono portati, se vi rinvengano le condizioni necessarie al pestilen- ziale sviluppo. Non vi ha per altro alcun dubbio, che un contagio di qualunque natura, ed in qualunque maniera importato in un luogo, non si appicca senza r influenza delle cagioni esteriori favorevoli al suo sviluppo. 27. Finalmente non è meno assurdo e pericolosis- simo l'asserto della commissione in quest'articolo, che la bubonica peste non si svolga mai al di là de- gli otto giorni. Chiunque attentamente percorse la storia di questo morbo troverà non poche volte av- venuto il suo sviluppo dopo le 3, 4 e talvolta dopo le 5 settimane. Se per queste brevi considerazioni sono io in Incolumità' PUBBLICA 175 qualche modo dispiacente di contrariare l'opinione dell'illustre parigina commissione: sono peraltro con- vinto , che taluni di essa hanno assentito a questo rapporto , malgrado di un opposto convincimento. Il mondo incivilito, la Francia, le sue sanitarie inten- denze, dopo la filantropica fermezza non ha guari mo- strata dall'ex-intendenza di Marsiglia pel tifo itteroi- de, si scaglierehbero contro divisamenti cotanto pe- ricolosi. Ne la sapienza del governo francese vorreb- be attirarsi la maledizione delle presenti e delle fu- ture generazioni. Avvertimenti. Erano già state stampate in se- parate copie le considerazioni sulla peste per inserirsi ancora, siccome sono slate inserite, in questo gior- nale: quando, pubblicatosi il rapporto della commis- sione parigina in Francia ed in Italia con varie di- scussioni della medesima, impongono all'autore l'ob- bligo di considerazioni ulteriori sopra un sì grave argomento per la pubblica incolumità. Le medesime saranno pubblicate nel vegnente tomo dell'Arcadico. Agostino Cappello. o«^S^^ 176 Notizie biografiche intorno aW avv. Faustino Corsi romano^ raccolte da Pietro Biolchini segretario della società del giornale arcadico. 0 ttima cosa si è quella di onorare la memoria di coloro che furono utili e benemeriti della società , e tramandarne ai posteri onorato il nome. Assai yo- lentieri dunque tolgo a parlare dell' a\v. Faustino Corsi , perchè tutti sanno ch'io non ho bisogno di artiiicii per mostrare le sue virtù e i suoi rari meri- ti; mentre la virtù ben si mostra da se e fiammeg- gia, e le mie pochissime forze, a nulla atte , var- rano pure a dire con brevità le principali opere della sua vita , sperando che altri più dottamente e più estesamente ne ragionino. Nel far questo piccolo scritto so di operar cosa desiderata da' grandi e dagli scienziati. Le cariche che egli occupò il resero caro ai primi, e gli studi e le diligenze poste a formare la raccolta preziosa di li- tologia il renderanno chiaro presso i secondi, nella memoria de' quali rimarrà eterno, avendo egli riem- piuto un gran vuoto ch'era nella storia de' minerali e nell'archeologia. Faustino Corsi nacque in Roma nel dì 15 di febbraio 1771 da Giuseppe e da Angela Orsini. Suo padre, procuratore rotale, era uomo di vita in- tegerrima e di antica bontà. Aveva una biblioteca legale sì copiosa e scelta, che a quei di potea porsi Biografia del Corsi 177 fra le principalissime. Le cure più assidue e più te- nere furono dirette ad educar.e il giovanetto Fausti- no, che per ingegno e spirito pronto si mostrava di gran lunga maggiore ai giovanetti suoi compagni. Fu mandato ad apprendere le belle lettere nel col- legio romano ; quindi entrò convittore nel collegio Ghislieri, senza cambiare maestri, perocché gli alun- ni Ghislieri al collegio romano per gli studi con- venivano. I celebri maestri, che allor vi fiorivano, l'eb- bero carissimo , e ben videro di quanto onore ed utilità sarebbe stato un giorno alla patria il Corsi, oh' era sì volonteroso e sì diligente, mostrando in pari tempo fino discernimento e giudizio superio- re alla sua età. E questi uomini, che sì giudicavano di Faustino , non eran già de' comuni maestri, ma sì un Calandrelli, un Oddi, un Tessuti, ed un Gad- di, lumi della romana sapienza. Terminati con ap- plauso gli studi filosofici, tornò alla casa paterna, ed incominciò gli studi legali nell' università della sa- pienza. Avea scelta questa carriera di suo genio, sic- ché profondamente penetrò nei misteri della scien- za, e ricevutane la laurea dottorale, si pose all'eser- cizio di quella con grande sapienza e con onestà in- tegerrima. Gravi ed importantissime cariche egli occupò, e tutte le disimpegnò con tanta rettitudine e bontà, che era modello agli altri magistrati. Avea egli un fare assai dolce, ed i suoi ragionamenti anche severi so- lea condire leggiadramente di modi arguti, sicché gra- tissima a tutti riusciva la sua conversazione. Nell'am- ministrazione della giustizia mostrò mai sempre una fer- mezza d'animo grandissima, nulla smovendolo da quel- la integrità che tanto lo distingueva. Prima di dare un G.A.T.GVIII. 12 178 Scienze giudizio intorno ad un affare, disaminava le cose con animo non prevenuto, e profondamente ne studiava tutte le circostanze , e quindi sponeva la sua opi- nione con senno e potenza di ragionare ; né da questa si dipartiva se non per saldissime ed in- vincibili opposizioni , alle quali ben si piegava per- chè suo ultimo fine era la giustizia, E per giustissi- mo ed incorrotto magistrato tutti il ritenevano. Sotto la dominazione francese, infausta per qualun- que riguardo voglia considerarsi , e perchè fu ra- pitrice delle nostre più belle glorie, e perchè ci fa- cea ben grave pesare il giogo, e sentire al vivo il brando della servitù straniera , varie cariche oc- cupò, e sempre lodevolmente. Nell'anno 1814 isti- tuendosi sotto il governo papale la direzione gene- rale di polizia, fu egli prescelto per uno de' quattro capi di dipartimento dell'ufficio medesimo, e gli fu affidata la parte giudiziaria. Passò poi assessore ci- yije della medesima direzione. Nell'anno 1 833 si fece la erezione del ministero della segreteria per gli afiari interni dello stato. Il pontefice Gregorio XVI di felice memoria, che co- nosceva il Corsi fin dal tempo che era abate dell'or- dine camaldolese , e ne stimava i meriti , lo elesse primo minutante di quel ministero. Il quale onore né ambito, né chiesto, nulla cangiò alla schiettezza de' suoi costumi- Ben corrispose all'espettativa sovrana disimpegnando l'ufficio suo con illibatezza, zelo e ca- pacità singolare fino agli estremi del viver suo. Né si creda già che io tutto abbia detto dell'avv. Corsi come magistrato: che anzi pochissimo ne ho detto, ma tutto con sincerità e senza adulazione. Le virtù che egli pose ognora in opera nel disimpegno dei deli- Biografia del Corsi 179 cali uffici suoi, e la sua piacevolezza e dottrina, il fecero caro e desiderato da' grandi e dagli uomini di stato, da' quali era consultato in cose di grave momento. Alcuno forse crederà che avendo l' avv. Corsi di- simpegnato con zelo si gravi incarichi, tempo non gli rimanesse al coltivamento degli studi. Ma egli non solo si occupò di lettere e di scienze, non solo educò con paterna tenerezza, come vedrassi, i suoi nipoti , ma si deliziò ancora nelle arti belle., nelle quali era tanto addentro che i fratelli Camuccini , giudici compe- tentissimi , a' quali era legato di particolare amicizia, lo stimavano e lo ammiravano. Sì giusto e fino di- scernimento egli avea ! Grande lezione a coloro che avendo piccoli e poco gravi impieghi, e che talora mal disimpegnano, non trovan tempo a far nulla di buono e di vitile, ma sì a sciuparlo ne' teatri e ne* caffè ! Varie opere egli die alle stampe: ma quella che gli ha assicurato un nome presso i posteri si è il trattato sulle pietre antiche, che in poco tempo eb- be l'onore di tre edizioni (1), l'ultima delle quali più completa e più corretta uscì poco prima del- la sua morte , aggiuntevi importantissime cose : di che già il dott. Castreca Brunetti tenne ragionamento e fece elogio nel voi. 105 pag. 353 di questo gior- nale. In questa elaborantissiraa opera fa prima delle osservazioni storiche intorno le pietre antiche, quin- di le descrive e ne indica i nomi antichi ed i mo- (1) La prima edizione vide la luce nel 1828, la seconda nel 1833, e la terza, ornata del ritratto dell'autore e di molte altre preziose aggiunte, nel 1843. (Roma, Gaetano Puccinelli in 8.) 180 Scienze derni (lavoro assai prezioso e d'infinita fatica e di- ligenza), finalmente indica il luogo ove si trovano oggi in Roma le colonne ed i ragguardevoli massi di pietre antiche e ne fa una breve descrizione. Pri- ma di scrivere questa dotta e nuova opera die alla luce un catalogo ragionato delle pietre antiche (1825). È questo un indice della preziosa collezione di pie- tre antiche, tutte di una grandezza, che egli con gran- dissima diligenza e dispendio portò al numero di mille € che nel 1 827 vendette all'università di Oxford. Scrisse ancora una memoria De' vasi murrini e di una pietra esistente in Roma presso il sig. Seba- stiano Rolli: Roma, tip. Salviucci, 1830, in 12, con tavola colorita rappresentante la pietra (1). In que- sta dotta memoria con salde ragioni e con varia erudizione vuol provare, che la sostanza di cui era- no composti i vasi murrini , di tanto pregio presso i romani, sia lo spato ftuore de' moderni mineralogi. Dissi già come l'avv. Corsi tenei^amente amasse i suoi nipoti. Per essi di fatto compilò alcuni opu- scoli assai preziosi, in ispecie il dizionario domestico latino ed un frasario pure domestico desunto da Plauto a da Terenzio. Né voglio tacere i nomi di questi fortunati giovanetti, perchè trovino nelle po- che parole, con che colorii il ritratto del loro avo, (1) La pietra, di cui qui si parla, è un masso di spato fluore pre- gevolissimo per la grandezza (lungo palmi 4, largo tre e mezzo, erto circa un palmo: pesa 633 libre romane), e per la vivacità e varietà delle tinte. Fu trovato presso la Marmorata dal sig. Sebastiano Rolli, farmacista, passò quindi in proprietà del .sig. Vincenzo Rafl'aelli , in- signe musaicista; e finalmente ci si è formato il paliotto dell'aitare maggiore nella chiesa del Gesù. Questa memoria fu riprodotta nel- l'ultima edizione del trattato delle pietre antiche (senza tavola) con pochissime variazioni dalla pag. 136 alla 193. Biografia del Corsi 481 un modello da seguire parlicolarmente per la sua one- stà , per la sua affabilità e per l'amore allo studio ed alla fatica. Son dessi Girolamo, Placido e Gioac- chino, figli alla Elisabetta unico rampollo di tanto padre ed al cav. Francesco Sabatucci. Mi gode pe- rò r animo di poter dire come sì cari giovanetti abbiano corrisposto alle cure dell'avo, e corrisponda- no ora a quelle de' genitori. Bello era il vedere ogni anno Girolamo e Placido recarsi al trono del pon- tefice, e nel giorno anniversario della sua esaltazione alla cattedra di s. Pietro colla lingua del Lazio fare augurii sinceri di prosperità all'ottimo pontefice con tanta grazia, ch'era un incanto il vederli e l'udirli. Quante volte non fecero sgorgare lagrime di tene- rezza a quanti eran presenti a ciò ! Ma io già mi era tolto dalla via, e mi delizia- va in care idee, quando son chiamato dall'argomen- to a narrare il fine di un tanto uomo. Logoro egli dagli studi, iva traendo gli ultimi anni del viver suo fra i tormenti di replicate infermità, senza che mai abbandonasse i propri uffici e gli studi. Sul decli- nare del novembre lo assali una lenta infiammazione delle intestina, che ben si avvide esser l'ultima in- fermità di sua vita: ma non perciò die segni di tur- bamento d'animo, che anzi acchetandosi sulla sua co- scienza, si dispose cristianamente all'inevitabil passo. Il male frattanto randeasi grave, ed ogni umano soc- corso inutile tornava. Eran presso al letto l'afflittis- sima figlia Elisabetta co' suoi figlioletti, ed egli iva confortandola ad acquetarsi in Cristo consolatore, e dirigeva amorevoli avvertimenti ai nipoti, consolan- doli ed eccitandoli all' amore della sapienza , unico bene del saggio su questa terra. Quindi li benedi- 482 Scienze ceva, e gli animava all'osservanza della divina legge, alla costante pratica della virtù. E modi sì teneri e commoventi egli adoprava, che faceva tutti piangere di tenerezza. E non già una sola volta era in que- sti ragionari, ma gli ultimi dì della penosa sua ma- lattia si occupò sempre in ammaestrare que' giova- netti , ben sapendo che le parole di un uomo sul letto di morte scendono nel più vivo dell'animo e vi lasciano un' impronta non cancellabile. Ma dopo un mese circa di pene , sopportate con rassegnazione, consolato dai conforti della nostra santa religione , spirò nel bacio del Signore nella notte del 28 di di- cembre 1845, Il suo corpo dopo convenienti fu- nerali fu posto nel cimiterio di s. Spirito, e sulla pietra che gli copre la tomba fu incisa la seguente elegantissima iscrizione dettata dall' aurea penna di monsig. Laureani custode generale d'Arcadia. Biografia del Corsi 183 dep09itvs • in • pace • -^ heic • sitvs . est favstinvs • corsi * i * c ' domo ' roma svmmo • administro • mvnervm pvbl. adivtor • primvs ad • interna ' negotia ' statvs et • ad • legales • qvaestiones vir • ingenio • et " politioris • literatvrae ' layde magno • in • honore * habivvs scriptis • etiam ' editis • veteris ' lithologiae domi • forisqve * clarissimvs cvrator • consangvineorvm * sedvlvs privatvm • censvm * diligentia ' avxit itemqve • alienae • inopiae ■ misericors vitae • avxilio • indigos liberalitate * et * consilio ' vnvs ' maxime ' ivvit vixit • annos • lxxv * nvlli • gravis * carvs ' omnibys decessit • v • kal ' lan ' an ' mdcccxlvi elisabetha ' fil * vnica ' et ' franc ' sabatvcci " eq. conivx • eivs • cvm ' filiis ' tribvs sepvlcrvm • desiderio ' svo * carissimo et • sibi • posterisqve • svis ' dedicavere 184 Animai chemistry ee. , ossia chimica animale appli- cata alla fisiologia e alla patologia di Giusto Liebig. (Continu azione). E sposto l'artificio chimico onde si g^enera il grasso nell'organismo, conclutle Liebig collo stabilire, che le sostanze di cui si compone il cibo dell'uomo pos- sono dividersi in due classi ; cioè in azotate e non azotate. Le prime sono atte a convertirsi in sangue, le seco nde ne sono incapaci. Delle sostanze adatte a far sangue si formano tutti i tessuti organici: le al- tre, in istato di salute, servono a sostenere il pro- cesso della respirazione. Le prime possono chiamarsi elementi plastici della nutrizione, le seconde elementi della respirazione. Alla prima classe appartengono la fibrina, albumina e cascina vegetali , la carne e il sangue degli animali. Sono del secondo novero il grasso, la fecula, la gomma, gli zuccheri di canna, di uva, di latte, la pettina, la bassorina, il vino, la birra, l'alcool. Siegue indi a dirci; che le più recenti ed esatte indagini hanno eretto in verità generale, che i ma- teriali azotati del cibo vegetale sono identici nella composizione con quelli che costituiscono il sangue. Questo principio della perfetta medesimezza de' ma- teriali organici provenienti dai due regni domina in tutta l'opera dell'A., e convien perciò credere che sia fondato sopra numerose esperienze. Tuttavia noi Chimica animale 185 ci sentiamo inclinati a rimanere ancora nei dubbio: e a dubitare prendiamo argomento dalle stesse ana- lisi chimiche, le quali o siano condotte con lo stesso processo , o con processi diversi , ci offrono però quasi sempre risultamenti discordi; sicché non s'in- contrino due formule, in cui gli elementi del mate- riale organico trovinsi perfettamente fra loro negli stessi rapporti. E ci sovviene pure che un Prout, che ha ariicchito di tante cognizioni la chimica or- ganica, mantenne su questo fatto contraria opinione. (( L'albumina, egli disse, non è un materiale unifor- me, ma le sue proprietà differiscono a seconda che esiste nel sangue o nel chilo. Trovasi essa nell'ori- na in ambedue gli stati, raramente nel sieroso, più spesso nel chiloso, ma quasi sempre con un carattere intermedio. E questa osservazione ci conduce ad av- vertire in generale, come prevalga comunemente un errore, riguardo allo stato chimico de' principii ani- mali: cioè che essi possiedano sempre le stesse pro- prietà, quelle che sono descritte dai chimici, i quali le hanno ricavate da saggi caratteristici; mentre poi i medesimi provano varie modificazioni nei differenti animali, e nello stesso animale , secondo le diverse età e circostanze, ed anche nelle diverse parti dello stesso animale; e quantunque i chimici da saggi ben distinti abbiano studiato e descritto l'albume, il muco, la gelatina ec, pure noi e' incontriamo spesso con sostanze di natura intermedia ». (Ricerche sulla na- tura del diabete , e di altre affezioni degli organi orinari). Or se Prout, che tanto si esercitò nelle in- dagini analitiche, sentì a tal modo della perfetta iden- tità degli stessi materiali tratti dal regno animale, non ci sarà egli permesso di dubitare della intera 186 Scienze medesimezza di questi materiali ricavati dalle piante, rispetto a quelli degli animali ? Provasi in fatti una certa ripugnanza ad ammettere , che la bieta ed il cavolo compongansi principalmente di sostanze af- fatto identiche a quelle, onde formansi la carne ed il sangue , e che nei frutti delle leguminose esista una materia caseosa, pari in tutto a quella del latte pecorino. Ma indarno sono le ragioni, ove ha luo- go r esperienza , la quale , ove ci confermi questo isomerismo di cui ragionasi, ci forzerà a concluder- ne, che la quiddità de' corpi risulti da più secrete condizioni, che non son quelle della respettiva pro- porzione de' loro elementi: ciò che poi toglierebbe gran pregio alle indagini chimiche. Chiudesi intìne la prima parte con qualche cen- no sull'uso de' cibi gelatinosi, i quali impropri nella dottrina dell' A. a sostenere il processo vitale, e a ri- sarcire le perdite del sangue, s'impiegano in sua opi- nione a riparare i tessuti composti parimente di ge- latina: pelle , membrane , cellulare ec. Ma non av- verte egli lo stesso Liebig che in seguito di malat- tie o di astinenza, mentre scomparisce il grasso , e disciogliesi in parte la sostanza muscolare, piccolis- sima è poi la perdita de' tessuti gelatinosi? Or co- me avviene che sì gran profitto ritraggasi allora dai brodi sostanziosi, che formansi principalmente di ge- latina? Che proporzione vi è qui tra il fatto della pronta riparazione di forze e materia per opera della gelatina, e l'idea dell'esser destinata a rifar tessuti, che poco o nulla furon consunti ? La seconda parte della chimica animale di Liebig ha per titolo: La metamorfosi de' tessuti: essa cioè ha per oggetto di chiarire l'artificio chimico, onde com- Chimica animale 187 pongonsi e decompongonsi gli stami organici. Vi si comincia a parlare di alcuni corpi isomerici^ e del- Visomerismo^ per i^idi applicarlo ai tre materiali or- ganici; albumina, fibrina e caseina. Si discende in seguito a riferire l'.esperienza di Mulder , il quale avendo trattato le citate sostanze colla potassa, e ag- giunto alla soluzione l'acido acetico , ne ottenne in tutte un precipitato trasparente e gelatinoso, avente sempre gli stessi caratteri e composizione da qua- lunque delle tre fosse stato ottenuto. Il qual preci- pitato fu dallo sperimentatore creduto il tipo o la base dei tre ridetti materiali , e salutato perciò col nome di proteina. Né Liebig discrede al suo dire, né muove dubbio alcuno, se cfuesto prodotto di for- tissimi agenti nato in laboratorio abbia a riguardarsi come opera uscita dalle mani della natura; ma giu- dica anzi verisimile, che tal materia preesista ai cor- pi albuminosi, e ne sia, come a dir, la matrice- Ma checché sia di ciò, noi crederemo di non tradire la mente dell'A,, e non travisarne il testo, continuan- do a ragionar di albumina, la quale, secondo gli stessi chimici , non differisce né punto né poco dal suo prolotipo. Premesse queste notizie, procede l'A. a stabilire la sentenza già promulgata un tempo da Boyle: ex albumine omnia. I tessuti e le parti tutte del corpo animale si formano coli' albumina, aggiuntivi l'ossi- geno dell'atmosfera e gli elementi dell'acqua. » Questa proposizione , son parole di Liebig , dovrà essere ricevuta come verità irrecusabile, quan- do riflettasi allo svolgimento del pulcino. L'uovo non contiene altro materiale azotato , fuorché l'albume. L'alb urne del tuorlo è identico a quello della chia- 188 Scienze ra: il tuorlo contiene inoltre una materia grassa di color giallo, in cui ritrovansi ferro e colesterina. In- tanto nel processo dell'incubazione, durante la quale niun'altra materia estranea, tranne l'ossigeno dell'aria, può introdursi, o prender parte nello svolgimento dell'animale, noi vediamo formarsi dall'albume le pen- ne, le unghie, i globetti del sangue, la fibrina, le membrane, il tessuto cellulare, le arterie e le vene. Il grasso del tuorlo può aver contribuito fino ad un certo punto alla formazione dei nervi e del cervello; ma il carbonio di questo grasso non può aver ser- vito a produrre i tessuti organici , in cui risiede la vitalità, poiché l'albume del bianco e del rosso con- tengono già, rispetto alla esistente dose di azoto, la proporzione esatta di carbonio, che si richiede a for- mare questi tessuti. » Ci sorgerà altra occasione ad investigare se la dottrina, che esclude l'azoto atmosferico da ogui of- ficio assimilativo, riposi su ferma base. Intanto nel presente argomento dell'incubazione avvertiremo, che se le unghie, le penne, le membrane, i vasi; insom- ma tutto il pulcino, eccetto quel pò di sangue e di carne che ci si trovano; contiene una quantità di aioto comparativamente maggiore, di quella che racchiu- de l'albume in un dato peso , come ne insegna lo stesso A., e se l'uovo incubato non offre materie re- siduali, da far credere che una parte dell'albume siasi risoluta ne' suoi principii, onde somministrare ai tes- suti l'azoto che manca, ei non si può fuggire alla conclusione: che o l'albume dell'uovo contenga dei sali ammoniacali, che si decompongano durante l'in- cubazione, per fornire l'azoto deficiente all'albume , onde comporre i tessuti gelatinosi, cartilaginei, cor- Chimica animale 489 nei, membranosi del pulcino; o che questo elemento derivi dall'aria atmosferica. Il primo caso sparjjereb- be di dubbi l'esattezza dei metodi analitici , il se- condo combatterebbe direttamente le teoriche dell'A. Dal processo formativo, che ha luogo durante l'incubazione, passa Liebig al riparatore, che avvie- ne nell'animal già formato: e il primo suo intendi- mento si è di spiegare in che consista la digestione. Udi amolo. » Le più concludenti esperienze de' fisiologi han- no mostrato , che il processo della chimificazione è indipendente dalla forza vitale, e che esso si effet- tua in virtù di un'azione tutta chimica, perfettamen- te simile a que' processi di decomposizione o trasfor- mazione co nosciuti coi nomi di putrefazione, fermen- tazione o disfacimento (eremacausis). » La fermentazione o putrefazione, esposte nella più semplice forma, ci rappresentano un processo di trasformazione: cioè una nuova disposizione delle par- ticelle elementari o atomi di un composto, che dà origine a due o più composti nuovi, e che è susci- tata dal contatto di altre sostanze , le cui particelle elementari sono esse stesse in uno stato di trasfor- mazione o decomposizione. Ella è una comunicazione di moto , che gli atomi di un corpo costituito in tale stato, sono capaci di suscitare in altri corpi, le cui particelle elementari sono combinate insieme Qon lieve attrazione. » » Così il succo gastrico contiene una sostanza in istato di trasformazione, il cui contatto opera in modo, che que' materiali del cibo, che per loro stes- si sono insolubili nell'acqua, acquistano la proprietà di sciogliervisi, in virtù di una nuova disposizione 190 Scienze de' loro atomi. Il succo gastrico, separato durante la digestione, contiene un acido minerale libero, la cui presenza reprime ogni ulterior cambiamento. Che poi il cibo sia reso solubile indipendentemente affatto dal- la vitalità degli organi digestivi, è stato provato da numerose e ben condotte esperienze. Il cibo chiuso in tubi metallici perforati, di maniera che fosse ad esso precluso il contatto immediato collo stomaco , scompariva cosi presto, e sì presto veniva digerito, come 86 l'involucro metallico non vi fossej e il suc- co gastrico recente discioglieva fuori del corpo il bianco d'uovo coagulato, o la fibra muscolare bol- lita, rimanendo a contatto con queste sostanze per un eerto tempo alla temperatura dell'animale. » Lagnavasi già Boerhaave che il vocabolo fermen- tazione^ destinato a indicare un fenomeno distintissimo da tutti gli altri , fosse troppo genericamente usato dagli scrittori ad esprimere qualunque mutazione dei corpi. « Qui generalia nìmis dant^ confusionem pa- riunt. Si enim omnis mutatio a fermentatione , iam non erit Umitatior vox fermentationis , quam muta- tionis: unde vera rerum vocabula amiltuntur » (Elem. Chem.). E quantunque il chimico di Leida scrivesse in tempo, che non si era accesa tanta face alla scien- za, tuttavia ci sembra che quella critica abbia il suo pieno valore anche al di d'oggi; avvengaché anche oggi le voci trasformazione, fermentazione e putre- fazione significhino fenomeni fra loro affatto diversi. I cambiamenti di stato sono anch'essi trasformazio- ni , ma certo non equivalgono sempre a fermenta- zione: tutto è mutazione nelle vicende dei corpi, e pure non si riduce tutto a processo fermentativo. E si può egli, senza confondere stranamente il linguag- Chimica animale 191 gio, indicare collo stesso nome la maturazione dei frutti e il loro disfacimento ? Nel primo caso la con- versione della sostanza amilacea in zuccherina si ef- fettua sotto il dominio della vita : vi è bisogno di cooperazion della luce, il sapore del frutto si muta da acido in dolce, gli stami organici rimangono il- lesi. Nel secondo il fenomeno avviene in corpo mor- to , il frutto si ammollisce, si spappola, inacetisce ; un copioso svolgimento di gas, apertosi in correnti il varco fra le cellule dei tessuti, li divide, gli allon^- tana, li disorganizza. E che diremo della putrefazio- ne, a cui da tempo immemorabile si associa l'idea di fetide esalazioni, appunto perchè suscitate in corpi ricchi di azoto, di zolfo, di fosforo, e pronti quindi a promuovere la formazione di gas ammoniacali, di gas idrogeno solforato, fosforato ec. ? Sarà egli indiffe- rente alla chiarezza del discorso lo scrivere, che un pomo si è putrefatto, in vece di dire che si è ma- turato :' Ma noi non contendiamo qui di sole parole, e con questo preambolo abbiamo inteso di farci stra- da ad esaminare, se la digestione sia veramente un processo fermentativo. Sanno anche i men dotti nella medica istoria come fosse un tempo, in cui ogni fe- nomeno della vita spiegavasi per fermentazione. Il pimctutn saliens dell'embrione era un centro fermen- tante, e centri fermentanti eran pure le glandole tutte; processo fermentativo la digestione , fermentazione nel sangue, e le malattie derivavano anch'esse da di- sturbi della regolare fermentazione. Questa dottrina, che vantò insigni partigiani, regnò per qualche tem- po e cadde quindi in dimenticanza. Le parole di Liebig ci mostrano come essa riviva oggi fra i chi- mici, almeno in quanto alla digestione ; ma non ci 192 Scienze sembra che siansi recati in mezzo tali argomenti, per- chè la scienza debba abbracciarla qual verità dimo- strata. Noi intanto andremo esponendo alcune avver- tenze , che non sono favorevoli alla enunciata opi- nione. 1. In tutto il regno animale l'atto della dige- stione ha bisogno di un fluido. Il numero degli or- digni destinati a segregarlo, e dirette osservazioni ne attestano dell'abbondanza di questo fluido; e questa abbondanza suscita meglio l'idea di un mestruo sol- vente, che di un fermento. Basta l'umidità a promuo- vere la fermentazione: e dove la massa, che dee pro- varla, trovisi immersa in un liquido, il processo ne è piuttosto ritardato che favorito. 2. Il moto intestino, che si suscita in un cor- po fermentescibile, invade tutta la massa: e noi ve- diamo al contrario nei pesci rapaci, che quella sola parte della preda, la quale è a contatto coi fluidi dello stomaco, si discioglie e vien* digerita; il resto che trovasi nell'esofago non si altera punto. 3. Quanto più grande è la massa che fermenta, tanto più facile e perfetto riesce il processo di fer- mentazione: dividetela in piccolissime porzioni, e que- sto moto intestino sarà ritardato o sospeso. La massa alimentare si digerisce in piccole masse egualmente che in grandi , come apparisce dalle sperienze di Spallanzani. 4. Il processo di fermentazione domanda un tempo non tanto breve per compiersi: le più rapide fermentazioni non avvengono in meno di 8 a 10 ore. La digestione in molti animali dee eseguirsi colla prontezza di una vera dissoluzione, senzachè non po- trebbe spiegarsi quel continuo mangiare che alcu- I Chimica animale 193 ni fanno da mane a sera. La voracità delle locuste è nota a tutti, e vi ha de' bruchi che nel corso della giornata consumano più cibo, che non pesi l'intero lor corpo. 5. Il fermento perde le sue qualità per opera di alcuni agenti : gli acidi e gli alcali sono di tal natura: e i sali, che abbandonano facilmente il loro ossigeno, producono lo stesso effetto. È noto che il succo gastrico è fornito di acidi e sali di questa fatta; e perciò sembra che esso non possa favorire le fer- mentazione. Così pure 1' alcool toglie al fermento la virtù di eccitare la fermentazione , e il processo digestivo non è punto arrestato dall'uso dei liquori spiritosi. 6. In tutti gli animali a sangue freddo la di- gestione si compie ad una temperatura, in cui o non si suscita fermentazione, o questa è di una lentezza troppo lontana dalla durata dell'atto digestivo. 7. La fermentazione ha bisogno o di fermento, o della presenza di una materia zuccherina. La pri- ma condizione è supposta dall' A., ma non provata nell'opera della digestione; la seconda manca sovente. 8. Il moto intestino, che nella fermentazione si suscita in ogni molecula della massa fermentante, ne svincola i principii elementari dalle combinazioni , cui le aveva astrette la forza vitale, e abbandonatili alle originali loro affinità, dà luogo a nuove forma- zioni binarie o ternarie , ma sempre di men com- plessa natura. Quel che la vita aveva elaborato in materiali di intricata composizione , il processo fer- mentativo riduce in corpi di più semplice fattura. Là il potere organizzante aveva creato l' albumina , sostanza moltiplice e permanente; qui la putrefazione G.A.T.CVIII. 13 194 Scienze ne svolge ammoniaca, gas acido carbonico, gas idro. geno solforato, fluidi di meno intricata costituzione, e di più fugace esistenza. Al contrario la digestione genera prodotti così complessi, come quelli che fu- rono sottoposti al suo processo; spesso anzi questi prodotti sono più composti ed elaborati delle sostan- ze alimentari. Non iscorgesi adunque alcuna analo- gia di artifìcio, o di scopo fra l'atto digestivo e la fer- mentazione. 9. La fermentazione è accompagnata costante- mente da produzione di fluidi elastici. La digestione nel suo regolare andamento non provoca svolgimento di gas, ma ciò avviene solo nello stato morboso. Ne- gli animali erbivori, satollati oltremisura di freschi e succosi vegetali, suole effettuarsi una tal generazione di gas da distendere enormemente gli organi dige- stivi , fin talora a scoppiare. Questo fatto, avvertito per altro fine dalla stesso Liebig, ci offre un cal- zante esempio di morbosa condizione, in cui oppressi gli organi digestivi dalla copia soverchia del cibo , e dalla sua acquosità, non separano in giuste quan- tità o qualità il succo gastrico, non vi esercitano il consueto influsso vitale, e in vece di digestione ha luogo una vera fermentazione: quindi il copioso svol- gimento di fluidi elastici, che non potendo uscir per l'esofago, distendono oltremodo il canale digestivo, e minaccian di romperlo. 10. Finalmente i vari mezzi diretti al moto e all'attrito, che ci presentano gli organi digestivi, co- me i denti stomacali di alcuni molluschi, le pietrucce degli squali , delle sirene e di ceiti uccelli , e nel maggior numero degli animali una tunica musco- lare più o men robusta, non palesano alcuna diretta Chimica animale 295 attenenza col fine di un processo t'erinentalivo , e si riferiscono in vece al bisog^no di attenuare il cibo, o moltiplicarne i contatti col succo dissolvente. 0 che poi i cibi si disciolgano nel succo ga- strico, o che fermentino nello stomaco, qual che sia delle due, noi però non sapremmo mai concorrere nella sentenza dell'A. che la digestione costituisca un atto meramente chimico, e indipendente dalla forza vitale. E vi ha egli funzione eseguita in corpo vi- vente, che sottraggasi affatto dal dominio della vita ? Se una massa alimentare incamminata già a rego- lare digerimento, percosso d'improvviso l'animo da trista affezione, impietrisce quasi a dir nello stoma- co, ricusando di trasformarsi in buon chimo , e se in vece la digestione è mirabilmente agevolata dalle piacevoli emozioni , questo solo fatto , sperimentato da chiunque ha fibra sensitiva, non basta esso a pro- vare l'obbedienza dell'atto digestivo ai poteri dina- mici della vita ? E se la digestione è un processo tutto chimico, perchè non accorrono più pronti e più certi i rimedi a' tanti suoi disordini , de' quali solo i più distinti e comuni sono registrati nelle nosolo- gie, ma ben cento altri innominati , e di oscurissi- ma indole esercitano l'industria de' medici nella pra- tica cittadina? Ci spiega essa la chimica le innume- revoli differenze, che offre la digestione ne' diversi ordini e generi di animali, e come in alcuni questa funzione proceda lentissimamente, con maravigliosa rapidità in altri ? E forse opera di chimiche leggi, se nella nostra specie gl'individui dotati di tempra linfatica compiono meglio la digestione coi cibi acri o conditi di aromi, e ai biliosi soccorre tanto la mi- scela degli acidi , e agl'ipocondriaci liesca stentato 196 S e I E N 2 E e difettoso lo smaltimento del latte ? E il perchè cer- tuni a ben digerire abbian bisogno di moto, altri di assoluto riposo: questi ottengano più facilmente la concozione nelle ore notturne, quelli durante il gior- no: e la parte che hanno nell'atto digestivo l'età, il sesso, il clima, il genere di vita, le abitudini, le idio- sincrasie: e le strane anomalie che ci presenta esso nelle donne gravide e nelle clorotiche : tutto ciò cape egli nelle strettezze di una chimica operazione, indipendente affatto della forza vitale 1 Lo giudichi il lettore: e noi intanto porteremo l'esame su quella materia in istato di trasformazione nominata di so- pra, e che in sentenza dell'A. costituisce il fermento della digestione. Che cosa è adunque questa materia ? « Appena può dubitarsi, risponde Liebig^ che la so- stanza presente nel succo gastrico in istato di cam- biamento sia un prodotto della metamorfosi dello stomaco istesso. Niun'altra sostanza, oltre quelle de- rivanti dalla progressiva decomposizione dei tessuti gelatinosi e cartilaginosi, possiede a un sì alto gra- do la proprietà di suscitare un cambiamento nella disposizione elementare di altri composti. Se la mem- brana interna di qualche animale, p. e. del vitello, sia lavata con acqua, e messa quindi a contatto con una soluzione di zucchero , col latte , ed altre se- stanze, non si produce effetto alcuno: ma se la stes- sa membrana venga esposta per qualche tempo al- l'aria, o diseccata, e quindi cimentata con le mede- sime sostanze , lo zucchero è cambiato o in acido lattico, mannite e mucillagine , o in alcool ed aci- do carbonico; mentre il latte è cogaulato all'istante.» E alquante carte appresso al § 13 sono altri toc- chi sul medesimo punto. « Nella stessa guisa, ei ri- Chimica animale 197 piglia^ che la fibra muscolare , separata dal corpo, partecipa lo stato di decomposizione suscitato fra i suoi elementi al perossido d'idrogeno, cosi un certo prodotto, nato per opera del processo vitale, e per effetto della trasposizione elementare delle parti del- lo stomaco, e degli altri organi digestivi, mentre si compie la sua metamorfosi nello stomaco , agisce sul cibo. Le materie insolubili divengono solubili : esse sono digerite. > E qui pure noi siamo lungi da intendere, come il detritus dello stomaco costituisca il fermento del cibo, e come poi questo detritus che, secondo l'A., è un prodotto di vital funzione, ritro- visi ancora nei ventricini esposti per lungo tempo all'aria e diseccati, e sia causa di quelle note pro- prietà del gaglio. E badisi inoltre se da quel pareg- giare un detritus organico alla carne corrotta, e far- ne esca alla fermentazione, non avessero a discen- derne conseguenze assai disformi dal vero. Si po- trebbe infatti ragionare così. La digestione è un pro- cesso tutto chimico , ed è una vera fermentazione del cibo ; il fermento è somministrato dal detritus dello stomaco: dunque tutte le circostanze, che favo- riscono lo scioglimento della macchina , dovranno aiutare anche la digestione accrescendone il fomite; dunque, ove questa funzione languisca, si potrà ec- citarla con materia animale putrefatta; dunque ogni punto dell'organismo è un campo di fermentazione, perchè dapertutto vi sono materie fermentescibili e molecule in disfacimento ! Né sapremmo menar buono all' A. che poco ap- presso ei cerchi un argomento di analogia fra la di- gestione e la fermentazione nella facoltà di arrestar l'una e 1' altra, da lui attribuita alle sostanze con- 198 S e 1 E 'N Z E lenenti una materia empireumalica , come il caftè, il tabacco, il creosoto. Che quanto al primo, cioè al caffè , si può rigettare lo stesso fatto per quel che spetta la digestione, invocando l'esperienza di quanti hanno stomaco fiacco e concozioni stentate , e che trovano anzi in tal bevanda il più efficace aiuto a ben digerire. Che avrebbe detto il nostro Baglivi sen- tendo a chiamare anti-digestivo il caffè, ei che in- segnava <( potionem caphe esse secretum infallibile ad tollendum capitis dolorem pomeridianum , qui vi- tio stomachi male digerentis nonnullas post prandìum horas venit. »? E riguardo al tabacco e al creosoto, l'azione torpente, che tali sostanze esercitano sul si- stema nervoso chiarisce abbastanza la proprietà loro di ritardare il processo digestivo, senza perciò do- verne concludere a somiglianza fra digestione, e fer- mentazione. Ragionando di digestione, entra Liebig a dire della parte che vi ha l'aria atmosferica ingoiata colla saliva: ove sostiene fermamente che l'azoto non ab- bia uso alcuno nell' organismo , ma che svincolato dall'ossigeno, passi attraverso i tessuti, ed esali per le vie della pelle e dell'organo polmonale. Udiamolo. » Neil' azione del succo gastrico sul cibo non prendono parte altri elementi , fuorché 1' ossigeno dell'aria e i principii dell'acqua. L'ossigeno s'introdu- ce direttamente nello stomaco. Durante la mastica- zione si separa nella bocca da speciali organi un flui- do detto saliva, che ha la proprietà di inviluppa- re l'aria in forma di spuma, anche meglio che noi faccia il sapone. Per mezzo di questa saliva l'aria giunge nello stomaco insieme al cibo, ed ivi l'ossi- geno entra in combinazioni , mentre 1' azoto viene Chimica animale 199 espulso per la pelle e per i polmoni. Più si prolun- ga la digestione, cioè più il cibo resiste alla solu- zione, più saliva, e perciò più aria entra nello sto- maco. Uno dei fini della ruminazione in alcuni er- bivori egli è appunto di rinnovare V introduzione dell'ossigeno ; poiché una più minuta divisione del cibo abbrevia solamente il tempo richiesto per il suo scioglimento. « Le quantità ineguali di aria che giungono nello stomaco colla saliva nelle differenti classi di animali, illustrano le esatte osservazioni istituite dai tisiologi, i quali hanno concluso oltre ogni dubbio , che gli animali mandano fuori per la pelle e per i polmoni puro azoto in quantità variabile. Questo fatto è tanto più importante, in quanto che ci somministra una prova decisiva, che l'azoto dell'aria non ha uso al- cuno nell'economia animale. » Il fatto, che l'azoto sia mandato fuori per la pelle e per i polmoni, è chiarito dalla prerogativa onde godono le membrane animali di lasciar passa- re i gas attraverso di esse; prerogativa che può es- ser dimostrata coi più semplici esperimenti. Una ves- sica ripiena di gas acido carbonico, azoto e idroge- no, poi ben chiusa e sospesa nell'aria, perde in ven- tiquattro ore tutto il gas racchiuso, che passa nel- r atmosfera , e per una specie di cambio vien so- stituita dall' aria. Una porzione d' intestino, lo sto- maco, ovvero un pezzo di pelle o membrana, allor- ché siano ripieni di un gas, si comportano precisa- mente come la vessica. Questa permeabilità ai gas è una proprietà meccanica, comune a tutti i tessuti animali , e trovasi allo stesso grado nei vivi come nei morti » ec. 200 Scienze Esaminiamo in prima questo fatto delle permea- bilità, e diremo poi dell'azoto, se con tutta certez- za gli si debbe ricusare ogni officio nella economia animale. Che alcune più semplici e sottili membrane la- scino passare i gas nello stato di vita, è materia di fatto. L'epidermide è pervia da dentro in fuori e da fuori in dentro ai fluidi elastici, e lo stesso si veri- fica della mucosa che tapezza le vie aeree rispetto all'ossigeno dell'aria e all'acido carbonico e idroge- no del sangue. Ma se questo ingresso ed egresso di gas sia dovuto a fisica proprietà di tessuto, ov- vero sia opera di assorbimento ed esalazione , cioè di atti subordinati alla potenza vitale, è punto tuttora controverso. Che poi tale permeabilità appartenga in- distintamente ad ogni organo membranoso, e che i gas raccolti nel canale gastro-enterico si aprano fa- cilmente una strada a traverso i tessuti, fino ad esa- lare sulle superfìcie aerea polmonare, è tal dettato che non può ammettersi senza maturo esame. L'espe- rimento della vessica esposto dell'A. non pare defini- tivo della questione , trattandosi di tessuti privi di vita, e dalle cui proprietà non si può concludere ciecamente a quelle di una membrana vivente. Il turgore vitale delle cellule, la contrattilità delle fi- brille, i fluidi linfatici e sanguigni , che riempiono i vasi di un tessuto che vive, pongono un limite di- stintissimo fra le proprietà di questo, e quelle di un ricettacolo inerte. Quindi vediamo che le esperienze istituite colle membrane morte , discordano piena- mente da quelle praticate sulle viventi; e mentre il Fodera, introdotti nella cavità addominale di conigli dei brani d'intestina, chiusi e pieni di gas deleteri, Chimica animale 201 trovò che essi manifestavano la loro azione venefica, e scomparivano dall'ansa intestinale, noi osserviamo dall'altro lato, che il gas idro-solforico alberga di fre- quente nel cavo intestinale, senza punto imbrattare il sangue, cui sarebbe veleno. Gas solforosi scaturi- scono spesso da sconcertate digestioni, né essi recan danno all'economia: e il principe viennese , di cui parla P. Frank, affetto da cancro allo stomaco, man- dava fuori fetidissimi rutti, che ammorbavano ben sei ampie camere del suo palazzo, né il sangue ri- mase infetto da questi gas, che formandosi in sì gran copia avrebbero pur dovuto trapelare a traverso le membrane, se queste fossero così pervie. Si oppone anche alla facile permeabilità delle membrane ai fluidi elastici la nota persistenza dei così detti tumori flatulenti, degli enfisemi, della tim- panite e dello stesso meteorismo, che nelle malattie acute sarebbe di men funesto presagio , se i tessuti viventi lasciando passare i fluidi aeriformi, non si an- dasse incontro ad una paralisi dei medesimi , per la prolungata e violenta lor distensione. Il pneumoto- race non sarebbe quella sì grave condizione morbo- sa ch'ella è, e non determinerebbe i chirurghi alla stessa paracentesi , quantunque difficile nella scelta, incerta nell'esito , se l'aria raccolta nella cavità del petto potesse transitar facilmente pei tessuti mem- branosi che la rivestono. L'esperienza non avrebbe mostrate necessarie le scarificazioni nell'enfisema del tessuto cellulare, ove notabile sia la distensione dei tegumenti, se l'aria ivi contenuta potesse aprirsi per la pelle un facil passaggio. E se gli stomachi dei ruminanti dilatati da enorme copia di gas, per fer- mentazione di freschi e umidi erbaggi, scoppiano ra- 202 Scienze ramcnte, e pure que' fluidi aerei in poco tempo scom- paiono , ciò può avvenire per la soluzione di essi fluidi nejjli umori animali , coi quali vengono poi assorbiti dai vasi. E se l'enfisema prodotto da ferita del polmone può dileguarsi senza aiuti dell'arte, ciò spiegasi con pari felicità mediante 1' assorbimento , come in forza della permeabilità meccanica. E final- mente se il vino in fermentazione induce talora la morte in chi ne usa, con tutti i sintomi dell'asfissia, basta anche qui che l'acido carbonico venga assor- bito dal sangue, per ben intendere il fatto , senza supporre che il gas siasi fatto strada direttamente dallo stomaco fino alle cellule aeree. Del resto non tutti quelli, che sono offesi dalla forza venefica del gas acido carbonico introdotto nello stomaco per via di bevande, manifestano la forma asfittica, e in molti anzi domina la congestion cerebrale. Noi stessi, do- po aver ingoiati a stomaco impuro due ampi calici di acqua gassosa, avemmo una volta a sperimentare la potenza deleteria dell'acido carbonico; ma i feno- meni morbosi, che si suscitarono , indicavano tutti un'affezione del sistema nervoso, non dell'organo re- spiratorio. E direm qui di passaggio che l'affezione ebbe sede precisamente nel cervelletto, alla cui re- gione corrispondeva il senso di dolore e di peso, e che ne seguì per ben tre mesi l'impossibilità di ro- vesciare la testa all'indietro, senza vertigini e peri- colo di caduta •, come pure una certa imperfezione nell'atto locomotivo, sicché le estremità inferiori ten- dessero spesso a incrociarsi ne' lor movimenti. Contro la dottrina della permeabilità milita un altro fatto; ed è che il trasporto dei gas dall' un luo- go all'altro dell'organismo, soggiace alle forze vitali, CniMlCA ANIMALE 203 non alle fìsiche leggi: così coU'aiuto di frizioni pra- ticate con sostanze eccitanti, noi promoviamo il dis- sipamento di un lieve enfisema succutaneo, favoren- do l'assorbimento di fluidi elastici ; pure le tinture alcooliche usate a tal fine dovrebbero anzi ostare alla permeabilità delle membrane, accrescendo la coesio- ne degli stami organici. Al contrario tutto ciò che ammollisce e rilascia la fibra mantiene le raccolte gassose , quantunque la permeabilità de' tessuti do- vesse per tali mezzi aumentarsi. Notisi infine che la vessica natatoria de' pesci, o che essa sia destinata a facilitare il nuoto in que- sti animali, come si crede comunemente, o che coo- peri alla funzione respiratoria come alcuni sostengo- no, non potrebbe soddisfare ad alcuno di questi usi, se i fluidi aerei che vi si raccolgono trapelassero con ogni facilità a traverso le sue pareti ; ciò che poi renderebbe anche inutile quel condotto escretore, di cui suol essere provveduta. Per tutte insieme queste ragioni ci sarà lecito di ripone l'assoluta permeabilità delle viventi mem- brane ai gas fia i dati incerti della scienza, e non dirassi che noi scrivemmo queste note con animo di contradlre, se riguardo specialmente all'azoto, che si sprigiona dall'aria introdotta col cibo, noi confes- siamo di non intendere affatto come una colonna di gas (valutata dall'A. di 109 pollici cubici in 18 ore) possa ascendere dallo stomaco fino alle cellule aeree, traversando le membrane di questo sacco, e il den- so tramezzo musculo-tendinoso del diaframma, e le pleure, e il parenchima polmonale, .senza incontrare ostacoli, senza dispergersi nella cavità addominale , senza infiltrarsi in alcun tessuto , senza turbare il 204 Scienze respiro nella stazione sua fra le pleure, e giungendo cosi in buon ordine fino ai canali dell'aria ! E qual forza presiede a questa ascensione ? « In forza dei movimenti respiratorii, soggiunge Liebig, tutti i gas che riempiono gli spazi del corpo soliti ad esser vuo- ti, sono spinti verso il petto; poiché mediante il moto del diaframma e l' espansione del torace producesi un vacuum parziale, in conseguenza del quale, l'aria è cacciata nel petto da tutti i lati, in virtù della pres- sione atmosferica. » E noi replichiamo che questo vacuum non si stabilisce mai nei polmoni, rimanen- do sempre dell'aria nelle cellule aeree dopo l' espi- razione: e che ove pure si formasse un tal vuoto, la forza attraente di esso si eserciterebbe piuttosto sulla colonna esterna dell'aria, come quella che ha più libero e facile adito nelle vie polmonali, di quel che sui fluidi elastici contenuti nel corpo, che deb- bono aprirsi una strada verso i polmoni attraverso i tessuti. Manca inoltre a stabilire la dottrina dell'A. il principal fondamento, cioè il dato sperimentale che una sì gran copia di azoto si elimini per le vie pol- monali. Parlano, è vero, alcuni fisiologi di esalazione di azoto dai polmoni, ma la negano altri , e ninno accertò che se ne cacciasse in tanta abbondaixza. D'altra parte se azoto esala dai canali aerei, fu ve- duto da molti che questo gas viene anche assorbi- to per questa via; e se le rane espellono azoto, re- spirando in un'atmosfera di gas idrogeno, ciò avvie- ne perchè il sangue di esse contenendo già dell'azo- to, questo gas tende ad esalarsi nella ridetta atmo- sfera, e si comporta con essa, come se fosse un vuo- to; secondo ne insegnano le osservazioni di Graham Chimica, animale 205 sulla diffusione dei gas, citate dal medesimo Liebig. È lungi adunque dall'esser provato, che l'azoto dell'aria atmosferica inviluppata nella saliva e intro- dotta nello stomaco si esali tutto per i polmoni , senza soddisfare ad alcun fine, come si avvisa l'A., e invece è assai più conforme alla economia della natura, e si accorda anche meglio coi fatti, che que- sto gas sia impiegato in gran parte nel processo as- similativo, incorporandosi coi materiali organici. E per verità gli organi salivari, si negli uccelli e sì nei mammiferi , sono più perfetti nelle specie erbivore che nelle carnivore , e seguon poi la ragione dello sviluppo degli organi masticatori. Fu adunque con- siglio di natura, che masticassero più, e più di aria introducessero nello stomaco quegli animali, che si nutrono di cibi men ricchi di azoto: e questa diffe- renza si ritrova in qualche modo anche nella nostra specie, in cui pure si osserva spesso che masticano e insalivano più i seguaci del vitto pittagorico, che i mangiatori di carne, i quali sogliono esser voraci come animali di preda. Ora questa disposizione non poteva aver di mira l'atto istesso della digestione , come quella che si opera più speditamente nei car- nivori, che intromettono meno aria col cibo, di quel che negli erbivori, che ne ricevono maggior copia. Non vi è qui relazione alcuna di causa ad effetto, ma bensì la relazione si trova colla necessità mag- giore di azoto per gli erbivori che pei carnivori, avuto riguardo alla natura del cibo. Né oppongasi, che se tale fosse l'uso dell'aria introdotta colla saliva, i carnivori potrebbono farne senza: poiché coi fatti alla mano, e con fatti som- ministrati dallo stesso autore, noi possiam dimostra- 206 Scienze re che anche i carnivori hanno bisogno di una caria aggiunta di azoto, a fine di riparare i tessuti che si consumano. Gettisi l' occhio sulla tavola delle ana- lisi elementari riportata poco dopo dall' A., e si vedrà che i peli e lor dipendenze contengono un tre per cento di più di azoto che i materiali albuminosi, e i peli costituiscono una parte non piccola in molti carnivori , e i peli non sono soggetti alle forze di- gestive , quando pure fossero deglutiti colla preda. Cosi pure il tessuto gelatinoso delle ossa vuol essere risarcito nell'animale vivente: e non potendo esserlo colle ossa dell'ucciso che non son divorate, è forza che lo siano da un materiale albuminoso, che in una data quantità richiede meno azoto del primo. Se adun- que i peli e le corna non si riparan colle corna e coi peli , se la gelatina delle ossa non si rifa con altrettal gelatina, se a tutti gli altri tessuti gelatinosi della preda, che contengono più azoto di materiali albuminosi, corrispondono pari vasi e tendini e mem- brane nell'animal che si nutre , rimane o che que- sto debba cercare l'azoto che manca in un eccesso di cibo ( dal che seguirebbe un sopravvanzo degli altri elementi, da rinvenirsi nelle materie residuali, e pure non rinvenuto da Liebig, il quale nella som- ma delle sostanze escrementizie ritrova il fedel risul- tato del disfacimento de' tessuti, e null'altro), ovvero che glie ne sia fornito dall'aria atmosferica: ciò che ne sembra più ragionevole. Un altro indizio che l'azoto atmosferico soddis- fi a qualche uso di nutrizione può ricavarsi dal- l'argomento di analogia, essendosi recentemente di- mostrato, che le piante assorbono anch'esse una pic- cola quantità di azoto dall'aria; e questo azoto non può aver altro uso che di fissarsi sui loro tessuti. Chimica animale 207 Né ad ammettere un officio assimilante dell'azoto introdotto colla saliva nello stomaco osti la difficoltà di intendere come questo gas possa venir assorbito dai vasi sanguigni, il cui umore, al dire di Liebig, dee esserne già saturo, per averlo assorbito dall'aria inspirata, attraversando i polmoni. I vasi venosi dello stomaco e degl'intestini, ove può insinuarsi l'azoto, sono radici di un sistema separato in qualche mo- do dalla circolazione generale, vogliam dire il siste- ma della vena porta, in cui le condizioni del san- gue diffiìriscono notabilmente da quelle della massa principale. Un rapido assorbimento di sottilissimi flui- di si verifica di continuo cogli aromi e spiriti rettori contenuti negli alimenti, che dallo stomaco si diffon- dono prontamente al sangue, e alle materie separate da questo umore, sicché il latte, le orine, il fluido della traspirazione ne siano tosto impregnati. Del re- sto se non si possono divisar per minuto tutti i par- ticolari di un fenomeno, non perciò siamo autoriz- zati a negarlo; e se l'azoto s'introduce in gran copia nello stomaco , se non consta che esso venga pro- porzionatamente eliminato dall' organismo , se anzi questo organismo abbisogna di un soprappiù di tale elemento per la costituzione chimica de' suoi tessuti, se più di azoto s'ingoia da quegli animali, cui più ne fa di bisogno, non vi ha egli ragione a credere che l'aria incarcerata nella saliva, e condotta nel corpo, provveda all'assimilazione con ambedue gli elementi ? (Continua). C. Maggiorani. 208 's^mTTmmM^TvwLA Risposta di Marco Giovanni Ponta aW Appendice al giornale la rivista mim. 5, 29 settembre 1845. intorno al commento di Pietro Allighierì alla Divina Commedia. L Appendice al giornale la rivista nel numero 5, pubblicato il giorno 27 di settembre del 1845, pro- dusse un articolo dove si annunzia la recente edizione del commento di Pietro Allighierì sopra la comme- dia del suo genitore., che nuovamente, per munificen- za del nobile britanno lord Wernon , fu mandata alle stampe. In esso articolo discorresi con qualche estensione del vero autore e del merito di quell'ope- ra: e poiché lo scrittore suppone , che al figlio di Dante non appartenga, commenda, quasi ineluttabili, gli argomenti onde monsignor canonico Dionisi di Verona volle mostrare che erroneamente fu dalla più rimota antichità attribuito a Pietro Allighieri. Sicco- me però al detto commento va innanzi un mio ra- gionamento, dove mostro la debolezza e la inconse- guenza dei raziocini dionisiani , tanto in ordine al vero autore di quel commento, quanto in ordine al merito dell'opera stessa: così lo scrittore dell'articolo Commento di P. Allighieri 209 senza inlrameltersi deiroppoiUma disamina della qui- stione, diede sommariamente l'inappellabile sentenza con dire: « Il p. Ponta ha voluto combattere gli ar- gomenti (non però tutti) addotti dal Dionisi: ma per quanto egli siasi sforzato di gettarli a terra, siamo d'avviso non poter esservi alcuno , letto che abbia quel commento, il quale non debba convenire che il letterato veronese ha pur troppo ragione. A dimo- strare in qualche maniera che cosi sta la cosa, alle- gheremo alquante prove che basteranno senz'altro a convincere ognuno, che non può essere Pietro figlio di Dante il vero autore di quel lavoro. » Per tal modo l'egregio A. dell'articolo afferma retto il giudizio portato da monsignore su tale qui- stione: e, senza nulla presentare contro quello ch'io ne aveva contrapposto , si accinge egli pure a met- tere in mezzo alquante delle sue prove , come egli chiama le sue opinioni, le quali in ultima conclu- sione concorrono in quelle medesime che dal Dionisi furono accampate contro l'inviso autore di quel com- mento. Queste millantate pruove, che devono con- vincere ognuno, sono di otto specie: 1. scorrezione del testo seguito dal commentatore: 2. mala intelli- genza di molte voci ovvie e comuni : 3. etimologie false, 0 puerili: 4. ignoranza dei luoghi , dei fatti^ della storia e delle persone conosciuti da tutti a suo tempo: 5. irriverenza alla fama del poeta: 6. Pietro^ che convisse col padre^ avrebbe dovuto saper dichia- rare i luoghi più oscuri del suo poema: 7. quel pro- lisso e fastidioso lavoro si riduce ad una perpetua allegoria : 8 non presenta che narrazioni minute e spesso iìiesatte. Di questi otto argomenti, opposti all'autenticità G.A.T.CVIII. 14 ^10 Letteratura di questa opera, noi nel citato ragionamento abbiamo già esposto il nostro parere: e senza sforzarci gran che, siccome l'avversario mostra di credere, abbiamo potuto mandare al pubblico tali ragioni , che , ne parve allora, ed al presente ne pare, bastano a met- tere fuori di dubbio che il tìglio di Dante doveva spiegare nel modo che sapeva quello che leggeva scritto e nulla più: che quella famigliarità letteraria e scientifica che intorno alla ragione poetica della commedia supponesi aver avuta il figlio col padre, non essendo che una gratuita asserzione del Filel- fo , di molti anni posteriore a Pietro , a nulla suf- fraga per giudicare di qvianto questi dovesse sapere della occulta sentenza del poema sacrato: che la mala intelligenza di alcune voci non è che un falso sup- posto del monsignor letterato di Verona. Aggiunsi che le etimologie false e puerili danno la più certa prova che tale commento spetta ai primi periodi del secolo XIV, essendo ciò tuttQ gusto e pregio ricer- cato dagli uomini di maggior merito fioriti in quel tempo, non eccettuato lo stesso Dante. La irriveren- za poi alla fama del poeta , che vuoisi ravvisare in quest'opera, non trovasi che nella testa degli oppo- sitori: i quali non sanno, o non vogliono sapere sce- verare il testo dai glossemi goffissimi, che in buon dato lo stesso Dionisi ha riconosciuto nei eodici del commento di Pietro. Inoltre che il commento sia la- voro prolisso e fastidioso per alcuno nel secolo XVIII e XIX, non deve addurre meraviglia al nostro volto: tutti i commenti sono tali per chi vada in essi cer- cando quello appunto che non vi si deve trovare. Che se poi è una continua allegoria; e che altro è ciò se non un mettere in mostra il gusto letterario Commento di P. Allighieri 211 dei letterati del 300 ? Finalmente è mossa lunga ed arrabbiata lagnanza perchè nel disaminato volume sono frequenti allegazioni di S. Scrittura, di ss. pa- dri, di filosofi, di storici e di tutte quante le gene» razioni di scienze e scienziati che l'uomo sapesse im- maginare a quel tempo: ma che per ciò ? se a tutto rigore di logica è questo l'argomento che sul co- minciare del suo lavoro lo scrittore erasi proposto quale scopo diretto del suo dettato ? Questo tutto dis- si in quel mio breve ragionamento; ma poiché o non fu letto dall'autore del nuovo articolo^ o ciò fu sba- datamente e con eccessiva rapidità; noi al vedere che sono rimesse in campo le ragioni stesse del Dionisi, e che fu detto averle noi invano ribattute; per da- re al recente oppositore prova certa e rispettosa del- l'attenzione che abbiamo posto a percorrere il suo lavoro , tessuto colla stessa critica del letterato ve- ronese, vogliamo dire con una continua petizione di principio, contrapponiamo alle sue alcune delle nostre osservazioni, quale rispettosa risposta. I, » Non si può mettere in dubbio (così comin- ciano le obiezioni dell'egregio avversario) che la co- pia che possedeva Pietro della Divina Commedia non dovesse essere di buona e corretta lezione: imper- ciocché doveva egli o averla trascritta da quella di suo padre, poiché conviveva con esso lui; o se fatta sopra altra copia che fosse scorretta , egli era nel caso di poter ricorrere in ogni suo dubbio al detto suo padre , e così emendare ogni e qualunque er- rore. » Due ragioni si adducono qui per assicurare del- la correzione della copia che teneva Pietro: 1. la co- pia che della commedia possedeva il figlio del poe- 212 Letteratura ta doveva essere corretta, o perchè trascritta da quel- la del padre : 2, o se fatta sopra di alcun' altra, il figlio poteva in ogni dubbio ricorrere allo stesso au- tore. Primieramente diremo che non meno l'uno che l'altro di tali argomenti è molto fallace, e che non ha fondamento alcuno, salvo che la gratuita opinio- ne di chi lo produce. Imperocché in genere si può dire che, se Pietro copiò la commedia sull'originale del padre (la qual cosa non consta per alcun docu- mento) non potè certo dichiararsi infallibile di gui- sa che a lui non avvenisse quello che a tutti avvie- ne, che qualche menda scorra nella copia, la quale non fu nell'originale. Questo è tal fatto, che non ab- bisogna prova per essere tenuto molto probabile in chi trascrive cose piane e molto bene da esso inte- se : certissimo è poi che le mende sono inevitabili in colui che si fa ad esemplare trattati ricolmi di mille difficoltà nate dalla sintassi, dalla materia e dal- le tante svariatissime scienze di cui tratta il testo; e massimamente quando nell'ordinare quell'opera con- corre arduità di pensieri ed un'altissima fantasia; e finalmente oltrepassa ogni credenza quando tutto que- sto è diretto ad intessere un lavoro, un'opera, che al tvit- to si mostra fuori della comune capacità. Ognuna di queste difficoltà concorre nel poema di Dante in som- mo grado. Del che ben accorto il famoso Giovanni del Virgilio dissuadeva Dante dal continuare più a lungo in quel lavoro da pochissimi gustato, dicendogli nel suo carme : » Tanta heu semper iactabis seria valgo ... ? Ante quidem cythara pandum delphina movebit Davus, et ambiguae Sphingos problemata solvei. Commento di P. Allighieri 213 Tartareum praeceps quam gens idiota fìguret, Et secreta poli yìx expei ata Platoni ...» (1). Dunque se Pietro esemplò il suo codice sul te- sto del padre, di che si hanno fortissimi dubbi; ciò non prova che la sua copia fosse di corretta lezio- ne; avuto riguardo alle umane inavvertenze, ed alla arduità della materia scritta. In secondo luogo se l'esemplare di Pietro fecesi da un altro non autografo, poteva e doveva avvenire che alle mende inavvertite del primo copiatore si ag- giungessero quelle del secondo per le ragioni teste accennate. Ma si ripiglia: « Se la copia era scorret- ta, egli era nel caso di poter ricorrere in ogni suo dubbio al detto suo padre, e così emendare ogni e qualunque errore.» Nella fatta ipotesi concediamo che il figlio potea ricorrere al padre nei dubbi che per la errata lezione sorgevano dentresso la sua men- te; neghiamo però, che egli cosi potesse emendare qualunque errore. Imperciocché siccome non si ha dubbio che sugli errori conosciuti , e degh ignoti ninno si prende guardia: così Pietro sotto la scorta del padre poteva emendare gli errori conosciuti tanto nel proprio, quanto nell'altrui esemplare; ma doveva non curarsi di tutti gli altri non conosciuti; e però non è vero che potesse emendare qualunque errore. Che poi gli errori potessero essere non pochi nel primo e molti più nel secondo esemplare, è cosa fuo- ri di dubitazione per chi richiami al pensiero le dif- Wlohannùde FirgiUo Danti Alligherà Carmen-, nelle poesie d. Dante. Firenze 1834, edizione procurata ed illustrata dal beneme- rito sig. Pietro Fraticelli. 214 Letteratura ficoltà non ha guari da noi allegale. Ma ciò sia detto in genere, in particolare però diremo (e con que- sto daremo nuova conferma ai forti inciampi, in cui doveva cadere l'amanuense del tempo di che trat- tiamo) noi particolarmente diremo che più ragioni si alzan tanto contro alla gratuita supposizione che Pietro vedesse mai l'autografo paterno della comme- dia, quanto contro alla supposta facilità di emendare gli errori dei copisti della medesima. II. Pietro, vivente il genitore, non ha mai potuto avere tra mano l'intera commedia. Imperciocché dalla vita di Dante, e dal commento suU' inferno, scritti da messer Giovanni dà Certaldo, sappiamo che gli ultimi tredici canti, di che mancava questo poema, non furono rinvenuti che 8 mesi dopo la morte del- l'autore, per entro ad una finestrella da lutti igno- rata « con alquante scritture, tutte per l'umido del muro muffate e vicine a corrompersi se più state vi fossero. » Delle scritture che qui son dette rinvenute cogli ultimi tredici canti, nella finestrella nascose dal- la mano del poeta medesimo, non temiamo di esse- re troppo avventati, se crederemo alcune essere ap- partenenti all'opera stessa: imperciocché quella ragio- ne che induceva Dante a tenere all'altrui guardo na- scosi gli ultimi canti e le altre scritture di cui parla il Boccaccio, quella stessa ne fa argomentare che na- scondesse anche le prime parti del suo maggior vo- lume, sebbene già pubblicate. Che più? a quest'una conseguenza ne spinge il contegno che sin da' suoi verdi anni questo meraviglioso uomo adoperò per le altre sue scritture; le quali innanzi al suo esilio fu- rono così gelosamente nascose in un forziere , che i primi sette canti della stessa commedia non furo- Commento di P. Allighieri 215 no, se non sei anni dopo, e per caso, rinvenuti. Quin- di abbiamo che come il principio, così il fine stati sono colà rinvenuti, dove non sarebbesi dai cercatori aspettato di doverli trovare. Ora è opinione molto probabile che l'Inferno fosse pubblicato da frate Ilario di Monte Corvo quan- do verso il 1308 il poeta viaggiava alla volta di Pa- rigi; e che il Purgatorio lo fosse prima del 1318: men- tre il Paradiso, che stava tra mano all'autore, non poteva essere pubblicato che nei primi 1 8 o 20 can- ti, poco innanzi al settembre del 1321, in cui Dante depose quella fascia che la morte discioglie. Così stanti le cose, molte ragioni e fortissime fanno comprendere che Pietro non che abbia mai potuto, vivente il padre, ottenere a sua disposizione l'auto- grafo della commedia, è assai più certo che proba- bile, che molto tardi egli si procacciasse copia dei canti pubblicati. E la ragione che a così credere mi muove è questa. Pietro intorno al 1318 non potea contare che intorno a 24 anni. Per concorde testi- monianza degli storici , egli compì i suoi studi in patria, e quindi a Bologna; ed attese più di propo- sito a quelli che hanno relazione colla legale: i quali ognuno sa come occupino e sempre ed a lunghi anni quegli individui che a tale professione si vo- gliono più di proposito dedicare. Tra i quali tutti sappiamo dagli scrittori sincroni esser lui riuscito con massima lode. Per queste ragioni , ed avuto fermo innanzi alla mente che , quando fu privo di padre, Pietro di poco aveva compito il suo 26 anno, sarà molto agevole il convincersi che per tutto quel tratto non ha potuto correr dietro alle pedate del genito- re, come senza prove scrive Mario Filelfo. Ben anzi 216 Letteratura mostrasi verissimo ciò che nella sua lettera al Boc- caccio (1) scriveva espressamente il Petrarca, ragio- nando del nostro poeta: lui cioè esiliato, per atten- dere fìsso allo studio, non aversi dato cura alcuna della educazione della famiglia. Né ciò, come altri suppose, ricade in aggravio di Dante , quasi stato fosse un trascurato. Imperciocché questo grand' uo- mo, trabalzato di patria, derubato delle sostanze, confi- scati i beni dotali della propria consorte, più non ave- va stanza né certa né comoda né sicura in alcuna città della terra. Troppo era per lui il procacciare a se, sa- lendo e discendendo le altrui scale, quel tanto di pane che bastasse ad acquietare la sua fame, senza aggiun- gersi il sopraccarico della famiglia raminga, a cvii non avrebbe mai potuto provvedere il necessario so- stentamento : al che però meglio poteva pensare là moglie spettante a famiglia bene agiata e potente, che non poteva non arrendersi in qualche modo ai bisogni di lei e della tenera famigliola. Nel che a due beni si avvisava; l'uno di alleviamento all'esule, l'altro di eccitamento a misericordia nel cuore de- gli avversari , che al vedere tuttodì sotto i suoi oc- chi la moglie innocente del bandito colla più inno- cente figliolanza piombati per un movimento popo- lare nel fondo della miseria , dovevasi eccitare nel cuore dei potenti magistrati e dei cittadini più in- fluenti un senso di commiserazione, per cui e fos- sero restituiti presto i beni se non altro della mo- glie, e quando che sia richiamato in patria l'esule marito. Questa seconda parte non ebbe più mai la ben giusta effettuazione: ma non é improbabile che (1) Episl. XII del libr. XII, cdiz. 1601. Commento di P. Allighieri 217 molto meglio riuscissero le prime due. Laonde ne si farebbe agevole assai il dimostrare come giuste mire di provvidenza, e non mai fredda non curanza della casa, determinassero l'Allighieri a tenere in Firenze da se lontani colla moglie tutta quanta la sua di- letta famiglia. Ai quali utili economici, urgentissimi nei primi anni della sua disgrazia, non pochi altri né meno gravi pel futuro ben essere dei suoi figli si aggiunsero poi per la onorata e lucrosa educazio- ne che loro si volea dare; onde quando che sia fos- sero sottratti a quella grave miseria, cui la fortuna minacciava di trascinarli per tutta la vita. Il perchè erano da avviare per tempo alle scuole ed alle uni- versità più rinomate, onde uscissero a suo tempo cosi valenti in legale od in medicina, che la propria abi- lità congiunta al nome paterno li ponesse in rive- renza e desiderio di tutti; e con ciò ne conseguisse largo ed onorato lucro a qual si è 1' uno di essi. Dopo tali osservazioni nell'atto medesimo che trova- si molto conseguente la sentenza del Petrarca al Boc- caccio (il quale assai bene poteva conoscerne la ve- rità) che Dante uscito di Firenze non dovette pen- sare alla educazione dei figli, i quali tutti molto da esso lontani frequentavano assidui le scuole e le uni- versità in patria ed in Bologna (1) per tanto tempo quanto volevasi alla completa loro istruzione: e per contrario non saprebbesi qual nome attribuire al Fi- lelfo, vissuto un secolo dopo questi anni, quando nel- la vita di Dante dice che Pietro fu sempre col pa- dre (semper erat cimi patre). Quindi ne si fa mani- festo che ne Pietro, maggior nato, né i suoi fratelli (1) Vedi Dionisi Aneti. IV, a carte 117, inno/a. 218 Letteratura poterono per lunghi anni trovarsi col proprio geni- tore, salvo che nei mesi delle autunnali vacanze, e ciò in quei pochi giorni, che le angustie, che sono tanto gravi ad un esiliato che dimora nella casa altrui, onde spesso trova conveniente partirne, avran- no loro permesso. Laonde noi teniamo per fermo, e con noi speriamo vorranno concorrere i nostri let- tori, teniamo per fermo, che Pietro non ahhia mai potuto avere col padre tutta quella consuetudine che, dopo il Filelfo, al Dionisi ed al nuovo oppositore piacque supporre aver lui posseduta. Che se alle co- se , che sin qui siamo venuti dicendo, aggiungasi col Boccaccio (Vita e costumi di Dante), che la este- riorità del suo contegno fu grave e maestosa : che rade volte, se non domandato, parlava: che fu vigi- lante ne' suoi studi , intantochè più volte e la sua famiglia e la sua donna se ne dolsero, primachè ai suoi costumi adusati ciò mettessero in non calere : chi sa dirmi quanta e quale riservatezza dovessero usare i figli nelle poche volte che avranno potuto conversare con lui ? Chi potrà immaginare Pietro in faccende chiederli che significa il veltro ? che la lupa^ che le altre fiere F come scriveste questo verso, questa terzina , quella parola l' che significa Plutone , Bea- trice^ Matilde e Lucia F e le mille altre notizie e fat- tarelli curiosi, che dal nostro Pietro vuole e preten- de sapere il Dionisi, siccome non dispensabili argo- menti che lo dimostrino al mondo vero autore del- l'esaminato commento ? IIL Ma queste le sono veramente cotali bagattelle, cui non puossi badare se non per vero trastullo. Ve- niamo a più gravi e concludenti ragioni. Dalle cir- costanze della casa del poeta noi riceviamo argo- Commento di P. Allighieri 219 gomenti novelli per iscoprire come poco avventurar si potesse Pietro a giudicare delle varie lezioni che vivente il padre li potevano occorrere intorno alla commedia. Egli a quella epoca non poteva eccedere che di un anno il suo ventesimo quinto ; né pare credibile che, non ancora o appena terminato il cor- so di legale all'università di Bologna , fosse di già fornito di quell' ampio corredo di ogni maniera di erudizione e di scienze che, per giudizio dei più di- screti conoscitori della commedia, è più che necessa- ria alla sulficiente intelligenza di quella. Egli potea forse averne fatta lettura , ma intesa , no: salvo se per intelligenza non vogliamo dire quella superficiale cognizione dei nostri bellimbusti, i quali licchiggian- dosi la lunga ed odorosa chioma si fanno maggiori di se stessi per aver letto le narrazioni di France- sca da Rimini, o quell'altra del conte Ugolino. Dan- te non è autore da paretaio né da specchio: egli vuol tutto r uomo, e lo vuol sovra il suo banco ^ dietro pensando a quel che nel suo libro fu prelibato. Ma Pietro era tuttavia studente all'università di Bologna, aspirava a tal professione che ristorasse la famiglia delle gravissime spese da lunghi anni sostenute per l'educazione di tanti figli: e questo mal sarebbesi at- teso dallo studio dei poeti , e peggio ancora dalla poesia volgare. Ma perché la cura dei mortali era intesa al guadagno; così chi dietro a iura, chi ad afo- rismi andava, e chi a civil negozio. Era in quei tem- pi famoso molto quel distico: > Dat Galenus opes, dat sanctio iustiniana: » Ex aliis paleas, ex istis collige grana. » 220 Letteratura Chi sa quanto Pietro abbisognasse di grano, meglio che di pagha, non penerà gran fatto a persuadersi come questo assai più che dalla commedia, sarebbesi raccolto dallo studio di Giustiniano. Ma pure se vogliam dire che Pietro vivendo il padre lesse l'inferno ed il purgatorio, con quel tanto del paradiso che già era pubblicato, diciamolo pure: che questo giovane studente non sarassi tenuto quasi pie- tra all'udir gli elogi grandi, nuovi, universali, che da molti facevansi ai meriti poetici del genitore: ma con Dante persuadiamoci che Pietro, come tanti al- tri suoi coetanei, ed anche più avanzati negli anni che egli, non avrà potuto pentrare gran fatto nella cor- teccia di tanto elaborata poesia: per la qual cosa così a lui, come a non pochi altri, in ordine al poema, bene si acconciava la chiusa della prima canzone del Convito: Cànzon, io credo che saranno radi Color che tua ragione intendan bene, Tanto lor parli faticosa e forte: Onde se per ventura egli addiviene Che tu dinanzi da persone vadi Che non ti paian bene d'essa accorte; Allor ti prego che ti riconforte, Dicendo lor, diletta mia novella, Ponete mente almen com'io son bella. Concediamogli volentieri questa lettura: ma tale che tenutosi alla lettera non curi della vera intelli- genza della ragione del poema; ma tale che poiché non vede la sua bontà^ ponga mente almeno alla sua bellezza: « la quale, interprete Dante , è grande sì CoMMENto DI P. Allighieri 22 J per la costruzione , sì per l'orditie del sermone, si per lo numero delle sue parti. » (conv. tratt. 2, cap. 13). Di questo solo vada contento il nuovo lettore, e non s'intrametta co tosto di portare giudizio né sulla lezione , dove i codici la presentano diversa , né sul merito della sentenza , dove presentisi forte ed oscura. A tanto non bastano le forze di un gio- vinotto che appena comincia a far pompa del primo crescente onor del mento: vuoisi lunga, paziente, as- sidua considerazione, non senza il confronto di pii\ parti dell'intero trattato; il tutto adoperato colla men- te fissa che, nell'accoppiare principio e fine, ponga l'uno e l'altro a confronto col mezzo, perché giovinsi vicendevolmente ad illustrare il più riposto artifizio, che, quasi trama occulta, scorre per tutta la ingegno- sa tela della commedia. Né qui é tutto pel nostro caso: le difficoltà si accrescono a mille doppi in un lavoro allegorico in sommo grado, materiato (come l'autore sentenzia delle sue canzoni) di scienza e di virtù, dove tutto lo scibile concorre a prestare la sua quota all'alta fantasia del poeta. Né qui temo che al- tri si rida di queste mie ragioni, quasiché fossero con eccessiva esagerazione descritte. Se quanto detto é sin qui sia vero, basti cercarne testimonio nelle an- tiche e nelle recenti edizioni: basti por mente alle solenni parole che quinci e quindi sono scritte e stam- pate a difesa dell' uno o dell' altro codice; basti il richiamare l'attenzione alla edizione fatta per ordine dell'imponente consesso che presiede a cogliere il più bel fiore dell'idioma di sì, per vedere quali ebbero luogo nel testo e quali lezioni allora furono rilegate in postilla, quasi meno buone; delle quali non poche in questi nuovi tempi, da una più matura e più giù- 222 Letteratura diziosa disamina ebbero inappellabilmente lo scam- bio: basti il sapere che i più gravi ed i più istruiti ingegni, che nei giorni più prossimi all'autore stu- diarono su questo libro, non ardivano portare giu- dizio sulla preferenza dell'una o dell'altra lezione dei codici lor venuti tra mano. Né in questo io prendo per esempio altri che uomini sommi: io dico di mes- ser Giovanni da Certaldo, e di messer Benvenuto da Imola. Il primo ne' suoi 62 anni, consumati con tan- to profitto nello studio delle scienze e delle lingue dotte, che fu tenuto una meraviglia della sua età , imbattutosi nella variante del v. 42 dell' inferno canto I, dove altri legge: Di quella fera alta gaietta pelle', ed altri Di quella fera la gaietta pelle; egli mo- destamente dice suo parere e si contenta di spiegare l'una e l'altra lezione per buona: ed in quell'altro del canto II, V. 25 Onde mi dai tu vanto, nel quale altri codici hanno li dai^ tenne la stessa precauzione. E dove nel canto IX il suo codice porta il v. 75, così: Drizza il nerbo Del viso su per quella fiamma an- tica: nel quale non pochi altri leggono correttamente schiuma in luogo di fiamma: egli il Boccaccio non avvisa l'errore della lezione; ma comprende che quel- la fiamma è una dizione molto impropria per quel periodo; pur non ardisce darne sentenza, e solo tra- vagliasi di tirarla a così fatto concetto che in qual- che guisa soddisfi alla sentenza del testo : « Qual que- sta fiamma si fosse (così commenta), per la quale egli gli dimostra inverso qual parte riguardar debba, o alcuna di quelle che all'entrar della nave di Flegias vide, o altra, non si può assai chiaramente compren- dere: crederei io, che ella fosse alcuna fiamma usa continuo di essere in quel luogo, nel quale allora Commento di P. Alughieri 223 era: e questo credo, perciocché egli la chiama an- tica , forse a differenza di quelle, delle quali dissi che nuovamente eran fatte. » Tale fu il tentennare del sommo Boccaccio nello scontro di una lezione falsa; tale il suo procedere in altre molto dubbie : ma sempre in ogni dove circospetto e rispettoso e devoto al suo testo. Come questo chiosatore , così non rare volte fece Benvenuto ; di cui per brevità non voglio arrecare che un solo punto. Nel canto XXVI, V. 104 Par., dove correttamente leggiamo /)a te la voglia tua^ alcuni codici veduti anche dal Boc- caccio leggono Dante la voglia tua. Messer Giovanni tenne questa lezione per vera nell'introduzione al suo commento; ma Benvenuto, riferita la prima come buo- na, poi si contentò di esporre anche la seconda sen- za avanzarsi a riprovarla, e disse: « Aliqui tamen vo- lunt quod auctor hic inserat nomen suum proprium, et legitur sic: 0 Dante.) io discerno meglio la voglia tua. Et forte prima littera est melior : sulTiciebat enim , quod auctor se nominaverat semel in fine purgato- ci, et ibi se excusarit dicens che di necessità etc. Sic et Virgilius dux eius nominavit se semel tantum in opere toto, similiter Horatius; sed in hoc non facio magnam vim. » Così procedono cauti i pili gran ta- lenti che prendono ad esaminare questo portentoso poema: tutti dubitano , tutti tremano di errore nel sentenziare sul sì e sul no delle varie lezioni, se pur non siano apertamente errate. Ed oh quanto più de- gna di onore è cotesta riverenza al testo che non quella di chi vola di tratto a dichiarare falsa o l'una o l'altra ! Siasi pei mille, che potrei nominare, il ri- trattare che fece non meno ingenuamente che pronta- mente lo stesso monsignor canonico Dionisi, che in 224 Letteratura più luoghi dei suoi Dettati non esitò a dirsi stato in errore. Come là nei suoi Blandimenti funebri al § XV in nota, confessando al p. Lombardi la pal- ma sulla preferenza di una variante prima da esso acremente oppugnata. Né questo io volli qui citare a danno del merito grande che ne' suoi studi sul- la commedia le assai volte si procaccia il veronese letterato 5 ben anzi il feci per aver campo a racco- gliere senza offesa altrui, che se uomini di somma critica, lungamente in tali studi versati, ebbero a ten- tennare e talora a pentirsi di aver prima pensato ad un modo per doversi appigliare ad un altro: non po- trà oramai addurre meraviglia al volto di alcuno per- chè diciamo, che il giovane Pietro, tuttavia studente nelle università, non poteva entrare in certe minute e trascendenti disamine della lettera e dello spirito del più artifizioso lavoro che ia sapienza e la fan- tasia umana sapesse escogitare : e cresce a mille e mille doppi la nostra ragione ove altri ne permetta di osservare, che quest'opera stupendissima è di tale oggetto che, non che potesse allettare uno studente di legale a studiarla, doveva piuttosto e per l'ardui- tà dell' argomento , e per la lingua universalmente sprezzata dai letterati, quasi solamente degna di so- nare in bocca alle femminelle, riguardarlo quale in- ciampo di disprezzo presso i letterati , o di perdi- mento di quei giorni, e he più utilmente poteva, an- zi doveva, anzi aveva la più pressante necessità di dedicare ai propri studi. IV. So bene io che a quest'ultima conclusione il mio chiarissimo avversario moverà un pocolino la boc- ca a riso: e crollato gravemente, non senza qualche dignità, il capo, mi supporrà dimenticato di quanto Commento di P, Allighieri 235 egli col Dionisi ritengooo per avverato nella storia del Filelfo: che cioè Pietro non già usasse alle uni- versità, ma sempre fosse col proprio genitore (sem- per erat cum patre): nondimeno senza offendermi di questo richiamo ai principii da esso lui tenuti per certi; io ripeto su miglior fondamento, voglio dire sulle regole della sana critica, ripeto che Pietro divenu- to per suo diligente ingegno e per suo lungo ed assi- duo studio il più celebrato ed il più sapiente legale de' suoi giorni, intanto che fu, siccome egli stesso modesta- mente riferisce nel suo proemio al commento, da tutti a- vuto qual degno figlio di sì celebrato poeta, fa argomen- tare a tutti che a sì gloriosa meta non sarebbe pervenu- to mai se come il padre fossesi per 2 1 anni occupato a scendere e salire per le altrui scale. Di questa conclu- sione adduciamo tal testimonio che niuno, speriamo, vorrà sospettare, neppure l'avversario stesso. Noi par- liamo qui ed intendiamo di monsignor canonico Dio- nisi: la cui critica , semprecchè gli occhi della sua mente non vengono offuscati dalle proprie invenzioni, si mostra fornita di così fina e conseguente logica, e dotata di sì buon gusto, da elevarlo al grado di qua- lunque dei più svegliati intelletti che si occuparono della commedia di Dante. Questi, ragionando di altro che di chiose e comenti, nel quarto de' suoi annedoti al capitolo 21, carta 1 17, m jzo^a, ha queste formali parole contro il Filelfo. » Gio. Mario Filelfo (presso '1 Mehus nell'Am- brog. pag. 259): Petrus autem quum Florentiae eoe- pisset navare operam iuri civili, deinde Senae^ Bono- niae demum studium cxplevissel ; esseique iure con- suUus effectus^ doctoratusque donatus insignibus^ assi- due^ dum pater vixit, eum secutus estpientissime. Post G.A.T.CVIII 15 236 Letteratura ■patris ohitum^ dimissa Ravenna^ Veronam accessit^ et cum assiduitate consultandi^ tum felicitale patriae me- moriae^ mullorum adiumentis ditissimus factus est, in- coluitque Veronam^ ecc. » Non m' è avvenuto nelle tante memorie per la vita di Dante del sig. Pelli di scontrarlo mai in al- cun viagg^io con Pietro, e né pure con altri. A buo- na ragione finche questi a' suoi studi attese in Fi- renze, in Pisa (Filelfo scrive Senae)^ in Bologna, non potea seguire il padre suo con tanta pietà , quanta dice il Filelfo. Seguillo, dirassi, ricevuta la laurea. Dante intanto era morto. Il domicilio di Pietro in Verona non può negarsi: e questo è ciò che col co- mento attribuitogli non si concilia ; che non sa. dir niente l'autore né di Cangrande benefattor del poeta, né di Verona, che fu al vero Pietro e alle sorelle svie in luogo di madre. » Così bellamente e sana- mente ragionava il letterato veronose, purché se ne eccettuino le ultime parole, dove ei rificcato il pen- siero alle sue invenzioni in ordine al veltro ecc., di vera luce tenebre dispicca. Poiché in fatto se l'au- tore del commento nulla dice di Verona e di Can- grande, non è conseguente il dire, che uua sa dir niente di questi; basta solo dire che ei non ne par- la: perchè (anche sapendo che dire) non credeva op- portuno di parlarne. In verità il silenzio non è sem-r pre certa prova dell'altrui ignoranza E però strin- gente molto quello che monsignore conchiude della moltiplicità dei viaggi di Pietro nella compagnia di Dante. Imperocché se Pietro questi dovea farli dopo la laurea. Dante intanto era morto. Il che doveasi dimostrare a distruzione dell'argomento preso da M. Filelfo. Commento di P. Allighieri 237 V. Le (liflìcokà sin qui accennate riguardano l'arduità del testo della commedia, quale fonte ine- sauribile di dubbi, di oscurità, e di incertezze quasi ad ogni verso, sia per la lettera, sia per le sentenze, sia per l' allegoria. Ma dietro a queste , che dir si possono tutte proprietà del libro in se, altra si pre- senta troppo più pericolosa e frequente di quelle. Io intendo qui parlare della ortografìa indeterminatis- sima del secolo XIV: la quale, fedele più alla pro- nunzia che alla distinzione dei vocaboli pronunziati, spesso, o dirò meglio sempre, congiungeva l'una pa- rola coU'altra ; di forma che raro o non mai s'in- contra nelle scritture di quell'epoca monosillabo che non sia connesso o colla seguente o colla dizione antecedente; frequentissima la soppressione dei mono- sillabi composti di sola vocale, sempre che s'abbat- tevano in vocabolo che cominciasse da quella, o che in quella fosse terminato : mancanza assoluta delle virgole, del punto sopra l'i: niun uso dell'apostrofo; e tali altre distinzioni saviamente introdotte nella or- tografia presente, a necessaria cessazione delle male intelligenze, ed a certa fissazione del concetto nei let- tori: i quali faceansi lecito di considerare un vocabolo come semplice, o come composto di altri, di termi- nare il sentimento più ad una che ad altra dizione: e quindi era loro lecito di leggere pili a questo che a quel modo, siccome la fantasia, la poca ola molta intelligenza , o il desiderio faceva ad essi supporre che cosi avesse voluto esprimersi il poeta. Questo scoglio, già molto forte per se quando la scrittura sia per lo meno corretta nel numero delle lettere , viene di molto aumentato per la incuria, eia igno- ranza degli amanuensi. Noi facciamo punto a que- 238 Lettreatura sto arjjomento col rimandare quei lettori, che amano più pienamente conoscere quanta pena sia nel leg- giere sensatamente i codici del XIV e del XV se- colo, all'annedoto V di monsignor Dionisi: dove da buon maestro si tratta dei codici fiorentini, e più par- ticolarmente nel capitolo IV, dove è discorso <( Del carattere dei manoscritti. )> Ne sia chi ne faccia o questa o altra istanza di simil natura: « Supposto che il figlio del poeta fosse in possesso dell'autografo del poema, scompaiono tutti gli incagli (supposti o veri nei codici) degli amanuensi: » poiché, io soggiungo, dato vero per ora cotal suppo- sto, e non concesso, scomparirebbero si certo le dif- ficoltà che dalla ignoranza, dalla incuria e dalla inav- vertenza dei copisti sarebbero procedute; ma fermi sempre ed inevitabili durano quegli altri tantissimi sconci che sono colla ortografia necessariamente con- giunti ; ed a questi si uniscono quelle molte diffi- coltà che dalla fortezza ed arduità della sintassi non possono andare disgiunte: le quali ultime non sono in cosi picciolo dato, come altri si crede. VI. Dissi che nell'autografo altresì durano le diffi- coltà procedenti dall'ortografia di quel tempo: e così è senza dubbio. Imperocché la maniera di scrivere, che nel secolo XIV seguivano i copisti, era molto simile, per non dire tutta uguale, alla seguita dagli autori di maggior voce. Ora a questi erau così igno- te le virgole per distinguere gli incisi del periodo, come lo erano l'apostrofo, il punto sull'i e l'accento sopra di alcune vocali. A questi pure come ai copi- sti era vezzo, o dirò più veramente, era regola quasi imprescindibile, l'ingolfare i monosillabi colla parola seguente o colla antecedente: l'unire l'una coU'altra pa- Commento di P. Allighieri 239 rola, e non poche di quelle altre cautele che i sus- seguiti scrittori hanno conosciuto necessità d' intro- durre. Chi di questo vuol prove di fatto si rechi alle mani i brani che del Petrarca (per quanto i tipi mo- derni lo consentono) mandò alle stampe il beneme- rito Lodovico Muratori, ovvero gli autografi che tut tavia del Petrarca, del Boccaccio e d'altri dello stesso torno in diverse biblioteche d'Italia sono gelosamente conservati; e sì ne andrà più che persuaso della stret- ta rassomiglianza che tra gli autori e gli amanuensi del trecento correva in poesia ed anche in prosa. Chi vorrà quindi ancor dubitare che a quella del Petrarca e Boccaccio non somigliasse l'ortografia dell' Allighic- ri, che alquanti anni visse coll'uno e coll'altro ? Laon- de sebbene per additarne la vera ortografia ci sia vietato di citare il manoscritto del nostro autore, nin- no ci darà sulla voce, se a conferma dell'assunto di- remo che dalla scrittura di Dante non potevano non sorgere quei dubbi, equivoci, ed errori di lettura e di intelligenza che dalla ortografia del 300 necessa- riamente hanno principio e cagione. Ondechè si ar- gomenta che sebbene Pietro avesse veduto l'originale di tutto il poema, era tuttavia soggetto a quella mol- titudine di errori e di male intelligenze, dubbi e per- plessità, di cui non è molto si è fatta menzione. VIL E qui stiamo anche nel supposto che Pietro ve- desse l'autografo: ciò solo potè addivenire quando, morto l'autore già da otto mesi , furono rinvenuti con altre scritture in quell'umida fenestruola, di cui parla il Boccaccio, gli ultimi 13 canti tutti coperti di muffa e vicini alla corruzione. QuesC altre scrinare così gelosamente rinchiuse col parto più caro del poe- ta, dovevano essere a lui ugualmente care: se tali, '240 Letteratura è supponibile che alcune, se non tutte, appartenessero alla commedia. E se i tredici canti nuovamente scritti dall'autore erano cotanto mal conci; chi temerà con" chiudere che ben più danneg^giate non fossero quelle altre scritture, che esemplate fingono dieci o dodici anni addietro? Ma uno scritto coperto di muffa e vicino alla corruzione si fa difficile a leggere; più cresce la dif^ ficoltà quante più sono le inesattezze della ortogra- fìa, frequente di nessi e di abbreviature. E con que- sto sopravviene ad accrescere gì' incagli la savia os- servazione di Ugo Foscolo (1): che delle molte va- rianti dei codici alcune spettano alla mano stessa del poeta: e queste pare indubitato che esistessero nel- l'autografo o marginali, o interlineari; o nell'uno e nell'altro modo. Chiunque, avvertito simile stato del- l'autografo, l'ortografia e la natura della poesia, pre- tendesse che i menanti non commettessero mende , questi sarebbe non meno indiscreto né più ragione- vole di colui che pretendesse l'impossibile. Vili. Dissi testé che il figlio, vivente il padre, non potè consultare l'autografo del poema: ora vengo a darne le prove. Che Dante fosse di naturale anzi ri- servato che no, si raccoglie dal Convito (2) dove di- ce che <( il savio uomo dee la sua presenza dare a pochi, e la famigliarità a meno: » si raccoglie non meno dalle relazioni che del suo contegno in con- formità di tale sentenza del Convito, ne tramanda- rono, Gio. Villani il Petrarca e il Boccaccio (3) [tutti (i) Discorso sul testo della Commedia di Dante AUighieri.Lu- g.ino 1827. Vedi i §§. 186, 187, 188 e seg(if. (2) Conv. tratt I, cap. 4. (3) Vita e commento. Villani Cron. libr. 9. e 135. Petrarca Epist. al Bocc. lib. XII. epist. ult. 1601. Commento di P. Allighieri 241 vissuti al tempo che Dante era nella sua maggior fa- ma. Il Boccaccio, nella vita di lui, de' suoi modi ed abitudini , usa queste formali parole : « Fu questo nostro poeta di mediocre statura ed era il suo andare grave e mansueto e sempre nella faccia malinconico e pensoso Nìuqo altro fu più vigilante di lui negli studi , e in qualunque altra sollecitudine il pungesse; intanto che più vol- te e la sua famiglia e la sua donna se ne dolse- no, prima che a' suoi costumi adusate ciò mettessi- no in non calere. Rade volte , se non domandato , parlava; non pertanto laddove si richiedeva, eloquen- tissimo fu e facondo, e con ottima, e pronta prola- zione . . . Dilettossi similmente di essere solitario , e rimoto dalle genti, acciocché le sue contemplazioni non fossino interrotte; e se pure alcuna che molto piaciuta gli fosse gliene veniva, essendo esso tra la gente, quantunque di alcuna cosa stato fusse addo- mandato, giammai insino a tanto che egli o fermata o dannata la sua immaginazione avesse, non avreb- be risposto al dimandante; il che molte volte, essen- do egli alla mensa o essendo in cammino con com- pagni, o in altre parti, essendo addimandato, gli av- venne. » Giovanni Villani nella cronaca così parla del naturale dell'Allighieri: « Questo Dante per suo savere fue alquanto presuntuoso e schivo e disde- gnoso, e quasi a guisa di filosofo male grazioso non bene sapeva conversare coi laici. » Laico a quel tem- po equivaleva a persona idiota, o poco versata nelle scienze e nella lingua latina. A questi due celebri scrittori fa eco il Petrarca nel suo «libro secondo del- le cose memorande » là dove al capo 4 De Tronia descrive Dante in questa forma : « Dantes Allighe- 242 Letteratura livis et ipse concivis nuper meus, vii' vulgari eloquio clarissimus fuit, sed moribus parum per contumaciam et orationem liberior, quam delicatis ac studiosis aetatis nosti ae principum auribus , atque oculis acceptum toret. » E continua a dire come sollazzandosi gli al- tri personaggi della comitiva di Cangrande, mentre uno giullare faceva suoi lazzi , Dante mostrava di poco o nulla parteciparne. Il perchè proverbiandolo COSI lo interpella il principe: « Miror quid causae subsit, cur hic, cum sit demens, nobis tamen omni- bus piacere novit, et ab omnibus diligitur, quod tu^ qui sapiens diceris^ non potes ? etc. » Sulla quale maniera del nostro Dante schiva e difficile ritorna scrivendo al Boccaccio della stima che esso faceva del suo talen- to; e così dice: « Quod ad me attinet, miror ego il- lum et diligo, non contemno. Et id forte meo iure dixerim . si ad hanc aetatem pervenire illi datura esset, paucos habiturum quibus esset amicior quam mihi: ita dico, si quantum delectat ingenio, tantum moribus delectaret. » Quindi argomentiamo che quel severo contegno (di cui parlando nel Convito vuole che l'uomo buono dia la sua presenza a pochi , e la familiaritade a meno) si estendeva non solamente ai laici, come dice il Villani, ma anche a non poche delle persone letterate. Finalmente abbiamo da Ben- venuto Rambaldi da Imola che, «* Dantes fuit tardilo- quus multum (1): incessum eius erat gravis et man- suetus . . . facie scraper melancholicus, meditabundus, speculativus . , . raro, vel nuraquara ridere solebat (2). » A questi contemporanei unironsi poscia i succeduti (1) Commento al ciinlo 1, v. 61. (2) Ivi cant. Il v. 6. Commento di P. Allighieri 243 scrittori di Dante, tra' quali citiamo il solo Leonar- do Bruni aretino, che disse di lui: « Era uomo molto pulito , di statura decente, e di grato aspetto, e pie- no di gravità, parlatore rado, e tardo, ma nelle sue risposte molto sottile. (1). » Così venne costantemente descritto in ogni tem- po, da quanti presero a farne parola, il nostro Dante: dalla quale costante uniformità di sentenza, che dai contemporanei si mantenne sino agli storici più a noi vicini, possiamo, o dirò più veramente, dobbiamo conchiudere , che egli in tutto il rigor dei termini fosse e malinconico^ e tardo nel parlare e nel ridere ; e che più che la conversazione amasse la solitudine: e di continue e profonde contemplazioni fosse non ra- re volte occupato. Alla quale usanza, cotanto naturale in esso, dobbiamo tenere per fermo che andasse sog- getto così in ogni luogo ed in ogni tempo , come con qualunque persona in che si abbattesse, e molto più con quelli di sua casa; coi quali era meno te- nuto ai riguardi delle esteriori e superficiali conve- nienze. Questo che teniamo per verissimo, parlando generalmente del conversare in società , ne sembra che poi a mille a mille cotanti si aumenti nella sua riservatezza quando sia discorso di tenere conversa- zione domestica intorno alle proprie speculazioni, vo- gli scientifiche, vogli poetiche : per le quali rifugge veramente l'animo dal figurarsi un tanto uomo, e co- sì naturato, trattenere i figli non ancora usciti dalle scuole, discorrendo loro delle più astruse materie che umano intelletto abbia mai disteso sulle antiche o sulle nuove cuoia: e questo farsi da lui, che sdegno- (1) Vita di Dante. 244 Letteratura gissimo manda a rivedere i propri Lidi chi gli an- dò dietro in piccioletta barca; da lui che solo chiama dietro al suo legno, che cantando varca, quei pochi eletti che per tempo hanno drizzato il collo al pan de- gli angeli (1). Ma dato pure che queste cose non distassero tanto dalla giovanile capacità, quanto si di- scorda da terra il ciel che più alto festina: di vero che è senza meno ridicola supposizione quella di chi vuole Dante commentatore della commedia ai pro- pri figliuoli, e in quel tempo stesso che l'avversa for- tuna paterna stringeva questi a farsi idonei per qual- che professione utile ed onorata, onde sovvenire alle urgenti bisogne della propria casa. E più ridicola ancora diventa la cosa dove altri si figuri ciò do- versi fare in quelle rare volte che alcuno dei figli sarassi presentato con lungo viaggio ad ossequiare nel tetto altrui il genitore da molti mesi non più vedu- to. Laonde noi possiamo francamente ripetere che, vivente il proprio genitore, né fu veduto dai figli l'autografo della divina commedia: né si fa probabile che i figli lo interrogassero confidentemente sulle dub- biezze del testo: né molto meno che il poeta mai si- trattenesse con essi intorno al cominciato lavoro, lì che, dove non fosse già più che ampiamente prova- to, diventerebbe certissimo per chiunque voglia ri- flettere che altra prova non dubbia si ha dalla cir- costanza narrata dal Boccaccio , che il manoscritto degli ultimi tredici canti fu solo che otto mesi dalla morte dell'autore colà stesso rinvenuto dove perso- na vivente non avrebbe mai pensato che fosse rac- chiuso. Che si raccoglie da ciò ? dimestichezza e con- (I) Parati, e. 11^ sul principio. Commento di P. Allighieri 245 fidenza di Dante verso dei figli , o quella naturale sua riservatezza, di cui tutti parlano gli scrittori che toccarono delle sue cose e della sua vita? Questo valga di risposta a chi credette e crede che Pietro o vide l'autografo, o sulle dubbie lezioni del testo poteva interrogare il proprio genitore. IX. L'autore dell'articolo, di che stiamo discor- rendo, ricalca fedelmente le vestigie dell'egregio mon- signor canonico Dionisi per dimostrare a' supi lettori che il conteso commento non può essere lavoro di un figlio di Dante: e come il letterato veronese ave- va fatto ne' suoi Annedoti^ così egli pure ci ricanta la testimonianza di Mario Filelfo in queste parole: Ognuno concederà volentieri, io rispondo, che Dante non abbia scritto automata., e che grande sia la differenza che passa tra entomata ed automata', ma tutti si maraviglieranno meco della poca, anzi della niuna precisione usata dal chiarissimo avversario nel- l'intejpretare le parole del libro. Noi vogliamo te- nere questo per inavvertenza; che non sappiamo du- bitare dell'onoratezza dell'oppositore: il fatto però sta che nel commento non trovasi né atomata., né auto- mata., ma chiaro e preciso athomata:, il qual termi- ne non potrà mai essere confuso coU'altro di atomi., che in latino scrivesi senza h ed è di genere ma- schile, come la gramatica insegna. Il nostro avversa- Commento di P. Allighieri 271 rio suppose doversi leggere automata dove era scrit- to athomata^ con che mostrò aver lui supposto er- rore di scrittura nel codice : ma sarebbe stato più conseguente se avesse supposto che l'amanuense male esemplasse il suo autore: e che dove scrisse athoma- ta dovesse scrivere enthomata., come il testo richiede. Infatti la spiegazione che seg:ue, e la citazione esatta di Aristotele e del suo commentatore, fanno prova che il chiosatore lesse , intese , e spiegò a dovere : « Voi siete quasi entomata ec. » Né ci crediamo errati in questa supposizione: poi- ché nel codice Vaticano Ottoboni num. 2867, con- tenente lo stesso lavorò di Pietro, leggesi a quest'al- tro modo: Item quomodo sic etiam remanemus quasi allomi, illa seilicet corpiiscula informia^ quae agitali' tur per radium solis transeuntem per aliquam umhram. In defechi^ id est deficiente in nohis spiritu. Sive ut illi vermes quos phìlosophus in libro de somno et vi- gilia vocat enthoma. Ecco qui un documento che mostra quale orribile guasto abbia fatto il copiato- re al commento: forse il chiosatore pose le due spie- gazioni rispondenti alle due lezioni diverse del testo, mentre alcuni codici, e sono molti, leggono attomata: altri, e sono molti più, leggono correttamente ento- mata. Ma ninno, tranne il codice bartoliniano, legge automata.) come il nostro oppositore volle supporre aver letto anche Pietro. XXI. Or viene un altro sbaglio fortissimo con- tro l'autore del commento, e tale che basta a toglie- re a Pietro il merito di esserne autore. « Al can- toXIV del purgatorio così si legge: << Dimandai tu^ che più gli t' avvicini E dolcemente, sì che parli, accolo: » cioè accoglilo (soggiunge l'autore dell'arti- 272 Letteratura colo). E Pietro spiega accolo in questa maniera: Ita dulciter petat^ et quaerat ah ipso auctore ut atictor loquitur. et respondeat ad colum: id est quod non di- mittat eas (umhras) in suspemo ...Et sic vuU dicere qnod auctor; loquatur ad colum id est tantum et ta- llter.^ quod eas quietet in auditu., licet ulterius valeat loqui. Lezione insulsa e ridicola, e indegna non che di Dante, ma neppure del più miserabil pedante, » Ottimamente, io rispondo: è questa una lezione indegna di Dante, che certo usò accòlo per accoglilo: ma ])Ossibile a venire in mente a molti di quei suoi lettori, che per la ortografìa antica nell'un vocabo- lo accòlo potevano supporne due e leggervi a colo. E poiché il testo non presentava l' intera accoglilo^ dizione unica, o verbo con affisso il pronome Zo, ma nella non avvertita licenza poetica accòlo , per acco- glilo, dava occasione a gravissimi equivoci; in con- seguenza presentò ai lettori ed agli interpreti l' in- ciampo di assottigliarsi per contorcere e spezzare quel misterioso accòlo in guisa , che si prestasse ad al- cun plausibile concetìo. Il perchè diviso il vocabo- lo oscuro nelle sue parti a colo., immaginarono que- sto colo significare una delle parti maggiori onde si compone il periodo oratorio. Questo veramente fu erro- re, ma non così goffo che non fosse seguito da tutti i principali chiosatori del secolo decimo quarto. Che se così è, come il fatto con molte persone lo prova, qual grave stranezza è questa di far sì grave carico di una cengettura così fatta, che debbasi togliere a Pietro il merito di una opera, solo perchè lesse ed intese come lutti lessero ed intesero i più sottili ingegni de' suoi tem- pi, e non pochi di alcun secolo posteriori? Dei quali ba- sti il citare il Landino, il quale così comentò quel pas- Commento di P- Allighieri 273 so: « Parli a colo : parli a perfezione : imperocché colo è punto fermo, il quale si pone quando la sen- tenzia è finita. » Se la chiosa di Pietro è cosi indegna, che debba privarlo del nome di commentatore, dicasi dunque lo stesso del famosissimo Landino: il quale gode meritamente nome chiarissimo tra i più dotti uomini del secolo decimo quinto, e tiene il primo posto tra i commentatori di Dante. XXII. Altro forte aggravio si dà all'autore del commento, perchè : « contro la comune delle edi- zioni nel canto IX del purgatorio così legge: E che la mente nostra peregrina Men dalla carne e più dai pensier presa. Dicendo : In qua etìam hora matutìnali mens nostra peregrina minus a carne et plus a cogitatione occupatur. E prende peregrina per eccellente^ nobile ec. come si ricava da ciò che dice appresso, men- tre Dante col peregrina dalla carne ha voluto in- tendere divisa dai sensi. » Non ci ritiriamo dall' ammettere per verosimile che Dante col peregrina dalla carne abbia inteso di- visa dai sensi^ come spiegarono i più recenti com- mentatori : ma non ci pare nemmeno così strano l'errore di Pietro che, abbattutosi in un punto, dove il suo codice leggeva (1) Ciò fece la filiale pietà di Pietro. Mentre tutti a quel tempo e gridavano e scrivevano e credevano che la corda era immagine della frode del poeta, egli co- raggiosamente, a detergere dalla fronte paterna così abbominevole marchio, fu il primo a mostrare che nel particolare del protagonista non altro significava che fraudi usate in amore. Qual' altra via poteasi immagi- nare mai che meglio mitigasse quel difetto, che quella di ridurlo al minimo dei peccati? a quello da cui pochi dei viventi possono dirsi mondi perfettamente ? Ben lungi adunque die nelle chiose di Pietro siano banditi colla tromba ed esagerati i difetti paterni; è piutto- sto vero che l'espositore adoperò l'arie più fina che una sana logica presentava, per occultarli dove era permesso; e dove no, seppe trovar modo che fossero presentati nella massima loro diminuzione. Ed ecco mostrato per belle prove non esser vero che Pietro autore del commento abbia mancato alla riverenza pa- terna. Ora passiamo alle altre accuse. XXVII. » In quarto luogo egli si mostra ignaro dei luoghi, delle persone, della storia e dei fatti ben conosciuti da tutti al suo tempo. A quei versi del (1) Inf. cap. 16 colla variante ilei Coti. Valic.iiio 47o2. 286 Lettreatura canto VI dell'inferno, ove Dante dimanda a Ciacco: Ma dimmi^ se tu sai^ a che verranno Li cittadin della cittàpartital egli spiega partita per traslatata, o com- posta di due sorte di gente, dicendo: Si scit ad quid venire debent cives civitalis partitae^idest Florentiae^ quae de Faesula translata est , quia dum faesulani vieti essent a romanis et venissent ad misericordiam, firmatum fuit ut ipsa civitas faesulana destrueretur^ et de eius gente prò medietate formaretur civitas Fio- rentiae. Et hoc est quod dicit partitam, scilicet de di- ctis duabus diversis gentibus. E partita per traslata, 0 composta di due sorte di gente^ posto cosi assolu- tamente: come può egli stare ? E a Pietro poteva es- sere ignoto che la pitta partita era la città divisa in due fazioni ? » Omesse, per brevità, le quistioni secondarie, ci terremo ad osservare un nonnulla intorno alla prin- cipale, che direttamente spetta al nostro argomento. A Pietrolnon era ignoto che la eillà partita era la città divisa in due fazioni: ancora, egli, meglio che l'op- positore, ben sapeva avvertire, che se città partita significasse né più né meno che città in due fazioni divisa , il poeta non avrebbe con tal frase accen- nata la città di Firenze ad esclusione di qualunque altra italiana de' suoi giorni. In fatti erano in due fazioni miseramente divise e Lucca e Pisa e Pi- stoia e Siena e Genova ed Arezzo, e dite voi di tutte le città del giardin dell'impero, Ondeché la doman- da ti a che verranno Ij cittadin della città partita » fece comprendere all'attento chiosatore, che il poeta con simili parole mirava ad una antichissima e gra- ve tradizione che allora correva intorno alla origine della gran Villa suW Arno. Né mal si appose, per Commento di P. Allighieri 287 quanto io ne veda. Nella cronaca di Giovanni Vil- lani, al libro I capo 38, ove narrasi come da pfìma fu edificata la città di Firenze^ così leggasi nella chiu- sa: « Ella fu popolata della miglior gente di Roma, e di più sufficienti, mandati per li senatori ,|di cia- scun rione di Roma per rata (testo errata) come toc- cò per sorte, che l'abitassero. Ed accolsero con loro quelli fìesolani , che vi voUono abitare .... E nota pet'chè i fiorentini sono sempre in guerra^ ed in di- visione tra loro: che non è da maravigliare, essendo stratti e nati di due popoli così hora contrari e ne- mici, e diversi di costumi , come furono i nobili ro- mani vertudiosi, e' fìesolani crudi, ed aspri di guer- ra. » Non è certo che Pietro, quando cosi commentava nel 1340, avesse già veduto il libro del Villani, il quale non fu terminato che pochi anni prima del 1348: ma per altro è certissima cosa che questa fosse la tradizione volgare, che di quel secolo correva, intor- no all'origine della città, e delle traversie onde Fi- renze fu per tanti anni miserando teatro. Né meno certo è che Dante ciò sapeva e riteneva per vero: poiché nel XIV dell' inferno parla di quei Romani che rifondarono Firenze ed ivi rimasero; e tosto com- memora il popolo che discese da Fiesole ab antico e tiene ancor del monte e del macigno', e delle bestie fiesolane, gente avara invidiosa e superba: il che si con- forma alla frase cittadini della città partita che for- ma lo scopo della quistione presente. Ciò ben sa- peva Pietro per lo senno a mente: e, quasi che ne avesse avuto dal padre opportuno ammaestramento, offrì ai suoi lettori la prima origine delle due parti; e con questo dimostrò che se tutte le italiane terre avevano la mala fortuna di essere partite, niuna pe- 288 Letteratura rò la conteneva così per essenza in radice come Fi- renze: la quale, essendo stata da prima composta nei suoi abitanti per tal modo , aveva l' infausta pro- prietà di essere antonomaslicamente appellata la città partita. E tanto valga a mostrare, se il nostro chio- satore sapesse perfettamente la storia della propria città. Io seguo l'oppositore. XXVIII. » Negli altri versi che seguono: Ed egli (Ciacco) a me: Dojto lunga tenzone Verranno al san- gue^ e la parte selvaggia Caccerà Valtra con molta offensione: egli spiega: cui respondet quod post lon- gam contentionem pars silvestris , id est guelfa (al- l' opposto è la ghibellina), et pars ghihellina venient ad bellum^ sed causam non dicit (la causa era nota lippis et tonsoribus). Et dieta pars silvestris^ sic dieta quia recusat parere ut animai silvestre domino 5Wo, (scilicet principi romano) prout debei. Due spropo- siti: primo perchè parte selvaggia fu così detta per esser capo di quella la famiglia dei Cerchi venuta in Firenze dai boschi di Val di Sieve, e Pietro non poteva ignorarlo: secondo, perchè se la parte selvag- gia, al suo dire, è la parte guelfa, come ricusava di obbedire al principe romano, mentre anzi teneva il di lui partito ?» I due spropositi esistono veramente, ma non sono così tutta cosa del commentatore e del suo menante , che non ne spetti gran parte all'av- versario fiorentino. Questo passo esiste in ben di- verso modo narrato nel codice Vaticano Ottoboni 2867, onde conviene argomentare che l'arbitrio di chi fece la copia fu ben altro che quale il voleva il proprio dlovere. Nondimeno, anche ciò posto, non manca di manifestarsi alcun grave errore in chi argomenta contro il commento stampato. Ivi è detto che la parte Commento di P. Allighieri 289 silvestre è la guelfa, e viene soggiunto: « All'opposto è la ghibellina. » Dove mai delle sue opere Dante chiamò silvestre la parte ghibellina? Io ben so che in pili luoghi egli disse crudi , acerbi coloro che si opponevano al comando dello imperatore romano : so che selva fu detta tutta quanta è la vallata dell'Arno oye tanto potevano i guelfi: so essere stato denomi- nato secolo selvaggio il mondo del suo tempo , per la ragione che non voleva obbedire al ministro della vergine Astrea; ciò che addiveniva contro gli sforzi dei ghibellini. So ancora che nel canto VI del purgato- rio, imprecando il giusto giudizio divino sul sangue di Alberto tedesco non curante della sua Roma, che vedova abbandonata chiamava: « Cesare mio, perchè non mi accompagne ? » cosi apostrofava contro gli avversari dei ghibellini : « Guarda cora'esta fiera è fatta fella Per non esser corretta dagli sproni Poi- ché ponesti mano alla predella ! » E cotesta fiera fatta fella era l' Italia ricalcitrante all' imperatore. E con- tro l'imperatore che non puniva costei ricalcitrante gridava: « 0 Alberto tedesco, che abbandoni Costei che è fatta indomita e selvaggia^ E dovresti inforcar li suoi arcioni ec. » E questo non fu mai rinfacciato ai ghibellini, detti per antomasiate parie imperiale. Dunque chi esemplò il codice stampato non errava nell'avvertire che la parte selvaggia è la guelfa. Né fa contro il dirsi che la parte dei Cerchi si dicea selvaggia per esser questa famiglia discesa a Firen- ze dai boschi di vai di Sieve: l'amanuense, amplia- to ciòcch'era di una frazione, quanto il poeta le appro- priava espose in infamia di tutta la parte guelfa. XXIX. Il secondo sproposito poi è tutto, tutto quanto dell'avversario di Pietro. Il principe romano 290 Letteratura in qualunque delle varie opere dell'Alligfliieri è l'im- peratore: ma i guelfi erano detti, ed erano in fatti ed in opere, i dichiarati nemici dei ghibellini, perchè appunto questi invocavano il ristoramento dell' an- tico romano impero. Come dunque si è bene apposto chi disse che la parte guelfa non ricusava di obbe- dire al principe romano^ merilre anzi teneva il di Ini partito ? Che poi il principe romano per Dante fosse l'imperatore, si ha da tutte le sue opere, a chi bene le intenda, ma sopra tutto dalle seguenti: Nell'epistola ad Arrigo VII si dà a questo imperatore il titolo di Romanoruni regi: nel paragrafo 5 (edizione di Li- vorno 1843) è detto «Novus Agricola romanorum: >► e nel § 6, e 7 della lettera ai principi italiani « è detto Komanorum prmGipem. » Nella monarchia ( lib. 2, cap. 1, edizione livornese 1845): « Cun» videam po- pulos . . . cum insuper doleam reges et principes in hoc unico concordantes ut adversentur domino suo romano principi. - Romanum pontifìcem - Romanum principem (lib.|^3, cap. 1,) e nell' ultimo. » Romanus princeps. » Io qui ometto altre citazioni per cessare la naia dei lettori, ai quali rimetto di portar giudizio di chi sia il secondo sproposito attribuito a Pietro; e dichia- rare quanto giovi l'opposizione presente per farlo non credere autore del commento che a lui viene ag^ giudicato. Sarebbe ancora da rispondere a quel franco detto contro Pietro, che egli non sapeva qual fosse la cau- .sa degli sdegni tra le due parti che vessavano Fi- renze nel 300, se fosse provato che egli veramente scrisse: « sed causam non dicit: » ma siccome l'edi- zione stessa arreca una variante di altri due codici, Commento di P. Allighieri 291 ove invece di sed causam non dicit , è scritto sed quando sit non dieit^ il che muta la quistione, io non credo aversi da gettare più parole contro l'incuria e l'ignoranza dei copisti : che non può ignorarsi dal- l'oppositore fiorentino per essere appunto nota lìppis et tonsoribus. XXX. » Nel canto XV del paradiso a quei versi Saria tenuta allor tal meraviglia Una Cianghella, un Lapo Saltarello Qual or saria Cincinnato e Corniglia. « egli annota: Comparationem f adendo per contrarhim de domina Cianghella della Tosa , et domino Lapo indice de Saltarellis de Florentia^ lascivis multum. Qui Lapo Saltarello non fu posto da Dante come lascivo, ma in opposizione a Cincinnato uomo one- stissimo e probo, come la Cianghella a Camelia. Ep- pure Lapo Saltarello viveva ai tempi di Pietro, il quale doveva sapere che il di lui peccato era ben altro che quello della lascivia. » Gran torto si accatta qui l'autore del commento dal suo chiarissimo avversario per aver tacciato Lapo Saltarello qual uomo lascivo, in questo tratto del- la commedia, dove a suo giudizio il peccato di lui era ben altro cbe quello di lascivia. Vediamo rapi- damente se l'aggravio sia debitamente apposto; e cer- chiamo in prima qual sia il significato di lascivia^ e poi a qual fine siasi qui addotto l'esempio del Salta- tarello contro Cincinnato. Lascivo^ così nella lingua latina, come nella ita- liana, ha per significazione primitiva quella di disso- luto^ dedito alla vaga Venere: ma oltre il senso di- 292 Letteràtdra sonesto, ne ha pure altro ehe meno offende, per cui Io stesso Virgilio disse di Galatea, lasciva puella', vo- glio dire ha il significato di, scherzevole^ amante delV or- namento superfluo^ o ricercato^ e ciò tanto nel signi- ficato proprio , quanto nel figurato : il che in altri termini potrebbesi dire vano^ vago^ vanaglorioso ec. L'uno e l'altro di questi due significati può conve- nire a Lapo Saltarello ed alla Cianghella della Tosa, secondo lo spirito del testo chiosato da Pietro. Im- perciocché se tutto leggasi il brano antecedente dei costumi degli antichi fiorentini messi dicontro ai mo- derni, verrà necessariamente innanzi agli occhi intel- lettuali del lettore così la temperanza del vestire e del trattare di quelli, come la stemperanza di questi nel vestire, nel trattare e nel costume. A dir vero io maravigliai forte al leggere nell'oppositore, che Zapo Saltarello non fu qui posto come lascivo^ ma come in op- posizione a Cincinnato uomo onestissimo e probo^ come Cianghella a Cornelia. Con ciò sia che Cincinnato così detto dal cirro negletto^ e Cornelia ammirata perchè non vantava altri ornamenti che i propri figli, sono quivi così contrapposti a Lapo ed alla Cianghella, come gli antichi fiorentini lo sono ai presenti. Però quei primi offrono immagine del vivere dei fiorentini al tempo di Cacciaguida, e questi la offrono dei fioren- tini viventi nel 300. Se Dante non mirava che a con- trapporre la modestia e la probità di Cincinnato e di Cornelia alla malvagità e disonestà dei due sopra detti fiorentini, di guisa che ninna parte vi potesse avere l'imputazione di lascivi., loro opposta da Pie- tro, parrà dall'esame delle cose quivi medesimo toc- cate. Vediamolo. Prima parla Cacciaguida degli an- tichi cittadini onde componeasi la sua patria che Commento di P. Allighieri 293 « Dentro dalla cerchia antica . . . Stavasi in pace sobria e pudica. Non avea catenella.) non corona, Non don- ne contigiate., non cintura Che fosse a veder più che la persona. » In questa pace sobria e pudica^ in questa temperanza di abiti., per le femmine, si troya un gran- de elogio non meno alla castità del costume, che alla modestia delle vesti. Di quelle donne adunque po- teasi dire, che non erano lascive né quanto al costu- me né quanto al vestire. Il simile fu affermato degli uomini: Bellicione Berti , quel del Nerh e quel del Vecchio, sommi personaggi in quel tempo antico, an- davano cinti di cuoio e d''osso., ed eran contenti alla pelle scoverta: imperciocché non solo è fatto avver- tito in sentenza il lettore che questi non erano la- scivi nel vestito, ma e si per quella fortissima simi- litudine offerta in questi due versi: « Non v'era giun- to ancor Sardanapalo A mostrar ciò che in camera si puote: » egli si fa più che manifesto come non erano la- scivi nemmeno nei costumi. Ma qui é certo che gli antichi sono commendati dal poeta come casti nel co- stume, come temperanti nel vestire: e questi antichi, uomini e donne, virtuosi nel costume e nelle vesti sono paragonati a tutto rigore a Cincinnato e Corne- lia. Dunque nei due famosi romani venne preso in considerazione la temperanza dell'abito e del costu- me, e sono tratti in esempio altressì come non la- scivi, cioè non dati alla libidine. Ma agli antichi fio- rentini si contrappongono i moderni uomini detti per infamia scolari di Sardanapalo , e le recenti donne che aveano catenelle, e corona, e contigiatura, e cin- tura che erano a veder- più che la persona, che non erano sobrie., non erano pudiche : e queste donne e questi uomini sono collettivamente rappresentati da 294 Letteratura una Cianghella e da un Lapo Saltarello : dunque il Saltarello e la Cianghella potevano dirsi qui contrap- posti ai non lascivi Cincinnato e Cornelia nella tri- ste loro qualità di molto lascivi. Dunque non bene si appose chi censurò Pietro che disse Lapo Saltarel- lo e la Cinghella con inarrivabile brevità lascivis mul- tum. Legga alquanto minutamente questo encomio ai fiorentini antichi, e vi aggiunga la veemente invetti- va di Forese contro le donne fiorentine, che trovasi al canto XXIII del purgatorio, chi vuole più di largo ammirare ed applaudire al fine criterio del nostro chiosatore antico. Che se ad alcuno piacesse di sentir prove di altro antico che tenga la sentenza di Pietro nell'interpretare questo luogo del paradiso, noi l'ab- biamo dall'ottimo commeato in queste formali paro- le: » Introduce qui una donna . . . chiamata Cianghel- la .. . donna piena di tutto disonesto abito e porta- mento, e parlante senza alcuna fronte, o alcuno abito o atto pertinente a condizione di donna: ed uno giu- dice nomato messer Lapo Salterelli , di tanti vezzi in vestire e in mangiare, in cavalli e famigli, che in- fra nullo termine di sua condizione si contenne . . . Or dice il testo: Chi avesse costoro due cos'i sfrenati introdutti ov'era tanta pudicizia e sobrietà., sarebbe stata cotale meraviglia, quale introducere ora tra co- tanti lussuriosi.) avari., vanagloriosi., golosi^ superbi., il valentissimo uomo Cincinnato e la castissima Corne- lia, moglie di Pompeo ...» 0 voglia dunque il chia- rissimo autore dell'articolo prendere lascivo nel si- gnificato disonesto di scostumato., o nell'altro di stem- perato negli ornati di abiti, di masserizie, di coltu- ra della persona, e della gola, dovrà sempre dire con Commento di P. Allighieri 295 Pietro che la Cianghella e Lappo Saltarello furono molto lascivi. XXXI. « Al canto XVI del paradiso. » Sovra la porta che al presente è cavea Di nuova fellonia di tanto peso, Che presto fia iattura della barca., Erano i Ra- vignani., ec. E Pietro; Ravignani., qui stabant in loco dicto Porta. Supponeva dunque, come dice il Dioni- si, che porta fosse nome proprio di qualche sestiere, o luogo particolare di Firenze, quando anzi è nome appellativo che specificasi dall'aggiunto, v. g. Porta 8. Pietro, Porta Faenza ... né Pietro poteva ignorar- lo, se era nato e cresciuto a Firenze. » Pietro, nato e cresciuto a Firenze, non ignora- va che in questo caso Porta è nome appellativo che specificasi dall'aggiunto, v. g. Porta s. Pietro., Porta Faenza'.) ma egli non poteasi trovar presente a scal- trire tutti i suoi menanti perchè, o per ignoranza o per negligenza, o per arbitraria voglia di aggiunge- re e diminuire l'altrui dettato, non facessero ne ag- giunte, né omissioni, né spropositi nel suo commen- to. Monsignor Dionisi, che tante belle e rette cose ha scritto del merito dei codici e dei commenti, ha opportunamente fatto scorto ogni critico sul giudi- care di simili antiche produzioni, quando e del com- mento di Pietro, e di quello della Lana e dell'Ottimo sentenziò, che in più codici erano due, tre, e talora quattro commenti in uno (1). Ripetuta riprova di questa verità si ha nella prima edizione del commen- to di Pietro (per attenerci a questo solo) dove non vedi foglio ove non leggasi ripetuto in nota: il codice tale e tale diversamente - i codici tali aggiungono-, -i (1) Dionisi, Aiinecloti num. IV cap. 5, e tmm. V cap. 18- 296 Letteratura tali e tali con diverse parole; e con questo ristuc- chevole ritornello si uniscono le sterminate varianti, onde il diligente editore, esempio di inaudita pazien- za letteraria e sanissima critica, volle fregiare questa prima pubblicazione delle chiose di Pietro Ciò pre- messo, chi non crederà che il commentatore scrives- se in loco dicto Porta s. Petri^ ed il negligente suo copiatore omettesse l'aggiunto s. Pietri^ che determi- na r indeterminato nome appellativo Porta di quel verso? Né io piarlo così per conghiettura possibilis- sima soltanto, ma per certezza attinta dal codice Va- ticano Ottoboni 2867, dove a questo luogo si leg- ge. « Item Ravignani tunc morantes Florentiae iuxta portam s. Petri . . . ubi. » Dunque che si conchiude dagli errori dei copisti contro gli autori ? Niente: gli errori sono di chi gli ha fatti, intanto che le ope- re continuano sempre ad appartenere a chi le com- pose, ma non come sono, sì bene come furono da tutto principio dettate. XXXII. « Al canto XXVI del paradiso Dante supplica divotamente Adamo che gli parli. E Adamo» Indi spirò: Senz'essermi proferta Da te la voglia tua, discerno meglio Che tu qualunque cosa t'è più certa. » E Pietro legge: Senz^ essermi proferta, Dante, la vo- glia tua , e spiega : Vocando Adam ipsum auctorem per nomen proprium ad ostendendum quod a Deo in perfecta scientia fuit ipse Adam creatus, quod omnia no- mina talia sunt ei nota ut patri omnium hominum. Bella veramente ed originale, che Adamo sappia i nomi di tutti gli uomini passati, presenti e futuri ! Di più, come non vide il commentatore che Dante non volle in tutto il suo poema svelare il suo no- me che una sola volta per necessità, com'egli stesso Commento di P. Alligiiier 297 ci avverte al canto XXX del purgatorio, v. 62-63: « Quando mi volsi al suon del nome mio , Che di necessità qui si registra? » Se bella pare ed originale cosa ad uno che è dei cristiani del XIX secolo, che nel 1 340 per chio- sare passabilmente una sentenza creduta di Dante , supponessesi che Adamo dovesse sapere i nomi pro- pri di tutti gli uomini passati, presenti e futuri, che non dovrà parere la uniforme chiosa di Cristoforo Landino, celeberrimo autore del secolo XV, non so se commendato più per la sua molta erudizione di ogni fatta, o pel sano suo e finissimo discernimento cri- tico : ma certo ammirato molto per l'uno e l'altro pregio dai contemporanei e dai susseguenti letterati ? Egli pure abbattutosi, commentando, nella medesima lezione veduta da Pietro , non tenne altro discorso che il tenuto dal commentatore antico. Ecco le sue parole : « Né senza cagione induce Adam che lo chiami per nome; perchè, essendo lui el primo pa- dre degli uomini, gli si conviene mostrare che lui conosca tutti e' suoi buoni figliuoli, » Tale fu a que- sto passo la chiosa di messer Cristoforo; ma pure non per questo surse mai alcuno a deriderlo, a biasimarlo, a dichiarare il suo lavoro indegno di tanto scrittore: egli abbattutosi in una difficoltà, che non comprese esser figlia della ignoranza del copista, si accinse a superarla il meglio che seppe; ma che perciò ? me- rita la berta perchè non fu un Dio a conoscere l'er- rore ? Il simile ragionamento a più forte ragione suf- fraga al dettato di Pietro. Il quale sebbene compo- sto un secolo prima, quando l'ignoranza era presso che universale in Europa e la critica a niuno quasi famigliare , pure fu troppo più acuto del Landino 298 Letteratura nell'addurre la propria ragione, per cui Adamo do- vesse conoscere il nome del nostro poeta. Impercioc- ché il Landino dichiara ciò giusto, perchè si e oìiviene che il padre di tutti gli uomini conosca tutti i suoi buoni figliuoli: ragione superficialissima ed inconclu- dente, come ognun vede; troppi essendo i padri che non sanno i nomi, non che dei loro nipoti e proni- poti, come vuole il caso presente, ma neppure quello dei propri figliuoli. Pietro, di mente svegliata e con- seguente, ricorre alla perfetta scienza in che Adamo fu creato : e siccome per essa ha potuto chiamare con nome proprio, al primo vederli, tutta l'immensa schiera degli animali che Dio creò: così al primo fissare l'occhio in viso a Dante ha potuto chiamarlo con nome proprio. « Vocando Adam ipsum auctorem per nomen proprium: quod a Deo in perfecta scientia fuit ipse Adam creatus » Arroge che il commen- tatore dicendo quod omnia nomina talia sunt ei notai per nomina talia intende i nomi propri^ di cui tocca al cominciare del periodo : ed avvisa non ai nomi appellativi^ con che arbitrariamente senza ragione suf- ficente alcuna vengono appellati gli uomini le più volte; ma accenna a quei nomi che mostrano V essen- ziale proprietà delle cose: di cui dissero i peripateti- ci: Nomina sunt consequentia rerum. E di cui la scrit- tura santa intorno alla scienza infusa del primo padre così si esprime : « Foì'matis igitur Dominus Deus de humo cunctis animantibus terrae, et universis vo- latilibus coeli^ adduxit ea ad Adam, ut vidcret quid vocaret ea', omne enim quod vocavit Adam animae vi' ventis , ipsum est nomen eius. Appellavitque Adam nominibus suis curac^a animantia ecc. (1) » Ecco sciol- (1) Genesi cap. 2 v. 19, 20. Commento di P. Allighieri 299 ta ogni difficoltà: Adamo non ripete i nomi che altri arbitrariamente impose alle cose; ma il nome che egli dà a ciascuna cosa, quello è il nome proprio della stessa. Per conseguenza Dante è nome così conveniente al poeta, che Adamo stesso glielo volle imporre, o volle dichia- rarlo bene imposto. Ora chi ne sa dire chi meglio tra r antichissimo commentatore ed il meno antico abbia addotto ragioni assai più conseguenti a supe- rare l'aìFacciatasi difficoltà ? Ma , per tornare al no- stro argomento, se quel grande scrittore , che fu il Landino, non perdette il diritto ai suoi volumi per non avere scoperto l'errore del copista; come altri pretenderà per ciò stesso di farlo perdere a Pietro pei suoi dettati ? XXXIII. Ma qui non è tutto l'errore di Pietro: l'oppositore continua così: « Come non vide che Dante non volle in tutto il suo poema svelare il suo nome che una sola volta per necessità, com'egli stesso av- verte con quel che di necessità qui si registra ? « Vero che Dante confessa avere nel XXX del pur- gatorio registrato il suo nome di necessità: vero che i commentatori potevano da ciò argomentare la men- dosità di quella lezione al XXVI del paradiso. Ma a che monta tutto questo ? Essi, non avvertito quel che di necessità qui si registra come un precetto esclu- sivo; abbattutisi nella lezione Dante^ anzi che arbi- trarsi ad alterare il testo, si accinsero ad interpretare più ampiamente la frase di necessità qui si registra: la quale (secondo essi) mostra la necessità che tale nome sia registrato nel XXX del purgatorio perchè pronunziato da Beatrice ; ma non esclude che per altra giusta 7iecessità sia da registrare nel XXVI del paradiso, per esservi pronunziato da quel padie an- G.A.T.CVIII 19 300 Letteratura lieo che impose il suo nome a ciascuno degli ani- mali che Dio ebbe creato. In fatti nel primo passo non è detto , che sarebbesi là solo registrato quel no- me, ma sì è detto che vi è registrato per necessità: e questo mostra che il poeta lo scrisse per alto co- mando di chi lo pronunziò; il che potea avvenire una seconda ed una terza fiata. Così interpretò Pietro quel- la necessaria registrazione; e come Pietro fece, così volle fare il Boccaccio nell'introduzione al suo com- mento, così fecero Benvenuto da Imola ed il Buti, così fece ultimamente Cristoforo Landino. Vedi quan- ti e quali sono gli ingannati , e se puoi, nega il me- rito di buon commentatore al figlio di Dante ! XXXIV. Un secondo rabbuffo viene regalato al nostro interprete dal suo recente censore. Non è nuovo né per l'invenzione, né per l'esposizione: ma tut- to ripreso , e ripescato dalle parole che monsignor Dìonisì registrò negli Aneddoti e nella sua Preparazio- ne storica. Però come pare non v'ha nemmeno quel poco merito della invenzione. Eccolo fedelmente nel suo testo formale. » In secondo luogo il nostro commentatore spesse volte non intende neppvire il significato di molte voci ovvie e comuni. Così ai canti XXVIII v. 8, e. XXXI v. 115 dell' inferno - fortunata - che vale teatro di combattimenti sanguinosi, o di fortunose vicende, egli spiega nel primo: quae vero fortunata dicitur quan- tum ad ibi vineentes. E nel secondo: de Antaeo quo- modo stetit in valle fortunata^ prò romanis subaudi. » Al e. IV del purgatorio egli spiega rubecchio^ cioè rosseggiante, per rota del zodiaco. Dicendo quod hoc magis apparet si zodiacus robecchius., id est rota Commento di P. Allighieri 301 zodiaci^ nam roheechius^ in Thuscia dicitur rota den- tata molendini ecc. » Al e. XV idem, per larve^ ossia maschere, egli intende lastre^ ossia tegoli. Si esset tectus a centum larvis^ idest lastris^ cum quibus teda cooperiuntur. » AI e. XXXI id. pargoletta^ cioè giovinetta, è da lui spiegata per poesia. Ut fuit cum., dieta theologia relieta., ipse Dantes se dedit pargolettae., idest poesi. Egli l'ha interpretata in senso allegorico; ma anche cosi è la cosa più sciocca del mondo. » Al e. XVI del paradiso Vandare alla cerca., lo- cuzione che anche i ragazzi di Toscana sanno che vale andar limosinando^ odi com' è intesa dal nostro Pietro: Et talis est civis hodie., qui irei cireumeundo castrum Semifontis. Vel die quod in cerca., idest in as- signatione , quando villici vocantur ad sua signa et vexilla in exercitu Florentiae, talis est hodie civis qui volvisset se ad dream Semiphontis. « Al e. XXX id. egli spiega clivo., ossia monticello, collinetta, per animale di palude^ o paludino: in quo Deus respicit et contemplatur ut clivum (Cod. Laur. paludinum) in aliis aquis. » Al e. XXXIII id. spiega secoli per giorni. Di- cendo quod in reminiscentia Deitatis unum punctum erat sibi maius lethargum .... quam viginti quinque saecula., idest dies. Ora è mai possibile che Pietro di Dante, uomo profondamente istruito, come sappiamo, fosse capace di dire spropositi così fatti ? » Spropositi cosi fatti Pietro non ne ha detto, comec- ché alcuni errori siengli sfuggiti per oscurità del testo, alcuni per lezione errata, ed alcuni perchè erano por- tati necessariamente dal vezzo del tempo in cui det- tava il suo commento. Ma sopra tutto, ove l'avversa- 302 Letteratura rio più riposatamente consideri la propria esposizione ben, s'avvedrà come egli stesso in tanta romorosa tem- pesta di rimbrotti non bene si appose. Imperciocché non è vero che la dizione fortunata abbia il signifi- cato ovvio e comune di « teatro di combattimenti san- guinosi o di fortunose vicende. » Se così fosse, niuno dei preceduti e niuno dei susseguiti commentatori sa- rebbe caduto nel madornale errore di Pietro, che co- sì spiegò gli addotti due versi dell'inferno: Qiiae vero fortunata dicitur quantum ad vincentes: de Antaeo quo- modo stetit in valle fortunata^ prò romanis suhaudi. Eppure il fatto avvera l'opposto; poiché Vattimo com- mento al canto XXVIII ha: « e dice fortunata peroc- ché più a caso che per ragione è stata menata: » que- sto non è il significato detto ovvio dall'oppositore. Ben- venuto: Fortunata propter vietoriam quam hdbuit 4e- neas : e si accorda con Pietro : ed il Landino, il Vel- lutello ed il Daniello non seppero intendere diversa- mente quella voce (1). Dunque o tale ignoranza di non intendere il significato delle parole ovvie è comu- ne al fiorentino Landino e agli altri interpreti Gradetti, o non è vero che tal significato sia il comune ed ovvio della voce fortunata. Che poi la voce ruhecchio per rosseggiante sia voce comune a Firenze, è tal cosa che (1) Inf. e XX Vili V. 8. Lanjino : Puglia, quale chiama fortuna- la, perchè la l'ortuna in quella mostrò più varietà. Velliitello : Fortunata rispetto a quelli che vi furono vincitori. Daniello: Fortunata, cioè grassa e fertile. Inf. e. XXXI V. 111. Landino. Nella valle fortunata. Felice a Scipione, perchè lo fece reda di gloria. Vellutello. Intende fortunata rispetto a Scipione per consegui ta vittoria. Daniello. Fortuna a, cioè ove il fortunato Scipione vinse o ruppe Annibale Commento di P. Allighieri 303 ha bisogno di forti prove. In tanto sappiasi che in tutti gli autori italiani, che scrissero nel puro idioma volgare di s^, la Crusca non seppe rinvenirne altro esempio che quest'uno di Dante; dunque non è co- mune^ non è ovvio^ come si pretende. Questo sia detto quanto alla significazione ovvia e comune; che quanto alla spiegazione data da Pietro altre cose occorrono da dire. Né più ovvia di rubeechio è la voce larve per maschere^ e l'altra di clivo per monticello^ le quali, sol proprie della lingua latina non inducono obbligo al popolo fiorentino di averle per voci ovvie e comuni. Quanto all'andare alla cerca « per andare limosinan- do » sarà forse vero in generale ; ma nel caso con- creto dell'addotto esempio del Paradiso ciò è tanto dubbio, che noi possiamo affermare che il Landino la intese con Pietro, e con Pietro la intese l' autore dell'ottimo commento. Ecco le parole dell'ultimo: u Ta- le è ora cittadino di Firenze (così al luogo citato) con molti contanti e cambia e merca, che si sarebbe volto al castello di Semifonte , dove l' avolo suo andava alla guardia : » Non diversamente Pietro nel suo commento stampato, ma più compiu- tamente nel già detto codice vaticano ott. 2867: « Et sic ubi avi eorum olim in circa armatorum volve- bant se ad Semifontem , id est ad nomen illius ca- stri, ut alii villici ad nomen aliorum suorum castro- rum et villarum, hodie cernuntur cum civibus Flo- rentiae, ut dicitur hic in textu. « Ed il codice casa- natense (che presenta un giudizioso ristretto dell'ope- ra del Benvenuto) così postilla: » alla cerca, id est ad eustodiam circumeundo moenia cìvitatis. Nulla dico della voce pargoletta nel significa- to allegorico di poesia^ perchè nulla ugualmente può 304 Letteratura dirsi di Beatrice^ di jAicia^ e della donna gentile, che allegoricamente vennero trasportate dai commentato- ri in quello di teologia^ grazia previente, grazia au- siliante, e che so io. In questo non vedo qual prò possa trarne l'oppositore in aggravio di Pietro. Se egli errò, con lui tutti errarono i commentatori dei primi quattro secoli: dunque per questo non si mo- stra ne meno dotto, ne meno erudito né meno cauto, né meno buon critico dei più solenni commentatori di Dante. Finalmente quanto alla glosa di larve per la- stre^ di clivo per animai paludino , e di secoli per giorni^ onde cotanto biasimo e mala voce vien data a Pietro; questi per avventura sono eirori così ma- dornali, e regalati al lettore così fuor di proposito e con sì mala grazia, che, dopo tutto quello che ab- biamo discusso e conchiuso nel §. XXIV tutti i no- stri lettori avranno già raccolto da sé, che non del chiosatore , ma sono vilissima merce dei suoi goffi amanuensi. In vero, datomi a cercare con diligenza nei detti canti il già tante volte allegato codice ot- tob. 2867, e non trovatone alcuna, dovetti col fatto confermarmi nella sopra esposta sentenza (4). (1) Ecco in qual modo si legge nel cod. vatìc. ott. 2867. Purg. can. XV. « Sicut mine subdendo in textu hic de larvis , quae suut illae cohoperturae, seii transfigurationes qiias tiisci vocant mascheras, et lombardi barbancenas (sic) .... » Parad. e. XXX. « Rediicendo ad comparationem dictae illumina- tionis aliquae cumulum, seii coliculum habentem in suo imo, id est in sua inferiore parte, aquam_, qui proprie dicitur clivus. » Parad. e. XXXIII. « Subdendo auctor hic quod unum punctum circa praedicla est sibi majus lethargum, quod dicitur oppressi© ce- rebri cum oblivione, .... quam fuit spatium 25 saeculorum, quae capiunt duo milia septingentos et quinquaginta annos : faciendo quodiibet saeculum ccntum et rfcccmannorum secundum Ugucionem.» Commento di P. Alughieri 305 XXXV. « In terzo luogo dà etimologie così fal- se e puerili da muovere a riso. « Sul merito e bon- tà delle etimologie, sparse a larga mano in quasi tutte le opere del secolo quartodecimo, chi voglia, può bene istituire adì nostri il suo giudizio ; e, se così gli aggrada, sbellicarsi delle risa, come direb- be quell'amabile scrittore che fu il padre Cesari, che ne avrà ben donde, senza che altri ne possa andare corrucciato: ma non sarà mai commendato per mol- ta discrezione quel critico, il quale al lume accre- sciuto da cinque secoli voglia sentenziare per uomo di poca mente colui, che involto nelle tenebre della barbarie e della ignoranza, le immaginò e le tenne de- gne di prender alcuna parte per entro i suoi dettati. Sia dato il debito esame ai tempi ed alle circostanze delle cose, e la bilancia penderà dalla parte opposta a quella che altri suppose. Nella scarsa o niuna scien- za letteraria del medio evo teneasi per certa qual prova di mente acuta e di qualche erudizione pelle- grina il produrre nuove etimologie: le quali il più per un senso accomodaticcio traevansi dalla natura delle cose denominate, anziché dalla derivazione dei vocaboli interpretati. Di questo vezzo, non meno che i mediocri autori di cronache e novelle, si dilettavano i sommi poeti e scrittori; tra'quali han seggio distin- to e Dante, e il Boccaccio, e Benvenuto Rarabaldi da Imola, ed il Buti. Quindi rinveniamo in Dante il no- me proprio Felice derivato dall'addiettivo felice: Sa- pia derivato da savia : e nella Vita nuova abbiamo Primavera nome appellativo di una giovane zitella derivato da prima verrà. E perchè ciò faceasi tanto frequente in quel secolo ? Perchè Aristotele aveva in- segnato che nomina sunt consequenfia rerum. Qnin- 306 Letteratura di non mancava chi traeva V etimologia della lu- na^ dicendola quasi luminum una : la pupilla dell'oc- chio quasi puella: vulcano, vorans candori paradiso, parans visuni: Fiesole, da fie sola. Ma per non tener- ci troppo sui generali, ne basti citarne uno che per gli applausi meritamente riscossi a quei tempi non so chi potrà dirlo stato uomo di poca mente ; Cimi- tero è detto quasi comunis terra:, Camene (muse) so- no dette quasi Canene-, lugere^ quasi luce egere: vol- to viene da volo , vis , secondo la sentenza di mes^ ser Giovanni da Certaldo nel suo commento alla commedia di Dante. E l'autore dell'ottimo commen- to , che pur diede prova di non essere uomo di poca mente., tra le tante etimologie dà quella del so- le , quasi solo lucente : nel che tradusse Boezio che di Dio sole avea cantato: « Quem quia respicis om- nia solus., vere possis dicere solem. (1) E Benvenuto interpretò Allighieri per alia digerens quam alii, op- pure alia digerens plus quam alii poetae: e Dante per lui è scritto Danthe, e spiegato per dono di Dio: interpretazfoni tutte che, qual più qual meno, a'nostri dì invitano al riso quello dei lettori che per la pri- ma volta s'abbatte in esse. Ma che perciò ? si dirà Dante, Boccaccio, Benvenuto e Boezio uomini di po- ca mente ? Non questo, ma si persuaderà qualunque sano intelletto, che a quei giorni era questo un vezzo molto gradito ai lettori : e se Pietro nelle sue chiose lo seguì, non fece che dar prove non dubbie , esser lui stato uno dei più ammirati scrittori del secolo decimoquarto. XXXVI. Cotanto sia detto nel generale intorno (1) Consolai, lib. V me(r. 2. Commento di P. Alluihieri 307 all'etimologie; ma sarebbe mal compresa la mia in- tenzione in tale argomento se altri volesse di qui rac- cop^liere una prova, che io ritengo come spettanti a Pietro le tantissime etimologie che or tiovansi per entro al suo commento. No certo, non fu tale il mio inten- dimento. Ilo voluto provare che il vezzo dell'etimolo- gie in quel tempo antico era avuto per bell'ornamen- to presso ogni bello ed erudito scrittore. Ma siccome dai principali prendono regola gli scrittori secondari ed i mediocri: così addiveniva per necessaria usanza, che tutti di quell'età dotti ed ignoranti ciascuno a suo potere facessero pompa della invenzione di nuo- ve etimologie, o proprie o d'altrui Per la qual co- sa vorremo noi dire che i lettori di qualche merito non ne avranno aggiunte ai codici loro come postille interlineari o marginali ? e che in appresso gli ama- nuensi di quei codici postillati non avranno alloga- to nel testo colali postille e glosemi ? Chi ha tanto quanto veduto codici sarà persuaso della prima no- stra asserzione; e chi lesse quei manoscritti, non man- cherà di risovvenirsi dei tanti glosemi ed aumenti fatti nei codici posteriori da chi non aveva altra abi- lità che quella di esemplare le altrui scritture. Quin- di è che senza altra mia protesta voglio sia qui avu- to per certo, che ritengo come aggiunta all'autografo di Pietro una buona parte delle etimologie che si trovano nei codici ; nel che non pure mi induco per plausibili conghietture , ma sì pure per l'auto- rità del codice ottoboni 2867, già tante volte nomi- nato, dove manca l'etimologia di mctophora^ quella di bizzarro^ di zebe^ di Pallas^ di Hercules e simili, intanto che molte altre vi si vedono a conferma del 308 Letteratura gusto letterario dei migliori talenti fioriti nel secolo decimoquarto. XXXVII. L'oppositore fa colpa al commento di Pietro, che a carte 700 ha: « Et tu, lacobe, in tuis epistolis et theodia ecc., quasi che la theodia venga attribuita non a Davide, ma all'apostolo s. Giacomo.» In ciò era lieve cosa avvedersi che errò il copista e non l'autore. In fatti nel lodato codice ottoboni leggesi a quest'altro modo : A theodia^ id est a psal- mistica scriplura David. « E tanto basti per questa ac- cusa. XXX Vili. « Tutto quel fastidioso lavoro non si ri- duce in sostanza che ad una perpetua allegoria, ch'egli ravvisa quasi ad ogni parola, sciocca, fantastica, sti- racchiata, la quale non può esser passata neppur in sogno per la mente del poeta; a racconti verbosi e pedanteschi non necessari affatto alla spiegazione del poema. . . ad un ammasso informe e indigesto di aflfettate allegazioni le pii'i superflue di Scrittura, di padri, di filosofi. . . . per le quali il commentatore anzi che tendere a dichiarare le cose, che ne hanno bisogno, non mira che ad ostentare, vi quadri o no, la sua pomposa erudizione. ...» Finalmente dalle mende particolari passa l'op- positore a toccare in genere dei difetti che per sua sentenza rendono spregevolissimo questo commento. In tutta questa parte della critica, ove siano espun- ti i carichi e le riprensioni date al chiosatore, noi non abbiamo che a sottoscriverci alla sentenza che l'avver- sario ha dato. Quivi non si attende ad illustrare la lettera del testo, né le storie contemporanee che il testo in più luoghi riferisce, od a cui spesse volte accenna : si tiene indefesso l'autore ad aprire Valle- Commento di P. Allighieri 309 goria, che a suo modo di vedere scorre per tutti i cento canti della commedia: vi sono frequenti narra- zioni di fatti storici vetusti e favolosi ; né meno fre- quenti s'incontrano le allegazioni della Scrittura, dei padri, dei filosofi e dite voi. Ciò è vero : ma e per- ciò stesso dobbiamo dir questo lavoro inutile, sciocco e fantastico ? Io, per quanto ne veda, sono costretto a portarne per differente rajj, ione ben differente sentenza: né credo che chiunque ponga mente ai prmcipii che l'autore si prefìsse, e la natura dell'opera comentata, saprà giudicare diversamente; e tengo per fermo che questi unitosi con me ripeterà essere questo un la- voro assai utile sotto molti rispetti : e che, se vi é del male, tutto si vuole attribuire all'assunto che l'au- tore ha creduto bene prefiggere alla letteraria sua disquisizione. Imperciocché nel suo proemio, nulla cu- ratosi della lettera e della storia contemporanea come di oggetti facili, piani ed a tutti noti a' suoi dì, tutto si ristrinse a promettere di trarre in aperto la sapien- za occulta nel poema paterno, perchè tale fu ed era la volontà de'suoi rìspetlahili sigìiori: u Inqiùt in Ec- clesiastico Salomon (così comincia): Sapientia abscon- dita et thesaurus invisus^ quae utilitas in utrisque. Per haec namqne verba forsan opinor esse raotos certos raeos dominos venerabiles. ... ad suggerendum mi- hi quatenus noviter aliquid fabricarem per quod li- brum comoediae Dantis propriam sapientiam et the- saurum adhuc in non paucis suis angulis clauden- tem, undique perfecte valeant et audeant aperire quidquid habeo et possum eis modo conferam... vi- delicet hoc commentulum velut clavem quamdam ad talia aperienda. . . « Quindi vogliamo argomentare con monsignor Dionisi che il chiosatore non fu il primo 310 Letteratura ad illustrare la Commedia ; poiché dice che a' suoi tempi non ancora si era aperta in ogni sua parte (sapientiara et thesaurum adhuc in non paucisangu- lis claudentem): perchè se gli antecedenti interpreti non dischiusero sufficientemente questi molti angoli chiudenti il tesoro della sapienza, è molto probabile che essi attendessero più di proposito alle nozioni let- terarie, e a'fattarelli recenti, i quali veramente poiché correvano per la bocca del volgo, non erano ne te- sori di sapienza, né chiusi. Dunque è provato, che Pietro, escluso pensatamente dal suo commento ogni esame e notizia letteraria e storica moderna, si diede tutto ad aprire ad ogni lettore il tesoro della sapien- za occultata in molti luoghi della commedia del pa- dre (1). Questa e non altra fu l'instanza dei rispettabili padroni di Pietro j questo e non altro fu l'espresso di lui assunto mandato innanzi alla chiosa. Però se Pietro non saprastà gran fatto alle oscurità letterarie, ed a quelle cose che unicamente s'attengono ai fat- ti de'suoi giorni, perché di quelle premise di non occuparsi; non é ella una vera indiscrezione, non è una manifesta soperchieria, quel volergli recare a grave colpa l'omissione di queste cose medesime, cui altri aveva atteso non molto prima ch'egli si accin- gesse all'arduo suo lavoro ? XXXIX. Ma se quindi fu pensatamente escluso il letterale intelletto del poema , fuvvi espressamente compreso l'allegorico con tutto quel prezioso corredo di sapienza e di erudizione di ogni maniera, onde il valente poeta volle presentarlo adorno al nobile ingegno de'suoi lettori. Però voleasi lungo e serio (1) Dionisi, Aned. num. II e i- Commento di P. Alugiiieri 311 esame praticato con attento viso ed acuto a disvi- ticchiare per entro a tutta la composizione poetica quella preziosa verità, che all'ingegnoso poeta piac- que di appiattare sotto la corteccia delle parole : ne questo supposto fu un sogno di Pietro, né è vana supposizione nostra : ma Dante medesimo lo fa ar- gomentare in più luoghi del poema, ed aperto lo dice nel Convito, colà dove insegna ad intendere le altrui e le proprie scritture (1) ; e direttamente lo ripete della Commedia nella lettera dedicatoria invia- ta a Cane Grande: dove lo avverte essere questa u^n'o- pera polisensa , in cui col letterale trovasi il senso allegorico^ morale ed anagogico. Dunque bene ed ulilmeute adoperò il commentatore quando, per esser fedele all'assunto lavoro, fu tutto sulla ricerca della verità che venne occultata in tutta la composizione della Commedia Ma qui farà nuova istanza l'oppositore fiorenti- no; se il poeta nascose l'allegoria nel poema, non è poi ragionevole che questa sia da ravvisare ad ogni parola, come fé Pietro; né che possa essere sciocca e fantastica e stiracchiata, come quella che egli nel suo commento propone. Ottimamente osservato: una allegoria di questo conio non può essere la vera che passò per la mente del poeta. Noi lietamente così la sentiamo con chi fece cotale istanza. Un' allegoria stiracchiata, sciocca, e fantastica (nel significato d' ir- ragionevole) non può essere passata per la fantasia di chi descrisse fondo all' universo. Nondimeno noi non possiamo unirci a lui dove ciò asserisce dell' allegoria supposta da Pietro: imperocché per quanto (1) Conv. traU. Il Cap. 1. 312 Letteratura noi r abbiamo le tre e le quattro volte considerata tutta quanta ; e per quanto siane qui , qua, e colà paruta estranea ai saldi fondamenti posti dal poeta; non fu mai che ci venisse fatto di trovarla indegna di una mente acuta, intesa a tutt'uomo a spiare per entro le folte tenebre della lettera qual fosse la ge- nuina intenzione dell'autore interpretato. Veramente così è, che il grand'uomo non sempre bene si appose: ma che ? perciò solo dirassi giustamente fantastica e sciocf'a la sua sentenza ? Non voglia Dio: impercioc- ché se volessimo dire fantastici e sciocchi tutti coloro che, intesi a cercarla, non riuscirono a scoprire la mente di Dante, la schiera degli sciocchi sarebbe più numerosa che altri non vorrebbe. Né qui intendo so- lamente degli antichi Boccaccio, Benvenuto, Filippo Villani , Mario Filelfo, il Landino, il Daniello ed il Vellutello con que' tanti che lor succedettero in que- sta occupazione, sino al Lombardi; ma sì lo stesso Foscolo ed il Rossetti : nomi che ad alcuni suonano ammirazione ed osservanza per candore di cuore, li- bertà di sentenza ed acutezza d' intelletto. In vero noi diremo cosa incredibile, ma pur voluta dalle po- ste antecedenze; se Pietro deesi ragionevolmente ac- cusare per fantastico e sciocco, solo perchè immaginò e propose un' allegoria che in alcune sue parti non passò per la mente del poeta : che si dirà di quei tanti e tantissimi ingegni antichi universalmente ap- plauditi per gran mente e pari erudizione, i quali nel fondo dell' allegoria si tennero costanti alla sua , e ne vennero dalla università dei più discreti lettori per lunghi anni applauditi ? Che si dirà poi del Fo- scolo e del Rossetti, che ultimamente appluditi da po- chissimi, biasimati da tutta l'Italia non che dai più Commento di P. àllighieri 313 profondi ingegni dei riformisti inglesi e tedeschi; i quali due autori furono tutti a mostrare nella com- media di Dante il libro del più gran nemico della chiesa e dei troni: il settario, il precursore di Lu- tero e di Calvino; il patriarca dei franchi muratori del secolo decimo ottavo: il vile insidiatore di ogni auto- rità, che, per tema di essere scoperto, usò un linguag- gio eternamente amfibologico: si finge quel che non è sino a riverire con atti, con cenni e con solenni parole le stesse abominate podestà di questa terra? Il quale per ciò tiene gelosamente celato il satirico suo volume, tutto tempestato di motti, di scede, e di satire sparse quasi lavori a musaico, per tutti i versi dei cento canti del suo poema ? Che si dirà, io ripeto, di questi due sommi che videro in Dante quello che pri- ma di loro niun vide, e che dopo le molte loro parole vm'immensità di lettori di mente chiara e di affetto pu- ro, ai quali si uniscono i più eruditi protestanti, non bastano a vedere nella divina commedia? Diremo noi che il Foscolo era uno sciocco? che il Rossetti fu scioc- co e fantastico ? Iddio ne guardi dal biasimarli con titoli di tal natura! Ben altro si meritano gli avventati loro sistemi. XL. Ora voglio venire alle narrazioni minu- ziose e spesso non esatte , ai racconti pedanteschi non necessari alla cognizione del poema. Non può ignorare il nostro avversario, che pessimo costume degli antichi menanti era di aggiungere , togliere , corrompere le scritture all'opera loro affidate. Que- sto abuso, che per grave danno degli antichi dettati è vero generalmente parlando, nel fatto di Pietro è spaventevolmente più che vero. Oltre la giusta sen- tenza lasciataci da monsignor Dionisi, che riconobbe 314 Letteratura nei codici esaminati il miscuglio di più commenti in uno, vogliamo noi contentarci d' invitare l'attenzio- ne di chi legge a scorrere le note, di che la instan- cabile e commendevolissima cura del chiarissimo pro- fessore Vincenzio Nannucci arricchì la prima edi- zione, confrontata con soli quattro codici fiorentini, e due vaticani: a vedere così alla sfuggita le corre- zioni con tanto criterio e con somma fatica allogate infine del commento, dove si danno nella vera lezione i tanti tratti di antichi autori, che nel codice veggonsi sfigurati così che non basta uomo a rilevarne la vera sentenza: e se questi dovrà fare le più alte meraviglie al vedere l'immensa schiera di varianti figlie tutte del capriccio di chi esemplò, se avrà forte a sdegnarsi per la crassa ignoranza che discopresi in chi trascrisse i tratti formali dei vari autori dal chiosatore citati, il che ninno non vorrà dir tutta opera dei menanti; dovrà poi senza modo andarne stupefatto leggendo frequentissimi, anzi continui, gli avvisi dell'editore: « il codice tale e tale aggiunge: - i codici tali nar- rano il fatto in altra maniera - con diverse parole : - questo passo manca ai codici tali, e l'abbiamo trat- to dal codice tale, ec: » e così pur continuo per tutto quel volume sempre che occorra di narrare alcun fatto. In breve, non trovi un fatto dove concordino tutti i codici a farne il racconto, ma chi dice più, chi meno, chi niente affatto. Che dunque si può ar- gomentare contro l'autore? Certamente egli avrà scrit- to ad un modo solo: certamente, come scrittore pro- fondamente erudito, ed uomo di sano ed acuto cri- terio, quale si mostra nel rimanente del suo lavoro, avrà narrato i fatti come veramente credevansi a suo tempo, avrà copiato i tratti degli autori allegati Commento di P. Allighieri 315 come giacciono nei loro volumi: certamente egli sarà stato più saputo, più conseguente, e più amico del vero, che tutta la schiera de' suoi amanuensi. Dunque chi mai si terrà tra due nel conchiudere, che se nulla vi ha di buono in quel lavoro, è tutto di chi lo com- pose : se molto vi ha di errato , d' improbabile , di insussistente e contrario alla critica, fu tutta opera dell'ignorantissima presunzione di chi dall'originale trasse la copia, e dalla prima copia e dalle copie tutti gli altri esemplari, che di presente veggiamo gravi- di e coperti dei più ributtanti errori ? E finalmente si conchiuderà, che tutta in fummo si risolve l'accusa data a Pietro, di aver composto ed infarcito il suo lavoro di narrazioni minute sciocche ed inopportune. XLI. Veramente rimane tuttavia a suo carico la frequenza delle narrazioni , che l'avversario dice inutili ed estranee al passo interpretato, perchè di storia e di favole poetiche conosciutissime ecc. Questa men- da, che sembra di grave peso contro la valentia del commentatore , cede qual piuma incontro al vento se le vengano opposte le ragioni che la critica som- ministra; ma di più ella mostra apertamente, che chi la immaginò non attese allo stato intellettuale ed ai bisogni del secolo in cui Pietro commentava. In que- sta occasione siamo lieti di poter confortare il nostro chiosatore colle parole stesse, onde Ovidio confor- ! tava il volume delle sue malinconiche poesie: » ludicis olficium est, ut res, ita tempora rerum Quaerere: quaesito tempore, tutus eris. » Per condannare come pedantesche ed inutili, perchè a tutti conosciutissime , le nozioni storiche, scienti- G.A.T.CVIII. 20 316 Letteratura fiche o letterarie che uno scrittore innestò nel suo libro, è da cercar prima bene nella storia dell'epoca in cui l'autore scriveva, per conoscere completamente quali erano i bisogni scientifici e letterari de' suoi coetanei. L'oppositore ha egli coscienziosamente com- piuto quest'obbUgo del retto giudice ? Per determi- nare che certe cognizioni e racconti sono estranei all'argomento vuoisi nel giudice profonda cognizione dell'opera commentata : l'oppositore n' era egli for- nito ? ludicis officium est^ ut res. ita tempora rerum quaerere. Io non entrerò in una ricerca , dove van- no di pari passo l'arduità e l'odiosità: ma costretto dalla quistione ad investigare qual fosse il bisogno scientifico e letterario di quel tempo per distruggere l'accusa data al lavoro di Pietro, non potrò mai farlo, se non avrò provato che il bisogno della società, per cui questo libro si dettava, era tale che giugnevano opportune le cose in esso narrate e nel modo che vennero narrale. Per venire sicuramente e brevemen- te a questo, credo opportuno e sufficiente il mostra- re che tale fu il giudizio che ne fecero i dotli che scrissero immediatamente e prima e dopo di Pietro. Con ciò noi in certo qual modo offriamo al lettore la sentenza di giudici contemporanei all'autore conteso. L'autore dell'ottimo coment© scriveva intorno al 1330, Pietro dettava il suo lavoro nel 1341, ed il Boccaccio lo leggeva nell 375. Ora il bisogno di notizie letterarie e scientifiche, che era massimo nella prima metà del secolo XIV, nella seconda per l'impegno che e il Pe- trarca e il Boccaccio avevano posto a moltiplicare gli esemplari dei volumi greci e latini, erasi non poco diminuito: dunque se noi proveremo che il metodo seguito da Pietro, quanto all'esporrre fatti storici, fa- Commento di P. Allighieri 317 volosi, nozioni scientifiche ed amniaeslramenti lette- rari, eia uno con quello precedentemente tenuto da colui che fece V ottimo commento^ né molto diverso da quello che sei lustri più lardi ha praticato l'eruditis- simo Boccaccio; noi avremo dato la prova inelutta- bile, che tale metodo era assolutamente voluto dai bisogni del tempo in cui Pietro scriveva. Ma che Votlimo commento sia ridondante di notizie e narra- zioni storiche, favolose, e letterarie come il commen- to di Pietro, è cosa tanto nota e tanto facile a ri- conoscere da chi ne dubiti, che io crederei far torto alla discrezione de' miei lettori se qui ne adducessi alcuna prova letterale. Quanto poi al certaldese, lie- vemente, chi voglia, può convincersi che non solo non isdegnò arricchire il suo volume di tutte le no- tizie storiche sacre e profane, mitologiche e scienti- fiche, letterarie e grammaticali ; ma anzi superò di gran lunga il numero e la esposizione dell' ottimo commento, e quella del figlio di Dante. Giudichi per- tanto chi può, quanto siano assennatamente dichia- rate pedantesche^ inutili^ inopportime e minuziose le narrazioni di Pietro ; le quali vennero ancora più tardi ripetute come utili, opportune, quadranti al bi- sogno da quel genio del Boccaccio che riscoteva la meraviglia di tutto il suo secolo, compresa la stima ed amicizia dell'ammirato messer Francesco Petrarca. XLII. E con questo io mi tengo d'aver trion- falmente abbattuta dalla base questa colossale obie- zione del chiaro avversario di Pietro ; ma per non lasciare campo a ripetere, come già si fece, che io mi sono sforzato di abbattere le difficoltà avanzate da monsignor Dionisi, ma non tutte-, perchè non le toc- cai una per una: chiedo permesso al lettore di yc- 3 1 8 Letteratura nirne passo passo alla rassegna sul testo della Rivi- sta fiorentina. Dopo aver detto che le narrazioni di Pietro sono minuziose ed inutili, perchè conosciutissime: che sono un ammasso di affettate allegazioni di Scrittura , di padri, filosofi ecc., conchiude: » Per le quali il com- mentatore, anziché tendere a dichiarare le cose che ne hanno bisogno , non mira che ad ostentare , vi quadri o no, la sua pomposa erudizione. Così, per darne qualche esempio, parla Dante nel e. XX inf. degli indovini ? E il commentatore ajQferra l'occasione di schierarti davanti tutte le diverse specie di indo- vinazione. » Se questo, io ripiglio, non è un merito in quel commento, come pare a noi, ma n' è difetto, è tale un difetto ove non si guardò di cadere spesso messer Giovanni da Certaldo. Si è egli abbattuto a leg- gere il titolo della cantica detta inferno ? ed ecco ti dà principio alla quistione se esiste inferno: e te lo prova con lunghi ed armoniosi periodi ricolmi d'ogni erudizione sacra, profana, e mitologica: ne termina se prima non ti ebbe narrato i nomi tutti, onde venne in ogni tempo appellata la magione di Dite. Dice Dante nel secondo dell'inferno, o musei ed egli dà principio a tal chiosa, che più non termina, se prima non ti ha fatto sapere con quali parole i poeti latini e greci diedero principio ai loro poemi ; se non ti ha nominatamente narrato uno per uno i nomi di ciascuna musa col seguito della rispettiva etimologia, della descrizione dell'onorevole ufficio cui qual si è l'una di esse presiede; e non senza un corredo vera- mente ^magnifico di erudizione greca e latina. Nel primo della stessa cantica disse Virgilio, poeta fuiì ed eccoti messer Giovanni a tessere una lunga, eru- Commento di P. Allighieri 319 dita, giave ed animatissima narrazione onde avesse origine la poesia. Soggiunjje tosto il mantovano poe- ta, e cantai: e qui il glosatore da Certaldo ti pre- senta senza fiatare la ragione ben lunga perchè i poe- ti usino il vocabolo cantare in significato di compor versi . . . Dice il testo « nacqui sub Julio ? » ed ec- co il Boccaccio inteso a tesserti il racconto di quan- te cose sono dette intorno a questo poeta,, comincian- do dal luogo ove nacque » continuando a quelli ove visse e morì: e tutto questo corredato dalla descrizione delle sue magiche invenzioni. Però vi è detta la mo- sca ed il cavallo di bronzo da esso fatti sotto sì fatta costellazione che aveano la virtù, quella di scacciare le mosche ed i tafani che erano in città: e questo di fair sano ogni cavallo che avesse avuti i dolori. » (1) Né (1) Perciocché mi sembrano molto amene, mi piace di riferire le formali parole del commento. « E portò tanto amore alla città di Napoli, che essendo solennissimo astrologo, vi fece certe cose nota- bili con l'aiuto delia sfrologia; perocché essendo Napoli fieramente infestato da continua moltitudine di moschej e di zanzare e di tafa- ni, egli vi fece una mosca di rame, sotto si fatta costellazione, che postala sopra il muro della città, verso quella parte onde le mosche e i tafani da una palude vicina vi venivano, mai, mentre star fu la- sciata, in Napoli non entrò né mosca né tafano. Fecevi similmente un cavallo di bronzo ecc. » A questa favolosa tradizione della mosca di rame di Virgilio al- ludeva Gino da Pistoia nella sua satira, che comincia: « Deh quando rivedrò '1 dolce paese: » alla stanza seconda, in questi versi diretti a Virgilio morto in Napoli. » 0 sommo vate, quanto mal facesti A venir qui: non t'era me' morire A Piettola, colà dove nascesti ? Quando la mosca per t'altre fuggire In tal loco ponesti, Ove ogni vespa doveia venire A punger quei, che ai lochi alti stanno.. » 320 Letteratura vi mancano le due teste di marmo, delle quali una ridea e l'altra piangea. Come feci di questi così po- trei continuare nella citazione di molti e molti altri fatti in ogni cosa somiglianti alle mende imputate al nostro autore: nei quali il Boccaccio ad ogni carta del suo commento trattiene lungamente il suo lettore. XLIIl. » Dice al e. VI del purgatorio, che la gente guelfa dovrebbe lasciar seder Cesare nella sella ? ed egli si perde a narrare i vari generi di governo. » Non è precisa l'espressione, che Dante nel citato passo drizzi il suo discorso alla parte guelfa in ge- nerale, mentre è tutto ai magnati della curia roma- na. Ma anche lasciato questo, non pare invero che tanto male facesse il commentatore a trattenere alquanto i lettori sull'argomento dei vari generi di governo^ quan- do il testo è tutto sul dare ad uno di questi la pre- ferenza sopra qualunque altro. Come sapere che il preferito nel testo è il vero e necessario alla felici- tazione dell'umano consorzio, a che intende l'autore, se non vengono enumerati e considerati gli altri go- verni tutti ? Non vi è prelazione senza confronto: e questo non si ottiene che ponendo gli oggetti com- parati ad uno ad uno di costa al preferito. Non altro fu il metodo seguito dal giudizioso Boccaccio. Bea- trice nel secondo canto dell'inferno commenda Vir- gilio come poeta di eterna rinomanza. Ed il chiosa- tore, istrutto della mala voce che universalmente a' suoi dì era data ai poeti e loro parti, non passò ol- tre alla interpretazione del testo se prima non ebbe vittoriosamente distrutte le goffe accuse portale con- tro la poesia^ e se poi non ebbe ad ogni uomo pro- vato che divina arte fosse la scienza poetica sopra qualunque altra. In altri incontri di simil natuia non Commento di P. Allighieri 321 lasciò di attenersi al somigliante modo di trattare, ed in ciò fece bene. Però può esser men bello in Pie- tro, ciò che nel Boccaccio si tiene per bellissimo molto ? XLIV. » Dice ?1 canto XXI del purg. , che sulla montagna del purgatorio non pioggia, non gran- dine, non neve, non rugiada, non brina cade giam- mai? Ed egli si distende a spiegarti che cosa è la pioggia, la grandine, la neve ecc. » Io non so che avrebbe fatto il certaldese, giunto a questo luogo del testo: ma se dal metodo seguito nei diciassette primi canti della Commedia lice argo- mentare la sua condotta nel rimanente, metterei pe- gno che non avrebbe fatto altramente da Pietro. In vero tutta volta che messer Giovanni si abbatte in vocaboli o concetti che hanno per fondo la storia o qualunque delle scienze, o in vocaboli che alle scienze come che sia appartengano, non usa passare oltre sen- za averne data alla sua udienza piena ed esatta no- zione. Il secondo canto comincia: « Lo giorno se n'an- dava, e l'aer bruno ec. » ed il Boccaccio la prima cosa che fa è quella di dimostrare che sia giorno: come diviso dal nascere ed occultare del sole: quan- te siano le ore della notte e del dì artificiale, e quan- te quelle del naturale ecc. Se tanta cura pose a di- chiarare una cosa che quasi ad ogni uomo è nota e chiara come il giorno nel sereno meriggio, che non avrebbe fatto abbattutosi in quistionì naturali curiose per se, difficili ed oscure in ogni tempo, ed affatto affatto dalla meglio parte degli uomini del suo seco- lo ignorate ? Tale norma seguì giunto alla frase sen- tisse amor del XII dell'inf. v. 42 dove lungamente si trattiene a discorrere della origine delle cose, se- condo l'opinione di Democrito; della quale sentenza 322 Letteratura ne avea già toccato lungamente al canto IV v. 135. Così avea fatto nel v. 31: giunto alla Bufera infer- naie: apprende ai lettori che sia bufera secondo la fìsica de' suoi tempi : e così fa sempre che nel testo si tocchi di cose naturali. Dunque Pietro non fu tanto inopportuno offrendo ai suoi lettori tali cognizioni, che pure il dottissimo Boccaccio volle 30 anni più tardi raccontare alla sua dotta e numerosa udienza. XLV. » Dice al e. XXVI id., che Cesare udì chiamarsi da suoi soldati col nome di reginal Ed egli si fa a parlare delle villanie e dei trionfi di Ce- sare, e a darti la descrizione del trionfo che si otte- neva dai vincitori. » Il nome ignominioso , di cui qui si parla , fu gridato contro Cesare in alcuno de'suoi trionfi: però non farcì meraviglia che quindi l'interprete cogliesse r opportunità di presentare ai lettori quelle nozioni che meglio potessero giovare alla cognizione del fatto, cui eruditamante ed alla sfuggita il poeta accenava. Il Boccaccio in questa occasione, se da altri fatti si- mili puossi raccogliere alcuna norma del suo com- mentare, non avrebbe praticato diversamente da Pietro. Nel secondo dell'inferno Beatrice sollecitando il poeta mantovano a soccorrere il suo amico, gli disse: « ^ni- ma cortese,. . . Di cui la fama ancor nel mondo du- ra. » Ed il chiosatore certaldese non la finisce più se con armoniosa eloquenza non ti ha prima raccon- tata per filo e per segno tutta la mitologia della fa- ma accompagnata dalla esposizione del senso allego- rico della stessa. Disse Virgilio a Dante: Li parenti miei furori lombardi .'^ e messer Giovanni ti fa dono della prolissa cognizione come addivenne che una delle itale contrade avesse il nome di Lombardia: la Commento di P. Allighieri 323 quale dai galli prima era detta Gallia eoe : e così sempre fa ad ogni parola di qualche merito di erudi- zione e di scienza. XLVI. » Dice al e. XXIX id. della medesima cantica del purgatorio E come ninfe che si givan so- le ecc. ? Ed egli ti avvisa che la vergine sposa si chiama ninfa, perchè vergine si lava, e quando si vmisce al marito si dice paraninfa, e quindi ti rega- la i diversi nomi delle ninfe della favola. » A liberare dalla noia il lettore noi per replica rispondiamo, questo appunto appunto essere il metodo seguito dal cartaldese (vero modello dei buoni com- mentatori del XIV secolo) di cogliere occasione dal testo per istruire il lettore in ogni cosa erudita, scien- tifica, storica, letteraria ecc: come (perchè io nulla dica di mille altri ugualissimi tratti) come là nel pri- mo dell'inferno, dove il testo toccando della dolce sta- gione^ passa il commento a descrivere il moto cele- ste onde procedono le diverse stagioni ed i mesi del- l'anno. Perciò è bello che provato, che quanto ad al- cuno dispiace nel lavoro di Pietro, piacque tanto al dottissimo Boccaccio che non seppe tenere altra via nel tessere il suo commento. Il perchè, ciò stesso che altri arreca a difetto, noi lo dobbiamo ascrivere ad alto merito di chi dettò il commento, che da sì lun- go tempo ci tiene occupati. XLVII. » Avvertasi ancora che nonèneppur cer- to' che Pietro distendesse un vero e compiuto com- mento sul poema del padre. A buon conto il Celli nella prima lezione sopra l'inferno, parlando di Pie- tro, dice: Fece ancora egli sopra detta opera alcune postille latine. E forse che queste esistono fra le non poche di anonimi, che si conservano inedite nelle S2A Letteratura pubbliche librerie . . . Dice il Filelfo nella vita di Dan-' te, che non può rettamente interpretarsi il poema di lui senza aver veduto il commento di Pietro : Nee arbitror quemquam rect(^ posse Dantis opus commen- tari nisi Petri viderit volumen , qui ut semper erat cum patre^ ita eius mentem tenebat melius. Altra pro- va evidentissima che non è questo il vero commento di Pietro. Imperciocché se egli convivendo (il che fu detto) col padre mentem eius tenebat melius^ senza dubbio ci dovremmo attendere dichiarati da esso i luoghi più intralciati ed oscuri del poema, avendo avuto cam- po in ogni sua difficoltà di ricorrere al padre. Al- l'opposto nulla di tutto questo, ecc. » Colla prima parte della citazione intenderebbesi provare che Pietro non abbia disteso un compiuto e vero commento, perchè il Gelli disse aver lui fatto alcune postille. Ma il Gelli parlava agli accademici non da storico, ma da oratore: perciò nella sua fra- se oratoria, fece alcune postille., non vieta che inten- dasi alcune per molte o poche postille., secondo che richiede il vero. Ma siccome il Filelfo, autore storico ben più antico del Gelli, non solo dà all'opera di Pie- tro il nome di volume (volumen Petri) ma sì lo sti- ma pur anche di tanto pregio che senza esso non 8Ì possa rettamente interpretare la commedia; il che non potrebbesi giustamente dire di alcune postille , nel significato di poche: così ragione debitamente usa- ta vuole, che il recente scrittore col dire alcune po- stille volesse far intendere un sufficiente numero di osservazioni all'opera paterna. Ma nondimeno questo non impedisce essere vero il giudizio dell'oppositore che non è certo che Pietro facesse un compiuto com- mento; anzi per mia sentenza, questo giudizio , nel Commento di P. Alltghieri 325 conformarsi all'espressione del Celli è tutto unifor- me al volume che a Pietro viene attribnito da co- dici molto antichi; dove nel proemio l'autore lo de- nominò picciolo commento (commentulum) per apri- re la sapienza occulta; e nel corpo sono frequenti le transizioni: Alia per te vide; Alia in hoc capitulo per se patenti et haec prò hoc capitulo, e simili maniere che, troncala a mezzo la chiosa in ordine al testo, danno prova al lettore che questo non è un vero e compiuto commento parola per parola su tutta la commedia di Dante Allighieri ; ma solo una chio- sa ad alcune parti principali. Né fa gran forza contro il vedere che questo sui principali punti del testo si protragga sino a riem- pire ben 741 faccia di stampato in ottavo ■ poiché se il Boccaccio, solo chiosandone la quinta parte, pro- trasse di tanto il suo lavoro che basta ben per 915, di ugual sesto, della compatta edizione di Ignazio Mou. tier (Firenze 1831): ognuno dee raccogliere che per contenere l'intero e compiuto suo commento non sareb- bero bastate le 4500 facce. Quindi chi dirà mai stra- namente lungo il lavoro di Pietro, che non oltrepassa il settimo di quella cifra? Il perché, lasciato l'argo- mento delle postille^ veniamo al più rilevante della obiezione. Il Celli adunque, più servendo all'armonia del nu- mero oratorio che al vero del concetto, scrive che anche Pietro fece alcune postille sopra detta opera; ed il Filelfo cento anni prima aveva detto, che niu- no può rettamente interpretare il poema che non ab- bia veduto il volume di Pietro. Questi due allegati fanno per noi: imperocché riconfermano ambidue l'an- tichissima tradizione che Pietro abbia chiosato l'ope- 32G Letteratura ra paterna; la quale testimonianza, oltre quella del monumento sepolcrale eretto a Pietro in Treviri, è bellamente avverata dai tanti codici attribuenti allo stesso questo lavoro. Per quanto poi si riferiscono alla proposizione del Filelfo: qui ut semper fuit cum palre : fu , senza più ammetter replica , sanamente provato da monsignor canonico, che Mario Filelfo dis- se ciò che mai non fu vero: perchè Pietro, che ha perduto il padre in Ravenna innanzi che fosse con- ventato dottore a Bologna, non ha certo potuto fare da fedele compagno di viaggio a suo padre (semper fuit cum patre). (ì) Dalle parole del Filelfo sieno pertanto vagliate fuori le esagerazioni ed ornamenti oratorii, i quali se amplificano il sentimento ed arro- tondano il numero oratorio; anzi che giovare, nuocono alla verità del fatto: e ne avremo la costante verità, che il primogenito del poeta, a giudizio del Filelfo che lo teneva in mano, fece un pregiato commento alla commedia del padre, XLVIII. » Ma si conceda (cosi continua l'oppo- sitore) si conceda pure che sia di Pietro. In questo caso, in che pregio dovrà esser tenuto ? Non esitia- mo ad affermare esser questo il più insulso, il più inutile, e il più vano commento che sia mai stato di- steso: e non può esservi alcuno che, dopo averlo esa- minato, non pensi come noi. <( Cazzica ! esclamerebbe adesso quell'ingenuo scrittore che fu Antonio Cesari: Cazzica, qual sentenza grave, decisiva ed umiliante che questa è pel commento del figlio ^i Dante ! Ei pare proprio che il giudice conosca a perfezione tutto il bello, il buono, il difficile, e tutta l'arte del testo, fi) Vedi il nostro § V. Commento di P. Allighieri 327 se in termini così espliciti ed assoluti dichiara inu- tile insulso e vano sopra qualunque altro questo com- mento. Io mi guarderò bene dal contrapporre an- che un solo iota a sì dura e sentenziosa decisione ; voglio credere che chi parla tanto risolutamente ab- bia ben onde così parlare. Ma poiché da tutte le pre- messe difficoltà e difetti, che sinor siam venuti esa- minando, non ben si rileva qual sia la forte ragione che indusse l'avversario a così inaspettata condanna: non so tenermi che qui non esponga sotto quale me- rito siami comparso il lavoro di Pietro la prima fiata che il vidi, e quando già per più e più anni aveva fatta una lunga, e ripetuta e posata meditazione di tutta quanta è la divina Commedia: ben contento dal- tronde che il mio lettore la pensi come vuole, senza chiamarmi offeso per la diversità di parere, in cui per avventura saremo per doverci trovare. In che pregio dovrà esser tenuto il commento di Pietro ? Io feci a me stesso cotal domanda ; ed il mio intimo rispose : Il pregio di questo libro può essere minimo^ mediocre^ grande e grandissimo^ secon- do la classe dei lettori di Dante. Per tutti coloro che intendono a rovistare per entro la commedia cercan- dovi delicate descrizioncelle amorose, e fatti somma- mente truci, come sarebbe la Francesca da Rimini, il conte Ugohno, la Matelda, l'apoteosi di Beatrice, l'apostrofe all'Italia del VI del Purgatorio e simili , questo lavoro non ha pregio: anzi che inutile e vano, egli è insulso. Per coloro che nella commedia corro- no in traccia di belle descrizioni di ogni maniera da imitare o da intarsiare quando che sia nei poetici o prosastici loro dettati: per coloro che sudano a far raccolta di frasi pellegrine, di vocaboli antichi e stra- 328 Letteratura ni di significato, o di costruzioni contorte da ingem- marne quasi lavoro musaico i loro poemetti, o ro- manzi storici, o storie romantiche, questo libro tor- nerà sempre inutile, vano, insulso. Né meno vano inutile ed insulso sarebbe per chi, come il Rossetti fece, nel poema sagrato non altro vuol pescare che enigmi, anagrammi, numeri magici , frizzi satirici e sentenze rivoluzionarie ed irreligiose e simile lordura. Non legga il volume di Pietro perchè inutile, lo ri- getti perchè insulso chiunque fabricatosi nel proprio sistema politico e religioso un Dante riformista, un nemico della spada e del pastorale, va sciorinando (e perchè non dire torturando e straziando?) ogni frase, ogni parola, ogni lettera dei volumi dell' Allighieri per rinvenirvi la dottrina empia e tenebrosa di Lutero e Calvino, e tutto il satanico linguaggio delle sette mas- soniche capitanate prima dai Voltaire, e quindi dai Pother. Finalmente chiunque legge la commedia nel solo senso letterale, contento della favola che descri- ve un uomo, il quale dallo smarrimento in una selva oscura viene miracolosamente, per la via dell'inferno, guidato al purgatorio ed al paradiso ; questi pure invano vorrebbe trovare utile il commento di Pietro: questo volume gli tornerebbe quasi sempre vano ed insulso. Sin qui noi ci troviamo così concordi nel pa- rere col nostro avversario, che mo ed issa non si pa- reggerebbe di più. Ma io dico seguitando; se alcuno è tra i lettori che, ammirato già lungamente il bello e l'artifizio poetico della lettera, abbia meditato suffi- cientemente anche sul bello allegorico: se v'ha alcun lettore che ami contentare il suo sguardo nella piena visione della seconda bellezza dello spi rito della com- media, per colmarsi di nuova meraviglia nell'incredi- Commento di P. Allighieri 329 bile artifizio onde fu condotta questa scrittura poli- sensa, nell'ampio corredo di ogni preziosa cognizio- ne in qualunque genere di scibile, nell'eccellentissi- mo fine propostosi dall'incomparabile artista che, can- tando la gloria di colui che tutto muove, intese dire della sua Beatrice quello che mai non fu detto di alcuna: questi rechisi pure in seno il volume di Pie- tro, che in qualunque di queste brame si troverà lieto assai prima che stanco. Imperciocché indi si av- vedrà col fatto, che veramente la commedia « è quel fiume piano e profondo, nel quale l'agnello puote an- dare, e il leofante notare : cioè in esso si possono i rozzi dilettare, e i gran valenti uomini esercitare. » (1) Certo quelli tutti che svolgeranno il commento di Pietro neir intenzione di esercitarsi intorno al senso allegorico, troveranno in quello un compagno, una guida, un maestro che avvisandoli tratto tratto della preziosa scienza onde ogni sentenza, quasi ogni frase, ogni parola è spremuta, vedranno come per incanto aprirsi innanzi al guardo un' ampia ed amena sala ricca e artificiosamente ricolma delle più pregiate gioie dell'antica sapienza. E dove altri non avvisava che epitleti, contorsioni di frasi, amplificazioni super- flue, e forse anche delle incoerenze o credute difetti dell'antica età^ oppure ivi poste ad impinguare i can- ti del poema ; Pietro nel mostrare tutto opportuno, savio, e necessario, farà loro avvisare e gustare le più nuove delizie che umana mente potesse imban- dire allo spirito di quei pochi lettori che per tempo drizzarono il collo al pane degli angeli. In somma, Pietro farà conoscere e riguardare il libro di Dante (1) Bocc, Com. alk'jjorico al canto 1 clell'iiiC. 330 Letteratura quasi un'immensa galleria dove sono in bell'ordine disposte le più stimate cognizioni che l'umano inge- gno seppe raccogliere sino al tempo che si dettava il tripartito poema. Ben è vero che Pietro non sep- pe tutto vedere, tutto comprendere, tutto manifestare lo spirito del volume paterno ; ma e come può uma- na mente di ciò gloriarsi, se il bello della commedia di tanto si trasmoda dagli umani concetti, che ogni più saputo lettore può dire , come Dante diceva del volto della sua donna: « La bellezza ch'io vidi si tras- moda, Non pur dilà da noi, ma certo io credo Che solo il suo f attor tutta la goda. (1) d Ben è vero che Pietro non seppe cessare alcuna falsa interpretazione, alcuni difetti del suo tempo, ed altri che a lui sono propri : ma che per ciò ? questo non è ne tanto né tale che impedisca che il libro di lui sia meno errato degli altri e che superi qualunque altro che di tal genere uscisse prima o poi, se pur si eccettui il commento del Boccaccio, che non va oltre il XVII canto dell'inferno. Onde io non esiterei a conchiu- dere colla sentenza di Mario Filelfo : Nec arhitror quemquam recte posse Dantis opus commentari nisi Petri vident volumen ... . Né mi credo avere esa- gerato, né altri lo crederà, il quale voglia avvertire che il libro di Dante è materiato di scienza e di vir- tù: le quali furono esposte secondo il metodo ed prin- cipii della scuola peripatetica, come ha saggiamente dimostrato con pari candore e scienza il profondo conoscitore della sapienza di Dante, il sig. Federico Ozanam prof, di letteratura straniera alla facoltà del (1) l'anul. e. XXX v. l'J. Commento di P. Alligiiieri 331 lettere alla facoltà delle lettere a Parigi (1): laonde in que- sto libro ebbero luogo i principii tutti di Aristotile, che nel poema è salutato per maestro di color che sanno: i principii ripeto e i metodi che Aristotele stabilì in ogni parte dell'umano sapere: ed i quali tutti per verità fu- rono accolti nel secolo XIII dall'angelo delle scuole s. Tommaso per l'esposizione delle scienze divine : ivi hanno luogo i moti delle sfere celestiali per opera delle intelligenze superiori: ivi gl'influssi celesti, sanamente intesi; che sono tanta parte della scienza astrologica del medio evo, il tutto secondo gli ammaestramenti di Tolomeo e di Albumasar: ivi gli ordini delle in- telligenze beate, secondo l'esposizione del libro Della gerarchia celeste^ creduto di Dionisio Areopagita, ecc. ecc. Di presente però questi principii e queste scuole furono abbandonate da sì lungo tempo per noi, che più non son noti né stimati altro che per nome, co- me delle cose viete suole addivenire. Pertanto igno- rate queste scuole, questi metodi, questi principii, chi basta più a conoscere perfettamente un libro di alta fantasia che ha quelle cose per base fondamen- (1) Dante et la philosophie catholique, ecc. Parigi 1843, seconda edizione. Di quest'opera, diriUameute avuta per classica nella biblio- teca dantesca, parlò ampiamente ed elegantemente il rinomatissimo gesuita P. G. Batt. Pianciani, professore di chimica nel collegio ro- mano, in un ragionamento inserito oei^Vi Annali delle scienze reli- giose ( serie II fase. IV. 1846 ) : al quale rimettiamo quale dei nostri lettori ama conoscere gli alti pregi di tale dettato, e la superiorità di questa sulla prima edizione. In questo erudito lavoro il eh. P. Pianciani, tra le tante altre cose veramente preziose e nuove ivi toc- cate , determinò così il vero significato della pacifica oriafiamma, del 31 del Paradiso v. 127 che ninno più mai si scosterà ( speriamo ) dalla sua sentenza rispettabile in vero e conseguente. G.A.T.GVIII. 21 332 Letteratura tale, e che anzi di quelle è materiato ? Ninno certa- mente. Ma se altri avesse composto un formale com- mento, che tutto fosse inteso alla illustrazione della Commedia secondo i principii, i metodi e le creden- ze di quel tempo e di quelle scuole; corredato di tutte le erudizioni di ogni maniera in tal genere, a cui accenna il poeta; non avrebbe egli giovato im- mensamente gli odierni lettori nella parie scientifica ed erudita del poema ? A questo, ed a questo solo, at- tese Pietro : questo è lo scopo vero del suo volume, dove, quasi gareggiando col padre, fece tesoro e pom- pa della immensa supellellile scientifica racchiusa nella sua mente e nella commedia. Questo, s'io non erro, è il grande giovamento che il Filelfo intese do- versi trarre da quel volume da chiunque ami retta- mente commentare il libro di Dante : ed è questo il vero e prezioso giovamento che, per quanto io ne ve- da, i lettori del secolo XIX sommamente abbisogna- no, e che non da altri si possono promettere, che dal commento di Pietro Allighieri. XLIX. Da tali considerazioni guidati noi teniamo la pubblicazione di quest'opera come un gran bene che il nobilissimo lord Wernon rese agli studi della di- vina Commedia. E siccome si spera che per sua splendidissima magnificenza in breve tempo saranno stampati i commendevolissimi commenti che sul li- bro di Dante composero Benvenuto Rambaldi da Imola, il Buti, e quello che venne falsamente attri- buito al Boccaccio, con l'altro che già stampò il Vin- delino da Spira, attribuito a Benvenuto Rambaldi da Imola, ma creduto lavoro di Iacopo della Lana; i quali tutti sono di molti lustri posteriori a questo di Pietro: così per più ragioni, e tutte di qualche forza, CoMi\fENTO DI P. Allighieri 333 bene e sensatamente fece milord quando volle, che a tutti fosse premesso quello del figlio di Dante. Im. 65 Arnoldi^ Dei telegrafi elettrici {con una tavola), n 79 Cappello^ Sulla rabbia canina . . » 106 Ravioli^ Sulle liburne rotate {con due tavole). » 117 Cappello^ Pubblica incolumità. . ^ i> 155 Biolchini., Biografia di Francesco Corsi . » 1 76 Liebig.) Chimica animale applicata alla fisiologia ed alla patologia . . . . »> 184 LETTERATURA Potila , Intorno al comenlo di Pietro Àllighieri sulla Divina Commedia . . . » 208 Santucci., Sulla grotta di Collepardo e suoi con- torni. Lettera III .... » 342 Cicconelti^ Cesare Cantii giudice del Metastasio.» 346 Giacoletti., Rifi,essioni sopra ulcuni punti di pre- cetti rcttorici ...... 352 Gamberini., Iscrizioni latine ...» 368 394 BELLE ARTI Matas^ Progetto di compiere la facciata di s. Ma- ria del Fiore in Firenze . . . )> 380 Nava^ Relazione de' restauri eseguiti alla gran guglia del duomo di Milano . . » 381 Varietà. IMPRIUATUK - Fr. A. V. Modena 0. P. S. P. A. Mag. Soe. ihphimàtdr - J. Canali Patr. Constantinop. Vicesg.